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Ecclesia orans 30 (2013) 313-334

La partecipazione attiva alla liturgia.


Dalla Mediator Dei alla Sacrosanctum concilium
Enrico Mazza

Premessa
Il Concilio Vaticano I (dicembre 1869 – luglio 1870) terminò im-
provvisamente a causa degli eventi bellici dell’unità d’Italia che por-
tarono il re Vittorio Emanuele II alla conquista di Roma. A rigore,
questo concilio non fu mai chiuso in modo ufficiale, e quindi ogni suc-
cessivo concilio poteva essere inteso come continuazione e conclusione
del Vaticano I. Anche per questo motivo i papi che vennero dopo Pio
IX si posero il problema se tenere un concilio oppure no. In particolare
se lo posero Pio XI e Pio XII; ma, mentre il primo non andò oltre l’ipo-
tesi del concilio, Pio XII operò attivamente e costituì una commissione
che in modo riservato preparasse il futuro concilio1. Tuttavia il concilio

Enrico Mazza, già docente di Liturgia nella Facoltà di Lettere dell’Università Cat-
tolica (Milano); nello Studio teologico di Reggio Emilia; e nell’Istituto liturgico del
Pontificio ateneo S. Anselmo.
1
  «Malgrado ci manchi ancora la documentazione originale, possiamo avanzare
l’ipotesi che i diversi successori di Pio IX abbiano pensato ad una possibile ripresa del
Concilio Vaticano. Tenui sotto Pio X e Benedetto XV, gli indizi di tale volontà sono
particolarmente netti sotto Pio XI e Pio XII, al punto da innescare un processo di ri-
lancio che, in entrambi i casi, andrà assai lontano. Il tentativo di papa Ratti comincia
nel 1922 con la costituzione di una piccola commissione di teologi incaricati di fare
un bilancio del concilio di Pio IX. Ma non può limitarsi a questo: il codice di diritto
canonico del 1917 ha messo fine a un grande numero di questioni che vi dovevano
essere dibattute; d’altra parte, l’evoluzione della Chiesa in mezzo secolo ne ha fatte
sorgere altre che sarebbe difficile ignorare, a cominciare da quella del modernismo,
dottrinale o sociale. Questa inevitabile estensione del programma moltiplica le diver-
genze tra coloro che vorrebbero un rinforzo delle condanne precedenti e coloro che,
come il card. Ehrle, auspicano un allentamento della morsa antimodernista. Inoltre,
è o non è opportuno anticipare un concilio sulla possibile risoluzione della questione
romana? In una proporzione che resta difficile precisare, questi due fattori hanno con-
corso all’interruzione della preparazione nel 1924, malgrado la risposta favorevole di
una larga maggioranza dell’episcopato consultato l’anno precedente», E. Fouilloux,
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non poté essere celebrato a causa dello scoppio della seconda guerra
mondiale; al termine di questa la cosa divenne comunque impossibile
a causa delle profonde difficoltà post belliche e del nuovo clima che si
era creato nel mondo, con la guerra fredda, in cui la Chiesa cattolica
era profondamente coinvolta. Il lavoro della commissione non andò
perduto dato che il materiale venne elaborato per costituire, successi-
vamente, l’intelaiatura delle grandi encicliche del magistero teologico
di Pio XII2.
Non solo nel 1943 l’enciclica Mystici corporis Christi3, sulla natura
della Chiesa come corpo mistico di Cristo, e nel 1950 l’enciclica Hu-
mani generis4, sui pericoli e sugli errori teologici che cominciavano a
circolare nella Chiesa, ma anche l’enciclica Mediator Dei et hominum
sulla liturgia (20 novembre 1947)5 che arrivava a coronamento del lun-
go cammino del movimento liturgico.

«La fase ante-preparatoria (1959-1960). Il lento avvio dell’uscita dall’inerzia», in Sto-


ria del concilio Vaticano II, Volume 1: Il cattolicesimo verso una nuova stagione. L’an-
nuncio e la preparazione, gennaio 1959-settembre 1962, ed. G. Alberigo, Peeters – Il
Mulino, Leuven – Bologna 1995, 79.
2
  «Mentre Pio XI aveva affidato il compito a una commissione ridotta, Pio XII
mette la preparazione nelle mani del s. Uffizio nella persona del suo assessore, mons.
Ottaviani, e di teologi che lavorano per lui. La preparazione va avanti rapidamente in
un senso restrittivo che non accontenta tutti, a cominciare dal segretario della com-
missione centrale, il gesuita belga Pierre Charles. Queste divergenze sull’orientamento
del futuro concilio unite alle difficoltà materiali e all’austerità del momento, mentre
il Papa invecchia, fanno affondare un progetto che escludeva ogni consultazione epi-
scopale. Si dice, ma senza vere e proprie prove, che i materiali così elaborati sono
stati utilizzati per la redazione di ulteriori encicliche, particolarmente Humani generis
del 12 agosto 1950. Se è stato così, l’impostazione restrittiva del testo basterebbe a
indicare il significato del concilio previsto», Fouilloux, «La fase ante-preparatoria
(1959-1960)», 80.
3
  Pius XII, «Litterae encyclicae Mystici corporis Christi (29 iunii 1943)», AAS 35
(1943) 193-248.
4
  Pius XII, «Litterae encyclicae Humani generis (12 augusti 1950)», AAS 42
(1950) 561-578.
5
  Pius XII, «Litterae encyclicae Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947)»,
AAS 39 (1947) 521-595.
La partecipazione attiva alla liturgia 315

1 L’enciclica Mediator Dei et hominum


Questo documento è come il sigillo di approvazione del movimento
liturgico che vede riconosciuta l’importanza del proprio lavoro e vede
finalmente accettati alcune proposte o, meglio, alcuni principi sulla na-
tura della liturgia e sulla partecipazione attiva. Il documento è squisi-
tamente teologico con qualche apertura sul piano pratico accettando
che si possano fare alcune riforme, con il permesso previo della Santa
Sede; il documento ha già, da un lato, alcune caratteristiche che saran-
no tipiche della successiva teologia liturgica e, dall’altro lato, recepisce
pienamente le concezioni e il metodo della teologia neo-scolastica sulla
liturgia come culto pubblico, e sulla natura del “sacrificio” e delle sue
finalità.
Come punto di partenza di tutta la sua argomentazione, l’enciclica
pone il sacerdozio della persona di Cristo, per cui tutta l’opera della
redenzione operata da Cristo è concepita come un’azione sacerdotale6.
Questa affermazione della prima frase dell’enciclica, viene fondata sulla
Lettera agli Ebrei 4,14:
Mediator Dei et hominum (1 Tim 2, 5), pontifex magnus qui penetra-
vit caelos, Iesus filius Dei, (cfr. Hebr. 4, 14), cum illud misericordiae opus
suscepit, quo humanum genus supernis cumulavit beneficiis, eo procul du-
bio spectavit, ut ordinis rationem, inter hominem eiusque Creatorem iam
peccato perturbatam, redintegraret utque miseram Adae subolem, heredi-
taria labe infectam, ad caelestem Patrem, primum omnium principium
supremumque finem, reduceret7.

