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FRANCESCO SAVERIO VENUTO

Il Concilio Vaticano II
e la sua recezione
Il dibattito ermeneutico dal 1965 al 1985

La distanza temporale che ci separa dal Vaticano II permette un con-


fronto più sereno con la movimentata vicenda che ne ha accompa-
gnato la recezione e, conseguentemente, segnato l’attuazione. Don
Francesco Saverio Venuto, docente di Storia della Chiesa alla Facoltà
teologica dell’Italia settentrionale (Sezione di Torino), propone qui
una precisa e articolata recensione dei primi vent’anni del post-Con-
cilio, distinguendo in essi tre sotto-periodi, sulla base dell’emergere
delle posizioni ermeneutiche più rilevanti nel dibattito storico-teo-
logico sul significato del Vaticano II. L’intelligente lavoro di rilettura

La Rivista del Clero italiano 1| 2014


della vicenda storica prepara la seconda parte dello studio, dove
emergono le principali categorie o mediazioni concettuali impiega-
te nella lettura del Concilio, tutte dipendenti dall’attribuzione del
carattere di ‘evento’ discriminante nella vita della Chiesa cattolica:
tradizione-progresso; aggiornamento-riforma-rivoluzione; continui-
tà-disconinuità.

È opportuno premettere tre osservazioni alla trattazione del tema.


Anzitutto: la questione ermeneutica riguardo al Concilio Vaticano II
è parte fondamentale del suo processo recettivo. Le interpretazioni di
un avvenimento conciliare e dei suoi testi non soltanto sono generate e
sviluppate all’interno della recezione, ma anche lo condizionano, fino
al punto, di ridurlo o impedirlo1.
Seconda osservazione. È opportuno periodizzare un processo re-

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cettivo di un concilio, distinguendo il momento di ‘annuncio’, durante


il quale gli insegnamenti conciliari vengono divulgati, da quello ‘pra-
tico’, vale a dire lo stadio in cui gli stessi vengono nel tempo assimilati
nella vita ecclesiale. Nella fase di ‘annuncio’ si dovrebbe specificare
ulteriormente, differenziando una fase estensiva da una intensiva. Con
la prima accezione si definiscono la ‘comunicazione’ e la ‘diffusione’
nel tempo di un avvenimento conciliare e dei suoi contenuti per opera
di particolari ‘gruppi di attori’. Con la seconda si caratterizza il mo-
mento in cui accade una ‘prima appropriazione degli insegnamenti
conciliari’ (recezione teologica).
Terza osservazione. Per il periodo compreso tra il 1965 e il 1985,
propongo una suddivisione in tre sotto-periodi, sulla base dell’emer-
gere delle posizioni ermeneutiche più rilevanti e influenti a riguardo
del dibattito storico-teologico sul significato del Vaticano II. Primo:
dal 1965, ovverosia dalla conclusione del Vaticano II al 1968, anno del
dilagare di movimenti contestatori e del manifestarsi di una profonda
crisi ecclesiale. Secondo: dal 1968 al 1978, vale a dire dal proseguimen-
to delle riforme conciliari sotto il pontificato di Paolo VI, con il suo
tentativo di superare la dialettica di stampo politico tra ‘progressismo’
e ‘conservatorismo’, fino alla crisi lefebvriana. Terzo: dal 1978 al 1985,
ovverosia l’avvio del pontificato di Giovanni Paolo II, la promulga-
zione del nuovo Codice di Diritto Canonico (1983) e, soprattutto, la
convocazione di un sinodo straordinario dei Vescovi per celebrare il
primo ventennio dal termine dei lavori del Vaticano II (1985).

Il Concilio Vaticano II tra recezione ed ermeneutica


Francesco Saverio Venuto

1965-1968: dal Vaticano II alla crisi ecclesiale del 1968

Hubert Jedin, grande storico della Chiesa, così annota nella sua au-
tobiografia, Storia della mia vita, al termine delle pagine dedicate alla
memoria del Concilio Vaticano II:

Nelle ultime settimane del Concilio diedi a tutti i vescovi tedeschi con i
quali mi incontrai un consiglio che mi proveniva dall’esperienza della storia

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dei concili: quello di ostinarsi irremovibilmente nell’osservanza dei decreti


conciliari e di non lasciarsi distogliere né a destra – verso un tradizionalismo
che ne riduce l’efficacia – né a sinistra – verso provvedimenti radicali, che
vanno al di là dei decreti stessi. Le mie paure erano più che altro rivolte alla
prima delle due possibilità. Mi sbagliavo in pieno. [...] In un articolo dal
titolo Tradition und Fortschritt, che un po’ prematuramente cercava di dare
una «collocazione» al Concilio, ammettevo che non eravamo ancora in grado
di inquadrare il Concilio all’interno della storia della Chiesa. [...] Il Concilio,
così concludevo, segna un punto di svolta, grazie alla costituzione sulla
Chiesa e all’apertura espressa; esso aziona degli scambi, ma in quest’istante
storico non sappiamo ancora dire dove arriverà il treno, poiché le forze della
tradizione e del progresso combattono ancora fra loro2.

Il periodo post-conciliare a buon diritto può essere descritto sulla base


dei fenomeni sopra segnalati. Se da un lato il binomio ‘Tradizione-
Progresso’ rappresenta, nonostante il verificarsi di temporanee con-
flittualità, una dinamica vitale all’interno della storia della Chiesa, lo
stesso, se viene adulterato, può diventare un movente di ‘rottura’3.
Il 7 dicembre del 1965, Paolo VI, a conclusione dei lavori del
Vaticano II, invitò caldamente i Padri conciliari a ponderare alcuni
aspetti4: la consegna alla storia da parte del Concilio dell’immagine
della Chiesa cattolica raffigurata dall’aula conciliare e parallelamente,
da parte della comunità ecclesiale, di quella del Concilio stesso; l’op-

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


portunità di valutare l’avvenimento conciliare considerandone atten-
tamente il tempo del suo svolgimento; la centralità del mistero della
Chiesa, in se stessa e nel suo rapporto con il mondo contemporaneo,
e dell’uomo con le sue domande, le sue esigenze, la sua grandezza e
povertà; la peculiarità del Vaticano II nel pronunciarsi non attraver-
so sentenze di carattere dogmatico, quanto piuttosto con un insegna-
mento autorevole e uno stile dialogico; infine, lo sforzo compiuto dal
Concilio di servire l’uomo, ovverosia l’immagine della Chiesa come
ancella dell’umanità. Papa Montini auspicava in questo modo l’ini-
zio di un rinnovamento religioso e umano in pieno accordo con il
Concilio.
Inizialmente, si operò sul fronte delle istituzioni ecclesiastiche e
delle persone. Si promosse la riforma della curia romana5 (riorganiz-
zazione delle Congregazioni e istituzione di nuove realtà, per esempio
la Commissione Teologica), la creazione di organismi di correspon-
sabilità ecclesiale, sia a livello universale (il Sinodo dei Vescovi) sia

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a livello locale (Consigli presbiterale e pastorale); l’applicazione dei


decreti conciliari relativi all’episcopato, al presbiterato e ai luoghi di
formazione preposti a esso, al laicato; e, non ultimo, l’avvio anche
del diaconato permanente. Particolare fu poi l’iter interpretativo e
applicativo della riforma liturgica, specialmente per la sua immedia-
ta ricaduta all’interno della vita della Chiesa6. Tutto questo avrebbe
dovuto opportunamente appoggiarsi su indicazioni e istruzioni di
carattere esecutivo più precise. Tuttavia – osserva ancora una volta
lo storico H. Jedin –, la natura dei testi del Vaticano II avrebbe indi-
rettamente implicato delle difficoltà: il Concilio, infatti, non emanò
«decreti che potessero confluire direttamente nel Diritto Canonico»7.
L’attuazione immediata di alcune istruzioni conciliari fu mediata dalla
Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico e nel
1967, soltanto due anni dopo la chiusura del Concilio, fu anche isti-
tuita una Commissione per l’interpretazione autorevole dei testi del
Vaticano II8, attribuendole il ruolo svolto negli anni precedenti (dal
1966 al 1967) da quella per il coordinamento dei lavori conciliari. È
doveroso ricordare anche i numerosi interventi da parte del Magistero.
Nel 1966, la neonata Congregazione per la Dottrina della Fede inter-
venne rispetto ad alcune interpretazioni dei documenti conciliari, giu-
dicate erronee9 e Paolo VI più volte, già in Concilio, richiamò l’auten-
tica interpretazione del Vaticano II, aiutandone così lo svolgimento e
la recezione10 (si pensi alle Notificationes sulla qualificazione teologica
generale della dottrina esposta nello schema sulla Chiesa e alla Nota
explicativa praevia sul Collegio dei Vescovi11).
Nonostante tutto, alcune questioni cruciali di carattere ermeneuti-
co rimasero insolute. A tal proposito, appaiono opportune due con-
Francesco Saverio Venuto

siderazioni. La prima: il Vaticano II potrebbe essere ricordato per il


suo tentativo di realizzare una sintesi fra diverse posizioni teologiche,
attraverso la ricerca, a volte faticosa, del consenso. Durante le vota-
zioni finali dei documenti, questo si concretizzò nel raggiungimento di
un’unanimità morale senza precedenti. Perché – ci si potrebbe legitti-
mamente chiedere –, nonostante questi sforzi e soddisfacenti risultati,
il periodo post-conciliare del Vaticano II si è rivelato, e continua a
essere, tormentato? Il permanere o l’acuirsi in senso negativo di ten-
sioni teologiche – osservava Ratzinger, conferendo con l’episcopato
cileno – non si deve attribuire direttamente al Vaticano II, ma a un
fenomeno che caratterizza spesso il periodo successivo a un concilio,

