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La Bibbia

nel suo
contesto
Luis Alonso Schòkel
Jesus Asurmendi
Bruno Chiesa
Fiorentino Garcia Martinez
Joaquin Gonzàlez Echegaray
José Manuel Sànchez Caro
Julio Trebolle Barrerà
La Bibbia
nel suo contesto
Luis Alonso Schòkel
Jesus Asurmendi
Bruno Chiesa
Fiorentino Garcia Martinez
Joaquin Gonzàlez Echegaray
José Manuel Sànchez Caro
Julio Trebolle Barrerà
Edizione italiana
a cura di Antonio Zani

Paideia Editrice
ISBN 8 8 . 3 9 4 . O 5 I O . O

Titolo originale dell’opera:


J. Gonzalez Echegaray, J. Àsurmendi, F. Garda Martmez
L. Alonso Schòkei, J.M . Sànchez Caro, J. Treboile Barrerà
La Biblia eri su entorno
Traduzione italiana di Teresa D ’Alessandro
Revisione di Antonio Zani
© Editorial Verbo Divino, Estella 19 9 0
© Paideia Editrice, Bresda 19 9 4
Sommario

9 Presentazione dell’opera
n Premessa al volume primo

Parte prim a
G EO G R A FIA E ARCH EO LO G IA BIBLICH E

C a p ito lo I
17 La geografia biblica
C a p ito lo n
59 Archeologia biblica

Parte seconda
STORIA E ISTITU ZIO N I DEL POPOLO BIBLICO

103 Introduzione
C a p ito lo in
10 9 L ’epoca premonarchica
C a p ito lo iv
ixtì L a monarchia
C a p ito lo v
155 L ’ ultimo periodo
della dinastia davidica
C a p ito lo v i
18 8 L ’esilio e la restaurazione di Giuda
sotto i persiani
C a p ito lo v i i
206 La Palestina sotto la dominazione greca
( 3 3 3 - 3 6 7 a.C.)
C a p ito lo v m
zzi Restaurazione nazionale ed espansione asmonea
(16 7 -6 3 a.C,)
C a p ito lo ix
237 La Palestina sotto la dominazione romana
(Ó3 ”4 a.C.)
C a p ito lo x
151 Da Erode il Grande alla guerra contro Roma
(4 a.C. - 66 d.C.)
Sommario

C a p ito lo XI
67 Le guerre contro Rom a
( 6 6 -13 5 d.C.)
C a p ito lo x ii

84 II contesto religioso del N uovo Testamento

Parte terza
B IB B IA E LETTERATURA

C a p ito lo x i i i
15 La Bibbia come letteratura

Parte qu arta
IL TESTO D ELLA BIBBIA

C a p ito lo x iv
76 Lingue e scritture bibliche
C a p ito lo xv
94 Testo e critica testuale
dell’Antico Testamento
C a p ito lo x v i
37 d esto e critica testuale
del N uovo Testamento
C a p ito lo x v i i
^4 Versioni dell’Antico
e del N uovo Testamento

*3 Indice del volume


Presentazione
dell’opera

L'Introduzione allo studio della Bibbia, inaugurata da questo volume de­


dicato al contesto biblico, è nata come progetto durante il seminario
triennale di cultura biblica tenuto da un gruppo di biblisti agli inizi degli
anni ottanta neWambito delle riunioni annuali della Instiiución San Jeró-
nimo para la Investìgación Biblica. In quelle sessioni di lavoro molti pro­
fessori dì Sacra Scrittura espressero la loro insoddisfazione per i manuali
attualmente esistenti, i quali, benché soddisfacenti, non presentavano
gran parte dei progressi della ricerca biblica degli ultimi ventìcinque anni
né accoglievano tutti i risultati ricavabili dalla costituzione sulla Divina
Rivelazione del concilio Vaticano IL Non va dimenticato che a quell'e­
poca si utilizzavano ancora manuali scritti negli anni sessanta. Questa
costatazione c indusse a discutere i fondamenti su cui elaborare Popera
dt cui tutti avvertivamo la mancanza. Si domandava un sufficiente livello
scientifico, l'assunzione dei risultati conseguiti dalla piti recente ricerca
biblica e teologica, un'esposizione a un tempo chiara, completa nei punti
essenziali e orientativa per lo studente di Sacra Scrittura e per quanti de­
siderano accostarsi alla conoscenza della Bibbia. Era quindi necessario
raccogliere ì progressi della scienza bìblica e gli orientamenti introdotti e
suggeriti dal concilio Vaticano IL
Per Vorganizzazione dell'opera venne nominato un consiglio di reda­
zione, composto da cinque biblisti della Instìtucion San Jerónimo, che su­
bito dispose dt modificare il nome in Asociación Biblica Espahola —Insti-
tución San Jerónimo. Il consiglio, ancora attivo, è formato da José Ma­
nuel Sànchez Caro (Pontificia Università di Salanianca), Julia Trebolle
Barrerà (Università Compìutense), Rafael Aguirre Monasterio (Università
di Deiisto), Alfonso de la Puente Adanez (Instituto San Dàmaso di M a­
drid) e Santiago Guijarro (Direttore della Casa de la Bibita). Costoro ela­
borarono U disegno iniziale, discusso nelle successive riunioni dell*Asso­
ciazione Biblica Spagnola e da questa approvato nel 1986. A tale progetto
partecipano oggi una ventina di studiosi della Bibbia, tutti spagnoli, che
rappresentano una vasta gamma di specialisti e docenti dei centri di ricer­
ca spagnoli.
L'Introduzione alio studio della Bibbia è concepita come un esteso ma­
nuale, elaborato in otto maneggevoli volumi, ai quali se ne aggiungeran­
IO Presentazione dell’opera

no due supplementari. Nostro intento è che possano servire da testo base


nelle facoltà di teologia, nei seminari e in qualsiasi altra istituzione di li­
vello universitario o equivalente in cui si seguano studi biblici. Auspichia­
mo altresì un manuale sufficientemente leggibile e chiaro, un libro di con­
sultazione per chiunque desideri un'informazione di base aggiornata sui
problemi suscitati attualmente dallo studio della Bibbia in generale e da
ognuno dei libri biblici in particolare.
I primi due volumi sono dedicati allo studio delle questioni generali
poste dalla Bibbia; il primo riguarda problemi di tipo concreto, attinenti
all'ambiente storico e letterario; il secondo affronta questioni più speci­
ficamente teologiche. Seguiranno tre volumi dedicati ai libri dell1Anti­
co Testamento e altri tre a quelli del Nuovo Testamento. L'opera verrà
completata da due supplementi, uno dedicato al mondo della letteratura
giudaica intertestamentaria, l'altro alla letteratura cristiana connessa al­
la Bibbia.
Nell'elaborazione metodologica si è preferito distinguere, quando pos­
sibile, un'esposizione organica dei risultati conseguiti dalla crìtica attuale
dalla presentazione della storia della ricerca con i problemi che3 come per
ogni scienza viva, rimangono aperti. Si è pure fornita una bibliografia
commentata, per sollecitare l'approfondimento dello studio.
La realizzazione del lavoro, come in genere accade per le opere a più
mani, non è stata facile e, soprattutto, ha sofferto di alcuni ritardi impre­
visti. Ma già oggi possiamo presentare l'inizio di un progetto che ci augu­
riamo sia un utile apporto alla scienza biblica e un abituale compagno
per quanti si dedicano a questo studio per professione o, semplicemente,
per interesse verso un libro che è e sarà sempre letto con passione.
II consiglio di redazione, presentando con questo primo volume /In­
troduzione alio studio della Bibbia* desidera rendere omaggio ai biblisti
di ogni tempo, consapevole di collocarsi sulla strada già tracciata dai loro
sforzi e dalle loro conquiste. Desidera, inoltre, ringraziare l'Associazione
Biblica Spagnola, la quale ha inserito tra ì suoi già numerosi progetti an­
che l'attuale, e l’Editorial Verbo Divino, che ha reso possibile con gene­
rosità, comprensione ed efficienza la realizzazione dell'opera.
Premessa
al volume primo

II presente volume, primo dell3Introduzione allo studio della Bibbia, esa­


mina tutti gli aspetti che favoriscono una migliore comprensione della
Bibbia come libro umano. / suoi estesi capitoli intendono presentare
lam bito biblico generale, il «contesto» che rende possìbile un primo ap­
proccio a questo libros lontano da noi nel tempo e nella cultura. Questo
avvicinamento avviene per gradì successivi.
La prima parte introduce aWambiente fisico in cui ebbe origine la Bib­
bia, offrendoci una breve e interessante presentazione della geografia e
archeologia bibliche. Ne è autore il prof. Joaquin Gonzàlez Echegaray,
direttore d e ll Istituto dì Ricerche Preistoriche (Santander-Chicago) e
membro del consiglio della sezione archeologica dellIstituto Biblico e
Archeologico Spagnolo di Gerusalemme, noto specialista di archeologia
preistorica spagnola e biblica e conoscitore diretto dei luoghi biblici, do­
ve ha trascorso lunghi e frequenti periodi come archeologo. Si tratta di
un contributo nuovo n e ll ambito degli studi biblici spagnoli, a cui fino
ad oggi praticamente mancavano una geografìa e archeologìa bibliche.
Nonostante non sia più che un compendio, e da sottolineare che si tratta
di un lavoro originale, sviluppato con indubbia sensibilità biblica.
La seconda parte, più estesa, è dedicata alto studio della storia del po­
polo biblico, dalle origini fino alla seconda rivolta giudaica contro R o­
ma, conclusasi n e ll anno 13 j d.C . Anche in questo caso il contributo e di
particolare interesse. L ’esposizione, necessariamente concisa, intende sot­
tolineare i grandi momenti utili a inquadrare le pagine bibliche, senza
tralasciare le principali questioni oggi discusse e altre letture che consen­
tono di ampliare gli orizzonti della conoscenza. Sono autori dì questa se­
zione il prof. Jesus Asurmendi, docente alllstituto Cattolico di Parigi, e il
doti. Fiorentino C arda Martmez, attualmente impegnato presso VIstituto-
di Qitmran dell Università di Groningen in Olanda.
La terza parte è un primo tentativo di collocare la Bibbia nelVampio
contesto della letteratura del suo tempo. In questo caso abbiamo potu­
to contare sulla breve ma preziosa collaborazione de! prof. Luis Alonso
Schokel, del Pontificio Istituto Biblico di Ramai tino dei maestri che han­
no aperto la via alPimmenso e stimolante campo degli studi della Bibbia
come letteratura. Il suo contributo consiste nelPesaminare la Bibbia come
tz Premessa al volume primo

fenomeno letterario. Le letterature contemporanee o che hanno influen­


zato VA.T e il N.T. sono succintamente descrìtte dai due storici sopra
menzionati, mentre il prof. José Manuel Sànchez Caro, della Pontificia
Università di Salamanca, presenta un saggio in cui vengono descritti e
classificati i ptù importanti generi letterari presenti negli scritti biblici.
L'ultima parte, che esamina la storia del testo biblico3 offre un intro­
duzione alla complessa scienza, o arte, della critica testuale, accompagna­
ta da una breve presentazione delle versioni bibliche. Anche in questo ca­
so si tratta di un apporto originale alla crìtica testuale. L'autore, il prof.
Julio Trebolle Barrerà, dell'Università Complutense di Madrid, ha elabo­
rato una pregevole per quanto sintetica trattazione, benché a volte, da­
to l'argomento illustrato, possa apparire arida a una prima lettura. Per
quanto si riferisce alle versioni della Bibbia, con eccezione di quelle anti­
che, si e preferito dare maggiore spazio alla rassegna delle versioni italia­
ne, con il contributo originale del prof, Bruno Chiesa, delPUniversità di
Pavia (parte che in questa edizione italiana sostituisce quella del prof’ Jo ­
sé Manuel Sànchez Caro, dedicata alle versioni spagnole della Bibbia).
Si tratta, in breve, di un lavoro interdisciplinare —dì qui Pintervento
dei diversi autori —, proteso a delincare succintamente e con chiarezza il
contesto del libro biblico. Un volume, insomma, in cui, per la prima vol­
ta, un gruppo di biblisti tratta importanti questioni offrendo una visione
d'insieme che non ha precedenti negli attuali studi biblici.
Questa premessa non sarebbe completa se non menzionassimo Pim­
portante contributo del doti. Lorenzo Amiga Espada, professore di Filo­
logia Ebraica alla Facoltà Biblica Trilingue della Pontificia Università di
Salamanca. Il suo lavoro di revisione dei testi e i suoi preziosi suggeri­
menti hanno notevolmente migliorato il volume; a lui, quindi, i più senti­
ti ringraziamenti del consiglio di redazione. La nostra gratitudine va an­
che alPallìeva dì teologia della medesima Università, Maria José Fernàn-
dez-Montes, che nelPultima fase di elaborazione dell'opera ha efficace­
mente coadiuvato il professor José Manuel Sànchez Caro, a cui si deve la
forma definitiva del volume e la cura dei necessari collegamenti tra le va­
rie parti. È doveroso, infine, ringraziare vivamente per la revisione finale,
sempre puntuale e competente, il prof. Alfonso de la Fuente Adànez, che,
oltre ad altri validi contributi, ha preparato Poriginale per la stampa.
Voglia Dio che il lavoro di tante persone risulti utile e appassionante
a quanti si avvicinano a quest'opera in cerca di un ausilio e di un orien­
tamento per meglio comprendere quanto qui ci sta propriamente a cuore,
la Bibbia.
Abbreviazioni e sigle

Abbreviazioni dei libri biblici

A b. Abacuc. Abd. Abdia. Agg. Aggeo. Am, Amos. Apoc. Apocalisse.


Atti Atti degli Apostoli. Bar. Baruc. Cant. Cantico dei Cantici. Col. Let­
tera ai Colossesi. i , 2 Cor. Prima, seconda lettera ai Corinti. 1 , 2 Cron. Pri­
mo, secondo libro delle Cronache. Dan. Daniele. Deut. Deuteronomio.
Ebr. Lettera agli Ebrei. Eccl. Ecclesiaste. Ef. Lettera agli Efesini, Es.
Esodo. Esd. Esdra, Est. Ester. Ez. Ezechiele. Fìl. Lettera ai Fiiippesi.
Film. Lettera a Fìlemone. Gal. Lettera ai Galati. Gd. Lettera di Giuda.
Gdt. Giuditta. Gen. Genesi. Ger. Geremia. Giac. Lettera di Giacom o.
Giob. Giobbe. Gion. Giona. Gios. Giosuè. Giud. Giudici. Gl. Gioele.
G v. Vangelo di Giovanni. 1 , 2, 3 G v. Prima, seconda, terza lettera di G io ­
vanni. Is. Isaia. Lam. Lamentazioni. Le. Vangelo di Luca. Lev. Levitico.
x, 2 M acc. Primo, secondo libro dei M accabei. M al, M alachia. M e. V an ­
gelo di M arco. M ich. Michea. M t. Vangelo di Matteo. N aum Naum .
Neeru. NeemJa. Num . Numeri. Os. Osea. 1 , 2 Pt, Prima, seconda lettera
di Pietro. Prov. Proverbi. 1 , 2 Re Primo, secondo libro dei Re. 1 , 2, 3 , 4
Regn. Primo, secondo, terzo, quarto libro dei Regni (L X X ). Rom. Lettera ai
Romani. Rut Rut. Sai. Salmi. 1 , 2 Sani. Primo, secondo libro di Samuele.
Sap. Sapienza di Salomone. Sir. Siracide (Ecclesiastico). Sof. Sofonia. 1,
2 Tess. Prima, seconda lettera ai lessalonicesi. i , 2 Tun. Prima, seconda lette­
ra a Timoteo. Tit. Tito. T o b . Tobia. Zacc. Zaccaria.

Altre abbreviazioni

Accad. accadico. Ant. Mavio Giuseppe, Antiquìtates ludaicae. Ap. Flavio


Giuseppe, Contra Apionern, arab. arabo, arani. aramaico. Asc. Ts. Ascen-
sio ìsaiae, A .T . Antico Testamento. b Talmud babilonese (segue molo del
trattato). Bell. Flavio Giuseppe, De bello ludaico. ebr. ebraico. Hist. ecd.
Eusebio di Cesarea, Historia ecclesiastica, j Talmud di Gerusalemme (segue ti­
tolo del trattato). L X X Septuaginta. ms(s). manoscritto/i. N .T . N uovo T e ­
stamento. t Tosefta (segue titolo del trattato). T g . Targum . T .M . testo ma-
soretico. V g. Volgata.
(segue)
Sigle

A A S O R Annusi of thè American Schools of Orientai Research. A N E P Ancient


Near East in Fictures relating to thè Old Testament. A N E T Ancient Near East-
ern Texts relating to thè Old Testament. A N R W Aufstieg und Niedergang der
Ròmischen Welt. B A Bìblical ArchaeoJogist. B A R Bonner Altademische
Reden. B A S O R Bulletin of thè American Schools of Orientai Research. BeO
Bibbia e Oriente. Bib Biblica. B T T Bible de tous les temps. C B Q Cath-
olic Biblical Quarterly. C H B The Cambridge History ofthe Bible. C ivC att La
Civiltà Cattolica. D B S Dictionnaire de la Bible, Supplément. D T A T E. Jenni
- C . Westermann (edd.), Dizionario Teologico dell3Antico Testamento . E C En­
ciclopedia Cattolica. EnB A . Diez M acho - S. Bartina - J.A . Gutiérrez Larraya
(edd.), Enciclopedia della Bibbia . EstBib Estudios Biblicos. EstEcl Estudios
Eclesiàsticos. H T h R Harvard Theological Review. H U C A Hebrew Union
College Annual. IE J Israel Exploration Journal. JA O S Journal of American
Orientai Society. JB L Journal of Biblical Literature. JJS Journal of Jewish
Studies. J T S Jou rnal of Theological Studies. L T h K Lexikon fur Theologie
und Kirche. PEQ Palestine Exploration Quarterly, P O A J. Briend, Israel y
Judà en los textos del Fróximo Oriente antiguo, Estella 19 8 z. R B Revue Bibli-
que. RBenS Revue Renedictine, Supplément. R E J Revue des Etudes Juives.
R E T Revista Espariola de Teologia. PJvBibl Rivista Biblica. R S L R Rivista
di Storia e Letteratura Religiosa. R SR Recherches de Science Religieuse. RTL
Revue Théologique de Louvain. T R A T W . Beyerlin (ed.), Testi religiosi per lo
studio dell3Antico Testamento . T R E Theologiscbe Realenzyklopàdie. VD
Verbum Domini. V T Vetus Testamentum. V T S Vetus Testamentum, Supple-
ments.
Parte prima

Geografia
e archeologia bibliche
Joaqutn Gonzàlez Echegaray
Per comprendere con più ampia visione d’insieme e maggiore profondità
possibile il messaggio della Sacra Scrittura si deve conoscere il «contesto»
in cui 1 libri sacri furono scritti e trasmessi: le circostanze storiche e cultu­
rali del popolo che fu il diretto protagonista delia letteratura biblica, la
mentalità, la terra in cui viveva, la lingua che parlava, il tipo di scrittura
impiegato e la trasmissione di tali documenti nel corso della storia.
È necessario iniziare dalle origini, presentando la realtà fisica del paese
della Bibbia, che, come si sa, coincide fondamentalmente con quanto si
suole chiamare Palestina. Tuttavia, in un secondo momento, bisognerà
compiere un percorso a ritroso nel tempo e ricostruire, per quanto possi­
bile, i nomi, i confini territoriali, i centri abitati della terra biblica nei
tempi passati, precisamente nelPepoca in cui i diversi libri furono scritti,
così da verificare e comprendere i riferimenti geografici in essi contenuti.
Ma la «terra» non è solo descrizione topografica e toponomastica, an­
che se con echi lontani di tempi passati. La terra conserva nelle sue visce­
re i residui fisici, i resti archeologici della presenza degli uomini che la
abitarono: le rovine delle città con le loro mura e le loro case, le tombe, i
resti dell’arredo domestico. Tutto questo affascinante mondo archeologi­
co è indispensabile per ricostruire il passato e capire così la mentalità de­
gli autori sacri, comprendendo in tal modo quanto in ogni momento essi
intesero dire.
Capitolo i

La geografia biblica

I. G E O G R A F I A F I S I C A

La regione naturale comunemente conosciuta con il nome di Palestina è


collocata nella zona meridionale della costa più orientale del Mediterra­
neo, suddivisa attualmente tra i moderni stati di Israele e Giordania, in­
teressando in piccola parte anche il Libano e la Siria.
La sua peculiare caratterizzazione geografica è determinata principal­
mente dalla presenza di un bacino idrografico chiuso (il sistema Giordano
- Mar Morto), pressoché parallelo alla costa mediterranea e incassato in
una profonda fossa tettonica. Questa è un tratto della cosiddetta Rift
Valley, sistema di faglie continue, con affossamento parziale della crosta
terrestre che, procedendo dal sud della Turchia, continua a ovest della Si­
ria e dà origine al bacino dell’Oronte (arab. Nahr el-Asi),1 tra le catene
V v

del Gebel en-Nusairiyeh e del Gebel ez-Zawiyeh, per proseguire nel Liba­
no attraverso la valle della Beqà* tra le alte catene del Libano a ovest e
dell’Antilibano a est. Tale solco funge da bacino collettore per il fiume
Oronte, che scorre verso nord, e per il LitànI, che scorre verso sud. En­
trambi i corsi fluviali terminano deviando bruscamente verso occidente,
per sfociare nel Mediterraneo. Solamente a partire di qui il sistema del
Giordano costituisce un vero bacino chiuso. Più a sud la fossa prosegue,
dando origine al Golfo di ‘Aqaba e al Mar Rosso, e penetra infine nel
continente africano, che attraversa da nord a sud nella sua parte centro­
orientale, pressoché parallela alla costa dell’Oceano Indiano. Si trova in
stretta relazione con l’esistenza dei più caratteristici fenomeni geografici
dell’immenso continente, tra i quali i grandi laghi ai confini di Kenia,
Tanzania e Uganda.

i . Per la toponomastica adottata si ponga attenzione a quanto segue: i nomi con equivalente ita­
liano (ad es. Betlemme) consertano perlopiù questa forma; in altri casi, per località situate in ter­
ritorio israeliano ci si è attenuti alla forma ebraica attuale, per luoghi geografici situati in territo­
rio arabo si è di solito preferita la denominazione araba. Sussistono eccezioni per talune denomi
nazioni, tanto neiPuna che nell1altra lingua, già consacrate dall’uso generale. Per Ponomastica del
periodo biblico si sono seguiti prevalentemente Y . Aharoni - M . Avi-Yonah, Atlante della Bibbia,
Casale Monf. 1 9 8 7 ; V . Fritz, Introduzione all1archeologia biblica, Brescia 1 9 9 1 ed E. Schùrer,
Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo (17 5 a.C. - 1 3 j d.C.), Brescia 19 8 5 ss.
i. Il bacino del Giordano

Il fiume Giordano nasce alle pendici dell’Antilibano, ai piedi del mon­


te Hermon (Cebel esh-Sheikh, 2759 m). Ha tre sorgenti principali: el-
Hasbani, ruscello cbe scende con cascate e precipizi dalla Beqà1, Ti­
tàni e Bànyas, che discendono dalle falde del Hermon, in mezzo a un
bel paesaggio montano rivestito di boschi. Nel punto della loro confluen­
za, i tre ruscelli formavano, in una splendida pianura, il Lago Utile,
lungo 4 km ca. e poco profondo, oggi prosciugato artificialmente. Il fiu­
me prosegue verso sud incassandosi in una stretta gola basaltica, attra­
verso la quale scende precipitosamente fino a sboccare nel Lago di Gene-
zaret. In un tratto di ca. r6 km scende più di 200 m, giacché la superficie
del Lago di Genezaret si trova a 2 1 1 m sotto il livello del Mediterraneo
(misurazione del 1986). Tale lago, conosciuto anche con i nomi di Tibe-
riade o di Mare di Galilea, ha un'estensione approssimativa di 21 km di
lunghezza per circa 12 di larghezza. Sulla sua riva occidentale si apre una
fertile piana. Il lago, la cui profondità raggiunge poco più di 40 m, è di
acqua dolce e abbonda di pesci.
Il Giordano riprende il suo corso partendo dalla riva meridionale del
lago e con numerosi meandri va scorrendo attraverso la suggestiva de­
pressione del Giordano, conosciuta anche con il nome di el-Gór, per un
tratto di circa 100 km fino a sfociare nel Mar Morto, La sua superficie si
può calcolare, a tutt’oggi, sui 403 m sotto il livello del Mediterraneo (mi­
surazione del 1984), costituendo la depressione più profonda del nostro
pianeta. La larghezza della valle è disuguale, da ca. 3 km nella zona piu
stretta, fino a ca. 20 nella più ampia, ormai alla fine del suo percorso. Il
Mar Morto ha una lunghezza di ca, 85 km e una larghezza massima di
ca. 15 . Le sue acque sono molto salate, mancano di fauna ittica e i fonda­
li giungono sino alla profondità di 400 m (ca. 800 m sotto il livello del
Mediterraneo), sebbene nella zona meridionale, a partire dalla penisola
di el-Lisàn, situata sulla riva orientale, la profondità decresca in modo
considerevole.
A sud del Mar Morto s’incontra una specie di reiterazione del Giorda­
no. È il Wiidi el-£Àrabah, solco impressionante con un alveo secco che
dal Golfo di ‘Aqaba va scendendo fino al Mar Morto in senso inverso al
Giordano, evidenziando la continuità della grande fossa tettonica.
Il fiume Giordano, di acque perenni, riceve i suoi principali affluenti a
sinistra. Essi sono: lo Yarmuk (arab. Sheri‘at el-Menàdire), che riversa le
sue abbondanti acque nel Giordano poco dopo l’uscita di questo dal Lago
di Genezaret; il Nahr ez-Zerqa (ebr. Yabboq), a metà strada tra i due
grandi laghi; il Sei el-Mogib (ebr. Arnon), che sfocia direttamente nel
Mar Morto, sulla riva orientale, attraverso una gola impressionante. Gli
Geografia fìsica *9

affluenti di destra sono invece trascurabili e privi di acque perenni (bor­


ri secchi per la maggior parte deiranno). Si distinguono solo il Nahal
Harod e il Wàdl el-Fàrca (ebr. Nahal Tirsa).

2. La regione cisgiordana

A ovest della valle Giordano - Mar Morto fino al Mediterraneo è collo­


cata la regione cisgiordana o Palestina propriamente detta. Una catena
montuosa parallela alla valle si dispiega poco più a sud dell’uscita del
corso del Giordano dal Lago di Genezaret fino all’estremità meridionale
del Mar Morto. Le cime più alte del sistema, conosciuto con i nomi di
Montagna di Samaria o di Efraim a nord e Montagna di Giuda a sud, so­
no il òebel el-‘Azur (ebr. Ba‘al Hasor) di 10 16 m sul livello del M e­
diterraneo nella parte settentrionale e una punta di 1020 m nella zona
meridionale del sistema presso la città di Hebron. Poiché la distanza tra
questa serie di vette e la depressione del Giordano è di appena 20 km. in
questo breve spazio il dislivello è notevole, giungendo fino ai 1400 m.
A occidente, invece, le montagne declinano più dolcemente, dando luo­
go a un paesaggio collinare denominato la Shefela. Gli sono contigui la
pianura costiera, a volte disseminata di dune, e infine il M ar Mediterra­
neo. In questa zona mancano buoni porti naturali. Sulla costa sfociano
piccoli corsi d’acqua, dei quali soltanto lo Yarqon merita di essere citato.
Di solito sono alimentati alle loro testate da vari torrenti che scendono
dalla montagna attraverso strette valli, di questi il Wàdl Nàtuf è uno
dei più noti.
A mano a mano ci si muove verso sud, la linea costiera si allontana a
occidente, per cui la zona collinare e la pianura si ampliano. All’altezza
della parte meridionale del Mar Morto si può dire che la montagna sia
scomparsa. La costa, a sua volta, si è allontanata definitivamente nel mo­
mento in cui piega verso ovest formando un angolo retto e dando inizio
alla sponda del litorale nordafricano. Siamo in una vasta regione che si
estende fino al Golfo di ‘Aqaba e riceve il nome di Negev. E delimitata a
oriente dall’Araba e a ovest dalla penisola del Sinai. Nei pressi dei confini
di questa regione egiziana emergono alcuni importanti massicci montuosi
(Har Ramon, 10 35 m).
Un grande e complesso sistema idrografico di alvei normalmente sec­
chi convoglia le acque di buona parte del Negev settentrionale verso il
Mediterraneo: è il bacino del Nahal Besor, che sfocia a sud di Gaza.
D ’altra parte, il Negev centrale e meridionale fa confluire le sue acque
verso l’Araba attraverso un’infinità di torrenti, tra i quali il Nahal Pa-
ran si distingue per ampiezza.
A nord della Montagna di Samaria si estende una grande e fertile pia­
20 La geografia biblica

nura detta dì Izreel o di Esdrelon, che con andamento trasversale mette in


comunicazione la pianura costiera con la valle del Giordano, a sud del
Lago di Genezaret. Questa pianura si addossa a una catena di rilievi che,
partendo dai monti dì Samaria, prosegue con una serie di alture collinari
e termina poi con la catena del Carmelo. Va in direzione nord-ovest e si
dirige verso il Mediterraneo, nel quale penetra con un promontorio pres­
so Haita.
Verso sud-est, la pianura di Izreel si restringe per la presenza dei Monti
di Gelboe, che avanzano al di sopra di essa, partendo dalla Montagna di
Samaria. Alle falde di questi rilievi si trova Bet Shan, presso cui scorre il
Nahal Harod* che convoglia le acque della pianura verso il Giorda­
no, mentre un altro fiume, il Nahal Qishon, scorre nella parte settentrio­
nale della medesima, in direzione opposta, andando a gettare le sue ac­
que nei Mediterraneo presso Haifa.
A nord di questa grande pianura si trova un altra estesa zona di colline
e rilievi di media altezza, uno dei quali, il Tabor (588 m), supera gli altri
dominando la piana. Si tratta della regione chiamata Galilea Inferiore,
compresa tra i porti naturali di Haifa e di San Giovanni d’Acri (ebr. Ak-
ko), situati in un’ampia pianura costiera, a occidente, e il Lago di Gene­
zaret a est. Più a nord il paesaggio ridiventa accidentato, con alcune ci­
me, come Har Merom (arab. òebel Germaq) che raggiunge i 1208 m e
separa di nuovo le pianure della costa dalla valle del Giordano. È la Gali­
lea Superiore. 11 paesaggio va poi progressivamente addolcendosi a nord
fino all'alveo del fiume Lìtànl. Siamo ormai in territorio libanese.

3. La regione transgiordana

A est della depressione del Giordano la struttura morfologica risulta me­


no complessa, poiché si configura in un immenso altipiano, interrotto di
tanto in tanto dai solchi fluviali cui abbiamo accennato sopra. La piatta­
forma in questione, sul suo fianco occidentale, discende a valle abbastan­
za bruscamente, mentre a oriente si prolunga fino a confondersi con il
Gran Deserto siro-arabo.
La zona a oriente della regione compresa tra le sorgenti del Giordano e
la riva meridionale del Lago di Genezaret corrisponde alle alture del G e­
lati. Nella parte settentrionale si osservano anche le ultime propaggini
della catena dell Antilibano e alcuni crateri vulcanici spenti; tuttavia l’al­
tipiano è, complessivamente, uniforme e fertile e si estende verso oriente
col nome di En-Nuqra ormai in territorio siriano. Termina in una zona
inospitale, di formazione vulcanica, chiamata El-Leha, presso la quale si
erge maestoso il Monte Druso (òebel el-Druz, 1839 m). Quest’area rice­
ve il nome generico di El I tawran.
Geografia fisica 21

Tra i fiumi Yarmuk e Zerqa si incontra la regione chiamata ‘Aglun,


pianeggiante a nord e montuosa a sud, ove si innalzano cime considere­
voli, come il òebel Urnm el-Darrah (124 7 m).
La regione di Balqa* corrisponde al tratto di altipiano tra i fiumi Zerqa
e Mogib. In generale, il bordo sovrastante la depressione del Giordano è
più elevato e presenta alcune cime montuose. E il caso del cosiddetto
Monte Nebo (808 m).
A sud del fiume Mogib si trova Paltipiano di Kerak. Al di là del WàdI
el-Hesa si estende l’elevato altipiano di Edom, diviso in due dalla de­
pressione di Feinan (ebr. Punon), che vi si incunea a partire dall*Araba.
Sull’altipiano vi sono aree montuose con cime non trascurabili, come il
òebel el-Ataita (16 4 1 m), il òebel Mubarak (1727 m) e il òebel el-Ya-
man (1665 m), dal quale prende avvio verso oriente una derivazione se­
condaria di questa catena. Tra i due sistemi di piattaforme e montagne si
estende una zona relativamente bassa, pianeggiante e desertica, nota col
nome di Hisma.

4, Clima e vegetazione

Il clima della Palestina è determinato dalPinfluenza contrapposta di due


importanti fattori geografici: il Mar Mediterraneo e il deserto. Separati
l’uno dall’altro dalla breve distanza di ca. 13 0 km in media, determinano
la grande diversità di paesaggi esistenti nel piccolo paese e le variazioni
climatiche stagionali.
La costa è dominata dai venti umidi del mare e, di conseguenza, è ferti­
le, verde e di clima mediterraneo, con temperature invernali tra i ro e i 15
gradi centigradi ed estive tra i 27 e i 32. L ’aria umida sale dalla Shefela e
dalle colline di Galilea, per penetrare poi, attraverso la valle di lzreel, ver­
so l’interno, creando una zona fertile coperta parzialmente da boschi in
prevalenza di querce, con una media pluviometrica annua di 1200 mm.
Più a nord, sopra i pendìi scoscesi del Libano e dell5Antili bario si estende­
vano un tempo i famosi boschi di cedri.
I monti di Samaria e, soprattutto, quelli di Giuda, sebbene dominati
dal vento del mare, sono, a causa della loro altezza e della natura del ter­
reno, regioni aspre e con vegetazione piuttosto povera, dove si coltiva la
vite, si fa crescere Pulivo e abbondano i cipressi. A Gerusalemme la media
annua di pioggia è di 600 mm. La temperatura, benché in estate possa es­
sere elevata (30 gradi a Gerusalemme), scende notevolmente durante la
notte (r8 gradi a Gerusalemme).
Se da un parte le nubi rimangono bloccate nella parte esterna della ca­
tena, mentre il versante est della medesima ne rimane per cosi dire al ri­
paro, dall’altra Passai accentuato dislivello che questa zona montuosa
11 La geografia biblica

presenta a oriente produce un effetto del tutto peculiare in meteorologia:


l'aria, nello scendere, si riscalda di un grado ogni io o m e di conseguenza
diventa secca. Perciò la vegetazione scompare creando un paesaggio de­
sertico estremamente arido e frastagliato soprattutto nella parte meridio­
nale (Deserto di Giuda). Questi pendìi, inoltre, sono direttamente esposti
ai venti secchi provenienti dal Gran Deserto siro-arabo e buona parte di
essi si trova già sotto il livello del Mediterraneo, il che comporta un'ele­
vata pressione atmosferica. Ciononostante, in inverno può piovere sal­
tuariamente per qualche giorno; l'acqua scorre allora impetuosa sul fon­
do delle valli scoscese e strette che costituiscono il tipico paesaggio del
Deserto di Giuda e rimangono asciutte per tutto Panno.
Per le condizioni sopraindicate le pianure del Giordano si configurano
come paesaggio desertico, tranne a settentrione, attorno al Lago di Ge-
nezaret, dove penetra Paria umida principalmente attraverso la valle di
Izreel. La stretta fascia che accompagna il corso del Giordano con i suoi
innumerevoli meandri costituisce un nastro verde e rigoglioso con un mi­
croclima tropicale. Va impoverendosi a mano a mano ci si avvicina al
Mar Morto, nelle cui vicinanze non c’è vegetazione, costituendo uno dei
paesaggi più desolati del mondo.
Alcune sorgenti in luoghi isolati della depressione creano suggestive
oasi; è il caso di Gerico, dove, tuttavia, la temperatura media estiva è di
40 gradi. In questa località la media annua di pioggia è di 200 tnm, A sud
del M ar Morto arriva solo a 50 mm.
Al contrario, la Galilea è di clima mite e paesaggio verdeggiante, espo­
sta com’è al benefico influsso del Mediterraneo. La modesta differenza di
altezza tra le colline e il livello del Lago di Genezaret non consentono il
fenomeno della desertificazione registrabile nel corso inferiore del Gior­
dano. Solo sulla riva settentrionale del lago il paesaggio mostra maggiore
aridità.
Il Negev, per la sua situazione geografica, non è beneficato dai venti
umidi del Mediterraneo; perciò è un enorme deserto che le attuali tecni­
che d’irrigazione dello stato d’Israele hanno potuto trasformare solo par­
zialmente e in misura molto marginale. La media pluviometrica annuale a
Beersheba è di 143 mm.
A est della valle del Giordano segue, con carattere semidesertico, il
pendio che sale al grande altipiano di Transgiordania. Tuttavia, a mano a
mano ci si innalza in quota dominando i monti della Cisgiordania, i pen-
dii e successivamente l’altipiano si trasformano in una regione fertile,
esposta ai venti del Mediterraneo, creando un paesaggio di una certa au­
sterità (molto simile alla meseta castigliana) ove si ottengono buoni rac­
colti di cereali. Sulle colline a nord del WàdI Zerqa si vedono i resti del­
l’antico bosco di Galaad, costituito principalmente da querce. Più a est, si
Geologia z3

presentano i venti orientali del deserto che bloccano gli influssi del Medi­
terraneo. Inizia così una zona stepposa, che va confondendosi con la
grande estensione desolata conosciuta col nome di Gran Deserto, il quale
a oriente continua fino a [f Eufrate e a sud penetra nell5Arabia Saudita.
L’alterno dominio di influssi marini o desertici non solo, come andia­
mo dicendo, determina la diversità di paesaggio, ina influisce anche sulle
variazioni atmosferiche durante Panno. L’equilìbrio tra i venti mediter­
ranei o desertici non è sempre costante. Sul!'altipiano cerealicolo trans­
giordano per gran parte dell'anno dominano i venti dell’est, freddi in in­
verno e torridi in estate. Abbiamo già detto che nel deserto di Giuda in
Cisgiordania soffiano periodicamente anche questi venti, che salgono fino
alle cime della catena e si dirigono verso la costa, creando un ambiente
afoso, soprattutto in alcuni giorni di primavera e di autunno. E il tipico
vento di terra, chiamato hamsin. In generale, e per riassumere, possiamo
dire che l’inverno in tutta la Palestina è breve, relativamente freddo nelle
zone più alte e con precipitazioni molto intense. Sulla Montagna di Giuda
può capitare che nevichi. La primavera è temperata, tranne i giorni di
hamsin, benché in montagna la temperatura continui ad abbassarsi abba­
stanza durante la notte. Normalmente non piove, salvo le cosiddette
vpuigge tardive», a carattere limitato. L ’estate è calda in tutto il territo­
rio. Soltanto le zone piu elevate godono durante le notti del sollievo deri­
vante dalla loro posizione favorevole. Anche Pautunno è secco, ma meno
caldo, tranne i giorni di hamsin; tuttavia già cominciano a spirare su
quasi tutto il territorio i venti mediterranei, che finiscono per portare
dapprima in forma discontinua le «piogge precoci» e infine le precipita­
zioni dell’inverno.

I I. G E O L O G I A

In Palestina non rimangono che scarsi resti delia primitiva piattaforma continen­
tale del Precambrico, costituiti da rocce metamorfiche, nella regione del Golfo di
(Àqaba e nei suoi dintorni. Del Giurassico, in piena Era Secondaria, sono i terreni
sedimentari di arenaria a est del M ar M orto e nella valle del WàdI Zerqa. N on o ­
stante ciò, la maggior parte delle formazioni geologiche del paese, almeno la par­
te più caratterizzante, appartiene al Cretaceo. Del Cenomaniano (Cretaceo M e­
dio) sono la maggioranza delle rocce calcaree dei M onti di Giuda, Samaria, G a-
iaad e buona parte della Galilea e il Carmelo. A esse di solito si sovrappone il Tu-
rouiano. Del Senoniano (ormai ne! Cretaceo Superiore) abbiamo altri calcari te­
neri, caratteristici del Deserto di Giuda e di gran parte delPaltipiano ftansgiorda-
no, oltre il bordo che guarda verso la depressione del Giordano.
Nel Terziario, durante l’Eocene, gran parte della Palestina era coperta dal m a­
re, ma già allora si determinavano le spinte responsabili dei ripiegamenti nel
blocco di strati depositati sul fondo marino. A quest’epoca risalgono certi terreni
2-4 La geografia biblica

calcarei del Negev, del ‘Agiati e della Galilea. N d Miocene si sviluppò la più im­
portante fase orogenetica all’orìgine di pieghe e fratture in tutti gli strati piu anti­
chi, la quale fece emergere le terre del paese, a eccezione delle pianure costiere.
Ciò permise la risalita della lava vulcanica che ha dato origine ai basalti nei din­
torni del Lago di Genezaret, di HQle e nel massiccio del óebel Druz. Allora si
produssero le grandi faglie che da nord a sud formarono la fossa tettonica del
Giordano, con tutta la serie di faglie secondarie orientate in diverse direzioni. Tra
esse si può citare quella che separa la Shefda dai M onti di Giuda, pressoché pa­
rallela a quella del Giordano, e la grande faglia a nord del Carmelo, che determi­
na l'orientazione obliqua, rispetto al sistema, della pianura dì Izreel.
Durante il Quaternario, n d Pleistocene e allim zio dell’Olocene, si formarono
le pianure costiere, a causa del fenomeno planetario delle glaciazioni e dei movi­
menti che mutarono ripetutamente il livello marino. Un enorme lago, conosciuto
oggi col nome di Lisàn, che occupava tutta la depressione del Giordano, finì per
frammentarsi e dar luogo al sistema attuale di laghi e al corso fluviale propria­
mente detto. À sua volta la depressione andò affossandosi progressivamente e gli
affluenti furono costretti a scavare le loro tipiche gole, tra le quali si distingue
quella di M ogib, che raggiunge una profondità di 700 m. Alla fine del Pleistocene
ha inizio una fase d ’inaridimento progressivo nel clima del paese, che, con alcuni
intervalli, continua fino all’epoca attuale.

IH . G E O G R A F I A P O L I T I C A A T T U A L E

La Cisgiordania è oggi occupata dallo stato d’Israele, fondato nel 19 4 8 . 1


suoi confini sono il risultato della guerra arabo-israeliana e del conse­
guente armistizio del 1949. Nel 1967 e dopo la cosiddetta «guerra dei sei
giorni», Israele occupò nuovi territori, stabilendo come confine con la
Giordania il corso del Giordano. Questi territori rimangono sotto un’am­
ministrazione speciale, senza essere integrati completamente entro lo sta­
to, e la popolazione continua a essere arabo-palestinese. D ’altro canto,
Israele ha annesso pienamente al suo stato le alture del Golan, un tempo
della Siria.
Il numero di abitanti dello stato d’Israele è calcolato intorno a tre mi­
lioni e mezzo; tre milioni circa sono ebrei, il resto è costituito da arabi e
altre minoranze. A queste cifre bisogna aggiungere approssimativamente
un milione di abitanti nei territori occupati: Giudea, Samaria e Gaza. Le
città più importanti sono: Tel Aviv con 450000 abitanti, Gerusalemme
con 400000 e Haifa con 2,30000.
La Transgiordama, per parte sua, costituisce lo stato denominato Re­
gno Hashemita di Giordania. Dichiarato emirato di Transgiordania nel
1 9 1 1 , si trasforma in regno nel 1946 e adotta il nome di Giordania nel
1949. Conta attualmente tre milioni di abitanti. Ne è capitale Amman
con un milione di abitanti.
r v . G E O G R A F I A S T O R IC A B I B L I C A

Si tratta ora di ricostruire sulla carta geografica della Palestina i riferi­


menti territoriali che si incontrano nel testo sacro e di localizzarvi i prin­
cipali toponimi citati. Il differente valore storico dei vari racconti biblici
non è qui oggetto di analisi e discussione, poiché verrà trattato in altri ca­
pitoli di quest’opera. Ci limiteremo esclusivamente alPidentificazione to­
pografica e alPambientazione geografica dei fatti, siano questi reali o leg­
gendari.
Anzitutto bisogna dire che la Palestina si trova in una delle estremità
che Breasted definì a suo tempo «mezzaluna fertile». Si tratta in realta di
un’ampia zona dell’occidente asiatico a forma di enor me mezzaluna, con
le estremità rivolte a sud, costitmta da un insieme di paesi relativamente
fertili, nella cui concavità è situata una delle regioni più aspre e desolate
del pianeta, l’immenso deserto siro-arabo. L ’estremità orientale di questa
mezzaluna fertile è formata dalla Mesopotamia, quella occidentale dalla
Palestina e dal Libano. La valle del Nilo potrebbe essere considerata un
ulteriore prolungamento, che si addentra nell’Africa. La parte centrale è
costituita dalle valli superiori dell'Eufrate e del Tigri, che si collocano
all’interno degli attuali stati di Sìria, Turchia e Iraq.
Nell’antichità la Palestina fu sempre luogo di passaggio tra il potente
impero egiziano e gli altri imperi orientali: ruttiti, assiri, babilonesi, per­
siani ecc. Le vie di comunicazione piu importami erano, con nomi bibli­
ci,1 la «via del mare» o via marìs (7s. 9,1), denominata anche «via dei Fi­
listei» (Es. 13 ,17 ) , che dall’Egitto seguiva la costa della Palestina fino al
Monte Carmelo. Qui, evitandolo, attraversava un passo angusto, in pros­
simità della città di Megiddo, per giungere alla pianura di Izreel. Percor­
reva la bassa Galilea e si dirigeva verso il corso superiore del Giordano,
vicino al Lago di Hule, per salire alla BeqìT o per inoltrarsi in Siria,
strada di Damasco. L ’altra arteria importante era la «strada del re»
(.Num . 20,19) che, procedendo dal Golfo di ‘Àqaba, saliva all’altipiano
transgiordano dall’Araba e proseguiva parallela al sistema M ar Morto -
Giordano, a poca distanza dal bordo della fossa. Infine, si univa al prece­
dente percorso nelle alture del Golan. Esistevano inoltre altri itinerari se­
condari e in diversi punti diramazioni di interconnessione tra una strada e
l’altra.
È inoltre da aggiungere che il nome Palestina, qui ampliato ed estrema­
mente generalizzato per designare la regione che andiamo studiando, non2

2. È incerto se queste fossero le denominazioni che contraddistinguevano abitualmente tali strade


e se corrispondessero all’intero percorso. D ’altra parte, più che di srrade costruite, si dovrebbe
parlare di «itinerari». Fino all’epoca ellenistica o romana non si trasformeranno in vie o stiade
maestre vere e proprie.
2.6 La geografia biblica

compare mai nella Bibbia. Si trova piu facilmente in fonti romane del il
secolo d.C. e probabilmente deriva dal termine pristini (filistei). Nella
letteratura biblica il paese è designato con vari nomi, il più comune dei
quali nelFÀ.T. è Terra di Canaan (ebr. ’Eres K cna‘an).

i . Antico Testamento
a) ì patriarchi
I racconti della Genesi sulFepoca patriarcale riflettono un ambiente di
popoli nomadi dediti alla pastorizia, che si muovono attraverso un terri­
torio in cui esistono varie città-stato, lutto il quadro risale all’incirca
all’anno 1900 a.C., più o meno agli inizi del Bronzo Medio o periodo
delle invasioni degli hyksos. Il clan semita di Abramo, che vive in tende,
si muove da Harran nell’alto Eufrate e, si dice, ancor più da lontano, da
Ur di Sumer. Percorre il paese attraverso la montagna da nord a sud, so­
stando nei luoghi che diverranno poi famosi come santuari. Si tratta, ap­
punto, della giustificazione del carattere sacro di tali luoghi per mezzo di
distinte teofanie.
Abramo è presente a Sichem (oggi I eli Balatah presso Nabius), sulla
Montagna di Samaria, esattamente a un crocevia, dove la strada che se­
guendo la montagna va da sud a nord («la strada da Betel a Sichem» se­
condo Giud. 2.1,19) si unisce con l’altra che dal Giordano sale attraverso
il Wàdl Fàr‘a, Questa, a sua volta, si collegava con il percorso che dall’al­
tipiano transgiordano scendeva verso !a fossa del Giordano attraverso la
valle dello Yabboq (arab. Wadi Zerqa). Il patriarca si sposta per circa 50
km da Sichem a Betel (oggi Bétln, a nord-est di Ramalla). Da qui, attra­
versando la Montagna di Giuda, si inoltra nel Negev, da dove penetrerà
in Egitto. Di nuovo ripercorre il cammino fino a Betel, dove si separa dal
nipote Lot, che scende verso la pianura del Giordano. Àbramo si muo­
ve di nuovo verso sud e si accampa presso Hebron, importante località
della Montagna di Giuda, che ancor oggi conserva questo nome,
L ’episodio della campagna dei quattro re orientali, che con una spedi­
zione punitiva attaccano gli stati a sud del Mar Morto, consente alcune
identificazioni topografiche, tra cui il caratteristico grande lago che ac­
quista il tipico nome di Mare Salato (ebr. Yàm ham-Melah), le mon­
tagne di Seir nella zona di Petra o forse, piu all’interno verso la penisola
del Sinai, el-Paran a est di Àraba. Si menzionano i refaim, zamzumrnim,
emim, horrei, antichi popoli segnalati anche a est di Araba in Deut.
10 -12 , e la città di Qadesh (‘Ain el-Qudeirat) nel Negev. Sodoma e Go­
morra potrebbero essere presumibilmente sepolte sotto il Mar Morto, a
sud della penisola di Lisan, in una zona di acque poco profonde e di pro­
babile sprofondamento in epoca relativamente recente. Abramo inseguì
Geografia storica biblica 27

Pesercito vincitore fino a Dan, in prossimità delle sorgenti del Giordano.


Viene ricordata anche Hobah, a nord di Damasco. Più tardi fa la sua
comparsa Melkisedeq, sacerdote e re di Shalem (Gerusalemme), e viene
fatto riferimento al suo incontro con Abramo nella valle di Shaweh, nei
pressi di questa città.
Il patriarca prosegue il suo viaggio attraverso il Negev e giunge a He-
bron, al querceto di Mamre; di nuovo si spinge fino alle vicinanze di Qa-
desh e Sur, si muove verso la costa in Óerar, oggi Tel Haror farab. Teli
Abu Hureireh), tra Beersheba e Gaza, nei dintorni dell’attuale Nahal
Òerar. Ritorna a Beersheba, giunge al Monte Moria, che una successiva
tradizione collocherà a Gerusalemme nel luogo in cui sorgerà il tempio, e
infine sia lui sia la moglie Sara verranno sepolti a Hebron, nella grotta
di Malcpela.
Mancano notizie letterarie sulla partenza di Isacco dal Negev; qui pre­
se come sposa Rebecca, che veniva da Harran, nell’alta Mesopotamia, e
da qui si mosse verso Cerar, attraverso un itinerario che ripercorre la vi­
cenda del padre. In seguito sembra insediarsi a Beersheba. Da qui parte il
figlio Giacobbe verso Harran. Seguendo il percorso della montagna,
giunge a Betel, dove passa la notte ed è protagonista di una teofania. Pro­
babilmente da Sichem, attraverso la strada già menzionata che attraversa
il Giordano e sale all’altipiano transgiordano, si dirige verso il corso su­
periore dell’Eufrate. In effetti, questo percorso sarà descritto minuziosa­
mente come quello seguito da Giacobbe al suo ritorno, menzionando il
nome del fiume Yabboq e le città transgiordane di Penuel (oggi Teli ed-
Dahab) e Sukkot (oggi Teli D e icAllah), entrambe nei basso Yabboq, co­
me le città di Sichem e Betel. All’arrivo, si dirige immediatamente a Efra-
ta, probabilmente un villaggio nel territorio di Beniamino, in cui que­
st’ultimo patriarca nascerà e la madre Rachele morirà di parto. Una tra­
dizione relativamente antica ne colloca la tomba a Betlemme; a essa si ri­
ferisce il testo di Gen. 35,19 . Esaù, da parte sua, appare come patriarca
del popolo di Edom o Seir, in Transgiordania, a sud-est del Mar Morto.
Giuseppe, inviato dal padre Giacobbe incontro ai suoi fratelli, segue il
medesimo percorso, attraverso la montagna, da Hebron, dove risiedeva
il padre, fino Sichem e di qui a Dotan (oggi Teli Dolan, a 8 km da Ge-
nin). Raccolto da una carovana di mercanti «ma diani ti», viene condotto
in Egitto e venduto come schiavo. Sembra che Giacobbe continui a vive­
re a Hebron e, scendendo in Egitto per incontrare il figlio, sosti a Beer­
sheba, in cui ha luogo una teofania. Verrà infine sepolto a Hebron ac­
canto ai suoi antenati, benché al riguardo sembri esservi un’altra tradi­
zione (Gen. 50,5).
b) L ’esodo

Oggi si ritiene che non tutte le tribù israelite fuggirono dall’Egitto nella
migrazione nota con il nome di «esodo». Alcune erano già in Palestina,
altre probabilmente si unirono alla migrazione nel deserto, senza aver
mai posato piede nelle terre del Nilo. Dal punto di vista geografico, la
strada dell’esodo e Pidentificazione di tutte le tappe citate nella Bibbia
costituiscono un problema ancora insolubile. La questione principale sta
nella precisa identificazione del monte sacro della teofania, chiamato nei
testi Sinai dalla tradizione jahvista, e Horeb dalla tradizione elohista e
nel Deuteronomio. La tradizione cristiana, che identifica il Sinai con il
Cebel Musa, nella parte meridionale della odierna penisola del Sinai, non
gode di un solido fondamento.
Se la teofania è in relazione con un’eruzione vulcanica, come si potreb­
be dedurre dalle fonti jahvista e deuteronomista (Es. I9 ,i8 -Z 2; Deut,
4,1 i - i i ), allora non può certamente trattarsi dell’attuale Sinai, che non è
zona vulcanica. Bisognerebbe cercare il monte nella Penisola arabica, vi­
cino alla costa, poco prima dell’insenatura del Golfo di cAqaba, nel mas­
siccio del Gebel Harab, dove in epoca storica vi sono stati vulcani attivi,
come il Hala el Redr. Se, invece, la teofania è collegata a una forte tor­
menta, come la descrive l’Elohista (Es, 19 ,16 ), può essere avvenuta sia
sul óebel Musa sia sul massiccio a nord di questa penisola, o in qualsiasi
altro luogo del Negev. Si è pure parlato del Óebel Halal, a ovest di Qa-
desh, o della «montagna sacra» di Har Karkom, a sud-est del precedente,
sebbene i ritrovamenti archeologici qui recuperati datino al ili millennio
a.C. e non all’epoca dell’esodo. Si osservi, tuttavia, che il territorio di
Madian, con il quale si pone in relazione direttamente il Sinai (Es. 3,1),
era certamente nella Penisola arabica, precisamente nella regione di Ha­
rab, ancor oggi denominata Madian. Esiste al riguardo un'antica tradi­
zione giudaica, ben documentata, di cui in ultima analisi si fa portavoce
Paolo quando dice; «Il monte Sinai è in Arabia» (Gal. 4,15).
In ogni caso è possibile parlare verisimilmente delle prime tappe della
fuga dall’Egitto e delle ultime dell’arrivo in Palestina, Come punto di par­
tenza si segnala la città di Ramses, Pi-Ramses, che è Tanis o i suoi dintor­
ni (Qantir). Si tratta della famosa grande città egiziana nella zona orien­
tale del Delta del Nilo. A Qantir, residenza di Ramses n, questo faraone
aveva il suo palazzo, le cui rovine si conservano ancor oggi.
La prima stazione menzionata sulla strada è Sukkot, probabilmente Pi-
tom-Teku, la città del dio Atum, localizzata in Teli el-Maskhutah, a est
del Delta, già via dei Laghi Amari. Questa città era citata anche nell’Eso­
do come uno dei luoghi in cui esisteva una colonia ebraica, che lavorava
per gli egiziani. Si trattava di una fortezza per la sorveglianza della via
Geografia storica biblica ^9

del deserto. Tutta questa regione, nel Wàdi Tumìlat, dovette essere la
Terra di Goshen, indicata anche nella Genesi come luogo di insediamenti
ebraici. La seconda tappa è Etam, Si è parlato di una nota fortezza egizia­
na, Htm, a sud di Teku, citata dai testi, che potrebbe essere la stazione
biblica, ma rimane incerto. La terza tappa è «Pi-hahìrot, tra Migdol e il
mare», di fronte a Baal Sefon (Es. 14,2). Pi-hahirot sembra la corruzio­
ne di un nome egiziano, ma il luogo non è ancora localizzato. Migdol, al
contrario, è ben noto e indica una fortificazione di frontiera del faraone
Seti 1 a Teli el-Her, nei pressi di Pelusio, nel nord. Anche Baal Sefon,
nome di una divinità fenicia che aveva un suo culto a Dafne, è una città a
nord-est del delta. Ciò indicherebbe un itinerario in direzione del Medi­
terraneo attraverso la via maris o strada dei filistei; dò contraddice il te­
sto di Es. 1 3 ,17 -18 , che parla di una strada del deserto, senza dubbio me­
ridionale, Ma vi sono anche altre testimonianze sull'uso assai frequente
nella zona di questi toponimi.
Qui ha luogo il «passaggio del Mar Rosso» (ebr. Yàm Suf). Etimologi­
camente può significare «Mare di canne» e potrebbe riferirsi ai Laghi
Amari e all acquitrino circostante (oggi inglobati nel canale di Suez) o alle
paludi vicine al Mediterraneo nella zona di Pelusio, ipotesi che collime­
rebbe con la «strada settentrionale», o anche con lo stesso Mar Rosso nel
Golfo di Suez, precisamente in una zona paludosa tra questo e i Laghi
Amari sottoposta al regime delle maree del primo.
Partendo da questo punto, il resto delle soste è di dubbia identificazio­
ne, rimanendo impossibile individuare la vera strada e la precisa localiz­
zazione del Striai. Tra 1 molti toponimi citati (piu di cinquanta stazioni)
vi sono due punti inequivocabili, Qadesh-Barnea e Esion-Geber. Il pri­
mo si deve identificare con 4Ain Qudeirat, un'oasi a ovest del Negev cen­
trale; il secondo era un porto nel Golfo di ‘Àqaba, vicino a Elat. Sono co­
nosciute anche le ultime soste, sulTaltipiano di Transgiordania, A Qadesh
il popolo israelita rimane accampato a lungo (Deut. 1,46). Da qui viene
compiuto un tentativo di penetrazione nella terra promessa, messo in atto
dai famosi esploratori (Num. 13 e 14), e probabilmente un'effettiva inva­
sione del clan di Caleb, dei keniti e dei kenizziti di Otoniel e, forse, di tut­
ta la tribù di Giuda e di parte di quella di Simeone (Num. 20,2; 2 1,1- 3 ;
Gios. 14,6 ss.; Giud. 1,9 -17). Ma nemmeno si può scartare l'ipotesi che
già allora fossero insediate nel paese, e in buona parte smembrate, le tribù
di Simeone e di Levi, che in altri tempi avrebbero vissuto sulla Montagna
di Samaria (Gen. 34,25-29).
L’altro gruppo di tribù, comprendente Ruben, Efraìm, Manasse e Be­
niamino, dovette giungere, guidato prima da Mosè e poi da Giosuè, at­
traverso la cosiddetta «via dell'esodo», le cui ultime tappe, a partire da
Qadesh, sono trasmesse da una duplice tradizione contraddittoria. Se­
3° La geografia biblica

condo Num. 10,14-2-3; 2 1,4 e Deut. 2,1-25, g^1 israeliti non attraversaro­
no i territori di Edom e Moab. SÌ diressero prima verso quello che più
tardi sarebbe stato Esion-Geber nel Mar Rosso, passando forse dal ter­
ritorio delle miniere di rame di Punon, oggi Feinan, vicino all'Araba; o
meglio, come sembra ancor più logico, attraversando Timna nella stessa
valle dell'Àraba, ma molto più a sud e nella parte occidentale, dove ebbe
luogo l’episodio del serpente di bronzo (Num. 21,4-9). Da ‘Aqaba si in­
camminarono per la «via del deserto», costeggiando i territori di due vil­
laggi fino oltre l’Ainon. Da qui, addentrandosi verso occidente, giunsero
alle «steppe di Moab» nella valle del Giordano di fronte a Gerico, sulla
riva orientale del fiume.
La seconda tradizione, contenuta in Num. 33,41-49 e in Num. 2 1 ,1 0 ­
20, suppone che il popolo attraversasse i territori di Edom e Moab per la
«strada reale», passando anche per la città di Dibon. Si è detto che i due
percorsi potrebbero alludere a due diverse migrazioni, una condotta da
Mosè con le tribù di Lia e 1 altra da Giosuè con le tribù di Rachele. Non
sembra che ciò abbia fondamento. Per di più si può pensare che la secon­
da tradizione sia successiva (appartiene al documento sacerdotale) e ob­
bedisca a una ricostruzione «dotta» del percorso che utilizzerebbe un iti­
nerario di viaggio esìstente all’epoca, totalmente diverso dal vero percor­
so delle tribù. In queste fonti affiorano alcune località ben conosciute, co­
me Paran, il torrente Zered (Wàdl el-Hesa), PArnon (Wàdi el-Mogib)
e Dibon (DIbàn) a nord di questo fiume.

c) La conquista

I primi territori in cui s’insediarono gli israeliti provenienti dalla peregri­


nazione attraverso il deserto si trovano in Transgiordania. Comprendono
una parte delPaltipiano, nell’area conosciuta come El-Belqa, a nord-est
del Mar Morto. Per questo debbono affrontare il re cananeo di Hes-
bon, chiamato Sihon; lo sconfiggono a Iahas e ne occupano il territorio.
Hesbon è identificato con Hesbàn, a nord di Madaba. Iahas, non loca­
lizzata, potrebbe essere a sud-est di Hesbon.
La conquista di un ipotetico regno di Basan, ottenuta sconfiggendone
il re Og, sembra un‘interpolazione successiva, senza reale fondamento
storico né rispondente localizzazione geografica. Si può solo dire che Ba­
san è un territorio a oriente del Lago di Genezaret, ed Edrei, il luogo della
battaglia, è Dera’a nell’alto Yarmuk. Sembra invece che gli israeliti occu­
passero la regione dei pascoli di lazer, a nord di Hesbon, e Gala ad, più
a nord, ma senza superare, in quest’epoca, il corso dello Yabboq. Si com­
pleta, cioè, l’insediamento in tutto il territorio di El-Belqa, se, come sem­
bra piu probabile, non erano già insediati altri «israeliti» che non aveva-
Geografìa storica biblica 31

no partecipato alla comune marcia attraverso il deserto e con i quali il


grosso della migrazione fraternizza al suo arrivo. Questi «israeliti» sareb­
bero la tribù di Gad. La storia di Balaam, la narrazione di Baal-Peor e la
guerra contro i madianiti sono racconti recenti, privi di corrispondenza
con la realtà dei fatti del periodo della conquista.
Mosè non condusse il popolo oltre il Giordano. Contemplò la terra di
Canaan solo da una montagna, il Monte Nebo, che la tradizióne localizza
nella vetta oggi denominata Ras el-Siyaguh a nord-est di Madaba ( 7 11
m), da dove certamente si ammira una splendida vista sulPincavo del
Giordano e sulla Cisgiordania. Probabilmente Nebo nel testo non signifi­
cava in origine altro che monte in senso generico.
Il Giordano venne attraversato di fronte a Gerico. La città, situata su
una collina nelPomonima oasi (Teli es-Sultàn), era allora, in pratica, un
modesto villaggio, che venne facilmente conquistato. Successivamente,
gli israeliti salirono sulla montagna e occuparono alcuni territori. Il testo
riflette una tradizione eziologica, secondo la quale le rovine dell’antica e
importante città di Ai (oggi Khirbet et-Tell), distrutta e abbandonata già
un migliaio di anni prima che vi giungessero gli israeliti, sarebbero la te­
stimonianza probante delle vittorie nella campagna di conquista. Altre
città, come Gabaon (Podierna El-òib), caddero senza combattere. M a
una coalizione di re cananei provenienti dalla Shefela fu sconfitta da Gio­
suè nella valle di Bet-Horon, una delle più famose vie di comunicazione
dalla montagna verso la Shefela, a nord di Gerusalemme. Che i «re»
sconfitti coincidano con quelli citati nel testo è discutibile. Le città con­
segnate sono: Gerusalemme, Hebron, Yarmut, Lakish ed Eglon. La fu­
ga del nemico attraverso Aialon si concluse ad Azeqa. Yarmut è Tel Y ar­
mut, nei pressi di Azeqa, quasi sicuramente l’attuale Tel Azeqa (antico
Teli Zakarlyeh), entrambe a sud di Bet-Shemesh. Bet-Horon e Aialon
sono ancor oggi denominate così. Ma la presenza dei re di Gerusalemme
e di luoghi più lontani, come Hebron, Lakish (Teli ed-Duwér, a ovest
di Hebron) ed Eglon (forse Teli el-HésT, a ovest del precedente), va
presa con molte riserve. In realtà, sembra trattarsi più di un artificio let­
terario dell’autore al fine di unire in successione la presa di queste città
dei sud, la cui conquista non si deve al clan di Giosuè, ma agli sforzi della
confederazione di Giuda. Forse alcune, come Hebron (G iud. 1,10 - 15 ) ,
vennero conquistate in quel lasso di tempo, ma altre, come Lakish, Eglon
e Libna, non lo furono se non molto più tardi.
La conquista del nord fu opera di un altro gruppo di tribù: Zàbulon,
Issacar, Neftali e Àser; non giungevano dall’Egitto né avevano vissuto
l’esperienza sinaitica. Vivevano nel paese dall’epoca patriarcale o, ancor
meglio, vi entrarono provenendo dal deserto in un momento imprecisato,
in ogni caso prima della «conquista» di Giosuè.
3* La geografia biblica

Dopo il patto di Sichem, in cui gli uni e gli altri - quelli della migrazio­
ne di Giosuè e quelli del nord — adottano il culto di Jahvé, le tribù del
nord si sollevano contio i cananei, con i quali avevano coabitato in pre­
cedenza, e, dopo la battaglia delle Acque di Merom (le sorgenti da cui
si somministrava l’acqua per la città di Merom, probabilmente Teli el-
Kureibeh, nei pressi del óebel Marun, a ovest di Hasor), divengono pa­
droni di questa famosa città. Hasor è perfettamente localizzata c ripor­
tata alla luce a sud-ovest del Lago di Hule. Nel racconto del suddetto
patto si allude alle due montagne ai cui piedi si trova la città di Sichem
(Teli Balatah}. Sono il Garizim e l’Ebal (rispettivamente 881 e 940 m),
designati ancor oggi con gli stessi nomi.

d) La Palestina
alPepoca dei giudici

La situazione della Palestina intorno all’xi secolo a.C., dopo che vi si era
stanziato Israele, era dominata dalla presenza di quattro grandi ceppi di
popoli. I cananei, che occupavano le zone più fertili e di maggiore impor­
tanza strategica della Cisgiordania, insediati in piccole città-stato. Le più
importanti di queste erano, tra le altre, Gezer (Tèi Gezer), Bet-Shemesh
(Teli er-Rumeileh) nella Shefela; Megiddo (Teli el-Mutesellim), Ta'anak
(Teli T a‘annek) e Bet-Shan (Teli el-Husn) nella pianura di Izreel; Dor
(El-Burg) e Akko (San Giovanni d’Acri) sulla costa e la stessa Gerusalem­
me sulla montagna.
I filistei o «popoli del mare» erano allora insediati sulla costa in cinque
città: Azoto o Ashdod, Àsqelon e Gaza sulla riva del mare, città che an­
cor oggi conservano l’antico nome; Akkaron o Eqron (oggi Qiryat ‘Eq-
ron) e Gat (forse Tèi Negila), un po’ più nell’interno.
Dall’altro lato del Giordano vi erano popoli apparentati con Israele.
Gli aramei al nord, divisi in vari stati, una delle cui città era Damasco; gli
ammoniti nel El-Belqa nord-orientale con Rabbat Ammon (l’attuale Am­
man) per capitale; i moabiti, sull’altipiano di Kerak, che avranno a lungo
come frontiera il fiume Arnon al nord e il Wàdi el-Hesa a sud, ben-
che talvolta siano riusciti a oltrepassare il confine settentrionale; gli edo-
mìti, che dal Wàdi Hesa giungevano fino a ‘Aqaba. La loro città più
importante era Bosra, l’odierna Buseira, a sud di Tafila.
In sostanza Israele occupava il territorio più povero della Cisgiorda­
nia, ossia la montagna, e una limitata zona della Transgiordania. Era co­
stituito da una confederazione di dodici tribù, le cui frontiere appaiono
definite nel libro di Giosuè, nel quale in proposito si confondono due do­
cumenti: quello dei «confini delle tribù» e la «lista delle città». Il primo
descrive le delimitazioni territoriali di alcune tribù; con il secondo, che
Geografìa storica biblica 33
enumera le città delle altre, sì completa il panorama dell'occupazione
israelitica del paese.
Da nord a sud ci imbattiamo, prima di tutto, nella piccola tribù di
Dan, che occupava l'omonima città (precedentemente chiamata Leshem)
e il suo territorio, nei pressi delle sorgenti del Giordano. Questa occupa­
zione è successiva alla battaglia di Merom (ca. 1200 a.C.). Dan aveva an­
che un piccolo territorio nella Shefela, tra Sorea ed Eshtaol (G iud, 13 ,
25), a sud del Wàdì Natuf, area di origine del piccolo gruppo che emigrò
verso nord.
Nella regione dei laghi di Hule e di Genezaret era stanziata la tribù
di Neftali, che con Dan figura nella tradizione quale discendente di Bila,
la schiava di Rachele. La tribù di Aser (discendente di Zilpa, la schiava di
Lia) occupava la zona montuosa più occidentale della Galilea. Zàbulon e
Issacar («figli di Lia»), tribù molto unite, abitavano sulle colline della
Bassa Galilea. La loro presenza, attestata nella valle di Izreel, è probabil­
mente dovuta al fatto che lavoravano in quella zona per conto dei cana­
nei, come avveniva nella pianura di Akko per Zàbulon e Aser.
A nord della Montagna di Samaria, compresa la città di Sichein, abita­
va la tribù di Manasse. Un altro clan di questa tribù —Maldr —emigrò
verso la Transgiordania, presso i monti di Galaad. Efraim occupava, in­
vece, la parte meridionale della Montagna di Samaria, ma acquisirà una
sempre maggior importanza e un territorio più ampio soprattutto a spese
di Manasse. In Efraim si trovava allora l’importante santuario di Silo.
Da parte sua, Beniamino (un’altra delle tribù di Rachele) possedeva la
parte centrale della montagna tra la Samaria e Giuda, ossia il territorio a
nord di Gerusalemme, e la sua giurisdizione giungeva fino alla valle del
Giordano. Tra le città più importanti figurano Betel, Gabaon, Mispa
(Teli en-Nasbe) e Gerico.
Giuda, assieme ai clan che aveva inglobato (keniti, calebiti e kemzziti),
possedeva la montagna omonima, dalla zona a sud di Gerusalemme fino
al Megev, dove si mescolava con la tribù sorella di Simeone, praticamente
assorbita da quella di Giuda. La terza tribù sorella, Levi (tutte e tre di­
scendenti da Lia), mancava di territorio proprio. Le città tradizionali di
Giuda furono Betlemme e Hebron.
Al di là del Giordano e a sud di Manasse si trovavano Gad, che occu­
pava la zona settentrionale di El-Belqa, e Ruben, insediato nella zona me­
ridionale, a nord delPArnon. Ruben praticamente scomparve a seguito
delle contìnue pressioni di Moab da sud e di Gad da nord.
L ’espansione dagli sterili territori israeliti verso le zone più ricche, oc­
cupate dagli altri popoli, fu un processo molto lento che in qualche caso
non giunse mai a termine. Per il momento, all’epoca dei giudici l’attività
israelitica fu soprattutto di difesa. Il kenizzita (giudaica) Otoniel combat-
34 La geografia biblica

te con successo contro Edom (e non «Aram», come a causa di una confu­
sione di lettere scrive il testo ebraico attuale). Il beniaminita Eud affronta
i moabiti nella valle del Giordano, sui confini in cui questi erano giunti
durante le loro incursioni «imperialiste». Probabilmente la scena bibli­
ca si svolge a Gerico, cui va riferito l’appellativo di «città delJe palme»
(Gìud. 3,13). Debora, sulla montagna di Efraim, sprona Baraq a riunire
Nettali e Zàbulon contro Sìsera (supposto generale del re di Hasor e,
in realtà, forse un capo guerriero dei «popoli del mare»), che riescono a
sconfiggere nei pressi del fiume Qishon nelle vicinanze di Megiddo. Ge­
deone, della stirpe di Manasse, sbaraglia le orde madiamte (nomadi del
deserto) che, originarie dei territori al di là della Transgiordania, devasta­
vano il paese. La battaglia avvenne a Nahal Harod, ossia scendendo
da Izreel verso il Giordano. La persecuzione dei vinti prosegui anche in
quella pianura e, quando tenteranno di risalire la valle dello Yabboq pas­
sando da Sukkot e Penuel, anche li verranno inseguiti e catturati dalle
truppe reclutate da Manasse, Zàbulon e Aser.
Jefte, invece, che viveva nell5«antico» Galaad, a sud dello Yabboq, è un
gadita il quale, benché si fosse rifugiato a Tob, probabilmente un villag­
gio sulla montagna di Gala ad, a nord di quel fiume, deve scontrarsi con
l’espansione degli ammoniti. Consegue la vittoria ad Aroer e ad Abel Ke-
ramim. La prima non è la torre omonima che domina PArnon, in seguito
una roccaforte di Moab, ma un’altra fortezza in prossimità di Amman
(probabilmente Khirbet el-Beder); la stessa cosa vale per Abel (forse Kom
Yadhaz). La città di Mispa di Galaad, dove venne seppellito Jefte sa­
rebbe Khirbet ò e ’ad, a sud dello Yabboq.
Lo scenario delle avventure e delle lotte del danita Sansone contro i fi­
listei si colloca nelle note città di Sorea e Timna, entrambe attualmente
identificate con questo stesso nome, nella Shefela vicino a Bet-Shemesh, e
in Asqelon e Gaza sulla costa.

e) La monarchia

11 giudice Samuele rappresenta il passaggio dalla federazione o anfizionia


tribale alla monarchia israelitica. Coincide precisam ente con il momento
di maggior potere dei filistei. Samuele è un efraimita di Rama (probabil­
mente Rentis nella Shefela, a nord-est di Lidda). Trascorrerà la sua vita
nella città santuario di Silo (oggi Selun, sulla Montagna di Samaria). Si
narra che lì partecipasse alle vicende della guerra contro i filistei dì Eben-
Ezer, forse Izbet Sartah dì fronte ad Afeq alle sorgenti dello Yarqon, dove
Israele perde Parca. Quest'ultima verrà portata attraverso le famose città
filistee di Ashdod, Gat e Akkaron, finché non sarà restituita a Israele in
Bet-Shemesh (nei pressi dell’attuale omonima città nella Shefela, a ovest
Geografia storica biblica 35

di Gerusalemme). Da lì sarà in seguito trasportata a Kyriat-Iearim, verso


la montagna, probabilmente nel luogo ancor oggi così denominato, nei
pressi di Abu Gos.
Samuele esercita la funzione di giudice in Israele in modo itinerante tra
la città di frontiera di Betel e le città beniaminite di Mispa, Rama di Be­
niamino (rodierna Er-Ràm) e Gaigaia (luogo non identificato, nelle vici­
nanze di Gerico).
In questo ambiente di predominio beniaminita fa la sua apparizione il
primo re, Saul, nativo di Gabaa (ebr. Gib‘ah), oggi Teli el-Fùl, in prossi­
mità (a nord) di Gerusalemme, diversa da Geba o G ifiat Ha-Elohim (og­
gi òeb ae), roccaforte dei filistei, a nord-est dell’altra. Da Gabaa il re or­
ganizza spedizioni militari contro gli ammoniti per liberare Iabesh di Ga-
laad (di incerta identificazione, nel ‘Aglun transgiordano, forse Teli el-
Maqlùb); contro i filistei, scendendo a Mikmash (oggi Muhmàs, percorso
da Betel per il Giordano) e contro gli amaleciti, ai confini del Sinai e del
Negev. La battaglia finale, nella quale Saul e il figlio Gionata trovano la
morte, ha luogo a nord della Montagna di Samaria sul monte Gelboe, che
si affaccia sulla valle di Izreel. I filistei stavano accampati a Shunam (oggi
Sulam, a est di Afula) nella valle e Saul si era recato a consultare una pi­
tonessa che viveva a Endor alle falde del Tabor. Le spoglie del re vinto e
morto e del figlio furono appese ai muri della vicina città di Bet Shan,
nella valle del Giordano, dove vennero raccolte da alcuni israeliti di
Transgiordania, di Iabesh di Galaad.
Davide, nativo di Betlemme in Giuda, compare nella battaglia del Te­
rebinto, nelle vicinanze di Azeqa, nella valle di Elah, tra Betlemme e Gat;
più tardi ad Adullam, dove sconfigge i filistei. Quindi, perseguitato da
Saul, vaga nel deserto di Giuda e nelle zone limitrofe, giungendo da un
lato fino a Engaddi sul M ar Morto e dall’altro fino a Karmel (El-Kirmil),
a sud di Hebron. In seguito si arruola come mercenario al servizio dei
filistei di Gat e combatte contro gli amaleciti a Siklag, città di discussa
individuazione nel Negev.
Infine Davide è proclamato re a Hebron e Ishbaal, il figlio di Saul, a
Mahanaim, città di non facile identificazione, in Transgiordania sullo
Yabboq (forse Teli ed-Dahab el-Ghardi). A Gabaon (El-Òib) si consuma
il breve scontro fra le truppe dei due re nei pressi della famosa sorgente
della città. Più tardi Abner, generale e ambasciatore di Ishbaal, è assassi­
nato a Hebron.

Proclamato re di tutto Israele, Davide conquista la città gebusea di Ge­


rusalemme per farne la capitale del regno e da qui comincia una sequela
di azioni militari che lo porteranno a costituire quasi un piccolo impero
nel Vicino Oriente. Vince i filistei nella valle di Refaim, uno dei pendii più
importanti verso la Shefela, a sud di Gerusalemme, e li insegue fino al-
3é La geografia biblica

l’entrata di Gezer (a sud-est di Ramla). Pacifica il Negev, controllando


gli amaieciti, e intraprende una serie di campagne vittoriose in 1 ransgior-
dama conquistando Ammon ed Edom e sottomettendo a tributo Moab e
i regni aramaici del nord, incluso Damasco.
Durante il suo regno ebbe luogo la rivolta del figlio Assalonne. Procla­
mato re a Hebron, si dirige a Gerusalemme. Davide, attraversando il
Cedron e il Monte degli Ulivi, fugge verso il Giordano, lo attraversa e si
muove alla volta di Mahanaim in Galaad. A nord dello Yabboq, nel
fitto bosco di lecci, divampò una lotta cruenta fra le truppe di Davide e
quelle di Assalonne. Quest’ultimo, rimasto impigliato a uno degli alberi,
fu ucciso.
Salomone non riuscì a tenere sotto controllo tutto l’impero paterno,
perse infatti buona parte di Edom e Aram; ciononostante, fortificò città
come Hasor, Megiddo e Gezer. Per agevolare Fazione fiscale suddivi­
se il territorio in dodici distretti, non corrispondenti all’antica divisione in
tribù. Giuda ne rimaneva escluso. I distretti erano i seguenti: la Monta­
gna di Efrairn, Gezer nella Shefela, Hefer e Dor sulla costa, Megiddo in
Izreel, Ramot Galaad e Mahanaim in Transgiordania, Neftali, Aser, Is-
sacar in Galilea, Beniamino nel suo tradizionale territorio, e Gad a est del
Mar Morto.
Favorì il commercio costruendo il porto di Esion-Geber nel golfo di
‘Aqaba da dove inviava navi a Ofir, forse sulla costa arabica o, in Africa,
su quella somala. La regina di Saba, nello Yemen, visitò Salomone a Ge­
rusalemme. L ’alleanza con il re fenicio di Tiro, che gli forniva materiale
(soprattutto legname di cedro) per la costruzione del tempio, lo costrinse
infine a cedere a costui «venti città» nella pianura di Akko.
Alla morte di Salomone, dopo un’assemblea tenutasi a Sichem, il regno
fu diviso in due: Israele e Giuda. Il confine attraversava Beniamino, la­
sciando Betel e Gerico in Israele e Gezer, Aialon, Mispa, Rama e Gaaba
in Giuda. Gerusalemme era la capitale di Giuda, Sichem di Israele. I due
piu importanti santuari d’Israele, ampliati per offuscare il prestigio del
tempio di Salomone, furono quelli di Betel e Dan. Tra j due stati scoppia­
rono guerre di frontiera. Abias, re di Giuda, conquistò Betel, riconquista­
ta dopo breve tempo da Baasa, re d’Israele, che s’impadronì anche di R a­
ma di Beniamino e la fortificò. Perseguitato dal re aramaico di Damasco,
che aveva espugnato varie piazzeforti d’Israele nel nord del paese (Dan,
Kinneret vicino al lago omonimo, Abel-Bet-Ma‘akah a nord di Hasor
e probabilmente anche quest’ultima), si vide obbligato a sguarnire la
frontiera meridionale. Asa, re di Giuda, approfittò dell’occasione per ri­
conquistare Rama e, utilizzando il materiale portato dagli israeliti per la
fortificazione di questa piazzaforte, fece costruire mura nelle città di Ga-
baa e Mispa. Baasa trasferì la capitale di Israele a Tirsa (Teli el-Fàrca,
Geografia storica biblica 37

nella valle omonima). Alcuni anni dopo, il re Omri la spostò a Samaria,


oggi Sebastiye, a nord-ovest di Sichem.
In Transgiordania, frattanto, oltre alle città aramaiche del nord, anche
Ammon e Moab si erano rese totalmente indipendenti. A Israele rimane­
va solo il territorio di Galaad; per difenderlo il pruno re israelita, Gero-
hoamo, aveva fortificato la piazzaforte di Penuel, nella valle dello Yab-
boq. A quanto sembra, Giuda continuò a mantenere un certo controllo su
alcuni territori di Edom, il cui re era un suo vassallo,
Acab, re d’Israele, ebbe vari scontri bellici con il re aramaico di Dama­
sco. Uno nelle vicinanze della capitale Samaria e un altro di fronte alla
città di Afeq nella valle dello Yarmuk. In entrambi riusci vittorioso, ben­
ché incontrasse qualche difficoltà nel tentativo di recuperare la vecchia
città israelitica di Ramot di Galaad (Teli Rdmit, a sud dello Yarmuk),
grazie anche all’aiuto di Giosafat re di Giuda. Acab morì combattendo.
Giosafat di Giuda si assicurò invece il dominio su Edom e ricostruì il por­
to di Esion-Geber. Aiutò pure il nuovo re d’Israele, Ioram, ad attuare
una spedizione punitiva contro Mesha, re di Moab, che aveva occupato
alcune postazioni a nord dell’Arnon, nel territorio transgiordano d’Israe­
le. Si unì a loro anche il re vassallo di Edom. Attraversarono il Negev, ag­
girarono la riva meridionale del mar Morto e attaccarono Moab da sud.
Più tardi, un’incursione di moabiti, aiutati da ammoniti ed edomiti, tra­
verso i guadi del Mar Morto, nei pressi della penisola di Lìsàn. Ne per­
corsero la riva occidentale fino alla sorgente di En-Gedi e risalirono at­
traverso il deserto con l’intento di penetrare nella Montagna di Giuda,
giungendo fino a Teqoa, ove furono sconfitti da Giosafat. Il figlio loram
subì una nuova ribellione di Edom, questa volta con esito favorevole per
il nemico, che riuscì a sconfiggere Giuda in Transgiordania.
Molti poi si schierano in favore dei filistei, che conquistano la citta di
Libna (di incerta identificazione), nella Shefela, vicino al confine filisteo.
Alcuni anni dopo, il re dì Giuda Amazia si vede costretto a compiere una
nuova spedizione contro Edom, per controllare le miniere di rame nell’À ­
raba. Il re sconfigge gli edomiti nella valle del Sale (a sud del Mar Morto)
e conquista Sela‘, di localizzazione incerta.
Israele, a sua volta, continuò le lotte contro gli aramei, che tornarono
ad assediare la città dì Samaria, ma finirono per abbandonare Timpresa.
Poco tempo dopo, Ioram, re d’Israele, intraprese un’altra spedizione con­
tro Ramot di Galaad, durante la quale venne ferito. Ritornò al suo palaz­
zo estivo a Izreel (località situata nella pianura omonima e ancor oggi co­
si denominata), dove ricevette la visita del nipote Acazia, re di Giuda. Più
tardi Iehu, re d’Israele, subirà un terrìbile attacco aramaico nel territorio
israelitico di Transgiordania. L’incursione giunse fino a ‘Aro‘ei s u II’ A t -
non. Ioash, re d’Israele, riuscirà a sconfiggere i siriani e recupererà le città
38 La geografìa biblica

che il padre Ioacaz aveva perduto. Suo figlio, Geroboamo 11, ripristinerà
le antiche frontiere del regno quasi nella loro totalità e Acazia, re di Giu­
da, farà altrettanto presso il confine filisteo e a Edom.
Nel ix secolo a.C. Israele è percorso dai profeti Elia ed Eliseo. Il primo
10 incontriamo a Galaad, in Samaria, Izreel, Betel, Gerico, Beersheba e in
una peregrinazione al Monte Oreb o Sinai, di cui, una volta ancora, non
viene chiarita la localizzazione. Incontriamo invece Eliseo a Betel, presso
11 Giordano, sul Carmelo, in Samaria. In quel tempo ha luogo la rivolta
di Iehu. causata dal profeta. Iehu, proclamato re a Ramot di Galaad, at­
traversa il Giordano, si dirige a Izreel; qui si scontra con i due re d’Israele
e Giuda. Il primo, Ioram, viene ucciso durante la battaglia, mentre Acazia
fugge e, cercando scampo sulla montagna, viene ferito. Riesce a rifugiarsi
a Megiddo, dove però muore. Iehu prende possesso della capitale, Sama­
ria, e stermina l’intera famiglia di Acab.
La frontiera giudeo-israelitica torna a essere punto d’attrito, mentre
erano re dei due stati Amasia e Ioash. Quest’ultimo, re d’Israele, conqui­
sta la città di Bet-Shemesh e con una rapida spedizione giunge a saccheg­
giare la stessa Gerusalemme.
A questo punto è necessario accennare ai percorsi seguiti dalle truppe
provenienti dai grandi imperi, che in questo periodo fanno la loro appari­
zione nei paese. L ’Egitto, alla morte di Salomone, invia prontamente il
suo esercito in Palestina per un’operazione punitiva e di controllo. Il fa­
raone attraversa il territorio filisteo, sale sulla montagna simultaneamen­
te da Bet-Shemesh e Bet-Horon, passa vicino a Gerusalemme, dove il re
Roboamo lo placa con tributi, si reca a Gabaon e Betel, quindi a Sichem e
Tirsa. Scende il Wàdi Pària fino alla valle del Giordano e conquista al­
cune città come Penuel, risale lungo il Nahal Harod, si impossessa di
Bet-Shean, percorre la pianura di Izreel, espugna Megiddo e seguendo la
via del mare ridiscende verso l’Egitto. Una seconda campagna punitiva
dello stesso faraone Shishaq, attraverso il Negev, è attestata soprattutto
dall’archeologia.
Il complesso delle campagne assire per il controllo del paese risultò più
significativo per le sue conseguenze, giacché portò alla distruzione del re­
gno d’Israele.
Già nel ix secolo a.C. gli assiri avevano effettuato incursioni nel regno
aramaico di Damasco e lo stesso Iehu aveva dovuto pagare tributi a Sal-
manassar in dopo un’incursione assira giunta fino al Carmelo. M a le più
importanti campagne ebbero luogo nell’v n i secolo. Sotto Acaz il regno
di Giuda si trova pressato da nord dagli attacchi congiunti d’Israele e Si­
ria (guerra siro-efraimita), da sud a causa delle rivolte in Edom, da ovest
per l’espansionismo dei filistei. Questi ultimi si appropriano di gran parte
della Shefela, conquistando alcune piazzeforti lungo le direttrici obbligate
Geografia storica biblica 39

provenienti da Gerusalemme, cioè nelle zone di Bet-Horon e Bet-She-


mesh. Trovandosi in una situazione tanto critica, il re di Giuda chipde
l’aiuto di Tiglat-Pileser in, re di Assiria, che compie tre memorabili cam­
pagne per pacificare il paese. Nella prima discende dalla Fenicia attraver­
so la cosca fino ai «torrente d’Egitto», conquistando le città e creando la
nuova provincia assira di Duru, con capitale Dor. L'anno seguente, 733
a.C., conquista praticamente tutto Galaad e la Galilea. Con quest’ultima
crea una nuova provincia chiamata Maggidu, di cui era capitale l’antica
roccaforte di Megiddo. Il terzo anno annette Damasco e la Transgiorda-
nia, formando la circoscrizione di Qarnini e Haurina, Solo la Montagna
di Samaria rimaneva sotto la giurisdizione del re d Israele. Un ulteriore
campagna del nuovo re assiro Salmanassar v, continuata dal successore
Sargon, pone fine al regno d’Israele, con la caduta delia città di Samaria
dopo tre anni di assedio (721 a.C.). Samaria fu appunto il nome della
nuova provincia assira, includente anche l’antica Duru. Nella Filistea fu
allora creata la provincia di Ashdudu (Azoto).
Restava indipendente soltanto il piccolo regno vassallo di Giuda, ridot­
to alle terre alte della Montagna. Anche Edom e Moab godevano di una
certa autonomia. Ai tempi di Sennacherib una nuova campagna assira
raggiunse Gerusalemme senza riuscire a conquistarla. Era allora re di
Giuda Ezechia. Gli assiti avevano assediato Lakisli (Teli ed-Duwèr, nella
Shefela meridionale) e Libna (forse Teli Kornat, un po’ più a nord).
Il terzo esercito a penetrare nel paese è quello babilonese. Prima di ciò
accade un «incidente» che costa la vita a Giosia, re di Giuda. Il faraone
Nekao, coalizzato con PAssiria, accorre m aiuto del suo esausto alleato,
che necessita di un appoggio nella regione siriaca. Giuda si era già in­
grandito a spese delle conquiste assire e aveva assorbito buona parte del­
l’antico regno d’Israele. Giosia,, ritenendo che il passaggio degli egiziani
dal suo territorio per dare manforte agli assiri rompesse Palleanza con
Babilonia, decide di sbarrare il cammino all’esercito egiziano nella strate­
gica postazione di Megiddo. La battaglia è favorevole agli egiziani e Gio­
sia muore nel combattimento.
Alla fine giungono le truppe babilonesi, dopo aver sconfitto gli egiziani
a Karkemish, dapprima si accontentano di accerchiare il paese e costrin­
gere i loro alleati e antichi nemici d'Israele, Atnmori, Moab e Edom, ad
attaccare il piccolo regno. Poi interviene lo stesso re Nabucodonosor po­
nendosi al comando del suo esercito (597 a.C.) e Gerusalemme si arren­
de-, il re loiaqin viene deposto e deportato in Babilonia. Nel 589 a.C. il
nuovo re Sedecia si ribella; cto dà luogo a una nuova invasione del pos­
sente esercito babilonese. Le città di Lakish e Àzeqa sono poste in assedio
e la stessa sorte tocca a Gerusalemme. Due anni dopo la capitale cade ed
è interamente distrutta, mentre la maggior parte della popolazione viene
40 La geografia biblica

deportata in Mesopotamìa. Il regno di Giuda diventa così provincia del­


l’impero, con capitale Mispa.
Prima di concludere questo paragrafo è bene ricordare la patria di al­
cuni profeti del periodo monarchico: Amos era di Teqoa (Tuqua, a sud
di Betlemme); Michea di Moreshet Gat (odierno Teli el-Gudeidah, nella
Shefela, a nord di Maresh); Geremia di ‘ Anatot (oggi Ras el-Harrùbeh, a
nord di Gerusalemme).

f) // ritorno dall’esilio

Durante la dominazione dell’impero persiano, periodo in cui alcuni grup­


pi giudei ritornano dall esilio, la Palestina apparteneva alla V satrapia,
nota con il nome di «Tra nseufrate» o «l’altro lato del fiume» (aram.
Abar Nahara), a sua volta suddivisa in varie province. Corrispondevano
alla Palestina: Sidone, che occupava parte della costa strettamente pale­
stinese, con Dor e Joppe; Tiro, comprendente anche la zona del Carmelo
e Asqelon; Akko, che era una fortezza reale; Samaria; lehud (Giuda);
Ashdod, che dominava quasi tutta la Filistea; Idumea, che includeva
Edom; Ammoni tide in Transgiordania.
La Bibbia riferisce il sistematico ostruzionismo che i governatori di Sa­
maria e di Idumea e altri funzionari delle province di Ashdod e di Ammon
opposero alla ricostruzione di Gerusalemme. La provincia di Giuda com­
prendeva Betel a nord, Gerico a est, e Bef-Sur verso il mezzogiorno (la­
sciando allTdumea la città di Hebron); verso ovest giungeva fino alla
parte settentrionale della costa, includendo la città di Lod. L Ammonitide
abbracciava non solo quello che in precedenza era stato il regno di Am­
mon, ma anche tutto il Galaad. A quell’epoca in Transgiordania stava
nascendo un nuovo popolo di stirpe araba, il nabateo, che avrà molta im­
portanza nei secoli successivi. I nabatei occupavano il territorio degli
edomiti, scacciati verso il Negev (Idumea), ma con il tempo il loro domi­
nio si estenderà a quasi tutta la Transgiordania.
Nel 332. a.C. Alessandro Magno, dopo la battaglia di Isso, percorre la
costa mediterranea da nord a sud, penetra in Palestina da ) ilo e occupa
le città di Akko, Torre di Stratone (più tardi Cesarea Marittima), Azoto,
Asqelon e Gaza. Più tardi entrerà in Egitto. Durante questa spedizione
sottomette pacificamente Gerusalemme e la sua provincia. Al suo ritor­
no, percorrendo la via della Mesopotamìa, conquista e distrugge la città
di Samaria.
Dopo la morte di Alessandro la Palestina rimane sotto il controllo delia
dinastia macedone dei Tolemei, proclamati re d’Egitto. Apparteneva a
un’estesa regione, chiamata «Sìria e Fenicia», comprendente varie pro­
vince (eparchie). Tra queste, per ciò che riguarda la Palestina, si trovava­
Geografia storica biblica 4r

no: Fenicia, che includeva la città di Akko, la quale da questo momento


si chiamerà Tolemaide; Galilea; Giuda; Àshdod, la cui capitale è in que­
sto periodo la città di Jabne (oggi Yibnà, a sud di Joppe) e Idumea, tutte
in Cisgiordania. In Transgiordania: la Traconitide, PAuranitide e la Bara-
nea, tutte a nord e praticamente fuori dei confini di Palestina; al suo in­
terno la Gaulanitide nel Golan, la Galaaditide nel Galaad, con Gadara
come capitale, la Moabitide (Moab) e Gabalitide. Inoltre esistevano le
città autonome di Samaria, Dor, Joppe, Asqelon e Gaza. Tra le principali
città del paese, oltre Gerusalemme, figuravano Maresha (oggi Tèi Mare-
sha), Joppe, Samaria, Gerico, Abila (oggi Khirbet el-Kefrein, discendendo
da Amman verso il M ar Morto), Tiro (oggi Iraq el-Amir, a ovest di Am­
man), Gadara, Berenice (Pantica ‘Esion cioè Elat), Pella (oggi Khirbet
Fahil, nella valle del Giordano tra lo Yarmuk e lo Yabboq), Filadelfia
(Pantica Rabbat Ammon, oggi Amman), Scitopoli (Pantica Bet Shan) e
altre ancora.
In un secondo momento e a partire dalla battaglia di Panias, nella qua­
le Antioco ni sconfigge Scopa, generale di Tolemeo iv, il paese entra nelle
dipendenze del regno dei Seleucidi, la cui capitale era Antiochia di Siria.
La Palestina viene allora inserita nella «strategia» di Celesiria e compren­
de le seguenti eparchie: Paralia, con la costa dalla Fenicia a Gaza, eccet­
tuato il territorio di Jabne e Azoto, sottoposte alPldumea, la cui città più
importante continua a essere Maresha; Samaria, che ingloba ora la Giu­
dea, la Samaria, la Galilea e la Perea, quest’ultima in El-Belqa, dall’altra
parte del Giordano (peran tou lordanou), da cui le deriva il nome. Il resto
della Transgiordania Torma l’eparchia di Galaaditide. In quest’epoca ac­
quisiranno enorme importanza le città semiautonome di Transgiordania e
di Cisgiordania.
In tale contesto scoppia la rivolta indipendentista maccabaica. Matta­
na, il patriarca della dinastia maccabaica, dà l’avvio all’agitazione nella
città di Modin, nella Shefela, e si rifugia con i figli sulle alture di Samaria
—le colline di Gofna —, donde inizieranno le incursioni nella Giudea. An­
cora ima volta Bet Horon diventa famosa per la battaglia che metterà in
luce la figura di Giuda Maccabeo nel 1 66 a.C. Altri celebri scontri di
questo condottiero si collocano a Emmaus (165 a.C.), oggi Latrun, a me­
tà strada tra Gerusalemme e Ramla, a Bet-Sur (165 a.C.), oggi proba­
bilmente Khirbet et-Tubeiqeh, a nord di Hebron, a Ja ‘zer, probabil­
mente oggi Khirbet es-Sar, a ovest di Amman; a Rafon (oggi Er-Rafeh,
nel Golan), a Bet Zaccaria (oggi Beit Zakàriya, tta Betlemme e He­
bron), nei 1 6z a.C,; a Cafarsalama (oggi Khirbet Salameh, vicino a El-
Gib, a nord-ovest di Gerusalemme), pure nel 16 2 a.C.; ad Adasa (oggi
Khirbet ‘Adàseh, nelle vicinanze della precedente); a Eia sa (oggi Khirbet
el-cA$sy, poco più a nord), in cui Giuda Maccabeo perse la vita ( 16 1
42. Lo geografia biblica

a.C.). Le battaglie dei suoi seguaci, come Gionata, si situano a Bet-Basi


(oggi Khirbet Beit Bassah, a sud-est di Betlemme); a Jamnia (tra Ashdod e
Ramla) e a Hasor; a Cedron (Tel Qatzah, nei pressi dell’odierna Gede-
ra) ai tempi di Simone.
Nell’epoca di Giovanni Ircano viene annessa alla Giudea una parte del­
la Transgiordania, a nord deirantico Moab, con la città di Madaba; Pl-
dumea, con Maresha, Hebron e Beersheba; e la Samaria, incluso il Car­
melo e Scitopoli. Dopo la conquista della Galilea da parte di Aristobulo
(104-103 a.C.) il regno di Alessandro Janneo arriverà a occupare pratica­
mente tutta la Palestina. A nord, lungo la costa, confinava con la Fenicia,
che giungeva fino al Carmelo, nonostante che all’ in terno il regno giudaico
si addentrasse fino alle fonti del Giordano in Bànyàs. A sud includeva
Beersheba, confinando con il territorio dei nabatei. A est incorporava il
Golan, Galaad, la Perea e l’antico territorio di Moab. La zona di Asqe-
lon, sulla costa mediterranea, rimaneva al di fuori del regno.

z. Nuovo Testamento
a) Divisioni amministrative della Palestina
Nell’anno 63 a.C. il generale romano Pompeo occupò la Palestina. Pro­
veniva da Damasco e scendendo attraverso la valle dello Yarmuk si dires­
se verso il Giordano, da dove salì a Gerusalemme. Il paese rimase allora
suddiviso in Giudea, comprendente, oltre a questa regione, la Galilea, la
Perea e la parte orientale delPldumea; Samariaycon capitale Sichem, in un
certo senso indipendente; Iturea, nella zona del Golan e Rànyàs; le città
greche autonome come ) olemaide (che comprende il Carmelo), Dora,
Torre di Stratone e Apollonia (oggi Pel Àrsaf, a nord di Tel Aviv), Joppe
(oggi Giaffa, un quartiere meridionale di Tel Aviv), Jamnia, Azoto, Asqe-
ton, Maresha, Gaza e la confederazione della Decapoli, formata dalle cit­
tà di Hippos (oggi QaPat el Husn nei pressi della riva orientale del Lago
di Genezaret), Dion (Teli el-As ari) nell’alto Yarmuk, Abila (Teli Àbil, a
sud-ovest della precedente), Gadara (Urnm el-Qeis, a sud dello Yarmuk,
presso la valle del Giordano), Pella (Teli Fahl), Scitopoli (Bet-Shan) e Ge-
rasa (Gerash), nell’alto Yabboq.
Tutto ciò apparteneva alla provincia romana di Siria, con capitale An­
tiochia. La Giudea era relativamente autonoma, sotto l’autorità del som­
mo sacerdote. Una nuova divisione del territorio in synedria o distret­
ti, con capitali a Gerusalemme, Gerico, Adora (oggi Dura, a sud-ovest
di Hebron), Ammathus (in Transgiordania, nella piana del Giordano,
a nord dello Yabboq), e Sepphoris (Sippori, in Galilea a nord di Naza­
ret), non fu duratura.
A partire dall’anno 40 a.C. Erode, proclamato re da Roma, possiede un
Geografia storica biblica 43

ampio territorio semindipendenie che comprende, oltre alla Giudea e


all Idumea occidentale, la Samaria, Jamnia, Joppe, Azoto, Gaza, Antipa-
tride (Tel Afeq, a est di Tel Aviv), Torre di Stratone, oggi denominata
Cesaiea, Gaba (vicino al Carmelo), Gadara, Hippos; nella zona del Golan
la Ratanea, la Traconitide, PAuranitide e presso le sorgenti del Giordano
la Gaulanitide. Esbus, l'antica Heshbon (oggi Hisban, a nord di Mada-
ba), è infine un territorio incorporato da Erode al suo regno, dopo che
Febbe sottratto ai Nabatei, suoi potenti nemici, con i quali il regno confi­
nava a oriente e a sud.
Alla morte di Erode il Grande (4 a.C.) il regno viene diviso tra i figli.
Archelao ottiene la Giudea, FIdumea e la Samaria; Erode Antipa la Gali­
lea e la Perea; Filippo la Galaunitide, la 1 raconitide, la Batanea e FAura-
nitide, la cui capitale Panias assumerà il nome di Cesarea di Filippo (oggi
Bànyas presso le sorgenti del Giordano), mentre Salome, sorella di Erode
il Grande, riceve il territorio di Jamnia e Azoto. Frattanto, Hippos, Ga­
dara, Gaba, Gaza ed Esbus tornano a dipendere direttamente dal procon­
sole di Siria, governatore della provincia. NelPanno 6 d.C. Archelao fu
privato del titolo di tetrarca e il territorio si trasformò nella provincia
procuratoria denominata Giudea.
Frode Agrippa 1 ereditò, anzitutto, la tetrarchia di Filippo, poi quella
dì Antipa e nel 4 1 d.C., con il titolo di re, si appropriò dei territori del-
F antica provincia procuratoria, giungendo a dominare un'estensione ter­
ritoriale solo lievemente più ridotta del regno del nonno, Erode il Gran­
de. Alla sua morte, nel 44 d.C., tutto il territorio divenne provincia pro­
curatoria, retta da un procuratore o praefectus romano. Il dominio del re
Agrippa 11, figlio del precedente, si sarebbe dovuto limitare solo al piccolo
territorio della Calcide nel Libano; in realtà egli riuscì a ottenere da Ro­
ma Pamministrazione di altri territori: Abila vicino Damasco, la tetrar­
chia di Filippo e, infine, una porzione importante della Galilea orientale,
comprendente !e rive del lago e il sud della Perca.
Dopo la grande guerra del 66-73 d.C. la Giudea, riunendo analmente 1
vari territori, divenne una provincia «imperiale» romana senza Io specifi­
co carattere «procuratorio», ma con le connotazioni amministrative, giu­
ridiche e militari da esso implicate. Soltanto con la seconda ri volta {13 z-
135 d.C.), la provincia muterà il nome da Giudea in Palestina.

b) Geografìa dei vangeli

I cosiddetti «vangeli delF infanzia» menzionano le città di Nazaret, Be­


tlemme e Gerusalemme. Nazaret era allora un piccolo villaggio, sulla ci­
ma di una catena di colline, la cui popolazione, di stirpe giudaica, si de­
dicava prevalentemente alla coltivazione di ulivi e viti. Il nucleo urbano
44 La geografia biblica

consisteva in povere capanne che si giovavano delle numerose grotte na­


turali per ampliare le abitazioni e ospitare botteghe, silos e cisterne. N a­
zaret si trova a soli io km dalP impor tante citta di Sepphoris, capitale del­
la Galilea occidentale. Tiberiade, fondata da Antipa intorno al 20 d.C.
sulle rive del lago e situata a una trentina di chilometri da Nazaret, era la
capitale della Galilea orientale. E possibile che, essendo Giuseppe e Gesù
artigiani e non agricoltori, si recassero spesso a lavorare in questi due im­
portanti centri.
Betlemme, invece, all'epoca di Gesù era una piccola citta della Monta­
gna di Giuda. Situata a circa 8 km a sud di Gerusalemme, sulla strada dì
Hebron, era un luogo di antica tradizione; fu la patria del re Davide e
vi si venerava la tomba di Rachele. Non molto distante dalla città Erode
aveva edificato un palazzo-fortezza, PHerodium, che dominava dal fondo
il paesaggio di Betlemme, La cirta era situata sopra una colli netta e ai
suoi piedi si estendevano terreni coltivati a grano e orzo, oltre che uliveti
e vigneti. Aveva una certa importanza economica, soprattutto come mer­
cato di bestiame minuto, giacché i pastori di pecore e capre, che percorre­
vano con i loro greggi il vicino deserto di Giuda, erano soliti accamparsi
nei dintorni del villaggio. Si può pensare che le case fossero in genere
umili e che molte abitazioni utilizzassero le numerose piccole caverne del­
la zona per ampliare gli annessi e le stalle. Forse Betlemme a quell’epoca
era circondata da mura.
Di Gerusalemme, all’epoca di Gesù grande città, abbellita soprattutto
da Erode il Grande, si parlerà particolareggiatamente più avanti, nel pa­
ragrafo che ne descrive la topografia.
I racconti evangelici, riferendo la «missione di Galilea», menzionano
come centro delPattività di Gesù la città di Cafarnao. Situata sulla riva
nord-occidentale del Lago di Genezaret, in un terreno piuttosto arido, era
una piccola città dedita alla pesca e per certi aspetti importante, poiché
situata in una zona di frontiera vicino alla strada che dalla tetrarchia di
Galilea si dirigeva verso 1 territori della tetrarchia di Filippo. Di fatto, vi
erano servizi di dogana (Mt. 9,9) e una guarnigione militare (Mf. 8,5-9).
L ’abitava gente dedita all’agricoltura, come hanno dimostrato gli scavi
archeologici. Gli apostoli Pietro e Andrea risiedevano a Cafarnao.
Tutta la riva settentrionale del lago fu molto frequentata da Gesù. E il
caso di Corazin, poco più a nord e un po’ piu all interno; di Betsaida (og­
gi Et-Teli) sulla medesima costa, ma sulla sponda opposta della foce del
Giordano, patria d origine dei fratelli Pietro e Andrea, oltre che di Filip­
po. Gesù predicò anche a sud di Cafarnao, nei pressi della città di Gene­
zaret, zona verdeggiante e fertile, dove la tradizione ambienta il discorso
del monte, la moltiplicazione dei pani e dei pesci e altri avvenimenti della
storia evangelica. Un po’ più a sud si trovava l’importante città di Mag-
Geografìa storica biblica 45

dala, patria di Maria Maddalena. Non è attestata la predicazione di Gesù


a Tiberiade e un solo riferimento indica la sua presenza nella zona meri­
dionale del lago; qui Gesù giunse in nave, per curare l’indemoniato di
Gadara e non «Gerasa» (Mf. 8,28). Nel vangelo s’incontrano diversi rife­
rimenti alle improvvise tempeste che si scatenavano sul lago (fenomeno
ancor oggi ricorrente), alle pesche miracolose (la pesca e le fabbriche di
salatura costituivano una delle principali ricchezze della regione), al tra­
ghetto di gente sul lago, e parabole relative alla vita dei campi e del mare.
Queste allusioni hanno una chiara ambientazione in questa bella regione
della Galilea.
Gesù visitò il villaggio di Cana a nord di Nazaret e il Tabor a est. In
un’occasione si addentrò certamente nella tetrarchia di Filippo, fino a
raggiungere la capitale, Cesarea, alle sorgenti del Giordano. Percorse an­
che la costa mediterranea del Libano, visitando le città di Tiro e Sidone.
Nei racconti evangelici la «salita» di Gesù a Gerusalemme riveste
un’importanza particolare. I sinottici la limitano a un unico viaggio al
termine del suo ministero, ma Giovanni descrive varie volte il tragitto di
andata e ritorno dalla Galilea alla Giudea. Gli evangelisti però concorda­
no nel presentare l’inizio dell’attività pubblica di Gesù nel basso Giorda­
no. Qui egli venne battezzato da Giovanni Battista e da qui si ritirò per
qualche tempo nel deserto di Giuda.
Il viaggio dalla Galilea a Gerusalemme, quando interessava i giudei, si
effettuava normalmente scendendo nella valle del Giordano, per non at­
traversare la Samaria. Si proseguiva lungo la riva sinistra del fiume, situa­
ta nel territorio di Perea e si giungeva a guadare il Giordano di fronte a
Gerico. Da qui si saliva a Gerusalemme. Gerico, in effetti, è menzionata
più volte nel vangelo. Città ubicata a circa 30 km da Gerusalemme sulla
via romana, era allora un centro di una certa importanza, proprietà del
sovrano. Erode il Grande vi aveva costruito un magnifico palazzo d’in­
verno, edifici pubblici (teatro, ippodromo ecc.) e fortificato la roccaforte
difensiva. Gerico si trova in una ricca oasi, assai rigogliosa. La strada tra
Gerusalemme e Gerico era difficoltosa e non scevra di pericoli, poiché bi­
sognava discendere lungo il tragitto più di 1000 m di altitudine e attra­
versare il deserto.
Il vangelo di Giovanni, tuttavia, segnala che Gesù seguì la strada del
Giordano, ma, altre volte attraversò la Samaria. Il famoso dialogo con la
samaritana (Gv. 4) ebbe luogo nel villaggio di Sicar, dove è situato il poz­
zo di Giacobbe (oggi ‘Askar, vicino all’antica città di Sichem).
Altre località citate dal vangelo sono Betania e Betfage, due villaggi ben
localizzati, nei pressi di Gerusalemme, sul versante opposto del Monte
degli Ulivi. Entrambi sono oggi conosciuti con il loro nome biblico e il
primo è divenuto una grossa borgata e ha assunto il toponimo arabo di
46 La geografia biblica

El-'Azarfyeh. L ’Emmaus del vangelo probabilmente non è la città citata


nell’A.T. (j Macc. 3,38; 9,50) che, identificata con Latrun, daterebbe
troppo da Gerusalemme, bensì il villaggio di Qoloniya, vicino a Motza,
a 5 km da Gerusalemme (30 stadi), la quale, secondo Flavio Giuseppe
{Bell. 7 ,z i 7) si chiamava pure Emmaus quando fu trasformata in una
sorta di colonia per alcuni veterani delle truppe di Vespasiano. La distan­
za di 60 stadi di certi manoscritti di Luca farebbe riferimento al tragitto
di andata e ritorno a Emmaus. La correzione in 160 stadi presente in al­
tri manoscritti costituirebbe un tentativo d’identificare la località con i 3 1
km che separano Latrun da Gerusalemme. Le diverse identificazioni di
Emmaus, come Abu Gosh o el-Qubeibeh, a 60 stadi di distanza (11,5
km) sono di epoca medievale.

c) Geografìa degli Atti degli Apostoli

Oltre Gerusalemme, le città palestinesi più citate negli Atti sono Samaria
e Cesarea Marittima. Tutte e tre rappresentano senza dubbio le città più
importanti della regione. Samaria, edificata sull’antica capitale d’Israele
sulla montagna omonima, all’epoca di Gesù era una grande città. Rico­
struita da Erode il Grande per i veterani stranieri, aveva il nome di Seba­
ste (odierna Sebastiyeh), cioè «Augusta». Gran parte della sua popolazio­
ne era pagana.
Cesarea, denominata «Marittima» per distinguerla da Cesarea di Filip­
po, era stata fondata da Erode il Grande nel luogo dell'antica Torre di
Stratone. Nel 1 secolo fungeva da capitale e da residenza del procuratore
romano e costituiva il porto più importante della regione e la città più
moderna e sviluppata. Era ben collegata, per mezzo di strade maestre, con
Sepphoris, Samaria e Gerusalemme. Buona parte della sua popolazione
non era giudaica. Le sue fondamenta e le sue rovine monumentali si tro­
vano sulla costa a metà strada tra Haifa e Tel Aviv.
Altre città ricordate negli Atti sono: Joppe (oggi Giaffa), il porto tradi­
zionale della Palestina, già da allora un po’ decaduto; Lidda (oggi Lod, a
sud-est di Tel Aviv); Azoto (Ashdod) e Gaza (\Azzah), le due antiche città
filistee della costa a sud di Giaffa - Tel Aviv, ancor oggi di una certa im­
portanza.
Fuori della Palestina la città più citata è Antiochia, capitale della pro­
vincia di Siria e a quell’epoca una delle maggiori città del mondo. Situata
nel nord della Siria, sul basso Oronte, non era molto distante dalla costa.
Viene menzionata anche Damasco, che aveva un’indubbia importanza
nella strada commerciale che conduceva a Palmira e all’oriente; un’altra è
la colonia romana di Tarso in Cilicia, essa pure città prestigiosa.
Per evidenti ragioni di spazio e perché il tema trascenderebbe l’ambi­
Geografìa storica biblica 47

to geografico qui preso in esame, non possiamo esaminare minutamente


i viaggi di Paolo. Alcuni itinerari paolini, poi, continuano a suscitare di­
scussioni tra gli specialisti. In linea generale, i viaggi di Paolo sono sche­
matizzabili come segue.
Le prime attività di Paolo, ormai cristiano, si concentrano a Damasco;
da qui parte per Gerusalemme e dopo alcuni giorni per Cesarea, dove
s'imbarca in direzione della sua Tarso. Dopo qualche tempo si dirige ver­
so Antiochia, quindi ritorna a Gerusalemme.
Tra gli anni 4 6 e 48 d.C. si colloca il cosiddetto «primo viaggio». Paolo
e Barnaba, partendo da Antiochia, si recano al vicino porro di Seleucia e
qui si imbarcano per Cipro. Sbarcano a Salamina, sulla costa orientale
dell’isola, attraversano tutto il territorio e si trattengono a Pafo, capitale
della provincia, sulla costa occidentale. Riprendono il viaggio via mare
per l5Anatolia, sbarcano a Perge di Panfilia, alPincirca nella parte centrale
della costa meridionale delPAnatolia. Dalla Panfilia si inoltrano nel pae­
se, giungendo nella Pisidia, dove visitano le città di Antiochia, Iconio, Li-
stra e Derbe. Il ritorno segue la medesima via, questa volta senza toccare
Pisola di Cipro e partendo dal porto di Attalia a ovest di Perge.
Il «secondo viaggio» inizia pure ad Antiochia e si svolge tra gli anni 49
e 52. Paolo percorre la via di terra, attraversando la Siria e la Cilicta, per
ritornate di nuovo in Pisidia, nelle città di Derbe, Listra e Iconio. Da qui,
viaggiando attraverso la Galazia e la Frigia, giunge all’estremità occiden­
tale delPAnatolia. Si imbarca nel porto di Troade e fa rotta verso la città
macedone dì Neapolis; da questa passa alla colonia romana di Filippi.
Quindi, transitando per le città di Anfipoli e Apollonia, giunge a Tessalo-
nica, capitale della Macedonia, e da qui alla vicina città di Berea. Proba­
bilmente s’imbarca e giunge ad Atene, la città culturalmente più presti­
giosa di tutto l’impero; da Atene si reca nella grande città di Corinto, in
cui si trattiene per qualche tempo. Da Cenere, città un po’ più a sud, sem­
pre nel Peloponneso, s'imbarca in direzione di Efeso, la popolosa città
della costa anatolica occidentale. Da qui prènde un’altra nave che lo con­
duce al porto palestinese di Cesarea; sale a Gerusalemme e intraprende la
via del ritorno verso Antiochia.
Anche il «terzo viaggio» (dal 53 al 57 d.C.) inizia ad Antiochia. Paolo
percorre via terra tutto l’altipiano anatolico da est a ovest e giunge a Efe­
so, dove si trattiene per piu di due anni. Da qui si dirige in Macedonia, si
reca a Corinto, ritorna attraverso la Macedonia, visita Filippi, s’imbarca
facendo rotta verso la Troade e da questa, per via di terra, giunge al porto
di Asso, dove riprende la medesima nave sulla quale viaggiavano i suoi
compagni.
Fa scali a MitiJene, C hio, Samo e Mileto. Quindi, proseguendo per ma­
re, costeggia la parte occidentale delPAnatolia, tocca Cos, Pisola di Rodi
48 La geografia biblica

e infine Patara, sulla costa meridionale dell’Anatoha. Abbandonando le


rotte di traffico, s’imbarca su un’altra nave che, passando vicino alla co­
sta cipriota, lo conduce al celebre porto di Tiro in Fenicia. Per terra si di­
rige inizialmente verso Tolemaide, Vantica Akko, e poi a Cesarea. Da qui
sale a Gerusalemme.
Nel 59 ha luogo il viaggio da Cesarea a Roma, durante il quale Paolo è
già prigioniero. La narrazione di Atti 27 costituisce uno dei documenti
più completi di tutta la letteratura antica su temi nautici. La nave tocca
Sidone, naviga a distanza da Cipro e arriva a Mira, sulla costa meridio­
nale delFAnatoiia. Con un’altra nave, diretta in Italia, inizia un nuovo
periplo, costeggiando l’isola di Cnido e il litorale di Creta, da capo Sal­
mone a oriente fino a Buoni Porti, vicino a Lasala sulla costa meridiona­
le; prosegue la navigazione giungendo al porto di Fenice. Qui inizia la ve­
ra navigazione di altura, già fuori tempo per la stagione avanzala, e i
viaggiatori sono sorpresi da un impressionante tempesta descritta con
dovizia di particolari tecnici di inestimabile valore dal punto di vista nau­
tico. Avvistano Pisoletta di Cauda e, lottando per allontanarsi dalla peri­
colosa costa africana, si rifugiano a Malta, dove la nave naufraga in uno
dei fondali vicini al litorale. Passato Pinverno, con una nuova imbarca­
zione riprendono il viaggio, toccando Siracusa in Sicilia, Reggio Calabria
e infine attraverso il Mar Tirreno arrivano a Pozzuoli, vicino a Napoli.
Da qui intraprendono via terra il viaggio per Roma, sostando al Foro
d5Appio e alle Tre Taverne.
Da Roma, e recuperata la libertà, Paolo compie senza dubbio altri
viaggi, di cui mancano notizie certe. Quasi sicuro è il suo arrivo è in Spa­
gna; si trattava infatti di un suo preciso disegno quando giunse a Roma
(Rom. 15,^4.28). Una tradizione locale parla del suo sbarco a Tarrago-
na. È assai verisimile, poiché questa città era la piu importante di Spa­
gna, capitale della Provincia Citeriore e porto preferito per gli scambi con
] Italia (è nota la tendenza di Paolo a predicare nelle grandi città).

3. Topografìa di Gerusalemme

L’indiscutibile importanza di Gerusalemme nella storia biblica richiede


uno specifico paragrafo sulla topografia della città.

a) Descrizione

Gerusalemme si trova sulla Montagna di Giuda, sul suo asse centrale, a


un’altezza di circa 760 m in media sul livello del Mediterraneo. La deli­
mitavano due profonde valli: quella del Cedron e quella del suo affluente
Hinnom (Ge-Henna), che si uniscono in prossimità della sorgente di ‘Ain
Geografìa storica biblica 49

Rogel. Il primo, dopo un breve tragitto ovest-est, piega sensibilmente in


direzione noid-sud; il secondo, che inizialmente viene da nord, cambia
bruscamente La direzione in senso ovest-est, per confluire perpendicolar­
mente nel Cedron. A est del Cedron si trova il Monte degli Ulivi (815 m
sul livello del mare) e, poco più a sud, il Monte dello Scandalo. A nord­
est della città, al di là della sorgente del Cedron, sorge il Monte Scopus; a
sud, al di là dell’Hinnom e ai piedi del Monte del Cattivo Consiglio, si
trova su un pendio il Campo di Haqeldama. Benché la città antica si ri­
ducesse allo spazio racchiuso tra i due precipizi, attualmente si estende
molto di più e oltrepassa questi limiti tanto a nord quanto a ovest.
Gerusalemme è edificata su colline il numero delle quali varia nelle di­
verse epoche storiche, dal momento che da una primitiva collinetta, quel­
la di Ofel, la città è andata riunendo un numero sempre maggiore di col­
line contigue.
La parte piu caratteristica della Gerusalemme odierna è circondata da
una bella muraglia in pietra che, nel tratto visibile, risale al x v j secolo,
edificata dal sultano turco Solimano il Magnifico tra il 15 3 7 e il 1540.
Buona parte della cinta, soprattutto nei basamenti, conserva tuttavia una
struttura muraria di età molto più antica. Vi sono otto porte. Da nord;
Porta Nuova, Porta di Damasco (arab. Bab el-Amud, Porta della Colon­
na) e Porta di Erode (arab. Bab ez-Zahr, Porta Fiorita). Da est: Porta di
Santo Stefano e Porta Aurea (attualmente murata). Da sud: Porta dei
Magrebim o Magrebi (conosciuta anche come «Porta del Letame») e la
Porta di Sion. E da ovest: Porta di Giaffa (arab. Bab el-Khalil, Porta de
«L’Amico» [Hebron]),
L'interno del recinto è attraversato da nord a sud da una stretta e pit­
toresca strada, che segue il tracciato del cardo maximus della città roma­
na, dalla Porta di Damasco, popolarmente conosciuto nel suo primo trat­
to con il generico nome di II Mercato {Suq). A ovest di questa via si situa­
no, in successione, il quartiere cristiano e il quartiere armeno, separati
dalla strada di Davide. A est si trovano il quartiere musulmano e il quar­
tiere ebraico, delimitati dalla strada Bab al-SilsiJa, alla cui estremità
orientale si estende la grande spianata del tempio, nota con il nome di
Haram esh-Sharìf.
Ma la zona più antica della città si sviluppava verso sud oltre le mura,
fino al dirupo dell’Hinnom. Tale zona è divisa in due da un canale, chia­
mato Tyropeon, che corre in direzione nord-sud provenendo dalPinterno
della citta compresa dalle mura, in cui separava il caseggiato dalla spia­
nata del tempio, e s’inoltra per circa 600 m fino al fondo del dirupo alla
confluenza del Cedron con PHinnom. A est del Tyropeon si trova la col­
lina di Ofel e a ovest la collina chiamata impropriamente di Sion, la parte
più elevata di tutta la città.
b) La città antica
dalle origini fino al V II secolo a.C.

La Gerusalemme preisraelitica, chiamata Rushalimun nei testi egiziani di


esecrazione (sec. x ix a.C*) e Urushalim in quelli di Teli el- Amàrna (sec.
x iv a.C.), era occupata dai gebusei prima della conquista da parte di Da­
vide; da qui la denominazione di Jebus, impiegata pure pei riferirsi alla
città. La sua privilegiata collocazione topogralìca e strategica e l’impor­
tanza politica di trovarsi alla frontiera tra Giuda e Beniamino, fecero sì
che Davide la trasformasse in capitale del suo regno (ca. 997 a.C.). In
quel tempo la città era circoscritta alla collina di Ofel. Sono stati scoperti
resti del muro del sec. xvnt a.C. (scavi di Kenyon), ma vi sono ritrova­
menti isolati risalenti fino al Bronzo Antico e al Calcolitico. Queste mura
che, sembra, erano dotate di torri dì difesa, servirono poi come base e
fondamenta a mura successive.
La sorgente di Gihon, che forniva acqua alla città — oggi popolar­
mente conosciuta come «Fontana della Vergine» —, si trovava ai piedi
delle mura sopra il torrente Cedron. Come in altre città cananee, si era
costruito un pozzo alFinterno dell’abitato per accedere direttamente alle
acque delia fonte (pozzo di Warren), al fine di assicurare approvvigiona­
menti in tempo di assedio, quando risultava impraticabile l’abituale usci­
ta dalle mura in cerca di acqua. Approfittando di questa istallazione, le
truppe di Davide penetrarono furtivamente nella città (2 Sam. 5,8). Davi­
de dovette ricostruire le mura ed edificò il suo palazzo nella parte alta
della collina. Dell’acropoli davidica si conservano forse alcune rovine,
come sembrano dimostrare i recenti scavi alla sorgente del Gihon (sca­
vi dì Shiloh).
Nell’vili secolo a.C. fu edificato un altro muro dietro al precedente e a
un’altezza maggiore di quello, come bastione di difesa contro gli attacchi
assiri. Ai tempi di Ezechia venne messa in opera una grande opera idrau­
lica, consistente in una galleria che dalla sorgente del Gihon conduceva
l’acqua all’interno della atta, benché, per ovvie ragioni, alla sua parte più
bassa, cioè nella zona d angolo tra il Cedron e iTiinnora. Detto canale,
scavato nella roccia, ha una lunghezza di 512, m e sbocca nella cosiddetta
piscina di Siloe. Di ciò danno testimonianza la Bibbia (2 Re 20,20; 2
Cron. 23,30) e un’iscrìziune ebraica commemorativa dell’incontro delie
due squadre di minatori che, dalle due estremità, iniziarono lo scavo del
tunnel, conservata nel Museo di Istanbul.
Oltre questo complesso sistema idraulico ne esisteva un altro più sem­
plice - il terzo —, databile all’epoca di Salomone, chiamato «Canale di Si-
loe». Questo, senza attraversare interamente la collina, portava le acque
da un luogo all’altro attraverso un tunnel superficiale collegato al pen­
Geografia storica biblica 5*

dio, con dispositivi di controllo e sbocchi verso l’esterno, servendo cosi


all’irrigazione degli orti situati ai piedi della città.
Già al tempo di Davide si iniziò Pampliamento della città a nord verso
la collina, dove attualmente si trova la spianata del tempio. Fu terminato
da Salomone con l’edificazione del tempio stesso e, a sud, dei palazzi rea­
li e con il riempimento della piccola depressione che, sembra, separasse le
due colline, il Millo, se quel terrapieno (1 Cron. 11,8 ) non si riferisce ai
muri di sostegno, recentemente scoperti, destinati a basamento delle case
sul versante est della collina, pur sempre entro le mura. Nella vecchia cit­
tà di Davide esistevano almeno due porte: quella dell’Acqua sopra la sor­
gente del Gihon e quella della Valle sopra il Tyropeon, i cui resti sem­
brano localizzati negli scavi di Crowfoot. Nella zona della nuova acropo­
li salomonica dovevano esserci anche altri ingressi.

c) Tra il V II e il I secolo a.C .

La città crebbe dopo la caduta di Samaria, dato che molti israeliti, essen­
do ormai distrutto il regno del nord, cercarono riparo nel sopravvissuto
regno di Giuda e soprattutto nella capitale Gerusalemme. Questa circo­
stanza è attestata dai reperti archeologici, che documentano una notevole
espansione della città verso ovest, al di là del Tyropeon, fino a quello che
impropriamente viene oggi chiamato Monte di Sion (la vera Sion è la Cit­
tà di Davide, cioè l’ Ofel). Sono stati rinvenuti un buon tratto di mura, di
7 m di spessore sulla strada Plugat Hakotel del quartiere ebraico e una
grande torre di difesa, un po’ più a nord, con tracce archeologiche che ri­
velano l’assalto delle truppe babilonesi nel 587 a.C. (scavi di Avigad).
Al ritorno dall’esilio la città, le cui mura vennero restaurate da Nee-
mia, era considerevolmente più piccola, forse più piccola anche della città
salomonica. In ogni caso le mura orientali sull’Ofel erano situate sopra il
dirupo a un’altitudine maggiore di quelle precedenti all’esilio (scavi di
Macalister e Duncan); ciò fa supporre un perimetro più ridotto per il ca­
seggiato interno. Una descrizione delle mura e delle otto o dieci porte si
riscontra in Neem. 3,1-3 2 .
Nell’epoca maccabaica, dopo la riconquista definitiva di tutta Gerusa­
lemme (14 1 a.C.), venne edificato un gran muro per unire la vecchia città
ai nuovi quartieri occidentali esterni alle mura. Questo muro coincideva,
praticamente, con Tantico e ormai diruto muro del sec. viti a.C. Si è det­
to che sull’erroneamente denominato «Monte Sion» potrebbe essere sta­
ta edificata una nuova città ellenistica, forse «Antiochia» di 2 Macc. 4 1,
presidiata dalla fortezza conosciuta con il nome di Aera, tante volte citata
nei libri dei Maccabei. Si costruì anche un ponte che, attraversando il Ty­
ropeon, univa la nuova città con la spianata del tempio. I più recenti sca­
5Z La geografia biblica

vi archeologici non accreditano l’ipotesi della città ellenistica e, per quan­


to concerne l’Acra, la situano leggermente più a sud del tempio. Nell’an­
golo nord-occidentale della spianata del tempio venne edificata la fortez­
za di Baris, più tardi sostituita dalla «Torre Antonia», Resti delle nuove
mura della città sono stati rinvenuti in vari punti, soprattutto sulla strada
di Davide (scavi di Warren), nella Cittadella (scavi di Johns e di Amiran
ed Eitan), sopra FHinnom (scavi di Modsley) e nel vecchio «quartiere
ebraico» (scavi di Avigad).
Durante l’assedio di Gerusalemme da parte di Pompeo (63 a.C.), la fa­
zione di Ircano aprì ai romani le porte della nuova «Città Alta», ma i se­
guaci di &ristobulo si asserragliarono nella fortificata «Città Vecchia» e
tagliarono il ponte di unione. Alla fine Pompeo ebbe la meglio e occupò
la città.

d) Uetà erodiana

Erode il Grande, il monarca costruttore per antonomasia ed emulo del­


l’opera di Salomone, trasformò in buona parte anche la città di Gerusa­
lemme. La più importante delle sue realizzazioni fu la ricostruzione del
tempio, per il quale fece una nuova piattaforma o spianata, sostenuta da
mura impressionanti, come il cosiddetto «muro del Pianto», di cui alcune
enormi pietre pesano più di cento tonnellate. L ’area era il doppio della
precedente. Era interamente circondata da portici con colonne, aperti
verso Pinterno. Nella parte meridionale il portico si trasformava in una
vera e monumentale basilica, chiamata «Portico Reale». Nella spianata si
trovava un imponente pavimento centrale rialzato, cui si accedeva me­
diante alcuni gradini: era il grande cortile del tempio. Al suo centro e in
direzione est-ovest s’innalzava Pedificio del tempio propriamente detto.
Era costituito da un vestibolo attraverso il quale si entrava in un cortile,
ove si trovavano l’altare per Pimmolazione delle vittime e 1 ingresso al
santuario vero e proprio. Gli accessi alla spianata erano: uno a nord, la
Porta chiamata Tadi, inutilizzata. Altri due a levante: la Porta di Susa (al­
l’altezza dell’attuale Porta Aurea, che risale all’epoca dei Califfi) e l’Uscita
del Capro Espiatorio sopra un elevato precipizio. La prima, in realtà, do­
veva essere usata solamente per il passaggio rituale della «vacca rossa» e
la seconda non dava direttamente accesso al recinto, bensì alle cantine e
alle zone di servizio del tempio. Sul lato meridionale si aprivano le porte
di Hulda, dette Porta Tripla e Porta Doppia, utilizzate rispettivamente
per l’entrata e l’uscita, a cui si giungeva attraverso grandi scalinate. Erano
gli ingressi usati dai fedeli. A ovest era situata una spettacolare scalinata
che saliva dal fondo del Tyropeon, piegava ad angolo retto e, superando
Favallamento mediante un grande ponte (arco di Robinson), immette­
Geografìa storica biblica 53

va non proprio alla spianata ma all’angolo sud-occidentale del portico.


Un’altra entrata con caratteristiche simili, benché un po’ meno spettaco­
lare, corrispondeva al cosiddetto arco di Wilson. Tra le due esisteva una
porta più modesta, all’altezza della strada del Tyropeon, che attraverso
un condotto sotterraneo, come le porte di Hulda, portava non ai portica­
ti, ma alla spianata. Era, probabilmente, l’accesso utilizzato dagli stranie­
ri autorizzati, denominato Porta di Coponio e corrispondente all’odierna
Porta di Barclay. Oltre l’arco di Wilson esisteva un’ultima semplice porta
per il servizio del tempio, oggi nota come porta di Warren.
Erode costruì anche la Torre Antonia, addossata all’angolo nord-occi­
dentale della spianata del tempio ed edificata sopra un’altura, in cui ai
tempi degli Asmonei era situata l’antica fortezza di Baris. Il ritrovamento
in quest’area di una pavimentazione a grandi piastrelle (prospezioni di
Vincent) ha fatto supporre si trattasse del cortile centrale dell’edificio, ai
cui angoli sorgevano quattro torri. Questo lastricato venne identificato
con il Litostroto dove Pilato emise la sentenza contro Gesù (G v . 19 ,13 ).
Tutti i dati sono attualmente sottoposti a revisione e si intraprendono
nuovi studi, poiché sembra sempre piu imporsi l’idea che quella pavimen­
tazione possa appartenere a una piazza deli’Aelia Capitolina del periodo
adrianeo sulla la quale era stata posta a mo’ di arco di trionfo un’antica
porta della città, il cosiddetto «Arco dell’Ecce Homo», conservato sulla
Via Dolorosa e all’interno della chiesa del convento delle Dame di Sion.
Erode il Grande costruì, inoltre, un palazzo privato in quella che oggi è
denominata la «Cittadella», a nord del quartiere armeno, nella Città Al­
ta. Il palazzo poggiava sulle mura ed era protetto a nord da una fortezza
con tre torri, la maggiore delle quali, detta di Fasael, ancor oggi in buona
parte si conserva, inglobata nell’attuale struttura della Cittadella; allora
faceva parte del muro. Sulle altre due torri, Ippico e Mariamme, mancano
dati precisi. Le loro designazioni si riferiscono a personaggi legati a Ero­
de: Marco Antonio suo protettore, Fasael suo fratello, Ippico suo amico e
Mariamme sua moglie. In questo palazzo, divenuto la residenza abituale
dei procuratori romani all’epoca di Cristo, probabilmente si colloca il
pretorio in cui Gesù fu condannato a morte e non nella Torre Antonia; la
questione in ogni caso rimane ancora aperta.
Altre importanti opere gerosolimitane di Erode il Grande furono il tea­
tro e lo stadio, che, sembra, non erano collocati nei pressi del Tyropeon,
come talvolta si è supposto, bensì in qualche luogo sconosciuto nei din­
torni della città.
Per la cinta muraria di Gerusalemme è necessario tener conto della mi­
nuziosa descrizione di Flavio Giuseppe (Bell. 5 ,14 2 -15 5), che parla di una
triplice cinta muraria. Il Muro 1, attribuito da Giuseppe all’epoca davidi-
co-salomonica, è il muro asmoneo, precedentemente descritto. Il Muro
54 La geografia biblica

il, a nord-ovest del tempio, annetteva alla città un nuovo quartiere chia­
mato Mishna. Partiva dalla Torre Antonia e andava verso nord fino alla
muraglia attuale, coincidendo visibilmente con questa alla Porta di Da­
masco. In questo luogo sono stati rinvenuti i resti dell’antica porta e le
torri di difesa (scavi di Hamilton e Hennesy). À partire da qui, il muro si
dirigeva verso sud e, con andamento tortuoso, giungeva alla torre Ippico
nel palazzo di Erode. Uno di questi angoli escludeva dalle mura il Golgo­
ta o Calvario, piccola altura in una zona di vecchie cave di pietra vicino
alla quafe si trovavano alcuni sepolcri; senza dubbio corrisponde all’area
dell’attuale basilica del Santo Sepolcro. La localizzazione del cosiddetto
«Calvario di Gordon» o «Tomba del Giardino» a nord della Porta dì Da­
masco, benché questo sia un luogo suggestivo e commovente, manca di
ogni fondamento storico. Probabilmente questo Muro n venne edifica­
to all’epoca di Erode il Grande, ancorché Flavio Giuseppe non lo dica
espressamente, ed esisteva già al tempo di Gesù. Il Muro ni, inizialmente
una costruzione molto solida, fu ultimato frettolosamente; il suo scopo
era di includere nella città i quartieri proliferati a nord del Muro n. Ven­
ne costruito da Erode Àgrippa i (41-44 d.C.) e la sua traiettoria è minu­
ziosamente descritta. Si dice che corresse vicino alla tomba di Elena, re­
gina di Adiabene. In effetti, poco più a sud di questa tomba e a nord del-
l’École Biblique si ttovano i resti di torrioni e di una grande muraglia che
continua verso est, nella zona delTAlbright Institution, e verso ovest nei
pressi dell’Ospedale Italiano (scavi di Sukenik e Mayer, di Ben Arieh e
Netzer). Non mancano altre interpretazioni relative all’identificazione di
ognuna di queste tre cinte murarie, descritte da Giuseppe; quella da noi
riportata sembra la più attendibile e, senza pregiudizi, la più vicina alle
testimonianze.
Altri luoghi sono connessi alla vita di Gesù; la piscina di Betesda (Gv.
5,1-4), vicino alla chiesa di Sant’Anna, poco più a est della Fortezza An­
tonia e già fuori delle mura della città erodiana. È una doppia vasca con
cinque portici: quattro la circondano da ogni lato e un altro, centrale, se­
para le due sezioni. Era di epoca asmonea e ne sono state riportate alla
luce le rovine. Nelle sue vicinanze si trovava una specie di balneario, di
cui si sono conservati 1 resti e in cui può essere ambientato quanto e nar­
rato dalla pericope evangelica. Al tempo di Adriano fu trasformato in un
santuario dedicato a Esculapio. Va pure ricordata la «via a gradini», che
discende dalla collinetta orientale della Citta Alta e, nella sua parte piu
antica, può risalire a irepoca erodiana. Fu percorsa da Gesù, forse la not­
te del giovedì santo, allorché, lasciato il cenacolo, si diresse all’Orto del
Getsemani, sul pendio occidentale del Monte degli Ulivi, sull’altro lato
del Cedron. La localizzazione del cenacolo nella Città Alta si basa su una
solida tradizione, ma fino ad oggi non si sono ritrovati sufficienti indizi
Geografia storica biblica 55

archeologici. Più incerta, senza dubbio, è l'esatta localizzazione del Palaz­


zo di Caifa. Solitamente lo si identifica con la chiesa di San Pietro in Gal­
lic a n i, vicino alla via a gradini appena menzionata, dove si trovano resti
di una casa di una certa importanza, databile all’epoca erodiana, se non è
del sec. n d.C., come pure è possibile.
E necessario ricordare, anche se di sfuggita, le numerose tombe scavate
nella roccia, sparse nei dintorni della città. Alcune - non molte - datano
a epoca precedente all’esilio, come la cosiddetta «Tomba della figlia del
faraone» a Siloe, di fronte all’Ofel; sono ben più numerose quelle del pe­
riodo asmoneo, erodiano e anche successivo. Tra le altre sono da segna­
lare la tomba della regina Elena di Adia bene e quelle dette del Sinedrio a
nord della città, la tomba della famiglia di Erode e quella di Giasone a
ovest, quella di Bene Hezir e quelle conosciute come di Assalonne, Zacca­
ria e Giosafat nella valle del Cedron, così come la necropoli del «Domi-
nus flevit» a mezza costa nel Monte degli Ulivi.

e) Dalla prima rivolta giudaica

Durante l’assedio di Gerusalemme del 70 d.C. le truppe romane di Tito,


accampate sul Monte Scopus, occuparono inizialmente la zona compresa
nel Muro ni; da qui penetrarono nel quartiere racchiuso dal Muro 11. In
seguito costruirono una cinta per isolare il resto della città. Conquistaro­
no poi la Torre Antonia, irrompendo successivamente nel tempio e di­
struggendolo; s’impossessarono quindi dell’Ofel e della Città Bassa nella
valle del Tyropeon; infine espugnarono la Città Alta, dove si erano asser­
ragliati gli ultimi difensori.
Gerusalemme fu rasa al suolo e nell’attuale quartiere armeno, nella
Città Alta, venne istallato Paccampamento permanente della x legione
Pretensisi qui lasciata a presidio. Dopo la seconda rivolta, all’epoca di
Adriano ( 13 1- 13 5 ) , la città fu totalmente trasformata e prese il nome di
Aelia Capitolina, in omaggio al nome della famiglia dell’imperatore. Il
nuovo caseggiato venne costruito entro un perimetro più ridotto, seguen­
do sostanzialmente i muri della cinta attuale, lasciando pertanto fuori l’a­
rea meridionale, comprenderne buona parte della Città Alta, la Città Bas­
sa e l’Ofel. Resti del muro, costruito vari anni dopo - forse all’inizio del
ni secolo —, sono ancora visibili nelle file inferiori delle mura attuali, so­
prattutto nella Porta di Damasco, che conserva a vista uno degli archi di
entrata.
In epoca bizantina (sec. vi) venne riassorbita per qualche tempo la zona
meridionale, che nuovamente andò per la maggior parte perduta durante
il Medioevo e rimase definitivamente esclusa dalla cinta con la costruzio­
ne del muro attuale nel xvi secolo.
V. V I A G G I A T O R I E D E S P L O R A T O R I

Lo studio del paese biblico, l’identificazione dei Luoghi dove si ambientarono gli
avvenimenti più importanti della storia della salvezza, i resti dei monumenti e de­
gli oggetti dell’epoca biblica hanno suscitato da sempre la curiosità e l'interesse
degli studiosi. Nel corso dei secoli la Palestina si è trasformata in un polo di at­
trazione e di continue visite. T pellegrini in Terra Santa possono costatare de visti
l’ambiente e le impronte materiali della storia biblica. Alcuni tra loro si sono
preoccupati in particolare di indagare su questi temi e hanno lasciato per iscritto
la testimonianza delle loro esperienze. Riferiremo brevemente di questi ultimi.
La storia si può far iniziare dal iv secolo, in cui va ricordato l’anonimo «Pelle­
grino di Bordeaux», che nel 3 3 3 offre già importanti informazioni, e soprattutto
la monaca o vergine spagnola, di nome Egeria o Eteria, che viaggia nel 3 9 3 -3 9 4 e
scrive il famoso Itinerarium , di valore inestimabile per la storia dei «Luoghi San­
ti». A questo periodo appartiene pure Gerolamo, traduttore e commentatore delia
Bibbia, che dal 38 6 visse a Betlemme e nei suoi scritti ospita numerosi dati dì pri­
ma mano concernenti questi argomenti.
Altri pellegrini scrittori sono Eucheria, nel 440, e l’Anonimo Piacentino, nel
570 . Intorno al 70 0 il francese Arculfo visita la Terra Santa, lasciando numerose
osservazioni e dati. Più tardi vanno ricordati Villibaldo (72 1-72.7), Bernardo il
Savio {867), Saewulf ( 1 1 0 2 -1 :1 0 3 ) e Sigurdo il Crociato ( 1 1 0 7 - m i ) . Sono inol­
tre da segnalare il rabbino spagnolo Benjamin de Tudela (x 1 6 0 - 1 1 7 3 ) , Sir John
Maundevìlle ( 1 3 2 2 - 1 3 5 6 ) , Bertrando de la Brocquière ( 1 4 3 2 - 1 4 3 3 ) e Henry
Maundrell (16 9 7 ).
Lina nuova fase nelLesplorazione del paese, compiuta con criteri più scientifici
e moderni, si deve al viaggiatore spagnolo Domingo Badia, conosciuto con lo
pseudonimo di Ali Bey, che visitò la Palestina nel 1 8 0 7 , all’esploratore Ulrich Ja-
sper Seetzen, che percorse la zona tra il 18 0 5 e il 18 0 9 , e infine al famoso J.L .
Burckhardt, esploratore svizzero scopritore del tempio di Abu Simbel in Egitto e
della città di Petra. Costui visita la Palestina tra il 18 io e il 1 8 1 2 . Questa fase cul­
mina con una figura di singolare importanza: il nordamericano Edward Robin­
son, che tra il 1 8 3 4 e il 1 8 5 2 pubblica studi sulla regione.
Da allora inizia la fase moderna, imperniata su molteplici ricerche specialisti­
che, geografiche e archeologiche. Tra i precursori in campo geografico è doveroso
citare, per quanto attiene alla cartografia, il generale Kitcbener per la Cisgiorda-
nia e G. Schumacher per la Transgiordania; G. Ebers, H. Guthe, G. Adam Smith
e Fr. Buhl per quel che concerne l’opera descrittiva. Per l’ archeologia vanno ri­
cordati Ch. W arren, cui risalgono i primi scavi a Gerusalemme tra il r 8 6 8 e il
18 7 0 , e il francese Clermont-Ganneau a partire dal 3 870.
E impossibile menzionare i ricercatori successivi, data l’ amplissima bibliografia
esistente al riguardo. Indicheremo soltanto le principali istituzioni che appoggia­
no il lavoro di ricerca nella regione: la British School of Archaeology, erede del
Palestine Exploration Fund, PÉcole Biblique et Archéologiquc F r a n o s e , FAmer-
ican School of Orientai Research, il Deutsches Evangelisches Institut, il Deutscher
Palàstma Verein, la Jewish Palestine Exploration Society (più tardi Israel E x ­
ploration Society), oltre alle università ebraiche della regione e all’Israel Depart-
Teologia della ^Terra Santa* 57

ment o£ Antiquities and Museums, al Department of Antiquities di Giordania, al­


la Mission Archéologique F r a n o s e , allo Studium Biblicum della Flagellazione
dei Francescani, alPInstituto Espanol Biblico y Arquelógico ecc.

V I. T E O L O G IA D E L L A «T E R R A SA N T A »

In tutta la Bibbia il tema della «Terra Santa» occupa un posto importante nella
teologia, tanto che, insieme alla teologia della Terra, esiste anche una mistica del­
la Terra. E l’impulso che, presente pure in tempi postbiblici, ha originato il feno­
meno dei pellegrinaggi, non solo tra i cristiani, ma anche tra musulmani ed ebrei;
Ha determinato le Crociate; sta alla base de! movimento sionista ed è la causa più
o meno diretta di buona parte dei proverbiali conflitti del Vicino Oriente. Gli ap­
pellativi Terra Santa e Terra Promessa sono di per sé sufficientemente espressivi
e sembrano desunti in una forma o nell’altra dalla stessa Bibbia (Es , 3 ,5 ; Num .
1 4 ,1 6 ; Deut . i,8 ; 3 1 , 1 0 ; 3 4 ,4 ; Gios. 1,4 ecc.).
Uno degli aspetti fondamentali della trama della storia della salvezza è la pro­
messa di Dio ad Abramo, padre del popolo eletto, la cui attuazione nel tempo co­
stituisce il filo conduttore dell’ intera storia biblica. Tale promessa implica diversi
temi e uno dei più importanti è il possesso della Terra di Canaan, insieme alla
moltiplicazione della discendenza e alla lontana e sfumata figura del messis, la
cui identità andrà progressivamente definendosi. Per un seminomade come À bra­
mo non esiste traguardo piu prezioso che essere proprietario esclusivo del suolo
per il quale vaga senza possederlo e giungere a formare un popolo numeroso e
potente per difendere i suoi diritti su questa terra.
Il primo passo per la messa in atto di quanto rimase fino allora una promessa è
Pacquìsto di un campo con la grotta di M akpela in Hebron, per seppellirvi Sara
e gli altri membri del clan. La Bibbia attribuisce grande importanza simbolica a
questo avvenimento (Gen . 1.3 ,1-2 0 ; 2 5 ,9 -1 0 ; 5 0 ,1 2 - 1 3 ) . Un secondo momento
può essere la sepoltura di Giacobbe, il cui corpo è solennemente trasportato dal­
l’Egitto { G en . 5 0 ,4 -14 ). Il concetto di Terra Promessa, tuttavia, assume tutto il
suo valore quando il popolo d’ Israele in massa, condotto da Mosè, fugge dall’ E ­
gitto e s'incammina, attraverso il deserto, alla volta della Terra di Canaan. La
lunga permanenza nel deserto come «passaggio», purificazione e preparazione
«ascetica» per prendere felice possesso della Terra, nella storia d’Israele si con­
verte in un nuovo simbolo. Infine, si spartisce la terra e si prendono misure affin­
ché tale ripartizione sia sempre equa e il popolo permanga fedele all’ antica al­
leanza del Sinai.
Alcuni oppositori ai possesso della Terra non scompaiono con la conquista, Le
lotte interminabili con i popoli dì Canaan e la loro cultura sono l’ argomento sto­
rico dell’epoca dei giudici e della monarchia. Solo se il popolo è fedele all’alleanza
Jahvé darà pieno compimento alla sua promessa. I peccati del popolo, infine, in­
ducono Dio alla decisione di sradicarlo dalla Terra e inviarlo in esilio. M a la pro­
messa continua: Jahve perdona il popolo e lo riconduce nella Terra Promessa. La
storia deve ripetersi e — già nel N uovo Testamento —anche 1 vangeli alludono alla
minaccia di una nuova distruzione di Gerusalemme, seguita dall’esilio.
Durante tutta questa sfortunata storia, la Terra si è sempre presentata, fonda­
58 La geografia biblica

mentalmente, come sinonimo di felicità. Vista dal deserto, è una terra ricca, co­
perta di pascoli e di fiori, la terra in cui scorrono latte e miele (£s. 3,8 ; Lev.
2 0 ,2 4 ; Num. 1 3 , 2 7 ; Deut. 6 ,3; Gios. 5,6 ecc), il cui possesso fisico è simbolo di
tranquillità. Per questo motivo, quando al tempo di Salomone Israele giunge al­
la meta del suo benessere, si dirà che «Giuda e Israele vissero tranquilli, ciascuno
sotto La propna vite e il proprio fico, da Dan sino a Bersabea» (1 Re 5,5; cfr. 2 Re
18 ,3 2 ). Secondariamente, Padempìmento da parte di Dio della promessa di pos­
sesso della terra è garanzia del compimento delle altre promesse, compresa quella
messianica, giacché lo stesso Messia «mangerà» latte e miele {/s. 7 ,1 5 ) .
Adempiuta la promessa messianica, il N .T . non lascerà il tema della Terra pri­
vo di nuovi contenuti. A partire da questo momento verta a simbolizzare la pie­
nezza della felicità, soprattutto nell’altra vita. È la Gerusalemme celeste, alla qua­
le è destinato il nuovo popolo di Dio, il quale, guidato da Cristo, cammina attra­
verso il deserto del mondo verso il pieno godimento del nuovo cielo e della nuova
terra. Questo è, ad esempio, il tema sviluppato nella lettera agli Ebrei. La descri­
zione della N uova Terra e della N uova Gerusalemme affiora in modo particolar­
mente suggestivo nell’ Apocalisse.

V II. B I B L I O G R A F I A

Per la geografìa della Palestina è fondamentale l’opera di Y . Àharoni, The Land


ofthe Bible. A Historiai Geography, London *1979- Ancora classica e utile rima­
ne l’opera di F.M . Abcl, Géographie de la Palestine, 2 voli., Paris 1 9 3 2 . 1 9 3 8 , co­
sì come quella di G . Adam Smith, The Historìcal Geography of thè Holy Land,
London lfii 9 i o (tr. sp. Valencia 19 8 5).
Tra gli atlanti della Palestina segnaliamo: P. Lemaire - D. Baldi, Atlante bibli­
co. Storia e geografia della Bibbia, Torino *19 6 4 ; E.R . Galbiati - A. Aletti, Atlan­
te storico della Bibbia e deirantico Oriente. Dalla preistoria alla caduta di Geru­
salemme nell*anno 70 d.C,, Milano 1 9 8 3 ; J.B. Pritchard (ed.), Atlante del mondo
biblico, Torino-Leumann 1 9 9 1 . Molto utile è l’atlante curato da Y . Aharoni - M .
Avì-Yonah, Atlante della Bibbia, Casale M onf. 19 8 7 . U n’opera non ristretta sol­
tanto all'aspetto geografico ma comprensiva di dati storici, archeologici ecc. di
tutto d Vicino Oriente connesso alla Bibbia e ancora molto consigliabile è M .
Noth, Die Welt des Alien Testaments, Berlin * 19 5 7 e rist. (tr. sp. Madrid 19 7 6 ).
M a l’opera che fornisce oggi l’ informazione piu completa su tutti gli aspetti stori­
ci e culturali del Vicino Oriente antico e quella di M . Liveram, Antico Oriente.
Storia società economia, Bari 19 8 8 . Per i suoi immancabili e costanti riferimenti
geografici e archeologici alla più antica fase della storia d’Israele è di estrema uti­
lità R. de Vaine, Htstoire ancienne dTsraèl} r, Des origines à Pmstallation en Ca­
naan, Paris 1 9 7 1 ; IL La période des Juges} Paris 1 9 7 3 . La guida pratica della re­
gione con descrizioni dei monumenti più aggiornata è J. M utphy-O ’ Connor, The
Hoìy Land. An Archaeoìogical Guide front Earliesi Times to 17 0 0 , Oxford - N ew
York 2i9 8 6 . U n‘eccellente opera che all’analisi dei problemi geografici e archeo­
logici unisce una visione coerente della teologia della le r r a Santa è A. Gonzàlez
Lamadrid, La fuerza de la Tierra (Geografia, il istoria y Teologia de Palestina),
Salamanca 1 9 8 1 .
Capitolo il

Archeologia biblica

L N O Z IO N I G E N E R A L I E T E C N IC H E

L’archeologia è, come indica l’etimologia, la scienza che studia l’antichità


non attraverso i racconti storici o 1 testi conservati, ma mediante i reperti
materiali lasciati dall’uomo nella sua occupazione della terra, siano que­
sti rovine di costruzioni o oggetti d’uso. Si comprenderà facilmente che
l’archeologia è necessariamente vincolata alla terra e che il suo normale
espletamento si concretizza nell’attività di scavo.
L ’uomo, occupando un luogo, esteso o ridotto - a seconda del numero
degli occupanti —, normalmente si comporta seguendo quelle che potrem­
mo definire due «leggi». La prima inerisce all 'accumulazione delle strut­
ture e degli oggetti. Se necessita di nuove costruzioni, in genere l’uomo
non distrugge del tutto le vecchie, le riutilizza in parte o, almeno, spiana
il suolo a una certa altezza, lasciandone interrate le fondamenta e i rude­
ri. In tal modo gli oggetti inservibili e altri residui dell’occupazione ven­
gono gettati e sepolti non lontano dal posto dove venivano utilizzati o,
quanto meno, in un vicino immondezzaio ad hoc. La seconda «legge» ri­
guarda una ricorrenza abitativa. Nel comportamento umano qualcosa
sollecita il gruppo ad andare a stabilirsi negli stessi luoghi abitati dai pro­
pri antenati; su ciò influiscono senza dubbio le condizioni favorevoli del
territorio prescelto. Queste due leggi etologiche determinano l’esistenza
di «insediamenti archeologici», zone tri cut si trovano resu di costruzioni
e di aggetti, imputabili a un’intensiva occupazione umana, in genere per
più generazioni.
Naturalmente in un insediamento i reperti delle diverse epoche d’occu­
pazione sono «stratificati» a differenti livelli, alcuni distinguibili dagli al­
tri solamente per le impronte dovute all'azione umana che costruì e allar­
gò lo spazio in ogni «momento» e, m altri casi, per la particolare natura
geologica del terreno di ogni strato. Ovviamente i più profondi corri­
spondono alle epoche piu antiche, quelli piu superficiali ai periodi più re­
centi. Risulta, quindi, che la stratigrafia di un insediamento archeologico
è —secondo un noto aforisma —come le pagine di un libro, in cui è do­
cumentata la storia dei popoli che vi abitarono, la cui cronologia va dal­
la maggiore alla minore profondità. Conviene tuttavia segnalare che gli
6o Archeologia biblica

strati di un insediamento non sono necessariamente orizzontali né tutti


delio stesso spessore, poiché Luna e Paltra circostanza dipendono dalla
natura del terreno e dal tipo di occupazione, dall’intensità dì quest'aldina
e dalla sua durata per ogni fase. Il passaggio da uno strato a un altro di­
pende da diverse cause geologiche, da catastrofi di origine umana (come
distruzioni o guerre) o dal semplice abbandono del luogo per qualche
tempo.
L’esempio piu tipico di insediamento nel Vicino Oriente è il teli. Si.
tratta di una collina, nella maggior parte dei casi non naturale ma antro­
pogena, determinata dallo stanziamento continuato nel luogo di gente, le
cui abitazioni, distrutte una o più volte, furono riedificate sopra le anti­
che, «spianando» il terreno. Questo processo, perdurato per secoli e mil­
lenni, determina resistenza materiale di una caratteristica collina. I suoi
strati inferiori a volte sono al di sotto del livello attuale della valle, poiché
questa si è successivamente riempita di sedimenti e la primitiva istallazio­
ne non era collocata sopra alcuna collinetta naturale, come a volte capi­
ta. La persistenza nell’occupazione umana di uno di questi teli si deve so­
litamente, a parte altri fattori di carattere culturale, all’esistenza di sor­
genti di acqua potabile nelle vicinanze e a condizionamenti di tipo strate­
gico, legati soprattutto alla presenza di strade naturali o passaggi obbli­
gati. Ne sono un esempio Teli es-Sultan (Gerico), la cui altezza «artificia­
le» supera 1 1 5 m, e Megiddo, che conta un numero di distinte stratifica­
zioni superiore a venti.
Bisogna tener conto, inoltre, di una terza «legge» del comportamento
umano per «capire» i fondamenti del metodo archeologico. E la tendenza
nativa dell’uomo a cambiare parzialmente le forme delle sue costruzioni o
del suo corredo abitativo, in conformità al passare del tempo; si tratta di
quanto chiamiamo volgarmente «moda». Questa circostanza c fonda­
mentale per gli studi archeologici, poiché vi si basano i modelli del muta­
mento culturale nel corso del tempo. Di fatto, la comparazione dei «livel­
li» e la loro posizione entro la stratigrafia dell’insediamento, insieme alla
mutevole varietà di forme da uno strato all'altro, consente di «fissare» i
periodi. Bisogna inoltre confrontare tra loro vari insediamenti per evitare
l’ostacolo —possibile e ricorrente —che ogni insediamento non presenti
«tutti» 1 periodi e necessiti di integrazioni per quanto concerne determi­
nate epoche, da parte di un altro più completo.
G’è un’archeologia storica e un’archeologia preistorica. La prima è ine­
rente a epoche dell’antichità di cui si conoscono dati attraverso la storia e
la letteratura. La seconda si limita allo studio dei periodi più antichi, per
i quali non si possiede nessun dato, poiché precedono la conoscenza della
scrittura. Evidentemente il passaggio dall’archeologia preistorica a quella
storica varia da una regione all’altra del mondo. In Spagna, ad esempio,
Nozioni generali e tecniche 61

la storia comincia nella regione cantabrica con la conquista romana di


Augusto tra il 19 -19 a.C., mentre in Andalusia inizia mille anni prima,
con la venuta dei fenici. Per la Palestina la preistoria abbraccia soltanto
l’Età della Pietra (Paleolitico e Neolitico); le Età del Bronzo e del Ferro,
invece, entrano già nella fase storica, poiché di quest’epoche possediamo
documenti scritti. Al contrario, nell’Europa atlantica e centrale le Età del
Bronzo e del Ferro sono ancora in piena preistoria.
È infine necessario sottolineare un fatto che si discosta un poco da
quanto finora detto. L ’archeologia richiede Fapplicazione di una sofisti­
cata tecnica di scavo per poter recuperare tutti ì dati in maniera esatta,
senza confondere strati né epoche. Non si tratta, quindi, semplicemente
di scoprire rovine monumentali o recuperare oggetti preziosi, come suc­
cedeva nel xix secolo, agli inizi dello sviluppo della scienza archeologica.
È necessario cercare di conoscere scrupolosamente tutte le implicazioni e
le conseguenze deducibili dalla posizione spaziale e cronologica dei di­
stinti ritrovamenti. Per modesti che questi appaiano, possono rivelarsi di
valore scientifico non inferiore a quello di scoperte spettacolari. Lo scavo
archeologico non è pertanto alla portata di chiunque, ma solamente di
studiosi molto specializzati e di grande esperienza.
L’archeologia non solo possiede mezzi per determinare la cronologia
relativa («questo appartiene a un periodo piu antico o più recente dì
quello»), derivati dal confronto tra insediamenti differenti, ma anche
mezzi per una datazione assoluta («questo risale approssimativamente al
tal anno»). Le iscrizioni reperibili neirinsediamento o ridentità manifesta
tra le rovine od oggetti scoperti e la toro descrizione nelle fonti letterarie
antiche sono dati cronologici per l’archeologia storica. La tecnica moder­
na offre inoltre anche metodologie applicabili indistintamente all’archeo­
logia storica o a quella preistorica. Tale è il caso della datazione con il
C 14, fondata sull’analisi radiometrica della materia organica ritrovata nel­
l’insediamento. Queste date sono fornite dai laboratori atomici, con un
margine di errore dipendente dalle condizioni del campione. Così, per
esempio, Fanalisi di materia organica proveniente dal vecchio «strato
della torre» di Gerico (Neolitico Preceramico A) fornì questo risultato:
10 30 0 ± zoo B.P. (LM-106). Ciò significa un’antichità di 10 30 0 anni ri­
spetto a oggi (l’ «oggì» è teoricamente sempre l’anno 1950), cioè 8350
a.C., più o meno zoo anni di errore; BM -106 sono i dati identificativi del
campione e del laboratorio che eseguì lo studio; in questo caso: reperto
n° 106 del Rrilish Museum Research Laboratorv.
Altri procedimenti propri dell’archeologia attuale sono il paleomagne­
tismo per la ceramica, l’analisi del fluoro per le ossa e Fanalisi radìome-
trica potassio-argon per certi sedimenti di origine vulcanica, tutti con lo
scopo precipuo di fornire una cronologia. Lo stesso vale per l’analisi sedi-
6z Archeologia biblica

mentologica degli strati, del loro contenuto di particelle di polline, per lo


studio botanico di semi o di resti di piante, per ['analisi minuziosa delle
ossa ecc., con finalità di tipo ambientale, per conoscere cioè l’ambiente
climatico e fisico in cui si sviluppò una cultura. Ciò fornisce talvolta an­
che informazioni di carattere cronologico, se si tratta di periodi ben co­
nosciuti dalla geologia o dalla paleoclimatologia.

II. I L M E T O D O A R C H E O L O G I C O

Dal punto di vista pratico, l’archeologo che lavora in Oriente deve posse­
dere una competenza specialistica. Non gli basta la conoscenza delle tec­
niche dell’archeologia in generale o la competenza archeologica richiesta
per altre regioni del mondo (Europa, America ecc.). Tutto questo può es­
sergli molto utile, ma è insufficiente. Deve possedere una grande prepara­
zione sul Vicino Oriente, non solamente ricorrendo all'estesa bibliografia
in proposito (libri e soprattutto riviste), ma anche frequentando musei e
osservando collezioni di oggetti rinvenuti in altri scavi: utensili di selce,
reperti di ceramica in tutta la gamma delle sue varietà, manufatti orna­
mentali, come collane ecc., manufatti metallici ecc. Le sue conoscenze
non devono limitarsi a una determinata epoca, nella quale il suddetto ar­
cheologo si considera specialista, ma, seppure in minor grado, devono
abbracciare tutti 1 periodi dell’antichità, poiché può accadere che nell’in­
sediamento da lui scavato non appaiano specificamente gli oggetti dell’e­
poca che egli presumeva di trovare, ma anche altri di periodi differenti. In
ogni caso, per giungere allo strato di presenza degli oggetti e delle strut­
ture da lui ricercati - del Bronzo Antico, ad esempio - è necessario scava­
re precedentemente gli strati corrispondenti al Ferro, al Bronzo Recente e
al Bronzo Medio.
All’archeologo si richiede grande capacità per condurre bene i suoi sca­
vi, anche se non possono ascriversi a materie di sua stretta competenza.
Solo per ulteriori approfondimenti e per la pubblicazione delle scoperte
l’archeologo può affidare questa parte a un collega specialista. Ma il ri­
trovamento, Pidentificazione e l’interpretazione sono compito dell’ar­
cheologo responsabile dello scavo, benché né lui né nessun altro della sua
équipe sia uno specialista - per continuare con l’esempio precedente —
dell’Età del Ferro. L ’archeologo orientalista deve inoltre conoscere il pae­
se, i costumi, Pambiente, il clima, la natura delle terre dove scava, la to­
pografia ecc. Un archeologo preparato a scavare in Oriente non si forma
improvvisamente, ma dopo lunghi studi ed esperienze e, anche in tal ca­
so, con difficoltà se manca l’aiuto di un buon maestro.
Se lo scavo non viene eseguito in un insediamento archeologico già co­
nosciuto e scavato in precedenza da una qualche équipe scientifica, che ha
Il metodo archeologico 63

pubblicato accuratamente i risultati delle ricerche, l’archeologo deve co­


minciare a cercare un suo proprio insediamento; ciò presuppone di solito
campagne preliminari di prospezioni, denominate survey in inglese. Se si
desidera trovare un insediamento preistorico, bisogna recarsi in zone di
caverne o presso le sponde dei laghi o dei corsi d’acqua, così da localizza­
re luoghi adatti. Se si tratta di scoprire insediamenti dell’Età del Bronzo o
dei Ferro, si dovrà cercare un teli, osservando il paesaggio per distinguere
le colline naturali da quelle che non Io sono. Se si cercano insediamenti di
epoche più recenti, ad esempio ellenistici o romani, questi solitamente so­
no evidenziati in superficie dalla presenza di ruderi; è dò che gli arabi del
territorio chiamano un khirbet e designano talvolta come un deir (con­
vento), credendo si tratti di un’antica abitazione di monaci. Frequente­
mente si trovano sulla sommità di colline naturali o in connessione con
gli attuali stanziamenti. In ogni caso, per localizzare insediamenti di epo­
che storiche è necessario collazionare te fonti letterarie antiche, allo scopo
di verificare i popoli e le città che, situati in determinate aree, sono anco­
ra da scoprire, e gli avvenimenti storici in relazione con essi, cosi come le
potenzialità strategiche del sito (comunicazioni, risorse ecc.), poiché tutto
può servire come traccia essenziale. Ispezionando il terreno è necessario
porre particolare attenzione al suolo, per raccogliere piccoli resti di solito
sparsi sul terreno, che costituiscono in definitiva l’indizio piu sicuro che
si tratti di un insediamento. Se è preistorico, avrà soprattutto scici scheg­
giate; se é un villaggio di epoca storica, abbonderanno piccoli frammenti
di ceramica che un esperto può subito attribuire con sicurezza a un deter­
minato periodo. Il dato piu probabile sarà allora che non tutti questi
frammenti appartengono alla stessa epoca: alcuni risaliranno all'Età del
Ferro e altri, ad esempio, a quella del Bronzo Medio. Questo può indicare
la presenza di un vero e proprio teli.
Localizzato I insediamento o scelto tra Ì vari possibili il piu prometten­
te, organizzata logisticamente la spedizione (contatti con la popolazione
locale, istallazioni, approvvigionamenti, mano d operà ecc.), si procede
alla campagna di scavi propriamente detta. In passato, un archeologo po­
teva avere il coraggio o la necessità di affrontare da solo la direzione e la
responsabilità dei lavori scientifici in una spedizione archeologica. Oggi
questo è impraticabile e, in certi casi, sconsigliabile. Il direttore deve con­
tare su un'équipe scientifica di persone qualificate e in alcuni casi anche
dividere la propria direzione con altri archeologi. In questa équipe vi sa­
ranno anche topografi, fotografi, giovani archeologi che seguono corsi di
specializzazione, studenti e, possibilmente, un geologo, un chimico, uno
zoologo e un botanico, oltre che un epigrafista, qualora si tratti di un in­
sediamento di epoca storica.
Lo scavo dev’essere preceduto da un rilevamento topografico dell’inse­
64 Archeologia biblica

diamento, che permetta la localizzazione precisa del piano di lavoro e dei


ritrovamenti cui si deve pervenire. Per questo si suole suddividere la su­
perficie di scavo utilizzando un sistema di quadrati, designati con un nu­
mero (sull’ascissa) e una lettera (sull’ordinata). Tali quadrati possono
avere una superficie maggiore o minore, in rapporto alle dimensioni del-
Pinsediamento. Nell’archeologia preistorica i quadrati corrispondono di
solito a un metro quadro; per i periodi più recenti possono interessare
una superficie di nove metri quadri. All’interno di ogni quadrato, natu­
ralmente, vanno compiute tutte le suddivisioni e le localizzazioni per una
migliore definizione.
Il lavoro di scavo vero e proprio richiede un’attenzione accurata e tutta
una serie di tecniche che in questa sede non è possibile descrivere. Sia suf­
ficiente ricordare che nell’archeologia preistorica non si utilizzano picco­
ni, ma minute piccozze, coltelli, pennelli e perfino aspiratori. Queste tec­
niche vengono applicate anche al resto dell’archeologia, quando lo richie­
dono le circostanze.
Nel processo di scavo s’impiegano due metodi. Lo «scavo in verticale»
consiste nella realizzazione di profondi fossati, sufficientemente ampi per
assicurare stabilità e che procurano una relativa abbondanza di resti.
Questo metodo ha il vantaggio di permettere il controllo della stratigrafia
sulle pareti, cioè di visualizzare la sovrapposizione dei diversi strati corri­
spondenti alle differenti epoche di occupazione dell’insediamento. Possie­
de, viceversa, l’enorme svantaggio di consentire con difficoltà la ricostitu­
zione dell’ambiente in cui si svolgeva la vita durante ognuna di queste oc­
cupazioni.
Lo «scavo in orizzontale», invece, mette allo scoperto grandi estensio­
ni dell’insediamento e offre la possibilità di verificare le condizioni e le
modalità d’insediamento nell’abitato. Ha, senza dubbio, lo svantaggio di
presentare ogni volta un unico momento della sua storia (un’occupazio­
ne) e presenta il rischio di confondere con maggiore facilità i distinti stra­
ti, mancando di sezioni stratigrafiche evidenti.
Per ovviare a queste difficoltà si è soliti combinare i due metodi, facen­
do in alcune parti dell’insediamento trincee che consentano di stabilire la
stratigrafia e riservando le altre aree a uno scavo estensivo, così da osser­
vare nel suo insieme la struttura delle edificazioni. Questo solitamente
viene condotto per piani terrazzati, ognuno dei quali corrisponde a un di­
stinto momento cronologico. Perciò il profano in visita agli scavi di un
teli incontra talvolta difficoltà a «capire» le rovine; ogni area, infatti, può
appartenere a fasi distinte di occupazione dell’abitato,
D ’altro canto bisogna tenere presente che, nello scavo «orizzontale»,
l’orizzontalità non va intesa geometricamente, ma nel senso di seguire
«un piano naturale di occupazione», che ovviamente potrebbe avere le
Periodi archeologici 6-5

sue irregolarità, come le ha la superficie attuale di una qualsiasi città o


villaggio (pendìi, declivi ecc.). Un elemento essenziale neirarcheologia è
inoltre il facto che ogni scavo di un insediamento abitato per molto tempo
presuppone necessariamente una distruzione, per cui, nello scavare alla
ricerca di strati o livelli più antichi, è inevitabile distruggere i resti di fasi
più recenti. L ’archeologo, perciò, deve eseguire dei rilievi di tutto ciò che
scava, posizionandovi sia le rovine sia gn oggetti trovati tanto in profon­
dità come in estensione, sulla base di coordinate cartesiane. Così, anche
dopo aver distrutto lo strato, questo potrà essere ricostruito e interpretato
in qualsiasi momento dagli archeologi del futuro. È quindi estremamente
pertinente il paragone, molte volte citato, secondo cui l’archeologo è co­
me il lettore di un codice antico, costretto a sciupare ogni foglio che leg­
ge. In archeologia non si può passare alla pagina successiva (riportare alla
luce un altro strato) senza distruggere la precedente; da qui la responsa­
bilità che questa pagina, destinata alla distruzione, sia letta in maniera
corretta e scrupolosamente riportata nei rilievi, senza perdere l’informa-
■ »
zione m essa contenuta.
Il lavoro dell’archeologo non termina con l’attività di scavo. Si calcola
che un mese di lavoro scrupoloso e lento rappresenta almeno un intero
anno dedicato a studi di laboratorio sui reperti. In effetti, gli oggetti rin­
venuti, debitamente etichettati e imballali, passano al laboratorio, dove
saranno sottoposti a un’accurata pulizia, alla ricostruzione (rimettendo
insieme, ad esempio, i frammenti di un vaso di ceramica), alla siglatura
per la loro identificazione, al disegno e fotografia, all’analisi fisica o chi­
mica secondo il caso e infine allo studio, alla classificazione e compara­
zione con oggetti simili provenienti da altri insediamenti. La sintesi di
questi e di tutti gli altri dati raccolti nei rilievi, nelle annotazioni ecc. du­
rante il processo di scavo costituisce Poggetto della monografia archeolo­
gica, di cui si suole offrire ima parziale anticipazione (rapport prelimina­
re) in una rivista specializzata. Così si spiega il ritardo di alcuni anni delle
monografie e anche, talvolta, la possibilità del decesso del direttore di uno
scavo prima della pubblicazione della relazione finale. Tutto ciò, senza
contare le ricerche specialistiche degli epigrafisti e dei filologi, che devono
leggere c studiare le iscrizioni ritrovate nello scavo: su pietra, su oggetti
metallici, su vasi di ceramica, mattoni (le famose «tavolette») e più rara­
mente su papiri e pergamene.

III. P E R IO D I A R C H E O L O G I C I

x. Preistoria
Come già si è detto, in Palestina la preistoria corrisponde esclusivamente
all’Età della Pietra. Questa si divide in Paleolitico, Mesolitico, Neolitico e
66 Archeologia biblica

Calcolitico. Ognuno di questi grandi periodi può ulteriormente venire


suddiviso in molteplici sotto-periodi. Molto in breve presentiamo qui le
caratteristiche che tali periodi assumono nella regione, facendo riferimen­
to ai ritrovamenti più noti.

a) Paleolitico

In Palestina i resti più antichi conosciuti, attribuiti al Paleolitico Inferio­


re, hanno un’età non inferiore a 700000 anni. Furono scoperti nell’inse­
diamento di Ubeidiya, a sud del Lago di Genezaret. Sono costituiti da
strumenti molto grezzi di selce e da alcuni resti umani molto primitivi.
L ’industria denominata Acheuleana, con asce manufatte in selce, accura­
tamente scheggiate nelle due facce, appare prevalentemente negli insedia­
menti di Evron e della Grotta di El Tabun sul Carmelo. Ma sono stati
rinvenuti reperti anche nella grotta di Umm Qatafa nel Deserto di Giuda.
Durante il Pleistocene nella zona del Vicino Oriente si determinano ta­
luni fenomeni climatici che danno avvio a periodi molto umidi, chiamati
«pluviali», intervallati da altri a clima secco, definiti «interpluviali». En­
trambi corrispondono a quanto in Europa e in altre aree temperate si de­
signa col nome di periodi glaciali e interglaciali. NelPultimo interpluvia-
le, 1250 0 0 anni fa, compare un tipo particolare di industria litica, foriera
di nuovi sviluppi. Si tratta dello Yabrudiano e dell’Amudiano. Da allora,
e soprattutto durante la prima metà dell’ultimo pluviale, si determina lo
sviluppo di un’importante industria, conosciuta con il nome di Levallois-
Musteriano, con utensili in pietra di dimensioni più ridotte e con ritocchi
più accurati (sono le cosiddette «punte» e «raschiatoi»). Gli insediamenti
più importanti di questa fase, conosciuta anche con il nome di Paleolitico
Medio, si trovano nelle grotte di El Tabun, Skul e Kebara sulle pendici
del Carmelo, e in quella di Qafzeh a Nazaret.
Particolare importanza rivestono i ritrovamenti di scheletri umani di
quest’epoca, molto famosi poiché manifestano caratteri intermedi o ibri­
di tra l’uomo di Neanderthal e YHomo sapiens sapiens, che hanno in Eu­
ropa la tipologia più rappresentativa nel Cro-Magnon. I ritrovamenti si
localizzano nelle citate grotte di El Tabun, Skul, Qafzeh, Kebara c in
quelle di Amud e Zuttiyeh, vicino al Lago di Genezaret, e appartengono a
più di trenta individui del tipo conosciuto come Homo sapiens Palesti-
nensis.
Nel Paleolitico Superiore si determina un forte cambiamento nella cul­
tura dei popoli cacciatori, che giungono a possedere un’accurata industria
su lame di selce ben ritoccate e di utensili in osso. Gli insediamenti sono
situati tanto a nord della Palestina (soprattutto la grotta di El-Wad e Ke­
bara sul Carmelo e di Qafzeh a Nazaret), quanto nel Deserto di Giuda
Periodi archeologici 6j

(El Khiam ed Erq el-Ahmar nel Wàdl Kareitun) e nel Negev (Boker, Ein
A q c v ed En-Avdat). La cultura dominante è quella Àurignaciana caratte­
rizzata da forti particolarità regionali. Infine appare un aspetto locale,
chiamato Atlitiano. Il Paleolitico Superiore è compreso tra il 33000 e il
14000 a.C.

b) Mesolitico

Il Mesolìtico rappresenta un periodo di transizione nel quale l’industria


litica si caratterizza per le sue dimensioni minuscole e molto curate (mi­
croliti). Si presta particolare cura alla raccolta del grano selvatico come
base economica dei vari gruppi umani e si hanno le prime prove evidenti
di insediamento in villaggi. Comprende soprattutto le culture Kebariana e
Natufiana, quest’ultima momento di grande apogeo culturale, con la rea­
lizzazione anche di pregevoli manufatti artistici come piccole sculture e
con la sepoltura scrupolosa e rituale dei morti, dei quali nei vari insedia­
menti si sono ritrovati resti appartenenti a piu di 3 individui. La cro­
nologia si estende dal 13000 a l l ^ o o a.C. Gli insediamenti più famosi
sono: Ein Gev, Kebara, Nahal Cren ed El Khiam per il Kebariano; El-
Wad, Ain Mallàha e Hayonim per il Natuliano.

c) Neolitico

Gli inizi del Neolitico segnano una tappa qualitativamente differenziata


nella storia dell5umanità, nel corso della quale si pongono le basi della
successiva civilizzazione. Il Neolitico è segnato da una rivoluzione econo­
mica che implica la trasformazione della società raccoglitrice di alimenti
in una società produttrice, alla quale si perviene con l’allevamento e l’a­
gricoltura, che presuppongono l’ addomesticamento di animali e piante.
Questo sorprendente cambiamento determina la crescita e lo sviluppo in­
terno dei gruppi umani, i quali iniziano a creare dei veri e propri agglo­
merati in cui si svolge una fiorente vita produttiva, che accorda particola­
re attenzione all’aspetto religioso e alle esigenze di carattere strategico.
I utto ciò comporta lo sviluppo dell’architettura e di certe tecniche parti­
colari per la fabbricazione di manufatti. Le principali specie domestiche,
dal punto di vista botanico, sono il grano, l’orzo e le lenticchie e, per ciò
che si riferisce agli animali, la capra, la pecora e solo successivamente d
maiale.
Il Neolitico si divide in Preceramico e Ceramico: il carattere distintivo
si fonda sull’impiego o meno della terracotta. Al contrario di quanto si
possa supporre, il Neolitico Preceramico, dall'8300 fino al 6000 a.C. (di­
viso a sua volta in due periodi: A e B), ammette in Palestina una fase di
68 A r c h e o l o g i a b ib lic a

maggior sviluppo culturale del vero e proprio Neolitico ceramico (pure


diviso in A e B), dal 6000 al 4000 a.C.
Gli insediamenti del Preceramico più famosi sono Gerico, Nahal
Cren, E 1 Khiam, Salibiyah, feeda, En Gazai, Beisamoun e Abù Gósh. Nel
Neolitico Preceramico A, Gerico era già una «città» con mura e con
alPinterno una torre circolare di 8,5 rn di altezza. Nel periodo B, i crani,
tramutati in ritratto del defunto mediante un’artistica applicazione di
gesso e altri materiali, erano devotamente sotterrati sotto le ricche pavi­
mentazioni delle case, a volte pitturati. I più ricchi insediamenti del Neo­
litico Ceramico sono quelli di Gerico e Sha‘ar ha Golan alla confluenza
dello Yarmuk con il Giordano. La ceramica di queste popolazioni, molto
abbondante, si riduce a grandi ciotole e giare, a volte decorate combinan­
do colori rossicci e crema. Successivamente appare una decorazione incisa
a fasce. L5architettura è di qualità molto inferiore rispetto a quella dei
predecessori e mancante di senso urbanistico.

d) Calcolitico

L ’ultimo periodo dell’Età della Pietra è il Calcolitico; già vi si impiegano,


w m 1 f 11 < | * 1 ■ ■ i 1 1 J I v t '

insieme agli utensili di pietra, 1 primi strumenti in rame. La ceramica e di


buona qualità, ben cotta, a volte con decorazioni impresse e incisioni o
con pitture geometriche. Ha forme molto varie, alcune veramente origi­
nali, come la cosiddetta «giara dell'uccello», che si ritiene venisse utiliz­
zata per la fabbricazione del burro. Gli abitati, benché non cinti da mura,
presentano una discreta concentrazione di case. Queste sono, in genere,
di pianta quadrangolare o trapezoidale, alcune con pareti dipinte raffigu­
ranti uccelli, stilizzazioni umane o temi astrali, come a Telélàt Gassul nel­
la valle del Giordano. In altri casi abbiamo colli popolati da costruzioni
semisotterranee, come ad Abù Màtar, vicino a Beersheba.
L ’economia era basata non solo sull’allevamento e sulla coltivazione
dei cereali, ma anche su alberi fruttiferi, come l’ulivo. Rispetto alle prati­
che di inumazione sappiamo che venivano impiegate, come ossari, casset­
te dì ceramica a forma di casa con tetto a spiovente; ne sono un esempio
quelli ritrovati a Hederah, nella pianura costiera.
La cronologia di questa importante fase si estende dal 4000 al 3200
avanti Cristo.

2. Età del Bronzo

Vi è un breve periodo di transizione chiamato da K. Kenyon Protourbano


A, B e C, per il fatto che le sue popolazioni occuparono la maggior parte
di quelli che saranno poi i grandi teli, benché paradossalmente del tutto
P e r io d i a r c h e o lo g ic i 69

prive di senso urbanistico e poco più che nomadi appena sedentarizzate.


Subito dopo inizia il Bronzo Antico, comunemente conosciuto con le sigle
EB (Early Bronze), del quale si distinguono almeno quattro fasi contrad­
distinte da numeri romani: EBi, dal 3 1 0 0 al 2 8 5 0 ; EB11, dal 2 8 5 0 al
Z Ó 5 0 ; EBm , dal 2 6 5 0 al 2 3 5 0 ; EBiv, dal 2 3 5 0 al 2 2 0 0 a.C. Successiva­
mente abbiamo il cosiddetto «Periodo Intermedio» (Early-Middle = EM)
tra il 2 2 0 0 e il 1 9 0 0 a.C.
Segue il Bronzo Medio (MB - Middle Bronze), nel quale si distinguono
due fasi: M Bi, tra il 1900 e il 1800, e MB11, tra il 1800 e il 15 5 0 a.C.
(esiste un’altra terminologia, quella di Albright, la quale designa MBl il
Periodo Intermedio, M B11A il M Bl e M BnB il MB11); c’è, infine, il Bronzo
Recente (LB = Late Bronze) con tre fasi: LBi, dal 15 50 al 1400; LBuA,
- dal 1440 ai 130 0 , e LB11B, dal 130 0 al 1200 a.C.

a) I l B ro n zo A ntico

Coincide con l’inizio dell’epoca storica (diffusione della scrittura) e con la


cosiddetta «rivoluzione urbana». Si iniziano a costruire vere città non so­
lo materialmente —grandi abitati con un certo senso urbanistico protetti
da una cinta muraria —, ma anche politicamente in quanto la nuova città-
stato, con la sua struttura sociale e la sua divisione in classi, sostituisce in
buona parte l’antica organizzazione tribale. In questo periodo vengono
perfezionate le tecniche agricole —si utilizza il calendario —, che consen­
tono non solo la produzione, ma anche l’immagazzinamento delle risorse
eccedenti.
Va diffondendosi progressivamente l’impiego de! metallo, specialmente
del bronzo, che, come lega di maggior resistenza, viene a prendere il posto
del rame e supera di gran lunga la selce, sebbene questa continui a essere
utilizzata ancora per molto tempo. Infine, tra i vari centri urbani si svi­
luppa il commercio, basato sulle risorse eccedenti sia alimentari sia di
materie prime o manufatti.
Le città, situate nelle zone favorevoli in funzione dell’abbondanza di ri­
sorse e del commercio, si circondano di mura imponenti. In alcune, come
Gerico, sono costruite a mattoni sopra fondamenta di pietra; queste mu­
ra, segnate da molteplici distruzioni e ricostruzioni —in alcuni punti fino
a diciassette in un periodo di poco più di 200 anni —, attestano l’inquieta
vita di quelle società. In altri te//, come Teli el-Fàr‘a, erano di sola pietra.
All’interno della cinta urbana le case erano solitamente a pianta rettan­
golare e di frequente vi venivano appoggiati silos in mattoni. Offre uno
speciale interesse il grande altare in pietra, di forma troncoconica, edifi­
cato a Megiddo e avente un’altezza conservata di 1,4 m e un diametro di
8 m, al quale si giunge attraverso una scalinata. Stava al centro di un
7° A r c h e o l o g ia b ib lic a

gruppo di edifici e nelle sue vicinanze è stara ritrovata una grande quanti­
tà di ossa di animali e frammenti di ceramica, probabilmente resti di sa­
crifici.
La ceramica, in generale, viene già costruita al tornio, soprattutto alla
fine del periodo. La sua caratteristica più evidente è Pingobbio rosso e la
decorazione con strisce talvolta incrociate. Quanto alle forme bisogna
porre attenzione alle giare, le cui anse sporgono al di sopra della bocca, le
anfore con una sola grande ansa e i grossi recipienti con anse orizzonta­
li, che costituiscono un tipo più volte riprodotto in tutto il periodo. Nel-
PEBm si generalizza la ceramica tipo Khirbet Kerak, con vasi non fatti al
tornio, con una verniciatura speciale, di diversi colori zonati (rosso, nero
e grigiastro) e a volte decorati con scanalature in rilievo.
Le sepolture avvengono in grotte e sono accompagnate da offerte. I ca­
daveri possono aver subito rimozioni secondarie.
Gli insediamenti piu importanti del Bronzo Antico sono: Gerico, Me-
giddo, Teli el-Fària, Bet Shan, Ài e Bét Yerah (arab. Khirbet Kerak),
quest’ultimo a sud del Lago di Genezaret.

b) Periodo Intermedio

Corrisponde alla cosiddetta invasione degli amorrci, nomadi provenienti


dall’est, che si vanno stanziando nelle città della Palestina. Secondo alcu­
ni autori si tratterebbe dei «perezei» della Bibbia, gruppo etnico prece­
dente ai «cananei», considerati come abitanti dei teli del Bronzo Antico.
Solo alla fine appariranno i veri amorrei o protoaramei, tra i cui gruppi
può figurare, benché del periodo successivo, il clan dei patriarchi biblici.
La fase di cui ora trattiamo coincide con il primo Periodo Intermedio del­
la storia egiziana, la crisi feudale con invasioni dei popoli asiatici, collo­
cata fra i regni Antico e Medio, e nel contempo con l'invasione dei guti in
Mesopotamia.
I resti palestinesi della cultura di questi pastori nomadi sono costituiti
nella maggior parte da tombe giacché, distrutte le città, essi non le rico­
struirono, limitandosi a vivere sulle loro rovine e nelle loro vicinanze; di
qui Pesigmtà delle testimonianze. Le tombe sono camere scavate nella
roccia, nelle quali si penetra attraverso un pozzo. Sono di diverse dimen­
sioni: la camera poteva raggiungere nell’asse maggiore quasi 4 m e un’al­
tezza della volta di due metri e mezzo. Ve ne sono di cinque tipi diversi,
non solo per forma e modalità di inumazione, ma anche per il corredo
che contenevano. Solitamente vi si ritrova una specie di daga o spada
corta, a volte collane e spille d’ornamento personale e vasellame di ce­
ramica molto caratteristico, così come lampade a olio. Nei grandi vasi,
di forma molto panciuta, continuano ad abbondare le anse orizzontali,
P e rio d i a r c h e o lo g ic i 7i

mentre appare un nuovo tipo chiamato a « teiera », generalmente in pasta


nera con decorazione bianca a zig-zag.
Gli insediamenti più importanti sono Gerico, Bet Shan, Bét Mirsim (a
sud-ovest di Hebron) e Megiddo, località dove sono stati rinvenuti ru­
deri di alcune costruzioni attribuite con sufficiente sicurezza a questo pe­
riodo, fatto abbastanza eccezionale.

c) Il B ron zo M ed io

Giungiamo a un’epoca di ricostruzione delle grandi città e insieme di fer­


mento della vita commerciale, che si rivolge al Mediterraneo e alla co­
struzione di porti, come Akko, Dor, Yabne-Yam e Asqelon. E anche, nel­
la sua seconda fase, Pepoca della venuta degli hyksos con i loro carri da
combattimento.
Le città si cingono di mura con difese di spettacolare aspetto: alte mura
di enormi pietre (a Gerico si continua a utilizzare il mattone), protette al­
la loro base da «pendìi» o rampe pendenti che impediscono all'assalitore
di avvicinarsi. Le entrate vengono rinforzate con le porte chiamate a
«doppia o tripla tenaglia», che suppongono due o tre restringimenti pri­
ma di penetrare all’interao. Nonostante ciò, alcune testimonianze ar­
cheologiche attestano che le difese delle città vennero distrutte in più di
un’occasione.
Il Bronzo Medio non è soltanto un’epoca di costruzioni difensive, ma
anche di considerevole sviluppo urbanistico all’interno delle città, con
edifici ben fatti, strade (anche con botteghe, a Megiddo) e templi.
Nella ceramica bisogna segnalare la presenza di brocche fusiformi dal
fondo a punta, insieme ai primi vasi con piede, e alle cosiddette «botti­
glie». A partire dagli inizi del MB11 si smette di usare la vernice rossa. Le
lampade subiscono un grande mutamento, poiché prende campo il tipo a
un solo lucignolo, che in seguito diverrà comune.
Le tombe collettive, in grandi grotte artificiali, sono accompagnate da
un ricco corredo che comprende non soltanto vasellame o ornamenti per­
sonali, ma ogni tipo di utensile domestico (anche mobilio: letti, tavoli e
sedie).
La storia di questo periodo, indubbiamente radiosa, si concluderà con
la conquista della Palestina da parte dei re della xvm dinastia egiziana. I
grandi insediamenti del MB continuano a essere Gerico, Megiddo, Teli el-
Fàr‘a, Bét Mirsim, ai quali si deve aggiungere Teli el-‘Agùl per il MBi, e
Teli ed-Duwér e Teli Balatah (Sichem) per il M Bn, il primo sulla costa a
sud di Gaza, il secondo nella Shefela a ovest di Hebron, mentre la loca­
lizzazione del terzo è ampiamente conosciuta e citata.
d) II Bronzo Recente

QuesLo nuovo periodo corrisponde a un’epoca di controllo politico della


Palestina da parte dei re egiziani. In un secondo tempo coincide con le fa­
mose lettere di Teli el^Amàrna dell’epoca di Amenofi iv. Infine* con Par-
rivo degli israeliti provenienti dal deserto.
Le città palestinesi continuano la loro fase di grande sviluppo. A Me-
giddo vengono costruiti il cosiddetto «Palazzo del Governatore», con i
suoi cortili e i suoi tesori, e il tempio. Altri templi si costruiscono a Teli ed-
Duwer, Bet Shan ecc.
Quanto al corredo, bisogna citare gli artistici avori di Megiddo, appar­
tenenti per lo più alla decorazione di piccole casse. Per la ceramica sono
da ricordare i bei tipi di decorazione bicroma, divisa m pannelli con ine-
topi di uccelli, pesci o motivi geometrici. È evidente il rapporto con Cipro
e PEgitto. Nella seconda fase appare la ceramica micenea, generalmente
nera o almeno scura e segue la cipriota di color crema o grigia con pittura
nera. Vi sono giare, coppe e le cosiddette «borracce», rotonde e schiac­
ciate, con due anse.
Gli insediamenti piu noti sono i già citati strati tx-vnB di Megiddo, Bet
Shan ix -v ii , Teli ed-Duwér, Bèt Mirsim, Gerico, Betel e Teli eF‘Agùl.

