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2005, 257-278
RENZO INFANTE
Echi biblici e patristici nell’iconografia del corvo:
gli eremi di santa Maria di Pulsano
e altri esempi pugliesi
1139) che giunse a Pulsano nel 1128-29. Dopo un primo periodo di forte espansione e
splendore, la congregazione pulsanese o degli scalzi andò incontro ad una veloce de-
cadenza. A seguito della morte di Antonio, l’ultimo abate di Pulsano (alla fine del XVI
sec.), l’abbazia andò in commenda e venne affidata ad altri ordini religiosi, carmelitani
e francescani. Un terremoto nel 1646 distrusse gran parte delle fabbriche e con esse
andò perduto il prezioso archivio. La devozione e il pellegrinaggio alla Madonna di
Pulsano non si sono mai arrestati ed una qualche forma di presenza eremitica è atte-
stata fino alla metà del XX sec. Cfr. F. Panarelli, Dal Gargano alla Toscana: il monachesimo
riformato latino dei pulsanesi (secoli XII-XIV), Roma 1997; C. Angelillis, Pulsano e l’ordine
monastico pulsanese, «Archivio Storico Pugliese» 6 (1953), 421-482; M. M. Lovecchio, S.
Maria di Pulsano. Note storiche artistiche, in Storia e arte nella Daunia medievale, a cura
della Pontificia commissione centrale per l’arte sacra in Italia (Atti della I settimana
sui Beni Storico-Artistici della Chiesa in Italia, Foggia, 26-31 Ottobre 1981), Foggia
1985, 233-246; Ead., S. Maria di Pulsano. Monte S. Angelo, in Insediamenti benedettini in
Puglia. Per una storia dell’arte dall’XI al XVIII secolo 2, Bari, Castello Svevo, novembre
1980-gennaio 1981, catalogo della mostra a cura di M. S. Calò Mariani, Bari 1981, 51-
64; G. Lunardi, Monte S. Angelo. S. Maria di Pulsano, Monasticon Italiae 3, Puglia e Basi-
licata, a cura di G. Lunardi - H. Houben - G. Spinelli, Cesena 1986, 81-82; F. P. Mau-
lucci Vivolo, Il Gargano alle luci dell’alba. Indagini di archeologia cristiana 1, Foggia 2002.
2 Cfr A. Cavallini, Santa Maria di Pulsano. Il santo deserto monastico garganico, Monte
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3 Per le denominazioni degli eremi cfr. A.G. von Keyserlingk, Vergessene Kulturen in
Monte Gargano, Nürnberg 1968, 56-63; Cavallini, Santa Maria di Pulsano cit., 113-145.
Nella denominazione degli eremi non c’è pieno accordo tra von Keyserlingk e gli stu-
diosi successivi: quello comunemente noto come ‘Mulino’ viene da lui denominato
‘Pinacolo’, mentre egli chiama ‘Mulino’, quello designato come ‘Studion’ e ‘Studio’ l’e-
remo abitualmente chiamato ‘Carcere’.
4 Panarelli, Dal Gargano alla Toscana cit., 41: «Non sappiamo se si trattasse di vere celle
per anacoreti o di antiche chiese rupestri, come quella che probabilmente preesisteva alla
stessa chiesa di Pulsano, né sappiamo in quali rapporti effettivi si trovassero con essa».
5 P. Sarnelli, Cronologia dei Vescovi et Arcivescovi sipontini, Manfredonia 1680, 75. 100;
Angelillis, Pulsano e l’ordine monastico pulsanese cit., 422; Maulucci Vivolo, Il Gargano
alle luci dell’alba cit., 22; Cavallini, Santa Maria di Pulsano cit., 155. A sostegno di questa
ipotesi si adduce il rinvenimento di una pietra quadrata, già ricordata dal Sarnelli, ri-
portante l’iscrizione SCT GREG HOC OPS FECIT che farebbe riferimento alla fonda-
zione del monastero ad opera di Gregorio Magno. L’autenticità di questo manufatto è,
però, fortemente dubbia e si attendono studi specifici più approfonditi.