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e specialmente quello post-Vaticano II. Le molteplici posizioni che


hanno in qualche modo concorso al raggiungimento di un consenso,
sembrano tornare ad «appropriarsi del proprio contributo o punto di
vista conciliare»12.
Seconda considerazione: il bisogno e allo stesso tempo la difficol-
tà di precisare la natura dell’avvenimento del Vaticano II e delle sue
decisioni implicano una duplice problematica: per un verso il tenta-
tivo di definirne l’originalità rispetto alla Tradizione e per un altro
l’appassionato confronto sul significato dell’aggiornamento proposto
dal Concilio, soprattutto riguardo agli eventi, a volte contraddittori, a
esso posteriori. Entrambe le questioni diedero impulso a una prima ri-
cerca storico-teologica sul Vaticano II. Non erano i dati statistici a far
discutere, quanto piuttosto il discorso intorno al significato di quello
che era accaduto nella Chiesa e nelle sue relazioni con il mondo in
seguito al Vaticano II.
Già in questa prima fase si andarono generalmente affermando due
forme complementari di lettura del Concilio13: una più attenta ai con-
tenuti teologici; l’altra rivolta con maggior interesse all’avvenimento
in se stesso e ai fenomeni post-conciliari, esplicitandone le eventuali
relazioni.
Nel primo caso, in conformità a un criterio più teologico, il novum
del Vaticano II fu esplicitato all’interno della dinamica Tradizione-

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


Progresso. Per tale ragione, gli elementi di svolta inerenti al metodo e
al contenuto teologico dell’ultimo concilio, non avrebbero comporta-
to delle antinomie rispetto al trascorso ecclesiale, quanto piuttosto il
necessario completamento e la manifestazione di uno sviluppo vitale
per l’esistenza stessa della Chiesa.
Nel secondo caso, il giudizio sull’interpretazione dello specifico
storico del Vaticano II apparve più complesso. Infatti, molteplici e
differenti furono le osservazioni espresse, specialmente nella ricerca
di un criterio di valutazione della relazione tra il Concilio e i fenomeni
post-conciliari. Riforma o evoluzione e rivoluzione, sviluppo o travisa-
mento, rappresentavano già allora i termini più ricorrenti del confron-
to ermeneutico sul Vaticano II. Le numerose considerazioni sul tema
possono essere complessivamente raggruppate in tre orientamenti.
Primo. ‘Evoluzione’ e ‘rivoluzione’ rappresenterebbero due con-
cetti assai diffusi, ma inadeguati a significare cosa realmente è accadu-
to con il Vaticano II. In realtà, l’ultimo concilio, sebbene si presenti

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in ‘tensione’ (Spannung) e in ‘contrasto’ (Gegensatz) rispetto ai concili


precedenti, non implicherebbe un cambiamento radicale del conte-
nuto dottrinale, quanto piuttosto una sua originale ripresentazione.
Il Vaticano II potrebbe essere definito un ‘compendio reintegrante
la Tradizione’, vale a dire una rivitalizzazione del passato, così da
renderlo esistenzialmente significativo ‘per e nel’ presente ecclesiale.
Tutto quello che, anche a livello lessicale, potrebbe apparentemen-
te far pensare a una rottura nei confronti della Tradizione, quindi a
una rivoluzione, dovrebbe essere al contrario ritenuto una positiva
manifestazione, anche se imprevedibile, della dinamica di sviluppo
all’interno della Chiesa, paragonabile a una linea a ‘zig-zag’ orientata
in avanti14.
Secondo. I concetti di ‘evoluzione’ e ‘rivoluzione’ non rendono pie-
namente ragione alla prassi ecclesiale post-Vaticano II. Quest’ultima
dipenderebbe piuttosto dal mutare delle situazioni temporali. Inoltre,
sarebbe empiricamente impossibile cogliere la continuità di uno svi-
luppo dottrinale e, di conseguenza, l’assenza di una ‘rivoluzione’, a
prescindere da uno status di fede caratterizzato dalle sue dinamiche
interne (definizione, spiegazione e interpretazione magisteriale). Il
Vaticano II rappresenterebbe certamente una ‘svolta’ (non rivolu-
zionaria) nella storia della Chiesa, conservando tuttavia nell’effettiva
presenza di una diversità empirica un’unità interna con il suo passato.
Questa continuità diverrebbe percepibile a livello di fede ecclesiale15.
Terzo. Il movimento post-conciliare sarebbe stato caratterizzato da
fenomeni apertamente in contrasto con le intenzioni del Vaticano II,
imputabili molto probabilmente all’incertezza esplicativa e applicati-
va dell’aggiornamento conciliare16. Se al Concilio di Trento il proble-
Francesco Saverio Venuto

ma più evidente si manifestò nel reperire gli uomini adatti per attuare
le riforme espressamente volute, diversamente, al Vaticano II sarebbe
mancata una chiarezza sul programma di riforma e su quale direzione
seguire per concretizzarlo. Nelle istituzioni sembrerebbe essersi im-
posto un moto rivoluzionario piuttosto che evolutivo, facendo pre-
supporre che il Vaticano II stesso abbia giustificato una ‘rottura’ con
la Tradizione. Questo non corrisponde al vero. In realtà – per questo
terzo orientamento –, l’apporto più significativo del Concilio consi-
sterebbe nell’aver favorito una più marcata coscienza storica, estesa a
tutti i componenti interni alla dinamica di sviluppo della Tradizione.
Per questa ragione anche il Magistero, pronunciandosi solennemen-

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te attraverso le enunciazioni dogmatiche nell’atto di interpretare la


Scrittura, è soggetto a interpretazione, vale a dire: non soltanto il dog-
ma interpreta la Scrittura, ma anche la Scrittura interpreta il dogma.
Questo non significa tuttavia relativizzare i fattori che caratterizzano
la struttura della Chiesa, consegnandoli alle sensazioni momentanee di
un’epoca, quanto piuttosto un continuo ripensarli, affinché si possano
attestare nella vita ecclesiale. Il Vaticano II non rappresenta l’accadere
di una ‘nuova Rivelazione’, ma una rilettura della Tradizione all’inter-
no di una nuova situazione, così da conservarne l’essenziale (aggior-
namento). La dinamica dello sviluppo della tradizione (Magistero-
Scrittura) potrebbe in questo modo diventare criterio per giudicare il
movimento post-conciliare in relazione al Vaticano II17.
In questa prima fase, si affermarono anche tendenze che contrap-
posero le componenti della relazione Tradizione-Progresso, con una
particolare preferenza per il termine ‘rivoluzione’18. Una posizione
enfatizzante la Tradizione riduceva la portata teologica del Concilio,
fino al punto di delegittimarlo dottrinalmente. Viceversa, un’altra
tendenza, accentuando i fattori ritenuti ‘rivoluzionari’ del periodo
post-conciliare, indicava nel Vaticano II l’inizio di una ‘nuova Chiesa’.
Paradossalmente l’idea di una Chiesa ex novo fu una tesi condivisa
da gruppi di connotazione sia ‘progressista’ sia ‘tradizionalista’. Ma
mentre i primi valutarono la ‘novità’ del Vaticano II come un elemen-

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


to positivo di rottura, i secondi, al contrario, interpretarono il novum
conciliare come un tradimento del depositum fidei e, di conseguenza,
come un’eresia.
Particolare fu anche il dibattito sulla relazione ‘spirito-lettera’19. La
dialettica fra questi due fattori, non esaurendosi esclusivamente nella
loro armonia o contrapposizione, fu piuttosto orientata sulla discus-
sione intorno a quale dei due elementi si sarebbe dovuto attribuire
la priorità nella formulazione del giudizio sul Vaticano II e sugli av-
venimenti a esso successivi. Per alcuni lo ‘spirito’ avrebbe tradito la
‘lettera’ conciliare creando una sorta di concilio parallelo; per altri, al
contrario, la ‘lettera’ avrebbe smorzato e compromesso la novità del
Vaticano II.
La presenza di queste differenti ‘riletture conciliari’, già in questo
primo periodo post-Vaticano II, è rivelatrice della complessità della
questione ermeneutica. Tra la fine del 1967 e l’inizio del 1968, mo-
mento in cui la Chiesa fu attraversata da un forte movimento di con-

