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Silvio Zonin
1. Il primo capitolo presenta una sintesi della liturgia celebrata e vissuta dal popolo di Dio
lungo la storia, fino al Vaticano II. L'indagine lavora sul piano descrittivo, con la
presentazione dell'origine e dello sviluppo dei riti e dei testi liturgici; e su quello
ermeneutico-interpretativo. Sinteticamente possiamo individuare quattro grandi periodi
storici:
I. Dalle origini alla vigilia del pontificato di Gregorio Magno (590): tempo della
creatività. II. Da Gregorio Magno a Gregorio VII (590-1073): periodo della prevalenza
franco-germanica. III. Da Gregorio VII al Concilio di Trento (1073-1545): epoca della
disgregazione, delle esuberanze e dell'allegorismo. IV. Dal Concilio di Trento al
Vaticano II (1545-1963): periodo della rigida unità liturgica e della rubricistica.
4. Nel quarto capitolo vengono indicate le linee fondamentali della teologia liturgica
secondo il dettato conciliare e dei documenti ecclesiali più significativi.
3
5. L'ultimo capitolo è dedicato al tema dell'Anno Liturgico.
Per altri temi particolari, saranno offerte delle sintesi ed eventuali sussidi nel corso della
loro presentazione.
Bibliografia essenziale
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Ordinamento Generale del Messale Romano,
Libreria editrice vaticana, Roma 2004
DE CLERCK, P., L’intelligenza della liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano, 1999
4
PENSIERI INTRODUTTIVI
Nel Decreto conciliare Optatam Totius al n. 16 leggiamo che “la sacra liturgia, che è da
ritenersi la prima e necessaria sorgente di vero spirito cristiano, si insegni come è
prescritto negli articoli 15 e 16 della Costituzione sulla Sacra Liturgia”. La Costituzione
Sacrosanctum Concilium n. 16 dice che la sacra liturgia va computata tra le materie
necessarie e più importanti; nelle facoltà teologiche va considerata tra le materie principali e
va insegnata sotto l’aspetto sia teologico e storico che spirituale, pastorale e giuridico.
È la LEX ORANDI, cioè la legge del pregare, che stabilisce la LEX CREDENDI, cioè
la legge del credere, ciò che dobbiamo credere.
Secondo. Non è pacifico che noi sappiamo pregare e credere secondo lo spirito della
liturgia, cioè mediante il compimento di una AZIONE RITUALE. Perché siamo abituati a
pregare mediante la riflessione, o la lettura, o la recita di preghiere. Ma saper pregare
insieme, in una assemblea liturgica, mettendo in opera azioni e gesti comuni,
adoperando segni e simboli, parole e silenzi, non è la stessa cosa.
CAPITOLO PRIMO
1
GIRAUDO, C., In unum corpus. Trattato mistagogico sull’eucaristia, Ed. S. Paolo, Cinisello
Balsamo (MI) 2001, p. 16-21.
5
LA LITURGIA CELEBRATA E VISSUTA DAL POPOLO DI DIO
LUNGO LA STORIA. VISIONE DI SINTESI E RIFLESSIONI
Possiamo individuare, sinteticamente, quattro grandi periodi storici I. Dalle origini alla
vigilia del pontificato di Gregorio Magno (590): è il tempo della creatività; II. da
Gregorio Magno a Gregorio VII (590-1073): è segnato dalla influenza franco-germanica;
III. da Gregorio VII al Concilio di Trento (1073-1545): è caratterizzato da disgregazione,
esuberanze e allegorismo; IV. dal Concilio di Trento al Vaticano II (1545-1963): periodo
della rigida unità liturgica e della rubricistica2.
Nel mondo greco. In ambito civile, nel periodo classico "leitourgeìn" significa "sostenere
un servizio pubblico" cioè "in favore del popolo". Si trattava di prestazioni particolarmente
impegnative sul piano economico, che cittadini benestanti sostenevano a beneficio della
collettività, ad esempio: l'allestimento del coro nel teatro, l'armamento di una nave,
l'accoglienza di una tribù in occasione di feste nazionali. Nel periodo ellenistico il termine
acquista il senso di "servizio obbligatorio di lavoro", in genere oneroso, o amichevole e
volontario; il carattere "pubblico" si eclissa. Nell'ambito cultuale in epoca ellenistica
"liturgia" indica il servizio oneroso, volontario oppure dovuto, da prestare alla divinità.
Questo è il nuovo senso tecnico acquisito dal termine.
Nell'A.T. La LXX (250-150 a.C. circa) traduce con leitourghìa due termini ebraici: sheret
(= sentimento di dedizione affettuosa e incondizionata) e abdah (= azione del servire,
servizio oneroso)", quando questi termini si riferiscono al culto ufficiale del Tempio
2
Per il capitolo storico si fa riferimento in particolare all’opera di CATTANEO, Il culto cristiano in
Occidente. Note storiche, Roma, CLV . Ed Liturgiche, 1978.
3
Anamnesis 1. La liturgia momento nella storia della salvezza, Casale, Marietti, 1974, p.33-45.
6
compiuto da persone a ciò deputate, i Leviti. Quando sheret - abdah indicano il culto
privato reso dal popolo, la LXX usa latreìa/douleìa. Leitourghìa indica pertanto il culto
reso a Jahwè nella Tenda, o nel Tempio, officiato dai leviti, e regolato da norme divine. Il
rischio - individuato dai profeti nei periodi di crisi della religiosità - era una frattura tra
l'atteggiamento interiore nei riguardi di Dio (latreìa) e la pratica rituale del culto
(leitourghìa), considerata l'unica forma autentica.
a) il rito non è mai sostitutivo della vita dell'uomo salvato, ma ne è l'espressione. L'AT
rivela che il rapporto cultuale di Israele con il suo Dio deve consistere in un amore che si
esprime nell'ascoltare la sua voce e osservare la sua alleanza (Es 19,5-6; Dt 10,12; Ger
7,22-23; Am 5,25). La ritualità deve essere segno della fedeltà alla Parola e all'Alleanza.
L'istituzione del sacerdozio levitico e la prassi rituale del Tempio purtroppo si sostituirà al
culto interiore e vitale che il popolo era stato chiamato a dare con la santità della vita. Il
"culto spirituale" verrà recuperato soprattutto dopo l'esilio, e verrà portato a compimento
nel NT in Cristo (cfr. Rm 12,1; Ef 5,2)4.
La concezione biblica del culto incide nelle concrete forme cultuali. Possiamo sottolineare
i seguenti elementi: a) centralità dell'annuncio della Parola, che diventa luogo
privilegiato di salvezza (cfr. Es 19; Es 24; Gs 24; Nee 8;9); b) nel momento cultuale
Israele sperimenta la propria natura di popolo di Dio, convocato, salvato, perdonato; c)
il momento cultuale si riferisce intrinsecamente all'evento storico-salvifico, di cui è
memoriale. Di conseguenza subiscono una radicale reinterpretazione in senso storico-
salvifico altri elementi cultuali: luoghi sacri; tempi sacri; cose e persone sacre.
Il capitolo biblico del culto/liturgia ci offre già delle linee per una visione sintetica di
liturgia: è un agire rituale simbolico, memoriale dell'evento salvifico, celebrato da un
popolo sacerdotale.
4
CARIDEO, A., La vita di Cristo e dei cristiani offerta sacrificale al Padre nello Spirito (Rm 12,1; Ef
5,2), in Mysterion, Torino, LDC, 1981, p.3-24. Cfr anche Anamnesis 3/2. La Liturgia eucaristica:
teologia e storia della celebrazione, Casale, Marietti, 1983, p.171-177.
7
3. La vita liturgica delle prime comunità cristiane5.
Dalla lettura dei testi (cfr. At 2,1-48; 20; Lc 24; 1 Cor 10,16-21; 11,23-26; Ef 1,3-3,21; Eb
5,11-10-39; Ap. passim) possiamo individuare A) la centralità dell'eucaristia e del
battesimo e il loro significato per la vita della comunità. B) L'evento storico-salvifico è
all'origine della convocazione liturgica della comunità; C) La celebrazione fa memoria
dell'evento, annunciando l'azione salvifica, lodando e ringraziando Dio, accogliendo nel
presente la sua azione che continua a rivelarsi nella storia, anticipando nella preghiera e
nella speranza il compimento. D) Determinante per la celebrazione cristiana è lo schema
dinamico trinitario nel processo salvifico.
2. L'ETA' POST-APOSTOLICA
5
Anamnesis 2. La liturgia, panorama storico generale, Casale, Marietti, 1978, p.21-39.
6
Alcuni esempi: la struttura della liturgia della parola e la liturgia sinagogale; lo schema della Oratio
fidelium (quella tipica del Venerdì Santo) e la tephillat; la struttura oraria della preghiera quotidiana ;
il ciclo settimanale e quello annuale delle grandi feste.
7
LODI, E., Liturgia della chiesa, Bologna, Dehoniane, 1981, p.341-348, dove presenta le "fonti
bibliche della messa".
8
LODI, E., o.c., p. 302-309. 328-330
9
Cfr. CATELLA, A. - CAVAGNOLI, G., Le preghiere eucaristiche, Milano, Paoline, 1989, p.16-35.
10
MAZZA, E., L’anafora eucaristica. Studi sulle origini, CLV – Ed. Liturgiche, Roma1992, p. 7-50.
8
proprio peccato e confessando il Signore, il suo Nome e la sua grandezza. La struttura di
questa preghiera – che si sviluppa all’interno della esperienza dell’Alleanza – è
bipartita: I) una sezione anamnetico-celebrativa, in cui si loda il Signore, facendo
memoria della fedeltà di Dio e confessando davanti a lui le infedeltà del popolo. II) Una
sezione epicletica, o invocativa, dove si chiede a Dio di intervenire ancora per il suo
popolo11. Il giudaismo privilegia la berakah, un formulario di preghiera che nel NT verrà
reso con eulogein (= benedire), o con eucharistein, che significa "rendere grazie",
facendo memoria di una vicenda salvifica che implica i rapporti interpersonali tra Dio e
l'uomo.
Troviamo una continuità anche nella ispirazione di fondo. Si tratta della prospettiva
storico-salvifica, con il rimando all'alleanza, entro la quale si colloca la
"confessione/rendimento di grazie". Pertanto sarà la liturgia giudaica a fornirci il criterio
ermeneutico di fondo per la comprensione dei contenuti originari della liturgia cristiana.
Ma il cristianesimo introduce nel culto giudaico un "novum" sostanziale. L'evento storico-
salvifico, verificatosi "una volta per tutte" (efapax) che sarà celebrato nel rito è la
Pasqua di Cristo, culmine dell'Alleanza.
Alcuni esempi.
Didakè IX-X ha la struttura delle preghiere giudaiche per il pasto e, secondo alcuni
studiosi, può essere considerato un testo per celebrare l'eucaristia cristiana. In
particolare Didakè IX,1-4 deriva dal Qiddush,"preghiera di santificazione" che apre il
pasto festivo12 (presenta la sequenza rituale "calice-pane-unità", come 1 Cor 10,16-17, con
cui appare strettamente connessa). Mentre Didakè X,1-6 deriva dalla Birkat-ha-mazon, la
preghiera di azione di grazie che chiude i pasti13.
La preghiera eucaristica riportata nella Traditio Apostolica (215 circa) – la più antica
che conosciamo - mantiene la struttura di "rendimento di grazie" di Didakè X, e quindi
della Birkat-ha-mazon; ma vi viene inserito materiale proveniente dalla tradizione delle
cosiddette "omelie pasquali", dando forma così ad un "racconto della storia della salvezza".
PRASSI LITURGICA
11
Esempi di "todah": Gs 24,2-15 (2-13: anamnesi; 14-15: epiclesi); Dt 26,5-10 (5-9: an.; 10: ep.); Dt
32, 1-25 (1-18: an.; 19-25: ep.); Sal 44 (1-23: an.; 24 ss: ep.); Ne 9,6-37 (6-31: an.; 32-37: ep.).
12
LODI, E., o.c., p.316-317. p.356-357.
13
LODI, E., o.c., p. 353-354. 357-358.
9
1. EUCARISTIA DOMENICALE - E’ il ritrovarsi in assemblea "il giorno dopo il
sabato" per celebrare la Pasqua del Signore, in un clima di fraternità 14. Il rito è scandito
da una liturgia della Parola, seguita dalla "presentazione dei doni" eucaristici (pane, vino,
acqua), sui quali è pronunciata la Prece eucaristica; segue la comunione (portata anche agli
assenti) e una raccolta finale di generi alimentari per i bisognosi.
1. EVENTI
14
GIUSTINO, Le Apologie, Padova, Messaggero, 1982, p.115. 117 (I Apologia 65.67).
15
I testi più significativi da esaminare sono quelli della Traditio Apostolica nn. 25.41; De dominica
oratione nn. 34-36 di Cipriano; De oratione n. 12 di Origene; De oratione nn. 23-29 e De ieiunio n.
10 di Tertulliano.
16
L'analisi della letteratura mostra aspetti di grande interesse a questo proposito (le lettere di
Ignazio di Antiochia e il martirio di Policarlo sono i più rappresentativi).
10
La documentazione diventa abbondante, per la progressiva tendenza a porre per iscritto i
formulari liturgici. Entra la mentalità giuridica romana che, nell'ambito cultuale, applica il
principio delle "XII Tavole": "Il diritto è legato alla parola nella sua espressione". Questo
comporta di fissare nello scritto le formule cultuali. Il linguaggio giuridico compenetra anche
certe formule eucologiche (cfr. Canone Romano)17.
2. PRASSI LITURGICA
17
Anamnesis 1, o.c., p.54-58.
18
Cfr. Anàmnesis 2, o.c., p.41-62.
19
In Oriente il fatto linguistico, nelle due famiglie liturgiche, divenne una bandiera di divisione
politico-religiosa, pur conservando la liturgia nella nella forma pressochè immutata dell'antica
11
In Occidente. A Roma il popolo parla il greco fino al 250 circa. Il latino viene sicuramente
accettato nel Canone eucaristico nel corso del IV secolo con Papa Damaso (366-384). Nel
De Sacramentis 4,21-27 di S.Ambrogio (340-397) troviamo la testimonianza più antica di una
parte del Canone Romano in latino 20. Probabilmente il passaggio al latino si verificò nel
Nord-Africa, dove viene usato dagli scrittori ecclesiastici fin dall'inizio del III secolo. Entro
la metà del IV secolo il passaggio dal greco al latino è cosa compiuta anche nella liturgia. Il
cambiamento della lingua liturgica non comporta solo una "traduzione", ma la creazione di una
"tradizione liturgica" tipicamente latino/romana.
Vengono fissati per iscritto i FORMULARI LITURGICI. I motivi sono diversi, eccone
alcuni. Il passaggio dall'area culturale semitica a quella greco-romana, legata alla cultura
scritta; i problemi teologico-pastorali posti dai movimenti ereticali (crisi donatista in nord
Africa), con il conseguente bisogno di difendere l'ortodossia della fede; l’incapacità creativa e
l'insufficiente preparazione dei pastori; il progressivo imporsi della chiesa di Roma. Non
ultimo, il bisogno "politico" di unificare le popolazioni dell'impero venute alla fede (es.
Visigoti in Spagna).
tradizione.
20
Anamnesis 3/2. o.c., p.233-234.
21
RIGHETTI, M., Storia liturgica. I, Introduzione generale, Ancora, Milano 1964/1998, p.187ss.
12
LA CATECHESI MISTAGOGICHE – EXCURSUS
I“mistagoghi” sono Pastori d’anime – non teologi di professione. Essi fanno teologia
partendo dalle esigenze pratiche dei loro fedeli (chiarire le idee, difendere da eresie,
applicare alla vita).
I PADRI – nelle loro MISTAGOGIE – usano il metodo TIPOLOGICO. Cioè partono dalla
SCRITTURA, dai dati biblici, e APPLICANO questi testi a Cristo e alla vita della Chiesa.
Questo metodo esige che si penetri il significato e il valore dei testi in modo da adattarli ad
eventi che con quei testi potevano anche non avere un rapporto evidente e immediato. L’Antico
Testamento, pertanto, deve essere applicabile al mistero di Cristo per avvalorarlo e accreditarlo.
Ecco alcuni esempi: Es. Rom 5,15: il primo Adamo e Cristo Nuovo Adamo. Gv 2,19-21:
il primo tempio e Cristo Tempio definitivo. 1 Cor 10,1-6: l’Esodo e la salvezza in Cristo.
1 Pt 3,21: Noè e l’arca sono figura del Battesimo
Il metodo dei Padri non è nuovo. Anche nel giudaismo c’era il problema di applicare
i testi sacri alla vita quotidiana (halakhà) – per edificare i fedeli (haggadà) – mediante
delle parafrasi (targum) – o delle attualizzazioni dell’AT mediante la combinazione di
vari passi (midrash = es. il Magnificat).
13
ANCHE PER SPIEGARE I SACRAMENTI SI USA IL METODO TIPOLOGICO. La
celebrazione rituale è TIPO dell’evento storico salvifico, che ne è l’ANTITIPO, la
VERITAS. Secondo questa visione, allora, il RITO viene definito con una serie di vocaboli
analoghi tra loro: è typos/tipo, eikon/imago, ypodeigma/copia, omoioma/similitudo,
morfe/figura, exemplum, misterium, sacramentum della VERITAS, che è l’evento storico
salvifico fondante.
Per esempio: in Rom 6,5: il Battesimo viene detto “omoioma” della morte di Cristo. In 1
Cor 10,16: l’Eucaristia è “koinonia” con la morte di Cristo
Per certi aspetti, tuttavia, il rito in quanto tale non viene fatto oggetto di apprezzamento
adeguato, proprio perchè realtà "corporea"1. E per altri aspetti vengono esaltati anche
elementi secondari della celebrazione, col rischio di confondere le cose. In questo
quadro, infine, è fortemente sottolineato il polo cristologico (= attualizzazione del
mistero di Cristo) e il polo ecclesiologico (= la chiesa è generata dall'eucaristia come
popolo di credenti).
Sotto l'aspetto della SPIRITUALITA’ abbiamo una profonda correlazione tra il momento
liturgico e la vita del fedele: la liturgia è ancora la sorgente privilegiata della vita cristiana nella
sua concretezza. L'esperienza monastica è strutturata liturgicamente dalla lectio e dall'opus Dei.