Poiché l’opera di Cristo è tutta un atto sacerdotale, e poiché nel


mondo la Chiesa continua l’opera di Cristo, ecco la necessità che

6
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 526: Siquidem,
vixdum divinum “Verbum caro factum est” (Io. 1, 14), sacerdotali munere ditatum se
mundo manifestat, Aeterno Patri seipsum subiciens, quod quidem per totius suae vitae
cursum intermittit numquam: “Ingrediens mundum dicit: … Ecce venio… ut faciam,
Deus, voluntatem tuam …” (Hebr. 10, 5-7) et in cruento Crucis sacrificio mirandum in
modum perfecit.
7
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 521.
316 Enrico Mazza

nella Chiesa ci sia il sacerdozio8, che è quello della gerarchia ecclesia-


stica9. Ne segue che l’opera della Chiesa è continuazione dell’opera di
Cristo proprio perché la Chiesa è condotta dai sacerdoti10, a cominciare
dalle azioni liturgiche: Ecclesia igitur, accepto a Conditore suo mandato
fideliter obtemperans, sacerdotale Iesu Christi munus imprimis per sacram
Liturgiam pergit11. Da qui un’altra conclusione: la liturgia è un’azione
del sacerdote ed è azione del popolo riunito solo perché il sacerdote è il
suo rappresentante: Illud tamen in memoriam revocandum esse ducimus,
sacerdotem nempe idcirco tantum populi vices agere12.
Qui si pone la domanda su che cosa sia la partecipazione attiva dei
fedeli: essa consiste precisamente in questo, nell’unirsi al sacerdote che
compie l’azione liturgica13. Ma è lui che compie l’azione, non il popolo
che si limita ad associarsi a ciò che il sacerdote compie.
8
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 522: Voluit autem
Divinus Redemptor ut quam in mortali corpore supplicationibus suis suoque sacrificio
inierat sacerdotalem vitam, eadem per saeculorum decursum non intermitteretur in Cor-
pore suo mystico, quod est Ecclesia; atque adeo perspicibile sacerdotium instituit ad offe-
rendam in omni loco oblationem mundam (cf. Mal. I,11), ut homines sive in Orientis,
sive in Occidentis regionibus a peccato liberati, ex suo conscientiae officio, ultro libenterque
Deo servirent.
9
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 538-539: Quamo-
brem adspectabile et externum Iesu Christi sacerdotium non universali, vel generali ac
communi ratione in Ecclesia traditur, sed delectis hominibus impertitur per spiritualem
quamdam illius Ordinis generationem, qui unum ex septem Sacramentis est, quique non
modo gratiam confert peculiari huic vitae condicioni ac muneri propriam, sed indelebi-
lem etiam “characterem”, qui sacrorum administros Iesu Christo sacerdoti conformatos,
eosdemque aptos exhibet ad legitimos illos religionis actus eliciendos, quibus et homines
sanctitudine imbuuntur et debita Deo tribuitur gloria, secundum normas ac praescripta
divinitus data.
10
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 538: Divinus siqui-
dem Redemptor Regnum suum sacro constare ordine voluit, ac stabili veluti fundamento
inniti; qui quidem ordo caelestis Hierarchiae imaginem quodammodo refert.
11
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 522.
12
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 553.
13
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 560: Laudibus igitur
ii digni sunt, qui eo consilio ducti, ut christiana plebs Eucharisticum Sacrificium facilius
salubriusque participet, “Missale Romanum” apte in populi manibus ponere conantur, ita
quidem ut christifideles, una cum sacerdote copulati, iisdem eius verbis iisdemque Ecclesiae
sensibus comprecentur; itemque ii laudibus exornandi sunt, qui efficere contendunt, ut Li-
turgia externo etiam modo actio sacra fiat, quam reapse adstantes omnes communicent. Id
La partecipazione attiva alla liturgia 317

Questo modo di concepire la liturgia è motivato molto bene, dalla


Mediator Dei et hominum, ricorrendo all’enciclica Mystici corporis Chri-
sti che concepisce la Chiesa più come corpo mistico di Cristo che come
societas perfecta. In base a questa scelta viene delineato il ruolo che ha il
sacerdote nella Chiesa, ossia nel corpo mistico:
Antequam populi nomine apud Deum agat, sacrorum administer divi-
ni Redemptoris legatus exsistit; atque idcirco quod Iesus Christus illius Cor-
poris Caput est, cuius christiani sunt membra, ipse Dei vices apud deman-
datam sibi gentem gerit. Quae igitur ei committitur potestas, nihil natura
sua humanum sapit, cum omnino superna sit, atque a Deo proficiscatur14.

Qui c’è un’affermazione che merita di essere segnalata: la concezio-


ne del sacerdozio come potestas, una dottrina che non appartiene alla
Tradizione, ma solo allo sviluppo teologico medievale. E questa pote-
stas deriverebbe dal rapporto che il sacerdote ha con “Cristo Capo”. Il
popolo, invece, appartiene alla Chiesa che è il corpo di cui Cristo è il
capo; ne segue che il popolo partecipa delle realtà del corpo ma non del
sacerdozio che è una realtà che appartiene al capo. Questa concezione
viene elaborata a partire da Col 1,18: «Egli è anche il capo del corpo,
cioè della Chiesa».
Per capire bene questa questione dobbiamo ricordare che nelle let-
tere paoline ci sono due concezioni del cosiddetto corpo mistico, ossia
della chiesa come corpo di Cristo. In 1Cor 10,17 non c’è alcun accen-
no al Cristo capo del corpo che è la Chiesa: si parla della chiesa come
di un’unica realtà – globalmente presa – che è riassunta dal “Noi” del
verbo che è alla prima persona plurale: «Poiché c’è un solo pane, noi, i
molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane».
Qui non si può distinguere tra il corpo (la Chiesa) e il capo (Cristo):
la Chiesa è il corpo totale di Cristo e non una sola sua parte. In Col

quidem non una ratione contingere potest: cum nimirum universus populus, ex sacrorum
rituum normis, vel sacerdotis verbis recto servato ordine respondet, vel cantus edit, qui
cum variis Sacrificii partibus congruant, vel utrumque facit, vel denique cum in Sacris
sollemnibus alternas Iesu Christi administri precibus dat voces unaque simul liturgica
cantica concinit.
14
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 538.
318 Enrico Mazza

1,18, invece, la Chiesa è corpo di Cristo perché Cristo ne è il capo, non


perché la Chiesa si identifichi con Cristo.
Paolo, per parlare della Chiesa, sceglie l’immagine del corpo e dice
che è corpo di Cristo. Un’immagine, dunque. Dobbiamo ricordare che
tutte le immagini possono essere declinate in differenti modi e ciascun
modo serve a sottolineare un aspetto o l’altro dell’immagine e sono tutti
ugualmente veri. L’errore sta nel volere prendere un solo aspetto di una
determinata immagine, per assolutizzarlo a danno degli altri aspetti che
vanno tenuti tutti sullo stesso piano, un piano di complementarietà.
L’errore sta nel prendere la frase di Col 1,18 sulla Chiesa – il corpo di cui
Cristo è il capo – per ricavarne delle conclusioni sulla natura del sacerdo-
zio cosiddetto “ministeriale” in rapporto a quello del laicato, mentre tali
conclusioni andrebbero a confliggere con l’altra concezione della Chiesa
come corpo di Cristo, quella contenuta in 1Cor 10,17. La nostra encicli-
ca cita sia l’una sia l’altra delle due concezioni, a seconda di ciò che vuole
sostenere, senza preoccuparsi della correttezza metodologica.

