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ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE

"S. PIETRO MARTIRE" - VERONA –

IN COLLEGAMENTO ACCADEMICO CON LA

FACOLTA’ TEOLOGICA DEL TRIVENETO

INTRODUZIONE ALLA LITURGIA

Note per gli studenti

Silvio Zonin

Anno Accademico 2016-2017


2
Presentazione

Il corso intende offrire agli studenti un contributo scientifico per la formazione e


l'educazione liturgica, in modo che, secondo il desiderio del Concilio, "i fedeli partecipino
all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente" (S.C. 48). Si propone di
introdurre alla comprensione teologica della liturgia, intesa come celebrazione del mistero
totale della salvezza, sintetizzato nella Pasqua di Cristo, per la santificazione del popolo di
Dio, a gloria della Trinità. Ciò significa considerare la liturgia quale momento ultimo della
storia della salvezza.

Secondo le indicazioni della Costituzione liturgica, il metodo della nostra indagine si


muove tenendo presente la triplice prospettiva storica, teologica e pastorale (S.C. 16; 23),
con attenzione "ai riti e alle preghiere", che costituiscono la struttura delle azioni liturgiche
della Chiesa.

I contenuti del corso si articolano intorno ad alcuni capitoli fondamentali.

1. Il primo capitolo presenta una sintesi della liturgia celebrata e vissuta dal popolo di Dio
lungo la storia, fino al Vaticano II. L'indagine lavora sul piano descrittivo, con la
presentazione dell'origine e dello sviluppo dei riti e dei testi liturgici; e su quello
ermeneutico-interpretativo. Sinteticamente possiamo individuare quattro grandi periodi
storici:

I. Dalle origini alla vigilia del pontificato di Gregorio Magno (590): tempo della
creatività. II. Da Gregorio Magno a Gregorio VII (590-1073): periodo della prevalenza
franco-germanica. III. Da Gregorio VII al Concilio di Trento (1073-1545): epoca della
disgregazione, delle esuberanze e dell'allegorismo. IV. Dal Concilio di Trento al
Vaticano II (1545-1963): periodo della rigida unità liturgica e della rubricistica.

2. Il secondo capitolo presenta le linee essenziali della RIFORMA LITURGICA


scaturita dal Concilio Vaticano II. Si articola in tre sezioni.

Nel I paragrafo vengono presentate le linee fondamentali della Costituzione Liturgica


Sacrosanctum Concilium. Il II paragrafo descrive i criteri per la riforma liturgica
individuati dalla SC e da altri documenti del magistero. Il III paragrafo traccia una
panoramica della attuazione della riforma e delle problematiche attuali.

3. Il terzo capitolo affronta la dimensione antropologica della ritualità, con una


indagine sulla funzione simbolica, condotta in particolare sul terreno della fenomenologia
religiosa.

4. Nel quarto capitolo vengono indicate le linee fondamentali della teologia liturgica
secondo il dettato conciliare e dei documenti ecclesiali più significativi.

3
5. L'ultimo capitolo è dedicato al tema dell'Anno Liturgico.

Per altri temi particolari, saranno offerte delle sintesi ed eventuali sussidi nel corso della
loro presentazione.

Bibliografia essenziale
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Ordinamento Generale del Messale Romano,
Libreria editrice vaticana, Roma 2004

DE CLERCK, P., L’intelligenza della liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano, 1999

ENCHIRIDION VATICANUM, 1. I DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II. Testo


ufficiale e versione italiana, Ed. Dehoniane, Bologna 1981

Celebrare in Spirito e Verità. Sussidio teologico-pastorale per la formazione liturgica. A


cura dell'Associazione Professori e Cultori di Liturgia, Roma, Ed. Liturgiche, 1992.

CATTANEO, E., Il culto cristiano in occidente. Note storiche, Roma, C.L.V. Ed


Liturgiche, 1978.

GUARDINI, R., Lo spirito della liturgia – I santi segni, Morcelliana, 1980

4
PENSIERI INTRODUTTIVI

Nel Decreto conciliare Optatam Totius al n. 16 leggiamo che “la sacra liturgia, che è da
ritenersi la prima e necessaria sorgente di vero spirito cristiano, si insegni come è
prescritto negli articoli 15 e 16 della Costituzione sulla Sacra Liturgia”. La Costituzione
Sacrosanctum Concilium n. 16 dice che la sacra liturgia va computata tra le materie
necessarie e più importanti; nelle facoltà teologiche va considerata tra le materie principali e
va insegnata sotto l’aspetto sia teologico e storico che spirituale, pastorale e giuridico.

Queste affermazioni ci danno alcune indicazioni importanti.

La prima. Secondo liturgisti autorevoli la “theologia prima” è la teologia che si fa sui


banchi della chiesa prima che sui banchi della scuola. Per secoli (sostanzialmente nel I°
millennio) fedeli e pastori prima pregano e celebrano, poi disquisiscono sulle verità di fede.
Pregano per poter credere; pregano per sapere come dovranno approfondire
intellettualmente le verità credute. Per i teologi di queste epoche lontane, il luogo
privilegiato dove si studiano i contenuti della fede è la chiesa con le sue celebrazioni
liturgiche. Il vero maestro che siede in cattedra, che spiega e insegna, è la celebrazione
stessa1.

È la LEX ORANDI, cioè la legge del pregare, che stabilisce la LEX CREDENDI, cioè
la legge del credere, ciò che dobbiamo credere.

Secondo. Non è pacifico che noi sappiamo pregare e credere secondo lo spirito della
liturgia, cioè mediante il compimento di una AZIONE RITUALE. Perché siamo abituati a
pregare mediante la riflessione, o la lettura, o la recita di preghiere. Ma saper pregare
insieme, in una assemblea liturgica, mettendo in opera azioni e gesti comuni,
adoperando segni e simboli, parole e silenzi, non è la stessa cosa.

Terzo. La liturgia che noi conosciamo e celebriamo abitualmente è abbastanza recente: ha


poco più di quarant’anni. H. Jedin, il grande storico del Concilio di Trento, afferma con
ragione che la mens di una assise conciliare inizia ad essere recepita circa cinquant’anni
dopo la celebrazione dell’avvenimento. Vuol dire, tutto sommato, che la riforma liturgica
del Vaticano II° forse non costituisce ancora l’orizzonte teologico e spirituale del popolo di
Dio nel suo insieme.

CAPITOLO PRIMO

1
GIRAUDO, C., In unum corpus. Trattato mistagogico sull’eucaristia, Ed. S. Paolo, Cinisello
Balsamo (MI) 2001, p. 16-21.

5
LA LITURGIA CELEBRATA E VISSUTA DAL POPOLO DI DIO
LUNGO LA STORIA. VISIONE DI SINTESI E RIFLESSIONI

Possiamo individuare, sinteticamente, quattro grandi periodi storici I. Dalle origini alla
vigilia del pontificato di Gregorio Magno (590): è il tempo della creatività; II. da
Gregorio Magno a Gregorio VII (590-1073): è segnato dalla influenza franco-germanica;
III. da Gregorio VII al Concilio di Trento (1073-1545): è caratterizzato da disgregazione,
esuberanze e allegorismo; IV. dal Concilio di Trento al Vaticano II (1545-1963): periodo
della rigida unità liturgica e della rubricistica2.

I PERIODO - DALLE ORIGINI A GREGORIO MAGNO (590): IL TEMPO


DELLA CREATIVITA'

1. LA PRASSI LITURGICA NEI TESTI BIBLICI 3

1. Il significato del termine "liturgia".

La parola greca leitourghìa è composta da laòs (= popolo) e da èrgon (= azione, opera).


Tradotta letteralmente significa: "azione-servizio per il popolo/del popolo", o "servizio
direttamente prestato per il bene comune". A conferma della natura della liturgia come
"azione" Guardini afferma: "la liturgia non è composta di norme e di dottrine astratte, ma
tutto in essa è contemplabile forma; percepibile parola e realtà tattile; azione in cui si
entra agendo".

Nel mondo greco. In ambito civile, nel periodo classico "leitourgeìn" significa "sostenere
un servizio pubblico" cioè "in favore del popolo". Si trattava di prestazioni particolarmente
impegnative sul piano economico, che cittadini benestanti sostenevano a beneficio della
collettività, ad esempio: l'allestimento del coro nel teatro, l'armamento di una nave,
l'accoglienza di una tribù in occasione di feste nazionali. Nel periodo ellenistico il termine
acquista il senso di "servizio obbligatorio di lavoro", in genere oneroso, o amichevole e
volontario; il carattere "pubblico" si eclissa. Nell'ambito cultuale in epoca ellenistica
"liturgia" indica il servizio oneroso, volontario oppure dovuto, da prestare alla divinità.
Questo è il nuovo senso tecnico acquisito dal termine.

Nell'A.T. La LXX (250-150 a.C. circa) traduce con leitourghìa due termini ebraici: sheret
(= sentimento di dedizione affettuosa e incondizionata) e abdah (= azione del servire,
servizio oneroso)", quando questi termini si riferiscono al culto ufficiale del Tempio

2
Per il capitolo storico si fa riferimento in particolare all’opera di CATTANEO, Il culto cristiano in
Occidente. Note storiche, Roma, CLV . Ed Liturgiche, 1978.

3
Anamnesis 1. La liturgia momento nella storia della salvezza, Casale, Marietti, 1974, p.33-45.

6
compiuto da persone a ciò deputate, i Leviti. Quando sheret - abdah indicano il culto
privato reso dal popolo, la LXX usa latreìa/douleìa. Leitourghìa indica pertanto il culto
reso a Jahwè nella Tenda, o nel Tempio, officiato dai leviti, e regolato da norme divine. Il
rischio - individuato dai profeti nei periodi di crisi della religiosità - era una frattura tra
l'atteggiamento interiore nei riguardi di Dio (latreìa) e la pratica rituale del culto
(leitourghìa), considerata l'unica forma autentica.

Il NT prende le distanze dalla concezione ritualistica, giuridica e legalista di culto dell'AT.


Il termine "leiturghìa/leitourgòs/leitourgeìn" ricorre in vari contesti. In senso profano: Rm
13,6; Rm 15,27; Fil 2,25.30; 2Cor 9,12; Eb 1,7.14. Nel senso rituale-sacerdotale dell'AT:
Lc 1,23; Eb 8,2.6; Eb 9,21; Eb 10,11. Nel senso di culto spirituale: Rm 15,16; Fil 2,17. Nel
senso di culto rituale cristiano ricorre solo in At 13,2, che risulta l'unico testo NT in cui la
celebrazione cristiana viene chiamata "liturgia". “Liturgia” nel senso di culto, comunque,
non indica primariamente l’uomo che serve Dio, bensì include costitutivamente l’azione di
Dio che, mediante Cristo e nello Spirito Santo, opera nel mondo la salvezza.

2. La concezione di culto nella Bibbia ha due caratteristiche essenziali:

a) il rito non è mai sostitutivo della vita dell'uomo salvato, ma ne è l'espressione. L'AT
rivela che il rapporto cultuale di Israele con il suo Dio deve consistere in un amore che si
esprime nell'ascoltare la sua voce e osservare la sua alleanza (Es 19,5-6; Dt 10,12; Ger
7,22-23; Am 5,25). La ritualità deve essere segno della fedeltà alla Parola e all'Alleanza.
L'istituzione del sacerdozio levitico e la prassi rituale del Tempio purtroppo si sostituirà al
culto interiore e vitale che il popolo era stato chiamato a dare con la santità della vita. Il
"culto spirituale" verrà recuperato soprattutto dopo l'esilio, e verrà portato a compimento
nel NT in Cristo (cfr. Rm 12,1; Ef 5,2)4.

b) Il rito è totalmente riferito alla realtà/evento dell'Alleanza, di cui è "memoriale".


Non è una prestazione dell'uomo religioso a Dio creatore, ma il luogo
dell'autocomunicazione storico-salvifica di Dio all'uomo.

La concezione biblica del culto incide nelle concrete forme cultuali. Possiamo sottolineare
i seguenti elementi: a) centralità dell'annuncio della Parola, che diventa luogo
privilegiato di salvezza (cfr. Es 19; Es 24; Gs 24; Nee 8;9); b) nel momento cultuale
Israele sperimenta la propria natura di popolo di Dio, convocato, salvato, perdonato; c)
il momento cultuale si riferisce intrinsecamente all'evento storico-salvifico, di cui è
memoriale. Di conseguenza subiscono una radicale reinterpretazione in senso storico-
salvifico altri elementi cultuali: luoghi sacri; tempi sacri; cose e persone sacre.

Il capitolo biblico del culto/liturgia ci offre già delle linee per una visione sintetica di
liturgia: è un agire rituale simbolico, memoriale dell'evento salvifico, celebrato da un
popolo sacerdotale.

4
CARIDEO, A., La vita di Cristo e dei cristiani offerta sacrificale al Padre nello Spirito (Rm 12,1; Ef
5,2), in Mysterion, Torino, LDC, 1981, p.3-24. Cfr anche Anamnesis 3/2. La Liturgia eucaristica:
teologia e storia della celebrazione, Casale, Marietti, 1983, p.171-177.

7
3. La vita liturgica delle prime comunità cristiane5.

Dalla lettura dei testi (cfr. At 2,1-48; 20; Lc 24; 1 Cor 10,16-21; 11,23-26; Ef 1,3-3,21; Eb
5,11-10-39; Ap. passim) possiamo individuare A) la centralità dell'eucaristia e del
battesimo e il loro significato per la vita della comunità. B) L'evento storico-salvifico è
all'origine della convocazione liturgica della comunità; C) La celebrazione fa memoria
dell'evento, annunciando l'azione salvifica, lodando e ringraziando Dio, accogliendo nel
presente la sua azione che continua a rivelarsi nella storia, anticipando nella preghiera e
nella speranza il compimento. D) Determinante per la celebrazione cristiana è lo schema
dinamico trinitario nel processo salvifico.

2. L'ETA' POST-APOSTOLICA

SITUAZIONE STORICA - Il clima è caratterizzato da forti tinte di polemica, rispetto al


giudaismo, e di opposizione, rispetto al paganesimo. Nei documenti liturgici di questo
periodo appare da un lato continuità letteraria e tematica tra liturgia cristiana e liturgia ebraica;
dall'altro emerge l'irrinunciabile originalità di un culto "nello Spirito" a motivo di Gesù Cristo.

LA MATRICE GIUDAICA DEL CULTO CRISTIANO - Anzitutto vi è una


continuità degli elementi rituali6. La ritroviamo in alcune formule liturgiche del NT e del
periodo sub-apostolico7 messe a confronto con testi significativi della liturgia giudaica,
come la tephillat (= Diciotto Benedizioni); la Birkat-ha-mazon (= benedizione dopo il
pasto); lo Shemà8. Tale continuità, anche nella struttura letteraria, la troviamo in
particolare nell'Anafora cristiana confrontata con la beraka giudaica, la todah vetero
testamentaria9, e soprattutto la birkat ha mazon, la benedizione alla conclusione del
pasto10.

La "matrice eucologica" della preghiera liturgica giudaica e cristiana, sembra essere


la todah (dalla radice yadah = confessare). Non è tanto una “formula” precisa di
preghiera, quanto uno stile di preghiera che ritroviamo un po’ ovunque. Il popolo
risponde alla requisitoria di Jahwè, che rimprovera le infedeltà all’Alleanza, riconoscendo il

5
Anamnesis 2. La liturgia, panorama storico generale, Casale, Marietti, 1978, p.21-39.

6
Alcuni esempi: la struttura della liturgia della parola e la liturgia sinagogale; lo schema della Oratio
fidelium (quella tipica del Venerdì Santo) e la tephillat; la struttura oraria della preghiera quotidiana ;
il ciclo settimanale e quello annuale delle grandi feste.

7
LODI, E., Liturgia della chiesa, Bologna, Dehoniane, 1981, p.341-348, dove presenta le "fonti
bibliche della messa".

8
LODI, E., o.c., p. 302-309. 328-330

9
Cfr. CATELLA, A. - CAVAGNOLI, G., Le preghiere eucaristiche, Milano, Paoline, 1989, p.16-35.

10
MAZZA, E., L’anafora eucaristica. Studi sulle origini, CLV – Ed. Liturgiche, Roma1992, p. 7-50.

8
proprio peccato e confessando il Signore, il suo Nome e la sua grandezza. La struttura di
questa preghiera – che si sviluppa all’interno della esperienza dell’Alleanza – è
bipartita: I) una sezione anamnetico-celebrativa, in cui si loda il Signore, facendo
memoria della fedeltà di Dio e confessando davanti a lui le infedeltà del popolo. II) Una
sezione epicletica, o invocativa, dove si chiede a Dio di intervenire ancora per il suo
popolo11. Il giudaismo privilegia la berakah, un formulario di preghiera che nel NT verrà
reso con eulogein (= benedire), o con eucharistein, che significa "rendere grazie",
facendo memoria di una vicenda salvifica che implica i rapporti interpersonali tra Dio e
l'uomo.

Troviamo una continuità anche nella ispirazione di fondo. Si tratta della prospettiva
storico-salvifica, con il rimando all'alleanza, entro la quale si colloca la
"confessione/rendimento di grazie". Pertanto sarà la liturgia giudaica a fornirci il criterio
ermeneutico di fondo per la comprensione dei contenuti originari della liturgia cristiana.
Ma il cristianesimo introduce nel culto giudaico un "novum" sostanziale. L'evento storico-
salvifico, verificatosi "una volta per tutte" (efapax) che sarà celebrato nel rito è la
Pasqua di Cristo, culmine dell'Alleanza.

Alcuni esempi.

Didakè IX-X ha la struttura delle preghiere giudaiche per il pasto e, secondo alcuni
studiosi, può essere considerato un testo per celebrare l'eucaristia cristiana. In
particolare Didakè IX,1-4 deriva dal Qiddush,"preghiera di santificazione" che apre il
pasto festivo12 (presenta la sequenza rituale "calice-pane-unità", come 1 Cor 10,16-17, con
cui appare strettamente connessa). Mentre Didakè X,1-6 deriva dalla Birkat-ha-mazon, la
preghiera di azione di grazie che chiude i pasti13.

La preghiera eucaristica riportata nella Traditio Apostolica (215 circa) – la più antica
che conosciamo - mantiene la struttura di "rendimento di grazie" di Didakè X, e quindi
della Birkat-ha-mazon; ma vi viene inserito materiale proveniente dalla tradizione delle
cosiddette "omelie pasquali", dando forma così ad un "racconto della storia della salvezza".

PRASSI LITURGICA

La prassi liturgica del periodo post-apostolico ci permette di individuare


sinteticamente questi aspetti:

11
Esempi di "todah": Gs 24,2-15 (2-13: anamnesi; 14-15: epiclesi); Dt 26,5-10 (5-9: an.; 10: ep.); Dt
32, 1-25 (1-18: an.; 19-25: ep.); Sal 44 (1-23: an.; 24 ss: ep.); Ne 9,6-37 (6-31: an.; 32-37: ep.).

12
LODI, E., o.c., p.316-317. p.356-357.

13
LODI, E., o.c., p. 353-354. 357-358.

9
1. EUCARISTIA DOMENICALE - E’ il ritrovarsi in assemblea "il giorno dopo il
sabato" per celebrare la Pasqua del Signore, in un clima di fraternità 14. Il rito è scandito
da una liturgia della Parola, seguita dalla "presentazione dei doni" eucaristici (pane, vino,
acqua), sui quali è pronunciata la Prece eucaristica; segue la comunione (portata anche agli
assenti) e una raccolta finale di generi alimentari per i bisognosi.

2. LA PREGHIERA ORARIA è ancora strutturata secondo la tradizione giudaica 15.


Dal IV secolo diverrà monastica e comunitaria. La formulazione dell'Anafora sembra
godere ancora di una certa libertà

3. Si struttura la prassi del CATECUMENATO, con la celebrazione della PASQUA e


della Cinquantina Pasquale. Dal II/III secolo iniziano le MEMORIE DEI MARTIRI.
Dal IV secolo abbiamo la celebrazione del NATALE - EPIFANIA. Alla fine del VI secolo
l'Anno Liturgico sarà definitivamente strutturato.

INTERPRETAZIONE DELLA PRASSI LITURGICA

A) Dal punto di vista teologico va evidenziata la CENTRALITA’ DEL MISTERO


PASQUALE, come chiave interpretativa sia della storia della salvezza, sia della
celebrazione cultuale.

B) La liturgia ha una dimensione fortemente ECCLESIALE: è azione dell'intera


comunità cristiana. E si colloca nel quadro della MISSIONE globale della chiesa. Non è
parentesi "sacra", ma caratterizza la vita dei fedeli, come luogo della PROCLAMAZIONE
DELLA FEDE: tutta la celebrazione liturgica, con i riti, le formule eucologiche, i canti, è
una "confessio fidei" della chiesa, è sorgente di carità e di servizio, ed è l’ambito che
manifesta la propria appartenenza ecclesiale.

C) Infine va tenuta presente l'intima connessione tra celebrazione liturgica e VITA


SPIRITUALE. Il martirio realizza al massimo la sequela Christi e porta a compimento,
nella vita, ciò che il fedele celebra cultualmente nell'eucaristia16.

3. LA PRASSI LITURGICA NELL'EPOCA PATRISTICA CLASSICA (dal IV° secolo a metà


del VI°)

1. EVENTI

14
GIUSTINO, Le Apologie, Padova, Messaggero, 1982, p.115. 117 (I Apologia 65.67).

15
I testi più significativi da esaminare sono quelli della Traditio Apostolica nn. 25.41; De dominica
oratione nn. 34-36 di Cipriano; De oratione n. 12 di Origene; De oratione nn. 23-29 e De ieiunio n.
10 di Tertulliano.

16
L'analisi della letteratura mostra aspetti di grande interesse a questo proposito (le lettere di
Ignazio di Antiochia e il martirio di Policarlo sono i più rappresentativi).

10
 La documentazione diventa abbondante, per la progressiva tendenza a porre per iscritto i
formulari liturgici. Entra la mentalità giuridica romana che, nell'ambito cultuale, applica il
principio delle "XII Tavole": "Il diritto è legato alla parola nella sua espressione". Questo
comporta di fissare nello scritto le formule cultuali. Il linguaggio giuridico compenetra anche
certe formule eucologiche (cfr. Canone Romano)17.

 Si verifica la cosiddetta SVOLTA COSTANTINIANA. Con l’editto di pace del 313 il


cristianesimo è considerato alla pari delle altre forme religiose. Questo avvia una situazione di
"cristianità". Una legislazione sempre più favorevole ai fedeli e al clero immette il cristianesimo
nelle strutture statali e si fa strada l’dea imperiale che la religione cristiana possa diventare
la base per un impero universale.

 Questo comporta, da un punto di vista liturgico, la possibilità di un culto pubblico e


ufficiale. Nell'inevitabile processo di inculturazione delle forme cultuali, due modelli erano
immediatamente disponibili. Da una parte quello proveniente dal mondo imperiale; dall'altra
quello vetero-testamentario, con la meticolosa legislazione del cerimoniale levitico.

2. PRASSI LITURGICA

 APPROFONDIMENTO TEOLOGICO. E' il tempo dei grandi concili: Nicea (325) e


Costantinopoli (381) affrontano la questione TRINITARIA; Efeso (431) e Calcedonia (451),
affrontano la questione CRISTOLOGICA. I Padri ispirano e interpretano i grandi testi liturgici
(basti pensare a Basilio, Giovanni Crisostomo, Gelasio, Vigilio, Leone Magno e Gregorio
Magno), con approfondimento di temi trinitari, cristologici, pneumatologici. Nelle Anafore
confluiscono i dati di un pensiero teologico sempre più elaborato. L'ambito liturgico è
interpretato come luogo della "confessio fidei" del popolo di Dio, in cui la fede viene
alimentata, celebrata, condivisa in fraternità.

 In parallelo alle forze centrifughe presenti ormai nell'Impero, si configurano AREE


ECCLESIALI AUTONOME E DIFFERENZIATE 18. Nascono così le FAMIGLIE
LITURGICHE. Il loro sorgere è dovuto, in primo luogo, al fenomeno delle "metropoli". Sono
centri politico-culturali e anche importanti sedi episcopali, che derivano il loro prestigio da
una invocata origine apostolica. Il loro influsso in determinate aree geografiche e culturali
comporta la formazione di una vita liturgica, unificata intorno ad una determinata tradizione
liturgica. In secondo luogo la diversificazione liturgica è dovuta al fattore linguistico: uso del
latino, del greco (koinè), delle lingue nazionali. In Oriente abbiamo i due grandi centri di
Antiochia e Alessandria. Da Antiochia deriva la liturgia siro-orientale e la liturgia
antiochena, o siro-occidentale (greco-bizantina; siro-orientale nestoriana; siro-occidentale
monofisita). Da Alessandria deriva la liturgia copta19.

17
Anamnesis 1, o.c., p.54-58.

18
Cfr. Anàmnesis 2, o.c., p.41-62.

19
In Oriente il fatto linguistico, nelle due famiglie liturgiche, divenne una bandiera di divisione
politico-religiosa, pur conservando la liturgia nella nella forma pressochè immutata dell'antica

11
 In Occidente. A Roma il popolo parla il greco fino al 250 circa. Il latino viene sicuramente
accettato nel Canone eucaristico nel corso del IV secolo con Papa Damaso (366-384). Nel
De Sacramentis 4,21-27 di S.Ambrogio (340-397) troviamo la testimonianza più antica di una
parte del Canone Romano in latino 20. Probabilmente il passaggio al latino si verificò nel
Nord-Africa, dove viene usato dagli scrittori ecclesiastici fin dall'inizio del III secolo. Entro
la metà del IV secolo il passaggio dal greco al latino è cosa compiuta anche nella liturgia. Il
cambiamento della lingua liturgica non comporta solo una "traduzione", ma la creazione di una
"tradizione liturgica" tipicamente latino/romana.

IL LATINO DIVENTA LA LINGUA LITURGICA DELLA CHIESA


D’OCCIDENTE perché tutti i popoli dell’Europa erano stati romanizzati e quindi
“latinizzati”. In ORIENTE NON si verificò un fenomeno analogo perché, quando il
cristianesimo si diffuse, l’ellenizzazione era avvenuta in minima parte. E quindi restarono
le lingue nazionali anche nella liturgia21.

 Vengono fissati per iscritto i FORMULARI LITURGICI. I motivi sono diversi, eccone
alcuni. Il passaggio dall'area culturale semitica a quella greco-romana, legata alla cultura
scritta; i problemi teologico-pastorali posti dai movimenti ereticali (crisi donatista in nord
Africa), con il conseguente bisogno di difendere l'ortodossia della fede; l’incapacità creativa e
l'insufficiente preparazione dei pastori; il progressivo imporsi della chiesa di Roma. Non
ultimo, il bisogno "politico" di unificare le popolazioni dell'impero venute alla fede (es.
Visigoti in Spagna).

INTERPRETAZIONE DELLA PRASSI LITURGICA

 E’ fondamentale la VISIONE “MISTERICO – COMUNIONALE” della CHIESA. La


Chiesa è “Mistero / Sacramento di salvezza”, centrata sull’evento Cristo e sul suo Mistero
Pasquale; e si esprime storicamente come “Comunione” di un popolo “radunato nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Un'ecclesiologia pensata in questi termini ha una diretta
connessione con la prassi liturgica, soprattutto con l'eucaristia, e con una concezione "misterica"
dell'assemblea ecclesiale che ne è protagonista. Emerge inoltre il primato della chiesa locale,
nella quale si realizza il mistero della Chiesa.

 Nell'epoca patristica l’interpretazione del dato liturgico-sacramentale è fortemente


MISTERICA. Cioè la liturgia è interpretata e vissuta come luogo in cui continua la storia della
salvezza, nella forma del memoriale. La catechesi per eccellenza è MISTAGOGICA, cioè
parte dalla “LEX ORANDI”; alla luce dei testi liturgici spiega il dato di fede, con lo scopo di
“iniziare ai misteri” (= all’evento salvifico presente nell’evento sacramentale), perché questi
siano tradotti nella vita

tradizione.

20
Anamnesis 3/2. o.c., p.233-234.

21
RIGHETTI, M., Storia liturgica. I, Introduzione generale, Ancora, Milano 1964/1998, p.187ss.

12
LA CATECHESI MISTAGOGICHE – EXCURSUS

QUATTRO SONO I GRANDI PADRI “MISTAGOGHI”: AMBROGIO DI


MILANO (339-397) – CIRILLO DI GERUSALEMME (313-387) – GIOVANNI
CRISOSTOMO (349-407) – TEODORO DI MOPSUESTIA (+428)

 MISTAGOGIA = da  : iniziare ai misteri. Presso i PADRI GRECI ha due significati


principali: compimento di una azione sacra (i sacr. dell’iniziazione) + spiegazione orale o scritta
del mistero nascosto nella Scrittura e celebrato nella liturgia

LE CATECHESI MISTAGOGICHE sono omelie per catecumeni e neofiti, o


commenti alla liturgia – di stile “narrativo” – con un grande spessore teologico e
spirituale. È una intelligenza del mistero celebrato, che indaga il contenuto
ontologico del sacramento, coniugandolo con la spiritualità dei fedeli (Cfr.
CABASILAS, Commento alla divina liturgia / La vita in Cristo; AMBROGIO, De
Sacramentis)

La mistagogia non è semplicemente una forma di catechesi o di omiletica spirituale, ma è


un modo di fare teologia nel senso vero e proprio del termine, e precisamente è “teologia
liturgica”, perchè parte dalla celebrazione.

I“mistagoghi” sono Pastori d’anime – non teologi di professione. Essi fanno teologia
partendo dalle esigenze pratiche dei loro fedeli (chiarire le idee, difendere da eresie,
applicare alla vita).

 I PADRI – nelle loro MISTAGOGIE – usano il metodo TIPOLOGICO. Cioè partono dalla
SCRITTURA, dai dati biblici, e APPLICANO questi testi a Cristo e alla vita della Chiesa.
Questo metodo esige che si penetri il significato e il valore dei testi in modo da adattarli ad
eventi che con quei testi potevano anche non avere un rapporto evidente e immediato. L’Antico
Testamento, pertanto, deve essere applicabile al mistero di Cristo per avvalorarlo e accreditarlo.

LA TIPOLOGIA BIBLICA, allora, viene usata per interpretare la storia della


salvezza e per vedere la connessione interna degli EVENTI. EVENTI E PERSONE
dell’AT sono TIPI di EVENTI E PERSONE del NT, vale a dire anticipano eventi e
persone del NT (= ANTI-TIPI) e trovano in essi il loro compimento.

Ecco alcuni esempi: Es. Rom 5,15: il primo Adamo e Cristo Nuovo Adamo. Gv 2,19-21:
il primo tempio e Cristo Tempio definitivo. 1 Cor 10,1-6: l’Esodo e la salvezza in Cristo.
1 Pt 3,21: Noè e l’arca sono figura del Battesimo

Il metodo dei Padri non è nuovo. Anche nel giudaismo c’era il problema di applicare
i testi sacri alla vita quotidiana (halakhà) – per edificare i fedeli (haggadà) – mediante
delle parafrasi (targum) – o delle attualizzazioni dell’AT mediante la combinazione di
vari passi (midrash = es. il Magnificat).

13
 ANCHE PER SPIEGARE I SACRAMENTI SI USA IL METODO TIPOLOGICO. La
celebrazione rituale è TIPO dell’evento storico salvifico, che ne è l’ANTITIPO, la
VERITAS. Secondo questa visione, allora, il RITO viene definito con una serie di vocaboli
analoghi tra loro: è typos/tipo, eikon/imago, ypodeigma/copia, omoioma/similitudo,
morfe/figura, exemplum, misterium, sacramentum della VERITAS, che è l’evento storico
salvifico fondante.

Per esempio: in Rom 6,5: il Battesimo viene detto “omoioma” della morte di Cristo. In 1
Cor 10,16: l’Eucaristia è “koinonia” con la morte di Cristo

Questa terminologia esprime il rapporto tra l’evento sacramentale liturgico e l’evento


storico salvifico fondante, indicando da un lato la diversità tra i due momenti (in quanto
l’evento fondante è unico e irrepetibile) e dall’altro la perfetta identità ontologica tra i
due aspetti, per via di “partecipazione”.