Leone Magno (440-461). Ha di fronte una città in gran parte cristiana. Da questo trae
motivo per un nuovo ordinamento della città. Capo di essa è il Papa, il quale è Pietro che
obbedisce a Cristo. Cittadini sono coloro che hanno ricevuto i sacramenti della iniziazione
cristiana. Il battistero di Roma è il battistero del mondo, perchè sede di Pietro. Dai sermoni
quaresimali la chiesa appare strutturata in tre categorie: i fedeli, i peccatori, i catecumeni.
Con Leone abbiamo ormai una vera e propria teologia dell'Anno liturgico. I giorni
commemorativi dei fatti di Cristo non sono solo una "memoria" psicologica (Agostino dice
del Natale: "non è celebrato il mistero, ma solo è richiamato alla memoria"), ma sono
1
Celebrare il mistero di Cristo. Vol. I La celebrazione: introduzione alla liturgia cristiana, Roma,
CLV-Ed. Liturgiche, 1993, p.184-185.
2
Cfr. CATTANEO, E., Il culto cristiano in occidente. Note storiche,Roma, CLV-Ed. Liturgiche, 1978,
p.114-132.
14
"sacramentum et exemplum". Un "esempio" della vita di Cristo, tradotto nella festa
liturgica, acquista la capacità di rinnovare, in un certo modo, quel mistero della salvezza
come se si realizzasse nel giorno della celebrazione 3. Pertanto l'Anno liturgico da Natale a
Pentecoste è il "cursus annuus" con il quale si opera la nostra salvezza. L'ordinamento
liturgico dell'anno influirà a tal punto sull'anno civile che, in seguito, l'inizio di esso
coinciderà col Natale.
Gelasio (492-496). Come Leone, vuole fare della liturgia la scuola di vita della Roma
cristiana (cfr. problema dei "lupercalia", nel 495). Toglie, dopo l’omelia, la prece litanica
con la quale si concludeva la liturgia della parola e si congedavano i catecumeni (perchè
non esistono più) e la colloca all'inizio, dove ora è il Kirie.
Ciò che accade nel passaggio dall'età dei Padri al Medioevo è assai più di una evoluzione di
fatti e di situazioni. Sinteticamente, anche se con terminologia impropria, possiamo parlare
di transizione da cristianesimo a cristianità.
EVENTI
I popoli del Nord Europa approdano al cristianesimo nella forma ereticale ariana,
portandosi dietro una buona dose di paganesimo.
Nel 496 a REIMS, CLODOVEO e il popolo FRANCO riceve il battesimo nella forma
cattolica, neutralizzando così l’arianesimo germanico. ROMA (il Papato) può così
innestare il cattolicesimo e l’antica cultura latina nelle Gallie, mettendo le basi dell’Europa
cristiana.
Nel corso del V sec. il cristianesimo si diffonde nelle campagne. La maggior parte delle
famiglie sono cristiane; pertanto cade l'istituzione del catecumenato e, nella Messa, la
distinzione tra liturgia dei catecumeni e liturgia dei fedeli. Di conseguenza viene meno la
formazione catechetica dei fedeli. In Gallia. Cesario di Arles (+542) dà notizie poco
rassicuranti sulla formazione religiosa del popolo: sopravvivono usanze pagane, la
partecipazione alla vita liturgica si affievolisce. Favorisce la vita comune del clero per
incrementare la vita liturgica. In Spagna sopravvivono le forme ereticali del
priscillianesimo e dell'arianesimo, condannati nel conc. di Toledo (589). In Italia sorge il
3
Cfr. LEONE MAGNO, I discorso per il Natale, 1-3; PL 53, 190-193.
15
monachesimo benedettino (sec. VI). Abbiamo la presenza dei Longobardi, di tradizione
pagana e ariana (sec. VII) e la conseguente opera missionaria dei monasteri di Lèrins,
Luxeuil, Bobbio. Influenze orientali notevoli si verificano al Sud (monachesimo italo-
greco con rito bizantino). Dal 685 al 752 alcuni Papi vengono dall'Oriente.
PRASSI LITURGICA
Papa Sergio I (687-701) innesta nella liturgia romana alcune tradizioni orientali (4
feste mariane; la devozione alla S. Croce; nel rito della messa introduce la commistione
dell'ostia nel vino consacrato, con il canto dell'Agnus Dei).
PAPA GREGORIO MAGNO (590-604) detiene il primo posto nella storia liturgica
della chiesa romana. La sua opera si pone al confine tra l’epoca patristica e quella
Medievale. Sta infatti tramontando l’antichità romana e iniziano le invasioni
longobarde.
UOMO DI GOVERNO. Prima Prefetto dell'Urbe, poi monaco benedettino, e legato papale
a Costantinopoli, diviene Papa in un periodo tristissimo, al punto da ritenere prossima la
fine del mondo. Nel 596 manda in Inghilterra 40 monaci del Celio con Agostino. 10 anni
dopo Etelberto Re del Kent viene battezzato con 10.000 sudditi.
OPERA LITURGICA. La ricchezza che la liturgia romana ha accumulato con Papa Leone
e Gelasio (492-496), viene codificata da Gregorio. Alla base della sua opera liturgica vi è la
preoccupazione pastorale che il popolo sia coinvolto e partecipe; per questo usa tutti i
mezzi con la massima libertà. Potenzia le "Stazioni quaresimali", già istituite nel secolo
precedente, celebrando la liturgia delle domeniche di Quaresima in particolari chiese.
RITOCCA L’ORDO MISSAE gelasiano (toglie la Deprecatio Gelasii e lascia la litania
del Kyrie – scompare l’Oratio fidelium – sposta il Pater alla fine del Canone e aggiunge il
“Libera nos”). Compone il LEZIONARIO (595/97), con due sole letture invece di tre, e il
CAPITULARE EVANGELIORUM collegando le pericopi evangeliche per le messe
stazionali anche alle "memorie" custodite nelle chiese, oltre che al mistero. Dà forma ad
16
un SACRAMENTARIO papale con l’eucologia per la Messa e altri Sacramenti (il
prototipo non esiste). Solennizza le cerimonie, e riorganizza la SCOLA CANTORUM,
avviata da P. Damaso (+ 384) e decaduta: Crea un ANTIFONARIO e riordina e rilancia il
CANTO LATINO paleo-romano (quello che verrà poi chiamato “GREGORIANO”),
affidandolo agli Abati del Monastero di S. Pietro, che lo elaborano. Nei sec. VII°- VIII°
diventa il canto Neo-romano, più elaborato ed equilibrato, che si diffonderà in tutta
Europa. Circa la Liturgia delle Ore non sappiamo se, in questo periodo, abbia già una
struttura fissa
Papa Gregorio avvia l’evangelizzazione dei popoli Angli nel 596. Nel 597 Agostino
battezza Etelberto re del Kent e i suoi sudditi. Circa 70 anni dopo (entro il 670) il popolo
degli Angli è cristianizzato. E intorno al 690 si realizza l’unione tra il cristianesimo
irlandese- caratterizzato da ascetismo monastico, disciplina, slancio missionario – e
spirito romano.
Nel 672 nasce nel Wessex VINFRIDO BONIFACIO, che evangelizza la Frisia in
Germania. Nel 722 viene consacrato Vescovo da Papa Gregorio II° con un legame
particolare di obbedienza a Roma. Nel 732 riceve la facoltà di fondare nuove Diocesi. Tra
il 738 e il 747 si dedica alla riforma della chiesa Franca, legandola a Roma.
Nel 747 i Vescovi Franchi fanno voto di fedeltà al Papa. PIPINO ha un potere
pressoché totale e tratta col Papa direttamente.
Nel 754 Bonifacio viene ucciso, e nello stesso anno viene stipulata una ALLEANZA
tra il PAPATO e i FRANCHI. È la base del futuro Impero Carolingio.
CODIFICAZIONE LITURGICA
Verso la fine del V° secolo e nel VI° secolo si formano i cosiddetti “LIBELLI
MISSARUM”, specie di prontuari con formulari ecologici per Messe diverse.
17
Probabilmente è una collezione compilata tra il 560 e il 590 (prima comunque di
Papa Gregorio Magno).
PIPINO, padre di Carlo Magno, nel 754 (anno dell’Alleanza tra papato e Franchi) rende
obbligatoria per il regno franco la liturgia romana "gregoriana". Le motivazioni sono
religiose (rapporto con Pietro custode delle porte celesti, con la sua tomba, la sua città, la
sua liturgia) e, evidentemente, politiche. Il Vescovo Crodegango di Metz (+766), legato a
Pipino, instaura la Regula canonicorum, per raggruppare il clero nelle canoniche, in vista
della vita comunitaria e di una accurata vita liturgica.
Ma la liturgia romana "gregoriana" non copre il fabbisogno, perché fatta solo per le
solenni celebrazioni papali. Così si continua ad usare il tipo "GELASIANO" con le
tradizioni "GALLICANE"; questa commistione darà origine al Sacramentario misto
detto "GELASIANO DEL SECOLO VIII°”
4
CATTANEO, E., o.c., p.184-219.
18
Ma il Sacramentarlo romano non soddisfa le esigenze liturgiche dei Franchi.
ALCUINO, che lavora a fianco di Carlo Magno per attuare la riforma, riordina il
LEZIONARIO e ripara le lacune del "Gregoriano Adrianeo", aggiungendo un
"SUPPLEMENTUM" ("Hucusque"), tra l’801 e l’804, in modo da renderlo usabile
per la liturgia quotidiana. In seguito il Supplementum di Alcuino fu inserito nel
Sacramentario vero e proprio.
Dopo il 950 fino al sec. XII° i “Gregoriani Adrianei” col Supplemento di Alcuino si
arricchiscono di altre formule tratte dai GELASIANI DEL SECOLO VIII°, che
avevano già accolto le tradizioni franco germaniche (con usi e formulari locali), dando
vita ai GREGORIANI GELASIANIZZATI. Questi confluiranno nel MESSALE
USATO DAL PAPA E DALLA CURIA ROMANA nel sec. XIII°. Questo Messale
sarà adottato dai Frati Minori e poi diffuso nell’Orbe Cattolico.
Sempre durante il regno di Carlo Magno vengono attuate riforme battesimali (un
battistero per ogni città e per ogni pieve; battesimi solo a Pasqua e Pentecoste con
istruzione di genitori e padrini). Con questa attività, le popolazioni diverse vengono
unificate anche culturalmente e la vita liturgia risulta così un notevole “collante” in
sintonia con la vita civile.
Ludovico ridà potere ai Vescovi e stabilisce che siano loro a nominare il Clero delle
proprie chiese, (non i proprietari terrieri che avevano il diritto di scegliere i preti per le
chiese dei loro territori)
L'azione vigorosa dei Franchi, comunque, non riesce ad eliminare sacche di ignoranza,
soprattutto tra il clero; nonostante i Capitolari carolingi, i vecchi usi non vengono
abbandonati
EVENTI POLITICO-ECCLESISTICI
CON LA MORTE DI Ludovico il Pio (840) iniziano le lotte per problemi ereditari. Il
regno viene diviso tra i figli; prima tra Lotario, Pipino e Ludovico, poi anche con il quarto
Carlo il Calvo, suscitando lotte intestine. Alla fine resta diviso in tre parti. Con Arnolfo di
Corinzia (887 – 889) l’impero carolingio cessa di esistere e la dignità imperiale finisce in
mano a nobili italiani.
19
Il crollo dell’Impero ha una forte ricaduta sulla situazione ecclesiastica e anche
sulla vita liturgica:
Verso la fine del sec. IX la situazione ecclesiale in Roma diventa caotica e cala
l'interesse per la vita liturgica.
A ROMA le lotte tra Crescenzi e Tusculani crea Papi e antipapi. Finchè nel 1046
ENRICO III° li dimette tutti (ce n’erano 3) dimostrandosi il capo supremo della
chiesa. E fa eleggere Clemente II° (tedesco). Questa data segna la fine del “secolo
oscuro”. Ma il problema delle ingerenze imperiali negli affari della chiesa resta e
giungerà alla “lotta per le investiture” nello scontro infuocato tra ENRICO IV (1056 –
1106) e Papa GREGORIO VII° (1073 – 1085).
20
COSA SUCCEDE IN CAMPO LITURGICO NEL PERIODO CAROLINGIO (SECOLO
VIII°) E IN SEGUITO
21
PROGRESSIVA INCOMPRENSIONE DEL DATO LITURGICO
Prevale la preoccupazione della salvezza individuale della propria anima.
E quindi la dimensione ASCETICA, MORALEGGIANTE E DEVOZIONALE (NON
QUELLA MISTERICO SACRAMENTALE) .
La prassi liturgico-sacramentale (i riti) sono “UN MEZZO” importantissimo per
ottenerla (= non sono più vissuti come il luogo del proprio inserimento nel mistero
pasquale di Cristo e della formazione della Ecclesia)
NUOVI USI LITURGICI
L’accresciuta venerazione per il Sacramento porta all’uso del pane lievitato, in fettine
(particole) bianche, già preparate in precedenza (l’uso diventa fisso nel sec. XI).
Questo comporta altri cambiamenti: l’offerta del pane fatta dai fedeli, si tramuta in
offerta in denaro + La frazione del pane diventa inutile. Il canto dell’Agnus Dei (entrato
nel 650) per accompagnare la frazione del pane, diventa canto per la comunione (nel sec.
IX) + il grande piatto usato per la frazione del pane diventa la piccola patena che contiene
solo l’ostia grande del celebrante + le particole per i fedeli vengono poste in coppe (pissidi)
e date sulla lingua dei fedeli, inginocchiati + da qui deriva il basso parapetto (balaustra)
per la comunione dei fedeli, sconosciuto nelle chiese antiche.
L’INTERPRETAZIONE ALLEGORICA DELLA RITUALITA’
Nel periodo CAROLINGIO, si cerca ancora di favorire la comprensione e la partecipazione
del popolo alla liturgia (canto, risposte al celebrante, processione offerte, scambio di pace).
In particolare nascono le ESPLICAZIONI della Messa (Expositio “Quotiens contra se”
sec. VIII-IX). Sono SPIEGAZIONI ALLEGORICHE da dare ai fedeli, che non
riguardano le preghiere e il Canone, ma la RITUALITA’ ESTERIORE che colpisce
gli occhi.
L’ALLEGORISMO è di origine orientale (Teodoro di M. +428; siro Narsai + 502;
Pseudo Dionigi sec. VI). ALCUINO e soprattutto il suo discepolo AMALARIO di
Metz (“Expositio anno 813-14 + “De ecclesiaticis officiis”, anno 830) applicano il
metodo allegorico alla liturgia romana.
Questo uso viene condannato nel Sinodo di Quiercy (838) su istanza del diacono Floro.
Ma si impone e dilaga ugualmente. Anche se nel sec. IX Floro, Remigio di Auxerre (+
908) e altri propongono spiegazioni della liturgia secondo l’uso dei Padri. I liturgisti del
M. EVO batteranno al via di Amalario.
E' un metodo che non giova alla spiritualità liturgica e tuttavia trionfa, fino al
vertice, costituito da DURANDO ( “Rationale divinorum officiorum”, sec. XIII).
Il grave limite teologico di questa interpretazione è dato dalla frammentarietà e
arbitrarietà, che ignora il senso globale e unitario dell'azione rituale nel suo
movimento interno e complessivo. Così il rito acquista il riferimento ad un
sacro/misterioso non meglio identificato, perdendo quello cristologico-pasquale
22
Introduce la recita/canto di Salmi in 4 punti: durante la vestizione; entrando in chiesa (
Introibo ad altare Dei /Salmo 42 Iudica me Deus + rituale di confessione); durante
l’offertorio e infine altri Salmi nell’avviarsi in sacrestia.
Dalla metà del X secolo circa, si forma l’ORDO MISSAE FRANCO GERMANICO
GALLICANIZZATO, che viene codificato nel PONTIFICALE ROMANO
GERMANICO del secolo X°. Questo Pontificale, compilato nello Scriptorium di
Magonza, viene fatto proprio dalla LITURGIA ROMANA PAPALE.
Così inizia la dipendenza liturgica di Roma dalla Germania.
Papa Gregorio V nel 998, accordando privilegi all'abbazia di Reichenau, chiede a titolo di
sudditanza un sacramentario, un epistolario e un evangeliario: a Roma, quindi, non vi è uno
scriptorium attivo. Così, alla fine del sec. X, in Roma e in altri centri italiani giungono
testi liturgici che non rispecchiano più l'antica tradizione romana, ma si sono formati
nell'ambiente franco-germanico.
L’influenza germanica nella liturgia romana è dovuta a OTTONE I° (e agli “Ottoni” >
Enrico II incoronato a Roma nel 1014), + alla decadenza di ROMA + all’influsso di
CLUNY e dei suoi monasteri (in Italia – rapporto Cluny/Camaldolesi – in Francia).
DAL SEC. X° IN POI IL PAPA, che celebra nella sua cappella privata in
Laterano, usa il Messale che si è formato in ambiente Franco Germanico.
Poiché la S.SEDE cresce di importanza con Papa Innocenzo III° (+1216), il Messale della
Cappella Papale (Missale secundum usum Romanae Curiae) si impone e viene diffuso
dai FRATI MINORI che lo fanno proprio col Ministro Generale Aimone di
Faversham nel 1240.
In O.R. XIV troviamo gli usi liturgici ormai fatti propri da ROMA= il cel. legge
l’introito per conto suo cum ministris, e inoltre il Kyrie, il Gloria, l’Epistola, il Credo, il
Sanctus, l’Agnus Dei.
È una anomalia cultuale, segno di un senso liturgico ormai decaduto.
Questo uso verrà confermato dal Messale di BURCARDO (1509), che sarà la base di
quello di S. PIO V° nel 1570.
23
La MESSA NON è più COMPRESA come “MEMORIALE DELLA PASQUA” di
Gesù. Da Celebrazione Memoriale simbolico-sacramentale che rende presente il
Mistero Pasquale di Cristo per edificare il Corpo della Chiesa, DIVENTA IL
MISTERO DELLA DISCESA DIVINA, che si ammira da lontano, adorando. E il
centro è la CONSACRAZIONE.
La Messa è un “dramma” che si svolge sotto gli occhi dei fedeli: è la rappresentazione
del processo storico della Redenzione, soprattutto della Passione Morte e Risurrezione di
Cristo, compresa l’attesa dei Patriarchi.