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testazione su molteplici livelli, le ermeneutiche conciliari si esposero


anche su un altro interrogativo: il Concilio è, direttamente o indiretta-
mente, causa e origine di questa crisi? Le risposte furono numerose e,
spesso, discordanti. Rispetto a esse è tuttavia opportuno distinguere
quelle determinate da risentimenti tra fazioni in contrasto da quelle
che manifestarono l’intenzione di portare avanti una più equilibrata
e scrupolosa analisi dei fatti. Così, il 1968 e gli avvenimenti a esso
connessi contribuirono a far rileggere, specialmente nel mondo occi-
dentale, l’insieme dei temi precedentemente accennati nell’ottica di
un rapporto tra Vaticano II e crisi ecclesiale20. In questo periodo così
tormentato, Paolo VI, a termine dell’Anno della Fede da lui stesso in-
detto, intervenne autorevolmente pronunciando una solenne profes-
sione di fede, meglio conosciuta come «Credo del popolo di Dio»21.
Con essa, non soltanto vennero riaffermate le principali verità della
fede cattolica, messe in discussione in nome del Vaticano II da alcune
teologie post-conciliari, ma in un certo qual senso fu anche indicata
una corretta ermeneutica del Concilio: lo sforzo compiuto di presen-
tare i misteri di Dio in una modalità più confacente alle nuove genera-
zioni, senza stravolgimenti dettati da una passione per una novità fine
a se stessa.

1968-1978: la crisi ecclesiale e il Concilio Vaticano II

Nel 1970 Paolo VI, con l’esortazione apostolica Quinque iam anni22,
invitò la Chiesa a celebrare il primo lustro dalla chiusura del Vaticano
II. Il Pontefice pose in evidenza diversi aspetti positivi del Concilio,
Francesco Saverio Venuto

ma fondamentalmente l’acquisizione da parte della Chiesa di una pie-


na coscienza di se stessa in vista della sua missione nel mondo contem-
poraneo. Come trasmettere «agli uomini d’oggi la verità di Dio nella
sua integrità e nella sua purezza, in modo che essa sia resa loro intel-
legibile ed essi l’accolgano volentieri», rappresentò la più ricorrente
preoccupazione dell’intero documento pontificio. Paolo VI propose
all’episcopato un ‘esame di coscienza’ sulla propria responsabilità nel
conservare e nel trasmettere l’intero patrimonio della fede cattolica,
soprattutto di fronte a posizioni e opinioni diffusesi all’interno della
Chiesa in netto contrasto con la Verità della Fede. Tali eventi – os-
servò il pontefice – sarebbero stati provocati da una profonda crisi

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che «ha investito il linguaggio e il pensiero», contribuendo in questo


modo al diffondersi di un radicale smarrimento nelle comunità eccle-
siali, senza che il Vaticano II in tutto questo abbia avuto una qualche
diretta responsabilità. Il Concilio – dichiarò ancora il papa – avreb-
be voluto evitare un tale disorientamento, lodando e incoraggiando
piuttosto la ricerca teologica, affinché si instaurasse un più proficuo
confronto con le scienze umane e con le «questioni che esse pongono
all’intelligenza dei credenti».
Tuttavia, la crisi nella Chiesa e la sua eventuale relazione con il
Vaticano II catalizzarono gran parte del dibattito sul Concilio, nel
periodo compreso tra il 1968 e il 1978, minimizzando il giudizio
di Paolo VI. Al contrario, le analisi più ponderate e discolpanti il
Vaticano II da una responsabilità diretta sull’origine delle difficol-
tà ecclesiali subirono, all’interno dello scontro ideologico, un esilio
forzato e l’accusa di ‘tradimento’. Questa fu la pena inflitta soprat-
tutto a quelle tesi che, sulla base di un confronto con la storia e la
teologia dei concili precedenti, denunciarono l’uso pretestuoso del
Vaticano II e alcune sue interpretazioni riduttive23.
In relazione alla crisi ecclesiale, merita una particolare attenzione
l’evoluzione dei due fronti più fortemente ideologizzati, vale a dire
quello ‘tradizionalista’ e quello ‘progressista’24.
Nel caso del tradizionalismo il movente principale della crisi nella

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


Chiesa sarebbe stato conseguente all’interagire di tre fattori, dei quali
il primo fu ritenuto quello scatenante. Primo: la natura e l’autorità del
Vaticano II e della sua interpretazione. Il Concilio Vaticano II, aven-
do intenzionalmente rinunciato al carattere strettamente dogmatico
ed essendosi definito ‘pastorale’, si sarebbe presentato con un’auto-
rità dottrinale certamente inferiore se paragonata a quella dei concili
che lo precedettero25; inoltre, il nuovo stile dei documenti avrebbe
favorito molteplici e, a volte, contrastanti interpretazioni, particolar-
mente in relazione ad alcuni ambiti della teologia (la collegialità epi-
scopale, l’ecumenismo, la libertà religiosa, il dialogo interreligioso).
Secondo fattore: l’evoluzione della liturgia. La riforma liturgica, il suo
progresso e attuazione avrebbero rappresentato il segno più evidente
dell’ambivalenza e dell’equivocità del Concilio. Terzo fattore: i disor-
dini dottrinali e disciplinari interni alla Chiesa. La sentenza conclusiva
di questa prima posizione associa al Vaticano II le tesi teologiche e
i fenomeni ecclesiali rivoluzionari e contrari alla Tradizione. Ma in

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questo primo estremismo ermeneutico, il giudizio sul Concilio fu ela-


borato quasi esclusivamente sulla base degli eventi a esso successivi,
escludendo le necessarie distinzioni tra le affermazioni conciliari e la
loro recezione e applicazione.
Sul fronte opposto, ovverosia quello ‘progressista’, continuò a per-
sistere e amplificarsi una certa delusione per gli orientamenti magiste-
riali e le intenzioni di Paolo V, manifestati già a partire dal Concilio:
l’esclusione dal dibattito conciliare di alcune tematiche (riforma della
Curia Romana, celibato ecclesiastico, controllo delle nascite) e la ri-
cerca di un’unanimità fra le diverse tendenze conciliari26. L’astio con-
tro il magistero di Paolo VI raggiunse l’apice nell’anno 1968, con la
promulgazione da parte di Paolo VI dell’enciclica Humanae vitae27.
L’opposizione a questo documento magisteriale divenne il manifesto
di chi riteneva traditi e violati i presunti ideali conciliari di apertu-
ra al mondo contemporaneo. In realtà, la protesta contro l’encicli-
ca di Paolo VI rappresentò soltanto un pretesto di un malessere più
profondo per una mancata riforma all’interno della Chiesa Cattolica.
In questa seconda tendenza ermeneutica il Vaticano II fu valutato a
partire da ideali mitizzati e ideologizzati, i quali, oltre a non aver rag-
giunto una piena realizzazione all’interno dei documenti conciliari,
sarebbero stati traditi nei successivi orientamenti ecclesiali.
Come completamento alla presentazione di questo periodo, è dove-
roso accennare alle vicende di due riviste, Concilium28 e Communio29,
le quali, oltre a essere di riferimento per il dibattito teologico nell’im-
mediato post-Concilio, rappresentano due significativi e influenti
esempi di ermeneutica sul Vaticano II. Concilium esordì nel 1965, ma
di fatto fu progettata durante lo svolgimento del Vaticano II, men-
Francesco Saverio Venuto

tre Communio debuttò negli anni ’70, in pieno periodo post-conci-


liare. Concilium intese inizialmente valorizzare il dialogo tra teologi e
Magistero e promuovere un pluralismo teologico. Questi elementi, a
giudizio dei redattori della rivista, avrebbero caratterizzato il Vaticano
II come ‘svolta’ decisiva all’interno della storia della Chiesa e come
‘modello’ a cui ispirarsi nel confronto teologico e nell’azione pastora-
le30. Nel tempo, il significato del Concilio fu sempre di più identificato
nell’«esperienza collettiva della necessità permanente di rinnovamen-
to della Chiesa che è inviata nel mondo», piuttosto che nella lettera
dei suoi testi, ormai consegnata alla storia31.
Diversamente, Communio intravvide nel Vaticano II un importante

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avvenimento ecclesiale, da comprendersi tuttavia all’interno della re-


lazione Tradizione-Progresso, e principalmente la fonte ispiratrice per
una feconda relazione tra fede e cultura32. Una certa pubblicistica ten-
de a rileggere in modo ideologico e riduttivo la relazione tra i due pe-
riodici, contrapponendoli all’interno della lotta tra forze progressiste
e quelle più moderatamente conservatrici33. Le due riviste non furono
inizialmente progettate in contrapposizione34: alcuni teologi, infatti,
parteciparono per un certo tempo contemporaneamente alla redazio-
ne di entrambe35; tuttavia a partire dalla metà degli anni ’70 apparvero
significative divergenze, specialmente nel definire l’‘aggiornamento’
conciliare e il rapporto con il Magistero ufficiale36. Concilium aspirava
a risolvere la tensione mondo-Chiesa attraverso una riformulazione
più radicale delle modalità espressive dei contenuti dottrinali e una
riforma sostanziale delle istituzioni ecclesiali, assumendo anche un
tono critico rispetto al Magistero e auspicando la convocazione di un
‘Concilio Vaticano III’37. Communio desiderava ugualmente una ri-
presentazione della fede cattolica di fronte alle nuove sfide culturali,
ma attraverso una sostanziale riaffermazione dell’alterità e identità del
dogma, relativizzando i cambiamenti strutturali, mantenendo un dia-
logo proficuo con il Magistero e mettendosi al suo servizio.

