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LITURGIA DELLE ORE
1. INTRODUZIONE AL CORSO
1.1. Alcune premesse
antropologiche e teologiche sul “tempo”1
1.1.1. Approccio antropologico alla concezione di “tempo”
Prima di accostarci allo studio dell’anno litúrgico e della Liturgia delle Ore secondo una
prospettiva teológica perciò, ci sembra quanto mai opportuno proporre una riflessione sulla
conzecione del tempo secondo le dinamiche antropologiche, soffermandici in particolare su
quello che chiamiamo “tempo storico” e “tempo cósmico”. Tale fondamento sarà certamente
utile per comprenderé la prespettiva teológica del tempo dell’uomo che s’incrocia e si unische
al “tempo” di Dio.
Il grande Agostino dice nelle Confessioni al libro XI: “… se nessuno m’interroga, lo so”
Il tempo è una realtà di questo nostro universo che sfugge inevitabilmente al controllo
dell’uomo, in quanto regolato dall’avvicendarsi dei ritmi della natura che lo sorpassano: si
pensi all’alternarsi della luce e delle tenebre che chiamiamo “giorno”.
Il “tempo cósmico”
Possiamo dire che è il tempo scandito dagli evento naturali: l’alternarsi del giorno e della
notte. Alcune culture sacralizzano i tempi cosmici. Il cristianesimo trascende la realtà
cósmica per farne símbolo di qualcosa di più alto, infinito e indefinito.
Il “tempo storico”
È legato inevitabilmente al tempo cósmico ed è rappresentato dal tempo che l’uomo vive con
i suoi eventi, con gli accadimenti che caratterizzano la sua storia. Per tempo storico
intenderemmo il “contenitore” delle esperienze familiari e sociali dell’uomo stesso. Tale
concezione cíclica è legata a la società greca. La storia per il mondo greco è cíclica: il tempo
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Per queste punto avviamo preso: MURONI P.A., Il Mistero di Cristo nel tempo e nello
spazio. La celebrazione cristiana (Manuali Teologia. Strumenti di studio e di ricerca 38),
Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2014, 147-163.
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
non è altro che sinónimo di Kronos (il greco indica il tempo in genere, misurabile attraverso
calcoli matematici e dunque definibile). Potremmo parlare perciò di una dimensione
“quantitativa” del tempo, scandito dai ritmi della natura creata, meglio espressa dai termini
“anno”, “mese”, “giorno”. Per i greci il tempo altro non è che una forma vuota. Il tempo si
dichiara nemico della novità.
Mircea Eliade afferma che: “… il mito è una storia vera che è avvenuta agli inizi del tempo
e che serve da modelo ai comportamenti degli uomini.”
“l’ebraismo è una religione del tempo che mira alla santificazione del tempo. La bibbia sente
il carattere diversificato del tempo: ciascuna ora è única”.
I riti cristiani trovano il loro fundamento innanzitutto nella storia del popolo di Israele, quanto
piuttosto la storia della nostra salvezza, la storia del rapporto sponsale tra l’uomo e Dio che
si incontrano in un “luogo” ben preciso chiamato “tempo”. Un Dio che si rivela nella storia,
nello stesso “tempo” Donato all’uomo, e che per i cristiani trova il suo culmine nell’evento-
Cristo, nella sua incarnazione, passione, morte e risurrezione.
Volendo utilizzare una metáfora geométrica, potremmo dire che si tratta di una concezione
lineare del tempo: nel tempo Dio si rivela. Oscar cullmann dice: “… per il crstianesimo
primitivo, come pure per il giudaismo bíblico, per la religione iraniana, l’espresione
simbolica del tempo è la línea, mentre per l’ellenismo è il circolo”.
El tempo è dunque il luogo dell’epifania di Jhavè. È un Dio che si è fatto prossimo all’uomo.
L’andamento del tempo, per i cristiani, è lineare; va verso un compimento che Dio realizzerà.
La presenza di Dio è liera nel tempo, liberamente e gratuitamente per amore. Nella tradizione
ebraica, lo spazio privilegiato dell’incontro tra l’uomo e Dio, nell’ambito del quale si celebra
la memoria della salvezza sedondo una modalità he permette di attualizzarne gli effetti
diventando contemporanei all’evento salvífico celebrato. La Sacrosanctum Concilium 5-6 ci
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hai insegnato che “continuazione linerar” della Historia Salutis nell’oggi della Chiesa
proiettata nel futuro escatológico.
Il rabino Heschel nel suo libro Dio alla ricerca dell’uomo dice: “… È come si Dio non volesse
rimanere solo e avesse scelto l’uomo per servirlo… Dio è alla ricerca dell’uomo”.
Questa ricerca, che debe attuarsi nell’orizzonte dell’alleanza diventa ancor più appassionata
quando Dio va incontro alla sofferenza del suo popolo. Il Dio bíblico si rivela dunque come
un Dio d’amore. L’uomo bíblico perciò, più che ragionare su Dio, ne descrive le meraviglie
che egli compie nella sua stessa vita; ne condivide l’esperienza e ne celebra la grandezza.
Pensiamo, a quanto l’orante compie nella Liturgia delle Ore alla quale il cristiano è chiamato
nella preghiera del salterio. Nei salmi l’orante si racconta o meglio “racconta” Dio e
l’esperienza che Dio egli ha fatto. Il salmo 36 “Signore, il tuo amore è nel cielo, la tua fideltà
fino alle nubi, la tua giustizia è come le più alte montagne, il tuo giudizio come l’abisso
porfondo: uomini e bestie tu sali, Signore”.
Attraverso il salterio Dio parla all’uomo ma allo stesso tempo l’uomo, dinanzi alle Mirabilia
Dei sperimenta il sentimento dello stupore, della meraviglia, rimane “a bocca aperta”, “senza
parole”; l’uomo stesso consciente della sua piccolezza dinanzi al Padre, utilizza le parole di
Dio per rispondere a Dio stesso e parlare, testimoniare di lui alla Chiesa.
L’uomo bíblico, scopre di non essere solo nel tempo della storia, ma riconosce in Dio un
“compagno di viaggio” fedele col quale vale la pena impegnarsi, essendo l’unico capace di
donare la salvezza.
L’uomo è capace di comunicare. Come ai tempi biblici, egli coinvolge tutta intera la persona
nel dialogo con il Signore di fronte al quale sta con tutta la sua vita.
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1.1.4. Liturgia delle Ore come preghiera “nel tempo”
Nella persona di Cristo, Dio è vissuto e ha realizzato la salvezza del l’uomo nel tempo e nello
spazio. Egli, infatti, non ha abolito il tempo, anzi lo ha aperto.
Per il cristiani il temnpoo e lo spazio non sono coordinate fisiche o geometriche, bensì “il
luogo” in cui l’uomo e Dio si incontrano, entrano in rapporto tra di loro.
Odo casel propone una sorta di cerchi concentrici che procede proprio come una spirale la
quale, pur ritornando su se stessa, si troca tuttavia sempre a livelli più altri, fino a raggiungere
la vetta.
È Dio che nei vari “misteri” che si celebrano lungo l’anno litúrgico, manifesta i suoi Kairoi
passati, presenti e futuri riuniti nell’unico Mistero pasquale di Cristo. Lo stesso anno litúrgico
fornisce un orientamento, quasi una “linearità” all’intero ciclo litúrgico: perciò il termini
Kronos, anche la Sacra Scrittura conosce il termine; ma è un Kronos che diventa Kayros nel
manifestarsi di Dio, all’uomo nel Figlio, nel tempo e nella storia unami.
Casel afirma che “… nell’Anno litúrgico non c’è posto per un “perire”, ma soltanto e il
vivere, anche quando si debe passare attraverso la morte.
San Ambrogio: chiama a Cristo el vero giorno, il vero sole; Cristo pe pertanto il giorno che
fa risplendere la luce dell’eternità. Così Cristo è anche il vero anno, il giorno di tutti i mondi,
il secolo eterno.
Enrico Mazza dice che “il tempo della Chiesa e il tempo della liturgia sono, entrambi,
sacreamento del tempo di Cristo”. La linearità del manifestarsi di Dio e la progressione della
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redenzione divina indicherebbe in maniera più completa il tempo come realtà di salvezza
ripetuta ma sempre nuova e in divenire. Così lo aferma anche un studio di Giuseppe Lorizio,
il cuale fa notare la perspettiva Cristocentrica.
Hruby afferma che l’elemento formale del sacrificio era la preghiera, perchè non veniva
offerto soltanto un elemento materiale come il profumo, ma si doveva pregare allo stesso
tempo. Adduce un testo rabbinico: “il canto 8 identificabile con la preghiera” dá consistenza
al sacrificio ed è una parte del sacrificio che non può essere trasladata, perchè il sacrificio
sensa il canto/preghiera in nessun modo sarebbe gradito a Dio”.
Tenere presente che la lode si alternava all’azione rituale esterna dei sacrifici (come lettura
della Scrittura e canto dei salmi). I salmi sono nati in un contesto cultuale!
La parte riservata alla lode, dice Pinel, corrispondeva al momento nel quale veniva oferta una
vittima. I sacrifici fuori del tempio furono poi vietati, ma l’elemento canto non fu mai abolito.
Ciò vuol dire che i sacrifici non si fermavano al mero evento esteriore, ossia l’offerta della
vittima, ma avevano una valenza spirituale profonda, legata alle benedizioni e al canto di
lode.
