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1
la Liturgia,
momento nella storia della salvezza
marietti
II EDIZIONE 1979
Ristampa 1988
Questa unità teologica è stata espressa nel titolo stesso dell’opera: « Anà-
mnesis », che in greco sta per il nostro « memoria » e « memoriale ». Anche
se questo termine è conosciuto come particolarmente espressivo dell’Euca
ristia (Le 22,19; 1 Cor 11,24-25), non è esclusivo appannaggio di essa,
perché in realtà tutta la Liturgia, tanto nel suo aspetto globale, quanto nei
suoi momenti particolari di «sacramenti» e di «lode», altro non è che
presenza del mistero di Cristo realizzato attraverso la « memoria » di esso
oggettiva e concreta.
In verità, considerando che la Liturgia non è opera che parte dall’uomo,
ma è il mistero stesso di Cristo posto in azione tra gli uomini per mezzo di
segni cultuali, per inverare in essi la realtà salvifica, non sarebbe stato né
fuori luogo né difficile far comparire nel titolo la parola « Mistero », che
avrebbe dichiarato in maniera più immediata la linea teologica dell’opera.
Ma gli autori hanno preferito perdere questo vantaggio, non per rinnegare
— è chiaro — il collegamento intimo esistente tra « Mistero » e « Liturgia »,
ma perché intendevano, ponendo in primo piano VAnàmnesis, accentuare
subito il fatto importantissimo che la Liturgia è presenza reale del mistero
di Cristo, prima di tutto perché ne è il « memoriale ». Si otteneva così un
duplice scopo: Non s’intaccava la linea teologica che scopre nella Liturgia
la continuazione della storia della salvezza realizzata in Cristo, e, nello
stesso tempo, la si completava, sia perché si annunciava il « modo » in cui
il mistero continua, sia perché si insinuava il « soggetto » agente della cele
brazione liturgica, e cioè la Chiesa. Ad essa infatti è stata fatta la « tradi
zione del mistero del N T », affinché lo « annunzi in se stessa facendone la
memoria» (1 Cor 11,24-26).
il movimento liturgico:
panorama storico e lineamenti teologici
(a cura di B. Neunheuser)
Per avere un’adeguata comprensione del grandioso avvenimento, che si
sintetizza nella riforma liturgica del Vaticano II, ci sembra necessario pren
dere conoscenza di quello che si usò chiamare « movimento liturgico »,
segnalandone in un breve panorama storico i principali protagonisti e i
momenti più significativi e rilevandone insieme le linee teologiche che ne
formarono una componente essenziale.
1 Gir. W. Trapp, Vorgeschichte und Ursprung der liturgischen Bewegung vorwiegend in Hinsicht auf da
deutsche Sprachgebiet, Regensburg 1940; O. Rousseau, Histoire du mouvement liturgìque, Paris 1945;
ed. it. : Storia del movimento liturgico, con una lunga appendice di S. Marsili, Storia del movimento li
turgico italiano dalle origini all'enciclica Mediator Dei, ea. Paoline 1961; F. Kolbe, Die liturgische Be
wegung, AschafFenburg 1964; A. L. Mayer, Die geistesgeschichtliche Situation der liturgischen Emeuerung
in der GegenuJart, in ALw 4, 1, 1955, 1-51 ; ristampato in: Die Liturgie in der europàischen Geistesgeschichte,
Darmstadt 1971, 388-430; J , Wagner, s. v. Liturgische Bewegung, in L T h K 6. 19612, 1097-1099.
12 introduzione
1 Gfr. B. Neunheuser, Liturgie: geplante Schópfung oder Z uf attsgebilde?) in: Miscellanea liturgica
in onore del card. Lercaro, voi. II, Roma 1967, 55-83.
2 Secondo A. L. Mayer, Die Liturgie..., 388, n. 1 nei paesi di lingua tedesca « il termine “ mo
vimento liturgico ” compare per la prima volta nell’edizione del Vesperale di A. Schott osb nel 1894.
Il termine “ Liturgia ’ * nel senso di “ riti sacri ” entra nell’uso occidentale latino al secolo xvi -xvii
e nei documenti ecclesiastici ufficiali solo nel secolo xix » ; cfr. appresso, p. 42 ; M. Righetti, Manuale
di storia liturgica, Milano 19502, 4; H. Schmidt, Introductio in Liturgiam occidentalem, Roma 1960,4553.
3 Cfr. SG 43 dicendo : « L ’attenzione che si pone al rifiorimento e alla riforma della s. Liturgia
si deve considerare come un segno della provvidenza divina sull nostro tempo e come un pas
saggio dello Spirito Santo sulla Chiesa », riprende le parole da Pio X II incurizzate ai congres
sisti di Assisi nel 1956 in AAS 48, 1956, 712.
13 il movimento liturgico; panorama storico e lineamenti teologici
1 A. L. Mayer, Liturgie, Aufklàrung und Klassizismus, in JLw 9, 1930, 76; Idem.. Die Liturgie
ì 94*
2 Ibidem, 78, rispettivamente 196.
3 Ibidem.
4 Per il Sinodo di Pistoia, cfr. Atti e decreti del concilio diocesano di Pistoia deWanno 1786, Fi
renze 17882; Mansi 38, 989-1282, in particolare 1011-1086; DS 2600-2700 riprende le decisioni
o dichiarazioni del Sinodo nella interpretazione-condanna data nella bolla di Pio V I. Per il M ura
tori cfr.: L. Brandolini, La pastorale deWEucaristia di L. A. Muratori, in EphLit 81, 1967, 333-375; 82,
1968, 81-118. Per il congresso di Ems cfr.: H. Schotten, Zur Geschichte des Emser Kongresses, in « Hi-
storisches Jahrbuch der Gòrresgesellschaft.» 35, 1914, 86-109. Per le Liturgie neo-gallicane cfr.: H.
Leclercq, in D A G L 9, 1930, 1686-1729.
6 Vedi in L T h K 9, 19642, 214-215 (R. Adamski).
6 DS 2600-2700.
7 Vedi nota 4. Cfr. anche in L T h K 8, 19632, 524 ss. (L. Wilbaert).
14 introduzione
I voti di riforma espressi in quei documenti sono oggi quasi tutti realizzati,
ad esempio la partecipazione attiva dei fedeli al sacrificio eucaristico (Mansi
1040)5 la comunione con le ostie consacrate nella stessa Messa [ibidem) 5 una
minore stima della Messa privata [ibidem) 5 unicità dell altare (Mansi 1039)?
una limitazione neiresposizione delle reliquie sull’altare (ibidem) ; significato
della preghiera liturgica (Mansi 1074 s.); la necessità di riforme del bre
viario; la veracità e storicità delle letture; la lettura annuale di tutta la Sacra
Scrittura; la lingua nazionale accanto al latino nei libri liturgici; la sop
pressione di molte novene e simili forme devozionali; il rilievo dato alla co
munità parrocchiale contro ogni frazionamento (Mansi 1074-1079). Non
bisogna però dimenticare che queste riforme erano inserite in un groviglio
di concezioni dogmatiche dubbie e discutibili, per cui non hanno potuto
avere sviluppi nelle stesse loro giuste istanze centrali.
prima volta dopo molto tempo — ha fatto della questione liturgica un fatto
che riguardava la Chiesa; la Liturgia divenne... un movimento liturgico po
polare ». Essa non dovrebbe più essere soltanto un puro « atto ufficiale »,
solo che si riflettesse sulla sua origine e sulla sua natura. Ma purtroppo di
essa si vide soltanto la forma e non se ne percepì lo spirito vivo 1.
« L ’Illuminismo — per quel che di positivo c’era nella sua azione —
ha intuito e capito l’intimo senso della Liturgia; ha aperto e spianato il
cammino verso il suo santuario attraverso sterpaglie e oscurità; è arrivato
anzi fino alle soglie del santuario stesso e si è edificato nel contemplarne
la bellezza: ma non ha avuto né trovato la chiave per penetrare fino nella
parte interna di esso... » 12.
Certamente, molti sono i punti del programma liturgico dell’Illuminismo
che oggi vengono ripresi e realizzati. Ma effetti positivi nel vero senso della
parola li ha avuti soltanto quel grande spirito che in una spiritualità au
tentica ha superato interiormente rilluminismo: J. M. Sailer, il cui influsso
sulla Liturgia pastorale dei nostri giorni è quanto mai grande 8.
Il il secolo X IX
*È il titolo di un breve scritto retrospettivo del Mayer (1948), citato nel suo più ampio
studio: Die Stellung der Liturgie voti der £eit der Romantik bis zur Jahrhundertwende, in A Lw 3, 1, 1954,
1 e rispett. in Die Liturgie..,, 311.
2J. A. Jungmann, Missarum sollemnia, I, 4a ed. tedesca, 209.
3 St. Hilpisch, Geschichte des benediktiniscken Mónchtums, Freiburg 1929. 369-373, in partico
lare, 372.
4 Cfr. (P. Delatte) Dom Prosper Guéranger, I, Le Mans 1909, 54 ss.
18 introduzione
1 A. L. Mayer, Liturgie und Laientum. Wiederbegegnung von Kirche und Kultur in Deutschland. Fest-
schrift für K. Muth, 1927, 225; cfr. nota 2, p. 17, l. c., rispett. 432.
2 Idem, Der Wandel des Kirchenbildes in der abendlàndischen Kulturgeschichte, in « Liturgie und
Mònchtum » 17, 1955, 50-64, rispett. in Die Liturgie..., 439-453.
3 Idem, Die geistesgeschicntliche..., .1.5 ss., rispett. Die Liturgie..., 432 s.
4 Si tratta prima di tutto del celebre Motu proprio Tra le sollecitudini (1903), del decreto sulla
comunione frequente (1905) e della Costituzione apostolica Divino afflatu sul nuovo salterio del
Breviario romano (1911), che molto significativamente si chiude con le parole: « ... nemo non videt
per ea, quae a Nobis decreta sunt, primum nos fecisse gradum ad Romani Breviarii et Missalis emendationem ».
Cfr. A. Bugnini, Documenta pontificia ad instaurationem liturgicam spectantia, I, Roma 1953, 10-26;
35 - 3 8 ; 47 - 50 -
21 il movimento liturgico: panorama storico e lineamenti teologici
Si può ben dire che tutto quello che seguì (fino quasi allo scoppio della
prima guerra mondiale), altro non fu che il conseguente sviluppo di quel
fortunato inizio, che si affermava con una forte attività nel Belgio con l’in
staurarsi delle sempre più famose « Semaines et conférences liturgiques »
promosse dai monaci di Mont-César 4 e con il sorgere delle grandi riviste
liturgiche 5.
Il movimento si estende alla Germania, dove s’incontravano, in un ana
logo felice momento, la ricchezza della vita monastico-liturgica del bene-
dettinismo beuronese con un atteggiamento di aperta disponibilità da parte
dei laici, soprattutto dell’ambiente universitario, che si ritrovano, prima
in un piccolo gruppo, a Diisseldorf nel 1912 6, e poi nel 1913 e 1914, in vere
e proprie giornate liturgiche, durante la settimana santa nell’abbazia di
Maria Laach (Renania), e in esse incontriamo nel 1913 nomi divenuti poi
famosi, come Robert Schuman (Metz) che sarà un giorno capo del governo
in Francia; Heinrich Brüning, anch’egli in seguito cancelliere della Ger
mania; Paul Simon, futuro preposto capitolare del duomo di Paderborn,
e Hermann Platz, che sarà poi professore all’università di Bonn 7.
1 Cfr. A. Haquin, Dom L. Beauduin et le renouveau liturgique, Gembloux 1970; L. Bouyer, Dom
L. Beauduin, un homme de l'Eglise, Paris 1964.
2 Cfr. B. Fischer, Das « Mechelner Ereignis » vom 23 Sept. igog. Ein Beitrag zur Geschichte der
liturgischen Bewegung, in « Lit. Jahrbuch » 9, 1959, 214, nota 45.
3 Ibidem, 203. Sullo stesso avvenimento cfr. Q LP 40, 1959, 195-251; Th. Bogler, Liturgische
Bewegung nach 50 Jahren, in «Liturgie und Mònchtum » 24, 1959.
4 La prima «settim ana» ebbe luogo nel 1912; le lezioni furono pubblicate ogni anno, a co
minciare dal 1913, in volumi successivi, dal titolo: Cours et conférences des semaines liturgiques, Mont-
César, Louvain.
5 La Vie liturgique (Mont-César, Louvain) dal 1909 al 1913; con lo stesso titolo, ma come « Bol
lettino interdiocesano » ricomparirà dal 1924 al 1939. L*5 Qwsiions liturgiques (Mont-César, Louvain)
dal 1910 al 1918, per poi trasformarsi in Questione liturgiques et paroissiales (1919-1969) e ritornare
poi a Questione liturgiques a cominciare dal 1970. Revue liturgique et bénédictine (Maredsous, Namur)
dal 1911 al 1914, che riprenderà a uscire dal 1919 al 1939 come Revue liturgique et monastique. Bui-
letin paroissial liturgique (St. André, Bruges) dal 1919 al 1945, che continuerà poi col nome di Pa-
roisse et Liturgie dal 1946... Tijdschrift voor Liturgie (Abbazia di Affligem) per la parte fiamminga del
Belgio, ininterrottamente dal 1911.
6 Cfr. B. Ebel, Ausgangspunkte und Anliegen der religiósen liturgischen Erneuerung in ihren Anfàngen,
in « Liturgie und M ònchtum» 24, 1959, 27. Quel che qui vien detto si basa sulle riflessioni di
uno dei partecipanti al convegno : H. Platz, Erste Begegnung mit Aiaria Laach. Ein Beitrag zum Beginn
der lit. Bewegung in Deutschland, in « Liturgisches Leben » 1, 1934, 276-284.
7 Brüning e Schuman sono personaggi universalmente conosciuti. R. Schuman si richia
mava ancora nel 1959 espressamente a quegli inizi lontani in una sua lettera, cfr. in « Liturgisches
Jahrbuch» g, 1959, 194. Il rev. Simon, meno noto all’estero, amico e consigliere di Brüning, restò
sempre una delle personalità di primo piano nel cattolicesimo tedesco tra le due guerre. H. Platz,
esponente di alta sensibilità della cultura francese all’università di Bonn, si rese molto benemerito
della riconciliazione franco-tedesca. Per gli avvenimenti del 1913-1914, cfr. Ebel, l. c.
22 introduzione
1 Quest’associazione, che sotto la guida di Miinch e Landmesser ebbe un posto molto impor
tante nella vita spirituale del cattolicismo tedesco tra le due guerre, offriva allo stesso tempo e l’am
biente e lo sfondo nel quale si poteva sviluppare a suo agio la spiritualità liturgica, che trovava
la giusta maturità propria di cattolici intellettualmente e spiritualmente più formati.
2 Cfr. in proposito il pregevole studio di F. Heinrich, Die Blinde katholischer Jugendbewegung.
Ihre Bedeutung für die liturgische und eucharistische Erneuerung, Miinchen 1968.
3 Qui si raccoglieva R. Guardini con il suo gruppo per organizzare praticamente delle ce
lebrazioni liturgiche, soprattutto in occasione delle grandi solennità.
4 L. Wolter ha il merito sia di aver meglio attivizzato in genere le « Associazioni giovanili »,
sia soprattutto di averle interessate sul piano liturgico, creando così una punta di penetrazione
in più vasti ambienti giovanili.
5 Cfr. B. Neunheuser, Die « Krypta-Messe » in Maria Laach. Ein Beitrag zur Frùhgeschichte der
Gemeinschaftsmesse, in «Liturgie und Mònchtum » 28, 1961, 70-82. Analoga relazione, ma nello
stile del tempo, si trova in Placidus (pseudonimo), Maria Laach: eine Stàtte deutscher Geschichte und
urkirchlichen Lebens, in « Bibel u. Liturgie» 12, 1938, 364-368; in forma più sobria in Münster am
See, Bonn 1948, 231-234 (B. Neunheuser).
6 Sulla persona e opera del Parsch manca ancora un’informazione completa. Cfr. tuttavia,
al momento: L T h K 8, 19632, i n (N. W. Hòslinger); in « Lit. Jahrbuch » 4, 1954, 230-236:
F. Kolbe, Die liturgische Bewegung, 51-53.
24 introduzione
anche, dal 1926, con la sua rivista Bibel und Liturgie, per non citare altre
sue opere, delle quali molte restano ancora oggi valide. Nel 1950 egli
poteva così riassumere i grandi scopi del suo lavoro : « Riavvicinare gli strati
più semplici del popolo al culto della Chiesa, rendendo possibile soprattutto
ad essi una partecipazione attiva alla Liturgia », e — in secondo luogo —
« ridare la Bibbia in mano al popolo » 1.
Un’attività molto fattiva e — seppure non a largo raggio, almeno al
principio — molto intensa nell’ambito di comunità parrocchiali vive, fino
a estendersi poi oltre queste, fu intrapresa dai preti dell’Oratorio, prima a
Lipsia e più tardi anche a Monaco, a Francoforte e altrove. Molti di questi
oratoriani, e tra essi soprattutto Th. Gunkel, J. Gülden, H. Kahlefeld, K. Til-
mann, A. Kirchgàssner, hanno molto lavorato, anche nel campo del canto
liturgico, per dargli una forma degna e allo stesso tempo possibile per una
comunità parrocchiale. Certi libri di pastorale liturgica, come Volksliturgie
und Seelsorge, Parochia 12 e altri, di cui essi furono o gli autori o gli ispiratori,
al tempo della seconda guerra mondiale, furono per molti nutrimento e
mezzo per sostenere la propria interiore « resistenza ».
Intanto in questi stessi anni il movimento liturgico non cessa — seppur
lentamente — di estendersi sempre p iù 3. E anche se la cosa era molto
evidente prima in Belgio e poi in Germania, anche negli altri paesi non si
dormiva in questo campo. Così la Francia, alla quale riveniva il vanto di
aver dato la prima spinta al movimento, anche se non partecipò a tutta
prima su vasto piano alle iniziative del Belgio, aveva il merito di aver dato
vita a lavori scientifici di rilevante e sempre valido valore, come erano i
lavori dei monaci di Solesmes 4, le grandi pubblicazioni del tipo del Diction-
naire d’archeologie chrétienne et de liturgie56
, dei cataloghi dei manoscritti dei
libri liturgici del Leroquais89 , degli studi del Duchesne 7, del Batiffol8 ecc.
Né mancava allo stesso tempo l’impegno verso la valorizzazione sul piano
pratico degli stessi studi liturgici, come fanno fede le opere dell’abate F.
C abrold e dell’enciclopedia Liturgia di R. Aigran 10.
1 Parsch nella conferenza tenuta al congresso liturgico di Francoforte nel 1950 (cfr. J. Wagner-
D. Zaehringer, Eucharistiefeier am Sonntag, Treviri 1951, 183). Per il testo della conferenza, cfr. « JBibel
und Liturgie» 17, 1950, 329 ss.
2 Editi dal Éorgmann (edizioni Alsatia-Colmar). Di lui e di J. Rossé, il direttore responsa
bile della Editrice « Alsatia », non sono stati purtroppo mai apprezzati abbastanza i meriti acqui
siti nell’opera di resistenza dall’interno al deleterio spirito del momento (1940-1944); cfr.
P. Duployé, Les origines du Centre de pastorale liturgique 1943-1949, Mulhouse-Paris 1968.
3 Non è nostro compito descrivere qui dettagliamente la situazione del movimento liturgico
in tutto il mondo di allora. Un panorama buono per il tempo tra le due guerre si può avere dalle
relazioni del I Congresso universale di Liturgia, tenutosi ad Anversa nel 1930 (cfr. «Rivista Li
turgica» 17, 1930, 209-216; 249-257; 298-300; 326-329; 356-358; ibidem 18, 1931, 107-111);
per il tempo seguente un primo sufficiente orientamento si può ricavare da Th. Bogler, Liturgische
Erneuerung in aller Welt, Maria Laach 1950.
4 Citiamo soltanto i 6 voli, di Cabro 1-Leclercq, Monumenta ecclesiae litur^icay 2 voli., Parigi 1900-
1913; Cagin, Te Deum ou Illatio?; Idem, Eucharistia; la monumentale Paleographie musicale, preziosa
premessa alle nuove edizioni critiche del Graduale romanum e àt\YAntiphonarium romanum, pubbli
cati dai monaci di Solesmes e dichiarati edizioni « tipiche » sotto S. Pio X.
5 Pubblicato in 15 grossi volumi (1907-1953) da F. Cabrol-H. Leclercq.
6 V. Leroquais, ricercando nelle biblioteche pubbliche della Francia, ha raccolto: Les sacra-
mentaires et les missels manuscrits, 4 voli., Paris 1924; Les bréviaires manuscrits, 5 voli., Paris 1934;
Les pontificaux manuscrits, 4 voli., Paris 1937; Les psautiers manuscrits latins, 2 voli., Macon 1940-1941.
7 Dell’opera del Duchesne citiamo soltanto l’importantissimo volume delle Origines du culte
chre'tien. Etude sur la Liturgie latine avant Charlemagne, Paris 1889, (19255).
8 P. Batiffol, Lecons sur la Messey Paris 1916 (19208); tìistoire au bréviaire romainy Paris 1893
(19118).
9 Cfr., per es., il suo volume Le livre de la prióre antique, Paris 19004; La messe en OccidentyParis 1932.
10 R. Aigrain. Liturgia, encyclopédie des comíaissanees liturgiques. Paris 1931
25 il movimento liturgico panorama storico e lineamenti teologici
1 Cfr. L. Andrianopoli, La rinascita liturgica contemporanea, Milano 1934, 27-34; S. Marsili, Storia
del movimento liturgico italiano, in O. Rousseau,. Storia del movimento liturgico, ed. Paoline, 1961, 263-
369; L. Andrianopoli, in Th. Bogler, Liturgische Erneuerung in aller [Velt, Maria Laach 1950, 73-81;
E. Cattaneo, Introduzione alla storia della Liturgia occidentale, Roma 19692, 418-431.
2 Gir. S. Marsili, /. c., 287-288.
3 Ibidem.
4 Ibidem.
5 Cfr. (dgm), D . Bonifacio AL Bolognani, in «Rivista Liturgica» 18, 1931, 131 ss.; S. Marsili,
I c.9 286.
6 E. Caronti, monaco dell’abbazia di Fraglia (Padova), poi abate a Parma, fu non solo il
primo direttore della Rivista Liturgica edita dall’abbazia di Finalpia (Savona), ma fu il maggiore
pioniere e divulgatore dell’idea liturgica in Italia. Oltre ad aver fondato e diretto per molti anni
il Bollettino liturgico, d ’intonazione più popolare della « Rivista Liturgica », pubblica La pietà litur
gica, Torino 1920, Il sacrificio cristiano, 1922 e II messale quotidiano, Vicenza 1929.
7 I. Schuster, Liber sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul messale romano, 9 voli., Torino
1919-1928.
8 Cfr. S. Marsili, L c 297; 314; 318.
9 M. Righetti, La settimana santa, Monza 1915; Il ciclo liturgico natalizio, Monza 1916; Le ori
gini della liturgia romana. Monza 1917; Il tempo pasquale, Monza 1919; Storia liturgica, 4 voli., M i
lano 1944-1959.
10 Cfr. S. Marsili, /. c., 297 ; 308; 314 ecc.
11 E. M. Vismara, La partecipazione del popolo alla liturgia, Vicenza 1920. Sul Vismara, cfr. S.
Marsili, ibidem, 289; 297; St. Kuncherakatt, The Origins of thè Liturgical Renewal in thè Society of
St. Francis of Sales from its Founder till 1916, Roma 1971 (dissertazione dottorale presentata al Pon
tificio Istituto Liturgico). Una rivalutazione postuma di don Vismara, all’interno dellTstituto sa
lesiano, si ebbe con la pubblicazione voluta dai suoi confratelli: A. Cuva, Fons vivus. Miscellanea
liturgica in memoria di Don E. M. Vismara, Zurigo 1971.
12 S. Marsili, L c., 288; 298; 306-307; 316-320.
13 Cfr la relazione di A Olivar, più reticente del necessario, in Th. Bogler, /. c 82-90.
26 introduzione
che anche così la situazione non si fosse del tutto normalizzata e calmata,
si rileva dallo scritto accusatore deH5arcivescovo Groeber di Friburgo (Ger
mania), Beunruhigungen 1. E in realtà era proprio Roma, e precisamente il Papa
in persona, a volere che il movimento liturgico avesse un orientamento ben de
terminato. Infatti nel gennaio 1943 i membri della Conferenza episcopale
tedesca ricevettero dal Nunzio pontificio la comunicazione, secondo cui
una commissione cardinalizia, allo scopo incaricata dal Papa, faceva pre
senti le proprie preoccupazioni in vista delle novità liturgiche che si anda
vano moltiplicando. Il testo della comunicazione suonava così: « La S. Sede,
preoccupata per certi pericoli che potrebbero incorrere la disciplina eccle
siastica e la fede..., desidera ricevere dai vescovi notizie dettagliate sul mo
vimento liturgico..., vuole che i vescovi accuratamente ricerchino che cosa
vi sia da promuovere in quello che il movimento liturgico ha di buono. Si
impediscano ulteriori discussioni su questi problemi, mentre la S. Sede as
sicura di essere pronta a venire incontro ai vescovi in materia liturgica,
sempre che siano allontanati pericoli per la fede e per Punità della Chiesa... » 2.
Al documento il cardinale Bertram di Breslau rispose con un diffuso « pro
memoria », che conteneva una decisa difesa del movimento liturgico 3.
1 Gir. Kolbe, /. c., 72-74; una traduzione francese in « La Pensée catholique» 5, 1948, 64-71.
2 Cfr. Kolbe, 1. r., 71 ss.
3 Ibidem, 75'79-
4 Ibidem, 80-84; v- testo originale della risposta romana in H. Schmidt, /. c.; 174-176 e in
A. Bugnini, l. c., 80 ss.
5 Cfr. in proposito B. Neunheuser, Der positive Sinn der pàpstlichen Grenzsetzung in der Enzyklica
Mediator Dei, in A. Mayer-J. Quasten-B. Neunheuser. Vom christlichen Mysterium. Düsseldorf 1951.
344-362.
6 Tipico per il « sì-ma-però » dell’Enciclica è la possibilità d’interpretazione offerta dal para
grafo relativo all’anno liturgico. A una interpretazione massimalista in favore di Casel proposta
dall’abate B. Reetz sul « Klerusblatt » di Salisburgo si oppose, con lettera all’arcivescovo Rohracher
di quella città, il S. Officio, richiamandosi al senso letterale della Enciclica. Cfr. il testo del S.
Officio in Bugnini, L c., 167-169. B. Neunheuser, Mysteriengegenwart..., dimostra che il senso del
documento del S. Officio non è una condanna del Casel, ma solo un invito a maggiore chiari
ficazione.
7 Cfr. Kolbe, /. c., 86 ss.; Wagner. Liturgisches Referat...-, Idem, Le mouvement liturgique en Al-
lemagne, in LM D 25, 1951, 75-82.
28 introduzione
1 Cfr. Andrianopoli, in Th. Bogler, L i\. 77-81; S. M arsili, /. c., 339 ss.
2 Cfr. una relazione di vita vissuta in quei tempi: Rapports concernant les actiuités liturgique
Allemagne au cours de la guerre, in « Paroisse et Liturgie» 28, 1946, 261-269.
3 Questo « superamento di confini » è da intendersi non solo per quel che riguarda l’am
bito direttamente cultuale (come, per es., quando accadeva che soldati tedeschi, non ostante le
proibizioni del regime nazista, celebravano l’Eucaristia con un prete polacco), ma come fatto
generale e di principio. Così avveniva, per es., che le linee di attuazione liturgica stabilite concor
demente dai Vescovi della «Grande Germania», questi si impegnassero a osservarle anche in
seguito tanto in Germania che in Austria, quale che fosse stata la fine della guerra. Lo stesso « su
peramento di confini » si riscontrava, per es., quando accadeva che preti francesi, che facevano
parte della resistenza, non rifuggissero dal prendere contatto, mentre ancora la guerra durava, con
i centri liturgici tedeschi: un esempio lampante in proposito fu quello del direttore delle « edizioni
Alsatia » di Colmar, J. Rosse e di altri alsaziani, che proprio sfruttando i vantaggi di abitare in
un territorio bilingue diventarono i mediatori dell’azione liturgica da un paese all’altro. Cfr.
Duployé, cit. nota 2, p. 22 (v. recensione in A Lw 11, 1969, 243 ss.).
4 La Maison-Dieu, fondata nel 1945, esce in fascicoli trimestrali; la Lex orandi, iniziata un
anno prima, si arricchisce continuamente di nuovi volumi.
5 La / settimana di Versailles sul tema: « I l giorno del Signore» fu tenuta nel 1948.
29 il movimento liturgico: panorama storico e lineamenti teologici
1 Per l’allocuzione di Pio X II, abbondante nella lode ma carica anche di riserve molto cri
tiche, cfr. A A S 48, 1956, 711-725; Bugnini, L c., II, 45-58; LM D 47-48, 1956, 327.
2 Per il testo delle relazioni del congresso di Assisi cfr. LM D 47-48, 1956; una giusta valu
tazione del congresso in Kolbe, L c.y 107-111, che ne mette in luce tanto l’importanza quanto le
debolezze e i limiti, ma ci parla soprattutto dell’entusiasmo dei partecipanti, di intendenti co
raggiosi di uomini come il card. Lercaro e i vescovi van Bekkum (per la liturgia nei paesi di
missione) e Spiilbeck (per le Chiese poste al di là della « cortina di ferro ») ; senza tuttavia omet
tere gli attacchi, fatti di accuse e di sospetti, che la reazione, a congresso finito, cominciò a far
sentire.
3 Per una valutazione del nuovo Codex rubricarum nei confronti del già annunziato programma
di riforma liturgica da attuarsi nell’ormai prossimo Concilio, cfr. H. Schmidt, La costituzione sulla
S. Liturgia. Testo, genesi, commento, documentazione, Roma 1966, 103-107.
4 Dei molti commenti ricevuti dalla SC, citiamo: LM D 77, 1964; Eph.Lit 78, 1964, 226-
419; E. J. Lengeling, Die Konstitution des 2. Vai. Konzils über die hi. Liturgie nella collana « Leben-
diger Gottesdienst » 5-6, Münster i. W. 1964; G. Barauna, La s. Liturgia rinnovata dal concilio,
Torino 1964; F. Antonelli-R. Falsini, Costituzione conciliare sulla S. Liturgia, Milano 1964; M. Ni-
colau, Constitución litúrgica del Vat. II. Testo y comentario teológico-pastoraly Madrid.
30 introduzione
di Pio X del novembre 1903 e dal congresso di Malines nel 1909), avendone
compreso l’importanza spirituale per molti aspetti veramente straordinaria.
Così quelli che una volta erano piani audacissimi si vedono realizzati
sotto la suprema autorità della Chiesa; propositi e mete che già la Riforma
protestante s’era prefisso, che l’Illuminismo aveva inseguito e che il movi
mento liturgico aveva lentamente e con grande moderazione preparato,
sono oggi, per decreto della Chiesa, del Papa e del Concilio, realtà
di valore decisivo per tutta la Chiesa. E non è questione, in prima linea,
di fermarsi a considerare quelle che potremmo definire riforme spettacolari,
come la comunione sotto le due specie, la concelebrazione e Pammissione
nell’uso liturgico della lingua nazionale. Ma si tratta soprattutto di una
visione più profonda e di un’idea più completa di quello che la Liturgia
è e di come essa, in conformità a questa migliore conoscenza che se ne ha,
debba trovare la forma che più le si addice nel nostro mondo di oggi.
Ed è proprio in questi due aspetti che si rivela concretamente, nell’am
bito del problema liturgico, il nuovo mondo nel quale il Concilio si muove:
la Chiesa deve con sempre nuova vitalità adeguare la propria immutabile
natura e missione a quelle che sono le esigenze del presente.
Dell’attuazione di questo magnifico programma fu incaricato il Consilium
ad exsequendam constitutionem de s. Liturgia, che, istituito già nel 1964, e posto
sotto la saggia direzione del card. G. Lercaro e del segretario A. Bugnini, rac
colse nel suo seno da 30 a 40 tra cardinali e vescovi, come rappresentanti
di tutte le parti del mondo, e ad essi davano la loro opera di esperti quasi
200 studiosi di Liturgia, scelti ugualmente a livello internazionale. E ciò
che questo organismo, assolutamente nuovo nell’ambito della Curia romana
e della Chiesa, ha compiuto con un lavoro intenso, pieno sempre di respon
sabilità e spesso difficile e non privo di sacrifici e di fatiche, e talvolta anche
turbato da sbagli e da sconfitte, è stata un’opera veramente grandiosa.
Quando a cinque anni di distanza, nel 1969, fu eretta la nuova Congregatio
pro cultu divino, i lavori di attuazione della riforma liturgica affidati al Con
silium erano sostanzialmente compiuti. E così, in un rapido susseguirsi, ap
parvero i nuovi libri liturgici, nei quali si esprime e si condensa la nuova
Liturgia della Chiesa latina, secondo quello che era il mandato e lo spirito
del Vaticano IL
Questa riforma liturgica, che vicino al nome del concilio Vaticano II,
porta quello di Papa Paolo VI, ha raggiunto il suo punto culminante e
più splendido, con la promulgazione del nuovo Missale romanum (3 aprile
1969, e cioè a quattro secoli dalla pubblicazione del messale tridentino,
fatta da S. Pio V) e della nuova Liturgia Horarum (1 novembre 1970), che sosti
tuisce il breviario tridentino, pubblicato ugualmente da S. Pio V nel 1568 1.