2 La partecipazione attiva secondo Mediator Dei et hominum


Il tema della partecipazione attiva alla liturgia venne citato, con
ampi riferimenti sia a Pio X sia a Pio XI, ma non venne sviluppato.
Ossia l’enciclica non fa alcuna trattazione teologica sulla partecipazione
in quanto tale. Al suo posto si fa una trattazione sull’«offrire», sottin-
tendendo così che la partecipazione attiva consiste nell’atto di «offrire»
o, meglio, che partecipazione e offerta sono un’unica e medesima cosa.
La seconda parte di questo documento di Pio XII, tratta del culto
eucaristico e, dopo aver discusso della natura del sacrificio eucaristico
secondo gli schemi e i contenuti della teologia neoscolastica, il docu-
mento passa alla trattazione della partecipazione attiva, partecipazione
dei fedeli nell’offerta del sacrificio eucaristico15. Il testo raccomanda di
non assumere un atteggiamento passivo, disinteressato (neglegentique
animo), distratto (et alia excurrenti atque vaganti), ma che i fedeli si uni-
scano attivamente e con impegno al sommo sacerdote in modo da avere
gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù16. La trattazione conti-
15
  Cf. Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 552-553.
16
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 552.
La partecipazione attiva alla liturgia 319

nua in modo scolastico parlando di Cristo sacerdote e vittima e del fatto


che i fedeli si uniscono a lui in questo stato di sacerdote e vittima17.
All’argomento scolastico, dopo aver detto che i fedeli non godono del
potere sacerdotale, l’enciclica aggiunge alcune prove tratte dalla liturgia
per mostrare che non solo il sacerdote offre ma anche i fedeli offrono.
Posto questo, il papa si preoccupa di definire con chiarezza che cosa
significhi l’azione di “offrire”18 e, poi, di precisare quali siano le azioni
che esprimono la partecipazione attiva. Eccole. Il primo modo di parte-
cipare consiste nel recitare le varie preghiere liturgiche assieme al sacer-
dote, a voci alterne; si cita poi l’azione di offrire il pane e il vino all’altare
“affinché diventino il corpo e il sangue di Cristo”. Questa precisazione è
da sottolineare perché mette la partecipazione attiva in un certo rappor-
to con la consacrazione eucaristica che è al centro della celebrazione. Da
ultimo viene citata l’elemosina, o offerta, che i fedeli danno al sacerdote
affinché questi “offra la divina vittima a loro vantaggio”19. Anche l’offer-
ta per la messa, dunque, fa parte della partecipazione attiva. Inoltre, chi
assiste all’altare ha un vantaggio particolare nella partecipazione attiva,
che non hanno i fedeli che partecipano stando in navata. Forse perché
chi assiste all’altare svolge la funzione di accolito.
Al motu proprio di Pio X, Tra le sollecitudini20, si può muovere la cri-
tica di considerare la partecipazione attiva soprattutto come partecipa-
zione esteriore. Questa osservazione vale anche per l’enciclica Mediator
Dei et hominum anche se è preoccupata della partecipazione interiore.
Quando parla di partecipazione interiore, l’enciclica mette l’accento
sull’avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù; è una pro-
spettiva certamente interessante che, tuttavia, non est ad rem dato che
non riguarda in modo specifico il sacramento, poiché vale per ogni
momento della vita indipendentemente dalla celebrazione eucaristica.
Ne segue che quella citazione non può caratterizzare la partecipazione
attiva al sacramento. Per la partecipazione interiore resta solo l’insisten-
za sull’atto di offrire che è specifico del sacerdote e dei fedeli. La consa-
17
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 552.
18
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 555-556.
19
  Pius XII, Mediator Dei et hominum (20 novembris 1947), 555.
20
  Pius X, «Motu proprio Tra le sollecitudini (22 novembre 1903)», ASS 36
(1903-4) 329-339.
320 Enrico Mazza

crazione, invece, è specifica del solo sacerdote. In conclusione, dunque,


per la Mediator Dei et hominum l’elemento principale della partecipa-
zione attiva sta nell’offerre per mezzo e assieme al sacerdote. Ho detto
elemento principale anche se, forse, questa affermazione non è molto
corretta dato che l’enciclica afferma chiaramente che il culmine della
partecipazione attiva sta nella comunione eucaristica, anche se non gli
dà un grande sviluppo. Forse perché questo va da sé, almeno in teoria; è
per questo che ho messo l’accento sull’offerre. A proposito della comu-
nione, poi, dobbiamo sottolineare che l’enciclica continua a proporre
la posizione tomista che afferma che la comunione non appartiene alla
natura del sacramento poiché questo può sussistere anche senza di essa.
Quella di Tommaso d’Aquino è un’argomentazione molto curiosa dato
che prescinde dalle parole di Cristo che istituisce il sacramento, anche
se è di una logica indiscutibile posto il metodo di analizzare il sacra-
mento in base alle quattro cause di origine aristotelica. La spiegazione
è questa: alla base della concezione di Tommaso c’è la distinzione tra il
sacramento e il suo uso, come si vede in questo testo:
Perfectio huius sacramenti consistit in ipsa materiae consecratione, et
usus est consequens ad hoc sacramentum; unde perfectio huius sacramenti
non dependet ab usu, sicut est in baptismo21.

La posizione del commento alle Sentenze coincide con quella della


Summa theologiae22, anche se qui la materia è distribuita in modo un

21
  Thomas Aquinas, Scriptum super sententiis magistri Petri Lombardi, ed. M.F.
Moos, tome IV (=In IV Sententiarum), dist. 11, quaest. 2, art. 1, solutio 3, ad tertium,
Lethieulleux, Paris 1947, 463; cf. anche: In IV Sententiarum, dist. 12, quaest. 3, art.
1, solutio 1, ad primum, 533; per la trattazione generale di questo argomento cf. In
IV Sententiarum, dist. 8, quaest. 1, art. 1, Quaestiuncula 1, 304. La stessa concezione
si trova in Thomas Aquinas, La Somma Teologica, 3, q. 78, a.3 , ed. A. Balducci-M.
Daffara, Adriano Salani, Firenze 1971, 202-211.
22
  In hoc sacramento, sicut in aliis, duo sunt; scilicet consecratio materiae et usus
materiae consecratae; haec duo per verba Domini exprimuntur. In hoc enim quod dicitur,
“Accipite et manducate ex hoc omnes”, praecipitur usus sacramenti; in hoc autem quod
dicitur, “Hoc est corpus meum”, traditur materiae consecratio ... Sed quia, ut dictum
est, usus materiae in hoc sacramento non est de essentia sacramenti, sicut in aliis; ideo illa
verba quae ad usum pertinent, non sunt de forma, sed tantum illa quae ad consecrationem
materiae pertinent, scilicet “Hoc est corpus meum” (In IV Sententiarum, dist. 8, quaest.
La partecipazione attiva alla liturgia 321

poco diverso23. Per Tommaso le parole Hoc est corpus meum si riferisco-
no al sacramento, mentre tutto il resto – comprese le parole Accipite et
manducate... – si riferisce all’uso. L’improvvida distinzione tra essenza e
uso del sacramento, ha introdotto una separazione tra le parole accipi-
te et manducate e le parole hoc est corpus meum. Queste ultime appar-
tengono all’essenza del sacramento mentre le prime appartengono solo
all’uso al quale – come tale – non si può applicare la categoria della
sacramentalità.