3. Età del Ferro

Questo importante periodo delParcheologia palestinese si divide in due


grandi fasi: il Ferro 1 e il Ferro 11, solitamente conosciuti con le sigle l i
(Iron 1) e Iz (Iron z). Il primo, suddiviso in A e B, è compreso tra il 12,00
e il 1000 a.C.; il secondo, distinto in A, B e C, dal 1000 a.C. giunge fino
alla conquista di Gerusalemme da parte dei babilonesi nel 586 a.C.

a) Ferro I

Questo periodo è messo in relazione con due importanti avvenimenti sto­


rici: Parrivo dei filistei («popoli del mate»), che si stabiliscono sulla costa
meridionale, da dove eserciteranno il controllo e il dominio sulle altre zo­
ne della regione; il definitivo stanziamento degli israeliti e, di conseguen­
za, i conflitti con gli altri popoli della Palestina (epoca dei giudici). La fi­
ne di questa fase corrisponde con PmÌ2ÌG della monarchia israelitica unita
sotto Saul.
Le città cananee continuano nella loro tradizione, come Megiddo vnA-
viA , Bet Shan vi (in quest’ultima località vi è un tempio risalente a que­
st’epoca) e Gezer xiii-xi. Conviene comunque fermare l’attenzione sul
complesso sistema di opere idrauliche la cui realizzazione inizia proprio
P e rio d i a r c h e o lo g ic i 73
allora in alcune città, come Ei-Gib (Gabaon), Gezer e Gerusalemme, e che
vedremo migliorato già nel Ferro n, sia in queste stesse località sia in al­
tre città come Hasor e Megiddo. Nella maggior parte dei casi si tratta
di un pozzo che dalTalto del teli consente agli abitanti di scendere senza
uscire dalle mura e attraverso un tunnel giungere fino alla sorgente, situa­
ta all’esterno, che si poteva facilmente coprire o camuffare affinché non
fosse visibile. Avvalendosi dì questo passaggio sotterraneo (probabilmen­
te il cosiddetto «Pozzo di Warren»), Davide e i suoi penetrarono nella
Gerusalemme gebusea.
La ceramica tipica di quest’epoca è quella filistea, prodotto locale che
imita forme e decorazioni cipriote e rodensi. H di color terrigno e gli ele­
menti decorativi piu comuni sono metopi nere o rosse con uccelli dal lun­
go collo piegato, motivi geometrici, soprattutto spirali ecc. Vi sono reci­
pienti con un beccuccio provvisto di un colino che, si suppone, venivano
utilizzati per la birra. Per le inumazioni tipiche filistee ci si serviva di una
specie di sarcofago in terracotta, antropomorfo, come quelli ritrovati a
Bet Shan e a Teli el-Fàr‘a (sud), omonimo, quest’ultimo insediamento, di
quello già tante volte citato a sud-est di Gaza.

b) Ferro II

La fase A, corrispondente al x secolo a.C., comprende l’epoca della mo­


narchia unita (Davide e Salomone) e a volte viene inclusa nella denomi­
nazione Ferro I, per cui spesso nella bibliografia si rilevano alcune confu­
sioni. Nelle città palestinesi del Ferro n vi sono sufficienti resti architetto­
nici, con alcuni edifici i cui pilastri presentano i famosi capitelli protoeo­
lici. Particolare attenzione merita il nuovo sistema di mura urbane, con
doppi muri e tra questi delle costruzioni (casematte), formidabili porte a
quadrupla tenaglia, protette da torri; tale è il caso di Hasor, Megiddo
e Gezer, fortificate da Salomone. Altre opere importanti, come le stalle
per 49z cavalli di Megiddo nello strato vA, sono del ix secolo a.C. A
quest’epoca risalgono pure il palazzo reale di Samaria e altri edifici, in
cui si ravvisa chiaramente la tecnica dì costruzione dei muri con il sistema
denominato dai tagliapietre con il termine specialistico di «orizzontale e
perpendicolare». Per gli edifici comuni e il loro inserimento urbanistico,
l’insediamento piu rappresentativo è forse quello di Teli el-Fàr‘a (nord),
dove si trovano le famose «case con pilastri», presenti anche in altre lo­
calità come Hasor (v iii -v ii ) e in Transgiordama (Teli el-Medeineh) già
agli inizi del Ferro r.
Per i manufatti c da richiamare l’attenzione sulle lamine d’avorio di
Megiddo e di Samaria e sui numerosi e ricchi oggetti di arredo. La cera­
mica subisce un notevole cambiamento. Già nell’epoca della monarchia
74 A r c h e o l o g i a b ib lic a

unita a p p a re un tipo di vasellam e di co lor rosso scu ro , ve rn icia to a m a­


no, che rico rd a le ceram iche del B ron zo M e d io . A l tem p o della m o n ar­
chia d ivisa vi è una ceram ica rossiccia di qu alità scadente con strisce di
4 I % t» * ■ 1 * (
vernice o, piu raram en te, a i pittura nera o co n incisioni.

c) P erio d i persian o ed ellenistico

A lla co n q u ista di G eru salem m e da parte dei babilonesi (586 a .C .) segue in


rap id a su ccession e il p erio d o persian o , g iacch é B a b ilo n ia è co n qu istata
dai persiani nel 5 3 9 a .C .
La breve dominazione dei babilonesi, durante la quale la capitale giu­
daica era Mispah (Teli en-Nasbe), ha lasciato impronte molto scarse e
poco caratterizzanti dal punto di vista archeologico; ciò vale anche per il
successivo periodo della dominazione persiana. Forse le più interessanti
rovine appartenenti a quest'epoca si conservano a Teli ed-Duwér, dove si
trovano i resti di un importante edificio pubblico, probabilmente il palaz­
zo del governatore. Alcuni soffitti di questo edificio erano a volta. Vi so­
no anche resti di un altro edificio pubblico a Megiddo (strati ri e 1) e ru­
deri di abitazioni in Samaria e soprattutto a Teli Abu Hawam (a Haifa).
Per il periodo ellenistico la città più rappresentativa e meglio studiata è
Maresha; presenta un accurato piano urbanistico con strade diritte che
s’incrociano perpendicolarmente. E necessario ricordare anche il sontuo­
so palazzo di Tyms (arab. Iraq el Airi ir) in Transgiordania (sec, 11 a.C.),
dove risiedeva la famiglia dei Tobiadi, e la «Torre rotonda» delle mura
dell’acropoli dì Sarnaria.
Riguardo agli utensili e soprattutto alla ceramica, nel periodo persiano
e in quello ellenistico dominano 1 tipi greci, sebbene, soprattutto all'ini­
zio, perdurino torme fenicie e israelitiche, e, successivamente, divenga ge­
neralizzato il tipo chiamato di Megara, di color nero o rosso nero, cera­
mica precorritrice della «terra sigillata» romana.

d) P erio d o erodian o

L ’età erodiana comprende il periodo tra il 15 a.C. e il 70 d.C. È caratte­


rizzata da un intenso sviluppo architettonico, dovuto soprattutto alla
febbre costruttrice di Erode il Grande, dalla quale non furono immuni
nemmeno i successivi Erodi. Abbiamo già parlato delle grandi opere rea­
lizzate a Gerusalemme. Erode il Grande fu anche il fondatore di Cesarea
Marittima e il restauratore di Samaria (Sebaste); nonostante ciò, la mag­
gior parte delle attuali rovine delle due città è di epoca posteriore, soprat­
tutto del 11 e in secolo. A Hebron, invece, si conserva la costruzione
erodiana che ospita alTintemo il cosiddetto Haram el-Khalil, la tomba
P e rio d i a r c h e o lo g ic i 75

dei patriarchi (la famosa grorta di Makpela). Le pietre sono di dimensio­


ni enormi (fino a 7,5 X 1,4 m) e la facciata esterna dei muri è rinforzata
da pilastri appoggiati.
Caratteristici dell’architettura erodiana sono i magnìfici palazzi-fortez­
za, come il doppio palazzo d’inverno di Gerico (Tulul Abu el-Alaiq) e la
vicina fortezza di Kypros, l’ Alexandrium (Qarn Sartaba), Macheronte in
Transgiordania, Masada e PHerodium nel Deserto di Giuda; in quest'ul­
timo Erode si fece seppellire. '
È necessario richiamare l’attenzione sulle speciali tecniche utilizzate
nelle costruzioni erodiane, in verità assai particolari. Ci riferiremo soltan­
to, essendo una delle cose più facilmente comprovabih, al tipico intaglio
delle pietre, con un bordo meticolosamente lavorato e la zona interna la­
sciata al grezzo.
Per i reperti archeologici si deve segnalare che, insieme ai tipi ceramici
ellenistici compresa la «terra sigillata», esistono altre forme e modelli pe­
culiari della cosiddetta ceramica erodiana: le giare dal corpo cilindrico o
a forma di sacco o di campana, la progressiva diffusione di leggere nerva­
ture circolari ecc.

e) Periodi romano e bizantino

Questa fase si sviluppa con numerose suddivisioni dalla fine del 1 al vii
secolo. Bisogna infatti distinguere tra l’Alto Impero (fino al r8o) e il Bas­
so Impero (fino al 324); e tra il Bizantino antico (fino al 4 51) e il recente
(fino al 640).
Il primo periodo è l’epoca classica delle grandi città romane, con i loro
magnifici templi, edifìci pubblici, teatri, archi trionfali ecc. Segnaliamo le
citta già menzionate di Cesarea e Sebaste, alle quali si aggiungono ora
Gerasa, Petra e Filadelfia (Amman) in Transgiordanìa; Sepphoris, Scito-
poli (Bet Shan), la grande sinagoga di Cafarnao in Galilea ed Aelia Capi­
tolina (Gerusalemme), su cui già ci si è dilungati.
Del periodo bizantino è doveroso ricordare le grandi basiliche di Geru­
salemme (soprattutto il Santo Sepolcro e la Eleona del Monte degli Uli­
vi), delle quali restano pochissime tracce risalenti all’epoca; la magnifica
e ben conservata basilica della Natività in Betlemme e un buon numero
di quelle in Transgiordania, tra le quali si distingue il complesso del
Monte Nebo, nelle cui vicinanze st trova la citta di Madaba con il noto e
magnifico mosaico che rappresenta la mappa della Palestina, risalente al
vi secolo. Citiamo anche, tra gli altri, i mosaici della basilica dell’Hepta-
geon e quelli della sinagoga di Bet Alpha in Galilea.
La ceramica romana e bizantina della Palestina ripete forme conosciute
in altre parti dell’impero. Della prima va ricordata la tipica «terra sigilla­
7 6 A r c h e o lo g ia b ib lic a

ta», cui si aggiunge in questo momento, come peculiarità, la cosiddetta


ceramica nabatea, straordinariamente raffinata, dipinta a motivi floreali
in rosso acceso sopra un rosso chiaro. Quanto alla seconda, bisogna dire
che scompare del tutto la «sigillata» orientale, sostituita da una ceramica
più grossolana e rossiccia. Abbondano le forme con scanalature circolari,
in genere di pasta friabile. Sono frequenti i vetri, soprattutto a foggia di
bottiglie o ampolle. Le lampade, che hanno seguito una precisa e caratte­
ristica evoluzione dall’Età del Bronzo, essendo uno degli elementi più ti­
pici di ciascun periodo, sono ora massicce con il beccuccio a forma trian­
golare e con la tipica decorazione di «schizzi e disegni» e a volte con sim­
boli cristiani.

IV. G L I I N S E D I A M E N T I A R C H E O L O G I C I E L A B I B B I A

i . / gran di in sediam en ti

È difficile offrire una scelta obbiettiva dei grandi insediamenti archeologici della
Palestina, soprattutto quando si tratta di selezionarne non piu di una trentina tra
le centinaia esistenti. Di fatto, questa, come qualsiasi altra selezione, riflette ne­
cessariamente criteri e apprezzamenti personali. Abbiamo diviso Pelenco in tre
grandi capitoli cronologici: Preistoria, Età del Bronzo e del Ferro e periodo poste­
riore alPesflio (o del Secondo Tempio, come lo definiscono gli autori ebrei). In es­
si abbiamo distribuito i distinti insediamenti, anche se certamente alcuni appar­
tengono a due o più periodi, come Gerico. Oltre la descrizione di ogni insedia­
mento abbiamo selezionato uno o due riferimenti bibliografici di base, attraverso
i quali si può risalire a tutta quanta la bibliografia.

a) Preistoria

Et-Tabun . M ogaret et-Tabun è una grotta situata nel versante meridionale del
Carmelo sulla valle chiamata W àdi el M ogara, a poco più di 40 m sul livello del
mare e a poca distanza da questo. Fu scavata da D. Garrod tra il 19 2 9 e il 1 9 3 4
sotto l1 patrocinio della British School of Archaeology di Gerusalemme e della
American School of Prehistoric Research. Tra il 1 9 6 7 e il 19 6 8 fu di nuovo esplo­
rata da A. Jelinek sotto il patronato della Smithsonìan Institution.
La stratigrafia va da ciò che è chiamato un Tayaziano {livello G), verso un
Acheuleano Superiore (livello F), Yabrudiano e Acheuleano (livello E), Amudiano
(livello Ea), Levallois-Musteriano (livelli D, C e B) ed Età del Bronzo (livello A).
Nel livello C fu rinvenuto uno scheletro umano dì Homo sapiens Palestinensis e
altri resti. Questo insediamento presenta la stratigrafia più completa per la fase
terminale del Paleolitico Inferiore e per il Paleolitico Medio, approssimativamente
tra gli anni 150 0 0 0 e 350 0 0 .
Bibl.: D .A .E. Garrod - D .M .A . Baie, The Stane Age ofM ount Carmel 1, Oxford
1 9 3 7 ; A.J. Jelinek e altri, N ew Excavations at thè Tabun Cave, Mount Carmel,
Israel: Paleorient 1 ( 19 7 3 ) 1 5 1 - 1 8 3 .
G li in s e d ia m e n t i a r c h e o lo g ic i e la B ib b i a 77

El-Wad. M ogaret el-Wad è un'altra grotta, vicina a et-Tabun, scavata da Garrod


nelle stesse condizioni della precedente.
La stratigrafia si estende dal Paleolitico M edio fino all'Età del Bronzo. Com in­
cia con la cultura Musteriana (livello G), passando poi a un livello di commistio­
ne tra il Paleolitico Medio e Superiore (F) e prosegue con l’Aurignaciano M edio
(livello E), due ulteriori fasi dello stesso (livelli D i e D z ) , PAtlitiano (livello C) e
infine il Mesolitico con la cultura Natufiana (livello B), per terminare con resti
isolati dell’Età del Bronzo (livello A).
Particolarmente importante e ricco è il livello B, che, oltre a resti di abitazioni e
in connessione con quelli, aveva una necropoli con più di 50 scheletri composti
seguendo specifiche procedure rituali.
BibL: D .A .E . Garrod - D .M .A . Rate, The Stone Age ofM ount Carmel 1, O xford
1937-

El-Khiam. Si tratta di un terrazzo di fronte ad alcune piccole caverne, situato nel


W àdì Khareitun nel Deserto di Giuda a sud-est di Betlemme. 1 primi scavi furono
condotti da R. Neuville nel 1 9 3 3 , sotto gli auspici dell’Institut de Paléontologie
Humaine di Parigi. N el 1 9 6 2 venne effettuata una nuova campagna sotto la dire­
zione di J. Gonzàlez Echegarayj patrocinata dall’Instituto Espanol Biblico y Ar-
queológico di Gerusalemme.
La stratigrafia comprende un Aurignaciano ben rappresentato da tre fasi con­
secutive (livelli n e io ), passa a un Atlitiano (livello 9), a tre fasi del Kcbariano
(livelli 8-6), al Khiamiano del quale questo è l’insediamento eponimo (livelli 5 e
4) e il Tahouniano o PPNB (livelli 3 -1).
L ’industria litica è straordinariamente ricca e abbondante. La grande impor­
tanza dell’insediamento consiste nella continuità stratigrafica mostrata, la quale
consente di seguire i passaggi evolutivi dal Paleolitico alle culture del Neolitico
Preceramico.
BibL: J. Perrot, La Tettasse d'E l Khìam , in R. Neuville, Le Paléolithique et le
Mésolitbique du Desert de Judée , Paris 1 9 5 1 , 1 3 4 - 1 7 8 ; J. Gonzàlez Echegaray,
Excavaciones en la Terraza de «El Khiam» (Jordania), 2 voli., M adrid 19 6 4 -6 6 .

Ain Mallaha. È un insediamento a cielo aperto, conosciuto anche con il nome di


Eynan, situato sulla riva nord-occidentale del disseccato Lago di Hule. Fu sca­
vato sotto la direzione di J. Perrot per conto del Centre de Recherches Préhistori-
ques Fran^aises di Gerusalemme e del Department of Antiquities di Israele, tra gli
anni 1 9 5 5 e 1 9 7 4 .
Si tratta di resti di un abitato di capanne circolari, appartenente alla cultura
Natufiana del Mesolitico, nel quale si sono potute distinguere varie fasi di occu­
pazione. Sotto le capanne venivano seppelliti ritualmente i morti, di cui sono ve­
nute alla luce spoglie appartenenti a circa cento individui. M olto ricca è l’indu­
stria litica e in osso, il vasellame di pietra (soprattutto basalto), oggetti di arredo e
alcune creazioni artistiche.
BibL: J. Perrot, Le gisement natoufien de Mallaha : L ’Anthropologie 70 (19 6 6 )
4 3 7 - 4 8 4 ; F. Valla, Les industries de silex de Mallaha , Paris 19 8 4 .
78 A r c h e o l o g ia b ib lic a

Beìdha. Insediamento a cielo aperto a circa 5 km da Petra, in Transgiordania. Fu


scavato da D. Kirkbnde tra il 1 9 5 8 e il 19 6 7 .
Si tratta di un abitato del Neolitico Freceramico B (livello i-iv), sotto il quale
si trovavano resti del Preceramico A (livelli v-vi) e del N aturano. Le case, a
pianta quadrangolare, dimostrano una certa sensibilità architettonica. Sotto di
esse vi sono sepolture. L ’ industria litica è ricca e sono stati portati alla luce ma­
nufatti artistici consistenti in figure di terracotta. Le datazioni di C lj* si aggirano
intorno al 6 70 0 a.C. per il PPNB.
Bibl.: D. Kirkbnde, Vive Seasons at thè Pre-Pottery Neolithtc Village near Pe­
tra: PEQ (1966) 8-60.

Ain Ghazal. Insediamento a nord-ovest di Amman. Scavato nel 1 9 8 1 - 8 5 sotto


la direzione di G .O . RoJiefson con il patrocinio dell’Umversità di Yarinuk, la N a ­
tional Geographic Society, il Department of Antiquities della Giordania e altre
istituzioni.
È un abitato neolitico appartenente al PPNB, datato intorno al 6200. Sono
stati recuperati resti di 3 2 sepolture umane. Più importanti sono i manufatti ar­
tistici consistenti in sculture d’argilla non cotta che riproducono soprattutto fi­
gure umane.
Bibl.: G .O . Rnllefson, Rìtual and Ceremony at Neoiithic Am Ghazal (Jordan):
Paleorient 9 {19 8 3 ) 2 9 -38 .

Telelat Ghassùt. Situato nella valle del Giordano, presso la iriva nord-orienta­
le del M ar Morto, e scavato tra il 1 9 3 0 e il 1 9 3 8 da A. Mallon, R. Koeppel e R.
Neuville, con il favore del Pontificio Istituto Biblico dì Rom a; sempre a cura di
questo ente nel 19 6 0 da R. N orth; nel 19 6 7 -6 8 da J.B . Hennesy col patrocinio
della Brìttsh School of Àrchaeology di Gerusalemme.
Si tratta di un abitato del Calcolitico, senza fortificazione, con case a pianta
quadrangolare le cui pareti talvolta sono decorate a colori con tecnica geometri­
ca. È il luogo eponimo della cultura Ghassouliana.
Bibl.: A. Mallon - R. Koeppel - R. Neuville, TeléLìt Ghassùl, 2 voli., Roma
1 9 3 4 e 19 4 0 .

b) Età del Bronzo e del Ferro


Gerico. Nella valle del Giordano, nell’odierna città di Gerico, si trova Teli es-Sul-
tan, il sito della Gerico veterotestamentaria. J/insediamento fu scavato in una
spedizione austro-germanica tra il 19 0 7 e il 19 0 9 sotto la direzione di E. Sellin e
C, Watzinger. Piu tardi, tra il 1 9 3 0 e il 1 9 3 6 , dall’Università di Lìverpool sotto la
direzione di J. Garstang e, tra il 1 9 5 2 e il 1 9 5 8 , dalla Brirish School of Archae-
ology di Gerusalemme sotto la direzione di K. Kenyon.
Lo strato più profondo appartiene al Natufiano. Vi si trovano resti di un san-
tu ario. Segue una fase di transizione (il Protoneolitico) e il Neolitico Preceramico
A, al quale appartengono una muraglia di pietra e una torre rotonda; le case sono
a pianta circolare. In successione si presenta uno strato appartenente al Neolitico
Preceramico B, con case quadrangolari sotto i cui pavimenti sono state rinvenute
G li in s e d ia m e n t i a r c h e o lo g ic i e la B ib b ia 79

sepolture e crani trasformati in «ritratti» mediante applicazioni di gesso. V i sono


resti di due santuari e di alcune statuette cultuali pure in gesso. In stretta sequenza
abbiamo due livelli del Neolitico Ceramico A c B. Manca il Calcolitico. Di seguito
si trova il cosiddetto Protourbano. Molto ben rappresentato è il Bronzo Antico,
soprattutto la fase ri, della quale si conservano la muraglia di mattoni, ricostruita
più volte. V i sono anche case e tombe, Sono tornate alla luce grotte sepolcrali del
Periodo Intermedio. Del Bronzo Medio vi sono resti di mura, con il tipico «gia­
cisi intonacato, e tombe estremamente ricche. Pochi resti sono invece emersi del
Bronzo Recente (epoca della conquista israelitica), durante la quale Gerico dovet­
te essere poco più che una borgata. À causa delPerosione esistono scarsissimi re­
perti dell’Età del Ferro (quando la città fu ricostruita ai tempi di Acab) e del pe­
riodo persiano.
La città neotestamentaria si trovava un po’ più a sud-ovest, nel Tulul el-Alaiq,
dove Erode costruì due palazzi e restaurò la fortezza di Kypros.
RibL: K. Kenyon, Excavatìons at Jericho : PEQ ( 1 9 5 1 - 1 9 6 0 ) ; Idem, Excavation
at Jericho , 2. volumi, London i9 6 0 e 1 9 6 5 ; Idem, Digging up Jericho , London
1 9 5 7 ; J.B, Pritchard, The Excavatìons at Herodian Jericho : A A S O E 3 £ "3 3
<1958)-
Megiddo. L'insediamento corrispondente alle rovine delPantica citta viene desi­
gnato Teli el-Mutesellim, nel passo fra la pianura costiera e quella di Izreel, a sud
del Carmelo, non lontano da Afula. Fu scavato dall’Oriental Institute di Chicago
tra gli anni 1 9 2 5 - 1 9 3 9 , sotto la direzione di C, Ftsher, P, Guy e G. Loud.
La stratigrafia è abbastanza completa. Lo strato più antico, il x x , è attribuito
al Neolitico Preceramico: sembra che gli abitanti vivessero m grotte; il x x appar­
tiene forse al Protourbano; il x ix è del Bronzo Antico t, di cui si conserva un edi­
ficio ritenuto un tempio; I insieme x v ii i -x v i risale al Bronzo Antico n (la città già
disponeva di mura e di un santuario a cielo aperto sopra un gran basamento di
pietra a forma troncoconica entro un grande complesso di edifici). Il livello x v
appartiene al Bronzo Antico n i-iv, nel quale continuava ancora l’uso, benché con
varie aggiunte, del santuario dello strato precedente. Il livello x iv è attribuito al
Periodo Intermedio; gli strati x in -x appartengono al Bronzo M edio, con nuove
mura di mattoni sopra fondamenta di pietra e doppia porta ad angolo retto; suc­
cessivamente queste mura sono state sostituite da altre in pietra con «glacis». Gli
strati ix -v m sono del Bronzo Recente 1, il vn B del Bronzo Recente il; in essi si
svolge la vita di un gran palazzo che ha restituito molti tesori archeologici. Dopo
una distruzione ben documentata, si sviluppano gli strati v i i A - i v B, corrisponden­
ti al passaggio dal Ferro 1 al ir (epoche di Davide e Salomone). Inizialmente era
una città poverissima, restaurata e fortificata da Salomone con un muro a case­
matte. Allora iniziano le grandiose opere idrauliche per l'approvvigionamento
idrico della città. Lo strato iv A è del ix secolo a.C .; vi appartengono le famose
stalle per la cavalleria israelitica. Lo strato in corrisponde alla città di epoca assi­
ra, il ti alla città del tempo di Giosia e il 1, di epoca persiana, rappresenta general­
mente una tappa di minor splendore.
BibL: R.S. Lam on - G .M . Shipton - G. Loud, Megiddo , 2 voli., Chicago 1 9 3 9 ­
19 4 8 .
8o A r c h e o l o g ia b ib lic a

fiatar. Odierna Tèi Hasor, a sud-ovest del prosciugato Lago di Hùle. Venne sca­
vata da Y . Yadin nel 1 9 5 5 - 5 8 e 19 6 8 -7 0 , sotto gli auspici delTIsrael Exploration
Fund. Il giacimento presenta due zone ben distinte: l’acropoli o citta alta a sud
e la città bassa a nord, più estesa e non sempre abitata nel corso del tempo.
La stratigrafia è distribuita nel seguente modo. Gli strati x x i - x ix , localizzati
nella città alta, appartengono al Bronzo Antico; lo strato x v n i al periodo Inter­
medio; gli strati x v i i - x v i al Bronzo Medio 11; è il momento in cui la città si
espande verso la zona bassa, fortificata con mura e porte a tripla tenaglia; il x v al
Bronzo Recente 1; il x iv al Bronzo Recenre na; il x m alla distruzione della città
da parte degli israeliti verso il 1 zoo a.C. Gli strati x n e xi corrispondono al Ferro
1 e rappresentano una tappa marginale nella storia della città; il x risale agli inizi
del Ferro n, quando Salomone fortifica la città, di cui si sono conservate le mura
e le porte. Gli strati i x -v ii sono del ix secolo a.C. (è l’epoca della costruzione del
palazzo nella cittadella, della «casa delle colonne * e del famoso sistema idrauli­
co). Gli strati v i -i v appartengono alla città israelitica dell’v m secolo a.C., con i
segni del terremoto dell’ epoca di Geroboamo ri e la distruzione di Tiglat-Pileser
ni nel 7 3 z a.C. Il 111, il n e il 1 sono rispettivamente i resti della città assira, per­
siana ed ellenistica, dì modestissima estensione.
Bibl.: Y . Yadin e altri, Hazor , 4 voli., Jerusalem 19 5 9 -6 4 .

Bet Shan . Conosciuta anche come Teli el-Hosn, si trova nell’ attuale località di
Bet Shan, alla confluenza della pianura di Izreel con la valle del Giordano. Gli
scavi furono diretti da A. Rowe nel i 9 z r sotto il patrocinio dell’Università di
Pennsilvania. Fu un importante centro dì controllo nel perìodo della dominazione
egiziana durante il N uovo Impero.
1 livelli x v iu -x v ii appartengono al Calcolitico; quelli x v i - x i al Bronzo Antico;
il x al Bronzo Medio ri; ix -v ii al Bronzo Recente; i livelli v i-v al Ferro 1, con i lo­
ro templi. Il livello iv è del Ferro il; il ni ellenistico e romano; il 1 bizantino e po­
steriore. Del periodo romano è il famoso teatro, molto ben conservato. La città si
chiamava Scitopolì già dall’epoca ellenistica.
Bibl.: A, Rowe - G .M . Fitzgeraid, Beth Sharia 4 voli., Univ. o f Pennsylvania
1 9 3 0 -1 9 4 0 .

Teli Abù tìawàm. Attualmente si trova inglobato all’interno della moderna città
di Haifa. Fu scavato tra il 1932. e il 1 9 3 3 da R. Hamilton con il patrocinio del Pa­
lestine Department of Antiquities. Gli scavi parzialmente continuati dagli israe­
liani nel 1 9 5 2 e nel 1 9 6 3 sono stati ripresi a partire dal 1 9 8 5 , sotto la direzione
di Jf.
Balensi della Mission Archéoiogique Frammise en Israel e di M .D . Herrera
dell'lnstituto Espanol Biblico y Arqueológico di Gerusalemme.
Sì tratta di una città e di un porto fenici. L ’occupazione del teli comincia nel
Bronzo Recente, continua nel Ferro i e r i , prosegue nel periodo persiano.
Bibl.: J. Balensi - M .D . Herrera, Teli Abù Hawàm> 198 3-19 8 4 : RB 9 2 (19 8 5)
8 2 -12 8 .

Samaria . Su una collina naturale, in prossimità del WàdT esh-Shahr. Scavata da


G .A . Reisner, dell’Università di Harvard, tra il 19 0 8 e il 1 9 1 0 ; riscavaca tra il
G L in s e d ia m e n t i a r c h e o lo g ic i e la B ib b ia Si

1 9 3 1 e il 1 9 3 5 da J. Crow foot sotto il patrocinio della medesima università oltre


che della Hebrew University di Gerusalemme, la British School of Archaeology di
Gerusalemme e altre istituzioni britanniche.
Consta di due parti ben distinte, la città vera e propria e l’ acropoli. Fu fondata
dal re israelìtico Omri verso F 8 7 6 a.C. Dell’epoca israelitica conserva il palazzo
di A cab, con vari livelli che rappresentano distinti rifacimenti di epoche successi­
ve e una doppia cinta di mura. Sono stati recuperati molti oggetti di valore, tra
cui belle placche di avorio di tipo fenicio c alcuni ostraca con testi in ebraico del­
l’epoca di Geroboamo i l
V i sono anche reperti di epoca assira, babilonese e persiana, ma sì distinguono
i resti del periodo ellenistico, tra cui la famosa torre rotonda. Erode trasformò la
città chiamandola Sebaste (= Augusta) e innalzò nell’acropoL un tempio alPimpe-
ratore. Tuttavia, la maggior parte delle rovine romane ancor oggi conservate ap­
partengono all’epoca di Settimio Severo {inizi sec. ni), che restaurò e rinnovò la
città. Queste sono soprattutto: il ricostruito tempio di Augusto, il teatro, la basi­
lica e il foro, la grande strada portìcata e la porta della città.
Bibl.: J.W . Crow foot - K.M . Kenyon - G ,M . Crow foot, Samaria-Sebaste, 3 voli.,
1942' I 957'

Teli el-Fàr'a. Presso le sorgenti del W adi Fàr‘ a. Fu la città biblica di Tirsa, capi­
tale del regno d’Israele prima di Samaria (non bisogna confondere Teli el-Fàr‘a a
noid, di cui parliamo, con l’omonimo insediamento meridionale, nei pressi di
Gaza, anch’esso importante).
Il sito venne scavato da R. de V aux tra il 19 4 6 e il 19 6 0 , col patrocinio dell’É-
cole Biblique et Archéologtque F r a n o s e di Gerusalemme.
I livelli più profondi del teli appartengono al Neolitico, al Calcolitico e al Pro­
tourbano. N el Bronzo Antico vi erano già case costruite con sensibilità urbanisti­
ca, un tempio e una cinta muraria, prima di mattoni e in seguito di pietra. Duran­
te il Bronzo M edio le mura vennero rinforzate e furono costruite nuove porte.
Nel Bronzo Recente venne edificato un tempio. Dopo un periodo di spopolamen­
to, nel Ferro n (sec. ix a.C.) vengono svolti radicali lavori di ricostruzione, im­
provvisamente abbandonati. La vita della citta va via via decimando durante
Yvtn secolo fino alla sua distruzione da parte degli assiri, che vi stanziarono una
piccola guarnigione.
Bibl.: R. de V au x: RB 54 ( 19 4 7 ) ; 69 (1962.),

Teli Balatah. È situato tra i monti Ebal e Garizim, vicino alla città di Nablus.
Corrisponde all’antica Sichem. Fu scavato nel 1 9 1 3 - 1 4 , 1926-2,8 e 1 9 3 2 - 3 4 da E.
Sellin e C . Watzinger per conto della Società Germanica per la Ricerca Scientifi­
ca. Tra il 1 9 5 6 e il 19 6 6 si ripresero gli scavi, finanziati da varie fondazioni ame­
ricane e diretti da G.E. Wright.
Benché si siano ritrovati resti isolati di epoche più antiche, la citta in verità na­
sce nel Bronzo Medio, A quel tempo viene costruita un'impressionante muraglia a
grandi pietre di cui si conservano due porte, a doppia e tripla tenaglia. Vicino a
una di queste è stato rinvenuto un tempio-fortezza, che testimonia fasi diverse di
8z A r c h e o lo g ia b ib lic a

costruzione. La citta continuò la sua crescita nel Bronzo Recente, quando venne
ristrutturata una delle porte e fu costruito un nuovo muro. Questo accade anche
nel Ferro i. Dopo un breve periodo di abbandono tornò a essere occupata alla fi­
ne del x secolo. Ci sono anche resti di epoca ellenistica.
Bibl.: D.P. Cole, Schechem i, Chicago 19 8 4 .

Teli en-Nasbe. A sud dell’attuale città di Ramalla. Corrisponde quasi sicura­


mente all’antica M ispa. Fu scavata tra il 19 2 6 e il 1 9 3 5 dal Palestine Institut of
Pacific School of Religion sotto la direzione di F. Bade.
Benché si siano fatti ritrovamenti isolati del Calcolitico e dei Bronzo Antico, la
città appartiene interamente all’Età del Ferro. La sua limitata estensione ha con­
sentito uno scavo per intero; costituisce un esempio eccezionale di cìò che era una
città israelitica. È impressionante il sistema difensivo, costruito nel x secolo a.C.,
con una porta a doppia tenaglia. Vi sono anche resti di epoca postesilica.
BibL: C .C . M cC ow n - j.C . Wampter, Teli en-Nasbeb Excavated under thè
Direction o f thè Late William Frederìc Bade , 2 voli., Berkeley - N ew Haven
1947-

Betei Chiamata oggi Beitin, a nord-est di Ramalla. Fu scavata da W .F. Albright


tra il 1 9 3 4 e il i9 6 0 sotto l’egida dell American School of Orientai Research. Vi
sono resti del Periodo Intermedio, del Bronzo Medio e, soprattutto, del Bronzo
Recente; non mancano tracce di una distruzione da incendio nel x m secolo a.C.,
probabilmente causato dalla conquista israelitica. La città, ricostruita povera­
mente, acquisirà maggior importanza a partire dal x secolo a.C ., quando verrà
fortificata. Vi sono anche resti di epoche più recenti.
Bibl.: J.L . Kelso e altri, The Excavations o f Bethel (19 34 -19 36 ): A A S O R 39
(19 6 8 ).

Teli el-Fùl. A nord e molto vicino a Gerusalemme. Ne è accettata Videntificazione


con Ghibea, l’antica città di Saul. Fu scavata tra il 1 9 2 2 e il 1 9 3 3 dall’American
School of Orientai Research sotto la direzione di W .F. Albright.
Benché siano emersi sporadici ritrovamenti del Bronzo Medio, rinsediamento
in realtà nasce nelPEtà del Ferro. Vi sono due strati (i e tt) del Ferro 1 e PuLimo
può essere datato all'epoca di Saul, quando la città era cinta da un muro qua­
drangolare a casematte, con torri negli angoli. Lo strato in corrisponde ai Ferro
li, praticamente all’viit e v u secolo, e presenta tracce di diverse distruzioni, data­
bili all’epoca della guerra siro-efraimita e a quella della conquista babilonese. Lo
strato iv è di epoca persiana e il v del periodo erodiano.
Bibl.: W .F. Albright, Excavations and Resulta o fT e ll el-Ful (Cìbeah o f Saul)\
A A S O R 4 (192.4); B A S O R 5 2 ( 19 3 3 ) .

El-Gib. Tra Gerusalemme e Ramalla, all’ inìzio del pendio di Bet Horon. È
identificato come l’antica Gabaon. Fu scavato tra il 1 9 5 7 e il 1 9 6 2 dall’Università
dì Pennsilvania sotto la direzione di J.B. Pntchard.
Alcuni resti risalgono a un’occupazione dell'Età del Bronzo (Antico, Medio e
G li in s e d ia m e n t i a r c h e o lo g ic i e la B ib b i a 83

Recente), ma l’insediamento principale è quello del Ferro 1 e 11, poiché i ritro­


vamenti di epoca successiva, con l’esclusione di quelli romani, sono scarsi. I ru­
deri più significativi di EI-Gib sono le mura urbane, del x secolo a,C. le prime,
d eirviu le seconde, al pari del sistema idraulico. Questo consiste iri un enorme
pozzo scavato nella roccia, cui si scende attraverso una scala di 7 9 gradini, e in
una seconda galleria con una scala di 93 gradini, realizzata in un momento suc­
cessivo (Ferro 11), per consentire un ulteriore accesso alla fonte. Lo scavo mise in
luce indizi probanti la produzione e la vendita di vini da parte degli abitanti du­
rante l’età del Ferro 11,
Btbì.: J.B, Pritchard, Gibeon , Princeton 19 6 2 .

Gezer. Si trova a sud-est di Randa, ai piedi della china di Bet Horon. Fu scavata
da R .A . Macalister, tra il 1 9 0 1 e il 19 0 9 , sotto gli auspici del Palestine Explora-
tion Fund, da G.E. Wright e W .G . Dever, tra d 19 6 9 e il 1 9 7 3 , sotto il patrocinio
dell’Hebrew Union College e di nuovo a partire dal 19 8 4 .
Il sito fu occupato a partire dal Calcolìtico. L ’ insediamento continuò nel Bron­
zo Antico. Tuttavia, il muro reputato più antico, il cosiddetto «muro interno»,
appartiene al Bronzo Medio ir e ha una porta a triplice tenaglia. Di quest'epoca è
il famoso santuario («luogo alto») con le dieci massebot monumentali. Il cosid­
detto «muro esterno» è del Bronzo Recente 1, con torri rettangolari. All’epoca di
Salomone la cinta fu rinforzata con mura a casematte e una porta a tenaglia qua­
drupla. Probabilmente appartengono a quest’epoca anche le opere idrauliche con
il loro famoso tunnel. La citta continuò a essere abitata in epoca ellenistica e ro­
mana. Il giacimento archeologico di Gezer è rinomato anche per il ritrovamento
di varie iscrizioni di epoche diverse (a partire dal primo millennio), cosa alquanto
rara in Palestina, dove tanto scarseggia questo tipo di ritrovamenti.
Bibl.: R .A .S. Macalister, The Excavations o f Gezer , 3 voli., London 1 9 1 2 ;
W .G , Dever e altri, Gezer„ 4 voli., Gerusalemme 1 9 7 0 -1 9 8 6 .

Bet Shemesb. Chiamato Teli er-Rumeileh, vicino a ‘Am Shems, a ovest di Gerusa­
lemme e vicino alla località omonima. Fu scavato da D. Mackenzie e dal Palestine
Exploratìon Fund tra il 1 9 3 1 e il 3 9 1 2 ; da E. Grant, tra il 1 9 2 8 e il 1 9 3 1 , sotto il
patrocinio della Pacific School of Religion e della American School of Orienta!
Research di Gerusalemme.
Lo strato v i appartiene al Bronzo Antico iv ; il V al Bronzo Medio 1, con mura e
torri. Lo strato iv è del Bronzo Recente e ha restituito alcune piccole iscrizioni; lo
strato ni è del Ferro 1, con ceramica filistea; lo strato 11 è del Ferro 11, con un mu­
ro a casematte, e rappresenta una tipica città israelitica dell’epoca. Fu distrutta
dai babilonesi e scarsi sono i resti persiani ed ellenistici nello strato 1.
Bibl.: E. Grane, Ain Shems , 4 voli., Haverford 1 9 3 1 - 1 9 3 9 .

Teli Duwér. Si trova nella Shefela, a occidente di Hebron. Corrisponde alla bibli­
ca Lakìsh. Fu scavato tra il 1 9 3 2 e il 1 9 3 8 da J X , Starkey sotto gli auspici della
Wellcome-Marston Research Expedition in die N car East. Durante lo scavo il di­
rettore venne assassinato da banditi arabi. In seguito gli scavi furono ripresi per
84 A r c h e o l o g ia b ib lic a

conto dello staro d'Israele tra il 19 6 6 e il 1 9 6 7 , sotto la direzione di Y . Aharoni e,


a partire dal 1 9 7 3 , di D. Ussishkin.
V i si trovano resti di un primitivo insediamento troglodita del Calcolitico, che
perdurò fino alle prime fasi del Bronzo Antico. A partire dal Bronzo Antico HI le
caverne vengono utilizzate solo come sepolcri. Vi sono anche tombe del Periodo
Intermedio. Durante il Bronzo Medio si costruirono mura con glacis. Nel Bronzo
Recente viene edificato in tre successive fasi un edificio dedicato a tempio. La cit­
tà fu probabilmente distrutta dagli israeliti alla fine del x iii secolo a.C. Nel x se­
colo sorge una città giudaica con un palazzo, databili al Ferro il. Nel ix secolo la
città appare già con mura; poco tempo dopo il palazzo è ampliato. Successiva­
mente viene innalzato un doppio muro (l'interno è costruito in mattoni) con por­
te fortificate. A quell’epoca la città subisce una distruzione da incendio. Città e
mura vengono ricostruite, anche se m forma più precaria, fino alla completa rovi­
na durante la campagna di Nabucodonosor (5 8 7 a.C,). Sono attestati resti di oc­
cupazione del periodo persiano ed ellenistico.
Il giacimento di Lakish è famoso per le sue iscrizioni: in particolare gli ostraca
o lettere su ceramica dell'epoca dell’ assedio di Nabucodonosor.
BìbL: H. Torczyner e altri, l.achisb^ 4 voli., O xford 1 9 3 8 - 1 9 5 7 ; Y . Aharoni,
Investigaftons ai Lacbish. The Sanctuary and thè Residency (Lacbish V), Tel Aviv
r975-

Teli el-Hési. A ovest di Teli Duwér, già sulla pianura costiera. Probabilmente
corrisponde alla città biblica di Eglon. Scavato dal famoso Flinders Petrie e da J.
Bliss tra il 1 8 9 1 e il 1 8 9 3 , è il primo insediamento della Palestina recuperato con
uno scavo condotto secondo il criterio stratigrafico. Tra il 1 9 7 9 e il 1 9 8 1 sono
stati effettuati nuovi scavi per conto di varie istituzioni nordamericane.
Ospita resti del Bronzo Antico e un importante insediamento del Bronzo M e­
dio, con una muraglia con glacis. La fase meglio documentata risale al Bronzo
Recente; tra le sue rovine si è trovata una lettera del tipo di quelle di El-'Am àrna.
La città venne distrutta verso la fine del x iv secolo a.C. e ricostruita alPincirca
nel x secolo. L ’ultima distruzione sembra risalire all’ epoca di Nabucodonosor.
Bibl.: W. Flinders Petrie, Teli el Hesy (Lachi$b)y London 1 8 9 1 ; F.J. Bliss, A
Mound ofM any Cities , London 18 9 4 .

Teli Bèi Mlrsitn. Situato nella Shefcla a sud-ovest di Hebron. Probabilmente la


biblica Debir. Gli scavi furono sostenuti dalTÀmerican School of Orientai Re­
search di Gerusalemme e diretti da W .F. Albright tra il 1 9 2 6 e il 1 9 3 1 . Attual­
mente continuano sotto il patrocinio del Department of Antiquities di Israele.
Vi sono resti del Bronzo Antico, Periodo Intermedio e Bronzo Medio. È rap­
presentato anche il Bronzo Recente, poiché la città fu distrutta alla fine de! x iii
secolo a.C., forse per mano degli israeliti. La nuova città del Ferro 1 e inizi del n
venne probabilmente distrutta nella campagna di Sbishaq nel 9 1 8 a.C. La città
giudaica successiva aveva un muro a casematte e due porte. Fu, a sua volta, rasa
al suolo durante una delle campagne di Nabucodonosor.
Bibl.: W .F. Albright, Teli Beit Mirsìm\ A A S O R n , 1 3 , 1 7 e 2 1 - 2 2 ( 1 9 3 2 ­
1 9 4 3 )-
G li in s e d ia m e n t i a r c h e o lo g ic i e la B ib b i a 85

Tel ‘Araci. Situata a nord-est di Beersheba. Corrisponde alla città biblica omoni­
ma. Fu scavata dalla Hebrew University di Gerusalemme e dal Department of
Antiquities di Israele, tra il 1962, e il 1 9 6 7 , sotto la direzione di R. Amiran e Y .
Aharoni.
L'insediamento più antico risale al Calcolitico. Segue poi un'importante città
del Bronzo Antico, con mura in pietra e torri semicircolari. Si è ritrovata molta
ceramica egiziana del tipo Àbydos. Altro significativo momento di occupazione
del sito si registra nel Ferro 1 e continua per tutto il Ferro 11, dopo che ha subito
gli assalti del faraone Shishaq, alla fine del x secolo a.C. Era una città israelitica
di frontiera. L'edificio più significativo era il famoso tempio, considerato una co­
pia di quello di Gerusalemme e integrato nella cittadella fortificata. N on mancano
resti e reperti di epoca postesilica.
Bibl.: Y . Aharoni: B A 3 1 {19 6 8 ) 3-4.

Khirbet Arrair . È la biblica Aroer sull’Arnon, in Transgiordania. Fu scavata dal-


Tlnstituto Espanol Biblico y Arqueológico di Gerusalemme sotto la direzione di
E. Olàvarri tra d 19 6 4 e il 19 6 6 .
Sono state rinvenute rovine del Periodo Intermedio, del Bronzo Recente e del
Ferro 1. La maggior parte della fortezza ancor oggi conservata appartiene al Ferro
H, probabilmente alla metà del ix secolo a.C., e corrisponde senza dubbio alla
città edificata dal re moabita M esha, com ’è documentato nella famosa stele del
Louvre. Aroer divenne poi fortezza nabatea, secondo quanto attestano gli scavi.
Bibl.: E. Olàvarri: RB 72. (19 6 5 ) 7 7 -9 4 ; R B 76 (19 6 9 ) 2 3 0 -2 5 9 .

Teli Medeineh . Altra città fortificata, non lornano dalla sorgente delPArnon. Fu
scavata dalFInstituto Espanol Biblico y Arqueológico di Gerusalemme sotto la di­
rezione di E. Olàvarri nel 1 9 7 6 e nel 19 8 2 .
Si tratta di una città moabita del Ferro 1, provvista di mura e al cui interno esi­
stevano già le famose case con pilastri che successivamente osserveremo nel Ferro
11 della Palestina.
Bibl.: E. Olàvarri, E l modelo de casus del Hierro I halladas en Teli Medeineh
de Transjordania y sus posibles relaciones con el mundo palestinense, in Simposio
Biblico Espanol, M adrid 1 9 8 4 , 3 3 -3 9 .

c) Periodo postesilico
Maresba. È Tel Maresha, a nord-est e molto vicina a Teli Duwcr. Corrisponde al­
la M arisa dei testi. Fu scavata dal Palestine Exploration Fund tra il 18 9 8 e il
19 0 0 , sotto la direzione di F. Bliss e R. Macalister. Si tratta di una città ellenisti­
ca, con strade diritte che s’incrociano perpendicolarmente, cinta da mura e torri.
Sono famose le tombe con pareti dipinte, del n secolo a.C.
Bibl.: F. Bliss - R. Macalister, Excavations in Palestine during che Years 18 9 8 ­
1 900, 19 0 2 .

Cesarea. È la cosiddetta Cesarea Marittima, città portuale sulla costa a sud del
Carmelo. Benché oggetto di studio e di scavi, le rovine di Cesarea furono esplora­
86 A r c h e o lo g ia b ib lic a

te sistematicamente solo tra il 1 9 5 9 e il 19 6 3 per confo di una missione italiana; a


questa iniziativa sono seguite altre ricerche portate a termine da istituzioni ebrai­
che, soprattutto nel porto e negli antistanti fondali marini.
Sono stati rinvenuti reperti ellenistici ed erodiani, ma la maggior parte delle ro­
vine riportate alla luce appartiene ai periodo romano e bizantino. Sono da segna­
lare il tempio di Augusto, il palazzo, il grande teatro nel quale venne ritrovata
una pietra con un’ iscrizione riferentesi a Ponzio Pilato, e gli acquedotti. Molti so­
no i resti bizantini di mura, strade ecc.
Bibl.: J. RingeJ, Césarée de Palestine. Elude historique et archéologique^ Paris
x975' -

Khirbei Qumran. Situato nei pressi del M ar M orto, sulla riva nord-occidentale.
Fu scavato dalPÉcole Biblique et Archeologique Fran^aise di Gerusalemme sotto
la direzione di R. de V au x, tra il 1 9 5 1 e il 19 5 6 .
È costituito dalle rovine di un grande monastero esseno risalente ai secoli 1
a.C. e T d.C., con tutti i suoi annessi: lo scrittorio, la mensa, il sistema idraulico,
la fornace per vasellame, ecc. Nelle vicinanze del sito si trova un insieme di grot­
te, per un certo periodo dimora di anacoreti, in cui furono nascosti i famosi
«manoscritti del Mar M orto».
Bibl.: R. de V au x, Fouilles du Khirhet Qumran: RB 60 ( 19 5 3 ) 8 3 -1 0 6 ; 6 1
(19 5 4 ) Z06-Z36; 63 (19 5 6 ) 5 3 3 *5 7 7 -

Masada. Nel deserto di Giuda a ovest del M ar M orto. Fu uno dei palazzi fortez­
za di Erode il Grande e venne utilizzato dai giudei zeloti come ultimo caposaldo
contro i romani, ai tempi della prima rivolta (66-73 d.C.)
Alle prospezioni e agli studi del tedesco A. Schulteri fan seguito il grande sca­
vo archeologico condotto congiuntamente dalla Hebrew University, dalla Israel
Exploration Society e dal Department oi Antiquities di Israele nel 1 9 5 5 - 5 8 e nel
1 9 6 3 -6 5 , sotto la direzione di Y . Yadin.
Desta forte attenzione l’ardita architettura del palazzo dì Erode, costruito su
terrazze e sospeso sopra un impressionante dirupo a nord delta! ripiana. Altri im­
portanti edifici sono le terme, la sinagoga, i centri amministrativi, i magazzini e,
particolarmente degno d’ attenzione, il sistema idraulico. Dei tempi della guerra
rimangono, tra l’altro, otto accampamenti romani, il muro dell’ assedio e Roggero
rampa d’assalto.
Bibl.: Y, Yadin, Massada , London 19 6 6 {tr. sp. Barcelona 196 9 ),

Gerasa. L ’attuale località di Jerash in Transgiordania, a nord del fiume Yabhoq.


Fu una delle città della Pentapoli.
Gli scavi delle imponenti rovine della città, tra le meglio conservate del mondo
antico, si effettuarono tra il 192.5 e il 1 9 3 1 per conto del British Mandatory G o v­
ernment sotto la direzione di G. Horsfield; nel 19 Z 8 , diretti da J.W . Crowfoot e
sostenuti dalla British School di Gerusalemme; dal 1 9 3 0 al 19 4 0 guidati da C.S.
Fisher, N . Glueck e L. Fiarding per conto dell’American School of Orientai Re­
search. À partire dal 1 9 8 3 si sta attuando un grande progetto che coinvolge la
G ii in s e d ia m e n t i a r c h e o lo g ic i e la B ib b ia 87

Giordania e sette missioni straniere (tra le quali figura la Spagna, il cui direttore è,
E. Olàvarri delPInstituto Espafiol Biblico y Arqueológico).
La città ha una storia dall’epoca ellenistica fino alla bizantina, ma la maggior
parte degli edifìci piu importanti risalgono al li secolo d.C. Ricordiamo l’arco
trionfale di Adriano, le mura, i due teatri, il tempio di Zeus, il foro, il tempio di
Artemide, la famosa strada porticata, il ninfeo ecc.
RihL: C .H . Kraeling (ed.), Gerasa , City o f thè Decapolis, N ew H a ve n 1 9 3 8 ; E.
Olavarri, Excavaciones en et Angora de Gerasat Madrid 1986»

Petra. In Transgiordania, a nord-ovest di M a ‘an. Fu la capitale del regno naba­


teo. Scoperta dal famoso esploratore J. Burckhardt nel 1 8 1 2 , è stata scavata dalla
Lord Melchett Expeditiou a partire dal 192.9, da] 1 9 5 5 dal Department of An-
tiquities di Giordania e ultimamente dalFlnstitut Frangais d’Archéologie du Pro­
che Orient. Tra gli archeologi responsabili delle varie campagne di scavo figurano
A. Horsfield, W .F. Albright, A. Dajam, P. Parr, P. Hammond e altri.
Vi sono sufficienti resti che dall'Era del Ferro (Umm el-Biyara), attraverso i pe­
riodi ellenistico, nabateo e romano, giungono fino all’epoca bizantina. Le più
splendide costruzioni datano al 11 secolo d.C,: il teatro, la strada porticata, il fa­
moso Qsar Bìnt, il Haznet Fira'un ecc. Gli edifici più suggestivi sono scavati nella
roccia, variamente colorata.
Bibl.: J. Starcky, Petra et la Nabatène> DBS vn , 8 8 6 -1 0 1 7 .

d) Altri insediamenti

Oltre quelli fin qui segnalati, tra i numerosi insediamenti archeologici esistenti in
Palestina possiamo citare ancora i seguenti. Per la Preistoria: Ubeidiyeh nella val­
le del Giordano, scavato dagli israeliani, del Paleolitico Inferiore; M ogaret es-
Skul sul Carmelo, riportato alla luce dagli anglo-americani, del Paleolitico M e­
dio; Kebarah a sud del Carmelo, insediamento del Paleolitico Superiore e M esoli­
tico, esplorato da inglesi e israeliani; Qafzeh a Nazaret, scavato da francesi e
israeliani, del Paleolitico Medio e Superiore; Naal Cren sul Carmelo, del M eso­
litico e Neolitico, scavato dagli israeliani; Hnyonìm in Galilea, dei Paleolitico Su­
periore e Mesolitico, riportato alla luce dagli israeliani e dai francesi; YifcatPel m
Galilea, Neolitico, scavato dagli israeliani; Umm Qatafa del Paleolitico Inferio­
re ed Erq el-Ahmar del Paleolitico Superiore e Mesolitico, entrambi nel Deserto
di Giuda ed esplorati dai francesi; Nahal Hemar nel Deserto di Giuda, Neoliti­
co, scavato dagli israeliani; Teli Abù M àtàr nel Negev, Calcolitico, scavato dai
francesi; Rosh Zin nel Negev, Mesolitico, scavato da americani; Fasael, insieme
di insediamenti paleolitici e mesolitici, e Salibiyeh, Neolitico, situati nella valle
del Giordano e scavati dagli israeliani; Seikh Ali nella medesima valle, Neolitico e
Calcolitico, scavato dagli israeliani; Azraq in Giordania, Paleolitico, scavato da­
gli americani; Wàdi el-Hammed in Giordania, insediamenti paleolitici e mesoliti­
ci, scavati dagli australiani; M ogaret Dalai e Abu Swwan, Paleolitico e Neolitico,
scavati da spagnoli ecc.
Per quanto attiene all’Età del Bronzo e del Ferro segnaliamo, tra molti altri,
88 A r c h e o l o g ia b ib lic a

Teli el-‘Ureimeh (la biblica Kinneret), presso il Lago di Genezaret, riportato alla
luce dai Tedeschi; Teli Selum (la biblica Silo) sulla M ontagna di Samaria, scavato
da danesi e israeliani; Tel Dan all’estremo nord, Akko vicino alla città omonima,
Tel Dor a sud del Carmelo, e Tel Gerisah a sud dello Yarqon, scavati dagli israe-
ijani; Teli Dotan a nord-est di Samaria e Khirbet Fahil (l’antica Pella) nella val­
lata del Giordano, scavati dagli americani; Teli Deir ‘ Alla (['antica Sukkot), sca­
vato da olandesi; Et-Tel! (l’ antica Ai), scavato da francesi e da americani; Ramar
Rahél a sud di Gerusalemme e l ei Beer Sheba, scavati dagli israeliani; Asqelon,
dagli inglesi; Ashdod, dagli israeliani; Teli Far a (sud) e Teli el-£Agul, scavati dal
famoso Minders Petrie e dalla Bntish School of Archaeology in Egypt ecc.
Dell’epoca successiva all’esilio bisogna menzionare Cafarnao, scavata dai fran­
cescani italiani di Gerusalemme; Sepphoris in Galilea, dagli americani; l’ Hero-
dium, dai francescani italiani e dagli israeliani; Iraq el-Amìr in Transgiordanìa, da
americani, giordani e francesi; Amman (1 antica Filadelfia), da inglesi, spagnoli,
giordani e francesi ecc.

z. Bibbia e archeologia

Per qualche tempo in certi ambienti tradizionalisti legati agli studi biblici
si è guardato con diffidenza al lavoro degli archeologi e, soprattutto, alle
loro conclusioni scientifiche, che avrebbero potuto mettere in discussione
la storicità delta Bibbia. Successivamente sì è manifestata un’inversione
di tendenza; la paura verso I archeologia è scomparsa e si è giunti a con­
siderare le possibilità di accordo tra le scienze storico-archeologi che e
quelle bibliche; di piu, si pensò che le prime venivano ad avvalorare pun­
tualmente i dati della Bibbia, compresi quelli che fino ad allora, da parte
degli esegeti piu liberali, erano stali interpretati meno letteralmente. La
Bibbia aveva ragione è l’eloquente titolo di un libro famoso, tradotto in
varie lingue e riflesso di tale orientamento.
Oggi, tra i non specialisti, prevale forse più Patteggiamento «trionfali­
stico» che non la diffidenza nei confronti dell’archeologia. Ma se è vero
che, in linea generale, la conoscenza scientifica del passato consolida cer­
ti dati trasmessi dalla Bibbia, quando si tratta di puntualizzare con mag­
gior precisione può accadere che il ricorso all’archeologia sta deludente,
riveli il carattere effimero dei fatti e induca a costatare che essa non indi­
vidua con il rigore sperato il dato storico che si pretendeva localizzare.
Ciò deriva dalPindole propria dell’archeologia. Essa non è una scienza
finalizzata a tali identificazioni. L ’archeologia rivela i cambiamenti cultu­
rali di un’epoca, ì quali si traducono in un nuovo stile dì vita che ha la­
sciato impronte concrete nella struttura delle città (sistema difensivo, ur­
banistica, tipi di abitazione ecc.) e nel corredo delle popolazioni (utensi­
li dì uso quotidiano, opere d'arte, oggetti di culto ecc.); difficilmente l’ar­
cheologia può invece definire fatti concreti della storia, a meno che ciò
G i i in s e d ia m e n t i a r c h e o lo g ic i e la B ib b i a 89

non avvenga per pura coincidenza, come quando si riporti alla luce un’i­
scrizione o l’effigie di un personaggio.
Questo succede anche per quanto concerne la storia profana. L ’archeo­
logia, ad esempio, difficilmente «prova» gli infausti eventi delle guerre ci­
vili di Roma narrati dagli storici antichi: la storia si muove in un ambito
personale, l’archeologia riflette un ordine sociale o economico. (Una con­
giura, un discorso, una battaglia in campo aperto difficilmente lasciano
tracce tangibili; una moda, uno stile di vita, la prosperità economica o
una catastrofe naturale lasciano tracce documentabili). L’archeologia,
pertanto, più che per provare eventi storici, serve a svelare Cambiente
dell’epoca in cui tali fatti avvennero, adattandosi a quelle particolari cir­
costanze culturali e socioeconomiche.
Inoltre, l’archeologia illustra la storia e la letteratura bibliche, renden­
dole verisimili e arricchendole profondamente attraverso i particolari del­
la vita quotidiana o della situazione generale che quella determina; non è
invece legittimata, almeno secondo una norma comune, a dire se tali fatti
accaddero o meno.
Tuttavia tra 1 biblisti perdura oggi il doppio orientamento - sebbene
fondato su due presupposti diversi - di sopravvalutare o ignorare i risul­
tati delParcheologia nel Vicino Oriente. Vi sono scuole che reputano
prioritaria la conoscenza dei dati offerti dalle fonti profane (geografia,
archeologia, epigrafia, filologia ecc.), mentre altre studiano il testo in se
stesso e sulla base delle probabili origini e meccanismi dì trasmissione,
tralasciando la concretezza dei contributo offerto dall’ambiente geografi-
co-archeologico nel quale nacque la composizione letteraria. Queste ten­
denze sono lontane da qualsiasi atteggiamento ideologico preconcetto di
tipo conservatore o avanzato.
Da parte nostra crediamo che la geografia e l’archeologia bibliche siano
ormai punto di riferimento imprescindibile, non perché siano destinate a
dire 1 ultima parola, ma in quanto servono da freno a una smodata spe­
culazione critica e perché, in definitiva, determinano le condizioni am­
bientali entro le quali hanno acquistato senso la costruzione letteraria e 1
riferimenti storici presentì nel testo biblico.

3. Illustrazioni archeologiche di temi biblici

Intendiamo offrire qui un’indicazione per un ulteriore argomento di stu­


dio su aspetti concreti, proponendo alcune relazioni tra specifici rinve­
nimenti archeologici e taluni temi biblici. Gli esempi riportati sono solo
«alcuni» tra i tanti proponibili. D ’altra parte, si tratta semplicemente di
«illustrazioni» che, in taluni casi, possono aiutare a comprendere meglio
il testo biblico, senza pretendere di far «concordare» la Bibbia con Bar-
90 A r c h e o l o g i a b ib lic a

cheologia. Talvolta la coincidenza può essere solo casuale; in altri casi,


benché distante, può chiarire la mentalità o i fatti riportati nei testo; vi
sono infine occasioni in cui la corrispondenza fra dati e temi è evidente.
Questa breve serie di testimonianze viene presentata indicando il testo
biblico di riferimento, un’allusione all’argomento trattato, una succinta
descrizione del dato archeologico ed è accompagnata da un riferimento
bibliografico di facile accesso, che consenta il recupero di maggiori Lnlor-
mazioni e di un'ulteriore documentazione bibliografica. Intenzionalmente
non si offre alcuna valutazione sull argomento.

a) Il «Cilindro della tentazione» (Gen. 3,1-8). Dialogo tra la donna e il


serpente presso Palbero e presenza di Jahvé.
Il British Museum conserva un reperto di provenienza sumerica, datato
alla metà del ili millennio. Si tratta di un sigillo di forma cilindrica. Rap­
presenta un dio seduto, con comi, e una donna con un serpente sopra una
spalla; tra i due, un albero.
Bibbi A. Parror, Sumer, UnFormes
* 1 9 8 1 ; L. Àm aldìch, E l origen del mundo y
del hontbre seg w la Bibita, Madrid 1 9 5 7 .

b) Il diluvio (Gen. 7,10-2.4). Per «quaranta» giorni ha luogo un’inonda­


zione e Pacqua continua a coprire la terra ancora per altri 15 0 giorni.
Negli scavi archeologici effettuati nelle città mesopotamiche si è potuta
riscontrare l’esistenza di grandi alluvioni, dovute soprattutto alle piene
delPEufrate e del 1 ìgri. Durante il periodo archeologico di Ubeid, nel iv
millennio, si produsse una grande inondazione che depositò sopra la città
di Ur uno strato di argilla tra i 2,7 e i 3,7 m. Anche nella stratigrafia di
Ninive e nella stessa epoca si riscontra una copertura alluvionale di circa
20 cm. Ai tempi della Dinastia Primitiva, verso il 2800 a.C., vi fu una
nuova grande inondazione, che ha lasciato tracce nella città di Kish, a
Shurupak, con o,6 m di sedimenti, e a Uruk, dove si nota uno strato allu­
vionale delPentità di 1,5 5 m.
Bibb: A. Parrot, Déluge et Arche de Noè, Parts 1 9 5 5 .

c) La torre di Babele (Gen, 1 1 , 2 - 9 ) . C o stru zio n e m B ab ele (Babilonia) di


una torre di m atto n i «che arriva fino al cielo ».
A Babilonia (accad. Bab-ili = Porta del dio) si trovano i ruderi di una
grande torre (ziqqurat), che faceva parte del tempio E-sag-il, in onore del
dio Marduk. Se ne ignora l’esatta datazione, ma esisteva già perlomeno
durante Pultimo millennio a.C. Nonostante il re persiano Serse comin­
ciasse a demolirla (478 a.C.), se ne conserva ancor oggi la parte inferiore,
quadrangolare, di 19 m di lato, formata da un nucleo di mattoni rivestito
G L in s e d ia m e n ti a r c h e o lo g ic i e la B ib b ia

di mattonelle. La prima piattaforma della torre giungeva a un’altezza di


circa 40 m, a questa si accedeva attraverso tre scale esterne. Secondo le
descrizioni pervenuteci, quella di Erodoto ( 1,18 1- 19 3 ) in particolare, la
torre constava di almeno sette piani, il secondo dei quali raggiungeva
un’altezza di circa 5 1 m. Gli altri erano di dimensioni più ridotte, tanto
che l’altezza massima della torre non superava i 100 m. Nella parte supe- •
riore era situata la cappella del dio.
Bibl.: A . Parrot, La Tour de fìabel, Paris * 19 5 4 .

d) Pastori seminomadi in Canaan (Gen. 1 1 , 3 1 ; 11,4 -9 ; 13, 1-4 ecc.). Si


tratta dei patriarchi che, possessori di grandi greggi e provenienti da
Oriente, vivevano in tende e praticavano il nomadismo percorrendo i ter­
ritori della Palestina.
Gli scavi a Gerico, Megiddo, Teli ‘ Agùl e in altri insediamenti hanno
fornito dati sulla presenza di un popolo seminomade, che a partire dal
2-zoo a.C. si stabilisce in alcune città, dopo - sembra - averle distrutte.
Vi abita senza alcun senso urbanistico, costruendo capanne qua e là, sulle
sommità e sui pendii del tei! e senza fortificarlo. Questa situazione, du­
rata fin poco oltre il 1900 a.C. e conosciuta col nome di «arrivo degli
atnorrei», corrisponde al Periodo Intermedio tra il Bronzo Antico ed il
Medio.
Secondo alcuni studiosi, i patriarchi erano forse protoaramei (Deut.
^6,5) e sarebbero arrivati con l’ultima ondata intorno al xvm secolo,
contestualmente al grande movimento amorreo.
Bibl.: K .M . Kenyon, Archaeology o f thè Holy Land , London " 1 9 6 5 ; R. de V au x,
Histoire ancienne dTsraèl, 2 voli., Paris 1 9 7 1 . 1 9 7 3 .

e) Pi-Tom e Pi-Ramses (E s. 1 ,1 1 - 1 4 ) . Nelle città di Pitoni e di Pi-Ramses


gli ebrei vennero impiegati come manodopera per i febbrili lavori di co­
struzione del faraone e destinati anche alla fabbricazione di mattoni.
Pi-Ramses (la città di Ramses) è senza dubbio Tanis, sul lato orientale
del Delta. Ramses 11 aveva il suo palazzo nei pressi della città. Pi-Tom (la
città del dio Atutn) e situata poco più a est, lungo la strada dei Laghi
Amari.
Negli scavi di P. Montet a Tanis è tornato alla luce, tra le altre cose, un
grande tempio, circondato da un enorme muro in marroni dello spessore
di 15 m, che delimita un recinto quadrangolare di circa 400 m di lato.
Sono anche riemerse otto coppie di obelischi, colonne, architravi, porte
monumentali e sessanta blocchi murari. AlPmterno si trova il grande
tempio con un altro più modesto a est. Al di fuori del recinto si ergeva un
tempio dedicato alla dea Anat, circondato da un muro di mattoni dello
spessore di 7,5 m, A Qantir, in cui si trovava il palazzo reale periferico, si
9* A r c h e o l o g i a b ib lic a

trovava un tempio sul cui frontale erano stati innalzati quattro colossi
del re Ramses n.
Bibl.: j, Vandier, Manuel d Archeologie Egyptienne li, Paris 19 5 5» 8 18 -8 2 6 .

f) II vitello d ’oro (Es. 19 ,16 - 17 ; 32.,1-8). Accampato ai piedi della mon­


tagna su cui Jahvé si mostra tra lampi e moni, Israele decide di produrre
un’effigie del suo dio sotto forma di torello,
Ad Arslan Tash, nei pressi di Karkemish, sull’Eufrate, è riemersa la fi­
gura del dio semita delle tormente, con fulmini in entrambe le mani,
mentre i suoi piedi poggiano, come sopra uno sgabello o un trono, sul
dorso di un toro. Negli scavi di Àsqelon (Palestina) è stata recentemente
rinvenuta la statuetta cultuale di un vitello di bronzo dorato e argentato.
BibL: Fi. Weippert, palasi in a in uorhelìenist. Zeìt, Munchen 19 8 8 , 3 0 1 tav. 3.50 .

g) La conquista di Hasor (Gios. 1 1 , 1 - 1 1 ) . Israele sconfigge il re di Ha­


sor e altri re confederati, presso le sorgenti di Merom. Entra poi nella
città di Hasor e la incendia.
■ ■

Negli scavi di Hasor si è ritrovato uno strato, il xin , con ceramica


del Miceneo tuft, databile alla seconda metà del xm secolo a.C. È un li­
vello che presenta evidenti tracce di distruzioni e di incendio. I nuovi oc­
cupanti della città (strato x i i ) erano seminomadi che piantarono lì le loro
tende e costruirono semplici capanne con silos e focolari. Bisogna arriva­
re allo strato xi perché quelle popolazioni si stabiliscano definitivamente,
benché solo nel x secolo (epoca corrispondente a quella di Salomone)
Hasor torni a essere una vera città.
* *

Bibl.: R. de V aux, Hìstoire ancienne d flsraèl> 2 voli., Paris 1 9 7 1 . 1 9 7 3 .

h) La pisana di Gabaon (2 Sam. 2 ,12 -18 ). Abner e Ioab s’incontrano con


i loro rispettivi eserciti davanti alla bocca del pozzo o serbatoio di Ga­
baon. Stando gli uni di fronte agli altri, decidono un combattimento tra
dodici beniamimti e dodici giovani dell’esercito di Davide.
Accanto alle mura di El-Gib, ossia Gabaon, si conserva ancor oggi la
monumentale piscina, scavata nella roccia, la cui apertura ha un diametro
di i i ,3 m. Una scala a spirale, poggiata alle pareti, discende mediante 79
gradoni fino alia sorgente, situata a una profondità massima di 24,4 m. Il
serbatoio dalle dimensioni uguali alla bocca s’immerge fino a una pro­
fondità di xo,8 m. Il grande serbatoio fu costruito probabilmente nell’età
Ferro 1A (12 0 0 -115 0 a.C.); Pawenimento cui si riferisce il testo biblico
sarebbe avvenuto verso il 1005 a.C.
Bibl.: M . À vi-Yonah (ed.), Encyclopedia o f Archaeological Excavattons in thè
Holy Land , 4 voli., Gerusalemme 1 9 7 6 ; Enfi I, 1 2 1 - 1 3 2 ; tu, 5 2 7 - 5 3 3 .
G li in s e d ia m e n t i a r c h e o lo g ic i e la B i b b i a 93

i) D a v id e conquista G eru salem m e (2 Sam . 5,8; 1 Cron. 11,5-6 ). Davide


promette una ricompensa al primo che riuscirà a penetrare nella città at­
traversando il tunnel. Ioab consegue la vittoria e occupa Gerusalemme.
Dietro i muri «gebusei» della città vi è l’accesso a un pozzo che con­
duce alla fonte di Gihon, ormai all’esterno (il cosiddetto «Pozzo di War-
ren»). Questo passaggio risale probabilmente alla fine del Bronzo Recen­
te. Di qui dovettero penetrare gli uomini di Davide, riuscendo a sorpren­
dere i difensori della città,
Bibl.: A . A vi-Yonah (ed.), Encyclopedìa o f Archaeological Excavations in thè
Holy Land, cit.; EnB m , 7 9 8 -8 9 1.

/) I l tem pio d i Salom on e(x R e 6,1-38). Vengono descritte pianta, carat­


teristiche e misure del tempio, situato accanto al palazzo reale.
Nella città israelitica di Arad, confinante con il Deserto del Negev, gli
scavi hanno portato alla luce un’acropoli dell’epoca di Salomone, con un
palazzo fortezza e un tempio che si avvicina alle descrizioni bibliche di
quello di Gerusalemme.
Il tempio è situato a nord-ovest della cittadella e guarda verso occiden­
te. Ha di fronte un doppio cortile; in quello esterno si trova l’altare dei
sacrifici. Possiede le medesime misure attribuite a quello di Gerusalemme
ed è costruito allo stesso modo (pietre non lavorate). Il tempio propria­
mente detto comprende un b ek a l o santuario, al cui ingresso erano due
colonne, e un d eb ir o santo dei santi; prima di entrare in questo si in­
contravano due altari per l’incenso e all’interno del recinto una m asse -
ha. Il tempio venne distrutto nella seconda metà del v ii secolo a.C.,
quando si rinnova e si ricostruisce la cittadella; si tratta di un aspetto si­
gnificativo, poiché corrisponde all’epoca di Giosia (639-609 a.C.). Re­
centemente l’interpretazione stratigrafica è stata però rivista e ciò induce
a una maggior cautela nelle conclusioni.
Bibl.: M . Avi-Yonah (ed.), Encyclopedìa o f Archaeological Excavations in thè
Holy land , cit.; A. Parrot, Le tempie de Jérusalem , Paris 19 5 4 .

k) M e g id d o , H a so r e G ez er (x R e 9,15). Sono anzitutto le citta fortifica­


te da Salomone.
Gli scavi archeologici di Megiddo hanno mostrato che nello strato ivB
la città non fortificata era protetta da una muraglia del tipo a casematte e
con una porta ben fortificata. Secondo il dato archeologico, questo corri­
sponde alla seconda metà del x secolo a.C., tra gli anni 950 e 924, pre­
cisamente all’epoca di Salomone (965-928 a.C.). A Hasor lo strato x
presenta una muraglia a casematte, con porte a quadrupla tenaglia a pro­
tezione di una città che stava rinascendo, ma priva di difesa fino a questo
momento. A Gezer l’area in ha conservato i resti di una porta sulle mura
94 A r c h e o l o g i a h ib lic a

a quadrupla tenaglia, come quelle di Megiddo e di Hasor, attribuita an-


ch’essa all’epoca di Salomone.
BibL: M . A vi-Yonah, Encyclopedia o f Ar ehaeological Excavattons in thè Hoiy
Land , citq EnB iv, 10 6 0 -10 6 9 . 1 0 6 9 - 1 0 8 3 ; iti, 9 9 1-9 9 6 .

l) L e scuderie di Salom on e (z Re 10,26). Salomone organizza un eserci­


to di cavalleria, composto di 1400 carri e 120 0 0 cavalli, acquartierato in
alcune città fortificate.
Gli scavi di Megiddo portarono in luce un «quartiere della cavalleria’»
con due ampie stalle, perfettamente disposte con greppie alle quali si le­
gavano i cavalli. La stalla è predisposta per 492 cavalli e vi sono rimesse
per 15 0 carri.
Le piu recenti prospezioni archeologiche, tuttavia, attribuiscono questa
costruzione al livello ivA, del tempo di Acab (sec. ix a.C.), sebbene non
si possa scartare l’ipotesi che le costruzioni siano iniziate già nel prece­
dente strato salomonico, il ivB.
BibL: M .A . Negev, Ar eh aeological Encyclopedia o f thè Holy Land, Jefusalem
1 9 7 2 , s.v. Stables; K .M , Kenyon, Archaeology ofthe Holy Land, London * 19 6 5 .

m) Il re A sa fortifica M ispah (1 R e 15 ,16 -17 .2 1-2 2 ). Nella guerra tra i


re di Giuda e di Israele, rispettivamente Asa e Baasa, il secondo cominciò
a fortificare Rama. Incalzato dal re di Damasco, abbandonò le opere nel­
la cirtà di frontiera. Allora Asa disfece le fortificazioni di Rama e con le
pietre recuperate costruì le muraglie di Geba e Mispah.
A Rama (Er-Ra) e Geba di Beniamino (Geba1) non sono stati fatti sca­
vi sistematici, ma a Mispah (Teli en-Nasbe) è stato rinvenuto un enor­
me muro, risalente al 900 circa a.C. (il regno di Asa è compreso tra il 908
e 1*867 a.C.). E di costruzione accurata. Consta di grosse pietre con calci­
na e il suo spessore supera i 4 m. Doveva essere assai elevato, a giudicare
dalle rovine conservate. Aveva dieci torri difensive,
Bibl.: M . A vi-Yonah (ed.), Encyclopedia o f Arehaeological Excavations in thè
Holy Land , cit.; EnB iv, 1 2 2 4 - 1 2 2 5 .

n) O m ri trasferisce la capitale de! suo regno (z R e 36,23-24). Il re di


Israele Omrì, che ha la sua capitale a Tirsa, dopo sei anni interrompe i
lavori in questa città e trasferisce la capitale a Samaria.
Negli scavi di Teli el-Fàr‘a (Tirsa), nello strato in, corrispondente al­
la fine del sec. x e agli inizi del ix (Omri e del 882-871 a.C.), si e potuto
chiaramente verificare che la arra venne praticamente abbandonata, non
distrutta, lasciando anche edifici costruiti a metà. Tra questi c’è un’im­
portante costruzione, con cortile centrale e tre grandi stanze intorno. E
Gli in s e d ia m e n t i a r c h e o lo g ic i e la B ib b ia 95

un’opera molto curata con pietre lavorate talvolta nello stesso stile del
palazzo reale di Samaria. Forse era il palazzo di Omri.
Bibl.: M . A vi-Yonah (ed.), Encyclopedia o f Archaeological Excavations in thè
Holy Land , cit.; EnB in, 2,58-2,65.

o) Il canale di Ezechia (2 Re 20,20; 2 Cron. 32,2-4.20.30). Ezechia, re di


Giuda, fece costruire un serbatoio e un canale per far giungere l’acqua a
Gerusalemme.
Questo canale sotterraneo scavato nella roccia unisce la fonte di Gi-
hon con la piscina di Siloe, a sud della città, è all’interno delle mura e si
conserva nella sua interezza. Ha una lunghezza di 5 12 m. Già vicino al
suo sbocco venne alla luce un’iscrizione coeva, in ebraico (conservata al
Museo di Istanbul), commemorativa dell’incontro delle due squadre di
minatori. Essa recita: «(Questa è) la perforazione. Ecco la storia della
costruzione. Gli scavatori scavarono con i loro picconi gli uni di fronte
agli altri e, quando restavano solo tre cubiti di separazione tra le due
squadre, si udì la voce di uno scavatore che ne chiamava un altro. Il
suono attraversava la roccia da parte a parte. Così il giorno che perfora­
rono la roccia, gli scavatori s’incontrarono, batterono piccone contro
piccone e l’acqua irruppe dalla sorgente verso la piscina, per 120 0 cubi­
ti. L ’altezza della roccia sulla testa degli scavatori era di 100 cubiti».
Bibl.: J. M urp h y-O ’Connor, The Holy Land. An Archaeological Guide from Ear-
liest Times to iy o o , Oxford - N e w York * 19 8 6 ; EnB vi, 4 6 2 -4 6 6 .

p) Uassedio di Lakish (2 Re 18 ,13 - 17 ; 19,8-9). Il re assiro Sennacherib


attacca Giuda e assedia la città di Lakish; da questa invia messaggi al re
di Gerusalemme affinché si arrenda. Di fronte alla notizia dell’arrivo del­
l’esercito egiziano, Sennacherib toglie l’assedio di Lakish.
Nella città di Ninive, nel palazzo di Sennacherib, tu ritrovato un pre­
zioso rilievo murale, raffigurante l’assedio di Lakish. Si vede la città cinta
da mura con torri e, dietro i merli, arcieri che lanciano frecce e altri di­
fensori che scagliano pietre. Sotto sta attaccando, imponente, l’esercito
assiro, diviso in colonne; in prima linea avanzano le macchine per l’asse­
dio. Le truppe assire, ben vestite ed equipaggiate nella loro uniforme, si
distinguono in differenti corpi o armi: arcieri, lancieri (questi ultimi con
l’elmo e un grande scudo rotondo) e frombolieri. Tre giudei fuggitivi sono
stati impalati. In un’altra zona del grande pannello, Sennacherib, seduto
sul trono, riceve il bottino della città consegnato da alcuni abitanti, ingi­
nocchiati o prostrati davanti a lui. In primo piano si scorge il passaggio
di una fila di cavalli.
Bibl.: C .J. Davey, Lachischy in Das Grosse Bibellexikon u, Wuppertal-Giessen
1988, 860 ili.
96 A r c h e o l o g ìa b ib lic a

q) La caduta di Lakish (G er. 34,7). Il profeta Geremia trasmette un ora­


colo al re Sedecia a Gerusalemme, mentre resecato babilonese di Nabu-
codonosor stava assediando questa città, come Lakish e Azeqa.
Nella porta-torre della città di Lakish vennero alla luce 18 lettere su
cocci di ceramica (ostraca), dirette al comandante in campo durante Pin-
vasione babilonese del 588-587 a.C. In una di esse (ostracon rv) il co­
mandante di un posto avanzato informa che «stiamo vigilando i segnali
di Lakish secondo le istruzioni che il mio signore ci ha dato, poiché non
possiamo vedere ‘Azeqah». È un messaggio di battaglia,
B ib L : C.J. D avey, ibidem .

r) Giovanni predica il battesimo (Mt. 3,1-6 ; Me. 1,4-8; Le. 3,2-3)- Gio­
vanni il Battista appare nel Deserto di Giuda come un anacoreta che pre­
dica la conversione, annunciando la prossima venuta del messia e appli­
cando il rito del battesimo con acqua.
In quella stessa regione è stato scavato il grande monastero di Qum-
ran, dove i monaci o anacoreti giudei, che vivevano nelle grotte del deser­
to, formavano una comunica, probabilmente di tipo esseno. Si riunivano
per celebrazioni collettive, tra le quali figuravano le abluzioni rituali;
rapprovvigionamento abbondante dì acqua, infatti, costituiva una delle
loro principali preoccupazioni. Nelle rovine del monastero si contano
nientemeno che 14 cisterne o piscine. La conversione e la speranza del
messia figurano come argomento nei testi trovati a Qumran.
B ib L : F . G a r c i a M a r t m e z - J . T r e b o lle B a r r e r à , L o s hom bres de Qum ran. Literatura ,
eslructura social y concepciones religiosas, M a d r i d 1 9 9 3 (tr . it. in p r e p a r a z io n e ).

s) Gesù ritenuto figlio dì Giuseppe (Le. 3,23; 4,22; Mt. 13,55). «Gesù, fi­
glio di Giuseppe» sembra il nome «ufficiale» di Gesù (Gv. 1,45).
All’epoca la medesima designazione era abbastanza frequente. Un
«Gesù, figlio di Giuseppe» figura nell’iscrizione di un ossario ora nel mu­
seo Rockfeller di Gerusalemme, la cui datazione è incerta: tra il 200 a.C.
e il 200 d.C.
B ib L : L .H . V in c e n t,Epitbaphe prétendu de N .S .J.C . : A tti -R e n d ic o n t i d ella P o n ti­
fìcia A c c a d e m i a R o m a n a dì A r c h e o lo g ia 7 ( 1 9 2 .9 } z i 5 - z 3 9 ; A . P a r i o t , Golgotha
et Samt-Sépulcre , P a r is I 9 5 5 -

f) La casa di Pietro a Cafarnao (Mf. 4 ,13 ; 8 ,5.14 ; 9 ,1.2 8 ; 17,24-25; Me.


1,2 1.2 9 ; 2 ,1 tee.}. Gesù fa di Cafarnao il centro della sua predicazione in
Galilea e si stabilisce nella casa di Pietro.
Sulla stessa strada di Cafarnao dove si trova la sinagoga del in secolo
d.C., edificata sopra un’altra del 1 secolo, gli scavi archeologici hanno
scoperto, due isolati più in là, una basilica di pianta ottagonale, del vi se­
G li in s e d ia m e n t i a r c h e o lo g ic i e la B ib b ia 97

colo. Questa fu costruita sopra una chiesa domestica del iv secolo, che ri­
cordava la «casa di Pietro». A sua volta essa corrisponde a una delle
stanze di una casa del i secolo, che potrebbe essere Palloggio occupato da
Gesù nella casa di Pietro.
Bibl.: A. N icacci e altri, La Terra Santa. Studi di Archeologia , Roma 1 9 8 3 ; S.
Loffreda, Cafarnaùm , la ciudad de Jesus, Jerusalem 19 8 0 - Idem, Recovering Ca -
pharnaum, Jerusalem 1 9 8 5 .

u) La cattedra di Mosè (Mt. 23,2;. Gesù afferma che «sulla cattedra di


Mosè» si sono seduti gli scribi e i farisei.
Gli scavi nella sinagoga di Corozain hanno dimostrato che non si tratta
semplicemente di linguaggio figurato. Qui, in effetti, è stato ritrovato uno
scanno riservato, scolpito nel basalto, con un’iscrizione che lo identifica
come «sedia di Mosè».
Bibl.: À . Negev (ed.), Archaeological Encyclopedia o f thè Holy Land , Jerusalem
1 9 7 2 ; EnB 11, 5 7 2 - 5 7 3 .

v) Il litostroto di Pilato (G v . 1 9 ,1 3 ; cfr. M t. 27,27; Me. 15 ,16 ). Gesù è


giudicato da Pilato nel pretorio, conosciuto con il nome di Litostroto (la­
stricato), in ebraico (aramaico) Gabbatha (altura).
Scavi archeologici condotti nella zona di Gerusalemme dove l’attuale
tradizione segnalava il pretorio (prima stazione della Via Crucis) dettero
come risultato il ritrovamento di un grande cortile coperto da enormi la­
stre, che faceva parte di un edificio identificato come la Torre Antonia.
La posizione rispetto al tempio, che essa dominava, ne giustificherebbe il
nome di Gabbatha. Alcuni archeologi moderni, tuttavia, sono inclini a
credere che il lastricato appartenesse a un foro della città dell’epoca del­
l’imperatore Adriano (Aefia Capitolina).
Bibl.: S. Aline de Sion, La forteresse Antonia à Jérusalem et la questìon du Prétoi-
re> Jerusalem 1 9 5 5 ; EnB iv, 7 2 4 -7 2 7 .

x) La crocifissione (Mt 27,35.38; Me. 15 ,2 5 .2 7 ; Le. 23,33; G ì/. 19 ,18 .


32). Giunti al Golgota, crocifiggono Gesù e con lui due ladroni, ai quali,
dopo qualche tempo, s’infligge il crurifragìum o frattura delle gambe.
Nel 1968 apparve a Giv'at ha-Mivtar, a nord di Gerusalemme, una se­
poltura con i resti di due persone, un bambino e un adulto maschio morto
crocifisso. Gli studi condotti sul cadavere consentono di provare che la
croce utilizzata era dotata di sedile, un piccolo appoggio sul quale «sali­
va» il crocifisso; ciò faceva sì che le gambe stessero separate. Al giustizia­
to fu inflitto il crurifragium o frattura delle gambe. I chiodi destinati alle
mani attraversavano non le palme, ma i polsi. Vi era un solo chiodo mol­
to lungo per i due piedi, introdotto orizzontalmente nella croce e poi ri­
98 A r c h e o lo g ia b ib lic a

torto a forma di gancio per comprendere entrambi i piedi e fissarli. Il le­


gno della croce era d’olivo e il crocifisso si chiamava «Giovarmi figlio di
Haggol». La datazione è compresa tra il sec. 1 a.C. e il sec. i d.C.
Bibl.: V. Mòller-Chistensen, Skeletal Remains from Giv^at ha-Mivtar: IEJ z6
(19 76 ) 3 5 -3 8 . Si vedano osservazioni e rettifiche recenti in J. Zias ed E. Sekeles,
The Crucified man from Giv'at ha-Mivtar: A Reappraisah IEJ 35 (19 8 5 ) 2 1 - 2 7 .

y) I sepolcri giudaici alPepoca di Gesù (Mt. 27,59-60; Me. 15,46; 16 ,1 ­


5; Le. 23,53; 2 4 ,1-2 ; Gv. 19 ,39 -4 1; 20,1.4-7). Gesù viene parzialmente
imbalsamato e posto in una tomba scavata nella roccia. Una pietra chiu­
de il sepolcro. Quando all’alba della mattina di domenica giungono le
donne con altri unguenti per continuare l’imbalsamazione, la grande pie­
tra è spostata, un angelo è seduto sulla destra dentro il sepolcro, le bende
sono sparse al suolo, ma il sudario è ripiegato e ben sistemato.
Nei dintorni di Gerusalemme si conservano e sono stati studiati molti
sepolcri dell’epoca; alcuni sono identici a quello descritto dagli evangeli­
sti. Questi sepolcri sono per lo più collettivi; quello di Gesù era singolo.
Sono scavati nella roccia a forma di caverna. Vi si penetra generalmente
scendendo alcuni gradini; l’apertura è chiusa da una grossa pietra roton­
da, che può essere spostata solo con molta forza e s’incastra in un piccolo
incavo predisposto per accoglierla. Compiuta questa operazione, da una
piccola apertura si entra m una camera quadrangolare abbastanza am­
pia, con un sedile che corre tutto intorno. Da qui parte l’accesso alla ca­
mera o alle camere mortuarie propriamente dette, il luogo della sepoltura
111 due forme possìbili: un acrosolio alla parete con una mensola a mezza
altezza, dove veniva deposto il cadavere avvolto in lenzuola, o una o più
nicchie (loculi) nella parete. La camera mortuaria e, in questo caso, la se­
poltura era accessibile ai familiari, essendo accertato l’ impiego massiccio
di unguenti e profumi per attenuare gli effetti della decomposizione del
cadavere. Nella parete sopra la sepoltura si trovava una piccola cavità
triangolare su cui collocare una lampada a olio.
Bibl,: A. Parrot, Golgotha et Saint-Sepulcrey Paris 1955.

2) Proibizione ai gentili di entrare nel tempio di Gerusalemme (Atti 2 1,


27-30). Paolo viene arrestato nel tempio per avervi introdotto dei gentili;
è il motivo della richiesta di morte da parte del popolo.
Era vietato ai non giudei oltrepassare il cosiddetto «atrio dei gentili»,
pena la morte. Due iscrizioni in greco, trovate nella piazza del tempio, re­
citano: «Proibito a ogni straniero oltrepassare la barriera ed entrare nel
recinto del santuano. Chiunque venga sorpreso, sarà lui stesso responsa­
bile della morte che gli verrà data».
Bibl.: A. Parrot, Le tempie de Jérusalem, Paris 1954.
V. BIBLIO G R AFIA

Riguardo ai temi strettamente archeologici segnaliamo due opere ormai classi*


che, di carattere generale: W.F. Albright, Archaeology o f Palestine, Harmonds-
worth ^ 19 5 6 (tr. sp. M adrid 19 6 2 ), un po’ antiquata ma ancora utile per una so­
lida conoscenza di base dell’argomento; K .M . Kenyon, Archaeology o f thè Holy
Land , London *19 6 5 (tr. sp. Barcelona 19 6 3 ), fondamentale per un approfondi­
mento delle diverse tappe archeologiche e soprattutto dell’evoluzione della cera­
mica. In italiano, come introduzione generale aggiornata ai metodi e ai problemi
dell’archeologia biblica, con abbondanti bibliografie ragionate, si veda V . Fritz,
Introduzione all’archeologia biblica , Brescia 1 9 9 1 . Utile anche la lettura del breve
compendio di P. Arata Mantovani, Introduzione all*archeologia palestinese. D al­
la prima età del Ferro alla conquista di Alessandro Magno (1200 a,C. - 3 3 2
a.C.), Brescia 19 9 2 . M a l’opera più completa e aggiornata sull’archeologia pale­
stinese è quella recentemente pubblicata (in due tomi) nel ^Handbuch der A r-
chàologie»: H. Weippert, Palàstina in vorhellenistiscber Zeit , con un contributo
di L. Mildenberg, Miinchen 19 8 8 e H.-P. Kuhnen, Palàstina in griechisch-rómi-
scher Zeit , con contributi di L. Mildenberg e R. Wenning, Mùnchen 19 9 0 : en­
trambi i volumi illustrano esaurientemente qualsiasi aspetto dell’archeologia p a ­
lestinese, con completezza di indicazioni bibliografiche e abbondante apparato
iconografico. Imprescindibile è la consultazione di due enciclopedie: M . A v i-Y o -
nah (ed.), Encyclopedia o f Archaeological Excavations in thè Holy Land , 4 voli.,
Jerusalem 1 9 7 6 ; A . Negev, Archaeological Encyclopedia ofthe Holy Land , Jeru-
salem 1 9 7 2 . Quest’ ultima, data la sua concisione, è più maneggevole della prece­
dente, che peraltro resta fondamentale ed estremamente utile. II lettore può anche
consultare con profitto l’ Enciclopedia della Bibbia , 6 voli., Torino 1 9 6 9 - 1 9 7 1 ,
contenente molti articoli di carattere archeologico, redatti da autorevoli esperti.
Ragioni di spazio non consentono la segnalazione dell’ abbondondantissima bi­
bliografia archeologica su temi specialistici nelle diverse lingue. Una informazione
più completa è reperibile nella bibliografia specialistica indicata nel paragrafo
precedente («I grandi insediamenti»).
Dal 19 8 4 la rivista Henoch (Biblioteca P. Kahle, Istituto dì Orientalistica del­
l’Università di Torino) pubblica, a cura di P. Arata Mantovani, una rassegna an­
nuale di archeologia: L ’archeologia siro-palestinese e la storia di Israele .
Parte seconda

Storia
e istituzioni
del popolo biblico
Jesus Asurmendì e Fiorentino G arda Martmez
Introduzione

i. Fonti

Il problema fondamentale che lo storico deve affrontare concerne le fon­


ti. Si potrebbe subito pensare che lo storico della storia d’Israele trovi il
problema già risolto, poiché la prima fonte principale a sua disposizione è
la Bibbia stessa. Per molti secoli la storiografia biblica ha ricavato i dati
necessari quasi esclusivamente da tale tonte. Negli ultimi 150 anni, tutta­
via, si sono andate via via precisando, a volte parallelamente, la metodo­
logia storica e l’importanza delle fonti extrabibliche. Le scoperte archeo­
logiche del Vicino Oriente hanno fornito, e di continuo forniscono, una
infinità di dati e documenti in gran parte non decifrati.
Le fonti extrabibliche sono essenziali per la ricostruzione della storia
d’Israele, poiché questa si svolse in continua relazione con i popoli e gli
avvenimenti del Vicino Oriente. Pretendere oggi di scrivere una storia
d’Israele senza esaminare con lo stesso interesse le fonti bibliche e quelle
extra bibliche è un controsenso.
Tra le fonti, l’archeologia merita un posto particolare. L’attività degli
archeologi ha spesso avuto come scopo, soprattutto ai suoi inizi, il ritro­
vamento di oggetti e di testi. Attualmente, invece, alla ricerca archeologi­
ca interessano tutti quei reperti materiali che possono consentire di com­
prendere i modi di vita e l’evoluzione culturale dei popoli. L apporto che
l’archeologia fornisce alla storia, per quanto indiretto, diventa estrema­
mente importante.
Per il periodo che da Alessandro Magno giunge fino a Bar Kochba il
problema delle fonti si complica. La fonte primaria del periodo anteriore,
l’ Antico Testamento, è di ben poca utilità. Solamente alcune allusioni,
isolate e non sempre chiare, dei profeti più recenti, come Zaccaria, posso­
no essere poste in relazione con gli avvenimenti del periodo ellenistico. A
parte ciò, soltanto il libro di Daniele e i primi due libri dei Maccabei si
occupano, ognuno a modo proprio, della storia dei secoli in e 11 a.C. Il
cap. i r di Daniele riflette l'impressione lasciata nei circoli apocalittici pa­
lestinesi dagli avvenimenti del periodo di dominazione tolemaica e seleu-
cida. Il primo libro dei Maccabei descrive la storia degli anni 17 5 - 13 5, il
secondo quella di un periodo un po' più breve, approssimativamente dal
104 Storia e istituzioni del popolo biblico

180 al 1 6 1. Dei libri del Nuovo Testamento solo i vangeli offrono alcuni
elementi unii a una ricostruzione storica.
Da qui il carattere imprescindibile delle fonti extrabibliche per cono­
scere questo periodo. Il voi. i della Storia del popolo giudaico di Schtirer-
Vermes (pp. 42,-174) contiene una descrizione particolareggiata di tutte
queste fonti. La più importante è senza dubbio l’opera dello storiografo
Flavio Giuseppe, senza del quale sarebbe impossibile scrivere una stona
del periodo compreso tra il 333 a.C. e il 13 5 d.C. Nel De bello ìudaico
egli narra la grande guerra contro Roma (libri 3-7) e al tempo stesso si
occupa del periodo precedente la ribellione (libri 1-2), da Antioco rv fino
alla morte di Erode, Nelle Antiquitates ludaicae viene presentato un qua­
dro della storia del popolo giudaico dalla creazione fino al 65 d.C., e 1 li­
bri 12-20 sono dedicati al periodo che ci interessa. È importante sottoli­
neare che Flavio Giuseppe impiega e cita numerose opere di altri storici,
come Nicola di Damasco, in molti casi oggi perdute. Offrono interessanti
informazioni per la storia della Palestina di questo periodo Polibio, Dio­
doro Siculo, Sirabone, Tito Livio, Plutarco, Tacito, Svetonio, Appiano e
Dione Cassio, per limitarci soltanto ad alcuni dei piu importanti storio­
grafi greci e latini.
Unitamente alle opere degli storici, particolarmente interessante è la
letteratura apocrifa (una traduzione in lingua italiana, in via di completa­
mento, è disponibile in P. Sacchi (ed.), Apocrifi dell3Antico Testamento,
della quale sono finora stati pubblicati i primi due volumi dei cinque pre­
visti). Questi scritti rivelano il complesso panorama religioso del giudai­
smo dell epoca e la vitalità di certi gruppi successivamente dimenticati.
Tra le fonti letterarie extra bibliche un altro importante documento t
dato dalla letteratura rabbinica. Nei targumim, nella Mishna, nella To-
sefta, nei midrashim, nel Talmud di Gerusalemme e di Babilonia si trova­
no riferimenti alla storia di questo periodo. Benché la redazione di queste
opere sia abbastanza lontana dagli avvenimenti, le tradizioni contenute
spesso risalgono a epoche precedenti e conservano elementi storici vera­
mente pregevoli. Vi si trova delineata l’immagine di un giudaismo ancora
in formazione, che si svilupperà pienamente solo dopo la distruzione del
tempio e l’insuccesso della rivolta di Bar Kochba.
Parallelamente a queste fonti letterarie, già note anticamente, le sco­
perte archeologiche degli ultimi tempi hanno fornito materiali abbondan­
ti e importantissimi per la storia del periodo. Le monete e le iscrizioni ri­
trovate offrono all’interpretazione storica un aiuto indiretto per com­
prendere gli sviluppi economici e sociali dell’epoca. Il rinvenimento di va­
ri manoscritti ha colmato le più importanti lacune per La conoscenza di
questa età.
Tra i più significativi citeremo:
Introduzione 105

1 papiri del W idI ed-Dàliye, dal 375 al 335 a.C.; essi chiariscono la si­
tuazione di Samaria nel sec. iv e confermano la distruzione della città da
parte delle truppe di Alessandro;
i papiri dell’archivio di Zenone. Mostrano la situazione economica e
amministrativa della Palestina nel sec. in a.C.;
i manoscritti di Quniran: documentano il mondo religioso di un grup­
po settario, rappresentandone gran parte della biblioteca costituita da
opere scritte tra il in secolo a.C. e il 1 d.C.;
i documenti dì Murabba‘at e di Nahal Hever; documentano il perio­
do delia rivolta di Bar Kochba ( 13 1- 13 5 d.C.) e contengono anche alcune
sue lettere autografe.

2. Metodologia

Le fonti extrabibliche sono talmente essenziali che senza di esse sarebbe


impossibile stabilire una cronologia degli avvenimenti di cui si dà notizia
nei testi biblici. Per tale ragione lo storico deve continuamente confronta­
re i dati della Bibbia con quelli delle altre fonti.
Sulle fonti bibliche sono necessarie alcune considerazioni. Poiché non
esiste un unico testo biblico e le varianti sono talvolta importanti, primo
lavoro dello storico è determinare il testo più corretto, che diviene il pun­
to d'inizio della ricerca. Una seconda fase essenziale, ma spesso trascura­
ta, è la critica letteraria del testo. Prima di enunciare qualsiasi tipo di
conclusione storica, se ne deve esaminare la composizione, la struttura, le
relazioni con altri testi e la funzione che svolge; la medesima critica lette­
raria va applicata alle fonti extrabibliche. Solo dopo il confronto dei ri­
sultati ottenuti si potranno ricavare i dati che permettono di elaborare
una stona in senso scientifico.
È inoltre doveroso tener conto di alcune caratteristiche peculiari dei te­
sti biblici. Anzitutto la Bibbia non è un libro che intese «fare una storia».
Essa mette semplicemente in risalto il pensiero e i modi di vita di un po­
polo alta luce della sua fede; la sua finalità è religiosa, non storica. Nei
testi biblici si parla di personaggi, di avvenimenti e di luoghi storici, ma
l’intento fondamentale è di evidenziare il significato religioso di tutto ciò
per Israele. Questa prospettiva essenziale dei testi biblici ne spiega il ca­
rattere selettivo. Sì tralasciano fatti basilari nello sviluppo storico d’Israe­
le e se ne ricordano altri di esigua importanza da questo punto dì vista,
ma fondamentali per il sentimento religioso della vita del popolo. Un'al­
tra caratteristica importante dei testi biblici risiede nella loro genesi. È
necessario tener presenti le riletture, i completamenti, le aggiunte e le di­
verse redazioni; costituiscono tutti un elemento chiave nella storia della
loro elaborazione.
ro 6 Storia e istituzioni del popolo biblico

Benché lo studio di questi aspetti competa soprattutto alla critica let­


teraria, la loro vastità è tale da incidere nel modo stesso di affrontare e
concepire la storia d’Israele. Ignorarli equivarrebbe a non fare storia.
Nel periodo che da Alessandro Magno giunge a Bar Kochba i problemi
metodologici dipendono dalla natura delle sue fonti. Quanto si è detto fi­
nora si applica alle fonti bibliche, dell’Antico e del Nuovo Testamento.
Tuttavia la prospettiva apocalittica e il linguaggio criptico fatti propri da
Daniele rendono comprensibili i suoi dati solo quando è possibile rap­
portarli a quelli extrabiblici. Lo stesso accade per buona parte della lette­
ratura apocrifa, i Maccabei fu esplicitamente scritto per legittimare la di­
nastia asmonea. Perciò il libro ha un carattere polemico e apocalittico da
tener presente nel momento in cui si tenta di verificarne il valore storico.
L ’impronta leggendaria di z Maccabei rende complessa l’estrapolazione
degli elementi storici senza dubbio presentì e derivanti, soprattutto, dal­
l’opera di Giasone di Cirene, lì riassunta.
L ’attendibilità dei dati trasmessi da Flavio Giuseppe è discussa a causa
della disparità di fonti utilizzate, secondo l’epoca di cui tratta, la libertà e
insieme l’arbitrarietà dell’impiego di tali fonti, il ricorso a documenti fal­
si, gli errori cronologici introdotti e, soprattutto, il carattere chiaramente
tendenzioso e apologetico dei suoi scritti. Bisogna tener conto di questi
fattori nel valutarne la testimonianza, peraltro inestimabile.
I noti problemi di datazione della letteratura rabbinica sono uno dei
molteplici aspetti che rendono difficoltoso l’affrontare apertamente una
ricostruzione storica. I problemi letterari di questa letteratura sono an­
cora più complicati. Le reinterpretazioni e la pluralità di versioni di una
stessa tradizione ne rendono ancor piu difficile l’impiego. Tale letteratura
è inoltre unilaterale, quindi selettiva e tendenziosa nella presentazione dei
fatti, dei gruppi e delle persone non integrate nel grande movimento fari­
saico, che imporrà la sua impronta sul giudaismo successivo alla distru­
zione del tempio.
I problemi metodologici sollevati dai nuovi testi sono di ordine diver­
so. In questo caso siamo in presenza di documenti di prima mano, non
ancora ben conosciuti. Solamente una minima parte dei papiri del WàdT
ed-Dàliye e dei testi dì Nahal Hever sono stati fino ad oggi pubblicati.
Quanto ai manoscritti di Qumran, la metà della biblioteca della comunità
rinvenuta nella grotta 4 rimane ancora inedita. Tutto ciò impone grande
cautela nell'impiego di materiali già conosciuti, non solo perché i testi an­
cora inediti potrebbero apportare nuovi dati, ma anche perché potrebbe­
ro modificare sensibilmente l’interpretazione di quelli già noti.
Nelle pagine che seguono, necessariamente concise, si è preferito pre­
sentare la storia d’Israele nell’ordine cronologico c lineare in cui un letto­
re non pratico di scienze bibliche ritiene si siano svolti i fatti. Ma, a rigor
Introduzione 107

di termini, non e possibile iniziare una storia senza disporre di un mimmo


di dati utili dal punto di vista storico. A voler essere rigorosi, si dovrebbe
quindi iniziare la storia d Israele a partire dall'insediamento e dalla pre­
senza delle tribù israelitiche in Canaan. Per le età precedenti, quanto più
si retrocede nel tempo tanto più la visione storica diviene oscura, fino a
giungere a una nebbia pressoché assoluta nel periodo definito «epoca pa­
triarcale».
L'ultimo lasso di tempo della storia del popolo biblico qui trattato
coincide con la nascita del cristianesimo e la formazione del Nuovo Te­
stamento. Nonostante Pimportanza capitale dì questi fatti per i cristiani,
il filo conduttore della ricostruzione storica non può essere la prospettiva
cristiana, che trasforma la «storia» in «storia della salvezza». Come nei
periodi precedenti, il centro di gravità del divenire storico sarà il popolo
giudaico in generale.
Aggiungiamo infine che, salvo rare eccezioni, ci limiteremo a presenta­
re 1 dati accolti dalla maggioranza degli studiosi. Le diverse fasi metodo­
logiche indicate, tuttavia, restano sempre sullo stondo di una presenta­
zione storica che talvolta può apparire trasparente e senza problemi.

3. Bibliografia generale
J.A . Soggin, Storia d'Israele . D alle origini a Bar K ochbà, con due appendici di D.
Conrad e H. Tadm or, Brescia 19 8 4 è sull'argomento Popera storiograficamente
più aggiornata; un intero paragrafo è dedicato a «Le storie d’Israele, oggi» (pp.
6 4 -6 7 ); dì recente ne è uscita una nuova edizione inglese, aggiornata rispetto alla
italiana [An hitroductìon to thè H istory o f Israel and Ju d a b , London 19 9 3 ). M .
Noth, Storia d ’Israele, Brescia 1 9 7 5 : opera classica di un grande esegeta dell’An-
nco Testamento, la cui metodologia sottolinea Paspetto letterario delle tradizio­
ni; J. Bright, A History o f Israel , Philadelphia-London 3i 9 S i ftr. sp. Bilbao
*19 70 ): anche questo un classico che sottolinea l'importanza dell’apporto archeo­
logico; R, de Vaux, Histotre ancienne d*Israel , 2 voli., Paris 1 1 9 7 1 , n 1 9 7 3 : ope­
ra voluminosa e ricca, comprensiva del periodo che giunge solamente fino alJ'e-
poca dei Giudici; considerata talvolta eclettica, rimane di grande interesse; S.
Herrmann, Storia dì Israele . I tempi dell Antico Testam ento , Brescia 3i9 9 z : bre­
ve, ma densa, offre una buona sintesi; H. Cazelles, Storia politica d ’Israele dalle
origini ad Alessandro M agno , Roma 1 9 8 5 : densa e ricca di dati e informazioni a
prescindere dalla sua brevità; Popera fornisce una bibliografia estremamente nu­
trita; J.H . Hayes - J.M . Miller (edd.), Israelite and Judaean History , Philadelphia-
London 1 9 7 7 : testo abbastanza ampio, frutto del lavoro di vari specialisti del­
le diverse epoche storiche, di grande utilità; H, Donner, Geschtchte des Volkes
Israel und seiner N achbarn, Gottingen 1 19 8 4 , 11 19 8 6 : fautore, buon conoscito­
re d’Israele e dell’Oriente antico, ha pubblicato numerosi saggi di alto interesse
scientifico; nonostante la densità delPopera, le opinioni dell’autore non si posso­
no ignorare e sono sempre solidamente fondate.
io 8 Storia e istituzioni del popolo biblico

Tra le numerose storie generali del periodo compreso tra Alessandro Magno e
Bar Kochba, segnaliamo:
E. Schiirer, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù, edizione diretta e rive­
duta da G. Vermes, F. Mìllar e M . Black, Bresaa i 1 9 8 5 , 11 1 9 8 7 : l’opera più in­
fluente per un secolo intero, oggi completamente aggiornata; benché voluminosa,
rappresenta il miglior manuale esistente, denso, completo e molto ben documen­
tato; F.M . Abel, Histoire de la Palestine depuis la conquète d*Alexandre jusqu a
Vinvasion arabe , 2 voli., Paris 1 9 5 2 : opera classica, continua a essere utile canto
per Paccurata esegesi dei libri dei Maccabei e di Flavio Giuseppe, quanto per i
particolari geografici, archeologici e topografici; J. Maier, Il giudaism o del secon­
do tempio, Storia e religione , Brescia 1 9 9 1 : sintesi breve e ricca, tra quelle dispo­
nibili Ja più aggiornata e adeguata all’odierna storiografia, con ampia bibliografia
per ogni periodo e argomento, così come sulle fonti letterarie, destinata agli stu­
denti; C. Saulnier - C. Perrot, Storia d'Israele , m . D alla conquista di Alessandro
alla distruzione del tempio ( 3 3 1 a.C. - 1 3 3 a .C .), Rom a 1 9 8 8 : opera pedagogica­
mente molto ben presentata, contiene una buona collezione di testi importanti e
numerose schede di lavoro per V approfondimento dello studio; A. Paul, Il mondo
ebraico al tempo di Gesù. Stona e politica , Roma 1 9 8 3 : buona presentazione sin­
tetica, con «excursus» interessanti. Le opere specìfiche più importanti verranno
segnalate a) termine di ogni capitolo.

Per la stona del V ia n o Oriente ci limitiamo alle opere fondamentali:


M . Liverani, Antico Oriente. Sforza società econom ia , Bari 19 8 8 : è sull’argo­
mento la trattazione più recente e più completa; opera di uno studioso attrezzato
sui fronti dell’archeologia, della filologia e delia metodologia storiografica, forni­
sce una ricostruzione storica solida e approfondita. La trattazione classica e par­
ticolareggiata deila storia del Vicino Oriente antico (ormai da aggiornare) è ac­
cessibile anche in italiano: Università dì C am bridge , Storia antica del M edio
Oriente, M ilano 1 9 8 1 . Più sintetiche ma ancora utili l’opera collettiva (edita nella
Storia Universale Feltrinelli, voli. 2-4): Glè im peri dell'A ntico O riente , Milano 1
19 6 8 , il 19 6 8 , in 19 6 9 e P. Garelli - V . Nikiprowetsky, L e Procbe-O rient astati-
que , Paris 1 19 6 9 , 11 1 9 7 4 : opera che si distingue per ia chiarezza e la sua visione
d’insieme, offre una bibliografia completa, pedagogicamente molto efficace.
Capitolo in

L ’epoca premonarchica

I. I C I C L I P A T R IA R C A L I

Si dà il nome di cicli patriarcali alle distinte unità letterarie che il libro


della Genesi dedica ai vari patriarchi considerati quali antenati d’Israele.
È praticamente impossibile fare storia in senso stretto solo partendo da
questi testi. Il loro studio al massimo consente, da un punto di vista stori­
co, di stabilire un punto di riferimento entro cui collocare il tipo di vita
ivi descritta. I cicli patriarcali, di fatto, interessano più l’etnologo che lo
storico, a motivo dell’assenza di dati o di prospettive utili alla scienza
storica.
Nei cicli patriarcali due serie di elementi consentono di delineare il
quadro di vita dei personaggi e, soprattutto, dei gruppi: le genealogie e i
toponimi con gli itinerari. Nel mondo antico il modo più ricorrente per
situare una persona nel tempo è l’ordine genealogico. La sequenza padre-
figlio sottolinea la continuità delle generazioni. Tuttavia questa succes­
sione non indica necessariamente una continuità biologica. La genealogia
serve a esprimere una relazione commerciale, sociale, religiosa o tutte
queste assieme. E il mezzo ideale per trasmettere nel tempo un legame
esistente o per crearlo. Il sistema genealogico svolge un ruolo importante
nella Bibbia, non solo nella Genesi, ma anche in testi più recenti, come i
libri delle Cronache. Per quanto concerne gli antenati d’Israele conosciuti
come «patriarchi», oggi si ritiene che la struttura genealogica sia imposta
dal narratore ed esprima le relazioni stabilitesi tra i diversi gruppi in un
arco di tempo più o meno esteso. Le tradizioni, patrimonio dei vari clan,
s’intrecciarono e si armonizzarono nella misura in cui questi entravano in
relazione tra loro.
1 toponimi e gli itinerari consentono di situare ogni gruppo in uno spa­
zio determinato. Oggi la critica letteraria ammette senza difficoltà che il
ciclo d’Isacco si sviluppa intorno a Beersheba, mentre quello di Abramo
si localizza a Hebron-Mambre. Quello di Giacobbe si colloca probabil­
mente in Betel, mentre i testi relativi a Israele (gruppo o clan con identità
propria e diverso da Giacobbe) ruotano intorno a Sichem. Queste diffe­
renze geografiche percettibili nei testi, così come oggi si presentano, esi­
gono la distinzione di tradizioni patriarcali. Essendosi imposto con il
irò L’epoca p re monarchica

tempo il sistema genealogico, si stabilisce una cronologia lineare, con re­


lazioni tra padri e figli, e vengono modificate le tradizioni, affinché tutti i
personaggi, considerati dalla posterità come antenati, «passino» attraver­
so i luoghi di origine dei vari patriarchi.
Si danno due gruppi di tradizioni patriarcali: uno nel sud, con Àbramo
e Isacco, Taltro nel nord, con Giacobbe e Israele. I racconti su Giacobbe e
Labano permettono di farsi un’idea chiara sulle relazioni tra i gruppi e
sul meccanismo con il quale un individuo fonda un clan partendo da un
altro già esistente (Gen. 2,9-31).
Tra i gruppi detentori delle tradizioni patriarcali e le tribù coeve all'in­
sediamento in Canaan esiste continuità e frattura. Frattura, poiché nessu­
na delle tribù ha come nome quello di un antenato; mai nella Bibbia ver­
ranno usati i nomi di questi antenati. Nessun patriarca, inoltre, ha un no­
me teoforo con Jhwh e neppure con Baal, fatto ricorrente a partire dall'e­
poca delle tribù. Questi due dati esprimono in modo inequivocabile resi­
stenza di una frattura reale tra il gruppo dei patriarchi e quello delle tribù
che formeranno in seguito il popolo d’Israele. Ma, allo stesso tempo, vi è
ima continuità: le tribù hanno raccolto e fatto proprie quelle tradizioni.
Il problema è che oggi ignoriamo su quale piano si collochi tale continui-
ta e come si sia costituita storicamente, ira 1 epoca in cui vissero 1 gruppi
patriarcali e quella in cui nacquero tali tradizioni bisogna supporre un
periodo di tempo abbastanza esteso, per consentire il passaggio dalla vita
seminomade all’insediamento e alla sedentarizzazione, ma abbastanza
breve per impedire alle tradizioni di diluirsi.

II. E G IT T O E D E S O D O

La figura predominante negli ultimi quattro libri della Torà è, senza alcun
dubbio, Mosè. Egli è l'asse principale della storia d’Israele in Egitto, nel­
l’esodo e nell’attraversamento del deserto fino alFarrivo a Canaan. L'esi­
stenza storica di Mosè è stata messa in dubbio per il carattere leggendario
di molte sue azioni e il miscuglio di tradizioni che lo riguardano, il che
pone problemi complessi o di soluzione impossibile. In tutte le tradizioni
della fondazione d’Israele, tuttavia, Mosè ha un importanza tale che, co­
me disse Sòderblom all’inizio del secolo, «se la tradizione non dicesse
nulla di Mosè, bisognerebbe inventarlo». In ogni modo, ciò non toglie al­
la figura di Mose di collocarsi ai «limiti della veridicità storica».

x. Nascita e nome di Mosè

Es. 2 ,1-10 è una tipica leggenda sulla nascita dell’eroe. I parallelismi, so­
prattutto con il mito della nascita di Sargon di Agade, sono stati messi in
Egitto ed esodo 11 j

luce da molto tempo. Tuttavia, benché le ongini e la nascita di Mosè si


perdano nella nebbia dei tempi, rispetto alla sua persona ci sono alcuni
dati storici inconfutabili. In primo luogo, la sua nascita in Egitto. Tutti
gli indizi convergono in questo senso, e non c’è nessuna ragione per cui la
tradizione situasse senza alcun fondamento storico la nascita del suo eroe
salvatore in Egitto. Tanto più che il nome proprio dell’eroe, Mosè, è egi­
ziano di origine e formazione. L ’etimologia di Es. 2,1 non ha nessun va­
lore da! punto di vista linguìstico e storico. Mosè storicamente nacque in
Egitto, ha nome egiziano e i suoi genitori erano «ebrei».

2. Mose e Madian

Es, 2 ,11- 2 2 riferisce la fuga di Mosè dall’Egitto, il suo arrivo a Madian,


raccettazione dell’ospitalità offertagli dal sacerdote madìanita (Reuel o
letro secondo le tradizioni) e il matrimonio con una delle sue figlie, Sip-
pora. Da questa unione nacque un figlio, Gershom, Geograficamente
Madian deve collocarsi con tutta probabilità a sud del Negev (cfr. 1 Re
n ,r 8 ) , a nord del deserto di Paran.
Le relazioni di Mosè con Madian sono state messe in dubbio: si è af­
fermato che il suo nome fu inserito in queste tradizioni e testi soltanto più
tardi. Ma in epoche successive Madian fu uno dei nemici tipici d’Israele e
l’ostilità dei madianiti divenne proverbiale (cfr. Num. 25.6-9 con il rac­
conto dt Baal Peor; Num. 3 1 e la guerra santa tra i due popoli; e, soprat­
tutto, Le tradizioni su Gedeone, G ìud. 6-8, rievocate molto più tardi in Is.
9,3). In questo contesto appare inverisimile attribuire alla tradizione l’in­
venzione delle relazioni del proprio eroe fondatore con i nemici ereditari
e il suo successivo matrimonio con una delle figlie «del sacerdote di M a­
dian». Mosè, quindi, intrattenne relazioni con i madianiti.
Lo stesso dobbiamo dire del suo matrimonio in Madian. È impossibile
ricondurlo a un’mvenzione, a differenza delPunione con una kenita, con
cui si cercava dì controbilanciare l’impressione negativa del matrimonio
madianita (cfr. Giud. 1,16 ). L ’integrazione dei keniti nella tribù di Giuda
è infatti abbastanza sicura.
Si è parlato frequentemente anche dell’origine madianita (talvolta keni­
ta) della religione j ah vista trasmessa da Mosè al suo popolo dopo i con­
tatti con il «sacerdote di Madian». Storicamente non si può dire nulla di
certo su questo punto, poiché non sappiamo niente sulla religione dei
madianiti dell’epoca; in più il titolo «sacerdote di Madian» è probabil­
mente un anacronismo e, a ogni modo, non offre alcuna base solida per
tale affermazione. Restano peraltro senza spiegazione i motivi alla base
dell’uscita di Mosè dall Egitto e il suo arrivo a Madian.
3. L'esodo

Le tradizioni sull’esodo degli ebrei d’Egitto sono tanto varie e numerose


quanto complesse. I conflitti tra i clan ebraici e le autorità egiziane costi­
tuiscono J fondamento e ii punto di partenza dell’esodo. La ragione del
conflitto nei testi è esposta chiaramente: gli egiziani costringono gli ebrei
a lavorare in condizioni insopportabili (Es. 1 , 1 1 - 1 4 ; z,2.3; 3,7). Secondo
Es. i , i i , gli ebrei furono obbligati a lavorare alla costruzione delle città
di Pi-Tom e Ramses. Il dato, sebbene non possa essere storicamente pro­
vato, ha molti risvolti oggettivi. Non è il primo caso conosciuto dell’Egit­
to antico in cui le autorità reclutassero, piu o meno con la forza, le tribù
seminomadi che girovagavano per il Delta del Nilo.
Questa condizione lavorativa era difficile da tollerare per genti abituate
alPindhpendenza dei pastori seminomadi. È quindi molto probabile che
tentassero la fuga. I testi delPEsodo, parlando delio scontro tra Mosè e il
faraone, riportano che gli ebrei chiesero al sovrano di lasciarli andare
verso il deserto: «Così dice il Signore d'Israele: lascia partire il mio popo­
lo affinché mi celebri una festa nel deserto» (Es. 5,1). Il motivo, o prete­
sto, per la fuga fu la celebrazione di un atto di culto nel deserto. Si tratta
del sacrificio pasquale di primavera, sacrificio preisraelitico? E verisimile.
La risposta negativa delle autorità indusse alla fuga. Due sarebbero quin­
di le componenti alla base dell’esodo: la schiavitù e il culto. Il popolo, i
clan ebraici che piu tardi formeranno Israele, poiché gli egiziani non li la­
sciavano liberi di praticare i propri riti ancestrali e stanchi delle condizio­
ni di lavoro, decisero di fuggire nel deserto per celebrare la loro festa.
Gli egiziani non potevano restare inerti di fronte alla scomparsa di una
manodopera tanto a buon mercato. Inseguirono i fuggitivi (Es. 14,5-8). I
clan ebraici, vedendosi gli egiziani alle spalle, «morti di paura gridarono
verso Mosè» (Es. 14 ,10). Quanto accadde in quella circostanza non si sa­
prà mai. In seguito, i fuggitivi conobbero una liberazione tanto reale
quanto insperata nelle miserabili condizioni in cui si trovavano; ciò dette
loro la spinta per proseguire e dare avvio a una fase nuova della loro sto­
ria. Questo schema è storicamente il più verisumle. Tuttavia la realtà non
possiamo che immaginarla con la sequela di dati e amplificazioni leggen­
darie e cultuali che, nel corso della storia, andarono accrescendo la nar­
razione primitiva di quella esperienza. ì gruppi ebraici saranno stati im­
portanti, ma non poi al punto da far uscire Pescrcito del faraone alla loro
ricerca. Che alcuni distaccamenti di frontiera si lanciassero alPinsegui-
mento è probabile, ma niente dì più. Le dimensioni dell’avvenimento fu­
rono, senza dubbio, molto modeste, salvo per coloro che provarono la li­
berazione.
Un’altra tradizione, tuttavia, presenta l’esodo non come fuga, ma come
Egitto ed esodo 113

conseguenza di un’espulsione decretata dal faraone. Nei testi attuali le


due tradizioni appaiono mescolate. In Es. 6,1 Dio dice a Mosè: «Presto
vedrai che cosa farò al faraone: grazie a una mano forte li espellerà dal
suo paese». Storicamente questa è una contraddizione, poiché, se gli egi­
ziani necessitavano di manodopera, rimane un controsenso l’espulsione
ebraica. A prima vista questa tradizione sembra trovare la sua origine
nella cacciata degli hyksos, semiti che dominarono l’Egitto nel xvn seco­
lo avanti Cristo.
Le tradizioni dell’esodo e, più specificamente, t conflitti con il faraone
trattano ampiamente delle famose piaghe. La composizione letteraria che
li riguarda è complessa. Storicamente non se ne può dire nulla. È possibi­
le che alcuni fenomeni naturali siano serviti da punto di partenza per la
creazione di questo ciclo letterario leggendario e popolare.

4. Il monte di Dio

In Es. 18,5 si dice che Ietro, suocero di Mosè, «andò a visitarlo nel deser­
to dove erano accampati, presso il monte di Dio». In Es. 19 ,1-3 si rac­
conta come gli ebrei giunsero nel deserto del Sinai e si accamparono vici­
no al monte. Mosè «sali al monte di Dio». Queste sono le notizie reperi­
bili dal punto di vista storico sul luogo in cui le tradizioni collocano l’in­
contro d’Israele con il suo Dio. Il «monte di Dio» è il luogo in cui Mosè
ebbe il suo primo incontro con il Dio d'Israele (Es, 3,1) e, secondo la tra­
dizione elohista, gli venne comunicato il nome di Dio, punto di partenza
della missione affidata in quell’occasione al liberatore del popolo. Si trat­
ta quindi di un luogo sacro nel quale, probabilmente, i vari gruppi umani
della regione, nomadi o seminomadi, avevano l'abitudine di celebrare le
loro feste cultuali.
Quanto alPeffettivo nome del monte si può dire ben poco. Le tradizio­
ni jahvista e sacerdotale lo chiamano «Sinai», ma la denominazione si
applica meglio alla regione, come sembra in Es. 19 ,1-3 . Sì è detto che
«Horcb» era la designazione utilizzata dai testi elohisti e deuteronornici.
Bisogna precisare che «Horeb» viene utilizzato nei testi della scuola deu-
teroriomista e che, nella maggior parte dei casi, si tratta sempre di ag­
giunte. È possibile, come sostiene R. de Vaux, che l’assonanza Sinai/Sin
(dio lunare) spingesse i Deuteronomisti ad attribuire un altro nome al
«monte di Dio».

5. Mosè e il decalogo

Le diverse tradizioni collocano sul «monte di Dio» e nei suoi dintorni una
serie di avvenimenti fondamentali e fondanti per la vita del popolo. Uno
114 L’epoca premonarchica

di questi è il dono del decalogo da parte di Dio a Mosè. Nonostante i nu­


merosi elementi che la tradizione biblica unisce al «monte di Dio», si nota
una reale insistenza dei testi nel separare i «dieci comandamenti» per
porli in stretto rapporto con Mosè.
La relazione tra il decalogo e la teofania del «monte di Dio» è proba­
bilmente artificiale, dato che Es. 2,0,1-17 (decalogo) si inserisce fra il rac­
conto del cap. 19 e la sua prosecuzione logica in 2.0,18.
La storia del decalogo è complessa. I) suo legame con Mosè è plausibile
e, in questo senso, la tradizione biblica lo sottolinea senza dar luogo a
dubbi. Tuttavia mancano prove decisive sull’origine mosaica del decalo­
go. Quanto al contenuto, la sua importanza è da ricercare nel quadro
storico entro cui lo inseriscono le tradizioni e nella relazione con la fede
jahvista in cui le tradizioni lo innestano.

6 . Il Dio di Ài osé e il Dìo dei padri

A partire da Es. 3, con l’eccezione di quella jahvista, le altre tradizioni


del Pentateuco danno al Dio d’Israele il nome che egli stesso ha rivelato a
Mosè sopra «il monte di Dio»: Jahvé. In questi passi, pertanto, Jahvé s’i­
dentifica con il «Dio dei vostri padri». I testi (soprattutto Es. 6,3, sacer­
dotale) sottolineano la distinzione tra la fede in Jahvé e la fede nel Dio
dei padri. Se si confrontano le narrazioni dei patriarchi e il resto dei testi
biblici, le differenze balzano agli occhi. 1 testi insistono sull identità, ma è
difficile comprendere il processo d’identificazione. La fede degli antenati
manifesta un’apertura verso il futuro, fondata soprattutto sulle promesse
di una terra e di una discendenza. Le vicende dell’esodo, in cui gli ebrei
videro la mano di Jahvé, liberatore di Mosè, si prestavano a riconoscere
in lui la concretizzazione delle promesse fatte agli antenati dal «Dio dei
padri». È difficile essere più precisi.

7. Qadesh e le steppe di Moab

Qadesh è una località a sud-ovest di Beersheba, il cui nome si e conserva­


to fino ad oggi. Nell’epoca monarchica 1 re di Gerusalemme vi costruiro­
no fortezze difensive, riportate alla luce alcuni anni fa; qui passava allora
la frontiera meridionale del regno. V'ari testi collocano in questo luogo
una delle tappe piu importanti del gruppo guidato da Mosè sulla strada
di Canaan dopo l'uscita dall’Egitto. Giud. 1 1 ,1 6 - 1 7 presenta un compen­
dio della sosta a Qadesh. Le tradizioni vi ambientano diversi avvenimen­
ti: la morte di Maria, sorella di Aronne (Num. 20,1), l’esplorazione di
Hebron e del suo cerritorio (si spiega e si chiarisce così il suo possesso
da parte del gruppo di Caleb, elemento fondamentale della futura tribù
Il contesto socio-politico limitrofo

di Giuda, e si riferisce che alcune tribù penetrarono in Canaan dal sud) e,


infine, l’invio di messaggeri a Edom per chiedere il permesso di attraver­
sare il suo territorio e procedere verso Moab (Num. 20,14 -21).
Gli avvenimenti più importanti successivi alla sosta a Qadesh si situano
nelle steppe di Moab (Num. 2 1 , 1 1 ss.; 22). È ditficile ricostruire l’itinera­
rio seguito dal gruppo guidato da Mose. Gli episodi narrati, ambientati
nelle steppe di Moab, non sono storicamente verificabili. Soltanto uno è
incontestabile: la morte di Mosè. Il fatto che l’eroe nazionale muoia nel-
rultima tappa, prima della fine del viaggio, non ha migliore spiegazione
che la sua realtà storica.

III . I L C O N T E S T O S O C I O -P O L I T I C O L IM I T R O F O :
I CANANEI

La terra promessa dei testi biblici non era disabitata quando gli israeliti
vi giunsero. Il mosaico di popoli era nutrito. Non c’è da dimenticare, tut­
tavia, che alcune denominazioni riscontrabili nella Bibbia (horrei, ad
esempio) potevano essere nomi geografici dei territori circostanti utilizza­
ti successivamente senza troppa precisione. È probabile che il termine «it­
tita» definisca alcuni gruppi provenienti dall’antico impero ittita, scom­
parso con l’invasione dei popoli del Mare. I gebusei, abitanti di Gerusa­
lemme, sono quelli descritti con maggiore nitidezza. I gabaoniti di G ios.
9-10 e 2 Sam. 2 1 sono certamente cananei. Per altri gruppi etnici man­
cano dati per precisarne la localizzazione. Riguardo ai filistei si veda sot­
to, cap. iv, 1,1.
L ’insieme del cosiddetto paese di Canaan era stato per molto tempo
sottoposto all’autorità egiziana, come mostrano i testi egiziani di esecra­
zione e, soprattutto, le lettere di EPAm àrna. Grazie a questi testi è possi­
bile concludere che il sistema politico dominante era quello di «città-sta­
to». Ognuna comprendeva la città e un territorio più o meno ridotto alle
sue adiacenze. Tra le città piu volte menzionate nelle sopracitate lettere
si possono ricordare: Megiddo, Hebron, Asqelon, T acanak (associate a
nomi di principi indoariani). Gerusalemme (con un principe dal nome
hurrita), Sichem, Gezer, Laku, Hasor e Pella (con principi dal nome se­
mitico) .
Al momento dell’arrivo degli israeliti in Canaan l’indipendenza di que­
ste città-stato era totale. L ’esistenza di federazioni di diverse città di fron­
te a un comune pericolo è assai probabile, come lasciano intendere alcuni
testi biblici.
L ’archeologia ha dimostrato che l’urbanizzazione e la cultura di que­
st’epoca in Canaan (Bronzo Recente) era ricca e addirittura raffinata. In
varie città si constata la distruzione e una frattura culturale, dovuta prò-
Il6 L’epoca premonarchica

babilmente alla conquista israelitica. Gli ultimi arrivati non possiedono il


livello culturale dei loro predecessori cananei.

IV . L ’ I N S E D I A M E N T O IN C A N A A N

La stele del faraone Merneptah (1224-1204) è il primo testo cxtrabibli-


co in cui appare il nome «Israele». Il determinativo che accompagna il
termine segnala che si tratta di un gruppo umano e non di un paese o di
una citta. In questa testimonianza egiziana si e spesso ravvisata una con­
ferma della presenza in Canaan delle tribù israelitiche uscite dall’Egitto.
Attualmente le cose appaiono molto meno certe. In effetti, il nome d’I­
sraele non indica prima dell’epoca di Davide l’insieme delle tribù. Ai tem­
pi di Merneptah le tribù non erano ancora costituite, ma si trovavano per
la maggior parte nel loro periodo di formazione e, a fortiori, il loro nu­
mero, dodici, non era ancora fissato. Non si può tuttavia negare resisten­
za storica di un gruppo chiamato Israele. Si constata, d’altra parte, che il
termine servirà per designare 1*insieme delle tribù dopo l’integrazione con
esse del gruppo d'Israele. I particolari della vicenda sono molto difficili da
determinare.

1. Le tribù del centro


Ancora una volta dobbiamo rinunciare a una spiegazione particolareggiata. Ci li­
mitiamo a segnalare ì risultati conseguiti dalla critica storica attuale.
Per quanto riguarda le tribù della parte centrale di Canaan, il lettore della Bib­
bia si trova di fronte ad affermazioni generiche. La casa di Giuseppe è situata in
un luogo primordiale in questa zona centrale della Palestina. M a Giuseppe non è
nome di una tribù, bensì di una persona. La denominazione «casa di Giuseppe»
comprende le tribù di Manasse e di Efraim. Ora, da dove nasce la denominazione
«casa di Giuseppe»? I testi più antichi che la utilizzano (Giud. 1 ,2 2 ; 2 Sani. 19,
2 1 ; 1 Re 1 1 ,2 8 ) , risalgono probabilmente all’epoca di Davide e la loro intenzio­
ne è di istituire un parallelo con la «casa di Giuda».
Manasse è nome di persona (cfr. il figlio di Ezechiele, re di Giuda). Il territorio
è descritto in Gios. 1 7 , 7 - 1 3 . Il suo centro si trova in Sichem, benché la città venga
conquistata all’epoca di Abimelek. Il clan di M akir costituisce uno dei gruppi più
importanti di questa tribù, il cui territorio è a volte collocato in Cisgiordania, al­
tre volte in Galaad, sull’altra sponda del Giordano. L ’antico testo del cantico di
Debora (Giud. 5 ,14 ) ne attesta Limportanza e l’autorevolezza (cfr. Num , 3 2 ,3 9 ;
Gios. 1 7 ,1 ) .
Efratm è nome geografico, come mostra l’espressione «montagna di Efraim».
Silo si colloca sul confine tra Manasse ed Efraim. Betel è il centro cultuale più im­
portante di Efraim (Gius. 16 ,5 -10 ). Continui furono i conflitti per l’egemonia tra
Manasse e Efraim (cfr. Giud- 8 ,1 - 3 ; 1 2 ,1 -6 ) . À poco a poco Efraim raggiunse la
supremazia. Giosuè l’efrainiita e Geroboamo 1, pure.
L’insediamento in Canaan 117

La terza tribù del centro è Beniam ino , denominazione geografica («figlio della
destra»), cioè «quello del sud» dal punto di vista di Efraim. Il suo territorio si
colloca fra Betel e Gerusalemme; qui si trovano le quattro città gabaonite (G io s .
9 ,17 ) . Questa tribù segue per importanza quella di Efraim (Giud. 5 ,14 ). Saul era
beniaminita.
Di queste tribù del centro, una parte molto importante dovette dimorare in
Egitto e partecipare agli avvenimenti dell’esodo, della marcia attraverso il deserto
e la Transgiordania e della conquista dell’area centrale di Canaan.

2. Le tribù del sud

Il punto di riferimento essenziale del sud è G iuda. L a denominazione è geografica


e servì per indicare un gruppo di clan che costituirono la tribù di Giuda. Il nucleo
primitivo di tale tribù sembra essere un clan di Efrata (Gen. 3 5 ,1 9 ; 4 8 ,7 ; M ich.
5 ,iJ appartenente alla tribù di Beniamino. Gen. 3 8 ,1 afferma che «Giuda si è se­
parato dai suoi fratelli», allusione probabile all’insediamento sulla montagna di
Giuda, a Betlemme. Altri clan vennero aggregandosi a quello di Efrata sulla mon­
tagna di Giuda che va da Betlemme a Hebron. Il più importante è quello dei ca­
lchiti, di cui s ’è parlato a proposito di Qadesh e che occupò Hebron e il suo ter­
ritorio (Num. 1 3 - 1 4 ; D eut. 1 ; Gios. 1 4 ; 15 ). Imparentati con questi, appaiono i
kenizziti (G/os. 1 5 , 1 7 ) , affini agli edomiti del sud {Gen. 3 6 ,12 ) . Gli ieracmeeliti
sono localizzati a sud di Hebron (1 Sam. 30 ,29 ), come i keniti {G iud. 1 , 1 6 e j
Sam. 30 ,29 ).
Il legame di Giuda con gli avvenimenti dell’esodo deriverebbe dalle tradizioni
del clan efrateo e, forse, dai calebiti. L ’importanza della tribù di Giuda acquisirà
dimensioni considerevoli con Davide, fino a rimanere praticamente sola dopo la
scomparsa del regno del nord.
Sim eone , nome di persona, figura accanto a Levi nell’episodio narrato in Gen.
3 4 , 2 5 - 3 1 , difficile da spiegare dal punto di vista storico. U suo territorio si trova­
va nella zona di Beersheba, secondo G iud. 1 , 3 . 1 7 . Secondo Gios. 1 9 , 1 , tuttavia,
il suo territorio si collocava «in mezzo all’eredità dei figli di Giuda», formula in­
dicante, senza dar luogo a dubbi, che Simeone fu assorbita da Giuda. E possibile
che gruppi simeoniti fossero stati in Egitto.
Dan è nome di persona. Il suo territorio si trova nella Shefela {Gios. 19 ,4 0 -4 6 ).
Per cause non chiare, tutta la tribù o una parte di essa decide di emigrare. E l’uni­
co racconto noto di emigrazione {Giud. 18 ). Si istallano nella città di Laish e nel
suo territorio, nel nord del paese, alle sorgenti del Giordano. Cambiano nome al­
la città, che assume quello della tribù. L ’espressione «da Dan a Beersheba» desi­
gnerà, a partire da Salomone, i confini settentrionali e meridionali del regno.

3. Le tribù del nord

Quattro tribù occupano la regione settentrionale del paese. La tribù di A ser si


estendeva, secondo Gios. 1 9 , 2 4 - 3 1 , dal Carmelo verso nord, fino a Tiro. I dati
sono tuttavia piuttosto nebulosi. Vivono mescolati ai cananei e lavorano per loro
Ii8 L'epoca premonarchica

(Giud. 5 j 17). Insediatisi da tempo nella zona, non parteciparono agli avvenimen­
ti dell’esodo.
La tribù di Zàbulon , secondo Gios. 1 9 ,1 0 - 1 6 , si stabilì nella zona dell’attuale
Nazaret, sotto il controllo dei cananei della valle di Izreel. Giud. 5 , 1 4 .1 8 loda
questa tribù per la partecipazione alla battaglia. Neppure loro vissero le vicende
dell’esodo.
La tribù di Neftali , il cui nome è probabilmente di origine geografica, è situata
a est del Lago di Hule. Nettali occupa un posto importante nel cantico di Debo­
ra (Giud. 5 ,18 ). Baiaq, che divenne comandante delle truppe, era di questa tribù.
Anch’essa ignora gli avvenimenti dell’esodo.
Issacar, il cui appellativo richiama il lavoro salariato, si era insediata nella par­
te orientale della pianura di Izreel. È incerto se conobbe gli avvenimenti delLesodo.

4. Le tribù transgiordane

Oltre M akir — clan di Manasse, come sì è visto — le tribù di Gad e Ruben si stan­
ziarono nella regione di Galaad (Gios. 1 3 ,8 - 1 3 ) . La tribù di Levi , tribù senza ter­
ritorio, originariamente profana, si specializzò nel culto.

V . D A L L O S T A N Z I A M E N T O IN C A N A A N
A LLA M O N A R C H IA

Il lettore del libro dì Giosuè trae la conclusione che l’insediamento delle


tribù israelitiche in Palestina fu il risultato di una conquista paragonabile
a una passeggiata trionfale, salvo alcuni incidenti minori come quello del
cap, 7, la storia della violazione dell’anatema da parte di Àkan. Al con­
trario, chi legge attentamente il libro dei Giudici giunge a una conclusio­
ne molto diversa, giacché questo libro evidenzia largamente le difficoltà
delio stanziamento. L ’incapacità delle tribù a controllare effettivamente il
territorio assegnato appare sottolineata con una certa insistenza in Giud.
1. È tuttavia da riconoscere che nel libro di Giosuè in alcuni casi partico­
lari si parla anche di questo.
Riguardo allo stanziamento delle tribù israelitiche in Canaan i ricerca­
tori sono giunti a due diverse conclusioni. Alcuni pensano che gli ebrei
s’insediarono lentamente e progressivamente nelle zone disabitate e che
solo con Davide si sarebbe giunti alla conquista militare propriamente
detta delle città cananee. Altri sottolineano la presenza di racconti biblici
che dimostrano come dato di fatto la conquista militare e la conferma da
parte del l’archeologia dei testi di Giosuè e dei Giudici. Non esiste con­
traddizione tra le due tesi. È difficile negare che l’infiltrazione fu un siste­
ma in importanti circostanze, come l’occupazione deila montagna di
Efraim. Ma nel contempo bisogna accettare la conquista militare di alcu­
ne citta, come Hasor al nord e, probabilmente, Hebron al sud.
La religione nell’epoca premonarchica 119

Il famoso testo di Giud. 4-5, la guerra contro Sisara e il cantico di De­


bora, presenta la trama complessiva degli avvenimenti deirepoca. Benché
gli israeliti fossero in un primo momento relegati nelle zone montane, le
loro incursioni nella pianura, controllata dalle città cananee, non poteva­
no non renderle inquiete. Lo scontro diventava inevitabile e, in alcuni ca­
si come questo, il risultato era favorevole ai nuovi arrivati.
Tuttavia, rispetto a simili racconti biblici bisogna assumere grande
cautela e sottoporli a profonda critica letteraria e storica per accertare la
finalità della narrazione e, nei limiti del possibile, i fatti storici. Gli esem­
pi più noti sono Gerico e Ai. All’epoca dell’arrivo degli israeliti, Ai non
era abitata né fortificata. Gerico non aveva mura. Ammesso che la finali­
tà di questi testi non è fare storia nel senso attuale del termine, lo storico
deve cercare di scoprire la funzione sociale e religiosa di tali racconti.

V I. L A R E L IG IO N E
n e l l ’e p o c a p r e m o n a r c h ic a

1. Introduzione
È impossibile studiare la religione d’Israele indipendentemente dalla sua
storia. Gli avvenimenti storici tracciano in forma essenziale lo sviluppo
della religione d’Israele. La situazione è simile a quella presente nello stu­
dio di tutte le religioni; nel caso d’Israele il fenomeno ha, tuttavia, carat­
teristiche peculiari.
Nel suo divenire la religione d’Israele non soltanto è intimamente lega­
ta agli avvenimenti storici, ma la storia costituisce il nucleo fondamentale
di questa religione. La nascita d’Israele e della sua religione si radicano
nella storia e i fatti storici sono parte del contenuto stesso della religione.
La fonte principale per il loro studio è la Bibbia. Ma non si deve mai
perdere di vista il fatto che la Bibbia non offre una presentazione sistema­
tica della religione d’Israele né un panorama strutturato delle teologie via
via riscontrabili nella storia del popolo. La Bibbia è un insieme di testi­
monianze di personaggi o di gruppi che plasmarono attraverso lo scritto
le esperienze di fede, le profonde riflessioni sopra queste esperienze in
rapporto alle necessità della comunità in determinati momenti. Questa ri­
conobbe in detti testi l’espressione autentica della fede d’Israele e la paro­
la del suo Dio.
Ciò porta a riconoscere una grande difficoltà che ogni studioso della
religione d’Israele deve affrontare. I testi biblici sono di epoche diverse e,
per avere un’idea chiara e organica della religione d’Israele, bisognerà te­
nere presenti le varie epoche dei testi per non attribuire erroneamente le
stesse credenze e le stesse pratiche ai differenti momenti della religione
d’Israele. Su questo punto così delicato l’opinione degli autori è spesso
I zo L ’epoca premonarchica

divergente. Le linee generali sono tuttavia accettate dalla maggior parte


degli studiosi contemporanei. Nella breve presentazione che segue, questa
unanimità sarà sufficiente a fornire gli elementi fondamentali della reli­
gione d’Israele.
Da quanto detto si deduce che la trattazione qui presentata delio studio
della religione d’Israele sarà storica e non teologica. Come la religione
d’Israele è intimamente legata alla sua stona, così questa è parte di quella
del Vicino Oriente. Perciò è imprescindibile il ricorso ai testi dei popoli
vicini per ordinare le credenze e le pratiche della religione israelitica nelle
sue distinte fasi. Gli elementi di comparazione si fanno di volta in volta
pm numerosi grazie alle scoperte archeologiche, che spesso forniscono te­
sti e dati di estrema utilità.
In questo lavoro comparativo non bisogna dimenticare i pericoli insiti
in ogni confronto. Un elemento comune in riti di popoli diversi non pre­
suppone obbligatoriamente la stessa funzione del rito né Tidentità delle
credenze in esso esplicitate. Ogni elemento della comparazione dev’essere
situato nello stesso ambito in cui si svolge e le conclusioni in rapporto al­
le analogie o alle differenze nei diversi piani dovranno tener conto del
contesto e della finalità.
Anche quando è il testo biblico il punto d’avvio dello studio della reli­
gione d'Israele, non si può tralasciare l’archeologia quale importante fon­
te per questa ricerca. Non bisogna dimenticare che il testo biblico rappre­
senta in un certo modo il testo ufficiale, l’espressione normativa della re­
ligione israelitica. Le pratiche e le credenze concrete degli israeliti nelle
loro distinte fasi storiche, tuttavia, non coincidono necessariamente con
l’espressione ufficiale della religione stessa.
Questa distinzione metodologica trova conferma nel confronto della
religione d’Israele, quale si riflette nei testi biblici, con alcuni risultati of­
ferti dagli scavi archeologici. La discrepanza tra le due realta e da tener
presente nello studio della religione israelitica, per non offrire una visione
idealizzata delle pratiche e delle credenze d’Israele, non corrispondenti
cioè alla realtà storica.
Una caratteristica essenziale della religione d’Israele, comunemente ac­
cettata, è il suo particolarismo. Israele si presenta come un popolo appar­
tato, separato, differente, non soltanto nella sua storia ma soprattutto
nei suoi modi di vita e nelle credenze religiose. Simili affermazioni vanno
sfumate.
Delle pratiche religiose d’Israele (feste, riti, sacrifici e altre istituzioni
dell’ambito religioso), nemmeno una gli è peculiare, salvo forse alcune
delle più recenti, in cui andrebbero ricercati influssi stranieri. Israele
adottò le istituzioni e le pratiche religiose dei gruppi confinanti. La pianta
dei santuari, compreso quello di Gerusalemme, l’istituzione e la funzio­
La religione nell’epoca premonarchica IZI

ne del sacerdozio, i diversi sacrifici, le feste, come la pasqua, gli azzimi,


quella della raccolta e altre, esistevano fra i popoli vicini e Israele se ne è
appropriato.
Israele adotto riti, feste e istituzioni di altri popoli, ma conferì loro un
contenuto radicalmente diverso: feste, riti e istituzioni si trasformano nel­
la relazione tra Dio e il suo popolo, relazione che nasce e vive nella sto­
ria. Israele non celebra miti, ma i fatti storici del suo incontro con Dio.
Questa è la pretesa caratteristica della religione d’Israele.
Un’ultima osservazione preliminare. La religione d’Israele è pluralisti­
ca. Alla fine dell’epoca veterotestamentaria esiste una evidente unità, un
corpo di credenze e di modi di vivere ampio e consistente; questa unità,
tuttavia, è il frutto di una lunga storia di assimilazione e integrazione di
differenti apporti al patrimonio che divenne comune a tutti quei gruppi
che formarono il popolo d ’Israele. Tale unità non significa uniformità e
anche nell’epoca neotestamentaria il modo di vivere e interpretare il pa­
trimonio comune non era omogeneo.

z. L'epoca dei patriarchi

Scarsi sono i dati sulla religione dei gruppi patriarcali. Come per tutti i
problemi riguardanti quest’epoca. La trattazione sulla religione è piu et­
nologica che storica.
Alla stregua dei vari gruppi seminomadi, i patriarchi veneravano un dio
personale, un dio-padre o meglio un «dio del padre», cioè il dio dell'ante­
nato fondatore del gruppo. Questo dio assumeva una funzione eminente­
mente protettrice del gruppo, che «accompagnava» nelle peregrinazioni
in cerca dei pascoli e dell’acqua per le greggi.
I seminomadi non avevano santuari propri, frequentavano quelli dei
sedentari, poiché intrattenevano con essi contatti regolari dovuti alle re­
lazioni commerciali.
Così, in Gen. 12 ,5 ^ 9 , troviamo Àbramo in località come Sichem, M o­
re, Betel, celebri santuari cananei preisraeliti. Lo stesso si può dire di Be­
tel e Giacobbe (Gen. 28,10-22). In entrambi i casi il testo biblico presenta
i patriarchi nell’atto di erigere altari e stele commemorativi della manife­
stazione divina che li ha coinvolti. Giacobbe unge la pietra su cui ha dor­
mito dopo averla eretta a stele.
Le pietre e gli alberi sacri furono, sembra, elementi importanti per que­
sti clan seminomadi. Erano considerati manifestazioni della presenza del­
la divinità.
Di quest’epoca e di questi gruppi si conosce una festa fondamentale: la
festa di primavera, la festa di pasqua. Era una festa tipica di allevatori di
bestiame (pecore, capre) destinata a tutelare il bestiame e soprattutto la
I zz 1/epoca premonarchica

sua fertilità. Il sacrificio di un animale del gregge costituiva il pranzo cul­


tuale del gruppo e ii sangue con cui si spalmavano i picchetti delle tende
doveva proteggere uomini e animali dallo spirito distruttore.
È molto probabile che questi semi nomadi presentassero anche offerte
non cruente.

3. Egitto > Mosè e Vingresso in Canaan

La religione dell’epoca patriarcale non conteneva nessun elemento pecu­


liare della religione d’Israele. Il momento chiave, fondamentale per una
serie di gruppi che più tardi formeranno il nucleo del popolo dlsraele e
gli daranno il tono religioso, è la liberazione dall’Egitto. Israele considera
sempre più la salvezza sperimentata con l’uscita dall’Egitto come punto
di partenza e nucleo essenziale della sua fede.
I gruppi che sperimentarono tale salvezza furono essenzialmente quelli
chiamati in seguito «la casa di Giuseppe»; intorno a loro si aggregarono
gli altri che accettarono l’esperienza della liberazione dall’Egitto vissuta
dai primi come base della nuova fede.
A questo nucleo fondamentale si aggiunsero via via elementi prove­
nienti dai diversi gruppi o dai vari santuari, allorché quanti giunsero a
Canaan s’insediarono nel territorio disponibile. Antiche tradizioni in ori­
gine prive di connessione con gli israeliti erano recuperate e integrate nel
quadro della nuova fede, dopo un indispensabile adattamento del loro
specifico carattere.
Come oggetto cultuale di quest’epoca si può citare Parca. Simboleggia
la presenza protettrice del dio d’Israele, spesso rappresentato in quest’e­
poca con gli attributi di un dio guerriero, che porta a compimento le pro­
prie battaglie («le guerre del Signore») a bemficio del suo popolo, Israele.
L’arca può essere considerata anche sotto un altro aspetto. Probabil­
mente rappresentava il fondamento della presenza invisibile del dio pro­
tettore del gruppo. I gruppi usciti dall’Egitto, come altri seminomadi,
avevano una religione carente di immagini. Questa caratteristica generale
si convertirà a poco a poco in una delle sue peculiarità essenziali e riceve­
rà un contenuto teologico del più alto livello.
La figura di Mosè, depositario di una rivelazione di tipo legislativo e
religioso, andò plasmandosi in quest’epoca in maniera sistematica. È tut­
tavia molto difficile riscontrarvi storicamente componenti chiare e con­
crete della religione d Israele, eccetto la sua presenza nell’ avvenimento
storico della liberazione dall’Egitto, la quale si trasformerà a poco a poco
nel nucleo essenziale della religione degli israeliti.
V II. S T O R IA D E L L A R IC E R C A

Sotto l’aspetto della storia della ricerca vanno segnalati due temi importanti. Il
primo riguarda i cicli patriarcali e la loro storicità. Per queste narrazioni si è spes­
so manifestata una evidente o, quantomeno, inconsapevole preoccupazione di ti­
po apologetico: affermarne o negarne la veridicità storica. N ell’ affrontare questo
problema lo storico dev’essere quindi estremamente cauto.
Il metodo più utilizzato per fondare la storicità dei cicli patriarcali è la com pa­
razione dei dati offerti da questi testi con quanto i documenti extrabiblici, ormai
da ini secolo e mezzo, hanno fatto conoscere. L ’esistenza di certi nomi è l’argo­
mentazione maggiormente addotta. N om i di tipo semitico simili negli elementi e
nella struttura della loro composizione, come Abramo o Isacco, si sono riscontra­
ti con una certa frequenza nei documenti extrabiblici del li millennio a.C . Per
questo si è voluto collocare in quest’epoca i racconti patriarcali. Quest’ unico da­
to, pur insufficiente a determinare la storicità delle narrazioni della Genesi, in
quanto il parallelismo onomastico si trova m ugual misura in testi molto più re­
centi, non giustifica nemmeno che si debba situare la composizione di queste nar­
razioni nel vi secolo.
I costumi e le norme sociali presenti nei cicli patriarcali hanno i loro paralleli
nei documenti giuridici dell’antichità come, tra gli altri, nel codice di Hammura-
bi, in quello di Lipit-Ishtar, nei testi di Nuzi e nelle leggende di Eshnunna. Anche
in questo caso si giunge alla medesima conclusione: le somiglianze esistono, ma
non sono sufficientemente originali né significative. Simili paralleli si possono
stabilire con altri testi di epoca molto più recente.
Nella sua Storia antica d 3Israele R. de V au x sviluppa ampiamente questo me­
todo comparativo, giungendo in ogni punto alla stessa conclusione: con questo
metodo e questi dati non si può né provare né contraddire la storicità fondamen­
tale delle tradizioni.
II secondo problema classico verte sui rapporti tra la Bibbia e l’archeologia.
L ’attività archeologica nella zona dei paesi biblici, specialmente nell’attuale sta­
to d’ Israele e nei territori occupati, è intensa. 1 primi scavi iniziarono nel secolo
scorso; il loro ritmo e qualità scientifica si sono considerevolmente accresciuti. È
innegabile che il motivo di tale attività, maggiore che negli altri paesi, dipende es­
senzialmente dal fatto che si tratta del paese della Bibbia. Agli inizi, e in molti ca­
si ancor oggi, obbiettivo dell’ attività archeologica era offrire prove concrete della
storicità della Bibbia. Gli esiti archeologici avevano come compito di «provare e
mostrare» la verità delia Bibbia. Libri apparsi non molto tempo fa con titoli come
L a B ibbia aveva ragione e La Bibbia estratta dalia sabbia danno un’idea della
mentalità dominante. Gli archeologi in molti casi, e soprattutto i divulgatori di
scienze bibliche e archeologiche, mettono in diretta relazione l risultati dell’ar­
cheologia con i testi biblici, considerati questi senza alcuna distanza critica, cioè
con un atteggiamento fondamentalista.
M a, come già si è detto in questo capitolo, la Bibbia non pretende dì fare storia
nei senso moderno del termine. I testi della Scrittura sono L’espressione della fede
di un popolo. La critica letteraria e la critica storica permetteranno di stabilirne il
significato e solo allora potranno essere confrontati con i dati dell’archeologia,
1 2.4 L’epoca premonarcbica

senza lasciarsi affascinare dalle interpretazioni degli archeologi, spesso non esenti
da una certa fantasia.

V ili. B IB L IO G R A F IA

i, l cicli patriarcali
R. de V aux, Histoire ancienne dTsraelì Paris ! 1 9 7 1 , U 1 9 7 3 : studio approfondito
ed esponente ben documentato del metodo comparativo, distaccato ma con gran­
de moderazione e realismo; T b .L . Thomson, The Historicity o f thè Patnarchal
Narratives, Berlin - N ew York 1 9 7 4 : esamina con estrema scrupolosità gli argo­
menti comparativi e ne individua la debolezza; estremamente utile, benché non
proponga nessuna visione d’insieme; J. Van Seters, Abraham in Htstory and Tra-
dition , N ew Haven - London 1 9 7 5 : studio con caratteristiche analoghe al prece­
dente, sebbene indipendente da esso. L ’autore propende per situare la creazione
delle tradizioni dei patriarchi in epoca tarda (dell’esilio o dopo l'esilio}. Cade così
nel difetto opposto a quello imputato ai suoi predecessori. Per una prima infor­
mazione si veda R de V aux, i patriarchi ebrei e la stona, Brescia 19 6 7 .

z. Esodo e Mosè
Oltre alla storia d ’Israele di de V aux, già citata, segnaliamo H. Cazelles, Alla ri­
cerca di Mosè, Brescia 1982,: misurata presentazione di problematiche complesse
da parte di un grande conoscitore dei testi e deila cultura biblica ed extrabiblica,
sebbene a volte si attribuisca un eccessivo valore storico a dati problematici. Una
raccolta di studi sulla figura di M osè e la sua storia, impostati con differenti me­
todi e distinte prospettive, è offerta da R. M artin-Achard (ed.), Figure de Moi'se;
Écriture et relectures, Genève 1 9 7 8 . Tre problemi fondamentali dei testi dell’Eso­
do sono accuratamente esaminati da W .H . Schmìdt, Exodus , Sinai und Mose:
Erwdgm gen zu E x 1 - 19 und 2 4 , Darmstadt 1 9 8 3 .
Sul decalogo si veda Popera recente di W .H . Schmìdt (in coll, con H. Delkurt e
À. Graupner), Die Zehn Gebote tm Rahmen alttestamentlicher Ethik, Darmstadt
19 9 3 (tr. it. in prep.) e gli studi di F. Lothar Hossfcld, Der Dekalog, Gòttingen
1 9 8 2 e H. Schiingel-Straumann, Decalogo e comandamenti di Dìo , Brescia 1 9 7 7 .
Come introduzione alPesodo, si veda Cl. Wiener, in Cuadernos Biblicos 54: lettu­
ra contìnua del libro dell’esodo, alla luce degli ultimi studi sulla questione.

3. L ’insediamento in Canaan
e il perìodo cosiddetto dei «giudici»

Oltre a de V aux, cfr. M . Weippert, Die Landnahme der israelitischen Stdmme in


der neueren wìssenschaftiichen Diskussion , Gòttingen 1 9 6 7 ; N .K . Gottwald, The
Tribes o f Yahweh. A Sociotogy o f thè Religion of Liberateci Israel ( 1 2 5 0 - 1 0 5 0
bc.), London 19 8 0 : interessante studio che utibzza modelli sociologici per spiega­
re la costituzione d'Israele quale gruppo indipendente; si basa sugli studi e sui ri­
sultati classici dei testi biblici cui adatta i propri modelli; fino a che punto, tutta-
Bibliografia 12-5

via, è applicabile la sociologia a fatti occorsi più di tremila anni fa, il cui resocon­
to è molto posteriore ai fatti? (per di più tati resoconti non cercano di presentare
semplicemente i fatti); l’autore apre valide prospettive, pur restando vittima dei
suoi modelli; W Richter, Traditionsgescbidilliche Untersuchungen zum Richter-
buch , Bonn 2iy 6 6 : studio esemplare e significativo della storia della redazione
del libro dei Giudici.

4. Bibbia e archeologia
Cfr. il cap. 11 di questo volume.

5. La religione d'Israele
H. Ringgren, Israele . / padri, l'epoca dei re, il giudaismo , Storia delle Religioni
1 1 , M ilano 1 9 8 7 ; Pautore, della scuola esegetica svedese, organizza il suo studio
in prospettiva decisamente storica, attribuendo grande importanza a! culto e al­
l’alleanza davidica come luoghi teologici chiave della religione d’Israele; G. Foh-
rer, Storia della religione israelitica, Brescia 1 9 8 5 : opera d'insieme con prospetti­
ve storiche chiare; Pautore lavora su ampie sezioni del testo biblico e offre una vi­
sione coerente, senza eccessive sbavature, di grande valore; W . Ziinmerli, The
History o f hraelìte Relìgton , in G .W . Anderson (ed.), Tradìtion and Interpreta -
£/om, O xford 1 9 7 9 , 3 5 1 - 3 8 4 : eccellente paronamica degli studi sulla religione d’ì-
sraele, dei metodi, delie tendenze e dei risultati tra il 1 9 5 1 e il 1 9 7 3 ; H. Cazelles,
Religion d ’israel, DBS x ( 1 9 8 1 ) , Z40-2.77: la sintesi più recente sulla religione d’I­
sraele, redatta da un eccellente conoscitore e ricercatore dei molteplici problemi
che il tema solleva; bibliografia copiosa e specialistica.
È impossibile indicare una panoramica bibliografica completa dei diversi
aspetti della religione d’Israele. Nelle opere fondamentali citate si troveranno ele­
menti bibliografici sufficienti per approfondire lo studio.
Capitolo iv

La monarchia

J. N A S C I T A D E L L A M O N A R C H IA

i , I vicini d ’ Israele
L'insediamento più o meno stabile delle tribù israelitiche non esaurisce lo
sviluppo della loro realtà sociale e politica. I contatti con i popoli e i
gruppi della regione introdurranno progressivamente in Israele istituzioni
analoghe a quelle dei loro vicini. La più importante sarà la monarchia.
In Transgiordani a sono presenti tre gruppi sociali che avranno conti­
nue relazioni con Israele nel corso di tutta la sua storia. In primo luogo*
gli ammoniti. Delle loro origini si conosce ben poco. L'onomastica è, sen­
za dubbio, semitica e probabilmente imparentata con quella aramaica. Il
loro territorio, difficile da definire con precisione, era forse situato nelle
vicinanze della valle dello Yabboq. Il commercio di carovane doveva es­
sere la principale fonte economica. L’istituzione monarchica è già presen­
te all’epoca di Saul. Nella guerra degli ammoniti contro Iabesh di Gala-
ad, Saul dimostrerà le sue capacita (i Sotti. 1 1 ,1 - 1 3 ) . Nahash non ha cer­
tamente il titolo di re, ma si comporta come tale. Il problema e sapere se
già in quell’epoca il potere di Nahash fosse ereditario e se, pertanto, la
monarchia dinastica si fosse già affermata.
Il caso di Moab è un po’ diverso. La parentela con gli ammoniti sembra
probabile, se teniamo conto di testi come Gen. 19,30-38 e Deut. 23,4. Ed
evidente risulta anche raffittita tra i moabiti e gli antenati di Davide (Rut
4,18-22). I confini del territorio moabita variarono nel tempo. Talvolta,
a settentrione, giunsero fino a Heshbon, anche se la loro frontiera tradi­
zionale a nord è PArnon. A sud, Moab giungeva alla depressione dello
Zered; a est, fino al deserto; a ovest, al Mar Morto. La monarchia eredi­
taria sembra avere radici abbastanza antiche. Per alcuni rìsale al xm se­
colo, benché non ancora ben consolidata (Num. 21,26-30).
Gli edotti iti compaiono nei testi egiziani già nel xm secolo. Il loro terri­
torio è collocato a sud dello Zered. Le tribù nomadi della zona furono
senza dubbio i nuclei che formarono il regno di Edom. La Bibbia presenta
gli edomiti come discendenti di Esau (Gen. 36 ,10-19 ). Essi non sono con­
siderati «abominevoli» (Deut. 23,8) come gli ammoniti e i moabiti. Ai
tempi di Davide, gli edomiti hanno ima monarchia ereditaria (1 Re 1 1 ,
Nascita della monarchia 12 7

14), benché se ne ignori Forigine. L ’elenco dei re di Edom di Gen. 3 6 ,3 1­


39 lascia intendere che probabilmente, nelFepoca precedente a Davide, il
principio dinastico non era ancora consolidato. La capitale del regno sa­
rebbe cambiata con ciascun capo.
I filistei prendono parte all’ irruente ondata che devastò ì paesi del M e­
diterraneo orientale. L ’impero ittita e la città di Ugarit, tra le altre, furono
loro vittime. Ramses in subì grandi disfatte combattendo contro costoro.
Un gruppo di quesr'orda, conosciuto generalmente con l’appellativo di
«Popoli del Mare», 1 filistei, si stanziarono sulla costa cananea e nelle
pianure circostanti. Gli insediamenti filistei più importanti costituivano
una associazione di cinque città: Gaza, Ascalon, Ashdod, Gat ed Eglon.
Ognuna di queste era amministrativamente autonoma, governata da sera-
nim (termine forse corrispondente al greco «tiranno») (Gios. 13 ,3 ; Giud.
16 ,5 .18 ; j Sam. 6 ,4.16.18). È importante sottolineare come questo ter­
mine appaia sempre al plurale, per cui si può supporre l’esistenza di una
specie di federazione Lra 1 capi filistei. Senza dubbio, Aids, di Gat, viene
menzionato in tutti i testi col titolo di «re». Poco si sa della loro lingua,
salvo che non era semitica e sembra possedere elementi affini con altre
dell’area egea.
Riguardo alla religione, i pochi dati disponibili mostrano che i filistei
adottarono le religioni semitiche di Canaan, come attestano gli dèi che
veneravano: Dagon (Gm d. 16 ,2 3 ; 1 Sam. 5,2), Astarte (j Sam. 3 1,10 ),
Baal Zebul di Eglon (2 Re 1,2). Questo dato è importante, giacché indica
un certo assorbimento delle tradizioni locali, sebbene la direzione politica
e militare fosse senza dubbio in mano ai filistei. Il potenziale bellico fili­
steo era rafforzato dalla qualità della sua organizzazione e daLParmamen-
to di cui disponevano. Le prime testimonianze di lavorazione del ferro in
Canaan sono da associare all’occupazione filistea. I filistei ne introdusse­
ro la tecnica di fusione, acquisendo così una schiacciante superiorità mi­
litare per la qualità delle loro armi. Se vi si aggiunge che possedevano
«carri da combattimento» (1 Sant. 13 ,5 ; 2 Sam. 1,6), non è difficile im­
maginare quale pericolo costituissero per gii israeliti.
L'espansione filistea in Canaan si può seguire attraverso i reperti di ce­
ramica rinvenuti in diversi luoghi della regione. Basti segnalare i punti
estremi dell’espansione: Debir (Teli Ber Mirsim) e Bet-Shemesh, nella
Shefela giudaita; Megiddo, ai piedi della catena del Carmelo, che domina
Pomommo passo strategico; Bet Shan, sulla sponda destra della valle del
Giordano, all’uscita della valle di Izreel; Deir ‘ Alla, la Sukkot biblica,
all’altezza di Sichem in Transgiordania. Non è da dimenticare che questa
ceramica filistea ha un indubbia parentela con quella micenea.
Meritano speciale menzione le città della costa fenicia. Alcune, come
Ugarit, sparirono sotto la pressione dei Popoli del Mare. Altre, invece,
12-8 La monarchia

approfittarono della caduta degli irriti e della debolezza degli egiziani per
instaurare una politica commerciale e marittima che le portasse col tem­
po fino al lato opposto del Mediterraneo. Tra queste città, Sidone ini­
zialmente e più tardi Tiro esercitarono una certa egemonia. Furono im­
portanti anche Arwad, Biblo e Beirut. Queste sono in sostanza tutte città-
stato governate da una monarchia ereditaria.

2 . 1 primi tentativi

Il libro dei Giudici (Giud. 6-9) offre una serie di tradizioni su Gedeone e
Abimelek nelle quali appaiono i primi tentativi israelitici di istituire la
monarchia. Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che il libro dei Giudici
presenta una sequela di personaggi chiamati «giudici» le cui azioni mili­
tari, benché episodiche, sono affini a quelle dei re. Nei testi attuali s’iden­
tifica Gedeone con un certo Ierubaal {Giud. 7,1). Se si trattasse dello stes­
so personaggio, la sequenza degli avvenimenti sarebbe stata la seguente:
Gedeone, appartenente a un clan della montagna di Efraim, abitava in
Ofra. Spinto dalle drammatiche circostanze in cui si trovavano la sua
gente e i suoi vicini a causa delle devastanti incursioni dei madianiti
(Giud. 6,3-6), decide di fronteggiarli e cacciarli dal territorio con una
guerra (Gm d. 7-8). Dopo la vittoria, gli uomini d’Israele offrirono la re­
galità dinastica a Gedeone. Questi la rifiutò, dicendo: «Vostro capo sarà
il Signore» (Giud. 8,23). Gedeone aveva una concubina di Sichem che
partorì Abimelek (= mio padre è re). Morto Gedeone, Abimelek rivendica
di fronte ai notabili di Sichem il titolo di monarca (Giud. 9,1-3). La sua
argomentazione è chiara: quelli di Sichem vogliono essere governati da un
loro consanguineo e non da uno straniero. Abimelek fu proclamato re.
Dopo l’eccidio di tutta la sua famiglia, Abimelek si trova in conflitto con
la popolazione dì Sichem, che non era israelita (9,23-41). Poco dopo na­
scono nuovi contrasti tra 1 notabili di Sichem e Abimelek. Questi reagisce
brutalmente; passa a fi] di spada la popolazione e distrugge la città (9,
42.45). L’archeologia conferma una distruzione di Sichem in quest’epo­
ca. Il carattere ibrido della monarchia di Abimelek, israelita e sichemita,
non dovette favorirlo. Da allora Sichem appartenne a Israele.
Altri autori pensano che si debba distinguere Gedeone da Ierubaal.
Abimelek sarebbe figlio di quest’ultimo, israelita di Ofra e con una con­
cubina sichemita. Il potere di Ierubaal su Sichem sarebbe paragonabile a
quello esercitato da Labaya ai tempi di El^Amdrna. I governanti non
hanno il titolo di re, ma esercitano un potere effettivo mediato da un
consiglio di notabili della città, «i signori di Sichem» (9,3). Il potere di1

1. R. de Vaux, Utstoire ancienne d ’hnièl, il La période des Jugest Paris 1973^ 10 9 -n i .


Nascita della monarchia 12,9

Labaya si estendeva praticamente a tutta la montagna di Efraim. È la si­


tuazione che Abimelek avrebbe voluto ricostituire a proprio vantaggio.
Benché rimanga incerto chi fosse suo padre, la sua effìmera monarchia
appare chiaramente come una copia delle monarchie cananee.

3, Saul (ca. 10 2 5 -10 10 )

I tentativi più seri per istituire una monarchia stabile in Israele risalgono a
Saul, della tribù di Beniamino. Tre racconti biblici narrano la sua ascesa
al potere: 1 Sani. 9 -10 .16 ; 10,17-2,7; 1 1 . Le tradizioni su Saul sono state
oggetto di molteplici rielaborazioni e bisogna partire da una rigorosa cri­
tica letteraria per trarre conclusioni storiche. I tre racconti della designa­
zione a re di Saul presentano già tre diversi livelli d’interpretazione dei
fatti. Li si può compendiare dal punto di vista storico come segue. Gli
ammoniti assediano Iabesh di Galaad, città israelitica della Transgiorda-
nia (i Sam. 1 1 ) . I suoi abitanti, dì fronte alla disperata situazione, chie­
dono aiuto alle tribù israelitiche dell’altra sponda del Giordano. Il mes­
saggio giunge a Gabaa, patria di Saul e questi si appella ai connazionali
d’Israele per combattere gli ammoniti e salvare Iabesh di Galaad. Sconfìt­
ti gli ammoniti, i vincitori si recano a Gaigaia, dove incoronano re Saul (1
Sam. 1 1 ,1 5 ) . Negli altri due racconti interviene Dio: in indiret­
tamente, per mezzo della sorte; in 1 Sam. 9 -10 .16 direttamente. Ma l’ori­
gine storica della regalità di Saul si trova nella sua vittoriosa azione con­
tro gli ammoniti.
La situazione era delicata, dal momento che i filistei penetravano sem­
pre più profondamente nei territori degli israeliti e minacciavano Benia­
mino attraverso la pianura di Izreel. Era quindi necessaria una risposta
efficace che poteva scaturire soltanto da un'azione coordinata e centraliz­
zata. La vittoria iniziale fece subito apparire Saul come la persona adatta
a questa impresa. Saul organizza un esercito permanente, benché al ri­
guardo 1 dati non siano del tutto chiari, e in un primo momento cerca di
espellere dalla Palestina centrale i filistei, i quali avevano riempito la zona
di postazioni militari (1 Sam. 13 e 14).
Ciononostante, Pattività militare di Saul si espande ugualmente verso
sud. In effetti, 1 Sam. 15 narra delle sue battaglie contro gli amaleciti a
sud di Hebron e r Sam. 17 della campagna contro i filistei nella Shefela
di Giuda. Queste imprese consentono a Saul di accattivarsi la tribù di
Giuda, protetta con queste imprese dalle incursioni dei nomadi amaleciti
a sud e dalla pressione filistea a ovest. Non bisogna dimenticare che Ga­
baa di Beniamino, patria di Saul, si trova 15 km a nord di Betlemme.
Questi rapporti con la tribù di Giuda spiegano probabilmente la pre­
senza di Davide, efraimita di Betlemme, tra 1 soldati di Saul. Il disaccordo
tra i due personaggi è noto e le ragioni risultano comprensibili. Da un la­
to Davide, giovane e guerriero eccezionale, non poteva non suscitare le
gelosie del suo capo, nonostante ne avesse preso in moglie la figlia M ikal,
Anzi, il m atrim onio suscitò in Saul nuovi timori nei confronti di Davide.
Dall*altro lato, l ’amicizia tra Davide e G ionata, figlio e probabile erede di
Saul, non sfuggi alla patologica suscettibilità ( i S am . 1 6 ,1 4 - 2 3 ; 1 8 ,6 - 1 7 ;
19 ,8 - 13 ) del beniam inita. In effetti, se le qualità militari di Saul non pos­
sono essere messe ni dubbio, la sua nevrastenia cronica gli impediva af­
fatto di consolidare la monarchia cui aveva dato avvio con grande energia
dopo il trionfo a labesh di G alaad.
Saul viene anche messo a confronto con Samuele, personaggio di rilievo
per la storia d’ Israele. Le sue funzioni —susseguenti o sincrone —di sacer­
dote, profeta e giudice sono state rilette dalla tradizione attraverso Tespe-
rienza successiva. I testi cercano di spiegare un fatto chiave: Saul fallì e
nessuno dei suoi figli gli successe al trono. Perché? Due racconti cercano
di spiegare la perdita della legittimazione divina. N el prim o (1 Sam. 1 3 , 7­
15 ) si narra la disubbidienza di Saul all’ ordine di Samuele di non sacrifi­
care in G aigaia prim a del suo arrivo, giacché solo Samuele, in qualità di
sacerdote, poteva offrire sacrifici. N el secondo racconto (1 Sam, 1 5 , 1 3 ­
35) Saul non adempì le regole delTanaiema: distruggere il bottino e ucci­
dere i prigionieri, secondo le leggi della guerra santa. L a prim a spiegazio­
ne è anacronistica, poiché in quell’epoca tutti i capi fam iglia potevano o f­
frire sacrifici; a m aggior ragione il re. La seconda suppone una concezio­
ne della guerra santa un p o ’ artificiosa e schematica, e presenta il conflitto
storico che opporrà costantemente il re al profeta, particolarm ente nel re­
gno del nord.
Saul dovette poi confrontarsi un'ultima volta eoa 1 filistei. Questi sape­
vano perfettamente che, a causa degli armamenti israelitici (carri da guer­
ra) e della loro tecnica (guerriglia), per vincere la battaglia dovevano com ­
battere nella pianura (r Sam. 28; 29; 3 1) . La pianura d ilzreel era 1! luogo
ideale per loro. Saul e i suoi figli m orirono sul monte Gelboe, 1 filistei ap­
pesero i loro corpi alle mura di Bet Shan. G li abitanti di labesh di G ala­
ad, riconoscenti a Saul, li recuperarono e dettero loro onorevole sepoltura
( j Sam . 3 1) . Il prim o serio tentativo monarchico in Israele si concludeva
con un fallim ento. La situazione delle tribù del nord di fronte alla minac­
cia filistea si era fatta ancor più preoccupante che non prim a di SauL

4. D avide ( i o i o - ca. 9 7 o)

a) D avide e Saul

I conflitti di Saul con il giovane Davide costrinsero quest'ultim o a fuggire


verso sud e a rifugiarsi negli aridi dintorni del deserto di Giuda (j Sam.
Z 4 ,i; 2 3 ,14 ) , dopo essersi nascosto nella grotta di A ^ u. r . - f .
,* \ r , ■ i- ^ il fuggitivo m a fai-
( j barn. 2,2,1). Saul tenta ripetutamente di ca ttu ra^ _ ^
lisce ( 1 barn. 2 3 ,19 - 2 8 ; 24). Stando alla tra d iz io n i ( s
il lusso di lasciare Saul in vita per rispetto «all'unto de ’
2 4 ,n ) .
al futuro. G i à ad
N onostante i conflitti con Saul, D avide si pret>ata ‘ 1
, . . , . ■ r -1- ■ 1 V.P «quattrocento uo-
Adullam si unirono a lui parenti e rammari oltre in • ,
stenta delia vita» {
mini circa, gente in ristrettezze o piena di debiti o s c °
Sam> 2 2 ,2 -3 ). C °n queste forze libera la città di Qed^ a J ^ as-CG^° * toò

13 ,5 ^ - J- C 1 ■ n -1 prende una drastica


M a la persecuzione di Saul si accentua e D avide r Ai ■ L ,
1 - ■ . ■ * .! ■ re d* G at, A kish ( 1
decisione: con la sua truppa si mette al servizio cieJ - ■ Al ' k
Sam. 2 7 ,1-8 ). Seppure gli studiosi moderni non s& n° SiCU^ C . ! “ ‘aS*‘
fosse filisteo, la tradizione lo presenta come tale; ad ° S fl1 n*° . 1Sr\ 1*!
i 1 j ■ ■ * * 1 1* vita Saul e 1 suoi h-
terverra nella battaglia decisiva in cui perderanno 13 ■ / ^
f. T . . . £t. ? ^ -1 4; intervenirvi (r Stfm.
gli. 1 principi filistei non permetteranno a Davide di 1
2 9 ) , r e n d e n d o g li c o s ì un e n o r m e f a v o l e .
Akish aveva dato in feudo a D avide la citta di biQr , i t- t 1
l’efram ita dì Betlemme doveva com battere contro gl* 15121 1 r * F U 11
bottino al suo signore Akish. La tattica di Davide tu u . „
i nomadi dei con fini del N egev, offre una parte del sM,> 1 ^ ^ 1 C^
della tribù di Giuda e l’ altra al suo signore (z Sani- 3 ° '^ \ 3 ta
preparato ti terreno, alla morte di Saul, Davide tcm-
proclam ato re di Giuda a H ebron (2 barn. 2 ,1-4 3 ). . . *. . . I
Com incia allora una nuova fase dell'attività di D ^ * e‘ ~ r i i ’ e
delle truppe di Saul, si era rifugiato in TransgiordaU^1 c01? f , aa/ ® 10
di Saul, e lo aveva incoronato re d Israele. M a la pel . * 1 ■ .
rmm e le circostanze tacevano si che il potere e la c^F 1- ■ ■
manessero nelle mani di Abner. D opo una serie di Ì ° tte f a U nm? . 1
Àbner e quelli di Ioab, generale di Davide, la bilanci^ e ^ Pre P1U
c j i i- TT i_ a. . , affinché le genti di
favore del re di Hebron. Abner organizza a d u n a rti , Tl 1 . 1 . i ­
r 1 * * FA -3 I ; o 7 ^ 2 1 . Il desiderio di
Israele riconoscano D avide come loro re (2 barn. 3> , di to ~L
vendetta e l ’ invidia portano Ioab a eliminare Abnef- J aCCa • 5 > 6 ^^
1. rx -j senza dubbio impedì
teva essere interpretato come m anovra di Davide, - , ■ -
che gli accordi si concludessero velocemente. Sc t ^ un C m° / °
Ishbaai venne assassinato e eli autori del crimine co** ,
r ■« , . . . , nensa. Davide invece,
D avide sperando certamente in una cospicua ricorUF^. t
1 un . *. T• • * --v ■ - A H p im en to et probabil-
da abile stratega, li giustizio in punizione del loro trau
mente, per disfarsene (2 Sam . 4). . » 1
I capi delle tribù d ’Israele non avevano altra s o l ^ one ^ ^ ornare a
D avide. Cosi avviene, e Liavide è unto re d ’ Israele a.m ‘r ” ” ^ Ue
sto m odo Davide si trasform a in re di Giuda e d ‘I$rae e* a S ° na coeva
r31 La monarchia

presenta vari altri esempi di questo regime politico detto di «unione per­
sonale». Un unico uomo riunisce nella sua persona le corone di due terri­
tori o città diverse.

b) La guerra contro i filistei

È probabile che i filistei non vedessero negativamente la consacrazione di


Davide come re di Giuda, poiché in questo modo si frantumava Puntone
delle tribù israelitiche. La proclamazione di Davide a re d’Israele, d'altro
canto, destava grandi preoccupazioni. Perciò i filistei prontamente tente­
ranno di dividere le due parti del regno di Davide, occupando la valle di
Refaim, a nord di Gerusalemme, e separando così il territorio di Giuda da
quello di Beniamino. Davide attacca e sventa il tentativo filisteo.
Dopo questa sconfitta i filistei si sottomisero al potere di Davide, ma il
loro territorio non venne annesso ai possedimenti del re. 2 Sani. 5,25 af­
ferma solo che «Davide sconfisse i filistei da Gabaa fino alt ingresso di
Gezer». È probabile che la sottomissione dei filistei prevedesse il paga­
mento di un tributo, è certo invece che le conquiste di Davide s’indirizza­
no verso il nord e Test e non tanto verso l'ovest, territorio dei filistei.

c) La conquista di Gerusalemme (2 Sani. 5 ,5 -12 )

Un fatto importante nella vita di Davide fu la conquista della città cana­


nea di Gerusalemme. Non si sa con certezza se l’antica città gebusea cad­
de nelle mani di Davide prima oppure dopo le guerre da lui condotte
contro i filistei. Sicuramente Poccupazione della città fu un'azione politi­
ca della massima importanza, dal momento che Gerusalemme non si tro­
vava nel territorio di nessuna delle tribù israelitiche. Davide con ì suoi
uomini riuscì a espugnarla e la elesse capitale del suo regno, trasforman­
dola nella «città di Davide». Nessuno se non il te poteva avanzare pretese
sulla nuova capitale.
Nel tentativo di organizzare il regno intorno alla sua persona, Davide
compì un passo importante trasportando Parca di Dio a Gerusalemme.
Ovviamente la città aveva il suo culto, il proprio tempio e sacerdozio. Al­
cuni ritengono Sadoq, il quale è al seguito di Davide senza che nulla si
sappia sulla sua origine, il sacerdote del tempio gebuseo di Gerusalemme.
E possibile. Certo è, invece, che con l’arrivo dell’arca Davide conferisce
alla sua capitale un carattere religioso israelìtico, che prima Gerusalemme
non poteva vantare. Non bisogna dimenticare che, in quanto oggetto di
culto, Parca era l’unico simbolo tangibile della fede comune delle diverse
tribù d’Israele. Per la sua presenza nella nuova capitale tutti gli sguardi
dei fedeli israeliti avevano un ulteriore motivo, particolarmente impor­
Nascita della monarchia 133

tante, per volgersi verso la città di Davide. Si consolida in questo modo


sempre più 1 unità del regno intorno alla persona del re e alla sua capitale
(2 Sani. 6).
Il testo biblico non menziona la conquista di altre città cananee. Più
tardi, ai tempi di Salomone, esse compaiono come parte integrante del
territorio. Se teniamo conto che il successore di Davide non brillò certo
per le imprese militari, la cosa più probabile è che l’msieme delle enclaves
cananee fosse già passato nelle mani di Davide (ad esempio, Megiddo,
IVanak, Bet Shan e le città gabaonite).

d) Politica internazionale

La stabilità e il consolidamento del potere di Davide suscitava inquietudi­


ne nei suoi vicini. Àmmon rappresenta un caso tipico. Alla morte di Na-
hash, già re di Ammon ai tempi di Saul (1 Sam. 1 1 , 1 ) , Davide invia un
messaggio di condoglianze al figlio Hanun (2 Sam. io). Questi, inspie­
gabilmente, taglia mezza barba a ognuno degli inviati da Gerusalemme.
Di fronte a un tale insulto Davide non rimase indifferente. L occasione
era irripetibile. Davide conquista la capitale di Ammon, Rabbat, e stabili­
sce la sua signoria sul regno transgiordano.
A sud di Ammon anche Moab venne sottomesso al potere di Davide (2
Sam. 8,2). Edom, dopo duri combattimenti, subi la stessa sorte (2 Sam.
8 ,13-14 ).
Gli ammoniti, vedendosi attaccati da Davide, chiamarono in aiuto gU
aramei di Siria. La regione era smembrata in piccoli regni. Davide scon­
fisse quelli accorsi in appoggio di Ammon (2 Sam. 10 ,15 -19 ), gli aramei
di Shobak, il cui re si chiamava Hadadezer. Il trionfo è tale che il re di
Hamat, Tou, si dichiara vassallo di Davide (2 Sam. 8,9). Il re Talmai di
Geshur sancì un patto con Davide, dandogli in moglie la figlia Maaka; da
quest’unione nacque Assalonne.
Evidentemente l’impero davidico, assai esteso oltre le frontiere classi­
che dei territori israelitici, potè costituirsi grazie alla debolezza delle
grandi potenze della regione. Queste campagne militari e i successivi vas­
sallaggi non sembrano ad ogni modo scaturire da un deliberato progetto
di Davide, bensì rappresentare per certi aspetti il frutto della sua forza e
delle circostanze.

e) Organizzazione dello stato

I dati disponibili sono scarsi e abbastanza eterogenei. 2 Sam. 7 ,1- 17 è un


testo famoso: la profezia di Natan. Costituisce la magna charta della di­
nastia davidica, il testo religioso che legittima i discendenti di Davide. Ma
134 La monarchia

in questo passo si descrive anche il progetto di Davide di edificare un


tempio al Dio nazionale. I suoi progetti manifestano una certa coerenza.
La nuova dinastia doveva onorare il Dio nazionale e dinastico costruen­
dogli un tempio o riparando i suoi antichi santuari. Una nuova capitale
con un nuovo tempio, nel quale collocare l’arca, costituiva uno degli ele­
menti portanti della politica organizzativa di Davide. Perché non lo fece?
Per mancanza di tempo? Per l’opposizione di certi gruppi i quali non gra­
divano che l’arca (oggetto itinerante, simbolo di un Dio che accompagna
il suo popolo) fosse rinchiusa in un tempio da cui sarebbe poi difficilmen­
te uscita? Una risposta sicura rimane impossibile.
2 Sam. 8 ,15 -18 enumera una serie di funzionari della corte di Davide.
Malgrado i diversi ritocchi testuali e l’inesattezza di alcuni dati possiamo
osservare che Toab, capo dell’esercito, è al primo posto, prova dell’impor­
tanza assunta dai militari nei regno di Davide. In secondo luogo si nomi­
na Giosafat, l’araldo. La presenza di Sadoq e Abiatar sottolinea la par­
tecipazione di questi due sacerdoti di origini diverse, ma ugualmente inte­
grati nel seguito di Davide. Seraia figura come segretario e Benaia come
capo della guardia personale di Davide, formata da mercenari non israe­
liti. Come si può vedere, il numero dei «ministri» era limitato.

f) La crisi della successione

Non tutto nel regno di Davide fu gloria e splendore. Lasciando da parte


la possibile implicazione di Davide negli omicidi di Àbner e soprattutto
di Ishbaal, il problema piu squallido del suo regno fu la vicenda della
successione al trono.
Non basta l’instaurazione del principio dinastico per la successione né
è possibile precisare il funzionamento di tale principio. Sebbene Davide
non abbia avuto tempo per costruire il tempio di Gerusalemme, lo trovò,
e molto, per avere figli. Da lì derivarono, come di solito accade, i p r i n c i ­
pali problemi del suo regno. Normalmente è il primogenito a ereditare il
trono. Amnon, primogenito di Davide, ebbe il poco discernimento di vio­
lentare la sorellastra Tamar, sorella di Assalonne (2 Sam. 13 ); questi non
tardò a ucciderlo. Dopo una riconciliazione piuttosto sofferta con il pa­
dre, Assalonne, ora figlio maggiore, si ribellò contro di lui (2 Sam. 1 5 , 1 ­
12). Il re dovette fuggire, ma poco dopo le truppe di Assalonne furono
sconfitte e il ribelle venne ucciso (2 Sam. 18 ,1-17 ). Rimanevano ancora
due figli: Adonia, il maggiore, e Salomone. Gli alti funzionari del regno e
i personaggi influenti della corte si divisero in due fazioni: Ioab e Abiatar
con Adonia. Con Salomone, Sadoq, Benaia, Natan e sua madre, Betsa­
bea. Adonia commise l’imprudenza di proclamarsi re senza consultare il
padre. Quest’ultimo si rivolse allora alla fazione contraria e ordinò di un­
Nascita della monarchia 135

gere re Salomone, associandolo così al trono. La successione era decisa.


Alla morte di Davide, Salomone non dovrà far altro che consolidare l'e­
redità del padre, eliminandone gli avversari (1 Re i-x),
t

5. Salomone (971-933)

Terminata con la morte di Davide la parentesi della diarchia e scomparsi


uno dopo Paltro gli avversari di Salomone, il re ebbe le mani libere per
attendere alla propria politica. Il primo libro dei Re dedica nove capitoli
alle molteplici attività del successore di Davide. La storia della redazione
è complessa e si sviluppa in un lungo arco di tempo.

a) Sapienza di Salomone

1 Re 3 è interamente dedicato alPillustrazione della sapienza di Salomo­


ne. L ’intento è evidente: mostrare fino a che punto il re possiede al massi­
mo grado la qualità fondamentale per un sovrano. La sua capacità d* di­
scernere, e quindi di governare, risulta emblematica nella storia delle due
madri (3,16-2,8). Ma questa sapienza era, secondo l’ideologia reale, un
dono dei Dio dinastico e nazionale. Il sogno di Gabaon spiega questa te­
si. I due testi, quello del sogno in particolare, hanno subito nel corso del
tempo aggiunte e complementi. I più recenti studi di critica letteraria da­
tano alla seconda metà del sec. vili anche il testo piu antico. Lo conferma
la terminologia del testo, mostrando così che occorre sottolineare Pim-
portanza della sapienza reale come dono di Dio in momenti nei quali i di­
scendenti di Davide non brillano per capacità di discernimento.

b) Amministrazione (1 Re 4)

La lista dei ministri di Salomone è, chiaramente, più lunga di quella del


padre. Il primo posto è occupato da Azaria, figlio di Sadoq, sacerdote.
Questa funzione sembra ereditaria. Abiatar, sacerdote di Davide, fuggì
poiché si era schierato dalla parte di Adonia, avversario di Salomone nel­
la competizione per il trono. L’importanza del tempio spiega forse la ra­
gione per cui Azaria è il primo nell’elenco. Il secondo posto, quello di se­
gretario, è occupato da Elihoref e Ahia, tìgli di Shausha. Il nome del
padre è un appellativo di funzione che si trasforma m nome proprio, ma
sia i) suo nome sia quello di Elihoref sono di origine egiziana. Questo
dà risalto alPinfluenza egiziana nelPamministrazione di Gerusalemme. I
nomi dell’ «araldo» e del capo dell'esercito sono gli stessi presenti nella li­
sta dei funzionari di Davide. Il caso del secondo è attendibile, quantome­
no nella prima parte del regno di Salomone.
136 La monarchia

L’indicazione del v. 4b è una glossa, trovandosi in contraddizione con


il primo dell’elenco e con quanto si conosce da altri testi.
La novità della lista sì riscontra nella menzione di Azaria, figlio di Na­
tan (molto probabilmente il profeta), come capo dei prefetti delle provin­
ce. Così si suppone che Salomone divise il suo territorio in province rette
da prefetti, il cui elenco si trova in 1 Re 4,7 ss.
Altra innovazione del governo di Salomone, che costerà cara a lui e so­
prattutto al figlio, è l’istituzione del lavoro forzato, sul quale si tornerà in
seguito, al cui coordinamento pose Adoniram. Questo nome, come quello
del padre, è di origine fenicia. Si tratta di operai specializzati che Salomo­
ne ebbe in uso dal re di Tiro per le sue costruzioni.
L ’elenco contiene il nome di Zabud, altro figlio di Natan, sacerdote e
consigliere speciale del re. Quest’ultimo titolo suppone probabilmente
una funzione specifica, ma difficile da delineare e precisare, benché se ne
trovino chiari paralleli in Egitto e in altre corti della regione.
Altra qualifica di governo al tempo di Salomone è quella di «maggior­
domo» di palazzo, di cui è titolare Ahishar, Questa funzione è conosciuta
anche in altri luoghi; col tempo, il «maggiordomo» diverrà il personaggio
più influente nella corte.

c) Costruzioni e lavoro forzato

A partire da 1 Re 6 il testo biblico si dilunga nella descrizione delle co­


struzioni di Salomone, compendiata in 9 ,15 ss. La costruzione più famosa
del suo regno è senza dubbio quella del tempio di Gerusalemme. Gran
parte del materiale (soprattutto quello di valore) e gli operai specializzati
per detta opera furono ottenuti dal re di Tiro, Hiram (1 Re 5,15-32). Evi­
dentemente 1 testi primitivi concernenti i lavori e le foste d’inaugurazione
dei nuovo santuario furono largamente integrati nei secoli successivi. Tra
la pericope relativa alla costruzione del tempio e quella concernente la
sua consacrazione si menzionano brevemente le opere del palazzo di Sa­
lomone, per le quali si impiegò una grande quantità di materiali preziosi
( j Re 7 ,1-12 ).
Altra attività edificatrice di Salomone fu costituita dairampliamento
delle mura di Gerusalemme. La configurazione del terreno obbligava a
estenderle verso nord; in quella direzione il nuovo sovrano costruì il suo
palazzo e, ancora più a nord, il tempio. L’allargamento della cinta mura­
ria inglobava nel perimetro della città le nuove costruzioni (9,15). Il testo
parla anche della costruzione di un terrapieno, ma non si sa con certezza
di che cosa si tratti.
Le tre città menzionate in j Re 9 ,15, Hasor, Megiddo e Gczer (città
ricevute in dote da Salomone per le nozze con la figlia del faraone), sono
Nascita della monarchia 137

state scavate accuratamente. In tutte si sono scoperti resti di importan­


ti costruzioni dell’epoca salomonica. In particolare, il sistema di difesa
con le porte a triplice tenaglia e le mura a casematte mostrano l’alto livel­
lo qualitativo delle opere di Salomone.
Tutte queste costruzioni necessitavano di manodopera. Gli operai spe­
dalizzati, come già detto, vennero dalla Fenicia, ma gli altri furono reclu­
tati in Israele. Per loro Salomone istituì il lavoro forzato (1 Re 5,2,7 ss.).
Un gruppo di operai lavorava a turno nel Libano e 1 altro, formato da
carrettieri e tagliapietre, in Israele. Questo differente trattamento dovette
portare con sé una certa discriminazione. Ad ogni modo i provvedimenti
presi non dovettero risultare graditi alla popolazione e Geroboamo, no­
minato da Salomone sorvegliante del lavoro obbligatorio della Casa di
Giuseppe in Israele, parteggiò per i lavoratori e dovette fuggire in Egitto
(r Re 11,2.6-40}.

d) Commercio

L ’aspetto più appariscente dell’attività economica di Salomone riguarda


il commercio marittimo. 1 Re 9,26 riporta che Salomone fece costruire
una flotta in Esion-Geber, nella parte più settentrionale del Golfo di
Aqaba (o Elat), e che i servitori di Hiram di Tiro formavano l’equipaggio
insieme alle genti di Salomone. Lo scopo era di procurarsi l’oro di Ofir,
probabilmente nell’attuale Somalia. Come si può notare, Salomone e Hi­
ram costituirono una prospera società commerciale. Un altro dato biblico
presenta con diversa sfumatura le relazioni commerciali fra i due sovrani.
In effetti, 1 Re 9 ,10 -14 parla di una cessione di terre e città da parte di
Salomone a Hiram. Il testo attuale ha subito consistenti rimaneggiamen­
ti. Storicamente è assai probabile che Salomone abbia ceduto una zona
della Galilea, denominata nel testo biblico Kabul (esiste un piccolo paese
omonimo a est di San Giovanni d’Acri), in cambio di denaro, come riferi­
sce 9,14. Salomone non solo necessitava di tecnici, ma anche di denaro
per le sue molteplici attività e le sue costruzioni. Si ritiene che il testo sia
stato in seguito riveduto, poiché le generazioni successive non potevano
capire molto bene la ragione che indusse Salomone a vendere parte del
territorio degli antenati.
L’episodio della regina di Saba (1 Re io) può contenere alcuni elemen­
ti storici. Di fatto in origine i sabei erano nomadi probabilmente insedia­
tisi verso il x secolo nel sud dell’Arabia dedicandosi al commercio. Saio-
mone controllava 1 uscita delle loro carovane presso il M ar Rosso e la vi­
sita della regina non era di pura curiosità. D’altra parte i testi assiri tal­
volta parlano di regine d’Arabia.
Un altro aspetto del commercio di Salomone riguarda i cavalli e i carri
138 La monarchia

da combattimento ( j Re t o^zj-zy). Sembra che Salomone si rifornisse di


cavalli nei piccoli regni di Cilicìa e di carri in Egitto.

e) Luci e ombre del regno di Salomone

È evidente che le redazioni successive dei capp. 3-10 del primo libro dei
Re hanno in larga misura idealizzato 1 immagine di Salomone nei diversi
aspetti fin qui esposti. Questo atteggiamento si ritrova per l’appunto nel­
l’ultima redazione di quanto generalmente si definisce la storia della suc­
cessione al trono di Davide (cfr. bibliografia), il cui tono dominante è pro­
salomonico. Lo scopo è di giustificare e legittimare l’ascesa di Salomone
al trono (jl Re 3-10), discolpando il nuovo re della violenta scomparsa
dei suoi contendenti e facendo in definitiva credere che Salomone ereditò
il trono per volontà di Dio.
L’ultima redazione prò salomonica della storia della successione a! tro­
no di Davide non ha tuttavia sistematicamente soppresso il testo prece­
dente. Lì si possono cogliere posizioni assai diverse e apertamente ostili
alla persona e all’opera di Salomone. 1 Re 1 1 costituisce un condensato
delle critiche e degli aspetti negativi del suo regno. Il testo contiene una
vicenda complessa e i dati che presenta vanno esaminati con estrema at­
tenzione.
Il primo elemento critico, ampiamente trattato dal testo, riguarda le
donne di Salomone. L ’accusa afferma che il re ebbe molte donne e queste
sviarono il suo cuore verso gli dèi stranieri. 2 Re 1 5 ,1 3 mostra che questo
pericolo non fu pura invenzione. Ma il fatto di avere molte donne, un ha­
rem ben assortito, e la possibilità per ogni principessa di continuare ad
adorare 1 propri dèi erano per quell’epoca elementi del tutto normali. Il
matrimonio di Salomone con la figlia del faraone (Siamon?) sembra rien­
trare in un trattato tra i due sovrani per controllare t filistei. Le redazio­
ni successive (della scuola deuteronomista) attribuirono a questi fatti la
frantumazione del regno alla morte di Salomone (1 Re 1 1 , 1 1 - 1 3 ) . Tale
redazione suppone tuttavia una riflessione teologica chiaramente poste­
riore ai fatti.
Gli altri avvenimenti narrati nel capitolo si riferiscono alla sfera politi­
ca. Hadad, l’edomita, rifugiatosi in Egitto dopo la vittoria di Davide su
Edom (11,14 -16 ) , fu ben accolto dal faraone e, alla morte di Davide e
Ioab, gli chiese il permesso di tornare alla sua terra. Ignoriamo il nome
del faraone, ma probabilmente è il medesimo che diede in sposa la figlia a
Salomone; da qui le sue reticenze a lasciarlo partire. In ogni caso, Hadad
non costituì un serio pericolo per Salomone. Lo stesso si può dire di Re-
zon. Ribellatosi a Hadadezer di Soba, vassallo di Davide, si proclamò re
dì Damasco. Il redattore sottolinea l'importanza di Rezon come avversa-
Nascita della monarchia 139

rio di Salomone. È poco probabile. Tuttavìa, anni dopo gli aramei di Da­
masco saranno temibili nemici del futuro regno d’Israele.
L ’ultimo elemento negativo del regno di Salomone è la rivolta di Gero-
boamo, conclusasi in un pruno momento con la fuga di quest’ultimo. Po­
co prima della fuga in Egitto, un profeta, Ahia di Silo, si era presentato
a Geroboamo alPimprovviso e gli aveva annunciato che sarebbe stato re
delle dieci tribù d’Israele {1 Re 11,29 -39 ). L’episodio e discusso e l’attuale
redazione è oltre tutto molto tarda. Mancano tuttavia sufficienti motivi
per negare ogni storicità all’intervento di un profeta, se si considera la si­
tuazione generale sociale e politica del regno e delle ingiustizie che il lusso
e la grandezza di Salomone dovettero necessariamente provocare. Tutto
ciò si aggravò ulteriormente a causa del lungo regno di Salomone. Alla
sua morte la situazione politica, economica e militare era delicata.