L’impossibilità di ofrife sacrifici, dopo la distruzione del tempio (70d.c.) e, all’epoca di
Nabucodonosor, con l’esilio in Babilonia, fece si che la preghiere che li accompagnavano ne
prendessero il posto. Per necessità i rabbini si rifecero alla parola del porfeta: Os 14, 2-3
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SARR O.-M., In omni tempore (Ps 33,2). La Liturgie des Heures et le temps: louange
quotidienne et ouverture vers l’éternité (Studia Anselmiana 162), EOS Verlag, Roma 2014,
43-83.
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L’offerta gradita a Dio non è il sacrificio e l’olocausto, ma un cuore contrito e umilliato (sal
50,8-23). Come i profeti spesso rocordano, la condizione insostituibile per il culto è l’amore,
la consecuenza di Dio, la giustizia: il sacrificio è solo il “segno” di una dispocizione interiore
e non può sustituiré la vera conversione interiore.
La preghiera, diceva il Rabbino R. Elezar, “vuoi più delle opere buone” e “supera per valor
i sacrifici” (b. berakot). La preghiera è “il servizio del cuore”; tuttavia si ritiene che debba
sustituire i sacrifici “soltanto fino a quando, nel tempo messianico, il tempio verrà ricontruito
e il culto sacrificiale sarà reintrodotto”.
Un passaggio molto interesante: se per gli ebrei, infatti, il sacrificio rappresentava il “luogo”
sul quale si manifestava la presenza di Dio, ora tale luogo, dopo la distruzione del tempio, è
rappresentato dalla preghiera, spesso dalla Torah che rapresentava la parte più consistente
delle preghiere, che diventa il “nuovo luogo” nel quale Dio si manifesta.
Como il sacrificio sull’altare del tempio non rappresenta semplicemente il ricordo di Dio in
mezzo al suo popolo, così la preghiera. (lo stesso Giesù in Mt 18, 20)
Quando la primitiva comunità cristiana iniziò il suo cammino nella storia, non
possedeva alcuna struttura di preghiera, né alcun patrimonio di testi che potesse
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Questi sono apunti di un compagno
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essere considerato espressione specifica della predicazione e dell’insegnamento
di Gesù.
5 tappe di preghiera
- tefillat shahar — preghiera del mattino può essere detta fino a mezzo
girono
Preghiera del sacrificio: minha, può essere detta sin al calare del sole
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Gn 28,11 — sogno di Giacobbe
Gn 19, 27
Gn 24, 63
Già nei salmi i termini preghiera e sacrificio sono intercambiabili: la preghiera è intensa come
“sacrificio spirituale”: ciò ci aiuta a spiegare il senso più profondo della nostra liturgia delle
Ore. Preghiera e sacrificio: ecco un elemento di continuità.
I testi liturgici di tutti i tempi faranno riferimento alla preghiera come sacrificio, in particolare
l’uso del salm 141, 2: “come incensó salga a te la mia preghiera, la mie mani álzate come
sacrificio della será”.
Possiamo parlare perciò di “passaggio teologico” dal culto sacrificiale animale al culto
sacrificiale delle labbra.
La novitas: predicazione di Cristo che ci porta alle morte e alle Resurrezione, una chiave di
volta nella preghiera della Chiesa nascente.
I cristiani si orientano verso un culto senza tempio: il nuevo “orientamento” della preghiera
è Cristo: Ap 21,22; Gv 4,23-24).
È Cristo stesso il gran sacerdote che ha offerto, una volta per tutte, il sacrificio perpetuo: Eb
7,26-28.
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Ma oltre alla típica preghiera di ogni ebreo del suo tempo, Gesù ha pregato anche
spontaneamente:
I tempi (prima di alcune grandi azioni salvifiche: miracoli, scelta dei 12, battessimo,
transfigurazione…); al mattino presto, di notte: novità, che i cristiani hanno iniziato con la
veglia.
Le persone (perla fede di Pietro, il dono dello Spirito al suoi, quando risana il sordomuto e
risuscita Lazzaro…)
Da soli: Mt 6,5-8
Lc 11,5-13: l’amico che va a mezzanotte a buscare alla casa dell’altro amico. O addirittura i
racconto del giudice e della vedova insistente: Lc 18, 1-7
Essi nelle loro pregiere utilizzabano salmi biblici, cantici, benedizioni. (Col 3, 16-17)
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Le loro preghiere includevano lodi e benedizioni, ringraziamenti, confessioni di fede e
suppliche per superare tentazioni, per compiere la volontà di Dio, per il perdono dei loro
persecutori, per la salvezza d’israele ecc.
At 4,32: La loro communio si fondava sulla Parola di Dio, sulla comunione fraterna, sulla
orazione e sull’eucaristia (IGLH 9): Ef 6,18; 1ª Tm 5, 16-18.
Pregare insieme diventa per la Chiesa, lungo tutta la sua storia, un mezzo necesario per
rimanere saldi nella fede della Chiesa.
Alla base dell’instituzione ecclesiastica della Liturgia delle Ore, come dice Pinel, si fu
sicuramente la scoperta del valore dell’asamblea orante. Per questo il rinnovamento litúrgico
e il Vaticano II hanno insistito tanto in popolo di Dio-chiesa – assemblea (comunità di
preghiera nata dalla pentecoste) come soggetto della preghiera.
Infatti, la norma del capi. VIII della Didachè (fine del sec. I), secondo cui la preghiera
cristiana del Padre nostro doveva essere recitata “tre volte al giorno”, era ancora
materialmente vincolata agli usi ebraici del tempo di Gesù.
Se tra le comunità cristiane dei primi secoli esisteva una celebrazione di lode comunitaria,
essa corrispondeva a una di quelle ore che Tertulliano chiamerà legitimae, cioè, alla sera o al
mattino, o, semmai, alla vigilia notturna. Bisogna chiarire che, neanche per queste tre ore –
preghiera vespertina o lucernari, veglia ecclesiale, lode mattutina – si parlava già di una prassi
giornaliera.
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SARR O.-M., In omni tempore (Ps 33,2). La Liturgie des Heures et le temps: louange
quotidienne et ouverture vers l’éternité (Studia Anselmiana 162), EOS Verlag, Roma 2014,
85-94. Debi anche vedere i testi latini che lui ha inviato, e poi suoi comenti.
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2.2.1. Clemente Romano, Epistula ad Corinthios
CLEMENTE ROMANO PAPA (92-101)
El evoca el respeto en la conformidad de las horas fijas y de los momentos determinados sin
especificar. Dice además que la terminación de los servicios cultuales no son nunca una obra
improvisada, sino ordenada y bien estructurada.
Già distingue 3 ore della giornata alla qualle si collegano 3 momenti de essa. Distribuiscono
il giorno che distinguono gli affani. Vediamo Mt 20, 1-7: le distribuzione di queste ore erano
legata alla società.
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Un autor, Botte, dice que Tertuliano usa dos términos de los que hace él una distinción neta:
hora legitimae (designa las horas prescritas para la salida de la luz y la noche, no se necesita
para ello un encuentro público) y orationes comunes (son previstas para las tercias, sexta,
nonas, correspondiendo a aquellas que son recomendadas por la escritura como Hch 2,15;
3,1; Dn 6,10).
Bref dice que las tres horas pueden ser más importantes que las dos otras que hacen referencia
a las laudes y las vísperas.
Cipriano de Cartagine (258), él usa la misma distribución de las tres oraciones del día (tercia,
sexta, y nona), contrarias a las horas de las oraciones fijas y obligatorias dejándolas fijas en
la liturgia Judeo-cristiana. En la mañana se celebra la resurrección del Señor y en la tarde, a
la caída del día, se evoca el retorno de Cristo. A ejemplo de Ana la profetiza, todos los que
están en la luz de Cristo, son invitados a rezar continuamente por el día y noche.
En definitiva, a finales del siglo III tanto Tertuliano como Cipriano insisten como adelanto
sobre las tres oraciones indicadas. Señalan que son especificas para la cristiandad naciente y
constituyen la mejor forma de rezo para las jornadas del día; un tiempo favorable para hacer
memoria de los eventos de salvación.
Invita, en sus comentarios al salmo 64 a alegrarse con el deleite de la alabanza del día y la
caída de la tarde.
La idea que persigue es la de rezar durante todo el día como lo deja escrito en sus comentarios
a los salmos el anterior autor.
Sia nel mondo greco di Eusebio, che nell’ambito latino di Ilario si mostra una instituzione di
lode ecclesiale, alla sera e al mattino.
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
tra sacrificium vespertinum da una parte e la risurrezzione di Cristo, dall’altra.
Conclusioni:
la storia della estruttura è più complessa. Con la pace di Constantino (313) La Chiesa diventa
libera ma anche nel rito del s. IV: c’è una fioritura dei riti in oriente e in occidente sensa
sacramentari pero diventata libera per il emperatore.
Appare una struttura di preghiera basata o nel vescobo intorno a suo presbiterio con la
comunità (l’ufficio catedralizio) o el abate con suoi fratri (l’ufficio monástico).
Diferenzie:
L’idea era asicuare una preghiera oraria cíclica insieme a Pablo e a Pietro con la volontà di
Cristo. Questo precepto spossevo un ruolo importante: la risposta al comando di Gesù si
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PINELL J., Liturgia delle Ore (Anàmnesis 5), Marietti, Genova 1990, 68-83.
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
faceba dipendendo anche della struttura. Il materiale era uguale per tutti: la sacra scritura,
cioè, parlare di Dio in 150 salmi. Solo nel celebrante staba la diferenza, ed anche il modo di
vita. Questo condiziona alla preghiera de modo che non si farà lo stesso nelle catedralizio
che in quegli monacali.