3 La costituzione Sacrosanctum concilium


Per la costituzione Sacrosanctum concilium24, la partecipazione attiva
è lo scopo stesso della riforma liturgica, per cui dovremmo concludere
che sarà l’attiva partecipazione dei fedeli che ci dirà se la riforma li-
turgica è riuscita o meno. È facile spiegare l’insistenza del concilio su
questo punto, posta l’affermazione che la partecipazione attiva deriva
dalla natura stessa della liturgia: essa, infatti, è descritta come la via per
la fruttuosità della liturgia, ed è evidente che la liturgia è stata istituita
per la fruttuosità cui tende la validità e la liceità della celebrazione. Ne
segue che il sacerdos deve preoccuparsi non solo della validità e liceità
della celebrazione ma anche della sua fruttuosità che, però, il n. 11 non
cita perché la sostituisce con il concetto di partecipazione attiva:
Ideo sacris pastoribus advigilandum est ut in actione liturgica non so-
lum observentur leges ad validam et licitam celebrationem, sed ut fideles
scienter, actuose et fructuose eandem participent25.

2, art. 1, solutio 2, 330). Per la Summa theologiae cf. Thomas Aquinas, La Somma
Teologica, 3, q. 78, a.1, 190-197; 3, q. 78, a.3, 202-211,
23
  Per tutta la questione cf. E. Mazza, Continuità e discontinuità. Concezioni
medievali dell'eucaristia a confronto con la tradizione dei Padri e della liturgia (Biblio-
theca Ephemerides liturgicae. Subsidia 113), CLV – Edizioni liturgiche, Roma 2001,
192-195.
24
  Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, «Constitutio de
Sacra Liturgia Sacrosanctum concilium (4 decembris 1963)», AAS 56 (1964) 97-134.
25  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum
concilium (4 decembris 1963) 11», 103.
322 Enrico Mazza

Se, per sua natura, la celebrazione deve essere fruttuosa, è evidente


che la partecipazione attiva discende dalla natura stessa della liturgia;
pertanto, essa deve avere il primo posto nelle preoccupazioni del mini-
stero perché è fonte alla quale attingere lo spirito cristiano:
Quae totius populi plena et actuosa participatio, in instauranda et fo-
venda sacra Liturgia, summopere est attendenda: est enim primus, isque
necessarius fons, e quo spiritum vere christianum fideles hauriant; et ideo in
tota actione pastorali, per debitam institutionem, ab animarum pastoribus
est sedulo adpetenda26.

Questa è la sintesi che il Vaticano II fà della dottrina precedente le


cui premesse erano già contenute nella trattazione di Pio XII:
Valde cupit Mater Ecclesia ut fideles universi ad plenam illam, con-
sciam atque actuosam liturgicarum celebrationum participationem du-
cantur, quae ab ipsius Liturgiae natura postulatur et ad quam populus
christianus, ‘genus electum, regale sacerdotium, gens sancta, populus adqui-
sitionis’ (1Petr 2,9; cf. 2,4-5), vi Baptismatis ius habet et officium27.

Se appartiene alla natura della liturgia, la partecipazione attiva è un


diritto e un dovere dei fedeli. In Sacrosanctum concilium la citazione
di 1Pt 2,9 si presenta come ‘apposizione composta’ che ha lo scopo
di illustrare la natura teologica del popolo cristiano non di impostare
un’argomentazione teologica. Questa differenza di metodo fa già vedere
la diversità tra la Mediator Dei et hominum e la Sacrosanctum concilium.
In accordo con la dottrina precedente, il documento conciliare insi-
ste sulla partecipazione interiore ed esteriore28; si tratta di una preoccu-
26
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum con-
cilium (4 decembris 1963) 14», 104. Questo tipo di argomento era già presente nel
motu proprio di Pio X Tra le sollecitudini. cf. Pius X, «Motu proprio Tra le sollecitudini
(22 novembre 1903)», ASS 36 (1903-1904) 329-339.
27
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum
concilium (4 decembris 1963) 14», 104.
28
  Concilium Vaticanum II I, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum con-
cilium (4 decembris 1963) 19», 105: Liturgicam institutionem necnon actuosam fide-
lium participationem, internam et externam, iuxta ipsorum aetatem, condicionem, vitae
genus et religiosae culturae gradum, animarum pastores sedulo ac patienter prosequantur,
unum e praecipuis fidelis mysteriorum Dei dispensatoris muneribus absolventes; et gregem
suum hac in re non verbo tantum, sed etiam exemplo ducant.
La partecipazione attiva alla liturgia 323

pazione che è costante fin dal motu proprio Tra le sollecitudini e che è
il vero nodo della questione. Effettivamente si ha talvolta l’impressione
che la partecipazione attiva consista nel far fare “qualcosa” all’assem-
blea pur di tenerla attiva, cadendo troppe volte nel didascalico e nella
catechistica; come dice Joris Polfliet, si ha l’impressione che si cerchino
sempre nuove maniere di celebrare, mentre – in verità – si è dimenti-
cato che cosa si sta celebrando29. Di conseguenza il concilio mette in
primo piano, come modo di partecipazione attiva, la comunione euca-
ristica precisando anche che, come segno di partecipazione, è bene che
questa avvenga con le ostie consacrate nella medesima celebrazione30,
un’indicazione già presente nella Mediator Dei et hominum.
La costituzione liturgica, una volta chiarita questa preoccupazione,
può passare con sicurezza a tratteggiare che cos’è la partecipazione at-
tiva, anzitutto facendo propri gli elementi del magistero precedente.
Se questa appartiene, in qualche modo, alla natura stessa della liturgia,
ne segue che la partecipazione attiva è necessaria per ogni tipo di cele-
brazione31, anche se la questione vale soprattutto per la messa; di con-
seguenza, si stabilisce la revisione totale dell’Ordo missae con lo scopo
di favorire la partecipazione attiva dei fedeli32 e, anzi, si dispone che
in ogni nuovo libro liturgico vengano indicate da apposite rubriche le

