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GIORDANO DI SASSONIA E L’ARCA DI SANT’AGOSTINO A PAVIA

ALESSANDRO COSMA

Nel 1237, con la bolla Veneranda sanctorum patrum, Giovanni XXII concesse agli eremitani la facoltà di fondare un
monastero nel luogo in cui erano conservate le spoglie di sant’Agostino: la basilica di san Pietro in Ciel d’Oro a Pavia.
L’avvenimento costituì un momento chiave nel processo di definizione dell’identità del nuovo Ordine e, allo stesso
tempo, l’inizio di una secolare polemica con i canonici regolari che reggevano la chiesa fin dal 1221.
Trent’anni dopo, nel suo fondamentale Liber Vitas Fratum 1357, l’eremitano Giordano di Sassonia collegò l’evento a
un episodio miracoloso in cui la statua di un santo vescovo, che riceveva ben poche cure da chi teneva la chiesa, si
animò improvvisamente davanti alcuni eremitani, svelando poi ai frati di essere lo stesso sant’Agostino. Nel testo in
sostanza, la necessità di una degna sepoltura per il santo diviene una delle ragioni della presenza dell’Ordine a Pavia e
non è un caso che una delle più grandiose e complesse realizzazioni commissionate dagli eremitani in san Pietro in Ciel
d’Oro sia proprio la monumentale arca di sant’Agostino.
RIFERIMENTI CRONOLOGICI: sebbene il progetto del monumento potrebbe essere stato imposto fin dal 1350, i lavori
dovettero subire un’accelerazione solo dopo le numerose donazioni giunte agli eremitani per intervento di Galeazzo II
Visconti nel 1361. Un primo puntello cronologico è infatti la data 1362 incisa sulla cornice del primo livello e ricordata
anche dalla relazione del priore Antonio da Tortona, secondo cui i lavori ebbero inizio proprio il 14 dicembre di
quell’anno sotto gli auspici del priore Bonifacio Bottigella. Nel 1365 con il priore Andrea Artusi da Bologna la base
dell’arca venne spostata nella sacrestia dell’Ordine, una soluzione probabilmente di rimpiego causata dalle opposizioni
dei canonici alla collocazione sull’altare maggiore sopra il sepolcro del santo denunciata dagli eremitani al papa il 7
luglio 1366. Parte dei finanziamenti vennero dal lascito testamentario fatto nel 1378 da Galeazzo II.
Nel 1379 l’arca sembra in lavorazione in una sala vicina alla sacrestia, viene realizzata una spranzata intorno al
monumento, molto probabilmente una sorta di grata protettiva dotata di cancello: l’arca sembra essere a questo
punto sostanzialmente completata.
Nel testamento di Gian Galeazzo Visconti, databile tra 1399 e il 1401, si ordina di collocarvi le spoglie di sant’Agostino,
mentre nel 1406 il capitano visconteo Giacomo da Verme lascia un fondo per la costruzione di un nuovo ambiente per
il monumento. Sebbene entrambe le disposizioni non sino state attuate, gli eremitani non avevano rinunciato al
progetto di rendere l’arca il fulcro del culto del santo per l’intera basilica e non solo per la parte di loro pertinenza.

