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Prof.

don Pietro Angelo (Pierangelo) Muroni


LITURGIA DELLE ORE
1. INTRODUZIONE AL CORSO
1.1. Alcune premesse
antropologiche e teologiche sul “tempo”1
1.1.1. Approccio antropologico alla concezione di “tempo”
Prima di accostarci allo studio dell’anno litúrgico e della Liturgia delle Ore secondo una
prospettiva teológica perciò, ci sembra quanto mai opportuno proporre una riflessione sulla
conzecione del tempo secondo le dinamiche antropologiche, soffermandici in particolare su
quello che chiamiamo “tempo storico” e “tempo cósmico”. Tale fondamento sarà certamente
utile per comprenderé la prespettiva teológica del tempo dell’uomo che s’incrocia e si unische
al “tempo” di Dio.

Il grande Agostino dice nelle Confessioni al libro XI: “… se nessuno m’interroga, lo so”

Il tempo è una realtà di questo nostro universo che sfugge inevitabilmente al controllo
dell’uomo, in quanto regolato dall’avvicendarsi dei ritmi della natura che lo sorpassano: si
pensi all’alternarsi della luce e delle tenebre che chiamiamo “giorno”.

Il “tempo cósmico”

Possiamo dire che è il tempo scandito dagli evento naturali: l’alternarsi del giorno e della
notte. Alcune culture sacralizzano i tempi cosmici. Il cristianesimo trascende la realtà
cósmica per farne símbolo di qualcosa di più alto, infinito e indefinito.

Il “tempo storico”

È legato inevitabilmente al tempo cósmico ed è rappresentato dal tempo che l’uomo vive con
i suoi eventi, con gli accadimenti che caratterizzano la sua storia. Per tempo storico
intenderemmo il “contenitore” delle esperienze familiari e sociali dell’uomo stesso. Tale
concezione cíclica è legata a la società greca. La storia per il mondo greco è cíclica: il tempo


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Per queste punto avviamo preso: MURONI P.A., Il Mistero di Cristo nel tempo e nello
spazio. La celebrazione cristiana (Manuali Teologia. Strumenti di studio e di ricerca 38),
Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2014, 147-163.


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non è altro che sinónimo di Kronos (il greco indica il tempo in genere, misurabile attraverso
calcoli matematici e dunque definibile). Potremmo parlare perciò di una dimensione
“quantitativa” del tempo, scandito dai ritmi della natura creata, meglio espressa dai termini
“anno”, “mese”, “giorno”. Per i greci il tempo altro non è che una forma vuota. Il tempo si
dichiara nemico della novità.

Mircea Eliade afferma che: “… il mito è una storia vera che è avvenuta agli inizi del tempo
e che serve da modelo ai comportamenti degli uomini.”

E i greci mitizzaranno il concetto di tempo facendone addirittura un dio, il dio Kronos. La


mitología vedrà in questo dio la causa e l’ordine di tutte le cose, sia della teogonía (origine
degli dei) e sia della cosmogonía (origine del mondo).

1.1.2. La concezione ebraico-cristiana del tempo


Abraham Joshua Heschel (1907-1972) afirma parlando del sabato lo siguente:

“l’ebraismo è una religione del tempo che mira alla santificazione del tempo. La bibbia sente
il carattere diversificato del tempo: ciascuna ora è única”.

I riti cristiani trovano il loro fundamento innanzitutto nella storia del popolo di Israele, quanto
piuttosto la storia della nostra salvezza, la storia del rapporto sponsale tra l’uomo e Dio che
si incontrano in un “luogo” ben preciso chiamato “tempo”. Un Dio che si rivela nella storia,
nello stesso “tempo” Donato all’uomo, e che per i cristiani trova il suo culmine nell’evento-
Cristo, nella sua incarnazione, passione, morte e risurrezione.

Volendo utilizzare una metáfora geométrica, potremmo dire che si tratta di una concezione
lineare del tempo: nel tempo Dio si rivela. Oscar cullmann dice: “… per il crstianesimo
primitivo, come pure per il giudaismo bíblico, per la religione iraniana, l’espresione
simbolica del tempo è la línea, mentre per l’ellenismo è il circolo”.

El tempo è dunque il luogo dell’epifania di Jhavè. È un Dio che si è fatto prossimo all’uomo.

L’andamento del tempo, per i cristiani, è lineare; va verso un compimento che Dio realizzerà.
La presenza di Dio è liera nel tempo, liberamente e gratuitamente per amore. Nella tradizione
ebraica, lo spazio privilegiato dell’incontro tra l’uomo e Dio, nell’ambito del quale si celebra
la memoria della salvezza sedondo una modalità he permette di attualizzarne gli effetti
diventando contemporanei all’evento salvífico celebrato. La Sacrosanctum Concilium 5-6 ci

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hai insegnato che “continuazione linerar” della Historia Salutis nell’oggi della Chiesa
proiettata nel futuro escatológico.

1.1.3. “Tempo”: “luogo” di incontro tra l’uomo e Dio


La Sacra Scrittura ci mostra come nella rivelazione eraico-cristiana l’iniziativa appartenga a
Dio. Per tale motivo nella tradizione ebraica Dio viene definito anche ha_doresh, che
significa “colui che cerca” e nella liturgia del giorno di Kippur si ricorda come sin dall’inizio
l’uomo sia stato scelto da Dio.

Il rabino Heschel nel suo libro Dio alla ricerca dell’uomo dice: “… È come si Dio non volesse
rimanere solo e avesse scelto l’uomo per servirlo… Dio è alla ricerca dell’uomo”.

Questa ricerca, che debe attuarsi nell’orizzonte dell’alleanza diventa ancor più appassionata
quando Dio va incontro alla sofferenza del suo popolo. Il Dio bíblico si rivela dunque come
un Dio d’amore. L’uomo bíblico perciò, più che ragionare su Dio, ne descrive le meraviglie
che egli compie nella sua stessa vita; ne condivide l’esperienza e ne celebra la grandezza.

Pensiamo, a quanto l’orante compie nella Liturgia delle Ore alla quale il cristiano è chiamato
nella preghiera del salterio. Nei salmi l’orante si racconta o meglio “racconta” Dio e
l’esperienza che Dio egli ha fatto. Il salmo 36 “Signore, il tuo amore è nel cielo, la tua fideltà
fino alle nubi, la tua giustizia è come le più alte montagne, il tuo giudizio come l’abisso
porfondo: uomini e bestie tu sali, Signore”.

Attraverso il salterio Dio parla all’uomo ma allo stesso tempo l’uomo, dinanzi alle Mirabilia
Dei sperimenta il sentimento dello stupore, della meraviglia, rimane “a bocca aperta”, “senza
parole”; l’uomo stesso consciente della sua piccolezza dinanzi al Padre, utilizza le parole di
Dio per rispondere a Dio stesso e parlare, testimoniare di lui alla Chiesa.

L’uomo bíblico, scopre di non essere solo nel tempo della storia, ma riconosce in Dio un
“compagno di viaggio” fedele col quale vale la pena impegnarsi, essendo l’unico capace di
donare la salvezza.

L’uomo è capace di comunicare. Come ai tempi biblici, egli coinvolge tutta intera la persona
nel dialogo con il Signore di fronte al quale sta con tutta la sua vita.

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1.1.4. Liturgia delle Ore come preghiera “nel tempo”
Nella persona di Cristo, Dio è vissuto e ha realizzato la salvezza del l’uomo nel tempo e nello
spazio. Egli, infatti, non ha abolito il tempo, anzi lo ha aperto.

Per il cristiani il temnpoo e lo spazio non sono coordinate fisiche o geometriche, bensì “il
luogo” in cui l’uomo e Dio si incontrano, entrano in rapporto tra di loro.

Odo casel propone una sorta di cerchi concentrici che procede proprio come una spirale la
quale, pur ritornando su se stessa, si troca tuttavia sempre a livelli più altri, fino a raggiungere
la vetta.

In un senso specificamente cristiano, come un movimiento ascendente in cerchi il cui mezzo


e il cui fine sono il mistero di Cristo.

Il papa Giovanni Paolo II nella Tertio millennio adveniente dice:

“Cristo è il Signore del tempo…”.

È Dio che nei vari “misteri” che si celebrano lungo l’anno litúrgico, manifesta i suoi Kairoi
passati, presenti e futuri riuniti nell’unico Mistero pasquale di Cristo. Lo stesso anno litúrgico
fornisce un orientamento, quasi una “linearità” all’intero ciclo litúrgico: perciò il termini
Kronos, anche la Sacra Scrittura conosce il termine; ma è un Kronos che diventa Kayros nel
manifestarsi di Dio, all’uomo nel Figlio, nel tempo e nella storia unami.

Casel afirma che “… nell’Anno litúrgico non c’è posto per un “perire”, ma soltanto e il
vivere, anche quando si debe passare attraverso la morte.

San Ambrogio: chiama a Cristo el vero giorno, il vero sole; Cristo pe pertanto il giorno che
fa risplendere la luce dell’eternità. Così Cristo è anche il vero anno, il giorno di tutti i mondi,
il secolo eterno.

I misteri di Cristo hanno propriamente un doppio carattere. Soppraterreni, spirituali e divini;


posseggiono un rifelsso nel divenire storico. Cristo ci si presenta sotto due aspetti, promananti
da una indissolubile unità. Existe un Cristo oggetto della storia e un Cristo accessibile solo
alla fede, ma ambedue formano una sola cosa.

Enrico Mazza dice che “il tempo della Chiesa e il tempo della liturgia sono, entrambi,
sacreamento del tempo di Cristo”. La linearità del manifestarsi di Dio e la progressione della

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redenzione divina indicherebbe in maniera più completa il tempo come realtà di salvezza
ripetuta ma sempre nuova e in divenire. Così lo aferma anche un studio di Giuseppe Lorizio,
il cuale fa notare la perspettiva Cristocentrica.

2. LA PREGHIERA CRISTIANA NEI PRIMI QUATTRO SECOLI


(SECC. I-IV) 2
2.1. Antecedenti biblici
2.1.1. Dalla preghiera giudaica alla preghiera cristiana
La “liturgia delle ore” nel tempio e nelle sinagoghe si fonda essensialmente sull’usanza dei
due sacrifici giornalieri. Anche due delle tre preghiere quotidieane erano, all’epoca di Giesù,
già legate all’ora del sacrificio del tempio, perchè i rabbini avevano fissato le preghiere in
funzione del sacrifici.

Hruby afferma che l’elemento formale del sacrificio era la preghiera, perchè non veniva
offerto soltanto un elemento materiale come il profumo, ma si doveva pregare allo stesso
tempo. Adduce un testo rabbinico: “il canto 8 identificabile con la preghiera” dá consistenza
al sacrificio ed è una parte del sacrificio che non può essere trasladata, perchè il sacrificio
sensa il canto/preghiera in nessun modo sarebbe gradito a Dio”.

Ciò supone la scoperta del significato più spirituale del sacrifici.

Tenere presente che la lode si alternava all’azione rituale esterna dei sacrifici (come lettura
della Scrittura e canto dei salmi). I salmi sono nati in un contesto cultuale!

La parte riservata alla lode, dice Pinel, corrispondeva al momento nel quale veniva oferta una
vittima. I sacrifici fuori del tempio furono poi vietati, ma l’elemento canto non fu mai abolito.
Ciò vuol dire che i sacrifici non si fermavano al mero evento esteriore, ossia l’offerta della
vittima, ma avevano una valenza spirituale profonda, legata alle benedizioni e al canto di
lode.
L’impossibilità di ofrife sacrifici, dopo la distruzione del tempio (70d.c.) e, all’epoca di
Nabucodonosor, con l’esilio in Babilonia, fece si che la preghiere che li accompagnavano ne
prendessero il posto. Per necessità i rabbini si rifecero alla parola del porfeta: Os 14, 2-3


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SARR O.-M., In omni tempore (Ps 33,2). La Liturgie des Heures et le temps: louange
quotidienne et ouverture vers l’éternité (Studia Anselmiana 162), EOS Verlag, Roma 2014,
43-83.


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L’offerta gradita a Dio non è il sacrificio e l’olocausto, ma un cuore contrito e umilliato (sal
50,8-23). Come i profeti spesso rocordano, la condizione insostituibile per il culto è l’amore,
la consecuenza di Dio, la giustizia: il sacrificio è solo il “segno” di una dispocizione interiore
e non può sustituiré la vera conversione interiore.

La preghiera, diceva il Rabbino R. Elezar, “vuoi più delle opere buone” e “supera per valor
i sacrifici” (b. berakot). La preghiera è “il servizio del cuore”; tuttavia si ritiene che debba
sustituire i sacrifici “soltanto fino a quando, nel tempo messianico, il tempio verrà ricontruito
e il culto sacrificiale sarà reintrodotto”.

Un passaggio molto interesante: se per gli ebrei, infatti, il sacrificio rappresentava il “luogo”
sul quale si manifestava la presenza di Dio, ora tale luogo, dopo la distruzione del tempio, è
rappresentato dalla preghiera, spesso dalla Torah che rapresentava la parte più consistente
delle preghiere, che diventa il “nuovo luogo” nel quale Dio si manifesta.

Como il sacrificio sull’altare del tempio non rappresenta semplicemente il ricordo di Dio in
mezzo al suo popolo, così la preghiera. (lo stesso Giesù in Mt 18, 20)

2.1.1.1. La preghiera rituale giudaica ai tempi di Gesù: i sacrifici, le


tre preghiere giornaliere, lo Šema’ Ysrael, la ma’amad, la preghiera
festiva, la preghiera del convivio, la preghiera della setta 3
Nostra Aetate — 28 ottobre 1965

“mutua conoscenza e stima, che si ottengono sopratutto dagli studi


biblici e teologici e da un dialogo fraterno”, n.4

Le influenze sulla preghiera cristiana sono dovute sopratutto ai salmi, ai cantici,


alle benedizioni e ad altri generi di preghiera ebraica.