6 Panarelli, Dal Gargano alla Toscana cit., 22, nota 37.
7 Panarelli, Dal Gargano alla Toscana cit., 23, ritiene che alla fondazione pulsanese
preesistesse «soltanto una chiesa rupestre nella caverna che venne in seguito adattata
a zona absidale della chiesa di S. Maria di Pulsano».
8 «Infatti, presso il monastero principale, di solito, si scavavano celle entro caverne,
spesso in luoghi impervi, a strapiombo sui dirupi, dove i religiosi potevano dedicarsi
alla contemplazione»: G. Lunardi, s. v. Pulsano, Congregazione benedettina, in Dizionario
degli Istituti di perfezione 7, Roma 1983, 1113-1114; cfr. B. Vetere, Il filone monastico-ere-
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ECHI BIBLICI E PATRISTICI NELL’ICONOGRAFIA DEL CORVO 259
mitico e l’ordine pulsanese, in L’esperienza monastica benedettina e la Puglia 1, Atti del Con-
vegno di studio organizzato in occasione del XV centenario della nascita di san Bene-
detto (Bari-Noci-Lecce-Picciano, 6-10 Ottobre 1980), a cura di C. D. Fonseca, Galatina
1983, 197-244 (243); Panarelli, Dal Gargano alla Toscana cit., 23.
9 Vetere, Il filone monastico-eremitico cit., 233. Panarelli, Dal Gargano alla Toscana cit.,
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perciò prese il nome di vallone dei romiti. Costoro, oltre ad andare scalzi,
dovevano astenersi dalla carne, dal vino, dal latte e suoi derivati» 12.
Come poco sopra accennato, alcuni di questi eremi conservano tracce
di pitture rupestri ancora leggibili. Uno di questi affreschi si trova nell’e-
remo dello Studion e per ora lo denomineremo ‘il corvo e l’eremita’ 13.
Si tratta dell’affresco meglio conservato in quello che doveva essere il
locale adibito a cappella di questo piccolo cenobio. Si trova sulla parete di
fondo sul lato destro, mentre sul lato sinistro si intravede a stento un di-
pinto che potrebbe identificarsi o con la Deposizione dalla croce o con la
Pietà. Sulla parete di sinistra della cappella si legge ancora ben distinta-
mente un sant’Antonio con giglio e bambino in braccio. Su quella di
fronte si leggono a mala pena i tratti di due figure di santi, forse Antonio
abate e Pacomio.
L’affresco ha sulla destra una figura orante inginocchiata sulla nuda
terra, con le mani giunte da cui pende la corona monastica. Il volto è poco
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come se fosse un acolomba: «Auf einem Freskenrest konnte man eine Taube erkennen,
die auf eine kniende Gestalt zuflog»: Von keyserlingk, Vergessene Kulturen cit., 59.
15 Cfr. Insediamenti benedettini in Puglia. Per una storia dell’arte dall’XI al XVIII secolo
1, Bari, Castello Svevo, novembre 1980-gennaio 1981, catalogo della mostra a cura di
M. S. Calò Mariani, Bari 1981.
16 N. Dolciamore, Il restauro del convento di s. Giovanni Battista in Giovinazzo. Le radici
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17 G. del Rosso, La chiesa di san Pietro e la confraternita di Maria SS. del Carmine in
19 La venerazione di Elia a Peschici non avrebbe, sembra, nulla a che fare con i car-
melitani, ma con l’origine slava degli abitanti che avrebbero portato tale culto dall’al-
tra sponda dell’Adriatico.
20 Cfr. ad esempio l’icona del ‘Profeta Elia nel deserto’ della fine del XV sec.-inizi
del XVI, conservata nel Museo delle arti della repubblica di Camelia (Russia) e ripro-
dotta in V. Laourina-V. Pouchkariov, Les Icônes russes. École de Novgorod XIIe-XVIIe siè-
cle, Paris-Léningrad 1983, 146.