La tipologia del monumento e il suo programma decorativo confermano in maniera esplicita questa forte carica
ideologica. L’opera, con la sua compatta struttura verticale, si presentava infatti come un unicum nel panorama dei
monumenti celebrativi dedicati a singoli santi, e affida ai quattro livelli decorativi la sintesi dell’intera riflessione
costruita dall’Ordine sulla propria origine e sul proprio rapporto con sant’Agostino.
Sulla base: la serie degli Apostoli come autori del credo è associata ai santi della chiesa delle origini e a san Paolo
eremita; visualizzando così quel collegamento tra vita apostolica ed esperienza eremitica in cui la trattatistica
dell’Ordine e in particolare di Giordano da Sassonia, identificava la vera essenza della religio Augustini.
Il livello superiore, aperto dalle arcate, è invece caratterizzato dalla grande figura del gisant (una scultura funeraria
dell’arte cristiana raffigurante un personaggio sdraiato, quando è presente costituisce l’elemento principale della
decorazione di una tomba) con Agostino in abiti episcopali e il libro aperto. La figura del santo è affiancata dagli altre
tre Dottori della Chiesa e da sant’Antonio Abate, ancora con l’abito dell’Ordine, a sottolineare il ruolo di pilastro della
dottrina e di successore delle prime esperienze eremitiche.
Gli ultimi due registri, pertinenti alla seconda fase di realizzazione dell’arca, presentano 19 episodi della vita del santo
inframezzati da numerose altre figure non facilmente identificabili. Si tratta di uno dei più vasti cicli dedicati ad
Agostino nel Trecento, ma anche della prima trasposizione figurativa della biografia elaborata da Giordano di Sassonia
nella Collectanea Augustiniana.
Il ciclo si apre su uno dei lati corti con la scena di Agostino insegna retorica a Roma e a Milano: un espediente che
permette all’artista di indicare visivamente il percorso dalla Roma pagana e con la porta chiusa, alla città della sua
conversione, Milano, caratterizzata dalla porta aperta e da una grande chiesa.
Il lato lungo si apre con Agostino che ascolta predicare sant’Ambrogio e prosegue con due formelle direttamente
ispirate alla nuova biografia del santo elaborata dagli eremitani. La Conversione di sant’agostino, che si trova al centro,
è proceduta dal dialogo del santo con il Simpliciano eremita, creato dai testi dell’Ordine per creare un legame di
Agostino con le esperienze eremitiche.
A questo punto, la narrazione biografica si interrompe per fare spazio sul secondo lato breve a due formelle dedicate
alla Transizione delle reliquie di sant’Agostino prima in Sardegna e poi a Pavia, che sottolineano l’idea di monumento
sepolcrale che l’arca doveva avere per i pellegrini. L’iconografia delle due scene si discostava dalle fonti testuali,
mostrando un intervento diretto di Liutprando e del vescovo Pietro, probabile omaggio al Comune di Pavia e ai
Visconti che in più occasione avevano contribuito alla realizzazione del convento e dell’arca stessa.
Sull’altro lato lungo, il ciclo riprende con i Funerali di Monica: Agostino è accompagnato da un gruppo di compagni già
vestiti in abito eremitano, dettaglio che rileva la dipendenza diretta di questa parte della storia dall’agiografia di
Giordano di Sassonia. Ed è proprio seguendo Giordano di Sassonia che, ad avviso dell’autore, si possono capire meglio
le due scene successive: la prima è l’istituzione dell’Ordine nel primo monastero fondato dal santo in Africa attraverso
la consegna della regola. La seconda, che chiude questo registro, rappresenta Agostino che confuta Fortunato: si tratta
di una scelta precisa che allude al secondo monastero fondato da Agostino ad Ippona secondo Giordano di Sassonia,
che ne colloca l’istituzione proprio poco prima della disputa. Un cenobio ancora destinato ai frati, ma posto all’interno
della città e dedicato allo studio della sacre scritture, alla predicazione e alla conversione dei fedeli. La scena dell’arca
con il santo che disputa circondato dai confratelli con l’abito dell’Ordine, uno dei quali reca significantemente un libro,
visualizza così la leicità del nuovo status mendicante degli eremitani, rinforzato dalla presenza della scena
sacramentale in basso con il battesimo dei manichei convertiti.
Il ciclo prosegue quindi nei 10 gables di coronamento, stilisticamente molto diversi dalle parti inferiori e oggi collocati
in un ordine che non segue quello originale. Ciò nonostante, sembra possibile ricostruire un preciso criterio nella
presentazione nelle scene considerando la differente raffigurazione di Agostino. Si tratta di una distinzione che
permette di individuare due sezioni diverse del racconto, la prima delle quali sembra far riferimento ancora una volta
alla Vita Augustini di Giordano di Sassonia, dove ritroviamo tutti gli episodi dell’arca in cui Agostino presenta anche la
veste dell’Ordine.
Nell’ultima parte della sua biografia si racconta di come il santo guarisse miracolosamente dei malati e cacciasse i
demoni.
Tutte le altre scene si riferiscono invece ad episodi narrati alla fine della Legenda Aurea e assenti nella Vita Augustini e
sono organizzate in coppie di formelle in cui il santo indossa esclusivamente i paramenti vescovili: non più la vicenda
terrena dell’Agostino fondatore dell’Ordine, ma l’incontro tra Agostino e il diavoli, che ne celebra la santità in vita, e
due miracolose apparizioni post mortem avvenute a Pavia: Agostino e il prigioniero dei malaspina e il risanamento dei
pellegrini alla tomba del santo: quest’ultima risulta di particolare importanza, soprattutto per la sua collocazione sul
lato corto sopra le due scene della transizione delle reliquie. L’episodio infatti ricorda l’apparizione di Agostino ad
alcuni pellegrini che saranno poi risanati nella chiesa di san Pietro in Ciel d’Oro e viene a costituire un gruppo
compatto con le formelle inferiori che esaltava il valore storico e miracoloso delle reliquie del santo collegandolo
all’arca e quindi all’Ordine che l’aveva voluta.
 La realizzazione dell’arca costituisce quindi una sorta di conclusione di quella strategia avviata dagli eremitani
nel ridefinire l’identità del santo come proprio fondatore. Una strategia che culmina proprio nel luogo da cui
la riflessione era partita e diviene, allo stesso tempo, chiara espressione della forza ormai acquisita
dall’Ordine. Tramite la realizzazione dell’arca, in cui il ruolo dei canonici e il loro rapporto con Agostino è
completamente assente, gli eremitani intesero quindi legittimare la loro precedenza nel rapporto con il santo
e la loro presenza nella chiesa.
Un tema che ritornava esplicitamente anche nel polittico che commissionarono per l’altare maggiore, dove il
santo consegna la regola ad un esponente di entrambi gli ordini, ma sono gli eremitani ad essere in posizione
di onore alla sua destra e sono solo loro che tengono il pastorale di un Agostino che mostra bene in evidenza
l’abito dell’ORDINE sotto i paramenti vescovili.

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