Per certi aspetti, tuttavia, il rito in quanto tale non viene fatto oggetto di apprezzamento
adeguato, proprio perchè realtà "corporea"1. E per altri aspetti vengono esaltati anche
elementi secondari della celebrazione, col rischio di confondere le cose. In questo
quadro, infine, è fortemente sottolineato il polo cristologico (= attualizzazione del
mistero di Cristo) e il polo ecclesiologico (= la chiesa è generata dall'eucaristia come
popolo di credenti).

 Sotto l'aspetto della SPIRITUALITA’ abbiamo una profonda correlazione tra il momento
liturgico e la vita del fedele: la liturgia è ancora la sorgente privilegiata della vita cristiana nella
sua concretezza. L'esperienza monastica è strutturata liturgicamente dalla lectio e dall'opus Dei.

NELLA FORMAZIONE E INTERPRETAZIONE DEL DATO LITURGICO è


decisivo il contributo di PERSONALITA’ SIGNIFICATIVE 2. Numerosi Padri sono
anche i compositori di testi eucologici, che poi si fisseranno nei Sacramentari (Papa
Damaso, Pp Silicio + i Vescovi Paolino di Nola, Eusebio di Milano, Museo di Marsiglia).
Ricordiamo in particolare due Papi.

Leone Magno (440-461). Ha di fronte una città in gran parte cristiana. Da questo trae
motivo per un nuovo ordinamento della città. Capo di essa è il Papa, il quale è Pietro che
obbedisce a Cristo. Cittadini sono coloro che hanno ricevuto i sacramenti della iniziazione
cristiana. Il battistero di Roma è il battistero del mondo, perchè sede di Pietro. Dai sermoni
quaresimali la chiesa appare strutturata in tre categorie: i fedeli, i peccatori, i catecumeni.
Con Leone abbiamo ormai una vera e propria teologia dell'Anno liturgico. I giorni
commemorativi dei fatti di Cristo non sono solo una "memoria" psicologica (Agostino dice
del Natale: "non è celebrato il mistero, ma solo è richiamato alla memoria"), ma sono

1
Celebrare il mistero di Cristo. Vol. I La celebrazione: introduzione alla liturgia cristiana, Roma,
CLV-Ed. Liturgiche, 1993, p.184-185.

2
Cfr. CATTANEO, E., Il culto cristiano in occidente. Note storiche,Roma, CLV-Ed. Liturgiche, 1978,
p.114-132.

14
"sacramentum et exemplum". Un "esempio" della vita di Cristo, tradotto nella festa
liturgica, acquista la capacità di rinnovare, in un certo modo, quel mistero della salvezza
come se si realizzasse nel giorno della celebrazione 3. Pertanto l'Anno liturgico da Natale a
Pentecoste è il "cursus annuus" con il quale si opera la nostra salvezza. L'ordinamento
liturgico dell'anno influirà a tal punto sull'anno civile che, in seguito, l'inizio di esso
coinciderà col Natale.

Gelasio (492-496). Come Leone, vuole fare della liturgia la scuola di vita della Roma
cristiana (cfr. problema dei "lupercalia", nel 495). Toglie, dopo l’omelia, la prece litanica
con la quale si concludeva la liturgia della parola e si congedavano i catecumeni (perchè
non esistono più) e la colloca all'inizio, dove ora è il Kirie.

II PERIODO - DA GREGORIO MAGNO A GREGORIO VII (590-1073): LA


PREVALENZA LITURGICA FRANCO GERMANICA

Ciò che accade nel passaggio dall'età dei Padri al Medioevo è assai più di una evoluzione di
fatti e di situazioni. Sinteticamente, anche se con terminologia impropria, possiamo parlare
di transizione da cristianesimo a cristianità.

EVENTI

NEL 476 CADE DEFINITIVAMENTE L’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE.


Viene a mancare così un centro ordinatore civile a sostegno del Diritto Civile Romano
e cristiano.

I popoli del Nord Europa approdano al cristianesimo nella forma ereticale ariana,
portandosi dietro una buona dose di paganesimo.

Nel 496 a REIMS, CLODOVEO e il popolo FRANCO riceve il battesimo nella forma
cattolica, neutralizzando così l’arianesimo germanico. ROMA (il Papato) può così
innestare il cattolicesimo e l’antica cultura latina nelle Gallie, mettendo le basi dell’Europa
cristiana.

Nel corso del V sec. il cristianesimo si diffonde nelle campagne. La maggior parte delle
famiglie sono cristiane; pertanto cade l'istituzione del catecumenato e, nella Messa, la
distinzione tra liturgia dei catecumeni e liturgia dei fedeli. Di conseguenza viene meno la
formazione catechetica dei fedeli. In Gallia. Cesario di Arles (+542) dà notizie poco
rassicuranti sulla formazione religiosa del popolo: sopravvivono usanze pagane, la
partecipazione alla vita liturgica si affievolisce. Favorisce la vita comune del clero per
incrementare la vita liturgica. In Spagna sopravvivono le forme ereticali del
priscillianesimo e dell'arianesimo, condannati nel conc. di Toledo (589). In Italia sorge il

3
Cfr. LEONE MAGNO, I discorso per il Natale, 1-3; PL 53, 190-193.

15
monachesimo benedettino (sec. VI). Abbiamo la presenza dei Longobardi, di tradizione
pagana e ariana (sec. VII) e la conseguente opera missionaria dei monasteri di Lèrins,
Luxeuil, Bobbio. Influenze orientali notevoli si verificano al Sud (monachesimo italo-
greco con rito bizantino). Dal 685 al 752 alcuni Papi vengono dall'Oriente.

PRASSI LITURGICA

Papa Sergio I (687-701) innesta nella liturgia romana alcune tradizioni orientali (4
feste mariane; la devozione alla S. Croce; nel rito della messa introduce la commistione
dell'ostia nel vino consacrato, con il canto dell'Agnus Dei).

SI FORMANO I RITI OCCIDENTALI per un processo spontaneo, i cui fattori principali


sono: il distacco politico da Roma, le necessità pastorali, l'esempio stesso di Roma che
introduce novità liturgiche. Il rito gallicano (documenti frammentari dei sec. VI-VII) è
lontano dalla sobrietà romana, ama uno stile solenne e pomposo; ricerca l'esteriorità delle
cerimonie e introduce la consegna degli strumenti nei riti di ordinazione; è più
cristocentrico nella eucologia. Il rito celtico (documenti dei sec. VII-IX) è di impronta
monastica e fortemente ascetica; usa molto il salterio e i canoni penitenziali. Il rito
mozarabico (fine sec. VI) è legato ai nomi di Isidoro, Eugenio, Ildefonso e Giuliano di
Siviglia. I testi sono più nutriti di quelli gallicani; viene favorita la partecipazione del
popolo liturgia. Soppresso da Gregorio VII, rimane in uso a Toledo fino al 1085. Il rito
ambrosiano (documenti del V secolo, con il Vescovo Eusebio) conserva le caratteristiche
dell'antico rito romano. Il rito aquleiese dura fino al 802, quando Paolino assume il rito
romano per volere di Carlo Magno.

PAPA GREGORIO MAGNO (590-604) detiene il primo posto nella storia liturgica
della chiesa romana. La sua opera si pone al confine tra l’epoca patristica e quella
Medievale. Sta infatti tramontando l’antichità romana e iniziano le invasioni
longobarde.

UOMO DI GOVERNO. Prima Prefetto dell'Urbe, poi monaco benedettino, e legato papale
a Costantinopoli, diviene Papa in un periodo tristissimo, al punto da ritenere prossima la
fine del mondo. Nel 596 manda in Inghilterra 40 monaci del Celio con Agostino. 10 anni
dopo Etelberto Re del Kent viene battezzato con 10.000 sudditi.

OPERA LITURGICA. La ricchezza che la liturgia romana ha accumulato con Papa Leone
e Gelasio (492-496), viene codificata da Gregorio. Alla base della sua opera liturgica vi è la
preoccupazione pastorale che il popolo sia coinvolto e partecipe; per questo usa tutti i
mezzi con la massima libertà. Potenzia le "Stazioni quaresimali", già istituite nel secolo
precedente, celebrando la liturgia delle domeniche di Quaresima in particolari chiese.
RITOCCA L’ORDO MISSAE gelasiano (toglie la Deprecatio Gelasii e lascia la litania
del Kyrie – scompare l’Oratio fidelium – sposta il Pater alla fine del Canone e aggiunge il
“Libera nos”). Compone il LEZIONARIO (595/97), con due sole letture invece di tre, e il
CAPITULARE EVANGELIORUM collegando le pericopi evangeliche per le messe
stazionali anche alle "memorie" custodite nelle chiese, oltre che al mistero. Dà forma ad

16
un SACRAMENTARIO papale con l’eucologia per la Messa e altri Sacramenti (il
prototipo non esiste). Solennizza le cerimonie, e riorganizza la SCOLA CANTORUM,
avviata da P. Damaso (+ 384) e decaduta: Crea un ANTIFONARIO e riordina e rilancia il
CANTO LATINO paleo-romano (quello che verrà poi chiamato “GREGORIANO”),
affidandolo agli Abati del Monastero di S. Pietro, che lo elaborano. Nei sec. VII°- VIII°
diventa il canto Neo-romano, più elaborato ed equilibrato, che si diffonderà in tutta
Europa. Circa la Liturgia delle Ore non sappiamo se, in questo periodo, abbia già una
struttura fissa

OPERA TEOLOGICO-SPIRITUALE. Gregorio è l’iniziatore della “teologia


monastica”, che consiste nella comprensione della Scrittura applicandola all’esistenza. È la
“lectio divina”, che culmina nel sec. XI-XII° con S. Bernardo (1090 – 1153)

NOTA - L’EVANGELIZZAZIONE DEL NORD EUROPA e L’OPERA DI VINFRIDO


BONIFACIO

Papa Gregorio avvia l’evangelizzazione dei popoli Angli nel 596. Nel 597 Agostino
battezza Etelberto re del Kent e i suoi sudditi. Circa 70 anni dopo (entro il 670) il popolo
degli Angli è cristianizzato. E intorno al 690 si realizza l’unione tra il cristianesimo
irlandese- caratterizzato da ascetismo monastico, disciplina, slancio missionario – e
spirito romano.

Nel 672 nasce nel Wessex VINFRIDO BONIFACIO, che evangelizza la Frisia in
Germania. Nel 722 viene consacrato Vescovo da Papa Gregorio II° con un legame
particolare di obbedienza a Roma. Nel 732 riceve la facoltà di fondare nuove Diocesi. Tra
il 738 e il 747 si dedica alla riforma della chiesa Franca, legandola a Roma.

Nel 747 i Vescovi Franchi fanno voto di fedeltà al Papa. PIPINO ha un potere
pressoché totale e tratta col Papa direttamente.

Nel 754 Bonifacio viene ucciso, e nello stesso anno viene stipulata una ALLEANZA
tra il PAPATO e i FRANCHI. È la base del futuro Impero Carolingio.

CODIFICAZIONE LITURGICA

Verso la fine del V° secolo e nel VI° secolo si formano i cosiddetti “LIBELLI
MISSARUM”, specie di prontuari con formulari ecologici per Messe diverse.

Il SACRAMENTARIUM VERONENSE, anticamente detto “Leoniano” (ms 85 della


Biblioteca Capitolare di Verona) è una raccolta di “libelli Missarum” provenienti dal
Laterano ad uso “presbiterale” (NON per i “pontificali”). Contine alcuni testi di Messe di
Papa Leone M. (440-461), di Papa Vigilio (537-555), di Papa Gelasio (492-496).

17
Probabilmente è una collezione compilata tra il 560 e il 590 (prima comunque di
Papa Gregorio Magno).

A ROMA vengono creati due tipi di SACRAMENTARI: il tipo GREGORIANO di


uso papale - si chiama così perché la “paternità” è attribuita a Papa Gregorio Magno, ma
il prototipo non esiste. L’esemplare più antico è il S. di Cambrai compilato nel 812 - e il
tipo GELASIANO di uso presbiterale.

Un “Gelasiano” emigra in Gallia, dove si arricchisce di usi locali (= ”gallicani”); ne


abbiamo una copia il “Codex Reginensis 316” compilato a Chelles (Parigi) nel 750 circa.

LA LITURGIA NELL'ETA' FRANCO-CAROLINGIA 4

Il dato di maggiore rilievo di quest'epoca è la realizzazione di imponenti


trasformazioni culturali, religiose e civili. In questo quadro la prassi liturgica viene
ritenuta un elemento fondamentale per cementare in unità popoli e culture diversi tra
loro. Sotto questo profilo l'età dei carolingi attribuisce grande importanza a ciò che si gioca
nella partecipazione alla liturgia. Ma è anche evidente la tendenza a situare la prassi rituale
della chiesa più sul fronte pubblico e istituzionale, che non su quello misterico-
sacramentale. L'età carolingia si qualifica pertanto come epoca di imponenti riforme a
livello liturgico. Mentre il clero assume un ruolo chiave (clericalizzazione progressiva
della liturgia; monasticizzazione del clero).

DIFFUSIONE DEI TESTI LITURGICI ROMANI AD OPERA DEI CAROLINGI

PIPINO, padre di Carlo Magno, nel 754 (anno dell’Alleanza tra papato e Franchi) rende
obbligatoria per il regno franco la liturgia romana "gregoriana". Le motivazioni sono
religiose (rapporto con Pietro custode delle porte celesti, con la sua tomba, la sua città, la
sua liturgia) e, evidentemente, politiche. Il Vescovo Crodegango di Metz (+766), legato a
Pipino, instaura la Regula canonicorum, per raggruppare il clero nelle canoniche, in vista
della vita comunitaria e di una accurata vita liturgica.

Ma la liturgia romana "gregoriana" non copre il fabbisogno, perché fatta solo per le
solenni celebrazioni papali. Così si continua ad usare il tipo "GELASIANO" con le
tradizioni "GALLICANE"; questa commistione darà origine al Sacramentario misto
detto "GELASIANO DEL SECOLO VIII°”

CARLO MAGNO (768-814) continua l'opera di Pipino, rendendo di nuovo obbligatorio


l'uso della liturgia romana senza modifiche. Per questo chiede a Papa Adriano testi degni di
fiducia. Tra il 784 e il 791 ricevette il cosiddetto SACRAMENTARIO GREGORIANO
ADRIANEO e i libri liturgici romani, che collocò come testi tipici nella biblioteca di
Aquisgrana.

4
CATTANEO, E., o.c., p.184-219.

18
Ma il Sacramentarlo romano non soddisfa le esigenze liturgiche dei Franchi.
ALCUINO, che lavora a fianco di Carlo Magno per attuare la riforma, riordina il
LEZIONARIO e ripara le lacune del "Gregoriano Adrianeo", aggiungendo un
"SUPPLEMENTUM" ("Hucusque"), tra l’801 e l’804, in modo da renderlo usabile
per la liturgia quotidiana. In seguito il Supplementum di Alcuino fu inserito nel
Sacramentario vero e proprio.

Dopo il 950 fino al sec. XII° i “Gregoriani Adrianei” col Supplemento di Alcuino si
arricchiscono di altre formule tratte dai GELASIANI DEL SECOLO VIII°, che
avevano già accolto le tradizioni franco germaniche (con usi e formulari locali), dando
vita ai GREGORIANI GELASIANIZZATI. Questi confluiranno nel MESSALE
USATO DAL PAPA E DALLA CURIA ROMANA nel sec. XIII°. Questo Messale
sarà adottato dai Frati Minori e poi diffuso nell’Orbe Cattolico.

Sempre durante il regno di Carlo Magno vengono attuate riforme battesimali (un
battistero per ogni città e per ogni pieve; battesimi solo a Pasqua e Pentecoste con
istruzione di genitori e padrini). Con questa attività, le popolazioni diverse vengono
unificate anche culturalmente e la vita liturgia risulta così un notevole “collante” in
sintonia con la vita civile.

LUDOVICO IL PIO (814-840) continua l'opera dei predecessori e segna il CULMINE


DELL’IMPERO CAROLINGIO. Si preoccupa ancora della vita comune del clero, con
influsso della regola benedettina e a forte indirizzo liturgico. L'autore principale di questo
regolamento è AMALARIO, monaco cresciuto nell'ambiente liturgico di Carlo Magno.

Ludovico ridà potere ai Vescovi e stabilisce che siano loro a nominare il Clero delle
proprie chiese, (non i proprietari terrieri che avevano il diritto di scegliere i preti per le
chiese dei loro territori)

L'azione vigorosa dei Franchi, comunque, non riesce ad eliminare sacche di ignoranza,
soprattutto tra il clero; nonostante i Capitolari carolingi, i vecchi usi non vengono
abbandonati

LA SITUAZIONE ECCLESIALE E LITURGICA DAL SECOLO IX°

EVENTI POLITICO-ECCLESISTICI

CON LA MORTE DI Ludovico il Pio (840) iniziano le lotte per problemi ereditari. Il
regno viene diviso tra i figli; prima tra Lotario, Pipino e Ludovico, poi anche con il quarto
Carlo il Calvo, suscitando lotte intestine. Alla fine resta diviso in tre parti. Con Arnolfo di
Corinzia (887 – 889) l’impero carolingio cessa di esistere e la dignità imperiale finisce in
mano a nobili italiani.

L’Impero Carolingio si sfalda, dando inizio al cosiddetto SECOLO OSCURO (887 –


1046).

19
Il crollo dell’Impero ha una forte ricaduta sulla situazione ecclesiastica e anche
sulla vita liturgica:

cessa la legislazione Franca in ambito liturgico. Il sistema feudale impoverisce le


risorse economiche del clero, per cui si moltiplicano i legati per suffragio (cioè le Messe
“private” dette per gli offerenti). La liturgia diventa sempre più affare del clero; i fedeli
devono solo assistere, osservare le penitenze, pagare le decime.

E il PAPATO perde l’appoggio e la dimensione universalistica acquisita con i


Carolingi e si riduce ad un Vescovato locale, in balìa delle potenti famiglie romane.

Verso la fine del sec. IX la situazione ecclesiale in Roma diventa caotica e cala
l'interesse per la vita liturgica.

LA GERMANIA si avvia a raccogliere l'eredità franca. La vita ecclesiale migliora


con il “rinascimento Ottoniano”. OTTONE I° (936 – 973) si fa consacrare e
incoronare imperatore a ROMA dal PAPA nel 962, dando inizio al SACRO
ROMANO IMPERO. Ristabilisce ordine e unità nel regno, dà vigore ai vescovati
concedendo terre e potere. La CHIESA diventa “IMPERIALE”, con grandi possibilità
di azione e di influenza, ma anche con una profonda dipendenza dall’Impero e quindi
una progressiva secolarizzazione della sua vita interna (Vescovi e Abati vengono
nominati dall’Imperatore, secondo i suoi gusti).

La concezione sacrale dell’autorità imperiale giunge al vertice con ENRICO II°


(1002 – 1024), col quale si verifica la massima ingerenza dell’imperatore nel papato.

A ROMA le lotte tra Crescenzi e Tusculani crea Papi e antipapi. Finchè nel 1046
ENRICO III° li dimette tutti (ce n’erano 3) dimostrandosi il capo supremo della
chiesa. E fa eleggere Clemente II° (tedesco). Questa data segna la fine del “secolo
oscuro”. Ma il problema delle ingerenze imperiali negli affari della chiesa resta e
giungerà alla “lotta per le investiture” nello scontro infuocato tra ENRICO IV (1056 –
1106) e Papa GREGORIO VII° (1073 – 1085).

20
COSA SUCCEDE IN CAMPO LITURGICO NEL PERIODO CAROLINGIO (SECOLO
VIII°) E IN SEGUITO

INNESTO DI ELEMENTI GALLICANI. QUALI SONO ?


 PREDILEZIONE PER ELEMENTI “TEATRALI”.
Incensazioni: all’inizio della Messa, al Vangelo (con processione trionfale), al Canone; si
introducono le “sequenze”; per i canti interlezionali si scende sui “gradus” dell’ambone. Si
introducono riti particolari per la settimana Santa (processione delle palme;
spegnimento progressivo delle candele nella recita del Mattutino; lavanda dei piedi; al
Venerdi Santo improperia, Ecce lignum, venerazione della Croce; Veglia Pasquale: fuoco,
Lumen Cristi, Exultet, acqua lustrale). Nei riti di ordinazione si introduco le unzioni e la
traditio instrumentorum.
 GUSTO PER PREGHIERE INTERMINABILI:
si aggiungono COLLETTE (anche sette); si introducono solenni BENEDIZIONI. Si
aggiungono le APOLOGIE. Sono preghiere personali del celebrante per scusarsi davanti
a Dio e implorare la sua misericordia, recitate in privato e sottovoce, soprattutto all’inizio,
all’offertorio e alla comunione. L’origine è orientale. Nei secoli VII – VIII vengono
elaborate tra i monaci celti e gallicani. Questi testi si diffondono ed entrano nella
liturgia romana con gli OTTONI (sec. X), ed essa le incorpora nei suoi libri nei sec. XI
– XII. Sono motivate a) dalla carenza della confessione sacramentale (una volta
all’anno nei monasteri). b) dal fatto che – dal sec. VII / VIII si impone l’uso della
 MESSA LETTA o PRIVATA.
E’ la Messa fatta celebrare dagli OFFERENTI per motivi devozionali e comunque al
di fuori della partecipazione della comunità. Questo tipo di Messa costringe a
semplificare il rituale, per adattarlo a gruppi modesti, e a introdurre appunto le
“APOLOGIE”, per colmare silenzi e vuoti rituali dovuti alla carenza dei diversi ministeri
liturgici e anche dei libri liturgici. Decadranno un po’ quando aumenterà il ricorso
alla confessione sacramentale (dopo il sec. XII°).
 Nella Liturgia si userà solo il LATINO:
perché è l’unica lingua scritta e il CLERO è depositario unico della cultura. La
liturgia diventa così monopolio del solo clero. Si aggiunge una specie di “disciplina
dell’arcano”, un occultamento del divino agli occhi del volgo cristiano (dato che i pagani
non ci sono più).
 SCOLLAMENTO TRA RITO E ASSEMBLEA CHE LO ASSISTE :
esso viene inesorabilmente ridotto ad una cornice, dentro la quale ognuno fa le sue
devozioni. La distanza è segnata architettonicamente da una balaustra/parete divisoria,
mentre l’altare viene spostato in fondo all’abside.

INTERPRETAZIONE DEL DATO LITURGICO


 PREOCCUPAZIONE TEOLOGICA.
Nelle orazioni gallicane si sottolinea la consustanzialità delle Tre Persone (caratteristica
della liturgia orientale, e in funzione antiariana); per cui la mediazione di Cristo viene
posta in ombra (per paura dell’arianesimo). CRISTO è il RE supremo: l’abisso
immenso che ci separa da Lui viene colmato dai santi intercessori, dai monaci, dalla chiesa,
che assume il ruolo di “mediatrice del divino”.

21
 PROGRESSIVA INCOMPRENSIONE DEL DATO LITURGICO
Prevale la preoccupazione della salvezza individuale della propria anima.
E quindi la dimensione ASCETICA, MORALEGGIANTE E DEVOZIONALE (NON
QUELLA MISTERICO SACRAMENTALE) .
La prassi liturgico-sacramentale (i riti) sono “UN MEZZO” importantissimo per
ottenerla (= non sono più vissuti come il luogo del proprio inserimento nel mistero
pasquale di Cristo e della formazione della Ecclesia)
 NUOVI USI LITURGICI
L’accresciuta venerazione per il Sacramento porta all’uso del pane lievitato, in fettine
(particole) bianche, già preparate in precedenza (l’uso diventa fisso nel sec. XI).
Questo comporta altri cambiamenti: l’offerta del pane fatta dai fedeli, si tramuta in
offerta in denaro + La frazione del pane diventa inutile. Il canto dell’Agnus Dei (entrato
nel 650) per accompagnare la frazione del pane, diventa canto per la comunione (nel sec.
IX) + il grande piatto usato per la frazione del pane diventa la piccola patena che contiene
solo l’ostia grande del celebrante + le particole per i fedeli vengono poste in coppe (pissidi)
e date sulla lingua dei fedeli, inginocchiati + da qui deriva il basso parapetto (balaustra)
per la comunione dei fedeli, sconosciuto nelle chiese antiche.
 L’INTERPRETAZIONE ALLEGORICA DELLA RITUALITA’
Nel periodo CAROLINGIO, si cerca ancora di favorire la comprensione e la partecipazione
del popolo alla liturgia (canto, risposte al celebrante, processione offerte, scambio di pace).
In particolare nascono le ESPLICAZIONI della Messa (Expositio “Quotiens contra se”
sec. VIII-IX). Sono SPIEGAZIONI ALLEGORICHE da dare ai fedeli, che non
riguardano le preghiere e il Canone, ma la RITUALITA’ ESTERIORE che colpisce
gli occhi.
L’ALLEGORISMO è di origine orientale (Teodoro di M. +428; siro Narsai + 502;
Pseudo Dionigi sec. VI). ALCUINO e soprattutto il suo discepolo AMALARIO di
Metz (“Expositio anno 813-14 + “De ecclesiaticis officiis”, anno 830) applicano il
metodo allegorico alla liturgia romana.
Questo uso viene condannato nel Sinodo di Quiercy (838) su istanza del diacono Floro.
Ma si impone e dilaga ugualmente. Anche se nel sec. IX Floro, Remigio di Auxerre (+
908) e altri propongono spiegazioni della liturgia secondo l’uso dei Padri. I liturgisti del
M. EVO batteranno al via di Amalario.

E' un metodo che non giova alla spiritualità liturgica e tuttavia trionfa, fino al
vertice, costituito da DURANDO ( “Rationale divinorum officiorum”, sec. XIII).
Il grave limite teologico di questa interpretazione è dato dalla frammentarietà e
arbitrarietà, che ignora il senso globale e unitario dell'azione rituale nel suo
movimento interno e complessivo. Così il rito acquista il riferimento ad un
sacro/misterioso non meglio identificato, perdendo quello cristologico-pasquale

LA MESSA FRANCO – ROMANA COME NUOVO TIPO FONDAMENTALE


È il tipo che forma nel Regno Franco. Il cerimoniale liturgico si appropria di elementi
del cerimoniale feudale; il criterio è che un atto liturgico di natura spirituale deve essere
accompagnato da gesti e parole che lo manifestino quasi materialmente.
 L’ORDO che poi si diffonderà ovunque è probabilmente di origine RENANA.

22
Introduce la recita/canto di Salmi in 4 punti: durante la vestizione; entrando in chiesa (
Introibo ad altare Dei /Salmo 42 Iudica me Deus + rituale di confessione); durante
l’offertorio e infine altri Salmi nell’avviarsi in sacrestia.
Dalla metà del X secolo circa, si forma l’ORDO MISSAE FRANCO GERMANICO
GALLICANIZZATO, che viene codificato nel PONTIFICALE ROMANO
GERMANICO del secolo X°. Questo Pontificale, compilato nello Scriptorium di
Magonza, viene fatto proprio dalla LITURGIA ROMANA PAPALE.
Così inizia la dipendenza liturgica di Roma dalla Germania.
Papa Gregorio V nel 998, accordando privilegi all'abbazia di Reichenau, chiede a titolo di
sudditanza un sacramentario, un epistolario e un evangeliario: a Roma, quindi, non vi è uno
scriptorium attivo. Così, alla fine del sec. X, in Roma e in altri centri italiani giungono
testi liturgici che non rispecchiano più l'antica tradizione romana, ma si sono formati
nell'ambiente franco-germanico.

L’influenza germanica nella liturgia romana è dovuta a OTTONE I° (e agli “Ottoni” >
Enrico II incoronato a Roma nel 1014), + alla decadenza di ROMA + all’influsso di
CLUNY e dei suoi monasteri (in Italia – rapporto Cluny/Camaldolesi – in Francia).

 DAL SEC. X° IN POI IL PAPA, che celebra nella sua cappella privata in
Laterano, usa il Messale che si è formato in ambiente Franco Germanico.
Poiché la S.SEDE cresce di importanza con Papa Innocenzo III° (+1216), il Messale della
Cappella Papale (Missale secundum usum Romanae Curiae) si impone e viene diffuso
dai FRATI MINORI che lo fanno proprio col Ministro Generale Aimone di
Faversham nel 1240.
In O.R. XIV troviamo gli usi liturgici ormai fatti propri da ROMA= il cel. legge
l’introito per conto suo cum ministris, e inoltre il Kyrie, il Gloria, l’Epistola, il Credo, il
Sanctus, l’Agnus Dei.
È una anomalia cultuale, segno di un senso liturgico ormai decaduto.
Questo uso verrà confermato dal Messale di BURCARDO (1509), che sarà la base di
quello di S. PIO V° nel 1570.

 Nel sec. XII° il MESSALE PLENARIO comincia a prevalere nettamente sui


singoli libri liturgici (Sacramentario, Antifonario, Lezionario). Il suo uso risale
già al sec. IX° (troviamo Sacramentari con le letture, o con parti cantate). Dal sec.
XI sono frequenti i Messali con parti cantate; nelle messe votive ci sono anche le
letture.
Dal sec. XIII il Missale plenario costituisce la regola: la Messa-tipo è quella letta e
privata, in cui il prete fa tutto; aumentano i segni di croce, i baci all’altare e agli
oggetti usati; si allargano le braccia a forma di croce dopo la consacrazione; inchini; il
Vangelo si legge a destra dell’altare, l’Epistola a sinistra.

 COMPRENSIONE “TEOLOGICA” DELLA MESSA


Non si capisce più il senso del PREFAZIO (viene considerato una conclusione dei riti di
Offertorio). Il CANONE inizia col TE IGITUR e termina con la DOSSOLOGIA “per
ipsum cum ipso et in ipso…”.
SOLO IL CELEBRANTE entra in silenzio nel Canone.

23
La MESSA NON è più COMPRESA come “MEMORIALE DELLA PASQUA” di
Gesù. Da Celebrazione Memoriale simbolico-sacramentale che rende presente il
Mistero Pasquale di Cristo per edificare il Corpo della Chiesa, DIVENTA IL
MISTERO DELLA DISCESA DIVINA, che si ammira da lontano, adorando. E il
centro è la CONSACRAZIONE.
La Messa è un “dramma” che si svolge sotto gli occhi dei fedeli: è la rappresentazione
del processo storico della Redenzione, soprattutto della Passione Morte e Risurrezione di
Cristo, compresa l’attesa dei Patriarchi.
La Messa è la venuta di Dio tra gli uomini per distribuire le sue grazie. Il popolo assiste
per aver parte a queste grazie, per vivi e defunti (= questo è il senso della “partecipazione”
dei fedeli), e “accompagna” il Signore per le vie della Redenzione.
Il vertice della Messa è “videre hostiam”, per ricevere grazie (chi è in peccato non
potrebbe fissare l’Ostia santa…); e questo rito “sostituisce” la comunione, ormai rarissima.
Di qui: il rito dell’elevazione, che con Oddone di Sully (1190 circa) viene posto dopo la
consacrazione.
Di qui lo sviluppo delle “ostensioni” e degli “ostensori” (1264 Corpus Domini) + Messe
coram Ssmo (dal sec. XIV) + genuflessione prima e dopo aver toccato il Ssmo.
Tutti i gesti/ movimenti/ paramenti/ colori… vengono interpretati allegoricamente.
Con Papa Innocenzo III (“De sacro altaris mysterio”) abbiamo il vertice
dell’interpretazione allegorica.
La SCOLASTCA (S. Alberto Magno) sferra forti attacchi all’allegorismo … che tuttavia
resiste imperterrito.
Per arricchire la dimensione spettacolare della Messa, si amplia la parte musicale: tropi
(dal sec. X) + viene musicato l’Ordinario (Missa De Angelis = sec. XIII) + polifonia (Notre
Dame di Parigi dal sec. XII).
 SI FORMA UNA SPIRITUALITA’ NUOVA
PIETA’ ASCETICO MORALEGGIANTE. Cresce la devozione verso la Trinità, la
Madre di Dio, i Santi. Si oscura la centralità della Pasqua, sia a livello teologico che
celebrativo. Nella cristologia: si passa dalla mediazione di Cristo alla professione di fede
nella sua divinità, all'interno di una concezione più statica. E' il Re supremo: fra lui che ha
la residenza nel supremo castello celeste con maestà tremenda e il povero uomo peccatore,
che aspetta tremebondo il giorno del giudizio, si apre un immenso abisso; per poterlo
passare si ha bisogno dell'aiuto degli angeli, dei santi, dei monaci, dei sacerdoti che offrono
per noi la Messa. Nella considerazione dell'umanità di Cristo viene privilegiata una
meditazione soggettiva di Gesù-modello di vita. Nell'accostare il tema della Passione
diventa prioritaria la considerazione del suo soffrire, rispetto alla sua risurrezione.
PREVALE LA PREOCCUPAZIONE DELLA SALVEZZA INDIVIDUALE
DELL’ANIMA. I riti sacramentali sono un "mezzo" importantissimo per questo
scopo. E diventano un dovere religioso da compiere; non sono più sentiti come
celebrazioni ecclesiali del proprio vitale inserimento attivo e responsabile nel mistero di
Cristo.
INDIVIDUALISMO LITURGICO DEVOZIONALE. Appare nella proliferazione delle
"apologie" (v. sopra). Si generalizza l'uso della penitenza privata, con l'abbandono del
quadro ecclesiologico che caratterizzava la prassi penitenziale antica.