6. Problemi aperti
a) La conquista di Gerusalemme
Gtud . 1,8 afferma che la tribù di Giuda assediò e conquistò Gerusalemme dopo la
morte di Giosuè. Storicamente il testo non ha valore, poiché la conquista di Ge­
rusalemme si deve a Davide e ai suoi uomini (2 Sam. 5,6 -10 ). L ’unico facile ac­
cesso alla città era a nord, ma logicamente era anche il piu difeso. Nonostante al­
cune recenti ipotesi,1 la famosa espressione «basteranno i ciechi e gli zoppi a re­
spingerti» (2 Sam 5,6) mostrerebbe semplicemente la difficoltà di conquistare
Gerusalemme. In realtà essa si trova sulla cima di un picco roccioso terminante a
punta verso il sud, con un’impressionante precipizio verso est, il Cedron, e l’al­
tro, meno importante, verso ovest, il Tyropeon. Il testo di 2 Sam. 5,8 è molto dif­
fìcile. Si è pensato che il termine sinnor significasse «canale, tunnel», ma non è
affatto sicuro. Secondo questa ipotesi, Ioab (1 Cron. 1 1 ,6 ) si sarebbe calato da
quel canale e avrebbe sorpreso i gebusei di Gerusalemme. Nel 1 8 6 7 a Gerusalem­
me vennero scoperti, nella zona dell'antica città gebusea, una galleria e un pozzo
che conducevano alla fonte della città, Gihon. Subito si collegarono i due ele­
menti, pensando che la conquista di Gerusalemme fosse stata la conseguenza del­
l’ inaspettata invasione attraverso il canale ritrovato, dato che la fonte era situata
fuori delle mura. Ciononostante, recentemente Y . Shiloh3 ha cercato di far chia­
rezza tornando a esplorare il famoso accesso alla fonte e, per verificare l ’ipotesi
della conquista di Gerusalemme attraverso il canale, ha tentato la risalita dalla
sorgente attraverso il pozzo fino alla galleria. Per far questo dovette chiedere aiu­
to ad alpinisti professionisti, dimostrando che 2 Sam. 5,8 non implica che la presa
di Gerusalemme sia avvenuta in quel modo. Probabilmente si trattò soltanto di
arrivare alla fonte e togliere l'acqua, M a, al momento, nessuna ipotesi spiega in
modo convìncente l’espugnazione di Gerusalemme.

a.. Cfr. Y, Yadin, The Art of Warfare tn Biblica! Lands in thè Tight of Archeologi ceti Discoveries
London 19 6 3.
3. The kedtscot/ery of Worren’s Sbaft BAR V11/4 (19K1) 24-29.
b) Rivolta di Assalonne
e ruolo dì flebron e Giuda
Il testo attuale sulla ribellione di Assalonne sottolinea con pressante insistenza
che i suoi sostenitori nella rivolta contro il padre Davide, re d ’Israele e di Giuda,
erano le tribù del nord, i popoli d’Israele (2 Sam, 1 5 , 1 0 . 1 3 ; 1 6 , 1 5 . 2 2 ; 1 7 ,1 5 .2 .4 ;
1 8 ,6 .7 .1 fr; 19,9 ecc.). Nonostante le doti politiche di Davide, è molto probabile
che le tribù dei nord fossero state relegate in secondo piano rispetto a Giuda. Ciò
spiegherebbe la strategia di Assalonne, che cercò di accattivarsi prima di tutti
quelli del nord (2 Sam . 1 5 ,1 - 6 ) . M a non significa, come suggeriscono alcuni passi
del testo, che Giuda fosse stata sempre e sinceramente con il re e non avesse preso
parte alcuna alla ribellione di Assalonne. Non è possibile presentare qui la corri­
spondente critica letteraria. Basti segnalare alcune circostanze.
Da una parte, il fatto della scelta di Hebron come luogo dell’incoronazione
di Assalonne non desta meraviglia. Perché andare all’antica capitale del regno di
Giuda quando tutti i partigiani di Assalonne, secondo il testo attuale, erano d’I­
sraele? N on era più logico averlo fatto in Sichem, come più tardi succederà con
Geroboamo?
L ’unzione di Assalonne in Hebron, d’ altra parte, suppone un certo consenso,
almeno di una parte della popolazione e dei responsabili della città. 2 Sam . 1 5 , 1 1
aggiunge che duecento uomini di Gerusalemme si schierarono dalla parte di A s­
salonne «innocentemente, senza sospettare nulla». In tali circostanze, tanta inno­
cenza è più che sospetta, dato che tutti conoscevano le peripezie di Assalonne (2
Sam. i5 ,r -2 ) .
A l ritorno di Davide, dopo la morte di Assalonne, 2 Sam 1 9 , 1 2 - 1 5 afferma
chiaramente che egli dovette inviare messaggeri in Giuda, affinché i suoi compa­
trioti mostrassero tanto entusiasmo come avevano farro quelli d’ Israele ricevendo
il re a Gerusalemme: «non siate gli ultimi nel ricevere il re...». E il v. 1 5 - «D avi­
de cambiò l ’opinione della gente di Giuda» - significa che in precedenza gli erano
contrari. Per i redattori posteriori era problematico accettare che la tribù di Giu­
da, in momenti tanto difficili, non fosse stata incondizionatamente dalla parte di
Davide. Era più facile gettare tutte le colpe della ribellione di Assalonne su quelli
del nord, tanto più che la rivolta successiva avrebbe condotto alla separazione
dei due regni.
Ebbene, dal punto di vista storico la rivolta dt Assalonne fu appoggiata da gen­
ti del nord e di Giuda e solo un pugno di sostenitori e adepti, oltre alla guardia
personale di Davide, continuarono a essere fedeli al re. Il valore e l’abilità strate­
gica di questi consentirono il ristabilimento della situazione.

c) Le stalle di Salomone
a hiegiddo
In 1 Re 9 ,19 si dice che Salomone assunse operai per costruire «centri di vettova­
gliamento, le città con quartieri di cavalleria e carri..,». Sono dati confermati dai
ritrovamenti archeologici di alcune città e, particolarmente, di Megiddo. In effet­
ti, negli scavi di questa città si scoprì una serie di sale con colonne e una sorta di
Nascita della monarchia 141

recipienti interpretate in un primo momento come stalle. È l’ opinione più diffusa,


soprattutto a livello divulgativo. Gli scavi posteriori e la stratigrafia di Y . Yadin
situano queste costruzioni al tempo di Acab. Viceversa, J.B . PritcharcP le ritiene
dei magazzini. N on tutti gli archeologi concordano su questo punto.4 5

7. Storia della ricerca


Tre aspetti possono essere segnalati, tra gli altri, in questo paragrafo. In primo
luogo, la critica testuale dei libri dei Re. Storia complessa e fino a pochi anni fa
non affrontata nel suo insieme.6 Il secondo punto riguarda i testi biblici com e let­
teratura storica. Secondo alcuni autori la Bibbia si presenta come il primo testo
nel quale si assiste alla nascita della storia nel senso moderno del termine. I vari
generi, le diverse fasi letterarie che conducono alla scrittura della storia propria­
mente detta sono stati analizzati da P. Gibert.7 Un terzo aspetto della storia della
ricerca riguarda i racconti della successione al trono di D avide . L ’ottica di questi
studi è la critica letteraria, che consente di giungere a una storia della redazione a
partire dalla quale lo storico può delimitare, con maggiore o minore precisione, le
varie correnti che contribuirono alla creazione del testo attuale. L. Langlam et89e
certamente lo studioso che più si è dedicato allo studio di questi testi. '1 uttl i suoi
lavori presuppongono gli studi precedenti, in particolare quelli di E. Wurthwein*
e T. Veijola.10

8. Bibhografia

G. Buccellati, Cities and Nattons m Ancìent Syriay Roma 1 9 6 7 : opera importante


per tutto quanto sì riferisce all’ organizzazione sociale e politica della regione; R.
de V a u x, L e istituzioni d ell’Antico Testam ento , Torino 19 6 4 : opera di consulta­
zione indispensabile per qualsiasi studio storico e sociologico su Israele; F. Lang-

4. The Megiddo Stables, in Lsstfys in bottor of Nelson Glueckì New York 1970, 268 276.
5. Un buon riassunto del problema si trova in EJ manda de fa Biblici 1 5 : La arqueologta y la Bi­
bita. Cten anos de irtvestigaciàn, Valencia 1 9 8 fi, 43 ss.
6. Su questo punto si potrà consultare con profitto J.C. Trebolle, Salomon y JeraboamySalaman-
ca-Jerusalem 1980; Idem, Jehù y Jods. Texto y composietón literaria de 2 Reyes 9 -11. Valencia
1984; D. Barthélemy, Cntique textuelle de TAncien Testamenti Freiburg-Gòttingen 1982.
7. La Bible à la naìssance de l'histoire, Paris 19795 un compendio delle tesi dell'autore si trova in
Los lìbros de Samuel y Reyes (Quaderno Biblico 44), Estolla 1984.
8. Paitr ou contre Salomon f: RR 83 (1976) 321-379. 481-528; Idem, Absalom et les concubines
de $on pére: RB 84 (1977) lf}1 Idem, David et la maison de Saiih RB 86 (1979) 1 9 4 -213.
385-436. 4 8 1 -5 1 3 ; 87 (1980) i b i - n o , 88 (1981) 3 2 1 332; Idem, Affinnés sacerdotales, deuté-
ronomìques, élobistes dans l'histoire de la succession, in Pestschrift H. Cazelles, 1981, 233-246;
Idem, Ahitofel et Houshai, in Mélanges S.E. Loewenstamm, 57-90; Idem, 2 Samuel 15 -/7, in Stu­
dici in Bible and thè Ancìent Near East^ Jerusalem 1978, 57-90.
9. Die Erzdblung von der Thtonfolge Davids, theologiscbe oder politische Geschichtsscbreibungf,
Ziirich 1974.
10. Dìe eivige Dynastie. David und dìe Entstehung seiner Dynastie nach der deuteronomìstiseben
Darstellung, Helsinki 19 7 5 .
14 z La nionarchia

lamet, Les réats d $institution de la royauté ( i Stri y - i 2)] RE 7 7 (19 70 ) 1 6 1 -2 0 0 ;


T .N .G . Mettmger, Solom onìc State Officiate, Lund 1 9 7 1 : importante per quan­
to attiene all’organizzazione amministrativa degli inizi della monarchia in Israe­
le, soprattutto di Salomone; W . Dietrich, Propbetie und G escbicbte , Gòttmgen
1 9 7 2 : studio della stona della redazione dei libri dei Re, benché l’opera si riferi­
sca soprattutto ai testi che esamineremo nel capitolo seguente.
Una serie di articoli del Supplém ent al Dìctiottnaire de la B ible potranno essere
consultati con profitto: Philistins (M. Delcor), vn (19 6 6 ), 1 2 3 3 - 1 1 8 8 ; Prophètes
(A. Caquot), v n i { 1 9 7 2 ) , 2 7 3 -2 8 6 ; Rois (Ltvres des) (M. du Buit), x {19 8 5 ) , 6 9 5 ­
740 . Cfr. inoltre i commenti a 1 e 2 Re.
Per tutto ciò che si riferisce all’ archeologia si può consultare la Encyclopedia o f
Archaeologtcal E xcavatiom in tbe H oly L a n d , edita da M achael Avi-Yonah ed
Ephraim Stern, 4 voli., London 1 9 7 5 - 1 9 7 8 , con bibliografia scelta. Sul piano di­
vulgativo la rivista «Il M ondo della Bibbia», edita anche in italiano dal 19 9 0 , può
essere un eccellente strumento di preparazione ai problemi storici e archeologici;
gli articoli di archeologia sono sempre redatti dai migliori specialisti e, molto
spesso, dagli stessi responsabili degli scavi.

I l, I D U E R E G N I F I N O A L 7 2 2

i . La situazione
a lla m o rte d i S a lo m o n e

Come osserva H. Cazclles, sappiamo del nutrito harem di Salomone, ma


pochissimi sono i dati riguardo ai figli. li sovrano non ebbe problemi da
parte di Giuda affinché Roboamo, figlio suo e di una principessa ammo­
nita, ereditasse il trono paterno (1 Re 14 ,2 1; 2 Cron. 12 ,13 -14 ). Le diffi­
coltà con alcuni vassalli erano iniziate già negli ultimi anni dell’epoca di
Salomone (1 Re 11,14 -2 5 ) e il nuovo faraone d'Egitto avrebbe entro bre­
ve fatto parlare di sé. Salomone, inoltre, più che militare era stato ammi­
nistratore e costruttore e le circostanze esigevano un uomo forte per fron­
teggiare gli avvenimenti che sì avvicinavano e per dimostrare il reale do­
minio della dinastia davidica sui suoi possedimenti. Le potenzialità dell’e­
redità ricevuta da Roboamo erano consistenti per affrontare tale situa­
zione. Ma al nuovo sovrano necessitavano abilità e decisione.

2. La rottura nord/sud

Nessuna di queste qualità caratterizzava la personalità di Roboamo, co­


me s’intuisce dal suo comportamento nel corso delS’assemblea di Sichem.
Non si deve dimenticare che la riunione di tutte le tribù sotto l’autorità
di Davide era il frutto di un accordo e i due gruppi, Giuda e il resto delle
tribù, avevano conservato la loro propria individualità. D ’altra parte, già
ai tempi di Davide si davano casi di separazione politica, dovuti sempre
I due regni fino al 72.2. 143

alla presenza di entrambi 1 gruppi (2 Sant. 15,1-6 ). In una cale situazione,


a Sichem Roboamo si presenta di fronte «a tutta Tassemblea d’Israele» (2
Re 12 ,1-3 ), che chiede al futuro monarca di «allentare la schiavitù» cui
Salomone li aveva costretti, come conseguenza della sua politica di pre­
stigio. Anziché ascoltare gli anziani consiglieri del padre, sostenitori di
una linea moderata, Roboamo subisce l’influsso dei giovani, imbevuti
probabilmente di una concezione assolutistica della monarchia, e brusca­
mente rifiuta la richiesta dell’assemblea. Di conseguenza le tribù del nord
rifiutano la dinastia davidica (1 Re 12 ,16 -17 ). Lo sviluppo di questi avve­
nimenti dimostra Tincapacità e la cecità del nuovo monarca. Per recupe­
rare quello che Giuda doveva considerare come un bene proprio, Roboa­
mo invia il capo delle «brigate di lavoratori». Il carattere provocatorio di
tale provvedimento appare chiaro se si ricorda che una delle questioni
delle popolazioni d’Israele riguardava precisamente il lavoro obbligatorio
(r Re 12 ,17 -19 ). Il risultato di questo tentativo di repressione fu esplosi­
vo. Adoniram, capo delle brigate, fu catturato, il re dovette fuggire pre­
cipitosamente con il suo carro per rifugiarsi in Giuda. Riunirà nella sua
persona le tribù del nord, per formare un nuovo regno, un ribelle delle
brigate dei lavoratori.
1 Re 11,2 6 racconta che «Geroboamo, figlio di Nebat», era «efraimi-
ta» ed essendo «caposquadra di tutti 1 caricatori della casa di Giusep­
pe..., si ribellò contro il re». Fugge in Egitto cercando la protezione del
faraone Shishaq, poiché Salomone lo ricerca per ucciderlo. Seppure i testi
biblici discordino sulla presenza di Geroboamo nelPassemblea di Sichem,
nella quale Israele rompe con la dinastia di Davide (1 Re 12 ,2 e 20), certo
è che il fuggitivo è acclamato re dall assembla israelitica. Ogni tentativo
di Roboamo di recuperare il nord con la forza fallisce. Il testo biblico at­
tribuisce ciò all’esortazione di Semeia, un profeta. E più probabile che il
rapporto di forze fosse favorevole a Geroboamo e ti figlio di Salomone si
fosse reso conto che non c’era più nulla da fare.
Geroboamo (9 33-9 11) s’insedia prima in Sichem e poco più tardi in
Penuel (2 Re 12,25), in Transgiordania. j Re 14 ,17 suppone che Gero­
boamo cambiasse ancora una volta residenza, scegliendo infine Tirsa, a
nord-est di Sichem. L ’andare e il venire in cerca di una capitale rivela
probabilmente l’intento del nuovo re di ristabilire le relazioni tra le tribù.
Geroboamo eleva a «santuari reali» due antichi templi ricchi di storia e
di teologia: Dan e Betel, situati alle frontiere nord e sud del nuovo regno
(1 Re 12,26-33). Questi provvedimenti sono aspramente criticati dal re­
dattore del libro dei Re. Per i contemporanei, tuttavia, le decisioni di Ge­
roboamo furono probabilmente viste come qualcosa di assolutamente
normale. La definizione dei confini dei regni fratelli fu motivo di lotte per
vari anni (j Re 14 ,30 ; 15 ,16 -17 ).
3- Il regno d ’Israele
a) Fino a Omri
Morto Geroboamo, gli succede il figlio Nadab (i Re 15,25), 9 11-9 10 .
Nel giro di due anni, la dinastia di Geroboamo, Eefraimita, si estingue in
modo violento. Baasa, della tribù di Issacar, assassinò Nadab mentre
questi assediava Gibbeton (1 Re 15,27). Regnò a Tirsa dal 9 10 all’ 887.
Secondo il testo biblico citato, la città di Gibbeton apparteneva ai filistei.
Questo dato testimonia che Israele cercò di attuare una politica espansio­
nistica verso sud, anche se i suoi sforzi risultarono inutili.
D figlio di Baasa, Eia, regnò in Israele per due anni (887-886), Zimri,
capo di mezza divisione di carri da combattimento, cospirò contro Eia e
lo uccise mentre si ubriacava in casa del suo maggiordomo (1 Re 16 ,9 ­
10); distrusse tutta la famiglia del re, come avveniva in certe circostanze,
e s’impossessò del trono. Ma l’esercito, che assediava ancora una volta la
città filistea di Gibbeton, proclamò subito Omri re d’Israele. Il passo se­
guente consisteva nel prendere la capitale e disfarsi di Zimri. L ’assassino
di Eia riuscì a resistere per soli sette giorni nella città di Tirsa. Veden­
dosi perduto, incendiò il palazzo e morì (1 Re 16 ,18 ).
Il conflitto continua poiché l’esercito è diviso: una metà parteggia per
Omri, l’altra per Tibni. Il testo biblico lascia intendere che la crisi fu ab­
bastanza lunga, fino alla morte di Tibni, probabilmente assassinato, e
Omri viene riconosciuto da tutti come re d’Israele. Una nuova dinastia
s’instaura nel regno del nord.

b) La dinastia di Omri

Si è talvolta sostenuto che Omri fosse un mercenario non israelita. Talal­


tra, al contrario, lo si è ritenuto originario della tribù di Issacar, come
Baasa ed Eia. I dati biblici non consentono ima soluzione definitiva. E
tuttavia più probabile che il fondatore della nuova dinastia fosse israeli­
ta, senza che si possa precisarne l’appartenenza tribale.
Uno degli avvenimenti più significativi del regno di Omri fu l’edifica­
zione di una città, Samaria, nuova capitale del regno. La scelta ricadde su
una collina di cui era proprietario un certo Shemer (1 Re 16,24). La nuo­
va città apparteneva alla corona, dato che il nuovo re aveva comprato il
terreno con il proprio denaro. Il fatto riveste caratteristiche simili alla
conquista di Gerusalemme da parte di Davide. In entrambi i casi si tratta
d’installare la capitale del regno in una città neutrale sulla quale le diverse
tribù e clan non potessero accampare alcun diritto di precedenza. Nel
contesto delle rivalità tribali del nord questo provvedimento dimostra la
grande abilità politica di Omri.
I due regni fino al 7 2 2 145

Il testo non si dilunga sul regno del nuovo sovrano di Samaria. In x Re


16 ,2 7 ne vengono solo ricordate, molto succintamente, le imprese milita­
ri. Fortunatamente un testo del re di Moab chiarisce le relazioni tra i due
regni. Secondo la stele di Mesha, re di Moab (cfr. TR A T 303 ss.), Om-
ri oppresse Moab a lungo, poiché Kemosh (divinità moabita) era adira­
to contro il suo paese. Il dato è estremamente interessante e mostra un
aspetto dell’attività di Omri, consistente nel recupero non soltanto dei
territori delPaltro lato del Giordano tradizionalmente israelitici, ma nel-
Fandare oltre fino a sottomettere a vassallaggio Moab. Nonostante l’esa­
gerazione delle cifre della stele di Mesha, non c’è dubbio che il tributo
che questi dovette pagare a Samaria fosse cospicuo e costituisse una note­
vole fonte di finanziamento per il regno d’Israele.
Oltre alle imprese militari Omri avviò alcune relazioni politiche e com­
merciali di grande importanza per Israele. Di fatto l’economia d’Israele e
delle città fenicie della costa era complementare. L ’agricoltura costituiva
la grande ricchezza di Samaria sia per la quantità sia per la varietà dei
prodotti, mentre le città fenicie erano pratiche nel commercio ma prive di
terreni per la produzione di alimenti per la popolazione. L ’alleanza tra le
due potenze si concretizzò come di consueto con le nozze di Gezabele, fi­
glia del sacerdote Etbaal, usurpatore del trono di Sidone, e Acab, figlio di
Omri (r Re 16 ,3 1). L ’interesse per questa alleanza non si limita all’aspet­
to economico, dato che permette nel contempo di stabilire un solido
fronte politico e forse anche militare.
Il re Acab (875-853) non ebbe fortuna con quanti ne raccontarono la
storia. 1 Re 16,29-33 ospita il resoconto del suo regno e 1 Re 22, 39-40
ne trasmette le formule conclusive.
Nei due testi e negli altri in cui si parla del figlio di Omri i narratori
hanno delineato un ritratto di Acab particolarmente negativo, facendone
il prototipo del re empio.
Nell’ambito diplomatico Acab continua la politica di alleanza del pa­
dre, aggiungendo nuovi alleati al suo programma. Sua figlia Atalia si spo­
serà con il re Ioram di Gerusalemme, assicurando la pace nel corso di tut­
to il suo regno (x Re 2,45). D’altra parte, il regno di Acab è testimone per
breve tempo della crescita del potere assiro. Per contrastarlo si formerà
un’importante lega anti-assira alla quale Acab fornirà aiuti di uomini e
materiali.
L ’elemento motore di quest’impresa sarà il re di Damasco, Hadadidri.
L ’alleanza con Damasco è evidentemente opportunistica e interessata, con
Pobbiettivo di far fronte al nemico comune. Il testo biblico non parla di
questi avvenimenti, ma gli annali assiri di Salmanassar ni (ANET 278­
280; PO A 17) li ricordano con sufficienti particolari. Acab appare al ter­
zo posto nella lista dei coalizzati. Partecipano alla battaglia di Qarqar con
146 La monarchia

duecento carri. Ciò accade nell’anno 85 3. La coalizione non portò né una


vittoria né una sconfitta, ma fece si che per qualche tempo gli assiri non
potessero costituire un pericolo. Secondo la stele di Mesha già citata,
Moab pagò il tributo a Israele durante tutto il regno di Acab.
L’archeologia ha peraltro confermato l’attività di Acab nell’ambito
dell’edilizia. A Samaria non solo si sono scoperti i resti del suo palazzo e
di imponenti fortificazioni coeve, ma anche preziose placche m avorio
riccamente scolpite, segno evidente del livello di vita di certe classi socia­
li della capitale. Le difese e i sistemi di adduzione d’acqua di Megiddo e
Hasor, ad esempio, dimostrano l’efficienza e il livello della politica inter­
na del re.
Ma i testi biblici rivolgono l’attenzione a un aspetto importante nel
quale il re e la corte non furono campioni di virtù. La presenza dì Geza­
bele che, come indicano il nome e ! origine, era adoratrice di Baal, ebbe
probabilmente un’influenza decisiva nella ripresa della religione cananea
in quest’epoca. È molto probabile che al riguardo Acab si vedesse costret­
to non solo dallo zelo della sposa, ma anche da una parte della popola­
zione del suo regno, di origine cananea. Doveva compiacerla e al tempo
stesso accondiscendere ai fedeli jahvistì, in ossequio all’ armonia comune.
Certo e che, secondo 2 Re 16 ,32, egli costruì un tempio dedicato a Baal in
Samaria. D’altra parte, nei testi chiamati comunemente «ciclo di Elia* (1
Re 17 -19 ; 21), Acab appare come l’antitesi del fedele jahvista impersona­
to dal profeta Elia. In questo senso la storia della vigna di Nabot costitui­
sce un esempio della politica sociale del re, contraria alla tradizione jah­
vista e della quale Elia, secondo i testi, è il rappresentante legittimo e di­
namico.
In questa situazione non appare strana la formazione di gruppi di op­
posizione coagulatisi in un’accanita resistenza alla monarchia, nella quale
alcuni circoli profetici svolgeranno un ruolo decisivo.

c) lehu
e i suoi discendenti

La situazione peggiora rapidamente dopo la morte di Acab. Acazia, il


primogenito, gli succede al trono (853-852), ma muore subito dopo a se­
guito di una caduta accidentale (1 Re 22,52-54 e 2 Re 1). Il testo biblico
(2 Re 1,1) ricorda l’insurrezione di Moab contro Israele alla morte di
Acab. È molto probabile, e la stele di Mesha sembra confermarla. Di fatto
alla morte del signore il vassallo cercava quasi sempre di recuperare l’in­
dipendenza, approfittando dei conflitti per la successione.
Ad Acazia successe il fratello Ioram (852-841). La situazione non mi­
gliorò durante il suo regno. Un unico testo biblico si riferisce all’attività
I due regni fino al 71Z 147

politica e militare di loram: precisamente alla guerra contro Moab (2 Re


3,1-27). Di fronte alla ribellione di Mesha di Moab, loram decide di se­
dare la ribellione unendo le sue forze a quelle del re di Gerusalemme,
probabilmente Giosafat, suocero di sua sorella Atalia, e con quelle del
vassallo Edom. li testo è abbastanza complesso per la presenza del profe­
ta Eliseo, che appare, nella trama attuale dei racconto, uno dei protago­
nisti principali. Il percorso seguito dagli israeliti, dai loro amici e vassalli
non finisce di sorprendere. Per raggiungere Moab, infatti, compiono un
aggiramento dal sud. Ciò significherebbe semplicemente che Mesha, co­
me indica nella sua stele, avrebbe fortificato le sue difese a nord, renden­
do pin difficoltoso un attacco, soprattutto riguardo allo sviluppo concre­
to dell'azione.
Certo è che Moab si libera del giogo israelitico. Secondo il testo biblico
(2 Re 3,26) Mesha chiese aiuto agli aramei per liberarsi degli israeliti. E il
preludio delle guerre aramaiche contro Israele.
Subito dopo la battaglia di Qarqar, a Damasco le cose erano cambiate,
poiché Hazael, un usurpatore, aveva assunto il potere (2 Re 8,15). Ve­
dendosi momentaneamente liberi dalla pressione assira, gli aramei si lan­
ciano in una politica di conquiste verso alcuni territori israelitici della
Transgiordania. Hazael assedia Ramot di Galaad. loram d’Israele, ferito,
si rifugia nei suoi possedimenti di Izreel (2 Re 9 ,14 -15). Un generale del­
l'esercito, Iehu, viene unto m gran segreto da un inviato del profeta Eliseo
e, apprendendo la notizia, gli altri ufficiali proclamano Iehu re d’Israele (2
Re 9,15). Dovevano esservi seri motivi di malcontento nell'esercito per­
ché gh ufficiali accettassero tanto rapidamente reiezione dell’inviato di
Eliseo, anche se non si deve ignorare la schematizzazione del testo bibli­
co. Iehu regnerà ventotto anni (841-814).
Il passo successivo della cospirazione è l’eliminazione di loram. Iehu si
presenta in Izreel e incontra non solamente loram d Israele, ma anche suo
nipote Acazia di Giuda, venuto a visitarlo. Nell incontro Iehu sostiene
come motivo della rivolta «le stregonerie e gli idoli di sua madre Gezabe­
le» j la cospirazione sarebbe quindi motivata dal desiderio dì Iehu di libe­
rare il regno dal culto di Baal. Iehu approfitta lo stesso dell’occasione per
assassinare il re di Giuda, che portava nelle sue vene sangue di Omri (2
Re 9,24-27). In seguito deve disfarsi della famiglia reale e ottenere la sot­
tomissione della capitale Samaria e soprattutto dei tunzionari; il testo
presenta questi avvenimenti con una buona dose di particolari. Il cinismo
e la crudeltà di Iehu appaiono in tutta la loro pienezza.
Se la cospirazione di Iehu e l’entusiasmo dell’esercito alla sua elezione
furono motivati dal desiderio di rafforzare la politica d’Israele di fron­
te agli aramei, queste speranze vennero subito frustrate. Da testi assiri
(ANET 280; PO A 20) sappiamo che Iehu dovette pagare un tributo a
148 La monarchia

Salmanassar in. Il testo di 2 Re 10 ,32-33 attribuisce unicamente agli ara­


rne] lo smembramento de! territorio d’Israele. È probabile che, con il tri­
buto pagato agli assiri, Iehu cercasse di accattivarseli per attenuare la
pressione aramaica. Nonostante tutto, secondo 2 Re 10 ,33, Iehu Perse
interamente i possedimenti israelitici di Transgiordania.
Ioacaz (814-803) succede al padre Iehu. I testi biblici (2 Re 13,1-9 ) ri­
portano che nel corso del suo regno gli aramei oppressero Israele. Nono­
stante 2 Re 13,4-6, eli redazione più recente, durante il regno di Ioacaz la
situazione restò sostanzialmente immutata. Per altro verso, le cifre del v.
7 probabilmente corrispondono alle clausole del trattato di vassallaggio
imposto dagli aramei a Israele.
2 Re 6,24-7,17 e i Re 2 0 ,1-2 1 presentano due resoconti di assedi di
Samaria, capitale d’Israele. Entrambi i testi vanno sottoposti a critica let­
teraria approfondita per potervi trarre dati storici. Si può dire che le due
narrazioni si riferiscono a un unico assedio di Samaria condotto proba­
bilmente da Ben-Hadad, successore dì Hazael di Damasco. Alla morte di
quest’ultimo, Israele avrebbe tentato di liberarsi dal vassallaggio. Gli ara­
mei reagiscono e assediano Samaria. Il nuovo re di Samaria, Ioash (803­
787), chiede aiuto a Àdad Nirari m , re d’ Assiria, per liberarsi ancora una
volta degli aramei. Questi dati si conoscono da qualche tempo grazie ad
una stele del sovrano assiro. In tali circostanze, il re di Samaria potè in­
traprendere la riconquista di una parte almeno dei territori perduti da
Ioacaz in Cisgiordama. 2 Re 13,24-25 e 1 Re 20,26-34 menzionano que­
sti avvenimenti.

d) II regno di Geroboamo I I
(787-747)

Tra il 780 e il 745 il pericolo assiro non si farà sentire in Siria-Palestina.


Le divisioni interne e la pressione dei vicini del nord-est spiegano questa
inattività. À causa dei continui scontri con gli assiri anche gli aramei han­
no perso forza e capacità aggressiva. In queste circostanze i quarantan­
ni di regno di Geroboamo 11 offrono un’occasione ideale per restaurare
il dominio d’Israele. 2 Re 14 ,253 afferma che Geroboamo «ristabilì la
frontiera dTsraele da Lebo-Hamat fino al Mar Morto». Il dato sembra
m

storicamente fondato (cfr. Am. 6, soprattutto 6,14). Queste conquiste,


che consentirono il recupero degii antichi territori e dell’influenza perduta
dai tempi di Davide (r Re 8,65), riattivarono il commercio e 1 economia
del regno. Ciò non implica, tuttavia, un corrispettivo miglioramento della
situazione sociale. Le differenze tra le varie classi si accentuano e aumen­
tano le ingiustizie di ogni tipo, come dimostrano le predicazioni di Osea
e, soprattutto, di Amos.
e) Storia della ricerca

Benché il problema trascenda ampiamente l’epoca presa in esame, la presenza dei


gruppi profetici implicati nel colpo di stato di Iehu consente di analizzare le ca­
ratteristiche peculiari della monarchia in Giuda e in Israele.
Per molti anni la concezione di A. A ltTI sulle differenze della monarchia nel
nord e nel sud si è imposta con forza ed è ancor oggi sostenuta. Per questo stu­
dioso Pinstabilità politica e dinastica del regno del nord è dovuta semplicemente
al sistema di successione al trono, che non sarebbe dinastico ma «carismatico».
Dal punto di vista della fede d’Israele, il monarca del regno del nord era conside­
rato legittimo solamente se «eletto» con l’ intervento di un profeta (un ispirato),
che ne legittimava in tal modo il potere. Si tratterebbe di un ritorno al sistema ri­
scontrabile talvolta nel libro dei Giudici. Questo supporrebbe un rifiuto del siste­
ma di successione dinastica, contrariamente a quanto accadeva nel regno di Giu­
da, dove la famiglia di Davide di fatto regnò senza interruzione fino alla rovina
di Gerusalemme (587).
La teoria di A . Alt, malgrado l’influenza esercitata su molti autori, è priva di
fondamento. In nessun testo relativo al regno del nord, infatti, si dubita del prin­
cipio di successione dinastica né si utilizzano le formule o il lessico impiegati nel
libro dei Giudici per i «capi carismatici». L a successione dinastica, inoltre, vigeva
nel nord, nella maggior parte dei casi, sin dall’epoca di Saul. L ’ uso della locuzione
«casa di jc», infine, per parlare di un re (si veda il testo certamente antico di r Re
r é ,1 1 ) indica chiaramente che la concezione dinastica era la norma.
L ’instabilità politica del nord si spiega con la sua complessità tribale e con le
lotte dei diversi clan e tribù per impossessarsi del potere.
Il ruolo dei profeti, messo in luce da A lt nella sua teoria, è poi spiegabile alla
luce di due ragioni diverse. In primo luogo, per il ruolo crescente assunto dai cir­
coli profetici nel nord, la cui influenza nella redazione deuteronomistica dei libri
dei Re è evidente. In secondo luogo, questa influenza non si esercitò soltanto nel­
l’ambito della redazione letteraria e della teologia. N el regno del nord i profeti
acquistano un’autorità morale così grande, per lo meno sul piano ideale, da tra­
sformarsi nei veri depositari del potere legittimato dalla divinità. Di conseguenza,
perfino i re passano in secondo piano, ricevendo, in taluni casi, la ratifica del po­
tere dalle mani del profeta. Quanto nel rituale d’incoronazione era probabilmente
pura formula liturgica si tramuta in ideale teologico di legittimazione. N onostan­
te tutto, la monarchia sopravvisse con maggior o minor fortuna tanto a nord
quanto a sud grazie al principio di successione dinastica.

4. Giuda: da Roboamo a Ozia

Una volta avvenuta la rottura nord/sud, il regno di Roboamo (933-915)


è ricordato unicamente, secondo 1 Re 14 ,2 5 -2 6, per l’incursione militare
che il faraone Shìshaq effettuò in Palestina. Non bisogna dimenticare che1

1 1 . A. Alt, Die Staatenbildung der Israeliten in Palàstìna, 1930 =Kleine Schriften 11, 18 53, 1-65.
1 50 La monarchia

il fondatore del regno del nord fu suo protetto e che l’egiziano avrebbe
considerato la divisione dell impero di Salomone l’occasione propizia per
recuperare la presenza egiziana in Palestina. L ’incursione del faraone rag­
giunse i due regni. E possibile che Geroboamo i, alParrivo delle truppe
egizie, si rifugiasse a Penuel, sull’altra sponda del Giordano. Certo è che
Roboamo si salvò pagando un considerevole tributo. D ’altra parte, se­
condo 2 O o«. 1 1 ,5 - 1 2 , Roboamo fortificò una serie di città del suo re­
gno. Le lotte con il nord e la paura di una nuova incursione egiziana ne
sarebbero I3 causa.
Il discendente di Roboamo, suo figlio Abia (9 15-9 13), continuò la po­
litica del padre nèli Impegno di consolidare le frontiere con il regno del
nord.
fi secondo figlio, Asa (9 13-8 71), non si comportò diversamente. In
questi tentativi Asa pagò il tributo a Ben-Hadad di Damasco perché at­
taccasse Israele dal nord, obbligando così Baasa ad abbandonare la forti­
ficazione di Rama, nel territorio di Beniamino. Asa si impossessò dei ma­
teriali con cui fortificò altre città del regno. Non sembra che la situazione
sia molto mutata dopo questi fatti.
Giosafat (870-846), contrariamente ai predecessori, si riconcilia con il
regno fratello e, come si è detto parlando della dinastia di Omri, la pace
viene sancita dalle nozze della figlia di Acab con il figlio di Giosafat. Du­
rante il regno di quest’ ultimo si cerca di organizzare una spedizione in
cerca d’oro, ma le imbarcazioni vengono distrutte da una tempesta (1 Re
22,49). In quest’epoca Edom è vassallo di Giuda, quantunque per poco
tempo.
Ioram (846-841) perse Edom e la città filistea di Libna (2 Re 8,22).
Acazia (841), figlio suo e di Atalia, fu assassinato da Iehu. L ’uccisione di
Acazia provocò grandi sconvolgimenti in Giuda. 2 Re 1 1 riferisce con
ampiezza del regno di Atalia e delia cospirazione che la detronizzò e ucci­
se. La critica letteraria di questo difficile capitolo ha individuato varie re­
dazioni di epoche e interessi diversi. “ Molto probabilmente il responsabi­
le degassassimo della famiglia reale di Giuda fu Iehu, com’è chiaramente
indicato in 2 Re 10 ,13 - 14 , e non Atalia, contrariamente a quanto detto in
z Re i i , i , benché non tutti i particolari di 2 Re 10 ,13 -14 vadano presi
alla lettera. Certo è che Atalia, regina-madre imparentata con l’ultimo re
di Giuda, non era della dinastia di Davide. Allo stesso tempo il nuovo si­
gnore di Samaria non poteva gradire che una discendente diretta degli
Omridi occupasse il trono di Gerusalemme.
La cospirazione di Ioiada, che una redazione posteriore presenta come12

12 . Cfr. C. Leviti, D ét Sturz der Kònigin Atalja, Stuttgart 19 8 2 ; J. Trebolle, Jehu y Jods, Valen­
cia 19 84.
I due regni fino al 711 151

sacerdote, ha per scopo il ristabilimento sul trono di un rappresentante


puro della dinastia di Davide. È probabile che non rimanessero in molti
con queste caratteristiche, quindi la storia della zia che nasconde Ioas è
problematica.
Oltre a quelli già citati, i protagonisti di questi fatti vanno ricercati nel­
l’esercito. Nei momenti decisivi Ioiada si appella alPesercito. Non bisogna
dimenticare neppure un gruppo menzionato varie volte, «il popolo del
paese». Seppure questo gruppo non compaia nel racconto più antico, è
certo che il suo appoggio fu estremamente utile a Ioiada per imporre il
suo candidato sul trono di Davide.
2 Re ix riporta vari dati sui riti d’incoronazione dei re, anche se, evi­
dentemente, il suo scopo non è di illustrare il rituale. L ’età del nuovo re
Ioas e il preponderante ruolo avuto da Ioiada nella sua ascesa al trono
spiegano l’influenza di quest’ultimo durante il regno di Ioas (2 Re 12,4). 2
Re 12 ,18 - 19 segnala una spedizione militare degli aramei in territorio fi­
listeo e contro Gerusalemme. È l’inizio delle guerre aramaiche, delle qua­
li Israele sarà la vittima principale; Ioas opta per il pagamento di un tri­
buto, per sentirsi libero dai pericolosi nemici. Ma viene assassinato all’età
di 46 anni dai suoi ufficiali. La successione dinastica funziona normal­
mente e il figlio Amasia sale al trono (796-781).
Secondo 2 Re 14,5 Amasia, assunto saldamente il potere, uccise gli uf­
ficiali assassini del padre. È una implicita allusione alla sua difficoltà di
conservare il potere. Il nuovo re cercò di concludere una politica dinami­
ca (2 Re 14,7) e, soprattutto, di vendicare Tassassimo dei suoi antenati da
parte di Iehu. Per questo provocò Ioas, nipote di Iehu, ma subì una ver­
gognosa sconfitta: una parte delle mura di Gerusalemme furono distrutte
e dovette pagare a Samaria un ingente tributo.
Amasia morì assassinato come il padre, nonostante fosse fuggito a La-
kish per salvarsi. Gli successe il figlio Ozia (781-740). Costui, chiamato a
volte Azaria, ebbe un lungo regno e approfittò della debolezza delle gran­
di potenze dell’epoca. 2 Re 15 ,1- 7 non offre molti particolari sulla sua
attività. Tuttavia, 2 Cron. 26,6-15 propone una nutrita panoramica delle
sue imprese. Gii storici accettano il fondamento storico del testo e l’ar­
cheologia ha confermato alcuni dati del libro delle C ro n a c h e . Fortificò
Gerusalemme, danneggiata durante la guerra contro Ioas d’Israele; co­
struì fortificazioni e insediamenti agrari sulla sponda occidentale del Mai­
Morto e perfino a Qadesh Barnea; fece di Elat un importante porto com­
merciale per Giuda e si impose sui filistei e su altre tribù arabe del sud-
ovest del suo territorio. In data incerta contrasse la lebbra e il figlio Iotam
regnò col padre fino alla sua morte nel 704. «Suo figlio Iotam era capo
del palazzo e giudicava il popolo». Sono formule tecniche per esprimere
l’esercizio del potere regale.
5- Restaurazione del potere assiro.
Fine d'Israele e vassallaggio di Giuda
a) Restaurazione del potere assiro
La situazione generale del Vicino Oriente cambia radicalmente con l’a­
scesa al trono deirAssiria di Tiglat-Pileser jii (745-727). Dopo quaran­
tanni di quasi totale inattività esterna e di lotte interne, il nuovo re rico­
struisce l’unità del paese e crea un esercito permanente. D’ora 111 poi non
si tratterà più di accontentarsi dei tributi sporadici di paesi piu o meno
vicini. Se la regione sottomessa si ribella o compaiono tentativi d’indi­
pendenza, la pressione assira giunge addirittura ad annettere il territorio
nemico. Lo si trasforma in provincia assira, se ne deporta una parte degli
abitanti in altri territori deU’impero e coloni portati da lontano vengono
insediati nella nuova provincia.

b) Fine d'Israele e vassallaggio di Giuda

La dinastia di Iehu, dopo il brillante regno di Geroboamo ir, sarà vittima


come tutte le precedenti di un massacro. L ’ultimo rappresentante, Zacca­
ria (747), regnò per sei mesi. Sul trono usurpato, il suo assassino, Sallum,
non rimase che per un mese. Menahem assassinò il suo momentaneo
predecessore e s’impossessò del potere ( 7 4 7 - 7 3 7 ) . Il succedersi di assassi­
ni! evidenzia nuovamente l’instabilità politica del nòrd che, unitamente
alla minaccia assira sempre più concreta, si concluderà con la distruzione
del regno d Israele. Secondo i testi assiri (cfr. ÀN ET 282-284; POA 24)
già nel 738 Menahem dovette pagare un tributo ai nuovi padroni del­
l’oriente; lo conferma 2 Re 15 ,19 : qui il monarca assiro riceve il nome di
Pul, con il quale Tiglat-Pileser ni si fece incoronare re di Babilonia. L ’im­
posta fu molto elevata e, per pagarla, il sovrano di Samaria impose una
tassa ai ricchi del regno. L ’anno seguente Menahem muore, ma lo si
trova ancora designato in una stele del re assiro.
Il figlio Peqahia gli succede al trono per soli due anni ( 7 3 7 - 7 3 5 ) . Pro­
babilmente il nuovo re continuò la politica di subordinazione agli assiri
avviata dal padre. I piccoli regni di Siria-Palestina, tuttavia, non renden­
dosi conto della grandezza del potere assiro, decidono di organizzare una
lega per liberarsi dalla sua presenza e dalle imposte. In queste circostanze
sembra probabile un complotto fomentato da Damasco per mettere sul
trono di Samaria un re favorevole alla lega antiassira. Peqahia viene as­
sassinato; gli succede Peqah ( 7 3 5 - 7 3 2 .) , che con Damasco, Tiro, Gaza e
altri cerca di spingere Giuda a partecipare alla cospirazione. Questi ten­
tativi dovettero aver luogo nel 7 3 5 , quando Iotam era ancora in vita. Il re
di Giuda si rifiuta e muore poco dopo. Gli succede il figlio Acaz ( 7 3 5 -
] due regni fino al 721 153

7 15). Poco prima della sua incoronazione ufficiale Samaria e Damasco


tentano di imporre un mutamento di dinastia a Gerusalemme, per inse­
diare sul trono un sostenitore delTalleanza antiassìra (Is. 7,1-7). Di fronte
alla gravità della situazione, il profeta Isaia si presenta ad Acaz, che non
lo ascolta e si rivolge al re assiro perché lo liberi dai nemici pronti ad as­
sediare Gerusalemme (2 Re 16,7). Tiglat-Pileser profittò delPoccasione
per far pesare la sua presenza nella zona. Cominciando dalla città di Ga­
za, s’impadronì di quattro quinti del territorio del regno dei nord, la­
sciando soltanto Samaria e le zone limitrofe al nuovo re, Osea, figlio di
Ria (732-723), che assassinò Peqah e assunse il potere in un disperato
tentativo di salvare qualcosa dalle mani assire. Gerusalemme si liberò dei
coallzzati antiassiri e divenne vassallo di Tiglat-Pileser. 2 Re 16 ,10 -15
racconta come Acaz si recò a Damasco, dopo che gli assiri l’ebbero con­
quistata, per rendere omaggio al re assiro e prendere nota di alcune rifor­
me da introdurre nel tempio di Gerusalemme.
Osea di Samaria rimase tranquillo per alcuni anni. Morto Tiglat-Pile-
ser, cercò di spezzare d giogo assiro con l’aiuto dell’Egitto (2 Re 17,4).
Il nuovo re assiro, Salmanassar v (727-722), raggiunse Samaria, cattu­
rò Osea e pose in assedio la città fino alla sua capitolazione, avvenuta tre
anni dopo, nel 722. Salmanassar v muore e il successore, Sargon li, s’in­
carica di organizzare i territori conquistati, di deportare buona parte del­
la popolazione e di condurre coloni dalla parte opposta dell’impero.
Nel frattempo in Giuda regna la calma. Acaz ha capito la lezione e ri­
mane vassallo fedele degli assiri per tutta la vita. Un gran numero di rifu­
giati del nord s’insedia a Gerusalemme e in Giuda. Altri riparano in Egit­
to. I primi portano con sé testi e tradizioni delle loro tribù, dei loro san­
tuari e dei loro profeti. L ’influenza sociale e teologica che si apprestano a
esercitare in quanto resta del popolo d’Israele sara grande.

6. Problemi aperti

L ’espressione tradotta letteralmente con «popolo del paese» ricorre 5 r volte nei
testi dell’Antico Testamento. È utilizzata soprattutto nel secondo libro dei Re, nel
corrispondente secondo libro delle Cronache, in Geremia ed Ezechiele. Il ricorso
della formula nei diversi testi porta a costatare che non si riferisce mai al regno
del nord. D ’ altra parte nei testi preesilici l’espressione affiora con frequenza nel
contesto delle diverse cospirazioni ambientate in Gerusalemme (2 Re 1 1 , 1 4 . 1 8 .
T9.20, soltanto 1 ultimo cesto appartiene al racconto antico; 2 1 ,2 4 l2 volte]; 2 3 ,
3 0 .3 5 ; 2 4 ,1 4 ; 2 5 ,3 ; 2 5 ,1 9 [2 volte]). In tutti i casi «il popolo del paese» appare
come un gruppo compatto, difensore della dinastia davidica e ostile ai progetti
degli assassini del monarca legittimo. Nei testi postesilici l’espressione cambia di
significato. Tn Esd. 4,4 la formula designa la popolazione locale ostile alla comu­
nità degli esiliati e assume, perciò, un significato spregiativo. N ell’epoca del N .T .
154 La monarchia

l’espressione connota il gruppo di persone che praticano attività sgradite a un


giudeo religioso e osservante della legge.
Secondo R. de V an x (Istituzioni, 78) si tratterebbe delTmsieme degli uomini li­
beri, che godono di diritti civili in un determinato territorio. La definizione è ac­
cettabile, benché un poco generica. Senza poter giungere a conclusioni precise e
definitive, bisogna riconoscere che «il popolo del paese» si mostra in varie occa­
sioni come particolarmente fedele alla legittimità dinastica, in particolare alla ca­
sa di Davide, ostacolando con la sua azione i progetti dei congiurati. In questo
contesto si può riconoscere una certa opposizione tra «il popolo del paese» e la
capitale del regno, soprattutto con i funzionari, i militari e i cortigiani.
Al riguardo non è possibile affermare nulla di più, S ’ignora, infatti, come si
concretizzasse questa opposizione e se «il popolo del paese» avesse la sua esisten­
za e opposizione istituzionalizzata per mezzo di rappresentanti qualificati.

7. Bibhografia

K.A. Kitchen, The T h ird Interm ediate l'e tio d in E gypt ( 110 0 -6 5 0 B.C.), 1 9 7 3 :
opera indispensabile per quanto concerne PEgitto di quest’ epoca; S. Timm, Die
Dynastie O m ri, Gòttingen 1982,: lavoro recente e importante sul tema, con ricca
e minuziosa critica storico-letteraria; T. Ishida, The R oyal Dynastìes in Ancient
Israel , Berlin 1 9 7 7 ; Garelli * V. Nikiprowetzky, Le Proche-Q rtent asiatìque ^
Paris I 19 6 9 , 11 1 9 7 4 . chiaro e preciso manuale, curato da due grandi specialisti;
E. Puech, Athalie fille d'A ch ab: Salinariticensis 2.8 ( 19 8 1) : studio minuzioso sulla
famiglia della regina dì Gerusalemme; N . N a ’aman, Turo Notes on thè Monotith
Inscription o f Salm aneser I I I from Kurkhi Tel Aviv 3 (19 7 6 ) 8 9 -10 6 ; J.L . Sicre,
Diversas reacciones ante el latifundism o en el antiguo Israel , in Sim posio Biblico
Espaholy M adrid 1 9 8 4 , spec. pp. 405 ss. sulla vigna di N abot, con ricca biblio­
grafia; W . Dietrich, Ptophetie und Geschichte, Gòttingen 1 9 7 2 : opera importan­
te sulla storia della redazione deuteronomistica dei libri dei Re; C. Levin, Der
Sturz der Kontgin Atalia , Stuttgart 1 9 8 2 : recente studio di critica storico-lettera­
ria, di grande pregio sulla cospirazione di Ioiada e la caduta di Atalia; R. La Bar­
bera, The M an o fW a r and thè Man o fG o d , Social Satire in 2 King 6,8-7,20: C B Q
46 (19 8 4 ) 6 3 7 - 6 5 1 : articolo importante sulla personalità di Eliseo e i suoi inter­
venti bellici secondo i testi bìblici; E. Puech, U ivo ire inserii d ’Arslan Tash et les
rois de Damasi RB 88 ( 1 9 8 1 ) 5 4 4 -5 6 2 : sulle guerre aramaiche contro Israele; N.
N a ’aman, Sennacherib's Letter to G o d on bis Gampaign io Ju d a h : B A SO R 2 1 4
(19 7 4 ) 2.5-39: l'articolo dimostra che certi testi attribuiti a Tiglat-Pileser ih ap­
partengono a Sennacherib. È quindi praticamente impossibile che l’ Azriahou dei
testi di Tiglat-Pileser possa identificarsi con Azaria-Osia di Giuda; J. Asurmendi,
La guerra siro-efraimita. Bistorta y profetas , Valencia 1 9 8 2 ; H. Cazelles, Proble-
mes de la guerre syro-ephraìm ìte : Eretz-Israel 1 4 (19 7 8 ) 7 0 -78 .
Capitolo v

L ’ultimo periodo
della dinastia davidica

I. P R IM A F A S E : F I N O A L L A R I F O R M A D I G IO S IA

i . Ezechia3 Assiria ed Egitto


a) I fatti
La cronologia del regno di Ezechia è abbastanza complessa. 2 Re 1 8 ,1 at­
testa che Ezechia salì al trono nel terzo anno del regno di Osea d’Israele,
ossia nel 729/728. 2 Re 18 ,13 afferma che Sennacherib invase Giuda
nel quattordicesimo anno del regno di Ezechia, cioè nel 7 0 1, se si devono
ritenere attendibili i dati dei testi assiri (ANET 287; POA 39). Ciò fa sup­
porre che Ezechia avesse cominciato a regnare nel 7 16 / 7 15 . La spiega­
zione comunemente accettata è quella di considerare il 729 come Tanno
in cui Ezechia fu associato al trono da suo padre Acaz e il 7 16 / 7 15 come
il momento nel quale Ezechia, alla morte del genitore, salì al trono.
Durante Tepoca di associazione al trono Ezechia assecondò la politica
paterna prima di tutto sottomettendosi a Tiglat-Pileser in e quindi a Sal-
manassar v. L ’atteggiamento di Ezechia si modificò una volta assunti i
pieni poteri o, perlomeno, a partire da questo momento potè iniziare una
politica personale. Sargon 11 sale al trono assiro nel 722. Nel 7 16 è in ter­
ritorio filisteo e gli egiziani gli pagano tributi. Verso il 7 13 un vento di ri­
volta soffia nelle città filistee, appoggiate probabilmente dalTEgitto. Sar­
gon s’impadronisce di tre città filistee (ANET 286 s.; POA 35). Sembra
che Giuda, che aveva aderito alla congiura, non si fosse troppo compro­
messo (cfr. Is. 20,1-6); perciò le conseguenze non furono gravi.
A partire dal 704 Ezechia si ribella apertamente agli assiri, capeggiando
la coalizione appoggiata dalTEgitto e a cui partecipavano varie città fili­
stee. In questo contesto si colloca probabilmente Tattività bellica di Eze­
chia contro i filistei, menzionata in 2 Re 18,8. Vi si afferma che «sconfis­
se i filistei sino a Gaza, devastando tutto il loro territorio dalle torri di
guardia sino alle roccheforti». Forse che con tali imprese Ezechia ricon­
quistò quanto, secondo 2 Cron. 28,18, il padre aveva perduto? E proba­
bile. Di certo Tattività di Ezechia andava ben oltre col porsi a capo della
lega antiassira. Considerando quanto riferiscono i testi assiri su questo
punto non ci sono dubbi.
Sennacherib ci dice che gli abitanti della città filistea di Eqron avevano
15 6 L’ultimo periodo della dinastia davidica

deposto il re, fedele vassallo di Assina, consegnandolo a Ezechia che lo


aveva imprigionato a Gerusalemme (ANET 287 s.; POA 39). Lo stesso
testo riferisce che gli egiziani in questa occasione non si limitarono a pro­
muovere la congiura, ma parteciparono alla battaglia del Elteqe e vennero
sconfitti dalle truppe assire- La ribellione doveva ritorcersi gravemente
contro Ezechia, poiché Sennacherib, da poco salito al trono, non poteva
permettere insubordinazioni ai lati del suo impero, soprattutto con la
partecipazione dell’Egitto, il quale non era nel suo momento migliore: le
divisioni politiche ne minacciavano la capacita militare; esso, tuttavia,
continuava a fomentare cospirazioni e a promettere un aiuto che non po­
teva permettersi di concedere. Non è strano che Isaia, non soltanto per
motivi religiosi, critichi duramente l’alleanza politica di Giuda con l’Egit­
to (cfr. Is. 30 ,1-7 ; 3 1,1-3 ).
La campagna di Sennacherib fu rapida ed energica. Tutti 1 coalizzati
cedettero uno dopo l’altro. L ’ultimo a cadere fu Giuda e la sua capitale.
L ’assiro, recuperato il territorio filisteo, avanzò verso Giuda entrando
dalla Shefela. Il bassorilievo della conquista di Lakish (ANEP 372- ss.) e i
testi assiri danno un’idea dello svolgimento di tale campagna. Il cerchio
si strinse intorno a Gerusalemme, e Sennacherib, con le sue parole, «lo
rinchiuse a Gerusalemme, sua città reale, come un uccello nella sua gab­
bia» (ANET 288; POA 35). I testi biblici e assiri concordano su questo
punto e riconoscono che Gerusalemme si salvò all’ultimo momento gra­
zie al forte tributo pagato da Ezechia a Sennacherib (2 Re 18 ,13 - 16 ; cfr.
AN ET 288; POA 35). Gli assiri concessero gran parte del territorio di
Giuda ai filistei, rimasti fedeli a loro. Dopo queste lotte per i’indipenden-
za, Giuda era fortemente indebolito e dipendente dagli assiri più di pri­
ma. Il risultato non poteva essere più avvilente.

b) Problemi aperti

1 testi biblici si soffermano sulla cosiddetta riforma di Ezechia. 2 Re 18 ,4 ­


6 ne fa un breve riassunto; 2 Cron, 29,31 si dilunga nei vari particolari. È
difficile negare totalmente i esistenza stessa della riforma. Il problema e
conoscerne esattamente la portata. Dal punto di vista storico 2 Re 18,4-6
offre garanzie maggiori del secondo libro delle Cronache; quest’ultimo
infatti descrive la riforma di Ezechia sulla traccia di quella di Giosia (cfr,
2 23). Il fatto di ricordare la distruzione del serpente di bronzo in oc­
casione della riforma offre allo storico un dato incrollabile, poiché, oltre
a essere un fatto molto concreto, non si vedono ragioni per la sua inven­
zione da parte di qualcuno. Tanto più che inizialmente se ne accetta l’ori­
gine inosaica e, pertanto, positiva. Gli altri elementi della descrizione del­
la riforma sono molto più generici e difficili da inquadrare. Non è irnpos-
Fino alla riforma.di Giosia 157

sibile comunque che —grazie alla caduta di Samaria e al profondo trauma


sociale, religioso e politico che questo avvenimento comportò agli abitan­
ti di Giuda —il re avesse tentato una purificazione della pratica religiosa
di Giuda. D'altra parte G er. 2 6 ,17 -19 riferisce il racconto popolare se­
condo cui Ezechia ascoltò l’invito alla conversione del profeta Michea.
Sarà stato questo il punto d'avvio della riforma? Il dato merita d’essere
tenuto in considerazione. La riforma religiosa concorda per l’appunto con
i tentativi politici e militari d’indipendenza, giacché il nazionalismo coin­
volgeva inevitabilmente entrambi gli aspetti. Questi tentativi riformisti
potrebbero al tempo stesso perseguire l’obbiettivo di offrire una risposta
ai rifugiati a Gerusalemme dal regno del nord, recentemente scomparso,
dai quali uscirà il Deuteronomio, completamente allineato con la rilorma
attribuita a Ezechia. È utile segnalare che il figlio di Ezechia, suo succes­
sore al trono, si chiama Manasse, nome della più importante tribù del
nord che formava con Efraim la «casa di Giuseppe».
Al contrario, la celebrazione della pasqua menzionata in 2 Cron. 3 0 ,13
ss. risulta molto incerta dal punto di vista storico. 2 Re 18,4-6 non ne fa
assolutamente cenno e soprattutto in 2 Re 23,22, parlando della pasqua
di Giosia, si dice: «una pasqua simile non era stata celebrata dal tempo in
cui i giudici governavano Israele e neppure per tutto il periodo dei re d’I­
sraele e di Giuda». A proposito di quella celebrazione della pasqua, il li­
bro delle Cronache racconta che Ezechia inviò emissari nei territori di
Efraim, Manasse e perfino di Zàbulon, per invitarli alla celebrazione. Il
testo stesso riconosce che il risultato fu molto modesto (2 Cron. 30,5­
12). Se la pasqua è dubbia, è probabile che Ezechia avesse tentato di rico­
stituire l’unità nazionale intorno alla propria persona, soprattutto sotto
l’aspetto politico. Ma l’annotazione del libro delle Cronache mostra che
l’invito non ebbe il riscontro auspicato.

c) Bibliografia

J. Rright, A H istory o f Israel, Philadelphia-London 31 9 8 1 (tr. sp. 19 6 6 , 3 1 5 - 3 1 9 ) ,


è un classico sostenitore della duplice campagna contro Gerusalemme. Costitui­
sce uno studio molto importante sulla campagna di Sennacherib, fondato sui dati
archeologici, N . N a ’amam, Sennacherib"s Cam paign to Ju dah and thè D ate o f t h e
Imlk Stam ps : V T 29 (19 7 9 ) 6 1-8 6 .

2. Settantanni di normalizzazione

La situazione che Manasse riceve in eredità dal padre Ezechia non è af­
fatto brillante. Gli assiri sono all’apice del potere quando il dodicenne
Manasse (cfr. 2 Re 2 1 ,1 - 1 8 e 2 Cron. 33,1-20) sale al trono (687). I testi
i 58 L ’ultimo periodo delia dinastia davidica

che lo riguardano polarizzano la loro attenzione sulla sua attività religio­


sa. Manasse appare come il tipico esempio di re empio. 2 Re 2 1 ,1 - 1 8 è
probabilmente il frutto di redazioni successive, che nsottolinearouo l’em­
pietà del re.
Il biasimo religioso di cui e oggetto Manasse è articolabile in due ten­
denze. Da un lato Manasse avrebbe promosso i culti di Baal e Àstarte (2
Re 2 1,3.7 ), della religione cananea. Il re non soltanto abbandona la poli­
tica paterna di centralizzazione, ma dà spazio a culti non israelitici, Dal­
l’altro, 2 Re 2 1,3 afferma che egli «rese culto a tutta la milizia celeste».
Questa indicazione sembra presupporre un’influenza assira sul compor­
tamento religioso del re. A tal riguardo l’atteggiamento del re è spiegabile
in modo diverso. Manasse porrebbe essersi comportato come adoratore
delle divinità astrali costretto dalla sua condizione di vassallo degli assiri.
Così in genere se ne è intesa la condotta. Tuttavia la presunta intolleranza
religiosa degli assiri verso i loro vassalli è stata recentemente posta in
dubbio.
2 Cron. 3 3 ,1 1 ricorda un’azione militare degli assiri contro Manasse,
il cui risultato avrebbe procurato al re di Giuda svariati mesi di prigionia
in Babilonia. Il dato è generalmente considerato attendibile dal punto di
vista storico. La notizia del libro delle Cronache presuppone che Assur-
banipal avesse nuovamente conquistato la Babilonia. Il fatto lascia inten­
dere che Manasse avesse partecipato a una certa cospirazione antiassira
approfittando delle lotte interne alla corte assira dell’epoca. L’episodio è
da collocarsi posteriormente al 648.
Morto Manasse, gii succede il figlio Amon. Era ventiduenne e regnò
per due anni soltanto (2 Re 2 1,19 -2 5 ; 2 Cron. 33,21-25). Il libro dei Re
rimprovera ad Amon gli stessi errori del padre, mentre il testo delle Cro­
nache considera che, a differenza del padre, Amon non si convertì. Il fi­
glio di Manasse venne ucciso dai suoi ufficiali. La spiegazione di questo
assassinio è da porre in relazione con la situazione politica generale. In
effetti, i testi assiri segnalano una serie di rivolte contro Assurbanipal da
parte degli stati di Siri a-Palestina; Ashdod, Tiro e alcune tribù arabe, tut­
te appoggiate dalPEgitto, cercano di liberarsi dal giogo assiro. I cospira­
tori di Gerusalemme, probabilmente filoegiziani, avrebbero cercato di at­
tuare una politica anti-assira, come a suo tempo Ezechia, e per questo
non avevano altro espediente che disfarsi di Amon, il quale alla pari del
padre continuava a essere fedele alPAssiria. In questo contesto si spieghe­
rebbe ugualmente Pelezione di Giosia a successore di Amon (2 Re 2 1 ,1 4 ­
26; 2 Cron, 33,25). Tanto piu che Giosia salì al trono a otto anni soltanto
e la giovane età lasciava il potere nelle mani di quanti Pavevano incoro­
nato, servendo da garanzia per gli assiri.
L’intervento profetico di Nahum verso il 660 e, soprattutto, il rifiniste-
Fino alla riforma di Giosia 159

ro del profeta Sofonia sosterranno le riforme religiose che il giovane re,


compatibilmente con la sua età, intraprenderà. Nel suo libro Sofonia ri­
flette la situazione religiosa e politica della prima parte del regno di Gio­
sia (640630), quando i culti e persino i costumi stranieri invadono il
paese diffondendosi specialmente tra le classi dirigenti. Sofonia si presen­
ta ugualmente come un anti-assiro convinto (Sof", 2 ,13 -15 ), mentre nulla
si dice dell’Egitto nel suo libro, così come è giunto, eccetto un versetto
mutilo (2,12).

3. Fine del potere assiro

Le lotte interne all’impero assiro e gli attacchi esterni saranno la causa


della rapida decadenza del suo potere. A partire dal 639 scompaiono le
grandi iscrizioni di Assurbanipal, che lascia il potere e il titolo di re di As­
siria al figlio Asuretelilani nel 630, conservando per sé il potere in Babilo­
nia. La morte di Assurbanipal si data solitamente al 627. Gli succede sul
trono di Babilonia Sinsariskun, il quale già nel 626 deve cedere il posto a
Nabopolassar, il fondatore della nuova dinastia babilonese che regna fino
al 605. La perdita del trono di Babilonia non impedisce a Sinsariskun di
aspirare al trono di Assiria con l’appoggio di Nabopolassar. Regnerà, di
fatto, sull’Assiria dal 623 al 6 12 . L ’ultimo re di Assiria sarà Assuruballit
(6x2-609).
A partire dal 630 il potere di Assiria è ovviamente pura finzione, so­
prattutto nelle zone al confine dell’impero. In una simile situazione gli
antichi vassalli cercano di recuperare, in tutto o in parte, la propria indi­
pendenza. Gli altri protagonisti della politica internazionale non si ac­
contentano tuttavìa di osservare gli sviluppi della situazione. I caldei di
Nabopolassar, saldamente insediati in Babilonia, si alleano con i medi di
Ciassarre. Nel 614 i medi s’impossessano di Assur e nel 6 12 medi e babi­
lonesi, al comando di Ciassarre e Nabopolassar, conquistano Ninive. Il
resto degli assiri, con a capo Assuraballit, si rifugia ad Harran. Frattanto
gli egiziani assistono con inquietudine alla disgregazione dell’impero assi­
ro, temendo che i babilonesi possano ereditarne forza e potere. Di qui il
tentativo di ostacolare Nabopolassar e di sostenere i loro antichi nemici,
gli assiri. Necao 11 (610-595), successore di Psammetico i, che era riuscito
a ripristinare l’unità egiziana, interviene personalmente contro i babilo­
nesi. Nel 609 attraversa la Palestina. A Megiddo, Giosia, re di Gerusa­
lemme, lo affronta e muore in battaglia. Per alcuni anni Gerusalemme di­
viene vassallo dell’Egitto.
4- Giosia e la riforma
a) La riforma
Non è da escludere che, in questa situazione, la storia del regno di Giuda
dipenda dai mutamenti della politica internazionale. Il regno di Giosia si
distingue per la ricerca d'indipendenza politica e per la riforma religiosa
che ne consegue.
2 Re 22,3 segnala che il re mandò lo scriba Shafan al tempio di Geru­
salemme per occuparsi del denaro delle collette allo scopo di proseguire le
opere del tempio. Il fatto si colloca nel 622. In quell’occasione viene sco­
perto il libro della legge, che servirà da documento atto a legittimare la
riforma del re. Questo fatto è stato spesso ritenuto il punto d’inizio della
riforma di Giosia ma, pur non retrocedendo tanto come il Cronista (2
Cron. 34,3) che colloca l’avvio della riforma nel 632 senza fornire ele­
menti di giustificazione a una data tanto alta, bisogna riconoscere die es­
sa dovette cominciare prima del 622, poiché la scoperta del libro della
legge coincide con l’esecuzione dei lavori nel tempio, ì quali rientrano
nelle riforme intraprese dal re. Molto probabilmente, secondo Io stesso
testo di 2 Croti. 34,3, occorre collocare l’inizio del rinnovamento nel do­
dicesimo anno del regno di Giosia, ossia nel 628, Tenuto conto che a
partire dal 630 il potere assiro è diviso, la data del 628 per l’inizio delle
riforme è perfettamente plausibile. Tutti questi mutamenti politici e reli­
giosi si collocano nel contesto favorevole del tramonto del potere assiro.
L ’aspetto politico della riforma non può essere scisso dalla dimensione
religiosa. In entrambi ì casi si tratta di un tentativo di ripresa nazionale.
Dal punto di vista politico la presenza in Giuda di un cospicuo numero
di rifugiati dell’antico regno del nord dovette avere un suo peso nel tenta­
tivo di recuperare gli antichi territori, un tempo sotto il potere di Davide
e Salomone. Il territorio di Betel cadde senza dubbio facilmente nella ma­
ni di Giosia (cfr. 2 Re 3 3 ,15 ss.}, come Samaria (2 Re 2,3,19) e forse Me-
gìddo (2 Re 23,29).
Il libro dei Re ricorda questi aspetti territoriali nel momento stesso in
cui illustra la riforma religiosa di Giosia; la sua distruzione dei santuari
locali fu una delle principali imprese che lasciò il tempio di Gerusalemme
unico luogo di culto. Al redattore del libro dei Re interessa in particolare
la dimensione religiosa della riforma. Tenendo conto che 1 redattori dei
libri dei Re appartengono alla scuola deuteronomista, non é da escludere
che il rinvenimento del libro della legge, in cui tutti vedono il nucleo pri­
mitivo del Deuteronomio, funga da freno della riforma di Giosia.
La scoperta del rotolo del libro della legge induce il monarca a inviare
una delegazione dalla profetessa Hulda, che viveva nel quartiere nuovo
di Gerusalemme, abitato soprattutto da rifugiati del regno del nord (2 Re
Fino alla riforma di Giosia 161

22,14). Questo dato è considerato da molti autori come an indizio dell o­


rigine del famoso rotolo che, nascosto probabilmente nel tempio all’epo­
ca di Ezechia, contiene tutta una serie di tradizioni teologiche radicate
nel regno del nord. Quando inoltre si confronti il libro del Deuterono­
mio, anche nelle sue sezioni più arcaiche, con il libro di Osea, non emer­
gono dubbi sulla provenienza dell’opera: il regno del nord.
Centralizzazione del culto e rifiuto del contatto politico e religioso con
gli altri popoli, per non separarsi dall5unico Dio d’Israele, costituiscono
alcuni elementi chiave dell’opera. Nel libro della legge è palese l’influenza
della predicazione profetica e dell’esperienza del regno del nord.
La celebrazione della pasqua rappresenta un momento chiave del mo­
vimento riformista. 2 Re 2 3,21-23 narra che nell’anno stesso della sco­
perta del libro della legge a Gerusalemme si celebrò la pasqua in modo
speciale: «una pasqua simile non era stata celebrata dal tempo in cui i
giudici governavano Israele e neppure per tutto il periodo dei re d’Israele
e di Giuda» (2 Re 23,22). Con bastante probabilità tale celebrazione si
colloca dopo la lettura solenne del libro della legge, di cui parla 2 Re 23,2
ss. Questa celebrazione introduce varie innovazioni fondamentali. In pri­
mo luogo la sua celebrazione a Gerusalemme. Secondo il rito del libro
dell’Esodo (Es. 12,1-28 ) la pasqua è una festa familiare celebrata nel luo­
go di residenza della famiglia. Con la riforma di Giosia la pasqua si tra­
muta in un pellegrinaggio associato alla festa degli azzimi e tale rimarrà a
partire dall’esilio. Ma questa celebrazione assume comunque una dimen­
sione nazionale di cui prima era priva. Il fatto di essere convocata dal re
attribuisce alla cerimonia un carattere decisamente nazionale, mentre in
antecedenza la pasqua significava la costituzione di un gruppo di genti in
popolo di Dio.

b) Problemi aperti

Alla stregua della predicazione di Sofonia che con probabilità influì concretamen­
te sulla preparazione della riforma di Giosia, anche la partecipazione di Geremia
a tale riforma è accolta da vari autori.1 Le cose tuttavia non sono così evidenti.
Alcuni testi importanti di Geremia sono certo destinati alla popolazione delPanti-
co regno del nord (soprattutto i capp. z-6 e 3 0 -3 1) e la predicazione coincise con
i tentativi politici di Giosia di recuperare gli antichi territori del regno d’Israele.
Geremia, d ’altro canto, apparteneva a una famiglia sacerdotale di Anatot (Ger .
1 ,1 ) , con la quale si scontrò (Ger. 1 1 , 2 1 ; 12 ,6 ). M a fu la riforma deuteronomica,
squalificante i santuari locali e il suo personale, la ragione dello scontro di Gere­
mia con la propria famiglia? Le cose non sono chiare. Di certo il profeta si rese

1. Cfr. H. Cazelles, Storia politica di Israele dalle origini ad Alessandro Aiagnoi Roma 1 9 8 5 , 1 8 2
e n. 84, con abbondante bibliografia.
16z L ’ultimo periodo della dinastia davidica

conto rapidamente della scarsa incisività di una riforma imposta autoritariamen­


te. Il piccolo gruppo di riformatori convinti dovette affrontare il fallimento e il ri­
torno a una situazione tanto grave come quella precedente o ancora peggio.

II. S E C O N D A F A S E : F I N O A L L A C A D U T A D I G E R U S A L E M M E

1. La lotta per la supremazia in Oriente

Con la scomparsa degli assiri dalla scena politica nel 609, il problema
della supremazia in Oriente non è risolto. Varie forze si affrontano e nes­
suna possiede la capacità d’imporre il proprio dominio sulle altre. I medi
restano acquartierati nel nord della Mesopotamia e i protagonisti delle
guerre saranno gli egiziani e i babilonesi. l a Cronaca babilonese pubbli­
cata da Wiseman (cfr. bibliografia) narra con obbiettività gli avvenimenti
di questi anni. Tra il 606 e il 605 egiziani e babilonesi si affrontano sulle
rive dell’Eufrate. I babilonesi avevano costruito una serie di roccheforti
attaccate e prese dagli egiziani, come avviene per Kimuhu. I babilonesi
contrattaccano e s’impadroniscono di postazioni egiziane. La battaglia
decisiva si consuma a Karkemish nel 605. Le truppe egiziane sono scon­
fitte e alcuni soltanto riescono a riparare ad Hamat. Sebbene la Cronaca
babilonese esageri, dicendo che le truppe di Nabucodonosor non lascia­
rono un solo egiziano vivo, certo per un po’ di tempo i babilonesi con­
trolleranno totalmente la Siria-Palestina.
L ’ 8 agosto del 605, approssimandosi la morte del padre, Nabucodono­
sor deve rientrare rapidamente in patria. Una volta insediato sul trono,
torna in Siria per consolidare l’occupazione. Tra il 603 e il 6oz Nabuco­
donosor è di nuovo in Siria-Palestina. I filistei fanno appello all’Egitto,
come attesta il papiro di Saqqara. Gli egiziani decidono d’intervenire. La
battaglia ha luogo nel 601 e il risultato è incerto. Nabucodonosor, come
riferisce la stessa Cronaca babilonese, ritornò nel suo paese senza esser
riuscito a vincere gli egiziani e, di conseguenza, con i piccoli stati di Pale­
stina in rivolta. L ’anno successivo la Babilonia recupera le forze e riorga­
nizza le proprie truppe. Nel 599 Nabucodonosor invia parte delPesercito
insieme a bande aramaiche, moabitiche ed edomitiche (cfr. 2 Re 24,2) quale
preannuncio del suo intervento personale contro Gerusalemme nel 598.
Nell’autunno di quell’anno i babilonesi pongono Gerusalemme in stato
d’assedio e conseguono un dominio effettivo su tutta la regione (cfr. 2 Re
24,7 e Cronaca babilonese, 5° e 6° anno di Nabucodonosor).

2. Giuda tra due fronti

La collocazione geografica e la modesta imoortanza politica spiegano


sufficientemente, negli ultimi anni del vìi secolo, il continuo passaggio di
Fino alla caduta di Gerusalemme 163

Giuda dalle mani egiziane a quelle babilonesi, e viceversa. Come ai tempi


di Ezechia nelPvm secolo, alla corte di Gerusalemme si fronteggiano due
partiti. Geremia è un difensore accanito della sottomissione ai babilonesi,
finché il partito filoegiziano non riuscirà a trascinare il paese nella sua
politica antibabilonese, tanto da condurlo al disastro totale. Dal 609 al
605 grazie alla supremazia militare del faraone Necao sulla Siria-Palesti-
na, Gerusalemme vive sotto il giogo egiziano. Alla morte di Giosia nel
609 il favore popolare si riversa non sul suo primogenito ma su Ioacaz.
Tuttavia Necao attira quest’ultimo a Ribla, in Siria, dove ha stabilito il
proprio quartier generale, lo imprigiona e lo invia in Egitto, dove muore
(2 Re 23,30-35). Il faraone impone come re il figlio maggiore di Giosia,
Eliaqim, cambiandogli il nome in quello di Ioiaqim, e mettendo così in
evidenza la sua condizione di vassallaggio (2 Re 23,35). Ma la battaglia
di Karkemish, di cui si è fatta menzione nel paragrafo precedente, scon­
volge di nuovo tutti i ruoli e Ioiaqim diviene vassallo di Babilonia pagan­
do un forte tributo. Le cose rimangono immutate fino all’incerta battaglia
del 601, di cui Ioiaqim approfitta per non pagare il tributo a Nabucodo-
nosor. Con l’arrivo dei babilonesi a Gerusalemme nel 598 la situazione
assume aspetti drammatici.

3. La prima deportazione

Secondo i dati riportati dalla Cronaca babilonese, le truppe di Nabuco-


donosor si diressero verso la Siria-Palestina e accerchiarono «la città di
Giuda» nell’anno settimo nel mese di Kislimu (18 dicembre 5 9 8 - 1 5 gen­
naio 597). Il 2 di Addar (16 marzo 597) i babilonesi si impadronirono
della città. 2 Re 2 4 ,12 colloca questi avvenimenti nell’anno ottavo di Na-
bucodonosor, ma la Cronaca babilonese e Ger. 52,28 parlano del settimo
anno di Nabucodonosor. Quest’ultima è la data più probabile.
Poco prima dell’assedio di Gerusalemme il re Ioiaqim muore. Gli suc­
cede il figlio diciottenne Ioiakin, che regnerà tre mesi soltanto (2 Re
24,8). Vista la situazione, l’unica cosa possibile per salvare quanto resta­
va del regno era arrendersi a Nabucodonosor prima che fosse troppo tar­
di. La Cronaca babilonese informa che il re di Babilonia fece prigioniero
il sovrano, mise al suo posto un altro di sua fiducia e impose un pesante
tributo che portò con sé a Babilonia. 2 Re 2 4 ,10 -17 conferma questi dati,
fornendo maggiori particolari. Soprattutto, il testo biblico parla della de­
portazione. Contrariamente al costume assiro, Nabucodonosor non fa
insediare in Giuda deportati da altre parti del suo impero. Si accontenta
di trasferire in Babilonia, oltre a tutti i tesori trafugati, il re deposto e tut­
ta la sua famiglia, i servitori, e quanti, dal punto di vista politico ed eco­
nomico, potevano rappresentare una forza capace di organizzare ribellio-
IÓ4 L ’ultimo periodo della dinastia davidica

ni. Artigiani, politici e sacerdoti partono per Babilonia; tra loro il sacer­
dote Ezechiele, futuro profeta. Il numero degli esiliati varia secondo le
fonti. 2 Re 24 ,14 : 10000 deportati; 2 Re 24,16: 7000 + 1000; Ger. 52,
28: 3023 giudei deportati.
Il nuovo re di Gerusalemme, zio di Ioiakin, si chiamava Mattania. Na-
bucodonosor gli cambiò il nome in Sedecia, mostrandone in tal modo la
condizione di vassallo. D’ora in avanti, e fino al crollo finale, la comunità
giudaica si troverà a essere divisa in due: gli esiliati e gli abitanti di Giu­
da e Gerusalemme.
La situazione politica è stabile per quel che riguarda il rapporto di for­
ze tra babilonesi ed egiziani. Alla corte di Gerusalemme si affrontano due
partiti: i sostenitori della sottomissione e i propugnatori della ribellione.
L’Egitto, benché impotente, continua ad appoggiare da lontano i tentati­
vi di rivolta dei piccoli stati palestinesi.
Il nuovo re, Sedecia, non mostra pienamente la sua personalità. Il lega­
me con Geremia, almeno nei primi momenti di regno, appare solido; vale
a dire che la sua opzione politica era appunto quella della sottomissione
ai babilonesi, ai quali doveva fra Taltro il trono. Il partito filoegiziano
continua tuttavia a tessere trame, appoggiandosi su due basi fondamen­
tali. Da una parte sulla coscienza popolare e di certi circoli di riflessione
teologica che, partendo dagli avvenimenti del 7 0 1, proclamano e senLono
una sicurezza a tutta prova nell’inviolabilità di Gerusalemme, dovuta alla
presenza del Dio nazionale nel tempio della capitale (Ger. 7; 26; 28; Ez.
1 1 ,1 4 - 1 5 ) . Il secondo sostegno della ribellione si fonda sulla cospirazio­
ne che prende corpo nel 594/593 e alla quale partecipano esplicitamen­
te Edom, Moab, Ammon, Tiro e Sidone. I loro ambasciatori tengono
un’importante riunione a Gerusalemme e Geremia riceve Tmcarico, da
parte del suo Dio, di presentarsi in quell’assemblea per esortare alla sot­
tomissione (Ger. 27). Sedecia si compromette sempre più nella trama an­
tibabilonese, appoggiato da una forte corrente popolare alimentata da
profeti e sacerdoti di Gerusalemme e di Babilonia (cfr. Ger. 27; 28; 29).
La Cronaca babilonese attesta che Nabucodonosor si presentò in Siria-
Palestina nel 594/593. Sedecia implora perdono per salvare la pelle (Ger.
51,59). In tutto questo tumulto il faraone Psammetico rimane inattivo.

4. La fase conclusiva

Il cambiamento di sovrano in Egitto suscitò senza dubbio una nuova oc­


casione per cospirare contro 1 babilonesi. I! nuovo faraone Hofra dimo­
stra un vivo interesse per gli affari oltre frontiera. Si organizza una nuova
congiura alla quale partecipa Ammon (Ger. 4 1,10 ; Ez. 2 1,2 3 ss.). La rea­
zione dei babilonesi non si fa attendere. Nel gennaio del 588 Nahucodo-
Fina A h caduta di Gerusalemme 16 5

nosor torna a porre in assedio Gerusalemme. La predicazione di Geremia


non è servita a nulla. Viene addirittura incolpato di tradimento (Ger.
3 7 ,1 1 ss.) e Sedecia, nonostante la pusillanimità che lo caratterizza, lo li­
bera dalla prigione nella quale i sostenitori della ribellione contro i babi­
lonesi l’hanno rinchiuso (Ger. 3 1,17 -3 8 ,18 ).
l ’assedio fu interrotto dall’intervento delle truppe del faraone Hofra
(Ger. 37,5-10), ma la pausa fu di breve durata. Gli egiziani si ritirano e
l’assedio si fa ancor piu insopportabile. Le difese della citrà cedono il
giorno 9 del quarto mese dell’ anno 1 1 di Sedecia; alla fine di giugno del
587 Sedecia con un gruppo di soldati fugge a est attraverso il Cedron.
Nella pianura di Gerico sono raggiunti e condotti a Ribla, dove Nabuco-
donosor aveva stabilito il suo quartier generale. I figli di Sedecia sono de­
capitati davanti al padre e quest’ultimo viene accecato, incatenato e con­
dotto a Babilonia, dove muore. A Ribla vengono pure giustiziati molti
funzionari di Giuda (Ger. 5 2 ,7 - 11; 2 Re 25,3-7).
Con tutto ciò, Ger. 5 2 ,12 data l’arrivo di Nabuzardan, capo della
guardia del re babilonese a Gerusalemme, al io del mese seguente. Non è
facile spiegare tale ritardo. Il tempio è incendiato e le mura abbattute.
I babilonesi decretano una nuova deportazione. Ger. 52,29 parla di
832 giudei deportati, cifra assai inferiore a quella del 597. Probabilmente
in questa occasione i giustiziati furono molto più numerosi che nella pri­
ma presa di Gerusalemme. Questa volta il bottino fu enorme; venne sot­
tratto tutto il metallo esistente nelle varie parti del tempio, compresi gli
elementi decorativi, Gli utensili facilmente trasportabili furono portati in­
tatti a Babilonia e il resto venne fatto a pezzi per comodità di trasporto
(Ger. 5 2 ,17 -2 7 ; 2 Re 2 5 ,13 -17 ). Gerusalemme conquistata, le mura di­
strutte, il tempio e gran parte delle case incendiate, il re in prigione e le
strutture statali disfatte, con il fior fiore della popolazione in esilio: tale fu
il glorioso risultato di una ribellione senza senso.
I babilonesi riorganizzano il resto della popolazione e pongono a capo
della provincia Godolia, nipote di Shafan, del partito riformista, protet­
tore e amico di Geremia (2 Re 25,22). Nabucodonosor e Nabuzardan,
capo della guardia, erano informati su Geremia e le sue opinioni, proba­
bilmente dai giudei disertori (2 Re 2 5 ,1 1 ; G er. 38,19). Nabucodonosor
ringraziò per i suoi servigi il profeta, lasciandolo libero di agire e procu­
randogli mezzi di sussistenza (3 9 ,11-14 ).
Ma gli ammoniti, alleati dì Gerusalemme nell’ultima cospirazione, non
cessarono nel loro impegno e incitarono gli ultimi ribelli a disfarsi di Go-
doha in un vano tentativo di resistere ai babilonesi (Ger. 40). La popola­
zione unitasi a Geremia ebbe paura e, nonostante le dissuasioni del profe­
ta, fuggì in Egitto per timore di rappresaglie da parte dei babilonesi, co­
stringendo il profeta ad accompagnarla (2 Re 25,22-26; Ger. 42 e 43).
X6 6 L ’ u lt im o p e r io d o d e lla d in a s t ia d a v id ic a

Se ne ignorano le ragioni, ma Ger. 52,30 ricorda un’ultima deportazio­


ne: 745 giudei deportati nel 582/581.

5. Problemi aperti
a) La caduta di Gerusalemme
La data esatta della caduta di Gerusalemme fa problema. 2 R e 2 5 ,8 afferma che
Nabucodonosor giunse a Gerusalemme (e la conquistò) Tanno 1 9 del suo regno,
ossia nel 5 8 6 (cfr. Ger. 5 2 ,1 2 ) . A l contrario, secondo Ger. 5 2 ,2 8 -2 9 , N abucodo­
nosor deportò i giudei Tanno 18 del suo regno, vale a dire nel 5 8 7 . Alla luce di
questi dati non esistono argomenti decisivi né in un senso né nell’ altro. Ebbene, i
testi biblici affermano chiaramente che Sedecia regnò undici anni (2 R e 2 4 ,18 ) e
Tassedio dei babilonesi durò fino alTanno undici di Sedecia (2 R e 2 5 ,2 }. Eviden­
temente Tanno undici di Sedecia corrisponde al diciottesimo di Nabucodonosor e
in tal modo si confermano le date riportate da Ger. 5 2 ,2 8 -2 9 .

b) La morte di loiaqim

È presentata in maniera differente nei vari testi biblici. 2 R e 24,6 lascia intendere
chiaramente che loiaqim morì tranquillamente nel suo letto; la formula «addor­
mentarsi con i suoi padri» è solitamente usata dal redattore per indicare la morte
naturale della persona in questione. 2 Cron. 3 6 ,6 .7 fa credere che loiaqim venne
deportato e morì a Babilonia. Ger . 2 2 ,1 9 sembra indicare che loiaqim fu lasciato
fuori della città senza sepoltura. Il testo del libro delle Cronache pare confondere
avvenimenti differenti, mentre Toracolo di Geremia è una profezia di castigo, di
adempimento evidentemente aleatorio, come succede in altri oracoli profetici. 2
Re 24,6 è probabilmente il testo più attendibile.

6. Bibliografìa

Oltre alla bibliografìa specifica già segnalata sulla campagna di Sennacherib del
7 0 1 e alle diverse storie d’Israele, si possono consultare, sugli aspetti esaminati
nel capitolo, P. Garelli - V . Nikiprowetzky, L e Proche-O rient asiatique> Paris 1
1 9 6 9 ,1 1 1 9 7 4 . D .J. Wiseman, Chronicles o f Chaldaean Kìngs (626-556 B .C .) in
thè British M useum , London 1 9 5 6 ; A . M alam at, The last Kings o f Ju dah and thè
Fall o f Jerusatem . A n historical-chronological Study: IEJ 1 8 (19 6 8 ) 1 3 7 - 1 5 6 ; Id.,
The Tu/ilight o f Ju d a h : in thè Egyptian-Babylonian M aelstrom , V T S 28, Leiden
1975 , 1X3 T45-

in . l ’ is t it u z io n e m o n a r c h ic a

L ’instaurazione della monarchia non coincide affatto con gli inizi della
storia d’Israele. La sua durata sarà relativamente breve, perfino entro il
quadro temporale dell’Antico Testamento. Nonostante ciò, la monarchia
L'istituzione monarchica 167

avrà un ruolo decisivo durante la sua storia e dopo la sua scomparsa. Con
varianti più o meno essenziali, l’istituzione monarchica sì sviluppò come
funzione sociale e religiosa in modo eguale nei regni d’Israele e di Giuda.
Ciò si deve essenzialmente al fatto che la monarchia nella storia d’Israele
e un istituzione ricavata dai modelli esistenti in queirepoca nel Vicino
Oriente. La peculiarità della monarchia in Israele e Giuda va ricercata nel
dato seguente: la regalità non è mai concepita come la mediazione supre­
ma e ultima tra il Dio nazionale e il popolo.
Con la caduta di Gerusalemme nel 587 la monarchia scompare dalla
storia d’Israele, I tentativi di restaurazione al ritorno dall’esilio c l’episo­
dio della monarchia asmonea attestano in modo tangibile che la monar­
chia non può più essere vissuta in Israele se non nell’ambito della speran­
za escatologica.

1. .Riri d ’incoronazione

Il testo biblico non contiene un rituale preciso e rigoroso delle cerimonie


d’incoronazione. Le notizie al riguardo si colgono specialmente in due
racconti basati su precisi avvenimenti storici: Pincoronazione di Salomo­
ne e di Ioas di Giuda (1 R<? 1,11- 4 0 e 2 Re ri). Alcuni salmi regali offro­
no qualche dato complementare.
Il rito fondamentale con cui si diventa re è l’unzione (1 Re 1,3 9 ; 2 Re
9,6-10; 1 1 ,1 2 ) . Benché 2 Re 1 1 ponga problemi di critica letteraria, mag­
giore è la probabilità che normalmente un sacerdote versasse Polio sul ca­
po dell’eletto. Tale rito simboleggia la relazione particolare istituitasi a
partire da quel momento tra l’unto e il Dio nazionale. L ’olio versato sul
capo lo impregna come la forza e lo spirito di Dio che l’accompagnano
nella sua funzione regale. Il rito era noto nelle monarchie delle città-stato
cananee e in altre località del Vicino Oriente,
Secondo elemento del rituale è l’acclamazione «Viva il re» ( j Re 1,39 ;
2 Re 9 ,13 ; 1 1 ,1 3 ) . Con questo grido il popolo manifesta il suo omaggio
all’eletto dalla divinità, il quale attraverso l’unzione ha ricevuto la capa­
cità necessaria per espletare la sua missione. Questo elemento del rituale
non va confuso con un'accettazione di tipo elettivo da parte del popolo.
La monarchia è ereditaria e l’elezione compete alla divinità con la scelta
di una dinastia.
Un altro elemento chiave del rito d’incoronazione è la processione che
conduce Punto dal tempio, luogo in cui avviene l’unzione, al palazzo, in
cui è collocato il trono (1 Re 1,3 5 ; 2 Re 11,19 ) .
Un rito fondamentale è l’intronizzazione (1 Re 1,3 5 ; 2,12.; 2 Re i i ,
19), ossia la presa di possesso del simbolo della regalità. Il nuovo sovrano
s’insedia sul trono del suo predecessore. Pare che nel caso di associazione
i6 8 L ’ u k im o p e r io d o d e lla d in a s t ia d a v id ic a

al trono i riti dell’unzione e dell’intronizzazione abbiano luogo in mo­


menti distinti. L ’unzione si consuma al momento dell’associazione; l'in­
tronizzazione, invece, con la morte del re. 31 caso di Salomone sembra si­
gnificativo al riguardo. Parte di rilievo nello svolgimento del rituale sem­
bra rivestire l’omaggio dei funzionari di stato al nuovo re (z Re 1,45),
benché forse in questo caso si tratti di una circostanza dovuta all’associa­
zione al trono (2 Re 9 ,13 ; 10,4-5).
R. de Vaux segnala, come rito d’incoronazione, 1' «imposizione delle
insegne». Un solo testo biblico (2 Re 1 1 ,1 2 ) ne fa tuttavia menzione. La
critica letteraria recente, poi, vi riconosce la niano di redattori sacerdota­
li posteriori che avrebbero trasferito parte del rito di consacrazione del
sacerdote all’unzione e incoronazione di Ioas. Funge da supporto soltanto
il parallelismo con 1 rituali egiziani e mesopotamici nei quali questo ele­
mento è fondamentale.
Al dire soprattutto dei salmi regali {Sai, 2 e n o ) e stando ad altri indi­
zi bìblici, è probabile che nel corso della cerimonia un profeta proclamas­
se pubblicamente, spesso dopo aver compiuto l'unzione, la condizione
del nuovo sovrano, la sua filiazione divina, le sue funzioni.

2. Funzioni del re

In Israele e in Giuda il re era figlio di Dio. La profezia di Natan, magna


cbarta della dinastia davidica, e i salmi 2 e n o esprimono le relazioni
particolari tra Dio e il re. Nella sua qualità di figlio dì Dio e mediatore
del popolo di fronte alla divinità, il re era il punto centrale del culto.
I monarchi biblici non esercitarono normalmente funzioni sacerdotali,
ma i sacerdoti dipendevano dal re. D ’altra parte la pietà del re era consi­
derata elemento essenziale per il buon andamento della società. La sa­
pienza e la giustizia sono due virtù fondamentali del sovrano: sapienza
per dìscernere e governare con avvedutezza, per amministrare la giustizia
e rendere possibile l’armonia sociale. Queste due virtù hanno la loro orì­
gine nella divinità. Sai. 72 e Is. 1 1 ,1 - 9 ne sono chiare testimonianze.
II re era il capo supremo dell’esercito, l’anima visibile della forza che la
divinità metteva ai servizio del popolo nelle guerre contro gli altri popoli.
Suo compito era vegliare sulla sicurezza dei sudditi. 11 re era il luogote­
nente della divinità.
Tutte queste funzioni avevano come obbiettivo principale la promozio­
ne integrale della proprietà del paese e del popolo. Le immagini del pa­
store e del padre si utilizzavano correntemente in questo senso.
lì linguaggio impiegato nei testi relativi all’ ideologia regale sembra ec­
cessivo, se messo in relazione con la realtà della monarchia. Non bisogna
dimenticare che si tratta di un linguaggio liturgico e di corte, funzionale a
L a r e lig io n e durante l’ e p o c a della m o n a r c h ia 16 9

riflettere l’ideale, la teoria delPistituzione. In Israele la critica profetica


della monarchia fu tanto dura che il divario tra realtà e ideale apparve
continuamente in tutta la sua crudezza.

3. Messianismo

Messia — dalPebraico màstàh — significa «unto». Ogni re è un messia


L ’istituzione monarchica e soprattutto le funzioni del re e il linguaggio
impiegato per esprimerle si prestavano a rappresentare e vivere gli ideali e
le speranze del popolo. Con il fallimento e la scomparsa storica della mo­
narchia nel 587 (per alcuni autori, ancor prima), le funzioni del re e il lin­
guaggio concomitante sarebbero serviti a manifestare la speranza del po­
polo, ma ormai solamente nell’ambito soprannaturale. Gli antichi testi
dell’ideologia regale (Sai. z; n o ; 72; Is. 9 ,1-6 ; 11,1- 9 ) servirono così per
esprimere la speranza del popolo in un monarca che, grazie all’intervento
speciale di Dio, avrebbe realizzato alla fine, una volta per tutte, l’ideale
di vita e di prosperità elaborato dall’ideologia regale. In senso stretto,
quindi, il messianismo è l’ideale monarchico elevato al livello sopranna­
turale. Non si deve confondere il messianismo propriamente detto con le
altre figure della speranza sorte progressivamente nella storia d’Israele
come frutto della trasposizione delle diverse funzioni istituzionali (sacer­
dozio, profetismo) al piano soprannaturale.

4. Bibliografia

J. de Fraine, U aspect teligieux de la m onarchie israélite. Uinstitution monarchi-


que dans 1*Ancien Testament et dans les textes M ésopotam tens , Rome 1 9 5 4 : stu­
dio classico ed esteso, le cui linee generali rimangono attuali; R. de V au x, L e isti­
tuzioni dell'A ntico Testamento, Torino 19 6 4 , spec. pp. 1 0 7 - 1 7 0 : buon compen­
dio complessivo degli aspetti della monarchia; J.À . Soggin, Das Kónigtum in
Isra el Ursprunge , Spannungen, E ntw icklung , Berlin 19 6 7 : strumento di lavoro
classico, benché la critica recente ne discuta alcune conclusioni; del medesimo au­
tore, in forma di articolo condensato, M L K (Re), D T A T 1, 7 8 2 -7 9 2 ; H. Cazelles,
Royauté sacrale et la B ible , DBS x (19 8 4 ), 1 0 5 6 - 1 0 7 7 : Particolo, ricco, denso e
con abbondante bibliografia, colloca la monarchia d’Israele nel contesto culturale
dell’Oriente antico. Sulla monarchia in Mesopotamia cfr. M .J. Seux, Kónigtum
in R eallexikon der Assyriologie v i, Berlin - N ew York 1 9 8 0 - 1 9 8 3 , 1 4 0 - 1 7 2 .

IV . L A R E L IG IO N E D U R A N T E L ’ E P O C A D E L L A M O N A R C H I A

1. Il contesto religioso d'Israele


Scopo della nostra trattazione è la presentazione di alcuni aspetti delle re­
ligioni dei vicini più o meno prossimi di Israele. Alla luce di quanto si è
17 0 L ’ u Jtim o p e r io d o d e lla d in a s t ia d a v id ic a

detto nell’introduzione, il confronto delia religione d’Israele con le reli­


gioni dell'ambiente circostante è tanto necessario come prudente dev'es-
serne la trattazione.

a) Babilonia

Tra 1 molti aspetti della religione babilonese nelle sue diverse fasi evoluti­
ve va ricordata la festa dell anno nuovo. Si è conservato soltanto il rituale
dei primi giorni di tale solennità, la quale nella città di Babilonia durava
piu di dieci giorni. La documentazione frammentaria consente di scoprire
il senso e la funzione delle cerimonie. La religione babilonese s’incentrava
nel mantenimento del cosmo (l’ordine della creazione) di fronte alle forze
distruttrici che minacciavano continuamente la vita e l’armonia della
creazione (le forze del caos).
La creazione, il cosmo, era frutto della lotta originaria del dio Matduk
contro la dea Tiamat. Il rituale fondamentale della festa dell’anno nuovo
consisteva nella riproposta rituale di questo avvenimento mitico, rinno­
vando le forze della creazione e garantendo per l’anno che iniziava le
condizioni di stabilità del cosmo, vale a dire la vita degli uomini e degli
dèi. Il poema della creazione, conosciuto sotto il titolo di Enuma elish
(«Quando nell’alto»), le prime parole del testo, veniva recitato intera­
mente almeno una volta, la notte del quarto giorno, durante le cerimo­
nie. All’insieme dei riti, denso e complesso, la partecipazione del re era
essenziale. Oltre a ricreare il mito originale, la festa contemplava un par­
ticolare cerimoniale nel quale il re era umiliato, privato delle sue insegne
regali, messo in ginocchio e schiaffeggiato; successivamente, confessata la
propria innocenza, egli recuperava i! proprio potere. Da questo momento
il cosmo e la vita sociale potevano cominciare una nuova fase per Tanno
che iniziava.
In questi riti Marduk occupava evidentemente il posto chiave del pan­
theon babilonese. Nei testi del Deutero-lsaia la sua figura si trova dopo
gli attacchi violenti contro gli idoli, nel momento in cui il profeta cerca di
dimostrare ai giudei deportati a Babilonia il potere del Dio dlsraele.
La festa dell’anno nuovo è servita di riferimento e modello per un’ipo
tetica festa dell’anno nuovo nella religione d’Israele. L ’esistenza di tale fe­
sta è plausibile, ancorché non sia possibile disporre di dati sufficienti per
poterlo affermare.
Nel mondo assiro-babilonese il dio Tamuz, con marcate caratteristiche
di dio della fertilità, che più tardi si trasformerà nell’Adone greco, occu­
pava uno spazio abbastanza importante. La sua presenza è inequivocabile
nella religione popolare israelitica al tempo di Ezechiele (Ez, 8 ,14 ; cfr. Is.
17 ,10 - 11) .
b) Egitto

La complessità della religione egiziana è ancora maggiore di quella babi­


lonese. Un suo aspetto essenziale coincide con un elemento fondamentale
di quella babilonese: la conservazione del cosmo contro il caos. L ’egizia­
no si sente continuamente minacciato dalle forze distruttrici e una delle
sue principali preoccupazioni consiste nel mantenere a ogni costo l’equili­
brio salvifico. Per questo deve venerare le innumerevoli divinità accumu­
late nel suo pantheon, sempre più complesso. È una caratteristica della
religione egiziana accettare molteplici divinità e le loro rappresentazio­
ni di diversa origine in una specie di sintesi che sembra contraddittoria
all’uomo moderno, ma che la mentalità egiziana colloca piuttosto su uri
piano di complementarietà.
In una prospettiva biblica conviene segnalare due aspetti importanti
dell’immensa varietà e ricchezza della religione egiziana. La teologia della
creazione come viene presentata nel cosiddetto Trattato di teologia men­
ata. In esso il dio demiurgo Aton si trasforma nel dio artigiano Ptah, il
quale concepisce gli altri esseri grazie al suo pensiero eli pone in esistenza
pronunciando il loro nome. Un’altra tradizione cosmologica interessante
è quella di Esna. Sebbene il tempio attualmente noto sia molto recente, la
tradizione del dio Knum, rappresentato con testa di capro, lo configura
come dio vasaio che crea intorno a sé uomini e dèi.
Un altro elemento che ha suscitato profonda curiosità è la famosa ri­
forma religiosa di Amenofis iv (Akenaton) (1372,-1354). Spesso viene at­
tribuita a questo faraone l’instaurazione del monoteismo in Egitto, poi­
ché promosse l’adorazione esclusiva del disco solare, Aton. Tuttavia, pui
prescindendo dal fatto che la sua riforma durò quanto la vita del re, non
sembra possibile parlare di monoteismo, bensì di monolatria, la quale
non impedisce al fedele, che adora un solo dio, di ammettere l’esistenza
di altre divinità. In ogni modo i rapporti tra il celebre inno di Akenator
al dio solare e il salmo 104 della Bibbia sono evidenti. È più verisimik
parlare non di dipendenza letteraria, ma di semplice impiego di motivi
comuni a quel tipo di inni.
La vita dopo la morte e i diversi riti funerari occupano in Egitto un po­
sto altrettanto importante quanto quello della conservazione del cosmc
rispetto al caos. Tuttavia ciò non sembra aver influenzato la religione di
Israele.

c) Canaan

Se si escludono i testi biblici, la religione di Canaan è conosciuta soprat­


tutto attraverso i documenti di Ugarit, città situata a nord della costa si-
171 L’ultiroo periodo della dinastia davidica

naca e scomparsa a metà del x i i secolo a.C. in seguito all’invasione dei


popoli del mare. Gli scavi, iniziati nel 1 929, continuano a offrire nuovi
dati. Si tratta di una popolazione in gran parte semitica occidentale, la
cui lingua ha una stretta parentela con Pebraico biblico.
Dal punto di vista della stona della religione d ’Israele i documenti rin­
venuti a Ugarit meritano grande attenzione, giacché in essi sono attestati
numerosi miti e leggende utili a una migliore comprensione del sottoton­
do religioso in cui si colloca la Bibbia. Baal, una delle divinità contro la
quale 1 profeti lottarono frequentemente, occupa una posizione premi­
nente nei testi di Ugarit.
In teoria il primo posto nel pantheon di Ugarit è ricoperto da El, dio
supremo. Oltre a essere il nome del capo del pantheon di Ugarit, El è il
termine base con cui si designa la divinità in tutte le lingue semitiche. I te­
sti mitici e religiosi di Ugarit scoperti fino a oggi provengono dall’ulnma
fase di vita della città e riflettono lo stato del pensiero religioso e le prati­
che di quell’epoca. In essi Baal detiene di fatto il primo posto nel sistema
religioso e nella pratica di Ugarit, nonostante la preminenza teorica di El.
Probabilmente Baal è un’importazione relativamente recente a Ugarit,
poiché riceve l’appellativo di «figlio di Dagon», divinità semitica molto
antica, conosciuta tra le altre località a Mari ed Ebla. Nella maggior par­
te, gli altri dèi del pantheon ugaritico sono chiamati, al contrario, «figli
di El».
È evidente la presenza di El e Baa! nella Bibbia. Questo permette di de­
durre la loro preminenza nella religione di Canaan in epoche diverse. Nei
testi appartenenti ai cicli patriarcali Baal non compare affatto, mentre le
denominazioni dei santuari e gli appellativi utilizzati da questi testi per
designare la divinità si collocano chiaramente nell’ambito di El (El-Berit,
El-Saddai, Et-Olam, Betel, Penuel ecc.). Senza pretendere di datare i testi
patriarcali, le tradizioni dalle quali partono vanno situate in un’epoca in
cui El deteneva ancora il potere teorico e reale nella religione di Ugarit.
Al contrario, durante il periodo monarchico israelitico le citazioni e le
tracce di El diventano rare e rientrano in un panorama culturale senza in­
cisività sociale, mentre la presenza di Baal è massiccia. Ciò dimostra fino
a che punto l’importanza di Baal, espressa nei testi di UgariL, continuò a
sussistere nonostante la scomparsa della città e prova inoltre che la reli­
gione di Ugarit non era circoscritta a questa località.
La religione espressa dai testi di Ugarit è di tipo rurale e la sua base
fondamentale è la fecondità. Contrariamente alla Mesopotamia o all’E­
gitto, dove il sistema d’irrigazione o le piene del Nilo garantivano l’acqua
indispensabile per fecondare la terra indipendentemente dalla pioggia,
nella zona siro-cananea la fertilità della terra dipendeva totalmente dalla
pioggia.
La r e lig io n e d u r a n t e l ’ e p o c a della m o n a r c h ia 173

Meritano una segnalazione 1 due miti del ciclo di Balu. In pruno luogo
quello intitolato Balu e Motti. Tema del mito è la scomparsa annuale del
dio della fertilità e la sua ricomparsa rigeneratrice di vita. Balu accetta di
entrare nelle fauci di Motu, personificazione della morte, come indica il
nome (radice mot in semitico). Prima di cadere nelle fauci di Motu, il dio
Balu feconda una vitella, simbolo del suo potere e forse garanzia per il
futuro. La scomparsa di Balu provoca sgomento tra gli dèi, i quali si ren­
dono conto della catastrofe che incombe, mancando Balu, sulla fecondità
in generale. La dea Anat, divinità bellica sorella di Balu e talvolta concu­
bina del dio scomparso, organizza una spedizione guidata da una dea so­
lare fino a incontrare il corpo di Balu, che torna alla vita dopo essere
sfuggito alle grinfie di Motu. La gioia degli dèi è indescrivibile, la pioggia
torna sulla terra e la fecondità è di nuovo assicurata.
Sembra certo che il testo rappresenti il mito del ciclo delle stagioni, con
la scomparsa della fertilità in autunno e la sua riapparizione in primave­
ra. Che tutti i testi siano stati trovati nel tempio di Balu a Ugarit lascia in­
tendere che il santuario fosse il loro luogo di vita naturale (Sitz im Leben)
con utilizzazione probabilmente cultuale.
Il mito di Balu e Jamrnu tratta un altro tema significativo. Jammu è la
personificazione del mare. Il problema della lotta tra le due divinità è
quello per il potere tra caos e cosmo. Dopo una forte resistenza da parte
di divinità importanti, come la «compagna» del dìo supremo El, Balu è
alla infine accolto dagli dèi e quindi anche dagli uomini come sovrano.
Un altro mito importante verte sulla costruzione del palazzo di Balu. Il
dio della fertilità esige l’edificazione di un palazzo idoneo al suo rango.
Dopo molte discussioni lo ottiene. Non bisogna dimenticare che il tempio
terrestre è la riproduzione del palazzo celeste. Un punto interessante del
mito è l’insistenza da parte di uno degli dèi architetti, che ha costruito il
palazzo di Balu, affinché questi accetti la presenza di finestre nel palazzo.
II dato può apparire stravagante, ma si tratta soltanto del simbolo delle
aperture celesti affinché la pioggia raggiunga gli uomini. Accettando le fi­
nestre, Balu assume il suo ruolo nella fertilità della terra.
Questi testi mitici (li Ugarit e altri analoghi offrono un’immagine rela­
tivamente ricca della religione cananea, con il suo fondamentale carattere
di religione agricola e della fertilità. Non è da escludere che gli israeliti si
vedessero «tentati» da una religione rispondente al contesto geografico
della regione. Di fatto la principale preoccupazione della religione cana­
nea, secondo la testimonianza dei testi di Ugarit, e di conservare e svilup­
pare la vita. Il culto, di cui non abbiamo una visione completa, è essen­
zialmente teso a offrire al fedele il contatto con la divinità affinché questa
gli procuri la forza necessaria per il mantenimento e sviluppo della vita.
Non e stata accertata con sicurezza l'esistenza di una «prostituzione sa­
17 4 L 'u l t i m o p e r io d o d e lla d in a s t ia d a v id ic a

era» ; nel caso sia esistita, la finalità appare chiara: riproporre in un luogo
e in un tempo sacri il tipico atto fecondante, Tatto sessuale, con una per­
sona appartenente al mondo del sacro. Con questo mezzo o soltanto at­
traverso la proclamazione del mito di Balu nel contesto liturgico, il fedele
presumeva di assicurare la fecondità, la vita della terra, degli animali e la
propria.
Tra i popoli vicini a Israele, i filistei hanno lasciato poche tracce. J testi
biblici informano che Dagon, antica divinità semitica, occupava un posto
importante, come dimostra la storia di Sansone, e in Eqron si trovava un
tempio dedicato a Baal Zebub, al quale si attribuivano poteri terapeutici
(2 Re 1). .
Gli ammoniti adoravano Milkom, nome da cui traspare la radice semi­
tica mlk = re. Riguardo ai moabiti si dispone di qualche dato in più grazie
alla stele di Mesha, nella quale Kemosh, divinità nazionale, ha un posto
preminente.
Conviene accennare a un ultimo dato. Le «montagne» di Canaan era­
no, già molto prima delTarrivo degli israeliti, centri religiosi e cultuali di
enorme importanza. Alcune, come il Carmelo, TEbal e il Garizim, furono
in parte e in varie epoche «recuperate» dalle tradizioni religiose d’Israele.

2. La religione e la dinastia davidica

Nell’epoca monarchica, iniziata con Saul e consolidatasi con Davide e


Salomone, Israele dispone di una religione senza immagini, contraria­
mente a quanto avveniva tra i popoli limitrofi, in cui non solo gli dèi ma
anche i re erano raffigurati con stele e immagini. L ’ istituzione monarchica
è affine a quella riscontrabile nelle popolazioni vicine (cfr. cap. iv, 1,1).
La dinastia regnante, soprattutto a partire da Davide e dalla profezia di
Natan (2 Sam. 7 ,1-17 ), si presenta come eletta e protetta dal Dio nazio­
nale. Il re è il figlio adottivo della divinità, il suo luogotenente terreno, re­
sponsabile della vita e del benessere del popolo a capo del quale si è inse­
diato Dio. È responsabile della guerra alla testa di un esercito più o meno
permanente.
Ormai non è il Dio nazionale a combattere in favore del popolo, ma il
re, il quale, in nome del Dio nazionale e con il suo aiuto, guerreggia per
salvare il proprio popolo.
A Gerusalemme Davide progetta la costruzione di un nuovo tempio in
onore del Dio nazionale, protettore della sua dinastia. Il figlio Salomone
porterà a compimento questi progetti in coerenza con la mentalità dell’e­
poca, secondo cui i rappresentanti della nuova dinastia «mostravano la
loro riconoscenza» al Dio nazionale protettore costruendo o restaurando
templi in suo onore.
La religione durante l’epoca della monarchia 175

Davide installerà Parca a Gerusalemme, conferendo in tal modo alla


capitale e al tempio un carattere nazionale e religioso indiscutibile. Il san­
tuario di Gerusalemme sarà il «santuario reale», il santuario della «città
di Davide», come più tardi, a partire dalla morte di Salomone e dalla
creazione del regno del nord, i templi di Betel e Dan acquisiranno il ca­
rattere di «santuari reali».
In questa religione regale, che gradualmente si radica in Israele e poco
si differenzia nelle sue istituzioni e funzioni dalle religioni regali dei po­
poli vicini, il re è il protettore del culto e del clero. Nomina i sacerdoti e
sorveglia le famiglie sacerdotali incaricate di assicurare il buon funziona­
mento del culto. A lui spetta ugualmente provvedere a una parte impor­
tante delle offerte donate al santuario. Opere e riforme del santuario av­
vengono sotto la sua vigilanza e ne richiedono l’approvazione.
La religione d’Israele, tuttavia, non s’identificò mai con la religione re­
gale. Indipendentemente dai problemi critici dei testi relativi alla succes­
sione al trono di Davide, si deve ammettere, se non altro, che i libri più
antichi di quest'opera letteraria si distanziano significativamente dalla re­
ligione regale. Tale distanza critica nei confronti della religione regale, ri­
scontrabile con forza maggiore o minore nell’intera storia d’Israele, è una
caratteristica peculiare della sua religione.

3. I profeti
Un aspetto fondamentale della distanza critica della religione d’ Israele
nei confronti della religione regale si concentra nel profetismo biblico. Il
profetismo non è esclusivo d’Israele, tuttavia dalPinterno del fenomeno
profetico generale sorse in Israele un tipo di profetismo proprio d’Israele,
unico.
Non intendiamo presentare qui la concretizzazione particolare del pro­
fetismo biblico, ma soltanto alcuni elementi del contributo dei profeti alla
religione d’ Israele.
L ’azione dei profeti d’Israele si sviluppò in due direzioni fondamentali.
In primo luogo, i profeti costituirono la coscienza critica d’Israele. I loro
oracoli e interventi contro persone, o più generalmente contro la società,
investivano tutti gli aspetti della vita sociale e religiosa. Partendo sempre,
implicitamente o esplicitamente, dall’azione di Dio nella storia del popo­
lo, il profeta denuncia la risposta carente del popolo, dei governanti, del
re, delle istituzioni, all’iniziativa di Dio, che ricerca costantemente la co­
munione con il proprio popolo. La giustizia sociale, la politica, il culto, le
concezioni religiose: tutto diviene oggetto della parola profetica. In tutte
le loro azioni i profeti, ognuno a suo modo e nel luogo e momento in cui
vive, svelano l’inadeguatezza del comportamento del popolo e dei suoi
L ’ u lt im o p e r io d o d e lla d in a s t ia d a v id ic a

membri alJe esigenze della comunione con il Dio d'Israele, origine e vita
del popolo stesso.
La critica profetica contiene nella sua stessa essenza un'ulteriore di­
mensione fondamentale. Il profeta è l'uomo che più e meglio incarna la
speranza d’Israele. Il radicamento ne! passato Io abilita, in qualità di mes­
saggero e portavoce del suo Dio, a trasmettere al popolo la parola che lo
spinge alla conversione, aprendo così la speranza e la realtà del divenire.
I profeti, accolti dalla comunità di fede d’Israele come autentici rappre­
sentanti del suo Dio, costituiscono una mediazione religiosa che, pur pro­
venendo in alcuni casi dal profetismo istituzionalizzato, travalica ogni
istituzione. Nel suo ministero il profeta agisce in totale indipendenza.
Non è sottomesso a nessim’altra istanza. La comunità dovrà discernere.
Questa situazione e queste caratteristiche del profetismo biblico spie­
gano la funzione di elemento chiave del profetismo nelt’impedire Passimi-
lazione delia religione d’Israele alla religione regale o al culto. In effetti le
due istituzioni fondamentali della società, il potere monarchico e il culto,
saranno messe in discussione dai profeti non soltanto per il loro funzio­
namento, ma per la loro posizione e il loro ruolo nella religione d'Israele.
II profeta ricorda con vigore e costantemente che il re non è la fonte
della legittimità e della vita sociale e religiosa, che la ragion d’essere e di
esistere d Israele risiede nell azione di Dio in favore del suo popolo nella
storia e che, per questo, il re è subordinato a una realtà precedente che lo
trascende.
Le veementi critiche dei profeti al culto e al sacerdozio, d'altra parte,
dimostrano chiaramente che il culto non detiene il primo posto nella ge­
rarchia dei mezzi per stabilire la relazione con Dio. Senza una risposta
etica il culto non ha ragion d’essere.
Tale spostamento teologico delle due istituzioni fondamentali della so­
cietà costituisce un elemento essenziale della religione d’Israele. In questa
prospettiva il profetismo rappresenta una delle dimensioni più specifiche
d’Israele rispetto alle religioni degli altri popoli.
Non bisogna dimenticare, infine, che i profeti crearono «scuole» e gra­
zie a esse e in esse maturarono i testi e le teologie che costituiscono la
maggior parte del testo biblico.

4. La religione popolare

Parlando della religione d’Israele è doveroso menzionare brevemente un


aspetto spesso dimenticato. Nella prarica essa non si ridusse alla sua
espressione biblica. Altre fonti, soprattutto quella archeologica, fornisco­
no al riguardo dati interessanti.
Per quanto concerne i luoghi di culto si trascura di frequente non sola-
L a r e lig io n e d u r a n t e l ’ e p o c a d ella m o n a r c h i a 17 7

mente il progressivo consolidarsi deirimportanza del santuario di Geru­


salemme ma anche il fatto che altri venerabili santuari funzionarono nor­
malmente durante l’epoca monarchica fino alla riforma di Giosia e, dopo
questo intervallo, fino alla distruzione di Gerusalemme. Diversi scavi
hanno dimostrato l’esistenza di santuari costruiti a uso degli abitanti di
città o fortificazioni di epoca monarchica. Basti citare il caso delle fortez­
ze di Arad e di Kuntillet ‘Agrùd. Gli stessi scavi hanno portato in luce nu­
merose statuette, generalmente in terracotta, rappresentanti diverse divi­
nità, soprattutto dee della fertilità.
Alcune iscrizioni recentemente rinvenute a Khirbet el-Kòm e a Kuntil­
let ‘Agrud hanno posto il problema della «ashera di Jhwh» considerata
da un buon numero di autori come la «paredra» di Jahvé. Ad ogni modo
il monoteismo d’Israele a livello popolare non fu certo tanto puro come
generalmente si pensa.
I nostri dubbi sulla «purezza» della religione popolare si accrescono
con la considerazione dei testi profetici. Le critiche contro il sincretismo,
le credenze e le pratiche non israelitiche occupano un ruolo primario nel
ministero dei profeti. Nel regno del nord la religione cananea costituì un
grave pericolo per Israele. Lo provano gli interventi di Elia e di Eliseo e i
testi di Osea.
II pericolo fu forse minore in Giuda per qualche tempo nei confronti di
Baal. I libri di Sofonia, Geremia ed Ezechiele, tuttavia, testimoniano con
crudezza che Baal e le religioni astrali allora di moda, di origine assira o
mesopotamica, avevano messo radici in Giuda (Sof. 1,5 ; 2 .Re 2 1,3 - 5 .2 1­
22; Ger. 8,2; 19 ,13 ; 44,17-19).
Vari testi biblici si riferiscono chiaramente a pratiche divinatorie non
troppo in accordo con la religione d’Israele, e i sacrifici umani continua­
rono a essere praticati, quantomeno in alcune tristi circostanze (2 Re 16 ,
3; Ger. 7,31).

5. Il Deuteronomio e la riforma di Giosia

E regno di Giosia (640-609) è uno dei più interessanti della storia d’Israe­
le sotto il profilo politico e religioso. Le circostanze storiche (crollo del
potere assiro e preludio del potere babilonese) consentono al dinamico re
d’intraprendere una riforma religiosa e politica per riunificare il popolo e
dargli coesione e coscienza religiosa e sociale.
Uno degli elementi chiave di questa riforma fu senza dubbio il «libro
della legge» trovato nel tempio di Gerusalemme. L ’opera, proveniente
dal regno del nord, fu scritta sulla base dell’esperienza del disastro d’I­
sraele. Le riflessioni teologiche e storiche, il cui nucleo centrale si trasfor­
merà nel Deuteronomio, si basano sull’unità del santuario, identificato
1 78 L ’ u lt im o p e r io d o d e lla d in a s tia d a v i d i c a

nel libro dei Re con quello di Gerusalemme, sull'unità del popolo, della
terra e del Dio d'Israele.
Il monoteismo e il centralismo cultuale si affermano in maniera mib-
tante, a conferma della necessità di tale insistenza. Ma la strategia lettera­
ria e teologica dell’opera consiste nell'attribuir e l'intero libro a Mosè, as­
segnando in tal modo un valore fondante ad alcune riflessioni la cui pri­
ma redazione si deve collocare intorno al 700. Presentando Mosè come
autore dell’opera, il Deuteronomio può rimarcare un altro elemento chia­
ve della sua teologia: la legge. In Israele, evidentemente, raccolte legisla­
tive, decaloghi e altri compendi giuridici circolavano da molto tempo.
Queste tradizioni e testi legislativi, inoltre, espressione della volontà del
Dio d’Israele, svolsero un ruolo importante, ma difficile da precisare, nel­
la storia d’Israele precedente il Deuteronomio. Quest’opera attribuisce
un 'importanza capitale ai «decreti, leggi e costumi» dati da Dio a Mosè e
inglobati da alcuni testi sotto la denominazione piu ampia di «la legge».
Giosia conferì valore civile e ufficiale a questo «libro della legge». E il
primo caso conosciuto nella storia d’Israele per cui un testo si muta in
norma suprema alla quale lo stesso re e sottomesso e su cui fonda la pro­
pria legittimità.
La riforma di Giosia durò quanto il re, fino al 609. Ma il Deuterono­
mio fece scuola e gran parte dei testi dell’Antico Testamento ebbero la lo­
ro redazione definitiva nella scuola «deuteronomista», come viene gene­
ralmente denominata. L ’esilio e la successiva restaurazione determineran­
no la definitiva integrazione di alcuni elementi chiave del Deuteronomio e
della sua scuola nella fede d’Israele: unicità del santuario e primato asso­
luto della legge. Al contrario, la teologia del Deuteronomio, che configu­
rava il rapporto tra Israele e Dio come relazione di alleanza (con diritti e
doveri reciproci), dovrà essere profondamente rivisitata da parte dei teo­
logi sacerdotali dell’esilio. Geremia ed Ezechiele mostrano con chiarezza
come questa teologia conduceva necessariamente a un vicolo cieco, poi­
ché presupponeva la capacità deU’israelita di «rispondere» alle esigenze
di Dio.
Radicato nelle antiche tradizioni teologiche e storiche del regno del
nord e presentato in Giuda come sintesi teologica del momento, il Deute­
ronomio costituirà uno dei libri di maggiore influenza sulla teologia e so­
prattutto sulla pietà del giudaismo successivo all’esilio.

6. // sacerdozio
a) Il sacerdozio durante la monarchia
La classe sacerdotale non esisteva nei clan dell’epoca patriarcale. 11 padre
di famiglia svolgeva le funzioni sacerdotali, limitate quasi esclusivamente
L a r e lig io n e d u r a n t e l’ e p o c a .d e lla m o n a r c h ia 179
1

ad alcuni sacrifici. I clan dei patriarchi biblici erano seminomadi e la loro


attività principale consisteva nell’allevamento degli ovini. Non dispone­
vano di santuari propri e non necessitavano pertanto di personale specia­
lizzato per il loro servizio. Tuttavia, nel loro continuo transumare visita­
vano i santuari dei sedentari. Il sacrificio pasquale di primavera compiuto
dal padre di famiglia è il migliore esempio della primitiva attività sacer­
dotale.
Nella misura in cui gli israeliti s’insediano progressivamente in Cana­
an, cominciano ad apparire diversi uffici. Il culto israelita s’innesta nelle
pratiche cananee. Per il loro servizio i santuari necessitano di persone sta­
bili che gradualmente si trasformeranno in specialisti del culto locale.
Ai primordi dell’epoca monarchica esistevano vari santuari: Silo, Nob
e altri, descritti minutamente dai testi biblici. L ’istituzione della monar­
chia rappresenta un momento decisivo nell’evoluzione del sacerdozio. Il
ruolo di Samuele agli inizi della monarchia è importante, ma ignoriamo
se agisse come sacerdote, giudice o profeta. Due sacerdoti avranno inve­
ce un’importanza decisiva nei momenti difficili della successione al trono
di Davide. Ahimelek, del santuario di Nob, aveva aiutato Davide nelle
guerre contro Saul. Suo figlio Abiatar diverrà uno dei sacerdoti della cor­
te di Davide. In quel momento fa la sua comparsa un altro sacerdote:
Sadoq. Le sue origini sono sconosciute. Nei momenti cruciali dell’elezio­
ne del successore di Davide, Abiatar sceglie il partito di Adonia, mentre
Sadoq opta per colui che uscirà vincitore: Salomone. Abiatar è relegato
ad Anatot. Sadoq e la sua famiglia assurgeranno a signori del nuovo
tempio di Gerusalemme.
Pur esercitando talvolta funzioni sacerdotali, più che sacerdote il re di
Gerusalemme era il protettore dei sacerdoti. Essi venivano da lui nomina­
ti e da lui dipendevano. Precedentemente all’esilio non ebbero grande in­
fluenza negli affari politici del paese, benché nell’episodio dell’usurpatrice
Atalia il sacerdote Jehojada abbia contribuito in modo decisivo a reinse­
diare sul trono la dinastia di Davide nella persona di Joash (2 Re n ) .
Nonostante l’importanza crescente del tempio di Gerusalemme nel regno
di Giuda, altri santuari locali con il loro proprio sacerdozio seguitarono a
funzionare normalmente.
Nel regno del nord le cose ebbero un andamento diverso. Separandosi
dalla dinastia di Davide, Geroboamo 1 eleva alla categoria di santuari
reali i templi di Betel e di Dan, i quali già da molto tempo disponevano di
un clero proprio; quello di Dan era senza dubbio un sacerdozio levita.
La separazione tra il sacerdozio di Gerusalemme e quello dei santuari
locali aumentava gradualmente. Quello di Gerusalemme acquisiva mag­
giore importanza e tendeva a considerare gli altri come sacerdoti di se­
conda classe. La riforma di Giosia, basata fondamentalmente sul Deu-
18 0 L 'u lt i m o p e r io d o d e lla d in a s t ia davidica

teronomìo, portò con sé la centralizzazione del culto in Gerusalemme.


A ll’inizio tutti i servitori dei santuari locali potevano esercitare le loro
funzioni nel santuario centrale di Gerusalemme ed essere retribuiti per i
loro servizi. Sembra chiaro, tuttavia, che il clero di Gerusalemme si oppo­
se con vigore, considerando questa integrazione una grave minaccia al
proprio monopolio cultuale e al suo livello di vita. Alcuni testi del libro
dei Numeri e altri rinvenibili iu Ez. 40-48 riflettono questa situazione: ì
sacerdoti dei santuari locali diventano servitori dei sacerdoti di Gerusa­
lemme.

b) Le funzioni sacerdotali

In Israele, come presso altri popoli dell’antichità, il sacerdozio era eredi­


tario. Le funzioni sacerdotali esìgevano una conoscenza e una tecnica tra­
smesse di padre in figlio.
Gli israeliti si recavano al santuario per «consultare il Signore». Il sa­
cerdote, per mezzo dellefod, degli urim e tummim, consultava il Signore.
Non si conosce molto bene la funzione di questi oggetti, anche se in alcu­
ni casi sembra abbastanza chiara (1 Sam. 14). I profeti assumeranno sem­
pre più il compito di consultare il Signore.
La seconda fondamentale funzione del sacerdote era l’istruzione. Il
mondo del sacro e del profano, del puro e delPimpuro nell’ambito cul­
tuale e in quello della vita in generale erano materia dell’insegnamento da
lui impartito. Fonte di questi insegnamenti era il costume, la tradizione, il
passato.
La terza funzione istituiva un rapporto tra il sacerdote, l’altare e il san­
gue. Egli era incaricato di manipolare il sangue dei sacrifici, benché un al­
tro potesse essere il sacrificatore. Con il tempo questa funzione rivestirà
un’importanza crescente. Nell’epoca della monarchia le ultime due fun­
zioni sono le principali del sacerdozio.
In Israele non esisteva sacerdozio femminile.

c) Problemi aperti

Uno dei problemi, ancora da chiarire, concernenti il sacerdozio in Israele


è Porigine dei leviti, la loro relazione con la tribù di Levi e la loro evolu­
zione storica.
Secondo l’opinione piu diffusa, originariamente non esistette una tribù
di Levi; questa si sarebbe formata in modo artificioso a partire dall’esi­
stenza di gruppi di persone che già dall’epoca del deserto si erano pro­
gressivamente specializzate in attività cultuali. Già nell'epoca dei giudici
per il culto pare certo preferibile un levita a chiunque altro, pur potendo
La religione durante l’epora della monarchia 18 1
r

gli uni e gli altri esplicare funzioni cultuali. I leviti sembrano originari del
sud, ma anche là hanno lo staro sociale di ger, emigrato (G iud. 17 pre­
senta le principali caratteristiche dei leviti dell’epoca). D’altra parte pare
probabile il rapporto di Mosè con i leviti (cfr. Giud. t 8 ed Es. 2 ,1 tra gli
altri). Risulca difficile tracciare l’evoluzione dei leviti. A partire dall’esilio
le famiglie di Sadoq e Aronne si appropriarono dei migliori incarichi
nel tempio di Gerusalemme; ì leviti, identificati da alcuni con i sacerdoti
dei santuari locali scomparsi con la riforma di Giosia, occuparono sol­
tanto i posti di secondo piano.
Un altro problema ancor privo di soluzione riguarda le origini, il ruolo
e Pevoluzione dei due personaggi chiave nella storia del sacerdozio israe­
litico: Sadoq c Aronne.

7. li tempio

Il tempio di Gerusalemme è il più recente dei santuari israelitici preceden­


ti Pesilio. La storia dei luoghi di culto degli israeliti è analoga a quella
dell’insediamento degli ebrei in Canaan. D ’altro canto tale storia è inti­
mamente legata a quella dell’arca. Prima delPingresso nella terra promes­
sa, Parca* a quanto sembra, era custodita sotto una tenda. Consolidatasi
la sedentarizzazione, la tenda fu sostituita dal santuario di Silo.
Durante i regni di Davide e Salomone avviene un cambiamento decisi­
vo nella storia dei luoghi di culto israelitici. Dopo molte peripezie, Davide
è proclamato re da tutte le tribù. Con i mercenari al suo servizio egli con­
quista Gerusalemme, esterna al territorio delle tribù del nord e del sud.
Questa diviene quindi la capitale dei regni del nord e del sud. La sua ele­
zione a centro amministrativo e politico era molto appropriata, poiché
nessuno, salvo il re, poteva accampare pretese su di essa. Gerusalemme
era proprietà del sovrano, la città del re.
L ’arca era il simbolo della presenza del Signore tn mezzo al suo popolo
e Punico legame effettivo tra le varie tribù. Davide fa giungere Parca a
Gerusalemme {2 Sam. 6); in tal modo il centralismo religioso diventa ine­
vitabile. Acquista un terreno e vi costruisce un altare (2 Slitti. 24); qui Sa­
lomone edificherà il nuovo tempio di Gerusalemme. Con queste opere il
potere di Davide e di Salomone diverrà sempre piu solido.
Come tutti i re dell’antichità, il re di Gerusalemme, fondatore della di­
nastia, doveva costruire un tempio al Dio nazionale. Davide non vi riusci
e il figlio Salomone portò a termine il progetto. La pianta di questo san­
tuario è molto simile a quella dei santuari scoperti dagli archeologi in Si-
ria-Palestina. Si tratta di una costruzione rettangolare orientata da est a
ovest, nel caso di quello di Gerusalemme, e con l’ingresso principale a
est. Era composta di tre parti: un grande cortile all’aria aperta, una sala
1 82 L ’ultimo periodo della dinastia davidica

cultuale, piu tardi detta «il santo», e il debìr o «santissimo», dov’era col­
locata Parca.
Il tempio di Gerusalemme era un santuario reale, un tempio nazionale.
Il re sovrintendeva agli edifici e ai funzionari del culto, i sacerdoti. Il tem­
pio costituiva, per tutto ciò, una garanzia religiosa di grande importanza
per la monarchia. Pare, tuttavia, che la costruzione del tempio di Gerusa­
lemme sia stata accompagnata dall opposizione di alcuni gruppi di israe­
liti, i quali non vedevano di buon occhio la centralizzazione e le concezio­
ni teologiche conseguenti a tale impresa (cfr. 2 Sam. 7,1-7). Il santuario
di Gerusalemme non presuppone comunque Fedissi degli altri santuari
locali, dolati di prestigio e tradizioni teologiche che Gerusalemme non
poteva offrire; ma con Pandar del tempo il nuovo tempio finirà per sop­
piantare tutti gli altri.
Alla morte di Salomone il regno di Davide si divide in due. Le tribù del
nord recuperano la propria indipendenza, rifiutando la dinastia di Davi­
de. Geroboamo, primo re del nuovo regno, trasforma Betel e Dan in san­
tuari reali. Il provvedimento religioso era la conseguenza logica della rot­
tura politica.
Alla fine del v i i secolo Pimpero assiro si frantuma. Il re di Gerusalem­
me approfitta delia congiuntura favorevole per sbarazzarsi del giogo del
vassallaggio che da circa un secolo pesava su Giuda. Giosia recupera così
per Giuda una parte almeno delPantico regno del nord. Nel contempo in­
traprende una profonda riforma politica e religiosa, di cui uno dei pila­
stri è la centralizzazione del culto a Gerusalemme. D'ora in poi sarà legit­
timo solamente il santuario della capitale, il tempio di Gerusalemme.
Tutti gli altri luoghi di culto vengono soppressi.
La morte del re impedisce che la riforma si consolidi. I santuari antichi
tornano ad aprire le loro porte. In breve tempo la riforma fallì. Le inten­
zioni religiose di Giosia erano evidentemente sincere, ma ciò non toglie
alla centralizzazione del culto il molo di elemento chiave nel suo tentativo
di restaurazione politica.
Contrariamente ai templi egiziani o inesopotamici, il santuario israeli­
tico, luogo della manifestazione di Dio, è anche casa di preghiera. Ci si
reca al santuario per «vedere Dio» e offrire sacrifici.
Le truppe di Nabucodonosor conquistano Gerusalemme nel 5 8 7 . Il
tempio è incendiato. Inizia una nuova fase della sua storia.

8. Le feste
a) La pasqua
L ’etimologia della radice ebraica psh non consente conclusioni precise
sul suo significato. Nei testi biblici la radice è usata con due significati di-
L a r e lig io n e d u r a n t e l’ e p o c a d e lla m o n a r c h ia 18 3

versi: a volte significa la celebrazione della festa in quanto tale, «celebra­


re la pasqua» (E s. 12,4 8 ; Deut. 1 6 ,1 ; 2 Re 23,21-22), ossia l’insieme del
rito; altre volte designa la vittima sacrificale: «mangiare la pasqua» o
«immolare la pasqua» (cfr. Es. 1 2 ,2 1 ; Deut. 16 ,2; 2 Cron. 30,18).
Il rito pasquale è preisraelitico. I dati biblici non sono sufficienti a defi­
nirlo, ma l’etnologia è, su questo punto, decisiva. Alcuni testi dell’Esodo
lasciano intendere, tuttavia, che i clan ebraici celebravano la pasqua pri­
ma della fuga dall’Egitto; questa celebrazione sarebbe stata il motivo o
l’occasione per la fuga (Es. 3 ,18 ; 5 ,1.3 ; 4,2.3; 7 ,10 ; 10,9, dove le varie
formule presentano i diversi aspetti del rito).
Si tratta di un rito familiare di pastori seminomadi durante il quale, al­
l’inizio della transumanza primaverile, s’immola una vittima del gregge.
Non sono necssari né il sacerdote né il luogo di culto. Chi immola è il pa­
dre di famiglia. Il rito del sangue ha carattere di protezione dal «distrut­
tore», spirito malefico, nemico del gregge e della sua fecondità. Il rito
dell’unzione dell’architrave e degli stipiti della porta (o della tenda) con il
sangue serve ad allontanare lo spirito maligno.
Coincidesse con la fuga dall’Egitto o vi si prestasse il significato del ri­
to, di fatto la tradizione biblica istituì un rapporto tra la festa di pasqua e
quell’episodio, rendendo il rito pasquale la memoria tangibile dell’uscita
dall’Egitto. La liberazione che il rito pretendeva di garantire e quella spe­
rimentata dagli israeliti si fusero nel memoriale di un fatto storico.
Con la sedentarizzazione il rito della pasqua entra in concorrenza con
un altro rito di primavera, caratteristico dei coltivatori sedentari: quello
dei pani azzimi. Con il tempo si fonderanno in uno solo. Deut. 1 6 sanci­
sce l’assimilazione dei due riti festivi, benché in 16 ,7 la formula «al mat­
tino tornerai alle tue tende» rappresenti una traccia dell’antico rito pa­
squale. Con il Deuteronomio la pasqua si nazionalizza e perde il carattere
familiare, poiché va celebrata nel santuario centrale e unico. Con l’esilio
la festa della pasqua assume un’importanza particolare. Di fatto, nono­
stante il Deuteronomio, le cui prescrizioni non sembrano attuate prima
dell’esilio, la festa pasquale era l’unica a non aver bisogno né di tempio
né di sacerdozio secondo l’antica tradizione. Es. 1 2 ,1- 14 rappresentereb­
be la restaurazione di un antico rito familiare perfettamente congruo alla
situazione dell’esilio. Il testo è sacerdotale e mostra di nuovo l’azione
esercitata dai sacerdoti durante l’esilio; essi recuperano antiche tradizioni
e le adattano storicamente e teologicamente alla nuova situazione.
Con il ritorno dall’esilio la pasqua subisce ulteriori riadattamenti do­
vuti alle circostanze. Ez. 4 5 ,17 ss. mostra chiaramente fino a che punto la
festa è sacralizzata, entrando totalmente nell’ambito dell’attività sacerdo­
tale. Assume, inoltre, un carattere espiatorio, di sacrificio per i peccati.
E sd. (5,19-22 è una chiara dimostrazione dell’evoluzione registrata fino a
18 4 L ’ u ltim o p e r io d o d e lla d in a s t ia d a v id ic a

quel momento: i sacerdoti e i leviti, purificati, immolano la pasqua “ per 1


deportati, per i loro fratelli sacerdoti e per se stessi», I leviti saranno gli
incaricati del sacrificio, come sì nota in 2 Cron. 3 0 ,17 -19 ; 3 5 ,1 1 .

b) Il sabato

L'etimologia del termine non è chiara. La derivazione semitica sembra in­


negabile, ma non consente conclusioni decisive, data la complessità della
storia del sabato. Bisogna distinguere due fasi totalmente diverse: prima e
dopo Tesilio. Tre fondamentali testi preesilici collocano la formazione
del significato del sabato 111 quest’epoca: Os. 2 ,13 ; Am. 8,5 e 2 Re 4,23.
In tutti, e inequivocabilmente, il sabato sembra in stretta relazione con la
neomenia, la festa del novilunio. La conclusione è evidente: in epoca
preesilica il sabato era l’equivalente della festa della luna, cioè la festa
della luna piena. Neomenia e plenilunio erano due feste che si celebrava­
no ogni mese.
Nei testi dell Antico Testamento nessuna di queste due feste ha tuttavia
un contenuto cultuale e tipicamente j ab vista. Con buona probabilità era­
no feste cananee accolte e adottate dagli israeliti senza attribuirvi un con­
tentato peculiare, contrariamente a quanto successe con altre.
Oltre alla festa del sabato-plenilunio in Israele vigeva la legge del riposo
settimanale. Il settimo giorno si riposava (Es. 23,12). Ma neppure questo
riposo settimanale ha un carattere religioso specifico. La sua finalità è il
riposo, «respirare». Il testo di Détti. 5 ,12 -15 , che abbina sabato e riposo,
è posteriore all’esilio, probabilmente del v secolo, come ha mostrato j.
Briend (cfr. bibliografia). Al di fuori di questa pericope il Deuteronomio
non parla del sabato.
Si avverte che dopo Tesilio i testi testimoniano la fusione del sabato e
del secamo giorno, giornata di riposo. Non solo si sono fuse due feste,
prive di qualcosa in comune, ma il settimo giorno, giornata di riposo, è
denominato sabato. A questo nuovo sabato, inoltre, si conferisce un pre­
ciso significato religioso in rapporto alla teologia sacerdotale: è il giorno
di riposo, come Dio riposò, santificandolo, il settimo giorno della crea­
zione. Il sabato si trasforma in un giorno di riposo dedicato a Dìo, venen­
do a santificare la giornata. Le modalità di questa santificazione si preci­
seranno con il tempo.
L’evoluzione e la sua conclusione sono chiare: dal sabato-plenilunio e
dal settimo giorno di riposo al sabato, nel senso comune del termine. M a
s’ignora Io svolgimento di questa evoluzione. È possibile l’influsso di una
certa parentela morfologica delle radici dei differenti termini. Ma fonda­
mentale fu, senza dubbio, la situazione dell’esilio. La scuola sacerdotale
fornì agli esiliati una serie di riti sociali espressivi della relazione pertico-
L a r e lig io n e d u r a n t e l’ e p o c a d e lla .m o n a r c h ia 18 5

lare d'Israele con il suo Dio, dal momento che offrivano elementi d’iden­
tificazione rispetto ai popoli con i quali essi convivevano. Lo stesso ac­
cadde per la circoncisione.

c) Le feste degli azzimi e delle settimane

La prima celebra l’ inizio della raccolta dei cereali, la seconda la sua con­
clusione. Sono in stretta relazione reciproca: sono feste di pellegrinaggio
al santuario locale per presentare a Dio le offerte in ringraziamento dei
benefici ricevuti: «osserverai la festa dei pani azzimi e... non ti presente­
rai davanti a me con le mani vuote» (Es. 2.3,15; cfr. 34,18-20.26). A par­
tire dalla festa degli azzimi si contano sette settimane, quindi si celebra la
festa della mietitura (Es. 2 3 ,ré) o delle settimane (Deut. 16 ,10 ). A ta­
le computo corrisponde il nome greco della festa: Pentecoste (= «il cin­
quantesimo [giorno]»). Al pari di altre feste, nel libro dei Numeri e nel
Levitico - testi della tradizione sacerdotale —la festa delle settimane si
colorirà di un carattere sacro più esplicito, sottolineando i sacrifici che
l’accompagnano e la parte che i poveri dovranno avere nella raccolta
(Lev. 2 3 ,1-2 2 ; Num. 28,26-31).
Durante tutto il periodo dell’Antico Testamento la festa delle settimane
non riceve alcun significato connesso alla storia d’Israele. Agli albori del­
l’era cristiana si nota un’evoluzione. Il libro dei Giubilei ne è un chiaro
esempio. In quest’epoca la festa è divenuta il ricordo del rinnovamento
dell’alleanza del Sinai. Si commemora il dono della legge e, al tempo stes­
so, si rinnova il patto che l’alleanza comporta per il popolo.

d) La festa delle capanne

È la terza festa di pellegrinaggio, a conclusione del ciclo agricolo (Es.


2 3 ,16 ; 34,22; Deut. 16 ,13 - 17 ; Lev. 23,34-36). Il termine «capanne» ap­
pare per la prima volta nel Deuteronomio. In precedenza era chiamata fe­
sta della raccolta. E la festa d’autunno e, per molto tempo, fu la più im­
portante di tutte. In Giud. 2 1,19 ; ® s- 9>5 tL e v . 23,39 la si denomina «la
festa di Jahvc». E la festa della raccolta degli ultimi prodotti della campa­
gna, come l’uva. E conosciuta anche con altri nomi come festa delle ten­
de o dei tabernacoli.
E una festa allegra. Le capanne di cui parla il Deuteronomio sono pro­
babilmente quelle che i contadini, utilizzando frasche, costruivano nei
campi durante la vendemmia. In Lev. 23,39-43 si spiega la relazione della
festa con la storia d’Israele: «dimorerete in capanne... affinché vi ricor­
diate sempre di chi vi fece abitare in capanne quando vi fece uscire dal­
l’Egitto». Durante l’epoca dell’A.T. ebbero luogo vari avvenimenti im­
l8 6 L ’ u ltim o p e r io d o d e lla dinastia d a v id ic a

portanti in occasione di questa festa, in particolare la consacrazione del


tempio di Salomone (i Re 8,2) e la restaurazione del culto dopo l’esilio
(Esd. 3,4). Ma non si deve dimenticare che vensimilmente questa festa
coincideva con quella dell’anno nuovo e nel corso di essa, con molta pro­
babilità, s’incoronavano i re di Giuda e d Israele.

9. Bibliografia
a) Il contesto religioso
H. Ringgren, L e religioni d e ll’Oriente a?rticot Brescia 1 9 9 1 : in quest'opera i feno­
meni, le istituzioni e le concezioni delle religioni orientali antiche vengono esami­
nati nei loro rapporti reciproci e nella funzione che rivestono all’interno delle ri­
spettive culture; T. Jacobsen, The Treasures o f Darkness. A H istory o f M esopot-
amian Religion , Yale 1 9 7 6 : offre un’eccellente panoramica della religione meso-
potamica, seppure senza troppi particolari; H. Brunner, Grundzuge der altàgyp-
lischen Religion , Darmstadt 1 9 8 3 : è una presentazione concisa, giacche la com­
plessità del pantheon e della religiosità egiziana sono proverbiali; E. Jacob - H.
Cazelles, Ras Shcnnra et ìA n cie n Testamenti Ras Sham ra , DBS ix (19 7 9 ), 14 2.5­
14 3 9 : i due autori, profondi conoscitori dei testi e della cultura di Ugarit, presen­
tano i punti di contatto, le differenze e i limiti del lavoro comparativo tra la reli­
gione dTsraele e i dati della religione cananea conosciuti attraverso Ugarit; G. del
Olmo Lete, M itos y leyendas de Canaan , Madrid 1 9 8 1 , 6 3 -7 4 : nell’ introduzione
generale a questa eccellente presentazione dei testi di Ugarit l’autore offre una pa­
noramica della religione dì tale città; le brevi pagine di un grande conoscitore dei
testi costituiscono una preziosa introduzione alla religione di Ugarir; F. Xella, G li
antenati di Dio. D ivinità e miti della tradizione di Canaan , Verona 19 8 2 : appro­
fondita disamina dell’universo mitologico di llgarit, riporta numerosissimi testi
per la prima volta tradortì in italiano; M . Eliade, Trattato di storia delle religioni ,
Tonno 1 9 5 4 ; Idem, Storia delle credenze e delle idee religiose , 3 voli., Firenze
1 9 7 9 - 1 9 8 3 : autore universalmente noto come pioniere e artefice della scienza
della storia delle religioni, le sue opere sono divenute il passaggio obbligato per
chi desidera collocare in una prospettiva globale gli elementi deile diverse reli­
gioni; Histoire des Reltgions , in Encyclopédie de la Plèiade , 3 voli., Paris 19 7 0 .
1 9 7 2 . 1 9 7 6 : eccellente presentazione delPinsieme delle religioni redatta da spe­
cialisti; buono strumento di lavoro per un primo avvio allo studio.

b) Aspetti generali
Cfr. la bibliografia citata al cap. in, ix.

c) II sacerdozio
Presentazione sintetica e classica del sacerdozio ili Israele in R. de V au x, L e istitu­
zioni dell’Antico Testam ento , Torino 19 6 4 ; l’opera di A. Cody, A History o f O ld
Testament Priestbood , Roma 19 6 9 , si colloca sulla scia di R. de V au x amplian-
L a r e lig io n e d u r a n t e l ’ e p o c a d e lla m o n a r c h i a 18 7

clone le conclusioni. Prospettive e conclusioni diverse dai precedenti in M . H ar-


ran, Tem ples and Tem pie Service in A ncient Israel , O xford 1 9 7 8 : l’autore tende
ad attribuire valore storico allo statuto dei leviti cosi com ’è presentato nei testi
attuali e crede che tale fosse la situazione dei tempi antichi; le ricostruzioni stori­
che proposte sono a volte sorprendenti e le conclusioni storiche non sempre ac­
cettabili. U n’ultima presentazione dello status quaestionis sul sacerdozio è dispo­
nibile nell’ articolo di J. Auneau, Sacerdoce , DBS x (19 8 5 ), 1 1 7 0 - 1 2 ,5 4 : estrema­
mente documentato e con il solo intento d’ informare, non di dimostrare, l’autore
passa in rassegna l’insieme dei testi e delle problematiche; al momento attuale è la
migliore visione d’ insieme.

d) Il tempio

Presentazione classica delle cognizioni e dei problemi sui santuari e sul tempio di
Gerusalemme in R. de V au x, L e istituzioni delVAntico Testam ento , Torino 19 6 4 ,
2 9 0 -3 4 1 . Lo studio più completo sul tempio di Gerusalemme è senza dubbio l’o­
pera monumentale di T h .A . Busink, D er Tem pel von Jerusalem , 2 voli., Leiden
1 9 7 0 -1 9 8 0 .

e) Le feste
Sulle feste in generale: R. de V aux, L e istituzioni dell*Antico Testamento, d orino
1 9 6 4 ; del medesimo, con alcune variazioni e ampliamenti, Les sacrifices de TAn­
cient Testamenti Paris 19 6 4 . Un agevole compendio, accessibile e abbastanza
completo, benché classico nelle analisi e nelle presentazioni, si trova in R, M artin-
Achard, Essai biblique sur les fètes dT srael , Genève 1 9 7 4 : il vantaggio dell’opera
e di riportare una serie di commenti, partendo dalle feste, che consentono la let­
tura di un’altra sene di testi. Sulla pasqua si veda l’opera di J. Henninger, Les fè ­
tes de printem ps chez les Sémites et la Pàque israélìte , Paris 1 9 7 5 . Per il sabato
segnaliamo l’ampio e accurato articolo di J. Briend, Sabbat , DBS x (19 8 4 ), 1 1 3 2 ­
1 1 7 0 : oltre allo status quaestionis , l’ autore sviluppa e giustifica l’ipotesi imposta­
ta nel paragrafo corrispondente. Per la festa di Pentecoste, infine, cfr. F. Cocchi-
no, L ’evoluzione storico-religiosa della festa di Pentecoste : RivBibl 25 ( 19 7 7 ) 2 9 7 ­
3 2 6 ; M . Delcor, Pentecòte , DBS v i i (19 6 7 ), 8 5 8 -8 7 9 .
Capitolo vi

L ’esilio
e la restaurazione di Giuda
sotto i persiani

I. l ’ e s i l i o

i . La situazione degli esiliati


Alla luce delle tre deportazioni menzionate nel capitolo precedente e dei
differenti dati biblici, possiamo dire che, approssimativamente, conside­
rando donne e bambini il numero dei deportati si aggirava intorno al­
le ventimila persone. Secondo calcoli recenti la popolazione della città di
Gerusalemme ai tempi di Giosia avrebbe avuto una consistenza di arca
ventimila unità.
Sulla situazione dei deportati a Babilonia sono disponibili pochi dati
biblici ed extrabiblici. Non è da dimenticare che gli esiliati appartenevano
alla classe alta della società di Giuda; sacerdoti, profeti, funzionari di
corte, artigiani capaci di fabbricare armi. Stando a Ez. 3 ,15 , il profeta
Ezechiele si trovava con altri deportati a Tel Abib, presso il «fiume Ke-
bar», uno dei canali di Babilonia. Il libro di Esdra riferisce il nome dì un
certo numero di località dalle quali molta gente iniziò il ritorno a Geru­
salemme: Tel-Melàh, Tel-ITarsha, Kerub, Addan e Immer (Esd. z,59). Il
raggruppamento degli esiliati fra queste popolazioni fu senza dubbio un
fattore importante per la tutela dell identità del gruppo e per fornire la
base indispensabile alla riflessione e al! azione della comunità nei con­
fronti del suo futuro.
La situazione geografica non era tutto. Senza dire che le condizioni di
vita degli esiliati fossero invidiabili, si può affermare che essi godevano di
una certa libertà d’azione e di movimento. Sotto questo aspetto la «lettera
di Geremia» (G er. z?) offre elementi di grande interesse. Così, ad esem­
pio, la comunicazione era i deportati e quanti erano rimasti a Gerusalem­
me determinò il manifestarsi del contrasto tra i profeti e i sacerdoti dell’e­
silio con Geremia, poiché quest’ultimo era di diverso avviso riguardo al
significato e alla durata dell’esilio. Nella sua lettera, Geremia esorta gli
esiliati a non sognare un immediato ritorno alla terra e, di conseguenza, a
insediarsi nel paese dell’esilio. Non si tratta, tuttavia, soltanto di adattar­
si alla situazione, ma di un vero e proprio insediamento economico e fa­
miliare: «Edificate case e abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti.
Prendete moglie... pregate per la prosperità della citta, perché la sua prò-
L ’e s ilio 18 9

sperità sarà la vostra» (Ger. 2,9,7). Geremia non è profeta di vane illusio­
ni. Non è certamente il momento d’illudere la gente; se il profeta esorta a
questo tipo d’insediamento, lo fa perché è realmente possibile; ciò attesta
l’esistenza di un margine di libertà considerevole. Ne dà prova la situa­
zione riscontrabile negli anni successivi. Il ritorno dall’esilio sarà, infatti,
non solo graduale, ma limitato. Sono stati portati alla luce gli archivi di
un’ agenzia di affari della seconda metà del sec. v a.C. della famiglia Mu-
rashu, in cui compaiono numerosi nomi di giudei che formavano parte
integrante del tessuto commerciale. D’ altronde il potenziale economico
della comunità ebraica di Babilonia, fino al nostro secolo attuale, è tra i
maggiori delle comunità della diaspora.
L ’aspetto più negativo della situazione degli esiliati era senz’altro la
lontananza dal tempio di Gerusalemme. In tali condizioni era impossibile
praticare il culto tradizionale. Tuttavia Israele, per vivere come tale, do­
veva mantenere a ogni costo la sua relazione con Dio. Data la composi­
zione sociale del gruppo esiliato, i sacerdoti svolsero un ruolo decisivo
nella riorganizzazione sociale e religiosa della comunità. Mancavano
nuovi elementi su cui fondare l’identità dei popolo di Dio in mezzo ai pa­
gani. Il modo adottato dai sacerdoti fu di assumere riti, feste e costumi
della tradizione e dotarli di un peso teologico nuovo, in grado di esprime­
re la relazione Israele/Dio. E quanto fecero con la circoncisione, che si
trasforma nel segno dell’alleanza tra Dio e il suo popolo (Gen. 17); con il
sabato, che diviene la festa settimanale del riposo e della consacrazione a
Dio. In queste condizioni la festa della pasqua assume probabilmente un
rilievo particolare (cfr. quanto detto riguardo alle feste nel cap. v, iv,8).
Inoltre non va dimenticato che molti riti, per i quali non è indispensabile
il tempio, assumono in questi momenti una valenza particolare: pensiamo
al digiuno, alla preghiera e ad alcune cerimonie di purificazione nelle
quali interviene l’acqua (cfr. Sai 137). Una delle principali occupazioni
dei deportati fu senz’altro la lettura degli antichi testi.

z. La vita in Giuda durante l’esilio

I dati su quest’epoca sono molto generici. Se ne può tuttavia esaminare la


situazione per sommi capi.
Nonostante le tre deportazioni già ricordate, Giuda non restò intera­
mente disabitata. Furono deportate soltanto le classi più elevate. La de­
portazione colpì la gente delle città, soprattutto di Gerusalemme. G er.
39 ,10 afferma che il capo della guardia di Nabucodonosor lasciò nel pae­
se solo i poveri, assegnando loro orti e campi perché li coltivassero. I ba­
bilonesi avevano tutto l’interesse che il paese mantenesse una adeguata
vitalità economica e la popolazione fosse più o meno soddisfatta, senza
r^o L ’ e s ilio e la r e s t a u r a z io n e d i G i u d a

possibilità di ribellarsi. D altra parte, contrariamente a quanto fecero gli


assiri in Samaria, i babilonesi non trasferirono stranieri che potessero oc­
cupare il vuoto lasciato dai deportati in Babilonia. I poveri del paese si
dedicano alle loro attività e, logicamente, «occupano»» i campi e le case
lasciati liberi dagli esiliati. Con il ritorno dalla cattività tale situazione
dovette creare non pochi contrasti. Probabilmente Zacc. 5,1-5 e Agg> 1 ,2 ­
1 1 alludono proprio a questi conflitti. Ez. 33,2,3-39, dal canto suo, parla
esplicitamente della pretesa di coloro che restarono in Giuda di essere gli
unici legittimi proprietari del «paese».
Con Passassimo di Godolia da parte degli ultimi nostalgici dell’indi­
pendenza nazionale (Ger. 4 0 ,13 -4 1,18 ) scomparvero da Giuda gli ultimi
focolai di autonomia e il territorio fu probabilmente consegnato alle au­
torità babilonesi di Samaria. La parte meridionale del regno venne pro­
gressivamente occupata dagli edomiti.
In tutti questi anni la vita religiosa illanguidiva. Molto probabilmente
non tutti i sacerdoti vennero deportati; Lam. 2 ,10 sembra accennare a ri­
ti di dolore e lamentazione. G er. 41,4-5 offre un dato interessante: «Al­
cuni uomini di Sichem, di Silo e di Samaria, circa ottanta in tutto... por­
tarono offerte e incenso da offrire al tempio». Ciò presuppone, come mi­
mmo, una qualche attività cultuale, pur senza la possibilità di ulteriori
precisazioni. Occorre però sottolineare che genti del nord, dopo la distru­
zione del tempio, affluiscono a Gerusalemme. Di fronte alla comune di­
sgrazia i tradizionali legami tra il nord e il sud tornano a riallacciarsi in
modo netto.

11. l ’ i n v a s i o n e d i C IR O

1. Ciro ~
Il successore dì Nabucodonosor, Avil-Marduk (chiamato Evil-Merodak
in 2 Re 25,27), fa uscire dal carcere Pultimo re di Giuda, Ioiakm (ANET
308; PO A 51). M a il babilonese non regna piu di due anni, il cognato
soltanto quattro e il figlio di quest’ultimo due mesi, ucciso da Nabonedo
ultimo re delPitnpero neobabilonese.
lì regno di questo sovrano è molto discusso. Le vicende degli anni a lui
precedenti e il disordine della corte mostrano che la situazione interna ed
esterna non era molto stabile. Probabilmente i problemi economici del
regno erano gravi e la prolungata permanenza del re alle frontiere dell’A­
rabia, nell’oasi di Teima, va veris imi Unente connessa a ragioni economi­
che (controllo e apertura di rotte commerciali) e religiose (POA 52). La
religione del nuovo sovrano sarà un fattore chiave nelPevolversi della si­
tuazione. Figlio di una sacerdotessa di Harran e come la madre devoto al
dio Sin (la luna) non volle, o non seppe, rendersi corno dell’importanza
L 'i n v a s i o n e d i C i r o 191

di Marduk e del suo clero nella vita dei babilonesi e delle loro istituzioni.
Durante la sua permanenza in Arabia lasciò come governatore di Babilo­
nia il figlio Baldassar, il quale non ebbe mai il titolo di re, contrariamente
a quanto si asserisce nel libro di Daniele. È un fatto rilevante, poiché egli
non poteva celebrare la festa dell’Akitu (festa dell’anno nuovo) in onore
di Marduk. Babilonia e il tempio di Esagil senza la festa dell’anno nuovo
erano come un corpo senz’annua. La situazione si protrasse per dieci an­
ni, come afferma lo stesso Nabonedo nella stele sopra ricordata. Il mal­
contento popolare, fomentato dal clero di Babilonia, giunse al culmine.
Ma questo fatto cultuale, ancorché importante, sarebbe stato insuffi­
ciente a por fine all’impero neobabilonese se non fosse intervenuto un
elemento esterno. Si tratta di Ciro il persiano. Benché il suo nome sia di
tipo elamita, apparteneva a una delle tribù persiane più autorevoli e, in
essa, a una famiglia di prim’ordine, quella degli Achemenidi. Ciro salì al
trono persiano nel 557. In meno di ventanni costruisce un impero estre­
mamente potente.
Comincia ribellandosi ai medi, da cui i persiani dipendevano, pur go­
dendo di una certa autonomia. Il dispotismo del medo Astiage agevolò il
nuovo re nella ribellione. A seguito di questo evento Ciro giunge a con­
trollare tutta la parte orientale e nord-orientale della Mesopotamia.
I lidi, in Asia Minore, dal 560 erano governati dal famoso re Creso. Di
fronte alla situazione creatasi con la vittoria di Ciro sui medi, con i quali
Creso aveva stabilito buone relazioni anche sul piano matrimoniale, il re
lidio cerca prontamente di organizzare una coalizione cui parteciparono
lacedemoni, egiziani e babilonesi. Ciro, tuttavia, fu fortunatamente infor­
mato del progetto prima ancora della sua attuazione e, anticipando il fu­
turo avversario, lo costrinse a fronteggiarlo, assumendosi in tal modo 1 i­
niziativa dello scontro.
I primi combattimenti sono incerti e Creso torna a Sardi, la sua capita­
le, in attesa di riorganizzarsi e ricevere aiuto. Ciro comunque persiste nel­
la tattica di forzare la mano all’avversario, non lasciandogli tempo di re­
spirare. Nel 546 Sardi cade e Creso vien fatto prigioniero.
L’unica forza superstite per fronteggiare il potere di Ciro è Babilonia.
Per alcuni anni Nabonedo non si rende conto del pericolo mortale cui si
sta esponendo con Ciro. Nel frattempo il persiano occupa a poco a poco
alcuni territori di Nabonedo, cercando di isolare la capitale, Babilonia.
Gli avvenimenti precipitano e nel 539 il governatore del Gutium, un ba­
bilonese, entra in Babilonia con le truppe di Ciro. I dati disponibili con­
fermano che la città aprì le porte al nuovo signore. Il malcontento popo­
lare e l’odio fomentato dall’atteggiamento di Nabonedo resero possibile
il cambiamento di situazione senza le guerre e le uccisioni generalmente
presenti in questi rivolgimenti. La caduta di Babilonia ebbe una notevole
19 1 L ’ e s ilio e la r e s t a u r a z io n e d i G i u d a

ripercussione fra tutti i popoli dell’Oriente. La condotta di Ciro nei con­


fronti delle popolazioni sottomesse a Babilonia darà ragione a quanti
avevano visto nel suo arrivo un segno di speranza.

2. L'editto di Ciro

Dopo la conquista di Babilonia Ciro dimostrò un’abilità politica inconte­


stabile m circostanze in cui non era difficile accattivarsi il favore della po­
polazione. Il sovrano adotta subito il culto di Marduk, come testimonia
un famoso testo (il «cilindro di Ciro») nel quale egli si presenta come il re
detto dal dio di Babilonia per restaurare I ordine e la prosperità minati
dalPempietà e dalla negligenza di Nabonedo. Con probabilità tale testo fu
redatto dai sacerdoti di Babilonia; ciò indicherebbe con maggior chiarez­
za lo stato in cui versava il sentimento popolare (ANET 3 16 ; PO A 54).
La sua lettura trova paralleli, come sottolineano tutti ì commentatori, con
gli oracoli del profeta dell’esilio, il cosiddetto Deutero-Isaia. I profondi
cambiamenti determinatisi con l’arrivo di Ciro sono interpretati dagli
m • ■ 1 »

storici in vari modi.


L ’atteggiamento del re si limitò alla restaurazione e cura dei templi di
Babilonia, con l’esclusione di ogni violenza contro la popolazione. Il testo
ricordato afferma: «Mi sono occupato continuamente del benessere della
città di Babilonia e di tutti i luoghi santi» ; continua piu avanti: «(li) feci
tornare ai loro luoghi, dove avevano sempre abitato, e feci in modo che
abitassero in una dimora stabile; riunii tutte le genti e le ricondussi ai loro
rispettivi paesi». In questo testo sono condensati 1 provvedimenti politici
e religiosi di Ciro; vi si deduce che ì persiani non cercarono di fondare il
loro grandissimo impero sull’unità religiosa.
I giudei esiliati e quanti erano rimasti in Giuda seguirono con interesse
gli avvenimenti politici e militari che portarono alla conquista di Babilo­
nia da parte di Ciro. Coloro che sognavano dì tornare in patria e restau­
rare la comunità nazionale e religiosa non potevano che alimentare le loro
speranze con tali notizie. I fatti, in parte, davano loro ragione. Certamen­
te gli oracoli del Deutero-Isaia, parlando esplicitamente di Ciro quale in­
viato dal Dio nazionale dei giudei, di fronte alla realtà concreta rimasero
in gran parte vaticinio di speranza. Ciro, impossessatosi del potere in Ba­
bilonia, redasse un decreto che permetteva ai giudei che lo desiderassero
di tornare in patria. Il testo di tale editto è recepito soltanto nel libro di
Esdra (1,^-5), ma coincide perfettamente con quanto riportato dal cilin­
dro suddetto: «Riunii tutte le loro genti e le ricondussi ai loro paesi». E
l’anno 538.
Scopo manifesto del decreto di liberazione era «la costruzione di un
tempio al Dio dei cieli a Gerusalemme, che è in Giuda». In un altro passo
T e n t a t i v i di r e s t a u r a z io n e m o n a r c h ic a 19 3

di Esdra (6,3-5) s* menziona esplicitamente non solo la costruzione del


tempio, ma anche la restituzione degli oggetti sottratti da Nabucodono-
sor a Gerusalemme.

3. Conseguenze per gli esiliati.


Il primo ritorno

Erano passati quasi sessantanni dalParrivo a Babilonia dei primi depor­


tati, gli stessi cui Geremia aveva caldamente raccomandato di stabilirsi
nel paese. Molti, seguendo Ì consigli del profeta, e più verisimilmente per
necessità, si erano insediati e arricchiti nel paese dell'esilio. Certamente
per molti di loro tornare in Giuda costituiva un desiderio, ma le prospet­
tive rimanevano alquanto incerte. Il libro di Esdra afferma che «allora,
tutti quelli che si sentirono mossi da Dio... si misero in cammino e saliro­
no a riedificare il tempio di Gerusalemme» (1,5). Alla loro testa compare
un certo Sheshbassar con il titolo di «principe di Giuda». Il nome, babi­
lonese, mostra il livello di assimilazione della colonia giudaica. Qualora
Sheshbassar fosse identificabile, cosa che non tutti gli studiosi ammet­
tono, con lo Sheneassan di 1 Cron. 3,18 , si tratterebbe di un discenden­
te di Ioiakin, il re deportato a Babilonia. L ’entusiasmo manifestato dal li­
bro di Esdra nei confronti di questa prima «salita» a Gerusalemme è ab­
bastanza artificioso. D’altra parte le liste delle persone che tornarono a
Gerusalemme non sono chiare e non si sa con certezza che cosa realmente
esprimano.
La ricostruzione del tempio, obbiettivo di questo primo gruppo che
rimpatriò con Sheshbassar, non andò molto lontano. Esd. 5 ,1 6 dice che
Sheshbassar, al quale si dà il titolo di peha (governatore), pose soltanto
le fondamenta. Disinteresse dei giudei, mancanza di mezzi, difficoltà del­
l’impresa? Molto probabilmente l’amministrazione persiana, concessa
l’autorizzazione, si disinteressò del resto e la costruzione del tempio non
potè essere portata a termine con i soli mezzi dei giudei.
L ’editto liberatore di Ciro non produsse quindi gli effetti auspicati né
appagò le speranze ridestate o ravvivate nella comunità dagli oracoli del
Deutero-Isaia.

I I I . T E N T A T IV I D I R E S T A U R A Z I O N E M O N A R C H I C A

1. Zorobabele
Per dieci anni la situazione rimane invariata. Ciro muore nel 530. Gli
succede il figlio Cambise. Il suo regno fu particolarmente agitato. Con­
quisterà l’Egitto in modo duraturo, estendendo ancor più il suo impero.
Ma si deve ritenere che non si comportò in Egitto come suo padre a Babi-
194 L ’ e silio e la r e s t a u r a z io n e d i G i u d a

Ionia e non rispettò i santuari locali, procurandosi così l’ostilità delia po­
polazione. Inoltre, per prevenire tentativi di colpo di stato assassinò suo
fratello Bardiya. Di ritorno dall’Egitto, nei pressi del Carmelo ni Palesti­
na, morì per una ferita accidentale (512). La tradizione popolare egiziana
vedrà in questa morte il castigo per la sua empietà.
Poco prima di morire gli era giunta notizia che un tale Gaumata, fa­
cendosi passare per il fratello assassinato, gli si era ribellato e varie pro­
vince orientali lo avevano riconosciuto come re. Alla morte di Cambise
gli succede Dario 1 (522-486), che non era suo figlio ma membro di un
ramo collaterale della famiglia reale. Il nuovo sovrano avrà bisogno pra­
ticamente di due anni per riappropriarsi effettivamente di tutto il potere
che era stato nelle mani di Cambise. La sua politica consisterà nel porre
come governatori o responsabili politici delle diverse province dell’impero
personalità locali incondizionatamente fedeli alla sua persona. Così fece
in Egitto e in Giudea, provìncia importante e passaggio obbligato per l’E­
gitto. 11 designato per Giuda è Zorobabele, il cui nome in babilonese si­
gnifica «seme di Babele». Agg. 1 ,1 . 1 4 ; £,2.21 attribuisce a Zorobabele il
titolo di peha (governatore) di Giuda. D ’altro canto questo personaggio
è sempre definito «figlio di Sealtiel» (Esd. 3,2.8; 5,2). Secondo 1 Cron.
3 ,17 , Sealtiel è il figlio maggiore di Ioiakin, il re di Giuda deportato a Ba­
bilonia. Per molti giudei, e in special modo per i deportati, Zorobabele
rappresentava certo il discendente legittimo della dinastia davidica.
La situazione di costante ribellione e d’instabilità, dominante nell’im­
pero persiano dagli ultimi anni di Cambise fino al momento in cui Dario
1 potè impossessarsi a pieno titolo del potere, si prestava ad alimentare
ogni tipo di sogno di restaurazione nazionale. 1 profeti Aggeo e Zaccaria
sono privilegiati testimoni di questa speranza di restaurazione politica
della dinastia davidica. I due profeti esercitarono il loro ministero con­
temporaneamente, a partire dal 520. La visione di Zacc. 4 ,i-ó a .io b -i4
presenta una società giudaica nella quale i due «unti» hanno lo stesso
rango, ognuno nella propria sfera di competenza: Giosuè, il sacerdote, e
Zorobabele, il principe. Gli oracoli diretti a Zorobabele in 4,6b-ioa non
consentono dubbi sull’idea del profeta riguardo al discendente di Davide
e sulla missione che gli assegnava. In questo testo, tipica espressione del-
rideologia regale (la presenza e il dono dello Spirito), gli viene assegnata,
come funzione primaria, la ricostruzione del tempio. Lo stesso si può dire
di Aggeo, che designa Zorobabele per parte del dio nazionale come «mio
servitore», denominazione classica dei sovrani di Gerusalemme (2,20­
23). Il significato di questo vaticinio, come del precedente di Zaccaria,
non consente incertezze.
Zorobabele scompare dalla scena senza lasciar traccia. Le speranze non
si avverarono e la pace persiana viene stabilita senza possibilità di restau­
T e n t a t i v i d i r e s t a u r a z io n e m o n a r c h ic a 19 5

razione monarchica. Zacc. 1 , 1 1 testimonia questa situazione. La comuni­


tà giudaica dovette piegarsi alle circostanze e trasferire le sue speranze
nella persona e figura del sacerdote Giosuè. Questa evoluzione è evidente
nei rimaneggiamenti di alcuni testi di Zaccaria, indirizzati in un primo
momento a Zorobabele e, di fronte alla nuova situazione, modificati per
applicarli a Giosuè (Zacc. 4,8-10; 6 ,11-14 ).

2. Il nuovo tempio

Come si è visto nel paragrafo precedente, alla fine dell’esilio il problema


del tempio sì fece di estrema importanza. Il profeta Aggeo ( 1 ,1 - 1 1 ) esorta
il popolo di Giuda e i suoi capi a mostrare una reale ed effettiva premura
per la costruzione della casa del Signore. Al tempo stesso egli spiega che
le calamità naturali dì cui il popolo soffre (siccità ecc.) sono conseguenza
del suo disinteresse per la costruzione del santuario. Il popolo interpreta
gli avvenimenti in senso opposto: la sventurata situazione è prova che Dio
non ha rimosso la sua maledizione sul popolo e, pertanto, «non è ancora
giunto il tempo di ricostruire il tempio». Probabilmente si tratta di conce­
zioni teologiche differenti. A ogni modo l’ascesa al trono di Dario dà un
impulso decisivo alla costruzione del tempio di Gerusalemme, poiché il
nuovo sovrano confermerà l’editto di Ciro e accentuerà considerevol­
mente la partecipazione della corona alla costruzione e al mantenimento
dell’edificio e del culto (Esd. 6 ,1-18 ). Secondo Esd. 6,15 la costruzione
del tempio fu terminata il 3 febbraio/marzo dell’anno sesto del regno di
Dario (515).
Scarse sono le notizie sulla pianta dell’edificio e sulle sue caratteristi­
che; quasi certamente la disposizione del santuario non si differenziava
molto dal progetto originario del tempio di Salomone. Anche quello del
tempio erodiano, nelle sue linee generali, rimaneva praticamente lo stes­
so, giacché le modifiche cercavano di abbellirlo e ingrandirlo senza alte­
rare sostanzialmente il disegno originario. Non è nemmeno il caso di dire
che il piano costruttivo di Ez. 40-48 rimase mero progetto senza influen­
za alcuna sulla costruzione del nuovo tempio.
Nel secondo tempio venne introdotto, t u t t a v i a , un muramento fonda­
mentale. Prima dell’esilio il «patrono» del tempio era il re. Da lui dipen­
devano i sacerdoti, il mantenimento e, in parte, la provvista delle vittime.
Dopo l’esilio e la scomparsa di Zorobabele, l’autorità politica era stranie­
ra, quella dell’occupante persiano. In questo senso è interessante il testo
di Esd. 6 ,1-18 , dove si afferma che il sovrano si fa carico di una parte,
per lo meno, del mantenimento e dell’approvvigionamento del santuario
giudaico. La situazione era socialmente e teologicamente nuova. M a la
comunità giudaica non avrebbe potuto vivere in un vuoto completo di
t$6 L ’esilio e La restaurazione di Giuda

una propria autorità. Tale spazio d’autorità lasciato libero dal potere po­
litico sarà occupato dal sacerdozio, runico corpo sociale organizzato che
nel corso dei decenni dell’esilio aveva assolto importantissimi compiti.
Assumendo sotto la propria responsabilità il tempio, unico elemento tan­
gibile di coesione della comunità, il sacerdozio rafforzerà inoltre la pro­
pria posizione. In queste circostanze non è strano che il rito delibazione,
prima dell’esilio caratteristico della monarchia, passi al sommo sacerdo­
te, titolo che appare in quest’epoca (Agg. 1,1) .

I V . M I S S I O N E E O P E R A D I N E E M IA

Per sessantanni e dal momento della consacrazione del nuovo tempio le


condizioni rimarranno immutate, senza elementi che consentano di cono­
scere esattamente la situazione di Giuda. Sicuramente durante il regno di
Artaserse i (464-424) le autorità di Samaria presentarono al re vibranti
proteste contro i giudei di Gerusalemme, i quali stavano ricostruendo le
mura e la città (Esd. 4,7). Questa attività è considerata come un proposi­
to di ribellione per conseguire l’indipendenza. Artaserse ordina l’ imme­
diata cessazione dei lavori. Dopo veri e propri tentativi di ribellione la si­
tuazione interna delPimpero si rinsalda. Giungiamo cosi all’anno 445.
Neemia è un giudeo che occupa un posto importante alla corte persia­
na. Una delegazione di giudei, guidata dal fratello Hanani, giunge alla
capitale per ottenere dal monarca la revoca dell’ordine di sospensione dei
lavori a Gerusalemme. Neemia fungerà da intermediario nella questione
e, di conseguenza, il re lo incaricherà ufiìcialmente di recarsi a Gerusa­
lemme e di far riprendere i lavori.
La missione di Neemia (445-433) si scontra tuttavia con Popposizione
delle autorità di Samaria, nonostante l’ordine del sovrano persiano. Poi­
ché Susa, capitale dell’ impero, è lontana, i nemici di Samaria cercheranno
con tutti i mezzi di mantenere sotto il loro controllo il territorio giudaico.
Durante questa prima missione Neemia porta a termine la ricostruzione
delle mura {Neem. 2 ,11- 4 ,17 ; 6,i - i 6), malgrado la crescente opposizione
dei nemici. Quanti lavoravano, agivano come operai e come soldati, se­
condo la celebre frase di Neem. 4 ,1 1 . Fu necessario occuparsi non soltan­
to delle mura, ma anche del ripopolamento della città. Per lo stato d’ab­
bandono e di distruzione la popolazione era restia a installarvisi. Neemia
ripopolò la città (Neem, 7,4-5; 11,1- 2 ) . In una seconda missione, databile
probabilmente al 430 circa, Neemia prenderà una serie di misure per la
riorganizzazione sociale della comunità giudaica, insistendo su aspetti
particolari di carattere nazionale e suli organizzazione cultuale del tem­
pio, come compete al rappresentante del potere civile. Tutti gli aspetti di
questa seconda missione sono narrati in Neem. 13 .
V . E S D R A , LO S C R I B A , E L A C O N F I G U R A Z I O N E D E L G I U D A IS M O

1. Esdra
I libri di Esdra e Neemia sono costituiti da unità letterarie connesse senza
un ordine cronologico. Parlando di uno o dell’altro di questi due perso­
naggi bisogna quindi ricorrere ad ambedue i libri, benché tra la missione
del primo e quella del secondo intercorrano una trentina d’anni.
Esdra, la cui missione è collocata verisimilmente nel settimo anno del
regno di Artaserse n (398), in Esd. j y6 viene qualificato come «scriba
esperto nella legge che diede il Signore». La sua genealogia lo apparenta
con il sacerdote Aronne. I due titoli si trovano riuniti in 7 ,12 , nel testo
della missione affidata dal re al sacerdote-scriba giudeo. L ’ordine reale
contiene vari elementi. Si rinnova l’autorizzazione in base alla quale
quanti intendevano ritornare in patria lo facciano liberamente, compresi
—precisa il testo —sacerdoti e leviti. Vi è un altro aspetto importante nella
■ ■ * 4 r 1 m m m m m ^ ■

missione: «11 re e 1 suoi sette consiglieri ti inviano per vedere come si os­
serva in Giudea e a Gerusalemme la legge del tuo Dio, che ti hanno affi­
dato». Questo secondo elemento è decisivo. Da un lato, «legge del tuo
Dio» si cambia, attraverso il decreto, in legge dello stato persiano per i
giudei. Esdra, inoltre, riceve il potere d’imporre l’adempimento di detta
legge. Un testo religioso assume, per decisione e volontà di un sovrano
straniero e dominatore del popolo giudaico, rilievo civile ed efficacia le­
gale. Il terzo elemento rilevante è dato dai contributi del sovrano persiano
al mantenimento del culto di Gerusalemme (7,15).
Esdra dedica tutto lo zelo e l’impegno possibili per portare a termine la
missione, la cui manifestazione pubblica più importante coincide con la
famosa festa nella quale Esdra, lo scriba, «legge il libro della legge di
Mosè» (Neem. 8,1). Oltre al lavoro normativo in campo religioso, Latti­
vi tà di Esdra è nota in materia di matrimoni misti. I capitoli 9 e io del
suo libro narrano il doloroso episodio della separazione dei giudei dalle
mogli straniere. La purezza d’Israele non poteva tollerare tali matrimoni.
D’altro canto sembra strano che non si parli di possibili conflitti tra Esdra
e i samaritani.

2. Il giudaismo

II contenuto di questo capitolo mette in luce come la storia d’Israele si ar­


ticoli, fino all’era cristiana, in due grandi periodi: prima e dopo l’esilio.
«Giudaismo» è il termine usuale per la designazione della seconda fase.
La figura di Esdra compendia nel modo migliore le caratteristiche della
comunità giudaica dell’epoca. Si prospetta il problema fondamentale di
salvaguardare e sviluppare l’identità nazionale e religiosa. Perciò una del-
19* L ’esilio e la restaurazione di Giuda

le possibilità era il ripiegamento del gruppo su se stesso. Il caso dei matri­


moni misti lo dimostra. Si può dire che in questo Esdra segua alla lettera
le ammonizioni del Deuteronomio, che vedeva nel contatto con gli stra­
nieri un pericolo mortale per il popolo d'Israele (Deut. 7). Ma la fedeltà
di Esdra al Deuteronomio non è indiscriminata. Nella cosiddetta «legge
del re», Deut. 17 ,14 -2 0 afferma esplicitamente: «Costituirai re sopra di
te uno preso fra i tuoi fratelli; non potrai mettere sopra di te uno stranie­
ro, uno che non è tuo fratello» {Deut. 17 ,15 ). I giudei, tuttavìa, erano
sudditi del re persiano, uno straniero. Chiaramente essi non avevano no­
minato 1 persiani re di Gerusalemme. Conviene in ogni caso insistere su
questo fatto: mai, né in Esdra né in Neemia, si pone in discussione il po­
tere persiano sulla comunità giudaica. Il nazionalismo e l’identità nazio­
nale si adattano perfettamente alla situazione reale, forse come unica so­
luzione. Piu ancora: si accetta senza problemi il contributo ufficiale della
corona straniera al culto del tempio del Dio d’Israele.
Tuttavia non tutta la comunità giudaica optò per il ripiegamento del
gruppo quale soluzione per la sua identità. 1 libri di Rut e di Giona, re­
datti in quest’epoca, propongono modelli di apertura e di relazioni con
gli altri popoli, senza scorgervi una minaccia per Israele.
Il giudaismo porrà progressivamente al proprio centro il tempio, le
nuove pratiche espressive della sua identità (circoncisione, sabato) e lo
studio della legge. Questo, coltivato neliambìto della sinagoga, si tra­
sformerà successivamente nella peculiarità principale dei giudaismo.

3 . 1 samaritani

Con l’editto di Ciro i samaritani saranno costantemente presemi nel sot­


tofondo storico della comunità giudaica restaurata.
Con la caduta di Samaria nel 722 il regno del nord aveva subito mas­
sicce deportazioni e gli israeliti deportati scompaiono per sempre come
gruppo nazionale e religioso. AI loro posto gli assiri avevano insediato
popolazioni portate da altri territori dell impero. 2 Re 17,24-28 racconta
che i nuovi arrivati chiesero alle autorità assire un sacerdote locale, affin­
ché insegnasse loro come adorare il dio del paese. Il sincretismo nazionale
e religioso fu inevitabile, anche se, caduta Gerusalemme, almeno una
parte degli israeliti rimasti nel territorio continuava a frequentare il tem­
pio distrutto, presentando le sue offerte e celebrando un culto rudimenta­
le (G er. 41,4-5).
Al ritorno dalPesilio i giudei sopraggiunti da Babilonia si dedicano alla
ricostruzione del santuario e 1 «samaritani» esigono di collaborare alla ri­
costruzione del tempio del Dio comune. Esd. 4,1-5 costituisce la testimo­
nianza emblematica della divisione fra i due gruppi. Come si sa, Tesiliato
Esdra e la configurazione del giudaismo 1 99

nutre il convincimento di una maggiore fedeltà agli ideali e alle «entità»


nazionali e tratta con disprezzo quanti erano rimasti nel paese. E ancor
più se l’esilio è stato, in realtà, una deportazione. Il disprezzo degli esuli
ritornati nel paese colpì anche i giudei che non erano stati deportati e
avevano adottato nella loro realtà sociale forme cultuali sincretiste.
Il conflitto con i samaritani continuerà senza concludersi. La torà, che
assume la forma attuale probabilmente nella prima metà del iv secolo,
viene accolta dai samaritani come unica Scrittura canonica fino a oggi.

4. Problemi aperti

Da tempo uno dei problemi più spinosi è Perdine cronologico dell’attività di


Esdra e Neemia in Giuda. L ’attuale situazione dei loro libri colloca per primo
Esdra e, di fatto, in Neem. 8,9 entrambi i personaggi s’incontrano nella celebre
cerimonia della proclamazione della legge.
M a il contenuto delle loro rispettive missioni ha indotto molti studiosi a prefe­
rire una modifica debordine di apparizione dei restauratori. La data della missio­
ne di Neemia non desta problemi, giacché i testi di Elefantina permettono di col­
locare con sufficiente sicurezza il governatore di Samaria, Sanballat e il sommo
sacerdote Johanan, contemporaneo di Neemia {Neem, 3 , 1 ; 1 2 ,2 2 ) , nell’ anno 20
dd regno di Artaserse 1 (465-424)., ossia nel 44 5.
Il problema si pone per Esdra, giacché Esd. 7 ,1 .8 parla della missione dello
scriba «durante il regno del re persiano Artaserse... Panno settimo del re Artaser­
se». Se si tratta di Artaserse 1, la missione di Esdra precederebbe quella di Nee-
rma. Ebbene, non va dimenticato che Neemia si occupò della questione de] matri­
moni misti {Neem. 1 3 ,2 3 - 2 8 ) e, se la radicale decisione di Esdra precedesse N ee­
mia, quest’ ultimo non avrebbe avuto alcun problema. Inoltre, Neemia ripopola
Gerusalemme e costiuìsce le mura (Neem. 6 e 1 1 ) ed Esdra trova Gerusalemme
ben popolata e con le mura riedificate (Esd. 9,9 e 10 ,1) . Bisogna riconoscere che
gli indizi favoriscono l’ipotesi Neem ia-Esdra, benché non vi siano prove decisive.
Un’altra questione irrisolta riguarda la legge che Esdra ha Pmcarico d’introdur­
re in Giuda e a Gerusalemme. Si tratta unicamente del Deuteronomio, che lo scri­
ba in alcuni casi segue scrupolosamente (matrimoni misti, proclamazione della
legge nella festa delle capanne (Neem. 8 ,3 .1 4 - 1 8 ; cfr. Deut. 3 1 ,9 - 1 3 ) ? O si deve
pensare che la legge di Esdra fosse, come generalmente si pensa, la torà, vale a di­
re il Pentateuco nella forma attuale? La legge di cui parla il decreto di Artaserse è
la medesima proclamata da Esdra durante la celebre festa delle capanne? Ancora
una volta vi sono argomenti per entrambe le ipotesi, ma nessuna delle due suppo­
sizioni s’impone.
Un terzo problema, forse risolubile nei tempo, concerne la relazione dei libri dt
Esdra e di Neemia con quelli delle Cronache. È il problema delle relazioni lettera­
rie, redazionali e teologiche, e dell’origine dei testi e delle tradizioni presenti in
entrambi i contesti.
5- Bibliografia
Per quanto si riferisce a questo periodo è indispensabile W .D . Davies - L. Finkel-
stein, The Cam bridge Hìstory o f Judaism , r. Introductìon. The Per siati Perìodi
Cambridge 19 8 4 . Uno dei maggiori studiosi di quest’epoca è P.R, Ackroyd, del
quale si vedano Israel under Babylon and Persia , Oxford 1 9 7 9 ; The Ih story o f
Israel in thè E xilic and Post ex die P eriod , in G .W . Anderson (ed.), Tradìtion and
Interpretation^ O xford 1 9 7 9 ; The ]ew ish Com m unity in Palestine in thè Persian
Period , in The Cam bridge Hìstory o f Judaism , cit., 1 3 0 - 1 6 1 (i due ultimi saggi ci­
tati raccolgono e rivedono le conclusioni precedenti, costituendo cosi una com­
pendio pregevole del contributo di Ackroyd). Studio classico sul periodo resta K.
Gallrng, Studien zur Geschichte Israels im persischen Zeitalter, Tiibingen 19 6 4 .
Sui samaritani efr, R .J. Coggms, Samaritans and Je w s : thè Origins of Samaritan-
ism R econsidered , Oxford 1 9 7 5 . Sulla situazione dei giudei in questo periodo cfr.
anche R, Zadok, The Je w s tn Babylonia during thè Chaldean and Achaem cnian
Periods according to thè Babylonian Sources , Haifa 1 9 7 9 . Per la storia generale
del periodo cfr. A .T . Olmstead, H ìstory o f thè Persian E m pire , Chicago 19 4 8 . Si
possono analizzare i più recenti approcci al problema in J.M . Sànchez Caro,
Esdras , Nehemtàs y los ortgenes del judaism o: Salmanticensis 32, (19 8 5) 5 -34 .

V I . LA R E S T A U R A Z I O N E R E L IG IO S A

x. L ’esilio
Nella storia dlsraele e quindi in quella della sua religione si può parlare
con proprietà di «prima e dopo l’esilio». La continuità è tanto importante
quanto la frattura. Dal punto di vista delle istituzioni, mediazioni salvifi­
che nella teologia d’Israele, la monarchia scompare, il tempio è distrutto
e, di conseguenza, il sacerdozio rimane sospeso. La religione d’Israele non
si identifica con nessuna di queste istituzioni, benché con il tempo molti
asseriscano il contrario.
In queste drammatiche circostanze i teorici della religione d’Israele si
appellano a una teologia che sottolinea la fedeltà del Dio d’Israele, la sua
presenza e la sua azione al di sopra delle istituzioni e delle teologie, di­
strutte dagli avvenimenti. La relazione tra Dio e il suo popolo verrà piut­
tosto concepita come dono gratuito e totale da parte di Dio. Questo dono
porta con sé da una parte la capacità di rispondere alla sua chiamata,
dall’ altra l’offerta all’uomo dei mezzi per ristabilire la relazione con Dio
in caso di rottura: il culto.
Il rapporto dell’uomo con Dio comporta spesso un’idea di ricompensa.
Nell’Israele antico la responsabilità collettiva inglobava la dimensione in­
dividuale in sintonia con quanto talvolta si designa «personalità corpora­
tiva». I membri del gruppo sono solidali nel bene e nel male con le azioni
di ognuno di essi e viceversa. Con la crisi delPesilio queste concezioni su­
sciteranno un’appassionata discussione (G er. 3 1 , 1 9 - 3 0 ; Ez. 14 ; 1 8 ; 3 3 , 1 0 -
La restaurazione religiosa 2 ,0 1

zo). Ezechiele intende rispondere all’accusa del popolo, il quale sostiene


che Dio non è giusto. Ma la sua risposta risulta piuttosto artificiosa e non
persuasiva.
I problemi del male, della sofferenza e della retribuzione assumono
aspetti drammatici negli avvenimenti deiresilio. Le religioni e le culture
limitrofe avevano già affrontato anticamente questi problemi, come di­
mostra un’intera serie di resti egiziani e mesopotamici di grande valore e
bellezza. 11 libro di Giobbe affronterà tutti questi problemi con coraggio e
lucidità, offrendo una risposta relativamente originale e caratteristica dal
punto di vista della religione d’Israele.

z. La caduta di Babilonia e la restaurazione

Con l’editto di Ciro, che permerte il ritorno in Giuda dei giudei esiliati,
per Israele e la sua religione si apre una nuova fase. Il nuovo sovrano non
concede a Gerusalemme la libertà politica, bensì quella religiosa. Il rim­
patrio fu progressivo e moderato. Lo attuarono i circoli sacerdotali e i
gruppi nazionalisti. Non poteva essere altrimenti. La ricostruzione del
tempio terminerà nel 5 15 . Questo avvenimento costituisce il punto di
partenza di una nuova era nella storia dMsraele.
Due gruppi religiosi esercitano grande influsso nella ricostituzione della
comunità religiosa d Israele: i sacerdori e i profeti. I sacerdoti sono Punico
gruppo organizzato con potere effettivo: sorvegliano e animano il tem­
pio, in questo momento la sola istituzione materiale determinante sui
piano teologico. Essi daranno struttura definitiva alle antiche tradizioni
tramandate dai diversi documenti, cui aggiungeranno i loro scritti, frutto
della riflessione teologica dell’esilio sulla base delle loro stesse tradizioni.
In questi testi prenderanno corpo e acquisiranno un inestimabile valore
religioso alcune realtà conosciute e praticate fin da tempi remoti, come la
circoncisione che diviene, nella prospettiva teologica dei testi sacerdotali,
il segno della relazione tra Israele e il suo Dio (Gen. 17). Lo stesso vale
per il sabato postesilico che, amalgamato con elementi precedenti, riceve
un contenuto teologico e una funzione sociale completamente nuovi.
L ’evoluzione dei sacrifici e del culto in generale è ugualmente significa­
tiva, poiché la presenza e la funzione sacerdotale assumono maggior pe­
so, rimarcando l’attività sacrificale e diminuendo in proporzione quella
dei fedeli. Questo cambiamento è evidente nell’importanza attribuita ai
sacrifici per il peccato, o di espiazione, rispetto ai sacrifici di comunione.
Tra i temi della predicazione profetica di quest’epoca spicca, in primo
luogo, l’insistente affermazione del monoteismo israelitico. È un punto
forte dei testi del Deutero-Isaia. La situazione in cui si elabora tale affer­
mazione è quella di un popolo che, dinanzi all’impotenza del Dio nazio-
2.02. L ’esìlio e la restaurazione di G iu d a

naie e di fronte allo splendore della forza babilonese o persiana, si vede


tentato all’apostasia. La comunità giudaica restaurata opterà nettamente
per un monoteismo «militante».
Prolungando i temi classici della profezia preesilica, Aggeo e il Proto-
Zaccaria prenderanno una posizione decisa m favore del culto come mez­
zo privilegiato per riaffermare la relazione con Dio. II peso teologico di
alcuni testi di questi profeti è notevole. D’altro canto, entrambi designano
chiaramente Zorobabele come unto da Dio, destinato direttamente a re­
staurare la monarchia davidica e, quindi, 1 indipendenza politica di Giu­
da. Il progetto venne meno.
La prova dell’esilio produsse il risveglio della speranza d’Israele. Il
punto di partenza è la fedeltà di Dio e il suo agire nella storia d’ Israele,
base e fondamento della fede biblica, e la consapevolezza del peccato
provocata dalla distruzione di Gerusalemme e dall'esilio. La speranza in
un’azione definitiva di Dio in favore del suo popolo si plasma a poco a
poco letterariamente e teologicamente, /s. 2.4-Z7; 34-35; E z. 38-39 e, so­
prattutto, GL 3-4 rappresentano questa corrente «escatologica».
Tale escatologia suppone che la situazione concreta del popolo, social­
mente e religiosamente, possa suscitare una speranza adeguara alle caren­
ze sperimentate. Ma in quest’epoca sembra essersi affermato un altro
orientamento, denominato da alcuni «teocratico», secondo il quale la si­
tuazione in cui versa il popolo è quella ideale e non si doveva sperare nul­
la di nuovo e di definitivo. La comunità, strutturata intorno al santuario
guidato dal sacerdozio, sarebbe giunta alla sua piena realizzazione.
Questa tensione si manifesta in un serio problema che si pose alla co­
munità restaurata: la relazione con i non giudei. Il problema riceverà ri­
sposte diverse, I libri di Esdra e Neemia offrono la soluzione nell’isola­
mento della comunità giudaica e neH’attenta conservazione deiridentità
nazionale ed etnica, i libri di Rut e di Giona, invece, mostrano una gran­
de apertura teologica e sociale.
Gb scritti e le testimonianze profetiche ricevuti dalla comunità come
espressione della parola del Dio d’Israele raccolgono solo una parte del-
Fattività dei profeti attivi in Israele. Sono una scelta. L ’esilio servì, tra
Paltro, per separare il grano dalla paglia. DÌ conseguenza, data la quanti­
tà di profeti rimasta fuori dalla selezione e gli effetti nefasti della loro
predicazione, il profetismo perse vigore e prestigio (Zacc. 13,1-6 ). Gli au­
tori sapienziali acquisiscono in quest epoca una grande importanza e, in
un certo senso, tendono a surrogare Fattività profetica. Ciò non significa
che i testi sapienziali siano tutti di nuovo conio. Una volta ancora, par­
tendo da collezioni più o meno antiche e di origine sovente straniera,
Israele elabora un complesso di testi contenenti l'esperienza sapienzaie
accumulata.
La restaurazione religiosa 203

Quanto contrassegna pero in maniera indelebile la comunità restaurata


è la legge. La torà, il Pentateuco, si trasforma ora nel nucleo essenziale
della religione d’Israele. Il popolo riconosce nella torà la sua radice e la
sua ragion d’essere, il suo cammino e il suo marchio sociale e religioso.
Mosè e il portavoce della rivelazione di Dio al suo popolo affinché viva.
Anche nei Salmi traspare la funzione sostanziale di questo insieme di testi
per la vita e la religiosità del popolo.
E tuttavia necessario segnalare l’ambiguità della situazione: se questa
legge assume efficacia reale nella vita del popolo è per opera e grazie
all’autorità persiana, dominatrice della situazione politica, che la dichiara
ufficialmente esecutiva per i giudei. A ogni modo il giudaismo avrà come
asse portante e principale la legge di Mosè, '

3. Il sacerdozio postesìlico

La caduta di Gerusalemme, nel 5 87, segna un momento decisivo nella


storia del sacerdozio d’Israele. Un buon numero di sacerdoti vennero esi­
liati. In quei momenti critici, questo gruppo di sacerdoti compì un lavoro
teologico fondamentale, che favorì la rinascita della comunità israelitica.
Non soltanto costituirono un’opera di compilazione delle antiche tradi­
zioni teologiche, ma le dettero forma e prospettive nuove partendo dalla
situazione, radicalmente modificata, in cui sì venivano a trovare. Gran
parte dei testi del Pentateuco provengono da questa fonte.
Al ritorno dalPesiho la comunità si organizza intorno al tempio di Ge­
rusalemme. Nelle nuove prospettive teologiche postesiliche, il culto rap­
presenta un elemento fondamentale, che consente una rinnovata relazio­
ne del fedele con il suo Dio. Il sacerdozio, con a capo il sommo sacerdo­
te, costituisce, insieme alla legge di Mosè, Passe portante dell’organizza­
zione e della vita cultuale e sociale della nuova comunità. Questa situa­
zione si riflette in un famoso testo del libro dell’Esodo: «Se vorrete obbe­
dirmi e custodire la mia alleanza... sarete un popolo santo, retto da sacer­
doti» (Es. 19,6).

