Sei sulla pagina 1di 42

«Caro Salutis Cardo».

Contribute 8

Collana a cura di
R. Cecolin - A.N. Terrin - F. Trolese

Istituto di Liturgia Pastorale


Abbazia di S. Giustina - Padova
M. CASSESE - R. DE ZAN - W. EGGER - G. GENERO
R. GREGOIRE - V. GROLLA - E. MAZZA - F. RAINOLDI
A.N. TERRIN - C. VALENZIANO - B.L. ZEKIYAN - F. ZENNA

DOVE RINASCE
LA PAROLA
Bibbia e liturgia - III

a cura di
Renato De Zan

Z 2 5 NOV. 96

EDIZIONI MESSAGGERO PADOVA


ABBAZIA DI SANTA GIUSTINA PADOVA

1
Nihil ohstat quominus imprimatur
Patavii, 11 iulii 1993
in festo S. Patris Benedict!
Europae Patroni
Innocentius Aug. Negrato O.S.B.
Abbas S. Iustinae de Padua

ISBN 88-250-0214-9

Copyright © 1993 by P.P.F.M.C.


MESSAGGERO DI S. ANTONIO - EDITRICE
Basilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova

Copyright © 1993 by PP.BB.


ABBAZIA DI S. GIUSTINA
Via G. Ferrari, 2/A - 35123 Padova
PRESENTAZIONE

Renato De Zan
I
INDICE GENERALE

PRESENTAZIONE
«Cotidie de Scripturis aliquid discitur»
(Renato De Zan) pag. 7

AMBITO STORICO-ANTROPOLOGICO

Analisi antropologica della «Parola» nel contesto


del rito e della ritualită. Risvolti per la liturgia cri­
stiana (Aldo Natale Terrin) » 21
Premesse introduttive » 21
1. Awio fenomenologice)· e denuncia della perdita
dell’intreccio tra gesto e parola, rito e mito, dan-
za e racconto » 25
a) La gestualită nel rito » 29
b) La danza come rito originario » 31
c) L’intreccio tra rito e teatro » 33
2. Mito e rito: una connessione dimenticata » 34
3. La modernită della religione. L’irruzione della
parola nel rito e la riduzione del discorso simbo-
lico-metaforico » 38
4. Dove gli angeli esitano. Interrompere la comuni-
cazione? Il rito oltre le parole » 41
5. Una possibile via di uscita » 44
6. Opera aperta » 47
a) Comunicazione e meta-comunicazione nel rito » 47
b) L’impiego di nuove metafore » 51
280 INDICE GENERALE

«Vedere la Parola». Liturgia e ineffabilită


(Crispino Valenziano) pag. 53

Omelia, ancora parola di Dio? Una testimonianza


orientale (Boghos Levon Zekiyan) » 75
1. Annuncio cristiano e storicită ecclesiale, » 76
2. Annuncio cristiano e costruzione della comunită
ecclesiale, comunită martire » 87

Spezzare il pane della Parola. L’omelia nelle varie


epoche cristiane (Réginald Grégoire) » 91
1. Epoca patristica » 93
2. Epoca medievale » 100
3. Prassi bizantina » 105
4. Epoca moderna » 107
5. Conclusione » 119

H canto come dinamismo pieno della Parola


(Felice Rainoldi) » 121
1. «Prae-notanda» » 121
a) Verită dell’asserto in generale » 121
b) Interrogativi posti alia titolazione del tema » 125
c) Ambito dell’esposizione, » 126
2. «Quaestiones de...» » 128
a) Parola e parole » 128
b) 11 canto » 135
c) Canto e rito cristiano » 137
3. «Post-£acienda» » 149
a) Tenere in onore la musicologia liturgica » 149
b) Studiare le condizioni per una pertinente
riappropriazione di «patrimoni» » 149
c) Un nuovo stile di animazione del canto » 150
INDICE GENERALE 281

Forma stile repertori dei canti della Parola


(Guido Genero) pag. 151
1. I canti della Parola » 151
a) Le situazioni del canto » 152
b) Liturgia della Parola » 153
c) Il canto «libero» della Parola » 154
2. Forme e funzioni » 155
a) In funzione dell’annuncio » 155
b) In funzione di meditazione » 155
c) In funzione di scambio e condivisione » 156
d) In funzione di lode » 156
3. Stili dei canti della Parola » 157
4. Repertori dei canti della Parola » 158

AMBITO TEOLOGICO-LITURGICO

Rilevazione sulla situazione concreta dell’omelia


(Valentino Grolla) » 163
L’annuncio della Parola nel culto protestante
(Michele Cassese) » 173
1. 11 culto secondo le Chiese evangeliche » 174
2. La parola di Dio nella fede evangelica » 178
3. Parola divina e parola umana nella predicazione » 183
4. La soggettivitâ della predicazione » 196
5. Conclusione » 200
282 INDICE GENERALE

H dialogo tra individualita celebrativa e assemblea


genera l’omelia: linee per una metodologia
(Renato De Zan) pag. 201
1. Premessa » 201
2. I documenti magisteriali e l’omelia » 205
a) La natura dell’omelia » 206
b) Gli obiettivi dell’omelia » 210
c) L’uso dell’omelia » 212
d) 11 modo dell’omelia » 214
e) 11 ministro dell’omelia » 215
3. Alcuni elementi per la metodologia » 216
4. Indicazioni metodologiche per i testi biblico-
liturgici » 221
5. Alcune considerazioni finali » 231

Dai dialogo tra l’individualită celebrativa e l’as-


semblea scaturisce l’omelia: problematica teologi­
ca sull’omelia (Francesco Zenna) » 233
1. Riflessioni teologiche sull’omelia » 233
a) L’omelia nei testi conciliari e postconciliari » 233
b) L’omelia nei principali studi più recenti » 237
L’omelia in rapporto alia Parola di Dio » 237
L’omelia in rapporto alia iede della Chiesa » 238
L’omelia in rapporto alia celebrazione » 239
c) Fonti per l’omelia » 240
2. Riflessioni pastorali sull’omelia » 241
a) L’unità della celebrazione » 241
b) L’identità dell’assemblea » 243
c) La specificiià storica » 244
INDICE GENERALE 283

La mistagogia (Enrico Mazza) pag. 247


1. Presentazione della questione » 247
2. Il significato del termine «mistagogia» » 252
3. Area geografica ed epoca » 253
4. Un’ipotesi sull’origine delle catechesi mistagogiche » 255
5. Scopo della mistagogia » 257
a) Ambrogio » 257
b) Teodoro di Mopsuestia » 259
c) Crisostomo » 262
d) Cirillo » 264
6. Mistagogia e teologia » 265
7. La tipologia biblica » 266
8. La mistagogia » 270
9. Il limite della mistagogia » 274
10. Conclusione » 275
246 FRANCESCO ZENNA

Vivere il mistero pasquale significa essere raggiunti dall’e-


sperienza della «trasfigurazione», abbagliati, immersi nella
«teofania» di Dio. Nella celebrazione infatti si proclama l’e-
sperienza dei mirahilia Dei, si annunciano presenti nella storia
delToggi, si pregustano in quello che sarà il compimento defi-
nitivo.
L’omelia è come la nube luminosa che awolge i testimoni
del Tabor con la sua ombra e li rende capaci di udire-vedere-
toccare-odorare-gustare la voce: «Questi è il Figlio mio predi-
letto... ascoltatelo!» (Le 17).
LA MISTAGOGIA

Enrico Mazza

1. Presentazione della questione

Oggi si parla molto di mistagogia ed è bene recuperare il


signifïcato tecnico che questo termine ha avuto nella storia per
designare omelie e trattati di commento alla liturgia, con ap-
plicazione del metodo della tipologia biblica.
Dobbiamo rifarci ai dati della mistagogia patristica. Inol-
tre, sempre per spazzar via le idee parassite che ci impedisco-
no di comprendere gli stessi dati, dobbiamo ricordare che non
esiste la mistagogia corne taie. Esistono solo esempi di mistago­
gia, cosi come sono storicamente accaduti. Vediamo meglio
questo dato. Esiste la mistagogia patristica della fine del quar­
to secolo, consistente in cicli di omelie catechistiche connesse
con la formazione dei neofiti. Questi cicli di omelie sono stati
tenuti da autori come Ambrogio, Cirillo (o Giovanni) di Geru-
salemme, Teodoro di Mopsuestia e Giovanni Crisostomo.
Nessun altro, almeno per quanto riguarda le caratteristiche
che sono proprie a questi grandi cicli di catechesi. Indubbia-
mente anche Agostino ci ha lasciato delle omelie di questo ti-
po, ma non sono legate in un ciclo coordinato, destinato a da­
re, in breve tempo, la sintesi del progetto cristiano. Altrettanto
dicasi per autori come Basilio o i due Gregorio. Dopo il quar­
to secolo la mistagogia cambia natura e destinazione. Invece di
essere rivolta alla formazione dei neofiti, sotto forma di ome­
lie, entra nella trattatistica, diventa un’opera teologica e spiri­
tuale, che non è più legata all’azione liturgica: è il caso della
mistagogia di san Massimo il Confessore o di Nicola Cabasilas.
248 ENRICO MAZZA