24
Si verifica uno scollamento netto e pressochè generalizzato tra il rito celebrato e
l'assemblea che lo celebra. Esso viene inesorabilmente ridotto al ruolo di cornice, dentro
cui si è invitati ad attività devote.

ELEMENTI POSITIVI. Rimane viva una logica di adattamento della prassi liturgica
alla sensibilità religiosa dei Franchi (opera di Alcuino). Permanenza della dimensione
catechetica nella liturgia (lingua slava nella liturgia introdotta da Cirillo e Metodio).

DAL PUNTO DI VISTA ECCLESIOLOGICO si avvia un processo di


"esteriorizzazione" del concetto di chiesa (chiesa-società, più che chiesa-sacramento).
Nei decenni del sec. XI si realizza una concezione di chiesa, sia teorica che pratica,
qualificabile come "piramidale". Essa incide sulla prassi liturgica, operando un processo di
centralizzazione che condurrà all'abolizione di tutte le liturgie diverse da quella di Roma.
La prassi liturgica della chiesa diventa soprattutto segno di appartenenza all'istituzione
ecclesiastica; il rito perde la connotazione del linguaggio mistagogico che introduce
all'esperienza spirituale; per entrare in essa occorre intraprendere altri sentieri.

25
L’AVVIO DELLA RIFORMA DELLA CHIESA NEL “SECOLO OSCURO”

Si ha con il movimento cluniacense. CLUNY viene fondato nel 908 da GUGLIELMO


IL PIO Duca di Aquitania. Deriva dal monachesimo benedettino osservato rigorosamente
con fortissima vita ascetico liturgica e distacco dal mondo.

È un monastero libero da ingerenze feudali e vescovili, che dipende direttamente


dalla Santa Sede, con privilegi e libera elezione dell’Abate che esige obbedienza
assoluta.

In questo modo inizia un movimento di riforma monastica ed ecclesiale interna in


chiave antifeudale e fortemente legata al papato. NON è ancora la “lotta per le
investiture” sul piano istituzionale vero e proprio, ma la prepara dall’interno e appoggerà
la politica di Papa GREGORIO VII°.

GRANDI ABATI: Oddone (927 – 942) + Odilone (994 – 1048: introduce la


commemorazione dei defunti il 2 novembre) + Ugo Magno (1049 – 1109: diventerà Papa
Urbano II°) + Pietro Venerabile (1122 – 1156).

Molti monasteri si aggregano a Clny e ai suoi statuti (Francia, Borgogna, Italia, Spagna,
Inghilterra. In Germania, tuttavia, i monasteri restano legati all’Impero Ottoniano). La
Congregazione Cluniacense raggiungerà il vertice nei secoli XI – XII con 3000 comunità.
Dopo il secolo XII° inizia il suo declino, quando verrà dato maggior potere ai VESCOVI.

INFLUSSO LITURGICO: forme devozionali + Messe private + liturgie salmodiche


+ messe votive per i defunti + drammatizzazioni introdotte nei riti liturgici

III PERIODO - DA GREGORIO VII (1073) AL CONCILIO DI TRENTO


(1545): DISGREGAZIONE, ESUBERANZE, ALLEGORISMO.

LA RIFORMA ECCLESIASTICA DEL SECOLO XI°

Viene preparata da Papa NICOLO II° (francese) imposto dal monaco Ildebrando di Soana.
Con un decreto libera l’elezione papale dall’influenza laicale e la affida ai Cardinali. La
cosa provoca la reazione dell’Imperatore tedesco che impone un altro Papa Benedetto X dei
conti di Tusculo.

Poi è la volta di Papa Alessandro II° di Milano, sempre sostenuto dal Monaco Ildebrando.
Enrico IV impone l’antipapa Onorio II°.

E finalmente il monaco ILDEBRANDO diventa Papa GREGORIO VII°

26
GREGORIO VII (1073-1085) 5

IL PROBLEMA DI FONDO è costituito dalla concezione sacrale dell’Impero. E dal


fatto che la protezione imperiale data alla chiesa si è trasformata nella dipendenza
della chiesa dall’Impero.La riforma di Gregorio VII° si colloca sul piano politico
ecclesiastico, che il rinnovamento monastico di CLUNY non aveva.

Sul piano ecclesiastico interno combatte il matrimonio dei preti, e la simonia (=


l’acquisto degli uffici ecclesiastici, considerati dei “benefici”).

Su quello esterno combatte l’investitura laicale degli ecclesiastici. Anche il RE va


considerato un laico che deve obbedire alla chiesa. Con questo si desacralizza la dignità
imperiale. 1075 “DICTATUS PAPAE” = Il Papa è capo supremo della chiesa, con
potere sopra l’imperatore. 1076: reazione di Enrico IV a WORMS – segue la
scomunica dell’imperatore – e la sua penitenza a Canossa (1076/1077)

L'ECCLESIOLOGIA che guida la riforma gregoriana è pertanto rigorosamente


gerarchica, piramidale; lo spazio per il popolo di Dio è molto ridotto.

LA LITURGIA, pertanto, è luogo specifico del clero ed esercizio della sua potestas. Tre
sono le mete dell'azione liturgica di Papa Gregorio VII: a) affermazione dell'autorità
papale nel campo liturgico, lasciato per tre secoli in mano agli ecclesiastici franco-
tedeschi, riportandola "ad ordinem romanum et antiquum morem". Chiede che i vescovi si
uniformino alla legislazione liturgica che viene promulgata da Roma (= centralismo ro-
mano). In Spagna elimina il rito mozarabico; mentre il rito ambrosiano resiste. b) Ritorno
all'antico, soprattutto ad aspetti ascetici (salterio, digiuno sabbatico, tolto l'Alleluia a
Settuagesima). In realtà si ritorna allo stadio precedente della liturgia romano-franca. c)
Formazione e disciplina del clero e dei fedeli. Insiste sulla regolare pratica liturgica dei
fedeli. Esigenze di santità e coerenza di vita nel clero perchè possa presiedere degnamente
le azioni liturgiche, viste come ambito dell'esercizio del ministero gerarchico.

La prevalenza clericale nella liturgia si impone e viene coltivato il senso del "mistero"
(distacco dei fedeli dal clero celebrante; lettura della Bibbia riservata al clero).

Continua il devozionalismo, sia pure sotto una veste liturgica (ricevere spesso la
comunione; fiducia nella Madonna; devozione all'umanità di Cristo e al crocifisso).

5
CATTANEO, E., o.c., p.231-242.

27
VITA LITURGICA E RISVEGLIO RELIGIOSO SPIRITUALE NEI SECOLI XI – XII - XIII
6

SECOLO XI
CLUNIACENSI: 908 (v. sopra) –
CAMALDOLESI con S. Romualdo (951 – 1027)
CERTOSINI con S. Bruno (1030 – 1101): preghiera e raccoglimento interiore
CISTERCENSI: ramo riformato dei benedettini fondato a CITEAX nel 1098: povertà,
preghiera, lavoro, dimensione interiore della spiritualità (es. S. Bernardo)

NEI SECOLI XII – XIII 7 nascono i MOVIMENTI PAUPERISTICI ispirati al Cristo


povero e umiliato. Sono movimenti disparati in antitesi alla chiesa feudale e imperiale.
Alcuni nomi: Tanchelmo, Arnaldo da Brescia, Pietro Valdo (1173), le Beghine, gli Umiliati,
i Catari (o Albigesi)
E i grandi ORDINI MENDICANTI, profondamente inseriti nella istituzione ecclesiale:
Francescani (1210) + Domenicani (1215) + Eremitani di S. Agostino (1256) +
Carmelitani (1247).

IL PAPATO raggiunge il vertice della potenza temporale con PAPA INNOCENZO


III° (Lotario di Segni 1198 – 1216). Eletto Papa a 36 anni, muore a 56. E’ il capo
effettivo di tutto il mondo occidentale e influisce – indirettamente - sull’Impero.

Nel 1215 INNOCENZO convoca il Concilio Lateranense IV (1215), che tenta di


reagire agli abusi e di farvi fronte, garantendo cultura e formazione ai chierici.

PRASSI LITURGICA. Il Concilio Lateranense è attento ai riti diversi “in eadem fide”
e li promuove imponendo Ministri idonei. Disciplina la condotta degli ecclesiastici, dediti
a tutt’altro che alla liturgia. La partecipazione alla vita liturgica è bassissima. È questo
Concilio che formula il precetto di confessarsi semel in anno proprio sacerdoti e
comunicarsi ad minus in Pascha. Le Confraternite propongono la comunione eucaristica
in qualche altra festa loro propria.

Si impongono le devozioni non liturgiche. Il Lateranense IV decreta che il culto di nuove


reliquie avvenga solo con il consenso di Roma. Si promuovono le indulgenze, legate al
culto dei santi, che vengono regolarizzate. La predicazione viene affidata ai religiosi
(Francescani e Domenicani).

Ma, in questo modo, la LITURGIA NON E’ COLTA NELLA SUA VALENZA


TEOLOGICA e non è considerata come veicolo capace di mediare l'annuncio del
vangelo, ritenuto comunque fondamentale. Questa novità, già entrata nell’uso verso la fine
del XII secolo, ebbe una conseguenza ulteriore per la vita liturgica: la

6
CATTANEO, E., o.c., p.243-266.

7
CATTANEO, E., o.c., p.270-294.

28
PREDICAZIONE VIENE SEPARATA DALLA CERLEBRAZIONE, e il suo
contenuto morale è indipendente dai testi liturgici.

VISIONE DI SINTESI DELLA VITA LITURGICA IN QUESTI SECOLI

LA LITURGIA, anticamente azione comune di popolo e sacerdote, è divenuta ormai


appannaggio del clero ed eseguita in una lingua incomprensibile. I fedeli sono sempre
più LONTANI DALLA PARTECIPAZIONE alla celebrazione (v. sopra).

Viene sempre più ricercata la "MESSA BASSA", come espressione di devozione


privata8. Si forma la convinzione che la MESSA PRIVATA sia un dovere morale del
sacerdote ed espressione della sua pietà Questo tipo di Messa diventa prassi normale
anche per la Messa solenne. Conseguenze: si frantuma l'unicità della celebrazione
eucaristica per la comunità; il celebrante legge per suo conto anche i testi che spettano
ad altri ministri; le preghiere private del sacerdote diventano parte della celebrazione
stessa (v. sopra).

Si impone sempre più L’INDIVIDUALISMO DEVOZIONALE, che non si nutre più dei
testi e dei misteri celebrati.

Continua e si impone sempre più L’ALLEGORISMO della scuola di Amalario. La


messa è "rappresentazione drammatica di un processo storico della Redenzione e
soprattutto della Passione, morte e risurrezione di Cristo" (Amalario). Lotario di Segni
(Innocenzo III) ritiene la messa una rappresentazione della vita e delle azioni di Cristo
dalla nascita all'ascensione e ciò si è ottenuto mediante la scelta opportuna dei testi e delle
cerimonie. "Ciò che i laici possono conoscere e può essere detto a loro di quanto riguarda
la messa, può essere compreso in tre capi, ossia le vesti, i gesti, la pronuncia di parole"
(anonimo). In particolare, nella Messa decade il senso dell'offertorio (acquista il senso di
indicare lo scopo particolare della messa); la consacrazione è il momento in cui si effettua
la "presenza reale"; la comunione è sostituita dall'elevazione dell'ostia9 e, quando la si fa, è
sotto una sola specie. Nel suo insieme il rito è incomprensibile in rapporto alla Pasqua di
Cristo.

Tuttavia la società comunale, che si va costituendo, nella quale abbiamo la tensione


polare tra la mistica della povertà (Cistercensi) e la voglia di vivere, è imbevuta di
RELIGIOSITA’ POPOLARE. La liturgia ufficiale ne è fortemente influenzata; da essa
viene "canonizzato" il bisogno del sensibile proprio dei fedeli: della devozione per la
Passione, delle devozioni proprie di confraternite.

8
Cfr. i consigli di Bonvesin della Riva (CATTANEO, E., o.c., p.288-289).

9
Interessanti i testi proposti in CATTANEO, E., o.c., p.255-257.

29
Si impone il culto dei santi che, con le loro reliquie, e relative indulgenze, attirano devoti e
proteggono la città. L'accentuato spirito devozionale, che diviene costume di tutti, spe-
gne l'idea di Anno Liturgico: le feste sono celebrate con fasto, ma non sono collegate tra
loro e diventano occasione moraleggianti. Nello sviluppo delle cerimonie la motivazione è
quella teatrale e drammatica.

LA COMPRENSIONE DEL DATO LITURGICO

E' dalla CONCEZIONE ECCLESIOLOGICA che dipende la prassi liturgica. Il


quadro di fondo dei secoli XII-XIII è costituito da una visione ecclesiologica ti tipo
sociologico e terreno. La chiesa è onnipresente nella vita civile, benedicendo e
consacrando, oppure scomunicando, ma la sua dimensione misterico-sacramentale va
sfumando sempre di più.

Il rito è compiuto con solennità, ma in una dimensione religioso-sacrale. Si impone la


CONCEZIONE GIURIDICA della liturgia: il culto è un dovere da compiere, va fatto
secondo l'ordinamento della chiesa ed eseguita in suo nome da persone a ciò deputate
(clericalismo). Il popolo è sempre più assente ed emerge l'individualismo. I sacramenti sono
"mezzi di salvezza e di grazia" per l'individuo.

COMPLESSIVAMENTE - Si verifica una FORTE DECADENZA della vita e della


spiritualità liturgica: a) viene meno il senso e lo spirito ecclesiale, per dare spazio a quello
associazionistico delle confraternite, incentrato sulle "commende"10. b) Il popolo si stacca
dal clero diocesano per l'attività dei Mendicanti, cui la sede apostolica ha concesso
privilegi. c) Il culto eucaristico ha una forte impronta devozionale 11: Corpus Domini
(1236 miracolo di Bolsena); processioni; "vedere l'Ostia"; presenza reale. d) La
devozione mariana vissuta dalla pietà popolare si stacca sempre di più dalla liturgia (Salve
Regina, Angelus Domini, sabato, feste mariane...); si insiste sui privilegi e i miracoli di
Maria. Si sviluppa il culto dei santi patroni e protettori delle città e dai pericoli
(S.Rocco, S.Sebastiano, S.Cristoforo).

10
Le commende sono “benefici ecclesiastici” dati a Canonici con il titolo, ma privi degli Ordini
maggiori. Cfr. la denuncia del concilio di Vienne (1311-12) (CATTANEO, E., o.c., p. 296-297).

11
Cfr. le indicazioni del Savonarola per assistere alla messa (CATTANEO, o.c., p. 308-309).

30
LA SPIRITUALITA’ DI QUESTI SECOLI
È costituita da tre diversi ambiti:
I) La SPIRITUALITA’ MONASTICA. In questo ambito permane ancora l'osmosi tra
celebrazione liturgica e vita: la celebrazione liturgica è momento intrinseco alla vita
monastica, che si modella al ritmo dell'anno liturgico e delle sue feste.
II) Il PRIMO FRANCESCANESIMO. Anche qui la vita cristiana è riattualizzazione del
mistero di Cristo (nascita e calvario). Vi è un fondamento liturgico, ma la liturgia-
celebrazione non è integrata nel linguaggio spirituale francescano. Questo scollamento è
dovuto anche alla situazione di ignoranza del clero, al bisogno della predicazione extra-
liturgica, allo sviluppo della teologia scolastica che preferisce la quaestio con criteri scien-
tifici alla lectio divina monastica.
III) La DEVOTIO MODERNA (sec. XIV-XV). Cfr. "L'imitazione di Cristo" (T. Kempis
1380-1471). E' aldifuori di un vero orizzonte liturgico. Propone un ritorno alla vita
interiore individuale, che pur celebrando il rito, punta alla meditazione, alla preghiera
personale e all'ascesi.

IV PERIODO - DAL CONCILIO DI TRENTO (1545) AL CONCILIO


VATICANO II (1962): MONOLITISMO LITURGICO E RUBRICISMO

ESIGENZA DI RIFORMA

L'esigenza di una riforma vasta e coraggiosa, anche nel campo liturgico, è sentita
fortemente. Nel 1514 i monaci camaldolesi Giustiniani e Quirini presentano a Leone X
un "Libellus" in cui richiamano l'ignoranza dei preti in campo religioso e la conseguente
povertà dei fedeli. Si implora di porvi rimedio, così che la liturgia torni ad essere capita e
partecipata. Gli obiettivi dichiarati sono: l'introduzione del volgare per favorire la
partecipazione e l'istruzione del popolo; l'unificazione della legislazione liturgica; una
revisione generale secondo la tradizione della chiesa romana.

Il Lateranense V (1514-1516) si preoccupa di problemi politici e disciplinari. Sul piano


liturgico esorta alla pratica e all’educazione religiosa dei fanciulli. L’inconsistente
accoglienza dei suoi interventi disciplinari si rivelano un rimedio del tutto insufficiente.

Il Castellani (domenicano) prepara una nuova edizione del Pontificale Romano (1520) ed
un “LIBER SACERDOTALIS” (1523) dove raccoglie le norme per l’amministrazione dei
sacramenti e la pratica pastorale, includendo l’ORDO MISSAE di Burcardo. Questo
testo sarà la base del Rituale edito dopo il Concilio di Trento.

31
LA CRITICA DI LUTERO
alla liturgia cattolica è inizialmente motivata dalla volontà di contrapporsi agli abusi, di
tipo magico, devozionale e giuridico. Vi è il bisogno di far ridiventare la liturgia azione del
popolo di Dio. Merita di essere segnalata la persuasione di Lutero circa l'enorme
potenzialità didattica insita in una liturgia capita e partecipata. Ma il problema di fondo è
costituito dalla mancanza di una comprensione teologica della liturgia. Di conseguenza
l'approccio critico alla prassi rituale non viene coordinato da una dottrina teologica
sufficientemente approfondita.

a)Circa la Messa. La situazione dell'epoca faceva della messa un affare privato e


devozionale di confraternite e associazioni. Nel 1520 abolisce (da parte sua) la “Missa
privata” e nel 1521 ne nega il carattere di sacrificio. b) Nega poi la qualità di sacramenti a
cresima, ordine, matrimonio, estrema unzione, reinterpretando battesimo, cena e penitenza.
c) La reazione agli abusi provoca il ricorso alla Parola di Dio ascoltata, letta, meditata,
pregata (nella linea della "devotio moderna"). d) Introduce l'uso del volgare nella
liturgia. Il tono di assemblea liturgica viene dato dagli inni e corali in tedesco affidati al
popolo, cosa che favorì la propaganda delle nuove idee religiose.

L'INTERVENTO DEL CONCILIO DI TRENTO


I lavori conciliari sono condizionati dal contesto di una polemica rovente; dalla
impreparazione dei più ad affrontare un lavoro, preparato validamente e coraggiosamente
dalle commissioni conciliari; dalla frammentarietà dei lavori. In questo contesto, prevale
la preoccupazione dogmatica di affermare che i sacramenti operano in virtù del loro
compimento (ex opere operato) e non soltanto per la fede nelle parola che accompagnano il
rito; questo fa arenare i tentativi di esaminare le posizioni liturgiche venutesi a
creare12.
Circa l'uso del volgare, è condannata l'asserzione protestante della necessità assoluta di
usare il volgare. Il Concilio afferma il contenuto didattico della messa e dei sacramenti e
propone di farlo conoscere ai fedeli.

12
Cfr. la proposta pastorale di Erasmo per rinnovare l'antica iniziazione cristiana con forma nuova,
poi condannata (CATTANEO, E., o.c., p.363).

32
IL DOPO CONCILIO
a) La riforma dei libri liturgici. Nella sessione XXV del 1563 il Concilio affidò al Papa
l'esecuzione della riforma del messale e del breviario. Così viene chiusa l'epoca della
competenza liturgica dei vescovi, che risale ai primi secoli. Il criterio fondamentale è
"tornare all'antica norma dei padri". Ma è impossibile spingersi oltre l'epoca carolingia. Si
realizza invece l'unificazione liturgica compiendo un lavoro di ripulitura, sufficientemente
riuscito, sulla linea di continuazione del Medioevo. Ne risulta comunque un'opera che ha
determinato e caratterizzato, per i seguenti 400 anni, la vita liturgica della chiesa latina
occidentale e, attraverso l'espansione missionaria, la vita liturgica della chiesa romana
cattolica in tutto il mondo.
b) La riforma dei libri liturgici è guidata dalla preoccupazione di difendere i dogmi. Si
tolgono dai libri le sovrastrutture eliminando molte feste di santi. Tutte le diocesi che
non avevano una liturgia più antica di due secoli dovevano adottare i nuovi libri liturgici (si
salva il rito Ambrosiano e quello Mozarabico solo a Toledo). Il Sinodo Milanese del
Borromeo (1565) disciplinò il culto e influì su mezza Europa. Il centralismo romano,
fissato da Pio V nel 1588 fu consolidato da Sisto V con la "S. Congregazione dei Riti", che
diede grande impulso alla scienza delle rubriche, al punto da esser ritenuta dai più, fino al
XX secolo, l'unica scienza liturgica. Sotto Pio V viene pubblicato il Breviarium
Romanum (1568) e il Missale Romanum (1570). Nel 1596 viene pubblicato il
Pontificale Romanum; nel 1614 il Rituale Romanum.
c) Quest'opera di riforma salva la liturgia dalla crisi del Cinquecento; ma la congela,
costringendo ancora una volta la pietà dei fedeli ad allontanarsene per rivolgersi a forme di
pietà popolare e devozionale. La comunione, piuttosto rara, non è più sostanzialmente
legata alla celebrazione come sua pienezza, ha carattere ascetico ed è "offerta" per qualche
pia intenzione; si insiste sulla "comunione spirituale".
d) L'esasperazione delle posizioni protestanti, che non vengono scalfite dal Concilio,
accrescono le preoccupazioni apologetiche e l'immobilismo liturgico. Il volgare, per la
liturgia della Parola, resta un sogno; continua la presentazione della messa come un seguito
di episodi della passione di Cristo (viene spiegata come al tempo di Amalario); si
appoggiano le vecchie devozioni alla Madonna e ai santi. Dominerà per un secolo e mezzo
la visione di liturgia
del Bellarmino: "Finis praecipuus divinorum officiorum non est populi instructio vel
consolatio, sed cultus Deo ab Ecclesia debitus"13.

13
CATTANEO, E., o.c., p. 375-376.

33
IL SEICENTO: CONTRORIFORMA E BAROCCO 14
Nei paesi più legati alla Curia Romana, come l'Italia, domina la "Controriforma", che si
esprime nel ripristino del devozionalismo; nella separazione tra clero e popolo; nella
diffidenza per la diffusione della Scrittura in volgare; nel rubricismo.
I tentativi (francesi, col Card. De Berulle e Olier) di pubblicare dei commenti alla Messa
per i fedeli vengono proibiti: i testi liturgici devono restare rigorosamente inaccessibili
ai fedeli, avvolti nel mistero impenetrabile. Si introducono comunque libri di pietà che
aiutino i fedeli a prepararsi alla Messa e a ridestare sentimenti di pietà. Le spiegazioni sono
sempre rigorosamente allegoriche.
In Germania – su influsso protestante – si introducono canti in volgare nella Messa.

LA PRASSI LITURGICA ha due note fondamentali: vive in un clima di "trionfo" sul


pericolo protestante15; per cui cresce l'apparato cerimoniale (architettonica, musicale: la
chiesa diventa uno splendido salone in cui “assistere” allo spettacolo della liturgia). Domina
la concezione rubricale, uniforme e statica. La tradizione religiosa ancora fortissima in
tutto il popolo attinge le sue ispirazioni da rigagnoli secondari, data la separazione tra clero
e popolo nella azione liturgica.
G.B.Marino caratterizza così la sua età: "E' del poeta il fin la meraviglia:/ parlo
dell'eccellente e non del goffo / chi non sa far stupir vada alla striglia". Questo si verifica
in qualche misura anche nelle espressioni cultuali della "Controriforma" cattolica , per
cui la liturgia cade in una dissoluzione mai conosciuta prima.
L'opera d'arte deve commuovere. Quindi anche la predicazione (Segneri, Plati...)16.
L'architettura religiosa perde la sua unità, per sfogarsi in elementi devozionali
(cappelle e altari monumentali). Le arti figurative passano ad espressioni spesso umane,
profane e indecorose17. Nella musica si impone l'organo e la polifonia (Palestrina), lo stile
migliore per un'epoca in cui non vi è possibilità di canto popolare a causa del rigidismo
dogmatico.
POSITIVAMENTE: comincia la scienza liturgica e la pubblicazione delle fonti
(Melchior Cano; Card. Tomasi).

La Controriforma è caratterizzata da una INTENSIFICATA SPIRITUALITà


INDIVIDUALISTICA, basilare per elevarsi alla mistica ("Filotea" di S.Francesco di
Sales).
LA PARTECIPAZIONE ALLA MESSA è un'occasione per meditare sui vari momenti

14
CATTANEO, E., o.c., p.379-415.

15
Nei paesi rimasti cattolici si proclama il trionfo del regno di Dio (cfr. quanto scrive D. Bartoli, ri -
portato da CATTANEO, E., o.c., p.397).

16
CATTANEO riporta espressioni interessanti a p. 398.

17
Cfr. i testi riportati da CATTANEO a p. 401-402

34
della vita di Cristo18. La Messa è un "mistero" (soprattutto il Canone, da leggere in
silenzio19).
Il CULTO EUCARISTICO è centrato sulla "presenza reale" (in senso statico) del Corpo e
Sangue di Cristo, che è "vicino" al fedele. Di qui: l'esposizione negli ostensori, i troni sugli
altari per la custodia e l'ostensione del SSmo, la festa e l'ottava del Corpus Domini con
processione fastosa. La comunione diventa un rito a sè, molto spesso fuori della messa.
Riprende vigore il culto della Madonna e dei santi, debolmente ridimensionato nel
Concilio.
La predicazione barocca (lunghissima) si fa extra Missa e non ha attinenza coi testi
liturgici.

IL SETTECENTO: L’ETA’ DELL’ILLUMINISMO


Alcuni movimenti, in realtà non del tutto ortodossi (giansenismo, gallicanesimo)
avvertono gli aspetti negativi della prassi liturgica. Come reazione alle esagerazioni
barocche, si vuole tornare alla nobile semplicità dell’antichità cristiana
Il fenomeno dell'illuminismo "laico" è ampio20. In Italia è caratterizzato da una
concezione religiosa e teista. Esiste anche un "illuminismo religioso" cattolico,
caratterizzato da alcune tendenze: uno scetticismo radicale e ostile; il contrasto tra
cristianesimo primitivo e religione naturale; una teologia che mantiene i dogmi ma li spiega
su un piano di religione naturale; inoltre vi sono teologi e laici che puntano ad una riforma
nel pensiero e nella prassi, salvando i dogmi, e animati dalle migliori intenzioni.

LE ISTANZE LITURGICHE DELL’ILLUMINISMO “CATTOLICO” sono:


a)esigenza di semplificazione nella prassi religiosa (contrassegnata da pellegrinaggi,
processioni, benedizioni, frazionamento della pietà); con il rischio, però, di cadere nella
preoccupazione di salvare valori morali, svuotando di contenuto il mistero celebrato;
b) realizzare una più autentica partecipazione comunitaria nella liturgia, evitando le
pratiche di pietà durante la Messa. Il rischio è quello di una preoccupazione, appunto
"illuministica", di comprensione e di edificazione.
I rappresentanti più significativi di questa ultima tendenza sono: Giuseppe II; L.A.Muratori
(1672-1750) con la sua "Regolata divozione dei cristiani" (1743); il Vescovo Sailer (1741-
1832).
c) L'espressione più esasperata si ha nel Sinodo di Pistoia (1786) con il suo
programma di riforme: partecipazione viva dei fedeli al sacrificio eucaristico; comunione
con le ostie consacrate nella stessa messa; una minor stima della messa privata; unicità
dell'altare; limitazione nella esposizione di reliquie; valore e significato della preghiera
liturgica; riforma del breviario; volgare accanto al latino; soppressione di pratiche
devozionali.

18
Cfr. quanto S. Francesco consiglia a Filotea (CATTANEO, E., o.c., p.389-390).

19
Considerazioni del Conti (1625), (CATTANEO, E., p. 392).

20
Anamnesis 1, o.c., p.11-30.

35
Queste esigenze (anche legittime) erano però confuse con posizioni dogmatiche
discutibili21, di matrice giansenista. Il Sinodo di Pistoia, comunque, anche se condannato
da Papa Pio VI (1794), rivela una profonda coscienza del valore pastorale della liturgia.

IN SINTESI, L’ILLUMINISMO pone l'accento sull'importanza pastorale e


pedagogica della prassi liturgica nell'azione pastorale. Con dei LIMITI
TEOLOGICI notevoli: la pastorale è la scienza del pastore, che deve essere illuminato
per illuminare i fedeli; la finalità è pedagogica: la liturgia è un mezzo capace di favorire
il progresso morale dell'individuo. Manca ancora la comprensione sacramentale-
misterica della liturgia.
POSITIVAMENTE: a) le antiche soluzioni date al problema della partecipazione
dei fedeli alla liturgia NON reggono più (vale a dire: allegorismo + preghiere devote e
rosari + interventi musicali). b) Comincia il risveglio del senso storico e la ricerca delle
fonti liturgiche. Si avvia lentamente il "Movimento liturgico", che si svilupperà nei
centri di ricerca e rinnovamento dell'area francese, tedesca e italiana.

21
Anamnesis 1, o.c., p.14.

36
L'OTTOCENTO: ROMANTICISMO E RESTAURAZIONE CATTOLICA

E’ UN’EPOCA DI RESTAURAZIONE, che rigetta le tendenze illuministiche. Questo


orientamento è dettato da una parte dal proclamato "ritorno alle fonti", dall'altra
dall'esigenza di ortodossia che giunge fino a soffocare forze valide e a rifiutare ogni
discorso di riforma rinchiudendosi in un rigido conservatorismo. Le forme fissate per la
prassi liturgica sono considerate immutabili e in un certo senso "santificate". La liturgia è
una "azione ufficiale e burocratica"; i fedeli stanno di fronte ad essa in una specie di
solenne assenteismo misto ad un certo desiderio ed interessamento. Di conseguenza
continua la pietà individualista.
ELEMENTO POSITIVO: lo storicismo, con lo studio delle fonti, porta germi validi
per il futuro.

IL RINNOVAMENTO MONASTICO
Solesmes (1833). Fondato da P. Guèranger, ha il merito di riscoprire la liturgia romana -
in antitesi con la tradizione gallicana da lui rifiutata- come fonte della vita contemplativa
monastica. Lo scopo delle sue opere (Institutions liturgiques; Annèe liturgique, 1841) è che
la liturgia possa essere davvero fonte della pietà cristiana. Il popolo deve potersi nutrire dei
testi liturgici (Ma occorre sempre un velo di “mistero”).
Beuron. Fondata dai fratelli monaci Wolter (1863). Si vuole ridare alla liturgia romana il
posto centrale nell'ascesi e nella vita stessa dei monaci, non restringendola soltanto al coro.
Si cura la celebrazione a onore di Dio, il canto gregoriano, l'espressione artistica.
Questi fatti costituiscono la preparazione del terreno al "movimento liturgico".