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


1978-1985: il Vaticano II tra storia ed ermeneutica

Il 17 ottobre del 1978, Giovanni Paolo II, in occasione del suo primo
messaggio Urbi et orbi, espresse con ferma volontà il desiderio di por-
tare in primo piano l’opera del Vaticano II come fattore determinante
del suo pontificato38. Il Concilio venne innanzitutto definito dal papa
‘pietra miliare’, non solo per la storia della Chiesa, ma anche per quel-
la del mondo. Il pontefice portò all’attenzione dei suoi uditori due
limiti contrapposti e dominanti una prima fase del post-Concilio: la
riduzione dell’avvenimento del Vaticano II soltanto ai suoi documenti
o, in senso opposto, l’eccessivo relativizzarne il contenuto. Piuttosto
– osservò Giovanni Paolo II – si sarebbe dovuto coniugare con «azio-
ne prudente e stimolante» l’applicazione dei decreti conciliari con la
consapevolezza della portata dell’avvenimento stesso del Vaticano II,
prestando attenzione affinché i testi fossero recepiti nell’alveo della
Tradizione. Il papa, con questo suo primo intervento, a prescindere

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dal suo particolare orientamento, manifestò l’urgenza di definire la


portata storica e teologica del Concilio per la Chiesa, soprattutto in
relazione alla pastorale.
Le riletture storico-teologiche sul Concilio di questo periodo si
concentrarono su alcune problematiche di fondo: l’originalità del
Vaticano II in relazione ai concili precedenti e, particolarmente, la sua
collocazione nella storia della Chiesa39. In questa fase iniziarono così
ad affermarsi alcune tra le principali categorie ermeneutiche ancora
attuali: continuità, discontinuità, riforma, trasformazione, rivoluzio-
ne. Esse si affermarono come criteri di valutazione dell’avvenimento
e dei documenti conciliari, contribuendo a rendere ancora una volta
assai contrastato il giudizio sul Vaticano II40. È interessante rilevare
alcune costanti ermeneutiche. Prima costante: un utilizzo sempre più
frequente in ambito storiografico della categoria ‘evento’41, insieme
ai giudizi che ne conseguono, come fattore decisivo per la compren-
sione del Concilio e, a volte, contrapposto a una considerazione del
Vaticano II come ‘corpo decisionale’. Seconda costante: l’evolversi
del rapporto dei componenti del binomio ‘spirito-lettera’. Sullo stato
di complementarietà dei due ebbe il sopravvento un conflitto oppo-
sitivo: il momento storico in cui avvenne la fissazione dello ‘spirito’
del Vaticano II attraverso la ‘lettera’ fu indicato come un tempo di
riduzione, se non addirittura di ‘tradimento’, o del movimento e delle
aspirazioni conciliari o della Tradizione della Chiesa42.
Iniziarono così a distinguersi più chiaramente e a imporsi all’interno
del panorama generale della riflessione sul Concilio diverse tendenze
teologico-storiografiche con le rispettive sfumature che, pur condivi-
dendo le costanti soprammenzionate, rilessero i rapporti tra i tempi
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storici ecclesiali (passato, presente, futuro) in modo assai differente,


influenzando così la relazione Chiesa-Vaticano II in ambito recettivo.
Un primo indirizzo ermeneutico, promotore di una lettura del
Vaticano II attraverso la categoria di ‘evento’, insistette nel far diver-
gere passato e presente, affermando così in questa stessa relazione
temporale una linea di netta separazione43. Tale operazione implicò
due esiti diametralmente opposti: o un’eccessiva apologia del presente
ecclesiale rispetto a un passato prossimo e più remoto o, al contrario,
un rifiuto del presente per una mitizzazione del passato. Si ripropone-
vano in veste nuova gli schieramenti ‘progressista’ e ‘tradizionalista’.
Nei casi più estremi, vale a dire il sostegno all’idea del Vaticano II

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come ‘evento mancato’, la relazione passato-presente venne relativiz-


zata a vantaggio di un futuro ideale e teorico, attraverso cui giudicare
lo stato attuale della Chiesa. Senza voler tuttavia minimizzare le diffe-
renze, gli orientamenti sopramenzionati condivisero la formulazione
di un giudizio storico sul Vaticano II a partire da un’enfatizzazione
del periodo post-conciliare. Inoltre, in coloro che rimarcavano i tem-
pi storici ecclesiali o del passato o del futuro, prevalse una forma di
delusione o per quanto era accaduto di negativo a detrimento della
Tradizione ecclesiale in seguito alla celebrazione e all’applicazione del
Vaticano II o, al contrario, per quanto non venne realizzato a vantag-
gio di una radicale riforma della Chiesa.
Rispetto a quanto è stato finora affermato, è ancora fondamentale
mettere in evidenza alcune ulteriori differenze. Prima differenza: l’iden-
tità. Nel caso di coloro che utilizzarono unilateralmente i tempi storici
del presente e del futuro come criteri di giudizio rispetto alla relazione
Concilio-Chiesa, non apparve un’identità omogenea di pensiero: sussi-
stevano, infatti, divergenti sfumature di valutazione non sempre facil-
mente classificabili. Inoltre, non vi fu un esplicito rifiuto del Concilio,
al massimo alcune tesi dichiararono o che il Vaticano II non avrebbe
portato a compimento la sua opera o che lo stesso sarebbe stato censu-
rato. Al contrario, coloro che si erano erti a difensori della Tradizione
convennero in un rifiuto parziale o totale del Concilio, domandando-

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


ne l’emendamento di alcune parti e, addirittura in alcuni casi, l’intera
cancellazione dall’elenco dei Concili della Chiesa. Seconda differenza:
l’azione. Generalmente, da entrambe le tendenze affiorò una costan-
te critica al Magistero. Nel caso del gruppo ‘progressista’, si affermò
un’operazione capillare ad ampio raggio che tuttavia non giunse mai a
un atto concreto di rottura, a eccezione di un’opposizione più violenta
in alcuni casi e aree geografiche (caso ‘olandese’44, Teologia della libe-
razione45). Viceversa, da parte della corrente ‘tradizionalista’ l’azione
fu indubbiamente molto più limitata e circoscritta dal punto geografi-
co e, contrariamente al ‘progressismo’, con il tempo vennero poste le
premesse per un atto ecclesiale concreto che, in vista della difesa della
Tradizione della Chiesa dal ‘male conciliare’, non ricusò in estremo e
come ‘male minore’ prima l’ipotesi e poi la realizzazione di una rottura
della comunione ecclesiale46.
Prima di riferire sul Sinodo del 1985, è opportuno segnalare un
particolare fenomeno che ebbe inizio già durante la celebrazione del