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corvo in volo con un pane nel becco, inducono a ipotizzare che, con
buona probabilità, l’affresco si ispiri all’episodio di Elia nutrito dal corvo
nel torrente Cherit (1 Rg 17, 2-6), che tanta fortuna ha trovato in partico-
lare nella letteratura e nell’iconografia monastica.
21 G. Silvestri, Gli animali nella Bibbia, Cinisello Balsamo 2003, 141-144 (141).
22 Orig., frg. in Ez. 11, 3 (GCS 33, 427): quaenam nomina animalium in Scriptura in utro-
que genere, id est malo ac bono, posita, ut puta leo in bonam partem accipitur et in malam; cfr.
Rufin., patr. 2,16 (CCL 20, 213-214).
23 G. Heinz-Mohr, s. v. Corvo, in Lessico di iconografia cristiana, Milano 1984 (rist.
ferma che presso altri popoli il corvo gode di stima migliore. In Cina viene conside-
rato animale solare, mentre nella mitologia scandinava è associato al dio Odino e nelle
tradizioni celtiche è un animale dotato di poteri magici con cui protegge guerrieri ed
eroi. Cfr. Maspero, Bestiario antico cit., 126-127; M. P. Ciccarese (a cura di), Animali sim-
bolici. Alle origini del bestiario cristiano I (Agnello-Gufo) [Biblioteca Patristica 39], Bologna
2002, 357-377 (372).
25 Stat., silv. 2, 4, 16-17; Plin., nat. 10, 121-125. Cfr. A. Sauvage, Étude de thèmes ani-
maliers dans la poésie latine. Le cheval – Les oiseaux, Bruxelles 1975, 185-191.
26 M. Lurker, s. v. Corvo, in Dizionario delle Immagini e dei Simboli biblici, Cinisello Bal-
stiano Ambr., Noe 17, 62 (CSEL 32/1, 258); Clem. Alex., Protr. 10, 104, 2 (GCS 12, 74).
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Uno dei testi che hanno avuto grande incidenza nella stima del corvo
28 Phaedr., 3, 18, 12; Cic., div. 1, 85; cfr. G. Silvestri, Gli animali nella Bibbia cit., 141;
31 Cfr. Aristoph., Av. 582-583; Catull., carm. 108, 5: effossos oculos voret atro gutture cor-
vus; Isid., etym. 12, 7, 43, (ed. André, Parigi 1981, 267): prior in cadaveribus oculum petit.
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34 A. Rolla (a cura di), Il Messaggio della Salvezza. Antico Testamento. Dalle origini al-
l’esilio, Torino, 19684, 169. Cfr. Silvestri, Gli animali nella Bibbia cit., 141.
35 Nella saga sul diluvio dell’antica Mesopotamia, gli uccelli mandati fuori per
Ioh. 6, 19 (CCL 36, 63); Greg. M., moral. 35, 8, 17 (CCL 143 B, 1784).
37 «La simbologia corvo=peccatore è tra le più immediate che gli esegeti possono ri-
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Nel Cantico il colore nero del corvo viene preso come termine di para-
gone per i capelli dello sposo: «il suo capo è oro, oro puro, e i suoi riccioli
grappoli di palma, neri come il corvo» (5, 11).
Nel suo Commento a Giobbe, Filippo il presbitero cita Ct 5, 11 e sostiene
la possibilità di interpretare il corvo, oltre che come figura del diavolo,
anche in senso positivo come figura di Cristo. Nel primo caso il colore
nero rappresenterebbe i crimini e la malvagità di Satana, nel secondo l’ar-
cano dei misteri 40.