IL MOVIMENTO LITURGICO

GLI INIZI DEL MOVIMENTO LITURGICO SONO SEGNATI DA UN


EQUIVOCO. Lo si accetta in quanto favorisce un riavvicinamento più cosciente dei fedeli
alla celebrazione della liturgia, con la convinzione che il culto è in grado di edificare i
partecipanti; ma si contesta alla liturgia la capacità di diventare principio di
rinnovamento della spiritualità e autentica fonte di santità per il popolo di Dio nella
sua totalità. La convinzione che la santità della vita sia possibile solo seguendo le diverse
"scuole" di spiritualità, anzichè la vita liturgica della Chiesa, si è protratta fin sulle
soglie e anche nelle aule del vaticano II.
Un elemento molto importante che caratterizza il ML è l'istanza pastorale, espressa
in particolare dagli interventi di Papa PIO X° .
L'indicazione più autorevole viene data nel Motu Proprio “Inter sollicitudines”
(1903), che parla di "partecipazione attiva ai sacrosanti misteri celebrati e alla preghiera
pubblica e solenne della Chiesa". Questo principio chiude l’epoca della spiegazione
ALLEGORICA (iniziata da AMALARIO nel 813) e apre la strada allo studio delle
"condizioni" che rendono realmente praticabile la partecipazione attiva dei fedeli alla
liturgia, vale a dire la necessità di "capire" i segni, ma anche il problema delle condizioni
antropologiche e culturali necessarie per accedere alla ritualità cristiana in modo realmente
fruttuoso.

37
Altri interventi papali:
1905: decreto sulla Comunione frequente
1910: comunione ai bambini all’età dell’uso della ragione
1911: nuovo ordinamento del Salterio nel Breviario + viene ridata centralità e priorità
alla domenica

IL MOVIMENTO LITURGICO è indubbiamente contrassegnato agli inizi da un


atteggiamento "conservatore". Una delle principali linee programmatiche è custodire
con rigore il tesoro di tradizione ricevuto dall'antichità. Ma l'attenzione all'evolversi
della situazione ecclesiale e la provocazione di una crescente scristianizzazione, mostra che
suo compito reale non è solo la difesa di un patrimonio venerando, bensì la capacità di far
scorrere anche per l'oggi il fiume di una tradizione viva.
Comunque è fortemente segnato DALL’ISTANZA TEOLOGICA. Il recupero delle
categorie di mysterium e di sacramentum permette il superamento definitivo di una
visione rubricistica e cerimonialistica del culto. La puntualizzazione della centralità del
momento rituale nell'insieme dell'azione della chiesa, conduce la riflessione teologica sulla
liturgia all'interesse privilegiato per la dimensione propriamente celebrativa.
SARA’ DECISIVO IL MUTAMENTO DELLA VISIONE DI CHIESA, che viene
riscoperta nella realtà profonda di "corpo mistico" di Cristo, aldilà del suo aspetto sociale,
organizzatore e pedagogico. La riflessione ecclesiologica sfocerà nella "Mystici corporis" di
Pio XII (1943).

LA SECONDA FASE DEL MOVIMENTO LITURGICO E’ ACCADEMICA. Nel


1909 a Malines (Belgio) con d.Beauduin il movimento liturgico esce allo scoperto.
Nascono le "Semaines et confèrences liturgiques", e riviste importanti. Con O. Casel
(Maria Laach, Germania, + 1948) abbiamo il recupero della categoria di "mysterion" e di
"sacramentun" per interpretare la natura del fatto rituale; e il ritorno ad una teologia del
culto di ispirazione biblica.

LA TERZA FASE E’ PRATICA. In Germania la vita monastico-liturgica di Beuron si


incontra con il mondo laico universitario (1912 Dusseldorf; 1913-14 Maria Laach). Nel
monastero di Maria Laach si verifica la collaborazione tra scienza liturgica e
pastoralità (Herwegen, Mohlberg, Casel, Guardini, Baumstark), rivolta in primo luogo al
clero e all'ambiente colto. Dal 1918 al 1928 si matura una forte esperienza liturgica con
Guardini (+1968) e il movimento giovanile, che sfrutta tutte le possibilità del Diritto per
una partecipazione attiva dei fedeli.
Nel 1940 a FULDA vengono pubblicate le direttive per la “messa dialogata”.
Pio Parsch (Austria, 1884-1954), ispirandosi al pensiero elaborato nel centro di Maria
Laach e a O. Casel, propone un apostolato liturgico-popolare, ampiamente accolto, che
realizza il riavvicinamento del popolo alla vita liturgica e alla Bibbia. Anche l'opera di
alcuni Oratoriani favorisce la partecipazione popolare soprattutto con il canto . In Germania
nel 1950 si tiene il I Congr. lit. tedesco a Francoforte

IN FRANCIA abbiamo lavori di notevole interesse scientifico (Solesmes; Dict.


d'archèologie chrètienne et de liturgie; studi di Duchesne, Batiffol, Cabrol). Nel 1943 nasce
il Centro di Pastorale Liturgica e nel 1947 si tiene il Congresso liturgico di Lione

38
IN ITALIA nel 1914 nasce Rivista Liturgica che introduce e sostiene l'azione del
rinnovamento liturgico (Caronti, Schuster, Righetti, Tonolo, Vismara). Con Vagaggini il
lavoro di approfondimento teologico giunge a maturazione. In Italia nel 1947 è fondato il
CAL

Non mancarono le polemiche. In Germania si crea una forte tensione intorno alla
concezione "misterica" di Casel (anni '40). Nel 43 la S.Sede interviene con una
commissione per verificare il movimento liturgico tedesco. Guardini inquadra il problema
magistralmente nella sua Lettera al Vescovo di Magonza. I Vescovi tedeschi prendono in
mano la direzione del Movimento Liturgico.

Pio XII con la "Mediator Dei" (1947) pone la liturgia su un piano teologico, non più
cerimoniale e giuridico ("è il culto integrale del corpo mistico di G. Cristo, cioè del Capo e
delle sue membra"). Il concetto di culto è ancora condizionato dal parametro societario non
ecclesiale. Di fatto la mentalità è ancora giuridica e clericale. Tuttavia è il primo
riconoscimento ufficiale dei valori del Movimento Liturgico.

I PASSI DELLA RIFORMA FINO AL VATICANO II°


1951: restaurazione della Veglia Pasquale (facoltativa - dal 1952 ad exp. Per 3 anni)
1955: semplificazione delle rubriche del Messale e del Breviario + Nuovo Ordo della
Settimana Santa, che nel 1956 entra in vigore definitivamente

Nel 1956 il I Congr. lit. past. di Assisi apre la via alla riforma che sfocerà nel Vaticano II.
1958: Istruzione sulla musica liturgica per una partecipazione più attiva
1960 Nuovo Codex rubricarum
1961: nuova Editio typica del Breviario
1962: nuova Editio typica del Messale

39
L'ETA' DEL CONCILIO VATICANO II

Il lavoro di 50 anni (1909-1956) ha preparato il terreno rendendo possibile la


Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium (1963). La riflessione conciliare ha una
prospettiva essenziale: la riforma della liturgia viene posta all'interno di un rinnovata
visione della chiesa, contrassegnata dalla riscoperta della sua natura "misterico-
sacramentale" e della sua missione nel mondo. La liturgia è chiamata pertanto a
manifestare più ampiamente il mistero della chiesa. La natura dell'intervento sul piano
liturgico è squisitamente ecclesiologica e pastorale. In secondo luogo, a differenza delle
riforme dell'epoca carolingia, gregoriana e tridentina, vi è una forte dimensione teologica,
unita ad un'ampia utilizzazione delle fonti liturgiche riscoperte e ormai studiate
ampiamente.
L'istanza di riforma si precisa come esigenza di semplificazione delle rubriche e come
impegno a sfrondare la struttura celebrativa di elementi superflui aggiuntisi lungo il
cammino per motivi molto spesso occasionali. Il livello più impegnato soggiacente alla
domanda di riforma sta nella richiesta di rendere praticabile in concreto una
partecipazione attiva e cosciente dell'intera assemblea alla celebrazione

CONCLUSIONE DEL CAPITOLO STORICO


L'analisi fatta ci permette fin d'ora di comprendere la realtà intima della liturgia e di
individuare nella azione rituale, globalmente intesa, l'oggetto proprio della scienza liturgica.
Possiamo formulare sinteticamente alcune leggi del divenire della liturgia lungo la storia,
indispensabili per comprendere il senso della liturgia in quanto tale.
1. Primaria risulta la tensione a rimanere fedeli al senso del rito memoriale affidato da Gesù
alla chiesa.
2. Storicamente, questa fedeltà al dato originario entra in connessione con le connotazioni
culturali delle diverse epoche e generazioni; con il progressivo approfondimento teologico e
catechetico del dato rivelato; con la problematica pastorale propria dei momenti specifici di
vita delle singole chiese.
3. Il costante rapporto liturgia-chiesa permette sia una comprensione adeguata di entrambe
le realtà, sia di considerare la liturgia un ambito singolare del manifestarsi del mistero della
chiesa.

40
CAPITOLO II

LA SITUAZIONE LITURGICA CONTEMPORANEA

PARAGRAFO I - LE LINEE FONDAMENTALI DELLA COSTITUZIONE LITURGICA


"SACROSANCTUM CONCILIUM"

Una rapida esegesi della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II ci permette di
rintracciare l'oggetto specifico della liturgia e il metodo proprio della scienza liturgica. Il
Vaticano II ha superato una visione puramente rubricistica della liturgia e ne ha
approfondito la valenza teologica declinandola con le istanze pastorali, segnalando a più
riprese che il modo specifico del culto cristiano di mediare la salvezza è il rito.

LETTURA UNITARIA DI SC NEL CONTESTO DEI DOCUMENTI CONCILIARI

Cerchiamo di leggere la Costituzione liturgica SC nel suo impianto unitario e


inquadrandola nel corpus dei documenti conciliari più importanti e qualificanti1.

Anzitutto emerge un chiarissimo IMPIANTO TEOLOGICO, costituito da due


dimensioni fortemente collegate: 1) DIMENSIONE STORICO SALVIFICA E
CRISTOLOGICA (Incarnazione e Mistero pasquale), 2) DIMENSIONE
ECCLESIOLOGICA: la Chiesa scaturisce dal Mistero Pasquale di Cristo, ed è costituita
per attuare il Mistero Pasquale in tutte le sue dimensioni. Pertanto: la totalità della CHIESA
è implicata nella LITURGIA (la liturgia viene attuata dalla Chiesa tutta; e la Chiesa nella
sua totalità si manifesta e si realizza nella liturgia).

Da questa fondazione teologica dipende l’intrinseca DIMENSIONE PASTORALE


DELLA LITURGIA. I criteri per la riforma liturgica (SC 26-32; 33-36; 37-39) rivelano
che la categoria teologica fondamentale è quella di una celebrazione liturgica
pastoralmente proficua del mistero di Cristo, posta mediante un regime di segni,
espressiva per gli uomini d'oggi.

La dimensione pastorale è intrinseca alla Liturgia 1)perché la Storia della Salvezza è di


sua natura DIALOGICA; divino e umano sono cooriginari nell’esperienza salvifica (Dio
santifica l’uomo – l’uomo santificato glorifica Dio). 2) Perché nell’evento salvifico è
implicato anche il momento liturgico rituale (cfr. l’evento dell’Alleanza e la
celebrazione rituale della stessa). 3) Perchè l’agire di Dio in Cristo si attua oggi nella
Chiesa SOLO IN QUANTO CELEBRATO, cioè “agito ritualmente”. Si attua mediante
un agire simbolico rituale.

1
CATELLA, A. - TAGLIAFERRI, R., Le domande e le intenzionalità cui risponde l'impianto di
"Sacrosanctum Concilium", "Rivista Liturgica", 77/2 (1990), p. 129-143.

41
LA COSTITUZIONE LITURGICA NEL CONTESTO DEGLI ALTRI
DOCUMENTI CONCILIARI

Questa lettura teologica va situata nel quadro degli altri documenti conciliari. Anzitutto
questa visione teologico-pastorale di liturgia corrisponde alla ecclesiologia che viene
sviluppata nella Lumen Gentium. SC 7.26 affermano che la liturgia è celebrazione di un
popolo/assemblea/comunità. L'ecclesiologia soggiacente è quella di Chiesa-comunione,
Chiesa-assemblea del popolo di Dio, in cui tutto il popolo cristiano è attivo e partecipe nella
diversità dei ministeri. Questa visione ecclesiologica è sviluppata in LG I-II.

I testi di SC 24.48.51 sanciscono il principio del rapporto parola di Dio - liturgia. Ne


troviamo lo sviluppo in Dei Verbum 21. Il rapporto tra SC e DV illumina il nesso parola -
liturgia: la liturgia è luogo privilegiato di attuazione della salvezza annunciata e significata
dalla parola. E' la prassi pastorale liturgica, nella modalità celebrativa sua propria, che
esprime il dono salvifico annunciato nella Parola.

Infine la SC manifesta la volontà decisa che la prassi liturgica, memoriale della Pasqua di
Cristo, sia luogo in cui l'uomo è assunto e "ricapitolato". La Gaudium et Spes elabora
articolatamente questa prospettiva.

POSSIAMO PROPORRE LE SEGUENTI CONCLUSIONI SINTETICHE.

"La liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della chiesa e, insieme, la fonte da cui
promana tutta la sua virtù" (SC 10) Secondo questo testo, famosissimo e discusso, l'agire
liturgico è collocato correttamente entro la globalità dell'attività pastorale della Chiesa, il
cui centro, secondo la dottrina tradizionale, è l'Eucaristia. La liturgia, infatti, è chiamata a
"manifestare il mistero di Cristo e la natura della vera Chiesa" (cfr. SC 2. 26). Pertanto: il
valore teologico della liturgia è filtrato attraverso una visione teologico-pastorale sia
della prassi globale sia della prassi liturgica della Chiesa intera. Quando SC
comprende teologicamente la liturgia, la vede come una prassi attraverso la quale la
Chiesa esprime se stessa nella sua totalità.

La liturgia esprime la natura della Chiesa; ha come soggetto la Chiesa nella sua unità e
articolazione ministeriale; è momento privilegiato dell'attuarsi della parola; è prassi
celebrativa che fa memoria del Mistero Pasquale di Cristo in un linguaggio pienamente
umano.

42
LA MEDIAZIONE RITUALE NELLA CELEBRAZIONE LITURGICA2

La liturgia è l'originario agire di Dio in Cristo (= mistero salvifico), che oggi si dà


all'uomo nella Chiesa, mediante la sua celebrazione.

La SC ci presenta la liturgia come "prassi celebrativa/actio liturgica/actio sacra" del


Mistero Pasquale di Cristo, "in quo opus nostrae redemptionis exercetur". Ecco alcuni testi
significativi: "nelle azioni liturgiche è presente Cristo" (SC 7). "La liturgia è attuazione del
Mistero Pasquale per virtù dello Spirito Santo attraverso un rito conviviale" (SC 6). "La
liturgia è l'esercizio del sacerdozio di Cristo mediante segni sensibili" (SC 7). "La liturgia
è storia della salvezza in atto per mezzo del sacrificio e dei sacramenti" (SC 6).

Nella dialettica sacramentale, Cristo, Chiesa e liturgia sono intimamente solidali. Ma


l'elemento visibile che specifica la mediazione salvifica della liturgia è rappresentato
dalla RITUALITA’. "Perciò la Chiesa volge attente premure affinchè i fedeli non
assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma comprendendolo
bene "per ritus et preces", partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e
attivamente" (SC 48). La peculiarità dell'agire pastorale liturgico della chiesa è quella di
essere un agire simbolico-rituale. L'oggetto della scienza liturgica, indagato nel suo
aspetto di mediazione, sembra dunque il rito, che si iscrive nel fondamentale dinamismo
sacramentale di Cristo e della chiesa, ma che mantiene una propria configurazione
antropologico-culturale.

Oggetto specifico della scienza liturgica è perciò il rito. Il rito, che è fenomeno
culturale, appartiene alle realtà mutabili e storiche. Va perciò studiato pastoralmente,
utilizzando le scienze umane per scoprirne l'identità, il valore e la verità, in vista di una più
viva partecipazione e di una più consapevole valorizzazione. Il polo visibile della
dialettica sacramentale è costituito dagli elementi reperibili nell'ambito storico-
culturale. Pertanto: nella stessa natura sacramentale della Chiesa è inscritta l'esigenza
pastorale della adattabilità e della creatività. Questa esigenza tocca direttamente la liturgia.

L'IMPORTANZA DELLA MEDIAZIONE RITUALE.

Possiamo avere ulteriori conferme sulla centralità del rito quale oggetto della scienza
liturgica secondo SC.

Anzitutto dobbiamo tener presente che la sottocommissione preparatoria di SC segue il


metodo storico-pastorale: l'approccio alla liturgia non è dottrinale astratto, ma "come si
manifesta nel passato e nel presente della chiesa". Questo metodo è il frutto del Movimento
liturgico e della "Mediator Dei".

2
Per questo paragrafo cfr. TAGLIAFERRI, R., Modelli di comprensione della scienza liturgica, in Il
mistero celebrato, Roma, CLV-Ed. Liturgiche, 1989, p.19-105. Cfr. anche MAGGIANI, S.,
Linguaggio rituale per celebrare, in Celebrare oggi. Atti del corso di aggiornamento per i vescovi
sulla liturgia. Roma 8-12 febb. 1988, Roma, Fondazione ss. Francesco d'A. e Caterina da S., 1988,
p.37-73.

43
SC sembra separare le parole dagli elementi rituali, i riti dalle preghiere (48). Ma, in realtà,
tutto l'universo liturgico può essere compreso nel concetto di rito. E' il "rito", infatti, che
accomuna la liturgia con il tempo, la musica, lo spazio, la supellettile.

La celebrazione eucaristica non è più ridotta al solo "Canone", ma è considerata un'unità


di parti con diversi elementi comprendenti gesti, parole, tempo, spazio assemblea.
Certamente per renderla più confacente al "mistero"; ma anche perchè solo la strutturazione
organica degli elementi simbolici in gioco è in grado di mediare la presenza di Cristo.

Un altro esempio: il Concilio apprezza i "pii esercizi" e li include nella mediazione


liturgica. Essi devono armonizzarsi con la liturgia in quanto derivano da essa e ad essa
conducono (SC 13). Questa posizione è giustificata dal fatto che usano lo stesso linguaggio
della liturgia: la ritualità. Lo stesso vale per i sacramentali (SC 60. 62).

L'adozione stessa del termine "liturgia" ("azione di Cristo e della Chiesa") rappresenta una
chiara scelta di campo. Pur recuperando la dimensione "misterica" antica, la "liturgia" si
evidenzia come "azione " (ergon), che esige, per sua stessa natura, la "partecipazione"
dell'assemblea cristiana (laòs) (SC 14.18). Il compito della riforma, pertanto, è attento
all'elemento antropologico della ritualità secondo l'accezione antropologico-religiosa.

IL METODO PASTORALE

Nell'affrontare il pianeta "liturgia" il Concilio rivela la sua intenzione di riforma: "Il


sacro concilio, proponendosi di far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli, di
meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a
mutamenti... ritiene suo dovere interessarsi in modo speciale anche della riforma e
dell'incremento della liturgia" (SC 1). Ha la chiara coscienza che la chiesa deve vigilare sul
culto, perchè "la liturgia consta di una parte immutabile, perchè di istituzione divina, e di
parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono e anche devono variare,
qualora in esse si fossero insinuati elementi meno rispondenti all'intima natura della stessa
liturgia" (SC 21). In SC 23 individua il metodo di investigare la liturgia: "Per conservare
la tradizione e aprire però la via ad un legittimo progresso, la revisione delle singole parti
della liturgia deve sempre essere preceduta da una accurata investigazione teologica,
storica e pastorale". Investigare la liturgia in modo pastorale significa mantenere
l'equilibrio in una doppia fedeltà: a Dio e all'uomo.

Studiare la ritualità della chiesa che celebra il mistero di Cristo significa mantenere con
chiarezza la referenza cristologica, senza la quale il rito decade in parata teatrale, che
sfocia inevitabilmente nel formalismo e nell'esteriorità cerimoniale. E rispettare
profondamente la ritualità, in tutto il suo spessore antropologico, poichè nella liturgia la
Grazia si rende accessibile ai fedeli solo se si rispetta il linguaggio rituale nel suo singolare
e autonomo modo di incarnare lo Spirito.

La chiesa, pertanto, trarrà la competenza per verificare la sua ritualità come capace di
mediare e tradurre il mistero di Cristo, non solo dalla rivelazione, ma dallo statuto della

44
creazione. Per una riforma liturgica autentica, la chiesa dovrà attenersi scrupolosamente al
controllo di marca antropologica, in cui le forme rituali devono legittimare la loro capacità
mistagogica. Si tratta di scoprire la potentia oboedientialis dei riti, cioè il loro potere di
acciglienza della Grazia. Non si dice in nessun modo che la ricerca antropologica
determini i contenuti cristiani; semplicemente si afferma che se Cristo è presente nella
liturgia, significa che la mediazione rituale della liturgia ha una sua singolare capacità di
riceverla. In questo compito "scientifico", che il Concilio chiama "pastorale", la chiesa
dovrà lasciarsi ispirare dalle scienze umane, per scoprire le condizioni di celebrabilità della
liturgia.

PARAGRAFO II - I CRITERI DELLA RIFORMA LITURGICA

Si trovano descritti in SC 21-40. "In tale riforma, occorre ordinare i testi e i riti in modo che
esprimano più chiaramente le sante realtà, che significano, e il popolo cristiano, per quanto
possibile possa capirle facilmente e parteciparvi con una celebrazione piena attiva e
comunitaria" (SC 21). Questo testo dà l'orientamento di fondo della riforma e racchiude
tutte le dimensioni necessarie per una celebrazione liturgica pienamente valida.

Emergono tre momenti costitutivi della riforma.

CAPIRE. Si tratta di introdurre il popolo di Dio alla comprensione dell’esperienza


liturgica.

PARTECIPARE ATTIVAMENTE. Si deve capire per partecipare all’atto liturgico


“plene, pie, acquose, conscie, frequenter, vive, vere, active, efficaciter, debite, genuine,
fructuose, plenarie ac devote”, mettendo in atto tutte le strategie pastorali per realizzare
questi scopi. Al fine di ottenenere una più autentica vita cristiana e un proficuo dialogo col
mondo.

SAPER CELEBRARE. Capire e partecipare sono “particolari”, in quanto avvengono


nell’ambito di una “azione rituale”, che esige una particolare competenza. Il “nodo
teologico” di SC è costituito dal fatto che il Mistero Salvifico OGGI si dà all’uomo in
quanto CELEBRATO.

LA LOGICA DELLA RIFORMA.

Per comprendere la necessità della riforma e la logica che la guida, vanno anzitutto
individuate le caratteristiche della liturgia. Essa è: 1) gerarchica e comunitaria (SC 26-32);
2) didattica e pastorale (SC 33-36); 3) adattabile alle diverse culture dei popoli (SC 37-39).

L'aspetto comunitario implica sia la capacità di farsi comprendere dalle diverse culture
(=didatticità), sia la capacità di comprendere le diverse culture (=adattabilità). Pertanto la
logica della riforma esige una duplice conversione: quella delle culture alla liturgia, e quella
della liturgia alle culture, in quanto fanno pure parte della storia della salvezza. Di
conseguenza l'orizzonte della riforma è dato dalla preoccupazione di rendere celebrabile

45
la liturgia, capace di accogliere la storia degli uomini nel culto cristiano, e di rendere il
culto testimonianza della chiesa agli uomini di ogni tempo e luogo.

LE NORME GENERALI.

Sono le seguenti: 1) distinzione tra parti immutabili e parti mutabili (SC 21); 2) dialettica
fra tradizione e progresso (SC 23); 3) stretta relazione tra bibbia e liturgia (SC 24).

Il nodo più difficile è costituito dalla prima norma, in quanto la motivazione degli
elementi variabili implica l'intervento delle discipline antropologiche. Lo studio della
liturgia deve percorrere tre piste fondamentali: 1) la pista teologica, 2) quella storica e
3) la pista antropologica con intenti pastorali (cfr. SC 23). Si tratta in definitiva di una
ricerca ermeneutico-pastorale. La ricerca ermeneutica fa emergere gli interrogativi teologici
che lungo la storia hanno provocato il rinnovamento della liturgia, per renderla celebrabile.
La ricerca pastorale evidenzia gli interrogativi posti alla liturgia dalla cultura
contemporanea. Le due linee di ricerca si intersecano, nel rispetto delle tre piste
fondamentali.

L'ATTUAZIONE DELLA RIFORMA LITURGICA.

Ogni Ordo è frutto di una ricerca storica sulla prassi antica, riletta alla luce della teologia
contemporanea, in modo da rendere il rito comprensibile all'uomo moderno. Alcune
segnalazioni, in vista ulteriori approfondimenti:

1) La ricerca storica ha rischiato di privilegiare i secoli IV-VI, conformandosi più a dei


modelli rituali che a leggi evolutive della ritualità.

2) La rilettura teologica non è mancata, ma ha lasciato disattese alcune istanze della


teologia contemporanea.

3) Il campo più carente è quello della attenzione alla cultura del mondo attuale in
generale, radicalmente diversa da quella in cui si è formata la liturgia.

L'ISTANZA PASTORALE.

Un primo aspetto della istanza pastorale è dato dal come celebrare in modo più adeguato; e
questo comporta l'attenzione ad una serie di problemi pastorali (verifica delle condizioni
pastorali della celebrazione; attenzione al contesto culturale odierno; educazione alla fede e
alla esperienza di fede). Tuttavia, in questi anni, si è passati ad una problematica più
radicale, cioè perchè celebrare. Sarà necessario, pertanto, approfondire le motivazioni
antropologiche e teologiche della ritualità.

46
CONCLUSIONI.

Intelligenza storica di dottrina e prassi liturgica del passato, riflessione teologica


contemporanea sulla liturgia, ricerca pastorale sulla prassi, costituiscono i tre grandi capitoli
di studio della celebrazione liturgica. Il concilio recupera sia la dimensione teologica della
liturgia, sia il problema della prassi, cioè come la celebrazione rituale veicoli la salvezza.
Accanto al significato teologico dei riti liturgici, occorre cercare l'atto della grazia da loro
comunicata, ossia l'incidenza soteriologica che i riti hanno su coloro che li celebrano.

PARAGRAFO III - LA SITUAZIONE LITURGICA IN ITALIA DOPO LA RIFORMA


CONCILIARE

In Italia la riforma liturgica promossa dal Concilio ha trovato buona accoglienza e sincera
disponibilità di attuazione. A questo riguardo possiamo dire sinteticamente che nel I
decennio vi sono vive speranze ed entusiasmi; nel II decennio, invece, si nota un
progressivo calo di interesse, che giunge allo scoraggiamento, alla delusione, per non dire
alla rivolta e all'accusa3.

LE TAPPE DELLA RIFORMA DELL’ORDO MISSAE

1964 Decreto Inter Oecumenici: concede la facoltà di introdurre il volgare per il Dialogo
del Prefazio e per il Santo

1965: si può usare il volgare anche per il Prefazio

1967 Tres abhinc annos: dopo oltre 1000 anni, segna la fine della recita del Canone
“subissa voce”: “licet canonem intelligibili voce proferire” + viene data facoltà alle
Conferenze Episcopali di recitare il Canone in volgare

1967 Eucaristicum Mysterium: norme che rendono più intelligibili i segni dell’Eucaristia
memoriale del Signore e sacramento permanente. Non si parla più di “volgare”, segno che
era tutto compreso nella Tres abhinc annos (licet intelligibili voce proferire”)

Tra il 1967 e il 1972 vengono pubblicati i libri liturgici rinnovati

OSSERVAZIONI

1. ATTUAZIONE DELLA RIFORMA

Dopo secoli di immobilismo si è aperto un cammino irreversibile di cui tutti oggi


beneficiamo. Il Consilium ad exequendam constitutionem liturgicam (eretto da Paolo VI nel
1964) fu un atto coraggioso e lungimirante perchè staccato dagli organismi di curia e aperto

3
VISENTIN, P., Radici e cause della situazione liturgica italiana, in La riforma liturgica in Italia.
Realtà e speranze, Padova, Messaggero, 1984 (Caro Salutis Cardo/Studi, 2), p.171-182.

47
ad esperti di tutto il mondo. La sua opera di riforma è la più ampia senza paragoni, in
quanto abbraccia la totalità dei riti liturgici romani. Il limite del suo lavoro è dato dal fatto
che punto di partenza sono i riti e i libri della liturgia preesistente (= formulari pensati e
redatti oltre 1000 anni fa, in comunità e contesti socio-culturali diversissimi dal nostro), e
non le concrete comunità ecclesiali di oggi. Di conseguenza lo spazio per la creatività è
rarefatto. Infine è imperante il can. 1257 del CJC "Unius Apostolicae Sedis est tum sacram
ordinare liturgiam, tum liturgicos approbare libros".

Conseguenze: viene redatta una riforma liturgica a) da un centro unico, in latino; b) carente
l'apporto delle scienze antropologiche; c) carente l'apporto laicale. Comunque, dato il
contesto, era difficile aspettarsi di più.

2. LA RECEZIONE DELLA RIFORMA NELLE COMUNITA' ECCLESIALI.

La riforma liturgica cade in un periodo di trasformazioni socio-culturali celerissime e


radicali, segnate da secolarizzazione, sviluppo dei mass-media, consumismo, movimento
del '68, inizio del terrorismo... Per cui, quando entra in attuazione, i destinatari sono
cambiati aldilà della percezione degli stessi operatori del Concilio e della riforma stessa. La
riforma è stata attenta alle fonti, ma non altrettanto alla mentalità del popolo e al suo
linguaggio.

Dentro la chiesa c'era impreparazione a tutti i livelli. La riforma viene applicata in chiave
rubricale, mentre era necessario cambiare mentalità in fatto di celebrazione, vivendo un
nuovo rapporto con il libro e con l'assemblea.

Sono state insufficienti le mediazioni per far penetrare capillarmente fino agli strati più
umili le nuove idee e i nuovi atteggiamenti.

In Italia è mancato un vero centro nazionale che, ufficialmente e con un lavoro organico,
si assumesse la piena responsabilità dei vari passi della riforma, per applicarla alla nostra
situazione. Il vuoto fu colmato dal CAL e da attività editoriali, ma in modo sporadico e
scoordinato. Solo dal 1973 in poi si è verificato qualcosa di nuovo con il programma
liturgico-pastorale della CEI "Evangelizzazione e sacramenti". Ma una volta concepito e
pubblicato fu praticamente abbandonato a se stesso, fino alla inchiesta CEI 1981.

3. CONSIDERAZIONI E PROSPETTIVE4.

Il Concilio ha previsto che si possa andare oltre le leggi attuali (SC 40). Basti pensare al
grave e inevitabile problema della inculturazione della liturgia nelle varie parti del mondo e
alle esigenze del linguaggio e dei segni comprensibili per l'uomo d'oggi. Tuttavia il
problema principale non è la concessione di ulteriori facoltà dall'alto, ma un lavoro di
catechesi mistagogica e di penetrazione capillare della liturgia nel tessuto del popolo di Dio.

4
Ottima la visione di sintesi della riforma liturgica, della sua attuazione e delle prospettive attuali
proposta da A. GRILLO, Oltre Pio V. la riforma liturgica nel conflitto di interpretazioni, Brescia,
Queriniana, 2007.

48
Le linee di azione sembrano queste: a) incrementare i centri di studio, di formazione e di
promozione della liturgia; b) rendere efficienti i canali di trasmissione (commissioni,
uffici); c) una collaborazione più stretta tra liturgia e catechesi per il rapporto tra lex
credendi e lex orandi.

