Supplementi
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Paideia Editrice
Hans Hiibner
Teologia biblica
del Nuovo Testamento
vol. II
La teologia di Paolo
e la storia dei suoi effetti
nel Nuovo Testamento
Paideia Editrice
Titolo originale dell'opera:
Hans Hiibner
Biblische Theologie des Neuen Testaments
Band 2.Die Theologie des Paulus und ihre neutestamentliche Wirkungsgeschichte
Traduzione italiana di Paola Florioli
PARTE SECONDA
Teologia biblica degli scritti neotestamentari
(mesolegomeni)
Introduzione
Capitolo primo. Citazioni e allusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
l. Le f ormulae quotationis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
2. Citazioni e midrash . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
3. La critica testuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 5
4. Le allusioni e il problema ermeneutico-teologico di citazioni e
allusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26
Capitolo secondo. La teologia di Paolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
r. L'apostolo teologante e il teologo argomentante . . . . . . . . . . . 35
2. La biografia di Paolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
3. Le lettere di Paolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
a) La prima lettera ai Tessalonicesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
L'argomentazione nella prima lettera ai Tessalonicesi . . . . . 50
La :eolo~ia della prima lettera ai Tessalonicesi: essere davan-
ti a Dio........................................ 57
b) La lettera ai Galati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
Argomentazione e teologia nella lettera ai Galati . . . . . . . . . 67
La teologia della lettera ai Galati: essere davanti a Dio ed es-
sere in Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l 27
e) La prima lettera ai Corinti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . l 29
I Cor. l-4: theologia crucis - theologia verbi crucis. . . . . . . . l 30
Sguardo retrospettivo su I Cor. l-4 . . . . . . . . . . . . . . . . . l 59
I Cor. 5-7: lesistenza corporea del cristiano . . . . . . . . . . . . l 62
I Cor. 8-10: la libertà e i suoi limiti .................... 178
16 Indice del volume
TEOLOGIA BIBLICA
DEGLI SCRITTI NEOTESTAMENTARI
(MESOLEGOMENI)
INTRODUZIONE
prima affermato, e questo per non essere troppo affrettati nel classifica-
re ciò che è nuovo, magari inusitato, in ciò che è stato acquisito prece-
dentemente ed è divenuto ormai usuale.'
Il rapporto teologico con l'Antico Testamento di gran parte degli au-
tori neotestamentari emerge con maggior evidenza nelle citazioni scrit-
turistiche formali. L'intento teologico che anima tali autori si può de-
durre ampiamente da queste citazioni. Ma non soltanto il contenuto del-
le citazioni, bensì anche le formule con cui esse vengono spesso intro-
dotte, le formulae quotationis, esprimono in molti casi l'intento teologi-
co di ciascun autore - talvolta addirittura in maniera programmatica. Si
tratta, anche se ovviamente in modo diversissimo, di espressioni di spic-
cata concettualità teologica e considerevole forza espressiva teologica.
Se dai testi neotestamentari si togliessero gli elementi veterotestamen-
tari, gran parte di essi perderebbero visione e peso teologici.
Tuttavia vanno prese in considerazione anche le allusioni, benché sia-
no più difficili da verificare.Non è sempre possibile determinare con cer-
tezza se un parallelo veterotestamentario, che noi indichiamo come tale,
sia stato introdotto anche dall'autore neotestamentario come allusione
consapevole. Dobbiamo pensare infatti che situazioni ed enunciati del-
]' Antico Testamento dovevano essergli tanto familiari da entrare di con-
tinuo e quasi automaticamente in quanto andava esponendo.' Dovremo
dunque attribuire un peso teologico anche a quelle allusioni tratte dalla
Scrittura che magari non sono state inserite consapevolmente. Esse in-
fatti mettono comunque in luce un qualche aspetto del pensiero e del-
!' orizzonte teologico di ciascun autore neotestamentario. Nelle nostre
ricerche, tuttavia, alle citazioni formali dovrà essere dato un peso mag-
giore, poiché è in esse, più che nelle allusioni, che di solito è espresso
più chiaramente l'intento teologico dello scrittore neotestamentario. Bi-
sogna dunque verificare come e in quale misura l'argomentazione di cia-
scun autore, con l'aiuto di citazioni e allusioni veterotestamentarie, met-
ta a disposizione elementi per l'argomentazione teologica dei relativi
scritti neotestamentari.
Ma se parliamo di argomentazione ecco spuntare un altro aspetto im-
portante. L'argomentazione, infatti, acquista rilevanza particolare pro-
prio all'interno di unità concepite retoricamente. È vero, attualmente è
controverso come e quanto gli autori neotestamentari abbiano fatto ri-
corso alla retorica antica.Nella ricerca neotestamentaria, tuttavia, dovreb-
I. Nel suo corso su Holderlin nel semestre invernale 1941/42, Martin Heidegger pre-
sentò questa idea del consueto, categoria da cui ben difficilmente ci separiamo e nella
quale collochiamo l'inconsueto; a suo parere, è per questo motivo che occorre fare co-
sì tanta strada prima di riuscire a diventare ascoltatori, Gesamtausgabe n/52, I.
2. Riguardo al problema teologico ed ermeneutico delle allusioni (ma anche delle ci-
tazioni) v. § 4.
Introduzione 2!
CITAZIONI E ALLUSIONI
r. Le f ormulae quotationis
nato come colui che parla. Nel corpus Paulinum xa-&wç dm:v 6 -&i::oç, 2
Cor. 6,16, è al singolare. Ma questa citazione fa parte di un'interpolazio-
ne. In tutti e undici i casi, nel Nuovo Testamento ÀÉyi::t xupwç è parte
integrante della citazione stessa, oppure costituisce un'aggiunta alla cita-
zione apportata dall'autore neotestamentario. 3
Un caso a parte è rappresentato dalle formulae quotationis delle cita-
zioni di riflessione o di compimento di Mt., Zva/ortwç ('to'ti::) rtÀ"f]pw-&n
(btÀ"f]pW-&"f]) 'tÒ p"f]-&Èv (urtò xupiou) òtà 'toli 7tpocp~'tou ÀÉyonoç ecc., fon-
damentali per la sua concezione teologica; le citazioni di compimento di
Gv., altrettanto rilevanti dal punto di vista teologico, sono formulate in
modo meno stereotipo. 4 Specifici di Mt. sono anche i passi scritturistici
del cap. 5 introdotti da Yjxoucra'ti:: O'tt ÈppÉ-&"f] (àpx.doiç) e proposti in an-
titesi o annullati. A ÈppÉ-&"f] si può paragonare il rabbinico ne'emar. 5
Apoc. è piena di allusioni veterotestamentarie, ma non vi figura alcu-
na citazione formale. Per questo motivo in essa non vi sono neppure
espressioni che introducono citazioni. Solamente in Apoc. l 5,3 con xai
~òoucrtv 't·~v 0ò~v MwucrÉwç 'tou òouÀou 'toli -[holi xat (!) "'~" 0ò~v 'toli àp-
viou ÀÉyov'ti:;ç viene introdotto un cantico composto con elementi vete-
rotestamentari. Vi è una certa difficoltà data dal fatto che mentre Apoc.
15,3 fa necessariamente pensare a Es. 15,1, tale passo non è affatto citato
in Apoc. l 5,3 s., ed anzi il cantico è in contrasto con lo spirito di Es. l 5.
Tale difficoltà induce R.H. Charles a supporre che la menzione di Mosè
in Apoc. l 5,3 sia solo una glossa marginalc. 6
Talvolta un'unica formula quotationis introduce combinazioni di ci-
tazioni (accostamento di due o più passi biblici) o citazioni miste (ove
in una sentenza biblica rientrano anche elementi di un altro passo). 7 En-
trambi i fenomeni non sono tipici dcl giudaismo, e quindi è improbabile
che siano stati ripresi dall'esegesi giudaica.
2. Citazioni e midrash
Certamente l'esegesi giudaica nel midrash conosceva la combinazione
di passi biblici che si interpretano vicendevolmente. Tuttavia fino a oggi
nello studio sul giudaismo (R. Bloch, J.W. Doeve, R. Le Déaut, G. Ver-
mes, A.G. Wright) non si è ancora raggiunto l'accordo per quanto ri-
guarda il concetto di midrash. È difficile giudicare nei singoli casi in che
misura determinati generi del midrash come, ad esempio, il midrash dei
3. La critica testuale
Sebbene la maggior parte degli autori neotestamentari citi l'Antico
Testamento secondo i LXX, e solo in certi casi si possa seriamente pen-
sare a un ricorso ali' originale ebraico, ad esempio per alcune citazioni di
compimento di Mt., si riscontrano di continuo delle differenze tra il te-
sto dei LXX e la citazione neotestamentaria. Secondo l'ipotesi di Paul
Kahle, la storia dei LXX non inizia con un testo originario che nel corso
del tempo subisce alterazioni ma anche recensioni, bensì con svariate
traduzioni targumiche dai testi ebraici in volgare al greco. 12 Tale ipotesi,
tuttavia, non riuscì a imporsi, e oggi, con Dominique Barthélemy, Robert
Hanhart e altri studiosi dei LXX, bisognerebbe forse pensare a continue e
costanti recensioni del testo dei LXX per far coincidere nel contenuto la
22. Steiner, Vere presenze, Milano 1998('1992), 17 s. 23. Op. cit., 18 ss.
24. Op. cit., 20. 2 5. I bid. 26. Op. cit., 2 r. 27. Ibid.
Il problema ermeneutico-teologico di citazioni e allusioni 33
docenti universitari «moderni» che ne defraudano alunni e studenti, pri-
vandoli così di una proprietà intellettuale-, incoraggiando anche l'ascol-
tatore o il singolo lettore a imparare a memoria una poesia o un brano
musicale. 28
A Steiner preme dunque ribadire che un'opera d'arte non può essere
spiegata con un'analisi astratta. Il suo contenuto infatti può essere com-
preso solo se viene ri-eseguito,2 9 in questo modo trasformandoci e ar-
ricchendoci. Se entra in gioco lo scambio tra «noi» e ciò che sa il cuore
allora, stando all'ermeneutica di Steiner, nel momento in cui il nostro
cuore diventa un cuore che sa, noi stessi diveniamo persone che com-
prendono. Ma ciò che egli asserisce a proposito dell'arte è vero a fortiori
per quello che afferma il «testo» della rivelazione di Dio, per quello che
Dio esprime nel suo testo. La comprensione artistica diviene così equi-
valente alla comprensione di fede. Infatti, ciò che Dio dice - in quanto
soggetto rivelante e insieme oggetto che qui si rivela - è esattamente ciò
che in fondo solo il cuore può sapere. Anche qui la «supremazia dcl se-
condario e del parassita» è negativa. Certo, per la teologia in quanto
scienza non sarà mai inutile dedicarsi a ciò che è «secondario». E anzi
indispensabile che vi sia un lavoro teologico che non sia comunque ri-
flessione diretta della fede. Altrettanto necessaria è un'esegesi che per
gradi riconduca dal carattere indiretto a quello diretto. Ma l'esegesi co-
me scienza teologica sa di essere, nel più profondo, &l;ayaye:iv di «testi»
che costituiscono il linguaggio della rivelazione. Gv. r, r 8 resta il punto
di riferimento teologico centrale di ogni «esegesi» neotestamentaria: ixe:i-
voç il;l]y~craw. L'esegesi deve anche portare - per dirla con George Stei-
ner - a imparare a memoria i testi biblici, che di conseguenza devono svi-
luppare un'efficacia nella nostra coscienza. Se il carattere diretto della vi-
ta divina è ciò a cui in fondo mira l'esegesi - ovviamente non tutte le ini-
ziative esegetiche possono perseguire direttamente questo intento - al-
28. Op. cit., 22 s.: «Imparare a memoria, par coeur, significa offrire al testo o alla mu-
sica una chiarezza e una forza vitale permanenti ... Ciò che sappiamo par coeur, nel
nostro cuore, diventa parte attiva della nostra consapevolezza, regola il ritmo della
nostra crescita, di quella diversificazione sempre maggiore che è così vitale per la no-
stra identità. Nessuna esegesi, nessuna critica dall'esterno può farci incorporare così
direttamente i mezzi formali, i principi che organizzano l'esecuzione di un fatto se-
mantico, sia esso verbale o musicale. La precisione nel ricordare e nel richiamare alla
mente non ci permette soltanto di afferrare più a fondo l'opera, ma stabilisce una re-
ciprocità fra noi e ciò che la nostra memoria, il nostro cuore sa. Mentre noi cambia-
mo, cambia anche il contesto che dà forma al poema o alla sonata che abbiamo inte-
riorizzato».
29. Con questo Steiner intende qualcosa di più rispetto a quello che intendeva Wil-
helm Dilthey con la sua ermeneutica della post-comprensione, della condivisione e
dell'imitazione, spiccatamente psicologica su esempio di Schleiermacher; Dilthey,
Die Entstehung der Hermeneutik, 317 s.
34 Citazioni e allusioni
LA TEOLOGIA DI PAOLO
verso o per l'altro della parola apostolica, e dunque anche della riflessio-
ne teologica. Quindi Paolo esercita la sua autorità apostolica anche invi-
tando le sue comunità a considerare insieme a lui e in prospettiva teolo-
gica i problemi che le assillano, esaminandoli a fondo. Di conseguenza
sembra credere che l'autorità che egli riveste gli consenta di esigere che
le sue comunità accolgano senza esitare tale invito a pensare teologica-
mente. In fondo, essendo giunte alla fede esse si sono anche qualificate
per riflettere su questa loro fede e sulle sue conseguenze. Anche se la fe-
de nasce dall'ascolto della predicazione, Rom. lo,17, tuttavia l'esistenza
di fede non è una conseguenza automatica. Le lettere di Paolo mostrano
come una sua caratteristica sia la continua fidem quaerens intellectum.
La comunità deve discernere, òoxqJ.a"çe:t v, Rom. l 2,2. 4
L'annuncio non è teologia, e la fede non è convinzione teologica. Ma
il confine tra annuncio e teologia, tra fede e convinzione teologica, è la-
bile. La stessa predicazione missionaria precedente alla teologia paolina,
che è principalmente un riportare le parole di Dio rivolte all'uomo, ri-
corre di continuo all'argomentazione, non sa rinunciarvi. E una parte
considerevole di questa argomentazione è un richiamo alla Scrittura. La
predicazione missionaria si serve di dimostrazioni scritturistiche. Se que-
sto può essere avvenuto in particolare con la missione ai giudei, lo stes-
so si sarà però ripetuto più volte anche con la missione ai gentili, soprat-
tutto se si trattava di pagani che in quanto timorati di Dio erano già in-
timamente legati al giudaismo o addirittura già proseliti.
Ed è proprio questo argomentare con la Scrittura ad essere costitutivo
per l'argomentazione teologica delle lettere di Paolo. Proprio nei punti
cruciali il ricorso alla Scrittura è di importanza fondamentale per il suo
argomentare teologico. Egli adduce prove scritturistiche, dunque si ser-
ve dell'indiscussa e incontestata autorità della Scrittura senza che questa
scalfisca la sua autorità di apostolo di Dio e di Gesù Cristo, acquisita
dopo la chiamata sulla via di Damasco. Paolo non mette in discussione
il rapporto tra autorità apostolica e autorità scritturistica. Probabilmen-
te non l'ha neanche percepito come un problema, mentre noi, una volta
resi attenti a questo punto, non possiamo più fare a meno di affrontare
tale problematica.
Ora però, come si vedrà, nelle sue lettere Paolo argomenta con com-
petenza retorica. È vero, non sappiamo per quali vie egli abbia potuto
impratichirsi della retorica antica. I suoi anni giovanili e il suo cammino
di formazione, infatti, sono per noi una vasta terra incognita. 5 A tut-
t'oggi, nella ricerca che lo riguarda non si è concordi nel ritenere che
l'apostolo abbia effettivamente studiato a Gerusalemme presso Gama-
6. Bultmann, RGG' IV, 1020 s.; Bornkamm, RGGJ v, 168, propende invece per la sua
formazione a Gerusalemme.
7.Jeremias,Jerusalem, 97 s. (tr. it. 142), parla di 25000-30000 abitanti a Gerusalem-
me. Questa cifra potrebbe anche essere sbagliata per difetto.
8. Jeremias, Pa11l11s als Hillelit. 9. Contrario Hiibner, KuD 19, 2 1 5 ss.
ro. Op. cit., 228 s. r r. Op. cit., 224; v. anche Haacker, War Paulus Hillelit?
12. Personalmente ritengo probabile che abbia studiato a Gerusalemme.
r 3. Deissmann, Paulus, 79; per il rapporto tra Paolo e l'interpretazione rabbinica del-
la Scrittura v. in particolare Ellis, Prophecy and Hermeneutic, 147 ss.
14. Betz, NTS 21, 3 5 3 ss.; successivamente ha rielaborato questa conferenza, tenuta il
I 3 agosto 1974 al Convegno SNTS, Sigtuna (Svezia), facendola diventare l'ampio com-
mento a Galati (Hermeneia).
La teologia di Paolo
mica del pensiero teologico di Paolo, cosa questa indispensabile per riu-
scire a cogliere proprio tale contenuto. La teologia paolina non è un'en-
tità statica! Essa ha origine dal processo teologizzante. Solo presentando
il divenire della teologia, anche e soprattutto nelle singole lettere, diven-
ta accessibile l'intento teologico dell'apostolo. Solo chi percorre con Pao-
lo il cammino spesso faticoso del pensiero teologico comprende vera-
mente cosa sia ad animarlo nel più profondo. Chi si limita a considerar-
ne la forma concettuale finale al solo scopo di consumarla, si ferma alla
superficie teologica. 15
Tuttavia, del divenire bisogna parlare anche in considerazio-
ne della incoerenza di teologie differenti, in parte contraddit-
torie, in lettere diverse. 16 Si mostrerà, ad esempio, che c'è un
divenire della teologia della legge dalla lettera ai Galati alla let-
tera ai Romani. La situazione argomentativa di Rom. è in pri-
mo luogo risultato della storia degli effetti dell'argomentazio-
ne in Gal. Paolo, è vero, mantiene l'idea di fondo della giusti-
ficazione per fede e non per le opere della legge, ma la teologia
esposta in Rom., nella cui cornice si riflette in modo nuovo l' an-
nuncio della giustificazione, si è modificata sensibilmente. C'è
quindi anche un divenire della teologia paolina che va inteso
come sviluppo progressivo di un qualcosa che era stato pensa-
to ed esposto in precedenza, ovvero come sviluppo che ha su-
bito notevoli modifiche e correzioni dovute al fatto che Paolo
2. La biografia di Paolo
Riguardo alla biografia di Paolo, basti qui accennare a ciò che è stret-
tamente indispensabile per presentare la teologia (o le teologie) delle sue
lettere. In ordine cronologico, sono considerate lettere autentiche: I Tess.,
Gal., I e 2 Cor., Rom. L'ordine cronologico di Fil. e Film., anch'esse
autentiche, non può essere stabilito con certezza. Ma più della cronolo-
gia assoluta delle lettere è importante quella relativa, soprattutto la prio-
rità di Gal. rispetto alla corrispondenza corinzia. È da questa classifica-
zione cronologica, infatti, che dipende il tipo di valutazione che si dà
allo sviluppo teologico di Paolo. Coloro che sostengono la priorità cro-
nologica delle lettere ai Corinti rispetto a Gal. adducono come ragione
fondamentale il fatto che solo in Gal. e Rom. viene esposta esplicitamen-
te la teologia paolina della giustificazione, e quindi le due lettere dovreb-
bero essere state scritte in tempi ravvicinati; I e 2 Cor. mostrerebbero
comunque abbozzi di questa teologia.' A sostegno della priorità crono-
logica di Gal. rispetto alle lettere ai Corinti si potrebbe invece far pre-
sente che, mentre Gal. proibisce categoricamente di sottostare alla torà
per quanto riguarda questioni fondamentali, in I Cor. 8 e in Rom. 14 e
17. Certo non è qui possibile discutere tutto il problema della teoria moderna dell'ar-
gomentazione. Accenniamo solo alla Theorie der Argumentation, ed. M. Schecker.
1. V. in particolare Borse, Der Standort des Gal. Con Paolo l'apostolo dei popoli, Jiir-
gen Becker ha presentato un progetto imponente sullo sviluppo teologico di Paolo in
linea con la priorità cronologica di 1 e 2 Cor. rispetto a Gal.
La teologia di Paolo
3. Le lettere di Paolo
È opportuna una breve premessa sulla forma adottata per presentare
la teologia paolina. Come già si è accennato, il principio seguito è quello
ram Dea escatologico: E!J-7tpocr./J.ev 't'ou ./J.eou xctl 7tct-rpòç l]µwv: chi esiste nel-
la fede, sa di esistere al cospetto di Dio. E chi è consapevole di questo suo
essere coram Dea necessariamente guarda al giorno del giudizio, che per
il cristiano è giorno di salvezza. In relazione a ciò, la sezione si conclude
con la prospettiva escatologica di r,10. l,9 s. riprende come è noto la ter-
minologia missionaria (giudaica e cristiana). 3 Ma queste espressioni
«dogmatiche» non vengono presentate come dogmatica: i cristiani di Tes-
salonica non hanno bisogno di un insegnamento dogmatico. Tali parole
devono piuttosto attestare che la loro fede è conosciuta ovunque. Ma ciò
dà innanzitutto l'occasione a Paolo di accennare al proprio arrivo, etcr-
oooç, presso i tessalonicesi. Essendo stato lui a farne dei credenti nel sen-
so di l,9 s., i cristiani di tutta la Macedonia, dell'Acaia e non solo parla-
no di questo suo arrivo.
Stando a l,2-10 dunque I Tess. già nel primo capitolo sembra essere
un tipo di lettera appartenente al genus demonstrativum, quello che ser-
ve a lodare o a biasimare - nel caso presente è di lode che si tratta. 4 Che
questo non avvenga ai fini di una captatio benevolentiae lo dimostra lo
svolgimento dell'intera lettera. Tuttavia classificare I Tess. come lettera
epidittica contrasta co.n la circostanza fornita da 4,13-18 e 5,1-1 l, in cui
vengono date informazioni teologiche, ossia informazioni riguardanti
questioni escatologiche, benché non si possa non vedere una certa fina-
lità esortativa. 5 Se dunque anche la frase escatologica alla fine dell'unità
r,2-ro può già trovare una spiegazione nel coram Dea escatologico di
1,3, allora l'accenno che viene fatto in l,10 a «Gesù, che ci strapperà dal-
l'imminente giudizio d'ira» potrebbe già preparare all'insegnamento esca-
tologico di 4,13 ss. La sezione epidittica l,2-10, allora, con grande pro-
babilità punta anche all'insegnamento, all'informazione relativa a un con-
testo teologico. Tuttavia più avanti indicheremo con maggior precisione
come sia da classificare retoricamente 4, l 3 ss.
Al rendimento di grazie fa seguito l'apologia di 2,1-12. È controverso
proprio riguardo alle lettere paoline, resta tuttora un desiderio della ri-
cerca.15
Generalmente in I Tess. 4 e 5 si individua la seconda sezione princi-
pale della lettera. 16 Di sicuro il Àomòv oùv iiÒEÀ<pot in 4, r segna palese-
mente l'inizio di una nuova sezione all'interno della lettera. 17 Al tempo
stesso però con la parenesi che comincia in 4,r si dà continuazione alle
proposizioni esortative individuabili in precedenza, anche se ovviamen-
te tale nuova parenesi, contrariamente alle asserzioni che la precedono,
si serve di affermazioni più dettagliate. L'espressione 7tapax.aÀolifJ-EV, che
introduce la sezione, era già stata impiegata da Paolo in 2, r 2 in una for-
mulazione programmatica, dopo che in 2,3 aveva già definito il proprio
annuncio una 7tapax.ÀryJtç. A Tessalonica Timoteo aveva il compito di
crTYJpt~at UfJ-iiç x.at 7tapax.aÀÉcrm, 3,2. Ora però quella che è la volontà di
Dio viene esposta in modo più approfondito e concreto. È definita san-
tificazione, àytacrfJ-oç, 4,3, e ad essa i tessalonicesi sono stati chiamati da
Dio. Il x.aÀE~ v, già noto da 2, r 2, in 4,7 riceve un accento etico. Dio ha
chiamato gli uomini nel suo regno e nella sua gloria, dunque li chiama
anche alla santificazione. E proprio in questo contesto Paolo riprende
un'affermazione centrale del profeta Ezechiele (Ez. 36,27; 37,14), anche
se solo indirettamente in una negazione: chi rifiuta una vita nella san-
tificazione rifiuta Dio stesso, «che vi dona il suo santo Spirito», ÒtÒona
"t"Ò 7t\IE:up.a aÙ"t"o(i "t"Ò aywv EÌç i'.ip.iiç, 4,8.
Qui dunque non abbiamo alcuna citazione formale, né tantomeno una
formula quotationis. Quando Paolo, così en passant, inserisce un'espres-
sione veterotestamentaria in ciò che sta esponendo, naturalmente è pos-
sibile che lo faccia senza dare per scontata la conoscenza dell'Antico Te-
stamento da parte dei suoi destinatari. Ma non potrebbe invece essere
che abbia inserito l'allusione così di sfuggita proprio perché contava sul
fatto che i tessalonicesi conoscevano bene il teologumeno di Ezechiele,
importantissima affermazione profetica della sacra Scrittura? Ad ogni
modo in I Tess. si parla ripetutamente dello Spirito, e in passi di impor-
tanza non secondaria (già in 1,5). A ciò si aggiunge che l'apostolo, il
quale già con r,9 s. aveva citato non solo il kerygma specificamente cri-
stiano, ma anche alcuni topoi della missione giudaica, in 4,5 riprende
una delle parole chiave della polemica giudaica contro i pagani, Ger. ro,
2 5: "t"a' "O '!''
e:vVYJ "t"a' fl- "YJ' e:too"t"a "t"O\I (\ ' 18 Ma se anc h e p ao 1o non d ovesse
' vEov.
22. Riguardo a questi capitoli v. soprattutto W. Zimmerli, BK.AT xm/2, 869 ss.
60 La teologia di Paolo
b) La lettera ai Calati
Argomentazione e teologia nella lettera ai Calati
Per l'argomentazione teologica di Gal. 1 sono fondamentali le citazio-
dalla legge: l'invito all'agape non viene fatto perché trova sostegno nella legge, ma
perché corrisponde alla realtà della chiesa, realtà nuova, escatologica, creata da Dio.
Anche se la libertà dalla legge non diventa un tema vero e proprio, I Tess. è «una
chiara prova dell'annuncio dcl vangelo libero dalla legge, portato dall'apostolo», op.
cit., 198. Ma se Paolo non vede ragione per difendere e motivare la libertà dalla legge,
tuttavia la dà per scontata. «È decisivo che (già) I Tess. veda nella morte e risurrezio-
ne di Gesù la manifestazione escatologica della volontà salvifica di Dio, impostando
su di essa tutta la teologia». Già nella teologia della giustificazione e in quella battesi-
male precedenti a Paolo sono poste le basi per negare un'importanza salvifica della
legge, op. cit., 199. Soding ha visto giusto soprattutto quando afferma che la differen-
za fondamentale tra le lettere principali consiste nel fatto che l'azione del kyrios e
quella del pneuma non vengono messe direttamente in relazione l'una con l'altra, e
che anche indirettamente il loro legame è pressoché inesistente, op. cit., 191, con Thii-
sing, Gott 1md Christus in der paulinischen Soteriologie 1, 291. Con Thiising e Soding
bisogna riconoscere anche che il primato della teologia è caratteristico dell'annuncio
paolino di I Tess. (e delle lettere principali), Thiising, op. cit., passim, e Soding, op.
cit., 189. V. anche Horn, Das Angeld des Geistes, 119-160, spec. 147 ss. A proposito
di Peter Stuhlmacher, Bibl. Theol. des NT I, 333: non è un equivoco da poco quello
di classificarmi tra i sostenitori dell'opinione secondo la quale solo in seguito alla con-
troversia in Galazia Paolo è giunto all'annuncio della giustificazione dell'empio. Per-
sonalmente, a varie riprese ho confutato proprio tale concezione, respingendo di con-
tinuo l'equivoco, che qui incontro di nuovo, riguardante la mia ipotesi sullo sviluppo
della teologia paolina. Già nel 1980, in NTS 26, 445 ss., avevo tentato di dimostrare
come Gal. vada intesa nella continuità di I Tess., ossia come configurazione polemica
della sostanza teologica già racchiusa in I Tess. (op. cit., 458).
48. A dire il vero dovrebbe sorprendere quanto poco sia presa in considerazione pro-
prio nei commenti a I Tess. l'espressione è:p.r.pocr-BEv -roii &oii xal r.a-rpÒç 'iiiJ.ttJ'I. Agli
esegeti interessa principalmente la correlazione logica tra le parti della proposizione;
ed è proprio questo l'aspetto su cui riflettere. James Everett Frame, ICC, 77, riman-
da, ad es., al suo significato escatologico, ma non degna della minima attenzione la
sua profonda dimensione teologica. Traugott Holtz, che per il resto interpreta il testo
in modo eccellente e informa sui problemi esegetici, nel suo commento non si cura
affatto di un'interpretazione contenutistica di questa parte di I Tess. 1,3. Lo stesso
Ernst von Dobschiitz, KEK, 67, ne dice tanto poco da risultare insoddisfacente.
I. Una trattazione separata di argomentazione e teologia come per I Tess. non è ne-
cessaria per Gal., perché presentando la struttura argomentativa della lettera si evi-
denzia al contempo anche ciò che è importante della sua teologia.
68 La teologia di Paolo
12. Anche Bultmann, Theol., 49 (tr. it. 40), ritiene che già all'interno della chiesa
primitiva, «e neppure della primissima», in Is. 53 si fosse trovata una profezia riguar-
dante la passione di Gesù.
13. Ai fini di questa discussione è irrilevante se nella primissima epoca cristiana ls. 53
fosse già interpretato in senso messianico da parte giudaica, come più tardi è lettera-
riamente documentabile in Tg. Is. in un marcato messianismo della gloria. Che nel
servo di Dio del Deutero-Isaia si scorgesse una figura messianica o meno, per la no-
stra ricerca è irrilevante, dal momento che per noi la questione cruciale è un'altra: i
primi cristiani riconoscevano nella figura sofferente e gloriosa di Is. 53 quel Gesù di
N azaret venuto a portare la salvezza? Per la nostra problematica il titolo di messia in
quanto tale è secondario.
14. Così ad es. Conzelmann, Theologie des Neuen Testaments, 55 n. 6 (tr. it. 83 n. 6);
Deichgraber, Gotteshymnus und Christushymnus, 113 n. 2; Popkes, Christtts tradi-
tus, 197; Roloff, NTS 19, 43; Betz, Herm., 94 s.; B. Corsani, Lettera ai Calati (Com-
mentario storico ed esegetico all'A. e al N.T., NT 9), Genova 1990, 59 s.
15. Se anche questi passi sono stati composti dopo la redazione di Gal. e dunque bi-
sogna tener conto di uno sviluppo teologico di Paolo non irrilevante, tuttavia non vi
sono serie ragioni per supporre una elaborazione che dal messaggio di un'attività so-
teriologica di Gesù giunga a quello di un'attività soteriologica di Dio.
Le lettere di Paolo 71
In Gal. l,4, l'enunciato conclusivo successivo all'allusione a Is. 53, «al
fine di strapparci dal secolo presente», può essere inteso come indizio
della situazione dei destinatari? Forse Gal. 4,8-1 l fornisce un'indicazio-
ne al riguardo: accettando il vangelo di Cristo i galati hanno sperimenta-
to, hanno conosciuto, la libertà da quegli elementi del mondo che ridu-
cono in schiavitù (Gal. 4,J.8 s.). Se questo dovesse essere vero, allora il
titolo soteriologico del prescritto non resterebbe chiuso nell'ambito di
una teoria teologica speculativa. In tal caso, infatti, in l ,4 Paolo avrebbe
molto semplicemente iniziato a parlare della situazione esistentiva dei
destinatari. Comunque, qualunque sia qui il giudizio, in ogni caso già
nel prescritto Paolo ha fatto una dichiarazione teologicamente fondamen-
tale che, evidenziando il tema della lettera come soteriologicamente
definito, fa ricorso ali' Antico Testamento.