1 Sia per le date del progressivo svilupparsi e attuarsi della riforma liturgica, quanto per
avere un primo sguardo almeno orientativo e informativo del grande lavoro che xn questo campo
è stato compiuto dal Consilium della Liturgia, cfr. la rivista «N otitiae», a questo preciso scopo
di documentazione fondata già nel 1964.
parte prima
« Liturgia »
Bibliografia
' Fr. Oertel, Die Liturgie, Sludien zur ptolomàischen und kaiserlichen Verwaltung Aegyptens, 1917;
Fr. Preisigke., IVorterburh aer griechischen Papyruskunden. voi. II. Berlin 1927, s. v. Leitourgia.
35 « Liturgia »
i NeWAntico Testamento
1 S. Daniel, Recherches sur le vocabulaire dii culte dans la Septante, Paris 1966, 56-117.
37 « Liturgia »
1 S. Daniel, 0. c.y 1 1.
2 È lo stesso fenomeno riscontrabile, sempre nei L X X , a proposito della scelta del termine
Laos per indicare il « popolo » di Israele. In epoca — quella ellenistica — in cui quel termine
antichissimo, già comune nel linguaggio classico, è diventato rarissimo, perché sostituito da dèmos}
i L X X scelgono l’antico termine, letterariamente aristocratico, proprio per indicare la particolare
natura e nobiltà del « popolo di Dio », che sarà chiamato sempre Laos e mai dèmos.
38 parte l - capitolo I
Per sapere che cos’è « Liturgia » nell’A T era necessario passare per il
testo greco della Bibbia, e s’è potuto vedere:
a) che dei due termini cultuali skerèt e ‘abhodàh il primo è tradotto sempre
con « Liturgia »; nel secondo invece si fa una distinzione, nel senso che viene
tradotto molto spesso con « Liturgia », ma anche con Xarpeuav-Xocxpeioc
e SouXeÙEtv-SouXeta ;
b) che con « Liturgia » è sempre inteso — salvo i pochi casi che non ri
specchiano il piano religioso — il servizio di culto com'è prestato dai sacerdoti
levitici;
c) che Xarpeúsiv-XaTpsía e SouXeóeiv-SouXsia sta invece ad esprimere
sia l5idea o il fatto del culto in genere, sia il culto del popolo in quanto distinto
dal culto sacerdotale, visto nel suo concreto svolgimento rituale e cerimoniale.
Il senso, in cui questi termini vengono usati, può essere riassunto sotto
3 categorie, onde si ha una « Liturgia » :
1 L. Cerfaux, La communauté aposlolique (Témoins de Dieu, 2), Paris 1956, 87. « A d An
tiochia il Signore Gesù è il centro del culto. “ Celebravano la liturgia del Signore ” (Atti 13, 2).
Si tratta prima di tutto della cena. L ’Eucaristia non si celebra diversamente da Gerusalemme,
perché anche qui si riproduce la cena del Signore. M a per la prima volta si vede chiaramente che
questa cena del Signore, nella quale vi è la presenza di_ Gesù, è il centro unico della vita religiosa
della comunità». Cfr. anche J. Renié, Actes des Apotres, in Pirot-CIamer, La sainte Bible, X I, 1, 182,
secondo cui qui « Liturgia » sta ad indicare le funzioni^ che si sono sostituite al culto giudaico :
preghiere, canti e soprattutto cena eucaristica, il sacrificio della nuova alleanza.
2 A. Romeo, Il termine Leitourgia nella grecità biblica, in « Miscellanea Mohlberg », voi. II, Roma
l 949> 512 ss.
41 « Liturgia »
Che « Liturgia » s’incontri una volta sola nel N T ad indicare una ce
lebrazione cultuale della comunità cristiana non è casuale né senza signi
ficato. Abbiamo visto come la « Liturgia » sia la forma levitica del culto
e come essa non serva mai ad indicare né il culto in se stesso — come at
teggiamento interiore — né il culto del popolo in quanto tale.
Abbiamo detto, anche che è soprattutto per merito della traduzione-inter
pretazione del L X X che la « Liturgia » acquista questo carattere speci
fico e riservato di culto della casta sacerdotale.
D ’altra parte l’interpretazione discriminativa che i L X X , traducendo
la Toràh, introducono nel termine 6abhàd-'abhodàh non è di certo arbitraria.
È un’interpretazione voluta, ma fondata su un dato ormai di fatto: il culto
di Jahve era passato, con la creazione del sacerdozio levitico (gerarchico), a
prerogativa della tribù di Levi, diventata casta sacerdotale, e come ogni pre
rogativa, si fondava e si reggeva sulla sua forma istituzionalizzata. Di conse
guenza i L X X , pur sapendo che ‘abhàd-abhodàh nel suo generale senso
di « servizio religioso » implica più particolarmente il « sacrificio », che è
1 A. Wickenhauser, Atti degli Apostoli, ed. it. 1958, 181, con non minore cautela parla «di
una cerimonia liturgica accompagnata dal digiuno e della quale non sappiamo altro ».
2 H. Strathm ann. in T h W z N T 4. 233.
42 parte I - capitolo I
per eccellenza « azione sacerdotale », non traducono mai questa parola con
« Liturgia », anche quando chiaramente si riferisce al « sacrificio », se il
testo non suppone già la istituzione del sacerdozio gerarchico. È appunto
quel che avviene in Esodo (durante il quale non c’è ancora — istituito —
il sacerdozio levitico), dove una sola volta (Es 38, 21) cabhodàh è tradotto con
« Liturgia », e precisamente nel concludere la descrizione dell’erezione
della Tenda, cui è destinata « la Liturgia dei leviti ». Tutte le altre nume
rose volte, in cui, in Esodo, il termine cabhodàh manifestamente si riferisce al
«culto-sacrificio» che gli Israeliti devono dare a Dio nel deserto (Es 3, 12;
4, 23; 7, 16. 26; 8, 16; 9, 1. 13; io, 3. 78; i i, 24. 26 ecc.) e in particolare
al «sacrificio pasquale» (Es 12, 25. 26; 13, 5), non viene mai tradotto con
« Liturgia », appunto perché questa indica, per i L X X , il « culto di un corpo
sacerdotale determinato» (levitico), che non è ancora costituito1.
La ragione intima di questa interpretazione sta nel fatto che i L X X non
ignorano che tutto il senso àtWEsodo sta appunto nella liberazione d’Israele
dalla schiavitù deWidolatria d’Egitto e nel passaggio ( = Pasqua) alla fede nel
l’amore di Jahve, per onorarlo e rendergli servizio (culto) nel modo proprio
e particolare della religione rivelata : « Ascoltando la sua voce e osservando
la sua alleanza» (Es 19,5), ossia «amando e dando culto al Signore suo
Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima » (Deut io, 12). Solo così facendo
infatti tutto Israele sarebbe stato «popolo di Dio, regno di sacerdoti e nazione con
sacrata (al culto di Jahve) » (Es 19, 6). Israele sa così di essere chiamato ad
un culto spirituale (che i L X X rappresenteranno con i termini — a differenti
epoche equivalentesi — di XotTpsfa e di SouXeia12), e cioè ad un culto che pur
ammettendo i «sacrifici» di vittime animali (Sai 49,5-8), non era costi
tuito da essi, nel senso che Dio « non fece parola di sacrifici ai padri, quando
li trasse dall’Egitto, e invece diede loro una prescrizione: quella di ascoltare
la sua voce, perché solo così egli sarebbe stato il loro Dio ed essi il suo po
polò » (Ger 7,22-23; cfr. Amos 5,25).
Il rapporto di culto che Israele avrebbe avuto col suo Dio doveva dunque
consistere in un amore che si esprimesse nell’ « ascoltare la sua voce e osser
vare la sua alleanza ». Le cerimonie esterne e i molti sacrifici gli sarebbero
stati graditi — se volevano offrirli — solo in quanto erano espressione di
un intimo senso di gratitudine per i benefici ricevuti (Sai 49, 14. 23), o di
pentimento e di conversione dal peccato (Sai 50, 18-19; Is 1, 10-20; Ger
7, 3-11; Os 6, 6; 8, 11-13; Amos 6, 21-25). Ma, tolto forse qualche momento
del periodo del deserto (Ger 2, 2-3; Os 2, 17), questo ideale non si era rea
lizzalo : Israele non si dimostrò di fatto quel « popolo sacerdotale » che era
per elezione, perché non era fedele al suo Dio, e, sotto l’influsso delle cul
ture e delle religioni circostanti, rinnegò in pratica la sua vocazione ad un
culto spirituale, che nascendo da una conversione si doveva esprimere nella
ubbidienza alla Parola e nel mantenersi nzH'alleanza di Dio.
Venendo infatti dall’idolatria, dove l’uso dei sacrifici non solo era unir
versalmente diffuso, ma costituiva il tutto dell’atto religioso, Israele —
anche ammesso che non necessariamente dovesse abbandonare quello che era
1 La stessa osservazione, con identica conclusione, si può fare sul libro di Giosuè: mai com
pare «L itu rgia», perché non esiste ancora la casta sacerdotale; cfr. S. Daniel, 0. c 69.
2 S. Daniel, 0. c., 66-67 e 102-104.
43 « Liturgia »
Tuso di tutte le religioni del tempo — avrebbe dovuto d’ora in poi servirsi
dei « sacrifici » animali-vegetali solo in quanto poteva farne « segno » della
propria fedeltà alla Parola e airalleanza di Dio. Senza di questo i « sacrifici »
e tutta la loro « Liturgia » non potevano esprimere la religione di Jahve.
Avvenne così che anche l’istituzione del sacerdozio levitico (Num 16, 9),
addetto appunto al culto sacrificale « esteriore », fatto di vittime « sosti
tutive » di quello che avrebbe dovuto essere il culto « interiore » al quale
Jahve chiamava il suo popolo — culto fatto di atteggiamento di amore e
fedeltà e che i L X X chiameranno XaTpeioc-SouXria e non XeiToupyloc1 — ,
divenne un sacerdozio esteriore e materiale.
Così la « Liturgia », ossia l’azione esterna di culto esercitata dalla casta
sacerdotale, diventa in parte il « simbolo » ma, purtroppo, anche la « so
stituzione » del « culto », che il « popolo » era stato chiamato a dare a
Jahve con la santità della vita.
1 Idem, 0. c.j 9 6 -9 7 .
44 parte I * capitolo I
Nota. Si deve però avvertire che molto presto già nella Chiesa postapostolica,
la parola « Liturgia » perde gran parte del suo aspetto negativo e serve a designare
i riti del culto cristiano. Non è forse senza una risonanza discretamente ebraica
— almeno sul piano della formulazione — Tapparire della parola « Liturgia »
in Didaché 15, 1: «Eleggetevi dei vescovi e dei diaconi...; anche essi infatti vi
fanno la stessa “ Liturgia ” dei profeti e dei dottori (del NT) ». Ma poi, benché
il « sacerdozio » gerarchico cristiano non abbia nulla in comune con quello ebraico,
il parallelismo tra i due si fa sempre più stretto, come può vedersi chiaramente
in 1 Clementis ad Corinthios (v. appresso), e quindi anche il termine «Liturgia»
serve ad indicare soprattutto l'azione cultuale del Vescovo, del presbitero e del dia
cono, ma anche il rito in se stesso, prescindendo da colui che lo esercita o pre
siede. Così si parla di « divina liturgia » (= Eucarestia), di « Liturgia del batte
simo », di « Liturgia vespertina ».
NelVOriente greco « Liturgia » è restato sempre in vigore, conservando il senso
di «azione sacra rituale» in genere; ma oggi di fatto sta ad indicare prima di
tutto la « celebrazione eucaristica », secondo un particolare rito. Così si dirà « Li
turgia » di san Giovanni Crisostomo, di san Basilio, di san Giacomo, di san Marco,
dei 12 apostoli ecc.
NelVOccidente latino, a differenza di tante altre espressioni tecniche del vocabo
lario cristiano, che sono state semplicemente translitterate dal greco nel latino
(p. es. : Episcopus, presbyter, diaconus, ecclesia, synagoga, apostolus, propheta,
baptismus, eucharistia, evangelium), il termine « Liturgia » è stato completamente
ignorato. La cosa non può non meravigliare data la insolita frequenza ed il va
lore dichiaratamente tecnico che « Liturgia » ha nelle più antiche fonti cristiane,
— che come si sa sono scritte in greco — . Il fatto è forse un indice della carica
1 Strahtmann, in T hW zN T 4, 62-66.
45 « Liturgia »
Bibliografia
—- sia pure sul piano religioso — anche quando i soggetti di esso sono o gli apo
stoli o i successori che essi si dettero 1 e cioè i vescovi, i diaconi e più gene
ricamente, i presbiteri2. Tuttavia è abbastanza chiaro che il « ministero-
Liturgia » dei vescovi, per es., si identifica con Vazione sacrificale3. Questo
è tanto più evidente se si considera: i) che parlando del « ministero-Liturgia »
dei sacerdoti dell’AT, questa si identifica con sacrificio 4, con azione sacerdotale
sacrificale5, e con Vofferta fatta dal sommo sacerdote e dagli altri ministri
(Xs'/róupyoì) 6; 2) che il «ministero» cristiano dei «vescovi-presbiteri-
diaconi » del NT è chiaramente paradigmato — richiamandosi ad una
superiore « gnosi » 7 — sul « ministero » del « pontefice-sacerdoti-leviti »
dell’A T 8, e ciò proprio per riportare anche il ministero-Liturgia del N T a
quella origine divina alla quale si riferiva Panalogo ordinamento dell’AT.
Questo fatto contribuirà attraverso il riannodarsi della parola « Liturgia »
all’idea e alla funzione « sacerdotale », a portare fatalmente anche il culto
cristiano su quelle posizioni ritualistico-clericali, che erano proprie della
Liturgia veterotestamentaria.
Naturalmente questo processo, frutto di un accostamento tanto super
ficiale quanto facile, ma del resto ben comprensibile in uno scrittore di pro
babile origine ebraica 9, quale è l’autore della 1 Clementis, non avrà fortuna
tamente così presto un seguito, almeno non fino al punto che l’identificazione
di Liturgia-culto cristiano debba creare subito un « problema teologico ».
Infatti proprio per non aver riconosciuto in « Liturgia » l’equivalente di
quella determinata forma cultuale, che abbiamo visto identificarsi in quella
legale e particolarista del rituale levitico, si potrà constatare che anche lad
dove e per quel tanto che il termine entra nell’uso cristiano, esso per molto
tempo ancora starà ad indicare soprattutto un contenuto cultuale, che sarà
tutt’altra cosa da quello della « Liturgia » sacerdotale ebraica e che si espri
merà quindi con una propria « teologia del culto ».
I antichità cristiana
i Spiritualismo cultuale
cora più violenta — nei confronti del paganesimo. Basta vedere in propo
sito come vengono interpretate quelle che sempre e dappertutto nel mondo
extra e precristiano erano state le componenti essenziali del culto, e cioè
il tempio, Valtare e il sacrificio.
1 Cfr. per es. Giustino, Apoi. I, 6; 13: PG 6, 336; 345; Atenagora, Legatio pro Christ., 3;
4; io; 13; 27 (/. c.y 896 ss.; 908; 916; 952); Taziano, Aav. Graecos, 27 (/. c., 952); Origene,
C. Celsum, 8, 17: PG 11, 1540.
2 Martirio di PolicarpOy 14, in Ruinart, Acta martyrum, Verona 1731, 37.
3 Clemente Aless., Stromatay V II, 6, 31, 7; 32, 4; Pastore di Erma, mand., io, 3, 2-3; Let
tera a Flora, 3, in « Sources chrét. » 24; Giustino, Dial., 117.
4 Tertulliano, Apolog., 30, 5.
50 parte 1 - capitolo II
con Dio», si richiama a Rom 12, i. Egli parla così del «sacrificio» del
corpo, messo a servizio di Dio; del «sacrificio dell’anima », nella quale la
presenza dell’amore di Dio estromette ogni forma di concupiscenza mon
dana, di modo che, « consacrandosi a Dio », tutto l’uomo diventa un « sa
crificio », fino al punto che « l’intera redenta città e comunità dei Santi
diventa un sacrificio universale offerto a Dio per mezzo del sommo sacerdote
Cristo... perché il sacrificio dei cristiani consiste nel formare tutti un solo
corpo con Cristo » h
1 Per percepire tutta Pimportanza che il « tempio-corpo di Cristo » ha per Pintelligenza del
« culto spirituale », cfr. Y. Congar, Il mistero del tempio, Tonno 1963, 135-270; S. Marsili, Dal tempio
locale al tempio spirituale, in II tempio, Atti i8ma seti. lit. nazionale, Roma i960, 51-63; Idem, La chiesa
locale comunità di culto, in «Rivista Liturgica» 59, 1972, 29-53.
2 Epist. Barnabae, 4, 11.
3 Ireneo, Demonstratio, 96, in « Sources chrét. » 62, 164. Cfr. Ignazio, Eph., 15, 3; Phildd.} 7, 2;
Clementis, 9, 3.
4 Epist. Bamabae, 16, 7. Nota che il comune termine greco x eiPOTr°hFO<; = manufatto, che
nel N T (Me 14,58; Atti 7,48; 17,24; Ebr 9, 11.24) è riferito al tempio di Gerusalemme, al
quale si oppone il tempio àxeip 07ro[7]TO<; (termine noto ai L X X , ma non agli autori profani, cfr.
Grimm-Trayer, Greek-English Lexicon, Edinburgh 19584, 90), innalzato da Cristo con la sua risur
rezione (Me 14, 58, cfr. G v 2, 19-22), è usato normalmente dai L X X per indicare gli idoli pagani.
Cfr. per es.: Is 2, 8; io, 11 ; 16, 12; 19, 1; 21, 9; 31, 7.
®Ibidem, 8-10.
6 Ibidem, 6, 15-16.
7 Giustino, Dial., 86: PL 6, 631.
52 parte I - capitolo II
vello veramente cultuale. Identificati infatti con la vita, essi cessano di essere
solo « segni » di una « realtà » diversa da essi, perché implicano finalmente
quella « realtà » senza la quale sono « segni » vuoti.
Questo non vuol dire, che per il suo carattere di culto « spirituale », il
cristianesimo non dovesse possedere — e non abbia in verità posseduto
fin dal principio — un sistema « rituale » proprio. Esistevano certamente
dei riti, dei quali ricorre il nome fin dagli scritti apostolici (battesimo, fra
zione del pane o cena del Signore-Eucaristia, imposizione delle mani, ecc.) ;
ma essi non erano tuttavia una « Liturgia » nel senso dell’A T e tanto meno
della religione pagana. Non erano infatti gesti o azioni « ceremoniali »
intesi come mezzi atti a onorare Dio per se stessi. I riti cristiani erano fin
dal principio l’espressione perfetta e unica del culto « spirituale », perché
erano « segni-sintesi » di un momento salvifico, e cioè segni nei quali si con
densava allo stesso tempo la presenza santificatrice del mistero di Cristo e la
presenza santificata dei fedeli. Il rito cristiano ha infatti avuto sempre lo scopo
diretto di consacrare e santificare l’uomo, affinché questi diventasse in tal
modo nella sua stessa propria persona — insieme con Cristo e per Cristo —
e non per un simbolo sostitutivo, « sacrificio-altare-tempio » di Dio,
ossia realtà e luogo spirituale del culto di Dio. I riti cristiani erano infatti pro
priamente sacramenti e misteri. In altre parole: i riti cristiani erano veramente
una « novità » in materia di culto, perché questo non risultava un’azione
organizzata a fianco della vita, ma costituiva la ragione stessa dell’essere
cristiani, cioè creava uomini che vivevano in Cristo h
2 Sintomi di involuzione
1 Per una magnifica sintesi teologica di cristianesimo-liturgia cfr., per es. Eusebio di Cesarea,
Demonstr. evang.j io: PG 22, 83-94.
2 Epist. ad Diognetum. 5, 1-4 e 6, 1.
3 Ibidem, 6, 4.
4 Ibidem, 7, 1.
5 Ibidem, 4, 6*
0 Tertulliano, Apologo 37, 4: «Siamo di ieri, ma abbiamo riempito il mondo e tutte le vostre
istituzioni... lasciando a voi solo i templi ».
54 parte I - capitolo II
Il passaggio, registrato a Roma sul finire del secolo ni, dalla lingua greca
a quella latina nella Liturgia, non avvenne per semplice traduzione di testi
anteriori — se ne esistevano (vedi appresso) — ma fu un adattamento e
spesso una vera creazione, in vista delle esigenze proprie della mentalità la
tina e romana. Questo non poteva non comportare un avvicinamento a
formule cultuali più congeniali al « genio » romano sia sul piano linguistico-
stilistico 8 sia, pur troppo, sul piano della mentalità e talvolta del contenuto.
Per il contenuto basti pensare al canone romano, nel quale l’originale linea
« eucarìstica » o di « preghiera di ringraziamento », ha ceduto il posto a
quella direttamente « sacrificale » che è diventata dominante4, e il conte
nuto « anamnètico », che prima comprendeva tutta la « storia della sal
vezza » a cominciare dal momento « cosmico » di essa fino all’adempimento
del « mistero di Cristo » nella sua totalità dall’Incarnazione alla Parusia,
è stato ristretto al solo « memoriale » della « passione-risurrezione-ascen-
sione », nel quale appunto il momento « sacrificale » appare con maggiore
evidenza. Ma se il contenuto risulta, sotto questi aspetti, mancante, esso si
è accresciuto di un elemento nuovo, fornito dalla mentalità giuridico formale,
che il romano porta anche nel culto. In questo tempo va sempre più in
disuso il principio e la pratica della « improvvisazione » liturgica, che fino
allora era tipica del culto cristiano non solo per primitivi addentellati « ca
rismatici » 1 ma perché rispecchiava un carattere proprio della preghiera
« nello spirito » ossia del culto spirituale: nascita spontanea della preghiera
dalla presenza dello Spirito in noi, senza formulazioni studiate e fisse (Rom
8, 15. 26). 11 fatto, che di certo non si deve spiegare come un venir meno
dello Spirito, era nondimeno un adattamento ad una precisa mentalità, che
era corrente nel mondo romano a proposito della preghiera svolta nell5azione
cultuale, e che corrispondeva all’idea secondo la quale la preghiera doveva
essere espressa non solo « solemnibus verbis », ma anche « conceptis, certis verbis »,
ossia con solennità di espressione e in più con parole adeguatamente pensate
e precise nel loro significato 12. Era la mentalità giuridica#— congiunta, sullo
sfondo, al valore « magico » della parola — che riteneva valido anche nel rap
porto cultuale il principio stabilito dalla « Legge delle X II Tavole » romane:
« Il diritto è legato alla parola nella sua espressione » 3 e che portava di con
seguenza all’uso di fissare nello scritto le formule cultuali, magari con la
conseguenza che col tempo si continuarono a recitare preghiere che nes
suno comprendeva4. Questo fissismo delle formule, così rigido in campo
giuridico che « vel qui minimum errasset, litem perderet » 6, era applicato scru
polosamente anche nella preghiera cultuale, al punto da richiedere che il
celebrante del sacrificio dovesse essere assistito da un « suggeritore » [praeco)
il quale « de scripto praeiret » 6.
Tertulliano già aveva rilevato che questa dipendenza del culto pagano
dalla parola scritta non era condivisa dai cristiani, i quali pregavano « senza
suggeritore appunto perché la loro preghiera scaturiva dalVintimo » 7. Ma già
al secolo m non si è più sullo stesso piano. Ippolito, riferendo nella sua Tra
ditio apostolica tutta una serie di formule liturgiche, avverte certamente che
questo non avviene perché esse siano ripetute « a memoria » 8, ma il fatto
stesso che le formule vengano fissate nello scritto è significativo. C 5è la preoc
cupazione di conservare una « tradizione », che si sente minacciata da pos
sibili infiltrazioni di errore, frutto di ignoranza 9, e sotto questo punto di
vista si è certo ben lontani dal dover dare a questo lavoro di fissaggio reda
zionale della preghiera cristiana quel sottofondo magico che esigeva, nella
religione pagana, l’uso di «libelli». È tuttavia innegabile un fatto: se
nell’uso cultuale i « libelli » nascono dal timore di un errore, che nel cristia-
1 Didachéy io, 7: « Ai profeti permettete di protrarre l’Eucarestia per quanto tempo vogliono »;
Ippolito, Traditio aposta 9, ed. Botte, 28: « I l vescovo faccia la prece di Eucarestia come è detto;
non è però assolutamente necessario che dica le stesse parole scritte da noi... ma ognuno preghi
secondo la propria capacità. Se c’è chi è capace di fare una prece lunga e solenne, bene; ma non
è vietato a uno di fare una prece moderata. L ’importante è che la sua prece sia secondo la sana
ortodossia ».
2 Cfr. K . Latte, Rómische Religionsgeschichte, Miinchen i960, 62. Sulle formule: «sollemnibus,
conceptis, certis verbis» cfr. B. Brissomus, De formulis et sollemnibus libri VII, Frankfurt 1592, 61-64;
108-114.
3 Tav. 6, 1 : « Uti lingua nuncupasset, ita ius esto », cit. in Latte, /. c.
4 Cfr. Quintiliano, Inst. orat.} 1, 6, 40.
5 Secondo il giurista romano Gaio, cit. in Latte, L c.
6 Plinio, Hist. nat., 28, .11. Altri esempi in Brissonius, 0. c., 61; cfr. Latte, L c., che rimanda
a molti passi dello storico Livio.
7 Tertulliano, Apologo 30, 4: «Sursum suspicientes christiani manibus expansis quia innocuis..., sine
monitore quia de pectore oramus, precantes sumus... ».
8 Vedi sopra, nota 1.
9 Ippolito, 0. c.3 1; 43, L c 2 ss. e 102.
56 parte I - capitolo II
In queste espressioni infatti non c’è solo una insistenza, ma c’è soprat
tutto una « precisazione » a tono fortemente giuridico sia sull'oggetto dell’of
ferta (haec), sia sulle qualità che questa deve conseguire sotto l’azione divina.
Troppo lontano ci porterebbe seguire qui lo sviluppo non solo della lingua
liturgica, ma il sorgere di un cerimoniale, che certamente fino al secolo iv
era ignoto al culto cristiano.
Ormai la celebrazione non avviene più nelle « sale » di una casa pri
vata, adibita o per l’occasione o stabilmente a « casa dell’assemblea » [domus
ecclesiae, cfr. Filem i, 2: « Ecclesia quae in domo tua est»), ma comincia a svol
gersi nelle basiliche. Quale che sia il modello a cui o del tutto o principalmente
si riferirono gli architetti del tempo nell’erigere l’edificio, che sotto questo
nome era destinato all’uso del culto cristiano8, è chiaro che tanto nel nome
quanto nella forma, la basilica non voleva, in origine, essere un sinonimo
di « tempio ». In fondo conservava il nome di un edificio profano, ben noto
nell’uso civile tanto pubblico che privato, e nella forma ampia, spaziosa e
libera si distanziava notevolmente dal « tempio », nel quale la aedes (greco
vccò<;) occupava di solito la parte centràle, attorno alla quale girava uno
spazio quasi sempre formato di colonne (disposte in quadrato, in quadrilatero
o in circolo), che altro non era che un ambulacro di accesso all’aedes, dentro
la quale era racchiusa la statua della divinità.
Questa voluta lontananza dal tipico stile architettonico cultuale pagano,
sta indubbiamente a testimoniare una positiva volontà di distanziarsi da
esso, tanto più che il culto cristiano avevà come esigenza assoluta quella di
^Ippolito, ibidem. Cfr. Agostino, De baptismo, 6,25: PL 43, 213 ss.; Concilio di Cartagine del
397, in cui fu presente sant’Agostino : « Et quicunque sibi preces aliunde describit, non iis utatur nisi prius
eas cum instructioribus fratribus contulerit». (E. J. Jonkers, Acta et symbola conciliorum, Leiden 1954, 126).
2 Cfr. Basilio, De Spir. Sanctoy 27, ed. B. Pruche, in « Sources chrét. » 17, 233 ss.
3 Cfr. M. Righetti, Storia liturgicay voi. I, 1964a, 432 ss.
57 verso una teologia della Liturgia
essere un luogo nel quale si potesse radunare un’assemblea che doveva essere
insieme « assemblea della parola » e « assemblea conviviale ». Ciò però
non valse a impedire che la « basilica » si trasformasse in un ambiente son
tuoso e ricco, che certo solo con difficoltà riusciva a testimoniare ancora il
piano « spirituale » del culto cristiano e inevitabilmente cominciò a richia
mare prima l’aspetto « liturgico-esteriore » e poi anche il nome (« tempio »)
degli edifici cultuali non cristiani L
1 Cfr. Itinerarium Aetheriae, 25, 8 (ed. H. Pctré, in « Sources chrét. » 21, 202) : Al secolo iv, nelle
basiliche costantiniane di Gerusalemme « non si vede altro che oro, pietre preziose e seta e broc
cati d’oro... e i vasi liturgici sono tutti d’oro incrostati di pietre preziose... ». In concomitanza
sappiamo che non minori «onori e ricche donazioni» i vescovi ricevevano da Costantino; Eusebio
di Cesarea, Hist. eccl., io, 2, 2, ed. G. Bardy, in « Sources chrét. » 55, 79.
2 Minucio Felice, Octavius, 32, 1.
3 Cipriano, Epist., 45, ed. Campos, Madrid 19642, 499: «In tanto fratrum religiosoque conventus
consedentibus sacerdotibus et altari posito ». Cfr. Acta Thomae, 49, ed. it. di M. Erbetta, Gli apocrifi del N T ,
voi. II: Atti e leggende, Torino 1966, 332: avendo l’apostolo ordinato « al suo ministro di preparare il
pane da consacrare », questi prese, in mancanza eli una mensa, uno « sgabello (subsellium) » e co
pertolo con una tovaglia, vi fu disposto il pane per l’eucarestia {panis benedictionis). Ancora al secolo
iv leggiamo: Optato di Milevi, De schism. Donat., 1 ,1 9 : PL 11, 922 : « Conferta erat ecclesiabopulis, piena
erat cathedra episcopalis, erat altare loco suo»: Agostino, Sermo 132: PL 38, 735: « Mensa... est in
medio constituta. Quid causae est ut mensam videatis et ad epulas non accedatis} ».
58 parte I - capitolo II
decorate in oro finalmente sarà occultato alla vista dai « quattro veli » o
tetravela a, che dovevano nascondere agli occhi dei profani i santi misteri8.
Ecco così ristabilita in pieno la forma esteriore — anche se altro è il
contenuto — della « Liturgia templare » ebraica : si è infatti ricostituito
il «santuario » chiuso da un velo (Es 26, 31-33), dimenticando che proprio
questo si stracciò in due alla morte di Cristo (Mt 27, 51), ad indicare appunto
che l’antica « Liturgia » cedeva il posto al culto del NT.
Il Medioevo
i Giuridismo-esteriorismo liturgico
Le cose non migliorano certo nel basso Medioevo, prima con l’altare-
reliquiario (che nel Barocco si trasforma in altare-sostegno di busti-reli
quiari e di statue), e poi con l’altare a dossale (che dal Barocco in poi dà
origine alla grande «pala o quadro d’altare»). Così si crea — e si molti
plica — l’altare devozionale, che accentra l’attenzione sulle reliquie e sui
Santi, e non ha più lo scopo diretto di servire da « mensa del Signore » per
la comunità, ma sarà il luogo da cui si esporrà a venerazione il santo: si
dirà infatti: «altare della Madonna», «altare di san Giovanni», ecc.
Questo fenomeno di distacco dal significato di « mensa » sarà accentuato,
o col porre l’altare su un piano sopraelevato, formante il « presbiterio »,
al quale si accede per molti gradini, o col relegarlo al fondo dell’abside (Ba
rocco). L ’una e l’altra soluzione, creando un ampio spazio attorno e davanti
all’altare, fanno di questo il luogo adatto di una « Liturgia » solenne e son
tuosa, alla quale ormai il popolo assisterà dal basso o da lontano, come ad
uno spettacolo. Viene così radicalizzata la distinzione tra clero, che fa la Liturgia,
e popolo, che assiste alla Liturgia, e in più viene resa non solo materialmente
e funzionalmente difficile la partecipazione vera (sacramentale) del popolo,
ma si crea sempre più profondo — sul piano psicologico — il punto di rot
tura tra Liturgia (ormai clericalizzata nella forma e monopolizzata nell’eser
cizio) di coloro che si dicono « ministri », ma in realtà sono i padroni esclu
sivi di essa, e popolo, che nelle devozioni ai Santi cercherà il surrogato ad una
Liturgia sontuosa, signorile nel linguaggio (ignoto) e nella forma (incompresa),
e posta ormai lontana non solo spiritualmente ma anche materialmente.
Che cosa è diventato il cerimoniale di una messa papale al secolo vi -vii
si può avere un’idea leggendo YOrdo Romanus / 4: non è null’altro che un
groviglio intricatissimo di nomi e di movimenti5, dove la volontà di « fare
spettacolo » non è meno evidente dell’intenzione di imporre un’aureola di1
1 Liber PontijìcaliSj ed. Duchesne, voi. II. 120. Lo stesso nome: palliotto d’altare con la sua
radice nel latino pallium, ci parla ancora di « veste ».