29
  J. Polfliet, «À la recherche d’une spiritualité de la célébration liturgique»,
in “Ars celebrandi”, The Art to Celebrate the Liturgy. L’art de célébrer la liturgie, éd.
J. Lamberts (Textes et Études Liturgiques / Studies in Liturgy 17), Peeters, Leuven
2002, 141.
30
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum Con-
cilium (4 decembris 1963) 55», 115: Valde commendatur illa perfectior Missae partici-
patio qua fideles post Communionem sacerdotis ex eodem Sacrificio Corpus Dominicum
sumunt.
31
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum Con-
cilium (4 decembris 1963) 79», 120: Sacramentalia recognoscantur, ratione habita nor-
mae primariae de conscia, actuosa et facili participatione fidelium, et attentis nostrorum
temporum necessitatibus. In Ritualibus recognoscendis ad normam art. 63, etiam nova
Sacramentalia, prout necessitas expostulat, addi possunt.
32
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum Con-
cilium (4 decembris 1963) 50», 114: Ordo Missae ita recognoscatur, ut singularum par-
tium propria ratio necnon mutua connexio clarius pateant, atque pia et actuosa fidelium
participatio facilior reddatur.
324 Enrico Mazza

parti che riguardano la partecipazione attiva dei fedeli33; e non si tratta


solo di questo, perché si dà anche una precisa indicazione affinché nella
costruzione delle nuove chiese il criterio base sia la partecipazione attiva
dei fedeli34.
Dobbiamo dunque riconoscere che la partecipazione attiva è di-
venuta il criterio fondamentale di ogni tipo di celebrazione liturgica;
questo non deve stupire dato che, come abbiamo già detto, fruttuosità
e partecipazione attiva vanno di pari passo. E nessuno potrà dire che
la liturgia ha come fine se stessa: dato che il suo scopo è la redenzione
dell’uomo, ne segue che la fruttuosità è lo scopo stesso della liturgia.
Il 22 ottobre 1962 il cardinale G. B. Montini intervenne nella di-
scussione conciliare sulla liturgia con un discorso che resterà negli an-
nali. Egli disse una frase che si distaccava nettamente dalle altre argo-
mentazioni che venivano proposte: Liturgia nempe pro hominibus est
instituta, non homines pro liturgia35, una frase che ricalca il celebre detto
di Cristo: «Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato»
(Mc 2,27). Posta questa sua origine, la frase detta dal card. Montini è
pienamente giustificata ed è assolutamente ovvia: anzi, dovrebbe tro-
vare applicazione in ogni osservanza liturgica. Nel dibattito conciliare
fece una notevole impressione e credo che anche oggi non tutti la sotto-
scriverebbero. Questa frase dovremmo chiosarla dicendo che non solo
la liturgia è per l’uomo ma che essa è per l’uomo affinché questi porti
frutto. Quindi, per garantirne la fruttuosità, deve essere calibrata36 sulla

33
  Concilium Vaticanum II I, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum Con-
cilium (4 decembris 1963) 31», 108: In libris liturgicis recognoscendis, sedulo attendatur
ut rubricae etiam partes fidelium praevideant.
34
  Concilium Vaticanum II I, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum Con-
cilium (4 decembris 1963) 124», 131-132: In aedificandis vero sacris aedibus, diligenter
curetur ut ad liturgicas actiones exsequendas et ad fidelium actuosam participationem
obtinendam idoneae sint.
35
  Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Oecumenici Vaticani Secundi (= AS), Vol.1,
Pars 1, Città del Vaticano 1970, 315.
36
  Preferisco evitare il termine “adattata” che suppone che esista una liturgia già
completa in se stessa che, poi, debba confrontarsi con le varie culture per adattarvisi.
La liturgia cristiana, invece, nasce come sviluppo giudeocristiano nel mondo e nella
storia dei giudaismi del primo secolo; successivamente quest’eredità avrà differenti
sviluppi nella cultura greca, latina, romana, siriaca, bizantina, ecc.; ma dovremmo
La partecipazione attiva alla liturgia 325

situazione dell’uomo, sia degli uomini di quella determinata cultura sia


dei singoli individui di cui è composta ogni assemblea liturgica. Questo
concetto non è diverso da quanto si afferma in ecclesiologia, quando
si dice che la Chiesa vive sempre nella storia – all’interno delle varie
culture – ed è, quindi, nella storia che essa deve dare la sua testimo-
nianza. È proprio il carattere ecclesiologico della liturgia che implica il
continuo dialogo tra la liturgia e la cultura in cui vive. La costituzione
liturgica non ha molto interesse per questo fattore ma, d’altra parte,
un documento conciliare non è una trattazione organica e completa;
è sufficiente che apra la strada alla riforma giudicata urgente in quel
momento e, poi, il resto verrà messo in evidenza successivamente con il
progresso degli studi37.
Seguendo la Mediator Dei et hominum il concilio dà anche indica-
zioni precise sul modo di ottenere una certa partecipazione dei fedeli e
indica quali parti del rito siano adatte a questo:
Ad actuosam participationem promovendam, populi acclamationes, re-
sponsiones, psalmodia, antiphonae, cantica, necnon actiones seu gestus et cor-
poris habitus foveantur. Sacrum quoque silentium suo tempore servetur38 .

È bene che il Concilio abbia fatto questo, dato che i fedeli, a


quell’epoca, per inveterata abitudine erano tutti in ginocchio a pregare
con gli occhi fissi al tabernacolo, anche durante le letture bibliche; e

parlare di “sviluppo culturale” piuttosto che di “adattamento” delle precedenti liturgie


giudeocristiane.
37
  A meno che il concilio non venga mal interpretato, la cui “lettera” diventi un
testo giuridico e precettivo che, fissato una volta per tutte, impedisca di pensare qual-
siasi cosa che non sia stata ivi formulata. Ma nessun concilio è mai stato così e men
che meno il Vaticano II che, proprio all’inizio della costituzione liturgica, enuncia il
suo scopo: Sacrosanctum Concilium, cum sibi proponat vitam christianam inter fideles in
dies augere; eas institutiones quae mutationibus obnoxiae sunt, ad nostrae aetatis necessita-
tes melius accommodare; quidquid ad unionem omnium in Christum credentium conferre
potest, fovere; et quidquid ad omnes in sinum Ecclesiae vocandos conducit, roborare; suum
esse arbitratur peculiari ratione etiam instaurandam atque fovendam Liturgiam curare.
Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum concilium
(4 decembris 1963) 1», 97.
38
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum
concilium (4 decembris 1963) 30», 108.
326 Enrico Mazza