Spontaneamente si stabiliscono delle regole che poi diventanno delle vere leggi. Le strutture
delle celebrazioni sono concepite come disegni architettonici, che devono essere prefigurati
entro determinati canoni, affinchè vi si possa riconoscere l’armonia propia dell’opera
classica.
Dei nostri schemi liturgici, il senso del classico nasce, in parte, dai principi comuni:
proporzione, varietà e armonía. Ma in parte provengono anche da successive esperienze delle
comunità cristiane, per cui le invenzioni felici di un determinato momento storico diventano
“sacra tradizione”.
Ci dànno uno schema ben definito per le due ore principali. Perfettamente simétrico è lo
schema del vespro e dell’ufficio matutino. Uno schema quasi simmetrico per le ore del vespro
e del mattino sussisterà, anche quando l’ora mattutina sarà coordinata, o quasi integrata, in
una più ampia celebrazione comprendente la vigilia di origine monacale.
Nel capitolo XXIV delle sue memorie sulla visita in Terra Santa, la pellegrina Egeria descrive
come si svolgevano gli uffici a Gerusalemme.
a. vespro.
Lo schema del vespro è molto simile a quello delle Constituzioni Apostoliche, anche se il
linguaggio della narratriche è poco preciso possiamo constatare che si è verificato un
incremento della salmodia. Il vespro è chiamato “lucernario”. Qui troviamo antecedenti delle
“appendici” (visite devozionali a luoghi santi) aggiunte agli uffici del vespro e del mattino,
e che ritroveremo nei riti ambrosiano e ispanico.
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
b. Vigilia e ufficio matutino feriali
Dal primo canto del gallo fino all’alba si svolge una vigilia, alla quale assistono monaci e
vergini, e anche quei laici che vogliono parteciparvi. Egeria parala poi dell’ufficio mattutino.
Non scende tuttavia nei particolari. Sembra però che lo schema dell’ufficio matutino fosse
simmetrico, o quasi, a quello dell’ufficio vespertino.
La vigilia domenicale non è riservata agli asceti e a qualche alico devoto, ma è propria di
tutta la comunità ecclesiale: come se fossi una Pasqua. Questa volta Egeria è molto precisa
sui numeri dei salmi: sono tre, e ognuno è seguito da un’orazione. Dopo il vescovo incensa
il luego del Santo sepolcro. Ma l’eleme nto più caratteristico della vigilia domenicale è la
lettura del vangelo, riservata al vescovo in persona.
Dopo la lettura del vangelo, il vescovo si ritira, non senza aver fatto prima una visita alla
cappella ad Crucem. La celebrazione mattutina della domenica è in gran parte dedicata alla
catechesi.
Caratteristiche:
1. Aspetto molto curato nel rituale, perchè c’era il popolo di Dio, a cui dovevano aiutare a
entrare nell mistero Pascuale
2. Diverse figure ministeriale (il salmista, il vescobo, il presbítero)
3. Adattamento della salmodia: adattati nella struttura e nel tempo
4. Salmodia breve
Tutto questo lo sapiamo per le opere dei oratori cristiani dell’epoca fino al IV sec. Possiamo
fare un riferimento a San Girolamo che non c’aveva la intenzione, pero lo sapiamo perchè
describe l’ufficiatura dell momento. Anche Arnobio (monaco romano), suoi monaci lo fanno
come nell’ufficiatura catedrale. Questi erano administrativi di tutto ciò che guardaba la
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
struttura aministrativa nell’ufficiatura del Pontifice.
C’è anche testimonianze come quella del Liber diurnus romanorum Pontifium:
La raccolta contiene ca. 100 formulari per le pratiche abituali della cancelleria, come lettere,
formulari per l'elezione, l'intronizzazione e il funerale del papa, sul procedimento per la
nomina dei vescovi, sulla fondazione dei monasteri e l'inaugurazione delle chiese, cioè
documenti che riguardano tutti gli ambiti dell'amministrazione della Chiesa. I primi
documenti provengono dalla fine del V secolo, per quanto vi siano opinioni divise sull'esatta
datazione. Parti essenziali della raccolta provengono dall'epoca dei papi Gelasio I (492-496)
e Gregorio I (590-604). Il Liber Diurnus fu in uso nella Cancelleria papale fino all'XI secolo.
A causa di cambiamenti e delle mutate esigenze della burocrazia il libro non fu più usato e
cadde nell'oblio.
Tutto era per assicurare la preghiera continua, perciò c’aveva un monasterio con Sisto III,
un altro con Leone I, y un altro con Ilario nel laterano, i altri due erano in San Pietro. I monaci
andavano a pregare pero si meschiavano con le forme di celebrare i clerici.
Sono scarsissime le fonti che si permettono di conoscere gli schemi dell’ufficio romano
antico. Nel V secolo esistevano delle comunità monastiche a cui, in parte era affidata la
liturgia di lode delle basiliche romane. San Benedetto conobbe l’uso romano del suo tempo.
Anche gli uffici arcaici del triduo Sacro, conservati quasi intatti fino alla reforma di Paolo
VI, valgono come testimonianza di un’ufficiatura romana precedente gli influssi monastici
tardo-medievali.
Gli uffici vespertino e matutino non sono esattamente simmetrici, ma hanno, come si vede,
una struttura molto simile.
La scelta dei salmi per l’ufficio del mattino si è mantenuta più fedele alla primitiva tradizione
ecclesiale: i salmi sono stati tutti selezionati per una funzione specifica.
In primo luogo, il salmo 50 miserere (come un vero atto penitenziale); poi, tre salmi
mattutino, uno variabile e gli altri due fissi (quindi i tre salmi Laudate, da cui più tardi l’ora
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
mattutina prenderpa il nome Laudes); finalmente, il cantico del Nuovo Testamento
Benedictus.
Per la sua complessità di stili, di generi letterari e di situazioni storiche, il Salterio raccoglie
infatti una svariata gamma di moduli di preghiera.
Struttura:
Il ufficio mattutino non c’è una introduzzione; súbito si inizia coi salmo 50
Nel’ufficio monastico, gli eccesi, nel numero delle preghiere salmodiche, avevano portato a
gravi inconvenienti. Spinti da un fervore iniziale, i monaci di determitate zone avevano
assunto impegni che poi la debolezza umana impediva di assolvere. Aumentando troppo la
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
quantità, l’orazione perdeva in qualità. Si sentí perciò la necessità di satabilire una isura
prudenziale, sufficiente per richiedere generosità ma non eccessivamente gravosa da
scoraggiare i più deboli.
Il numero di dodici salmi sembrò essere la misura giusta. E così numero dodici venne
sacralizato mediante la “Regola dell’angelo”, di cui per primo ci parla Palladio nella sua
Historia Lausiaca. (pag. 77)
Confrontando gli schemi del vespro e dell’ufficio mattutino, abbiamo già rilevato che nella
scelta dei salmi per l’ufficio del mattino, si era maggiormente fefeli alla tradizione ecclesiale
precedente. La salmodia del vespro rispondeva invece al criterio “currente psalterio”, cioè a
una lettura progressiva di tutto il libro dei salmi distribuita nel tempo.
Conviene però sottolineare che la parte del Salterio riservata al vespro contiene i salmi a cui
le liturgie orientali prima, e gli altri riti occidentali poi, hanno attribuito la funzione di
“lucernari” o “vespertini”. Le antifone romane festive più arcaiche dimostrano che anche
Roma vi fu una selezione di salmi “vespertini”.
L’ufficio monacale ispanico raggruppava i tre cantici in una sola missa, che corrispondeva
all’ultima parte della salmodia vigiliare domenicale. Il sistema più arcaico, adottato per la
distribuzione dei cantici neotestamentari nella liturgia delle ore.
Il rito Bizantino colloca i due primi nell’ufficio vigiliare-mattutino, e il Nunc dimittis nel
vespro. La liturgia Romana basilicale, dal canto suo, trasferì il Magnificat al vespro; lasciò il
Benedictus nell’ufficio mattutino, e spostò il Nunc dimittis a compieta.
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
Provabilmente del primo quarto del s. IV. Il nome “regola del maestro” fu imposto per
Benedetto di Aniane in quanto la regola se struttura in base alla formula di domanda (fatta
dai discepoli) e risposta (donata del maestro). Si compone di un prologo e di 95 cap. dei quali,
dal 33 al 48 trattano direttamente dell’ufficiatura.
È una ufficiatura che ha una grande quantità di salmi coi parole dei Santi Padri. Non ci sono
inni. Si includono i Aleluya per essere meno monótona nella lungezza della salmodia.
È il primo a introdurre la preghiera delle ore con il Deus in adiutorium meum. Sceglie un
versetto più adatto per iniziare le vigilie. Questa sistematica applicazione del versus
salmodico si estende anche al rituale domestico del monastero. San Benedetto prevede, nel
suo ufficio, diversi modi di eseguire i salmi: probabilmente i salmi erano sempre cantati.
Bisogna tener presente che, nell’antichità classica qualunque recitazione proclamazione o
declamazione pubblica di un discorso comportava un’intonazione musicale.
A seconda del numero dei monaci che si trovavano in coro, si adottavano un modo più
semplice (in directum), oppure un’esecuzione più elaborata e solemne (cum antiphonis).
San Benedetto fa poi un uso molto razionale dell’aleluya. Anche si vede che distribuice
inoltre il salterio, ossia i 150 salmi lung l’arco di una settimana, e insiste perchè questa misura
non venga mai ridotta. Alcuni salmi si ripetono ogni giorno, oltre ai tradizionali salmi 50 e
148-149-150 all’inizio e alla fine della salmodia mattutina, rimangono sempre fissi i salmi 3
e 94, eseguiti in modo diverso, che introducono la vigilia, e il salmo 66, che apre l’ufficio
mattutino.