Ma allora, perché Paolo non riporta le parole di Is. 53 come citazione
formale? Solo perché dal punto di vista formale questo non rientra in
un prescritto? Certo è possibile, dato che procede allo stesso modo an-
che con quello di Rom. Ma è possibile anche un'altra supposizione sul
motivo per cui in Gal. r,4 Paolo non cita formalmente Is. 53, supposi-
zione che è importante proprio ai fini della nostra argomentazione: la
formula cristologica di Gal. I,4 con la sua ricezione di Is. 53 era in mi-
sura tale patrimonio comune dei primi cristiani che Paolo non ha avuto
nessun bisogno di richiamarne l'attenzione sul testo. 16 Poiché la formula
soteriologica composta con parole tratte da Js. 53 era comunemente ac-
cettata, in particolare dai contromissionari giudaizzanti e certo anche
dai galati, Paolo poté inserirla abilmente nel prescritto della lettera. Il
carattere di formula è particolarmente adatto proprio dove un'argomen-
tazione viene sviluppata di fronte a un pubblico, anche religioso.
Ma mentre affermazioni molto probabilmente centrali di Is.
53 riguardanti l'enigmatico servo di Dio confluivano in una
formula cristologica, 17 il kerygma cristiano attribuì loro un
nuovo punto di riferimento. Ora Is. 53 diventava un messag-
gio relativo al messia Gesù di Nazaret. In questo modo Is. 53
si colloca nel definitivo sistema teologico di coordinate della cri-
stologia neotestamentaria. Il giusto sofferente di Is. 53 ora è
16. V. anche H. Lietzmann, HNT xo, 4: «I vv. 4-5 offrono un ampliamento singolare
rispetto a ciò che di solito è l'indirizzo di saluto standard, e in questo ricordano Rom.
1,2-4: in modo molto conciso riportano infatti il contenuto dell'annuncio evangelico.
Poiché, per quel che ne sappiamo, questa formulazione non è stata contestata neppu-
re dagli avversari, qui non si potrà supporre un intento polemico diretto».
I!· Riguardo alla questione ancora non dcl tutto risolta relativa alla comprensione
giudaica di allora relativa al servo di Dio nel Deutero-Isaia cfr. Haag, Der Gottesknecht
bei Dt-]es, 34 ss.
72 La teologia di Paolo
22. L'exordium di Gal. offre ben poche informazioni sulla questione della ricezione
dell'Antico Testamento da parte di Paolo, e dunque può essere qui trascurato.
Le lettere di Paolo 73
b "to'iç Wvc.cnv di Gal. l,16 è certo lecito vedere un parallelo a Is. 49,2:
xcd Wrixc. "tÒ a"totJ.Ct p.ou wad tJ.axaipav òl;c.'iav. È da osservare in parti-
colare il contesto di 49,1 nel v. 6; con certezza ancora maggiore rispetto
al v. 2 si può supporre che qui Paolo lo avesse bene in mente: lòoiJ "t"É:-80.i-
xa <J'E dç cpci>ç Wvwv "t0 1J dva[ <J'E dç <J'W"tr]pta\I EWç Èa'X,tX"tOU "t'f)ç yYjç.2 3
Paolo dunque articola la sua nuova autocomprensione, ora apostoli-
ca, ricorrendo a parole della Scrittura. Sono parole del grande profeta
Isaia, quelle a cui allude (o addirittura cita?) applicandole a se stesso. Se
questo personaggio, grazie alla sua vocazione, era già luce per i gentili,
tanto più Paolo (a minori ad maius). Il ministero di profeta è sostituito
da quello di apostolo. Paolo è qualcosa più d'Isaia (v. Mt. 12,6.41). E lo
è perché il suo messaggio, il vangelo, annunzia la venuta di Cristo come
salvezza del mondo. Ciò che Isaia aveva predetto come salvezza futura
(Js. 53) Paolo lo annunzia nella promessa apostolica come salvezza av-
venuta, come realtà salvifica.2 4 2 l
23. È vero che nel corpus Paulinum non è citato da nessuna parte Is. 49,6 (a differenza
di Atti 13,47, ove tale versetto è messo sulla bocca di Paolo e Barnaba). A mio avviso,
tuttavia, è alquanto improbabile che Paolo, il quale conosceva particolarmente bene il
libro di Isaia, scrivendo parole tratte da I s. 49, 1 non avesse davanti agli occhi 49,6.
Chi contesta questa circostanza deve supporre che il cap. 49 nel suo complesso non
fosse noto a Paolo. Ma come ritenere probabile una tale ipotesi? dç cpwç iHhwv in Is.
49,6 articola in modo chiaro la coscienza apostolica di Paolo, dç crw't'f)ptav è di stam-
po paolino, i:wç foxchou Tijç y'i)ç corrisponde alla comprensione paolina di missione.
24. Paolo non deve aver visto subito il suo apostolato come superamento della fun-
zione profetica. Non sappiamo nemmeno se già all'epoca della sua chiamata la inten-
desse come chiamata ad essere apostolo dei gentili. Forse non fu che la conseguenza
di una successiva riflessione teologica sull'evento di Damasco (Hiibner, Die Theol.
des Paulus im Lichte seiner Berufung, 28 ss.). Ma qui poco importa il giudizio: dal
punto di vista teologico conta il fatto che Paolo abbia visto la propria vocazione in
continuità con quella del profeta Isaia, considerando dunque quest'ultimo un testi-
mone del vangelo libero dalla legge. Questo però implica, da parte di Paolo, un giudi-
zio teologico in base al quale il vero messaggio della Scrittura non è quello della torà.
Forse qui in un certo senso si anticipa quanto afferma Gal. 3,10 ss., in cui la legge vie-
ne presentata come una mortale parola di condanna, mentre la parola profetica (Ab.
2,4) è quella che rende vivi?
25. Si sta ancora discutendo se Paolo, in Gal. 1,15, alluda anche (o forse soltanto) a
Ger. 1,5: ;rpo "COU IJ.E ;rÀaO'Clt O'E Èv XOtÀt~ È;ttO'"CClJJ.Clt O'E xal ;rpo "COU O'E il;eÀ"9eiv ix
IJ. ~'tpaç Yjylaxa cre, npocp~'t'f)V elç è'.8v1) 'tÉ·.9etxa cre. Si contesta addirittura che Paolo
abbia conosciuto realmente il libro di Geremia (Wolff,]er im Friihjudentum und Ur-
christentum; Holtz, ThLZ 91, 326; Koch, Die Schrift als Zeuge, 45 ss.). Sebbene que-
sta tesi poggi su basi piuttosto fragili (v. a 1 Cor. 1,18 ss.), si dovrà tuttavia convenire
con Traugott Holtz che, per l'autocomprensione di Paolo, è di importanza cruciale la
parte del libro di Isaia denominata Deutero-Isaia (op. cit., J2I ss.). Elezione evoca-
zione in Paolo e Deutero-Isaia sono strettamente correlate (p. 325)· Paolo si sente in-
viato alle nazioni per portare la salvezza; un tale universalismo salvifico nel!' Antico
Testamento è presente solo nell'annuncio del Deutero-Isaia (p. )28). E in questa figu-
74 La teologia di Paolo
Nella narratio Paolo parla anzitutto dcl sinodo della missione (2, I-IO),
in occasione del quale si giunse all'accordo di rinunciare alla circonci-
sione per la missione agli etnicocristiani. Tuttavia sorprende che non si
faccia parola di questa concessione neanche al momento dell'accordo di
Gerusalemme, «noi verso i pagani ed essi verso i giudei» (Gal. 2,9), e
neppure si parli di libertà dalla legge, un principio teologicamente così
fondamentale per Paolo. Tutto fa pensare che Paolo, il pensatore teolo-
gico per principio che valutava tutte le singole questioni relative alla pras-
si missionaria da una prospettiva teologica partendo dal vangelo, abbia
frainteso la concessione ottenuta. Per i gerosolimitani essa implicava il so-
lo esonero dalla circoncisione, mentre Paolo la interpretò come assenso
alla sua convinzione teologica della fondamentale libertà dalla legge mo-
saica, contribuendo così anche lui al tragico equivoco e alla successiva in-
comprensione. 26 Che Paolo di fatto credesse di aver riportato la vittoria
teologica 27 sui suoi avversari, soprattutto sui «falsi fratelli che si erano
intromessi» (Gal. 2,4), è dimostrato dalla strategia dell'argomentazione
in Gal. Scopo della lettera è infatti la dimostrazione teologica della li-
bertà dalla legge, principio irrinunciabile per i cristiani, tanto più che la
legge rappresenta il mondo della schiavitù. L'obiezione che Paolo inten-
da sostenere la libertà dalla legge solo per gli etnicocristiani non si appli-
rava ricercato il modello per la comprensione paolina della sofferenza (p. 329). Certo
(p. 330): «Così appare fondata la supposizione che egli si sia identificato in generale
con il servo di Dio deuteroisaiano, pur applicando Is. 53 esclusivamente al Cristo e in
questo modo separando tale capitolo dalla sua relazione con gli altri canti dcli' ebed di
Jahvé». Anche a detta di Franz Mussner, HThK 82 (tr. it. 153 s.) Paolo intende la pro-
pria coscienza apostolica di vocazione alla luce della coscienza di invio propria dci pro-
feti veterotestamentari, principalmente di Geremia e dcl Deutero-Isaia. Nella sua in-
terpretazione di Gal. 1,15 rimanda espressamente ai LXX, in base a à.qiopl~Etv: Num.
8,11 (Aronne presceglie i leviti per il loro servizio), 15,20 (pane dell'offerta per Jah-
vé), Is. 29,2 (la casa di Giacobbe), Ez. 45,1+9 (la terra per Jahvé e i sacerdoti) (op. cit.,
82 S. (tr. it. I 53 s.]).
26. V. anche Dunn, The lncident at Antioch, 132: «La questione discussa alla confe-
renza di Gerusalemme non fu principalmente quella se Paolo (e Barnaba) fossero apo-
stoli, ma se, in quanto apostoli di Antiochia, dovessero perseverare nella prassi di non
circoncidere le persone che convertivano ... ». Il punto su cui differiscono le opinioni
mia e di Dunn è la visione che degli apostoli di Gerusalemme aveva Paolo. Secondo
Dunn, all'epoca del sinodo della missione Paolo li accettava come autorità da cui di-
pendere, mentre successivamente, in Gal., cercò di dissimulare tale fatto. A mio pare-
re, però, già allora Paolo si sentiva in linea di principio indipendente da Gerusalem-
me. Tuttavia bisogna forse riconoscere con Dunn che i gerosolimitani pretendevano
di essere le autorità in diritto di prendere decisioni anche per la comunità di Antio-
chia. Anche in tal caso Paolo avrebbe comunque frainteso la situazione.
27. Dunn, op. cit., 133: «La vittoria, o piuttosto la concessione ottenuta dalla delega-
zione di Antiochia... ». Dunn prosegue però: « ... non mise in discussione l'autorità
degli apostoli di Gerusalemme nel fare questa concessione».
Le lettere di Paolo 75
ca alla concreta dimostrazione teologica della lettera. Paolo infatti non
afferma affatto che la legge esercita la sua funzione schiavizzante solo
per gli etnicocristi.an~.2 8 Stan.d~ a ~ome ~aolo J?resenta l~ sua. ~rgumen
tatio da Gal. 3,r, 1 gmdeocnstlam sono 1nclus1 almeno 1mphc1tamente,
talvolta addirittura esplicitamente. La narratio, dunque, servendosi della
narrazione argomentativa introduce l'ordine tematico mirante all'espo-
sizione teologica del!' argumentatio.
La difficoltà oggettiva nell'interpretare la lettera ai Galati consiste prin-
cipalmente nel riuscire a spiegare in che modo Paolo potesse aver inteso
l'accordo di Gerusalemme in modo tale che, se da una parte ci si doveva
aspettare anche in futuro la pratica della circoncisione da parte dei giu-
deocristiani, dall'altra egli vide una vittoria teologica personale nell'as-
senso di Gerusalemme alla sua teologia della libertà di principio dalla leg-
ge. Supporre che solo in un secondo tempo Paolo abbia interpretato il
proprio successo a Gerusalemme come totale e fondamentale libertà dal-
la legge, opponendolo dunque polemicamente e con questo esatto signi-
ficato ai suoi avversari in Galazia, vuol dire tacciarlo di opportunismo o
di smemoratezza nel punto più spinoso.
È dunque evidente che con Gal. 2,1-10 Paolo intende dimostrare nien-
temeno che l'accordo teologico tra lui e i gerosolimitani: quanto dirò nel-
la mia argumentatio è precisa convinzione anche di quelli di Gerusalem-
me. Quando i contromissionari giudaizzanti si richiamano all'autorità
di Gerusalemme vi ingannano. Ed effettivamente questi contromissio-
nari erano in contrasto coi gerosolimitani. Certo anche Paolo lo era, pur
senza averne allora il sospetto e senza riuscire a scorgere la tragica situa-
zione in cui si trovava, e questo perché aveva continuato a riflettere teo-
logicamente proprio dove i suoi ex interlocutori agivano (o forse pro-
cedevano solo strategicamente?) in modo esclusivamente pragmatico. 29
Ilfactum Antiochenum, riferito anch'esso nella narratio, fornisce ul-
28. Riguardo a Hahn, ZNW 67, 5 l ss., dr. Hi.ibner, Das Gesetz bei Paulus (a partire
dalla 2' ed.), l 34 ss. (tr. it. 268 ss.).
29. Hi.ibner, Das Gesetz bei Paulus, 21 ss. 53 ss. (tr. it. 43 ss. 107 ss.) Nello stesso an-
no (1978) è uscito Paul and Power di Bengt Holmberg, che perviene a un risultato
analogo, op. cit., 22 (corsivo mio): «Per i capi di Gerusalemme si trattava di una con-
cessione fatta ad Antiochia e di un riconoscimento che tale chiesa aveva una propria
'sfera di interessi e di mandato'. Si trattava di una concessione ampia, ma non cambia-
va la loro situazione. Paolo, che era un pensatore più accurato e logico, vide che que-
sto accordo avrebbe potuto e dovuto avere conseguenze fondamentali di vasta porta-
ta perfino per gli stessi giudeocristiani, almeno nei loro rapporti con gli etnicocristiani.
Così com'era, tale concessione ebbe conseguenze immense per il futuro (Mussner
chiama tale esito una 'vittoria teologica di Paolo'). Ma neanche Paolo è in grado di ri-
assumere il risultato degli incontri in una frase tipo 'la libertà dalla legge è stata con-
cessa in modo fondamentale e generale'».
La teologia di Paolo
leggiamo: Èv "TI ÒtxmoO"U'IYJ O"Ou t!;a!;c.tç Èx iJ.À[tJic.wç -t~v tJiux~v µou. Pao-
lo vive per Dio, l.'va. .Sc.cf> ~~O'W, Gal. 2,19; poiché Cristo vive in lui, egli
vive nella fede nel Figlio di Dio, 2,20. In tJi 142,1 l il salmista riconosce
che il Signore lo farà vivere, ~~O"c.tç µc.. Paolo si sente XptO"-tou òouÀoç,
Gal. l,10, certo nel più ampio contesto di Gal. 2,16. tJi 142 termina con
le parole òouÀoç O"ou dp.i tyw, v. l 2.
40. Uno dei pochissimi autori che vi fece caso fu Anthony T. Hanson, il quale, come
è noto, era tra quanti sostenevano energicamente il metodo che dedicava un'attenzio-
ne maggiore alle citazioni veterotestamentarie; per Gal. 2,16 cfr. Idem, Studies in
Paul's Technique and Theology, 28: «Dunque in Gal. 2,16 Paolo spiega la sua com-
prensione di Sai. 143,2; che l'uomo sia indegno davanti a Dio non è un'affermazione
generale, ma sottolinea specificamente che la legge non può giustificare l'uomo da-
vanti a Dio. Presumibilmente Paolo trovò suggerita questa verità nel salmo stesso. Nei
LXX esso inizia così: Signore, ascolta la mia preghiera, porgi orecchio alla mia suppli-
ca nella tua verità (àì.~·9eta), ascoltami nella tua giustizia (òtxatocrUVl]); e non entrare
in giudizio con il tuo servo. In Gal. 2,14 Paolo preferisce 'la verità del vangelo', e cer-
tamente tutta la sua argomentazione riguarda la natura della giustizia di Dio>>.
80 La teologia di Paolo
4r. Koch, Die Schrift als Zeuge, 18, nega il carattere di citazione di <ji 142,2 in Gal.
2,16, però parla giustamente di «acquisizioni indipendenti ... grazie alle quali ogni pas-
so biblico non solo è diventato un'affermazione prettamente paolina, ma è anche per-
fettamente integrato nel nuovo contesto».
42. Questo è vero anche in considerazione del fatto che noi oggi non possiamo più
parlare di mistica di Paolo.
Le lettere di Paolo 81
durre «Ascolta me, che so di essere entro la sfera di potere del-
la tua verità e giustizia», allora ne consegue che il «Cristo in
me» corrisponde all' «essere nella fede, nell'àmbito della fede
nel Figlio di Dio». Nella argumentatio, infine, l'«essere nella
verità e nella giustizia di Dio» diventa «essere in Cristo Ge-
sù», Gal. 3,26.28.
Ora, poiché con Paolo si è giunti ad esprimere questo esistenziale di
luogo, qui reso P.erfi~o più comi:l~cato dal.la relazion~ reciproca ~<Paolo
in Cristo» - «Cnsto m Paolo», s1 impone il dovere d1 esplicarlo m fun-
zione delle sue strutture di pensiero. L'analisi dell'argumentatio di Gal.
a questo riguardo evidenzierà già aspetti sostanziali. Tuttavia solo par-
tendo da alcuni testi di I Cor. e di Rom. 8 emergerà il pieno significato di
questo esistenziale.
ì, controverso cosa intendesse Paolo con !'.pya vop.ou. James Dunn
rifiuta l'opinione comune per cui si tratterebbe genericamente di tutte le
norme della torà mosaica. Secondo lui, invece, l'apostolo contesterebbe
che la giustificazione dipenda dalla circoncisione o dall'osservanza della
legislazione giudaica sugli alimenti e la purità. In questo senso, con pra-
tica delle opere della legge egli intende «la particolare osservanza della
legge riguardante la circoncisione e i precetti sul cibo». 43 In quanto tali
non dovrebbero tanto meritare il favore di Dio, quanto avere la funzio-
ne di servire come segno distintivo, come badges: «sono semplicemente
ciò che il far parte del popolo dell'alleanza comporta, ciò che contrasse-
gna l'impiego di popolo di Dio». 44 Con questo presupposto si contesta
ora la comprensione usuale di Gal. 2, l 6a tl; !'.pywv vop.ou tà.v p. ~ òtà. TIL(J-
't'e:wç Tricrou Xpwrnu come antitesi. Nella visione del giudeocristianesi-
mo, la fede nel messia Gesù sarebbe una qualifica della giustificazione
mediante le opere della legge: «Dalla prospettiva del cristianesimo giu-
daico di quel tempo, il significato più ovvio è che l'unica limitazione alle
opere della legge è costituita dalla fede in Gesù come messia». 45 Così fa-
cendo interpreta con Ed P. Sanders il giudaismo come «nomismo del-
l'alleanza», 4 6 concezione che sarebbe stata condivisa anche dal punto di
vista giudeocristiano. Tuttavia, in Gal. 2,16 si avrebbe secondo Dunn un
capovolgimento, dalla originaria giustapposizione tra «per le opere della
legge» e «mediante la fede» alla brusca antitesi, da lui definita «logica
della giustificazione mediante la fede»: «... al v. l 6 Paolo fa diventare una
diretta antitesi ciò che era cominciato come qualificazione del nomismo
d.ell'alleanza». 47 Come fa notare Dunn, in Gal. 2,16 abbiamo dunque il
smgolare privilegio di assistere ad uno sviluppo assolutamente decisivo
43· Dunn, The New Perspective on Paul, 191; nel testo originario Dunn sottolineava
queste parole con il corsivo. 44. Op. cit., 194. 4 5. Op. cit., 19 5.
46. Sanders, Paolo e il giudaismo palestinese. 47. Dunn, op. cit., 196.
La teologia di Paolo
48. Op. cit., 198. Particolareggiate prese di posizione critiche rispetto a Dunn: Hiib-
ncr, Was heisst bei Paulus « Werke des Gesetzes»?. Qui Dunn è citato secondo BJRL
65, 95-122 (prima edizione).
49. Questa circostanza è stata presa troppo poco in considerazione da Bctz nel suo
commento. 50. Betz, Herm., 61 s.
5 1. A differenza di Nestle-Aland, ove tra Gal. 3,5 e Gal. 3,6 viene vista una cesura
(nella 26' ed. sottolineata in modo ancora più accentuato rispetto a edizioni prece-
denti), in The Greek New Testament il v. 6 è visto come conclusione dell'unità 3,1-6.
F.F. Bruce, NIC, 153, nel v. 6 scorge sia la conclusione di 3,1-6 sia l'inizio di una
Le lettere di Paolo
55. In Gen. 17,4 non si parla solo della diatheke di Dio; è scritto anche: xaì fon ;;a-
"~P T>À~·.9ouç Ww)J'J. In Gen. 17,10 ss., però, con le parole introduttive «questa è la
mia diatheke» ad ogni neonato maschio viene imposta la circoncisione ali' ottavo gior-
no di vita.
56. V. Hiibner, Das Gesetz bei Paulus, 17, e la bibliografia citata, op. cit., 17 n. 2 (tr.
it. 33 ss. e 33 n. 2).
57· Il testo dei LXX di Gen. 15 ,6 viene ripreso da Paolo con lievi modifiche. Invece di
l<aÌ ì:r.lcr-rwcrEv 'A~pa[J. Paolo scrive 'A~paà[J. bdcr-rEucrEv. È ingiustificato considerare
'A~paaµ come non facente parte della citazione, ad es. in Nestle-Aland - anche nella
26• ed. - e in parecchi commentatori. Bene, ad es., E. de Witt Burton, ICC, 153 s.
La teologia di Paolo
58. La preposizione «su» è tra virgolette per evitare anche solo di far sembrare che
Dio sia considerato oggetto.
59. Se si considera attentamente il contesto di Gen. I 5,6 si dovrebbe prestare atten-
zione anche alla terminologia relativa alla rivelazione, Gen. I 5, I: ÈyEv~·.9'1] irii1J.a xu-
ptou 7tpoç 'A~pà1J. iv opa1J.a't'~ ì.Éywv.
60. y~ vùicr><E't'E potrebbe essere inteso con la maggioranza degli esegeti non come un
indicativo, ma come un imperativo. 6r. Rohde, ThHK, 136.
Le lettere di Paolo
rosissima. E l'argomentazione paolina riguarda proprio questa discen-
denza. Infatti, in Gen. r 5, 5 la figliolanza abramitica viene promessa an-
che ai galati. Quindi dove si parla della giustizia per fede di Abramo si
parla anche della figliolanza abramitica dei galati. Ma allora l'obbligo
della circoncisione imposto dai giudaisti - che poi comporta non solo la
totale obbedienza alla torà (Gal. 5,3) ma anche l'inserimento dei galati,
un tempo pagani, nel complesso del popolo giudaico, dunque il passag-
gio alla condizione di proseliti - è una pista teologica falsa perché, come
sta per illustrare Paolo, porta alla schiavitù della torà, cd è anche un vi-
colo cieco perché significa minimizzare la volontà di Dio. Eppure Dio
intende estendere la sua salvezza oltre i confini del popolo giudaico.
Paolo non esprime proprio così quest'ultimo concetto, che però è chia-
ramente implicito. Chi dunque vuole limitare la sfera della realtà sal-
vifica operata in Cristo all'Israele come nazione (inclusi i suoi proseliti)
si oppone alla volontà universale di Dio, conferendo alla categoria di na-
zione una dignità teologica che da dopo Cristo non le compete più. Per
dirla in termini moderni, il cristianesimo o è religione universale o non è
cristianesimo. Nel quadro dell'argomentazione paolina - e fino alla con-
clusione della lettera, dove il «Dio di Israele» (Gal. 6,r6) non è affatto
inteso in senso nazionale - dopo la «venuta della fede» (Gal. 3,23) non
vi è più spazio per una priorità salvifica del popolo Israele.
64. Betz, Herm., 62. 250 ss., individua in Gal. 3,6-14 il secondo argomento per la ar-
gumentatio, e precisamente «Un argomento tratto dalla Scrittura».
88 La teologia di Paolo
65. In Gal. 3,10 Paolo ha modificato il suo modo di argomentare. Se in 3,6-9 aveva
tratto per due volte la conseguenza teologica dalle citazioni veterotestamentarie ad-
dotte in precedenza, ora presenta prima la tesi, e solo poi la prova scritturistica, in-
trodotta con la formula quotationis yéypa;;-rai yap. Ciononostante però, nulla risulta
modificato rispetto a 3,6-9, tanto più che anche adesso un'affermazione veterotesta-
mentaria è il motivo per il giudizio teologico.
66. La maggior parte degli esegeti esagera interpretando: perché nessuno riesce a
compiere ciò che la legge impone. Paolo tuttavia si limita a constatare il non adem-
pimento. O almeno, non fornisce qui una spiegazione di questo dato di fatto. Si po-
trebbe forse valutare se dall'intero complesso di Gal. non si debba dedurre una simile
possibilità interpretativa. Contro l'interpretazione qui sostenuta cfr. in particolare H.
Schlier, KEK vn, lJ2 s. (tr. it. 137 s.): il peso maggiore della citazione poggia sul
r.;oiijcrat; così negli intenti di Paolo il passo scritturistico non deve fornire il motivo
per cui la maledizione è su coloro che vivono delle opere della legge, ma deve solo ri-
badire che gli uomini della legge sono sotto la maledizione. Ma la citazione è così
palesemente segnata dal duplice miç, che il significato più ovvio è un ulteriore ter-
tium non datur: o un'obbedienza incompleta della torà, e dunque maledizione, op-
pure - e purtroppo non è questo il caso - un'obbedienza totale, e quindi benedizio-
ne. Ed P. Sanders, Paul, the law, and the jewish People, 26 (tr. it. 61 s.), misconosce
affatto il significato argomentativo di questa citazione quando ritiene che Paolo l'ab-
bia addotta solamente perché Deut. 27,26 è l'unico passo nei LXX in cui v61~oç è col-
legato a «maledizione». «Propongo, dunque, che il punto di forza di Gal. 3,10 si fon-
di sui termini v61~oç e 'maledetto', piuttosto che sulla parola 'tutti', che pure vi s'in-
contra» (21; tr. it. 49 s.). Contrario anche Raisanen, Paul and the Law, 95 n. 13.
Le lettere di Paolo 89
la legge (èv \IO[J-qJ) 67 nessuno viene giustificato davanti a Dio; infatti «il
giusto per fede vivrà». 68 o"tL è qui sinonimo di xa-&wç yÉypa7t"taL. 69
Il richiamo alla Scrittura avviene comunque in un modo che non ren-
de giustizia al senso letterale di Ab. 2,4 T.M.: we~addìq be'emunato jib-
jeh, il ~iust?. vi:'rà J?e.r la su~ fedeltà. C:?n questo si in~ende che il mol~i
plicars1 dell mgmst1z1a, motivo per cm 11 profeta sta discutendo con Dio
(Ab. 1,2 ss.), non continuerà per sempre. Il giusto, ossia l'onesto, il pro-
bo, sopravviverà, e questo grazie alla sua fedeltà. 70 È errata la conseguen-
za che Wilhelm Rudolph ne trae, e cioè che l'utilizzo di Ab. 2,4b da par-
te di Paolo in Rom. 1,17 e Gal. 3,1 l sarebbe «non un capovolgimento
ma solo (!) un approfondimento». 71 Infatti, mentre Rudolph intende il
giusto di Ab. 2,4 come persona che si distingue per iustitia civilis, Paolo
ne ha un'altra concezione. Con Rudolph si può sicuramente osservare
che il testo del T.M. è più vicino alla citazione paolina di quello dei LXX,
per il quale il giusto vive per la fedeltà di Dio: o ÒÈ òixawç Èx 7ttcr"tewç
fJ-OU ~~cre"tm. Ma la 'emuna del giusto menzionata nel T.M. ha assai po-
co in comune con la 7ttcr"tLç della citazione paolina di Abacuc.
Il senso letterale di Ab. 2,4 in Gal. 3,1 I si distingue dunque
sostanzialmente da quello del T.M. e dei LXX. Ciò ha un peso
incisivo, tanto più che Paolo con questa citazione profetica pro-
duce per la sua argomentazione una sentenza che è d'impor-
tanza ancora maggiore rispetto all'affermazione del v. ro. Per
principio infatti si stabilisce che la fede è l'unica forma possibi-
le di esistenza di chi è giusto davanti a Dio. Ma allora, in base
alla versione paolina di Ab. 2,4 non sussiste più l'alternativa,
non effettiva ma certo in linea di principio ancora possibile,
offerta dalla citazione di Deut. 27,26. Le due citazioni in Gal.
3,10 s. dunque presentano dichiarazioni su piani differenti.
67. Forse traducibile anche con «nell'ambito della legge». Tuttavia il senso è analogo
a quello dalla traduzione citata per prima, dal momento che la sfera della legge è l'am-
bito in cui essa è efficace, e dunque è corretto interpretare anche «mediante la legge».
68. La traduzione «il giusto vivrà per fede», che si incontra talvolta, contraddice la se-
quenza dell'argomentazione di Gal. 3. Così, ad es., Rohde, ThHK, 127; bene Betz,
Gal, 250.
69. Di parere diverso Rohde, ThHK, 142: Paolo non designa la citazione di Abacuc
come parola della Scrittura. «Egli dunque non si richiama al fatto che i galati debbano
riconoscere il carattere vincolante di questa parola perché si trova nella Scrittura, ma
presuppone che ne ammettano senz'altro la verità».
70. W. Rudolph, KAT xm/2, 216; A. Deissler, Zwolf Propheten u/m, Leipzig 1990,
94: il giusto erediterà la vita grazie alla sua 'emuna, cioè il suo mantenersi fedele a
Jahvé e al suo insegnamento. 71. Rudolph, KAT, 216.
La teologia di Paolo
Excursus.
L'ermeneutica della teologia paolina
Essendo Gal. 3,13 continuazione immediata dell'argomentazione di
3,6-12, è meglio tornare a dare uno sguardo a questa pericope. Essa rive-
la una tematica coerente, che col v. 13 non viene abbandonata ma piut-
tosto ampliata. Si è ripetutamente evidenziato che il pensiero teologico
di Paolo parte dall'esistenza del peccatore e del giustificato. Certo, ha
trattato anche il tema dell'agire di Dio, ma il tema che finora lo ha ve-
ramente impegnato è stata la riflessione teologica sull'esserci umano. Il
motivo per cui l'uomo è soggetto alla maledizione, il motivo per cui
esiste come giusto: ecco gli elementi con cui Paolo al v. 6 dà inizio alla sua
85. Così, a ragione, Betz, Herm., 289 ss.; op. cit., 291: digressio.
86. Per una motivazione più precisa delle affermazioni su Gal. 3,19 ss. che saranno
presentate in seguito cfr. Hiibner, Das Gesetz bei Paulus, 27 ss. (tr. it. 54 ss.).
87. Rohde, ThHK, 154.
88. Così anche op. cit., 154: «Infatti dovrebbe provocare le trasgressioni. La 7tapii~a
cnç è ... il peccato come trasgressione di un determinato comandamento divino». Dun-
~ue n~n coi;ie success!vai;nente Rom. 7,7: per conoscere il peccato che già esiste: --~'V
ap.ap·nav ... qvwv ... Òta 'VOIJ.OU.