Un esempio è anche lo sviluppo nel NT del tema della luce e l’uso


cristiano successivo dell’immagine del sole… Take tema influenzerà il simbolismo
dell’iniziazione cristiana, della Pasqua e del Natale.

Ma per quanto riguarda la Liturgia “delle Ore” l’elemento in comune è la preghiera


fatta in tempi stabiliti.

Quando la primitiva comunità cristiana iniziò il suo cammino nella storia, non
possedeva alcuna struttura di preghiera, né alcun patrimonio di testi che potesse


3
Questi sono apunti di un compagno

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essere considerato espressione specifica della predicazione e dell’insegnamento
di Gesù.

Furono le prime comunità a colmare questo vuoto, approfondendo il significato


dell’esempio e dell’insegnamento di Gesù nel contesto di quella tradizione
giudaica in cui il Signore aveva vissuto il suo rapporto con il Padre attraverso la
preghiera.

• la preghiera liturgica “regolare” o “canonica” o “oraria”, costituisce


un’autentica ed originale creazione del giudaismo che diventerà eredita
sia del crisitianesimo che dell’Islam stesso

il giudeo santifica il tempo perché in esso si compie la salvezza dell’uomo. La


preghiera liturgica possiede uno scopo chiaramente pedagógico. L’orante, infatti,
invitato a pregare ogni giorno, secondo un orario e schema fissi, é stimolato ad
elevare pensieri e sentimenti verso Dio…

5 tappe di preghiera

Preghiere giornaliere — tefillah

- tefillat shahar — preghiera del mattino può essere detta fino a mezzo
girono

Preghiera del sacrificio: minha, può essere detta sin al calare del sole

Preghiera della sera la tefillah ha-‘erev; non ha un tempo stabilito

Preghiera della ma’amad del popolo

Altri formi di preghiere:

1. la preghiera festiva o supplementare


2. la preghiera del convivio o del banchetto
3. la preghiera della setta o del gruppo
Le testimonianze alle tre preghiere quotidiane:
Daniele 6, 11
Sal 55, 18

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Gn 28,11 — sogno di Giacobbe
Gn 19, 27
Gn 24, 63

Il sacrificio nel culto ebraico


1. l’olocausto (cf. Lv 1,3-17)
2. il sacrificio di comunione (cf. Lv 3,1-17)
3. il sacrificio di espiazione (cf. Lv 4,1-15.13; 6,17-23)
4. il sacrificio di riparazione (cf. Lv 4,14-26; 5, 14-26; 7, 1-6)
5. l’oblazione (cf. Lv 2, 1-16)

Già nei salmi i termini preghiera e sacrificio sono intercambiabili: la preghiera è intensa come
“sacrificio spirituale”: ciò ci aiuta a spiegare il senso più profondo della nostra liturgia delle
Ore. Preghiera e sacrificio: ecco un elemento di continuità.

I testi liturgici di tutti i tempi faranno riferimento alla preghiera come sacrificio, in particolare
l’uso del salm 141, 2: “come incensó salga a te la mia preghiera, la mie mani álzate come
sacrificio della será”.

Possiamo parlare perciò di “passaggio teologico” dal culto sacrificiale animale al culto
sacrificiale delle labbra.

La novitas: predicazione di Cristo che ci porta alle morte e alle Resurrezione, una chiave di
volta nella preghiera della Chiesa nascente.

Il tempio cede il posto a Cristo (Gv 2, 18-23)

I cristiani si orientano verso un culto senza tempio: il nuevo “orientamento” della preghiera
è Cristo: Ap 21,22; Gv 4,23-24).

È Cristo stesso il gran sacerdote che ha offerto, una volta per tutte, il sacrificio perpetuo: Eb
7,26-28.

Mediatore di una nuova e perfetta alleanza: Eb 8,6-7.

2.1.2. L’esperienza e l’insegnamento di Gesù4


Gesú frequentava di sabato la sinagoga (Lc 4, 16), accoglieva la triplice preghiera giornaliera
e la recita dello shemà: Lc 22,25-28?

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SARR O.-M., In omni tempore (Ps 33,2). La Liturgie des Heures et le temps: louange
quotidienne et ouverture vers l’éternité (Studia Anselmiana 162), EOS Verlag, Roma 2014,
43-83

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Ma oltre alla típica preghiera di ogni ebreo del suo tempo, Gesù ha pregato anche
spontaneamente:

- Il grido di giubilo: Mt 11, 25-30; Lc 10, 21-22


- La preghiera per la risurrezione di Lazzaro: Gv 12, 41-42
- La preghiera presso il tempio di Gv 12, 27-28

La grande preghiera sacerdotale (sorta di preludio al sacrifico vestpertino, Gv 17); la


preghiera del Getsemani (Mc 14,36; Mt 26, 39; Lc 23,42).

La “preghiera della setta” insegnata da Gesù: Lc 11, 2-4 e roporposta da Mt 6, 9-13.

I luoghi (solitari: deserto, sul monte)

I tempi (prima di alcune grandi azioni salvifiche: miracoli, scelta dei 12, battessimo,
transfigurazione…); al mattino presto, di notte: novità, che i cristiani hanno iniziato con la
veglia.

Le persone (perla fede di Pietro, il dono dello Spirito al suoi, quando risana il sordomuto e
risuscita Lazzaro…)

Nel suo nome: Gv 19,7-9; 16,23-24; 16,26-27

Da soli: Mt 6,5-8

O almeno in due: Mt 18,19

Con un atteggiamento di fede-fiducia: Mc 11-24

Gesù insegna quando prega: insistentemente: Mt 7,7-8

Lc 11,5-13: l’amico che va a mezzanotte a buscare alla casa dell’altro amico. O addirittura i
racconto del giudice e della vedova insistente: Lc 18, 1-7

2.1.3. La preghiera della comunità cristiana


Pregavano “ogni giorno” At 2,46

Anzi continuamente: 1ª Tm 1,2

Essi nelle loro pregiere utilizzabano salmi biblici, cantici, benedizioni. (Col 3, 16-17)

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Le loro preghiere includevano lodi e benedizioni, ringraziamenti, confessioni di fede e
suppliche per superare tentazioni, per compiere la volontà di Dio, per il perdono dei loro
persecutori, per la salvezza d’israele ecc.

At 4,32: La loro communio si fondava sulla Parola di Dio, sulla comunione fraterna, sulla
orazione e sull’eucaristia (IGLH 9): Ef 6,18; 1ª Tm 5, 16-18.

Pregare insieme diventa per la Chiesa, lungo tutta la sua storia, un mezzo necesario per
rimanere saldi nella fede della Chiesa.

Alla base dell’instituzione ecclesiastica della Liturgia delle Ore, come dice Pinel, si fu
sicuramente la scoperta del valore dell’asamblea orante. Per questo il rinnovamento litúrgico
e il Vaticano II hanno insistito tanto in popolo di Dio-chiesa – assemblea (comunità di
preghiera nata dalla pentecoste) come soggetto della preghiera.

2.2. La preghiera della Chiesa negli autori cristiani: tra


“tradizione cristologica” e “tradizione apostolica”5
Le prime notizie di un’ufficiatura pienamente strutturata non sono anteriori alla fine del
IVsec. Ma la questione del “significato” da dare a una celebrazione di lode o a una preghiera
privata, compiute in ore stabilite, si poneva già in modo insistente agli autori del III sec.

Infatti, la norma del capi. VIII della Didachè (fine del sec. I), secondo cui la preghiera
cristiana del Padre nostro doveva essere recitata “tre volte al giorno”, era ancora
materialmente vincolata agli usi ebraici del tempo di Gesù.

Se tra le comunità cristiane dei primi secoli esisteva una celebrazione di lode comunitaria,
essa corrispondeva a una di quelle ore che Tertulliano chiamerà legitimae, cioè, alla sera o al
mattino, o, semmai, alla vigilia notturna. Bisogna chiarire che, neanche per queste tre ore –
preghiera vespertina o lucernari, veglia ecclesiale, lode mattutina – si parlava già di una prassi
giornaliera.


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SARR O.-M., In omni tempore (Ps 33,2). La Liturgie des Heures et le temps: louange
quotidienne et ouverture vers l’éternité (Studia Anselmiana 162), EOS Verlag, Roma 2014,
85-94. Debi anche vedere i testi latini che lui ha inviato, e poi suoi comenti.

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2.2.1. Clemente Romano, Epistula ad Corinthios

CLEMENTE ROMANO PAPA (92-101)

Prima lettera ai Corinti

Cuncta ordine debemus facere, quae nos Dominus statutis


temporibus peragere jussit: oblationes scilicet et officia
sacra perfici, neque temere vel inordinate fieri, praecepit,
sed praefinitis temporibus et horis.
Dobbiamo fare con ordine tutto quello che il Signore ci comando di fare. Egli ci prescribe di
fare le offerte e le liturgie, e non a caso o senz’ordine. Si deve considerare il giorno e la notte
como motivi che muestrano la risurrezione. Da una semi nascono di più che crescendo
portano i fruti.

El evoca el respeto en la conformidad de las horas fijas y de los momentos determinados sin
especificar. Dice además que la terminación de los servicios cultuales no son nunca una obra
improvisada, sino ordenada y bien estructurada.

2.2.2. Tertulliano, De ieiunio adversus Psychicos; De oratione;


Apologeticum

TERTULIANO

De ieunio adversus Psychicos

Già distingue 3 ore della giornata alla qualle si collegano 3 momenti de essa. Distribuiscono
il giorno che distinguono gli affani. Vediamo Mt 20, 1-7: le distribuzione di queste ore erano
legata alla società.

Nel AT Daniel lo faceba, a cui si vede un riferimento veterotestamentario.

Posee, también, observaciones concernientes al rezo de las horas. Inaugura la lectura


temporal del rezo de las horas como memorial de un advenimiento del misterio de salvación.

Él parte de una preocupación por reparar la repartición jornalaria, el sentido y el origen de


las tres oraciones del día (tercia, sexta, nona). Divide la jornada en cuatro en donde cada una
de ella corresponderá a un evento cristológico-eclesiológico y así la asamblea rinde honor a
la Santa Trinidad.

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Un autor, Botte, dice que Tertuliano usa dos términos de los que hace él una distinción neta:
hora legitimae (designa las horas prescritas para la salida de la luz y la noche, no se necesita
para ello un encuentro público) y orationes comunes (son previstas para las tercias, sexta,
nonas, correspondiendo a aquellas que son recomendadas por la escritura como Hch 2,15;
3,1; Dn 6,10).

Bref dice que las tres horas pueden ser más importantes que las dos otras que hacen referencia
a las laudes y las vísperas.

2.2.3. Cipriano, De dominica oratione


Cipriano de Cartagine (258), él usa la misma distribución de las tres oraciones del día (tercia,
sexta, y nona), contrarias a las horas de las oraciones fijas y obligatorias dejándolas fijas en
la liturgia Judeo-cristiana. En la mañana se celebra la resurrección del Señor y en la tarde, a
la caída del día, se evoca el retorno de Cristo. A ejemplo de Ana la profetiza, todos los que
están en la luz de Cristo, son invitados a rezar continuamente por el día y noche.

En definitiva, a finales del siglo III tanto Tertuliano como Cipriano insisten como adelanto
sobre las tres oraciones indicadas. Señalan que son especificas para la cristiandad naciente y
constituyen la mejor forma de rezo para las jornadas del día; un tiempo favorable para hacer
memoria de los eventos de salvación.

2.2.4. Eusebio di Cesarea (263-339), Commentaria in Psalmos


Invita, en sus comentarios al salmo 64 a alegrarse con el deleite de la alabanza del día y la
caída de la tarde.

2.2.5. Ilario di Poitiers (315-367), Tractatus super Psalmos


La idea que persigue es la de rezar durante todo el día como lo deja escrito en sus comentarios
a los salmos el anterior autor.

Sia nel mondo greco di Eusebio, che nell’ambito latino di Ilario si mostra una instituzione di
lode ecclesiale, alla sera e al mattino.

2.2.6. Agostino (354-430), Enarrationes in Psalmos


Ci invita a una lettura Cristologica de la preghiera: parla del sacrificio di cristo in sentido
prefigurato. Cristo prega in sè e nei suoi menbri, la Chiesa. Stabilice una mera connessione

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tra sacrificium vespertinum da una parte e la risurrezzione di Cristo, dall’altra.

Incensiamo l’altare: riferimento al sacrificio di Cristo; mentre si canta il Magnificat oppure


il Nunc dimitis. Tutto quel segno evoca la risurrezzione di Cristo.

2.2.7. Cassiano (360-435), De Institutis Coenobiorum et de octo


principalium vitiorum remediis
Lui legge il sal. 140 ma con un riferimento alla ultima cena. Rende esplicito il rapporto tra le
lode e gli antichi olocausti. Arrichisce l’interpretazione dello stesso salmo che Agostino. In
essa vede l’immolazione di Cristo attraverso l’iustificazione della sacra hostia.

Conclusioni:

- C’è un significato Cristologico-eclesiale riferito a Cristo Risorto.

- Una preghiera continua apare già in queste periodo.

- Si vede un emergere della teología dei salmi.

- elemento di una sorta di sacramentalità.

3. I PRIMI TENTATIVI DI ORGANIZZAZIONE E L’EUCOLOGIA


6
PER L’UFFICIO (SECC. IV- VII)

la storia della estruttura è più complessa. Con la pace di Constantino (313) La Chiesa diventa
libera ma anche nel rito del s. IV: c’è una fioritura dei riti in oriente e in occidente sensa
sacramentari pero diventata libera per il emperatore.

Appare una struttura di preghiera basata o nel vescobo intorno a suo presbiterio con la
comunità (l’ufficio catedralizio) o el abate con suoi fratri (l’ufficio monástico).

Diferenzie:

L’idea era asicuare una preghiera oraria cíclica insieme a Pablo e a Pietro con la volontà di
Cristo. Questo precepto spossevo un ruolo importante: la risposta al comando di Gesù si

6
PINELL J., Liturgia delle Ore (Anàmnesis 5), Marietti, Genova 1990, 68-83.


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faceba dipendendo anche della struttura. Il materiale era uguale per tutti: la sacra scritura,
cioè, parlare di Dio in 150 salmi. Solo nel celebrante staba la diferenza, ed anche il modo di
vita. Questo condiziona alla preghiera de modo che non si farà lo stesso nelle catedralizio
che in quegli monacali.