La Messa è la venuta di Dio tra gli uomini per distribuire le sue grazie. Il popolo assiste
per aver parte a queste grazie, per vivi e defunti (= questo è il senso della “partecipazione”
dei fedeli), e “accompagna” il Signore per le vie della Redenzione.
Il vertice della Messa è “videre hostiam”, per ricevere grazie (chi è in peccato non
potrebbe fissare l’Ostia santa…); e questo rito “sostituisce” la comunione, ormai rarissima.
Di qui: il rito dell’elevazione, che con Oddone di Sully (1190 circa) viene posto dopo la
consacrazione.
Di qui lo sviluppo delle “ostensioni” e degli “ostensori” (1264 Corpus Domini) + Messe
coram Ssmo (dal sec. XIV) + genuflessione prima e dopo aver toccato il Ssmo.
Tutti i gesti/ movimenti/ paramenti/ colori… vengono interpretati allegoricamente.
Con Papa Innocenzo III (“De sacro altaris mysterio”) abbiamo il vertice
dell’interpretazione allegorica.
La SCOLASTCA (S. Alberto Magno) sferra forti attacchi all’allegorismo … che tuttavia
resiste imperterrito.
Per arricchire la dimensione spettacolare della Messa, si amplia la parte musicale: tropi
(dal sec. X) + viene musicato l’Ordinario (Missa De Angelis = sec. XIII) + polifonia (Notre
Dame di Parigi dal sec. XII).
SI FORMA UNA SPIRITUALITA’ NUOVA
PIETA’ ASCETICO MORALEGGIANTE. Cresce la devozione verso la Trinità, la
Madre di Dio, i Santi. Si oscura la centralità della Pasqua, sia a livello teologico che
celebrativo. Nella cristologia: si passa dalla mediazione di Cristo alla professione di fede
nella sua divinità, all'interno di una concezione più statica. E' il Re supremo: fra lui che ha
la residenza nel supremo castello celeste con maestà tremenda e il povero uomo peccatore,
che aspetta tremebondo il giorno del giudizio, si apre un immenso abisso; per poterlo
passare si ha bisogno dell'aiuto degli angeli, dei santi, dei monaci, dei sacerdoti che offrono
per noi la Messa. Nella considerazione dell'umanità di Cristo viene privilegiata una
meditazione soggettiva di Gesù-modello di vita. Nell'accostare il tema della Passione
diventa prioritaria la considerazione del suo soffrire, rispetto alla sua risurrezione.
PREVALE LA PREOCCUPAZIONE DELLA SALVEZZA INDIVIDUALE
DELL’ANIMA. I riti sacramentali sono un "mezzo" importantissimo per questo
scopo. E diventano un dovere religioso da compiere; non sono più sentiti come
celebrazioni ecclesiali del proprio vitale inserimento attivo e responsabile nel mistero di
Cristo.
INDIVIDUALISMO LITURGICO DEVOZIONALE. Appare nella proliferazione delle
"apologie" (v. sopra). Si generalizza l'uso della penitenza privata, con l'abbandono del
quadro ecclesiologico che caratterizzava la prassi penitenziale antica.
24
Si verifica uno scollamento netto e pressochè generalizzato tra il rito celebrato e
l'assemblea che lo celebra. Esso viene inesorabilmente ridotto al ruolo di cornice, dentro
cui si è invitati ad attività devote.
ELEMENTI POSITIVI. Rimane viva una logica di adattamento della prassi liturgica
alla sensibilità religiosa dei Franchi (opera di Alcuino). Permanenza della dimensione
catechetica nella liturgia (lingua slava nella liturgia introdotta da Cirillo e Metodio).
25
L’AVVIO DELLA RIFORMA DELLA CHIESA NEL “SECOLO OSCURO”
Molti monasteri si aggregano a Clny e ai suoi statuti (Francia, Borgogna, Italia, Spagna,
Inghilterra. In Germania, tuttavia, i monasteri restano legati all’Impero Ottoniano). La
Congregazione Cluniacense raggiungerà il vertice nei secoli XI – XII con 3000 comunità.
Dopo il secolo XII° inizia il suo declino, quando verrà dato maggior potere ai VESCOVI.
Viene preparata da Papa NICOLO II° (francese) imposto dal monaco Ildebrando di Soana.
Con un decreto libera l’elezione papale dall’influenza laicale e la affida ai Cardinali. La
cosa provoca la reazione dell’Imperatore tedesco che impone un altro Papa Benedetto X dei
conti di Tusculo.
Poi è la volta di Papa Alessandro II° di Milano, sempre sostenuto dal Monaco Ildebrando.
Enrico IV impone l’antipapa Onorio II°.
26
GREGORIO VII (1073-1085) 5
LA LITURGIA, pertanto, è luogo specifico del clero ed esercizio della sua potestas. Tre
sono le mete dell'azione liturgica di Papa Gregorio VII: a) affermazione dell'autorità
papale nel campo liturgico, lasciato per tre secoli in mano agli ecclesiastici franco-
tedeschi, riportandola "ad ordinem romanum et antiquum morem". Chiede che i vescovi si
uniformino alla legislazione liturgica che viene promulgata da Roma (= centralismo ro-
mano). In Spagna elimina il rito mozarabico; mentre il rito ambrosiano resiste. b) Ritorno
all'antico, soprattutto ad aspetti ascetici (salterio, digiuno sabbatico, tolto l'Alleluia a
Settuagesima). In realtà si ritorna allo stadio precedente della liturgia romano-franca. c)
Formazione e disciplina del clero e dei fedeli. Insiste sulla regolare pratica liturgica dei
fedeli. Esigenze di santità e coerenza di vita nel clero perchè possa presiedere degnamente
le azioni liturgiche, viste come ambito dell'esercizio del ministero gerarchico.
La prevalenza clericale nella liturgia si impone e viene coltivato il senso del "mistero"
(distacco dei fedeli dal clero celebrante; lettura della Bibbia riservata al clero).
Continua il devozionalismo, sia pure sotto una veste liturgica (ricevere spesso la
comunione; fiducia nella Madonna; devozione all'umanità di Cristo e al crocifisso).
5
CATTANEO, E., o.c., p.231-242.
27
VITA LITURGICA E RISVEGLIO RELIGIOSO SPIRITUALE NEI SECOLI XI – XII - XIII
6
SECOLO XI
CLUNIACENSI: 908 (v. sopra) –
CAMALDOLESI con S. Romualdo (951 – 1027)
CERTOSINI con S. Bruno (1030 – 1101): preghiera e raccoglimento interiore
CISTERCENSI: ramo riformato dei benedettini fondato a CITEAX nel 1098: povertà,
preghiera, lavoro, dimensione interiore della spiritualità (es. S. Bernardo)
PRASSI LITURGICA. Il Concilio Lateranense è attento ai riti diversi “in eadem fide”
e li promuove imponendo Ministri idonei. Disciplina la condotta degli ecclesiastici, dediti
a tutt’altro che alla liturgia. La partecipazione alla vita liturgica è bassissima. È questo
Concilio che formula il precetto di confessarsi semel in anno proprio sacerdoti e
comunicarsi ad minus in Pascha. Le Confraternite propongono la comunione eucaristica
in qualche altra festa loro propria.
6
CATTANEO, E., o.c., p.243-266.
7
CATTANEO, E., o.c., p.270-294.
28
PREDICAZIONE VIENE SEPARATA DALLA CERLEBRAZIONE, e il suo
contenuto morale è indipendente dai testi liturgici.
Si impone sempre più L’INDIVIDUALISMO DEVOZIONALE, che non si nutre più dei
testi e dei misteri celebrati.
8
Cfr. i consigli di Bonvesin della Riva (CATTANEO, E., o.c., p.288-289).
9
Interessanti i testi proposti in CATTANEO, E., o.c., p.255-257.
29
Si impone il culto dei santi che, con le loro reliquie, e relative indulgenze, attirano devoti e
proteggono la città. L'accentuato spirito devozionale, che diviene costume di tutti, spe-
gne l'idea di Anno Liturgico: le feste sono celebrate con fasto, ma non sono collegate tra
loro e diventano occasione moraleggianti. Nello sviluppo delle cerimonie la motivazione è
quella teatrale e drammatica.
10
Le commende sono “benefici ecclesiastici” dati a Canonici con il titolo, ma privi degli Ordini
maggiori. Cfr. la denuncia del concilio di Vienne (1311-12) (CATTANEO, E., o.c., p. 296-297).
11
Cfr. le indicazioni del Savonarola per assistere alla messa (CATTANEO, o.c., p. 308-309).
30
LA SPIRITUALITA’ DI QUESTI SECOLI
È costituita da tre diversi ambiti:
I) La SPIRITUALITA’ MONASTICA. In questo ambito permane ancora l'osmosi tra
celebrazione liturgica e vita: la celebrazione liturgica è momento intrinseco alla vita
monastica, che si modella al ritmo dell'anno liturgico e delle sue feste.
II) Il PRIMO FRANCESCANESIMO. Anche qui la vita cristiana è riattualizzazione del
mistero di Cristo (nascita e calvario). Vi è un fondamento liturgico, ma la liturgia-
celebrazione non è integrata nel linguaggio spirituale francescano. Questo scollamento è
dovuto anche alla situazione di ignoranza del clero, al bisogno della predicazione extra-
liturgica, allo sviluppo della teologia scolastica che preferisce la quaestio con criteri scien-
tifici alla lectio divina monastica.
III) La DEVOTIO MODERNA (sec. XIV-XV). Cfr. "L'imitazione di Cristo" (T. Kempis
1380-1471). E' aldifuori di un vero orizzonte liturgico. Propone un ritorno alla vita
interiore individuale, che pur celebrando il rito, punta alla meditazione, alla preghiera
personale e all'ascesi.
ESIGENZA DI RIFORMA
L'esigenza di una riforma vasta e coraggiosa, anche nel campo liturgico, è sentita
fortemente. Nel 1514 i monaci camaldolesi Giustiniani e Quirini presentano a Leone X
un "Libellus" in cui richiamano l'ignoranza dei preti in campo religioso e la conseguente
povertà dei fedeli. Si implora di porvi rimedio, così che la liturgia torni ad essere capita e
partecipata. Gli obiettivi dichiarati sono: l'introduzione del volgare per favorire la
partecipazione e l'istruzione del popolo; l'unificazione della legislazione liturgica; una
revisione generale secondo la tradizione della chiesa romana.
Il Castellani (domenicano) prepara una nuova edizione del Pontificale Romano (1520) ed
un “LIBER SACERDOTALIS” (1523) dove raccoglie le norme per l’amministrazione dei
sacramenti e la pratica pastorale, includendo l’ORDO MISSAE di Burcardo. Questo
testo sarà la base del Rituale edito dopo il Concilio di Trento.
31
LA CRITICA DI LUTERO
alla liturgia cattolica è inizialmente motivata dalla volontà di contrapporsi agli abusi, di
tipo magico, devozionale e giuridico. Vi è il bisogno di far ridiventare la liturgia azione del
popolo di Dio. Merita di essere segnalata la persuasione di Lutero circa l'enorme
potenzialità didattica insita in una liturgia capita e partecipata. Ma il problema di fondo è
costituito dalla mancanza di una comprensione teologica della liturgia. Di conseguenza
l'approccio critico alla prassi rituale non viene coordinato da una dottrina teologica
sufficientemente approfondita.
12
Cfr. la proposta pastorale di Erasmo per rinnovare l'antica iniziazione cristiana con forma nuova,
poi condannata (CATTANEO, E., o.c., p.363).
32
IL DOPO CONCILIO
a) La riforma dei libri liturgici. Nella sessione XXV del 1563 il Concilio affidò al Papa
l'esecuzione della riforma del messale e del breviario. Così viene chiusa l'epoca della
competenza liturgica dei vescovi, che risale ai primi secoli. Il criterio fondamentale è
"tornare all'antica norma dei padri". Ma è impossibile spingersi oltre l'epoca carolingia. Si
realizza invece l'unificazione liturgica compiendo un lavoro di ripulitura, sufficientemente
riuscito, sulla linea di continuazione del Medioevo. Ne risulta comunque un'opera che ha
determinato e caratterizzato, per i seguenti 400 anni, la vita liturgica della chiesa latina
occidentale e, attraverso l'espansione missionaria, la vita liturgica della chiesa romana
cattolica in tutto il mondo.
b) La riforma dei libri liturgici è guidata dalla preoccupazione di difendere i dogmi. Si
tolgono dai libri le sovrastrutture eliminando molte feste di santi. Tutte le diocesi che
non avevano una liturgia più antica di due secoli dovevano adottare i nuovi libri liturgici (si
salva il rito Ambrosiano e quello Mozarabico solo a Toledo). Il Sinodo Milanese del
Borromeo (1565) disciplinò il culto e influì su mezza Europa. Il centralismo romano,
fissato da Pio V nel 1588 fu consolidato da Sisto V con la "S. Congregazione dei Riti", che
diede grande impulso alla scienza delle rubriche, al punto da esser ritenuta dai più, fino al
XX secolo, l'unica scienza liturgica. Sotto Pio V viene pubblicato il Breviarium
Romanum (1568) e il Missale Romanum (1570). Nel 1596 viene pubblicato il
Pontificale Romanum; nel 1614 il Rituale Romanum.
c) Quest'opera di riforma salva la liturgia dalla crisi del Cinquecento; ma la congela,
costringendo ancora una volta la pietà dei fedeli ad allontanarsene per rivolgersi a forme di
pietà popolare e devozionale. La comunione, piuttosto rara, non è più sostanzialmente
legata alla celebrazione come sua pienezza, ha carattere ascetico ed è "offerta" per qualche
pia intenzione; si insiste sulla "comunione spirituale".
d) L'esasperazione delle posizioni protestanti, che non vengono scalfite dal Concilio,
accrescono le preoccupazioni apologetiche e l'immobilismo liturgico. Il volgare, per la
liturgia della Parola, resta un sogno; continua la presentazione della messa come un seguito
di episodi della passione di Cristo (viene spiegata come al tempo di Amalario); si
appoggiano le vecchie devozioni alla Madonna e ai santi. Dominerà per un secolo e mezzo
la visione di liturgia
del Bellarmino: "Finis praecipuus divinorum officiorum non est populi instructio vel
consolatio, sed cultus Deo ab Ecclesia debitus"13.
13
CATTANEO, E., o.c., p. 375-376.
33
IL SEICENTO: CONTRORIFORMA E BAROCCO 14
Nei paesi più legati alla Curia Romana, come l'Italia, domina la "Controriforma", che si
esprime nel ripristino del devozionalismo; nella separazione tra clero e popolo; nella
diffidenza per la diffusione della Scrittura in volgare; nel rubricismo.
I tentativi (francesi, col Card. De Berulle e Olier) di pubblicare dei commenti alla Messa
per i fedeli vengono proibiti: i testi liturgici devono restare rigorosamente inaccessibili
ai fedeli, avvolti nel mistero impenetrabile. Si introducono comunque libri di pietà che
aiutino i fedeli a prepararsi alla Messa e a ridestare sentimenti di pietà. Le spiegazioni sono
sempre rigorosamente allegoriche.
In Germania – su influsso protestante – si introducono canti in volgare nella Messa.
14
CATTANEO, E., o.c., p.379-415.
15
Nei paesi rimasti cattolici si proclama il trionfo del regno di Dio (cfr. quanto scrive D. Bartoli, ri -
portato da CATTANEO, E., o.c., p.397).
16
CATTANEO riporta espressioni interessanti a p. 398.
17
Cfr. i testi riportati da CATTANEO a p. 401-402
34
della vita di Cristo18. La Messa è un "mistero" (soprattutto il Canone, da leggere in
silenzio19).
Il CULTO EUCARISTICO è centrato sulla "presenza reale" (in senso statico) del Corpo e
Sangue di Cristo, che è "vicino" al fedele. Di qui: l'esposizione negli ostensori, i troni sugli
altari per la custodia e l'ostensione del SSmo, la festa e l'ottava del Corpus Domini con
processione fastosa. La comunione diventa un rito a sè, molto spesso fuori della messa.
Riprende vigore il culto della Madonna e dei santi, debolmente ridimensionato nel
Concilio.
La predicazione barocca (lunghissima) si fa extra Missa e non ha attinenza coi testi
liturgici.
18
Cfr. quanto S. Francesco consiglia a Filotea (CATTANEO, E., o.c., p.389-390).
19
Considerazioni del Conti (1625), (CATTANEO, E., p. 392).
20
Anamnesis 1, o.c., p.11-30.
35
Queste esigenze (anche legittime) erano però confuse con posizioni dogmatiche
discutibili21, di matrice giansenista. Il Sinodo di Pistoia, comunque, anche se condannato
da Papa Pio VI (1794), rivela una profonda coscienza del valore pastorale della liturgia.
21
Anamnesis 1, o.c., p.14.
36
L'OTTOCENTO: ROMANTICISMO E RESTAURAZIONE CATTOLICA
IL RINNOVAMENTO MONASTICO
Solesmes (1833). Fondato da P. Guèranger, ha il merito di riscoprire la liturgia romana -
in antitesi con la tradizione gallicana da lui rifiutata- come fonte della vita contemplativa
monastica. Lo scopo delle sue opere (Institutions liturgiques; Annèe liturgique, 1841) è che
la liturgia possa essere davvero fonte della pietà cristiana. Il popolo deve potersi nutrire dei
testi liturgici (Ma occorre sempre un velo di “mistero”).
Beuron. Fondata dai fratelli monaci Wolter (1863). Si vuole ridare alla liturgia romana il
posto centrale nell'ascesi e nella vita stessa dei monaci, non restringendola soltanto al coro.
Si cura la celebrazione a onore di Dio, il canto gregoriano, l'espressione artistica.
Questi fatti costituiscono la preparazione del terreno al "movimento liturgico".