PARAGRAFO IV- LA NOTA PASTORALE DELLA CEI (1983)

Le nuove forme liturgiche sono state adottate universalmente, e la nuova liturgia ha trovato
un favore assai vasto. Ma la liturgia è un "mistero": non chiede di essere eseguita, ma
vissuta e partecipata sotto l'azione dello Spirito Santo. La Nota pastorale della CEI su "Il
rinnovamento liturgico in Italia" (21/9/1983) propone una verifica non tanto della
applicazione delle norme, quanto della penetrazione dello spirito della riforma nel tessuto
vivo del popolo cristiano e delle assemblee liturgiche5.

Gli elementi più significativi di questa Nota sono tuttora validi. Eccoli in sintesi.

Anzitutto il cammino non è finito. E' stato compiuto un immenso progresso negli ultimi 20
anni, in ordine soprattutto alla "partecipazione" dei fedeli. Ma i frutti maturi della riforma si
potranno cogliere solo tra qualche generazione (n.3). Per raggiungerli è necessario affinare
gli strumenti e i metodi dell'azione pastorale.

In secondo luogo è una riforma da completare. Possiamo sintetizzare tre temi decisivi,
sottostanti a tutto il discorso della Nota.

1) Il rinnovamento liturgico, per portare i suoi frutti esige un rinnovamento teologico


(nn.5-6). In particolare la Nota pone l'accento sulla umanità del linguaggio liturgico, con
l'attenzione tutta nuova ai contributi delle scienze umane (n.6).

La Nota indica i criteri per le forme e la prassi della liturgia, che nascono dal fatto che
Dio salva "facendosi carne": quindi il linguaggio liturgico deve essere accessibile ai
"poveri". Questo "richiede una conversione al progetto e allo stile di Dio che ha voluto
attuare e comunicare la sua salvezza attraverso il "sacramento" delle cose più comuni e
delle azioni più quotidiane" (n.12). I vescovi individuano le cause della mancata
comprensione dello spirito e dei fini della riforma liturgica da parte dei fedeli e di molti
operatori pastorali "nella scarsa familiarità al linguaggio e alla spiritualità della liturgia
e nella carente formazione liturgica degli stessi ministri del culto" (n.5).

Per proseguire il rinnovamento autentico della liturgia è importante cercare e trovare un


punto di incontro tra linguaggio liturgico e linguaggio dell'uomo "comune". Tale incontro
potrà avvenire solo su quel terreno universale che è il linguaggio simbolico, inteso come

5
SANTANTONI, A., Il rinnovamento liturgico in Italia. Per una lettura della Nota pastorale CEI,
"Rivista Liturgica", 72/4 (1985), p.409-416. Cfr. anche l'inserto redazionale di Rivista di Pastorale
Liturgica n.120 (1983/5), con testo e commento.

49
linguaggio dell'uomo totale. E' un compito urgente e vitale, che non ammette fallimenti,
pena la vanificazione di tutto il rinnovamento liturgico stesso.

2. L'assemblea è il vero soggetto della celebrazione. E' affermato al n.10. Il ruolo


celebrativo dell'assemblea è uno dei punti più lucidamente presenti ai vescovi italiani.
Pertanto, il presidente e i diversi ministri sono parte dell'assemblea, non sono solo per
l'assemblea. Il problema difficile da risolvere è la traduzione nella pratica liturgica di
questo principio. La Nota offre indicazioni preziose a questo riguardo (nn.7-16).

3. Responsabilità e ruolo dell'autorità ecclesiastica in materia liturgica. La prima


indicazione è approntare un lavoro di verifica e di analisi serio e costruttivo da tradurre in
proposte operative per le prossime edizioni dei libri liturgici; la seconda è il riconoscimento
del valore della pietà popolare.

La Nota è apparsa in concomitanza con il MRI 1983 (II ed.) e la pubblicazione dei risultati
dell'inchiesta CEI, in cui appare una chiesa che ha attuato la lettera della riforma, ma spesso
senza averne assimilato lo spirito e compreso le ragioni.

50
CAPITOLO III

I FONDAMENTI DEL CELEBRARE CRISTIANO: LA DIMENSIONE


ANTROPOLOGICA DELLA RITUALITA’

L'antropologa Mary Douglas scrive: "E' un errore pensare che ci possa essere una
religione che sia tutta interiore, senza regole, senza liturgia, senza segni esterni di stati
d'animo interiori. Come per la società, così per la religione, la forma esteriore è la
condizione della sua esistenza... Come animale sociale l'uomo è un animale rituale.
Soppresso in una forma, il rituale riaffiora in altre, tanto più forte quanto più intensa è la
interazione sociale. Senza le lettere di condoglianze, i telegrammi di congratulazioni, le
occasionali cartoline, l'amicizia di due amici lontani non è una realtà sociale: non può
esistere senza i riti dell'amicizia. I riti sociali creano una realtà che sarebbe inesistente tra
di loro"1.

R. Guardini, parecchi anni prima della riforma liturgica conciliare, denunciava la


disaffezione all'agire rituale: "il fedele dei nostri giorni non guarda più, non apprende
guardando, non contempla, ma fissa lo sguardo, osserva, constata... La comunità liturgica
da celebrante è diventata spettatrice. Ciò vale anche per l'officiante liturgico". Questa
tendenza è dovuta a più motivi. Anzitutto ad un certo illuminismo, che sottolinea la
razionalità astratta a discapito dell'esperienza sensibile, del corporeo. La stessa riforma dà il
primato alla Parola e alla purezza del credere. Vi è poi il peso dei processi involutivi della
liturgia romana: rubricismo e giuridicismo (liceità, non liceità), allegorismo, esteriorismo.
L'individualismo è abitualmente ritenuto l'attitudine migliore per interiorizzare l'esperienza
religiosa; si radica nel pensiero antilatreutico di Kant e nel prevalere dell'impegno morale
della persona. Infine il fenomeno della secolarizzazione e del secolarismo, con la
separazione tra rito e vita, arrivano al disprezzo del primo in favore della vita.

Per capire i riti, dunque, è necessario ripartire dalla loro origine. Vogliamo considerare
allora la funzione simbolica, che costituisce la base della ritualità. Scrive Vidal: "Il
pensiero simbolico è intimamente legato al sacro; vi è una correlazione tra l'dentità del
simbolo e l'identità dell'esperienza religiosa. L'uno e l'altra vanno insieme" 2. Vogliamo
individuare alcuni aspetti della funzione simbolica, che ci permettano di approdare alla
dimensione della ritualità da un punto di vista antropologico.

PARAGRAFO I - IL SIMBOLO NELL'ANTROPOLOGIA RELIGIOSA

Vediamo la genesi della capacità simbolica sul versante dell'antropologia religiosa. Il


pensiero simbolico è intimamente legato al sacro, è intrinsecamente portatore di un
anelito religioso. Evoca, infatti, qualcosa di assente che è impossibile percepire, è

1
MAGGIANI, S., Linguaggio rituale per celebrare, o.c., p.37-46.

2
VIDAL, J., Sacro, simbolo, creatività, Milano, Jaka Book, 1992, p.23.

51
unificante e totalizzante, rimanda ad altro e al Totalmente Altro. Dunque è abitato da una
dimensione religiosa. "Il simbolo è del tutto connaturale all'esperienza religiosa. Il simbolo
dà ciò che annuncia, ma lo dà in modo ancora celato, è la figura di una realtà, ma non
ancora compiuta"3.

1. SIMBOLO E APERTURA AL TRASCENDENTE

Lalande afferma: “il simbolo è qualunque segno concreto che evochi, in un rapporto
naturale, qualcosa di assente o che è impossibile percepire”.

E’ un segno concreto, non astratto. Non è una allegoria, ma una realtà (il cielo, il sole, la
luna, la terra, l’albero, l’animale, l’uomo …).

E’ un segno che evoca. Cioè un segno che chiama con la propria voce, fa uscire da se
stesso come una voce percettibile al nostro spirito, che conduce ad altro. Questa
“evocazione” è più forte della semplice indicazione: il simbolo dà ciò che designa,
comunicando un significato e fornendo una strada per comprenderlo. Dice Ricoeur: “il
simbolo è una donazione di significato in trasparenza”.

In un rapporto naturale. Il simbolo non è artificiale, né convenzionale (come il semaforo


o i segnali stradali). Il simbolo conduce in modo naturale, e ciò a cui conduce è già
presente in esso. Esso dà ciò che indica, anche se non fino in fondo. Vi è dunque un legame
intrinseco tra il significante e il significato. Nel simbolo, l’invisibile è legato al visibile, la
prima parte rende sensibile la seconda.

Qualcosa di assente o che è impossibile percepire. Il simbolo è portatore di una qualità di


presenza. E’ proprio perché la presenza esiste nel simbolo, che viene percepita l’assenza.
Questa dimensione di presenza-assenza è già una dimensione religiosa. E’ già l’aspetto
religioso del simbolo, a condizione di considerare il termine “religione” nel senso più
ampio e “aconfessionale”. Non c’è alcun simbolo che in qualche modo non sia religioso,
ma non perché le religioni recquisiscano i simboli, bensì perché il simbolo in se stesso è
portatore di un anelito religioso, più ampio delle religioni stesse.

Il simbolo cela un contenuto che sta aldilà, oltre. In esso vi è un messaggio immanente di
trascendenza. Esso dà ciò che annuncia, ma lo dà in modo ancora celato; è la figura di una
realtà, ma non ancora compiuta.

2. SIMBOLO E ALLEANZA

“Il simbolo è un oggetto tagliato in due e diviso tra due partner alleati, i quali conservano
ognuno la propria parte e la trasmettono ai loro discendenti, in modo che tali elementi
complementari, nuovamente avvicinati, permettano il riconoscimento dei loro portatori e
costituiscano la prova della loro alleanza” (Ortigues).

3
VIDAL, J., Sacro, simbolo, creatività, o.c., p.37.

52
Il simbolo è un oggetto tagliato in due. Questo dimostra che nel mondo vi è una rottura, e
il simbolo ne tiene conto. La rottura sarebbe intollerabile, se non fosse possibile il suo
superamento. Il simbolo mostra la certezza che possiamo riconciliarci, se lo vogliamo,
mediante l’alleanza: con l’universo, con gli uomini, con il divino. Il simbolo celebra
alleanze.

L’homo religiosus e l’alleanza

Il simbolo è operatore di un’alleanza. E’ operatore di una solidarietà tra l’oggetto visibile e


quello invisibile. L’esperienza simbolica conferisce unità a due termini, uno visibile, l’altro
invisibile. Questi tuttavia sono percepiti dal “terzo occhio”, e vissuti nell’anima, se questa è
aperta. L’esperienza simbolica, pertanto, annuncia che tutte le divisioni e le separazioni
sono già superate.

In particolare il simbolo, che opera un’alleanza tra il visibile e l’invisibile, opera l’alleanza
del cielo e della terra, mediante i simboli uranici (=del cielo) e quelli ctonici (= della terra).
Ma il simbolo dei simboli è l’uomo. E’ lui, qualunque sia la distanza oggettiva tra il cielo e
la terra, che opera, visibilmente e invisibilmente, l’alleanza di questi due elementi.

L’homo religiosus e l’invisibile

Per vedere l’invisibile bisogna essere in grado di trasformare tutti gli oggetti in immagini.
Alcuni esempi.

La pietra, il sasso, la roccia… sono oggetti dietro i quali si avverte la presenza di una
immagine: annunciano una sicurezza, una consistenza, una permanenza.

La pietra preziosa. E’ la pietra che capta la luce e la moltiplica. Apocalisse 21,18-21 evoca
la Gerusalemme futura dalle mura di pietre preziose, che catturano e irradiano la luce,
diventando messaggio di libertà, di apertura, di opera compiuta. Viene indicata la nuova
creazione, frutto della creazione attuale trasfigurata.

La montagna sacra. E’ immagine e simbolo antropofanico: rivela che l’uomo è fatto per le
sommità.

La grotta, la caverna. Simbolo dell’uomo invitato ad andare nel punto più basso, più
profondo, all’origine del suo anelito, dove trova tutta la creazione, l’universo e il mondo al
punto di origine della sua comparsa. La caverna è la cavità geografica perfetta, la cavità
archetipa, mondo chiuso dove lavora la materia stessa dei crepuscoli, cioè luogo magico
dove le tenebre possono riavvalorarsi in notte.

Il fiume. E’ l’invito al viaggio. Esso ci dice ”Imbarcati, parti, esci dalla tua casa, corri verso
l’avventura”. Ogni fiume annuncia l’oceano che non vedo; è segno dell’invisibile,
dell’invisibile Uno. E’ una antropofania, che è anche una teofania in quanto evoca il divino.

53
L’esperienza simbolica del corpo

Il primo territorio del simbolo è la nostra esperienza corporea. “E’ nella misura in cui il
nostro corpo vive, che gli oggetti diventeranno corpi viventi e li ricomporremo nell’unità
della nostra esperienza corporea” (Jung). Ecco alcune espressioni di questa esperienza.

La verticalità. E’ un’esperienza corporea essenziale, che offre una prima lezione di


trascendenza. La posizione dell’uomo eretto ha una corrispondenza interiore: indica
un’energia interiore verticale, un’esigenza verticalizzante. L’uomo si scopre tra la terra e il
cielo e può cominciare a percepire che la verticalità che anima il suo anelito è la risposta a
qualcosa, a qualcuno che lo guarda in modo diverso dagli altri animali, e lo chiama.
L’uomo si sente chiamato a praticare delle alleanze con questo qualcuno, nascosto lassù o
quaggiù, nel cielo o sulla terra.

La danza. Anche nell’esperienza corporea della danza vi è una lezione di trascendenza. La


danza dell’orso: è il bilanciarsi da una gamba all’altra senza trovare il senso di un percorso.
L’energia corporea non si è ancora organizzata nel suo centro per trovare il suo cammino. Il
girotondo: è un’esperienza di solidarietà. Chi è in centro esprime la regalità, troppo pesante,
che non può durare a lungo, per cui desidera rientrare nel cerchio protettivo del girotondo.
Il calpestìo: i danzatori si caricano dalla terra e, attraverso essa, si slanciano verso il cielo.
Lo slancio: l’uomo si slancia per manifestare la duplice origine della verticalità; vuole
condurre l’universo verso l’alto, verso la luce, restando sulla terra. Questo slancio culmina
nell’abbraccio della terra e del cielo. L’abbraccio. Nella simulazione dell’abbraccio, si
vuole abbracciare l’universo, se stessi, gli dei nascosti, il Dio vivente … Esprime la
comunicazione, potente e fragile perché si scioglie subito, con l’altro. La ricaduta: si torna
al punto di partenza, dopo lo slancio e l’abbraccio. Ritrovo me stesso, ma nello stesso
tempo appare l’altro da me, appare il sacro.

I ritmi. Anzitutto il ritmo respiratorio di inspirazione-espirazione. Per l’oriente


l’inspirazione è solidale con la notte cosmica, l’espirazione con il giorno cosmico. La
respirazione mette in sintonia con il cosmo e le tecniche respiratorie (yoga) permettono di
raggiungere la respirazione dell’universo e, quindi, di avere dei poteri. La pausa è la fase
intermedia che permette di sfuggire al flusso del tempo e attingere un istante di immortalità.
Essa è l’anelito umano che si carica dell’universo e delle sue alternanze e attira il mondo
verso l’immortalità. La pausa è anche un pericolo mortale: è il sacrificio, la morte a se stessi
per rinascere e raggiungere l’immortalità. Il ritmo cardiaco di sistole-diastole. E’ la legge
fondamentale della vita.

3. UNA TIPOLOGIA DEI SIMBOLI RELIGIOSI

La fenomenologia ci attesta che le religioni non solo si servono di simboli per comunicare
le loro esperienze, ma si costruiscono e si solidificano tramite una catena di simboli. La rete
dei simboli costituisce l'organigramma di una religione. Solo in un secondo momento si
strutturano teologicamente. Pertanto ogni linguaggio religioso è essenzialmente
simbolico. Il simbolo nasce da una esperienza che non è pienamente oggettivabile;
comporta una inesauribilità di significati, ed è carico di affettività e di dinamismo. Dal

54
punto di vista della "scienza delle religioni", proponiamo una classificazione del simbolo
religioso come ricerca suprema di unificazione del reale4.

A. Unificazione del reale a partire dall'immagine cosmica. Vi confluiscono i simboli che


hanno riferimento al cosmo.

Simboli uranici. Il cielo è il simbolo primario della trascendenza, della potenza, della
perennità. Crea nell'uomo il senso della dipendenza creaturale, con le connotazioni del
fascinans e del tremendum (Otto). Questo simbolo diventa talmente carico da indicare non
una trascendenza anonima, ma Dio stesso. La stessa parola "Dio" non è derivata da una
speculazione filosofica, ma da una esperienza simbolica: Dio (dal sanscrito: div/dyaus, con
i derivati: dios/dies/divus) significa lett.: luce/splendore. Nelle grandi religioni il cielo
indica la dimora di Dio, o, più pericolosamente, Dio stesso. Il cielo è la sede di Anu (dio
mesopot.); di Varuna (dio indo-ariano); di Ahura Mazda (iranico). In Grecia: Zeus è lo
stesso dio celeste.

Il cielo, a partire dalla regolarità del movimento degli astri, diventa anche simbolo
dell'ordine cosmico. Il quale è ispiratore e modello dell'ordine morale. "Rta" (indiano) e
"asa" sono simboli-concetti unificanti e stabilizzatori dell'ordine cosmico, ma anche
dell'ordine morale.

Simboli ctonici. Sono il risultato della prima polarizzazione del cielo. Nel mondo indù, la
terra con il cielo è la metà superiore dell'uovo del mondo. Nella mitologia greca, il
connubio Ouranos-Gaia è simbolo dell'armonia tra i due principi supremi in ordine alla
vita e fecondità. Nella religiosità cinese il cielo è il principio attivo, mascolino, opposto alla
terra che è principio passivo e femminino. Attraverso l'azione del cielo e della terra si
esprime la galassia dei simboli della fecondità.

B. Simboli religiosi raggruppati secondo il criterio di unificazione dell'immagine


dell'uomo.

1) Secondo la dimensione cosmica e antropologica, il tempo mette in pericolo l'integrità


dell'uomo, per cui si impone il problema della salvezza dal tempo, o salvezza nel tempo.
Abbiamo allora i simboli fondamentali di liberazione dal/nel tempo: 1) i simboli
protologici, che esprimono l'età d'oro che sta prima del tempo (paradiso; pitryana); 2) i
simboli escatologici, che esprimono ciò che sarà dopo il tempo (risurrezione; gloria;
nirvana; esperienza del Tao; unificazione con il Brahman). 3) E i simboli "intermedi" di
"sospensione del tempo", di rinnovamento del tempo, di ritorno alle origini attraverso il ri-
tuale (Cfr. tutti i riti e le estasi che adempiono questo compito).

2) Un'altra linea che cerca il recupero dell'integrità dell'uomo è costituita dalla simbologia
del male, del peccato e della redenzione. E' la tipologia più propria per il recupero di questa

4
CHEVALIER, J., Dictionnaire des symboles, Paris, 1969. RICOEUR, P., Finitudine e colpa,
Bologna, 1970 (sul rapporto tra simboli e miti). OTTO, R., Il sacro, Milano, Feltrinelli, 1966.

55
integrità antropologica. Raccoglie la tipologia di male, colpa, peccato; redenzione, grazia,
salvezza. Con i simboli di croce e gloria; morte e vita; schiavitù e libertà; tenebre e luce.

C. La tipologia dell'unificazione del reale e dell'umano non è sufficiente per la


catalogazione del mondo simbolico. I simboli religiosi possono essere catalogati secondo
un criterio gerarchico-semantico, che tiene conto del valore ad essi attribuito nelle diverse
esperienze religiose. Per esemplificare: la croce potrebbe essere un simbolo iconico
particolare del cristianesimo; la ruota del Buddismo; il mandala dell'Induismo; le tavole
della legge del Giudaismo; la Kaaba dell'Islam.

56
2. IL RITUALE COME VITA SIMBOLICA DELLE RELIGIONI

A. I simboli costituiscono la principale, se non l'unica, mediazione dell'esperienza


religiosa; per cui esiste religione ed esperienza religiosa dove vi sono dei simboli. Ogni
perdita della dimensione simbolica può portare allo svuotamento dell'esperienza religiosa
stessa, perchè il destino della religione è legato al destino del simbolo. Decadenza del
mondo simbolico e decadenza dell'esperienza religiosa sono interdipendenti. Lo stesso vale,
pertanto, per la liturgia.

Sinteticamente, possiamo affermare che il simbolo religioso nasce da un momento di


illuminazione. Per questo ha bisogno di una specie di continua conversione per mantenere
la forza evocativa che gli è particolare. Il simbolo tende a ricreare la situazione di
esperienza religiosa "statu nascenti" che lo ha generato. Perciò il suo valore è recuperabile
solo dentro quella esperienza ed ermeneutica della realtà in cui è nato.

Ogni religione ha una vita simbolica; ma a questo universo simbolico essa aggiunge altri
simboli concomitanti ed espressivi: la parola, il gesto, il canto, la danza. Cioè il rituale. E'
il rituale che, nelle religioni, costituisce la dinamica di significazione dei simboli; esso è
l'ermeneutica vivente dei simboli stessi. Come il mito dà una ricca contestualità simbolica
ai simboli religiosi mediante la parola e il racconto, così il rito crea la contestualità
simbolica ed eleva i simboli religiosi alla seconda potenza. Mito e rito, poi, sono due modi
di significare simbolicamente consostanziali l'uno all'altro e interagenti. Possiamo
catalogare i riti secono la tipologia degli oggetti rituali e dei comportamenti rituali.

B. Oggetti simbolici rituali.

1) Il tempio. Il primo tempio è la natura stessa. Alcuni luoghi diventano sacri, distinti da
altri, perchè vi si è manifestato il divino (sorgenti, alberi, boschi, montagne). In un secondo
momento si costruiscono templi. Dio risiede nel suo luogo, ma si manifesta visibilmente
nella dimora che gli uomini gli hanno costruita. Qui vi è la dialettica tra trascendenza e
immanenza, congiunta con il valore simbolico delle immagini, che però può divenire
ingenuamente presenza tout court del dio. Alcuni esempi. La ziqurat babilonese: il
simbolismo del tempio è legato alla presenza del dio, che scende nella sua stanza, posta
sulla cima. Gli ebrei: prima hanno santuari all'aperto, dove Dio si è manifestato
storicamente; poi la Tenda nel deserto, infine il Tempio; mantengono comunque un forte
senso della trascendenza. Anche per l'Islam la moschea non può essere considerata
l'abitazione di Dio, che è trascendente, ma luogo della preghiera comunitaria.

2) Le immagini. Il loro carattere simbolico è connesso con la concezione più o meno


trascendente della divinità.

In realtà, i riti sono costituiti da un complesso di azioni simboliche (= la liturgia) che


danno il senso pieno del simbolo e manifestano i significati cui i simboli intendono
orientare.

57
C. Dal punto di vista della intenzionalità abbiamo:

Riti apotropaici = sono una grande ermeneutica di mantenimento della propria identità.

Riti eliminatori = sono una ermeneutica del male e della difesa dal male.

Riti di passaggio = sono un'ermeneutica simbolica della vita e della morte. Concentrati
intorno agli eventi fondamentali dell'esistenza: nascita, pubertà, matrimonio, morte.

Riti sacrificali= hanno una doppia significatività ermeneutica: a) riconoscimento,


sottomissione, rendimento di grazie; b) pentimento, espiazione, soddisfazione.

Dal punto di vista della movenza simbolica abbiamo gesti, canti, danza... quali elementi
sono inscindibili dal rito stesso.

4. IL SENSO DELLA SIMBOLIZZAZIONE

Susanna Langer negli anni ‘30/40 – quando si va imponendo il nuovo imperialismo del
positivismo logico - sostiene che “ciò che è direttamente osservabile è solo un segno di un
fatto fisico e richiede interpretazione per produrre proposizioni scientifiche … Il trionfo
della scienza è messo a repentaglio dalla sorpendente verità che i nostri dati di senso sono
primariamente simboli”. La sua tesi è che ogni pensiero è pensiero simbolico, anche
quello dei neo-positivisti; e la simbolizzazione è il processo primario del pensiero.

Il senso della simbolizzazione. Essa è un processo che appartiene in modo particolare


all’uomo; si differenzia da ogni funzione segnica, che ha scopi pragmatici (anche negli
animali). L’attività simbolica dell’uomo si basa su scopi impratici, sulla funzione
magica, ludica, rituale della simbolizzazione umana. Questa attività è
“preraziocinativa” ed ha una sua originarietà, spontaneità e immediatezza. “Io credo
che vi sia nell’uomo una necessità primaria che altre creature probabilmente non hanno e
che mette in essere tutte le sue aspirazioni evidentemente non zoologiche, le sue complicate
fantasie, la sua coscienza del valore, i suoi entusiasmi assolutamente impratici e il suo
prendere atto di un “al di là” pieno di sacralità” (S. Langer). Sintetizzando il significato
globale della simbolizzazione, possiamo individuare questi elementi fondamentali:

 L’attività simbolica rispecchia esperienze primarie. Il processo stesso di simbolizzazione


appare come un evento primario e connesso strettamente all’essenza dell’uomo; in esso l’uomo
realizza il bisogno di esprimere se stesso.

 In ogni espressione simbolica ricorre il momento di libertà, dato dall’uso “non


pratico” della simbolizzazione (“l’amore per la magia, l’alto sviluppo del rituale, la
serietà dell’arte e la caratteristica attività dei sogni, sono fattori piuttosto importanti
per essere emarginati dalla costruzione di una teoria della mente”). La libertà denota la
capacità di distaccarsi da segni immediati; e la funzione sempre embrionalmente
“ludica” del momento simbolizzante. Possiamo affermare che la simbolizzazione è una

58
funzione segnica “liberata” dalla sua strumentalità immediata e orientata al
rispecchiamento di esperienze e valori propriamente umani.

 Sulla scia di queste categorie, possiamo approdare alla comprensione del simbolo:
esso si distacca sempre più dal segno. I segni annunciano i loro oggetti; i simboli
conducono a concepirli. La relazione tra segno e oggetto è molto semplice in quanto
si trovano in relazione univoca: a ogni segno corrisponde qualcosa di definito che è il
suo oggetto; il resto della funzione della significazione coinvolge il terzo termine, il
soggetto che usa la coppia.

 Il processo di simbolizzazione viene sancito dal linguaggio. Tuttavia questo non è


sufficiente, perché il linguaggio è “discorsivo”, deve mettere in fila e in ordine
temporale le parole per creare significati; quindi non può racchiudere tutte le forme
simboliche. Anzi, il linguaggio mortifica i simboli che non sono “linguistici” o
“discorsivi”.

 Vi è pertanto una simbolizzazione più originaria del linguaggio stesso,


costituita da quelli che chiamiamo “simboli presentazionali”. Essi non soggiacciono
allo schema discorsivo, allargano l’orizzonte della semantica e dei significati fuori della
logica del “discorso”, ma non fuori di ogni logica dell’essere umano.

Il punto di partenza che giustifica i simboli presentazionali è dato dalla stessa


costituzione fisiologica dell’uomo: “la vita mentale incomincia con la nostra costituzione
fisiologica pura e semplice. Vedere, per esempio, non è un processo passivo, tramite cui
impressioni senza significato vengono immagazzinate per essere poi usate da una mente
organizzatrice, che costruisca forme da questi dati amorfi per farli servire ai suoi fini.
Vedere è già in sé un processo di formulazione: la nostra intellezione del mondo visibile
incomincia dall’occhio”. Le immagini già parlano all’uomo; i suoni significano già
qualcosa in un contesto pre-concettuale e pre-razionale, ma non per questo in un vuoto di
significati e di contenuti conoscitivi. I “dati di senso” immettono nell’ambito della
conoscenza attraverso un mondo di immediatezze e di significati, che non sono stati ancora
rifusi e riordinati dalla ragione e dal linguaggio. Anzi i simboli non discorsivi non
possono essere definiti in termini di altri simboli, come si può fare con quelli
discorsivi. I sensi che percepiscono, l’oggetto percepito e il soggetto percipiente sono come
specchi che si rinviano l’immagine simbolica, giocando con essa e con l’intero significato,
che non è mai totalmente definito. Lo statuto epistemologico che presiede alla
simbolizzazione non è meno importante di quello che presiede alle forme del linguaggio
discorsivo.

La conferma di questo processo fondamentale e primario è data 1) a livello ontogenetico (il


bambino è portato a forme simboliche “espressive” e non discorsive, dove le forme
simboliche sono legate ai sensi – suoni, colori, forme, sentimenti); 2) a livello filogenetico
(l’uomo ha storicamente avuto bisogno di ripetere le esperienze originarie della sua vita
attraverso il rito, la danza, il gioco, il canto).

59
In questa luce, il linguaggio stesso è nato dal rituale, che ne è la culla. Non sono le
immagini a dipendere dai concetti, ma i concetti dipendono dalle immagini. E’ rispauto
che storicamente il linguaggio è stato conservato e custodito dal rituale e che la
grammatica è nata, secondo molti autori, dal rituale. Per la lingua greca, molti sostengono
che essa sia nata in rapporto alla teoria musicale, alla danza e al rituale antico. Noi stessi
oggi conosciamo l’avestico, il gotico, l’alto tedesco, l’alto sassone e altre lingue oggi
scomparse, in relazione ai testi sacri religiosi.

GENESI DELLA RITUALITA’

 Il rituale è una articolazione di sentimenti fondamentali. Non si pone nell’ordine del linguaggio
simbolico-discorsivo, ma simbolico-presentazionale, che è caratterizzato dalla immediatezza,
dall’essere costituito da forme visive, uditive, iconiche, attraverso una elaborazione preconcettuale,
dove il soggetto partecipa alla formazione del significato. In questo senso il rituale può essere
omologato all’opera d’arte, che è connessione di “sentimento e forma”. Anch’esso è costituito da
forme visive, uditive e iconiche ben ordinate. Il rituale è questo tentativo di creare “forme
simboliche”. Questo vale anche per la liturgia cristiana, la quale non ha come referente i sentimenti,
bensì l’evento del Mistero Pasquale di Cristo.

 Il rituale è una trasformazione simbolica di esperienze umane fondamentali. Il rituale non


crea sentimenti a partire dal nulla. In esso il vivere e il morire, il soffrire e il godere, il sentirsi uniti
e il ricordare eventi fondamentali della propria storia passata, viene convogliato in una grande
ermeneutica dell’esistenza. Nel quadro di questa tesi va ribadito che il rituale non ha carattere
strumentale, ma espressivo; non va letto, cioè in chiave funzionale o sociale (come fa Durkheim);
bensì ha in se stesso la sua realizzazione, è essenzialmente impratico, come il gioco.

 Il rituale è un bisogno di rappresentazione del mondo che dà un orientamento. E’ un atto


creativo dello spirito umano; per cui all’origine del rito non c’è la ripetizione, ma la creatività.

 Il risultato positivo di questa creatività tende a fissarsi nel tempo per essere reiterabile negli
effetti benefici. L’articolazione del rituale non è più semplice emozione, ma atteggiamento
complesso e permanente. In questo modo, le regole ripetute e identiche corroborano il vivere
sociale, tonificano il gruppo, che riaccede alle cose ultime, al sacro, unico reale.

 Ogni rituale è un dramma che esige l’assenso al suo significato e la partecipazione al dramma
stesso. Soltanto lasciandosi coinvolgere in esso, il rito ha il suo pieno significato. L’atteggiamento
di immedesimazione e di partecipazione viene esigito dal rituale, come dall’opera d’arte (questo
significa, almeno, sospendere volontariamente l’incredulità).

60
ULTERIORE APPROFONDIMENTO: IL RITUALE NELL’AMBITO DELLA
SOCIALIZZAZIONE E DELLA CULTURA

Secondo Erikson il fenomeno rituale si forma all'interno del processo di crescita e di


socializzazione5. L'uomo nasce con un bisogno di sicurezza e di conferma regolare e
vicendevole che si attua appunto sotto la forma della ritualizzazione. Questo processo
comporta uno scambio tra le persone, che ripetono determinati atti a intervalli significativi,
in contesti ricorrenti; questo scambio favorisce l'adattamento emotivo dei partecipanti. Il
mutuo riconoscersi costituisce l'elemento fondamentale e onnipresente della ritualizzazione
umana. Ad esso va aggiunto il discernimento tra il bene e il male, l'elaborazione
drammatica dell'infanzia, il perfezionamento dell'esecuzione in età scolare. Questi elementi
vengono convogliati nella manifestazione rituale religiosa, il cui referente è il numinoso.