Le lettere di Paolo 97
fetici (ad esempio Is. 6,9 s.). È altrettanto in contraddizione con il raccon-
to veterotestamentario del Sinai l'idea di Paolo che la legge sia stata pro-
mulgata da angeli, non importa se egli li intenda come mediatori di Dio,
il vero legislatore, o come autori della legge stessa. 89 Comunque a Paolo
preme fare in modo che Dio sia assente almeno al momento dell'atto di-
retto della consegna della legge, dimostrando in tal modo l'inferiorità
della legge. 9° Così anche Mosè viene coinvolto in questo processo mi-
rato a rendere inferiore la legge: se questa fosse stata consegnata diretta-
mente da Dio non ci sarebbe stato bisogno di mediatori; infatti, se c'è
un'unica persona (dç ./)goç, 3,20), non è necessario che vi sia un media-
tore. Ma se gli angeli con la loro moltitudine rendono necessaria la pre-
senza di questa figura, allora, proprio grazie all'inferiorità della legge
che essi hanno reso palese, diventa evidente che Mosè come mediatore
della legge inferiore partecipa di questa inferiorità. A tutto ciò va ad ag-
giungersi anche la limitatezza temporale della legge. Essa fu consegnata
ben 430 anni dopo la promessa fatta ad Abramo, e oltretutto ha scaden-
za prematura. Il compimento della promessa comporta dunque la fine
dell'infelice funzione della legge. Con l'era salvifica inaugurata da Cristo
essa ha cessato di avere una funzione.
La funzione di provocare azioni di peccato viene definita
schiavizzante in 3,21 ss. La Scrittura ha rinchiuso tutti 91 sotto
il potere del peccato, u7tÒ ap.ap'tiav, affinché ai credenti venisse
data la promessa in virtù della loro fede in Cristo Gesù. Que-
sto però vuol dire che l'intenzione degli angeli, comunque Pao-
lo possa aver concepito questi esseri, è inserita nell'intenzione
di Dio. 92 Il carattere di prigionia insito nella legge è espresso
al v. 23: unò v6p.ou Ècppoupoup.i::-Ba. Quelli che sono schiavi sot-
89. V. i commentari. In Das Gesetz bei Paulus, 27 s. (tr. it. 55), mi sono espresso a fa-
vore della seconda alternativa. A tutt'oggi sono della medesima opinione, poiché a
mio parere lo esige il processo argomentativo di Gal. 3,19 s. Dato però che l'argo-
mentazione qui presentata è indipendente da una presa di posizione su tale questione,
rinuncio qui a esporre il mio punto di vista al riguardo per non appesantire il conte-
sto con discussioni superflue.
90. Se rcpocre·n:.STJ dovesse essere un passivum divinum, allora potrebbe indicare che è
Dio stesso il vero datore della legge. Tuttavia non è possibile postulare un passivum
divinum e da questo postulato individuare in Dio il reale legislatore. Si tratterebbe di
unapetitio principii. 9i. 'tà Tiano: nel senso di rcav'\"Eç &v·9pwrcot.
92. Riguardo alle tre intenzioni rispetto alla legge - l'intenzione immanente della leg-
ge, così come espressa in Gal. 3,12 / Lev. 18,5; l'intenzione degli angeli e l'intenzione
di Dio - cfr. Hiibner, Das Gesetz bei Paulus, 27 ss. (tr. it. 55 ss.). Anche su questo
punto resto dell'opinione espressa allora, rinunciando però a farne l'elemento portan-
te delle considerazioni che seguiranno.
La teologia di Paolo
4,2: u7tÒ Èm't'po7touc; xal o1xovop.ouc;; 4,J: u7tÒ 't'à cr't'oixe:'i'a 't'ou
x6crµ.ou; 4,4 s.: u7tÒ voµ.ov), ma prima di 4,21 nella argumenta-
tio non ha accennato né a ÈÀe:u.a.e:poc; né a ÈÀe:u.a.e:pta o a ÈÀe:u&-
pouv. 117 Ora invece Paolo afferma che libertà significa libera-
zione dalla schiavitù imposta da legge e peccato: come sposa
di Abramo, Sara è la donna libera; Isacco è figlio della donna
libera, e con Isacco i cristiani sono uomini liberi. Ma allora
Gal. 4,21 ss. costituisce l'apice dell'argomentazione teologica
di Paolo. " 8 Liberazione come libertà: l'apostolo sostiene que-
sta tesi solo dopo la parentesi molto personale della argumen-
tatio, 4,12-20. Solo adesso nomina il concetto teologico chiave,
non soltanto un concetto di grande dignità teologica ma an-
che, almeno per lo stesso Paolo, di notevole efficacia emotiva.
117. Solo nella narratio, in Gal. 2,4, è menzionata la ÈÀw!hpia. Dunque la narrati o fa
da preludio al tema della libertà sviluppato nella argumentatio.
I 18. Di parere un po' diverso Ebcling, Die Wahrheit des Evangeliums, 3 I 5. Anch'egli
osserva che prima di Gal. 4,2 I ss. di ÈÀw8Epia si parla solo in 2,4. Tuttavia, in 4,21 ss.
il tema fondamentale non riguarderebbe ancora tale espressione. Poiché, insieme a
Betz, ritiene che la parenesi abbia inizio già in 5,1, a suo giudizio «l'astratto È),Eu&-
pia ... sorge come astro splendente solo in 5, 1, all'inizio della sezione conclusiva».
Le lettere di Paolo I I I
to. Nel v. 28 Paolo si rivolge nuovamente ai galati, non più col tono am-
monitore che aveva al v. 21 ma con l'appellativo «fratelli» che aveva usa-
to in 4,12. Come un tempo Sara in virtù della promessa di Dio era stata
liberata dalla sua sterilità diventando madre di molti figli, così anche i
galati sono figli di questa promessa. La chiesa è il luogo in cui la pro-
messa di Dio si realizza nella fertilità, ossia con la moltitudine dei cre-
denti provenienti da tutte le nazioni.
Ma dopo l'invito alla gioia Paolo si affretta a tornare alla grave situa-
zione presente. Come allora colui che era stato generato xai;à crapxa ave-
va perseguitato quello nato xai;à 7t\IEUfJ.a, così succede anche adesso (4,
29). Carne contro Spirito: un'opposizione che Paolo svilupperà tra poco
(5,17) nella parenesi, con un significato diverso, ma che per ora resta
limitata al piano della chiesa. Qui l'apostolo potrebbe aver visto l'agita-
zione provocata dai giudaisti in connessione con la persecuzione della
chiesa - che un tempo lui stesso aveva praticato - (òiwxw in l, l 3 e 4,29).
Così facendo ha praticamente scomunicato i giudaisti. Di fronte a una
situazione tanto rischiosa è meglio dare nuovamente ascolto alla Scrittu-
ra. E questa afferma proprio ciò che per Gen. 21,10 veniva pronunciato
innanzitutto da Sara, ma che per il v. 12 è proferito da Dio stesso.' 30 Sa-
ra ordina di scacciare la schiava, e insieme anche il figlio di lei. Tuttavia
in Gen. non si accenna a una persecuzione di Isacco da parte di Ismae-
le.131 Ecco dunque una differenza tra l'Antico Testamento e la sua
comprensione da parte di Paolo. Ma ancora più importante è chiedersi a
che cosa miri l'apostolo citando Gen. 21,10. A quanto pare, implicita-
mente esorta i galati a scacciare dalle comunità i giudaisti in contromis-
sione. Hans Dieter Betz potrebbe aver ragione quando ritiene che «scac-
ciare» (Èx~aÀÀEtv) vada preso alla lettera: «Con i giudei Paolo agisce
esattamente come i suoi avversari giudeocristiani vorrebbero agire con
lui». 132 Nel senso inteso da Betz, qui «giudei» starebbe per giudaisti. 133
Con il òi6 riassuntivo di Gal. 4,3 l Paolo torna al suo intento originario,
che è quello di ricordare con la massima chiarezza ai galati che essendo
figli della donna libera sono liberi essi stessi. Ecco dunque la conclusio-
ne in 5, l: «Cristo ci ha affrancati per la libertà; state dunque saldi (in es-
sa), e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù».
I contorni teologicamente rilevanti di Gal. 4,21-5,1 qui sono stati
tracciati senza che sia stata data una risposta alla vecchia questione spi-
nosa: si tratta di una tipologia, di un'allegoria o di un mixtum composi-
tum di entrambe? Se anche si specificano questi due concetti nella ma-
niera consueta - intendendo con tipologia una corrispondenza tra due
derazione per noi nella sua storicità e insieme nel suo signifi-
cato storico. Ogni argomentazione che ricorra all'espressione
usuale «storia della salvezza», tuttavia, sarebbe inopportuna.
Qui infatti - come anche nelle altre epistole paoline autentiche
-, non si ha una storia della salvezza nel senso di un continu-
um storico. Dove la storia nella sua storicità è teologicamente
importante, lo è solo perché già allora Dio era intervenuto in
determinati eventi. Solo dove il Dio trascendente è intervenu-
to di tanto in tanto nella storia immanente essa è storia della
salvezza, repraesentatio nel senso stretto del termine - il farsi
presente -, rilevante per il presente. Emerge dunque che con-
cetti ermeneutici consueti come tipologia o allegoria applicati
a Gal. 4,21 ss. possono fornire un aiuto solo molto parziale
alla comprensione.
Con Gal. 5,2 ss. Paolo riprende il tema della circoncisione. Se nell' argu-
mentatio che prendeva le mosse da 3,r ss., in una sequenza di tappe ar-
gomentative concatenate, aveva presentato l'opposizione contradditto-
ria esistente tra i due modi di esistenza dalle opere o dalla fede, e in que-
sta argomentazione ben articolata non aveva affatto inserito il tema del-
la circoncisione expressis verbis - neanche lapropositio di 2,16 è formu-
lata con espressioni che riguardino tale tema -, ora, concludendo la se-
zione argomentativa vera e propria della sua lettera, vi fa nuovamente
ritorno. E proprio questo movimento dell'argomentazione dalla legge
alla circoncisione, dunque dal problema teologico fondamentale alla que-
stione che aveva dato il via alla controversia, mostra che almeno 5,2-6 è
ancora parte integrante della argumentatio. ' 36
solo chi osserva la legge in tutti i suoi singoli precetti, senza eccezioni,
non è maledetto. Nel contenuto, Gal. 5,3 s. si trova dunque molto vici-
no al principio dcl tertium non datur di Gal. 3,10.' 40 Ma le cose stanno
diversamente per quello che riguarda 6 r.:iiç vop.oç in Gal. 5,14. Qui non
si afferma affatto che il cristiano deve compiere tutte quante le singole
prescrizioni della legge. Tant'è vero che non deve farsi circoncidere. Né
deve osservare le norme riguardanti i cibi (factum Antiochenum). Se
dunque si volesse interpretare r.:iiç in senso quantitativo, questo sarebbe
in contraddizione effettiva con l'argomentazione teologica complessiva
di Gal. Ora, r.:iiç in posizione attributiva definisce, secondo l'uso lin-
guistico greco, una totalità rispetto a una certa quantità, che costituisce
appunto tale totalità e consiste in una pluralità. In Gal. 5, 14, però, il r.:iiç
attributivo viene contrapposto a una unità, ossia a tutta la legge a sua
volta contrapposta all'unica parola, il comandamento unico dell'amore
per il prossimo.' 4 ' Ma se il 7tiiç attributivo, per essere convenientemen-
te espresso, esige di essere contrapposto a una pluralità, allora con l'ef-
fettiva contrapposizione Èv Èvl Àoycp Paolo intende provocare un certo
effetto linguistico di straniamento: la totalità dei presunti molti logoi a
cui voi galati ambite consiste in un unico logos. L'espressione 6 7tiiç vo-
p.oç con la sua affermazione qualitativa del comandamento dell'amore
deve dunque portare ad absurdum il postulato oÀoç 6 voµoç, inteso quan-
titativamente. 142 Maestro in lingua greca, con ciò Paolo intende dire che
tutta la legge di Mosè non è quella stessa legge di cui dice che «tutta»
vale per il cristiano.' 43 Ma allora quel «tutta» di Gal. 5,14 non com-
prende le innumerevoli prescrizioni della torà mosaica. ' 44 Quel «tutta»
140. Diversamente Liebcrs, Das Gesetz des Evangeliums, 78 ss. Questo è dovuto già
alla sua esegesi di Gal. 3,10: al 7tciç e al 7tcitnv «non si dovrebbe attribuire importanza
eccessiva», p. 78. Con tale concezione Liebers si avvicina a Sanders, Paul, the Law,
and the jewish People, ad es. 20 s. (tr. it. 49 ss.)
141. Hi.ibner, Das Gesetz bei Paulus, 37 ss. (tr. it. 76 ss.); Idem, KuD 21, 239 ss., non-
ché la bibliografia di p. 241 n. 1 l, soprattutto Ki.ihner-Gerth, Grammatik u/1, 632.
l 42. La differenza concreta non è tanto nella diversità fonetica tra oÀoç e 7tciç, quanto,
come si vedrà, nel fatto che 7tciç, a differenza di oÀoç, è utilizzato in senso attributivo.
143. In Das Gesetz bei Paulus, 38 (tr. it. 78) (v. anche KuD 21, 246), di fronte a que-
sto dato linguistico ho parlato di locuzione critico-ironica. Tale definizione è statari-
fiutata da certuni come non attinente, tuttavia la differenza teologico-contenutistica
tra oÀoç b vop.oç e b 7tciç vo1J.oç viene ampiamente ammessa e ripresa. Questo assenso
di fatto, tuttavia, per me è ben più importante di quello relativo a una formulazione
che a quanto pare è stata a volte fraintesa. Rinuncio perciò a riportare tale espressione
anche qui, nell'argomentazione esegetica, pur restando dell'opinione che essa esprima
esattamente quanto anche qui sostanzialmente non ho fatto che ripetere.
144· È quindi falsa la concezione di Andrea van Di.ilmen, Die Theol. des Gesetzes bei
Paulus, 60, secondo la quale b 7tciç vo1J.oç intenderebbe tutta la legge «Senza escludere
nessun gruppo di prescrizioni». Quando poi la studiosa afferma (p. 61) che tutta la
Le lettere di Paolo 121
riferito alla legge è contemttisticamente un'inaudita riduzione della torà;
al contempo, il comandamento della legge è tratto fuori dal contesto 145
delle opere della legge e quindi della giustificazione, o più esattamente
dell'autogiustificazione. Da tutto ciò, tuttavia, non bisogna assolutamen-
te concludere che le opere della legge che Paolo rifiuta contemplino so-
lamente determinate prescrizioni della torà, come, ad esempio, la circon-
cisione o i precetti alimentari. 146
Dunque Paolo gioca con il termine vop.oç, come con la parola 7taç. Il
significato di vop.oç viene così stabilito con connotazioni diverse me-
diante un campo semantico nuovo, sinora mai incontrato in Gal. Contem-
poraneamente anche òouÀe:ue:tv in 5,13 viene impiegato in senso positivo,
sebbene nel medesimo versetto stia insieme al termine ÈÀe:ufJe:picx. espres-
so con enfasi. Poco prima (4,24; 5, r) òouÀe:icx. era stato presentato come
quintessenza della sventura. La possibilità di esprimere VO(J.Oç in senso
positivo è fornita anche in Gal. 6,2 dalla definizione al genitivo wu
Xptcr't"ou riferita a vo1J.oç. Si può discutere sul fatto che b Ticiç VO(J.oç di 5,
14 equivalga a b vop.oç 't"0 j Xptcr't"oli. 147 In ogni caso, le due espressioni
1
sono perlomeno affini nel contenuto. Quando Paolo parla della legge di
Cristo non intende comunque la legge di Mosè.
Paolo dunque - certo solamente nel contesto parenetico -
può parlare in termini positivi della legge. Ma allora intende
quell'imperativo, originato dalla libertà dalla legge mosaica,
che impone di compiere ciò che è realmente scontato per il cri-
stiano. La «legge» di Cristo, dunque la «legge» messianica, di
conseguenza è sì una norma, ma una norma che dovrebbe
originarsi autonomamente dall'essere del cristiano in quanto
essere pneumatico (Gal. 6,r). Ma poiché nel suo esserci terre-
no il cristiano ha facoltà di peccare (6,1: f.v 'tt'Jt 7tapa7t'!WfJ-CX'tt),
l'obbligo di preservare e dimostrare l'essere pneumatico è irri-
nunciabile. La cosiddetta legge, dunque, per il cristiano è sola-
mente un'esortazione a compiere ciò che egli in realtà dovreb-
be già fare autonomamente in base al proprio essere di già giu-
stificato; non lo invita invece a compiere qualcosa ai fini della
propria giustificazione. 148
legge è compiuta nel momento in cui viene rispettato il solo comandamento dell'a-
more per il prossimo, tutta la sua concezione risulta viziata. Ad esempio, come viene
compiuto il precetto della circoncisione, pratica da evitare assolutamente, mediante il
compimento del comandamento dell'amore?
145. «Contesto• inteso ovviamente non come concetto letterario.
146. Così Dunn; per la sua ipotesi v. sopra. 147. V. i commentari.
148. In accordo con l'interpretazione qui proposta cfr., ad es., Rohde, ThHK, 230 n.
I 22 La teologia di Paolo
28; Bruce, NCI, 241. Betz, Herm., 468 ss., ha riconosciuto distintamente la differenza
tra Gal. 5,3 e Gal. s, 14; nella sua interpretazione di 5, 14 si avvicina anch'egli, nel con-
tenuto, a ciò che affermo io, ma individua la differenza principale nei due verbi 7tOttiv
e r.À·IJpouv. Certamente Paolo ha ben ponderato la scelta di entrambi. Tuttavia in r.h1-
pouv è espresso anche l'elemento dcl «fare». Betz (op. cit., 470) ha visto giusto quando
definisce la vita cristiana un «frutto dello Spirito» (Gal. 5,22) e tale frutto un adempi-
mento della torà. La distinzione tra 7tOttiv e 7tÀ"f]pouv sottolineata da Betz è ripresa
espressamente da John Barclay, Obeying the Tmth, 139, per giudicare come «dead-
end», senza uscita, la mia «distinzione linguistica» tra Gal. 5,3 e Gal. 5,14 (op. cit.,
136 s.). La soluzione da lui proposta suppone in Paolo una consapevole «ambiguità»
nella scelta di r.À"f]pouv. Poiché nei LXX tale verbo non è mai stato usato in connes-
sione con la legge, e poiché esso non equivale all'ebraico ml', Paolo avrebbe potuto
impiegarlo in questo senso (op. cit., 140; corsivo mio): «Affermare che 'tutta la legge è
compiuta in un unico comandamento' lascia non chiarita la posizione dei comanda-
menti restanti. Descrivere la legge come 'ricapitolata' nel precetto dell'amore darebbe
l'impressione che essa debba essere osservata tutta (come un'espressione di amore),
mentre dire che è stata 'ridotta' al precetto dell'amore implicherebbe una rinuncia
esplicita al resto della legge, forse più di quanto Paolo intenda concedere a questo
punto della sua argomentazione». Così facendo, però, Barclay presume in Paolo, al-
meno tendenzialmente, una tattica di camuffamento.
Le lettere di Paolo 123
ne di 5,13 a non ridurre la libertà a semplice base operativa per la carne.
Il v. r 5 illustra vividamente cosa questo significhi: mordersi a vicenda,
divorarsi l'un l'altro. A quanto pare nelle chiese della Galazia si era da-
vanti a situazioni alquanto scabrose. È chiaro che qui crap~ indica nuo-
vamente l'esistenza peccaminosa, come in 3,3. 149 Ma con questa espres-
sione l'elemento che caratterizza tutte le proposizioni riferite alla crap~
nella parenesi di Gal. non è ancora espresso esaurientemente. Il termine
«carne» riceve in 5,13 il suo orientamento enunciativo vero e proprio
grazie alla connot~~ione assu~ta dal contes~o, in particolare con il ter~
mine opposto «Spmto». Con 1accentuato Àqw Òe:: m 5,16 Paolo esorta 1
galati a camminare nel~o Spirito, e ne!l'_espr~ssi?n1e 07tve::up.a:n _7te::pma't"e::t't"e::
il 7tve:up.a starebbe ad md1care lo Spirito di Dio. 5 Che qm Paolo non
abbia in mente1lo spirito dell'uomo è evidenziato da Gal. 3,2-5 ('t"Ò 7tve::u-
p.a eÀa~e:'t"e::, 6 em·x.oPli'wv up.iv 't"Ò 7tve::up.a) e 4,6 (e~ar.:Écr't"e::tÀe::v 6 .fJ.e::òç 't"Ò
7tve:up.a -çou •J[ou ai'.nou). Lo Spirito è dono di Dio ai credenti. Cammina-
re nel suo ambito d'azione è ciò che tout court si chiede ai cristiani. 151
7te:pma't"e::t v è espressione del pensiero veterotestamentario e giudaico. 1 52
Secondo Hans Dieter Betz, tale espressione esprime uno dei concetti più
importanti dell'antropologia e dell'etica antica, dei giudei quanto dci
greci: l'uomo deve scegliere tra due differenti strade di vita. l5 3
Ciononostante, nei LXX il verbo r.:e::pma't"e::tv di rado ricorre con que-
sto significato. In Prov. 8,20 ev Oòoiç ÒtxmoO"Ul]ç 7te::pma't"w non è il giu-
sto a parlare, ma la Sapienza preesistente; che poco dopo però, in 8,34,
afferma: p.axaptoç àv~p, oç e::1craxoucre::'t"at p.ou, xaì av.fJ.pw7toç, oç 't"àç ep.àç
6òoùç qiuÀa~e::t. Dci malvagi è detto in lji r r ,9: xux Àcp o[ àcre::~e::iç r.:e::pma-
't"OUO"t v. Per la halaka del giusto, in 1ji r, 1 ricorre il verbo r.:ope::ue::cr.fJ.at: iJ.a-
xaptoç àv~p, oç oùx er.:ope::u.fJ.l] Èv ~OUÀTI àcre::~wv. Tale verbo ha sovente
significato etico, ad es. Deut. 8,6: xaì qiuÀa~Tl 't"àç ÈnoÀàç xupiou 't"0 J 1
.Se:ou crou, r.:ope::ue::.fJ.ai ev 't"atç Oòoiç aÙ't"ou xaì qio~e::icr·.9m aiJ't"ov e lji 2 5, 1:
xpivov p.e::, xupte::, O't"t Èyw Èv àxaXtCf p.ou bt0pe::u.fJ.Yj'I.
149. Che crap~ possa definire in senso anche neutro l'esistenza terrena dell'uomo è pu-
re consuetudine linguistica di Paolo in Gal., ad es. Gal. 2,16; 2,20; 4,23. Quanto alla
problematica della carne in Paolo, ma anche nel!' Antico Testamento e nel giudaismo,
v. soprattutto Sand, Der Begriff «Fleiscl1» in den pa11linischen Hauptbriefen; op. cit.,
208 ss., per Gal. 51 13 ss.; v. anche Idem, EWNT III, 549-557, spcc. 550-552 (DENT
II, 1300-1309, spec. 1302-1304).
l 50. Così, ad es., Sand, Der Begriff «Fleisch», 211; Rohde, ThHK, 233; Corsani, Gal.,
351 s.
l 5 l. Betz, Herm., 473: «L'imperativo 'camminate nello Spirito' (r.veu1J.a'n r.eptr.a-cfr•e)
riassume la parenesi dell'apostolo definendo la concezione paolina di vita cristiana».
l 52. Per il pensiero giudaico rimandiamo qui a Test. I ss. 5,8 s. e in particolare a hlk in
l QS e l QM (v. Q11mran-Konkordanz). Per la contrapposizione tra carne e Spirito a
Qumran cfr. Hiibner, NTS 18, 268 ss. 153. Betz, Herm., 473.
124 La teologia di Paolo
I. Per I Cor. come compositum di più lettere o di vari frammenti di singole lettere v.
soprattutto Schenk, ZNW 60, 219 ss.; Schmithals, ZNW 64, 263 ss.; Schenkc-Fischer,
Einleitung, 92 ss.; a mio parere vi sono motivi convincenti a favore dell'unitarietà di I
Cor. in Merklein, ZNW 75, 15 3 ss.
2. M. Bunker, Briefformular rmd rethorische Disposition im I Kor, presenta delle sud-
divisioni retoriche per I Cor. 1, 10-4,21 e I Cor. 15. Ma tentativi simili non riescono a
convincere. È molto difficile, ad esempio, riuscire a vedere nelle argomentazioni teo-
logiche(!) di 1,18-2,16 la narratio di 1,10-4,21. Solo 3,1-17 deve essere laprobatio.
l Cor. l-4: theologia crucis - theologia verbi crucis
3. Uno degli studi più interessanti sulla teologia della croce in Paolo è l'opera di Hans
Weder, Das Kreuz bei Paulus. Nell'ambito che interessa a noi non è possibile dilun-
garci nella discussione di questo studio, che è anche sistematico-teologico.
4. Anche l'argomentazione successiva mostra quanto siano impiegati in senso «dialet-
tico» p.wpla e òuvap.tc;. Secondo il v. 23, per i giudei si tratta di uno scandalo, e solo
per i greci di una follia. Ma tale distinzione non va applicata al v. 18. Qui si vuol dire
che tutti quelli che rifiutano la parola della croce, dunque anche i giudei, la conside-
rano espressione di massima stoltezza e dunque vanno incontro alla rovina per colpa
della loro ignoranza.
Le lettere di Paolo I 3I
in virtù del quale il logos divino diventa o stoltezza che rende
stolti i «sapienti» ( 1 ,20: è:p.wpave:v 6 .fhòç -r~v crocpiav -rou x6cr-
µou 5 ), 6 e dunque parola di condanna che ne fa dei perduti, o
potenza di Dio, òUvaµ&ç -8e:ou, che salva quelli che credono.
Certo, al v. 18 manca ancora mcr-re:ue:&v, ma già dopo il v. 21
piacque a Dio ò&à -ri)ç µwpiaç 'tOU XYJpU"([J-CX'tO(, crwcra& 'toÙç mcr-
'tE:UOV'tCXç.7 Se dunque la parola della croce è parola che una
volta giudica e condanna, e un'altra salva e assolve, con l' e-
spressione òuvaµ&ç -8e:ou si intende solo il suo opus proprium.
La vera, particolare potenza di Dio è di conseguenza la nuova
creazione escatologica, come Paolo ha già messo precedente-
mente in luce con xm v~ x-ricr&ç (Gal. 6, 1 5). Dunque Dio, es-
sendo colui che pronuncia la sua parola della croce, è il nuovo,
potente creatore escatologico. Ma solo se questa parola viene
accolta con fede e comprensione Dio, in virtù appunto di tale
parola, agisce in modo escatologicamente creativo. Insomma,
solo se si accoglie con fede la predicazione della croce Dio di-
venta operatore di salvezza nella sua dynamis. Soltanto laddo-
ve la predicazione, che esteriormente sembra una stoltezza,
viene compresa come sapienza di Dio, e dunque laddove vie-
ne compresa la parola di Dio, Dio è potente. Ma il non creden-
te inevitabilmente vede la croce come un evento assurdo; con
Albert Camus si potrebbe affermare che egli ascolta la parola
della croce come una semplice asserzione, riferita in modo so-
lo tetico a un significato globale presunto. 8 Almeno per quan-
to riguarda I Cor. 1,18 ss., Lutero ha avuto ragione con il suo
sub contrario. 9
La citazione di Is. 29,14 riporta il testo dci LXX ad eccezione di à.·lkt~
aw (ivi xp .Jljiw). Siccome Paolo, a quanto pare, nel proprio testo dei LXX
1
5. Successivamente (Rom. 1,21 s.) Paolo definirà in maniera analoga quanti miscono-
scono il creatore con il pass. div. ÈtJ.t1)pav·9ricrav, parallelamente ÈtJ.ai:atùi-Bricrav (= ven-
gono ridotti a niente, «annientati•).
6. Un parallelo al positivo otxawiiv: Dio rende giusti gli ingiusti.
7. Qui tJ.opta viene impiegato in senso lievemente ironico, traducibile con «quella che
si dice stoltezza», in quanto tale termine è usato in riferimento ai credenti, ossia colo-
ro che appunto non considerano la parola della croce una follia.
8. Camus, Il mito di Sisifo, passim.
9· Al riguardo cfr. von Loewenich, Luthers theologia crncis, passim.
132 La teologia di Paolo
20. Anche 't~v ><Àijcnv up.ù1v al v. 26 consente il collegamento con quanto lo precede,
ossia con aÙ'totç 'totç ><Àl]'tOtç del v. 24.
2 r. Una dettagliata documentazione per questa e per le successive affermazioni è for-
nita da Hiibner, StNTU 9, 161 ss.
22. Solo en passant ci si può chiedere se nel triplice itou ... di 1 Cor. 1,20 non risuoni
anche il ripetuto r.ou ... di Bar. 3,14-16 (accanto al riecheggiare-indiscusso- di Is. 19,
12 e 33,18 s.). Agli argomenti menzionati in Hiibner, StNTU 9, 161 ss., andrebbe ag-
giunto anche Bar. 3,23: OU'tE u[ol 'Ayà.p oì È><~l]'tOUV'tEç 't~V auvEatv Èr.l 'tijç yijç, o[ EtJ.-
;;:opot 'tijç MÉppav ><al 8at1J.à.v ><al o[ tJ.u·.9oMyot ><al o[ È><~'l]'t'l]'tctt 'tijç auvÉaEwç, oòov
òè: aocp{aç oÙ>< Ì:yvwaav oùòè: ÈiJ. v~a-ll'l]actv 'tà.ç 'tfJt~ouç aÙ'tijç. Questa frase pesa for-
se come indizio a favore dell'ipotesi secondo la quale Paolo avrebbe tenuto conto di
Le lettere di Paolo 1 35
37. In Paolo ricorre l'espressione ò cdwv oli'toç; ma «questo eone» non è da lui formu-
lato come contrario dell'eone futuro (ò alwv 1J.iÀÀwv). Paolo dunque non articola le
sue affermazioni teologiche ricorrendo alla terminologia che gli deriva dal classico
schema apocalittico dei due eoni. «Questo eone» per lui non è tanto un concetto tem-
porale quanto principalmente l'entità che si contrappone all'esistenza cristiana. È sim-
bolo della malvagità del mondo irredento, che si sta precipitando verso la propria
fine; v. Gal. 1,4: 37twç È~e'.À7J'ta1 -IJ1J.aç Èx 'tou alùivoç 'toii Èvecr'\"ÙJ'toç 7tOV7Jpou. Che nel-
l'espressione «questo eone» si celi anche un elemento temporale è inevitabile, vista
l'attesa prossima, e lo si può cogliere nel termine Èvecr'twç. Per questo Traugott Holtz,
a proposito di Gal. 1,4, può giustamente parlare di una storia presente descritta come
«cattiva»; in Paolo, il mondo presente non sarebbe più il mondo proprio del credente
(EWNT r, 109 s. [DENTI, 120 s.]).
38. La doxa, perduta per colpa del peccato (Rom. 3,23), ci è stata restituita come do-
no della redenzione avvenuta in Cristo. La doxa, come dimostra anche 2 Cor. 3,18 -
redatta poco tempo dopo I Cor. - è presenza. È partecipazione alla doxa di Dio (He-
germann, EWNT r, 838 [DENT r, 920)). Anche l'aoristo ÈÒo~acrev di Rom. 8,30 va in-
terpretato in tal senso (con E. Kasemann, HNT4 12a, 236 s.; H. Schlier, HThK VI,
273-275 [tr. it. La lettera ai Romani, Brescia 1982, 449-452)).
39. Quest'idea verrà ripresa più tardi nella scuola paolina: Ef 1,4.
La teologia di Paolo
46. È ovvio che il testo della citazione non può essere forzato fino ad affermare che,
poiché amiamo Dio, egli ci ha fatto conoscere questa sua sapienza.
1 44 la teologia di Paolo
47. Costituisce certamente un problema il fatto che al cap. 3 i corinti siano interpella-
ti come crcxpxixol e non come r.veup.cx'ttxoL Ed è comprensibile che Widmann, ZNW
70, 44 ss., qui scorga un elemento probatorio della propria tesi, che considera I Cor.