IL MOVIMENTO LITURGICO
37
Altri interventi papali:
1905: decreto sulla Comunione frequente
1910: comunione ai bambini all’età dell’uso della ragione
1911: nuovo ordinamento del Salterio nel Breviario + viene ridata centralità e priorità
alla domenica
38
IN ITALIA nel 1914 nasce Rivista Liturgica che introduce e sostiene l'azione del
rinnovamento liturgico (Caronti, Schuster, Righetti, Tonolo, Vismara). Con Vagaggini il
lavoro di approfondimento teologico giunge a maturazione. In Italia nel 1947 è fondato il
CAL
Non mancarono le polemiche. In Germania si crea una forte tensione intorno alla
concezione "misterica" di Casel (anni '40). Nel 43 la S.Sede interviene con una
commissione per verificare il movimento liturgico tedesco. Guardini inquadra il problema
magistralmente nella sua Lettera al Vescovo di Magonza. I Vescovi tedeschi prendono in
mano la direzione del Movimento Liturgico.
Pio XII con la "Mediator Dei" (1947) pone la liturgia su un piano teologico, non più
cerimoniale e giuridico ("è il culto integrale del corpo mistico di G. Cristo, cioè del Capo e
delle sue membra"). Il concetto di culto è ancora condizionato dal parametro societario non
ecclesiale. Di fatto la mentalità è ancora giuridica e clericale. Tuttavia è il primo
riconoscimento ufficiale dei valori del Movimento Liturgico.
Nel 1956 il I Congr. lit. past. di Assisi apre la via alla riforma che sfocerà nel Vaticano II.
1958: Istruzione sulla musica liturgica per una partecipazione più attiva
1960 Nuovo Codex rubricarum
1961: nuova Editio typica del Breviario
1962: nuova Editio typica del Messale
39
L'ETA' DEL CONCILIO VATICANO II
40
CAPITOLO II
Una rapida esegesi della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Vaticano II ci permette di
rintracciare l'oggetto specifico della liturgia e il metodo proprio della scienza liturgica. Il
Vaticano II ha superato una visione puramente rubricistica della liturgia e ne ha
approfondito la valenza teologica declinandola con le istanze pastorali, segnalando a più
riprese che il modo specifico del culto cristiano di mediare la salvezza è il rito.
1
CATELLA, A. - TAGLIAFERRI, R., Le domande e le intenzionalità cui risponde l'impianto di
"Sacrosanctum Concilium", "Rivista Liturgica", 77/2 (1990), p. 129-143.
41
LA COSTITUZIONE LITURGICA NEL CONTESTO DEGLI ALTRI
DOCUMENTI CONCILIARI
Questa lettura teologica va situata nel quadro degli altri documenti conciliari. Anzitutto
questa visione teologico-pastorale di liturgia corrisponde alla ecclesiologia che viene
sviluppata nella Lumen Gentium. SC 7.26 affermano che la liturgia è celebrazione di un
popolo/assemblea/comunità. L'ecclesiologia soggiacente è quella di Chiesa-comunione,
Chiesa-assemblea del popolo di Dio, in cui tutto il popolo cristiano è attivo e partecipe nella
diversità dei ministeri. Questa visione ecclesiologica è sviluppata in LG I-II.
Infine la SC manifesta la volontà decisa che la prassi liturgica, memoriale della Pasqua di
Cristo, sia luogo in cui l'uomo è assunto e "ricapitolato". La Gaudium et Spes elabora
articolatamente questa prospettiva.
"La liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della chiesa e, insieme, la fonte da cui
promana tutta la sua virtù" (SC 10) Secondo questo testo, famosissimo e discusso, l'agire
liturgico è collocato correttamente entro la globalità dell'attività pastorale della Chiesa, il
cui centro, secondo la dottrina tradizionale, è l'Eucaristia. La liturgia, infatti, è chiamata a
"manifestare il mistero di Cristo e la natura della vera Chiesa" (cfr. SC 2. 26). Pertanto: il
valore teologico della liturgia è filtrato attraverso una visione teologico-pastorale sia
della prassi globale sia della prassi liturgica della Chiesa intera. Quando SC
comprende teologicamente la liturgia, la vede come una prassi attraverso la quale la
Chiesa esprime se stessa nella sua totalità.
La liturgia esprime la natura della Chiesa; ha come soggetto la Chiesa nella sua unità e
articolazione ministeriale; è momento privilegiato dell'attuarsi della parola; è prassi
celebrativa che fa memoria del Mistero Pasquale di Cristo in un linguaggio pienamente
umano.
42
LA MEDIAZIONE RITUALE NELLA CELEBRAZIONE LITURGICA2
Oggetto specifico della scienza liturgica è perciò il rito. Il rito, che è fenomeno
culturale, appartiene alle realtà mutabili e storiche. Va perciò studiato pastoralmente,
utilizzando le scienze umane per scoprirne l'identità, il valore e la verità, in vista di una più
viva partecipazione e di una più consapevole valorizzazione. Il polo visibile della
dialettica sacramentale è costituito dagli elementi reperibili nell'ambito storico-
culturale. Pertanto: nella stessa natura sacramentale della Chiesa è inscritta l'esigenza
pastorale della adattabilità e della creatività. Questa esigenza tocca direttamente la liturgia.
Possiamo avere ulteriori conferme sulla centralità del rito quale oggetto della scienza
liturgica secondo SC.
2
Per questo paragrafo cfr. TAGLIAFERRI, R., Modelli di comprensione della scienza liturgica, in Il
mistero celebrato, Roma, CLV-Ed. Liturgiche, 1989, p.19-105. Cfr. anche MAGGIANI, S.,
Linguaggio rituale per celebrare, in Celebrare oggi. Atti del corso di aggiornamento per i vescovi
sulla liturgia. Roma 8-12 febb. 1988, Roma, Fondazione ss. Francesco d'A. e Caterina da S., 1988,
p.37-73.
43
SC sembra separare le parole dagli elementi rituali, i riti dalle preghiere (48). Ma, in realtà,
tutto l'universo liturgico può essere compreso nel concetto di rito. E' il "rito", infatti, che
accomuna la liturgia con il tempo, la musica, lo spazio, la supellettile.
L'adozione stessa del termine "liturgia" ("azione di Cristo e della Chiesa") rappresenta una
chiara scelta di campo. Pur recuperando la dimensione "misterica" antica, la "liturgia" si
evidenzia come "azione " (ergon), che esige, per sua stessa natura, la "partecipazione"
dell'assemblea cristiana (laòs) (SC 14.18). Il compito della riforma, pertanto, è attento
all'elemento antropologico della ritualità secondo l'accezione antropologico-religiosa.
IL METODO PASTORALE
Studiare la ritualità della chiesa che celebra il mistero di Cristo significa mantenere con
chiarezza la referenza cristologica, senza la quale il rito decade in parata teatrale, che
sfocia inevitabilmente nel formalismo e nell'esteriorità cerimoniale. E rispettare
profondamente la ritualità, in tutto il suo spessore antropologico, poichè nella liturgia la
Grazia si rende accessibile ai fedeli solo se si rispetta il linguaggio rituale nel suo singolare
e autonomo modo di incarnare lo Spirito.
La chiesa, pertanto, trarrà la competenza per verificare la sua ritualità come capace di
mediare e tradurre il mistero di Cristo, non solo dalla rivelazione, ma dallo statuto della
44
creazione. Per una riforma liturgica autentica, la chiesa dovrà attenersi scrupolosamente al
controllo di marca antropologica, in cui le forme rituali devono legittimare la loro capacità
mistagogica. Si tratta di scoprire la potentia oboedientialis dei riti, cioè il loro potere di
acciglienza della Grazia. Non si dice in nessun modo che la ricerca antropologica
determini i contenuti cristiani; semplicemente si afferma che se Cristo è presente nella
liturgia, significa che la mediazione rituale della liturgia ha una sua singolare capacità di
riceverla. In questo compito "scientifico", che il Concilio chiama "pastorale", la chiesa
dovrà lasciarsi ispirare dalle scienze umane, per scoprire le condizioni di celebrabilità della
liturgia.
Si trovano descritti in SC 21-40. "In tale riforma, occorre ordinare i testi e i riti in modo che
esprimano più chiaramente le sante realtà, che significano, e il popolo cristiano, per quanto
possibile possa capirle facilmente e parteciparvi con una celebrazione piena attiva e
comunitaria" (SC 21). Questo testo dà l'orientamento di fondo della riforma e racchiude
tutte le dimensioni necessarie per una celebrazione liturgica pienamente valida.
Per comprendere la necessità della riforma e la logica che la guida, vanno anzitutto
individuate le caratteristiche della liturgia. Essa è: 1) gerarchica e comunitaria (SC 26-32);
2) didattica e pastorale (SC 33-36); 3) adattabile alle diverse culture dei popoli (SC 37-39).
L'aspetto comunitario implica sia la capacità di farsi comprendere dalle diverse culture
(=didatticità), sia la capacità di comprendere le diverse culture (=adattabilità). Pertanto la
logica della riforma esige una duplice conversione: quella delle culture alla liturgia, e quella
della liturgia alle culture, in quanto fanno pure parte della storia della salvezza. Di
conseguenza l'orizzonte della riforma è dato dalla preoccupazione di rendere celebrabile
45
la liturgia, capace di accogliere la storia degli uomini nel culto cristiano, e di rendere il
culto testimonianza della chiesa agli uomini di ogni tempo e luogo.
LE NORME GENERALI.
Sono le seguenti: 1) distinzione tra parti immutabili e parti mutabili (SC 21); 2) dialettica
fra tradizione e progresso (SC 23); 3) stretta relazione tra bibbia e liturgia (SC 24).
Il nodo più difficile è costituito dalla prima norma, in quanto la motivazione degli
elementi variabili implica l'intervento delle discipline antropologiche. Lo studio della
liturgia deve percorrere tre piste fondamentali: 1) la pista teologica, 2) quella storica e
3) la pista antropologica con intenti pastorali (cfr. SC 23). Si tratta in definitiva di una
ricerca ermeneutico-pastorale. La ricerca ermeneutica fa emergere gli interrogativi teologici
che lungo la storia hanno provocato il rinnovamento della liturgia, per renderla celebrabile.
La ricerca pastorale evidenzia gli interrogativi posti alla liturgia dalla cultura
contemporanea. Le due linee di ricerca si intersecano, nel rispetto delle tre piste
fondamentali.
Ogni Ordo è frutto di una ricerca storica sulla prassi antica, riletta alla luce della teologia
contemporanea, in modo da rendere il rito comprensibile all'uomo moderno. Alcune
segnalazioni, in vista ulteriori approfondimenti:
3) Il campo più carente è quello della attenzione alla cultura del mondo attuale in
generale, radicalmente diversa da quella in cui si è formata la liturgia.
L'ISTANZA PASTORALE.
Un primo aspetto della istanza pastorale è dato dal come celebrare in modo più adeguato; e
questo comporta l'attenzione ad una serie di problemi pastorali (verifica delle condizioni
pastorali della celebrazione; attenzione al contesto culturale odierno; educazione alla fede e
alla esperienza di fede). Tuttavia, in questi anni, si è passati ad una problematica più
radicale, cioè perchè celebrare. Sarà necessario, pertanto, approfondire le motivazioni
antropologiche e teologiche della ritualità.
46
CONCLUSIONI.
In Italia la riforma liturgica promossa dal Concilio ha trovato buona accoglienza e sincera
disponibilità di attuazione. A questo riguardo possiamo dire sinteticamente che nel I
decennio vi sono vive speranze ed entusiasmi; nel II decennio, invece, si nota un
progressivo calo di interesse, che giunge allo scoraggiamento, alla delusione, per non dire
alla rivolta e all'accusa3.
1964 Decreto Inter Oecumenici: concede la facoltà di introdurre il volgare per il Dialogo
del Prefazio e per il Santo
1967 Tres abhinc annos: dopo oltre 1000 anni, segna la fine della recita del Canone
“subissa voce”: “licet canonem intelligibili voce proferire” + viene data facoltà alle
Conferenze Episcopali di recitare il Canone in volgare
1967 Eucaristicum Mysterium: norme che rendono più intelligibili i segni dell’Eucaristia
memoriale del Signore e sacramento permanente. Non si parla più di “volgare”, segno che
era tutto compreso nella Tres abhinc annos (licet intelligibili voce proferire”)
OSSERVAZIONI
3
VISENTIN, P., Radici e cause della situazione liturgica italiana, in La riforma liturgica in Italia.
Realtà e speranze, Padova, Messaggero, 1984 (Caro Salutis Cardo/Studi, 2), p.171-182.
47
ad esperti di tutto il mondo. La sua opera di riforma è la più ampia senza paragoni, in
quanto abbraccia la totalità dei riti liturgici romani. Il limite del suo lavoro è dato dal fatto
che punto di partenza sono i riti e i libri della liturgia preesistente (= formulari pensati e
redatti oltre 1000 anni fa, in comunità e contesti socio-culturali diversissimi dal nostro), e
non le concrete comunità ecclesiali di oggi. Di conseguenza lo spazio per la creatività è
rarefatto. Infine è imperante il can. 1257 del CJC "Unius Apostolicae Sedis est tum sacram
ordinare liturgiam, tum liturgicos approbare libros".
Conseguenze: viene redatta una riforma liturgica a) da un centro unico, in latino; b) carente
l'apporto delle scienze antropologiche; c) carente l'apporto laicale. Comunque, dato il
contesto, era difficile aspettarsi di più.
Dentro la chiesa c'era impreparazione a tutti i livelli. La riforma viene applicata in chiave
rubricale, mentre era necessario cambiare mentalità in fatto di celebrazione, vivendo un
nuovo rapporto con il libro e con l'assemblea.
Sono state insufficienti le mediazioni per far penetrare capillarmente fino agli strati più
umili le nuove idee e i nuovi atteggiamenti.
In Italia è mancato un vero centro nazionale che, ufficialmente e con un lavoro organico,
si assumesse la piena responsabilità dei vari passi della riforma, per applicarla alla nostra
situazione. Il vuoto fu colmato dal CAL e da attività editoriali, ma in modo sporadico e
scoordinato. Solo dal 1973 in poi si è verificato qualcosa di nuovo con il programma
liturgico-pastorale della CEI "Evangelizzazione e sacramenti". Ma una volta concepito e
pubblicato fu praticamente abbandonato a se stesso, fino alla inchiesta CEI 1981.
3. CONSIDERAZIONI E PROSPETTIVE4.
Il Concilio ha previsto che si possa andare oltre le leggi attuali (SC 40). Basti pensare al
grave e inevitabile problema della inculturazione della liturgia nelle varie parti del mondo e
alle esigenze del linguaggio e dei segni comprensibili per l'uomo d'oggi. Tuttavia il
problema principale non è la concessione di ulteriori facoltà dall'alto, ma un lavoro di
catechesi mistagogica e di penetrazione capillare della liturgia nel tessuto del popolo di Dio.
4
Ottima la visione di sintesi della riforma liturgica, della sua attuazione e delle prospettive attuali
proposta da A. GRILLO, Oltre Pio V. la riforma liturgica nel conflitto di interpretazioni, Brescia,
Queriniana, 2007.
48
Le linee di azione sembrano queste: a) incrementare i centri di studio, di formazione e di
promozione della liturgia; b) rendere efficienti i canali di trasmissione (commissioni,
uffici); c) una collaborazione più stretta tra liturgia e catechesi per il rapporto tra lex
credendi e lex orandi.
Le nuove forme liturgiche sono state adottate universalmente, e la nuova liturgia ha trovato
un favore assai vasto. Ma la liturgia è un "mistero": non chiede di essere eseguita, ma
vissuta e partecipata sotto l'azione dello Spirito Santo. La Nota pastorale della CEI su "Il
rinnovamento liturgico in Italia" (21/9/1983) propone una verifica non tanto della
applicazione delle norme, quanto della penetrazione dello spirito della riforma nel tessuto
vivo del popolo cristiano e delle assemblee liturgiche5.
Gli elementi più significativi di questa Nota sono tuttora validi. Eccoli in sintesi.
Anzitutto il cammino non è finito. E' stato compiuto un immenso progresso negli ultimi 20
anni, in ordine soprattutto alla "partecipazione" dei fedeli. Ma i frutti maturi della riforma si
potranno cogliere solo tra qualche generazione (n.3). Per raggiungerli è necessario affinare
gli strumenti e i metodi dell'azione pastorale.
In secondo luogo è una riforma da completare. Possiamo sintetizzare tre temi decisivi,
sottostanti a tutto il discorso della Nota.
La Nota indica i criteri per le forme e la prassi della liturgia, che nascono dal fatto che
Dio salva "facendosi carne": quindi il linguaggio liturgico deve essere accessibile ai
"poveri". Questo "richiede una conversione al progetto e allo stile di Dio che ha voluto
attuare e comunicare la sua salvezza attraverso il "sacramento" delle cose più comuni e
delle azioni più quotidiane" (n.12). I vescovi individuano le cause della mancata
comprensione dello spirito e dei fini della riforma liturgica da parte dei fedeli e di molti
operatori pastorali "nella scarsa familiarità al linguaggio e alla spiritualità della liturgia
e nella carente formazione liturgica degli stessi ministri del culto" (n.5).
5
SANTANTONI, A., Il rinnovamento liturgico in Italia. Per una lettura della Nota pastorale CEI,
"Rivista Liturgica", 72/4 (1985), p.409-416. Cfr. anche l'inserto redazionale di Rivista di Pastorale
Liturgica n.120 (1983/5), con testo e commento.
49
linguaggio dell'uomo totale. E' un compito urgente e vitale, che non ammette fallimenti,
pena la vanificazione di tutto il rinnovamento liturgico stesso.
La Nota è apparsa in concomitanza con il MRI 1983 (II ed.) e la pubblicazione dei risultati
dell'inchiesta CEI, in cui appare una chiesa che ha attuato la lettera della riforma, ma spesso
senza averne assimilato lo spirito e compreso le ragioni.
50
CAPITOLO III
L'antropologa Mary Douglas scrive: "E' un errore pensare che ci possa essere una
religione che sia tutta interiore, senza regole, senza liturgia, senza segni esterni di stati
d'animo interiori. Come per la società, così per la religione, la forma esteriore è la
condizione della sua esistenza... Come animale sociale l'uomo è un animale rituale.
Soppresso in una forma, il rituale riaffiora in altre, tanto più forte quanto più intensa è la
interazione sociale. Senza le lettere di condoglianze, i telegrammi di congratulazioni, le
occasionali cartoline, l'amicizia di due amici lontani non è una realtà sociale: non può
esistere senza i riti dell'amicizia. I riti sociali creano una realtà che sarebbe inesistente tra
di loro"1.