Spontaneamente si stabiliscono delle regole che poi diventanno delle vere leggi. Le strutture
delle celebrazioni sono concepite come disegni architettonici, che devono essere prefigurati
entro determinati canoni, affinchè vi si possa riconoscere l’armonia propia dell’opera
classica.

Dei nostri schemi liturgici, il senso del classico nasce, in parte, dai principi comuni:
proporzione, varietà e armonía. Ma in parte provengono anche da successive esperienze delle
comunità cristiane, per cui le invenzioni felici di un determinato momento storico diventano
“sacra tradizione”.

Vediammo anche alcuni essempi di liturgia oraria secondo le tradizzioni antica.

1. CONSTITUTIONES APOSTOLORUM VIII 35,2 (fine sec. IV)

Ci dànno uno schema ben definito per le due ore principali. Perfettamente simétrico è lo
schema del vespro e dell’ufficio matutino. Uno schema quasi simmetrico per le ore del vespro
e del mattino sussisterà, anche quando l’ora mattutina sarà coordinata, o quasi integrata, in
una più ampia celebrazione comprendente la vigilia di origine monacale.

2. ITINERARIUM EGERIAE XXIV (Inizio sec. V)

Nel capitolo XXIV delle sue memorie sulla visita in Terra Santa, la pellegrina Egeria descrive
come si svolgevano gli uffici a Gerusalemme.

a. vespro.

Lo schema del vespro è molto simile a quello delle Constituzioni Apostoliche, anche se il
linguaggio della narratriche è poco preciso possiamo constatare che si è verificato un
incremento della salmodia. Il vespro è chiamato “lucernario”. Qui troviamo antecedenti delle
“appendici” (visite devozionali a luoghi santi) aggiunte agli uffici del vespro e del mattino,
e che ritroveremo nei riti ambrosiano e ispanico.

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b. Vigilia e ufficio matutino feriali

Dal primo canto del gallo fino all’alba si svolge una vigilia, alla quale assistono monaci e
vergini, e anche quei laici che vogliono parteciparvi. Egeria parala poi dell’ufficio mattutino.
Non scende tuttavia nei particolari. Sembra però che lo schema dell’ufficio matutino fosse
simmetrico, o quasi, a quello dell’ufficio vespertino.

c. Vigilia e ufficio matutino domenicali

La vigilia domenicale non è riservata agli asceti e a qualche alico devoto, ma è propria di
tutta la comunità ecclesiale: come se fossi una Pasqua. Questa volta Egeria è molto precisa
sui numeri dei salmi: sono tre, e ognuno è seguito da un’orazione. Dopo il vescovo incensa
il luego del Santo sepolcro. Ma l’eleme nto più caratteristico della vigilia domenicale è la
lettura del vangelo, riservata al vescovo in persona.

Dopo la lettura del vangelo, il vescovo si ritira, non senza aver fatto prima una visita alla
cappella ad Crucem. La celebrazione mattutina della domenica è in gran parte dedicata alla
catechesi.

3.1. L’Ufficio cattedrale


3.1.1. L’Ufficio cattedrale nella Chiesa di Roma
Cominciando, possiamo dire che un punto importante de riferimento per tutta la diocesi è il
luogo dove si celebra, in queste caso si trata della catedrale.

Caratteristiche:

1. Aspetto molto curato nel rituale, perchè c’era il popolo di Dio, a cui dovevano aiutare a
entrare nell mistero Pascuale
2. Diverse figure ministeriale (il salmista, il vescobo, il presbítero)
3. Adattamento della salmodia: adattati nella struttura e nel tempo
4. Salmodia breve

Tutto questo lo sapiamo per le opere dei oratori cristiani dell’epoca fino al IV sec. Possiamo
fare un riferimento a San Girolamo che non c’aveva la intenzione, pero lo sapiamo perchè
describe l’ufficiatura dell momento. Anche Arnobio (monaco romano), suoi monaci lo fanno
come nell’ufficiatura catedrale. Questi erano administrativi di tutto ciò che guardaba la

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struttura aministrativa nell’ufficiatura del Pontifice.

C’è anche testimonianze come quella del Liber diurnus romanorum Pontifium:

È la denominazione di una raccolta di scritti dell'amministrazione papale a Roma. La raccolta


comprende documenti del periodo dalla fine del V secolo fino all'XI secolo.

La raccolta contiene ca. 100 formulari per le pratiche abituali della cancelleria, come lettere,
formulari per l'elezione, l'intronizzazione e il funerale del papa, sul procedimento per la
nomina dei vescovi, sulla fondazione dei monasteri e l'inaugurazione delle chiese, cioè
documenti che riguardano tutti gli ambiti dell'amministrazione della Chiesa. I primi
documenti provengono dalla fine del V secolo, per quanto vi siano opinioni divise sull'esatta
datazione. Parti essenziali della raccolta provengono dall'epoca dei papi Gelasio I (492-496)
e Gregorio I (590-604). Il Liber Diurnus fu in uso nella Cancelleria papale fino all'XI secolo.
A causa di cambiamenti e delle mutate esigenze della burocrazia il libro non fu più usato e
cadde nell'oblio.

Tutto era per assicurare la preghiera continua, perciò c’aveva un monasterio con Sisto III,
un altro con Leone I, y un altro con Ilario nel laterano, i altri due erano in San Pietro. I monaci
andavano a pregare pero si meschiavano con le forme di celebrare i clerici.

3.1.2. L’antico Ufficio romano: analisi dell’ufficiatura


Rito romano basilicale antico

Sono scarsissime le fonti che si permettono di conoscere gli schemi dell’ufficio romano
antico. Nel V secolo esistevano delle comunità monastiche a cui, in parte era affidata la
liturgia di lode delle basiliche romane. San Benedetto conobbe l’uso romano del suo tempo.

Anche gli uffici arcaici del triduo Sacro, conservati quasi intatti fino alla reforma di Paolo
VI, valgono come testimonianza di un’ufficiatura romana precedente gli influssi monastici
tardo-medievali.

Gli uffici vespertino e matutino non sono esattamente simmetrici, ma hanno, come si vede,
una struttura molto simile.

La scelta dei salmi per l’ufficio del mattino si è mantenuta più fedele alla primitiva tradizione
ecclesiale: i salmi sono stati tutti selezionati per una funzione specifica.

In primo luogo, il salmo 50 miserere (come un vero atto penitenziale); poi, tre salmi
mattutino, uno variabile e gli altri due fissi (quindi i tre salmi Laudate, da cui più tardi l’ora

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mattutina prenderpa il nome Laudes); finalmente, il cantico del Nuovo Testamento
Benedictus.

Per la sua complessità di stili, di generi letterari e di situazioni storiche, il Salterio raccoglie
infatti una svariata gamma di moduli di preghiera.

Le lunghe ed estenuanti vigilie avevano consecrato quel senso di “attesa” che


caratterizzavano le primitive vigilie cristiane. In attesa della luce del sole, símbolo di Cristo
risorto, i monaci lottavano contro la stanchezza, il sonno e la distrazione. Con le prime luci
dell’alba, spuntava l’ora della risurrezione di Cristo.

3.2. L’Ufficio monastico


La vita monástica si sviluppa in due filoni:

a. Molti asceti organizzavano la loro preghiera in notturno e diurno.


b. Una ufficiatura che si fà nel monastero.

Caratteristiche dell’ufficiatura monástica:

1. Nasce di una comunità monástica


2. Salmodia più lunga
3. Manca l’elementi rituali e ceremoniali
4. Assenza del popolo di Dio durante la preghiera monástica
5. L’ufficio monastico non solo comprendeva le lodi e le vespri, ed anche l’ore diurne di terza,
sesta e nona, alla quali si andrà ad aggiungere più tardi l’ora prima e la compieta
6. Il atteggiamento è quello ascolto e che acoglie

Struttura:

1-108 si fa nell’ufficiatura mattutina (aleluyatici o lode)

109-147 si fa nell’ufficiatura vespertina

Il ufficio mattutino non c’è una introduzzione; súbito si inizia coi salmo 50

Nel’ufficio monastico, gli eccesi, nel numero delle preghiere salmodiche, avevano portato a
gravi inconvenienti. Spinti da un fervore iniziale, i monaci di determitate zone avevano
assunto impegni che poi la debolezza umana impediva di assolvere. Aumentando troppo la

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quantità, l’orazione perdeva in qualità. Si sentí perciò la necessità di satabilire una isura
prudenziale, sufficiente per richiedere generosità ma non eccessivamente gravosa da
scoraggiare i più deboli.

Il numero di dodici salmi sembrò essere la misura giusta. E così numero dodici venne
sacralizato mediante la “Regola dell’angelo”, di cui per primo ci parla Palladio nella sua
Historia Lausiaca. (pag. 77)

Confrontando gli schemi del vespro e dell’ufficio mattutino, abbiamo già rilevato che nella
scelta dei salmi per l’ufficio del mattino, si era maggiormente fefeli alla tradizione ecclesiale
precedente. La salmodia del vespro rispondeva invece al criterio “currente psalterio”, cioè a
una lettura progressiva di tutto il libro dei salmi distribuita nel tempo.

Conviene però sottolineare che la parte del Salterio riservata al vespro contiene i salmi a cui
le liturgie orientali prima, e gli altri riti occidentali poi, hanno attribuito la funzione di
“lucernari” o “vespertini”. Le antifone romane festive più arcaiche dimostrano che anche
Roma vi fu una selezione di salmi “vespertini”.

Parliamo infine dei cantici del Nuovo Testamento.

L’ufficio monacale ispanico raggruppava i tre cantici in una sola missa, che corrispondeva
all’ultima parte della salmodia vigiliare domenicale. Il sistema più arcaico, adottato per la
distribuzione dei cantici neotestamentari nella liturgia delle ore.

Il rito Bizantino colloca i due primi nell’ufficio vigiliare-mattutino, e il Nunc dimittis nel
vespro. La liturgia Romana basilicale, dal canto suo, trasferì il Magnificat al vespro; lasciò il
Benedictus nell’ufficio mattutino, e spostò il Nunc dimittis a compieta.

San Benedetto segue il rito romano, ma solo parcialmente: nell’ordinamento dell’ufficio


benedettino non si parla infatti del Nunc dimittis.

3.2.1. L’Ufficio divino nella Regula Magistri (IV-VI)


Tre volte più lunga della regola Benedictini, la Regula Magistri e importante non solo per i
suoi dettagli, ma supratutto perchè è la fonte principali usata de Benedetto per la sua
composizione della sua regula del 530-560.

Certamente è la più lunga ed anche è la più importante delle regole pre-benedictine.

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Provabilmente del primo quarto del s. IV. Il nome “regola del maestro” fu imposto per
Benedetto di Aniane in quanto la regola se struttura in base alla formula di domanda (fatta
dai discepoli) e risposta (donata del maestro). Si compone di un prologo e di 95 cap. dei quali,
dal 33 al 48 trattano direttamente dell’ufficiatura.

È una ufficiatura che ha una grande quantità di salmi coi parole dei Santi Padri. Non ci sono
inni. Si includono i Aleluya per essere meno monótona nella lungezza della salmodia.

3.2.2. L’Opus Dei di San Benedetto: analisi dell’ufficiatura


San Benedetto ebbe cura di distribuiré equilibratamente l’orario dei monaci in lavoro, lectio
divina e ufficio corale, attribuì la massima importanza a ciò che egli chiama l’opus Die
(UFFICIO DIVINO). Se atiene a la vita dei monaci però da importanza al’ufficio divino.

È il primo a introdurre la preghiera delle ore con il Deus in adiutorium meum. Sceglie un
versetto più adatto per iniziare le vigilie. Questa sistematica applicazione del versus
salmodico si estende anche al rituale domestico del monastero. San Benedetto prevede, nel
suo ufficio, diversi modi di eseguire i salmi: probabilmente i salmi erano sempre cantati.
Bisogna tener presente che, nell’antichità classica qualunque recitazione proclamazione o
declamazione pubblica di un discorso comportava un’intonazione musicale.

A seconda del numero dei monaci che si trovavano in coro, si adottavano un modo più
semplice (in directum), oppure un’esecuzione più elaborata e solemne (cum antiphonis).

San Benedetto fa poi un uso molto razionale dell’aleluya. Anche si vede che distribuice
inoltre il salterio, ossia i 150 salmi lung l’arco di una settimana, e insiste perchè questa misura
non venga mai ridotta. Alcuni salmi si ripetono ogni giorno, oltre ai tradizionali salmi 50 e
148-149-150 all’inizio e alla fine della salmodia mattutina, rimangono sempre fissi i salmi 3
e 94, eseguiti in modo diverso, che introducono la vigilia, e il salmo 66, che apre l’ufficio
mattutino.

Adotta la distrubuzione dei cantici mattutini del’ufficio romano. Si ispira anche al rito
romano per la selezione dei salmi mattutini. L’ufficio benedettino è altresì costellato di altri
elementi che rivelano l’accuratezza con cui fu ideato ed elaborato dal suo autore: le
benedizioni dell’abate prima delle letture della vigilia, il Padre nostro solemnemente recitato
al vespro e al mattino, la supplicatio litaniae nelle ore principali, le invocazioni litaniche nelle
ore minori, le orazioni conclusive.

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7
3.3. Analisi dell’eucologia antica
L’eucologia di alta qualità, e prodotta su vasta scala, inizia quando esplode il fenómeno della
creatività. Tale fenómeno, per quel che riguarda l’Occidente, inizia circa alla metà del V
secolo, a Roma, e si chiude poco oltre la metà del VII secolo, in Spagna.