47
La Rivista del Clero Italiano

Vaticano II e si impose successivamente con particolare forza nella


fase recettiva. Nel 1980, Henri de Lubac propose una riflessione sul
‘concilio virtuale’ o, secondo la sua definizione, ‘paraconcilio’47. Con
questo termine il gesuita francese intese indicare un insieme di eventi
e contenuti, alla cui origine vi sarebbero state un’attenzione e attra-
zione maggiori su quello che il Vaticano II avrebbe dovuto essere o
affermare, piuttosto che sul suo reale contenuto. I fattori originanti il
paraconcilio sarebbero stati molteplici. Tra i molti, de Lubac segnalò
l’affermarsi di idee illusorie di stampo millenarista e la pressante azio-
ne massmediatica. Attraverso sofisticate argomentazioni, il paraconci-
lio imponeva al Vaticano II un programma fantasioso, selezionando-
ne arbitrariamente e contrapponendone i documenti. In tal modo, il
Concilio diventava il pretesto di un programma di riforma assoluta,
secondo il pensiero di un qualche teologo o gruppo di pressione, sna-
turando la volontà stessa dei Padri conciliari. La diffusa e ideologica
invocazione allo ‘spirito del concilio’ – osserva de Lubac a conclu-
sione del suo trattato – è purtroppo divenuta il movente dell’imporsi
di una ‘nuova teologia’ e di una ‘nuova Chiesa’, di cui il Vaticano II
avrebbe rappresentato soltanto una ‘breccia’: una rivoluzione radi-
cale, vale a dire il passaggio da un ‘stato di minore età’ a quello della
emancipazione.
Il Sinodo straordinario del 198548, cosciente delle problematiche
emerse nel primo ventennio post-conciliare, sottolineò l’urgenza di
esaminare le seguenti tematiche: la conoscenza della lettera, ovverosia
dei documenti, e dello spirito autentico del Vaticano II; la verifica
dell’assimilazione da parte dei pastori e dei fedeli dei dettami conci-
liari; l’identificazione e la ricerca delle resistenze e delle opposizioni al
Francesco Saverio Venuto

Vaticano II; i suggerimenti e i criteri per favorire e garantire un’ade-


guata e corretta recezione del Concilio.
Ancora una volta, risulta interessante un contributo, conciso ma
dettagliato, del de Lubac49. Al teologo gesuita fu richiesto da parte
della Segreteria generale del Sinodo un suo parere su alcuni aspetti
problematici riguardo alla ricezione del Vaticano II. De Lubac indivi-
duò quattro limiti, che furono abbondantemente ripresi nei dibattiti
dei Padri sinodali. Primo. La superficiale conoscenza, se non addi-
rittura ignoranza, della ‘lettera’ conciliare, a cui si devono aggiunge-
re le deformazioni massmediatiche, le contrapposizioni ideologiche,
snaturanti e corruttrici. Secondo. L’affermarsi di letture tendenziose

48
1 Gennaio 2014

e riduttive delle due grandi Costituzioni dogmatiche, Dei Verbum e


Lumen gentium. Terzo. L’elusione sistematica del primo capitolo della
Lumen gentium sul ‘mistero della Chiesa’ a vantaggio di una ‘falsa’
interpretazione e centralità del secondo capitolo sul ‘Popolo di Dio’,
e i numerosi fraintendimenti del terzo capitolo sul Collegium episcopo-
rum, inteso come una sorta di novità e confuso spesso con l’istituzio-
ne delle Conferenze Episcopali, nonostante le innumerevoli e chiare
spiegazioni. Quarto. Il diffondersi di disordini liturgici.
Durante il Sinodo, i vescovi espressero complessivamente un giu-
dizio positivo sul periodo post-conciliare, senza sottovalutare alcune
difficoltà di carattere ermeneutico-recettivo, presenti particolarmente
nei paesi cosiddetti occidentali. Tuttavia, fu un dato condiviso all’in-
terno dell’episcopato attribuire la crisi ecclesiale non al Concilio (non
propter Concilium), ma alle semplificazioni, riduzioni, parziali e selet-
tive letture del testo conciliare, diffusesi con maggiore virulenza nel
periodo post-conciliare (post Concilium).
Indubbiamente, il Sinodo del 1985 non poté e allo stesso tem-
po non volle fornire un’interpretazione ‘ufficiale’ del Vaticano II e
risolverne problematiche lasciate aperte, ma cercò, lontano da stec-
cati ideologici, di ribadire e indicare alcuni criteri di ermeneutica e
lettura dei documenti conciliari. Il Concilio – dichiararono i Padri
sinodali50 –, legittimamente convocato e validamente celebrato, es-

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


sendo espressione autorevole del Magistero del Papa in comunione
con i Vescovi nell’interpretare il deposito della Fede, è da promuo-
vere e applicare integralmente. Senza dubbio – osservarono ancora
i Vescovi –, sono attive delle resistenze nel processo recettivo come
conseguenza di un’ermeneutica impostata su una lettura parziale e ri-
duttiva dei testi conciliari, dovuta anche a una mancata attenzione da
parte dell’episcopato nel vigilarne l’interpretazione e l’applicazione.
Nella relazione finale, oltre a incoraggiare una più ampia e profonda
conoscenza del Concilio, attraverso la sua assimilazione interiore, la
sua riaffermazione e la sua attuazione, il Sinodo promosse alcune in-
dicazioni di natura ermeneutica, riproponendo quasi alla lettera i cri-
teri di lettura dell’avvenimento e dei documenti conciliari, così come
erano stati redatti dal teologo Walter Kasper in un suo contributo
inviato in fase preparatoria alla Segreteria generale51. Essi sono: lettura
integrale di tutti i documenti nella loro specificità e nel loro recipro-
co rapporto;attenzione particolare verso le quattro Costituzioni come

49
La Rivista del Clero Italiano

‘chiavi interpretative’ dei decreti e delle dichiarazioni;unità tra spirito


e lettera conciliare;continuità del Vaticano II con la grande Tradizione
della Chiesa.
Il documento conclusivo del Sinodo rappresentò un caloroso invi-
to a considerare il Concilio Vaticano II un momento significativo della
storia della Chiesa e una ulteriore e fondamentale occasione di appro-
fondimento teologico per la fede cristiana. Una lettura storica e allo
stesso tempo teologica del Vaticano II avrebbe potuto contribuire a
una sua più integrale comprensione, evitando così il rischio di letture
aprioristiche, a scapito di una corretta ricostruzione dei fatti storici, e
un’interpretazione ‘ateologica’ e storicista, incapace di rendere ragio-
ne a una continuità e sviluppo nella storia della Chiesa. Le polarizza-
zioni ecclesiali, nonostante il Sinodo, rimasero sostanzialmente intat-
te. Il ‘progressismo’, sulla base dell’abusata tesi dello ‘spirito concilia-
re’, non approvò la delegittimazione da parte dell’autorità di alcune
interpretazioni affermatesi su larga scala in molte Chiese particolari52;
il ‘tradizionalismo’, al contrario, giudicò il Sinodo un’ulteriore confer-
ma di opposizione alla ‘Tradizione’, e una sua rappresentanza confluì,
qualche anno più tardi, nel doloroso scisma indotto da Monsignor
Marcel Lefebvre nel 1988 con la consacrazione di quattro vescovi sen-
za mandato pontificio.

Le categorie ermeneutiche
Vale la pena illustrare sinteticamente le categorie o mediazioni concet-
tuali (o, per dirla alla Max Weber, gli Idealtypen) per mezzo delle quali
l’avvenimento del Vaticano II è stato interpretato. Nel tempo, alcune
Francesco Saverio Venuto

di esse sono divenute sempre più indicative del Concilio e hanno in-
fluito sul processo recettivo, favorendolo oppure ostacolandolo53.
Una delle categorie concettuali in maggior misura utilizzata fu
quella di ‘avvenimento’54. Essa, da fattore costitutivo del procedere
storico, è così divenuta sinonimo per eccellenza del Vaticano II. In
molti casi è stata addirittura amplificata con l’impiego del termine
‘evento’55, rispondendo così all’esigenza di creare la ‘notizia’. Nel ter-
mine ‘evento’ confluirono una certa visione utopistica del mondo e
della Chiesa, desiderosa di un radicale cambiamento e progresso, e
in modo minoritario anche i timori per un cedimento e una resa di
fronte alla modernità. Per caratterizzare l’‘evento Vaticano II’ furono

50
1 Gennaio 2014

ampiamente utilizzati termini come ‘nuova Pentecoste’, ‘fine dell’era


costantiniana e dell’epoca tridentina’, ‘rivoluzione copernicana’56.
Inoltre, il passaggio dall’‘avvenimento’ all’‘evento’ è la causa di due
successive trasformazioni.
La prima: da una semplice connotazione
temporale tra un ‘prima’ e un ‘poi’, in relazione al Vaticano II, all’af-
fermazione di un cesura all’interno della storia della Chiesa, associata
anche alla terminologia ‘decadenza-fioritura’. La seconda trasforma-
zione: dall’osservazione e notificazione di un ‘duplice orientamen-
to ecclesiologico’, uno precedente e uno successivo al Concilio, alla
dichiarazione dell’esistenza di due realtà di Chiesa, di cui una gene-
rata ex novo dal Vaticano II.
L’attestazione di queste due variazio-
ni ha una duplice e opposta matrice. ‘Tradizionalista’: il Concilio ha
rappresentato la nascita di una ‘Chiesa adulterata’ dal modernismo.
‘Progressista’: il Vaticano II ha segnato la fine di una ‘Chiesa mondana’
per una ‘profetica ed evangelica’. Dall’utilizzo consequenziale delle
due categorie summenzionate è possibile osservare la dipendenza di
altre relazioni concettuali (come specificazione qualitativa del termine
avvenimento), intrinsecamente connesse tra loro.
Prima relazione: ‘Tradizione’-‘Progresso’57. L’interpretazione del
Vaticano II a partire dal binomio ‘Tradizione-Progresso’ è a sua volta
connessa a due possibili metodi di lettura. Un primo metodo di na-
tura storico-teologica si differenzia in tre varianti. Una prima variante