Per capire i riti, dunque, è necessario ripartire dalla loro origine. Vogliamo considerare
allora la funzione simbolica, che costituisce la base della ritualità. Scrive Vidal: "Il
pensiero simbolico è intimamente legato al sacro; vi è una correlazione tra l'dentità del
simbolo e l'identità dell'esperienza religiosa. L'uno e l'altra vanno insieme" 2. Vogliamo
individuare alcuni aspetti della funzione simbolica, che ci permettano di approdare alla
dimensione della ritualità da un punto di vista antropologico.
1
MAGGIANI, S., Linguaggio rituale per celebrare, o.c., p.37-46.
2
VIDAL, J., Sacro, simbolo, creatività, Milano, Jaka Book, 1992, p.23.
51
unificante e totalizzante, rimanda ad altro e al Totalmente Altro. Dunque è abitato da una
dimensione religiosa. "Il simbolo è del tutto connaturale all'esperienza religiosa. Il simbolo
dà ciò che annuncia, ma lo dà in modo ancora celato, è la figura di una realtà, ma non
ancora compiuta"3.
Lalande afferma: “il simbolo è qualunque segno concreto che evochi, in un rapporto
naturale, qualcosa di assente o che è impossibile percepire”.
E’ un segno concreto, non astratto. Non è una allegoria, ma una realtà (il cielo, il sole, la
luna, la terra, l’albero, l’animale, l’uomo …).
E’ un segno che evoca. Cioè un segno che chiama con la propria voce, fa uscire da se
stesso come una voce percettibile al nostro spirito, che conduce ad altro. Questa
“evocazione” è più forte della semplice indicazione: il simbolo dà ciò che designa,
comunicando un significato e fornendo una strada per comprenderlo. Dice Ricoeur: “il
simbolo è una donazione di significato in trasparenza”.
Il simbolo cela un contenuto che sta aldilà, oltre. In esso vi è un messaggio immanente di
trascendenza. Esso dà ciò che annuncia, ma lo dà in modo ancora celato; è la figura di una
realtà, ma non ancora compiuta.
2. SIMBOLO E ALLEANZA
“Il simbolo è un oggetto tagliato in due e diviso tra due partner alleati, i quali conservano
ognuno la propria parte e la trasmettono ai loro discendenti, in modo che tali elementi
complementari, nuovamente avvicinati, permettano il riconoscimento dei loro portatori e
costituiscano la prova della loro alleanza” (Ortigues).
3
VIDAL, J., Sacro, simbolo, creatività, o.c., p.37.
52
Il simbolo è un oggetto tagliato in due. Questo dimostra che nel mondo vi è una rottura, e
il simbolo ne tiene conto. La rottura sarebbe intollerabile, se non fosse possibile il suo
superamento. Il simbolo mostra la certezza che possiamo riconciliarci, se lo vogliamo,
mediante l’alleanza: con l’universo, con gli uomini, con il divino. Il simbolo celebra
alleanze.
In particolare il simbolo, che opera un’alleanza tra il visibile e l’invisibile, opera l’alleanza
del cielo e della terra, mediante i simboli uranici (=del cielo) e quelli ctonici (= della terra).
Ma il simbolo dei simboli è l’uomo. E’ lui, qualunque sia la distanza oggettiva tra il cielo e
la terra, che opera, visibilmente e invisibilmente, l’alleanza di questi due elementi.
Per vedere l’invisibile bisogna essere in grado di trasformare tutti gli oggetti in immagini.
Alcuni esempi.
La pietra, il sasso, la roccia… sono oggetti dietro i quali si avverte la presenza di una
immagine: annunciano una sicurezza, una consistenza, una permanenza.
La pietra preziosa. E’ la pietra che capta la luce e la moltiplica. Apocalisse 21,18-21 evoca
la Gerusalemme futura dalle mura di pietre preziose, che catturano e irradiano la luce,
diventando messaggio di libertà, di apertura, di opera compiuta. Viene indicata la nuova
creazione, frutto della creazione attuale trasfigurata.
La montagna sacra. E’ immagine e simbolo antropofanico: rivela che l’uomo è fatto per le
sommità.
La grotta, la caverna. Simbolo dell’uomo invitato ad andare nel punto più basso, più
profondo, all’origine del suo anelito, dove trova tutta la creazione, l’universo e il mondo al
punto di origine della sua comparsa. La caverna è la cavità geografica perfetta, la cavità
archetipa, mondo chiuso dove lavora la materia stessa dei crepuscoli, cioè luogo magico
dove le tenebre possono riavvalorarsi in notte.
Il fiume. E’ l’invito al viaggio. Esso ci dice ”Imbarcati, parti, esci dalla tua casa, corri verso
l’avventura”. Ogni fiume annuncia l’oceano che non vedo; è segno dell’invisibile,
dell’invisibile Uno. E’ una antropofania, che è anche una teofania in quanto evoca il divino.
53
L’esperienza simbolica del corpo
Il primo territorio del simbolo è la nostra esperienza corporea. “E’ nella misura in cui il
nostro corpo vive, che gli oggetti diventeranno corpi viventi e li ricomporremo nell’unità
della nostra esperienza corporea” (Jung). Ecco alcune espressioni di questa esperienza.
La fenomenologia ci attesta che le religioni non solo si servono di simboli per comunicare
le loro esperienze, ma si costruiscono e si solidificano tramite una catena di simboli. La rete
dei simboli costituisce l'organigramma di una religione. Solo in un secondo momento si
strutturano teologicamente. Pertanto ogni linguaggio religioso è essenzialmente
simbolico. Il simbolo nasce da una esperienza che non è pienamente oggettivabile;
comporta una inesauribilità di significati, ed è carico di affettività e di dinamismo. Dal
54
punto di vista della "scienza delle religioni", proponiamo una classificazione del simbolo
religioso come ricerca suprema di unificazione del reale4.
Simboli uranici. Il cielo è il simbolo primario della trascendenza, della potenza, della
perennità. Crea nell'uomo il senso della dipendenza creaturale, con le connotazioni del
fascinans e del tremendum (Otto). Questo simbolo diventa talmente carico da indicare non
una trascendenza anonima, ma Dio stesso. La stessa parola "Dio" non è derivata da una
speculazione filosofica, ma da una esperienza simbolica: Dio (dal sanscrito: div/dyaus, con
i derivati: dios/dies/divus) significa lett.: luce/splendore. Nelle grandi religioni il cielo
indica la dimora di Dio, o, più pericolosamente, Dio stesso. Il cielo è la sede di Anu (dio
mesopot.); di Varuna (dio indo-ariano); di Ahura Mazda (iranico). In Grecia: Zeus è lo
stesso dio celeste.
Il cielo, a partire dalla regolarità del movimento degli astri, diventa anche simbolo
dell'ordine cosmico. Il quale è ispiratore e modello dell'ordine morale. "Rta" (indiano) e
"asa" sono simboli-concetti unificanti e stabilizzatori dell'ordine cosmico, ma anche
dell'ordine morale.
Simboli ctonici. Sono il risultato della prima polarizzazione del cielo. Nel mondo indù, la
terra con il cielo è la metà superiore dell'uovo del mondo. Nella mitologia greca, il
connubio Ouranos-Gaia è simbolo dell'armonia tra i due principi supremi in ordine alla
vita e fecondità. Nella religiosità cinese il cielo è il principio attivo, mascolino, opposto alla
terra che è principio passivo e femminino. Attraverso l'azione del cielo e della terra si
esprime la galassia dei simboli della fecondità.
2) Un'altra linea che cerca il recupero dell'integrità dell'uomo è costituita dalla simbologia
del male, del peccato e della redenzione. E' la tipologia più propria per il recupero di questa
4
CHEVALIER, J., Dictionnaire des symboles, Paris, 1969. RICOEUR, P., Finitudine e colpa,
Bologna, 1970 (sul rapporto tra simboli e miti). OTTO, R., Il sacro, Milano, Feltrinelli, 1966.
55
integrità antropologica. Raccoglie la tipologia di male, colpa, peccato; redenzione, grazia,
salvezza. Con i simboli di croce e gloria; morte e vita; schiavitù e libertà; tenebre e luce.
56
2. IL RITUALE COME VITA SIMBOLICA DELLE RELIGIONI
Ogni religione ha una vita simbolica; ma a questo universo simbolico essa aggiunge altri
simboli concomitanti ed espressivi: la parola, il gesto, il canto, la danza. Cioè il rituale. E'
il rituale che, nelle religioni, costituisce la dinamica di significazione dei simboli; esso è
l'ermeneutica vivente dei simboli stessi. Come il mito dà una ricca contestualità simbolica
ai simboli religiosi mediante la parola e il racconto, così il rito crea la contestualità
simbolica ed eleva i simboli religiosi alla seconda potenza. Mito e rito, poi, sono due modi
di significare simbolicamente consostanziali l'uno all'altro e interagenti. Possiamo
catalogare i riti secono la tipologia degli oggetti rituali e dei comportamenti rituali.
1) Il tempio. Il primo tempio è la natura stessa. Alcuni luoghi diventano sacri, distinti da
altri, perchè vi si è manifestato il divino (sorgenti, alberi, boschi, montagne). In un secondo
momento si costruiscono templi. Dio risiede nel suo luogo, ma si manifesta visibilmente
nella dimora che gli uomini gli hanno costruita. Qui vi è la dialettica tra trascendenza e
immanenza, congiunta con il valore simbolico delle immagini, che però può divenire
ingenuamente presenza tout court del dio. Alcuni esempi. La ziqurat babilonese: il
simbolismo del tempio è legato alla presenza del dio, che scende nella sua stanza, posta
sulla cima. Gli ebrei: prima hanno santuari all'aperto, dove Dio si è manifestato
storicamente; poi la Tenda nel deserto, infine il Tempio; mantengono comunque un forte
senso della trascendenza. Anche per l'Islam la moschea non può essere considerata
l'abitazione di Dio, che è trascendente, ma luogo della preghiera comunitaria.
57
C. Dal punto di vista della intenzionalità abbiamo:
Riti apotropaici = sono una grande ermeneutica di mantenimento della propria identità.
Riti eliminatori = sono una ermeneutica del male e della difesa dal male.
Riti di passaggio = sono un'ermeneutica simbolica della vita e della morte. Concentrati
intorno agli eventi fondamentali dell'esistenza: nascita, pubertà, matrimonio, morte.
Dal punto di vista della movenza simbolica abbiamo gesti, canti, danza... quali elementi
sono inscindibili dal rito stesso.
Susanna Langer negli anni ‘30/40 – quando si va imponendo il nuovo imperialismo del
positivismo logico - sostiene che “ciò che è direttamente osservabile è solo un segno di un
fatto fisico e richiede interpretazione per produrre proposizioni scientifiche … Il trionfo
della scienza è messo a repentaglio dalla sorpendente verità che i nostri dati di senso sono
primariamente simboli”. La sua tesi è che ogni pensiero è pensiero simbolico, anche
quello dei neo-positivisti; e la simbolizzazione è il processo primario del pensiero.
58
funzione segnica “liberata” dalla sua strumentalità immediata e orientata al
rispecchiamento di esperienze e valori propriamente umani.
Sulla scia di queste categorie, possiamo approdare alla comprensione del simbolo:
esso si distacca sempre più dal segno. I segni annunciano i loro oggetti; i simboli
conducono a concepirli. La relazione tra segno e oggetto è molto semplice in quanto
si trovano in relazione univoca: a ogni segno corrisponde qualcosa di definito che è il
suo oggetto; il resto della funzione della significazione coinvolge il terzo termine, il
soggetto che usa la coppia.
59
In questa luce, il linguaggio stesso è nato dal rituale, che ne è la culla. Non sono le
immagini a dipendere dai concetti, ma i concetti dipendono dalle immagini. E’ rispauto
che storicamente il linguaggio è stato conservato e custodito dal rituale e che la
grammatica è nata, secondo molti autori, dal rituale. Per la lingua greca, molti sostengono
che essa sia nata in rapporto alla teoria musicale, alla danza e al rituale antico. Noi stessi
oggi conosciamo l’avestico, il gotico, l’alto tedesco, l’alto sassone e altre lingue oggi
scomparse, in relazione ai testi sacri religiosi.
Il rituale è una articolazione di sentimenti fondamentali. Non si pone nell’ordine del linguaggio
simbolico-discorsivo, ma simbolico-presentazionale, che è caratterizzato dalla immediatezza,
dall’essere costituito da forme visive, uditive, iconiche, attraverso una elaborazione preconcettuale,
dove il soggetto partecipa alla formazione del significato. In questo senso il rituale può essere
omologato all’opera d’arte, che è connessione di “sentimento e forma”. Anch’esso è costituito da
forme visive, uditive e iconiche ben ordinate. Il rituale è questo tentativo di creare “forme
simboliche”. Questo vale anche per la liturgia cristiana, la quale non ha come referente i sentimenti,
bensì l’evento del Mistero Pasquale di Cristo.
Il risultato positivo di questa creatività tende a fissarsi nel tempo per essere reiterabile negli
effetti benefici. L’articolazione del rituale non è più semplice emozione, ma atteggiamento
complesso e permanente. In questo modo, le regole ripetute e identiche corroborano il vivere
sociale, tonificano il gruppo, che riaccede alle cose ultime, al sacro, unico reale.
Ogni rituale è un dramma che esige l’assenso al suo significato e la partecipazione al dramma
stesso. Soltanto lasciandosi coinvolgere in esso, il rito ha il suo pieno significato. L’atteggiamento
di immedesimazione e di partecipazione viene esigito dal rituale, come dall’opera d’arte (questo
significa, almeno, sospendere volontariamente l’incredulità).
60
ULTERIORE APPROFONDIMENTO: IL RITUALE NELL’AMBITO DELLA
SOCIALIZZAZIONE E DELLA CULTURA
Per l'esperienza cristiana, il rito è una modalità di essere e di esprimersi che media,
risvegliandole, tutte le realtà silenziose della fede. Impegnando l'uomo e il cosmo nelle
articolazioni di linguaggio verbale e non verbale, riattualizza il "mito fondatore", così che
questi ha effettivamente luogo per mezzo del gesto umano.
Circa l'interpretazione del simbolismo religioso e della ritualità, l'unica tesi che
salvaguarda la dimensione religiosa dei simboli religiosi è la "scienza delle religioni"
(Otto; Van der Leeuw; Eliade). Essa afferma che l'interpretazione dei simboli religiosi,
nella loro variabilità, si muove verso l'ancoramento ad una invariante originaria nella mi-
sura in cui i simboli più profondi invocano una "Realtà Altra" non commensurabile.
Questa tesi rispetta la coscienza di colui che vive all'interno di un dato sistema simbolico-
religioso. L'unico approccio valido all'esperienza religiosa è di chi fa l'esperienza religiosa:
non si può comprendere senza credere. Il metodo scientifico positivista vuole isolare
l'esperienza religiosa dai suoi significati intenzionali mettendo in parentesi la verità
dell'esperienza religiosa stessa per poterla avvicinare "scientificamente". La fenomenologia,
invece, rispetta il rito nella sua consistenza propria e nella sua intenzionalità sacra,
lasciando sprigionare i significati che si rivelano nel fenomeno religioso6.
Il reale non viene mai raggiunto direttamente: si rende presente a noi mediante il linguaggio.
Il reale esiste per noi quando lo nominiamo. Senza la mediazione del linguaggio e della trama
simbolica costituita dalla cultura saremmo asserviti all'impero mortificante della cosa. Il simbolo
5
MAGGIANI, S., Linguaggio rituale per celebrare, o.c., p. 46-48.
6
Celebrare il Mistero di Cristo, o.c., p.67-71.
61
ci libera dall'imperialismo del reale; così l'uomo può riconoscere se stesso, l'altro e la realtà altra da
sè. Attraverso il simbolo si libera uno spazio dove viene resa possibile la vita umana. Nel
simbolismo rituale, non al di fuori di esso, ci è concesso di accedere al luminoso mistero
dell'Essere. Questo perché il rito – in quanto linguaggio simbolico – assume la realtà per smentirla
nella sua gestione ordinaria e per intenzionare una realtà più ampia. Attraverso la parola, il silenzio,
il segreto iniziatico, azioni “anormali” e anomale (danze, banchetti, azioni “trasgressive”, sprechi
inutili …) si verifica una svalutazione della realtà, per renderla atta a veicolare ciò che sta aldilà di
essa … La simbolicità è l’unico modo di darsi dell'Essere nella finitudine. "Il simbolo non
costituisce quella realtà come assente e soltanto promessa, ma la rende esibitivamente presente,
poichè è costituito proprio da quella realtà come il suo modo di presenza" (K. Rahner). Il rito è
linguaggio simbolico perchè rende presente ciò che è assente, cioè il Sacro. L’azione liturgica,
diceva Guardini, è come l’opera d’arte, che assume un segno culturale per stravolgerlo, per
trasformarlo, dischiudendo un altro mondo possibile.
Il rito, con questa svalutazione della realtà mediante la quale dischiude una realtà più
ampia, non soggiace alla concatenazione empirica di mezzi e fini, e quindi è di tipo
ludico. Il simbolismo dei riti è impratico; è espressivo, non strumentale, è fine a se
stesso. E’ un po’ come l’arte: il suo valore sta nell’efficacia con cui lo si esprime,
piuttosto che in qualsiasi finalità che si può cercare di raggiungere. L’aspetto ludico del rito
è l’apertura ad una realtà che non viene saturata dall’uomo e che diviene grembo per la
manifestazione del sacro. L’uomo ludico si trascende, in quanto, oltre al suo interesse
utilitaristico, gli appare una Totalità che riunisce tutte le cose individuali, in una presenza
accanto a noi7.
L'oggetto proprio della scienza liturgica è il rito. Esso si iscrive nel dinamismo
sacramentale di Cristo e della Chiesa, ma mantiene una propria configurazione
antropologico-culturale. Gli elementi che entrano in questo aspetto particolare della
sacramentalità sono reperiti nell'ambito storico-culturale. La ritualità, dunque, si diversifica
quanto a referenza (magico-naturalistica nei culti cananei, storico-salvifica in AT e
cristologica nel Nuovo Testamento); ma risponde al medesimo codice linguistico, che è
dato dallo statuto della creazione, non dalla sola rivelazione. Sono le scienze umane che
permettono di individuare i criteri cui deve rispondere la ritualità per legittimare la sua
capacità mistagogica.