quando il sacerdote li benediceva con il saluto Dominus vobiscum, essi


restavano silenziosi, tutti occupati nelle loro preghiere private.
Nella celebrazione ha grande importanza il canto dei fedeli nel quale
è più evidente la partecipazione attiva39. Di fronte al pericolo dell’este-
riorismo, la Sacrosanctum concilium dice ai fedeli di stare concentrati sui
testi che stanno proferendo; Mentem suam voci accommodent40, diventa
un imperativo che, mutuato dalla Regola di san Benedetto, va a bene-
ficio di tutte le nostre assemblee ammonendole, con la Regola, che è la
presenza di Dio che richiede che si pensi bene a ciò che si sta dicendo41.
Tutto questo, in fondo, è ancora in continuità con la Mediator Dei
et hominum e non si vede un grande progresso rispetto a questo docu-
mento.
Un primo accenno che la dottrina della partecipazione attiva ha
subito un’evoluzione, rispetto alla Mediator Dei et hominum, lo tro-
viamo nel n. 21 che stabilisce una riforma generale dei riti affinché
siano meglio espresse le “cose sante”, che essi significano, e che il po-
polo cristiano possa meglio parteciparvi (alle cose sante)42. In questo
39
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum Conci-
lium (4 decembris 1963) 114», 128-129: Thesaurus Musicae sacrae summa cura servetur
et foveatur. Scholae cantorum assidue provehantur, praesertim apud ecclesias cathedrales;
Episcopi vero ceterique animarum pastores sedulo curent ut in qualibet actione sacra in
cantu peragenda universus fidelium coetus actuosam participationem sibi propriam prae-
stare valeat, ad normam art. 28 et 30. I compositori, poi, non debbono comporre solo
dei capolavori che possono essere cantati solo dalle grandi Scholae, dotate di partico-
lari competenze, ma debbono comporre delle opere che siano alla portata anche di
quelle più modeste, come si legge al numero 121: Modos autem componant, qui notas
verae Musicae sacrae prae se ferant atque non solum a maioribus scholis cantorum cani
possint, sed minoribus quoque scholis conveniant et actuosam participationem totius coetus
fidelium foveant. Lo scopo delle nuove composizioni, dunque, è proprio la partecipa-
zione attiva di tutta l’assemblea.
40
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum
concilium (4 decembris 1963) 11», 103.
41
  Benedicti Regula 19,6-7, ed. R. Hanslik, Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum
latinorum (= CSEL) 75, Hoelder-Pichler-Tempsky, Wien 21977, 82: Ergo conside-
remus qualiter oporteat in conspectu divinitatis et angelorum eius esse, et sic stemus ad
psallendum ut mens nostra concordet voci nostrae.
42
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum con-
cilium (4 decembris 1963) 21», 106: Qua quidem instauratione, textus et ritus ita or-
dinari oportet, ut sancta, quae significant, clarius exprimant, eaque populus christianus,
La partecipazione attiva alla liturgia 327

articolo della costituzione, non è la partecipazione che è piena, attiva


e comunitaria, bensì la celebrazione che, in tal modo, rende partecipi
delle “cose sacre”. Vorrei attirare l’attenzione sul modo con cui il testo
latino dice “comunitaria”: communitatis propria, che significa “specifico
della comunità”. La lingua latina, per dire “comunitario”, conosce l’av-
verbio communiter, che Sacrosanctum concilium usa due volte ma che
viene evitato accuratamente in questo contesto. C’è, quindi, un modo
di celebrare che è specifico della comunità e che è diverso da altri modi
di celebrare. A mio parere è questa la novità della costituzione conciliare
rispetto all’enciclica Mediator Dei et hominum, un concetto che verrà
meglio espresso in SC 48.

4 Il mistero della fede Per ritus et preces


A mio giudizio il testo più importante della costituzione liturgica è
il n. 48:
Itaque Ecclesia sollicitas curas eo intendit ne christifideles huic fidei
mysterio tamquam extranei vel muti spectatores intersint, sed per ritus et
preces id bene intellegentes, sacram actionem conscie, pie et actuose partici-
pent, verbo Dei instituantur, mensa Corporis Domini reficiantur, gratias
Deo agant, immaculatam hostiam, non tantum per sacerdotis manus, sed
etiam una cum ipso offerentes, seipsos offerre discant, et de die in diem
consummentur, Christo Mediatore, in unitatem cum Deo et inter se, ut sit
tandem Deus omnia in omnibus43.

Sacrosanctum concilium n. 48 si mette nella scia dei papi Pio X, Pio


XI e Pio XII dicendo che la Chiesa non vuole che i fedeli siano estra-
nei e muti spettatori, intervenendo alla celebrazione del mistero della
fede. Fatto questo, suggerisce subito quale sia l’atteggiamento corretto
dicendo che i fedeli debbono comprendere bene il mistero della fede (Id
bene intellegentes): non i riti nella loro esteriorità ma nel loro contenuto
oggettivo che è il mistero della fede. Questo va compreso attraverso i

in quantum fieri potest, facile percipere atque plena, actuosa et communitatis propria
celebratione participare possit.
43
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum
concilium (4 decembris 1963) 48», 113.
328 Enrico Mazza

riti e le preghiere: per ritus et preces. È questa la maggior novità della


riforma liturgica del Vaticano II, dicendo che i riti e le preghiere della
liturgia sono il modo per arrivare alla comprensione del mistero della
fede. Si tratta di un modo diverso di concepire la partecipazione attiva.
È necessario un brevissimo commento per spiegare questo testo, dato
che la redazione proposta all’aula conciliare era ben diversa. Eccola:
Itaque curat Ecclesia ut christifideles huic mysterio fidei non 7
velut inertes et muti spectatores intersint, sed ut ritus et preces 8
bene intelligentes, ea actuose, conscie et pie participent, mensa 9
cum verbi tum corporis Domini reficiantur, gratias Deo agant, 10
immaculatam hostiam una cum sacerdote offerendo seipsos of- 11
ferre discant, et de die in diem ad perfectiorem unitatem trans- 12
ferantur ut sit Deus omnia in omnibus44. 13

Qui si dice che sono due le azioni che impegnano i fedeli: la prima
consiste nel capire i riti e le preghiere; la seconda consiste nel partecipa-
re, ma sempre ai riti e alle preghiere. Questo viene insegnato anche dalla
Mediator Dei et hominum che chiede che i fedeli capiscano i riti liturgici
e ad essi partecipino nei modi stabiliti dalla Sede Apostolica.
Il testo della Sacrosanctum concilium sarà molto diverso a causa di
un intervento del cardinale Augustin Bea nella Congregazione generale
decima, il 30 ottobre 1962. Questi chiese di mutare il testo in modo
che la partecipazione riguardasse «non solo i riti e le preghiere ma anche
lo stesso Mistero di fede; non solo il fatto esterno»45. Il cardinal Bea,
quindi, propose un nuovo testo che mettesse in luce che la parteci-
44
  «Schema Constitutionis De sacra liturgia», Caput secundum: De sacrosancto
eucharistiae mysterio, in Concilium Vaticanum II, Schemata constitutionum et decre-
torum. De quibus disputabitur in Concilii sessionibus, Series prima, Typis polyglottis
vaticanis, Città del Vaticano 1962, 175, linea 7ss.
45
  Linea 8 dicitur: “ut ritus et preces atque mysterium, quod per ea exprimitur, bene
intelligant”: non tantum ritus et preces, sed etiam ipsum mysterium; non tantum res exter-
na : AS, vol. 1, per. I, pars II, Città del Vaticano 1970, 22). Questo intervento del
card. Agostino Bea ha una singolare consonanza con il documento di Pio XII «Motu
proprio In cotidianis precibus (24 martii 1945)», AAS 37 (1945) 66-67, che promulga
la nuova versione latina del salterio. Non c’è da meravigliarsene dato che il nuovo
testo del salterio venne curato dal Pontificio Istituto biblico di cui era rettore il padre
A. Bea (dal 1930) che, inoltre, era confessore del papa e autorevole consultore per i
documenti pontifici che riguardassero la Sacra Scrittura.
La partecipazione attiva alla liturgia 329