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


riconosce il Vaticano II come l’avvenuta occasione di un confronto tra
nova et vetera, di cui il soggetto è la Chiesa di sempre che vive nella
storia. Il Concilio, secondo questa posizione, avrebbe avuto il grande
merito di aver fatto recuperare alla coscienza ecclesiale la dimensione
storica, iniziando a superare in modo propositivo il solco apertosi in
diversi ambiti tra Chiesa e il movimento della storia, specialmente a
partire dal XVIII secolo. Teologicamente il soggetto-Chiesa è sempre
identico nel tempo, ma le sue forme di espressione evolvono come
esito di un rinnovamento ecclesiale all’interno della tensione vitale tra
carisma e istituzione. Tuttavia, tra coloro che sono di questa opinio-
ne sussiste una differente valutazione su alcune forme manifestatesi
nella fase post-conciliare rispetto al rapporto Tradizione-Progresso,
come nel caso di alcune evoluzioni in campo liturgico e nell’eserci-
zio dell’autorità ecclesiale. Secondo alcuni, sono da ritenersi ‘svolte
epocali’ e un recupero rinnovato di elementi nell’alveo della grande
‘Tradizione’ della Chiesa. Viceversa, secondo altri, esse non rappre-

51
La Rivista del Clero Italiano

sentano forme di ‘Progresso’, quanto piuttosto delle ‘rivoluzioni’ ba-


sate su discutibili interpretazioni del Vaticano II e, in speciale modo,
delle sue intenzioni. La seconda e terza variante hanno in comune un
atteggiamento parossistico di divisione verso la relazione Tradizione-
Progresso58. Viceversa, una lettura di carattere prevalentemente stori-
co, prescindendo dal dato teologico e, quindi, dal soggetto-Chiesa in
quanto realtà storica e metastorica, interpreta il binomio ‘Tradizione-
Progresso’ come il rapporto tra il costituirsi di ‘strutture’ umane che
permangono nel tempo e ‘avvenimenti-eventi’ che, oltre a dare dina-
mismo alla storia, modificano profondamente, rompendo radicalmen-
te con il passato, la natura delle relazioni durevoli o ne danno origine a
delle nuove. I fattori ‘Tradizione’ e ‘Progresso’, anche in rapporto alla
storia generale più recente, vengono interpretati in chiave ‘politica’.
Per tale ragione il Concilio Vaticano II è fondamentalmente descritto
come il luogo e l’occasione di scontro fra due fazioni: da una parte vi
sarebbero i sostenitori di un ‘regime di cristianità’ (la destra), dall’al-
tra coloro che anelano al ritorno di una ‘Chiesa profetica’ (la sinistra).
Seconda relazione: ‘aggiornamento’-‘riforma’-‘rivoluzione’59. Il
Concilio Vaticano II è intrinsecamente connesso alla realtà dell’‘ag-
giornamento’. Questa particolare forma di ‘rinnovamento’, similare
in alcuni aspetti a quelli delle epoche precedenti e, allo stesso tem-
po, diverso e originale, riguarda fondamentalmente il complesso
e delicato rapporto tra la Chiesa, con il suo ricchissimo patrimonio
di fede e disciplina, e il movimento della storia. Le categorie stori-
che utilizzate per esplicitare questa nuova tipologia di rinnovamento
inaugurato con il Vaticano II rivelano delle differenze e dei contra-
sti. Fondamentalmente sono due i concetti che, pur se con molteplici
Francesco Saverio Venuto

sfumature e limiti, si affermano nel confronto storiografico: ‘riforma’


e ‘rivoluzione’. Il primo concetto, vale a dire quello di ‘riforma’, ha
indubbiamente contraddistinto il percorso della Storia della Chiesa
con significati assai differenti e antitetici60. Nel caso del Vaticano II
tuttavia ha assunto una valenza del tutto nuova che, pur senza rinne-
gare i significati precedenti che sono in ogni caso ricompresi, consiste
nell’esplicitare la dinamica ‘Tradizione-Progresso’, ovverosia come
l’intera realtà della Chiesa entra in relazione con il movimento della
storia. Viceversa, la categoria di ‘rivoluzione’ da molti è stata applicata
al Concilio a partire dalla considerazione univoca dei fenomeni post-
conciliari attribuiti acriticamente al Vaticano II e non distinti da esso.

52
1 Gennaio 2014

Terza relazione: ‘continuità’-’discontinuità’61. Il concetto di ‘aggior-


namento-riforma’ del Vaticano II, come abbiamo osservato, consiste
principalmente nell’esplicitare la dinamica di ‘Tradizione-Progresso’
e, nello specifico la relazione tra un passato e un presente ecclesiale. In
questo caso diventa fondamentale l’utilizzo del binomio concettuale
di ‘continuità-discontinuità’. È opportuno osservare che i componen-
ti di questa relazione di per sé non esprimono una contrapposizione
come nel caso di ‘riforma-rivoluzione’, quanto piuttosto il permane-
re, la scomparsa o la comparsa di forme dottrinali o disciplinari e di
istituzioni nella tensione tra passato e presente ecclesiale. In tal sen-
so, all’interno di un processo di riforma, le categorie di ‘continuità’ e
‘discontinuità’ sono entrambe presenti. Nell’interpretare il Vaticano
II la dinamica ‘continuità-discontinuità’ è stata molto utilizzata dive-
nendo per la complessità degli avvenimenti e dei fenomeni conciliari
motivo di un aspro contrasto dialettico. Una lettura storico-teologica
privilegia il mantenimento di un certo equilibrio fra ‘continuità’ e ‘di-
scontinuità’ nel permanere nel tempo del soggetto-Chiesa, ma con tre
orientamenti differenti in relazione alla tipologia di passato. Alcuni
accentuano una forte discontinuità rispetto a un passato più prossimo
al Vaticano II, dal quale lo stesso avrebbe preso nettamente le distanze
(il riferimento all’atteggiamento ecclesiale della Chiesa tra il XIX e la
prima metà del XX secolo rispetto alla modernità), affermando che il

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


Concilio avrebbe ribadito una continuità con un concetto più ampio
di Tradizione62. In questo caso è congeniale l’utilizzo della categoria
di ‘evento’, per asserire l’abbandono di un certo passato. Altri enfa-
tizzano la continuità anche con il passato più prossimo al Vaticano II,
glissando sul piano ermeneutico ed esplicativo, soprattutto di fronte
a sviluppi e questioni dottrinali del Vaticano II (libertà religiosa, ecu-
menismo)63. Un terzo orientamento, di carattere più teologico, inter-
preta il binomio ‘continuità-discontinuità’ sulla base della dinamica
‘Tradizione-Progresso’, per cui con il Vaticano II si danno allo stesso
tempo delle continuità e delle discontinuità dottrinali, ma quest’ulti-
me in realtà rappresenterebbero gli elementi di continuità nella fase
del loro sviluppo e assestamento dove emergono fondamentalmente i
principi di differenza64. Nel caso di una lettura puramente storica, la
‘continuità’ e la ‘discontinuità’ sono colte soltanto a un livello stretta-
mente fenomenologico. Il Vaticano II è prevalentemente interpretato
come un fattore di discontinuità nella vita della Chiesa e, in alcuni,

53
La Rivista del Clero Italiano

come un fenomeno di ‘rivoluzione politica’ che ha abbattuto un’ul-


tima forma di ancienne régime nella storia contemporanea. Tuttavia,
non mancano casi in cui si afferma la continuità della Chiesa, non
come soggetto teologico, ma come corpo ‘politico-istituzionale’, no-
nostante l’apparente discontinuità del Vaticano II65.