4. // secondo tempio

Durante l’esilio i deportati mancavano di luoghi dì culto. La preghiera, la


lettura dei testi sacri, il digiuno e alcune pratiche di questo tipo acquisi­
rono rilievo e intensità, Il sogno del gruppo rinnovatore degli esiliati era
tuttavia dì tornare in patria e ricostruire il tempio. Con l’ascesa di Ciro al
potere in Babilonia il sogno potè iniziare a trasformarsi in realtà. A parti­
re dal 538 si avvia timidamente il ritorno in patria. I nuovi arrivati rico­
struiscono l’altare. Grazie alla liberalità religiosa dei persiani la ricostru­
X 04 L ’esilio e La restaurazione d\ Giuda

zione del tempio può cominciare. Si dovrà attendere fino al 520 perché le
opere assumano un ritmo soddisfacente. Nel 5x5 i lavori termineranno e
il nuovo santuario verrà inaugurato. Poco ci è noto del secondo tempio.
La struttura non doveva diversificarsi molto da quella del tempio di Saio-
mone. Il libro di Esdra riferisce che alcuni anziani, che avevano visto il
primo tempio, piangevano confrontandolo con il nuovo, molto piu sobrio
e semplice per l'esiguità di mezzi.
Un fattore politico contribuì potentemente alla ricostruzione del tem­
pio. Intorno a Zorobabele, discendente di Davide, presero forma i sogni
di restaurazione politica. In questa prospettiva la ricostruzione del tempio
nazionale diventava un elemento essenziale. Ma Zorobabele scompare
senza lasciare traccia e il tempio, ricostruito e privato di pretese politiche,
diviene uno dei cardini principali della vita della nuova comunità.

5. Le feste

Della pasqua e del sabato in epoca postesilica già si è detto (cfr. cap. v,
iv,8). Il giorno dell’espiazione è la festa tipicamente postesilica e sacerdo­
tale, benché non si debbano escludere elementi tradizionali più antichi.
Nessun calendario liturgico la menziona. NeiFA.T. s’incontrano sola­
mente tre riferimenti alla festa: Lev, 23,27.28; 25,9. Si capisce che questa
festa acquisì gradualmente un’importanza che prima non aveva. Secondo
Lev. 23,27, «è il giorno nel quale si espia da parte vostra in presenza del
Signore». L ’esilio fu il momento in cui Israele iniziò a essere consapevole
della sua colpa e, pertanto, doveva stabilire una forma per riannodare la
relazione con la divinità, nonostante il peccato. I testi sacerdotali più re­
centi offrono questa opportunità con il rito del giorno dell’espiazione.
Lev. 16 si dilunga sul rimale che, oltre il digiuno, include il rito dell’a­
spersione col sangue nel santissimo da parte del sommo sacerdote (L ev.
16 ,14 -15 ). Dalla distruzione del tempio fino a oggi il giorno delPespia-
zione è una delle feste piu importanti del giudaismo.

6. Bibliografia
Sulla religione d’Israele sono disponìbili buoni studi. Segnaliamo i seguenti: H.
Ringgren, Israele . / padri , l'epoca dei re3 il giudaism o , Storia delle Religioni 1 1 ,
Milano 1 9 8 7 ; G. Fohrer, Storia della religione israelitica , Brescia 1 9 8 5 . Il primo,
di scuola svedese, organizza il suo studio in prospettiva storica, attribuendo gran­
de importanza all’alleanza davidica e al culto; il secondo è un’opera d'insieme di
grande valore, benché si attenuino alcuni elementi. Una buona presentazione de­
gli studi sulla religione d’Israele pubblicati tra il 1 9 5 1 e il 1 9 7 3 è offerta da W .
Zmimerli, The History o f ìsraeliie Religione in G .W . Anderson (ed.), TfadUion
and Interpretation , O xford 1 9 7 9 , 3 5 1 - 3 8 4 . La sintesi più aggiornata sul tema,
La restaurazione religiosa 2,05

con bibliografia abbondante, è di H. Cazelles, Religìon dTsraèl, DBS x ( 1 9 8 1 ) ,


240 -2,77. Dati interessanti sulle istituzioni religiose d’Israele si possono trovare
anche nel classico libro di R. de V au x, Le istituzioni dell9Antico Testamento , T o ­
rino 1964, 2 7 3 - 4 9 5 '
Sulla religiosità delle popolazioni interferenti nella vita d’Israele la bibliografìa
è troppo estesa. Rinviamo pertanto alle storie delle religioni, che qui non è neces­
sario citare. In esse si può consultare quanto concerne le religioni mesopotamica,
egiziana e cananea. Per una raccolta dei più rilevanti testi religiosi del Vicino
Oriente antico, con introduzioni e note di specialisti, si può vedere, in lingua ita­
liana, l’antologia di W . Beyerlin (ed.), Testi religiosi per lo studio dell'Antico Te­
stamento , Brescia 19 9 2 .
Capitolo v a

La Palestina
sotto la dominazione greca
(333-16 7 a.C.)

I. LA N U O VA SIT U A Z IO N E :
ALESSAN D R O (333-32,3) E I D IA D O C H I (323-301)

La prima importarne vittoria su Dario in a Isso, nel 333 a.C., aprì defini­
tivamente ad Alessandro le porte dell’Oriente. Dopo l’occupazione di
Damasco e prima di addentrarsi nel cuore dell’impero persiano, Alessan­
dro decise di sottomettere la costa mediterranea e di impossessarsi dell E ­
gitto. Solamente Uro e Gaza gli opposero resistenza. La città fenicia, si­
tuata su un’isola a due chilometri dalla costa, resistette all’assedio per
sette mesi, ma alla line fu distrutta. L ’eunuco Batis, che guidava la difesa
di Gaza, oppose un’accanita resistenza, riuscendo a mettere in pericolo
perfino la vita di Alessandro. Dopo due mesi di assedio anche Gaza venne
rasa al suolo e Alessandro potè occupare l’Egitto, che lo accolse come un
liberatore. Nel 3 3 1 Alessandro fondò una nuova città presso la foce del
Nilo, Alessandria, che si svilupperà in breve tempo, trasformandosi nel
piu importante centro del giudaismo ellenistico.
Giuda e Samaria passarono dal dominio persiano sotto quello greco
senza opporre resistenza alcuna. Secondo Flavio Giuseppe [Ani. 11,3 0 4 ­
347) il sommo sacerdote Jaddua, per tener fede al giuramento di alleanza
prestato al sovrano persiano, rifiutò l’offerta di pace avanzata da Ales­
sandro durante l’assedio di Tiro, mentre Sanballat ni di Samaria si affret­
tava a offrire un contingente di truppe samaritane per l’assedio della città
fenicia. Tuttavia, sempre secondo Flavio Giuseppe, l’unico storico a tra­
smetterci questa notizia, quando Alessandro si diresse a Gerusalemme
dopo la presa di Gaza, lo stesso Jaddua, ispirato da un sogno divino, de­
cise di recarglisi incontro rivestito degli ornamenti sacerdotali e circonda­
to da un corteo di sacerdoti e dal popolo. Alessandro, vedendolo, si pro­
strò a terra per adorare il nome divino inciso su una placca d’oro della
tiara del sommo sacerdote, entrò in Gerusalemme e offrì un sacrificio nel
tempio. Su richiesta di Jaddua, Alessandro concesse ai giudei la libertà di
vivere secondo le loro leggi e l’esenzione dalle imposte in ogni anno sab­
batico; ciò valeva non solo per 1 giudei di Gerusalemme, ma anche per
quelli di Babilonia e di Media. Flavio Giuseppe spiega questa imprevista
condotta di Alessandro con il ricordo di un sogno, nel quale gli era stato
Alessandro e i Diadochi 207

promesso il successo delle sue imprese contro i persiani, e con la lettura


del libro di Daniele (!), in cui Alessandro vede preconizzata la vittoria.
Certamente l'intero racconto è leggendario e difficilmente si accorda
con il fatto che, una settimana dopo la presa di Gaza, Alessandro si tro­
vasse già alla frontiera con l’Egitto. L ’eco dell’incontro di Alessandro con
le autorità religiose giudaiche, conservato nel Talmud di Babilonia (b jo -
ma 69!}), supera questo inconveniente ambientando l’ incontro a Kefar
Saba, la posteriore Antipatride, sulla costa mediterranea, ma con Pincon-
gruenza di rendere protagonista dell’incontro tl sommo sacerdote Simeo­
ne il Giusto, che visse un secolo dopo tali avvenimenti.
A ogni modo, la narrazione di Flavio Giuseppe è molto significativa,
poiché dimostra che la conquista di Alessandro lasciò ( nuda nella stessa
condizione in cui si trovava sotto l’ impero persiano: appartenente alla
provincia di Siria, pagava il medesimo tipo di tributo, godeva della stessa
tolleranza religiosa e le autorità religiose disponevano di un’identica ege­
monia nella vita della città e di tutto il territorio.
Il caso di Samaria è diverso. Alla morte di San balla t 111 gli abitanti di
Samaria si sollevarono e nel 3 3 1, durante la permanenza di Alessandro in
Egitto, bruciarono vivo Andromaco, il governatore macedone di Celesì-
ria. Alessandro organizzò una spedizione punitiva, distrusse la città e so­
stituì gli abitanti morti o esiliati con coloni macedoni che fondarono la
prima città ellenista della Palestina: Samaria-Sebaste. Un tragico quadro
della situazione ci è stato presentato dai ritrovamenti del Wàdi ed-Dà-
liye. Nella grotta di un canalone a nord di Gerico furono rinvenuti, oltre
i famosi papiri, scheletri di più di zoo persone morte per asfissia, allorché
i soldati di Alessandro vi appiccarono un gran fuoco all'entrata.
Flavio Giuseppe racconta (Ant. 13,255-256) che Samballat aveva otte­
nuto da Alessandro il permesso di costruire un tempio sul monte Gari-
zim. Ma la maggior parte degli studiosi non danno molto credito alla no­
tizia e riportano la costruzione alla riedificazione di Sichem all’inizio del
perìodo ellenistico.
Assicuratosi il controllo dell’Egitto, della Palestina, della Siria e dell'A­
sia Minore, Alessandro proseguì i’avanzata attraversando PEufrate e il
Tigri, sconfisse definitivamente l esercito di Dario a Caligamela, nei pres­
si di Ninive, conquistò rapidamente il resto dell’impero persiano e si ad­
dentrò fino in India, fermandosi sulle rive del Gange. L ’improvvisa morte
di Alessandro a Babilonia nel 323 impedì che egli riuscisse a consolidare
l’organizzazione dell’immenso impero conquistato. Alessandro aveva sa­
puto presentarsi in Egitto come erede del potere faraonico e aveva assimi­
lato le tradizioni dell’impero degli Àchemenidi, cercando di amalgamare
persiani e macedoni, proposito esemplarmente simboleggiato dalle «noz­
ze di Susa», nella primavera del 324, quando in uno stesso giorno Ales-
2.o 8 L a Palestina sotto la dominazione greca

sandro, i suoi consiglieri e diecimila dei suoi soldati si sposarono con al­
trettante giovani persiane. Ma l’assenza di un erede dotato del carisma di
Alessandro avrebbe portato in breve tempo alla dissoluzione dell’impero
da lui creato e a uno smembramento dei territori tra i suoi «successori»,
i Diadochi.
Sebbene alla sua morte i capi militari avessero eletto come successore,
per assicurare la continuità dinastica, il fratellastro Filippo in Arrideo e il
figlio nato dopo la morte di Alessandro, il potere effettivo se lo spartirono
tra loro, avviando un confuso periodo di lotte e alleanze durante il quale
ciascuno dei Diadochi cercherà di conseguire il controllo dell’impero o di
parti di esso. La Palestina, rimasta tranquilla durante l’epoca di Alessan­
dro, si vedrà coinvolta in queste lotte e passerà dalle mani degli uni a
quelle degli altri durante tutto questo periodo (3 23-30 1 a.C.).
La spartizione dell’impero di Alessandro con maggiori ripercussioni in
questo periodo fu quella effettuata a Triparadisos, dopo l’assassinio di
Perdicca a Menfi: la Macedonia rimase sotto il dominio di Antipatro; la
Tracia fu assegnata a Lisimaco; l’Asia Minore ad Antigono Monoftalmo
(«il guercio»); la Babilonia a Seleuco; la Siria-Palestina a Laomedonte e
l’Egitto a Tolemeo.
Già nel 3 19 Tolemeo, che aveva cercato inutilmente di acquistare la Si­
ria-Palestina da Laomedonte, si era impossessato con la forza di questi
territori, ma l’anno seguente li perse a vantaggio di Eumene. Questi, a sua
volta, fu sconfitto da Antigono che, strappata la Babilonia a Seleuco, cer­
cò di conquistare le città della costa fenicia da Tiro fino a Gaza, impos­
sessandosi così nel 3 15 della Palestina. Nel 3 12 Tolemeo riconquistò il
paese dopo aver vinto a Gaza Demetrio, figlio di Antigono; ma l’anno
successivo dovette di nuovo abbandonarlo nelle mani di Antigono. Que­
sti, che nel frattempo si era proclamato re, conserverà in suo potere la
Palestina fino al 3 0 1, anno in cui Antigono perse il regno e la vita, scon­
fitto a Ipsos da Seleuco e Lisimaco.
Nella spartizione del regno di Antigono dopo la sua morte la Palestina
venne assegnata a Seleuco. M a nello stesso anno, e prima che Seleuco
avesse potuto prenderne possesso, Tolemeo l’aveva già riconquistata,
questa volta definitivamente. Da questo momento e per un intero secolo
(301-200 a.C.) la Palestina rimarrà sotto il controllo dei Tolemei, eccet­
tuato un breve periodo di occupazione seleucidica durante la quarta
guerra siriaca.

II. L A P A L E S T I N A S O T T O I T O L E M E I

Tolemeo 1 Sotere, seguendo l’esempio di Antigono, si era proclamato re


nel 305 a.C., dando avvio alla dinastia tolemaica (conosciuta anche come
La Palestina sotto i Tolemei 209

dinastia lagida, da Lago, il nome dei padre di Tolemeo), che dominerà in


Egitto come erede delle antiche dinastie faraoniche fino al 30 a.C. Il do­
minio, per arca cent'anni, dei Tolemei sulla Palestina sì può suddividere
in due periodi: una prima epoca, relativamente tranquilla, nella quale la
Palestina rimase estranea alle lotte fra Tolemei e Seleucidi, e una secon­
da, a partire dal 2 2 1, in cui la provincia subisce direttamente gli effetti
della quarta e quinta «guerra siriaca» tra i due antagonisti.
A Gerusalemme esisteva da tempo una fazione filoegiziana, conf è de­
sumibile dalla notizia che Flavio Giuseppe attinge dallo storico Ecateo di
Abdera: dopo la vittoria di Gaza del 3 12 il sommo sacerdote Ezechia, con
un gran numero di giudei, seguì Tolemeo in Egitto «per il suo comporta­
mento umano e amichevole». Ma esisteva anche una consìstente fazione
filoseleucidica. Sempre secondo Flavio Giuseppe, che in questo caso cita
l’opera perduta dì Agatarcide, Tolemeo s’impossessò di Gerusalemme a
tradimento, approfittando del riposo sabbatico, che impediva agli abitan­
ti d’ impugnare le armi per difendersi {Ani. 12,4-6; Ap. 1,2 0 8 -2 11). Se­
condo la Lettera di Aristea (12 -13 ), m questa circostanza Tolemeo de­
portò da Gerusalemme, Giuda e Samaria 100000 abitanti e li condusse in
Egitto; 30000 di loro furono inseriti in unita militari e i rimanenti vendu­
ti come schiavi.
Benché le cifre appaiano chiaramente esagerate, questo esodo della po­
polazione giudaica verso l’Egitto fornisce una spiegazione della fioritura
delle comunità giudaiche della diaspora egiziana nel in e li secolo a.C. La
testimonianza papirologica presenta queste comunità stabilite in Egitto e
nella Cirenaica; 1 loro membri, dedicati a ogni tipo di professione, si tro­
vano distribuiti tra tutte le classi sociali, dagli agricoltori agli esattori
d’imposte, dagli artigiani ai precettori, senza dimenticare l’esercito o la
polizia. Queste comunità giudaiche sono di lingua greca e sembrano go­
dere di uno statuto con privilegi giuridici analoghi a quelli dei cittadini di
origine greca. Almeno in certi casi è provato che formavano polii zumata,
che nelle città propriamente dette, come Alessandria, potevano raggrup­
parsi in quartieri il cui nome ricordava le origini etniche del gruppo. I lo­
ro membri si trovavano integrati nell’ambiente greco, come dimostra Po-
nomastica, nella quale insieme a nomi semitici troviamo afctn tipicamente
greci, compresi nomi teofori di origine pagana. Tale integrazione si ma­
nifesta anche nella fioritura di una letteratura giudaica in lingua greca,
espressa, ad esempio, dallo storico Demeino o dal poeta tragico Ezechiele
e culminante nella traduzione della Bibbia in greco, nota come Septua-
ginta (LXX).
L ’ellenizzazione delle comunità giudaiche della diaspora rappresentò
un fattore stimolante nella progressiva ellenizzazione del giudaismo pale­
stinese del ili secolo. L ’importanza di queste comunità influì senza dub­
2 ,1 0 La Palestina sotto La dominazione greca

bio sulPatteggiamento accondiscendente dei Tolemei nei confronti della


popolazione della Palestina. Di fatto la Lettera di Aristea {17-19 ) afferma
che Tolemeo n Filadelfo ordinò di liberare gli schiavi giudei deportati da
Tolemeo 1 oltre ai «deportati prima o dopo questi fatti»,
U lungo regno di Tolemeo u (2.83-246) segna non soltanto l’apogeo del
potere dei Tolemei, m3 anche un periodo di grande sviluppo economico
della Palestina. Le prime due «guerre siriache» di Tolemeo n, rispettiva­
mente contro Antioco 1 e Antioco fl, non danneggiarono affatto la pro­
vincia. Tolemeo sconfisse i nabatei, ottenendo il controllo della via com­
merciale con l'Arabia. Tutta una serie di città vennero costruite o rico­
struite, come Tolemaide (Pantica Àkko), Scitopoli (l’antica Bet Shan) e
Filadelfia (Pantica Rabba degli ammoniti). Naturalmente la creazione di
nuove città e l’installazione di nuove colonie militari costituì un impulso
di rilievo per l’economia. Tale sviluppo economico fu tuttavia accompa­
gnato da una forte pressione tributaria.
La provincia di Siria-Fenicia o Celesiria, nella quale era inserita la Pale­
stina, si divideva, dal punto di vista amministrativo e fiscale, tra i territo­
ri delle città ellenistiche (poleis), quelli delle colonie militari (katoikiai o
klerouchìai)y e la ehora, la campagna. Questa, a sua volta, si suddivideva
in distretti (hyparchiai) che raggruppavano le più piccole unità, i villaggi
{nomoi). Gerusalemme, considerata come città-tempio, dominava il terri­
torio di Giuda e costituiva il centro delPetma. La città era governata da
un consiglio di anziani (gerousia) a capo del quale stava il sommo sacer­
dote, riconosciuto come rappresentante del popolo [prostates) davanti al
re e responsabile del pagamento delle imposte. In ogni distretto un oiko-
nomos (amministratore reale) vigilava sugli interessi economici dello sta­
to. L’ intero sistema fiscale e amministrativo tolemaico si basava in defi­
nitiva su una burocrazia numerosa, ma efficiente, che dipendeva dal dìoì-
ketes (ministro delle finanze). I papiri di Zenone, un amministratore di
Apollonio, il dioiketes di Tolemeo 11, presentano un eccellente esempio
del funzionamento del sistema fiscale e amministrativo tolemaico in rap­
porto alla provincia di Siria e Fenicia. Tra la massa di documenti del suo
archivio, scoperto nel Fayum nel 1 9 15 , circa quaranta riguardano la Siria
e la Palestina. Per ordine del suo signore e accompagnato da un folto se­
guito di funzionari, egli intraprese un viaggio che durò oltre un anno (tra
il 260 e il 258 a.C.) attraverso la Siria e la Palestina per ispezionare e mi­
gliorare l’economia e stimolare relazioni commerciali tra l’Egitto e la
provincia. 11 suo intinerario lo condusse a Torre di Stratone (la futura Ce­
sarea), Gerusalemme e Gerico, fino ad Araq el-Emir in Transgiordania,
residenza della famiglia dei Tobiadi; da qui proseguì verso la Galilea, do­
ve il dioiketes possedeva una grande proprietà viticola, e ritornò passan­
do per la capitale della provincia, ribattezzata col nome di Tolemaide. Due
L a P a le s t in a s o tto i T o i e m e i i n

dei documenti conservati sono appunto lettere di Tobia che alludono a


regali da lui inviati al re e allo stesso Apollonio e testimoniano le tenden­
ze filo tolemaiche della famiglia dei Tobiadi e il loro potere economico,
fattori che svolgeranno un ruolo importante nella scena polìtica palesti­
nese per tutto questo periodo e durante l’epoca del dominio seleucidico.
Alla morte di Tolemeo n e di Antioco n scoppiò uria nuova guerra tra
i loro successori, Tolemeo ni Evergete (246-221) e Seleuco 11 Callinico
(246-226). Benché anche questa terza «guerra siriaca» si concludesse, in
definitiva, a favore dei Toiemei, i quali per un certo tempo riusciranno ad
avere il controllo di Antiochia e di alcune zone dell’Asia Minore, il suo
risultato, visto da Gerusalemme, non sembrava per nulla chiaro, per cui
si risvegliò la fazione filoseleucidica. A ogni modo, il sommo sacerdote
Onia 11 si rifiutò di pagare il consueto tributo, secondo Flavio Giuseppe
per avarizia e desiderio di lucro, ma probabilmente precorrendo un'occu­
pazione seleucidica della Palestina. Tolemeo considerò il rifiuto al pari di
una ribellione e inviò un messaggero con la minaccia di trasformare Ge­
rusalemme in colonia militare. Il fatto venne sfruttato da Giuseppe, della
famiglia dei Tobiadi e nipote del sommo sacerdote, per ottenere con Pap-
poggio della fazione filotolemaica la carica di prostates, rappresentante
del popolo nei rapporti col re, relegando così Onia 11 alle pure funzioni
sacerdotali.
Questo primo scontro segna Pinizio di un antagonismo tra gli Oniadi e
i Tobiadi che dominerà a lungo la scena politica palestinese. Raccolto il
denaro necessario prestato dai «suoi amici samaritani», Giuseppe si di­
resse verso PEgitto, dove non soltanto riuscì a placare Tolemeo 11, ma ot­
tenne anche la concessione per la riscossione dell’imposta di tutta la pro­
vincia di Siria e Fenicia, compito che esercitò per ventidue anni e gli per­
mise di accumulare un’immensa fortuna personale. Flavio Giuseppe for­
nisce un saggio dei suoi metodi descrivendo come con l’aiuto di 2000 sol­
dati egiziani Giuseppe giustiziò i maggiorenti di Ascalona e confiscò le lo­
ro proprietà, poiché si erano rifiutati di pagare le imposte. Flavio Giusep­
pe ricorda un comportamento analogo nei confronti di Scitopoli e si può
supporre che Giuseppe dispiegò lo stesso zelo in tutto il territorio, con
conseguente inasprimento dei conflitti sociali. D ’altra parte Pellenizzazio-
ne mostrata da Giuseppe con il suo comportamento favorì l’avanzata
delPellenismo tra le classi dirigenti giudaiche e con il suo opportunistico
voltafaccia filoseleucidico assicurò l’influenza di questo gruppo ellenizza­
to anche dopo la perdita del dominio del paese da parte dei Toiemei.
Con la morte di Tolemeo ni si riaprirono le ostilità tra il suo successo­
re, Tolemeo iv Filopatore (221-204), e Antioco in il Grande (223-187),
succeduto al fratello Seluco in Cerauno (226-223). Durante questa quar­
ta «guerra siriaca», Antioco ni non solo recuperò Seleucia e Antiochia.
2 1 2 La Palestina sotto la dominazione greca

ma invase anche la Celesiria e s’impadronì di tutta la costa —con Tiro e


Tolemaide —della Samaria e della Transgiordania. Per due anni la guerra
mise a soqquadro la Palestina, per concludersi con la battaglia di Rafia
nel 2 17 , nella quale Pesercito tolemaico, impiegando per la prima volta
soldati egiziani, conseguì una vittoria insperata. Antioco n i dovette riti­
rarsi abbandonando i territori conquistati e Tolemeo iv approfittò della
vittoria per riorganizzare la provincia, nella quale il risentimento antito­
lemaico era sempre più evidente.
Nonostante la vittoria di Rafia il potere tolemaico era in rapido decli­
no. I soldati egiziani, che avevano mostrato la loro forza in battaglia, si
posero alla guida di diverse rivolte contadine contro l’autorità greca. Tra
il 207 e il 184 la Tebaide sfugge al controllo dell’autorità tolemaica ed è
governata da principi indipendenti. A Gerusalemme l’influsso del partito
filoseleucidico cresce a tal punto che il più influente dei rappresentanti
del partito tolemaico, il figlio minore di Giuseppe il Tobiade, Ircano, cui
Tolemeo IV aveva trasferito o promesso la prostasìa sul popolo ed era in
aperto contrasto con il padre e 1 fratelli, in quel momento sostenitori dei
Seleucidi, non riesce a entrare a Gerusalemme ed è costretto a rifugiarsi in
Transgiordania, nei possedimenti dei Tobiadi. La situazione si deteriora
ancor più quando nel 204 Tolemeo v Epifane, di appena cinque anni,
succede al padre, morto in circostanze misteriose. Antioco in approfittò
dell’occasione. Consolidata la sua posizione in Asia Minore, recuperati i
possedimenti del suo antenato Seleuco 1 e assicuratosi con un trattato
l’appoggio di Filippo v di Macedonia, intraprese nel 201 la conquista di
Siria-Palestina. Questa quinta «guerra siriaca» fu una rapida marcia
trionfale nella quale Gaza soltanto oppose una strenua resistenza. Nel­
l’inverno del 201 la controffensiva del generale egiziano Scopas, che ri­
conquistò tutte le città della Palestina nell’inverno del 20 1 e punì dura­
mente gli abitanti di Gerusalemme, costituirà solo una breve parentesi.
Scopas fu definitivamente sconfitto a Panias (l’attuale Bànyàs, alle sor­
genti del Giordano) nell’anno 200 e il paese passò nelle mani di Antioco
in. Flavio Giuseppe narra come «i giudei gli andarono spontaneamente
incontro, gli aprirono le porte della città e gli offrirono abbondanti prov­
viste per Pesercito e gli elefanti; misero inoltre al suo servizio le loro forze
per stanare la guarnigione lasciata nella cittadella di Gerusalemme da
Scopas» (Ant. 12 ,13 3 ). Un secolo di dominio tolemaico giunse così alla
conclusione.

IH . L A P A L E S T IN A S O T T O I S E L E U C I D I

Se durante le guerre tra i Tolemei e i Seleucidi la sorte dei giudei poteva


somigliare, come ricorda Flavio Giuseppe, «a una barca nella tormenta,
La Palestina sotto i Seleucidi zi 3

sbattuta da un lato per le vittorie di Antioco e dall’altro per i rovesci della


sua fortuna» (Ant. 12 ,13 0 ), dopo la vittoria di Bànyàs Patteggia mento di
Antioco diventa conciliante e favorevole sia verso l’aristocrazia filoseleu-
cidica sia nei riguardi degli elementi più conservatori. Sono una testimo­
nianza di questo nuovo clima, dell’importanza assunta dalla fazione filo-
seleucidica negli ultimi anni della signoria tolemaica e dell’influenza del
sommo sacerdote Simeone n «il Giusto» i decreti di Antioco tramandati
da Flavio Giuseppe, la cui autenticità è oggi generalmente accettata.
Il primo {Ani. 12 ,13 8 -14 4 ) è diretto al governatore di Celesiria, un cer­
to Tolemeo. Il re, dopo aver ringraziato per l’appoggio ricevuto, prende
una serie di misure per accelerare la ricostruzione di Gerusalemme e il suo
ripopolamento: esenzione dalle imposte per tre anni per i suoi abitanti e
per quanti si stabiliranno nella città entro un determinato tempo, ridu­
zione del tributo trascorso questo termine; il re si occupa pure del ripri­
stino del tempio e prende misure affinché si celebrino sacrifici a sue spe­
se; esime dalle imposte i sacerdoti, gli scribi e i cantori del tempio e i
membri della gerousia.
È particolarmente importante rilevare come il re conceda che «tutti i
membri della nazione siano governati in accordo con le leggi ancestrali»;
ciò significa il riconoscimento della torà come legge della nazione e la
concessione di una certa autonomia interna. In definitiva questo editto ri­
stabilisce la condizione conosciuta da Giuda durante l’epoca persiana e
conferma l’appoggio del governo alla classe sacerdotale.
Il secondo editto (Ant. 12 ,14 5 -14 6 ) riguarda direttamente il manteni­
mento della purità rituale in città e nel tempio, vietandovi l’ingresso ai
non giudei e proibendo in città l’introduzione e l’allevamento di animali
impuri, della loro carne e perfino delle loro pelli; il violatore di queste
norme avrebbe dovuto pagare una considerevole multa ai sacerdoti. Que­
sto secondo decreto era una concessione alla fazione più conservatrice e
legata alle tradizioni mosaiche e la conseguenza diretta dell’intervento di
Simeone il Giusto, mirato, forse, a frenare l’espansione economica dei
Tobiadi ostacolando il commercio con i non giudei.
Un terzo documento tramandato da Flavio Giuseppe (Ant. 1 2 ,1 4 7 ­
15 3 ) mostra le disposizioni favorevoli di Antioco ili e la sua fiducia nelle
comunità giudaiche della diaspora asiatica. Una lettera a Zeuxis, gover­
natore delle province di Lidia e Frigia, regola il trasferimento di 20000
famiglie giudaiche dalla Mesopotamia alle fortezze di queste due provin­
ce e il loro insediamento in esse come klerouchoi, coloni militari.
Gli effetti positivi di questi decreti furono tuttavia di breve durata. I
conflitti tra Oniadi e Tobiadi e la comparsa di Roma sulla scena politica
dell’Oriente deteriorarono rapidamente la situazione. Antioco ni aveva
fatto pace con Tolemeo v e gli aveva dato in moglie la figlia Cleopatra 1,
214 La Palestina sotto la dominazione greca

assicurando così la tranquillità ai confini meridionali del suo regno. La


sconfitta romana spinse Filippo v di Macedonia a impossessarsi dei do­
mini macedoni in Asia Minore e a occupare anche una parte del territorio
greco. I romani risposero invadendo l'Asia Minore nel 190 e inflissero ad
Antioco una decisiva sconfitta a Magnesia. Le dure condizioni impostegli
dai romani con la pace di Apamea nel 188 avvieranno la disintegrazione
del potere seleucidico. Non solo Antioco dovette abbandonare 1 suoi ter­
ritori a est del Tauro, disfarsi dei suoi temibili elefanti, ridurre la sua flot­
ta e consegnare come ostaggio ai romani il figlio Antioco, ma fu anche
costretto a pagare in dodici scadenze annuali l’enorme somma di 15000
talenti a titolo di riparazione. Quest’ultima condizione poneva le finanze
del regno in una situazione insostenibile, obbligando il re a procurarsi il
denaro con ogni mezzo. Antioco ni morì nel 187 quando appunto, per
pagare i debiti, tentava d impossessarsi del tesoro del tempio di Bel a Su­
sa; questa stessa necessità cronica di denaro indurrà il mutamento della
politica seleucidica verso la Palestina.
A Gerusalemme Orna ni era succeduto al padre, Simeone il Giusto, in
qualità di sommo sacerdote, entrando subito in contrasto diretto con la
famiglia dei Tobiadi. Secondo 2 Maccabei, Simone, amministratore del
tempio e sostenitore dei Tobiadi, cercò di appropriarsi della funzione di
amministratore de! mercato centrale. Non riuscendo a ottenerla per l’op­
posizione di Onia, accusò costui di accumulare nel tempio ricchezze in­
calcolabili. La notizia giunse alle orecchie di Seleuco rv, successore di An­
tioco ni, che inviò il suo capo di governo, Eliodoro, per impossessarsi di
questo tesoro. Il secondo libro dei Maccabei imputa a un intervento mi­
racoloso il fallimento del tentativo, ma non è possibile accertare i motivi
reali per cui Eliodoro ritornò senza il denaro. Certo è che Onia, anche
nel racconto di 2 Maccabei, si presenta strettamente legato a Ircano, il
quale aveva rotto con la propria famiglia, t Tobiadi, a causa delle sue
tendenze filotolemaiche e contava sull’appoggio di una parte del popo­
lo palesemente diviso tra sostenitori dei Seleucidi e dei Tolemei. Questa
spaccatura si aggraverà ulteriormente fino a raggiungere le proporzioni
di una guerra civile che costringerà Onia ad allontanarsi da Gerusalemme
per difendere di fronte al re la sua causa e giustificare la propria condot­
ta. Senza risultato, giacché la sua visita coincise con Lassassimo di Seleuco
iv per opera di Eliodoro. Il fratello Antioco iv Epifane (175-16 4 ), fuggito
da Roma e rifugiato ad Atene, assunse prontamente il potere. Durante il
suo regno il processo di ellenizzazione di Gerusalemme giungerà al suo
apogeo, scatenando la reazione che terminerà con la perdita del dominio
seleucidico sulla Palestina.
IV . L A R I F O R M A E L L E N I S T I C A

1 Tobiadi approfittarono del cambiamento di governo ad Antiochia per


prendere il potere in Gerusalemme. Giasone, un fratello di Onia ni ma
sostenitore dei Tobiadi e paladino del partito ellenistico, ottenne da An­
tioco iv la nomina a sommo sacerdore dietro la promessa di aumentare il
tributo annuale e col pagamento immediato di una forte somma. L ’ac­
quisto della carica e la nomina di Giasone con il sommo sacerdote legitti­
mo ancora vivente era un'ingerenza intollerabile agli occhi degli osser­
vanti della legge. Ma ancora più crudele dovette risultare il tentativo di
Giasone e del partito ellenistico di trasformare Gerusalemme in una polis
ellenistica. Onde ottenere questa riforma costituzionale, Giasone si offrì
di pagare 15 0 talenti in cambio del permesso «di erigere una palestra e un
ephebeion e d’iscrivere come antiocheni gli abitanti di Gerusalemme» (2
Macc. 4,9). Quantunque non significasse l’abbandono della torà come
norma religiosa ma soltanto come legge costituzionale delia città, per i
giudei osservanti della legge questa riforma rappresentava una vera apo­
stasia dalle «leggi ancestrali» che avevano regolato la vita del popolo a
partire dal periodo persiano ed erano state confermate dagli editti di An­
tioco in. 1 Macc. 1 , 1 1 - 1 4 esprime chiaramente questo punto di vista
quando afferma che la riforma ellenistica equivaleva a «un’apostasia dal­
la santa alleanza».
In seguito la riforma fu gradualmente portata a termine con la legitti­
mazione reale. La palestra venne edificata nei pressi del tempio e, secondo
2 Macc, 2 ,12 - 15 , anche i sacerdoti preferivano partecipare alle competi­
zioni atletiche piuttosto che dedicarsi al servizio del culto. La nudità, di
rigore nei concorsi atletici, portò molti a nascondere il segno della circon­
cisione; la connessione fra i giochi e il culto di Ercole, Ermes e delle Muse
fu considerata un oltraggio dai fedeli osservanti della legge. Malgrado ciò
l’ellenizzazione di Gerusalemme in questa circostanza non può conside­
rarsi completa. Giasone, benché filoellenista, era abbastanza moderato e,
in definitiva, membro della famiglia degli Oniadi. Un esempio dell’ambi­
guità del momento è fornito da 2 Macc. 4,18-20: col pretesto dei cam­
pionati di Tiro, gli «antiocheni di Gerusalemme» inviarono un’ambascia­
ta con denaro per offrire sacrifici a Ercole. M a gli stessi ambasciatori de­
cisero di destinare i fondi alla costruzione di triremi, anziché impiegarli
per sacrifici in onore di divinità pagane.
La situazione si aggravò quando, qualche tempo dopo, Menelao, un
fratello di Simone, successe a questo nella funzione di prostates (ammini­
stratore del tempio) e, in quanto tale, responsabile del pagamento del tri­
buto. Approfittando di un viaggio ad Antiochia per pagare il tributo, de­
cise di comprarsi la carica di sommo sacerdote, offrendo una quantità di
zi6 La Palestina sotto la dominazione greca

denaro maggiore di quella di Giasone. In tal modo i Tobia di riuscirono a


scacciare definitivamente dal potere gli Oniadi e a esercitare un dominio
diretto sul sommo sacerdozio. Per la prima volta nella storia del popolo,
la discendenza sadochita si vide privata del sommo sacerdozio. Giasone
dovette abbandonare Gerusalemme e rifugiarsi in Transgiordania.
Menelao, per poter pagare la somma promessa, non ebbe remore nel
metter mano al tesoro del tempio, fatto che esacerbò l’opinione pubblica.
Mentre egli si trovava ad Antiochia, scoppiò una rivolta popolare che co­
stò la vita al fratello e al sostituto Lisimaco (2 Macc. 4,39-42). La gerou-
sia inviò emissari al re per accusare Menelao, ma costui, ricorrendo alla
corruzione, ottenne che il re li giustiziasse. Con metodi analoghi riuscì
pure a sbarazzarsi del precedente sommo sacerdote Onia, che si era valso
del diritto di asilo nel santuario di Dafne (2 Macc. 4,32-34).
L ’evoluzione politica della scena internazionale aggravò ulteriormente
la situazione. In Egitto, alla morte di Cleopatra 1, il figlio Tolemeo vi Fi-
lometore era stato proclamato re, associato al fratello Tolemeo vili Fi-
scone e alla sorella e sposa Cleopatra 11 come coreggenti. Con il pretesto
di recuperare la dote della madre, la provincia della Celesiria, dichiararo­
no la sesta «guerra siriaca» ad Antioco. Questi entrò in Egitto nel 169;
dopo la vittoria di Pelusio s’impossessò della maggior parte del paese e
sottomise Tolemeo vi, senza riuscire invece a conquistare la capitale,
Alessandria, che aveva optato per Tolemeo vm . Al ritorno dall’Egitto,
nello stesso anno, Antioco entrò in Gerusalemme e con l’aiuto dello stesso
Menelao saccheggiò il tesoro del tempio. Ritirandosi lasciò insediati Fi­
lippo il Frigio e Andronico in qualità di governatori, rispettivamente, di
Gerusalemme e di Samaria.
Poco dopo, nel 168, Cleopatra riuscì a riconciliare i suoi due fratelli,
offrendo con questo il motivo per un secondo intervento di Antioco in
Egitto. Il sovrano seleucide giunse nuovamente fino ad Alessandria; que­
sta volta l’entrata in scena del legato romano Popilio Lenate, che comuni­
cò ad Antioco l’ultimatum del senato, costrinse il re ad abbandonare de­
finitivamente i suoi sogni di dominio sull’Egitto. In Giuda, nel frattempo,
si era sparsa la voce della morte di Antioco e Giasone a capo di un eserci­
to approfittò della circostanza per attaccare Gerusalemme. Aiutato dal­
l’intera popolazione costrinse Menelao a rifugiarsi nella cittadella.
Benché l’ostilità tra Giasone e Menelao sia stata spesso interpretata co­
me un conflitto tra due personaggi ugualmente ambiziosi, Flavio Giusep­
pe la presenta (Ant. 12,239-240) come scontro tra i sostenitori degli
Oniadi e dei Tobiadi e (Bell, 1,3 1-3 3 ) come lotta per il potere tra i parti­
giani dei Tolemei e dei Seleucidi; in ogni caso il secondo libro dei Macca­
bei lascia intendere che Antioco considerò l’attacco di Giasone come una
rivolta. Frustrato per il fallimento in Egitto (Dan, 11,29 -30 ), Antioco de-
L a riforma ellenistica 2 ,1 7

cise di punire la ribellione e inviò il suo luogotenente Apollonio. Questi


entrò nella città approfittando del riposo sabbatico degli abitanti e la sot­
topose al trattamento consueto per le città ribelli: uccisione dei maschi,
vendita delle donne e dei bambini come schiavi, distruzione delle mura
della città. L ’esodo della popolazione dovette essere considerevole (i
Macc. 1,38). Giasone fuggì prima dell’arrivo delPesercito seleucidico e,
passando per il regno nabateo, riuscì a raggiungere l’Egitto. Ircano il To-
biade si suicidò nei suoi possedimenti in Transgiordania. Una nuova cit­
tadella, l’Acra, venne costruita come residenza della guarnigione seleuci-
dica e come bastione della polis antiochena di Gerusalemme. Furono
istallati coloni militari, la cui presenza trasformò Gerusalemme in una
città con popolazione mista, giudaica e gentile.
Con queste misure la riforma ellenistica della città arrivò al culmine.
Mancava solamente la ratifica giuridica della nuova situazione, che ginn-
se con 1 ramosi decreti di Antioco iv successivi a questi avvenimenti (2
Macc. 1 ,4 1 - 5 1 ; 2 Macc. 6,1-9). Con questi le prerogative e lo statuto del­
la città riconosciuti dagli editti di Antioco ni furono annullati; la libertà
di seguire le «tradizioni ancestrali» venne sostituita dall’ordine «che tutti
formassero un solo popolo, abbandonando ciascuno le proprie tradizio­
ni» (x Macc. 1,41-42).
Per Gerusalemme e Giuda ciò significava, come precisa il primo libro
dei Maccabei, la soppressione dei sacrifici nel santuario, la costruzione di
altari pagani in tutte le città, l’abolizione della circoncisione e del riposo
sabbatico, l’introduzione dei sacrifici di suini ecc. Furono nominati ispet­
tori per assicurare l’adempimento degli ordini in tutte le città, per vegliare
sull’esecuzione dei sacrifici e per perseguire quanti in pubblico o in segre­
to non obbedivano ai comandi del re, Queste misure culminarono nella
soppressione del sacrificio perpetuo nel tempio, l’erezione di un altare
pagano vicino all’altare degli olocausti il 6 dicembre del 16 7 (1’ «abominio
della desolazione» di Dan. 1 1 ,3 1 ) , l’offerta su questo altare del primo sa­
crificio il 15 dicembre e la dedica del tempio al «Signore del cielo», il
Ba'al samem, equivalente allo Zeus Olimpio dei Greci. Rispetto al parti­
colarismo dell’ «Altissimo», la figura universale del «Signore del cielo»
doveva esprimere l’unità religiosa della nuova città, multiforme e mista.
La riforma ellenistica era così completata e la Gerusalemme del sommo
sacerdote Menelao poteva integrarsi nella grande corrente ellenistica del
mondo orientale.

V. PROBLEMI APERTI

Ci limiteremo a ricordare soltanto due dei problemi più vivacemente discussi del
periodo della riforma ellenistica.
z i8 La Palestina sotto la dominazione greca

Il primo attiene alla cronologia della ribellione di Giasone e alla visita o visite
di Antioco iv a Gerusalemme. Il problema non dipende dall’ esiguità di informa­
zioni nelle fonti diverse, ma dalle contraddizioni delle medesime in merito allo
svolgimento dei fatti. La successione degli avvenimenti è descritta in 1 Macc. 1 ,2 0 ­
2 3 ; 2 Macc. 5 ,1 -2 6 ; Ant, 2 ,2 3 9 -2 5 0 ; Bell. 1 , 3 1 - 3 3 e Dan. 1 1 , 2 8 - 3 1 . Queste testi­
monianze consentono due conclusioni diverse:
1. Antioco iv si sarebbe recato a Gerusalemme in due diverse occasioni e per
due volte avrebbe saccheggiato i tesori del tempio: nel 16 9 , al rìrorno dall’ Egitto,
e nel 16 8 , dopo che ì romani avevano ostacolato fa sua conquista. 1 Macc. 1 ,2 2
riferirebbe il primo saccheggio, 2 Macc . 5 , 1 1 - 2 3 il secondo; Dan. 1 1 , 2 8 - 3 1 con­
fermerebbe due azioni disunte.
2. Antioco iv avrebbe guidato di persona il saccheggio di Gerusalemme una so­
la volta, nel 16 9 . 1 Macc. 1 , 2 2 e 2 Macc. 5 , 1 1 - 2 3 riguarderebbero uno stesso fat­
to. Dan. 1 1 , 2 8 - 3 1 non parlerebbe di due visite di Antioco a Gerusalemme e tanto
BeM. 1 , 3 1 - 3 3 , che menziona la seconda visita, quanto A n t 1 2 ,2 4 2 - 2 5 0 , che allu­
de a due, avrebbero combinato due fonti diverse confondendo irrimediabilmente
1 fatti; perciò non può esser loro dato alcun credito.
Questa seconda opinione, da noi seguita, è sostenuta, tra gli altri, J a Schurer-
Vermes 1, 20 7-20 9 . Diversamente da questi autori, tuttavia, noi non datiamo la
ribellione di Giasone all’anno 16 9 nel corso della prima campagna di Antioco in
Egitto. Per Scburer-Vermes la spoliazione delle ricchezze del tempio attuata da
Antioco sarebbe conseguenza della ribellione di Giasone. M a t Macc. 1,2 6 -2 8
ignora una ribellione precedente ai saccheggio e il furto (con la collaborazione
dello stesso Menelao) è adeguatamente spiegato dalla bruciante necessità di dena­
ro da parte del re. Il rapporto che il secondo libro dei M accabei istituisce tra la ri­
bellione di Giasone e la seconda campagna di Antioco in Egitto, il fatto che dopo
questa campagna Apollonio tratti Gerusalemme come una città ribelle e Giasone
fugga proprio in Egitto, dove, dopo l’ intervento romano, Antioco non ha più al­
cun potere, ci inducono a datare la ribellione di Giasone al 16 8 e a considerarla
uno dei fattori determinanti lo svolgersi degli avvenimenti che culmineranno nella
profanazione del tempio e nei decreti persecutori del 16 7 .
Ancor più accesa è la disputa sul secondo problema: la definizione dei motivi o
delle cause alla base della persecuzione religiosa e il suo vero responsabile. Già
Flavio Giuseppe [Ap. 2 ,8 0 -8 1) rispecchia l’ antichità della disputa e le differenti
motivazioni attribuite ai suoi protagonisti. Per 1 gentili la trasformazione del tem­
pio di Gerusalemme 111 temenos ellenistico sarebbe imputabile a un re illuminato,
deciso a smantellare la superstizione e a imporre una religione universalistica e
una cultura superiore. Per i giudei, al contrario, Antioco rappresenta la personifi­
cazione stessa del male e la persecuzione religiosa da lui suscitata è Pesito del suo
desiderio d’imporre a tutti i sudditi una forma di religiosità nella quale egli stes­
so, in qualità di Zeus Epifane, costituiva la figura centrale. V. Tchurikover, Hel-
lemstic Cwilìzation and thè Jew s , 1 7 5 - 2 0 3 , ha esaminato le diverse spiegazioni
proposte dimostrandone Pinsufficienza a illuminare il fenomeno della persecuzio­
ne religiosa: né il carattere del re (chiamato Eptmanes «il folle», invece di Epifa-
nc), né il suo attaccamento alla cultura greca, alla quale si sarebbe opposto il par­
ticolarismo giudaico, ne il suo zelo di unificare religiosamente in un nuovo culto
B ib lio g r a f ìa 2 19

sincretistico i suoi sudditi, né una motivazione puramente politica dei fatti forni­
scono una sufficiente spiegazione dell’accaduto.
Lo stesso potremmo dire delPipotesi avanzata da Tcherikover: la persecuzione
religiosa sarebbe stata il risultato della ribellione degli hasidim , che avrebbe
preceduto la persecuzione e sarebbe stata determinata dalla perdita nella nuova
polis dei diritti di cittadinanza da parte della maggioranza del popolo, dalTintro
duzione di un culto di origine siriaca nel tempio per i nuovi katoikioi e dalla per­
dita della funzione specifica della classe degli hasidim , dopo che la riforma di
Giasone aveva abolito le «leggi ancestrali» come costituzione politica della città.
E. Bickerman e M . Hengel hanno segnalato un elemento diverso, senza dubbio
della massima importanza: i fautori dei decreti vessatori sarebbero Menelao e il
partito ellenizzante di Gerusalemme. Di fatto, e nonostante l’affermazione di r
Macc. 1 ,4 1 - 4 2 secondo cui «il re prescrisse a tutto il suo regno che tutti form as­
sero un solo popolo, abbandonando ciascuno le proprie tradizioni», è provato
che Antioco iv non cercò di unificare la religione dei suoi sudditi in altri paesi né
impose loro una particolare forma di culto, ma condusse anzi una politica di tol­
leranza. Flavio Giuseppe mostra come i samaritani rimasero al di fuori dell’ambi­
to dei decreti e neppure i giudei della diaspora furono interessati da questi prov­
vedimenti. Chiaro è pertanto il loro esclusivo riferimento a Giuda; bisogna quin­
di presupporre una istigazione interna. 2 M acc . 1 3 ,3 - 4 e Flavio Giuseppe Ant.
1 2 ,3 8 4 riportano che Menelao «era il colpevole di tutti i mali». L ’esempio sam a­
ritano, con la sua iniziativa di dedicare il tempio del monte Garizim a Zeus Hel-
lenios (Ant. 1 2 ,2 5 7 -2 6 4 ) o Zeus Xenios (2 Macc. 6,z)f permette di comprendere
che lo stesso indegno sommo sacerdote Menelao e gli ellenisti più esacerbati
prenderanno l’ iniziativa di convincere il re che Punico ostacolo per la completa
ellenizzazione di Gerusalemme risiede nella sfera religiosa e il suo sradicamento è
condizione necessaria per la pace duratura in una Gerusalemme mista e multifor­
me. La ribellione di Giasone, appoggiato da una parte della popolazione, sarebbe
un argomento convincente per sostenere queste supposizioni.
Probabilmente non sapremo mai con precisione la concatenazione completa di
cause ed effetti, azioni e reazioni delle diverse forze in conflitto. U n’opzione eclet­
tica, comprensiva di tutti gli elementi indicati - quelli addotti da Bickerman e da
Hengel, quelli segnalati da Tcherikover e quelli che accentuano le peculiarità psi­
cologiche e politiche di Antioco iv - risulta la migliore per spiegare gli anni tor­
mentati culminanti negli editti del 1 6 7 e nella successiva reazione.

V I. B IB L IO G R A F IA

Tra gli studi di storia economica e sociale del periodo trattato conservano intatto
il loro valore, nonostante gli anni, Cl. Préaux, U économ ie royale des Lagìdes ,
Bruxelles 19 3 9 e M . Rostovtzeff, The Social and Econom ie H istory o f t h e Hellen-
tstic W orld , 3 voli., Oxford 1 9 4 1 . Per la storia politica raccomandiamo l’opera
di E. W ill, Histoire politique du m onde hellénistiquey 2 voli., N an cy 1 9 7 9 , ^198 2,
indispensabile per orientarsi nelle dispute attuali. Per un’informazione sugli ar­
chivi di Zenone si segnala P.W . Pestman, A G uide to thè Z*enon A rch ivs , 2 voli,,
220 La Palestina sotto la dominazione greca

Leiden 1 9 8 1 e C. Orrìeux, Les Papyrus de Z énony Paris 1 9 8 3 . Sul confronto el­


lenismo-giudaismo, oltre a E. Will e C. Orrieux, loudatsm os-Hellénism os. Essai
sur le Judaism e judéen à l ’epoque hellénistique , N ancy 19 8 6 , menzioniamo sol­
tanto due opere fondamentali: V. Tcherikover, Hellenistìc Civilizatìon and thè
Jew s, Philadelphia 1 9 5 9 , 21 9 7 0 e M . Hengel, Judèntum und Helierusmus, Tubin-
gen 19 6 9 , 3i 9 8 8 {tr. it. in preparazione); in Lingua italiana sulPargomento sono
disponibili due altri saggi di M . Hengel: Ebrei , G reci e B arbari , Brescia 1 9 8 1 e, in
coll, con Ch. Markschies, L«ellenizzazione» della G iudea nel I secolo d . C , Bre­
scia 19 9 2 .
L ’autore che piu ha influito nella ricerca moderna sul periodo in questione è E.
Bickerman. Tra le sue opere sono da segnalare D er G ott der M akkabàer , Berlin
1 9 3 7 (tr. ingl. The G o d o f t h e M accabees , Leiden 1 9 7 9 ) ; ìnstìtutions des Séleuci-
desy Paris 1 9 3 8 ; From Ezra to thè Last of thè M accabees , N ew York 19 6 2 . I suoi
numerosi saggi sono stati raccolti e pubblicati in Studies in Jew ish and Christian
H istory , 3 voli., Leiden 1 9 7 6 . 1 980. 1 986. Di E. Bickerman in italiano è ora di­
sponibile, con introduzione e bibliografia ragionata a cura di L. Troiani, un’altra
celebre opera: G li Ebrei in età greca , Bologna 1 9 9 1 .
Capitolo v a i

Restaurazione nazionale
ed espansione asmonea
(167-63 a.C.)

I. LA R IV O L T A M À C C A B A I C A

Il primo e il secondo libro dei Maccabei presentano i decreti vessatori di


Antioco come ravvio di una nuova fase nella storia del popolo e la con­
seguente rivolta popolare come una ribellione religiosa finalizzata a rista­
bilire le «tradizioni ancestrali» e a permettere una vita in sintonia con le
prescrizioni della legge mosaica. In realtà il periodo inaugurato dalla ri­
volta maccabaica sarà caratterizzato dalla progressiva metamorfosi di
questa ribellione religiosa tn un movimento di liberazione nazionale con
Pobbiettivo di ristabilire Pantico regno giudaico indipendente. La deca­
denza del potere seleucidico e i suoi continui conflitti interni consentiran­
no la realizzazione di questa aspirazione nazionalistica.
Fin dalPinizio i decreti di Antioco iv trovarono nella maggioranza del
popolo una resistenza passiva, simboleggiata nelle narrazioni leggendarie
del martirio del vecchio Eleazaro e della madre con i sette figli (2 Macc.
6,18-7,42,; 4 Macc. 5-18). Ma presto alla resistenza passiva subentrò la
rivolta armata. Il primo incidente si registrò a Modin (z Macc. 2,1-26) e
fu contrassegnato dalPuccisione di un giudeo disposto a offrire un sacri­
ficio pagano e del messo reale giunto per «far apostatare con la forza».
Mattatia, sacerdote della famiglia di Jehojanb, e i suoi cinque figli ^Gio-
vanni, Simone, Giuda, Eleazaro e Gionata), responsabili degli aweni-
menti, ruggirono sui monti e diedero inizio a una guerriglia 1 cui imme­
diati risultati porteranno dalla loro parte un gran numero di malcontenti
della nuova situazione rifugiatisi nel deserto. Poiché un gruppo di questi
pii osservanti della legge erano stati sterminati a motivo del loro rifiuto
cFimbracciare le armi per difendersi durante lo shabbat, Mattatia e i suoi
decretarono: «Noi risponderemo lottando contro chi ci attacchi in gior­
no di sabato» (2 Macc. 2 ,4 1; A nt. 12,272-277), 1 rinforzi piu consisten­
ti giunsero dal gruppo degli basidim, «israeliti agguerriti, tutti volonta­
ri della legge». Mattatia cominciò una serie di rapidi attacchi contro i vil­
laggi, nei quali distruggeva gii altari pagani, imponeva con la forza la cir­
concisione, eliminava i sostenitori del nuovo stato tornando poi rapida­
mente al suo rifugio sulle montagne. Morì poco dopo, lasciando come
capo militare della rivolta non il figlio maggiore bensì Giuda, distintosi
2 12 Restaurazione nazionale ed espansione asmonea

fin dall’inizio della rivolta (2 Macc. 5 ,17 non menziona che Ini) e che si va
meritando il soprannome di «maccabeo» («i! martello»), poi passato a
designare Pintera sua famiglia.
Con infallibile istinto tattico e approfittando al massimo della cono­
scenza del terreno, Giuda lanciò una serie di attacchi a sorpresa che pro­
curarono altrettante vittorie sugli eserciti seleucidici. Il primo fu contro
Apollonio, governatore di Samaria (1 Macc, 3 ,10 -12 ; Ant. 12,287), che
stava accorrendo con rinforzi verso Gerusalemme. Lo stesso Apollonio
peri nello scontro e Giuda s’impadronì della sua spada «e Padoperò in
guerra per tutto il tempo». La seconda battaglia testimonia 1 intensificar­
si delle ostilità. A dirigere le operazioni non è il governatore di un’epar-
chia, bensì Seron, il governatore della satrapia di Celesiria o il coman­
dante in capo delle forze siriache, come lo definisce il primo libro dei
Maccabei. Marciando verso Gerusalemme lungo la costa si accampò a
Bet Horon, dove venne sconfitto e posto in fuga dall'esercito di Giuda
(i Macc. 3,10-26 ; Ant. 12,286-292).
Questa vittoria dimostrò che la ribellione aveva assunto un’ampiezza
superiore alle possibilità delle autorità provinciali, tanto che obbligò il
potere centrale a intervenire. Antioco iv, occupato nella lotta contro i
parti, incarica Lisia, suo luogotenente, di stroncare la rivolta. Lisia invia i
generali Gorgia e Nicànore con un esercito possente. Giuda allora si sta­
bilì a Mispa e organizzò l'esercito in unità regolari, seguendo il modello
biblico. L’esercito siriaco si accampò a Eramaus, vicino alla strada che
sale a Gerusalemme. Mentre Gorgia, con un distaccamento di cavalleria,
tentava di sorprendere nottetempo il campo di Giuda, questi assalì il
grosso delPesercito siriaco, sgominandolo completamente (x Macc. 3,38­
4,25; 2 Macc. 8,9-29; Ant. 12 ,2 9 5 -3 12 ). Lisia in persona, venuto a cono­
scenza della sconfitta, si diresse con un esercito verso Gerusalemme, fa­
cendo un lungo giro e avvicinandosi da sud allo scopo di evitare le vie di
Samaria e gli accessi dalla costa, piò brevi, ma controllati dalle forze di
Giuda. La battaglia di Bet Sur e la vittoria di Giuda convinsero Lisia
delPimpossibilità di reprimere militarmente la ribellione e lo indussero a
intavolare negoziati. Il risultato possiamo vederlo nella lettera a Lisia
conservata in 2 Macc. 11,16 - 2 0 e nella stessa ritirata di Lisia dal paese.
La lettera di Antioco iv ai giudei, nelPaprile del 164, riportata nel se­
condo libro dei Maccabei (11,2 7 -3 3 ), rivela altri aspetti del processo evo­
lutivo in atto in quel frangente. Il partito ellenizzante, preoccupato degli
sviluppi della rivolta e desideroso di salvare il salvabile dei risultati otte­
nuti, invia al re un'ambasciata guidata da Menelao e lo convince dell’op­
portunità di un’amnistia per 1 ribelli e della revoca dei decreti di persecu­
zione religiosa con la chiara finalità di sottrarre a Giuda uno dei motivi
fondamentali della sua lotta e l’appoggio di molti simpatizzanti. Tale ma-
La rivolta m accabaica 2 .13

novra non dà i risultati sperati e pochi mesi dopo Giuda occupa con le
sue truppe Gerusalemme (con Teccezione dell’Acra), purifica il tempio e
ricostruisce Paltare; il 14 dicembre 16 4, tre anni esatti dopo la profana­
zione, si tornano a offrire sacrifici tra il giubilo popolare (r Macc. 4,36­
59; 2 Macc. 10,3-8; Ant. 12 ,3 16 -32 7 ). La festa della consacrazione del
tempio, istituita per commemorare questi latti, si e perpetuata hno a oggi
con il nome di hanukka.
9

La purificazione de! tempio e il ripristino del culto soddisfecero uno


degli obbiettivi della rivolta. Ma gli anni di guerriglia avevano innescato
ima dinamica propria, e Giuda continuò a guerreggiare per consolidare il
proprio potere. Fortifico Gerusalemme e Bet Sur e intraprese una serie
di spedizioni nei territori limitrofi. 1 Macc. 5 enumera sette campagne di
Giuda e dei suoi fratelli: contro il territorio di Acrabattene, contro i bea-
niti (tribù beduine del territorio nabateo), contro gli ammoniti, contro
Galaad, contro la Galilea, contro l’Idumea e contro i territori filistei della
costa. La ragione di queste campagne militari risiede, secondo le fonti, in
un’ondata di antisemitismo contro le comunità giudaiche di questi luo­
ghi, determinata dalle vittorie di Giuda. Di fatto, le campagne di Galaad,
diretta da Giuda, e di Galilea, organizzata da Simone, termineranno con
il trasferimento a Gerusalemme di numerosi rifugiati giudei di queste re­
gioni a maggioranza pagana.
Giuda concluse queste operazioni senza incontrare grande opposizione
da parte deil’esercito seleucidìco, a causa dei problemi creati dalla morte
di Antioco iv alla fine del 164 e della lotta per il potere e per la tutela del­
l’erede, Antioco v Eupatore, avviatasi tra il reggente designato da Antioco
IV, un certo Filippo, e Lisia. Ma quando Giuda decise di farla finita con la
guarnigione seleucidica e la ridotta ellenista assediando l’Acra di Gerusa­
lemme, Lisia, che era riuscito a impossessarsi del potere, intraprese una
nuova campagna assieme al giovane re Antioco v. Giuda dovette togliere
l’assedio delI’Acra per correre in soccorso di Bet Sur, circondata dall’e­
sercito seleucidìco. La battaglia ebbe luogo a Bet Zakaria (r Macc. 6,28­
47; Ant. 12,367-374) e, nonostante l’eroismo di Eleazaro, terminò con la
fuga delle truppe maccabaiche, che cercarono rifugio a Gerusalemme. Li­
sia occupò Bet Sur e pose Gerusalemme sotto assedio.
Fortunatamente la capitolazione venne evitata poiché il re dovette riti­
rarsi frettolosamente a seguito della ribellione di Filippo, il quale cercava
d’impossessarsi di Antiochia. In queste circostanze Antioco v concluse un
trattato di pace molto vantaggioso per gli assediati (1 Macc. 6,57-63; 2
Macc. 13 ,2 3 -2 7 ; Ant. 12,375-386). Il re non solo restituì ufficialmente il
tempio già conquistato da Giuda, ma annullò la riforma ellenistica che
aveva trasformato Gerusalemme in polis e permise di nuovo ai giudei dì
vivere secondo le loro antiche leggi. Riflesso di questo trattato di pace del
2,2,4 Restaurazione nazionale ed espansione asmonea

163 è la lettera conservata in 2 Macc. 1 1 ,2 2 - 1 6 , malgrado si trovi fuori


contesto in quanto precede la lettera di Antioco iv, alla cui morte allude.
Menelao, deposto e giustiziato per consiglio di Lisia, segnò con la sua
morte il fallimento della politica di ellenizzazione. Il re ordinò di demolire
le mura della città e si ritirò ad Antiochia, lasciando Gerusalemme in ma­
no a Giuda e ai suoi seguaci.
Benché Antioco v e Lisia fossero riusciti a vincere Filippo, nel 163 ven­
nero a loro volta eliminati da Demetrio 1 Sotere, figlio di Seleuco iv Filo-
patore, che era riuscito a fuggire da Roma, dov’era tenuto come ostag­
gio, e aveva subito ottenuto l’appoggio dell’esercito. Presso di lui accor­
sero i rappresentanti della fazione ellenistica, capeggiati da Alcimo, per
protestare dei maltrattamenti subiti da parte di Giuda Maccabeo. Il re
confermò Alcimo nella funzione di sommo sacerdote e inviò un esercito
per insediarlo. Siccome Alcimo (in ebraico ’Eliaqim ) era un discendente
della linea sadochita, gli hasidim lo riconobbero come sommo sacerdo­
te (1 Macc. 7 ,12 -14 ), abbandonando il partito di Giuda. M a ben presto
compresero il loro errore, giacché poco dopo Alcimo ne imprigionò e
giustiziò sessanta. Giuda aprì nuovamente le ostilità e Alcimo si vide co­
stretto ad abbandonare Gerusalemme e a rifugiarsi presso Demetrio 1 in
cerca di aiuto. Questi inviò Nicànore per reinsediare Alcimo. La battaglia
decisiva ebbe luogo il 13 marzo 1 6 1 ad Adasa, nei pressi di Bet Horon,
e Giuda ottenne una completa vittoria (1 Macc. 7,26-50; 2 Macc. 15 ;
Ani. 12,402-482). Nicànore perì sul campo di battaglia. La vittoria fu
commemorata con una festa annuale («il giorno di Nicànore») e Giuda
restò di nuovo arbitro della situazione in Giuda, fatto riconosciuto nel
trattato di alleanza negoziato con il senato romano (x Macc. 8). Ma ciò
non ebbe lunga durata.
La reazione di Demetrio fu repentina; prima che i romani potessero in­
tervenire, un esercito siriaco capitanato da Bacchide si portava in Giuda.
Nell’autunno dello stesso anno 16 1 a.C. i due eserciti si fronteggiarono a
Elasa, a nord di Gerusalemme. La superiorità siriaca era evidente; l’esito,
prevedibile. Giuda perì sul campo di battaglia e il suo esercito si dette alla
fuga. Fu seppellito dai fratelli nel pantheon familiare di Modin. Alcimo,
saldamente insediato in Gerusalemme con l’appoggio di Bacchide, repres­
se ogni resistenza e il partito ellenista si riappropriò del potere. Bacchide
rimase un anno in Palestina, fortificò il paese ed eliminò gli ultimi residui
di opposizione. Gionata, Simone e il piccolo gruppo dei sostenitori di
Giuda si videro costretti a cercare riparo nel deserto, x Macc. 9,23 con­
clude: «Dopo la morte di Giuda sbucarono fuori gli apostati in tutto il
territorio d’Israele e riapparvero tutti i malfattori. Il paese passò dalla lo­
ro parte». La ribellione maccabaica sembrava così concludersi con un
fallimento completo.
II. G IO N A T A (16 1-14 3 /14 2 ) E SIM O N E (14 3 / 14 2 -13 5 / 13 4 )

Veramente scarse sono le informazioni sugli anni successivi alla morte di


Giuda. Il gruppo dei ribelli elesse come capo Gionata, che prese a orga­
nizzare rapide incursioni a est del Giordano, riuscendo a rimanere nel de­
serto nonostante i tentativi di Bacchide per catturarlo. Nel 16 0 0 1 5 9 Al­
cuno morì improvvisamente c Bacchide abbandonò il paese; «Giuda ri­
mase in pace per due anni», precisa i Macc. 9,57. Gionata approfittò di
questo periodo per riorganizzare le truppe, ma nel 158 il partito ellenista
di Gerusalemme, allarmato, chiese nuovamente aiuto a Bacchide, il quale
accorse con un poderoso esercito. Gionata si rifugiò a Bet Bassi, una for­
tezza ricostruita nel deserto, riuscendo non soltanto a resistere all’assalto
di Bacchide, ma addirittura a sconfiggerlo. Bacchide si riappacificò con
Gionata, rese i prigionieri catturati e ritornò al suo paese. Gionata si sta­
bilì a Macmas e «incominciò a governare il popolo e liberò il territorio
d’Israele dagli empi» (1 Macc. 9,73).
Nulla è noto dei successivi cinque anni, poiché il primo libro dei M ac­
cabei riprende il racconto dal 15 3 / 15 2 . Questi anni servirono senza
dubbio a Gionata per consolidare il controllo sul territorio; infatti, nono­
stante Gerusalemme continuasse a essere in mano agli ellenisti e le guar­
nigioni siriache tenessero le piazzeforti, nel 15 3 Gionata è Tunica forza
politica autorevole del paese. Giunge persino a prospettarsi come un al­
leato, la cui potenza diveniva essenziale per fronteggiare le lotte intestine
che laceravano l’ impero seleucidico. Demetrio, a cui contendeva il trono
Alessandro Balas, presunto figlio di Antioco iv, spalleggiato da re nemi­
ci, tentò di guadagnarsi l’appoggio di Gionata concedendogli il diritto di
reclutare un esercito, d’insediarsi in Gerusalemme e di recuperare i pri­
gionieri delTAcra. Gionata approfittò delle circostanze: ricostruì le mura
di Gerusalemme ed espulse le guarnigioni siriache dalle roccaforti, eccetto
quelle delTAcra e di Bet Sur (j Macc. 10 ,2-14 }. La generosità di Deme­
trio sarà prontamente superata dall’offerta del suo avversario. Alessandro
Balas, nell’intento di assicurare alla propria causa l’appoggio di Gionata,
gli offrì il sommo sacerdozio e il titolo di «amico del re». Rimane impos­
sibile sapere con certezza se Demetrio facesse a Gionata nuove e più ge­
nerose offerte, poiché l’autenticità di / Macc. 10,22-45 è molto discus­
sa. Di fatto, Gionata optò per Alessandro Balas e, nei 15 3 / 15 2 , iniziò a
esercitare le funzioni di sommo sacerdote.
Sconfitto Demetrio, Alessandro Balas non solo confermò le promesse,
ma in occasione del suo matrimonio in Tolemaide con Cleopatra, figlia
di Tolemeo vi, nominò Gionata governatore (strategos) militare e civile
della provincia di Giuda. Il partito maccabaico, costituitosi inizialmente
per lottare contro il dominio seleucidico, otteneva ora il governo di Giuda
22.6 Restaurazione nazionale ed espansione asrnonea

dallo stesso potere seleuctdico. Negli anni seguenti d o n ata, ora in quali­
tà di funzionario e con l’appoggio del governo sirìaco, continuò l’espan­
sione territoriale profittando al massimo dei dissensi e delle lotte intesti­
ne, favorendo l’uno o l’altro dei contendenti e traendone sempre il massi­
mo beneficio. Quando nel 14 8 /14 7 Demetrio n, figlio di Demetrio 1, si
presentò come pretendente al trono, d on ata combatte lealmente per
Alessandro Balas, vincendo Apollonio, governatore di Celesiria sosteni­
tore di Demetrio 11. Conquistò Joppe, distrusse Ashdod, ricevette l’omag­
gio di Àscalona e s’impossessò di gran parte della pianura filistea. Come
ricompensa ricevette da Alessandro Balas la città e il territorio di Àccaron
(1 Macc. 10,67-89; Ant. 13,86-102).
Il conflitto tra Demetrio 11 e Alessandro Balas fu risolto dal mutamento
di alleanza di Tolemeo vi. Questi tolse la figlia Cleopatra a Balas e la die­
de in sposa a Demetrio; avanzò con il suo esercito, prese Antiochia e fe­
ce fuggire Balas in Arabia, dove venne assassinato. Nel 145 Demetrio 11
venne incoronato re, ma a questo punto la forza di Gionata era tale che
egli potè non solo superare senza problemi il cambiamento ai vertici del
potere, ma anche assediare l’Acra di Gerusalemme. Allorché Demetrio 11
lo chiamò a rendere conto del suo operato, Gionata ottenne che questi lo
riconfermasse in tutte le sue funzioni, riuscendo a strappargli nuove con­
cessioni (l’attribuzione di tre distretti samaritani e una riduzione d’impo­
ste) come condizione per abbandonare l’assedio dell’Aera e assicurargli la
propria fedeltà (1 Macc. 11,2 0 -3 7 ; Ant. 13 ,110 - 13 0 ) . Gionata ebbe mol­
to presto occasione di dar prova di tale lealtà. Un generale di Alessandro
Balas, Trifone, presentò un figlio del re, Antioco vi, come pretendente al
trono. Di fronte alla diserzione delle truppe e all’insurrezione degli abi­
tanti di Antiochia, Demetrio ricorse a Gionata promettendo di conse­
gnargli l’Acra di Gerusalemme in cambio di aiuto. Gionata accorse con il
proprio esercito e aiutò in maniera determinante Demetrio a riguadagna­
re il controllo di Antiochia,
Ma il re dimenticò le promesse fatte e Gionata decise di schierarsi dalla
parte dì Antioco vi e di Trifone. Questi riconfermarono a Gionata tutti ì
privilegi e nominarono Simone strategos della regione costiera fra Tiro e
la frontiera egiziana (1 Macc. 11,3 9 -5 9 ; Ant. 13 ,13 1- 14 7 ) . A fianco di
Antioco Vi e di Trifone, Gionata ampliò ulteriormente il proprio domi­
nio. Conquisto Gaza, combatte Demetrio in Galilea e ad Hamat, giun­
gendo fino a Damasco, riconquistò Bet Sur, riallaccio le relazioni diplo­
matiche con Sparta e con Roma, fortificò Gerusalemme e costruì un mu­
ro possente per separare la città dalPÀcra. Per parte sua, Simone con­
quistò Joppe e fortificò Hadida, nella Shefela. Non è inverisimile, quindi,
che Trifone guardasse con sospetto il crescente potere di questo alleato
difficile da controllare. Con uno stratagemma Trifone riuscì a catturare
Gionata e Simone 227

Gionata a Tolemaide, nel 14 3 / 14 2 , e mentre si ritirava da! paese lo uc­


cise (1 Macc. 12 ,3 9 -13 ,2 4 ; Ant. 13 ,18 7 -2 10 ).
Flavio Giuseppe menziona per la prima volta i farisei, i sadducei e gli
esserti durante il regno di Gionata. Sia qui (Ant. 1 3 ,1 7 1 - 1 7 3 ) sia nella de­
scrizione più circostanziata di Bell. 2 ,119 -16 6 Flavio Giuseppe descrive i
tre gruppi come sette (haìreseìs) puramente religiose, diversificantisi tra
loro, alla stregua delle scuole filosofiche greche, soltanto per le differenti
posizioni in merito a questioni quali la predestinazione, I’ immortalità,
resistenza degli angeli o il valore della tradizione orale. Non c’è dubbio,
tuttavia, che la dimensione politica di questi gruppi era tanto importante
quanto quella dei gruppi apocalittici nel ili secolo e degli hasidìm alPi-
nizio della rivolta maccabaica. Un ramo degli esseni finirà per rompere
con il movimento maccabaico rifugiandosi nel deserto e attendendo nella
solitudine di Qumran una salvazione puramente escatologica. Al contra­
no, 1 diversi gruppi di tarisei e sadducei si disputeranno negli anni se­
guenti ìi dominio della scena politica, condizionando fortemente lo svi­
luppo degli eventi: i sadducei come partito dell’aristocrazia sacerdotale, i
farisei come continuatori degli basidim e rappresentanti del popolo.
Dopo la cattura di Gionata il popolo elesse quale successore il fratello
Simone, come capo militare e sommo sacerdote. Di fronte al tradimento
di Trifone, Simone si schierò dalla parte di Demetrio, che accettò con
gratitudine l’alleanza concedendogli la completa esenzione dalle imposte,
che di fatto significava l’indipendenza del paese. Così lo interpreta 1
Macc. 13 ,4 1-4 2 , ove si afferma che in questa data (14 3/14 2 ) «il giogo
dei pagani fu tolto da Israele». Da questo momento il primo libro dei
Maccabei prende a datare i documenti secondo gli anni di Simone, «som­
mo sacerdote, stratega e capo dei giudei». L’indipendenza doveva però
essere ancora conquistata e a questo obbiettivo Simone dedicò tutte le sue
forze. Conquistò Gezer, la fortificò e sostituì la popolazione pagana con
giudei osservanti della legge, assicurando cosi la via di accesso a Gerusa­
lemme e i collegamenti con il porto di Joppe, già precedentemente con­
quistato. Il culmine dei suoi sforzi fu l’assedio e la resa dell’Aera dì Geru­
salemme. Nel giugno del 14 1 prese possesso della fortezza, conquistando
così l’ultimo baluardo della dominazione straniera. L’indipendenza na­
zionale era ora completa e a Simone spettava il merito di averla consegui­
ta. È quindi ovvio che r Macc. 14 ,4 -15 intoni in suo onore un inno nel
quale è celebrato come principe di pace e dipinga con colori messianici
l’epoca del suo governo.
L ’anno successivo, nel settembre del 140, una «solenne assemblea di
sacerdoti e popolo, di autorità e anziani della regione» decise di legitti­
mare i poteri di Simone e di renderli ereditari, «stabilendo che Simone
fosse loro capo e sommo sacerdote per sempre, fino al sorgere di un prò-
zzS R e s t a u r a z io n e nazionale ed espansione asmonea

feta fedele, e che fosse loro comandante militare e avesse cura del tempio,
della supervisione delle opere, del governo del paese, degli armamenti,
delle fortezze; e tutti dovevano obbedirgli» (r Macc. 14 ,4 1-4 2). Con que­
sto decreto, inciso su tavole di bronzo e collocato nel recinto del tempio,
s’instaurava una nuova dinastia ereditaria, la dinastia asmonea, che con­
serverà il potere politico e religioso del paese fino al suo soggiogamento
da parte dei romani. L unica limitazione riconosciuta dal decreto («fino
al sorgere di un profeta fedele») indica, tuttavia, che l’opposizione al re­
gime maccabaico da parte dei gruppi piu radicalmente osservanti aveva
già nella sfera politica un suo peso.
Simone consolidò il potere rinnovando il tratiato di alleanza con Roma
e con Sparta e fu poi capace di difenderlo dagli attacchi seleucidici. À De­
metrio 11 era succeduto il fratello Antioco v i i Sidete. All’inizio del suo re­
gno questi riconobbe a Simone tutti i privilegi ottenuti e gli concesse an­
che il diritto di coniare monete proprie (j Macc. 15,3-9 , benché non vi
siano prove che Simone se ne sìa avvalso), per assicurarsene la neutralità
nella lotta in corso contro ì nfone. Raggiunta però una posizione di van­
taggio su Trifone, Antioco v i i cercò di recuperare joppe, Gezer e PAcra
di Gerusalemme, inviando allo scopo il suo generale Cendebeo. Simone,
troppo vecchio per combattere, affidò ai figli Giuda e Giovanni la guida
dell’esercito e questi sconfissero Cendebeo (1 Macc. 15 ,3 8 -16 ,10 ; Ant.
13,225-227).
Gli attacchi siriaci non si ripeteranno più al tempo di Simone, che ter­
minerà tragicamente 1 suoi giorni vittima di una cospirazione familiare
nel 13 5/134 . Suo genero Tolemeo di Abubo, governatore della pianura
di Gerico, volendo appropriarsi del potere assassinò Simone e due suoi fi­
gli, Mattatia e Giuda, mentre ubriachi partecipavano a un banchetto ce­
lebrato in loro onore nella fortezza di Dok, nei pressi di Gerico (j Macc.
1 6 ,1 1 - 1 6 ; Ant. 13,228).

III. IL REGNO D E G L I A SM O N E I (135/134 -6 3)

Giovanni Ircano (13 5/134 -10 4 ), Punico dei figli di Simone sopravvissu­
to alla congiura di Tolemeo di Abubo trovandosi a Gezer in qualità di
governatore, riuscì a sfuggire ai sicari inviati per assassinarlo e a prendere
poi possesso di Gerusalemme. Ircano assunse le funzioni dì sommo sacer­
dote e cercò, senza risultato, di vendicare il padre e i fratelli (Ant. 13 ,2 2 8 ­
235); forse già nel primo anno dovette inoltre fronteggiare un attacco di
Antioco v i i Sidete, che aveva assediato Gerusalemme. Flavio Giuseppe
racconta che Ircano, preoccupato per la mancanza di viveri, decise di
espellere dalla città tutti quelli che non erano atti a difenderla, ma Antio­
co v i i non permise che passassero le sue linee e dovettero essere riammes-
Il regno degli Àsmonei 2,2,9

si in città. Ircano finì per capitolare e accettare le condizioni di Antioco,


in fondo abbastanza moderate: abbandono delle armi, distruzione delle
mura della città, consegna degli ostaggi e pagamento di un tributo per le
città della costa. Benché il trattato supponesse una restaurazione, almeno
nominale, della sovranità seleucidica, Ircano riuscì a evitare lo stanzia­
mento di una guarnigione in Gerusalemme e mantenne la sovranità sulle
città della costa, grazie forse all’intervento romano (cfr. il decreto sena­
torio in Ant. 13,2.60-2.66). Successivamente Ircano si trovò costretto ad
aiutare Antioco nella campagna contro i parti del 13 0 / 12 9 . La morte di
Antioco vii durante questa spedizione, le successive lotte tra Demetrio 11,
che tentò di riappropriarsi del trono, e Alessandro Zebina, appoggiato
dal re delTEgitto, Tolemeo vii Fiscone, e i successivi conflitti tra Antioco
vili Gripo e Antioco ix Ciziceno permisero a Ircano di riottenere Pindi-
pendenza, Flavio Giuseppe afferma (Ant. 13,2 73) che «dopo la morte di
Antioco (vii Sidete), anch’egli si ribellò ai macedoni e non fornì più loro
alcun aiuto, né come vassallo né come amico».
Subito dopo la morte di Antioco v ii , Ircano avviò una politica espan­
sionistica senza incontrare ostacoli da parte dei Seleucidi e ampliando
progressivamente le frontiere del suo stato e la propria sfera d’influenza.
Le prime conquiste sono Madaba e Samega, in Transgiordania; poi venne
attaccata Sichem e distrutto il tempio del monte Garizim (Ant. 13 ,2 5 4 ­
258); con Pobbiettivo di proteggere la frontiera meridionale del paese, Ir­
cano attacca gli idumei, impadronendosi di Adora e Maresha e obbligan­
do la popolazione a circoncidersi e a convertirsi al giudaismo.
Più tardi, alla fine del suo governo, verso Panno 10 8 /10 7 , Ircano in­
traprende una nuova campagna contro Samaria, conquista Scitopoli al
confine con la Galilea e, dopo un lungo assedio, riesce a impossessarsi e a
radere al suolo Sichem, nonostante un duplice intervento di Antioco ix
Ciziceno, che cercò di costringerlo a togliere Paccerchiamento (Ant. 13 ,
275-281).
Ircano fu il primo asmoneo a servirsi permanentemente di un esercito
di mercenari stranieri. Flavio Giuseppe racconta (Ant. 13,249) che, per
poter pagare i mercenari, non si fece scrupolo di saccheggiare la tomba di
Davide c rubarne le ricchezze. Il fatto in se mostra la trasformazione av­
venuta all’interno del movimento maccabaico, che non ha più l’appoggio
popolare. Non è strano quindi che l’opposizione degli osservanti cresces­
se fortemente e Ircano si vedesse obbligato ad appoggiarsi ancora una
volta all’aristocrazia e al partito sadduceo. Tanto Flavio Giuseppe (Ant
13,288-296) quanto la tradizione rabbinica (bQiddusbin 66a) menziona­
no in forma di aneddoto la trasformazione radicale avvenuta al tempo di
Ircano: rottura con il partito dei farisei, i continuatori degli hasidim che
avevano costituito uno degli elementi fondamentali della rivolta macca-
2.30 Restaurazione nazionale ed espansione asmonea

baica. La loro richiesta che egli abbandoni il sommo sacerdozio e si limiti


al governo del popolo mostra il venir meno del consenso ancora presente
ai tempi di Simone e la progressiva eilenizzazione di Ircano agli occhi del
popolo. Gli echi della rottura tra Ircano e i farisei appaiono in una serie
di disposizioni halakiche di Ircano conservate nella tradizione rabbinica
{Soia 9 ,10 ; Ma'user shent 5,15). Flavio Giuseppe afferma che Ircano
«si uni al partito dei sadducei e abbandonò i farisei, abrogò le leggi che
questi avevano stabilito e punì quanti le osservavano; ciò produsse una
crescita dell'odio popolare contro di lui e i suoi figli» (Ant. 13,296).
Se con Ircano il potere asmoneo si estese enormemente in ogni direzio­
ne, sotto di lui affiorano già gli elementi che porteranno la dinastia alla
rovina: il distacco progressivo del popolo in conseguenza dell'abbandono
degli ideali maccabaici.
Ircano morì nel 104 lasciando il sommo sacerdozio al maggiore dei
suoi figli, Aristobulo, e il potere politico a sua moglie. Àristobuio non ac­
cettò la divisione dei poteri, incarcero i fratelli, fece morire di fame la
madre e fu il pruno asmoneo ad assumere il titolo di re, Aristobulo 1 re­
gnò solo un anno. Gli unici fatti noti di questo breve periodo sono l'as­
sassinio deirunico fratello che aveva lasciato in liberta, Antigono {Ant.
13 ,3 0 3 -3 13 ), e la conquista di una patte del territorio degli iturei, ossia
della Galilea. Nonostante il suo filoellenismo, che si riflette nel titolo con
cui si designava («Aristobulo Filoelleno»), egli sottomise la Galilea a una
giudaizzazione forzata, come suo padre aveva fatto con Fldumea (Ant.
13 >3x9)*
Alla sua morte, nelFanno 103, la vedova, Alessandra Salome, liberò i
fratelli rinchiusi in carcere, si sposò con uno di loro e lo nominò sommo
sacerdote: Alessandro Janneo (103-76), sulle cui monete appare per la
prima volta il titolo di re, in greco e in ebraico. Il suo lungo regno, come
quello del padre, Giovanni Ircano, sarà caratterizzato da continue lotte
esterne e da laceranti conflitti interni.
All’inizio del regno di Janneo il potere seleucidico era stremato dalle
lotte tra Antioco v ili Gripo e Antioco ìx Ciziceno; l’Egitto si trovava sot­
to il dominio di Cleopatra in, che era in conflitto con il figlio Tolemeo ìx
Ladro, rifugiatosi a Cipro. Sulla costa fenicia Tolemaide e Gaza si erano
rese indipendenti e un certo Zoilo era riuscito a crearsi un regno nel terri­
torio di Torre di Stratone. Alessandro Janneo, penetrato in Galilea (Ant.
13,32 2 ), cominciò ad attaccare Tolemaide e ad assediare la città. Gli abi­
tanti chiesero aiuto a Tolemeo Latiro, che sbarcò con il suo esercito,
sconfisse Janneo ad Asofon e devastò Giuda. Alessandro riuscì a salvarsi
per intervento di Cleopatra, che espulse dalla Palestina Tolemeo Latiro e
stipulò a Scitopoli un trattato con Janneo (Ant. 13,324 -355). Successi­
vamente Janneo attaccò la Transgiordania, conquistando Gadara e Ama-
Il regno degl] Asrnonei 2,3 r

thus; si diresse verso la costa, s’impadronì di Rafia, Anthedon e Gaza,


che prese e distrusse dopo un lungo assedio nel 96 (Ant. 13,356-364).
Una nuova campagna m Transgiordania, contro Moab e Galaad, termi­
nerà disastrosamente per intervento di Obedas, re dei nabatei, che io ob­
bligò a fuggire e a rifugiarsi a Gerusalemme [Ant. 13,375).
AH interno del paese, fomentata dai farisei, cresceva continuamente
l’opposizione popolare a Janneo. Durante la festa dei tabernacoli, mentre
egli esercitava le funzioni sacerdotali, il popolo manifestò il proprio mal­
contento lanciandogli limoni (Ant. 13 ,3 7 2 ; bSukka 58b e bjoma z6b ri­
portano la stessa tradizione, benché parlino solo di un «sadduceo»). L ’in­
cidente scatenò l ira del re, i cui mercenari - per rappresaglia, secondo
Flavio Giuseppe - uccisero circa 6000 fedeli. Dopo la sconfitta di Ales­
sandro Janneo da parte dei nabatei il malcontento sfociò in una vera e
propria guerra civile, che secondo Flavio Giuseppe durò sei anni e costò
la vita a 50000 giudei. J farisei chiesero aiuto a Demetrio 111 Euchero, fi­
glio di Antioco vm Gripo. Le truppe di Demetrio unite ai rivoltosi af­
frontarono Janneo e i suoi mercenari nei pressi di Sichem e lo sbaraglia­
rono completamente, obbligandolo a rifugiarsi sulle montagne. Una parte
dei ribelli, timorosi di perdere l’indipendenza, passò allora nel campo di
Janneo e ciò impedì a Demetrio di conquistare Gerusalemme, costringen­
dolo a ritirarsi. Janneo si vendicò crudelmente sterminando gli insorti e
crocifiggendo a Gerusalemme 800 rivoltosi mentre banchettava con le
sue concubine. Instaurò un regime di terrore tanto che, secondo Flavio
Giuseppe, 8000 suoi oppositori abbandonarono la città e rimasero in esi­
lio per tutto il periodo del suo regno (Ant. 13,380-383; 4 QpNah).
Soffocata dunque nel sangue la rivolta interna, Janneo continuò le
campagne esterne combattendo contro i nabatei, il cui potere giungeva
ora fino a Damasco e tentava di aprirsi un varco verso il Mediterraneo. Il
loro re Areta sconfisse Alessandro ad Adida, presso Lod. Ma a questa
sconfitta seguirono nuove vittorie nelle successive campagne degli anni 83­
80. In questi tre anni, Janneo conquistò e giudaizzò varie città greche del­
la Decapoli, dt Galaad e della Traconitide. Quando Alessandro Janneo
mori dopo lunga malattia durante l’assedio di Ragaba, nel 76, il regno
degli Asmonei aveva raggiunto Papogeo della sua espansione territoriale.
Morto Janneo, gli successe la vedova Alessandra Salome (76-67), Desi­
gnata, a detta di Flavio Giuseppe (Ant. 13,400-404), dallo stesso Janneo
in punto di morte, Alessandra cambiò completamente indirizzo politico e
cercò Pappoggio dei farisei, ai quali affidò le redini del governo e li man­
tenne al potere durante tutto il suo regno. Nominò sommo sacerdote lI fi­
glio maggiore Ircano 11, debole e indolente, e modificò la composizione
della gerousia, consentendo ai farisei di sovrintendere su questo supremo
organo di governo. Ristabilì le leggi farisaiche abolite da Giovanni Ircano
z^z Restaurazione nazionale ed espansione asmonea

e ordinò ai sudditi di seguirle in tutto, fino al punto che Flavio Giuseppe


afferma che «ella aveva il nome di regina, ma i farisei detenevano il pote­
re. Fecero tornare gli esiliati, liberarono i prigionieri, e non differivano
per nulla da sovrani assoluti» (Ant. 13,409). Quando i farisei iniziarono a
vendicarsi eliminando i sostenitori di Janneo, un comitato di sadducei ca­
peggiati da Aristobulo, figlio minore di Alessandra Salome, ottenne che la
regina limitasse ì loro eccessi minacciando in caso contrario di mettersi al
servizio di Areta. Aristobulo ottenne inoltre che gli venisse attribuito il
comando delle principali fortezze del paese, stabilendo così le basi per la
futura lotta contro il fratello Ircano (Ant. 13 ,4 11- 4 18 ) .
L ’unica cosa che conosciamo della politica estera è la spedizione di
Aristobulo contro Damasco, apparentemente senza risultati, e un inter­
vento per evitare l’invasione di Tigrane, re armeno che aveva occupato il
regno seleucidico; Pinvasione non sarà portata a compimento soltanto
grazie all’intervento romano {Ant. 13 ,4 18 -4 2 1). Alla fine del suo regno
era evidente che Aristobulo e i suoi sostenitori sadducei si preparavano a
prendere il potere con la forza, ma la regina morì prima che scoppiassero
le ostilità.
Alla morte della madre, Ircano n assunse la funzione regale, ma subito
il fratello Aristobulo 11 (67-63) gli dichiarò guerra e lo sconfisse nei pressi
di Gerico obbligandolo a rinunciare in suo favore alla regalità e al sommo
sacerdozio, pur consentendogli il godimento delle sue rendite. Dato il ca­
rattere apatico di Ircano il, la cosa sarebbe rimasta così se Antipatro, go­
vernatore di idumea e padre del futuro re Erode il Grande, non fosse in­
tervenuto per convincerlo della possibilità di recuperare il trono mediante
l’aiuto di Areta. Accompagnato da Antipatro, Ircano n fuggi da Gerusa­
lemme e si rifugiò a Petra, capitale del regno nabateo. Come ricompensa
per l’aiuto prestato, Ircano promise ad Àreta la restituzione delle città
della Transgiordania, conquistate da Alessandro Janneo. Areta si mise in
cammino, sconfisse Aristobulo 11, lo costrinse a rifugiarsi sulla collina del
tempio e insieme a Ircano 11 lo assediò (Ant. 14,8-21).
Frattanto Pompeo (nel 78 inviato dal senato romano a combattere Ser­
torio in Spagna) nel 7 1 pose termine alla ribellione di Spartaco e nel 67
ricevette un imperium straordinario per combattere ì pirati che sì davano
a scorrerie nel Mediterraneo. Nel 66 ottenne un prolungamento indefini­
to del suo ìmperium per combattere Mitridate e Tigrane e mettere ordine
negli affari d’Asia. Nello stesso 66 vinse Mitridate, costringendolo a rifu­
giarsi nel Caucaso, e ricevette la sottomissione di Tigrane di Armenia.
Nel 65, mentre proseguiva l’avanzata verso l’interno dell'Asia, Pompeo
inviò a Giuda il suo ambasciatore Scauro. I due fratelli in lotta gli man­
darono messaggeri per sostenere le proprie rispettive cause. Scauro optò
alla fine per Aristobulo n e obbligò Areta a togliere l'assedio del tempio
Problemi aperti 2,33

sotto pena di dichiararlo nemico di Roma. Areta si ritirò, inseguito e poi


sconfitto durante il tragitto dalle truppe di Aristobulo (Ant. 14,2.9-33).
Nel 64 Pompeo annientò definitivamente il regno seleucidico trasfor­
mando la Siria in provincia romana. L ’anno seguente si diresse a Dama­
sco e lì ricevette tre delegazioni giudaiche: Aristobulo 11 e Ircano 11, cia­
scuno per difendere i propri diritti e accusare l’avversario, e una terza de­
legazione, da parte del popolo, che rifiutava entrambi i contendenti e
chiedeva la restaurazione dell’antica teocrazia (Ant. 14,41-45). Pompeo,
la cui intenzione era d’intraprendere una campagna contro i nabatei,
ascoltò tutti, ma si riservò di decidere in un secondo momento. Àristobu­
io 11, temendo che Pompeo preferisse il fratello, si arroccò nell’Alexan-
drium. Avutane notizia, Pompeo abbandonò la spedizione contro i naba­
tei e pretese la consegna della fortezza. Aristobulo finì per cedere, ma solo
per potersi rifugiare a Gerusalemme. Quando Pompeo si diresse con le
sue truppe verso la città, Aristobulo abbandonò il proposito di resistere e
offrì la resa della città. Pompeo lo fece prigioniero e inviò Gabinio a
prendere possesso di Gerusalemme. Ma i sostenitori di Aristobulo gli ne­
garono l’accesso e Pompeo con il suo esercitò raggiunse Gerusalemme
per porla in assedio. Mentre i fedeli di Ircano n gli aprivano le porte della
città, permettendogli di prenderla senza spargimento di sangue, i parti­
giani di Aristobulo 11 si rifugiarono sulla collina del tempio decisi a resi­
stere. Dopo un assedio di tre mesi i romani, attaccando da nord, riusciro­
no ad aprire una breccia nelle difese del tempio, passarono a fil di spada i
difensori e lo stesso Pompeo entrò nel santo dei santi. Con la conquista
del tempio, a metà del 63, cadde l’ ultimo baluardo della sovranità asmo-
nea e l’indipendenza nazionale tanto faticosamente conquistata.

IV. PROBLEMI APERTI

Il primo e il secondo libro dei M accabei narrano gli avvenimenti anteriori e suc­
cessivi alla purificazione del tempio da parte di Giuda M accabeo in un ordine di­
verso, suscitando notevoli problemi cronologici. Nei libri dei Maccabei la succes­
sione dei fatti è presentata come segue: la prima campagna di Lisia precede im­
mediatamente la vittoria di Giuda su Gorgia e Nicànore e segue l’occupazione di
Gerusalemme e la purificazione del tempio; intervengono poi la morte di Antioco
IV, l’elevazione al trono di Antioco v e la seconda campagna di Lisia, conclusa
dal trattato di pace con Giuda. N el secondo libro dei M accabei la morte di A n ­
tioco iv segue la vittoria di Giuda su Gorgia e Nicànore e precede la conquista di
Gerusalemme e la purificazione del tempio; Antioco v succede al padre, ha quin­
di luogo la prima campagna di Lisia, conclusa dal trattato di pace, seguita dalla
seconda campagna che Lisia compie con Antioco v. In conclusione, la morte di
Antioco iv e la prima spedizione di Lisia variano di posizione nei due racconti,
Queste discordanze hanno diviso l’opinione degli studiosi. Alcuni negano la stori-
234 Restaurazione nazionale ed espansione asmonea

cita della prima campagna dì Lisia, ritenendola un doppione letterario della se­
conda, tanto nel primo quanto nel secondo libro dei M accabei. Altri preferiscono
la versione del secondo dei Maccabei, collocando questa prima campagna dopo la
purificazione de! tempio. La maggior parte, tuttavia, dà credito a i Muco. 4 ,2 6 -3 5
per quanto concerne la cronologia della prima spedizione di Lisia (collocandola
nel 1 6 5 / 1 6 4 ) e riconosce l'identità di questo racconto con quello di 2 Macc. r i , i -
1 5 , attribuendo a questa circostanza le lettere di Lisia e di Antioco iv di 2 Macc.
1 1 , 1 6 - 2 1 e 2 7 - 3 3 . Questa congettura, su cui abbiamo riflettuto, è Punica a con­
sentire di comprendere perché la presa di Gerusalemme da parte di Giuda nel 16 4
e la conseguente purificazione del tempio si siano svolte in forma pacifica, senza
l’intervento della guarnigione seleucidica che continuava a controllare TAcra.
AI contrario, è provato che 1 M accabei cade in errore quando pone la morte di
Antioco IV dopo la purificazione del tempio. Antioco mori durante una spedizio­
ne contro i parti nell’autunno del 16 4 , prima, quindi, della purificazione del 14
dicembre. Per parte sua, j ! secondo dei Maccabei attribuisce erroneamente ad A n ­
tioco v la terza delle lettere del cap, 1 1 (vv. 2 7 -3 3 ) . È chiaro che l’introduzione a
questa missiva non menziona il nome del re che l’ha scritta, ma la lettera a essa
precedente (2 Macc. 1 1 ,2 2 - 2 6 ) è di Antioco v, «dopo che nostro padre passò alla
compagnia degli dèi»; la sua collocazione tra gli atti ascritti al regno di Antioco
v, pertanto, è senza dubbio il frutto di un'attribuzione erronea. Questa lettera ri­
sale chiaramente al mese di marzo del 16 4 , lo stesso periodo di quella degli am­
basciatori romani; precede, inoltre, la morte di Antioco iv e può essere attribuita
soltanto a lui. Di fatto, l’unico dei quattro documenti privo di relazione con la
prima campagna di Lisia è la missiva di Antioco v contenuta in 1 1 , 2 2 - 2 6 , la sola
non datata e che risalirebbe alla seconda campagna dì Lisia, conclusasi con la pa­
ce del 1 6 3 .
Un secondo problema molto dibattuto relativo a quest’epoca riguarda coloro
che esercitarono le funzioni di sommo sacerdote dalla restaurazione del culto fino
alla nomina di Alcimo nel 1 6 2 e dalla sua morte, nel 1 6 0 / 1 5 9 , alla nomina di
Gìonata nel 1 5 3 / 1 5 2 . Nel primo periodo il sommo sacerdote era ancora Mene­
lao, ma è impensabile che Giuda Maccabeo gli permettesse di esercitare le funzio­
ni sacerdotali nel tempio purificato. Lln valido pretendente dovette essere Onia
iv 3 figlio di Onia in, benché Flavio Giuseppe (Ant. 1 2 ,2 3 7 ) affermi che nel 1 7 4 ,
alla morte del padre, era ancora un bimbo. Di fatto, alla morte di Menelao e con
la nomina di Alcimo, Onia iv si sentì ingiustamente privato dei suoi legittimi di­
ritti. 2 Macc. 1 4 , 3 . 1 3 consentirebbe di ritenere che Io stesso Alcimo avesse occu­
pato il posto durante questo periodo, giacché asserisce «che era stato prima som­
mo sacerdote» e Demetrio, nel 1 6 2 , «lo ristabilì come sommo sacerdote». Flavio
Giuseppe complica ancor più le cose dicendo espressamente (Ant. 1 2 ,4 1 4 ) che al­
la morte di Alcimo «il popolo affidò il sommo sacerdozio a Giuda». Questa af­
fermazione non può essere corretta, poiché sappiamo che Giuda mori prima dì
Alcimo (1 Macc. 9 ,18 e 54 -5 6 ), e lo stesso Flavio Giuseppe (Ant. 1 2 ,2 3 7 ) afferma
che alla morte di Alcimo nessuno gli successe e la funzione di sommo sacerdote
rimase vacante per sette anni fino alla nomina di Gionata. M a Giuseppe (Ant.
1 2 ,4 1 9 ) ribadisce che Giuda fu di fatto sommo sacerdote, precisando (Ant. 1 2 ,
434) che aveva esercitato questa funzione per tre anni. Giuda può evidentemen­
Problemi aperti 23 5

te a v e r s v o l t o ta li f u n z io n i p o ic h é in q u e l m o m e n t o si t r o v a v a a e s s e r e il l e a d e r in ­
d i s c u s s o d e lla n a z i o n e . Egli s c e ls e i s a c e r d o t i p e r la p u r i f i c a z i o n e d e l t e m p io ( 1
Macc. 4 , 4 1 ) , d e c is e la c e le b r a z io n e d e lta fe s t a c o m m e m o r a t i v a d e lla d e d i c a z i o n e
( 1 M acc . 4 , 5 9 ) , d is t r u s s e l ’ a lt a r e p r o f a n a t o e c o s t r u ì il n u o v o (Ani. 1 2 , 3 1 8 ) e c c .
U n a t r a d i z i o n e r a b b i n i c a ( bM egilla n a ) g li a t t r i b u i s c e il s o m m o s a c e r d o z i o ; p u r e
2 Macc. 1 4 , 2 , 6 ( s e c o n d o il c o d ic e V e n e t o , la r e c e n s io n e l u c i a n e a e la v e r s i o n e l a t i ­
n a ) s u p p o n e c h e s a r e b b e s t a t o n o m i n a t o d a N i c à n o r e s o s t i t u t o d i A lc u n o -. In c o n ­
s id e r a z i o n e d e lle a f f e r m a z i o n i c o n t r a d d i t t o r i e d e lle f o n t i , s i p u ò c o n c l u d e r e s o l ­
t a n t o c h e , d a lla d e d i c a z i o n e a lla n o m i n a d i À l c i m o , M e n e l a o c o n t i n u ò a e s s e re
so m m o sa ce rd o te de iurey s e n z a c h e s ìa p o s s i b i le p r e c i s a r e c h i e s e r c it a s s e le f u n ­
z io n i de facto.
N o n s e m b r a p o s s i b i le g iu n g e r e a u n a s o l u z i o n e in o p p u g n a b iL e n e p p u r e p e r il
p e r i o d o t r a A l c i m o e G i o n a t a . F l a v i o G i u s e p p e , c o m e si è d e t t o , p a r l a di u n p e ­
r i o d o v a c a n t e , n o t o c o m e « i n t e r s a c e r d o z i o » . M a è im p e n s a b il e c h e n e s s u n o a b b i a
o c c u p a t o il p o s t o p e r b e n s e t te a n n i, g i a c c h é s e n z a s o m m o s a c e r d o t e e r a i m p o s s i ­
b ile c e le b r a r e la fe s ta d e l g i o r n o d e ll’ e s p i a z io n e , e le m e n t o c e n t r a l e n e lla lit u r g ia
d el te m p io . S te g e m a n n (Die Entstehung der Qttmrangemeinde , B o n n 1 9 7 1 ) a ffe r­
m a c h e il s o m m o s a c e r d o t e in q u e s t o p e r i o d o e r a il p e r s o n a g g i o c h e i m a n o s c r i t t i
d i Q u m r a n d e s i g n a n o c o m e M a e s t r o d ì G i u s t i z i a , ip o te s i c o r r e t t a d a J . M u r p h y -
O ’C on n or (The Essenes and their History: R B 8 1 [1974] 2 15 -2 4 4 ), c h e lo r it ie n e
u n i c a m e n t e s o m m o s a c e r d o t e de facto . G i o n a t a lo a v r e b b e s p o g l i a t o d e l l ’ e s e r c iz i o
d e lle s u e f u n z i o n i , s p i n g e n d o lo a u n ir s i a l m o v i m e n t o esseno e a f o n d a r e il g r u p p o
q u m r a n i c o . È d iff ic ile , t u t t a v i a , a m m e t t e r e c h e u n a p e r s o n a l i t à z e la n t e d e lla le g g e
e in t r a n s ig e n t e c o m e il M a e s t r o d i G i u s t i z i a fo s s e t o l le r a t o d a l p a r t i t o e lle n is t a ,
c h e a v e v a il c o n t r o ll o d e lla c itta e d e l t e m p i o . È q u i n d i o v v i o c h e a lc u n i s r u d io s i
a b b i a n o r it e n u t o c h e 11 « i n t e r s a c e r d o z i o » a lt r o n o n fo s s e c h e u n ’ i n v e n z i o n e d i F l a ­
v i o G i u s e p p e p e r c o l m a r e u n a l a c u n a n e lle n o t iz ie d ì c u i d i s p o n e v a . Le n o stre la ­
c u n e , d ’ a lt r o c a n t o , s o n o a n c o r a m a g g i o r i di q u e lle d i G i u s e p p e .
l)n altro problema irrisolto concerne l’ identità del sommo sacerdote che istituì
il tempio jahvista di Leontopoli, nel nomos di Eliopoli in Egitto, e la relativa da­
ta di fondazione. Flavio Giuseppe, in Bell. 1 ,3 3 e 7 ,4 2 0 -4 3 2 , attribuisce la fon­
dazione del tempio a Orna in , ma in Ant. 1 2 ,3 8 7 - 3 8 8 e 1 3 ,6 2 - 7 3 il fondatore è
Orda iv, suo figlio, il quale non accetta rattrìbuzione del sommo sacerdozio ad
Alcimo dopo la morte di Menelao. La tradizione rabbinica ascrive la fondazione
a Onta ni, al pari della Guerra giudaica (cfr. bM enahot 1 0 9 b), ma la maggio­
ranza degli autori accetta La versione dei fatti delle Antichità giudaiche e ammette
la fondazione per opera di di Onia IV tra gli anni t 6 2 e 16 0 a.C, Per alcuni la fu­
ga di Onia sarebbe la conseguenza dell’insediamento di Menelao nelle funzioni di
sommo sacerdote e il santuario sarebbe stato costruito durante il periodo della
profanazione del tempio di Gerusalemme da parte di Antioco IV, per salvaguar­
dare il vero culto. Per altri non sarebbe stato fondato fino al 1 4 5 a.C. e avrebbe
avuto più influsso come colonia militare che significato religioso. M a se nella tra­
dizione rabbinica (M enahat 1 3 ,1 0 ) si conservano norme speciali riguardanti i
sacerdoti che vi officiarono, cui si proibì dì servire nel tempio di Gerusalemme (il
tempio di Leontopoli fu distrutto nel 7 3 o 7 4 d.C.), e se Flavio Giuseppe indivi­
dua nella delusione per non aver ottenuto il sommo sacerdozio in Gerusalemme
236 Restaurazione nazionale ed espansione asmonca

il movente che spinse Orna iv a fondarlo, obbliga a non minimizzare il significato


religioso del tempia di Leontopoli né il suo carattere di tempio concorrente di
quello gerosolimitano, nel momento stesso in cui viene posta in discussione Paf-
fermazione, troppo generica, che veniva accettato solamente il culto centralizzato
in Gerusalemme.
Un ulteriore problema relativo a questo periodo e non ancora definitivamente
risolto riguarda le origini della costituzione dei samaritani come setta autonoma.
AlPalternativa di Flavio Giuseppe, scisma nel periodo persiano o separazione ai
tempi di Alessandro M agno, si contrappone oggi una ricostruzione nella quale i
fattori determinanti che conducono alla cristallizzazione settaria vengono collo­
cati nel li secolo. La costruzione del tempio jahvista sul monte Garizim nel mo­
mento dell’insediamento in Sichem, dopo la trasformazione di Samaria in colonia
macedone, non sarebbe stato un fattore decisivo nonostante la sua rilevanza; Pe-
lemento chiave, che segna la separazione tra giudei e samaritani, sarebbe costitui­
to dall’elaborazione del Pentateuco Samaritano nel 11 secolo. Il motivo che portò
alla formulazione teologica della legittimità samaritana, contrapposta a Gerusa­
lemme, fu il deteriorarsi delle relazioni tra i due popoli a causa delle differenti al­
leanze politiche con il potere tolemaico o seleucidico, oltre al risentimento per
Paccetta/ione samaritana delPcllemzzazione di Antioco iv e, soprattutto, alla po­
litica espansionistica degli Asmonei, culminante nella distruzione del tempio del
monte Ganzim nel 1 2 8 e nella devastazione di Sichem nel 10 7 . La forza di queste
ragioni è inconfutabile, ma la data dì composizione del Pentateuco samaritano
continua a essere incerta e senza di essa tutta questa ricostruzione rimane priva di
fondamento.

V. BIBLIOGRAFIA

Agli studi di WilL, Tcherikover, Hengel e Bickerman ricordati nel capitolo prece­
dente, aggiungiamo per questo periodo: A . M om igliano, Prime linee di Storia
della Tradizione M accabatea , Torino 1 9 3 1 , sempre interessante e soprat­
tutto importante per le fonti dei libri dei M accabei; S. Zeitlin, The Rise and Fall
o f thè Judaean State , 3 voli., Philadelphia 19 6 2 . 1 9 6 7 . 1 9 8 3 : gli studi qui riuniti
sono spesso tendenziosi, ma rimangono interessanti per 1 testi rabbinici riportati;
A. Schalit (ed.), The W orld H istory o f thè jew ìsh People , vi, The Hellenistic A ge ,
London 1 9 7 6 : ospita eccellenti e approfonditi studi di M. A vi-Yonah, sulla rivol­
ta maccabaica e le guerre di Giuda, e di J. Klausner sui successivi Asmonei.
Tra Pabbondaniissìma letteratura sui gruppi giudaici di quest’epoca segnalia
mo: per ì farisei, J. Neusner, The Rabbinic Traditions Àbout thè Pharìsees Before
yoy 3 voli., Leiden 1 9 7 1 ; per 1 sadducei, J. Le M oyue, Les Sadducéens, Paris
1 9 7 2 ; per gli esseni, M . Delcor - F. Garcfa Marnnez, Introduccìón a la hteratura
esenta de Qumrdn , M adrid 1 9 8 2 ; per i samaritani, H .G , Kippenberg, Garizim
und Synugoguef, Berlin - N e w York 1 9 7 1 . In lingua italiana, oltre a K. Schubert, i
partiti religiosi ebrei del tempo neot&stameritan ò , Brescia 1 9 7 6 , si veda ora G.
Stemberger, Farisei. sadducei, esseni, Brescia 1 9 9 3 : studio interamente condotto
su un approfondito esame delle fonti, giunge a mettere in dubbio la nozione dì
«partito religioso» per Péra del secondo tempio.
Capitolo ix

La Palestina
sotto la dominazione romana
(63-4 a.C.)

I. DA POMPEO A ERODE (63-37 A-C-)

La conquista pompeiana modificò la condizione giuridica di Giuda. Tutte


le città della costa e della Transgiordania annesse dagli Asmonei furono
distaccate dallo stato giudaico e poste sotto la giurisdizione della provin­
cia siriaca recentemente istituita. Lo stato giudaico fu così ridotto a Giu­
da, Galilea, ldmnea e Perea. Pompeo pose alla guida di questa entità poli­
tica Ircano n che, privato del titolo regale, conservò quello di sommo sa­
cerdote. Il paese non venne direttamente annesso alla provincia romana,
ma rimase sottoposto a Roma, come attestano l’imposizione del tributo
(Ant. 14 ,7 5 ; B e li i,.152,-154) e l’introduzione del sistema romano di ri­
scossione delle imposte. Nei piani di Pompeo, Giuda, come stato vassal­
lo, doveva formare insieme agii altri stati vassalli di Armenia, Calcide,
Commagene e Osroene una cintura protettiva della provincia romana,
per separarla dal pencolo arabo e partìco. Designato Scauro governatore
di Siria, Pompeo si ritirò portando con sé come prigionieri Aristobulo 11 e
i figli Alessandro e Antigono, oltre a un gran numero di giudei che suc­
cessivamente costituiranno la base della diaspora romana. Durante il
viaggio Alessandro riuscì a fuggire, ma Aristobulo si trovò costretto a
prender parte al trionfo di Pompeo, nel 6 1, marciando davanti al carro
del vincitore.
Negli anni seguenti Alessandro, figlio di Aristobulo, potè organizzare
un’opposizione sufficientemente forte, tanto che Ircano 11 non fu m grado
di sgominarla senza l’aiuto delle legioni romane di Gabinio. Quest’ulti­
mo, divenuto nel 57 governatore della Siria, marciò sulla Palestina, scon­
fisse Alessandro, distrusse PHyrcanium, ove costui era rifugiato, e appro­
fittando dell’occasione riorganizzò lo stato, dividendolo in cinque distret­
ti e affidandone il governo a consigli aristocratici (synodoi o synedria).
Ircano u venne così a trovarsi spogliato di qualsiasi responsabilità politi­
ca e nelle sue funzioni ridotto a quelle meramente cultuali {Ant. 14 ,8 2-9 1;
Bell. 1,16 9 -17 0 ).
Il paese, tuttavia, non rimase a lungo in pace. Nel 56 Aristobulo n, che
con l’altro suo figlio era riuscito a fuggire da Roma, cercò di riconquista­
re il paese; questo tentativo e nell’anno successivo quello del figlio Ales-
2.38 La Palestina sotto la dominazione romana

sandro vennero facilmente stroncati da Gabmio, che inviò a Roma gli in­
sorti come prigionieri (A n i. 14 ,9 2-10 2; B e li 1,17 1- 17 4 ) .
Dall’inizio della guerra civile in Italia la sorte di Giuda, come quella
delle altre province romane, dipenderà strettamente dagli sviluppi di que­
sta contesa. Àcistobulo u verrà assassinato a Roma dai pompeiani per
aver accettato da Giulio Cesare la libertà in cambio dell’appoggjo nella
lotta contro Pompeo; il figlio Alessandro sarà decapitato ad Antiochia
per ordine di Pompeo (Ànt. 14 ,12 3 - 12 5 ; Bell. 1,18 3 -18 6 ). Rimarrà sola­
mente Antigono a continuare la contesa con Ircano 11. Accanto a lui il
potere e l’influenza di Amipatro, suo principale alleato, cresceranno sem­
pre più; Flavio Giuseppe, infatti, lo designa «governatore dei giudei»
(1epimeletes) ancor prima delPinter vento di Cesare. Dopo la sconfitta di
Farsalo e la morte di Pompeo, Ircano 11 e Antipatro passarono decisa­
mente dalla parte di Cesare, cui nel 48 resero apprezzabili servigi nella
lotta contro Tolemeo d’Egitto {Ànt. 14 ,12 7 -13 6 ; Bell. 1,18 7 -19 4 ). Non è
strano quindi che Cesare, nel 47, premiasse il loro impegno e non pre­
stasse ascolto alle lagnanze di Antigono, il quale chiedeva la reintegrazio­
ne nei suoi diritti.
Cesare confermò Ircano n nelle funzioni di sommo sacerdote e Io no­
minò etnarca del popolo, restituendogli i poteri precedentemente goduti e
annullando la riforma di Gabinio. Dal punto di visLa politico ben più si­
gnificativo fu il riconoscimento da parte di Cesare della posizione di An­
tipatro, nominato governatore (epitropos) di Giuda, dichiarato cittadino
romano ed esentato da imposte. Cesare autorizzo la ricostruzione delle
mura di Gerusalemme, restituì alcune delle città greche e lo stato giudai­
co, legato a Roma da un trattato di amicizia, acquisì una certa autono­
mia, benché sempre obbligato al pagamento del tributo.
Antipatro approfitto della nuova situazione per consolidare il proprio
potere, nominando i figli Erode e Fasaele governatori (strategoi) di Gali­
lea e di Gerusalemme. Erode si distinse immediatamente per efficienza e
mancanza di scrupoli, catturando e giustiziando senza processo una ban­
da di ribelli/banditi. Quando Ircano u, incalzato dall’aristocrazia sacer­
dotale, lo chiamò per essere giudicato dal sinedrio, Erode si presentò ac­
compagnalo dalla scorta, intimidendo Ì giudici. Grazie all’intervento del
governatore di Siria fuggì senza essere giudicato e solamente Pintercessio-
ne del padre e del fratello Fasaele lo indussero a desistere dalla vendetta
violenta per l’ affronto subito con il processo {Arti. 14 ,16 8 -18 4 ; Bell.
1,208-215). Le linee portanti dei futuri contrasti tra Erode e l’aristocrazia
sacerdotale venivano così chiaramente tracciati ed Erode, nominato frat­
tanto strategos della Celesiria e della Samaria e appoggiato decisamente
dai romani, appare come il vincitore del conflitto.
L’assassinio di Cesare a Roma, nel 44, obbligò Antipatro e Ircano 11 a
Da Pompeo a Erode 239

un nuovo cambiamento di alleanze, giacche Cassio, uno degli assassini di


Cesare, riuscì a prender possesso della provincia di Sìria, facendone la
base delle operazioni contro Antonio. Antipatro e soprattutto Erode si
misero iti luce raccogliendo le enormi imposte necessarie a Cassio per la
guerra. Questi confermò Erode come strategos della Celesiria. Antipatro
morirà assassinato poco tempo dopo.
Quando Cassio e gli altri sostenitori di Pompeo furono sconfitti da An­
tonio nell’autunno del 4z, h posizione di Erode divenne critica, special­
mente allorché un’ambasciata dell’aristocrazia o del sinedrio st presentò
ad Antonio per accusare Erode e Fasaele. Ma Erode, che intavolò l’auto­
difesa continuando a valersi della protezione di Ircano 11, non solo scon­
giurò il pericolo, ma ottenne pure che egli stesso e Fasaele fossero nomi­
nati tetrarchi da Antonio, che per contro incarcerò i loro accusatori.
Successivamente, nel 40, la situazione in Palestina sì modificherà nuo­
vamente. I partì, eterni nemici dei romani, riusciranno per un breve pe­
riodo a esercitare il loro dominio suli intero Medio Oriente. Col loro aiu­
to Antigono soddisfarà le proprie ambizioni e s’impadronirà di Gerusa­
lemme. Ircano 11 e Fasaele vennero imprigionati, ma Erode riuscì a mette­
re in salvo la sua famiglia nella fortezza di Masada e poi a fuggire a Ro­
ma. 1 parti insediarono come re Antigono (40-37), che incide sulle mone­
te il nome e il titolo di re in greco e in ebraico il nome di Matatia e il tito­
lo di sommo sacerdote. Antigono fece amputare le orecchie a Ircano 11,
per renderlo in tal modo inabile per sempre all’esercizio delle funzioni sa­
cerdotali, e ne usurpò la carica di sommo sacerdote. Fasaele si suicidò,
sfracellandosi contro una rupe [Ant. 14,330-380; Bell. 1,14 9 -2 8 1).
Erode, a Roma, contava sull’appoggio di Antonio. D’accordo con Ot­
taviano, Antonio riuscì a convincere il senato ed Erode, alla fine dell’anno
40, fu nominato re di Giuda (Ant 14 ,38 1-38 9 ; Bell. 1,282-285). Negli
anni successivi fino all’estate del 37, quando Erode riuscirà a conquistare
Gerusalemme e a rendere in tal modo effettivo il decreto romano di no­
mina, la Palestina sarà divisa da una lotta feroce tra i due antagonisti.
Questa divisione rifletterà non solo l’opposizione tra il potere romano e
il potere partico, ciascuno rappresentato da uno dei contendenti, ma an­
che i contrasti sociali e religiosi interni al paese. Erode, giudeo solo a me­
tà e come tale inaccettabile in veste di re per la maggioranza del popolo,
si vedeva appoggiato dall’Idumea, dalla Samaria e parte della Galilea;
Antigono contava soprattutto sull’appoggio di Giuda. Se i sostenitori di
Erode provenivano soprattutto dalla classe dei latifondisti, i seguaci di
Antigono erano, da un lato, contadini cui il peso delle imposte risultava
insopportabile e, dall’altro, l’aristocrazia sacerdotale. Antigono rappre­
sentava inoltre la legittimità asmonea, alla quale in definitiva il potere de­
rivava dal popolo, mentre Erode, re vassallo di Roma, impersonava la so­
2 -4 0 La Palestina sotto la dominazione romana

vranità romana. Con l’appoggio romano Erode conquisterà la costa, libe­


rerà la sua famiglia assediata a Masada, sottometterà la Galilea, la ripuli­
rà dalle bande di ribelli e banditi e nella primavera del 37 assedierà Geru­
salemme. Durante Passedio Erode si recherà a Samaria per prendere in
moglie Mariamme, nipote di Ircano li, nel tentativo di legittimare agli oc­
chi della popolazione la sua nomina reale. Con Pappoggio di Sosio, go­
vernatore della Siria, riuscirà a impadronirsi della città di Gerusalemme.
Antigono viene fatto prigioniero e giustiziato ad Antiochia per ordine di
Antonio e su richiesta di Erode (Ant. 14,487-490; B e li 1,357). Con lui
scompare la dinastia asmonea e il potere passa nelle mani di Erode.

II. IL REGNO DI ERODE IL GRANDE (3 7 -4 A.C.)

Il lungo regno di Erode si suole dividere in tre periodi: il primo di conso­


lidamento del potere, il secondo di prosperità e apogeo, Pultimo di deca­
denza, segnato da problemi familiari e dalla lotta per la successione (una
cronologia particolareggiata dei fatti di rilievo del regno di Erode si può
trovare in Schiirer-Vermes 1, 362.-571).
Durante la prima fase del suo regno (dal 37 al 25 ca.) 1 principali attac­
chi interni provengono dai discendenti della famiglia asmonea e dal loro
naturale alleato, l’aristocrazia sacerdotale. Erode neutralizzò questi fa­
ziosi, giustiziando e confiscando i beni di quarantacinque di loro e limi­
tandone l’influenza all’interno del sinedrio (Ant. 14 ,17 5 ; 15,5-7 ; Bell, i ,
358). Quando nel 36 Ircano 11 fu liberato dai parti che lo tenevano pri­
gioniero, Erode approfittò della sua inabilità a esercitare le funzioni sa­
cerdotali ed elesse alla carica di sommo sacerdote Ananele, sacerdote di
origine babilonese. M a questo primo tentativo di privare i discendenti
asmonei della loro base di potere, il sommo sacerdozio, esercitato per più
di un secolo, non avrà risultato. Sotto la pressione della suocera Alessan­
dra e della moglie Mariamme, Erode si vide costretto, l’anno seguente, a
insediare nell’ufficio il legittimo candidato degli Asmonei, il giovane Ari-
stobulo ni, fratello di Mariamme, figlio di Alessandra e pertanto nipote
di Ircano 11. M a quando si accorse dell’ascendente del giovane sul popo­
lo, Erode decise di eliminarlo e alla fine del 35 lo fece assassinare a Gerico
mentre faceva il bagno (Ant. 15,53-56 ; Bell. 1,437). Con la morte di Ari-
stobulo in, Erode ebbe via libera al sommo sacerdozio, ne soppresse il
carattere vitalizio e ne fece uno strumento subordinato alle proprie neces­
sità politiche. Con l’eliminazione di Àristobulo scompariva dalla scena il
più temibile dei discendenti asmonei.
Negli anni successivi il resto della famiglia avrebbe subito la stessa sor­
te. Nel 30 Erode si sbarazzò di Ircano n col pretesto di una presunta con­
giura (Ant. 1 5 ,1 6 1 - 1 7 8 ; Bell. 1,4 31-4 34 ); nel 29 la stessa moglie Ma-
Il regno di Erodj il Grande 241

riamine è vittima delie «attenzioni» di Erode e degli intrighi familiari


(Ant. 15 ,2 18 -2 3 6 ; Bell. 1,438-444); nel 28 Alessandra, figlia di Ircano n
e madre di Mariamme, viene giustiziata perché, approfittando deli’in fer­
inità di Erode, tenta d’impadronirsi del potere (Ant 15 ,2 4 7 -2 5 1). Con
questa sistematica eliminazione di tutti i discendenti della famiglia degli
Asmonei Erode consolidò la sua posizione nel paese e si liberò di possibi­
li avversari.
In questo stesso periodo Erode riuscì anche a mantenere un saldo rap­
porto con Antonio e si difese dalle mire di Cleopatra, che voleva impa­
dronirsi dei suoi territori. Tuttavia Cleopatra riuscì a strappare ad Anto­
nio più di un favore, tra cui le città costiere e il distretto di Gerico, e per
ottenere la concessione dello sfruttamento dei territori confiscati Erode si
vide costretto a pagare alla regina un tributo di 200 talenti (Ant 1 5,99­
106). M a la minaccia più pericolosa alla posizione di Erode si profilò con
la battaglia di Azio e la vittoria di Ottaviano, che cancellò il potere di
Marco Antonio e risolse a favore di Ottaviano il conflitto del triumvira­
to. A Erode, fedele alleato di Antonio, non restò altra alternativa che cer­
care di guadagnarsi la fiducia del nuovo padrone assoluto di Roma. In
quest’impresa riportò un successo completo e convinse Ottaviano, il fu­
turo Augusto, che la lealtà dimostrata verso Antonio era la miglior prova
della sua fedeltà a Roma e al nuovo Cesare. Ottaviano lo confermò re di
Giuda, gli restituì le città costiere e la regione di Gerico, passate nelle ma­
ni di Cleopatra, oltre ad altri territori della costa e della Transgiordania,
appartenuti in passato al regno asmoneo (Ant. 15 ,8 7 -19 6 .2 12 ; Bell. 1,
394 - 397 )*
La seconda fase del regno dì Erode (dal 25 al 13 ca.) si può descrivere
come un periodo di prosperità e floridezza. In esso, grazie al favore di
Augusto, Erode aggiunse al suo regno i distretti di Traconitide, Batanea e
Auranitide, oltre ai territori situati intorno al Lago di Genezaret e alle
sorgenti del Giordano a Panias. M a Pimpronta più caratteristica, e che
meglio manifesta lo splendore del regno di Erode, è ravvisabile nelle nu­
merose opere edilizie di cui costellò il paese, che rappresentarono senza
dubbio un potente incentivo economico.
Erode innalzò dalle fondamenta o ristrutturò rutta una serie di città e
fortezze. La più importante fu Cesarea, nel luogo in cui era situata la
Torre di Stratone; Erode la dotò di un porto magnifico che le avrebbe as­
sicurato un futuro sviluppo economico e la corredò di tutti gli elementi
necessari a una grande città ellenistica, compreso un tempio ad Augusto.
Ugualmente impressionante fu la ricostruzione dell’antica Samaria, ribat­
tezzata con il nome di Sebaste in onore di Augusto. Per onorare la memo­
ria del padre Antipatro, costruì Antipatride sul luogo dell’antica Cafarsa-
ba; in memoria del fratello edificò Faselide; per onorare Àgrippa rico­
z 4 2r La Palestina sotto la dominazione romana

struì l’antica Anthedon e la chiamò Agrippiade; con lo scopo dinsediarvi


i propri soldati ricostruì Gaba m Galilea ed Eshbon in Perea, deputandole
a colonie militari. A nord di Gerico, nel Wàdl Qelt, ricostruì l’antico pa­
lazzo degli Asmonei e lo dotò di sontuosi bagni, giardini, un ippodromo,
un teatro e un anfiteatro. Dedicò particolari cure alla costruzione di nuo­
ve fortezze o alla ricostruzione di quelle già esistenti. Edificò Cipro, nei
pressi di Gerico, in onore di sua madre e dette il proprio nome a un He-
rodium sulle montagne di Moab e a un altro, ancor più famoso, dove
verrà sepolto, vicino a Teqoa. Fortificò di nuovo FAlexandrium e l’Hyr-
canium, Macheronte e Masada, dove costruì splendidi palazzi.
M a fu a Gerusalemme che la sua attività edilizia raggiunse i risultati
più straordinari. Già all epoca di Antonio aveva costruito, in suo onore,
un’imponente fortezza, l’Antonia, a nord della spianata del tempio. Edifi­
cò poi un teatro, un anfiteatro e persino un ippodromo. L ’edificio più
sontuoso fu il suo palazzo nella città alta; lo circondò di parchi e giardini
e lo munì dì uria maestosa fortezza con tre torri, di cui ancor oggi si con­
servano i resti. L ’opera più insigne fu tuttavia la ricostruzione del tempio,
la cui magnificenza diverrà proverbiale; i lavori, iniziati intorno al 20,
termineranno completamente solo molto cempo dopo la morte di Erode,
all’epoca di Albino, nel 6 1 d.C., pochi anni prima della sua distruzione.
Il tempio in sé fu costruito in un anno e mezzo e i cortili esterni in otto
anni. Per festeggiarne il completamento si celebrò un grande olocausto
(Ant 15,380-425).
La ricostruzione del tempio, nel rispetto di tutti i criteri prescrìtti dalla
legge, non impedì a Erode di riempire di templi pagani le altre città non
giudaiche del regno. Flavio Giuseppe (Ant. 15,36 3-36 4 ; Bell. 1,404-406)
descrive minuziosamente il tempio di Panias dedicato ad Augusto e ac­
cenna a quelli eretti in onore dello stesso imperatore a Sebaste e a Cesa­
rea, aggiungendo che Erode «riempì di templi il suo territorio, diffuse an­
che nei suoi possedimenti le costruzioni onorifiche e in molte città eresse
Kaisareia (templi in onore di Cesare)» (Bell. 1,407).
Durante tutto il suo regno Erode operò come un grande mecenate della
cultura greca. A Cesarea e a Gerusalemme istituì giochi quinquennali e fi­
nanziò i giochi olimpici della Grecia. La generosità e la protezione eserci­
tate nei confronti delle cillà greche, anche fuori dei confini del suo regno,
sono ostentate nella lunga lista dei beneficiari dei suoi doni elencata da
Flavio Giuseppe (B eli 1,422-428): le città di Tripoli, Damasco, Tolemai-
de, Biblo, Berito, Tiro, Sidone, Laodicea, Ascalona, Cos, Rodi, Samo,
Atene, Pergamo e Antiochia ricevettero da Erode ginnasi, templi, strade,
piazze, portici, bagni, teatri e acquedotti. Tra il personale di corte predo­
minavano i funzionari di origine o formazione greca. Il più famoso e N i­
cola di Damasco, storico e filosofo, che in varie circostanze esercitò la
Il regno di Erode il Grande 243

funzione di ambasciatore di Erode e la cui Historia in 144 libri è la fonte


piu importante e approfondita di Flavio Giuseppe per quanto concerne
questi anni. Durante il secondo periodo del suo regno Erode appare come
un esemplare principe ellenistico; nonostante l’apparente rispetto per le
tradizioni giudaiche, egli concorse in modo decisivo all’ellenizzazione del
paese.
L ’ultimo periodo del regno di Erode (dal 13 al 4 ca.) è interamente se­
gnato da dissidi interni alla famiglia del re e da conflitti per la successio­
ne. La famiglia di Erode era molto numerosa. Flavio Giuseppe gii attri­
buisce, simultaneamente o in tempi diversi, dieci mogli. La trama intrica­
ta di relazioni matrimoniali tra 1 suoi vari discendenti e 1 discendenti dei
suoi fratelli e della famiglia degli Àsmonei costituisce lo scenario entro
cui si sviluppa la tragedia degli ultimi anni del monarca. Tra le mogli e i
figli di Erode i più importanti sono:
Doride e il figlio Antipatro.
Mariamme, nipote di Ircano 11, e i tìgli Anstobulo e Alessandro.
Mariamme, figlia di un sacerdote di Alessandria nominato da Erode
sommo sacerdote, e il figlio Erode.
Maltace, samaritana, e i figli Archelao e Antippa.
Cleopatra di Gerusalemme e il figlio Filippo.
Erode aveva ripudiato Doride e proibito al figlio Antipatro di avvici­
narsi a Gerusalemme. Aveva inviato a Roma i figli di Mariamme, Ales­
sandro e Aristobulo, affinché vi venissero educati, avendoli designati suoi
successori. Ciononostante, al loro rientro alla corte di Erode i due giova­
ni, coscienti delle loro origini reali e desiderosi di vendicare la madre as­
sassinata nel frattempo, si trovarono ostacolati dal resto della famiglia di
Erode, soprattutto dal fratello Ferora e dalla sorella Salome. Influenzato
da questi ultimi, Erode contrappose ai due giovani la candidatura di An­
tipatro, loro fratellastro, avviando in tal modo un periodo di intrighi che
turberà gli ultimi anni del re. Nel 12 Erode accuserà i figli di Mariamme
davanti all’imperatore, ma questi riuscirà a farli riconciliare almeno tem­
poraneamente con il padre. La riconciliazione non durerà e il dramma fi­
nità con l’esecuzione, nel 7, di Alessandro e di Aristobulo, dopo aver ot­
tenuto il beneplacito di Augusto e la condanna da parte di un tribunale
riunitosi a Berito sotto l’egida dell’imperatore. Erode nominerà allora
Antipatro successore al trono ed Erode, figlio di Mariamme di Gerusa­
lemme, come potenziale erede in caso di morte di Antipatro. Quest’ulti­
mo, tuttavia, non avrà la pazienza necessaria di attendere la morte del
padre e cospirerà con Ferora per usurpare il trono. Alla morte di Ferora
la cospirazione fu scoperta ed Erode incarcerò Antipatro, nominando
successore Antipa, figlio di Maltace la samaritana. Pochi giorni prima
della morte Erode, ricevutane autorizzazione da Augusto, fece giustiziare
ì 44 La Palestina sotto la dominazione romana

Antipatro e modificò nuovamente il testamento. Come successore, col ti­


tolo di re, designò Archelao, figlio maggiore di Maltace; nominò terrarca
della Perca e della Galilea l’altro figlio di Maltace, Antipa, e designò il fi­
glio di Cleopatra di Gerusalemme, Filippo, tetrarca di Batanea, Traco-
nitide, Gaulanitide e Panias {Ant. 17 ,18 8 -19 0 ; Bell. 1,664-669;. Cinque
giorni dopo, nella primavera del 4 a.C., Erode moriva a Gerico vittima dì
una lunga e dolorosa malattia, alla quale neppure i bagni di Calliroe ave­
vano procurato sollievo. Aveva allora circa settantanni. Il suo cadavere
fu solennemente trasportato attraverso il deserto di Giuda e deposto nel-
PHerodium.

III. LA PALESTINA NEL I SECOLO A.C.

Erode è stato spesso presentato come tiranno malvagio e crudele. La tra­


dizione rabbinica lo considera un sovrano brutale, «lo schiavo della casa
degli Asmonei» (bBaba batra 3b). Nella tradizione cristiana la sua imma­
gine è legata alla strage degli innocenti {Mt. 2,16). Ancor più aperta e l’o­
stilità verso Erode mostrata dzlY Assunzione o Testamento di Mosè, opera
apocrifa composta poco dopo la sua morte (Assumptìo Mosis 6,2-7). Ma
se si prescinde da valutazioni etiche non e h dubbio che Erode meritò
l’appellativo di «Grande», con cui e passato alla storia. Durante il suo
lungo regno numerose furono le trasformazioni strutturali e presero Fav-
vio vari processi senza i quali gli sviluppi successivi del 1 secolo d.C. risul­
tano incomprensibili.
Le due istituzioni fondamentali dello stato giudaico, i! sommo sacerdo­
zio e il sinedrio, furono radicalmente trasformate. Il sinedrio erodiano,
presieduto dal re e composto di suoi consiglieri, tra cui figurano cortigia­
ni greci, non si differenzia in nulla dai consigli privati dei monarchi elle­
nisti (probabilmente neppure per la lìngua impiegata nelle deliberazioni,
il greco), ma non ha più niente a che vedere, né per la composizione né
per le funzioni, con il sinedrio dell’epoca asmonea. Suo unico compito è
consigliare il re e accettarne le decisioni. Ugualmente passiva è la funzio­
ne delle assemblee popolari, frequentemente convocate da Erode per far
conoscere le sue decisioni o decantare i suoi successi. Erode aveva ricevu­
to la corona dal senato romano e con 1 propri sudditi si comportò come
un despota assoluto.
Ancor più rilevanti furono le modifiche introdotte nel sommo sacerdo­
zio, fino ad allora vitalizio, ereditario e rappresentativo della nazione.
Erode, che non poteva esercitare personalmente questa funzione non es­
sendo di discendenza sacerdotale, neppure poteva lasciare tale ufficio nel­
le mani dei legittimi discendenti asmonei senza mettere a repentaglio la
propria posizione. Risolse il problema sopprimendo d carattere vitalizio
La Palestina nel i secolo a„C. 245

ed ereditario della funzione e privando il suo titolare di ogni influenza


nella sfera politica. Per non correre rischi, Erode preferì per questo com­
pito rappresentanti del giudaismo della diaspora babilonese (Anania) o
egiziana (Gesù figlio di Fiabi, Simone figlio di Boeto e Joazar figlio di
Boeto). Nulla evidenzia meglio la posizione di Erode nei confronti del
sommo sacerdozio che il comportamento tenuto con Simone di Boeto: lo
nominò sommo sacerdote, per risollevare la propria posizione e potersi
onorabilmente sposare con sua figlia Mariamme {Ant. 15 ,3 2 0 -3 12 ), e lo
depose e sostituì con Mattia, figlio di Teofilo, al momento del divorzio da
Mariamme [Ant, 17,78). Benché Erode non avvicendasse sommi sacerdo­
ti con la frequenza che sarà caratteristica del periodo dei procuratori ro­
mani, la decadenza della funzione è già chiaramente percepibile nel corso
del suo regno.
Peculiare è anche lo sviluppo delle relazioni con il potere politico dei
grandi partiti o sette, sadducei, farisei ed esseni. Se sotto i re asmonei i
sadducei e i farisei avevano dominato in gran parte Papparato politico
dello stato attraverso il sinedrio, durante il regno di Erode entrambe le
sette perdono qualsiasi influenza sulla scena politica. Dopo la conquista
di Gerusalemme nel 37 Paristocrazia sadducea, legata alla causa asmo-
nea, dovette cedere il passo a un nuovo gruppo di sostenitori di Erode
provenienti soprattutto dalPTdumea, dalla Samaria e dalla Galilea, oltre
che a funzionari «greci». Le relazioni di Erode con i farisei furono più
sfumate; nel territorio di Giuda il re rispettò molti dei loro punti di vista e
trattò addirittura con liberalità alcuni farisei più autorevoli —come Pol-
lione o Samaias, che durante Passedio di Gerusalemme si erano schierati a
favore di Erode —, tenendoli nel contempo lontani dall’esercizio effettivo
del potere. Secondo Giuseppe {Ant 15,3.36 8-370 e 17,42), Erode perdo­
nò, in considerazione di Pollione e Samaias, quei farisei che si erano rifiu­
tati di prestare giuramento di lealtà al re, e in altra occasione condannò
600 farisei a una semplice multa per non aver voluto prestare giuramento
di fedeltà a Cesare. Ma quando alcuni di essi cercarono di immischiarsi
negli affari di corte per cospirare, approfittando della loro influenza sulla
moglie di Ferora, Erode non esitò a giustiziarli {Ant. 17,43-46). L ’ unico
partito onorato e trattato con rispetto da Erode fu quello degli esseni
(Ant. 15 ,3 7 1-3 7 9 ), isolati e ai margini della scena politica.
Altro singolare aspetto della situazione del paese durante il regno di
Erode è l’appoggio offerto alla diaspora giudaica. Il re intervenne attiva­
mente e ripetutamente in favore delle comunità giudaiche della diaspora,
adoperandosi con tutta la propria influenza su Augusto e su Agrippa per
proteggerne i diritti (Ant. 16,27-65 e 160-178) e sollecitando il rientro in
Palestina dei giudei della diaspora. Un buon esempio è fornito dall’inse­
diamento in Batanea di Zamaris e i suoi uomini, giudei babilonesi, a se-
La Palestina sotto la dominazione romana

guito di un invito di Erode, che desiderava salvaguardare la regione dagli


attacchi provenienti dalla Traconitide. Erode non solo concesse loro terre
per insediarsi, ma li dichiarò liberi da imposte. Gli emigranti fondarono
Ratira e funsero da scudo protettivo della regione e dei pellegrini babilo­
nesi che accorrevano al tempio di Gerusalemme (Ant. 17 ,2 3 -3 1). I loro
discendenti saranno i famosi 3 snè Batira della letteratura rabbinica. La
fortuna di famiglie come quella di Boeto di Alessandria o l'ascesa di Hil-
lel da povero immigrato babilonese a maggiore influente tra i dottori del­
ia legge rappresentano un esempio ulteriore di questo orientamento del
regno di Erode. Senza dubbio egli agì in questa direzione mosso dal desi­
derio di appoggiarsi a elementi privi di profonde radici nel paese e senza
relazioni con la dinastia asmonea, e quindi più inclini a condividere la lo­
ro sorte con quella di Erode. Questa politica darà risultati duraturi, come
dimostra la composizione dell’oligarchia sacerdotale alla fine del periodo
delle guerre contro Roma.
Nella sfera religiosa il comportamento di Erode fu affatto diverso da
quello degli Àsmonei. Nel paese rispettò i costumi e le tradizioni giudai­
che. Le monete del suo regno non presentano effigie umane. Quando il
popolo si sollevò, pensando che i trofei introdotti nel teatro fossero effi­
gie umane, Erode non esitò a spogliarli dagli ornamenti per mostrare che
si trattava semplicemente di pah {Ant. 15,278-279). Dal nabateo Silleo,
intenzionato a sposarsi con sua sorella Salome, pretese che «fosse iniziato
ai costumi dei giudei», e a motivo del rifiuto di Sileo il matrimonio non
ebbe luogo {Ant. 16,220-225). In particolare, si mostrò estremamente
scrupoloso neU’osservare durante la costruzione del tempio tutte le sotti­
gliezze normative, giungendo ad addestrare un migliaio di sacerdoti come
carpentieri, muratori ecc., affinché potessero attendere essi stessi alla co­
struzione del santuario. Flavio Giuseppe precisa che Erode non entrò nel
santuario né nel cortile dei sacerdoti, limitandosi a dirigere la costruzione
dei portici e dei cortili esterni {Ant. 15,390-425).
L ’unica controversia religiosa attestata da Flavio Giuseppe, oltre al
giuramento di fedeltà dal quale vennero esclusi farisei ed esseni, è quella
causata verso la fine della vita del re da un'aquila d’oro collocata sopra
una delle porte d’ingresso agli atri del tempio. Giuda e Mattia, due «in­
terpreti della legge», istigarono i propri discepoli a demolirla e pagarono
con la vita questo tentativo {Ant. 1 7 ,1 5 1 - 1 6 5 ; B ell 1,648-655). Malgra­
do il suo deciso filocllenismo, che lo portò a richiamare a Gerusalemme
con premi e concorsi un buon numero di artisti greci, Erode non si sforzò
affatto di ellenizzare i sudditi giudei o di trasformarne la religione. D’al­
tra parte nelle città non giudaiche del suo regno si comportò come un au­
tentico sovrano ellenistico, favorendo la cultura e la religione pagana, co­
struendo templi e promuovendo le competizioni atletiche e gli spettacoli
La Palestina nel i secolo a.C, 247

dì ogni tipo. A differenza degli Asmonei, non si adoperò per «giudaizza-


re» i non giudei dei regno, delle città ellenistiche o dei nuovi territori ot­
tenuti da Augusto; neiramministrazione del paese favorì e dette preferen­
za a questi soggetti ellenizzati. Nicola di Damasco, nella sua autobiogra­
fia, calcola in più di 10000 gli «elleni» che al momento della morte di
Erode svolgevano una qualche funzione alla sua corte. Questa compre­
senza di differenti etnie e religioni alPinternu del paese caratterizzerà in
ugual modo il periodo successivo.
Durante il regno di Erode la situazione economica del paese conobbe
un sensibile miglioramento. Il lungo periodo di pace seguito alla fotta de­
vastatrice tra Antigono ed Erode consenti lo sviluppo delPagricoltura e
del commercio. Questo progresso fu senza dubbio facilitato dalle condi­
zioni favorevoli al commercio nell’area mediterranea, conseguenti alla
proclamazione del principato di Ottaviano e alla «pace augustea». Ma
l’opera personale di Erode fu ancor più determinante. Egli risvegliò l’a­
gricoltura mediante Pinsediamento di coloni nella valle del Giordano e
nelle nuove regioni incorporate nel suo regno. Con la fondazione di Ce­
sarea e del grande porto marittimo dette nuovo stimolo al commercio.
L'articolato programma edilizio messo in atto e le migliorie apportate al­
le vie di comunicazione funsero da vigoroso fattore di sviluppo economi­
co. E in realtà gli scavi della Gerusalemme erodiana hanno mostrato Paltò
grado di prosperità raggiunto dalla città in quest’epoca, benché tale opu­
lenza rifletta soprattutto la condizione delle classi piu agiate e della nuova
aristocrazia economica sviluppatasi durante il regno di Erode, Giuseppe
racconta come accadde che, a seguito di una tremenda siccità, la situazio­
ne nel paese si fosse fatta disperata. Per rimediare alla catastrofe e com­
battere la fame dei suoi sudditi, Erode si vide costretto a trasformare in
moneta tutti gli oggetti d oro e d’argento del suo palazzo. Solo così potè
importare grano dall’Egitto e salvare la situazione [Ani. 15,299-3 r6).
Le ricchezze personali del re erano enormi, come si desume dal testa­
mento {Ani. 17 ,18 8 -19 0 ; Bell. 1,646). Provenivano dai possedimenti idu-
mei ereditati dal padre, dalle proprietà reali degli Asmonei, passate nelle
sue mani, dai beni confiscati ad altri nobili e dagli investimenti commer­
ciali, come quelli nelle miniere di rame di Cipro. Queste ricchezze, tut­
tavia, sarebbero state insufficienti a mantenere la fastosa corte del re, le
prodighe elargizioni e l’enorme programma edilizio, se un efficiente siste­
ma fiscale non avesse consentito a Erode di valersi per questi scopi delle
ricchezze dei sudditi. Il sistema tributario dell’epoca asmonea fu applicato
da Erode con nuovo tigore: egli introdusse il sistema di raccolta delle tas­
se affidato a pubblicani, come è noto dal Nuovo Testamento, Sappiamo
inoltre che, in aggiunta al testatico e alle tasse sulle proprietà, Erode im­
pose gravami sulle attività commerciali [Ant. 17,295). E da pensare che la
La Palestina sotto la dominazione romana

riscossione almeno parziale di questi tributi avvenisse per mezzo di una


nuova aristocrazia economica, come accadrà aL tempo di Agrippa (Bell.
2,407). Ma la pressione fiscale era eccessiva per la maggior parte delle
classi sociali, com’è testimoniato dal fatto che Erode, in varie occasioni,
si vide obbligato a ridurre le imposre per placare il malcontento popolare
(Ani. 15,365) oppure come gesto di benevolenza (Ant. 16,64). Dopo la
sua morte, una delle prime richieste dei sudditi ad Archelao e appunto la
riduzione delle imposte (Ant. 17,204-205). Allorquando una delegazione
di ambasciatori giudei si presentò ad Augusto per richiedere l’annessione
alla provincia di Siria e venire così liberati dalla dinastia erodiana, essa
addusse tra altre ragioni l’eccessiva pressione fiscale sofferta (Ant. 17 ,
304-3I4)- ............................... ...
Questa vessazione tributaria origino notevoli tensioni sociali che esplo­
deranno dopo la morte di Erode. Se durante il suo regno i tentativi di ri­
bellione non furono che sporadici e senza successo [Ant. 15 ,2 8 1-2 9 1;
16 ,2 7 1-2 8 1), ciò è imputabile alla presenza del forte esercito erodiano,
formato per la maggior parte da mercenari stranieri, e soprattutto alPim-
placabile apparato di polizia e alla rete di spie con cui Erode controllava
i sudditi (Ant. 15,366-368; 16,235-240).
Detto in breve, le trasformazioni sociali, economiche e religiose operate
nel paese durante il lungo regno di Erode furono profonde e durature. Il
sinedrio e il sommo sacerdozio non riacquisteranno mai le funzioni svolte
nell'epoca asmonea. L ’influenza della diaspora crescerà sempre più e I el-
lenizzazione del paese si farà sempre più profonda. Le tensioni sociali
esploderanno violentemente dopo la morte di Erode e il processo avviato
con la conquista di Gerusalemme da parte di Pompeo terminerà con la
completa integrazione del paese nell’ambito del sistema provinciale ro­
mano. Erode, con la sua lucida visione delle realtà politiche, la sua man­
canza di scrupoli e la sua decisa azione come leale vassallo di Roma pro­
curò al paese un lungo periodo di stabilità e di pace, riuscendo, per quan­
to fosse ancora possibile, a conservare un brandello d’identità nazionale.
In questo contesto e alla fine del regno di Erode, in una data difficile da
precisare, nacque Gesù di Nazaret,

IV. PROBLEMI APERTI

Nonostante la copiosa informazione trasmessa da Flavio Giuseppe e l’eccellente


qualità delle fonti impiegate dallo storico per questo periodo, molti particolari ri­
mangono oggetto di discussione.
Flavio Giuseppe ha conservato copia di un buon numero di documenti romani
che chiariscono i rapporti fra Roma e i giudei (Ant. 1 4 ,1 9 0 - 2 6 4 ; 3 0 6 -3 2 3 ; 1 6 ,1 6 0 ­
1 7 2 ) . Questo materiale documentario è di valore assai pregevole, in special modo
Problemi aperti 249

i nove documenti relativi alle disposizioni di Giulio Cesare tra il 48 e il 4 4 e, so­


prattutto, la lettera ai sidoni che riporta le disposizioni relative alla nomina e alle
funzioni di Ircano ir. Sfortunatamente le testimonianze sono incomplete e sparse
qua e là, e non sempre è possibile assegnare i singoli elementi dispersi ai docu­
menti cui originariamente appartengono. N e deriva che per molti problemi non
si può giungere a conclusioni sicure.
Per Pepoca di Erode, Flavio Giuseppe ricorre fondamentalmente all’opera di
Nicola di Damasco. Quantunque in Ant - 1 5 , 1 7 4 menzioni le «memorie» di E ro ­
de, non è affatto sicuro che Flavio Giuseppe conoscesse personalmente gli scritti
del re oggi perduti. Oltre a N icola di Damasco Flavio Giuseppe utilizza un’altra
fonte chiaramente ostile a Erode, che l’ induce talora a raccogliere dati contrad­
dittori. Secondo Bell. 1 ,4 0 1 , ad esempio, Erode avrebbe cominciato la ricostru­
zione del tempio nell’anno 1 5 del suo regno, ossia nel 2 3 / 2 2 a.C .; secondo Ant.
1 5 ,3 8 0 , invece, i lavori iniziano nell’anno 1 8 del suo regno, cioè nel 2 0 / 1 9 . Che
quest’ultima sia la data esatta, e la seconda un errore, trova conferma nel fatto
che, in altra occasione, Flavio Giuseppe colloca gli inizi nello stesso periodo del
viaggio di Augusto in Oriente (Ant. 1 5 ,3 5 4 ) ; Dione conferma come data di que­
sta visita proprio Panno 20 a.C. Se la tradizione conservata in Gv. 2 ,2 0 è corret­
ta, la durata dei lavori sarebbe stata di 46 anni e si sarebbero conclusi verso il
2 6 / 2 7 d.C. M a Flavio Giuseppe, per il quale la durata della costruzione del san­
tuario fu di un anno e mezzo e quella dei portici di otto anni (Ant. 1 5 ,4 2 0 - 4 2 1 ) ,
fissa il suo termine nel tempo del procuratore Albino (Ant. 2 0 ,2 19 ).
Uno dei problemi di questo periodo, che sfugge a ogni possibilità di soluzione
rigorosa, è la data esatta della nascita di Gesù di Nazaret. Secondo Mt. 2 ,1 Gesù
nacque durante il regno di Erode; lo stesso evangelista precisa che questo Erode è
Erode il Grande, giacché colloca il ritorno dalPEgitto durante il regno del figlio
Erode Archelao. La narrazione di Luca conferma questo fatto, fissando la nascita
di Giovanni Battista durante il regno dello stesso Erode (Le. 1,5 ) e la nascita di
Gesù sei mesi dopo (Le. 1,2 6 ) (sul problema del rapporto tra la datazione della
nascita di Gesù e il censimento di Qujrinio indicato da Le. 2 ,1 - 7 rimandiamo al
capitolo seguente). D i certo Gesù non potè nascere nelPanno primo dell’era cri­
stiana, nonostante quest’era pretenda di contare il tempo a partire dalla sua na­
scita, poiché, come abbiamo segnalato, Erode il Grande morì nel 4 a.C . Di fatto
Dionigi il Piccolo, monaco scita morto nel 5 5 6 d.C., il quale verso il 5 2 5 intro­
dusse il nuovo computo del tempo equiparando Panno 7 5 4 dalla fondazione di
Rom a con l’anno primo d.C., commise un errore di almeno quattro anni, poiché
Erode morì nell’anno 7 5 0 dalla fondazione di Rom a, 3 7 anni dòpo essere stato
nominato re dal senato (nel 7 1 4 ) e 34 anni dopo la presa di Gerusalemme (nel
7 1 7 ; Ant. 1 7 , 1 9 1 ; Bell. 1,6 6 5 ). La ragione di questo errore non è sicura; forse è
imputabile alla tradizione, attestata in Clemente di Alessandria, secondo la quale
Augusto regnò 4 3 anni. Fondandosi su Le. 3 ,1 e 2 3 , dove si afferma che all’ inizio
del suo ministero Gesù aveva almeno trentanni, nell’anno 1 5 dell’imperatore T i­
berio, Dionigi dedusse che Gesù era vissuto 1 5 anni sotto l’imperatore Augusto e
collocò la sua nascita nelPanno 28 dell’imperatore, cioè nel 7 5 4 dalla fondazione
di Rom a, quattro anni dopo la morte di Erode. Si può quindi affermare con cer­
tezza che Gesù non nacque nelPanno 1 dell’era cristiana, ma prima del 4 a.C ., ne-
250 La Palestina sotto la dominazione romana

gli ultimi anni del regno di Erode. Resta però impossibile stabilire la data esatta.
Un altro problema senza reale soluzione concerne la precisa identità degli «ero­
derli», che nel N .T . con i farisei interpellano Gesù in un paio di occasioni (Me.
3,6 ; 1 2 , 1 3 ; Mf. 2 z , r 6). Alcuni Padn della chiesa vedono in questo gruppo gli
esponenti di un’eresia messianica da cui Erode il Grande sarebbe stato considera­
to come il messia atteso o, data la sua origine idumea incompatibile con l'idea
messianica, come il sdoh (Gen. 4 9 ,10 ) che porrà fine alla regalità giudaica. Gero­
lamo, che ricorda questa interpretazione, offre due soluzioni: in una «erodiani»
sarebbe Tepiteto coniato dagli oppositori alla corresponsione del tributo a Roma
per i fautori del pagamento (è l’interpretazione di Origene); nell’altra (preferita
da Gerolamo) gli «erodiani» sono identificati con i soldati di Erode Agnppa. A
partire da E. Bickerman (Studies m , 2 2 -3 3 ) «erodiani» è comunemente interpre­
tato come designazione collettiva dei domestici di A gnppa, o anche come allusio­
ne ai sostenitori del tctrarca. Dopo le scoperte di Qumran non sono mancati stu­
diosi che identificano gli «erodiani» con gli esseni, non menzionati nel N . I\, che
godettero la stima di Erode (da ultimo Y. Yadin nella sua edizione del Rotolo del
Tempio). A mio parere il riferimento del nome a Erode il Grande («sostenitori di
Erode il Grande») è preferibile alla relazione con Erode Antipa, né credo si pos­
sa escludere dalla designazione un riferimento messianico, intendendo tale «mes­
sianismo» come un «messianismo alla romana», secondo Pinterpretazione di A.
Schalit (K oenig H erodes , 4 7 6 -4 8 2 ), a giudizio de! quale la soteria che Erode arre­
ca ai suoi sudditi è parte e partecipazione della «salvezza» che Augusto apportò
all’impero romano. .

V. BIBLIOGRAFIA

La storia giudaica del periodo è comprensibile soltanto alla luce della coeva storia
romana. Una miniera d ’informazioni si trova riunita nei monumentali volumi
pubblicati sotto la direzione di H. Temporini e W . Haase, Aufstieg und N ìeder-
gang der rómiseben Welt. Segnaliamo, soprattutto, i lavori di S. Applebaum, LL
Bietenhard, B. Lìfshitz, D. Sperber e R.D. Sullivan nel volume vin della parte n
(Berlin - N ew York 19 7 7 ) .
Sulle relazioni dei giudei con il potete romano: A. Momigliano, Ricerche sul­
l’organizzazione della G iudèa sotto il dom inio romano (6} a.C. - 70 d . C.), arti­
coli pubblicati negli Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa e nuovamente
editi in un unico volume ad Amsterdam (19 6 7 ); E .M . Smallwood, The Je w s un­
der Rom an Rule, Leiden 1 9 7 6 , * 1 9 8 1 , attualmente l’ opera più completa, chiara e
ben informata.
Per Erode il Grande è fondamentale A. Schalit, Koenig H erodes , Berlin 19 6 9 ,
traduzione notevolmente ampliata dall’originale ebraico. Più facilmente accessi­
bile ed egualmente ben documentato è il contributo di M. Stern, H erod and thè
H erodian D ynasty , in Com pendia Rerum ludaìcarum ad N ovum Testameli tumy
1/1. The Jeurish People in thè First Century* Assen-Philadelphia 1 9 7 4 , 2 1 6 -3 0 7 .
Ter la Palestina del 1 secolo rimane classica e sempre di utilità l'opera di J. Jere-
mias, Gerusalem m e al tempo di Gesù. Ricerche di storia economica, e sociale per
il perìodo neotestamentario, Roma 19 8 9 (ed. or. Gòttingen C923. 1 93 7 ) .
Capitolo x

Da Erode il Grande
alla guerra contro Roma
(4 a.C. - 66 d.C.)

I. LA SUCCESSIONE DI ERODE

L ’autonomia del paese, tutelata da Erode il Grande, dipendeva troppo


dalle sue qualità personali per potersi perpetuare dopo la sua scomparsa.
Subito dopo la sua morte, Archelao, prima ancora di ricevere dall'impe­
ratore la conferma del testamento di Erode, che lo designava suo succes­
sore in Giuda, si trovò ad affrontare una rivolta popolare che esigeva
vendetta per la morte dei due «interpreti della legge», Mattia e Giuda, e
la soffocò in un bagno di sangue [Ani. 17 ,10 6 -2 18 ; B eli 2 ,1-13 ).
Mentre i diversi pretendenti si trovavano a Roma in attesa della deci­
sione di Augusto, si presentarono problemi ancor piu gravi; Varo, gover­
natore di Siria, dovette accorrere a ristabilire l’ordine, ma la pacificazione
fu momentanea. Ritiratosi dalla regione, scoppiò una nuova rivolta che
mise in pencolo perfino La vita di Sabino, il procuratore inviato da Cesa­
re, e la legione lasciata da Varo a vigilare sul paese. Benché la ribellione
si diffondesse in tutto il territorio, non è possibile parlare di un’unica sol­
levazione organizzata, ma di diversi focolai di resistenza isolati, ì cui uni­
ci elementi comuni si fondavano sul carattere popolare, sul sentimento
antiromano e sulle pretese regali - e in certo qual modo messianiche —
dei leaders. A Gerusalemme i pellegrini riuniti in occasione della festa di
Pentecoste, con l’appoggio di un buon numero di soldati di Erode, riusci­
rono a impossessarsi della città e ad assediare Sabino e l’esercito romano.
In ldumea si sollevarono circa 2000 soldati di Erode. \n Galilea, Giuda,
un figlio di Ezechia fatto prigioniero da Erode, s’impadrom del palazzo
reale di Sepphoris e armò una squadra di soldati con cui prese il controllo
della regione. In Perca uno schiavo di Erode, un certo Simone, si procla­
mò re e con la sua banda saccheggiò le proprietà reali. In Giudea Artoge-
ne, un pastore, si proclamò re e, appoggiato dai quattro fratelli e dalle
bande da loro capeggiate, devastò la regione tenendo in scacco i romani.
Di fronte a questa situazione di rivolta generalizzata, in cui ciascun
gruppo cercava di trarre il maggior profitto dal vuoto di potere determi­
nato dalla morte di Erode, Varo fu di nuovo costretto a intervenire. Con
le due legioni che ancora gli rimanevano e le truppe inviate dal re nabateo
Areta sottomise prontamente il paese, incendiò Sepphoris, liberò Gerusa-
2. ^ 2. Da Erode il Grande alta guerra corteo Roma

lemme e ripulì il territorio dalle bande di ribelli, crocifiggendone 2000. Il


ricordo di questa «guerra di Varo» rimarrà impresso nella tradizione giu­
daica come uno degli episodi più importanti avvenuti tra la presa di Ge­
rusalemme da parte di Pompeo e la distruzione di Vespasiano (Ant. 17 ,
250-298; B e li 2,39-79; Ap. 1,34).
Nel frattempo Augusto, al cui cospetto si erano presentati i discendenti
di Erode, per difendere ognuno i propri diritti ereditari, insieme a una de­
legazione del popolo, che chiedeva F annessione alla provincia di Siria, e
anche un falso Alessandro (probabilmente sfuggito alla morte ma subito
smascherato e messo in prigione), decise infine di confermare nelle linee
essenziali il testamento di Erode. Archelao, il figlio maggiore di Maitace,
ricevette Giuda, Samaria e Idumea non con i] titolo di re, ma di etnarca;
il fratello Antipa ottenne la Galilea e la Perca (senza le città della Deca-
poli) con il titolo di tetrarca; a Filippo, figlio di Cleopatra di Gerusalem­
me e in qualità di tetrarca, toccarono la Batanca, la Traconitide, la Au­
ranitide, la Gaulanitide e, forse, anche FIturea (così Le. 3 ,1; cfr. Ant.
17 ,3 17 -3 2 0 ; B eli 2,93-97). In tal modo il regno di Erode venne suddiviso
in tre territori, ognuno dei quali avrà una sua vicenda autonoma per un
certo periodo.
Filippo (4 a.C. - 33/34 d.C.) godette l’eredità in pace e serenità. Il suo
territorio, annesso al regno giudaico da poco tempo, era popolato da una
maggioranza non giudaica, greca e siriaca; Filippo si comportò sotto
ogni aspetto come un sovrano ellenista. Sulle monete impresse la propria
immagine e quella dell’imperatore. Ricostruì Panias, ribattezzandola Ce­
sarea dì Filippo, e Betsaida che chiamò Iulias. Alla sua morte il territorio
venne annesso alla provincia romana di Siria, ma poco dopo, nel 37, pas­
sò di nuovo a un principe erodiano, Erode Agrippa (Ant, 18,27-28.237;
Bell 2 ,16 7 -16 8 .18 1).
Erode Antipa (4 a.C. - 39 d.C.), l’Erode del N .T., da Gesù chiamato
«la volpe» (Le, 13,32 ), si rivelò perfetta copia (111 tono minore) del pa­
dre. Come lui fu un grande costruttore, cui dobbiamo la ricostruzione di
Sefforis e di Betharamphtha e, soprattutto, la fondazione di Tiberiade,
capitale della sua tetrarchia; alla pari del padre estese il proprio mecena­
tismo alle città greche, come si evince da alcune iscrizioni di Cos e Deio;
come lui si mostrò fedele alleato dei romani, partecipando a un trattato
di pace tra Viteiho e i parti; come lui mantenne un certo equilibrio tra il
rispetto delle tradizioni giudaiche (pellegrinaggi a Gerusalemme, assenza
di effigie sulle monete) e una condotta da tipico sovrano ellenista (imma­
gini nel suo palazzo, costruzione di Fiberiade sopra una necropoli). Gli
ultimi anni del suo governo sono dominati dai problemi scaturiti dal ma­
trimonio con Erodiade, figlia di Arìstobulo, il figlio di Erode giustiziato
nel 7 a.C., e sposa del suo fratellastro Erode, figlio di Mariamme di Ge-
La successione dì Erode 253

rusalemme. Per contrarre questo matrimonio, Antipa dovette divorziare


dalla prima moglie, figlia del re nabateo Areta. Questa decise di fuggire e
rifugiarsi nel territorio del padre, che dichiarò guerra ad Antipa e gli in­
flisse una dura sconfitta nel 36 d.C.
Per il N.T. (Mt. 14 ,3; Me. 6 ,17 ; Le. 3,19) il matrimonio con Erodiade
costituirà il motivo dello scontro con Giovanni Battista, benché secondo
Flavio Giuseppe {Ant. 1 8 ,1 1 7 - 1 1 9 ) , Antipa temesse soprattutto Pascen-
dente politico di Giovanni sulle masse: «Erode avvertiva l’influsso di
Giovanni sul popolo e temeva che ciò portasse a una ribellione. Decise
quindi di attaccare per primo e liberarsi di Giovanni prima che le sue pa­
role conducessero a un’insurrezione e lo coinvolgessero così in una diffi­
cile situazione». Le due motivazioni sono complementari ed è possibile
che la ragione politica soprattutto agisse in Antipa, mentre le censure
morali facessero maggior breccia in Erodiade, come lascia supporre il suo
intervento diretto nella decisione finale (Mt. 14 ,6 - 11; Me. 6,21-28). Nello
stesso periodo in cui Giovanni operava in Perea, Gesù di Nazaret percor­
reva la Galilea predicando. Le caratteristiche del suo movimento e le ana­
logie con quello del Battista non dovettero lasciare indifferente Erode
Antipa. Mt. 14 ,1-2 e Me. 6 ,14 -16 affermano che, all’inizio, il tetrarca
considerò Gesù reincarnazione del Battista, un Giovanni risuscitato, e
Le. 9,7-9 presenta un Erode perplesso di fronte alle somiglianze fra i due
personaggi. Questo può spiegare il differente atteggiamento assunto dal
sovrano nei confronti di ciascuno dei due. Lo stesso Luca, però, precisa
che alla fine Erode tenterà di eliminare anche Gesù {Le. 13 ,3 1- 3 2 ), pro­
posito fallito grazie alla partenza di questi per Gerusalemme. Qui, final­
mente, i due s’incontrano quando Pilato invia Gesù da Erode, affinché in
qualità di signore della Galilea emetta la sentenza contro di lui (Le. 23,6­
12). I vangeli attribuiscono al fatto la riconciliazione tra Pilato ed Erode,
ostili per motivi a noi sconosciuti, benché il secondo non si sia lasciato
coinvolgere nella manovra del primo.
L ’influenza di Erodiade su Antipa sarà causa della rovina di questo. In­
vidiosa di Agrippa, che dopo la morte di Filippo ne aveva ricevuto da Ca­
ligola i possedimenti con il titolo di re, spingerà il marito a reclamare dal­
l’imperatore lo stesso titolo. Ne sortirà la perdita della tetrarchia, asse­
gnata ad Àgrippa, e l’esilio di Antipa nel 39 a Lione (secondo Ant. 18,
252) o in Spagna (secondo Bell. 2,139).
Archelao (4 a.C. - 6 d.C.) assumerà, come il fratellastro Antipa, il no­
me dinastico di Erode. Augusto, nominandolo etnarca di Giuda e di Sa­
maria, gli promise il titolo di re, qualora se ne fosse mostrato degno. Ma
il suo breve regno, definito da Flavio Giuseppe «brutale e tirannico»
{Ant. 17,34 2), non generò che terrore fra i sudditi (cfr. Mt. 2,22). Varo
aveva soffocato nel sangue la fiamma della rivolta scoppiata alla morte
2,54 Da Erode SI Grande alla guerra conrro Roma

di Erode; Archelao dovette spegnere i focolai e lo fece con la stessa deter­


minazione di suo padre Erode, ma senza lo stesso intuito politico, a giu­
dicare dall’eccidio che segnò gli inizi del suo incarico. Augusto, alla fine,
ascoltò le lagnanze di una delegazione congiunta di giudei e samaritani e
lo esiliò a Vienne, nella Gallia Narbonese, nel 6 d.C. (Ant. 17 ,3 4 1-3 4 4 ;
Bell. z , t t i ). Flavio Giuseppe fornisce poche informazioni sul regno di
Archelao (ricostruzione di Gerico e Archclaide; nomine arbitrarie di som­
mi sacerdoti; lo scandaloso matrimonio con Glafira; i sogni premonito­
ri di Glafira e delio stesso Archelao; cfr. Ant. 1 7 , 3 3 9 - 3 5 3 ; Bell. z , i i i -
116 ). La sua deposizione significò per il paese un mutamento fondamen­
tale: per la prima volta esso passò sotto il governo diretto dell’ ammini­
strazione romana.

II. IL PRIMO PERIODO DELL AMMINISTRAZIONE ROMANA

I territori di Archelao, cioè Samaria, Giuda e Idumea, passarono a far


parte di una nuova provincia romana: la Giudea., una provincia di terza
classe, secondo la classificazione di Strabene, giacche ti funzionario pre­
postovi era di rango equestre e rispondeva del suo operato non al senato,
ma direttamente alPimperatore. Il governatore posto a capo di questo ti­
po di provìnce, nelle quali (eccezion fatta per PEgitto) non erano stanzia­
te legioni romane ma solo truppe ausiliarie, aveva il titolo di praefectus o
di procurator. I suoi poteri comprendevano la sfera giudiziaria, militare e
fiscale, e in questi ambiti il governatore disponeva della suprema autorità
nella provincia, Flavio Giuseppe, parlando esplicitamente della trasfor­
mazione di Giuda in provincia romana indipendente (Bell. z ,ii7 ) , alla
pari di Tacito lascia intendere in alcuni passi {Ant. 17 ,3 5 5 ; i8,z) che il
territorio venne annesso alla provincia siriaca, di rango senatoriale e go­
vernata da un legatus prò praetore. Di fatto conosciamo vari casi d’inter­
vento del governatore di Siria negli affari interni della Giudea: nella no­
mina dei procuratori Viteilio, Petronio e Quadrato, per esempio. Perciò,
pur rispettando l’autonomia della provincia di Giudea, possiamo affer­
mare che il legato imperiale di Siria aveva il diritto d’intervenire in casi
eccezionali, grazie agli speciali poteri ricevuti dall’imperatore, come ga­
rante della pace ai confini dell’impeto.
Nella sfera giudiziaria il governatore poteva esser giudice in tutte le
cause civili e criminali relative a giudei, a non giudei e a cittadini romani
residenti nella provincia. Concretamente l amministrazione della giustizia
nei confronti dei giudei venne probabilmente affidata a tribunali giudaici
dipendenti dal sinedrio; ciò fa presumere un’autonomia politica e religio­
sa superiore a quella delle altre province dell’impero. Il governatore eser­
citava solamente lo ius giada, il diritto cioè di emettere sentenze capita-
Il primo periodo dell’amministrazione romana 2,55

li. Flavio Giuseppe afferma (B eli 2,187) che Coponio ricevette tale dirit­
to da Augusto e le fonti ne attestano l’esercizio da parte di Pilato (Ge­
sù), Cuspio Fado (Teuda), Tiberio Alessandro (Simone e Giacomo) e dei
governatori del periodo immediatamente precedente la guerra contro
Roma.
Nella sfera militare il governatore della provincia era il comandante
supremo delle forze stanziate come guarnigione nelle diverse città. Esse
erano composte da unità ausiliarie reclutate tra la popolazione non giu­
daica della provincia, poiché i giudei ne erano esentati fin dall’epoca di
Cesare (.Ant. 14,204), e comprendevano i «sebasteni» provenienti dall’e­
sercito di Erode. Il grosso di queste forze era insediato a Cesarea, capita­
le della provincia. Una coorte assicurava l’ordine a Gerusalemme e altre
truppe occupavano le principali roccaforti del paese. Oltre alle truppe
ausiliarie il governatore poteva mobilitare e armare, in caso di necessità,
la popolazione civile, come accadrà nel secondo periodo dell’amministra­
zione romana.
Nella sfera fiscale il governatore era il responsabile della riscossione
delle imposte e dei tributi e, più in generale, dell’amministrazione delle fi­
nanze; a tale funzione si riferiva in origine il titolo di procurator. Il siste­
ma tributario romano esigeva il censimento degli abitanti della provincia
per poter imporre il testatico (tributum capitis) e la tassa sui prodotti
agricoli (tributum soli). Importanti erano anche i diritti doganali, riscos­
si generalmente da appaltatori, i pubblicani del Nuovo Testamento {Me.
2 ,14 ; 9,9; Le. 5,27; 19 ,1-2). Il governatore era inoltre il responsabile
principale dell’amministrazione degli antichi domini reali; alcuni di que­
sti possedimenti erano stati lasciati in eredità all’ imperato re dal testa­
mento di Erode, altri dalla sorella Salome e con la deposizione di Arche­
lao molte altre proprietà passarono al tesoro romano. I governatori go­
devano del diritto di coniare monete. Monete di bronzo dì molti di loro
si sono conservate fino a oggi; coniate a Cesarea, queste monete rivelano
la preoccupazione dei romani di non ferire la sensibilità religiosa del po­
polo giudaico. Solo le monete coniate da Pilato riportano simboli pagani
come il simpuium o il lituus.
La creazione della nuova provincia portò all’organizzazione di un cen­
simento generale indetto da Quirinio, il governatore della provincia di Si­
ria, al tempo dell’insediamento di Coponio in qualità di primo governa­
tore della provincia di Giudea {Ant. 18 ,1-3 ; si tratta forse dello stesso
censimento situato da Luca alla fine del regno di Erode; v. sotto, Proble­
mi aperti). Questo primo censimento, che rappresentava la perdita del­
l’indipendenza e la minaccia di pesanti imposte, provocò una vivace rea­
zione popolare. Il provvidenziale intervento del sommo sacerdote Joazar
riuscì a placare gli animi e il censimento potè aver luogo senza incidenti
256 Da Erode il Grande alla guerra contro Roma

pm gravi, ma non senza che per la prima volta apparisse sulla scena poli­
tica una nuova forza di enorme influenza nel secondo periodo di ammini­
strazione romana: il movimento zelota.
Le radici di questo movimento di liberazione nazionale rimontano al
regno di Erode il Grande. Il fondatore, Giuda di Gamala, «Giuda il Gali­
leo», è molto probabilmente lo stesso Giuda insorto in Galilea alla morte
di Erode. Con il pretesto del censimento di Quirinio e appoggiato dal fa­
riseo Sadduq, questi fondò il partito designato da Flavio Giuseppe «la
quarta filosofia» e caratterizzato dallo zelo per la difesa della libertà e
dall’accettazione della sola sovranità divina (Ant. 18 ,4 -10 e 23-24; B eli
2 ,1 1 7 - 1 1 8 ) . In un primo tempo il partito, che s’inserisce nel quadro dei
movimenti messianici e radicali coevi, non riscuoterà grande successo. La
rivolta contro Roma, promossa da Giuda e Sadduq, non avverrà e lo
stesso Giuda morirà, come ricorda Atti 5,37* Il movimento continuerà a
crescere grazie ai suoi discendenti e costituirà un fattore importante nella
guerra contro Roma. I figli di Giuda, Simone e Giacomo, ne continueran­
no la lotta e saranno giustiziati come ribelli durante il mandato di Tiberio
Alessandro {Ant. 20 ,102); il figlio più giovane, Menahem, diverrà in
seguito uno dei principali leaders della rivolta contro Roma (Bell. 2,433­
448) e un altro dei suoi discendenti, Eleazar, guiderà la difesa di Masada.
Sui procuratori di questo primo periodo di amministrazione romana si
sa pochissimo (Ant. 18,2-35). Eccone i nomi: Coponio (6-9 d.C.), Marco
Ambibulo (9-12), Annio Rufo (12 -15 ), Valerio Grato {15-26), Ponzio Pi­
lato (26-36), Marcello (36-37) e Marnilo (37-41).
Per il governo di Coponio, Flavio Giuseppe registra la profanazione
del tempio da parte dei samaritani, che vi sparsero ossa umane; durante
il governo di Ambibulo, la morte di Salome, sorella di Erode; durante il
governo di Valerio Grato, primo procuratore nominato da Tiberio, il fre­
quente avvicendarsi dei sommi sacerdoti: nel corso del suo mandato, in­
fatti, occuparono la carica Anano (l’Anna del N .T., nominato da Quiri­
nio), Ismaele di Fiabi, Eleazaro figlio di Anano, Simone figlio di Camito e
Giuseppe chiamato Caiafas (il Cai fa del N.T.).
Più numerose sono le informazioni relative alla lunga durata del man­
dato di Pilato. Nella Legatio ad Gaium (199-305) il contemporaneo Filo­
ne delinea un tetro ritratto del procuratore. Il N.T. allude a fatti accaduti
nel corso della sua amministrazione: l’eccidio di galilei durante una delle
feste di pellegrinaggio a Gerusalemme (Le. 13 ,1) , Pinsurrezione di ribelli
tra i quali si trovava Barabba (Le. 15,7). In particolare il N.T. fornisce
nutrite informazioni sul suo comportamento nel processo di Gesù, croci­
fisso come caporione ribelle in concomitanza con una festa di pasqua.
Nella narrazione neo testamentaria è già chiaramente percepibile la ten­
denza a minimizzare la responsabilità di Pilato nel processo a Gesù, ten­
Il primo periodo dell’amministrazione romana 257

denza ampiamente sviluppata dalla posteriore letteratura cristiana apo­


crifa riguardante Pilato (cfr. M. Erbetta (ed.), Gii Apocrifi del Nuovo Te­
stamento 1/2, Casale Monf. 19 8 1: Atti di Pilato, Martirio di Pilato, La
morte di Pilato, Sentenza di Pilato), e che nella chiesa copta giungerà a
considerarlo santo e in altri documenti un martire cristiano. Rimane tut­
tavia fuori dubbio la sua responsabilità nell’emissione ed esecuzione della
sentenza di morte contro Gesù ed è, d’altra parte, comprensibile che le
autorità religiose di Gerusalemme scorgessero nel movimento popolare
suscitato dall’attività missionaria di Gesù di Nazaret un pericoloso movi­
mento messianico.
A differenza dei precedenti governatori Pilato mostrò un’accentuata
mancanza di rispetto per la sensibilità religiosa dei suoi sudditi e grande
durezza nella repressione di ogni movimento in conflitto con l’autorità
romana. Egli non fu l’unico procuratore che abbia osato incidere simboli
pagani sulle monete, ma l’ordine d’introdurre in Gerusalemme, nottetem­
po, alcuni vessilli con l’immagine dell’imperatore costituì una fra le sue
prime iniziative in qualità di governatore. La ferma determinazione del
popolo lo costrinse in questa circostanza a ritornare sulla sua decisione e
a riportare i vessilli a Cesarea {Ani. 18,55-59 ; B e li 2,16 9-174). Pilato ri­
petè il gesto con alcuni scudi su cui compariva il nome dell’imperatore,
ma la protesta giudaica indusse l’imperatore stesso a ingiungere al gover­
natore di ritirarli (Filone, Legatio ad Gaium 299-306). In un’altra occa­
sione Pilato decise di utilizzare il tesoro del tempio per finanziare la co­
struzione di un acquedotto per Gerusalemme; quando il popolo si sollevò
di fronte a questo abuso, Pilato diede l’ordine a un gruppo di soldati tra­
vestiti di mescolarsi tra i manifestanti; a un segnale convenuto questi ini­
ziarono a disturbare la manifestazione, lasciando sul terreno un gran nu­
mero di morti e feriti {Ant. 18,60-62; Bell. 2 ,17 5 -17 7 ). Ma il fatto che
meglio consente di comprendere il comportamento di Pilato verso Gesù
di Nazaret è l’atteggiamento assunto nei riguardi di una presunta ribel­
lione samaritana. Un profeta samaritano, di cui non è noto il nome, aveva
raccolto una grande moltitudine ai piedi del monte Garizim promettendo
di mostrare le suppellettili sacre del tempio lì nascoste da Mosè. Si sia
trattato o meno del risveglio della credenza samaritana nella venuta del
Taheb, pare dimostrato il carattere messianico del movimento. La reazio­
ne di Pilato fu repentina: i suoi soldati non soltanto impedirono l’accesso
al monte sacro, ma addirittura sgozzarono molti dei presenti, ne incarce­
rarono altri e dispersero i restanti; Pilato condannò e giustiziò i capi del
movimento. La protesta samaritana costrinse Vitellio, governatore del­
la Siria, a intervenire. Questi ordinò a Pilato di tornare a Roma per esse­
re giudicato e affidò a Marcello l’amministrazione della provincia (Ant.
18,85-89).
258 Da Efode il Grande alla guerra contro Roma

L ’ascesa al trono delPimperatore C aligola nel 37 d.C. determinerà un


momento di grave tensione nella provincia di Giudea e nel giudaismo del­
la diaspora. Il tentativo di Caligola d'imporre con la forza il culto impe­
riale costituirà il problema focale nei rapporti del popolo giudaico con
l’impero romano. Già nel 38 si registrarono gravi disordini antigiudaici
ad Alessandria, dove l’impulso dato al nuovo culto produsse un’autentica
epurazione. Il governatore d’ Egitto, Àvillio Fiacco, permise Piuslallazione
di immagini dell’imperatore nelle sinagoghe, sfrattò i giudei dai loro
quartieri di residenza in Alessandria, tollerò il saccheggio delle loro pro­
prietà, imprigionò il consiglio degli anziani, costrinse a violare i precetti
mosaici ecc. (si veda quanto ne scrìve Filone di Alessandria neli’Jw Flac-
cum e nella Legatio ad Gatum. Caligola aveva nominato Marnilo gover­
natore della provincia di Giudea, ma affidò a Petronio, suo ambasciatore
in Siria, l’attuazione dei suoi ordini, creando un conflitto che avrebbe po­
tuto avere gravi conseguenze e che si risolse soltanto con la morte del­
l’imperatore. Allo scontro aperto si giunse nel 39, quando i giudei di
Jamnia distrussero l’altare dedicato dagli abitanti della città all’imperato­
re. Per tutta risposta, questi impose di erigere nel tempio di Gerusalemme
una sua statua in oro, incaricando Petronio di provvedervi rapidamen­
te. Com’era pensabile, la misura provocò una sollevazione generale e sol­
tanto l’impiego da parte di Petronio dì tutte le possibili tattiche dilatorie
per ritardare l’esecuzione dell’ordine evitò la catastrofe. L’intervento di
Agrippa presso Caligola e la morte di quest’ultimo, nel 4 1 d.C., risolsero
infine il conflitto {Ant. 18,2,61-309; Bell. 2,184-203; Filone, Legatio ad
Gaium).
L ’imperatore Claudio, successore di Caligola, cambiò l’indirizzo della
politica romana nei confronti della provincia di Giudea e la incorporò
nel regno di Agrippa 1. In tal modo l’antico regno di Erode il Grande ven­
ne di nuovo riunito nelle mani di un suo nipote, Giulio Agrippa, indicato
nel N.T. con il nome dinastico di Erode, e potè così recuperare, almeno
parzialmente, l’autonomia di un tempo.

III. IL REGNO DI AGRIPPA 1 (41-44)

Agnppa 1 era figlio di Aristobulo, il secondo figlio di Erode e Manamme,


assassinato nel 7 a.C., e di Berenice, figlia di Salome sorella di Erode; si
presentava quindi come erede della discendenza asmonea e di quella ero-
diana. Ancora fanciullo venne inviato a Roma per esservi educato. Lì
crebbe e intrecciò con la famiglia imperiale i legami di amicizia che faran­
no piu tardi la sua fortuna, acquisendo una propensione al lusso che gli
procurerà enormi debiti e infinite peregrinazioni e avventure per sfuggire
ai creditori. Alla morte di Druso, suo protettore, dovette abbandonare
Il regno di Agrippa i 2,59

Roma. Per qualche tempo godette della protezione di Erode Antipa. Visse
quindi al seguito di Fiacco e infine, ottenuti crediti consistenti ad Ales­
sandria, tornò a Roma (Ant. 18 ,14 3 -16 0 ). Qui, a corte, divenne intimo
amico di Caligola, ma l’imperatore Tiberio lo imprigionò. Caligola, salito
al trono nel 37 d.C., rimise immediatamente in libertà l’amico, gli con­
cesse l’antica tetrarchia di Filippo e gli conferì il titolo di re. Più tardi, nel
39 o 40, l’imperatore gli accordò anche la tetrarchia di Erode Antipa.
Agrippa rimase fedele amico di Caligola e utilizzò la sua influenza per
evitare crisi nella provincia di Giudea. Quando Caligola morì assassina­
to, Agrippa intervenne attivamente a Roma in favore di Claudio che, ot­
tenuto l’impero, lo ricompensò del sostegno mostratogli sopprimendo la
provincia romana di Giudea e annettendo Giuda, Samaria e Idumea ai
possedimenti del re. Il senato, da parte sua, gli conferì il rango consolare
(Ant. 19 ,236 -273; B e li 2,204-217).
Sebbene il paese avesse recuperato l’autonomia goduta al tempo di
Erode il Grande, la vigile presenza di Roma non scomparve del tutto. Lo
dimostrano gli interventi del governatore di Siria ogniqualvolta Agrip­
pa assumeva iniziative che potevano accendere aspirazioni indipendenti­
ste o eccitare le ansie nazionaliste del popolo. Flavio Giuseppe narra che
l’imperatore Claudio, su consiglio dell’ambasciatore siriaco, ordinò ad
Agrippa di interrompere la ricostruzione delle mura di Gerusalemme.
Questo «muro di Agrippa», la cui localizzazione è dibattuta tra gli ar­
cheologi, fu visto da Roma come preludio di una rivolta (Ant. 19 ,2 3 6 ­
237; Bell. 2,218). In un’altra occasione, e per gli stessi motivi, il legato si­
riaco Marso si recò a Tiberiade e fece tornare ai loro rispettivi territori i
cinque re che Agrippa aveva riunito (Ant. 19 ,338 -34 1). Re di un esteso
territorio a popolazione mista, Agrippa, come il nonno Erode, cercò di
guadagnarsi il favore dei sudditi sia giudei sia non giudei. Fuori di Giuda
agì da vero sovrano ellenista. Le monete coniate fuori di Gerusalemme
recavano la sua immagine e quella delPimperatore. Patrocinò ogni tipo di
spettacolo, tanto a Cesarea quanto in altre città; Flavio Giuseppe ricorda
un incredibile combattimento di 1400 gladiatori organizzato dal re, e dei
molti edifici da lui costruiti riferisce di quelli che edificò a Berito: anfitea­
tro, teatro, bagni e portici (Ant. 19 ,335-337). Il re giunse anche ad ador­
nare Cesarea con statue raffiguranti le figlie (Ant. 19 ,357). A giudicare
dalla sfrenata allegria con cui gli abitanti di Sebaste e Cesarea celebrarono
la sua morte, Agrippa non era però riuscito ad accattivarsi le simpatie dei
sudditi non giudei (Ant. 19,356-359).
Con i giudei ebbe miglior fortuna. Per Flavio Giuseppe e la posteriore
tradizione rabbinica Agrippa è un re modello, la cui religiosità e osser­
vanza della legge diverrà proverbiale (Sotah 7,8; Bikkurim 3,4). Il suo
primo atto da re fu l’offerta dei dovuti sacrifici nel tempio, a cui fece do-
ié o Da Erode il Grande alla guerra contro Roma

no della catena d’oro regalatagli da Caligola quando lo liberò dal carcere


(Ant. 19,293-2,94). Le monete da lui coniate a Gerusalemme non recava­
no immagini umane. Àgrìppa intervenne attivamente negli affari del cul­
to nominando come sommi sacerdoti, durante il suo breve regno, Simo-
ne Cantheras, figlio di Boeto, in sostituzione di Teofilo, figlio di Ànano;
Mattia, figlio di Anano, ed blioneo, figlio di Cantheras. Intervenne anche
in favore dei giudei della diaspora c fece castigare la popolazione greca di
Dora, che aveva profanato la sinagoga collocandovi una statua delFirn-
peratore (Ant. 19 ,299 -312). Àgrippa, che spesso risiedeva a Gerusalem­
me, liberò di parte delle imposte i cittadini. Flavio Giuseppe conclude
che, se Frode preferì i sudditi greci, Àgrippa predilesse i giudei (Ant.
19 ,32 8 -331). Forse il desiderio di risultare gradito ai sudditi giudei con­
dizionò la sua opposizione nei confronti della giovane comunità cristia­
na. Questo, almeno, è il motivo addotto dagli Atti degli Apostoli, quando
narrano l’esecuzione dell’apostolo Giacomo, fratello di Giovanni, e Fin-
carcerazione dì Pietro, liberato soltanto grazie a un miracolo (Atti r2 ,i-
19). È quindi comprensibile che nella tradizione cristiana la morte im­
provvisa di Agrippa venga presentata come un giusto castigo divino [Atti
12 ,19 -2 3).
I particolari della sua scomparsa, nel 44, dopo solo tre anni di gover­
no, non coincidono in Flavio Giuseppe e nel N.T. Per Atti 12 ,2 3 fu man­
giato dai vermi, secondo Flavio Giuseppe (Ant. 19,343-352) mori a causa
di orribili dolori addominali. Ma i punti principali (malattia repentina,
sopraggiunta in pubblico, a Cesarea, mentre è acclamato dalla folla come
un dìo) concordano nelle due testimonianze.
Inizialmente intenzionato a trasmettere il regno di Agnppa al figlio
Agrippa 11, Claudio decise di ritornare alla situazione precedente e tra­
sformò la Giudea e la Samaria e i restanti territori di Agrippa 1, cioè la
Palestina intera, in provincia romana, nella quale inviò come procuratore
Caspio Fado.

IV. IL SECONDO PERIODO DELL*AMMINISTRAZIONE ROMANA

Durante il primo periodo delFamministrazione romana la situazione ge­


nerale delia provincia di Giudea, a eccezione forse del periodo di governo
di Ponzio Filato, può essere ritenuta tranquilla e pacifica. Invece nella se­
conda fase le relazioni tra Famministrazione e la popolazione giudaica si
deteriorarono rapidamente e le tensioni aumentarono, rendendo inevita­
bile Fesplosione degli anni 66-74. Le acute tensioni sociali, il pullulare di
correnti messianiche, la militanza di zeloti e sicari, le divisioni all’interno
dell’aristocrazia sacerdotale, i conflitti tra sacerdoti e leviti e, soprattutto,
le azioni sconsiderate o chiaramente oppressive dei procuratori romani
Il secondo periodo delFamministrazione romana zéi

crearono un clima d’instabilità e violenza che portò a ciò che si temeva:


un conflitto disperato e violento. Inutili si rivelarono gli sforzi di Agrippa
il per acquietare la situazione.
Marco Giulio Agrippa n era molto giovane alla morte del padre Agrip­
pa i, per cui non gli successe nelle funzioni, ma continuò a risiedere a R o ­
ma, dove in molte controversie — la questione della custodia dei para­
menti sacerdotali; i dissidi insorti tra giudei e samaritani al tempo del
procuratore Cumano —intervenne in favore degli interessi giudaici. Verso
l’anno 50 d.C. l’imperatore lo nominò re di Calcide, come successore di
suo zio Erode, e pochi anni dopo cambiò questo piccolo regno con le te­
trarchie di Filippo e di Lisania. Piu tardi Nerone annetterà ai suoi pos­
sedimenti parte della Galilea e della Perea (Ant. 2 0 ,10 4 .13 8 .15 9 ; Bell.
2,223.24 7.251). L’imperatore Claudio lo nominò amministratore (epi-
meletes) del tempio e gli concesse il diritto di nominare i sommi sacerdo­
ti, diritto che esercitò più volte e accrebbe considerevolmente la sua in­
fluenza nella politica della provincia.
Agrippa 11 visse incestuosamente con la sorella Berenice, vedova di suo
zio Erode di Calcide, la quale più tardi lo abbandonò per unirsi a Tito.
Nel N.T. il re appare con lei durante il processo di Paolo a Cesarea (Atti
25,13-26 ,32). Agrippa 11 intervenne attivamente per evitare la guerra
contro Roma; scatenatosi il conflitto, si mise decisamente dalla parte dei
romani. Dopo la guerra Vespasiano ricompensò la sua lealtà, estendendo
i suoi domini più a nord, in una regione senza popolazione giudaica. Do­
po la sua morte, verso il 92 o 93, i suoi domini vennero annessi alla prò-
vincia romana di bina.
Il primo procuratore della nuova e più estesa provincia di Giudea fu
Cuspio Fado (44-46) (Ant, 19,363). Flavio Giuseppe (Bell, 2,220) affer­
ma che mantenne la nazione in pace, evitando d’interferire negli affari
giudaici, benché ricordi che il procuratore pretese di nuovo la custodia
dei paramenti del sommo sacerdote e soltanto le pressioni esercitate dal­
l’ambasciata giudaica presso l’imperatore e l’intervento di Agrippa 11 im­
pedirono la revoca della concessione di Vitellio (Ant, 20,6-14). Più grave
ancora fu il conflitto sorto a causa di Teuda, profeta e capo di un movi­
mento messianico di liberazione. Questi aveva riunito una grande molti­
tudine nei pressi del Giordano, promettendo che le acque si sarebbero
aperte al suo passaggio. Fado, che aveva già mostrato la sua decisione di
mantenere l’ordine reprimendo brutalmente i dissidi tra gli abitanti di Pe­
rea e Filadelfia, inviò uno squadrone di cavalleria che disperse i seguaci
di Teuda, ne uccise un gran numero e decapitò il leader (Ant, 20,97-99;
cfr. Atti 5,36, in cui Gamaliele si riferisce alla disastrosa fine del movi­
mento di Teuda, benché in un contesto cronologico inesatto).
Successore di Fado fu Tiberio Alessandro (46-48), nipote di Filone di
262. Da Erode iJ Grande alla guerra contro Roma

Alessandria. Era membro di una delle più nobili famiglie giudaiche di


Alessandria, ma aveva abbandonato la religione dei padri per far carriera
oelTarnrninistrazione romana. Sotto il suo governo una grande carestia
attanaglio il paese e soltanto il soccorso portato dalla regina Elena di
Abiadene, convertitasi al giudaismo, potè alleviare la situazione. Alia pa­
ri del predecessore, Tiberio Alessandro dovette scontrarsi coi movimenti
di liberazione nazionale. Flavio Giuseppe (Ant. 20,100-102} racconta che
riuscì a catturare Simone e Giacomo, figli di Giuda il Galileo, fondatore
del movimento zelota; li giudicò e li crocifisse.
Durante il governo di Ventidio Cumano (48-52), suo successore, i con­
flitti si fecero sempre più frequenti e più generalizzati. Il primo, che se­
condo Elavio Giuseppe costò la vita a più di 20000 giudei (Ani. 2 0 ,10 5 ­
1 1 2; B e li 2,224-227 parla di 30000 morti), fu provocato dal gesto inso­
lente di uno dei soldati romani incaricati di tutelare bordine all’ingresso
del tempio durante la festa della pasqua. Poco dopo, un gruppo di ribelli
assali e derubò uno schiavo imperiale sulla pubblica via. Cumano ordinò
una battuta nei villaggi dei dintorni, durante la quale un soldato stracciò
un rotolo della Torà, provocando una sollevazione generale. Preoccupa­
to per le conseguenze, Cumano ordinò l’esecuzione del colpevole (Ant.
2 0 ,1 1 3 - 1 1 7 ; B eli 2,228-231). La battaglia piu cruenta attesta l’esistenza
di una guerriglia organizzata, che costerà il posto a Cumano. Alcuni gali­
lei, mentre si recavano a Gerusalemme, furono assassinati dai samaritani.
Quando Cumano si rifiutò di fare giustizia, bande di zeloti capeggiati da
Eleazaro e Alessandro distrussero sistematicamente i villaggi samaritani.
Cumano armò allora i samaritani e con la coorte dei «sebasteni», cercò
di ridurre allòmpotenza i ribelli; fece molti prigionieri, ma non riuscì a
debellare le numerose bande devastatrici del paese. Samaritani e giudei si
presentarono a Quadrato, legato di Siria. Questi crocifisse i responsabili
della rivolta dì entrambe le parti e inviò a Roma Cumano e i capi samari­
tani e giudei, compreso il sommo sacerdote Anania, affinché venissero
giudicati dall’imperatore. I giudei vinsero la causa, grazie all'intervento
di Agrippa 11. Cumano venne esiliato e i samaritani puniti (Ant. 2 0 ,118 ­
13 6 ; Bell. 2,232-246).
La situazione degenera ulteriormente durante il governo del procurato­
re Antonio Felice (52-69), liberto della famiglia imperiale. Per rafforzare
i legami con l’aristocrazia della provincia, Felice sposò Drusilla, figlia di
Agrippa I, al suo fianco durante ima guerra senza quartiere a tutti i grup­
pi ribelli e zeloti. «Non passava giorno, dice Flavio Giuseppe, senza che
ne catturasse e giustiziasse molti» (Ant. 20,160). Riuscì anche a incarce­
rare Eleazaro, uno dei capi zeloti, che inviò a Roma come prigioniero. La
sua politica di terrore indusse i rivoluzionari a trovar riparo nella clande­
stinità e a sviluppare una nuova tattica basata su assassimi politici, com-
II secondo periodo ddl’amministrazione romana 2.63

messi con pugnali corti (sicae) durante i grandi assembramenti in occa­


sione delle feste; di qui il nome dì sicarii attribuito a questa fazione radi­
cale, sorta sotto Felice e attiva fino al termme della guerra contro Roma.
Una delle vittime fu il sommo sacerdote Gionata, che i sicari assassina­
rono su istigazione di Felice (Ant. 20,162-166). Una tanto sorprendente
collaborazione tra Felice e i sicari lascia intendere che questi consideras­
sero almeno una parte della nobiltà sacerdotale alleata con l’oppressore.
Altra conseguenza dell'aggressiva politica di Felice fu che buona parte
della popolazione solidarizzò con i diversi movimenti di resistenza. Que­
sto chiarisce il favore incontrato tra la gente semplice da vari profeti i
quali, a detta di Flavio Giuseppe, «fingendo di essere ispirati da Dio spin­
gevano a cambiamenti rivoluzionari, persuadevano il popolo al fanatismo
religioso e lo conducevano nel deserto, promettendo che lì Dio avrebbe
mostrato i segni della liberta» (Bell. 2,259). Felice mosse contro costoro
con la stessa decisione impiegata contro gli zefoti. Il caso più celebre è
quello del profeta «egiziano», con il quale sarò confuso Paolo (Atti z i,
38). Questo profeta radunò nel deserto numerosi seguaci (secondo Atti
2 1,3 8 , 4000 sicarii; secondo Bell. 2,26 1, 30000) e li condusse fino al
Monte degli Ulivi con l’intenzione di piombare su Gerusalemme. Felice lo
attaccò proprio lì, disperse i suoi seguaci, ne uccise 400 e ne fece prigio­
nieri altri 200 (Ant. 20 ,16 7-172). Questo incidente, lungi dal placare la
rivolta, rese ancora più decisa Popposizione ai romani e favorì la fusione
dei vari gruppi. Ne risultò una situazione caotica in tutto il paese; bande
armate derubavano e incendiavano le proprietà dei ricchi, eliminando an­
che quanti collaboravauo con la potenza occupante.
Nerone nominò successore di Felice Forcio Festo (60-62), che si rivelò
incapace di aver ragione dell’anarchia regnante nel paese. Anch’egli si
trovò a fronteggiare sicari, profeti messianici e la sollevazione dei giudei
di Cesarea che un editto di Nerone, nel tentativo di risolvere la disputa
sorta ai tempi di Felice, aveva privato del diritto di cittadinanza. Festo in­
contrò Paolo prigioniero a Cesarea e decise dì inviarlo a Roma perché
vennisse giudicato (Atti 25-26). Morì durante il suo mandato. Approfit­
tando delFintervallo tra la sua morte e la venuta del nuovo procuratore,
il sommo sacerdote Anano, sadduceo, convocò il sinedrio e fece giustizia­
re insieme ad altri Giacomo, guida della comunità cristiana di Gerusa­
lemme, «il fratello di Gesù, chiamato il Cristo», come precisa Flavio Giu­
seppe. Questa azione, disapprovata dagli «osservanti della legge», provo­
cò l’intervento di Agrippa 11, che destituì Anano dall’incarico (Ant. 20,
159-203).
Al nuovo procuratore, Albino (62-64), premeva soltanto di arricchirsi
il più rapidamente possibile; estorceva sia ai ribelli sia ai sostenitori di
Roma e accettava regali in cambio della liberazione dei prigionieri. Flavio
2,64 Da Erode il Grande alla guerra contro Roma

Giuseppe afferma che rimanevano in carcere quanti non erano in grado


di pagare (Bell. 2,173). Una completa anarchia è l’immagine del periodo
di governo del procuratore delineata da Flavio Giuseppe: perfino i nobili
e i sommi sacerdoti organizzavano bande armate personali e Funica legge
vigente era quella del più forte [Ant. 20,205-214). L ’ultima azione del
procuratore, dopo la nomina del successore, fu di svuotare le carceri, giu­
stiziando 1 criminali più noti e liberando gli altri; in tal modo «il paese si
riempì di banditi» (Ant. 20,215).
Sotto l ultimo procuratore, Gessio Floro (64-66), la situazione peggiorò
a tal punto che, a suo confronto, anche Albino appariva, a detta di Flavio
Giuseppe, un governatore generoso e onorato [Ant. 20,253; ® e 2,277).
Floro organizzò in modo sistematico la spoliazione di città e villaggi, pa­
trocinando anche il banditismo a condizione di ricevere una parte delle
razzie e provocando un esodo della popolazione (Ant. 20,255; B eli 2,
278). Quando osò toccare il tesoro del tempio, impossessandosi di 17 ta­
lenti, l’esplosione della rivolta divenne incontenibile.