2 Ibidem.
3 Cfr. Giovanni Crisostomo, h'pisl. ad Eph. hom., 4: PG 62, 29.
4 Andrieu, Les Ordines Romani, II, Louvain i960, 67-108.
5 Si legga, per cs., l’ingresso alla messa: « Ritorna il quarto cantore annunciando che il
Papa dà alla scuola l’ordine di cominciare il canto. La Schola si dispone in due file, davanti
alPaltare, con i parafonisti nelle ali esterne delle file. Appena il canto sarà intonato, i diaconi
entrano in sacrestia per avvertire e allora il Papa accompagnato dall’arcidiacono e da un secondo
diacono esce, preceduto da im suddiacono con l’incenso e da sette accoliti con le candele. Prima
di giungere all’altare i diaconi si tolgono le pianelr (restano in dalmatica) c le consegnano al
59 verso una teologia della Liturgia
« sacralità » sulle persone e sulle cose, che entrano nell5azione cultuale. Ecco
come si veniva involvendo il « culto cristiano », ritornato « Liturgia », e
cioè una forma esteriore di culto, che dello « spettacolo » e della « sacra
lità » si era sempre servita — a Gerusalemme, come a Babilonia e a Roma
— per farsi rispettare in ammirata lontananza.
suddiacono regionale, il quale le passa agli accoliti della regione che hanno turno di servizio in
quei giorno, ecc. Ed ecco i “ passaggi ” che deve fare la patena: cominciando il canone, la tiene
con velo sulle mani un accolito. A metà canone la prende, coprendosi le mani con la pianeta,
il suddiacono secondo, che, dopo un po’, la passa al suddiacono regionale. Questi si mette dietro
l’arcidiacono, il quale — dopo aver detto “ ab omni perturbatione securi ” — la bacia e, presala
dal suddiacono, la dà a tenere al diacono secondò». Cfr. Ordo Rom., I, L c., 97-98.
1 Cfr. Tanquerey-Quevastre, Brevior synopsis Theologiae moralis et pastoralis, Roma 192o2, 260
n. 710: « Num insuper requiratur intentio interna seu applicatio mentis ad ea quae dicuntur, negant alii,
quia externe attentus agit sufficienter ut minister Ecclesiae et publice orat... Aliunde, iuxta omnes, non
requiritur attentio intellectualis seu ad sensum verborum, nec affectiva, quae concipit affieclus expressos, nec
mystica, quae mysteria meditatur; sed sufficit attentio verbalis seu ad verba rite pronuntianda ».
60 parte I - capitolo II
altra « legge », cioè esternamente. Così, pei es., la messa come azione « li
turgica » esige dal fedele di « vedere la cerimonia » con la generica intenzione
di rendere onore a Dio e cori attenzione esterna b
Questa situazione ne creava di conseguenza altre. Essendo la Liturgia
da una parte il fatto esteriore del culto e dall’altra una cosa riservata al prete,
avveniva che a) la Liturgia era tanto più tale, quanto maggiore era il ri
salto esterno del rito, b) tanto più di retribuzione si doveva al prete, quanto
più gli si chiedeva in sfarzo esteriore. Si corre così sempre più verso una
inflazione « liturgica », nella quale l’apparato esteriore sempre maggiore è
in rapporto alla incomprensibilità sempre più profonda dei riti. Allo stesso
tempo si creano nuovi motivi — non di rado superstiziosi — per molti
plicare le celebrazioni liturgiche, per le quali si fissavano accuratamente le
« offerte » da parte del popolo.
Il valore puramente esteriore, ma quasi magico, del rito liturgico, tocca
il suo vertice nella cosiddetta missa sicca c nella missa bifadata, tri-quatrifa-
ciata, che erano due forme diverse di eludere la proibizione di celebrare più
messe per al trettanti sti pendi . Si trovò al l ora il m o d o di c e l e b r a r e un rito
che esternamente sembrava, ma non era una messa e prendere così ogni volta
l’offerta, senza cadere nelle sanzioni della legge che vietava la celebrazione
di più messe. Delle due, la missa sicca abbastanza generalmente diffusa e
conosciuta molto anche in Italia era la più tollerata e talvolta perfino rac
comandata, almeno per evitare 12 la missa bi-tri-quatrifadata. Essa consisteva
nel ripetere, stando in genere fermi a un lato dell’altare, tutti i formulari
della messa ad eccezione della « preghiera sulle offerte » ma tuttavia com
preso il rito deH’offertorio 3; detto il prefazio col Sanctus, si ometteva il ca
none, passando direttamente al Pater noster, c aIVAgnus Dei; omessa natu
ralmente la comunione, si diceva tuttavia sia l’antifona che la preghiera dopo
la comunione, concludendo con Ite, missa est, e il Vangelo di san Giovanni.
Un famoso testo di pastorale del secolo xv, la raccomanda nei giorni di
pellegrinaggio ad un santuario, consigliando che alla elevazione (per non
« elevare » il pane non consacrato) si facesse l’ostensione di una qualche
reliquia4, c perfino il Sacerdotale Romanum del Castellani, uno dei primi
modelli di « Rituale », ancora nell’edizione del 1585 « rivista e corretta a
norma del Concilio di Trento », ci descrive, senza batter ciglio, la missa
sicca, come mezzo o di soddisfare in quaresima alla « propria devozione »
con la doppia messa (feria e santo) o « pro populorum devotione » in caso
di viaggio in nave (missa marina - fluvialis), o anche per un infermo5.
La missa bi-tri-quatrifadata avveniva invece così: si cominciava la messa
e la si portava fino aH’offertorio, poi se ne cominciava una seconda fino
1 Cfr. Tanqucrey-Quevastrc, o. c 1 19, 11. 311, secondo cui all’adempimento del precetto basta
una presenza corporale, che possa essere ritenuta unione morale al sacerdote celebrante, c tale si ha
quando uno è « intra ecclesiam » oppure « in sacristía » o anche « extra ecclesiam sed prope iamiam »,
o « in domo proxima ex qua videant caeremoniam ». Quanto poi alla seconda condizione richiesta e cioè
una « assistentia religiosa ». questa esige, per essere tale, un 'intenzione implicita di rendere onore a Dio
e un'attenzione esterna.
2 Cosi almeno da parte di qualche vescovo animato da spirito riformatore. Cfr. A. Franz,
Die Messe im deutschen Millelalter, ristampa i 1 ed., Darmstadt 1963, 80,
3 Durandus, Rationale divinorum officiorum, IV, 1, 23, ed. Lione 1551, f. 55. dice: «Accipiat
omnes vestes sacerdotales et missam suo ordine celebret usque finem offerendae, dimittens secretam
quae ad sacrificium pertinet ».
4 G. de Mont-Rocher, Manipulus curatorum, 4, 7, citato in Franz, 0. c., 81, nota 3.
5 Sacerdotale Romanum ad consuetudinem sanctae romanae ecclesiae..., cc. 46-48, Venetiis 1585, f. 93V-94.
61 verso una teologia della Liturgia
Non si deve pensare che non vi fossero delle reazioni contro questa men
talità « materialista » della Liturgia. La letteratura medievale è certamente
molto ricca proprio in campo liturgico 7, perché questo era per l’appunto
il veicolo più diretto che il popolo aveva con la verità della sua fede. M a
la stessa letteratura medioevale teologicamente migliore non raggiungeva
che pochi lettori capaci, e d’altra parte non è dato scoprire che si facessero
tentativi di « teologia » della Liturgia; non si ha cioè uno sguardo comples
sivo sul valore e sul significato della Liturgia in rapporto alla fede e alla vita
cristiana, e ci si contenta di spiegare o storicamente o allegoricamente i di
versi riti su un piano che difficilmente raggiunge il popolo 8.
Scorrendo però la storia della Liturgia si può notare che, dal Medio
evo in poi, in pratica si sono seguite due direttrici principali, che su due
1 Cfr. Durandus, o. c., 24, che definisce la cosa come uso «detestabile»; proibizioni sinodali
al riguardo vengono segnalate già al secolo xn-xm da Franz, 0. c., 85 ss.
2 Mentre tra i cattolici la « missa sicca » — definita « messa senza grazia e senza sugo » da
Pietro Cantore, Verbum abbreviatum, 28, cit. in Franz, 0. c., 80 — era un abuso introdotto allo scopo
di evadere la proibizione di celebrare più di un messa, presso i protestanti aveva tutt’altro motivo.
Stante la negazione del valore sacrificale della messa, che valeva solo come « rito di comunione »,
avveniva che se non vi erano fedeli che comunicavano, si ritenesse giustificato non procedere alla
« consacrazione », mantenendo così l’abuso della « missa sicca » anche in occasione di una cele
brazione festiva parrocchiale.
3J. Eck, Apologia..., Ingolstadt 1542, f. L III-L IV : «Nonne hoc est... spectaculi more simulari id
quod in veritate non agitur?». Cfr. Franz, 0. c., 84, nota 1.
4 Cfr. Franz, 0. c., 28 ss., 90 ss.; J. Huizinga, Uautunno del medioevo, Firenze 1966, 220 ss.
5 Franz, 0. c., 25, 35.
6 Biga salutisi Sermo 84, in Franz, 0. c., 25, nota 1.
7 Vedi per es., M. Righetti, Storia Liturgica, voi. I, Milano 19643, 83-86.
8 Spesso fanno eccezione alcune, tra le molte, Explicationes Missae medievali, che sono notevoli
sul piano teologico-spirituale. Cfr. Franz, 0. c., 333-617.
62 parte I - capitolo II
1 Floro di Lione, Opusculum adv. Amalarium, i, ¡2-4: PL 119, 73, acerrimo oppositore dell’alle-
gorismo amalariano riassume così alcune delle « pazze fantasie », come egli le chiama, del vescovo
di Metz. Cfr. Amalarius, Liber officialis, 3, 23, 3-4; 26, 6. 9. 19, ed. Hanssens, Amalarii episcopi opera
liturgica omnia, voi. II (Studi e testi, 139). 1958, 330; 345; 346; 349.
2 Fa eccezione, a parte qualcuna delle migliori tra le Expositiones missae, Alberto Magno nel suo
Opus de mysterio missae, dove con veemenza e sarcasmo parla contro le interpretazioni allegoriche
correnti ai suo tempo e alle quali erano sfuggiti solo in parte anche grandi spiriti come Innocenzo III,
De sacro altaris mysterio : PL 217, 773-914. e Tommaso d’Aquino, Summa TheoL, III, q. 83, a. 5 ad
3; ad 6-9.
3 Durandus, Rationale div. off., I, 1, 21-28, Lione 1551, f. 4V-5.
64 parte I - capitolo II
Questi esempi possono dare un’idea di quel che era Yallegorismo liturgico
medioevale. Mancava una catechesi liturgica, perché mancava una teologia
della Liturgia; ma per creare comunque un interesse all’azione liturgica si
ricorreva a queste fantastiche elucubrazioni, fatte di strani accostamenti
e richiami biblici. Ma a questa ragione — che era certamente la fonda-
mentale, ma anche forse la meno avvertita — se ne aggiungeva un’altra.
Vero frutto della superstiziosa sacralizzazione e clerìcalizzazione del culto, la
Liturgia apparteneva al clero e di essa « quel che si può far conoscere e dire
ai laici, si condensa in 3 capitoli: sulle vesti, sui gesti (j baci; 5 giri verso il
popolo, 4 inchinazioni, 25 croci, poi lo spostarsi da una parte all’altra del
l’altare e l’estensione delle mani) e sul perché le parole vengano dette al
cune ad alta voce, altre a voce sommessa » 3.
La Liturgia era diventata sempre più spettacolo, eseguito oltretutto in
una lingua sconosciuta, e di conseguenza ci si preoccupava che tutto quello
che esteriormente potesse essere percepito dal popolo fosse spiegato. M a era
evidentemente una spiegazione, che per la sua stessa strana complicazione —
per non parlare di « contraffazione e derisione », come già diceva Alberto
M agno4 — poteva accrescere il senso di mistero che circondava la Liturgia,
già materialmente allontanata dal popolo (transenne, cortine, altare o so
praelevato o separato dal popolo per mezzo del coro) creando un’atmosfera
religiosa che si muoveva tra i poli del « tremendum » e del « numinosum »
1 Ibidem, IV , 5 , 8, /. c., f. 5 9 V .
2 Ibidem, IV , 4.0, 3-6, l. c., f. 98 ss. Cfr. S. Tommaso, Summa TheoL, I I I, q. 83, a. 5 ad 3, che
indica ben nove significati dei « segni di croce », che il celebrante fa durante il Canone della messa.
3 Da un codice del 1300 conservato a Graz e citato da Franz, 0. c., 631, nota 3.
4 Cfr. le citazioni in Franz, 0. c.} 471 ss.
65 verso tuia teologia della Liturgia
1 Anche se il discorso riguarda immediatamente l’Italia, esso in realtà c valido per tutta
l’Europa, che ha conosciuto uguali o analoghi movimenti.
2 II fenomeno non è particolare all’Italia, perché analoga origine e funzione hanno le can
tigai in Spagna, e le virelai nella Francia meridionale.
66 parte I - capitolo II
I li epoca moderna
1 L ’Abate benedettino Ludovico Barbo (1381-1443), la cui riforma monastica (detta di S. Giu
stina, Padova) influenzerà fortemente il monacheSimo austro-tedesco e spagnolo, metterà alla base
del suo movimento il proprio libro Forma orationis et meditationis. L ’altro Abate benedettino spa
gnolo (Montserrat) García De Cisneros (1455-15io) farà ugualmente perno sulla meditazione sia
nel suo Exercitatorio de la vida spiritual che nel suo Directorio nel quale insegnerà ai monaci a tra
sformare la Liturgia in meditazione.
68 parte 1 - capitolo II
punio di sutura, che pure cercava, con lam ica Chiesa, li il latto ebbe come
conseguenza sia un impoverimento, che pesò gravemente sulla preghiera
della Chiesa, sia la definitiva perdita di quella grande e complessiva visione
eucaristica dell5avvenimento salvifico, che era stata propria dell’antica Chiesa,
e della quale purtroppo non era stato più completamente capace il Medio
evo » h Qiiando al secolo xvm « il pietismo e l’illuminismo scossero alla ra
dice gli antichi fondamenti dogmatici, si ebbe di conseguenza anche il tra
monto definitivo della Liturgia, a parte una sua certa sopravvivenza come
di vecchia cosa da museo » 12.
Era la riprova che una riforma liturgica non si poteva raggiungere senza
una teologia del culto cristiano come tale. Il tentativo di giungere ad un culto
autentico passando solo per il piano psicologico, se nella riforma cattolica por
terà infatti alla Liturgia dell’epoca barocca, che sarà solo degna figlia, un
po’ ripulita, di quella medioevale; nella riforma protestante la Liturgia
sarà annientata definitivamente da quelle stesse forze psicologiche (pietismo)
con le quali si voleva riportare al suo primitivo significato.
1 Una buona bibliografia al riguardo si trova in M. Righetti, Storia liturgica, voi. I, 19643,
86*99.
2 Sess. V I (a. 1547): sacramenti in genere, Battesimo, Confermazione; Sess. X III (a. 1551):
Eucarestia; Sess. X IV (stesso anno): Penitenza ed Estrema Unzione; Sess. X X I I (a.^ 1562): Sa*
orificio della messa; Sess. X X III (a. 1563): Ordine; Sess. X X I V (stesso anno): Matrimonio.
3 Cfr. Canones et decreta Concilii tridentini, Napoli 18723, 128 ss\ ; Alberigo, o.c., 712 ss.
4 Canones et decreta... 0. c., 471; Alberigo, o.c., 773.
71 verso una teologia della Liturgia
1 Per queste affermazioni cfr. i testi del Duguet e del Letourneux riportati dal Bremond, o. c
155 ; 159-154. Il Letourneux fu alla fine del secolo xvii uno dei maggiori esponenti di un ritorno
ad una comprensione teologica della Liturgia, soprattutto con le sue due opere: L'année chrétienne,
1677-1686 (censurato da Roma nel 1671 sempre a causa della «traduzione» del Canone) e La
meilleure manière d'entendre la Messe, 1685.
2 Per la Controversia di Crema, cfr. : B. Volpi, Storia della celebre controversia di Crema, Venezia
1790; B. Matteucci, Controversia sulla comunione liturgica e il giansenismo italiano, in «Rivista del Clero
italiano» 18, 1937, 203-208; Idem, Comunione liturgica, in «F ides» 40, 1940, 515-522; A. M er
cati, Un biglietto inedito del Muratori in occasione della controversia di Crema, in « Rivista della storia
della Chiesa in Italia» 2, 1948, 403-411; L. Paladini, La controversia della comunione nella messay in
«Miscellanea liturg. in honorem L. C. Mohlberg », voi. 1 (Roma 1948), 347-371; voi. 2 (1949).
341-347. In proposito una tesi (dattiloscritta) presentata al Pontif istituto Liturgico S. Anseimo
di Roma da J. Devos, De controverse rond de « volmaaktere deelname » van den gelovigen aan het misojjer
in de i8e eeuw, Roma 1969, è corredata dalla pubblicazione di numerosissimi documenti inediti,
raccolti in un II voi. di fonti per complessive 297 pagine.
#3 A. L. Muratori, Della regolata devozione dei cristiani, Roma 1957, 151. Sul Muratori cfr. L. Bran
dolini, L. A . Muratori precursore del movimento liturgico italiano, Roma 1956, 550, tesi (dattiloscritta)
presentata al Pontif. Istituto Liturgico S. Anseimo, Roma e pubblicata in estratto in EphLit 81,
i 96 7> 333-375 ; 82, *968, 81-118.
4 Muratori, 0. r., 142 ss.
5 Idem, 0. r., 148*150.
"Idem , 0. c., 16, 88, e 151.
73 verso una teologia della Liturgia
D ’altra parte si profila ormai nella storia del pensiero europeo Vorizzonte
romantico che così forte incidenza avrà nella letteratura e nell’arte. Si può
dire che nella seconda metà del secolo x v i i i sul piano religioso — anche
se solo a livello di dotti — tutti gli studi ecclesiastici e non solo quelli li-
1 Tra i principali autori, segnaliamo: il teatino italiano card. Tornasi (| 1713) con Codic
sacramentorum nongentis annis vetustiores, Romae 1680, pubblica per la prima volta il sacramentario
così detto gelasiano e tre libri gallicani, detti: Missale gallicanum, Missale Francorum e Missale gal-
licanum vetus (benché non si tratti di « messali » in senso plenario, ma solo di « sacramentari ») ;
seguirono: Responsorialia et antiphonalia ramarne ecclesiae, Romae 1686, e Antiqui libri missarum ro
mánete ecclesiae, Romae 1691. (Altra edizione fu curata dal Vezzosi nelle Opera omnia del Tornasi,
Romae 1748-1754). Il benedettino francese G. Mabillon (| 1707), che nella sua Liturgia gallicana,
Parisiis 1685, riprende i testi gallicani del Tornasi, in edizione migliorata, con l’aggiunta di altre
fonti ancora inedite; fece poi seguire il Museum italicum, 2 voli., Parisiis 1687-1689, in cui pubblica,
in aggiunta al già noto Ordo romanus vulgatus (ed. Cassander, 1561 e Hittorpius, 1568), tutta una
serie di altri Ordines romani, ossia « Direttori » per la celebrazione della messa, dei sacramenti
e dell’uiTicio. Un altro benedettino francese E. Martène (j 1739) pubblica c studia molti mano
scritti liturgici in due famose opere: De antiquis monachorum ritibus, Lione 1690 e De antiquis Ec
clesiae ritibus, Rouen 1700-1702. L ’oratoriano italiano G. Bianchini (I 1764) in appendice alla sua
ediz. Anastasii Bibliothecarii de vitis romanorum pontificum (conosciuto sotto il nome di Liber Pontifi
calis), Romae 1728, pubblica la preziosissima collezione di messe, che va sotto il nome di Sacra
mentario Leoniano (per l’attribuzione da lui fattane al papa Leone Magno) o Veronense (per il luogo
dove fu scoperto: biblioteca capitolare di Verona). L ’importanza che si diede alle scoperte di questi
antichi testi liturgici risalta già dal fatto che il Muratori (f 1750) volle fare una pubblicazione
completa di tutti i Sacramentari allora conosciuti, romani e gallicani nella opera: Liturgia romana
vetus. Venetiis 1748, con l’intento esplicito di poter offrire con questi testi materiale per uno studio
teologico-apologetico della messa come « sacrificio ». Alle fonti bisogna poi aggiungere gli studi dei quali
molti sono tentativi encomiabili di penetrazione nello spirito della Liturgia, benché si muovano
prevalentemente sul piano storico. c quando entrano in quello teologico tendono a interpretare le
antiche fonti soprattutto in senso dottrinai ^-apologetico antiprotestante. Meritano particolare ri
lievo: l’italiano cistercense card. Bona (f 1674), Rerum liturgicarum libri duo e De divina psalmodia,
in Opera omnia. Anversa 1739, che furono certamente tra gli studi più accurati e letti dell’epoca ;
l’oratoriano francese L. Thomassin (| 1695'/, famoso per parecchie sue opere, ma soprattutto per
il suo Traite de Voffice divin, Paris 1686. in cui riaffiora il problema con cui si apriva l’epoca
moderna: Meditazione 0 Liturgia? c l’A. lo risolve mostrando come e perché la Liturgia possa
e debba essere meditazione; l’altro oratoriano francese P. Lebrun (f 1729), Explication littérale,
historique et dogmatique de la Messe, con l’appendice di molte Disserlations historiques et dogmatiques,
varie di contenuto c di valore (difende tra l’altro il «secreto dei misteri»), Paris 1727 (trad.
it. da parte di A. M. Donado, già nel 1734, a Verona nel 17523) ; il francese G. Grandcolas (f 1732),
Antiquité des cérémonies qui se pratiquent dans Vadministration des Sacrements, Paris 1692; Les ancienner
liturgies, 3 voli., Paris 1697-1704 (uno studio sullo sviluppo storico della messa attraverso i secoli);
Commentaire hisiorique sur le Brcviaire romain, Paris 1727; il papa Benedetto X IV (t 1758), De festis
D. .Y. fé su Christi, et B. Mariae Virginis, Patavii 1745 e De sacrosancto missae sacrificio, Romae 1748,
opera nella quale si scorge troppo di frequente un’informazione di seconda mano e anche abba
stanza limitata, in nulla paragonabile per es. al Bona. A questo papa si deve ad ogni modo, la
prima cattedra di Liturgia («Accadem ia liturgica») affidata al gesuita portoghese De Azevedo (no
vembre 1748), con 4 anni di corso e con un complesso di materie che superavano di molto il
puro aspetto cerimoniale e rubricale (vedi il discorso d’inaugurazione e la lezione introduttoria
del corso, da parte dell’Azevedo, in Benedetto X IV . De sacrosancto missae sacrificio, Patavii 17553,
ad uso della scuola suddetta).
74 parte I - capitolo II
turgici, col loro orientamento verso Fantichità, avevano in certo senso an
ticipato il processo romantico, almeno per quel che riguarda il suo sforzo
di comprendere la cultura moderna riagganciandola al Medioevo e quindi
non fu un fatto strano che proprio al tempo del romanticismo si avessero
i prodromi di quello che si chiamerà « Movimento liturgico ».
A metà del secolo xix, e cioè in pieno romanticismo, Fabate benedettino
P. Guéranger (1805-1877) che, dopo la devastazione della Rivoluzione fran
cese, rifonda la vita monastica in Francia, è anche colui che praticamente
tira, in campo liturgico, le fila del lavoro che i predecessori del secolo xvm
avevano fatto, e coraggiosamente fa della Liturgia la grande missione della
sua vita. Per lui « la Liturgia è la preghiera della Chiesa » preghiera
che nasce tutta dallo Spirito Santo, vero ispiratore del canto del salmista
e dei profeti, dei cantici della Nuova Alleanza e finalmente del « “ cantico
nuovo 55 intonato dalla Chiesa. Da questa triplice fonte, aperta dallo Spi
rito, emana Felemento divino chiamato Liturgia » 12. Dietro la pacifica
affermazione di Guéranger, c’è tutto un retroscena storico. Così dicendo
infatti egli vuole ritrovare il tipo vero della preghiera cristiana, perdutosi
— egli diceva — attraverso i secoli, poiché già prima del « razionalismo »
del secolo xvi i fedeli ormai da molto « non si univano più esternamente alla
preghiera della Chiesa se non nelle domeniche e nei giorni festivi..., sempre
più dimenticando ciò che era stato forte nutrimento ai loro padri. Entrò la
preghiera individuale al luogo della sociale e il canto.., fu riservato ai giorni solenni » 8.
Poi venne la Riforma, poi il razionalismo e « i paesi cattolici si trovavano in
braccio a questo spirito d’orgoglio nemico della preghiera: La preghiera
non è azione, dicono » 4. Sintetizzando poi gli sforzi spirituali dei secoli
precedenti continuava: « A porre rimedio ad un malessere indefinibile si
fe3 ricorso allo spirito di preghiera e alla preghiera stessa secondo dati metodi
in libri che contengono, è vero, pensieri lodevoli e pii, ma pensieri umani.
Tal nutrimento è vuoto perché non conduce alla preghiera della Chiesa, separa
invece di unire » 5. Egli vuole quindi affermare « Fincontestabile superiorità
della preghiera liturgica sopra Findividuale » 6, perché « Gesù Cristo stesso
è mezzo ed oggetto della Liturgia ».
Ci sembra che si possa dire che il Guéranger nel considerare la Liturgia
si ponga più sul piano della « spiritualità » che su quello della « teologia »,
anche se è sottolineata la nota tradizionale e sociale della Liturgia, nel pre
sentarla come «preghiera della Chiesa». In fondo è questione di una forma
di preghiera della quale si afferma la superiorità su un3altra forma, che per
il fatto di essere « individuale », finisce di « separare invece di unire ». Cer
tamente in lui il piano « spirituale » si arricchisce di un elemento « teo
logico », ma questo rimane li, non sfruttato, perché in fondo tutto è visto
a livello « psicologico », non escluso Cristo stesso, « mezzo e oggetto della
Liturgia». Quindi col Guéranger non c3è un apporto positivo sufficiente-
mente valido per una teologia della Liturgia, e l’amore che per la Liturgia egli
1 P. Guéranger, Vannée liturgique, voi. I, citato secondo la traduzione italiana (apparsa ano
nima): Vanno liturgico, voi. I, Torino 1884, 2.
2 Idem, 1. c.
3 Idem, /. c.j 3 ss.
4 Idem, K c., 5.
3 Idem, /. c., 6 ss.
ñ Idem, l.c.y 7.
15 verso una teologia della Liturgia
1 Ibidem, 79-87.
2 Quando Beauduin parla di sacerdozio della Chiesa, stranar lente « Chiesa » assume un signi
ficato solo « gerarchico-ministeriale », come può vedersi nella spiegazione dei tre momenti in cui
si esprime il sacerdozio di Cristo nella Chiesa. Nello spiegare infatti il momento « collettivo », questo
viene ricondotto al fatto che tutti siamo in Cristo e quindi Cristo ^ isce per tutti. M a si ha l’impres-
sione che Beauduin sfugga alla conclusione logica delle sue affermazioni e cioè che tutti agiamo sa
cerdotalmente in Cristo. Questo avrebbe portato alla conseguenza che tutti hanno in Cristo un vero sa
cerdozio (« sacerdozio universale »), cosa che egli dichiara doversi trattare « con circospezione »,
perché « dopo il protestantesimo è un’espressione pericolosa, capace di falsare le mentalità » (/„ c.,
07). Del resto Tidentificaziope di «sacerdozio della Chiesa» con «sacerdozio gerarchico» è ine
quivocabile e frequentissima in Beauduin, /. c„, 87, 93, 2 e soprattutto in La piété de l'Eglise, 11 ss.,
dove apertamente tra l’altro descrive « la Liturgia come Topera sacerdotale della gerarchia visibile ».
3 Uno di coloro che meglio videro l’importanza della posizione del Beauduin fu, in Italia,
il benedettino E. Caronti, che con i suoi articoli su «Rivista Liturgica» 1, 1914, ripresi poi
nel volume La pietà liturgica, Torino 1920, accetta e sviluppa in pieno la linea teologica della li
turgia presentata dal Beauduin.
4 H. Schmidt, Introductio in Liturgiam occidentalem, i960, 48-60 riporta con le parole e le spie
gazioni degli autori 30 definizioni, ma si tenga presente che molte di esse sono già chiaramente
influenzate dalla Mediator Dei. A l confronto si può rilevare che tra le definizioni più antiche
quella del Muratori, Liturgia romana vetus, voi. I, Venetiis 1748, col. 1, suona: «Katio colendi
Deum verum per externos legitimos ritus, tum... tum... » e non come è riportata in Schmidt, 0. c., 57,
20: « Liturgia est cultus Ecclesiae tum... tum...», definizione che sarebbe stata, in questo modo, un
anticipo esatto di quella del Beauduin.
5 Cfr. per es., in Schmidt, 0. c., 49 ss. le definizioni di Bouyer, Callewaert, Eisenhofer, Gué-
ranger.
3 Cfr. in Schmidt, 0. c., le definizioni di Cabrol, Noirot.
7 Beauduin, Essai.. , 76.
77 verso una teologia della Liturgia
2. Esiste un rito, detto « mistero », alla base del quale c’è sempre un
mito, e cioè un fatto accaduto o pensato come accaduto nei primordi, che
attraverso i « segni » del rito (mistero) provoca il rinnovarsi del fatto an
tico.
Nella « religione dei misteri » il rito perde gradualmente il suo riferi
mento magico-agrario ossia cosmico, e viene applicato all’uomo e al suo desi
derio di una vita che si «rinnovi sempre» («palingenesia») vincendo la
morte. Nasce così, sul rito agrario-vegetativo, il mistero-soteriologico umano,
cioè un rito col quale si comunica all’uomo la « salvezza » (solerla) con
quistata dall’eroe protagonista del « mistero ». L ’uomo che ha raggiunto
questo, si chiama ed è un « iniziato » (dal latino initia che nella lingua clas
sica traduce il greco mystèria), cioè un uomo « entrato nel mistero della sal
vezza ». Il mistero rappresenta quindi una determinata forma cultuale che,1
1 Così appunto si esprime Beauduin. o. c.. 37: «N ella nostra definizione la nozione di culto
funge da nozione generica, che trova la sua delimitazione specifica nella nozione di Chiesa. Questo
vuol dire che non tutti gli atti di religione sono liturgici, e a questo fine si deve loro aggiungere
un elemento specificante: la Chiesa, che se li deve appropriare, farne cioè il suo proprio culto».
È il procedimento seguito anche da Festugièrc. Oifesl-ce que la liturgie?. Paris 1914, 28.
78 parte I - capitolo II
1 II volume era la risposta ad un invito della « Revue de phiiosophie », che chiedeva uno
studio « sulla natura della preghiera rituale e delle funzioni liturgiche, sulla loro azione e sui loro
effetti psicologici nelle assemblee cultuali dei fedeli cattolici in genere, in quelle monastiche e
soprattutto nei contemplativi giunti ai gradi superiori dell’orazione mistica » (Festugière, La Li-
turgie catholique, 5). E siccome il libro si era rivelato molto critico e demolitore nel confronti di
certe correnti e forme di spiritualità cattolica indiscusse e imperanti, la polemica era divampata vio
lenta per opera del gesuita francese J. Navatel, Uapostolat liturgique et la piété personnelle, in « Etudes »
137, 1913> 449-476. Per la bibliografia più significativa in materia, dr. Schmidt, 0. c., 90-93.
2 ÀAS 39, 1947, 521-600; è riprodotta integralmente in Bugnini, Documenta pontificia ad instau
rationem liturgicam spectantia (1903-1953), Romae 1953, 96-164; la trad. it. edita da: Opera della
Regalità, ed. Paoline, ecc.
3 Mediator Dei, /. r., 524.
80 parte I ~ capitolo II
della Liturgia, una risposta alle nuove esigenze spirituali che si andavano
delineando sotto la spinta di nuove visioni teologiche.
Tuttavia, pur tenendo davanti agli occhi questo sfondo polemico-apo-
logetico dell5Enciclica di Pio X II, — che del resto situa bene il documento
nel suo tempo — , esso non deve impedirci di affermare gli aspetti di posi
tivo progresso di cui si fa promotore nella conoscenza della Liturgia, se non
altro imponendo alla generale attenzione certi elementi che la riflessione
liturgico-teologica andava acquirendo in ambienti sempre più vasti.
1 Ibidem, 532.
- Ibidem, 522.
:J Ibidem, 529.
4 Ibidem, 527.
5 Ibidem, 528.
fl Ibidem, 528.
81 verso una teologia della Liturgia
1 Ibidem, 527.
- Ibidem, 526.
:1 Ibidem, 522 e 527.
1 Ibidem, 528.
5 Ibidem. 529.
« Ibidem.
7 Ibidem, 580.
8 Ibidem.
82 parte I - capitolo II
L ’analisi del pensiero teologico della Mediator Dei sarebbe però incom
pleta se non ne rilevassimo certi punti, che a nostro giudizio sono meno
validi.