Ma l’eucologia “scritta” dei secoli V-VII presupone l’esistenza di un’eucologia tramandata


oralemnte, raramente registrata nei documenti, nel periodo precedente. Durante questo
periodo, si operano, in fase sperimentale, e la scleta e i diversi tentativi d’intreccio dei vari
temi che poi riappariranno nei testi scritti.

Gli autori dei testi eucologici, dotati di formazione letteraria, e avendo la possibilità di
elaborare con arte e forza espressiva i risultati della loro personale riflessione, riporteranno
gli echi della tradizione nelle loro formulazioni, abbellite, condansate, e dottrinalmente
approfondite.

Possono valere come testimonianze del periodo anteriore alla più fervente creatività la
benedizione della lampada, riprofotta nella Tradizione Apostolica, e le orazioni vespertina e
mattutina delle Costituzioni Apostoliche.

Nella tradito apostolica troviamo benedizione delle lampade un arquetipo del lucernario. Ed
anche si vedono diversi tipi di temi.

Temi:

• la luce del giorno la luce della lampada — richiama la presenza di Cristo


• creazione — giorno-notte che richiama a la creatura del universo
• il atteggiamento della Chiesa: rendere grazie; lodare, glorificare, proclamiamo la azione
di grazia; un ringraziamento è offerto a Dio.
o ringraziamento e riconoscimento
o lucernario veniva chiamato — eucaristia lucernalis
o elementa ecclesiale — “nostra azione di grazia”

Nella Constituzioni Apostoliche si sente retazi della T. Ap., ci sono:

a. Redimento di grazie.
b. Richiamo di una visione quasi morale.


7
PINELL J., Liturgia delle Ore (Anàmnesis 5), Marietti, Genova 1990, 158-166. Ma anche di un compagno.

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c. Dio come creatura

Un importante passo avanti nello sviluppo di questa temática si verifica già nei testi delle
Costituzioni Apostoliche. Intanto, si ha una più grande consapevolezza della realtà costituita dalla
preghiera della Chiesa. Si chiede a Dio che accetti il dono che è l’”eucaristía ecclesiale”,
vespertina o mattutina.

3.1.1. La serie del Sacramentario Veronese


Un piccolo complesso di sei orazioni, riprodotte nel Sacramentario Veronense, constituisce
il primo tentativo, in ámbito latino, di comporre testi eucologici per l’ufficio. Il piccolo
complesso eucologico ha un’unità temática perfetta. L’autore ha preferito considerare e
approfondire, un solo aspetto di una temática potencialmente molteplice.

L’attributo divino di “creatore” è stato qui volutamente ristretto all’azione con la quale Dio
distingue il giorno e la notte.

Deus, qui diem discernis et noctem (n. 587)

Metendo quest’ordine, Dio viene incontro alla debolezza umana che ha bisogno di riposo.

Diei molestias noctis quiete sustenta (n. 591)


Diurno labore fatigatos suporis quiete nos refove (n. 589)

Nelle prospettive di questo autore, subentra però un elemento nuovo: il tempo.

Et ne sine terminis operum fragilitas humana deficiat, ipsa mutabilium rerum


varietate nos refove (n. 592)

Necessaria temporum vicissitudine succedente nostra reficiatur infiurmitas (n. 591)

C’è, da una parte la fragilità umana che richiede aiuto e protezione e, dall’altra, il Dio potente.
Si noti però che l’immensa potenza di Dio è filtrata e ridotta all’esatta misura dell’aiuto,
portezione e “attenzione” di cui l’uomo ha bisogno.

L’uomo responde alla sollecitudine di Dio con il suo “servicio” di preghiera e adorazione:

Annue, Domine, praecibus nostris; et tuis servitiis inhaerentes pervigili protextione


custodi (n. 588)

Il collegamento tra “mutamenti temporali” e “preghiere delle ore” è solo implícito. Ma nella
stessa orazione n. 588, c’è l’aggettivo pervigilis riferito a Dio, che rappresenta il concetto
antitético di “mutevole” e di “temporale”.

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Dopo aver parlato della “protezione constante” nella 588, insiste sulla necessità delle fasi
successive del tempo: l’uomo laborando si stanca, ed ha bisogno di roposarsi, è per questo
Dio le ha stabilite.

Ma l’uomo apprende che mutabilità regolare e ordinata è possiblie solo perchè Dio è
pervigilis.

Nasce allora l’aspirazione al Semper-augiter. Pur accettando con gratitudine la


provvidenziale altenanza dei tempi, lùomo, esercitandosi continuamente nel pensiero del
bene, sancta meditantes, desidera rimanere “sempre”, senza mutazioni, “nella luce di Dio”.

Si vede una grande scoperta: attuando la sua facoltà più alta, cioè pensando, può passare
attraverso le fasi del tempo, dalla mutabilità del giorno e della notte, del lavoro e del riposo,
all’immutabilità di Dio: tua Semper inconmutabilitate firmemur.

La serie del Veronense constituiscono il primo tentativo in amito latino di comporre una eucologia
per il ufficio divino. Se dice Serie prechè è un insiemen della preghiera che apare con la temática
diversa al Gelasiano. C’è dunque una difereza chiara della preghiera del mattino a quella della
sera.

Veronense — abbiamo un’immagine di Dio antropomorfica; Dio creatore, come vediamo supra.

3.1.2. La serie del Sacramentario Gelasiano


Alla seconda serie romana di orazioni per l’ufficio, diamo il nome di “gelasiano”, estendendo
ad essa il titolo ormai pacíficamente accettato di “Gelasiano”, applicato a quel tipo di liber
sacramentorum che rappresenta il primo tentativo di codificazione di un libro litúrgico.

Di diciannove orazioni la compongono. Questo complesso eucologico è stato concepito e


realizato in modo molto diverso. Invece di insistere su un punto dottrinale, su un solo aspetto
dell’argomento proprio di questo genere di testi, l’autore ha voluto moltiplicare al massimo
le derivazioni del tema della luce, dando alla sua collezione il carattere di una vasta
panorámica, dentro la quale la sua fantasia creativa si afferma producendo anche una
straordinaria varietà di forme letterarie.

Il riferimento alle ore, stabilite come ore di preghiera ecclesiale, sono molto espliciti. Quando
al mattino si parla del vespro, e al verpro del mattino, si dispone un itinerario verso la tappa
successiva. Questo conferisce un senso dinamico alla celebrazione di lode:

Quatenus ad vesperum gratias referamus (n. 1576)


Repraesenta nos quasumus, Domine, mtutinis horis incolumes (n. 1594)
Et fac sine ullo reatu matutinis tibi laudibus praesentari (n. 1593)

Con molta frequenza si accenna ai vari momento della giornata:

Exsurgentes de cubilibus nostris (n. 1577)

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Qui nos depulsa noctis calígine ad diei huius principium perduxisti (n. 1584)
Vespere et mane et meridie maiestatem tuam suppliciter deprecamur (n. 1587)

Altre citazioni, più o meno esplicite, della Scrittura e soprattutto dei salmi ricorrono spesso.
Anzi, possiamo dire che con queste immagini bibliche l’autore ha composto l’intelaiatura del
contenuto globale del complesso eucologico.
Il tema della creazione procede dal salmo 73 e dal salmo 103. (n. 1590, 1586,1588)

La frase di malacia: “et orietur vobis timentibus nomen meum sol iustitiae” (4,2) ha ispirato
altri testi. (n. 1590, 1593)

Rifaxendosi al salmo 42,3: “emitte lucem tuam et veritatem tuam”, introduce il tema “luce-
dono di Dio”. (n. 1582, 1586)

Ma la luce della grazia che Dio concede si identifica con la natura stessa di Dio, e può essere
presentata anche in chiave cristológica o pneumatologica. (n. 1584,1579, 1587, 1580)

Opponendo antitéticamente “luce” e “oscurità” l’argomento nodale della luce si scompone,


ed essa è vista come “verità”, “fede”, “virtù”. Le tenebre opposte alla “luce-verità” sono
símbolo dell’errore e dell’ignoranza. (n. 1585, 1584, 1583, 1582)

Si parla invece della “luce-fede” sensa contrapporre a questo aspetto del tema un cencetto
antitético. (n. 1585, 1580) Antiteci della “luce-virtù” sono i vizi, i peccati, le tentazioni. (n.
1577, 1579, 1587, 1578, 1585, 1590)

Una derivazione típica di questa serie è costituita dalle allusioni alla persona del tentatore,
che si fondano nel salmo 90,5-6: “non temebis a timore nocturno… a negotio perambulante
in tenebris, ab incursu at daemonio meridiano”. (1588, 1583, 1591, 1589)

La serie gelasiana fu la più diffusa in seguito. Esercitò un grande influsso sulla prima sere
gregoriana, sul vasto repertorio di esti analoghi del rito ambrosiano, e anche sulle collette
salmiche e le completuriae per il tempo de quotidiano del rito ispanico.

Sacramento gelasiano — una visione di Dio più teologica; un approfondimento di Dio più
profondo.

l’ufficiatura cattedrale — ricorda che le ore medie furono riservate ai monaci… perciò, non ci
sono le preghiere per quelle ore dell'ufficiatura

Tema eucaristico — cioè, di ringraziamento

• 1576 — gratias tibi agimus …


• 1576 — un riferimento al Prologo di Giovanni — ad vespers… ad lucem.

Le preghiere del gelasiano fanno chiaramente riferimento all’ora in cui si sta pregando (1577)

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3.1.3. Le due serie del Sacramentario Gregoriano
Il nostro studio debe comprenderé un capitolo sul contriubto del Sacrametario Gregoriano a
questo settore della tradizione litúrgica. Non rappresenta affatto un arricchimento del fondo
eucologico della scuola romana. I pochi testi originali che vi troveremo sono di scarso
interesse letterario e dottrinale nei cofronti delle due serie precedenti. E questo pur minimo
valore positivo dell’apporto della prima serie gregoriana va più pesantemente
controvilanciato, in seso negativo, dall’imporvviso mutamento storico che ha ispirato la
omposizione della seconda serie.

Le due serie, di cui parliamo, corrispondono ai n. 935-942 e 943-979.

I due gruppi di orazioni rappresentano due diversi traguardi che l’autore del Gregoriano volle
raggiungere, distintamente e in fasi succesive.

San Gregorio Magno si mise a comporre una breve sezione che comprendesse le orazioni per
l’ufficio. Anche in questo punto, concretamente, seguiva l’esempio del Gelasiano.

Inicialmente, la sua intenzione fu di raccogliere testi della tradizone eucologica romana


preesistente. Potè servirsi direttamente del ibello che anni più tardi sarebbe stato trascritto
nel códice di Verona: la serie del Veronense. Conobbe pure la sere gelasiana.

L’orazione che assunse dalla sere gelasiana rappresentava un peculiare tipo letterario, il più
semplice; ed esprimeva con la massima semplicità l’essenziale coordinata temática della
serie: tempo-luce.

L’astrattismo di San Gregorio realizzava così una prodigiosa sintesi sostanzialmente fedele
alla dottrina del suo più diretto modelo.

Così egli portava a termine il suo primo tentativo: comporre una sere análoga alle due serie
romane precedenti. Poi, in una fase successiva, si mise a comporre un’altra collezione
comprendente un numero ben più elevato di testi.

Le due serie gregoriane per l’ufficio vanno distinte in quanto rapresentative di due momento
dell’opera del compilatore. Il passaggio dal primo al secondo momento rivela tutto un
proceso evolutivo.

Nella composizione della prima sere, egli si era attenuto a questa regola: integrare nel proprio
complesso eucologico testi proveniente dai suoi predecessori. Quando però compose la
seconda serie, pur facendo sempre ricorso a testi precedenti compose le restante ventiquattro
orazioni con frequentissime appropriazioni dei repertori della scuola romana. Ma il fatto più
grave fu che tutte queste orazioni che trascriveva, abbreviava, o a cui si ispirava, non
appartenevano alla peculiare tradizione eucologica della liturgia delle ore, ma erano testi
composti per la celebrazione eucarística.

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Nell periodo più classico dell’eucologia romana, non vi era parola che non fosse stata
accuratamente scelta e collocata in ordine ai concetti, e alla dinámica di un ragionamento
contemplativo, mediante il quale l’autore voleva codurre l’assemblea orante ad una preghiera
che fosse exclusiva per una determinata celebrazione. Le orazioni non potevano essere
adoperate per diverse funzioni perchè ognuna rispondeva al preciso momento a cui l’autore
l’aveva destinata.
L’opera di san Gregorio preparò così, fatalmente, l’assai discutibile comportamento che la
liturgia romana manterrà per seculi riguardo all’eucologia dell’ufficio.

4. DAL RITO ROMANO BASILICALE ANTICO ALLA RIFORMA
CAROLINGIA (SECC. VII- IX)

4.1. La riforma carolingia



la Riforma Carolingia — nell’VIII sec al IX sec. Se trata della prima fase dell’ufficio divino
suficientemente descrita nei doc. Nella sua strutura d’insieme, nelle sue parti singole e nelle sue
formule concrete.

Abbiamo visto inffati come al tempo di Beneditto

• "Ufficio divino romano-benedettino”



o ci fu una confluenza dei modi di celebrare
o prima vera fase dell’ufficio divino sufficientemente descritta dai documenti nella
sua struttura di’insieme, nelle sue parti singole e forme concrete
o conseguenza — si può definirsi l’ufficio “IBRIDO”
o questa struttura/riforma carolingia serve per ricondurre la moralità dei preti
o
§ veniva imposta in tutte le Chiese d’Europa
o Fonti —
o
§ l’opera liturgica omnia di Amalario di Metz
• Crodegango — vescovo di Metz — regula canonicorum

o imponeva la regula che i preti dovessero vivere insieme e sono obbligati al
recitare l’ufficio comunitariamente….

4.2. L’Ufficio “romano-benedettino” dei secc. VIII-IX


Questa è la prima fase del divino ufficio sufficientemente descritto nei documenti e nella
sua struttura a giusta; nelle sue singole parti e le loro formule specifiche.

Abbiamo visto che tutto è dato per unificare ogni culto dell'immagine.
L'ufficio Romano benedettina è molto complicato per la sua forma solenne.