V. P R O B LE M I A P ER TI

N o n o s t a n t e T in te re s s e s u s c ita to d a q u e s to p e rìo d o d e lla s t o r i a del p o p o lo b ib lic o


(o fo rs e p r o p r i o a c a u s a d i q u e s to in te re s s e ), i p ro b le m i s t o r ic i c h e n o n c o n s e n t o ­
n o u n a s o lu z io n e s o d d is f a c e n te s o n o n u m e ro s i. A lc u n i n a s c o n o d a lle a f f e r m a z io ­
ni c o n t r a d d i t t o r i e d e lle f o n ti, c o m e a v v ie n e , ad e s e m p io , p e r le d ic h ia r a z io n i dì
T a c i t o s e c o n d o cu i F e lice e r a g o v e r n a t o r e di S a m a ria e O r m a n o d e lla G a lile a (il
c h e im p lic h e re b b e u n a p r o v in c ia d iv is a ), c o n tr a d d e t te d a F la v io G iu s e p p e , p er il
q u a le e n tr a m b i f u r o n o u n o d o p o l’a l t r o p r o c u r a t o r i d e ll’ u n ic a p r o v in c ia c o m ­
p re n d e n te i d u e t e r r i t o r i . A ltr i p ro b le m i s o r g o n o d a ll’a p p r o s s im a z io n e di q u e ste
s te sse fo n ti, c o m e a d e s e m p io la n o tiz ia re la tiv a a lla p r e c is a d e s ig n a z io n e d ei g o ­
v e r n a to r i n e lla p r im a fa se di a m m in is tr a z io n e r o m a n a d e lla p r o v i n c ia : le fo n ti
le tte r a r ie im p ie g a n o p e r lo p iù il tito lo di p r o c u r a t o r e (procuratoriepitropos), la
f a m o s a is c riz io n e di P ila to , r i t r o v a t a a C e s a r e a , s e m b r a s u p p o r r e q u e llo di p r e f e t­
to (praefectus/eparchos) e F la v io G iu se p p e u tiliz z a in d is tin ta m e n te i d u e tito li,
rife re n d o li a v o lte a un m e d e s im o p e r s o n a g g io . In a ltri c a s i, in fin e, le d iffic o ltà
p r o v e n g o n o d a ll’a s s e n z a di n o tiz ie su e le m e n ti a n o s tr o a v v is o f o n d a m e n ta li, m a
ch e n o n h a n n o r ic e v u to la d o v u ta a tte n z io n e d a p a r te degli s to r ic i e sui q u ali gli
s c a v i a r c h e o lo g ic i n o n g e tta n o g r a n d e lu c e . I n d ic h ia m o a q u e s to p u n to s o la m e n te
d u e p r o b le m i c la s s ic i n e llo s tu d io d el N . T . : il c e n s im e n to di Q u irin io e il v a lo r e
del Testimonium Flavìanum.
Il legato di Siria Quirinio, dopo la destituzione di Archelao nell’anno 6 /7
d.C., indisse un censimento della provincia romana di Giudea. È un fatto che si
evince dalla necessità di organizzare il sistema impositivo e fiscale della nuova
provincia, dall’opposizione suscitata dal censimento, che portò alla nascita del
movimento zelota, dalla menzione in Atti 5 ,3 7 del «censimento» contro il quale
si ribellò Giuda il Galileo, dal riferimento di Le. 2,2 al censimento di Quirinio per
Problemi aperti 265

inquadrare cronologicamente la nascita di Gesù e, soprattutto, dagli abbondan­


ti e precisi riferimenti di Flavio Giuseppe a questo censimento di Quirinio {Ant.
1 7 , 3 5 5 ; 18 ,1-1 .2 .6 ; 2 0 ,1 0 2 ; Bell. 7 ,2 5 3 ) . Che il censimento non si limitasse alla
provincia di Giudea, ma fosse esteso alla Siria, è provato da un’iscrizione che se­
gnala l’effettuazione del censimento di Quirinio ad Apamea. Il problema nasce
dal riferimento cronologico al regno di Erode il Grande (Le. 1,5 ), morto circa
dieci anni prima del censimento attribuito a Quirinio, per fissare da parte di Luca
la nascita di Gesù. Questo lascia intendere che, per Luca, il censimento di Quiri­
nio non fu indetto dopo la deposizione di Archelao, ma negli ultimi anni di E ro ­
de. L ’impostazione classica del problema è presentata nel famoso excursus di
Schiirer (ora in Scliùrer-Vermes i, 4 8 9 -5 2 3 ) , dove si conclude che l’evangelista
sbaglia e fonda la sua affermazione su un dato storicamente errato. Probabilmen­
te Luca ha proceduto per accostamenti, utilizzando come punto di riferimento
generico un fatto conosciuto fuori del suo contesto storico. Alcuni ricercatori,
tuttavia, hanno cercato soluzioni di tipo storico, piu o meno ingegnose e docu­
mentare, per risolvere la controversia senza postulare l’approssimazione di Luca:
errore di Flavio Giuseppe nel datare in epoca posteriore la funzione di legato im­
periale di Quirinio; doppio mandato di Quirinio e duplice censimento in date di­
verse; censimento organizzato da Quirinio mentre legato di Siria era Senzio Sa­
turnino; censimento unico terminato da Quirmìo, ma iniziato anni prima ecc. A l­
tri studiosi hanno cercato soluzioni di tipo filologico o esegetico, interpretando il
testo di Luca in modo compatibile con la affermazioni di Flavio Giuseppe; hanno
attribuito ad apographe un valore generico; hanno inteso egeneto come «portare
a termine» e interpretato prote non come «primo», ma come «precedente» (cfr.
ultimamente in questo senso S. M uhoz Iglesias, E l censo (anterior al) de Quiri­
nio , in Palabra y Vida> Hom. a José Alonso Diaz, M adrid 19 8 4 , 1 5 9 - 1 6 6 , secon­
do il quale il censimento precedente a quello indicato da Luca sarebbe stato l’ar­
ruolamento per il giuramento di fedeltà all’imperatore promosso da Erode il
Grande) ecc. M algrado la molteplicità delle soluzioni proposte, resta che le nostre
due fonti d’informazione si contraddicono, la difficoltà cronologica è insolubile e
l’ interpretazione di Le. 2,2 rimane una questione aperta.
N on meno discusso del censimento di Quirinio è LI valore storico delle afferma­
zioni dì Flavio Giuseppe su Gesù, il cosiddetto Testimonium Flavianum (Ant.
18 ,6 3 -6 4 e 20 ,200). Nel Medioevo il testimonium fu ritenuto unanimemente au
tentico e considerato prova della veridicità storica dei vangeli; ciò contribuì in
larga misura alla popolarità di Flavio Giuseppe. Con il Rinascimento s’irnpose la
tendenza a negarne complessivamente l’autenticità. La posizione odierna è più
sfumata. Si propende, generalmente, a riconoscere alcuni elementi come autentici
e altri come derivati da interpolazioni cristiane. A giudizio di L.H . Feldir.an (edi
zione delle Antichità giudaiche , Loeb Classical Library ix, 49), «l’opinione più
plausibile sembra essere che il nostro testo rappresenti sostanzialmente quanto
scrisse Flavio Giuseppe, ma che un interpolatore cristiano abbia introdotto alcune
alterazioni». Quali elementi siano autentici e quali interpolati è assai difficile da
precisare; nell’abbondantissima bibliografia sul tema (L.H. Feldtnan, josephus
and Modem Scbolarship (19 37 -19 8 0 ,), Berlin - N ew York 19 8 4 , 6 7 9 -7 0 3 prende
in esame più di 1 5 0 titoli) si è ancora molto lontani da un consenso unanime. Il
166 Da Erode il Grande alla guerra contro Roma

problema si complica ancor più per la forma (più cristianizzata) del testimonium
nella versione slava del Beìium Iudaicum (in greco appare solo nelle Antiquitates)
e per quella (meno cristianizzata) riscontrabile in una versione arabo-siriaca del x
e x i i secolo. A mio giudizio, meno ottimistico di quello di Feidman incline a rico­
noscere un testo sostanzialmente di Flavio Giuseppe, è possibile soltanto afferma­
re con sufficiente sicurezza che nella sua opera Flavio Giuseppe menzionava senza
apparente animosità Gesù, la sua condanna alla crocifissione da parte di Pilato e
resistenza di suoi seguaci. Probabilmente l'opera originale di Flavio Giuseppe
conteneva maggiori elementi, come nel caso del Battista o di Giacomo, ma la sua
ricostruzione risulta impossibile.

VI. BIBLIOGRAFIA

Tutte le storie relative a questo periodo si fondano sugli scritti di Flavio Giusep­
pe. Recente è la sintesi di D .M . Rhoads, Israel in Revolution: 6-74 C.E. A Polit­
icai tìistory Based on thè Writings o f Josephus, Philadelphia 19 7 6 . Per i diversi
Erodi Popera di A .H .M . Jones, The Herods o f judaea , London 1 9 6 7 , offre una
presentazione accessibile, precisa e ben scritta. Per Erode Antipa è fondamentale
H .W . Hoehner, Herod Antipasy Cambridge 1 9 7 1 . Per Pimportante periodo di Pi-
Iato cfr. J.-P. Lémonon, Filate et le gouvernement de. la Judée , Paris 1 9 8 1 .
Sugli zeioti rimane fondamentale M . Hengel, Die Zeloten Untersuchungen zur
judischen Freiheìtsbetvegung in der Zeit von Herodes ì. bis jo ». Chi\, Leiden
*19 7 6 (tr. it. in preparazione). Sull insieme dei movimenti popolari di questo pe­
riodo lo studio più completo e recente è di R .A . Horsley - J.S. Hanson, Bandtts,
Prophets, and Messia!)s. Popular Movements in thè Time o f Jesus , Minneapolis
1 9 8 5 (rist. San Francisco 1 9 8 8 ; tr. it. in preparazione). In italiano si può consul­
tare con utilità Popera di G. Jossa, Gesù e ì movimenti di liberazione della Pale­
stina y Brescia 198 0 .
Per distinguere con chiarezza le due fasi di amministrazione romana della pro­
vìncia è importante H. Guevara, Ambiente1 politico del pueblo judio en itempos
de Jesus , Madrid 1 9 8 5 , studio particolareggiato di Flavio Giuseppe, che corregge
alcune posizioni discutibili di Hengel.
Sulla cronologia di Gesù, sui problemi costituiti dalle fonti e sul censimento di
Quirinio v. G. Firpo, Il problema cronologico della nascita dì Gesù , Brescia 1 9 8 3 .
Sul Testimonium Flamanum si veda anche, oltre alPexcursus in Schurer-Ver-
mes i: «Gesù e Giacomo secondo Giuseppe» (pp. 5 2 4 -5 4 0 ), J. Maier, Gesù Cristo
e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica , Brescia 19 9 4 (cap. TV: «Gesù
negli scritti di Flavio Giuseppe»).
Capitolo xi

Le guerre contro Roma


( 6 6 -135 d .C .)

I. L A P R IM A G U L R R A G I U D A I C A (6Ó-74 D .C .)

Al tumulto popolare suscitato dagli eccessi di Gessio Floro seguì una san-
1

guinosa repressione, principio scatenante di una vera battaglia in Gerusa­


lemme. Il popolo riuscì a impossessarsi del monte del tempio e a tagliare
le comunicazioni con la fortezza Antonia. Il procuratore, troppo debole
per domare la rivolta con la forza, si ritirò a Cesarea, lasciando a Gerusa­
lemme una coorte soltanto. II disperato intervento di Agrippa n per seda­
re gli animi e convincere gli insorti dell’inutilità della rivolta non sortì al­
cun esito e il re rientro nei suoi domini.
Nel contempo, un gruppo di ribelli guidato da Menahetn, uno dei fi­
gli di tfiuda il Galileo, s’impadronì della fortezza di Masada. A Gerusa­
lemme gli zeloti guadagnarono alla loro causa Eleazaro, capo della guar­
dia del tempio e figlio del sommo sacerdote Anania. Questi impose la
soppressione del sacrificio quotidiano per l’imperatore, che equivaleva a
ima rottura ufficiale con Roma e, di fatto, a una dichiarazione di guerra.
Il partito della pace - costituito dalFaristocrazia sacerdotale, dalla nobiltà
erodiana e dai farisei più in vista —compì tentativi per placare i ribelli, ma
fallì miseramente; inutili, del resto, furono pure gli sforzi di ridurre al­
l’impotenza i ribelli con l’aiuto di un esercito di 3000 soldati inviati da
Agrippa Ti. I rivoltosi, rafforzati da bande di sicari armati da Menahem
con le armi prese dall'arsenale di Masada, costrinsero i soldati di Agrippa
ad abbandonare la citta, incendiarono i palazzi del re e del sommo sacer­
dote, s’impossessarono della fortezza Antonia c del palazzo di Erode e
annientarono la coorte romana nonostante la promessa di un salvacon­
dotto ai soldati qualora avessero abbandonato le armi. Incendiarono gli
archivi pubblici con l’obbiettivo di distruggere tutta la documentazione
sui debiti, palesando in tal modo le implicazioni sociali della rivolta, che
non soltanto reclamava la liberazione dall’occupante romano, ma anche
un mutamento dell’ordine sociale. Questo fatto consente di capire gli at­
tacchi zeloti al partito della pace, culminati nell’assassinio del sommo sa­
cerdote Anania e ragione della prima scissione alFinterno del movimento
ribelle. Eleazaro e i suoi sostenitori ordirono una congiura, riuscendo a
eliminare Menahem e molti suoi sostenitori (Bell. 2,405-456).
z68 Le guerre contro Roma

La rivolta rimbalzò inevitabilmente nelle altre città del paese, che furo­
no teatro di scontri sanguinosi tra la popolazione giudaica e quella non
giudaica. A Cesarea, Scitopoli, Ascalona e Tolemaide la popolazione giu­
daica fu massacrata; per parte loro i ribelli eliminarono la popolazione
non giudaica nelle città e nei paesi in cui essi costituivano la maggioran­
za. I combattimenti si estesero fino ad Alessandria e Flavio Giuseppe va­
luta in 50000 le perdite giudaiche in questa città (Bell. 2,457-498).
La rivolta aveva raggiunto un punto tale che tirarsi indietro sarebbe
stato impossibile. Il primo tentativo romano di soffocare la ribellione con
le armi firn in un clamoroso fallimento. Cestio Gallo, governatore di Si­
ria, si mise in marcia da Antiochia con la xu legione e con numerose
truppe ausiliarie. Sepphoris gli apri le porte e Gallo, senza difficoltà, oc­
cupò la Galilea; quindi marcio contro Gerusalemme e distrutto il quartie­
re di Bezeta tentò un attacco alla collina del tempio. Inspiegabilmente de­
cise poi di ritirarsi, ma i ribelli lo raggiunsero al passo di Bet Horon, lo
sconfissero e lo inseguirono fino ad Antipatnde (Bell. 1,499-555). Questa
inattesa vittoria segnò il destino della rivolta, smentendo 1 sostenitori del­
la pace; quelli che non si dettero alla fuga si unirono al movimento ribelle
e ne assunsero perfino il comando, preparando il paese all’inevitabile
controffensiva romana. Un assemblea popolare, riunita nel tempio, elesse
come capi Giuseppe ben Corion e F anziano sommo sacerdote Anano ben
Anano, nominando al tempo stesso comandanti militari per ognuno dei
distretti nei quali fu suddiviso il paese, con lo scopo di organizzare mili­
tarmente la popolazione. La Galilea, dove per logica avrebbe dovuto ini­
ziare la controffensiva romana, venne affidata a Giuseppe figlio di Mat­
tia, di nobile famiglia sacerdotale e convinto fariseo, il futuro storico Fla­
vio Giuseppe, che tramanderà la testimonianza oculare della lotta e un’a-
pologia del proprio comportamento (Bell. 2,556-568).
Sconfitta Cestio Gallo, Nerone affidò a T. Flavio Vespasiano U compi­
to di schiacciare la rivolta. Compiuti i necessari preparativi, Vespasiano
iniziò le operazioni nella primavera del 67, affiancato dal figlio Tito. 11
suo esercito era formato dalle legioni V Macedonica^ X Pretensi* e X V
Apollinaris, da numerose truppe ausiliarie e varie ali dì cavalleria, che
portavano il totale degli effettivi a circa 60000 soldati.
Vespasiano iniziò col conquistare la Galilea. Flavio Giuseppe racconta
particolareggiatamente come aveva organizzato la regione e predisposto
un esercito di 100000 persone, nonostante l’aperta opposizione del capo
zelota Giovanni di Giscala, che diffidava (e non senza fondamento) di
Flavio Giuseppe a motivo delle sue nobili origini e del suo filoromam-
smo. Tutti 1 suoi sforzi non servirono a nulla. Ancora prima d’iniziare le
operazioni, Sepphoris si schierò con i romani e cinese a Vespasiano l’invio
di una guarnigione. L ’esercito di Flavio Giuseppe, stanziato a Garìs in at­
La prima guerra giudaica 2.69

tesa dell’attacco, si disperse senza combattere di fronte all’avanzata di


Vespasiano, consentendo ai romani di conquistare Gadara e dominare
così le vie di accesso dal mare. Abbandonando la campagna ai romani ed
evitando il combattimento in campo aperto, i ribelli cercarono rifugio
nelle città e nelle varie fortezze. Flavio Giuseppe difese personalmente Jo-
tapata. Vespasiano assediò questa roccaforte e riuscì a conquistarla; Fla­
vio Giuseppe, che si era arreso ai romani, riconquistò la libertà per aver
profetizzato la futura elezione di Vespasiano al trono (Bell. 3 ,110 -3 9 1).
Mentre Vespasiano assediava Jotapata, altri distaccamenti decimavano i
rivoltosi radunati sul monte Garizim (Bell. 3,2.89-315) e si impossessava­
no di Joppe, distruggendo la flotta dei ribelli (Beli 3,4 15 -4 3 1). Poco do­
po, Tito conquistava Tarichea e Vespasiano s’impadroniva di Tiberiade,
arresasi senza combattere (Bell. 3,445-502). Attaccò Gamala, mentre un
distaccamento annientava il gruppo di rivoltosi asserragliatosi sul monte
Tabor (Bell 4 ,11-6 3). L ’ultimo focolaio di resistenza in Galilea era Gi-
scala, dove Giovanni di Giscala s’era rifugiato con i suoi seguaci zeloti.
Vespasiano ne affidò la conquista a Tito. Allorché Tito giunse presso la
città, Giovanni e i suoi accoliti fuggirono a Gerusalemme e il resto della
popolazione si arrese senza lottare (Bell. 4,89-1 zo). Alla fine del 67 tutta
la Galilea era di nuovo sottomessa ai romani.
Nel 68 Vespasiano intraprese una serie di operazioni belliche con lo
scopo di accerchiare Gerusalemme e isolarla dal resto del paese. In pri­
mavera il generale Traiano a capo della x legione aveva attraversato il
Giordano e conquistato la Perea fino a Maeheronte (Bell 4,419-439).
Contemporaneamente, la v legione occupava la Shefela, stabilendosi a
Einmaus, Vespasiano stesso, con la xv legione, attraversò la Samaria e
giunse a Gerico unendosi alla x legione; in tal modo nell’estate del 68 i ri­
belli dommavano ormai solamente Gerusalemme e la regione delPHero-
dium fino al Mar Morto, con Masada e Maeheronte quali roccaforti di
confine. La presa di Gerusalemme sarebbe stata questione di poco tem­
po, se l’attenzione romana non avesse dovuto concentrarsi su affari più
urgenti per l’impero*
Nel giugno del 68, infatti, con la morte del l'imperatore Nerone si aprì
a Roma una crisi politica che nel giro di un armo rischiava di spaccare
l’impero. Galba, nominato imperatore dal senato, fu assassinato nel gen­
naio del 69 dalla guardia pretoriana che, al suo posto, proclamò impera­
tore Otone, mentre le legioni germaniche proclamavano Viteilio. Questi
riuscì a sconfiggere Otone e a proclamarsi signore di Roma, ma ad Ales­
sandria le legioni dell’Egitto e della Siria acclamarono imperatore, nel lu­
glio dello stesso anno, Vespasiano. I suoi sostenitori sconfissero Viteilio
nel dicembre del 69 e, a metà del 70, ristabilita la pace in Roma, Vespa­
siano abbandonò Alessandria per insediarsi nella capitale.
2.70 Le guerre contro Roma
—. i ■ ■ ■ 1 1 1 " • 4 \ 1 ! '

Per un anno questi avvenimenti costrinsero all inattività 1 esercito ro­


mano di Palestina. I ribelli, anziché approfittare della tregua per fortifica­
re le loro posizioni, si abbandonarono in Gerusalemme a una lotta fratri­
cida, lacerando la città con una vera e propria guerra civile (Beli 4 ,16 2 ­
192). L ’ala estrema degli zeloti, con a capo Giovanni di Giscala, s’impa­
dronì della situazione e cominciò a eliminare sistematicamente quanti po­
tevano essere considerati simpatizzanti dei romani ; per ridurre l’influenza
dell’aristocrazia sacerdotale fecero eleggere con sorteggio un nuovo som­
mo sacerdote, un contadino di nome Phannias (Bell. 4 ,15 3 -15 7 ). Il parti­
to moderato, capeggiato dai sommi sacerdoti Anano figlio di Anano e
Gesù figlio di Gamaliel, organizzò una rivolta popolare contro gli zeloti,
costringendoli a rifugiarsi nel tempio. Per liberarsi dall’assedio, questi
chiamarono in aiuto gli iduinei, che penetrarono in Gerusalemme e per­
misero al gruppo dì Giovanni di Giscala di controllare la città, eliminan­
do tutti i capi dell’opposizione, sia i sommi sacerdoti Anano e Gesù sia
gli altri leaders come Ben Gorton e Niger, oltre a un gran numero di no­
bili e aristocratici (Bell. 4,128-365). Ritiratisi gli idumei, Giovanni di Gi­
scala cominciò a governare Gerusalemme da vero tiranno. Ma non per
molto tempo, giacché il popolo si rivolse a Simone bar Giora —altro capo
ribelle che aveva organizzato un esercito (composto in gran parte da li­
berti) col quale controllava la regione di Hebron —e nel marzo/aprile
del 69 gli aprì le porte di Gerusalemme (Beli 4,503-577)*
Per suo mezzo il popolo sperava di liberarsi dalla tirannia di Giovanni
di Giscala, ma si trovò di fatto sot tomesso a una duplice tirannia e dovet­
te sopportare la lotta senza quartiere tra le due fazioni che si disputavano
il controllo della città. Il panorama si complicò ancor più dopo una scis­
sione tra gli zeloti della banda di Giovanni di Giscala. Eleazaro e altri im­
portanti zeloti ruppero con Giovanni e si impossessarono dell’atrio inter­
no del tempio, lo fortificarono e da lì attaccarono Giovanni e i suoi. La
fazione di Ciovanni controllava gli atri esterni del tempio e una parte del­
la città, Simone bar Giora la città alta e i muri esterni. Ognuna delle tre
fazioni si impegnò nel rafforzare le proprie postazioni e nel distruggere
quelle degli avversari, non escluse le riserve alimentari, facendo sprofon­
dare la città in un caos completo (B eli 5,1-38). Tacito, con concisione
magistrale, così descrive la situazione di Gerusalemme: «Tre 1 capi, al­
trettanti gli eserciti. Simone aveva consolidato la cinta esterna delle mu­
ra, la più estesa; Giovanni la città al centro, Eleazaro il tempio. Per nu­
mero di armati erano superiori Giovanni e Simone, per la posizione Elea­
zaro; ma tra l’uno e l'altro erano contrasti, tradimenti, incendi, e dalle
fiamme era stata divorata una grande quantità di frumento» (Historiae
5,12 ,3 [tr. A. Arici]).
Questa la situazione di Gerusalemme nella primavera del 70, quando
La prima guerra giudaica 2.71

Tito, cui Vespasiano aveva affidato la prosecuzione della guerra, si pre­


parò ad attaccare la città. Tito disponeva delle legioni v , x e xv, oltre che
della xii legione Fulminata* alla quale era ricorso per rimpiazzare gli ele­
menti delle altre legioni inviati in Europa. Accompagnato da Tiberio
Alessandro, l’antico procuratore di Giudea che, come procuratore d’Egit­
to, aveva svolto un ruolo importante nella proclamazione di Vespasiano
a imperatore, e da Agrippa n, disponeva di numerose truppe ausiliarie.
Flavio Giuseppe valuta gli effettivi giudaici in 10000 soldati agli ordini
di Simone bar Giora, 6000 capitanati da Giovanni di Giscala e 2.400 da
Eleazaro {Beli. 5,148-250). Tito piazzò la x legione sul Monte degli Ulivi,
la xii e la xv di fronte al terzo muro nella parte settentrionale della città e
la V davanti alla torre Ippico, nella parte occidentale di Gerusalemme
(B eli 5 ,13 3 -13 5 ). Solo quando i romani iniziarono l’attacco contro la
città e dopo che Giovanni era riuscito a eliminare Eleazaro e i suoi accoli­
ti, approfittando del fatto che questi aveva aperto il tempio per consentire
a tutti di celebrare la pasqua, cessarono le lotte intestine e i difensori uni­
rono i loro sforzi per fronteggiare il nemico comune. Giovanni di Giscala
si prese l’incarico di difendere la fortezza Antonia e il tempio e Simone
bar Giora di proteggere la città alta. La loro riconciliazione, tuttavia, so­
praggiunse troppo tardi e gli eroici sforzi dei difensori non servirono a
nulla di fronte alla formidabile macchina da guerra coordinata da Tito.
L ’attacco cominciò dal nord della città; subito gli arieti romani riusci­
rono ad aprire una breccia nel terzo muro. I romani s’impossessarono del
quartiere di Bezeta (Bell. 5,301-303), dove Tito stabilì un nuovo accam­
pamento. Pochi giorni dopo, alia fine di maggio, s’impadronirono del se­
condo muro {Bell. 5,331-347)» ma l’attacco si arresto qui ai piedi della
poderosa mole dell’Antonia. Per evitare la fuga degli assediati e costrin­
gere alla resa per fame, in un tempo brevissimo Tito fece costruire un
muro di pietra di circa 7 km intorno alla città (Bell. 5 ,4 9 1-5 11), mentre
proseguiva i preparativi per far cadere la fortezza Antonia. Alla fine di
luglio i romani conquistarono la fortezza e la incendiarono, spianando il
terreno per attaccare da li il recinto del tempio. Il sacrificio quotidiano,
celebrato ininterrottamente durante tutto il periodo della guerra, fu defi­
nitivamente sospeso ìl 6 agosto (Bell. 6,93-95 e Ta'tàrii 4,6). Alla fine di
agosto (il 9 /io di Ab, secondo la tradizione giudaica la stessa data della
distruzione del primo tempio) il santuario fu distrutto (Bell. 6 ,16 1-3 15 ).
Tito aveva ordinato d incendiare le porte per potersi impadronire dei
cortili; secondo Flavio Giuseppe, invece, fece ogni sforzo per evitare la
distruzione del tempio in seguito al fuoco appiccato da un soldato roma­
no. Nel massacro conseguente all’incendio, Giovanni di Giscala riuscì a
scappare e si rifugiò nella città alta, ancora difesa da Simone bar Giora.
Incendiata e saccheggiata buona parte della città bassa, i romani si prepa­
2*72* Le guerre contro Roma

rarono ad attaccare la città alta. II 25 settembre cadde nelle loro mani e il


giorno seguente venne incendiata (Bell. 6,354-408).
Tito entro trionfalmente in una città in rovina. Gli abitanti non caduti
durante la battaglia furono giustiziati venduti come schiavi o tradotti co­
me prigionieri a Roma insieme al bottino conseguito; qui furono esposti
nel trionlo di Tito e Vespasiano, celebrato Tanno 7 1. Tra i prigionieri si
tro v a v a n o Giovanni di Giscala e Simone bar Gioca; il primo condannato
al carcere e il secondo giustiziato immediatamente dopo la cerimonia
trionfale del Campo di Marte (Bell. 6,409-419 e 7 ,12 3 -15 7 ).
Dopo aver conquistato la città, Tito si diresse a Cesarea e da qui a Ro­
ma. À Gerusalemme rimase la x legione, acquartierata sotto la protezione
delle torri del palazzo di Erode, rimaste intatte, con Tincarico di porre fi­
ne agli ultimi focolai di rivolta. Il nuovo legato Lucilio Basso riuscì nel 7 1
a conquistare senza ulteriori difficoltà THerodium e Macheronte [Bell.
7,163-209), ma mori Tanno seguente; la presa di Masada, ultimo baluar­
do ribelle, venne affidata al successore, Flavio Silva.
Questa fortezza occupava uno sperone roccioso sulle sponde del Mar
Morto ed era praticamente inespugnabile. Durante tutta la guerra rimase
in mano ai sicari comandati da Eleazaro, figlio di Jair, un discendente di
Giuda il Galileo. I moderni scavi archeologici condotti sul luogo confer­
mano puntualmente i dati tramandati da Flavio Giuseppe e consentono
di farsi un'idea dello svolgimento delTassedio. I romani furono costretti a
circondare la montagna con un muro e con una serie di fortilizi e a co­
struire un enorme rampa ut accesso per poter avvicinare gli arieti ai muri
eretti sulla cima del monte. Quando, grazie a questa rampa, i romani fu­
rono in condizioni di attaccare direttamente le mura, la difesa di Masada
divenne impossibile. Eleazaro convinse i difensori a preferire la morte alla
schiavitù, cosicché, entrati nella fortezza, i romani scoprirono che 1 difen­
sori avevano preferito il suicidio collettivo alla sconfitta e alla sottomis­
sione (Bell 7,275-406). Con la conquista di Masada, nelTaprile del 74, si
concluse la lunga guerra contro Roma.

I L I L G I U D A IS M O D O P O L A D I S T R U Z I O N E D E L T E M P IO

Le conseguenze politiche, economiche e religiose della guerra furono con­


siderevoli per Finterò paese. La Giudea divenne una provincia autonoma
di seconda categoria, l1 che non comportava un miglioramento del suo
stato giuridico, bensì una presenza romana ancor più attiva. Invece che
da un procuratore essa era ora governata da un pretore, in seguito persi­
no di rango consolare. In luogo delle milizie ausiliane, le truppe di occu­
pazione comprendevano anche una legione romana, la X Fretentis, stan­
ziata a Gerusalemme. La residenza del governatore rimaneva, come pri­
Il giudaismo dopo la distruzione del tempio Z73

ma, Cesarea, da Vespasiano trasformata in colonia romana. Una nuova


colonia fu stabilita a Emmaus, dove Vespasiano insediò 800 veterani di
guerra; Io stesso imperatore fondò in Samaria, nelle vicinanze di Sìchem,
una nuova città, Flavia Neapolis, che diverrà ben presto una delle più im­
portarti del paese.
Altrettanto gravi furono le conseguenze socio-economiche della guer­
ra. Sebbene la distruzione non fosse stata così globale come vorrebbe far
credere Flavio Giuseppe e buona parte della popolazione rurale potesse
rimanere nelle proprie abitazioni, non vi è dubbio che il disastro ebbe
conseguenze gravi e durature. Un buon numero di villaggi giudaici ven­
nero interamente devastati e ih Giuda s’insediò una nuova popolazione
di origine mista. Almeno una parte del territorio fu considerata proprietà
personale dell’imperatore, il quale la vendette o la dette in usufrutto a
proprio favore, e la maggior parte degli agricoltori giudei venne ridotta
alla condizione di coloni. Soltanto anni dopo troveremo di nuovo fami­
glie, come quella di rabbi Tarfon o rabban Gamaliel ir, che dispongono
di grandi ricchezze. In ogni caso il paese dovette avviare la sua ricostru­
zione senza l’incentivo economico e finanziario che il tempio aveva forni­
to in epoche precedenti.
Le conseguenze piu gravi e durature furono senza dubbio avvertite sul
piano religioso. Il giudaismo dovette adattarsi a una nuova situazione e
■ * » ■ • ■
imparare a sopravvivere senza un proprio stato, senza sinedrio, senza
culto sacrificale e senza tempio come centro della vita religiosa. Un chiaro
segno della nuova situazione è la trasformazione decretata da Vespasiano
del contributo di mezzo siclo (due dracme), versato annualmente da ogni
giudeo al tempio di Gerusalemme, in un imposta a favore del tempio di
Giove Capitolino a Roma (fiscus ludaicus).
Già prima della distruzione del tempio si erano sviluppate alPinterno
del giudaismo alcune correnti. Quella rappresentata da Qumran aveva
portato a uno sviluppo teologico che consentiva ai suoi membri il supera­
mento della concreta separazione dal tempio ancora m funzione ma rite­
nuto impuro. Per quella costituita dalla prima comunità cristiana la par­
tecipazione al culto del tempio era secondaria rispetto alla centralità del-
Paccoglimento del messaggio di Gesù. Distrutto il tempio non manche­
ranno tentativi di trasformare la disperazione della sconfitta in speranza
di una restaurazione escatologica, come attestano alcuni scritti della cor­
rente apocalittica [Baruc siriaco e 4 Esdra). Il giudaismo sorto dalia crisi
di questi anni e sopravvissuto fino a oggi si deve all’ala moderata del par­
tito farisaico e ai personaggi passati alla storia con il titolo di «rabbi»,
artefici della profonda rivoluzione che permise al giudaismo di adattarsi
alla nuova situazione e sviluppare le caratteristiche che ne resero possibile
la sopravvivenza.
174 Le guerre contro Roma

I rabbi (il nome deriva dalla designazione palestinese rabbi «mio signo­
re, mio maestro» e comincia a essere utilizzato m quest accezione a parti­
re dal 70) provenivano dairunione dei farisei (nome che dopo il 70 non
designa più un partito) e dei so ferimy gli scribi o dottori della legge. Per
questi ultimi il nucleo della vita religiosa era costituito dalla torà, la leg­
ge, Per i farisei il centro della vita religiosa era il culto, incentrato non nel
tempio, ma esteso alla vita quotidiana, alla casa e alla mensa di ogni fe­
dele, che doveva rispecchiare il livello di purità rituale caratteristico del
tempio e irradiare in tal modo la sua santità in tutto Israele. La fusione di
questi due ideali e rinnaìzamento della torà a nucleo della vita quotidiana
costituiranno la pietra angolare sulla quale si assesterà la trasformazione
del giudaismo. Questa trasformazione sarà legittimata da una catena di
trasmissione orale (Abot r,i) che stabilisce la continuità tra gli insegna­
menti mosaici e profetici e la tradizione rabbinica; tale catena attraverso
gli zugot («le coppie»), come Simeone il Giusto e Antigono di Soko, uni­
sce alla Grande Sinagoga e, per mezzo di Hillel, di Sfiammai e dei loro
successori, giunge fino a Giuda ha-Nasi (il Patriarca), il redattore del­
la Mishria, nella quale culmina il processo di formazione del giudaismo
rabbinico.
Nelle fonti rabbiniche la figura più influente del periodo formativo do­
po la catastrofe è R. Johanan ben Zakkai. La tradizione, tramandata in
racconti che rievocano il modo in cui Flavio Giuseppe riotienne la liber­
tà, lo presenta in fuga da Gerusalemme assediata, nascosto in un sudario
e poi al cospetto di Vespasiano, a cui profetizza che diverrà imperatore
{Abot de-rabbi Natan 4,22-23). Questi, riconoscente, gli risparmia la vi­
ta, consentendogli di stabilire a Jabne (Jamnia, in greco) la prima «ac­
cademia» rabbinica. Certo poco dopo il 70 Jabne appare come il centro
dell’attività rabbinica. Qui, e durante la vita di Johanan ben Zakkai,
cominciarono a prendersi le decisioni giuridiche che cambiarono il volto
del giudaismo, adattandolo alla nuova situazione. Nelle taqqanot (decre­
ti) di Jabne (ad es. Rosh ba-Shana 4,1-4) viene messa in atto la revisione
delle prescrizioni precedenti, per riaffermarne la validità nella nuova si­
tuazione, nella quale ormai non esiste il tempio. A Jabne entra m funzio­
ne il bet din, tribunale rabbinico che assumerà in parte le funzioni del-
].’antico sinedrio. Sempre in questa località, specialmente nel periodo di
Gamalie! 11, figlio del capo fariseo attivo durante la guerra e successore
di Johanan ben Zakkai, l’autorità dei rabbi inizia ad assumere un peso
politico ufficialmente riconosciuto dai romani, che culminerà neiristitn-
zione del patriarcato, con l’accetta/ione da parte di Roma del Nasi, quale
valido interlocutore.
II periodo di Jabne non dura a lungo. Già prima della rivolta di Bar
Kochba altri centri rabbinici, come Tiberiade o B*nè B cvaq,'dove insegna-
Le guerre sotto Traiano 2.75

va r. Aqiba, crescono d’importanza e, dopo la rivolta, lo scettro passa


all’accademia di Usha. Ma l’influenza del «periodo di Jabne» sarà impe­
ritura, segnando la nascita del giudaismo rabbinico.

I I I . L E G U E R R E S O T T O T R a IA N O (115 -II7 D .C .)

Agli inizi del n secolo Pìmpero romano era governato dalla dinastia degli
Antonini, succeduta a quella dei Flavi. L ’imperatore Traiano (9 7-117)
aveva deciso di organizzare l’Oriente e intraprendere, sottomessi i naba­
tei e creata la provincia di Arabia, una lunga campagna contro i parti
( 113 - 117 ) 1
Durante la sua permanenza in Mesopotamia, nel 1 1 5 , scoppiarono va­
rie rivolte giudaiche in Egitto, Cirenaica, Cipro e, infine, nella stessa M e­
sopotamia. I particolari relativi alle ragioni e all’effettiva portata di que­
ste insurrezioni rimangono sconosciuti. Verisimilmente il ratto re messia­
nico svolse un ruolo fondamentale come neila prima guerra giudaica; lo
suggerirebbe la proclamazione a re, in Cirene, del capo dei ribelli. Certo
l’estensione e la violenza delle rivolte si tramutarono molto presto in una
vera guerra.
Nella Storia ecclesiastica Eusebio ricorda che «intorno all’anno diciot­
tesimo dell’imperatore scoppiò una vera sedizione dei giudei che ne fece
perire una moltitudine cospicua. Ad Alessandria e nel resto dell’Egitto,
come pure a Cirene, si sollevarono contro i greci che vivevano con loro,
quasi fossero invasati da un furente spirito di rivolta. La ribellione si este­
se considerevolmente e l’anno seguente sfociò in una guerra di rilevanti
proporzioni» (4,2).
Per quanto concerne l’Egitto la testimonianza di Eusebio è confermata
da Appiano, uno storico contemporaneo costretto a fuggire dall’Egitto a
causa della rivolta, e da numerosi papiri che descrivono con vivezza alcu­
ni aspetti della lotta. All’inizio la sorte favorì i giudei, che costrinsero gli
«elleni» (i cittadini greci e romani) a cercare riparo nella capitale, Ales­
sandria. Qui, tuttavia, questi riuscirono a imporsi, perseguitando e ster­
minando la popolazione giudaica. Per quanto attiene alla sollevazione di
Cirene, la notizia di Eusebio trova ugualmente conferma nella descrizione
che Dione Cassio (48,32) dà delle atrocità commesse dai giudei verso il
resto della popolazione e in abbondanti testimonianze epigrafiche. Il ca­
po del tumulto giudaico sarebbe stato Lucuas per' Eusebio o Andreas per
Dione. Il capo romano incaricato di reprimere la rivolta non fu, in ogni
caso, altri che Marco Tur bone, uno dei migliori generali di Traiano; ciò
avvalora l’importanza della ribellione. Dopo una guerra violenta e di lun­
ga durata (si concluderà solamente all’epoca di Adriano) Turbone pose
fine alla rivolta giustiziando migliaia di giudei a Cirene e ad Alessandria.
Le guerre contro Roma

Un papiro documenta che alla irne del il secolo in Egitto si celebrava an­
cora la vittoria sui giudei.
Eusebio e Dione testimoniano che la rivolta si estese alPisola di Cipro.
I giudei dovettero compiere una tale carneficina tra il resto della popola­
zione e una tale distruzione nella capitale, Salaminu, che, dopo la repres­
sione della sommossa, venne loro proibito, sotto pena di morte, l’accesso
alPisola anche in caso di naufragio.
Per la spedizione militare di Traiano fu ancor più pericolosa Pinsur-
rezione dei giudei residenti presso le frontiere orientali dell’impero, che
l’imperatore tentava di strappare ai parti. Traiano ordino a Lucio Quie­
to, un principe arabo con il rango consolare romano, di stroncare la sedi­
zione; costui portò a termine così bene il suo compito che merito la no­
mina di governatore della provincia di Giudea da parte dell’hnperatore.
Questi conflitti di epoca traianea si svilupparono tutti nella diaspora;
resta incerto se la rivolta si fosse estesa alla Palestina. La stessa nomina
di Quieto a governatore, il breve riferimento di Spartìano, biografo di
Adriano, e gli sporadici cenni a una «guerra di Quieto» nella tradizione
rabbinica (Sofà 9,14) sono stati talvolta interpretati come indicazioni
di una possibile estensione del conflitto alla provincia di Giudea. Ma la
scarsa importanza di questi riferimenti, l’assenza di qualsiasi informazio­
ne precisa e, soprattutto, la forte presenza romana nella provincia, dopo
la prima guerra, inducono a ritenere più probabile che le guerre sotto
Traiano furono un esclusivo problema della diaspora, frutto di tensioni
etniche, culturali e sociali, giacché di fatto la rivolta si diresse più contro
le altre etnie che contro Roma. La povertà della popolazione giudaica
della provincia e il rafforzamento della presenza romana in questi anni
rendono assai improbabile l’estensione del conflitto alla Palestina. Ogni
dato sembra indicare che, in tutto questo periodo, il territorio si era tra­
sformato in una provincia di prima categoria, retta cioè da un governato­
re di rango consolare e con due legioni, invece di una sola, stanziate entro
* i JT-* #

1 suoi confini.

r v . L A R I V O L T A D I B A R K O C H B A ( 1 3 Z - I 3 5 D .C .)

Se la forte presenza romana impedì ai disordini della diaspora di esten­


dersi alla Palestina, non fu in grado di ostacolare, quindici anni circa più
tardi, lo scoppio in Giudea di una rivolta in tutto paragonabile, se non
per ampiezza almeno per la violenza e le sue conseguenze disastrose, alla
prima guerra giudaica.
Le fonti oggi disponibili, quantunque assai più abbondanti e precise gra­
zie ai ritrovamenti dì Murabbacat e di Nahal Hever, non consentono di
precisare con certezza i motivi di questa ribellione, scoppiata durante uno
La rivolta di Bar Kochba 277

dei viaggi dell’imperatore Adriano in Oriente. Una leggenda giudaica


(G en. rabba 64,10) ne individua la ragione nella decisione di Adriano di
procedere alla ricostruzione del tempio, impresa ostacolata da un subdolo
samaritano, topos letterario frequente negli scritti rabbinici, ma privo di
base storica. Più prossimi alla realtà sembrano i morivi enunciati nella
Historia Augusta (Vita Hadnani 14,2.) —la causa è ricollegata al divieto
della circoncisione - e in Dione Cassio (49,12.) —il morivo è la decisione
di Adriano di trasformare Gerusalemme nella colonia romana Aelia Ca­
pitolina. La proibizione delia circoncisione da parte di Adriano, conside­
rata alla stregua della castrazione, è un dato di fatto, ma lo è altrettanto,
come conferma la deroga in favore dei giudei concessa più tardi da Anto­
nino Pio, l’estensione di tale proibizione agli arabi, ai samaritani e agli
egiziani; essa, pertanto, non si limitava ai soli giudei. Naturalmente il
provvedimento suscitò una forte reazione nella popolazione giudaica, ma
non c da escludere che tale misura fosse una conseguenza della guerra più
che la causa, giacché, nella sua forma attuale, la Historia Augusta è un’o­
pera in cui gli elementi antichi sono stati arricchiti con altri materiali po­
co attendibili. Lo stesso si può dire della decisione di ricostruire la città. E
molto probabile che la decisione di costruire Aelia Capitolina fosse presa
nel 13 0 o 1 3 1 , quando Adriano, il grande restitutore si spostò tra la Siria
e l’Egitto. La realizzazione delle opere edilizie, ad ogni modo, è posteriore
alla rivolta, ed Eusebio (Hist. eccl. 4,6) sembra supporre che non solo
l’attuazione, ma i progetti stessi siano successivi all’inizio de! conflitto.
Rimane forse più prudente concludere con Schùrer-Vermes, voi. I, 653:
«Nessuna delle due cause è in sé improbabile. Un effetto combinato di es­
se è abbastanza concepibile». Non mancarono certamente altri fattori,
che svolsero un ruolo importante. P. Schàfer (Der Bar-Kokhba-Auistand,
46 ss.) ha raccolto testimonianze confermanti una divisione del giudaismo
palestinese tra gli elementi favorevoli all’ellenizzazione, avviata da Adria­
no, e «i pii» che vi si opponevano. Tale situazione presenta un perfetto
parallelismo con quella esistente sotto Antioco iv. In questa prospettiva,
uno dei motivi scatenanti la rivolta sarebbe stato il conflitto tra le due fa­
zioni. Di fatto i nuovi materiali recentemente scoperti sottolineano la ze­
lante osservanza dei partecipanti alla ribellione. La situazione economica
e sociale in cui il paese versava dopo l’insuccesso della prima guerra giu­
daica fu in ugual misura un fattore importante per lo scoppio delle ostili­
tà. Questo mi pare provato dagli accordi stabiliti durante la rivolta; essi
attestano che Bar Kochba procedette non solo all esproprio degli antichi
domini reali, ma anche a una specie di riforma agraria nei territori che
riuscì a controllare. Ancor più importante dovette essere l’influsso del
fermento messianico che si concretizzò nel riconoscimento del capo della
rivolta come messia.
Zj8 Le guerre contro Roma

I nuovi documenti di Murabba'at e di Nahal Hever hanno dimostra-


• •

to che il capo indiscusso della rivolta si chiamava Simone Ben/Bar Kosiba,


«figlio di Kosiba». La designazione Bar Kochba, «figlio della stella», ri­
corrente nei testi cristiani e coniata da r. Aqioa, e quella di Ben/Bar Ko­
ziba, «figlio della menzogna», con la quale lo si designa abitualmente ne­
gli scritti rabbinici, sono deformazioni tendenziose del suo nome, impu­
tabili ai suoi seguaci o ai suoi oppositori. La prima attesta il caratte­
re messianico attribuito alla sua figura, come prova l'interpretazione di
Num. 2 4 ,17 conservata nel Talmud di Gerusalemme: «R. Simeon ben Jo-
hai insegnò: R. Aqiba, mio maestro, soleva spiegare il passo: ‘Un astro
uscirà da Giacobbe’ così: Koziba uscirà da Giacobbe. Quando r. Aqiba
vide Koziba esclamò: Questo è il re messia. Al che r. johanan ben Torta
gli disse: Aqiba, l’erba crescerà dai tuoi zigomi, e il figlio di David non
sarà ancora venuto» [fTa'amt 4,8,68d). La seconda designazione, «il Bu­
giardo», sta a significare il discredito in cui cadde Bar Kosiba dopo la
sconfitta.
La presenza della designazione Bar Kochba soprattutto nei testi cristia­
ni si spiega con il loro rifiuto di partecipare alla rivolta proprio per il suo
carattere messianico. Questo rifiuto avrebbe provocato, secondo Eusebio
e Giustino, la persecuzione dei cristiani da parte di Bar Kochba. Risulta
anche spiegabile che la tradizione rabbinica usi soprattutto il nome di
Koziba, dati i disastrosi effetti della ribellione II testo citato testimonia,
peraltro, che i rabbi si trovavano divisi al momento di valutare i segni
messianici della rivolta. È impossibile precisare se solamente Aqiba e i
suoi seguaci si dichiararono a favore di Bar Kochba, mentre la maggio­
ranza dei rabbi gli era contraria, o se non si tratta che di una proiezione
della condanna successiva alla sconfitta.
Gii stessi documenti attestano che l’epiteto attribuitosi da Bar Kochba
era nail «principe». I contratti di Murabba'at impiegano la seguente for­
mula introduttiva: «Nel giorno x del mese y dell’anno z dalla salvezza
dfIsraele per mano di, Simon Bar Kosiba, il principe d’Israele...». Il mede­
simo titolo di nasi appare nelle lettere e nelle monete commemorative
dell anno della liberazione. Benché non sia facile precisare l’esatta valenza
del titolo (fu impiegato per designare i capi delle tribù durante l’esodo e
in un’epoca successiva servirà come titolo del patriarca o capo del rabbi­
nato), il suo utilizzo da parte di Ez~ 37,24-27 per designare il re escatolo­
gico e, soprattutto, il suo impiego come titolo chiaramente messianico-
escatologico a Qumran permettono di vedervi un’espressione del messia­
nismo del movimento. Sarà un messianismo direttamente legato alle spe­
ranze politiche e sociali dell epoca, un messianismo espresso nei termini
«salvezza d’Israele» e «liberazione d’Israele» ricorrenti nelle monete e nei
contratti. Come nasi Bar Kochba rappresentava il capo dello scontro ri­
La rivolta di Bar Kodhba 279

solutivo contro Roma, mediante il quale si dovevano ottenere la libera­


zione e la salvezza definitive.
Sempre i medesimi documenti rivelano l’enfasi riposta dagli insorti nel­
la scrupolosa osservanza della legge: riposo sabbatico, cancellazione dei
debiti e riposo della terra nell’anno sabbatico o del giubileo, puntualità
nel pagamento delle decime, osservanza scrupolosa delle feste ecc. I testi
ci trasmettono 1 attenzione dì Bar Kochba per il benessere dei «fratelli»
(designazione che si danno i rivoltosi nei testi greci) e, al tempo stesso, la
sua ferma decisione e propensione a intervenire duramente quando ne­
cessario.
Sfortunatamente la nuova documentazione non consente di tracciare
un panorama coerente dello sviluppo delle ostilità né di risolvere alcuni
problemi aspramente discussi: se la ribellione si estendesse a tutta la pro­
vincia di Giudea o fosse ristretta a Giuda m senso stretto; se i ribelli siano
o no riusciti per qualche tempo a occupare Gerusalemme e ripristinare il
tempio. Benché gli insorti abbiano controllato la città per un po' di tem­
po, come suggerisce una possibile interpretazione dei dati numismatici,
certo Gerusalemme non ebbe un ruolo militare importante nel conflitto,
contrariamente a quanto successo nella prima guerra giudaica. Relativa­
mente al primo problema, i nuovi testi confermano indirettamente I opi­
nione di chi sostiene che il teatro della rivolta si ridusse esclusivamente a
Giuda, più in concreto alla zona del deserto di Giuda compresa tra il Na-
hal Hever e il Wàdi ed-Dàliye, da un Iato, e la regione della Shefela,
dalPaltro, con Beter quale centro della resistenza e Hebron come estre­
mità meridionale. Quasi tutte le località ricordate nei nuovi testi si trova­
no in questo limitato perimetro, e quelle più spesso ricorrenti, come Te-
qoa, Herodium ed Lngaddi, sono tutte situate nel Deserto di Giuda.
Si ignora come le ostilità ebbero inizio e come si sviluppò la guerra.
L’avvio della rivolta, nel 13 2 , è confermato da un contratto di Murab-
ba‘at. A partire da questo momento i ribelli presero a contare il tempo
dalla loro era, incidendola sulle monete c datando i documenti secondo
tale computo. Dione Cassio (69,12-13) narra che gli insorti evitavano il
confronto diretto con l’esercito romano, preferendo occupare posizioni
strategiche nella campagna e costruire gallerie sotterranee nelle quali ri­
fugiarsi (alcune di queste sono state recentemente ritrovate nella Shefela).
Molto presto i ribelli riuscirono a occupare un buon numero di roccafor-
tt, poiché il governatore della provincia, Timeo Rufo, non fu in grado di
soggiogarli. Neppure l’intervento del governatore di Siria, Publicio M ar­
cello, accorso in suo aiuto, dette miglior risultato. Trasferendolo dalla
Britannia, infine, l’imperatore Adriano inviò uno dei suoi migliori gene­
rali, Giulio Severo, a soffocare la ribellione. Il suo compito non fu facile,
come dimostra il contingente di truppe impegnato. Oltre le due legioni
z8o Le guerre contro Roma

stanziate nella provincia, la X Fretensis e la VI Ferula, diverse iscrizioni


testimoniano la partecipazione di distaccamenti della rii legione Cyrenaì-
ca, della I l i Gallica, della X Gemìnae e, probabilmente, della V Macedo­
nica e della II Traìana. Lo confermano anche le numerose perdite romane
che indussero Adriano a rinunciare al «trionfo» e a omettere nel resocon­
to della vittoria al senato la formula abituale miht et legìonìbus bene
(Dione Cassio 69,14).
Lo scontro decisivo fu rappresentaro dall’assedio e dalla conquista di
Beter da parte dei romani. La tradizione rabbinica, che descrive la conse­
guente distruzione con tratti davvero apocalittici, colloca in questa circo­
stanza la morte di Bar Kochba e dì r. Aqiba, e data la caduta della città al
9 di Ab dell’anno 13 5 d.C., lo stesso giorno della distruzione del tempio.
Le ultime scaramucce si combatterono negli incavati torrenti del deser­
to, nelle cui grotte inaccessibili avevano cercato rifugio i ribelli e dove es­
si perirono di o fame o asfissiati dal fuoco o per mano dei romani. 1 do­
cumenti conservatisi malgrado tutto in questi rifugi costituiscono oggi la
miglior fonte d’informazione sulla rivolta.
Le conseguenze della ribellione furono disastrose per il paese. Benché
meritmo poca credibilità le affermazioni di Dione Cassio, da cui risulta
che i morti per cause belliche (senza contare i deceduti per fame o epi­
demie) superarono il mezzo milione, il numero di vittime fu certamente
molto elevato. Pure rilevante fu la quota di giudei venduti come schiavi;
tanto consistente, al dire di Gerolamo, che il loro prezzo al mercato di
Hebron non superava quello di un cavallo. La tradizione rabbinica ri­
corda inoltre Pimposizione di diverse misure di persecuzione religiosa: di­
vieto della circoncisione, del riposo sabbatico, dello studio della torà ecc.
(bTa'anit r8a). Gerusalemme fu definitivamente trasformata in colonia
romana, Colonia Aeha Capitolina, cui, sotto pena di morte, fu proibito
l’accesso a ogni giudeo. La fondatezza dell’affermazione di Dione Cassio
(69,12.), secondo cui nello stesso luogo del tempio distrutto si costruì un
tempio a Giove Capitolino, è oggi discussa; è tuttavia innegabile che la
città venne completamente paganizzata. Il centro spirituale del giudaismo
passò in Galilea, nelle cui accademie si andrà perfezionando la rivoluzio­
ne iniziata a Jabnc, che culminerà con la codificazione della Mishna. Da
questa rivoluzione interna sorse un giudaismo con un nucleo indistrutti­
bile, la torà.

V. P R O B LEM I APERTI

Innumerevoli sono i problemi che scaturiscono dalia duplice descrizione delle ori­
gini della prima guerra giudaica, della campagna in Galilea e della conquista d f
Gerusalemme che Flavio Giuseppe ci ha tramandato nella Vita e nel Bellum Iu-
Problemi aperti 281

daicunt. Alcuni, come la denigrazione di protagonisti della levatura di Simone bar


Giora o Giovanni di Giscala, sono imputabili a inimicizie personali o a conflitti
ideologici tra Flavio Giuseppe e determinati personaggi; altri, come il tenere cela­
ta la componente messianica della ribellione o il silenzio sulla posizione samarita­
na durante il conflitto, nascono dal desiderio dello storico dì minimizzare l’oppo­
sizione giudaica a Rom a; altri ancora, come la rilevanza data alPassedio di Jota-
pata durante la campagna di Galilea, sono spiegabili con la necessità di giustifica­
re il suo cambiamento di fronte; altri, infine, come le notizie contraddittorie sulla
situazione interna di Gerusalemme durante l’assedio, sono senza dubbio attribui­
bili alla sua assenza dal campo di operazioni. Qui ricorderemo soltanto due pro­
blemi ormai classici: la fuga a Pella della comunità giudeo-cristiana di Gerusa­
lemme, per consiglio divino, poco prima dell’ assedio della città, e le responsabili­
tà di Tito nell’ incendio del tempio,
La tradizione attestante la fuga a Pella si basa sulle affermazioni di Eusebio e
di Epifanio ed è stata, in linea di massima, accolta (si veda in tal senso Schurer-
Vermes i, 636). Attualmente, tuttavia, sì dubita sempre più dell’autenticità storica
di questa fuga. La comunità giudeo-cristiana non condivise certo gli ideali mes­
sianici alla base della rivolta e la turbolenta situazione della città in quegli anni
offrì un contesto ideale alla fuga. M a altrettanto certamente la stessa comunità
non rimase insensibile alle problematiche sociali determinanti lo scatenarsi della
guerra e tra i suoi membri la componente «zelota» (attestata già Era i seguaci di
Gesù) aveva una consistenza apprezzabile. È spiegabile che Flavio Giuseppe non
ricordi questa fuga, ma resta difficile comprendere le ragioni dì una fuga proprio
a Pella. E improbabile che questa città della Decapoli, a maggioranza pagana e
attaccata dai ribelli all’inizio delle ostilità {Bell. 2,4 58 ), possa aver accolto un
gruppo di giudeo-cristiani presumibilmente consistente e la cui identità cristiana
non doveva essere facilmente percepibile. Se si aggiunge che la fuga sarebbe do­
vuta avvenire attraverso 10 0 km circa di territorio già controllato dai romani e
senza che questo esodo massivo lasciasse traccia alcuna nel conflitto, sembra
plausibile la posizione di quanti negano la realtà storica della fuga. I recenti scavi
di Fella non hanno fornito prove convincenti su una presenza cristiana nella città
anteriormente all’epoca bizantina. A mio avviso l’indubbia presenza giudeo-cri­
stiana a Getusaiemme dopo il 70 sconsiglia l’adesione totale alle affermazioni di
Eusebio.
Sulle responsabili li di Tito nell’incendio del tempio sono evidenti le motivazio­
ni apologetiche addotte da Flavio Giuseppe per discolparlo. Secondo lo storico,
nella riunione del consiglio di guerra precedente ['assalto finale Tito avrebbe or­
dinato ai suoi generali di preservare il tempio [Bell. 6 ,2 ,37-2 4 3); appiccato l’in­
cendio, sarebbe accorso dalla sua tenda, ingiungendo a gran voce dì spegnerlo,
ma il rumore avrebbe impedito ai soldati di udire gli ordini {B eli 6 ,2 5 4 -2 5 6 ) ;
ispezionato personalmente l’interno del tempio avvolto dalle fiamme, avrebbe in­
timato di spegnere l’ incendio, incaricando un centurione di far eseguire i suoi or­
dini con la forza, ma 1 soldati si sarebbero rifiutati di obbedire (Bell. 6 ,26 0 -26 6 ).
Le immagini di un Tito che riposa nella sua tenda nel corso della battaglia e di le­
gionari disobbedienti a un ordine direttamente impartito dal loro capo sono già
di per sé abbastanza inattendibili; il maggior problema, tuttavia, proviene dalla
2,8 % Le guerre contro Roma

prima asserzione (la decisione nel consiglio), che non soltanto contraddice il resto
delle azioni di Tiro e la tradizione rabbinica, tua anche le affermazioni di molti
storici antichi, Valerio Fiacco, Sulpicio Severo e Orosio. La possibilità che Sulpi-
cio Severo s’ ispiri direttamente alla descrizione (perduta) della conquista di Geru­
salemme di Tacito ne avvalora ancor più la testimonianza. Senza aprire la discus­
sione sui motivi attribuiti da questi storici a Tito nell’ordinare l’incendio del tem­
pio, la loro testimonianza induce a concludere che in questo caso Flavio Giuseppe
abbia deliberatamente modificato i fatti, mosso dal desiderio di proporre un'im-
magìne di Tito più favorevole possibile.
1 problemi del periodo successivo alla prima guerra giudaica derivano soprat­
tutto dal carattere delle fonti cui lo storico deve ricorrere (in massima parte la let­
teratura rabbinica), per l’ assenza di opere storiche paragonabili a quella di Flavio
Giuseppe o ai libri dei M accabei per 1 periodi precedenti. Alcuni problemi, come
quelli sollevati dalle notizie incidentali di Flavio Giuseppe o dalla lettera agli
Ebrei e da altri testi della letteratura cristiana antica (che consentono di supporre
la continuazione dei sacrifici arche dopo la distruzione del tempio) rispetto alla
tradizione rabbinica (secondo la quale cessarono con la soppressione del sacrificio
perpetuo il 1 7 di Tam m uz precedente l’incendio), possono risolversi in favore
della tradizione rabbinica. In altri casi, invece, è impossibile pronunciarsi sul va­
lore storico di certi dati dì questa stessa tradizione. Qui ricorderemo unicamente
due problemi: la canonizzazione dell’ A .T . nel «sinodo di Jabne* e l’effettivo si­
gnificato della «benedizione contro i mìnim». Entrambe le tesi sì basano su testi
della tradizione rabbinica ed entrambe, nella tradizione cristiana, sono state con­
siderate prova della reazione del giudaismo di fronte alla progressiva espansione
del cristianesimo.
Dalla fine del xrx secolo si difende l’ipotesi che l’A .T . fu «canonizzato» verso
l’anno 90 a Jabne; qui si decise autoritativamente quali libri costituissero la Scrit­
tura, L ’indagine moderna ha provato in modo convincente che le discussioni del­
l’accademia di Jabne sullo statuto di determinati libri continuarono dopo la rivol­
ta di Bar Kochba nelFaccademia diUsha (cfr., ad e$.,Jadajim 3,$), Ciò ha portato
alcuni a collocare la «canonizzazione» in un periodo posteriore a Jabne e alrri a
situarla in un’epoca molto precedente, vicina alla composizione di alcuni libri di­
scussi come Ben Sira o Daniele, vale a dire nel periodo maccabaico (cfr. in questo
senso S.Z . Lehman, The Canonization o f thè Hebrew Scripture, Hamden, Conn.
1976 o R. Beckwith, The Old Testamrnt Canon o f thè N ew Testament Gburch*
London 19 8 5 ). Il «sinodo di Jabne», introdotto da Graetz e difeso da Ryle, e in
ogni caso scomparso dall’orizzonte attuale e con esso la presunta tendenza anti­
cristiana che portò alla canonizzazione.
La stessa tendenza avrebbe portato a introdurre nelia preghiera delle Diciorto
Benedizioni (recitate tre volte al giorno, formano con lo Shema ' il nucleo centrale
del culto sinagogale) la dodicesima benedizione, la birkat ha-minim «benedizio­
ne (eufemismo per maledizione) degli eretici». Secondo l’opinione tradizionale la
maledizione venne introdotta ai tempi di Gamaliel 11 a Jabne, con Fobbiettivo di
accentuare la differenza tra la sinagoga e la chiesa nascente e rendere impossibile
ai giudeo cristiani la partecipazione al culto sinagogale. Se si dà credito a bBera-
kot z8b, il primo dei due elementi sarebbe veritiero e il secondo più discutibile.
Bibliografìa 2,83

La dodicesima benedizione sembra essere la trasformazione e Pampìiamento di


una benedizione precedentemente esistente, nella quale, insieme all’oppressore
tornano, si condannavano i diversi eretici giudei inclusi nel termine minim . In
epoca successiva minim venne inteso in riferimento ai cristiani, come mostra la
sostituzione della parola con nosrìm (nazareni, cristiani) in una recensione del­
le Diciotto Benedizioni rinvenuta nella Geniza del Cairo. Ciò non Implica, tutta­
via, clic tale fosse il significato originario né che Popposizione ai cristiani fosse il
motivo dell’introduzione della dodicesima benedizione. N ell’età di [abrie, in fon­
do, la comunità cristiana primitiva non era agli occhi dei rabbi tanto importante
da comportare gli sviluppi teologici ad essa attribuiti in seguito,

V I. B I B L I O G R A F I A

Per quanto riguarda la nostra principale fonte d’informazione sulla prima guerra
giudaica, lo storico Flavio Giuseppe, si veda PecceLlente studio di S J .D . Cohen,
Jo&ephm in Galilee and Rome. His Vita and Developmen} as an Wstorian , Lei­
den 1.979, dove si confrontano le diverse presentazioni dei fatti, in particolare la
campagna di Galilea, nella Vita e nel Bellum iudatcwn. Sulla presa di Gerusalem­
me cfr. F. Prigent, La fin de Jérusalem , Neuchàtel 19 6 9 : di tono giornalistico, of­
fre una narrazione vivace e ben scritta. Sull’ ultima resistenza a M asada si veda Y .
Yadin, Masada , London - N ew Y o rk 19 6 6 , * 1 9 7 5 (tr. sp. Barcelona * 19 7 7 ) , che
integra le testimonianze letterarie con le scoperte archeologiche da lui stesso ef­
fettuate.
11 ricercatore moderno che ha maggiormente influito sul modo attuale di consi­
derare la problematica del periodo formativo del giudaismo rabbinico è, senza
dubbio, Jacob Neusner. La sua produzione letteraria è abbondantissima. Come
compendio segnaliamo il suo contributo The Pormatìon o f Rabbtmc ìudaism:
Yavneh (Jammia) from A.D. yo to 10 0 , in A N R W n, 19 .2 , Berlin - N ew York
19 7 9 , 3-4 2 . In questa stessa opera si veda P. Schàfer, Die Flucht Johanan b .
Zakkais aus Jerusalem und dìe Griindung des Lcbrhauses3 in Jabne, 4 3 - 1 0 1 .
Sulle guerre sotto ì raiano cfr. la monografia di M. Pucci, La rivolta ebraica al
tempo dt Traiano , Pisa 1 9 8 1 .
Lo saidio più completo delle tradizioni rabbiniche sulla rivolta di Bar Kochba
e di P. Schàfer, Der Bar-Kokhba-Aufsiand. Studien zum zweiten judiseben Krieg
gegerì Rom , Tubingen 1 9 8 1 . Per una introduzione agli scavi e alla nuova docu­
mentazione e per una visione globale di quanto si è recuperato cfr. Y , Yadin, Bar
Kokbba. The Rediscovery o f thè Legendary Mero o f thè Last jew isb Revolt
againsi Imperiai Rome, London 1-9 71.
Sulla dodicesima benedizione, e in generale sulle presunte allusioni ai cristiani e
a Gesù negli scritti rabbinici, sì veda ora J. M aicr, Gesù Cristo e il cristianesimo
nella letteratura giudaica antica, Brescia 1 99 4 .
Capìtolo xn

Il contesto religioso
del Nuovo Testamento

Il primo secolo dell’era cristiana fu per la Palestina di tremendi sconvolgi­


menti e di profonde trasformazioni. Agli inizi del secolo i discendenti di
Erode il Grande godevano ancora di alcune prerogative regali, alla fine la
monarchia era definitivamente scomparsa dalla Giudea e il paese era sta­
to incorporato nel sistema provinciale romano. Sotto la direzione del
sommo sacerdote nei primi anni del secolo il tempio polarizzava la vita
religiosa del paese, a fine secolo era in rovina e il culto sacrificale cessato
e cosi pure si erano interrotti i pellegrinaggi festivi a Gerusalemme. Agli
inizi la società giudaica era frazionata in una moltitudine di sette e di
gruppi, al termine il rabbinismo, che raggiungerà il suo apogeo con Pin-
staurazione del patriarcato, si presentava Punica istituzione fiorente. In
questo secolo di cambiamenti prenderà le mosse la prima comunità cri­
stiana e vedrà la luce una buona parte degli scritti che costituiranno il
fondamento del cristianesimo successivo.
In questo capitolo la nostra indagine si limita principalmente a illustra­
re, in forma succinta, il contesto religioso del N.T. Ma non si deve di­
menticare che i vari «contesti» sono elementi interagenti con altri fattori
politici, economici e sociali, in parte già affrontati da questo studio, per
formare quell’unico humus della Palestina del i secolo, nel quale il N.T.
affonda le radici e dal quale attinge gran parte della sua linfa.
Ma il N.T. non può essere compreso solo attraverso il contesto palesti­
nese, nemmeno quando la Palestina venga considerata come una provin­
cia profondamente ellenizzata dell’impero romano. La predicazione cri­
stiana esce molto presto dai confini giudaici per confrontarsi e guadagna­
re progressivamente il mondo pagano, fino al punto che gli Atti degli
Apostoli possono essere letti come un viaggio programmatico «da Geru­
salemme a Roma». È un viaggio pieno di incontri: con maghi, indovini,
filosofi e, certamente, con una parte degli dei del pantheon greco-roma­
no. Attraverso questi incontri Paolo si addentra gradualmente nel conte­
sto pagano che costituirà il clima nel quale l’albero del N.T. darà i suoi
frutti migliori. Se a Cipro vengono passati sotto silenzio Afrodite e il suo
grande santuario di Pafo e Luca preferisce presentare il conflitto di Pao­
lo con gli aspetti magici della religione popolare (Atti 13,6 -rz), a Listra
Paolo sarà già identificato con Hermes e Barnaba con Zeus; a stento gli
I] contesto giudaico 2.85

apostoli riusciranno a convincere la gente a non offrire loro un sacrificio


(Atti 14,8-18). A Filippi di Macedonia Paolo e Sila affronteranno una
giovane pitonessa e gli interessi legati alla divinazione finiranno per con­
durre gli apostoli in carcere (Atti 16,16-40), Ad Atene, «città piena di
idoli», con il suo altare «al Dio ignoto», Paolo si misurerà con la filosofia
epicurea e stoica; sarà accolto e ascoltato dal popolo come un qualsiasi
propagandista di una delle tante divinità straniere (Atti 17 ,16 -32 ). A Efe­
so, Paolo apparirà come vincitore nel confronto con i praticanti della ma­
gia, tanto che Luca stabilisce in cinquantamila monete d’argento il valore
dei libri magici bruciati pubblicamente; ma quando la sua predicazione
pone in pericolo gli interessi economici dei fedeli devoti di Artemide, rin ­
contro si trasforma in scontro (Atti 19,18-40),
Per comprendere il N.T. e collocarlo in un quadro concreto è quindi
necessario presentare il contesto giudaico e quello pagano, benché ciò ci
obblighi a trattare entrambi in forma estremamente concisa.

I, I L C O N T E S T O G IU D A IC O

i-. Il giudaismo palestinese


prima della distruzione del tempio
a) Pluralismo
La caratteristica più rilevante del giudaismo palestinese prima della di­
struzione del tempio è, forse, il pluralismo; esso si accentua sempre più
per il fatto che le differenze dottrinali venivano a contare meno della pra­
tica religiosa comune. Flavio Giuseppe, tracciando il panorama del giu­
daismo coevo, segnala quattro componenti maggiori (quattro sette, hai-
reseis): farisei, sadducei, esseni e zeloti, e menziona vari altri gruppi di
minore importanza.

Farisei. Il termine sembra significare «i separati» o, meno ve risim tinnente,


«gli interpreti». Per Giuseppe i farisei costituiscono il gruppo di maggior
prestigio tra il popolo per la loro rigorosa interpretazione della legge e
delle sue proprie tradizioni, cui attribuiscono grande autorevolezza rima­
nendovi fedeli. Lì descrive come un partito influente e direttamente coin­
volto nella direzione politica del paese durante l’epoca asmonea, benché
ne biasimi il potere assoluto durante il regno di Alessandra Saiome, la de­
terminazione con cui si sbarazzavano degli oppositori in campo politico e
la protezione ricevuta quando parlavano male di altri. NelPcpoca erodla­
na il loro co in volgi mento appare ridotto, sebbene Giuseppe ne ricordi il
rifiuto a prestare giuramento di fedeltà a Erode, con la conseguente puni­
zione (a differenza degli esserli), e la partecipazione a una congiura fami­
liare contro il re. In epoca romana alcuni farisei prendono parte alla ri­
286 II contesto religioso dei Nuovo Testamento

volta, mentre altri aiutano i sommi sacerdoti a mantenere I ordine. Giu­


seppe valuta in circa 6000 il numero dei farisei nel 1 secolo. Come carat­
teristica del loro pensiero segnala la credenza nella vita futura congiunta­
mente all'ammissione del libero arbitrio e della provvidenza.
Nel N.T. l’immagine dei farisei è sempre negativa, in quanto avversari
di Gesù. Spesso vengono associati agli scribi, piu raramente ai gruppi che
detengono il potere in Gerusalemme: i sommi sacerdoti e gli anziani. So­
no presentati come maestri esperti nelPinterpretazione della legge e scru­
polosi osservanti della medesima, con grande influenza sul popolo, so­
prattutto nelle questioni concernenti le decime, la purità rituale e il ri­
spetto del sabato. In quanto oppositori di Gesù vengono severamente
condannati come ipocriti (Mt. 23); quando Paolo, tuttavia, è trascinato
davanti al sinedrio, egli stesso viene identificato come fariseo, perché cre­
dente nella risurrezione.
L'immagine dei farisei presentata dalla letteratura rabbinica è condi­
zionata al pari di quella del N .T., benché in questo caso non per l’anta­
gonismo. ma per la pretesa dei rabbi di considerarsi gli eredi legittimi dei
farisei. Le storie sui farisei ricorrenti in questa letteratura li descrivono
come classe dirigente della società giudaica, sia dal punto di vista politico
sia religioso. Ma questa immagine corrisponde meglio ai rabbi dell’epoca
successiva che ai farisei, il cui nome, dopo il 70, cessa di essere impiega­
to. Al contrario, le leggi associate ai nomi dei farisei più importanti del
periodo precedente a! 70 o alle scuole di Shammai e Hdlel riguardano so­
prattutto i problemi di purità rituale, decime e osservanza del sabato.
Di fronte a questa varietà di dati è difficile farsi un’idea precisa ed è
molto probabile che le differenze presentate dalle fonti siano riconducibi­
li, almeno in parte, a una reale evoluzione interna del gruppo. Partito or­
ganizzato e politicamente influente in un dato momento, si evolve poi fi­
no a trasformarsi in un gruppo 1 cui interessi prevalenti sono puramente
religiosi, convertendosi in paladino della più stretta interpretazione della
legge, portavoce della tradizione orale e rappresentante della religiosità
popolare giudaica.

Sadducei. Il termine significa «i giusti», benché sia possibile la derivazio­


ne dal lignaggio sacerdotale sadochita. Secondo Giuseppe compaiono sul­
la scena contemporaneamente ai farisei e agli essem, verso la metà del 11
secolo a.C. Lo storico li presenta vicini alle famiglie potenti e sacerdotali,
tra le quali godevano di grande influenza, ma senza seguito tra il popolo;
ricorda vari sommi sacerdoti sadducei e precisa che 1 loro membri prove­
nivano dall’aristocrazia palestinese.
Talvolta i sadducei vengono considerati non una setta o partito in sen­
so stretto, ma un gruppo che rappresentava gli interessi delle classi domi­
Il contesto giudaico z8j

nanti e della casta sacerdotale, assumendo così il ruolo di giudaismo nor­


mativo. Ma nel N.T. essi appaiono frequentemente insieme ai farisei in
opposizione a Gesù; sono descritti come molto attivi nel tempio e colle­
gati ai sacerdoti e ai membri del sinedrio e si sottolinea il fatto che non
credono alla vita futura né agli angeli o agli spiriti. Ancor più esplicita è
la loro qualificazione settaria nella letteratura rabbinica: i punti in cui si
differenziano dai farisei riguardano problemi di purità rituale, il diritto
civile, le norme sul culto e sull’osservanza del sabato, aspetti che divide­
vano i diversi gruppi.
Le fonti di cui disponiamo, poi, non consentono di precisare nei parti­
colari né la storia né la composizione del gruppo sadduceo. Si tratta di un
gruppo con forti appoggi sacerdotali e aristocratici, con particolare inte­
resse al culto del tempio, che si distingue per credenze proprie tra le quali
risalta la negazione della vita futura; un gruppo che compete con altri per
il potere politico, esercita per molto tempo una funzione dirigente e, infi­
ne, scompare dalla scena con la distruzione del tempio e la conseguente
trasformazione della società giudaica.

Esserti. Nel N.T. questo gruppo non viene menzionato. Il significato del
termine greco, trasmesso in due forme diverse, è incerto (sembra derivare
dalParamaico «pii/fedeli» o «guaritori», oppure dall'ebraico «ammini­
stratori»). Flavio Giuseppe testimonia la loro esistenza già verso la metà
del n sec. a.C. e nel i d.C., calcolando il loro numero in circa 4000 unità.
Il gruppo sarebbe scomparso alla fine della rivolta contro Roma. Som­
mando i dati forniti da Filone, Giuseppe e Plinio, possiamo concludere
che le caratteristiche più marcate del gruppo erano la vita comunitaria,
fortemente strutturata, la proprietà comune dei beni, la loro separazione
dagli altri giudei, il celibato, la rettitudine morale, la modestia, le ablu­
zioni, i pasti comuni e gli abiti bianchi. Quanto alle loro dottrine, buona
parte di esse sono di origine tipicamente giudaica (estrema attenzione alla
purità raggiunta attraverso ripetute abluzioni, osservanza rigorosa del sa­
bato, particolare venerazione per Mosè ecc.), mentre altre, così come so­
no presentate da Giuseppe, sembrano di diversa provenienza: determini­
smo, culto del sole, retribuzione ultraterrena senza risurrezione.
Oggi, grazie alle fortunate scoperte dei manoscritti di Qumran, posse­
diamo una conoscenza molto più precisa dell’essenismo e soprattutto di
una concreta ramificazione del movimento esseno, la setta qumranica.
Questi manoscritti chiariscono in modo straordinario la pluralità, le po­
lemiche e i conflitti del giudaismo dell’epoca.
Un altro gruppo noto di origine apparentemente essena è quello dei te­
rapeuti, descritto da Filone nel De vita contemplativa, secondo il quale
essi sarebbero vissuti soprattutto in Egitto; erano contemplativi e dedica­
z88 II contesto religioso del Nuovo Testamento

vano la vita alla preghiera e allo studio della Bibbia. Si astenevano dalla
carne e dal vino e non mangiavano nulla prima del tramonto. Il gruppo
era formato sia da uomini sia da donne, ma tutti celibi.

Zeloti («gli zelanti»). Le nostre notizie sugli zeloti derivano quasi esclusi­
vamente da Flavio Giuseppe. La maniera classica d’interpretare il movi­
mento degli zeloti può cosi riassumersi: la rivolta contro Roma sarebbe
stata fondamentalmente opera di un solo partito; gli altri gruppi noti (i
sicarii, Ì sostenitori dt Giovanni di Giscala, i seguaci di Simone bar Giora)
sarebbero state fazioni sviluppatesi entro quesr’umco partito o sarebbero
nomi diversi di una stessa realtà, il partito degli zeloti, fondato da Giuda
il Galileo nel 6 d.C. Gli argomenti fondamentali alla base di questa tesi
sono: la citazione in Giuseppe della «quarta filosofia» (Ant. 18,9; Bell.
1 ,1 1 8 ) assieme alle altre tre (farisei, sadducei ed esseni) e l’affermazione
che questa quarta filosofia, la cui caratteristica è l’aspirazione alla liber­
tà, fu la responsabile della guerra contro Roma. Ma Giuseppe non identi­
fica mai la «quarta filosofia» con gli zeloti né mai li menziona come par­
tito prima dell’inizio delle ostilità contro Roma. D ’altra parte, la designa­
zione di Simone come «lo zelota» può semplicemente sottolinearne lo ze­
lo per la legge, come quando Paolo (che non manifesta alcuna inclinazio­
ne rivoluzionaria contro Roma) designa se stesso come «zelota» in G al.
1,14 . Tutt’ al più si può stabilire una relazione tra la famiglia di Giuda il
Galileo con il gruppo dei sicarii, ma non con il gruppo degli zeloti. Per
questi motivi oggi prevale l'opinione che gli zeloti costituissero un gruppo
formatosi nel 66 d.C. e scomparso con la distruzione di Gerusalemme.
Tra le caratteristiche ideologiche degli zeloti quella predominante è forse
la fervida attesa escatologica.

Altri gruppi. Come abbiamo ricordato, un altro importante gruppo del


giudaismo del 1 secolo d.C. è quello dei sicarit. Benché un tempo venissero
spesso confusi con gli zeloti, cggi se ne riconoscono le caratteristiche spe­
cifiche e il probabile collegamento con la «quarta filosofia», cioè con le
idee di Giuda il Galileo e del movimento di resistenza da questo organiz­
zato in occasione del censimento romano. Il loro nome deriva dall’uso
della sica, daga che portavano nascosta sotto il mantello e con la quale
aggredivano i loro nemici durante gli assembramenti di popolo. Le loro
origini sembrano doversi porre in Galilea; di fatto la famiglia di Giuda il
Galileo fornì una serie di capi quasi messianici fino alla distruzione finale
avvenuta a Masada. I stearh formano un partito socialmente rivoluzio­
nario il cui ideale politico è la teocrazia assoluta, che essi vorrebbero in­
trodurre con la forza, attaccando perciò sia gli occupanti romani sia i lo­
ro collaboratori giudei. Dopo l’assassinio di Menahein scompaiono da
Il contesto giudaico Z 89

Gerusalemme e si rifugiano a Masada, dove fino alla morte resisteranno


agli attacchi romani.
Per gli erodiani rinviamo a quanto si è detto nei «Problemi aperti» del
cap. ix (sopra, p. 250).

b) Credenze

La religione giudaica del periodo in esame continua e prolunga gli aspetti


essenziali della religione dell’A.T. L ’elemento centrale è ia professione di
fede nel Dìo unico espressa nello Shetna4: «Ascolta, Israele, Jahvé è il no­
stro Dio, Jahvé è uno solo» (Deut. 6,4, citato in Me. 11,2 9 ). Insieme a
quest'affermazione del monoteismo vigono l’accettazione e la pratica dei
precetti della legge mosaica. Ma nel periodo che qui ci interessa osservia­
mo altresì uno sviluppo decisivo di alcuni aspetti affiorati in età postesi-
lica. Segnaliamo i piu rilevanti.

Messianismo. L ’antica idea messianica implicava fondamentalmente l’at­


tesa di un futuro migliore per la nazione, introdotto da un discendente di
Davide. Nel periodo qui analizzato quest’idea messianica appare sensibil­
mente modificata nei vari gruppi; ciascuno la sviluppa in modo differen­
te, accentuando gli elementi di restaurazione o utopici. Nei Salmi di Saio-
mone il messia regnerà su Israele, distruggerà i nemici e purificherà Geru­
salemme, profanata dai gentili; al contrario, negli Oracoli Sibilimi il re
messia introdurrà il regno eterno di Dio sopra tutti gli uomini e rutti i po­
poli riconosceranno la legge di Dio. La speranza messianica si amplierà
anche interiorizzandosi, passando dal popolo all’individuo. Se nelle parti
antiche del Libro di Enoc interessano soprattutto il futuro del popolo, la
nuova Gerusalemme, e il messia appare anche dopo il giudizio di Dio che
la introduce, nelVApocalisse di Baruc la venuta del messia, che inaugura
un’era paradisiaca, porta il premio o il castigo meritato da ognuno per le
proprie azioni: 1 giusti risuscitano per essere trasformati in luce raggiante
e gli empi per il tormento.
Un altro importante elemento della trasformazione della speranza mes­
sianica è il passaggio dalla speranza di questo mondo al mondo futuro; se
in molti testi il regno del messia si colloca in questo mondo e il mondo
futuro non inizia che con la fine di questo regno (4 Esdra)y in altri {Baruc
siriaco) il regno del messia occupa un posto intermedio tra questo e il
mondo futuro e in altri ancora (come a Qumran e nel N.T.) la venuta del
messia significa l’inizio del mondo futuro; in tal modo la speranza mes­
sianica si fa ogni volta più trascendente, in feren d osi su un piano ultra­
mondano.
Questa molteplicità di credenze messianiche appare anche per quanto
2<?0 II contesto religioso del Nuovo Testamento

concerne le figure messianiche attese: Elia, certamente, è aspettato quale


precursore del messia, secondo Mal. 3,23-2.4 (cfr. Le. 7,24-18), ed è in
ugual modo attesa la venuta de «il profeta» (cfr. G v . 1,19 -24). Questo
profeta, simile a Mosè {Deut. 18 ,18 -19 ), giunge ad acquisire lineamenti
propriamente messianici tra 1 samaritani, 1 quali lo designano come il ta-
heb, attribuendogli un carattere sacerdotale; altri testi samaritani, diver­
samente, sembrano aspettare insieme a lui un messia laico a immagine di
Giosuè. Se questa duplicità può essere intesa come conseguenza delle idee
dei differenti gruppi samaritani, nella comunità di Qumran è chiaramente
testimoniata Partesa di due messia distinti: un messia davidico e un mes­
sia sacerdotale. La comunità, oltre ai due messia, attende anche la venuta
del profeta, cui sembra attribuire un carattere messianico comparabile a
quello dei due messia, assieme ai quali egli viene menzionato dalla Regola
della Comunità: «Fino alla venuta del profeta e dei messia dì Aronne e
d'Israele»,
Tutte queste figure messianiche sono puramente umane; con esse a
Qumran si aspetta anche la venuta di un liberatore escatologico di natura
angelica, al quale si attribuiscono tratti messianici. In ix QMelch lo si
designa come Melkisedeq e in 4 Q246 come «figlio di Dio» e «figlio del­
l’Altissimo». In altri gruppi o correnti il messia stesso è dotato di una
personalità ultraterrena e lo si suppone preesistente: «Questo è Punto che
PAltissimo riserva per la fine dei giorni», come asserisce 4 Esdra (12,32).
Il Libro delle Parabole, incluso nelTEwoc etiopico, è ancor più esplicito in
queste speculazioni: il nome di messia, designato come «Figlio delPuo-
mo» nella linea della tradizione danielica, venne pronunciato già prima
della creazione ed Enoc, nel suo viaggio celeste, può già incontrare questo
Figlio delPuomo, la cui gloria supera quella degli angeli e che possiede
tutta la sapienza e la giustizia.

Escatologia. Le idee escatologiche del giudaismo del periodo intertesta-


mentario ampliano e sviluppano diversi tratti del pensiero delPA.T., so­
prattutto delPescatologia profetica, che annuncia la futura restaurazione
del popolo, la distruzione dei nemici e il ritorno a uno stato paradisiaco.
Queste idee trascendono le prospettive degli scritti sapienziali, incentrate
sulla ricompensa o sul castigo dell'individuo in questa vita. In generale
predomina quanto è designabile come escatologia apocalittica.
La fine dei tempi presenti è immaginata quale conseguenza dì una
grande conflagrazione, preceduta da un periodo di tribolazioni e di per­
secuzioni dei giusti e da una serie di segni annunciatori della fine: ritorno
di Elia, fenomeni cosmici ecc., presentati dalla tradizione rabbinica come
i dolori di parto del messia. In alcuni scritti questo periodo finale è carat­
terizzato da una battaglia decisiva tra il popolo di Dio e i suoi nemici; in
Il contesto giudaico 191

altri le forze angeliche e quelle demoniache fungono da protagonisti prin­


cipali. In taluni testi la venuta del re messia segna l’inizio della fine dei
tempi ed è il messia a distruggere gli empi; in talaltri, invece, Dio soltanto
interviene. In alcuni casi sopravvive l’antica idea di una metamorfosi per
mezzo del fuoco, ma altre volte questo elemento non è menzionato.
Omogenei non sono neppure i testi che descrivono il giudizio finale.
L ’idea veterotestamentaria dei «giorno del Signore», nel quale Dìo casti­
gherà le nazioni o gli individui empi e ricompenserà il suo popolo o i giu­
sti, si sviluppa soprattutto nella direzione di un giudizio individuale che
avrà luogo alla fine dei tempi e servirà per dare a ognuno la ricompensa
definitiva meritata con le proprie azioni. Questa accentuazione dell’indi­
vidualismo religioso, sempre più dissociato dal destino del popolo, coin­
cide con un’apertura universalistica: il giudizio finirà per interessare tutti
gli uomini; più che un giudizio di separazione dei giudei dai gentili si af­
ferma un giudizio discriminante i buoni dai malvagi. Esso precederà e se­
gnerà l’inizio dell’era messianica; in certi testi, come 4 Esdra o Le Para­
bole di Enoc, è il messia stesso il giudice. In essi tale giudizio si distingue
dal giudizio finale, collocato alla fine dell’era messianica, mentre altri te­
sti parlano di un unico giudizio, compiuto da Dio stesso o con l’aiuto di
intermediari. In alcuni casi tale giudizio prevede una risurrezione, riser­
vata esclusivamente ai giusti o estesa a tutti gli uomini. Al giudizio segui­
rà la distruzione o il castigo degli spiriti maligni e il premio o il castigo
definitivi di tutti gl) uomini.
Ugualmente diversificate sono le idee sulla condizione nel mondo futu­
ro. La maggior parte dei testi afferma la risurrezione. Tuttavia, mentre in
certi scritti si contempla la sola risurrezione dei giusti, in altri tutti gli uo­
mini risuscitano per il giudizio, sia all’inizio sia alla fine dell’era messiani­
ca. Altre volte, tuttavia, sembra espressa l’idea dell’immortalità dell’ani­
ma. Se negli scritti antichi i giusti e i peccatori si trovano divisi e collocati
in luoghi distinti, talvolta si segnala una differenza nel rispettivo stato: i
giusti sono situati in una specie di paradiso indefinito in attesa della ri­
surrezione.

Angeli e demoni. Nell’epoca in questione l’angelologia e la demonologia


erano enormemente sviluppate rispetto all’A.T., uno sviluppo nel quale
sembrano aver influito una maggiore consapevolezza della trascendenza
divina e gli influssi stranieri. Si caratterizzano, tra gii altri aspetti, per una
moltiplicazione delle funzioni attribuite agli angeli e ai demoni, per l’im­
plicazione sempre crescente degli esseri celesti negli affari umani, per una
progressiva personificazione che va dall’anonimato alla designazione con
nome proprio, per una gerarchizzazione delle funzioni assolte da angeli e
demoni e per una contrapposizione del mondo angelico e demoniaco co­
2,91 II contesto religioso del Nuovo Testamento

me due mondi in conflittualità reciproca. Ma, com e presumibile, Patteg­


giamento dei diversi gruppi variava enormemente anche su questo punto.
Atti 8,2.3 afferma che i sadducei non credevano negli angeli e neppure ne­
gli spiriti, Flavio Giuseppe, invece, indica come caratteristica degli esseni
la loro premura nel preservare i nomi degli angeli.
Certamente gli angeli continuano a essere gli accompagnatori di Dio
nella sua sede celeste e nelle sue teofanie terrestri, ma oltre ai nomi con
cui li si designa se ne illustra la molteplicità di funzioni a loro attribuite.
Negli scrìtti apocalittici ricorre frequentemente la figura delP«angelo in­
terprete», preposto a spiegare la rivelazione al veggente. Altri testi pre­
sentano gli angeli incaricati di governare i vari fenomeni naturali, di cele­
brare la liturgia celeste, di redigere le tavole celesti e i diversi libri sui
quali annotano le azioni degli uomini ecc.
A questa varietà di funzioni si aggiunge una sempre maggior partecipa­
zione degli angeli alle vicende umane. Anzitutto nella storia d’Israele e
non soltanto al momento della pionmlgazione della legge (Atti 7,38;
Gal. 3,r 8), ma in tutti i momenti decisivi, per difendere il popolo dai ne­
mici e per castigarli. Gli angeli intervengono soprattutto alla fine dei tem­
pi. Ma la loro attività non si limita a Israele, anche il destino di ogni po­
polo pagano è governato dall’angelo corrispondente. La letteratura rab­
binica svilupperà ampiamente la figura dell’angelo custode di ogni perso­
na, che al momento non riveste grande importanza nella letteratura apo­
crifa. Gli angeli rivelano i segreti agli uomini, spiegano loro 1 sogni, li
consigliano sul da farsi e accompagnano i veggenti nei loro viaggi celesti.
Questo intervento angelico nella vita degli uomini appare anche collegato
al destino di ogni uomo: gli angeli annotano ciascuna delle loro azioni, le
pesano sulla bilancia, si disputano con il demonio Lamina dei giusti al
termine della vita e la portano in cielo. Nel Nuovo Testamento questo in­
tervento angelico è continuo, non soltanto in relazione a Gesù, ma anche
a tutti i fedeli.
Conseguenza della differenziazione delle funzioni e della progressiva
personalizzazione degli angeli è una accentuata gerarchizzazione delle
schiere angeliche, che riflette tanto la gerarchia militare quanto quella sa­
cerdotale; ad alcuni angeli poi, come Michele o Metraton, si attribuisce
una condizione particolarmente eminente.
Lo sviluppo della demonologia è rigorosamente parallelo a quello del-
Langelologìa. Le spiegazioni dellforigine dei demoni trasmesse dai testi
oscillano tra una ribellione in cielo di certi angeli, la rivelazione di segreti
agli uomini e il peccato sessuale di alcuni angeli con le figlie degli uomini.
Nella letteratura intertestamentaria si assiste a una progressiva differen­
ziazione di questi esseri di origine celeste e a un’accentuazione delle loro
caratteristiche negative che sfocia in una presentazione assai affine alle
Il contesto giudaico 2,93

concezioni dualistiche di origine persiana. Li si presenta come nemici di


Dio, ma soprattutto come avversari degli uomini, che inducono in tenta­
zione, aggrediscono e cercano di distruggere. Vasto è il loro influsso sugli
uomini; li si considera causa d’infermità e di disgrazie, capaci perfino di
provocare disastri naturali. La loro azione malefica è in parte neutraliz­
zata dall’azione benefica degli angeli, e la lotta tra i due eserciti celesti si
concluderà soltanto alla fine dei tempi, quando i demoni saranno distrut­
ti o castigati in eterno. Uno dei mezzi per liberarsi dal loro influsso è co­
stituito dagli esorcismi, dei quali il N.T. riporta numerosi esempi. Per ot­
tenere lo stesso effetto o per prevenire l’azione malefica dei demoni altri
scritti ricorrono a formule magiche. A giudicare dai testi magici di epoche
successive, l’influenza dei demoni nella vita religiosa dell’epoca, almeno a
livello popolare, doveva essere ben maggiore di quanto gli scritti conser­
vati permettano di precisare.

c) Pratiche religiose

In quest’epoca il centro di ogni pratica religiosa è costituito dal tempio


con i sacrifici, le feste e i pellegrinaggi annuali. La maggior parte del ri­
tuale del tempio si celebrava nell’atrio dei sacerdoti; vi si trovavano l’al­
tare dei sacrifici, il luogo dello sgozzamento e il «mare» di bronzo. AlPin-
terno del tempio, nel santo, si trovavano l’altare dei profumi, la mensa
dei pani della presenza e il candelabro dai sette bracci. Contiguo al santo,
separato da un velo, era il santo dei santi, il recinto più sacro. Era vuoto
ed esclusivamente il sommo sacerdote vi aveva accesso una volta all’an­
no, durante la festa dell’espiazione. Ventiquattro turni sacerdotali assicu­
ravano di volta in volta il servizio del tempio. Il paese, poi, era diviso in
ventiquattro circoscrizioni, che mviavano al tempio leviti e israeliti per
assistere i sacerdoti di turno in certi aspetti del culto. I sacerdoti compi­
vano i sacrifici, bruciavano l’incenso, accendevano il candelabro e bene­
dicevano il popolo; i leviti si occupavano del canto e della guardia al re­
cinto del tempio. Il popolo vi accorreva non soltanto durante le feste di
pellegrinaggio ma più spesso per assolvere diversi precetti, come l’offerta
delle primizie, per partecipare alla liturgia, offrire sacrifici prescritti o vo­
lontari e purificarsi da impurità gravi con l’acqua della vacca rossa.
Il culto quotidiano consisteva sostanzialmente nei due sacrifici perpe­
tui, mattutino e vespertino, di un agnello di un anno e senza difetto. Al
sorgere del sole si dava inizio al culto con l’apertura delle porte del san­
tuario, la rimozione delle ceneri dall’altare dei profumi e la riaccensione
del candelabro. Seguiva lo sgozzamento dell’agnello sacrificale e la siste­
mazione e salatura delle sue parti sull’altare, oltre alla preparazione dei
pani di farina e dell’olio per l’offerta quotidiana e per quella del sommo
Il contesto religioso del Nuovo Testamento

sacerdote. Quindi i sacerdoti recitavano i comandamenti e ls«Ascolta


Israele», mentre il sorteggiato offriva l’incenso alPinterno del santuario,
cui seguiva la benedizione sacerdotale al popolo (Le. 1,8-10). In seguito
si completava il sacrificio con la combustione delle membra della vittima
e delle offerte e con le libagioni ai vino sull’altare; il tutto si concludeva
con i canti dei leviti. Il sacrificio vespertino si consumava in modo analo­
go, sebbene si celebrassero durante il giorno, eccetto il sabato (quando
erano permessi solamente i sacrifici comuni), molti altri sacrifici privati
di vario tipo.
Le fèste piu importanti dell anno erano la pasqua, la Pentecoste e la fe­
sta dei tabernacoli. La pasqua si celebrava in primavera, in ricordo della
liberazione dall’Egitto. Il suo elemento piu tipico era il sacrificio dell’a­
gnello pasquale, compiuto sia dagli abitanti di Gerusalemme sia dai pel­
legrini. L ’agnello veniva offerto il 14 di Nisan, la vigilia della pasqua. Ot­
to giorni più tardi, neirinterpretazione sadducea, o il secondo giorno di
pasqua, a giuuizio dei farisei, si raccoglievano e si offrivano 1 primi covo­
ni di messi (la festa di (omer), e ciò consentiva di consumare già i nuovi
raccolti.
Cinquanta giorni dopo la pasqua si celebrava la festa di Pentecoste o
delle settimane, AlPorigine era una festa di ringraziamento per la mietitu­
ra, una festa delle primizie, e il suo rito proprio consisteva nell’offerta di
due pani di grano; nel periodo qui considerato vi veniva associata la cele­
brazione del dono della legge e delPalleanza sinaitica. La festa durava un
solo giorno, pero nei sei giorni seguenti era consentito Offrire sacrifici ob­
bligatori e portare le primizie dei frutti al tempio.
La festa piu gioiosa era quella dei tabernacoli o delle capanne, poiché
la gente durante questa festa abitava in capanne fatte di rami d'albero.
Dalla tradizione giudaica è indicata come «la festa» per eccellenza. Dura­
va sette giorni, i sacrifici nel tempio erano piu numerosi, si cantava l’Hal-
lel (Sai 1 1 3 - 1 1 8 ) con l’accompagnamento di flauti e si battevano palme
intorno all’altare in segno di gioia. In quest’epoca l’aspetto più caratteri­
stico della festa era la cerimonia della libagione dell’acqua sull’altare; es­
sa non è specificamente descritta nella Bibbia e i sadducei la rifiutavano.
Iniziava al termine del primo giorno dì festa. I cortili del tempio erano il­
luminati e il popolo danzava per tutta la notte fino all’alba, quando si
scendeva alla piscina di Siloe per raccogliere l’acqua della libagione che
sarebbe stata offerra sull’altare. Ogni sette anni, al termine della festa, si
proclamava pubblicamente la torà (Deut. 3 1 ,1 0 - 1 1 ) .
Importante era anche la festa dell’espiazione, chiamata festa del digiu­
no in Atti 27,9, jom kippur o semplicemente «il giorno» nella Mishna.
Era dedicata all’espiazione dei peccati. In questo giorno il sommo sacer­
dote era l’unico officiante nel tempio tanto dei sacrifici perpetui quanto
Il contesto giudaico X 95

delle offerte e sacrifici speciali della festa. Altri sacerdoti officiavano i riti
che dovevano venire celebrati fuori della città, il più importante dei quali
era l’invio nel deserto del capro espiatorio carico dei peccati del popolo.
L ’aspetto più singolare era l’ingresso del sommo sacerdote nel santo dei
santi per offrire incenso e aspergere con sangue, rito che compiva, alla
pari del sacrificio del vitello e del capro, rivestito di paramenti bianchi.
Queste erano senza dubbio le feste più importanti. Nel periodo in esa­
me, tuttavia, le feste di hanukka e di purim avevano raggiunto un note­
vole sviluppo. La festa di hanukka (o della dedicazione, cfr. Gv< 10,2.2)
era stata istituita per celebrare la purìiicazione del tempio compiuta da
Giuda Maccabeo dopo la profanazione da parte di Antioco Epifane (1
Macc. 4,59; 2 Macc. 2,18). Si celebrava per otto giorni, a partire dal 25
del mese di Kislev, con sacrifici e processioni e il rito peculiare consisteva
nell'illuminazione del tempio, delle sinagoghe e delle case private, tanto
che Giuseppe la designa come «la festa delle luci». La festa di purim (del­
le sorti) si celebrava a metà del mese di Adar per commemorare la libera­
zione dei giudei di Persia narrata dal libro di Ester (Est. 9,27). Secondo la
tradizione rabbinica gli aspetti caratteristici sarebbero rappresentati dalla
lettura sinagogale del libro di Ester, dalle opere di carità e dai banchetti,
preceduti da un giorno di digiuno; di fatto la celebrazione della festa ac­
quisì ben presto i tratti tipici di un carnevale, che conserva ancora ai
giorni nostri.
Un cenno a parte merita la celebrazione del sabato, la cui osservanza
nel periodo in questione aveva acquisito contorni abbastanza definiti. In
questo giorno il ritmo dei sacrifici del tempio era modificato: non sì offri­
vano sacrifici individuali, ma soltanto quelli della collettività, con un sa­
crificio aggiuntivo di due agnelli. Il sabato si collocavano dentro il san­
tuario i dodici pani della presenza e si distribuivano tra i sacerdoti, per
essere consumati, i dodici pam della settimana precedente. Si era accen­
tuato soprattutto l’aspetto del riposo. Nel N.T. si attribuisce agli opposi­
tori di Gesù la proibizione di trasportare un letto (G v . 5,10), di curare un
infermo (Le. 13 ,14 ) o di cogliere spighe durante il sabato (ML 12,2). Nel
libro dei Giubilei si vieta la consumazione del matrimonio, l’accendere
fuochi e il preparare i pasti. Il Documento di Damasco di Quniran è an­
cora ben più rigoroso e proibisce di tirar su un animale caduto in un poz­
zo o aiutarlo a partorire, vestire abiti sporchi o occuparsi di affari, estrar­
re o introdurre qualcosa in una casa o in una tenda, rimproverare uno
schiavo, camminare per mille cubiti fuori dalla citta e perfino trascorrere
il sabato con i pagani. E, parlando degli essem, Flavio Giuseppe sottoli­
nea che non toccano nessun utensile e in questo giorno non vanno nep­
pure al gabinetto. Nel giudaismo rabbinico queste prescrizioni verranno
sviluppate e troveranno una cidificazione sistematica; nel trattato Shab-
296 II contesto religioso del Nuovo Testamento

bat della Mishna si enumerano già trentanove «attività» proibite di saba­


to. Insieme a quest’elemento di riposo, la celebrazione del sabato accen­
tuava l’aspetto di «giorno consacrato a Jahvé», giorno dedicato alla pre­
ghiera, alla lettura religiosa e al servizio sinagogale.
I tre pellegrinaggi annuali al tempio di Gerusalemme nelle feste di pa­
squa, di Pentecoste e dei tabernacoli (Es. 23,2.7 e Deut. t6,i6) erano altri
elementi fondamentali della pratica religiosa dell’epoca e avevano la fun­
zione di intessere legami tra gli abitanti di Gerusalemme e il resto della
comunità giudaica, sia palestinese sia della diaspora. I pellegrini erano
obbligati a presentare determinati sacrifici e offerte, e la tradizione suc­
cessiva fissa Pobbligo dell’elemosina. Un’altra componente molto svilup­
pata in quest’epoca era lo studio della torà nel tempio durante i pellegri­
naggi (Le. 2,46; Gv. 7,14). È difficile stabilire fino a che punto questo
precetto fosse considerato un obbligo a cui dovevano assoggettarsi tutti i
maschi. Se Le. 2,41 riferisce che 1 genitori di Gesù solevano recarsi a Ge­
rusalemme una volta all’anno per la festa di pasqua e Giovanni ricorda la
presenza di Gesù nella città varie volte, i smottici sembrano presumere un
solo pellegrinaggio di Gesù, quello precedente la sua morte.
Come mostrano i testi del N. I\, questi aspetti delle credenze e delle
pratiche religiose del giudaismo palestinese erano in gran parte comuni a
tutti i gruppi giudaici, perfino a quello dei primi cristiani. Non c’è nulla
di strano, quindi, che in questo contesto pluralistico il cristianesimo na­
scente fosse considerato all inìzio una nuova «setta» giudaica. Di fatto i
primi cristiani non solo praticavano rigorosamente la legge mosaica (Mt.
5,17-20) e osservavano le prescrizioni di purità rituale (Le. 2,22) e del sa­
bato (Le. 4 ,1 6), ma seguivano fedelmente il culto nel tempio (Atti 2,46) e
ciò li rendeva più «giudei», ad esempio, del gruppo esscno di Qumran. Il
riconoscimento di Gesù come li messia non bastava di per sé a escludere
dal giudaismo il gruppo dei suoi discepoli, come nemmeno fu sufficiente
per estromettere i sostenitori di un intera serie di messia del 1 e 11 secolo.
Al riguardo è significativa la proclamazione di Bar Kochba come mes­
sia da parte di r. Aqiba: essa non vieta che Aqiba sia considerato ancor
oggi uno dei maestri più rappresentativi dei giudaismo tannaitìco. Per gli
oppositori giudaici del cristianesimo nascente esso e un’ulteriore haìresis
giudaica e Atti 24,5 impiega questo termine per designarlo, il medesimo
utilizzato da Flavio Giuseppe per i gruppi farisei, sadducei ed esseni. Ga-
maliel, nel discorso dinanzi al sinedrio riportato in Atti 5,24-39, non esita
a raccomandare nei confronti dei cristiani lo stesso atteggiamento di atte­
sa manifestato verso i seguaci di Tenda e di Giuda il Galileo. Tale com­
portamento contrasta fortemente con quello adottato poco dopo da r.
Gamaiiel 11, che imporra la maledizione contro i nosrim e i minim (i
cristiani e gli eretici o giudeo-cristiani) nella dodicesima benedizione del­
Il contesto giudaico 297

la 1Amida\ è irn atteggiamento implicante la separazione tra cristianesi­


mo e giudaismo. Alla fine del 1 secolo d.C. il giudaismo palestinese era
comunque già profondamente trasformato.

2. Il giudaismo palestinese
dopo la distruzione, del tempio

Se il giudaismo anteriore al 70 si caratterizzava per gravitare intorno al


tempio, quello successivo alla distruzione del tempio (giudaismo rabbini­
co) si distingue per essere imperniato sulla legge, sulla torà. Le differenze
tra i due tipi di giudaismo sono incontestabili, soprattutto a causa delle
profonde trasformazioni intervenute alla fine del 1 sec. d.C. Ma ciò non
può far dimenticare che la maggior parte degli elementi caratteristici del
giudaismo rabbinico affiorano già nel periodo precedente e, in tal senso, è
possibile parlare tanto di continuità che di rottura: l’adeguamento della
torà alla vita quotidiana attraverso la legge orale, la funzione dei rabbi e
la sinagoga con la sua liturgia affondano le loro radici in aspetti del giu­
daismo anteriore al rabbinismo e sviluppano tendenze già esistenti prima
della distruzione del tempio (cfr. sopra, cap. xi, 11).

a) La legge orale

La concezione della legge orale costituisce il concetto chiave del giudai­


smo rabbinico. Dio aveva dato a Mosè la torà scrìtta, il Pentateuco. Gli
altri libri della Bibbia, i Profeti e gli Scritti, erano anch'essi ispirati, ma
non aggiungevano nulla di essenziale alla rivelazione mosaica. Assieme a
quella, Dio aveva rivelato a Mosè la torà orale, costituita da chiarimenti e
ampliamenti della torà scritta, necessari a interpretarla e adattarla alle
mutevoli circostanze di ogni epoca. Si riteneva che il nucleo della torà
orale fosse stato rivelato da Dio direttamente a Mosè; perciò godeva della
stessa autorità della torà scritta, sebbene la maggior parte della torà orale
consistesse in sentenze attribuite a personaggi di epoche diverse.
A differenza della legge scritta, per sua stessa natura immutabile
(Deut. 4,2), la legge orale costituisce un organismo che cresce e si modifi­
ca nella misura in cui cambia l’interpretazione della legge scritta e si tra­
sformano le circostanze reali cui la legge scritta va applicata.

b) I rabbi

La funzione del rabbi implicava un triplice aspetto: l’istituzione di norme


legali derivate dalla Scrittura, l’insegnamento e l’amministrazione della
giustizia. Questi tre aspetti della sua funzione derivavano dalia conoscen­
298 II contesro religioso dei Nuovo Testamento

za della torà scritta e della legge orale, di cui era interprete e depositario.
In queste funzioni i rabbi erano i continuatori degli antichi «scribi»,
«maestri» o «dottori della legge», i so ferim. Nella letteratura rabbinica li
si designa generalmente come «saggi» ; ma, a metà del 1 secolo, la formula
di saluto abituale con cui la gente si rivolgeva loro era «mio signore»,
rabbi. Il titolo specifico di rabbi comincia ad essere applicato ad alcuni
saggi posteriori ai 70 e finirà per designare gli studiosi che avevano rice­
vuto l’ordinazione necessaria per insegnare la legge.
Questa triplice funzione dei rabbi attesta la loro posizione centrale nel­
le tre istituzioni caratteristiche dell’epoca, la sinagoga, il bet dm e il bet
midrash, dove spiegano la Scrittura, amministrano la giustizia e formano
i loro discepoli.

c) La sinagoga

La vera origine della sinagoga rimane sconosciuta, sia come periodica


riunione per leggere e commentare la Scrittura sìa come edificio fonda­
mentalmente dedicato a questo scopo. Il costume di riunirsi di sabato per
leggere e commentare la torà è certamente antico e sembra di molto pre­
cedente alla costruzione di edifici appositi. Questi sono attestati per la
prima volta nella diaspora durante il in sec. a.C., mentre in Palestina si
sono trovati resti di varie sinagoghe del 1 sec. d.C. Nel N.T. si menziona­
no sinagoghe in Palestina (Nazaret, Cafarnao) e 111 tutta l’Asia Minore.
Come istituzione, quindi, essa coesiste con il tempio anche a Gerusalem­
me, ma acquisisce il suo massimo sviluppo dopo la distruzione del tem­
pio, trasformata nel nucleo intorno al quale si organizza la vita religiosa
delle comunità giudaiche. Allora s’intensifica l’elemento della celebrazio­
ne liturgica insieme alla finalità originaria, scrupolosamente mantenuta,
di studio e commento della torà.
Le sinagoghe erano amministrate da un consiglio di anziani, coinciden­
te nei piccoli villaggi con il consiglio degli anziani che amministrava gli
affari pubblici, ed erano presiedute dall’archysinagogus\ costui presiede­
va ie riunioni, designava chi doveva sovrintendere alle preghiere, procla­
mare le letture bibliche in ebraico (Pentateuco e Profeti), tradurle in ara-
maico, recitare la benedizione sacerdotale e predicare.

d) Il bet din

Il het din o tribunale rabbinico è una delle istituzioni più caratteristiche


del periodo successivo alla distruzione del tempio. Fondamentalmente era
un’assemblea di saggi, esperti in questioni legali, 1 quali definivano i prin­
cipi halachici che dovevano guidare la vita del popolo. L’istituzione co­
Il contesto giudaico Z 99

minciò a funzionare a jabne e quanto all’inizio sembra soprattutto una


discussione teorica su elementi puramente religiosi finirà per costituire un
vero sistema legale e trasformarsi in un autentico tribunale che giungerà a
esercitare un’effettiva giurisdizione sul popolo, riconosciuto, almeno in
parte, anche dal governo romano. Sotto questo aspetto è presentato nelle
fonti come erede delle funzioni dell’antico sinedrio.

e) // bet midrash

Un'altra importante istituzione nella quale i rabbi disimpegnano la loro


funzione di studio e insegnamento della legge orale è il bet midrash, la
scuola rabbinica. In queste «scuole» gli alunni condividevano in tutto e
per tutto la vita del maestro, attendevano al suo servizio, lo accompagna­
vano nei suoi spostamenti, lo assistevano nell’espletamento delle funzioni
giudiziarie e nelle opere religiose e di canta, apprendevano dal suo inse­
gnamento e dal suo esempio gli elementi piu complessi delPhalaka e del-
Paggada. Alla morte del maestro i discepoli si aggregavano al gruppo di
un altro rabbi o continuavano insieme al discepolo più distinto, che pro­
seguiva l’insegnamento nella linea del maestro scomparso.

3. Il giudaismo della diaspora

Il mondo giudaico del N.T. non si limita al giudaismo palestinese. Il giu­


daismo della diaspora e ugualmente importante. Come conseguenza delle
massicce deportazioni antiche dell’epoca deH’esilio o di quelle piu recen­
ti, quali il trasferimento a Roma, a opera di Pompeo, di numerosi prigio­
nieri di guerra e, soprattutto, quale esito di emigrazioni volontarie, in
quest’epoca il mondo orientale e quello greco-romano erano coperti da
una spessa rete di comunità giudaiche che costituivano la «diaspora», la
dispersione.
Benché sia impossibile precisare il numero totale dei giudei che forma­
vano la diaspora, le testimonianze letterarie dell’epoca e le scoperte ar­
cheologiche consentono di affermare che esso superava di molto quello
dei residenti in Palestina.

a) Organizzazione e stato giuridico

La diaspora giudaica, almeno nel mondo greco-romano, si presenta orga­


nizzata in comunità di discreta consistenza, tanto da poter mantenere una
certa autonomia, come la diaspora fenicia o quella egiziana dell’epoca. In
genere la posizione giuridica era simile a quella delle altre associazioni di
immigrati. I membri della comunità giudaica erano considerati stranieri,
^oo 11 contesto religioso del Nuovo Testamento

estranei dentro la città, ma godevano di certi privilegi e di una propria


giurisdizione. Questa sembra essere stata la condizione giuridica della
maggioranza delle comunità della diaspora, nonostante che le due comu­
nità meglio note, quelle di Alessandria e di Roma, avessero un differente
statuto giuridico.
La comunità di Alessandria, e probabilmente anche quella di Cirene,
costituiva un'entità politica autonoma, un politeumay diretto da un et-
narca, con la sua gerusia ed i suoi arcomi, e formava una città dentro la
citta, con propri compiti amministrativi, finanziari e giudiziari. All estre­
mo opposto si trovava la comunità giudaica di Roma. Malgrado fosse
numerosa quanto quella di Alessandria, i suoi membri, cittadini romani o
stranieri, non godevano degli stessi diritti riconosciuti alle associazioni
religiose private.
Come lo statuto giuridico anche la struttura interna delle comunità, di­
pendente in gran parte da questo statuto, poteva diversificarsi nelle varie
comunità e mutare con il passare del tempo. I funzionari della comunità
giudaica romana, noti grazie ai loro epitaffi, erano gli stessi riscontrabili
nelle altre sinagoghe: gli arconti, Tarchisinagogo, il hazzany il gramtna-
teus ecc. Ad Alessandria, al contrario, sembra menzionata una vera e
propria gerousia assieme all'etnarca, in corrispondenza alla sua relativa
autonomia politica.

b) Libertà religiosa e privilegi

L o sviluppo di questa fiorente diaspora giudaica fu possibile grazie alia


libertà religiosa goduta dai suoi componenti. Sia l’ impero tolemaico sia
quello seleucidico e, soprattutto, l’impero romano, dettero prova di una
grande tolleranza religiosa; i privilegi concessi alle diverse comunità assi­
curavano loro il lìbero esercizio della religione e la legislazione romana,
soprattutto con Augusto, protesse apertamente tale libertà religiosa dai
tentativi delle città greche d> limitarla o sopprimerla. Il riconoscimento
del diritto di praticare la religione giudaica comportava il diritto ad am­
ministrare (e finanze della comunità, necessario per garantire l'invio al
tempio di Gerusalemme delle decime richieste dalia legge e delPimposta
di due dracme per il culto del tempio. LTgualmente importante era il dirit­
to ad amministrare la giustizia, in sintonia con le prescrizioni della legge
mosaica, come prova il Nuovo Testamento (Atti 9,2; 18 ,12 - 16 ; 2 2 ,19 ;
2 6 ,11}.
Conseguenza di questa libertà di praticare la propria religione era Pe­
renzione dal servizio militare, anche per i giudei con cittadinanza Toma­
ia, a motivo della incompatibilità con l’osservanza del sabato, oltre a
m'altra serie dì immunità anch’esse legate al sabato.
c) Ellenizzazione, apologetica e proselitismo

Il continuo contatto con il mondo pagano e, in particolare, con gli ideali


ellenistici segnò profondamente la vita religiosa del giudaismo della dia­
spora, soprattutto in quei casi in cui la situazione economica permise ai
giudei, come accade ad Alessandria, l’accesso a una educazione greca.
Gran parte degli scritti del giudaismo della diaspora sono caratterizzati
da una marcata tendenza apologetica. In essi si cerca di provare che i giu­
dei non sono inferiori agli altri popoli né sono giunti più tardi alla civiliz­
zazione, anch’essi hanno dato, al contrario, notevoli contributi; non sono
in alcun modo «atei», ma il loro rifiuto a partecipare ai culti pagani sca­
turisce dalla superiorità del loro monoteismo; la loro astensione dal culto
dell’imperatore non è imputabile a mancanza di lealtà nei confronti dello
stato (provata dal sacrificio offerto quotidianamente nel tempio per l’im­
peratore), bensì a un’esigenza puramente religiosa; infine, i precetti con­
creti della legge maggiormente esposti al ridicolo, come la circoncisione,
le norme di purità e le prescrizioni alimentari, hanno una giustificazione
di ordine superiore, che rende la legge mosaica il più puro ed elevato
ideale umano.
In stretta relazione con questo carattere apologetico si costatano la
tendenza al proselitismo e l’orientamento missionario di varie opere del
giudaismo della diaspora come il Testamento di Giobbe o il romanzo di
Giuseppe e Asenet. Di fatto, le fonti giudaiche e pagane testimoniano che
un gran numero di pagani si sentiva attratto dal giudaismo; molti si con­
vertirono, facendo propria la circoncisione e la totalità dei precetti della
legge (i proseliti), e molti altri simpatizzanti, «timorosi di Dio» (i theose-
beis, come vengono definiti dalle iscrizioni, o i «giudaizzanti», come li
designa Flavio Giuseppe), senza convertirsi completamente al giudaismo,
accettavano il Dio unico, osservavano il sabato, praticavano alcuni pre­
cetti e attendevano ai servizi sinagogali. Insieme alla propaganda attiva
per mezzo degli scritti, l’irradiazione concreta tramite le sinagoghe fu
probabilmente uno dei fattori della propensione al proselitismo del giu­
daismo della diaspora.

d) Rapporti con il giudaismo palestinese

Malgrado l’importanza dei caratteri peculiari del giudaismo della diaspo­


ra non bisogna dimenticare che la sua diversità rispetto al giudaismo pa­
lestinese è più questione di sfumature che di sostanza e gli elementi co­
muni a entrambi sono molto più importanti delle differenze. Per certi
aspetti il giudaismo della diaspora era in continuo contatto con la Palesti­
na, un contatto rafforzato dalla presenza in Gerusalemme di sinagoghe
3G2, Il contesto religioso del Nuovo Testamento

consacrate principalmente al servizio durante il pellegrinaggio dei giudei


provenienti dalla diaspora o di quelli insediatisi definitivamente nel pae­
se. L ’invio delle decime c dell’imposta delle due dracme per il tempio con
propri emissari, i pellegrinaggi a ( Gerusalemme in occasione delle feste
erano due dei canali principali attraverso cui si mantenevano i vincoli di
unione con la città santa, permettendole di esercitare il suo influsso sul
giudaismo della diaspora. In tale giudaismo della diaspora, ellenizzato e
missionario, con i suoi proseliti e i suoi theosebeis} il cristianesimo na­
scente troverà il terreno più propizio alla propria espansione.

4 .1 samaritani

Uno dei fattori costitutivi del giudaismo palestinese che compone il con­
testo del N.T. è rappresentato dai samaritani. L ’interpretazione gerosoli­
mitana delle origini samaritane si rispecchia in 2 Re 17 ,14 - 4 1: gli assiri
avrebbero insediato una popolazione straniera nel nord del paese; mi­
schiatasi con la popolazione israelitica, avrebbe originato i samaritani.
Nella loro specifica interpretazione storica i samaritani si considerano, al
contrario, gli unici israeliti fedeli alla religione mosaica, come la presenta
la torà e come fu stabilita a Sichem da Giosuè. Lo scisma sarebbe iniziato
con l’istituzione del santuario a Silo da parte di Eli, si sarebbe perpetuato
con la costruzione per opera di Salomone del tempio di Gerusalemme e
consumato con la falsificazione della Scrittura attuata da Esdra. Gli studi
attuali inclinano a ricercare le origini samaritane nel n sec. a.C. (cfr. cap.
vili, v) e considerano ) incorporazione nel Pentateuco del precetto sul
culto presso il monte Garìzim il fattore più importante. L ’accettazione di
questo precetto da parte dei samaritani e il suo rifiuto da parte di Geru­
salemme rendono impossibile considerare i giudei e i samaritani due rami
compatibili di una medesima tradizione. I samaritani si ritengono gli uni­
ci portatori della vera tradizione religiosa israelitica in un modo che non
differisce sostanzialmente da quella di altri gruppi settari, come la comu­
nità di Qumran.
L ’attesa samaritana della venuta di un profeta come Mosè, il taheb
(«colui che torna»), di indole messianica (cfr. Gv. 4,25), eserciterà un
forte influsso nel cristianesimo nascente, e nel N.T. rinveniamo echi non
soltanto della contrapposizione giudei/samaritani, ma anche dell’esisten­
za dì gruppi distinti all’interno del movimento samaritano.

11. I L C O N T E S T O P A C A N O

Se le radici del cristianesimo affondano profondamente in terra giudaica,


la sua crescita avviene, rapidamente, in un contesto pagano e il suo mes­
Il contesto pagano 303

saggio è espresso con linguaggio e simboli nei quali gli elementi derivati
dalle religioni pagane si alternano e si mescolano al linguaggio e ai sim­
boli giudaici. Il mondo pagano era profondamente religioso, ma questa
religiosità si presentava sotto le forme più svariate.
La religione greco-romana di questo periodo è stata definita giusta­
mente come sincreristica e popolare. Il popolo seguiva devotamente il
culto delle divinità locali, esprimendo in tal modo la sua lealtà civica.
Tuttavia l’orizzonte religioso si era al tempo stesso ampliato per lasciare
spazio a elementi della più disparata provenienza, mentre le pratiche reli­
giose tradizionali si erano arricchite di elementi esotici. Certamente gli
antichi tempii rimanevano attivi e gli antichi riti erano praticati dalla
massa, ma i nomi degli dèi si erano moltiplicati e mescolati in ogni sorta
di combinazioni. Erano comparse nuove divinità, altre avevano travalica­
to le frontiere tradizionali; nuove forme di culto si erano propagate per
tutto Pimpero. Ovunque, inoltre, erano sorte associazioni religiose, e il
culto delPimperatore si era esteso alPintero mondo civilizzato.

1. Radici della religiosità tardo-ellenistica

La situazione religiosa conserva chiare tracce delle diverse matrici origi­


narie. Molti elementi più caratteristici iniziano a manifestarsi già nel pe­
riodo classico della religione greca e si svilupperanno largamente durante
il primo ellenismo.
Uno degli elementi più caratteristici della religione di questo periodo, la
sua trasformazione in religione di salvezza individuale, risale chiaramente
alPintroduzione in Atene, nel 420 a.C., del culto di Esculapio, il dio gua­
ritore e protettore dell individuo. L’uomo ellenista, individualista e co­
smopolita, cerca il bene individuale prima ancora del bene civico. Escula­
pio, con le sue cure miracolose, risponde a questa necessità più che alla
funzione di dio protettore di una città e sarà visto come divinità tutelare
dell’individuo.
Radici ugualmente antiche nella religione greca ha la dea per eccellenza
della religione ellenistica: la dea Fortuna (Tycbe), che a suo capriccio crea
o distrugge la sorte dei re, la dea imprevedibile che tutto trasforma. Sem­
pre dal patrimonio delPantica religione greca deriva l’importanza assunta
dagli oracoli nella religione ellenistica.
Un altro di questi elementi chiave trova pure in essa le sue radici: le re­
ligioni misteriche del tardo ellenismo sarebbero incomprensibili senza un
riferimento agli antichi misteri di Demetra, di Dioniso o ai misteri orfici.
Anche la creazione più singolare di questa religiosità, il culto imperiale,
ha una parte delle sue origini più profonde nel culto dell’eroe proprio
della religione greca classica e nel precedente culto dei morti.
304 II contesto religioso del Nuovo Testamento

Ulteriori elementi di questa religiosità rivelano il contributo dei culti


romani, soprattutto dell’antica credenza nei genti, che, una volta fusa con
quella ellenistica nel daimon personale, inteso come elemento divino pre­
sente nell’uomo, avrà un’influenza decisiva nello sviluppo del culto impe­
riale, caratterizzante l’intero periodo.
Ma gli aspetti più innovativi della religiosità del tardo ellenismo pro­
vengono, senza dubbio, dagli apporti delle religioni orientali. Già in pre­
cedenza alcune divinità di questi popoli «barbari» si erano introdotte nel
pantheon greco, come avviene ad esempio per la dea Cibele, la grande
madre del monte Ida in Frigia, e del suo compagno Attis. In seguito alle
relazioni introdotte dalle conquiste di Alessandro e dalla costituzione di
associazioni religiose in tutto il mondo ellenistico, l’espansione delle di­
vinità orientali diviene inarrestabile. Illustreremo brevemente tutto ciò
nelle pagine che seguono.

2. Religiosità popolare

La religione del tardo ellenismo è contrassegnata dal fascino per le forze


oscure che reggono il destino dell’universo, per le forze della natura e per
quelle del mondo sotterraneo che implacabilmente s’ impongono all’uo­
mo, per le forze della distruzione e della morte. Conseguentemente nella
religiosità popolare hanno una grande influenza le credenze e le pratiche
che consentono di dominare i’effetto di tali forze occulte nella vita del­
l’uomo.

a) Divinità salvifiche e taumaturghi

La fede in qualsiasi sorta di terapie miracolose è una costante delle cre­


denze popolari, e in questo periodo essa acquisisce un grande sviluppo.
La località più famosa per le guarigioni era il tempio di Epidauro, dedica­
to a Esculapio. Il mezzo mediante il quale queste venivano operate era
costituito dalVìncubatio: gli infermi dormivano all interno del tempio del
dio che comunicava loro, durante il sonno, le indicazioni necessarie per la
guarigione.
Come strumenti accessori sono spesso ricordati (acqua miracolosa del­
la fonte (in tutti i templi di Esculapio esisteva un impianto idrico) e i ser­
penti sacri. Insieme a Esculapio i più famosi dèi guaritori dell’epoca sono
senza dubbio Iside e, soprattutto, Serapide. Grande importanza hanno
anche le statue e le immagini cui si riconoscono forze prodigiose. Ma an­
cor più importante è la persona alla quale si attribuiscono capacità tau-
marurgiche, designata come theìos aner.
b) Magia

Importante quanto i taumaturghi o altri theioì andres è la figura del ma­


go, in cui il carattere sincretistico della religione dell’epoca si rivela in
tutta la sua realtà. Benché nella Grecia classica la magia sia già conosciu­
ta, la sua fioritura nel i e n secolo d.C. è dovuta all’introduzione nel
mondo ellenistico della magia assiro-babilonese e delle sue varianti con
influssi giudaici e, soprattutto, egiziani. La magia dell’epoca ellenistica
(come tutta la magia) si fonda su una visione del mondo dominata dalle
forze demoniache e sulla credenza che il mago, mediante azioni e formule
adeguate, possa aver ragione di queste forze, annullare gli effetti negativi
delle forze «antipatiche» e potenziare gli effetti benefici delle forze «sim­
patiche». Per giungere a questi risultati, il mago deve conoscere le pro­
prietà dei diversi animali (asini neri, serpenti, scorpioni ecc.), delle più
svariate specie di piante, dei metalli come il rame e lo stagno e delle pie­
tre. È stata tramandata una vasta letteratura che descrive queste proprie­
tà. Insieme ai metodi tradizionali - filtri, pozioni, polveri, fumi ecc. —, il
mago impiega tutta una serie di amuleti, lamine scritte (di metallo o di
papiro), talismani, anelli ecc., la cui efficacia prolunga l’ azione magica su
chi li porta.

c) Astrologia

Come la magia, ma in misura ancor più accentuata, anche l’astrologia


presenta due forme, una scientifica un’altra popolare. La prima si svilup­
perà attraverso l’assimilazione della matematica e dell’astronomia gre­
che. La seconda sarà più influente nella sfera religiosa. Ha origini babilo­
nesi e si radica profondamente nell’Egitto ellenistico.

d) Divinazione

L ’ influenza dell’astrologia tra il popolo si diffonde soprattutto mediante


la predizione del futuro per mezzo di oroscopi; quando però i romani
parlano di divinatio o i greci di mamike non si riferiscono a questa forma
di predizione, ma a tutta una serie di pratiche divinatorie in cui si trovano
mescolati elementi provenienti dall’osservazione naturale (divinazione
pratica) e altri derivati dalla rivelazione divina ricevuta in trance o attra­
verso oracoli (divinazione oracolare).
A differenza dell’ astrologia la divinazione era legata a particolari loca­
lità, come fonti o grotte, e a determinate circostanze privilegiate, la mez­
zanotte e il momento della separazione dell’anima dal corpo nel sogno o
nell’ora della morte. L ’indovino non limitava certo le proprie funzioni al­
306 II contesto religioso del Nuovo Testamento

l’interpretazione dei sogni, dei segni o degli omino,, ma addirittura, ap­


propriandosi delle funzioni del mago, pretendeva d’influire nel loro corso
attraverso azioni o rimedi adeguati.

3. Il culto imperiale

L ’elemento più rimarchevole e con maggior influenza unificatrice nella


religiosità del tardo ellenismo fu il culto imperiale. Una delle radici più
profonde di questo culto si ritrova nella venerazione ellenistica del sovra­
no, che a sua volta si riallaccia all’antico culto greco delFeroe. Con Ales­
sandro Magno il culto greco all’eroe acquista nuove dimensioni. In Asia
Minore la sua divinizzazione fu immediatamente accettata né sembra
aver incontrato molta resistenza nella stessa Grecia, benché i Greci non
ammettessero la proskynesis e ad Atene la divinizzazione fosse effettiva
soltanto dopo la morte di Alessandro.
Dopo la morte di Alessandro il suo impero si sfaldò, ma sopravvisse il
culto al sovrano. I successori, i Diadochi, si attribuiranno spesso i tre ap­
pellativi di soter, euergetes ed epipbanes (salvatore, benefattore, dio ma­
nifestato), conferiti ad Alessandro, e utilizzeranno la divinizzazione per­
sonale come mezzo per legittimare la propria monarchia. Sia i Seleucidi
sia i Tolemei saranno considerati divinità e venerati come tali dai loro
sudditi.
Roma seppe trarre vantaggio da questo culto del sovrano che, diffon­
dendosi grazie alle associazioni religiose, all’esercito e alla burocrazia sta­
tale, verrà trasformato in simbolo dell’unità dello stato e factore aggluti­
nante dell’impero, aggregando progressivamente nel suo ambito altre di­
vinità. Nonostante la varietà di religioni e di culti, la venerazione dell’im­
peratore rappresenterà il nucleo centrale della religiosità in tutte le pro­
vince e costituirà l’espressione dell’unità delPimpero.

4. Religioni misteriche

Nonostante le differenze d’origine e delle forme in cui venivano pratica­


te, le religioni misteriche presentano una stessa finalità: ottenere la comu­
nione tra l’uomo e la divinità. Questa comunione procurava, nel contesto
del ciclo annuale di rinnovamento dei culti rurali, la salvezza (seteria) di
fronte alle forze del caos e della morte. La salvezza si otteneva mediante
il rito d’iniziazione, che permetteva all’iniziato la comunione con la divi­
nità e la partecipazione ai segreti del mistero. Il culto consisteva nella
rappresentazione mitica del trionfo del dio sui nemici o sulla morte. At­
traverso questa rappresentazione sì trasmetteva all’adepto la conoscenza
segreta della vita della divinità e dei modi per entrare in comunione con
Il contesto pagano 307

essa. L ’iniziato era certo obbligato al più stretto segreto e la disciplina


delParcano era zelantemente osservata. Nonostante tutti questi elementi
comuni, non si può dimenticare che le varie religioni misteriche, le cui
origini erano molto diverse (greche, tracie, frigie, egiziane o persiane) e
che fiorirono in epoche differenti, conservavano la loro individualità e le
loro peculiari caratteristiche. Diamo qui sotto una descrizione delle mag­
giori tra queste religioni.

a) Misteri eleusini

La più antica religione misterica è di origine pregreca e perdura fino alla


distruzione del santuario di Eieusi da parte di Alarico, alla fine del iv se­
colo d.C. Il suo mito centrale è costituito dalla storia di Demetra. La dea
della terra, la cui figlia Persefone, o Cora, era stata rapita dal dio del-
Poltretomba Ade, cerca disperatamente sua figlia e blocca la crescita di
tutta la vegetazione finché Zeus non le consentirà di ritrovarla. Come se­
gno della sua riconciliazione con gli dei e gli uomini Demetra permetterà
di nuovo alla vegetazione di crescere e farà rinascere la natura morente.
Attraverso opportuni riti, l’iniziato acquisiva la certezza che pure a lui,
nonostante la morte, era riservata una nuova rinascita grazie alla sua
adozione da parte della dea madre.

b) Misteri dionisiaci
A differenza dei misteri eleusini, quelli dionisiaci non conoscono un pro­
prio santuario. Il culto di Dioniso, probabilmente di origine tracia, ebbe
sempre uno spiccato carattere missionario e a partire dal v secolo a.C. si
organizzò come religione misterica. Il suo mito centrale si presentava in
forme diverse. Dioniso era frutto dell’unione di Zeus con Selene. Il dio
supremo lo salva dal ventre della madre, collocandolo nel proprio fianco,
nel momento in cui iì fulmine della collera divina la distrugge. Dioniso
sarà cosi il «due volte nato». Ermes lo trasporta alla capanna delle Ninfe,
tra le quali crescerà. Il mito ne racconta la persecuzione e la morte per
mano dei Titani, dando poi varie versioni sulla sua risurrezione. Proprio
il dio che muore e risuscita sarà considerato il dio della vita che rinasce. I
suoi simboli sono il tralcio, il capro, una cesta di fichi e il fallo umano.
L’ iniziazione dionisiaca ci è nota unicamente attraverso alcune pitture;
essa comprendeva il digiuno e l’ astinenza sessuale, l'istruzione, il bagno
rituale, l’ingresso nel santuario e il giuramento di segretezza. Gli iniziati
celebravano il culto dionisiaco varie volte all anno. Gli uomini erano tra­
vestiti da satiri o sileni e le donne da menadi. In processione notturna, al­
la luce delle torce, uomini e donne si dirigevano fino a un luogo appartato
308 II contesto religioso del Nuovo Testamento

dove squartavano un animale, che mangiavano crudo, e danzavano fino a


raggiungere l’estasi rinnovando così la morte di Dioniso e unendosi in tal
modo al dio.

c) Misteri orfici

Costituiscono una variante dei misteri dionisiaci, spogliati del loro carat­
tere orgiastico e trasformati in dottrina di purificazione. Ritenevano di
discendere dal mitico Orfeo, che con la sua musica incantò la natura e il
dio dell’oltretomba, ma venne poi divorato dalle menadi. La loro dottri­
na, in cui Dioniso appare quale dio salvifico, presentava l’uomo come
l’incarnazione della lotta tra il male e il bene, mirando a liberarlo dal po­
tere dei Titani e a risvegliare gli elementi dionisiaci.

d) Misteri di Cibele

Quello di Cibele e Attis è il più importante dei misteri di origine frigia. Il


mito centrale era costituito dall’amore della dea Cibele per il pastore fri­
gio Attis. Per punirlo della sua infedeltà, la dea lo fece impazzire; in que­
sta sua pazzia egli si castrò, morendone. Cibele, affranta, per recuperarlo
dalla morte lo trasformò in pino, secondo talune versioni, mentre secon­
do altre lo risuscitò. I particolari dei riti iniziatici ci sono ignoti, ma co­
nosciamo la forma in cui la grande festa era celebrata a Roma a partire
dal i secolo d.C. Distinto dal rito d’iniziazione, giacché poteva ripetersi,
ma abbastanza tipico nei misteri di Cibele era il taurobolium, sorta di
battesimo di sangue. L ’iniziato scendeva in una fossa coperta di tavole
sopra le quali veniva sacrificato un toro il cui sangue cadeva sopra la sua
faccia e le sue vesti, che dovevano riceverne la maggior quantità possibi­
le; il toro rappresentava Attis e dalla sua morte l’iniziato otteneva una
nuova vita.

e) Misteri di Iside e Serapìde

Il culto fu introdotto da Tolemeo i con l’intento di fondere la religione


egiziana con quella greca. Lo stesso nome di Serapide riflette quello degli
antichi dèi egiziani Osiride-Apis. Il mito fondamentale è rappresentato
dalla morte di Osiride, il fratello-sposo di Iside, ucciso dal fratello Seth o
Tifone, che ne gettò il corpo nel Nilo, entro una bara. Iside lo ricerca da
ogni parte, finalmente lo trova a Biblo e lo riporta in Egitto. M a Seth
smembra il cadavere in quattordici pezzi e lo disperde. Iside allora ne ri­
cerca i pezzi e ricompone il corpo di Osiride, che può così tornare a rivi­
vere come giudice dei morti. Il culto pubblico consisteva nelle due feste
Il contesto pagano 309

annuali, d’autunno e di primavera: a primavera si celebrava la ricerca di­


sperata del corpo di Osiride e la gioia del ritrovamento del cadavere da
parte di Iside; la seconda festa celebrava la ripresa della navigazione, sot­
to la protezione di Iside. Per suo tramite l’iniziato acquista la salvezza e
rinasce trasformato «come lo stesso sole».

f) Misteri dì Mitra

In origine Mitra era un dio iranico, fratello di Ahura Mazda, il cui culto
in Babilonia si caricò di elementi astrologici ed escatologici e si radicò in
Asia Minore come religione misterica. Da lì venne introdotto e diffuso si­
no ai confini dell’impero dai soldati romani, tra i quali era molto popola­
re. Diocleziano lo elevò alla categoria di divinità dell’impero, identifican­
dolo con il Sol Invictus. Il mito centrale ci è noto soltanto da rappresen­
tazioni iconografiche. Mitra nacque da una roccia, simbolo dell’universo,
con un coltello, una torcia e un berretto frigio. La sua prima grande im­
presa fu il combattimento con il toro primordiale, che venne ucciso; la
sua morte fu però anche un atto di creazione, giacché dal toro nacquero
tutti gli animali. Mitra si muta in protettore dell’universo e degli uomini,
distrugge le forze del male e guida le anime dei morti alle stelle. Dopo
aver condiviso il cibo con il dio sole, procede con lui nel carro solare. L ’i­
niziazione (riservata esclusivamente ai maschi) cominciava con un batte­
simo e comprendeva un pasto sacro a base di pane e acqua mischiata a
miele e vino, che ricordava il cibo condiviso da Mitra con il dio sole, a
cui partecipavano solamente gli iniziati dei gradi superiori. Veniva anche
praticato il taurobolium. Esistevano sette gradi di iniziazione. Il passaggio
progressivo attraverso questi anticipava in vita il viaggio dell’anima per le
sette sfere celesti sino alla felicità definitiva.

5. Lo gnosticismo

Mediante l’iniziazione le religioni misteriche assicuravano all’uomo la


salvezza; la gnosi tende allo stesso scopo, ma per la via della conoscenza.
Le origini della corrente gnostica sono certamente precristiane, benché sia
molto difficile stabilire con precisione quali siano gli elementi che deriva­
no da ciascuna delle fonti discernibili nei sistemi gnostici successivi. Eie-
menti giudaici in alcuni dei sistemi gnostici sono evidenti, come pure in­
fluenze cristiane.
Tra le idee centrali della gnosi possiamo segnalare: una concezione del­
la divinità pienamente trascendente, esprimibile soltanto in negazioni e
alla quale non si può attribuire nulla di ciò che è negativo; questa deità
comprende una polarità maschile-femminile, unita in connubio divino,
3 io Il contesto religioso del Nuovo Testamento

che costituisce il dio sconosciuto, in continua generazione. Insieme a que­


sta idea della divinità troviamo il mito di Sophia, creatrice del cosmo gra­
zie all’errore che produce il Demiurgo, il creatore della realtà corrotta. Il
Demiurgo è il capo degli Arconti, che dominano sui pianeti. Nel pensiero
gnostico il principio del dualismo è fondamentale sia nella contrapposi­
zione luce-tenebre sia nell'opposizione anima-corpo o spirito-materia: il
dio sconosciuto, come l’uomo interiore, appartiene al regno della luce; il
Demiurgo, gli Arconti e il mondo a quello delle tenebre.
Fondamentale nel pensiero gnostico è l'idea che l'uomo sia parte della
divinità. Secondo una forma del mito, l'anima ha origine nelle sfere cele­
sti, ma è ingannata dalla sensualità e cade attraverso le sette sfere celesti,
ognuna delle quali le toglie una delle sue proprietà, fino a rinchiudersi
nel corpo, che le serve da involucro.
Legata a queste concezioni, è l'idea centrale del salvatore: può essere
una realtà celeste, una figura del passato o anche una persona vivente.
Questo salvatore rende possibile il ritorno alla patria celeste rivelando la
«gnosi», la conoscenza segreta trasmessa dagli dèi e conservata dalla tra­
dizione esoterica. In un noto inno gnostico il salvatore afferma: «Io ti ri­
velerò i segreti del sacro cammino che si chiama gnosi».

III. B I B L I O G R A F I A

La maggior parte delle opere dedicate allo studio della storia d’Israele o a fornire
un’introduzione al N .T . contengono un capitolo sul contesto culturale. Num ero­
se, poi, sono le monografìe consacrate specificamente al suo studio. Per la loro
concisione e chiarezza ne segnaliamo tre, considerate classiche nel loro genere e
particolarmente attente al contesto giudaico: W . Dommershausen, D ie Um welt
]esu . Politik und Kultur in neutestamentlicher Z e it , Freiburg * 1 9 8 7 ; E. Lohse,
L'am biente del N u o vo Testam ento , Brescia * 1 9 9 3 ; J- M aier - J. Schreiner (edd.),
Lìteratur und Relìgion des Fruhjudentum s , W iirzburg 1 9 7 3 . M a in italiano si ve­
da, di J. M aier, il più recente e fondamentale II giudaism o del secondo tempio.
Stona e religione , Brescia 1 9 9 1 . .
Per un’informazione più approfondita e completa sui vari paragrafi sono da
consigliare le opere seguenti: E. Schiirer - G. Vermes, Storia del popolo giudaico
al tempo di Gesù Cristo il, Brescia 1 9 8 7 , per le idee religiose e le istituzioni del
giudaismo palestinese; Com pendia Rerum ludaicarum ad N ovum Testam entum :
S. Safrai - M . Stern (edd.), The Jew ìsh People in thè First Century , Assen, 1 1 9 7 4 ;
1 1 ,1 9 7 6 , per la storia sociale e culturale e per le istituzioni e la vita religiosa.
Per i rapporti con il mondo pagano, e in particolare con l’ellenismo, resta fon­
damentale l’opera classica di P. Wendland (19 12., ^ 19 72): L a cultura elleni&tico-
romana nei suoi rapporti con giudaism o e cristianesimo , a c. di H. Dòrrie, ed.
it., con abbondante bibliografia ragionata, a c. di G. Firpo, Brescia 19 8 6 .
Un eccellente manuale classico, nel quale si presenta e illustra nei particolari il
contesto pagano, è quello edito da J. Leipoldt e W . Grundmann, Um welt des Ur -
Bibliografia 311

cbnstentums i, * 1 9 8 5 ; n3 719 8 6 ; n i, ^ 19 8 7 (tr. sp . M a d r i d 1 9 7 3 ) : il p r i m o v o l u m e


c o n t ie n e g ii s t u d i, il s e c o n d o i te sti e il t e r z o le im m a g i n i . M o l t i d a t i, p r e s e n t a t i
c o n u n a c e r t a a m p ie z z a , s o n o r i n t r a c c i a b i li in A . G e o r g e - P . G r e l o t ( e d d .) , Intro­
duzione al Nuovo Testamento, 1. Agli inizi dell’era cristiana, 19 8 8 . Rom a
Sulla corrente fondamentale dell’apocalittica, infine, oltre all’opera imprescin­
dibile di D.S. Russell, L 3apocalittica giudaica (200 a.C. - 1 0 0 d.C.), Brescia 1 9 9 1 ,
si vedano: K. Koch, Difficoltà delVapocalittìca. Scritto polemico su d ’un settore
trascurato della scienza biblica, Brescia 1 9 7 7 ; M . Delcor, Studi sull3apocalittica,
Brescia 1 9 8 7 e P. Sacchi, L ’apocalittica giudaica e la sua storia, Brescia 19 9 0 (con
ricchissima bibliografia).
Parte terza

Bibbia e letteratura
Luis Alonso Scbókel, Jesus Asurmendi
Fiorentino Garda Martmez, José Manuel Sànchez Caro
Capitolo xni

La Bibbia
come letteratura

In questo capitolo si fornirà una serie di indicazioni e dati sulle proprietà


letterarie della Bibbia, aspetto spesso trascurato benché fondamentale per
una sua adeguata comprensione. Il termine «letteratura» viene assunto
nel suo significato più ampio, comprensivo di ogni manifestazione scrit­
ta, non soltanto di quelle opere il cui messaggio crea per suggestione una
sua propria realtà. In primo luogo si delinea un’introduzione alla Bibbia
come opera letteraria (i); si esaminano poi le letterature del contesto ve-
tcro- e neotestamentario (n e ni); vengono infine illustrati i generi lette­
rari biblici (iv). Taluni particolari aspetti sviluppati nelle introduzioni
specifiche a ciascun libro non potranno esser presi in esame, ma questa
introduzione sarà sufficiente a mettere in luce la necessità di tener conto
dei procedimenti letterari impiegati nella Bibbia quando si voglia giunge­
re a una esatta comprensione delia parola in essa contenuta. Un tale stu­
dio è indispensabile per non distoreere la natura di questo libro, una delle
opere letterarie più influenti della cultura universale.

I. D I M E N S I O N E L E T T E R A R IA D E L L A B IB B IA

Quando parliamo della Bibbia come opera letteraria, formuliamo un


enunciato empirico. Una persona di media cultura che legga la storia di
Davide, il Cantico dei cantici, alcuni salmi, gli Atti degli Apostoli, consi­
dera questi testi indiscutibilmente letterari. Nutrirà dubbi in proposito
soltanto un lettore convinto che la letteratura non è cosa seria, mentre la
Bibbia è molto seria. D’altro canto, uno specialista intento a definire i
fattori costitutivi e distintivi di un testo letterario si trova immediatamen­
te esposto a critiche e obiezioni da parte dei suoi colleghi. Ci limitiamo,
pertanto, a seguire il giudizio empirico del lettore medio.1
Tale giudizio oltretutto si basa, per quanto in maniera un po’ ambigua,
su una lunga tradizione. La distinzione fra testo letterario e non, non era
chiara nell’antichità; alcuni Padri poterono quindi esaltare i valori lette­
rari della Bibbia parallelamente a testi della letteratura greca e latina,1 ah

i. Cfr. G. Cardasela, Les archtves de Murashu, Paris 19 5 1,


2.. D. Robertson, The Old Testament and thè Ltterary Griffe, Philadelphia 1977.
3 ié La Bibbia come letteratura

tri giunsero a sostenere che gli scrittori biblici erano stati maestri e mo­
delli degli scrittori greci; altri ancora analizzarono il linguaggio biblico
basandosi su categorie retoriche o poetiche.
La Bibbia ha senz’altro influito nella cultura europea fornendo temi,
simboli, linguaggio a tutte le manifestazioni dell’arte: teatro, poesia, arti
plastiche e musica. In questi campi l’influenza della Bibbia risultò più
profonda e diffusa di quella dei modelli greco-latini.J
Ma lo studio formale e sistematico dei valori e degli argomenti letterari
della Bibbia tardò molto ad affermarsi. Considerando come precursori
Ibn Ezra (sec. xi) e Luis de Leon (sec. xvi), bisogna poi saltare alla metà
del xviii secolo, allorché il vescovo anglicano Robert Lowth pubblica
raccolte in volume varie lezioni universitarie dal titolo De sacra poesì Ile-
braeorum (1753). Per la sua analisi egli ricorre a molte categorie dei clas­
sici e conia la fortunata formula parallelismus membrorum. Trentanni
più tardi, e già con sensibilità romantica, il tema è affrontato da Herder,
nell’opera dal titolo significativo Vom Geistderhebràìschen Poesie {ij &z-
1783). Da allora non resta che passare al nostro secolo.

r. L ’Antico Testamento

I valori e gli elementi letterari del testo biblico possono essere suddivisi in
tre gruppi: a) stilemi o procedimenti formali; b) generi letterari o conven­
zioni tipiche relativi a unità affini; c) struttura dell’opera singola. I primi
due possono dar luogo a studi monografici o sistematici; il terzo deve far
parte dell’esegesi.

a) Stilemi, principalmente nella poesia

Al piano sonoro corrispondono procedimenti che si basano sull’utilizza­


zione di combinazioni fonematiche: allitterazione, assonanza, rima, gio­
chi di parole, onomatopea ed equivalenti, eufonia. Questi sono impor­
tanti soprattutto in una poesia destinata alla recitazione (cfr. Ger. 36). In
generale i poeti ebraici posseggono un buon orecchio, mostrando grande
sensibilità per il fattore fonico del linguaggio poetico. E evidente il gusto
per la paronomasia, per l’impiego espressivo della fonetica nei nomi pro­
pri e per gli sfoggi di bravura, a volte celati, sotto forma di giochi di pa­
role (stilemi spesso intraducibili, che necessitano di commento).
Per la quantità degli studi e dei dibattiti suscitati merita una speciale
attenzione il ritmo, anch’esso appartenente al piano sonoro, poiché il rit-3

3. Ticonio, Libro delle regole; Agostino, La dottrina cristiana. —The Cambridge History af thè
Bible, 3 voli., ed. G.W.H. Lampe, Cambridge 1969.
Dimensione letteraria della Bibbia 317

mo si capta con l’orecchio, non con gli occhi né con tavole matematiche.
Fino a oggi la spiegazione più coerente e persuasiva è la teoria del ritmo
tonico, fondato sulla distribuzione dì accenti tonici nei versi e negli emi­
stichi. Per la notazione analitica si sogliono impiegare formule come 3 +
3 ,3 + 2 ecc., indicando il numero di accenti tonici del primo emistichio —
cesura —e il numero di accenti del secondo emistichio - fine di verso.
Lo studio del parallelismo, distinto nella terna classica e non troppo lo­
gica di «sinonimo-antitetico-formale», è stato sottoposto ad accurata
analisi, diviso e distinto con perìzia, secondo le relazioni dt significato tra
i componenti l’alternanza formale. Il parallelismo è oggi Lo strumento
principale e indispensabile per Pinterpretazione. Fondamentalmente il
parallelismo consiste nell’articolazione binaria e simmetrica di enunciati
completi in paratassi, incompleti in ipotassi, in modo tale che l’articola­
zione produca ripetizione, contrapposizione o complemento. Viene im­
piegato anche il parallelismo ternario, quaternario e di altro tipo per ge­
minazione degli elementi.
In un unico gruppo possono essere riuniti i procedimenti basati sulla
ripetizione: di suoni, di parole, di radici o lessemi, di sintagmi, di concet­
ti, di immagini. In altri termini, la specificità della ripetizione viene a di­
sporsi sui diversi piani del linguaggio poetico. La rispettiva posizione de­
gli elementi ripetuti può produrre particolari artifici retorici: geminazio­
ne, anafora, epifora, inclusione minore e maggiore. Nel lavoro esegetico
l'inclusione riveste uno speciale valore, poiché abbraccia e delimita l’uni­
tà poetica.
Dì grande interesse poetico e retorico è l’antitesi, poco studiata nella
poesia biblica, può reggere parole, sentenze, sezioni, blocchi. Non biso­
gna confondere l’antitesi con il merismo e le locuzioni polari, in cui l’in­
sieme o la sequenza sono rappresentati da alcuni membri o dagli estremi.
Considero la parte più importante e complessa del linguaggio poetico
quella delle immagini: descrizione, comparazione, metafora, allegoria,
simbolo. Mancando studi sistematici, è necessario consultare i pochi
commenti che testimoniano una certa sensibilità dell’autore verso tali
espedienti retorici.
Gli stilemi della prosa artistica non sono stati studiati in modo sistema­
tico. Una monografia dedicata alla prosa retorica si basa su un solo capi­
tolo e per tal motivo risulta poco convincente/ Per l’esame delPEcclesia-
ste e per la prosa narrativa abbondano qua e là osservazioni in alcuni
commentari. Tuttavia siamo lontani dal poter scrivere una stilistica della
prosa artistica ebraica (pari a quella di E. Norden per la prosa greca).4

4. Cfr. G. Braulik, Die Mitici deuteronomischer Rhetortk. Erboben aus Dt 4,1-40, Roma 1978;
J. Gitay, Prophecy and Persuttsion. A Study ofls 40-48, Borni 19 8 1.
b) Corpi letterari

Poiché in questo stesso capitolo un’intera sezione è dedicata ai generi let­


terari (sotto, pp. 351-369), mi limito qui a proporre alcune osservazioni
sui corpi e le serie.
La narrativa deli’A.T. si sta trasformando in un nuovo centro di in­
teresse per il numero di studi, per la varietà delle puntualizzazioni, per
l’ampia diffusione dei suoi risultati nell’esegesi.5 Segnalo tre indirizzi de­
gli studi attuali: la semiotica (Greimas, Propp), la retorica o poetica nar­
rativa (Booth, Scholes e Kellog), la spiegazione di testi (close-readmg). Si
può parlare già di un riscatto per gli studiosi dell’arte narrativa biblica,
che aveva subito un declino6 a vantaggio di studi genetici.
La narrazione classica dell’A.T.7 —rappresentata dai libri dei Giudici,
di Samuele, dei Re, della Genesi, da brani di Geremia —è caratterizzata
da un’economia che si attiene all’essenziale, dall’ immediatezza delia pre­
sentazione, aliena da analisi sortili e poco indulgente a riflessioni descrit­
tive, dalla costruzione accurata di ogni scena, dalla composizione secon­
daria e meno legata da nessi narrativi, dall’impiego e dall intensificazione
della ricerca del particolare. I dialoghi sono essenziali, di tre o cinque in­
terventi, piu ritmati del resto. Si utilizza l'ampliamento e il restringimento
ritmico di frasi successive. L ’azione e essenziale per carenza d'introspe-
zìone. Non mancano le riflessioni e i pensieri a voce alta. Predomina la fi­
gura dell’autore onnisciente, che racconta senza intermediazioni e in mo­
di molto misurati espone le proprie idee o convinzioni.
Un racconto naro da un idea centrale e sviluppatosi per successiva con­
catenazione di situazioni e di scene è quello di Giosuè; in versione conci­
sa, quello di Giona. Altre ampie narrazioni hanno una composizione epi­
sodica : Davide e Saul, Giacobbe ed Esaù, Elia ed Eliseo, leu, Geremia. I
personaggi non presentano un’eccessiva complessità psicologica, vivono e
operano delineati in pochi tratti caratteristici. Uno dei più riusciti è Ioab,
il nipote di Davide.
La narrazione più tarda, influenzata probabilmente da modelli greci,
assimila l’arte del racconto unitario e di più ampio respiro. Spiccano due
opere note soltanto in mediocri versioni greche: Tobia e Giuditta. Tobia è
un racconto di fantasia, dalle pretese didattiche eccessivamente manife­
ste. Il tono ingenuo, le casualità artificiose si liberano in momenti d’ironia
5, Menziono alcuni studi sulle tecniche narrative di singoli libri: J. Fokkelman, Narrative Art tn
Genesis, Assen 10 7 5 . C . Conroy, Absalont, Absalomft Roma 19 7 8 con abbondante bibliografìa-
J.D . Magonet, Form and Meaning. Studies in Lìterary Technìques iti thè Book ofjonah, Frank­
furt 1 9 7 6 ; K.R. Gros Louis, Lìterary ìnterpreiations of Biblica! Narrative^ Nashville 198Z.
6 , H. Frei, The Eclipse ofBiblical Narrative, Cambridge, Mass. 1974.
7, ECM. Gunn, The Story of King David, Sheffield 1 9 7 8 ; Idem, The Fate of King Saul, Sheffield
1980 ; J.M . Abrego, Jeremfas y el final del Reino, Valencia 19 8 3 .
Dimensione letteraria della Bibbia 319

drammatica - l’angelo in incognito, il sepolcro per il nuovo sposo —e in


alcuni efficaci brani familiari. Più indovinato, letterariamente, è Giudit­
ta;8 molto riuscita la presentazione ritardata della protagonista, magistra­
le opera d’ironia è lo scontro di Giuditta con Oloferne. Questi racconti
proseguono la tradizione degli inni e preghiere intercalati.
L ’arte del racconto scade in maniera vistosa nell’opera del Cronista, si
eleva timidamente in un paio di capitoli autobiografici di Nccmia, riac­
quista nuovo vigore nel primo libro dei Maccabei,9 per decadere poi nel­
l’artificio teatrale, presentato con un linguaggio e uno stile tipici dell’a­
sianesimo, nel secondo libro dei Maccabei.
Il corpus sapienzale esibisce uno sviluppo e una varietà impressionanti.
Cominciando dagli aspetti di minore importanza, in primo luogo stanno
i proverbi di sapore popolare, quindi le imitazioni accademiche.10 Su li­
velli successivi si collocano le istruzioni o trattatelli brevi, caratterizzati
da unità tematica, esposti in versi didattici talvolta sorretti da impulsi
d’estro poetico. Predominano in Prov. 1-9 e abbondano nella compila­
zione più tarda (verso il 180 a.C.) dell’Ecclesiastico o Ben Sira. Un buon
posto occupa il libro greco della Sapienza, che si presenta come opera di
Salomone. Frutto dell’ellenismo maturo, mostra uno stile misto di tradi­
zione ebraica e alessandrinismo greco. L ’autore scrive ed espone con
■ ■ ■ a 4 a ■ ■ '■ *

maestria, compiacendosi nel presentare antitesi vigorose; in alcuni mo­


menti (cap. 17) lascia libero corso alla sua capacità immaginativa. La sua
opera è un classico «encomio» della Sophia = Hokma, paragonabile ad
altre coeve (prima metà del 1 secolo d.C.?). All’apice della letteratura sa­
pienziale si collocano due stupende opere. Il minuscolo libro dell’Eccle-
siaste, sorta di diario della disillusione umana, venti pagine scritte in uno
stile originale, inconfondibile, lievemente lirico, ebe incalza con una pri­
ma persona dall’espressione semplice, di una sincerità scevra da qualsiasi
vanità. Il libro di Giobbe, tra le opere maggiori della letteratura universa­
le,11 è di sorprendente profondità, ricchezza e modernità. Libro dell’uomo
che si misura con i conformismi, benché di carattere religioso, per acco­
starsi a Dio. Audacemente sincero, tenace e ardito, perseverante fino al­
l’incontro e alla visione di Dio. Libro scritto in un linguaggio poetico di
grande f o r z a sentimentale e ricchezza immaginativa.
Il corpus profetico si distingue per la sua grande varietà. Le forme o
generi tipici sono stati studiati e classificati. Un po’ meno si è esaminato
il suo modo d’impiegare forme e schemi di altri campi, cultuale, giuridi­

8. T .A . Craven, Artistry and Faitb in thè Book of Judith, Chico, Cai. 19 8 3 .


9. L. Alonso Schòkel, Macabeos, Madrid 19 7 6 , 2.30-2.34.
10. L. Alonso Schòkel e J. Vflchez Lindez, / Proverbi, Roma 1 9 8 8 , 1 3 4 - 1 7 4 .
1 1 . L. Alonso Schòkel e J. Sicre Diaz, Giobbe. Commento teologico e letterario, Roma 19 8 5 ,
3 20 La Bibbia come letteratura

co, storico. Nella letteratura profetica sorprende come, continuando una


tradizione senza interruzioni, gli autori sanno innovare ed elevarsi al di
sopra della convenzione. La tradizione consente a un profeta o a una
scuola di operare con maestria sotto forme tanto diverse come la satira
contro i pagani, la confessione personale, la visione utopica. Da Osea a
Zaccaria nella letteratura profetica si moltiplicano i grandi nomi e i gran­
di poemi. Il linguaggio poetico si arricchisce di immagini, come un fiume
con i propri affluenti. Se Isaia ha espressioni classiche, Geremia ha mo­
menti romantici, Ezechiele baroccheggia e Zaccaria introduce una sorta
di surrealismo.
Come raccolta letteraria, il corpus profetico raggiunge i livelli più ele­
vati della poesia ìeligiosa universale.11 All’interno di questo corpus il gra­
do più basso è occupato da Aggeo, quasi tutto Malachia, le ampie ag­
giunte di Ez. 40-48. La migliore poesia è concentrata nel Secondo Isaia
(con brani di Is. 56-66), affiora nei poemi d’amore di Osea, in molti testi
di 75. 1-33, nelle invettive di Michea, gran parte di Naum e Abacuce in
molti oracoli contro i pagani di Geremia ed Ezechiele.
Poiché Pescatologia e l’apocalittica sono i legittimi eredi della profezia,
e qui il caso di spendere alcune righe. Elaborando materiale tradizionale,
Pescatologia'3 crea grandi immagini, tra il reale e il fantastico, di un futu­
ro definitivo. Sotto l’influsso di Ezechiele e Zaccaria usa a volte un lin­
guaggio a effetto, si compiace nelle iperboli, ostenta un sentimentalismo o
un’esaltazione spesso arandosi. Rappresentano il genere escatologico 7s.
34; 24-27; 65-66; Zacc. 14. L ’apocalittica riduce la storia ai periodi de­
gli imperi, sì nasconde sotto il nome fittizio di un autore famoso, usa un
linguaggio criptico. Classico esponente del genere è, nell Antico Testa­
mento, il libro di Daniele, geniale creatore di simboli esemplari, meno fe­
lice nel linguaggio.
Benché nei paragrafi precedenti possano rientrare molti testi che si do­
vrebbero definire lirici, è opportuno costituire un gruppo a parte con
un’altra serie di testi non ancora esaminati, I poemi eroici di Giud. 5 (De­
bora) ed Es. 15 (Mosè),121314 l’elegia di Davide per Saul e Gionata (2 Sarti.
1), la riflessione teologica di Deut. 32. In forma di raccolte poetiche sono
giunti fino a noi i Salmi, il Cantico dei cantici, le Lamentazioni. Queste
ultime sono cinque elegie per la caduta di Gerusalemme, che s’inquadra­
no nel metodo «alfabetico» o suo equivalente numerico, adottano una
cadenza monotona per dare voce al dolore collettivo, sono ricche di

12 . L. Alonso Schòkd e J. Sicre Diaz, 1 profeti. Introduzione e commentario^ Roma 19 8 4 ; si veda


l’indice dei temi letterari.
1 3 . V. CoLlado, Las escatoìogfas de tos profetasi Valencia 19 7 2 .
14 . J.L. Ska, Le pqssage de la mer. Etude de la constructìon, du style et de la symbolique d’Ex
14 ,1-3 1^ Roma 19 86 .
Dimensione letteraria della Bibbia 3z i

espressioni commoventi. Il Cantico dei cantici, raccolta di canti d’amore,


è pura gioia letteraria, dove l’amore di due giovani incanta magicamente
un universo di forme, suoni, odori e sapori. La musicalità squisita e di­
screta, la varietà ritmica, i dialoghi stilizzati, la successione o accumula­
zione di immagini belle e gioiose; un mondo attraversato anche da ten­
sioni d’amore, di fascino e paura, di contemplazione e astrazione, di pu-

rezza e passione. 1f
1 Salmi sono un breviario per numerose occasioni della vita individuale
e sociale.10 Come raccolta (il numero di 15 0 è fittizio, raggiunto attraver­
so duplicazioni e sdoppiamenti), contiene anche testi convenzionali, acca­
demici, di mediocre ispirazione poetica. Ma da questa raccolta possiamo
estrapolare almeno cinquanta testi che conferiscono al libro il primo po­
sto nella poesia dì preghiera di qualsiasi popolo.
0 maggior merito di questa antologia è la capacità di esprimere i vari
sentimenti con un linguaggio immediato o simbolico. In particolare se­
gnalo alcuni pregevoli momenti descrittivi; S a i 18; 65; 77; 104. Non po­
tendo dar conto delle emozioni espresse, sottolineo la progressione o il
rapido passaggio nel processo d’introspezione: Sai. 73; 3 1 ; 38; 10 1. Non
è possibile enumerate qui il ricchissimo repertorio di simboli usati per co­
municare l’esperienza religiosa: archetipici e culturali, della natura e della
storia e della vita sociale.

c) L ’opera singola

Nonostante tutti i procedimenti, tutte le classificazioni e convenzioni, in


letteratura contano le singole opere. Il mondo poetico o narrativo che
creano e presentano per mezzo del linguaggio. 1 generi sono invece con­
venzioni utili a creare l’opera e a orientare il lettore. I procedimenti sono
come registri o strumenti diversificati e affinati attraverso la scrittura.
Una teoria può essere utile e anche necessaria. Il grado più elevato della
critica e dell’analisi letteraria è la spiegazione dell’opera, sviscerarne l!
contenuto, scoprirne il principio d’identificazione.
Chi pratica questo tipo di critica è un mediatore che introduce altri
entro l'opera. L ’analisi letteraria dovrebbe esser quindi parte integrante
dell'esegesi. Attualmente non succede così e i motivi possono essere dei
più svariati: il peso, non ancora rimosso, di un positivismo che riduce
tutto a cause e influenze; la preoccupazione storiografica di datare ogni
strofa o verso, assegnargli un autore, identificarne i riferimenti; in alcuni156

15 . F. Landy, Paradoxes of Paradise, Sheffield 1 9 8 3 ; L. Alonso Schòkel - E, Zurto, La traduccìón


biblica. Linguistica y estilfstica, Madrid 1 9 7 6 ,1 2 6 - 1 6 0 .
16 . M. Girard, Les Psaumes: Analyse structureììe et ihiGrpfilftation, Montréal 1984. L. Alonso
Schokel, Trenta Salmi. Poesia e preghiera^ Bologna 19 8 2.
322 La Bibbia come letteratura

casi la carenza di sensibilità, in altri di preparazione, di tradizione acca­


demica. Commentatori come Gunkel, Gray, Weiser sono eccezioni.
La configurazione dell’opera come unità scaturisce da un principio for­
male generatore e si concretizza nei segni verbali che la esprimono. Una
terminologia ancora non omogenea presenta giudizi diversi. Se si parla di
struttura, bisogna distinguere la strutturante o generatrice e quella realiz­
zata, oltre alla struttura di superficie e quella profonda. Il termine «com­
posizione» oggi è meno usato: suggerisce l’immagine di pezzi che si com­
binano o compongono e di qualcuno che dall’esterno li dispone. Il termi­
ne «sviluppo» richiama un processo, il passaggio da un seme a una cre­
scita, il dispiegarsi e lo svolgersi di un tema. È affine al termine «organi­
smo», che sottolinea la qualità vitale dell’opera, come prodotto della e
per la vita dello spirito. Esaminiamo alcuni esempi.
Per conferire uno stile al materiale poetico, i poeti biblici operano mol­
to spesso mediante modelli. Si possono anche immaginare come schemi
che impongono la propria forma preesistente. Di frequente i profeti ri­
corrono al modello giudiziale, del giudizio contraddittorio o del processo
di fronte a un giudice. Il modello dell’esodo, fondamentale e conosciuto,
si presta a molteplici efficaci variazioni.17 18 generi letterari forniscono un
sistema definito e accettato di modelli.
Più artificiosi risultano i modelli alfabetici e numerici. L ’alfabetico ba­
sa il procedimento verbale sulle lettere dell’alfabeto. Il numerico utilizza
numeri specifici, convenzionalmente caricati di valore qualitativo: tre,
sette, dieci, dodici.
Altrettanto frequente e più poetico, come principio di unità formale
dell’opera, è il simbolo o sistema immaginativo. Può essere rappresentato
da un simbolo unico, da due poli antitetici o da una pluralità d’immagi­
ni.1* Lo illustrerò con qualche esempio.
In Is. 2,2.-5 il principio di unità è il simbolo del monte, centro di pere­
grinazione universale, proiettato in un futuro indefinito; a questo sono
subordinate le categorie spaziali di salita e convergenza, diffusione e at­
trazione.
Is. 1 1 ,1 - 9 ^ unificato per mezzo di un sistema simbolico. Gli elementi,
aria all’inizio e acqua alla fine; il mondo vegetale come segno di vitalità;
quello animale nella visione fantastica di una società civilizzata; il bambi­
no che rappresenta il potere pacificatore dell’innocenza; il rampollo che,
amministrando la giustizia, elimina i malvagi. Anche il principio spaziale
ha una sua funzione poetica: i quattro venti cosmici s’incontrano e ripo­

17 . A, Spreafico, Esodo. Memoria e promessa, Bologna X985; P. Bovati, Ristabilire la giustizia,


Roma 19 8 7 .
18. R, Lack, La symboìique du livre d'ìsai'e, Roma 1 9 7 3 ; M . Lurker, Dizionario delle immagini e
dei simboli biblici, Cinisello B. 1990 .
Dimensione letteraria della Bibbia 323

sano in un punto, l’acqua del conoscere e riconoscere Dio fluisce, si dif­


fonde e copre la terra con pienezza oceanica.
Is. 14,5-20 è una satira in forma di elegia, presentata come una scena
di ascesa e discesa di fronte a un coro di spettatori che commentano.
Ascesa mentale dell’imperatore arrogante, caduta effettiva fino alPabis-
so, dove gli viene offerto un accoglimento attonito e burlesco. Dalla vetta
al baratro.
Is. 3 5 (del Secondo Isaia o della scuola che a lui faceva capo) presenta
un pellegrinaggio festivo degli esiliati, attraverso il deserto, verso Sion.
Avviene una metamorfosi prodigiosa: il deserto si trasforma in giardino
percorso da torrenti; le fiere —abitanti abituali —si allontanano; gli stor­
pi guariscono miracolosamente, gioia e allegria guidano la marcia e il Si­
gnore si presenta di persona. Un movimento di parallelismi molto regola­
ri misura il passo tranquillo della carovana. Potremmo definirlo un inno
all’allegria.
A Ezechiele piace trasfigurare la nazione pagana o il suo re in un’im­
magine che sviluppa con ampiezza, coerenza e con alcuni tratti allegorici.
Tiro può essere una barca carica di mercanzie preziose che naufraga nel
mare. L ’Egitto è un «enorme coccodrillo sdraiato» o un cedro del Liba­
no. Anche Israele può presentarsi come una leonessa o una vite.
L ’immagine della lotta primordiale di Dio contro le forze del caos, di
radice mitica, appare nelle forme più varie, soprattutto in testi tardi.19 So­
litamente è presentata con pochi cenni afl’interno di un poema; è centrale
nel breve salmo 93.
L ’immagine matrimoniale del Signore sposo e Gerusalemme o Israele
sposa nella tradizione profetica dà vita a poemi di singolare bellezza.
Sembra iniziare la tradizione Os. 2. Geremia la accoglie e la combina con
altre nei capp. 2-3. Ezechiele le dedica un poema che perde forza nel mo­
mento stesso in cui perde concentrazione (cap. 16). Ritorna con variazio­
ni emotive in Is. 49,14-26; 51,9-52,6; 5 4 ,1-10 ; 62,1-9; 6 6 ,1-14 . Risuona
per l’ultima volta in Bar. 4,5-559.
Sai. 23 combina le immagini di Dio come pastore e come anfitrione. In
Sai. 65, Dio è anzitutto il gigantesco costruttore di montagne, poi il mo­
desto contadino. Sai. 42-43 libera la tensione di un’acqua che vivifica
nella sete e di un’acqua che travolge e distrugge, per esprimere la polarità
di Dio, che pietosamente ascolta l’orante. Sai. 62 immagina la consistenza
dell’uomo in termini di peso, gravità e leggerezza. In Sai. 73 domina un
processo di ricerca, fallimento e piacevole scoperta.

19. B.W. Anderson, Creation versus Cbaos. The Reinterpretation o f Mythicai Symbolism in thè
Bitte, New York 19 6 7.
d) II problem a erm eneutico

Ho mostrato come l’analisi letteraria debba integrarsi con l’esegesi. Ora


passo a considerare problemi ermeneutici posti dalla presenza di testi e
linguaggio letterari nella Bibbia.
Il linguaggio simbolico. E il linguaggio primario del trascendente e del­
l’esperienza religiosa. Si comincia da questo e vi si ritorna,20 poiché il sim­
bolo si manifesta molte volte già nel momento dell’esperienza. Soltanto
questo può esprimere l’ineffabile in maniera globale, non articolata, an­
dando oltre con la sua ridondanza di significato. Il simbolo archetipico
supera i limiti di spazio, tempo, lingua e cultura. Il simbolo, poi, fa medi­
tare, producendo così concetti e, in definitiva, termini tecnici. Un esem­
pio: il dolore di sentirsi responsabile, colpevole dì un delitto giunge a di­
struggere di dentro, «mi annienta», sento che «mi si spezza il cuore», so­
no distrutto. La durezza di pietra della mia coscienza si rompe e si sbri­
ciola fino a polverizzarsi. Dall’immagine nasce il concetto di pena per il
peccato o del pentimento. Di qui si passerà alla distinzione dei termini
«contrizione» e «attrizione», secondo il diverso motivo formale del dolo­
re. Nel processo intellettivo guadagniamo in precisione, perdiamo imme­
diatezza e forza espressiva.
La simbologia può essere analizzata in chiave psicanalitica, con il pale­
se rischio di riduzionismo. Tuttavia Ricoeur ha saputo esaminare la col­
pa come macchia, come trasgressione, come peso. Più spesso si posso­
no spiegare i simboli inserendoli nell’ampio contesto delle religioni: ad
esempio la lotta del Dio creatore, ordinatore contro il caos. Li si possono
analizzare anche considerando il loro sviluppo o la loro successiva diffu­
sione. Quest’ ultimo caso può avere applicazione speciale studiando come
il Nuovo Testamento sfrutti simboli e immagini dell’Antico Testamento,
applicandoli a Cristo e alla chiesa. I Padri e la liturgia hanno perpetuato
il processo d’impiego dei simboli.
Relazioni interne significative: Per la sua unità organica —sviluppo di
un germe —o architettonica - combinazione di brani - l’opera letteraria
fa sì che i membri o gli elementi entrino fra loro in relazioni multiple. Se
tutte sono relazioni formali, non tutte sono puramente formali; molte so­
no significative, cioè portatrici di significato. Il senso dell’opera non è
quindi soltanto la somma di proposizioni o enunciati del testo. L ’espres­
sione «leggere tra le righe» deve essere intesa non in riferimento allo spa­
zio bianco intermedio, ma ai vincoli tra le une e le altre. Di qui deriva che
una prima lettura, verso per verso o riga per riga, non coglierà tutto il si­
gnificato dell’opera. Saranno necessarie letture ripetute, alternativamente

2,0. E. Biser, Theologische Spwchtheorie und Hermeneutikj Mìinchen 1970 .


Dimensione letteraria della Bibbia 32,5

vicine e distanti, superficiali e profonde. L ’esegesi deve spiegare la ric­


chezza dell’opera per consentire al lettore una comprensione piena e pro­
fonda. Ed è probabile che l’opera si trattenga parte de! significato per let­
ture successive.
La verità dell'opera letteraria,'1 Già da Aristotele si afferma che la veri­
tà si dà nella proposizione. Si tratta di una verità logica: solo dalla com­
posizione, soggetto e predicato, si può dire se sia vera o falsa. Sappiamo
anche che la proposizione è un atto successivo all’intuizione, effettuato
attraverso la distribuzione e composizione. Accanto alla verità logica ri­
conosciamo la verità ontologica, ossia l’evidenza o la manifestazione del­
l’essere esistente o possibile. Ens est verum, asserivano i metafisici. L’es­
sere è presente nella percezione e il nome ne enuncia la verità. Qual è la
verità dell’opera letteraria? Senza dubbio può contenere molte proposi­
zioni vere o false al suo interno. Ma in complesso e in molti dei suoi
membri la sua verità è di tipo ontologico e la offre per riformulazione.
Nella Bibbia la verità è in gran parte rivelare l’essere deiruomo nel mon­
do sotto il potere di Dio.
L ’opera letteraria può infine essere regolata da un principio, un pensie­
ro, un’ideologia, percepibili o manifestati con diversi gradi di chiarezza.
Possono apparire espliciti in bocca di un narratore, di qualche personag­
gio (compreso Dio come personaggio); possono rimanere impliciti, dissi­
mulati, insinuarsi e coinvolgere anche il lettore. Spetta all’esegeta scoprire
e calibrare questa verità dei testi letterari biblici.

2. Il Nuovo Testamento

I valori letterari del Nuovo Testamento sono solitamente considerati e


studiati meno di quelli dell’Antico. In buona parte per la legittima con­
centrazione di lettori e interpreti sul messaggio; benché solo moderata­
mente, giacché i ricercatori hanno dedicato innumerevoli sforzi a studiare
e ricostruire (o costruire) la genesi di tali scritti. Per questo bisogna se­
gnalare un altro fattore: i testi del N.T. non erano considerati resti lette­
rari o i loro valori letterari non venivano considerati oggetto di studio.
Lo studio letterario dei vangeli si c svolto su due fronti. Lo strutturali­
smo, coltivato da diversi gruppi in Francia, dall 'équipe di Semeia negli
Stati Uniti, dall 'équipe di Linguistica Biblica in Germania. Dall’altra par­
te si trova lo studio di ogni vangelo come unità finale, attribuibile a un
«redattore» che è autore responsabile.

z i. H .C Gadamer, Verità e metodo, Milano 5i^88; E. Coreth, Cuestiones fundamentales de ber-


memutica, Barcelona 1972; F. Wiplinger, Urspriingliche Spracberfahrung und metaphyshche
Sprachdeutung, in O. Loretz e W. Strolz (edd.), Die henneneutìsche. Frage in der Theotogìe, Frei­
burg 1968,
I

32,6 La Bibbia come letteratura

La cosiddetta analisi della redazione ha scoperto in ogni vangelo una


visione unitaria, relativamente coerente, che dispone ed elabora materiali
preesistenti. Nello studio delle relazioni interne all’opera affiorano anche
aspetti formali. Per di più, una lettura attenta ai simboli individua il si­
gnificato recondito, che si cela a una lettura superficiale, spontanea. An­
che il «realista» Marco si dimostra una personalità letteraria acuta, un
giocatore di paradossi ed enigmi appena dissimulati in una scrittura mi­
surata e diretta. La palma della scrittura simbolica spetta a Giovanni; es­
sa poggia per lo più su simboli dell1Antico Testamento, talvolta esplicita­
mente dichiarati, talaltra nascosti o lanciati come sfida alla penetrazione
del lettore.
Gli Atti degli Apostoli sono un racconto a episodi di grande interesse
narrativo. Una sorta di preteso realismo accoglie numerosi aspetti prodi­
giosi. L ’autore si distingue nell’arte di comporre scene e concatenare epi­
sodi. La creatività narrativa dei classici ebraici rivive in quest’opera tanto
ingiustamente trascurata come opera letteraria.
Il genere epistolare è per sua natura meno definito. Paolo è senza di­
scussione uno scrittore di forte personalità. Nelle sezioni dottrinali rivela
il proprio vigore intellettuale persino in tecniche interpretative proprie
del suo mondo. Bisogna leggerlo anche nei suoi tratti dialettici e retorici:
appassionato, lirico o toccante, satirico e perfino sarcastico. A un tratto,
come per sbaglio, scrive una pagina mirabile (Filemone) di sentimento
contenuto, ingenua nell’espressione, accorta nella sollecitazione.
La lettera agli Ebrei è un’ampia omelia o trattato artificiosamente co­
struito, fondato quasi mteramente su un sistema di opposizioni sul tema
del culto. Quanto a lingua greca, è il miglior testo del N.T., anche se per
lo stile letterario rimane al di sotto di Paolo.
L ’Apocalisse è un libro affascinante che potrebbe essere definito «teo­
logia-invenzione». Con materiali, immagini, formule in gran parte di­
stanti fra loro, l’autore compone un opera integralmente originale. Ben­
ché la costruzione sia abbastanza concettosa e nello sviluppo si scopra
l’intento dell’autore, tutto è compensato dalla sua fertilissima fantasia.
Gli esegeti si sono occupati più di decifrare e identificare che di apprezza­
re c analizzare i valori letterari intrinseci. La sua enorme influenza, so­
prattutto nelle arti plastiche, ne mostra il carattere eminentemente visivo
dell’immaginazione.

3. Bibliografia
Agli studi citati in nota riguardanti l’A .T . aggiungiamo, per il N .T ., D. Minguez,
Pentecostés. Ensayo de semiòtica narrativa , Roma-Valencia 19 7 6 , con bibliogra­
fia scelta; A. Vaohoye, La structure centrale de l’Epttre anx H ébreu x , Paris
9 7 6 ; U. Vanni, L a struttura letteraria dell’Apocalisse, Brescia *19 8 0 ; J.L . Espi-
Il contesto letterario dell’Antico Testamento 327

nel, La poesia de Jesus, Salamanca 1 9 8 8 ; J.-N . Alettì, L 'arte dì raccontare Gesù


Cristo . L a scrittura narrativa del vangelo dì Lu ca , Brescia 1 9 9 1 .
Opere generali sull’argomento: R .G . Moulton, The Literary Study of thè Bible,
London 18 9 6 : trattato di morfologia letteraria composto da uno studioso di let­
teratura; J. Hempel, Die althehràìsche Literatur und ihr bellenistisch-jUdisches
N achleben , Postdam 1 9 3 4 : studio ampio e sistematico; E. Kònig, Stìlistik, Rheto-
rikj Poetik in B e z u g a u f die biblìsche Literatur , Leipzig 19 0 0 : grande abbondan­
za dì fatti e dati, sistemati ad arte; L. Ryken, The Literatur e o f thè Bible, Grand
Rapids, Mich. 1 9 7 4 : esposizione chiara ed elementare, scritta da uno studioso di
letteratura; N . Frye, il grande codice. L a B ibbia e la letteratura , To n n o 19 8 6 : il
noto critico e teorico di letteratura comparata presenta la sua originale visione;
W , Richter, Exegese ah Ltteratunvissenschaft , Gòttingen 1 9 7 1 : sottolinea Pana-
lisi letteraria nelPambito dei metodi accettati dalla critica biblica; cfr. Pampio
commento a quest’opera di L. Alonso Schòkel in Idem, Herm enéutìca de la pala-
bra , 11. Interpretación literarìa de textos bfblicos , Madrid 1 9 8 7 , 2 4 2 -2 5 6 , dove si
troveranno altri studi sulla Bibbia e la letteratura; J.B. Gabel - Ch.B. Wheeler,
The B ible as Lìterature. An Introduction , Oxford 19 8 6 : facile introduzione alla
Bibbia sotto l ’aspetto letterario; L. Alonso Schòkel, FA estudio literario de la B i­
bita: notas histórìcas, in Idem, Hermenéutìca de la palabra 11, cit., 2 1 9 -2 5 6 .
Sulla poesia cfr. L. Alonso Schòkel, Estudios de poètica hebrea, Barcelona
1 9 6 3 : ampia esposizione storica ed esauriente bibliografia ragionata e commen­
tata; Jdem, M anuale di poetica ebraica , Brescia 19 8 9 ; W .G .E . W atson, Classical
Biblica! Poetry , Sheffield 19 8 4 .
Sulla narrativa si vedano M . Fishbane, Text and Texture , N e w York 19 7 9 :
analisi di passi scelti; R. Alter. L'arte della narrativa biblica , Brescia 19 9 0 ; M .
Sternberg, The Poetics o f BìbUcal N arrative , Bloomington 1 9 8 5 : studio sistema­
tico, teorico e pratico, con nutrito indice tematico; F. M cConnell (ed.), The Bible
and thè Narrative Tradition , O xford 19 8 6 . In lingua italiana sono inoltre dispo­
nibili: H .W . W olff, Studi sul libro d i G ion a , Brescia 1 9 8 2 ; A. Rofé, Storie di p ro ­
feti. La narrativa sui profeti nella B ibbia ebraica: generi letterari e storia , Brescia
1 9 9 1 ; J. Licht, La narrazione nella B ib b ia , Brescia 19 9 2 , gli ultimi due opera di
professori di Bibbia in università israeliane.

II. IL C O N T E S T O L E T T E R A R IO
d e l l ’a n t ic o t e s t a m e n t o

La Bibbia è un testo e, come tale, frutto di una cultura e una storia speci­
fica. Se fino al secolo passato spesso si credeva che la Bibbia fosse un te­
stimone unico e singolare del mondo antico, attualmente, grazie alle nu­
merose scoperte di testi delle civiltà antiche, la Bibbia appare come un te­
stimone culturale insieme ad altri.
D’altro canto i rapporti e le interferenze tra i testi biblici e i documenti
del Vicino Oriente antico sono stati e sono studiati con continuo interes­
se, servendo così alla loro reciproca comprensione. Lo studioso deve col­
locare i testi biblici nella prospettiva della cultura circostante, quale ci è
32,8 La Bibbia come letteratura

giunta in tali scritti. I progressi compiuti nella comprensione del testo bi­
blico grazie alla correlazione con le civiltà circostanti sono enormi, ben­
ché molte volte si sia caduti nella tentazione di spiegare il resto biblico ri­
correndo sistematicamente e massivamente a una o all’altra cultura sco­
perta di recente. 11 «panbabilonismo» o il «panugaritismo» sono realtà
ancora non troppo remote.
In queste pagine non si aspira che a offrire alcuni cenni descrittivi dei
testi e dei generi letterari delle civiltà circostanti, per aprire prospettive
che la bibliografia citata consentirà di ampliare e consolidare.

i . Egitto

Nel paragrafo dedicato alla storia della religione d'Israele si è già parlato
del documento chiamato teologia menfita, testo sulla creazione del mon­
do, il cui legame concettuale con Gen. i è stato messo in luce da tempo.
La stessa cosa si può affermare del famoso inno del faraone riformatore
Akenaton (Amenofi iv) in onore del dio Aton.
Un’opera letteraria importante è il cosiddetto Libro dei morti, Si tratta
di una serie di testi necessari al defunto nelle distinte fasi che lo guidava­
no alla sua unione con la divinità solare e al dio dei morti, Osiride. Que­
st'opera, che risale all’epoca del Regno Nuovo (1590-1085), fu precedu­
ta da altre con analoghe funzioni: 1 cosiddetti «testi dei sarcofaghi», ad
esemplo. Nel Libro dei morti s’incontra la cosiddetta «confessione nega­
tiva», elenco di errori che il defunto dichiara di non aver commesso, si­
mile ad altre liste scritte sulle porte dei templi, che il fedele doveva recita­
re prima di entrare nel luogo sacro. Gli studiosi hanno messo in relazione
queste contessiom con le «liturgie d’ingresso» di alcuni salmi biblici come
il 15 e il 24.
In ambito storico è da segnalare una serie di testi, di vario genere, indi­
spensabili per lo studio della storia d’Israele. Ad esempio riscrizione di
Tutmosi in sui muri del tempio di Karnak, nella quale il faraone narra le
sue campagne militari e la presa di Megiddo nel 1468. Il documento con­
tiene indicazioni geografiche estremamente interessami sulla regione e
dati di grande valore relativi alia situazione politica della zona.
Altro insieme di testi di rilevante significato sono le cosiddette Lettere
di el- Amarna, ritrovate negli archivi del palazzo reale di Akenaton (13 7 9 ­
1362) nella nuova capitale edificata come corollario della sua riforma re­
ligiosa. Si tratta della corrispondenza diplomatica, in accadico, tra i vas­
salli e gli alleati del faraone e la sua corte. Buona parte di queste lettere
proviene dai piccoli regni di Canaan; in esse i vassalli del faraone narrano
la situazione in cui si trovano e chiedono aiuto al sovrano di fronte ai pe­
ricoli circostanti. I dati storici, geografici e culturali contenuti in questi
Il contesto letterario dell’Antico Testamento 329

documenti sono di grande importanza per conoscere la situazione di Ca­


naan nella prima metà del x iv secolo.
Un testo famoso è la cosiddetta «stele di Merneptah». Il faraone Mer-
neptah vi racconta le sue campagne militari databili intorno al 1220 . Tra
i vari popoli e città ricordati nella stele si trova «Israele». Si tratta di un
gruppo umano stanziato più o meno nel nord del paese.
Nell’ambito sapienziale i testi egiziani occupano una posizione premi­
nente. In 1 Re 5 ,10 il testo biblico afferma che Salomone superò in sa­
pienza tutti i saggi d’Egitto. Famose sono le invettive di Isaia contro i
saggi della corte del faraone (Is. 19 ,11- 15 ) . Un genere molto apprezzato
dagli egiziani è il cosiddetto «insegnamento» o «istruzione». Basti citare
tra le altre 1 Insegnamento di Imhotep, famoso medico e architetto (2800
circa), quello di Ptabhotep, visir durante il regno di Isesi (2560-2420
ca.), e quello di Amenemope, presumibilmente databile intorno al 1400.
Nel suo insegnamento Ptahhotep tocca, come spesso accade in questo
genere di testi, i diversi aspetti della vita dei funzionari reali, compresa la
vita privata. Si tratta di un discorso descrittivo, nel quale s’inframezzano
proverbi e sentenze per sottolineare l’argomento presentato. L ’educazio­
ne dei figli e le relazioni con il sovrano sono intrise di virtù come la sotto­
missione e Pobbedienza. La giustizia occupa un posto importante. L ’Inse­
gnamento di Amenemope è il più conosciuto, essendo il più completo, e
considerato da molti il vertice dei testi sapienziali egiziani, anche perché
presenta notevoli paralleli con i capp. 22-24 del libro biblico dei Prover­
bi. Una variante di questo genere è VInsegnamento per il re Merikara, at­
tribuito al re Kheti n o a uno scriba. Si tratta di un compendio politico­
morale a uso del sovrano per i tempi difficili e turbolenti in cui gli è toc­
cato vivere.
Un altro testo famoso della letteratura sapienziale egiziana è il cosid­
detto Dialogo di un disperato con la sua anima, opera del periodo inter­
medio (2300-2050), durante il quale il potere centrale si era molto inde­
bolito a vantaggio dei signori locali e i valori fondamentali avevano per­
duto il loro vigore. Il testo presenta il dialogo di un uomo con se stesso
con lo sguardo rivolto alla situazione politica e sociale. La tentazione di
fronte al caos che lo circonda è il suicidio. Ma il suo intimo, la sua «ani­
ma», non s’accorda con questa soluzione. L ’opera evidenzia la crisi so­
ciale e religiosa. Alla fine affiora una certa speranza. 1 paralleli con Qo-
helet sono stati più volte messi in luce.
Nella letteratura egiziana sono da ricordare due testi importanti ap­
partenenti al genere narrativo. Il primo è la cosiddetta Storia di Sinuhe.
Lo scritto va collocato cronologicamente durante il regno di Sesostri 1
(1962-1928) e si presenta come un’autobiografia nella quale si mescolano
realtà e finzione. L ’eroe, narrando la sua fuga dall’Egitto e le peripezie at­
330 La Bibbia come letteratura

traverso la Siria-Palestina, informa sulla situazione politica e sociale di


questa regione, quasi un riflesso di quanto gli egiziani pensavano dei loro
vicini. Il secondo testo, conosciuto come Le avventure di Unanton, risale
al 1080 circa. Il personaggio è un inviato della corte egiziana in Libano
ad acquistare legname per la costruzione della barca sacra del dio Anion.
Il testo rende evidente la perdita di potere degli Egiziani sulla costa feni­
cia, dove il funzionario viene trattalo con poca considerazione. In una
scena del testo è presenrata la manifestazione di un «ispirato in estasi»
grazie al quale Unamon consegue il suo scopo.
Per finire, resta da citare la cosiddetta Cronaca demotica, ampio ma­
noscritto (ni sec. a.C.) in cui Pautore, partendo da una «profezia», teori­
camente antica, la commenta e la spiega. Il testo, singolare rispetto al
complesso della letteratura egiziana, presenta paralleli con la letteratura
apocalittica israelitica. Il libro di Daniele in parte si sviluppa allo stesso
modo e ì pestarìm (commentari) rinvenuti a Qumran sono molto simili
nei loro meccanismi essenziali.

z. Mesopotamia

Le culture fiorite in questo esteso scenario sono tanto ricche quanto dif­
ferenti. Qui si prescinde dai testi sumeri e ittìti.
In ambito storico le «liste di eponimi» assire costituiscono un elemento
essenziale per determinare la cronologia del Vicino Oriente. In Assiria gii
anni venivano computati attribuendo loro il nome di un funzionario rea­
le, un eponimo. Cosi, ad esempio, il 740 non era conosciuto come 1 anno
5 di Tiglat-Pileser, bensì come «Panno di Nabu-etirani», coppiere del re.
In queste liste si registrano gli avvenimenti più rilevanti del Panno, come
le eclissi di sole. Elementi analoghi hanno permesso di calcolare le date
secondo ì computi attuali.
Ma il piu importante contributo storico dei testi accadici (assiri e babi­
lonesi) è senza dubbio offerto dagli annali reali, iscrizioni e stele dei re, e
dalla cosiddetta «cronaca babilonese».
Gli annali reali sono composizioni nelle quali i sovrani presentano le
proprie campagne militari e vittorie. I primi testi compaiono alla fine del
secondo millennio, ma il genere raggiungerà il suo massimo sviluppo du­
rante 1 impero neoassiro. Si tratta di iscrizioni monumentali incise su pa­
lazzi, templi, pietre sepolcrali, muri e stele. Gli annali assiri constano ge­
neralmente dei seguenti elementi; titoli del re, enumerazione delle sue
precedenti prodezze, esposizione della campagna in questione e notizie
sulla costruzione o restauro di un santuario come ringraziamento agli dèi
per la vittoria. I sovrani assiri si presentano in guerra come «luogotenen­
ti» degli dei e il «merito» è sempre attribuito alla forza e al potere della
li contesto letterario dell’Antico Testamento 331

divinità, ancorché al tempo stesso si esalti la gloria del sovrano e la felici­


tà da lui apportata a! suo popolo.
I babilonesi coltivarono un altro tipo di testo storico: la cosiddetta
«cronaca babilonese», dove troviamo una presentazione dei regni dei di­
versi sovrani con lina «obbiettività» assai maggiore di quella mostrata
dagli annali assiri. Questi ultimi e la cronaca babilonese costituiscono
preziose fonti d1informazione per ricostruire la storia della regione e, per­
tanto, la storia biblica.
In ambito sapienziale due sono i testi da evidenziare. In primo luogo la
cosiddetta Teodicea babilonese, lungo poema nel quale due uomini di­
scutono sulla giustizia divina partendo da due punti di vista opposti.
L ’autore del testo sembra un sacerdote conosciuto per altre opere, vissuto
ai tempi di Nabucodonosor I (112,4 -110 3). Uno dei protagonisti, ama­
reggiato e pessimista, espone le ragioni e i fatti che si oppongono all’ac­
cettazione della giustizia divina. L ’altro cerca di rispondere a ognuna del­
le argomentazioni difendendo la giustizia degli dèi, la morale, Lordine.
Alla fine del poema il pessimista si arrende e ammette la trascendenza
della divinità e i limiti dell’ uomo.
II secondo testo, ancor più famoso del precedente, è conosciuto come
Poema del giusto sofferente. Si tratta di un monologo nel quale il narra­
tore racconta le proprie disgrazie: personaggio eminente della società de)
suo tempo cade in disgrazia e a partire da quel momento mali di ogni ti­
po, senza ragione né giustificazione, si accaniscono contro di lui. Alla fine
un inviato di Marduk, il dio piu importante del pantheon babilonese, gli
comunica il perdono divino e il ritorno alla felicità. Il testo, destinato so­
prattutto a sottolineare la gloria e la giustizia di Marduk, presenta evi­
denti paralleli con il libro biblico di Giobbe.
NelLambito religioso i testi mesopotamici non sono meno importanti.
Basti citare gli scrìtti mìtici della creazione del mondo e dell’Uo-mo, come
VErimna disk, ricordato parlando della religione mesopotamica, e, per
aspetti diversi, il testo di Atrahasisy di grande interesse nei lavoro com­
parativo sui testi biblici della creazione.
La scoperta ddì?Epopea di Gilgantesh diede origine a uno dei piu cla­
morosi sconvolgimenti che risvegliarono la critica biblica. Il testo raccon­
ta la storia di Gilgamesh, re di Uruk, nella sua folle ricerca delPimmorta-
lità. Dopo inenarrabili avventure corredate di abbondanti dati sulla civil­
tà coeva, l’eroe giunge al luogo dove vive Utnapishtim, salvato dal dilu­
vio e al quale gii dèi hanno concesso l'immortalità. NelLincontro i due
eroi parlano della possibilità per i mortali di conseguire I immortalità e,
per una ragione tanto lieta, Utnapishtim narra a Gilgamesh la storia del
diluvio. L ’interesse del testo per lo studio di alcuni passi chiave dei primi
undici capitoli della Genesi è evidente.
3 3 2 . La Bibbia come letteratura

Le preghiere e le lamentazioni individuali della pietà mesopotamica


scoperte fino ad oggi sono numerose, preziose e profonde. Basti citare la
grande preghiera al Dio Shamash, il sole, divinità della giustizia, la cui
bellezza e profondità sono una chiara testimonianza della pietà meso­
potamica. Abbiamo già fatto riferimento al rituale della festa dell’Anno
Nuovo. Un altro importante rituale concerne l’incoronazione dei re assi­
ri; pur tramandato soltanto parzialmente, è di somma utilità per com­
prendere l’ideologia reale assira e comparare rito e ideologia reale con i
dati biblici.
Un elemento importante della letteratura religiosa mesopotamica è co­
stituito dalle lettere profetiche scoperte negli archivi reali del palazzo di
Zimrilim di Mari. La città fu distrutta da Hammurabi, re di Babilonia,
verso il 1750 . Queste lettere (una trentina) sono indirizzate, quasi tutte,
al re. Contengono messaggi delle diverse divinità di Mari su temi religio­
si, politici e sociali. I messaggi vengono trasmessi dalla divinità a diverse
persone, funzionari del culto o meno, incaricate di recapitarli ai destina­
tari. Si tratta di un «profetismo induttivo o ispirato» i cui paralleli, di
fondo e di forma, con i testi profetici della Bibbia sono rilevanti quanto le
differenze.
In campo legislativo i testi legali mesopotamici hanno proiettato una
certa luce sullo studio delle compilazioni bibliche dello stesso genere. Tra
di essi il più famoso e significativo è il Codice di Hammurabi, sovrano di
Babilonia agli inizi del x vm secolo. Il testo inizia con un prologo in for­
ma di autoelogio del re e Pepilogo ne sottolinea le qualità di «buon pa­
store». Tra il prologo e Pepilogo il testo presenta 282 «leggi». Ognuna
inizia con l’esposizione del caso e propone di seguito la «norma», quanto
dev’essere fatto.
Ricorderemo, infine, Pabbondantissima serie di testi che hanno per og­
getto la magia e la divinazione (occupazioni tra le più prestigiose in Me-
sopotamia nel corso della sua storia) o anche Pastrologia, la medicina e le
scienze matematiche.