Adotta la distrubuzione dei cantici mattutini del’ufficio romano. Si ispira anche al rito
romano per la selezione dei salmi mattutini. L’ufficio benedettino è altresì costellato di altri
elementi che rivelano l’accuratezza con cui fu ideato ed elaborato dal suo autore: le
benedizioni dell’abate prima delle letture della vigilia, il Padre nostro solemnemente recitato
al vespro e al mattino, la supplicatio litaniae nelle ore principali, le invocazioni litaniche nelle
ore minori, le orazioni conclusive.
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
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3.3. Analisi dell’eucologia antica
L’eucologia di alta qualità, e prodotta su vasta scala, inizia quando esplode il fenómeno della
creatività. Tale fenómeno, per quel che riguarda l’Occidente, inizia circa alla metà del V
secolo, a Roma, e si chiude poco oltre la metà del VII secolo, in Spagna.
Gli autori dei testi eucologici, dotati di formazione letteraria, e avendo la possibilità di
elaborare con arte e forza espressiva i risultati della loro personale riflessione, riporteranno
gli echi della tradizione nelle loro formulazioni, abbellite, condansate, e dottrinalmente
approfondite.
Possono valere come testimonianze del periodo anteriore alla più fervente creatività la
benedizione della lampada, riprofotta nella Tradizione Apostolica, e le orazioni vespertina e
mattutina delle Costituzioni Apostoliche.
Nella tradito apostolica troviamo benedizione delle lampade un arquetipo del lucernario. Ed
anche si vedono diversi tipi di temi.
Temi:
a. Redimento di grazie.
b. Richiamo di una visione quasi morale.
7
PINELL J., Liturgia delle Ore (Anàmnesis 5), Marietti, Genova 1990, 158-166. Ma anche di un compagno.
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c. Dio come creatura
Un importante passo avanti nello sviluppo di questa temática si verifica già nei testi delle
Costituzioni Apostoliche. Intanto, si ha una più grande consapevolezza della realtà costituita dalla
preghiera della Chiesa. Si chiede a Dio che accetti il dono che è l’”eucaristía ecclesiale”,
vespertina o mattutina.
L’attributo divino di “creatore” è stato qui volutamente ristretto all’azione con la quale Dio
distingue il giorno e la notte.
Metendo quest’ordine, Dio viene incontro alla debolezza umana che ha bisogno di riposo.
C’è, da una parte la fragilità umana che richiede aiuto e protezione e, dall’altra, il Dio potente.
Si noti però che l’immensa potenza di Dio è filtrata e ridotta all’esatta misura dell’aiuto,
portezione e “attenzione” di cui l’uomo ha bisogno.
L’uomo responde alla sollecitudine di Dio con il suo “servicio” di preghiera e adorazione:
Il collegamento tra “mutamenti temporali” e “preghiere delle ore” è solo implícito. Ma nella
stessa orazione n. 588, c’è l’aggettivo pervigilis riferito a Dio, che rappresenta il concetto
antitético di “mutevole” e di “temporale”.
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Dopo aver parlato della “protezione constante” nella 588, insiste sulla necessità delle fasi
successive del tempo: l’uomo laborando si stanca, ed ha bisogno di roposarsi, è per questo
Dio le ha stabilite.
Ma l’uomo apprende che mutabilità regolare e ordinata è possiblie solo perchè Dio è
pervigilis.
Si vede una grande scoperta: attuando la sua facoltà più alta, cioè pensando, può passare
attraverso le fasi del tempo, dalla mutabilità del giorno e della notte, del lavoro e del riposo,
all’immutabilità di Dio: tua Semper inconmutabilitate firmemur.
La serie del Veronense constituiscono il primo tentativo in amito latino di comporre una eucologia
per il ufficio divino. Se dice Serie prechè è un insiemen della preghiera che apare con la temática
diversa al Gelasiano. C’è dunque una difereza chiara della preghiera del mattino a quella della
sera.
Veronense — abbiamo un’immagine di Dio antropomorfica; Dio creatore, come vediamo supra.
Il riferimento alle ore, stabilite come ore di preghiera ecclesiale, sono molto espliciti. Quando
al mattino si parla del vespro, e al verpro del mattino, si dispone un itinerario verso la tappa
successiva. Questo conferisce un senso dinamico alla celebrazione di lode:
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Qui nos depulsa noctis calígine ad diei huius principium perduxisti (n. 1584)
Vespere et mane et meridie maiestatem tuam suppliciter deprecamur (n. 1587)
Altre citazioni, più o meno esplicite, della Scrittura e soprattutto dei salmi ricorrono spesso.
Anzi, possiamo dire che con queste immagini bibliche l’autore ha composto l’intelaiatura del
contenuto globale del complesso eucologico.
Il tema della creazione procede dal salmo 73 e dal salmo 103. (n. 1590, 1586,1588)
La frase di malacia: “et orietur vobis timentibus nomen meum sol iustitiae” (4,2) ha ispirato
altri testi. (n. 1590, 1593)
Rifaxendosi al salmo 42,3: “emitte lucem tuam et veritatem tuam”, introduce il tema “luce-
dono di Dio”. (n. 1582, 1586)
Ma la luce della grazia che Dio concede si identifica con la natura stessa di Dio, e può essere
presentata anche in chiave cristológica o pneumatologica. (n. 1584,1579, 1587, 1580)
Si parla invece della “luce-fede” sensa contrapporre a questo aspetto del tema un cencetto
antitético. (n. 1585, 1580) Antiteci della “luce-virtù” sono i vizi, i peccati, le tentazioni. (n.
1577, 1579, 1587, 1578, 1585, 1590)
Una derivazione típica di questa serie è costituita dalle allusioni alla persona del tentatore,
che si fondano nel salmo 90,5-6: “non temebis a timore nocturno… a negotio perambulante
in tenebris, ab incursu at daemonio meridiano”. (1588, 1583, 1591, 1589)
La serie gelasiana fu la più diffusa in seguito. Esercitò un grande influsso sulla prima sere
gregoriana, sul vasto repertorio di esti analoghi del rito ambrosiano, e anche sulle collette
salmiche e le completuriae per il tempo de quotidiano del rito ispanico.
Sacramento gelasiano — una visione di Dio più teologica; un approfondimento di Dio più
profondo.
l’ufficiatura cattedrale — ricorda che le ore medie furono riservate ai monaci… perciò, non ci
sono le preghiere per quelle ore dell'ufficiatura
Le preghiere del gelasiano fanno chiaramente riferimento all’ora in cui si sta pregando (1577)
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3.1.3. Le due serie del Sacramentario Gregoriano
Il nostro studio debe comprenderé un capitolo sul contriubto del Sacrametario Gregoriano a
questo settore della tradizione litúrgica. Non rappresenta affatto un arricchimento del fondo
eucologico della scuola romana. I pochi testi originali che vi troveremo sono di scarso
interesse letterario e dottrinale nei cofronti delle due serie precedenti. E questo pur minimo
valore positivo dell’apporto della prima serie gregoriana va più pesantemente
controvilanciato, in seso negativo, dall’imporvviso mutamento storico che ha ispirato la
omposizione della seconda serie.
I due gruppi di orazioni rappresentano due diversi traguardi che l’autore del Gregoriano volle
raggiungere, distintamente e in fasi succesive.
San Gregorio Magno si mise a comporre una breve sezione che comprendesse le orazioni per
l’ufficio. Anche in questo punto, concretamente, seguiva l’esempio del Gelasiano.
L’orazione che assunse dalla sere gelasiana rappresentava un peculiare tipo letterario, il più
semplice; ed esprimeva con la massima semplicità l’essenziale coordinata temática della
serie: tempo-luce.
L’astrattismo di San Gregorio realizzava così una prodigiosa sintesi sostanzialmente fedele
alla dottrina del suo più diretto modelo.
Così egli portava a termine il suo primo tentativo: comporre una sere análoga alle due serie
romane precedenti. Poi, in una fase successiva, si mise a comporre un’altra collezione
comprendente un numero ben più elevato di testi.
Le due serie gregoriane per l’ufficio vanno distinte in quanto rapresentative di due momento
dell’opera del compilatore. Il passaggio dal primo al secondo momento rivela tutto un
proceso evolutivo.
Nella composizione della prima sere, egli si era attenuto a questa regola: integrare nel proprio
complesso eucologico testi proveniente dai suoi predecessori. Quando però compose la
seconda serie, pur facendo sempre ricorso a testi precedenti compose le restante ventiquattro
orazioni con frequentissime appropriazioni dei repertori della scuola romana. Ma il fatto più
grave fu che tutte queste orazioni che trascriveva, abbreviava, o a cui si ispirava, non
appartenevano alla peculiare tradizione eucologica della liturgia delle ore, ma erano testi
composti per la celebrazione eucarística.
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Nell periodo più classico dell’eucologia romana, non vi era parola che non fosse stata
accuratamente scelta e collocata in ordine ai concetti, e alla dinámica di un ragionamento
contemplativo, mediante il quale l’autore voleva codurre l’assemblea orante ad una preghiera
che fosse exclusiva per una determinata celebrazione. Le orazioni non potevano essere
adoperate per diverse funzioni perchè ognuna rispondeva al preciso momento a cui l’autore
l’aveva destinata.
L’opera di san Gregorio preparò così, fatalmente, l’assai discutibile comportamento che la
liturgia romana manterrà per seculi riguardo all’eucologia dell’ufficio.