Conclusioni
Non si può ignorare come, soprattutto nella fase post-conciliare, l’in-
tento di Giovanni XXIII (espresso nel discorso inaugurale Gaudet ma-
ter Ecclesia66 e ripreso con vigore anche dal suo successore Paolo VI
e dai Padri conciliari) di coniugare ‘Tradizione’ e ‘Progresso’, abbia
incontrato ostacoli e incomprensione proprio a partire da un impiego
limitato e ideologico di queste due categorie. Il ‘progressismo’ e il
‘tradizionalismo’, due varianti contrapposte che tendono a ridurre e a
falsare il significato storico-teologico del Vaticano II, paradossalmente
convergevano nell’ermeneutica della rottura. Già nel 1965, pochi mesi
prima della solenne conclusione del Concilio Vaticano II, Ratzinger, in
una conferenza tenuta a Münster, dopo aver delineato i due poli della
dialettica intorno al valore dell’aggiornamento conciliare, aggiungeva:
«E tra le pietre della macina stanno quelli che hanno lottato e sofferto
per il rinnovamento e cominciano ora a domandarsi se sotto il regime
dei cosiddetti conservatori le cose non stessero poi meglio che sotto il
progressismo»67. È realistico considerare la tendenza cosiddetta ‘pro-
gressista’, con le sue sovrapposizioni rispetto all’andamento effettivo
del Vaticano II, come l’ideologia temporalmente e concettualmente
dominante, a partire dalla quale quella ‘tradizionalista’ ha successi-
Francesco Saverio Venuto

vamente costituito e rafforzato le sue opinioni contrarie rispetto al


Concilio. I due ‘schieramenti’, da differenti prospettive, condividono
l’intenzione, più o meno manifesta, di delegittimare e neutralizzare il
Magistero ecclesiale.
Lo storico H. Jedin in un suo promemoria per la Conferenza
Episcopale Tedesca rivolse un accorato appello all’episcopato perché
esercitasse un’attenta vigilanza di fronte al dilagare nella Chiesa delle
istanze dei movimenti del ’6868. Come ai tempi della contestazione
protestante – osservava H. Jedin – la crisi della Chiesa in Germania,
ma anche dell’Occidente – si potrebbe aggiungere – è da attribuirsi
a un ‘disorientamento nella fede’. La teologia, attraverso l’applica-

54
1 Gennaio 2014

zione ipercritica dell’ermeneutica, giunge fino al punto di seminare


il dubbio di fronte al carattere vincolante delle definizioni dogmati-
che promulgate dai concili precedenti; il magistero della Chiesa, se
non viene ridicolizzato e ‘screditato’ dalla teologia, è tuttavia ridotto
al rango di semplice opinione fra le tante. Al preoccupante conflitto
tra magistero e teologia – sottolineava ancora H. Jedin –, si devono
aggiungere una certa ‘avversione’ all’autorità e il ‘disprezzo’ per l’ob-
bedienza, da ricondursi non a particolari frange di illusi o a reazioni
emotive di fronte a repentine trasformazioni ecclesiali, ma piuttosto
a un’‘insicurezza e conflitto di coscienza’. L’episcopato – suggeriva
infine il grande storico del Concilio di Trento – non può abdicare la
propria responsabilità a ‘gruppi tradizionalisti’, nel tentativo di argi-
nare le posizioni di una ‘sinistra ecclesiale’, ma dovrebbe esercitare
la sua autorità con decisione per la ‘tutela e la custodia integrale del
patrimonio della fede’, perché all’orizzonte non si porrebbe soltanto
il pericolo di uno scisma, ma molto di più, in senso negativo, il rischio
di un ‘estraniamento’ dei fedeli dalla Chiesa.

1
Per le abbreviazioni dei nomi delle riviste: S.M. Schwertner (ed.), Internationales

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


Abkürzungsverzeichnis für Theologie und Grenzgebiete, 2 ed., Walter de Gruyter, Berlin
- New York 1994. In generale, per la recezione e l’ermeneutica di un concilio, e in
particolare per il Vaticano II, rimandiamo a Fr. S. Venuto, La recezione del Concilio
Vaticano II nel dibattito storiografico dal 1965 al 1985. Riforma o discontinuità?, Effatà,
Cantalupa (To) 2011, pp. 9-51; 426-432. Di seguito, si segnalano soltanto alcuni studi
più significativi: Y. Congar, La ‘réception’ comme réalité ecclésiologique, RSPhTh, 56
(1972), 369-403; A. Grillmeier, Konzil und Rezeption. Methodische Bemerkungen zu
einem Thema der ökumenischen Diskussion der Gegenwart, ThPh, 45/3 (1970), 321-
352; G. Routhier, La réception d’une concile, Ed. du Cerf, Paris 1993.
2
H. Jedin, Storia della mia vita, Morcelliana, Brescia 1987, pp. 322-323.
3
H. Jedin, La storia della Chiesa è teologia e storia, Vita e Pensiero, Milano 1968, pp.
24-28.
4
Paulus VI, Homelia «Hodie Concilium», 7 dicembre 1965, AAS, 58 (1966), pp. 51-59.
5
Paulus VI, Constitutio Apostolica «Regimini ecclesiae universae», 15 agosto 1967,
AAS, 59 (1967), pp. 885-928.
6
Molto interessante l’intervento di K. Koch, La costituzione sulla Sacra Liturgia e la
riforma liturgica postconciliare. Innovazione e continuità alla luce dell’ermeneutica della
riforma, in Il Concilio Vaticano II. L’ermeneutica della riforma, pp. 105-165.
7
H. Jedin, Il Concilio Vaticano II, in Id. (dir.), Storia della Chiesa, X, Jaca Book, Milano
1980, pp. 153-154.
8
Paulus VI, Motu proprio «Finis Concilio», 3 gennaio 1966, AAS, 58, (1966), pp. 37-
40.

55
La Rivista del Clero Italiano

9
Congregatio pro doctrina fidei, Epistola «Cum œcumenicum concilium», 24 luglio
1966, AAS, 58 (1966), pp. 659-661.
10
M. Vergottini (ed.), ‘Nel cono di luce del Concilio’. Discorsi e documenti (1965-1978),
Studium, Brescia 2006.
11
Concilio Vaticano II. Costituzioni. Decreti. Dichiarazioni, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano1998, pp. 272-273.
12
J. Ratzinger, Unidad en la tradición de la fe, «Cuaderno Humanitas», 20 (2008), p. 38.
13
H. Jedin, Vatikanum II und Tridentinum. Tradition und Fortschritt in der
Kirkengeschichte, Westdeutscher Verlag, Köln-Opladen1968.
14
H. Jedin, Vatikanum II und Tridentinum, cit., pp. 27-30.
15
Ibi, pp. 32-36. Si tenga presente anche K. Rahner, Interpretazione teologica
fondamentale del Concilio Vaticano II, in Id., Sollecitudine per la Chiesa. Nuovi Saggi,
VIII, Edizioni Paoline, Roma 1982, pp. 343-361.
16
G. Angelini, L’aggiornamento: suggerimenti e problemi di una formula fortunata,
Teol(M), 37 (2012), pp. 361-382; J.M. Bredeck, Das Zweite Vatikanum als Konzil
des Aggiornamento. Zur hermeneutischen Grundlegung einer theologischen
Konzilsinterpretation, Schöningh, Paderbon-München-Wien-Zürich 2007; W. O’Malley,
Reform, Historical Consciousness, and Vatican II’s Aggiornamento, TS, 32/4 (1971), pp.
573-601; Fr. M. Willam, Von jungen Angelo Roncalli (1903-1907) zum Papst Johannes
XXIII (1958-1963), F. Rauch, Innsbruck 1967.
17
H. Jedin, Vatikanum II und Tridentinum, cit., pp. 30-31; 44-48; 57-58.
18
Fr. S. Venuto, La recezione del Concilio Vaticano II, cit., pp. 119-121.
19
Ibi, pp. 205-208.
20
L. Bouyer, La décomposition du catholicisme, Aubier-Montaigne, Paris 1968; H. de
Lubac, L’Église dans la crise actuelle, in NRTh, 91/6 (1969), pp. 580-596; J. Maritain,
Le paysan de la Garonne, Desclée de Brouwer, Bruges-Paris 1966; Gr. Rhenanus,
Aufrubuch oder Zusammenbruch?, Thomas-Verlag, Zürich 1966.
21
Insegnamenti di Paolo VI, VI, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1968, pp.
300-310.
22
Paulus VI, Adhortatio apostolica «Quinque iam anni», 8 dicembre 1970, AAS, 63
(1971), pp. 97-106.
23
I casi più interessanti coincidono con le vicende personali di H. de Lubac e J. Ratzinger.
Entrambe le personalità denunciarono l’atteggiamento ostile nei loro confronti in
seguito ai giudizi espressi su alcune interpretazioni del Vaticano II e degli avvenimenti
post-conciliari: H. de Lubac, Entretien autour de Vatican II. Souvenirs et Réflexions,
France Catholique – Ed. du Cerf, Paris 1985; Id., Memorie intorno alle mie opere, Jaca
Francesco Saverio Venuto