pazione doveva riguardare il contenuto stesso della liturgia, il mistero


della fede, non solo la realtà esterna del rito. Di conseguenza egli chiese
che, dopo ritus et preces venisse aggiunto: atque mysterium e che, poi,
il testo continuasse così com’era nello schema: quod per ea exprimitur.
I riti e le preghiere, dunque, non sono altro che espressione del miste-
ro. L’intervento del cardinale A. Bea venne recepito, e la commissione
spiegò: «Per meglio specificare che i riti e le preghiere sono da ritenersi
il mezzo per comprendere il mistero, abbiamo scritto per ritus et pre-
ces id bene intellegentes»46. Il testo finale, ufficialmente approvato, dice
che: «… non intervengano ... come estranei o muti spettatori a questo
Mistero della fede, ma, comprendendolo bene per mezzo dei riti e del-
le preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e
attivamente»47.
In questo testo abbiamo due elementi che debbono essere messi in
evidenza. Da un lato abbiamo “comprendere” (il mistero della fede at-
traverso i riti e le preghiere); dall’altro lato abbiamo “partecipazione”
(all’azione sacra). Ora ci dobbiamo chiedere a che cosa si partecipa,
ossia ci chiediamo che cosa significa “azione sacra”. Il termine “parteci-
pazione” ha per oggetto la celebrazione ma questa, come si vede dall’in-
tervento di A. Bea, non è autoreferenziale: il suo referente, o contenuto,
consiste nel “mistero della fede”. La locuzione “azione sacra”, dunque,
designa il rito, ossia tutta la celebrazione nella sua globalità, in quanto
contiene ed esprime il mistero della fede. In questo testo, allora, la ce-
lebrazione viene definita per il suo oggetto, ossia per il suo contenuto
invisibile, e non per i suoi aspetti rituali esteriormente percepibili48. La

46
  Commissio optimam iudicavit hanc propositionem, sed ut melius significemus ritus
et preces sese habere tamquam media ad mysterium intelligendum, scripsimus: “per ritus et
preces id bene intellegentes”. Sic respondemus etiam desideriis eorum, qui volunt ut aliquo
modo significetur attentio interna: AS, vol. II, per. II, pars II, Città del Vaticano 1972,
298. Cf. anche: Concilii Vaticani II Synopsis, In ordinem redigens Schemata cum Rela-
tionibus necnon Patrum Orationes atque Animadversiones, Constitutio de sacra liturgia
Sacrosanctum concilium, ed. F. G. Hellín, Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano
2003, 144s.
47
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum
concilium (4 decembris 1963) 48», 113.
48
  Debbo correggere, dunque, la mia precedente interpretazione che legava que-
sta espressione alla ritualità, in quanto tale, e la metteva in rapporto con la nozione
330 Enrico Mazza

locuzione sacra actio del n. 48 ha, dunque, lo stesso significato di sancta,


quae significant del n. 21, commentato più sopra. Potremmo dire che
la “partecipazione”, descritta dal Concilio Vaticano II, ha per oggetto il
mistero della fede attraverso i riti e le preghiere. È un grande passo in
avanti rispetto alla Mediator Dei et hominum. Ossia, non si partecipa
alla liturgia, bensì – nella liturgia – al mistero della fede.
In effetti, per il Vaticano II, i riti e le preghiere non sono un abbelli-
mento esteriore del contenuto, ma il veicolo stesso in forza del quale il
contenuto esiste. Proprio per questo, i riti e le preghiere sono il veicolo
attraverso il quale i fedeli possono attingere al mistero della fede ossia
esserne partecipi. È una concezione completamente nuova che non ha
avuto molto successo né nella pastorale liturgica né nella teologia dell’e-
poca post-Vaticano II. Si è preferito restare arroccati sul concetto di
partecipazione attiva della Mediator Dei et hominum.
Se l’oggetto della “partecipazione attiva” non sono riti e preghiere ma
il Mistero stesso della fede (per ritus et preces), allora si spiega perché il
Concilio insista tanto sulla necessità della formazione liturgica: «A tale
piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialis-
sima cura nel quadro della riforma e della promozione della liturgia»49.
A mio giudizio la riforma liturgica sarà decisamente fruttuosa solo se
verrà abbandonata la linea della Mediator Dei et hominum per scoprire
la nuova linea della partecipazione attiva al mistero per ritus et preces.
Con i nn. 21 e 48 di Sacrosanctum concilium, è cambiato il concetto
di partecipazione attiva. Se prima la partecipazione attiva aveva per og-
getto la celebrazione liturgica, ora ha per oggetto il “mistero della fede”
attraverso i riti e le preghiere.
L’acquisizione di questo principio, che dice il modo della partecipa-
zione attiva, mi pare di portata storica.

di partecipazione della Mediator Dei et hominum. Invece resta pienamente tributaria


della Mediator Dei et hominum la parte finale del n. 48 – sull’offerta non solo per
mano del sacerdote ma anche unitamente con il sacerdote e con l’offerta di sé – che
corrisponde allo schema della costituzione (dalla linea 11 alla 13) presentato in aula
conciliare, che ho riportato supra.
49
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum
concilium (4 decembris 1963) 14», 104.
La partecipazione attiva alla liturgia 331

5 Il suggerimento delle fonti liturgiche


Se prendiamo in considerazione la liturgia eucaristica non solo nel
rito romano ma anche nelle altre liturgie, tanto dell’Occidente quan-
to dell’Oriente, noi vediamo che non c’è il tema della partecipazione
attiva così come lo descriviamo oggi. Ci sono invece due temi molto
rilevanti, quello del soggetto celebrante e quello del frutto della cele-
brazione eucaristica. Per la Mediator Dei et hominum è il sacerdote che
celebra l’eucaristia dato che egli ed egli solo, compie la consacrazione
che è il momento costitutivo della celebrazione. Il ruolo dei fedeli è di
partecipare all’offerta della divina vittima, che è un atto rituale com-
piuto dal sacerdote ma che non è riservato a lui solo. È il tema della
partecipazione attiva. Se ci applichiamo allo studio delle varie liturgie,
noi vediamo che nelle varie preghiere eucaristiche non si fa alcuna
distinzione tra i vari momenti rituali della celebrazione, ossia non si
distingue tra chi compie la consacrazione e chi compie l’offerta o altro.
Uno solo è il soggetto che compie tutta l’azione: “Noi”. Infatti, è una
sola l’azione che si compie: l’azione eucaristica, a immagine dell’ulti-
ma cena di Cristo, di cui, quindi, la nostra celebrazione è immagine,
somiglianza (homoiōma), figura (typos) o, in una parola, sacramento. Il
soggetto integrale della celebrazione è uno solo: l’assemblea liturgica,
gerarchicamente costituita. Condivido le critiche del card. Ratzinger
all’uso del termine “assemblea”, che oggi si presta a troppe e diverse
interpretazioni e, pertanto, propongo di tornare al termine classico,
ekklēsìa, di cui “assemblea” dovrebbe essere la traduzione. Non è certo
una novità che l’ekklēsìa sia il soggetto celebrante e non il sacerdote:
basti guardare il Concilio di Trento (Sessione 22, cap. 1). La novità
consiste nell’usare il termine Chiesa per parlare della singola congre-
gazione dei fedeli riuniti nella celebrazione eucaristica. Ma neanche
questa dovrebbe essere una grande novità, dato che è l’apostolo Paolo a
utilizzare questa terminologia: la riunione dei fedeli di Corinto, riuniti
nella celebrazione eucaristica, è da lui chiamata ekklēsìa (1Cor 11,18).
È stato Yves Congar, subito dopo il concilio, a lanciare il tema del
soggetto celebrante50. Se nella liturgia eucaristica c’è un solo soggetto
50
  Y. Congar, «L’ “Ecclesia”  ou communauté chrétienne, sujet intégral de l’ac-
tion liturgique», in La liturgie après Vatican II. Bilans, études, prospective, édd. J. P.
332 Enrico Mazza