4. DAL RITO ROMANO BASILICALE ANTICO ALLA RIFORMA
CAROLINGIA (SECC. VII- IX)
Abbiamo visto che tutto è dato per unificare ogni culto dell'immagine.
L'ufficio Romano benedettina è molto complicato per la sua forma solenne.
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5. DAL BREVIARIUM SECUNDUM USUM ROMANAE CURIAE
8
ALLA RIFORMA DI PIO X
Piano piano il ufficio divino diventa una cosa mastodóntica. Ellementi aggiunti:
4. Si aggiungiono interi ufficio a quello del giorno (ess. Quello della madonna; dei difunti)
A partire dalla reforma gregoriana (Gregorio VII, 1073-1085) l’influenza della sede romana
continua a crescere fino alla figilia del grande scisma d’Occiente. Entro tale situazione si
coloca un fatto che interessa la liturgia.
Fino ad allora, infatti, il papa aveva agito in qualità di vescovo di Roma, presiedendo,
secondo la tradizione, la liturgia urbana stazionale.
Roma non era uniforme nella sua prassi litúrgica: la liturgia romana presbiterale aveva delle
differenze e, per quanto riguarda l’ufficio, queste erano numerose tra le diverse chiese e
basiliche.
Dal sec. X il Papa comincia a viaggiare e a risiedere fuori Roma, estraniandosi così dalla
partecipazione all’ufficio delle basiliche (del Laterano in particolare).
Al comincio dalla fine del s. XI il Papa e la curia cominciano a celebrare l’ufficio nel oratorio
del palazzo papale dedicato a San Lorenzo. Nasce un ufficio pensato per il Papa e la sua corte
adattato alla situazione.
8
Si può vedere delle cose che dici nella lezione
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La corte papale risiede ufficialmente nel Palazzo del Laterano e celebra abitualmente nella
capella privata del pontefice (la Sancta Sanctorum).
Ha un suo ufficio riorganizzato e codificato negli ultimi anni del papato di Innocenzo III (tra
il 1213 e il 1216 C. A.).
Nel 1215 papa Innocenzo III (1198-1216), proprio in occasione del concilio Lateranense IV,
ordinò la reisione dell’ufficio stesso. Nasce in questo modo l’Ordinario di Innocenso III, con
un adescrizione, completa riguardo l’insieme ed ogni parte del Breviario. Dall’ ordinario di
Innocenzo III nascerà il cosiddetto.
La liturgia corale praticata dalla corte papale ci è conservata in una revisione operata da
Onorio III (1216-1227) allo scopo di promuovere meglio questa reforma negli ambienti vicini
alla corte.
Scritto probabilmente nell’ultimo quaerto del XIII sec. E in seguito completato con un
calendario e un lezionario nel 1452.
È la sola e più antica copia esistente di breviario compilato sulla base dell’ordinario di
Innocenso III e rivisto nelle rubriche da Onorio III.
Negli anni tra il 1227 e il 1230 i frati Minori adottarono il Breviario di Onorio III: ne
scaturisce il breviario della Regula.
In conclusione: a partire dalla fine del XIII sec. Non c’è quasi breviario che non riveli
l’influenza di quello della Curia adottato dai francescani.
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
Innocenzo III tenta di introdurre, quali letture a scelta per i Notturni, parti dei suoi sermoni,
trattati e lettere. Tale innovazione cadrà perché non accolta dal Breviario francescano della
Regula.
Innocenzo III sopprime quelle aggiunte che erano venute ad appesantire l’ufficio: i “suffragi”
a lodi a vespri, sostituisce la recita del Miserere con quella del De profundis alle praeces.
Correzioni di Aimone:
Non era uno studioso di professione, ma aveva certamente una indiscussa abilità in molti
campi nonchè uno spiccato senso pratico e grande esperienza.
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
Il Caraffa, inffati, divenuto Sommo Pontefice, ritirò l’approvazione data da Paolo III il 5
febbraio 1535 al breviario riformato dal Quignonez.
Il Quignonez aveva lavorato coadiuvato dai suoi esperti, ossia i suoi cappellani.
1. Approvata da Paolo III appunto, il 5 febbrario del 1535, che in soli 17 mesi conobbe 9 o 10
edizioni.
2. Approvata il 3 luglio 1536, ebbe 32 anni di vita e riscosse grandissimo successo (un centianio
di edizioni, lùltima del 1567)
Criteri:
Scopo:
Dotare, coloro che avevano l’ “obbligo” di “dire” il breviario, di un libro breve, fácilmente
utilizzabile, con una certa attendibilità storica, che potesse nutrire la preghiera quotidiana dei
sacerdoti in cura d’anime.
1. Il calendario conta 254 feste, ottave e vigilie; i giorni De tempore sono 111: sono state abolite
numerose feste di santi che erano entrate gradualmente.
2. Rompe radicalmente con la tradizione (che contaba 8-9 secc.) per quanto riguarda la
distribuzione dei salmi: tutte le ore, in tutti i giorni, contano 3 salmi distribuiti in modo che
il salterio potesse essere pregato in una settimana.
3. La distribuzione dei salmi non è quella numérica della tradizione monástica ne quella scelta
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come della tradizione cattedralizia, ma prevale un criterio “quantitativo”: salmi più lunghi al
Mattutino e gli altri alle altre Ore.
4. Utilizzo dei rituali psalmorum.
5. Per Q. Lo scopo principale dell’ufficio è quello didattico, ossia istrurie i preti facendo ricorso
a la Scrittura e a compsizioni ecclesiastiche. Per questo attribuisce grande importanza al
Lezionario. Elaborò pertanto un Notturno che aveva sempre 3 letture: la primera sempre A.
T., la segunda del N.T. Nella prima recensione del 1535 anche la tercera lettura era della
Scrittura. Nella seconda recensione, invece, fece posto ai Padri nella terza lettura, eliminando
eventuali letture leggendarie.
6. Le rubriche sono semplificate: invariabilità degli inni delle Ore minori e di Compieta, delle
orazioni di Prima e Compieta, delle antifone e dei salmi assegnati alle Ore minori, delle 2
prime letture del Mattutino.
7. Nelle domeniche e feste variano: l’invitatorio, l’inno e l’antifona di matutino, la terza lettura,
l’antifona e orazione di Lodi e Vespri.
8. Sono privilegiate le domeniche di: Avvento, Quaresima, Pasqua con Ottava, Pentecoste con
Ottava, Ascensione e Corpus Domini, come anche le ferie di Quaresima. Le restante
domeniche e ferie possono essere sostituite da feste di santi.
9. Assai semplificato l’Ordinario:
a. A Mattutino i salmi sono detti con una sola antifona;
1. Abolizione dei responsori;
b. Suppresione delle letture brevi con relativi responsori;
1. Abolizione delle praeces;
c. Gli inni sono diminuiti di numero e rimangono quelli della tradizione, come anche le
orazioni.
d. Nuove sono, invece, la maggior parte delle antifone, sebbene ridotte di numero, visto
che nella maggior parte delle Ore i salmi sono detti con una sola antifona.
Conclusione:
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
strani titoli dati a ben omogeneizzati capitoli di un libro di
preghiera. Per il prete, infatti, l’Ufficio non è principalmente
preghiera celebrata nel tempo, ma piuttosto istruzione
dell’orante (lettura spirituale, meditazione).
c. Q. Abolice presochè tutti gli elementi poetici e da celebrarsi
in canto e/o dialógicamente.
d. Siamo di fronte ad un libro pensato per la preghiera
personale del prete.
L’accoglienza entusiasta del nuovo breviario suscitò violente reazioni soprattutto negli
ambienti conservatori:
- GIOVANNI DE ARZE: Teólogo spagnolo e consultore al Concilio di Trento nel 1551 che
consegna al concilio un memoriale raccolto in 18 capitoli dal titolo:
Dopo tale affermazione di principio, il teólogo spagnolo spiega a tutti i rischi del nuovo
breviario, tra cui particularmente pericolosa l’abbondante lettura della bibbia…
Il Concilio, che all’inizio sembrava favorevole al Breviario di Q., rimase impressionato dallo
sferzante attacco di De Arze, tanto da elaborare una Bozza di documento per abolirlo. Tale
bozza trovò pratica attuazione nel breviario di Pio V (1568) che, nella bolla quod a nobis,
respinge qualsiasi novità.
In effetti le variazioni che furono apportate riguardavano il Breviario della Curia Romana
come tale, nella versione divulgata dai francescani e da altri ambienti clericali e religiosi.
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
2 correnti:
Al Concilio di Trento si promosse il formarsi di una commissione che avesse come base di
lavoro i criteri e il materiale di Gian Pietro Caraffa, il futuro Paolo IV. Si optò, dunque, per
una línea piuttosto conservatrice.
La riforma chiedeva inoltre che fosse abolita ogni distinzione tra ufficio pubblico e privato e
doveva essere un’opera única, valida per tutto il popolo cristiano.
La commissione per la riforma del brefiario ebbe quale principio il seguente: nulla di
essenziale dovrà essere tolto dall’antico Breviario romano.
1. Molte feste furono soppresse, mentre alcune celebrazioni dei santi furono eliminate o ridotte
a semplice commemorazione (in realtà il salterio feriale sarà ancora offuscato dal santorale);
2. Il numero delle letture e dei salmi rimase invariato
3. Dai libri dell’AT ne vennero valorizzati soltanto il 14% mentre el NT solo il 33%
4. L’Ufficio della Madonna rimase in vigore veniva abolito nella Vigilila di Natale, Settimana
Santa, Ottava di Pasqua e di Pentecoste, Avvento, Quaresima, quattro Tempora, vigilie di
Feste, sabato e feste o memoriale della BVM.