Com’è possibile una tale evoluzione? Dobbiamo tenere


presente che la mistagogia non è altro che un particolare me­
todo teologico applicato alla liturgia. Si tratta, in una parola,
della tipologia biblica applicata alla liturgia. E questo il meto-
do della mistagogia, cost come è storicamente awenuta. Alla
fine del quarto secolo è successo che, per motivi particolari,
dovuti alia situazione della Chiesa, si è deciso che era oppor-
tuno approfondire la formazione della fede in sede di inizia-
zione cristiana. Cosi sono nati dei cicli di omelie che, natural-
mente, erano costruiti con i canoni caratteristici della teologia
di allora: la tipologia, che viene applicata anche alla liturgia.
Ecco perché troviamo tanti elementi mistagogici nelle
omelie di Agostino, di Basilio o dei due Gregorio anche se
questi autori, propriamente parlando, non hanno mai compo­
sta delle mistagogie, perché usano il metodo teologico allora
vigente, la tipologia, e lo applicano alia liturgia, anche senza
costruire dei cicli di omelie per l’iniziazione cristiana. Per que­
sto stesso motivo possono essere dette mistagogiche anche le
opere di san Massimo e di Cabasilas, anche si non si tratta di
testi propriamente liturgici.
In una parola, la mistagogia non è altro che una partico­
lare forma di fare teologia: costruire una tipologia biblica per
applicarla alla liturgia. Quindi la mistagogia è un fatto tecnico
che eccede i limiti dei testi a noi pervenuti. In questa trattazio-
ne cercheremo di cogliere il metodo sul quale si regge la mi­
stagogia.
La cosa non è cost semplice come potrebbe apparire,
perché nella mistagogia ci sono varie componenti, come ve-
dremo. C’è la componente biblica e c’è la componente liturgi­
ca, ma questi due elementi chiave interagiscono tra loro ad
opera di un terzo elemento di origine culturale: il metodo dia-
lettico, che ha le sue rădici nella cultura originata dal platoni-
smo. Il metodo dialettico è fatto di due momenti, ascendente
e discendente. Forse, talvolta, la tipologia patristica non è per-
fettamente consapevole della componente filosofica del meto­
do usato, ma se ci dedichiamo alia lettura di Filone, il maestro
LA MISTAGOGIA 249

della lettura biblica di tanti padri - come Origene o Basilio,


entrambi riconosciuti come auctoritates nella Chiesa delle ori­
gini -, allora ci rendiamo conto del come e del perché la lettu­
ra tipologica della Scriitura comporți una puntuale e rigorosa
applicazione del metodo dialettico di origine platonica. Ci so­
no, owiamente, delle differenze: nel caso nostro il predetto
metodo serve a cercare non Videa archetipa, ma l’evento salvi-
fico che, raccontato dalia Scriitura, è principio di salvezza una
volta per tutte, per ogni uomo di ogni tempo. Tuttavia non
dobbiamo dimenticare che in Filone il metodo dialettico ha
sempre una portata religiosa, anche se è sempre legato al pro­
blema della interpretazione ontologica del reale.
Dato che esiste una analogia di struttura tra il mondo
sensibile e quello intellegibile, la lettura allegorica fa conosce-
re la natura delle cose proprio perché, andando oltre il senso
letterale, ci fa passare dai primo al secondo. Ecco come Filone
descrive îl metodo interpretativo: «risalire dai visibile alia con-
templazione dell’invisibile», ed è per questo che un grande
ammaestramento di sapienza, un significato di grande rilievo,
puo provenire anche solo .«a partire da un piccolo indizio
lypomnests)»'. Anzi, a volte sarà necessario forzare il testo e
«adattare la lettera del testo al contenuto allegorico»12. L’alle-
goresi per Filone è tutt’altro che una invenzione artificiosa, ed
è retta da leggi e norme che, probabilmente, gli giungono sia
dalia precedente elaborazione giudeo-alessandrina, sia dall’u-
so giâ instauratosi nel mondo classico di collocare Omero e i
miti pagani nell’interpretazione allegorica, in modo da razio-
nalizzarli.
Nella mistagogia patristica il culto è visto soprattutto
come una serie di dati simbolici, cosicché, sottoposto a inter­
pretazione allegorica, ci svela il significato e la natura di ogni

1 Philon d’Alexandrie, De vita contemplativa, 78, F. Daumas-P.


Miquel (éd.), Paris 1963 (Les oeuvres de Philon d’Alexandrie, 29), p. 139.
2 J. Pépin, La tradition de l’allégorie. De Philon d’Alexandrie à Dante.
Etudes Historiques, Paris 1987 (Etudes augustiniennes), p. 25.
250 ENRICO MAZZA

suo rito e di ogni sua parte, anche la più piccola e apparente-


mente trascurabile: tutto è altamente significante e nulla è tra-
scurabile.
E stupefacente vedere corne cio che è stato elaborato da
Filone come metodo di lettura délia Scriitura continui a vivere
come teologia liturgica nelle omelie catechistiche délia fine del
quarto secolo, ossia nelle mistagogie di quei padri che abbia-
mo già citato. Il metodo mistagogico consiste in questo: a par-
tire dal rito, da qualsiasi unità rituale, anche la più piccola e
insignificante, si deve risalire all’evento di salvezza narrato
dalla Scriitura. Come si passa dai rito al racconto biblico?
Con il normale metodo di lettura biblica in uso nella patristi­
ca: la lettura allegorica, più o meno accentuata a seconda degli
autori. Tutti sanno che non è facile garantire l’oggettività
quando si usa l’allegoria; cio è vero, ed è questa la fragilité del
metodo tipologico. Questo non deve preoccuparci, perché qui
siamo nella parte ascendente del metodo dialettico; questa
parte puo essere anche fragile e discutibile, ma non riesce a
infirmare il procedimento, che, invece, ha il suo punto di for-
za nel momento discendente, quando si passa dall’episodio di
salvezza narrato dalla Scriitura alla sua applicazione al rito.
Nella prima parte, la risalita all’evento biblico, è suffi-
ciente il più piccolo indizio présente nel rito: ad esempio, il
colore dell’abito liturgico (cf. Teodoro di Mopsuestia), la po-
sizione del corpo che sta inginocchiato (cf. Giovanni Crisosto-
mo), una speculazione sui numeri (otto o sei), ecc., per poter
risalire ad un episodio scritturistico evocato da qualche ele-
mento. E curioso dover ammettere che non sempre è il rito
principale quello che evoca maggiormente un episodio bibli­
co. In questa fase del metodo mistagogico, il rito vale non per
se stesso, ma per la sua capacité di rinviare al testo biblico
e, sovente, sono i riti minori che esprimono meglio questa ca­
pacité. Una volta trovato e spiegato il testo biblico per la sua
capacité di illustrare l’evento di salvezza che vi è contenuto,
allora quella stessa salvezza e quello stesso evento vengono
predicați dal rito stesso. A questo punto il rigore del metodo
LA MISTAGOGIA 251

è ferreo: l’evento e la salvezza si sovrappongono al rito; quasi


ne coprono le fattezze e prestano al rito le proprie caratteristi-
che. In questo modo il valore ontologico del rito raggiunge il
massimo: proprio perché al rito viene applicato non solo il va­
lore salvifico, ma anche ogni caratteristica che è propria del-
l’evento storico-salvifico.
Ecco perché i padri-autori delle grandi mistagogie richie-
dono, in questa seconda fase del procedimento, che il fedele
usi della sua immaginazione per vedere con gli occhi della
mente cio che gli occhi del corpo non possono vedere. Si trai­
ta di vedere la serie degli eventi di salvezza narrati dalle Scrit-
ture e che il fedele deve rivivere nel rito, anche se il rito non li
narra affatto.
Dobbiamo ammettere che nella mistagogia c’è una certa
svalutazione del rito, dato che, nella prima fase, esso è solo il
punto di partenza per risalire, in qualsiasi modo, per allusione
o per allegoria, al racconto biblico, e, nella seconda fase, quel-
la discendente, il rito è il vélo che vela la salvezza di cui è par-
tecipe: quella salvezza che solo la fede puô far attingere3.
Se il metodo mistagogico non si raccomanda per essere
una accurata esegesi del fatto rituale, in quanto tale, nondime-
no si raccomanda per essere un’accurata esegesi biblica della
salvezza awenuta nella storia e che è data a noi nei riti.
Riconosco che tutto cio puô essere deludente, ma nella
patristica non c’è solo la tipologia. Ci sono i riti che, come tali,
non vanno confusi con il criterio interpretativo che viene loro
applicato, ossia con la tipologia. Cercherô di spiegarmi me-
glio. La tipologia garantisce il valore e l’efficacia salvifica della
liturgia in sede di interpretazione del rito. Ma il rito: a) non ha

3 Nella patristica del quarto secolo è présente sia la concezione della


liturgia come vélo della salvezza, sia la concezione della liturgia corne mani-
festazione della salvezza. Si passa dalla prima alla seconda man mano che si
va verso il valore ontologico dell’azione liturgica (valore ontologico che è
necessariamente invisibile), e viene acquisito il valore rappresentativo pro­
prio dei riti. È possibile che sia stato in questo passaggio che si è esercitato
un forte influsso della cultura misterica.
252 ENRICO MAZZA

la sua esistenza, b) non riceve il suo valore e, c) non viene ce-


lebrato perché è garantito e posto in essere da quella interpre-
tazione. Non è l’interpretazione che fonda il rito4, ma la tra-
smissione, ossia il fatto che il rito sia stato trasmesso e sia
giunto a noi. Se il rito è giunto a noi rite, ossia correttamente,
esso è indiscutibile e pub essere solo recepito e commentate
con il metodo spiegato sopra, affinché appaia pienamente la
sua efficacia di salvezza.
Dopo questa introduzione, che ha messo in luce alcune
caratteristiche della mistagogia, ora dobbiamo occuparci dei
testi e della documentazione in modo che cio che ora è stato
anticipato possa essere visto all’interno delle fonti stesse.