2,16 una glossa. Tuttavia non si può trascurare il carattere di riprovazione di I Cor. 3,
1 ss.: veramente voi siete ciò che ho affermato in 2,6 ss., ossia pneumatici. Ma nella
vostra battaglia tra fazioni non dimostrate affatto di essere pneumatici, bensì sarchici.
Il tono è ironico. Per spiegare la differenza tra I Cor. 2,6 ss. e 3,1 ss., quindi, è certo
superfluo ipotizzare che Paolo distingua nella comunità di Corinto due gruppi, i per-
fetti o pneumatici, e gli ancora imperfetti o sarchici (così, ad es., Conzelmann, KEK
v, 83 ss.). A ragione J. Kremer, EWNT III, 292 (DENT II, 1023) sostiene: «Secondo
Paolo, sono spirituali tutti i cristiani, anche se talvolta si comportano da 'terreni' (crap-
xt voç) e 'minorenni' (r Cor. 3,1), e non da 'perfetti' ('tÉÀetoç) (cfr. anche Gal. 6,1)».
Le lettere di Paolo 145
Ma affermando che noi comprendiamo solo -rà u7tÒ -rou
.{)e:ou "f,p..p~cr.{)f.vw., e non -rà -rou -a.e:ou, Paolo non opera una ri-
duzione? Questo interrogativo merita una risposta negativa,
perché Paolo non attenua l'affermazione secondo la quale noi
avremmo «ricevuto», ÈÀa~oµe:v, lo Spirito di Dio. Infatti, noi
possediamo Io Spirito di Cristo; enfaticamente 2,6-16 conclude
così: ~µe:i'ç ÒÈ vouv Xp~cr-rou è:xoµe:v. Se dunque Paolo asserisce
che noi possiamo comprendere ciò che Dio ci ha misericordio-
samente elargito, questo equivale a comprendere le «profondi-
tà di Dio», dato che contenuto della sapienza di Dio è la paro-
la della croce. 48 Per l'apostolo quindi le profondità di Dio e
l'agire di Dio nella croce di Cristo sono un tutt'uno. In altre
parole, la natura di Dio si rivela nel suo operato. Paolo non fa
differenza tra essere e fare. Perfetto, -rÉÀe:wç, è allora colui per
il quale nella parola della croce si è rivelata la natura di Dio. 49
Detto questo, non vi è neanche più motivo di chiedersi se
anche noi, quando abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio che ci
consente di comprenderne le profondità, siamo diventati di
natura divina; in altri termini, se si dà un'unità di natura in
senso gnostico tra Dio e l'uomo pneumatico. È possibile che
Paolo abbia ripreso, inconsapevolmente o addirittura voluta-
mente, concetti (proto)gnostici per combattere gli avversari
gnostici con le loro stesse armi. 10 Il linguaggio paolino è no-
toriamente audace in quanto, nella terminologia che adotta,
sospinge talora l'uomo redento in una posizione paurosamen-
te prossima a Dio; ma il tenore generale della teologia paolina,
per il quale Dio resta Signore della sua creatura, stronca da su-
bito tale ipotesi. Dunque, il fondamento teologico-pneumati-
co dell'ermeneutica paolina è che noi «possediamo» lo Spirito
di Dio e che, secondo il principio per cui «il simile si conosce
48. Bene F. Lang, NTD 7, 41, per il quale la sapienza di 1 Cor. 2,6 non è «una sapien-
za superiore, che porta al di là del crocifisso». Contrario Conzelmann, KEK, 79, per
il quale si tratta di contenuti ulteriori del sapere che Paolo sino ad allora ha tenuto
nascosti ai corinti.
49. Chi voglia differenziare i pneumatici di 1 Cor. 2,6 ss. come gruppo a sé, contrap-
posto ai sarchici, deve dunque anche supporre che vi siano due diversi livelli di cono-
scenza spirituale. 50. Ad es. Winter, Pneumatiker und Psychiker,passim.
La teologia di Paolo
libro di Isaia insieme a quello della Genesi e, più ancora, a quello dci Sal-
mi hanno avuto grande importanza. Qui tuttavia bisognerà ricordare an-
che Geremia, specialmente la pericope relativa alla chiamata, Ger. 1,4-
10, i cui vv. 9 s. sono di particolare rilievo: il Signore ha posto le sue pa-
role sulla bocca dcl profeta, il cui compito tra l'altro consiste nel à'J0txo-
òo1J.E~\I xaì xa-raq>U'tEUEt\I - i popoli, W\IYj, sono specificamente menzio-
nati. 59 Che per Paolo la propria vocazione fosse in continuità con la chia-
mata dci profeti veterotestamentari lo mostrava già Gal. r, r 5. 60
Un tempo era Israele la piantagione di Dio, e l'annuncio
profetico faceva da mediatore; adesso è la chiesa la nuova e de-
finitiva piantagione di Dio, ed è l'annuncio apostolico del van-
gelo a consentire la mediazione. Obiettivo è l' autocomprensio-
ne di questa comunità davanti a Dio. Nel caso di Israele si trat-
ta della minaccia di giudizio, ma in quello della chiesa si tratta
principalmente dell'annuncio del vangelo; da qui l'efficacia del
vangelo come potenza di Dio, che significa proprio salvezza
dal giudizio. Se Paolo ha piantato e Apollo ha innaffiato, se
dunque entrambi compiono l'opera di Dio in quanto suoi
ministri - è comunque Dio con la sua parola potente l'artefice
vero e proprio -, allora la chiesa creata da questa parola rap-
presenta il rifugio sicuro dell'individuo, al riparo nella pianta-
gione di Dio. Per il singolo questo significa sentirsi parte del
campo di Dio, .{).wu ye:wpywv, I Cor. 3,9. Il testo di I Cor. 3 è
dunque eminentemente soteriologico, e tale soteriologia è di
natura kerygmatica: dove la parola della croce viene creduta, lì
l'azione di Dio compiutasi nella croce di Gesù opera la salvez-
za. Ovviamente si tratta di un testo la cui soteriologia non può
in alcun modo essere interpretata in senso individualistico. Tut-
to il capitolo, infatti, mira a enucleare la dimensione ecclesiolo-
gica del compito kerygmatico di coloro che, in quanto ministri
e collaboratori di Dio, -Be:ou cruve:pyol,6 annunciano il vangelo
1
67. Noth, BK.AT, 181 s.; spec. 182: «Così facendo Jahvé viene fatto entrare nell'am-
bito delle concezioni, molto diffuse nei paesi di antica cultura orientale, che pongono
la dimora della divinità in case (della città). Questo concetto del 'dimorare' si è fissato
nella 'teologia del tempio' della Gerusalemme di epoca regale, e di tanto in tanto riaf-
fiora in qualche oracolo profetico (ls. 8,18b~; cfr. anche Am. 1,2a) e nella poesia cul-
tuale (ad es. Sa!. 76,3b; 132,13 s .... )»; Wiirthwein, ATD, 88 s.
68. Wiirthwein, ATD, 89. 69. von Rad, Deuteronomium-Studien, 42 s.
70. Wiirthwein, ATD, 103.
154 La teologia di Paolo
in una serie di salmi, come ad es. Sai. 2,4; 102,20; 103,19; 123,r; 144,5. Nel
suo studio sulla storia della presenza di Dio, intitolato significativamen-
te Il mistero del tempio, Yves Congar ritiene che al più tardi all'epoca di
Amos e di Osea si sia affermata la concezione per cui «il vero tempio è
il cielo». Perciò «il senso sbalorditivo della grande visione di Isaia, e già
delle percezioni di un Osea (r 1,9)», è che il Dio superiore a tutte le cose,
il Dio della trascendenza assoluta, è il Santo di Israele. Per questo Con-
gar parla di una «tensione, avvertita con angoscia dalle anime più reli-
giose, tra la trascendenza celeste di Dio e la sua presenza quasi familiare
in mezzo ad Israele, tra la sua santità e le comunicazioni che faceva al
popolo, tra la sua separazione e la sua vicinanza»;7 1 per questo anch'e-
gli, nella teologia del nome di Deut., scorge l'espressione che sottolinea
appunto tale tensione. 72 Tuttavia ribalta il dato storico-religioso. Le due
concezioni relative alla presenza di Jahvé dovrebbero essere in tensione
più che altro a motivo della nostra logica, avvezza a sistematizzare tut-
to. Vi sono tantissimi passi in cui le due concezioni sono liberamente af-
fiancate, senza per questo suscitare l'impressione che si debba primari-
muovere una tensione preesistente. Così, ad esempio, in Sai. r 1,4 si tro-
vano giustapposte le affermazioni per cui J ahvé è nel suo santo tempio,
e il suo trono è nel cielo. 73 In Sai. r 8 la giustapposizione delle due con-
cezioni si ha in un'unica sequenza, se si presuppone che hékal designi il
tempio: 74 Jahvé ha ascoltato l'orante dal suo santuario, ossia nel tem-
pio, v. 7;7 5 Jahvé ha abbassato i cieli ed è disceso, v. ro.
Comunque s'intenda la relazione tra i due modi di Jahvé di
essere presente, due punti sono chiari: che il tempio come sua
dimora e quindi come sua «localizzazione» appartiene fonda-
mentalmente alla fede veterotestamentaria, e che l'idea del tro-
no nei cieli è espressione del suo dominio e della sua superio-
rità sul mondo. Che poi entrambe le concezioni potessero co-
esistere, sottolineando in questo modo più il loro aspetto pu-
ramente ideale che non ciò che veramente intendevano, rientra
nella legge universale per cui ciò che è stato pensato e detto
una volta, ciò che è diventato una volta oggetto di riflessione
umana, continua poi a vivere. Così la concezione di Jahvé che
ha il suo trono nei cieli implica naturalmente la propensione
71. Congar, Il mistero del tempio, u2.
72. Op. cit., 112 s. 73. H.-J. Kraus, BK.AT xv/1, 90 s.
74. Così a quanto pare Kraus, BK.AT, 136 ss.; di opinione diversa Gesenius, Wiirter-
buch, 179·
75· tji 17,7 interpreta chiaramente hekal come «tempio»: Èx vcxou ay[ou cxù-.ou.
Le lettere di Paolo I 55
per il concetto di trascendenza di Dio. Certo, c'è da chiedersi
se il concetto non biblico di trascendenza sia adeguato alle af-
fermazioni bibliche, e soprattutto veterotestamentarie, riguar-
danti Dio. Se si pensa nelle categorie filosofiche dell'essere tra-
scendente e immanente, bisognerà prendere in considerazione
soprattutto il messaggio biblico centrale per determinare con-
tenutisticamente trascendenza e immanenza: il Dio della tra-
scendenza, superiore al mondo come suo creatore, redentore e
giudice, è anche il Dio che agisce nell'immanenza di questo
mondo.7 6 Per la questione relativa a una teologia biblica è di
grande importanza che, con la presenza di Dio in un luogo
che essendo geografico è anche storico - ossia nel tempio di Ge-
rusalemme e in Sion -, si sia avuto il preludio teologico all' a-
gire storico di Dio, così come espresso nel Nuovo Testamento.
Se anche si fa presente la spiritualizzazione della concezione
di tempio avvenuta già in epoca precedente il Nuovo Testamen-
to, in particolare a Qumran (ad es. CD 3,19), tuttavia il fattore
decisivo è che Paolo ha modificato la presenza di Dio nel tem-
pio, espressa in categorie storiche, in modo tale da far apparire
la comunità cristiana in quanto tempio di Dio come luogo del-
la presenza del Dio redentore. Qui dunque viene espresso in
termini ecclesiologici quell' «essere-in-Cristo» che, già noto da
Gal., è garanzia della presenza di Dio. Anticipando il cap. 12,
ove nel corpus Paulinum ricorre per la prima volta, in termini
cronologici, l'idea di corpo di Cristo, crwµ.a Xp~cr't"ou, si può af-
fermare che la chiesa di Dio in quanto tempio nuovo di Dio e
in quanto corpo di Cristo, è anche, in quanto essere-in-Cristo,
luogo della presenza storica nuova di Dio. 77
La soteriologia kerygmatico-cristologica sfocia per esigenze
teologiche nell'ecclesiologia. Una soteriologia senza ecclesiolo-
gia è lontana dalla realtà, priva di fondamento. E ancora, un'ec-
clesiologia senza la dimensione kerygmatica è vuota, mentre la
76. Cfr. voi. r, cap. 3.3. Ciò che lì si affermava in termini di teologia fondamentale a
proposito del concetto di rivelazione vale, mutatis mutandis, anche per la questione
relativa al rapporto tra i due modi di essere presente di Jahvé, nel tempio e nei cieli.
77. Qui il concetto di storicità, applicato a Dio, viene impiegato sulla scorta di quan-
to affermato nei prolegomeni nel già citato cap. 3.3.
La teologia di Paolo
fondo abbia scritto Paolo. 9 ' Si tratta di una parenesi su base so-
teriologica; è la dimostrazione che la parenesi è cristiana quan-
do ha basi teologiche. E in tale contesto la teologia è una teo-
logia della parola, ermeneuticamente responsabile, che in quan-
to theologia crucis possiede necessariamente una dimensione
sia cristologico-soteriologica, sia pneumatologica. La concre-
tezza di questa theologia crucis, tuttavia, è necessariamente an-
che ecclesiologica. In breve: nella teologia che sostiene la pare-
nesi di I Cor. r-4 si ritrovano pressoché tutte le sfaccettature
dei vari «ambiti» teologici.
Certo, nella concezione teologica di questi capitoli è assente la dottrina
della giustificazione, in quanto non ricorre il topos «giustificazione non
mediante le opere della legge, ma [solo] per fede». Tuttavia, ciò non de-
ve necessariamente essere elevato a criterio per ritenere le lettere ai Co-
rinti cronologicamente precedenti la lettera ai Galati. Il motivo per cui
si fa presente questo fatto è che il tema della giustificazione non median-
te le opere della legge ma [solo] per fede è una formula polemica che
perde di significato nello stesso momento in cui viene a mancare il presup-
posto per una polemica di questo tipo. E che la formula polemica ap-
pena ricordata di per sé non sia chiara, lo dimostra il contesto differente
e a volte contraddittorio in Gal. e in Rom.; nelle due epistole, infatti, il
concetto di legge non è affatto identico. Per questa ragione non è possi-
bile valutare in modo convincente una prossimità cronologica in base a
una frase che riceve di volta in volta connotazioni diverse. Per Paolo, a
Corinto era necessario discutere polemicamente la questione della sa-
pienza. Il punto nevralgico, qui, non era affatto la questione delle con-
dizioni della giustificazione.
Gli elementi positivi del teologumeno comune a Gal. e
Rom. della giustificazione per fede, tuttavia, sono espressi chia-
ramente in I Cor. r-4. È sulla croce, e dunque sulla parola del-
la croce, che si basa la salvezza. Croce e vangelo sono gli ele-
menti fondamentali di salvezza, da parte di Dio, mentre lari-
sposta dell'uomo è la fede - sulla base di r Cor. 1, 18 ss., si può
persino affermare: solamente la fede. Come in Gal. e in Rom.,
vi è espressa la triade x.~puyfJ.Gt - cr0~etv - mcr'teuetv, ove il ke-
91. Per una più profonda comprensione esegetica e teologica di r Cor. 1-4 v. anche
Best, The Power and the Wisdom of God; Hanson, The Paradox of the Cross; Kertel-
ge, Das Verstandnis des Todes]esu bei Paulus; Merklein, Die Weisheit Gottes und die
Weisheit Der Welt (sul problema di una •teologia naturale»).
Le lettere di Paolo 161
92. Anche se sintatticamente àrcò ·.'kou va riferito innanzitutto a ao9ia., stando all'in-
tenzione si riferisce certo alla triade OLKa.toaUV"t], ayta.a1.1.6ç e àrcoÀU'tpù)t;Lç. Questi tre
termini hanno per così dire carattere epesegetico per la ao9ia. ~1.1.i v àrcò 8wu.
162 La teologia di Paolo
la dello Spirito di Dio -vouç è qui sinonimo di 7t\/EUJJ.<X -; questi rende l'uo-
mo capace di comprendere la sapienza di Dio come parola della croce. E
con ogni probabilità, in 3,6 Paolo aveva presente Is. 5,2.
Anche per 1 Cor. si può già dire ciò che più tardi si affermerà in par-
ticolare a proposito di Rom.: quanto Paolo asserisce evidenzia la sua
familiarità con i contenuti e il mondo linguistico del libro di Isaia. Vice-
versa, citazioni e allusioni tratte da altri testi veterotestamentari sono
piuttosto sporadiche, se si eccettua un unico enunciato (v. sotto). In 3,
20, lji 93,1 l in fondo non fa che ribadire un concetto divenuto ormai già
abbastanza chiaro nell'argomentazione teologica. Al contrario, Giob. 5,
12 s. in 3,19 potrebbe far supporre che il pensiero di Paolo fosse già in
un certo modo segnato anche dal contesto di questo passo. Ma nessuna
delle due citazioni ha una funzione realmente portante nel quadro del-
l'argomentazione di 1 Cor. 1-4. Di particolare importanza teologica po-
trebbe essere però Ger. 9,23, in 1,JO, citazione preparata da alcune allu-
sioni a passi di Bar. Sebbene questa citazione di Ger. consista in un invi-
to ai cristiani, ed abbia perciò carattere parenetico, proprio Bar. 3 s., let-
to con gli occhi di Paolo, consente di riconoscere in Dio quella caratte-
ristica che ribalta completamente la sapienza umana.
93. Si tratta della madre naturale o della matrigna? La seconda ipotesi è la più proba-
bile (v. anche Ps.-Focilide 179). Riguarda una relazione extraconiugale con la moglie
legittima del padre, oppure il matrimonio con la moglie vedova o divorziata del pa-
dre? V. i commentari.
Le lettere di Paolo
«moglie di tuo padre» è esplicitamente vietato. 94 Stando a Lev. 20, I I, chi
abbia rapporti sessuali con la moglie dcl padre va punito con la morte.
Deut. 17,5-7 prescrive come debba essere eseguita la pena di morte per
apostasia - le trasgressioni di Lev. I 8 qui non vengono menzionate -,
ossia mediante lapidazione. Di tale norma Paolo cita l'ultima frase: «To-
gliete il malvagio di mezzo a voi, È~apcne: -ròv 7tOVYJpÒv È~ ùp.wv ai.J-rwv». 95
104. L'immagine dcl lievito ricorda per associazione quella di Cristo agnello pasqua-
le. Quando però in I Cor. 5,7 Paolo afferma che «anche Cristo, il nostro agnello pa-
squale, è stato immolato», l'evento della croce è ricordato solo in modo atematico.
Riguardo a I Cor. 5, l-l l v. anche Goldhahn-Miiller, Die Grenze der Gemeinde, l 2 1
ss.; Umbach, In Christus getauft- von der Sunde befreit, 86 ss.
105. Il v. 1 l contiene anch'esso una intera dogmatica in nuce; non richiede tuttavia di
essere spiegato adesso, visto che dcl suo contenuto si è già parlato a sufficienza nell' e-
sposizione fin qui condotta della teologia di r Cor. Ciò che al v. l l si afferma a pro-
posito del battesimo verrà trattato più avanti più approfonditamente.
106. Lietzmann, HNT, 27: «Il reiterato mina 1J.ot è:l;Ecr"rtv (v. lo,23) ... era forse uno
slogan antigiudaizzante di Paolo, come mina ù1J.wv È<r"rt in 3,21 s., che ora i corinti
gli rinfacciavano per giustificare il rapporto sessuale extraconiugale».
107. La fazione di Pietro a Corinto potrebbe essere stata sfruttata come punto d'ap-
poggio per la propaganda giudaizzante?
Le lettere di Paolo
non dica «Egli è [con lei] un unico crwµcx», come ci si aspetterebbe dallo
stile dell'argomentazione, bensì ev 7tve:uµa fo·nv. E questo nonostante
l'espressione crwp.cx Xptcr-ro0, che ricorrerà più avanti in I Cor. l 2. 121
Proprio l'affermazione di 6,15 riguardo ai µÉÀl] -rou Xptcr-rou, che non
devono diventare r.opvl]ç iJ.ÉÀl], 122 avrebbe fatto pensare che in qualche
modo, nel v. 17, sarebbe comparso il termine crw1J.cx.
Così però si pone la questione di come intendere il senso
dell'affermazione secondo la quale chi ha un legame stretto
con il Signore è con lui «un unico Spirito». Anche qui ci si po-
trebbe chiedere nuovamente se tale formulazione vada intesa
come identità d'essere tra il cristiano e il suo Signore. Che la
consustanzialità sia data dalla natura spirituale comune al cri-
stiano e a Cristo? Forse in questo modo - che la si chiami mi-
stica oppure no - l'individualità del singolo cristiano va addi-
rittura perduta? Già a proposito di EV crwp.a, concetto applica-
to a chi frequenta i bordelli e alla prostituta, Erhardt Giittge-
manns dichiara: «Essi non sono più due individui distinti, ma,
insieme, un unico essere». 123 In quanto unico soma, fornicato-
re e prostituta sono strumento di fornicazione, la 7topvda, pre-
sentata in modo addirittura ipostatico. 124 Dunque il cristiano
che appartiene al Signore (dat. di appartenenza: -rò crwp.a -refi
xuptq.>) conclude con lui un'unione ipostatica fondata dal pneu-
ma? La formulazione proposta da Paolo al v. 17 suggerirebbe
una tale interpretazione, che però risulta inconciliabile con la
concezione teologica di fondo dell'apostolo così come esposta
fino ad ora a proposito di I Cor. Contro un'interpretazione
consustanziale di questa e di altre dichiarazioni paoline vi è il
dato di fatto che per Paolo Gesù in quanto Figlio di Dio è il
kyrios, intendendo kyrios stricto sensu, ossia colui che sta di
fronte a chi è sotto il suo dominio. Anche in I Cor. 6, 13.17 si
parla marcatamente del kyrios. Un'unione di natura tra òouÀoç
e xupwç di fatto costituirebbe una maxima contradictio in se-
metipso. Il pensiero paolino può essere facilmente sondato per
150. Op. cit., 123. 151. Op. cit., 108. 152. Op. cit., 111 s. 153. Op. cit., 113.
La teologia di Paolo
165. Op. cit., 92; v. anche op. cit., 37: «Qui infatti Jahvé ... viene messo in relazione con
la sapienza e l'intelligenza nel momento in cui se ne serve nella propria azione creati-
va, certo mediante il proprio sapere, che in senso lato intende la sua capacità. In que-
sto modo la preminenza di Jahvé è tutelata, mentre la sapienza e l'intelligenza non so-
no neanche da intendere puramente come caratteristiche diJahvé. Nel complesso, i due
versetti [se. 3,19 s.] appaiono come un succinto riassunto di ciò che la Sapienza perso-
nificata espone diffusamente nel suo discorso del cap. 8 sul tema della creazione ... ».
166. Tradotto sulla base di Pli:iger.
167. Ma v. Kayatz, Studien zu Prov 1-9, passim. Tuttavia, qui non può essere messo
in discussione l'influsso che le concezioni egiziane relative alla maat ebbero su quelle
della Sapienza nei Prov.
168. Sir. 24,9: 7tpÒ "!ou alwvoç à7t'àpx-YJç ~x"!t<rÉv iJ.E, I xal !:wç alwvoç où iJ.~ l:xÀt7tw.
169. Eduard Schweizer, Zur Herkunft der Praexistenzvorstellungen bei Paulus, I06,
cita Sir. 24,3 con un punto interrogativo. Ad essere inteso non può essere che il v. 3 b:
xal wç b1J.tXÀTJ KCX"!EKctÀu<jla y-Yjv. Ma in questa affermazione sarà ben difficile poter
individuare una mediazione diretta nella creazione. È incerta un'allusione a Gen. 1,2
o a Gen. 2,6, che può essere ritenuta possibile al massimo per Gen. 1,2; v. le conside-
razioni critiche di Marbi:ick, Weisheit im Wandel, 59. Purtroppo non siamo in pos-
sesso del testo ebraico originale di Sir. 24,3.
170. Sir. 24,8: xal d7tEV 'Ev 'Iaxw~ xa"!a<rx~vwcrov I xal Èv 'fopa~À xa"!aKÀTJpovo1J.~-
i9TJ"!t. 171. Marbi:ick, Weisheit im Wandel, 61-63.
Le lettere di Paolo
salvifica del popolo eletto. 172 Gerusalemme potrebbe anzi essere conside-
rata il vero e proprio ambito di potere della Sapienza all'interno del mon-
do. 173 Eckhard J. Schnabel parla dell'universalismo della Sapienza, 174 ri-
ferendosi tra l'altro a Sir. 1,9. 175 Che la Sapienza operi non solo a Gerusa-
lemme, ma nella creazione intera, egli lo interpreta giustamente come sua
manifestazione all'interno dell'ordinamento della creazione, evidente in
particolar modo in Sir. 16,24-17,14; 39,14-35; 42,15-43,33. 176
Ora, se il processo della creatio è teologicamente inteso come evento
che ha la sua continuazione significativa nella gubernatio del mondo crea-
to, dunque come creatio continua,1 77 allora l'agire della Sapienza di Dio
sarà visto come azione interna appunto a questa creatio continua, così
come intendeva Gesù Ben Sira. Dal punto di vista soteriologico, la
creazione del mondo è subordinata all'ordinamento salvifico presente,
anche nel pensiero paolino.
Nella Sapientia Salomonis si torna a insegnare la partecipazione della
Sapienza all'atto della creazione. Nella preghiera di Salomone Dio già al
principio viene invocato in modo significativo, 9,1 s.:
.fJeÈ 7ta-rÉpwv xal xupte -rou ÈÀÉouç
Ò 7tOt~craç -rà mxna Èv ÀO'(Cf crou
xal -riJ crocptCf crou xa-racrxeuacraç av.fJpw7tov,
t'va òecrTIO~TI -rwv tmÒ crou yevop.Évwv x-rtcrp.a-rwv.
Il parallelismo sintetico tra i vv. 1b e 2a fa presumere l'identità tra logos
e sophia. E di questa sophia, al v. 9 è detto:
xal µe-rà crou ~ crocpia ~ dòu~a -rà è:pya crou
\ - rr ' 1 \ I178
xai 7tapoucra, o-re e7totetç -rov xocrµov.
r 86. Parallelamente a questo, come si è già più volte evidenziato sinora, vi è la consi-
derazione che non è il dato di fatto oggettivo della croce a giustificare, bensì la fede
nella croce. 187. Thiising, Gott und Christus, 228. r 88. Op. cit., 228.
r 89. Op. cit., 229.
Le lettere di Paolo
202. Vollenweider, Freiheit als neue Schopfung, 209. 203. Op. cit., 2or.
Le lettere di Paolo
204. All'epoca della stesura della lettera ai Romani Paolo ha fatto ulteriori progressi
nella riflessione teologica sul significato della circoncisione; v. a Rom. 4.
La teologia di Paolo
la costante immutabile nella sua vita e nel suo annuncio. Tale trasforma-
zione non significa neppure che ora intende in modo diverso il suo «es-
sere in Cristo». Ad aver subìto una trasformazione è stata piuttosto la
sua posizione rispetto a determinati fenomeni all'interno delle sue co-
munità missionarie, soprattutto in riferimento alla legge. D'improvviso,
partendo dal vangelo della libertà egli è in grado non solo di percepire
chiaramente l'essere sotto la legge come una terribile schiavitù, ma an-
che di condividere tale schiavitù proprio perché in qualità di apostolo è
l'uomo libero. Questa libertà- non a caso 9,19-23 ha inizio con le paro-
le èÀe:u.Se:poc; yàp wv èx. minwv, poiché sono libero da tutti 205 - lo rende
libero di condividere solidarmente la schiavitù della legge. Per questo
può rendere - e in modo assolutamente non paradossale - il .,Proprio es-
sere-libero un farsi-schiavo, v. 19: 7tacnv èµ.c.wtòv èòouÀwtJa. 20 E proprio
questa libertà gli spetta perché la sua identità non è più costituita dalla
legge,2° 7 ma è fondata sul Dio che rende liberi. Deus est Deus libertatis;
Deus libertate sua liberans est. Dunque: Sine libertate Deus non est no-
bis Deus!
sto la sua stessa prefigurazione, vederlo come typos del suo stes-
so antitypos? Può Cristo «superare» se stesso, se già il concet-
to di tipologia (e qui non si può certo parlare di tipologia anti-
tetica) necessariamente implica l'elemento del superamento? 221
223. Stando a Num. 25,9, ne morirono 24000; che vi sia una sostituzione con Num.
26,62? Così ritiene Wolff, ThHK, 44.
o
224. Num. 25,1 s.: xaì È~E~'t)),w8't) ÀaÒç Èx;-;opveiicrat dç i:aç 8uyai:Épaç Mwa~. xaì
o
ÈxaÀecrav aùi:oùç È;-;Ì i:aç ·9ucr[aç i:wv dòÙiÀwv aùi:ùiv, xaì eqiayev ÀaÒç i:c;iv -9ucrtc;iv
aùi:wv, xaì ;-;pocrexuv't)crav i:otç dòÙiÀotç aùi:ùiv.
225. Certamente Cristo, con Wolff, ThHK, 44; Nestle-Aland 26 legge con p46 DG e
altri i:òv Xptcri:6v, Nestle-Aland 21 con ~BC e altri i:òv xuptov. Prendere posizione in
base alla critica del testo è difficile, benché per la nostra tematica non sia indispen-
sabile, visto che entrambe le lezioni concordano nel contenuto.
226. V. però anche <Ji 77,18.56: È!;rndpacrav i:Òv &6v - È;-;dpacrav xaì 7tctprn1xpavav
'tÒv "StOv 'tÒv Ul}tcr'tov.
l 98 La teologia di Paolo
227. Per la koinonia in Paolo cfr. Hainz, Koinonia, per il quale (p. 175) questo termi-
ne è un concetto chiave della cristologia come dell'ecclesiologia paoline.
Le lettere di Paolo 199
tolo è analogo a quello paolino per quanto riguarda aspetti interessanti.
A volte le corrispondenze si presentano senza parallelismi linguistici di-
retti, ma per via del contenuto. In Os. 4 si parla continuamente di nop-
vda e di nopve:Ùe:tv, colpe di cui si macchiano gli israeliti. Tra di essi dun-
que non vi è à.À~-8e:ta né Èntyvwcnç -8e:o•j (dr. I Cor. 8,r), 4,r.6. Se Paolo
aveva veramente presente questo capitolo, allora ci sarebbe da chiedersi
se in xal a\'p.a'ta icp'a\'p.acrt p.icryoucrt, 4,2, non abbia magari scorto un'al-
lusione all'a\'p.a 'tOU Xptcr'tOU. In 4,8 sta scritto ap.ap'ttaç Àao•j p.ou cpa-
yonat, e in 4, lo cpayov'tat e Ènopve:ucrav sono paralleli; quindi: 'tÒv x•.'.i-
pwv iyxa'tÉÀmov. E poiché Israele è stato tanto ribelle (4,16: wc, oap.aÀtç
napotcr'tpwcra), in 4,17 s. è detto infine: p.hoxoc, e:lowÀwv 'Ecppaìp. Hh1xe:v
iau'ttj) crxavoaÀa, flpÉ'ttcre: Xavavaiouc, Tiopve:iJone:ç il;rn6pve:ucrav.
È quindi assai probabile che in 1 Cor. IO Paolo abbia fatto
un'allusione a Os. 4. 228 Anche il pensiero di Osea propone l'al-
ternativa esclusiva tra la comunione con Jahvé oppure con gli
idoli. In altre parole, vi sono due soli tipi di esistenza, o quella
nella sfera salvifica di Dio oppure quella nella sfera di perdi-
zione degli idoli. Ancora una volta ritroviamo in Paolo la vec-
chia alternativa di fondo proposta dall'Antico Testamento ed
espressa in maniera esemplare soprattutto in Deut. 27 e 28:
l'uomo esiste o nell'ambito della benedizione o in quello della
maledizione. O si ha il sì di Dio all'esserci dell'uomo oppure il
no divino come annientamento dell'esserci umano, prima che
il nulla fisico inghiotta definitivamente l'infame, l'annientato.