5. L’Ufficio dei difunti, di origine medievale, fu accolto solo pro opportunitate temporis.
6. I 15 salmi graduali (sall 119-133), che nel presente venivano pregati quotidianamente dopo
mattutino, ora verranno pregati solo i mercoledì di Quaresima.
7. I sette salmi penitenziali (6, 31, 37, 50, 101,129, e 142) erano prescritti solo per i venerdi di
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
Quaresima.
Un problema fondamentale in questo breiario rimase quello delle fonti originali della vita dei
santi, la loro storicità.
Un elemento positivo è che, sebbene la riforma di Pio V non sia affatto orientata su quella
del card. Q,, ne conserva comunque alcune tracce, come ad esempio le 84 letture sulla vita
deis anti e la constante presenza della Scrittura nell’ufficio domenicale e feriale.
Conclusione:
Già nel quattordicesimo secolo la devotio moderna si era allontanata dalle normative esteriori
medievali, per garantire una religiosità più spontanea, più interiore, e personale. Siamo
dunque nell’era della “vita devota” perseguita come reazione alla excessiva esterirità delle
pratiche religiose medievali, e le anime devote preferiscono una vita più interiore al posto
delle “distrazioni” della preghiera corale comunitaria.
L’ufficio mattutino domenicale conservava ancora i suoi 18 salmi, mentre il feriale 12 salmi.
Riguarda la riforma del calendario e del salterio. La revisione dell’ufficio romano richiede
lungo tempo e grande lavoro da parte degli esperti della commissione. Dopo circa due anni,
con il Motu proprio Abhinc duos annos (23 ottobre 1913) veniva abrogato l’ufficio
precedente di Pio V ed esteso a tutta la Chiesa il nuovo schema che rappresentava un ulterior
tentativo di conciliare la tradizione con le esigenze pastorali del clero.
Il sistema tradizionale romano aveva suddiviso la maggioranza dei salmi tra mattutino (1-
108) e vespri (109-150) nell’arco di una settimana. Ad eccezione dell’Ora di Prima la
domenica, le altre prevedevano la ripetizione degli stessi salmi.
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
Ora: il salterio è suddiviso in una settimana ma ben distribuito nelle varie ore canoniche, e
dunque con maggiore variabilità. Furono ridotti infatti i salmi di Mattutino (da 18 festivi e
12 feriali a 9, sia nelle feste che nelle ferie) e quelli di lodi e Vespri (5 salmi con 5 antifone).
Furono abolite tutte quelle aggiunte che avevano appesantito il precendente breviario
romano.
Rimasero le preci delle due ore maggiori, le Lodi e Vespro, arrichite di invocazioni per il
Papa, i vescovi, e i benefattori.
Per la prima volta nella storia, per quanto riguarda l’oriente che l’occidente, nella preghiera
mattutina i salmi di lode 148-150 non furono recitati quotidianamente, ma un salmo di lode
era assegnato ad ogni giorno della settimana, cominciando dal sabato 148, 116, 134, 145,
146, 147, 150.
Per quanto riguarda queste ultime due scelte, si trattò di uno strappo netto con la tradizione
cristiana quasi universale.
La commissione incaricata per la riforma dell’Ufficio divino doveva far fronte a diverse
esigenze, tra le quali:
Tali esigenze divennero oggetto di studio della commissione centrale antepreparatoria del
concilio, convocata da Papa Ronalli, la quale propose uno schema che doveva essere inserito
nella costituzione litúrgica e con essa approvato. Lo schema, suddiviso in cinque capitoli,
conteneti dieci punti, prevedeva:
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
- L’omissione dei cosiddetti “salmi imprecatori”
Il lavoro preliminare passò alla discussione in aula agli esperti riuniti in una sezione speciale
denominata: coetus de generali structura officii divini (coetus IX).
1. Le ore di preghiera si accordino il più possibile con l’ora del tempo (88)
2. Lodi e Vespri diventano le due ore cardine della giornata (89a)
3. Il matutino, fuori della celebrazione corale, non ha più riferimento ad un tempo determinato
della giornata (89c)
4. Abolizione dell’Ora Prima (89d)
5. Delle tre ore minori (T, S, N), se ne celebri una sola, a scelta e che corrisponda meglio al
momento della giornata (89)
6. Compieta sia veramente intesa come chiusura del giorno (89b)
7. La salmodia, di cui si auspica una nuova e radicale revisione, abbraccio uno spazio di tempo
che superi quello di una settimana (91)
8. Più abbondante presenza di letture bibliche (89a)
9. Revisione degli inni e inserimento di nuovi (93)
10. La distribuzione del salterio in quattro settimane (SC 91), è perciò l’abolizione del ciclo
settimanale, di modo da alleggerire l’ufficio stesso, rispondendo alle necessità dei presbiteri
impegnati nel servicio pastorale e redendo l’Ufficio divino più accessibile anche ai laici
11. La raccolta dell’intera Liturgia delle ore in quattro volumi, che seguono lo svilupparsi
dell’anno litúrgico, offre una più ampia richezza di testi biblici ed eucologici distribuiti in
relazione al tempo litúrgico che si sta celebrando (92a)
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
12. Per quanto riguarda l’Ufficio delle letture, la prescritta lettura quotidiana delle opere deis anti
Padri e degli scritori ecclesiastici viene rinnovata in modo da proporre i migliori scritti degli
autori cristiani, rivedendo anche, soprattutto, le letture agiografiche nel rispetto della verità
storica (92b, c)
13. L’uso della lingua volgare contribuirà in maniera efficace all’accostamento del popolo di Dio
alla preghiera della Chiesa che, da preghiera privata del clero “recitata individualmente”,
diverrà le preghiere pubblica della Chiesa “celebrata comunitariamente”
Una volta approvato il testo da parte dell’assemblea, Paolo VI nel gennaio del 1964 istituì,
con il Motu proprio Sacram liturgiam, il consilium ad exequendam (a esecuzione)
Constitutionem de Sacra liturgia affinchè potesse essere attuato.
Nel testo del Motu proprio viene oferta súbito la possibilità di:
Sacram liturgiam n. 8:
Gli istituti di perfezione pregano a nome della Chiesa anche quando pregano un “piccolo
ufficio approvato”
Per quanto concerne ancora l’ufficio divino, dichiariamo che sono da considerarsi come
facenti parte della preghiera pubblica della Chiesa i menbri degli Istituti di perfezione che, in
forza delle loro costituzioni, recitano alcune parti del medesimo, oppure quelche “piccolo
ufficio”, purchè composto sullo schema dell’ufficio divino e regularmente approvato
(COMC. VAT. II cos. Dogm. Sulla Sacra Liturgia SC 98)
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
Segretario: V. Raffa
Segretario aggiunto: I. Onativia
Membri (rappresentanti di tutti gli altri gruppi): P. Jounel, J. Pascher, E. Lengeling, M.
Pellegrino, U. Neri, F. Nikolash, J. Rotelle, G. Raciti, A. Amore, A. Lentini, P. Visentin, S.
Famoso, A. Dirks, J. Gribomont, A. Rose, I. Rogger.
Proposta di inserire letture lunghe a preci L’alternativa per Mateos non è tra ufficio
solo nella celebrazione solemne con il del clero e ufficio del poplo, ma tra ufficio
popolo popolare e ufficio monástico. Il clero
dovrebbe pregare solo lodi e vespri
(proposta non accettata)
Schemata n. 68, p. 3
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
SC 84
I relatori del Cosilium sono contrari ad un duplice schema dei Vespri (5 salmi per il clero e
3 per il popolo) e contrari ad eliminare gli elementi corali nella recita privata: vogliono
sottolineare la coralità dell’ufficio: la liturgia è azione comunitaria
Fase determinante per la reforma del Breviario assestiamo ad un vero e prorprio cambio di
mentalità
Il coetus IX su ritual a Genova dal 6 alle 8 settembre 1966, il risultato di tale incontro su la
nuova struttura dell’ufficio presentata alla VII adunanza generale (24 ottobre 1966)
Il coetus relatorum si mostra favorevole a 3 salmi sia per le lodi che per i Vespri (lodi: 2
salmi, cantico AT, vespri: 2 salmi, 1 cantico NT)
Etsi vitari debet rigida et un formus Horarum structura, melius tamen nobis visum est
transferit Hymnum ad initium Matutini et Vesperarum, sicut fit in offerio sectionis et in Horis
minoribus Hymnus enim est cantus magis popularis, a quo pulchrae incipiat celebratio cum
populo, immo Hymnus proprium sic fit in officia Ambrosiano. (schemata n. 215, p. 10)
Il lavoro fu presentato all’assemblea degli esperti nell’adunanza general del 10-19 aprile
1967.
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
Dopo ulteriori lavori di revisione, nel dicembre 1968 Paolo VI decise di inviare uno
Specimen di approvazione provvisoria all’episcopato mondiale il quale si mostra soddisfatto
del lavoro anche se con l’impressione di un ufficio troppo monástico, non adatto alla recita
privata.
I vescovi francesi, riuniti a Lourdes dal 2 al 9 novembre 1968, chiesero di poter utilizzare ad
experimentum i testi preparati dal consilium.
Paolo VI approverà il nuovo Ufficio divino per l’intera Chiesa romana con la Costituzione
apostolica Laudis canticum del 1 novembre 1970, sebbene fu resa pubblica solo nel febbrario
del 1971.