1. Per quanto riguarda la presentazione della Liturgia come culto pubblico
(parte I, cap. 1), il documento non è riuscito a staccarsi da uno schema
che, già troppo abusato in teologia, crede di dover sempre prendere le mosse
da una pre-teologia filosofica, e che qui è applicato per stabilire la « na
tura » e il «dovere» del culto. Orbene si deve notare: a) che una deter
minazione della natura e del dovere del culto sul piano naturale, ossia sulla
base dei rapporti che naturalmente intercorrono tra l’uomo e Dio, non può
creare nessun presupposto valido per un discorso teologico sulla Liturgia, quando
questa poi giustamente si definisce come avente la sua origine e la sua ra
gione nell’esercizio sacerdotale di Cristo, che è un « unico », senza paralleli
sul piano naturale; b) che scendendo poi a parlare della differenza che passa
tra culto di religione naturale e culto di religione rivelata, la differenza stessa
è vista solo a livello degli « ordinamenti cultuali » dell’AT, considerati come
« istituzioni divine », che come tali sarebbero espressive del « peculiare
impegno di culto cui è tenuto l’uomo elevato all’ordine soprannaturale » a,
senza invece minimamente avvertire che quegli stessi « ordinamenti cul
tuali » dell’A T hanno un loro carattere « figurativo » di una « realtà »
futura; un aspetto di cui pure si parla3 e che sarebbe stato quello giusto
per impostare il discorso teologico del culto, come « momento della storia
della salvezza », differentemente rivelato e attuato nell’A T e nel NT.12 3
1 Ibidem, 528.
2 Ibidem, 526.
3 Ibidem.
83 verso una teologia della Liturgia
3. A proposito dello stretto legame posto tra Liturgia e Corpo mìstico, bisogna
riconoscere che la pur autorevole affermazione perde gran parte del suo va
lore per il mancato riconoscimento del nesso che intercorre tra Liturgia e
storia della salvezza, già intravisto dal Beauduin e poi così ampiamente con
fermato dal Casel. Né si può dire che neirEnciclica Mediator Dei ciò si deve
ad una volontà di « non intervento » in una questione disputata, quale era
quella caseliana della « presenza delazione salvifica di Cristo » nella Li
turgia. L ’Enciclica conosce infatti questa « presenza » della storia della
salvezza e cioè dei misteri di Cristo nella Liturgia e precisamente nell’anno
liturgico, quando scrive: « L ’anno liturgico non è una fredda e inerte rap
presentazione di cose del tempo passato né semplice e nudo ricordo di cose
d’altri tempi, ma è al contrario Cristo stesso, che perdura nella sua Chiesa,
continuando il cammino della sua immensa misericordia cominciato già
su questa terra..., affinché gli uomini possano venire a contatto dei suoi mi
steri e così in certo modo vivere per mezzo di essi. Ma questi misteri sono con
tinuamente presenti e operanti non in quella maniera incerta e oscura di cui
parlano certi scrittori moderni, bensì come insegna la dottrina cattolica » 2.
Quindi viene affermata una « presenza dei misteri », sia pure non nel senso
di Casel3, e viene spiegata in senso morale e psicologico, come avviene in12 3
1 Di qui il rito della evocatio alla divinità del luogo, prima di muovere all’assalto di esso. Gfr,
Lattes, Ròmische Religionsgeschichte, Miinchen i960, 125. Formule di «evocatio» in Brissonius, De
formulisi 63 ss.
2 Ibidemy 580.
3 Che nel testo citato si parli della « presenza misterica » di _Casel, e se ne parli per riget
tarla, si rivela chiaramente dalla risposta data dal S. Officio a chi voleva vedere in quelle parole
addirittura un’approvazione della (dottrina caseliana (cfr. Bugnini, Documenta,,., 167-169).
84 parte I - capitolo II
una meditazione \ che, per quanto nobile, non si vede come possa conci
liarsi con la natura sacramentale della Liturgia.
1 Ibidem, 577-579. Una fòrte incertezza si vede però, ibidem, 580, dove si dice che « i misteri
di Cristo sono presenti e operanti... come esempi di perfezione e come Tonti di grazia per i meriti e
le preghiere di Cristo» (sic!). Ma la difficoltà diventa insolubile, ammessa solo una presenza e
azione sul piano psicologico, quando il testo deirEnciclica prosegue dicendo: « I misteri di Cristo
perdurano in noi nel loro effetto, in quanto ognuno di essi a suo modo è causa della nostra sal
vezza ». Quindi in noi si avrebbe o si potrebbe avere Vejfetto dei misteri e cioè la salvezza, pre
scindendo da qualunque reale-attuale presenza di essi, presenza che pure è esplicitamente affermata,
anche se non si accetta nel senso prospettato da Casel. Cfr. l’interpretazione del S. Officio, sopra
citata: « A proposito della presenza dei misteri alcuni dicono che l’Enciclica approva coloro che
parlano di una presenza mistico-sacramentale reale. Invece il vero senso deirEnciclica... » (Bu-
gnini, 0. c., 168).
2 Ibidem, 528. Vedi sopra, p. 78.
3 Ibidem, 632.
4 Ibidem, 522 e 528. Vedi sopra.
5 Ibidem, 538.
6 Ibidem, 539.
7 Ibidem, 553.
8 Cfr. ibidem, 573.
9 Ibidem, 556.
10 L ’Enciclica non usa mai questo termine, ma si serve di altre espressioni, come: «diventare
membra di Cristo sacerdote» o «partecipare al sacerdozio di Cristo» (ibidem, 555).
11 Ibidem, 553-556.
capitolo terzo
Bibliografia
ò 9 f r o A A S 47 , I 9 5 à 2 l8 ; o2 ’ ! 96o , 393* J „ , , . .
- AAS 43, 1951, 128-129. La restaurazione della veglia pasquale concessa nel 1951 in via
facoltativa, nel 1952 fu prorogata per un triennio di esperimento, rinnovata ancora per un anno
nel 1955 in modo da venirsi a inglobare con il nuovo Ordo della settimana santa, che entrò in
vigore appunto nel 1956.
86 parte I - capitolo III
Quel che è certo è che in fondo a tutto questo movimento, qua e là del
resto giustificato e avallato da innegabili esigenze e anche soluzioni « pasto
rali », si rivelavano due tendenze. Da una parte si voleva una chiara affer
mazione di « centralismo » in materia liturgica, centralismo che se era mo
tivato dalle molte novità che si coglievano un po’ dappertutto, era però
anche spinto letteralmente fino ai classici « puntini sugli i », perché in ma
teria di edizioni tipiche « perfino i dettagli di ortografia, maiuscole, inter
valli, punti e virgole venivano minuziosamente prescritti ai tipografi » 8.
D ’altra parte tutto portava a pensare che si volesse erigere « con cura e de
liberatamente un muro divisorio tra rubriche e Liturgia » 1, almeno nel
senso che l’aspetto teologico di questa — compreso quello promosso dalla
Mediator Dei e dagli altri interventi di Pio X II — doveva restare bloccato
a livello teorico, al punto di farlo apparire un discorso ormai chiuso e senza
influsso sulla « riforma generale » progettata dalla Congregazione dei riti123 .
Tuttavia bisogna riconoscere che, pur con le sue limitazioni, la riforma
avviata da Pio X II andava maturando lentamente una nuova teologia li
turgica, se non altro perché le motivazioni « pastorali », che la riforma co
minciava ad avanzare in maniera certamente coraggiosa, non potevano
sostenersi senza un sottofondo teologico, al quale davano anzi spesso occa
sione di affiorare più apertamente. Basti pensare aH’importanza che la re
staurazione della veglia pasquale ebbe nel riportare « pastoralmente » a li
vello di coscienza la realtà teologica del « mistero pasquale », che con il Vati
cano II diventerà non solo filo conduttore di tutta la riforma liturgica, ma
influirà su tutta la nuova visione del cristianesimo come « mistero eccle
siale ».
Tralasciando la storia del non facile iter, percorso dallo schema liturgico
a livello di preparazione e poi di discussione nel Concilio 8, vogliamo solo
rilevare che il Vaticano II sfocia in una teologia della Liturgia, non partendo
da una ricerca « a priori », ma guidato da una rilettura e da un ripensa
mento della Liturgia in chiave « pastorale », tanto che si sarebbe più nel
vero se si parlasse, a proposito del Concilio, di una sua « teologia della ce
lebrazione liturgica ». Solo infatti perché il Concilio restò fedele all’idea
di fare della Liturgia una « celebrazione » autentica, fu possibile superare
due posizioni pregiudiziali, con le quali la Liturgia sembrava ormai iden
tificarsi, e cioè la posizione di una Liturgia-fatto tradizionale e quella di una
Liturgia-valore giuridico. Erano due posizioni che, per ragioni diverse ma con
nesse tra loro, facevano della Liturgia prima di tutto un elemento di intan
gibile « immutabilità ».
Riconsiderando infatti la Liturgia sul piano concreto della celebrazione
si scopriva che pastoralmente questa non poteva raggiungere il suo scopo
se non a due condizioni:
i . si doveva distinguere in essa il fattore « tradizione », che ne fa un ele
mento di contatto vivo con Cristo, dalle numerose « tradizioni », che le si
erano aggiunte col volgere dei tempi e che non solo la snaturavano, ma ri
sultavano essere un velo e un diaframma che impedivano alla Liturgia di
essere « attuale » ;
1 Ibidem, 104.
2 Un primo abbastanza clamoroso esempio di come le agevolazioni pratiche, derivate da un
discorso teologico del papa, diventassero poi complicazioni giuridico-rubncali quando passavano
in mano alle Congregazioni romane del tempo, si ebbe in materia di digiuno eucaristico. I « 5
punti» ad esso relativi esposti nella Costituzione Christus Dominus (AAS 45, 1953, 22) diventano
« i l paragrafi» nella Istruzione del S. Officio (/. c.3 47-49), creando un’assurda casuistica, che
poi il papa stesso dovette rimuovere con il Motu proprio Sacram communionem (AAS 49, 1957, 177-
178), risemplificando la cosa. Fatto analogo si può osservare confrontando ciò che Pio X II diceva
sulla posizione del tabernacolo sull’altare, in particolare su quello « verso il popolo » (AAS 48,
1956, 722) e quel che prescrive, pur riferendosi al documento papale, la Congregazione dei riti
in AAS 49, 1957, 426.
3 H. Schmidt, 0. c., 107-208.
88 parte I - capitolo III
1 Con queste parole si apre la Costituzione sulla Sacra Liturgia, che noi citeremo in sigla come
SG, promulgata il 4 dicembre 1963, a quattrocento anni esatti dalla chiusura del concilio di
Trento, 4 dicembre 1563.
89 la teologia della Liturgia nel Vaticano / /
cano II entra direttamente a trattare della Rivelazione come storia della sal
vezza, secondo un discorso già ampiamente usato dalla « teologia biblica » 1
e che, portato sul piano liturgico, cominciava a mostrarsi come la chiave
di volta di tutta la Liturgia 12*.
A parte l’importanza che così acquistava, la Liturgia rivelava la sua
vera natura, che non avrebbe potuto mai esser confusa — come era pur
troppo avvenuto — con altri, suoi aspetti, come quello « giuridico-istitu-
zionale » e quello « rubricale », che erano stati messi in primo piano. Questi
aspetti non potranno certo non esser tenuti sempre presenti, per la stessa
necessaria incidenza « autoritativa » che la Chiesa, in quanto gerarchia
di potere, ha sulla formulazione e esecuzione della Liturgia; ma d’altra
parte la svolta decisiva data dal Vaticano II alla visione della Liturgia
non permette più che quegli aspetti possano costituire la ragione o di esi
stenza o di valore di essa. La Liturgia infatti, centrata sulla « storia della
salvezza », acquisisce quel valore esistenziale e perenne, che ne fa la ragione
di vita del cristianesimo, non come proposizione dottrinale, ma come mo
mento nel quale «si attua l’opera della nostra redenzione, in modo tale
che per essa il mistero di Cristo e la stessa autentica natura della Chiesa si
esprimono nella vita e si rivelano agli altri» (SC 2).
La SC apre il suo discorso soprattutto con gli articoli 5-6-7, e solo par
tendo dalla presentazione della « rivelazione-storia della salvezza » giunge
gradualmente alla « Liturgia-azione salvifica di Cristo nella Chiesa ».
La Rivelazione compare come un susseguirsi di avvenimenti, che « in
diversi modi e tempi » denotano l’awerarsi del mistero della salvezza, esi
stente nell’eternità di Dio.
La « diversità di modi » nei quali si attua la salvezza prevista e voluta
da Dio per tutti gli uomini ci annunzia i differenti piani, nei quali questa
attuazione avviene: piano della religione naturale e del suo ambito cultu
rale, e piano della religione rivelata, ossia della « fede » nella duplice fase
della rivelazione ebraica e di quella cristiana.
La « diversità di tempi » nei quali la salvezza si venne realizzando, ci
pone davanti alla « dimensione storica » del mistero di Cristo, ossia ci pre
senta il mistero stesso come un « avvenimento », anche se solo nel succedersi
dei tempi esso acquisterà quella necessaria « condensazione », che lo collochi
in una « dimensione storica » di vero « avvenimento reale ». Questo in
fatti sarà preceduto da « avvenimenti » nei quali la loro stessa « dimen
sione storica » sarà piuttosto quella di un « annunzio profetico » (rive
lazione dell’AT), che non quella di un «avvenimento reale» (rivelazione
del NT).
Chiesa». E vuol dire: che al momento in cui Cristo compie Topera della
salvezza, in quello stesso momento sorge la Chiesa, cioè la salvezza compiuta
nelTumanità di Cristo diventa di pieno diritto una realtà per tutti gli uo
mini, attraverso i sacramenti (acqua-sangue-spirito) che appunto li costitui
scono in vera Chiesa e cioè in Corpo di Cristo (Chiesa-mistero).
Il tempo della Chiesa è continuazione del tempo di Cristo, non per ragione
di semplice successione temporale, ossia perché viene « dopo » Cristo. La
linea di continuazione che legherà il tempo della Chiesa al tempo di Cristo
è costituita dalla Liturgia.
Il discorso liturgico vero e proprio del concilio Vaticano II comincia
infatti solo con Tart. 6 di SC. Dopo aver tracciato in sintesi i momenti di at
tuazione del mistero della salvezza e aver individuato la attuazione completa
in Cristo, la SC richiama la « missione di Cristo ». Questa non arresta la
« missione eterna » delTamore del Padre, concretizzatasi in Cristo, anzi la
riprende e la continua, con la differenza che, dopo Tawenimento di salvezza
realizzatosi in Cristo, la « missione » delTamore del Padre non consisterà più
in un annunzio, come era quello che aveva preceduto Tattuazione della parola
in Cristo : era infatti un annunzio di cose ancora non reali nel mondo, ma solo
future. L 5« annunzio» non può certamente mancare dopo Cristo; ma esso
sarà d’ora in poi un vangelo ( = lieto annunzio di avvenimento presente) ;
dovrà infatti ormai proclamare che la « Parola » si era compiuta « facendosi
carne » ed era entrata nel mondo « prendendo dimora in mezzo a noi »
(Gv i, 14). Questa « dimora della Parola in mezzo agli uomini » si realizzava
su due piani contemporaneamente: come avvenimento della «realtà» della
salvezza nelTuomo Gesù, e come presentazione « sacramentale » di essa.
Cristo, che giustamente sant’Agostino 1 chiama « nome sacramentale », non
è infatti solo « presenza salvifica » di Dio, ma è anche il suo « sacramento »
(Col 1,2 7; 4,3; Ef 3,4) in quanto «segno» visibile e «immagine» (Col
1,15) di una salvezza fino allora restata nascosta' e invisibile (Ef 3, 9; Col
1, 26) a. È appunto su questo piano «sacramentale» che la «Parola fatta
carne » potrà diventare realtà salvifica per tutti gli uomini, sempre e ogni
volta che questi, avvicinati a Cristo dalYannuncio delTavvenimento di sal
vezza (fede), cercheranno di inserirsi in essa, attuandone in se stessi Yavve
nimento (Liturgia).
In questa linea si muove la SC 6, quando scrive:
« Come Cristo fu mandato dal Padre, così egli mandò gli Apostoli, perché
annunziassero... che il Figlio di Dio ci aveva liberati... e perché attuassero,
per mezzo del sacrificio e dei sacramenti — su cui gira tutta la Liturgia —
quella stessa opera di salvezza che annunziavano ».
Qui abbiamo espressa non solo la intima relazione che passa tra Scrit
tura e Liturgia (v. appresso), ma la Liturgia chiaramente appare come mo
mento della Rivelazione storia della salvezza, in quanto attuazione del
mistero di Cristo, oggetto di tutta la Rivelazione. Questa attuazione riguarda
tanto il mistero di Cristo in se stesso — realizzazione nel tempo — quanto
il suo annunzio. Oggi cioè la Liturgia è anch’essa — come Cristo stesso
— un avvenimento di salvezza, nel quale continua a trovare compimento quel-
Pannunzio che nel tempo antico prometteva la realtà di Cristo. La Liturgia
è quindi il momento-sintesi della storia della salvezza, perché congloba « an
nunzio » e « avvenimento » ossia A T e NT ; ma allo stesso tempo è il mo
mento ultimo della stessa storia, perché essendo la « continuazione della realtà »,
che è Cristo, suo compito è quello di ultimare gradualmente nei singoli
uomini e nelPumanità la immagine piena di Cristo.
L ’ultima parola di Cristo in Mt 28, 20: « Io sono con voi per sempre
sino alla fine del mondo », è la conclusione delle parole con le quali Cristo
inviando gli apostoli nel mondo dà loro il potere di fare di tutti gli uomini
altrettanti «discepoli» di lui, e questo per mezzo delPannunzio («inse
gnate») e dei Sacramenti («battezzate»); cioè per mezzo della Parola e
dei sacramenti egli continuerà ad esistere tra e negli uomini, in una pre
senza continua.
1 H. Schmidt, La Costituzione sulla Sacra Liturgia. Roma 1966, 227 molto giustamente e oppor
tunamente scrive: « La Costituzione sulla Sacra Liturgia si esprime con una chiarezza ancora
maggiore (nei confronti della Mediator Dei) : tutto essa vede sotto il segno àeW Emmanuele, del " Dio
con noi ” ». Cfr. 227-232.
2 Sulla discussione conciliare a proposito della proposizione sulla « presenza » di Cristo nella
Liturgia, cfr. E. J. Lengeling, Die Konstitution des 2. Vat. Konzxls ilber die hi. Liturgie (Lebendiger Got-
tesdienst, 5-6), Miinster 1964, 19 ss.
3 AAS 57, 1965, 764.
94 parte I * capitolo III
Diciamo :
a) Il senso immediato dell5affermazione del Papa è che egli riconosce
altre «presenze reali» (nota il plurale!) oltre quella dell5Eucaristia, e che
in ogni caso non è la « presenza reale » eucaristica a impedire che ne esi
stano altre.
b) La « presenza » eucaristica è « reale » 1 in senso speciale ossia secondo
un valore di « eccellenza », se rapportata alle altre « presenze reali ». Significa
questo che si tratta di una presenza su un altro piano? La cosa ci sembra
probabile, perché si tratta di una « presenza » che si produce per un « mu
tamento di sostanza ». Ciò però non significa direttamente che in questa
maniera si abbia una « presenza più reale », ma solo che si ha una « pre
senza reale » per una ragione propria, cioè non comune alle altre « presenze
reali ».
c) Ci pare che tutte le altre « presenze reali » di Cristo nella Liturgia,
siano da giudicare in analogia alla « presenza reale » eucaristica. Si tratta
cioè di un rapporto di proporzione, che mentre stabilisce un elemento co
mune tra le une e l’altra, ne afferma anche la differenza, a motivo di una ra
gione o di una origine diversa. Questo vuol dire:
Tra la « presenza reale » eucaristica e le altre « presenze reali » non vi
è differenza in quanto a « presenza » di Cristo e a « realtà » di presenza, ma
vi è differenza per quanto riguarda il modo come queste diverse « presenze »
si fanno « reali ». Nell5Eucaristia infatti la « presenza reale » di Cristo è
un fatto permanente, perché aderisce ad una « sostanza » (il corpo di Cristo)
che permane. Nelle altre celebrazioni liturgiche la « presenza reale » di
Cristo è transeunte perché è legata alla « celebrazione », che è azione che
passa e non sostanza che permane 2. La cosa si chiarisce ancora se si consi
dera che nella stessa Eucaristia si verifica questo duplice « modo » di « pre
senza reale » in forza del suo duplice aspetto di « celebrazione » sacramentale
e di « sostanza » sacramentale. Mentre quest’ultima (sostanza-corpo di
Cristo) è « presenza reale » permanente, appunto perché è « sostanziale »,
la « presenza reale » del sacrificio (celebrazione) dura solo il tempo in cui
si svolge l’azione sacrificale.
d) Considerando da una parte la « presenza » in se stessa e non nel
suo « modo » di attuazione, e riflettendo d’altra parte che la Liturgia è
« continuazione dell’opera salvifica di Cristo », bisogna dire che la « pre
senza » di Cristo nella Liturgia deve esser vista in rapporto aÌYavvenimento
di Cristo, perché esso è il fatto che « realizza » la Parola di salvezza di
Dio, conferendole una « realtà » ormai indistruttibile. Questo vuol dire
che la « presenza reale » di Cristo nella Liturgia, ossia indifferentemente
1 Cfr. Col 2, 17: feste, noviluni, sabati dell’A T «sono ombra di quel che deve avvenire, e cioè
della realtà (t( corpo ” ) che è unicamente Cristo ».
2 Cfr. G. Spicq, VEpitre aux Hébreux, voi. II, Paris 1953, 302: al seguito del Crisostomo e
di molti moderni, l’immagine (elxtov) è « una figura nella quale si esprime la realtà e Vessenza di
una cosa ». Vedi appresso nota 5.
3 Agostino, Epist. 102, 2, 12: PL 33, 374. Cfr. Epist. 157, 14, 1. c.3 680-681.
4 Agostino, De peccat. meritis et remissione, 2, 29, 47: PL 44, 169; Idem, Contra Faust., 19, 13-14:
PL 42, 355-356; Leone Magno, Sermo 24, 1: PL 54, 204.
3 In Col 2, 17 si rileva la differenza tra A T e N T opponendo la « realtà-Cristo » {corpo) alla
« ombra » di questo (i « riti » dell’AT) ; in Ebr io, 1 si mette in evidenza la differenza tra il « rito-
segno » (ombra) dell’À T e il «rito-segno» (immagine) del N T. Dicendo infatti: « L a Legge (AT)
aveva l’ombra delle cose avvenire ma non l’immagine delle cose avvenute», Ebr io, 1 ci presenta
i riti dell’A T come « ombra » — e cioè come segni senza contenuto di una presenza — , in quanto
si riferiscono a qualcosa che è ancora « futuro » (Cristo) ; al contrario i riti del N T sono « im
magini » della cosa già « realizzata ». Nell’idea di « immagine » non si sottolinea soprattutto la
« somiglianza » come tale con una cosa, ma il fatto che la « somiglianza » è resa possibile dalla
«reale» esistenza della cosa; non si può infatti fare la « somiglianza » di ciò che non esiste. E
questo il pensiero che ritroviamo, oltre che nei citati testi di S. Agostino, anche in Ambrogio,
De interp. Job et David, 4, 2, 9, in CSEL 32-33, 274 e in Apoi. David, 1,12 , 58, /. c., 339, dove leg
giamo: «Eccoci ormai non più nùY ombra, nella figura e nel tipo, ma nella realtà; tu, o Dio, non
per via di specchi e di enigmi, ma a faccia a faccia ti sei rivelato a me e io ti trovo nei tuoi sa
cramenti ».
96 parte I - capitolo H I
Abbiamo già visto che un intimo rapporto lega la « storia della sal
vezza » alla « Liturgia », in quanto questa costituisce un momento di quella,
ossia la sua attuazione nel « tempo della Chiesa ».
D ’altra parte sappiamo che la « storia della salvezza » concretizzatasi
nel « mistero di Cristo » trova il suo compimento, la sua realizzazione e il
suo centro nella Pasqua.
Dicendo però che Pasqua è compimento, realizzazione e centro della
storia della salvezza, noi prendiamo la Pasqua non solo come il momento
storico nel quale l’uomo è stato raggiunto dalla liberazione di Dio entrando
nella sua alleanza a livello simbolico-profetico nell’A T , a livello reale
definitivo nel NT — . Pasqua è infatti anche il momento rituale di quell’avve
nimento \1
1 Es 12,27: «Quando i vostri figli vi domanderanno che cosa significa questo rito, voi rispon*
derete loro che esso è il sacrificio della Pasqua ( — del passaggio) in onore di Jahve, che oltrepassò
le case dei figli d’Israele, quando egli colpì rEgitto ».
99 la teologia della Liturgia nel Vaticano II
È appunto sotto questo aspetto che la Pasqua, diventata una delle tre
grandi feste (hagj delFantico ebraismo nella duplice celebrazione di sacri
ficio dell'agnello e di festa degli azzimi, si presentava come il rito memoriale che
ogni anno ricollegava Israele alle sue origini di « popolo » liberato dalla
schiavitù delPidolatria ( = Egitto) e passato in proprietà di Dio per essere
una « nazione consacrata » al suo culto come « corporazione sacerdotale »
(Es 19,5-6). Per mezzo del rito pasquale Favvenimento delle origini ridi
ventava ogni anno una realtà presente e integrava tanto le singole succes
sive generazioni quanto i singoli individui nel fatto che al tempo dell5Esodo
Dio aveva operato negli antenati come in altrettanti rappresentanti di tutti
i futuri membri del popolo.
La centralità del fatto pasquale veniva così trasferita nel rito, e attorno
a questo in effetti si radunava tutto Israele, che dal rito pasquale faceva di
pendere tutto il proprio culto, e che in esso, ritrovando ogni volta la propria
rinuncia all5idolatria e la propria adesione all5Alleanza, riscopriva se stesso
come « popolo di Dio ».
Dato il rapporto di « annunzio-profezia » e di « avvenimento-realtà »,
che indissolubilmente unisce la Pasqua dell’A T a quella del NT, è chiaro
che anche nel N T il momento rituale della Pasqua non solo non perderà la
sua importanza, ma anzi Paccrescerà infinitamente, proprio perché anche
il « momento rituale » si situa ora a quel livello di « realtà », che è proprio
del momento storico della Pasqua di Cristo.
Per questa ragione la SC 5, ponendo la passione-risurrezione-ascensione
di Cristo in chiave pasquale, non si arresta a rilevarne solo la natura di « av
venimento », che realizza il simbolismo profetico della Pasqua antica, ma
la vede subito nella sua posizione di rito pasquale. Sintetizzando infatti il
valore salvifico dei momenti culminanti dell’opera di Cristo come « mistero
pasquale » ne sottolinea già la nota « rituale », perché « mistero » è prima
di tutto « un rito caratterizzato dalla presenza di un avvenimento salvifico
già realizzato al principio della storia ». In questo modo la redenzione pa
squale è già introdotta sul piano cultuale, ossia è vista come azione che,
realizzandosi attraverso i segni rituali, può essere resa presente a distanza
di tempo e di luogo, e può così mettere tutti a contatto con la realtà del
fatto pasquale della redenzione compiutasi in Cristo.
E in effetti la costituzione liturgica SC 6, proprio parlando dell’attua
zione del mistero pasquale di Cristo attraverso segni rituali, entra final
mente a parlare della Liturgia. « Cristo mandò gli Apostoli ad annunziare
l5avvenuta salvezza degli uomini nella sua morte-risurrezione, e ad attuare
questa stessa salvezza per mezzo del sacrificio e dei sacramenti, che formano
l’elemento centrale della Liturgia ». Come si vede, la Liturgia consiste fonda
mentalmente nella attuazione della salvezza realizzata da Cristo. Ma siccome
questa stessa salvezza realizzata in Cristo altro non è che la Pasqua come
fatto reale, è chiaro che la Liturgia sarà Vattuazione della Pasqua per mezzo del
mistero, ossia per mezzo di « segni reali », cioè efficaci.
Pasqua — come fatto — viene da noi individuata nella morte-risur-
rezione-ascensione di Cristo; ma nella sua «realtà» essa implica la «sal
vezza » come tale, cioè un « complesso » che racchiude in sé diversi mo
menti, i quali però diventano effettiva salvezza solo in forza del « momento
100 parte I - capitolo III
VI la Liturgia e sacramentalità
Quelle realtà che entrano come componenti essenziali nel concetto stesso
di Liturgia, vista come «celebrazione» del mistero di Cristo, e che sono
« storia della salvezza », « presenza-azione di Cristo », « attuazione dèi
mistero pasquale », risultano essere altrettanti elementi che pongono chia-
101 la teologia della Liturgici nel Vaticano II
ramente la Liturgia sul piano della sacramentalità. Questo è vero se non altro
perché, essendo la Liturgia costituita essenzialmente dai « sacramenti »,
essa forma globalmente una « realtà sacramentale ». Per una chiarifica
zione di questo concetto è necessario fissare un momento l’attenzione sui
rapporti che esistono tra Scrittura e Liturgìa e tra rito e Liturgia.
in quella cristiana, per la profonda differenza che nei confronti della « realtà-
Cristo » assumono i due Testamenti. Non bisogna infatti dimenticare che
mentre la realtà della salvezza contenuta nell’annunzio della Sacra Scrittura,
anche dell’AT, è perenne, perché non è altri che Cristo (Le 24, 27. 44),
la Liturgia si riferisce per sé alla stessa « realtà » solo per il tramite degli
« avvenimenti », che la rivelano e la presentano. Orbene noi sappiamo che
gli « avvenimenti » della salvezza nell’A T sono solo « simboli » profetici,
mentre sono « realtà » piene nel NT. Di conseguenza la Liturgia ebraica
era attuazione rituale di un avvenimento di salvezza, che non superava
il valore di simbolo; al contrario la Liturgia cristiana sarà attuazione rituale
àùY avvenimento reale della salvezza.
Si può quindi dire in generale e con piena verità che la Liturgia cristiana
sta alla Sacra Scrittura, come la « realtà » di Cristo sta al suo « annunzio ».
A maggiore chiarimento bisogna però aggiungere che questo vale non
solo per quanto riguarda il rapporto corrente tra Liturgia cristiana e Sacra
Scrittura dell’A T, in quanto la « realtà », che questo ha ricevuto in Cristo,
si continua appunto nella Liturgia; ma trova la sua applicazione anche per
quel che concerne la Sacra Scrittura del NT. Questa infatti, pur presen
tandoci « l’avvenimento » di salvezza già avveratosi in Cristo, vuole essere
allo stesso momento « annunzio » che lo stesso « avvenimento » è destinato
ad avverarsi nei cristiani. Quindi come la Sacra Scrittura, in tutte le sue
fasi, è sempre « annunzio » della salvezza, così la Liturgia in tutti i suoi
momenti è sempre « avveramento » di essa sul piano rituale.
Questo fatto ci fa perciò capire due cose: 1. che la Liturgia, proprio
per questo suo aspetto di « avveramento » di un « annunzio » esige la let
tura della Sacra Scrittura non a scopo genericamente edificativo, ma perché
la Sacra Scrittura è una componente indispensabile della Liturgia cristiana;
2. che la Liturgia è sempre — e in senso forte — « rivelazione in atto »,
in quanto costituisce il momento in cui la « Parola diventa carne e abita
in noi» (Gv 1,14). Essendo infatti la Liturgia cristiana «presenza reale
e attiva » di Cristo, essa ci svela in lui l’AT, non solo dandoci la visione della
gloria del Signore Gesù, ma realmente ci trasforma con la forza dello Spirito nella
immagine di lui, facendoci passare ad una sempre più chiara comprensione di
lui (cfr. 2 Cor 3, 14-18).
Così si *àssiste ad un fatto importante: la Sacra Scrittura nella Liturgia
cessa di essere una morta parola scritta, per assumere sempre più il ruolo di
annunzio-proclamazione di un avvenimento di salvezza presente. In altre parole:
l’avvenimento che si legge nella Sacra Scrittura, è quello stesso che si attua
nella Liturgia, e così la Sacra Scrittura trova nella Liturgia la sua inter
pretazione naturalmente concreta e cioè sempre sul piano di storia della
salvezza e non di elucubrazione intellettuale. Cristo è la « realtà annun
ziata » dalla Sacra Scrittura, e Cristo diventa la « realtà awerata-comu-
nicata » dalla Liturgia. In questo modo sarà appunto la Liturgia, attraverso
la diretta « esperienza » del mistero di Cristo (esperienza di salvezza inte
riore), a darci quella «conoscenza» e «rivelazione» dello stesso mistero,
che non potrà mai restare solo intellettuale, ma tenderà sempre a ripresen
tarsi, con l’aumento della « conoscenza-rivelazione », in una maggiore
« esperienza » intima ed esistenziale. La Sacra Scrittura quindi, anche come
« rivelazione » di salvezza, si completa nella Liturgia.
103 la teologia della Liturgia nel Vaticano II
2 II rito e la Liturgia
1 Cfr. Th. Ohm, Die Gebetsgebàrden der Volker u. das Chrislentum, Leiden 1948; E. Masure, Le
signet Paris 1953; L. Bouyer, Le rite et Vhomme (Lex orandi, 32), Paris 1962.
2 G. Van Der Leeuw, La religión dans son esserne et ses manijestations. Phénoménologie de la religión,
Paris 1948. Cfr. Bouyer, 0. c., 27-57.
3 Pio X II, Mediator Dei, in AAS 39, 1047, 532.
4 Cfr. Bouyer, 0. 0., 79-9 1-
104 parte I - capitolo 111
Bibliografia
1 Ibidem, 538: « III. La Liturgia è prima di tutto cosa della Chiesa gerarchica».
2 Ibidem, 540.
Ibidem, 530.
j Ibidem.
5 Ibidem, 522; 528; 529.
6 Ibidem. Vedi sopra, nota 1.
7 Ibidem, 555.
8 Ibidem, 539.
9 Ibidem, 553-554.
10 Ibidem, 528-530.
11 Ibidem, 538. Veramente non si comprende come possa essere qualificato per « visibile ed
esterno» il sacerdozio di Cristo, quando già Ebr 8,4 (cfr. Ebr 7, 14) esclude apertamente tale
esterna « visibilità » a suo riguardo. Per quanto concerne il « sacerdozio ministeriale » esso è il
risultato di un carattere sacramentale (Ordine), non meno del « sacerdozio comune » dei fedeli (ca
rattere del Battesimo), e se tra i due sacerdozi vi è una differenza, questa non è certo sul piano
della «visibilità», ma su quello della «posizione» che ne deriva ai rispettivi soggetti: «sacer
dozio del capo » e « sacerdozio del corpo », che non sono realtà per sé visibili ma spirituali.