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5. DAL BREVIARIUM SECUNDUM USUM ROMANAE CURIAE
8
ALLA RIFORMA DI PIO X

Piano piano il ufficio divino diventa una cosa mastodóntica. Ellementi aggiunti:

1. Nuove strutture musicali come i tropi.

2. Psalmi penitenziali, postrati ecc.

3. Processioni e visite di devozione.

4. Si aggiungiono interi ufficio a quello del giorno (ess. Quello della madonna; dei difunti)

5.1. Il Breviarium secundum usum romanae curiae


Si define come un libro intenso; permettendo la recita privata. E'di norma viene attribuito la
creazione al clero secolare. Mentre al contrario nasce dalla capacità dei coralli libri di
monasteri che passano di una liturgia comunitaria per uso privato.

A partire dalla reforma gregoriana (Gregorio VII, 1073-1085) l’influenza della sede romana
continua a crescere fino alla figilia del grande scisma d’Occiente. Entro tale situazione si
coloca un fatto che interessa la liturgia.

Fino ad allora, infatti, il papa aveva agito in qualità di vescovo di Roma, presiedendo,
secondo la tradizione, la liturgia urbana stazionale.

Roma non era uniforme nella sua prassi litúrgica: la liturgia romana presbiterale aveva delle
differenze e, per quanto riguarda l’ufficio, queste erano numerose tra le diverse chiese e
basiliche.

Dal sec. X il Papa comincia a viaggiare e a risiedere fuori Roma, estraniandosi così dalla
partecipazione all’ufficio delle basiliche (del Laterano in particolare).

Al comincio dalla fine del s. XI il Papa e la curia cominciano a celebrare l’ufficio nel oratorio
del palazzo papale dedicato a San Lorenzo. Nasce un ufficio pensato per il Papa e la sua corte
adattato alla situazione.

Alla fine del S. XIII la situazione litúrgica di Roma è la seguente…


8
Si può vedere delle cose che dici nella lezione

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La corte papale risiede ufficialmente nel Palazzo del Laterano e celebra abitualmente nella
capella privata del pontefice (la Sancta Sanctorum).

Ha un suo ufficio riorganizzato e codificato negli ultimi anni del papato di Innocenzo III (tra
il 1213 e il 1216 C. A.).

Nel 1215 papa Innocenzo III (1198-1216), proprio in occasione del concilio Lateranense IV,
ordinò la reisione dell’ufficio stesso. Nasce in questo modo l’Ordinario di Innocenso III, con
un adescrizione, completa riguardo l’insieme ed ogni parte del Breviario. Dall’ ordinario di
Innocenzo III nascerà il cosiddetto.

Breviarium secundum usum romanae Curiae

La liturgia corale praticata dalla corte papale ci è conservata in una revisione operata da
Onorio III (1216-1227) allo scopo di promuovere meglio questa reforma negli ambienti vicini
alla corte.

CARATTERISTICHE DEL BREVIARIO DI ONORIO III

Ci è conservato nel manoscrito Oxford, Bodleian Library, Canon. Liturg. 379.

Scritto probabilmente nell’ultimo quaerto del XIII sec. E in seguito completato con un
calendario e un lezionario nel 1452.

È la sola e più antica copia esistente di breviario compilato sulla base dell’ordinario di
Innocenso III e rivisto nelle rubriche da Onorio III.

Negli anni tra il 1227 e il 1230 i frati Minori adottarono il Breviario di Onorio III: ne
scaturisce il breviario della Regula.

In conclusione: a partire dalla fine del XIII sec. Non c’è quasi breviario che non riveli
l’influenza di quello della Curia adottato dai francescani.

Se ne riproducono gli elementi, l’ordinario, la presentazione e anche il formato, pur


conservando, la spezie nel santorale, le peculiarità diocesane.

I casi di adozione pura e semplice furono rari.

Caratteristiche del Breviarium secundum usum romanae curiae:

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Innocenzo III tenta di introdurre, quali letture a scelta per i Notturni, parti dei suoi sermoni,
trattati e lettere. Tale innovazione cadrà perché non accolta dal Breviario francescano della
Regula.

Innocenzo III sopprime quelle aggiunte che erano venute ad appesantire l’ufficio: i “suffragi”
a lodi a vespri, sostituisce la recita del Miserere con quella del De profundis alle praeces.

Novità più importante:

1. Introduce gli inni e dei capitoli.


2. Introduce una normativa secondo la quale per tutta la settimana e a tutte le ore si dovrà dire
l’orazione della domenica.
3. La novità più vistosa: la celebrazione resta comunitaria ma non più solenne: no si canta più,
i gesti sono ridotti al minimo; si “dice l’ufficio” insieme (non a caso il verbo più ricorrente
nell’Ordinario di Innocenzo III è dicere…)

Correzioni di Aimone:

1. Reintrodurrà diverse preghiere e uffici aggiuntivi.


2. Offrirà un lezionario con abbondante presenza della Scrittura e riduxione delle letture
patristiche e agiografiche.
3. Dal momento che la sua reforma è pensata tenendo presenti le comunità dei Frati Minori,
reintroduce un vero e proprio “programa rituale” in cui entrano in gioco pluralità di ministerio
e codici sia verbali che non verbali.

5.2. Il Breviario del card. Quiñonez



Il cardenal Francesco Quignonez, francescano, cardenal del titolo di S. Croce in
Gerusalemme, spagnolo di nascita, nacque a Leon forse nel 1485 e morì a Veroli il 27 de
ottobre 1540. Fu ministro generale del suo ordine.

Non era uno studioso di professione, ma aveva certamente una indiscussa abilità in molti
campi nonchè uno spiccato senso pratico e grande esperienza.

Ricevette da Papa Clemente VII (1523-1534) l’incarico formale di riformare il Breviario; lo


stesso papa aveva precendentemente affidato questo incarico a Gian Pietro Caraffa (futuro
Papa Paolo IV). I due presentavano due opposte tendenze e mentalità.

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Il Caraffa, inffati, divenuto Sommo Pontefice, ritirò l’approvazione data da Paolo III il 5
febbraio 1535 al breviario riformato dal Quignonez.

Il Quignonez aveva lavorato coadiuvato dai suoi esperti, ossia i suoi cappellani.

Vediamo adesso due recensioni:

1. Approvata da Paolo III appunto, il 5 febbrario del 1535, che in soli 17 mesi conobbe 9 o 10
edizioni.
2. Approvata il 3 luglio 1536, ebbe 32 anni di vita e riscosse grandissimo successo (un centianio
di edizioni, lùltima del 1567)

- proibito una prima volta nel 1558 da Paolo IV.

-riammesso all’uso da Pio IV nel 1559

- proibito definitivamente da Pio V nel 1568 con la Bolla quod a nobis

Criteri:

1. Lettura annuale della Sacra Scrittura e settimanale del Salterio.


2. Propósito di ritorno all’antico: ad veterum sanctorum Patrum conciliorumque instituta.
3. Semplificazione delle rubriche che dal tempo di Aimone di F, erano divenute complicate.
4. Alleggerimento dell’ufficio per andaré incontro al clero impegnato nella pastorale.

Scopo:

Dotare, coloro che avevano l’ “obbligo” di “dire” il breviario, di un libro breve, fácilmente
utilizzabile, con una certa attendibilità storica, che potesse nutrire la preghiera quotidiana dei
sacerdoti in cura d’anime.

Caratteristiche del Breviario di Quignonez:

1. Il calendario conta 254 feste, ottave e vigilie; i giorni De tempore sono 111: sono state abolite
numerose feste di santi che erano entrate gradualmente.
2. Rompe radicalmente con la tradizione (che contaba 8-9 secc.) per quanto riguarda la
distribuzione dei salmi: tutte le ore, in tutti i giorni, contano 3 salmi distribuiti in modo che
il salterio potesse essere pregato in una settimana.
3. La distribuzione dei salmi non è quella numérica della tradizione monástica ne quella scelta

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come della tradizione cattedralizia, ma prevale un criterio “quantitativo”: salmi più lunghi al
Mattutino e gli altri alle altre Ore.
4. Utilizzo dei rituali psalmorum.
5. Per Q. Lo scopo principale dell’ufficio è quello didattico, ossia istrurie i preti facendo ricorso
a la Scrittura e a compsizioni ecclesiastiche. Per questo attribuisce grande importanza al
Lezionario. Elaborò pertanto un Notturno che aveva sempre 3 letture: la primera sempre A.
T., la segunda del N.T. Nella prima recensione del 1535 anche la tercera lettura era della
Scrittura. Nella seconda recensione, invece, fece posto ai Padri nella terza lettura, eliminando
eventuali letture leggendarie.
6. Le rubriche sono semplificate: invariabilità degli inni delle Ore minori e di Compieta, delle
orazioni di Prima e Compieta, delle antifone e dei salmi assegnati alle Ore minori, delle 2
prime letture del Mattutino.
7. Nelle domeniche e feste variano: l’invitatorio, l’inno e l’antifona di matutino, la terza lettura,
l’antifona e orazione di Lodi e Vespri.
8. Sono privilegiate le domeniche di: Avvento, Quaresima, Pasqua con Ottava, Pentecoste con
Ottava, Ascensione e Corpus Domini, come anche le ferie di Quaresima. Le restante
domeniche e ferie possono essere sostituite da feste di santi.
9. Assai semplificato l’Ordinario:
a. A Mattutino i salmi sono detti con una sola antifona;
1. Abolizione dei responsori;
b. Suppresione delle letture brevi con relativi responsori;
1. Abolizione delle praeces;
c. Gli inni sono diminuiti di numero e rimangono quelli della tradizione, come anche le
orazioni.
d. Nuove sono, invece, la maggior parte delle antifone, sebbene ridotte di numero, visto
che nella maggior parte delle Ore i salmi sono detti con una sola antifona.

Conclusione:

a. Siamo dinanzi ad uno schema molto semplificato, ma allo


stesso tempo rigido e uniforme per tutto l’anno, lasciando
spazio a pochissimi cambiamenti.
b. Il rapporto simbolico-celebrativo con il tempo, si aquello
scandito dagli evento storico-salvifici, caro alla tradizione
cattedrale e conservato anche dalle precedenti riforme, è
completamtene svanito. Le Ore non sono altro che degli

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strani titoli dati a ben omogeneizzati capitoli di un libro di
preghiera. Per il prete, infatti, l’Ufficio non è principalmente
preghiera celebrata nel tempo, ma piuttosto istruzione
dell’orante (lettura spirituale, meditazione).
c. Q. Abolice presochè tutti gli elementi poetici e da celebrarsi
in canto e/o dialógicamente.
d. Siamo di fronte ad un libro pensato per la preghiera
personale del prete.

Perchè la riforma di Quignones fallirà?

L’accoglienza entusiasta del nuovo breviario suscitò violente reazioni soprattutto negli
ambienti conservatori:

- GIOVANNI DE ARZE: Teólogo spagnolo e consultore al Concilio di Trento nel 1551 che
consegna al concilio un memoriale raccolto in 18 capitoli dal titolo:

DE NOVO BREVIARIO ROMANO TOLLENDO CONSULTATIO

Attacca strenuamente il Breviario di Q. Chiedendone l’immediata abrogazione in quanto,


afferma l’autore, “l’ordinamento tradizionale dell’Ufficio è di diritto divino o per lo meno
basato sul diritto divino”.

Dopo tale affermazione di principio, il teólogo spagnolo spiega a tutti i rischi del nuovo
breviario, tra cui particularmente pericolosa l’abbondante lettura della bibbia…

Il Concilio, che all’inizio sembrava favorevole al Breviario di Q., rimase impressionato dallo
sferzante attacco di De Arze, tanto da elaborare una Bozza di documento per abolirlo. Tale
bozza trovò pratica attuazione nel breviario di Pio V (1568) che, nella bolla quod a nobis,
respinge qualsiasi novità.

5.3. Il Breviario di Pio V



La riforma del Breviario, voluta da Pio V, non ha quale obiettivo quello di creare un nuovo
breviario, quanto piuttosto correggere il Breviario della Curia romana del sec. XIII.

In effetti le variazioni che furono apportate riguardavano il Breviario della Curia Romana
come tale, nella versione divulgata dai francescani e da altri ambienti clericali e religiosi.

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2 correnti:

1. Ad alcuni bastava qualche ritocco, anche se abastanza a fondo.


2. Altri avrebbero voluto un’azione più radicale

Al Concilio di Trento si promosse il formarsi di una commissione che avesse come base di
lavoro i criteri e il materiale di Gian Pietro Caraffa, il futuro Paolo IV. Si optò, dunque, per
una línea piuttosto conservatrice.

Il concilio trasmise al papa il compito di attuare la riforma, anche se alcuni avrebbero


desiderato che fosse fatta in seno al concilio medesimo, quale luogo più adatto.

Pio IV chiamò a Roma alcuni della commissione tridentina, la completò e la investí


dell’incarico

Pio V confermò l’organismo già esistente e lo riforzò di alcuni nuovi membri.

La riforma chiedeva inoltre che fosse abolita ogni distinzione tra ufficio pubblico e privato e
doveva essere un’opera única, valida per tutto il popolo cristiano.

La commissione per la riforma del brefiario ebbe quale principio il seguente: nulla di
essenziale dovrà essere tolto dall’antico Breviario romano.

Per elementi essenziali si intendevano: antifone, responsori, capitoli, preci, inni.

Caratterisiche del Breviario Tridentino di Pio V (1568)

1. Molte feste furono soppresse, mentre alcune celebrazioni dei santi furono eliminate o ridotte
a semplice commemorazione (in realtà il salterio feriale sarà ancora offuscato dal santorale);
2. Il numero delle letture e dei salmi rimase invariato
3. Dai libri dell’AT ne vennero valorizzati soltanto il 14% mentre el NT solo il 33%
4. L’Ufficio della Madonna rimase in vigore veniva abolito nella Vigilila di Natale, Settimana
Santa, Ottava di Pasqua e di Pentecoste, Avvento, Quaresima, quattro Tempora, vigilie di
Feste, sabato e feste o memoriale della BVM.
5. L’Ufficio dei difunti, di origine medievale, fu accolto solo pro opportunitate temporis.
6. I 15 salmi graduali (sall 119-133), che nel presente venivano pregati quotidianamente dopo
mattutino, ora verranno pregati solo i mercoledì di Quaresima.
7. I sette salmi penitenziali (6, 31, 37, 50, 101,129, e 142) erano prescritti solo per i venerdi di

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Quaresima.