6.1.3. La Constitutio apostolica Laudis canticum di Paolo VI
Il canto di lode, che suona eternamente nelle sedi celesti, e che Gesù Cristo Sommo Sacerdote
introdusse in questa terra di esilio, la Chiesa lo ha conservato con costanza e fedeltà nel corso
di tanti secoli e lo ha arricchito di una mirabile varietà di forme.
Struttura:
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
a. Capitolo 1º: dedicato a far risaltare l’ “importanza della liturgia delle Ore o Ufficio Divino
nella vita della Chiesa” (nn. 1-33)
b. Capitolo II: “la santificazione del giorno ossia le varie ore liturgiche” (nn. 34-99)
c. Capitolo III: “i diversi elementi della Liturgia delle ore” (nn. 100-203)
d. Capitolo IV: “le varie celebrazioni nel corso dell’anno” (nn. 204-252)
e. Capitolo V: “riti da osservare nella celebrazione in comune” (nn. 253-284)
1- La preghiera di Cristo:
“Cristo prega il Padre”: con questo titolo iniziano i nn. 3-4 della IGLH. Incominciamo perciò
da quello che potremmo definiré il “culto di Cristo”: si tratta di quel rapporto o dialogo di
amore che intercorre, fin dall’eternità, tra il Padre e il Figlio, e che noi possiamo appana
percepire
Il modelo della preghiera cristiana risiede nel dinamismo della lode intratrinitaria. Per la
Chiesa la preghiera è vivere in unione con il Padre, per mezzo del Figlio nello Spirito Santo.
“Venendo per render gli uomini partecipi della vita di Dio, il verbo, che procede dal Padre
come splendore della sua gloria, “il Sommo Sacerdote della nuova ed eterna alleanza, Cristo
Gesù, prendendo la natura umana, introdusse in questa terra de’esilio quell’inno che viene
cantato da tutta l’eternità nelle sedi celesti”. Da allora, nel cuore di Cristo, la lode di Dio
risuona con parole umane di adorazione, propiziazione e intercessione. Tutte queste
preghiere, il Capo della nuova umanità e Mediatore tra Dio e gli uomini, le presenta al Padre
a nome e per il bene di tutti”. (IGLH 3)
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Prof. don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni
2- La preghiera della Chiesa (IGLH 5-9)
Nella II parte, si mostra come la Chiesa fa sua l’orazione di Cristo al Padre, unendosi al suo
Sposo e condividendo il suo sacerdizio per mezzo del battesimo, mediante l’azione efficace
dello Spirito Santo.
Per inserirsi in questo nuovo culto di Cristo al Padre, occorre far corpo con Cristo stesso:
bisogna, in una parola, diventare corpo di Cristo. E noi diventiamo tali proprio attraverso il
battesimo.
Infatti “un vincolo speciale e strettissimo intercorre tra Cristo e quegli uomini che egli per
mezzo del sacramento della rigenerazione unisce a sè come menbra del suo Corpo, che è la
Chiesa. […] Anche il sacerdozio di Cristo è condiviso da tutto il Corpo della Chiesa, così che
i battezzati mediante la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo vengono consacrati in
edificio spirituale e sacerdozio santo e sono abilitati a esercitare il culto del Nuovo
Testamento, culto che non deriva dalle nostre forze, ma dal merito e dal dono di Cristo”
(IGLH 7)
La preghiera pubblica e comune del popolo di Dio è giustamente ritenuta tra i principali
compiti della Chiesa
Publica et communis oratio populi Dei inter munera Ecclesiae primaria merito habetur.
Ha la sua fonte sull’esempio e mandato di Cristo (nn. 4-5), e nella testimonianza dei cristiani
della Chiesa primitiva.
Se perciò già existe un intimo legame, un’intima necessitudo tra la preghiera di Cristo e
l’umanità in genere, ben più stretto e profondo sarà il legame tra Cristo e tutti i battezzati,
tanto che la IGLH 7si esprime con le parole specialis et arctissima necessitudo. Attraverso il
battesimmo noi veniamo a far parte, in realtà e in pienezza, di questo tempio che è il corpo
di Cristo, nel quale si svolge e dal quale si innalza il vero ed único culto gradito al Padre.
In questo modo l’espressione “publica et communis oratio populi Dei” vuole sottolineare che
la Liturgia delle Ore è la preghiera fatta in nome della Chiesa, di tutta la Chiesa, della Chiesa
come tale, la preghiera che la Chiesa reconoce sua ad un titolo del tutto speciale, che non
compete ad altre preghiere pur fatte nella Chiesa.
La III parte comincia segnalando il fine proprio della Liturgia delle Ore, ossia santificare il
corso intero del giorno e della notte e di tutto lo sforzo umano (IGLH 10-11), servendo da
complemento ideale alla celebrazione eucarística, come preparazione e prolungamento della
stessa (IGLH 12).
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Santificazione del tempo e la veritas horarum…
Tra le altre azioni liturgiche, ha come sua caratteristica per antica tradizione cristiana di
santificare tutto il corso del giorno e della notte. (IGLH 10; SC 94)
Cuius inter alias litúrgicas actiones id ex antiqua traditione christiana proprium est, ut totus
per eam cursus diei ac noctis consecretur.
Non si tratta di una sacralizzazione del tempo, che sottragga certi tempi alle attività profane,
ma di un’immersine del tempo, Kronos, e della attività nel tempo qualificato che è Cristo,
overo nel Kairos, tempo salvífico.
Cf. N. 13: Cristo compie l’opera della redenzione non soltanto quando si celebra l’Eucaristia,
ma anche, a differenza di altri modi, quando si celebra la LdO.
Nelle varie ore del giorno Cristo si fa presente nella preghiera e consacrata ogni attività
dell’uomo. L’uomo e la donna sono degli esseri storici che vivono nel tempo; la preghiera
perciò si inserisce nella storicità dell’uomo ma, allo stesso tempo, inserisce l’uomo
nell’eternità di Dio.
Lo scopo ultimo della Liturgia delle Ore, a questo punto, non è il tempo in quanto tale, non
sono le attività umane in se stesse, ma, attraverso il tempo e le attività, l’uomo stesso,
santificato e capace di santificare, cioè consacrare, mettere in rapporto ogni cosa con il Santo,
il soprannaturale, l’eterno attraverso la preghiera.
Come nel rito battesimale non è l’acqua che viene santificata, ma l’uomo, così non è il tempo
in sè che viene santificato, ma l’uomo che, nel segno del divenire vario del tempo e per
memoria dell’evento pasquale che in esso viene compiuta, è reso partecipe del mistero di
Cristo.
Per si continuo collegarsi durante la giornata alla storia della salvezza le varie ore e tutto il
tempo diventano momento in cui l’uomo entra nel suo oggi in questa storia e, partecipandovi,
viene santificato.
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6.2. Elementi costitutivi della celebrazione della Liturgia delle
ore: inni, salmi, antifone, titoli salmici, sentenze cristologiche,
orazioni salmiche, responsori, preci, Padre Nostro, orazione, letture
bibliche, letture ecclesiastiche, cantici dell’Antico e del Nuovo
Testamento, silenzio
- Alle lodi mattutine, ai vespri e a compieta sono stati attribuiti dei salmi adatti alla rispettiva
Ora.
“per le Lodi mattutine e per i Vespri, Ore particularmente destinate alla celebrazione con il
popolo, sono stati scelti salmi più adatti a questo scopo”
- Compieta:
“Sono stati scelti salmi adatti a ravvivare specialmente la fiducia in Dio. È però consentito
con i salmi della domenica. Così saranno agevolati coloro che volessero recitare Compieta a
memoria”
- Ora media: viene proposta una duplice salmodia, una ordinari e l’altra complementare
- Salmi “imprecatori” 57, 82, e 108, i famosi sono stati esclusi da tutto il salterio e anche
dall’Ufficio
- I tre lunghi salmi storici (77, 104 e 105) sono stati esclusi dal salterio del tempo “per
annum” ed inseriti nell’ufficio delle letture dei tempi speciali, ossia Avvento, tempo di
Natale, quaresima e tempo di Pasqua.
- Per la domenica: sono stati scelti quei salmi che, secondo la tradizione, sono maggiormente
indicati per esprimere il mistero pasquale:
1. Il sal 109 con il quale si inizia la salmodia dei II vespri in tutte e quattro le settimane.
2. Il sal 117 che ritroviamo ora a Lodi ora nell’ora media.
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3. Sia il sal 22 che il 75, interpretati rispettivamente come preghiera di iniziazione o come salmo
pasquale, sono ripetuti due volte.
4. Ai II vespri, dopo il sal 109, sono stati scelti i sal 110, 111, 113 A e 113 B, i quali costituivano
la salmida domenicale già nel Breviario romano.
5. Il Sal 112 è stato collocato nei I vespri della domenica.
- “Al venerdì sono stati assegnati alcuni salmi penitenziali o della Passione” (IGLH 129)
La salmodia delle lodi di questo giorno inizia sempre con il sal 50, il salmo penitenziale per
eccellenza che illustra l’itinerario della vera conversione. Tra i salmi utilizzati in questo
giorno ricordiamo il sal 21 (preghiera di Gesù in croce) e i sal 34, 37 e 68.
TITOLI E SENTENZE
“Nel salterio della Liturgia delle Ore, ad ogni salmo è premesso un titolo sul suo significato
e la sua importanza per la vita umana del credente. Questi titoli, nel libro della Liturgia delle
Ore, sono proposti únicamente a utilità di coloro che recitano i salmi”.