Nel suo Epistolario Paolino di Nola esorta i credenti a diventare come
i capelli dello sposo del Cantico, neri come il corvo, non quello che di-
menticò di tornare nell’arca, ma quello che nutrì il profeta:
cavare dal testo biblico. Essa si fonda soprattutto sul piumaggio nero dell’uccello, per-
ché nero è il colore dei peccati, ed è confermata dal suo ostinato «cra cra» – che signi-
fica la dilazione del pentimento – oltre che dalle sue abominevoli preferenze alimen-
tari, «bestie morte e fetide schifezze di cadaveri decomposti», come sono immonde le
colpe di cui si nutre il peccatore»: Ciccarese, Animali simbolici cit., 358. A testimonianza
di quanto afferma la Ciccarese cita: Chrom., serm. 2, 5 (CCL 9A, 10); Hil., in psalm. 146,
12 (CSEL 22, 852); Cassiod., in psalm. 146, 9 (CCL 98, 1308); Greg. M., moral. 30, 9, 28
(CCL 143 B, 1510); Aug., in psalm. 102, 16 (CCL 40, 1467).
38 Aug., in Iob 38 (CSEL 28/2, 615).
39 Paul. Nol., epist. 23, 29 (CSEL 29, 185). Per l’ambivalenza del corvo cfr. Philipp.,
canticorum: crines eius ut abietis, nigri sicut corvus. Sed quando diabolo corvi nomen apta-
mus, dicimus eum nigrum criminibus atque teterrimum et qui in tenebris nequitiarum om-
nium commoretur. Quando vero hoc nomine Salvatorem significari dicimus, mysteriorum ar-
canis eum in Scripturis suis obscuratum esse sentimus, aut certe velut quadam nigritudine
peccati carne vestitum. [...] Nunc igitur Christo corvo figuraliter dicto pater praeparat escam,
cum ei ex gentibus convocat credituros: Philipp., in Iob 3, 38 (ed. Sichardus, 183).
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unde nunc corax iste non noctis sed luminis corvus est, cuius colore speciosi
crines sunt 41.
Est adhuc aliud, quod de corvo moraliter possit intellegi. Editis namque
pullis, ut fertur, escam plene praebere dissimulat, priusquam plumescendo ni-
grescant, eosque inedia affici patitur, quoadusque in illis per pennarum nigre-
dinem sua similitudo videatur. Qui huc illucque vagantur in nidum et cibo-
rum expetunt aperto ore subsidium. At cum nigrescere coeperint, tanto eis
praebenda alimenta ardentius requirit, quantos illos alere distulit 46.
44 «Il testo greco li fa “invocare” il Signore (aÙtÒn); ma non è necessario farne degli
esseri, anche solo poeticamente, ragionevoli. L’istinto è più che sufficiente a spingerli
a “gridare”. Quel grido è udito e accolto»: G. Castellino (a cura di), Libro dei Salmi (La
Sacra Bibbia), Torino 1965, 528.
45 Cfr. Ciccarese, Animali simbolici cit., 377, nota 56; Isid., etym. 12, 7, 43, (ed. J. An-
dré, 257).
46 Greg. M., moral. 30, 9, 33 (CCL 143 B, 1514-1515).
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52 J. Ernst, Luca 1, Brescia 1985, 568. Cfr. da Spinetoli, Luca cit., 433; A. Stöger, Van-
gelo secondo Luca 1 (Commenti spirituali del Nuovo Testamento), Roma 19824, 327.
53 K. H. Rengstorf, Il Vangelo secondo Luca (Nuovo Testamento 3), Brescia 1980, 275.
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ha a cuore anche gli animali impuri, quanto più si prenderà cura dei di-
scepoli che valgono molto più degli uccelli.