109 la Liturgia culto della Chiesa
A parte infatti tutte le maggiori esplicitazioni che, non solo sugli altri
piani ma anche su quello stesso liturgico, si potranno leggere negli altri
documenti conciliari (soprattutto nella LG e nella PO), riteniamo che ba
sterà anche solo fermarsi a rileggere SC 26, per convincersi che — quasi
senza parere — in esso si ponga termine a tutte le precedenti incertezze:
SG 26: «Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della
Chiesa, che è cc sacramento di unità55, ossia popolo santo riunito e ordi
nato sotto l’autorità dei Vescovi (S. Cipriano, De cath. eccL unitate, 7;
Cfr. Epist., 66, 8, 3).
Conseguentemente le azioni liturgiche sono tali, che mentre appartengono
a tutto intero il corpo della Chiesa, lo rivelano e lo interessano, spettano anche
ai singoli membri di essa, sia pure in maniera diversa, e cioè a seconda
della diversità di ordine, di compiti e di partecipazione attiva ».
1 LG 1.
2 L G 3.
3 Cfr., per es., L G 3; 7.
1 Cfr., per es., L G io; A A 3; PO 2; A G 15.
Ili la Liturgia culto della Chiesa
1 LG 9.
2 A sua volta il termine auvayoyí) è il termine con cui viene tradotto — anche in questo caso
con pochissime eccezioni, nelle quali riappare ¿y.xXvjaia — il termine ebraico {edàh.
3 Cfr. Grimm-Thayer, Greek-english Lexicon of thè N T , Edinburgh 19584, 195.
112 parte I - capitolo IV
È noto che il termine « corpo » di Cristo nel N T è usato sia per indicare
il corpo di Gesù nella sua individualità umana x, sia il Corpo di Cristo che è la
Chiesa123, sia infine il corpo sacramentale di Cristo nell’Eucaristia8.
Questa comune denominazione di tre realtà in sé oggettivamente diverse
non si spiega in forza di un’assimilazione puramente esterna o data dal fatto
che la « Chiesa » è definita « corpo di Cristo » perché in essa si percepisce
quel principio di unità che si riscontra in un qualunque « corpo », — caso
del « corpo » sociale in analogia al « corpo » animato; — o presa nel senso
che, partendo dal principio animatore del « corpo » stesso, si pensi a Cristo come
a colui che raduna attorno a sé delle persone e influisce efficacemente sulla loro
vita. In questa prospettiva non si potrebbe, tra l’altro, spiegare quale posi
zione avrebbe — dato un simile contesto — il « corpo sacramentale » di Cristo.
Il comune denominatore che pone veramente su un piano di comune realtà,
e cioè al di là di una denominazione soltanto esterna, tanto il « corpo umano »
di Cristo, quanto il « corpo-Chiesa » di Cristo e il suo « corpo sacramentale »,
si ritrova nell’identità di destinazione cultuale, che ad essi compete alla luce
della rivelazione. Basterebbe per questo osservare anche solo l’equazione
« corpo-tempio », che viene stabilita con il « corpo umano » di Gesù tanto
a livello di esistenza terrena (« Cristo parlava del tempio del suo corpo»: Gv
2, 21) quanto a livello di esistenza sacramentale (« Suo tempio è... l’Agnello »:
Apoc 21,22), con il «corpo individuale» del cristiano (« Il vostro corpo è
tempio dello Spirito Santo»: 1 Cor 6, 19) e con il «corpo della Chiesa»
{«Noi siamo il tempio del Dio vivo»: 2 Cor 6, 16).
1 Cfr. Y. Congar, Il mistero del tempio, Torino 1963, 214 ss.: «Ripetiamolo: “ spirituale”
nel N T non si oppone a visibile o corporale, ma a carnale, a quanto è puramente naturale e umano...
Nella religione del Verbo incarnato “ spirituale ” non si oppone a “ corporale ” , né si riduce
a un ordine di vita personale puramente interiore e individuale. Il sacrificio spirituale di ciascuno
si realizza sì nella vita personale deirindividuo, ma non si consuma che nel servizio e neirunità
della comunità; il versetto di Rom 12, 1 non deve essere separato dal resto del capitolo. O meglio:
non si consuma come sacrificio spirituale se non nell'unione sacramentale col sacrificio di Gesù
Cristo, celebrato liturgicamente nella Chiesa... e per il quale tutti diventano insieme un solo corpo
del Figlio di Dio fatto uomo ».
2 Ibidem 157 ss. Su tutto il tema del «tem pio» cfr. S. Marsili, Il tempio nella storia della Sal
vezza; Dal tempio locale al tempio spirituale, in: Il Tempio, ed. CA L, Padova 1968, 39-64.
115 la Liturgia culto della Chiesa
verso una realtà, che è il culto da esercitarsi nel “ tempio del mio corpo ” ,
in quanto unico culto “ vero e spirituale55. Voi, per restare attaccati alla
“ figura 55 del culto, non esisterete a distruggere (o a continuare a distruggere?)
il tempio vero che sono io. Ma a questa distruzione seguirà una risurrezione,
la mia risurrezione ossia quella del mio tempio e del mio culto. Così avete
i l “ segno 55che avevo il potere di fare quello che ho fatto ; e quando la “ realtà 55
del culto risorgerà con il mio corpo, che sarà il tempio del vero culto, è chiaro
che la “ figura 55, per la quale voi vi accanite fino a distruggere me, è ormai
passata e più non tornerà. “ Figura55 e “ realtà55 non possono coesistere».
E in effetti Gv 2, 22 continuando a commentare il discorso di Cristo
aggiunge:
« I discepoli ricordandosi dopo la risurrezione di quel che Gesù diceva,
credettero alla Scrittura e alle parole di lui ».
Questo « credere dei discepoli alla Scrittura », messa in stretto rapporto
alle « parole di Gesù », ci vuol dire che i discepoli, superando per effetto
della Spirito Santo (Gv 15, 26; cfr. Le 24, 45) la conoscenza della « lettera »
della Scrittura, raggiunsero quella conoscenza di « fede », per la quale
anche su questo punto, come su tutto il resto, la Scrittura è comprensibile
solo in riferimento a Cristo (Gv 5, 39-40).
In altri termini: anche il caso in questione, che è quello del «tempio-
tenda », presentato nelPAT come Yunico luogo di culto e di presenza del vero
Dio, trovava la sua intelligenza di fede, ossia il suo significato di avvenimento
profetico, solo in Cristo, perché questi soltanto, diventato nella sua esistenza
umana («corpo») vero «tempio» di Dio, avrebbe di fatto costituito il
vero e unico luogo di culto e avrebbe insieme realizzato il solo culto spirituale,
quello cioè che si attua nella vita stessa delfuomo. In questo modo il culto,
strappato dalla materialità del « luogo » e del « modo » di attuazione, sarebbe
finalmente risultato «vero» cioè reale e autentico (Gv 4, 19-26).
1 Mt 20,28; Me 1o, 45 con riferimento a Is 53, io ss.; Le 22, 19; Gal 1,4 ; 2,20; Ef 5 ,2 ;
5, 25 ecc. Cfr. soprattutto Ebr 9 -1 0 .
116 parte I - capitolo IV
1 Basta rifarsi anche solo a Is 1, 10-20; 29, 13: « M i lodano con le labbra, ma il loro cuore
è lontano da m e»; Ger 14, 12; Amos 4,21-23; M i 6,6-8.
117 la Liturgìa culto della Chiesa
Questo non vuol dire soltanto che i discepoli qualche tempo dopo capirono
che le parole di Gesù si riferivano a quanto la Scrittura aveva narrato a
proposito della «tenda-tempio» dell’A T ; ma col notare che ciò avvenne
dopo la risurrezione, l’evangelista vuole rilevare ancora un’altra cosa: Quel
culto « spirituale » che Cristo aveva instaurato nella sua esistenza terrena,
concludendolo con il «sacrificio» della sua morte, continuerà ad esistere
per effetto della risurrezione del « corpo », ormai vivo per sempre, di Cristo.
Il risorgere del Signore non è stato infatti solo il « rialzarsi » del suo « corpo »
in quanto tale, ma è stato il « rialzarsi del suo corpo-tempio non fatto da mano
d’uomo» (Gv 2 ,21; Me 14,58), un «tempio» che non si restringerà più
ormai solo al « corpo » umano di Cristo. Su di lui, che con la morte era
sembrato una « pietra rigettata al di fuori della vigna » (Mt 21, 42 da leg
gere in funzione di Mt 21, 39), ma che con la risurrezione era diventato
una « pietra onorata » (1 Piet 2, 4) e « pietra di angolo » per la costruzione
del « nuovo tempio » a, si edificheranno « pietre vive su pietra viva », i cri
stiani per formare «la casa spirituale di Dio» (1 Piet 2,5) e il « tempio dì
Dio nello Spirito » (Ef 2, 21-22).
I cristiani infatti per la loro unione a Cristo, reso « Spirito vivificante »
dalla risurrezione (1 Cor 15,45), diventeranno «spirito» anche nel loro
«corpo» (1 Cor 6, 16-17), che come tale è «tempio di Dio in forza dello12
Spirito che è nei loro corpi » (i Cor 6, 19; Volg. legge: « nello loro membra »).
In una sola parola: Il cristiano, per il fatto di essere possessore dello Spirito
comunicato loro dalla risurrezione di Cristo (Gv 7, 39), diventa nella sua
stessa corporeità anch’egli un tempio spirituale, come il corpo umano di
Cristo.
Ma i cristiani per questo processo di aggregazione al Cristo risorto, for
mano una «costruzione che va crescendo nello Spirito» (Ef 2,20-21), co
struzione la quale al momento stesso in cui si sviluppa nella forma di un
« corpo » — che è tale non sul piano sociale, ma in quanto « corpo » e
«compimento» di Cristo (Ef 4,13.15-16) — assume le caratteristiche
proprie del « tempio di Dio, santo e spirituale» (Ef 2,21-22; 2 Cor 6, 16;
1 Piet 2, 5). Così la Chiesa nasce come « corpo di Cristo » per essere il vero
« tempio di Dio ». Costruita su Cristo, e conseguentemente dopo Cristo, essa
continuerà nel mondo appunto il « tempio non fatto da mano d’uomo, rial
zato » da Cristo con la risurrezione del suo « corpo ».
Ecco però che la polivalenza, già rilevata nel « corpo » umano di Gesù,
e per la quale esso era non solo il « luogo » ma anche il « soggetto-oggetto »
del culto, si presenta anche nel « corpo di Cristo-Chiesa ». Anche la Chiesa
sarà insomma e « tempio » e « offerta di se stessa » nel tempio.
La Chiesa soggetto-oggetto del culto. Nel culto del NT non vi sono, proprio
in ragione della sua «spiritualità», due distinti momenti: quello del «sa
cerdote » che offre e quello della « vittima » che viene offerta. Quanto è
avvenuto in Cristo, che è stato l’offerente di se stesso (cfr. Ebr 9, 11-14;
io, io ecc.), avverrà anche nella Chiesa. Già la stessa evangelizzazione ha
valore di approntamento del sacrificio spirituale e perfetto che i pagani,
una volta convertiti, faranno di sé a Dio (cfr. Rom 15, 15-16). La vita cri
stiana, vissuta nella fede, è «sacrificio e liturgia» (Fil 2, 17) e in questo
senso Rorn 12, 1-2 esorta i fedeli a « offrire i loro corpi (la vita concreta) in
vittima viva, santa e accetta a Dio come loro culto spirituale » (cfr. 1 Piet
2,5). « I cristiani — dice Paolo in Fil 3,3 — sono la vera circoncisione
(il vero Israele), consacrati al servizio liturgico nello Spirito di Dio » 1.
Giustamente e con molta acutezza sant’Agostino 12 ci spiegherà che la
Chiesa offre il proprio culto a Dio precisamente nel suo « essere corpo di
Cristo », poiché — egli dice — « il sacrificio dei cristiani consiste nelVessere
tutti un unico corpo in Cristo », ossia nel realizzarsi, attraverso la santità della
vita, come continuazione concreta della vita vissuta da Cristo nel suo corpo
umano.
1 È l’aspetto che sopra tutti gli altri è stato messo in evidenza dai Vaticano II ogni volta
che parla dell’Eucaristia.
* Tommaso d*Aquino, Summa TheoL, III, q. 73, a. 3; q. 82, a. 2 ad 2.
3 Agostino, Contra Faust., 12, 20: PL 42, 205*
4 L. Cerfaux, La théologie de VÈglise suivanl saint Paul, Paris 1942, 159, n. 1; 183; 217 ss.
6 Agostino, De civ. Dei, 10,6. Cfr. ibidem 10,20: PL 41, 283 ss.; 298.
120 parte I - capitolo IV
così continua:
« Mediante il corpo di Cristo s’è realizzata la redenzione, morte e ri
surrezione; il corpo di Cristo è Vambiente nel quale si attua la nostra santi-
tificazione e noi abbiamo contatto con lui attraverso il Battesimo e la
Eucaristia... D ’altra parte la Chiesa è... a suo modo anch’essa il luogo
dove col Battesimo i cristiani nascono e dove la comunità partecipa al
corpo di Cristo, il luogo dove la vita di Cristo investe gli uomini... I cri
stiani hanno relazione a un corpo umano consacrato, che per loro è fonte
di unità reale, superfisica: il corpo di Cristo ch’essi ricevono sacramental
mente nell5Eucaristia e col quale il Battesimo li pone in contatto. L ’unità
dei cristiani, che si realizza nella Chiesa, sarà connessa in modo speciale
con la nozione di partecipazione al corpo di Cristo... Il "p ara g o n e ”
ellenistico del corpo e delle membra..., nella sfera delle cose cristiane è
una " r e a ltà ” : noi non siamo solo come un corpo, ma siamo veramente
delle membra e Cristo è principio di unità e di vita tra noi... Il Bat
tesimo ci ha consacrati al corpo di Cristo e l’Eucaristia ci identifica a
questo medesimo corpo di Cristo... in modo che Cristo sia realmente per
tutti i cristiani il loro corpo. I cristiani sono un corpo non per semplice
diritto di paragone, ma in un realismo sacramentale e mistico ».
1 Gir. in proposito alcuni esempi in Agostino, Sermo 227; 229; 272: PL 38, n o i ; 1103;
1247 ss.; ecc.
2 L. Cerfaux, 0. c.y 153 ss.
8 Ibidem, 155. L ’A. rileva anche che il termine « ekklesìa » congloba presto il significato bi
blico di « comunità » — più naturalmente di stanza nell’ambiente cristiano — e quello elleni
stico di « riunione-assemblea ».
121 la Liturgia culto della Chiesa
A parte queste conclusioni derivate dal fatto che le singole comunità cri
stiane, a somiglianza di quella primitiva di Gerusalemme, sentono di attuare
in se stesse la realtà annunciata dalla « Chiesa del deserto» («luogo»), ra
dunata nel «giorno dell’Horeb » («tempo»), e costruita nuova da Cristo
(Mt 16, 18; cfr. 18, 17), ci sembra che anche il fatto accertato più sopra,
secondo cui la « Chiesa-corpo di Cristo » ci riporta al « corpo di Cristo-
tempio di Dio », ci aw ii necessariamente verso una visione della « Chiesa »,
che può essere afferrata nella sua intima natura solo se ripensata come co-
munita liturgica prima di tutto a livello locale. Se infatti il « corpo di Gesù-
tempio di Dio » ci richiama a un culto templare svolto nel « corpo-persona »
di Gesù per affermare l’evoluzione dello stesso culto in senso « spirituale »,
è anche vero che il « corpo di Gesù », realizzando in sé il « tempio di Dio »,
acquisisce al proprio culto una dimensione veramente locale, anche se dissi
mile da quella che il culto ebraico riceveva dal tempio di Gerusalemme.
Diciamo infatti: «dissimile» perché è evidente che non pensiamo a un
culto situato nel « corpo » di Gesù come in un « luogo », che si possa de
finire tale in base alla sua composizione materiale. Si vuol dire soltanto che
il « corpo » di Gesù sta al « culto » come il « tempio » sta al « culto »,
dove l’analogo principale non è — nonostante le apparenze — il « tempio »,
ma il « corpo » del Signore, poiché il punto di riferimento dell’uno e dell’altro,
vale a dire il « culto », è vero e reale solo in un caso, e cioè in rapporto al
« corpo » di Gesù, e quindi questo è anche il solo vero « tempio » di Dio, ossia
il solo e vero « luogo del culto ».
Stabilita inoltre (v. sopra) l’equazione « corpo di Gesù-corpo di Cristo
(Chiesa) » e « tempio », resta chiaro che la « Chiesa » è comunità di culto
sul piano locale sia perché è il luogo del culto vero per il fatto di essere « corpo
di Cristo », sia perché è comunità che si trova in un luogo. Sappiamo anche
che tutto questo avviene nel processo sacramentale dell’Eucaristia, che nel
l’unità del « pane-corpo di Gesù » forma la comunità del « corpo di Cristo-
Chiesa ». Ma in che senso l’Eucaristia, formando la « Chiesa », la costituisce
tale a livello locale?
Senza addentrarci a fondo in questo tema, ci piace concluderlo richia
mandoci a quanto in proposito ci dice il Rahner. Premesso il duplice prin
cipio : che « la Chiesa locale è il farsi evento della Chiesa universale » x, e
che « la celebrazione eucaristica è il momento in cui la Chiesa si fa evento
nella maniera più intensa»8, il Rahner insegna ancora:
« L a celebrazione eucaristica... ha come carattere essenziale di essere
determinata localmente, non potendo essere fatta che da una comunità
radunata in un luogo ben preciso. Orbene questo significa che la Chiesa...
è destinata per sua stessa natura a concretizzarsi e attuarsi in un luogo
determinato. Essendo l’Eucaristia una celebrazione locale, è chiaro che
non solo avviene nella Chiesa, ma è evidente che questa stessa diventa
un corpo visibile, in tutta la forza del termine, solo nella celebrazione
locale del santo sacrificio... È vero quindi che vi è l’Eucaristia perché
vi è la Chiesa, ma anche... che vi è la Chiesa perché vi è l’Eucaristia» 8.12
3
1 Ibidem , 83 ss.
2 LG i i . ‘
123 la Liturgia culto della Chiesa
« È sacrificio Vuomo stesso, quando consacrato dal nome di Dio e a lui of
ferto, muore al mondo per vivere a Dio... Vi è un sacrificio del corpo, quando,
per Dio, lo mortifichiamo nella temperanza... Ancor più diventa un
sacrificio l'anima stessa, che, dirigendosi a Dio, si accende del suo amore
fino a perdere ogni forma di desiderio mondano... In questo modo av
viene che tutta intera la città dei redenti, ossia la comunità dei santi,
1 L G io ; cfr. 9; A A 3; P O 2.
2 L G zi.
3 L G 6.
4 P O 2.
5 L G io.
6 LG ii.
7 P O 2.
8 P O 12.
124 parte I - capitolo ¡V
diventa sacrificio universale offerto a Dio per il tramite di quel sommo sa
cerdote (Cristo) che nella sua passione si offrì per noi, secondo la sua
forma umana, per fare di noi il suo corpo... Questo infatti è il sacrificio
dei cristiani: diventare tutti un solo corpo in Cristo » 1.
Come si vede, la santità cristiana non è solo un fenomeno di perfezione
morale, ma è soprattutto ricerca di adesione a Dio, realizzata attraverso
il « sacrificio » di se stessi, e riveste quindi un aspetto fondamentalmente
cultuale sia per il modo in cui si attua (sacrificio di se stessi), sia per la sua
origine : nasce infatti da una iniziale « consacrazione » per la quale si è
offerti a Dio. Non è neppure un fatto che rimanga o debba rimanere chiuso nel-
Yindividuo, perché, pur toccando il singolo, la santità cristiana si realizza in
quella « forma (natura) umana », che per essere già stata offerta da Cristo,
assimila tutti gli uomini a lui nel momento stesso del suo sacrificio, perché
appunto « nella sua umanità Cristo offrì e fu offerto » ossia « fu sacerdote
e sacrificio » allo stesso tempo.
In questo modo, in forza di una santità, che tutti ci accomuna nel sa
crificio del « Capo », e ci rende per ciò stesso « Corpo di Cristo », tutta
quella umanità, nella quale la grazia della redenzione agisce come principio
santificatore, diventa « universale sacrificio offerto a Dio ». Il momento
cultuale della santità cristiana si fonde qui nella stessa dimensione ecclesiale,
che è la dimensione base del cristianesimo.
In altre parole: la santità, frutto dell’azione sacerdotale dell5individuo,
in realtà ha contribuito alla costruzione della Chiesa, vista nella sua realtà
interiore, che consiste nell5« essere tutti un solo corpo in Cristo», ossia,
secondo Gv 17, 21, nel « diventare tutti una cosa sola con lui e in lui ».
Ma tanto l’aspetto « cultuale » quanto quello « ecclesiale » insiti nella
santità cristiana, non restano allo stato di latente intenzione e — rispettiva
mente — di realtà interiore, ma sfociano ineluttabilmente nella Liturgia,
la quale darà forma ed espressione sacramentale alla realtà interiore della
Chiesa («comunità di santi») portandola su un piano di comunità visi
bile attraverso un segno, che è rivelatore e insieme efficace di quella unità
nella santità, che l’idea stessa di Chiesa implica.
È questa la funzione dell’Eucaristia, terzo dei sacramenti destinati —
come sopra dicevamo — ad attuare la « comunità sacerdotale ».
Sant’Agostino, arrivato col suo discorso alla conclusione che l’atto di
culto per eccellenza, « il sacrificio dei cristiani è l’essere tutti un solo corpo
in Cristo », continua dicendo :
« Questo è quello che la Chiesa celebra anche nel sacramento dell’altare,
sacramento nel quale le viene significato che essa stessa è offerta nella
cosa che offre » 12.
Il senso è chiaro: il sacrificio dei cristiani, che consiste in una reale ma
interiore unione a Cristo, fino a formare con lui un corpo solo, si realizza
anche sacramentalmente, e cioè attraverso un « segno sacro », forma rituale, di
cui la Chiesa comprende il « significato» (« demonstratur ») : sa infatti che la
sua unione a Cristo, come la sua offerta a Dio, non sono solo interiori inten
1 SG 2.
2 L G 28.
126 parte I - capitolo IV
Per questa ragione e sotto questo profilo PEucaristia appare, oltre che
« fonte e culmine di tutta Pevangelizzazione sacerdotale », anche come
mezzo per il quale « i fedeli sono pienamente inseriti nel Corpo di Cristo »
e conseguentemente come Peffettivo
« centro della comunità dei cristiani presieduta dal presbitero, che insegna ai
fedeli a offrire la vittima divina nel sacrificio della messa e a fare in
unione con questa vittima Pofferta della propria vita » l.
Queste due dimensioni non sono certo su piani autonomi e tanto meno
indipendenti. Sono infatti azioni sacerdotali « ordinate Puna all’altra » 12,
e precisamente nel senso di una tale convergenza nell’unicità dell’azione
liturgica, che questa risulta come unica azione sacerdotale nella quale agiscono
1 PO 5.
2 LG io.
127 la Liturgia culto della Chiesa
1 SC 26.
128 parte I - capitolo IV
1 L G 9.
2 L G 11.
3 L G 3.
4 II decreto cita M t 3, 16: battesimo di Cristo; Le 4, 18: profezia della missione spirituale-
messianica di Gesù; A tti 4 ,2 7 ; 10,38 : riferimento al battesimo di Cristo.
5 L G io.
129 la Liturgia culto della Chiesa
1 LG io.
3 LG IO:
130 parte I - capitolo IV
1 Pio X II, Allocuzione del 2 novembre 1954, in AAS 45, 1954. 6^7 e 669.
2 Pio XTT. Allocuzione al Congresso internazionale liturgico di Assisi, in AAS 48. 1956, 716-717.
131 la Liturgia culto della Chiesa
1 Enc. Mediator Dei, in A AS 30, 1947, 556. Gfr. sopra p. 106 ss.
2 Y . Congar, V Ecclesia sujet de Vaction li turgique, in La Liturgie aprh Vatican II, Paris 1966, 254.
3 Ger 7,22; Amos 5*21-25; cfr. Is 1 ,11 -17 ; Sai 40,7-9; 49,8-14; 2 2 -2 3 ; 50,18-19.
4 Mt 9 ,1 3 ; 12 ,7; Me 12,33-34; Gv 4.23-24.
134 parte I - capitolo IV
E infatti Ebr io, 5-10 ci presenta Cristo che, entrando nel mondo, è
pienamente conscio di dover dar culto a Dio non con vittime e oblazioni
di animali, ma con la propria ubbidienza, che diventa « offerta » da Cristo
presentata « una volta per sempre » « nel suo corpo », ossia nella sua uma
nità viva. La stessa morte di Cristo non è da considerarsi come un atto a sé
stante, quasi fino a farne un « sacrificio esterno e visibile » ; ma è soltanto
l’ultimo momento nel quale «si compie» («Consummatum est») quel
sacrificio di ubbidienza che si era protratto e spinto «fino alla morte» (Fil
2, 8).
Questa idea, purtroppo, è molto spesso viva e operante in coloro che cre
dono che basti « realizzare la presenza di Cristo » sull’altare, perché Dio
sia glorificato. Allo stesso modo si potrebbe pensare che basti ricevere mate
rialmente il sacramento per credere di essere entrati in comunione con Cristo.
Non si sarebbe certo molto lontani da una concezione magica del sacramento,
ma è proprio in questo modo di pensare che affonda le radici l’idea che la
Eucaristia sia il « sacrificio esteriore » « ufficiale » e « pubblico » della Chiesa,
dal quale si distingue il «sacrificio spirituale» e «privato» dei cristiani.
1 È la finalità espressa come motivo della liberazione: Es 3, 12. 18; 5, 1, ecc.; 19, 4-6.
2 Cfr. per es. Ger 3, 19-20; Os 2, 16-25; 1-6.
3 Is. 29, 13. Cfr. M t 15, 7-9; M e 7, 6-7.
136 parte l - capitolo IV
Liturgia e non-liturgia
Bibliografia
I premessa storica
cialità » che esso esprime, si arricchisce di altri elementi che, in materia li
turgica, si possono riassumere nella necessità di un « riconoscimento », il
quale si concreta in un « ordinamento » e in un’ « approvazione » da parte
dell’organismo (Chiesa), di cui la celebrazione è espressione ufficiale.
È quel che troviamo espresso in CIC 1256, che dice: « Quando il culto
è dato a nome della Chiesa, da persone a questo scopo legittimamente de
putate e per mezzo di azioni che siano determinate dalla Chiesa... si dice
culto pubblico; altrimenti è privato ». Che la « Chiesa » qui accennata come
quella che fa da sfondo all’azione cultuale, sia quella gerarchica e preci
samente quella al vertice, lo afferma il successivo 1257 dello stesso CIC,
che riconosce « alla sola Sede apostolica l’ordinamento della Liturgia e la
approvazione dei libri liturgici ».
Come si vede, l’aspetto « pubblico » della Liturgia, che a questa dovrebbe
essere connaturale appunto perché è espressione di una « comunità » cul
tuale quale è la Chiesa, si carica talmente di valore « giuridico », che ne
cessariamente risulta essere « Liturgia » solo il culto che è normativamente
determinato dalla Chiesa gerarchica. E non sarà inutile rilevare subito che
questo avviene solo in conseguenza di una ecclesiologia, che ancora non si
emancipa dall’idea di « Chiesa-società », e quindi in essa il culto compare
non come un fatto « ecclesiale » propriamente detto, ma solo come un fe
nomeno « sociale » estrinseco alla « Chiesa » come tale.
1 Ibidem, 539.
2 Ibidem.
3 Ibidem, 540 ss.
4 Ibidem, 544.
5 Cfr. A. M. Roguet, La Liturgie et les dévotions, in I.MD 73. 29.
140 parte I - capitolo V
1 Ibidem. iq .
2 Cfr.. per es.. Pio X . Tra te sollecitudini, in AAS 36. 1903-1904. 7: « È proibito nelle solenni
funzioni liturgiche di cantare in volgare qualsivoglia cosa; molto più poi di cantare in volgare
le parti variabili o comuni della messa e dell’ufficio»; e più recentemente, SRC, Istruzione, 3
settembre 1958, in AAS 50, 1958, 635: «Nelle celebrazioni liturgiche in canto nessun testo liturgico
può essere cantato tradotto in lingua volgare...; ma nei pii esercizi si può usare la lingua che meglio
conviene ai fedeli... Nelle processioni prescritte dai libri liturgici si deve usare la lingua che gli
stessi libri prescrivono; ma nelle processioni che si fanno come pii esercizi si può usare la lingua
che meglio conviene ai fedeli... II canto religioso popolare può usarsi nei pii esercizi; ma nelle azioni
liturgiche si osservi invece... ».
3 S C 22, 1.
4 S C 22, 1-2. Cfr. 36.3-4; 30; 40, 1-2.
5 S C 26.
6 SC 13
143 Liturgia c non-liturgia
essi celebrazioni, che per essere fatte dietro ordine dell’autorità ecclesia
stica e secondo norme approvate, non pare si possano veramente distinguere
— sul piano « giuridico » — dalla Liturgia.
È vero che allo stesso momento si afferma solennemente che « la Li
turgia per sua natura supera di molto i pii esercizi ». E questo in realtà
senz’altro vale se per « Liturgia » si intendono solo i sacramenti, perché
questi appunto « per loro natura », ossia per una ragione teologica ben
precisa, si distinguono da ogni altra forma di culto, superandola, in quanto
sono diretta realizzazione del mistero di Cristo. Ma se per « Liturgia »
s’intende, per esempio, una processione « liturgica » (come quella della Pre
sentazione del Signore al 2 febbraio, quella delle Palme, quella del Corpus
Domini) o anche solo la Liturgia delle ore, in che cosa realmente si fonda
raffermata « superiorità » della Liturgia nei confronti dei « pii esercizi »,
che possono essere appunto delle « processioni » o un « Piccolo Ufficio della
Madonna » ? Se fermiamo in proposito la nostra attenzione, per esempio,
sulla « Liturgia delle ore », seguendo il capo IV della SC, è evidente che
tale « superiorità » è data solo da determinazioni giuridiche come si può
vedere appunto nel caso di un « Piccolo Ufficio », che da pio esercizio diventa
preghiera pubblica della Chiesa e cioè Liturgia, purché sia « recitato in forza
delle costituzioni religiose (dei partecipanti), sia disposto in conformità al di
vino Ufficio e abbia avuto regolare approvazione » L Ma la stessa situazione
si ha in fondo per la « Liturgia delle ore ». Dopo aver letto che « Cristo
continua la sua opera sacerdotale per mezzo della sua Chiesa, la quale...
col divino Ufficio loda senza interruzione il Signore e intercede per la sal
vezza del mondo » a, subito dopo si scopre che « questo meraviglioso cantico
di lode... è veramente voce personale della Sposa che parla allo Sposo, è anzi
la preghiera che Cristo unito al suo Corpo rivolge al Padre », solo se ciò avviene
attraverso persone « deputate » o insieme ad esse, e « secondo una forma
approvata » 3. Si direbbe che senza questi interventi giuridici e formali,
l’Ufficio divino dovrebbe essere considerato — non meno di quello che lo
era ogni « Piccolo Ufficio » prima dell’art. 98 della SC — solo un « pio
esercizio » e non certamente una « Liturgia delle ore » 4.
L ’incongruenza di risolvere, con una formula giuridica, la natura litur
gica della « preghiera delle ore » è stata finalmente vista nella Institutio
generalis premessa alla nuova « Liturgia delle ore », dove ripetutamente
riaffiora in maniera diretta il rapporto « Chiesa-preghiera comunitaria-
Liturgia delle ore » senza altre determinazioni giuridiche5, creando una
preghiera liturgica, nella quale la forma, la lingua e la stessa completezza non
giuocano più nessun ruolo.
- 0^1 03.
3 SC 84; 98; i o i , 3.
4 Cfr. istruzione^ 3 settembre 1958, 645.
5Institutio generalis della Liturgia delle ore, 2; 7; 9; 15; 22; 24; 27; 32.
144 parte I - capitolo V
1 Cfr. L G 23: « Nelle Chiese particolari esiste la Chiesa cattolica nella sua unità e unicità»; 26:
« Le comunità locali sono nel loro territorio il nuovo popolo di Dio... e in esse sebbene piccole, po
vere e disperse... si raccoglie la Chiesa una...»; 28: « I presbiteri... santificando e guidando una
porzione del gregge... rendono visibile nel loro territorio la Chiesa universale».
145 Liturgia e non-liturgia
1 Gir. L. Cerfaux, La théologie de VEglise suivanl saìnt Paul. Paris 1942, 73-94. Cfr. sopra pp. 107 ss.
2 Vedi sopra, p. 111.
3 Vedi sopra, p. 112 ss.
4 Enciclica Mediator Dei, in AAS 39, 1947, 528 ss.; SC 7.
6 A. Stenzel, Cultus publicus. Ein Beitrag zum Begrijf und ekklesiologischen Ort der Liturgie, in
« Zeitschr. f. kath. Theol. » 75, 1953, 190.
146 parte I - capitolo V
nel quale vive e agisce come Chiesa. Vogliamo però, ciò non ostante, sot
tolineare due fatti:
1. Non essendo Vazione liturgica altro che un’azione posta in essere sul piano
cultuale secondo una situazione « temporale-locale », essa riguarda ed esprime
prima di tutto la Chiesa locale, cioè una comunità che nella unione del « capo »
e delle « membra » forma un « corpo », che si presenta come attuazione
nel tempo e nel luogo delPunico « corpo di Cristo ».