2. Il significato del termine «mistagogia»

II termine «ha rapporti con l’evoluzione semantica del


termine mysterion»56ed ha origine dai verbo greco myoh, che e
legato, sempre in contesto sacrale, al significato di «insegnare
una dottrina» e, quindi, «iniziare ai misteri». Mistagogia e
sempre in stretta connessione con mysterion, mystikos e my-
stes come documenta bene T. Federici7.

4 Dobbiamo capire che la patristica è molto lontana da noi; per noi il


fondamento del rito, la natura del rito e la teologia (= interpretazione) del
rito finiscono per coincidere.
5 B. Studer, Mistagogia, in A. Dl Berardino (ed.), Dizionario patri-
stico e di antichita cristiane, II, Casale Monferrato 1984, coli. 2264-2265.
6 H. Stephanus, Thesaurus graecae linguae, Graz 1954, col. 1244; G.
Bornkamm, Mysterion, in K. Kittel-G. Friedrich (ed.), Grande lessico
del Nuovo Testamento, VII, Brescia 1971, coll. 645-716; P. VlSENTlN, «My­
sterion - Sacramentum» dai padri alla scolastica, in Idem, Culmen et fans.
Raccolta di studi di liturgia e spiritualità, Padova 1986, pp. 3-24; E. Mazza,
La portata teologica del termine «mistero», in «Rivista liturgica» 74 (1987),
pp. 321-338.
7 T. Federici, La mistagogia della chiesa. Ricercà spirituale, in E. An-
CILLI (ed.), Mistagogia e direzione spirituale, Milano 1985, pp. 165-169 e so-
prattutto 194-196.
LA MISTAGOGIA 253

Nell’epoca patristica questo termine ha come verbo una


lunga evoluzione diversa a seconda dei luoghi e delle epoche.
In Cirillo Alessandrino, Diodoro di Tarso e Origene, mistago-
gia indica la spiegazione del senso spirituale della Scriitura; in
senso più generale, puo indicare la spiegazione delle figure
dell’Antico Testamento compiuta nel Nuovo Testamento, o
anche le realtà escatologiche annunciate dalla Chiesa: cosi in
Eusebio, Cirillo Alessandrino e Massimo il confessore8.
Presso i padri greci, il termine mistagogia ha diverse acce-
zioni:
«oltre al senso generale di iniztazione al mistero, si possono di-
stinguere due sensi principali: prima di tutti il compimento di
una azione sacra e in particolare la celebrazione dei sacramenti
di iniziazione (battesimo e dell’eucarestia), in secondo luogo la
spiegazione orale o scritta del mistero nascosto nella Scriitura e
celebrato nella liturgia»9.

La cosa è comune sia agii antiocheni che agli alessandrini.

3. Area geografica ed epoca

L’esistenza delle omelie mistagogiche non è un fatto ge-


neralizzato nella Chiesa di ogni tempo e ogni luogo, ma un
fatto ben determinate nello spazio e nel tempo. Ad esempio,
«a differenza di cio che awiene per Antiochia, Gerusalemme
o Milano, non possediamo nessuna catechesi mistagogica di
origine alessandrina»10. Altrettanto dicasi per la Chiesa cal-
dea: le omelie liturgiche di Narsai, il commento di Gabriel

8 Per tutti i riferimenti aile opéré dei padri qui citati e per un ulteriore
inventario delle accezioni dei termine, cf. R. Bornert, Les commentaires
byzantins de la divine liturgie du VII au XV siècle, Paris 1966; G.W.H.
Lampe, A Patnstic Greek Lexicon, Oxford 1961, ad locum.
9 R. Bornert, Les commentaires..., cit., p. 29.
101.H. Dalmais, Egitto. (II Liturgia), in A. Di Berardino (ed.), Di-
zionario patristico..., cit., II, col. 112.
254 ENRICO MAZZA

Qatraia e tutto il restante materiale, che è ancora inédite, so­


no opere tardive ricalcate sulle omelie mistagogiche di Teodo-
' ro di Mopsuestia. Per l’Italia settentrionale abbiamo le omelie
j liturgiche di Zeno di Verona, che sono anteriori ad Ambro-
f gio, mentre quelle di Gaudenzio da Brescia e Cromazio di
Aquileia sono posteriori e, in un certo modo, da lui dipendo-
: ‘ no11. Si deve dire che, a differenza del De Sacramentis, le
'ț omelie di Zeno, Cromazio e Gaudenzio non possono essere
/■ considerate dei cicli di omelie mistagogiche. Anche nella
|jfc Chiesa africana abbiamo splendide omelie di Agostino, legate
î* all’attività liturgica della sua Chiesa ed indirizzate in modo
particolare a chi compiva l’iniziazione cristiana. Tuttavia,
neanche in questo caso si tratta di cicli di omelie mistagogi­
che. Altrettanto dicasi per la Chiesa romana. In Spagna ab­
biamo, sul battesimo, un’omelia di Paciano (t prima del 392)
vescovo di Barcellona; anche qui, perô, non si tratta di una
serie di omelie mistagogiche legate allo sviluppo dei riti del
catecumenato.
Basilio appartiene all’area antiochena ed è maestro rico-
nosciuto di dottrina e disciplina ecclesiastica. Anfilochio si
rivolge a lui per avere il nome nella normativa canonica della
Chiesa e Teodoro ne ricalca îl trattato Sullo Spirito Santo. Tut­
tavia il grande Basilio ignora ancora il genere letterario e l’uso
di cicli di catechesi mistagogiche, anche se ci lascia una prege-
vole trattazione sul battesimo. Altrettanto vale per il suo fra-
tello minore, Gregorio di Nissa, con il suo Grande discorso
catechetico12.
■ A ben vedere, dunque, le omelie mistagogiche di cui di-
J; sponiamo non sono moite. Abbiamo il De Sacramentis di Am-

h ------------ -,
11 Su questi tre autori, ci. C. Truzzi, Zeno, Gaudenzio e Cromazio,
1 Brescia 1985 (Testi e ricerche di scienze religiose, n. 22).
12 Cf. A. Ceresa-Gastaldo, Teoria e prassi nella catechesi hattesimale
diS. Giovanni Crisostomo, in S. Felici (ed.), Catechesi hattesimale e riconci-
liazione nei Padri del IV secolo, Roma 1984 (Biblioteca di scienze religiose,
n. 60), p. 57.
LA MISTAGOGIA 255

brogio, rielaborato poi nel De Mysteriisü, i vari cicli di omelie


mistagogiche di Giovanni Crisostomo13 14, le omelie catecheti-
che di Teodoro15 e quelle di Cirillo (o Giovanni?) di Gerusa-
lemme16. Ambrogio rappresenta la Chiesa di Milano e Criso­
stomo la Chiesa di Antiochia; Teodoro la Chiesa di Mopsue-
stia (o di Cesarea?) e Cirillo la Chiesa di Gerusalemme.
Tuttavia questi ultimi due autori sono accomunati dal fatto
che commentano lo stesso identico rituale d’iniziazione cri­
stiana, se pure in due momenti diverși (ma di poco) della sua
evoluzione17; di conseguenza, ritengo che vadano considerați
strettamente legați tra loro e testimoni di un medesimo costu­
me liturgico, seppure in due Chiese diverse. Come si vede,
queste grandi mistagogie sono legate a Milano e al patriarcato
di Antiochia, che esercita la sua influenza anche su Gerusa­
lemme e sulla Cilicia (Mopsuestia e Cesarea). L’epoca è la me-
desima per tutti i testi: gli ultimi 25-20 anni del quarto secolo.