7
TAGLIAFERRI, R., Il rito come salto simbolico nel sacro, in Amen Vestrum. Miscellanea in onore
di P. Visentin, Ed. Messaggero-Abb. S. Giustina, Padova, 1994 (Caro Salutis Cardo, Studi 9)
62
In questo paragrafo presentiamo una fenomenologia del rito religioso, per arrivare a
scoprire la sua verità. Sulla scia di autori come Guardini, Huizinga, H. Rahner,
individuiamo l'essenza del rito nella ludicità, coniugata con la dimensione simbolica8.
Il gioco è stato definito in questi termini: "è un'azione libera, conscia di non essere presa
sul serio e situata al di fuori della vita consueta, che nondimeno può impossessarsi
totalmente del giocatore; azione a cui in sè non è congiunto un interesse materiale, da cui
non proviene vantaggio, che si compie entro un tempo e uno spazio definiti di proposito,
che si svolge con ordine secondo date regole, e suscita rapporti sociali che facilmente si
circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal mondo
solito" (Huizinga). Possiamo così mettere a catalogo le caratteristiche essenziali del gioco.
Il gioco è una attività, perchè esiste quando si gioca; la non partecipazione lo compromette
radicalmente. E' un'attività libera, non obbligatoria; non è sottoposta a un dovere
morale; è attraente, gioiosa; si manifesta nella spontaneità dei movimenti,
nell'improvvisazione, nella distrazione. E' separata: esige uno spazio ed un tempo
determinati, entro i quali avviene una sospensione della normalità della vita. E' incerta,
perchè il risultato della gara non si può determinare. E' improduttiva, in quanto il gioco
non è congiunto ad un interesse materiale. E' regolata perchè si svolge con ordine,
secondo regole precise che non possono essere infrante, pena l'espulsione. E' un'attività
fittizia, nel senso che il gioco è irreale nei confronti della vita quotidiana, è situato fuori
della vita consueta e quindi sta al di fuori del processo di immediata soddisfazione di
bisogni e desideri.
Tentiamo ora di rintracciare gli stessi caratteri ludici del gioco nel rito.
- Il rito è un'attività. Il rito è "parola visibile", gesto, azione, movimento. Nel rito anche le
parole tendono all'azione. Ciò che si dice è ciò che si fa, al punto che l'elemento decisivo
non è tanto ciò che si dice, quanto il modo in cui lo si dice, l'atto di dirlo. Le celebrazioni
liturgiche sono di ordine pratico, è un agire che mira ad una efficacia reale e benefica per i
partecipanti.
I gesti rituali hanno la loro matrice nella corporeità dell'uomo, e contengono un forte
carattere simbolico (cfr. il contatto fisico; la prossimità e l'orientamento alla divinità;
l'aspetto esteriore; la positura del corpo; i cenni del capo e l'espressione del volto; i gesti).
Essi "ripetono" secondo rigide regole il mito cosmologico originario; sono il tentativo di
mobilitare la potenza divina e quindi in grado di immettere l'uomo alla presenza del Sacro.
8
GUARDINI, R., Lo spirito della Liturgia. I santi segni, Brescia, Morcelliana, 1980; HUIZINGA, J.,
Homo ludens, Torino, Einaudi, 1973; RAHNER, H., L'homo ludens, Brescia, Paideia, 1969.
63
- Il rito è un'attività regolata. La parola stessa deriva dal sanscrito rta che significa "ciò
che è conforme all'ordine". Si fa così perchè "gli antenati hanno stabilito così".
L'esecuzione rigidamente osservata del rito ripropone l'evento originario fondante, che
sottrae dai momenti critici della vita e rigenera l'equilibrio perduto del mondo. L'efficacia
del rito dipende dalla ripetizione fedele del cerimoniale prescritto: la perfezione
dell'esecuzione è garanzia per il positivo risultato della pratica cultuale.
- Il rito è un'attività separata nel tempo e nello spazio. La mentalità primitiva distingue
un "tempo sacro" e un "tempo profano". Il tempo sacro è qualitativamente diverso dal
tempo profano. Quest'ultimo è un cumulo di scorie che deve essere rigenerato dal tempo
divino, originario o escatologico. Il rito sacro festivo è una condensazione di potere sacrale
che attinge al tempo sacro e vi introduce i fedeli sottraendoli al provvisorio e al
frammentario. Lo spazio sacro, entro cui si svolge il rito, implica la ripetizione della
ierofania primordiale; ha una funzione simbolica: chi vi penetra può comunicare col sacro.
- Il rito è un'attività fittizia. Il fedele abbandona la vita ordinaria con le sue regole e si
pone al di fuori di essa, attraverso il bagno purificatore, gli abiti festivi, il gusto dell'eccesso
e della trasgressione. L'ebbrezza dionisiaca presente in certi riti, come la violazione delle
regole sociali o l'estasi alienante, trova la sua giustificazione nel tentativo dell'uomo di
regredire nel caos primordiale, per essere rigenerato dalla potenza del dio.
- I protagonisti del gioco e del rito, sono coinvolti nell'azione al punto da perdere la loro
identità. Funzionano da simboli, perchè sono mediatori tra Dio e gli uomini; e sono attori
passivi, come nel gioco, perchè, pur essendo gli esecutori materiali dei riti, si trovano ad
essere strumenti passivi nelle mani della potenza.
- Gli oggetti del gioco e del rito. Nel rito non hanno una funzione decorativa, ma sono
elementi indispensabili per la sua esecuzione ed efficacia. Alla realtà divina si accede
64
attraverso l'oggetto visibile. Tuttavia, come i giocattoli, appartengono alla stessa
dimensione ludica.
- Le parole nel gioco e nel rito. Nel gioco, la parola dando nome alle cose, le sottrae alla
pura presenzialità, trasfigura la realtà. Nel rito, il mito opera in modo identico. L'immagine
evocata dal mito è concepita assai realmente. Il mito è "parola santa", che risveglia il Sacro
e lo mette in azione nella ritualità.
Possiamo allora concludere che il rito è un simbolo ludico, teso a mediare il rapporto
religioso tra l'uomo e Dio, facendosi portatore del Sacro.
9
MAGGIANI, S., Linguaggio rituale per celebrare, o.c., p.50 ss.
65
"mito fondatore" del rito cristiano è l'evento pasquale di Cristo morto e risorto, con la
singolare caratteristica di non strappare dal presente per tornare "in illo tempore", agli inizi
posti fuori del tempo, ma di rendere attuale l'evento iniziale.
In conclusione: la verità dei riti consiste nella loro capacità "mistagogica" e che la loro
assunzione da parte delle religioni è legata a questa capacità di intenzionare il Sacro e di
immettere i fedeli a contatto con Dio come "gratuità".
- Il rapporto di continuità è dato dal fatto che il novum cristologico non elimina la
dimensione antropologica, ma la suppone. Il rito si mostra capace di ricevere e di reggere la
rivelazione di Dio, permette a Dio e all'uomo di incontrarsi a metà strada, nel rispetto
dell'uno e dell'altro. A questo punto è interessante verificare la continuità tra la dimensione
simbolico-ludica della ritualità, dedotta fenomenologicamente, e la dimensione teologico-
liturgica dell'eucaristia10.
10
Confronto sinottico in Celebrare il Mistero di Cristo, o.c., p. 114-118.
66
1. La liturgia è -ourgìa, non -logìa: appartiene all'ordine pratico; esige la partecipazione
attiva. Non dovrebbe essere necessario spiegare troppo i significati simbolici dell'azione
liturgica. La sua stessa esecuzione dovrebbe essere trasparente ed eloquente. L'azione
simbolico-liturgica non deve aver bisogno di parole aggiunte per conferire il significato,
perchè esso deve realizzarsi nell'atto stesso, capace di dar luogo ad una Epifania.
2. La liturgia deve conservare un carattere ludico: deve essere armonia, bellezza, gioco,
festa (canto, musica, danza, spontaneità, creatività). Non un dovere imposto, o l'esecuzione
formale di rubriche; questo rischia di neutralizzare le possibilità mistagogiche del rito.
Guardini individua la natura dell'azione liturgica secondo le categorie di arte e gioco. La
liturgia anzitutto è arte. Sia nell'opera d'arte che nell'atto liturgico è possibile una esperienza
di rapporto con la totalità a motivo della intenzionalità del soggetto che unicamente
permette l'apertura alla totalità. In secondo luogo, la liturgia è gioco. Nella descrizione della
liturgia Guardini afferma: "Nel servizio di Dio non ci sono scopi: non c'è da ottenere
questo o quello; tutto consiste nello stare di tutto l'uomo davanti a Dio, essere lì per lui. La
liturgia è eminentemente disinteressata; ma tutta imbevuta nel senso di servire Dio: su di
essa regna la grandezza di Dio". La liturgia non ha scopo, non ha finalità pratiche, non è un
mezzo, nè una tappa per raggiungere qualche nobile meta che sta fuori di essa. Il senso della
liturgia è "che l'anima stia dinanzi a Dio, si effonda dinanzi a lui, si inserisca nella sua
vita, nel mondo santo della realtà, verità, misteri, segni divini, e cioè si assicuri la vera e
reale vita sua propria"11. Questo modo di essere è un "gioco". "Nel gioco il bambino non si
propone di raggiungere nulla, non ha alcuno scopo. Non mira ad altro che ad esplicare le
sue forze giovanili ad espandere la sua vita nella forma disinteressata dei movimenti, delle
parole, delle azioni, e con ciò a crescere, a diventare sempre più perfettamente se stesso".
Nella liturgia "viene offerta all'uomo l'occasione di realizzare, sostenuto dalla grazia, il
senso più singolare e proprio del suo essere, d'essere quale egli dovrebbe e vorrebbe
essere in conformità alla sua vocazione divina: un figlio di Dio"12. Le categorie
"disinteresse, senso, arte e gioco", sono capaci di introdurci nella singolarità dell'agire
simbolico liturgico.
3. La liturgia deve essere gratuita, non deve essere funzionale ad altra cosa rispetto alla
celebrazione stessa. Secondo Guardini il senso tipico della liturgia è "glorificare Dio e far
respirare e crescere l'uomo nell'atmosfera del culto sacro. La liturgia è tanto più feconda
quanto più vi si mescolano un minor numero di intenzioni previe. Agisce come una luce
discreta che brucia senza fine, come una dolce brace che spande continuamente il suo
calore, come una forza che, senza rumore compie la sua opera di purificazione e di
formazione: ma per questo ha bisogno della calma e della libertà di uno sviluppo che non
abbia scopi interessati" (Lettera al Vescovo di Magonza)13.
11
GUARDINI, R., Lo spirito della liturgia, o.c., p.77. 81.
12
GUARDINI, R., Lo spirito della liturgia, o.c., p. 83. 85.
13
Citato da BUSANI, G., I compiti del Movimento Liturgico: la proposta di Romano Guardini, in
Liturgia: temi e autori, Roma, CLV-Ed. Liturgiche, 1990, p.92. 95.
67
4. La liturgia esige il concorso del popolo di Dio, non è affare privato o una pratica
devozionale. Deve favorire la comunicazione, l'incontro, il perdono, la ministerialità.
Guardini sostiene che per poter compiere l'atto liturgico, la capacità simbolica deve espri-
mersi in azioni simboliche. Per questo occorre anzitutto la partecipazione. "Partecipare è
agire in modo tale che si prende parte all'azione di un altro... Quando il prete celebra non
lo fa per sè, in modo privato, ma per tutti. Tutti sono chiamati a entrare nel movimento
della celebrazione... La struttura della liturgia è tale che tutti possono e debbono avervi
accesso". Partecipare è realizzare insieme una azione (l'opposto è la passività); tutti, fedeli e
sacerdote, sono coinvolti in questa azione (l'opposto è la clericalizzazione). Per realizzare la
partecipazione è necessario il raccoglimento. E' la condizione per compiere attivamente
qualsiasi azione umana. Questo vale in modo particolare per la liturgia: "Io devo prendere
intimamente coscienza, sì, ma la presenza di attenzione deve prolungarsi in presenza di
azione. E ciò non è possibile senza il raccoglimento. E' dal raccoglimento che nasce la
vera partecipazione"14.
6. La liturgia non ammette la sacralizzazione dei simboli rituali, come se la loro efficacia
fosse automatica, indipendente da una corretta esecuzione e dall'ambiente culturale.
8. Infine la liturgia esige uno stacco dal profano. Nell'Assemblea liturgica i battezzati
celebrano ciò che è loro proprio: la loro appartenenza a Gesù Cristo, che li unisce alla
liturgia del Cielo e li rende estranei ad ogni logica mondana.
14
Testi riportati da BUSANI, G., I compiti del Movimento Liturgico, o.c., p.103.105.
15
GUARDINI, R., Lo spirito della liturgia, o.c., p. 119.
68
non è più stato capace di compiere l'atto liturgico. Il comportamento religioso per lui era
un fatto semplicemente interiore e individuale, che poi in liturgia assumeva anche il
carattere di un cerimoniale pubblico e ufficiale. Con ciò il senso dell'azione liturgica era
perduto: il fedele non compiva un atto propriamente liturgico, bensì un atto interiore
privato, circondato dal cerimoniale e non di rado accompagnato dalla sensazione che quel
cerimoniale gli era causa di disturbo" (Lettera al vescovo di Magonza). E' necessario per-
tanto recuperare la capacità simbolica, non solo perchè la sua perdita ha determinato la
decadenza della liturgia, ma anche perchè ha determinato la frantumazione dell'esistenza.
l'autentica realizzazione dell'uomo si dà nel giusto modo di vivere il rapporto anima e corpo
e il rapporto con la realtà materiale, fatto di relazione e distinzione.
Tale rapporto si realizza in modo eminente nell'esperienza simbolica; perciò l'uomo diviene
se stesso nel rapporto simbolico.
Nella liturgia tutto è simbolo, perchè l'azione liturgica coinvolge tutto l'uomo, anima e
corpo, ed inoltre implica necessariamente l'elemento materiale al punto che, quando la
liturgia elimina tali correlazioni, nega se stessa.
L'uomo ha bisogno della liturgia per essere se stesso perchè essa gli offre un'esperienza
simbolica; parimenti, la liturgia esige fedeli con capacità simbolica per essere "agita" e
compresa autenticamente. "La liturgia ha come protagonista l'uomo nella sua azione e in
essa l'uomo diviene sempre più umano perchè la sua corporalità nell'azione liturgica si
anima e sempre più profondamente si spiritualizza, si trasfigura e la sua anima più piena-
mente si esprime, si manifesta, si incorpora. Accade il processo simbolico"17.
16
GUARDINI, R., Lo spirito della liturgia, o.c., p. 68.
17
Citato da BUSANI, G., I compiti del Movimento Liturgico, o.c., p.102.
69
CAPITOLO IV
Il Vaticano II sfocia in una teologia della liturgia partendo non da una ricerca a priori, ma
guidato da una rilettura della liturgia in chiave pastorale, tanto che si potrebbe parlare di
una "teologia della celebrazione liturgica". La categoria unificante dei criteri della riforma
liturgica è quella di una celebrazione liturgica pastoralmente proficua. Si trattava di
superare la frantumazione delle "tradizioni" mediante l'innesto della liturgia nella
"tradizione", cioè nella storia della salvezza; e di superare la visione statico-giuridica
riportando la liturgia nella linea sacramentale, come azione di Cristo nel suo Corpo che è la
chiesa1. Abbiamo pertanto il superamento definitivo di una visione rubricistica, in favore di
una concezione più teologica del culto cristiano. Questo lavoro, avviato dal Movimento
liturgico e dalla "Mediator Dei" (1947), nella SC riceve finalmente una conformazione
teoretica più rigorosa.
I meriti della Mediator Dei sono grandissimi. Essa ha rappresentato un passo decisivo nello
sviluppo del rinnovamento liturgico, creando la base della riforma conciliare. Ma la
trattazione relativa alla natura, all’origine, alla sostanza della liturgia parte da una visione
speculativa che non è legata al proprium della rivelazione cristiana (anche se questo
proprium c’è poi nell’enciclica). In MD 11 la liturgia rientra nella virtù della religione ed è
“il debito culto all’unico vero Dio”. Poi viene qualificata come “culto pubblico che il
nostro Redentore rende al Padre come Capo della Chiesa… il culto integrale del Corpo
mistico di Gesù Cristo cioè del Capo e delle sue membra” (MD 16). Ma resta sempre in
dipendenza da questo concetto primario, che è la sua base e quindi anche il suo limite2.
1
MARSILI, S., La liturgia, momento storico della salvezza, in Anàmnesis I, o.c., p.88.
2
DOSSETTI, G., Per una chiesa eucaristica. Rilettura della portata dottrinale della Cost. Lit. del
Vat. II°. Lezioni del 1965. a cura di G. Alberigo e G. Ruggieri, Il Mulino, Bologna 2002, p. 40.45.
3
BONACCORSO, G., Introduzione allo studio della liturgia, Padova, Messaggero, 1990, p.29 ss.
70
1. DIMENSIONE CRISTOLOGICA.
La presenza di Cristo nei misteri celebrati è uno degli elementi fondamentali sottolineati
dal Concilio (SC 7). La presenza di Cristo è qualificata come sacerdotale: la liturgia rivela
Cristo sacerdote e, di conseguenza, la sacerdotalità della chiesa. Il soggetto della liturgia è
cristologico ed ecclesiologico.
I momenti di questa presenza sono: 1) nel sacrificio della Messa; 2) nei sacramenti; 3) nella
parola; 4) nella preghiera comunitaria. Circa il modo di questa presenza l'enciclica
"Mysterium fidei" precisa che vi sono diverse "presenze reali"; quella eucaristica è presenza
reale per eccellenza (= per ragione propria); inoltre precisa che vi è differenza circa il modo
della presenza: nell'eucaristia è permanente, nelle altre celebrazioni è transeunte, perchè
legata alla celebrazione stessa. Anche nella Messa, tuttavia, vi è una presenza reale
permanente (= quella legata al corpo sacramentale di Cristo), ed una transeunte (= quella
del sacrificio, che è legata alla celebrazione). Infine, la presenza reale di Cristo nella liturgia
è data dal fatto che il "rito" è "immagine" dell'avvenimento/Cristo, che è "realtà" rispetto
alle ombre e figure dell'Antico Testamento: "Nella legge vi era l'ombra delle cose future,
non possedendo essa l'immagine della realtà avvenuta" (Eb 10,1). "Eccoci ormai non più
nell'ombra, nella figura e nel tipo, ma nella realtà; tu, o Dio, non per via di specchi e di
enigmi, ma a faccia a faccia ti sei rivelato a me e io ti trovo nei tuoi sacramenti"
(Ambrogio, Apol. David I,12,58). Il "rito-immagine" del Nuovo Testamento non è solo
"segno", ma è presenza reale dell'evento di salvezza cui si riferisce5.