“Si sa, infatti, che ogni salmo fu composto in circostanze particolari, alle quali intendono
riferirsi i titoli premessi a ciascuno di essi nel salterio ebraico. Ma in verità qualunque sia la
sua origine storica, ogni salmo ha un proprio significato, che anche ai nostri tempi non
possiamo trascurare. Sebbene quei carmi siano stati composti molti secoli fa presso popoli
orientali, essi esprimono assai bene i dolori e la speranza, la miseria e la fiducia degli uomini
di ogni tempo e regione, e cantano specialmente la fede in Dio, la rivelazione e la redenzione.
(IGLH 107)
“Per alimentare la preghiera alla luce della rivelazione nuova, si aggiunge una sentenza del
NT o dei Padri che invita a pregare in senso cristológico” (IGLH 111)
“Chi recita i salmi a nome della Chiesa, debe badare al senso pieno dei salmi, specialmente
al senso messianico, per il quale la Chiesa ha adottato il salterio […] seguendo questa via, i
santi Padri accolsero e spiegarono tutto il salterio come prefezia di Cristo e sulla Chiesa; e
con lo stesso criterio i salmi sono stati scelti nella sacra liturgia […] Sebbene talvolta si
proponenssero alcune interpretazioni alquanto complicate, tuttavia generalemente sia i Padri
che la liturgia con ragione vedevano nei salmi Cristo che si rivolge al Padre, o il Padre che
parla al Figlio; anzi riconoscevano la voce della Chiesa, degli apostoli e dei martiri”
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6.3. Il linguaggio non verbale nella Liturgia delle Ore
Per affrontare il tema del linguaggio non verbale nella LO, darei súbito “la parola” “alla
parola”. Si noti, infatti, come i termini utilizzati lungo la storia per riferirsi alla preghiera
della Chiesa, siano tutt’ora pressochè sbilanciati nei confronti del linguaggio verbale.
Ciò è ancor più evidente quando siprendono in considerazione solo alcuni degli elementi che
qualificano la preghiera della Chiesa: si parla innanzitutto di salterio, salmi, letture brevi,
letture agiografiche, antifone, sentenze cristologiche, inni… dove tutto rimanda al verbale.
Nella stessa IGLH i richiami ad esso sono quasi assenti. Inoltre, nei rari casi cui appare un
riferimento esplicito a elementi non verbali, come la processione dei vespri battesimali, non
appare alcun suggerimento celebrativo o comunque applicativo (IGLH 213).
Da questa semplice indagine si evince come l’attenzione nella celebrazione e nella reforma
litúrgica stessa della LdO si sia ffocalizzata, quasi exclusivamente, sull’elemento verbale, a
tal punto che sembrerebbe quasi fuori luogo parlare di linguaggio non verbale o, in senso più
generale, di “celebrazione” in riferimento alla LdO. Assistiamo, potremmo dire, ad una sorta
di “sclerosi” dei Segni e della gestualità nella nostra LH.
Si pensi a cosa sarebbe la nostra preghiera oraria senza il corpo; senza il tempo e il creato
che, pur non avendo voce, “danno voce” alle nostre parole, alle nostre orazioni, ai salmi; a
cosa sarebbero le Lodi senza il sole che sorge o i Vespri senza che il sole cali, partecipando
così non solo alla significazione, ma anche alla celebrazione del Mistero Pasquale e alla
realizzazioe di quella salvezza operata da Cristo anche attraverso la preghiera oraria.
Con la perdita del linguaggio non verbale lungo la storia della liturgia, si “assisterà” ad una
preghiera dove la voce resulta “staccata” dal corpo, la Parola dal gesto, il sacrificium Laudis
dal sacrificium Ecclesiae, inteso come l’offerta dell’orazione dell’intera comunità a Dio,
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MURONI P.A., «“Lodatelo con tamburelli e danze” (Sal 150,4). Il linguaggio non verbale
nella Liturgia delle Ore», in Carmina laudis. Risposta nel tempo all’eterno. La Liturgia delle
Ore tra storia, teologia e celebrazione. Atti del X Congresso Internazionale di Liturgia.
Roma, Pontificio Istituto Liturgico, 6-8 maggio 2015 (Ecclesia orans. Ricerche 1), edd. E.
López-Tello García-S. Parenti-M. Tymister, Aracne, Roma 2016, 233-285.
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attraverso la propia vita, la propria esistenza e corporalità.
Perciò diciamo:
a. È necessaria una ri-comprensione, innanzitutto cristológica, della liturgia delle Ore, quale
preghiera di Cristo che unisce a sé la Chiesa nella sua azione di intercessione. Inoltre, essendo
i salmi Parola di Dio che parla di Cristo e della Chiesa, secondo l’interpretazione patrística,
la Liturgia delle Ore nella sua celebrazione gestuale diventa imitatio psalmorum.
b. Abbiamo compreso come la LdO, anche nel suo linguaggio non verbale, abbia a che fare con
la sacramentalità della Chiesa. Abbiamo visto, infatti, come ciascun elemento di tale
linguaggio “dica” il Mistero pasquale di Cristo.
c. Il non verbale, nella liturgia delle Ore, asume tutta la sua funzione mistagigica di iniziazione
al depositum fidei Ecclesiae: a partire dal creato per continuare con i gesti e atteggiamenti
propri dell’atto litúrgico del pregare.
d. Facciamo rifermiento all’invito ut mens concordet voci, raccomendato da Sacrosanctum
concilium II e ripreso dall’IGLH. Il linguaggio verbale, infattim, non può idstaccarsi da
quello non verbale; siamo, difatti, di fronte ad un elemento non vergale (MENS) e un
elemento verbale (VOX), che hanno qualcosa di quasi sacramentale.
e. Occorre riscoprire l’aspetto “celebrativo” della LdO: è celebrazione, e in quanto tale prevede
una sua ritualità e “celebrità”.
f. La LdO è preghiera incarnata in un corpo ecclesiale, ossia la Chiesa locale, che è l’ “origine”
della preghiera della Chiesa, non la semplice “destinataria”.
g. Occorre studiare nuove forme celebrative che, attingendo dalla Tradizione, ma lasciandosi
ispiriare anche dai tempi nuovi e da una sana creatività, facciano emmergere dall’
“immobilismo” per lasciare spazio ad una partecipazione attiva che coinvolga tutto l’uomo
nelle sue diverse espressioni e nella sua, perchè no, emotività.
h. Nelle nostre comunità si sente l’urgenza, perciò, di un libro litúrgico nuovo, che proponga e
“disponga” alla “celebrazione” della LdO, che è tale se prevede il coinvolgimento quasi
sacramentale di Parola e gsto insiem, piuttosto che la recita o la lettura della Parola
i. Un’ulteriore proposta sarebbe quella di valorizzare la Veglia, che possiamo identificare come
una delle ore più antiche di preghiera sorte nella comunità cristiana a raccomendata anche
oggi dai principi e normi per la LdO.
j. Nell’era della cyberteologia e della “geolocalizzazione”, ci si chiede se l’utilizzo dei mezzi
informatici per la “recita” della “liturgia” delle Ore non enfatizzi ancor di più il verbale a
discapito del non verbale, estromenttendo del tutto la gestualità e il corpo, nella sua interezza,
dalla preghiera della Chiesa; il privato a discapito di ciò che è comunitario per eccellenza,
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ossia la liturgia, rischiando di mettere in crisi l’aspetto celebrativo della liturgia delle ore.
In questo contesto, ha visto la luce lo schema di P. Füglister, una forma di distribuzione dei
salmi del tutto innovativa e diversa da quanto era stato fatto fino a que momento. A differenza
degli schemi anteriri, che cercavano únicamente di alleggerire il pensum benedittino a causa
delle sempre più pesanti esigenze della vita comunitaria, questa nuova distrubuzione si basa
10
LÓPEZ-TELLO GARCÍA E., «Il memoriale pasquale come principio strutturante della
distribuzione dei salmi nell’ufficio divino. Il contributo di Notker Füglister OSB», Ecclesia
orans 31 (2014) 111-169.
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su criteri chiari e limiti precisi ed inoltre è coerente con il movimento bíblico e quello
litúrgico sviluppatisi lungo il XX secolo.
Il nuovo schema non è stato pensato come una riduzione della preghiera a cuasa delle
esigenze pastorali o comunitarie. Si tratta, invece, del bisogno urgente degli stessi monaci
venuti a conoscenza della possibilità di fare dei salmi il centro della spiritualità e della
preghiera monástica.
In questo modo, l’ufficio dei Benedettini una volta riformato, non è più un único ufficio, ma
una liturgia delle ore varia, multiforme, con numerose posibilità di scelta di adattamento.
Infatti, i quattro schemi non fanno altro che creare una larga cornice entro la quale tenere una
celebrazione propriamente monástica della LdO. Questi permettono di percepire la ricchezza
varia del Thesaurus:
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teológico, una parte essenziale del Thesaurus è costituita dal Directorium de Opere Dei
persolvendo, vero e prorpiro trattato di teología litúrgica benedettina.
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LÓPEZ-TELLO GARCÍA E., «El misterio de la redención en la Liturgia de las Horas:
proclamación, relato, actualización», in Carmina laudis. Risposta nel tempo all’eterno. La
Liturgia delle Ore tra storia, teologia e celebrazione. Atti del X Congresso Internazionale di
Liturgia. Roma, Pontificio Istituto Liturgico, 6-8 maggio 2015 (Ecclesia orans. Ricerche 1),
edd. E. López-Tello García-S. Parenti-M. Tymister, Aracne, Roma 2016, 137-160.
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