4. Un’ipotesi sull’origine delle catechesi


MISTAGOGICHE

La concentrazione dei grandi testi delle omelie mistago­


giche nella stessa epoca e nella medesima area geografica ci

13 Ambroise de Milan, Des sacrements. Des mystères. Nouvelle édi­


tion revue et augmentée de [’Explication du symbole, B. BOTTE (éd.), Paris
1961 (Sources chrétiennes, n. 25 bis).
14 Giovanni Crisostomo, Le catechesi battesimali, A. Ceresa-Ga-
STAldo (ed.), Roma 1982.
15 R. Tonneau-R. Devreesse, Les homélies catéchétiques de Théodore
de Mopsueste. Reproduction phototypique du ms. Mingana syr. 561 (Selly
Oak Colleges’ Library, Birmingham), Città del Vaticano 1949 (Studi e testi,
145).
16 Cyrille de Jérusalem, Catéchèses mystagogiques, A. Piêdagnel
(éd.), Paris 1988 (Sources chrétiennes, n. 126 bis).
17 E. Mazza, La struttura dell'anafora nelle Catechesi di Teodoro di
Mopsuestia, in «Ephemerides Liturgicae» 102 (1988), pp. 147-188.
256 ENRICO MAZZA

importe di ricercare l’occasione che ha determinato un tale


evento. Seguendo l’esposizione del padre L. Ligier, grande
storico della liturgia, vien fatto di pensare al concilio di Laodi-
cea18. In questo concilio sono state prese diverse decisioni sul-
la liturgia. Anzitutto a proposito dei riti di riconciliazione de-
gli eretici, che desideravano rientrare nella comunione della
grande Chiesa. In rapporto a questo fatto, ha origine l’unzio-
ne che si trova alia fine del rito battesimale; questa, in seguito,
sară considerata l’equivalente della cresima occidentale. Le
decisioni di Laodicea sulla penitenza degli eretici e sul rito
dell’unzione postbattesimale sono strettamente connesse. Ad
esse sono strettamente connesse anche le norme sulla nécessi­
té di «apprendere la fede». Cio significa, letteralmente, l’ap-
prendimento (a memoria) del Credo. Si puô anche ritenere
che il concilio abbia avuto una ampia prospettiva pastorale,
come ben emerge dal confronto con il canone 47 su coloro
che son stati battezzati in caso di malattia e poi sono guariti.
Si prescrive una catechesi che li renda capaci di capire il gran­
de dono ricevuto: la fede e il battesimo19.
In questo canone si propongono degli obblighi che deb-
bono essere osservati qualora l’ammalato guarisca, in modo da
garantirsi sulla serietà dell’impegno battesimale. Dobbiamo
pensare che il medesimo obbligo sia présente anche nel caso
di un battesimo in situazione normale ed ordinaria. Non è
ragionevole pensare che il battesimo degli ammalati richieda
un maggior rigore, sconosciuto nell’usuale battesimo dei cate-
cumeni. La storia del battesimo degli ammalati gravi ci testi-
monia la tendenza di far in modo che questo battesimo, dal

18 Verso la fine del quarto secolo; cf. P.P. Joannou, Discipline géné­
rale antique (II-IX sec.), in Pontihcia Commissions per la redazione
del Codice di Diritto Canonico, Fonti, fascicolo IX, 4 vol., Grottafer-
rata (Roma) 1962-1964, p. 127. Con ottimi argomenti il padre Ligier pone
il concilio di Laodicea prima della Prima lettera canonica di Basilio ad Anfi-
lochio. Cf. L. Ligier, La confirmation, Paris 1973, p. 134.
19 «... debbono imparare la fede (= il Credo) e renders! conto del dono
divino che hanno ricevuto».
LA MISTAGOGIA 257

punto di vista formativo, non sia un battesimo di seconda


categoria e che rispetti le esigenze minime che sono valide per
ogni altro battesimo. Inoltre, dobbiamo ricordare che le deci­
sion! di Laodicea ci sono pervenute in forma riassuntiva e sin­
tetica, non nel testo completo della redazione autentica. Con-
cludendo, credo che si possa ritenere che questo concilio pos-
sa aver prodotto l’uso delle catechesi mistagogiche, se pure
limitato alia Chiesa di Antiochia e al suo ambito di influenza,
alia fine del quarto secolo.
In epoca posteriore, la mistagogia esce dall’ambito speci-
fico dell’iniziazione cristiana e diventa una vera e propria trat-
tazione sui sacramenti, con tutte le questioni teologiche con-
nesse, ma senza perdere l’originaria profondită e freschezza
spirituale. E il caso, ad esempio, della mistagogia di Massimo
il Confessore e di Nicola Cabasilas. In questo ultimo autore
compare addirittura, molto viva, la polemica verso la teologia
sacramentaria dei latini, un dato che appartiene piu all’ambito
della teologia e della disputa, che non all’ambito della con-
templazione spirituale.

5. ScOPO DELLA MISTAGOGIA

a) Ambrogio

In Ambrogio, cost come in Massimo il Confessore, lo


scopo della mistagogia e di introdurre nella conoscenza del
mistero20. Ambrogio enuncia il suo proposito sin daU’inizio
della sua opera ed e proprio per questo che la spiegazione dei
misteri viene data solo dopo che c’e stata la loro celebrazione
liturgica; per il cristiano, la fede viene avanti tutto21 e, «d’altra

20 R. Bornert, Les commentaires..., cit., p. 90.


21 De Sacramentis 1,1, in Ambroise de Milan, Des sacrements..., cit.,
p. 60.
I
258 ENRICO MAZZA

parte, in coloro che non vi sono preparați, la luce dei misteri


penetra meglio di quanto awerrebbe, se, prima, ne fosse stata
data una spiegazione»22. Tutta l’opera di Ambrogio consiste
nel dare la spiegazione di ogni punto del rito, in modo che la
sua natura sia chiara. Per fare questo, egli affronta anche pro­
blem! teologici veri e propri, come - ad esempio - la comples-
sa questione della presenza eucaristica.
La categoria che egli usa per definire e descrivere la
sacramentalita, sia del battesimo che dell’eucaristia, è simili­
tude), un vocabolo tradizionale, tratto dalia teologia battesima-
le di Paolo (Rm 6,5). Questo vocabolo ha la funzione di termi­
ne tecnico e non ha nulla da invidiare alla precisione ed alia
» acribia della teologia scolastica posteriore. Similitude) designa
;
5 la interna e profonda natura del Sacramento, nella sua corri-
spondenza alla realtà della quale è sacramento. Giova questo
esempio:
«Tu forse dirai: “Non vedo l’aspetto (speciem) del sangue”. Ma
ne ha la somiglianza (similitudinem}. Cosi come hai mangiato la
somiglianza (similitudinem) della morte, cosi pure tu bevi la so­
miglianza (similitudinem) del prezioso sangue [...]. Ora sai,
dunque, che cio che ricevi è il corpo di Cristo»23.

La similitude), dunque, designa non la visibile manifesta-


zione rituale, ma la sacramentalita che, come tale, è invisibile
ed è dotata di un preciso valore ontologico. Non percepibile
ai sensi, è percepibile solo dalla fede.
La mistagogia ha lo scopo di guidare la fede nella cono-
E scenza di questa dimensione ontologica, che va oltre cio che si
vede e cio che si tocca: il realismo sacramentale, nel quale sta
l’efficacia del sacramento stesso. Ecco perché la mistagogia ha
** un particolare nesso con l’efficacia e la fruttuosità dei sacra-
ft
f
22 De Mysteriis 1,2, in Ambroise de Milan, Des sacrements..., cit.,
p. 156.
23 De Sacramentts IV,20, in Ambroise de Milan, Des sacrements...,
cit., p. 112.
LA MISTAGOGIA 259

menti. Possiamo concludere che, per Ambrogio, la teologia


del sacramento serve direttamente ed immediatamente a con-
sentire una efficace partecipazione al sacramento stesso.

b) Teodoro di Mopsuestia

Anche Teodoro, nelle sue cinque omelie mistagogiche,


enuncia lo scopo della sua predicazione: dare la conoscenza
dei misteri che vengono celebrați. Ecco lo scopo della omelia
sul cibo eucaristico: «Che voi sappiate cio che esso è e che voi
apprendiate esattamente la sua grandezza»24; quindi egli si
prefigge la conoscenza di quel sacramento e del suo valore,
ossia della sua importanza.
Questa conoscenza non è fine a se stessa, ma deve con-
durre alla comprensione della ragione e della causa di quel sa­
cramento. Ecco un testo:
«Ma ormai è bene che voi riceviate l’insegnamento relativo a
cio che awiene nel sacramento stesso, poiché se voi apprendete
la sua ragion d’essere, voi avrete eccellentemente una domina
che non è da poco»25. .

Altri esempi possono solo confermare questa prospettiva.


Questa si applica sia al sacramento corne taie, nella sua glo­
balité, sia a ciascuno dei riti o delle cerimonie che lo compon-
gono:
«Quando dunque con gli esorcismi voi siete sfuggiti alla schia-
vitù dell’usurpatore e avete contratto con Dio dei terribili im-
pegni con la recita del Credo, allora voi vi presentate al sacra­
mento stesso, ma in quai modo? Ecco cio che bisogna che voi
impariate»26.