In 1 Cor. 10,23-11,1, tutto sommato, Paolo riporta solo un
compendio di quanto ha affermato sino a questo momento. Ma
proprio questa pericope, ricorrendo alla citazione di un salmo,
esprime in maniera programmatica il dominio del Signore (~
23,1): -tou xuplou lj ì'YJ xa.l -tÒ 7tÀ~pw(J-a. mhi)ç. Se anche Dio si
è rivelato nella folle parola della croce, tuttavia dietro questa
rivelazione soteriologica vi è l'adesione al creatore e al potente
Signore del mondo.
del Logos, il quale da parte sua è e:lxwv di Dio, e secondo Gen. 2,7 Dio
ha creato l'uomo terreno-somatico come riproduzione di quello di Gen.
l,27, creato come idea. Secondo I Cor. l l,3, comunque, la sequenza Dio -
Cristo - uomo corrisponde agli elementi principali delle due successioni
proposte da Filone. Potrebbe forse essere che Paolo, almeno per tramite
di Apollo, avesse familiarità con l'elemento formale delle successioni fì-
loniane, e che quindi questo modo di pensare per gradi venisse da lui
applicato alla differenza tra uomo e donna che aveva in mente? Magari
addirittura in relazione al pensiero fìloniano, o almeno alessandrino-
giudaico, riportato da Apollo nella comunità di Corinto?
Dunque, per I Cor. l l,2 ss. si dovrà presumere un influsso teologico
giudaico, quale esso sia. Si può anche supporre, ma senza poterlo prova-
re, che Paolo subisse l'influenza formale della teologia alessandrina, alla
quale però non necessariamente risale il contenuto concreto, ossia il pri-
mato teologico dell'uomo sulla donna, recepito da un diverso ramo del
giudaismo. Tuttavia, c'è da mettere in conto anche l'eventualità che sia
stato Paolo stesso a sviluppare quest'idea accomunando Gen. l ,27 e Gen.
2,18.22; se così fosse, allora avrebbe riferito al solo Adamo sia il singola-
re di l ,27 "L'ÒV av.fJpW7tOV, inteso Come "L'ÒV avÒpa, sia Soprattutto il Xa"L''e:l-
X.OVa .fJE0 1j È7to( ricn:v aÙ"L'ov, mentre avrebbe collegato apcre:v x.al .fJ"i]Àu È7to(-
ricre:v aÙ"L'ouc; ad Adamo ed Eva. 232 Creata come aiuto, ~ori.fJoc;, per la e:l-
xwv .fJe:ou-così si può leggere Gen. 2,18.22, alla luce da una parte di Gen.
l,27ab e dall'altra di Gen. l,27c. Inoltre, Gen. 5,1-3 LXX può essere be-
nissimo letto come esclusione di Eva dalla diretta somiglianza con Dio:
è Adamo, il padre, a generare il figlio Set xa"L'à "L'~V lòfov (forma) aùw1j
xal xa"L'à "L'~v e:lx.ova aÙ"L'ou.
Ma se si ritiene che per I Cor. l l vi sia l'influsso di un modo di pen-
sare per gradi, fìloniano o perlomeno alessandrino, allora colpisce che la
sequenza Dio - Cristo - uomo - donna, i cui ultimi tre elementi in Filo-
ne sono rispettivamente e:lxwv di quello che precede (sebbene invece di
Cristo si abbia Logos), in I Cor. l l,3 sia tenuta insieme dal concetto di
xe:q>aÀ~, mentre in l l,7-9 manca, nella sequenza, la persona di Cristo e
compare invece, con Filone, l'espressione e:lxwv. Dal canto suo, e:lxwv
riguarda il rapporto dell'uomo con Dio: l'uomo è e:lxwv xal òO~a .fJe:ou.
Sorprende che per quanto riguarda la donna scompaia il concetto di e:l-
xwv. Essa è semplicemente òo~a àvòpoc;.2 33 Ed ecco la motivazione: yuv~
È~ àvòpoc;, la donna è creata per l'uomo. Qui, senza che sia nominato il
concetto di ~ori.fJoc;, risuona Gen. 2, l 8.2 34
232.Jervell, Imago Dei, 300, quando Paolo combina Gen. l,27 e 2,18 ss. lo vede in-
serito nella tradizione delle concezioni rabbiniche, come pure quando nel plurale di
Gen. l ,2 7c non vede espressa una creazione a immagine di Dio.
233. Conzelmann, KEK, 227 e 227 n. 49: dxwv e òOl;a sono sinonimi; il significato
formale di ò6l;a è «copia».
234. Eltester, Eikon, l 56, a proposito di 1 Cor. l l così riassume: «Registriamo come
Le lettere di Paolo 203
A detta di Jervell I Cor. 11,7 s. non è una citazione diretta
tratta da Gen. 1,27 e 2,22, bensì una riflessione su questi passi
della Scrittura sulla base di un midrash giudaico. 235 Si può con-
venire con lui se si eccettua l'accenno al presupposto midra-
shico. Tenuto conto di questo, diventa teologicamente rile-
vante che in I Cor. 11 vi siano affermazioni tratte dalla Genesi
come prove scritturistiche di una semplice consuetudine. Così
facendo, un determinato comportamento sociale viene innalza-
to sul piano di ciò che è teologicamente irrinunciabile, e questo
in contrasto con la concezione originaria di Paolo riguardo a
una questione fondamentale. La consuetudine indotta da cir-
costanze di tipo storico-culturale non porta certo Paolo a sa-
crificare il principio che ha esposto in Gal. 3,28. Tuttavia egli
introduce una norma esecutiva che, almeno agli occhi dei de-
stinatari di sesso femminile, rappresenta una relativizzazione
intollerabile del principio teologico «né uomo né donna». Cio-
nonostante, se dovessimo farne una colpa eccessiva a Paolo il
nostro sarebbe un giudizio molto poco storico. Contempora-
neamente si deve tener conto di un fatto: soltanto queste cir-
costanze di tipo storico-culturale, che Paolo non seppe indivi-
duare, lo spinsero a sviluppare un'argomentazione scritturisti-
co-teologica «giusta», ma nel luogo sbagliato. A tale riguardo
le donne di Corinto avevano ragione, anche se forse non anco-
ra nel contesto storico.
A Paolo bisogna concedere anche un'altra cosa: se si prende la Genesi co-
me unità teologica, e a quell'epoca Paolo non poteva fare altro, allora ov-
viamente il testo Sacerdotale di Gen. 1,27 può essere interpretato dal te-
sto jahvista di Gen. 2,18.22 esattamente come ha fatto Paolo, senza po-
ter accusare di artificiosità una simile esegesi. Dunque Paolo ha inter-
pretato i passi di Gen., che non cita pur avendoli certo in mente, parten-
do coerentemente dai presupposti esegetici di cui disponeva. Ma pro-
prio questa esegesi coerente avrebbe meritato la sua critica in base al suo
fondamento teologico. 236
risultato che eikon è dovuto a Gen. r,27, e va compreso a partire dalla speculazione
ellenistica. Il giudaismo, a cui risale l'argomentazione in 1 Cor. r r,2-16, in molti pun-
ti denota una certa conoscenza della cosmologia ellenistica. L'idea dell'uomo fatto di-
rettamente a immagine di Dio, invece, è da attribuire a un influsso genuinamente giu-
daico». 235. Jervell, Imago Dei, 296.
236. Riguardo alla cronologia relativa delle lettere di Paolo: le nostre considerazioni
La teologia di Paolo
il pane -rò crwp.a -rò U7tÈ:fl uµ.wv, I Cor. I r,24. Qui, crwµ.a sta per
il corpo offerto sulla croce «per voi», ossia la persona di Gesù,
che ha dato se stesso. Anche qui, perciò, crwµ.a indica l'essere
umano tutto intero, e non il corpo che può essere separato dal
vero io. Mediante il plurale «voi» viene certamente ampliato
quel singolare soteriologico di Gal. 2,20, con il risultato di sot-
tolineare chiaramente la dimensione ecclesiologica dell' enun-
ciato soteriologico. Analogamente, con il concetto di corpo di
Cristo offerto sulla croce e presente nell'atto sacramentale co-
me persona Gesù Cristo effettivamente presente in questo at-
to, lo spazio della redenzione viene espresso come realtà eccle-
siologica. Per questa ragione, in I Cor. 10,16 Paolo può parla-
re della comunione del corpo di Cristo, XOMù\ILCX 'rOU crwµ.a-roç
'rOU Xplcr'rOU. Nell'espressione -rò crwµ.a 'rOU XplO"'rOU si riuni-
scono dunque la dimensione soteriologica e quella ecclesiolo-
gica dell'evento salvifico. Si ha dunque redenzione laddove la
chiesa - rappresentata dalla comunità locale come pars pro to-
to ecclesiae - è esistente ed esprime questa realtà con efficacia
simbolica. 266 Lo spazio sacro della redenzione è ora la spazia-
lità salvifica dei redenti «in Cristo». Nella partecipazione al
corpo di Cristo, offerto in sacrificio per loro, essi sono l'unico
corpo di Cristo. L'unico pane è la loro koinonia del corpo di
Cristo; e l'unico corpo, che viene costituito attraverso il sacri-
ficio del corpo di Cristo, diviene concreto nei molti che par-
265. Otfried Hofius, Herrenmahl und Herrenmahlsparadosis, 205, in accordo con O.
Bayer parla di parole di donazione (Gabeworten); la definizione corrente per le paro-
le sul pane e sul calice, «parole interpretative» (Deuteworte ), sarebbe estremamente
discutibile, op. cit., 205 n. ro. Il termine «parole di donazione» è certamente appro-
priato; tuttavia diventa «estremamente discutibile» qualora il verbo «interpretare»
venga inteso solo in senso superficiale. Se tale verbo, però, appare nel contesto delle
«preghiere eucaristiche sul pane e sul calice» che hanno «carattere consacratorio»
(così, a ragione, Hofius stesso, op. cit., 229), allora le «parole di interpretazione», nel
senso inteso da Paolo, proprio per via della loro funzione interpretativa potrebbero
partecipare di questo «carattere consacratorio». Se anche esse non riguardano un' «i-
dentità di sostanza» (così con Hofius, op. cit., 227)- appunto perché Paolo non pen-
sava in termini «di sostanza» -, riguardano però, in accordo con Klauck, Herren-
mahl, 374, una «presenza reale somatica» (dichiaratamente contrario Hofius, op. cit.,
227 n. 136), in quanto rrwp.a è certamente inteso come persona.
266. Simbolo nel senso più profondo, ossia come qualcosa che concretizza, rende pre-
sente una certa realtà.
214 La teologia di Paolo
267. Cfr. von Rad, Theol. I, 275 ss. (tr. it. 301 ss.); Janowski, Suhne als Heilsgesche-
hen, passim; Hi.ibner, KuD 29, spec. 289 ss.; Hofius, Herrenmahl und Herrenmahls-
paradosis, 224 ss.; v. anche quanto segue a proposito di Rom. 3,2 5.
268. Di norma in Mc. 14,24 / Mt. 26,28 si scorge un riferimento a Es. 24,8, così, ad es.,
Merklein, Uberlieferungsgeschichte der Abendmahltraditionen, 164; Grasser, Der Al-
te Bund im Neuen, 123; Kutsch, NT- Neuer Bund?, r ro ss., mentre in 1 Cor. r 1,25
(e Le. 22,20) si individua un riferimento a Ger. 3 r ,3 r. Gese, Die H erkunft des Abend-
mahls, 123 (tr. it. 148); Hofius, Herrenmahl und Herrenmahlsparadosis, 226 n. 132,
propongono un riferimento anche di Mc. 14,24 a 1 Cor. r 1,2 5.
Le lettere di Paolo 215
Ecco allora la conclusione teologica: nella logica teologica di
Paolo si incontrano idee soteriologiche ed ecclesiologiche per-
ché alla base di entrambe vi è l'esistenziale della spazialità. Già
in Gal., anche se in maniera appena abbozzata, era stata espres-
sa la correlazione tra le due idee e il teologumeno - o dovrem-
mo piuttosto chiamarlo cristologumeno? - dell'unico discen-
dente di Abramo (3,16), nel quale tutti sono uno (3,28). Ma
l'esistenziale della spazialità offerto alla riflessione teologica è
stato trattato solo ora perché di fronte alla tematica eucaristica
e ai suoi elementi soteriologici ed ecclesiologici Paolo può
svolgere un'argomentazione teologica ben più approfondita: il
nostro luogo esistentivo è nel Cristo che è stato messo a mor-
te. Ma nello stesso momento in cui noi in quanto credenti ci
troviamo in quel luogo, ossia nella sfera salvifica dell'Èv Xp~cr
'tcfl, e dunque per così dire l'esistenza di Cristo è divenuta la
nostra, noi siamo diventati in lui unità del crwµa. Xp~cr'tou, cioè
unità dell'èx-xÀYj-crta.. 269 In tal modo i sacramenti del battesi-
mo e della cena del Signore rendono presente - repraesentare
inteso come far diventare realtà nel presente - la nostra inesi-
stenza nell'esistenza del Cristo, che ha dato se stesso per noi
ed è presente come kyrios risorto. Ma proprio questo trasferi-
mento «spaziale» del credente in Cristo e il rendere presente
«temporale» dell'offerta di Cristo nel suo corpo sacramentale
e nel suo sangue sacramentale della cena del Signore si basa
sulla funzione vicaria esistenziale 270 di Cristo sulla croce per
noi, elaborata in particolare in base alle idee soteriologiche di
Is. 53. Quindi le concezioni riguardanti il trasferimento «spa-
ziale» e il rendere presente «temporale» hanno radici nel pen-
siero forense, ossia nel pensiero, ancora una volta elaborato in
termini spaziali, dell'uomo responsabile «davanti» a Dio. Que-
sto intreccio tra «terminologia da trasferimento» (Sanders) e
realtà da essa espressa da una parte, e realtà forense dall'altra,
solo a stento può essere incluso nel concetto di mito. È inne-
gabile che tutto questo complesso teologico racchiuda una
269. Naturalmente non nel senso che saremmo noi a costituire questo corpo di Cristo.
270. Gese, Die Siihne, 87 (tr. it. 106).
216 La teologia di Paolo
271. L'ipotesi secondo la quale l'espressione «Gesù è anatema» vada interpretata co-
me formazione antitetica alla confessione già esistente «Gesù è Signore» è una costru-
zione artificiosa; così, ad es., Wolff, ThHK, 101. Ma se, come è altamente probabile,
la maledizione di Gesù avviene effettivamente durante il culto (nell'estasi?), allora c'è
da chiedersi se nella concezione pneumatica o almeno protognostica il Cristo terreno,
prepasquale, dunque quello «sarchico», non venisse davvero maledetto, e se non sia
questo l'elemento di verità nella tesi di Schmithals, Die Gnosis in Korinth, r 17 ss.
Le lettere di Paolo 217
spondono ad es. Ab. 2,18 7tÉ7tot./J.e:\I ò 7tÀacraç È7tt -d TIÀacrµa aÙ'toiJ 'toiJ
7tOtijcrat e:YòwÀa XW7tcX e Yi 113,12 s. 'tà e:YòwÀa ... è:pya xe:ipw\I rh./J.pw7tW\I
cr'to1.1.a è:xoucrt\I xal où ÀaÀ~croucrt\I. Che vi sia un nesso con I Cor. 10,14?
Il passaggio alla tematica principale del cap. l 2 compare al v. 3 con È\I
'
7t\IE:UiJ.1X'tt ' '
aytq>.
Gal. 3,26-29 egli espone con ordine ciò che successivamente, nella /
Cor. e in Rom., esprimerà con tale immagine.2 84 Tuttavia, parallelamen-
te a questo fatto singolare lo sviluppo terminologico della teologia di Pao-
lo emerge anche dalla circostanza che in Rom. egli spiega la sua teologia
della giustificazione con l'espressione Òncawcruv'Y] .fJEou, di cui in Gal.
ancora non dispone. Sarà ben difficile riuscire a scoprire da dove Paolo
tragga l'idea del corpo di Cristo nella stesura di I Cor. Tuttavia, dopo
aver accolto tale idea nella sua concettualità teologica, egli la inserì nel
concetto dell'essere-in-Cristo, per lui di importanza nodale, come di-
mostra il fatto che per lui l'essere del singolo credente nel corpo di Cri-
sto, e il suo essere in Cristo, sono importanti in quanto unica e medesi-
ma realtà spirituale. Ancora una volta si evidenzia che per Paolo conce-
zioni e concetti - termini che spesso confluiscono spontaneamente l'uno
nell'altro - non sono entità puramente intellettuali, immaginabili e pen-
sabili, di cui disporre intellettualmente nell'immaginazione e nel pensie-
ro; sono piuttosto espressione astratta e immaginativa della realtà trascen-
dente che condiziona totalmente l'esistenza di fede dell'apostolo. Entram-
be le concezioni, o concetti, sono espressione della riflessione paolina
sulla sua esistenza di fede. Quando egli argomenta in modo astratto sul-
la base di tale riflessione, contemporaneamente si esprime partendo an-
che dalla propria esistenza di fede.
La tematica del culto viene ulteriormente sviluppata nel cap. 14. Pri-
ma però, in r Cor. IJ, si ha l'aggiunta dell'inno all'amore: non un'argo-
mentazione teologica, ma piuttosto un testo poetico, certo con intenti
parenetici.2 85 Non vi si riscontra un riferimento immediato ali' Antico
Testamento, benché rientri nella tradizione veterotestamentaria.
Scopo dell'inno all'amore è chiarire che, se l'amore vuole
essere vero e puro, deve essere smisurato e volto al bene del
prossimo. Che non debba ricercare il proprio interesse, v. 5, in
un certo senso riassume il tutto. Non è un atto isolato, ancor-
ché improntato al sacrificio (v. 3), a rendere la sostanza del-
l'amore, bensì l'intenzione intima e altruista: allontanarsi dal-
l'io per andare verso il tu. Con ciò si intende qualcosa di più
rispetto al comandamento dell'amore dell'Antico Testamento.
284. Argomento ulteriore a favore della priorità cronologica di Gal. rispetto alla cor-
rispondenza con Corinto; v. n. 236.
28 5. Ai fini della nostra tematica è irrilevante discutere se / Cor. 13 si trovi o meno
nella posizione originaria all'interno della lettera. Riguardo a tale questione v. i com-
mentari e la bibliografia ivi riportata. A mio modesto parere, l'inno si trova nella sua
collocazione originaria; della medesima opinione è anche Wolff, ThHK, 118. In ac-
cordo con Conzelmann, KEK, 266, va comunque interpretato a parte.
Le lettere di Paolo 223
286. L'interpretazione, oggi citata piuttosto di frequente, di parte ebraica (ad es. Leo
Baeck, Das Wesen des judentums, 211 [tr. it. 178]), «Ama il tuo prossimo, egli è come
te», a mio parere è piuttosto discutibile. Si era pronunciato a sfavore già Johannes
Fichtner, Der Begriff des «Ndchsten» im A. T., 104: questa traduzione non è tanto
probabile nell'ebraico biblico, quanto nel linguaggio conciso della Mishna. «Ritenia-
mo adeguata la traduzione 'come te stesso', e vi scorgiamo un'appropriata parafrasi
della misura dell'amore che un membro dell'alleanza deve provare per l'altro». Anche
Fichtner, dunque, parla di misura. V. anche Mathys, Liebe deinen Nachsten, 19.
287. Lo straniero (a volte tradotto con forestiero), ger, è colui che si è stabilito per un
certo periodo di tempo nella terra di Israele; egli non gode di tutti i diritti di un israe-
lita, però deve attenersi in certa misura alle sue stesse prescrizioni religiose. Nel corso
dei secoli, stando ai testi giuridici dell'Antico Testamento, la sua posizione viene
sempre più equiparata a quella di un israelita. V. Martin-Achard, THAT I, 410 ss.;
Mathys, Liebe deinen Ndchsten, 11-5 5. 288. Warnach, Agape, 61.
224 La teologia di Paolo
naccia mortale come una morte già avvenuta, ringrazia Jahvé per averlo
salvato da un pericolo paragonabile alla morte. 300
In l Cor. 15,12-19, una pericope dal carattere di premessa, Paolo non
porta alcuna motivazione tratta dall'Antico Testamento. Colpisce che
l'argomentazione si svolga al condizionale, con un reiterato «se ... allora
... ». Nel breve brano ricorre per ben sei volte e:1 (Oé/yap). Certamente
con il presupposto fondamentale della risurrezione di Cristo (v. 12) il
xa"'Cà "tàç ypacpaç è implicito. Se Cristo è risuscitato secondo le Scrittu-
re, allora la tesi di fondo dei corinti àvacr"tacrtç ve:xpwv oùx Ecr"ttv è erra-
ta. La discussione su questo punto non è ancora approdata a un'interpre-
tazione comunemente accettata, ma se si prende la tesi del v. 3 5 si arriva
a supporre che le questioni ivi espresse, relative all'impossibilità di con-
cepire una risurrezione corporea, intendono fondare l'opinione che non
vi sia alcuna risurrezione corporea dei morti. Partendo dal v. 3 5 si può
dunque parafrasare così: àvacr"tacrtç crwµ.a"ttx~ ve:xpwv oùx Ecr"ttv. Ma al-
lora Paolo intende affermare questo: se Cristo è annunciato come colui
che è risorto fisicamente, come possono certuni dichiarare che non esi-
ste la risurrezione corporea dei morti? Paolo presuppone dunque che i
corinti credano alla risurrezione di Cristo come a una risurrezione cor-
porea, e che perciò quanti mettono in dubbio la risurrezione corporea
dei morti sono stoltamente incoerenti. Certo si dovrà supporre che il
piccolo (?) gruppo (èv ùp.~v "ttve:ç) che sosteneva la falsa dottrina del v.
I 2 considerasse proprio la risurrezione di Cristo una risurrezione non
di tipo corporeo. Sulla base delle concezioni antropologiche di un pre-
ciso gruppo all'interno della comunità di Corinto, concezioni che rie-
mergono di continuo in l Cor., c'è da pensare che nell'enfatizzazione ec-
cessiva della loro esistenza pneumatica e del susseguente disprezzo per
il loro essere somatico, i componenti di tale gruppo intendessero anche la
risurrezione di Gesù come trasferimento in una dimensione di esistenza
puramente pneumatica. I "ttve:ç, dunque, a quanto pare non sono affatto
incoerenti. 301
Paolo potrebbe tranquillamente mettere il v. 29 subito dopo il v. I 2,
senza che vi sia un'interruzione del ragionamento. 302 Sarebbe sensato
300. Ch. Barth, Die Errettung vom Tode.
301. Wolff, ThHK, 195: «Gli interrogativi [del v. 35] mostrano che quanti negano la
risurrezione si scandalizzano all'idea di una risurrezione corporea. Da tale posizione
si evidenzia ancora una volta (v. 2) chiaramente che essi contestano anche la risurre-
zione corporea di Gesù», Ci sarebbe da discutere, ma non è qui il luogo, se questi
pneumatici intendessero la loro esistenza pneumatica attuale come condizione della
risurrezione già avvenuta nel senso di 2 Tim. 2,18, oppure se facessero conto su un'esi-
stenza pneumatica successiva alla morte, dunque sulla continuazione della vita dell'a-
nima dopo la morte fisica, ovviamente nella gloria pneumatica.
302. Ad ogni modo, nella pericope I Cor. 15 ,29-34 figura per ben tre volte l'd già no-
to da 15,12-19.
Le lettere di Paolo 229
Le. 20,42 s.; anche Atti 2,34 s.) nonché in Ebr. 1,3.13. Tuttavia bisogna
essere molto cauti per non rischiare di creare arbitrariamente una conti-
nuità ininterrotta da questo salmo regale alle affermazioni cristologiche
del Nuovo Testamento. Certo, anche il Sai. 2 mostra chiaramente che
già il re della dinastia davidica nell'Antico Testamento poteva essere vi-
sto come potenziale detentore di un potere universale. Ma la fede in
Sian come centro di potere del mondo, fede che stava alla base di questa
concezione, proprio nella theologia potestatis universalis politicae ad es-
sa legata è ben diversa dal potere attribuito al Cristo nel Nuovo Testa-
mento, potere che passa per la croce.
Rispetto a Sai. no, <f 109 non presenta modifiche nel contenuto.
Quindi tutto sta nel vedere con quale tipo di comprensione Paolo ha in-
serito <f 109,1 nella sua argomentazione teologica. La questione deter-
minante riguarda il soggetto di axpt oi'.i .e.n 7tav-taç -roùç ex.e.poùç tmÒ -roùç
7toÒaç aù-rou in I Cor. 15,2p: sarà Dio, oppure Cristo? La maggior par-
te degli esegeti ritiene che si tratti di Cristo, 308 solo pochi optano per
Dio.3°9 A favore della prima ipotesi vi è il fatto che dopo aù-ròv ~acrtÀe:u
e:tv non è nominato b .e.e:oç come soggetto, per cui l'interpretazione lin-
guisticamente più semplice dovrebbe individuare in Cristo il re che re-
gna e assoggetta tutti i nemici, secondo il piano di salvezza divino (òe:i).
In tal caso, le parole che Paolo riprende dal salmo andrebbero ritenute
più un'allusione a <f 109,1 che non una citazione vera e propria. 310 Ma
se Paolo veramente intende citare, e precisamente <f 109 in quanto salmo
messianico, allora è più probabile che il soggetto sia Dio. Se, nel primo
cristianesimo, il salmo era noto come salmo messianico - cosa di cui si
può essere praticamente certi, anche nelle comunità etnicocristiane fon-
date da Paolo-, allora non risulterebbe affatto necessario menzionare e-
splicitamente il soggetto. In questo caso il senso del v. 2 5 suonerebbe
così: secondo il piano di Dio, Cristo deve essere re, e per questo motivo
Dio gli ha assoggettato i suoi nemici. Questo trova conferma nel v. 28:
quando Dio gli avrà sottomesso ogni cosa - u7to-rayfl come passivum di-
vinum -, allora anche il Figlio si «sottometterà» a colui che gli ha assog-
gettato ogni cosa. 311 L'apice teologico di questa affermazione cristologi-
308. Ad es. Weiss, KEK, 359; Lietzmann, HNT, 8I; Conzelmann, KEK, 334; Lang,
NTD, 226; Wolff, ThHK, I82; Wilcke, Das Problem eines messianischen Zwischen-
reiches bei Paulus, Io!.
309. In particolare Thiising, Gott und Christus I, 240.
3 Io. Nescle-Aland' 6 riporta in corsivo 8fJ i:ouç ix·.9pouç u-r;Ò i:ouç -r;oÒaç, mentre The
Greek New Testament non evidenzia in neretto queste parole. Secondo Koch, Die
Schrift als Zeuge, 244, «in 1 Cor. I 5,25 ... non vi è alcuna citazione di <li 109,1b».
3 I 1. Thiising, Gott und Christus r, 24 I: urrni:&.crcrw1 va qui tradotto con assoggettare,
non con sottomettere. Proprio per questo ho posto il verbo sottomettere tra virgolet-
te. Certo, al V. 28 u-r;oi:ayfJ andrà tradotto diversamente da i'.moi:ay~crE't<Xt e ur.oi:&.l;avi:t.
232 La teologia di Paolo
ca è chiaramente espresso con la frase di tipo finale del v. 28: affinché Dio
sia tutto in tutti.3!2 Ad ogni modo, alla fin fine l'interrogativo riguar-
dante il soggetto del v. 2 5b non può ricevere una risposta certa.
Anche il nemico più implacabile e tutto sommato più potente, la mor-
te, sarà annientato: nel v. 27 Paolo motiva questa asserzione ricorrendo
a lji 8,7. Il ycl.p potrebbe stare ad indicare il ricorso alla Scrittura per la
motivazione, e in questo caso sostituire una formula quotationis qui
inespressa. 313 Ancora più chiaramente che al v. 25, qui il soggetto è cer-
to Dio. 314 Forse, vista la naturalezza con cui Sai. 8 viene interpretato in
senso messianico, insieme a Conzelmann 315 si potrà presumere che tale
interpretazione fosse già familiare a Paolo. Resta da chiedersi se magari
l'interpretazione messianica del salmo non fosse indotta dal v. 5, u[Òç àv-
(l ' 316
vpwnou.
324. Imbarazzo che nella ricerca comune è percepibile in modo sufficientemente chia-
ro, ad es. Conzelmann, KEK, 347. 325. V. più avanti Rom. 8,II.
326. Riguardo all'interpretazione gnostica di Gen. 2,7 v. Conzelmann, KEK, 349 ss.;
Sellin, Der Streit um die Auferstehung, 79 ss., un'interpretazione a partire da Filone;
Fischer, Adam und Christus; Brandenburger, Adam und Christus.
La teologia di Paolo
evidenza anche l'elemento del flusso temporale (v. 46: 7tpw'to\I ... E7tffta).
-i;Ò Yiux.txo\I viene spiegato mediante è:x y"ijc; xo·ixoc;, -i;Ò 7t\IE:UfJ.CX'ttxo\I me-
diante è:~ oùpa\lou, v. 47. Quelli però che esistono è:~ oùpa\lou, ossia la cui
esistenza è fondata nel cielo, come Cristo saranno o[ È:7toupa\ltot, v. 48. Il
tutto mira all'idea di immagine del v. 49: come abbiamo portato l'imma-
gine del(l'Adamo) terreno (è:rpopÉcraµe:\I, aoristo), così porteremo anche
l'immagine del(!' Adamo) celeste (rpopfooµe:\I xaì 't~\I e:lxo\la -i;oii È:7toupa-
\ltou). A causa del verbo impiegato, molti esegeti ritengono che qui com-
paia la metafora della veste. 327
È strano che qui Paolo non si rifaccia al testo Sacerdotale di Gen. r,
26 s. Perlomeno, non si ha alcuna citazione formale. Che abbia inten-
zionalmente tralasciato il passo di Gen. r,26 s., collocato in prossimità
del passo jahvista di Gen. 2,7 che pure viene citato nella prova scritturi-
stica all'interno della pericope di I Cor. r 5,42-49, e questo benché pro-
babilmente vi alluda in I Cor. r r,7? L'espressione e:lxw\I in 15,49 non
sarebbe stato pretesto sufficiente? Sebbene con le parole"~" e:lxo\la -i;o•j
È:Trnupa\ltou Paolo si avvicini all'espressione e:lxo\la -Se:o•j di Gen. r,27, nei
commentari e nelle monografie di uso corrente ogni accenno a tale pas-
so viene quasi sempre trascurato. 328 Per il V. 49a, "C~\I e:lxo\la "COU xo'ixoù,
Wolff rimanda a Gen. 5,3: Adamo generò Set xa-i;à 't~\I lUa\I aù-i;où xaì
xa-i;à "~" e:lxo\la aù-i;oii. 329 Se tale rimando dovesse essere appropriato,
allora certamente si potrebbe ipotizzare che alla base del v. 49b vi sia
Gen. r,27. Poiché tale versetto non può essere interpretato in modo im-
manente al testo se non in misura insufficiente, preferiamo rimandare a
successive affermazioni paoline riguardanti l'e:lxw\I.
327. Ad es. Kasemann, Leib und Leib Christi, 70; secondo Wolff, ThHK, 203 s.,
Paolo unisce due concezioni, quella della veste e quella dell'immagine. Per Conzel-
mann, KEK, 3 55, l'unità delle due concezioni in Paolo è spezzata. Essa stessa non sa-
rebbe più oggetto della conoscenza portatrice di salvezza, ma verrebbe utilizzata per
interpretare l'opera salvifica storica.
328. Costituisce un'eccezione, ad es., W.F. Orr - ].A. Walther, AncB, 344.
329. Wolff, ThHK, 204; v. anche op. cit., 204: «Nella dx.wv si incarna la sostanza».
Tra l'altro rimanda a Brandenburger, Adam und Christus, 139. V. anche Eltester, Ei-
kon im NT, 22 ss.