54 Con il brano in questione ha inizio una lunga sezione (1 Rg 17, 1-2 Rg 10, 31) al-
l’interno della quale vengono narrati i cicli di Elia e di Eliseo. Parte del materiale della
sezione fa riferimento a fonti genuinamente storiche, ma una gran mole di materiale
deriva da «tradizioni orali preservate dai circoli profetici e che probabilmente forma-
vano dei cicli di saghe». Ci si trova davanti a narrazioni di eventi personali nella vita
di questi due grandi profeti, che appartengono al genere letterario dell’agiografia o sa-
rebbe meglio dire dell’agiologia (cfr. 1 Rg 17, 4-6, 2 Rg 2, 1-18; 2, 19-22; 2, 23-25...). L’o-
rigine di queste tradizioni in tali circoli ristretti è dimostrata dall’interesse spesso li-
mitato e banale di molti degli eventi narrati e dalla presenza particolarmente predo-
minante dell’elemento miracoloso abbastanza inusuale nell’Antico Testamento, al di
fuori delle narrazioni dell’Esodo. Cfr. J. Gray, I & II Kings. A Commentary (Old Testa-
ment Library), London 19802, 371.
- Chĕri-t (tagliente) ad oriente del Gior-
55 Il testo di 1Reg colloca esplicitamente il wâdi
dano, dove difatti lo situa Eusebio di Cesarea, Onom. 174, 6 (ed E. Klostermann, Hil-
desheim 1966, 174). Anche se diversi autori ritengono impossibile individuare con
precisione il luogo, Abel propone di individuarlo, anche se con approssimazione, con
il wâdi- Yâbis, che si immette perpendicolarmente nel Giordano a una distanza di 12
Km a sud della città di Beisan; cfr. F.-M. Abel, Géographie de la Palestine I. Géographie
physique et historique (Études bibliques), Parigi 1933, 484-485.
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toà ceim£rrou œpinen Ûdwr.
corvi quoque deferebant panem et carnes mane similiter panem et carnes ve-
speri et bibebat de torrente.
corvi che portavano cibo all’eremita, uno dei mirabilia della storia del profeta più usati
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mente allegorica che vede in Elia la figura del Cristo, in Gezabele la sinagoga e nei
corvi i pagani convertiti o addirittura i martiri. Cfr. Chrom., serm. 25, 4 (CCL 9A, 115):
In Helia enim qui persecutionem a Iezabel muliere nequissima passus est, typus Domini osten-
debatur, qui persecutionem profanae mulieris synagogae sustinuit. Analoga interpretazione
allegorica in Caes. Arel., serm. 124, 1 (CCL 103, 515) e in Ambr., in Luc. 2, 72 (CCL 14,
61-62).
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ECHI BIBLICI E PATRISTICI NELL’ICONOGRAFIA DEL CORVO 273
deposuit; post cujus abscessum: Eia, inquit Paulus, Dominus nobis prandium
misit, vere pius, vere misericors. Sexaginta jam anni sunt quod dimidii sem-
per panis fragmentum accipio: verum ad adventum tuum, militibus suis Chri-
stus duplicavit annonam 60.
La Vita Pauli ha, oltre al corvo che per sessanta anni nutre prodigiosa-
mente l’eremita, altri due importanti elementi di contatto con il testo di 1 Rg
17: il deserto e il prodigioso appagamento della sete. Il deserto come luogo
della fuga e del rifugio in cui si dipende esclusivamente da Dio è un ulte-
riore e ricorrente tÒpoj scritturistico (cfr Os 2, 16; Mc 1, 13; Apc 12, 14).
L’episodio di Elia nutrito da corvi finirà per diventare, a sua volta, un
topos del genere biografico di coloro che hanno condotto vita ascetica
«complice anche la straordinaria importanza della figura del profeta nel
movimento monastico» 61. Elia, personaggio mitico nel mondo ebraico e fi-
gura chiave dell’attesa messianica già negli scritti neotestamentari, per il
messaggio, l’abbigliamento e la dieta finirà per diventare modello del di-
scepolo di Cristo che deve lasciare tutto per seguire il Regno 62. Associato
a Giovanni Battista, infatti, il profeta Elia ricompare frequentemente, ne-
gli scrittori cristiani antichi, come iniziatore del monachesimo e come
esemplare della vita ascetica in generale 63.