24 Om. 1, in R. Tonneau-R. Devkeesse, Les homélies..., cit.


p. 465.
25 Om. XIII, 1, in R. Tonneau-R. Devkeesse, Les homélies..., cit.,
p. 369.
26 Om. XHI, 1, in R. Tonneau-R. Devkeesse, Les homélies..., cit.,
p. 369.
260 ENRICO MAZZA

Ecco un altro testo: «È tempo ormai di dirvi la ragione di


ciascuna (delle cerimonie) che vengono fatte»27. Quindi, in
Teodoro esiste una prospettiva ontologica che è capace di in-
dagare che cosa sia ogni singola parte dell’azione liturgica in
se stessa, anche prescindendo dalla globalité dell’atto del qua­
le fa parte, forse l’uso del termine «ontologico» non è comple­
tamente esatto in questo contesto; tuttavia, in mancanza di
meglio serve a mettere in luce come, nell’esame di ogni singo-
10 elemento della liturgia, prevalga l’interesse del quid sit, in-
vece che della funzione che quell’elemento gioca nell’insieme.
Per Teodoro, la mistagogia è necessaria ed essenziale alia
comprensione e alla fruttuosità del mistero. E la sacramentali-
tà stessa che esige la catechesi mistagogica, dato che, per Teo­
doro come per Ambrogio, esiste un divario tra l’evento storico
salvifico e la celebrazione sacramentale. Ecco come egli pone
11 problema:
«Ogni mistero è l’indicazione in segni e simboli di cose invisi­
bili e ineffabili. C’è bisogno di una rivelazione e spiegazione di
tali cose, se colui che si présenta deve conoscere la virtù dei mi-
steri. Infatti, se cio che viene fatto fossero effettivamente quelle
cose, superfluo sarebbe il discorso, la vita stessa sarebbe suffi-
ciente a mostrarci ciascuna delle cose che hanno luogo. Ma
poiché nel sacramento ci sono i segni di ciô che avrà luogo o di
ciô che ha avuto luogo prima (= l’escatologia e la storia), è ne-
cessario un discorso che spieghi il senso dei segni e dei miste-
ri»28.

Dunque, è dalla definizione stessa del sacramento che


Teodoro ricava il bisogno della catechesi mistagogica. Infatti,
le cose invisibili e ineffabili, delle quali il sacramento è segno,
restano tali, ossia invisibili e ineffabili anche nella celebrazio­
ne. Tutto questo è simile a quanto abbiamo già visto in Am-

27 Om. XII, 10, in R. Tonneau-R. Devreesse, Les homélies..., cit.,


pp. 337-339.
28 Om. XII, 2, in R. Tonneau-R. Devreesse, Les homélies..., cit.,
p. 325.
LA MISTAGOGIA 261

brogio; probabilmente si traita di un dato tradizionale, dato


che è comune anche a Giovanni Crisostomo e a Cirillo. Se la
sacramentalità appartiene alla componente invisibile, ne segue
che la mistagogia non è tanto una spiegazione del sacramento
nel suo svolgimento visibile, quanto una vera e propria teolo­
gia del mistero, capace di cogliere il sacramento nella sua real-
tà più profonda.
Ora ci resta solo un piccolo passo da fare: dobbiamo ve­
dere qual’è la fruttuosità pastorale della mistagogia. Abbiamo
già mostrato, più sopra, come lo scopo di queste omelie sia la
conoscenza e la spiegazione teologica del mistero: sia preso
globalmente, sia preso nelle sue singole parti o riti che lo com-
pongono. Ora dobbiamo considerare il fatto che la ragione ul­
tima del mistero è la salvezza dei fedeli che vi prendono parte.
Se l’oggetto della mistagogia è il mistero in tutta la sua am-
piezza, allora la mistagogia dovrà occuparsi anche del tema
della salvezza, dato che il mistero è fonzionale ad essa. Ecco
un buon testo:
«Ma poiché è arrivato il tempo del mistero e voi andate con la
grazia di Dio a ricevere la partecipazione al santo battesimo,
ormai bisogna, e l’ordo29 lo esige, dire davanti a voi la virtù del
sacramento e delle (cerimonie) che vi si compiono, e perché si
fa ciascuna di esse, affinché avendo appreso qual’è la causa di
tutte, voi riceviate con grande carità cio che avrà luogo»30.

Cerchiamo di capire: per Teodoro, la mistagogia è effica­


ce e fruttuosa perché l’apprendimento del fine e della virtù
dei misteri è direttamente fonzionale alla carità con la quale si
accede ad essi.

29 All’inizio di ogni omelia viene riportato il testo AcW'ordo (taxis), os-


sia delle norme ecclesiastiche che, descrivendola, reggono la celebrazione li­
turgica. Solo dopo aver citato Y ordo, Teodoro si applica al commento detta-
gliato della liturgia descritta.
30 Om. XII, 1, in R. Tonneau-R. Devreesse, Les homélies..., cit.,
p. 325.
262 ENRICO MAZZA

c) Crisostomo

In Crisostomo «cio che si vede», nella liturgia, viene con-


trapposto a «cio che non si vede». Per questo il fedele è dota-
to di due tipi di occhi: gli occhi sensibili e gli occhi della fede.
Lo specifico del cristiano è proprio questo: avere anche gli oc­
chi della fede, che consentono di vedere quelle cose che gli
occhi sensibili non sono in grado di cogliere. In quanto tale, il
fedele è capace di vedere al di là dei dati sensibili e l’azione
liturgica è solo uno degli ambiti in cui viene esercitata questa
attività. Questa impostazione del problema viene data quando
Crisostomo spiega il nome «fedele». Chi è un fedele? Ecco la
sua risposta: è colui che è dotato degli occhi della fede.
Ma ascoltiamo Giovanni Crisostomo che enuncia il prin-
cipio generale e, subito, lo applica al battesimo:
«Per quale motivo dunque siamo chiamati cosi? A noi fedeli
sono state affidate cose che gli occhi del nostro corpo non pos-
sono vedere: cosi grandi sono e terribili e superiori alla nostra
natura [...]. solo l’insegnamento della fede le conosce bene.
Perciô Dio ci fece due tipi di occhi, quelli della carne e quelli
della fede. Quando sarai introdotto alia sacra iniziazione, gli
occhi della carne vedono 1’acqua, gli occhi della fede scorgono
lo spirito»31.

Nella celebrazione dei misteri, a partire da cio che vede


con gli occhi, il fedele si rappresenta Dio che agisce, anzi:
vede Dio agire. Questo non e possibile senza gli occhi della
fede. II passaggio da cio che si vede a cio che non si vede
awiene tramite l’attivită interiore del battezzato (guidata dalia
fede), che consiste nel «rappresentarsi» la realtă contenuta nel
rito. In linguaggio contemporaneo, tutto questo si chiamereb-
be partecipazione attiva.

31 Catechesi III, 3, in A. Papadoupolos-Kerameus, Varia Graeca Sa­


cra. Raccolta di testi teologici greci inediti dai IV al XV secolo (in russo),
Sanpietroburgo 1909, p. 169; Giovanni Crisostomo, Le catechesi..., cit.
pp. 78-79.
LA MISTAGOGIA 263

La fede e l’elemento essenziale e costitutivo dell’intero


processo:
«Infatti c’e bisogno di fede per cio che qui si compie e degli
occhi dell’anima per non cogliere solo cio che si vede, ma per
rappresentare, a partire da quello, cio che non si vede. Tali so-
no, infatti, gli occhi della fede: come gli occhi del corpo non
possono vedere che gli oggetti che cadono sotto i sensi, cosi,
tutto all’opposto, essi non vedono nulla delle cose che sono
sotto lo squardo, ma vedono le cose invisibili come se esse stes-
sero davanti a noi»32.

Questo e un tema classico: il tema che tratta della natura


del sacramento. La sacramentaliiâ, infatti, sta in cio che non si
vede, e solo la fede vi pud accedere. Giă in Catechesi 1,31
(Stavronikitâ)33, Crisostomo diceva che la fede ci dă «altri oc­
chi» capaci di vedere cio che sfugge ai sensi. Questo tema ap-
partiene al discorso della ontologia dei sacramenti. Un passo
della Catechesi III, di Papadoupolos-Kerameus, ci e utile per
entrare meglio nella questione. Infatti il tema del «vedere»
sfocia nel tema della «realtă» profonda dei sacramenti:
«Per questo Dio ci ha fatto due tipi di occhi, gli occhi della
carne e gli occhi della fede [...]. Quelli vedono il sacerdote che
dall’alto impone la mano destra e tocea il capo. Questi scorgo-
no il grande sommo sacerdote che tende dai cieli la destra invi-
sibile e tocea il capo»34.