3. Ugarit

Poiché già ci si è riferiti alla letteratura ugaritica dedicata alla religione


(cap. v, iv,ic), sarà qui sufficiente segnalare pochi altri dati.
La leggenda di Aqhatu presenta il re Daniilu senza discendenza. Il suo
pianto è comprensibile. Ba‘Iu, dio della fertilità, raccomanda di eseguire
una serie di riti grazie ai quali la situazione si può modificare favorevol­
mente. Così accade. Il figlio di Daniilu ha ricevuto dal dio Kuthar un arco
meraviglioso. La dea Ànatu, che ama appassionatamente la caccia, desi­
dera Parco. Ma Aqhatu non vuole darglielo se non in cambio delPimmor-
Il contesto letterario dell’Antico Testamento 333

talità, che la dea non intende concedergli. Il giovane non cede il suo arco
e la dea prepara così la vendetta: la morte del giovane con il consenso di
El. Il resto della leggenda è andato perduto, benché probabilmente alla fi­
ne dell’opera, in un modo o in un altro, Daniilu recuperi la felicità e la di­
scendenza.
La leggenda di Kirta ha lo stesso tema centrale: un re senza prole. La
finalità dell’opera è con probabilità identica alla leggenda di Daniilu: la
protezione della divinità verso la dinastia e, di conseguenza, verso il suo
popolo.

4. Altri testi

I testi fenici, quantunque non molto numerosi, rivestono particolare inte­


resse dal punto di vista linguistico, religioso e storico.
Un’opera fondamentale per il contesto culturale d’Israele è la stele di
Mesha, scoperta nel 1868 a Moab. Misura 1 ,1 0 m di altezza e 0,60 di
larghezza. I beduini la ruppero in vari pezzi, ma ha potuto essere rico­
struita quasi per intero. Si tratta di una stele per la vittoria di Mesha, re
di Moab, con 34 righe di testo nel quale si raccontano avvenimenti oc­
corsi tra L85Z e P842,. Concretamente si narra la guerra di liberazione di
Mesha dal giogo israelitico. Moab, vassallo di Samaria al tempo della di­
nastia di Omri, conseguì la libertà con la caduta di questa dinastia. L ’i­
scrizione è di grande importanza, essendo il testo più esteso in dialetto
moabitico, molto vicino all’ebraico, e perché si riferisce ad alcuni fatti
storici sui quali la Bibbia si dilunga.
Un’altra stele di tipo analogo, benché di minor importanza, è quella di
Zakkur, re di Hamat e Laas, che narra avvenimenti occorsi verso 1*805
a.C. Zakkur, probabilmente re usurpatore, allude alla lega formatasi
contro di lui e da cui si liberò. L’iscrizione è interessante non solo per i
dati storici, ma anche per la lingua, l’aramaico, e per le formule e i voca­
boli utilizzati, prossimi ai testi biblici.
Un testo probabilmente aramaico ha acquistato grande notorietà dal
momento della scoperta: l’iscrizione di Deir cAllah, nella valle del Gior­
dano. TI testo, scritto su gesso, doveva forse coprire la parete della casa
dove venne rinvenuto. Alcuni studiosi pensano si tratti di un testo scritto
sulla parete di una «scuola», per fungere da modello agli alunni che do­
vevano apprendere la scrittura. Potrebbe essere possibile. Certo è che il
testo parla non solo di un personaggio conosciuto dai testi biblici, ma
quasi negli stessi termini: Balaam, figlio di Beor.
I testi di Elefantina sono ugualmente una fonte importante di notizie,
soprattutto per l’epoca postesilica. Nell’isola di Elefantina, nei pressi di
Assuan, esisteva una colonia giudaica con un proprio tempio dedicato a
334 La Bibbia come letteratura

Jahò. Possediamo ana serie di testi tra 1 quali alcune lettere inviate a Ge­
rusalemme su temi cultuali come la celebrazione della pasqua e altri.

5. Bibliografia
J.B, Pritchard, Ancient Near Eastern Texts Relating to thè O ld Testamenti Prince­
ton 319 6 9 : opera di riferimento, che riassume in traduzione inglese i testi del V ici­
no Oriente antico; M . G a rd a Corderò* Bibita y legado del Antiguo Oriente , M a ­
drid 1 9 7 7 : saggio di studio comparato sui testi biblici e i possibili paralleli della
letteratura orientale. Per la letteratura egiziana antica, ottima è Pantologia curata
da E. Bresciani, Letteratura e poesìa deWantico Egitto, Torino 2i9 9 o . Per il Libro
dei morti si veda anche Pedizione con note e commento a cura di G. Rosati: Libro
dei Morti. I papiri torinesi di Tachered e Isiemachbit, Brescia 1 9 9 1 . Per i testi sa­
pienziali egiziani si veda ora A. Roccati, Sapienza egizia. La letteratura educativa
in Egitto durante il II millennio a.C., Brescia 19 9 4 : contiene, accompagnati da
introduzione e commento, i più celebri «insegnamenti». I testi mesopotamici più
noti sono reperibili nelle antologie di G. Furlani (Miti babilonesi e assiri, Firenze
19^ 8) e G .R . Castellino (Mitologia sumerico-accadica, Torino 19 6 7 e Testi su­
merici e accadici, Torino 1 9 7 7 ) ; si veda inoltre la Crestomazia accadìca curata da
L. Cagni (Roma 1 9 7 1 ) , che raccoglie numerosi testi in trascrizione con traduzio­
ne italiana a fronte. Per YEpopea di Gilgamesh è ora disponibile l’esauriente edi­
zione commentata di G. Petrmato in collaborazione con S.M . Chiodi e G del
M onte (Milano 1992.). Sul mondo della letteratura e religione ugaritiche si veda
G. del Olmo Lete, Mitos y leyendas de Canaan, M adrid 1 9 8 1 : ottima edizione
dei testi mitologici e delle leggende cananaiche, con eccellente apparato critico e
bibliografia quasi esaustiva; offre, inoltre, la trascrizione dei testi. In italiano si
può ricorrere con utilità a P. Xella, Gli antenati di Dio. Divinità e miti della tra­
dizione dì Canaan, Verona 1 9 8 z, che oltre a fornire una presentazione esaustiva
della mitologia ugaritica anche in rapporto alPÀ.T., consente di leggerne in tra­
duzione i testi principali. I testi punici sono in parte accessibili, in traduzione ita­
liana, in A. Rolla, La Bibbia dì fronte alle ultime scoperte, Roma 3i9 5 9 - N ei «Te­
sti del Vicino Oriente antico», diretti da P. Saccbi, sono state edite, oltre a quelle
sopra citate a cura di A . Roccati e G. Rosati, altre opere utili allo studio dell’A .T .
(Racconti di viaggio e di avventura dell’antico Egitto ; Formule di maledizione
della Mesopotamia preclassica; La mitologia ittita ; L 3annalistica ittita) e altre so­
no in programma (Le profezie di Mari; Lettere di El-'Amàrna; La mitologia me-
sopotamica ecc.).

III. I L C O N T E S T O L E T T E R A R IO
D EL NUO VO TESTAM EN TO

Dal momento che l’intero volume ix della nostra opera è dedicato alla
presentazione analitica di questa letteratura, fondamentale per la com­
prensione del N.T., ci si limita qui a tracciarne i lineamenti sommari. La
letteratura del giudaismo palestinese viene presentata separatamente da
II contesto letterario del Nuovo Testamento 335

quella del giudaismo della diaspora, a eccezione della letteratura apocri­


fa, con cui si inizia. In molti casi non è possibile precisare Tori gì ne di
questa letteratura; i suoi rapporti con il giudaismo palestinese o con quel­
lo della diaspora, poi, sono poco chiari.
NeH’illustrare questa letteratura apocrifa si adotterà quindi una suddi­
visione secondo la lingua in cui queste opere furono scritte e un ordine
che complessivamente si attiene alla loro cronologia relativa nell'ambito
di ogni suddivisione.

i. La letteratura apocrifa

Questa letteratura, cosi definita dalla tradizione cattolica (i protestanti la


denominano «pseudepigrafa», gli ebrei «extracanonica», altri preferisco­
no il termine di «letteratura intertestamentaria»), comprende un’ampia
serie di scritti di origine giudaica, trasmessi unicamente dalla tradizione
cristiana, che in alcuni casi giunse anche a incorporarli all’interno del ca­
none di determinate chiese.
Queste opere, composte tra il in secolo a.C. e il n d.C., rappresentano
i più svariati generi letterari, dal midrash biblico alla poesia religiosa,
dalla letteratura testamentaria alle apocalissi.

a) Apocrifi composti in ebraico o in aramaico

Benché questi scritti siano stati tramandati solamente in traduzione greca


dell’originale (eccettuati i frammenti degli originali semitici di alcune di
essi, trovati tra i manoscritti di Qumran) o, fatto più frequente, in una
traduzione di questa traduzione, non vi sono seri dubbi sul fatto che le
opere originali vennero scritte in ebraico o aramaico.
i Enoc o Enoc etiopico. Alcune delle più antiche e importanti compo­
sizioni apocrife si trovano comprese nel ciclo di scritti incentrati sulla fi­
gura di Enoc e raccolti nell’opera denominata Enoc etiopico. La sua for­
ma definitiva consta di cinque composizioni di epoche e origine diverse.
U Enoc astronomico (capp. 72-82, con gli insegnamenti astronomici rice­
vuti da Enoc da parte dell’angelo IJrìel) e il Libro dei Vigilanti (capp. i-
36: racconta dettagliatamente la caduta degli angeli e i viaggi di Enoc per
intercedere per loro) risalgono alla fine del ih sec. a.C.; il Libro dei Sogni
(capp. 72-82.: Enoc narra al figlio due visioni, una sulla distruzione cau­
sata dal diluvio, un’altra sulla storia del popolo eletto, simboleggiata con
diversi animali) e VEpistola di Enoc (capp. 9 1-10 5 , con un’esortazione
del protagonista ai figli, comprendente I Apocalisse delle Settimane in cui
si riassume la storia del mondo) furono probabilmente scritti nelle prime
decadi del 11 sec. a.C. Già in questo secolo (e prima della redazione del li­
33^ La Bibbia come letteratura

bro dei Giubilei), quantomeno le quattro composizioni citate erano state


riunite in un’opera pseudepigrafa attribuita a Enoc. Quest’opera contene­
va le più antiche apocalissi conosciute, sia di tipo cosmico sia di tipo sto­
rico (precedenti al libro di Daniele) e comprendeva estratti del Libro di
N oè, oggi perduto. Il Libro delle Parabole, incluso anch’esso nelVEnoc
etiopico (capp. 37-71), ospita infine tre versioni: nella prima Enoc visita
il firmamento e la residenza celeste dei giusti; nella seconda gli viene spie­
gato il mistero del «Figlio dell’uomo» e il giudizio che eserciterà sul mon­
do; la terza descrive la felicità eterna degli eletti e si conclude con l’assun­
zione di Enoc al cielo. Oggi si propende per lo piu a considerare anche il
Libro delle Parabole come opera giudaica, scritta nelFultimo quarto del 1
sec. d.C. In complesso si può dire che i Libri di Enoc hanno esercitato
grande influenza sulla letteratura intertestamentaria, sul N.T. (cfr. Gd.
14) e sui primi scrittori cristiani.
Giubilei. Conosciuta anche come «Piccola Genesi», quest’opera si pre­
senta come una specie di commento midrashico che organizza la storia da
Gen. 1 a Es. 1 2 in periodi di quarantanove anni o «Giubilei». L ’intero
scritto è presentato come una rivelazione fatta dall’ «angelo della presen­
za» a Mosè sul monte Sinai, il cui contenuto è già presente nella «tavola
celeste». La storia è quindi predeterminata. Poiché corrisponde agli inte­
ressi cronografici dellautore, nell'opera si presta speciale attenzione alla
celebrazione delle diverse feste, la cui istituzione rìsale ai tempi più anti­
chi. Angelologia e demonologìa si trovano molto sviluppate e la seconda
ha avuto grande influsso soprattutto sul N.T. Dell’opera, redatta in
ebraico, sono stati ritrovati diversi frammenti tra i manoscritti di Qum-
ran. Il testo originario dovette essere composto a metà del 11 sec. a.C., in
circoli vicini a Qumran.
Testamento (Assunzione) di Mosè. Il suo contenuto è un commento
apocalittico a Deut. 31-34 (morte di Mose e consigli a Giosuè), presenta­
to formalmente come rivelazione di Mosè a Giosuè, nella quale tutta la
sroria del popolo eletto è collocata entro lo schema peccato-castigo-con­
versione-ritorno. Il doppio titolo mostra già alcuni suoi problemi. Echi
dell'opera si trovano in Gd. 9. Anche la datazione è problematica. La
maggior parte del libro sembra prendere spunto dalla persecuzione di età
macca baica, ma i capp. 5-6 trattano vicende storiche fino agli inizi del r
sec. d.C. Certo è che il Testamento di Mosè venne utilizzato già dall’au­
tore di Atti 7,36,
Salmi di Salomone. Questa raccolta di 18 salmi, che per forma e conte­
nuto imitano i Salmi canonici, si è conservata in traduzione greca. Molto
probabilmente proviene da circoli farisaici, come mostrano ('insistenza
sull’obbedienza alla legge, la dottrina del libero arbitrio e della retribu­
zione, l’accentuazione della risurrezione. La redazione definitiva potrebbe
II contesto letterario dei Nuovo Testamento 337

essere databile intorno al 40 a.C., poiché il salmo 2 allude alla morte di


Pompeo in Egitto.
Martirio di Isaia. È un’opera giudaica giunta come parte di un’opera
cristiana più ampia, conosciuta come Ascensione di Isaia. Consta di tre
diversi elementi: il Martìrio di Isaia (Asc. Is, 1 ,1 - 3 ,1 2 ; 5 ,1-16 ), il Testa­
mento di Ezechia (Asc. Is. 3,12-4 ,22, una visione nella quale Isaia predice
la vita di Cristo e della sua comunità dall’incarnazione alla venuta del­
l’anticristo simboleggiato da Nerone) e la Visione di Isaia (Asc. is. 6-1 1 ,
descrizione dei viaggi di Isaia attraverso i sette cieli). Qui interessa soltan­
to il Martirio, la cui origine giudaica è oggi fuori discussione. Costituisce
una specie di midrash a 2 Re 20 -21; inizia con la profezia di Isaia al re
Ezechia sulla propria morte per mano di Manasse (segato in due con una
sega di legno) e nel resto dell’opera è narrato il compiersi di tale profezia.
È impossibile precisarne la data di composizione. L ’opera esisteva già nel
1 sec. d.C., come conferma l’allusione di Ehr. 1 1 , 1 3 , ma né ^a sua origine
in età maccabaica né le sue relazioni con Qumran sembrano certe.
Antichità bibliche (Pseudo-Filone). Si tratta di un interessante midrash
aggadico che narra la storia biblica da Adamo fino a Saul seguendo fon­
damentalmente la traccia del racconto biblico, ancorché con importanti
omissioni e aggiunte ancor più interessanti. À differenza di altri apocrifi
non presenta elementi di carattere settario, ma ri elabora antiche tradizio­
ni appartenenti al patrimonio comune giudaico. La sua composizione è
generalmente collocata nella seconda metà del 1 sec. d.C., benché sia im­
possibile precisare se prima o dopo l’anno 70.
Apocalisse di Àbramo. Conservata unicamente nella traduzione slava
condotta sulla versione greca dell’originale semitico, quest’opera contiene
una narrazione leggendaria sulla conversione di Abramo al monoteismo
(capp. 1-8) e un’apocalisse costruita su un midrash a Gen. 15 e un viaggio
celeste di Abramo. La sua composizione potrebbe risalire alla fine del 1
sec. d.C., dal momento che sembra contenere un riferimento alla distru­
zione del tempio.
4 Esdra. Fu, senza dubbio, l’apocalisse giudaica più popolare nei circo­
fi cristiani. Di fatto, la sua versione latina si conserva in appendice all’e­
dizione clementina della Volgata. L ’opera originale si limita agli attuali
capp. 3-14 . L ’apocalisse fu composta nelle ultime decadi del 1 sec. d.C. Si
divide chiaramente in due parti. La prima contiene tre dialoghi di Esdra
con l’angelo Uriel, tutti di identica struttura: orazione-lamento del veg­
gente, risposte dell’angelo con le rivelazioni che si concludono con l’an­
nuncio dei segni degli ultimi tempi, il conforto dell’angelo al profeta e il
digiuno di quest’ ultimo per prepararsi a nuove rivelazioni. La seconda
parte consta di quattro visioni e della loro relativa interpretazione: la
moglie sterile, l’aquila simboleggiante Roma e il leone simbolo del mes-
338 La Bibbia come letteratura

sia, l’uomo che sorge dal mare per compiere la salvezza ed Esdra, quale
nuovo Mosè, incaricato di istruire il popolo e di riscrivere i libri sacri.

b) Apocrifi dì lingua originale incerta

Come nel caso degli apocrifi precedenti, sono opere conservate soltanto
in greco o in altra traduzione. Ma, diversamente dagli scritti sopra elen­
cati, rimane ancora irrisolta la questione se originariamente fossero re­
datti in una lingua semitica oppure si tratti di creazioni originali m greco.
Testamenti dei Dodici Patriarchi. L ’opera consiste in dodici «testa­
menti», dodici «discorsi di addio» rivolti dai dodici figli di Giacobbe, in
punto di morte, ai propri figli o familiari. S’ispira ai «discorsi di addio»
dell’A.T. e rientra in un genere letterario molto popolare all’epoca. I do­
dici «discorsi di addio» hanno una struttura stereotipa: ognuno è prece­
duto da un passaggio introduttivo di tono biografico e seguito da alcuni
particolari sulla morte e la sepoltura del patriarca. L ’opinione oggi più
diffusa riconosce nei Testamenti un nucleo giudaico con abbondanti pa­
ralleli negli scritti qumranici, scritto in ebraico o aramaico nel n sec. a.
C., successivamente rielaborato in greco e sottoposto infine a redazione
cristiana nel 11 sec. d.C.
Apocalisse sirìaca di Baruc (2 Baruc). Quest’apocalisse, scritta dopo la
distruzione del tempio, cerca di spiegare perché Dio abbia permesso quel­
la catastrofe. La distruzione è un atto divino precedente il giudizio e la
salvezza finale d’Israele. L ’opera presenta strette relazioni con 4 Esdra e
fu scritta intorno al 100 d.C.
Testamento di Abramo. Nonostante il titolo, non è un «testamento» in
senso proprio, bensì un racconto apocalittico. Abramo, invitato dall’an­
gelo Michele, rifiuta di fare testamento prima di aver visitato il mondo
intero. La recensione lunga dell’opera, probabilmente la più vicina all’o­
riginale, presenta le maggiori interpolazioni cristiane; la recensione bre­
ve, d’altra parte, presenta un testo greco più semitizzante. L ’originale,
forse alessandrino, potrebbe risalire al 1 sec. d.C., benché l’opera difetti
di elementi precisi per consentirne una datazione.
Vita dì Adamo ed Èva (Apocalisse di Mose). Della lunga serie di ela­
borazioni midrashiche sulla vita dei progenitori, forse la più interessante
potrebbe essere la composizione conosciuta in versione greca con il titolo
improprio di Apocalisse di Mosè e nelle versioni latina e slava con quello
più corretto di Vita Adae etE vae, che glossa i primi tre capitoli della Ge­
nesi con numerosi ampliamenti. Nonostante alcune reminiscenze elleni­
stiche e abbondanti interpolazioni chiaramente cristiane, si tratta di
un’opera fondamentalmente giudaica, che potrebbe essere stata compo­
sta nel 1 sec. d.C.
c) A pocrifi redatti in greco

Tra la letteratura giudaica di questo periodo, certamente scritta in greco e


segnata dal pensiero ellenistico, si trovano, insieme a opere filosofiche o
storiche di cui si parlerà in seguito, numerose composizioni apocrife. Ec­
co le più importanti:
Lettera di Aristea. E in realtà uno scritto di propaganda che perora la
traduzione greca del Pentateuco. Composto in forma di lettera che Ari­
stea, immaginario ufficiale del re Tolemeo n Filadelfo, invia al fratello Fi-
locrate, l’opera racconta delPambasciata inviata dal re egiziano a Gerusa­
lemme per ottenere un esemplare della legge mosaica, l’accoglienza dei
traduttori ad Alessandria, la traduzione del testo biblico e la proclama­
zione ufficiale del medesimo. L ’opera è di un giudeo alessandrino con
buona conoscenza della vita di corte. La data di composizione rimane
controversa; la maggioranza degli studiosi propende a collocarla intorno
alla metà del n sec. a.C.
Oracoli Sibillini. La collezione di libri nota come Oracoli Sibillini con­
serva una gran varietà di testi di provenienza ed epoche molto diverse,
uniti dalla loro forma (esametri greci), dalla funzione religiosa e politica e
dalla comune attribuzione alla sibilla ebraica. Le sibille erano donne che
profetizzavano sotto l’influsso dell’ispirazione divina e proferivano ora­
coli. La letteratura oracolare attribuita alle diverse sibille è molto antica;
la troviamo già menzionata in Eraclito. Le sibille più importanti erano
quelle di Eritrea e di Cuma, rispettivamente per il mondo greco e roma­
no. Si trattava di oracoli essenzialmente religiosi, ma con grande rilevan­
za politica. La collezione di oracoli degli attuali 14 libri degli Oracoli Si­
billini ne include un certo numero di origine pagana, alcri chiaramente
giudaici e alcuni senza dubbio cristiani. È una raccolta caotica di età e
luoghi molto diversi. Gli elementi giudaici sono raggruppati nei libri in,
iv e v, i soli che qui ricorderemo. Il libro ni ha un carattere davvero ete­
rogeneo. Il corpo dell’opera, chiaramente giudaico, sembra composto in­
torno alla metà del 11 sec. a.C. E dominato dalla presentazione di un re
Tolemeo quale figura salvifica, cui si attribuiscono la fine dello stato di
guerra e l’inaugurazione di un regno di pace. Il libro iv reimpiega un an­
tico oracolo pagano dell’epoca di Alessandro Magno che, fino all’impero
macedone, divideva la stona in dieci generazioni e quattro regni e conti­
nuava sino alla distruzione del tempio e all’eruzione del Vesuvio, presen­
tata come castigo per la devastazione di Gerusalemme. Tale particolare
consente la datazione dell’opera con sufficiente precisione intorno all’an­
no 80 d.C. Il libro v è costituito da una rassegna storica (vv. 1-5 1), da
Alessandro fino a Marco Aurelio (o Adriano, se il v. 5 1 non è originario)
e da quattro oracoli (vv. 52-434) contro diverse nazioni. La composizio-
340 La Bibbia come letteratura

ne del corpo dell’opera si colloca prima della fine del i sec. d.C. L ’intro­
duzione sarebbe stata aggiunta al tempo di Adriano o di Marco Aurelio.
Testamento di Giobbe. Quest’opera offre una presentazione midrashi-
ca della storia del personaggio biblico in forma di «testamento». Sembra
destinata a stimolare la conversione al giudaismo, dal momento che Giob­
be è presentato come pagano, ma l’attacco ai matrimoni misti e la racco­
mandazione per una corretta sepoltura non possono essere diretti che ai
giudei. La sua parenesi verte soprattutto sulla virtù della pazienza e, ben­
ché molto interessato alle realtà celesti, l’autore non utilizza il linguaggio
né manifesta Tinteresse per il futuro caratteristici delle apocalissi. Scritta
originariamente in greco, Popera risale con probabilità al i sec. d.C.
Giuseppe e Asenet. Nota in due recensioni greche e in numerose ver­
sioni, Popera è uno sviluppo midrashico di Gen. 4 1,4 1-5 2 e 46,20 nella
forma letteraria del romanzo ellenistico. Consta di due parti nettamen­
te distinte. La prima racconta gli amori e il matrimonio di Giuseppe e di
Asenet. La seconda, di carattere maggiormente epico, si conclude con la
morte del faraone e del figlio e la proclamazione di Giuseppe a re del pae­
se. Fu scritta in greco e con molta probabilità in Egitto, in età difficilmen­
te precisabile. Per lo più se ne fissa la data di composizione prima della
persecuzione di Adriano {nel 1 1 7 d.C.) e dopo il compimento della tradu­
zione dei LX X , conosciuta e utilizzata dall autore. Più che un racconto
con finalità di proselitismo, Giuseppe e Asenet è una giustificazione del-
Pautenticità giudaica dei convertiti (e indirettamente una difesa dei ma­
trimoni misti) ricolma di simbolismo e con un grande contenuto etico.
L’opera conobbe grande popolarità nel mondo cristiano.

2. La letteratura qumranica

I manoscritti scoperti presso il Mar Morto, provenienti dalla biblioteca


della comunità di Qumran, contengono, oltre a numerose copie di testi
biblici e di testi apocrifi, una serie di opere rivelatrici della letteratura
specifica della setta. L insieme di questi scritti, segnati da grande affinità
di idee ed espressioni, viene designato letteratura qumranica. Come testi­
monianza del giudaismo pluralista dell’epoca, il loro valore è inestimabile
e fondamentale la loro importanza per la comprensione del N.T. Trala­
sciando i testi di minore importanza, le opere settarie possono raggrup­
parsi nelle tre seguenti categorie:

a) Regole

Sono testi contenenti le norme di vita della setta e la sua propria halaka.
II più completo e meglio conosciuto è la Regola della Comunità, essen-
Il contesto letterario del Nuovo Testamento 341

ziale per la conoscenza deirorganizzazione e della teologia della setta.


Un’altra importante regola è quella designata come Documento di Da­
masco. Benché l’esemplare meglio conosciuto e più completo di quest’o­
pera provenga dalla Geniza del Cairo, a Qumran ne sono state ritrovate
varie copie e non vi è dubbio che si tratti di un’opera settaria, ancorché
per un tipo di comunica diversa da quella di Qumran.
Di genere completamente differente è la Regola della Guerra, dedicata
ai quarantanni precedenti la fine del mondo. Si caratterizza per la batta­
glia senza quartiere contro le forze del male, alla cui fine i «figli della lu­
ce», assistiti dalle potenze angeliche, sconfiggeranno e distruggeranno i
«figli delle tenebre» e gli eserciti di Belial. La Regola dell*Assemblea, della
quale sono giunte soltanto due colonne, detta norme per la comunità dei
tempi escatologici. Le parti conservate mostrano 1 diritti di ciascuna cate­
goria di membri e descrivono la riunione del consiglio presieduta dai due
messia, culminante nel banchetto messianico.
Tutta una serie di opere halachiche, come le Ordinanze o la Lettera
balachica, edita solo di recente, è in relazione con le regole, benché lette­
rariamente di genere diverso. La più estesa e importante è il Rotolo del
Tempio, che adatta e modifica i precetti biblici sul tempio, le teste e i re­
lativi sacrifici e buona parte delle prescrizioni del Deuteronomio.

b) Interpretazione biblica

In base ai testi conservati si può concludere che una delle principali atti­
vità dei membri della comunità qumranica fosse l’esegesi del testo bibli­
co. La poesia qumranica è densa di reminiscenze bibliche. Anche nelle re­
gole troviamo piccole unità esegetiche su testi concreti; opere intere, co­
me il Rotolo del Tempio, costituiscono una reinterpretazione attenta del
testo biblico dal quale prendono spunto. Ma larga parte dei manoscritti
conservati sono opere di tipo midrashico, in cui il testo biblico è fonda­
mentale. Opere come VApocrifo della Genesi, le Benedizioni dei Patriar­
chi, i Salmi di Giosuè, le Parole di Mosè e tutta una serie di Apocrifi Mo­
saici e di Parafrasi del Pentateuco, edite soltanto di recente, rientrano in
questo genere di interpretazioni bibliche. Di carattere esegetico sono pure
diverse composizioni pseudepigrafe conservate in varie copie: Pseudo­
Geremia, Pseudo-Ezechiele, Pseudo-Daniele ed egualmente altre opere
aramaiche, quali la Descrizione della Nuova Gerusalemme e la Preghiera
di Nabonedo, che s’ispirano rispettivamente a Ez. 40-48 e alle storie su
Nabucodonosor del libro di Daniele.
Gli scritti esegetici qumranici più caratteristici, tuttavia, sono quelli de­
signati come p esharim, plurale di pesher, «interpretazione», largamente
impiegato. Non si tratta di interpretazioni o commenti nella nostra acce­
34* La Bibbia come letteratura

zione, bensì di un’attualizzazione del testo biblico applicato direttamente


alla vita delta comunità; il presente della comunità è contenuto nel testo
bibli co e alPinterpretazione di questo compete il disvelamento di quel­
lo. Tra i p esbarim continui il meglio conservato è quello di Abacuc; altri,
come il pesber di Naum, sono ugualmente importanti. Rimangono fram­
menti di sei p esbarim di Isaia, di alcuni Salmi e di tutti i Profeti Minori.
Tra i pesbarim tematici si segnalano, perché di maggior interesse, il Mì-
drash di Melktsedeq e il Pesber dei Perìodi, le Caienae, i Tanhumim, il
Florilegtum e i Testimonia ecc., provenienti dalla grotta 4.

c) Testi poetici e liturgici

La nostra ignoranza dello sviluppo reale della liturgia qumranica impedi­


sce di chiarire se certi testi, di carattere inmeo, fossero pure e semplici
composizioni poetiche o invece fossero destinati a un impiego liturgico.
Tale incertezza ricade su testi importanti come gli Inni della grotta 1, che
rivelano tutta la profondità della spiritualità qumranica e sono stati attri­
buiti, per gran parte, al Maestro di Giustizia, fondatore della comunità.
Lo stesso succede per un’altra serie di testi, abbastanza numerosa ma di
esigua estensione.

3. La letteratura targumìca

I targumim sono traduzioni aramaiche del testo biblico, generalmente de­


stinate alla lettura nella liturgìa sinagogale. La prescrizione rabbinica rac­
comanda la lettura del testo biblico nelle celebrazioni della sinagoga, ma
la sua traduzione (il targum) va recitata a memoria; ciò mostra l’indole
di questa letteratura targumìca e i problemi derivanti dal suo impiego: si
tratta di una letteratura di traduzione al servizio del testo biblico e della
comunità, la cui trasmissione orale rende difficoltosa la datazione delle
sue tradizioni interpretative. È sicuramente una traduzione al servìzio
della liturgia, ma talvolta attualizza il testo biblico in funzione delle ne­
cessita concrete della comunità cui è diretta, in accordo con la tradizione
orale. Il traduttore, rn turgernan7 traduce il testo bìblico impiegando le
tecniche abitualmente adottate nella letteratura midrashica, per incor­
porare l’esegesi che è normativa nella comunità. Di conseguenza i targu­
mim, nella forma in cui sono stati tramandati, ospitano elementi dì epo­
che assai diverse.
La loro origine è incerta. La tradizione rabbinica vede nel testo di
Neem. 8,8 l’origine delle traduzioni aramaiche. In ogni caso scaturiscono
dall’ambiente geografico e culturale palestinese e sorgono in un momento
in cui l’ebraico era già ìncomprensibile per buona parte della popolazio­
Il contesto letterario del Nuovo Testamento 34.3

ne. Per una descrizione dei vari targumim, oltre alla presentazione com­
pleta del voi. ix di questa Introduzione, si veda sotto, cap. xv, m.

4. La letteratura rabbinica

Se l'ambiente proprio della letteratura targumica è rappresentato dalla si­


nagoga, il luogo di origine dell’amplissima letteratura rabbinica è il bet
midrash, la scuola rabbinica e Pacca demia, ove lo studio e il commento
della torà scritta e la sua compilazione e revisione proseguono incessan­
temente. Tale origine spiega il carattere peculiare di questa letteratura. I
suoi scritti sono creazioni collettive e si presentano come raccolte di ma­
teriali diversi, arricchitisi e modificatisi nel tempo. Semplificando molto,
potremmo raggruppare le opere di questa letteratura in due grandi cate­
gorie. Una dedicata all'interpretazione (darash) del testo biblico, dei suoi
aspetti halachici o prescrizioni legali e dei suoi elementi narrativi o agga-
dici: è la letteratura rmdrashica o esegetica. La seconda s’impernia sul­
la compilazione e catalogazione della legge orale, senza che d riferimento
al testo biblico sia necessario (benché, a volte, esso ricorra): è la lettera­
tura mishnica e talmudica.

a) Midrashim

Il termine mìdrashy pur applicato anche a unita minori che attualizzano il


testo biblico mediante spiegazioni, modifiche, ampliamenti ecc. riscon­
trabili nella quasi totalità delle opere letterarie delPepoca, è qui utilizzato
nel suo significato tecnico, a designare determinate opere letterarie di tipo
esegetico (i midrashim). Vediamo le più importanti.
Midrashim tannaitici. Il nome rimanda all'epoca della composizione
delle opere e ai loro presunti autori, i maestri tannaiti, i rabbi del j e 11 se­
colo, precedenti alla compilazione della Mishna. Si tratta di commenti,
versetto per versetto, a determinati libri biblici, dall’Esodo al Deuterono­
mio. Nella maggior parte sono commenti halachici, concentrati sui capì­
toli biblici di carattere giuridico, benché non manchi tra loro laggada.
Nella loro forma originaria riflettevano Fin terp rotazione delle due grandi
correnti esegetiche di r. Aqiba e r. Ishmael. Pare che in un determinato
periodo esistessero otto opere di questo tipo: quattro con Fesegesi di ogni
scuola; ma i redattori del iv secolo mischiarono e confusero elementi di
opere diverse, si che i quattro midrashim tannaitici classici presentano un
carattere misto. Le quattro opere sono: Mekìlta de R. Ishmael, commento
di Es. iz-23 attribuito a r. Ishmael in cui si riflettono i principi esegetici
della sua scuola; Sifra, commento al Levitico attribuito a r. Juda ben Hai,
della scuola di r. Àqiba; Sifre Numeri, commento al libro dei Numeri a
344 La Bibbia come letteratura

partire dal cap. 5, della scuola di r. Ishmael; Sifre Deuteronomio, com­


mento al Deuteronomio a partire dal cap. iz , della scuola di r. Aqiba.
Le ricerche moderne hanno consentito di recuperare, almeno in parte,
tre degli altri quattro midrashim tannaitid: Me kilta di R. Sìmeon ben
Johai, commento all’Esodo della scuola di r. Aqiba; Sifre Zitta, com­
mento ai Numeri attribuito a r. Eliezer ben Jacob, della scuola di r. Aqi­
ba; Sifre Deuteronomio, commento ai primi capitoli del Deuteronomio,
della scuola di r. Ishmael e di contenuto soprattutto aggadico; del com­
mento al Levitico della medesima scuola di r. Ishmael si sono conservate
soltanto alcune citazioni inserite nel Talmud.
Midrashim omiletici. Sono diversi dai precedenti per tipologia e strut­
tura. Talvolta partono da un problema halachico e lo risolvono commen­
tando t testi delle letture liturgiche; talaltra iniziano con il testo biblico,
che chiariscono attraverso le letture del ciclo sinagogale. Le omelie com­
prendono proemi ed epiloghi messianici o morali. Le raccolte più impor­
tanti sono le seguenti: Pesìqta de Rab Kahana, contenente due serie di
omelie sulle letture delle feste e di undici sabati speciali; Pesìqta Rabbati,
collezione per le feste e i sabati, piu tarda della precedente ne riporta al­
cune omelie; Tanhuma, raccolta di omelie su tutto il Pentateuco se­
guendo il ciclo della lettura sinagogale; la designazione di 7 dnhuma è
mutuata dal nome di r. Tanhuma bar Abba, rabbi dell’epoca degli aino-
raiti (lii- v sec. d.C.), cui si ascrive un buon numero dei proemi che pre­
cedono l’esposizione dei versetti biblici; la stessa collezione è pure co­
nosciuta con il nome di Jelammedenu, espressione con la quale iniziano le
esposizioni halachiche che introducono le omelie.
Altri nndrashim. Oltre a questi due grandi dpi vi sono molti altri mi-
drashirn di epoche e contenuto assai diversi, interessanti per lo studio del­
la storia (la Megillat Ta\mtt o il Seder *Olam), della lingua (Bereshu
Rabba e Eka Rabbatì midrash su Genesi e Lamentazioni, due dei più an­
tichi midrashim palestinesi, nei quali ricorre anche una considerevole
quantità di parole greche) o del pensiero teologico che non troverà spazio
nel giudaismo ufficiale (i Pirqe de Rabbi Eliezer).

b) Mishna

La creazione più importante del giudaismo rabbinico è, senza alcun dub­


bio, la Mishna. Il nome significa «ripetizione» e s'impiega per designare
una compilazione di leggi organizzata tematicamente. Usato in senso
proprio si riferisce alla Mishna di r. Juda il Patriarca, la compilazione di
halakot della legge orale redatta alla fine del 11 secolo d.C,: in seguito ac­
cettata come autoritativa, sta alla base dello sviluppo del giudaismo po­
steriore. L ’opera si presenta come amalgama di leggi raggruppate in sei
Il contesto letterario del Nuovo Testamento 345

grandi divisioni tematiche (i sei s£darim o «ordini della Mishna»), che di


fatto coprono tutti gli aspetti della legislazione del Pentateuco. Il suo con­
tenuto e il seguente: prodotti agricoli e decime; le feste; le donne; diritti
di proprietà e procedimenti legali; sacrifici e offerte; leggi di impurità.
Questi sedarim contengono 63 trattati, ognuno dei quali ha per oggetto
un aspetto particolare del tema generale.
La tradizione unanime ne attribuisce la compilazione a r. Juda, benché
questi non pretese di riunire la totalità del materiale halachico esistente,
ma solo di presentare le norme che godevano di autorità. Perciò si servì
di raccolte precedenti, nelle quali erano già stati sistematizzati determina­
ti aspetti. R. Juda integrò tutti questi elementi, trasmessi oralmente o per
iscritto, in un insieme omogeneo immediatamente riconosciuto come 1 e­
spressione più completa della legge orale, che acquisì valore d’autorità
per ogni decisione legale, divenendo la base di tutto lo sviluppo successivo
del giudaismo.

c) Tosefta

Nonostante la sua importanza, la Mishna di R. Juda non raccoglieva che


una parte soltanto delle tradizioni legali esistenti in quel tempo. Alcuni
materiali non inclusi (barajta) nella Mishna ufficiale vennero raccolti in
una collezione di complemento alla Mishna, la Tosefta, termine che si­
gnifica «addizione, supplemento». Quest’opera, benché molto più am­
pia, è organizzata allo stesso modo della Mishna, in ordini e trattati, e
può essere considerata come una sua grande appendice, benché in realtà
costituisca un’opera ìndipendente. La tradizione ne attribuisce la compo­
sizione a Hijja bar Àbba, discepolo di Aqiba contemporaneo di r. Juda
il Patriarca, ma nella forma in cui è stata tramandata essa riporta molti
elementi postericri alla Mishna.

d) Talmud

Benché di composizione molto più tarda, non hanno minor importanza


ai nostri fini queste due enciclopedie del sapere giudaico costituite dal
Talmud di Gerusalemme e dal Talmud di Babilonia, poiché vi si trovano
molti materiali più antichi. Punto di partenza di entrambi è la Mishna,
cui aggiungono un commento (gemara) elaborato dai dottori, nel quale si
riflette l’Insegnamento delle diverse scuole. Il Talmud di Gerusalemme
(Jerushalmi) raccoglie il lavoro delle accademie palestinesi di Galilea; il
Talmud di Babilonia (Babli) quello dei dottori delle scuole di Sura e di
Pumbedita. Il primo venne forse redatto nel v secolo; il secondo, iniziato
sicuramente dagli amoraim, non venne completato che nell’epoca dei sa-
34^ La Bibbia come letteratura

baratri, agli inizi del vi secolo. Entrambi i testi comprendono numerose


barajtot o questioni di età tannaitica, talvolta identiche in entrambi i Tal-
mudim, talaltra uguali a quelle conservate nella Tosefta. Benché la Ge-
mara, come la Mishna che commenta, abbia soprattutto carattere giuri­
dico, entrambi i Talmudim includono molta elementi aggadici, racconti
storici, leggende riguardanti rabbi famosi, parabole che riflettono la vita
quotidiana ecc.; per tale motivo forniscono un’immagine fedele della vita
intera del giudaismo rabbinico. Lo Jerushalmi contiene più elementi sto­
rici del Babli, ma quest’ultimo gode dì maggiore autorità e rappresenta il
volto ufficiale del giudaismo intero.

5. Traduzioni greche della Bibbia

Le traduzioni greche della Bibbia, in particolare quella anonima nota co­


me Septuagintay costituiscono il fondamento di tutta la cultura del giu­
daismo della diaspora. Queste stesse traduzioni sono il veicolo piu im­
portante attraverso cui il testo deli’ A.T. entra a far parte integrante del
patrimonio cristiano. Su di esse, oltre a quanto si dirà nel voi. ix di que­
st’opera, si veda sotto, cap. xv, 11.

6. Storiografi, poeti, filosofi

Il giudaismo ellenistico produsse una ricca e variegata letteratura in gran


parte sfortunatamente non pervenutaci. Di molte opere sorte in quel con­
testo conosciamo soltanto accenni o brevi riferimenti. Alcuni frammenti,
tuttavia, si sono conservati perché riportati nelle opere di Flavio Giusep­
pe, di autori cristiani come Eusebio di Cesarea o Clemente di Alessandria
e, nel caso delle opere storiche, nella raccolta dell’autore pagano Alessan­
dro Poliistore. Poiché la nostra conoscenza di questi autori e dei loro
scritti poggia sulla selezione del materiale fatta inizialmente da Alessan­
dro Poliistore e poi dagli autori cristiani, dobbiamo supporre che essi ci
offrano un’immagine parziale e distorta di quella letteratura. Cionono­
stante ne possiamo percepire la ricchezza e varietà e l’influenza apologe­
tica. Di questa vasta produzione ricordiamo soltanto gli autori meglio
conosciuri grazie all abbondanza e all’estensione degli estratti conservati­
ci delle loro opere. Li raggruppiamo in tre grandi categorie generali.

a) Storiografi

I piu importanti sono Demetrio, Artapano ed Eupolemo. Vissero, molto


prohabilmente, tra il Z50 e il 150 a.C., i primi due ad Alessandria, il terzo
in Palestina.
Il contesto letterario del Nuovo Testamento 347

Demetrio compose un’opera intitolata, secondo Clemente di Alessan­


dria, Sui re di Giudea; i frammenti conservati, tuttavia, trattano unica­
mente di Abramo, di Giacobbe e dei suoi figli, di Mosè e di Zippora, delle
armi possedute dagli israeliti nel deserto e del tempo intercorso tra la de­
portazione delle tribù del sud e Tolemeo iv.
Artapano. La sua opera Sui giudei è più un romanzo popolare con ele­
menti tratti dalla storia che storia in senso proprio. Rimodellare la nar­
rativa biblica alla maniera aggadica, per esaltare i contributi giudaici e
glorificare gli eroi del passato d’Israele, sembra la finalità dello scritto di
Artapano.
Eupolemo, diversamente dagli altri due scrittori, pare di origine pale­
stinese ed è generalmente identificato con Y «Eupolemo figlio di Giovan­
ni, figlio di Accos», che Giuda Maccabeo inviò a Roma per negoziare un
trattato di pace (1 Adace. 8 ,17 e 2 Macc. 4 ,11) . Ciò può spiegare il suo in­
teresse per il tempio (in quanto membro di un’antica famiglia sacerdota­
le) e il suo bilinguismo, evidente dall’uso del testo ebraico della Bibbia. La
sua opera Sui re di Giudea, benché includa computi cronologici da Ada­
mo al periodo maccabaico, sembra concentrarsi sull'epoca della monar­
chia fino all’esilio.

b) Poeti

Come nel caso della storia, anche per quanto riguarda la poesia giudeo­
ellenistica di questo periodo le nostre conoscenze derivano dalle citazio­
ni di Alessandro Poliistore, riportate nelle opere di Eusebio. Suo tramite
ci sono pervenuti alcuni esametri dell’opera Su Gerusalemme di Filone,
poeta epico, e di altri, che trattano soprattutto di Sichem e della storia
dei samaritani, prossimi al modello omerico, appartenenti all’opera di
Teodoto, un autore di cui si ignora se fosse giudeo o samaritano. Di altri
poeti, come Sosate, <d’Omero giudeo», conosciamo soltanto il nome e il
fatto che visse in Alessandria. Il poeta più interessante, a giudicare da
quanto ci è conservato, fu Ezechiele il Tragico, che si servì di materiali bi­
blici per comporre una serie di drammi alla maniera greca. Il solo giunto
a noi in estratti {2.70 righe) è YExagoge, nella quale si drammatizzava la
storia dell’esodo in trimetri giambici.

c) Filosofi

Se tralasciamo Filone, di cui parleremo in seguito, e i trattati per certi


aspetti filosofici inclusi nella Septuaginta (il libro della Sapienza e 4 Mac­
cabei), il più importante e noto filosofo giudeo-ellenistico è Aristebulo,
filosofo di professione vissuto ad Alessandria presumibilmente intorno
I

348 La Bibbia come letteratura

alla metà del n sec. a.C. La sua opera consisteva fondamentalmente in


una spiegazione filosofica della torà mosaica per provare che questa, ben
compresa, conteneva già tutto quanto i filosofi greci scoprirono in seguito
o, come asserisce Clemente di Alessandria, «che la filosofia peripatetica
dipendeva dalla legge di Mosè e dagli altri profeti».

7. Flavio Giuseppe

In questa presentazione della letteratura giudaica merita particolare at­


tenzione Flavio Giuseppe. Nativo di Gerusalemme e membro di una no­
bile famiglia sacerdotale (il suo nome era Giuseppe figlio di Mattia, il so­
prannome di Flavio deriva dal suo successivo legame con la famiglia im­
periale romana), aderì al partito dei farisei dopo aver seguito per qualche
tempo gli insegnamenti sadducei ed essem e trascorso tre anni nel deserto
con l’eremita Banno. Comandante in capo della Galilea durante la rivolta
concro Roma, venne catturato dai romani dopo la presa di Jotapata, ma
riuscì a ottenere la libertà, essendosi adempiuta la sua predizione della
nomina a imperatore di Vespasiano. Protetto dal favore imperiale si sta­
bilì a Roma, dove iniziò a comporre i suoi lavori. Nonostante i grandi
problemi posti dalle sue opere, di valore diseguale e di tono apologetico,
Giuseppe costituisce la fonte storica più importante per il periodo neote-
stamentano. Dei suoi scritti ci sono pervenuti 1 seguenti:
La Guerra giudaica. Giuseppe compose in aramaico una storia degli
avvenimenti degli anni 66-70 d.C., destinata ai correligionari delle pro­
vince asiatiche, a noi non pervenuta. Fortunatamente decise di riscriverla
in greco, e quest’edizione greca dell’opera costituisce la nostra migliore
fonte d’informazione su questi avvenimenti. L ’opera si articola in sette li­
bri: il primo e metà del secondo sono dedicati a un’introduzione concer­
nente il periodo compreso tra Antioco Epifane e lo scoppio della rivolta.
Il primo anno di guerra è descritto nell’altra metà del secondo libro, la
campagna di Galilea del 67 nel ferzo; il quarto narra il procedere degli
eventi bellici fino all’assedio di Gerusalemme; nel quinto e sesto libro
espone l’assedio e la conquista della città e nel settimo le sequenze della
guerra fino alla disfatta degli ultimi insorti. L ’edizione greca fu conclusa
mentre Vespasiano era ancora vivente, e ottenne l’approvazione di questi
oltre che di Tito.
Le Antichità giudaiche. L ’opera in venci volumi narra la storia del po­
polo giudaico dalle origini all’inizio della guerra contro Roma. I primi
dieci libri corrono paralleli alla narrazione biblica e giungono fino al ter­
mine dell’esilio di Babilonia. I testi biblici, sia nell’originale ebraico sia in
traduzione greca, utilizzata in forma prevalente, sono la sua fonte presso­
ché esclusiva. Gli altri dieci libri riguardano la storia postbiblica. Per la
Il contesto letterario del Nuovo Testamento 349

loro redazione Giuseppe ricorre alle fonti piu disparate. Il primo libro dei
Maccabei, la leggenda dei Tobiadi e la Lettera di Aristea, insieme a tradi­
zioni popolari su Alessandro, gli servono per completare i dati tratti da
altri storici come Polibio, Strabone e Nicola di Damasco per scrivere la
storia fino all’epoca degli Asmonei. Nicola di Damasco è la fonte princi­
pale per il periodo erodiano e le Memorie di Agrippa quella per il suo re­
gno. Giuseppe vi aggiunge elementi chiaramente leggendari, benché uti­
lizzi anche dati dei registri sacerdotali e includa un buon numero di docu­
menti ufficiali accuratamente trascritti. L ’opera è diretta a lettori pagani
non soltanto per loro istruzione ma anche per disporli favorevolmente
verso la causa giudaica. Il complesso è un vero monumento di ricchezza
inestimabile per lo studio della storia postbiblica.
La Vita. Più che una biografia di Giuseppe, la Vita è un racconto del
suo operato come capo della rivolta in Galilea, scritta per difendersi agli
occhi dei romani dalle accuse di Giusto di Tiberiade, inserendovi alcune
note biografiche all’inizio e alla fine. Sembra posteriore alle Antichità
giudaiche e, di fatto, è stata trasmessa come sua conclusione o appendice.
Contro Apione. In due libri, conosciuta anche con il titolo SulVantichi-
tà del popolo giudaico, è un’abile apologia del giudaismo destinata a dis­
sipare incomprensioni e a respingere gli attacchi subiti dai giudei del tem­
po, in particolare da parte del grammatico alessandrino Apione.

8. Filone di Alessandria

Se Giuseppe è indispensabile per la comprensione della storia del N.T., le


idee di Filone Alessandrino fungono da elemento essenziale nello svilup­
po del pensiero cristiano. La loro influenza è già percepibile all’ interno
del N.T., specialmente nel quarto vangelo e nella lettera agli Ebrei, costi­
tuendo uno dei fondamenti dell’esegesi cristiana e del pensiero dei primi
Padri della chiesa.
Filone nacque ad Alessandria verso il 2.0 a.C. da una delle più impor­
tanti famiglie giudaiche della città e partecipò come capo della delegazio­
ne giudaica all’ambasciata inviata a Roma dai giudei alessandrini al tem­
po di Caligola negli anni 39-40 d.C. Filone stesso descrive quest’episodio
nella sua Legatio ad Gaium. Profondamente ellenizzato, conosce e utiliz­
za i poeti greci, Omero, Euripide ecc., e il suo pensiero è chiaramente se­
gnato dalla filosofia greca, soprattutto da Platone. Ugualmente chiari e
profondi sono gli influssi dello stoicismo e del neopitagorismo, che con­
feriscono al suo pensiero un carattere eclettico. Nonostante l’enorme in­
fluenza della filosofia greca, Filone rimane soprattutto un giudeo che uti­
lizza questa filosofia per esprimere con modelli greci la sua profonda fede
giudaica. Per Filone la rivelazione suprema della sapienza divina è conte­
350 La Bibbia carne letteratura

nuta nella legge mosaica, Tunica autorità e Tunica fonte di tutta la sa­
pienza. Il metodo di Filone per dimostrare questo principio fondamentale
è Tinterpretazione allegorica* già impiegata da greci e giudei. Tale metodo
gli consente di ottenere un duplice risultato: trasmettere ai propri correli­
gionari giudei i tesori della filosofia greca e provare at greci che tutti i va­
lori tanto apprezzati della loro filosofia si trovano già contenuti nella leg­
ge mosaica.
Le opere di Filone sono raggruppabili in due grandi categorie: quelle
incentrate sul Pentateuco (i tre quarti di quanto ci è stato tramandato) e
le rimanenti. Le prime consistono in tre grandi serie:
[ htàestiones et solutiones. Sono brevi esposizioni catechetiche in forma
di domanda e risposta, nate forse come risultato delTinsegnamento di Fi­
lone nella sinagoga di Alessandria. 1 sei libri delle Quaestìones etsolutìo-
nes in Genestm si estendono soltanto fino a Gen. 28. Delle Quaesttones
et solutiones in Exodum il quinto libro e alcune parti dei secondo si sono
conservati in armeno.
Legum allegoria. Questa seconda serie costituisce un grande commento
esegetico nel quale sono trattati allegoricamente pericopi scelte della Ge­
nesi. L'insieme è conosciuto come Commento allegorico e rappresenta
l’opera maggiore di Filone, esoterica e destinata a esporre i grandi princì­
pi della sua filosofia.
La terza grande serie è conosciuta convenzionalmente come Esposizio­
ne. Si tratta di un’illustrazione divulgativa e sistematica della legislazione
mosaica, di cui Filone cerca di chiarire valore e significato per un’ampia
cerchia di lettori. Gli scritti compresi in questa serie sembrano una rac­
colta di opere indipendenti, benché risulti evidente che furono concepite
come insieme coerente.
Oltre a queste tre grandi composizioni sul Pentateuco, Filone compose
diversi trattati autonomi, Menni dei quali sono ancor oggi di grande inte­
resse.

9. Bibliografia
M olte problematiche esaminate in questo paragrafo sono affrontate negli studi
generali sul contesto del giudaismo. Si veda perciò la bibliografia citata al cap.
X II, 11,6.
Specificamente sul contesto letterario si vedano i volumi di E. Schiirer - G. Ver-
mes, The History o f thè fewish People in thè Age of Jesus Christ, voi. i n / i , Edin­
burgh 19 8 6 , per la letteratura giudaica in ebraico o in greco; voi. 111/2, Edinburgh
1 9 8 7 , per la letteratura giudaica di lingua originale incerta (di entrambi i volumi
è in preparazione la traduzione italiana). Dell'opera collettiva a cura di S. Safrai -
M . Stern (edd.), Compendia Rerum ludaicarum ad Nouum Testamentum , inte­
ressano i volumi seguenti: M . Stone (ed.), Jewish Wrìtings ofthe Second Tempie
Generi letterari nella Bibbia 351

Period, Assen 1 9 8 5 , per la letteratura giudaica dell'età del secondo tempio; S. Sa-
frai (ed.), The Lìterature o f thè Sages, voi. 1 , Assen 1 9 8 7 , per la letteratura rabbi­
nica; voi. 2, Assen 19 9 0 , per la letteratura midrashica, Paggada, i targumim ecc.
Per una presentazione generale delPattuale situazione degli studi relativi alla let­
teratura giudaica antica cfr. R . a . Kraft - G .W .E . Nickelsburg (edd.), Early fuda-
ism and Its M odem Interpreters, Atlanta 19 8 6 , spec. 2 2 1-4 8 6 . Utile per questo
paragrafo è anche Popera citata di J. Leìpoldt - W . Grundmann, Umwelt des Ur-
christentutns 1, /i 9 8 5 ; II, 7i9 8 6 ; III, 6i9 8 y (tr. sp. M adrid 19 7 3 ) .
Sono inoltre da segnalare alcune buone introduzioni specifiche alle letterature
delPepoca studiata: A . Diez M acho, Introducción generai a los apócrifos del An-
tigno Testamento, M adrid 1 9 8 4 ; J.H . Charlesworth, G li pseudepigrafi dell’Anti­
co Testamento e il Nuovo Testamento. Prolegomena allo studio delle origini cri­
stiane, Brescia 19 9 0 : entrambe queste opere sono di noti editori di due tra le mi­
gliori raccolte di apocrifi delPA.T. in traduzione moderna; M . Delcor - F. G arda
Martmez, Introducción a la literatura esenta de Qumràn, Madrid 1 9 8 2 (di F.
Garcia Martinez è in preparazione, in lingua italiana, un5approfondita Introdu­
zione alla letteratura di Qumran); G. Stemberger, Einleitung in Talmud und Mi-
drascb, Miinchen 319 9 3 (tr. it. in preparazione); introduzione generale alla lette­
ratura e alPermeneutica rabbiniche; dello stesso autore si vedano due altre opere
accessibili anche in lingua italiana: Il Talmud. Introduzioni, testi, commenti, Bo­
logna 19 8 9 e II Midrash . Uso rabbìnico della Bibbia. Introduzione , testi, com­
menti,, Bologna 1992.; A. Diez M acho, E l Targum. Introducción a las traduciones
aramaìcas de la Bibita, M adrid 1 9 7 9 ; F. Manns, Leggere la Misnab , Brescia
1 9 8 7 : agile introduzione alla lettura mishnica e ai suoi artefici, così come ai me­
todi della halaka e aggada; in appendice riporta la traduzione con commento del
trattato Pìrqe Abot\ N . Fernàndez M arcos, Introducción a las versiones griegas
de la Biblia , M adrid 19 7 9 (di cui è in preparazione, in lingua italiana, una nuova
edizione interamente rifatta).
Nel voi. ix, dedicato alla letteratura intertestamentaria, verrà fornita una bi­
bliografia più estesa e specifica, le fonti già edite e le traduzioni esistenti in italia­
no e nelle altre lingue moderne.

IV . G E N E R I L E T T E R A R I
N E L L A B IB B IA

Un genere letterario è definibile come un procedimento espressivo proprio


di una data epoca e di un determinato paese o ambiente culturale, atto a
manifestarne pensieri e sentimenti. Naturalmente tali procedimenti pos­
sono essere orali e scritti, benché si parli dì generi «letterari». In realtà
molti generi letterari conosciuti sono nati e si sono evoluti inizialmente
come forme di espressione orale. E il caso, ad esempio, dell’epica classica
e della parabola biblica. Qui presentiamo alcuni aspetti della teoria ge­
nerale dei generi letterari, la sua applicazione alla Bibbia e una breve de­
scrizione dei generi più caratteristici della letteratura biblica.
i. Teoria dei generi letterari

I generi letterari hanno una lunga storia. Il pruno loro teorico fu Platone,
che distingueva tra poesia mimetica o drammatica, poesia non inimettca o
lirica e poesia mista o epica.
La Poetica di Aristotele suddivide i generi letterari secondo le diverse
categorie nelle quali si manifesta la mimesi (poesia ditirambica da un la­
to, tragedia e commedia dall'altro), i diversi oggetti della mimesi (distin­
guendo così la tragedia dalla commedia) e i loro diversi modi (modo nar­
rativo e modo drammatico), mettendo quindi in gioco elementi di tipo
contenutistico ed elementi formali.
Nel xvi secolo, la conoscenza delle poetiche di Aristotele e di Orazio
contribuì al sorgere della triplice divisione classica tra poesia drammati­
ca, epica e lirica, considerate da allora generi maggiori rispetto ad altri
minori. A partire da questo momento e fino al XVJJI secolo si accende la
polemica sui generi letterari, soprattutto a causa della disputa tra 1 generi
antichi, i migliori e gli unici per i classicisti, e i moderni, che possono es­
sere variazioni di quelli già conosciuti e anche creati ex novo. Fautori del
mutamento e della novità si mostreranno soprattutto gli autori barocchi
e, in gran parte, i romantici.
Nel x ix secolo, Brunetière elabora la propria teoria secondo cui il ge­
nere letterario nasce, si evolve, invecchia e muore o si trasforma, mentre
Croce, identificando poesia e intuizione, nega l’esistenza fissa di generi
universalmente validi, poiché ogni opera letteraria sarebbe un «unicum
irripetibile». Ma «la singolarità di ogni opera letteraria non s’identifica
con un isolamento assoluto e monadico, poiché l’individualità dello scrit­
tore può comunicarsi solamente attraverso relazioni c strutture generali
che costituiscono le condizioni di possibilità delPesperienza letteraria»
(Aguiar e Silva). A giudizio del medesimo studioso «ogni genere rappre­
senta una sfera particolare dell’esperienza umana, offrendo una determi­
nata prospettiva sul mondo e sull’uomo: la tragedia e la commedia, ad
esempio, si occupano di elementi e problemi molto diversi all'interno del­
l’esistenza umana. D’altro canto, ogni genere rappresenta l’uomo e il
mondo attraverso una tecnica e una stilistica proprie, intimamente coniu­
gate con la rispettiva visione del mondo».
Wellek e Warren, studiosi di teoria letteraria, basandosi su altre testi­
monianze giungono ad affermare che i generi letterari «si possono consi­
derare come imperativi istituzionali che si impongono allo scrittore e, a
loro volta, sono da lui imposti». E, citando H. Levili, affermano che il ge­
nere letterario è un1«istituzione», come la chiesa, l’ università o lo stato.
Occorre lavorare, esprimersi attraverso le istituzioni esistenti, crearne di
nuove o proseguire nella misura del possibile senza condizionamenti poli-
Generi letterari nella Bibbia 353

nei o rituali; d’altra parte è necessario aderire alle istituzioni per poi ri­
formarle.
Per gli studiosi contemporanei gli elementi generali alla base del genere
letterario pertengono sia all’ambito della forma interna (visione personale
del mondo, tono, finalità ecc.), sia a quello della forma esterna (ad es. i
caratteri strutturali e stilistici). Del resto la moderna teoria dei generi è
chiaramente descrittiva, senza limitarne il numero né dettare regole agli
autori. Essa suppone che i generi tradizionali possano «mischiarsi» e pro­
durne di nuovi (come la tragicommedia), e ricorda che il piacere speri­
mentabile in un’opera letteraria dipende da due sensazioni complementa­
ri: la novità e il riconoscere qualcosa. D ’altro canto il modello totalmente
familiare e reiterativo è aborrito, ma la forma interamente nuova sarebbe
inintelligibile. Il genere rappresenta, per così dire, una somma di artifici
estetici a disposizione dello scrittore e già comprensibili al lettore. Un
buono scrittore in parte sì adatta al genere, in parte lo dilata. Conviene
notare che, in generale, i grandi autori raramente sono inventori di gene­
ri, rientrando più opportunamente nei solchi tracciati da altri ed elevan­
doli a capolavori.

2 . 1 generi letterari nella Bibbia


a) Descrizione
Secondo H. Gunkel, nel suo studio sui Salmi, si può parlare di genere let­
terario solo quando si osservino determinati presupposti. In primo luogo
l’appartenenza a un determinato contesto culturale oppure, ed è Io stes­
so, a un medesimo contesto tematico, a un tema comune. In secondo luo­
go, un patrimonio comune di pensieri e sentimenti tipici del suo Sitz im
Leben, cioè del contesto vitale o sociologico comune. Un terzo momento,
assolutamente necessario in rapporto al genere letterario, è Turione di
tutte le sue componenti grazie a una «forma linguistica» comune; in altri
termini, attraverso una struttura o forma interna specifica.
Già molto prima H. Gunkel aveva patrocinato un tipo d’introduzione
alTA.T. differente dalle classiche introduzioni critiche, poiché nella mag­
gior parte dei casi sono disponibili pochi dati certi sulPautore, la data e
Porigine dei libri biblici. Inoltre, notando che il convenzionale e il fisso
nella letteratura israelitica erano molto più importanti del contributo
personale dei singoli, egli vide come funzione di questo tipo d’introduzio­
ne l’illustrazione della stona dei generi (Gattungen) letterari in uso in
Israele in un dato periodo, adottando i principi scientifici della letteratura
comparata, in questo caso della letteratura della medesima epoca e di
analogo contesto nel Vicino Oriente antico.
O. Eissfeldt accetta tale orientamento nella sua classica introduzione
354 La Bibbia come letteratura

a l V A .T benché ricordi che questo compito, secondo Gunite! applicabile


a piccole unità e inoltre non interessato all'effettiva originalità dei singoli
autori, non può surrogare la funzione analitica di un'introduzione
alI’A.T. Senza abbandonare lo schema classico delle introduzioni all’A.T.
proprio della Tradizione biblica protestante (analisi dei libri, formazione
del canone e storia del testo), egli premette quindi uno studio delle unità
preletterarie (generalm ente brevi e con chiari riflessi deirambiente cultu­
rale e sociale in cui si sono originate) e delle unità letterarie di media
estensione (come la narrazione dello Jahvista), e solo successivamente af­
fronta l’analisi dei singoli libri dell’A.T.
Per L. Alonso Schòkel un genere letterario è descrivibile secondo sva­
riate prospettive:
dal punto di vista dell’autore: si tratta della creazione di uno scrittore
specifico, accettata poi da altri come forma di espressione propria di un
pensiero. Omero sarebbe cosi il creatore del genere epico, Sofocle il crea­
tore del genere tragico, Cervantes il creatore del romanzo moderno;
nella prospettiva del lettore: il genere letterario si definisce come una
forma di espressione subito riconoscibile e utile per porsi di fronte all’o­
pera. Un racconto che inizia con la nota locuzione «C’era una volta» e
narra una storia fantastica ci colloca chiaramente di fronte a una favola,
e il lettore è consapevole di non dover attribuire a quanto legge o ascolta
una verità di carattere puramente storico, benché m questa favola siano
contenuti molti altri valori. Qualcosa di simile accade con scritti o discor­
si orali, che iniziano con le formule «Cari fratelli» o «Illustrissimo Signo­
re»: nel primo caso ci si trova senza dubbio di fronte a un’omelia, nel se­
condo a una lettera;
nell’ottica del critico: il riconoscimento di un determinato genere lette­
rario gli consente un orientamento precìso circa il significato del testo.
Riconoscere che Gen. i è un poema sapienziale, creato dalla tradizione o
scuola sacerdotale in un certo momento posteriore all’esilio di Babilonia,
permette di considerare i contenuti del testo senza eccessive preoccupa­
zioni di carattere cosmologico scientifico.

b) Caratteristiche

Sulla scia di Gunkel, L. Alonso Schòkel stabilisce quattro caratteristiche o


tratti per l’individuazione di un genere letterario:
un tema peculiare, come il regno di Dìo per una parabola, le priorità dì
un gruppo politico per un discorso elettorale;
una struttura o forma interna peculiare, come la comparazione per
mezzo di una narrazione breve, i] comizio appassionato nel proporre le
priorità del programma di un partito politico rispetto ad altri;
Generi letterari nella Bibbia 355

un repertorio di procedimenti correnti o dominanti, come l'uso d'im­


magini delia vita quotidiana, il risalto dato agli errori degli altri partiti
politici;
un fattore esterno, quale il Sitz im Leben o contesto sociale, come il
rabbi di fronte ai discepoli o alla gente palestinese, la tribuna elettorale in
campagna elettorale.

c) Terminologia e criteri di classificazione

La terminologia relativa ai generi letterari non è chiara in nessuna lìngua.


Gli stessi studiosi sono eclettici nell’utilizzo dei sostantivi «genere» e
«forma». Aguiar e Silva offre un certo orientamento sul proprio uso, ba­
sandosi sull'estensione o ampiezza. E tale è il criterio, certamente discuti­
bile, adottato in questa breve presentazione dei generi letterari biblici.
Assumendo la terminologia di H. Zimmermann, distinguiamo tra genere,
la forma letteraria più estesa e comprensiva; forma, unità letteraria già
fissata oralmente o per iscrìtto e di minor estensione; formula, criterio o
modo di parlare breve ed espressivo (cfr. voi. 11, cap. x iii , iv,z), Cosi, ad
esempio, consideriamo come genere letterario la poesia popolare, la prosa
legale, il salmo; sarebbe una forma letteraria il cantico di lavoro o il can­
tico del pozzo, una norma di legge apodittica, un inno di ringraziamento;
le formule sarebbero espressioni fisse più o meno stereotipe, come, tra
molte altre, «Pace a voi» (saluto ebraico), «Essi saranno il imo popolo, io
sarò il loro Dio» (formula di alleanza).
Sulla posizione del magistero della chiesa circa i generi letterari si veda
il voi. 11, cap. x ii , 11,3.

3 . 1 generi letterari nelVAntico Testamento

Non esiste un criterio uniforme neppure per classificare 1 generi letterari


ncll'A.T. e nel N.T., soprattutto perché il limite tra un genere e un altro è
sempre fluido. Per tale ragione, nonostante il carattere frequentemen­
te eclettico delle grandi composizioni letterarie bibliche, partiamo dalla
classificazione giudaica della Bibbia ebraica in tre grandi gruppi: Legge,
Profeti e Scritti. Descriveremo i cosiddetti grandi generi letterari moven­
do da questa triplice articolazione, precisando poi le forme letterarie più
primitive m essi riscontrabili ed esemplificandone alcune formule.

a) Legge (Torà)

L insieme dei primi cinque libri biblici del Pentateuco è denominato «To­
rà» dai giudei e «libri storici» dalla tradizione cristiana. La doppia desi-
356 La Bibbia come letteratura

gnazione riflette una realtà più profonda: non si tratta di puri testi legali
né di un mero racconto storico narrativo. Il tema centrale caratterizzante
questo insieme è l'alleanza, comprensiva delia storia del patto offerto da
Dio al suo popolo e, talvolta, la risposta di questo popolo, contenuta
fondamentalmente nell impegno di osservare una legge. In tal modo il ge­
nere «torà» abbraccia due grandi generi letterari specifici: la narrazione
storica e la prosa legale.
La narrazione storica, benché comprenda molte differenti forme lette­
rarie, è un racconto in prosa, teso a riproporre sulla base di ricordi e anti­
chissime tradizioni la storia del popolo d’Israele e dei suoi rapporti con
Dio. Il suo valore storico, come oggi intendiamo questo aggettivo, va co­
stantemente sottoposto ad analisi critica, per individuare la prevalenza
delle tradizioni popolari con il loro contenuto religioso e la posteriore
meditazione religiosa condotta su di esse. Seguendo l’ ipotesi delle princi­
pali tradizioni letterarie del Pentateuco, possiamo distinguere quattro
grandi tipi di narrazione storica, a loro volta quasi dei trattati teologici:
il racconto jahvista (J): in una narrazione brillante presenta la storia
del popolo eletto dalle origini delFumanità come storia guidata dal dise­
gno salvifico di Dio, che supera la maledizione del peccato originale con
la benedizione accordata ad Abramo e al suo popolo, e in esso a tutti i
popoli della terra. Tra Paltro si caratterizza per esprimere in modo imme­
diato la presenza e l’azione di Dio nella vita dell’uomo mediante chiari
antropomorfismi. E redatto in Giuda a partire dal x sec. a.C.;
il racconto elohista (E): si caratterizza come opera di un abile narra­
tore popolare, di maggiore finezza telogica, sia per quanto attiene agli
antropomorfismi, maggiormente purificati, sia per una teodicea più evo­
luta, un’etica più esigente e una chiara influenza dei profeti del regno del
nord. Sorge in questo regno tra il ix e l’vm secolo a.C.;
il racconto deuteronom ista (D): in stile parenetico e tono di predica­
zione, questo racconto, le cui origini vanno collocate nel regno del nord,
sebbene si sviluppi durante l’esilio e risenta di una chiara influenza dei
profeti come Geremia, elabora una prospettiva storica propria, mossa
dall’ intento teologico di spiegare d disastro dei due regni d’Israele e di
Giuda. Israele è il popolo del Signore, la sua proprietà, il suo eletto. Que­
st’elezione esige una risposta d’amore da parte del popolo, che si concre­
tizza nell’adempimento della legge, condizione indispensabile per la so­
pravvivenza delle condizioni dell’alleanza stabilita da Dio con il suo po­
polo. Fungerà da base a una scuola deuteronomista, la quale riscriverà la
storia d’Israele dopo Tesilio;
il racconto sacerdotale (P): è un tentativo di raccontare la storia d’I­
sraele dagli inizi del mondo. U suo linguaggio, di tono piu sapienziale e
con una evidente teologia della trascendenza divina, è meno vivace di
Generi letterari nella Bibbia 357

quello del racconto jahvista. La santità di Dìo, implicante a sua volta la


santità nel popolo, e i! grande valore attribuito al culto sacrificale, come
superamento della tensione fra l’uomo e la presenza di Dio, sono alcune
delle sue caratteristiche più rilevanti. Composto dopo l’esilio, probabil­
mente tra il vi e v sec. a.C,, dà origine anche a un nuovo stile di raccon­
tare la storia del popolo.
Oltre alla narrazione storica la torà comprende una grande quantità di
codici legislativi appartenenti propriamente al genere della prosa legale. I
più caratteristici sono: il decalogo etico (E$. 20,2.-2,15 Deut. 5,6-18), con
le leggi formulate in maniera apodittica e diretta, inserite in un chiaro
contesto di alleanza o patto disegnale tra Dio e il popolo; il codice del­
l'alleanza (£s. 20,22-23,19), antichissima raccolta di leggi che rispecchia
una società ancora non pienamente organizzata; il decalogo cultuale (Es.
34 ,11-2 6 ), antica organizzazione giuridica di precetti rituali riguardanti
in particolare sacrifici e feste; il codice deuteronomìco (Deut. 12-26), in
cui si riflette una società già strutturata e centralizzata; il codice di santità
(Lev. 17-26), forse il corpo legale più recente, certamente di epoca poste-
silica. La maggior parte delle norme legali di questi codici prendono la
forma di norme casuistiche, redatte nello stile di altri codici orientali delle
regioni limitrofe.

b) Profeti

Ancora una volta la denominazione può indurre in errore. Con il termine


«Profeti» gli ebrei designano sia l’ insieme di Libri costituiti da Giosuè,
Giudici, 1-2 Samude, 1-2 Re (Profeti «anteriori»), sia gli scritti dei profe­
ti, eccetto Daniele (Profeti «posteriori»). Il primo gruppo appartiene nel
suo complesso a! genere narrativo storico, sebbene ciò debba essere me­
glio specificato; il secondo è designabile come genere profetico. Ma per la
concezione giudaica che attribuì questi nomi a tale insieme di libri né la
narrazione storica è assente in questo caso di profezia (secondo la tradi­
zione erano libri scritti da profeti), né la storia è estranea agli scritti pro­
fetici. Questo dato, oltre a spiegare il titolo del gruppo in cui sono raccol­
ti, offre un elemento in più per non descrivere in modo troppo semplici­
stico un genere letterario.
La storiografìa biblica antica (cosi potremmo denominare il genere let­
terario contenuto sotto il nome di Profeti anteriori) e un genere molto
complesso, nel quale si impiegano altri generi e forme letterarie molto
differenziate. Nell'insieme possiamo descriverla come un genere narrativo
in prosa che impiega tradizioni antiche, annali, aneddoti, cronache ecc.
per descrivere la formazione del popolo d’Israele dall’ingresso nella terra
promessa fino all’esilio da Giuda. Ha una finalità sostanzialmente reli-
358 La Bibbia come letteratura

giosa, perseguita attraverso la prospettiva teologica della scuola deutero-


nomista ed espressa lungo tutta la narrazione, benché in alcuni momenti
appaia esplicitamente formulata, come in Giud. 2 ,11- 2 3 . Il suo contesto
sociale è l’intento di giustificare, dopo l’esilio, l’apparente abbandono del
popolo da parte di Jahvé, malgrado la sua alleanza con esso. Il suo valore
storico dipende in ogni caso dalle fonti e dalle forme letterarie usate e va
stabilito con l’aiuto della critica letteraria e della critica storica (cfr. voi.
il, cap. xn i, V).
Anche il genere profetico è frutto di complesse trasformazioni. Proba­
bilmente la maggioranza dei profeti non scrisse molto, ma esercitò la sua
funzione oralmente, mediante oracoli poetici o narrazioni in prosa. Gli
attuali libri profetici sono il risultato di collezioni di questi interventi pro­
fetici, di modifiche per ^adeguamento a nuove circostanze e di aggiunte
di nuovi oracoli ascritti a profeti di altri tempi, appartenenti forse alla
stessa scuola del primo profeta. Siamo quasi in presenza di uno stile an­
tologico, nel quale tuttavia si notano determinati procedimenti ricorrenti,
come la cosiddetta «formula giustificatrice del messaggero» («Così parla
Jahvé», «Così ha parlato Jahvé»), l'inizio di molti oracoli con la formula
«Oracolo di Jahvé», l’accumulazione di domande e imperativi, il cosid­
detto perfetto profetico ecc. Il tema generale è sempre la difesa dell’al­
leanza di Dio con il popolo (per cui si ricollegano alle grandi tradizioni
antiche) e l’appello a soddisfarne le esigenze, poiché da ciò dipende, in
larga misura, l’orientamento presente e futuro della storia del popolo. Il
contesto sociale in cui sorgono questi libri e costituito dai discepoli che
raccolgono le parole del profeta ascoltate oralmente, con le modifiche già
menzionate.

c) Scritti

Se i due gruppi precedenti si presentano già come insiemi letterari di


grande complessità, il terzo è semplicemente una denominazione generica
comprendente numerosi scritti, che non sono né Torà né Profeti. Non si
può parlare, pertanto, di un genere letterario chiamato «scritti», ma di
una sezione biblica nella quale si raggruppano libri che impiegano generi
letterari assai diversi.
L’insieme della letteratura sapienziale, nella quale si è plasmata la col­
tivazione della sapienza (hokma), diffusa in tutto l’Oriente e adottata
da Israele con proprie peculiarità, può essere considerato come genere sa­
pienziale. Contenutisticamente questo genere si caratterizza —almeno per
quanto attiene a Proverbi, Ecclesiaste e Giobbe, i piu antichi libri sapien­
ziali - per la sua scarsa attenzione al culto ufficiale, la mancanza di spiri­
to nazionalistico e il maggior orientamento verso l’individuo, la natura
Generi letterari nella Bibbia 359

del mondo e la vita contenta del popolo, !a storia d’Israele e le relazioni


personali tra il credente e Dio. Nei libri più recenti (Ecclesiastico e Sa­
pienza), al contrario, Pelemento religioso specificamente israelitico o, an­
cor meglio, giudaico è nettamente evidente, fino al punto d’identificare la
sapienza con la parola di Dìo o con la legge, oltre che manifestare un
maggior interesse per il passato storico-religioso d’Israele (cfr. Sir. 44-49;
Sap. 15-19).
Dal punto di vista della forma, Giobbe utilizza la narrazione in prosa,
interrotta da un lungo dialogo in versi; gli altri quattro, invece, sono per
così dire il compendio delle lezioni ricevute dal maestro e si prefiggono di
descrivere quanto osservato nel corso di una vita sperimentata, con con­
sigli e ammonimenti per insegnare a vivere contenti, elogiando e lodan­
do, nel medesimo tempo, la sapienza stessa. A questo scopo si impiega
tutta una serie di forme letterarie tra cui si distingue il proverbio o ma-
sbaL Di esse parleremo più avanti. Il contesto sociale più comune di que­
sto genere è la scuola degli scribi, in genere di corte, dove venivano ini­
ziati i futuri funzionari, scelti tra i figli delle classi nobili. Forme sapien­
ziali ed elementi di questo tipo di letteratura si trovano anche in altri libri
dell’Antico Testamento.
Il libro dei Salmi non forma un genere letterario in senso proprio, ben­
ché lo si possa considerare come l’innario d’Israele, il che consentirà di
confrontarlo con altri innari e libri di preghiere liturgici antichi e moder­
ni. Contenutisticamente è una collezione di cantici per il culto. Le sue
forme letterarie sono alquanto eterogenee, benché si possa parlare di ge­
nere innico e, più propriamente, almeno per quanto riguarda il libro dei
Salmi nella sua redazione finale, di cantici cultuali. Il contesto sociale, re­
lativamente alla collezione, sarebbe il culto ufficiale del tempio di Geru­
salemme. Sulle svariate forme letterarie dei Salmi torneremo in seguito.
Riguardo alla narrazione sono da menzionare quantomeno la storio­
grafìa cronìstìca (Esdra, Neemia, 1-2 Cronache) con le sue peculiarità, la
storiografìa drammatica ellenistica (2 Maccabei), la storia edificante di 1
Maccabei, tanto tipica per il suo asianesimo retorico, la novella esempla­
re storica (Rut, Tobia, Giuditta, Ester), Yapocalittica (Daniele e altre pe-
ricopi dell’À.T.) ecc. È im possibile descrivere qui tutti questi gen eri; ver­
ranno studiati quando saranno presi in esame i singoli libri biblici.

4. Le forme letterarie più semplici


dell 1Antico Testamento

Neppure è facile classificare in modo rigoroso le forme letterarie semplici


ricorrenti nei diversi libri biblici. Molte sono impiegate all’interno di ge­
neri letterari più ampi, e in vari libri. Preferiamo cominciare, sulla scia di
360 La Bibbia come letteratura

Eissfeldt, Alonso Schòkel e altri, dalle forme naturali della letteratura


(narrazione, discorso, prosa legale, cantici o poesia di altro tipo ecc.) e
proporne un'esemplificazione, tenendo sempre presente, come si è detto,
che utilizziamo la nozione di letteratura in senso lato.

a) Narrazione

Nella Bibbia la narrazione offre vari esempi di forme letterarie, moke


delle quali adottate dalla letteratura cananaica limitrofa.
Il mito è un racconto nel quale i protagonisti sono soprattutto divinità.
Per questo motivo non esistono racconti analoghi nella Bibbia, fortemen­
te monoteista. Sopravvivono tuttavia tracce di narrazioni mitiche, tratte
sempre dalle culture viciniori. SÌ possono cogliere in alcuni racconti della
creazione e, soprattutto, in passi poetici come S a i 104,6-9; G tob. 3 8 ,10 ­
1 1 ; Is. 14 ,12 - 15 ; Ez. 28 ,1-19 .
La saga e un racconto, orale in origine, di autore anonimo, tramandato
nel popolo e teso a spiegare qualche fatto straordinario. Ve ne sono che
spiegano il nome e l’origine di un luogo (ad es. la distruzione di Sodoma,
Gen. 19 ; l’origine delle ziqqurat o torri sacre di Babilonia, Gen. 1 1 , 1 ­
19). Spesso hanno un indirizzo eziologico, cercano cioè di spiegare le
:ause di qualche fatto enigmatico, e abbondano le saghe etimologiche per
:hiarire il significato di un nome. In Israele le più importanti sono le sa-
*he tribali, ove è presentata l’origine di un gruppo etnico (compreso 1 m-
:ero Israele) partendo da una serie di personaggi eponimi e ragguardevo­
le Splendidi esempi di questo tipo di saga sono offerti da Gen. 12 ss., in
mi la narrazione biblica si distingue per la sua capacità creatrice.
La leggenda è analoga alla saga; il suo tema, però, è religioso e il suo
nondo è costituito soprattutto dagli uomini c dai luoghi santi nei quali si
nanifesta la divinità; suggerisce talvolta Limitazione. Leggende cultuali
iono, ad esempio, Gen. 22, che invita tra l’altro a confidare in Dio e a
ìon compiere sacrifici umani; Gen. 28,10-22, che narra l’origine di Be-
el; le leggende riguardanti Porigine della circoncisione come Gen, 17 ;
is. 4,24-26; Gios. 5,2-9 ecc. Appartengono alla forma della leggenda,
ebbene con un orientamento personale e non locale, anche i racconti ri-
erentisi a Elia ed Eliseo in 2 Re 1-9.
Come novella storica esemplare si può considerare un altro tipo di rac-
onti su base storica, imperniati soprattutto sulle vicissitudini drammati-
he di un personaggio e rivolti principalmente a imprimere un determina-
o atteggiamento di tipo religioso e umano. È il caso di scritti come la vita
li. Giuseppe (Gen. 37-50) e i libri di Rut, Giuditta, Ester e forse Giona.
Altre forme letterarie, utilizzate dalla narrazione storica, sono la favo­
la quasi sempre in versi (efr, Giud. 9 ,8-15; 2 Re 14,9), i racconti di sogni
Generi letterari nella Bibbia 361

e visioni, come quelli contenuti nella storia di Giuseppe, in quella di Ge­


deone (Giud. 7 ,13-14 ) o alPinizio del regno di Salomone (r Re 3,4-15).
Nella complessa storiografia biblica dovremmo registrare tutta una se­
rie di forme narrative classificate talvolta come «prosa ufficiale». Tali so­
no gli annali, scritti ufficiali nei quali si raccolgono i fatti piu importanti
di ogni regno (cfr. 1 Re 1 1 , 4 1 ; 16,8-2,2); le cronache, in cui si riporta nei
particolari qualche avvenimento del regno (ad es. la cronaca della suc­
cessione di Davide in 2 Sam. 9-20; 1 Re 1-2); le memorie, nelle quali si
dà conto a Dio o al sovrano dell’opera affidata, come avviene in Neem .
5*
Benché non sia possibile considerarle come forme narrative in senso
stretto, appartengono alla prosa ufficiale anche forme letterarie come le
liste, abbondanti in tutta la Bibbia, le quali possono contenere città, og­
getti di culto, personaggi, genealogie ecc.; le lettere, copiose in Esdra e 1
Maccabei; Yistruzione sacerdotale al popolo o «torà» sacerdotale, riscon­
trabile in Lev. 7,22-27 e utilizzata anche nei salmi, come il 15 e il 24A, o
in testi profetici come Agg. 2 ,12 -14 .
Appartengono alla prosa ufficiale anche tutte le serie di contratti, sia
privati sia ufficiali (cfr. Gen. 2 1,2 2 -3 2 ; 2 3,17-20 ; 26 ,26 -31; 1 Re 5 ,16 ­
26; 1 Macc. 8,22-32). Nella Bibbia non è conservato integralmente nes­
sun formulario di alleanza tra Dio e il popolo, redatto con ogni probabi­
lità secondo il modello dei patti tra re dominanti e re vassalli. Ricorrono
invece molti elementi provenienti senza dubbio da questo tipo di formu­
lario, come attestano Es. 19-24; 34; Deut. 27 e 28; Gios. 24.
discorsi costituiscono un insieme compiuto tra le torme narrative
maggiormente utilizzate, in sintonia con l’importanza del discorso nel
mondo semitico. Normalmente il discorso non ha lo stile di quello occi­
dentale, che cerca di convincere l’uditorio con argomentazioni, per cui ri­
chiede una certa dose di logica e di astrazione. Più che convincere con il
ragionamento, il discorso ebraico si impone per la forza che contiene,
conseguita mediante il ricorso a immagini vive e plastiche, non sempre
comprensibili a un occidentale. In realtà l’ebreo pensa che la verità s’im­
ponga di per se stessa e non necessiti di ragionamenti ma di forza persua­
siva. Vi sono discorsi politici, come Giud. 9,7-20, 1 Sam. 22,6 ss.; z
Macc. 12,2-6; arringhe militari, come in 2 Gron. 20,20 e spesso in 1
Maccabei (cfr. 3,18 -2 2 ; 9,44-46); sermoni o omelie, in cui prevale il tono
parenetico o esortativo, come in gran parte del Deuteronomio, in G er. 7 ,1
ss. I discorsi di commiato o di addio, nei quali, prima di morire, una per­
sonalità si congeda dai suoi affidando loro quanto può essere definito il
proprio testamento spirituale, formano una sezione specifica. È il caso di
Giosuè (Gios. 24,2-15), Samuele (j Sam. 12), Davide (2 Re 2,1-9 ; 1
Cron. 28,2-10; 29,1-5), Mattatia (1 Macc. 2,49-68). In certo modo anche
36z La Bibbia come letteratura

la preghiera, che è una forma letteraria specifica, condivide alcune qualità


del discorso, come in Gen. 321,9-12; r Re 3,6-9; 8,23-52.

b) La letteratura profetica

Prescindendo da quanto detto su alcune peculiarità di stile ricorrenti nel


genere profetico, gli scritti di questo tipo utilizzano alcune forme proprie
insieme ad altre tratte da vari ambiti letterari. Tra le prime si trovano:
Voracolo di minaccia, che può essere di diversi tipi, ma in genere è intro­
dotto da formule come «in quel giorno», «accadrà in quel giorno» (ad
es. Is. 7,18-25); l'oracolo di salvezza, nel quale ricorrono tormulc quali
«verranno giorni», «alla fine dei tempi» (ad es. Is. 1 1 ; G er. 3 1,1-2 2 ); il
racconto di vocazione (cfr. Am. 7,1-9 ; 8 ,1-3; 6; Ez. 1-3; G er. 1);
Vazione simbolica, attraverso la quale, chiarita con parole, i profeti co­
municano la volontà di Dio (ad es. Is. 8; Ger. 13 ; Ez. 4-5); lamentazioni
0 predizioni di sventura, come in Is. 5,18-24. Ira le forme desunte da al­
tri ambiti vanno segnalate le visioni estatiche, come quelle di Ez. r ,8 - n ;
1 discorsi forensi o requisitorie processuali di Dìo con il suo popolo (Wfr),
come in Is. 3 ,1 3 - 1 7 ; Ger. 2; ()s. 4; 12 ,3 ; le escatologie, in cui col ricorso
a immagini si presenta il giudizio definitivo e finale nel quale Dio renderà
giustìzia a Israele (cfr. Is. 24-27; Ez. 38-39; G l« 3-4; Zacc. 14). Non si
sono cosi esaurite tutte le forme letterarie impiegate nei libri profetici, ma
si è forse data un’idea della ricchezza letteraria e della complessità di tale
genere nella Bibbia.
Data la connessione con il genere profetico è opportuno ricordare a
questo punto il genere apocalittico. Rappresentato nell’Antico Testamen­
to soltanto dal libro di Daniele, esso conoscerà un'ampia e influente let­
teratura intertestamentaria.

c) Cantici

Sulla poesia ebraica, la sua struttura e le sue caratteristiche si veda quanto


si è detto al paragrafo 1 (sopra, pp. 3 16 ss.). I poemi abbondano in molti
libri deJl’A.T. e La loro classificazione è sempre problematica, giacché non
e possibile attenersi ai criteri della poesia occidentale. In generale si so­
gliono distinguere cantici popolari e cantici cultuali. La parola «cantico»
va qui intesa come equivalente a poema cantato o, almeno, recitato con
una certa cadenza.
Tra 1 cantici o poemi popolari, 1 cui temi solitamente si nrenscono
alla vita quotidiana (benché non sia facile conoscere fino a che punto fos­
sero in rapporto con le pratiche religiose), possiamo distinguere cantici di
lavoro, come quello degli scavatori di pozzo in Num. 2 1,17 - 18 , i canti di
Generi letterari nella Bibbia 363

muratori presumibili in Neem. 4 ,10 e le canzoni di mietitura (cfr. Is. 1 6,9­


10 ; G er. 25,30; G ìud. 9,27; Is. 9,2). Altri tipi di cantici popolari sono i
canti burleschi, come quello diretto contro Moab in Num. 21,27-30, la
satira (cfr. Is. 2 3 ,15 -16 , dove l’anziana prostituta è Tiro) e i canti convi­
viali sul tipo del goliardico Gaudeamus igitur (cfr. Is. 2 2 ,13 e quello ana­
logo di 1 Cor. 15 ,3 2 ; Is. 5 ,1 1 - 1 3 ; Is. 5 6 ,12 ; Am. 6,4-6; Cani. 5,1). Non
sempre popolari sono Velegia (2 Sam. 1,19 -27 ) e i canti di vittoria (Es.
1 5 ,1 - 1 8 .2 1 e Giud. 15 ,16 ). Un capitolo a parte, infine, meritano i canti
nuziali e d’amore o epitalami; il più noto è la raccolta formata dal Canti­
co dei cantici, benché resti in dubbio se si trattasse di meri canti profani
d’amore, dal momento che la realtà matrimoniale era fortemente influen­
zata da concezioni religiose.
I canti cultuali, la cui collezione più estesa si trova nel libro dei Sal­
mi, sono sparsi per tutta la Bibbia. La classificazione e descrizione delle
forme letterarie presenti nei Salmi è di per sé un lavoro complesso, cui si
accinse con impegno magistrale H. Gunkel e sul quale non tutti gli stu­
diosi concordano. Così come si trovano nei Salmi, le composizioni lì riu­
nite hanno una finalità cultuale, che non sempre ebbero in origine. Vi so­
no senza dubbio salmi frutto di adattamento o imitazione di altre forme
parallele presenti nella letteratura ambientale, come Sai. 29, il cui prece­
dente sembra cananaico. Tenendo conto delle forme letterarie più impor­
tanti e riconosciute, ne segnaliamo alcune caratteristiche, dandone qual­
che esempio scelto: suppliche a Dio, che si accompagnavano a gesti sim­
bolici come alzare gli occhi, tendere le mani, prostarsi davanti a Dio (Sai.
6; 7; 1 3 ; 5 1 ; 109); inni, che sono canti di lode pure molto frequenti, al
punto che quasi tutti i salmi ospitano qualche inno (Sai. 8; 10 4 ; 1 1 7 ;
150); azioni di grazie, che solitamente riflettono nella loro stessa struttu­
ra elementi del sacrificio dell’atto di ringraziamento (Sai. 18 ; 10 3 ; 10 7 ;
118 ) ; salmi regali, composizioni che hanno la loro origine nel rituale
d’intronizzazione del re (Sai. 2; 2 1 ; 45; n o ) e forse vanno distinti dai
salmi del regno, nei quali il re simbolicamente intronizzato è Jahvé (Sai
24; 29; 47); salmi graduali e cantici di pellegrinaggio, che riflettono non
solo il cammino dei pellegrini israeliti a Gerusalemme e al tempio, ma an­
che alcuni atti liturgici lì in uso (Sai. 15 ; 9 1; e soprattutto la serie da 12 0
a 13 4 , i salmi graduali propriamente detti). Altre classificazioni e tipi di
forme salmiche devono essere studiate nelle introduzioni specifiche e nei
commentari.

d) La letteratura sapienziale

Concludiamo quest’esposizione con una breve presentazione di alcune


forme letterarie semplici dei genere sapienziale, che si esprime normal-
364 La Bibbia come letteratura

mente per mezzo del mashal, parola di non facile traduzione nella nostra
lingua a motivo della varietà dei suoi significati. Qui la possiamo rendere
approssimativamente con «sentenza», nella sua accezione di massima o
detto grave e breve, che racchiude dottrina e moralità. Tra le forme lette­
rarie semplici troviamo il proverbio (cfr. 1 Saffi. 2 4 ,14 ; 1 Re 2 0 ,11; Eccl.
9,4); la sentenza, piu complessa del proverbio e dalla struttura letteraria
più elaborata (cfr. la serie di Prov. 10-zz); Venigma o indovinello, gene­
ralmente introdotto da una domanda (cfr. G iud. 14 ,13 - 18 ; forse Sir.
10 ,19 ; cfr- 1 &e 10 ,1); la sentenza numerica, che pare di origine cananai­
ca (cfr. la serie di Prov. 3 0 ,15 -3 1; Sir. 25,1-9); il poema didattico sapien­
ziale) nato dalla giustapposizione di sentenze, ma che in molti casi rag­
giunge una forma armonica e definita, come in Prov. 8 e 9 o in EccL 3 , 1 ­
9, riscontrabile anche in alcuni salmi, come 1 e 34,

5. Formule stereotipate

Come si può immaginare, sono molto numerose e si trovano in quasi tut­


ti i generi letterari. A tno’ di esempio segnaliamo, per il linguaggio giuri­
dico, le formule di accusa (Giud. 8,1-3) e l’appello dell/accusatore (G er.
2 6 ,8 .11); per il genere dell’alleanza istituzionale, le formule dell’alleanza,
come quella della sua accettazione (E s. 24,3-7) o la classica concisa for­
mula di alleanza «Io sono il vostro Dio, voi sarete il mio popolo». Deter­
minate formule caratteristiche del linguaggio profetico appartengono an­
che a questa sezione (cfr. sopra, 3 b}> come le formule di saluto «La pa­
ce sia con te», «Andate in pace». Formula di fede, sostanzialmente mes­
sianica appartenente alla letteratura deuteronomica, è la descrizione di
Israele come «terra da cui scorrono latte e miele». Esempio di formula
cultuale, infine, è l’espressione «Il Signore è clemente e misericordioso,
lento alla collera e ricco di pietà».

6 .1 generi letterari nel Nuovo Testamento

Alla pari di quanto si è fatto per le sezioni maggiori dell’A.T., e lecito in­
dicare come grandi generi letterari del N .T. il vangelo, il genere atti, le
lettere e l’apocalisse. Li descriveremo in breve, per poter illustrare poi al­
cune delle maggiori forme letterarie semplici.

a) Vangelo

La parola greca euangelion significa nei N.T. soprattutto l’annuncio orale


della buona novella della salvezza predicata e resa presente da Gesù. In
tal modo Gesù Cristo o Dio sono il contenuto e l’autore del vangelo (cfr.
Generi letterari nella Bibbia 365

Rom . 1 , 1 ; 15 ,16 ; 1 Cor. 9 ,12 ; 2 Cor. 2 ,12 ecc.). Marco sembra aver in­
trodotto questo termine nella tradizione sinottica con un significato mol­
to prossimo a quello paolino, identificando Gesù con Fautore e il conte­
nuto del vangelo, sebbene in 1 , 1 il vocabolo possa già significare il libro
stesso che conriene, per iscritto, questa buona novella. Per parte sua Luca
applica il termine alla predicazione apostolica (Atti 15 ,7 ; 20,24). M a è
nel 11 secolo che si comincerà a usare la parola vangelo per designare
questo particolare genere letterario.
Il vangelo è dunque il messaggio di salvezza messo per iscritto, in cui
tema e contenuto è Gesù Cristo. Non si tratta quindi del genere letterario
«biografia» né di una raccolta di storie né di un ritratto letterario di
qualcuno e neppure di una mera storia, benché il suo contenuto sia fon­
damentalmente storico (cfr. DV 19). Alla luce della descrizione dei van­
geli da parte del Vaticano 11, si tratta di sintesi della tradizione apostoli­
ca, adattate alle necessità delle chiese per le quali sono scritti e nello stile
proprio della proclamazione (cfr. ibidem). La struttura di base del vange­
lo è offerta da uno schema tradizionale, probabilmente influenzato dal
kerygma primitivo, che inizia con il battesimo di Gesù da parte di Gio­
vanni, continua con la narrazione delPoperato di Gesù, comprendendo la
sua predicazione e i miracoli da lui compiuti, e si conclude con il racconto
della passione, morte e risurrezione. Tutti i vangeli mostrano una serie di
ricorsi formali somiglianti, sebbene sussistano grandi differenze tra i si­
nottici e Giovanni. Il loro contesto è la predicazione della buona novella
tra le comunità cristiane primitive e la necessità di porla per iscritto per
determinate comunità.
Maggiori problemi pone la determinazione del genere letterario del
vangelo di Giovanni. Benché si ammetta che fondamentalmente si tratta
del genere vangelo, la grande diversità di stile, di lessico e, almeno in par­
te, di disposizione del materiale sembrano reclamare una qualche diffe­
renza, ancorché sfumata, con il medesimo genere attribuito ai sinottici.
Basandosi sul lessico, la struttura, i numerosi episodi e le parziali conclu­
sioni dello stesso evangelista, sì è proposto di designarne il genere lettera­
rio come «testimonianza attualizzante» (E. Cothenet) o confessione di fe­
de (omologia) della comunità, scritta in forma narrativa (J.O. Tum).

b) Atti

Gli Atti degli Apostoli soltanto appartengono a questo genere, da identi­


ficare con gli «atti» biografici conosciuti dal mondo ellenistico. Gli Atti
sono la continuazione del vangelo di Luca, e, in quanto tali, partecipa­
no più del carattere del genere letterario vangelo che della biografia. Si
potrebbero definire una storia religiosa, alla stregua delle storie bibliche
366 La Bibbia come letteratura

dell’A.T., nella quale si espone l’avanzata del vangelo fino ai confini del
mondo. Tale è il tema di fondo, mentre la struttura letteraria si percepisce
nella progressione geografica dei racconti, nella presenza dominante di
qualche personaggio a seconda del momento narrativo, soprattutto di
Pietro e Paolo, e nei discorsi che scandiscono tutta Pazione missionaria
narrata. Il contesto sociale pare il medesimo del vangelo di Luca, ma ri­
flette con chiarezza un momento particolare delle comunità cristiane nel
quale la polemica giudaizzante era già sostanzialmente superata.

c) Lettere

Le lettere neotestamentaric non sono tutte letterariamente omogenee. Per


quanto concerne quelle paoline, sì può dire che appartengono al genere
epistolare, ben conosciuto nel mondo ellenistico, e che sono vere lettere
di carattere circostanziale, dirette a destinatari concreti e conosciuti. Si
conformano al formulario classico: mittente, destinatario, formula di sa­
luto, corpus della lettera, saluti conclusivi. Tuttavia Paolo non si attiene
rìgidamente alio schema, lo amplia e personalizza secondo il suo stile
particolare, cristianizzando molte formule consuete. Le lettere di Paolo
sono tra loro differenti: dal biglietto di raccomandazione (Filemone) si
passa alla lettera polemica (Calati), alla risposta a domande concrete (1
Corinti), alla lettera aperta (Efesini) e a quella dottrinalmente ben co­
struita (Romani). Ancora diverse sono le pastorali (1 e 2 1 unoteo, Tito),
appartenenti al genere epistolare e, in certo modo, a quello sapienziale.
Problemi diversi solleva la lettera agli Ebrei, il cui inizio rientra nel ge­
nere oratorio, mentre l’epilogo è caratteristico del genere epistolare. Di
solito si conviene nel ritenere Ebrei non una lettera vera e propria, ma
uno scritto appartenente al genere sermone; un sermone predicato oral­
mente, poi messo per iscritto e arricchito da un biglietto d indirizzo rima­
sto come conclusione del testo, donde il suo carattere epistolare.
Neppure Giacomo sembra una lettera; parrebbe piuttosto appartenere
al genere parenetico. Più discutibile è il caso della prima lettera di Pietro:
si discute se considerarla una vera lettera o un’omelia, sebbene la critica
propenda per la prima soluzione, pur ammettendo che vi si impiegano
molti elementi tradizionali catechetici e liturgici. Giuda riflette meglio il
genere omiletico giudeo-ellenistico. Qualcosa di analogo si riscontra nella
seconda di Pietro: piu che una lettera pare un’omelia aggadica o un testa­
mento spirituale, nello stile dei discorsi di commiato. E pure molto diffi­
cile collocare la prima di Giovanni nel genere epistolare; non pochi auto­
ri la considerano come predicazione di tipo omiletico, diversamente dalla
seconda e terza di Giovanni, vere lettere, piu propriamente semplici bi­
glietti di circostanza.
d) Apocalisse

L ’ ultimo libro della Bibbia, il cui nome significa «rivelazione», ossia sve­
lamento di qualcosa di celato, appartiene al genere letterario apocalitti­
co, fiorito nei secoli degli inizi dell’era cristiana. L ’apocalittica è figlia
della profezia, della quale riprende e sviluppa alcuni elementi: la visione,
l’apertura al futuro, la comunicazione dei misteri di Dio e, in parte, la
simbologia. Nasce in periodi di crisi, in particolare di persecuzioni, quan­
do è necessario sostenere le comunità e incitarle a resistere. Il linguaggio
simbolico, denso di immagini per noi inconsuete, non doveva suonare
oscuro ai destinatari di questa letteratura. Descrizioni fantastiche, colori,
numeri, tutto ha un significato concettoso, una chiave interpretativa che
apre il cammino alla comprensione e alla volontà di resistenza.

7. Forme letterarie più semplici


nel Nuovo Testamento
a) Nei vangeli
Generalmente si sogliono suddividere le forme letterarie dei vangeli sulla
base dell’appartenenza alla tradizione dottrinale o a quella storica.
Nella tradizione dottrinale, caratterizzata soprattutto dai logia o detti
del Signore, incontriamo detti profetici, nei quali Gesù compendia il suo
messaggio di salvezza (Le. 12 ,3 2 ; Mt. 8 ,11.12 ) ; detti sapienziali o senten­
ze, propri della letteratura sapienziale già esaminata, come gli apoftegmi
del tipo dei proverbi (Me. 6,4 par.; Le. 6,45) e i macarismi o beatitudini
(Le. 11,2 8 ); detti giuridici o in forma di sentenze giuridiche (Mt. 7,5;
Me. 10 ,10 -12 ); comparazioni, sullo stile del masbai veterotestamentario,
dove si presenta efficacemente un’idea attraverso un’immagine o un con­
fronto, mediante un proverbio (Le. 4,2-3), una parodia (Me. 10,25), una
parabola (Le. 15,4-7), un’allegoria (Mt. 13,36-43). Speciale interesse pre­
sentano le parabole, in sostanza comparazioni ampliate con l’ impiego di
narrazioni ricche di aspetti della vita quotidiana (Mt. 13 ; Le. 15). In al­
cuni casi questi detti iniziano con un io enfatico seguito dal verbo venire,
per esprimere la coscienza della propria missione da parte di Gesù (Mt.
10 ,3 5 ; Le. 12,49). Conviene segnalare anche i detti di sequela (Mt. 8 ,19 ­
21). Nei vangeli questi ultimi sono generalmente riuniti, quasi sempre per
affinità tematiche, e compongono gruppi a volte molto strutturati (ad es.
il sermone della monte e le beatitudini in Mt. 5-7 e Le. 6,12-49).
Forme letterarie appartenenti alla tradizione storica sono i paradigmi,
narrazioni brevi nello stile dell’apologo, che nella predicazione primitiva
solitamente servivano come esempi (Me. 2 ,1- 12 ; 2,23-28), e ai quali si
potrebbero assimilare i racconti di vocazione (Me. 1,16 -2 0 par.; 2 ,14
368 La Bibbia come letteratura

par.); le narrazioni storiche, contenenti dati storici non derivanti da fonti


cristiane (Me. 6,17-29; Atti 13,20-23); le controversie, nelle quali Gesù
discute con i suoi avversari su alcune questioni relative a se stesso (cfr. le
cinque dispute di Me. 11,2 7 -3 3 ; 12 ,13 -17 .18 -2 7 .2 8 -3 4 .3 5 -3 7 ); le storie
di miracoli con elementi letterari specifici, che mostrano il carattere so­
vrumano e divino della predicazione e della persona di Gesù (Me. 1,2 9 ­
34.40 45); la storia della passione, con una struttura specifica attraverso
la quale, una volta fornite le notizie storiche dell’avvenimento, si annun­
cia la salvezza proveniente dalla morte e risurrezione di Cristo. Queste
forme e altre ancora sono state scrupolosamente analizzate e vengono
approfondite nei commentari ai vangeli sinottici.
Alcune di esse sono riscontrabili anche in Giovanni, ma sempre con va­
rianti notevoli. In realta mancano studi persuasivi sulle forme letterarie
di Giovanni, forse per la carenza di opere parallele. In generale si può af­
fermare che in Giovanni si trovano controversie, narrazioni, discorsi e
racconti di miracoli, ma fa loro forma letteraria è tanto differente rispetto
ai sinottici, da poter parlare dì forme letterarie diverse o, ancor meglio,
di particolari trasformazioni, a parure da forme letterarie tradizionali, da
parte dell’evangelista. È pure documentata (Gv. 14 -17 ) la forma del di­
scorso di addio, già segnalata tra quelle delPA.T.

b) Nelle lettere

Le forme letterarie semplici presenti nelle lettere del N.T. si suddivìdono


abitualmente in due grandi gruppi: quelle provenienti dalla tradizione li­
turgica cristiana e quelle con origine nella parenesi o esortazione cristia­
na. Al primo apparterrebbero gli inni di origine cristiana (FU. 2 ,6 -11;
C o i 1,15 -2 0 ; 1 Pt. 2,22-24); le confessioni di fede, provenienti soprat­
tutto dalle celebrazioni battesimali (r Cor. 15 ,3-5 ; forse Rom. 1,3-4 ; 1
Pt. 1 ,1 8 - 2 1 ; 3,18 -22); i testi liturgici, che non sono testi di rituali immu­
tabili, ancora inesistenti, ma passi influenzati dalla celebrazione liturgica
(cfr., in particolare, il racconto eucaristico dì j Cor. 11,2 4 -2 5 , con paral­
leli nei sinottici). Della parenesi o esortazione cristiana sono pure rimasti
segni nelle lettere. Così i cataloghi dì vizi e virtù (Rom. 1,2 9 -3 1; 1 Cor.
5 ,1 0 - 1 1 ; Gal. 5 ,19 -2 1; C o i 3 ,12 - 14 ; 2 P t 1,5-7); i cataloghi di obblighi
particolari, nei quali si specificano i doveri di determinati gruppi di per­
sone come donne, sposi, figli, padri, servi, signori (E f 5,22-6,9; Col. 3 ,18 ­
4,1 ), uomini e donne (r Tim. 2,8-15), anziani, anziane ecc. (Tit. 2 ,1-10 );
cataloghi di doveri professionali, come quelli di vescovi e diaconi (1 Tim.
3 ,1-13 ). Molti tra questi elenchi sono influenzati dalla filosofia popolare
coeva e contengono anche elementi di etica stoica.
8. Formule

Certamente numerose sono le formule più o meno stereotipate presenti


negli scritti del N.T. Per la loro importanza sono da sottolineare soprat­
tutto le omologie, formule acclamatone della fede del credente, come
quella di i Cor. 8,6, oppure le formule «Signore Gesù» o «Gesù Cristo»
(cfr. Pinno di FU. 2 ,6 -11; x Cor. 12 ,3 ; Rom. 10,9); le formule di fede, la
cui indole è propriamente quella della confessione, specialmente in rap­
porto con la risurrezione di Gesù (Rom. 10,9; x Cor. 6 ,14 ; E f 1,2,0). Al­
cune di queste formule trovano il loro contesto sociale nella celebrazione
battesimale: Rom. 4,24; 10,9; 1 Tess. 4,14 e la più ampia di Rom. 6,2-9.
Si possono aggiungere le dossologie, brevi glorificazioni di Dio, alcune
con radice nella benedizione giudaica (2 Cor. 1,3 ; Ef. 1,3 ; 2 Cor. 1 1 ,3 1 )
e non di rado a conclusione di un paragrafo o anche di un'intera lettera:
Gal. 1,5 e Rom. 16,27. H loro contesto sociale è, senza alcun dubbio, il
culto cristiano, erede per tanti aspetti del culto giudaico; sono molto fre­
quenti nell'Apocalisse (Apoc. 4 ,8 .11; 5,9-14; 7,12).

9. Bibliografia
Sulla teoria letteraria generale dei generi letterari si veda R. Wellek - A. Warren,
Teoria della letteratura , Bologna 1 i 9 8 i , 2 3 -3 4 (essenza della letteratura); 3 0 5 ­
3 2 2 (generi letterari); V .M . de Aguiar e Silva, Teoria de la literatura , Madrid
1 9 7 2 , 1 1 - 4 2 (concetto di letteratura e teoria della letteratura); 1 5 9 - 1 7 9 (generi
letterari). Sulla storia e le aporie della nozione di genere letterario si veda J.-M .
Schaeffer, Q u'est-ce q u u n gerire littéraire ?, Paris 19 8 9 .
Buona introduzione storica e presentazione della situazione nell’esegesi cattoli­
ca posteriormente all’enciclica D ivino afflante Spirita nell’opera collettiva Los
géneros literanos de la Ragrada Escrìtura , Barcelona 1 9 5 7 . Rimane classico lo
studio postumo di H. Gunkel, Einleitung in dìe Psalm en , a cura di G. Begrich,
Gòttingen 1 9 3 3 , *19 6 6 . Per l’Antico Testamento sono sempre di grande interesse
le pagine di O. Eissfeldt, Introduzione a ll3Antico Testam ento , 4 voli., Brescia
1 9 7 0 - 1 9 8 4 , soprattutto le parti prima e seconda (entrambe nel voi. r). Si veda an­
che L. Alonso Schòkel, Erm eneutica razionale: i generi letterari , in II dinamismo
della tradizione , Brescia 19 7 0 , 1 2 1 - 1 3 8 ; Idem, Genera lu teran a : V D 38 (i9 6 0 )
3 - 1 5 . Per il N .T . è sempre utile l’opera di H. Zimmerinann, M etodologia del
N u o vo Testamento, Torino 1 9 7 1 , 1 1 6 - 1 7 0 . Una visione d’ insieme è offerta da J.
Schreiner (ed.), E infiìhrung in die M ethoden der biblischen Exegese , Wìirzburg
1 9 7 1 , 1 9 4 - 2 3 1 (generi dell’A .T .); 2 3 2 -2 6 0 (generi del N .T .).
Parte quarta

Il testo della Bibbia


Julìo Trebolle Barrerà e Bruno Chiesa
Due fatti sono alForigine degli studi di critica testuale dell’Antico Testa­
mento e del Nuovo Testamento. Gli autografi o originali degli autori bi­
blici non sono giunti fino a noi. Oltretutto, i manoscritti conservati atte­
stano varianti, errori, lacune, glosse e cambiamenti, generatisi nel corso
dei secoli per il continuo processo di copiatura dei manoscritti. Tra gli
originali degli autori e le copie più antiche conosciute intercorrono circa
millecinquecento anni per l’A.T. e soltanto un paio di secoli per quanto
riguarda il N.T. S’impone un ovvio interrogativo: il testo biblico giunto
fino a noi corrisponde fedelmente a quello scritto dagli autori delPA.T. e
del N.T., in ebraico, aramaico o greco?
in risposta a questi due fatti la critica testuale biblica sì prefigge un du­
pli ce obbiettivo: la ricostruzione della storia della trasmissione del testo
biblico nelle lingue originali e nelle loro digerenti versioni, dal momento
della messa per iscrìtto ai nostri giorni, e la ricostruzione del testo nel suo
stato originale o nella forma il più possibile prossima agli autografi, cosi
come uscirono dalle mani degli autori biblici.
La stona del testo biblico, dagli inizi della trasmissione manoscritta fi­
no alle moderne edizioni critiche, equivale a una vera e propria storia del
giudaismo e del cristianesimo: il giudaismo è impegnato a custodire con
scrupolo il testo ebraico dell’A.T. fino alla sua ultima jod; il cristianesi­
mo, invece, sembra più preoccupato di far giungere il testo della Bibbia
ai differenti popoli e nelle diverse lingue delle chiese locali.
Scrivere la storia del testo biblico equivale inoltre a redigere la storia
delle origini di molte letterature nazionali e dei loro rispettivi sistemi di
scrittura. La traduzione della Bibbia, del N .T . in particolare, inaugurò le
letterature gotica, slava, copta, armena, georgiana ed etiopica. Pei alcune
traduzioni, come quella armena, si dovettero addirittura forgiare i carat­
teri di scrittura, fino ad allora inesistenti.
La critica testuale biblica fu pioniera del Rinascimento umanistico,
grazie a figure come Lorenzo Valla ed Erasmo o Nebrija in Spagna. La
critica testuale biblica ha costituito il punto di contatto più stretto tra fi­
lologia biblica e filologia classica. Non senza ragione C, Lachmann è sta­
to una figura di spicco nell’edizione di testi classici e biblici. La critica te­
stuale è stata anche il punto d’incontro, e a volte di confronto, tra ebrai-
37 4 H testo della Bibbia

sti e grecisti, e tra protestanti, che seguivano il testo greco receptus del
N.T. e il canone ebraico dell 'A.T., e cattolici, che adottavano il testo della
versione Vulgata latina e il canone greco dell’A.T.
Il xix secolo conobbe, come mostrano le figure di Lagarde e Wellhau-
sen, una specie di unto personalis tra il filologo, il critico del testo, l’ese-
geta e il teologo. La progressiva specializzazione di queste discipline ha
contribuito al loro sviluppo, in particolare della critica testuale, ma di
conseguenza essa è rimasta confinata in un aureo isolamento, quasi del
tutto slegata dagli altri campi di studio letterario, storico e teologico. Gli
ultimi decenni hanno conosciuto una rinascita della critica testuale, gra­
zie soprattutto alla scoperta dei manoscritti del Mar Morto per quanto
concerne l’Antico Testamento e al ritrovamento di numerosi papiri con­
tenenti scritti neotestamentari. Nel contempo sembra rinascere una visio­
ne globale e «distica» che mette in relazione la critica testuale non solo
con l’epigrafia e la paleografia o con le filologie semitica, ellenistica e la­
tina, ma anche con la stessa esegesi biblica (critica delle fonti, generi, re­
dazioni ecc.) e coti la storia delTinterpretazione biblica, come appare dal­
le versioni bibliche, daH’interpretazione dell’Antico Testamento da parte
del Nuovo, dall’interpretazione midrashica degli autori rabbinici e dall’e­
segesi o teologia patristica.

g lo ssa r io

Antica Septuagìnta, Proto-LXX o, con terminologia inglese, Greco antico («Old


Greek<>). Testo della versione greca originale eseguita in Egitto dai cosiddetti Set­
tanta (L X X ). Impiegata originariamente per la sola versione del Pentateuco (ni
sec. a.C.), la denominazione passò poi a designare la traduzione di tutti i libri
contenuti nella Bibbia greca.
Aplografia. Ogni tipo di omissione del testo nella trascrizione o, più esatta­
mente, errore inverso alla dittografia, prodotto copiando una volta soia lettere o
parole uguali in breve successione.
Codice. Precursore del libro moderno, formato da fogli dì papiro o di perga­
mena ripiegati e cuciti.
Collazione. Il lavoro di raccolta e confronto dei manoscritti.
Congettura. Correzione di un testo ritenuto corrotto in tutta la tradizione ma­
noscritta.
Dittografia. Errore consistente nella duplicazione di una o più lettere nella tra­
scrizione.
Esaplare. Si denominano «esaplari» i rnss. contenenti le aggiunte introdotte da
Origene nel testo della colonna (la Quinta) corrispondente alla versione dei L X X
e anche le proprie lezioni introdotte in questa stessa colonna.
Glossa. Parole introdotte nel testo come sua spiegazione.
Masora. L ’insieme di note sul testo e sulla trasmissione della Bibbia ebraica,
posto ai margini e alla fine dei manoscritti ebraici medievali.
Il tes to d el la f i b b i a 375

Masoreti. Scuole di copisti e interpreti ebrei che, nei secoli v i-x d .C , aggiunsero
i segni vocalici al resto consonantico ebraico.
Metatesi. Errore di copiatura per il quale lettere o parole appaiono trasposte,
Q uinta . La colonna v greca deìYEsapla di Origene, insieme a quelle corrispon­
denti al testo di Aquila (ili), Simmaco (iv) e Teodozione (vi).
Recensione . Revisione di un testo antico per adattarlo a un’altra forma testuale
o per correggerne lo stile. Può riferirsi anche alla revisione di un manoscritto, per
renderlo più conforme a un altro.
Recensione esaplare. Revisione del testo dei L X X (colonna Quinta) per adat­
tarlo al testo ebraico conosciuto ai tempi di Origene.
Recensione lucìanea. Revisione del testo dei L X X caratterizzata dalPamplia-
mento e dalla correzione stilistica del testo (iv secolo).
Recensione proto-lucianea. Revisione del testo dell’Antica Septuaginta per
adattarlo a quello ebraico «palestinese» (11 o 1 sec. a.C.). I materiali corrispon­
denti a questa recensione sono trasmessi da manoscritti contenenti un testo lucia-
neo posteriore.
Recensione proto-teodozìoniana , chiamata anche, impropriamente, recensio­
ne katge. Revisione del testo dell'Antica Septuaginta per adattarlo al testo proto-
masoretico (inizi del 1 sec. a.C.).
f argum . Una delle traduzioni aramaìche della Bibbia ebraica.
Testo m asoretico . Il testo rabbinico tradizionale della Bibbia ebraica trasmesso
dalle famiglie di masoreti e caratterizzato dalla vocalizzazione e dalla masora.
Variante. Lezione alternativa attestata in uno o più manoscritti.
Vorlage . Termine tedesco designante il testo originale ebraico (o di altra lin­
gua) utilizzate da un traduttore per la sua versione.
Capitolo x iv

Lingue c scritture
bibliche

I. LE L IN G U E D E L L A B IB B IA

La storia e la critica del testo biblico richiedono la conoscenza prelimina­


re delle lingue originali m cui si scrissero i vari libri biblici e delle lingue in
cui fu tradotta la Bibbia nei primi secoli. Le lingue della Bibbia (A.T. e
N.T.) sono l’ebraico, Taramaico e il greco. L ’ebraico e l’aiamaico appar­
tengono alla famiglia delle lingue semitiche che si articolano in quattro
gruppi, secondo la loro distribuzione geografica: semitico del sud, del
nord-ovest, del nord e dell’est.
Il semitico nord-occidentale è il cananaico nelle sue diverse forme:
ebraico, moabitico, edomitico da una parte, ugaritico, fenicio e punico
dall’altra.
Il semitico settentrionale è rappresentalo fondamentalmente dall’ara-
maico, suddiviso in due gruppi: Paramaico occidentale, che è Paramaico
biblico e dei targumim o traduzioni aramaiche dell’A.T. così come della
Gemata del Talmud palestinese; comprende anche il samaritano e il na­
bateo; Paramaico orientale è il siriaco delle traduzioni bibliche, degli
scritti cristiani e mandei, e Paramaico del Talmud babilonese.
Il semìtico orientale comprende Paccadico e le lingue figlie, l’assiro e il
babilonese.
Il semitico meridionale raggruppa l’arabo e l’etiopico. Per qualche tem­
po sì pensò che l’ arabo fosse la lingua semitica più pura, meno contami­
nata da influssi estranei e quindi piu vicina al semitico delle origini. Oggi
sì riconoscono queste caratteristiche alla lìngua accadica.
Altri autori preferiscono distinguere soltanto due grandi gruppi di lin­
gue semitiche, uno settentrionale e un altro meridionale, oppure tre, nord­
occidentale, nord-orientale e sud-ocadentale.

i. L ’ebraico

La lingua ebraica e conosciuta nella Bibbia come la «lingua di Canaan»


(ìs. 19 ,18 ), o più spesso come «lingua giudaica» {Is, 3 6 ,1 1 ; 2. Cron. 3 z,
18). I primi israeliti cominciarono a parlare questa lingua dopo il loro in­
gresso in Canaan. L’alfabeto ebraico consta di zz caratteri, tutti corri-
Le lingue della Bibbia 377

sponderiti a consonanti. Alcuni rapppresentavano due suoni differenti,


occlusivo o fricativo, in base alla relazione con suoni contigui; bet, ad
es., può rappresentare i fonemi b o v (fricativa). In un periodo iniziale,
negli anni 900-600 a.C., la scrittura ebraica, come quella fenicia, tendeva
a notare le sole consonanti. Successivamente (600-300 a.C.) s’iniziò a uti­
lizzare le cosiddette matres lectìonìs, per indicare le vocali lunghe, soprat­
tutto in fine di parola. Gli ostraca di Lakish (inizi del vi sec. a.C.) già no­
tano anche le vocali lunghe in mezzo di parola. Con il passare del tempo
si presero a notare anche le vocali brevi.
La scrittura vocalica non venne utilizzata fino al v/vt sec. d.C., quan­
do si cercò di porre rimedio alla crescente caduta in oblio dell’esatta pro­
nuncia del testo sacro, in conseguenza del progressivo abbandono della
lingua ebraica a favore dell’arabo. Tuttavia le vocali non vengono notate
con lettere, ma mediante punti e segni diversi situati sopra o sotto la con­
sonante, alla quale seguono nella pronuncia. Alcune consonanti ebraiche
costituiscono suoni ignoti alle lingue neolatine; è il caso di alefo di 'afin
e di alcune delle cinque sibilanti conosciute dall’ebraico. Le varianti loca­
li e i mutamenti prodottisi neile differenti epoche davano adito a confu­
sioni, come quella ricordata in G iud. 12,5-6 e suscitata dalla differente
pronuncia del termine sihholet in Efraim, sibbolet in Transgiordania.
La caratteristica più evidente dell’ebraico e delle lingue semitiche in ge­
nere è la composizione trilittera delle radici, molte delle quali erano origi­
nariamente biconsonantiche. Da una stessa radice derivano verbi e so­
stantivi di identico significato. Le tre consonanti M l.K , ad es., formano il
sostantivo M eLeK («re») oppure la forma verbale M aLaK («egli regnò»).
Soltanto dal contesto si evince se si tratta di una forma o dell’altra. Con
l’aggiunta di suffissi, prefissi e infissi si compongono le forme indicanti
tempo e persona: M FLaK-TeM («voi regnaste»), H iM LJK («egli fece re­
gnare») ecc. Nello stesso modo si formano i sostantivi derivati, come
AlaLKaH («regina»), M aLK uT («regno»), MaMÌMKaH («regalità») ecc.
I cosiddetti «tempi», perfetto e imperfetto, non indicano in realtà il
tempo delazione, nel passato, presente o futuro, ma il suo aspetto com­
piuto o incompiuto. Il riferimento temporale al passato, presente o futuro
si dovrà inferire dal contesto.
In origine l’ebraico disponeva di desinenze specifiche per indicare il ca­
so dei nomi. Alla pari di quanto accadde a partire dal latino nell’evolu­
zione delle lingue romanze, i casi finirono per scomparire e le relazioni di
dipendenza vennero espresse attraverso l’ordine delle parole e Putilizza-
zione di particelle. Si conserva il cosiddetto «stato costrutto» per espri­
mere il nesso genitivale. L ’ebraico è relativamente povero di veri aggettivi
e manca anche di forme specifiche per esprimere il comparativo e il su­
perlativo. In loro vece utilizza lo stato costrutto o un altro tipo di espres­
3 j8 Lingue e scritture bibliche

sione: «il santo dei santi» indica il santuario più santo, «il cantico dei
cantici» signmca il cantico per antonomasia.
Alla subordinazione complessa di frasi (ipotassi), caratteristica del gre­
co e del latino, la sintassi ebraica preferisce la paratassi; ciò gli conferisce
uno stile narrativo popolare e semplice, ma non meno espressivo e pro­
fondo, come ha messo in risalto E. Auerbach {mimesi*)*
La poesia ebraica conserva frequentemente forme arcaiche: l'impiego
delLimperfetto jqtl per esprimere il tempo passato, in luogo di qtj o
*w aw 4 jqtl. Quest uso poetico —caratteristico dei poemi di Ugarit - e
largamente presente in Sai. 78. L ’articolo determinativo ha(n)- fu intro­
dotto e divenne d’uso generale dopo il 1200 a.C. Poemi arcaicizzanti, co­
me Sai. 68, tendono a trascurare l’articolo.
Riguardo al lessico ebraico sono da segnalare 1 numerosi prestiti dalle
lingue dei molti popoli con i quali gli israeliti ebbero contatti nel corso
del 1 rnilL a.C, Dall’egiziano antico, lingua non semitica, l’ebraico mutuò
termini comtp a r'o h («faraone» = «casa grande» in egiziano). L ’importa­
zione di prodotti egiziani, quali l’ebano, il lino, l’ametista, l’avorio ecc., fu
all’origine del prestito dei corrispondenti termini egiziani.
S’incontrano anche imprestiti dalle lingue ittita e hurrita. 11 termine se-
ren, utilizzato esclusivamente per indicare i principi filistei, è senza dub­
bio assunto dalla lingua di questo gruppo etnico e corrisponde al termine
«tiranno», che i greci adottarono probabilmente da una lingua dell’Asia
Minore, forse dal frigio o dal lidio.
Dal semitico orientale l’ebraico attinse numerosi vocaboli, specialmen­
te dai campi semantici relativi alla amministrazione della giustizia, alle
istituzioni di governo e all’esercito. Molto spesso non è possibile accerta­
re se si tratti di veri prestiti. Non si può escludere che siano termini del
patrimonio comune delle lingue semitiche.

Le lìngue semitiche
nord-ovest nord est sud
cananaico neo­ aramaieo d’ impero antìco-
cananaico accadico

occidentale orientale
eblaita ebraico giudnico- giudaico- assiro arabo
galileo babìlonese
amorreo moabitico nabateo siriaco babilonese etiopico
ugaritico edomitico palafreno mandaico
cananaico
fenicio cristiano-palestinese
punico samaritano
Le lìngue della Bibbia 379

Particolare interesse presentano i prestiti da lingue non semitiche come


il persiano. Di qui proviene il termine pardes, che attraverso il greco del­
la versione dei L X X paradeisos e il latino della Volgata paradisum sta al­
l’origine del neolatino «paradiso». La distanza tra il persiano e Pebraico
poteva occasionare una deformazione tale dei termini adottati dalJ’ebrai-
co che, talvolta, risulta molto difficile riconoscere il termine persiano ori­
ginario. 11 libro di Ester menziona il re persiano «Assuero», meglio cono­
sciuto come «Serse».
L ’ebraico biblico o classico sopravvisse come lingua parlata e scritta,
soprattutto in Palestina, durante l’epoca ellenistica e romana. Gli scrìtti
della comunità essenica di Qumran sono redatti in un ebraico sostanzial­
mente identico a quello dei libri biblici.
L ’ebraico postbiblico appare già in pieno sviluppo nella Mishna, com­
pilazione di testi giuridici completata agli inizi del ni sec. d.C. L’ebraico
mishnico rappresenta un’evoluzione della lingua parlata in Palestina piu
che una continuazione della lingua letteraria dell’Antico Testamento. Le
lettere di Bar Kochba, risalenti agli anni della seconda rivolta giudaica
contro Roma (13 2-13 5 d.C.}, provano che in quest’epoca l’ebraico era
ancora una lingua viva.
Nel corso del Medioevo, oltre a composizioni scritte in un ebraico arti-
hcioso, che ormai non rielette una lingua viva, si trovano scritti in poesia
e prosa in uno stile elegante, comparabile a quello dei testi biblici, seppu­
re con evidenti influssi di modelli arabi, soprattutto per quanto riguarda
le forme metriche e la terminologia scientifica e filosofica.
In epoca moderna e contemporanea, il xix e xx secolo hanno conosciu­
to la rinascita di una lingua che, in realtà, non aveva subito mai un com­
pleto abbandono.
La linguistica comparata consente di chiarire termini o passaggi oscuri
delI’A.T, attraverso il confronto con parole o espressioni analoghe di al­
tre lingue semitiche (cfr. cap. xv, iv,5). Fino ad alcuni decenni fa le fonti
accadiche attiravano le preferenze di questo tipo di studi. La scoperta,
nel 1929, dei testi di Ugarit orientò gli studi verso il quadro geografico e
culturale cananaico, cui appartengono la lingua ebraica e la letteratura
biblica. I testi ugaritici permeuono di riconoscere, ad esempio, che le pre­
posizioni ebraiche be- e ¥ -y oltre al rispettivo significato di «in» e «a,
per», valgono pure come «di» o «da». Is. 59,20 andrà quindi tradotto
«Un redentore verrà da Sion», secondo l’interpretazione che già se ne dà
in Rom. 11,2 6 . Parole ebraiche mal copiate o male intese dalla tradizione
manoscritta si possono ricostruire nella forma e nel significato originari
grazie a testi ugaritici paralleli. Ciò ha consentito di proporre una nuova
versione di numerosi passi dell’Antico Testamento segnati da notevoli
difficoltà di traduzione.
z. L'aramaico

Dopo l'epoca deir esilio babilonese (vi sec. a.C.) Paramaico iniziò a sop­
piantare l’ebraico come lìngua corrente. Le piu antiche iscrizioni aramai-
che conosciute risalgono al ix sec. a.C. In seguito l’aramaico divenne la
lingua ufficiale degli imperi assiro, neo-babilonese e persiano. Posterior­
mente alle conquiste di Alessandro Magno, sebbene il greco iniziasse a
sostituire l’aramaico, questo continuò a essere in Oriente la lingua di
maggior diffusione.
La storia della lingua aramaica si svolge in tre periodi: antico, medio e
recente.
Al periodo antico risalgono le iscrizioni di Zingirli (Sani’ài), scritte in
un dialetto arcaico con caratteristiche occidentali, e quelle di Slire (circa
740), che presentano numerose espressioni tipiche anche dell’ebraico bi­
blico. L ’aramaico ufficiale o d impero è utilizzato dalle popolazioni dei
paesi occidentali, assorbite dall’impero assiro. Durante l’impero neobabi­
lonese (625-539) l’aramaico orientale soppiantò il dialetto degli scribi as­
siri, La maggior parte della documentazione pervenutaci dell’impero per­
siano è scritta in aramaico ufficiale, relativamente omogeneo, anche se
alcuni scritti, come le Sentenze di ’Ahtqar, impiegano il dialetto assiro.
Le brevi pericopi del testo biblico scritte in aramaico riflettono l’aramaico
ufficiale. L’ortografia appare, tuttavia, modernizzata. Esd. 7,12.-26 tra­
scrive un decreto del re persiano. Riproduce quindi il linguaggio ufficiale
caratteristico di questo tipo di scritti. Anche Esd. 4,8-6,18 ospita ugual­
mente una corrispondenza ufficiale, persino nello stesso stile linguistico.
Non è invece facile spiegare le ragioni per le quali altri passi delTA.T.
(G er. i o , i r e D an. 2,4^7,28) siano in aramaico. C ’è chi suppone che al­
cuni testi biblici trasmessi in greco, e anche in ebraico, siano in realta tra­
duzioni di originali aramaici.
L ’aramaico medio corrisponde al periodo compreso tra il 300 a.C. e il
200 d.C. Caduto l’impero persiano, il greco sostituì l’aramaico come lin­
gua franca. L’aramaico ufficiale iniziò allora la sua frammentazione in
dialetti locali, sopravvivendo tuttavia come lingua letteraria e d’uso in
iscrizioni e documenti ufficiali. In questa lingua letteraria sono redatti i
capitoli aramaici del libro di Daniele (168 a.C. circa) e alcuni testi rinve­
nuti a Qumran: lI libro di Tobia, il Sogno di Nabonedo, frammenti di
Enoc e Melkisedeq, P Apocrifo della Genesi, il Testamento di Levi e il
Targum di Giobbe. In Palestina furono scritti in questa lingua letteraria
anche il Targum di Onqelos al Pentateuco e quello di Jonatan ai Profeti,
sebbene il successivo impiego di questi testi a Babilonia vi determinò l’in­
serimento di elementi dialettali dell’Oriente. Anche la Megiìlat lavanti c
la Megiìlat Antiochus sono scritte in questo aramaico letterario. Dato il
Le lingue della Bj bbia 381

carattere conservativo del linguaggio giuridico, non è strano che le for­


mule legali citate nella Mishna e nei due Talmudim, gerosolimitano e ba­
bilonese, riflettano anche la lingua del periodo precedente. Iscrizioni e
papiri di Palmira, Petra e altre località permettono di conoscere i dialetti
nabateo e palmireno. Il primo mostra influssi arabi nel lessico e nella sin­
tassi; il palmìreno subì in aggiunta altri influssi orientali.
Le caratteristiche dell’aramaico occidentale si conoscono soprattutto
attraverso il crescente numero di iscrizioni trovate a Gerusalemme in
tombe, sarcofaghi, ossari e altri reperti. Il N.T. conserva espressioni ara­
mai che come talitha kumi; maranatha; effatha; eloi, e/oi, lema sabach-
thani e rabbuni; nomi propri e toponimi: Haqeldama, Golgota, Getse­
mani, Betesda. Gesù e i suoi discepoli parlavano un dialetto galileo, di­
verso da quello parlato in Giuda (Mt. 26,73). Le lettere di Bar Kochba
costituiscono una fonte importante per la conoscenza di questo dialetto
giudaico.
Molto scarsi sono i resti di scritti in aramaico orientale; tra questi un
testo di Uruk del n sec. a.C, e una serie di iscrizioni e graffiti di Assur e
Hatra, risalenti al periodo parrico (11 sec. d.C.).
Uaramaico recente si estende fin dopo la conquista araba (dal 200 al
900 d.C.). È importante conoscerlo ai fini dello studio della storia della
trasmissione, traduzione e interpretazione della Bibbia in Oriente. In que­
st'epoca Paramaico appare chiaramente ripartito in dialetti. Il gruppo oc­
cidentale comprende Paramaico giudaico (galileo), il cristiano-palestinese
e il samaritano. Nel primo sono scritti d Talmud gerosolimitano, i midra-
shim palestinesi (Genesi e Levitico Rabba), i targumim palestinesi (Neofi­
ti, Targum Frammentario, frammenti della Geniza del Cairo e Targum
dei K'tubim o Scritti; cfr. cap. xv, 111,10), le iscrizioni funerarie di Joppe,
Bet-Shearim, Zoar e numerose iscrizioni sinagogali dal ni al vi sec. d.C.
L’aramaico cristiano-palestinese era parlato dai giudei convertiti al cri­
stianesimo e adottava un tipo di scrittura siriaca.

3. Il greco

I lihri deuterocanonici delPA.T. sono scritti in greco, benché Poriginale


di alcuni di loro fosse ebraico o aramaico, come nel caso di Ben Sira. Il
N.T. venne scritto in greco, anche se i logia dj Gesù e altre parti del N.T.
vennero trasmessi inizialmente in aramaico. Il greco biblico ha caratteri­
stiche molto peculiari. Fin dagli inizi gli scrittori pagani espressero la loro
avversione per la lingua del N.T, molto lontana dal greco classico. Gli
apologisti cristiani, essi pure acculturati nell atticismo e nella retorica dei
classici, come Crisostomo, Agostino e Gerolamo, cercavano di difendere
lo stile trascurato e rozzo, ma semplice e popolare di quegli scritti. Anche
382, Lingue e scritture bìbliche

il Rinascimento avverti la distanza tra il greco dei classici e il greco bìbli­


co. Il xvn e xvn i secolo conobbero una dura polemica tra gli ebraisti, che
attribuivano a influenze ebraiche ogni deviazione del greco biblico rispet­
to al classico, e i puristi, i quali non potevano ammettere ebraismi o altri
barbarismi nelle Scritture ispirate. Ma nel x ix secolo non mancò chi volle
spiegare le peculiarità del greco neotestamcntario in ragione del carattere
speciale di questa lingua, considerata come espressamente elaborata per
servire da veicolo espressivo alla rivelazione divina.
Lo studio dei numerosi papiri trovati in Egitto (Deissmann) consenti di
riconoscere che la lingua del Nuovo Testamento non è altro che la lingua
koinè, parlata nell’epoca ellenistica da Alessandro Magno alla fine dell’e­
tà antica con Giustiniano (vi sec.). Lingua koinè è sia la lingua volgare
del popolo sia quella colta degli scrittori dell’epoca (Polibio, Strabone,
Filone, Flavio (Giuseppe e Plutarco). Questa lingua conserva fondamen­
talmente la struttura del dialetto attico, frammischiata a elementi ionici e
con apporti sintattici, lessicali e stilistici dt altre lingue, ad esempio semi-
tisrni e latinismi.
Ma ritenere il greco biblico la lingua koinè del periodo ellenìstico non
deve impedire di riconoscere le peculiarità della lingua dei LX X e del
N T., non identificabile senza ulteriori sfumature con il greco «secolare»
dei papiri. L ’influsso semitico si avverte non soltanto nella presenza di se-
mitismi e aramaismi, ma altresì nel lessico e nella semantica. Il termine
hypostasis del N.T. {Ebr. 1 1 ,1 ) , ad esempio, trova una spiegazione mi­
gliore nel greco dei L X X e nell’equivalente ebraico tohelet («speranza
fiduciosa e paziente»), che non sulla base del greco dei papiri, ove il ter­
mine hypostasis assume il significato di «documento di proprietà». Il ter­
mine neotestamentario parousia è più vicino al significato attribuitogli da
Flavio Giuseppe (Ant. 3,2,03), l’ alone intorno al tabernacolo (ossia la
shekina o presenza teofamca di Dio), che al significato, documentato nei
papiri, di venuta o presenza del re. Ben al di là delle critiche mosse da J.
Barr alla tendenza della reologìa biblica, e in particolare del Grande Les­
sico del Nuovo 1 estamento, a conferire un significato teologico a parole
estrapolate dalla frase e dal contesto immediato in cui ricorrono, la se­
mantica biblica non può prescindere dal riconoscere le forme di pensiero
semitico che plasmano il lingua e il lessico della versione dei L X X e del
Nuovo Testamento. Termini come doxa («gloria»), diatheke («allean­
za») o psyche («anima») assumono un significato nuovo in relazione con
rebraico. D ’altra parte non si può dimenticare che l’esperienza vissuta
dai primi cristiani possedeva anche una forza creatrice di linguaggio ma­
ni festantesi ne! conio di neologismi come antichristos, diabotos, euange-
lìsmos ecc.
Si è pure voluto spiegare la peculiarità del greco biblico con l’ipotesi
La scrittura nell’Oriente antico e nella Bibbia 383

dell esistenza di un dialetto greco-giudaico, scritto e parlato dai giudei in


diversi luoghi ed epoche (Turner, Gehman, Black). Oggi si afferma piut­
tosto la tendenza a spiegare il greco dei JLXX come fenomeno derivato
dalla stessa traduzione. Il fatto che si tratti di una versione spiega il signi­
ficato insolito attribuito ad alcuni vocaboli, Puso indiscriminato di ter­
mini poetici o della prosa, il conio di neologismi ecc. (Rapallo, Martin,
Tov, Daniel ecc.). Per chiarire il greco neotestamencario si dovrà proba-
burnente ricorrere a una spiegazione eclettica: 1 vangeli sinottici, e in par­
ticolare i logia di Gesù, riflettono un greco di traduzione, più letterario
che letterale; Pinfluenza dei L X X , evidente in tutto il N .T., si manifesta in
special modo nel vangelo di Luca e nei concetti ebraici delle lettere paoli­
ne, come quelli di giustificazione o propiziazione; PApocalisse riflette so­
prattutto la lingua greco-giudaica delle sinagoghe (Black).

4. Bibliografia

Sulla classificazione e la storia delle lingue semitiche, sui loro caratteri generali
così come sulla storia della linguistica semitica si veda ora G. Garbini - O. D u­
ra nd, Introduzione alle lingue semitiche , Brescia 19 9 4 .
Delle grammatiche e dizionari di ebraico, aramaico e greco ci si limita a segna­
lare: H. Bauer - P. Leander, H ìstorìsche Cram m atik der hebràischen Sprache,
Halle 1 9 2 2 ; E .Y . Kutscher, A H istory o f t h e H ebrew Language , Leiden 1 9 8 2 ; R.
M ayer, Gramàtica de la lengua hebrea, tr. sp. di A. Sàenz Badillos, Barcelona
1 9 8 9 ; M .H . Segai, A G ram m ar o f Palestinian Jew ish Aram aic , Oxford 1 9 2 4 ;
J.H . M oulton - W .F. H ow ard - N . Tuerner, A G ram m ar o f N ew Testament
G reek , 3 voli., Edinburgh 19 0 6 . 1 9 2 9 . 1 9 6 3 ; J. Barr, Semantica del linguaggio
biblico , Bologna 19 6 8 . Per una prima introduzione cfr. M . Carrez, L e lingue della
Bibbia dai papiri alle B ibbie a stam pa , Cinisello Balsamo 1 9 8 7 .

I I. L A S C R IT T U R A N E L L ’ O R IE N T E A N T IC O
E N E L L A B IB B I A

Nella corretta trasmissione scritta del testo biblico sono fattori decisivi il
tipo di scrittura (cuneiforme, paleoebraica, onciale greca ecc.), il materia­
le scrittorio (pietra, papiro, pergamena ecc.) o la forma di rotolo oppure
di codice in cui si trasmettevano i libri biblici. La storia della Bibbia («i
libri» nel significato del termine greco) è, a un tempo, una vera e propria
storia della scrittura e del libro nelPantichità. La parola orale dei profeti e
degli apostoli divenne scrittura e il suo spirito s’incarnò nella materialità
della lettera, fino alla più piccola jod o iota. Questi e altri fattori ugual­
mente importanti, come l’ortografia e la pronuncia dell’ebraico in epoche
anteriori agli inizi della tradizione manoscritta, sono oggi meglio cono­
sciuti grazie alle scoperte epigrafiche degli ultimi decenni.
Le iscrizioni
V ■ * ■ ■

i.

Ai testi ritrovati a Ugarit e nelle grotte del Mar Morto si sono aggiunte
numerose iscrizioni delle epoche più diverse rinvenute nei luoghi più di­
sparati. Le iscrizioni costitaiscono una fonte molto importante di dati per
conoscere il mondo linguistico e culturale in cui nacque la Bibbia. Nel vi
secolo i dialetti e la grafia deirebraico preesilico cedettero il passo a nuo­
ve forme dialettali e a usi grafici differenti. La scoperta di iscrizioni risa­
lenti a secoli precedenti Pesilio consente una conoscenza molto più sicura
e circostanziata delle forme arcaiche della lingua.
L ’epigrafia riporta a forme de! testo consonantico molto più antiche di quelle at­
testate nei manoscritti biblici e permette di conoscere le corrispondenti forme di
pronuncia. Il sistema di pronuncia conosciuto dai masoreti del medioevo può es­
sere l’ esito di un’evoluzione naturale (Gibson) a partire da quelle forme arcaiche
di pronuncia o rappresentare invece una ricostruzione artificiale (K. Beyer).
Lo studio delle fonti epigrafiche consente di conoscere i paralleli linguistici e
stilistici presenti in un particolare testo bìblico e una determinata iscrizione, data­
bile con maggiore o minore approssimazione. Non meno importante è il contri­
buto de! materiale epigrafico per lo studio della storia» della religione e della cul­
tura dell’Israele amico.

a) Iscrizioni ebraiche

Il cosiddetto Calendario di Gezer (x sec. a.C.) è scritto in un dialetto ar­


caico meridionale. Presenta un’enumerazione di otto mesi dell’anno cor­
relati alle attività agricole. La sua interpretazione rimane incerta.
Gli ostraca di Samaria (vili sec.) e di tlasor (ix-x sec.) riflettono il
dialetto settentrionale. Altre iscrizioni corrispondono al dialetto meridio­
nale di Gerusalemme: l’iscrizione della Tomba di Siloe, coeva alla famo­
sa iscrizione del Tunnel di Siloe (ca. 700 a.C.); un ostracon di Yavné-
Yàm, dell’età di Giosia; un palinsesto su papiro trovato al WàdI Murab-
ba*at, unico testo su papiro di epoca preesilica; la raccolta di ostraca di
l eli cAràd con interessanti paralleli biblici (Gen 43,2,7; 1 Sam. 10,4) ecc.
Negli ultimi decenni il numero di sigilli e timbri noti ha conosciuto un
grande incremento. Su graffiti trovati a Khirbet Lei si menziona Gerusa­
lemme. Altre iscrizioni dimostrano che dopo l’esilio l’ebraico continuò a
essere di uso corrente. Le lettere di Bar Kochba (132.-135 d.C.) sono in
questo senso rivelatrici.

b) Iscrizioni moabitiche, ammonite e aramaicke

La famosa stele del re Mesha (ix sec. a.C.), in moabitico, offre punti di
contatto con la storia d’Israele di questo periodo (2 Re 3). Una stele am-
La scrittura nell’Oriente antico e nella Bibbia 3 85

munita dello stesso secolo, trovata ad Amman, sembra essere stata eretta
in onore del dio Milkom, cui si allude in 1 Re 1 1 ,5 e Ger. 49,3.

2. La scrittura nell'Oriente antico e in Grecia

La scrittura alfabetica sorse nella regione siro-palestinese nel xvm -xvii


sec. a.C. Precedentemente esistevano altri sistemi di scrittura, cuneiforme
in Mesopotamia e geroglifica in Egitto.

a) Mesopotamia

Il primo sistema di scrittura, inventato probabilmente in Mesopotamia


dopo il 3500 a.C., fu di tipo pittografico. La rappresentazione grafica, ad
esempio, del disco solare significava «sole» e al tempo stesso «giorno» e
«luce». Questo sistema logografico acquisì una maggiore perfezione fino
a mutarsi in sistema fonetico. La lingua agglutinante sumerica si compo­
ne di elementi che costituiscono quasi sempre una sola sillaba; perciò il
valore fonetico dei segni tende a essere sillabico. Per distinguere le diverse
letture possibili di uno stesso logogramma si utilizzano segni indicanti la
sillaba finale di un termine o la classe della parola di cui si tratta (nome
proprio, nome di un oggetto in legno o pietra) ecc.
I segni si tracciano incidendo con uno stilo la superficie di una tavoletta
di argilla tenera. Inizialmente si scriveva in colonne verticali, come nel ci­
nese, partendo dall angolo superiore destro. In seguito un semplice cam­
biamento nel modo di sostenere la tavoletta originò la scrittura su linee
orizzontali da destra a sinistra. L’uso dello stilo sull’argilla consente più
facilmente il tracciato rettilineo del curvilineo, e questa è la ragione della
stilizzazione delle incisioni a forma di cunei.
Durante la prima metà del terzo millennio a.C. gli accadi adottarono
questo sistema di scrittura «cuneiforme». Per rappresentare i suoni di una
lingua semitica dovettero incorporare segni e valori nuovi. Gli elamiti, e
nel secondo millennio gli hurnti, gli irriti e 1 popoli di Urartu, adottarono
ben presto anch’essi la scrittura cuneiforme. U sistema cuneiforme diven­
ne il mezzo espressivo grafico di sei lingue diverse. Influì anche sullo svi­
luppo di altri due sistemi cuneiformi: la scrittura alfabetica di [Jgarit e il
sistema sillabico del persiano antico, composto da 51 segni.

b) Egitto

La scrittura geroglifica si presenta in Egitto, alla fine del terzo millennio


a.C., 111 pieno sviluppo e senza segni di precedente evoluzione, al contra­
rio di quanto accaduto in Mesopotamia. Bisogna supporre, tuttavia, che
38 6 Lingue e scritture bibliche

gli egiziani avessero appreso da Sumer alcuni principi della scrittura, im­
primendovi un carattere nuovo, come l’uso di logogrammi e di comple­
menti fonetici e determinativi. I segni geroglifici non subirono che po­
chissimi cambiamenti, a differenza dei cuneiformi. Non denotavano silla­
be, ma soltanto consonanti. La totale assenza di notazione vocalica, ca­
ratteristica della maggioranza dei sistemi alfabetici semitici, impedisce la
conoscenza della pronuncia dell’egiziano antico. E possibile ricostruirla,
tuttavia, attraverso traslitterazioni di termini ebraici in scrittura cuneifor­
me sillabica o anche partendo dalla lìngua copta, che costituisce l’ultima
tappa nell’evoluzione dell egiziano e si scrive in caratteri greci con l'ag­
giunta delle vocali. I logogrammi egiziani, trasformati in segni fonetici,
denotano da una a tre consonanti. La scrittura geroglifica dispone dì se­
gni, rappresentativi di una consonante, sufficienti per esprimere i 24 fo­
nemi consonantici dell’egiziano. Gli egiziani, tuttavia, non passarono mai
dalla scrittura geroglifica all’alfabetica.
La scrittura geroglifica era utilizzata, normalmente, in iscrizioni su pie­
tra. La scrittura su papiro con penna e inchiostro portò ben presto allo
sviluppo di una scrittura più corsiva, chiamata ieratica. Alla fine dell’vin
sec. a.C. si introdusse per lettere e documenti ufficiali l’uso della scrittura
demotica, ancor piu semplificata e con caratteri maggiormente legati. Le
tre forme di scrittura coesistettero per secoli. Nel iv e v sec. d.C. la scrit­
tura geroglifica decadde e verso il ni sec. d.C. venne adottato Lalfabeto
greco per scrivere l’egiziano, avviando in tal modo il copro.

c) Siria e Palestina

V origine dell'alfabeto, una delle grandi invenzioni della storia dell'uma­


nità, ebbe luogo nell’ambito culturale siro-palestinese, incrocio delle cul­
ture mesopotamtea ed egiziana. Nel 1929 si scoprirono a Ugarit, nel nord
della Siria, cento tavolette degli inizi del xiv sec. a.C., scritte con un tipo
di scrittura cuneiforme fino ad allora sconosciuto. Si serviva di soli 29 se­
gni e si trattava quindi di una scrittura alfabetica. La lingua di Ugarit è
una forma precorritrice del cananaico. Il suo alfabeto, puramente conso­
nantico, e caratterizzato dalla presenza di tre segni per la ’alefy a seconda
che la vocale che l’accompagna sia a, ; o u. Ma la scrittura alfabetica co­
nosciuta più antica è stata trovata in 25 iscrizioni della penisola de! Sinai,
databili al 150 0 a.C. ca. Queste iscrizioni protosinaitiche sono in un alfa­
beto consonantico derivante dalla scrittura geroglifica egiziana attraverso
il sistema dell5acro foni a. Ogni segno rappresenta non l’intera parola deli­
neata, ma unicamente il suo suono iniziale. Tre iscrizioni, un po’ più an­
tiche, provenienti da Gezer, Lakish e Sichem, utilizzano questo stesso al­
fabeto. Ciò significa che gli schiavi semiti del Smai non furono gli inveri-
La scrittura nell’Oriente antico e nella Bibbia 387

tori dell’alfabeto, come si pensava nei decenni passati. Le iscrizioni pro­


tosinaitiche sono quindi parte del corpus completo delle iscrizioni alfabe­
tiche protocananaiche. F.M. Cross classifica i testi alfabetici più antichi in
due classi:
testi protocananaici: palestinesi antichi (secc. xvii-xn) e protosinaitici
(sec. xv),
testi cu n eito rm i c a n a n a ic i: u g a ritic i (secc. X lV -X in) e p alestin esi (secc.
X III-X Il).
La scrittura protocananaica fu inventata intorno al 1700 a.C. da semi­
ti cananei che avevano una discreta conoscenza della scrittura egiziana.
Le lettere del sistema consonantico inizialmente erano 27, ma verso il x m
secolo furono ridotte a 22. I segni, pittografici e nella maggior parte con
valore acrofonico, sì evolvettero progressivamente fino a mutarsi in ca­
ratteri lineari.
La scrittura era possibile in qualsiasi direzione, ma la verticale scom­
parve già intorno al 110 0 a.C. Fissatosi il numero di 22 lettere e stabilita­
si la scrittura da destra a sinistra, non si può più parlare di scrittura pro­
tocananaica, bensì di scrittura fenicia. Tale transizione si concluse verso
la metà del x i i sec. a.C. Prima dell’xi secolo la scrittura protocananaica
aveva conosciuto altre diramazioni: la protoaraba verso il 1300 e la gre­
ca arcaica verso il xio o . A quest’epoca si fa risalire l’adozione dell’alfa­
beto da parte dei greci. L ’alfabeto contribuì alla diffusione della scrittura
fra strati sempre più ampi della popolazione.
Dal x sec. a.C. fino al 11 d.C. l’ebraico si scriveva in una forma di scrit­
tura fenicia. La Bibbia contiene non meno di 429 riferimenti alla scrittu­
ra e a documenti scritti, mentre Vlliade solo uno e l’ Odissea nessuno.
Quella scrittura paleoebraica appare ancora utilizzata in alcuni mss. del
M ar Morto (1 QLev) e su monete giudaiche di età asmonea. Ma nel in
sec. a.C. i giudei avevano già adottato i caratteri della scrittura aramaìca
o quadrata, evolutasi indipendentemente da quella fenicia. Questa forma
di scrittura quadrata è utilizzata ancor oggi nelle Bibbie ebraiche. Il lo-
gion di Gesù sulla iota o la /od, con riguardo alla più piccola delle lette­
re, ha senso solamente in riferimento al tipo di scrittura quadrata. Altre
innovazioni consistettero nella forma speciale di alcune lettere in fine di
parola e la separazione delle parole mediante spazi, come attestano i
mss. del M ar Morto.
F.M. Cross distingue tre fasi evolutive della scrittura giudeo-aramaica:
giudaica antica (250-150 a.C), asmonea (150-30 a.C.) ed erodiana (30
a.C. - 70 d.C.).
Fino al periodo compreso tra il v e il vii sec. d.C. non si sviluppò un si­
stema di notazione vocalica. I sistemi vocalici palestinese e babilonese
erano sopralineari, il tiberiense infralineare. Quest’ultimo, introdotto alla
388 Lingue e scritture bibliche

fine dell5v ili secolo, soppiantò gli altri due ed è utilizzato nelle attuali
Bibbie ebraiche, (cfr. cap. xv, 1,36). La scrittura ashkenazita è più ango­
losa, la sefardita più rotondeggiante e l'italiana si evolvette fino a diveni­
re la forma di scrittura denominata Rashi (sec. xi). La scrittura samarita­
na è una forma dell'antica scrittura fenicia piu ornamentale.

d) Grecia

Verso il 2,000 a.C. la cultura minoica sviluppò sull'isola di Creta un siste­


ma di scrittura geroglifica ancora indecifrato. Si legge da sinistra a destra
o, con sistema bustrofedico, da sinistra a destra in una riga e da destra a
sinistra nella successiva. Nel xvii e xvi secolo tale sistema venne sostituito
da un tipo di scrittura corsiva noto come lineare A, da poco decifrato.
Verso il 1400 fiorisce a C reta la cultura micenea, che introduce la scrittu­
ra lineare B, utilizzata fino alla distruzione di questa cultura intorno al
12,00 a.C. È una scrittura sillabica, con sillaba composta da consonante e
vocale o da sola vocale. Sì scrive da sinistra a destra.
L'adozione della scrittura consonantica fenicia per scrivere il greco ri­
sale alPanno 1000, data che alcuni anticipano, altri posticipano. Secondo
una tradizione riferita da Erodoto (v sec. a.C.), un personaggio leggenda-

Evoluzione dell'alfabeto

17 0 0 a.C. Protocananaico
---------- ~ !
16 0 0 Prolosinaitico

150 0

14 0 0 Alf. cureiforme

130 0 Ugaritico

12.00 Cananaico -

110 0 Protoarabo

10 0 0 Fenicio

Ebraico Arama ico


900 Arabo
Greco
800 f
Etrusco
70 0

600 Latino
La scrittura nell’Oriente antico e nella Eibbìa 389

rio di nome Cadmo introdusse la scrittura fenicia in Grecia. L’origine se­


mitica della scrittura greca è provata dalia somiglianza di forma, valore
fonetico e successione delie lettere in entrambi gli alfabeti. D ’altra parte i
nomi greci delle lettere alfabetiche non hanno alcun senso in greco; gli
stessi termini corrispondono nelle lingue semitiche a parole ben conosciu­
te e collegate con i segni delle lettere corrispondenti. Alcuni segni conso­
nantici fenici, privi di equivalenti nel greco, vennero impiegati per deno­
tare i suoni vocalici, che in greco non si poteva non rappresentare: il se­
gno per alef passò a designare la a, per he la e, per het la e lunga, per
jad la i e per *ajìn la o breve. Più tardi vennero introdotti altri segni. All’i­
nizio si scriveva da destra a sinistra, come si faceva anche in Siria e in Pa­
lestina. Dopo un periodo di scrittura con il sistema bustrofedico, si passò
definitivamente alla scrittura da sinistra a destra. Non esisteva separazio­
ne tra le parole. A mera del ìv sec. a.C. l’alfabeto ionico soppiantò tutti
gli altri alfabeti locali e sì trasformò nell’alfabeto classico di 24 lettere.
Ben presto si sviluppò un tipo di scrittura corsiva, utilizzata soprattutto
nella documentazione contabile.
La scrittura onciale, in caratteri maiuscoli e generalmente senza accen­
ti, sopravvisse fino al xn sec. d.C. Verso P800 d.C. si introdusse un’altra
scrittura in caratteri minuscoli. L ’alfabeto greco ha dato origine a tutti
quelli europei, in Occidente attraverso gli alfabeti etrusco e latino, in
Oriente mediante il cirillico. È da segnalare la frequente utilizzazione di
abbreviazioni nella scrittura dei cosiddetti nomina sacra, ad esempio 0 C
(«Dio»), ICC («Signore»), XC («Cristo») ecc.

3. Materiali scrittori
a) Pietra
In Egitto sono molto numerose le iscrizioni in pietra, su muri di templi e
tombe, su stele e pareti rocciose. In Mesopotamia la scarsità di pietra
spiega il motivo della riduzione pressoché esclusiva delle iscrizioni cunei­
formi a testi ufficiali o a stele pubbliche, come quella che conserva il testo
del codice di Hamrnurabi. Nella regione siro-palestinese si sono trovate
alcune iscrizioni pubbliche in pietra; le già citate della stele di Mesha o
del canale di Siloe, ad esempio. L ’A.T. ospita vari riferimenti alla scrittura
su pietra; il più significativo è quello relativo alle tavole della legge ( £ 5 .
2 4 ,12 ; 3 4 ,1; Deut. 4 ,13).

b) Metallo

Il metallo è meno comune della pietra. Sono state rinvenute iscrizioni cu­
neiformi sumeriche, accadiche o persiane, su oggetti d’oro, argento, rame
390 Lingue e scritture bìbliche

0 bronzo. In r Macc. 8,22; 14 ,18.27.4 8 si allude alla scrittura su tavolet­


te di bronzo. A Qumran è stato trovato il cosiddetto Rotolo di rame, che
descrive il luogo in cui si nascondeva il presunto tesoro della comunità
esserli ca.

c) Argilla

La valle dei fiumi Tigri ed l ufratc è formata da terreno alluvionale che


rende molto economico e generalizzato l’uso dell’argilla per la scrittura.
L ’impiego di questo materiale influì sull’evoluzione della scrittura pitto­
grafica, che sfociò nei segni cuneiformi. L ’argilla umida veniva modellata
in tavolette, generalmente piane da un lato e convesse dall’altro. Con uno
stilo si scrivevano 1 segni sopra il lato piano, Se necessario, si continuava
la scrittura sul lato convesso. L ’ argilla veniva seccata al sole, ma la cottu­
ra in forno conferiva alla tavoletta una maggior resistenza. Le tavolette
di contenuto ufficiale potevano essere chiuse per maggior sicurezza in un
astuccio o in un involucro anch’esso d’argilla, sul quale si scriveva un
sommario del contenuto della tavoletta. Le tavolette d’argomento lettera­
rio potevano disporre per [a loro ampiezza di varie colonne di testo. Si
conservavano debitamente classificate. La tavoletta, una volta che il suo
uso fu esteso a tutto l’Oriente antico, si trasformò in strumento di posta
internazionale, come dimostrano le lettere di Teli eI-cAmàrna.

d) Ostraca

1 frammenti di ceramica rotta costituivano un materiale scrittorio abbon­


dante ed economico, utilizzato in Egitto già dai tempi del Regno antico,
soprattutto per esercitazioni scolastiche, lettere, ricevute, conti ecc. Gli
ostraca si scrivevano con penna e inchiostro; ciò consentiva di scrivere
w ■ " 1 " 1 V " l 4 *

solamente in caratteri aramaici. Questo spiega l’esiguo numero di ostraca


trovati in Mesopotaima. Ad Atene la condanna all’ «ostracismo» o esilio
si notificava scrivendo su ostraca i nomi dei condannati.
In Palestina si sono ritrovati ostraca di grande interesse in Samaria, La­
icisti e Arad. Gli ostraca di Lakish (597-587) risalgono all’epoca della ca­
duta del regno di Giuda. Si conservano alcuni ostraca con passi dell’Anti­
co Testamento e del Nuovo Testamento.

e) Papiro

II papiro si prepara con i fusti della pianta omonima, molto comune nel­
l’Egitto antico. Si tagliano in sottili strisce e si sovrappongono a strali in­
crociati. Si scriveva sulle fibre orizzontali («recto»), che rimanevano nella
La scrittura nell’Oriente antico e nella Bibbia 391

parte interna del rotolo del papiro, una volta arrotolato; se necessario si
scriveva anche sul rovescio. Fino ai l'invenzione in Cina della carta e alla
sua diffusione attraverso la Siria e l’Egitto durante il vii e v ili sec. d.C., il
papiro fu il materiale scrittorio più diffuso nel mondo antico. Il più antico
papiro conosciuto risale alla v dinastia (ca. 2470). Il papiro veniva utiliz­
zato per ogni tipo di testi. Si scriveva con penna e inchiostro in caratteri
ieratici e demotici, come pure in caratteri copti, aramaici e greci. 11 papiro
egiziano costituiva una vera industria d’esportazione, ma le condizioni di
umidità degli altri paesi hanno reso impossibile la conservazione di scritti
su papiro, eccetto nell’area del Mar Morto (Qumran e Murabba6at), ben­
ché Le avventure di Unamon attestino l’ impiego di gran quantità di papi­
ro in Siria agli inizi del ix sec. a.C. Il contratto di acquisto firmato dal
profeta Geremia (G er. 32,10 -14 ) fu senza dubbio scritto su un papiro ri­
piegato e sigillato, come quelli rinvenuti a Elefantina, nell’Alto Egitto.
Anche le lettere di Paolo e altri testi del Nuovo Testamento vennero scrit­
ti su papiro.

f) Pergamena

L’uso della pelle per la scrittura risale agli inizi del terzo millennio a.C. Il
più antico esemplare conservato risale all’epoca della x n dinastia (ca.
2000). Durante il 11 sec. a.C. la tecnica di preparazione della pergamena
acquisì grande perfezione nella città di Pergamo, da cui poi prese il no­
me. Il frammento più antico di uno scritto cristiano su pergamena è il
Diatessaron di Dura-Europos, della prima metà del n sec. d.C. Del Nuo­
vo Testamento non sono pervenuti manoscritti su pergamena precedenti
al rv secolo.

4. Il rotolo e il codice dell'antichità

In Mesopotamia i testi letterari di considerevole lunghezza dovevano es­


sere distribuiti su varie tavolette; sette, ad esempio, per il poema della
creazione, dodici per quello di Gilgamesh. Un colophon specificava il ti­
tolo dell’opera e il numero delle tavolette, con una parola di riferimento
ripetuta alla fine di ogni tavoletta e all’inizio della successiva. In Egitto il
papiro era disposto in lunghe strisce, fino a formare un rotolo o volumen
(«cosa avvolta» in latino). Si scriveva generalmente su un solo lato, in co­
lonne separate da spazi, che costituivano i margini. Questo tipo di rotolo
era conosciuto in ebraico con il termine megilla o megillat sefery espressio­
ne resa in Ebr, 10 ,7 con kepbalis bìbliou nella citazione di Sai. 40,7(8}.
Un rotolo poteva contenere un libro come quello di Isaia. Per il Pentateu­
co occorrevano cinque rotoli. I libri di Samuele, Re e Cronache occupa­
391 Lingue e scritture bibliche

vano, ognuno, un solo rotolo, ma nella traduzione greca occupavano


un’estensione doppia per la presenza dei caratteri vocalici del greco. A ciò
si deve la divisione attuale di tali libri in i-z Samuele, i-z Re e i-z Cro­
nache. I rotoli erano conservati in grandi vasi di ceramica (Ger. 3:1,14),
come confermano quelli ritrovati presso il Mar Morto. Allo stesso modo
si conservavano le tavolette in Mesopotamia e i papiri m Egitto.
Anche la pergamena era disposta a forma di rotolo; aveva però Pin-
convenientc di poter essere scritta su uria sola facciata ed era necessario
usare le due mani per poterla leggere. Perciò si passò, gradualmente,
all’uso del codex o codice, in papiro prima e in pergamena poi. Vari fa­
scicoli di quattro fogli doppi (quaternio).lormavano un codice di discre­
ta grandezza e di aspetto simile a un libro moderno, con copertina di le­
gno o pelle. Le colonne scritte nei codici erano inizialmente strette, anco­
ra influenzate dalla scrittura su rotolo. I codici biblici più famosi hanno
due colonne per pagina (l’Alessandrino), tre (il Vaticano) o quattro (il Si­
naitico). Con il passare del tempo divenne consueta la pagina a una o due
colonne.
Nella scrittura della letteratura non cristiana, il codice soppiantò pro­
gressivamente il rotolo, almeno dal 1 sec. d.C. Gli scrittori cristiani adot­
tarono ben presto, dal il secolo, l’uso del codice, rompendo così con la
tradizione giudaica che per la scrittura dei testi sacri ammetteva solo Puso
del rotolo.
I più antichi testi tramandatici del N.T., come P 51, degli inizi del 11 se­
colo, hanno forma di codice. Durante la prima metà del rv secolo la per­
gamena fu sostituita dal vellwn per la confezione dei libri più importan­
ti. Di quest’epoca sono i codici biblici più famosi, sopra citati, Giovanni
Crisostomo e Gerolamo criticavano lo sfarzo nella confezione dei codici,
di cui è testimonianza il Codex Furpureus Petropolitanus (vi secolo). In
epoche successive e per la carenza di pergamena s’iniziò a raschiare il te­
sto scritto per scrivervi un nuovo testo: si diffusero così i codici rescripti 0
palinsesti. Procedimenti chimici e fotografici consentono la lettura del te­
sto raschiato, che spesso era un testo biblico.

5 . B tb h o g rafìa

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Capitolo xv

Testo
e critica testuale
dell"Antico Testamento

I. IL T E S T O E B R A IC O E A R A M A I C O
d e l l ’a n t i c o testam en to

La ricostruzione del testo originale delFA.T. e del N.T. presuppone la co­


noscenza della storia della sua trasmissione nel corso dei secoli.
Seguiremo un ordine di esposizione inverso al corso storico, risalendo
dalla documentazione più moderna e meglio conosciuta alla più antica e
peggio conservata. Questo è, in realtà, il processo di studio cui si è dovuta
attenere la ricerca moderna. Dal Rinascimento alla filologia moderna del
xtx e xx secolo, la ricerca ha percorso un lungo cammino che, retroce­
dendo nel tempo, dal textus receptus riprodotto nelle Bibbie a stampa,
attraverso i manoscritti dei masoreti medievali e quelli bizantini dei L X X
e del N .T., le recensioni coeve, le versioni antiche in altre lingue, le cita­
zioni bibliche dei primi Padri della chiesa o degli scritti rabbinici e i mss.
del Mar Morto (che consentono di superare la linea di demarcazione del
70 a.C.), giunge alle forme testuali più antiche conservate in testimoni
manoscritti. Giunta a questo punto, la critica testuale si può accingere al­
l’opera di restaurazione del testo, selezionando tra le varianti conservate
quella che ha maggiori probabilità di corrispondere alla lezione originale.

1, Edizioni moderne (XX secolo)

11 testo ebraico delFA.T. più utilizzato in questo secolo è staro quello del­
la Biblia Hebraica, edita da R. Kittel. Le due prime edizioni del 1906 e
del 1 9 1 2 seguivano il testo ebraico edito da Ya'aqob ben Hayyim nel
15 2 4 /2 5. Nella terza edizione del X937, su proposta di P. KafcJe, si prese
come testo base quello del Codice di Leningrado (B 19^1. Il testo di questo
codice, finito di copiare neil’anno 1008, era attribuito a ben Asher e con­
servava pertanto la migliore tradizione testuale masoretica.
Nel 1977 venne approntata una nuova edizione, la Biblia Hebraica
Stuttgartensia (edd. K. Elliger e W. Rudolph), basata anch’essa sul codice
di Leningrado. Questa edizione cerca di superare le critiche mosse alle
precedenti edizioni di R. Kittei, che ricorrevano in maniera eccessiva alle
versioni antiche o a congetture di autori moderni per correggere presunte
Il testo ebraico e aramaico dell’A.T. 395

corruzioni de! testo masoretico (T.M.). L ’apparato critico dell’edizione


Stuttgartensis riflette la diversa tendenza della moderna critica testuale,
più restia alla correzione del T.M .

L ’Università Ebraica di Gerusalemme prepara una nuova edizione, basata sul te­
sto del codice di Aleppo (prima metà del x secolo), che rappresenta un testo «ben
Asher» di miglior qualità rispetto al codice di Leningrado (3 .a.). Si tratta senza
dubbio del testo autorizzato da Maimonide ( f 12 0 4 ). Questa edizione presenta
anche la particolarità di raccogliere in vari apparati critici varianti masoretiche di
fonti rabbiniche e dei manoscritti del M ar M orto, insieme a cospicuo materiale
tratto dalle versioni e dagli autori antichi, senza azzardare in nessun caso conget­
ture o tentare una correzione del testo ebraico. Di questa edizione sono apparsi
fino a oggi due volumi: M .H . Goshen-Gottstein (ed.), The Book o f Isaiah, 1. Isa­
iah i j i - i i j i o ; 11. Isaiah 2 2 -4 4 , Jerusalem I 9 7 5 - 1 9 8 1 .
Altre edizioni precedenti furono quella di Ginsburg (del 19 0 8 e 192,6), basata
sulla seconda Bibbia rabbinica, e quella preparata da N .H . Snaith sulla base dei
manoscritti M . Or. 2 6 2 6 -2 6 2 8 , Or. 2 3 7 5 e della cosiddetta Sbem-Tob Bible.

2. Prime edizioni a stampa (X \ -X V II secolo)

L ’invenzione della stampa determinò il rapido declino del sistema di co­


piatura manuale. Si eliminò, in tal modo, una fonte considerevole di erro­
ri, anche se da allora non si cessò di incorrere in refusi di stampa. Il primo
libro stampato fu la Bibbia latina di Gutenberg. Nel 14 7 7 si pubblicò la
prima edizione dei Salmi in ebraico, nel 14 8 2 quella del Pentateuco e nel
1488 quella dell’intero A.T., nell’edizione di Sonano. Le più importanti
edizioni a stampa furono la Poliglotta Complutense ( 15 14 - 15 17 ) e la co­
siddetta seconda Bibbia rabbinica, opera di Y a ‘aqob ben Hayyim (152.4­
1525). Le edizioni poliglotte successive (Avversa 15 6 9 -15 7 2 , Parigi 16 2 9 ­
1645 e Londra 1657-1669) costituiscono una fusione di quelle due. Tali
edizioni si basavano su manoscritti molto recenti e di scarsissimo valore
critico. Ma in seguito si sentì la necessità di collazionare tutte le varianti
dei manoscritti medievali conservati. A questa preoccupazione, nella linea
dello spirito enciclopedico del x v m secolo, rispondono le opere monu­
mentali di Kennicott (1776-1780), Vetus Testamentum Hebraicum cum
variis lectionibus, e di De Rossi (1784-1788), Variae lectiones Veteris Te­
stamenti. Compiuto questo grande lavoro di collazione dei manoscritti, il
x ix secolo conobbe i primi tentativi di stabilire un testo in grado di offri­
re le dovute garanzie di autenticità. Per questo era necessario fissare i
principi e i metodi dell’analisi critica e verificare tutte le varianti testuali
conservate dalla tradizione manoscritta. L ’edizione di Baer-Delitzsch
(1869-1892), compiuta con questo intento, fu tuttavia aspramente criti­
cata a motivo del carattere poco scientifico della sua masora.
3. I masoreti e la tradizione manoscritta dal IX secolo
a) La masora
Il termine ebraico masora significa «tradizione». Designa l'ingente rac­
colta di tradizioni rabbiniche relative al testo biblico che copisti e «maso-
reti» riunirono nei margini superiore e interiore di ogni pagina del mano­
scritto (masora magna), nei margini laterali e tra le colonne (masora par­
va) o alla fine di un determinato testo (masora finalis). La masora infor­
ma sulla frequenza di un termine, sul numero di lettere, parole e sezioni
nel testo della torà o sulla forma di scrittura, piena o defectiva, delle pa­
role ecc. Questo tipo di indicazioni rispecchia la cura dei masoreti nel
conservare con scrupolosa fedeltà il testo ricevuto dalla tradizione prece­
dente. I masoreti sono i continuatori degli antichi scribi o sof*rim, che
pure contavano (spr) il numero di parole e segnalavano la lettera, la pa­
rola e il versetto centrali del testo della torà (cfr. bQiddushin 3oa). L ’an­
tichità del procedimento di divisione del testo in sezioni (;pisqa) sembra
testimoniata già nei manoscritti biblici di Qutnran e della versione dei
LX X . La tradizione associava lo scriba alle figure di Esdra e di Simeone il
Giusto, in relazione alla «Grande Sinagoga». Gli scribi non si limitavano
a copiare il testo: con segni differenti indicavano quei passaggi sui quali
la tradizione conosceva e trasmetteva qualche dubbio.
Il tipo di annotazioni masoretiche è molto vario. In L ev . 8,8 si segnala «la parola
centrale della torà»; in Lev. 1 1 , 4 2 , «la lettera centrale della torà» e alla fine della
Genesi «la somma dei versetti del libro (che è) 1 5 3 4 » . In DeuL 6,4 si ingrandi­
scono due lettere per formare la parola ld («testimone»), cosi da richiamare l’at­
tenzione suli’unportanza di questo passo contenente lo Shema' («Ascolta, Israe­
le...»). In Giud. 18 ,3 0 , con il procedimento delle Utterae suspensae, s'intercala
una nun nel nome «M osè», così da leggere «M anasse»; con ciò si vuole dissociare
M osè da ogni possibile relazione con un suo discendente divenuto sacerdote di un
tempio idolatrico. La tradizione greca rispecchia questa duplice lezione: l'A les­
sandrino legge «M osè», il Vaticano «Manasse» (conformemente al testo della re­
censione proto-teodozioniana). Altre indicazioni marginali avvertono se una de­
terminata parola debba pronunciarsi in modo diverso (q ere ) da come appare
scritta nel testo (k iib). Le liste masoretiche raccolgono anche 18 casi di «corre­
zioni degli scribi» (tìqqune so ferim ). Consistono generalmente nel cambio di suf­
fisso, così da evitare un rifeiimento antropomorfico a Dio. La frase di Gen. 18 ,
2 2 , «jahvé si mantenne diritto davanti ad Abram o», risultava inammissìbile,
giacché l’espressione «stare diritto davanti a qualcuno» implica un'idea di sotto­
missione. 1 masoreti invertirono quindi l'ordine dei termini: «Abramo... davanti a
Jahvé». Altri elenchi di «omissioni degli scribi» (Silura so ferìm) segnalano cin­
que casi nei quali si deve leggere una parola non scritta e altri cinque nei quali,
al contrario, non si deve leggere la parola scritta. Due erano le grandi correnti di
tradizione o masora , una a Babilonia Baiti a in Palestina, i due maggiori centri di
vita giudaica dopo la seconda rivolta contro i romani ( 1 3 2 - 1 3 5 d.C.).
Il testo ebraico e aramaico delPA.T. 397

Il giudaismo babilonese e quello palestinese svilupparono anche due diverse


correnti interpretative, raccolte nei rispettivi Talmud. Per un certo periodo si pen­
sò che r. Aqiba avesse fissato la masora che doveva accompagnare il testo bibli­
co, pure stabilito dallo stesso Aqiba. Se così fosse, le divergenze tra la masora ba­
bilonese e la palestinese sarebbero prodotte dalla corruzione del loro testo nel
corso dei secoli. P. Kahle ha provato che tali divergenze sono, al contrario, rifles­
so delle differenti tradizioni o masore note in Babilonia, nelle scuole di Nehar-
dea, Sura e Pumbedita («masoreti orientali»), e in Palestina, principalmente Tibe-
riade («masoreti occidentali»).

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8]C9 9 3 '

b) Fissazione del testo vocalico

Fino agli inizi del Medioevo il testo biblico si trasmetteva unicamente in


caratteri consonantici, senza alcuna notazione vocalica. Verso Fvm seco­
lo il trattato S o ferim del Talmud babilonese riferisce numerosi aspetti
dell’attività degli scribi, senza accennare a un sistema di vocalizzazione.
D ’altra parte nel xii secolo il libro di preghiere Mahzor Vitry si oppone
alla vocalizzazione del testo della Torà, poiché tale puntazione non «pro­
viene dal Sinai». Il medesimo scritto informa dell’esistenza di tre diversi
sistemi di vocalizzazione: babilonese, tiberiense e palestinese o «della ter­
ra d’Israele».
Il sistema babilonese, sviluppato nell’vm secolo, è sopralineare; i segni
vocalici si scrivono sopra le consonanti. Appare utilizzato in alcune edi-
ziom dei targumim e nei manoscritti yemeniti. Il criterio di vocalizzazione
babilonese trova precedenti nel sistema elaborato dai cristiani a partire
dal iv secolo per distinguere parole che si scrivevano nello stesso modo.
Il procedimento venne perfezionato dai siriaci nestoriani orientali nel vii
secolo e dai giacobiti occidentali nell’v n i secolo. I giudei di Babilonia ini­
ziarono anch’essi a utilizzare i segni miTel e milra‘ per indicare rispetti­
vamente la vocale piena e la semivocale. Più tardi svilupparono il sistema
398 Testo e critica testuale dell’A.T.

di vocalizzazione e accentazione con lettere e punti situati sopra le conso­


nanti. La setta dei qaraiti fu un fattore importante nel processo di perfe­
zionamento del sistema babilonese oltre che dei palestinese.
Il sistema palestinese fiorì tra gli armi 700-850 e si evolvette fino a ce­
dere il passo al sistema tìberiense.
Il sistema tìberiense e quello utilizzato nelle attuali Bibbie ebraiche. £
infralmeare e consra di io segni, tre dei quali composti. Il periodo di fio­
ritura della scuola di Tiberiade è compreso tra il 780 e il 930 d.C. Duran­
te questo perìodo si succedono sei generazioni della più famosa famiglia
di masoreti, quella dei ben Asher. Il rappresentante più conosciuto è Tul-
timo della famiglia, Aaron ben Moshe ben Asher, che pubblicò un testo
completo della Bibbia ebraica con vocali, accenti e la corrispondente ma-
sora. II codice di Àleppo sembra una copia fedele di questo testo. Un’altra
famiglia di masoreti, contemporanea dei ben Asher, è quella dei ben Ne­
ttali, il cui sistema di vocalizzazione pare più rigoroso e coerente del pre­
cedente. Le due famiglie costituirono due tradizioni differenti di trasmis­
sione testuale.

Lo studio di P. Kahle ( 1 9 4 1 ) sui frammenti dei manoscritti trovati nel secolo


scorso nella Geniza del Cairo ha contribuito a una conoscenza migliore del pro­
cesso evolutivo dei sistemi dì vocalizzazione, benché siano ancora molti Ì proble­
mi irrisolti. Secondo R evdl le discordanze tra la vocalizzazione palestinese e tibe-
nense testimoniano differenti dialetti palestinesi e quindi non possono essere at­
tribuite alle diverse sistematizzazioni dei masoreti.
Gli sforzi dei masoreti e le scrupolose tecniche impiegate nella trascrizione dei
manoscritti permisero una perfetta conservazione e trasmissione del testo conso­
nantico e vocalico, i codia medievali che riproducono il testo della tradizione ben
Asher sono quattro:
il codice di Aleppo, utilizzato come testo base per la nuova edizione dell’Uni­
versità Ebraica di Gerusalemme e ritenuto da Goshen Gottstein un autentico ben
Asher. Il testo è databile al 980 ca. Secondo Dotan la vocalizzazione della masora
e del testo stesso non si corrispondono. Differisce in alcuni punti dalla tradizione
ben Asher e contiene talvolta letture di ben Ne frali. N on si può quindi escludere
che si tratti di una copia e non di un autentico testo ben Asher;
il codice dì Leningrado (B 19 * }, del 10 0 8 -10 0 9 , accoglie anch’esso lezioni ben
Neftali, di conseguenza è impossibile considerarlo un testo «puro» ben Asher;
il codice del Cairo contiene solamente il testo dei Profeti anteriori e posteriori.
Il colophon informa che venne scritto e annotato da Moshe ben Asher nell’ 89 5.
Tuttavia Kahle ne mise in dubbio la purezza testuale.
Questi tre codici e il ms. Or. 4 4 4 5 del Rritish Museum, contenente soltanto il
testo di Gen. 3 9 ,2 0 - Deut* 1 ,3 3 , sono oltretutto i manoscritti più antichi e com­
pleti conservati. DelPxi secolo e seguenti rimangono diversi manoscritti, i quali
tendono tuttavia a distanziarsi dal testo ben Asher e a incorporare lezioni miste,
soprattutto della tradizione di ben Neftali. A questa tradizione appartengono i tre
Il testo ebraico e aramaico dell’A.T. 399

manoscritti conosciuti come Codices Erfurtenses. I manoscritti yemeniti hanno


conservato fino a oggi l’uso del sistema di puntazione babilonese, benché conta­
minato da elementi tiberiensi. La piu ampia collezione di manoscritti ebraici è
quella denominata Firkowuch di Leningrado.

Bibliografia. Ch.D . Ginsburg, Introductìon to thè M assoretico-Crìtical Rdition o f


thè H ebrew B ib le , London 1 8 9 7 , rist. N ew York 19 6 6 ; M . Orlinsky, «The Mas-
soretic text. A Criticai Evaluation», Prolegom eni7 all’opera precedentemente cita­
ta di Ginsburg; P. Kahle, Masoreten des Osfews, Leipzig 1 9 1 3 ; Idem, Masoreten
des Westens, Stuttgart 1 9 3 0 ; Idem, The Cairo G eìiiza , O xford * 19 5 9 ; M . Goshen-
Gottstein, The Autority o f thè A leppo C o d e x : Textus 1 (19 6 0 ) 1 7 - 5 8 ; Idem, H eb ­
rew Manuscripts. Their H istory and Their Place m thè H U B P E d itio n : Bib 48
(19 6 7) 2 4 3 -2 9 0 ; F. Perez Castro, E l Còdice de Profetas de E l C airo , Madrid
1 9 7 9 ; I, Yeivin, Introductìon to thè Tiberian M asorah, Chico, Cai. 19 8 0 ; A . Diez
M acho, Manuscritos bebreos y arameos de la Bìbita , Rom a 1 9 7 1 ; B. Chiesa,
L'A n tico Testamento Ebraico secondo la tradizione p a le s tin e s e , Torino 1 9 7 8 ;
E J . Revell, Biblical Texts unth Palestìnian Pom ting and Their Accentsy Missoula,
M ont. 1 9 7 7 ; L. Diez M enno, L a Bibita babilonica , M adrid 1 9 7 5 ; G .E. W ed, La
Massorah: R E J 1 3 1 (19 7 2 ) 5 -10 4 .

4. Il testo consonantico ( j 0-150 d.C.)

Il testo consonantico tramandato dai manoscritti medievali risale alla fine


del I e gli inizi del 11 sec. d.C., periodo in cui venne stabilito in forma de­
finitiva il testo consonantico ebraico, che doveva rimanere invariato nel
tempo. Allora venne definito anche il canone dei libri biblici, con esclu­
sione di quelli dichiarati apocrifi. Nel contempo si avviò una grande rac­
colta di testi legali, che doveva presto cristallizzarsi nella Mishna. L ’im­
pegno di costituire un canone di libri ispirati, di fissare il testo di ciascun
libro e di formare un corpus di interpretazioni giuridiche autorizzate ri­
spondeva alla necessità del giudaismo di riconsolidarsi dopo la catastrofe
sofferta nel 70 con la distruzione del tempio di Gerusalemme. La base di
questa restaurazione era il libro sacro. La figura che maggiormente con­
tribuì a quest’opera di restaurazione del giudaismo fu r. Aqiba, martiriz­
zato nel 13 2 . I suoi rapporti con la seconda rivolta giudaica (13 2 -13 5
d.C.) sono significativi, poiché a questa vengono riportati anche i mano­
scritti del WàdI Murabba'at e di Nahal Hcver (presso il Mar Morto),
i quali presentano un testo omogeneo, sorprendentemente identico al te­
sto fissato in quest’epoca e trasmesso successivamente dai masored, Que­
sti manoscritti riflettono l’apice di un processo di fissazione dei testo con­
sonantico iniziato già prima della distruzione di Gerusalemme (70 d.C.).
Fino alla scoperta dei manoscritti di Qumran si pensava che Gamaliel
li e gli altri rabbi, riunitisi a Jamnia alla fine del 1 sec. d.C., si fossero
proposti primariamente di fissare il canone dei libri sacri, di risolvere i
400 Testo e crìtica testuale dell’A.T,

dubbi esistenti sulla canonicità dei libri di Ezechiele e del Cantico dei
cantici e di decidere la sorte dei libri apocrifi. Ora sappiamo che tutto
questo lavoro non giunse a termine nel breve tempo di una riunione come
quella di Jamma, ma rappresentò un processo più lungo e non concluso
fino airinizio del il secolo. Tale processo implicò inoltre, e in modo par­
ticolare, il lavoro di fissazione del tipo di testo in cui si doveva trasmette­
re ogni libro biblico. I rabbi non operarono, come si pensava un tempo,
amalgamando più testi, selezionando le varianti più comuni, ma, tra le
diverse forme in cui i! testo veniva trasmesso prima del 70, scelsero più o
meno in loto il tipo di testo protomasoretico.
11 processo di fissazione testuale intrapreso alla fine del 1 sec. d.C. ebbe le sue pre­
messe nelPepoca precedente. B.J. Roberts ha avanzato l’ipotesi dell’esistenza di
«una recensione masoretica» anteriore al 1 sec. d.C. La tradizione dei rnasoreti
trasmette una forma testuale già esistente prima del 70. N e è prova il fatto che il
secondo manoscritto di Isaia rinvenuto nella grotta x di Qumran (1 Q Isb) mostra
una sorprendente coincidenza con il T .M . sia nel testo sia nell’ortografia; le diffe­
renze tra 1 Q lsb e il T .M . non sono maggiori di quelle presenti nei manoscritti
ebraici medievali di tradizione masoretica.
L ’esistenza di una forma già consolidata del testo della Torà in epoca prece­
dente all’apparizione del cristianesimo è confermata anche da altri dati. 1 passi di
Deut. 1 7 , 1 7 - 1 8 e Gios. 1,8 comportano che, molto prima della costituzione del
canone dell’ À .T ., il testo della Torà avesse già acquisito un carattere sacro e im­
mutabile. Secondo l’opera rabbinica M idrash Rabba (N u m . 1 1 , 3 ) , nel tempio di
Gerusalemme era conservato un rotolo della ìo r à quale archetipo per la trascri­
zione di altri rotoli. Il Talm ud di Gerusalemme (T alanit 4 ,1) attesta che dal ritor­
no dairesilio nel tempio erano custoditi tre rotoli della T o rà; in caso di divergen­
za tra loro si accettava, come autorizzata, quella lezione in cui due manoscritti
concordavano rispetto al terzo. La Lettera di Aristea ( 1 7 6 -1 7 9 ) e gli scritti di Fi­
lone e Flavio Giuseppe testimoniano ugualmente l’esistenza di un testo più o me­
no autorizzato del Pentateuco. Il panorama testuale esistente all’epoca del cosid­
detto secondo tempio, precedentemente al 70, è tuttavìa molto più vario e ricco
di quanto i dati noti fino a trendanni fa lasciavano supporre.