Un problema fondamentale in questo breiario rimase quello delle fonti originali della vita dei
santi, la loro storicità.

Un elemento positivo è che, sebbene la riforma di Pio V non sia affatto orientata su quella
del card. Q,, ne conserva comunque alcune tracce, come ad esempio le 84 letture sulla vita
deis anti e la constante presenza della Scrittura nell’ufficio domenicale e feriale.

Conclusione:

Nonostante la línea ufficiale, comunque, in questo periodo la nozione originaria e medievale


dell’ Ufficiatura celebrata in comune come única normativa per tutti è ormai morta sotto la
pressione di nuove forme di spiritualità e di vita apostolica e religiosa.

Già nel quattordicesimo secolo la devotio moderna si era allontanata dalle normative esteriori
medievali, per garantire una religiosità più spontanea, più interiore, e personale. Siamo
dunque nell’era della “vita devota” perseguita come reazione alla excessiva esterirità delle
pratiche religiose medievali, e le anime devote preferiscono una vita più interiore al posto
delle “distrazioni” della preghiera corale comunitaria.

5.4. La riforma di Pio X


Problematiche principali:
Conflitto, quasi millenari, del ciclo santorale con quello temporale e feriale. Il primo, infatti
abbracciava ormai 266 giorni, mentre pler il temporale e feriale restavano soltanto 60 giorni.

L’ufficio mattutino domenicale conservava ancora i suoi 18 salmi, mentre il feriale 12 salmi.

Appare la Constituzione Divino Afflatu (11 novembre 1911)

Riguarda la riforma del calendario e del salterio. La revisione dell’ufficio romano richiede
lungo tempo e grande lavoro da parte degli esperti della commissione. Dopo circa due anni,
con il Motu proprio Abhinc duos annos (23 ottobre 1913) veniva abrogato l’ufficio
precedente di Pio V ed esteso a tutta la Chiesa il nuovo schema che rappresentava un ulterior
tentativo di conciliare la tradizione con le esigenze pastorali del clero.

Struttura del salterio:

Il sistema tradizionale romano aveva suddiviso la maggioranza dei salmi tra mattutino (1-
108) e vespri (109-150) nell’arco di una settimana. Ad eccezione dell’Ora di Prima la
domenica, le altre prevedevano la ripetizione degli stessi salmi.

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Ora: il salterio è suddiviso in una settimana ma ben distribuito nelle varie ore canoniche, e
dunque con maggiore variabilità. Furono ridotti infatti i salmi di Mattutino (da 18 festivi e
12 feriali a 9, sia nelle feste che nelle ferie) e quelli di lodi e Vespri (5 salmi con 5 antifone).

Per le ore minori: 3 salmi con una sola antifona.

Furono abolite tutte quelle aggiunte che avevano appesantito il precendente breviario
romano.

Rimasero le preci delle due ore maggiori, le Lodi e Vespro, arrichite di invocazioni per il
Papa, i vescovi, e i benefattori.

Per la prima volta nella storia, per quanto riguarda l’oriente che l’occidente, nella preghiera
mattutina i salmi di lode 148-150 non furono recitati quotidianamente, ma un salmo di lode
era assegnato ad ogni giorno della settimana, cominciando dal sabato 148, 116, 134, 145,
146, 147, 150.

I salmi 50 e 62 furono abbandonati quali salmi fissi alle Lodi.

Per quanto riguarda queste ultime due scelte, si trattò di uno strappo netto con la tradizione
cristiana quasi universale.

La commissione incaricata per la riforma dell’Ufficio divino doveva far fronte a diverse
esigenze, tra le quali:

Ridurre e semplifica l’ufficio

Considerare la possibilità di creare un doppio ufficio: per uso corale e individuale.

Maggiore integrazione e armonía tra la celebrazione eucarística e l’ufficio divino stesso.

Tali esigenze divennero oggetto di studio della commissione centrale antepreparatoria del
concilio, convocata da Papa Ronalli, la quale propose uno schema che doveva essere inserito
nella costituzione litúrgica e con essa approvato. Lo schema, suddiviso in cinque capitoli,
conteneti dieci punti, prevedeva:

- il corso e il tempo delle ore


- il salterio
- le letture
- l’obbligatorietà dell’ufficio
- l’allargamento del tipo di persone deputate dalla Chiesa alla preghiera delle Ore.

Le idee inniziatrici riguardavano anche:

- La distribuzione della Sacra Scritura in un ciclo biennale


- La distribuzione delle letture patristiche in un ciclo triennale

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- L’omissione dei cosiddetti “salmi imprecatori”

In prossimità dell’apertura dei lavori conciliari, venne creata la commissione centrale


preparatoria del concilio (1960-’62).

Il lavoro preliminare passò alla discussione in aula agli esperti riuniti in una sezione speciale
denominata: coetus de generali structura officii divini (coetus IX).

6. LA LITURGIA HORARUM DI PAOLO VI



6.1. La Liturgia delle Ore al Concilio Vaticano II
6.1.1. I principi della Sacrosanctum concilium riguardanti la riforma
dell’Ufficio divino
Nel IV capitolo, suddiviso in 19 articoli (83-101), è sintetizzata tutta la riflessione delle
decisioni del concilio merito all’Ufficio divino.

Punti principali trattati dalla SC:

1. Le ore di preghiera si accordino il più possibile con l’ora del tempo (88)
2. Lodi e Vespri diventano le due ore cardine della giornata (89a)
3. Il matutino, fuori della celebrazione corale, non ha più riferimento ad un tempo determinato
della giornata (89c)
4. Abolizione dell’Ora Prima (89d)
5. Delle tre ore minori (T, S, N), se ne celebri una sola, a scelta e che corrisponda meglio al
momento della giornata (89)
6. Compieta sia veramente intesa come chiusura del giorno (89b)
7. La salmodia, di cui si auspica una nuova e radicale revisione, abbraccio uno spazio di tempo
che superi quello di una settimana (91)
8. Più abbondante presenza di letture bibliche (89a)
9. Revisione degli inni e inserimento di nuovi (93)
10. La distribuzione del salterio in quattro settimane (SC 91), è perciò l’abolizione del ciclo
settimanale, di modo da alleggerire l’ufficio stesso, rispondendo alle necessità dei presbiteri
impegnati nel servicio pastorale e redendo l’Ufficio divino più accessibile anche ai laici
11. La raccolta dell’intera Liturgia delle ore in quattro volumi, che seguono lo svilupparsi
dell’anno litúrgico, offre una più ampia richezza di testi biblici ed eucologici distribuiti in
relazione al tempo litúrgico che si sta celebrando (92a)

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12. Per quanto riguarda l’Ufficio delle letture, la prescritta lettura quotidiana delle opere deis anti
Padri e degli scritori ecclesiastici viene rinnovata in modo da proporre i migliori scritti degli
autori cristiani, rivedendo anche, soprattutto, le letture agiografiche nel rispetto della verità
storica (92b, c)
13. L’uso della lingua volgare contribuirà in maniera efficace all’accostamento del popolo di Dio
alla preghiera della Chiesa che, da preghiera privata del clero “recitata individualmente”,
diverrà le preghiere pubblica della Chiesa “celebrata comunitariamente”

Una volta approvato il testo da parte dell’assemblea, Paolo VI nel gennaio del 1964 istituì,
con il Motu proprio Sacram liturgiam, il consilium ad exequendam (a esecuzione)
Constitutionem de Sacra liturgia affinchè potesse essere attuato.

Motu proprio n. 6-9

Nel testo del Motu proprio viene oferta súbito la possibilità di:

1. Ommetere l’ora prima e scegliere una delle ore minori (6)


2. Gli istituti di perfezione pregano a nome della Chiesa anche quando pregano un “piccolo
ufficio approvato” (8)
3. Possibilità di utilizzare la lingua viva, a patto che le traduzioni siano approvate (9)

Sacram liturgiam n. 8:

Gli istituti di perfezione pregano a nome della Chiesa anche quando pregano un “piccolo
ufficio approvato”

Per quanto concerne ancora l’ufficio divino, dichiariamo che sono da considerarsi come
facenti parte della preghiera pubblica della Chiesa i menbri degli Istituti di perfezione che, in
forza delle loro costituzioni, recitano alcune parti del medesimo, oppure quelche “piccolo
ufficio”, purchè composto sullo schema dell’ufficio divino e regularmente approvato
(COMC. VAT. II cos. Dogm. Sulla Sacra Liturgia SC 98)

6.1.2. L’iter della riforma dell’Ufficio divino



Coetus de generali structura Officii divini (Coetus IX).
Il lavoro di reforma dell’ufficio fu affidato a 8 gruppi di estudio; il coetus IX, incaricato del
coordinamento e strutturale generale dell’ufficio, rappresentava il grupo direttivo di tutti gli
altri:
Relatore: A.G. Martimort

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Segretario: V. Raffa
Segretario aggiunto: I. Onativia
Membri (rappresentanti di tutti gli altri gruppi): P. Jounel, J. Pascher, E. Lengeling, M.
Pellegrino, U. Neri, F. Nikolash, J. Rotelle, G. Raciti, A. Amore, A. Lentini, P. Visentin, S.
Famoso, A. Dirks, J. Gribomont, A. Rose, I. Rogger.

Mons. Martimort indirizzò I lavori sui 4 punti:


a. Fedeltà alla tradizione e sensibilità nei confronti delle nuove esigenze del clero
b. I testi devono divenire per l’orante fonte di nutrimento spirituale
c. Anche i fideli debbono poter partecipare all’ufficio, ricavandone frutto spirituale
d. Le ore canoniche siano celebrate secondo i tempi del giorno

Alcuni punti fondamentali (prima fase: 1964-66):

Ci si muove su un orizzonte ancora clericale Juan Mateos prende le distanze


dall’orizzonte pre-conciliar vuole
L’orizzonte dell’ufficio per il popolo è riconocere la preghiera al popolo cristiano e
rappresentato dalla celebrazione dei Vespri distinguere tra ciò che è clericale popolare e
(domenicali) ciò che è monástico. La preghiera del clero
non debe essere considerata separatamente
Le lodi, contrariamente ai Vespri, non rispetto a quella del popolo, il clero prega
vengono considérate celebrazioni popolari con il popolo. Bisogna, perciò, togliere gli
in quanto “non pratticabili” dai fedeli, o per elementi “monastici” (ore minori) e inserire
questo non necessitano di alcun ciò che giova alla partecipazione del popolo
adattamento.
Per quanto riguarda i Vespri, si ragiona sulla Per quanto riguarda l’ufficio matutino,
necesità o meno di due uffici uno per il Mateos prende in esame i salmi che nella
popolo ed uno per il clero tradizione sono usati al mattino e i diversi
schema di preghiera mattutina susseguitesi
Martimor evidencia il rischio di porre una in Occidente e Oriente
separazione tra preghiera del clero e quella
del popolo che avrà ripercussioni in campo Per Mateos la forma típica non è la recita
ecclesiologico. privata ma la celebrazione comunitaria

Proposta di inserire letture lunghe a preci L’alternativa per Mateos non è tra ufficio
solo nella celebrazione solemne con il del clero e ufficio del poplo, ma tra ufficio
popolo popolare e ufficio monástico. Il clero
dovrebbe pregare solo lodi e vespri
(proposta non accettata)

Schemata n. 68, p. 3

Propositionem P. Mateos, de reductione offici cleri diocesani ad Laudes e Vesperas, sodales


non admiserunt, quia munus commissionis est constitutionem liturgicam – quae cursum
Horarum iam statuit- applicare, no mutare.

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SC 84

Il divino ufficio, secondo la tradizione cristiana, è strutturato in modo da santificare tutto il


corso del giorno e della note per mezzo della lode divina. Quando poi a celebrare
debitamente quel mirabile canto di lode sono i sacerdote o altri a ciò deputati per istituzione
della Chiesa, o anche i fedeli che pregano insieme col sacerdote secondo le forma approvate,
allora è veramente la voce della sposa che parla allo sposo, anzi è la preghiera che Cristo
unito al suo corpo eleva al Padre.

I relatori del Cosilium sono contrari ad un duplice schema dei Vespri (5 salmi per il clero e
3 per il popolo) e contrari ad eliminare gli elementi corali nella recita privata: vogliono
sottolineare la coralità dell’ufficio: la liturgia è azione comunitaria

Lentamente, insieme alla constante preoccupazione per l’edificazione spirituale dei


presbiteri, emerge un’apertura sempre maggiore al laicato.

Alcuni punti fondamentali (seconda fase: 1966-67)

Fase determinante per la reforma del Breviario assestiamo ad un vero e prorprio cambio di
mentalità

Anche le lodi diventano preghiera per il popolo e graduamente la preghiera dell’ufficio


diventa la preghiera della chesa, di tuti i fedeli

Il coetus IX su ritual a Genova dal 6 alle 8 settembre 1966, il risultato di tale incontro su la
nuova struttura dell’ufficio presentata alla VII adunanza generale (24 ottobre 1966)

Il coetus relatorum si mostra favorevole a 3 salmi sia per le lodi che per i Vespri (lodi: 2
salmi, cantico AT, vespri: 2 salmi, 1 cantico NT)

Il Coetus IX preparò il volumen contenente lo specimen dell’ufficio per una settimana


distribuito ai padri riuniti per l’ottava adunanza generale (10-19 aprile 1970), in modo che
potessero utilizzarlo durante la sessione. Al termine dello Specimen il Coetus IX pone alcune
questione ai padri.