2. L ’azione liturgica non esige dunque che essa sia manifestazione della
« universalità » della Chiesa, ma che sia rivelazione della natura « eccle
siale » della comunità locale in questione. Detta natura « ecclesiale » della
comunità si manifesta quando questa si presenta in concreto come « Corpo
di Cristo » secondo il duplice aspetto che ciò implica e cioè: a) In quanto
comunità che perpetua e rivela la situazione profondamente cultuale che era
propria di Cristo nel suo « corpo » terreno, ossia per effetto della sua In
carnazione; b) In quanto «corpo» organizzato, in concreto, di «capo»
e di « membra », i quali fanno un’azione liturgica non solo perché sono
insieme uniti, ma perché sono gerarchicamente uniti, nel senso che il « capo »
rappresentante visibile di Cristo, è colui che per natura dà ordine e forma
alla Liturgia, appunto perché il « capo » invisibile Cristo è colui che dà
a questa il suo contenuto e cioè il proprio « mistero di salvezza ».
La prima inderogabile componente della Liturgia è dunque che questa
sia azione cultuale della Chiesa, nella sua complessa realtà di « Corpo di
Cristo ».
1 S. Marcili, I Segni del mistero di Cristo, uso manoscritto, Pontificia Università Gregoriana,
Roma 1969.
147 Liturgia e non-liturgia
a fare la sua volontà. È quello che Cristo realizzò nella obbedienza pre
stata al Padre e che ora viene comunicato a tutti coloro che, accogliendo
in sé Cristo, diventano come lui figli di Dio (Gv i, 12). I sacramenti hanno
appunto lo scopo di fare degli uomini altrettante immagini vive di Cristo, fino
a farli diventare in lui e per lui « tempio santo di Dio nello Spirito » (Ef 2,
22), ossia concreta, visibile e viva « lode di gloria al suo amore » (Ef 1, 6).
Ma che dire della preghiera, che per sé è un fatto umano universale, e
che sembra non avere un diretto rapporto con il mistero di Cristo? Come
c perché diventa azione liturgica in senso cristiano? Come diventa attuazione
e segno di attuazione del mistero di Cristo? È questo infatti il minimo che
si richiede perché essa sia « azione liturgica ».
1 Cfr. S. Marsilij Le orazioni della Messa nel nuovo messale. Teologia e pratica della preghiera litur
gica, in «Rivista Liturgica » 58, 1971, 70-91.
2 Equivalente a questa è l’altra espressione « per Cristo », che san Paolo usa di frequente
in contesti che si riferiscono alla preghiera: Rom 1, 8; 15, 30; 16, 27; Col 3, 17; Ebr 13, 15.
3 Cfr. Atti 19, 13-16, dove si vedono dei giudei che pensano, pur non credendo in Cristo, di
poter con l’uso del nome di Gesù agire sui demoni.
148 parte I - capitolo V
1 Che l’invocazione del nome sia un richiamarsi alla presenza redentrice di Cristo risulta evi
dente dalla narrazione di due analoghi miracoli operati da san Pietro, nel primo dei quali (Atti
3, 6. 16; 4, io) il comando dato « nel nome di Gesù Cristo » evoca la presenza della persona e della
sua potenza salvatrice, allo stesso modo che avviene nel secondo miracolo (Atti 9, 34), dove
Pietro dice: «Enea, Gesù Cristo ti guarisce». Non c’è infatti altro «nom e» ossia «persona»
che porti la salvezza (Atti 4, 12).
149 Liturgia e non-liturgia
senza di Cristo, che con noi e per noi si fa « orante » davanti al Padre (Gv
14, 16). La Chiesa non è solo «sacramento» ossia segno effettivo di unità
tra Dio e gli uomini in Cristo, ma diventa sacramento della preghiera di Cristo,
quando raccolta a pregare nel nome di lui, essa si fa segno di Cristo orante
nel suo corpo.
Della preghiera liturgica una volta si dice che in essa « Cristo associa
a sé la Chiesa..., la quale per mezzo di lui rende culto al P a d re» 1; un’altra
volta si dice, che « Cristo continua il suo ufficio sacerdotale per mezzo della
Chiesa che loda incessantemente il Signore e intercede per la salvezza del
mondo » *. Questa osmosi di « mediazione » nella preghiera liturgica, che
è fatta da « Cristo per mezzo della Chiesa » e dalla « Chiesa per mezzo di Cristo »,
ci riporta in pieno alla « preghiera nel nome di Gesù », dove non è que
stione di « ufficialità » giuridicamente valida della preghiera, ma di « realtà »,
che implica una duplice presenza-azione: quella di Cristo e quella della Chiesa.
Di questa duplice « presenza-azione », la prima forma il contenuto reale della
preghiera della Chiesa, e la seconda costituisce il segno della preghiera di
Cristo.
Siccome però la Chiesa esiste, come « popolo di Dio » e « corpo di Cristo »
in una situazione pluridimensionale, che implica in essa la presenza e in
sieme la distinzione di capo e di membra, non in astratto ma secondo una
concretizzazione personale e locale (è formata da queste persone in questo
luogo e tempo), la preghiera liturgica troverà il suo « segno » — a livello
naturalmente diverso — tanto nel « capo » di questa comunità, quanto nella
« comunità » raccolta attorno al suo capo; cioè nella fusione di « capo
comunità », in modo che la preghiera risulti « preghiera del corpo di
Cristo ».
Come si vede la « preghiera liturgica » riveste un carattere sacramentale,
perché è trasmissione-continuazione della preghiera salvifica di Cristo [con
tenuto reale) attraverso il segno della Chiesa orante. Ed è questa sua basilare
costituzione sacramentale quella che fa della preghiera della « Chiesa »
— al pari di tutti i sacramenti — un’attuazione del mistero di Cristo, e
cioè ne fa un'azione liturgica.
A ragione quindi SC 83 nel presentare la «preghiera della Chiesa»:
1. Ne fa una «continuazione dell’opera sacerdotale di Cristo per mezzo
della Chiesa », opera che la Institutio generalis premessa alla « Liturgia delle
ore» (n. 13) specifica ulteriormente come «opera della redenzione umana
e della perfetta glorificazione di Dio », applicando così in particolare alla
« preghiera » quello che SC 5 aveva già detto per spiegare la « Liturgia »
in generale; 2. La mette a fianco del sacramento dell’Eucaristia, come sua
esplicitazione, anzi suo « completamento » 12 3.
Quest’ultimo aspetto riceve ancora una carica particolare, quando la
Institutio generalis 12 fa anche della « preghiera » liturgica un « memoriale »
dei misteri salvifici, le dà cioè un compito « anamnetico », che è essenziale
ad ogni realtà sacramentale 4.
1 SC 7.
2 SC 83.
3 Cfr. SC 83; PO 5; IG L H 12; 13.
4 IG L H 12 riprende felicemente un’antichissima tradizione rappresentata per es. da Ter
tulliano, De ieiunio, io: PL 2, 967; Cipriano, De orat. d o m in 34: PL 4, 559 e soprattutto da Ippolito,
Traditio apost., 41: ed. Botte, La tradition apostolique de saint Hippolyte, 1963, go ss.
150 parte I - capitolo V
Fissate quelle che abbiamo chiamato le due componenti essenziali della Li
turgia e scoperta la loro esistenza anche al di fuori del mondo sacramentale
propriamente detto, e cioè nella « preghiera liturgica », ci resta da vedere
se può esistere miCazione di culto, che debba dirsi « della Chiesa » e tuttavia
non sia « liturgica ». Vogliamo cioè tentare di trovare una ragione — al
di fuori di determinazioni giuridiche — che ci spieghi perché i cosiddetti « pii
esercizi » non sono e se effettivamente non possono essere « Liturgia ».
gole diocesi dai vescovi; 2. Perché ammette che essi possano essere tali da
risultare come un5emanazione della Liturgia 1.
Nella Chiesa vivono insomma con lo stesso diritto — almeno sul piano
pratico — due forme di culto: una disposta e comandata a tutti dall’auto-
rità della Chiesa, e l’altra più varia, indefinita e cangiante che sorge dal
popolo; una ufficialmente riconosciuta, cui tutti si è obbligati costituti
vamente (se si vuole essere cristiani) e l’altra solo ufficiosamente accettata,
per nessuno obbligatoria in senso stretto e tuttavia necessaria a tutti12 3; una
avente sempre valore « pubblico », anche se fatta « in privato », Paltra
resta sempre « privata », anche se fatta « in pubblico » da tutta una comunità,
magari all5interno di un’azione liturgica e per comando dello stesso Papa3.
Queste differenze, universalmente ammesse tra « culto liturgico » e
« culto non liturgico », in realtà non superano il livello della distinzione
che passa tra « pubblico » e « privato ». Di questa distinzione però ab
biamo già notato, che pur essendo formulata costantemente in termini « giu
ridici », in realtà è comprensibile, nel culto cristiano, solo se spiegata a li
vello «teologico». In altri termini: culto «pubblico» non è quello fatto
a « titolo ufficiale », come culto « privato » non è quello fatto a « titolo
privato ». Teologicamente culto « pubblico è quello che viene esercitato
dal «popolo (donde pubblico) di Dio», nella sua qualità di Chiesa e cioè di
assemblea raccolta localmente attorno a Dio; «privato» è il culto che
— pur nell’unità della Chiesa — viene esercitato individualmente da un
membro del Corpo di Cristo, per cui si ha un culto nel, ma non ancora del
Corpo di Cristo.
Orbene questa spiegazione teologica non può essere addotta per fondare
la distinzione che continua a permanere tra « Liturgia » e « pii esercizi »,
perché i « pii esercizi » in questione non sono quelli che vengono praticati
da singoli cristiani, in rispondenza ad un bisogno, esigenza o altra spinta
psicologica; sono al contrario quelli che riguardano e interessano la comu
nità o una certa comunità cristiana come tale, e cioè in quanto Chiesa. Leg
giamo infatti che i « pii esercizi » sono quelli del « popolo cristiano » 45
, e sotto
questa determinazione non possiamo intendere altro che la Chiesa tanto
a livello universale che locale. Se così non fosse, bisognerebbe di nuovo ca
dere nell’equivoco di « Chiesa-gerarchia », nella quale risiederebbe in senso
privilegiato il sacerdozio di Cristo, mentre « popolo cristiano » sarebbe la
parte teologicamente indifferenziata — e quasi di secondo rango — della
Chiesa stessa 6. Questo potrebbe spiegare il dualismo cultuale di fatto esistente
così nella Chiesa, ma equivarrebbe ad affermare che la Liturgia o non ap
partiene al popolo cristiano oppure non è sufficientemente adatta a nutrirne
la vita.
1 s e 13.
2 Cfr. Lettera del S. Officio 25 novembre 1948 in A. Bugnini, Documenta pontificia ad instau
rationem liturgicam spectantiaì I, Romae 1953, 168.
3 Per es., Leone X III con decreto 20 agosto 1886 e 15 agosto 1889 ordinò che in tutte le chiese
parroccliiali e in tutti gli oratori pubblici dedicati alla Madonna, per tutto il mese di ottobre
si recitassero, durante la Messa al mattino e davanti al Sacramento esposto nel pomeriggio, il
rosario, le litanie lauretane e la preghiera: « A te, o beato Giuseppe ».
4 SG 13.
5 Cfr. per es. la « Preghiera eucaristica », dove, nelle intercessioni, pregando per la « Chiesa,
pellegrina sulla terra », si distinguono in linea decrescente papa, vescovo, clero e « il popolo re
dento », che sarebbero poi i « laici », quasi che papa, vescovo e clero non fossero anch’essi da an
noverare aWinterno del « popolo di Dio », ma solo al di sopra di esso.
152 parte I - capitolo V
1 Gfr. per es. A. Wilmart, Precum libelli quattuor aevi karoliniì ed. EphLit, Roma 1940.
2 A questo pericolo non è del resto sfuggita purtroppo neppure la Liturgia, non ostante la
vigilanza della gerarchia. Gfr. p. es. A. Franz, Die Messe im deutschen Mittelalter, ristampa Darmstadt
1963-
153 Liturgia e non-liturgia
nori: a) tre antifone (Angelus Domini... Ecce ancilla... Et Verbum caro...), seguite
ognuna da urìAve Maria, al posto del salmo, da un versetto con risposta
[Ora pro nobis... Ut digni efficiamur...) e da un Oremus {Gratiam tuam...), seguito
da un triplice Gloria Patri; b) la recita era « comune » — anche se fatta pri
vatamente — perché annunciata per tutto il paese dalle campane delle sin
gole chiese, come ogni altra azione liturgica; c) l’equiparazione all’ «O ra
canonica » risalta ancor più dal fatto che la forma àz\YAngelus sottostava alle
norme del Breviario, nel senso che nel « tempo pasquale », la preghiera do
veva essere sostituita dall’antifona Regina coeli, con relativo versetto e ora
zione propria, e doveva essere detta in piedi, secondo la norma liturgica
comune, che nel tempo pasquale vietava la preghiera in ginocchio.
sta solo a dimostrare che dal medioevo in poi la Liturgia, stretta nelle maglie
di una « tradizione » non sempre rettamente compresa, ha ignorato quella
legge fondamentale di vita che si chiama aggiornamento e adattamento, e che
finalmente farà propria il Vaticano II al secolo xx. Che poi molte di queste
spinte non potessero sempre richiamarsi ad un cristianesimo autentico, perché
— come s’è detto parlando delle « pratiche devote » di estrazione pro
priamente privata e individuale — spesso sconfinavano in situazioni super
stiziose o traevano motivi che si rifacevano a una mentalità religiosa più
« naturalistica » che cristiana, non può meravigliare, se si riflette alla man
canza o almeno airinsufficienza di una vera catechesi evangelizzatrice, che
ha caratterizzato la Chiesa dal secolo x in poi.
In tutto questo travaglio storico-spirituale e non ostante tutti gli aspetti
negativi, che restano a carico di questi « pii esercizi », si deve fare attenzione
a non rovesciare le parti — come talvolta hanno fatto i fautori del movi
mento liturgico in lotta contro l’invasione dei « pii esercizi » nel culto cri
stiano — e cioè: i «pii esercizi», considerati soprattutto nei loro lati ne
gativi, non sono tanto la causa, quanto il segno di una decadenza spirituale-
liturgica. Contro una Liturgia decadente essi si sono posti — forse spesso sba
gliando — il compito di rifare una Liturgia, che fosse viva a livello di popolo.
Resta comunque il fatto storicamente innegabile che non sono pochi i
momenti, sia pure effimeri, di primavere religiose, che devono ascriversi al
sorgere e diffondersi dei « pii esercizi », che dopo uri azione liturgica scarsa
mente frequentata, riempivano letteralmente le chiese. Si pensi à quel che
avveniva ancora pochi anni fa — e in parte è ancora cosa di oggi — nel
Triduo pasquale. Si sa che le sue celebrazioni liturgiche, di primaria impor
tanza per la vita cristiana, avvenivano al mattino di giorni, che ormai per
tutti erano diventati « giorni lavorativi », ed esse restavano quindi deserte.
Il prete doveva celebrarle, ma Porario a cui le norme liturgiche, avulse dalla
vita del popolo, lo obbligavano, rendevano la sua una « Liturgia solitaria ».
M à il « popolo cristiano » non aveva rinunziato al suo Triduo pasquale,
e così negli stessi giorni, ma nelle ore serali, i « pii esercizi » — un po’
caoticamente ordinati per una precedente incomprensione della celebrazione
liturgica — del « sepolcro », dell’agonia, della Via crucis, della processione
del Cristo morto, richiamavano moltitudini di fedeli. Che cos’era questo
se non un tentativo di tradurre in linguaggio, in stile e in orario popolare
il contenuto di riti, che non solo erano di difficile comprensione, ma che si
continuava a celebrarli in ore impossibili, come se per essere riti « litur
gici » dovessero essere «fuori del tempo»? Non c’è dubbio che molte cri
tiche si potevano muovere a queste « traduzioni » popolari in materia li
turgica; ma si potrà ragionevolmente contestare che esse rispondevano ad una
necessità e che a modo loro dimostravano come il popolo fosse attaccato alla
realtà se non alla forma liturgica, e non fosse disposto a vederla morire, chiusa
nell’inaccessibile suo palazzo rituale, prigioniera delle sue stesse tradizioni?
A questo punto, e cioè dopo interrogata criticamente la storia relativa
al sorgere dei «pii esercizi», la domanda che s’impone è questa: I «pii
esercizi », quando sono a livello di « Chiesa » e cioè di comunità in senso integral
mente ecclesiale (corpo di Cristo con il suo capo visibile) e quando ripresentano
il mistero di Cristo, sono o non sono « azioni liturgiche » ?
155 Liturgia e non-liturgia
,
1 SC 22 1-2.
156 parte l - capitolo V
ermeneutica liturgica
capitolo primo
introduzione
Si può dire che la funzione della scienza liturgica consiste nella rifles
sione teologica sulla vita liturgica della Chiesa in quanto viene effettuata
e in quanto dovrà essere realizzata secondo i principi conoscitivi che deri
vano in parte dalla struttura permanente della Chiesa e in parte dall’analisi
teologica delle varie situazioni storiche della stessa L Secondo questa affer
mazione, si può parlare di due diverse e complementari prospettive della
scienza liturgica e, per tal motivo, anche del metodo e della tecnica del lavoro
scientifico liturgico: i. una metodologia liturgica, che è fondamentalmente
una ermeneutica della realtà liturgica vissuta dalla Chiesa; 2. una meto
dologia liturgica, che è fondamentalmente una criteriologia della riforma e
della creatività liturgiche 2. Noi ci limitiamo al primo di questi due aspetti.
Lo studio scientifico della Liturgia come realtà vissuta dalla Chiesa in
genere, e la indagine liturgica in particolare, presentano esigenze proprie
di metodo specifico. Si può parlare di una vera e propria metodologia li
turgica : essa, pur avendo una sua fisionomia tipica, è strettamente connessa
con la metodologia teologica e con la metodologia della scienza storica e
della scienza giuridicaa. Presupponendo quindi la conoscenza dei principi
fondamentali delle metodologie teologica, storica e giuridica e, naturai-12 3
1 Cfr. H. Rennings, Obiettivi e compiti della scienza liturgica, in «Concilium » 5, 1969, 2, 150.
2 Sul tema della creatività liturgica esiste oggi una sempre più crescente bibliografia. Pre
sentiamo soltanto alcuni numeri monografici dedicati dalle diverse Riviste a tale argomento:
«Concilium » 5, 1969, 2: dedica una serie di studi interessanti al futuro della Liturgia.
« Phase » io, 1970, 50, 325-392, Liturgia y acontecimiento: presenta una serie di articoli orien
tati ad approfondire il tema deirincarnazione della Liturgia nelFoggi della storia.
«Concilium » 7, 1971, 2: raccoglie diversi studi sul culto e il cristiano d’oggi.
«L itu rgia» 26, 1971, 254, 187-299, Creatividad litúrgica.
«Liturgie et vie chrétienne » 1971, 75, Prier aujourd'hui.
«Rivista Liturgica» 58, 1971, 1, Preghiera liturgica, forma ed espressione: contiene alcuni articoli
che riguardano il tema della creatività nella Liturgia.
« L a Maison-Dieu » 1972, i l i , Créativité et liturgie: gli articoli di questo numero mettono in
evidenza la complessità del problema della creatività in Liturgia.
3 Cfr. P. de Puniet, La méthode en malière de liturgie, in « Cours et conférences des semaines
liturgiques » 2, Abbaye de Maredsous 1914, 41-77; R. Guardini, tfber die systematische Methode
in der Liturgiewissenschaft, in «Jahrbuch f. Liturgiewissenscbaft » 1, 1921, 97-108; Ph. Oppen
heim, Institutiones systematico-historicae in sacram Liturgiam, V : Introductio in scientiam liturgicam, Torino
1940: H. Rennings. Obiettivi e compiti della scienza liturgica, in «Concilium » 5, 1969, 2, 139-157*
160 parte II - capitolo I
1 Cfr. L. Bouyer, Le rite et Vhomme. Sacratiti naturelle et liturgie (Lex orandi, 32), Paris 1962;
A. Kirchgàssner, La puissance des signes. Origines, formes et lois du culte, Paris 1962 ; C. Castro Cubells,
El sentido religioso de la Liturgia, Madrid 1964.
2 Cfr. J. Daniélou, Théologie du Judéo-Christianisme (Bibliothèque de Théologie) : Histoire des
doctrines chrétiennes avant Nicée I, Toum ai 1958; O. Cullmann, La foi et le cuite de l'Eglise primitive
(Bibliothèque thcologique), Neuehàtel 1963; F. Hahn, Il servizio liturgico nel cristianesimo primitivo
(Studi Biblici, 20), Brescia 1972*
3 Cfr. M. Pellegrino, I Padri della Chiesa come fonte della Liturgia, in A A. W., Introduzione agli
studi liturgici, Roma 1962, 97-110; C. Vagaggini, Il senso teologico della Liturgia. Saggio di Liturgia
teologica generale, Roma 19654, 556-590.
4 Cfr. M. Righetti, Manuale di storia liturgica, voi. I: Introduzione generale, Milano 19502, 33-36.
5 Cfr. C. Vogel, Iniroduction aux sources de Vhistoire du cuite chrétien au Moyen Age, Spoleto. È un
buon strumento di lavoro Topera di K . Gamber, Codices liturgici latini antiquiores (Spicilegii Fri-
burgensis Subsidia. 1), pars prima et pars secunda, Fribourg 1968a.
161 principi di interpretazione dei testi liturgici
rendere ancor più sicuro e definitivo. In ogni caso, il metodo della critica
interna e quello della critica esterna si completano a vicenda L
Il fine del lavoro critico è dunque di determinare con la maggiore pre
cisione possibile il contesto storico e dottrinale delle fonti, cioè il loro « Sitz
im Leben ». Il contesto storico di un documento liturgico è dato anzitutto
dalla determinazione della sua data, dell5autore e delPambiente geografico.
Si tratta di tre elementi ugualmente importanti: il poterli definire del tutto
o in parte eviterà il pericolo che il documento in questione resti soffocato
dall’anacronismo. È importante che Pindagine sul contesto storico del docu
mento liturgico si allarghi alPambiente storico più vasto di cui fa parte il
testo stesso.
Inoltre, la determinazione del contesto storico di un documento litur
gico, presuppone che si rintracci la funzione che il testo rivestiva origina
riamente. Generalmente i testi liturgici sono stati usati nel culto, cioè hanno
assolto — come si suol dire — a una « funzionalità liturgica ». Rintrac
ciare i termini della funzionalità liturgica di un determinato testo, può sup
plire eventuali lacune sulla sua data e sull’autore, mentre al tempo stesso
è garanzia del valore tradizionale dell’elemento preso in esame.
Per definire il contesto dottrinale del documento liturgico, si deve anzi
tutto stabilire la natura del testo in rapporto alla Liturgia: cioè se si tratta
di un documento che si riferisce alla Liturgia direttamente o solo indiretta
mente o casualmente. I documenti che sono in rapporto diretto con la Li
turgia si possono dividere in quattro gruppi fondamentali: commentari li
turgici, formule liturgiche, rubriche e ordinamenti sulla Liturgia. Tra tutti
questi, il gruppo di maggiore interesse da un punto di vista dottrinale è
senza dubbio la formula liturgica e, all’interno di questa categoria, il testo
eucologico, in quanto in esso si manifesta con maggiore originalità il pen
siero della Chiesa.
Sia per il lavoro critico come per quello ermeneutico, è della massima
importanza analizzare il contenuto dei testi eucologici alla luce del pensiero
dei Padri e dell’ambiente teologico dell’epoca, cui appartengono i docu
menti in esame. Gli studi recenti sugli antichi Sacramentari romani hanno
dimostrato quale prezioso aiuto offra questo metodo al fine di evidenziare
le ricchezze dell’eucologia liturgica 123
.
Poste queste premesse indispensabili, che inquadrano i documenti li
turgici nel loro contesto proprio, possiamo ora rivolgerci alla questione che
qui ci interessa: l’interpretazione dei testi liturgici.
L ’ermeneutica si propone, in genere, di dare delle norme per l’interpre
tazione del contenuto intrinseco dei documenti e degli studi che sono og
getto dell’indagine scientificaa. La finalità propria dell’ermeneutica dei
1 U n ’opera che ha riscosso unanimi consensi per la correttezza metodologica con cui la uso
dei criteri della critica interna ed esterna nell’attribuzione di diciotto formulari del Sacramentario
,di Verona a Gelasio I, è ([nella di G. Pomares, Ge'/nsc I er. Lettrcs confíe les Lufterralcs et dix-huit Messes
du Sacramentane Léonien (Sources Chrctiennes. 65), Paris 1959. Si veda, per altro la critica di A.
Lauras, Etudes sur Saint Leon le Grand, in « Recìierchcs de science religicuse » 49, 1961, 498, nota 78.
2 Da questo punto di vista, oltre Popera rii G. Pomares che abbiamo ora citato, merita la nostra
attenzione lo studio di A. P. Lang. Leo der Grosse tmd die Texte des Altgelasìanums mil Berücksichtigung
des Sacramentarium Ijeonianum und des Sacrarnentanum Oregorianwn, Steyf 1957.
3 Se l’esegesi è l’interpretazione quasi sempre dei testi scritti, lo è anche delle altre realtà,
come l’arte, la tecnica, ecc. ; Yermeneutica invece, in un senso molto generale, è considerata come
la « teoria dell’interpretazione ».
162 parte II - capitolo I
testi liturgici consisterà dunque nel proporre norme di metodologia per l’in-
terpretazione dei testi liturgicih
Nella Liturgia si incontrano un complesso di testi molto vari per ori
gine, genere letterario ed anche per il tipo di utilizzazione che trovano nella
Liturgia stessa. Si deve perciò distinguere innanzitutto i diversi generi sotto
cui si possono ricondurre i vari testi liturgici12*. Possiamo porre una prima
divisione in due grandi gruppi: secondo che si tratti di formule che la Chiesa
attinge direttamente dalla Sacra Scrittura o di formule create espressamente
dalla Chiesa per il culto. Nel primo gruppo si distinguono nettamente le
letture scritturistiche e i canti biblici; al secondo gruppo appartengono in
vece tutte le altre formule composte dalla Chiesa, sia testi eucologici che
testi poetici. A questi due grandi gruppi bisogna aggiungere i testi patri
stici, usati dalla Liturgia soprattutto nell5Ufficio della lettura.
I testi eucologici sono i più interessanti per noi, al fine di fare maggior
mente risaltare la capacità creativa della Chiesa. Tali testi rivestono espres
sioni molteplici dal punto di vista della struttura, e molto diverse Puna dal
l’altra. Troviamo così testi eucologici diretti a Dio (anafore, formule di be
nedizione e consacrazione, preghiere...), altri invece diretti all’assemblea:
come le esortazioni; e infine ci sono i testi deprecatori (esorcismi). Sotto
un altro punto di vista, si può distinguere tra formule spettanti al sacer
dote e formule proprie dell’assemblea.
I i testi biblici
1 A lla base deirerm eneutica dei testi liturgici vi è la problem atica generale dell’ermeneutica
teologica, tema che oggi è oggetto di particolare riflessione da parte degli studiosi. C i limitiam o
ad elencare alcuni studi più rappresentativi: E. Simmons, Die Bedeulung der Hermeneulik für die
katholische Theologie, in « C a th o lic a » 21, 1967, 184-212; A A . V V ., Die hermeneutische Froge in der
Theologie, Freiburg 1968; B. Casper, Die Bedeutung der phìlosophischen Hermeneutik fiìr die Theologie
in « Theologische Quartalschrift » 148, 1968, 283-302; G. Stachel, Die neue Hermeneutik, M iinchen
1968; C. M olari, La fede e il suo linguaggio. Saggi di teologia, Assisi 1972: si veda soprattutto il
cap. I I: Principi per un'ermeneutica del magistero, 66-98.
2 Cfr. P. A . R oguet, I generi letterari dei testi liturgicij loro traduzione e uso liturgico, in Le tradu
zioni dei libri liturgici (Atti del Congresso tenuto a R om a il 9-13 novem bre 1965). C ittà del V a ti
cano 1966, 145-160.
163 principi di interpretazione dei testi liturgici
singolo fedele o del popolo irrompe in una dilagante litania di gioia fino
ad esprimersi in un canto o in un salmo. Gli esempi abbondano, sia nelPAT
come nel N T (cfr. Es 15, 1-18.21; 1 Sam 2, 1-10; Dan 3,26-90; Giudit
16,1-16; Le 1,46-55; Le 1,68-79; Le 2,29-32).
Ai due momenti rituali o didattici della Liturgia della Parola corri
spondono dunque, rispettivamente, le letture e i canti biblici. A volte, questi
due momenti della proclamazione e della risposta si intrecciano, proprio
come avviene nel canto-salmo responsoriale o graduale, che è il canto bi
blico principale e fondamentale dell’antica Liturgia della Parola 1. Il salmo
responsoriale è in primo luogo Parola di Dio, e come tale viene proclamato
dal ministro sacro mentre Passemblea è in ascolto. Ma i fedeli intervengono
con un ritornello, preso normalmente dal salmo stesso. In questo modo la
risposta della fede dell’assemblea si intreccia con la proclamazione della
Parola stessa di Dio, e si stabilisce un dialogo tra Dio e Passemblea.
1 Le letture
Per quel che riguarda il sistema o il criterio delPuso della Sacra Scrit
tura nella Liturgia, ci troviamo di fronte a tre sistemi principali: lettura con
tinua, semicontinua e a tema.
Da quanto ci risulta, sembra che la Chiesa dei primi secoli abbia usato
di preferenza o esclusivamente il sistema della lettura continua, o per lo meno
semicontinua12. La lettura continua polarizza Pattenzione sul messaggio glo
bale della Sacra Scrittura e sull’unità della storia della salvezza, più che su
un determinato passo della Sacra Scrittura stessa. Il sistema della lettura
semicontinua, da parte sua, mentre conserva Pobiettivo fondamentale della
lettura continua, evita le difficoltà che possono presentare certi libri sacri o
alcuni passi in determinate celebrazioni cultuali. In realtà la lettura semi
continua comporta già di per sé una certa selezione per il fatto stesso che un
determinato libro della Sacra Scrittura si legge in un certo periodo delPanno
liturgico, o che certi passi sono volutamente omessi oppure riservati a cele
brazioni ben precise. Le diverse tradizioni liturgiche seguono criteri co
muni o particolari nel determinare questi sistemi di selezione, criteri che
Permeneutica liturgica deve evidenziare e valutare attentamente.
La lettura a tema fa la sua comparsa a partire dal m-rv secolo, seguendo
lo svolgimento delPanno liturgico e Pestrinsecarsi del suo mistero attra
verso celebrazioni distinte. Pasqua, Pentecoste e più tardi Natale, Ascen
sione, ed anche il tempo preparatorio e quello successivo alla Pasqua, le feste
di san Pietro e san Paolo, ecc. usufruiscono normalmente di letture proprie,
in armonia con il significato della festa.
Il lezionario attuale della Chiesa romana è caratterizzato dalla com
binazione dei due sistemi di lettura semicontinua e a tema.
Passando ora ad esaminare i criteri di distribuzione delle letture bibliche
lungo Panno liturgico, distinguiamo i suddetti cursus. I due cursus fondamentali
sono quello domenicale e quello feriale. In genere, i cursus domenicali sono
i più importanti, cioè contengono le pericopi fondamentali della storia della
1 Cfr. L. Deiss. Le bscume traduci, in « Assemblées du Seigneur » 2e sèrie. 2. i q 6 q. 40-72.
2 Cfr. C. Vogel, 0. c., 252-253.
164 parte II - capitolo I
2 I canti
1 Sulla storia di queste pericopi, cfr. A. Chavasse: A. (A M artim ort, La Chiesa in preghiera.
Introduzione alla liturgia, R om a 1963, 757-758; T h. M aertcns, Storia e funzione delle tre granai peri
copi « de caeco nato», «de samaritana», « de Lazaro», in « C o n c iliu m » 3, 1967, 2, 73-78.
2 II caso più comune è quello delle domeniche per annum, nelle quali è stata fatta una arm o
nizzazione tra la lettura evangelica e la lettura veterotestamentaria.
3 Cfr. l’opera fondamentale di A. Baumstark, Liturgie comparée. Principes et méthodes pour Vétude
historique des liturgies chrétiennes, éd. revue par Dom B. Botte, Chevetogne-Paris 19533.
4 Cfr. P. Drijvers, Los salmos. Introducción a su contenido espiritual y doctrinal, Barcelona 1962.
165 principi di inter prelazione dei testi liturgici
Il i testi patristici
1 Cfr. H. En^berding, Alleluia, in « Reallexikon fur Antike und Christentum » i, 1950, 293-299;
L. Deiss, VAlleluia ou le processionai de VEvangile, in « Assemblées du Seigneur » 2e sèrie, 3, 1969, 78-02.
166 parte II - capitolo )
1 P. Cagin, Veuchologie latine étudiée dans la tradition de ses formules et de ses formulaires, i . Te
Deum ou illatio? Contribution à Vhistoire de Veuchologie latine à propos des origines du « Te Deum », Abbaye
de Solesmes 1906; 2. « VEucharistie » canon primitif de la Messe ou forrnulaire essentiel et premier de toutes les
liturgies, Tournai-Roma 1912; P. Alfonzo, Veucologia romana antica. Lineamenti stilistici e storici, Su-
biaco 1931; Ph. Oppenheim, Tractatus de textibus liturgicis, Romae 1945; F. Nakagaki, Metodo in-
tegraie. Discorso sulla metodologia nelVinterpretazione dei testi eucologici: Fons Vivus, in « Miscellanea
liturgica in memoria di Don Eusebio Maria Vismara » (Bibliotheca Theologica Salesiana, Ser. I :
Fontes, 6), Zürich 1971, 269-286. Eucologia (dal greco: ebxh = preghiera, e Xóyo? = discorso)
indica propriamente la scienza che studia le preghiere e le leggi che regolano la loro formu
lazione. In un senso meno proprio, ma di uso corrente, eucologia indica l’insieme delle preghiere
contenute in un formulario o in un libro liturgico.