Le lettere di Paolo 2 39
330. Riguardo alla struttura testuale dr. Koch, Die Schrift als Zeuge, 175.
1. Kummel, Einleitung in das NT, 249 ss.
2. Ad es. Vielhauer, Geschichte der urchristliche Literatur, 150 ss.; Marxsen, Einlei-
tung in das Neue Testament, 96 ss.
3. La maggior parte degli esegeti ritiene che 2 Cor. 6,14-7,1 sia un'interpolazione non
paolina. Vi sono fondati motivi per supporne la non autenticità.
2 Cor. 3,1-4,6: L'apostolo e la sua comunità.
Libertà e Spirito
Già nei prolegomeni 4 ci si è soffermati a lungo su 2 Cor. 3. 5 Là si
trattava di esaminare il capitolo dal punto di vista della diatheke antica e
nuova, per poterne ricavare importanti aspetti del sistema di coordinate
all'interno del quale può essere convenientemente costruito un progetto
di teologia biblica. Si era allora evidenziato un singolare intreccio tra con-
tinuità e discontinuità, tra tipologia del superamento e contrapposizione
assoluta. Concetto portante della tipologia del superamento è la ò6~a: la
doxa dell'apostolo è ben più gloriosa di quella di Mosè. Ma il motivo di
questo superamento è la contrapposizione assoluta: Mosè è ministro del-
la condanna e dunque della morte, mentre Paolo è ministro dello Spirito
e della giustizia, dunque della giustificazione. Quando si parla di ÒLaxo-
vla -rYjç ÒLxawcrUYYJç che abbonda di «gloria»,6 ò6~a (v. 9 ), a spostarsi al
centro dell'esposizione teologica è la tematica che domina anche in Gal.
Dunque non si può assolutamente affermare che in 2 Cor. la problema-
tica della giustificazione di Gal. non era ancora così sentita.
Le affermazioni riguardanti le due diatheke in 2 Cor. 3 hanno intento
tematico. Tuttavia, esse sono subordinate alla tematica relativa all'apo-
stolato.7 Paolo parla di diatheke antica e nuova solo perché sta trattan-
do del suo ministero, 8 la sua ÒLaxovla. Al momento di scrivere l'apolo-
gia dell'apostolato era ancora convinto che, attraverso un'esposizione
teologica della sostanza del suo ministero apostolico, avrebbe potuto ri-
mediare alla situazione in cui si trovava la chiesa di Corinto, riportan-
dola sulla retta via.
4. Vol. r, pp. 107 ss.
5. Riguardo a 2 Cor. 2,14-4,6 si veda, oltre alle pubblicazioni citate nel seguito, anche
Lambrecht, Bib. 64, 344 ss.
6. òOl;cx come espressione della manifestazione del Dio trascendente è fondamental-
mente intraducibile, analogamente al kabod trattato nel val. r, p. 128. «Gloria» è per-
ciò un termine piuttosto debole per rendere rispettivamente kabod e ò61;cx. Per questa
ragione esso è stato messo qui tra virgolette, e in seguito si parlerà semplicemente di
doxa, senza traduzione.
7. Così fa osservare giustamente ad es. V.P. Furnish, AncB 32A, 237: «Non è la liber-
tà dalla legge in quanto tale ad essere il soggetto di 2 Cor. 3,7-4,6, ma piuttosto il mi-
nistero della nuova alleanza ... » (corsivo mio).
8. Il termine «ministero• va interpretato a partire dal concetto di Òtcxxovlcx, e dunque
non è assolutamente da intendere come espressione di una certa arroganza clericale.
V. Confessio Augustana v: «Per conseguire questa fede, fu istituito il ministero [Amt]
di insegnare il vangelo e di amministrare i sacramenti. Infatti, mediante la parola e i
sacramenti, come uno strumento, viene donato lo Spirito santo, che produce la fede
(come e quando è parso bene a Dio) in coloro che ascoltano il vangelo ... ». È indicati-
vo che dove il testo tedesco usa il termine Amt il testo latino ha ministerium (ministe-
ro ecclesiastico o ministerium docendi evangelii et porrigendi sacramenta).
Le lettere di Paolo
divinum. In tal caso - supposto che Mosè non sappia perché si debba
velare il volto (v. Es. 34,29: Mwucrijç oùx. fiòe:t o'n
òe:ool;acr-rm -fi otj;tç wu
xpw-ròç -rou 7tpocrwTiou aù-rou) - l'interpretazione in senso consecutivo
diventerebbe quella più ovvia e naturale.
27. Ad es. Jan Lambrecht, Bib. 64, 250, traduce X<X't'07t'tptl;6f.1.EVOL «Contemplando co-
me in uno specchio», intendendo con ciò più di una semplice attività visiva o intellet-
tiva; op. cit., 2 50 s.: «Dev'essere collegato con il confronto esistenziale con ciò che è rac-
chiuso nella predicazione dcl vangelo. Noi siamo così messi a confronto con ciò che
Dio ha operato in Cristo. Vediamo Cristo come in uno specchio, nel vangelo e in que-
sto tipo di vita specificamente cristiano ispirato dal vangelo». Jacob Kremer, EWNT
11, 677 s. (DENTI, 1978), traduce con «guardare»; ma per via di 't~V etÙ't~V dx6va in-
terpreta tale attività «non nel senso attenuato» (contrariamente a Bultmann). Wolff,
ThHK 69, traduce in modo simile: «guardare come in uno specchio».
248 La teologia di Paolo
che Efeso risulta essere il luogo di redazione più probabile,2 8 con tale
ipotesi non si è approdati ancora a nulla per quanto riguarda il periodo
di stesura della lettera polemica di 3,2-4,r.8 s. - ed è questo a interessar-
ci nel presente contesto. Tuttavia, io parto dal presupposto che anche
questo frammento all'interno di Fil. è stato redatto ancora prima di 2
Cor., e dunque che Paolo ha formulato Fil. 3,21 prima di 2 Cor. 3,18.
L'enunciato riguardante la partecipazione alla doxa di Cristo, Fil. 3,
21, è preceduto da quello di 3,10 in cui Paolo esprime la propria comu-
nione con le sofferenze di Cristo: xot vwviav ['t"W\I] 7ta./J.YJµ.a't"wv aÙ't"oCi.
Al tempo stesso egli è conformato alla morte di Cristo: cru1..1.p.opcpt~6p.e:voç
't"cfl ./J.ava't"cp aÙ't"oCi. Nel contenuto, questa affermazione è connessa alla
tematica della giustificazione per la giustizia per mezzo della fede in
Cristo, la giustizia derivante da Dio, 't"~\I Èx ./J.e:ou Òtxawcruv11v, 3,9. 29
Benché in 3,1 l Paolo esprima la speranza nella propria risurrezione, è in
3,21 che bisognerebbe vedere il vero corrispondente positivo all'espres-
sione xotvwviav x't"À. di 3,10. 3,2oa riguarda ancora il presente: la nostra
vera patria 30 è nei cieli. Ma in 3,2ob.2 I lo sguardo si volge al futuro: di
là Paolo attende il nostro salvatore. Questi conformerà il nostro corpo
di miseria 31 al corpo della sua doxa. Il termine 1..1.e:'t"acrx11µ.a't"icre:t indica
quindi chiaramente l'atto escatologico di Cristo nel giorno della paru-
sia.P Secondo Fil. 3, nella comprensione di esistenza di Paolo presente
salvifico e futuro salvifico coincidono. Se si getta in anticipo uno sguar-
do a Rom. 8,29, si vede che, diversamente da Fil. 3,21 ma analogamente
a 2 Cor. 3,18, l'idea dell'essere conformati a Cristo viene espressa come
presente salvifico: 7tpowptcre:v crup.µ.6pcpouç Tijç e:lx6voç 't"OÙ uioù aÙ't"où, dç
't"Ò dvm aÙ't"Ò\I 7tpW't"o't"oxov Èv 7tOÀÀoiç àòe:Àcpoiç. Anche l'ultimo anello,
menzionato al v. 30, della catena che ha inizio con 7tpowptcre:v, ossia ÈÒo-
1;acre:v, indica l'esistenza terrena del giustificato. 33 In Rom. 8,29 si ritro-
vano dunque gli elementi essenziali di 2 Cor. 3, I 8: dxwv, ò61;a, cru1..1.1..1.6p-
28. In accordo con Vielhauer, Geschichte der urchristl. Lit., 168 ss., ritengo questa
l'ipotesi più probabile.
29. Se Paolo qui scrive 't~V ix ·9eou 01xmocruvriv, ciò potrebbe far pensare che Fil. sia
stata scritta ancora prima di 2 Cor., in cui per la prima volta (2 Cor. 5,21) ricorre ex-
pressis verbis l'espressione otxawcruvri -Beou, che poi in Rom. diventerà formula teo-
logica saldamente coniata. Si tenga presente ancora una volta che precedentemente, in
Gal., aveva esposto la teologia della giustificazione senza tale formula.
30. E. Gnilka, HThK xf3, 202 (tr. it. La lettera ai Filippesi, Brescia 1972, 339), traduce
~!J.WV 'tÒ ;roÀ['tEU!J.Ct con «la nostra cittadinanza».
3 r. 'tÒ crwµ.a 'ti}ç 'tet7tEtvwcrewç ~!J.Wv è il corpo nelle condizioni attuali, terrene e dun-
que gravose.
32· In Fil. 3,2 1, poi, la frase u7to'ta!;at aù'tt;i 'ta ?tana ricorda 1 Cor. 1 5,27.
33. Così ad es. E. Kasemann, HNT Sa, 236; Balz, Heilsvertrauen und Welterfahrung,
I 14 S.
Le lettere di Paolo 2 49
34. Che con 2 Cor. 4,1 abbia inizio un capitolo nuovo lo indica la struttura argomen-
tativa di Paolo.
3 5. Così è largamente accettato; rimane scettico, anche se non dcl tutto sfavorevole,
ad es. Martin, WBC, Bo s.
36. Così ad es. Bultmann, KEK, 112; Wolff, ThHK, 86 ss.; Lang, NTD, 278 s.
37. È ovvio che con ciò non debba certo essere negata la storia della salvezza della nuo-
va «alleanza», già inaugurata dall'evento del Cristo. Come risultava da quanto detto a
Le lettere di Paolo
43. Al riguardo, sempre esemplare è Niederwimmer, Der Begriff der Freiheit im NT,
28 ss.
44. Ad es. Plutarco, Moralia 1057: «Il crocp6ç non perde neanche in carcere la propria
libertà». Per altri paralleli, v. i commentari. 45. Ad es. Furnish, AncB, 280 ss.
46. Ad es. op. cit., 254 s.
47. Reventlow, Liturgie und prophetisches !eh bei f er, passim.
48. Così, qualche tempo fa, ad es. Wilhelm Rudolph, HAT 12, ad loca; recentemente
cfr. in particolare Norbert lttmann, Die Konfessionen f eremias. S. Herrmann, TRE
XVI, 578 s., potrebbe anche propendere per questa opinione.
La teologia di Paolo
50. Questa interpretazione crea delle difficoltà soltanto se con Christian Wolff, ]ere-
mia im Friihjudentttm ttnd Urchristentttm, si presume che Paolo non conoscesse il li-
bro di Geremia. Ma l'esegesi da noi condotta su r Cor. 1,18 ss. dovrebbe aver dimo-
strato che tale supposizione è infondata.
p. Wolff, ThHK, 93 s. Bultmann, KEK, 122, interpreta in modo teologico questa si-
tuazione di fatto retorica: ne risulterebbe accentuato il paradosso per cui la rivelazio-
ne della vita ha bisogno proprio della morte; inoltre, in questo modo diventerebbe
chiaro che la ~w~ nel corpo di Paolo non è una condizione di cui ci si possa accorge-
re; essa sarebbe presente solamente nell'annuncio.
52. È singolare la formula quotationis xa•à •Ò yqpa1J.p.Évov, che nel Nuovo Testa-
mento compare solo in questo passo.
53. Ciò che Paolo aveva esposto ai corinti in maniera argomentativa in 1 Cor. 1 5, ora
lo dà per ammesso.
La teologia di Paolo
emergere la questione relativa al contesto. Nell'originale ebraico,~ l 14
e ~ 1l5 costituiscono un'unità, ossia Sai. l 16. Paolo, che si basava sui
LXX, sapeva di tale unità? Ma guardiamo prima di tutto al solo conte-
sto di ~ l I 5. In Rom. 3,4 Paolo allude evidentemente al V. 2b: miç av-
·.9pwr.:oç ~e:ucr't'YJç. In questa proposizione è implicito il bisogno di reden-
zione proprio di ogni uomo, ossia, in linea con il pensiero teologico di
Paolo, la necessità della croce e dunque della parola della croce; ~ l l 5
può allora essere letto da Paolo come testimonianza «profetica» della
theologia crucis - questo prima ancora che venisse concepita la lettera ai
Romani. Inoltre il v. l b, ossia il seguito immediato di la, può essere con-
siderato espressione dell'esistenza apostolica oppressa dalle tribolazioni:
Èyw oÈ: har.:e:tvw.Sriv cri:poopa. Si parla persino della morte preziosa dci fe-
deli, v. 6: 'ttfJ-Wç Èvav'ttov xupiou 6 .Savawç 'twv 6cr[wv aÙ'tou. L'orante si
definisce poi servo di Dio, V. 7: Èyw oouÀoç croç. Si accenna anche alla lo-
de a Dio, vv. 8-ro: crol .Sucrw .Sucriav a1vfoe:wç x't"À. (v. 2 Cor. 4,15). È dun-
que estremamente probabile che Paolo, citando il v. la, avesse in mente
l'intero ~ II 5. Che tale salmo fosse noto alla comunità di Corinto dalla
liturgia? 54
Se Paolo avesse conosciuto l'unità originaria di Sai. l 16, allora~ l 14
(=Sai. l 16,1-9) sottolineerebbe in maniera molto accentuata la circo-
stanza appena enucleata. L'orante alza il suo grido al Signore in un mo-
mento di grande tribolazione. Il campo semantico del v. 3 è prettamente
paolino: r.:e:ptfoxov IJ.E: wotve:ç -.9ava'tou, xivouvot 4oou e:upocrav IJ.E: .{))..i~tV
xal òouvriv e:0pov. Il v. 6b non ha bisogno di commenti: È'ta1mvw-8riv, xal
fowcrÉv 1J.e:, e neppure il v. 8: o'tt È~dÀa'to 't~v ~ux~v IJ.ou Èx -8ava'to J, x't"À.
1
59. Hofius, Erwagungen, 2; v. anche il suo saggio Gott hat unter uns aufgerichtet das
Wortvon der Versi:ihnung(2Kor 5,19). 60. Op. cit., 4. 61. Barth, KD 1v/1, 634.
62. Egli prende come punto di partenza .[)eòç ~v i:v Xptcr'l'cji: infatti, Dio in Cristo ha
riconciliato a sé il mondo .. ., op. cit., 2. Personalmente propendo per l'opinione di H.
Windisch, KEK, 193, e di Hofius, secondo i quali è poco probabile la presenza di una
coniugatio periphrastica. Windisch ha ragione quando - a prescindere dal fatto che
questo tipo di costruzione era inusuale in Paolo - fa osservare che essa di norma de-
scrive un'azione incompiuta. Tuttavia, vista l'espressione singolare wç o't't, con Blass-
Debrunner-Rehkopf § 3 53 n. 7, andrebbe presa seriamente in considerazione la tra-
duzione «come è certo che fu Dio a riconciliare a sé l'umanità in Cristo». Se tale tra-
duzione dovesse essere adeguata, se dunque xa't'o:ÀÀacrùJV va considerato un partici-
pium coniunctum, tuttavia l'interpretazione di Hofius per cui Dio era presente nel
crocifisso non ne risulterebbe affatto modificata. Nel suo saggio su 2 Cor. 5, 19, citato
prima, il suo giudizio è un po' più cauto (p. 19 n. 19).
Le lettere di Paolo 261
Per questo dato teologico Hofius rimanda con pieno diritto teologico a
quanto afferma Martin Lutero a proposito dello scambio. 69 Paul Al-
thaus ha così parafrasato e commentato Lutero: «La fede dice a Cristo:
il mio peccato è su di te, a me appartengono la tua innocenza e la tua
giustizia. Questo felice scambio si attua solamente per mezzo della fe-
de ... La fede è dunque una parte della riconciliazione stessa». 70 È ovvio
che l'ultima frase non va intesa in senso sinergetico. La riconciliazione,
infatti, è sempre riconciliazione compresa nella fede. È rivelazione di
Dio giunta al suo scopo. Rivelazione di Dio in Cristo è, come si è visto,
rivelazione capita, compresa, nella fede. Dove il Dio che riconcilia si ma-
nifesta ed è creduto, là si è avuta riconciliazione. Allora Lutero ha com-
preso in modo eccellente Paolo. E che il riformatore, nonostante l'orien-
tamento tutto personale della sua teologia, non pensasse la propria teo-
logia in termini individualistici, lo dimostra anche il fatto che alla sua teo-
logia dello scambio ne corrisponde un'altra: non soltanto il peccato e la
giustizia si scambiano di posto, ma sulla loro scia anche la morte e la vita:
Fu una guerra prodigiosa, quella che combatterono la morte e la vita;
la vita conseguì la vittoria, inghiottì la morte.
La Scrittura lo ha annunciato, come una morte divorò l'altra
la morte si trasformò in scherno. Alleluia. 71
Lo sfondo veterotestamentario di 2 Cor. 5, l 8 ss. è stato ancora una vol-
ta enucleato da Otfried Hofìus, del quale riprendiamo qui in gran parte
la documentazione. 72 Egli rimanda principalmente a Is. 52,13-53,12, e
precisamente in connessione con Is. 52,6-ro. Si avvicina così anche alla
nostra opinione, secondo la quale Paolo proprio nel periodo immedia-
tamente precedente la stesura di Rom. - e cioè mentre sta scrivendo 2
Cor. - riprende in mano il libro di Isaia. 73 Per cui non c'è da meravigliar-
si se per 2 Cor. 5, l 8 ss. Hofius può dimostrare l'influsso di Is. Egli ha
giustamente richiamato l'attenzione sul susseguirsi di azione e parola di
riconciliazione, sia nel v. l 8 sia nel v. l 9. 74
Ora, se si leggono Is. 52,6-10 e Is. 52,13-53,12 con gli occhi di Paolo,
69. In op. cit., 5 n. 4, cita WA 31/n, 435>11 e 40/1, 443,23. Ricorderemo qui il primo
dei passi riportati: «Vide mirabilem mutationem. Alius peccat, alius satisfacit. Alteri
debetur pax, et alius habet eam».
70. Althaus, Die Theol. Martin Luthers, 187.
71. Quarta strofa dell'inno luterano Christ lag in Todesbanden (Evangelisches Ge-
sangbuch n. IO!). 72. Hofius, Erwdgungen, 9 ss.
73. V. i paragrafi successivi riguardanti Rom. 9-11, nonché Hiibner, Gottes Ich und
lsrael, spec. 112 ss.
74. Qui si infrange, a mio parere, anche l'opposizione a Hofius da parte di Breyten-
bach, Versohnung, 110 ss. Nel cambio da aùi:oiç a Èv 1J1J.iv nel v. 19 Breytenbach può
certo scorgere un forte indizio per ipotizzare una tradizione prepaolina nel v. 19ab. Ta-
le tradizione, tuttavia, non intacca l'intento fondamentale di Hofius.
La teologia di Paolo
75. Poco tempo dopo, in Rom. 1,16 definirà l'eùayyÉÀtov òuva1i1ç ·9eou dç crw1..ripiav.
Di O'W't'YJpta (anche 'tÒ O'W't~ptov) si parla nel Deutero- e nel Trito-Isaia.
76. Hofius, Erwagungen, 11 s., ha enucleato i paralleli tra ls. 52,13-53,12 e 2 Cor. 5.
Anche Breytenbach, Versiihnung, 204 ss., individua chiaramente tale sfondo vetero-
testamentario, benché le conclusioni che trae siano differenti.
77 Hofius, Erwagungen, 13.
78. Qui non è il caso di approfondire la controversia tra Hofius, 2 Kor 5,19, 23 ss., e
Wolter, Rechtfertigung und zukunftiges Heil, 82 s., relativa a lji 104,23 ss. e lji 77,3 ss.
79. In Paolo, dunque, il termine crWTYJpta può avere significato sia presente che futuro
(Rom. 13,11).
Le lettere di Paolo
Per 2 Cor. 5,17, essa è costituita da colui che esiste «in Cri-
sto». Per 5,21, «in Cristo» noi siamo giustizia di Dio. 80 L'agire
salvifico riconciliante di Dio è dunque il suo agire escatologi-
co nella creazione. Poco dopo, in Rom. 4,17 egli esprimerà in
termini teologici la risurrezione di Cristo e la giustificazione
degli empi nel quadro del midrash di Abramo a partire dalla
creatio e nihilo: colui che è stato giustificato per fede è colui
che è stato creato dal nulla. L'uomo vecchio, infatti, morendo
nella morte di Cristo è diventato un nulla! Per dirla in termini
paradossali, consegnando l'indegno alla conseguenza estrema
del nichilismo - che per Friedrich Nietzsche è il più sinistro
fra tutti gli ospiti 81 - Dio lo ha contemporaneamente strappa-
to al nulla donandogli una vita nuova, che ricomincia da capo.
Nova creatio est vera creatio!
e) La lettera ai Romani
Il problema della lettera ai Romani
Riguardo a Rom., 1 molte cose importanti sono già state dette in ma-
niera implicita, dato che alcuni dei principali contenuti della teologia di
questa lettera, le sue basi veterotestamentarie di rilievo, i presupposti idea-
li fondamentali nonché l'ermeneutica di tale riflessione teologica sono
stati illustrati nella presentazione della concezione teologica di Gal. Tut-
tavia resta ancora da chiarire come ora, all'interno di un nuovo sistema
teologico di coordinate, si sviluppi la riflessione di Paolo sull'annuncio
della giustificazione da lui sostenuto. Gli aspetti di cui tener conto sono
sostanzialmente due:
1. Quali sono i retroscena storici che hanno spinto Paolo a modificare
la sua teologia della giustificazione, pur mantenendo inalterato il proprio
annuncio della giustificazione? Qui però ci ritroviamo in un - inevitabi-
le- circolo vizioso, dal momento che, per quanto possibile, possiamo get-
tare una luce su tali retroscena solo evidenziando le affermazioni teolo-
giche di Rom. e ponendole a confronto con quelle di lettere paoline pre-
8.o. èv XpLcr't'tj'J di 2 Cor. 5,17 e èv aÙ't'tj'J di 5,21 sono delle inclusio all'interno della pe-
ricope 5,17-21.
81. Nietzsche, Werke m, 881 (tr. it. in Opere di F.N., vm/1. Frammenti postumi
1885-1887, Milano 1975, 112).
I. Rimandiamo in particolare alla raccolta edita da Karl P. Donfried, The Romans
Debate, e a Wedderburn, The Reasons for Romans; v. anche Lampe, Die stadtromi-
schen Christen.
La teologia di Paolo
l l. Qui non c'è bisogno di dilungarsi nella discussa questione della datazione.
12. Svetonio, Claud. 25. Qui può anche rimanere in sospeso la questione se proprio
tutti i giudei (a mio parere supposizione poco realistica) siano stati espulsi da Roma.
l 3. Atti l 8,2 ne parla come di giudei, ma che in realtà fossero giudeocristiani è fuor di
dubbio, v. ad es. H. Conzelmann, HNT 7, l 14. Che essi al tempo della stesura di Rom.
si trovassero o meno nuovamente a Roma (Rom. 16,3) è questione che riguarda i
gravi problemi di critica letteraria di Rom. 16, problemi che non vanno trattati qui.
14. In tal senso v. ad es. Marxsen, Einleitung in das NT, l 13 ss.
Le lettere di Paolo
che aveva già trovato espressione in I Cor. 8. A loro adesso doveva spie-
gare che pur avendo approfondito ulteriormente la questione Israele,
tuttavia non toglieva sostanzialmente nulla alla libertà dalla legge. 1 5 Si
può seriamente ipotizzare una situazione di questo tipo: i giudeocristia-
ni che avevano abbracciato le idee di Paolo fanno ritorno a Roma, ma
hanno prima appreso dall'apostolo ciò che quest'ultimo affermava in I
Tess. e in Gal. a proposito della questione Israele; ora, a Roma, di fron-
te a giudeocristiani originari sono queste le idee che essi sostengono. È
evidente che ciò avrebbe provocato discussioni accesissime. E va da sé
che ora, a Roma, contro Paolo vengono mosse accuse simili a quelle pro-
venienti da Gerusalemme, forse persino altrettanto dure: egli disprezza
il proprio giudaismo parlandone male, rinnega la propria appartenenza
a Israele. Di fronte a tali accuse, è forse opportuno ritenere che il di-
scorso relativo ai 7tw:up.a't'txa che i poveri dei santi avrebbero concesso
agli etnicocristiani, Rom. r 5,27, miri a un obiettivo preciso: Paolo inten-
de raccomandare a coloro che hanno abbracciato le sue idee l'importan-
za religiosa di Gerusalemme, ma al tempo stesso vuole placare i suoi av-
versari. Dunque, quanto Paolo afferma nel cap. r 5 a proposito dell'im-
portanza teologica della metropoli giudaica può essere inteso benissimo
come apologia e al tempo stesso come revisione di affermazioni prece-
denti. Tuttavia occorre anche registrare che Paolo non presenta questa
revisione come tale. Ora parla dell'alta dignità teologica e religiosa di Ge-
rusalemme come se non avesse mai affermato nulla di diverso. Rom. r 5
è indubbiamente una retractatio, ma dal punto di vista contenutistico,
non certo formale.
Come già accennato, questa retractatio va compresa alla lu-
ce di Rom. 9- 1 1: è con Gerusalemme che gli etnicocristiani so-
no debitori di doni spirituali - ed è proprio il popolo di que-
sta città che alla fine dei giorni sarà salvato da Dio. Quanto si
afferma nella conclusione, al cap. 1 5, ed ha fondamento teolo-
gico nei capp. 9-11, viene già dichiarato programmaticamente
nel titolo teologico della lettera: la salvezza, la crw-rripla, è per
il giudeo prima, e soltanto poi per il «greco», Rom. 1,16. È evi-
dente il chiasmo «storico-salvifico»: Rom. 1,16 presenta la suc-
cessione «giudeo - greco», Rom. 9-11 invece «pagani - Israe-
le». La tematica d'Israele fa dunque da cornice alla lettera.
Eppure sarebbe un disconoscere l'intento teologico di Rom.
16. Conzelmann, Theologie des Neuen Testaments, 223 (tr. it. 265).
17. Van der Minde, Schrift und Tradition bei Paulus, 45, nella promessa del vangelo
di Dio per mezzo delle Scritture veterotestamentarie vede concretamente la promessa
del Figlio; nel versetto in esame, tuttavia, si evidenzierebbe anche che «nonostante il
termine generico 'evangelo' l'Antico Testamento non si identifica con il vangelo. La
Scrittura parla del vangelo solamente in termini di 'preannuncio' e di 'promessa'».
Le lettere di Paolo 2 73
percepire una singolare differenza tra ciò che otxawauvri .{).wu significa
in l,17 da una parte e in 3,5 dall'altra. Usando la terminologia di Martin
Lutero: perché in Rom. 3,5 Paolo argomenta con la iustitia activa, se stan-
do a l,17 si tratta di una iustitia passiva? 25
Avendo presente l'affermazione programmatica di l,16 s., la lettura
di l,18-3,20 in un primo tempo può dunque lasciare perplessi. Ma con il
\IU\11 di Rom. 3,2 I si ha il capovolgimento: con l'evento Cristo, la otxmo-
auvri .{).e.o!; si è rivelata giustizia da/la fede. Il perfetto 7tEtpc.t'1ÉpW'!c.tt riman-
da al tempo salvifico che ha inizio con tale evento, e che dura da allora.
Al tempo stesso, la giustizia di Dio viene espressa in Gesù Cristo come
manifestazione di quel Dio che giustifica mediante la fede, mentre in 3,1
ss. questo stesso concetto è presentato come realtà del tempo preceden-
te, tempo di sventura - non si tratta tanto di una discordanza dovuta a
trascuratezza da parte di Paolo, quanto di uno sfruttamento consapevo-
le e voluto della gamma di significati del «concetto». Dall'intreccio di
elemento «soggettivo» di fede e azione salvifica «oggettiva» di Dio, 26 si
giunge all'affermazione culminante di Rom. 3,28, per farne sorgere qua-
si necessariamente l'interrogativo di 3,3 l. Il paradosso resta: per la teo-
logia di Paolo, le opere della legge non giustificano - e ciononostante egli
sostiene di voler «porre» la legge, v6p.ov ÌO''!avo1J.E'I. Per colui che ne pren-
de atto per la prima volta si tratta di un guazzabuglio teologico. Paolo
lo motiva in cap. 4 ricorrendo all'esempio di Abramo, e riconduce il tut-
to al dogma di 4,24 s., noto anche ai cristiani di Roma: quella sua teolo-
gia che si dice sia così strampalata in realtà non fa che ripetere ciò che ha
già affermato la Genesi - un libro che i giudeocristiani di Roma in parti-
colare conoscevano benissimo. La teologia della giustificazione per fede
e non per le opere della legge è quindi affermata in primo luogo niente-
meno che dalla legge stessa. Proprio la legge afferma la propria incapaci-
tà di giustificare.
Se anche in Gal. 3 stranamente Paolo aveva di proposito sorvolato
sul precetto della circoncisione di Gen. 17, che certamente doveva esse-
re stato messo in pratica in Galazia dai contromissionari, appellandosi
invece a Gen. 15,6, ora si richiama a Gen. 17; di conseguenza, in Rom. 4
può valutare in modo positivo la circoncisione, sempre però in connes-
sione con la fede. 27 Questo cambiamento di idea, che dal punto di vista
teologico è estremamente significativo, si attaglia perfettamente a un at-
teggiamento conciliante nei confronti di Gerusalemme. Tuttavia Paolo
non dice che egli stesso in Gal. aveva posto la 7tEpt'!OfJ. ~ nella sfera della
aap~. E qui evita del tutto di farlo. 28
25. Per i termini iustitia activa e iustitia passiva nellapraefatio di Lutero all'edizione
integrale dei suoi scritti in latino del 5 marzo 1545 v. Lutero, WA 54, 185,17 ss.
26. È caratteristica l'interpretazione paolina lh<Ì ['!ijç] 7tii;nwç nella formula tradizio-
nale «oggettiva» di Rom. 3,25. 27. Hiibner, La legge in Paolo, 89 ss.
28. In Gal., come ammesso, solo in relazione agli etnicocristiani della Galazia. Ma - e
Le lettere di Paolo
Rom. 5,1-1 l colpisce sotto l'aspetto retorico perché Paolo per tutto il
capitolo impiega la prima plurale. Così facendo si associa ai suoi desti-
natari romani, e precisamente con la confortante conclusione (oi'.iv) trat-
ta da quanto afferma in 3,2 r: allora, se noi siamo giustificati per la fede,
siamo in pace con Dio. Dunque la giustificazione per fede dona il con-
forto mediante Dio, dunque procura quel bene salvifico cui aspira ogni
giudeo credente e che perciò dovrebbe essere sommamente prezioso an-
che per i giudeocristiani di Roma. In questo passo la strategia retorica di
Paolo è più che trasparente, senza che lo si possa tacciare di opportunismo.