Una questione riguarderà la recita del salterio in 4 settimane e un’altra lo spostamento


dell’inno all’inizio dell’ora di preghiera:

Etsi vitari debet rigida et un formus Horarum structura, melius tamen nobis visum est
transferit Hymnum ad initium Matutini et Vesperarum, sicut fit in offerio sectionis et in Horis
minoribus Hymnus enim est cantus magis popularis, a quo pulchrae incipiat celebratio cum
populo, immo Hymnus proprium sic fit in officia Ambrosiano. (schemata n. 215, p. 10)

Il lavoro fu presentato all’assemblea degli esperti nell’adunanza general del 10-19 aprile
1967.

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Ottenuta l’approvazione, l’impostazione della nuova proposta dell’ufficio divino fu


presentata al Sinodo dei vescovi del 1967 e votata il 26 ottobre.

Gli atti furono inviati al Papa che espose i suoi emendamenti.

Alcuni punti fonfamentali (terza fase: 1968-72)

Dopo ulteriori lavori di revisione, nel dicembre 1968 Paolo VI decise di inviare uno
Specimen di approvazione provvisoria all’episcopato mondiale il quale si mostra soddisfatto
del lavoro anche se con l’impressione di un ufficio troppo monástico, non adatto alla recita
privata.

I vescovi francesi, riuniti a Lourdes dal 2 al 9 novembre 1968, chiesero di poter utilizzare ad
experimentum i testi preparati dal consilium.

Il consilium, attraverso la Segretaria di Stato, fece pervenire il suo consenso.

Paolo VI approverà il nuovo Ufficio divino per l’intera Chiesa romana con la Costituzione
apostolica Laudis canticum del 1 novembre 1970, sebbene fu resa pubblica solo nel febbrario
del 1971.

6.1.3. La Constitutio apostolica Laudis canticum di Paolo VI

Il canto di lode, che suona eternamente nelle sedi celesti, e che Gesù Cristo Sommo Sacerdote
introdusse in questa terra di esilio, la Chiesa lo ha conservato con costanza e fedeltà nel corso
di tanti secoli e lo ha arricchito di una mirabile varietà di forme.

6.1.4. La Institutio generalis de Liturgia Horarum


Struttura e principi fondamentali dell’Institutio generalis de Liturgia Horarum:

- Fu pubblicata il 2 febbraio 1971


- Viene inserita come introduzione all’Ufficio Divino nel primo tomo della Liturgia delle Ore
- Più che un insieme di norme e rubriche, si tratta di un prezioso trattato teológico-liturgico
- Si tenta di trasmettere una nuova pedagogía, un nuovo spirito, destinato a promuovere un
cambiamento di mentalità ed un approfondimento spirituale che aiuti coloro che pregano ad
acquisire una chiara coscienza della dimensione ecclesiale della Liturgia delle Ore, e farlo
con intelligenza e pietà, di modo da ottenere copiosi frutti
- 284 articoli distribuiti in cinque capitoli

Struttura:

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a. Capitolo 1º: dedicato a far risaltare l’ “importanza della liturgia delle Ore o Ufficio Divino
nella vita della Chiesa” (nn. 1-33)
b. Capitolo II: “la santificazione del giorno ossia le varie ore liturgiche” (nn. 34-99)
c. Capitolo III: “i diversi elementi della Liturgia delle ore” (nn. 100-203)
d. Capitolo IV: “le varie celebrazioni nel corso dell’anno” (nn. 204-252)
e. Capitolo V: “riti da osservare nella celebrazione in comune” (nn. 253-284)

Principi teologici fondamentali:

Li rintracciamo soprattutto nel cap. 1 cosí strutturato:

1. La preghiera di Cristo (2 paragrafi, nn. 3-4)


2. La preghiera della Chiesa (5 paragrafi, nn. 5-9)
3. Consacrazione del tempo (10 paragrafi, nn. 10-19)
4. Coloro che celebrano la liturgia delle Ore (14 paragrafi, nn. 20-33)

1- La preghiera di Cristo:

“Cristo prega il Padre”: con questo titolo iniziano i nn. 3-4 della IGLH. Incominciamo perciò
da quello che potremmo definiré il “culto di Cristo”: si tratta di quel rapporto o dialogo di
amore che intercorre, fin dall’eternità, tra il Padre e il Figlio, e che noi possiamo appana
percepire

Il modelo della preghiera cristiana risiede nel dinamismo della lode intratrinitaria. Per la
Chiesa la preghiera è vivere in unione con il Padre, per mezzo del Figlio nello Spirito Santo.

“Venendo per render gli uomini partecipi della vita di Dio, il verbo, che procede dal Padre
come splendore della sua gloria, “il Sommo Sacerdote della nuova ed eterna alleanza, Cristo
Gesù, prendendo la natura umana, introdusse in questa terra de’esilio quell’inno che viene
cantato da tutta l’eternità nelle sedi celesti”. Da allora, nel cuore di Cristo, la lode di Dio
risuona con parole umane di adorazione, propiziazione e intercessione. Tutte queste
preghiere, il Capo della nuova umanità e Mediatore tra Dio e gli uomini, le presenta al Padre
a nome e per il bene di tutti”. (IGLH 3)

FONDAMENTO TEOLOGICO DELLA LITURGIA DELLE ORE:

INCARNAZIONE DIMENSIONE Esercizio della funzione


Come perno attorno a cui TRINITARIA sacerdotale di Cristo
ruota la preghiera della Della preghiera
Chiesa. Intercessione pro totius
La L. O. Fa in modo che mundi salute
- Humanam naturam l’umanità partecipi al
- Secum consociat dialogo tra il Cristo, il Padre
e lo Spirito

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2- La preghiera della Chiesa (IGLH 5-9)

Nella II parte, si mostra come la Chiesa fa sua l’orazione di Cristo al Padre, unendosi al suo
Sposo e condividendo il suo sacerdizio per mezzo del battesimo, mediante l’azione efficace
dello Spirito Santo.

Per inserirsi in questo nuovo culto di Cristo al Padre, occorre far corpo con Cristo stesso:
bisogna, in una parola, diventare corpo di Cristo. E noi diventiamo tali proprio attraverso il
battesimo.

Risalta, perciò, il carattere ecclesiale del’orazione e la sua dignità radicata in Cristo.

Infatti “un vincolo speciale e strettissimo intercorre tra Cristo e quegli uomini che egli per
mezzo del sacramento della rigenerazione unisce a sè come menbra del suo Corpo, che è la
Chiesa. […] Anche il sacerdozio di Cristo è condiviso da tutto il Corpo della Chiesa, così che
i battezzati mediante la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo vengono consacrati in
edificio spirituale e sacerdozio santo e sono abilitati a esercitare il culto del Nuovo
Testamento, culto che non deriva dalle nostre forze, ma dal merito e dal dono di Cristo”
(IGLH 7)

La preghiera pubblica e comune del popolo di Dio è giustamente ritenuta tra i principali
compiti della Chiesa

Publica et communis oratio populi Dei inter munera Ecclesiae primaria merito habetur.

Ha la sua fonte sull’esempio e mandato di Cristo (nn. 4-5), e nella testimonianza dei cristiani
della Chiesa primitiva.

Se perciò già existe un intimo legame, un’intima necessitudo tra la preghiera di Cristo e
l’umanità in genere, ben più stretto e profondo sarà il legame tra Cristo e tutti i battezzati,
tanto che la IGLH 7si esprime con le parole specialis et arctissima necessitudo. Attraverso il
battesimmo noi veniamo a far parte, in realtà e in pienezza, di questo tempio che è il corpo
di Cristo, nel quale si svolge e dal quale si innalza il vero ed único culto gradito al Padre.

In questo modo l’espressione “publica et communis oratio populi Dei” vuole sottolineare che
la Liturgia delle Ore è la preghiera fatta in nome della Chiesa, di tutta la Chiesa, della Chiesa
come tale, la preghiera che la Chiesa reconoce sua ad un titolo del tutto speciale, che non
compete ad altre preghiere pur fatte nella Chiesa.

3. Consacrazione del tempo (IGLH 10-19)

La III parte comincia segnalando il fine proprio della Liturgia delle Ore, ossia santificare il
corso intero del giorno e della notte e di tutto lo sforzo umano (IGLH 10-11), servendo da
complemento ideale alla celebrazione eucarística, come preparazione e prolungamento della
stessa (IGLH 12).

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Santificazione del tempo e la veritas horarum…

Tra le altre azioni liturgiche, ha come sua caratteristica per antica tradizione cristiana di
santificare tutto il corso del giorno e della notte. (IGLH 10; SC 94)

Cuius inter alias litúrgicas actiones id ex antiqua traditione christiana proprium est, ut totus
per eam cursus diei ac noctis consecretur.

Non si tratta di una sacralizzazione del tempo, che sottragga certi tempi alle attività profane,
ma di un’immersine del tempo, Kronos, e della attività nel tempo qualificato che è Cristo,
overo nel Kairos, tempo salvífico.

Cf. N. 13: Cristo compie l’opera della redenzione non soltanto quando si celebra l’Eucaristia,
ma anche, a differenza di altri modi, quando si celebra la LdO.

La LdO prosegue quest’opera di riconduzione di ogni realtà umana/temporale a Cristo nel


ritmo stesso delle ore del giorno! Ciò si vede soprattutto nelle domeniche.

Nelle varie ore del giorno Cristo si fa presente nella preghiera e consacrata ogni attività
dell’uomo. L’uomo e la donna sono degli esseri storici che vivono nel tempo; la preghiera
perciò si inserisce nella storicità dell’uomo ma, allo stesso tempo, inserisce l’uomo
nell’eternità di Dio.

Lo scopo ultimo della Liturgia delle Ore, a questo punto, non è il tempo in quanto tale, non
sono le attività umane in se stesse, ma, attraverso il tempo e le attività, l’uomo stesso,
santificato e capace di santificare, cioè consacrare, mettere in rapporto ogni cosa con il Santo,
il soprannaturale, l’eterno attraverso la preghiera.

Come nel rito battesimale non è l’acqua che viene santificata, ma l’uomo, così non è il tempo
in sè che viene santificato, ma l’uomo che, nel segno del divenire vario del tempo e per
memoria dell’evento pasquale che in esso viene compiuta, è reso partecipe del mistero di
Cristo.

Per si continuo collegarsi durante la giornata alla storia della salvezza le varie ore e tutto il
tempo diventano momento in cui l’uomo entra nel suo oggi in questa storia e, partecipandovi,
viene santificato.

Ex Patre Þ per filium et in Spiritu Þ in Ecclesia

In Ecclesia Þ per Filium et in Spiritu Þ ad Patrem

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6.2. Elementi costitutivi della celebrazione della Liturgia delle
ore: inni, salmi, antifone, titoli salmici, sentenze cristologiche,
orazioni salmiche, responsori, preci, Padre Nostro, orazione, letture
bibliche, letture ecclesiastiche, cantici dell’Antico e del Nuovo
Testamento, silenzio

QUALI I CRITERI PER LA DISTRIBUZIONE DEI SALMI NELLA NUOVA LH?

1. Osservanza delle ore nei singoli giorni


2. Della domenica
3. Del venerdì
4. Della settimana
5. Dei tempi liturgici
6. Del triduo pasquale e delle solennità

- Alle lodi mattutine, ai vespri e a compieta sono stati attribuiti dei salmi adatti alla rispettiva
Ora.

“per le Lodi mattutine e per i Vespri, Ore particularmente destinate alla celebrazione con il
popolo, sono stati scelti salmi più adatti a questo scopo”

- Compieta:

“Sono stati scelti salmi adatti a ravvivare specialmente la fiducia in Dio. È però consentito
con i salmi della domenica. Così saranno agevolati coloro che volessero recitare Compieta a
memoria”

- Ora media: viene proposta una duplice salmodia, una ordinari e l’altra complementare

- Salmi “imprecatori” 57, 82, e 108, i famosi sono stati esclusi da tutto il salterio e anche
dall’Ufficio

- I tre lunghi salmi storici (77, 104 e 105) sono stati esclusi dal salterio del tempo “per
annum” ed inseriti nell’ufficio delle letture dei tempi speciali, ossia Avvento, tempo di
Natale, quaresima e tempo di Pasqua.

- Per la domenica: sono stati scelti quei salmi che, secondo la tradizione, sono maggiormente
indicati per esprimere il mistero pasquale:

1. Il sal 109 con il quale si inizia la salmodia dei II vespri in tutte e quattro le settimane.
2. Il sal 117 che ritroviamo ora a Lodi ora nell’ora media.

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3. Sia il sal 22 che il 75, interpretati rispettivamente come preghiera di iniziazione o come salmo
pasquale, sono ripetuti due volte.
4. Ai II vespri, dopo il sal 109, sono stati scelti i sal 110, 111, 113 A e 113 B, i quali costituivano
la salmida domenicale già nel Breviario romano.
5. Il Sal 112 è stato collocato nei I vespri della domenica.

- “Al venerdì sono stati assegnati alcuni salmi penitenziali o della Passione” (IGLH 129)

La salmodia delle lodi di questo giorno inizia sempre con il sal 50, il salmo penitenziale per
eccellenza che illustra l’itinerario della vera conversione. Tra i salmi utilizzati in questo
giorno ricordiamo il sal 21 (preghiera di Gesù in croce) e i sal 34, 37 e 68.

TITOLI E SENTENZE

“Nel salterio della Liturgia delle Ore, ad ogni salmo è premesso un titolo sul suo significato
e la sua importanza per la vita umana del credente. Questi titoli, nel libro della Liturgia delle
Ore, sono proposti únicamente a utilità di coloro che recitano i salmi”.