2. DIMENSIONE SOTERIOLOGICA.
Partendo dalla rivelazione-storia della salvezza, SC giunge gradualmente alla liturgia come
azione salvifica di Cristo nella chiesa (SC 5-6). La storia della salvezza viene presentata nei
suoi diversi momenti: nella preparazione profetica; nel suo compimento in Cristo; nel
prolungamento nel tempo della chiesa.
4
CASEL, O.. Fede, gnosi, mistero. Saggio di teologia del culto cristiano. Ed. it. A cura di A. Grillo
(Caro salutis cardo, Studi/Testi, 14), Ed. Messaggero – Abb. S. Giustina, Padova 2001, p. 102-109.
5
MARSILI, S., La liturgia, momento storico della salvezza, o.c., p.95-96.
71
Il mistero pasquale di Cristo (= passione, risurrezione, ascensione), come sintesi di tutta
la storia della salvezza, viene posto al centro della storia della salvezza (SC 5); e al
centro della liturgia: sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento il momento rituale della
Pasqua (quello profetico unico e irrepetibile, celebrato in Egitto prima dell'Esodo, e
nell'Ultima Cena da Gesù), e quello celebrativo iterato (la celebrazione pasquale ebraica
annuale, e la celebrazione eucaristica della chiesa) è centrale. SC presenta la liturgia come
attuazione dell'opera della salvezza di Cristo "per mezzo del sacrificio e dei sacramenti";
"da allora la chiesa mai tralasciò di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero
pasquale" (SC 6)6.
Pertanto, la presenza di Cristo e la sua attività sacerdotale sono strettamente connesse alla
storia della salvezza e ne costituiscono un momento centrale. La forte connessione tra
Cristo-Chiesa-Sacramenti fa superare il rubricismo dela liturgia, restituendole tutto il suo
respiro vitale. La liturgia appare qui nel suo oggetto proprio: la storia della salvezza. Tale
oggetto è dinamico, in quanto la liturgia è immersa nella storia della salvezza. Da qui
deriva la sacramentalità della liturgia, che possiamo individuare
a) nel rapporto tra Scrittura e liturgia, anzitutto. La liturgia esige la lettura della
Scrittura, perchè è avveramento dell'annuncio; la Scrittura, nella liturgia, diventa annuncio-
proclamazione di un avvenimento di salvezza presente; pertanto la Scrittura trova nella
liturgia la sua interpretazione concreta e reale.
b) Nel rapporto tra rito e liturgia, dove il rito (che si radica nella esigenza antropologica
del rapporto tra l'uomo e il divino) è riferito al "segno-sacramento" primordiale che è
Cristo, ed è attuazione, in regime di segni, del mistero di Cristo7.
3. DIMENSIONE ECCLESIOLOGICA
SC 10 stabilisce i rapporti tra liturgia e altre attività della chiesa. La liturgia, definita
"culmine e fonte" di tutta l'azione della chiesa, si pone come l'orizzonte di senso della
chiesa, cioè il suo "perchè". L'eucaristia, in particolare, è il vertice della vita cristiana, per
il posto privilegiato che ricopre all'interno dell'intera vicenda liturgica, la quale nella sua
globalità è manifestazione dell'amore di Dio. La liturgia, qui definita nel suo rapporto con
tutta l'azione della chiesa, rivela una coessenziale prospettiva pastorale.
Un'altra pista ecclesiologica è data dal fatto che la liturgia ci rivela la natura della chiesa,
"il che cosa". "Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della chiesa,
6
DOSSETTI, G., Per una chiesa eucaristica, o.c.
7
MARSILI, S., La liturgia, momento storico della salvezza, o.c., p.96-105.
72
che è "sacramento di unità", cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei
vescovi" (SC 26). Anzitutto liturgia e chiesa si incontrano intorno al valore dell'unità. La
liturgia non è affare privato, ma comunitario, perchè dipende dalla dimensione comunitaria
della chiesa; e si realizza nel "sacramento", che è l'avvenimento fondamentale della liturgia.
Quindi la dimensione comunitaria è l'avvenimento fondamentale della liturgia.
Liturgia e chiesa si incontrano anche nella comune "struttura dialettica", che è lo statuto
proprio della "dimensione sacramentale": visibile/invisibile, umano/divino,
presenza/assenza. A questo livello, la liturgia appare come il luogo dove il corpo di Cristo
si rivela e si manifesta come chiesa, ossia nella sua vera natura di sacramento, in cui si
verifica la comunione con Cristo. Il polo visibile è dato dagli elementi reperibili
nell'ambito storico-culturale. Pertanto la fedeltà della chiesa alla "sacramentalità" è fedeltà
anche al dato culturale e alla storia. Quindi nella stessa natura sacramentale della chiesa è
inscritta l'esigenza pastorale (adattamento e creatività). Possiamo cogliere, in
SC 2.26, l'aspetto liturgico della chiesa, cioè che la chiesa è "liturgica" per intima
costituzione8. Si potranno sviluppare i seguenti capitoli: 1. la chiesa comunità cultuale; 2. la
chiesa comunità sacerdotale; 3. liturgia e sacerdozio comune; 4.sacerdozio spirituale e
sacrificio spirituale.
4. DIMENSIONE ESCATOLOGICA.
Liturgia e chiesa hanno una comune prospettiva escatologica: "Nella liturgia terrena noi
partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di
Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di
Dio quale ministro dei santi del vero tabernacolo" (SC 8). LG 50 conferma questa
prospettiva: "La nostra unione con la chiesa celeste si attua in maniera nobilissima,
quando, specialmente nella sacra liturgia, nella quale la virtù dello Spirito santo agisce su
di noi mediante i segni sacramentali, in comune esultanza cantiamo le lodi della divina
maestà e tutti... riscattati col sangue di Cristo e radunati in un'unica chiesa, con un unico
canto di lode glorifichiamo Dio uno e trino". La liturgia che si celebra sulla terra non ha
altro fondamento che la liturgia celeste; la liturgia terrestre è icona di quella celeste. Questa
dimensione si manifesta, ad esempio, nell’inno cherubico della liturgia bizantina o nella
citazione della liturgia celeste a conclusione del prefazio nel rito latino. La presenza della
liturgia celeste in quella terrestre trasforma quest’ultima in festa, dato che la gioia delle Tre
divine Persone si diffonde negli eventi dello spazio e del tempo della creazione e questa
sperimenta la sua straordinaria e festosa conferma della propria esistenza.
8
MARSILI, S., La liturgia, momento storico della salvezza, o.c., p. 111-136.
73
5. CONCLUSIONE.
mistero = ufficio sacerdotale di Gesù Cristo; opera di Cristo sacerdote e del suo corpo;
azione = celebrazione liturgica; azione sacra; con segni sensibili; viene esercitato il culto
pubblico integrale;
9
SODI, M., Celebrazione, in Nuovo Dizionario di Liturgia, Roma, Paoline, 1983, p.240-248.
74
mistero della salvezza, coinvolgendovi i fedeli partecipanti. La
dimensione della vita è coessenziale alla celebrazione del mistero; la liturgia, infatti, è il
mistero celebrato per la vita, e nello stesso tempo è la vita del fedele, nella chiesa, che
culmina nell'azione liturgica, perchè il mistero si attualizzi per rinnovare la faccia della terra
e dar gloria alla Trinità.
Sinteticamente possiamo definire la liturgia come "il mistero totale, sintetizzato in quello
pasquale, celebrato nella azione per eccellenza, cioè nella celebrazione liturgica, per la
vita del popopolo di Dio e del fedele nel Corpo di Cristo, che è la chiesa. Nello stesso
tempo la liturgia è la vita del fedele che culmina nella azione liturgica, perchè il mistero si
attualizzi nella chiesa, per rinnovare la faccia della terra e dar gloria alla Trinità"10.
Di per sè la celebrazione liturgica non esaurisce tutta la realtà liturgia, che è più ampia
del momento celebrativo, perchè il "prima" celebrativo culmina nella azione celebrativa, e
il "dopo" celebrativo proviene dalla azione celebrativa. Ora, per quanto il mistero in sè
considerato e la vita del fedele esistano prima e dopo la celebrazione, tuttavia stanno in
relazione inscindibile con l'azione liturgica. E' questa l'evento ordinato sia alla
santificazione degli uomini e alla edificazione della chiesa (= dimensione discendente), sia
alla glorificazione di Dio e al suo culto in Cristo (= dimensione ascendente) (cfr. SC 5).
Nella sua dimensione discendente la liturgia è il mistero celebrato per la vita dell'uomo,
che per opera dello Spirito Santo diventa nuova creazione, figlio adottivo del Padre in
Cristo, che ha in sè la caparra della vita eterna (2 Cor 1,21-22; 5,5; Ef 1,4). Nella sua
dimensione ascendente la liturgia è la vita che culmina nella celebrazione perchè il mistero
raggiunga la sua finalità ultima, che è quella di rendere culto in Spirito e verità. Tale culto
si compie in, con, per Cristo unico mediatore, "virtute Spiritus Sancti". In altri termini: le
finalità della liturgia (= santificazione degli uomini e culto in Spirito e verità) non sono
concepibili, comprensibili, espletabili se non per opera dello Spirito Santo11.
E' nella, e per mezzo della celebrazione che il mistero si realizza, si attualizza, si perpetua,
si rende presente nel tempo e nello spazio. Questo fatto esige, pertanto, da parte del fedele
una intima ed attiva partecipazione (fondata sul sacerdozio battesimale; sul primato del
sacrificio spirituale; sul fatto che l'azione liturgica appartiene a tutto il popolo di Dio
gerarchicamente ordinato).
10
TRIACCA, A.M., Spirito Santo, in Nuovo Dizionario di Liturgia, o.c., p.1407-1408.
11
TRIACCA, A.M., Spirito Santo, o.c., p.1408.
75
liturgica in quanto l'azione di Dio è contemplata, celebrata e vissuta nella azione
liturgica"12.
2. LE MODALITA' CELEBRATIVE.
12
SODI, M., Teologia liturgica eucaristica. Estratto della tesi di laurea in teologia liturgica presso il
PIL nell'Ateneo S.Anselmo in Roma, Roma, 1978, p.21-23.
13
TRIACCA, A.M., Spirito Santo, o.c., p.1408.
14
TRIACCA, A.M., Pneumatologia, epicletologia o paracletologia?, "Salesianum" 48 (1986), p.67-
107. Distingue tra epiclesi stricto sensu (= celebrative eucaristiche); epiclesi lato sensu (=
celebrative extra eucaristiche) ed epiclesi extra celebrative.
76
CAPITOLO V
L'ANNO LITURGICO
“Fugit irreparabile tempus” (Virgilio). La sensazione che tutti abbiamo è che il tempo ci
sfugge tra le dita e non possiamo dominarlo. La Rivelazione ci dice che il tempo ha un
inizio (en arkè Gn 1,1) e una / un fine (Marana tha Ap 22,20). E dunque c’è una storia e
un progetto; una storia di salvezza e un progetto di salvezza. La Liturgia riprende tale
progetto e ci introduce in esso organizzando il tempo in quello che chiamiamo “ANNO
LITURGICO”. Pertanto l’Anno liturgico risolve in modo intelligente l’enigma del
tempo, rivelandone il senso: inizio, attesa, compimento, completamento escatologico.
Può essere utile un confronto veloce con visioni culturali e religiose diverse dal mondo
biblico, in cui MITI e RITI propongono una soluzione diversa del problema
“TEMPO”.
Il mito racconta eventi che hanno avuto luogo "in principio", cioè in un istante
primordiale e atemporale, in un arco di "tempo sacro". Questo tempo mitico o sacro è
qualitativamente diverso dal tempo profano, dalla durata continua e irreversibile, in cui si
inserisce la nostra vita quotidiana e desacralizzata 1. I miti sono veri in quanto sono sacri,
cioè parlano di avvenimenti sacri. Pertanto nell'atto di recitare o di ascoltare un mito, si
riprende contatto con la realta sacra. Così si supera la condizione profana, la situazione
temporale ottusa e ottenebrata, che non è la vera realtà, ma la realtà originaria e divina
decaduta.
1
ELIADE, M., Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico-religioso, Milano, Jaka Book, p. 55-
84.
77
tempo profano viene annullato: il narratore e il suo pubblico sono proiettati nel tempo sacro
e mitico, che è il tempo vero, la realtà vera e non illusoria. Attraverso i riti e l'imitazione dei
modelli esemplari raccontati dal mito, gli eventi mitici cosmogonici sono riattualizzati e il
tempo viene rigenerato. Il mito e il rito strappano l'uomo dal tempo cronologico che gli è
proprio, e lo proiettano simbolicamente nel Grande Tempo, il Tempo Sacro, l'istante
paradossale che non può essere misurato in quanto non costituisce una durata.
Secondo la mitologia indiana, il tempo profano, storico, crea delle illusioni. Chi vive in
esso è convinto di vivere nella realtà, mentre tutto è illusione, perchè tutto passa. Diventa
orgoglioso e presuntuoso, perchè ignora la realtà. Il tempo cosmico è un susseguirsi infinito
di cicli temporali cosmici, in cui si avvicendano, in cifre sempre più terrificanti, creazioni e
distruzioni periodiche dell'universo. Il senso di queste valanghe di cifre è il carattere ciclico
del tempo cosmico, l'eterna ripetizione del ritmo fondamentale del Cosmo, la sua periodica
creazione-distruzione-ricreazione.
In questo modo, la vita umana in quanto storia, cioè susseguirsi di vicende, di dinastie e
imperi, di rivoluzioni e controrivoluzioni, di società e di civiltà costruite con lo sforzo di
migliaia di generazioni, è svuotata metafisicamente; è illusoria, precaria, evanescente. Lo
stesso universo è svuotato di realtà, perchè gli universi nascono in continuazione dagli
innumerevoli pori del corpo di Visnu, il grande Dio che dorme sulle acque dell'Oceano
primordiale, e scompaiono con la rapidità di una bolla d'aria che scoppia una volta
raggiunta la superficie dell'acqua. Pertanto: l'esistenza nel tempo è, dal punto di vista
ontologico, una non-esistenza, una irrealtà. Il mondo intero è illusorio, privo di realtà,
perchè la sua durata è limitata e, nella prospettiva dell'eterno ritorno, è una non-durata,
poichè dura lo spazio di un istante.
Come "liberarsi" dalla precarietà e dalla irrealtà ontologica dell'universo, il cui tempo è
condannato ad un eterno ritorno? Ci si può salvare in due modi: a) con la ricerca della
Realtà assoluta, liberandosi dall'illusione di questo mondo, rinunciando ad esso mediante
una ascesi totale e la contemplazione; b) rimanendo in una vita attiva, nel mondo, ma con la
"rinuncia a godere del frutto delle proprie azioni". In ambedue i casi si tratta di non credere
unicamente alla realtà delle forme che nascono e fioriscono nel tempo che, dal punto di
vista ontologico, sono prive di sostanza.
Atterrito dal numero senza fine di nascite e rinascite degli universi, la mentalità indiana si è
sentita costretta a sfuggire a questa ruota cosmica e a queste trasmigrazioni infinite.
Mediante dottrine e tecniche mistiche, l'uomo può liberarsi dal ciclo infernale di vita-morte-
rinascita e dal dolore che ne consegue. Liberarsi da questo tempo cosmico significa liberarsi
da questo mondo e ottenere la salvezza. Chi ottiene l'iiluminazione diventa un jivanmukta,
un "liberato nella vita"; in virtù di ciò, supera il tempo, non è più sottoposto alla durata. Sul
piano simbolico: per l'illuminato, il Sole (= il tempo) rimane immobile; l'illuminazione è
come un lampo che realizza il miracolo dell'uscita dal tempo e dallo spazio.
78
Anche per il buddismo il tempo è costituito da un flusso continuo. Per questo ogni forma
che si manifesta nel tempo è precaria: l'istante presente si trasforma in passato, in non
essere; quindi il mondo temporale è inconsistente sul piano ontologico. L'unica via di
salvezza è il Budda: la sua esistenza è semplice, non composta, atemporale; egli ha superato
il tempo cosmico; in lui non c'è nè presente nè avvenire. Egli si identifica così con il
Dharma (= la realtà assoluta).
La salvezza per gli umani consiste allora nel raggiungere la "non durata", la stasi,
l'immobilità, l'eterno presente. Lo yoga è anzitutto la soppressione degli stati di coscienza,
del flusso psico-mentale. Questo avviene mediante il controllo del ritmo respiratorio. "Tutto
lo yoga non vuol dire che una cosa: nelle variazioni imprigionate della respirazione, trova
il punto in cui rendi immortali tutte le cose a partire da te stesso" (M. Eliade).
Progressivamente, il monaco si sforza di diventare un "cosmo" perfetto, un uomo glorioso,
in perfetta salute fisica, signore assoluto del suo corpo e della sua vita psico-mentale,
capace di concentrarsi, cosciente di sè. Così si integra perfettamente nei ritmi del grande
Tempo cosmico. Entra in uno stato non condizionato e senza tempo. Infine raggiunge uno
stato di estasi, in un eterno presente.
PANORAMA STORICO.
La festa ha anche una dimensione morale e di impegno per la vita dei credenti che
celebrano l'azione salvifica (cfr. Rm 12,1). E comporta una dimensione "prolettica": il
memoriale è celebrato in attesa del compimento escatologico, tra il già della salvezza
donata e il non ancora di quella definitiva.
2
Anàmnesis VI. L'anno liturgico: storia, teologia e celebrazione, Marietti, Genova, 1988, p.27-28.
79
2. EPOCA PATRISTICA E FORMAZIONE DELL’ANNO LITURGICO 3.
Originariamente la domenica è l'unica festa. E' la pasqua settimanale dei cristiani,
avente come centro la fractio panis (cfr. At 20,7; 1 Cor 16,2; Ap 1,10. Cfr. anche SC 6)4.