Qui Paolo riprende anche il tema del vanto, ma impiegandolo in mo-
do veramente originale. Se per Rom. 3,27 la xaux"fJcnç è assolutamente e-
sclusa per il cristiano - con una retorica vivace, caratterizzata da un bre-
vissimo gioco di botta e risposta-, tutt' a un tratto eccola comparire, seb-
bene con un gioco linguistico totalmente diverso che esprime il vantarsi
nella speranza della doxa di Dio. In questo modo Paolo è tornato al te-
ma della consolazione: «noi ci vantiamo (persino) nelle tribolazioni, iv
't'atç -.~n.i~Ecrtv», 5,3. Quanto Paolo aveva affermato in 2 Cor. 4 a propo-
sito di sé come iJ.Àt~O(.J.Evoç in relazione alla propria esistenza apostolica,
ora lo afferma in rapporto a sé e alla comunità romana. 29 Questa viene
coinvolta sia nella dp~V"f] sia nella iJ.Ài'~tç. La dialettica dell'esistenza apo-
stolica qui diventa dialettica dell'esistenza escatologica tout court. La pa-
ce di Dio, dunque, non consiste affatto nell'eliminazione di tutte le tri-
bolazioni terrene. Che l'esistenza del cristiano sia un'esistenza nella spe-
ranza, ossia un'esistenza escatologica, significa che egli è certo di posse-
dere la propria patria presso Dio.3° L'afflizione, perciò, non è la vera vi-
ta del cristiano. Essa non può raggiungerne il cuore, poiché in esso si è
riversato l'amore di Dio (v. 5).
Per Paolo, affermazioni esistenziali e affermazioni soteriologico-« dog-
matiche» costituiscono un'unità interna, come dimostra il fatto che con
il v. 6 ha subito inizio una sezione quasi didattica sulla riconciliazione.
L'aggancio tematico è offerto dalla àya7t"f] di Dio, mentre la proiezione
verso il futuro è data da ÈÀTI(i; in 5,r-5 e crw.S"f]croµ.E.Sa in 5,6-r r. Infine,
nel v. r r ricorre nuovamente il tema del vanto. Colpisce il modo in cui
in 5,6-r r si affollano affermazioni soteriologiche 31 tutte già precedente-
mente illustrate da Paolo. 32
qui volutamente ripeto cose già dette - in Gal. Paolo sviluppa argomentazioni teo-
logiche tanto fondamentali, dirette agli etnicocristiani, che c'è da chiedersi come mai
non valessero anche per i giudeocristiani.
29. Anche in 2 Cor. 4, come in Rom. 5, ·.9ì.i<fiç (o il relativo participio) e òo~a rientra-
no nel medesimo campo semantico.
30. Probabilmente Paolo, al momento di comporre Rom. 5, aveva già scritto la frase
di Fil. 3,20, r.0Àtnu1~a Èv oùpavoiç.
3 r. Certamente anche xciptç del v. 2 ha carattere soteriologico. Gottfried Nebe, «Hoff-
nung» bei Paulus, 125, ha ragione quando (anche rinviando a Rom. 3,21) prende atto
La teologia di Paolo
di strutture di pensiero per xap1ç e ;;:poaaywy~, che presentano aspetti di realtà tali da
«andare già oltre un significato forense in senso stretto». Dunque Nebe ha messo a
fuoco un dato di fatto che ricorre di continuo nelle nostre considerazioni. D'altra par-
te, riguardo a Rom. 5,1-5 cfr. op. cit., 123 ss.
32. Così l'idea della sostituzione vicaria, ad es. in 2 Cor. 5>14; il motivo della xa-ra),-
Àay~, ad es. in 2 Cor. 51 18 ss.; l'idea del sangue espiatorio di Cristo in Rom. 3,2 5.
33. Melantone, Romer-Komm., ad loca e 373 s. Schlier, HThK, 137 (tr. it. 239), in 5,1
individua l'inizio della seconda parte della lettera, 5,1-8,39: il dono di grazia della giu-
stizia per fede. Questa sarebbe «in certo senso la (parte) più importante di tutta la
lettera». A mio avviso, tuttavia, qui non si riconosce la funzione retorica di Rom. 5,1-
11, individuata invece chiaramente da Melantone. Anche Kasemann, HNT, 123, in 51
1-8,39 scorge l'unità più ampia successiva a 3,21-4,2 5. La sezione 3,21-4,2 5 è da lui in-
titolata «La giustizia di Dio come giustizia per fede», 5,1-8,36 «La giustizia per fede
come realtà di libertà escatologica»; similmente anche Cranfield, ICC. U. Wilckens,
EKK v1/2, 3, fa iniziare la seconda parte solo in 6,1 (6,1-8,39): la realtà della giustifi-
cazione nella vita cristiana. Duno, WBC, VIII, intitola la sezione 6,1-11,36 «The Out-
working of This Gospel in Relation to the Individuai and to the Election of Grace».
34. Così soprattutto dp~v'f}; per àya7t'f} v. Os.; ac\>(E1v; 7tVEUjJ.a come Spirito di Dio.
Le lettere di Paolo 2 79
3 5. Il commettere peccato della singola persona è implicito solo in i9'c~ .:a'l'tEç ~1.1.ap
'tov, 5,12.
36 . .:apa7:'t{•)1j.a qui equivale ad a1.1.ap'tta; Hubner, La legge in Paolo, I 5 I.
37. \'va in Rom. 6,1 riprende dunque il duplice \'va di 5,20 s.
280 La teologia di Paolo
38. Che dç vada inteso in senso locale consegue dalle riflessioni relative a I Cor. 12,13,
e in particolare a quanto esposto in I Cor. a proposito della «spazialità» dell'esistenza
cristiana. Obiettare che secondo I Cor. 10,2 ek 't'Òv Mwua1jv È~a7t't'ta·9'Y)aav non può
significare «furono battezzati in Mosè» non convince, dato che Paolo, come è emerso
ripetutamente, spessissimo impiega le proprie concezioni in differenti variazioni.
39. È vero che in Rom. 6,4 Èv Xpta't'cf> non compare, però tale espressione vi ha il pro-
prio luogo teologico.
40. In Rom. 5,12 ss. anche 7tapam;wp.a, che in parte equivale ad a1J.ap't'ta, ma che al v.
20 è suo sinonimo.
4r. Tenendo conto anche di àJto•9vfiaxw, a1J.ap'tavw e 7tapa7t'tWIJ.'1 di Rom. 5,12.14-17.
21; 6,r.7.10.16.20-23.
Le lettere di Paolo 28r
Rom. 5,12 espone questa tesi: a causa del peccato la morte. Il cap. 6 te-
matizza l'oltrepassamento di questa tremenda causalità, pur rinuncian-
do all'orizzonte storico universale tracciato in 5,12 s.: il cristiano è mor-
to alla hamartia che provoca la morte, morto alla morte per mezzo della
morte di Cristo. Da un punto di vista retorico, òtà Tijç ap.ap'rtaç o -8-riva-
-roç in 5, l 2 e -tà yàp o\j;wvta -t1Jç ap.ap-o(aç -8-ava'toç in 6,2 3 sembrerebbe-
ro un'inclusione.
E c'è da registrare ancora un parallelo, dal punto di vista contenuti-
stico e al tempo Stesso anche formale: in 5, l 2 SS. il 'IO[J-Oç non veniva
trattato come tema, ma, come si è visto, è scivolato senza parere nell'ar-
gomentazione. Lo stesso si può dire ora del cap. 6. In tutta la dimostra-
zione, sul cui sfondo vi è comunque l'obiezione del v. l formulata da
una posizione giudeocristiano-legalista, fino al v. l4a incluso non com-
pare il tema della legge. Dunque Paolo è in grado di parlare diffusamen-
te di peccato e di libertà dal peccato in termini teologici, senza spendere
una sola parola sul nomos. Le considerazioni riguardanti il kerygma so-
no molto più importanti. Per cui l'apostolo solo alla fine, in 14b, affer-
ma un po' di sfuggita: «Poiché non siete più sotto la legge, ma sotto la
grazia». Quindi, che i cristiani non siano più sotto la legge qui viene
presentato come un fatto ovvio che motiva l'affermazione precedente.
Poi però, al v. l 5, Paolo riprende dal v. 14 la parola-chiave «legge» per
presentare 6,15-23 come risposta all'obiezione: «Dobbiamo commettere
peccati perché non siamo più sotto la legge, ma sotto la grazia?». Tutto
il cap. 6 è dunque una replica teologica all'accusa mossa dalla parte giu-
deocristiana legalista, ed è perciò stato scritto pensando a questo gruppo
interno alla comunità romana.
Ciò emerge nuovamente nella pericope immediatamente successiva,
Rom. 7,1-6. Stando al v. l Paolo si rivolge a coloro «che conoscono la
legge». Si può presumere che queste persone esperte di legge siano i de-
boli di Rom. 14 s. Tuttavia bisogna ascoltare con molta attenzione per
riuscire a cogliere come Paolo, quasi inavvertitamente, prosegua nel sol-
co della problematica posta in 6,r. Dapprima il motivo della legge era
secondario, quasi irrilevante. Se in 6,14 emergeva nel suo ruolo retorico
marginale, allo scopo di introdurre l'interrogativo del v. l 5, ora, nel cap.
7, diviene improvvisamente tematico. Se fino ad ora si parlava della re-
lazione tra peccato e morte, adesso viene trattato il rapporto tra peccato
e legge. Nella menzione della legge che in 6,14 appare come un accenno
en passant - ma in realtà qui Paolo non dice proprio nulla en passant-,
è detto ùnò vop.ov. Chi presta molta attenzione alla formulazione si ac-
corgerà che l'essere dominati dal peccato equivale all'essere sotto la leg-
ge. E della legge, in Rom., Paolo finora non ha mai parlato in termini
così diffamatori. Stando a 6,14a, essere sotto la legge significa proprio
essere sotto il dominio di schiavitù della legge. Vien quasi da pensare
che si ripeta l'argomentazione antinomista di Gal. 3,22 s.: essere sotto il
La teologia di Paolo
42. Kiimmel, Romer 7 und die Bekehrung des Paulus, 9, che pur richiamandosi ad al-
tri esegeti si basa principalmente sulla propria esegesi.
43. Di opinione lievemente differente Kasemann, HNT, 184.
Le lettere di Paolo
bilmente intercorre tra le due grandezze è un'unità di funzione. La leg-
ge non ha più una sua propria funzione, ma è «in funzione di», viene
usata in maniera spregevole e avvilente dal peccato, presentato in modo
personificato, il quale ne abusa in senso contrario al suo compito origi-
nario (la morte invece della vita) finendo per profanarla. Ma se non vi è
neanche più un'unità di funzione in senso stretto - unità che però veni-
va quasi insinuata da 6,r4 - tantomeno un'unità di sostanza. Ecco per-
ché Paolo, alla domanda di 7,7, può rispondere soltanto: «Dio ne guar-
di! µ ~ yÉvot'to».
L'argomentazione si svolge in 7,7 s., in cui il nomos è citato come
comandamento del decalogo; tuttavia anche qui il punto di vista di Gal.
slitta lievemente grazie a una sfumatura. Se Gal. 3,r9, 'twv 7tctpcx.~acrEwv
xaptv, andava interpretato in senso antico come «per provocare trasgres-
sioni», ora, in Rom. 7,7, con la citazione di Es. 20,17 (Deut. 5,21) la leg-
ge in senso noetico deve produrre la conoscenza della trasgressione pro-
vocata dal peccato.
Gen. 3 non viene citato, benché in Rom. 7,8 ss. evidentemente vi si
alluda. 44 L'essere sotto la legge mosaica (v. 7) e l'essere sotto il coman-
damento dell'Eden (vv. 8 ss.) penetrano l'uno nell'altro. Ciononostante
è chiaro che qui Paolo si rivolge in primo luogo a dei giudei, e più con-
cretamente a quei giudeocristiani di Roma che si sentono innanzitutto
giudei. È ad essi che in 7,7 ss. deve apparire la dimensione profonda del-
1' essere sotto il peccato. 45 Ma se dalla retrospettiva essi capissero qual
era la loro situazione prima di essere in Cristo, allora comprendereb-
bero anche che l'essere in Cristo, redentore e liberatore, li ha strappati
dal dominio del peccato e quindi anche dal dominio della legge che ne
deriva. Chi ha compreso Rom. 7, e cioè chi se ne sente interpellato e
quindi ha una nuova comprensione di se stesso, allora sa anche di essere
libero dalla legge, che di per sé è una legge santa, ma nella sua efficacia è
stata pervertita dal peccato sino a diventare una legge che porta alla
perdizione.
Come contrappunto a Rom. 7, Rom. 8 presenta l'aspetto positivo
della risposta all'interrogativo se la legge è peccato. Ora ad essere tratta-
ta è l'esistenza pneumatica del giustificato, l'esserci secondo lo Spirito,
Xct'tà 7tVEUiJ.CX., in opposizione all'esserci secondo la carne, Xct'tà crapxct.
Ma questo esserci secondo lo Spirito viene illustrato nel quadro dell'apo-
logia della legge. Rom. 7,14 riassume in nuce l'opposizione tra Rom. 7 e
Rom. 8: in questo versetto la legge viene presentata nella sua sostanza
44. Kasemann, HNT, 188: «Non c'è nulla in questi versetti che non si addica ad Ada-
mo, e tutto si addice solamente ad Adamo ... ».
45. Rom. 7,14, r.e7tpc:tjJ.i-voç ur.Ò --~v ér.1J.ap"[av, nella sua atrocità non conosce rivali. Ne
troviamo la conseguenza al v. 15: !'«io» non sa neppure in quale terribile situazione si
trova a vegetare.
La teologia di Paolo
pneumatica - o'{òo:p.Ev ovviamente ha di nuovo la funzione retorica di in-
terpellare soprattutto quei giudeocristiani di Roma che tengono in gran
conto la legge, ma ricorrendo alla prima persona plurale Paolo si unisce
ad essi -, mentre l'uomo prima di Cristo e fuori di lui è di carne, crapxi-
voç, e in quanto uomo della crapl; è «Venduto come schiavo al peccato»,
dunque si trova in una situazione assolutamente disperata. A ciò corri-
sponde il contrasto tra i due capitoli: la descrizione dell'esserci dell'uo-
mo sarchico e il risalto dato al nomos pneumatico, quest'ultimo in stret-
ta relazione con la presentazione dell'uomo pneumatico.
Se con Bultmann si considera Rom. 8,r una glossa, 46 allora il v. 2 in-
dica un doppio capovolgimento: ora non si parla più della legge perver-
tita da hamartia e sarx, né dell'uomo sarchico, venduto come schiavo al-
la hamartia. Ora piuttosto è in gioco il rapporto tra legge pneumatica e
uomo pneumatico. La discussione riguardante Rom. 8,2 illumina questa
circostanza teologica e retorica a un tempo: è vop.oç 't'OU 7t\IEU[J.o:'t'Oç Tijç
~w~ç il nuovo ordine salvifico per mezzo di Cristo e in Cristo, 47 oppu-
re lo è la torà, ricondotta al proprio essere pneumatico autentico (Rom.
;> 48
7,ro.14 ) ·
Riprenderemo più avanti la riflessione teologica su questo problema
scottante. Per l'analisi retorica basti accennare che nella «legge dello
Spirito della vita» Paolo scorge la legge di Mosè sottratta al pervertimen-
to operato dall'hamartia. Teologicamente egli si salva la faccia ribaden-
do in 8,3 l'incapacità della legge per quanto riguarda l'aspetto soteriolo-
gico; solo grazie all'azione di Dio, che ha inviato il Figlio, è stato possi-
bile condannare il peccato togliendogli così ogni potere. Ma affermando
in Rom. 8 che la legge ha riguadagnato la propria sostanza spirituale, 49
l'apostolo accorda ai giudeocristiani di Roma che essa possiede di per sé
un alto valore spirituale, e che stando alla sua natura primitiva essa va
considerata a partire dallo Spirito di Dio. Essa ha persino un suo precet-
to ('t'Ò òixo:iwp.o: 't'ou v6p.0 1; , 8,4), adempiuto per mezzo di Cristo. Leg-
gendo questi versetti bisogna mettersi nei panni dei giudeocristiani per
comprendere con quanto impegno qui Paolo stia cercando di conqui-
starli con la teologia. E quando poi descrive l'esserci dei romani secon-
do lo Spirito, mettendo in luce la grandezza e la sublimità della loro esi-
stenza cristiana, è un grandissimo complimento religioso che fa a questi
suoi destinatari (8,9 ss.): voi siete gli uomini dello Spirito santo. Non
46. Bultmann, Glossen im Rom, 278 s.; la sua opinione si è ampiamente imposta tra
gli esegeti, ad es. Kasemann, HNT, 206.
47. Così la maggior parte degli autori.
48. Così principalmente Lohse, o v6p.oç '!ou 7tVEu1.1.a'!oç X'!À. Similmente anche von
der Osten-Sacken, Rom 8, 226-234; Hahn, ZNW 67, 47 ss.; U. Wilckens, EKK vr/2,
12 l ss.; Hiibner, La legge in Paolo, 249 ss.; Dunn, WBC, 416 ss.
49. Sostanza strettamente intesa come essentia.
Le lettere di Paolo
siete più nella carne, ma nello Spirito. In voi abita lo Spirito di Dio. E
prosegue sino a condurli al punto essenziale - qui si percepisce ancora
un qualcosa della passionalità che caratterizzava Gal., la magna charta li-
bertatis - (8,15): infatti (yap) voi non avete ricevuto lo spirito della schia-
vitù, per dover provare nuovamente paura. No, voi avete ricevuto lo spi-
rito della figliolanza. Pronunciando questa frase come motivazione,
Paolo si rivolge ai cristiani e in particolare ai giudeocristiani di Roma
come a persone che provengono dall'esperienza della libertà. In essa vi
è, inespressa, una constatazione: se voi avete fatto l'esperienza di perso-
ne libere, perché mai volete rimettervi sotto la legge rendendola in tal mo-
do nuovamente legge di schiavitù e di morte, invece di consentirle di re-
stare per voi legge dello spirito della vita? Rom. 8,16 s. richiama poi la
conclusione di Gal. 3: voi siete figli di Dio, siete eredi di Dio. Implicita-
mente: cosa volete di più?
Tuttavia sorprende che in Rom. 8,1-17 non vi sia un riferimento for-
male all'Antico Testamento. Paolo descrive l'essere nello Spirito dei
giustificati senza ritenere indispensabile addurre una qualche prova
scritturistica. Ma poiché proprio in Rom. 8 egli si inserisce in pieno nel-
la tradizione di concezioni pneumatologiche veterotestamentarie, c'è da
chiedersi perché proprio qui, dove si parla di esposizione positiva dell' e-
sistenza cristiana, egli pensi di poter rinunciare ad argomentare con la
Scrittura. È assolutamente improbabile che egli si collochi nel solco del-
la tradizione della pneumatologia veterotestamentaria, ma senza sapere
dove questa trovi la propria espressione letteraria nella Scrittura. Infatti,
in primo luogo Paolo in I Tess. 4,8 con ogni probabilità alludeva a Ez.
36,27; 37,14; in secondo luogo, anche per le sue affermazioni pneumato-
logiche in Rom. 8 avrebbe potuto ricorrere a una serie di passi tratti da
ls., che certamente conosceva. 50 Eppure non ha fatto neppure questo.
Quindi, che egli non vedesse motivo di scomodare la Scrittura per di-
mostrare che lo Spirito risiede nei cristiani - e questo proprio in Rom.,
in cui peraltro è alla Scrittura che fa continuamente ricorso per motivare
quanto va affermando - necessita di un'altra spiegazione, che non sia
quella della sua ignoranza per quanto riguarda gli enunciati pneumato-
logici dell'Antico Testamento, posto che siamo in grado di farlo. 51
Nel cap. 8, dopo il v. 4 il termine vop.oç ricorre solo nel v. 7; ciono-
nostante anche la descrizione positiva dell'esistenza cristiana è in con-
nessione tematica con l'apologia della legge. Secondo la concezione giu-
50. Ad es. ls. J2,15; contesto: Òt><atocruv'l'], elp~VYJ.
5I. Paolo sapeva che i cristiani di Roma si consideravano persone ricolme di Spirito, e
che erano a conoscenza di aver ricevuto il dono escatologico dello Spirito? È per que-
sto che non vedeva motivo di ripetere loro espressamente che possedevano lo Spiri-
to? Si tratta di una supposizione ovvia, che però non può essere verificata. Tuttavia,
8,9 fornisce forse un indizio: «Voi però esistete (già) nello Spirito, se veramente (d-
7tEp: se è vero ciò che date ad intendere) lo Spirito di Dio abita in voi».
La teologia di Paolo
<laica, la torà impedisce di peccare imponendo ai giudei di seguire sola-
mente la volontà di Dio, ossia di compiere ciò che essa ordina e di non
fare quanto essa proibisce. Invece di accennare ai comandamenti (e ai
divieti) della legge, Paolo fa riferimento all'indicativo dell'esistenza de-
terminata dallo Spirito. 52 Colui nel quale abita lo Spirito di Dio, esiste
xa'tà 7t\IEU(J-CX. Dunque in lui vi è il eppOV"t](J-l'X 'tOU 7t\IEU(J-CX'toç, l'aspirazio-
ne dello Spirito di Dio. Di conseguenza al cristiano interessa ciò che in-
teressa a Dio. Questo però non è così automatico. Infatti, anche il cri-
stiano può vivere xa'tà crapx.a. 53 Ma così facendo agirebbe soltanto con-
tro la propria natura interiore e la propria intenzione interiore, datagli
da Dio. Si tratterebbe di un atto autodistruttivo, suicida, di negazione di
se stesso, perché il eppoV"t](J.a 'tou 7t\IEU(J.awç significa vita e pace (salom)
(v. 6), mentre il xa'tà crapx.a ~Y]v ha come conseguenza la morte ((J.ÉÀÀe-
'té: à.7to-8vficrx.etv, v. l 3). Ecco dunque il succo: non c'è bisogno che vi
facciate dire per filo e per segno dalla torà quello che dovete fare, perché
avete in voi lo Spirito e il suo eppoV"t](J.CX. Perciò, se vi lasciate guidare
dallo Spirito di Dio e se siete per questo figli di Dio (v. 14), non trasgre-
dite ciò che la legge proclama in conformità al suo intento autentico in
quanto volontà di Dio, ossia- anticipando Rom. 13,8-10 - l'amore, à.ya-
7t1J. Né contravvenite al 7tÀ~pw(J-a VO(J.Ou. Dunque, chi adesso sostiene
ancora che la legge è peccato contravviene allo Spirito di Dio. Solo lo
spirito maligno può asserire che il nomos è hamartia.
Con Rom. 8,18 muta il carattere del linguaggio. Ora non è più in gio-
co l'argomentazione teologica come tale. Paolo pronuncia infatti parole
di conforto. Dunque la situazione dei cristiani di Roma non è caratteriz-
zata soltanto dai dissidi di cui si parla in Rom. 14 s., ma anche, e forse
persino soprattutto, da tribolazioni, i 7ta-8~(J-a'ta 'tou vuv x.atpou men-
zionati al v. 18. I cristiani di Roma possono vivere in modo conveniente
solo se vivono in funzione del futuro, e del futuro di Dio, v. 24: Tfl yàp
EÀ7ttOt fow-8"t](J-EV. L'esistenza cristiana, dunque, è esistenza nella speran-
za. Il motivo della sofferenza ricorreva già in 5>3 ss., ove si parlava della
situazione f.v 'tai'ç -8Àt~ecrtv. Forse per i destinatari della lettera questa
pericope di conforto aveva un maggior peso esistentivo rispetto alle pa-
role dell'apostolo circa la controversia sui «romani mangiatori di verdu-
ra».54 In tale conforto Paolo inserisce, in modo abbastanza organico,
52. Poiché in Rom. 8 ciò che interessa è la descrizione dell'essere del giustificato, è
principalmente il modo indicativo ad avere qui il proprio luogo teologico. Paolo usa
l'imperativo nella parenesi. Ma come si vedrà tra poco, è evidente che nella descrizio-
ne dcli' esistenza cristiana è proprio l'indicativo a rendere significativo l'imperativo.
53. Viceversa, colui che esiste È:v crcxpx( può vivere solo xcx-rà crapxcx, e non xcx-rà ;;vtii-
IJ.cx; v. Rom. 8,7: oùòì: yàp òuvcx-rcxt.
54. Così, in modo un po' mordace e insieme anche rispettoso, Karl Barth, Der Romer-
brief, Ziirich IJ1989 (= Miinchen 1922), 492 (tr. it. L'Epistola ai Romani, Milano
1962, 489 s.).
Le lettere di Paolo 287
anche la sua teologia della chiamata e della giustificazione (8,28-30).
Sempre in questa sezione di conforto si rispecchiano anche intuizioni
teologiche di Rom. 8,1-17; vi sono riprese idee e formulazioni che in
8, l- 17 erano già costitutive per il vero intento teologico della lettera, 55 e
che ora diventano feconde ai fini pastorali.
Ed ecco che Paolo con brillante retorica conclude il capitolo con le
splendide parole di Rom. 8,31-39, parole la cui forza consolatrice e in-
coraggiante ancora oggi è in grado di trattenere dalla disperazione
quanti si trovano nella prova. Ed è proprio in questa pericope che è pre-
sente l'unica citazione formale del cap. 8 introdotta dalla formula quo-
tationis xa.Swç yÉypa7t'tat, ~ 43,23: per causa tua siamo messi a morte ...
Quest'ultima citazione all'interno dell'unità Rom. l,l 8-8,J9 riguarda la
morte dei cristiani, sia pure come espressione iperbolica di una grave tri-
bolazione. Ma con tali parole Paolo esprime anche la fiducia manifestata
nel medesimo salmo, che si conclude con questa invocazione: «Sorgi, o
Signore, vieni in nostro aiuto! E salvaci per il tuo nome!». Ma Paolo
vuole dire ai romani che il Signore ha aiutato, ha salvato: neanche la
morte, il terribile .Sava'toç (v. 38), può più separarci dall'amore di Dio in
Cristo Gesù. In ogni .SÀL~tc;, cr'te:voxwpia, Òtwyp.oç ecc. (v. 3 5) Dio ha
operato la sua salvezza, la sua à7toÀu'tpwcrtç (v. 23), che verrà dispensata
anche a tutta la creazione, micra ~ x'ttcrtç (v. 22). Ma se nell'argomenta-
zione che si svolge da l,18 a 8,39 abbiamo registrato la cesura dopo il
versetto 5, l l, affiora una simmetria degna di nota: Rom. l, l 8-5,1 l finiva
con la tribolazione superata nella fede e nella speranza, e anche Rom.
5,12-8,J9 si conclude in maniera analoga. 56
È controverso se Rom. 9-1 l 57 costituisca il vero obiettivo della lette-
ra o se sia una specie di excursus. Cerchiamo dunque di cogliere il carat-
tere di questa sezione, riguardante un giudizio teologico su Israele, ana-
55. Ad es. il possesso del 7tVEUjL<X in 8,2 3 rispetto a 8,4 ss.; ÈÀw8Epw8~aE-.o:t/ÈÀwSEpto:
di 8,21 rispetto a 8, 15, ove 7tVEUjL<X u!o8Eato:ç è quasi sinonimo di 7tVEUjL<X ÈÀEu·.9Epto:ç;
u!o..9Eato: in 8,23 rispetto al passo appena ricordato di 8,15 (v. anche 8,14); la preghiera
di 8,26 rispetto a 8,15; i:Ò cpp6v'Y]IL<X -.ou 7tVEUjL<X-.oç di 8,27 rispetto a 8,5 ss. E quando
Paolo in 8,21 parla della libertà della ò6~o: dei figli di Dio come di un bene in cui spe-
rare, ciò corrisponde alla conclusione di 8,1-17: Et7tEp au1L;;aax.olLEV Iva xo:l auvòo~o:
a8w1LEV.
56. A mio avviso si tratta di un ulteriore indizio dell'esattezza dell'analisi formale e
retorica qui intrapresa, che è comunque sostenuta dall'analisi retorica di Melantonc:
la cesura va posta dopo Rom. 5, I I, anche se naturalmente vi possono essere agganci
tra le due parti. Tali agganci non devono stupire, visto che comunque la seconda
parte è continuazione dell'argomentazione teologica della prima.
57. Per l'analisi retorica di Rom. 9-1 I non riporterò qui alcuna bibliografia. Nella mia
monografia su questi due capitoli, Gottes !eh und Israel, ne compare infatti una piut-
tosto vasta (che giunge all'incirca fino al 1982/83), ed è a questa che rimando. Nel pa-
ragrafo che segue vi saranno ogni tanto cenni bibliografici.
288 La teologia di Paolo
sono giudeocristiani viene così ripetuto con estrema chiarezza che l'au-
tentico essere giudeo, ossia l'esistenza dalla legge, è una modalità ormai
superata. Chi intenda ancora ottenere la propria giustizia dalla legge,
considerandola un dono di Dio in grado adesso di donare la vita, pensa
in modo reazionario nel vero senso della parola. Era molto tempo fa che
la legge dispensava la vita. La torà sta dalla parte dello Spirito e dunque
della vita solo nel senso di Rom. 8,2. Ai giudeocristiani di Roma è detto:
voi siete cristiani in quanto, anche in qualità di giudeocristiani, non cer-
cate più di vivere «per la legge». La parola di Dio (di giustificazione e di
vita) è vicina a voi, ma solo in Cristo. Stando a Deut. 30,14, è la torà
stessa - ovviamente intesa non più come legge che pretende e in questo
modo dispensa la vita, ma come parola profetica che promette - ad af-
fermare che la via per la salvezza, per la crW1"1]pta ( r o, r. r o), non passa
più attraverso di essa. A questo riguardo la torà si smentisce per così di-
re da sola. Come in Rom. 4, anche in Rom. ro la legge viene inserita nel-
l'argomentazione teologica in quanto si annulla da sé nella sua funzione
di legge che conduce alla vita per mezzo di precetti. Ma già Isaia lo sa-
peva, ed aveva dichiarato che Israele era rimasto ostinato e ribelle, seb-
bene la lieta notizia fosse stata annunciata a tutto il mondo, e dunque an-
che Israele doveva averla udita. Per questo motivo Dio, tramite Isaia,
aveva annunciato che si sarebbe fatto trovare da coloro che non lo ave-
vano cercato (Is. 65,r =Rom. ro,20). Quindi non dovrebbe sorprendere
che oggi la chiesa presenti un volto prevalentemente etnicocristiano. E
così, Paolo chiude la seconda parte della sua argomentazione relativa a
Israele con una conclusione di grande effetto. Non è Paolo ad accusare
Israele, ma Dio stesso. È l'accusa che si può andare a leggere nelle pagi-
ne della sacra Scrittura di Israele. Mai come in Rom. 9-r r Paolo ha fatto
un ricorso tanto massiccio a dimostrazioni scritturistiche. In nessun al-
tro scritto paolino la prova scritturistica è stata presentata in modo tan-
to serrato. Chiunque può andarsi a leggere nella Scrittura la misera sorte
riservata a Israele in relazione alla salvezza divenuta realtà in Cristo. Ri-
correndo alla sacra Scrittura, che è essenzialmente sacra Scrittura di
Israele, Paolo è dunque stato in grado di fare una duplice affermazione:
r. se qualcuno nel gruppo dei cristiani - naturalmente si intendono in
primo luogo i giudeocristiani - dovesse accusare Paolo di trovarsi teolo-
gicamente su una falsa pista, allora la Scrittura dimostrerebbe l'origine
divina della sua teologia della giustificazione; 2. se qualcuno del gruppo
dei giudei dovesse obiettare a Paolo che il vangelo falsifica la parola di
Dio, perché una comunità salvifica senza la maggioranza di Israele dimo-
strerebbe l'inattendibilità delle promesse di salvezza fatte ad Israele e di
conseguenza l'inattendibilità di Dio stesso, allora la sacra Scrittura stes-
sa contraddirebbe una tale concezione. Ed è proprio Paolo a soffrire per
questo modo di comportarsi della maggioranza di Israele (9, r -5 ).