Ossia, non cio che si vede con gli occhi sensibili, ma solo
cio che si vede con gli occhi della fede e il contenuto proprio
del sacramento. La mistagogia serve a guidare gli occhi della
fede verso la veritâ.
La teologia liturgica di cui e portatore Crisostomo e suf-
ficientemente chiara e sta aperta davanti a noi: ogni atto litur-

32 Catechesi II, 9, in Giovanni Crisostomo, Le catechesi..., cit.,


p. 115.
33 Giovanni Crisostomo, Le catechesi..., cit., p. 102.
34 Catechesi III, 3., in A. Papadoupolos-Kerameus, Varia Graeca Sa­
cra..., cit., p. 168; Giovanni Crisostomo, Le catechesi..., cit., p. 79.
264 ENRICO MAZZA

gico e immagine delle realtă che salvano. A causa della tipo­


logia, l’azione che e immagine partecipa realmente della realtă
della quale essa e immagine. Questo e il concetto della sacra-
mentalită che ha cittadinanza in questa arcaica teologia dei
sacramenti:
«Quando sarai introdotto alia sacra iniziazione gli occhi della
carne vedono l’acqua, gli occhi della fede scorgono lo Spirito;
quelli vedono il corpo immerso nell’acqua, questi l’uomo vec-
chio sepolto; quelli la carne lavata, questi 1’anima purificata;
quelli il corpo che risale dalie acque, questi scorgono l’uomo
nuovo35 e splendente che risale da questa sacra purificazione. E
quelli vedono il sacerdote che dall’alto impone la mano destra
e tocea il capo; questi scorgono il grande sommo sacerdote che
tende dai cieli la destra invisibile e tocea il capo: infatti non e
un uomo colui che battezza, ma lo stesso unigenito Figlio di
Dio»36.
E ancora:
«Che cosa significa cio che ho detto, che non bisognava occu-
parsi delle cose che si vedono, ma assumere uno sguardo spiri­
tuale? Affinche quando vedrai la piscina delle acque (battesi-
mali) e la mano del sacerdote stesa sulla tua testa, tu non abbia
a credere che si tratta puramente e semplicemente di acqua, ne
che solamente e la mano del pontefice stesa sulla tua testa, dato
che non e l’uomo colui che opera cio che si compie, ma la gra-
zia dello Spirito, la quale santifica le acque naturali, la quale si
stende sulla testa con la mano del sacerdote»37.

d) Cirillo
La posizione precedente e comune anche a Cirillo di Ge-
rusalemme che, esplicitamente, applica alia realtă sacramen­

35 E/4,24.
36 Catechesi III, 3., in A. Papadoupolos-Kerameus, Varia Graeca Sa­
cra..,, cit., p. 169; Giovanni Crisostomo, Le catechesi..., cit., p. 79.
37 Catechesi II, 10., Stavronikita, in A. Papadoupolos-Kerameus,
Varia Graeca Sacra..., cit., p. 138; Giovanni Crisostomo, Le catechesi...,
cit., p. 115.
LA MISTAGOGIA 265

tale il vocabolario platonico che, nel problema della conoscen-


za, distingue do che appare da do che e. Non c’e modo
migliore per far vedere come il problema chiave della teologia
mistagogica sia un problema ontologico, capace di far vedere
le realtă sacramentali invisibili dalie quali il fedele deve trarre
frutto.

6. Mistagogia e teologia

Un fatto che ci stupisce nelle mistagogie e che attira la


nostra ammirazione, è l’uso continuo di citazioni bibliche,
pertinenti all’argomento che si sta illustrando. Questo dato
non è una peculiarità della mistagogia, dato che il metodo del-
l’argomentazione biblica è il medesimo anche nelle omelie
che, propriamente parlando, non sono mistagogiche. Inoltre
esso è comune anche ai trattati patristici precedenti questa no­
stra epoca d’oro delle grandi mistagogie della fine del quarto
secolo. Per questa comunanza di metodo nell’uso della sacra
Scriitura, dobbiamo dire che anche le omelie mistagogiche
non sono portatrici di una teologia loro propria, ma apparten-
gono al solito orizzonte e metodo teologico della loro epoca.
Questo dato è molto intéressante per i liturgisti di oggi, che si
studiano di ricuperare la mistagogia patristica per portarla nel
nostro tempo. Credo che l’impresa non sia possibile, a meno
che non si porti nell’ «oggi» anche il più vasto metodo patri-
stico di far teologia. Oppure, all’inverso, a meno che non si
«inventi» una mistagogia che sia capace di vivere del metodo
e dei principi che sono tipici della teologia di oggi. Sarebbe
necessaria la messa in opera di tutti gli strumenti ermeneutici
propri delle odierne scienze storiche e delle scienze bibliche,
in modo da essere ben certi sul nesso che lega tra loro il rito
liturgico e l’evento storico-salvifico, narrato nella Scriitura.
Anticipando le conclusioni, credo di poter dire che il proble­
ma della mistagogia è tutto qui.
266 ENRICO MAZZA

Non è pienamente esatto dire che la trattazione è mista-


gogia quando illustra il mistero in modo spiritualmente vivo, e
che questo dato è la sua componente specifica ed essenziale.
La mistagogia è essenzialmente una teologia del sacramente
con forti preoccupazioni ontologiche.
Ma allora perché noi siamo colpiti soprattutto dalla sua
ricchezza biblica cosi spiritualmente profonda? La risposta è
semplice, e viene non dalla mistagogia, come tale, ma dal par-
ticolare sistema ermeneutico al quale si rifanno queste cate-
chesi mistagogiche: la tipologia biblica, che è il metodo della
teologia patristica. La tipologia biblica, sulla quale si basa la
mistagogia, garantisce sia il valore ontologico, sia la densità e
la bellezza spirituale della trattazione.

7. La tipologia biblica

Il primo scopo della tipologia biblica sta nel garantire l’u-


nità tra l’Antico e il Nuovo Testamente. Nel senso che gli
eventi dell’Antico Testamente parlano anch’essi di Gesù, esat-
tamente come quelli del Nuovo. La cosa non è sempre facile,
date che l’Antico Testamente riporta e narra una serie di fatti
che hanno giâ in se stessi la loro logica storica. Ecco allora un
primo modo di gestire la tipologia. Gli eventi passati, da un
lato, conservano la loro logica storica cosi come ci è trasmessa
dallo stesso Antico Testamente, dall’altro lato, tuttavia, essi
sono aperti a un ulteriore significato, o, meglio, a una ulterio-
re dimensione, che è più profonda e anche più vera. In altre
parole, i fatti e la storia veterotestamentari sono profetici: essi,
infatti, annunciano un futuro col quale hanno già, in se stessi,
un certo rapporte di similitudine.
L’Antico Testamente è un annuncio che prepara l’av-
vento del Nuovo Testamente. In tal modo ecco che si realizza
il sistema ermeneutico postulate dallo stesso Vangelo: «...
quel che è scritto di me nella legge di Mosè, nei Profeți e nei
LA MISTAGOGIA 267

Salmi» (Le 24, 44). Questa è la tipologia biblica, detta anche


senso spirituale o plenior, proprio perché il testo sacro ci rivela
il senso ultimo e finale per cui è stato scritto: la manifestazio-
ne del Cristo. Questo metodo interpretative non ci fa partico-
lare problema, dato che è chiaro a tutti che cosa è l’annuncio
del future e che cos’è il suo awerarsi; nessun problema anche
per quanto riguarda quel certo genere di somiglianza che de-
ve sussistere tra gli event! prefiguratori e la loro realizzazione
nel Nuovo Testamento. Corne vedremo, i problemi nascono
quando si approfondisce ulteriormente questo ultimo dato, la
similitudo.
Proprio perché gli eventi dell’Antico Testamento non so­
no chiusi in loro stessi, ma tendono a un compimento ulterio-
re, si dira che la loro verità non sta in loro stessi, ma che appa-
re solo nel compimento ulteriore: nel Nuovo Testamento.
Questo, dunque, viene definite la veritas, mentre l’Antico Te­
stamento viene definite X imago. Per interpretare un testo, in
questo sistema ermeneutico, occorrono sempre due termini:
uno che designi l’Antico e uno che designi il Nuovo Testa­
mento corne, ad esempio, typon-antitypon, eikon-prosopon,
umbra-lux, ecc. Il rapporte di corrispondenza che esiste tra le
due realtà, che vengono designate dai due termini, serve a
darci l’interpretazione desiderata.
Si tratta, ora, di fare un passo avanti, ossia di superare il
problema ermeneutico cosi come lo abbiamo appena illustra­
te, quando abbiamo parlato del rapporte Antico e Nuovo Te­
stamento in termini di significato. Abbiamo dette che il Nuo­
vo Testamento adempie e compie l’Antico Testamento e, dun­
que, lo interpreta. Infatti, solo dopo che si è compiuto il
Nuovo Testamento, risulta pienamente accessibile il significa­
to dell’Antico; vâri episodi, come la storia di Giuseppe vendu-
to dai fratelli, o il sacrificio di Abramo che voleva immolare
Isacco, o altri ancora, parlavano di Cristo e della sua passione.
L’awento di Cristo ha fatto comprendere quai era il senso vero
dell’Antico Testamento.
268 ENRICO MAZZA