2 Concilio Vaticano II. Costituzione Sacrosanctum Concilium. 59.
168 parte II - capitolo I
3 Tecnica interpretativa
1 Dopo le controversie degli ultimi anni, oggi la maggior parte degli Autori si orientano
verso la teoria di una « atmosfera pasquale » deirultima cena di Gesù, cfr. L. Ligier, Les ori
gines de la prière eucharistique. De la céne du Seigneur à VEucharistie} in « Questiona Liturgiques » 1972,
181-182.
172 parte II - capitolo I
ricordo dei mirabilia Dei con azione di grazie; santificazione dei doni rive-
vuti dalla provvidenza di Dio; supplica per la Chiesa.
Questi tre elementi sono stati sempre presenti nella tradizione delle ana
fore della Chiesa e formano il contenuto essenziale della eucologia cristiana.
Lo si vede con particolare evidenza nei testi della tradizione romana più
classica.
I tre elementi classici della eucologia romana possono, è vero, subire
certe trasformazioni, e non sempre compaiono nella successione logica e
così ben distinta che abbiamo sopra esposto. Un caso tipico è la prima pre
ghiera eucaristica della Liturgia romana o Canone romano, che contiene,
sì, i tre elementi, ma disposti in modo abbastanza disordinato. Così anche
si può dire della benedizione del fonte battesimale del sacramentario gela
siano antico 2. Per di più, in questa ultima formula, il primo elemento non
compare sotto forma di azione di grazie, ma di semplice invocazione a Dio:
Deus, qui invisibili potentia tua... La stessa cosa si può dire della maggior parte
delle orazioni romane, nelle quali il primo elemento si trasforma in invoca
zione a Dio. Il secondo elemento si trova configurato con libertà ancora
maggiore, dato il carattere particolare della consacrazione eucaristica nelle
anafore. Spesso è omesso per il fatto che la maggior parte delle formule eu-
cologiche non sono destinate a una particolare consacrazione di doni materiali.
b) Elementi strutturali dell’eucologia. Se gli elementi oggettivi sono l’espres-
sione contenutistica dei testi eucologici, gli elementi strutturali sono la forma
di composizione in cui tale contenuto si esprime. Per questo, ad ogni elemento
contenutistico corrisponde una forma strutturale di composizione.
Abbiamo detto che il primo elemento oggettivo si riduce molte volte a
una semplice invocazione. Il secondo elemento, la santificazione dei doni,
non di rado viene omesso per le ragioni che già abbiamo esposte al paragrafo
precedente. Tutto ciò porta come conseguenza l’accentrarsi dell’attenzione
sul terzo elemento o petizione, che viene ad arricchirsi del fine e in alcuni casi
anche della motivazione che giustifica la petizione.
Gli elementi oggettivi costituiscono dunque il materiale tematico o il
contenuto da cui procedono le forme strutturali di composizione. Tale con
tenuto, d’altra parte, è in un certo senso subordinato alle forme strutturali
nelle quali viene espresso.
1 Ge I, X L IIII : cd. L. C. Mohlberg, Liber sacramentorum romanae ecclesiae, nn. 445-448, 72-74.
173 principi di interpretazione dei testi liturgici
Lo stile dei testi dell’eucologia latina romana non è quello del latino
classico, ma è il parlare corrente dell’epoca, che contemporaneamente ri
sente di strutture e reminiscenze classicheggianti e di tendenze derivate dal
nuovo stile creato dal cristianesimo.
La eucologia cristiana trae i suoi primi ornamenti stilistici direttamente
dai testi poetici dell’AT. Indichiamo qui sotto i più importanti ornamenti
stilistici e le loro caratteristiche:
Ampliamento. Si tratta il più delle volte di un ampliamento della invo
cazione, che può esprimersi: in forma di orazione relativa — la più comu
ne — : « Deus, qui in Filii tui humilitate iacentem mundum erexisti... » 1; o in forma
di apposizione: «Deus, omnium misericordiarum ac totius bonitatis auctor... » 12;
oppure in forma di orazione relativa e apposizione nello stesso tempo:
« Omnipotens sempiterne Deus, spes unica mundi (apposizione), qui pro-
phetarum tuorum praeconio praesentium temporum declarasti mysteria... » (orazione
relativa) 3.
Si noti come l’ampliamento contenga quasi sempre elementi di anamnesi,
che sottolineano qualche momento o aspetto dell5intervento salvifico di Dio
nella storia degli uomini.
Successione binaria. L 5ampliamento può essere costituito di varie proposi
zioni; normalmente però si trova composto di due proposizioni ugualmente
proporzionate. Si verifica in tal caso ciò che chiamiamo una successione bi
naria, che consiste nella successione ordinata di due membri del periodo in
reciproca corrispondenza. È un ornamento molto frequente nella compo
sizione dell’embolismo del prefazio romano e si incontra anche nelle orazioni
di benedizione super populum.
Il prefazio è costituito di tre parti fondamentali: formula di esordio, em
bolismo o parte centrale, e formula finale4. Già abbiamo detto, a propo
sito degli elementi strutturali, che l’embolismo del prefazio svolge la moti
vazione della lode, cioè esplicita il motivo per cui si loda e si rende grazie
a Dio. Questo embolismo, come abbiamo appena detto, si compone frequen
temente di successioni binarie. È questa una costruzione caratteristica so
prattutto dei prefazi di Papa Vigilio. I binari dell5embolismo sono disposti
in modo tale che: il primo e l’ultimo esprimono una tesi ben definita: i
binari intermedi invece, pur proponendo un loro contenuto, sono però in
stretta connessione con le tesi precedente e successive. Se l’embolismo è
costituito solo di due binari, uno dei due dipende sinteticamente dall’altro.
La concatenazione delle diverse tesi si ha per mezzo di un processo logico.
L ’ultima tesi offre la motivazione definitiva e insuperabile che conduce
l’orante all’ammirazione e all’azione di grazie.
Se ne trova un esempio tipico in un prefazio di Papa Vigilio conser
vato nel Veronese. Esso, partendo da un unico concetto — la relazione
tra male morale e male materiale — , sviluppa sulla base di successioni
binarie una vasta argomentazione che conduce alla fine alla fiducia e
alla riconoscenza verso D io 1:
qui curam nostram ea ratione moderaris,
ut proventus exterior de internorum qualitate procedat.
Nullis quippe forinsecus miseriis adfligemur,
si vitia frenemus animorum;
nec visibili dedecori subiacebit,
qui foedis cupiditatibus obviaverit;
nulla inquietudo praevalebit extrinsecus,
si agamus corde sincero;
nullis subdemur hostibus,
si pacem teneamus internam.
Ita, sicut a nemine magis quam a nobis laedimur,
sic noxia cuncta succumbent,
si nosmetipsos ante vincamus 12.
Antitesi. È un ornamento stilistico tipico della eucologia classica romana
che consiste nella contrapposizione immediata di due concetti, per dar loro
maggior risalto. È frequente nella Sacra Scrittura: l’inno della i Tim 3, 16
che può essere ricostruito in base alla 1 Piet 1, 20; 3, 18-22; ed Ef 5, 14,
usa continuamente l’antitesi. Una nota orazione della antica Liturgia
romana del Natale, attribuita a san Leone, si esprime elegantemente sulla
base di concetti antitetici:
Deus, qui humanae substantiae dignitatem et mirabiliter condidisti, et
mirabilius reformasti, da, quaesumus, nobis Iesu Christi filii tui divini
tatis esse consortes, qui humanitatis nostrae fieri dignatus est particeps3.
Parallelismo. Consiste nella enunciazione di un concetto in due forme di
verse, ma equivalenti e molto simili nella sostanza. Comunissimo nei testi
poetici della Sacra Scrittura, si incontra anche nella eucologia liturgica4.
Parallelismo semplice:
Deus, a quo bona cuncta procedunt,
largire supplicibus tuis,
ut cogitemus te inspirante quae recta sunt,
et te gubernante eadem faciamus 5.
Parallelismo antitetico:
Largire nobis, Domine, quaesumus, semper
spiritum cogitandi quae recta sunt
propitius et agendi,
ut qui sine te esse non possumus,
secundum te quaerere valeamus 6.
Parlando della struttura dei testi eucologici, già abbiamo notato come
ogni singola formula ha un suo modo di ordinare le forme strutturali; la
stessa cosa abbiamo sottolineato a proposito degli ornamenti stilistici. Tale
personalità strutturale è in ragione della funzione specifica che l’elemento
eucologico riveste nell’ambito del culto.
Il contenuto di un testo liturgico non potrà pertanto essere adeguata-
mente interpretato senza tenere ben presente la funzione liturgica che esso
svolge nel contesto della celebrazione.
Abbiamo detto che gli elementi contenutistici della eucologia liturgica
derivano in certo qual modo dalla solenne preghiera di benedizione pro
nunciata da Cristo nell’ultima Cena. Ogni testo eucologico ha quindi un
nucleo contenutistico fondamentalmente comune. Tale contenuto si esprime
pienamente nella preghiera eucaristica, ma è presente anche nelle altre
formule — collette, preghiere sopra le offerte, prefazi, preghiere dopo la
comunione, preghiere di benedizione super populum — , che lo esprimono
ciascuna a suo modo e a seconda della funzione che svolgono nella celebra
zione. D ’altra parte l’Eucaristia, che è celebrata nel tempo della Chiesa,
non è indifferente alle circostanze socio-culturali nelle quali la concreta
Chiesa locale la celebra. E sono precisamente le formule eucologiche, come
già abbiamo avuto modo di dimostrare, quelle che esprimono il mistero
che si celebra nel modo più consono a tali circostanze socio-culturali.
Ogni formula esprime in un modo particolare la connessione tra il mistero
e la storia 12. Ciononostante, i testi liturgici classici, pur essendo improntati
alla più viva attualità, sono per la maggior parte dotati nello stesso tempo
di una certa intemporalità che li rende validi per tutti i tem pi3.
Le formule eucologiche, se da una parte hanno indubbiamente una
funzione specifica e per ciò stesso una loro propria personalità espressiva,
non possono d’altra parte essere interpretate avulse dal contesto del formu
lario di cui fanno parte. Il formulario liturgico, a sua volta, viene interpretato
nel contesto più ampio del mistero dell’anno liturgico, di cui il formulario
stesso non è che una espressione particolare.
1 Fa abbondante uso di questa analisi Topera di A. P. Lang, Leo der Grosse and die Texte des
Altgelasianums...
3 Cfr. soprattutto A . Ghavasse, Messes du Pape Vigile (537-555) dans le Sacramentaire Léonien,
in «Ephem erides Liturgicae » 64, 1950, 161-213; 66, 1952, 145-219.
3 Cfr. J. A . Gracia, Acontecimiento y Eucaristía en los textos litúrgicos primitivos, in « Phase» 1970,
3 5 1-369-
179 principi di interpretazione dei testi liturgici
Possiamo ben dire che tutte le norme ermeneutiche che abbiamo enun
ciate fin qui, devono essere usate alla luce di questa specifica funzione che
il testo eucologico svolge nel quadro della celebrazione liturgica L
1 L a funzione liturgica delle formule eucologiche ci si va sempre più chiarendo sulla base
dei risultati di alcuni recenti studi monografici. Elenchiamo qui sotto alcuni studi su ognuno dei
brani che costituiscono Teucologia minore del formulario della messa romana : M . Cappuyns,
La portée religieuse des collectes (Cours et conférences des scmaines liturgiques, 6), Maredsous 1928,
93-103; B. Botte, Commentaire des collectes dominicales du Missel romain. Travaux liturgiques, voi. I,
Louvain 1955, 197-266; M . A uge, Le collette del Proprio del Tempo nel nuovo Messale, in « E p h e
merides Liturgicae » 84, 1970, 275-298; Idem , Le collette di Avvento-Natale-Epifania nel Messale
Romano, in « R ivista L itu rg ica » 59, 1972, 614-627; J. A. G ra d a Gimeno, Las oraciones sobre las
ofrendas en el Sacramentario Leoniano, (Consejo Superior de Investigaciones Científicas), M adrid
1965 ; V . R afia, Commento alle « Orazioni sulle offerte » delle domeniche (Sussidi liturgico-pastorali,
io), M ilano 1965; Idem , Le orazioni sulle offerte del Proprio del Tempo nel nuovo Messale, in « E p h e
merides L itu rgicae» 84, 1970, 299^322; B, Capelle, Problèmes textuels de la préface romaine. Mélanges
Jules Lebreton} t. 2 (Recherches de Science religieuse, 40), 1952, 139-150; P. Opfermann, Die
heutigen liturgischen Sonderprafalionen, in « Theologie und G laube » 46, 1956, 204-215; A. Dumas,
Les préfaces du nouveau Missel, in «Ephem erides L itu rgicae» 85, 1971, 16-28; A. M . T riacca, Per
una lettura liturgica dei prefazi « Pro defunctis» del nuovo Messale Romano, in « R ivista L itu rgica»
58, 1971, 382-407; Idem , La strutturazione eucologica dei prefazi..., in «Ephem erides Liturgicae»
86, 1972, 233-279; G, Francesconi, Per una lettura teologico-liturgica dei prefazi di Avvento-Natale-Epi
fania del Messale Romano, in « R iv ista L itu rgica» 59, 1972. 628-648; R . Falsini, I Postcomuni
del Sacramentario Leoniano. Classificazione, terminologia, dottrina (Bibliotheca Pontificii Athenaei A n
toniani, 13), R om a 1964; B. Baroffio, Le orazioni dopo la comunione del Tempo di Avvento, in
« R ivista L itu rgica» 59, 1972, 649-662; W. Ferretti, Le orazioni « post Communionem» de Tempore
nel nuovo Messale, in «E phem erides Liturgicae» 84, 1970 323-341; C. Callewaert, Qu'cst-ce que
r « Oratio super populum'»?, in «Ephem erides L itu rgicae» 51, 1937, 310-318; J. A. Jungm ann,
« Oratio super populum » und altchristliche Biisssersegnung, in « Ephemerides Liturgicae » 52, 1938, 77-96;
L. Eizenhòfer, lìntersuchungen zum SUI und Inhall der rñmischcn « Oratio super populum », in « Ephemerides
L itu rgicae» 52, 1938, 258-311; M . Auge, La oración «suber populum» en el Sacramentario Veronense.
Estudio de su forma y contenido. Extracto de Tesis doctoral en la Facultad Teològica y el Pontificio
Instituto Litúrgico del Ateneo de S. Anselmo en Rom a, R om a 1968,
capitolo secondo
1 W. Pannenberg, %ur Theologie des Rechts, in Zeìtschrìft fùr evangeliscke Ethik, Bielefeld, gennaio
i960.
2 S. Hi., II-II. q. io , a. io. V edi M. Useros Carretero, «Statuta Ecclesiae» e «Sacramenta
Ecclesiae» en la Eclesiologla de St. Tomás, R om a i960, 189-190.
183 la Liturgia e le sue leggi
1 Gap. 3; CG 2, 1042-1043.
3 Una buona raccolta — in ordine cronologico — di testi che dimostrano il passaggio della
legislazione liturgica verso la centralizzazione, si può vedere in D. Bouix, Tractatus de iure liturgico,
Parigi 18864, 187 ss. Cfr. Ph. Oppenheim, Tractatus de iure liturgico (Institutiones... de S. Liturgia),
Torino 1939-1940; cfr. C. Callewaert, De S, Liturgia universim} Bruges 19444, 123-147; M. Righetti,
Storia liturgica, I, 19643, 44-55.
8 Canones Apostolorum, can. 3.
4 Cap. 12; Mansi 4, 330.
186 parte II - capitolo II
(461), Gerona (517), Braga (561), IV di Toledo (633), tra gli altri, prescri
vono la uniformità liturgica entro i limiti delle rispettive province ecclesia
stiche: le stesse forme liturgiche devono essere adottate da coloro che hanno
una medesima fede nella Trinità; poiché la diversità potrebbe essere causa
di scandalo oppure indurre i fedeli in errore 1.
Fino alPvm secolo i Papi sebbene operino per la propagazione della Li
turgia romana, che considerano come un modello da imitare, non intendono
con questo imporla in forma strettamente obbligante.
Così Papa Damaso (366-384), crede che ad una unica fede corrisponde
un’unica tradizione, e a questa una comune disciplina da osservarsi da tutte
le Chiese12. Con la figura di Innocenzo I (401-417) il prestigio del papato
aumenta. Il Papa pretende già di imporre la pratica della Liturgia romana,
ricevuta dai Principi degli apostoli, a tutte quelle chiese che avevano rice
vuto da Roma la fede: ITtalia, le Gallie, la Spagna, PAfrica, la Sicilia e le
isole adiacenti. La ragione che muove il Papa è similmente il pericolo di
scandalo e di errore a cui possono portare le divergenze di usi liturgici per
coloro che non riconoscono le tradizioni apostoliche. Il Papa si riferisce
evidentemente ad alcune forme di culto non essenziali, altrimenti non po
trebbe accondiscendere a forme diverse praticate fuori dal settore della in
fluenza romana3. Prospero di Aquitania (circa il 420-451) e san Leone, ri
tengono che Puniformità delle forme liturgiche è esigita per la conservazione
di unità nel dogma : delle tradizioni apostoliche si dice che « in toto mundo
atque in omni ecclesia catholica uniformiter celebrantur; ut legem credendi
lex statuat supplicandi » 4.
II desiderio del Papa Innocenzo non si realizza immediatamente. Il
monaco sant’Agostino inviato dal Papa Gregorio I in Inghilterra, — al dire
di san Beda nella sua Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum5 — scrisse a san
Gregorio chiedendogli il perché della diversità di consuetudini che, secondo
1 Concilio di Vannes: « Rectum quoque duximus, ut vel intra, provinciam nostram sacrorum ordo et psal
lendi una sit consuetudo: et sicut unam cum Trinitatis confessione fidem tenemus, unam et officiorum regulam
teneamus: ne variata observatione in aliquo devotio nostra discrepare credatur », can. 15; M ansi 7, 955.
Concilio di G erona : « De institutione missarum, ut quomodo in metropolitana ecclesia fiunt, ita in
Dei nomine in omni Terraconense provincia tam ipsius missae ordo quam psallendi vel ministrandi consue
tudo servetur », can. 1; ed. J. Vives, Concilios Visigóticos e Hispano-romanos, Barcellona-M adrid 1963, 39.
Concilio di B raga: « L Placuit omnibus communi consensu ut unus atque idem psallendi ordo in ma
tutinis vel vespertinis officiis teneatur et non diverse ac private neque monasteriorum consuetudines cum ecclesia
stica regula sint permixtae. II. Item placuit, ut per sollemnium dierum vigilias vel missas omnes easdem et
non diversas lectiones in ecclesia legant... I I I I . Item placuit, ut eodem ordine missae celebrentur ab omnibus,
quem Profuturus condam huius metropolitanae ecclesiae episcopus ab ipsa apostolicae sedis auctoritate suscepit
scriptum », ibidem, 7 1 .
Concilio di Toledo I V : « Post rectae fidei confessionem, quae in sancta Dei ecclesia praedicatur, placuit,
ut omnes sacerdotes qui catholicae fidei unitate complectimur, nihil ultra diversum aut dissonum in ecclesiasticis
sacramentis agamus, ne qualibet nostra diversitas apud ignotos seu carnales schismatis errorem videatur osten
dere, et multis existat in scandalum varietas ecclesiarum. Unus igitur ordo orandi atque psallendi a nobis per
omnem Spaniam atque Galliam conservetur, unus modus in missarum sollemnitatibus, unus in vespertinis matu
tinisque officiis, nec diversa sit ultra in nobis ecclesiastica consuetudo qui una fide continemur et regno; hoc
enim et antiaui canones decreverunt, ut unaquaeque provincia et psallendi et ministrandi parem consuetudinem
teneat », ibidem, 188.
3 V e d i Decretale ad episcopos Galliae (attribuita frequentemente al Papa S ilicio: Ep. io : P L
13, 1187).
3 A lcune di queste forme non essenziali sono:
I. « Pacem igitur asseris ante confecta mysteria quosdam populis impertire...». II. «Prius oblationes
sunt commendandae, ac tum eorum nomina quorum sunt dicenda... ». III. « De consignandis vero infantibus,
manifestum est non ab alio quam ab episcopo fieri licere ». IV . « Sabbato vero ieiunandum esse, ratio
evidentissima demonstrat», Ad Decentium Eugubinum Episcopum: P L 56, 513-514.
4 Praeteritorum Sedis Apostolicae episcoporum auctoritates de Gratia Dei et libero arbitrio, cap. 8, ed.
P. e H. Ballerini, S. Leonis opera, Venetiis 1756, voi. II, col. 256.
5 L. 1, cap. 27; ed. C. Plummer, Venerabilis Bedae opera historica, Oxford 1896 (1946), 49.
187 la Liturgia e le sue leggi
Trento inaugura quel periodo della storia della Liturgia, che Teodoro
Klauser qualifica come periodo di ristagno o delle rubriche1*3, ed è un pe
riodo che si è esteso fino ai nostri giorni.
Trento intraprende con i suoi Decreta de reformatione la riforma generale
della Chiesa, che è minacciata all’interno dalla corruzione di molti dei suoi
membri e all’esterno dalle possibili conseguenze che può avere l’atteggia
mento preso dai riformatori. Il Concilio prende misure severissime in tutti
i campi della disciplina ecclesiastica. In materia liturgica, a parte il De
cretum de observandis et vitandis in celebratione missarum, non si hanno veri e propri
interventi, se non quelli in cui determinati riti sacramentali sono visti in
funzione dottrinale. Sembra anzi di dover dire che Trento non mostrasse
mire centralizzataci in campo liturgico, perché se decise (Sess. X X V ) di
rimettere al giudizio del Papa il lavoro preparatorio di riforma del breviario
e del messale, già elaborato dalle apposite commissioni, una delle ragioni
tenet rubricas esse praeceptivas quae obligant sub mortali ex genere suo » 1. Lo stesso
Papa permette agli orientali l’uso dei loro propri riti, a condizione che siano
in parte legati ai santi Padri « nec fidei catholicae adversantur nec periculum ge-
nerant animarum » 2. Pio X insiste sulla necessità di un’assoluta sottomissione
alle prescrizioni liturgiche: la diversità, in questo punto, provocherebbe
discordia, che si radicherebbe proprio nella celebrazione di quello che è
il principio della unità cattolica 3.
Il canone 1257 che si rifà all’imposizione della prassi romana in vista
della conservazione della purezza della fede, si esprime così : « Unius apostolicae
sedis est tum sacram ordinare Liturgiam, tum litúrgicos approbare libros » 4. Sempre
avendo di mira la salvaguardia della purezza della fede, la Sede Apostolica
si propone di estirpare tutto quanto « periculosum est vel indecorum » 5. Benedetto
X IV , rivolgendosi ai vescovi, dice loro che per nulla al mondo tollererebbe
che si mutasse la « tuta ac laudabilis consuetudo » 6. La Chiesa, dice ancora
Papa Lambertini, ordina fino ai particolari minuti (minutissima) allo scopo
di conseguire la « uniformitas ad splendorem officii Ecclesiae », poiché bisogna
mantenersi fedeli al precetto apostolico: «Tutto si faccia con decoro e or
dine » (1 Cor 14, 40) 12 7. Leone X III lo giustifica con l’interesse a « vigilare...
6
5
4
3
ut integritas fidei morumque Christianorum ne quid detrimentum capiat » 8.
Più volte le Congregazioni Romane dichiarano che i vescovi non godono
neppure della facoltà di giudicare sui dubbi che sorgessero nell’applicazione
dei diversi riti e cerimonie 9.
zioni canoniche, ci si deve attenere alle rubriche, che si trovano nei libri
liturgici ufficiali.
In realtà però le prescrizioni del Codice in materia liturgica sono nume
rose. Il numero più rilevante si concentra nel terzo libro: Degli oggetti: 1
Parte, Dei sacramenti (e sacramentali) (canoni dal 731 al 1153); II Parte, Dei
luoghi e tempi sacri (canoni dal 1154 al 1254) ; III Parte, Del culto divino (canoni
dal 1255 al 1306). Riguardano ancora la legislazione liturgica: il canone 98,
che regola l’appartenenza dei fedeli ai vari riti cattolici; i canoni 239, 240, 337,
349 e 435 relativi alle facoltà e ai privilegi riconosciuti, in materia liturgica,
ai cardinali, ai vescovi, e ai capitoli e vicari capitolari di una sede impedita
o vacante; il canone 1390 relativo alla pubblicazione dei libri liturgici;
e il canone 2378 nel quale si minaccia di applicare sanzioni ai chierici « che
nel sacro ministero trascurano gravemente i riti e le cerimonie prescritte
dalla Chiesa e, ammoniti, non si siano corretti ».
Per scoprire il carattere generale della legislazione liturgica del codice
di diritto canonico, sono di capitale importanza oltre i canoni 2 e 6, para
grafo 6 — già citati — , anche i canoni 818, 1256, 1257 e 1261.
I canoni 818 e 1257, citati già precedentemente, prescrivono rispetti
vamente: il valore obbligante delle rubriche del messale, e la competenza
esclusiva di Roma per tutto quel che riguarda l’ordinamento liturgico. Più
tardi, Pio X II nella Mediator Dei riaffermerà questa ultima clausola h II
canone 1257 viene completato dal 1261, in virtù del quale si assegna al ve
scovo ordinario del luogo la sola funzione di « vigilare perché siano fedel
mente osservate le prescrizioni dei sacri canoni relative al culto divino... ».
Si concede loro inoltre la facoltà di promulgare leggi in vista di ottenere
l’applicazione di dette prescrizioni e al fine di dare disposizioni in merito
a particolari non determinati dalla legislazione generale della Chiesa.
II canone 1256 stabilisce che il culto pubblico della Chiesa implica che
esso venga tributato « in nome della Chiesa, da persone legittimamente
costituite per questo scopo, e mediante atti istituiti dalla Chiesa ». Questo
principio viene ribadito anche da Pio X II nella Mediator Dei e nella Istru
zione del 3 settembre 1958 12.
Riassumendo, la legislazione liturgica del codice di diritto canonico
consacra il monopolio della Liturgia da parte della Sede Apostolica; sta
bilisce chiaramente i limiti di esercizio della Liturgia; decreta la uniformità
delle sue espressioni per quanto riguarda la Chiesa latina, e prescrive la
stretta obbligatorietà delle rubriche.
monopolio. Situando questo fenomeno nel quadro della dialettica, cui sopra
abbiamo fatto allusione, presente nella Chiesa tra lo spirituale e il vitale da
una parte, e Pelemento istituzionale e il formalismo di una espressione so
ciale dalPaltra, constatiamo di fatto che a poco a poco nella Liturgia ro
mana quest’ultimo aspetto è andato guadagnando terreno, arrivando fino
a soverchiare l’altro della autenticità personale e spirituale, che pure è l’a
spetto più essenziale del culto.
La storia ci mostra che nella legislazione liturgica spesso — per non dir
la maggior parte delle volte — preoccupazioni e interessi marginali hanno
avuto maggior peso di quello che è il fine intrinseco della Liturgia. Altre
volte si sono promulgate leggi, che essendo in funzione di determinati momenti
storici, in ragione di questi davano alle proprie prescrizioni un senso pie
namente giustificato; ma superate quelle situazioni, le norme rimasero in vi
gore e via via appesantirono senza ragione il patrimonio liturgico tradizionale.
Il diritto liturgico, specialmente quello post-tridentino, si è sviluppato
troppo indipendentemente dalla teologia e dalla pastorale, e mosso quasi
solo dall’amore di conservare determinate forme tradizionali. Il timore di
cedimenti all’errore, la paura di provocare scandalo o divisione tra i fedeli,
ma anche una certa ansia di conservare alto il prestigio del papato, identi
ficato a tutti i livelli con l’unità della Chiesa, hanno forse polarizzato l’at
tenzione del legislatore molto più del necessario, almeno nel senso che non
si sono attese a sufficienza altre preoccupazioni, sicuramente più fondate
sulla tradizione teologica e senz’altro più conformi alle effettive necessità
della pastorale. In tal modo si sono mantenute in vigore certe forme rituali
come aventi valore assoluto, e si è contribuito così a far perdere ad esse
il ruolo loro proprio, quello cioè di essere strumenti e mezzi in vista di una
realtà più profonda. A una funzione occasionalmente attribuita alle forme
rituali si è talvolta sacrificato quello che solo giustificava in fondo la loro
stessa struttura.
E purtroppo si deve notare che la legislazione liturgica del codice di di
ritto canonico non ha minimamente migliorato la situazione, anzi ha fo
mentato ancor di più la sottomissione servile alle rubriche. Come si è po
tuto constatare più sopra, nel canone 1256 le rubriche romane sono consi
derate quasi come condizioni della preghiera liturgica, al punto che senza
sottomissione alle rubriche non si può neppure parlare di Liturgia. E ad
attenuare l’implacabilità delle rubriche prescrittive non resta altro quindi
die l’opera certamente efficace, ma lenta e rischiosa, di creare una usanza
« contra ius », di inveterata tradizione canonica. Molti autori, nondimeno,
pongono in dubbio la legittimità di questa « consuetudo contra rubricas »,
c altri anzi la negano totalmente1, e in proposito il canone 818 sembra
dar loro ragione, per quanto riguarda le rubriche del messale.
Il canone 2, nonostante proclami la separazione della materia liturgica
dall’ambito del Codice, il che equivarebbe alla distinzione tra Liturgia e
1 Per studiare questa questione si consulti M. Noirot, Lìlurgique (.Droit), in « Dict. de droit ca-
nonique » 6, Paris 1957, 535^537 e 563-591: Idem, in « Revue de Droit Ganonique » 3, 1953,
99-100. C. Callewaert, 0. c., 141-143. Ph. Oppenheim, 0. c.y 141-159. Dom Guéranger sostenne una
teoria secondo cui non si riconosceva alla consuetudine la facoltà di far prevalere un modo di
procedere contrario alle rubriche prescritte e ai decreti della S. Congregazione dei Riti. Dom Beau-
duin condivise questa opinione. Cfr. Yormes pratìqncs pour les réformes liturgiques, in LND 1, 1945, 9-15-
194 parte II - capitolo II
i Contesto dottrinale
1 Gir. LG f)
2 LG 12.
2 LG 13-
4 GS 4 -
5 GS 5 -
r' GS 3 *
7 GS 1 2 .
,J GS i6.
10 GS 17.
11 GS 9.
12 GS 3.
197 la Liturgia e le sue leggi
1 GS 62.
2 GS 44.
3 LG 3.
4 LG 3, cfr. anche SC q; 6; io; passim.
5 Cfr. SC ii.
198 parte II - capitolo II
1 Cfr. SC 27.
2 Cfr. SC 28-29.
3 Cfr. SC 30-31.
4 Cfr. SC 21-25.
5 Cfr. SC 34.
6 Cfr. SC 62.
7 Cfr. SC 37*40.
8 Cfr. SC 38.
6 Cfr. SC 4.
10 Cfr. SC q6; 5,
11 Cfr. SC 22.
200 parte l i - capitolo II
riti sono lasciate alla scelta del celebrante. Si estende inoltre la pratica della
comunione sotto le due specie. Tutto ciò risponde alla preoccupazione peda
gogica o pastorale di inculcare e tradurre con più chiarezza certe verità
della teologia eucaristica.
1 L 'Ordo initiationis christianae adultorum fu presentato ai giornalisti nella Sala Stampa della
Santa Sede, il 17 febbraio del 1972. Cfr. 1*« Osservatore Romano» del 19 febbraio 1972.
202 parte II - capitolo II
1 Cfr. SC 64-70.
203 la Liturgia e le sue leggi
1 Cfr. il discorso pronunciato da Paolo V I aH?apertura della IV Sessione del Concilio V ati
cano II ( 1 4 settembre 1 9 6 5 ) , in Enchiridion Vaticanum. Bologna 1 9 7 1 9 [ 1 9 3 - 2 1 5 ] .
206 parte II - capitolo II
quanto il costante ricorso alla tradizione hanno reso possibile, in certi mo
menti della storia, salvare dal pericolo deWerrore determinate comunità
cristiane che altrimenti vi avrebbero ceduto, vittime degli eccessi della spon
taneità. È vero anche che il fatto di aver dato alle azioni liturgiche una
forma stereotipata, ha conferito alle stesse un’aura di mistero. Ma tutto
questo non è forse troppo spesso avvenuto a scapito della comprensione del
vero mistero di Cristo?
Per assicurare alla Liturgia l’assenza da errori e la purezza dottrinale,
la Chiesa oggi non si vede più costretta a imporre una lingua e usi pluri
secolari: ha infatti a sua disposizione dei mezzi più accessibili e convincenti
per l’uomo contemporaneo, mezzi che l’attuale civilizzazione ci facilita at
traverso la sociologia delle comunicazioni.
La comunità è l’ambiente favorevole allo sviluppo della vita cristiana,
il luogo di promozione della persona alla vita della grazia, come anche alla
vita naturale. Potremo parlare con ragione di Liturgia solo nella misura in
cui alle comunità cristiane si diano possibilità di autentica espressione. Se si
realizza questo, ne verrà come inevitabile conseguenza la varietà delle forme
liturgiche. In tal caso, al di sopra delle diversificazioni secondarie, scopri
remo non già una uniformità imposta — segno di debolezza e di superficia
lità— , ma l’unità sostanziale della fede e dei riti fondamentali, liberamente ac
cettati secondo la più profonda e imperitura tradizione dei discepoli di Cristo.