Ora finalmente è spiegato in maniera sufficiente, sia sul piano del-
La teologia di Paolo
l'azione divina sia su quello della condotta umana, il perché la maggio-
ranza di Israele sbagli non credendo in Cristo. Perciò con Rom. 10,21
l'argomentazione relativa a Israele potrebbe essere definitivamente con-
clusa. Ma, sorprendentemente, Paolo ricomincia ancora una volta da ca-
po. Se con la seconda unità argomentativa avevamo scoperto quali sor-
prese teologiche ci può riservare in qualsiasi momento, così anche ora,
si può contare su una nuova svolta inaspettata visto che in Rom. I 1,1-
36 egli dà un nuovo indirizzo all'argomentazione. Paolo prende il via
con un interrogativo la cui risposta, secondo quanto ha esposto in pre-
cedenza, dovrebbe essere abbastanza ovvia: Dio ha forse ripudiato il
suo popolo? Stando alla distinzione operata in 9,6 tra entità etnica Israe-
le, alla quale non è destinata la promessa di salvezza, e Israele autentico,
chiamato, eletto in mezzo a tale entità etnica, dovrebbe essere evidente
che ad essere chiamato non può essere il popolo in quanto tale. Secondo
9,6-29, la risposta all'interrogativo posto in 11,1 può essere solo una: Dio
ha realmente ripudiato il suo popolo. Ma, apparentemente contro ogni
logica, Paolo asserisce: µ ~ yÉvot-ro! Al lettore allibito viene poi offerta
nei vv. 2 ss. un'ulteriore motivazione, che inizialmente gli fa senz'altro
dubitare della facoltà logica dell'apostolo. Questi, infatti, lo rimanda nuo-
vamente alla nota immagine del cap. 9, l' «Israele dentro Israele», per
dirla con le parole di Cranfield. 59 E riporta due esempi, il primo riguar-
dante la sua persona, e il secondo - stavolta con il rimando alla Scrittura
- che ripete l'oracolo di Dio, XPl]!J-CX'n<rp.oç,; Regn. 19,18: «Mi sonori-
servato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio davanti a
Baal». La conseguenza è dunque (v. 5): «Così anche al presente c'è un
resto, conforme all'elezione per grazia, Àe:ip.!J.CX Xtx't'ÈxÀoy~v xapt'tOç».
Àe:i1J.1J.cx corrisponde all'unoÀe:tµµcx di 9,27 (= Is. 10,22: xcx'taÀe:t!J.!J.cx).
Inoltre, con xcx't'ÈxÀoy~v xapt'toç la scelta è caduta su una formulazione
che si sarebbe magnificamente prestata a fare da titolo teologico a 9,6-
29. E ancora una volta sorprende che a oùxÉ'tt è!; È'.pywv del v. 6 non
venga contrapposto Èx ntcr'te:wç, bensì - in analogia di contenuto con 9,
l 2 - xaprn, dando così espressione antitetica all'azione di Dio e a quella
dell'uomo. Non resta allora che ripetere il «Che dire dunque?» del v. 7,
a cui dare una risposta dal tono rassegnato: ciò che agogna Israele - in-
teso qui come popolo - lo hanno ottenuto solo gli eletti. 60 Dio ha indu-
rito6' gli altri, ossia la maggioranza di Israele. È indubbio che qui ci
troviamo nuovamente sul piano dell'agire di Dio - come al cap. 9. An-
che stavolta Paolo può citare la Scrittura, ricorrendo a un singolare ora-
colo tratto dalla profezia veterotestamentaria. Mentre in 10,20 s. aveva
menzionato esplicitamente Isaia dopo aver citato Mosè al v. 19, qui la
Peccato e giustizia
Stando a Rom. r,14 Paolo intende annunciare il vangelo ai
romani, eùay-yeÀiaaa-8at. Ma finisce per parlare del vangelo.
Con una formulazione concisa, che un po' semplifica la strut-
tura retorico-argomentativa piuttosto complessa di Rom. r, si
può parlare di teologia del vangelo invece che di annuncio del
vangelo. Paolo vuole annunciare il vangelo perché non se ne
vergogna, cioè lo professa. Perché esso è potenza di Dio per la
salvezza di chiunque crede, per il giudeo prima e poi per il
«greco». A~ 67,12 come sfondo veterotestamentario abbiamo
già rimandato. 62 Paolo leggeva tale testo in termini escatologi-
ci, nel senso che il Signore darà molto potere a coloro che an-
nunciano il vangelo di Gesù Cristo: xupwc; òwaei p'ij!J.a 'tote;
eùayyeÀiso(J.Évoiç ÒUWX(J.Et noÀÀ fl. A dire il vero c'è da chie-
dersi se contasse sul fatto che, per associazione, i romani a-
vrebbero pensato al versetto del salmo (incluso il suo conte-
sto); tuttavia, visto che i salmi facevano parte del suo patrimo-
nio intellettuale e spirituale naturale, si può comunque ipotiz-
zare che almeno lui avesse in mente tale salmo. Il Dio di cui
l'Antico Testamento non si stanca di proclamare grandezza e
potenza, maestà e magnificenza, rende partecipi di questa sua
dynamis i messaggeri del vangelo, vangelo che fanno diventare
62. Voi. r, 197 su Rom. 1,16 s., a integrazione di Hays, Echoes of Scripture, 36 ss.
La teologia di Paolo
cipi della sua potenza, e infine che in tale parola si riveli la sua giustizia,
sono tutte affermazioni che, almeno in linea di principio, costituiscono
una convinzione di fondo dell'Antico Testamento, tanto radicata da con-
sentire a Paolo di fare a meno di dimostrare espressamente quelli che
erano fatti ovvi, su cui convenivano sia lui sia la sua comunità. Così al-
meno poteva evitare di appesantire ulteriormente il contenuto della pro-
positio programmatica.
Oggi, tuttavia, è il significato dell'espressione Ò&xa.wcruvYJ
.{)e:ou ad essere controverso. Che per essa l'elemento forense
sia costitutivo non ha certo bisogno di essere motivato. C'è pe-
rò da chiedersi se la giustizia sia da intendere con Rudolf
Bultmann come semplice dono di Dio all'uomo, oppure se
con Ernst Kasemann vada considerata sia dono di Dio sia po-
tenza di Dio. Nel contesto di l, l 6, il suo carattere di potere non
può essere ignorato. 67 Se infatti il vangelo è presenza in forma
di parola del Dio potente, e se Dio nel vangelo è colui che si
manifesta con potenza e proprio per questo è colui che giu-
stifica l'uomo in virtù della sua fede, allora la dynamis di Dio
e la giustizia di Dio sono teologicamente espresse in una cor-
relazione talmente stretta, che una definizione della giustizia
di Dio solamente partendo dal suo carattere di dono è inade-
guata. 68 Quanto era stato teologicamente illustrato in Gal. a
proposito di Ò&xa.&w.{)ljva.& e Ò&xa.wcruvYJ, 69 viene ora portato a
un livello ancora superiore. Là Dio era il soggetto marcato del
Ò&xa.wuv (Gal. 3,8; passivum divinum Gal. 2,16), e Ò&xmocruvYJ
era quanto spettava al giustificato. Ora, però, in Rom. l,16 s.
la giustizia viene presentata come giustizia di Dio in modo tale
da divenire sua presenza, suo agire presente nell'evento della
giustificazione. Se per Gal. Dio - per dirla in termini piuttosto
semplicistici - agisce in modo giustificante sull'uomo che cre-
de, per Rom. l,16 s. nell'annuncio del vangelo è espresso il ri-
67. V. l'ampia dimostrazione riportata in Hi.ibner, La legge in Paolo, 212 ss.
68. Ovviamente, solo sulla base della relazione logica tra il v. 17 e il v. 16 non è possi-
bile definire la Òntcxtocruv'Y) ·.9Eou a partire dalla òuvcxµ.tç ./)gou. Tuttavia, con questo ten-
tativo di definizione non ci si avvicina certo a ciò che Paolo intende dire. Al contra-
rio, egli combina insieme realtà diverse in un modo che non rispetta le leggi di una
logica strettamente aristotelica.
69. Per Gal. è possibile intendere Òtxcxtocruv-ri come dono. Ma qui ancora non si parla
affatto di ÒtXCXtOO"UV'Y) ·.9EOu.
Le lettere di Paolo 299
velarsi di Dio in colui che sta per essere giustificato. Paolo si
esprime in modo teologico riguardo a questo processo, ma in
questo suo parlare in termini teologici rimanda a una parola di
Dio, al -8Eou Àoyoc,, all'evento di Dio nei confronti di colui che
ascolta il vangelo. Dove l'uomo ascolta Dio, Dio stesso gli ac-
cade. Dio è dunque soggetto e al tempo stesso evento della
giustificazione. Così facendo, in Rom. Paolo ha spostato su un
piano tea-logico il suo discorso sulla giustizia così come ricor-
reva in Gal.
Ma parlare di giustificazione come di un evento è per certi versi ambi-
guo; si potrebbe infatti fraintendere e pensare che la giustificazione sia
un qualcosa che accade una volta sola.7° Invece l'uomo resta nell'ambi-
to di potere della giustizia di Dio. 71 Già la forma al presente di cbt0xa-
ÀU7t'!e:'!at richiama un evento che avviene gradualmente e in maniera con-
tinuativa. Mentre l'espressione appena ricordata e molto discussa, Èx 7ttcr-
-re:wç e:lç 7tLCJ'!tV, intende affermare che l'evento di rivelazione della giu-
stizia di Dio in favore dell'uomo ha inizio con la fede (lx 7ticr-re:wç), ma
che l'esistenza del giustificato resta pur sempre un'esistenza in funzione
della fede (e:lç 7tLCJ'!tv). 72 In questo senso, anche la citazione di Abacuc
può essere convenientemente interpretata: chi è giusto per fede - dun-
que chi esiste per la fede 73 -vivrà. Anche qui il futuro (logico), ~~cre:-rm,
non è espressione di un qualcosa che accade una volta sola.
70. Una simile interpretazione rafforzerebbe la tesi di Sanders, secondo il quale la fe-
de va intesa puramente come condizione di partenza.
71. Anticipando Rom. 3,21, facciamo presente che stando a tale passo la giustizia di
Dio ora si sarebbe manifestata senza la legge, 7tEcpavepw'tat. Questo perfetto afferma
che essa, fin dalla sua comparsa nella storia dell'umanità, è stata determinante per l'esi-
stenza. È giustizia di Dio per mezzo della fede, òtà 7ttO''!Ewç, in Gesù Cristo per tutti
coloro che credono. La forma al presente mxnaç "toÙç mcr'!Euov"taç sta a indicare che
resta credente chi è giunto alla fede.
72. Similmente ad es. Kasemann, HNT, 28, il quale, citando Fridrichsen (con enfasi,
«continuità ininterrotta» nel senso della sola fide) e Stuhlmacher («dimensione del
Mondo Nuovo»), così si esprime: «La rivelazione della giustizia di Dio, essendo lega-
ta al vangelo, si realizza sempre e soltanto nell'ambito della fede». J. Dunn, WBC, 43
s., tuttavia, richiamandosi a Karl Barth, si chiede se Paolo con Èx 7ttO''!Ewç non inten-
da la fedeltà di Dio e con dç 7ttO''!tv la fede dell'uomo. A mio parere si tratterebbe di
un'interpretazione eccessiva. Obiettivamente mi trovo però d'accordo con Dunn
quando dà quest'interpretazione di 7tani "tc\i mcrnuov'!t al v. r6 (p. 40): «... egli desi-
dera mettere a fuoco non soltanto l'atto iniziale della fede, ma la fede come orienta-
mento continuo e motivo di vita»,
73. Ovviamente qui Èx 7ttO''!Ewç come contenuto non è perfettamente equivalente a
èx 7ttcrnwç del v. r7a, ma corrisponde all'espressione o[ Èx 7ttO''!Ewç di Gal. 3,7.
300 La teologia di Paolo
75. Per Kasemann, HNT, 34 s., àa-É~rnt e àòtxio. costituiscono un' endiadi; dello stes-
so avviso anche H. Schlier, HThK VI, 50 (tr. it. 104). Secondo C.E.B. Cranfield, ICC,
r 12, i due termini sono «usati come due nomi per la stessa cosa». Non possono essere
determinati in modo semplicemente denotativo, ma il loro significato risulta dalla con-
notazione che hanno in Rom. 1. E dal modo in cui lì procede l'argomentazione è da
escludere un significato prevalentemente morale.
76. Questo vale anche se Heidegger, e Bultmann sulla sua scia, avrebbero sottolineato
forse eccessivamente questo aspetto; al riguardo v. Hiibner, EWNT I, 138 ss. (DENT
I, I 5 3 ss.); per Paolo, 142 s. (DENT 1, 156 s.).
77. Poiché -.:oli ·9wii può essere gen. partitivus, qui ci limiteremo a parlare di «aspetti».
302 La teologia di Paolo
Dio esiste, quanto che coloro che qui sono accusati di empietà
hanno defraudato Dio della sua divinità, .SEtO't"YJç. Anch'essi
credono in Dio, o negli dèi; ma non venerando Dio in quanto
tale, pur avendo la capacità di conoscerne la divinità, e non ri-
conoscendolo nella sua doxa - in fondo è proprio questo che
significa Èool;a:cmv -, essi sono stati resi stolti da questo Dio
«disonorato», che ne ha ottenebrato il cuore ottuso. 80 Il v. 22
ricorda I Cor. 1, 1 8 ss. Il v. 2 3 presenta il terribile risultato del-
la situazione disperata provocata da Dio: gli uomini, pervertiti
nella forma più grave di stoltezza, pervertono ora la doxa del
Dio incorruttibile «con il contorno dell'immagine dell'uomo
corruttibile, e degli uccelli, dei quadrupedi e dei rettili». 81
Se anche, come si è visto, il concetto di hamartia non è an-
cora menzionato in Rom. 1,18 ss., tuttavia è evidente che Pao-
lo intende rivelare una correlazione spaventosa: il peccato por-
ta al peccato. Questa formulazione forse un po' troppo con-
cisa va precisata meglio: le azioni di peccato - qui non ricorre
neppure il termine specifico 7ta:pa:~acrEtç-liberano il potere del-
la hamartia e pongono in suo potere. Ma, stranamente, sono
proprio le colpe contro Dio a trascinare l'uomo nella catastro-
fe morale, con una specie di sanzione immanente. L'uomo di-
sonora Dio, e così facendo viene disonorato egli stesso fin nel-
la sua realtà corporea. Al 't"Òv .SEÒv oùx wç .SEÒv Èòol;a:cra:v di 1,
21 corrisponde la terribile conseguenza di 1 ,24: dç àxa:-8a:p-
crla:v 't"OU à't"tµa~Ecr-8a:t 't"à crwµa:'t"a: a:Ù't"W\I È\I a:ù't"oiç. 82 La natu-
ra dell'uomo, la sua qiucriç, è trasformata nel suo contrario, l'uo-
mo è divenuto perverso, 1,26 s.
Abbiamo parlato poco fa di sanzione immanente, ed ora è
necessaria una precisazione. Certamente è conseguenza del di-
sonore di Dio ad opera dell'uomo che questi disonori se stes-
so. Non riconoscendo Dio come tale, egli infatti ha perduto il
metro di misura essenziale per la sua vita. Sotto l'aspetto teo-
logico, tuttavia, se l'uomo è tale in senso stretto e sostanziale
solo quando sta in relazione corretta con Dio - è questa no-
So. È(J.cnmw·lh1crav, Ècrxo'ttcr.S'YJ ed ÈiJ.wpcl.v.S'Y]crav sono passiva divina.
8 r. Traduzione secondo Kasemann, HNT, 33.
82. V. anche Rom. 1,26: dç 7ta'9'YJ àmµiaç.
La teologia di Paolo
suo significato originario, non gli si può far carico, tuttavia es-
so resta la definizione più adeguata a questa visione della real-
tà. 87 Abusus non tollit usum. Se qui si vuol parlare di teologia
naturale, lo si può fare senz'altro, a patto che con natura si
intenda quella definita dall'ordinamento della creazione. 88 Ma
allora, anche l'ordinamento etico costituisce un aspetto centra-
le dell'ordinamento della creazione - analogamente al rappor-
to tra ordinamento cosmico e torà. Martin Hengel ha parafra-
sato questa relazione ricorrendo al concetto di ontologia della
torà. 89 In base al nesso descritto, è dunque ovvio che una tra-
sgressione contro la torà o contro l'ordinamento etico incorra
nella condanna del tribunale di Dio. Ed è anche ovvio che sia
proprio il giudeo, colui che è in possesso della torà, a dover
impostare la propria vita in base alle sue prescrizioni. Parten-
do dunque dalle premesse di Rom. 1,18 ss., è solo una logica
conseguenza che Paolo in Rom. 2,6 riporti la citazione di Yi
6 1, 13: (\oç a7toowcret
' ~ I
ex.acr't'q.> x.a't'a 't'a epya au't'ou. Ed e' sempre
( I \ \ ,, ' -
87. In fondo, si è abusato politicamente non solo di tale termine, ma anche del termi-
ne «Dio» - eppure, chi se la sentirebbe per questo di stralciare la voce «Dio» dal vo-
cabolario teologico?
88. In questo contesto non manchi un accenno all'infelice discussione dogmatica sulla
cosiddetta natura pura, di cui Karl Rahner, Ober das Verhaltnis van Natur und Gna-
de, ha esposto quanto basta. Il modo in cui egli concepisce il concetto di natura for-
nisce le premesse indispensabili a un dialogo teologico per un'intesa tra cattolici e lu-
terani. Potrebbe quindi trovare nuova conferma il fatto che è possibile instaurare un
dialogo costruttivo dove le premesse teologiche sono fornite da Paolo (e anche da al-
tri autori del Nuovo Testamento).
89. Hengel,]udentum und Hellenismus, 309 ss.
Le lettere di Paolo
Rom. Infatti, Rom. 1,18 ss. non tratta la questione di come sia
possibile adesso la giustificazione, di come sia possibile ottene-
re la giustificazione, perché qui a Paolo non interessa certo l'a-
spetto finale della questione. Quello che gli preme evidenziare
è invece la situazione di fatto per cui tutti gli uomini hanno
fallito, in quanto si sono giocati quella giustificazione che Dio
avrebbe conferito loro nel quadro dell'ordinamento della crea-
zione già ricordato. Non è tanto l'aspetto finale della questio-
ne ad interessare, quanto quello consecutivo: peccato, e quindi
come consecutio il giudizio di Dio. 90
Se dunque Rom. 2,10-13, e in particolare la tesi del v. 13 per cui coloro
che mettono in pratica la legge sperimenteranno la giustificazione nel
giudizio escatologico, può essere compatibile con il concetto di giu-
stificazione per sola fede nel senso appena specificato, tuttavia ecco sor-
gere un'altra difficoltà. Se, infatti, la tesi della giustificazione di coloro
che mettono in pratica la legge, espressa al v. l 3, può essere interpretata
come dichiarazione teologica alla quale però, per via dell'inclinazione di
tutti gli uomini al peccato, non fa riscontro alcuna realtà storica, tutta-
via è dei popoli pagani, Wvri, che si parla, i quali, pur non possedendo la
legge (mosaica), agiscono per natura, rpucn:t, secondo la legge e in questo
modo sono legge a se stessi, Rom. 2,14. E dunque, giustificati senza l'a-
zione redentrice di Cristo? Non siamo di fronte a una contraddizione
clamorosa? Ancora una volta è Heikki Raisanen a rimproverare a Paolo
una grande contraddittorietà anche in questo passo della sua argomen-
tazione teologica. 91 Ora, però, egli stesso ammette che a questa affer-
mazione di Rom. potrebbe essere applicata l'interpretazione per cui «al-
cune prescrizioni della legge sono occasionalmente messe in pratica da
certi gentili». 92 Tuttavia essa sarebbe insostenibile, dal momento che in
Rom. 2,26 s. l'espressione -ròv voµov -re:Àoucra si riferisce alla totalità 93
della legge. Ora, bisogna riconoscere a Raisanen che, rinviando a 2,27,
evidenzia un problema relativo a 2,14 ss. che di norma, nei commentari
a Rom., non viene individuato con sufficiente acutezza. Vi accenna ap-
pena Ernst Kasemann quando osserva che l'asserzione dei vv. 26 s. si ri-
ferisce indubbiamente alla dichiarazione non ipotetica dei vv. 14 s., che
rafforza. 94 Neanche lui, tuttavia, mette in relazione -ròv voµov -re:Àoucra,
espressione che stando al significato delle parole definisce l'adempimen-
to della legge tutta intera e non l'adempimento di singole prescrizioni,
90. Per Paolo, la giustizia della legge non è giustizia delle opere.
91. Raisanen, Paul and the Law, 101ss. 92. Op. cit., 103.
93. Ibid.: totality è in corsivo. 94. Kasemann, HNT, 69.
308 La teologia di Paolo
Dal punto di vista teologico, la legge scritta nel cuore dei gen-
tili è rilevante nel momento in cui, grazie alla relazione stabili-
ta da Paolo tra cpucrtç e \loµoç, trova nuovamente espressione
un elemento decisivo riguardante la legge mosaica e il suo rap-
porto con l'ordinamento del mondo in quanto ordinamento
della creazione. Se infatti i gentili sono legge a se stessi, dal
momento che la legge è scritta nei loro cuori o, in altre parole,
perché ciò è conforme alla loro natura, alla loro sostanza -
cpucrtç inteso ovviamente come ordinamento della creazione -,
allora anche la legge mosaica deve essere espressione dell'inte-
grazione dell'ordinamento religioso e morale nell'ordinamento
del mondo. Ma da ciò emerge anche che l'inclinazione al pec-
cato comune a tutta l'umanità non colpisce solamente il rap-
porto personale di ogni singolo individuo con Dio e con il
prossimo, ma provoca anche il disordine catastrofico in tutta
la creazione. L'uomo empio ha distrutto il mondo. Se dunque
Dio ha abbandonato l'uomo al nulla per colpa del peccato, lo
ha umiliato rendendolo incredibilmente stolto, come illustra-
no drasticamente le espressioni è:µa'tatw·thicra\I e è:µwpa\l-8"Y]cra\I
in 1,21 s., l'intera creazione è coinvolta in questo processo di
annientamento, 8,20: Tfl yà.p µa'tmO't"YJ'tt ~ x'ttcrtç u7te'ta'Y"YJ·
Paolo scorge non solo un'umanità distrutta, ma anche un mon-
95· Oltre che in Rom. 2,27 solo in Rom. 13,6 (pagare i tributi), 2 Cor. 12,9 e Gal.
5,16. 96. In questo senso Giac. 2,8.
97. Così ad esempio Luca può significativamente affermare (Le. 2,39): wç È'T:ÉÀecrav
7tct'l'ta -i;à xa-i;à -i;Òv v6p.ov xuplou. In tale espressione è implicito che vi sia anche un
nÀei v parziale della legge.
Le lettere di Paolo
sono state affidate le promesse di Dio, "à Àoyw. 'rou -8e:ou. Ec-
co allora cosa distingue Israele dagli altri popoli: a lui e a lui
soltanto sono toccate le promesse di Dio, promesse che co-
munque, come si vedrà solo in seguito, non saranno riservate
a lui soltanto. Sono le promesse riguardanti il Cristo. Sarà in
lui che giudei e pagani saranno tenuti a credere in ugual misu-
ra. C'è dunque un'unica salvezza per tutti. Se anche le pro-
messe sono state affidate ai giudei, questo non comporta una
salvezza speciale per Israele. Allora, possedere le promesse di
Dio per l'umanità intera non significa avere da percorrere un
cammino verso la salvezza differente da quello dei popoli pa-
gani. L'dç crWTYjptav dei pagani e l'dç crwn;piav d'Israele sono
identici, a prescindere dalla successione cronologica di Rom.
1, 16 e dal capovolgimento chiastico di Rom. 1 1, 1 1 ss. Con la
venuta di Cristo, Israele resta comunque il popolo eletto, ma
deve percorrere lo stesso cammino dei popoli «verso la salvez-
za». «Per salvarsi» non resta a Israele che il cammino della fe-
de in Gesù Cristo. E la chiesa cristiana è tenuta a predicare an-
che ai giudei la salvezza in Cristo. Circa la rinuncia alla mis-
sione ai giudei, che si vuol far passare per teologicamente fon-
data e che ultimamente è postulata con veemenza da più parti,
non ci si può richiamare al Nuovo Testamento. 101
Il perfetto greco che voglia mantenere realmente la sua marcata forza espressiva
I 11.
può essere efficacemente reso in italiano solo con una duplice espressione, per quanto
questo possa essere stilisticamente poco elegante.
Le lettere di Paolo 315
stizia di Dio è divenuta manifesta, ovvero Dio, colui che rende
giusti, a un dato momento è intervenuto nella storia. Dio è per
così dire divenuto egli stesso storia; o, per dirla in termini esi-
stenziali: è divenuto storicità. Questo intervento di Dio nella
storia, tuttavia, costituisce un evento singolarmente parados-
sale quanto alla legge. Infatti è proprio la legge (insieme ai pro-
feti che la interpretano) a testimoniarlo. Ma questa legge testi-
monia che la giustizia di Dio è divenuta manifesta senza di es-
sa. La legge testimonia dunque che la propria fine sarà fonte di
giustizia, come sarà meglio illustrato nel midrash di Abramo
del cap. 4. Qui dunque si anticipa quanto si affermerà poi in
Rom. 10,4 - anche qui si tratta nuovamente di un'asserzione
programmatica-: Cristo è la fine della legge, -rÉÀoç voµou, e pre-
cisamente per tutti quelli che credono, ovviamente dal punto di
vista della giustificazione, dç Òtxcxwcruvriv.
L'antitesi tipicamente paolina tra legge e fede viene espressa
anche in Rom. 3,21 s. in relazione alla giustizia di Dio. Mentre
al v. 21, con riguardo alla teologia della rivelazione, si affer-
mava che la giustizia è stata rivelata senza la legge, xwtik voµou
- e dunque in questo versetto la giustizia è espressa in relazio-
ne all'opera di rivelazione di Dio -, nel v. 22 sta scritto ciò che
gli uomini devono affermare al suo riguardo: essa è giustizia
di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, òià ·dcr-rc.wç
'I ricrou Xtitrr-rou, e precisamente per tutti coloro che credono,
dç 7tancxç -roùç mcr-rc.uoncxç. Ma quando qui si parla di fede,
si intende l'atto individuale del credere da parte di tutti i cre-
denti di cui si parla al v. 22. Si tratta infatti dell'acquisizione
individuale della giustizia di Dio. Se al v. 21 l'essere-divenuta-
manifesta della giustizia di Dio indica la sua in-carna-zione
nella persona di Gesù Cristo - si tratta in parte della stessa
idea che ricorreva già in I Cor. 1,30: per opera di Dio Gesù è
diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione -, se
dunque nel v. 21 è implicita l'idea del potere universale di Dio
nella storia universale, " allora nel v. 22 la giustizia di Dio ha
2
112. Al riguardo cfr. specialmente Kiisemann, HNT, 86 ss. Qui cito soltanto p. 87:
«La giustificazione dell'uomo è l'attualità del diritto di Dio sulla sua creazione, che si
rivela in quanto potenza di salvezza; e tale diritto rimane fondamento, forza e verità
316 La teologia di Paolo
della giustificazione, verità che trascende il singolo e punta a un mondo nuovo ... La
vittoria definitiva di Dio si manifesta invece adesso ... La rivelazione della giustizia è
stata resa nota pubblicamente e anzi con carattere giuridico vincolante. Tale infatti è
il significato dell'espressione forense 1~cxp-rupEtv». 113. Op. cit., 88.
114. Nonostante il carattere conciliante dell'argomentazione paolina, lo stesso vale an-
che per i capp. 14 s., ove l'apostolo esorta i forti a non disprezzare i deboli. Che non
debbano essere disprezzati non significa però che possano conservare la loro teologia
della legge. Paolo non ammette un giudaismo in cui la torà abbia un ruolo soteriolo-
gicamente costitutivo. L'energico livellamento teologico tra giudeo e «greco», espres-
so con forza in Gal. 3,28, in prospettiva soteriologica non è abbandonato neppure in
Rom. Né Rom. 9-11 cambia le cose. Paolo insiste nell'affermare che in prospettiva
soteriologica non c'è differenza alcuna tra giudeo e pagano: où yap Èa'-rtv ÒtcxcnoÀ~, v.
22. Tutti hanno peccato, tutti hanno perduto la doxa di Dio, v. 23. In questa dichiara-
zione trapela nuovamente un lembo dell'oscuro orizzonte offerto dall'argomentazio-
ne di 1,18-3,20. Il mondo senza Dio è un mondo privato della doxa di Dio. Un mon-
do senza questa doxa è un mondo abbandonato da Dio. Che la vita del giustificato
sia una crescita continua nella doxa è nozione che abbiamo appreso da Paolo in 2
Cor. 3,18.
Le lettere di Paolo 317
Èv 'tcj) aÙ'tou aZp.a't~.
Stando a queste parole, morendo sulla cro-
ce Cristo è stato strumento di espiazione per tutti gli uomini.
È controverso, né è possibile stabilire con sicurezza, se qui
[Àacn~pwv significhi strumento di espiazione oppure se indi-
chi la kapporet veterotestamentaria, ossia il coperchio dell'arca
dell'alleanza o propiziatorio.'' 5 A mio avviso si tratta comun-
que di una questione senza molta importanza. Il problema più
urgente è stabilire come sia pensabile un 'espiazione vicaria, in-
somma, se il teologumeno dell'espiazione vicaria possa essere
considerato teologicamente ammissibile da una riflessione teo-
logica che proceda in maniera responsabile, o se invece non deb-
ba essere eliminato da cristologia e soteriologia come enuncia-
to legato al proprio tempo storico. La questione si fa sempre più
spinosa: nucleo della fede cristiana, oppure relitto di un pensie-
ro teologico ormai superato?
Tutto dipende anzitutto dalla categoria che si attribuisce all'espiazione nel-
l'Antico Testamento. Si tratta infatti di un tema eminentemente vetero-
testamentario, benché l'idea di espiazione divenga dominante solo in età
esilica e postesilica (redazione Sacerdotale). Il focus classicus della que-
stione di come realizzare l'espiazione secondo la concezione veterote-
stamentaria è Lev. 11,1 I (legge di santità): «Poiché la vita della carne è
nel sangue. E io stesso ve l'ho concesso per l'altare, perché produca
espiazione per voi; perché il sangue espia mediante la vita (contenuta in
esso)». Stando a questo e ad altri passi (ad es. Deut. 12,23), il sangue
equivale quasi alla vita stessa. Quando dunque il sangue di una vittima
sacrificale viene asperso dal sacerdote sull'altare, allora, proprio perché
il sangue equivale alla vita, è la vita dell'animale che viene offerta in
funzione vicaria in cambio della vita del colpevole. Ha dunque ragione
Gerhard von Rad quando afferma: «Non è però il sangue in sé ad avere
effetto espiatorio, ma il sangue in quanto contenente in sé la vita». " 6
Anche per Bernd Janowski Jahvé ha dato a Israele, per l'ambito del sa-
cro, «il sangue come strumento di espiazione perché è portatore della
vita». " 7 L'antica, apodittica legge del taglione nefes tapat nefes, la vita
in cambio della vita, Es. 2 r ,2 3 par., ha qui la sua specifica concretizza-
zione. Dunque è Dio, non l'uomo, il soggetto dell'espiazione. Quando in
Deut. 21,8 Jahvé viene invocato perché procuri espiazione per il suo po-
121. Avevamo già accennato brevemente a questo nel contesto della teologia eucari-
stica di 1 Cor. 122. Gese, Die Suhne, 86 s. (tr. it. 105).
127. Op. cit., 210. 128. Op. cit., 219 s. (tutta la frase è in corsivo nel testo).
129. Op. cit., 218 (in corsivo nel testo). 130. Op. cit., 220 s.
320 La teologia di Paolo
141. Non sono qui entrato nel merito di interpretazioni relative a questo versetto di
Rom. contrarie a quella che ho qui fornito, per non sovraccaricare l'esposizione e l'in-
terpretazione teologica qui presentate. Le opinioni che divergono dalla mia possono
La teologia di Paolo
essere agevolmente ricercate nei più recenti commenti a Rom., dove, in particolare in
Kasemann e Dunn, si possono trovare anche indicazioni bibliografiche più estese.
142. Sulla questione dell'espiazione vicaria v. soprattutto Stuhlmacher, Versohnung,
Gesetz und Gerechtigkeit, passim; Idem, Bibl. Theol. des NT I,§ 21; inoltre Hofius,
Suhne und Versohnung; Kertelge, Das Verstandnis des Todes jesu bei Paulus; Idem,
Die paulinische Rechtfertigungsthese nach Rom 3