celebrante, ne segue che tutta l’ekklēsìa compie tutta l’azione eucaristica


e non si può separare il compito del sacerdote da quello dei fedeli: se
c’è un solo soggetto celebrante, non si può più dire che il sacerdote
offre la divina vittima e i fedeli prendono parte a questa offerta. In
una parola, il tema della “ekklēsìa celebrante” pone fine a questo tipo
di partecipazione attiva alla liturgia. Passiamo all’altra frase, quando il
Concilio Vaticano II dice Id bene intellegentes, ossia quando dice che i
fedeli capiscano bene il mistero della fede attraverso i riti e le preghiere
(per ritus et preces)51. Non sappiamo bene che cosa il concilio intendesse
con il verbo “capire”, ma non credo che lo intendesse solo come atto
dell’intelletto; in ogni caso, oggi, questa concezione deve crescere e deve
diventare più profonda, dato che il mistero della fede non solo deve
essere capito (come atto dell’intelletto) ma, soprattutto, deve essere vis-
suto e fatto proprio da tutti i fedeli: ossia, in una parola, deve essere
partecipato in modo che essi siano trasformati a immagine del mistero
che stanno celebrando. Si può dire di “capire bene” il mistero della fede
solo quando lo si fa proprio per viverlo, perché questo è lo scopo stesso
del mistero della fede. Per il Vaticano II, tutto questo deve avvenire non
in qualsiasi modo, o attraverso sentimenti devozionali, bensì «attraverso
i riti e le preghiere (per ritus et preces)»52. Per queste ragioni credo che la
frase del concilio, Id bene intellegentes, sia molto più profonda di quanto
appaia a prima vista. Questa ha tutto l’aspetto di una parola d’ordine e
si presenta come la nuova frontiera della partecipazione attiva e il cuore
stesso della riforma liturgica.

Conclusione
Con la nuova concezione della partecipazione attiva, il Vaticano II
ci ha riportato nella scia dell’antica tradizione liturgica. In queste ri-
Jossua – Y. Congar (Unam sanctam 66), Les Éditions du Cerf, Paris 1967, 241-282. 
51
  Concilium Vaticanum II, «Constitutio de Sacra Liturgia Sacrosanctum Con-
cilium (4 decembris 1963) 48», 113.
52
  L’eucaristia è immagine dell’ultima cena, la quale è l’ “annuncio” del Calvario
ossia della morte e risurrezione di Cristo. Il mistero della fede, dunque, è la morte e
risurrezione di Cristo di cui tutta la ekklēsìa deve essere partecipe, morendo con lui
per vivere con lui (Rm 6,8). Se ci volgiamo ai testi liturgici, ci accorgiamo che questo
non è nient’altro che il “frutto” del sacramento.
La partecipazione attiva alla liturgia 333

flessioni ho preso in considerazione anche un altro problema che ci ha


lasciato la Mediator Dei et hominum, che operava una netta distinzione
tra la funzione del sacerdote, che era il celebrante dell’eucaristia, e la
funzione dei fedeli che partecipavano alla liturgia e che erano con lui
offerenti. L’antica tradizione liturgica non consente una tale separazio-
ne di ruoli dato che, da un lato, pone la Chiesa come soggetto integrale
della celebrazione liturgica e, dall’altro, parla del frutto della liturgia che
noi abbiamo identificato con la “partecipazione attiva” al mistero della
fede. Questa consiste nel diventare “imitatori”, “immagine”, “partecipi”
di ciò di cui ci nutriamo ossia del mistero che non è altro che l’azione
redentiva di Cristo. Il concetto di “partecipazione attiva”, così interpre-
tato dalla Sacrosanctum concilium, è un notevole arricchimento anche
dell’antica tradizione. Da un lato dobbiamo abbandonare la concezione
di “partecipazione attiva” della Mediator Dei et hominum per acquisire
quella del Vaticano II e, dall’altro lato, dobbiamo acquisire il concetto
di soggetto integrale della celebrazione affermando che tale soggetto è
l’ekklēsìa-assemblea53.
Il frutto dell’eucaristia – descritto come mistero della fede di cui i
fedeli debbono essere partecipi – è espresso molto bene nel Post pridie
di una Missa de uno defuncto della liturgia Hispanica:
Credimus, domine, Ihesu Christe, quia et tuo uescimur corpore, et tuum
corpus effici uis fideles. Fac nobis in remissione peccatorum esse quod sumse-
rimus; ut caro spiritui subdita et in consensu pacifico subiugata obtempe-
ret, non repugnet54.

Sommario
La Mediator Dei è un documento è squisitamente teologico, pur en-
trando nell’ipotesi di alcune riforme. Come punto di partenza di tutta
la sua argomentazione, l’enciclica pone il sacerdozio di Cristo, per cui
53
  Solo così potremo uscire dall’improvvida contrapposizione tra il cosiddetto
sacerdozio ministeriale e il cosiddetto sacerdozio dei fedeli.
54
  Le Liber Ordinum en usage dans l’Église wisigothique et mozarabe d'Espagne du
cinquième au onzième siècle, éd. M. Férotin (Monumenta ecclesiae liturgica 5), Librai-
rie de Firmin-Didot et C.ie, Paris 1904, col. 398. Lo stesso testo è presente nella col.
407).
334 Enrico Mazza

tutta l’opera della redenzione operata da Cristo è concepita come un’a-


zione sacerdotale. Da qui deduce che la liturgia è azione sacerdotale os-
sia dei sacerdoti, mentre i fedeli partecipano nell’offerre. La costituzione
Sacrosanctum concilium non ha carattere sistematico deduttivo e tratta
la liturgia come celebrazione della comunità presieduta dal sacerdote.
La prospettiva è la partecipazione attiva (scopo di tutta la riforma) ma
non ai riti e preghiere, come precedentemente, bensì al Mistero della
fede attraverso i riti e preghiere. Ossia partecipazione alla morte e risur-
rezione di Cristo. Questa è la novità del Vaticano II sulla partecipazione
attiva.

Abstract
Mediator Dei et hominum is a text absolutely theological, even if
considers and debates the possibility of some reformation of the liturgy.
The starting point is the idea of the priesthood of Christ. For this rea-
son the liturgy is an action celebrated from the priest only, instead the
people take part in the act of offerre and then he is only offering. Ac-
cording to Sacrosanctum concilium, whose nature is neither systematic
nor deductive, the liturgy is a celebration of the congregation and the
priest presides over this church. The aim of the liturgical reformation
is the Actuosa participatio of the faithful but, according to the Council,
the object of this “participation” is the Mystery of faith, through the rites
and prayers, not the rite and the prayer as such, in itself. That is to take
part in the dead and the resurrection of Christ: this is the new point of
view of the Vatican Council about the Actuosa participatio.

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