Rispetto al brano di 1 Rg queste riprese hanno, però, delle variazioni
notevoli. Mentre in 1 Rg Elia viene nutrito con un cibo abbondante, pane
e carne al mattino e alla sera (Testo Masoretico), nella Vita Pauli questi ri-
ceve da Dio solo mezzo pane al giorno. Entrambi gli episodi tendono a
carro di fuoco, mentre era ancora in vita (cfr. 2 Par 21, 12). Questa tradizione fece sor-
gere l’idea che Elia sarebbe ritornato prima del giorno del Signore per prepararne le
strade. In tal senso si spiega e si esprime la glossa di Mal 3, 23 a Mal 3, 1: «Ecco io in-
vierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore». Di que-
sta tradizione si trova ampia eco nell’allegoria animale della storia del libro di He-
noch, in cui si descrive, senza menzionarlo esplicitamente, il ritorno di Elia prima del
giorno del giudizio (Hen., 89, 52; 90, 31). Del ritorno di Elia parla anche Sir 48, 9-10.
Nel Nuovo Testamento Giovanni Battista e Gesù vengono scambiati per Elia (Mt 11, 7-
14; Mc 6, 15; Lc 9, 8). Elia compare con Mosè nella trasfigurazione di Gesù (Mt 17, 1-
8 par.); al calvario alcuni dei presenti pensano che Gesù lo stia invocando (Mt 27, 46-
49). Elia viene infine additato come esempio di orante (Jac 5, 17). Ciò che però emerge
è l’identificazione esplicita tra Elia e Giovanni Battista fatta da Gesù (Mt 17, 10-13; Mc
9, 12-13).
63 Tert., monog. 8, 10 (SC 343, 169); Method., symp. 10, 3 (SC 95, 292); Cassian., inst.,
1, 1, 2 (SC 109, 36). Cfr. Girolamo, Vite degli eremiti Paolo, Ilarione e Malco, a cura di B.
Degórski, Roma 1996, 62 nota 2; B. Steidle, Homo Dei Antonius. Zum Bild des “Mann
Gottes” in alten Mönchtum, Roma 1956, 162-165.
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64 Ambr., fug. saec. 6, 34 (PL 14, 585 D): Erat enim ad torrentem Chorrad, quod est co-
gnitio, ubi abundantiam profluentem divinae cognitionis hauriret, ita fugiens saeculum, ut nec
cibum corporis huius exquireret nisi quem aves detulissent ministrae, quamquam esca eius
plerumque terrena non fuerit. L’accostamento di Elia a Giovanni Battista si trova anche
in Girolamo, sempre nella Vita Pauli, sulla bocca di Antonio dopo che questi tornò nel
proprio eremo: Vae mihi peccatori, qui falsum monachi nomen fero. Vidi Eliam, et Joannem
in deserto et vere vidi Paulum in Paradiso: Hier., vit. Paul. 11 (PL 23, 26).
65 Tert., ieiun. 9, 5-6 (PL 2, 964-965). Cfr. Ambr., Hel. 11, 40 (PL 14, 711) che esorta a
non vantarsi del digiuno: Helias in deserto erat, ne quis ieiunantem videret nisi soli corvi,
cum pascerent. Helisaeus in deserto erat. Anche Agostino confessa di lottare ogni giorno
contro la concupiscenza del cibo e delle bevande, ma dichiara di temere più l’impurità
del desiderio che quella delle vivande; cfr. Aug., Conf. 10, 31, 46 (CCL 27, 180).
66 Clem. Alex., Str. 3, 6, 52, 1 (GCS 52, 220); cfr. Giannarelli, Dalla Bibbia al Petrarca
cit., 259.
67 Helias in solitudine corvis ministrantibus pascitur et Daniel in lacum ad leonum prae-
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ECHI BIBLICI E PATRISTICI NELL’ICONOGRAFIA DEL CORVO 275
dam iussu regis incluso prandium divinitus apparatur: Cypr., eleem. 11 (CCL 3A, 62); cfr.