Bibliografia . S.À . Leiman, The Canon and M asorah o f thè H ebrew Bible, N ew
York 1 9 7 4 ; D. Barthélemy, Les D evancìers d ’Aquila, Leiden 1 9 6 3 ; M .H . Segai,
The Prom ulgation o f thè Auihoritative Text o f thè H ebrew Bible: J B L 7 2 {1 9 5 3 )
3 5 - 4 7 ; M . Greenberg, I he Stabilization o f thè T ext o f thè H ebrew B ible, Re-
view ed in thè Light o f thè Biblical M aterial from thè fudaean D esert : JA O S
7 6 (19 5 6 ) 1 5 7 - 1 6 7 ; B .J . Roberts, The Textual Transmìssìon o f thè O T , in G .W .
Anderson (ed.), Traditìon and InterpreUxtion , Oxford 1 9 7 6 , 1 -3 0 ; D. Barthéle-
my, H istory o f H ebrew T ext , in K. Crim (ed.), The In terp reter s D ictionary of t he
B ible , Supplem enti Nashville 19 7 6 , 8 7 8 -8 8 4 ; B. Albrektson, ReflecUons ori thè
Em ergence o f a Standard T ext o f thè H ebrew Bible: V T S 29 , Leiden 1 9 7 8 , 4 9 ­
6 5 ; J.A . Sanders, Text and Canon: Concepts an d M ethod: JB L 98 (19 79 ) 5 2,9;
D. Barthélemy, L ’état de la B ible juive depuis te début de notre ère ju squ ’à la
Il testo ebraico e aramaico delPA.T. 401

deuxième révolte contre Rome ( 2 3 1 - 2 3 j ) , in J.D . K aestly - 0 . W erm elin g er


(edd.)j Le G mon de l’A.T. Sa formattati et son histoire , G enève 1984, 9-45,

5. Pluralismo testuale ebraico (300 a.C. - jo d.C.)

Il ritrovamento, a partire dal 1947, dei manoscritti di Qumran, anteriori


più di un millennio rispetto ai codici masoretici, consentì la scoperta di un
panorama fino ad allora insospettato. Il Pentateuco samaritano e la ver­
sione greca dei L X X erano, in sostanza, le due uniche fonti importanti
che, fino a qualche decennio fa, potevano fornire informazioni attendibili
sull’esistenza di varianti consonantiche in epoca precedente al 70. Le te­
stimonianze successive a questa data non riflettono che varianti isolate,
sfuggite al processo di uniformazione del testo avviatosi alla fine del 1
sec. d.C. Varianti di questo tipo, d’importanza spesso limitata, ricorrono
in citazioni rabbiniche, nelle versioni di Teodozione, Aquila e Simmaco,
nel testo esaplare di Origene (nella colonna Quinta e nelle trascrizioni
della seconda), nella Volgata, Peshitta e targumim, e nei manoscritti
ebraici medievali. Le citazioni bibliche riscontrabili nei libri apocrifi, nella
letteratura giudeo-ellenistica e nel N.T. offrono un numero molto mode­
sto di varianti.
Se il ritrovamento dei manoscritti di Isaia della grotta 1 di Qumran de­
stò l’impressione di una sorprendente coincidenza tra il testo di questi
manoscritti e il testo masoretico posteriore, 1 manoscritti rinvenuti piu
tardi, soprattutto nella grotta 4, rivelarono l’esistenza di testi caratteriz­
zati da grandi divergenze tra loro e rispetto al T.M . I manoscritti qumra-
nici coprono la totalità dei libri del canone ebraico, con la sola eccezione
del libro di Ester. Per alcuni libri, come nel caso di Samuele, qualche ma­
noscritto offre un tipo di testo analogo a quello rappresentato dalla ver­
sione greca dei LX X . Taluni manoscritti offrono anche punti di contatto
con il Pentateuco samaritano. Manoscritti di uno stesso libro, come quel­
lo di Geremia, possono presentare forme testuali molto differenti. Non si
deve tuttavia dimenticare che la stragrande maggioranza dei manoscritti
attesta numerosi casi di corruzione testuale. Si tratta, per di più, di testi
trasmessi da uno dei tanti gruppi socio-religiosi allora esistenti nel giu­
daismo, con tendenza quindi a sviluppare dottrine proprie, a volte di ca­
rattere settario. Il panorama testuale delineato dai manoscritti qumranici
può quindi risultare parziale e ambiguo. L ’importanza dei manoscritti bi­
blici di Qumran poggia principalmente sulla testimonianza che essi pro­
ducono dell’esistenza di un certo pluralismo testuale nell’età di Transito
dal 1 sec. a.C. al 1 d.C. Tale testimonianza ha inoltre rivalutato quella di
altre fonti, come la versione dei LX X , già conosciute, ma il cui valore era
posto in discussione almeno da alcune correnti delia critica.
a) I manoscritti del Mar Morto

Prima dì affrontare la problematica e le prospettive aperte dai manoscrit­


ti d? Qumran è necessario descriverne e valutarne in breve i più impor­
tanti. Antecedentemente al 1947 Punico testo prernasoretico noto era il
papiro Nash (11 sec. a.C.), contenente un testo misto del decalogo secondo
Es. zo e Deut. 5 e, inoltre, il testo dello Shema\ Il papiro presenta alcune
varianti rispetto al T.M .
1 Q Isfl. Fu il primo manoscritto srotolato e pubblicato (Burrows, 19 5 0 ). Attual­
mente si trova a! Museo del Libro di Gerusalemme. Contiene il lesto completo di
Isaia in 54 colonne di lunghezza disegnale, con una media di 30 linee per colon­
na. Presenta una suddivisione in sezioni diversa da quella conosciuta dal T .M . La
sua ortografia si caratterizza per il frequente uso della scrittura piena. È probabil­
mente opera di un solo copista; la prima metà (Js. 1 -3 3 ) contiene un testo meno
corrotto della seconda. Un copista successivo inserì, a margine o tra le righe, di­
verse correzioni e lezioni armomzzatnci. La maggior parte delle correzioni costi­
tuiscono accostamenti al T .M . Talune differenze sono significative; ne è un esem­
pio 4 3 ,4 . Accanto a varianti che costituiscono errori e corruzioni testuali, sì tro­
vano lezioni che riproducono un testo preferibile al T .M . e altre che hanno con­
fermato congetture suggerite dai critici moderni (esempi in 3 , 1 4 ; 1 4 ,4 .3 0 ; 1 5 ,9 ;
2 1 ,8 ecc.).
t z Q Is \ zz sono i frammenti conservati di questo manoscritto, edito da fiuke-

nik nel 1 9 5 4 ; 7 vennero pubblicati p:ù tardi da Barthélemy-Milik. Corrispondono


per la maggior parte ai capp. 38-6 6 , con grandi lacune nella parte inferiore delle
colonne. Secondo Loewinger le varianti rispetto al T .M . sono circa 300, ma la
stragrande maggioranza concerne soltanto l ’uso delle matres lectionis waw e jod.
4 Q Sam abc. Nella grotta 4 furono ritrovate tre copie del libro di Samuele, insie­
me a frammenti degli altri libri storici. Presentano un tipo di tesio diverso dal
T .M . e simile a quello dei L X X . Sam b è il documento più antico di Qumran.
Cross lo data intorno alla fine del in sec. a.C. Il suo testo, contrassegnato da una
scrittura difettiva, corrisponde a un'epoca primitiva nell’evoluzione della tradi­
zione testuale palestinese. In taluni casi tramanda lezioni antiche molto impor­
tanti. II secondo manoscritto, 4 QSajnJ, conserva un’ampia porzione del testo. La
frequente concordanza di questi manoscritti con il testo dei L X X conferma l’ori­
gine ebraica di molte varianti della versione greca.
4 Q Exod E di epoca erodiana. M ostra affinità con il Pentateuco samaritano e
con i L X X . Oltre al testo conservato ( 6 ,2 5 - 3 7 ,1 5 ) è possibile ricostruire il mate­
riale e l’ordine di 24 colonne corrispondenti a 6 .2 5 - 1 8 ,2 1 e 2 8 ,3 9 -3 2 ,3 0 . Il tipo
di scrittura e paleoebraica; l’ortografia differisce da quella del Pentateuco sama­
ritano e del T .M .; è affine, viceversa, a quella di 3 Q Is3. La sua caratteristica più
saliente è il grado di coincidenza con il testo non tnasoretico del Pentateuco. In
genere le sue lezioni sì avvicinano a quelle della versione dei L X X , come nel caso
dei settantacinque discendenti di Giacobbe,
1 QLev. Contiene i capp. 19 -2 3 del Levitico. Il tipo di scrittura paleoebraica
sembra indicare qualche relazione con il Pentateuco samaritano. Tuttavia il testo
Il testo ebraico e aramaico dell’A T , 403

risulta affine a quello de! T .M . La data del manoscritto è incerta. Se la scrittura si


rivelasse prearamaica, il manoscritto risulterebbe tra i più antichi trovati a Qum-
ran, risalendo al iv o al 111 sec. a.C. M a la scrittura può anche essere arcaicizzan­
te, cosa che d’ altra parte implicherebbe che, nonostante la Mishna (Jaddjim 4,5) e
il Talmud (hZebahim 6 za; bShabbat i i 5 b ) proibissero l’uso della scrittura pa­
leoebraica nella trascrizione del testo sacro, tale scrittura continuava a essere in
uso in queste epoche molto tarde. Ciò conferma l’opinione secondo cui 1 due alfa­
beti coesistettero per secoli, fino a era cristiana assai avanzata, benché non godes­
sero di ugual prestigio.
Sul manoscritto Jer 0 v. sotto, b ; sui manoscritti 4 Q paleoExod"1, 4 Q E x o d b, 4
Q N u in b, 4 QDeut e 4 QDeut4, v. sotto, 6.

Riassumendo, delTinsieme dei manoscritti del Mar Morto alcuni testimo­


niano un testo molto vicino a quello dei masoreti, altri confermano l'esi­
stenza di un testo ebraico del tipo di quello sotteso alla versione greca dei
LX X , altri ancora mostrano una certa affinità con il Pentateuco samari­
tano. D'altra parte non sì devono dimenticare le caratteristiche proprie di
ciascun manoscritto e le linee di tradizione autonoma che ciascuno ha
potuto seguire. Per molti secoli circolarono testi ebraici molto diversi.
Questa situazione cedette il passo, alla fine del 1 sec. d.C., a un'altra
estremamente diversa, con la costituzione di un testo consonantico uni­
forme e inalterabile. La storia del testo consonantico e della fissazione
vocalica segnano il passaggio da una situazione di pluralismo a un’altra
di uniformità testuale.
Bibliografìa . M . Burrows - J.C . Trever - W .H . Brownlee, The Isatah Manuscript
and thè Habakkuk Commentar}*, N ew Haven 1 9 5 0 ; E.L. Sukenik, The DeadSea
Scrolls o f thè Hebrew University t Jerusalem 1 9 5 5 ; si veda la pubblicazione di
manoscritti nella serie Discoveries in thè Judaean Desert, O xford 1 9 5 ? ; Y. Ya-
din, The Ben Sira Setoli frani Masada, Jerusalem 19 6 5 ; F .M . Cross, The Old
Testament at Qumràn^ in The Ancient Library of Qumràn and M odem Biblical
Studies, Grand Rapids, Mich. 19 8 0 , 1 6 1 - 1 9 4 ; J-T . M ilik, Diez anos de descub*i-
mientos en el desierto de Juda, M adrid 1 9 6 1 ; A , Gonzàlez Lam adrid, Los descu-
brimtentos del Mar Muerto , M adrid 1 9 7 1 ; P.W. Skehan, Qumràn , iv. Littérature
de Qumràn , A . Textes bibhques , DBS ix (19 7 9 ), 8 0 5 -8 2 2 ; E .Y . Kutscher, The
Language and Linguistic Background o f thè Isaiah Setoli (1 Leiden 1 9 7 4 ;
G. Vermes, The Dead Sea Scrolls. Qumràn in perspective , London 1 9 7 7 ; E. Tov,
Hebrew Biblical Manuscripts from thè Judaean Desert. Their Contributìon to
Textual Criticismi JJS 49 (19 8 8 ) 5 -3 7 ,

b) / testi locali

F.M. Cross ha determinato la tipologia e la cronologia relativa della


scrittura dei manoscritti qumranici. Ha poi formulato la cosiddetta teoria
dei «testi locali», con cui tenta di spiegare il pluralismo testuale caratteri­
404 T e s t o e c r it ic a te stu a le d e ll’ A / L

stico dei secoli precedenti la nuova era. Secondo P. Kahle questa diversità
era dovuta alla proliferazione di alcuni testi detti «volgari», molto infe­
riori per qualità al ridotto numero di altri manoscritti considerati «eccel­
lenti». A giudizio di Cross la pluralità di testi manifestata dai manoscritti
di Qumran non è tanto caotica come suppone la teoria dei testi «volga­
ri», ma e riducibile a tre soli tipi o forme testuali, la cui omogeneità e
persistenza nel corso dei secoli si spiegano con fattori d'isolamento geo­
grafico. Ognuno dei tre tipi testuali si sviluppò separatamente in uno dei
grandi centri del giudaismo: Palestina, Egitto e Babilonia.
Il tipo palestinese, rappresentato da alcuni manoscritti di Qumran e dal Pentateu­
co samaritano, è caratterizzato da! frequente inserimento di glosse e lezioni paral­
lele e altre tacce di un’intensa attività editoriale. Il tipo egiziano, costituito dall’o­
riginale ebraico dei L X X , non è cosi ampio come il palestinese né tanto breve co­
me il babilonese. Quest’ultimo, rappresentato dal testo (proto)masoretico, offre
per il Pentateuco un testo conservatore e spesso ben conservato, breve e con po­
che tracce di modernizzazione, anche se in Samuele risulta essere un testo apio­
grafico e sovente corrotto. Il libro di Geremia è stato trasmesso in due forme te­
stuali: 1. un testo ampio, tipicamente palestinese, corrispondente al tipo pioto-
masoretico, rappresentato da 4 Q Jera (fine in sec. a.C.) e da 4 Q JerL (non anterio­
re alla fine del 1 sec. a.C .); 2. un testo più breve coincidente con quello sotteso alla
versione dei L X X , rappresentato da 4 Q Jerb.
Vari autori, tra i quali S. Talm on e D. Barthélemy, hanno avanzato obbiezioni
alla teoria dei testi locali proposta da Cross. Di una possibile attività letteraria
dei giudei in Babilonia nel periodo intercorso tra Esdra e Hillel non si sa nulla.
Poco è noto anche dell’impiego di testi in ebraico da parte dei giudei in terra d’E ­
gitto. D ’ altra parte la traduzione dei L X X non fu condotta interamente in Egitto,
né su testi ebraici di provenienza egiziana. La versione del Pentateuco venne ese­
guita in Egitto; quella dei Salmi, di Samuele-Re e di Ester, invece, in Palestina.
N on è facile spiegare come una comunità tanto chiusa in se stessa, quale quella
degli esseni di Qunuan, potesse disporre nel corso dei secoli di testi di provenien­
za tanto disparata, come suppone la teoria dei testi locali.
Bibliografia. F . M . C r o s s - S. T a lm o n ,Qumran and thè H istory o f thè BibHcal
T ext , C a m b r i d g e , M a s s . - L o n d o n 1 9 7 5 ; S . T a l m o n , The O T T ext , in C H B r,
C a m b r i d g e 1 9 7 0 , 1 5 9 - 1 9 9 ; I d e m , The Tbree Scrolls o f thè L a w that w ere fo u n d
in thè Tem pie C ou rt : T e x t u s 2 ( 19 0 1) 1 4 - 2 7 ; C h . R a b m , The D ead Sea Scrolls
and thè H istory o f thè O T T ex t : J T S 6 ( 19 5 5 ) 1 7 4 -1 S ì ; D . B a r t h é l e m y , Etudes
d'histoire du texte de VAncien Testamenti F r i b o u r g - Gòtti n g e n 1 9 7 8 ; E. T o v , A
M odem Textual O utlook Based on thè Qum ran Scrolls: H U C A (19 8 2 ) 1 1 - 2 7 ,

6. Dalla trasmissione del testo


alVedìzione e redazione dei libri biblici

In una situazione d’isolamento un testo assume caratteri e forme peculia­


ri; in una situazione di contatto con testi di altro tipo, taluni risultano
II testo ebraico e aramaico delPA.T. 405

contaminati dagli altri. In entrambi i casi il testo si allontana dai suo ar­
chetipo. In questi primi secoli di trasmissione testuale si formarono le va­
rianti piu importanti dell’A.T. Un fenomeno simile accadde per la tra­
smissione del testo del N.T., le cui varianti più significative risalgono ai
primi due secoli cristiani.
Il panorama testuale, tanto ricco e vario, messo in luce dai manoscritti
di Qumran e attestato anche dalla versione dei L X X , dal Pentateuco sa­
maritano, dalle citazioni bibliche successive ecc., non t spiegabile con la
sola prospettiva della storia della trasmissione del testo. Nel caso di alcu­
ni libri la diversità di forme testuali con cui sono stati trasmessi trova una
spiegazione adeguata soltanto da un’angolazione prospettica più ampia,
comprendente lo studio della storia della redazione letteraria e del pro­
cesso editoriale del libro. È il caso dei libri di Samuele-Re e di Geremia,
Ezechiele, Proverbi, Daniele, Esdra ed Ester. Questi libri ci sono pervenu­
ti in forme letterarie differenti. L ’esempio più lampante è costituito da
Geremia. La divergenza tra il testo masoretico e quello dei LX X di Gere­
mia, sia per l’ampiezza sia per la disposizione dei materiali, trascende
quanto solitamente distingue due tipi di testo (Tov). Le due forme testua­
li, breve (LXX) e lunga (T.M.), di Geremia si cristallizzarono già lungo il
processo di redazione letteraria, anteriormente all’inizio della trasmissio­
ne testuale.
Secondo la reoria dei testi locali, non più tardi del v secolo era disponibile in Pa­
lestina un archetipo (Ur-text) a partire dal quale si originarono i due tipi di testo
babilonese e palestinese; l’egiziano era una derivazione dai palestinese. S, Talmon
suppone, al contrario, che il numero di tradizioni testuali fosse ben maggiore, ma
che esse scomparvero per non essere state accolte da qualche gruppo o comunità,
come fece la Sinagoga per il testo ebraico masoretico, la chiesa con il testo dei
L X X e la comunità samaritana con il proprio Pentateuco.
Sebbene sia certo che, esistendo più testi, maggiore sarebbe il numero delle va­
rianti, il Pentateuco testimoniato dai manoscritti di Qumran è molto omogeneo e
relativamente privo di varianti significative, come pure accade per il Pentateuco
dei L X X . Bisogna distinguere due tappe nella stona del testo palestinese del Pen­
tateuco: la prima corrisponde a una forma più antica, prossima all'originale dei
L X X ; la seconda a un’altra più evoluta, vicina alla recensione samaritana. Per
quanto concerne il libro della Genesi, i testi ritrovali mostrano una (elativa uni­
formità. Per l’Esodo, 4 Q E xo d b costituisce un testo breve; al contrario, 4 Qpaleo
E x o d m, benché databile agli inizi del n secolo a.C ., presenta un testo lungo. 4
Q N u m h, di epoca erodiana, ha per base un testo molto affine a quello dei L X X ,
con interpolazioni di tipo samaritano, 4 QDeut, in scrittura difettiva de! 11 sec.
a.C ., offre tra le righe aggiunte posteriori di un secolo, provenienti da un testo
evoluto sul tipo dei L X X ; ugualmente 4 QDecit1' (Deut. 32) presenta un testo mi­
sto con letture conosciute dai L X X .

La storia della trasmissione del testo dei libri biblici, dal momento della
406 Testo e critica testuale dell'A.T.

loro ultima redazione a quello della fissazione definitiva del testo, corre
parallela alla storia della canonizzazione degli stessi libri sacri. Si tratta,
tuttavia, di due processi diversi e non necessariamente coincidenti. 1 due
momenti hanno una storia molto più estesa di quanto possa aver avuto
luogo a Jamnia alla fine del i sec. d.C., ove si consumò soltanto l’epilogo
di uria lunga storia.
Nel momento in cui un libro assume un carattere sacro nell’ambito di
una determinata comunità, la sua forma letteraria diviene stabile e non
ammette più cambiamenti sostanziali nella sua redazione letteraria. Il
processo di cristallizzazione letteraria del Tetrateuco culminò nell’epoca
delPesilio e immediatamente dopo il ritorno (vi sec. a.C.). Allora a questo
Tetrateuco si aggiunse anche il Deuteronomio, nel momento stesso in cui
si formava il corpus letterario della cosiddetta storia deuteronomistica
(Deuteronomio con Giosuè-Re). Poco dopo si formò la collezione dei li­
bri profetici, che giunse a comprendere i testi dei cosiddetti «Secondo Isa­
ia» e «Terzo Isaia», di Gioele e di Giona, e dei tre ultimi profeti, Aggeo,
il primo Zaccaria (capp. i-8) e Malachia.
A partire da quest’epoca si avvia il processo di trasmissione testuale,
durante il quale, nonostante le accurate tecniche di copiatura dei mano­
scritti, si introducono ancora nel testo di ciascun libro numerose varianti
e corruttele di ogni tipo. In questo periodo coesistono di uno stesso libro
anche recensioni molto diverse, suscettibili di reciproca contaminazione.
È il caso dei libri di Samuele e di Geremia, dei Re in rapporto alle Crona­
che, o delle raccolte piu o meno estese del libro dei Salmi (4 QPs1 e 1 1
QPsJ comprendono salmi apocrifi; 4 QPsabt presenta 1 salmi in un ordine
differente).
D ’altra parte alcuni libri in seguito rifiutati come apocrifi potevano es­
sere considerati, quantomeno da alcuni gruppi giudaici, altrettanto o più
sacri di quelli in seguito accolti nel canone. Questo spiega la presenza a
Qumran di 17 copie del libro dei Giubilei e di io di Enoc, mentre si co­
nosce soltanto una copia delle Cronache e di Esdra, nessuna di Ester.
L’Ecclesiastico, escluso dal canone ebraico, a Qumran era conosciuto.
Con il tempo non poteva non avviarsi un processo di delimitazione del
canone dei libri sacri e di reazione alla pluralità dei testi, spesso molto
corrotti, circolanti nei diversi ambienti e luoghi. Questo duplice processo
culminò - intorno alla fine del 1 e agli inizi 11 secolo d.C. - nella fissazio­
ne definitiva del canone ebraico, nell’esclusione dei cosiddetti apocrifi e
nella costituzione di un determinato tipo di resto consonantico per ogni
libro accettato nel canone.
Nel complesso l’omogeneità della tradizione e la fedeltà nella trasmis­
sione testuale sono maggiori nei libri del Pentateuco, decrescono nei Pro­
feti e si fanno assai più esigue in alcuni degli Scritti. La redazione di que­
Il testo ebraico e aramaico dell’A.T, 407

sti ultimi è più tarda e la loro considerazione come libri sacri fn inoltre in
parte contrastata.
Bibliografia. D . B a r t h é i e m y , Uenchevètrement de Vbistoire textuelle et de Im s -
toire littéraire dans les relatìons entre la Septante et le Texte Massorétique , in A .
P ie t e r s m a - C . C o x (e d d .), De Septuaginta. Studies in Honour o f J.W . Wevers,
M is s is s a u g a , O n t. 1 9 8 4 , 1 9 - 4 0 ; D . B a r th é le m y - D .G . G o o d in g - J . L u s t - E . T o v ,
The Story o f David and Goliath . Textual and Literary Criticismi F r e i b u r g - G o t -
t in g e n 1 9 8 6 ; J . D . S h e n k e l, Chronology and Recensional Development in thè
Greek Text ofK ings, C a m b r i d g e , M a s s . 1 9 6 8 .

7. Il Pentateuco samaritano

Il testo del Pentateuco samaritano è più esteso di quello del testo masore-
tico. Introduce spesso frasi come quella successiva a Gen. 30,36, tratta da
3 1 , 1 1 - 1 3 . Nel colloquio di Mose con il faraone intercala discorsi di Dio a
Mosè. Integra passi dei Numeri con altri del Deuteronomio, e viceversa.
Introduce chiarimenti al testo con aggiunte e ripetizioni continue di paro­
le o frasi.
Alcune lezioni riflettono la teologia samaritana. Il luogo scelto da Jah-
vé è il monte Garizim, non Sion a Gerusalemme. Come parte del decimo
comandamento il Pentateuco samaritano introduce, dopo Es. 2 0 ,17 , una
glossa basata su 27,2-7 e 1 1 ,3 0 per riaffermare il comando divino di co­
struire un altare sul Garizim.
Il testo samaritano mostra caratteristiche morfologiche e sintattiche
proprie. La sua grafia, caratterizzata da un uso generalizzato di matres
lectionis, risale all’epoca asmonea. La scrittura samaritana cominciò a
differenziarsi dalla paleoebraica in questo stesso periodo. Approssimati­
vamente le varianti del Pentateuco samaritano rispetto al T.M . sono circa
6000. In 19 00 casi circa esso concorda con i L X X rispetto al testo maso-
retico, benché generalmente si tratti di varianti poco significative. Nel-
Pinsieme il Pentateuco samaritano concorda più con il testo masoretico
che con i LX X . Differisce da entrambi, ad esempio, per i dati sull’età dei
patriarchi antediluviani (Gen. 5 ,19 -3 1) e sulla discendenza di Sem (Gen.
1 1 ,1 0 - 2 6).
Il Pentateuco samaritano non fu conosciuto fino al 16 16 , quando Pie­
tro della Valle ne trovò una copia a Damasco. Le poliglotte di Parigi e di
Londra ne riprodussero il testo. Si giunse a pensare che la sua fedeltà
all’originale fosse maggiore di quella del T.M . Ma, nel 18 1 5 , H.F.W. Ge-
senius gli negò, quasi interamente, qualsiasi valore critico, spiegando un
gran numero delle sue varianti come corruzioni o interpolazioni effettua­
te sulla base di un testo giudaico. Geiger, più tardi, affermò che il Penta­
teuco samaritano costituiva una delle tradizioni testuali scartate dai rab­
408 Testo e critica testuale delPA.T.

bi nel i sec. d.C. Per Kahle il Pentateuco samaritano rappresenta una delle
tradizioni «volgari»; a suo parere, le coincidenze tra esso e i LX X sono
imputabili al fatto che le prime traduzioni greche vennero condotte su te­
sti ebraici «volgari», com’è quello del Pentateuco samarnano. La scoperta
a Qumran di testi aflìni alla tradizione testuale protosamaritana ha ap­
portato nuovi elementi atti a spiegare il rapporto tra il Pentateuco sama­
ritano, il T.M . e i LX X . Secondo la teoria dei testi locali, il Pentateuco sa­
maritano esprime la tradizione testuale palestinese, dalla quale deriva
quella egiziana, rappresentata dai LX X . Le divergenze tra il Pentateuco
samaritano e il T.M . - il primo è più sviluppato nel testo e nella grafia -
sono riconducibili alle rispettive tradizioni testuali, palestinese la samari­
tana e babilonese la masoretica. D’altra parte le coincidenze tra ì due te­
sti lasciano intendere che il samaritano venne rielaborato sulla base di un
testo di tradizione babilonese; ciò si deve collocare in un periodo anterio­
re allo scisma tra samaritani e giudei.
A giudicare dai dati testuali, paleografici e ortografici, la redazione del
Pentateuco samaritano non precede il periodo asmoneo (n sec. a.C.). I
manoscritti di Qumran, i papiri di Samaria del WàdI ed-Dàliye e gli scavi
effettuati a Sichem (Teli Balatah) e sul monte Garizim (Tel cr-Ras) sono
giunti a provare che la formazione della setta samaritana prese avvio in
questa stessa epoca, contrariamente alle precedenti ipotesi fondate sulla
testimonianza di Giuseppe.
Da citazioni di Gerolamo sappiamo dell’esistenza di una versione greca
del Pentateuco samaritano, denominata Samarìtanicon, talvolta più fede­
le al testo dei L X X che allo stesso Pentateuco samaritano. La versione
aramaica fu pubblicata nella Poliglotta di Walton. Il codice piu antico e
completo del Pentateuco samaritano è del 1 1 4 9 - 1 1 5 0 (Cambridge). La
prima edizione a stampa fu quella della Poliglotta di Parigi (1632). L ’edi­
zione dì V. Gali, di carattere eclettico (19 14 -18 ), e stata la pm utilizzata.
Bibliografia. A .F . V o n G a li, Der hebrdische Pentateuci? der Samaritaner, G i e s s e n
1 9 1 4 1 9 1 8 (ris t. 1 9 6 6 ) ; F . P é r e z C a s t r o , Sefer Abisa\ M a d r i d 1 9 5 9 ; P . W S k e -
h a n , Exodus in thè Som antan Recenston from Qumran : JB L 7 4 ( 1 9 5 5 ) 1 8 2 * 1 8 7 ;
B.K. W a l t k e , The Samaritan Pentateuch and thè Text o f thè OT, in N ew Per-
spectives on thè O T , 1 9 7 0 , 2 1 2 - 2 3 9 ; R . T . A n d e r s o n , Samaritan Pentateuch: Gen­
eral Account, in A . D . C r o w n ( e d .) , The Samaritana, T u b i n g e n 1 9 8 9 , 3 9 0 - 3 9 6 ; E .
T o v , Proto-Samarìtans Texts and thè Samaritan Pentateuch , in A . D . C r o w n , op.
cit., 3 9 7 - 4 0 7 ; S . N o j a , The S a m a r e i t i k o n , in A . D . C r o w n , op. cit., 4 0 S - 4 1 2 .

II. L A V E R S I O N E G R E C A D E I L X X

La versione dei LX X rappresenta il primo esempio di traduzione di un in­


tero corpus di letteratura sacra, legale, storica e poetica di un popolo e di
La versione greca dei L X X 409

una lingua del mondo culturale semitico nella lingua della cultura classica
greca. Con i manoscritti del Mar Morto, inoltre, costituisce la più ricca e
importante fonte di dati per Panatisi critica del testo della Bibbia ebraica
e per lo studio delle idee teologiche e dell esegesi del giudaismo alessan­
drino e palestinese. La traduzione dei L X X acquisisce ulteriore importan­
za dal fatto che i primi cristiani e gli autori degli scritti neo testamentari
vi trovarono un arsenale di termini e concetti per esprimere la nuova lede
cristiana. Essa funge quindi da tramite tra i due Testamenti, com’è rileva­
bile dalle citazioni neotestamentarie deìl’A.T.
La versione dei LX X fu compiuta ad Alessandria, probabilmente intor­
no alla metà del m sec. a.C., durante il regno di Tolemeo 11 Filadelfo (285­
247 a.C.). Secondo l’apocrifa Lettera di Aristea, su richiesta del sovrano
il sommo sacerdote Eleazaro inviò 72 saggi da Gerusalemme, 6 per ogni
tribù d’Israele, incaricati di tradurre la Torà ebraica per la biblioteca di
Alessandria. In realtà questa lettera è una favola storica, molto imprecisa
su certi dati, scritta da un giudeo alessandrino nella seconda metà del n
secolo o ancora più tardi. Benché non sia possibile escludere la motiva­
zione addotta da Aristea, è più probabile che la traduzione greca abbia
avuto origine da un’esigenza avvertita nella stessa comunità giudaica di
Alessandria: la necessità di disporre di una traduzione greca della Torà
per uso liturgico e giuridico.
La designazione «versione dei LXX» in principio si riferiva solo alla
traduzione del Pentateuco. Gli altri libri vennero tradotti più tardi, fino
al completamento della Bibbia greca intorno alla metà o, al massimo, alla
fine del 11 secolo. Oltre ai libri del canone ebraico, la Bibbia greca com­
prende, con variazioni da un manoscritto all’altro, le opere seguenti: 1
Esdra, Sapienza, Ecclesiastico, Giuditta, Tobia, Baruc, Lettera di Geremia
e r-2 Maccabei. In alcuni libri del canone ebraico i L X X inseriscono nuo­
vi testi: le aggiunte al libro di Damele, ad esempio. Il testo greco di Ester
ha un’estensione doppia rispetto a quello ebraico. Alcuni manoscritti dei
L X X fanno seguire alla fine dei Salterio vari altri inni.
La Bibbia greca raccoglie versioni di autori diversi, di qualità molto va­
ria. Non tutti i libri tu tono tradotti in Egitto. In generale, tuttavia, la ver­
sione dei L X X è un’opera di qualità, piu letterale in alcuni libri, maggior­
mente libera in altri.
Bibliografia . H .B . S w e re , An Introduciion to thè O T in Greek , C a m b r i d g e 1 9 0 2 ,
2 J e d . r iv . d a R . R . O t t l e y 1914; S . J e lli c o e , The Septuagint and Modem Study ,
O x f o r d 1 9 0 8 ; N . F e r n à n d e z M a r c o s , Introducción a las versiones grìegas de la
Bibita, M a d r i d 1 9 7 9 ; S. J e l l i c o e ( e d .) , Studies in thè Septuagint: Origins , Recen-
sions, and Interpretatwns , N e w Y o r k 1 9 7 4 ; P. W a l t e r s , The Text o f thè Septua­
gint. Its Corrupttons and Their Emendation , C a m b r i d g e 1 9 7 3 ; S .P . B r o c k , A
Clas&ified Bibliography o f thè Septuagint, L e id e n 1 9 7 3 .
j . Edizioni moderne (XIX e X X secolo)

Le moderne edizioni dei L X X hanno seguito due diversi metodi. L ’edizio­


ne di Cambridge {The O T in Greek . . . 5 edd. Brooke-McLean-Thackeray,
1906-1940) segue la tradizione di Holmes-Parsons. Riproduce fedelmen­
te il testo di un solo manoscritto, il codice Vaticano (B). Nell’apparato
critico raccoglie le varianti della tradizione manoscritta e altre di versioni
affini e di citazioni patristiche. Non esprime giudizi sul valore delle va­
rianti. L’edizione manuale dì Swete segue questo criterio, riproducendo
anch’essa il testo B (The Old Testament in Greek, 1887-1894).
L ’edizione di Gottinga, intitolata Septuaginta. Vetus Testamentam
Graecum Auctoritate Societatis Academìae Litterarum Gottingensis Edi-
tum (Gòttingen 19 31-), segue i principi e i metodi stabiliti da Lagarde.
Classifica i manoscritti secondo famiglie recensionali, esprimendo poi un
giudizio sulle loro varianti, fino a stabilire e a pubblicare un testo critico
corrispondente a quello della versione greca originale. L ’edizione critica
manuale di A. Rahlfs poggia sostanzialmente sui codici Vaticano, Sinaiti­
co e Alessandrino, e raccoglie anche le varianti recensite da Origene, Lu­
ciano e nelle Catenae (Septuaginta, id est Vetus Testamentum Graece lux-
ta L X X interpreteS) Stuttgart 1935).

z. Prime edizioni a stampa (XVI e X V I I secolo)

L 9editto princeps dei L X X è quella della Poliglotta Complutense del Car­


dinal Cisneros ( 15 14 - 15 2 1) . Su di essa si basano le successive poliglotte
di Anversa, Heidelberg, Amburgo e Parigi. Alcuni manoscritti utilizzati
nella Complutense rivelano un testo lucianeo. L’edizione Aldina di Vene­
zia (15 18 ), coeva della Complutense, offre un testo di valore critico infe­
riore. Nel 1586 fu pubblicata a Roma, su incarico di Sisto v, la Bibbia
«Sistina». La sua importanza risiede nell’utilizzazione, per la prima vol­
ta, del codice Vaticano (B) quale testo base per l’edizione. Quasi tutte le
edizioni posteriori si basarono sulla Sistina e sul codice B, tra queste la
Poliglotta di Londra o di Walton (1657) e l’edizione di Holmes-Parsons
(1788). In quest’ultima sì presentò la prima grande raccolta di varianti
testuali. L ’edizione di Grabe del 17 0 7 -17 2 0 poggia sul codice Alessandri­
no (A) ed è già un tentativo dì edizione critica, con indicazioni sui testi
esaplari e sui passi privi di corrispondenze nel testo ebraico masoretico.

3 . 1 testi manoscritti

I codici dei LX X si classificano in onciali e corsivi o minuscoli. Il valore


di un manoscritto non dipende, tuttavia, dal tipo di scrittura. I mano­
La versione greca dei L X X 4 11

scritti corsivi, benché più recenti, possono ospitare forme testuali non
conservate negli onciali. È il caso della tradizione testuale lucianea nei li­
bri di Samuele-Re, conservata unicamente nei minuscoli b o cz ez.
I più importanti manoscritti onciali sono i già citati Vaticano (B) del tv
secolo, Sinaitico degli inizi del iv secolo, entrambi redatti in Egitto o a
Cesarea, e Alessandrino (A) del v secolo, proveniente dall’Egitto. Il ritro­
vamento di nuovi frammenti di manoscritti ha portato a una migliore co­
noscenza della storia della versione dei L X X nelle sue prime fasi. Tra
questi frammenti segnaliamo il papiro Rylands 458 del 11 o 1 sec. a.C.,
con testi del Deuteronomio, i frammenti di Qumran 4 Q LX X Lev3 del 11
sec. a.C., 7 Q LXXExod del 11 o 1 sec. a.C., 4 Q LXX Levb e 4 Q LXXNum
del 1 sec. a.C. o 1 d.C. e i papiri Chester Beatty del 11 sec. d.C. con fram­
menti dei Numeri e del Deuteronomio.
Alla tradizione manoscritta dei codici e papiri dei L X X occorre ag­
giungere le citazioni di questa versione presenti nel N .T., negli scritti di
Filone, di Flavio Giuseppe e dei Padri greci.
Bibliografia. A. Rahlfs, Verzeicbnis der griechìschen Handscbriften des Alten Te -
stamentSj Berlin 1 9 1 4 ; J. O'CalIaghan, Lista de los papiros de los L X X : Bib 56
(1 9 7 5 ) 7 4 -9 3 ­

4. Teorie sulla storia del testo


e suWorigine della versione dei L X X

Per spiegare la storia delle origini dei L X X sono state avanzate due teo­
rie. Secondo P. de Lagarde (f 18 9 1) tutti i codici conservati dei L X X de­
rivano dalle tre recensioni conosciute dalla tradizione (Origene, Esichio e
Luciano). Il primo impegno della critica testuale sarà, di conseguenza, l’i­
dentificazione del testo di ognuna di queste recensioni. Le citazioni dei
Padri, come le versioni derivate dai L X X , sono di valido aiuto in tale ri­
cerca. Cosi, il testo armeno è un buon riflesso della recensione esaplare di
Origene, quello bohairico (copto) di Daniele rispecchia un testo esichiano
e quello di Teodoreto di Ciro consente l’identificazione della recensione
lucianea dei libri dei Re e delle Cronache. Approntate le edizioni critiche
di queste tre recensioni, Lagarde riteneva possibile stabilire partendo da
queste l’archetipo o testo originale (XJr-text) della versione dei LX X . Egli
stesso si accinse alFimpresa con l’edizione di ciò che riteneva il testo lu-
cianeo da Genesi a Ester. Studi successivi dimostrarono che i manoscritti
Iucianei non costituiscono un testo omogeneo, autenticamente lucianeo,
in ogni libro.
A. Rahlfs proseguì l’opera del maestro avviando il progetto dell’edizio­
ne di Gottinga. Le nuove scoperte di Qumran hanno confermato la fon­
datezza dei principi critici formulati da Lagarde e seguiti fino a ogg<
412. Testo e critica testuale dell k.T.

da numerosi autori quali Montgomery, Margohs, Kappler, Ziegler, Geh-


man, Wevers, Orlinsky, Katz ecc.
Secondo P. Kahle, invece, l'archetipo supposto da Lagarde non è il ri­
sultato conclusivo dì un intero processo di uniformazione del testo a par­
tire da una moltitudine di versioni greche che circolavano precedente­
mente. Queste versioni etano state redatte sulla base di testi ebraici «vol­
gari», e la traduzione era per moki aspetti simile a quella dei targumim
aramaici. La Lettera di Aristea si dovrebbe interpretare, secondo Kahle,
come scritto di propaganda a favore di una traduzione del Pentateuco ri­
salente a poco prima; tale propaganda consenti alla traduzione del Penta­
teuco dei L X X la maggior diffusione e le restanti versioni fino ad allora
utilizzate caddero in oblio. Per gli altri libri dell’À.T. non giunse mai a
costituirsi un testo ufficiale. Coesistevano molteplici traduzioni, rappre­
sentate dalle diverse recensioni dei LX X . Questa tesi ha ottenuto minori
consensi di quella proposta da Lagarde.

La storia della versione greca non è assimilabile, come riteneva Kahle, a quella
delle versioni targumiche né bisogna spiegarne l’origine a partire da testi «volga­
ri» ebraici. Seguendo Kahle, la versione dei L X X non avrebbe alcun valore di te­
stimonianza per lo studio crìtica del testo ebraico. Lo studio del manoscritto gre­
co dei Dodici Profeti minori, scoperto a Nahal Hever (M ar Morto), ha confer­
mato resistenza di un'unica versione originale, conformemente a quanto suppo­
sto da Lagarde. È doveroso ricordare altre teorie, sebbene non abbiano riscosso
grande accoglienza. Per la versione dei L X X M . Gaster propose un’origine pale­
stinese in luogo dell’egiziana generalmente accettata. Thackeray congetturò un’o­
rigine liturgica come libro del popolo e per l’uso nella sinagoga. Secondo W utz, 1
traduttori lavorarono su un testo ebraico scritto non in caratteri ebraici ma tra­
slitterato in caratteri greci.

B ibliografia . P. de Lagarde, Anm erkungen zur griechischen Ubersetzung der Pro-


verbien , Leipzig 1 8 6 3 ; P. Kahle, Untersuchungen zar Geschichte des Pentateuchs-
textes , in O pera m inora , Leiden 19 5 6 , 3 - 3 7 ; J.W . W evers, Proto-Septuagm t Stu-
dtes , in The Seed o f Wisdo?n, (in on. di T .j. Meek), Toronto 19 6 4 , 5 8 -7 7 ; H .St.J.
Thackeray, The Septuagint and Jew ish Worshtp. A Siudy in O rigins , London
1 9 2 3 ; F .X . Wutz, D ie Tram kriptionen von der Septuaginta bis zu Hieronym us,
Stuttgart 1 9 2 ,5 -1 9 3 3 .

5. Le recensioni dei L X X

La vicenda testuale dei L X X è assai complessa. Molte furono le revisioni


e recensioni condotte sul suo testo, e ciò per due motivi principali: la ne­
cessità di correggere gli errori introdotti nelle trascrizioni successive del
testo greco e il desiderio di adattarlo all’ebraico protomasoretico nei casi
in cui, per aggiunte, omissioni o altri cambiamenti, un testo differiva dal­
La versione greca dei L X X 413

l’altro. Tale lavoro di adeguamento a un originale ebraico è lo scopo prò-


pno di una «recensione». A queste motivazioni critiche se ne aggiungeva
un’altra dì carattere apologetico (S.P. Brock). Giudei e cristiani necessita­
vano per le loro controversie di un proprio testo autentico e di conoscere,
nel contempo, la tradizione testuale addotta dall’avversario nel caso in
cui questa divergesse dalla propria. Ai giudei erano necessarie traduzioni
fedeli all’ebraico protomasoretico, dichiarato ufficiale alla fine del 1 seco­
lo. Tale fu la ragione alla base delle revisioni attribuite ad Aquila, Sim­
maco e Teodozione. I cristiani, per parte loro, oltre a conservare fedel­
mente il testo greco dei LX X , approvato dalla chiesa, avevano bisogno di
conoscere le versioni giudaiche che meglio riflettevano il testo ebraico dei
giudei. Nel prologo al libro delle Cronache scritto nel 396, Gerolamo in­
forma che il testo dei L X X era conosciuto fin da allora in tre differenti
recensioni, opera rispettivamente dì Origene a Cesarea, Esichio ad Ales­
sandria e Luciano ad Antiochia di Siria.

a) Origene

Nel 245 Origene concluse un’opera di enormi proporzioni, in cui dava


sfoggio di un senso critico molto avanzato per la sua epoca. Nelle sei co­
lonne deìì'Esapla raccolse il testo ebraico conosciuto ai suoi tempi (col.
1), la trascrizione del medesimo in caratteri greci (col. n), il testo della
versione di Aquila (col. in) e di Simmaco (col. iv), il testo dei L X X (col.
v) e quello della versione di Teodozione (col, vi). La colonna più impor­
tante è la Quinta, corrispondente appunto al testo dei LXX. Non risulta
facile determinare se questa colonna contenesse il testo dei L X X come
Origene lo conobbe oppure un testo riveduto dallo stesso Origene, prov­
visto delle aggiunte esaplari e dei corrispondenti segni diacritici. È da
supporre che la sola disposizione dei testi in colonne consentisse già di
osservare le diversità tra i vari testi, senza necessità di aggiungere segni
indicanti aggiunte o omissioni nell’uria o nell’altra colonna. Un’edizione
successiva, propriamente esaplare, da distinguersi dalYEsapla sopra de­
scritta, conteneva unicamente il testo dei LX X , completava le sue lacune
rispetto al T.M con quello dì Teodozione e introduceva di conseguenza i
necessari segni diacritici. L utilizzazione di questi segni, impiegati già da
Aristarco nella scuola di Alessandria per l’edizione dei testi di Omero,
permetteva di conoscere il testo proprio della versione dei L X X e ricono­
scerne al tempo stesso le divergenze dall’ebraico della tradizione rabbini­
ca. Quando il testo dei L X X conteneva una parola, frase o passaggio pri­
vi di riscontro nel testo ebraico, Origene segnalava i inizio e la fine di
questa aggiunta rispettivamente con un obelo e un metobelo. Se, al con­
trario, il testo dei L X X ometteva un passaggio contenuto nell’ebraico, in­
414 Testo e critica testuale dell A.T.

seriva nel punto corrispondente la traduzione greca delio stesso, ricavata


in generale da Teodozione, e segnalava l’inizio e la fine dell’omissione ri­
spettivamente con un asterisco e un metobelo.
L ’opera di Origene, in fin dei conti, provocò tra i differenti testi una
confusione e una contaminazione ben maggiori di quelle da lui stesso co-
noscìute. L’enorme difficoltà implicita nella trascrizione delle sei colonne
deWEsapla o anche soltanto delle quattro colonne in greco contribuì a
che questa opera non potesse mai essere copiata integralmente e arrivasse
a perdersi, eccettuati alcuni rari frammenti. Col tempo si omise pure la
trascrizione dei segni aristarchici di cui era dotato il testo definizione
esaplare dei L X X , oppure furono copiati in posizione errata, accrescendo
ancor più la confusione del testo. Su questa via si giunse a produrre un
testo misto, costituito dal greco antico dei L X X e da brani di altre versio­
ni. Questo testo, formato da elementi molto eterogenei, confluì in gran
parte dei manoscritti giunti fino a noi. Su richiesta di Costantino, Eusebio
inviò alPimperatore a Costantinopoli cinquanta copie del testo dei LX X
su pergamena,
II testo greco precedente a Origene non è ricostruibile se non attraver­
so i manoscritti sfuggiti alPinfluenza esaplare, come il codice Vaticano
(B). Anche la versione siro-esaplare partecipa al lavoro di recupero della
«Septuaginta antica» o testo originale dei LX X . La versione siro-esaplare
traduce con estrema letteralità il testo esaplare dei LX X , ma conserva con
grande precisione i segni di diversificazione delle letture esaplari da quelle
preesaplari. In questo modo è possibile conoscere qual era il testo della
versione dei L X X e quali sono le aggiunte esaplari. Il recupero del testo
preesaplare è pure possibile grazie a un palinsesto trovato nel 1896 nella
Biblioteca Ambrosiana di Milano dal cardinale G. Mercati: conserva ver­
si di vari Salmi con testi di tutte ìe colonne dell'Esapla, a eccezione della
prima colonna ebraica.
Il testo delle colonne in, iv e vi, corrispondenti alle versioni di Aquila,
Simmaco e Teodozione, si è perduto insieme all’opera completa delPEstf-
pla, anche se numerose lezioni di queste versioni si sono conservate iti le-
ziom marginali dei manoscritti e jn citazioni patristiche.

b) Esicbio

Poco o nulla si sa di una recensione eseguita in Egitto e attribuita, non


senza riserve, al vescovo Esichio (f 3 1 1 ) . Citazioni di Padri egiziani, in
particolare di Cirillo di Alessandria (t 444), sarebbero la fonte per rico­
noscerne il testo; ma nella maggior parte dei libri dei LX X non si è arri­
vati a identificare il presunto testo «esichiano». Nei libri profetici sarebbe
rappresentato dal contenuto del codice Marchalianus (Q). Si è osservato
La versione greca dei L X X 415

che j 1 Vaticano (B) conserverebbe in taluni libri un testo esichiano. Pro­


babilmente non si trattava di una recensione sistematica ne di un’edizio­
ne, ma di un testo utilizzato precipuamente in Egitto. 11 cristianesimo egi­
ziano aveva sufficienti tradizione e autonomia per disporre di un testo bi­
blico dalle caratteristiche proprie, che lo differenziavano dagli altri testi
diffusi nei centri di Cesarea e Antiochia. Ne è prova il fatto che l’impera­
tore Costanzo diede incarico ad Atanasio di Alessandria di inviargli dei
codici biblici, come il suo predecessore Costantino aveva sollecitato
esemplari da Cesarea. Il codice Vaticano (B) può avere la sua origine da
questa disposizione di Costanzo.

c) Luciano

In Siria il testo dei L X X era conosciuto da una recensione attribuita al


martire Luciano (f 3 1 1 / 3 1 2 ) , fondatore della scuola esegetica di Antio­
chia, rivale dell’alessandrina d’Egitto. Questa recensione, lucianea o an­
tiochena, e riconoscibile attraverso estese citazioni bibliche in opere di
Teodoreto di Ciro e di Giovanni Crisostomo. Un testo chiaramente luda-
neo è quello riprodotto dai mss. b b' o r e2 in r-4 Rcgn. Non è facile
discernere ['esatta natura del lavoro compiuto da Luciano, sia in relazio­
ne alla tradizione preesaplare sia in rapporto all’opera di Origene. Tutta­
via le caratteristiche del testo sono evidenti: aggiunte introdotte nel testo
greco per adattarlo all’ebraico, doppie lezioni quando una lezione della
Septuaginta antica e un’altra esaplare appaiono giustapposte, frequenti
emendamenti grammaticali e stilistici del testo greco, introduzione di ele­
menti come nomi propri, pronomi, articoli ecc., sostituzione di forme el­
lenistiche con le corrispondenti attiche ecc.
Varie considerazioni hanno indotto a supporre l’esistenza di un testo «proto-lu-
cianeo» o di un «Luciano anteriore a Luciano». La Vetus Latina , della fine del n
sec. d.C., traduce un testo greco molto simile a quello utilizzato successivamente
da Luciano per la sua recensione. Anche il testo greco delle opere di Flavio Giu­
seppe contiene lezioni considerabili come «lucianee», ma che, trovandosi in un
autore del 1 secolo, obbligano a supporre resistenza di un «Luciano anteriore a
Luciano». D ’altra parte la coincidenza di lezioni ebraiche di 4 Q Sam a con quelle
dei manoscritti lucianei nei libri di Samuele apporta un notevole sostegno a que­
sta ipotesi. Risulta tuttavia difficile determinare se il testo proto-lucianeo sia lo
stesso testo della versione originale «più o meno corrotto» (Barthèlemy), se sia il
prodotto di una recensione, il cui proposito era l’adeguamento del greco originale
al tipo testuale ebraico corrente in Palestina nel 11 sec. a.C. (F.M . Cross) o se si
tratti, semplicemente, della stessa versione dei L X X o di un’altra versione greca
antica (E. Tov). Un problema ulteriore della ricerca odierna sta appunto nell’i-
dentificare le lezioni proto-lucianee e differenziarle da quelle del successivo testo
lucianeo (S.P. Brock).
416 Testo e critica testuale dell’ A.T.

Bibliografìa. F. Field, Ortge?tis Hexaplorum quae supersunt, Oxford 1 8 7 5 , rist.


1 9 6 4 ; I. Soisalon-Soininen, L)er Gbarakter der asterisierten Zusdtze in der Sep-
tuagmtay Helsinki 1 9 5 9 ; A . Schenker, lìexaplariséhe Psalmenbruckstucke , Frei-
burg-Gòttingen 1 9 7 5 ; A . Rahlfs, Lucians Rezension der Kónigshncher, Gòmngen
1 9 1 1 , rist. 1 9 6 5 ; B.M . Metzger, The Lucianic Recension of thè Greek Bible, in
Chapters in thè tlìstory of N T Textual Cfitìcism , Leiden 1 9 6 3 , 1 - 4 1 ; S.P. Brock,
Lucian redìvivus: Studia evangelica 5 (19 6 8) 1 7 6 - 1 8 1 ; E. T ov, Luctan and Pro-
to-Luctan: RB 79 ( 1 9 7 1 ) 1 0 1 - 1 1 3 ; S. Jcllicoe, The Hesychtan Recetision Recon-
sidered: JB L 82 (19 6 3 ) 4 0 9 -4 18 .

6. Precedenti revisioni dei L X X

Anteriormente alle grandi recensioni cristiane del ni e iv secolo il giudai­


smo aveva già sentito la necessità di provvedere a una revisione della ver­
sione antica. L’obbiettìvo era sempre il medesimo: adeguare il testo dei
L X X al tipo di testo ebraico che diveniva gradualmente ufficiale nei cir­
coli rabbinici e venne definitivamente stabilito alla fine del 1 e alTinizio
del 11 secolo d.C.
Poiché i cristiani avevano fatta propria la traduzione dei L X X e se ne
servivano nelle controversie con 1 giudei, questi furono a poco a poco
condotti a rifiutarla e a sostituirla con nuove traduzioni considerate più
fedeli al testo ebraico nel frattempo stabilito. Un passo molto citato nelle
controversie tra giudei e cristiani era Is. 7 , 1 4 . 1 L X X traducono il termine
ebraico 'alma «ragazza» con parthenos «vergine», in luogo del più ap-
propinato neants. 1 giudei impugnavano questa traduzione in cui 1 cristia­
ni scorgevano una profezia della nascita verginale di Cristo.
ira i giudei le traduzioni sostitutive di quella dei LX X portano i nomi
di Aquila, Simmaco e Teodozione, secondo Lordine in cui sono tradizio­
nalmente noti. Si hanno notizie dell’esistenza di altre versioni greche, ma
nulla se ne sa delPorigine e delle caratteristiche. Origene cita tre versioni
con le designazioni di Quinta, Sesta e Settima, le prime due da lui stesso
scoperte, Luna a Nicopolis (sulla costa occidentale della Grecia), l’altra a
Gerico.

a) Simmaco

Simmaco fu forse un samaritano convertito al giudaismo o un ebionita.


Verso il 17 0 portò a termine una traduzione che può anche aver avuto
dei precedenti, come li ebbero le versioni di Aquila e Teodozione. Il pun­
to d’avvio di questa revisione potrebbe essere stato una traduzione com­
piuta da ebioniti di Cappadocia, La traduzione di Simmaco è, a un tem­
po, fedele e letteraria. In 1 Re z,4 6 -3,1, per esempio, egli segue il testo
masoretico contro i LX X , di cui inserisce diversi materiali; non riproduce
L a v e r s io n e g r e c a d ei L X X 4 17

tuttavia la costruzione paratattica dell'ebraico, ma ricorre alla costruzio­


ne subordinata del greco: «consolidatosi il regno nelle mani di Salomone,
si uni in matrimonio...».
Altre due versioni giudaiche, anteriori a quella di Simmaco, sono più
accentuatamente letterali, risultando cosi maggiormente interessanti per
conoscere il testo ebraico alla base di queste traduzioni.

b) Aquila
e i suoi predecessori

Aquila, proselito giudeo del Ponto e discepolo di r. Aqiba (benché il Tal­


mud di Gerusalemme, Megilla 7 ia , lo associ piuttosto a r. Ehezer ben Ir-
cano e a r. Joshua), portò a termine, verso il 140 d.C., una versione dal­
l’ebraico estremamente letterale, condotta secondo i metodi d’interpreta­
zione rabbinici.
Piu che una traduzione di nuovo conio si tratta, in larga misura, di una
recensione o revisione sistematica dei L X X , che porta alle sue estreme
conseguenze le tecniche e le tendenze con cui «i predecessori di Aquila»
avevano compiuto, già un secolo prima, la cosiddetta recensione proto-
teodozioniana o kaige. Il testo ebraico utilizzato da Aquila per la sua re­
visione dei L X X era già l’ebraico protomasoretico, il cui testo consonan­
tico era stato stabilito pochi anni prima. Tuttavia la presenza nel suo te­
sto di alcune varianti rispetto al T.M. induce a sospettare che all’epoca di
Aquila il processo dì fissazione del testo ebraico non fosse ancora com­
pletamente terminato.
Per il suo estremo letteralismo la versione di Aquila doveva risultare
inintelligibile a chi non conosceva Pebraico. Essa riproduce il testo ebrai­
co parola per parola e nella stessa successione dei termini. Volge in greco
ì minimi dettagli dell’ebraico, come le particelle (yét —syn + accusativo),
il locativo (-àh = -de) o gli elementi in cui si scompone una particella
ebraica, infrangendo le regole più elementari della grammatica greca. La
traduzione di Gen. t , 1 formulata da Aquila così suonerebbe in italiano:
«In testa (più letterale che «in principio») creò Dio con ('et) il cielo e con
la terra». La traduzione della particella 'et («con») si giustìfica per l’attri­
buzione alla medesima di un senso inclusivo, conformemente alle regole
dell’ermeneutica rabbinica, che dà luogo a un significato «più pieno»:
«... Dio creò il cielo [insieme con il sole, la luna e le stelle) e la terra (in­
sieme con gli alberi, le piante e il paradiso)».
Oltre ai frammenti dei Salmi, pubblicati da Mercati, il testo di Aquila
si conosce attraverso lezioni conservate ai margini dei manoscritti dei
LXX, citazioni patrìstiche e del Talmud, e frammenti dei Salmi e dei libri
dei Re trovati nella Geniza del Cairo (Burkitt).
c) Teodozione e la recensione proto-teodozionìana

Poco si sa della figura di Teodozione, che la tradizione colloca nel n sec.


d.C. Secondo Ireneo, era un proselito giudeo di Efeso. Epifanio aggiunge
che si fece proselito dopo aver seguito per qualche tempo Marcione. Il te­
sto di Teodozione ebbe e ha grande importanza. Godette di una tale dif­
fusione da sostituire quello dei L X X nella maggior parte dei manoscritti.
Origene se ne servi nelTEsapla per colmare le lacune del testo dei L X X
(ad es. per il libro di Giobbe). Il testo teodozioniano di Damele divenne
eluso corrente. Altri libri di cui si sono conservati estesi frammenti teo-
dozioniani sono quelli di Isaia, Geremia, Ezechiele e Proverbi. Le nume­
rose citazioni delPA.T. greco contenute nel N .T. e riproducenti il testo di
Teodozione non hanno trovato una spiegazione soddisfacente fino al ri­
trovamento dei manoscritti del Mar Morto. L’Apocalisse cita il libro di
Daniele secondo il testo di Teodozione, non dei LXX. Ciò prova l’esi­
stenza anche di un testo «teodozioniano anteriore a Teodozione» al pa­
ri di un «Luciano anteriore a Luciano». Barthélemy è giunto a proporre
che il Teodozione storico del n secolo sia Tautore di questa recensione
proto-teodozioniana degli inizi del I sec. d.C., precedente pertanto ad
Aquila. Ma non sembra che la figura del Teodozione tradizionale del n
secolo possa essere cancellata totalmente dalla storia, sia per l’esistenza a
suo favore di testimonianze esterne sia per la complessità dei materiali
teodoziomam, la cui precisa attribuzione rimane una questione insoluta
(A. SchmiJt).
La recensione proto-teodozioniana presenta una serie di particolarità di traduzio­
ne, tra le quali la versione della particella composta w egam («e anche») con kai-
ge, in luogo del semplice hai della versione originale; quella di 9ìs (nel senso di
«ciascuno») con anet, in luogo di hekastos, o del pronome 'ànòkt («io stesso»)
con ego eimi, per differenziarlo da] semplice yàni («io»), reso nell’originale con
ego. Il recensore non ha difficoltà a ricorrere alla traduzione innaturale ego ebtà
(«io sono») come soggetto dì un verbo finito, dando origine a una costruzione
stridente per qualsiasi orecchio greco. Questa recensione, da attribuire a circoli
rabbinici della Palestina degli inizi del i sec. d.C., costituisce il primo tentativo di
adattare il testo greco dei L X X all’ebraico corrente in quei circoli e in quel l’epo­
ca, Il testo ebraico iniziava allora il processo di fissazione che culminerà agli inizi
del secolo successivo. L a recensione proto-teodozioniana o kaige fu il primo passo
nel processo di revisione dei L X X , culminato nel mondo giudaico con la versione
letterale di Àquila. Oltre ai testi sopra segnalati come teodoziomani (Daniele, ag­
giunte a Giobbe e la sesta colonna dell Esapla)y la recensione proto-teodozioniana
aggiunse alla traduzione greca delle Lamentazioni, e probabilmente del Cantico
dei cantici e di Rut, anche il testo B di Giudici e di 1-4 Regni (nelle sezioni desi­
gnate come bg e gd), le aggiunte a Geremia, la Quinta dei Salmi e, naturalmente,
il testo greco dei Dodici Profeti Minori trovato a Nahal Hever.
L a v e r s io n e g r e c a d e i L ,X X 4 19

È significativo che i tre traduttori giudaici — Simmaco, Aquila e Teodozione —


siano stati assimilati a personaggi tannaiiici, cui si attribuisce la paternità delle
traduzioni in aramaico o targumim. Il Talmud di Gerusalemme conosce, o sem­
bra conoscere, le tre recensioni di Teodozione, Aquila e Simmaco, in quest’ordine
cronologico (dal più antico al più recente) e non nell’ordine tradizionale (Aquila,
Simmaco, Teodozione), derivante dalla successione in cui appaiono i loro testi
nelle colonne esaplan di Origene (rispettivamente 3*, 4 e óa). Teodozione sarebbe
lo stesso Jonatan (= «Teodozione» in greco) ben Uzziel, discepolo di Hillel, al
quale il Talmud babilonese {Megilla 3a) attribuisce erroneamente la paternità del
Targum ai Profeti, quando potrebbe ben trattarsi dell’ autore della recensione
proto-teodozioniana. Ugualmente, per quanto riguarda Aquila, le tradizioni dei
Talmud palestinese, che in principio si riferivano alla traduzione greca di Àquila,
vennero più tardi attribuite dal Talmud babilonese a Onqelos. Àquila si cambiò
allora in Onqelos ('nqk = Aquila). Allo stesso modo Simmaco poteva ben essere
Synkos ben Joseph, discepolo di r. Meir.
Tutto ciò pone il problema di sapere quali rapporti intercorressero tra le revi­
sioni dei L X X a opera di autori giudaici e le traduzioni aramaiche o targumim,
soprattutto perché tutte queste versioni applicavano gli stessi metodi di traduzio­
ne e i medesimi principi interpretativi dell’Antico Testamento stabiliti dai rabbi.

Bibliografia. D. Barthélemy, Les devanciers d*Aquila, 1 9 6 3 ; K .G . O ’ Connell, The


Theodotionic Revisìon o f thè Book o f Exodus , Cambridge, M ass. 19 7 2 4 A,
Schmidt, Stammt der sogenannte «0 »-Text bei Daniel wirklich vo?i Theodo-
Uonìy Gòttingen 1 9 6 6 ; M . Bogaert, Les rapports du judaìsme avec Vhistoire de la
Septante et de ses revistons, m L. Dequeker (ed.), Tradition orale et écrite , Bru­
xelles 1 9 7 5 , i z z - 1 4 1 .

7. La versione originale dei L X X

La versione dei LX X , oltre alla qualità intrinseca della traduzione, pos­


siede altri valori estrinseci, come l’apporto fornito all’analisi critica del
testo ebraico e allo studio storico dell’esegesi dell’A.T,

a) Caratteristiche della traduzione

La versione dei L X X tende a essere più letterale in alcun i libri e meno in


altri. È necessario studiare separatamente le peculiarità della traduzione
di ciascun libro. Talvolta anche le diverse sezioni di uno stesso libro pos­
sono presentare caratteristiche differenti; se un tempo queste venivano
imputate ad autori distinti, ora si attribuiscono alle diverse recensioni
della versione originale.
La versione del Pentateuco è fedele e corretta, sempre restando all’in­
terno della lingua koinè dell’epoca. Nonostante una moltitudine di va­
rianti di scarsa importanza e di alcune modifiche nell’ordine dei testi, co­
4X0 Testo e crìtica testuale ddl’A.T.

me in Es. 30 ss. e nel libro dei Numeri, il testo dei L X X coincide sostan­
zialmente con il T.M . La versione del Pentateuco funse da modello, m al­
cuni casi fornendo il lessico tecnico e teologico, alle versioni posteriori
dei restanti libri dell’A.T.
La traduzione del libro di Isaia può essere considerata, al contrario,
molto libera. Frequentemente risulta inutilizzabile per la critica del testo
ebraico. Rappresenta, tuttavia, una fonte inesauribile dì dati per lo studio
delPesegesi giudaica antica, poiché si basa su tradizioni esegetiche più
tardi riscontrabili nel Targum e nella Peshitta. Le frequenti citazioni del
testo di Isaia nel N.T, e nelPapologetica cristiana e giudaica conferiscono
d’altra parte a questa traduzione un ulteriore pregio incomparabile.
11 testo della versione di Geremia è di un ottavo più breve del T.M ., con
varianti molto importanti anche nella disposizione dei materiali. Mostra
una regolarità metrica meno percepibile nel T.M . Si basa su una forma
recensionale ebraica diversa da quella del T.M.
La versione di Ezechiele costituisce un tentativo di tradurre letteral­
mente un testo ebraico in alcune parti corrotto e in altre mal interpretato
dal traduttore.
li testo della versione originale dei L X X di Daniele è pervenuto sola­
mente attraverso due manoscritti. La chiesa cristiana sostituì questo testo
con quello di Teodozione, già citato nel N .T.
Il Salterio greco traduce l’ebraico masorefico in misura più o meno
precisa. Subì numerose revisioni senza dubbio a causa del continuo uso
del suo resto nella liturgia.
La versione dei Proverbi e di Giobbe è eccellente e sicuramente dello
stesso autore. L ’originale ebraico è molto diverso dal T.M. Il Giobbe dei
L X X è di un sesto più breve del testo ebraico; le edizioni moderne inte­
grano le omissioni con il testo di Teodozione. Il testo di Proverbi contiene
numerose lezioni duplicate. Sono il frutto di un considerevole lavoro di
revisione, consistente nelPassociare alla prima traduzione una versione
più letterale.
La traduzione delVEcclesiaste e di un estremo Ietteraiismo, incompren­
sibile a chi non conosce l’ebraico. Si tratta della versione di Aquila o di
un’altra molto influenzata da questa. Non è facile ravvisare i m otivi per
cui la chiesa cristiana adotto questo tipo di testo.
Altri libri rivelano una complessa storia di revisione del testo originale. Nella ver­
sione dei libri di Samuele-Re ( 1-4 Regni secondo la dizione greca) alcune sezioni
conservano la traduzione originale, di notevole qualità e condotta su un tipo di
testo ebraico non masoretico (j Sam. - 2 Sam. r o ,i e 1 Re 2 ,1 2 - 2 1 ,2 9 ) ; altre se­
zioni offrono il testo di una recensione molto letterale, basata su un resto prossi­
mo al T .M . (bg> 1 Sam. 1 0 ,2 - 1 Re 2 ,1 1 e gd, 1 Re 2 2 ,1 - 2 Re).
Una corrente della ricerca attuale si dedica allo studio delle tecniche e delle ca­
L a v e r s io n e g r e c a d ei L X X 4 11

ratteristiche di traduzione di ciascuno dei libri delTA.T. greco, in particolare per


quanto riguarda le peculiarità morfologiche, sintattiche e lessicali. Restano da se­
gnalare gli ebraismi e aramaismi presenti nei L X X . Talvolta i traduttori assegna­
no a un termine delFA.T. il significato assunto nelPebraico postbiblico o nelFara-
maico, lingua d’uso all’epoca della traduzione greca.

b) L ’originale ebraico dei L X X

La versione dei L X X costituisce la maggiore e più importante riserva di


dati per lo studio critico del testo ebraico. La sua testimonianza è indiret­
ta, trattandosi di un'opera di traduzione. Ma le numerose e significative
coincidenze esistenti tra i L X X e alcuni manoscritti ebraici di Qumran
hanno rivalutato Futilità del testo greco contro le opinioni imperanti nei
tempi precedenti la scoperta (1947), che consideravano il testo greco pri­
vo di valore critico e piuttosto come testimonianza delFesegesi giudaica
coeva. I rapporti tra i L X X e Qumran sono già stati segnalati. Sono par­
ticolarmente stretti nel caso dei manoscritti 4 QDeut, 4 QSam*b, 4 QJerb
ecc. Ogni manoscritto contiene tuttavìa un elevato numero di lezioni pro­
prie, ed è quindi da trattarsi come Testimone di tradizioni indipendenti,
quantunque tra loro connesse.
L’apporto più rilevante fornito dai manoscritti biblici di Qumran con­
siste in definitiva nelPaver mostrato che la versione dei L X X rispecchia in
alcuni libri un testo ebraico diverso da quello conosciuto dalla tradizione
masoretica posteriore. E il caso di Geremia e Samuele. Per altri libri la si*
tiiazione è piu complessa. La problematica relativa alForiginale ebraico
di Cronache, Esdra e Neemia non si può risolvere senza determinare la
natura dei rapporti di questi libri con 3 6 4 Esdra (nella terminologìa del­
la Vg.). A Qumran sono pure venuti alla luce testi ebraici o aramaici di li­
bri il cui testo si era conservato unicamente in versioni di una qualche
lingua antica. È il caso delFEcclesiastico e di Tobia, dei quali sono stati
rinvenuti quattro manoscritti aramaici e uno ebraico.

c) La versione dei L X X come opera di esegesi

Dal punto di vista critico la versione dei L X X riflette talvolta un testo


ebraico diverso dal T.M. Sotto il profilo della storia della religione e della
storia dell interpretazione biblica questa versione è un riflesso delle idee
teologiche e delle tendenze ermeneutiche del giudaismo coevo. La tradu­
zione di un intero corpus di letteratura ebraica in lingua greca costituisce
un tentativo di mterpretazione senza pan sotto tutti 1 punti di vista: or­
tograna, grammatica, sintassi, semantica, teologia ecc. L a scrittura non
vocalizzata, il sistema verbale semitico, il mondo concettuale e poetico
4 iz Testo e crìtica testuale dell’A.T,

ebraico, la ceologia veterotestamentaria e molti altri fattori obbligano i


traduttori greci a utio sforzo interpretativo in cui talvolta predomina la
componente ebraica dell’originale, talaltra il greco della traduzione. In­
sieme agli ebraismi e aramaismi appaiono, deliberatamente o inevitabil­
mente, grecismi ed egittismi, tanto nelFespressione letteraria quanto nel-
respressione di idee e concetti. La lista di ornamenti femminili in Is. 3 ,18 ­
24 viene sostituita nei L X X da un elenco di ornamenti a un greco piu no­
ti. La cosiddetta «scuola delle religioni» prestò grande attenzione a que­
sto travaso di espressioni e concetti dalla Bibbia ebraica alla greca, secon­
do un orientamento di studio avviato da G. Bertram e sviluppato nel ce­
lebre Grande Lessico del Nuovo Testamento (Theologisches Worterbuch
zum Neuen Testamenti iniziato nel 19 33 sotto la direzione di G. Kittei,
continuato poi da G. Friedrich), li evidente, ad esempio, il rifiuto dei tra­
duttori nelPaccettare espressioni greche che avessero risonanze pagane.
La versione dei L X X costituisce anche un’opera di esegesi giudaica. In
tal senso essa è paragonabile a un targum aramaico. Questo aspetto,
messo in luce da Frànkel, Prijs, Seeligmann, Gehman, Gooding ecc., risal­
ta più in alcuni libri che m altri. È più accentuato nel testo delle recensio­
ni posteriori rispetto a quello della traduzione originale. Si percepisce
nelPutilizzazione dei principi deirermeneutica giudaica, nella tendenza a)
pleonasmo, nella spiegazione per associazione con altri passi, nell’esplici-
tazione di nomi e luoghi, nell eliminazione di antropomorfismi e antro-
popatismi in riferimento a Dio ecc. L ’espressione di Es. 2.4,10 «videro il
Dio d’Israele» è tradotta con «videro il luogo dove stava il Dio d’Israe­
le». Tuttavia queste peculiarità sono molto meno pi esenti che nelle stesse
versioni targumiche. GLi indirizzi teologici appaiono con maggior chia­
rezza nelle versioni più libere, quella di Isaia o dei Proverbi, che paiono
piu un midrash giudeo-ellenistico che una vera traduzione in greco da un
originale ebraico. La versione dei L X X influì considerevolmente sull’ese­
gesi neotesiamentaria. L ’espressione ebraica di Sai. 40,7 «mi hai aperto
gli orecchi» è resa nei L X X con «ini hai preparato un corpo», il che con­
sente all’autore della lettera agli Ehrei (10,5) di utilizzare questo passo
come testo probante Pincarnazione di Cristo.

Bibliografia. I. Seeligmann, The Septuagmt Versiun o f Isaiah, Leiden 1948; J.


Schreiner, Hermeneutische Leithnien in der Septuaginta , in O. Loretz - W. Suolz
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Tov (ed.)? The Greek and Hebrew Texts o f Samuel, Jerusalem 1981; D.W. Good­
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(ed.), La Septuaginta en la mvestigacìón contemporànea , Madrid 1985; A. Pieter-
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ment du livre. Genèse Ì-V. La versìon grecque de la Septante et sa réceptìon , Paris
19 8 8 .

I li, VERSIONI ARAMAICHE


d e l l ’a n t ic o T ESTA M EN TO

Durante l’epoca persiana i giudei adottarono la lingua aramaica. Ciò in­


dusse alla preparazione di traduzioni aramaiche della Bibbia. Queste tra-
duziom, denominate targumim, erano inizialmente versioni orali, di ca­
rattere parafrastico, che accompagnavano la lettura sinagogale del testo
ebraico (Neem. 8,8). Messe per iscritto più tardi e resasi più complessa la
loro parafrasi, divennero d ’uso extrasinagogale e acquisirono un più
spiccato carattere letterario. In età neotestamentaria è largamente attesta­
ta l’esistenza di tali versioni e il loro impiego sinagogale. Caratteristica
comune di queste versioni è la tendenza alla parafrasi. Vengono introdot­
ti racconti più o meno brevi, di carattere nudrashico, ed elementi dottri­
nali in relazione con il testo tradotto. In riferimento a Dio si tende a evi­
tare gli antropomoifismi, benché non in modo del tutto sistematico, e a
trattenersi in genere da qualsiasi riferimento diretto a Dio. Ci si serve
quindi di termini sostitutivi, come memra’ («la Parola»), e si pratica l’e­
segesi «derashica» (drs) per estrarre il senso recondito o sciogliere le dif­
ficoltà di un testo.
À Qumran sono stati rinvenuti ampi frammenti di un targarci a Giobbe
( 1 1 Qtgjob) del 11 sec. a.C. Questo targum potrebbe coincidere col testo
che Gamaliel 1 ordinò di nascondere, il medesimo, forse, più tardi ancora
utilizzato dal nipote Gamaliel 11 (tShabbat 13,2.). I frammenti del Targum
al Levitico (4 QtgLev) possono derivare da un targum completo o proba­
bilmente da un rituale della festa dell’espiazione. I due targumim qumra-
nici, scritti in aramaico letterario, presentano una versione letterale, che
contrasta con quella dei targumim palestinesi. Negli ultimi decenni l’edi­
zione pubblicata da Kahle, nel 1930, dei testi targumici palestinesi del
Pentateuco e la scoperta da parte di A. Diez Macho, nel 1956, nella Bi­
blioteca Vaticana, del Codex Neophyti /, che contiene, eccetto alcune
omissioni, un resto completo del targum palestinese, hanno riacceso l’in­
teresse per le traduzioni aramaiche, per la loro origine, lingua e caratteri­
stiche esegetiche.
Vi sono targumim al Pentateuco, ai Profeti e agli Scritti, a eccezione di
Esdra-Neemia e Daniele.
t. Targum del Pentateuco
a) Il targum palestinese
Il targum palestinese del Pentateuco è integrato dai testi del Tg. Pseudo-
Jonatan (= Jerushalmi i), Tg. Frammentario (= Jerushalmi n), Frammenti
del Cairo e Codex Neophyti 1. Queste versioni differiscono tra loro, ma
presentano una parafrasi comune. Esse postulano 1 esistenza di una tradi­
zione interpretativa orale dell’Antico Testamento, il cui corpus principale
sembra essere anteriore all’epoca mìshnica. Lo lascia presumere il fatto
che la parafrasi halachica o legale di questi targumim non concorda, a
volte, con quanto stabilito nella Mishna. Tuttavia non manca chi, par­
tendo dallo studio dei testi aramaici di Qumran, propone per i targumim
palestinesi una data seriore.
Il Targum Pseudo-Jonatan, attribuito erroneamente a Jonatan (per la
confusione delle iniziali T.J., che si riferiscono in realtà al Tg. Jerushal-
mì), è un’opera complessa, costituita da elementi antichi e recenti. Con­
tiene frequenti parafrasi, alcune comuni con Onqelos o i targumim pale­
stinesi, altre estrapolate da opere midrashtche (ad es. Es. 14,2), e alcune
di propria tradizione, d’origine senza dubbio antica (ad es. Es. 6,2-4).
Le sezioni più antiche risalgono all’età precristiana. Le interpolazioni
più recenti fanno riferimento alla moglie e alla figlia di Maometto. Se­
condo alcuni autori il Tg. Pscudo-Jonatan non è che il 1 g. Onqelos inte­
grato sulla base de! testo del targum palestinese (Dalman, Kahle, Grelot);
a giudizio di altri si tratta di un targum palestinese rielaborato sulla base
del Tg. Onqelos (Bacher, Bloch, Diez Macho). Ueditio prìnceps del 15 9 1
è riprodotta nella Poliglotta di Londra e nelle Bibbie rabbiniche.
Il cosiddetto Targum Frammentario (jerushalmi II) contiene sezioni di
tutti i libri del Pentateuco. Copre un terzo del libro della Genesi. I quattro
manoscritti conservati risalgono al medesimo originale. Costituisce un
estratto di un targum palestinese completo. La sua parafrasi è talvolta di
notevole estensione, talaltra più antica e genuina di quella di altri testi
targumici palestinesi.
I frammenti del targum palestinese provenienti dalla Genìza del Cairo
risalgono ai secoli ix -x i i i ; ciò conferisce loro un valore particolare, giac­
ché la maggioranza degli altri manoscritti conosciuti non vanno oltre il
xvi secolo. Provano l’esistenza di differenti recensioni di uno stesso tar­
gum palestinese.
II Codex Neophyti /, datato al 150 4 , contiene il targum palestinese
completo (salvo alcune omissioni), diviso in sezioni liturgiche (perashot).
La sua Lìngua è un aramaico settentrionale, dialettale e popolare, anterio­
re alTaramaico galilaico del ì almud di Gerusalemme e dei midrashim. La
parafrasi è più misurata dì quella degli altri targumim. Secondo Diez M a­
V e r s io n i a r a t n a ic h e d e l P A X 4Z5

cho la versione venne eseguita in epoca pretannaitica (1 sec. d.C.). In al­


cune sezioni sembra aver subito la successiva influenza del Tg. Onqelos,
benché i dati siano contrastanti.

b) 17 Targum Onqelos

Questo targum abbraccia la totalità del Pentateuco. Godette della massi­


ma autorità e giunse a disporre di una propria masora. Il Talmud babilo­
nese (Megilla 3 a) ne attribuisce la paternità a Onqelos, confondendolo
senza dubbio con Aquila, l’autore dell’omonima traduzione greca. Il Tg.
Onqelos è di origine palestinese, ma venne edito in Babilonia, come testo
ufficiale e interpretazione autorizzata dalle scuole rabbiniche di Sura e
Nehardea. La sua traduzione si avvicina molto al testo ebraico; la para­
frasi, assai sobria, è contenuta nella stessa traduzione. I numerosi punti
di contatto con il targum palestinese orientano a ritenere Onqelos un
estratto alquanto prossimo a un targum palestinese.
Anche i samaritani disponevano di traduzioni del loro Pentateuco nel
proprio aramaico dialettale.

z. Targum ai Profeti

Il Tg. Jonatan ai Profeti anteriori (Giosuè-Re) e posteriori (Isaia-Ezechie-


le) viene attribuito nel Talmud babilonese (.Megilla 3 a) a Jonatan ben Uz­
ziel, per confusione, pure in questo caso, con un altro traduttore greco,
Teodozione (= Jonatan). La sua origine è palestinese. Secondo J. Ribera
Florit, «il periodo più intenso della sua formazione oscilla tra il n sec.
a.C. e il 11 d.C. Esso riceve la sua struttura definitiva, linguistica e conte­
nutistica, in Babilonia» (nel iii - iv sec. d.C.). Non è possibile conoscere
quale fosse la proporzione tra la parte che corrisponde al testo originale e
ii contributo del lavoro redazionale. Per avvicinare la traduzione al testo
ebraico venne sicuramente soppressa gran parte della parafrasi, benché
non così sistematicamente come nel caso del Tg. Onqelos. La parafrasi
mostra caratteristiche differenti da un libro all’altro. In Isaia rivela carat­
teri arcaici, prossimi a quelli dei targum palestinese al Pentateuco.

3. Targum agli Scritti

Sebbene la liturgia sinagogale non utilizzi i libri degli Scritti, ne esistono


alcuni targumim, con l’eccezione di Esdra, Neemia e Daniele. Non sono
anteriori al periodo talmudico (v sec.); alcuni, anzi, sono di molto poste­
riori. La loro destinazione non era sinagogale. La lingua è fondamental­
mente l’aramaico palestinese. Nei Proverbi si avvicina al siriaco. In Giob-
426 Testo e crìtica testuale dell1A.T.

be e nei Salmi si mescolano materiali antichi e più recenti. Nelle m*gtlloi


(Cantico dei cantici, Ester, Lamentazioni, Rut ed Ecclesiaste), la lingua è
un miscuglio di aramaico occidentale e aramaico del Talmud babilonese;
la parafrasi raggiunge un grande sviluppo.

4. Importanza delle versioni targumìche

I testi targumici, quello di Onqelos in particolare, seguono fedelmente il


tipo di testo masoretico. La presenza, nei targumim e nella Peshitta, di le­
zioni che riecheggiano varianti rispetto al T.M . rivela l’anteriorità dell’ o­
rigine di tali lezioni rispetto al periodo di fissazione del testo consonanti­
co ebraico (Isenberg).
Ma il valore dei targumim risiede in primo luogo nel loro contributo
alla conoscenza della lingua aramaica e dell'esegesi giudaica, halachica e
aggadica. Il Nuovo Testamento pratica un esegesi dell’Antico Testamento
paragonabile a questa esegesi giudaica, con procedimenti e principi ana­
loghi a quelli dell’ermeneutica rabbinica.
Edizioni. Oltre alle edizioni del Onqelos di A . Berlìner, 1 8 8 4 - 1 8 8 6 e d e l
T argu m
T a r g u m Joriatan di P.A. de Lagarde, 1872,, segnaliamo le più recenti e complete:
A. Sperber, The Biblc in Aram aic i - i v b , 1 9 5 9 - 1 9 7 3 ; A . D i e z M acho ( e d . ) , Bibita
Polyglotta M atritensia , Serie iv, Madrid 19 6 5 -.
Bibliografia. B. G r o s s fe ld ,A Bibliography o f Targum Lìterature 1-11, N e w Y o r k
1 9 7 2 - 1 9 7 7 ; A . D i e z M a c h o , E l Targum , B a r c e l o n a 1 9 7 2 ; J . R i b e r a F io r ir , E l
Targum de Isatas, V a l e n c i a 1 9 8 8 ; S h . R . I s e n b e r g , O n thè Jewish-Palestinian O ri­
gina o f thè Peshitta to thè Pentateuch : J B L 90 ( 1 9 7 1 ) 69-8 j ; M . P é r e z F e r n à n d e z ,
Tradicìones mesiànicas en el targum palestm ense , V a l e n c i a 1 9 8 1 .

IV . LA C R IT IC A T E S T U A L E
D E L L ’ A N T IC O T E S T A M E N T O

L ’obbiettivo della critica testuale consiste nello stabilire il più antico testo
biblico testimoniato dalla tradizione manoscritta. L’ambito di studio del­
la critica testuale è il processo di trasmissione del testo a partire dal mo­
mento della sua prima edizione. Spetta alla critica letteraria studiare il
precedente processo di formazione degli scritti biblici e stabilirne l’autore
e l’epoca.
Nel processo di trasmissione o riproduzione manoscritta del testo s’in­
troducono inevitabilmente numerosi cambiamenti, alcuni accidentali, al­
tri intenzionali. Dai testi più antichi della Bibbia ai più recenti, dal cantico
di Debora (xn sec. a.C,?) al libro di Danieie (11 sec. a.C.), intercorre un
millennio. Dalla fissazione del testo consonantico ebraico, conclusosi agli
inizi del ir sec. d.C., fino alla trascrizione del codice di Leningrado, ripro­
La critica testuale delPA.T. 42,7

dotto nelle attuali Bibbie ebraiche, passa un altro millennio. In tutto que­
sto tempo si sono accumulati errori casuali dei copisti e modifiche delibe­
rate, introdotte da glossatori e interpreti. La critica testuale stabilisce
principi e metodi per identificare e correggere questi cambiamenti, onde
ristabilire il testo nella forma più vicina alPoriginale. Le varianti dei ma­
noscritti ebraici, delle versioni e delle citazioni bibliche forniscono i dati
per giudicare il valore critico delLuna o l’altra forma testuale. I testi pa­
ralleli costituiscono l’esempio che meglio mette in risalto la problematica
a cui cerca di rispondere la critica testuale. I testi di 2 Sam. zz e S a i 18
sono due differenti versioni della medesima composizione poetica. La cri­
tica testuale ha il compito di stabilire quale delle due risulta la più fedele
alPoriginale.

1. Modifiche intervenute nella trasmissione


del testo dell’Antico Testamento

I copisti possono introdurre diversi tipi di cambiamenti nel testo, alcuni


casuali, altri intenzionali:

a) Modifiche accidentali o errori dei copisti

Scambio di lettere simili: nella scrittura aramaica quadrata è frequente lo


scambio delle lettere 1/^1 (d/r: Sai 1 8 , 1 1 / 2 Sam. 2 2 ,11) , 5 / 5 (bfk: Is.
28 ,21 / 1 Q lsa), n/rr (h/h: z Sam. 13,37 ) ecc. Anche nella scrittura pa­
leoebraica si possono confondere i caratteri 9ft9hfn9 d/‘ ecc.
Confusione fra parole omofone, a volte per errore durante la detta­
tura: in Sai. 49,8 alcuni manoscritti leggono 9ah («fratello»), altri ’ak
(«certamente»); per Sai. 100,3 vi sono manoscritti che riportano Iw («a
lui»), altri là9 («no») ecc.
Trasposizione di lettere o parole (metatesi): in Is. 3 2 ,19 la lezione h*jr
(«la città») appare in 1 Qt$a come h jlr («il bosco»). Altri esempi in 1
Sam. 14 ,2 7 ; Sai. 4 9 ,12; Is. 9,18 ecc.
Omissione per homoioarkton o per homoioteleuton: il copista passa,
inavvertitamente, da una parola o espressione a un’altra con inizio (ar-
kton) simile - Gen. 3 1,18 ; 1 Sam. 1 0 ,1 ; Is. 5,8 ecc. —o simile fine (teleu-
ton) —Gen. 1 ,1 9 ; 1 Sam. 1 3 ,1 5 ; Is. 4,5-6 ecc.
Omissione per aplografia: quando due lettere, parole o frasi uguali si
susseguono, una delle due facilmente scompare (Os. 4,19).
La dittografia è il fenomeno opposto al precedente: la stessa lettera,
parola o frase viene scritta due volte di seguito (in 2 Re 7 ,13 sono sette le
parole ripetute).
Divisione o congiunzione errata di parole: nella scrittura continua, che
428 Testo e critica testuale dell’A.T.

non lascia spazio tra le parole, e facile incorrere nell’errore di separare


mappropriatamente le consonanti, dividendo un’unica parola in due. In
Am. 6 ,12 la traduzione «arare con le vacche» corrisponde a bbqrjm ; al
contrario, «arare il mare con i buoi» rende bbqr jm. È anche possibile
unire per errore due parole distinte, che diventano così una sola parola
che si adatta bene o male al contesto.

b) Modifiche intenzionali

Sostituzione per «banalizzazione» o modernizzazione. Un termine più at­


tuale sostituisce un altro più arcaico (is. 39 ,1 / 1 QIsa), o un termine più
comune soppianta un altro più raro (in 1 Sam. 20,34 ^ termine «si alzò»
sostituisce «salto», quest’ultimo attestato in 4 QSam1, e nei LXX.
Armonizzazione: il testo di Gen. 2,2 (T.M.): «avendo Elohitn termina­
to ne! settimo giorno il lavoro che aveva intrapreso, si riposò in questo
settimo giorno», nel Pentateuco samaritano, Peshitta e Giub. 2,16 ha la
variante «nel sesto giorno». Essa cerca di armonizzare le due frasi. Non
tiene conto che il testo ebraico comporta anche il significato che nel setti­
mo giorno Jahvé aveva già terminato la sua opera.
Doppie lezioni alternative: le doppie lezioni si producono per giustap­
posizione di due o più varianti alternative. I manoscritti di Qumran of­
frono numerosi esempi d’inserimento di doppie lezioni al margine del te­
sto o tra le righe. Questi duplicati attestano l’esistenza di tradizioni te­
stuali diverse e riflettono la situazione di fluidità nel quale si trasmetteva
allora il testo biblico. Le duplicazioni sono facilmente riscontrabili con­
frontando due o più forme testuali di uno stesso passo. Sono più frequen­
ti nei testi piu recenti e con una storia di trasmissione piu prolungata,
com’è il caso del testo greco lucianeo. S. Talmon ha stabilito una tipolo­
gia di queste doppie lezioni, consistenti nella giustapposizione di parole o
espressioni sinonimiche, di forme grammaticali alternative, di varianti
sintattiche ecc. Le duplicazioni evidenziano il rispetto dei copisti per ogni
variante trasmessa dalla tradizione e il loro impegno affinché nessuna va­
riante andasse perduta.
Correzioni per ragioni morali e teologiche: i nomi teofonci riferiti al
dio Baal, come ’tsba'al, possono apparire in forma dispregiativa, 7 bóset
(1 Gran. 8,33 e 2 Sam. 2,8, cfr. LXX). Per eufemismo, l’espressione dì
Giob. 1 , 5 . 1 1 ; 2,5.9, «maledire Jahve», è sostituita da «benedire Jahvé»,
nonostante la prima risulti più in sintonia con il contesto. I11 ugual misu­
ra, l’espressione di 2 Sam. 24,1: «Jahvé incitò Davide contro gli israeli­
ti», è corretta nel testo parallelo di 1 Cron. 2 1,2 mediante il semplice
cambiamento del nome di «Jahvé» in «Satana». La tendenza del giudai­
smo tardo a evitare gli antropomorfismi in riferimento alla divinità si
l a critica testuale delTA.T. 429

manifesta soprattutto, benché non sempre, nelle versioni targumiche. La


maggior parte dei sebirim o «congetture» dei masoreti risponde a motivi
teologici o morali.

z. Dati per l'analisi critica

Le varianti attestate dai manoscritti biblici, dalle versioni antiche e dalle


citazioni patristiche o rabbmiche costituiscono 1 dati e il materiale su cui
lavora la critica testuale.

a) / manoscritti biblici

Per alcuni libri, come quello di Isaia, i manoscritti del Mar Morto sono
venuti a confermare il valore della tradizione testuale rappresentata dal
T.M ., dal momento che i manoscritti medievali concordano sostanzial­
mente con quanto oggi si riscontra nei manoscritti del M ar Morto. Per
altri libri, come Samuele e Geremia, al contrario, essi avvalorano la tradi­
zione attestata dalla versione dei L X X , benché presentino anche caratte­
ristiche peculiari. E tuttavia da tener presente che i manoscritti rinvenuti
nelle grotte del M ar Morto sono giunti fino a noi in un insufficiente stato
di conservazione: in genere presentano un testo molto frammentario, a
volte solo parti di linee o di parole. Ciò, sommato in taluni casi a una
qualità non molto accurata del lavoro dei copisti, riduce il valore di que­
sti manoscritti.
I manoscritti ebraici medievali, corredati di vocalizzazione e masora,
danno un contributo assai significativo ai lavoro critico. La vocalizzazio­
ne masoretica può coincidere o meno con quella supposta per le versioni
antiche (si confronti Is. 7 , 1 1 s e’ ala/s e’olà). In molti casi, in prossimità
della lezione «scritta» (ketib) appare al margine una variante, indicata co­
me ciò che si «deve leggere» (qere). Secondo Orlinsky, queste lezioni qere
corrispondono ad autentiche varianti testuali. Circa 350 note marginali
offrono «congetture» {sebirim):>alcune delle quali sono bene azzeccate. I
masoreti riuscirono a definire il testo ebraico nei suoi mimmi particolari.
Di conseguenza, i manoscritti medievali non trasmettono varianti molto
significative (Goshen-Gottstein), benché il loro studio abbia una certa
importanza. E significativo che vi siano lezioni dei manoscritti ebraici
medievali coincidenti con quelle del testo greco, in particolare lucianeo;
tali coincidenze non sono fenomeni attribuibili semplicemente alle ten­
denze e alle consuetudini dei copisti (Goshen-Gottstein), ma risalgono in
molti casi a forme premasoretiche del testo ebraico. Le varianti vocaliche
hanno sempre minor importanza di quelle consonantiche.
II T.M ., insomma, gode della massima autorità. Si tratta di un testo
430 Testo e critica testuale dell’À.T.

trasmesso io tutte le epoche con infinita cura e diligenza, già dal momento
della fissazione del testo consonantico nel n sec. d.C. Il T.M . costituisce
quindi il punto di partenza e di riferimento obbligato per qualsiasi lavoro
di critica testuale veterotestamentaria.

b) Le versioni antiche

Le versioni antiche possiedono generalmente un grande valore critico.


Talvolta riflettono forme premasoretiche del testo ebraico, che possono
avvicinarsi maggiormente all’originale dello stesso T.M . La testimonianza
fornita dalle versioni, tuttavia, è solo indiretta. Per tale motivo nelPutiliz-
zazione critica del loro testo è sempre necessaria una conoscenza prelimi­
nare, la più completa possibile, della lingua originale e di quella della tra­
duzione, dalla loro struttura morfologica e sintattica, fino al sistema di
rappresentazione delJa realtà proprio di ciascuna lingua. E necessario co­
noscere adeguatamente anche le «caratteristiche di traduzione» di ciascun
libro, in particolare i suoi indirizzi esegetici e teologici. Parimenti si deve
compiere prima un lavoro di crìtica testuale delle versioni stesse, per non
incorrere nelPerrore di considerare come lezione o particolarità della ver­
sione originale ciò che è soltanto frutto di corruzione o revisione poste­
riore del suo testo (Wevers).
La versione dei L X X è la più importante delle traduzioni antiche, per la
sua maggiore antichità (iu-u sec. a.C.) e perché comprensiva della totali­
tà dei libri veterotestamentari. Per alcuni libri {Samuele, Geremia, Giobbe
ecc.), inoltre, essa presenta forme perdute del testo ebraico, riemerse in
parte soltanto nei frammenti dei manoscritti di Qumran. In altri libri, co­
me Isaia e Proverbi, il carattere maggiormente parafrastico della versione
riduce in misura considerevole il valore della sua testimonianza per la cri­
tica del testo ebraico.
Tra le versioni aramaiche, il Tg. Onqelos è molto letterale; Neophyti,
Jerushalmi e il Tg. Jonatan ai Profeti sono più parafrastici. Tuttavia i tar-
gumim e la Peshitta talvolra conservano anche varianti che rispecchiano
testi premasoretici. Queste «varianti primarie» sono, per il Pentateuco,
quelle in cui il testo samaritano e/o il testo dei L X X coincidono contro il
T.M . In Samuele-Re sono varianti primarie quelle in cui il testo greco lu-
cianeo e Pebraico delle Cronache coincidono.
La versione latina antica (Vetus Latina) —nonostante Pesiguità e fram­
mentarietà del materiale conservato, la complessità della sua storia recen-
sionale e la mescolanza di stile volgare e letterario del testo (Ulrich) —co­
stituisce una testimonianza di grande valore per la conoscenza del testo
greco anteriore ai grandi manoscritti onciali del I V secolo. La Vulgata, al
contrario, rappresenta generalmente il testo della tradizione masoretica,
La critica testuale dell’A.T, 43 1

conosciuto attraverso «i tre» (Aquila, Simmaco e Teodozione), e anche,


sebbene in misura minore, direttamente dal testo ebraico della fine del iv
secolo.

c) Le citazioni dell*Antico Testamento

Le citazioni dell5A.T. contenute nella Mishna, nel Talmud e negli scritti


rabbinici riportano talvolta varianti rispetto al T.M . Così pure gli scritti
dei Padri siriaci, greci e latini trasmettono in traduzione varianti di gran­
de interesse. Tuttavia la testimonianza delle citazioni dev’essere utilizzata
con grande attenzione, poiché queste citazioni erano spesso affidate alla
memoria, anche se non nella misura in cui si è sempre creduto, e possono
inoltre testimoniare forme recensionali o forme testuali corrotte.

3. Principi e metodi della critica testuale

Obbiettivo della critica testuale è restituire il testo al suo stato originario,


il più possibile emendato da ogni elemento estraneo alPautografo, alla
prima edizione o alle diverse edizioni del testo, se ve ne fossero. L ’edizio­
ne critica di un testo classico, trasmesso in copie medievali, procede in
due fasi.
In primo luogo la critica testuale si propone di determinare le relazioni
esistenti tra 1 diversi testimoni o manoscritti conservati, la loro reciproca
discendenza rispetto a un archetipo comune. Per tale motivo si procede
alla raccolta dei manoscritti conservati e alla loro corrispondente anali­
si documentaria e storica. Si collazionano o confrontano tra loro questi
manoscritti, se ne individuano le varianti stabilendone, se possibile, l’al­
bero genealogico (stemma codicum).
Si passa quindi all’esame delle varianti manoscritte, selezionando quel­
le con migliore corrispondenza all'archetipo. Quando tutta la tradizione
manoscritta risulti danneggiata da un fenomeno dì corruzione, sarà ne­
cessario ricorrere alla congettura (emendarlo ope ingeniì o divinatio).
Questo è il metodo genealogico, elaborato da C. Lachmann e seguito
dalla moderna filologia dal secolo passato a oggi.
Circa il testo della versione dei L X X , la critica testuale procede in due tappe: re­
cupero del testo delle recensioni greche (Origene, Luciano ed Esichio) e recupero
del testo della versione originale. A queste due fasi se ne aggiunge una terza: la ri­
costruzione, nella misura possibile, dell’ originale ebraico rispecchiato dalla tra­
duzione greca. Sono tre tappe che implicano una problematica complessa.
Il primo obbiettivo, indicato da Lagarde alla critica del testo greco dei L X X , è
il recupero degli archetipi delle grandi recensioni di Origene, Esichio e Luciano.
Si deve quindi stabilire anzitutto l’albero genealogico dei manoscritti dei L X X ,
432 Testo e critica testuale delTA.T.

cercando di risalire loro tramite agli archetipi da cui derivano. Nella valutazione
delle lezioni non conta tanto il numero, quanto la qualità dei testimoni su cui si
fondano. Una lezione attestata dal testo esaplare, dalla Volgata, dalla versione si-
ro-esaplare e dalla armena può essere meno affidabile di un’altra testimoniata
unicamente dalla Vetus Latina . Una variante ripetuta in molti manoscritti può es­
sere ricondotta a un solo manoscritto di scarsa qualità, ma molto diffuso; una le­
zione conservata da un unico manoscritto può invece risultare preferibile per ra­
gioni di critica interna. Tutto ciò esige uno studio preliminare delle peculiarità e
delta derivazione di ciascun manoscritto. L ’origine di una determinata famiglia
testuale potrà essere stabilito, in molte circostanze, attraverso le citazioni dei Pa­
dri dell’area geografica in cui era diffusa quella famiglia. Le citazioni dei Padri
antiocheni, ad esempio, permettono di attribuire alla recensione lucianea il testo
dei manoscritti b o c2 di Samuele-Re.
À partire dagli archetipi di quelle tre grandi recensioni si cerca di ricostruire il
testo originale della versione greca, Le innumerevoli contaminazioni tra le diverse
famiglie testuali rendono molto complessa e difficile l’opera di ricostruzione del­
l’originale. Per giungere all’originale dei L X X è necessario inoltre identificare le
varianti introdotte dalle recension: anteriori a Origene, come quelle proto-lucia-
nca e proto-teodozioniana o kaige. A volte sì dovrà considerare perduto il testo
originale. Tuttavia può risultare ancora riconoscibile in misura significativa, co­
me mostra l’edizione critica dei L X X condotta a Gottinga conformemente ai
principi stabiliti da Lagarde.
Il testo dei L X X ha un grande valore per la critica del testo ebraico, in quanto
offre la possibilità di ricostruire l’originale ebraico utilizzato per la traduzione,
talvolta differente dal T .M . Questa ricostruzione risulta spesso ipotetica, soprat­
tutto relativamente ai particolari morfologici e sintattici. Tuttavia resistenza di
paralleli nei manoscritti di Qumran e la presenza di ebraismi nei L X X sollecitano
a una retroversione dal testo greco all’ebraico, attuabile soprattutto attraverso
uno studio delle corrispondenze lessicali tra l'uno e l’altro (ad es. in z Re 1 7 ,2 0
w jtmn/wjnimì E. Tov).

NelPesaminare le varianti di un determinato passo e selezionare (selectìo 5


quelle ritenute originarie, la critica testuale è quasi più un'arte che una
scienza. Si richiede un acuto senso critico e una grande capacità intuitiva
per penetrare tutti gli aspetti di un testo. La critica testuale ha elaborato
alcune regole di natura orientativa, non applicabili quindi secondo un
automatismo meccanico. Possiamo enunciare e chiarire le quattro regole
fondamentali nel modo seguente:
1. in ogni trasmissione testuale si producono fenomeni di «banalizza­
zione» del testo. Il copista, incontrando una difficoltà lessicale, gramma­
ticale, storica o teologica, tende a rendere più agevole la lettura del testo
sostituendo un’espressione difficile con un'altra più facile. La lezione «più
difficile» (lectio difficili or) ha quindi maggior probabilità di essere origi­
naria, sempre che tale difficoltà non sia imputabile a qualche fenomeno
di corruzione;
La critica testuale delPA.T. 433

2. nel corso della trasmissione manoscritta di un testo sì produce anche


un fenomeno di amplificazione per l’inserimento di glosse o di passi pa­
ralleli. Per cui la lezione «più breve» (lectio brevior) è in linea di princìpio
la più antica, sempre che non si sia prodotto alcun errore apiografico;
3. una variante in grado di spiegare l’origine delle altre è, per princi­
pio, preferibile a queste;
4. data la tendenza dei copisti ad armonizzare alcuni testi con altri, la
lezione divergente dai suoi paralleli è preferibile a quella che mostra segni
di assimilazione agli stessi.

4. Critica testuale e critica letteraria

La critica testuale studia la trasmissione del testo di un determinato libro.


La critica letteraria ne analizza il processo di formazione e la struttura
letteraria. A volte gli ambiti di studio delle due discipline si sovrappongo­
no. Questo accade quando il processo di formazione letteraria continua
oltre la prima edizione, dando luogo a una seconda edizione, general­
mente «corretta e ampliata», o quando le differenze tra due torme testua­
li sono di tale entità che non è possibile spiegarle col ricorso alla sola tra­
smissione testuale. Ne sono un tipico esempio i racconti di Davide e Go­
lia, più ampi nel 1 .M. che nei L X X , dove è omesso il testo corrisponden­
te a 1 Sam. 1 7 ,1 2 - 3 1 e 17 ,5 5-18 ,5 (Barthélemy). In tali circostanze, delle
due forme testuali sarà preferibile quella che meglio riflette le qualità let­
terarie e stilistiche, di composizione e redazione, del libro in questione. In
z Re 10,30 i testi dei L X X e della Vetus Latina contengono un passo che
riproduce con assoluta precisione il genere letterario del racconto di un
colpo di stato; nel T.M ., al contrario, questo stesso passo appare fram­
mentato in varie parti e con glosse intercalate (2 Re 8-10).

5. Critica testuale e filologia semitica comparata

Lo studio dell’epigrafia ebraica e, in particolare, della letteratura ugariti-


ca ha fornito una conoscenza piu adeguata della lingua ebraica, dell’orto­
grafia e del lessico d’epoca precedente alPe$jlÌo, da cui proviene una parte
molto consistente delle fonti e dei testi veterotestamentari. Le difficoltà
presentate da questi testi tanto arcaici, e talvolta già incomprensibili ai
traduttori delle versioni antiche, nei decermi passati venivano risolte me­
diante il ricorso eccessivamente frequente a varianti testuali delle versio­
ni o a congetture degli stessi autori moderni. Le nuove conoscenze della
filologia semitica comparata rendono sovente superfluo il ricorso alle
versioni. La conoscenza della lingua ugaritica, per esempio, contribui­
sce a risolvere difficoltà del testo ebraico, specialmente nei testi poetici
434 Testo e critica testuale dell’A.T.

(Dahood). Tuttavia non si devono radicalizzare neppure queste nuove


tendenze fino al punto da dichiarare praticamente obsoleta la critica te­
stuale per lo studio dei testi poetici arcaici. In Is. 60,19, 1 QIsa, insieme a
L X X , Vetus Latina e Targum, offre un elemento («di notte») che si rivela
necessario per il parallelismo poetico («di giorno» / «di notte») assente
nel T.M . È ahresl necessario osservare che, a motivo della molteplicità
delle teorie esistenti sulla metrica ebraica e della difficolta a determinare
in molti casi il metro utilizzato, le correzioni al testo metri causa risultano
in genere estremamente ipotetiche.

6. Esempi di critica del testo


Si presentano qui alcuni esempi che possono dare un’ idea della critica del testo
veterotestamentario.
2 Re 16,6: ì traduttori e commentatori sogliono modificare la lettura del T .M .
1Aram con 'Edom . Alla facile confusione delle consonanti d jr nella scrittura qua­
drata (*V^) si aggiungono ragioni di ordine storico, facilmente deducibili dal con­
testo. Casi simili si trovano in 1 Sarti. 1 7 ,8 e 2 Sam . 8 ,1 2 (1 C fon. 1 8 ,1 2 ) .
Frov. 9 ,1 : la versione greca suppone la lettura hsbh in luogo delia masoreti-
ca hsbh , con il parallelismo dei termini «edificare»/«innalzare». 11 T .M . è il risul­
tato della confusione dei segni b e h nella scrittura paleoebraica.
x Sam. 1 4 ,4 7 : vane traduzioni correggono la lezione del T .M ., «verso il male»
(in senso morale), sostituendola con quella dei L X X , «vinceva», che meglio si ac­
corda con il contesto. La differenza di significato tra le due si spiega con la confu­
sione delle lettere w e r nella scrittura paleoebraica (jr $ * T .M . e j w ì c L X X ).
Sai. 49,12.: la lezione dei L X X , «la sua tomba» (= qbrm), si confà meglio al
contesto: «in verità muoiono i sapienti... (v. 1 1 ) » . La lezione del testo ebraico,
«suo interno» (= qrhm ), è prodotta da metatesi (errore per trasposizione di lette­
ra). I commentatori giudei medievali rimangono incerti di fronte a questa lezione.
Rashi cerca di trarre il miglior profitto possibile dalla lezione masoretica: «il suo
interno (pensiero è che) le sue cause (dureranno) per sempre». Col suo atteggia­
mento in generale più razionale, Ibn Ezra sa che «vi è chi dice che qrbm è traspo­
sizione (hpk) di qbrm ». Non essendoci ima tradizione autorizzata che sostenesse
l’emendamento del testo trasmesso, Terrore si perpetuò senza che nessuno osasse
correggere il resto, quantunque già il Talm ud di Babilonia (Mo'ed qatan 9b) af­
fermi che «non sj deve leggere qrbm , bensì qbrm ».
Sai. 4 2,6 : la frase «(Egli) è la salvezza del mio volto e il mio Dio» (j$wlt pnj
tu'Ihj) ricorre anche alla fine di questo salmo e del seguente. Nel T .M . la frase di
4 2,6 appare troncata, e le parole «e il mio Dio» {'thj) vengono attribuite al ver­
setto seguente. Ciò si deve a un errore nella divisione delle parole di un testo con­
sonantico continuo [jsHpnjw'lhj).
Ger. 2 3 ,3 3 : «Se... ti domandano qual è il carico di Jahvé, tu dirai loro: Voi sie­
te il carico di Jahvé». Questa traduzione corrisponde alla lezione dei L X X , che
suppone il testo consonantico ebraico 'tm hm s\ La lezione masoretica, «a quale
carico...», risulta inintelligibile e frutto di un errore nella divisione delle parole,
La critica testuale dell'A T. 435

tre in luogo di due: ’f mb m s\ Altri esempi in 1 Sam . 9 ,1 ; Is . 3 0 ,5 ; Ez. 26,2,0;


Os, 6 ,5 ; £0/. 89 ,45.
1 Sam. 20 ,3: il contesto della frase, «M a Davide giurò un’altra volta», non fa
menzione di un precedente giuramento di Davide. Sicuramente si è prodotta una
dittografia, consistente nella ripetizione successiva di due consonanti, l’ ultima del
verbo e la prima del nome di Davide, wisb* (*d)dwd. Altri esempi in 2 Re 1 9 ,2 3
(da confrontare con Is . 37 ,2 4 ) ed Ez. 2 8 ,2 3 .
Il primo libro di Samuele contiene numerosi casi di aplografia. Il testo perduto
può essere ricostruito attraverso i L X X e i frammenti di Qumran. Il lettore può
confrontare da se stesso nelle diverse Bibbie la traduzione e le note corrisponden­
ti ai passi di 1 Sam . 3 , 1 5 ; 4 , 1 ; 1 0 , 1 ; 1 3 , 1 5 ; 1 4 ,4 1 e 2 9 ,10 . Il testo di x Sam. 1 1 , 1
ha perduto una parte di testo restituitaci da 4 Q Sam a, che consente di recuperare
l’ inizio del racconto: «(E N a;ash, re degli ammoniti, oppresse i figli di Gad e i fi­
gli di Ruben, e tolse a t(utti) rocchio destro e infuse pau{ra e terrore) in Israele.
N on rimase nessuno tra i figli d ’Israele dall’ (altro lato del Giordano al quaLe) N a-
ha(sh, re) degli ammoniti, non avesse (stacc)ato l’occhio destro. Soltanto settemila
uomini (fuggirono di fronte) agli ammoniti e giunsero a Jabesh-Gilead, e un mese
più tardi successe che...» (E.M . Cross).
2 Sam . 6 ,3-4: il T .M . ripete per due volte le parole «... nuovo; e la levarono
dalla casa di Abinadab che si trovava sul colle». 4 Q Sam d e i L X X non conoscono
questa dittografìa, che potrebbe non esser tale, bensì ripetizione editoriale dovuta
all’esistenza di due versioni relative al modo di trasportare l’ arca.
2 Re 2 0 ,13 e J s- 3 9 ,2 sono passi paralleli di medesimo testo. La lezione di 2 Re,
«Ezechia udì (u/jsm’)», è un errore sanabile sulla base della lezione parallela di
Isaia, «si rallegrò (wjsmh).
Gios. 1 , 1 5 : nella frase «allora ritornerete alla vostra terra e prenderete possesso
di quella, (che) M osè vi diede...», l’ inciso, «prenderete possesso di quella», è una
glossa aggiunta; manca nei L X X e interrompe la sequenza formata dalla frase
precedente e dal pronome relativo che segue.
1 Sam. 2 ,2 : «N on vi è alcun santo come Jahvé (non v ’è alcuno fuori di te), non
c’ è roccia come il nostro D io». La frase tra parentesi interrompe il parallelismo
poetico costituito dalle altre due. Nei L X X questa frase si trova aggiunta alla fine
del versetto. Un glossatore volle rimarcare le affermazioni sull’unicità di Jahvé.
Es. 2 0 ,1 2 e Deut. 5 ,16 : due versioni del comandamento sul rispetto dovuto ai
genitori. In entrambi si è introdotta la glossa «affinché i tuoi giorni divengano
lunghi». Il Deuteronomio aggiunge «e tu sia felice». I L X X includono questa se­
conda glossa in entrambi i passi. La sua funzione è di confermare che chi rispetta
questo comandamento godrà di vita lunga e per di più colma di felicità.

7. Bibliografia
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4 >6 Testo e critica testuale dell'A T.

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Translatton o f thè Septuagìnt, in La Septuaginta en la investigación contem porà­
nea , cit., 6 7 - 8 1 ; M .H . Goshen-Gottstein, The Textual Criticism o f t h e O T : Rise,
D ecline , Rebirth: JB L 1 0 2 {19 8 3 ) 3 6 5 -3 9 9 ; E, Ulrich, Horizons o f O T Textual
Research at thè Thirtieth Anniversary o f Q um ran Cave 4: C B Q 46 (19 8 4 ) 6 1 3 ­
6 36 , Modelli di critica del testo dell À .T . sono i commenti di Montgomery (Da­
niele e Re), Wellhausen (Samuele), Driver (Samuele), Cornili (Ezechiele).
Capitolo xvi

Testo
e critica testuale
del Nuovo Testamento

I. IL T E S T O G R E C O
D EL N UO VO TESTAM EN TO

i. Situazione e problematica
Nella cultura occidentale nessun libro dell’antichità ha esercitato un’ in­
fluenza pari a quella del N.T. Nessun testo letterario del mondo classico,
d’altra parte, ci è giunto in un tal numero di esemplari e in forme testuali
tanto diverse come il N .T. Si conoscono circa 5000 manoscritti greci del
N .T., più di 10000 delle versioni antiche e migliaia di citazioni dei Padri
della chiesa. Manoscritti, versioni e citazioni offrono un numero di va­
rianti calcolato tra le 150/250000 se non più. Non c’è frase del N .T. della
quale non si conoscano varianti testuali. Il tempo intercorso tra la reda­
zione dei vangeli e la maggior parte dei testimoni conservati è peraltro di
tre o quattro secoli, in alcuni casi di due secoli soltanto o di un tempo an­
cora inferiore. Un frammento papiraceo di Giovanni è più antico della
data assegnata in passato da alcuni critici alla redazione di questo vange­
lo. Diversamente basti ricordare che molte opere della letteratura classica
greco-latina non ci sono giunte che in due o tre copie medievali, distanti
dall’autografo più di un millennio.
Questa situazione solleva ovviamente un problema. Dopo mille anni di
trascrizione manoscritta e un cosi ingente lavoro di copiatura del testo,
che ha prodotto tutto questo cumulo di varianti, è possibile riconoscere
ancora l’originale del N.T. o si dovrà ritenere che ci è pervenuto sfigurato
e corrotto?
Il problema del recupero o ricostruzione del testo neotestamentario è
tuttavia molto diverso da quello suscitato dalle opere del mondo classico
greco-romano. L ’editore moderno delle tragedie di Eschilo, ad esempio,
deve frequentemente «congetturare» l’originale, poiché i manoscritti con­
servati presentano un testo irrimediabilmente corrotto. Si può invece af­
fermare con certezza che nella stragrande maggioranza dei casi la lezione
originaria del testo del N.T. si è sempre conservata in uno o più mano­
scritti giunti fino a noi.
La maggior parte delle varianti interessano l’ortografia, questioni
grammaticali o stilistiche. Pochissime riguardano mutamenti del signifi­
438 Testo e cotica testuale del N.T.

cato testuale. Molte sono il prodotto di modifiche deliberatamente intro­


dotte e, se giungono a modificare il senso, non interessano mai questioni
sostanziali del dogma cristiano.
Gli autografi od originali dei libri del Nuovo l estamente andarono
perduri già nei primi tempi. Diversi sono i fattori che influirono sulla ca­
rente conservazione del testo neotestamentario. I libri erano scritti su pa­
piro, materiale di non grande durata se non in climi molto secchi quali
sono quelli dell’Egitto o del Mar Morto. Nella trascrizione di un mano­
scritto era d’altra parte inevitabile Pintroduzione di errori accidentali o
modifiche intenzionali.
La maggior parte delle varianti conservate risalgono all’epoca prece­
dente la canonizzazione dei libri del N .T. A partire da quel momento la
copia dei manoscritti venne approntata con maggior cura, anche se ciò
non pose termine al riprodursi di nuove varianti. Proprio l’insenmento di
uno scritto nel canone dei libri sacri determinava tra i copisti la tendenza
a correggere il testo, espungendo tutto quanto fosse ritenuto erroneo,
scorretto o semplicemente sconveniente. A differenza dei critici moderni i
copisti erano interessati non alla lezione «originale'» bensì alla lezione
«vera», conforme cioè alla tradizione ecclesiale. Ciò non significa che in
epoche passate non vi fosse una preoccupazione critica. L’opera di Orige­
ne non sfigura agli occhi della critica moderna, ma essa risponde anche a
un impegno di fedeltà alla tradizione ricevuta dalla chiesa. L interesse per
il testo «migliore» e originano e per la storia delle versioni non apparirà
fino al Rinascimento. Anche allora, tuttavia, si venne inevitabilmente a
costituire una tradizione cristallizzatasi nel cosiddetto textus receptus, ri­
prodotto nelle edizioni del N.T. fino al secolo passato.

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J 19 4 9 ; P . S a c e l l i , AUe origini dei Nuovo Testamento , F ir e n z e 1 9 5 6 ; H. Z i m m e r -
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elìe du Nouvecm Testament, P a r is 19 8 6 .

2. Il testo a stampa del Nuovo Testamento:


textus receptus

I primi testi greci neoiestamentari dati alle stampe furono il Magnificat e


il Benedictus, pubblicati assieme a un salterio greco a Milano nel 14 8 1.
Il testo greco dei N .T . 439

La prima stampa del testo greco del N.T. fu quella della Poliglotta Com­
plutense, del Cardinal Jiménez de Cisneros. Dei sei volumi delPopera
completa il quinto corrisponde al N.T. Esso fu portato a termine ad Al-
calà il io gennaio 15 14 , ma Pedizione completa non vide la luce prima
del 15 2 2 . È possibile stabilire con precisione quali furono i manoscritti
utilizzati per questa edizione, alcuni dei quali fatti giungere espressamen­
te da Roma. Nella stessa edizione li si qualifica con le parole antiquissima
et emendatissima. In alcuni casi gli editori corressero il testo greco, pren­
dendo come riferimento il testo latino della Volgata, ad esempio per il
cosiddetto comma loanneum (1 Gv. 5,7-8).
Nel 1 5 1 5 Erasmo (1466?-! 536) approntò un’edizione del N.T. su ri­
chiesta dello stampatore J. Froben di Basilea, che voleva prevenire la
pubblicazione della Complutense. Questa edizione apparve Panno se­
guente. Su colonne parallele riportava il testo greco e un testo riveduto
della Volgata. Erasmo dovette portare a termine il suo lavoro in meno di
sei mesi; ne risultò un’edizione piena di errori tipografici e basata su ma­
noscritti recenti e di scarso valore, provenienti dalla biblioteca dell’Uni­
versità di Basilea. Il manoscritto utilizzato per il testo dell’Apocalisse, ad
esempio, non conteneva la pericope 2 2 ,16 -2 1. Erasmo non ebbe remore a
colmare la lacuna del manoscritto con una propria versione, condotta
sulla base del testo latino. Successive edizioni apparvero nel 1 5 19 , 15 2 2 ,
15 2 7 e 15 3 5 . L ’opera di Erasmo venne criticata dai contemporanei, non
tanto per gli errori contenuti, quanto per le modifiche introdotte nel testo
latino. E testo del Nuovo Testamento edito da Erasmo è qualitativamente
inferiore a quello della Poliglotta di Alcalà, ma essendo stato pubblicato
per primo fu fin dal primo momento il testo più diffuso. Se non fossero
intercorsi tanti anni tra la stampa e la pubblicazione della Poliglotta di
Alcalà, il suo testo sarebbe certamente divenuto il textus receptus della
tradizione posteriore.
Nel 154 6 e 1549 l’umanista e stampatore Robert Estienne (Stephanus)
pubblicò a Parigi due edizioni del N .T,, che non erano altro che un rima­
neggiamento dei testi della Complutense e di Erasmo. Nella terza edizio­
ne (regia), del 15 5 0 , seguì fedelmente il testo della quinta edizione di Era­
smo, raccogliendo nel margine lezioni di manoscritti conservati soprat­
tutto alla biblioteca reale di Parigi e altre dell’edizione complutense. La
quarta edizione, del 1 5 5 1 , presenta per la prima volta il sistema di divi­
sione del testo in versetti, da allora utilizzato in tutte le edizioni.
L ’edizione di Estienne servì come base per altre due successive: quella
del francese Teodoro Beza, che conobbe dieci edizioni tra il 1565 e il
1 6 1 1 , e quella dei fratelli Bonaventura e Àbramo Elzevier di Leida (Olan­
da) del 1624. La seconda edizione dei fratelli Elzevier (1633) ospita la fa­
mosa espressione textum ergo habes, nunc ab omnibus receptum, e da al­
440 Testo e critica testuale del N.T.

lora venne effettivamente considerata come il textus receptus del N.T.


greco. In Inghilterra si riteneva come tale il testo delf edizione del 15 50 di
Estienne, utilizzato nella Poliglotta di Londra del 1657. Questa poliglot­
ta, edita dal vescovo anglicano Brian Walton, comprendeva, oltre al testo
latino della Volgata, i testi delle versioni Peshitta, etiopica, araba, persia­
na (per i vangeli) e di una versione in siriaco, con la quale si colmavano le
lacune della Peshitta nel testo del Nuovo Testamento. Ognuna di queste
versioni era accompagnata dalla corrispondente traduzione latina. Nel
1675 J. Fell pubblicò un'edizione che comprendeva anche testi delle ver­
sioni copta e gotica.
L ’edizione di J. Mill, del 1707, come le precedenti anch essa basata su
quella di Estienne, raccoglie circa 30000 varianti con giudizi critici sul
loro valore. Mill fu il primo a cogliere [importanza delle versioni antiche
e delle citazioni dei Padri per Io studio critico del testo del N.T.
L’edizione del Nuovo Testamento a cura di J.A , Bengel, edita a Tubin-
ga nel 17 3 4 , non seguiva fedelmente il textus receptus, benché neppure
riportasse lezioni che già non fossero apparse m edizioni precedenti. Nel
1 7 5 1 - 5 z J.J. Wettstein pubblicò un edizione con un ingente massa di ma­
feriali, comprendente citazioni di classici greci e latini, di scritti rabbinici
e talmudici, in qualche modo correlati con i passi biblici corrispondenti.
Wettstein utilizzo per primo le lettere maiuscole per designare i mano­
scritti onciali e i numeri arabi per i codici minuscoli. Altre edizioni meri­
tevoli di menzione sono quelle di J.J. Griesbach (1775-77), C.F. Matthaei
(1781-88) e J.M .A . Schoiz (1830-36).

3. Edizioni critiche moderne

C. Lachmann fu il primo a rompere con la tradizione del textus receptus.


Scopo della sua edizione del 18 3 1, fondata su manoscritti antichi, era di­
sporre di un testo prossimo a quello circolante nel iv secolo. Lachmann fu
un pioniere della critica testuale del N.T. e della letteratura dell’antichità
classica. Anche gli studi di S.P. Tregelles (1857-1872) sono un modello di
precisione critica.
L F .K . von Tischendorf pubbhcò non meno di 24 edizioni; la più signi­
ficativa è la Novum Testamentum Graece. Edìtio Octava Critica Maior
(Leipzig 1869-1872). Egli scopri nel monastero del Sinai il famoso codice
Sinaitico (cfr. cap. xv, 11,3), testo «migliore», benché non proprio il più
antico. Dall’apparato critico di questa edizione non si può prescindere.
L ’edizione di B.F. Westcott e F.J.A. Hort del 18 8 1 ('The N ew Testa-
ment in thè Originai Greek) ha goduto di enorme autorevolezza tra i cri­
tici moderni. Si basa principalmente sul testo del codice Vaticano.
H. von Soden pubblicò un’edizione che si distingueva per la quantità
Il testo greco del M.T. 441

di manoscritti minuscoli impiegati: Die Schriften des N T in ihrer dltesten


erreichbaren Textgestalt hergestellt auf Grund ihrer Textgeschichte, Gòt-
tingen 19 13* Elaborò un nuovo sistema di classificazione dei manoscritti
e una nuova teoria della storia del testo.
In aggiunta alle grandi edizioni citate vi sono quelle manuali. Le edi­
zioni di J.M . Bover, N ovi Testamenti Biblia Graeca et Latina, Madrid
1943, e di A. Merk, Novum Testamentum Graece et Latine, Roma 19 33 ,
presentano, come dicono 1 titoli, il testo greco e latino. L ’edizione greca
di E. Nestle (1898), riveduta da lui stesso per le edizioni successive e da
K. Aland a partire dalla 25*, è la più nota: Novum Testamentum Graece
(Stuttgart1519 63),
K. Aland, M. Black, B.M. Metzger e A. Wikgren pubblicarono un’edi­
zione, The Greek N ew Testamenti London 1966, ideata come strumento
di lavoro per i traduttori moderni. Si tratta di un testo «eclettico». Le va­
rianti selezionate sono quelle che interessano in qualche modo la tradu­
zione. Il loro numero è più ridotto che nell’edizione di Nestle, ma la mas­
sa delle testimonianze addotte è ben maggiore. Gli editori formulano un
giudizio sul valore di ciascuna variante, esprimendo il grado di certezza
attribuito alle loro risoluzioni in una scala da maggiore a minore (A, B,
C, D). Un volume allegato, edito da B.M. Metzger, A Textual Comment-
ary on thè Greek New Testamenti London 19 7 1, illustra i motivi di ta­
li opzioni.
Nel 1967/68 l'institut fùr neutestamentliche Textforschung (Munster,
Westfalia), insieme ad altri centri di studio, ha programmato una nuova
grande edizione, N ovi Testamenti Graeci Editio M aior. Tale progetto è
giustificato dal semplice fatto che oggi si dispone di materiale manoscritto
ben più numeroso che all’epoca di Tischendorf: tutti i papiri (eccetto P11,
già utilizzato da Tischendorf), P8o% dei manoscritti onciali, il 95% dei
minuscoli, il 99% dei lezionari e alcune versioni oggi giorno meglio co­
nosciute. Vi si aggiunga che allora non erano ancora disponibili edizioni
critiche dei testi patristici. Questa edizione riconosce l’esistenza di tre for­
me testuali: la Koinè, il testo D (denominazione in realtà piu appropriata
rispetto a quella di testo occidentale) e il testo egiziano. Essa presume di
risalire al testo soueso a queste tre forme, ossia alla forma tesluale in cui
circolavano gli scritti neotestamentari nei primi momenti della loro tra­
smissione.

4. L'indagine moderna sul testo del Nuovo Testamento.


Teorie e metodi

La moderna critica testuale si propone la ricerca del testo «migliore» o


più originario del Nuovo Testamento. La storia di questa ricerca, dal R i­
442. Teseo e critica testuale del N.T.

nascimento a oggi, passa attraverso vane tappe, la prima delle quali con­
sistette nel riconoscere che il testo migliore e più originario si doveva
cercare nei manoscritti greci e non in quelli latini.
Dal v al xv i secolo in Occidente era prevalso il testo latino della Volgata. Dopo la
caduta di Costantinopoli, nel 1 4 5 3 , cominciarono a giungere in Occidente nume­
rosi manoscritti greci. In realtà il loro era un testo medievale tardo, molto diffuso
nell’ Oriente bizantino.
Le prime edizioni a stampa riprodussero questi manoscritti senza esprimere al­
cun giudizio critico. Quando si adducevano lezioni varianti, queste venivano con­
siderate un semplice ornamento o uno sfoggio dì erudizione. Le varianti che si
prestavano a discussione, talvolta in controversie molto accese, erano quelle in
cui il testo greco differiva dal latino, fino ad allora considerato testo normativo.
Erasmo fu duramente criticato, ed Estienne condannato per aver osato ritoccare
il testo latino.
U n p a s s o u lt e r io r e fu o s s e r v a r e c h e il t e s t o g r e c o d i f f e r i v a n o n s o l t a n t o d a q u e l ­
lo d e lla V o l g a t a , m a a n c h e d a l te s to d e lle a lt r e v e r s i o n i a n t ic h e e d e lle c i t a z io n i
d e i P a d r i. N e l 1 7 1 6 lìe n t le y p r o g e t t ò u n ’ e d iz i o n e , m a i r e a l i z z a t a , n e lla q u a le s t a ­
b iliv a u n p r i n c i p i o d i p r e f e r e n z a p e r i m a n o s c r i t t i p i u a n t ic h i e p e r la p r i m a v o l t a
r i c o n o s c e v a il v a l o r e d e lle v e r s i o n i a n t ic h e c o m e t r a m it e p e r r is a lir e a l te s to o r i g i ­
n a le g r e c o . B e n g e l e n u n c i ò a n c h e il p r i n c i p i o d i p r e f e r e n z a p e r l a le z io n e p iu d i f f i ­
c ile , c e r c a n d o a l t e m p o s t e s s o d i c la s s if i c a r e i m a n o s c r i t t i p e r f a m ig lie , d i s t i n ­
g u e n d o n e u n a a s i a t i c a e u n a ltr a a f r i c a n a . W e t t s t e m e le n c ò u n a s e rie d ì p r i n c i p i
t r a i q u a li f i g u r a v a q u e llo d e lla p r e fe r e n z a p e r la le z io n e p i ù b r e v e .
In realtà la moderna critica testuale del N uovo Testamento ha inizio con Gries-
bach, il quale ordinò i manoscritti in tre gruppi: uno occidentale, molto antico ma
corrotto, un altro alessandrino, che correggeva il precedente, e un terzo costanti­
nopolitano, riprodotto nella maggior parte dei manoscritti conservati. Più che alla
testimonianza dei manoscritti isolati, Griesbach attribuiva importanza alle fami­
glie di manoscritti, specialmente nei casi in cui v ’era accordo tra l’occidentale e
l’alessandrina.
C. Lachmann ruppe per primo con la tradizione che riteneva «migliore» il tex-
tus recepito delle Bibbie a stampa; esso aveva il grave limite di basarsi su mano­
scritti molto recenti. Il testo considerato «migliore» sarà, a partire da quel mo­
mento, il più antico, meno esposto in linea di principio agli errori dei copisti. Da
filologo classico e germanista, Lachmann fissò i principi critici del metodo genea­
logico, che ha segnato fino al tempo presente gli sviluppi della critica testuale. T e­
sto «migliore» sarà quello dotato del miglior albero genealogico.
Westcott e Hort dettero il colpo di grazia al recepiti^ la cui autorità poggiava
sul criterio della maggioranza, secondo il quale la lezione da preferire e la più fre­
quente nei manoscritti. M a una lezione attestata da molti manoscritti può deriva­
re da uno solo, molto corrotto. Westcott e Hort distinsero quattro tipi di testo:
siro-bizantino, occidentale, alessandrino e neutrale. Le loro relazioni reciproche
sono espresse dallo schema seguente:
autografo

textus receptus

Pur non giungendo a pubblicare un testo critico, B.H . Streeter ( 1 8 7 4 - 1 9 3 4 ) ela­


borò l’idea di raggruppare i manoscritti per «testi locali», secondo i diversi centri
o chiese locali da cui provenivano i testi: Alessandria d’Egitto, Antiochia di Siria,
Cesarea di Palestina e, per quanto riguarda l’Occidente, Cartagine, da un lato,
l’Italia e la Gallia dall’altro. Il testo di Bisanzio, corrispondente con probabilità
alla recensione lucianea, è riprodotto nella maggior parte dei manoscritti onciali e
minuscoli per sfociare infine nel receptus:

autografo

textus receptus

Per quanto concerne le lettere paoline, Hans Lietzmann ( 1 8 7 5 - 1 9 4 2 ) distinse tre


famiglie: la Koinè (la più recente), l’occidentale (dì grande antichità) e l’egiziana
(di frequente la più arcaica). A ogni buon conto non si può mai prescindere da un
esame di tutte le lezioni varianti e dal valutare l’attendibilità interna di ognuna di
esse.
Burkitt attribuiva maggior valore alle argomentazioni di critica interna dello
studio codicologìco dei manoscritti e del loro raggruppamento per famiglie. Tutti
4 44 Testo e critica testuale del N.T.

i manoscritti sono contaminati. Non esiste quindi un tipo di testo puro. D ’altra
parte la maggior parte delle varianti conosciute sorsero nei primi due secoli.
L ’appiicazione del metodo genealogico allo studio del testo neotestamentano non
consente altre conclusioni più precise, perché nel N .T . le varianti prodotte sono
attribuibili più a un cambiamento intenzionale che a errore accidentale. Dai tem­
pi di H. von Soden si è riconosciuto che il metodo genealogico non risolve suffi­
cientemente tutti i problemi di critica testuale del N .T ., per cui si tende □ un me­
todo «eclettico». Testo migliore sarà quello che, dopo un approfondito studio di
tutte le varianti conservate e mediante Papplicazione delle regole di crìtica inter­
na, mostri maggiori probabilità di corrispondere all’originale. Von Soden distin­
gueva tre recensioni: la gerosolimitana (I) di Origene, l’egiziana di Esichio (H) e la
bizantina o Koinè (K) di Luciano. La prima corrisponde al testo occidentale di
Westcott-Hort, la seconda al neutrale e all’alessandrino, la terza al siro-bizanti-
no. Ricostruito il testo delle tre recensioni, attraverso l’analisi crìtica interna von
Soden cercò di restituirne l’ archetipo, il cosiddetto testo I-H-K. L ’opera di von
Soden ha incontrato critiche molto severe e sì rivela di utilizzazione molto com­
plessa per chi non sia un autentico specialista.

Jl testo del N .T., dunque, contiene più varianti di qualsiasi altro corpus
letterario antico. La critica testuale deve esaminare tutte le varianti con­
servate e selezionare quella con maggiori probabilità di corrispondenza
con la forma originaria del testo. A questo scopo è necessario aver prece­
dentemente ricostruito molti altri testi, ritenuti come Scrittura in un de­
terminato momento e in una precisa regione geografica dalla comunità
cristiana di quella regione e di quell’epoca. Al critico del testo sono quin­
di richieste estese conoscenze della storia della tradizione cristiana nella
quale quei testi vennero trasmessi. Il fatto che le varianti più significative
si debbano a correzione dottrinale e a intervento editoriale, su cui influi­
scono fattori politici (come il trionfo del cristianesimo), teologici (apolo­
getica antieretica) e innumerevoli condizionamenti (quali ^isolamento
geografico e linguistico di una determinata comunità o il continuo e con­
creto intervento delPautorità ecclesiastica nelle metropoli), costringe il
critico del testo neotestamentario a lavorare da autentico storico della
chiesa e della teologia nello svolgimento del suo compito specifico di filo­
logo e ricostruttore del testo.
Lo studioso del testo neotestamentario deve prestare particolare atten­
zione ai momenti più decisivi della storia di questo testo.
Nella seconda metà del li secolo i quattro vangeli, fino ad allora tràditi
separatamente, iniziano a circolare uniti; il corpus paolino si completa
con ^inserimento delle lettere pastorali.
Verso il 180, dato il crescente numero di cristiani che non comprendo­
no più il greco, s’imzia la traduzione del N. T. in copto, siriaco e latino.
Intorno al 250 la chiesa occidentale si è trasformata ormai in una chiesa
di lingua latina. Il problema delle versioni consiste nello stabilire Lesi-
Il testo greco del N.T. 445

stenza di una prima e unica traduzione oppure di molte, in un primo mo­


mento parallelamente coesistenti e più tardi confluite in un'unica tradi­
zione. Soltanto nel caso delle versioni gotica e paleoslava si sa con certez­
za dell'esistenza di una prima e unica traduzione. La versione del N.T.
costituisce l’avvio delle letterature nazionali gotica (ossia tedesca), paleo­
slava, copta, armena, georgiana ed etiopica; il Diatessaron siriaco arrivò
ad avere una diffusione universale.
Fino al iv secolo il testo neotestamentario è un «testo vivo», in conti­
nuo sviluppo, al contrario di quanto accadeva con il testo consonantico
deU’A.T., già da allora pienamente stabilito. Questo aspetto è maggior­
mente percepibile nei livelli più antichi del testo, come attestano le va­
rianti proprie di ogni manoscritto, è il caso dei papiri P4S P4b e Non
c'è dubbio, tuttavia, che papiri come P 5 e Psz conservano il testo in una
forma relativamente fedele all'originale. Le variami non imputabili a er­
rori del copista trovano quindi spiegazione nei carattere vivo e variabile
del testo.
La persecuzione di Diocleziano cagionò la perdita di manoscritti neote-
stamentan al pari dell invasione islamica del x v secolo nel mondo greco
cristiano, che provocò la perdita di moki codici. Al contrario, l’età di Co­
stantino (iv secolo) determinò una considerevole richiesta. Per soddisfare
questa domanda si rese necessario creare scriptorìa in tutte le provìnce
ecclesiastiche. In Egitto si sviluppò da allora il testo conosciuto come
alessandrino. Il cosiddetto testo Koinè si estese nelle varie regioni dell’im­
pero bizantino, sotto l’influsso degli scriptoria di Antiochia di Siria. Que­
sti testi, alessandrino e antiocheno, fissati sul finire del ni secolo o al Tini-
zio del iv, non godono oggi dell’antico carattere normativo; la forma an­
teriore e originaria del testo va quindi ricostruita attraverso Tanalisi mi­
nuziosa di ogni variante.
Bibliografia . S . L . Greenslade (ed.), The Cambridge History o f thè Btble , ni. The
West from thè Reformation to thè Prese?il Day, C a m b r i d g e 1 9 6 3 ; F . K e n y o n ,
The Story o f thè Bìble , New Y o r k 1937; B.M. Metzger, Chapters in thè History
o fN T T ex tu a l Critìcìsm, L e id e n 1963.

5 . 1 manoscritti del Ntdotzo Testamento


a) Papiri
La maggior parte dei papiri trovati in Egitto riguarda testi non letterari:
ricevute, lettere, documenti commerciali ecc. A. Deissmann ha messo in
luce Timportanza di questi papiri per la conoscenza della lingua koinè,
dei costumi e dei molteplici aspetti della vita quotidiana in età ellenistica
e romana. Si sono trovati anche papiri con testi della letteratura classica.
Fino al secolo scorso se ne conoscevano solamente nove del N.T. Attuai-
44 6 Testo e critica testuale del N.T.

mente sono 88 i papiri catalogati, compresi alcuni talismani e lezionari,


di esiguo interesse per la storia e la critica del testo. I papiri abbracciano
un 40% del testo neotestamentario. Provengono tutti dall Egitto, dove
anche furono copiati. Datano dal 11 all vin secolo, ma più della metà ri­
salgono al in e iv secolo e sono quindi precedenti alla formazione delle
tipologie testuali del N.T. La grande antichità unita alla qualità del testo
conferisce loro un’enorme importanza per la critica testuale neotestamen­
taria. I frammenti conservati, tuttavia, sono spesso troppo brevi o a mala
pena utilizzabili. Le due più famose collezioni di papiri portano i nomi di
Chester Reatty (P4547, attualmente a Dublino) e di Martin Bodmer (P&ft,
P7i, P 7\ P a Ginevra). 1 papiri più importanti sono i seguenti:
P45. Risale agli inizi della prima metà del in secolo. I 30 fogli conserva­
ti ospitano frammenti dei quattro vangeli e degli Atti. Il testo di Marco si
avvicina al cesariense; quello degli altri vangeli si colloca tra Palessandri-
no e l'occidentale.
P4*. Questo papiro, datato verso il zoo, aveva 140 fogli dei quali se ne
conservano 86, con il testo delie lettere paoline in un ordine diverso
(Rom.y Ebr.y 1-2 Cor., Ef., G a l fi/., Col. e 1-2 Tess.). Sicuramente non
comprendeva le lettere pastorali. 11 testo si avvicina più alPalessandrino
che all’occidentale, attestando quindi un testo «neutrale» delle lettere
paoline, precedente di un secolo e mezzo a tutti gli altri testimoni conser­
vati di questo.
P47. Risale all’ultimo trentennio del in secolo. Concorda con il Sinaitico
più che con altri manoscritti, per quanto mantenga una certa autonomìa.
P5\ Datato intorno al 12.5, è il più antico frammento conosciuto del
N.T., molto prossimo alla data di redazione del vangelo di Giovanni (90­
95 ca.). Testimonia la diffusione di questo vangelo in Egitto alPinizio del
n secolo. E conservato alla John Rylands Library di Manchester.
P&<\ Del zoo ca.; contiene i capp, 1- 14 di Giovanni, con poche lacune,
e 1 5 -z i in peggiore stato. Presenta un testo misto, con elementi alessan­
drini e occidentali.
P*7. Papiro di Barcellona, datato intorno al zoo; contiene il testo di Mt.
3 ,9 .15 ; 5,20-22.25-28; 2 6 ,7 -8 .10 .14 -15 .2 2 -13 ,3 1-3 3 .
P L Del in secolo, riporta il testo delle lettere di Giuda e 1-2 Pietro, che
a quel tempo non avevano ancora ottenuto una collocazione sicura nella
lista dei libri canonici.
P74. Del v ii secolo, con il testo degli Atti e delle lettere cattoliche, mol­
to eclettico e prossimo al testo tardo.
P 7\ Datato intorno al 200. E la piu antica copia conosciuta di Luca e
una delle più antiche di Giovanni. Il testo è molto simile a quello del co­
dice Vaticano, il che fa risalire questa forma testuale al IT secolo e dimo­
stra che il neutrale non è un testo recensito nel iv secolo.
b) Manoscritti in caratteri onciali

Si denominano onciali i manoscritti redatti su pergamena con un tipo di


carattere derivato dalle maiuscole utilizzate nelle iscrizioni. L ’uso della
pergamena tra i cristiani iniziò nella prima metà del iv secolo. Fino al ix
secolo 1 caratteri onciali furono gli unici impiegati nei manoscritti del
N.T. Continuarono a essere utilizzati nelle copie di lezionari ancora per
qualche tempo. Ci sono giunti 268 manoscritti onciali del N.T. Vengono
designati con numeri arabi preceduti da uno zero. Alcuni sono contraddi­
stinti anche dalle lettere latine, greche o ebraiche con le quali erano un
tempo designati (01 = K, 02 = A, 03 = B ecc.). A motivo della loro anti­
chità vennero considerati come la più importante fonte per lo studio del
N .T. Dopo la scoperta dei papiri, anteriori agli onciali, e l’applicazione
delle analisi di critica interna, non si ha oggi difficoltà a riconoscere e
correggere, se necessario, gli errori inseriti nel loro testo. I manoscritti
onciali più importanti sono i seguenti:
0 1 = K. Codice Sinaitico (S), scritto nella prima metà del iv secolo.
Contiene l’Antico e il Nuovo Testamento oltre alla Lettera di Barnaba e
il Pastore di Erma. Ha quattro colonne per pagina (43 X 37,8 cm); nei li­
bri poetici soltanto due colonne a pagina. Nell’eiaborazione del mano­
scritto intervennero tre copisti, e fino al x ii secolo altri revisori apporta­
rono al testo diverse modifiche. Fu scoperto da Tischendorf nella biblio­
teca del Monastero di Santa Caterina sul Sinai. Donato allo zar di Rus­
sia, fu acquistato dal British Museum nel 19 33 . È un testimone dei più
importanti del testo neotesta mentario. Il testo è, in prevalenza, alessan­
drino, seppure con elementi occidentali. Tra le sue caratteristiche risalta­
no la collocazione della conclusione di Marco in 16,8, l’omissione dell’e­
pisodio della donna adultera (Gv. 7 ,5 2 -8 ,11) e l’ubicazione della dosso­
logia della lettera ai Romani dopo 16,23.
02 = A. Codice Alessandrino (presso il British Museum), degli inizi del
v secolo. Conteneva la Bibbia greca completa, oltre alla Prima e Seconda
lettera di Clemente e ai Salmi di Salomone. Mancano pericopi di Matteo,
Giovanni e 1 Corinti. È scritto su due colonne per pagina. Per i vangeli è
il testimone più antico del testo bizantino; per la parte rimanente del
N.T. rappresenta il tipo di testo alessandrino. È il migliore testimone esi­
stente per il testo dell’Apocalisse.
03 = B. Codice Vaticano (alla Biblioteca Vaticana), degli inizi del rv se­
colo. Conteneva il testo integrale della Bibbia greca, con l’eccezione della
Preghiera di Manasse e dei libri dei Maccabei. Nel testo attuale si sono
perduti passi di Genesi, 2 Samuele, Salmi, Ebrei, delle lettere pastorali e
dell’Apocalisse. Constava di 920 fogli, con due colonne per foglio nei te­
sti poetici e tre negli altri.
448 Testo e critica testuale del N.T.

04 = C. Efrem rescriptus o codice palinsesto di sant’Efrem (Parigi), de­


gli inizi del v secolo. Il palinsesto risale al xu secolo. Conteneva tutta la
Bibbia, ma delPA.T. si conserva soltanto la parte corrispondente ai libri
di Giobbe, Proverbi, Ecclesiaste, Sapienza, Ecclesiastico e Cantico dei
cantici; del N.T. si conserva parte di tutti i libri, eccetto della seconda ai
Tessalonicesi e di 2 Giovanni. Consta di 209 fogli, con una colonna per
foglio. Il testo, ricostruito da Tischendorf, rivela un carattere misto, ma
si accorda in genere con il testo bizantino.
05 = D. Codex Bczae (Cambridge). E il piu antico codice bilingue, gre­
co-latino, conservato. Risale al v o vi secolo. Contiene i vangeli e gli Atti,
1 primi nell’ordine definito occidentale: Matteo, Giovanni, Luca, Marco.
Si compone di oltre 5 10 fogli; il testo greco sta nella pagina sinistra, il la­
tino nella destra. Il testo riveste un carattere molto speciale per le fre­
quenti aggiunte di parole e intere frasi. In Atti è di un decimo più lungo
della rimanente tradizione manoscritta.
06 = Dp. Codex Claroniontanus, del vi secolo. Ai pari del precedente
era proprietà di Teodoro Beza. Contiene le lettere paoline (e per tale mo­
tivo è contrassegnato con la lettera p).
022 = N. Codex Purpureus Petropolitanus (Leningrado), di aspetto
lussuoso.
040 = E. Codex Zacymhius (dell’isola greca di Zante). Palinsesto del-
Pv iii (o vi?) secolo, con testo alessandrino di Luca. E il manoscritto più
antico tra quelli contenenti la catena o commentario a base di citazioni
patristiche.

c) Manoscritti in caratteri minuscoli

Si denominano minuscoli i manoscritti redatti in carattere corsivo o mi­


nuscolo. Sono diffusi dal ix secolo fino all’epoca dell’invenzione della
stampa. Al pari degli onciali, i minuscoli più antichi sono scritti con mag­
gior cura e minori decorazioni. Si conoscono oggi 2792 manoscritti mi­
nuscoli. Li si designa con numeri arabi. Trattandosi di manoscritti di mi­
nore antichità rispetto agli onciali, si ritenne che anche il loro testo fosse
più lontano dall’originale. Nel complesso, anche se non sempre, offrono
il testo bizantino o Koinè. L ’elemento determinante il valore delle loro le­
zioni non è l’antichità del manoscritto, ma la qualità dell’archetipo utiliz­
zato per la copia. Il ms. 33, ad esempio, databile al ex secolo, presenta un
testo alessandrino di grande valore.
I manoscritti minuscoli con lezioni affini costituiscono una «famiglia».
La famiglia 1, formata dai manoscritti 1, 1 1 8 , 1 3 1 , 209 (del xn e xiv se­
colo), offre un testo vicino a quello del codice 0 e riflette un tipo di testo
riconducibile al cosiddetto testo di Cesarea. La famiglia 1 3 0 gruppo di
Il testo greco del N .T. 449

Ferrara (dei secoli xi -xiv , con tre sottogruppi capeggiati rispettivamente


dai manoscritti 13 , 69 e 983) mostra anch’essa affinità con il testo di Ce­
sarea, le quali consentirono appunto la scoperta di questo tipo di testo.
L ’archetipo, proveniente dall’Oriente, fu portato m Italia meridionale,
dove nelPxi secolo fiorì sotto i Normanni un’epoca di splendore cultura­
le, avendovi trovato rifugio monaci greci che fuggivano dai musulmani.
Altri minuscoli degni di menzione sono quelli numerati 28, 33, 6 1, 69,
8 t, 15 7 , 383, 565, 579, 6 14 , 13 4 4 ; la famiglia 1678, 17 7 8 , 2.080; quella
10 16 , 18 4 1,2 .5 8 2 , 162.6 ecc. Per il loro aspetto esteriore attirano l’atten­
zione il 16 , scrìtto in quattro colori a seconda del contenuto; il 4 6 1, il più
piccolo di formato e forse il piu antico fra quelli datati (anno 835), e il
Codex Gigas o gigante, il manoscritto di maggiori dimensioni.

d) Lezionari

La liturgia cristiana trascelse ben presto pericopi dei vangeli e del resto
del N.T., con la sola eccezione dell’Apocalisse, per la lettura liturgica
quotidiana e, in particolare, domenicale. Si sono conservati e catalogati
circa 2 19 3 manoscritti di «lezionari». Nessuno di essi è anteriore al ix se­
colo. I più antichi sono scritti in caratteri onciali, impiegati nella scrittura
di lezionari fino all’xi secolo. Si designano con una /, seguita dal numero
corrispondente (/ 1, / 2 ecc.). La ricerca recente ha sottolineato l’impor­
tanza dei lezionari per lo studio testuale del N.T.
Gli ostraca e gli amuleti, invece, che contengono brevi frasi del testo
del N .T., mancano di valore critico.
B ib lio g r a fia . K . A lan d - B. A lan d, II testo d e l N u o v o T e s t a m e n t o , G en o v a 1 9 8 7 .

6. Versioni del Nuovo Testamento

Nell’antichità la traduzione di libri non era frequente. Le poche che si fa­


cevano erano per di più molto libere e non consentivano quindi di rico­
noscere con precisione il testo originale utilizzato per la versione. I LX X
furono i pruni a rompere con questo modello di traduzione.
Scritto il N.T. in greco, i cristiani dei diversi paesi in cui il cristianesimo
si estese rapidamente sentirono la necessità di disporre di traduzioni nella
propria lingua, Le prime versioni erano inolio letterali, e per noi sono di
grande valore critico poiché consentono di riconoscere le caratteristiche
del testo originale che traducevano. La possibdità di conoscere talvolta la
datazione approssimativa e l’area di diffusione di una determinata tradu­
zione permette di identificare anche la forma testuale greca circolante in
quell'area e in queHsepoca. L ’importanza delle versioni per la critica te­
450 Testo e critica testuale del N.T.

stuale risiede nell’antichità e nel letteralismo delle medesime. Le più anti­


che sono la latina e la siriaca (sull’origine e le caratteristiche di ogni ver­
sione in particolare si veda il cap. xvii , i).
B ib lio g r a fia .
Alla bibliografia elencata al cap. xvu si aggiungano B.M Metzger,
T h e E a r ly V e rs io n s o f th è NT. T h e ir O r j g in , Tra m m is s io n e a n d L ìm ìt a t io n s y
Oxford 1977; A. Vòòbus, E a r ly V e rsio n s of th è NT, Stockholm 1954; K. Aland
(ed.), D ie a lte n ììb e r s e t z u n g e n d e s N e u e n T e s ta m e n ts , d ie K it eh e n v d ter zi Late u n d
L e k t io n a r e . D e r g e g e n w à r iig e S ta n d ih r e r lir fo r s c h u n g u n d thre B e d c u t u n g fu r
d ie g r ie c h is c h e T e x t g è s c h ic h t e ì Berlin - New York 1972..

7. Citazioni patristiche

Con i manoscritti biblici e le versioni, le citazioni del N.T. - presenti nei


commenti, sermoni e altri scritti dei Padri —offrono un materiale tanto
copioso da abbracciare in sostanza la totalità del N.T. L'importanza delle
citazioni patristiche deriva dal fatto che il testo che esse citano è spesso
piu antico di quello della maggior parte dei manoscritti biblici conserva­
ti. Le citazioni dei Padri consentono inoltre di identificare il tipo di testo
utilizzato in una determinata epoca e area geografica, e anche di ricono­
scere Porigine e Lambito di diffusione di un manoscritto. Le citazioni di
Cipriano di Cartagine (250 circa), ad esempio, coincidono con il testo del
manoscritto k della Vetus Latina. Se ne deduce che questo manoscritto,
del iv o v secolo, risale a una copia che circolava in Africa settentrionale
intorno al 250.
In ogni caso è necessario stabilire preliminarmente il vero testo origi-
naie degli scritti patristici, sottoposti a un processo ai corruzione e revi­
sione analogo a quello dei manoscritti biblici. D’altra parte si deve deter­
minare caso per caso se le citazioni sono letterali o parafrastiche, fatte a
memoria o tratte direttamente da un manoscritto biblico. Gli studi più
recenti hanno dimostrato che la citazione mnemonica non era tanto fre­
quente come si era soliti credere. E possibile che citazioni il cui testo non
coincide con quello dei manoscritti oggi conosciuti corrispondano ad al­
tri testi diversi e piu antichi. Rivestono uno speciale interesse 1 casi in cui
uno stesso autore, come Origene, cita testi diversi o pone a confronto le­
zioni varianti. Gerolamo è a conoscenza di tre varianti del testo di x Cor.
15 ,5 , una di esse documentata soltanto nei manoscritti latini (Epistula
119 ). Boismard si serve delle citazioni patristiche per individuare una for­
ma piu breve del testo dei vangeli.
Tra i Padri o scrittori ecclesiastici che hanno trasmesso un numero
consistente dì citazioni sono da segnalare Marcione (ca. 150-160), Tazia­
no (ea. 170), Giustino (f 165 ca.), Ireneo (t 202), Clemente d’Alessandria
(t 2 12 ), Tertulliano (f 220), Cipnano (t 25 8), Ippolito di Roma (f 235),
Il testo greco del N .T. 451

Origene (t 253/4), Efrem siro (t 373)5 Lucifero di Cagliari (370/1), Am­


brogio di Milano (f 397), Crisostomo di Costantinopoli ( t 407), Gero­
lamo (t 419/20), Cirillo di Alessandria ( t 4 4 4 ) 5 Teodoro di Mopsuestia
(f 428), Agostino ( t 430) ecc,
B ib lio g r a fia . M .-E . B o ism ard , C r it iq u e te x t u e lle et c ìta tio n s p a t r is t iq u e s : R B 5 7
( 1 9 5 0 ) 3 8 8 - 4 0 8 ; H .J . F red e, D ie Z it a t e d e s N e u e ri T e s ta m e n ts b e i d e n la te in i-
s c b e n K ir c h e n v à t e r , in D ie alteri Ù b e rs e tz u n g e n d e s N T , d ie K ir c b e n v à t e r u n d
L e k t io n a r e , Berlin 1 9 7 2 , 4 3 6 - 4 5 4 .

8. Classificazione dei differenti testimoni


secondo il tipo di testo riprodotto

Si è detto che i manoscritti del N.T. si classificano in gruppi a seconda


del tipo di testo che offrono.
I testimoni qui contraddistinti da asterisco (*) pertengono soltanto in
parte al tipo di testo indicato. Le parentesi tonde segnalano che il mano­
scritto offre un testo misto.

a) Testimoni del testo alessandrino

Testo proto-alessandrino: P45 (in Atti) P46 P66 P 75 N B Sahidico*, Clemente


di Alessandria, Origene* e la maggior parte dei frammenti su papiro con­
tenente lettere paoline.
Testo alessandrino posteriore:
Vangeli: (C) L T W* (X) Z A (in Marco) E V (in Marco, Luca* e Gio­
vanni) 33 579 892 12 4 1, versione bohairica.
Atti: P5° A (C) T 33 8 1 104 326
Lettere paoline: A (Q W 33 8r 104 326 1739 .
Lettere cattoliche: P 2° Pi3 P71 P74 A (C) T 3 8 1 104 326 1739 .
Apocalisse: A (C) 1006 1 6 1 1 1854 2053 2344. Di minor valore sono
P47eK .

b) Testimoni del testo occidentale

Vangeli: D W (in Me. 1,1-5 ,3 0 e Gv. 1 ,1 - 5 ,1 1 ) 0 1 7 1 (Le. 2,44-56.61­


63), Vetus Latina, Siro-sinaitico, Siro-curetoniano *, primi Padri latini,
Diatessaron di Taziano.
Atti: P ìo P 38 P48 D E 383 614 1739 , i Padri latini più antichi, Commen­
tario di Efrem (conservato in armeno e parzialmente in siriaco).
Lettere paoline: i bilingui greco-latini D F G, i Padri greci fino alla fine
del sec. ni, manoscritti della Vetus Latina. i Padri latini più antichi, i Pa­
dri siriaci fino al 450.
4 Si Testo e critica testuale del N.T.

Dell1Apocalisse non si sono identificati testimoni precipuamente occi­


dentali.

c) Testimoni del testo bizantino o Koinè


(denominato pure siriaco o antiocheno)
Vangeli: A E F G H K P S V W (in Matteo e Le. 8,13-24,53) Il W (in parte
in Luca e Giovanni) Q e la maggior parte dei minuscoli, la versione gotica
e la Peshitta.
Atti: H L P 049 e la maggior parte dei minuscoli.
Lettere: L 049 e la maggior parte dei minuscoli.
Apocalisse: 046 0 5 1 052 e la maggior parte dei minuscoli.

d) Testimoni del testo cesariense


Pre-cesariense: P 4S W [Me. 5,31-16 ,20 ) 28.
cesariense: 0 565 700, le versioni armena e georgiana, Origene’'", Euse­
bio, Cirillo di Gerusalemme.
Solamente nel caso dei vangeli si è giunti a identificare un testo cesa-
rìense.

9. Natura dei diversi tipi di testo

È importante conoscere le caratteristiche proprie di ciascun tipo di testo,


le forme di lezione che suole presentare e il tipo di errori in cui general­
mente incorre.
a) Il tipo alessandrino o «neutrale» e considerato, in linea di massima,
il più attendibile e il «migliore». È normalmente più breve degli altri e
non ha subito la rielaborazione grammaticale e stilistica che manifestano
il testo bizantino e, in minor misura, il cesariense. Non è più possibile af­
fermare come faceva Bousset, che si tratta di un testo recensito del iv se­
colo, epoca dalla quale derivano i testimoni migliori, il Vaticano (B) e il
Sinaitico (S). Il ritrovamento dei papiri P6* e P7S, le cui copie provengono
dalla fine del n - inizio del ni secolo, conferma che il tipo alessandrino ri­
sale a un archetipo del sec. li.
b) 11 tipo occidentale fu così denominato perché testo base di testimoni
occidentali, quali ta Vetus Latina e le citazioni dei Padri latini fino al
400, e dei manoscritti greco-latini Beza e Claromontanus. Più tardi, tut­
tavia, si riscontrò questa forma testuale in Padri greci, compresi quelli del
11 secolo come Giustino e Ireneo, in Marcione e Taziano, in P^8 e P4S e in
altre fonti di provenienza orientale. Si tratta della più antica forma te­
stuale conosciuta del N.T. Per tale motivo talvolta si ritennero le altre
forme testuali rielaborazioni di questo testo occidentale. Altri osservano
La critica testuale del N .T . 453

che questo testo ha perso il suo valore per le numerose aggiunte, omissio­
ni e armonizzazioni che in esso s’incontrano.
Il testo o ccid en tale degli Atti p resen ta un g ran d e interesse. H a un c a ra tte re m olto
diverso d allo stesso testo o ccid e n ta le dei vangeli e di P ao lo . È a lP in circa di un de­
cim o più esteso d elP alessan d rin o e, in gen erale, più vivo ed espressivo del testo
breve a lte rn a tiv o , che risulta a v o lte più o scu ro . T a lv o lta è an ch e più breve. In
2 .8 ,6 , ad esem p io, o m ette le p aro le «sangue e fu o co e v ap o re di fu m o » . N ei ca p i­
toli finali di L u ca p resen ta an ch e om issioni significative, co m e quella di 2 4 ,6 dove
o m e tte le p a ro le dell’ an gelo: « N o n è qui, m a è ris o rto » . W e s tc o tt-H o rt, H a tc h e
K enyon n eg aro n o valore a questo te sto , co n sid eran d o lo in te rp o la to nel t e 11 se­
co lo . A giudizio di R opes si tr a tta di una revisione d e ira le ssa n d rin o . Per C lark la
co rre la z io n e è inversa. Alcuni a u to ri h an n o m esso in risalto l'a sp e tto sem itico del
testo o ccid en tale (B lack , T o rre y ). L e attu ali tendenze, p iù e clettich e, so n o m ag ­
g io rm en te favorevoli a q u esto testo (K ilp atrick ), q u an tu n q u e l’edizione di N estle-
A lan d e The Greek New Testament (3* ed.) gli sian o co n tra ri. S eco n d o B o ism ard ,
L u ca scrisse una p rim a red azio n e, che si riflette nel testo o ccid e n ta le , e anni più
tardi L u ca stesso rie la b o rò stilisticam en te e co n ten u tisticam en te la sua o p e ra . Il
testo alessan d rin o, in una fo rm a p iù p u ra dell’attu ale, sareb b e il risu ltato della
fusione di queste due redazioni dell’o p era co m p iu te dallo stesso L u ca .

c) Il tipo bizantino o Koinè è il testo piu documentato dai manoscrit­


ti minuscoli e, tramite l’edizione di Erasmo, entrò nel textus receptus. È
messo in relazione con la recensione Incianca. Le sue caratteristiche sono
costituite dalla tendenza a un testo ampio con doppie lezioni, correzioni
di stile, aggiunta di elementi esplicativi, modernizzazione del linguaggio
eco.; tutto ciò nell’intento di ottenere un testo di lettura fluida ed elegan­
te. Il suo valore è cresciuto moltissimo dopo La scoperta dei papiri P4S P4b
P*tì, che presentano lezioni conosciute solo dal testo bizantino.
d) Il tipo cesariense fu scoperto piu tardi dei precedenti, partendo dallo
studio del gruppo di manoscritti di Ferrara o famiglia 1. Possiede un nu­
mero ridotto di lezioni proprie e mostra affinità con l’alessandrino e l’oc­
cidentale.
Bibliografia. M . B lack , An Aramate Approach io thè Gospels and Acts, O x fo rd
1 9 4 6 ; A .C . C la rk , The Acts o f thè Apostles , O x fo rd 1 9 3 3 ; M .-E . B o ism ard - A.
L am o u ille, Le texte Occidental des Actes des Apòtres , 2 v o li., Paris 1 9 8 4 ; C .M .
M a rtin i, lì problema della recensionalità del codice B alla luce del papiro Bodmer
XJ V, R o m a 1 9 6 6 ; G .D . K ilp atrick , The N T in Hìstorical and Contemporary Per-
speetwe, in Essays in Memory o f G.H.C. M cGregor , O x fo rd 1 9 6 5 , 1 8 9 - 2 0 6 ; T .
A y u so, ?Texto cesariense o precesariense?: Bib 1 6 ( 1 9 3 5 ) 3 6 9 - 4 1 5 .

I I. L A C R I T I C A T E S T U A L E D E L N U O V O T E S T A M E N T O

Classificati i manoscritti e attribuito ciascuno di essi a un determinato


gruppo e a un particolare tipo testuale, è necessario passare all’esame in­
Testo e critica testuale del N.T,

terno di ciascuna lezione e delle sue varianti, cosi da stabilire un testo


«eclettico».

i . Errori nella trasmissione testuale


del Nuovo Testamento

Quale esempio della scarsa perizia e delPesigua cura di alcuni copisti nel­
l’adempimento del loro lavoro si può menzionare il caso del ricco spa­
gnolo Lucino. Questi inviò a Gerolamo sei copisti incaricati di trascrivere
alcune opere del famoso biblista. Gerolamo più tardi si lamenta con Lu­
cino: «Se vi incontrerai errori o parole saltate che rendono mcomprensi-
bile il senso a chi legge, non devi imputarlo al me, ma ai tuoi incaricati,
all’incompetenza dei segretari e alt incuria dei copisti, che scrivono non
quanto trovano, ma ciò che capiscono, e mentre si sforzano di emendare
gli errori altrui mettono in mostra i loro» (Epistula 71,5). Tuttavia biso­
gna dire che nel complesso il testo del Nuovo Testamento mostra una
trasmissione fedele e accurata. Le varianti sostanziali, secondo la valuta­
zione di Hort, interessano soltanto una millesima parte del testo neote-
stanientario.

a) Modifiche accidentali

Un copista può cadere in errore facilmente, sia nello scrivere sotto detta­
tura sia nel copiare un originale. Nel primo caso può confondere, ad
esempio, il suono di una vocale breve con quello di una lunga. Questo ti­
po di contusione spiega le varianti di Rom. 5 ,1: «abbiamo pace» (eìrenen
echomen) e «che noi abbiamo pace» {eirenen echdmen).
Confusione di lettere. Nella scrittura onciale si produce facilmente la
confusione fra le lettere sigma, epsìlon, theta e omikron (C, E, 0 , 0 ). In r
Tim, 3 ,16 i manoscritti migliori e più antichi leggono OC «il quale»; altri
piu recenti leggono 0 C, abbreviazione di «Dio» (theos).
Anche le lettere gamma (T), pi (II) e tau (T) si confondono con facilità.
Lo mostra 2 Pt. 2 ,13 ; agapais - «agapi» / apatais = «inganni».
La scrittura continua, senza separazione tra le parole, genera errori
nella loro divisione. Il logion di Gesù «Sedere alla mia destra o alla mia
sinistra non dipende da me concederlo, ma è per coloro ai quali è riserva­
to» (M e. 10,40) in alcune traduzioni antiche ( Vetus Latina Syr Eth) suo­
na «... ma è riservato per altri». A] posto delle due parole AAÀ OIL, «ma
per coloro ai quali...» si è letto la parola AAA 0 I 2 , «per altri».
L’ uso assai frequente di abbreviazioni era un’ ulteriore fonte di errori.
In 2 Pt. 1 ,2 1 la lezione piu vicina all’originale sembra: «parlarono alcuni
uomini di Dio» (P71 B P 6 14 ecc.). La lezione «parlarono alcuni santi uo­
'( La crìtica testuale del N.T, 455

mini di Dìo» deriva dalla precedente, per confusione delle lettere ÀLIO0 Y
lette come ATIOI0 F.
Homoioteleuton. In Gv. 1 7 ,1 5 : «Non chiedo che tu li tolga [dal mon­
do, ma che li preservi| dal Male», il codice Vaticano omette il testo tra
parentesi saltando da alcune parole ad altre esattamente uguali (autous ek
tou... autous ek tou...).
Dittografìa. Ripetizione di una o piu lettere o di uno o piu termini. In
Atti 19,34 il codice Vaticano ripete per due volte l’espressione «Grande è
i'Artemide degli Efesini!». In 1 Tess. z,7 alcuni manoscritti leggono «cì
siamo fatti amorevoli» (egenethemen epìoi), mentre altri di grande valo­
re (P65 K B ecc.) leggono «ci siamo fatti bambini» (egenethemen nepioi).
Malgrado il sostegno esterno di questa seconda lezione in buoni mano­
scritti, la prima si adatta meglio al contesto e sembra più originaria. Nella
seconda lezione si è prodotto un caso di dittografìa scrivendo per errore,
due volte di seguito, la consonante n.
Errori fonici. A quanto detto per Rom. 5,1 si può aggiungere, a titolo
di esempio, la confusione fra il dittongo ai e la vocale e, che giunsero ad
avere uguale pronuncia. Mt. i i , i ó : eteroìs = «altri» / hetairois = «com-
pagm». I fenomeni di itaetsmo spiegano errori sorprendenti in manoscrit­
ti di grande qualità. Nel greco koinè le vocali e, /, y, i dittonghi ci, oi, yi e
il dittongo improprio e (con iota sottoscritta) si pronunciavano tutti u in
1 Cor. 15 ,5 4 l’espressione «la morte è stata assorbita in vittoria» (nikos)y
potè così modificarsi in «la morte è stata assorbita in conflitto» (neìkos)>
secondo il testo di P 1* e B. La frase di j Cor. 13 ,3 : «do il mio corpo per
glorificarmi» (P46 A B 6 33 ecc.) appare in molti manoscritti come «do
il mio corpo per essere bruciato», per la confusione dei suoni consonanti­
ci kauchesomai e kauthesomai.
Errori mentali e di giudizio. òi annoverano tra 1 primi 1 casi di sosti­
tuzione di sinonimi, trasposizioni, metatesi (G ià 5,39 nel codice Beza) e
assimilazione a un passo parallelo (Mi. 19 ,17). Si può ritenere errore di
giudizio F introduzione di una glossa marginale alPinterno del testo. Que­
sto tipo di errore spiega sicuramente Pinclusione, nel testo di G r 5,3-4,
di un riferimento esplicativo sul movimento dell’acqua nella piscina di
Betesda (cfr. v. 7).

b) Modifiche intenzionali

Modifiche ortografiche e grammaticali (Apoc. 1,4 .6 .15 ecc,).


Corruzione per armonizzazione. In Le. 23,38 numerosi manoscritti at­
testano una frase tratta da Gì/. 19,20: «Era scritto in ebraico, latino e
greco». Il testo breve del Padrenostro, secondo Le. 11,2 -4 , s’incontra in
molti testimoni in una forma rielaborata sulla base del tesro più ampio e
4 5 ^ Testo e crìtica testuale del N .T.

conosciuto di Mt. 6,9-13. Frequentemente le citazioni delPA.T. vengono


ampliate o corrette affinché la citazione dei LX X sia più fedele al testo di
questa versione.
Aggiunta di elementi diversi. La forma più antica di Gal. 6 ,17 , conser­
vata da PH° B A ecc., «porto nel mio corpo le stigmate di Gesù», in molti
manoscritti appare ampliata in modi differenti: «... del Signore Gesù»,
«... di Gesù il Cristo», «... di nostro Signore Gesù Cristo».
Chiarimenti storici e geografici (Me. 1,2 ; 8 ,3 1; Ehr. 9,4 ecc.)
Fusione di lezioni. È un fenomeno caratteristico dei testi recenti, come
il bizantino. Molti manoscritti giustappongono le due lezioni alternative
di Le. 24,53, «benedicendo» o «lodando». In Atti 20,28, le due lezioni
alternative, «chiesa del Signore» e «chiesa di Dio», appaiono fuse nella
lezione «chiesa del Signore e Dio».
Modifiche per ragioni dottrinali, i Padri della chiesa spesso accusavano
gli eretici di alterare LI testo del N.T. per adeguarlo alle loro dottrine. Ma
questa critica è infondata, salvo nel caso di Marcione c, in misura mino­
re, in quello di Taziano. Marcione emendo il tesLo di Luca da ogni riferi­
mento all origine giudaica di Gesù e il Diatessaron di Taziano rifletteva
orientamenti encratiti. Anche la stessa ortodossia sopprimeva o modifica­
va espressioni che apparivano inaccettabili e introduceva elementi a so­
stegno dì una determinata dottrina o pratica liturgica o morale. I migliori
testimoni del testo alessandrino, occidentale e cesariense conservano la
frase di M i. 24,36 / Me. 13 ,3 2 : «Riguardo a quel giorno e a quell’ora
nessuno li conosce, né gli angeli in cielo né il Figlio...»; al contrario, la
maggior parte dei manoscritti, tra 1 quali quelli del testo bizantino, sop­
prime le parole «né il Figlio» per la difficolta dottrinale in esse implicata.
In Le. 23,32 la maggioranza dei manoscritti cerca di evitare che Gesù
possa essere considerato alla stregua di uno dei criminali che lo accompa­
gnavano alla croce, come si sarebbe potuto inferire dalla lezione più anti­
ca, attestata da P^5 K B ecc.: «Anche altri criminali, due, erano condotti
con lui per essere crocifissi». Con una semplice modifica nella successione
dei termini quei manoscritti leggono: «Anche altri due, criminali, erano
condotti...».

2. Criteri e metodi
per la scelta della lezione corretta

Descritte le fonti di trasmissione del testo del N.T. (papiri, manoscritti


onciali e minuscoli, versioni antiche e citazioni dei Padri) e conosciute la
storia della trasmissione testuale e la storia della ricerca sul testo stesso in
epoca moderna, restano da esaminare i criteri e i metodi applicati nell’in­
dagine delle fonti e nelle moderne edizioni critiche del testo del N.T.
La critica testuale del N .T. 457

Continui ritrovamenti forniscono nuovo materiale manoscritto. Anche


le teorie e i metodi conoscono uno sviluppo incessante, acquisendo mag­
giore perfezione. Il rinvenimento di nuove forni obbliga spesso a rivedere
teorie consolidate, dando origine a nuovi metodi di analisi piu adeguati
al tipo del materiale scoperto. D’altra parte si rende necessario ristudiare
i materiali conosciuti da secoli e risolvere così vecchie questioni contro­
verse e altre che si ripropongono di contìnuo.
La metodologia critica studia i criteri da utilizzare per «scegliere», tra
le lezioni conservate dalla tradizione manoscritta, la piu vicina all’origi­
nale. Questa opzione avviene sulla base di due tipi di criteri, gli uni con­
cernenti fattori «esterni», gli altri fattori «interni» al testo.

a) Critica esterna

Nella valutazione di una lezione incidono i seguenti fattori «esterni»: 1.


la maggiore o minore antichità del manoscritto in cui s’incontra una de­
terminata lezione, z. il maggior o minor numero di manoscritti che la ri­
portano, 3. la migliore o peggiore qualità e cura nella trascrizione dei
manoscritti, 4. la maggiore o minore diffusione geografica dei manoscrit­
ti e 5. la migliore o peggiore documentazione relativa ai manoscritti per
quanto riguarda la loro datazione, origine, caratteristiche ecc., con parti­
colare attenzione alTattribuzione genealogica di un manoscritto a un pre­
ciso gruppo di manoscritti e a un determinato tipo di testo.
Una delle correnti imperanti nella moderna critica testuale del Nuovo
Testamento mostra di tendere primariamente ad assegnare priorità alla
critica esterna, nella fiducia che la ricostruzione delle prime fasi della sto­
ria del testo rende possibile l’identificazione del manoscritto o del tipo di
testo migliore.
Questa ricostruzione presuppone la classificazione preliminare dei ma­
noscritti in gruppi distinti e l’identificazione delle recensioni piu antiche,
per poi tracciare le lìnee di sviluppo della tradizione testuale e individuare
la forma primitiva del testo. Questo tipo di studio, iniziato da J.A. Ben-
gel, venne sviluppato da Westcott-Hort e von Soden e si è compendiato
nella distinzione dei quattro tipi di testo precedentemente segnalati: ales­
sandrino, occidentale, bizantino e cesariense (solo per ì vangeli). Il perio­
do critico, su cui concentrare la ricerca, è quello dei primi due secoli della
storia testuale del N.T. Lo studio dei papiri, in particolare P'1’ P*6 P6u e
P75, ha aperto nuove possibilità a questa ricerca. A parità di condizioni si
attribuirà, in linea di principio, maggior valore al testimone di un tipo di
testo di miglior qualità che a un altro di qualità inferiore. Allo stesso mo­
do, è preferibile una lezione sostenuta da due o più gruppi che da uno so­
lo. A volte si dovrà optare, tuttavia, per una lezione trasmessa da un solo
458 Testo e critica testuale del N.T.

gruppo di qualità superiore, rispetto a un’altra lezione attestata da vari


gruppi di qualità inferiore.

b) Critica interna

Altri criteri della critica testuale neotestamentaria si riferiscono alle se­


guenti considerazioni interne: 1. la maggiore adeguatezza di una lezione
allo stile letterario e alle tendenze teologiche dell’autore e della sua ope­
ra, 2. la maggiore conformità della lezione al greco koinè, in contrapposi­
zione al greco attico (data la corrente atticista impostasi successivamen­
te), 3. la maggiore corrispondenza a forme espressive semitiche, 4. il mi­
nor grado di adeguamento al contesto o di armonizzazione con passi pa­
ralleli del N.T. o con citazioni e passi dell" A .T. Vanno tenute presenti an­
che altre considerazioni: la priorità cronologica del secondo vangelo, il
substrato aramaico nel caso dei logia di Gesù o il probabile influsso della
comunità primitiva nella formulazione e trasmissione di un determinato
brano.
I tre criteri classici e più importanti della critica testuale interna, in
particolare della critica neotestamentaria, sono i seguenti:
1. Ha più probabilità di essere originale quella lezione che concorda
con le altre. Nel racconto del giovane ricco Me. 10 ,17 -18 e Le. 18 ,18 -19
concordano nell’espressione «maestro buono» e nella risposta di Gesù:
«Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo>?. Nel te­
sto parallelo di Mt. 19 ,16 -17 alcuni manoscritti coincidono con Marco e
Luca, altri invece leggono: «Maestro, quale cosa buona devo fare...?», e
avanti: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono».
Quando ci si chieda quale delle varianti sia Poriginale, la risposta sarà:
quella coincidente con i paralleli di Marco e Matteo deriva sicuramente
da questi, quella invece che ne differisce è probabilmente l’originale.
In Me. 6,47 si dice che la barca stava «in mezzo al lago». Nel testo pa­
rallelo di Mt. 12,24 alcuni manoscritti leggono «in mezzo al lago», altri
«molti stadi lontano da terra». Se Matteo scrisse lo stesso testo di Mar­
co, non vi è ragione che possa giustificare la modifica introdotta. Se, al
contrario, la lezione originale di Matteo era differente da quella di Mar­
co, un copista può aver cercato di armonizzarla con quella di Marco. La
prima lezione ha maggiori probabilità di essere quella originale.
Tali casi di «armonizzazione» sono frequenti nei vangeli sinottici, ma
non mancano neppure in alta testi, in Ef. 1,7 e Col. 1,14 , ad esempio. La
frase di Efesini: «nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo san­
gue., la remissione dei peccati», ha un parallelo molto vicino nella frase di
Colossesi, attestata dalla maggior parte dei manoscritti: «nel quale ab­
biamo la redenzione, la remissione dei peccati». Alcuni manoscritti di
La critica testuale del N.T. 459

Colossesi introducono nel testo Pespressione propria di Efesini: «median­


te il suo sangue».
2. La «lezione più difficile» (lectio difficilior). La lezione a prima vista
di più difficile comprensione, ma che nel contesto fornisce un senso mi­
gliore, è più probabile di un’altra che facilita il testo. In Gv. 1 ,1 8 molti
manoscritti di qualità presentano la variante «Dio unigenito» in luogo di
«Figlio unigenito». Questa seconda lezione, riferita a Cristo, è una lezio­
ne facilitante e può forse essere frutto di un’armonizzazione con i passi di
Gv. 3 ,16 .18 e 1 Gv. 4,9. Il ritrovamento dei papiri V66 e P75 fornisce un
appoggio esterno alla lezione più difficile «Dio unigenito». Tuttavia ri­
mane sempre il dubbio se l’autore del quarto vangelo abbia scritto real­
mente «Dio unigenito». Si potrebbe supporre che nella tradizione ales­
sandrina si sia fatta confusione tra l’abbreviazione per «Dio» e quella per
«figlio» (0 C / TC).
3. La «lezione più breve» (lectio brevior). Un copista tende ad aggiun­
gere parole o frasi esplicative; è raro, viceversa, che ometta deliberata­
mente qualche elemento del testo. Per principio la lezione più breve è
quindi preferibile a un’altra più estesa. Nella parabola del figliol prodigo,
in Le. 15 ,18 - 19 alcuni manoscritti di qualità (M BD 700 ecc.) presentano
la lezione «trattami come uno dei tuoi salariati», agli altri ignota. Questa
lezione è presa sicuramente dal v. 19 ; vuole confermare l’effettivo compi­
mento da parte del figlio di tutto ciò che aveva pensato di dire al padre.
L ’aggiunta di questa frase in alcuni manoscritti trova miglior spiegazione
della sua soppressione in altri. Ciò non significa, tuttavia, che la lezione
più breve sia sempre quella originale. Una lezione può essere più breve di
un’altra per un errore di aplografia (1 Gv. 2,23).
■ ■ ■ la 1 ■ 1 k ■ a a ■ a » .«a a f e

Questi criteri non sono applicabili tutti insieme e in tutti 1 casi in cui sj
presenta una variante. Di fatto si escluderebbero l’un l’altro. Una lezione
breve può non essere la più conforme allo stile personale dell’autore. La
variante del miglior manoscritto può essere un’armonizzazione seconda­
ria. Queste difficoltà nel sancire un giudizio critico accertato e sicuro ren­
dono spesso la critica testuale più un esercizio d’intuizione e di sensibilità
artistica che un’asettica operazione scientifica.

c) Eclettismo

Nella pratica della critica testuale è inevitabile una certa tensione tra la
critica esterna e quella interna. Il codice B è considerato il migliore mano­
scritto e il suo testo alessandrino il miglior tipo di testo. Per parte sua il
codice D è ritenuto di qualità inferiore, ma conserva lezioni del testo oc­
cidentale, molto diffuso nel cristianesimo primitivo e alla luce della critica
interna talvolta più antico del testo alessandrino attestato da B.
460 le s to e critica testuale del N.T.

L ’accoppiamento dei due modelli di analisi, critica esterna e interna,


può dar luogo a quattro ipotesi differenti:
i. Una lezione attestata dai migliori manoscritti incontra anche Pap-
poggio della critica interna. E il caso della lezione di Mt. 5,47: «Non fan­
no Lo stesso i gentili?», attestata dai migliori manoscritti (W BD ecc.) e
dai tipi testuali alessandrino e occidentale e in parte dal cesarìense. Per
converso, la variante «Non fanno lo stesso i pubblicani?» appare in ma­
noscritti seriori (K L W ecc.) e nel tipo di testo bizantino; è inoltre frutto
di evidente armonizzazione con una frase identica del precedente v. 46.
2.. Una lezione attestata dalla migliore tradizione manoscritta non trova
conferma nelle argomentazioni di critica interna. La lezione di Mf. 7 ,14 :
«sarà paragonato a...» si trova nel tipo alessandrino e nella maggior parte
dei manoscritti cesariensi e occidentali (K B 0 ecc.). La lezione alternati­
va, «lo paragonerò a...», poggia soltanto sul sostegno del testo bizantino
(C K L W ecc ). La critica interna non dispone di argomentazioni per
schierarsi a favore di una o dell’altra, poiché il significato in entrambi i
casi non subisce alcun cambiamento. Tuttavia la tradizione manoscritta
favorisce la prima lezione.
3. Una lezione è trasmessa da manoscritti di qualità inferiore, ma soli­
de argomentazioni di critica interna la favoriscono. Nella lezione di Gv.
5,44: «e non cercate la gloria che viene dall unico Dio», il termine «Dìo»
manca nei manoscritti antichi del gruppo alessandrino (P66 P7 B ecc.).
Tuttavia il contesto sembra esigere Pinserimento di questa parola, proba­
bilmente scomparsa in quei manoscritti per aplografia delPabbreviazione
0 T nel testo continuo TOYMONOY0 YOY.
4. Una lezione è incerta quando né la critica interna né Pesterna offro­
no dati e prove sufficienti per formulare un giudìzio definitivo a essa fa­
vorevole o contrario.
In M t. 15,38 le lezioni «donne e bambini» o «bambini e donne» hanno
un supporto documentario analogo, forse più debole per la seconda; essa
risulta piu inconsueta e potrebbe quindi aver dato luogo alla sua sostitu­
zione con la prima. Sembra tuttavia più prudente propendere per questa
prima.
La tensione tra la critica esterna e la critica interna rende spesso dii Sci­
le una presa di posizione definitiva. I casi di più difficile soluzione sono
quelli in cui ^ e B presentano lezioni diverse. È perciò necessaria una co­
noscenza più approfondita della storia del testo del N.T. e un maggior
perfezionamento dei metodi e criteri di selezione delle varianti.
Sulla scia di Burkitt e in opposizione a quella di Horst, una corrente attuale, rap­
presentata soprattutto da G .D . Kilpatrick, attribuisce maggiore importanza ai
fattori stilistici e linguistici e a quelli legati sia al lavoro del copista sia alla storia e
critica documentaria esterna. Se una lezione è attestata da un manoscritto antico
La critica testuale del N .T. 461

o recente o se appartiene a un tipo di testo arcaico o tardo, sarebbe quindi un


problema di non eccessiva rilevanza. Decisivo è il giudizio sul valore delle lezioni
in rapporto alle caratteristiche dell’ autore e dell’opera. Quando si giunge alla
conclusione che il testo originale può essere andato perduto, 1 ultima risorsa cui
ricorrere è la «congettura», molto frequente e obbligata nell’edizione di testi clas­
sici, ma negli ultimi decenni assai denigrata nelPambito della critica dei testi bi­
blici, sia dell’A .T . sia del N .T . Se la critica interna non può prescindere da una
certa dose di soggettivismo, il perìcolo è maggiore nella critica per congetture, a
cui è legittimo ricorrere solo in casi di provata necessità e quando la «congettura»
proposta dà ragione non soltanto di se stessa, ma anche di tutte le lezioni erronee
o secondarie che ne sono scaturite.
Negli ultimi cinquant’ anni l’orientamento prevalente della critica ha mostrato
di propendere per un eclettismo moderato, con una preferenza generalizzata per
il tipo alessandrino, come appare evidente nelle edizioni di Nestle-Àland, Merk,
Bover e in The Greek N ew Testament.
La ricerca moderna deve ancora perfezionare i criteri di selezione delle varianti
testuali. I manoscritti scoperti negli ultimi anni hanno arricchito la miriade di da­
ti disponibili, ma i progressi nello stabilire i modelli e i metodi di analisi non han­
no ancora avuto un equivalente sviluppo. Negli ultimi decenni i metodi di classi­
ficazione dei gruppi di manoscritti si sono perfezionati, ma ancora non si è elabo­
rata una teoria definitiva e ben fondata di storia del testo. Lo studio delle relazio­
ni tra i manoscritti ha forse sofferto in passato di carenza di dati comparativi,
d’ imprecisione nella loro verifica e, di conseguenza, di una relativa incertezza di
risultato. L ’ ideale, in pratica irraggiungibile, sarebbe poter confrontare ogni ma­
noscritto e le sue varianti con tutti gli altri manoscritti e le rispettive varianti, per
determinare la posizione esatta di ciascun testimone nelPinsieme della tradizione
manoscritta. È possibile, e anche necessario, proporsi almeno una comparazione
diretta e incrociata tra un numero sufficientemente ampio e rappresentativo di
manoscritti (non soltanto in rapporto a un dato testo), tenendo sempre conto del­
la totalità delle varianti, delle concordanze e divergenze tra tutti i manoscritti sot­
toposti ad analisi. Con questo scopo sono stati impostati attualmente a Clare-
mont ( u s a ) e a Miinster (Germania) programmi di analisi di manoscritti mediante
computer. Identificati i gruppi di manoscritti e il tipo di testo che rappresentano,
si determina la qualità testuale dì ciascun tipo. Testo «migliore» sarà quello che
offre più di frequente la lezione «migliore». Per l’esame (di un vangelo, una lette­
ra o l’ intero N .T .) si trasceglie un numero sufficientemente ampio di lezioni di
cui, per evidenza interna, si abbia la certezza che corrispondano alla lezione più
antica oppure originaria. Si controlla poi quale tipo o tipi di testo offra in ciascun
caso questa lezione. L ’esito di tale analisi mostra che il tipo alessandrino è, in ge­
nere, il più affidabile, seguirò dal cesariense, dal bizantino e dall’occidentale
(escludendo quantomeno gli Atti).

d) Bibliografia
G. Pasquali, Storia della tradizione e critica del testo , Firenze 3i <?5 2 (più volte ri­
stampato); J.H . Greenlee, Introduction to N T Textual Gritìcism , Grand Rapids,
46z Testo e crìtica testuale del N.T.

M ich. 1964; J. Duplacy, Où en est la critique textuelle du NT: R SR 4 5 {1957)


419 - 4 4 1; 46 (1958) Z70-313. 431-461; Idem, Bulletin de critique textuelle du
N T: Bìb 49 (dal 1968 m poi); J.N . Birdsall, The N T Text , in P.R. Ackroyd - C.F.
Evans (edd.), C H B 1, Cambridge 1970, 308-376; E .C . Colwcll, Stndtes in Meth-
odology in Textual Criticism o f thè N i\ Leiden 1969; J. Duplacy, Etudes de cri­
tique textuelle du Nouveau Testamenti Louvain 1987; L. Vaganay - C.B. Am-
phoux, Initiation à la critique textuelle du Nouveau Testamenti Paris *1986.

3. Esempi di critica del testo


Mt . 6 ,1 3 . Alla fine del Padrenostro la liturgia aggiunse la dossologia «poiché tuo
è il regno, la potenza e la gloria per sempre». IL testo bizantino, parte del cesa-
riense e mss. alessandrini presentano questa versione della dossologia in Mt.
6 ,1 3 . I testimoni di critica esterna sono in questo caso insufficienti; la critica in­
terna, d’altra parte, suppone che la frase sia stata qui introdotta per influenza
della liturgia.
Me. i ,r . Nella frase d’apertura, «Inizio de! vangelo di Gesù Cristo, figlio di
D ìo», il codice Alessandrino e parte della tradizione cesariense omettono «figlio
di D io». Si potrebbe pensare che questa omissione comporti connotazioni ereti­
che. E tuttavia più probabile che si sia prodotto un errore nella copia, dovuto al­
la somiglianza delle due ultime abbreviazioni nei nomina sacra : I T X m t B Y
(«Gesù Cristo, figlio di Dio»),
Me. 9 ,19 . Nella maggioranza dei mss. la frase «Questa razza non può uscire in
nessun modo, se non per mezzo della preghiera» si presenta ampliata dall’aggiun­
ta «e del digiuno». I rappresentanti .migliori della tradizione alessandrina (R e B),
occidentale e cesariense non si sono piegati ad accogliere quanto non e che un’ìn-
terpolazione che riflette l’ importanza attribuita nella chiesa primitiva alla pratica
del digiuno.
Me. 16 ,9 -2 0 . La pericope conclusiva del vangelo, Me. 16,9-2,0, viene omessa
dal testo alessandrino (R B) e respinta anche da Cirillo di Alessandria. Alcuni
mss. che ne riportano il testo segnalano in un modo o neli’altro i dubbi nutriti
sulla sua autenticità. Come conclusione del vangelo altri riportano un testo diffe­
rente e più breve. Certo è che, privato di questa pericope, il vangelo di M arco si
concluderebbe bruscamente. Tuttavia il lessico e lo stile dei w . 9 -2 0 non corri­
spondono a quelli del resto del vangelo e d’altra parte si agganciano a quanto
precede in un modo estremamente forzato. Tra le incongnienze inerenti al conte­
sto si trova che nel v. 8 soggetto dell’azione è la donna, mentre nei v. 9 è Gesù;
M aria Maddalena, d’altra parte, già conosciuta per essere stata presentata nelle
righe precedenti, viene presentata di nuovo. L ’ipotesi più ragionevole è pensare
che nel processo di trasmissione del testo andò perduto l’ultimo foglio del testo
stesso e, di conseguenza, la conclusione originaria del vangelo. Questa venne so­
stituita con il testo di un altro scritto, risalente probabilmente alla prima metà del
Il secolo.
Le. 2,3.34. La notizia delle parole di Gesù sulla croce: «e Gesù disse: Padre,
perdonali perchè non sanno quello che fanno» non s’incontra nei testimoni anti­
chi (P75 B ecc.). N on è il caso di attribuire tale omissione a qualche copista non
La critica testuale del N.T, 463

troppo disposto a esprimere il perdono per i giudei, oppure convinto che la di­
struzione di Gerusalemme fosse la prova che non erano stati affatto perdonati. È
certo che questo logion non era parte del testo originario del vangelo. M a ciò non
significa che non si tratti di una frase autentica di Gesù, molto presto incorporata
nel testo del vangelo in questo preciso luogo.
Atti 8 ,3 7 . Sulla bocca del funzionario etiope il testo occidentale aggiunge una
intera confessione di fede che per ragioni di critica interna si suole considerare
come interpolazione secondaria.
Atti 3 , n . Rispetto al testo comune «E mentre egli tratteneva Pietro e Giovan­
ni, tutto il popolo sorpreso accorreva verso di loro al portico...», il testo occiden­
tale legge: «Quando Pietro e Giovanni stavano uscendo, uscì con loro trattenen­
doli; sorpresi, essi si rifugiarono nel portico...». Questa lezione rivela una cono­
scenza della topografia del tempio più precisa di quella del testo comune.
Gv. 7 , 5 3 - 8 , 1 1 . Il testo alessandrino P 7 K B), parte del cesariense e dell’oc­
cidentale, alcune versioni e Padri omettono la pericope dell’adultera. Vari mss.
esprimono i dubbi muriti sull*autenticità di questo passo; altri collocano il rac­
conto dopo Le. 2-1,38, dopo Gff . 7 ,3 6 , alla fine del vangelo di Luca o alla fine di
quello di Giovanni. Nessun Padre della chiesa greca anteriore al xn secolo com­
menta questo passo, e il primo che vi si presta avverte che i migliori mss. non lo
riportano. La critica interna osserva che un’omissione intenzionale del passo non
è dimostrabile. Lo stile e il lessico impiegati non sono quelli del quarto vangelo,
per di più il passo interrompe la sequenza in cui viene a trovarsi (7,52. e 8 ,1 2 ss.),
per cui la pericope non c autenticamente giovannea. Si tratta probabilmente di
una produzione della tradizione orale molto nota in alcuni luoghi della chiesa oc­
cidentale e che può essere affatto storica e corrispondere quindi alla realtà dei fat­
ti. Poiché è probabile che si ritenesse che questa pericope implicasse un’eccessiva
permissività, risultava difficile includerla nel corpo di un vangelo; ma quanto essa
riferiva era tanto caratteristico dell’agire storico di Gesù, che non era possibile ri­
pudiarla né abbandonarla aU’oblio.
Capitolo x v ii

Versioni dell’Antico
e del Nuovo Testamento

1. LE V E R S I O N I A N T I C H E

Precedentemente si è parlato delle versioni aramaica e greca dell'A.T.