Andare oltre, signified passare dal tema del significato al


tema della presenza, se mi è consentito l’uso di questo vocabo-
lo, che è equivoco, perché si presta a troppe interpretazioni.
Voglio dire che l’Antico Testamento non solo significa e an-
nuncia il Nuovo, ma che già contiene la presenza degli eventi
specifici del Nuovo Testamento, se pure per partecipazione,
ossia in forma diminuita. Giuseppe venduto dai fratelli, non
solo significa il Cristo: in Giuseppe viene veramente venduto
Cristo, da parte dei fratelli, dato che Giuseppe è tipo, ossia
partecipazione, del Cristo. Cosi pure Isacco: non solo egli rive-
la Cristo, egli ne partecipa; per cui, in Isacco, è il Cristo che
viene salvato dal sacrificio. Sono i più arcaici testi patristici, le
omelie pasquali, a darci questo genere di interpretazione, che
dovremmo definire ontologica. Come prima cosa, le omelie
pasquali si preoccupano di descrivere la teoria stessa di questo
rapporto tra l’Antico e Nuovo Testamento. Dopo aver spiega-
to il metodo con molta cura, esse passano all’applicazione e
spiegano il senso tipologico della pasqua dell’esodo e degli al-
tri eventi salvifici che annunciano il Cristo, pasqua nuova.
Ecco corne Melitone di Sardi ci parla del Cristo presente,
in figura, negii eventi dell’antica legge:
«Egli è la pasqua della nostra salvezza. Egli è colui che molto
ebbe a sopportare nella persona di molti. Egli è colui che fu
ucciso nella persona di Abele, legato in Isacco, venduto in Giu­
seppe, esposto in Mosè, immolato nell’agnello, perseguitato in
Davide, vilipeso nei profeți»38.
Questo metodo patristico non puô essere liquidate breve-
mente, con aria di sufficienza, come una ermeneutica supera-
ta; questa ermeneutica, infatti, è présente anche nel Nuovo
Testamento. E l’apostolo Paolo che usa questo particolare me­
todo nell’interpretazione dell’esodo.

38 Melitone, Sulla pasqua, n. 69, in R. Cantalamessa (ed.), I piu an­


tichi testi pasquali della chiesa. Le omelie di Melitone di Sardi e dell’Anoni-
fi-

mo Quartodecimano e altri testi del II secolo, Roma 1972 (Bibliotheca


«Ephemerides Liturgicae». Sectio historica n. 33), p. 40.
LA MISTAGOGIA 269

Per sottolineare l’unità tra l’economia veterotestamenta-


ria e l’economia neotestamentaria, egli pone il Cristo al centro
di entrambe, principio unico di salvezza e protagonista di en-
trambe. Gli antichi Ebrei furono salvați per l’esodo; ne segue,
quindi, che anche il Cristo era présente nell’esodo e che vi
giocava il ruolo di protagonista, era il principio di salvezza:
«...mangiarono tutti dello stesso cibo spirituale e bewero tutti
della stessa bevanda spirituale; bevevano infatti da una stessa
pietra spirituale che li seguiva, e la pietra era il Cristo» (lCor
10,3-5). Il Cristo, dunque, accompagné gli Ebrei durante tut-
to l’esodo e fu principio di salvezza proprio dell’esodo, anche
se tutto cié awenne prima della sua incarnazione. Li accom-
pagnava, infatti in forma di pietra, ma la sua presenza era vera
e reale, com’era vera e reale la salvezza dell’esodo. L’essere in
forma di pietra non è una duplicazione dell’incarnazione, che
awerrà solo in un secondo tempo: è corne una partecipazione
dell’incarnazione stessa, cosi come la salvezza dell’esodo è una
partecipazione, come una forma diminuita della salvezza della
croce.
Dobbiamo sapere che questo è il metodo specificamente
cristiano della lettura della Bibbia. Dobbiamo ricordarci che
la cultura platonica risorgeva proprio allora e veniva, in certo
modo, applicata alla Scriitura ad opera di Filone alessandri-
no; nel platonismo il concetto di partecipazione si applica sia
al problema della conoscenza che al problema ontologico, e
questo è a fondamento di quello. La partecipazione di tipo
platonico ha questo grande vantaggio: consente di proclamare
l’analogia (in ambito ontologico) tra due realtà. Queste, pur
restando ontologicamente la stessa e identica realtà, tuttavia
sono irriducibili l’una all’altra; infatti, la forma partecipata si
configura come limitata e diminuita rispetto alla realtà della
quale partecipa. Oggi noi non siamo platonici e quindi non
riusciamo a capire l’uso di questa cultura platonica applicata
alla Scriitura. Fin qui niente di grave, dato che abbiamo altri
sistemi ermeneutici della Bibbia. Tuttavia la cosa diventa mol-
to grave quando non sappiamo più applicare questa metodo-
270 ENRICO MAZZA

logia alia celebrazione liturgica, dato che non abbiamo stru-


menti sostitutivi, se non 1’impostazione medievale che si rifà
ad Aristotele con la sua analisi dell’ente, basata sulle quattro
cause. Vediamo ora come i padri hanno applicato la tipologia
biblica all’intelligenza della celebrazione liturgica.

8. La mistagogia

Lo stesso vocabolario che serve a designare il rapporte


tra i due Testamenti, serve anche a designare la sacramentali-
tà, ossia il rapporte tra la storia della salvezza e il rito liturgico
che ne fa memoria. Tuttavia bisogna sempre tenere presente
che l’uso di questo vocabolario è diverso nei due casi: e que-
sto è un fatto di altissimo interesse. La tipologia, quando è ap-
plicata all’intelligenza dell’azione liturgica, si chiama «mista­
gogia», già si puô intuire come la Scriitura sia essenziale alla
mistagogia. Il date più caratteristico della mistagogia, quindi,
è l’uso della Scriitura: ogni argomentazione è traita dalla
Scrittura. Vediamo qualche esempio.
Ambrogio comincia la sua mistagogia parlando del rito
della apertura delle orecchie fatto il sabato prima. Dopo aver
enunciato l’intenzione di spiegare questo rito, inizia a parlare
di quell’episodio evangelico riportato da Mc 7,34 in cui si nar­
ra di Gesù che guarisce il sordomuto toccandogli le orecchie e
la bocca, dicendo effether3. Poco dopo39 40 Ambrogio vuole co-
minciare a parlare del battesimo nel suo complesso; ci aspette-
remo di sentire una spiegazione del sacramente, e invece egli
comincia a parlare di Naaman il Siro, il lebbroso che guarî
lavandosi nel Giordano (2 Re 5,1-4). Solo alla fine di questo
racconto inizia una riflessione che spiega sia il miracolo di

39 De Sacramentis 1,2-3, in Ambroise de Milan, Des sacrements...,


cit., pp. 60-63.
40 De Sacramentis 1,12, in Ambroise de Milan, Des sacrements..., cit.,
p. 66.
LA MISTAGOGIA 271

Naaman che il battesimo, accomunando i due racconti come


se si traitasse di un unico evento di salvezza, un unico episo-
dio. Principio interpretative è il battesimo di Gesù nel Gior­
dano, quando egli ci ha trasmesso la forma del battesimo (Mi
3,15-14). In questo racconto scendono nell’acqua sia il Cristo
che lo Spirito Santo; il Mar Rosso è la figura di questo batte­
simo: «Ad essi in figura, ma a noi in verità»41. Nell’esodo, la
colonna di luce era il Cristo e la colonna di nube era lo Spiri­
to Santo42* : in entrambi i casi, nell’esodo d’Israele e nel no­
stro battesimo è présente e rivelato il mistero trinitario. An­
che nel diluvio era présente la figura del battesimo^. Anche
nella piscina probatica nella quale scendeva l’angelo e muo-
veva le acque, è una figura del battesimo44.
Cos’è per Ambrogio questo carattere figurale dell’episo-
dio di Naaman e degli altri episodi che sono stati citati dopo?
Ecco la sua risposta:
«Dunque ecco un primo battesimo [i.e.: il caso di Naaman],
un altro è nel diluvio. Ecco un altro genere di battesimo quan­
do i nostri padri sono stati battezzati nel mar Rosso. Ne hai
un quarto genere quando veniva mossa l’acqua della pisci­
na»45.