Il comportamento rituale si qualifica come linguaggio, e rientra nel processo basilare


della comunicazione umana. Pertanto la ritualità è un tutto coerente che, all'interno di un
determinato sistema culturale, instaura un campo simbolico che permette di riconoscere
valori e di stabilire relazioni reciproche.

Per l'esperienza cristiana, il rito è una modalità di essere e di esprimersi che media,
risvegliandole, tutte le realtà silenziose della fede. Impegnando l'uomo e il cosmo nelle
articolazioni di linguaggio verbale e non verbale, riattualizza il "mito fondatore", così che
questi ha effettivamente luogo per mezzo del gesto umano.

Circa l'interpretazione del simbolismo religioso e della ritualità, l'unica tesi che
salvaguarda la dimensione religiosa dei simboli religiosi è la "scienza delle religioni"
(Otto; Van der Leeuw; Eliade). Essa afferma che l'interpretazione dei simboli religiosi,
nella loro variabilità, si muove verso l'ancoramento ad una invariante originaria nella mi-
sura in cui i simboli più profondi invocano una "Realtà Altra" non commensurabile.
Questa tesi rispetta la coscienza di colui che vive all'interno di un dato sistema simbolico-
religioso. L'unico approccio valido all'esperienza religiosa è di chi fa l'esperienza religiosa:
non si può comprendere senza credere. Il metodo scientifico positivista vuole isolare
l'esperienza religiosa dai suoi significati intenzionali mettendo in parentesi la verità
dell'esperienza religiosa stessa per poterla avvicinare "scientificamente". La fenomenologia,
invece, rispetta il rito nella sua consistenza propria e nella sua intenzionalità sacra,
lasciando sprigionare i significati che si rivelano nel fenomeno religioso6.

IL SIMBOLISMO RITUALE IN RAPPORTO ALL'ESPERIENZA RELIGIOSA.

 Il reale non viene mai raggiunto direttamente: si rende presente a noi mediante il linguaggio.
Il reale esiste per noi quando lo nominiamo. Senza la mediazione del linguaggio e della trama
simbolica costituita dalla cultura saremmo asserviti all'impero mortificante della cosa. Il simbolo

5
MAGGIANI, S., Linguaggio rituale per celebrare, o.c., p. 46-48.

6
Celebrare il Mistero di Cristo, o.c., p.67-71.

61
ci libera dall'imperialismo del reale; così l'uomo può riconoscere se stesso, l'altro e la realtà altra da
sè. Attraverso il simbolo si libera uno spazio dove viene resa possibile la vita umana. Nel
simbolismo rituale, non al di fuori di esso, ci è concesso di accedere al luminoso mistero
dell'Essere. Questo perché il rito – in quanto linguaggio simbolico – assume la realtà per smentirla
nella sua gestione ordinaria e per intenzionare una realtà più ampia. Attraverso la parola, il silenzio,
il segreto iniziatico, azioni “anormali” e anomale (danze, banchetti, azioni “trasgressive”, sprechi
inutili …) si verifica una svalutazione della realtà, per renderla atta a veicolare ciò che sta aldilà di
essa … La simbolicità è l’unico modo di darsi dell'Essere nella finitudine. "Il simbolo non
costituisce quella realtà come assente e soltanto promessa, ma la rende esibitivamente presente,
poichè è costituito proprio da quella realtà come il suo modo di presenza" (K. Rahner). Il rito è
linguaggio simbolico perchè rende presente ciò che è assente, cioè il Sacro. L’azione liturgica,
diceva Guardini, è come l’opera d’arte, che assume un segno culturale per stravolgerlo, per
trasformarlo, dischiudendo un altro mondo possibile.

Il simbolismo rituale non è discorsivo, ma emozionale-pragmatico. In quanto tale, è in


grado di allargare i lembi della nostra razionalità oltre i limiti del mero simbolismo
discorsivo, o linguaggio in senso stretto. I riti non sono veri e propri simboli
presentazionali, perché sono gesti deliberati, ripetitivi e non semplici atti emozionali.
Tuttavia conservano il legame originario con gli eventi fondamentali dell’esistenza, che per
la loro consistenza possono dirsi veramente “sacri”.

Il rito, con questa svalutazione della realtà mediante la quale dischiude una realtà più
ampia, non soggiace alla concatenazione empirica di mezzi e fini, e quindi è di tipo
ludico. Il simbolismo dei riti è impratico; è espressivo, non strumentale, è fine a se
stesso. E’ un po’ come l’arte: il suo valore sta nell’efficacia con cui lo si esprime,
piuttosto che in qualsiasi finalità che si può cercare di raggiungere. L’aspetto ludico del rito
è l’apertura ad una realtà che non viene saturata dall’uomo e che diviene grembo per la
manifestazione del sacro. L’uomo ludico si trascende, in quanto, oltre al suo interesse
utilitaristico, gli appare una Totalità che riunisce tutte le cose individuali, in una presenza
accanto a noi7.

PARAGRAFO III - FENOMENOLOGIA DEL RITO RELIGIOSO

L'oggetto proprio della scienza liturgica è il rito. Esso si iscrive nel dinamismo
sacramentale di Cristo e della Chiesa, ma mantiene una propria configurazione
antropologico-culturale. Gli elementi che entrano in questo aspetto particolare della
sacramentalità sono reperiti nell'ambito storico-culturale. La ritualità, dunque, si diversifica
quanto a referenza (magico-naturalistica nei culti cananei, storico-salvifica in AT e
cristologica nel Nuovo Testamento); ma risponde al medesimo codice linguistico, che è
dato dallo statuto della creazione, non dalla sola rivelazione. Sono le scienze umane che
permettono di individuare i criteri cui deve rispondere la ritualità per legittimare la sua
capacità mistagogica.

7
TAGLIAFERRI, R., Il rito come salto simbolico nel sacro, in Amen Vestrum. Miscellanea in onore
di P. Visentin, Ed. Messaggero-Abb. S. Giustina, Padova, 1994 (Caro Salutis Cardo, Studi 9)

62
In questo paragrafo presentiamo una fenomenologia del rito religioso, per arrivare a
scoprire la sua verità. Sulla scia di autori come Guardini, Huizinga, H. Rahner,
individuiamo l'essenza del rito nella ludicità, coniugata con la dimensione simbolica8.

1. I CARATTERI “LUDICI” NEL GIOCO

Il gioco è stato definito in questi termini: "è un'azione libera, conscia di non essere presa
sul serio e situata al di fuori della vita consueta, che nondimeno può impossessarsi
totalmente del giocatore; azione a cui in sè non è congiunto un interesse materiale, da cui
non proviene vantaggio, che si compie entro un tempo e uno spazio definiti di proposito,
che si svolge con ordine secondo date regole, e suscita rapporti sociali che facilmente si
circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal mondo
solito" (Huizinga). Possiamo così mettere a catalogo le caratteristiche essenziali del gioco.

Il gioco è una attività, perchè esiste quando si gioca; la non partecipazione lo compromette
radicalmente. E' un'attività libera, non obbligatoria; non è sottoposta a un dovere
morale; è attraente, gioiosa; si manifesta nella spontaneità dei movimenti,
nell'improvvisazione, nella distrazione. E' separata: esige uno spazio ed un tempo
determinati, entro i quali avviene una sospensione della normalità della vita. E' incerta,
perchè il risultato della gara non si può determinare. E' improduttiva, in quanto il gioco
non è congiunto ad un interesse materiale. E' regolata perchè si svolge con ordine,
secondo regole precise che non possono essere infrante, pena l'espulsione. E' un'attività
fittizia, nel senso che il gioco è irreale nei confronti della vita quotidiana, è situato fuori
della vita consueta e quindi sta al di fuori del processo di immediata soddisfazione di
bisogni e desideri.

2. I CARATTERI LUDICI NEL RITO

Tentiamo ora di rintracciare gli stessi caratteri ludici del gioco nel rito.

- Il rito è un'attività. Il rito è "parola visibile", gesto, azione, movimento. Nel rito anche le
parole tendono all'azione. Ciò che si dice è ciò che si fa, al punto che l'elemento decisivo
non è tanto ciò che si dice, quanto il modo in cui lo si dice, l'atto di dirlo. Le celebrazioni
liturgiche sono di ordine pratico, è un agire che mira ad una efficacia reale e benefica per i
partecipanti.

I gesti rituali hanno la loro matrice nella corporeità dell'uomo, e contengono un forte
carattere simbolico (cfr. il contatto fisico; la prossimità e l'orientamento alla divinità;
l'aspetto esteriore; la positura del corpo; i cenni del capo e l'espressione del volto; i gesti).
Essi "ripetono" secondo rigide regole il mito cosmologico originario; sono il tentativo di
mobilitare la potenza divina e quindi in grado di immettere l'uomo alla presenza del Sacro.

8
GUARDINI, R., Lo spirito della Liturgia. I santi segni, Brescia, Morcelliana, 1980; HUIZINGA, J.,
Homo ludens, Torino, Einaudi, 1973; RAHNER, H., L'homo ludens, Brescia, Paideia, 1969.

63
- Il rito è un'attività regolata. La parola stessa deriva dal sanscrito rta che significa "ciò
che è conforme all'ordine". Si fa così perchè "gli antenati hanno stabilito così".
L'esecuzione rigidamente osservata del rito ripropone l'evento originario fondante, che
sottrae dai momenti critici della vita e rigenera l'equilibrio perduto del mondo. L'efficacia
del rito dipende dalla ripetizione fedele del cerimoniale prescritto: la perfezione
dell'esecuzione è garanzia per il positivo risultato della pratica cultuale.

- Il rito è un'attività libera. La libertà, la bellezza, la musica e la danza sono inseparabili


dal gioco e dal rito. Sono i fattori più fecondi per creare un clima di festa.

- Il rito è un'attività separata nel tempo e nello spazio. La mentalità primitiva distingue
un "tempo sacro" e un "tempo profano". Il tempo sacro è qualitativamente diverso dal
tempo profano. Quest'ultimo è un cumulo di scorie che deve essere rigenerato dal tempo
divino, originario o escatologico. Il rito sacro festivo è una condensazione di potere sacrale
che attinge al tempo sacro e vi introduce i fedeli sottraendoli al provvisorio e al
frammentario. Lo spazio sacro, entro cui si svolge il rito, implica la ripetizione della
ierofania primordiale; ha una funzione simbolica: chi vi penetra può comunicare col sacro.

- Il rito è un'attività incerta. L'esistenza dell'uomo primitivo è in preda all'incertezza; si


sente in balia delle forze soprannaturali, alle quali non può sfuggire se non con pratiche
magiche. Si tratta di azioni, oggetti, persone cariche di potenza, mediante le quali è
possibile influenzare gli spiriti. Salvo smentita.

- Il rito è un'attività inutile, improduttiva. Questo aspetto è il vertice incandescente della


ritualità. Il rito è un'azione inutile, non serve a produrre nulla, non è funzionale a nulla, è
gratuito. Nelle feste, ovunque, è severamente proibito lavorare. E vi si sprecano risorse,
danaro, energie, tempo, tesori. E' questo aspetto che rivela con evidenza la matrice ludica
del rito.

- Il rito è un'attività fittizia. Il fedele abbandona la vita ordinaria con le sue regole e si
pone al di fuori di essa, attraverso il bagno purificatore, gli abiti festivi, il gusto dell'eccesso
e della trasgressione. L'ebbrezza dionisiaca presente in certi riti, come la violazione delle
regole sociali o l'estasi alienante, trova la sua giustificazione nel tentativo dell'uomo di
regredire nel caos primordiale, per essere rigenerato dalla potenza del dio.

3. ALTRI ELEMENTI LUDICI DELLA RITUALITA’

- I protagonisti del gioco e del rito, sono coinvolti nell'azione al punto da perdere la loro
identità. Funzionano da simboli, perchè sono mediatori tra Dio e gli uomini; e sono attori
passivi, come nel gioco, perchè, pur essendo gli esecutori materiali dei riti, si trovano ad
essere strumenti passivi nelle mani della potenza.

- Gli oggetti del gioco e del rito. Nel rito non hanno una funzione decorativa, ma sono
elementi indispensabili per la sua esecuzione ed efficacia. Alla realtà divina si accede

64
attraverso l'oggetto visibile. Tuttavia, come i giocattoli, appartengono alla stessa
dimensione ludica.

- Le parole nel gioco e nel rito. Nel gioco, la parola dando nome alle cose, le sottrae alla
pura presenzialità, trasfigura la realtà. Nel rito, il mito opera in modo identico. L'immagine
evocata dal mito è concepita assai realmente. Il mito è "parola santa", che risveglia il Sacro
e lo mette in azione nella ritualità.

Possiamo allora concludere che il rito è un simbolo ludico, teso a mediare il rapporto
religioso tra l'uomo e Dio, facendosi portatore del Sacro.

Anche R. Guardini fonda la liturgia nel linguaggio simbolico-ludico, che caratterizza


sinteticamente la ritualità. Tale linguaggio non è affatto marginale per la vita dell'uomo;
esso è capace di restituirlo a se stesso, perchè lo fa risalire alla scaturigine del suo essere. La
ritualità come linguaggio simbolico ha la capacità di immetterci nel mondo del Sacro
perchè il simbolismo comporta una totalità di significati, veicolando così l'infinita ricchezza
del Mistero di Dio. Il carattere ludico ci rivela un altro motivo per cui le tradizioni religiose
hanno affidato al linguaggio rituale la possibilità di accedere al Mistero: la ludicità apre alla
bellezza, alla assenza di necessità, che costituisce la base ineliminabile di ogni esperienza
dell'Assoluto, che si rivela nella sua assoluta gratuità.

Il simbolismo ludico della ritualità ci conduce a comprendere il Sacro secondo due


campi di significato.

A. IL RITO E’ LINGUAGGIO SIMBOLICO CHE DA’ VOCE AL SILENZIO DI


DIO. L'Essere come totalità, il Sacro, pur essendo la scaturigine di ogni realtà, rimane
sempre in ombra, nessuno può puntare direttamente lo sguardo sulla sua luce, rimarrebbe
abbagliato. Dio in se stesso è una "Parola silente", che non potrebbe mai essere
ascoltata dall'uomo, se non nella mediazione del simbolo, che nel rito ha la sua
massima enfatizzazione. Esso dà voce al Silenzio di Dio, perchè ci mantiene nella luce
che è all'origine di ogni espressività umana, ma che, in se stessa, sempre si sottrae al nostro
sguardo. La dimensione simbolica diviene, pertanto, il linguaggio religioso per eccellenza,
l'unico luogo in cui la fede può abitare. Anche nella rivelazione, la realtà di Dio allo
stato puro (l'"immaginario") non è mai raggiunta direttamente; ci viene rivelata
soltanto dal Verbo Incarnato, dalla sua persona e dal campo simbolico che si instaura
nella situazione e nella storicità umana9. Inoltre, per comunicare il mistero della salvezza
non ha disdegnato le leggi della comunicazione umana (cfr. l'istituzione dell'Eucaristia e la
cura di Gesù per preparare l'ambiente, in Lc 22,7 ss). Le apparizioni del Risorto avvengono
nel campo simbolico del mangiare insieme (Lc 24,13 ss). Dopo l'Ascensione
l'"immaginario" del Verbo Incarnato e glorificato viene raggiunto dalla Chiesa secondo le
dinamiche dell'incarnazione, quindi nella messa in opera di un adeguato campo simbolico
che esprima quello originario del Fondatore e metta in opera la sua presenza. L'anamnesi
rituale opera una vera rigenerazione: in essa il gruppo riceve il suo passato come presente. Il

9
MAGGIANI, S., Linguaggio rituale per celebrare, o.c., p.50 ss.

65
"mito fondatore" del rito cristiano è l'evento pasquale di Cristo morto e risorto, con la
singolare caratteristica di non strappare dal presente per tornare "in illo tempore", agli inizi
posti fuori del tempo, ma di rendere attuale l'evento iniziale.

B. IL RITO E’ SIMBOLO LUDICO CHE APRE AL GRATUITO.


Il rito, nella sua dimensione di ludicità, ha la capacità di intenzionare un tratto
specifico dell'Essere assoluto: la Gratuità. Il rito, vissuto come gioco, ci sottrae
all'illusione della nostra presa sul senso dell'Essere, ci apre a lui, ci mette in rapporto con
Ciò che esiste in sè e per sè, che è senza ragione e senza necessità, assoluta "gratuità".
Anche il gioco è "inutile": non è soggetto a nessun fine, ha valore in sè e per sè. Il gioco
rituale diviene pertanto "il simbolo del mondo", cioè il simbolo dell'assoluto, perchè ha in
sè il carattere che qualifica l'Essere in se stesso: l'inutilità, la sua pura gratuità.

In conclusione: la verità dei riti consiste nella loro capacità "mistagogica" e che la loro
assunzione da parte delle religioni è legata a questa capacità di intenzionare il Sacro e di
immettere i fedeli a contatto con Dio come "gratuità".

RAPPORTO RITO - LITURGIA

Possiamo ora cogliere il rapporto tra la dimensione simbolico-ludica della ritualità e la


liturgia, nel rispetto dell'assoluta novità di quest'ultima.

- Anzitutto vi è un rapporto di discontinuità. Nel culto cristiano non è abolita la ritualità


con le sue caratteristiche antropologiche, ma essa assume un contenuto specifico
irriducibile a questa sfera. La liturgia non è il mezzo di cui l'uomo dispone per arrivare a
Dio, ma il luogo in cui Dio si manifesta in Cristo.

- Il rapporto di continuità è dato dal fatto che il novum cristologico non elimina la
dimensione antropologica, ma la suppone. Il rito si mostra capace di ricevere e di reggere la
rivelazione di Dio, permette a Dio e all'uomo di incontrarsi a metà strada, nel rispetto
dell'uno e dell'altro. A questo punto è interessante verificare la continuità tra la dimensione
simbolico-ludica della ritualità, dedotta fenomenologicamente, e la dimensione teologico-
liturgica dell'eucaristia10.

Giungiamo a due conclusioni fondamentali: 1) la liturgia cristiana, pur conservando


una propria originalità irriducibile alla dimensione antropologica, deve portare i
contrassegni di ogni altro rito, cioè deve essere simbolica e ludica, se vuole rimanere
nell'ambito rituale con la possibilità di superarlo; 2) il rito non imbarazza affatto l'incontro
con Cristo, ma si mostra come la più autentica possibilità offerta all'uomo per entrare
nel suo mistero.

Possiamo allora stabilire i criteri normativi per la ritualità liturgica, cioè le


"condizioni di celebrabilità" della liturgia.

10
Confronto sinottico in Celebrare il Mistero di Cristo, o.c., p. 114-118.

66
1. La liturgia è -ourgìa, non -logìa: appartiene all'ordine pratico; esige la partecipazione
attiva. Non dovrebbe essere necessario spiegare troppo i significati simbolici dell'azione
liturgica. La sua stessa esecuzione dovrebbe essere trasparente ed eloquente. L'azione
simbolico-liturgica non deve aver bisogno di parole aggiunte per conferire il significato,
perchè esso deve realizzarsi nell'atto stesso, capace di dar luogo ad una Epifania.

2. La liturgia deve conservare un carattere ludico: deve essere armonia, bellezza, gioco,
festa (canto, musica, danza, spontaneità, creatività). Non un dovere imposto, o l'esecuzione
formale di rubriche; questo rischia di neutralizzare le possibilità mistagogiche del rito.
Guardini individua la natura dell'azione liturgica secondo le categorie di arte e gioco. La
liturgia anzitutto è arte. Sia nell'opera d'arte che nell'atto liturgico è possibile una esperienza
di rapporto con la totalità a motivo della intenzionalità del soggetto che unicamente
permette l'apertura alla totalità. In secondo luogo, la liturgia è gioco. Nella descrizione della
liturgia Guardini afferma: "Nel servizio di Dio non ci sono scopi: non c'è da ottenere
questo o quello; tutto consiste nello stare di tutto l'uomo davanti a Dio, essere lì per lui. La
liturgia è eminentemente disinteressata; ma tutta imbevuta nel senso di servire Dio: su di
essa regna la grandezza di Dio". La liturgia non ha scopo, non ha finalità pratiche, non è un
mezzo, nè una tappa per raggiungere qualche nobile meta che sta fuori di essa. Il senso della
liturgia è "che l'anima stia dinanzi a Dio, si effonda dinanzi a lui, si inserisca nella sua
vita, nel mondo santo della realtà, verità, misteri, segni divini, e cioè si assicuri la vera e
reale vita sua propria"11. Questo modo di essere è un "gioco". "Nel gioco il bambino non si
propone di raggiungere nulla, non ha alcuno scopo. Non mira ad altro che ad esplicare le
sue forze giovanili ad espandere la sua vita nella forma disinteressata dei movimenti, delle
parole, delle azioni, e con ciò a crescere, a diventare sempre più perfettamente se stesso".
Nella liturgia "viene offerta all'uomo l'occasione di realizzare, sostenuto dalla grazia, il
senso più singolare e proprio del suo essere, d'essere quale egli dovrebbe e vorrebbe
essere in conformità alla sua vocazione divina: un figlio di Dio"12. Le categorie
"disinteresse, senso, arte e gioco", sono capaci di introdurci nella singolarità dell'agire
simbolico liturgico.

3. La liturgia deve essere gratuita, non deve essere funzionale ad altra cosa rispetto alla
celebrazione stessa. Secondo Guardini il senso tipico della liturgia è "glorificare Dio e far
respirare e crescere l'uomo nell'atmosfera del culto sacro. La liturgia è tanto più feconda
quanto più vi si mescolano un minor numero di intenzioni previe. Agisce come una luce
discreta che brucia senza fine, come una dolce brace che spande continuamente il suo
calore, come una forza che, senza rumore compie la sua opera di purificazione e di
formazione: ma per questo ha bisogno della calma e della libertà di uno sviluppo che non
abbia scopi interessati" (Lettera al Vescovo di Magonza)13.

11
GUARDINI, R., Lo spirito della liturgia, o.c., p.77. 81.

12
GUARDINI, R., Lo spirito della liturgia, o.c., p. 83. 85.

13
Citato da BUSANI, G., I compiti del Movimento Liturgico: la proposta di Romano Guardini, in
Liturgia: temi e autori, Roma, CLV-Ed. Liturgiche, 1990, p.92. 95.

67
4. La liturgia esige il concorso del popolo di Dio, non è affare privato o una pratica
devozionale. Deve favorire la comunicazione, l'incontro, il perdono, la ministerialità.
Guardini sostiene che per poter compiere l'atto liturgico, la capacità simbolica deve espri-
mersi in azioni simboliche. Per questo occorre anzitutto la partecipazione. "Partecipare è
agire in modo tale che si prende parte all'azione di un altro... Quando il prete celebra non
lo fa per sè, in modo privato, ma per tutti. Tutti sono chiamati a entrare nel movimento
della celebrazione... La struttura della liturgia è tale che tutti possono e debbono avervi
accesso". Partecipare è realizzare insieme una azione (l'opposto è la passività); tutti, fedeli e
sacerdote, sono coinvolti in questa azione (l'opposto è la clericalizzazione). Per realizzare la
partecipazione è necessario il raccoglimento. E' la condizione per compiere attivamente
qualsiasi azione umana. Questo vale in modo particolare per la liturgia: "Io devo prendere
intimamente coscienza, sì, ma la presenza di attenzione deve prolungarsi in presenza di
azione. E ciò non è possibile senza il raccoglimento. E' dal raccoglimento che nasce la
vera partecipazione"14.

5. La liturgia esige dignità e disciplina. Non tollera approssimazione, teatralità,


confusione, inversione dei ruoli: "La liturgia ha in sè qualcosa che fa pensare alle stelle, al
loro corso eternamente uguale, alle loro leggi inviolabili, al loro fondo silenzioso,
all'ampiezza infinita in cui si trovano"15.

6. La liturgia non ammette la sacralizzazione dei simboli rituali, come se la loro efficacia
fosse automatica, indipendente da una corretta esecuzione e dall'ambiente culturale.

7. La liturgia esige un processo di adattamento e di inculturazione. Non esistono


oggetti che in sè siano simbolici, indipendentemente dalla cultura che li ha prodotti.
Pertanto non è così ovvio imporre ad altre tradizioni gesti, immagini, oggetti familiari al
nostro mondo, senza una faticosa osmosi culturale.

8. Infine la liturgia esige uno stacco dal profano. Nell'Assemblea liturgica i battezzati
celebrano ciò che è loro proprio: la loro appartenenza a Gesù Cristo, che li unisce alla
liturgia del Cielo e li rende estranei ad ogni logica mondana.

EDUCARE LA CAPACITA’ SIMBOLICA PER CELEBRARE

L'atteggiamento che, nel soggetto, corrisponde all'elemento liturgico è la capacità


simbolica. Per questo "l'uomo deve di nuovo divenire capace di simbolo", perchè "tutto
nella liturgia è simbolo", dice Guardini. Compito di una adeguata formazione liturgica è
risvegliare ciò che nell'uomo corrisponde a quanto viene celebrato nei segni e risvegliarlo
attraverso l'esercizio e il compimento di tali segni, cioè fargli ritrovare la capacità di
agire simbolicamente. L'uomo ha perduto questa capacità e ciò ha provocato la decadenza
della vita liturgica, divenuta devozione o cerimonialismo. "L'uomo tipico del XIX secolo

14
Testi riportati da BUSANI, G., I compiti del Movimento Liturgico, o.c., p.103.105.

15
GUARDINI, R., Lo spirito della liturgia, o.c., p. 119.

68
non è più stato capace di compiere l'atto liturgico. Il comportamento religioso per lui era
un fatto semplicemente interiore e individuale, che poi in liturgia assumeva anche il
carattere di un cerimoniale pubblico e ufficiale. Con ciò il senso dell'azione liturgica era
perduto: il fedele non compiva un atto propriamente liturgico, bensì un atto interiore
privato, circondato dal cerimoniale e non di rado accompagnato dalla sensazione che quel
cerimoniale gli era causa di disturbo" (Lettera al vescovo di Magonza). E' necessario per-
tanto recuperare la capacità simbolica, non solo perchè la sua perdita ha determinato la
decadenza della liturgia, ma anche perchè ha determinato la frantumazione dell'esistenza.

La matrice della capacità simbolica dell'uomo va ritrovata nel rapporto simbolico


fondamentale: il rapporto anima-corpo. Esso salva "distinzione e relazione, ambedue
necessarie a creare un simbolo. Il simbolo infatti nasce quando qualcosa di interiore, di
spirituale, trova la sua espressione nell'esteriore, nel corporeo; non quando, come
nell'allegoria, qualche realtà spirituale è arbitrariamente collegata dall'esteriore
corrispondenza a qualcosa di materiale. Ciò che è interiore deve piuttosto tradursi
nell'esteriore vitalmente, come necessità che scaturisce dalla sua essenza. Così il corpo è
simbolo naturale dell'anima"16. E in modo più esplicito afferma: "Nel simbolo, l'interno
viene collegato all'esterno in modo tale che non potrebbe accadere altrimenti, in modo tale
che l'uno appartenga all'altro realmente, per necessità interna. Il rapporto simbolico è
quello del corpo e dell'anima: se si volesse rappresentare ciò che è l'anima, non si po-
trebbe che attraverso il corpo. Nel corpo l'anima si traduce nel suo simbolo vivente".
Possiamo allora proporre sinteticamente la correlazione posta da Guardini tra uomo e rito
con questa sequenza di affermazioni:

l'autentica realizzazione dell'uomo si dà nel giusto modo di vivere il rapporto anima e corpo
e il rapporto con la realtà materiale, fatto di relazione e distinzione.

Tale rapporto si realizza in modo eminente nell'esperienza simbolica; perciò l'uomo diviene
se stesso nel rapporto simbolico.

Nella liturgia tutto è simbolo, perchè l'azione liturgica coinvolge tutto l'uomo, anima e
corpo, ed inoltre implica necessariamente l'elemento materiale al punto che, quando la
liturgia elimina tali correlazioni, nega se stessa.

L'uomo ha bisogno della liturgia per essere se stesso perchè essa gli offre un'esperienza
simbolica; parimenti, la liturgia esige fedeli con capacità simbolica per essere "agita" e
compresa autenticamente. "La liturgia ha come protagonista l'uomo nella sua azione e in
essa l'uomo diviene sempre più umano perchè la sua corporalità nell'azione liturgica si
anima e sempre più profondamente si spiritualizza, si trasfigura e la sua anima più piena-
mente si esprime, si manifesta, si incorpora. Accade il processo simbolico"17.

16
GUARDINI, R., Lo spirito della liturgia, o.c., p. 68.

17
Citato da BUSANI, G., I compiti del Movimento Liturgico, o.c., p.102.

69
CAPITOLO IV

LA TEOLOGIA LITURGICA DEL VATICANO II

PARAGRAFO I - LA RIFLESSIONE TEOLOGICA DEL VATICANO II

Il Vaticano II sfocia in una teologia della liturgia partendo non da una ricerca a priori, ma
guidato da una rilettura della liturgia in chiave pastorale, tanto che si potrebbe parlare di
una "teologia della celebrazione liturgica". La categoria unificante dei criteri della riforma
liturgica è quella di una celebrazione liturgica pastoralmente proficua. Si trattava di
superare la frantumazione delle "tradizioni" mediante l'innesto della liturgia nella
"tradizione", cioè nella storia della salvezza; e di superare la visione statico-giuridica
riportando la liturgia nella linea sacramentale, come azione di Cristo nel suo Corpo che è la
chiesa1. Abbiamo pertanto il superamento definitivo di una visione rubricistica, in favore di
una concezione più teologica del culto cristiano. Questo lavoro, avviato dal Movimento
liturgico e dalla "Mediator Dei" (1947), nella SC riceve finalmente una conformazione
teoretica più rigorosa.

E’ interessante una lettura parallela di Mediator Dei n. 11 e dei primi 7 paragrafi


della Sacrosanctum Concilium.

I meriti della Mediator Dei sono grandissimi. Essa ha rappresentato un passo decisivo nello
sviluppo del rinnovamento liturgico, creando la base della riforma conciliare. Ma la
trattazione relativa alla natura, all’origine, alla sostanza della liturgia parte da una visione
speculativa che non è legata al proprium della rivelazione cristiana (anche se questo
proprium c’è poi nell’enciclica). In MD 11 la liturgia rientra nella virtù della religione ed è
“il debito culto all’unico vero Dio”. Poi viene qualificata come “culto pubblico che il
nostro Redentore rende al Padre come Capo della Chiesa… il culto integrale del Corpo
mistico di Gesù Cristo cioè del Capo e delle sue membra” (MD 16). Ma resta sempre in
dipendenza da questo concetto primario, che è la sua base e quindi anche il suo limite2.

Individuiamo ora le principali linee teologico-liturgiche assunte come proprie dal


Concilio3.

1
MARSILI, S., La liturgia, momento storico della salvezza, in Anàmnesis I, o.c., p.88.

2
DOSSETTI, G., Per una chiesa eucaristica. Rilettura della portata dottrinale della Cost. Lit. del
Vat. II°. Lezioni del 1965. a cura di G. Alberigo e G. Ruggieri, Il Mulino, Bologna 2002, p. 40.45.

3
BONACCORSO, G., Introduzione allo studio della liturgia, Padova, Messaggero, 1990, p.29 ss.

70
1. DIMENSIONE CRISTOLOGICA.

Questa linea di riflessione teologica è approfondita da Casel4 e viene autorevolmente


accolta nella Mediator Dei, con la solenne affermazione che la liturgia è "continuazione del
sacerdozio di Cristo".

La presenza di Cristo nei misteri celebrati è uno degli elementi fondamentali sottolineati
dal Concilio (SC 7). La presenza di Cristo è qualificata come sacerdotale: la liturgia rivela
Cristo sacerdote e, di conseguenza, la sacerdotalità della chiesa. Il soggetto della liturgia è
cristologico ed ecclesiologico.