Fin dal I sec. mercoledì e venerdì sono ferie consacrate al digiuno. Nel II sec. sono
giorni di "stazione" (cfr. Didakè, Erma, Clemente Al., Tertulliano), in cui si tiene la
preghiera comunitaria, ma non ancora l'eucaristia. Quando, verso il VI sec. l'eucaristia sarà
celebrata tutti i giorni, questi due giorni restano aliturgici.
1. Il ciclo pasquale.
La celebrazione annuale della pasqua appare già nel II secolo. In giorno di domenica è
attestata per la prima volta nell'intervento di Papa Vittore (189/198) nella disputa con i
Quartodecimani. Questa divergenza attesta non solo una prassi liturgica diversificata, ma
anche una lettura differenziata dell'identico mistero. Nel II secolo si celebra un giorno
preciso dedicato alla memoria della pasqua di Cristo. E' una celebrazione notturna, il
sabato notte, che sfocia nella domenica di risurrezione. In essa si celebrano i sacramenti
della iniziazione cristiana (cfr. Traditio A.). E' preparato dal sabato (memoria della
sepoltura), giorno aliturgico, in cui si svolge l'ultima rinuncia ed esorcismo dei catecumeni;
e dal venerdì (memoria della passione), con una celebrazione della Parola; viene poi
introdotta la venerazione della croce e la comunione eucaristica. Più tardi si includerà anche
il giovedì, con la riconciliazione dei penitenti (inizialmente solo a Roma) e la memoria
della Cena.
Nella chiesa di Alessandria fin dal III secolo si celebra un ampliamento della Pasqua:
una settimana "de Passione", che inizia la domenica. Probabilmente quest'uso si trova
anche in Roma.
La Cinquantina pasquale. E' celebrata inizialmente come unico grande giorno che
dilata la domenica di risurrezione. L'Ottava di pasqua, con forte carattere battesimale, è
celebrata fin dal IV sec. La Pentecoste con la vigilia, celebrata come pendant della veglia
3
NOCENT, A., in Anàmnesis VI, o.c., p.37 ss.
4
VISENTIN, P., Domenica: dalla celebrazione pasquale a osservanza legale, in Culmen et fons.
Raccolta di studi di liturgia e spiritualità, I, a cura di R. Cecolin - F. Trolese , Padova, Messaggero,
1986, p.295-316.
80
pasquale, con ulteriori battesimi (nel IV sec.). L'Ascensione, tra la metà del IV secolo e il V
secolo si diffonde ovunque. L'Ottava di Pentecoste viene introdotta verso la fine del VI
secolo, quando viene meno il significato della Cinquantina pasquale .
2. Il ciclo natalizio.
La istituzione della festa del Natale ci pone in presenza della esigenza della chiesa di
esplicitare a livello celebrativo, nel circolo dell'anno, l'unico mistero fino allora celebrato,
quello pasquale.
Il Natale. Nella prima metà del secolo IV l'incarnazione del Verbo è celebrata in due date
distinte: in Oriente il 6 gennaio; in Occidente il 25 dicembre. Alla fine del sec. IV in
Occidente si celebrano tutte due, con una accentuazione particolare per ognuna
(incarnazione e manifestazione). Il Natale al 25 dicembre è indicato la prima volta nel
Cronografo del 354, ed ha un valore apologetico: 1) per contrastare la festa pagana del
"natalis solis invicti" a Roma (25 dicembre), e in Egitto (6 gennaio); 2) per contrastare
l'arianesimo, proclamando l'incarnazione del Verbo. La fede di Nicea viene così celebrata e
pregata. Ma solo con Papa Leone Magno vi sarà l'approfondimento teologico-liturgico di
questa festa.
L'Avvento. Nasce come pendant della Quaresima. Luogo di origine è la Gallia e la Spagna
(fine sec. IV), come tempo di ascesi, in un primo momento. A Roma sarà introdotto più
tardi. La formazione dell'Avvento corrisponde al bisogno di preparare la prima venuta di
Cristo nella carne e la seconda venuta nella gloria.
3. Le Quattro Tempora.
La data della loro introduzione è oscura. E' possibile che la scelta di questi tempi si
riferisca alla mietitura (Pentecoste), alla vendemmia (settembre), alle semine (dicembre),
alla primavera (marzo). La motivazione sembra quella ascetica, in modo da non lasciare la
penitenza solo alla Quaresima.
Il culto dei martiri risale ad uno stadio antichissimo (in Oriente con il martirio di
Policarpo nel 167; in Occidente con il martirio di Papa Callisto nel 222). I martiri sono
assimilati a Cristo morto e risorto. Il concetto originario di santità cristiana conserva
dunque un rapporto radicale e intimo con il mistero pasquale, che ne costituisce il
prototipo.
Il culto della Vergine nasce a Gerusalemme (basiliche edificate nel V-VI sec.). Papa
Sisto III nel V sec. fa costruire S.Maria Maggiore. La I festa ufficiale nella liturgia
romana è il "Natalis S. Mariae" il I genn. (sec. VII). In seguito le altre: 2 febbraio, 15
agosto, 25 marzo. Si moltiplicheranno nel Medio Evo e con la "devotio moderna".
81
Le feste del Signore. Sono soprattutto "feste di dogmi" teologici. Le più importanti,
presenti in Oriente e in Occidente, sono la Trasfigurazione; l'Esaltazione della Croce (in
Oriente pari alla pasqua); la Dedicazione. In Occidente vi sono feste particolari di carattere
dogmatico: SS. Trinità (verso il IX sec.); Corpus Domini (1247/1264, basata sulla presenza
reale e sulla adorazione); S. Cuore (dal 1675); Cristo Re (1925, a carattere teologico
apologetico).
3. Possiamo dire ancora che l'articolarsi concreto dell'anno liturgico e i contenuti con
cui le diverse festività vengono celebrate manifestano la specifica tradizione
catechetica di una chiesa locale. L'anno liturgico si forma in chiese locali concrete, sotto
la spinta della necessità pastorale della catechesi ai catecumeni e ai fedeli. Pertanto può
essere interpretato come la struttura pastorale nella quale e per la quale si articola
l'azione con cui le chiese tendono a far vivere le dimensioni del mistero di Cristo
celebrato nel culto.
2. IL PERIODO SUCCESSIVO
82
salvifico. Subentra un processo progressivo di legalismo e individualismo (il precetto). Si
sviluppano in modo abnorme il santorale e la pratica devozionale. I santi sono considerati
eroi della fede, autonomi rispetto al mistero di Cristo. Il Medioevo conosce la dilatazione
delle celebrazioni mariane in chiave affettivo/patronale e di "privilegi".
CRITERI DI RIFORMA
CONTENUTI E SIGNIFICATO
1. Nel ciclo liturgico annuale la chiesa "celebra con sacra memoria... l'opera della
salvezza del suo sposo divino... Presenta poi tutto il mistero di Cristo." (SC 102). SC
recupera le conquiste del Movimento liturgico; supera il dualismo della Mediator Dei, e si
riaggancia alla tradizione patristica. Viene suggellato il valore misterico-salvifico dell'Anno
liturgico: "Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli le
ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, così che siano resi in qualche
modo presenti in ogni tempo, perchè i fedeli possano venirne a contatto ed essere ripieni
della grazia della salvezza" (SC 102).
83
dell'intero sviluppo dell'Anno liturgico, in quanto è "fondamento e nucleo di tutto l'anno
liturgico".
1. Il triduo pasquale. "Il triduo della passione e della risurrezione del Signore risplende
al vertice dell'anno liturgico, poichè l'opera della redenzione umana e della perfetta
glorificazione di Dio è stata compiuta da Cristo specialmente per mezzo del mistero
pasquale, col quale, morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha ridonato la vita.
La preminenza di cui gode la domenica nella settimana, la gode la pasqua nell'anno
liturgico" (Calendario romano, 18).
Giovedì Santo. Dall'eucologia e dal lezionario appare una ricomposizione tematica organica
attorno al tema eucaristico. Gli elementi della istituzione eucaristica, della lettura della
Passione e della lavanda dei piedi vanno vissuti come la riattualizzazione dell'intero mistero
pasquale nel segno del convito pasquale.
Venerdì Santo. A livello di struttura restano dei problemi irrisolti, quali l'opportunità o
meno del rito della comunione, e il rischio di enfatizzare l'adorazione della croce. A livello
contenutistico è avvenuto un notevole miglioramento (preghiera universale; lezionario);
mentre l'intera celebrazione appare non tanto memoria della morte di Cristo, ma della morte
pasquale di Cristo, cioè della salvezza scaturita dalla sua morte.
Veglia Pasquale. La struttura della celebrazione è unificata attorno a quattro tempi, scanditi
da quattro simboli cristologici: luce, parola, acqua, pane e vino eucaristici. Centro e
contenuto dell'intera celebrazione è il mistero della Pasqua di Cristo nella sua totalità, non
tanto la sua risurrezione. Il dinamismo profondo della celebrazione è dato dalla dialettica tra
annunzio della Parola e sua realizzazione sacramentale. La chiave di lettura dei testi biblici
configura la liturgia come celebrazione della storia della salvezza che ha nella pasqua il suo
compimento. La liturgia battesimale configura la Veglia in relazione al catecumenato. Il
legame tra Pasqua e iniziazione cristiana resta una indicazione che può aiutare a definire
una delle componenti strutturali dell'Anno liturgico, come luogo della iniziazione alla fede
in Gesù Cristo.
2. Il tempo pasquale5. "I 50 giorni che si succedono dalla domenica di risurrezione alla
domenica di pentecoste si celebrano nell'esultanza e nella gioia come un solo giorno di
festa, anzi come "la grande domenica". Sono i giorni nei quali, in modo tutto speciale, si
5
Per lo studio delle tradizioni pasquali nella Bibbia e nelle chiesa primitiva cfr. CANTALAMESSA,
R., La pasqua della nostra salvezza, Marietti, Casale, 1971.
84
canta l'alleluia. Le domeniche di questo tempo vengono considerate come domeniche di
pasqua" (Calendario romano, 22.23).
Nel lezionario: il libro degli Atti fa conoscere la vita della chiesa primitiva; Giovanni (Vg,
I Gv, Ap) e I Pt sottolineano i temi della fede gioiosa e della speranza (cfr. OLM 14).
Sostanzialmente è stata recuperata l'antica mens del Tempo Pasquale: proclamazione della
fede nel Risorto; speranza; impegno di vita nuova secondo lo Spirito (tematica
pneumatologica); chiesa come comunione fraterna
3. La Quaresima. La prospettiva di fondo che emerge dai testi conciliari (SC 109.110) è
"disporre i fedeli alla celebrazione del mistero pasquale".
Il lezionario (cfr. OLM 13) permette la considerazione delle tappe storiche fondamentali
della storia della salvezza. Le pericopi cristologiche di Gv presentano il cammino del
discepolo verso la Pasqua nella sequela di Cristo.
Dai testi liturgici (eucologia e lezionario) emerge il tema della duplice venuta di Cristo,
nella carne e gloriosa alla fine della storia. Sono sottolineate le dimensioni dell'attesa, con
una forte impostazione cristologica.
85
Dai testi liturgici (eucologia e lezionario) emergono due aspetti: la dialettica incarnazione-
manifestazione; la prspettiva soteriologica dell'evento, con il ricorrere di grandi categorie
teologiche (divinizzazione, nuova nascita, pienezza del culto).
Nel ciclo natalizio alcune solennità non appaiono ben sintetizzate con il clima generale del
tempo liturgico (S. Famiglia; S.Madre di Dio). Mentre è ben coordinato il tema
mariologico.
Le fonti utilizzate per la riforma costituiscono la ripresa del patrimonio più antico e
tradizionale. In particolare il Lezionario orienta verso una lettura più dinamica e storica
dell'evento.
6. Il tempo per annum. "Oltre i tempi che hanno proprie caratteristiche, ci sono 33 o 34
settimane durante il corso dell'anno, le quali sono destinate non a celebrare un particolare
aspetto del mistero di Cristo, ma nelle quali tale mistero viene piuttosto celebrato
(recolitur) nella sua globalità, specialmente nelle domeniche. Questo periodo si chiama
tempo ordinario" (Calendario romano, 43).
Questo tempo si configura globalmente come luogo in cui il popolo di Dio rivive la Pasqua
settimanale, ne medita e prega il mistero per vivere secondo lo Spirito, nel servizio al
mondo e ai fratelli.
Le memorie dei santi. Dal primitivo culto dei martiri, che evidenzia la centralità di Cristo
e il tema del discepolato, si è passati ad uno sviluppo abnorme, che nel Medioevo ha
86
assunto un carattere prioritario nel contesto dell'Anno liturgico. Il problema è di ordine
cristologico. Il nuovo Calendario ha sfrondato l'aspetto devozionale; ha operato una
revisione critica a livello storico; ha scelto gli elementi più significativi e universali per la
chiesa.
INDICAZIONI SINTETICHE
2. Il testo conciliare rappresenta un passo avanti rispetto alla Mediator Dei sotto il profilo
teologico: non si parla di esempi, ma di virtus e di meriti di Cristo resi accessibili ai fedeli
dalla presenza dei misteri della redenzione nel segno rituale della celebrazione anamnetica.
Quindi l'Anno liturgico viene collocato nella linea temporale-storica della salvezza. Il "che
cosa" dell'Anno liturgico, costituito dalla presenza del mistero salvifico di Cristo, è chiaro
ed acquisito. L'autentico protagonista dell'Anno Liturgico è il Cristo mistico, cioè lo stesso
Signore Gesù Cristo glorificato, unito con la sua sposa, la chiesa.
Nelle religioni non rivelate, le alternanze cosmiche di giorni, stagioni, anni, appaiono
come manifestazioni della divinità (= ierofanie), che sta fuori del tempo, in un "tempo puro
o primordiale". Il rito avrà il compito di dare una perennità a quel fortunato tempo sacro
cosmico ierofanico, segno della presenza divina, lo stacca dal momento in cui avvenne (=
tempo sacro mitico) e lo riproduce nel momento presente (= tempo sacro rituale), che viene
appunto reso sacro dal rito, in quanto in esso viene riprodotto quel tempo originario, in un
"eterno ritorno". La salvezza è fuori del tempo e la si trova uscendone6.
Nella Scrittura, Dio che trascende il tempo, situa la propria azione nel tempo 7. Pertanto
si sfugge al pericolo di un parallelismo tra la storia mitico-divina, situata in un tempo
6
Anàmnesis VI, o.c., p.11-34. Cfr. anche MARSILI, S., Teologia liturgica. Anno liturgico, Roma, PIL,
1977, p.114-115.
7
Cfr. CECOLIN, R., Le nuove concezioni del tempo e la bibbia, "Rivista Liturgica", 77/4 (1990)
p.387-413.
87
astorico all'origine del tempo cosmico, e quella reale-umana, che forma il tempo storico
vero e proprio. Esiste un'unica storia sacra, nella quale trova attuazione umana il
piano salvifico di Dio per l'uomo (= oikonomia). Dio escogita e attua liberamente,
d'intesa con uomini che si sceglie, una serie di fatti che si dispiegano in determinati
momenti o eventi (= kairoi), che sono ordinati tra loro in vista della realizzazione dell'unico
piano storico-salvifico. Così, nei ritmi del tempo cosmico, si vede il manifestarsi della
rivelazione di Dio
8
TRIACCA, A.M., Tempo e liturgia, in Nuovo Dizionario di Liturgia, o.c., p.1497 ss.
9
Anàmnesis VI, o.c., p.24-25.
88
3. IL MISTERO DI CRISTO NEL CICLO ANNUALE
Il primo interesse dell’anno liturgico sta nel creare una alternanza di TEMPI FORTI e
TEMPI “DEBOLI”, FESTE e TEMPO ORDINARIO - meglio “PER ANNUM”. Questa
alternanza crea un RITMO, origina una differenza, crea un “indugio simbolico”, un
intervallo ludico e gratuito, che permette di conferire significato al resto del tempo, perché
introduce in esso una dimensione “ALTRA”: la presenza dell’amore di Dio.
1. Questa ritmicità ha la sua radice nel COSMO, si fonde nell’alternanza dei tempi e
delle stagioni. La natura fa parte della vita umana, deve essere rispettata e umanizzata
(nei rosoni delle cattedrali si scolpivano i segni dello zodiaco, senza problemi, perché anche
il cosmo è salvato e redento da Cristo “sator temporum”, A e ). Essa non viene eliminata
ma assunta dal Verbo. Per questo la chiesa ha conservato il ripetersi ciclico del tempo nella
celebrazione dell'Anno liturgico.
10
Utile è l'approfondimento dell'hodie liturgico in S. Leone Magno presentato da RUFFINI, E.,
Liturgia: comunicazione del mistero, in Comunicazione e ritualità, Messaggero, Padova, 1988,
p.127-139.
89
NOTA - ONTOGENESI DELLA FUNZIONE SIMBOLICA.
1) Situazioni che non hanno ancora valore simbolico: indici o sintomi, che
informano dell'esistenza di qualcosa d'altro che non è percepibile (fumo;
passi sulla neve; febbre; rossore...). Questi indici non sono dissociabili
dall'oggetto rappresentato, ma ne fanno parte. 2) Simboli che hanno
relazioni di rassomiglianza stretta tra l'oggetto e il suo rappresentante: è il
caso delle immagini (pitture, illustrazioni, fotografie, giocattoli). Quando non
è possibile la rappresentazione iconografica (perchè si tratta di
rappresentare astrazioni) allora la relazione è analogica o simbolica (es.
tartaruga= lentezza; leone=forza; agnello=mitezza). 3) Segni
convenzionali: quando il legame tra l'oggetto e il suo rappresentante è
arbitrario e determinato culturalmente (es. segni linguistici, matematici,
logici, musicali...).
11
AMANN-GAINOTTI, M., La genesi della funzione simbolica nel bambino, "Rivista Liturgica", 67/3
(1980), p.317-327.
90
dell'universo e costruisce sul piano dell'azione le basi di alcune importanti
categorie cognitive (oggetto, spazio, causalità e tempo). Poi sviluppa la
capacità di imitazione, importantissima nella genesi delle condotte
simboliche, perchè costituisce una prefigurazione della rappresentazione.
91
immagini mentali le imitazioni sono interiorizzate, permettono di evocare
oggetti ed eventi, e di anticipare azioni future.
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