E subito dopo si parla di un quinto genere di battesimo,


quando Elia invoeô il fuoco dal cielo (IRe 18,38). E, da ulti­
mo, ecco il caso di Mosè alla fonte di Mara: anche qui si tratta
del battesimo, in figura. Cosl conclude Ambrogio: «Quindi se

41 De Sacramentis 1,20, in Ambroise de Milan, Des sacrements..., cit.,


p. 70.
42 De Sacramentis, 1,22 in Ambroise de Milan, Des sacrements..., cit.,
p. 72.
45 De Sacramentis, 1,23, in Ambroise de Milan, Des sacrements...,
cit., p. 72.
44 De Sacramentis, H,3 ss., in Ambroise de Milan, Des sacrements...,
cit., pp. 74 ss.
45 De Sacramentis, 11,9, in Ambroise de Milan, Des sacrements..., cit.,
p. 78.
272 ENRICO MAZZA

era cosl grande la potenza del battesimo in figura, quanto


maggiore sarà la potenza del battesimo in verità»46.
Dobbiamo concludere che per Ambrogio il battesimo è
una realtà analogica, che esiste in varie gradazioni di potenza;
esso esiste nell’Antico Testamento come nel Nuovo Testa-
mento e nel tempo della Chiesa. Di conseguenza egli mette a
confronte tra loro tutti questi battesimi, che ci vengono de-
scritti dalia Scriitura, in modo che essi si illustrino e si illumi-
nino vicendevolmente. Da ciascuno di essi viene ricavato qual-
che elemente particolare che, poi, viene applicate al battesimo
della Chiesa. La mistagogia si présenta come una teologia ric-
ca ed estremamente semplice, proprio perché non è costruita
da idee e concetti, se pure provenienti dalia Scriitura, ma dai
racconto di episodi che vengono qualificati come altrettanti
«battesimi», dato che ne hanno tutti gli elementi, se pure in
forma diversa. 11 racconto di ciascuna forma battesimale serve
per illustrare il battesimo in quanto tale: è per questo che Am­
brogio ricorre alia Scriitura.
In sintesi, possiamo dire che Ambrogio non costruisce
una argomentazione scritturistica, come si fa oggi, attraverso la
ricerca dei vâri temi biblici riguardanti il battesimo. La sua è
una teologia non fatta di temi, se pure biblici, ma di fatti, ossia
eventi battesimali ricavati dalia Scriitura. Questa teologia si
chiama mistagogia.
Altrettanto awiene per la celebrazione eucaristica, che
viene vista prefigurată nel sacrificio del sommo sacerdote Mel-
chisedech. Anche in questo caso il concetto di prefigurazione
va inteso in senso pienamente ontologico: il sacrificio di Mel-
chisedech è una celebrazione eucaristica in senso vero e pro­
prio (se pure in senso diminuito). Per questo motivo Ambro­
gio puô concludere che i sacramenti dei cristiani sono anterio­
ri a quelli dei giudei, e più importanți. Melchisedech, infatti è

46 De Sacramentis, 11,12, in Ambroise de Milan, Des sacrements...,


cit., p. 80.
LA MISTAGOGIA 273

anteriore ad Abramo ed è lui «l’autore dei sacramenti»47. Ma


corne è possibile dire questo? Ambrogio sa benissimo che
l’eucaristia risale a Cristo; ma questo non è un vero problema,
dato che la tipologia gli consente di dire che Melchisedech è
prefigurazione di Cristo. Ossia, in Melchisedech è présenté il
Cristo, anche se si traita di una presenza che noi chiamerem-
mo un po’ particolare: per partecipazione. L’argomento non
fa una grinza. Lo stesso discorso vale anche per Davide e i pa­
ni di proposizione, che sono una vera e propria eucaristia, se
pure per partecipazione. Infatti, la Chiesa canta i canti di Da­
vide durante la celebrazione eucaristica proprio perché essi
sono stati composti da uno che ha avuto esperienza di quel sa-
cramento.
Anche qui non si tratta di temi biblici, ma di vere e pro­
prie celebrazioni eucaristiche, anche se in forma diversa e per
partecipazione. Ogni celebrazione ne illustra un’altra, e la
moltiplicazione dei racconti biblici coincide con la moltiplica-
zione della dottrina, a causa dei loro legami tra loro, conver­
gent! sulla celebrazione sacramentale della Chiesa.
Credo di poter dire che la mistagogia, cosi come ci appa-
re da questi rilievi, è la forma più piena di teologia narrativa.
Essa è, contemporaneamente, teologia biblica e teologia del
rito, ossia una teologia liturgica. Ma lo è in modo molto diver-
so da corne noi, oggi, intendiamo questa realtà. E il metodo
stesso che è diverso. E cioè: per fare una teologia del rito, noi
descriviamo e interpretiamo il rito liturgico stesso. Nella mi­
stagogia no; per avere una teologia del rito, la mistagogia de-
scrive e interpreta un episodio biblico: la natura della realtà
che emerge dai dato biblico viene applicata al rito liturgico, a
causa del nesso ontologico che lega l’evento biblico con la ce­
lebrazione della Chiesa.
In sintesi, la mistagogia è un sistema ermeneutico che
rende ragione del rapporto che esiste fra Vevento storico-sal-

47 De Sacramentis IV, 10, in Ambroise de Milan, Des sacrements...,


cit., p. 106.
274 ENRICO MAZZA

vifico e il rito liturgico che lo celebra. Nell’ermeneutica bibli­


ca la tipologia serviva a garantire 1’unita della economia di sal-
vezza nelle sue due tappe, l’Antico e il Nuovo Testamente. Al-
trettanto awiene nella mistagogia: la tipologia serve a garanti­
re l’unită dell’economia salvifica considerata nei due aspetti
che possono apparire alternativi: l’evento storico e la sua cele-
brazione rituale.

9. Il limite della mistagogia

Da tutto questo appare con chiarezza che la mistagogia è


una maniera splendida per elaborare una sintesi teologica sul-
la celebrazione liturgica; tuttavia, il grande pregio della mista­
gogia è anche il suo grande limite. Si traita del rapporte onto-
logico che lega i riti liturgici con gli eventi storico-salvifici,
narrati dalla Scrittura. E qui che troviamo la causa che, stori-
camente, ha condotto all’estinzione questo particolare tipo di
teologia patristica. La tipologia, infatti, persa la sua portata
ontologica, si è trasformata in puro allegorismo.
Con la grande Scolastica abbiamo la fine della teologia
dei sacramenti intesa alla maniera patristica, ossia costruita
sull’applicazione della tipologia al rapporte che sussiste tra il
rito liturgico e l’evento storico-salvifico. Eliminata questa tra-
dizionale teologia dei sacramenti, è inevitabile che appaia in
piena evidenza una irriducibile opposizione tra i sacramenti e
gli eventi salvifici narrati nella Scrittura. Questa opposizione,
poi, è venuta in piena luce all’epoca dei riformatori e, dobbia-
mo riconoscerlo, non ha ancora ricevuto una soluzione piena-
mente convincente.
Nella mistagogia, il rapporte che esiste tra il rito e Veven-
to è reso con un vocabolario48 che, nel platonismo, designa la
natura profonda delle cose, ossia il loro costitutivo ontologico,

48 Similitudine, immagine, ecc.


LA MISTAGOGIA 275

come partecipazione di una realtà più alta49, dalla quale essi


traggono tutta la loro consistenza50. Il problema della mista-
gogia è presto detto. Fin che sta in piedi una cultura di tipo
platonico, il rapporte tra il rite e gli eventi biblici è cercato in
base all’effettiva natura profonda della realtà esaminata. Inve-
ce, quando inizia il crollo di questo modo di intendere il con­
cetto di immagine, similitudine, tipo-antitipo, ecc., ecco che
questi valori servono a designare una qualsiasi somiglianza,
anche puramente esteriore, che esiste o pare esistere, o si cre­
de di trovare, nel racconto biblico e nel rito liturgico. Questo
processo perde ogni legame con il problema ontologico e di-
venta solo descrittivo di esteriori apparenze di similitudine tra
l’evento biblico e la liturgia. Questo processo è già ben awiato
alla fine del quarto secolo e prepara la trasformazione della
mistagogia in allegorismo. Con l’allegorismo tutto è aperto al
soggettivismo più incontrollato. Venuta meno la caratteristica
dell’oggettività, il metodo mistagogico non è più attendibile e,
di conseguenza, cessa di essere un fatto teologicamente rele­
vante.

10. CONCLUSIONE

Ogni rivisitazione délia mistagogia passa attraverso il ri-


conoscimento dei dati storici, che possiamo cosl riassumere.
Per esistere, essa deve avere i seguenti requisiti:
-- deve essere capace di elaborare una vera e propria teologia
dei sacramenti;
- questa teologia deve essere rigorosamente biblica, non per­
ché tratta di temi biblici, ma perché traita l’evento salvifico
narrato dalla Scriitura come evento storico;
- il rapporte tra il rito e l’evento, narrato dalla Scriitura, deve
essere garantito sia in ordine al valore ontologico dei rito sia
in ordine alla unicità e irripetibilità dell’evento salvifico.

49 Qui abbiamo l’awo.


50 Qui abbiamo il molteplice.
276 ENRICO MAZZA

I padri riuscirono a fare questo con gli strumenti culturali


della loro epoca, ma non credo che fosse l’unico modo per co-
struire una mistagogia che risponda perfettamente ai requisiti
ora detti. Oggi le scienze bibliche sono in grado di darci una
lettura dei testi del Nuovo e dell’Antico Testamento capace di
rigorosa precisione, oggettivité, e senso del limite nelle possi­
bilité interpretative. Nello stesso tempo, l’ermeneutica biblica
dimostra che il testo è capace di un respite più profondo e di
orizzonti più ampi di quanto esso dica, immediatamente, se
preso in modo puntiforme51. Su questa strada, utilizzando i
criteri ermeneutici approntati dallo sviluppo delle scienze bi­
bliche, potremmo rivisitare il metodo mistagogico e potrem-
mo constatare che esso ha conservate la sua validité proprio
per la ricchezza che proviene dall’analisi rigorosa dei testi.

1k

51 P.-C. Bori, Attualità di un detto antico: «La Sacra Scriitura cresce


con chi la legge», «Intersezioni» 6 (1986), pp. 15-49.
INDICE

Potrebbero piacerti anche