“Si sa, infatti, che ogni salmo fu composto in circostanze particolari, alle quali intendono
riferirsi i titoli premessi a ciascuno di essi nel salterio ebraico. Ma in verità qualunque sia la
sua origine storica, ogni salmo ha un proprio significato, che anche ai nostri tempi non
possiamo trascurare. Sebbene quei carmi siano stati composti molti secoli fa presso popoli
orientali, essi esprimono assai bene i dolori e la speranza, la miseria e la fiducia degli uomini
di ogni tempo e regione, e cantano specialmente la fede in Dio, la rivelazione e la redenzione.
(IGLH 107)

“Per alimentare la preghiera alla luce della rivelazione nuova, si aggiunge una sentenza del
NT o dei Padri che invita a pregare in senso cristológico” (IGLH 111)

“Chi recita i salmi a nome della Chiesa, debe badare al senso pieno dei salmi, specialmente
al senso messianico, per il quale la Chiesa ha adottato il salterio […] seguendo questa via, i
santi Padri accolsero e spiegarono tutto il salterio come prefezia di Cristo e sulla Chiesa; e
con lo stesso criterio i salmi sono stati scelti nella sacra liturgia […] Sebbene talvolta si
proponenssero alcune interpretazioni alquanto complicate, tuttavia generalemente sia i Padri
che la liturgia con ragione vedevano nei salmi Cristo che si rivolge al Padre, o il Padre che
parla al Figlio; anzi riconoscevano la voce della Chiesa, degli apostoli e dei martiri”

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6.3. Il linguaggio non verbale nella Liturgia delle Ore
Per affrontare il tema del linguaggio non verbale nella LO, darei súbito “la parola” “alla
parola”. Si noti, infatti, come i termini utilizzati lungo la storia per riferirsi alla preghiera
della Chiesa, siano tutt’ora pressochè sbilanciati nei confronti del linguaggio verbale.

Ciò è ancor più evidente quando siprendono in considerazione solo alcuni degli elementi che
qualificano la preghiera della Chiesa: si parla innanzitutto di salterio, salmi, letture brevi,
letture agiografiche, antifone, sentenze cristologiche, inni… dove tutto rimanda al verbale.

Nella stessa IGLH i richiami ad esso sono quasi assenti. Inoltre, nei rari casi cui appare un
riferimento esplicito a elementi non verbali, come la processione dei vespri battesimali, non
appare alcun suggerimento celebrativo o comunque applicativo (IGLH 213).

Da questa semplice indagine si evince come l’attenzione nella celebrazione e nella reforma
litúrgica stessa della LdO si sia ffocalizzata, quasi exclusivamente, sull’elemento verbale, a
tal punto che sembrerebbe quasi fuori luogo parlare di linguaggio non verbale o, in senso più
generale, di “celebrazione” in riferimento alla LdO. Assistiamo, potremmo dire, ad una sorta
di “sclerosi” dei Segni e della gestualità nella nostra LH.

Si pensi a cosa sarebbe la nostra preghiera oraria senza il corpo; senza il tempo e il creato
che, pur non avendo voce, “danno voce” alle nostre parole, alle nostre orazioni, ai salmi; a
cosa sarebbero le Lodi senza il sole che sorge o i Vespri senza che il sole cali, partecipando
così non solo alla significazione, ma anche alla celebrazione del Mistero Pasquale e alla
realizzazioe di quella salvezza operata da Cristo anche attraverso la preghiera oraria.

Con la perdita del linguaggio non verbale lungo la storia della liturgia, si “assisterà” ad una
preghiera dove la voce resulta “staccata” dal corpo, la Parola dal gesto, il sacrificium Laudis
dal sacrificium Ecclesiae, inteso come l’offerta dell’orazione dell’intera comunità a Dio,


9
MURONI P.A., «“Lodatelo con tamburelli e danze” (Sal 150,4). Il linguaggio non verbale
nella Liturgia delle Ore», in Carmina laudis. Risposta nel tempo all’eterno. La Liturgia delle
Ore tra storia, teologia e celebrazione. Atti del X Congresso Internazionale di Liturgia.
Roma, Pontificio Istituto Liturgico, 6-8 maggio 2015 (Ecclesia orans. Ricerche 1), edd. E.
López-Tello García-S. Parenti-M. Tymister, Aracne, Roma 2016, 233-285.

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attraverso la propia vita, la propria esistenza e corporalità.

Perciò diciamo:

a. È necessaria una ri-comprensione, innanzitutto cristológica, della liturgia delle Ore, quale
preghiera di Cristo che unisce a sé la Chiesa nella sua azione di intercessione. Inoltre, essendo
i salmi Parola di Dio che parla di Cristo e della Chiesa, secondo l’interpretazione patrística,
la Liturgia delle Ore nella sua celebrazione gestuale diventa imitatio psalmorum.
b. Abbiamo compreso come la LdO, anche nel suo linguaggio non verbale, abbia a che fare con
la sacramentalità della Chiesa. Abbiamo visto, infatti, come ciascun elemento di tale
linguaggio “dica” il Mistero pasquale di Cristo.
c. Il non verbale, nella liturgia delle Ore, asume tutta la sua funzione mistagigica di iniziazione
al depositum fidei Ecclesiae: a partire dal creato per continuare con i gesti e atteggiamenti
propri dell’atto litúrgico del pregare.
d. Facciamo rifermiento all’invito ut mens concordet voci, raccomendato da Sacrosanctum
concilium II e ripreso dall’IGLH. Il linguaggio verbale, infattim, non può idstaccarsi da
quello non verbale; siamo, difatti, di fronte ad un elemento non vergale (MENS) e un
elemento verbale (VOX), che hanno qualcosa di quasi sacramentale.
e. Occorre riscoprire l’aspetto “celebrativo” della LdO: è celebrazione, e in quanto tale prevede
una sua ritualità e “celebrità”.
f. La LdO è preghiera incarnata in un corpo ecclesiale, ossia la Chiesa locale, che è l’ “origine”
della preghiera della Chiesa, non la semplice “destinataria”.
g. Occorre studiare nuove forme celebrative che, attingendo dalla Tradizione, ma lasciandosi
ispiriare anche dai tempi nuovi e da una sana creatività, facciano emmergere dall’
“immobilismo” per lasciare spazio ad una partecipazione attiva che coinvolga tutto l’uomo
nelle sue diverse espressioni e nella sua, perchè no, emotività.
h. Nelle nostre comunità si sente l’urgenza, perciò, di un libro litúrgico nuovo, che proponga e
“disponga” alla “celebrazione” della LdO, che è tale se prevede il coinvolgimento quasi
sacramentale di Parola e gsto insiem, piuttosto che la recita o la lettura della Parola
i. Un’ulteriore proposta sarebbe quella di valorizzare la Veglia, che possiamo identificare come
una delle ore più antiche di preghiera sorte nella comunità cristiana a raccomendata anche
oggi dai principi e normi per la LdO.
j. Nell’era della cyberteologia e della “geolocalizzazione”, ci si chiede se l’utilizzo dei mezzi
informatici per la “recita” della “liturgia” delle Ore non enfatizzi ancor di più il verbale a
discapito del non verbale, estromenttendo del tutto la gestualità e il corpo, nella sua interezza,
dalla preghiera della Chiesa; il privato a discapito di ciò che è comunitario per eccellenza,

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ossia la liturgia, rischiando di mettere in crisi l’aspetto celebrativo della liturgia delle ore.

In conclusione, la rescoperta del movimento, del linguaggio simbolico e del corpo


nell’ufficio divino, educherebbe ancor di più il popolo di Dio ad una preghiera che va oltre
il verbale e, nell’agire stesso, traccia in maniera importante il suo forte rapprto con la vita,
l’azione, la prossimità, la carità, spronando i fedeli stessi al passaggio obbligato da una
Chiesa che prega e che celebra, ad una Chiesa che vive della preghiera e che trasfigura nelle
scelte di ogni giorno.

6.4. La Liturgia Horarum monastico-benedettina riformata10


La considerazione dell’evoluzione della reforma della LdO ci permette di situare lo schema
slamico di Füglister nel suo contesto, al fine di percepire così la sua radicale novità. Nella
storia dell’opus Dei Benedettino del XX secolo possiamo costatare l’esistenza di tre tappe:

a. Un primo momento di unità litúrgica fino agli anni 60.


b. Un secondo momento di pluralità creativa che culmina con la pubblicazione dell’ufficio
divino quadruplo del Tesaurus Luturgiae Horarum monasticae, anch’eso molteplice ed aperto
alla diversità
c. Un terzo ed ultimo momento che vogliamo denominare di “codificazione crativa dinámica”.

6.4.1. Il Directorium de Opere Dei persolvendo


La strada percorsa per arrivare alla forma attuale della LdO è assai lunga. Essa non ha avuto
inizio che è stato intrapreso dopo di esso, in particolare sia attraverso la convocazione del
CVII – SC si con la pubblicazione delle diverse edizioni della LdO, incluse quelle apparse
all’interno della Confederazione B.

In questo contesto, ha visto la luce lo schema di P. Füglister, una forma di distribuzione dei
salmi del tutto innovativa e diversa da quanto era stato fatto fino a que momento. A differenza
degli schemi anteriri, che cercavano únicamente di alleggerire il pensum benedittino a causa
delle sempre più pesanti esigenze della vita comunitaria, questa nuova distrubuzione si basa


10
LÓPEZ-TELLO GARCÍA E., «Il memoriale pasquale come principio strutturante della
distribuzione dei salmi nell’ufficio divino. Il contributo di Notker Füglister OSB», Ecclesia
orans 31 (2014) 111-169.

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su criteri chiari e limiti precisi ed inoltre è coerente con il movimento bíblico e quello
litúrgico sviluppatisi lungo il XX secolo.

Il nuovo schema non è stato pensato come una riduzione della preghiera a cuasa delle
esigenze pastorali o comunitarie. Si tratta, invece, del bisogno urgente degli stessi monaci
venuti a conoscenza della possibilità di fare dei salmi il centro della spiritualità e della
preghiera monástica.

La principale caratteristica veramene innovativa di questo schema è il suo fondamento


bíblico, in cui il genere letterario di ogni salmo, insieme al suo contenuto storico-salvifico,
determinano il momento litúrgico adeguato nel quale pregare ciascuno dei salmi.

6.4.2. Il Thesaurus Liturgiae horarum monasticae


Questa non è stata lùnica distribuzione proposta dopo il concilio V II. Oltre quella già
esistente nella RB, parallelamente allo Schema “B”, se ne sono sviluppate altre due delle
sono state accolte nell 1977 nel Thesaurus rispettivamente con il nome “C” e “D”.

In questo modo, l’ufficio dei Benedettini una volta riformato, non è più un único ufficio, ma
una liturgia delle ore varia, multiforme, con numerose posibilità di scelta di adattamento.

Infatti, i quattro schemi non fanno altro che creare una larga cornice entro la quale tenere una
celebrazione propriamente monástica della LdO. Questi permettono di percepire la ricchezza
varia del Thesaurus:

1. Lo schema A conserva i salmi distribuiti in una settimana, senza l’ora Prima


2. Lo schema B dispone i salmi in una settimana, senza ripeterli, grazie ad una elaborazione
attraverso criteri biblici (N. Füglister, Ateneo di Sant’Anselmo)
3. Lo schema C divide il salterio in due settimane con criteri letterari biblici e criteri litúrgico
musicali.
4. Lo schema D è diviso anch’esso in due settimane, ma si basa su un criterio maggiormente
teológico-liturgico. In esso si ripetono i salmi che litúrgicamente hanno un maggior rilievo.

Oltre a queste quattro possibilità monastiche, il Thesaurus ha concesso, anche in casi


particolari, la già accennata facoltà di usare la Liturgia Romana delle ore in coro purchè
sempre sottoposta a certe condizionei in gradi di arricchirla dal punto di vista litúrgico e
celebrativo, come l’uso delle Vigilie in due settimane anzichè quattro oppure il canto
integrale delle lodi e dei Vespri. Inoltre, non possiamo dimenticare che, dal punto di vista

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teológico, una parte essenziale del Thesaurus è costituita dal Directorium de Opere Dei
persolvendo, vero e prorpiro trattato di teología litúrgica benedettina.

7. CONCLUSIONI: LITURGIA DELLE ORE IN PROSPETTIVA


TEOLOGICA11
La liturgia de las Horas es un momento Kerigmatico. En él se narra la redención como
anuncio y se actualiza como creación doxológica de una nueva realidad. De ese modo es
posible hablar de un verdadero y propio canto de alabanza que sea considerado en última
instancia como canto de alabanza que sea considerado en ultima instancia como canto
sacramental. Esto es posible porque la LdH se realiza un memorial de la redención en el que
están presentes Dios y el hombre.

7.1. Dimensione cristologica dell’Opus Dei


Únicamente una liturgia de las Horas que tenga como fundamento la proclamación de la obra
de la salvación, el canto de glorificación como narración de la redención y la dozología como
momento de una nueva creación, puede ser considerada sacramental en sentido propio. Todo
ello gracias a que la Palabra reinterpreta la luz como signo memorial visible de Cristo
resucitado. La palabra, por su parte, confiere una cualidad sacramental a la liturgia de las
Horas, que la configura como momento de crecimiento en la santidad y en la justificación,
como confesión de fe que implica una confesión del pecado y culmina en una confesión de
alaanza por la redención obtenida.

7.2. Dimensione ecclesiale dell’Opus Ecclesiae


7.3. Dimensione spirituale del Locus Dei
En la oración que se realiza en el tiempo, el creyente, la Iglesia, es tranferido en un ámbito
de sobreabundancia de la gracia, fruto del memorial del misterio. La LdH es signo visible de
Crito que redime al hombre, es comunión con cada uno de los hombres y es glorificación de
Dios por la redención. En nuestra cualidad de redimidos podemos celebrar no sòlo un càntico
de alabanza, sino también un opus glorificationis de Dios en nosotros y de nosotros en Dios.


11
LÓPEZ-TELLO GARCÍA E., «El misterio de la redención en la Liturgia de las Horas:
proclamación, relato, actualización», in Carmina laudis. Risposta nel tempo all’eterno. La
Liturgia delle Ore tra storia, teologia e celebrazione. Atti del X Congresso Internazionale di
Liturgia. Roma, Pontificio Istituto Liturgico, 6-8 maggio 2015 (Ecclesia orans. Ricerche 1),
edd. E. López-Tello García-S. Parenti-M. Tymister, Aracne, Roma 2016, 137-160.


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