I momenti di questa presenza sono: 1) nel sacrificio della Messa; 2) nei sacramenti; 3) nella
parola; 4) nella preghiera comunitaria. Circa il modo di questa presenza l'enciclica
"Mysterium fidei" precisa che vi sono diverse "presenze reali"; quella eucaristica è presenza
reale per eccellenza (= per ragione propria); inoltre precisa che vi è differenza circa il modo
della presenza: nell'eucaristia è permanente, nelle altre celebrazioni è transeunte, perchè
legata alla celebrazione stessa. Anche nella Messa, tuttavia, vi è una presenza reale
permanente (= quella legata al corpo sacramentale di Cristo), ed una transeunte (= quella
del sacrificio, che è legata alla celebrazione). Infine, la presenza reale di Cristo nella liturgia
è data dal fatto che il "rito" è "immagine" dell'avvenimento/Cristo, che è "realtà" rispetto
alle ombre e figure dell'Antico Testamento: "Nella legge vi era l'ombra delle cose future,
non possedendo essa l'immagine della realtà avvenuta" (Eb 10,1). "Eccoci ormai non più
nell'ombra, nella figura e nel tipo, ma nella realtà; tu, o Dio, non per via di specchi e di
enigmi, ma a faccia a faccia ti sei rivelato a me e io ti trovo nei tuoi sacramenti"
(Ambrogio, Apol. David I,12,58). Il "rito-immagine" del Nuovo Testamento non è solo
"segno", ma è presenza reale dell'evento di salvezza cui si riferisce5.

2. DIMENSIONE SOTERIOLOGICA.

Partendo dalla rivelazione-storia della salvezza, SC giunge gradualmente alla liturgia come
azione salvifica di Cristo nella chiesa (SC 5-6). La storia della salvezza viene presentata nei
suoi diversi momenti: nella preparazione profetica; nel suo compimento in Cristo; nel
prolungamento nel tempo della chiesa.

La liturgia appare come momento della rivelazione-storia della salvezza, in quanto


attuazione del mistero di Cristo. Oggi la liturgia è un avvenimento di salvezza, nel quale
continua a trovare compimento l'annuncio che prometteva il compimento. La liturgia appare
come momento-sintesi della storia della salvezza perchè congloba annuncio e avvenimento,
cioè Antico e Nuovo Testamento; e momento ultimo perchè è la continuazione della realtà
definitiva, che è Cristo.

4
CASEL, O.. Fede, gnosi, mistero. Saggio di teologia del culto cristiano. Ed. it. A cura di A. Grillo
(Caro salutis cardo, Studi/Testi, 14), Ed. Messaggero – Abb. S. Giustina, Padova 2001, p. 102-109.

5
MARSILI, S., La liturgia, momento storico della salvezza, o.c., p.95-96.

71
Il mistero pasquale di Cristo (= passione, risurrezione, ascensione), come sintesi di tutta
la storia della salvezza, viene posto al centro della storia della salvezza (SC 5); e al
centro della liturgia: sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento il momento rituale della
Pasqua (quello profetico unico e irrepetibile, celebrato in Egitto prima dell'Esodo, e
nell'Ultima Cena da Gesù), e quello celebrativo iterato (la celebrazione pasquale ebraica
annuale, e la celebrazione eucaristica della chiesa) è centrale. SC presenta la liturgia come
attuazione dell'opera della salvezza di Cristo "per mezzo del sacrificio e dei sacramenti";
"da allora la chiesa mai tralasciò di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero
pasquale" (SC 6)6.

Pertanto, la presenza di Cristo e la sua attività sacerdotale sono strettamente connesse alla
storia della salvezza e ne costituiscono un momento centrale. La forte connessione tra
Cristo-Chiesa-Sacramenti fa superare il rubricismo dela liturgia, restituendole tutto il suo
respiro vitale. La liturgia appare qui nel suo oggetto proprio: la storia della salvezza. Tale
oggetto è dinamico, in quanto la liturgia è immersa nella storia della salvezza. Da qui
deriva la sacramentalità della liturgia, che possiamo individuare

a) nel rapporto tra Scrittura e liturgia, anzitutto. La liturgia esige la lettura della
Scrittura, perchè è avveramento dell'annuncio; la Scrittura, nella liturgia, diventa annuncio-
proclamazione di un avvenimento di salvezza presente; pertanto la Scrittura trova nella
liturgia la sua interpretazione concreta e reale.

b) Nel rapporto tra rito e liturgia, dove il rito (che si radica nella esigenza antropologica
del rapporto tra l'uomo e il divino) è riferito al "segno-sacramento" primordiale che è
Cristo, ed è attuazione, in regime di segni, del mistero di Cristo7.

3. DIMENSIONE ECCLESIOLOGICA

A. Liturgia e senso della chiesa.

SC 10 stabilisce i rapporti tra liturgia e altre attività della chiesa. La liturgia, definita
"culmine e fonte" di tutta l'azione della chiesa, si pone come l'orizzonte di senso della
chiesa, cioè il suo "perchè". L'eucaristia, in particolare, è il vertice della vita cristiana, per
il posto privilegiato che ricopre all'interno dell'intera vicenda liturgica, la quale nella sua
globalità è manifestazione dell'amore di Dio. La liturgia, qui definita nel suo rapporto con
tutta l'azione della chiesa, rivela una coessenziale prospettiva pastorale.

B. Liturgia e natura della chiesa.

Un'altra pista ecclesiologica è data dal fatto che la liturgia ci rivela la natura della chiesa,
"il che cosa". "Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della chiesa,

6
DOSSETTI, G., Per una chiesa eucaristica, o.c.

7
MARSILI, S., La liturgia, momento storico della salvezza, o.c., p.96-105.

72
che è "sacramento di unità", cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei
vescovi" (SC 26). Anzitutto liturgia e chiesa si incontrano intorno al valore dell'unità. La
liturgia non è affare privato, ma comunitario, perchè dipende dalla dimensione comunitaria
della chiesa; e si realizza nel "sacramento", che è l'avvenimento fondamentale della liturgia.
Quindi la dimensione comunitaria è l'avvenimento fondamentale della liturgia.

Le azioni liturgiche appartengono a tutto intero il corpo della chiesa, lo rivelano e lo


interessano. Abbiamo il superamento del rapporto tra liturgia e chiesa-gerarchia. La chiesa
nella sua totalità è il luogo dove unicamente si può trovare, come suo ambiente proprio, la
liturgia in quanto celebrazione attuale. "La liturgia contribuisce in sommo grado a che i
fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la natura
della vera chiesa" (SC 2).

Liturgia e chiesa si incontrano anche nella comune "struttura dialettica", che è lo statuto
proprio della "dimensione sacramentale": visibile/invisibile, umano/divino,
presenza/assenza. A questo livello, la liturgia appare come il luogo dove il corpo di Cristo
si rivela e si manifesta come chiesa, ossia nella sua vera natura di sacramento, in cui si
verifica la comunione con Cristo. Il polo visibile è dato dagli elementi reperibili
nell'ambito storico-culturale. Pertanto la fedeltà della chiesa alla "sacramentalità" è fedeltà
anche al dato culturale e alla storia. Quindi nella stessa natura sacramentale della chiesa è
inscritta l'esigenza pastorale (adattamento e creatività). Possiamo cogliere, in
SC 2.26, l'aspetto liturgico della chiesa, cioè che la chiesa è "liturgica" per intima
costituzione8. Si potranno sviluppare i seguenti capitoli: 1. la chiesa comunità cultuale; 2. la
chiesa comunità sacerdotale; 3. liturgia e sacerdozio comune; 4.sacerdozio spirituale e
sacrificio spirituale.

4. DIMENSIONE ESCATOLOGICA.

Liturgia e chiesa hanno una comune prospettiva escatologica: "Nella liturgia terrena noi
partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di
Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di
Dio quale ministro dei santi del vero tabernacolo" (SC 8). LG 50 conferma questa
prospettiva: "La nostra unione con la chiesa celeste si attua in maniera nobilissima,
quando, specialmente nella sacra liturgia, nella quale la virtù dello Spirito santo agisce su
di noi mediante i segni sacramentali, in comune esultanza cantiamo le lodi della divina
maestà e tutti... riscattati col sangue di Cristo e radunati in un'unica chiesa, con un unico
canto di lode glorifichiamo Dio uno e trino". La liturgia che si celebra sulla terra non ha
altro fondamento che la liturgia celeste; la liturgia terrestre è icona di quella celeste. Questa
dimensione si manifesta, ad esempio, nell’inno cherubico della liturgia bizantina o nella
citazione della liturgia celeste a conclusione del prefazio nel rito latino. La presenza della
liturgia celeste in quella terrestre trasforma quest’ultima in festa, dato che la gioia delle Tre
divine Persone si diffonde negli eventi dello spazio e del tempo della creazione e questa
sperimenta la sua straordinaria e festosa conferma della propria esistenza.

8
MARSILI, S., La liturgia, momento storico della salvezza, o.c., p. 111-136.

73
5. CONCLUSIONE.

Le piste teologiche individuate possono sintetizzarsi intorno a tre interessi: 1. la liturgia si


rivolge a Cristo e appartiene alla storia della salvezza; 2. si rivolge alla chiesa della cui vita
è parte costitutiva; 3. si rivolge al mondo, cioè fa parte della vita dell'uomo e non può
estraniarsi dalle esigenze più autentiche dell'umanità, quali elementi coessenziali della
celebrazione liturgica.

PARAGRAFO II - LA LITURGIA COME MISTERO, AZIONE E VITA. LE MODALITA'


CELEBRATIVE DI ANAMNESI, EPICLESI E PARTECIPAZIONE.

1. GLI ASPETTI DELLA LITURGIA.

In SC 7 abbiamo la definizione descrittiva di liturgia: "Giustamente perciò la liturgia è


ritenuta quell'esercizio dell'ufficio sacerdotale di Gesù Cristo mediante il quale con segni
sensibili viene significata e, in modo proprio a ciascuno, realizzata la santificazione
dell'uomo, e viene esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue
membra, il culto pubblico integrale. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di
Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la chiesa, è azione sacra per eccellenza, e
nessun'altra azione della chiesa ne uguaglia l'efficacia allo stesso titolo e allo stesso
grado". Da questa descrizione possiamo ricavare tre prospettive sintetiche fondamentali
della liturgia; essa è

mistero = ufficio sacerdotale di Gesù Cristo; opera di Cristo sacerdote e del suo corpo;

azione = celebrazione liturgica; azione sacra; con segni sensibili; viene esercitato il culto
pubblico integrale;

vita = santificazione dell'uomo; culto pubblico integrale.

Il mistero è l'insieme degli eventi storico-salvifici prefigurati nell'Antico Testamento e


portati a compimento nel mistero pasquale di Cristo (SC 10). Per mezzo del sacrificio e dei
sacramenti, sui quali si impernia tutta la vita liturgica, si attua l'opera della salvezza che
viene annunciata (SC 5-6). La liturgia appare come il momento-sintesi della storia della
salvezza, e momento-ultimo, perchè porta a compimento nei fedeli l'immagine piena di
Cristo. Azione è il termine con cui, nella tradizione eucologica, si indica la
celebrazione che la chiesa compie fino al ritorno del Signore, annunciando e attuando il
mistero, e così rende l'uomo di ogni tempo partecipe del piano della salvezza. E' costituita,
sinteticamente, da tre elementi: il rito, che è la forma più esteriore ed evidente della
comunicazione umano-divina; la parola, che fa del rito un kairòs, un evento salvifico;
l'eucologia, che testimonia la continuità della fede pregata, celebrata e creduta, risultante dal
contatto vivo e vivificante col mistero di Cristo 9. L'azione liturgica non è un puro
accostamento di segni, parole, gesti, perchè in essa agisce lo Spirito Santo, che attualizza il

9
SODI, M., Celebrazione, in Nuovo Dizionario di Liturgia, Roma, Paoline, 1983, p.240-248.

74
mistero della salvezza, coinvolgendovi i fedeli partecipanti. La
dimensione della vita è coessenziale alla celebrazione del mistero; la liturgia, infatti, è il
mistero celebrato per la vita, e nello stesso tempo è la vita del fedele, nella chiesa, che
culmina nell'azione liturgica, perchè il mistero si attualizzi per rinnovare la faccia della terra
e dar gloria alla Trinità.

Sinteticamente possiamo definire la liturgia come "il mistero totale, sintetizzato in quello
pasquale, celebrato nella azione per eccellenza, cioè nella celebrazione liturgica, per la
vita del popopolo di Dio e del fedele nel Corpo di Cristo, che è la chiesa. Nello stesso
tempo la liturgia è la vita del fedele che culmina nella azione liturgica, perchè il mistero si
attualizzi nella chiesa, per rinnovare la faccia della terra e dar gloria alla Trinità"10.

Di per sè la celebrazione liturgica non esaurisce tutta la realtà liturgia, che è più ampia
del momento celebrativo, perchè il "prima" celebrativo culmina nella azione celebrativa, e
il "dopo" celebrativo proviene dalla azione celebrativa. Ora, per quanto il mistero in sè
considerato e la vita del fedele esistano prima e dopo la celebrazione, tuttavia stanno in
relazione inscindibile con l'azione liturgica. E' questa l'evento ordinato sia alla
santificazione degli uomini e alla edificazione della chiesa (= dimensione discendente), sia
alla glorificazione di Dio e al suo culto in Cristo (= dimensione ascendente) (cfr. SC 5).

Nella sua dimensione discendente la liturgia è il mistero celebrato per la vita dell'uomo,
che per opera dello Spirito Santo diventa nuova creazione, figlio adottivo del Padre in
Cristo, che ha in sè la caparra della vita eterna (2 Cor 1,21-22; 5,5; Ef 1,4). Nella sua
dimensione ascendente la liturgia è la vita che culmina nella celebrazione perchè il mistero
raggiunga la sua finalità ultima, che è quella di rendere culto in Spirito e verità. Tale culto
si compie in, con, per Cristo unico mediatore, "virtute Spiritus Sancti". In altri termini: le
finalità della liturgia (= santificazione degli uomini e culto in Spirito e verità) non sono
concepibili, comprensibili, espletabili se non per opera dello Spirito Santo11.

E' nella, e per mezzo della celebrazione che il mistero si realizza, si attualizza, si perpetua,
si rende presente nel tempo e nello spazio. Questo fatto esige, pertanto, da parte del fedele
una intima ed attiva partecipazione (fondata sul sacerdozio battesimale; sul primato del
sacrificio spirituale; sul fatto che l'azione liturgica appartiene a tutto il popolo di Dio
gerarchicamente ordinato).

Possiamo così descrivere il concetto di teologia liturgica: "se la celebrazione è la


attuazione rituale della fede, la teologia deve essere una riflessione sulla fede-messa-in
rito, e quindi una teologia liturgica, che è teologia dei "misteri", chiave di comprensione
sempre più piena della liturgia stessa. La teologia liturgica è, quindi, necessariamente una
autentica teologia della celebrazione. Pertanto la riflessione sul dato di fede celebrato è
teologia, perchè è contemplazione del mistero di Dio ad intra e ad extra; ed è una teologia

10
TRIACCA, A.M., Spirito Santo, in Nuovo Dizionario di Liturgia, o.c., p.1407-1408.

11
TRIACCA, A.M., Spirito Santo, o.c., p.1408.

75
liturgica in quanto l'azione di Dio è contemplata, celebrata e vissuta nella azione
liturgica"12.

2. LE MODALITA' CELEBRATIVE.

I tre livelli liturgico-sacramentari mistero-azione-vita comportano mutue relazioni e


vicendevoli compenetrazioni: il mistero è presente nell'azione liturgica mediante la
modalità liturgico-celebrativa del memoriale/anàmnesis. L'anàmnesis/memoriale è la
modalità liturgico-celebrativa che attualizza il mistero dell'opus salutis. Consiste nella
esecuzione formale, da parte della chiesa, di ciò che Cristo ha fatto "una volta per tutte e per
sempre", in modo tale che sia reso presente nella sua efficacia salvifica. L'azione celebra il
memoriale del mistero. E' la presenza e l'azione dello Spirito a far sì che il
memoriale/anàmnesis sia quello che è, liturgicamente parlando13. La vita è
presente nell'azione liturgica mediante la modalità liturgica della partecipazione. E' sempre
per mezzo e nell'azione che il mistero è celebrato per la vita. Tutto questo in forza dello
Spirito. Infatti nessuna celebrazione liturgico-sacramentale è possibile senza l'invocata
presenza dello Spirito Santo: l'epiclesi dello Spirito Santo fa dell'azione liturgica l'azione
per eccellenza, ossia la celebrazione. La presenza dello Spirito dipende sia dalla natura
della celebrazione, sia dal momento rituale della "invocazione", spesso ripetuta nei testi
eucologici. Propriamente parlando l'epiclesi è l'invocazione rivolta al Padre perchè mandi lo
Spirito Santo "a perfezionare la sua opera nel mondo e a compiere ogni santificazione"
(Prece Eucaristica IV). Tuttavia l'aspetto "epicletico" della celebrazione non si concentra
solo nel momento preciso dell'Anafora, ma si estende in tutto l'arco della celebrazione 14.
Infine, è sempre lo Spirito Santo che realizza la partecipazione dei fedeli al mistero di
Cristo, presente nell'azione celebrativa.

12
SODI, M., Teologia liturgica eucaristica. Estratto della tesi di laurea in teologia liturgica presso il
PIL nell'Ateneo S.Anselmo in Roma, Roma, 1978, p.21-23.

13
TRIACCA, A.M., Spirito Santo, o.c., p.1408.

14
TRIACCA, A.M., Pneumatologia, epicletologia o paracletologia?, "Salesianum" 48 (1986), p.67-
107. Distingue tra epiclesi stricto sensu (= celebrative eucaristiche); epiclesi lato sensu (=
celebrative extra eucaristiche) ed epiclesi extra celebrative.

76
CAPITOLO V

L'ANNO LITURGICO

PARAGRAFO I - LA LITURGIA E L’ENIGMA DEL TEMPO

“Fugit irreparabile tempus” (Virgilio). La sensazione che tutti abbiamo è che il tempo ci
sfugge tra le dita e non possiamo dominarlo. La Rivelazione ci dice che il tempo ha un
inizio (en arkè Gn 1,1) e una / un fine (Marana tha Ap 22,20). E dunque c’è una storia e
un progetto; una storia di salvezza e un progetto di salvezza. La Liturgia riprende tale
progetto e ci introduce in esso organizzando il tempo in quello che chiamiamo “ANNO
LITURGICO”. Pertanto l’Anno liturgico risolve in modo intelligente l’enigma del
tempo, rivelandone il senso: inizio, attesa, compimento, completamento escatologico.

Può essere utile un confronto veloce con visioni culturali e religiose diverse dal mondo
biblico, in cui MITI e RITI propongono una soluzione diversa del problema
“TEMPO”.

LA FUNZIONE DEI MITI

Il mito racconta eventi che hanno avuto luogo "in principio", cioè in un istante
primordiale e atemporale, in un arco di "tempo sacro". Questo tempo mitico o sacro è
qualitativamente diverso dal tempo profano, dalla durata continua e irreversibile, in cui si
inserisce la nostra vita quotidiana e desacralizzata 1. I miti sono veri in quanto sono sacri,
cioè parlano di avvenimenti sacri. Pertanto nell'atto di recitare o di ascoltare un mito, si
riprende contatto con la realta sacra. Così si supera la condizione profana, la situazione
temporale ottusa e ottenebrata, che non è la vera realtà, ma la realtà originaria e divina
decaduta.

Per le società tradizionali antiche, "primitive", il tempo è ciclico. Il mondo viene


periodicamente creato e distrutto: nasce, cresce, si sfalda, perisce e rinasce nuovamente ad
un ritmo precipitoso. L'anno solare/lunare equivale a questo ritmo cosmico: equivale alla
creazione, alla durata e alla distruzione di un mondo, di un Cosmo. Quindi, almeno una
volta all'anno si ripete la cosmogonia (cfr. i riti di fine e inizio d'anno nelle varie culture).
Sembra che questi miti abbiano la loro origine nelle società preagricole, in cui domina la
struttura lunare del tempo. I ritmi lunari segnano sempre una creazione (luna nuova), una
crescita (luna piena), un calo e una morte. La nascita e la morte della luna probabilmente ha
contribuito a cristallizzare la concezione ciclica del tempo.

In queste società arcaiche nasce dunque il bisogno di abolire periodicamente il tempo


storico, di cancellare il passato e di rigenerare il tempo. Mediante la narrazione del mito, il

1
ELIADE, M., Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico-religioso, Milano, Jaka Book, p. 55-
84.

77
tempo profano viene annullato: il narratore e il suo pubblico sono proiettati nel tempo sacro
e mitico, che è il tempo vero, la realtà vera e non illusoria. Attraverso i riti e l'imitazione dei
modelli esemplari raccontati dal mito, gli eventi mitici cosmogonici sono riattualizzati e il
tempo viene rigenerato. Il mito e il rito strappano l'uomo dal tempo cronologico che gli è
proprio, e lo proiettano simbolicamente nel Grande Tempo, il Tempo Sacro, l'istante
paradossale che non può essere misurato in quanto non costituisce una durata.

UN ESEMPIO: I MITI INDIANI

Secondo la mitologia indiana, il tempo profano, storico, crea delle illusioni. Chi vive in
esso è convinto di vivere nella realtà, mentre tutto è illusione, perchè tutto passa. Diventa
orgoglioso e presuntuoso, perchè ignora la realtà. Il tempo cosmico è un susseguirsi infinito
di cicli temporali cosmici, in cui si avvicendano, in cifre sempre più terrificanti, creazioni e
distruzioni periodiche dell'universo. Il senso di queste valanghe di cifre è il carattere ciclico
del tempo cosmico, l'eterna ripetizione del ritmo fondamentale del Cosmo, la sua periodica
creazione-distruzione-ricreazione.

In questo modo, la vita umana in quanto storia, cioè susseguirsi di vicende, di dinastie e
imperi, di rivoluzioni e controrivoluzioni, di società e di civiltà costruite con lo sforzo di
migliaia di generazioni, è svuotata metafisicamente; è illusoria, precaria, evanescente. Lo
stesso universo è svuotato di realtà, perchè gli universi nascono in continuazione dagli
innumerevoli pori del corpo di Visnu, il grande Dio che dorme sulle acque dell'Oceano
primordiale, e scompaiono con la rapidità di una bolla d'aria che scoppia una volta
raggiunta la superficie dell'acqua. Pertanto: l'esistenza nel tempo è, dal punto di vista
ontologico, una non-esistenza, una irrealtà. Il mondo intero è illusorio, privo di realtà,
perchè la sua durata è limitata e, nella prospettiva dell'eterno ritorno, è una non-durata,
poichè dura lo spazio di un istante.

Come "liberarsi" dalla precarietà e dalla irrealtà ontologica dell'universo, il cui tempo è
condannato ad un eterno ritorno? Ci si può salvare in due modi: a) con la ricerca della
Realtà assoluta, liberandosi dall'illusione di questo mondo, rinunciando ad esso mediante
una ascesi totale e la contemplazione; b) rimanendo in una vita attiva, nel mondo, ma con la
"rinuncia a godere del frutto delle proprie azioni". In ambedue i casi si tratta di non credere
unicamente alla realtà delle forme che nascono e fioriscono nel tempo che, dal punto di
vista ontologico, sono prive di sostanza.

Atterrito dal numero senza fine di nascite e rinascite degli universi, la mentalità indiana si è
sentita costretta a sfuggire a questa ruota cosmica e a queste trasmigrazioni infinite.
Mediante dottrine e tecniche mistiche, l'uomo può liberarsi dal ciclo infernale di vita-morte-
rinascita e dal dolore che ne consegue. Liberarsi da questo tempo cosmico significa liberarsi
da questo mondo e ottenere la salvezza. Chi ottiene l'iiluminazione diventa un jivanmukta,
un "liberato nella vita"; in virtù di ciò, supera il tempo, non è più sottoposto alla durata. Sul
piano simbolico: per l'illuminato, il Sole (= il tempo) rimane immobile; l'illuminazione è
come un lampo che realizza il miracolo dell'uscita dal tempo e dallo spazio.

78
Anche per il buddismo il tempo è costituito da un flusso continuo. Per questo ogni forma
che si manifesta nel tempo è precaria: l'istante presente si trasforma in passato, in non
essere; quindi il mondo temporale è inconsistente sul piano ontologico. L'unica via di
salvezza è il Budda: la sua esistenza è semplice, non composta, atemporale; egli ha superato
il tempo cosmico; in lui non c'è nè presente nè avvenire. Egli si identifica così con il
Dharma (= la realtà assoluta).

La salvezza per gli umani consiste allora nel raggiungere la "non durata", la stasi,
l'immobilità, l'eterno presente. Lo yoga è anzitutto la soppressione degli stati di coscienza,
del flusso psico-mentale. Questo avviene mediante il controllo del ritmo respiratorio. "Tutto
lo yoga non vuol dire che una cosa: nelle variazioni imprigionate della respirazione, trova
il punto in cui rendi immortali tutte le cose a partire da te stesso" (M. Eliade).
Progressivamente, il monaco si sforza di diventare un "cosmo" perfetto, un uomo glorioso,
in perfetta salute fisica, signore assoluto del suo corpo e della sua vita psico-mentale,
capace di concentrarsi, cosciente di sè. Così si integra perfettamente nei ritmi del grande
Tempo cosmico. Entra in uno stato non condizionato e senza tempo. Infine raggiunge uno
stato di estasi, in un eterno presente.

PARAGRAFO II - EVOLUZIONE STORICA E INTERPRETAZIONE DELL’ANNO


LITURGICO

PANORAMA STORICO.

1. DATI BIBLICI: ELEMENTI TEOLOGICI DELLA FESTA BIBLICA 2.


Nell'Antico Testamento le feste legate al ritmo agricolo-stagionale si caricano di un
riferimento soteriologico, divenendo così totalmente riferite all'avvenimento fondatore
(Festa di Primavera= Esodo= Azzimi e Pasqua; festa della Mietitura= Sinai=
Settimane/Pentecoste; festa del Raccolto= deserto= Capanne). La celebrazione secondo i
ritmi regolari del tempo trova il suo riferimento normativo nell'evento dell'alleanza.
Lo stesso vale per la preghiera oraria, il sacrificio quotidiano, il sabato, l'anno giubilare.
La festa diventa perciò memoriale/zikkaron/anamnesis delle azioni salvifiche di Dio, e
comporta una autentica partecipazione sacramentale. Un testo chassidico ci dà il senso del
"memoriale": "Il Rabbi di Apta diceva: “A ogni uomo d'Israele è prescritto di considerarsi
sempre come se stesse presso il monte Sinai, per ricevere la Torà. Poichè per gli uomini c'è
passato e futuro, ma non per Dio: ogni giorno egli dà la Torà". La festa diventa, nell'oggi
della celebrazione, autentico momento di salvezza. Essa comporta liturgicamente i
seguenti elementi: ritrovarsi in assemblea come popolo; far memoria dell'evento; professare
la fede; in una cornice di preghiera e di gioia (cfr. Atti).

La festa ha anche una dimensione morale e di impegno per la vita dei credenti che
celebrano l'azione salvifica (cfr. Rm 12,1). E comporta una dimensione "prolettica": il
memoriale è celebrato in attesa del compimento escatologico, tra il già della salvezza
donata e il non ancora di quella definitiva.

2
Anàmnesis VI. L'anno liturgico: storia, teologia e celebrazione, Marietti, Genova, 1988, p.27-28.

79
2. EPOCA PATRISTICA E FORMAZIONE DELL’ANNO LITURGICO 3.
Originariamente la domenica è l'unica festa. E' la pasqua settimanale dei cristiani,
avente come centro la fractio panis (cfr. At 20,7; 1 Cor 16,2; Ap 1,10. Cfr. anche SC 6)4.

Fin dal I sec. mercoledì e venerdì sono ferie consacrate al digiuno. Nel II sec. sono
giorni di "stazione" (cfr. Didakè, Erma, Clemente Al., Tertulliano), in cui si tiene la
preghiera comunitaria, ma non ancora l'eucaristia. Quando, verso il VI sec. l'eucaristia sarà
celebrata tutti i giorni, questi due giorni restano aliturgici.

1. Il ciclo pasquale.

La celebrazione annuale della pasqua appare già nel II secolo. In giorno di domenica è
attestata per la prima volta nell'intervento di Papa Vittore (189/198) nella disputa con i
Quartodecimani. Questa divergenza attesta non solo una prassi liturgica diversificata, ma
anche una lettura differenziata dell'identico mistero. Nel II secolo si celebra un giorno
preciso dedicato alla memoria della pasqua di Cristo. E' una celebrazione notturna, il
sabato notte, che sfocia nella domenica di risurrezione. In essa si celebrano i sacramenti
della iniziazione cristiana (cfr. Traditio A.). E' preparato dal sabato (memoria della
sepoltura), giorno aliturgico, in cui si svolge l'ultima rinuncia ed esorcismo dei catecumeni;
e dal venerdì (memoria della passione), con una celebrazione della Parola; viene poi
introdotta la venerazione della croce e la comunione eucaristica. Più tardi si includerà anche
il giovedì, con la riconciliazione dei penitenti (inizialmente solo a Roma) e la memoria
della Cena.

Nella chiesa di Alessandria fin dal III secolo si celebra un ampliamento della Pasqua:
una settimana "de Passione", che inizia la domenica. Probabilmente quest'uso si trova
anche in Roma.

Dal V secolo si commemora a Gerusalemme l'ingresso di Cristo; l'uso si diffonde in


oriente e altrove. Dal V secolo a Roma la preparazione alla Pasqua è già di tre settimane. Ai
penitenti sono imposti 40 giorni di digiuno: dal mercoledì delle Ceneri al Giovedì santo.
All'inizio del VI sec. appare la Quinquagesima; alla fine del VI sec. la Sessagesima e nel
VII la Settuagesima. La motivazione di questi prolungamenti del tempo di
preparazione alla Pasqua è data dalla riconciliazione dei penitenti, dalla preparazione
dei catecumeni all'iniziazione cristiana e dall'approfondimento della vita cristiana per i
fedeli.

La Cinquantina pasquale. E' celebrata inizialmente come unico grande giorno che
dilata la domenica di risurrezione. L'Ottava di pasqua, con forte carattere battesimale, è
celebrata fin dal IV sec. La Pentecoste con la vigilia, celebrata come pendant della veglia

3
NOCENT, A., in Anàmnesis VI, o.c., p.37 ss.

4
VISENTIN, P., Domenica: dalla celebrazione pasquale a osservanza legale, in Culmen et fons.
Raccolta di studi di liturgia e spiritualità, I, a cura di R. Cecolin - F. Trolese , Padova, Messaggero,
1986, p.295-316.

80
pasquale, con ulteriori battesimi (nel IV sec.). L'Ascensione, tra la metà del IV secolo e il V
secolo si diffonde ovunque. L'Ottava di Pentecoste viene introdotta verso la fine del VI
secolo, quando viene meno il significato della Cinquantina pasquale .

2. Il ciclo natalizio.

La istituzione della festa del Natale ci pone in presenza della esigenza della chiesa di
esplicitare a livello celebrativo, nel circolo dell'anno, l'unico mistero fino allora celebrato,
quello pasquale.

Il Natale. Nella prima metà del secolo IV l'incarnazione del Verbo è celebrata in due date
distinte: in Oriente il 6 gennaio; in Occidente il 25 dicembre. Alla fine del sec. IV in
Occidente si celebrano tutte due, con una accentuazione particolare per ognuna
(incarnazione e manifestazione). Il Natale al 25 dicembre è indicato la prima volta nel
Cronografo del 354, ed ha un valore apologetico: 1) per contrastare la festa pagana del
"natalis solis invicti" a Roma (25 dicembre), e in Egitto (6 gennaio); 2) per contrastare
l'arianesimo, proclamando l'incarnazione del Verbo. La fede di Nicea viene così celebrata e
pregata. Ma solo con Papa Leone Magno vi sarà l'approfondimento teologico-liturgico di
questa festa.

L'Avvento. Nasce come pendant della Quaresima. Luogo di origine è la Gallia e la Spagna
(fine sec. IV), come tempo di ascesi, in un primo momento. A Roma sarà introdotto più
tardi. La formazione dell'Avvento corrisponde al bisogno di preparare la prima venuta di
Cristo nella carne e la seconda venuta nella gloria.