Pont., vit. Cypr. 11, 38 (ed. A. A. R. Bastiaensen, Milano 1975, 30).
68 O humanae malitiae detestanda crudelitas! – ferae parcunt, aves pascunt, et homines in-
sidiantur et saeviunt!: Cypr., domin. orat. 21 (CCL 3A, 103); cfr. Giannarelli, Dalla Bibbia
al Petrarca cit., 261.
69 Cfr. Hier., epist. 58, 5 (CSEL 54, 534).
70 Per la discussione circa la datazione dell’opera cfr. Egeria. Pellegrinaggio in terra santa,
a cura di P. Siniscalco - L. Scarampi (Collana di testi patristici 48), Roma 20004, 27-30.
71 Lungo la visita alla valle del Giordano Egeria, dopo aver visitato Tesbe, la città di
Elia, viene incuriosita da una valle amena sulla sponda sinistra del Giordano nella quale
scorre un torrente ricco di acque. Tunc ego, ut sum satis curiosa, requirere cepi, quae esset haec
vallis ubi sanctus monachus nunc monasterium sibi fecisset; non enim putabam hoc sine causa
esse. Tunc dixerunt nobis sancti, qui nobiscum iter faciebant, id est loci notores: «Haec est vallis
Corra, ubi sedit sanctus Helias Thesbites temporibus Achab regis, qua famis fuit, et iusso Dei cor-
vus ei escam portabat, et de eo torrentem aquam bibebat. Nam, hic torrens, quem vides de ipsa
valle percurrentem in Iordanem, hic est Corra»: Eger., Itin.,16, 3 (SC 296, 192).
72 Cfr. Paphn., vit. s. Onuph. (PL 73, 211-222).
73 Aquam de petra hauriunt, quod interpretatur Christus: Paphn., vit. s. Onuph. (PL 73,
214).
74 Sanctus enim angelus quotidie panem mihi offerebat, et aquam pro mensura ministrabat
ut corpus meum confortaretur, ne deficeret, et jugiter in laude Dei perseveraret: Paphn., vit.
s. Onuph. (PL 73, 214).
75 Cfr. M. C. Celletti, s. v. Onofrio, Iconografia, in Bibliotheca Sanctorum 9, Roma 1967,
1197-1200 (1198).
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ECHI BIBLICI E PATRISTICI NELL’ICONOGRAFIA DEL CORVO 277
3. Considerazioni conclusive
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278 RENZO INFANTE
tracce, l’essere in compagnia di altri santi lascia in piedi due sole ipotesi:
o che sia ripresa la scena di Elia nutrito dai corvi o che l’anonimo icono-
grafo abbia voluto raffigurare Giovanni da Matera, il fondatore della con-
gregazione pulsanese che tanto si adoperò per la riforma dell’ordine be-
nedettino nelle sue forme originarie e più austere.
La seconda ipotesi troverebbe supporto in un altro affresco nell’eremo
cosiddetto di ‘san Giovanni da Matera’ in cui, alla sinistra di una Ma-
donna con bambino, si scorge la figura di un monaco orante che stringe
tra le mani giunte la corona monastica. L’affresco raffigura probabilmente
l’episodio della vita del Santo legato proprio alla scelta di Pulsano come
luogo della nuova fondazione.
Tale supposizione potrebbe trovare un ulteriore fondamento in un
passo della Vita di Giovanni da Matera, in cui l’anonimo estensore 79,
dando un giudizio complessivo sulla vita del Santo abate, lo associa ai
grandi padri abitatori del deserto:
79 Per l’analisi critica del testo della Vita del Santo cfr. Panarelli, Dal Gargano alla To-
cum vita s. Joannis a Mathera appuli abbatis pulsanensis ipsius s. patris Guilielmi socii, Na-
poli 1643, XXX, 226.
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