(cap. xv, ri e ni). Ci occupiamo qui di altre versioni antiche che traduco­
no l’Antico e il Nuovo Testamento insieme. Evitiamo così le inevitabili ri­
petizioni dovute a una presentazione separata del materiale di una stessa
versione relativa all’Antico o al Nuovo Testamento.
Il processo di traduzione della Bibbia in latino, siriaco e copto ha inizio
intorno al 18 0 d.C. Il numero crescente di cristiani che parlavano queste
e altre lingue e non più il greco, in cui era scritto il N.T. ed era stato tra­
dotto PA.T., rendeva inevitabile l'avvio di questa attività di traduzione.
L’origine di alcune delle versioni antiche solleva problemi simili a quelli
prospettatisi al momento di spiegare la nascita delia versione dei LX X ,
problemi che Lagarde e Kahle cercarono di risolvere per vie diverse.
La questione è riconducibile al fatto di appurare se la storia di ciascuna
di queste ebbe inizio a partire da una o più versioni, vale a dire su un uni­
co originale si recero successivamente varie recensioni oppure se, al con­
trario, in principio coesistettero molteplici versioni confluite piu tardi in
un solo testo attraverso un processo di unificazione. Soltanto nel caso
delle versioni gotica e slava si è certi dell’esistenza di una versione unica
fin dal primo momento.
Mentre alcune correnti della critica testuale moderna tendono a rico­
noscere a queste versioni un grande valore per la ricostruzione dei testi
originali di entrambi i Testamenti, altre tendono a sminuirne il valore, ri­
tenendole testimonianze dell esegesi e delle idee teologiche imperanti nel-
Tepoca in cui furono compiute.

i. Versioni latine
a) La Vetus Latina
La «versione latina antica», generalmente nota come Vetus Latina, è la
traduzione o l’insieme di traduzioni anteriori alla versione Vulgata, ese­
guita da Gerolamo alla fine del I V secolo. La letteratura cristiana in lin­
gua latina ebbe inizio in Africa alla fine del n secolo con Tertulliano. Gli
Le versioni antiche 465

scritti tertullianei contengono numerose citazioni bibliche non attribuibi­


li con certezza a una traduzione latina già allora esistente. Qualche de­
cennio più tardi, Cipriano di Cartagine ( f 258) si serve per le sue citazio­
ni di una traduzione il cui testo coincide sostanzialmente con quello di
manoscritti posteriori. Per quanto inerisce all’A.T., questa versione, de­
nominata «africana», traduce un testo greco del 11 secolo, anteriore alla
recensione di Origene. Ciò significa che il suo testo è molto antico e pos­
siede quindi un considerevole valore critico. In realtà nei libri di Samuele-
Re traspare un testo greco proto-lucianeo.
Questo testo africano subì continui adattamenti al linguaggio liturgico
dei diversi luoghi nei quali si diffuse. In Italia, Gallia e Spagna verso la fi­
ne del iv secolo circolavano già diverse recensioni denominate «euro­
pee». Le loro discordanze non devono far pensare all’esistenza di tradu­
zioni diverse, poiché tutte conservano tracce del primitivo testo africano.
Sant’Agostino lamenta che l’enorme diffusione dei manoscritti greci e la
conoscenza del greco da parte di molti cristiani di lingua latina autorizza­
vano chiunque a introdurre correzioni nel testo latino, al punto che sem­
bravano esistere tante versioni quanti i codici. Tale situazione fu all’origi­
ne di imo stato di confusione testuale (vinosissima varietas) tale da dive­
nire presto intollerabile. Per altro verso, la versione antica era stata scritta
nella lingua vernacolare del popolo, molto distante dalla coeva lingua let­
teraria. Questi fattori determinarono la sostituzione, ancorché non tota­
le, della Vetus Latina con la Vulgata di Gerolamo. La Vetus Latina è im­
portante anche per la storia della lingua latina e del linguaggio Liturgico in
Occidente.
I manoscritti conservati della Vetus Latina dell’A.T. sono molto scarsi
e frammentari. Speciale menzione merita il Codex Gothicus Legtonensts,
manoscritto della Volgata della fine del x secolo, che fornisce lezioni
marginali tratee dalla Vetus Latina. Anche le citazioni dei Padri sono una
fonte importante per conoscere il testo di questa antica versione. Esse ri­
sultano sovente molto libere, ma talvolta sono fedelissime. Così si riscon­
tra nello Speculum de Divinis Scripturis dello Pseudo Agostino o in opere
di Lucifero di Cagliari. Ancor oggi non si può prescindere dal ricorso alla
raccolta di citazioni a opera di P. Sabatier edita nel 1745-49: Bibliorum
sacrorum latinae versiones antiquae seu Vetus Itala. La Vetus Latina for­
nisce talvola lezioni proprie di valore critico rilevante, come in Gen.
31,46 , dove la frase «Giacobbe disse...» del T.M ., dei L X X e dei Tg. ha
per soggetto «Labano», più pertinente al contesto.
Della Vetus Latina del N .T. si conservano circa 32 manoscritti incom­
pleti dei vangeli, 12, all’incirca degli Atti, 4 (piu alcuni frammenti) delle
lettere paoline e uno soltanto (con altri frammenti) dell apocalisse. Le
date di questi manoscritti vanno dal iv al xm secolo. La Vetus Latina ri­
Versioni deit'Antico e del Nuovo Testamento

specchia e attesta un testo greco occidentale (cfr. cap. xvi, 1,9**). Il testo
africano della Vetus Latina presenta rispetto al greco maggiori divergen­
ze di quello europeo.
Anche nel N.T. la Vetus Latina si caratterizza per il suo letteralismo e
per lo stile e la lingua popolari.
1 manoscritti della Vetus Latina sono identificati con lettere minuscole
dell’alfabeto latino, I più importanti manoscritti del testo africano sono
ey hy e k. La copia di quest’ultimo venne eseguita verso il 400, prima della
traduzione della Volgata neotestamentaria. Il suo testo è molto simile a
quello delle citazioni di Cipriano. Fra i testimoni del testo europeo figu­
rano è, cy d , /, //ecc.

h) La Vulgata

Dal xvi secolo il nome Vulgata designa la traduzione compiuta da Gero­


lamo alla fine del rv secolo. Arrivò a essere la versione «divulgata» c uffi­
ciale della chiesa latina. Il testo della versione antica ( Vetus Latina), già
allora mollo diffuso, seppure di stile rozzo e poco pretenzioso, era caduto
m una situazione di decadimento intollerabile. La reazione a questo stato
di cose e il crescente apprezzamento dei grandi manoscritti onciali greci
del iv secolo, meglio confacenti all'ambiente più colto dell’epoca, spiana­
rono il cammino alPopera di traduzione intrapresa da Gerolamo, che piu
tardi sarebbe sfociata nella versione «Volgata».
Gerolamo, nato non prima del 347, ricevette la sua formazione nelle
migliori scuole esegetiche dell’Oriente greco, apprendendo l'ebraico da
rabbi giudei. Trascorse a Betlemme Pultima parte della sua vita (385­
420), Conobbe la biblioteca che Origene ed Eusebio avevano creato a
Cesarea e vi potè consultare la famosa Esapla di Origene. Inesatta è la
notizia che verso il 382 papa Damaso avesse ufficialmente incaricato Ge­
rolamo di eseguire una traduzione completa della Bibbia; tale mandato
avrebbe potuto riguardare tuttJal più soltanto la versione dei vangeli
(Gribomont). Il lavoro di Gerolamo non obbedì né a un piano né a un
metodo omogeneo.
Una prima versione del Salterio, compiuta da Girolamo partendo dal
greco, andò perduta quasi subito. Non esistono prove per identificarla
con il Salterio romano, in uso in Italia durante il Medioevo c ancor oggi
nella basilica di San Pietro a Roma (De Bruyne). Il Salterio gallicano, così
chiamato perché adottato da Carlo Magno per l’impero franco, è frutto
di una nuova recensione condotta sul resto greco esaplare; è il testo ac­
colto dalla Vulgata Clementina (1592). Il testo di Giobbe e cospicui
frammenti del Cantico dei cantici e dei Proverbi corrispondono a questa
versione su base esaplare. Riveduta la versione della Genesi nel 392, Ge­
Le versioni antiche 467

rolamo modificò l’orientamento di tutta la sua opera. Passò a lavorare


sul testo ebraico, guidato dal principio di priorità per la testimonianza
della veritas Hebraica. Questo appello alla «verità ebraica» richiama più
alle versioni giudaiche di Aquila, Simmaco e Teodozione che allo stesso
testo ebraico (C. Estin). Gerolamo iniziò il suo lavoro sui testi «ebraici»
con la versione dei libri di Samuele-Re o, probabilmente, con quella dei
libri profetici. I libri tradotti in seguito furono il Salterio iuxta Hebraeos,
Giobbe, Esdra-Neemia, Cronache, i libri di Salomone, POttateuco ed
Ester. Queste ultime due traduzioni si conclusero nel 405.
I libri deuterocanonici dell’A.T. non vennero tradotti da Gerolamo
perché non facevano parte della veritas Hebraica. Tuttavia, poiché la
chiesa non voleva né poteva prescindere da questi libri, la tradizione ma­
noscritta della Volgata non tardò a incorporarne una traduzione.
Riguardo al N .T., Gerolamo iniziò il suo lavoro con la versione dei
vangeli, la più usata nella liturgia, nel momento stesso in cui avviò la tra­
duzione del T.M. per il Salterio. La traduzione è ancora opera di princi­
piante, anche se nel complesso si mantiene a un buon livello qualitativo.
Gerolamo non fu del tutto fedele al suo duplice proposito di non alterare
il testo della Vetus Latina, più di quanto non richiedessero il greco e il
voler mantenere nella propria traduzione il carattere tradizionale della
lingua della Vetus Latina. Ciò spiega la presenza di differenti versioni di
una stessa locuzione greca: princeps sacerdotum in Matteo, summus sa-
cerdos in Marco e pontìfex in Giovanni. Per la traduzione Gerolamo si
attenne fondamentalmente a un testo alessandrino. Una questione ancora
irrisolta è sapere quando e come Gerolamo si diede a rivedere il resto del
Nuovo Testamento. Generalmente oggi si riconosce che la versione delle
lettere, degli Atti e dell’Apocalisse non è opera di Gerolamo, sebbene a
lui se ne debba Pimpostazione e Pavvio. Probabilmente e opera di un di­
scepolo, Rufino il Siro, il quale segui in modo più sistematico i principi
del maestro, fino a completare l’opera a Roma nel 405 (B. Fischer). I te­
stimoni migliori della Volgata sono i codici A F G M R Z 2 (Sangallen-
sis) e il palinsesto di Autun.

c) Valore della Vulgata

Nell’opera di Gerolamo confluiscono tradizioni testuali ed esegetiche


proprie delle tre lingue, latina, greca ed ebraica. In ogni libro, e perfino in
sezioni di uno stesso libro, possono predominare elementi dell’una o del­
l’altra lingua. Il rispetto di Gerolamo per la Vetus Latina si fa più mani­
festo nella Genesi, soprattutto nelle formule oracolari e di preghiera con­
sacrate dalla liturgia. Nelle sezioni narrative Gerolamo procede con mag­
giore libertà. I frequenti septuagintismi e i non rari semitismi riscontrabi­
468 Versioni deli*Antico e del Nuovo Testamento

li nella versione attestano limpiego dei migliori testimoni greci accessibili


a Gerolamo così come del testo ebraico contemporaneo. Tutto ciò confe­
risce alla Volgata un apprezzabile valore critico, benché non fosse intento
di Gerolamo stabilire un testo critico. In seguito, tuttavia, la Volgata ri­
sultò contaminata dalle lezioni della Vetus Latina, che Gerolamo stesso
continuò a citare nei suoi commenti, al pari di tutti coloro che non accet­
tarono le innovazioni da lui introdotte. La Vetus Latina sopravvisse non
soltanto confusa tra manoscritti della Volgata, ma anche in copie specifi­
che, di continuo riprodotte fino al x i i secolo. Agostino non si mantenne
reticente verso la Volgata, ritenendo che il testo greco della tradizione ec­
clesiastica non andasse trascurato a privilegio di quello ebraico. Egli te­
meva anche una scissione tra le chiese greca e latina. Gerolamo e Agosti­
no non concordavano poi sull’ispirazione della versione dei LX X , difesa
da Agostino.

d) Storia successiva della Vulgata

Nei secoli seguenti non si fecero più tentativi di correzione del testo latino
per adeguarlo all’originale greco. Questa preoccupazione di rivedere il te­
sto delle traduzioni passò airOriente siriaco, dove nel corso del v i e v i i
secolo si portarono a termine vane revisioni del testo siriaco, tutte prece­
denti alla versione siro-esaplare.
Durante I’ v j i i e il rx secolo la Volgata andò soppiantando la Vetus La­
tina che, nonostante tutto, resisteva al proprio tramonto. La contamina­
zione fra i due testi e il processo di corruzione dei manoscritti della Vol­
gata condusse alle revisioni di Cassiodoro (f 570) e Alcuino (730/735-
804). A quest’ultimo, più che allo stesso Gerolamo, sono da attribuirsi le
tracce di «ciceronianismo» presenti nella Volgata. In piu di un caso Ge­
rolamo si ispirò certo al latino classico, conservando tuttavia più «vol­
garismi» di quanto il testo a noi trasmesso lasci sospettare. L ’apporto di
altre revisioni intraprese nel Medioevo (come quelle di Teodolfo d’Or-
léans, | 8 z t , e Stefano Harding, f 1 1 3 4 ) non consiste, in realtà, che in
un’ulteriore corruzione del testo della Volgata. I più di 8000 manoscritti
conservati soffrono di questo male.
La reazione alla corruzione del testo della Volgata si diffuse in epoca
rinascimentale, a partire da Lorenzo Valla (1440). Questa reazione coin­
cise con il sorgere di un movimento di ritorno al testo greco originale. Il
concilio di Trento (1456) dichiarò la Volgata versione autentica della
chiesa, senza implicare con questo l’ abbandono del naturale riferimento
agli originali greco ed ebraico. Mezzo secolo più tardi, nel 159 2, Timpe-
gno per l’edizione di un testo ufficiale sfociò nella Vulgata Sixlo-Clemen-
tina. Dal 1907 i monaci benedettini del monastero di San Gerolamo in
Le versioni antiche 469

Roma hanno lavorato a un’edizione critica terminata nel 19 87, con l’ec-
cezigne del primo e secondo libro dei Maccabei (in preparazione).

Edizioni . B. Fischer (ed.), Die Reste der altlateinìschen Bibel nach Petrus Saba-
tier, Freiburg 1 9 4 9 ; i benedettini dell’abbazia di Beuron preparano un’edizione
critica della Vetus Latina , della quale sono apparsi finora Genesi e Sapienza
(A.T.), le lettere cattoliche, Efesini e Filemone, e i primi fascicoli di Isaia, Eccle­
siastico ed Ebrei; Biblia Sacra iuxta Latinam vulgatam versionem iussu Pii PP ,
X I [et successorum], cura et studio monachorum S. Benedicti, 1 7 voli., Città del
Vaticano 1 9 1 6 - 1 9 8 7 ; B. Fischer - H.I. Frede - J. Gribomont - H .F.D . Sparks - W .
Thiele, Biblia Sacra iuxta vulgatam versionem , Stuttgart31 9 8 4 ; N ova Vulgata Bi-
bliorum Sacrorum editto, Rom a 1 9 7 9 : questa edizione «neo-volgata» intende in­
corporare al testo della Volgata i risultati più consolidati dell’esegesi moderna, ri­
spettando per quanto possibile la lingua e il testo dei traduttori antichi. Segnalia­
mo inoltre due edizioni dirette rispettivamente da L. Turrado - A . Colunga, Biblia
Sacra iuxta Vulgatam Clementinam , M adrid 1 9 5 7 , e J. Leal, Novum Testamen-
tum D N ICh iuxta editionem Sixto-Clementinam , M adrid i9 6 0 .

e) Bibliografia

Sulle versioni in generale, oltre alle opere precedentemente citate (cap. x v , 11 e


iv), cfr. K. Aland - S.P. Brock et al., Die alten Vbersetzungen des Alten und Neu-
en Testaments0 T R E v i (19 8 0 ), 1 6 1 - 2 .1 6 ; M . d e T u ya - J. Salguero, ìntroducción
a la Biblia 1, M adrid 19 6 7 . Sulle versioni latine, F. Stummer, Einfiibrung in die
lateinische Bibel , Paderborn 192.8; F.C . Burkitt, The O ld Latin and thè Itala,
Cambridge 1 8 9 6 ; M . Bogaert, Bulletin de la Bible Latine : RBenS (19 6 4 -); Idem,
La Bible latine des orìgines au moyen dge: R T L 19 (19 8 8 ) 1 3 7 - 1 5 9 . 1 7 6 - 3 1 4 ; T.
Ayuso Marazuela, La Vetus Latina hispana, 1. Prolegómenos , M adrid 1 9 5 3 ;
Laura Light, Versions et révisions du texte biblique , in P. Riché - G. Lobrichon
(edd.), Le Moyen Àge et la Bible , Paris 19 8 4 , 5 5 -9 3 ; A . Garcia-M oreno, La N eo­
vulgata. Precedentes y actualidad, Pamplona 19 8 6 .

2. Versioni siriache
a) Vetus Syra
La versione siriaca delFA.T. conobbe una lunga vicenda, oggi meglio co­
nosciuta grazie alla scoperta di nuovo materiale manoscritto. Oltre al
Pentateuco comprendeva Salmi e Profeti. L ’originale di questa versione
mostra relazioni con i targumim palestinesi (Baumstark, Kahle, Vòòbus);
discussa ne è l’origine giudaica o giudeo-cristiana. La casa reale dell’A-
diabene, a est del Tigri, si convertì al giudaismo nel 40 d.C. Questa potè
essere la circostanza all’origine della traduzione, attribuibile peraltro an­
che ad autori giudeo-cristiani che portarono il vangelo nell’Adiabene. In
ogni caso la traduzione fu condotta su una versione targumica. Una revi­
470 Versioni dell'Antico e del Nuovo Testamento

sione dì questa Vetus Syra produsse la Peshitta o versione «semplice», co­


sì chiamata dal ix secolo per distinguerla dalla versione siro-esaplare, più
elaborata ed erudita. La versione antica continuò a circolare e venne uti­
lizzata più tardi per la versione nota come siro-palestinese.
La storia del N.T. in siriaco prende le mosse dal Dlatessaron o armonia
dei quattro vangeli. Quest’opera, vero monumento di letteratura cristiana
antica, venne condotta a termine verso il 17 0 da Taziano, discepolo di
Giustino. Ebbe grande diffusione nella chiesa siriaca. Alle qualità lettera­
rie del testo univa l’interesse sempre vivo di presentare una storia conti­
nua della vita di Gesù, in cui si riproducono meticolosamente tutti i par­
ticolari dei quattro vangeli. Per i cristiani di Siria il Dìatessaron costituiva
inoltre un ulteriore motivo d’interesse poiché incorporava una serie di
letture, estratte da fonti apocrife, di particolare importanza per quanti
parlavano siriaco. La determinazione dell’origine e delle caratteristiche di
questa versione costituisce tuttavia una delle questioni più ardue della
storia testuale del N.T. Rispetto alTopinione secondo cui il Dìatessaron è
traduzione di un originale greco (H. von Soden, Vogels), la critica interna
sembra confermare chi ne sostiene l’originaria redazione in siriaco, basata
sui quattro vangeli in greco (Bautnsrark, Vòòbus). Il suo testo è pervenuto
soltanto attraverso citazioni, benché si sia trovato un manoscritto conte­
nente il commento di Efrem dì Edessa (t 373), basato sul testo del Dia-
tessaron. L ’oblio e la scomparsa di quest’opera sono conseguenza del ri­
fiuto destato dai suoi orientamenti encratiti durante il v secolo. Teodore-
to di Ciro f f 466 ca.) ne fece distruggere piu di duecento esemplari, il che
ne prova l’enorme diffusione. La letteratura siriaca antica conserva tracce
che presuppongono l'esistenza di un testo antico degli Atti e delle lettere
paoline con caratteristiche simili al Dìatessaron.
L’opera di Taziano ebbe grande importanza nel cristianesimo antico.
Godette di enorme popolarità in Oriente e in Occidente, ben oltre i limiti
geografici dì diffusione delia lingua siriaca. Per la sua traduzione Taziano
si servì di una forma testuale greca che circolava in Roma a metà del n
secolo. Ciò significa che la ricostruzione del Dìatessaron fornirebbe un
rilevante contributo anche alla conoscenza della storia del testo greco del
Nuovo Testamento.
La versione siriaca antica del N.T. ebbe origine a partire dal Diatessa-
ron. Essa cerca di riadattare il materiale del Dìatessaron alla forma origi­
naria in quattro vangeli, seguendo, in generale e con grande flessibilità, il
testo di tipo occidentale. Si conserva in due manoscritti, il codice Siro-cu-
retoniano e Siro-sinaitico, che rappresentano due tradizioni testuali indi­
pendenti di tale versione. Mostra una grande conoscenza della topografia
e dei costumi palestinesi e utilizza espressioni tipiche dell’aramaico pale­
stinese non conosciute nel siriaco classico. La traduzione fu eseguita nel
Le versioni antiche 471

rn secolo. Il suo testo subì un processo di revisione molto profondo. Ser­


vì come base per molte versioni orientali dei vangeli, tra le quali l’armena
antica, l’etiopica antica e l’araba antica. Si è conservato soltanto il Lesto
dei vangeli, frammenti di Atti e di citazioni paoline.

b) Peshitta

La Peshitta ha una storia complessa, che si riflette in frequenti variazioni


di testo e stile. Mostra influssi derivanti dai targumim (ad es. in Gen. 2.8
e 4,7) e dai L X X (Gen. 49,10). La traduzione fu compiuta in varie epo­
che e da autori differenti, giudei o, più probabilmente, cristiani. La ver-
sioue è molto letterale in Giobbe, meno nel Cantico dei Cantici, più libera
nei Salmi, in Isaia e nei Profeti Minori, parafrastica in Rut. Nel Pentateu­
co, Ezechiele e Proverbi segue il modello targumico e nelle Cronache mo­
stra Pinflusso di tradizioni targumiche e midrashiche. Il testo base adot­
tato dalla versione differisce da un libro all altro. La Peshitta presenta af­
finità con il testo di Isaia conosciuto a Qumran, il che le conferisce un ap­
prezzabile valore critico. L’ influsso dei LX X è evidente nella tradizione
manoscritta più antica, ma non risulta facile chiarire se questo influsso
si esercitò sulla prima revisione, che costituì la Peshitta, o soltanto nelle
fasi di revisione successiva. Interessanti sono le differenze tra il testo della
Peshitta giacobita e quella nestoriana (ad es. in S a i 68,19).
La Peshitta del N.T. è il risultato di una rielaborazione della versione
siriaca antica, il cui testo venne adattato in funzione di quello greco cor­
rente in Antiochia, benché si siano conservati molti elementi del siriaco
antico. La versione possiede una certa qualità stilistica senza venir meno
alla sua fedeltà al modello greco. Per qualche tempo s’individuò l’autore
di questa versione con il vescovo di Edessa, Rabbuia (Burkitt). Nuovi da­
ti portano a respingere questa ipotesi. Si è scoperto che il testo utilizzato
da Rabbuia nel periodo precedente alla sua morte era un testo siriaco an­
tico (Vòòbus). La traduzione della Peshitta si deve far risalire agli ultimi
decenni del iv secolo. Il canone di questa versione rispecchia il canone
corrente in Antiochia nel iv secolo; non conosce 2 Pietro, 2-3 Giovanni,
Giuda e PApocalisse. Si sono scoperti resti della Peshitta in un manoscrit­
to trascritto a Edessa nel 4 1 1 .
Questa versione a volte sorprende per le lezioni di tipo occidentale.
Presenta una grande varietà di tecniche di traduzione e di usi lessicali e
ciò induce a ritenerla opera di vari traduttori, in sintonia con la tradizio­
ne siriaca che Pattribuisce a un aurore anonimo. La tradizione testuale è
molto antica e accurata, quasi sprovvista di varianti, al punto che la pri­
ma edizione critica dei vangeli (P.E. Puscy - G.H. Gwilliam, 19 0 1) propo­
ne un testo molto simile a quello della prima edizione a stampa del 1555.
c) La versione fìlosseniana

La versione fìlosseniana delPA.T, si basa su un testo più arcaico di quello


della Peshitta, riveduto conformemente al greco antiocheno. Questa ver­
sione viene attribuita a Policarpo, che vi attese nel 507/508 su incarico di
Filosseno, vescovo di Mabbug. È stato scoperto un commento del mede­
simo Filosseno basato su di essa. L'analisi del commento prova che non
si tratta in realta di una nuova traduzione, ma di una revisione della Pe­
shitta, allo scopo di conseguire una maggiore aderenza al testo dell'origi­
nale greco. Tale versione includeva gli scritti del N.T. non raccolti nel ca­
none sirìaco amico (2 Pietro, 2-3 Giovanni, Giuda e Apocalisse).

d) La versione siro-palestìnese

Indipendente dalle altre versioni siriache, è in dialetto aramaico occiden­


tale, parlato dai cristiani di Palestma. Nel iv e v secolo la popolazione
della regione palestinese passò al cristianesimo nella sua quasi totalità,
poiché il greco era la lingua dominante. Di questa versione si conservano
frammenti in lezionari, soprattutto del testo dei Salmi. Essa rivela carat­
teri arcaici, con influenze targumiche che postulano un testo greco sotto­
stante. Ritrovamenti recenti ne confermano l'origine palestinese (Vòò-
bus), contro la possibile origine antiochena o egiziana, precedentemente
supposta da altri autori. Le prime indicazioni circa le origini della tradu­
zione sono fornite da notizie di Gerolamo sulla liturgia celebrata a Be­
tlemme. Verso il 700 anche un autore arabo si servi di questa versione,
utilizzata correntemente dalla comunità melchita palestinese.
Tra le traduzioni siriache la versione siro-palestinese del N.T. è la più
vicina al tipo di testo bizantino, sebbene riveli affinità anche con il testo
di Origene e la versione siriaca antica.

e) La versione siro-esaplare dell’Antico Testamento

La versione siro-esaplare e oggi meglio conosciuta grazie a recenti ritro­


vamenti (Vòòbiis). Si è conservato il testo della maggior parte dei libri
delTA.T. Fu eseguita prima del 619 da Paolo, vescovo di Telia (Mesopo-
tamia), ad Alessandria, dove si era rifugiato per sfuggire aLPinvasione dei
persiani gassameli. Traduce in forma molto letterale il testo esaplare di
Origene. Non evita forzature della sintassi siriaca per meglio riflettere
l’originale greco. Riproduce inoltre i segni diacritici esaplari. Conserva ai
margini numerose lezioni dei «tre» (Aquila, Simmaco e Teodozione) e
della Quinta e Sexta per il Salterio, possedendo così un grande valore per
la ricostruzione del testo esaplare e del greco antico del libro di Daniele.
f ) La versione harcleense

È l’equivalente neotestamentario della versione esaplare dell’A.T. La sua


lingua è manifestamente erudita, Continua l'indirizzo segnato dalla ver­
sione filosseniana. Si propone una fedeltà assoluta airoriginale greco,
senza il minimo riguardo per la grammatica e lo stile della lingua siriaca.
Il testo è dotato di segni diacritici e di varianti in margine. In Atti segue il
testo occidentale. Fu opera di Tommaso di Eraclea, che la concluse nel
6 16 durante l’esilio ad Alessandria.

g) La versione dt Giacomo di Edessa

Rappresenta l’ultimo esempio dell’intensa attività svolta dai cristiani di


lingua siriaca nella traduzione della Bibbia. Sono conservati frammenti
corrispondenti a Samuele-Re, tradotti nel 705, Questa versione si propo­
neva di migliorare la qualità letteraria della versione siro-esaplare in rela­
zione alla Peshitta.
Sulla sua base venne compiuto il primo lavoro sistematico di compila­
zione di una masora siriaca, la quale raccoglieva note marginali su pro­
nuncia e varianti.
Edizioni. Il testo della Peshitta maggiormente in uso venne approntato da G a­
briele Sionita ed edito nella Poliglotta di Parigi (16 4 5 ). Venne poi accolto nella
Poliglotta di Walton e nell’edizione di Samuel Lee (18 2 3 ). A Leida è in corso di
preparazione un’edizione critica, di cui sono già apparsi alcuni volumi: Vetus Te-
stamentum Syriace Ufxta simplicem Syrorum versionem (19 7 2 -).
Bibliografia. A . Vòòbus, Peschitta und Targumìn des Pentateuchs, StockhoJm
1 9 5 8 ; Idem, The Hexaplar and thè Syro-Hexapla, Stockholm 1 9 7 1 ; M .H . Go-
shen-Gottstein, The Bible in thè Syropalestinian Version r, Jerusalem 1 9 7 3 ; P.B.
Dirksen, La Peshitta dell3Antico Testamento , Brescia 1 9 9 3 .

3. Altre versioni antiche


a) Versioni copte
Il copto costituisce l’ultima tappa nell’evoluzione dell’egiziano antico. Era
la lingua parlata dalla popolazione egiziana assai prima dell’era cristiana.
Fino al 200 d.C. non si mutò in Lingua scritta; ciò avvenne appunto a
partire dalle traduzioni della Bibbia. Si scriveva in caratteri greci, ai quali
si aggiunsero altri sette caratteri tratti dalla scrittura demotica. Il copto
sviluppò sette forme dialettali. Si conservano brani biblici scritti in sei di
questi dialetti: sahidico, diffuso dal Cairo a Eracleopoli; bohairico, parla­
to nel Delta occidentale e in Nitria; achmimico, dialetto di Achmim, l’an­
tica Panopoli nell’Alto Egitto; subachmimico, a sud di Asyut (Licopoli);
474 Versioni deli’ Antico e del Muovo Testamento

il dialetto medio egiziano (ossirinchico) e, infine, il fayumico, in uso a


ovest del Nilo e a sud del Delta.
Di questi dialetti il sahidico è il piu importante per lo studio delle pri­
me versioni copte. Nel iv secolo si trasformò nella lingua letteraria della
valle del Nilo. La versione piò antica in sahidico è anteriore al 270 d.C.
Un secolo piu tardi tutti i libri della Bibbia erano già tradotti in sahidico.
La tradizione manoscritta testimonia l’esistenza di parecchie traduzioni in
questo dialetto, sottoposte in seguito a tutta una serie di revisioni succes­
sive. In questo dialetto sono scritti i codici «sahidici» della biblioteca
gnostica di Nag Hammadi.
La versione bohairica, risalente probabilmente al IV secolo, con il pas­
sar del tempo subentrò alle altre. Essa continua a venire utilizzata nella
liturgia copta. I manoscritti superstiti di questa versione sono anche i piò
numerosi, benché la maggior parte sia di età relativamente recente (xn-
xiv secolo).
Le versioni dell’Antico Testamento sono condotte sul greco dei LXX.
La versione sahidica di Giobbe sembra aver utilizzato un testo preesapla-
re; quella di Daniele, invece, un testo teodozioniano. La versione bohairi­
ca dei libri profetici mostra affinità testuali con la recensione di Esichio.
Per il Nuovo Testamento le versioni sahidica e bohairica seguono spesso
un tipo di testo alessandrino.
Delle versioni nei restanti dialetti si sono conservati frammenti relati­
vamente brevi, eccetto un importante manoscritto del vangelo di Giovan­
ni in subachmimico, databile al iv secolo. Sulla datazione, i tipi testuali e
le relazioni reciproche tra le versioni copte, molto è il lavoro che ancora
resta alla ricerca.

b) La versione gotica

È la prima versione di cui si conosca il nome del traduttore, il vescovo Ul-


fila, apostolo dei Goti nelle province del Danubio intorno alla metà del
rv secolo.
È una delle versioni bibliche per le quali si dovette creare un alfabeto
apposito. Costituisce la piò antica opera di letteratura in una lingua ger­
manica.
Si conservano sei manoscritti; il più completo è un esemplare di gran
lusso, il Codex argenteus del v o vi secolo (Uppsala), contenente i vangeli
nell’ordine detto occidentale (Matteo, Giovanni, Luca, Marco). La ver­
sione è molto letterale e segue un testo bizantino. Nell’epistolario paolino
si introdussero lezioni occidentali desunte dalla Vetus Latina. DelPÀ.T.
si sono conservati alcuni frammenti soltanto, la cui versione poggia sul
testo greco lucianeo.
c) La versione arm ena

Agli inizi del V secolo il patriarca Sahak {Isacco il Grande, 390-439) e


Mesrob (f 439), al quale si attribuisce l'invenzione della scrittura arme­
na, intrapresero la traduzione della Bibbia e della liturgia nella loro lin­
gua nazionale, in reazione alTimpiego del siriaco nel culto armeno. La
versione dell’A.T. fa condotta, almeno al) inizio, sulla versione siriaca,
benché antichi storici armeni informino che venne compiuta sul testo gre­
co. I manoscritti conservati mostrano a ogni modo che si tratta di un te­
sto con rilevanti influssi della tradizione esaplare, riveduto più volte sulla
base di un testo siriaco.
Quanto al testo del N.T. si è discusso se la versione sottenda un origi­
nale greco o una versione siriaca. L ’inserimento della terza lettera di Pao­
lo ai Corinti e certi aspetti che riflettono una sintassi semitica fanno pro­
pendere per un’influenza siriaca.
La maggior parte dei manoscritti conservati presenta tuttavia una for­
ma testuale più ellenizzata. Probabilmente la versione origmale subì un
processo di recensione tra il v e Pvm secolo. A giudicare da alcuni indizi,
la prima forma dei vangeli fu un5«armonizzazione» analoga a quella del
Diatessaron di Taziano.
Nel complesso la versione armena è di grande qualità letteraria, carat­
teristica che le è valso il titolo di «regina delle versioni». Anche come
fonte per l’analisi critica merita un’attenzione maggiore di quella che fi­
nora le è stata riservata.

d) La versione georgiana

11 cristianesimo giunse in Georgia, tra il Mar Nero e il M ar Caspio, nella


prima metà del iv secolo.
Il georgiano è una lingua agglutinante, priva di relazioni con le altre
lingue conosciute.
Resta difficile stabilire con precisione la data delle prime versioni, qua­
li libri vennero tradotti e quale testo fu impiegato per la traduzione: pote­
va essere greco, siriaco o armeno.
La versione dell \.T . venne compiuta in varie epoche e su testi diffe­
renti: i L X X per la versione delTOttateuco e la traduzione armena per i
Profeti.
La versione del N.T., secondo una tradizione ecclesiastica eseguita di­
rettamente sul testo greco, sembra basarsi, tuttavìa, sul siriaco o più pro­
babilmente sull’armeno. Si è riusciti a distinguere cinque versioni o recen­
sioni dei vangeli in georgiano antico, tutte anteriori alla revisione intra­
presa da Eutimio alla fine del x secolo.
e) La versione etiopica

La versione della Bibbia in etiopico venne probabilmente iniziata intorno


alla metà del iv secolo o poco dopo, quando fu consacrato vescovo di
Àcsum Frumenzio, la prima figura storica del cristianesimo etiope di cui
si abbia notizia.
La tradizione manoscritta di questa versione è posteriore al xu i secolo
e presenta un testo misto, con tracce di forte contaminazione dei testi me­
dievali arabo e copto.
La versione dell’A.T. sembra eseguita sui L X X , benché taluni credano
di trovarvi influssi di derivazione ebraica. Nel primo libro dei Re essa se­
gue il testo B dei L X X , con forti influenze lucianee.
Il testo del N.T. è molto vario: talvolta molto letterale, talaltra molto
libero. Nelle lettere di Paolo colpisce il suo accordo con P46. Lo strato più
antico di questa versione rivela un testo misto, con prevalenza del tipo di
testo bizantino.

f) Versioni arabe

La data precisa della prima traduzione in arabo è ignota. Generalmente


si crede che fino all’epoca di Maometto (f 632) la lingua de» cristiani di
Arabia fosse il siriaco, e che soltanto in epoca successiva si sia avvertita la
necessità di disporre di una versione in arabo. Taluni pensano, al contra­
rio, che già prima dell’espansione dell’islamismo i cristiani di lingua ara­
ba dovettero ultimare una traduzione della Bibbia nella loro lingua. I piu
antichi testi conservati non sono a ogni modo precedenti al ix secolo.
Le varie versioni arabe hanno provenienze molto diverse. La versione
di Saadia Gaon (f 942), l’autorità massima della scuola rabbinica di Sura
in Mesopotamia, è condotta sull’ebraico e incorpora elementi di esegesi
talmudica e di filosofia dello stesso autore. La versione dei Profeti, accol­
ta nelle Poliglotte di Parigi e di Londra, venne eseguita partendo dal testo
greco. Altre versioni traducono forme testuali siriache. La versione dei
vangeli, compiuta nel 946 da Isaac Ibn Velasquez di Cordova, poggia su
un testo Latino. Altre versioni provengono dal copto.

g) La versione slava

La prima versione slava dei vangeli, Salmi e altri testi letti nella liturgia
risale a Cirillo (f 869) e a Metodio (f 885). La versione fu completata al­
la fine del ix secolo; subì poi varie revisioni che riflettono l'evoluzione
dialettale dello slavo. Un manoscritto del 1499 riproduce la versione del­
l’arcivescovo di Novgorod, Gennadio. Questa segue il testo greco bizan­
Versioni medievali e moderne 477

tino ed è divenuta il testo di uso ecclesiastico. L ’edizione di San Pietro­


burgo del 1 7 5 1 costituisce il testo corrence della Bibbia slava.
Bibliografia. B. Botte, Vrrsions C opies, DBS vi (19 6 0 ), 8 18 -8 2 ,5; C. C o x , Bib­
lica! Studìes and thè Armentari Bible: 19 5 5 -19 8 0 ’. RB 89 (19 8 2 ) 9 9 - 1 1 3 ; M .K .H .
Peters, A Criticai Edìtion o f thè Coptic (Bohairic) Pentateuch (Septuagint and
Cognate Studies SB L; in corso di edizione).

II. V E R S I O N I M E D I E V A L I E M O D E R N E

Alle antiche versioni della Bibbia sopra esaminate seguirono quelle me­
dievali. Al v i i secolo risale la versione anglosassone, al ix la boema e
alTxi la tedesca (in hasso tedesco). Nel xn e xm secolo apparvero versio­
ni in provenzale, francese, italiano e olandese, nel x iv in inglese, norvege­
se, polacco e persiano e nel xv in ungherese e svedese.
La prima Bibbia a stampa fu una Volgata edita da J. Gutenberg a M a­
gonza (Germania) negli anni 1450-1456 . La seconda stampata, e prima in
una lingua moderna, fu una versione tedesca edita da J. Mentelin nel
1466; seguirono la «Bibbia d’Agosto», versione italiana di Nicolò Maler­
ba pubblicata a Venezia nel 14 7 1 , quella francese di Jean de Rély, nel
1487, e la boema, edita a Praga nel 1488.
Quella di Martin Lutero del 15 3 4 fu la prima Bibbia completa tradotta
m una lingua moderna partendo dalle lingue originali; la versione del
N.T, venne pubblicata a Wittemberg ne! 15 2 2 e Pedizìone tipica è del
1 545. Raggiunse grande popolarità e costituisce un monumento della let­
teratura in lingua tedesca. Valore analogo riveste la versione inglese nota
come Bibbia di Re Giacomo o Authorized Version del 1 6 1 1 ; fu riveduta
nel 18 8 1-18 9 5 e da allora è conosciuta come The Revised Version.
Alla fine del xvi secolo la Bibbia completa era stata tradotta in olan­
dese (1526), francese (1530), svedese (15 4 1), danese (1550), polacco
(15 6 1, a Cracovia, da Giovanni Leopolirano) e altre lingue europee. Nel
xix secolo, il secolo delle missioni, la Bibbia fu tradotta in circa 500 lin­
gue e dialetti. Questo sforzo di traduzione è continuato e si è sviluppato
nel secolo attuale. Versioni oggi molto utilizzate sono, in lingua inglese,
The Revised Standard Version, The New English Bible e The New Am­
erican Bible, e in francese la Sainte Bible de Jérusalem, diretta dai Padri
Domenicani deUs«Ecole Biblique» di Gerusalemme eia Traduction Oecu-
ménique de la Bible.
Le versioni portoghesi iniziano a vedere la luce intorno alla fine del
xiti secolo nel monastero di Alcobaga con una versione parziale di Atti e
una storia ridotta dell A.T. La prima versione completa della Bibbia è di
Antonio Pereira de Figueiredo, eseguita a Lisbona nel 1778 -179 0 , riedita
nel xix secolo dopo ripetute revisioni parziali o totali, J. Ferreira de Al-
478 Versioni dell’Antico e del Nuovo Testamento

meida è l’autore di una versione protestante completa della Bibbia ese­


guita tra il i 68 i e il 17 19 . A Lisbona, nel 1932., Matos Soares portò a
termine un’altra traduzione completa della Bibbia, condotta sulla Volga­
ta. In Brasile, nel 19 5 5 , l’Associazione per gli Studi Biblici ha intrapreso
una traduzione completa della Bibbia.

ITI, L A B I B B I A
IN L I N G U A I T A L I A N A

L’edizione originale di questo volume si conclude con un denso capitolo


sulla storia della Bibbia in Spagna, a firma di J.M . Sanchez Caro (pp. 553­
574). Per ovvi motivi si è ritenuto opportuno, nell’edizione italiana, sosti­
tuire quelle pagine con una breve storia della Bibbia in Italia, o, per me­
glio dire, della Bibbia in italiano.
Per quanto possa sembrare strano, il compito non è dei più tacili, per­
ché, se si escludono alcune voci di enciclopedia e qualche recentissimo
studio monografico, non esiste a tutt’oggi una sintesi storica esauriente
sul tema. Le ragioni di questo stato di cose possono essere molte, ma non
sì andrà troppo lontano dal vero se si ipotizza che la causa principale sia
sostanzialmente lo scarso interesse che per secoli si è nutrito in Italia per
la Bibbia.
Di fronte alla stessa situazione si è trovato anche il collega spagnolo, il
quale afferma chiaramente che «non vi è uno studio completo e generale
sulle versioni spagnole della Bibbia» (p. 574). Più che da magra consola­
zione, il rilievo può servire da richiamo alla forte analogìa della fortuna
della Bibbia in Spagna e in Italia, segnata nei due casi —come, del resto,
avvenne in tutti i paesi «cattolici» — da un lungo periodo di stasi, che
coinvolse sia gli studi biblici sia, soprattutto, le traduzioni in volgare, e
che sì protrasse per ben due secoli: dalla pubblicazione dóV Indice del
1559 al breve di Benedetto xiv, del 17 5 7 .
Le tappe storiche sono quindi facilmente delineabili. Si va dalle origini
alPintroduzione della stampa, daWeditio princeps al concilio di Trento,
per passare — fatta salva l’opera, fondamentale non solo per il mondo
protestante, del Diodati —alla traduzione del Martini, e di qui ai giorni
nostri.

1. Dalle origini alla stampa

I più antichi manoscritti di Bibbie in italiano risalgono al xiv secolo e tut­


to lascia supporre che in genere vi si riprendano versioni eseguite nel se­
colo precedente. Queste versioni, fatte da cristiani per i cristiani, talora
riscritte in volumetti di dimensioni ridottissime perché utilizzabili come
La Bibbia in lingua italiana 479

«libri da bisaccia»/ non rappresentano un’opera unitaria/Dei Salmi, per


fare un solo esempio, esistono non meno eh quattro versioni (tre toscane e
una in dialetto veneto)/ l libri biblici maggiormente attestati sono 1 van­
geli e i Salmi, seguiti dagli altri libri sapienziali e dall’Apocalisse.4
Tutte queste versioni furono condotte non sugli originali, ma sul latino
di Gerolamo (se non addirittura su altri volgarizzamenti, in specie in lan-
gue d'oil e langue d ’oc), e sono spesso arricchite di glosse esplicative5 o di
altri materiali destinati a facilitare la comprensione del testo.
Dei traduttori, tuttavia, non si ha alcuna notizia, ne per questa prima
fase né per il secolo successivo/
Una questione tuttora dibattuta è quella dell’influsso esercitato sulle
prime versioni dalle traduzioni francesi/ Alla risposta affermativa propo­
sta da S. Berger, e successivamente sottoscritta da S. Minocchi, U. Cassu-
to, G. Ricciotti e K. Poster, fa da contrappeso quella negativa di A. Vac-
cari, ribadita di recente da G. Gasca Queirazza ed E. Barbieri. Quindi, al­
lo stato attuale degli studi, e opportuno lasciare in sospeso la questione,
anche se va ricordato che molti accordi tra le versioni in volgare possono
discendere dal ricorso a uno stesso testo latino (diverso da quello stand­
ard della Vulgata parigina), e che - d’altro canto —all’approntamento
delle prime traduzioni non fu verisimilmente estranea l’atnvua di gruppi
ereticali, in specie valdesi/
Non minor peso, in uno studio complessivo della genesi di queste ver­
sioni, andrà accordato - come segnalato da Gasca Queirazza —all impìe-

r. Cfr. E. Barbieri, in Aevum 6z (1988) 403.


z. Com’è noto, S. Berger, La Bible italienne, 4x7 propendeva per l’ipotesi dell'esistenza di una
versione integrale della Bibbia in italiano già verso la metà del xm secolo, mentre da A. Vaccari,
Bibbia, 900 in poi è tesi accreditata che questa si sia formata solo nel xrv secolo, con la raccolta
di versioni parziali preesistenti.
3. Vaccari, Bibbia, 900; cfr. Gasca Queirazza, Le traduttori, 661 s.
4. Numerose anche quelle che si possono chiamare Armonie evangeliche, storie della vita di Gesù
tratte dai vangeli, e le raccolte di traduzioni dei resti biblici letti nelle liturgie domenicali e festive.
Cfr. Minocchi, Itaììennes (persiotts) de la Btble, 1012; Vaccari, Bibbia, 900.
5. In Gen. 3,1, ove la Volgata reca: Qui dixitad multerem, [| ms. di Siena (F.in.4} aggiunge: «co­
noscendola di più fragile natura che l’uomo». Cfr, Foster, Vernacular Scriptures in i/j/y, 457.
6. L’attribuzione in loto a Domenico Cavalca (f 1341), suggerita da C. Negroni, Bibbia volgare
1, Bologna 1882, xx, è del tutto gratuita; cfr. Carini, Traduzioni italiane, 256 ove si ricordano al­
tre attribuzioni: a Jacopo da Varazze (o: da Voragine), al beato Giovanni Tavelli da Tossignano,
e a Jacopo Passavano (sul valore letterario dei volgarìzzannenti biblici, questuiamosi soffermerà
nello Specchio di vera penitenza v.5; cfr. Barbieri, Le Bibbie italiane del Quattrocento e del Cin­
quecento 1, 65). Il Cavalca, comunque, ebbe di certo parte nel volgarizzamento degli Atti degli
Apostoli (cfr. Barbieri, pp. 4. n ), volgarizzamento che sarà tradotto in provenzale da un valdese
(cfr. Vaccari, Bibbia, 901).
7. Per le quali v., da ultimo, M. Quereuii, La Bible franarne du X l l l esiècle. Edition critique de la
Genèse, Genève 1988.
8. Cfr. M.C. Marinoni, La versione valdese del libro di Tobia, Bari 1986 (con bibl.).
480 Versioni dell1Amico e dei Nuovo Testamento

go degli stessi strumenti di lavoro, quali, ad esempio, il vocabolario di


Papi a (Papias vocabuhsta) .9
In ogni caso, le versioni italiane non presentano alcun condizionamento
dottrinale.10 Lo stesso Nuovo Testamento, in cui appare maggiormente
probabile un influsso transalpino, fu serenamente recepito anche dai pre­
dicatori domenicani e francescani.
In conclusione, si può bene affermare che, prima delPintroduzione del­
la stampa, la Bibbia conobbe una discreta diffusione in Italia, senza che la
chiesa opponesse una qualche resistenza fattiva alla sua diffusione in vol­
gare.11* Una certa perplessità, ma di tuct'akro ordine, si nutriva semmai
negli ambienti colti, se è vero che Dante, dopo aver sostenuto che, tra le
lingue romanze, a offrire i migliori strumenti espressivi per la prosa era il
francese, adduce come esempio proprio la Bibbia in langue d’oìl (De vul­
gati eloquenita i.x.z),Li sostenendo altrove, con riferimento ai Salmi, che
la poesia non può essere oggetto di traduzione (Convivio i.vii. 14 -17 ).13
B ib lio g r a fìa . P er u n o sta tu s q u a e s tio n is e s s e n z ia le , m a c r i t i c o , c f r . G . d e P o e r c k -
R . v a n D e y c k , L a B ib le et V a c n v ité tr a d u c tr ic e darts les p a y s r o m a n s a v a n t r j o o ,
in G r u n d r is s d e r r o m a n is c b e n L ìte r a tu r e n d e s M itte la lte r s v i / i , H e id e lb e rg 1 9 6 8 ,
3 9 - 4 1 , v i / z , 7 0 - 7 5 , o v e si s o tto lin e a , tr a l’ a l t r o , c o m e il p r o b le m a d elle v e rsio n i
b ib lich e sia p r a tic a m e n te s c o n o s c iu to a lle s to r ie d e lla le tt e r a tu r a ita lia n a . U n q u a ­
d ro a g g i o r n a t o in E . B a r b ie r i, L e B ib b ie ita lia n e d e l Q u a t t r o c e n t o e d e l C in q u e ­
c e n t o . S to r ia e b ib lio g r a fìa ra g io n a ta d e lle e d iz io n i in lin g u a ita lia n a d a l 1 4 7 1 a l
1 6 0 0 , 2. v o l i., M ila n o 1 9 9 2 ., 1, 1 - 1 3 .

9. Rist. anastatica dell’ed. Venezia 1496: Tonno 1966. Significativo, a questo riguardo, il seguen­
te esempio, già segnalato da Berger, art. cit., 387 s. In Mt. 21,9, alla Volgata che recita Hostvma
filio David, fanno da riscontro le versioni italiana «Facci salvi figliuolo di David» (Firenze, ms.
Ricc. 12,51) e provenzale «Salva nos, filh de David» (Parigi, B.N. fr. 6261), ma l’accordo può ben
discendere dal comune riferimento alla glassa di Papta: Osanna salutfìca: siue saluum me fac (ed.
c i t p. [2.39]), come segnala Gasca, se non addirittura al commento ili Gerolamo al luogo citato
(cfr. M. Thiel, Grundlàgen und Gestaìt der Hebvaìschkenntnìsse des fruhen Mittelalters, Spoleto
i 9 7 3 > 3 7 6 s.).
10. Insomma, l’equazione «fenomeni ereticali» = «Bibbia al popolo» su cui insìsteva Berger era e
resta eccessivamente semplicistica; cfr. Barbieri, Le Bibbie i, 6; di diverso avviso V. Coletti, Paro­
le dal pulpito. Chiesa e movimenti religiosi tra latino e volgare néB’ìtalia del Medioevo e del Ri­
nascimento, Casale Monf. 1983, spec, 71 ss.
11. Significativu, al contrario, l'incoraggiamento dato a Giannozzo Manetti da Nicola v ( f 1455)
per una nuova traduzione della Bibbia. Cfr. Ch. Droge, Giannozzo Manetti als Denker und He-
bràist, Frankfurt a.M. 1987, 50-52 e 146-166 (antologia della traduzione, latina, dei Salmi),
iz- «Allegat ergo prò se Lingua oìl quud pcopter sui faciliorem ac delecrabiliorera vulgaritacem
quicqujd redactura est sive inventum ad vulgare prosaycum, suum est: videlicet Bibita...» (testo
citato anche in Barbieri, Le Bibbie 1, 7).
13. Cfr. G. Conimi, Letteratura italiana delle origini, Firenze *1991, 366. In generale, sul contesto
storico-religioso e gli ambienti di diffusione della Bibbia in volgare, cfr. V. Coletii, Parole dai ptd
pito. È ben nota, del resto, la querelle che ebbe come protagonisti dì spicco Lorenzo Valla e Pog­
gio Bracciolini, circa la necessità e l’opportunità di rivedere la stessa Vulgata', cfr. Dròge, Gian­
nozzo Manetti als Denkery 50 ss.
La Bibbia in lingua italiana 481

T r a gli stu d i a n te r io r i t u t t o r a in s o s titu ib ili: S. B e rg e r, L a B ib le ita lie n n e a u


M o y e n A g e : R o m a n ia 2 3 ( 1 8 9 4 ) 3 5 8 - 4 3 1 , ed A . V a c c a r i , B i b b i a , E n c ic lo p e d ia
Ita lia n a v i ( 1 9 3 0 ) , 8 9 9 - 9 0 3 . S e m p re u tile , in sp e c ie p e r gli e se m p i a d d o tti, S. M i-
n o c c h i, Ita lie n n e s (v e r s io n i ) d e la B ib le , D ic t io n n a ir e d e la B ib le i n ( 1 9 0 3 ) , i o t 2 -
1 0 3 8 (d e llo s te s s o , c f r . a n c h e L a B ib b ia n e lla sto ria d 'I t a lia : S tu d i R e lig io s i 4
[ 1 9 0 4 ] 4 4 9 - 4 8 8 } . V . a n c h e G . R ic c io tti , B ib b ia . V e r s io n i m o d e r n e . Ita lia n e , E C 11
( 1 9 4 9 ) , 1 5 5 6 - 1 5 6 3 . I n v e c c h i a to , in v e c e , s o p r a t t u t t o p e r q u e s ta p a r te , L C a r in i ,
T r a d u z io n i ita lia n e d e lla B i b b i a , S a n P ie r d ’A re n a 1 8 9 4 , p o i r is t. in F . V i g o u r o u x
- L . B a c u e z , M a n u a le b ib lic o i, S an P ie r d ’A re n a 1 9 0 1 , 2 , 6 3 - 3 3 0 : 2 5 5 - 2 6 1 . U n a
b u o n a p a n o r a m i c a , r i c c a di d a ti , in K . F o s t e r , V e rn a c u la r S c r ip t u r e s in I t a ly , in
G .W .H . L a m p e (e d .), T h e C a m b r id g e H is t o r y o f th è B ib le , 11. T h e W est fr o m th è
F a th e rs to th è R e fo r m a t io n , C a m b r id g e 1 9 6 9 , 4 5 2 - 4 6 5 . 5 3 3 (c o n b ih l.), d a in te ­
g r a r e o r a c o n G . G a s c a Q u e i r a z z a , L e tr a d u z io n i d e lla B ib b ia in v o lg a r e ita lia n o
a n t e r io r i a l s e c o lo X V I , in M . B o u d r e a u lt - F . M ò h r e n (e d d .) , A c te s d u X I I T
C o n g r è s I n t e r n a t io n a l d e L ìn g u is t iq u e et P h ìlo lo g ie R o m a n e s ... 1 9 7 1 , Q u é b e c
1 9 7 6 , 6 5 9 - 6 6 7 (co n s e g n a la z io n e di d iv ersi la v o r i a p p r o n t a t i in q u e sti an n i p r e s s o
l’ Is titu to di filo lo g ia m o d e r n a d ella F a c o l t à di M a g is te r o di T o r i n o ) .
P e r un e le n c o d ei p rin c ip a li te s tim o n i m a n o s c r it ti, c f r . B e r g e r , L a B 'b le ita lie n -
ne\ S. M in o c c h i, io iz s .; A . V a c c a r i , 9 0 0 ; K . F o s t e r , 4 5 2 s .; G a s c a Q u e i r a z z a ,
6 6 1 s. (lim ita ta m e n te ai lib ri d e ll’E s o d o , G io s u è , G iu d itta , E s t e r , m a c o n im p o r ­
ta n ti p re c is a z io n i, q u a li, a d e s ., il r id im e n s io n a m e n to d e ll’im p o r ta n z a d el m s . di
S ien a F .1 1 1 .4 ). A llo s t a t o a ttu a le d eg li stu d i ris u lta c o n s e r v a t a u n a s o la c o p ia c o m ­
p le ta d ella B ib b ia in v o l g a r e : P a r ig i, B .N . ìt. 1 - 2 ( m a n c a n te , p e r a l t r o , d ella le tte r a
ai R o m a n i e di a lcu n i c a p ito li di D a n ie le ).
S u lla q u e stio n e d e lle v e rs io n i a p p r o n t a t e in a m b ito e b r a i c o , in s o s te n ib ile a p p a ­
re o r a la tesi di M . S te in s c h n e id e r, c h e n e m e tte v a in d u b b io la s te s s a e siste n z a
( c f r . Je w is h Q u a r te r ly R e v ie w 1 6 [ 1 9 0 4 ] 7 3 4 - 7 6 4 ) ; c fr. U . C a s s u t o , L a tr a d iz io n e
g iu d e o - v o lg a r e p e r la tr a d u z io n e d e lla B ib b ia , in A tti d e l p r im o C o n g r e s s o N a ­
z io n a le d e lle t r a d iz io n i p o p o la r i , F ire n z e 1 9 3 0 , 3 1 4 - 1 2 1 ; Id e m , S a g g i d e lle a n t i­
ch e tr a d u z io n i g iu d e o - it a lia n e d e lla B i b b i a : A n n u a r io di S tu d i E b r a i c i 1 ( 1 9 3 4 - 5 )
r o i - 1 3 4 ; Id e m , B ib lio g r a fia d e lle tr a d u z io n i g iu d e o - it a lia n e d e lla B ib b ia , in F est-
s e b r ift A . K a m in k a , W ie n 1 9 3 7 , 1 2 9 - 1 4 1 ; G . S e r m o n e ta , U n v o lg a r iz z a m e n to
g iu d e o - it a lia n o d e l C a n tic o d e i C a n t ic i , F ire n z e 1 9 7 4 ; Id e m , L a tr a d u z io n e g iu d e o ­
ita lia n a d e i S a lm i e i s u o i r a p p o r t i c o n le a n tic h e v e r s io n i la t in e , in S c rìtti in m e ­
m o r ia d i U. N a h o n , G e r u s a le m m e 1 9 7 8 , 1 9 6 - 2 3 9 .

2. DalTeditio prmeeps al concilio di 7 renio

Se, come è stato osservato,Mvaldesi e ussiti non erano riusciti a convince­


re la chiesa della necessità di un ricorso generalizzato al volgare nell’uso
della Scrittura, un contributo decisivo in tal senso venne offerto dagli
umanisti e, soprattutto, daH’introduzione della stampa. «Il problema del­
la traduzione della Bibbia è in effetti una delle componenti e, insieme, una14

14. G. Btdouelle eB. Roussd, UEcriture etses traducilems. Eloge et réticences, 464 s.
482. Vers'oni delPAnrìco e del Nuovo Testamento

delle conseguenze di quella catena di rivoluzioni che seguirono, a spirale,


quella rappresentata dalla stampa: alfabetizzazione, moltiplicazione dei
lettori-scrittori, costituzione del circuito che salda lo scritto alla comuni­
cazione».15 Ed è certo una singolare, ma non per questo meno significati­
va, coincidenza che la prima edizione della Bibbia in volgare abbia visto
la luce lo stesso anno in cui venivano pubblicate le Elegantiae di Lorenzo
Valla: il 14 7 1. Volgarizzazione del sapere religioso e riformulazione della
conoscenza in senso classicistico avevano in comune, infatti, ben più di un
accordo cronologico: da versanti diversi e con destinatari diversi si cerca­
va, comunque, di creare nuovi spazi culturali, aprendo brecce sempre più
ampie nel monopolio ecclesiastico/6
Il x agosto 14 7 1, dunque, nella tipografia di Vindelino da Spira, a Ve­
nezia, veniva ultimata la stampa della Biblia dignamente vulgarìzata per
il alarissimo religioso duon Nicolao de Malermì veneziano.
Nato nel 142.2, probabilmente a Venezia, Nicolò Malerbi17*19era, nel
1 4 7 1, priore del monastero di San Michele di Leme (Istria), ma risiedeva
presso i camaldolesi di San Mattia a Murano, verisim il mente per curare
la stampa della Biblia/ 8 Nella lettera dedicatoria indirizzata al francesca­
no Lorenzo da Venezia, premessa alla Bibita, il Malerbi dichiara d’aver
egli - con l’aiuto di collaboratori — «de parola a parola traducto tutto S1
testo de la Bibita» / 9 Ma, «nonostante tali affermazioni è lecito dubitare
della completa paternità malerbiana della Bibita vulgarizata: è più esatto
parlare di una nuova traduzione che tiene ben d’occhio alcune delle tra­
duzioni precedenti10 e, talvolta, solo della collazione di un volgarizza­

15. Ibidem; cfr. G. Bedouelle, Le tounuwt de Vimprimerte, 39-52- Più in generale, efr, L. Febvre -
J. Martin, La nascita del libro, Bari 1977; A. Petrucd (ed.), Libri, editori e pubblico nell'Europa
moderna, Bari 1977; F.L, Eisettstein, La rivoluzione inavvertita. La stampa come fattore di cam­
biamentoì, Bologna 1985.
16. Cfr. Coletti, op c i t 107 ss. 133 ss.; S. Garofalo, Gli umanisti italiani de! secolo XV e la Bib­
bia: Biblica 2.7 (1946) 338-375; C. Dionisotti, Gli umanisti e ii volgare tra Quattro e Cinquecen­
to, Firenze 1968; J.H. Bentlev, Humanists and Holy Wnf. New Testament Scholarshtp in thè Re­
naissance, Prmceton 1983. Sul Valla in particolare (la cui Collatio Novi Testamenti è stata di re­
cente riproposta da A. Perosa, Firenze 1970), cfr. A. Morìsi, La filologia neotestamentarìa di Lo­
renzo Valla: Nuova Rivista Storica 48 (1964) 35-49; S. Camporeale, Lorenzo Valla. Umanesimo
e teologia, Firenze 1972,; Chr. Coppens et al. (edd.), Lorenzo Valla e l'Umanesimo italiano. Atti
del Convegno Int. di Studi umanistici... 19^6, Louvain 1986.
17. Tra le varianti del «cognome» (Malerbi, Malherbi, Manerbi, Malermì) attualmente è questa
la più accreditata; cfr. Barbieri, Le Bibbie 1, 17.
itì. Una qualche parte nella diffusione dell’opera dovette avere anche lo scriptorìum di San Mat­
tia, dai momento che si conoscono esemplari pergamenacei rubricati in quel monastero; cfr. Bar­
bieri, La fortuna, 436 e n. 105.
19. v. 9-10; cfr. Barbieri, Le Bibbie it 43. 57.
zo. Traduzioni dì cui il Malerbi diffidava —stando alle sue parole {Epistola dedicatoria vi. 6-19) -
in quanto parziali, lacunose, interpolate, zeppe di errori e, soprattutto, «apocrife», vale a dire
«anonime»; cfr. Barbieri, Le Bibbie 1, 64-66.
La Bibbia in lingua italiana 4S3

m e n t o a n t e r i o r e s u u n t e s t o l a t i n o » / 1 G li in te r v e n ti c o r r e t t o r i , r i s p e t t o a i
te s ti m a n o s c r itti, s o n o b e n e e v id e n ti n e lF a d o z io n e d i f o r m e v e n e te e , s o ­
p r a ttu tto , n e ir a d c g u a m e n to — a n c o r c h é n o n s is te m a tic o — a lla Vulgata** e
n e lla s c e lta di o p p o rtu n e g lo s s e a l t e s t o / 3 II r i s u l t a t o , d a u n p u n t o d i v i s t a
s t i l i s t i c o , n o n fu d e i p i ù f e l i c i , m a c i o n o n o s t a n t e la Bibita r i s c o s s e u n n o ­
t e v o l e s u c c e s s o e d i t o r i a l e : n e l l ’ a r c o d i u n s e c o l o fu r i s t a m p a t a p i ù v o l t e ,
sp e s so c o l c o r r e d o di e c c e lle n ti s i lo g r a f ie /4
A distanza di due mesi esatti, il 1 ottobre 14 7 1, sempre a Venezia, ve­
deva la luce un’altra edizione della Bibbia in volgare, presso Adam da
Arrmiergau: La Bibbia Sacra del Testamento Vecchio e Nuovo in lingua
volgare tradotta. T La traduzione, in questo caso, è anonima; di fatto, si
tratta della semplice riproduzione di volgarizzamenti preesistenti, senza
che sia ravvisabile altro criterio nella scelta dei testimoni se non quello
della praticità e della produttività della tipografia. In altri termini, tutto
lascia credere che la stampa fosse iniziata, simultaneamente, su libri di­
versi della Bibbia, a partire da uno o piu manoscritti di non eccelsa quali­
tà. Quando, poi, apparve sul mercato la Bibbia malerbiana, si abbandonò
tout court la fonte manoscritta, per riprendere pedissequamente Fedizio-
ne a stampa (il passaggio è evidentissimo: nella prima parte dal Sai. 17 ,
nella seconda da 2 Macc. i2.,zz)/6
Nonostante questa contaminazione, la «Bibbia di Otiobre» fu a lungo
considerata un testimone privilegiato per risalire al volgarizzamento tre­
centesco della Bibbia, in tutta la sua purezza. Nel secolo scorso, in par­
ticolare, essa venne valorizzata come testo di lingua; dopo un tentativo
di ristampa patrocinato dalla Società veneta dei bibliofili (1846, fino a

2,1, E. Barbieri, La fortuna, 42,0. Dello stesso v. anche Le Bibbie r, 15-106, vera e propria mono­
grafìa su N Maiertu, con valutazione critica del volgarizzamento, in specie del testo dei Salmi.
iz. Grazie alla collaborazione di Lorenzo da Venezia, che funse da revisore del testo «da lirico
minciamento inaino a la fine» (Epìstola dedicatoria vu. 40-41); cfr. Barbieri, Le Bibbie 1, 67.
2,3. Che si tratti di una scelta da materiali preesistenti sembra confermato dalla palese dipenden­
za, nel commento ai titoli dei Salmi, dalla Expositio in Psalmos Davidicos di Michele da Bolo­
gna, ovvero da Nicola da Lira, Pietro Lombardo e Remigio di Auxerre; cfr. Barbieri, Le Bibbie i,
7 3 ss- 9 o - ? r .
14. Cfr. Barbieri, La fortuna. Per una descrizione minuziosa tìeìVeditto prìncepst cfr. Idem, Le
Bibbie 1, 18 7 -1 9 0 e zzo s, 225 s. per le edizioni piu ricche di materiali iconografici (edd, di Lu-
cantonio Giunta, Venezia 1490, e di Guglielmo Anima Mia, Venezia 1493), materiali riprodotti in
Barbieri, il, 53-365 e Cr-398.
2,5. L’attribuzione a questo tipografo, e non a Nicolas Jenson, come si è per lungo tempo ritenu­
to, appare ormai sicura; cfr. Barbieri, Le Bibbie t, 191 n. 1.
26. V. Barbieri, Le Bibbie 1, 192 s., da cui si riprende il confronto delle due edizioni per l'ultimo
passo citato: «Apparendo adunque la prima compagnia de Inda a li mimici, v’intrò uno grande ti­
mor per la presenta de Dio, el qual riguarda tutte cose, e l’uno da l’altro fu posto in fuga...»
(Malerbi); «Et essendo aparita la patna squadra dì luda agl’inimici, ebbero una grande paura per
cagione de ìa prescritta di D/o, il quale risguarda tutte cose3 e l'uno da l'altro fu posto m fuga,..»
(anon.).
Versioni dell’Antico e del Nuovo Testamento

Deut. 19) e un analogo progetto di S, Rossi, rimasto inattuato/7 La Bib­


bia volgare secondo la rara edizione del 1 di Ottobre M C C C C L X X I rivi­
de la luce per cui a di C. Negrooi, nella «Collezione di opere inedite o ra­
re» edita dalla Commissione per i testi di lingua (io voli., Bologna 1882.­
1887).
Ai suo tempo, per contro, la «Bibbia di Ottobre» non riscosse un gran
successo: nei secoli xvi-xvm non ebbe una sola ristampa.18 Alle vane ri­
stampe dell’edizione del Malerbii9 si affiancarono, piuttosto, quelle di
singoli libri della Bibbia, in specie Salmi e vangeli.'0
Il monopolio della «Bibbia d Agosto» durerà quasi sessantanni. Se, in­
fatti, la richiesta del mercato continuava a essere elevata (ne fa fede il nu­
mero delle edizioni), sempre più pressante si faceva l’esigenza di una revi­
sione linguistica radicale,2728
31 e questo sia presso il pubblico meno colto, il
30
9
quale oltretutto ben difficilmente poteva entrare in possesso delle lussuo­
se Bibbie illustrate, sia presso gli uomini di cultura, che reclamavano ver-
stoni erudite, vuoi per motivi di studio vuoi per nutrire una piu raffinata
spiritualità.3*
Come poi il riaccostamento ai testi biblici in originale —si ricordi il
Nuovo Testamento greco di Erasmo e la Poliglotta complutense - si sal­
dasse a un’esigenza sempre più viva di un rinnovamento radicale della vi­
ta della chiesa è fatto ben noto.33
In questo contesto s’inserisce la traduzione di Antonio Brucioli:34 dap­
prima li Nuovo Testamento dì Greco nuovamente tradotto (Lucantonio
Giunta, Venezia 1530), poi La Bibbia quale contiene i Sacri Libri del
Vecchio Testamento tradotti nuovamente de la bebraica verità in lingua

27. Cfr. Minocchi, Italiennes (versioni), 1024 s.; Vaccari, Bibbia, 901.
28. Cfr, Vaccari, ibidem.
29. Nella ristampa del 1477, presso Gabriele di Piero, Venezia, venne aggiunta, per la prima vol­
ta, la versione della Lettera dì Aristea; curatore dell’edizione fu Gerolamo Squarzafico; cfr. Bar­
bieri, Le Bibbie 1, 199-205.
30. Cfr. Carini, 261-274; Minocchì, Italiennes (versions), 1025 s.; Barbieri, Le Bibbie.
31. «Alcune lievi variazioni di carattere linguistico» al testo del Malermi sono già introdotte nel-
Fed. di Stefano NicClini da Dabìo, Venezia 1524, ascritta surrettiziamente a Silvio Fìleto», cfr.
Barbieri, Le Bibbie i, 237.
32. Cfr, E. Massa, l/eremo, fa Bibbia e il Medioevo in umanisti veneti del primo Cinquecento,
Napoli 1992, spec. 180 ss.
33. Cfr. Coletti, spec. 169 ss.
34. Cfr. G. Spini, Tra Rinascimento e Riforma: Antonio Bruciali, Firenze 1940; Idem, Bibliogra
fia delle opere dì Antonio Bruciali; La Bibliofilia 42 (1940) 129-180; C. Dionisotti, La testimo­
nianza del Brucioti: Rivista Storica Italiana 91 (1979) 26 5 r; A. Del Coi, // controllo della stampa
a Venezia e i processi di Antonio Bruciali (1748-1 jjg J: Critica Storica 17 (1980) 457-510; M.
Ventura Avanzine!!*, // *luterano» Bricioli e il suo commento al libro della Genesi; Bollettino
della Società di Studi Valdesi nr, 159 (luglio 1986J 19-33; Barbieri, Le Bibbte i, cap. v: «Antonio
Brucioli traduttore delia Bibbia» (pp. 107-127, con ulteriore bibl,).
L i Bibbia in lingua italiana 485

toscana... (Lucautonio Giunta, Venezia 1532,).” Questa versione, la pri­


ma d’un solo autore in lingua moderna, si caratterizza subito per la chia­
ra suddivisione dei testi tra Vecchio e Nuovo Testamento, ripattizione
che nessun editore in precedenza aveva ritenuto d’introdurre e che riflet­
te, almeno programmaticamente, l’abbandono della Vulgata in favore
degli originali ebraico e greco.3536
DelFopera del Brucioli particolarmente fortunata fu la traduzione del
Nuovo Testamento, che si discosta nettamente dal volgarizzamento del
Malerbi. A riprova, ecco un saggio delle due versioni di Apoc. 1 , 1 ;
A p o c h a lip s i c io è r e v e la tio n e d e G e sù C r i s t o , la q u a le d e tte li D io a m a n if e s ta r a li
su o i s e rv i, ch e b is o g n a e ss e r p r e s t o ; e t egli sig n ificò m a n d a n d o p e r l ’a n g e lo s u o al
s e r v o s u o lo a n n e (M a le r b i 1 4 7 1 ) ;
R e v e la tio n e di G e sù C r i s t o , la q u a le gli d e tte Id d io a c c i ò c h e m a n if e s ta s s e a ’
s u o i se rv i q u elle c o s e c h e b is o g n a v a ch e t o s t o sì fa c e s s in o , e sig n ific ò m a n d a n d o
per Fa n g e lo s u o a l s e r v o s u o G io v a n n i {B ru c io li i 5 3 o ) . 37

Se da studi recenti sembra risultar provato che per il Nuovo Testamen­


to il Brucioli si basò su una qualche tiratura dell’edizione latina di Era­
smo,38 tuttora controversa è la questione delle fonti prossime per la ver­
sione dell’Antico Testamento «de la hebraica verità».
Per secoli s’impose, senza ulteriori verifiche, il giudizio tagliente c sbri­
gativo di R. Simon, secondo il quale la traduzione del Brucioli riprende
pedissequamente quella latina di Sante Pagnini.39 Il giudizio e stato dap­
prima sfumato da G. Spini,40 e recentemente ribaltato da A. Del Col ed E.
Barbieri.41 Tuttavia, in questi autori, a parte qualche spicilegio tratto da

35. Per una descrizione di diverse edizioni della Bibbia italiana del Brucioli, cfr. Carini, in Ma­
nuale biblico 1, 179 s., ma soprattutto Barbieri, Le Bibbie.
36. Così Barbieri, Le Bibbie 1, 240.
37. Citazione ripresa da Barbieri, Le Bibbie 1,14 1.
38. Cfr. Barbieri, Le Bibbie 1, n i . 242. La dipendenza risulta prova ra, tra l'altro, dalla ripresa
letterate di brani erasmiani nelle due lettere dì dedica al card. Ercole Gonzaga, con cui si apre il
Nuovo Testamento del 1530. Ma non andrà dimenticato che da Erasmo dipendeva pur primo
Sante Pagnini.
39. Histoire critique dtt Vieux Testament, Rotterdam 1:685, 333; cfr- fldero], DisquisiUanes criti-
cae de uariis per diversa loca & tempora Bibliorum editionìbus.,^ Lendini 1684,195 s.: «ferendo
tamen isti oneri impar fuisse videtur Italus ille laterpres, qui ex aliìs versionibus, quae jam antea
ad Hebraeos codices conditae fuerant, maxime ex Pagnini Latina translatione fere totus depen-
det, cujusque idcìrco errores sequitur, aliosque addir in locis praesertim quae non probe mtellexit»
(segue il beri noto esempio, tratto da Neem. 8,8, riportato anche in G. Spini, Tra Rinascimento e
Riforma, 204 n.). - Su Sante Pagnini sia sufficiente rinviare a J. Quétif - J. Fchard, Scriptores or-
dhus Fraedtcatorvm„ 4 voli., Paris 1719-21: 11, U4b-n8a. 8z4b; T. Centi, L'attività letteraria di
Santi Pagnini (24 70-153 6) nel campo delle scienze bibliche-. Archivino Fratrum Praedicatorum 15
( i 9 4 S) 5 - 5 i-
40. Tra Rinascimento e Riforma, 203 ss.
41. A. Del Col. Appunti per una indagine sulle traduzioni in volgare della Bibbia net Cinquecen-
fo, 167^ Barbieri, Le Bibbie 1, 109,
486 Versioni dell’Antico e del Nuovo Testamento

un’opera erudita del Settecento,4J non si propongono dati testuali sicura­


mente probanti. Gran peso viene, per contro, dato alla notizia fornita
dallo stesso Brucioli nella lettera di dedica a Francesco 1, re di Francia:
aver egli potuto giovarsi dell’aiuto di «quel grandissimo rabbi Elia Levi­
ta» A’ Alla notizia fa riferimento anche D. Barthélemy, il quale, dopo aver
rilevato come i contatti letterali con Sante Bagnini siano «numerosi e in­
discutìbili», aggiunge che «vi sono passi in cui Brucioli sembra essere sta­
to il primo ebraista cristiano a scoprire il senso esatto dell’ebraico e ad
affrancarsi dall’influsso della Vulgata». **
Senza voler qui entrare nel merito del metodo di lavoro di A. Brucioli,
non sarà comunque irrilevante far notare che egli stesso scriveva, subito
prima, di aver consultato «tutte le altre traduttioni latine e greche»,4 354
24 6e
che una verifica dei passi in cui D. Barthelemy riporta !a testimonianza
del Brucioli non sembra recare gran conforto alla sua tesi.4tì L impressione
generale è che il Brucioli si sia servito di fonti diverse per i diversi libri e
che, comunque, tra queste fonti non sia mai mancata la versione Latina
del Pagnini. Per il libro d’Isaia, ad esempio, è sì evidente la dipendenza di
massima dal commento di Ecolampadio,474 8ma non mancano casi di un
successivo adeguamento alle scelte del Pagnini (così in Is. 3,12., ove si se­
gue il primo nel 15 3 2 , il secondo nel i54 o ).4tl I casi in cui il Brucioli può
essere considerato «il primo ebraista cristiano a scoprire il senso esatto
dell’ebraico» risultano essere piuttosto limitati: Ger. 6,z; Ez> 7,5 ;49 Os.
■ i

42. J.G. Schelhorn, Ergótzlizhkeìten aus Jer Kirchenhistorie und Litemtur il, Ulm-Leipzlg 1763,
5 3 5 ' 5 5 I - - H confronto per il Sai 22, in Roussel, Commenter et traciuire, 449 458, a cui rinvia
Barbieri, he Bibbie 1, n i n. 27, è scarsamente probante, trattandosi di un’analisi comparata tra
diversi volgarizzamenti in francese, tedesco, inglese e, appunto, italiano, non già d] una ricerca
delle fonti.
43. C£r. Del Col, /oc. Barbieri, Le Bibbie l, 1x2 s. Su Elia Levita, figura di primo piano non
solo per la storia della lingua ebraica ma anche per [ editoria ebraica veneziana del Cinquecento,
cfr. G.F, Weil, Elie Lèvite, humanìste et massorète (1469-1549), Leiden 1963.
44. D. Barthelemy, Critique textueile de I*Ancien Testament 11, Fribourg-Gòttingen 1986, *25.
45. Barbieri, Le Bibbie 1, 109. Del resto nessuno sembra aver notato che lo stesso Simon premet­
teva al giudizio, sopra riferito, la seguente annotazione: «Inter hunc tamen (se. Antonio Brucioli)
Se alios Interpretes illud est discrimen, quod Brucciolius ex ipsis fontibus Hebneis vetus Testa-
mentimi, & c Graecìs novum transtulerit more Protestantium (Disqiiìsitìones, 195).
46. Il confronto è stato condotto per tutte le citazioni del Brucioli contenute in Critique textueile
11 (Isaia, Geremia, l amentazioni), e per una scelta di quelle in Critique textueile m (1992).
47. Ovvero Johannes Husschin, In lesaiam prophetam hypomnematòn, Basilea 1525. Un caso
analogo è quello già rilevato da G. Spini, op. c i t 228 ss., il quale ha dimostrato come il commen­
to al Nuovo Testamento del Brucioli riprenda, presso che alla lettera, le Enarrationes perpetuae
sui vangeli di Martin Bucer (Butzer). Per quest'ultimo cfr. H.G. Reventlow, The Authority of thè
Btble and thè Rise of Modem World, London 1984 (or. ted. Gòrtingen 1980), 73-87.
48. Cfr. Barthélemv, Critique textueile n, 24,
49. Ove Pagnini aveva: «Matura unum, mal uni ecce venu», il Brucioli traduce; «Un male al male
ecco viene», versione di cui certo non si può dire, come fa il Barthelemy, Critique textueile ni, 37,
che «segua» la precedente.
La Bibbia in lingua italiana 487

7,5; 13,9 e Am. 2,,7; 8,4. E se sono significativi questi esempi, non meno
rilevanti saranno quelli in cui il Brucioli si accorda in errore con la ver­
sione del Pagnini (edizione del 1527), senza tener conto delle correzioni
successive: Ger. 13 ,18 e Os. 2,18 .

Tornando all’attività editoriale de! Brucioli, la traduzione della Bibbia


sarà seguita da un monumentale Commento, che segnerà anche la defi­
nitiva rottura con l'editore Lucantonio Giunta. Alla pubblicazione dei
Commenti a Proverbi, Salmi e Giobbe (1533-1534) presso un altro tipo­
grafo, Aurelio Pinzi, l’editore della Bibbia, Lucantonio Giunta, opporrà
una ristampa del Nuovo Testamento, rivisto da un domenicano fiorenti­
no, un certo Zaccheria (o Zaccaria). Ma, nonostante quella che ha tutta
l’apparenza di essere stata una vera e propria campagna orchestrata dai
domenicani di Firenze,5" il Brucioli continuò la sua poliedrica attività
(certo, non senza pagare un caro prezzo):51 nel 1540, presso Bartolemeo
Zanetti, esce a Venezia il Commento a tutto VAntico Testamento;1 pres­
so l’impresa di famiglia «Francesco Brucioli e fratelli» è ristampata la
Bibbia (15 4 1) e viene pubblicato il Commento al Nuovo Testamento (4
voli,, 15 4 2 -15 4 4 ),53 seguito dalla ristampa del Commento all’Antico Te­
stamento. La condanna dei Commenti, inclusi nelVindice dei libri proibi­
ti (Venezia 1554), segnò l'inizio di un nuovo processo inquisitoriale con­
tro il Brucioli e la fine della sua attività di volgarizzatore.34
Come correttamente osserva Barbieri, «la Bibbia brucioliana appare
come la più cruda proposta del testo della sola scriptura in tutto Parco
del Cinquecento».55 E si può bene aggiungere che, nonostante tutte le sue
idiosincrasie, essa non solo resta una tappa fondamentale per la diffusio­
ne della Bibbia in italiano, ma nell’aver tenuto distinto il testo dal neces­
sario suo completamento esegetico (il Commento) rivela una coscienza
dei diversi momenti delPmtervento di «traduzione» e della loro non so­
vrapponibilità, che sembra m più casi sfuggire ai suoi emuli moderni.

Prima di ricordate brevemente le discussioni sulla Bibbia in volgare al


concilio di Trento, è opportuno un cenno alle ultime vicende del burra­
scoso rapporto del Brucioli con l’editore Lucantonio Giunta. Il rifacimen-

50. Cfr. Barbieri, Le Bibbie i, 115.


51. Cfr. A. Del Col, // controllo della stampa a Venezia; P. Grendler, L'inquisizione romana e Pe-
dìtoria a Venezia IJ40-1605, Roma 1983, 139-159 (or. tngl. 1977).
52. Cfr. Carini, Traduzioni italiane, 283 n. 1.
53. Cfr. Carini, Traduzioni italiane, 283 s.
54. Cfr. A. Del Col, Il secondo processo veneziano di Antomo Brucioli: Bollettino della Società di
Studi Valdesi nr. 140 (1979) 85-100. A. Brucioli morirà pochi anni dopo, nel 1566.
55. L e Bibbie i, 1 2 6.
488 Versioni dei!’Antico e del Nuovo Testamento

to del Nuovo Testamento curato dal domenicano Zaccheria - personag­


gio che C. Spini ha proposto, senza successo, d’identificare con Zaccheria
da Luni5<’ —non restò, in effetti, un fatto isolato, ma fu seguito da una re­
visione anche deirAntico Testamento. È, questa, la Bibbia curata da San­
te Marmochino e uscita a Venezia, nel 15 3 8 , presso gli eredi di Lucanto-
nio Giunta: per il Nuovo Testamento si riprendeva nella sostanza il testo
dello Zaccheria, e per PAntico quello del Brucioli, rivisco alla luce della
Volgata e della versione latina di Sante Pagnini (ma anche con qualche
innovazione, che influenzerà, a sua volta, la nuova edizione della Bibbia
brucioliana, la quale uscirà tre mesi dopo, sempre nel 15 3 8 );” il tutto ar­
ricchito di svariati materiali didattici e da indici.
La Bibbia del Marmochino verrà ristampata nel 15 4 5 , ancora presso
gli eredi di Lucantonio Giunta, ma senza menzione del curatore e con una
nuova versione dei Salmi, in versi («quali per altri sono tradotti in prosa,
sono stati nuovamente transitati ut versi volgari misurati, secondo che
furono composti da proprii auttori»).56 5758 Il nome del Marmochino ricom­
parirà, però, nella ristampa dell’anno successivo.596 0

Ma Panno 1546 rimanda anche a un altro fatto, di ben più rilevante im­
portanza storica: nella quarta sessione dell’ 8 aprile di quelPanno, i padri
del concilio di Trento definirono, con un decreto dogmatico, quale fosse
il canone delle Scritture, qualificando inoltre, in un decreto disciplinare,
la uetus et vulgata edittoè0 della Bibbia come «autentica» per 1 uso pub­
blico, ovvero come testo ufficiale per liturgia e insegnamento. Sui proble­
ma delle traduzioni della Bibbia in volgare non si riusci, invece, a rag­
giungere alcun accordo, stante Pinconciiiabilita delle due posizioni estre­
me, sostenute dal card. Padheco (con argomenti forniti in larga misura
dal francescano Alfonso de Castro) e dal card. Madruzzo, vescovo di
lrento. Per il primo era indubbio che tutte le eresìe erano derivate dalla

56. C£r. Tra Rinascimento, ziz n. 4^ Barbieri, Le Bibbie J, 130 s. Per le edizioni, v. Idem, 257 ss.
2,85 ss. (a p. 2,58 alcuni esempi degli interventi sull’originale del Brucioli).
57. Cfr. Barbieri, Le Bibbie 1, 1 3 z s. 2.63. Sulla Bibbia del Marmochino, cfr. Canni, Traduzioni
italiane, 302,; G. Luzzi, La Bibbia. Sua storia e storia d1Israel, 1. Introduzione, Firenze 1927, 114
ss.; A. Morisi Guerra, Di alcune edizioni veneziane della Bibbia; A. Del Cui, Appunti per una in­
dagine sulle traduzioni in volgare.
58 Dal frontespizio, riportato in Barbieri, Le Bibbie 1, 291. - Carattere marcatamele parafrasti­
co aveva, invece, la traduzione dei Salmi e dell’Ecclesiaste proposta da Giovan Francesco da Pozzo
(Venezia 1537); cfr. Barbieri, Le Bibbie i, 139 s. 2.59 ss. 312 ss.
59. Barbieri, Le Bibbie 1, 301 ss. Radicalmente diversa Pinterpreuzione proposta da Del Col, Ap­
punti: non solo il rapporto tra la versione del Marmochino e quella del Brucioli sarebbe piuttosto
labile, ma quella che sopta è stata presentata come ristampa del 1545 sarebbe in realtà opera af­
fatto nuova, di due autori anonimi. L’edizione del 1546 sarebbe, inoltre, null’altro se non una
«variante di tiratura» dell’ed. J54 5.
60. Cfr. A. Allgeier, The Name « Vulgate»: Biblica 29 (1948) 345-390.
La Bibbia in lingua italiana 489

versione dei libri sacri nelle lingue volgari, mentre per il secondo era certo
- per restare in tema d’attualità —che la situazione della Germania sareb­
be stata ben diversa se non vi fossero mai stati professori di greco e di
ebraico, ché l’eresia non nasce tra le persone semplici, ma tra coloro che
si credono dotti! A quest5ultima posizione si ricollegava anche quella di
Gentiano Hervet, consulente laico del legato pontificio card. Cervini, il
quale offriva un prezioso suggerimento: «Si abbia soltanto l’accortezza
di affidare il compito delle versioni a uomini dotti e pii, e sarà incredibile
Futilità che ne deriverà a tutto il popolo cristiano», insieme a un monito
sempre attuale: «Se poi anche i vescovi, consci del loro ufficio, prediche­
ranno al popolo la parola del Signore, non v ’è dubbio che l’ottima se­
menza affidata alla terra produrrà frutti superiori a ogni aspettativa»/1
Di fronte a posizioni così divergenti il risultato poteva essere uno solo:
non si decise nulla. Di fatto, però, la concomitante patente di «autentici­
tà» rilasciata alla Volgata finì per trasformarsi, agli effetti pratici, nella
convinzione che quella fosse da considerare la sola «legittima trasforma­
zione linguistica della Bibbia»61 — una confusione che avrà non poche
conseguenze per lo sviluppo degli studi biblici, non solo in Italia.
La confusione, comunque, non si era ingenerata a caso. L 'Indice dei li­
bri proibiti (1559) di Paolo iv, infatti, conteneva già il divieto di stampa­
re, leggere e possedere versioni della Bibbia in volgare senza autorizzazio­
ne scritta del santo Uffizio dell’Inquisizione romana, e la quarta norma
della bolla Dominici gregis di Pio iv (1564) consentirà la lettura della
Bibbia in volgare solo dietro permesso, personale e scritto, del vescovo o
dell’inquisitore, previa consultazione del parroco o del confessore. Tale
licenza sarà successivamente riservata — da Sisto v e da Clemente vili,
nell’Indice del 1596 - al soglio pontificio. Di fatto, poi, la licenza veniva
concessa dai vescovi,63 ma in proposito non fu mai espresso un parere uf­
ficiale; anzi, il S. Ufficio ribadiva la posizione di Clemente vili ancora nel
monito del 7 gennaio 18 3 é / 4
Nella pratica, nel mondo cattolico s’ impose la dottrina secondo cui le
versioni ad usum communem fidelium devono basarsi sulla Volgata, et
quidem iuxta editionem Glementinam/ 5 Lo stesso decreto della Congre-
6 1 . 1 testi sono ripresi da C. Buzzetti, La Bibbia e le sue trasformazioni, Brescia 1984, 75. Su turta
la questione, cfr. H. Jedin, Storia del concilio di Trento li, Brescia 1949, 6 7- 118; BTT v, 3Z7-368
(bibl.).
6ì. C. Buzzetti, La Bibbia e la sua traduzione, 2.9.
63. Un esempio è segnalato in G.O. Bravi, Bibbie a Bergamo, 114.
64. Cfr. Th.J. Lamy, Introducilo in Sacram Scripturam U, Mechliniae 1886, 2,13. Il divieto di leg­
gere la Bibbia in volgare è tesi sostenuta e difesa a spada tratta ancora da G.B. Bardi, Praelectio-
nes Biblicae babiiae in R.egio Taurinensi Athenaeo 1, Torino 1856, 133-138. Per gli Indici, cfr.
J.M. de Bujanda (ed.), Index des livres interdits, Ginevra 1984 (in continuazione).
65. Cfr. Lamy, Introducilo, zoi.
49° Versioni dell’Antico e del Nuovo Testamento

gazione delPIndice del 13 giugno 17 5 7 (voluto da papa Benedetto xtv} si


limiterà a concedere le Bibbie in volgare purché approvate dalla Santa Se­
de e dalPordmario ed edite con il sussidio di note desunte dai santi Padri
o da autori cattolici. Il che significava, a ben guardare, che di fatto non
era concesso ristampare la traduzione del Martini senza il testo latino e
senza le note. Ovvero, per dirla con C. Buzzetti, «non è esagerato dire
che, per tanti aspetti, le conseguenze del secolo xvi si fanno sentire fino
al concilio Vaticano
Bibliografia. F o n d a m e n t a l e p e r r u t t o il p e r i o d o s t o r i c o in e s a m e E . B a r b i e r i , Le
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- v o l g a r i z z a m e n t i dagli sc ritti di S a n t e P a g n i n i ( i n i z i a t o r e agli stu d i biblici del B r u -
L e Bibbie ì, 1 0 8 ) v e d i, in g e n e r a l e , A . M o r i s i G u e r r a , Cultura
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Su r i f o r m a e S c r i t t u r a , si v e d a , t r a i t a n t i , G . H . T a v a r d , Holy Writ or Holy 6

66. La Bibbia e la sua traduzione, 3 1 .


La Bibbia in lìngua italiana 491

Churcb. The Crisis o f thè Protestarli Reformation , L o n d o n 1 9 5 9 (tr. fr. Ecritu-


re ou Eglisef La crise de la Reforme , P a r i s 1 9 6 3 ) .
La Bible en tangue
Sul c o n c i l i o di T r e n t o (e le B i b b i e in v o l g a r e ) : F . C a v a l l e r à ,
vulgaire au concile de Trente (4 e session), in Mèlanges E. Podechard, L y o n 1 9 4 5 ,
3 7 - 5 6 ; A . V a c c a r i , Esegesi ed esegeti al Concilio di Trento : B ib li c a 2 7 ( 1 9 4 6 ) 3 2 0 ­
3 7 (= I d e m , Scrìtti di erudizione e di filologia 11, R o m a 1 9 5 8 , 4 2 1 - 4 3 8 ) ; La Bib­
bia e tl Concilio di Trento. Conferenze tenute al Pont. Ist. Bìblico nel quarta cen­
tenario del Concilio di Trento , R o m a 1 9 4 7 ; G . D u n c k e r , La Chiesa e le versioni
della S . Scrittura in lingua volgare : A n g e l i c u m 2 4 ( 1 9 4 7 ) 1 4 0 - 6 7 ; R . E . M c N a l l y ,
The Council o f Treni and Vernacular Bibles : T h e o l o g i c a l S tu d ies 2 7 ( 1 9 6 6 )
2 0 1 - 2 2 8 ; M . M i d a l i , Rivelazione , Chiesa, Scrittura e 't radizione aita IV sessione
del Concilio di Trento ( B i b l i o t e c a di « S a l e s i a n u m » 7 8 ) > R o m a 1 9 7 3 ; L . M o r a l d i ,
Le versioni della Bibbia in volgare al Concilio di Trento ( T 5 4 5 - 1 5 6 3 ) , in La Bib­
bia oggi, M i l a n o 1 9 7 7 , 4 - 2 . 3 ; C o l e t t i , Parole dal pulpito, 1 8 9 s s . ; B T T , V: G . B e -
d o u e lle - B. R o u s s e l ( e d d . ) , Le temps des Réformes et la Bible, P a r i s 1 9 8 9 , 4 6 3 ­
4 8 5 : L'Ecriture et ses traducttons. Eloge et retìcences (G . B e d o u e l l e - B. R o u s s e l ) .
U n s o m m a r i o r a p i d o m a e f f ic a c e in C , E u z z e t t i , La Bibbia e la sua traduzione.
Studi tra esegesi, pastorale e catechesi, L e u m a n n 1 9 9 3 , 1 9 - 3 1 .
Sulla lic e ità o m e n o della « l e t t u r a » della S c r i t t u r a in v o l g a r e , c f r . G . K i e t s c h e l ,
Bibelfesen and Bibelverbot , in Real-Enzyclopàdie fiir Tbeologie und Kirche 11
( 1 8 9 7 ) , 7 0 0 - 7 1 3 ; N . P c t e r s , Kirche und Bibellesen oder die grundsàtzliche Stel-
hmg der katholischen Kirche zum Bibellesen in des Landcssprache , P a d e rb o ra
1 9 0 8 ; A . V a c c a r i , La lettura della Bibbia alla vigilia della riforma protestante :
C i v C a t t 1 9 3 3 , 3 , 3 1 3 - 3 2 5 . 4 2 9 - 4 4 0 (= I d e m , Scritti di erudizione e di filologia 11,
R o m a 1 9 5 8 , 3 6 7 - 3 9 0 ) ; G . R i c c i o t t i , Lettura della Bibbia, E C i x ( 1 9 4 9 ) , 1 5 7 0 s .;
A . S t o n n e r , Bibellestmg, L T h K n ( 1 9 5 8 ) , 3 6 6 3 6 8 .
R u x a d o c u m e n t a z i o n e t e s t u a l e e i c o n o g r a f i c a in G . O . B r a v o e t a l , Bibbie a
Bergamo. Edizioni dal X V al X V II secolo , B e r g a m o 1 9 8 3 ; B a r b i e r i , Le Bibbie 11.

3. Dal concilio di Trento


alla traduzione di Antonio Martini

«Dopo le ultime ristampe del Malermi (1567) e dello Zaccheria (1566)


per due secoli cessò in Italia fra i cattolici il lavoro di tradurre e pubbli­
care la Bibbia in italiano»/7 Le iniziative editoriali furono così appan­
naggio delle comunità riformate, costituite da emigrati italiani in Francia
e Svizzera, anche se al lavoro di traduzione vera e propria attesero, talo­
ra, personaggi ecclesiastici.6
7

67. A, Vaccari, Bibbia, 902. Dal catalogo del Barbieri risulta, invero, clic la Bibbia del Malerbi fu
ristampata a Venezia, nel 1566, sia da Andrea Muschio sìa da Gerolamo Scoto; presso quest’ulri-
mo editore apparvero due altre ristampe negli anni 1 566-1567- L’edizione del Nuovo Testamento
del 1 $66 è registrata dal Barbieri come traduzione dell’anonimo della Speranza: si tratta di una
riproduzione dell’edizione apparsa per la prima volta nel 1545 a Venezia presso il tipografo-libra­
io che operava in Santa Maria Formosa sotto l’insegna «Al Segno della Speranza» (Barbieri, 2956
n. r; sull’attribuzione, erronea, allo Zaccheria, cfr. p. 286).
49^ Versioni delPAntico e del Nuovo Testamento

Nel r 551, ad esempio, era già apparsa a Lione la traduzione del Nuovo
Testamento curata da Massimo Teofilo, monaco benedettino, traduzione
che valse all’autore un processo inquisitoriale e venne inclusa nell 'Indice
del 15 5 9 .^ Di fatto, sia nei sommari sia nella traduzione egli dipendeva
sostanzialmente dal latino della Bibita sacra utriusque Testamenti di Z u ­
rigo, curata da Heinrich Buliinger e altri teologi svizzeri.6 69
8
Nuovamente al Bruciolì si rifa invece dì preferenza la traduzione, sem­
pre del Nuovo Testamento, detta dell’anonimo del Crespin (dal nome
deireditore) o semplicemente anonima ginevrina (dal luogo di edizione)
del 15 5 5 —la prima traduzione biblica italiana di sicura matrice riforma­
ta,7" in cui si rivela evidente 1 influsso della traduzione francese allora cor­
rente a Ginevra.71*73Dopo una ristampa apparsa lo stesso anno/1 senza in­
dicazione di luogo (ma sicuramente ancora Ginevra), recante a fronte la
traduzione francese delPObvetano, la versione anonima ginevrina fu ri­
stampata da Guillaume Rouillé, a Lione, nel 15 5 8 , con l’aggiunta a fron­
te del testo latino di Erasmo e dei sommari nella traduzione di Massimo
Teofilo.73
Frutto di una più attenta revisione dell’anonima ginevrina (verisimil-
mente nell’edizione del Pascale) è, invece, la versione del 1560, detta del­
l’anonimo del Todesco, dal nome dell’editore: Fabio Todesco, nativo di
Reggio Calabria e attivo come tipografo a Ginevra dal 1560 al X57 1 .74 Si­
gnificativo il fatto che la revisione, condotta tra l’altro sulla versione lati­
na di Teodoro di Beza (pubblicata a Ginevra tre anni prima), sembri ri­
volgersi pm che agli emigrati riformati ai cattolici italiani.75
Ma i tempi erano ormai maturi per una riproposizione di tutta la Bib­
bia in volgare. Autore ne fu, ancorché non menzionato nel frontespizio,
Filippo Rustici, un lucchese rifugiatosi prima a Lione poi a Ginevra, di
dubbia ortodossia calvinista/6 La Bibbia, pubblicata da Francois Du Ron
nel 1562. (sempre a Ginevra), «mantiene, anzi accentua l’impronta spic­
catamente ginevrina di questa famiglia di versioni»77 e «brilla per novità e

68. C£r Barbieri, Le Bibbie 1, 144; A. Del Crii, Il Nuovo Testamento tradotto da Massimo Teofi­
lo e altre opere stampate a Lione nel 1 5 5 1 : Critica Storica 15 (1978) 641-675.
6*?. Barbieri, Le Bibbie i, 32.6. Alle pp. 317 a. alcuni esempi. Cfr. anche Del Col, Appunti, 170.
70. Barbieri, Le Bibbie 1, 149.
71. Cfr. Barbieri, Le Bibbie 1, 336; Del Col, /oc. cit.
7.1. Tale opera è stata spesso attribuita a Gian Luigi Pascale, ma è ormai certo che questi ne fu
piuttosto il tipografo-editore; cfr. Barbieri, 150 s.; Dei Col, Appuntu 166.
73. C£r. Barbieri, Le Bibbie J, 346 s.
74. Cfr. Barbieri, Le Bibbie 1, 152,.
75. Cfr. Barbien, Le Bibbie 1, 348-351: 350; Del Col, Appunti, 170.
76. Cfr. Barbieri, Le Bibbie 1, 1 5 1; Dei Col, Appunti, 188 (nota finale).
77. Dei Col, Appunti, 170.
L a B ib b ia in lin g u a it a lia n a 493

interesse» :?s per l’Antico Testamento essa riflette in modo evidente la tra­
duzione francese dell’Olivetano, mentre il Nuovo Testamento si mantiene
molto vicino alla versione deiranonimo del Todesco. Ma altrettanto pa­
lese —e dichiarata dallo stesso autore - è la dipendenza dal latino di Sante
Pagnini e dalle annotazioni di Francois Vatable, cosi come non manca un
riconoscimento dell’opera pionieristica del Brucioli.78 79
La Bibbia del Rustici, ricca di vari apparati eruditi, fu ristampata lo
stesso anno e dallo stesso editore, ma con soppressione delle note margi­
nali al Nuovo Testamento, forse —come ipotizza Barbieri80 —per ovviare
alle «intemperanze esegetiche propinate nelle note all’Apocalisse».
Dopo un’altra breve fiammata di notorietà, derivatagli dalla ripresa
della versione di alcuni libri nella poliglotta di Elias Hutter —Bibita sa­
cra, ebraice [!], cbaldaice, graece, latine, germanica, ìtalice, Studio & la­
bore Eliae Hutteri..., Niirnberg i5 9 8 -i^ 9 9 83 - , sul finire del secolo, la
Bibbia del Rustici verrà sostituita definitivamente dalla versione di Gio­
vanni Diodati.
Nell’ultimo scorcio del secolo si avranno ancora alcuni tentativi di tra­
duzioni parziali dei libri biblici.818
2Destinate in genere a impieghi devozio­
nali, queste versioni conservano ormai un mero interesse erudito, anche
se non mancano le eccezioni, ovvero l’edizione bilingue (ebraico-italiano)
dell’Ecclesiaste, curata da un dotto ebreo, David de’ Pomis, con dedica al
card. Giovanni Grimani (Venezia, presso Giordano Ziletti, 1 5 7 1 ) ,83 e l’e­
dizione latino-italiana dei Salmi, curata per lo stesso editore nel 15 7 3 da
Pellegrino Erri (o Heri).84

78. Barbieri, Le Bibbie i, 352.


79. Cfr. Barbieri, Le Bibbie 1, 356 s. Il passo della premessa in cui si fa cenno a questi autori era
già segnalato da A. Boot, Animadversiones sacrae ad textum bebraìcum Veteris Testamenti, Lon­
tani 1644, Index, s.v . Italica.
80. Barbieri, Le Bibbie 1, 359.
81. Per i particolari bibliografici, cfr. Barbieri, Le Bibbie 1, 153 e 384 ss.
82. Lungo elenco, forse ancora integrabile, in Minocchi, Italiennes (versions) de ìa Bible , 1029 s.
83. Cfr. Barbieri, Le Bibbie I, 140 s, 374 s. L’autore è più noto per un pregevole dizionario trilin­
gue (ebraico-latino-italiano), intitolato 2 emah David e pubblicato a Venezia nei 1587: Dittio
nario novo hebraico ... dechiarato in tre lingue, presso Giovanni Di Gara.
84. Cfr. G.O. Bravi, Bibbie a Bergamo , nr, 106; Barbieri, Le Bibbie 1, 136 s. —Tra i nomi che, a
cavallo tra Cinque e Seicento, recarono un contributo significativo all’esegesi dei testi biblici, più
che direttamente alla loro volgarizzazione, merita senza dubbio di essere ricordato quello del pa­
vese Giovanni Stefano Menochio, al quale si deve una fortunata Brevis expositio Jiteralis totius
sacrae Scripturaeì che ebbe varie edizioni nel corso del Seicento; i due volumi dei suoi Commen­
tarti totius Sacrae Scripturae ex optimis... auctorìbus collectL.. saranno ancora ristampati a Vene­
zia nei 1758. Su di un’altra figura, di grande rilievo per gli studi sussidiari alla conoscenza del te­
sto biblico, Sisto da Siena, cfr. J.W. Montgomery, Sixtus o f Siena and Roman Catholic Biblica!
Scbolarsbip in thè Reformation Periodi Archiv fiir Reformationsgeschichte 54 (1963) 214-234.
Per questo settore degli studi biblici, tuttora insostituibile è L. Diestel, Geschichte des Alien Te-
staments in der cbristlicber Kirche , Jena 1869.
494 Versioni dell’Antico e del Muovo Testamento

Con Giovanni Diodati si chiude questo primo perìodo della storia dei
volgarizzamenti della Bibbia in italiano. I giudizi riservati alla sua tradu­
zione sono, una volta tanto, sostanzialmente concordi: se già il Berger
scriveva che essa «conta fra le migliori, che abbia prodotte il protestante­
simo», lo stesso A. Vaccari, abitualmente ben poco tenero nei confronti
di tali versioni, non si peritava di scrivere che il suo autore dimostra di
possedere «una conoscenza d'ebraico e un'indipendenza di giudizio non
comune».85
Di famiglia di orìgine lucchese, Giovanni Diodati (1576-1649) già
all’età di ventun’anni era stato nominato, su proposta di Teodoro di Be-
za, docente di ebraico a Ginevra. Poco più che trentenne, nel 1607, vi
pubblicò, «all’insegna del Seminante», La Bibbia. Cioè, i libri del Vecchio
e del Nuovo Testamento. Nuovamente traslatati in lingua Italiana, un’o­
pera che è, ancor oggi, un punto di riferimento obbligato per le chiese
evangeliche dì lingua italiana.8687
Il Nuovo Testamento fu ristampato Panno successivo (un’altra edizio­
ne apparirà ad Amsterdam nel 1665) e tutta la Bibbia fu oggetto di una
nuova edizione, radicalmente rivista, «con Paggmnta de sacri Salmi, mes­
si in rime per lo medesimo», nel 16 4 1. Mentre la versione francese del
1644 riscuoterà scarso successo, la Bibbia del 16 4 1 verrà ristampata, con
leggere modifiche, da Mattia di Erberg (Norimberga 1 7 1 2 ) 8' e da J.D.
Miiiler (Lipsia 1744)- Tra le numerosissime altre ristampe merita di esse­
re ricordata quella bilingue, con ebraico a fronte, apparentemente non
segnalata sinora: li Pentateuco ossia i cinque libri di Mosè... tradotti da
G. D ì o d a t i Milano 18 70 e Londra 18 7 1 (nel frontespizio ebraico).
Precedenti a questa edizione sono quella, rivista da Giambattista Rolan-
di, uscita a Londra nel 18 19 , in cui sono ancora riprodotti gli Apocrifi, e
l’edizione del 1 8 z i, oggetto poi di innumerevoli ristampe, per cura della
Società biblica britannica.
Le ragioni di tanta fortuna sono essenzialmente l’aderenza, sbianche
eccessiva, alla lettera del testo e la vigoria della tesa italiana, per quanto
oggi il registro linguistico adottato - spesso solenne oltre misura - possa
sembrare obsoleto. Se è vero che la prima edizione intendeva rivolgersi
soprattutto ai cattolici veneziani, in rotta col papato, mentre la seconda
edizione agli intenti di proselitismo anteponeva quelli catechetici, con
Pocchio attento alle comunità evangeliche, e altrettanto vero che quanto
accumuna le due versioni è Paver sempre privilegiato un uditorio medio,

85. Vaccari, Bibbia, 902..


Sé. L’ulumo rifacimento e del 1991: La Sacra Bibbia. Antico e Nuovo Testamento. La Nuova
Dìodati con riferimenti, glossario e chiave biblicat Brindisi 1991
87. Con un frontespizio che merita segnalare negli elementi essenziali: La sacrosanta Bibita, in
lingua italiana... stampata con lettere molto leggibili a prò di quei, che sono d'età avanzata...
La Bibbia in lingua italiana 495

non l'erudizione line a se stessa. Il metodo filologico appare, ora, piutto­


sto carente, mancando un analisi previa del valore e della posizione stori­
ca dei diversi testimoni chiamati in causa, ma cionondimeno Affidarsi di
volta in volta aLle proprie intuizioni, col conforto di una convinzione ben
radicata del carattere «ispirato» del proprio lavoro di traduttore, sì rivela
nella maggioranza dei casi scelta equilibrata e, comunque, rispondente
allo stato degli studi dell’epoca.
Insomma, il Diodati porta a compimento quel processo di avvicina­
mento al testo biblico, che, avviato da Sante Pagmni, aveva trovato nel
Brucioli e nel Rustici i primi efficaci abbozzi, anche se al compimento
dell’opera non furono estranee, com’era facile aspettarsi, né la versione
latina del Tremeili e Du Jo n 88 né le versioni ginevrine, francesi e inglesi.
Più complesso appare, invece, il rapporto con la tradizione ebraica, che il
Diodati dimostra di conoscere sostanzialmente solo per via indiretta,
vuoi attraverso la Vulgata e/o la resa del Pagnini vuoi attraverso le opere
erudite degli ebraisti cristiani del Cinquecento e i commenti di Calvino.

Sulle traduzioni, in genere dei Salmi o dì altri libri sapienziali, che rappre­
senteranno, dopo il Diodati e per quasi due secoli, Punico contributo re­
cato da una schiera di autori di non eccelsa fama alla volgarizzazione bi­
blica è preferìbile stendere un pietoso velo.8*
A tener desto l’interesse per i libri biblici furono, piuttosto, in questo
periodo di larga sudditanza anche sul piano religioso alla cultura iberica,
i compendi di storia sacra.90 E proprio una di queste opere, PHistoire du
peuple de Dìeu del gesuita Isaac Josef Berruyer (Parigi 172,8), accusata di
veicolare tesi socmiane e messa alVJndice nel 17 5 3 e nel 17 58 , fu occasio­
ne, del tutto inopinata, per una ripresa dei lavori di traduzione biblica.S .

SS. Testamenti ueteris Bibita sacra.., accesserunt libri... Apocryphi... quìbus et'tam adjtmximus
Novi Testamenti l i b r o s Frankfurt a.M, 1576-1579, rist. Hannover 1596.
89. Quale sia il progresso segnata dal Salmista toscano (Macerata 1671), o dalla Cantica tradotta
m versi anacreontici (Firenze 1786), o ancora dalle Lamentazioni... espresse in terza rima ne’ loro
dolenti affetti (ivi 1728) non è difficile immaginare. Una qualche utilità conserva, invece, la nota
solfe Traduzioni italiane della Sacra Scrittura di G B. Vincici!, in L ’Ecclesia ste di Salomone in
versi italiani di Leonte Prineo [pseudonimo del precedente] pasto/ arcade, Lucca 1727. Per una li­
sta piuttosto lunga di questi contributi sei e settecenteschi, cfr. Minocchi, Italiennes (verstons) de
la Bib/c, 1031 s. (tra i testimoni noti allo scrivente da aggiungere alla lista: Silvio Salesio Balbi,
Naum profeta esposto tn versi italiani..., Saluzzo [Stamperia del Bodoni] 1763}.
90. Largo successo ebbe il Compendio historìco del Vecchio e del Nuovo Testamento cavato dalla
Sacra Bibbia di Bartolomeo Dionisi , uscito a Venezia nel 1587 e ristampato ancora nel 1784, per
quanto incluso, sin dal 1678, nelJ7 ttd/ce dei libri proibiti. Pan, se non maggiore, fortuna ebbero
le edizioni italiane della Storia dell'Antico e Nuovo Testamento d’ A. Calme!, tradotta da] france­
se da Selvaggio Canterani (Pezzana, Venezia 1744; Olzari, Genova 1779 ecc.) e il Catechismo
istorico di Cl. Fleury. Cfr. P. Stella, Produzione libraria religiosa e versioni delta Bibbia in Italia
tra età dei lumi e crisi modernista, io M. Rosa (ed.), Cattolicesimo e lumi nel Settecento italiano,
Roma 1981, 99-12,5: 103 s.
496 Versioni dell’Antico e de! Nuovo Testamento

Opera fortunatissima (una diecina circa di edizioni in tre lustri), ben pre­
sto tradotta in italiano/1 questa parafrasi romanzata della Bibbia —con­
tro la quale si scagliò anche sant'AIfonso de’ Liguori —indusse a quanto
pare il cardinale di Torino, Carlo Vittorio Delle Lanze, a perorare presso
il papa Benedetto xiv la causa di una nuova versione italiana. Pur tra
svariate difficoltà e sospetti, l’opera, affidata ad Antonio Martini (17 2 0 ­
1809), allora preside del convitto ecclesiasticu annesso alla Basilica di Su-
perga, fu portata a compimento nell’arco di un ventennio circa: al Nuovo
Testamento, terminato all’inizio del 1769 e pubblicato tra il 1769 e il
1 7 7 1 ( i a ed. 1775-78), seguì ben presto l’Antico Testamento, pubblicato
tra il 1776 e il 17 8 1. Il nono volume della traduzione dell’Antico Testa­
mento, edito nel 17 78 , poteva inoltre fregiarsi del breve con cui Pio vi di­
chiarava l’opera conforme alle norme del¥ Indice,
Finalità e metodo di questa versione sono così richiamati dallo stesso
Martini nella premessa a 11 Pentateuco o sìa 1 cinque libri di Mosè secon­
do la Volgata tradotti in lingua italiana (Stamperia reale, Torino 1776 ,
xxxn s.): 1. far sì che i sacerdoti potessero «attignere a questo fonte di vi­
ta quello, che debbono dispensare per istruzione, ed edificazione del po­
polo del Signore», e che nei fedeli tutti tornasse «a risuscitarsi l’antico af­
fetto verso la divina parola»; 2. sui principi seguiti, «una sola cosa dirò,
anzi ripeterò adesso con nuovo piacere, ed ella si è, che in tutto quello,
che ho scritto posso arditamente vantarmi colla parola dì Gerolamo di
non aver mai avuto per maestro me stesso: Nunquam me ipsum habui
magìstrum, ma ho avuto sempre davanti i Padri della Chiesa, e gli Sposi-
tori Cattolici, e dalla santa Romana Sede approvati. Quindi e, che reli­
giosamente osservando lo spirito del celebre decreto della sacra Congre­
gazione de’ 13 . giugno 17 5 7 ., confermato dalla santa meni, di Benedetto
xiv. (Jal qual decreto ebbe questa impresa il suo principio, e il suo fon­
damento), non solamente nella versione ho seguiLo costantemente a paro­
la a parola la nostra Volgata, ma nelle annotazioni ancora mi son fatto
legge di non dilungarmi giammai dai sentimenti, e dalle dottrine ricevute
comunemente nella Cattolica Chiesa».
La traduzione fu dunque condotta sulla Vulgata (riprodotta a fianco),
ma —almeno per il Nuovo Testamento —con un confronto costante con
gli originali e col sussidio, talora piuttosto esteso, di note esegetiche, a
prevalente carattere ascetico-spirituale, in cui si metteva a frutto tutta la
precedente tradizione cattolica (dal Menochio al Calmet).
91. Giriamo, per conoscenza diretta: Storia del popolo di Dìo dalla sua origine sino alla nascita
del Messia tratta da’ soli libri santi: Ovvero il testo sacro de' libri deirÀnttco Testamento Ridotto
in un Corpo di Storia..,, traduzione da! francese di Caimano Franceschi™, Venezia, Giambattista
Recurh, 1755, e la ristampa, sempre a Venezia, presso Remondini, dell’anno seguente. È interes­
sante notare che la prima delle due edizioni citate reca, in apertura (p. xxxv), la licenza di stampa
rilasciata dai «Riformatori dello studio di Padova», in data 16 nov. 1739.
La Bibbia in lingua italiana 497

Una venatura di giansenismo, per quanto attenuato nelle sue tesi più ti­
p ich e,T «elo q u io toscano, terso, lineare, alquanto freddo»,*3 e non da
ultimo l’ottenimento dell’approvazione della Santa Sede, fecero sì che
della versione cercassero d’impossessarsi i giansenisti toscani. Per quanto
il Martini ostacolasse l’impresa, la sua traduzione, con note riviste, venne
riedita a Firenze a partire dal 17 79 , «a spese della Società FLIotea», e fu
interrotta solo nel 178 4 ,9
34 quando ormai il Martini era arcivescovo di Fi
29
renze da tre anni.
Proprio a Firenze, nel decennio 17 8 2 -17 9 2 , il Martini potè attendere a
una nuova edizione di tutta l’opera, edizione su cui si baseranno, nella
sostanza, tutte le successive ristampe9597di questa versione che, a conti fat­
6
ti, sembra dover la sua fortuna proprio a llo r a * mediocrirasr ovvero al
suo essere un’opera di buona divulgazione, che la caratterizza.9*
Il fatto che la versione del Martini non rispondesse appieno alle esigen­
ze né dei conservatori né dell’illuminismo cattolico coevo (incontrando,
però, proprio per questo il favore dei moderati) è confermato dalla pub­
blicazione di altre versioni concorrenziali. Al tentativo di appropriazione
da parte giansenista si contrapposero, infatti, quella che a parole si pre­
sentava come una ristampa della Bibbia del Malerbi, ma che in realtà era
opera affatto nuova di Alvise Guerra (Venezia 1773),*' la traduzione -
patrocinata da Scipione de’ Ricci, vescovo di Pistoia —del Nuovo Testa­
mento con commento del Quesnel (Pistoia 1786-1789), e soprattutto la

92. Una traccia dell’attenzione prestata al movirnento è ravvisabile anche esteriormente nella scel­
ta del formato in ottavo, tipico delle edizioni allora correnti della versione del Sacy; cfr. Stella,
Produzione libraria religiosa, 108 s.
93. Stella, art. c i t n i .
94. Menoccbi, Italiennes (versions) de la Bible, 1033, scrive che l’edizione si arrestò appunto nel
1784 con Isaia. Dell’edizione, piuttosto rara (cfr. Carini, p. 295 n. i, secondo il quale Isaia, ulti­
mo degli undici tomi di questa edizione, sarebbe del 1783), uscirono in realtà dodici tomi, l'ulti­
mo essendo quello contenente l profeti Geremia, e Baruch, recante nel frontespizio la data del
1784, ma «Impresso in Firenze nella stamperia degli eredi Pecchioni E pubblicato nel di 16. Ago­
sto 1785» (copia presso la Biblioteca del Seminario di Torino).
95. L’informazione data in R. Fabris (ed.), La Bibbia nell’epoca moderna e contemporanea, Bolo­
gna 1992, 180, secondo cui essa apparve per l’uJrima volta in Italia nel 1950, presso Garzanti, con
il corredo delle illustrazioni di Gustavo Dorè, è una maldestra ripresa di quanto scritto da P. Stel­
la, // Vangelo di Matteo tradotto e annotato da Antonio Martini, 326. Di fatto, La Sacra Bibbia,
col testo del Martini e con «commento artistico perpetuo» fu ristampata in fascicoli settimanali,
dal 12. febbr. 1963, dai F.lli Fabbri (cfr. BeO 7 [1965] 225) e, prima ancora, almeno il Pentateu­
co, con introduzione di G. Rinaldi, commento di A. Alberti, e con riproduzione di silografie tratte
da edizioni cinquecentine, era stato riproposto nei «Grandi Classici», Milano 1959 (cfr. BeO 2
[i960] 224).
96. Cfr. Stella, art. cìt.y 109-115. Tra i critici delia versione del Martini merita ancora di essere ri­
cordato P.E. Tìboni, già segnalato da Stella, pp. 120 s., il quale dimostrerà in lì misticismo ebraì-
co, Milano 1853, 352 s., che in piu punti l’interpretazione proposta risultava testualmente invec­
chiata persino rispetto al Diodati.
97. Cfr. E. Teza, Le Bibbie italiane del Malermt e del Diodati
498 Versioni deli’Antico e del Nuovo Testamento

versione italiana della Bibbia francese di Port-Royal (il Sacy),*8 partico­


larmente diffusa nell'Italia meridionale.
La fortuna di queste iniziative editoriali era però strettamente legata
alla diffusione di determinate correnti dottrinali, 1 che furono le sole a ga­
rantirne la momentanea notorietà. La Bibbia del Martini, invece, divenu­
ta ben presto, e senza alcun intervento dall’alto,9100 la Bibbia degli italiani,
9
8
e — se è da credere a C.M. Curci10110
2— «lettura prediletta di Silvio Pellico,
dì Alessandro Manzoni, di Cesare Balbo, di Tommaso Grossi, di Carlo
Troya, di Massimo d’Azeglio, di Tullio Dandolo», fu oggetto nel corso
dell’Ottocento di più di quaranta edizioni, ventitré delle quali solo tra il
18 16 e il 18 jò.**1
Bibliografia, O l t r e alle in d i c a z i o n i b i b l i o g r a f i c h e f o r n i t e in n o t a , r e l a t i v a m e n t e
a l l ’o p e r a di M a s s i m o T e o f i l o e alle B ib b ie g i n e v r i n e , si v e d a , p e r t u t t o il p e r i o d o ,
B arbieri, Le Bibbie 1, 1 2 9 - 1 5 3 ( « A l t r i t r a d u t t o r i d ella B i b b i a ita lia n a n el x v i s e ­
c o l o ) ; A . D e l C o l , Appunti per una indagine sulle traduzioni in volgare della Bib­
bia nel Cinquecento italiano , in Libri , idee e sentimenti religiosi nel Cinquecento
italiano , M o d e n a 1 9 8 7 , 1 6 5 - 1 8 8 ; K . F o s t e r , Italian Versions, in S .L . G r e e n s l a d e
( e d .) , The Cambridge ihstory o f thè Bible , n i . The W e s f from thè Reformation to
thè Present Dayt C a m b r i d g e 1 9 6 3 , 1 1 0 - 1 1 3 . 5 4 0 .
P e r il R u s t i c i , in p a r t i c o l a r e , efr. a n c h e C a r i n i , Le traduzioni, 2 9 3 s.; A . P a s c a l ,
Da Lucca a Ginevra. Studi sulla emigrazione religiosa lucchese nel secolo XVI.
Capitolo IV : la colonia lucchese di Ginevra : R i v i s t a S t o r i c a I ta lia n a 5 1 ( 1 9 3 4 )
4 6 9 - 5 0 3 ; p e r il D i o d a t i : E . d e B u d e , Vita dì Giovanni Diodati, tradotta libera­
mente..^ F i r e n z e r S y o ( o r . fr, L a u s a n n e 1 8 6 9 ) ; E . T e z a , Del Nuovo Testamento
tradotto da Giovanni Diodati nelle tre più vecchie edizioni: A t t i e M e m o r i e d ella
R e g i a A c c a d e m i a . . . di P a d o v a n .s. 2 3 ( 1 9 0 7 ) 1 7 3 - 1 9 3 ; I d e m , Le Bibbie italiane
del Malermi e del Diodati racconciate nel Settecento: A tri e M e m o r i e della R e g i a
A c c a d e m i a . . . di P a d o v a n .s . 2 1 ( 1 9 0 5 ) 2 3 5 - 2 4 7 ; G . L u z z i , La Bibbia in Italia.
L ’eco della riforma nella repubblica lucchese. Giovanni Diodati e la sua tradu­
zione italiana della Bibbia, T o r t e Pel lice 1 9 4 2 ; L . C e c c h i n i , Una lettera del D io­
dati e la poetica del tradurre: S tu d i U r b i n a t i di S t o r i a . . . n.s. 4 r ( 1 9 6 7 ) 1 0 3 1 - 1 0 5 3 .
A u n a v a l u t a z i o n e c o m p l e s s i v a della v e r s i o n e dell 'A T . h a d e d i c a t o la tesi di d o t ­
Giovanni Diodati e le traduzioni del­
t o r a t o in e b r a i s t i c a M . V e n t u r a À v a n z i n e l l i ,
la Bibbia nel suo tempo : l'Antico Testatnento, U n i v . di T o r i n o 1 9 9 3 .

98. Cfr. Stella, art. at., i n n. 25, ove si ricordano le edizioni di Venezia 17 7 5 -17 7 9 , Napoli
1786, Genova [78 7-179 2. U frontespizio di cjiiest’ultiina edizione, corata dal giansenista Vincen­
zo Palmieri, recitava. Sacra Scrittura giusta la Volgata in latino, e italiano colle spiegazioni lette­
rali e spirituali Tratte da3Santi Padri e Dagli Autori Ecclesiastici da D. Luigi Isacco Le Maìstre de
Sacy... edizione ricorretta accresciuta ed illustrata (editore era Agostino Olzari).
99. È il caso anche della cosiddetta «Bibbia di Vence»: La Sacra Bibbia di Vence giusta la quinta
edizione del Signor Drach... per cura del Prof. Bartolomeo Catena, Milano 1830-45,
100. Cfr. Stella, Produzione libraria, 11 3 s.
10 1. // Nuovo Testamento volgarizzato... i, Torino 1879, x x x j.

102. Cfr. P. Stella, li Vangelo di Matteo tradotto e annotato da Antonio Martini364 ss.
La Bibbia in lingua italiana 499

Storiti aneddota del volgarizza­


Su A . M a r t i n i , t u t t o r a f o n d a m e n t a l e C . G u a s t i ,
mento de* due Testamenti fatto dalPab. Antonio Martini: R a s s e g n a N a z i o n a l e 7
( 1 8 8 5 ) 2 3 5 - 2 8 2 ( = Opere dì Cesare Guasti, p a r t e ir, voi. v . P r a t o 1 8 9 9 , 7 3 4 ­
7 8 8 ) . C f r . a n c h e C a r i n i , Traduzioni itahaney 2 9 2 s s . ; C . C o n f a l o m e r i , M ow s.
Martini e la sua versione della S. Scrittura, F i r e n z e 1 9 1 1 . U n ’i n d a g i n e p u n t u a l e
s u l T o p e r a è s t a t a a v v i a t a d a P. S te l la , Il Vangelo di Matteo tradotto e annotato da
Antonio Martini. Derivazioni e fortune: S a l e s i a n u m 29 ( 1 9 6 7 ) 3 2 6 - 3 6 7 ; l o s t e s s o
a u t o r e h a p u b b l i c a t o , in 11 giansenismo in Italia , 1 / 2 . Piemonte. Collezìo?ie di do­
cumenti,, Z i i r i c h 1 9 7 0 , nella s e z i o n e x , il Carteggio di Antonio Martini sulla sua
traduzione biblica .
U n q u a d r o d ’in s ie m e in V, S te lla , Produzione libraria religiosa e versioni della
Bibbia in Italia tra età dei lumi e crisi modernista , in M . R o s a ( e d .) , Cattolicesimo
e lumi nel Settecento italiano, R o m a 1 9 8 1 , 9 9 -J C 2 5 , c h e in p a r t e a g g i o r n a a n c h e il
s a g g i o di E . T e z a , Le Bibbie italiane del Malermi e del Diodati.

4. Dal Martini ai giorni nostri

Le critiche mosse, anche in ambiente cattolico, alla traduzione del Marti­


ni, basata —giova ricordarlo —non sui testi originali ma sulla Volgata, fa­
vorirono, insieme ovviamente al progresso degli studi, il successivo fiorire
di altre traduzioni, scientificamente superiori. F il caso dei saggi di tradu­
zione di Gian Bernardo De Rossi prima e di Gregorio Ugdulena poi.
La limitata fortuna dei volgarizzamenti del primo derivò sì dal non
aver essi «il supporto culturale di quegli ambienti che invece sollecitarono
le Bibbie del Martini e del Sacy»,lo? ma soprattutto dal non rispondere a
un disegno organico e dalla insufficienza dell’apparato di note (scarse e
squisitamente filologiche). Le traduzioni dì Salmi (1808), Ecclesiaste
(1809), Giobbe ( 18 r i) , Proverbi e Treni di Geremia (18 15 ) restano co­
munque, oltre che preziosi cimeli bibliografici, «eccellenti per l'Intelligen­
za del testo», seppure «meno pregevoli per la lingua».10 3104
Dell'opera di Gregorio Ugdulena ( 18 15 -18 7 1) si può solo rimpiangere
che sia rimasta incompiuta (o, comunque, solo parzialmente edita). Della
Santa Scrittura in volgare riscontrata nuovamente con gli originali ed il­
lustrata con breve comentoy in effetti, videro la luce unicamente i primi
due volumi (Palermo 1859), comprendenti il P e n t a t e u c o e i libri storici
(fino a 2 Re), mentre «il resto rimane manoscritto presso gli eredi».IOS
Come già appare dal titolo, anche in questo caso il punto di partenza è

10 3. Stella, Produzione libraria, 1 1 3 .


104. Il giudizio è di À. Vaccari, Bibbia, 902. Detto stesso, cfr. lì più grande ebraista dèli'Italia cri­
stiana. Gian Bernardo De Rossi, in Idem, Scritti di erudizione e dì filologia il, Roma 1958, 449­
469; G. Bonoia, «Con dolcezza e con riguardo». Il semitista parmense G.B. De Rossi e la conver­
sione degli ebrei nel settecento: Cristianesimo nella Storia 4 (1983) 367-435,
105. A. Vaccari, Bibbia, 902.
500 Versioni dell’Antico e del Nuovo Testamento

l'originale ebraico, interpretato alla luce dei migliori commenti dell'epo­


ca, soprattutto tedeschi (da Rosemntilier a Gesenius), e con adeguato ri­
corso alle varie scienze ausiharie (storia, geografia, archeologia, numi­
smatica ecc.).106 L ’opera venne elogiata da Pio ix e dalla Congregazione
dell’Indice, anche se non si mancò di far rilevare «che sarebbe stato me­
glio attenersi alla Vulgata, che all’originale ebreo nella versione, e scriver
l’opera in latino, essendo un lavoro di gran mole, e destinato più all'uso
dei dotti, che del volgo».10710
8
L ’invito non poteva essere rivolto, ovviamente, al massimo esponente
della cultura ebraica ottocentesca in Italia, Samuel David Luzzatto (1800­
1865), che ai commenti in ebraico (ancor oggi ristampati in Israele) a di­
versi libri biblici aveva affiancato la traduzione, con ebraico a fronte, del
Pentateuco: II Pentateuco colle Haftaròt volgarizzato ad uso degPlsraeli-
ri, in cinque volumi (Trieste 1858-1860). L ’opera si voleva del tutto indi­
pendente dai precedenti volgarizzamenti;toS lo scopo —nelle parole del­
l’autore - «fu sempre di esprimere colla massima precisione quel senso
che dopo maturo e libero esame mi parve contenersi nelle parole tutte
deiroriginale; ma di esporlo con quelle espressioni, con quella sintassi e
con queLle aggiunte tra parentesi, che piu fossero atte a renderlo piena­
mente intelligibile ai lettori della traduzione. Le mie versioni tendono in
somma ad essere sempre fedelissime al senso del sacro Testo; e ad essere
fedeli anche alla lettera di esso, sino a tanto che ciò non nuocia alla chiara
intelligenza del senso stesso» (1, v i).109
Il progetto, più ambizioso, di una versione italiana di tutta la Bibbia,
avviato dallo stesso Luzzatto, trovò realizzazione postuma, grazie all’ini­
ziativa del figlio Isaia e di alcuni discepoli del grande maestro: La Sacra
Bibbia volgarizzata da Samuele Davide Luzzatto e continuatori, 4 voli,,
Rovigo 1872.-1875. La versione è qualificata dal Ricciotti"0 di «dura e
servile, tanto più che mancano note esplicative; cosicché l’opera si diffu­
se, e scarsamente, solo in ambiente giudaico». Ambedue i giudizi —che
peraltro ripetono pedissequamente quanto scritto dal Minocchi 1 - sono
piuttosto opinabili: certo è, invece, che la traduzione del Luzzatto rap­
presenta ancor oggi un punto di riferimento sicuro per un primo accosta­

106. Cft. P.M. da Sortiao, Gregorio Ugdulena orientalista e biblista italiano'. RivBibl 14 (1966)
I 5 9 ' T7 9 -
107. Citazione ripresa da P.M. da Sonino, art. a f.( 167.
108. «Il presente volgarizzamento non è modellato sopra alcun altro antico o moderno lavoro,
ma è il frutto di lunghi stndj intorno alla sacra Filologia ed Esegesi...» (voi. 1, v).
109. A titolo dì esempio ecco come viene reso Gen. 1,2.: «... ed oscurità era sulla faccia delPabis-
so, ed un vento di Dio (cioè fortissimo) agìtavasì sulla faccia dell’acqua».
n o . Bibbia, 1562.
i n , Italiennes (versioni) de la Bible^ 1035.
La Bibbia in lingua italiana 501

mento filologico al testo ebraico, dato che, come appunto rilevava il Mi-
nocchi, «la versi on parait plus occupée de read re l’expression de Phé-
bteu, que de Tadapter au géme du langage italico».
Il contributo del Luzzatto ai volgarizzamenti biblici non fu certo il so­
lo delFebraismo italiano del secolo scorso, ma per un secolo circa resterà
Punico completo. Altri saggi di traduzione, particolarmente pregevoli,
ancorché invecchiati, restano quelli di David Castelli (Ecclesiaste, Pi­
sa 1866; Cantico, Firenze 189Z; Giobbe, Firenze 1897, rist. Lanciano
19 16 )
Neppure in campo cattolico, del resto, si attese ad altre traduzioni
complete, dopo quella del Martini. Tra i vari contributi parziali merita­
no, comunque, di essere ricordati quelli di S. Mmocchi113 (Salmi, Firenze
1895, Roma '19 0 5 ; Lamentazioni, Roma 18 9 7; Canticoy Roma 1898, ri­
stampato con Ecclesiaste in Le perle della Bibbia, Bari 192,4; Isaiay Bolo­
gna 1907). Il solo Nuovo Testamento fu «volgarizzato ed esposto in note
esegetiche e morali» da C.M. Curri (3 voli., Torino 18 79 -18 8 0).1H

Il risveglio degli studi bìblici, che al volgere del secolo si registra anche in
Italia, vede il costituirsi, a Roma, della Pia Società di San Girolamo, ad
opera di G. Genocchi, G. Mercati e altri.115 La Società, facendo propria
un’iniziativa di P. Zambnmi, promosse, forse per la prima volta in Italia,
la diffusione capillare e la lettura familiare dei vangeli, curando la divul­
gazione de II Vangelo di Mostro Signore Gesù Cristo e gli Atti degli Apo­
stoli , tradotti dalla Volgata.116
L ’iniziativa, per quanto possa sembrare di scarso rilievo per la storia
degli studi, è non solo significativa di un mutato clima culturale, ma anti­
cipa analoghi progetti della Pia Società San Paolo di Alba, che avranno
un’incidenza difficilmente sottovalutahiie nella formazione di una cultura
biblica media tra Ì cattolici italiani. Cosi, mentre da un lato continueran­
no a registrarsi periodici contributi di studiosi isolati,11 dall’altro prendo­
n o . Cfr. K Facente, in Dizionario biografico degli italiani XXI, 698-707. Altra bibliografìa in
Vaccari, Bibbia, 903; cfr. anche $ J Sierra, Apporto degli ebrei all’interpretazione della Bibbia
nell’età moderna e contemporanea, in Fabris, La Bibbia, 315-348.
113. Cfr. A. Agnoletto, Salvatore Mmocchi: vita e opere (1869 1943J, Brescia 1964.
114. Cfr. la recensione di [G. Re], Archivio di Letteratura Biblica e Orientale 1 (1879) 309-313. —
Sul contributo di Niccolò Tommaseo, cfr. G.G. Gamba, La versiane italiana dei S. -Vangeli curata
da N-T-: Rivista di Pedagogia e Scienze Religiose 3 {1968) 311-333, per i Salmi, cfr. M. Cerniti,
RSLR 5 (1969) 72.1-7*5.
115. Per singolare coincidenza, la Pia Società, che aveva un antecedente solo nominale nella So­
cietà per gb studi biblici romana (1889-1898}, venne fondata lo stesso anno in cui fu istituita la
Pontifìcia Commissione Biblica.
116. Cfr. A. Zambarbieri, Un precursore della diffusione della lettura della Bibbia —Proto Zam-
bruni e il Vangelo in Famiglia all’inizio del secolo XX: Scuola Cattolica 105 (1977) 183-2,09.
117. Olire a nomi ben noti, come quello di G. Riedotti, che tradusse Geremia (1923), Lamenta­
502- Versioni deirAntico e del Nuovo Testamento

no vita —e comprensibilmente - progetti più ambiziosi, come le traduzio­


ni di tutto il corpus biblico di G. Lazzi e A. Vaccari e il commentario bi­
blico di Marco Sales.
Giovanni Luzzi, valdese, dopo alcuni saggi parziali (Nuovo Testamen­
to Roma 19 14 ; Salmi Firenze 19 17 ; G iobbe Firenze 19 18 ), pubblico La
y , ,

Bibbia (L'Antico e il Nuovo Testamento) tradotta dai testi originali e an­


notata) Firenze 192-1-1930. Il voi. 1, uscito nel 192,7 e intitolato La Bib­
bia. Sua storia e storia dTsrael...y costituiva una vera e propria introdu­
zione alla Bibbia, basata in larga misura sugli scritti di L. Gautier, ma ar­
ricchita di una storia de Le traduzioni della Bibbia dalVinvenzione della
stampa ai giorni nostri (pp. 89-135), ancor utile. Sul valore di questa tra­
duzione così si esprime, invece, un altro studioso valdese: «Nonostante i
suoi pregi indiscutibili, specialmente per l’epoca in cui tu pubblicata (gli
anni venti del nostro secolo) la traduzione pecca per eccessivi toscanismi
dal punto di vista linguistico, e per una certa tendenza a interpretare i
passi biblici alla luce della teologìa liberale»."8
Maggior fortuna sembra abbia avuto invece la revisione del Diodati,
compiuta dallo stesso Luzzi: La Sacra Bibbia ossia VAntico e il Nuovo
Testamento. Versione riveduta... in testo originale dal doti. Giovanni
L a z z i . a cura della Società Bìblica Britannica e Forestiera, Libreria Sa­
cre Scritture, Roma s.d.119
Per chiudere questo cenno sulle traduzioni in ambito evangelico, giova
qui ricordare che del Diodatì —come già è stato segnalato sopra —è stata
pubblicata recentemente una nuova edizione «riveduta»: La Sacra Bib­
bia. Antico e Nuovo Testamento. La Nuova Diodati con riferimenti,
glossario e chiave biblica, Brindisi 1992,. Nella premessa (p. v) si dichiara
che i criteri ai quali e stato improntato il lavoro di revisione sono stati: 1.
«La maggior fedeltà possibile ai testi, nell’originale greco... e nell’ebrai­
co. 1. La chiarezza e correttezza nella lingua italiana...».110

ziont (1924), Giobbe (1924), Cantico {1928) e curò Dalla Bibbia. Antologia letteraria (Bologna
1921; rist. come La Bibbia dei letterati, Roma 1947), meritano di essere ricordati L. Granitica
{Vangeli, Brescia 1926; cfr. L. Bontentpi, Urta traduzione degli armi venti: I Vangeli di Mous.
Luigi Grattiatica, in P. Rossano jed.], Tradurre la Bibbia, 17-24), G.B. Re ( Vangeli e Lettere, di S.
Paolo, Torino 1926. 193 i , dal greco; ’ i94Ó}, L. Costantini (Le lettere di 5- Paolo, le lettere catto­
liche e l'Apocalisse, Roma 1918, con testo greco a fronte) e P. Vannutelli (Gli evangeli iti smossi,
Toimo-Roma 1931; Atti degli Apostoli e lettere di s. Pietro, Roma 1939, con testo gì. e lat.).
1 r8. B. Gorsani, La Bibbia presso i Valdesi da! XIII secolo ad oggi, in R. Fabris (ed.), La Bibbia
nell'epoca moderna e contemporanea, 311.
119. Da) 1916, calora senza il nome del revisore, come nella ristampa del 1947 (accora Roma):
La Sacra Bibbia. Versione riveduta. Di altro comitato evangelico è La Sacra Bibbia. Versione ri­
veduta, Casa della Bibbia, Ginevra-Genova, con frontespizio a parte per il Nuovo Testamento: Il
Nuovo Testamento. Versione riveduta sul testo greco meglio accertato.
120. Lascia tuttavia alquanto sconcertati quanto si legge subito dopo (p. vi): «Gesù rende il ter­
mine greco lesaus, che letteralmente significa jehavàh o Dio salva*' (sic/).
La Bibbia in lingua italiana 503

In contrapposizione talora piuttosto polemica alla versione del Luzzi


usciva frattanto la traduzione promossa dal Pontificio Istituto Biblico,
sotto la direzione di A. Vaccari: La Sacra Bibbia tradotta dai testi origi­
nali con note per cura del Pontificio Istituto Biblico dt Roma, che si com­
pletò in un arco di tempo molto lungo. Dopo il Pentateuco tradotto dal-
Yebraico con note, Vita e Pensiero, Milano 19 x 3 ,'21 curato da A. Vaccari,
F. Scerbo, G. Mezzacasa, R. Tramontano, e i Libri poetici, del solo Vac­
cari, Roma 1 9 2 7 / “ per la traduzione dei Libri storici 1 (Giosuè - z Re)
occorrerà aspettare il 1947 e Per l’edizione completa - La sacra Bibbia
tradotta dai testi originali ecc., io voli., Salani, Firenze - il 19 57/58.
La traduzione era accompagnata da un apparato di note piuttosto ric­
co, ma non così esteso (e ridondante) come quello del Luzzi.115 A dimo­
strazione dell impegno scientifico con cui era stato condotto il lavoro
erano, però, proposte — caso piu unico che raro - appendici testuali a
ogni volume, in cui erano motivate le scelte operate. Il modello erano le
Textus hebraici emendationes quibus in Vetere Testamento neerlandice
vertendo usi sunt A . Kuenen, I. Hooykaas, W.H. Kosters, H. Qort, edite
da H. Oort, Leiden 1900 —come riconosciuto espressamente da A. Vac­
cari, nelPintroduzione ai Libri poetici (p. v i i ).
Privato di tali appendici, d testo fu ristampato pochi anni dopo in un
solo volume; La Sacra Bibbia-, tradotta dai testi originali con note a cura
del Pontificio Istituto Biblico di Roma, Salani, Firenze 19 6 1. Presentata
come «l’edizione classica», questa versione costituiva piuttosto —secondo
G. R i n a l d i - la «tipica Bibbia italiana», il cui pregio principale consi­
steva nello sforzo compiuto per «rendere il senso scegliendo tra varie
possibilità la più soddisfacente, in omaggio al principio che la prima ese­
gesi è nella versione».115 Un lungo impegno, dunque, che aveva portato a
risultati d’indubbio valore, soprattutto sul piano testuale.126 Per il resto,il.

il i. Recensioni di L. van den Eerenbreeint, Biblica 4 (1913) 331-335 e M. Sales, CivCatt 71


(192,0) 245-2,49. Una seconda edizione apparve a Firenze nel 1942,
122. Ree. di F. Zorell, Biblica 7 (1926) 331-334 (si segnala Fomissione di due parole dell'ebraico
in Sai. 1X0,6).
123. Come ricordava il Vaccari nella prelazione ai libri poetici, voi. vi: «La nostra S. Bibbia vuol
essere e restare... una traduzione, noo un commento».
124. BeO 4 (1962) 192.
125. G. Rinaldi, BeO 1 (1959) 5 2 s.
126. Come scriveva G. Rinaldi, nella recensione del 1959, ora citata; «Molte altre scelte testuali
sono state proposte in questa Bibbia per la prima volta in confronto alle altre traduzioni, jn qua­
lunque lingua... [I] casi più degni di rilievo: Gen. 9*26; 16,13 Deut, 3 3 4 .2 1; G/os. 8,11-12; 1
&tw. 3,19-21; ... Salmi 41,6 -11; ... 74,8; 76,11; ... Prov. 21,9 (25,24); Cant. 2,5; 4,8; 5,12; ls.
10,27; 16,1; 34,14; 53,10 .11; 63,1; Ger. 30,21; Dan. 9,25-27; rir/ios 4,13». Un vero capolavoro
fu giudicata la traduzione dell’Ecclesiastico e, neH’insieme, addirittura superiore alla Bibbia UTET
di cui si parlerà tra breve è ritenuta l’intera opera da F. Spadafora, La Sacra Bibbia dei p. Alberto
Vaccari S]mPalestra del Clero 62 (1983) 892-895.
504 Versioni dell’Antico e del Nuovo Testamento

appare invece evidente una certa pesantezza stilistica, per cui alla versio­
ne si potrebbe applicare senza forzature lo stesso giudizio che il Vaccari
dava delle interpretazioni del De Rossi: «eccellenti per l’intelligenza del
testo», «meno pregevoli per la lingua».

Incompiuto è rimasto, per contro, il tentativo di offrire un commento ag­


giornato in accompagnamento al testo «modernato» del Martini, avviato
nel 1 9 1 1 da Marco Sales: La Sacra Bibbia. Tradotta dai testi originali.
Commentata dai professori dello studio domenicano di Torino. Testo la­
tino della Volgata, L.I.C.E.-Berruti, Torino, per quanto, alla morte del
Sales (1936), l’opera venisse proseguita prima da G. Girotti (martire a
Dachau, nel 1945), il quale curò / Sapienziali (1938) e 11 libro di Isaia
(19 4 1), e poi da G, Vittonatto, che curò II libro di Geremia (1955).

Su un livello più popolare si ponevano, frattanto, altre iniziative editoria­


li/ 18 destinate a preparare il terreno alla diffusione di Bibbie in un solo
volume, in traduzione più o meno originale. La Sacra Bibbia edita dalle
Paohne (Roma 19 5 8)1*9 fu ben presto seguita da La Sacra Bibbia. Tradu­
zione italiana dai testi originali di Fulvio Nardoni, Libreria Editrice Fio­
rentina, Firenze i960. Accolta con un giudizio sostanzialmente positivo
da un critico attento come C.M. M artini/30 che ne lamentava semmai
l’eccessiva letteralità, la versione del Nardom rappresentò, nonostante i
suoi lim iti/3* il primo tramite di accostamento al testo scritturistico per
127. Egualmente incompiuto resterà il progetto, ben più ambizioso, del commento a intra la Bib­
bia, diretto da S. Garofalo e G. Rinaldi, per la Marietti. Per una presentazione di alcuni degli ulti­
mi titoli pubblicati, cfr. S. Zedda, La Bibbia «grande» di Marietti'. CivCatr 119 {1968) 1, 471­
473. Per inciso, si può notare che molte volte i commenti (anche quelli tradotti in italiano da altre
lingue) offrono l’occasione per versioni dei testi biblici di notevole qualità; è il caso, per fare un
solo esempio, della versione della Genesi che accompagna la traduzione italiana del commendo di
G. von Rad, edito dalla Paideia di Brescia,
£2.8. Dopo la La Bibbia delle famiglie. Breviario della Bibbia tradotta dalla Volgata, per le fami­
glie e per le scuote, curata da E. Tintori, Alba 1928 (la ristampa del 1939 è recensita in CivCatr 92
[1941] 230), la Pia Società San Paolo proponeva nel 1931 La Sacra Bibbia. Testo latino della
Volgata. Traduzione e commento pastorale dello stesso Tintori, afatta sul testo latino della Vol­
gata, quasi sempre a lettera», avvertendo come dalle note fosse stata «cacciata l’erudizione, la cri­
tica e la polemica...". Àncora dalla Volgata fu tradotta La Sacra Bibbia, diretta da G. Riedotti e
pubblicata a Firenze in 5 volumi, tra il 1939 e il 1940 (ristampa in un solo volume, 1940).
129. Versione giudicata «mediocre ed affrettata», divenuta famosa per alcune aggiunte veramen­
te sorprendenti (come quella, poi eliminata, a Gen. 2,25: «Adamo e sua moglie erano tutt'e due
ignudi, ma non ne avevano vergogna in grazia della loro santità originale [!]»). Cfr. G. Ravasi, La
ùarola tradotta, 6 14.
130. CìvCatt 1 1 3 (1962) 3, 475. - La traduzione della (sola?) Genesi era già stata pubblicata nel
1950 (presso lo stesso editore).
131. Cfr. la recensione di [G.] Rfinaldi] in BeO 3 (1961) 230 s.: «È una traduzione fatta in vista
M un uso indipendente dal testo»; «... Alle volte è sensibile i’imermediario di altre traduzioni, ri­
prese, o variate, o parafrasate». Seguono esempi di fraintendimenti o scelte discutibili (ad es.
Gen, 3,22).
La Bibbia tu lingua italiana 505

generazioni di studenti e «gruppi biblici», anche perché le Bibbie coeve o


degli anni immediatamente successivi non presentavano gli stessi pregi di
maneggevolezza ed economicità. Nello stesso anno, ad esempio, era ap­
parsa La Sacra Bibbia in tre volumi con commento, diretta per la Mariet­
ti da S. Garofalo, ma a una diffusione più capillare questa giungerà solo
con dedizione ridotta» del 19 64.IU
Nel frattempo, nel 19 6 3, usciva presso la u t e t di Torino una versione
destinata a divenire una pietra miliare per la storia del testo biblico in ita­
liano: La Sacra Bibbia tradotta dai testi originali e commentata, a cura di
E. Galbiati, À. Penna, P, Rossano, 3 voli. Come scriveva G. Rinaldi,133 si
aveva qui finalmente «una vera traduzione, non una parafrasi, né un cal­
co del testo originale, che avrebbe finito di essere anche poco intelligibi­
le». I pregi della traduzione erano inoltre arricchiti dalle introduzioni e
dalie note, particolarmente ben curate ed efficaci.13^ «L’opera - insomma
—... si presenta con una caratteristica di omogeneità, che può forse essere
riassunta nel fatto che i curatori dell’opera non sembrano in generale
aver voluto tentare vie nuove nel testo o nel commento, ma hanno piut­
tosto inteso riflettere fedelmente lo stato attuale degli studi biblici, pre­
sentando a un pubblico colto, ma non specializzato, le conclusioni piu si­
cure degli studiosi, in un linguaggio semplice e privo di tecnicismi».135
L ’unico ostacolo a una larga diffusione era semmai, ancora una volta, la
mole dell'opera, a cui ovvieranno in parte sia la ristampa per Selezione
del Readers’ Digest, Milano 1968, con note «ridotte»,136 sia - limitata­
mente ai vangeli - la riedizione nella collezione b u r della Rizzoli (1984).
Ma un riconoscimento definitivo questa versione l’otterrà quando ver­
rà presa a base per la traduzione della Conferenza Episcopale Italiana,137
una scelta in cui è difficile non vedere un apprezzamento pressoché in­
condizionato della qualità della traduzione.
La ristampa del testo u t e t per Selezione del Readers’ Digest alle note

132. Ree. di C.M. Martini, CivCart 116 (1965) 1, 264 s. (osservazioni critiche e confronto con
l'edizione precedente).
133. In BeO 6 (1964) 280-282: 281.
134. Anche se, come rilevava C.M. Martini, Una nuova Bibbia in lingua italiana; CivCatt 115
(1964) 2, 253-256, la diversità tra traduttore e commentatore aveva portato ut qualche caso a fa­
stidiose incongnienze.
135. Martini, Una nuova Bibbia, 254.
136. A cura di O. Marmi, dalla traduzione diretta per Garzanti da Bonaventura Mariani. Cfr. G.
Caprile, CivCatt 120 (1969) 2, 91 s.
137. Come scriverà, non senza una venatura di legìttimo orgoglio, P. Rossano: «Personalmente
ho sempre optato per una traduzione che miri a piegare al massimo la lingua al resto originale,
per riprodurne fedelmente il suono e le valenze... Questo criterio ho seguito nella versione del
Nuovo Testamento per la Utet (1963), che ha servito di base per la traduzione della Cei, ed è stata
ripresa nel 1984, limitatamente ai Vangeli, dalla collezione Bur di Rizzoli» fRossano, Tradurre la
Bibbia, 13).
506 Versioni delFAntiCO e del Nuovo Testamento

originali sostituirà, come detto, un compendio di quelle che accompagna­


vano un'altra traduzione: La Sacra Bibbia, tradotta dai testi originali a
cura dei professori di Sacra Scrittura O.F.M., sotto la direzione del Rev.
P. Bonaventura Mariani delle Università Pontificie di Propaganda Fide e
Lateranense, Milano, Garzanti 1964, traduzione pregevole, presentata in
una veste editoriale particolarmente accattivante.1’ 8

Il fiume delle traduzioni sembra ormai una piena inarrestabile e in grado


di coinvolgere tutte le confessioni religiose. Tra il 1960 e il 1967 vede co­
sì la luce il primo rifacimento di una Bibbia ebraico-italiana, dopo quella
del L uzza tto.1,4 Diretta da D. Disegni, e splendidamente realizzata negli
stabilimenti Marietu per conto della Comunità Ebraica di Torino, la tra­
duzione, «nuova e per solito ottima»,138140 si riproponeva uno scopo religio­
19
so pratico, scopo che - se è lecito giudicare dalla fortuna editoriale - è
stato pienamente raggiunto.141
Dopo un periodo di preparazione piuttosto lungo,14214 3data Paccelerazio-
ne imposta dalla nuova temperie culturale-religiosa, nel 1969 la Monda­
dori pubblicherà La Bibbia concordata, tradotta dai testi originali con
introduzioni e note, frutto della collaborazione di studiosi cattolici, orto­
dossi, protestanti (valdesi) ed ebrei, l’opera ricevette comunque un’acco­
glienza piuttosto tiepida, a giudicare almeno dal tenore ptedominante
nelle recensioni che ne segnalarono la comparsa. G. Rinaldi,'41 ad es., giu­
dicava «meritoria» la collaborazione, aggiungendo subito: «ma se in
realtà il fine sia raggiunto, in questa prima prova, sembra dubbio», e, a
chiarir meglio il proprio pensiero: «non so se esista un altro libro che più
crudamente elenchi al completo le ‘discordie’ tra i credenti nell’autorità
divina della Bibbia». Non solo, ma lo stesso recensore rilevava dì aver ri­
trovato in traduzione e note di Daniele e Profeti minori vecchi cari «ami­
ci» —eufemismo di cui non è certo difficile cogliere il senso.144

138. Cfr. P. Tremoli, in BeO 9 (1967} 272 s.: «le traduzioni... sì presentano composte in un lin­
guaggio moderno, ... mantenendo talvolta anche le parole originali, specie quando il loro signifi­
cato pregnante non si presta ad essere reso da una parola italiana corrispondente». Altre recen­
sioni: P. Cclella, RivBìbl 15 (1967) 326 ss.; C.M. Martini, CivCati 116 (1965) 3, 51 (se ne rileva
la «magnificenza»).
139. // Pentateuco e tiaftarotb, Torino 5721-2960 Agiografi (Kelubim), 1967.
140. |G.J R[inaldi], in BeO 3 (1961) 153 s., il quale osserva anche che «qualcuno dei cinque auto­
ri [della traduzione della Torah: A.S. Toaff, D. Disegni, M.E. Artom, E. Fnedenthal, E. Toaff]
torse ha tenuto presente la Bitte de Jéru$.\atem]».
141. Del (solo?) Pentateuco esiste una ristampa recentissima, senza indicazione del nome dell'edi­
tore (ma certamente B. Carucci), Roma 5749-1989, presentata come 4aed.
142. Cfr. La «Bibbia Ecumenica». BeO 7 (1965) 32-39 (documenti e testi sui diversi progetti di
traduzioni «ecumeniche»).
143. BeO 11 (1969) 221 s,
144. Presentazioni generali del progetto «ecumenico» erano state m precedenza date da T. Fede-
L a B i b b i a in l i n g u a ìr a l ì a n a 507

Su un terreno certamente più solido si muoveva, nel frattempo, una


nuova iniziativa delle Paoline, la Nuovissima versione della Bibbia dai te­
sti originali, iniziata nel 19 6 7 / 45 che — senza proporsi intenti tanto ap­
prezzabili quanto chimerici —si riprometteva di offrire, sul modello della
Bible de Jérusalem, uno strumento di studio e consultazione agile e ag­
giornato. Un’oculata scelta dei collaboratori, in cui si ritrovano i nomi
più noti dei biblisti italiani (del mondo ecclesiastico e universitario), por­
tava nell’arco di tredici anni alla pubblicazione di 48 pregevoli volumetti,
con introduzioni spesso notevoli e con un apparato di note in genere par­
ticolarmente ricche, anche dal punto di vista schiettamente testuale. Del
testo soltanto (la collana giunse a compimento, come si è detto, nel 1980)
venne curata l’edizione, detta «del centenario»/46 in unico volume: La
Bibbia. Nuovissima versione dai testi originali, con introduzioni e note di
A. Girianda, P. Gironi, F. Pasquero, G. Ravasi, P. Rossano, S. Virgulin,
Roma 1983. Nella premessa, nella quale si ricordava come la stessa casa
editrice avesse, dal 1 9 3 1 , pubblicato tre versioni —una dalla Vulgata, due
dai testi originali —per «almeno» 83 edizioni, si metteva in evidenza il
«carattere... pastorale» dell’edizione. In effetti, privata delle introduzioni
e delle note, la versione perdeva gran parte del suo peso più squisitamente
scientifico.147

Un cambiamento radicale, almeno dal punto di vista editoriale, rappre­


sentava intanto la pubblicazione de La Sacra Bibbia. Versione italiana
per IJuso liturgico a cura della Conferenza Episcopale Italiana..., coordi­
nata da S. Garofalo, Roma - Citta del Vaticano 1 9 7 1 .148 Nata, come del­

fici, SIDIC (Service International de Documentauon Judéo-Ch rèndine) 1 (1967) 30 e F. Salvoni,


Ricerche Bibliche Religiose 2,3 (1967) 223-232. Recensendo l’opera l'CivCait 119 [iq68] 4, 515 ­
517), C.M. Martin» notava come fosse difficile dire che essa rappresentasse un effettivo progres
so. Uno dei pochi apprezzamenti positivi sembra essere stato quello di S. Cipriani, La Bibbia
«concordata». Un notevole avvenimento ecumenico-. Asprenas 15 (1968) 320-325.
145. Cfr. BeO 11 (1969) 221.
146. Cfr. Premessa, p. v. {L’edizione non e da confondere con La nuova Bibbia dei Centenario
della Libreria Sacre Scritture, Roma 1970).
147. Pressoché contemporaneamente iniziava la pubblicazione di F. Spadatora (dir.}, La Bibbia.
Nuova traduzione a dispense, Napoli 1970; cfr. Palestra del Clero 51 (1972) 5 ^2-535. A versioni
bibliche, con alterna lornina, si accingevano anche nomi illustri della cultura letteraria. Senza
pretesa alcuna di completezza o di equiparazione dei risultati raggiunti, siano qui ricordati i saggi
di G. Ceronetti {cfr. E. Galbiati, Una strana versione dei Salmi: Rivista del Clero Italiano 49
[1968] 158-163; P Sacchi, in RSLR 6 [1970] 129 ss.), C. Angelini (Atti degli Apostoli. Prefazione
e traduzione con testo latino a fronte, Torino 1967; Apocalisse, Tonno 1972), S. Quasimodo {Il
Vangelo secondo Giovanni, in Tutte le opere di S. Quasimodo, Milano 1972), e D.M. Turoldo (J
Satrfif, nella traduzione lirico-metrica di..., Bologna 1973).
148. Un fatto piuttosto sorprendente, alla luce dì una ben consolidata tradizione, era rappresen­
tato dal confinamento di introduzioni e note in un fascicolo a parte, anziché a corredo del testo,
con motivazioni piuttosto fumose (cfr. B. Corsani, in Studi Francescani 69 f i 972] 361).
508 Versioni deil’Antico e del Nuovo Testamento

to, da un felice innesco sul testo della Bibbia utet ,m9 la «Bibbia g ei » -
come di fatto sarà ben presto conosciuta — rappresentava per più versi
un’assoluta novità: «per la prima volta - infatti - una Bibbia italiana vie­
ne prodotta per iniziativa e sotto la responsabilità dei vescovi di lingua
italiana. La portata ecclesiale dell1avvenimento e senza paragoni, ... non
ha precedenti se non nella famosa traduzione latina voluta da papa Da-
inaso e realizzata da s. Gerolamo...». r
In effetti, l’edizione, che vide all’opera una folta schiera di collaborato­
ri, e tra quesii anche maestri dello scrivere italiano, dell’impresa di Gero­
lamo condivide forse i pregi, 1 certo il principale difetto, ossia, per non
restare nel vago, quella sorta d’immunità che - propriamente o impro­
priamente —le deriva dal/essere stata avallata come «tipica» (al di là, si
può presumere, delle intenzioni dei traduttori)^1 e punto di riferimento
obbligato sia per la liturgia sia per pressoché ogni altra iniziativa edito­
riale. Sembra innegabile, infatti, che tale Bibbia sia diventata nei fatti non
un punto di partenza, ma un traguardo - esattamente quel che paventava
un critico della prima o ra /53
Per quel che concerne più direttamente il valore della traduzione, può
essere utile ricordare quanto scriveva O. da Spinetoli: «Il suo valore è
senz’altro indiscusso, poiché non può non aver tenuto conto154 dei sussidi
di cui dispone la ricerca biblica odierna. Si tratta di una traduzione allo
stato attuale delle conoscenze linguistiche e filologiche la piu fedele possi­
bile, criticamente sicura, letterariamente scorrevole, rispondente allo sco­
po per cui è stata preparata».155 A questo atto di fede han fatto da con­
trappunto, in generale, critiche piu o meno puntuali - rilievi sono sfati
mossi, da versanti diversi, da A. B on ora/’6 T. Lorenzm157 e B. Prete130 —e
149. Tenendo conto dei testi originali, «dei LXX, della Volgata e della Neo-Volgata e di quanto4
nell’esegesi cristiana dei secoli precedenti, potesse costituire un’indicazione impegnativa o utile
per il traduttore» (voi. aggiuntivo, p. 12).
150. C. Bozzetti, La Bibbia e ìe sue trasformazioni3 io i s.
151. Cfr. C. Buzzetti, La Bibbia e le sue trasformazioni, 100: «Confrontata con le altre Bibbie re­
centi, essa mostra di possedere nel testo i maggiori pregi caratteristici della nostra epoca». A giu­
dicare da un riscontro sui passi più difficili, discussi nei volumi della Critique lextuelìe de VAncien
Testament di D, Barthélemy, risulta, ad es., piuttosto evidente come la Bibbia c ei rifletta non di
rado anche i pregi e le scelte di un’altra notissima traduzione, La Sainte Bibte traduite en fran$ais
sous la direction de LEcoU hibhque de jérusatem, meglio conosciuta come Brble de jérusahm {a
puro titolo esemplificativo, si cfr. Am. 2,2; 3,5; 3,11; 3,12.).
152. Come rileva O. da Spinetoli in Idem - A. Sonora D. Bondioli, La Bibbia delta CEI. Alcune
impressioni: Rivista di Pastorale Liturgica io (1972) 331-335: 331.
153. B, Corsani, nella recensione apparsa in Studi Francescani 69 (1972) 361-364: 363.
154. Corsivo di chi scrive.
155. In Idem - A. Bonora -D. Bondioli, La Bibbia della CEI3 3 3 1 ­
156. In O. da Spinetoli - A. Bonora - D. Bondioli, La Bibbia della CEJ, 333 s. L’autore nota subi­
to, e piuttosto impietosamente, che «una ragione di sostanziale validità» è data dal fatto che la
B'bbia cei «segue, come testo base, la buona versione dt Rossano, Penna e Galbiati...».
La Bibbia in Lingua italiana 509

non desta sorpresa rapprendere che, a quanto pare, ne sia attualmente in


preparazione una revisione.1' J
A conferma del carattere ufficiale della versione c e i , basti segnalare
come il suo testo sia divenuto, in questi anni, il punto di riferimento ob­
bligato per tutte le iniziative più ambiziose in campo biblico, con la sola
eccezione forse della Bibbia curata per la Rizzoli da L. M oraldi,15718
16016
9 *ovve­
ro: La Bibbia. A cura de La Civiltà Cattolica, Milano 19 74, ideata da F.
Vanetri, con introduzione e commenti ripresi da E. Ehlinger (ed.), Bible
du peuple de Dieu e l’indice analitico della Bibbia del Pontificio Istituto
Biblico,161 la Bibbia TOB ('Production; Oecuménique de la Bible). Nuovo
Testamento, l d c , Leumann 1976, completata nel 1979, 3 volumi, con
Antico e Nuovo Testamento,re>1 e La Bibbia, Parola dì Dio scritta per noi,
redatta da E. Ricaldone e altri, su ideazione di L. Alonso Schokel e L. Pa-
comio, 3 volumi, Marietti, Torino 19 80 .16316 4
A far fronte alla sempre più pressante richiesta dei normali lettori sa­
ranno, quindi, ancora per qualche anno - almeno così è lecito presumere
—, due altre edizioni, condotte con criteri diametralmente opposti.
In ordine cronologico abbiamo, dunque, La Bibbia di Gerusalemme.
Testo bìblico de La Sacra Bibbia della CEi... Note e commenti de La Bì-
ble de Jérusalem... 1973, ed. it. ... sotto la direzione di F. Vattioni, Deho-
niane-Borla, Bologna 19 74 , disponibile in diversi formati e caratterizza­
ta da un apparato di note particolarmente utile/01 anche per l’attenzione

157. L a S a cra B ib b ia . E d iz io n e u fficia le d e lla C H I. A lla lu ce d i a lc u n i risu ltati d i filo lo g ia s e m iti­


c a : Studia Patavina 2.2. (1975) 417-448. Ma sui limiti del pan-ugariusmo, cfr. Revue Biblìque 99
(1991) 458 n. 3; D.W. Goodwin, T e x t K e sto ra tìo n M e t b o d s in C o n t e m p o r a r y U S A B ìb lìc a l
S cb o la rsh ip i Napoli 1969; J.C. de Moor - P. van der Lugt, T h e S p e ctre o f P a n -U g a r it is m : Biblio-
theca Orientali*; 31 (1974) 3-2.6.
158. // ra c c o n to d e ll ’a n r n w d a z io n e d i L u c a 1 , 2 6 - 3 8 nella n u o v a tra d u z io n e d e lla B ib b ia a cu ra
delia C . E . L : BeO 15 (1973) 75-88. Cfr. anche F. Spadafora, U n a tra d u zio n e errata n e l M e s s a le in
ita lia n o : Palestra dei Clero 51 (1971) 532.-535; E Salvoni, Ricerche Bibliche Religiose 8,2 (1973)
14-18; C. Tartarelli - [F. Mosetto], U n e rro re nella B ib b ia C E .H : Parole di Vita 25 (1980) 228 s.
159. L'Informazione è data da G. Betori, T e n d e n z e a ttu a li n e ll’ uso e n e ll'in te r p r e ta z io n e d e lla
B ib b ia , in R. Fabris (ed.), L a B ib b ia n e lt e p o c a m o d e rn a e c o n te m p o ra n e a „ 15 1. Giova ricordare,
inoltre, che una prima revisione si ebbe già nel 1974, in occasione della xa edizione della Bibbia
c e i : agli opportuni «emendamenti» si aggiunsero «variazioni linguistiche e ortografiche, già inse­
rite nei lezionari liturgici».
160. L a S a cra B ib b ia ... A n t ic o e N u o v o T e s ta m e n to . Traci, d a i testi o rig in a li, in tto d . e n o te d i L.
Moraldi, illustr. di S. Dall, Rizzoli, Milano 1973, Sempre del 1974 è un’edizione «minore».
161. Cfr. G. Bernmi, CivCatt 1x4 (1973) 4, 457-462 (elogio di un edizione «pastorale»); G.G.
Gamba, Salesiamim 36 (1974) 6j8 ss.; A. Rolla, Asprenas xi (1974) 118 -12 1. lina nuova edizio­
ne, in cui viene sfruttato il testo «perfezionato» della seconda edizione della Bibbia c ei (1974) è
apparsa nel 1978; cfr. U. Vanni, in CivCatr 130 (1979) 1, 162.-164.
1 6 1 . In nota si segnalano le divergenze più significative tra traduzione francese e testo c e i ; cfr. N.
Uricchio, CivCatt 128 (1977) 2, 606 s. —Del 1991 è la «nuova edizione interamente rivista».
163. Cfr. U. Vanni, CivCatt 132 (1981) i, 192 s.
164. Cfr. P. Benoit, RB 82 (1975) 1x9 s. Analoga iniziativa si era già registrata nel mercato tede-
5 io Versioni dell’Antico e del Nuovo Testamento

prestata al dato testuale, e la cosiddetta «Bibbia in lingua corrente»: Pa­


rola del Signore. La Bibbia. Traduzione interconfessionale in lingua cor­
rente^ ld c - Alleanza Biblica Universale, Leumann-Roma 1985, diffusa in
due edizioni, Furia con i «deuterocanonici», l'altra senza.t6i
Carattere di assoluta novità, nel panorama sin qui tracciato, rivendica
meritatamente la seconda delle due iniziative, la prima traduzione italiana
in cui a! metodo delle equivalenze formali (le normali traduzioni) venga
opposto il metodo delle equivalenze funzionali o dinamiche. Frutto della
collaborazione di svariati studiosi, appartenenti a confessioni religiose di­
verse,166 la traduzione «in lingua corrente» vuole essere uno strumento
utile per «la lettura e la meditazione, non per Io studio tradizionale».167 E
in questo - per non dire nel rischio conseguente: di considerare approdo
definitivo quello che vuole essere uno strumento per un primo approccio
- sta forse, a prescindere dall'apprezzamento che si possa esprimere, il
principale limite di questa traduzione nei confronti della Bibbia di Geru­
salemme,, che rimane così lo strumento piu affidabile oggi disponibile in
Italia per un accostamento non solo devozionale alla Bibbia.
Oltre tutto, se è vero che nella presentazione del proprio progetto i cu­
ratori della «Bibbia in lingua corrente» scrivono che «la nostra traduzio­
ne... si propone di offrire sempre fedelmente il significato degli originali;
senza aggiunte arbitrarie, senza parafrasi e senza anacronismi» (p. 476),
un confronto con le scelte operate nei casi disperati dalle maggiori tradu­
zioni in lingue occidentali168 potrebbe indurre a pensare che, almeno in
qualche caso, sì tratti di traduzione non in lingua corrente, ma di tradu­
zione currenti calamo.'0* Ma questa sarebbe una critica ingenerosa, e an­
che ingiusta, per un'opera che, per scelta o per forza, sembra volere (o
dovere?) farsi carico di una serie d'incombenze che dovrebbero essere al­
trimenti ripartite, finendo col fornire - certo involontariamente - un faci­
le alibi per un ulteriore ridimensionamento della funzione del commento
e, in altra sede, dell'omelia e della catechesi/70 già così spesso ridotte a di­
sadorna ripetizione di luoghi comuni.171

sco, con la pubblicazione di D ie A. u n d N . B u n d e s . D e u t s c h e À ttsga-


B ib e ì. D ie h eifig e S c b r ift d e s
b e ntit d e n E r ìà u te r u n g e n d e r Je r u s a le m e r Bìbel> Herder, Freiburg 1968, in cui a traduzioni pre­
esistenti si apponeva il corredo di note della B tb le d e Jé r u s a le m .
165. Cfr. R. Bertalot, Vita Monastica 31 (1977) 45-50; W.M. Abbott - U. Vanni, L a tra d u zio n e
d e ! N u o v o T e s ta m e n to in lìngua italian a c o r r e n t e ; CivCatr 12.8 (1977} i, 49-55­

166. Per PAntico Testamento direttori del lavoro furono C. Buzzerti, J.-C. Margot; coordinatori:
R. Bertalot, M. Cimosa eM. Gatizzi; per il Nuovo Testamento: direttore J. deWaard; coordina­
tore: R. Berialot.
167. C. Bozzetti, L a B ib b ia e le su e tr a s fo r m a z io n i , 108.
168. Il riferimento d’obbligo essendo, ancora una volta, la C r it iq u e textu efle d e l B a rth é ìe m y .
1 6 9 . Qualche riferimento punruale nella recensione di V. Scippa, Asprenas 31 (1985) 433_435-
170. E che non si tratti di un problema del tutto immaginario sembrerebbe dimostrato, in certo
La Bibbia in lingua italiana 511

In altri termini, se si è ancora convinti che la Scrittura possa essere


compresa e tradotta senza per questo dover necessariamente ricorrere so­
lo al targum (ovviamente, non nel senso tecnico del termine), l'ideale per
chiunque non voglia «accontentarsi di una lettura superficiale della Bib­
bia è di avere davanti agli occhi... due versioni di tipo differente»,171 ossia
di avere accanto a quella «in lingua corrente» una traduzione vecchia
maniera. L ’esigenza, del resto, è avvertita dallo stesso C. Buzzettì, che ha
recentemente curato, con altri autori, una Antologia di brani del Nuovo
Testamento in edizione interlineare, Roma 1992.- 73 Intanto, a un punto
intermedio tra questi due estremi, si colloca la recentissima edizione de
La Sacra Bibbia. Traduzione della Conferenza Episcopale italiana, s e i ,
Torino 1993, con presentazione di G. Ghiberti, che vuole essere, col suo
apparato di introduzioni e sobrie note, redatte da vari collaboratori coor­
dinati da F. Mosetto, il tramite per un avvicinamento alle Scritture acces­
sibile «a un vasto pubblico, in particolare agli studenti».
Ma con questi tìtoli siamo sia alla conclusione di questa rassegna sia
troppo nel presente, e - come recita l’adagio —vìvorum, ut magna admi-
ratìo, ita censura dtfficilis est.
Bibliografia . \ 1 . Cordovani, Ciò che manca al clero italiano: una traduzione della
Bibbia-. Rivista del Clero 192.0, 2 1 5 - 2 1 7 ; A. Vaccari, Veruna Bibbia italiana mo­
derna : Vita e Pensiero 1 9 2 2 , 19 3-2 0 3-, Idem, Bibbie protestanti e Bibbia cattoli­
ca: C ivCatt 1 9 2 3 , 1, 3 4 3 * 3 5 1 ; K. Poster, italian Versions, in S.L. Greenslade
(ed.), The Cambridge Hfstory o f thè Bible> n i. The West from thè Reformation io
thè Present Day, Cambridge 1 9 6 3 , 3 5 8 -3 6 0 . 540; C .M . Martini, Una nuova B ib­
bia in lingua italiana: C ivC att 1 1 5 (19 6 4 ) 2, 2 5 3 - 2 5 6 ; O. da Spinetoli - A. Sono­
ra - D. Bondiolì, La Bibbia della CEI. Alcune impressioni: Rivista di Pastorale L i­
turgica io ( 19 7 2 ) 3 3 i “3 3 5 ; G. Rinaldi, La Bibbia per noi : BeO 16 (19 7 4 ) 3 -8 ;
G. Ravasi, La parola tradotta: edizioni italiane della Bibbia: Letture 29 (19 7 4 )
6 1 3 - 6 1 7 (piuttosto singolare l’annotazione, p. 6 1 4 , secondo cui «per avere la pri­
ma traduzione italiana stampata bisognerà attendere, per ragioni comprensibili,
solo il 16 0 7 » ); T . Lorenztn, «La Sacra Bibbia», edizione ufficiale della C E I , alla

modo, dal forte richiamo alla funzione della Scrittura nel ministero sacerdotale, espresso dal piu
recente documento della Pontificia Commissione Biblica: U ìnterprétation de la tìihle dans VEgli-
sc> (cesto in Biblica 74 [1991] 451-528; cfr. in specie iv C.3; «Dans le ministère pasiorale», pp.
521 s.) —documento che, in una valutazione quanto mai articolata del metodi e approcci Inter­
pretativi, continua a porre al primo posto il metodo «storico-critico» (cfr. pp. 454 460).
171. Senza neppure —verrebbe da aggiungere —il conforto di quel mimmo di arte oratoria che
ancora in anni non troppu lontani era dato riscontrare anche tra i più umili «servitori della Paro­
la» (forse si potrebbe estendere anche all’oratoria la serie di consigli che un'autorità come L. Ei­
naudi ritenne d’impartire in merito all'economia e alla finanza: Un libro per seminaristi e studen­
ti* 111 Prediche inutili^ Torino 1962, 375-384).
171. M. Cimosa, Alcune traduzioni recenti, 820 (il riferimento è a quelle che l'autore chiama Bib-
bie-monumenti, ossia le traduzioni letterali, e Bibbia messaggio, quella «in lingua corrente»).
173. Cfr., dello stesso, La Bibbia e la sua traduzione, 18 1 ss.
5 IZ Versioni dell'Antico e del Nuovo Testamento

luce di alcuni recenti risultati di filologìa semìtica: Studia Patavina 2 2 {1 9 7 5 } 4 1 7 ­


4 4 8 ; C. Bozzetti, «Parola del Signore». Una traduzione «popolare» della Bibbia
in Italia: Catechesi 4 8 / 1 3 (19 7 9 ) 6 1 - 7 1 ; L. Fanin, Quale traduzione della Bibbia
preferire <*: RivBibl 28 (1980) 4 1 7 - 4 3 3 ; C. Buzzetti, La Bibbia e le sue trasforma­
zioni, Brescia 1 9 8 4 ; M . Cimosa, Alcune traduzioni recenti della Bibbia in lingua
corrente : Salesianum 4 7 (19 8 5 ) 80 9 -8 20 ; Segretariato per l’Unione dei Cristiani -
Società Bìbliche Unite, Direttive per la cooperazione interconfessionale nella tra­
duzione della Bibbia, Città del Vaticano, 16 nov. 1 9 8 7 ; R. Fabris (ed.), La Bibbia
nell3epoca moderna e contemporanea , Bologna 1 9 9 1 ; C . Buzzetti, La traduzione
della Bibbia in lingua corrente; per una valutazione: Servizio della Parola nr. 25 0
(1 9 9 3 ) 4 5 - 5 7 -
Sui problemi teorici della traduzione: 1. in generale: G. Mounin, Les problè-
mes théoriques de la traduction , Paris 1 9 6 3 ; E .A . N ida, Toward a Science of
Translating..., Leiden 19 6 4 ; W . Wilss [ed.], tibersetzungswissenschaft. Probleme
und Metboden , Darmstadt 1 9 8 1 ; 2. dei testi bìblici: W. Schwarz, Principici and
Problems o f Bifaticai Vranslatìon. Some Reformation Controversies and Their
Background, Cambridge 1 9 5 3 ; E .A . Nida, Commétti tradurre la Bible , Paris
19 67; J.A . Soggin, Problemi di una traduzione biblica in italiano: Protestantesimo
2 2 {19 6 7 ) 1 - 2 4 ; C. Buzzetti, La parola tradotta . Aspetti linguistici, ermeneutici e
teologici della traduzione della S. Scrittura, Brescia 1 9 7 3 ; G. Baget Bozzo, Teo­
logia e linguistica nelle traduzioni della Bibbia: BeO 1 7 (19 7 5 ) I_9> L. Alonso
Schdkel - E. Zu rto , La traducción biblica: linguistica y e.stilistica, M adrid 1 9 7 7 ;
).-C . M argot, Tra dune sans trahir. La théorie de la traduction et son application
aux textes bibliques, Lausanne 1 9 7 9 (hibl. pp 3 4 1 - 3 6 3 ) ; V . Bertalot, Tradurre la
Bibbia. Problemi di traduzione della Bibbia ebraica , Torino-Leumann 19 8 0 ; P.
Rossano (ed.), Tradurre la Bibbia per il popolo di D io , Brescia 19 8 6 ; C. Buzzetti,
La Bibbia e la sua comunicazione, Leumann 1 9 8 7 ; W . Egger, Metodologia del
Nuovo Testamento , Bologna 19 8 9 , 6 0 -74 ; C. Bozzetti, La Bibbia e la sua tradu­
zione. Studi tra esegesipastorale e catechesi, Leumann 19 9 3 (una lettura indi­
spensabile, soprattutto, ma non solo, per comprendere finalità, caratteristiche e
possibilità offerte dalla Bibbia «in lingua corrente»).
Indice del volume

7 Sommario
9 Presentazione dell’opera
ir Premessa al volume primo

13 Abbreviazioni e sigle

Parte prima
GEOGRAFIA E ARCHEOLOGIA
BIBLICHE
Joaquin Gonzàìez Eckegaray
C a p ito lo 1
17 La geografia biblica
17 1. Geografia fìsica
tS x. Il bacino del Giordano
19 2, La regione cisgiordana
2.0 3« La regione transgiordana
21 4. Clima e vegetazione
11. Geologia
2-4 ni. Geografia politica attuale
2-5 iv. Geografia storica biblica
26 1. Antico Testamento
26 a) I p a tria rch i
28 b) L’esodo
30 c) La conquista
32. d) La Palestina all’epoca dei giudici
34 e) La monarchia
40 f) Il ritorno daLl'esilio
42 ­ 2. N uovo Testamento
4* (?) Divisioni amministrative della Palestina
43 b) Geografia dei vangeli
46 c) Geografia degli Atti degli Apostoli
48 3. Topografìa di Gerusalemme
48 a) Descrizione
50 b) La città antica dalle origini
fino al v i i secolo a.C.
51 c) T ra il v ii e il 1 secolo a.C.
5Z d) L ’ età erodiana
55 e?) Dalla prima rivolta giudaica
5^ v. Viaggiatori ed esploratori
5 r4 Indice dei volume

57 vi. Teologia della «Terra Santa»


S» vii. Bibliografìa
C a p ito lo 11
59 Archeologia biblica
59 1. Nozioni generali e tecniche
62 il II metodo archeologico
65 m . Periodi archeologici
65 1. Preistoria
66 a) Paleolitico
67 b) Mesolitico
67 c) Neolìtico
68 d) Calcolitico
68 2. Età del bronzo
69 a) Il Bronzo Antico
70 b ) Periodo Intermedio
71 c) Il Bronzo Medio
72 df) Il Bronzo Recente
71 3. Età del Ferro
7i a) Ferro 1
73 b) Ferro 11
74 c) Periodi persiano ed ellenistico
74 d ) Periodo erodi ano
75 e) Periodi romano e bizantino
76 iv. Gli insediamenti archeologici e la Bibbia
76 1 . 1 grandi insediamenti
76 a) Preistoria
78 b) Età del Bronzo e del Ferro
85 c) Periodo postesilico
87 d) Altri insediamenti
88 2. Bibbia e archeologia
8y 3. Illustrazioni archeologiche di temi biblici
99 v. Bibliografia

Parte seconda
S T O R IA E IS T I T U Z I O N I D E L P O P O L O B I B L I C O
Jesus Asurmendi e Fiorentino Garcia Martinez
10 3 In tro d u zio n e
10 3 1. Fonti
10^ 2. Metodologia
10 7 3 . Bibliografia generale
D a lle origin i ad A lessan d ro M ag n o
(Jesus Asurmendi)
C a p ito lo in
10 9 L ’epoca premonarchica
10 9 1. I cicli patriarcali
n o n. Egitto ed esodo
n o 1. Nascita e nome dì Mosè
Indice del volume 515

in 2. M osè e M adian
112 3. L ’esodo
113 4. Il monte di Dio
113 5. M osè e il decalogo
114 6. Il Dio di M osè e il Dio dei padri
114 7. Qadesh e le steppe di M oab
115 in. Il contesto socio-politico limitrofo:
i cananei
116 tv. L ’insediamento in Canaan
116 1. Le tribù del centro
117 2. Le tribù del sud
117 3. Le tribù del nord
11S 4. Le tribù transgiordane
11S v. Dallo stanziamento in Canaan alla monarchia
119 vi. La religione nell’epoca premonarchica
1151 1 . Introduzione
121 2. L ’epoca dei patriarchi
122 3. Egitto, M osè e l’ingresso in Canaan
123 v ii. Storia della ricerca
124 viti. Bibliografia
124 1 . 1 cicli patriarcali
124 2. Esodo e M osè
124 3. L'insediamento in Canaan
e il periodo cosiddetto dei «giudici»
US 4. Bibbia e archeologia
!25 5. La religione d’Israele

C a p ito lo iv
126 L a monarchia
126 1. Nascita della monarchia
126 1 . 1 vicini d’Israele
128 2 . 1 primi tentativi
129 3. Saul (ca. 1 0 2 5 - 1 0 1 0 )
130 4. Davide ( 1 0 1 0 - ca. 970)
130 a) Davide e Saul
132 b) La guerra contro i filistei
I32 c) La conquista di Gerusalemme
(2 Sam . 5 ,5 - 1 2 )
x 33 d) Politica internazionale
!33 e) Organizzazione dello stato
134 f) La crisi della successione
135 5. Salomone (9 7 2 -9 3 3)
135 a) Sapienza di Salomone
135 b) Amministrazione (1 Re 4)
136 c) Costruzioni e lavoro forzato
137 d) Commercio
138 e) Luci e ombre del regno di Salomone
135 6. Problemi aperti
13 5 a) La conquista di Gerusalemme
5 i6 Indice dei volume

140 b) R i v o l t a d i A s s a l o n n e
e ru olo di I■febron e G iuda
140 c ) L e stalle di S alo m o n e a M eg id d o
141 7 . Storia della ricerca
141 8. Bibliografia
142 n . I due regni fino al 7 2 2
142 1. L a situ azione alla m o rte di S alo m o n e
14 2, 2 . L a ro ttu ra n o n i/s u d
144 3 . Il r e g n o d ’ I s r a e le
144 a) Fin o a O m ri
144 b) La d in astìa di O m ri
146 c ) lehu e i suoi discendenti
148 d ) Il regno di G e ro b o a m o 11 ( 7 8 7 - 7 4 7 )
14 9 e) S t o r i a d e lla r ic e r c a
149 4 . G iu d a: da R o b o a m o a O zia
15^ 5 . R e s ta u r a z io n e d e l p o te r e a s s ir o .
Fine d’Israele e vassallaggio di G iuda
152 a) R estau razio n e del p o te re assiro
15* b) Fine d ’Israele e vassallaggio di G iuda
1 53 6. Problem i ap erti
*54 7 . B ib lio g r a fia

C a p ito lo v

155 L ’u ltim o p eriod o della d in astia d av id ica


i55 1. P rim a fase:
fino alla rifo rm a di G iosia
i 55 1. E ze ch ia , A ssiria ed E g itto
155 a) I fatti
156 b) P rob lem i aperti
157 c) Bibliografia
i57 z . S e tta n ta n n i di n o rm alizzazio n e
159 3. Fin e del p o te re assiro
160 4 . G iosia e la rifo rm a
160 a) La riforma
161 b) P rob lem i aperti
16 2 li. S econ d a fase:
fino alla cad u ta di G eru salem m e
i6z 1. L a lotta per la su p rem azia in O rien te
162 z. G iu d a tra due fron ti
163 3 . L a p rim a d ep o rtazio n e
164 4 . La fase co n clu siv a
166 5. P rob lem i aperti
1 66 a) L a cad u ta di G eru salem m e
1 66 b) L a m o rte di lo iaq im
1 66 6. B ib lio g r a fia
166 n i. L ’istitu zion e m o n a rch ica
167 1. R iti d ’in co ro n azio n e
168 z. Funzioni del re
169 3. M essian ism o
16 9 4 . Bibliografìa
Indice del volume 517

169 iv . L a religione durante l’ epoca della m onarchia


1 69 1 . D contesto religioso d ’Israele
170 a) B a b ilo n ia
171 b) E gitto
c) C an aan
174 2. L a religione
e la d in astia d avid ica
r 75 3 . 1 p ro feti
176 4. L a religione p o p o lare
177 5. E D eu teron om io e la rifo rm a di G iosia
178 6 . Il sacerdozio
178 a) Il sacerdozio durante la m onarchia
r8o b) L e fun zioni sacerdotali
18 0 c) Problem i aperti
18 1 7. Il tem pio
18 2 8. Le feste
18 2 a) L a p asq u a
184 b) Il sabato
185 c) L e feste degli azzim i
e delle settim ane
185 d) L a festa delle capanne
186 9. B ib lio g rafìa
186 a) Il contesto religio so
18 6 b) Aspetti generali
18 6 c) Il sacerdozio
187 d) Il tem pio
18 7 e) Le feste
C a p it o lo v i
188 L ’ esilio e la restau razion e di G iu d a
sotto i persiani
188 I. L ’esilio
188 1 . L a situazione degli esiliati
189 2. L a vita in G iu d a durante l’ esilio
190 II. L ’in vasion e di C iro
190 1 . C iro
192 2. L ’editto di C iro
193 3. C on seguen ze per gli esiliati.
Il p rim o rito rn o
193 n i. T en tativi di restaurazione m onarchica
1 . Z o ro b a b e le
195 2. Il n u o vo tem pio
196 iv . M ission e e op era di N eem ia
197 V. E sd ra, lo scrib a,
e la con figu razion e del giudaism o
197 1 . E sd ra
197 2. Il giu d aism o
198 3. I sam aritan i
1 99 4. P roblem i aperti
200 5. B ib lio grafia
S i» Indice dei volume

zoo v i. L a restau razio n e religiosa


200 1. L ’esilio
201 2. L a ca d u ta di B ab ilon ia e la re sta u ra z io n e
203 3. Il sa ce rd o zio postesilico
203 4 . Il seco n d o tem p io
204 5. L e feste
204 6. Bibliografia
D a A l e s s a n d r o M a g n o a lla s e c o n d a r i v o l t a g iu d a ic a
(Fiorentino Garda Martmez)
Capitolo Vii
206 L a P alestin a s o tto la d om in azion e g re ca
( 3 3 3 - 1 6 7 a .C .)
206 I. L a nuova situ azio n e:
A lessan d ro ( 3 3 3 - 3 2 3 ) e i D iad o ch i ( 3 2 3 - 3 0 1 )
208 II. L a Palestina s o tto ì T o lem ei
212 n i. L a P alestina s o tto i Seleucidi
215 iv. La riforma ellenistica
217 v . P rob lem i aperti
219 v i. B ibliografia

C a p i t o l o v ili
221 R esta u ra z io n e n azion ale
ed espan sione asm o n ea
( 1 6 7 - 6 3 a .C .)
223 I. L a riv o lta m a cca b a ica
225 II. G io n ata ( 1 6 1 - 1 4 3 / 1 4 2 )
e Sim one ( 1 4 3 / 1 4 2 - 1 3 5 / 1 3 4 )
228 ih . Il regn o degli A sm onei ( 1 3 5 / 1 3 4 - 6 3 )

2-33 iv . Problem i aperti


236 v. B ibliografia

C a p i t o l o ix
237 L a P alestin a so tto la d om in azion e ro m a n a
( 6 3 - 4 a .C .)
23 7 1. D a P om p eo a E ro d e ( 6 3 - 3 7 a -C .)
240 11. Il regn o di E ro d e il G ran d e ( 3 7 - 4 a .C .)
244 in . L a Palestin a nel I seco lo a .C .
248 rv. Problem i aperti
250 v. Bibliografia

Capitolo x
251 D a E ro d e il G rande alla g u erra c o n tro R o m a
(4 a .C . - 6 6 d .C .)

2-51 1. L a su ccessione di E ro d e
n . il p rim o p erio d o dell’am m in istrazio n e ro m a n a
258 m . Il reg n o di A grip p a 1 ( 4 1 - 4 4 )
260 iv . Il seco n d o p erio d o dell’am m im strazio n e ro m a n a
Indice del volume 519

2-64 v. Problemi aperti


266 V I. Bibliografia

C a p ito lo xi
267 Le guerre contro Rom a
( 6 6 -13 5 d.C.)
267 t. La prima guerra giudaica (66 -74 d.C.)
272 U. 0 giudaismo dopo la distruzione del tempio
175 m . Le guerre sotto Traiano ( 1 1 5 - 1 1 7 d.C.)
276 iv. La rivolta di Bar Kochba ( 1 3 2 - 1 3 5 d.C.)
280 v. Problemi aperti
283 vr. Bibliografia

C a p ito lo x n
284 Il contesto religioso del N uovo Testamento
285 l. Il contesto giudaico
285 1. 11 giudaismo palestinese
prima della distruzione del tempio
285 a) Pluralismo
289 b) Credenze
293 c) Pratiche religiose
297 z. 11 giudaismo palestinese
dopo la distruzione del tempio
297 a) La legge orale
297 b) I r a b b i
298 c) La sinagoga
298 d) Il bet din
299 e) 11 bet midrash
2‘99 3. Il giudaismo della diaspora
299 a) Organizzazione e stato giuridico
3°° b) Libertà religiosa e privilegi
301 c) Ellenizzazione, apologetica
e proselitismo
301 d) Rapporti con il giudaismo palestinese
30 2 4. I samaritani
30 2 il. Il contesto pagano
303 1. Radici della religiosità tardo-ellenistica
304 2. Religiosità popolare
304 a) Divinità salvifiche e taumaturghi
305 b) M agia
305 c) Astrologia
305 d) Divinazione
306 3, Il culto imperiale
306 4, Religioni misteriche
30 7 a) Misteri eleusini
307 b) Misteri dionisiaci
308 c) Misteri orfici
308 d) Misteri di Cibele
308 e) Misteri di Iside e Serapide
520 Indice del volume

309 f) Misteri di Mitra


309 5. Lo gnosticismo
3io m . Bibliografìa

Parte terza
BIBBIA E LETTERATURA
Luis Alonso Schokel, Jesus Asurmendi
Fiorentino Garcia Martinez, José Manuel Sdnchez Caro
C a p ito lo x iii
3I 5 La Bibbia come letteratura
3^5 1. Dimensione letteraria della Bibbia
(Luis Alonso Schokel)
31 ^ 1 . L ’Antico Testamento
316 a ) Stilemi, principalmente nella poesia
318 b) Corpi letterari
3*1 c) L ’opera singola
3 X4 d) Il problema ermeneutico
32-5 z. Il N uovo Testamento
326 3 . Bibliografia r
327 11. Il contesto letterario
dell’Antico Testamento
(Jesus Asurmendi) -
328 1. Egitto ,
330 2. Mesopotamia
33* 3. Ugarit
333 4. Altri testi
334 5. Bibliografìa
334 in . Il contesto letterario
del N uovo Testamento
(Fiorentino Garcia Martinez)
335 1. La letteratura apocrifa
335 a) Apocrifi composti in ebraico o in aramaico
338 b) Apocrifi di lingua originale incerta
339 c) Apocrifi redatti in greco
340 2. La letteratura qumranica
34° a) Regole
34i b) Interpretazione biblica
342 c) Testi poetici e liturgici
34* 3. La letteratura targumica
343 4. La letteratura rabbinica
343 a) Midrashim
344 b ) Mishna
345 c) Tosefta
345 d ) Talmud
346 5. Traduzioni greche della Bibbia
346 6. Storiografi, poeti, filosofi
346 a) Storiografi
347 b) Poeti
347 c) Filosofi
Indice del volume 521

34 8 7- Flavio Giuseppe
349 8. Filone di Alessandria
35° 9. Bibliografia
35i iv. Generi letterari nella Bibbia
(]osé Manuel Sànchez Caro )
35z 1 . Teoria dei generi letterari
35 3 2. 1 generi letterari nella Bibbia
353 a) Descrizione
354 b) Caratteristiche
35 5 c) Terminologia e criteri di classificazione
35 5 3. I generi letterari nell’Antico Testamento
356 a) Legge (Torà)
357 b) Profeti
358 c) Scritti
359 4. Le forme letterarie piu semplici
dell’Antico Testamento
360 a) Narrazione
362 b) La letteratura profetica
362 c) Cantici
3^3 d) Le letteratura sapienziale
364 5. Formule stereotipate
364 6. I generi letterari nel N uovo Testamento
365 a) Vangelo
3^5 b) Atti
3 66 c) Lettere
367 d) Apocalisse
367 7. Forme letterarie più semplici nel N uovo Testamento
367 a) N ei vangeli
3 é8 b) Nelle lettere
369 8. Formule
369 9. Bibliografìa

Parte quarta
IL TESTO D E L L A B IB B IA
Julio Trebolle Barrerà e Bruno Chiesa
C a p ito lo x iv
376 Lingue e scritture bibliche
37 6 I. Le lingue della Bibbia
376 1 . L ’ebraico
38O 2. L ’aramaico
38l 3. Il greco
38 3 4. Bibliografia
38 3 II. L a scrittura nell’ Oriente antico e nella Bibbia
384 1. Le iscrizioni
38 4 a) Iscrizioni ebraiche
38 5 b ) Iscrizioni moabitiche, ammonite
e aramaiche
38 5 2. La scrittura nell’Oriente antico e in Grecia
385 a) Mesopotamia
522 In d ic e d e l v o lu m e

385 b) Egitto
386 c) Siria e Palestina
388 d) Grecia
389 3 . M a te r ia l i s c r itto r i
389 a) Pietra
389 b) M etallo
390 c) Argilla
390 d) Ostraca
390 e) Papiro
391 f) P e rg a m e n a
391 4. Il rotolo e il codice nell’ antichità
39i 5. B ib lio g ra fia

C a p ito lo x v
394 Testo e critica testuale dell’Antico Testamento
394 1. Il testo ebraico e aramaico
dell’Antico Testamento
394 1. Edizioni moderne (xx secolo)
395 2. Prime edizioni a stampa (xv-xv n secolo)
39<S 3 . 1 masoreti e la tradizione manoscritta
dal x ix secolo
396 a) La masora
397 b) F is s a z io n e d el te s to v o c a l i c o
399 4. Il testo consonantico ( 7 0 - 1 5 0 d.C.)
401 5. Pluralismo testuale ebraico
(300 a.C. - 70 d.C.)
402 a) I manoscritti del M ar M orto
40 3 b) I testi locali
404 6. Dalla trasmissione del testo
all’edizione e redazione dei libri biblici
407 7. Il Pentateuco samaritano
408 H. La versione greca dei L X X
4x0 1 . Edizioni moderne (xix e x x secolo)
410 2. Prime edizioni a stampa (xvi e XVII secolo)
I ' f ■

410 te s ti m a n o s c r itti
411 4 . T e o r i e su lla s t o r i a del te s to
e suirorigine della versione dei L X X
412 5. Le recensioni dei L X X
41 3 a) Origene 1
414 b) Esichio
4 15 c) Luciano
4tó 6. Precedenti revisioni dei L X X
416 a) Simmaco
4r7 b) Aquila e i suoi predecessori
4 18 c) Teodozione e la recensione
post-teodozioniana
4T9 7. La versione originale dei L X X
419 a) Caratteristiche della traduzione
421 b) L ’originale ebraico dei L X X
421 c) La versione dei L X X come opera di esegesi
Indice del volume 5 Z3

42,3 in. Versioni aramaiche delPAntico Testamento


4M 1. T a r g u m del Pentateuco
4M a) Il targum palestinese
4 z5 b) Il T a r g u m Onqelos
4 2 .5
z. T a r g u m ai Profeti
4 z5 3. T a r g u m agli Scritti
4Z6 4 . Importanza delle versioni targumiche
4z 6 iv. La critica testuale delPAntico Testamento
4Z7 1. Modifiche intervenute nella trasmissione
del testo delPAntico Testamento
42.7 a) Modifiche accidentali o errori dei copisti
428 b) Modifiche intenzionali
42-9 z. Dati per Panalisi critica
4Z9 a) I manoscritti biblici
430 b) Le versioni antiche
431 c) Le citazioni delPAntico Testamento
43i 3. Principi e metodi della critica testuale
433 4 . Critica testuale e critica letteraria
433 5. Critica testuale e filologia semitica comparata
434 6 . Esempi di critica del testo
435 7. Bibliografia

Capitolo xvi
437 Testo e critica testuale del N u o v o Testamento
437 I. Il testo greco del N u o v o Testamento
437 1. Situazione e problematica
438 z. Il testo a stampa del N u o v o Testamento:
textus receptus
440 3. Edizioni critiche moderne
441 4. L ’indagine m o d e r n a sul testo del N u o v o Testamento.
Teorie e metodi
445 5 . 1 manoscritti del N u o v o Testamento
445 a) Papiri
447 b) Manoscritti in caratteri onciali
448 c) Manoscritti in caratteri minuscoli
449 d)Lezionari
449 6. Versioni del N u o v o Testamento
450 7. Citazioni patristiche
451 8. Classificazione dei differenti testimoni
secondo il tipo di testo riprodotto
45 2 ­ 5?. Natura dei diversi tipi di testo
453 11. La critica testuale del N u o v o Testamento
454 1. Errori nella trasmissione testuale
del N u o v o Testamento
454 a) Modifiche accidentali
455 b) Modifiche intenzionali
4 56 z. Criteri e metodi
per la scelta della lezione corretta
457 a) Critica esterna
458 b) Critica interna
5*4 (ridice del volume

459 c ) Eclettismo
461 d) Bibliografia
462 3. Esempi di critica del testo
C a p ito lo x v i i
464 Versioni dell’Antico e del N uovo Testamento
464 t. Le versioni antiche
464 1 . Versioni latine
464 a) La Vetus Latina
466 b ) La Vulgata
467 c) Valore della Vulgata
468 d) Storia successiva della Vulgata
4 69 e) Bibliografia
469 2. Versioni siriache
4Ò9 a) Vetus Syra
47i b) Pesh itta
47* c) La versionefilosseniana
47* d) La versionesiro-palestinese
47* e) La versionesiro-esaplare delPAntico Testamento
473 f) La versioneharcleense
473 g) La versione di Giacomo di Edessa
473 3. Altre versioni antiche
473 a) Versioni copte
474 b) L a versione gotica
475 c) La versione armena
475 d) La versione georgiana
476 e) La versione etiopica
476 f) Versioni arabe
476 g) La versione slava
477 li. Versioni medievali e moderne
478 in. La Bibbia in lingua italiana
(.Bruno Chiesa)
478 1. Dalle origini alla stampa
481 2. D all ’editio princeps al concilio di irenro
491 3. Dal concilio di Trento
alla traduzione di Antonio Martini
499 4. Dal Martini ai giorni nostri
PER CONTO D ELLA PA ID EIA ED ITRICE
COM POSTO DA A. FUSI & C. (NUVOLENTO)
E STAM PATO DA ITALG R AF (CELLATICA)
BRESCIA, M ARZO 1994
Il volume primo d eli' Iniroduzione allo studio delia Bibbia
fornisce tutti gli elementi storici e letterari
indispensabili per un primo approccio agli scritti che compongono
opere tanto eterogenee e distanti (per tempi e culture),
quali sono la Bibbia ebraica e il Nuovo Testamento.
A due parti storiche - dedicate la prima alla geografia e all'archeologia
palestinesi fino all'età ellenistica, la seconda alla storia
e alle istituzioni dell'Israele biblico e della Palestina giudaica
- tanno seguito due parti letterarie e filologiche.
Di queste, l'una ha per oggetto la Bibbia come fatto letterario,
l'altra il testo biblico: quello ebraico dell'Antico Testamento
e quello greco del Nuovo Testamento
(con le loro numerose versioni antiche).
L'opera si conclude con un lungo capitolo sulle traduzioni
della Bibbia in lingua italiana dal XIV secolo ai giorni nostri, steso
appositamente per questa edizione.
Per la sua forma sempre piana ed efficace,
questa nuova Iniroduzione allo studio della Bibbia si propone
non solo come manuale per le facoltà teologiche
e ogni altro istituto di livello universitario,
ma anche come opera di consultazione per chiunque desideri
un'informazione di base aggiornata sui problemi cui si trova di fronte
lo studio della Bibbia.

ISBN 88.394.0510.0 Lire 68.000

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