3. Le Quattro Tempora.

La data della loro introduzione è oscura. E' possibile che la scelta di questi tempi si
riferisca alla mietitura (Pentecoste), alla vendemmia (settembre), alle semine (dicembre),
alla primavera (marzo). La motivazione sembra quella ascetica, in modo da non lasciare la
penitenza solo alla Quaresima.

4. Lo sviluppo del santorale.

Il culto dei martiri risale ad uno stadio antichissimo (in Oriente con il martirio di
Policarpo nel 167; in Occidente con il martirio di Papa Callisto nel 222). I martiri sono
assimilati a Cristo morto e risorto. Il concetto originario di santità cristiana conserva
dunque un rapporto radicale e intimo con il mistero pasquale, che ne costituisce il
prototipo.

Il culto della Vergine nasce a Gerusalemme (basiliche edificate nel V-VI sec.). Papa
Sisto III nel V sec. fa costruire S.Maria Maggiore. La I festa ufficiale nella liturgia
romana è il "Natalis S. Mariae" il I genn. (sec. VII). In seguito le altre: 2 febbraio, 15
agosto, 25 marzo. Si moltiplicheranno nel Medio Evo e con la "devotio moderna".

81
Le feste del Signore. Sono soprattutto "feste di dogmi" teologici. Le più importanti,
presenti in Oriente e in Occidente, sono la Trasfigurazione; l'Esaltazione della Croce (in
Oriente pari alla pasqua); la Dedicazione. In Occidente vi sono feste particolari di carattere
dogmatico: SS. Trinità (verso il IX sec.); Corpus Domini (1247/1264, basata sulla presenza
reale e sulla adorazione); S. Cuore (dal 1675); Cristo Re (1925, a carattere teologico
apologetico).

LINEE DI INTERPRETAZIONE DELLO SVILUPPO STORICO

1. L’EPOCA DEI PADRI

1. Viene mantenuto il riferimento fondamentale alla Pasqua, celebrata


settimanalmente. Il ciclo delle festività annuali porta nel suo cuore la memoria del mistero
centrale della Pasqua. Non si cade nel tempo ciclico di distruzione e rigenerazione del
tempo, in quanto la memoria liturgica si riferisce all'èphapax della redenzione.

2. L'introduzione del ciclo natalizio-epifanico deve essere considerata attentamente. La


riflessione cristologica dei Padri si mantiene ancora sul versante soteriologico. Tuttavia
l'impatto con il pensiero greco dà origine ad una visione cristologica che dalla centralità
della vicenda storica di Cristo ancorata alla Pasqua, passa alla centralità della
Incarnazione, ancorata sulla preesistenza del Verbo. Il "farsi carne" del Verbo viene
letto con categorie statiche/destoricizzate, cioè come assunzione della natura umana.
Nell'epoca patristica, quindi, vi è un innegabile spostamento di accento della riflessione
cristologica rispetto a quella biblica. Questo non significa il venir meno della prospettiva
soteriologica nella considerazione del mistero di Cristo. La sottolineatura
dell'incarnazione non significa necessariamente la sostituzione alternativa del polo della
Pasqua, ma l'esigenza di cogliere le condizioni cristologiche di verità della Pasqua stessa.
La valenza soteriologica dell'Incarnazione è sottolineata nei testi eucologici e nei sermoni
dei Padri. Comunque la festa cristiana rimane contrassegnata dalla "pasqualità" data
dall'eucaristia; per cui Natale e Pasqua vanno visti connessi nell'unica prospettiva
soteriologica. Indubbiamente influisce anche l'esigenza catechistica e la necessità pastorale
di contrastare l'arianesimo.

3. Possiamo dire ancora che l'articolarsi concreto dell'anno liturgico e i contenuti con
cui le diverse festività vengono celebrate manifestano la specifica tradizione
catechetica di una chiesa locale. L'anno liturgico si forma in chiese locali concrete, sotto
la spinta della necessità pastorale della catechesi ai catecumeni e ai fedeli. Pertanto può
essere interpretato come la struttura pastorale nella quale e per la quale si articola
l'azione con cui le chiese tendono a far vivere le dimensioni del mistero di Cristo
celebrato nel culto.

2. IL PERIODO SUCCESSIVO

1. A livello di PRASSI si fa strada la tendenza a considerare l'Anno liturgico come


rappresentazione del fatto storico, non tanto celebrazione memoriale dell'evento

82
salvifico. Subentra un processo progressivo di legalismo e individualismo (il precetto). Si
sviluppano in modo abnorme il santorale e la pratica devozionale. I santi sono considerati
eroi della fede, autonomi rispetto al mistero di Cristo. Il Medioevo conosce la dilatazione
delle celebrazioni mariane in chiave affettivo/patronale e di "privilegi".

2. La RIFLESSIONE TEOLOGICA. Papa Leone Magno è l'autore che con maggiore


chiarezza manifesta una concezione teologica di Anno liturgico. In seguito l'Anno
liturgico è considerato non più sul piano misterico, ma come occasione per proporre delle
riflessioni di carattere ascetico-devozionale ("galleria di esempi" da imitare).

E' decisiva l'opera di P.GUERANGER "L'Annèe liturgique" (1840), che recupera la


valenza teologica e pastorale dell'Anno liturgico. CASEL afferma che "l'anno liturgico è lo
stesso mistero di Cristo partecipato a tutti gli uomini". La "Mediator Dei" (1947) dice che
l'anno liturgico "è Cristo stesso che vive nella sua chiesa e che prosegue il cammino da lui
iniziato"; ma, per certi aspetti, è ancora considerato in chiave morale-edificatoria.

PARAGRAFO III - LA RIFORMA CONCILIARE

CRITERI DI RIFORMA

Il tema dell'Anno liturgico viene trattato in SC 102-111. Sottolineato il carattere


pastorale dell'Anno liturgico (SC 105 "formazione dei fedeli"; SC 107 "per alimentare
debitamente la pietà dei fedeli"), vengono individuati i seguenti criteri di riforma: 1)
mantenere il carattere originale dei diversi tempi liturgici (SC 107); 2) attenzione
pastorale all'oggi: condizioni del nostro tempo, bene spirituale dei fedeli, adattamenti
secondo le condizioni dei luoghi (SC 107); 3) le feste del Signore hanno la priorità sul
santorale (SC 108).

CONTENUTI E SIGNIFICATO

1. Nel ciclo liturgico annuale la chiesa "celebra con sacra memoria... l'opera della
salvezza del suo sposo divino... Presenta poi tutto il mistero di Cristo." (SC 102). SC
recupera le conquiste del Movimento liturgico; supera il dualismo della Mediator Dei, e si
riaggancia alla tradizione patristica. Viene suggellato il valore misterico-salvifico dell'Anno
liturgico: "Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli le
ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, così che siano resi in qualche
modo presenti in ogni tempo, perchè i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni
della grazia della salvezza" (SC 102).

2. La posizione centrale è occupata dalla Pasqua settimanale e annuale (SC 102). Di


conseguenza la centralità della domenica (SC 106) appare all'interno di ciascuna parte
dell'anno liturgico. "E' il giorno di festa primordiale". Origine e natura della domenica sono
presentati con termini densi di significato: "tradizione apostolica; mistero pasquale
celebrato ogni otto giorni; giorno del Signore". Essa appare come la struttura portante

83
dell'intero sviluppo dell'Anno liturgico, in quanto è "fondamento e nucleo di tutto l'anno
liturgico".

Abbiamo pertanto 1) una correlazione intrinseca tra domenica ed eucaristia: è l'eucaristia, a


connotare specificamente il giorno festivo dei cristiani riunirsi in assemblea; 2) l'eucaristia
festiva è in relazione con l'assemblea dei cristiani. Questi due riferimenti danno la giusta
interpretrazione al riposo e alla gioia.

TEMPI E MOMENTI DELL’ANNO LITURGICO

1. Il triduo pasquale. "Il triduo della passione e della risurrezione del Signore risplende
al vertice dell'anno liturgico, poichè l'opera della redenzione umana e della perfetta
glorificazione di Dio è stata compiuta da Cristo specialmente per mezzo del mistero
pasquale, col quale, morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha ridonato la vita.
La preminenza di cui gode la domenica nella settimana, la gode la pasqua nell'anno
liturgico" (Calendario romano, 18).

Giovedì Santo. Dall'eucologia e dal lezionario appare una ricomposizione tematica organica
attorno al tema eucaristico. Gli elementi della istituzione eucaristica, della lettura della
Passione e della lavanda dei piedi vanno vissuti come la riattualizzazione dell'intero mistero
pasquale nel segno del convito pasquale.

Venerdì Santo. A livello di struttura restano dei problemi irrisolti, quali l'opportunità o
meno del rito della comunione, e il rischio di enfatizzare l'adorazione della croce. A livello
contenutistico è avvenuto un notevole miglioramento (preghiera universale; lezionario);
mentre l'intera celebrazione appare non tanto memoria della morte di Cristo, ma della morte
pasquale di Cristo, cioè della salvezza scaturita dalla sua morte.

Veglia Pasquale. La struttura della celebrazione è unificata attorno a quattro tempi, scanditi
da quattro simboli cristologici: luce, parola, acqua, pane e vino eucaristici. Centro e
contenuto dell'intera celebrazione è il mistero della Pasqua di Cristo nella sua totalità, non
tanto la sua risurrezione. Il dinamismo profondo della celebrazione è dato dalla dialettica tra
annunzio della Parola e sua realizzazione sacramentale. La chiave di lettura dei testi biblici
configura la liturgia come celebrazione della storia della salvezza che ha nella pasqua il suo
compimento. La liturgia battesimale configura la Veglia in relazione al catecumenato. Il
legame tra Pasqua e iniziazione cristiana resta una indicazione che può aiutare a definire
una delle componenti strutturali dell'Anno liturgico, come luogo della iniziazione alla fede
in Gesù Cristo.

2. Il tempo pasquale5. "I 50 giorni che si succedono dalla domenica di risurrezione alla
domenica di pentecoste si celebrano nell'esultanza e nella gioia come un solo giorno di
festa, anzi come "la grande domenica". Sono i giorni nei quali, in modo tutto speciale, si

5
Per lo studio delle tradizioni pasquali nella Bibbia e nelle chiesa primitiva cfr. CANTALAMESSA,
R., La pasqua della nostra salvezza, Marietti, Casale, 1971.

84
canta l'alleluia. Le domeniche di questo tempo vengono considerate come domeniche di
pasqua" (Calendario romano, 22.23).

Nell’eucologia emergono due grandi tematiche: battesimale e pneumatologica. Di


conseguenza è un tempo prezioso anche sotto il profilo catechetico. Il lavoro redazionale ha
anche dato grande unità a questo tempo liturgico; pertanto pasqua-ascensione-pentecoste
non suddividono, ma manifestano l'unità intrinseca di questo tempo.

Nel lezionario: il libro degli Atti fa conoscere la vita della chiesa primitiva; Giovanni (Vg,
I Gv, Ap) e I Pt sottolineano i temi della fede gioiosa e della speranza (cfr. OLM 14).

Sostanzialmente è stata recuperata l'antica mens del Tempo Pasquale: proclamazione della
fede nel Risorto; speranza; impegno di vita nuova secondo lo Spirito (tematica
pneumatologica); chiesa come comunione fraterna

3. La Quaresima. La prospettiva di fondo che emerge dai testi conciliari (SC 109.110) è
"disporre i fedeli alla celebrazione del mistero pasquale".

I testi eucologici sottolineano il riferimento cristologico e la sequela; la dimensione


penitenziale è connotata dai temi della conversione, della carità, della preghiera, della
mortificazione, dell'ascolto della parola, del perdono; dimensione battesimale e del
rinnovamento della vita.

Il lezionario (cfr. OLM 13) permette la considerazione delle tappe storiche fondamentali
della storia della salvezza. Le pericopi cristologiche di Gv presentano il cammino del
discepolo verso la Pasqua nella sequela di Cristo.

Andrebbe approfondito il recupero degli elementi battesimali, così da configurare meglio il


cammino quaresimale secondo la logica di un itinerario catecumenale. Questo conferirebbe
all'Anno liturgico in quanto tale la sua caratteristica di itinerario di fede per la comunità
cristiana.

4. L’avvento. Il Calendario del 1969 ne precisa la fisionomia, conservando la doppia


caratteristica: tempo di preparazione al Natale e attesa della seconda venuta alla fine dei
tempi. L'articolazione è scandita in due momenti, corrispondenti alle due caratteristiche
teologiche. Il clima è di devota e gioiosa attesa.

Dai testi liturgici (eucologia e lezionario) emerge il tema della duplice venuta di Cristo,
nella carne e gloriosa alla fine della storia. Sono sottolineate le dimensioni dell'attesa, con
una forte impostazione cristologica.

5. Il ciclo natalizio. Il Calendario precisa: "dopo l'annuale rievocazione del mistero


pasquale, la chiesa non ha nulla di più sacro della celebrazione del Natale del Signore e
delle sue prime manifestazioni: ciò che essa compie con il tempo di Natale".

85
Dai testi liturgici (eucologia e lezionario) emergono due aspetti: la dialettica incarnazione-
manifestazione; la prspettiva soteriologica dell'evento, con il ricorrere di grandi categorie
teologiche (divinizzazione, nuova nascita, pienezza del culto).

Nel ciclo natalizio alcune solennità non appaiono ben sintetizzate con il clima generale del
tempo liturgico (S. Famiglia; S.Madre di Dio). Mentre è ben coordinato il tema
mariologico.

Le fonti utilizzate per la riforma costituiscono la ripresa del patrimonio più antico e
tradizionale. In particolare il Lezionario orienta verso una lettura più dinamica e storica
dell'evento.

6. Il tempo per annum. "Oltre i tempi che hanno proprie caratteristiche, ci sono 33 o 34
settimane durante il corso dell'anno, le quali sono destinate non a celebrare un particolare
aspetto del mistero di Cristo, ma nelle quali tale mistero viene piuttosto celebrato
(recolitur) nella sua globalità, specialmente nelle domeniche. Questo periodo si chiama
tempo ordinario" (Calendario romano, 43).

Eucologia. La preghiera dell'assemblea liturgica è stata arricchita, in modo da esprimere


meglio la natura della celebrazione festiva della comunità cristiana. La conservazione di un
patrimonio eucologico ancora valido manifesta la necessità della grazia, la componente
pasquale della celebrazione domenicale, un commento teologico alla celebrazione
eucaristica. La linea di fondo è la sottolineatura dell'importanza dell'eucaristia domenicale.

Il lezionario. Scelte di grande interesse: lettura continua dei vangeli e lettere;


armonizzazione dei testi dell'Antico Testamento con i vangeli nelle domeniche; lettura
continua nelle ferie.

Questo tempo si configura globalmente come luogo in cui il popolo di Dio rivive la Pasqua
settimanale, ne medita e prega il mistero per vivere secondo lo Spirito, nel servizio al
mondo e ai fratelli.

7. Il santorale (SC 103-104). Il culto mariano è radicato nella cristologia: la Vergine è


"congiunta indissolubilmente con l'opera salvifica del Figlio suo"; entro una chiara
prospettiva ecclesiologica: Maria è "immagine purissima di ciò che essa (la chiesa) tutta
desidera e spera di essere" (SC 103). La riforma conciliare rimanda al quadro
ecclesiologico di fondo di LG VIII e della Marialis Cultus. Il lezionario privilegia la
prospettiva di storia della salvezza, vedendo la Vergine alla luce della sua partecipazione al
mistero di Cristo. L'eucologia ha visto l'ingresso di testi dottrinalmente qualificati, ispirati
alla ecclesiologia conciliare (Maria tipo della chiesa e modello del discepolo).
L'integrazione è avvenuta con il MRI del 1983 e con il Messale e Lezionario Mariano del
1989.

Le memorie dei santi. Dal primitivo culto dei martiri, che evidenzia la centralità di Cristo
e il tema del discepolato, si è passati ad uno sviluppo abnorme, che nel Medioevo ha

86
assunto un carattere prioritario nel contesto dell'Anno liturgico. Il problema è di ordine
cristologico. Il nuovo Calendario ha sfrondato l'aspetto devozionale; ha operato una
revisione critica a livello storico; ha scelto gli elementi più significativi e universali per la
chiesa.

Eucologia e lezionario evidenziano la specificità della testimonianza (come sequela di


Cristo e santità), e il segno per la chiesa di oggi.

INDICAZIONI SINTETICHE

1. Le acquisizioni fondamentali del dibattito teologico sono le seguenti: a) la


celebrazione pasquale dell'eucaristia conferisce unità a tutte le parti dell'Anno liturgico; b) il
deposito eucologico dell'attuale liturgia commenta le ricchezze dell'unico e indivisibile
mistero di salvezza celebrato nel circolo dell'anno; c) l'Anno liturgico appare come
memoriale del mistero di Cristo (=polo cristologico normativo) celebrato dalla chiesa
(=polo ecclesiologico) nel giro di un anno.

2. Il testo conciliare rappresenta un passo avanti rispetto alla Mediator Dei sotto il profilo
teologico: non si parla di esempi, ma di virtus e di meriti di Cristo resi accessibili ai fedeli
dalla presenza dei misteri della redenzione nel segno rituale della celebrazione anamnetica.
Quindi l'Anno liturgico viene collocato nella linea temporale-storica della salvezza. Il "che
cosa" dell'Anno liturgico, costituito dalla presenza del mistero salvifico di Cristo, è chiaro
ed acquisito. L'autentico protagonista dell'Anno Liturgico è il Cristo mistico, cioè lo stesso
Signore Gesù Cristo glorificato, unito con la sua sposa, la chiesa.

PARAGRAFO IV - TEOLOGIA DELL'ANNO LITURGICO.

CONCEZIONE STORICO-SALVIFICA DEL TEMPO

Nelle religioni non rivelate, le alternanze cosmiche di giorni, stagioni, anni, appaiono
come manifestazioni della divinità (= ierofanie), che sta fuori del tempo, in un "tempo puro
o primordiale". Il rito avrà il compito di dare una perennità a quel fortunato tempo sacro
cosmico ierofanico, segno della presenza divina, lo stacca dal momento in cui avvenne (=
tempo sacro mitico) e lo riproduce nel momento presente (= tempo sacro rituale), che viene
appunto reso sacro dal rito, in quanto in esso viene riprodotto quel tempo originario, in un
"eterno ritorno". La salvezza è fuori del tempo e la si trova uscendone6.

Nella Scrittura, Dio che trascende il tempo, situa la propria azione nel tempo 7. Pertanto
si sfugge al pericolo di un parallelismo tra la storia mitico-divina, situata in un tempo

6
Anàmnesis VI, o.c., p.11-34. Cfr. anche MARSILI, S., Teologia liturgica. Anno liturgico, Roma, PIL,
1977, p.114-115.

7
Cfr. CECOLIN, R., Le nuove concezioni del tempo e la bibbia, "Rivista Liturgica", 77/4 (1990)
p.387-413.

87
astorico all'origine del tempo cosmico, e quella reale-umana, che forma il tempo storico
vero e proprio. Esiste un'unica storia sacra, nella quale trova attuazione umana il
piano salvifico di Dio per l'uomo (= oikonomia). Dio escogita e attua liberamente,
d'intesa con uomini che si sceglie, una serie di fatti che si dispiegano in determinati
momenti o eventi (= kairoi), che sono ordinati tra loro in vista della realizzazione dell'unico
piano storico-salvifico. Così, nei ritmi del tempo cosmico, si vede il manifestarsi della
rivelazione di Dio

1. IL TEMPO LITURGICO: STORIA DELLA SALVEZZA CHE CONTINUA. Nell'Antico


Testamento abbiamo testimonianze di un anno "rituale" modellato sul ciclo cosmico (ciclo
quotidiano; settimanale; mensile: neomenie; annuale: primavera/pasqua; primizie;
mietitura/pentecoste; raccolto/capanne). Quando i vari fatti salvifici vengono concatenati, il
tempo liturgico della festa sarà concepito come la continuazione della storia della salvezza.
Sarà la Pasqua a dominare l'orizzonte del culto di Israele, sia nel ritmo quotidiano che in
quello annuale. Nell'ultima fase di sviluppo, per influsso del pensiero profetico, le feste oltre a
rendere efficace nel presente la realtà salvifica degli interventi storici di Dio, fanno riferimento
a ciò che dovrà avverarsi nel futuro.

2. IL TEMPO E’ RADICATO NEL MISTERO DI CRISTO 8. La serie degli eventi


tende al suo compimento, al kairos per eccellenza, Gesù Cristo, che è "pienezza del
tempo". Sia i testi biblici che quelli eucologici sottolineano la centralità di Cristo nella
creazione e nella redenzione (cfr. Col 1,15-17; Eb 1,2-3; Gv 1,3-4.10. Dio crea il tempo
e lo dona al mondo come l'alveo che deve ricevere il Verbo Incarnato. Egli è "sator
temporum, plenitudo temporum”. La Veglia Pasquale proclama "Il Cristo ieri e oggi -
Principio e fine - Alfa e omega. A lui appartengono il tempo e i secoli - A lui la gloria e il
potere per tutti i secoli in eterno" (cfr. Ap 1,8; 21,26; 22,13).

3. L'evento storico della salvezza compiutosi in Cristo è unico e irrepetibile. Ma questo


evento avvenuto ephapax/una volta per tutte e per sempre (Rm 6,9; Eb 7,27; 9,12; 10,10)
possiede una dimensione sovratemporale L'evento salvifico è aperto a tutti i tempi e a tutti
gli uomini attraverso LA MEMORIA – ANAMNESI LITURGICA. La quale, come
attualizza il passato, anticipa il futuro (cfr. 1 Cor 11,26: nell'attesa della sua venuta). "Quel
giorno non è passato in tal modo che sia passata anche la forza intima dell'opera (virtus
operis) che fu allora compiuta dal Signore" (Leone Magno). E la liturgia non sarà altro
che momento ultimo e sintetico della storia della salvezza conservando una forte
accentuazione escatologica9. Le generazioni cristiane vissero, vivono e vivranno la realtà
di Cristo-tempo tramite la liturgia. "Le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del
Signore sono resi come presenti a tutti i tempi, perchè i fedeli possano venirne a contatto
ed essere ripieni della grazia di salvezza" (SC 102).

8
TRIACCA, A.M., Tempo e liturgia, in Nuovo Dizionario di Liturgia, o.c., p.1497 ss.

9
Anàmnesis VI, o.c., p.24-25.

88
3. IL MISTERO DI CRISTO NEL CICLO ANNUALE

Il primo interesse dell’anno liturgico sta nel creare una alternanza di TEMPI FORTI e
TEMPI “DEBOLI”, FESTE e TEMPO ORDINARIO - meglio “PER ANNUM”. Questa
alternanza crea un RITMO, origina una differenza, crea un “indugio simbolico”, un
intervallo ludico e gratuito, che permette di conferire significato al resto del tempo, perché
introduce in esso una dimensione “ALTRA”: la presenza dell’amore di Dio.

1. Questa ritmicità ha la sua radice nel COSMO, si fonde nell’alternanza dei tempi e
delle stagioni. La natura fa parte della vita umana, deve essere rispettata e umanizzata
(nei rosoni delle cattedrali si scolpivano i segni dello zodiaco, senza problemi, perché anche
il cosmo è salvato e redento da Cristo “sator temporum”, A e ). Essa non viene eliminata
ma assunta dal Verbo. Per questo la chiesa ha conservato il ripetersi ciclico del tempo nella
celebrazione dell'Anno liturgico.

2. L'idea madre che ha guidato le chiese di Oriente e di Occidente nella articolazione


delle tappe genetiche dell'Anno liturgico è imitare la vita di Gesù, celebrando i fatti
salvifici da lui compiuti nel corso di un anno solare, in modo da rivivere le sue azioni (polo
cristologico e polo catechetico-catecumenale). L'Anno liturgico diventa "sequela vitae
Jesu". Noi abbiamo bisogno di considerare lentamente e progressivamente il mistero totale
di Cristo, per conoscerlo, aderirvi e uniformarci totalmente a lui. In forza dello Spirito, nel
tempo liturgico viene data ad ogni fedele la possibilità di configurarsi e conformarsi a
Cristo, mettendosi in contatto con i suoi singoli misteri, che hanno per ognuno una
esemplarità ed una efficacia inesauribili. Con la centralità Cristologia e l’attenzione agli
imitatori di Cristo (i santi), l'Anno liturgico realizza in modo progressivo la legge della
imitazione (= mimesis) della vita di Cristo: "Ciò che è accaduto una volta nella realtà
storica, la solennità liturgica lo celebra in modo ricorrente e così lo rinnova nel cuore dei
credenti" (S.Agostino)10.

3. L'Anno liturgico è allora un sacramentale. Per l'onnipotenza di Dio nulla è abolito,


nulla è passato, ma tutto è per lui presente, tutto il tempo è, per lui, "oggi". Cristo è presente
in ogni tempo liturgico e, simultaneamente, sopraesistente ad ogni ciclo liturgico. E l'anno
solare diventa simbolo di eternità perchè nel suo alternarsi ciclico non torna mai al punto di
partenza, ma è sempre proteso al Cristo – Alfa ed Omega - nell'attesa del suo ritorno
glorioso.

10
Utile è l'approfondimento dell'hodie liturgico in S. Leone Magno presentato da RUFFINI, E.,
Liturgia: comunicazione del mistero, in Comunicazione e ritualità, Messaggero, Padova, 1988,
p.127-139.

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NOTA - ONTOGENESI DELLA FUNZIONE SIMBOLICA.

Vengono proposte alcune indicazioni sull'origine della funzione simbolica


dal punto di vista psicologico.

1. Accezione del termine “simbolo” nella psicologia 11

A livello di comportamento, la funzione simbolica si manifesta come un


insieme di condotte che permettono di rappresentare oggetti, persone,
eventi, azioni non presenti o non percepibili, per mezzo di un altro oggetto
(simbolo o significante) che li rappresenta. Pertanto: il simbolo è qualcosa
che sostituisce, rappresenta o denota qualche cosa d'altro, secondo
legami di rassomiglianza o di analogia, o secondo relazioni convenzionali.
Tra l'oggetto reale ("significato") e il suo rappresentante (simbolo o
"significante") vi può essere una grande varietà di legami.

1) Situazioni che non hanno ancora valore simbolico: indici o sintomi, che
informano dell'esistenza di qualcosa d'altro che non è percepibile (fumo;
passi sulla neve; febbre; rossore...). Questi indici non sono dissociabili
dall'oggetto rappresentato, ma ne fanno parte. 2) Simboli che hanno
relazioni di rassomiglianza stretta tra l'oggetto e il suo rappresentante: è il
caso delle immagini (pitture, illustrazioni, fotografie, giocattoli). Quando non
è possibile la rappresentazione iconografica (perchè si tratta di
rappresentare astrazioni) allora la relazione è analogica o simbolica (es.
tartaruga= lentezza; leone=forza; agnello=mitezza). 3) Segni
convenzionali: quando il legame tra l'oggetto e il suo rappresentante è
arbitrario e determinato culturalmente (es. segni linguistici, matematici,
logici, musicali...).

2. Genesi del comportamento simbolico nello sviluppo psichico

Secondo Piaget non si può fissare con precisione l'origine dell'intelligenza.


Essa si confonde con l'adattamento sensori-motorio e l'adattamento
biologico stesso. La conoscenza si sviluppa come un processo di
costruzione continuo, che va dai movimenti spontanei dell'organismo, alle
fasi dello sviluppo cognitivo fino al pensiero scientifico. La capacità
simbolica appare nel bambino da 1 anno e mezzo in poi e si matura
attraverso diverse tappe. Entro i primi due anni si costruisce il primo stadio
di sviluppo cognitivo (intelligenza sensori-motoria). Il bambino conquista
tutto l'universo pratico che lo circonda per mezzo della percezione e del
movimento. In un primo momento elabora una conoscenza pratica

11
AMANN-GAINOTTI, M., La genesi della funzione simbolica nel bambino, "Rivista Liturgica", 67/3
(1980), p.317-327.

90
dell'universo e costruisce sul piano dell'azione le basi di alcune importanti
categorie cognitive (oggetto, spazio, causalità e tempo). Poi sviluppa la
capacità di imitazione, importantissima nella genesi delle condotte
simboliche, perchè costituisce una prefigurazione della rappresentazione.

1. La costruzione dell'oggetto. Verso i 12-15 mesi il bambino acquista la


nozione di permanenza degli oggetti: gli oggetti continuano ad esistere
fuori del suo campo percettivo, anche quando non li vede più. Questa
obiettivazione e attribuzione di una qualità di permanenza agli oggetti è
condizione previa perchè possano essere rappresentati e simbolizzati. La
costruzione dello spazio è parallela alla costruzione dell'oggetto; essa
consiste in una progressiva esteriorizzazione e oggettivazzione dei rapporti
tra le cose. Alla fine dello sviluppo sensori-motorio si verifica la capacità di
rappresentarsi uno spazio generale entro il quale sono contenuti tutti gli
oggetti, compreso il soggetto.

2. La causalità. Solo dopo che il bambino ha oggettivato le relazioni spaziali


e fisiche esistenti tra gli oggetti, la causalità diventa obiettiva e adeguata.
All'inizio è una causalità "magico-fenomenista", cioè il soggetto crede con
la sua azione di poter ottenere qualsiasi risultato. Progressivamente
riconosce i rapporti di causalità degli oggetti tra loro. Anche
l'oggettivazzione delle successioni temporali è parallela a quella della
causalità e il bambino costruisce progressivamente delle piccole sequenze
temporali.

3. Lo sviluppo dell'imitazione. La capacità di imitare si sviluppa insieme alle


varie acquisizioni dell'intelligenza sensori-motoria. In un primo momento il
bambino ripete, per contagio, azioni che sa già eseguire. Poi ripete azioni
che già conosce, per esercizio funzionale o per piacere. In un terzo
momento imita i movimenti altrui, quando corrispondono a movimenti
propri conosciuti e visibili (fa ciao; prende con la mano). Infine comincia ad
imitare movimenti già eseguiti, ma non visibili. Questa capacità corrisponde
alla costituzione sul piano intellettivo di un sistema di indici relativamente
staccati dalla percezione. Nello stadio seguente (dopo i 12 mesi) è
capace di imitazione sistematica di modelli nuovi, in tutti i campi (motori e
verbali). Tuttavia l'imitazione avviene solo in presenza del modello.
Nell'ultimo stadio l'imitazione non avviene solo in presenza del modello, ma
anche in sua assenza e dopo un certo tempo. Inizia il livello
"rappresentativo", sciolto dalle limitazioni spazio-temporali. Il bambino non
ha più bisogno della presenza materiale degli oggetti per agire su di loro.
Appare una serie di nuove condotte la cui caratteristica comune è la
differenziazione tra significati (eventi e oggetti reali) e significanti (simboli e
segni diversi). Compare il gioco simbolico ("fare finta di"), in cui il corpo, il
gesto, la mimica vengono utilizzati come significanti o simboli. Nelle

91
immagini mentali le imitazioni sono interiorizzate, permettono di evocare
oggetti ed eventi, e di anticipare azioni future.

Il linguaggio è per eccellenza il veicolo della simbolizzazione e senza di


esso il pensiero non può mai divenire realmente socializzato. Il linguaggio
permette la comunicazione utilizzando segni convenzionali (parole) dai
significati socialmente condivisi; diventa veicolo di concetti e nozioni che
appartengono a tutti e che rinforzano il pensiero individuale nel sistema del
pensiero collettivo; permette anche lo scambio di idee e astrazioni. Il
disegno figurativo (verso i 3 anni): è un altro degli strumenti più comuni della
funzione simbolica. L'insieme delle condotte accennate costituisce la
funzione simbolica, fondamentale per l'acquisizione dei simboli individuali e
dei segni sociali. E' un'attività specificamente umana, che permette di
rappresentare e di creare sul piano del non-percepibile, dell'astratto e del
possibile. Il passaggio alla rappresentazione necessita di un lungo periodo
di elaborazione. Con l'inizio delle condotte simboliche l'ambiente socio-
culturale assume per il bambino un'importanza sempre maggiore, perchè
ricco di valori e modelli da "imitare", fautore di apprendimenti di tipo simbo-
lico (scrittura, lettura), e veicolo di informazioni e contenuti specificamente
culturali.

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