Attribuire troppo importanza a qualsiasi altro tipo di unità, tradizione,
o comunità, potrebbe venire a danno della visione più profonda della vera
vita di fede in Gesù Cristo.
Inoltre, occorre sottolineare che la decentralizzazione della legislazione
cultuale o il pluralismo radicale auspicato, non debbono essere intesi come
diminuzione della devozione e del rispetto dovuti all’autorità evangelica
della Chiesa, al primato del Papa e alla funzione episcopale; si potrebbe
applicare forse a questo proposito la espressione di sant’Ambrogio : «Desi
dero seguire in tutto la Chiesa romana; tuttavia anche noi abbiamo l’umano
discernimento; ed è per questo che come altrove giustamente si osserva una
cosa, altrettanto giustamente noi osserviamo la nostra » h
L ’unità organica della società che raccoglie gli uomini cristiani non deve
essere considerata come qualche cosa di statico e raggiunta una volta per
sempre, ma come una realtà in continuo divenire. Essa si consegue non con
l’imporre una apparente unità di espressione — che è poi artificiale — ,
ma piuttosto cercando il modo di attivare le diverse forme di reale solidarietà,
conosciute e valorizzate dai vari gruppi che costituiscono la società. La Li
turgia è una creazione che viene allo stesso tempo, dalla Chiesa, dal popolo
e dalle persone concrete. Seguendo la linea tracciata dal Concilio, si dovrà
arrivare al giorno in cui anche agli « emarginati » di oggi venga riconosciuto
il diritto di dar libera espressione alla propria immaginazione e creatività,
affinché, umilmente e con lucidità critica, — e senza necessariamente di
struggere le attuali strutture — ricerchino e inventino nuovi segni e nuovi
riti. Non si deve mai dimenticare che è proprio in corrispondenza del modo
di essere dell’uomo che si adottano segni e parole nel culto, e non già in
Resta da dire che quanto si è qui suggerito non può non essere seguito
da un interrogativo: il prudente interrogativo che sempre si accompagna
a ogni misura presa in un tempo di crisi, di trasformazione, di incertezza.
Anno 1964
25 gennaio Sacram Liturgiam: Motu proprio di Paolo VI sull’entrata
in vigore di alcune prescrizioni della Costituzione Sacro
sanctum Concilium h
25 aprile Quo actuosius: Decreto della S. Congregazione dei Riti sulla
nuova formula per la distribuzione della Comunione8.
26 settembre Inter Oecumenici: Istruzione della S. Congregazione dei Riti,
su elaborazione del Consilium, per la debita applicazione
della Costituzione Sacrosanctum Concilium8.
1 Cfr. A AS 56, 1964, 139-14^.; «Rivista Liturgica» 51, 1964, 93-98 (testo latino-italiano),
che segnala le differenze tra Tedizione dell’ « Osservatore Rom ano» (29 gennaio 1964) e il testo
di AAS. Vedi commento in «Rivista Liturgica» 51, 1964, 233-238.
2 Gfr. A AS 56, 1964, 337-338.
3 Gfr. AAS 36, 1964, 877-900; «Rivista Liturgica » 51, 1964, 526-569 (testo latino-italiano
con note illustrative a cura di S. Marsili) ; F. DelFOro, La recente « Instructio ad exsecutionem Consti
tutionis de Sacra Liturgia recte ordinandam » (commento), ibidem, 487-525; In margine all1« Instructio »
del 26 settembre 1964, ibidem, 52, 1965, 526-528: Risposte ad alcuni quesiti.
212 appendice
Anno /965
27 gennaio Nuper edita Instructio: Decreto della S. Congregazione dei
Riti, che promulga VOrdo Missae.
Ritus servandus in celebratione Missae e De defectibus in celebra-
tione Missae occurrentibus 3.
7 marzo Ecclesiae semper: Decreto della S. Congregazione dei Riti,
promulgatorio dei Ritus servandus in concelebratione Missae ei
Ritus Communionis sub utraque specie 4.
7 marzo Quamplures Episcopi: Decreto della S. Congregazione dei
Riti, promulgatorio delle variazioni che si devono introdurre
neirOrdinario della settimana santa5.
23 novembre In edicendis normis: Istruzione della S. Congregazione dei
Riti sull’uso della lingua nella celebrazione delhufficio di
vino e della messa conventuale o comunitaria dei reli
giosi 6.
Anno ig66
27 gennaio Cum, nostra aetate: Decreto della S. Congregazione dei Riti
sull’edizione dei libri liturgici7.
8 febbraio Peculiare ius: Motu proprio di Paolo VI sull’uso dell’altare
papale nelle basiliche patriarcali di Roma 89
.
14 febbraio Cum hac nostra aetate: Decreto della S. Congregazione dei
Riti sulla comunione negli ospedaliB.
29 dicembre Da qualche tempo: Dichiarazione della S. Congregazione dei
Riti e del Consilium per l’applicazione della Costituzione
sulla sacra Liturgia intorno ad alcune iniziative riprove
voli circa le celebrazioni eucaristiche 10.
1 Cfr. AAS 57, 1965, 408-409; F. DelPOro, Sussidi per la celebrazione della M essa rinnovata dalla
« Instructio », in «Rivista Liturgica» 52. 1965, 68-85 (in particolare le pp. 70-73). Kyriale Simplex.
Ed. Typica , Typis Polyglottis Vaticanis 1965.
2 Cfr. A AS 57, 1965, 408; F. Dell’Oro, art. c i t 68-70. Cantus qui in M issali Romano desi
derantur iuxta Institutionem Constitutionis de Sacra Liturgia recte ordinandam et iuxta Ritum Concelebrationis,
Typis Polyglottis Vaticanis 1965.
3 Cfr. A AS 57, 1965, 408-409; F. Dell’Oro, art. cit., 73*84.
Ordo M issae et Ritus servandus in celebratione M issae . Ed. Typica , Typis Polyglottis Vaticanis
i 965 -
4 Cfr. AAS 57, 1965, 410-412; C. Vagaggini, Il valore teologico e spirituale della M essa concelebrata,
in «Rivista Liturgica» 52, 1965, 189-219; F. Dell’Oro, L a concelebrazione eucaristica: D alla storia
alla pastorale, ibidem, 220-251 ; Norme per la Cóncelebrazione e la Comunione sotto le due specie per la D io
cesi di Lugano, in « Rivista Liturgica» 53, 1966, 109-112; B. Neunheuser, Il Canone nella Conce
lebrazione, ibidem, 581-592; AA. V V ., L a Concelebrazione. Dottrina e pastorale, in «Culm en et Fons »
7, Brescia 1965; AA. V V ., L a Concelebrazione. Teologia, Pastorale e iStoria, in «Quaderni di Rivista
Liturgica» i , 'Forino-Leumann 1966.
5 Cfr. A AS 57, 1965, 412-413; F. DelPOro, Sussidi per la celebrazione della M essa rinnovata dalla
« Instructio », in «Rivista Liturgica» 52, 1965, 67-85 (particolarmente alla p. 84). Variationes in
Ordinem Hebdomadae sanctae inducendae. Ed. Typica, Typis Polyglottis Vaticanis 1965.
6 Cfr. A AS 57, 1965, 1010-1023; «Rivista Liturgica» 63, 1966, 99-107 (testo latino-italiano
con note a cura di F. DelPOro).
7 Cfr. A AS 58, 1966, 169-171; «N otitiae» 2, 1966, 172-180 (testo e commento latino).
8 Cfr. A AS 58, 1966, 119-122; «N otitiae» 2, 1966, 201-208 (testo e commento latino).
9 Cfr. A AS 58, 1966, 525-526; «N otitiae» 2, 1966, 327-329 (testo e commento latino).
10 Cfr. AAS 59, 1967, 85-86; «N otitiae» 3, 1967, 37-46 (testo e commento a cura di A. Bu-
gnini).
213 cronologia della riforma liturgica
Anno ig6y
5 marzo Musicam Sacram: Istruzione dèlia S. Congregazione dei Riti
sulla musica nella sacra Liturgia l.
4 maggio Tres abhinc annos: Istruzione seconda della S. Congrega
zione dei Riti per la debita applicazione della Costituzione
Sacrosanctum Concilium 12.
25 maggio Eucharisticum Mysterium: Istruzione della S. Congregazione
dei Riti sul culto del mistero eucaristico 3.
18 giugno Sacrum Diaconatus Ordinem: Lettere apostoliche, date Motu
proprio, sul diaconato permanente 4.
3 settembre Sacrosancti 0 ecumenici Concilii: Decreto della S. Congrega
zione dei Riti, promulga torio del Graduale simplex 5.
Anno ig68
23 maggio Prece eucharistica: Decreto della S. Congregazione dei Riti
sulle nuove orazioni eucaristiche e i nuovi prefazi del mes
sale romano 6.
6 giugno Domus Dei: Decreto della S. Congregazione dei Riti sopra
il titolo di Basilica Minore 7.
18 giugno Pontificalis Romani: Costituzione apostolica con la quale si
approvano i nuovi riti per l’ordinazione del diacono, del
presbitero e del vescovo 8.
1 Gir. AAS 59, 1967, 300-320; «Rivista Liturgica» 54, 1967, 225-251 (testo latino-italiano);
Note illustrative a cura di F. Dell’Oro, ibidem, 251-276; «N otitiae» 3, 1967, 81-108 (testo latino
con presentazione e note a cura di L. Agustoni) ; H. Hucke, Il problema della musica di Chiesa, in
«Rivista Liturgica» 59, 1972, 169-182; N. Schalz, L a nozione di « Musica sa c ra ». Un passato recente,
ibidem, 183-207; R. G. Weakland, L a musica nella Liturgia dopo il Concilio, ibidem, 208-215; E. Costa,
L a riflessione post-conciliare sul canto e la musica nella Liturgia , ibidem, 216-226; R. Court, Simbolo mu
sicale e atto liturgico, ibidem, 256-271; Cfr. ancora AA. W . , Musica sacra e azione pastorale in « Q u a
derni di Rivista Liturgica» 6, Torino-Leumann 1967.
2 Cfr. AAS 59, 1967, 442-448; «Rivista Liturgica» 54, 1967, 277-287 (testo latino-italiano);
Commento a cura di F. D elrO ro, ibidem, 287-318; «N otitiae» 3, 1967, 169-194 (testo e commento
latino a cura di C. Braga, L. Trimeloni, G. Pasqualetti).
3 Cfr, AAS 59, 1967, 539-573; «N otitiae» 3, 1967, 225-288 (testo latino e commento a cura
di J. Tillard, I. Lécuyer e S. Famoso) ; AA. W „ , Eucaristia. Memoriale del Signore e Sacramento per
manente, in «Quaderni di Rivista Liturgica» 7, Torino-Leumann 1976.
4 Cfr. A AS 59, 1967, 697-704; «Rivista Liturgica» 54, 1967, 659-662, dove si riporta solo
in parte il Motu proprio; G. Z., Situazione del Diaconato nel mondo, ibidem, 55, 1968, 443-445.
5 Cfr. «N otitiae» 3, 1967, 311-325; Decretum, Praenotanda al Graduale Simplex, commento a
cura di L. Agustoni.
8 Cfr. «Rivista Liturgica» 55, 1968, 819-831 (testo latino-italiano); «N otitiae» 4, 1968,
156- r 79 : Decretum, Normae pro adhibendis precibus eucharisticis; Praefationes; Preces eucharisticae; Indi-
cations pour faciliter le catéchèse des Anaphores de la Messe, ibidem, 148-155; B. Neunheuser, Eucaristia
perenne, in «Rivista Liturgica» 55, 1968, 782-807; S. Marsili, Le nuove Preghiere eucaristiche, ibidem,
808-817; G. Villoresi, I laici di fronte alle nuove Preghiere eucaristiche, ibidem, 832-851; AA. W . , Le
preghiere eucaristiche nella celebrazione della M essa, in «L iturgia», nuova serie, 7, Roma 1969. (Atti
del Convegno su le nuove Preci eucaristiche, Roma 4-7 febbraio 1969). Per un resoconto cfr.
in «Rivista Liturgica» 56, 1969, 262-265; H. Ashworth, I nuovi Prefazi, ibidem, 55. 1968, 758-781.
Preces Eucharisticae et Praefationes, Typis Polyglottis Vaticanis 1968.
7 Cfr. A AS 60, 1968, 536-539*
8 Cfr, AAS 60, 1968, 369-373; «Rivista Liturgica» 65, 1968, 144-150 (testo latino-italiano);
«N otitiae» 4, 1968, 209-219 (testo latino, commento a cura di J. Lécuyer) ; Quaedam iudicia de
ritu ordinationum, ibidem, 220-223; B. Kleinheye, L a riforma degli Ordini sacri. Saggio storico‘■ liturgico
sui nuovi Riti, in «Rivista Liturgica» 65, 1968, 8-24; E .J. Lengeling, Teologia del sacramento del-
VOrdine nei testi del nuovo Rito, ibidem, 25-54; B. Maggioni, Il Sacerdozio nel Nuovo Testamento, ibidem,
55-69; E. Lanne, Teologia dei ministeri nella problematica dell Ecumenismo odierno, i b i d r 70-89; C. Og-
giom, Aspetti pastorali e spirituali dei nuovi riti di Ordinazione, ibidem, 90-100.
Pontificale Romanum ex decreto... promulgatum: De Ordinatione Diaconi, Presbyteri et Episcopi Ed.
Typica, Typis Polyglottis Vaticanis 1968.
214 appendice
Anno igò'g
14 febbraio Mysterii paschalis: Lettera apostolica, data Motu proprio,
per approvare le norme generali deiranno liturgico e del
nuovo calendario romano 3.
19 marzo Ordo celebrandi matrimonium: Decreto della S. Congregazione
dei Riti, promulgatorio del Rituale per la celebrazione del
matrimonio 4.
21 marzo Anni liturgici: Decreto della S. Congregazione dei Riti,
promulgatorio dell’ordinamento dell’anno liturgico e del
calendario generale romano 5.
3 aprile Missale Romanum: Costituzione apostolica, con la quale è
promulgato il messale romano, aggiornato secondo le di
rettive del concilio Vaticano I I 6.
1 Cfr. AAS 60, 1968, 374-377; «N otitiae» 4. 1968, 224-226 (testo latino del Motu proprio);
Commentarium a cura di S. Famoso, ibidem, 307- 312; F. Dell’Oro, Le insegne pontificali, I: Il Motu
Proprio «Pontificalia In sign ia» (commento e bibliografia), in « Rivista Liturgica» 56, 1969, io n i 18.
2 Cfr. AAS 6o, 1968, 406-412; «N otitiae» 4, 1968, 246-252 (testo latino); Commentarium
a cura di S. Famoso, ibidem, 312-324; F. Dell’Oro, Le insegne pontificali, II: L'Istruzione « Ponti
ficales R itu s» (commento e bibliografia), in «Rivista Liturgica» 56, 1969, 118-143.
3 Cfr. A AS 61, 1969, 222-226; «Rivista Liturgica» 57, 1970, 284-287 (testo italiano del
Motu proprio); Norme generali per Vordinamento dell'anno liturgico e del calendario: ibidem, 288-298;
Note illustrative a cura di F. Dell’Oro: ibidem, 299-320; «N otitiae» 5, 1969, 159-162 (Motu
proprio); Normae universales de anno liturgico et de calendario, Calendarium romanum generale, ibidem,
165-186; Conferenza-stampa e commento rispettivamente a cura di P. Jounel e A. Bugnini,
ibidem, 295-303; Variationes in «Calendarium romanum» inductae a cura di G. Pasqualetti-S. Bianchi,
in «N otitiae» 6, 1970, 191-192; S. Marsili, Il «tempo liturgico» attuazione della storia della
salvezza , in «Rivista Liturgica» 57, 1970, 207-235; E. Cattaneo, Lo sviluppo del calendario intorno
al Mistero pasquale, ibidem, 257-272; B. Neunheuser, L a «celebrazione liturgica» nella prospettiva di
0 . Casel, ibidem, 248-256; P.Jounel, Il nuovo Calendario, in «N otitiae» 5, 1969, 273-283; Notificazione
sul Messale Romano, la Liturgia delle Ore e sul Calendario, in «Rivista Liturgica» 58, 1971, 550-553.
Calendarium Romanum. Ed. Typica. Typis Polyglottis Vaticanis 1969.
4 Cfr. «N otitiae» 5, 1969, 203-220: Decretum, Descriptio e Praenotanda.
Rituale Romanum ex Decreto... Pauli P P . V I promulgatum. Ordo celebrandi Matrimonium. Ed. Ty
pica. Typis Polyglottis Vaticanis 1969.
5 «N otitiae» 5, 1969, 163-164: Decretum.
6 Cfr. AAS 61, 1969, 217-222; «N otitiae» 5, 1969, 142-146 (testo latino della « Constitutio »);
«O rdo Missae» et Institutio Generalis (commento), ibidem, 14.8-158; Testo italiano dei «P rin
cipi e norme per l’uso del Messale Romano», in «Rivista Liturgica» 57, 1970, 19-92; F. Del
l’Oro, L a «Institutio Generalis» del Messale Romano 1970, in «Rivista Liturgica» 58, 1971, 456-
495 (presentazione e commento alle «varianti» introdotte nella prima edizione tipica [1969]);
Variationes in « Institutionem Generalem M issalis Romani » et Variationes in « Ordinem M issae » a
cura di G. Pasqualetti-S. Bianchi, in «N otitiae» 6, 1970, 177-193; «Prooemium» premesso
alla Institutio Generalis Missalis Romani (1969) nella edizione del nuovo messale, in «Rivista
Liturgica» 58, 1971, 533-539; Notificazione sul messale romano, la Liturgia delle Ore e sul Ca
lendario, ibidem, 550-553; C. Braga, Il nuovo «O rd o M issa e » , in «Rivista Liturgica» 57, 1970,
7-17; S. Marsili, Teologia della celebrazione eucaristica. Note sul nuovo « Ordo M issa e » , ibidem, 93-114
(studio ripreso ed ampliato, in «Presenza Pastorale» 40, 1970, 1-2, 57-87: Per una teologia della
celebrazione eucaristica) ; K. Falsini, Diversità di assemblee e forme ai celebrazione, in « Rivista Liturgica »,
57, I97°i 115-126; E. Lodi, Partecipazione attiva 0 concèlebrazione dei fed eli? ibidem, 127-142; L. Bo-
rello, Aspetti pastorali del nuovo «O rd o M issa e », ibidem, 143-156; G. Negri, L a catechesi in funzione
del nuovo «O rd o M issae », ibidem, 157-180; A. Bugnini, Il nuovo Messale Romano, in «Rivista Litur
gica» 58, 1971, 447-455; E. J. Lengeling, Contributo alla storia della riforma del Messale Romano,
ibidem, 496-514; B. Neunheuser, I Comuni del nuovo Messale Romano, ibidem, 515-532; A. Dumas,
Pour mieux combrendre les textes liturgiques du M issel Romain, in «N otitiae» 6, 1970, 194-213; AA. W . ,
Il nuovo Rito della M essa, in « Q u a d e r n i d i Rivista Liturgica» 12, Torino-Leumann 1970.
M issale Romanum ex Decreto../P a u li P P . V I promulgatum: Ordo Missae. Ed. Typica, Typis Polyglottis
Vaticanis 1969. M issale Romanum. Ed. Typica. Typis Polyglottis Vaticanis 1970.
215 cronologia della riforma liturgica
Anno igyo
2 febbraio Professionis ritus: Decreto della S. Congregazione per il
Culto divino, promulgatorio del nuovo Rito della profes
sione dei religiosi8.
1 Gir. AAS 61, 1969, 548; «N otitiae» 5, 1969, 221 (testo del Decreto); De initiatione Chri
stiana. Praenotanda generalia, ibidem, 222-229; De Baptismo parvulorum. Praenotanda, ibidem, 230-236;
B. Fischer, De Ordine Baptismi parvulorum (Commentarium), in «N otitiae» 4, 1968, 235-245; B. Mag-
gioni, Il Battesimo come inizio di storia della salvezza, in «Rivista Liturgica» 57, 1970. 363-382;
E. Ruffini, Il Battesimo nell'economia sacramentale, ibidem, 383-404; I. Biffi, Riflessioni teologiche sul mi
stero del Battesimo, ibidem, 405-432.
Rituale Romanum ex decreto... Pauli PP. VI promulgatum * Ordo Baptismi parvulorum. Ed. Typica,
Typis Polyglottis Vaticanis 1969.
2 Gfr. A AS 61, 1969, 806-811; «Rivista Liturgica» 57, 1970, 475-489 (testo italiano deb
I*« Instructio »; Note e commento a cura di F. Dell’Oro; F. Deleclos, Le messe dei giovani. Una
realtà che domanda riflessione, in «Rivista Liturgica» 56, 1969, 293-301; G. Danneels, La proble
matica posta dalle « Messe dei giovani », ibidem, 302-316; Indicazioni e Norme per le « Messe dei giovani »
in atto nelle varie Diocesi d'Italia, ibidem, 442-458; La celebrazione della Messa per categorie e gruppi di
persone (Conferenza episcopale svizzera), in «Rivista Liturgica» 59, 1972, 129-144; I^e Messe dei
piccoli gruppi (Nota della Conferenza episcopale francese per la Liturgia), in « Rivista Liturgica »
57, 1970, 490-500; Nota sulle Messe per pìccoli gruppi (Conferenza episcopale del Belgio), ibidem,
501-509; F. Nikolasch, Celebrazione della Messa in piccoli gruppi, ibidem, 510-515.
3 Cfr. A AS 61, 1969, 548-549; «N otitiae» 5, 1969, 237-282: Decretum, Instructio, Praenotanda,
Commento a cura di G. Fontaine; I. Biffi, Riflessioni teologiche sopra l'Omelia, in « Rivista Liturgica »
57, 1970, 583-562; P. Massi, Omelia, didascalia, kerygma, catechesi 0 « actio liturgica»?, ibidem, 523-
5 3 7 ; G. Groppo, Omelia e catechesi, ibidem, 563-575; E. Lodi, Aspetti sociologici dell'Omelia: Dottrina,
Problemi, Esperienze, ibidem, 584-614; D. Sartore, Problemi dell'Omelia, oggi, ibidem, 615-626.
Ordo Lectionum Missae. Ed. Typica, Typis Polyglottis Vaticanis 1969.
4 Cfr. A A S 61, 1969, 5^1-545; « N o titia e » 5, 1969, 347-351 (testo latino della « In stru ctio » );
Lettera della S. Congregazione per il Culto divino alle Conferenze episcopali, ibidem, 351-353.
5 Cfr. AAS 61, 1969, 549-550.
6 Cfr. «N otitiae», 6, 1969, 423-435: Decretum, Praenotanda, Commentarium a cura di S. Mazza-
rello; G. Gozzellino, Il nuovo Rito deWesequie e la teologia conteniporanea della morte, in «Rivista Li
turgica» 58, 1971, 303-322; E. Lodi, La pastorale del nuovo Rito dell'esequie, ibidem, 340-353.
Rituale Romanum ex decreto... Pauli PP. VI promulgatum: Ordo exsequiarum. Ed. Typica, Typis
Polyglottis Vaticanis 1969.
7 Cfr. AAS 61, 1969, 7 4 9 - 7 5 3 -
8 Cfr. A AS 62, 1970, 553; «N otitiae» 6, 1970, 113-126: Decretum, Praenotanda, Commentarium
a cura di I. Calabuig; Idem, Note sulla teologia e spiritualità della vita religiosa alla luce dell'« Ordo
Professionis », in Per una presenza viva dei Religiosi nella Chiesa e nel mondo, Torino-Leumann 1970,
933-979; Ordo Professionis religiosae. Documenta, in «N otitiae» 6, 1970, 316-322.
Rituale Romanum ex decreto... Pauli PP. VI promulgatum: Ordo Professionis Religiosae. Ed. Typica,
Typis Polyglottis Vaticanis 1970.
216 appendice
1 Gfr. «Rivista Liturgica» 58, 1971, 276-278 (testo della Istruzione); I Ministri ausiliari
della Comunione (Nota dell’Episcopato belga ai suoi sacerdoti), ibidem, 278-281; I ministri straor
dinari della Comunione (Nota della Commissione episcopale francese per la Liturgia), ibidem, 282-287.
2 Cfr. A AS 62, 1970, 554; «N otitiae» 6, 1970, 169 (Decretum).
3 Cfr. A AS 62, 1970, 650; «N otitiae» 6, 1970, 313-316: Decretum e Praenotanda.
4 Cfr. A AS 62, 1970, 651-663; «Rivista Liturgica» 58, 1971, 111-131 (testo italiano della
Istruzione, Note illustrative a cura di F. DelPOro); «N otitiae» 6, 1970, 348-370 (testo latino con
annotazioni incorporate).
5 Cfr. A AS 62, 1970, 664-667; « Rivista Liturgica» 58, 1971, 415-422 (testo italiano con com
mento a cura di F. Dell’Oro; «N otitiae» 6, 1970, 323-328 (testo latino con brevi annotazioni);
Comunione sotto le due specie (Nota della Conferenza episcopale del Belgio), in « Rivista Liturgica »
58, 1971, 423-424; Communion sous les deux espèces (Ordonnance de la Conférence épiscopale fran-
gaise), in «N otitiae» 6, 1970, 43-44; A. Bugnini, V Istruzione « Sacramentali Communione». Precedenti
e significato, in « L ’Osservatore Romano» 4 settembre 1970, 1-2.
6 Cfr. AAS 62, 1970, 692-704; «Rivista Liturgica» 58, 1971, 540-550 (testo italiano); « N o
titiae.» y, 1971, 9-26 (testo latino e commento incorporato); Echi e commenti alla Terza Istruzione,
in «Rivista Liturgica» 58, 1971, 554-577; S. Maggiolini, Una « Instructio » e il suo fondo teologico,
in «N otitiae» 7, 1971, 49-52; G. P., L a Terza « Instructio » mortifica l'iniziativa?, in «N otitiae»
7, 1971, 85-88; A. Ini esta, En tomo a la tercera Instrucción, ibidem, 114-117; G. P., L a musica sacra
nella « Instructio Tertia » , ibidem, 294 ss. ; G. Oury, Le Missel et la I I I o Instruction, ibidem, 247-253.
7 Cfr. A AS 63, 1971, 710.
8 Cfr. «N otitiae» 7, 1971, 146-152 (testo latino della Costituzione).
9 Gir. A AS 63, 1971, i i o - i i i ; «N otitiae» 7, 1971, 32-36: Decretum, Praenotanda, Commentarium
a cura di S. B.
Pontificale Romanum ex decreto... Pauli P P . VI promulgatum: Ordo Benedictionis Abbatis et Abbatissae.
Ed. Typica, Typis Polyglottis Vaticanis 1970.
10 Cfr. A AS 63, 1971, 711; «N otitiae» 7, 1971, 89-91: Decretum e Praenotanda.
Ordo benedicendi Oleum catechumenorum et infirmorum et conficiendi chrisma. Ed. Typica, Typis Po
lyglottis Vaticanis 1971.
217 cronologia della riforma liturgica
Anno 1971
11 aprile Horarum Liturgia: Decreto della S. Congregazione per il
Culto divino, con la quale si pubblica e si dichiara tipica
redizione latina del libro della Liturgia delle Ore \
15 agosto Divinae consortium naturae: Costituzione apostolica sul sa
cramento della Confermazione 2. 1
22 agosto Peculiare Spiritus Sancti donum: Decreto della S. Congrega
zione per il Culto divino, con il quale si promulga il
nuovo rito della Confermazione e si dichiara tipica la sua
edizione 3.
Anno 1972
6 gennaio Ordinis Baptismi adultorum: Decreto della S. Congregazione
per il Culto divino, promulgatorio del nuovo rito dell’ini
ziazione cristiana degli adulti4.
27 maggio Lettera della S. Congregazione per il Culto divino al ve
scovo di Gap R. Coffy, presidente della Commissione litur
gica nella Conferenza episcopale di Francia, con la quale si
autorizza Fuso, nelle celebrazioni liturgiche, di una veste
sacerdotale di forma nuova 56.
16 giugno Sacramentum Paenitentiae: Norme pastorali della S. Congre
gazione per la Dottrina della fede riguardanti l’assoluzione
sacramentale generale e.
24 giugno Thesaurum canius gregoriani: Decreto della S. Congregazione
per il Culto divino che promulga sotto il titolo di Ordo
cantus Missae il nuovo Graduale Romano, adattato alle norme
della riforma liturgica 7.
7 agosto In celebratione Missae: Dichiarazione della S. Congregazione
per il Culto divino sulla concelebrazione, per l’interpre-
tazione del nn. 76, 158 della Institutio generalis del messale
romano 8.
1 Oír. AAS 63, 1971, 712; « N o titia e » 7, 1971, 145: Decretum; Institutio generalis de Liturgia
Horarum, Index analylicus, ibidem, 153-214; A. G. M artim ort, V a Institutio generalis » /a nouuelle
« Liturgia H orarum », ibidem, 201-240: A A. V V ., Liturgia delle Ore. Documenti c Studi, in « Q u a d ern i
di R ivista L itu rgica» 14, Torino-Lcum ann 1971.
2 Cfr. A AS 63, 1971, 657-664; «N otitiae» 7, 1971, 333-346: Constitutio, Praenotanda; « R i
vista Liturgica» 59, 1971, 432-437: testo italiano della Costituzione; U. Betti, Confermazione: S i
gillo dello Spirito , in «N otitiae» 7, 1971, 347-351; G. P., /)* instauratione Ordinis Confirmationis, ibidem,
352-363; I Biffi, Riflessioni teologiche sul nuovo «O rd o Confirmationis » , in «Rivista Liturgica» 59,
1972, 313-.323; G. M. Medica, Catechesi di preparazione immediata alla Cresima, ibidem, 352-366; E. Lodi,
Aspetti pastorali deW« Ordo Confirmationis», ibidem, 379-390; A. Nocent-S. Marsili, Problemi contem
poranei dell*iniziazione cristiana , ibidem, 54, 19G7, 81-102: G. Milanesi, Confermazione e inserimento del
cristiano nella società, ibidem, 179-198: AA. V V ., L a Confermazione e l'iniziazione cristiana, in « Q u a
derni di Rivista Liturgica» 8, Torino-Leumann 1967.
Pontificale Romanum ex decreto... Ptfu/i PP. V I promulgatum: Ordo Confirmationis. Ed. Typica, Typis
Polyglottis Vaticanis 1971.
3 Cfr. A AS 64, 1972. 77; «N otitiae» 7, 1971, 332: Decretum.
4 Cfr. AAS 64, 1972, 252; «N otitiae» 8, 1972, 68-95: Decretum, Praenotanda, Commento a
cura di J. B. Molin.
6 Cfr. G. Oury, Faut-il un vètement liturgique? in «Esprit et vie» (L’ami du clergé), 82, 1972,
481-486.
6 Cfr. AAS 64, 1972. 510-514; «N otitiae» 8, 1972, 312-326 (testo latino e commento a cura
di M. Zalba).
7 Cfr. «N otitiae» 8, 1972, 215-226: Decretum, Praenotanda e commento a cura di J. Claire.
Ordo Cantus M issae, E a . Typica, Tvpis Polyglottis Vaticanis 1972.
HCfr. A AS 64, 1972, 561-563; «N otitiae» 8, 1972, 327-332 (testo latino e commento a cura
di G. P.); « Rivista Liturgica » 60, 1973, 243-245 (testo italiano); cfr. anche «L iturgia» 137-
138, 1972, 878-883 (testo italiano c commento a cura di E. Lisi).
218 appendice
1 Gfr. A AS 64, 1972, 529-534; «N otitiae» 9, 1973, 4-8 (testo latino); G. P., Commentarium
de nova disciplina et ritibus circa Ministeria, ibidem, 18-33; «Rivista Liturgica» 6o, 1973, 116-120
(testo italiano) ; cfr. anche Precisazione circa il Motu proprio « Ministeria quaedam », in « L ’Osservatore
Romano» 6 ottobre 1972.
2 Gfr. AAS 64, 1972, 534-540; «N otitiae» 9, 1973, 9-16 (testo latino); «Rivista Liturgica»
60, 1973, 236-242 (testo italiano).
3 Gfr. AAS 64, 1972, 692-694; «N otitiae» 8, 1972, 347-353 (Decretum e commento a cura di
G. P.); «Rivista Liturgica» Go, 1973, 120-121 (testo italiano).
4 Gfr. «N otitiae» 9, 1973, 52-69 (testo, Praenotanda e presentazione di A. G. Martimort); P. -
M. Gy, Le nouueau riluel des malades, ibidem, 108-118; S. Famoso, Il nuovo « Ordo » deWunzione degli
infermi, in «Rivista di Pastorale Liturgica» io, 1973, 3-15; E. Cattaneo, Unzione degli infermi: l'in-
segnamento della storia, ibidem, 16-19; G. Davanzo, Il rituale dellunzione degli infermi: riflessioni teologico-
pastorali, ibidem, 20-26; R. Falsini, IL viatico, ibidem, 31-37; E. Lodi, V«Ordo » della raccomandazione
dei moribondi. Aspetti teologico-pastorali e antropologici, ibidem, 38-45.
6 Gfr. «N otitiae» 9, 1973, 17-33: Decretum.
De institutione Ledorum et Acolythorum. De Admissione inter candidatos ad Diaconatum et Presbyte
ratum. De sacro caelibatu amplectendo. Ed. Typica, Typis Polyglottis Vaticanis 1972.
6 Cfr. «N otitiae» 9, 1973, 51: Decretum.
Rituale Romanum ex decreto... Pauli PP. VI promulgatum: Ordo unctionis infirmorum eorumque pasto
ralis curae. Ed. Typica, Typis Polyglottis Vaticanis 1972.
INDICE
Capitolo I - « Liturgia » 33
Bibliografia 33
Bibliografia 107
Introduzione 159