Book, Milano 1992, pp. 319-455; V. Messori, Rapporto sulla fede: a colloquio con il
cardinale Joseph Ratzinger, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1985, pp. 15-16.
24
Sul fronte ‘tradizionalista’: pp. 23-38; M. De Corte, L’hérésie conciliaire ou l’hérésie de
l’action, «Itineraires», n. 205 (1976), pp. 24-25; Id., Seconde note sur l’hérésie conciliaire
ou l’hérésie de l’action, «Itineraires», n. 207 (1976), pp. 54-68; J. Madiran, Le concile en
question. Correspondance Congar-Madiran sur Vatican II et sur la crise de l’Eglise, D. M.
Morin, Grez-en-Bouère 1985; L. Salleron, Problèmes de l’aggiornamento, «Itineraires»,
n. 79 (1964), pp. 23-38; Id., Reparlons du Concile, «La Pensée catholique», n. 170
(1977), p. 43-54. Sul fronte ‘progressista’: Concilium: Il libro del Congresso, Bruxelles
1970. L’avvenire della Chiesa, Queriniana, Brescia 1970; D. Tracy (ed.), Toward Vatican
III. The Work That to Be Done, Gill and Macmillan, Dublin 1978.
25
M. De Corte., Nicée et Vatican II, «Itineraires», n. 215 (1977), pp. 110-141; si tenga
presente anche la lettera di Paolo VI: A propos des fondations de Mgr Lefebvre, DC, 1689
(1976), pp. 33-34. Sulla finalità pastorale del Vaticano II si veda: Br. Seveso, Vaticano II.
L’indole pastorale, Teol(M), 37 (2012), pp. 383-414.

56
1 Gennaio 2014
26
Gli interventi di Paolo VI rispetto al Concilio sono divenuti occasione di giudizi differenti
e contrastanti. A tal proposito: R. Burigana - G. Turbanti, L’intersessione: preparare la
conclusione del Concilio, in G. Alberigo (dir.), Storia del Concilio Vaticano II, IV, Peeters
- Il Mulino, Bologna 1999, pp. 524-536; V. Carbone, Il Concilio Vaticano II. Preparazione
della Chiesa al Terzo Millennio, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, pp.
69-71; 77-81; 93-97; H. Jedin, Il Concilio Vaticano II, in Id., Storia della Chiesa, X, Jaca
Book, Milano 1995, pp. 132-152; M. Maccarrone, Paolo VI e il Concilio: Testimonianze,
RSCI, 53/1 (1989), pp. 103-111 L. A. G. Tagle, La tempesta di novembre: la ‘settimana
nera’, in G. Alberigo (dir.), Storia del Concilio Vaticano II, IV, Peeters - Il Mulino, Bologna
1999, pp. 417-482; G. Turbanti, Verso il quarto periodo, in G. Alberigo (dir.), Storia del
Concilio Vaticano II, V, Peeters Il Mulino, Bologna 2001, pp. 43-56.
27
Paulus VI, Littera encyclica «Humanae vitae», 25 luglio 1968, AAS, 60 (1968), pp.
481-503. Sulle vicende relative all’enciclica: A. Acerbi, Il pontificato di Paolo VI, in E.
Guerriero (dir.), Storia della Chiesa, XXV/1, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994,
pp. 82-91; Y. Chiron, Paul VI. Le pape écartelé, Perrin, Paris 1993, pp. 277-306; A
Tornielli, Paolo VI. L’audacia di un papa, Mondadori, Milano 2009, pp. 484-519;.
28
H. Snijdewind, Genèse et organisation de la revue internationale de théologie
Concilium, CrSt, 21/3 (2000), pp. 645-674; Fr. S. Venuto, Concilium: 1965-1984,
in Id., La recezione del Concilio Vaticano II, cit., pp. 147-181. Si tengano presenti
anche le interessanti, ma non imparziali, annotazioni del teologo dissidente H. Küng
sull’evoluzione del periodico e dei rapporti con Communio: H. Küng, La mia battaglia
per la libertà. Memorie, Diabasis, Reggio Emilia 2008, pp. 352-354; 451-455; Id.,
Disputed Truth. Memoirs II, Continuum, New York 2008, pp. 27; 46-48; 156-157; 233;
356-357.
29
H. U. von Balthasar, La mia opera ed epilogo, Jaca Book, Milano 1994, pp. 84-85; J.
Ratzinger, Vent’anni della rivista Communio. Il coraggio di rischiare, Com(I), 124 (1992),
pp. 11-22; P. Henrici, Gründungsintention und Zukunftsperspektiven der Communio,
IkaZ, 27/1 (1998), pp. 88-94; H. Maier, Der Weg der “Communio”. Erinnerungen und
Erfahrungen, in IkaZ, 27/1 (1998), pp. 83-88; Fr. S. Venuto, Communio: 1971-1984, in

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


Id., La recezione del Concilio Vaticano II, cit., pp. 181-191.
30
K. Rahner - E. Schillebeeckx, Una nuova rivista internazionale di teologia. Perché e per
chi?, Conc(I), 1 (1965), p. 13-16.
31
‘Concilium’ nella fedeltà al Concilio: il nuovo programma, Conc(I), 19/10 (1983), p.
167.
32
H.U. von Balthasar, Communio: un programma, Com(I), 1 (1972), pp. 3-12.
33
Per esempio: M. Faggioli, Concilium, Communio, and post-Vatican II theology, in
Vatican II: The Battle for Meaning, cit., pp. 50-53.
34
I principali promotori della rivista Communio si opposero al progetto, soprattutto di
area francese, di realizzare una rivista contrapposta a Concilium: Presentazione di una
rivista, Com(I), 0 (1971), p. 1.
35
H. de Lubac, Carnets du Concile, II, Ed. du Cerf, Paris 2007, pp. 49; 61; 220-221;
395-396; Id., Memorie intorno alle mie opere, pp. 328-329; 386; 391-392; K. Rhaner,
‘Opportune et importune’, Conc(I), 19/10 (1983), pp. 163-165.
36
Fr. S. Venuto, Concilium, Communio e il Concilio Vaticano II, in Id., La recezione del
Concilio Vaticano II, cit., pp. 191-194.
37
Dichiarazione sulla libertà e la funzione della teologia nella Chiesa, Conc(I), 5/1 (1969),
pp. 1-7; Il Libro del Congresso, Brescia: Queriniana, 1970; Toward Vatican III. The Work
That Needs to Be Done, Seabury Press, New York 1978. Dichiarazione sulla libertà e la
funzione della teologia nella Chiesa, Conc(I), 5/1 (1969), pp. 1-7.
38
Joannes Paulus II, Allocutio «Unum solummodo», 17 ottobre 1978, AAS, 70 (1978),
pp. 920-922.

57
La Rivista del Clero Italiano

39
J.W. O’Malley, Developments, reforms, and two great reformations: towards a historical
assessement of Vatican II, TS, 44/3 (1983), pp. 373-406.
40
Fr. S. Venuto, La recezione del Concilio Vaticano II, pp. 251-279.
41
Ibi, pp. 262-265.
42
Ibi, pp. 265-267.
43
Y. Congar, Regard sur le Concile Vatican II, in Id., Le Concile de Vatican II. Son Église.
Peuple de Dieu et corps du Christ, Beauchesne, Paris 1984, pp. 49-72; H. Pottmeyer,
«Una nuova fase della ricezione del Vaticano II. Vent’anni di ermeneutica del Concilio»,
pp. 41-63.
44
R. Pesch, Due credo: Roma e Olanda, Edizioni Paoline, Catania 1972; L. Rosadoni, I
cattolici olandesi ovvero il rischio di essere vivi, Gribaudi, Torino 1968; C. Straeter, Die
neue Theologie in Holland, Habbel, Regensburg 1970.
45
In generale: Congregatio pro Doctrina Fidei, Instructio, Libertatis nuntio, 6 agosto
1984, AAS, 76 (1984), pp. 876-909; R. Gibellini, Il dibattito sulla Teologia della
liberazione, Queriniana, Brescia 1986; B. Mondin, I teologi della liberazione, Borla,
Roma 1977. Esponenti della Teologia della liberazione: L. Boff, Teologia della cattività
e della liberazione, Queriniana, Brescia 1977; G. Gutiérrez, Teologia della liberazione:
prospettive, Queriniana, Brescia 1973.
46
G. des Lauriers, Le Siège Apostolique est-il Vacant?, CCass, n. 1 (1979); M. Lefebvre,
Un vescovo parla, Rusconi, Milano 1974, p. 195; G. de Nantes, Lettere, Volpe, Roma
1969. Si tenga comunque presente: Fr. Lafage, Du refuse au schisme. Le traditionalisme
catholique, Ed. de Seuil, Paris 1989.
47
H. de Lubac, Concile et paraconcile, in Id., Petite catéchèse sur Nature et Grâce,
Fayard, Paris 1980, pp. 169-175. Si tenga presente anche la variante ‘metaconcilio’: Ph.
Delhaye, La scienza del bene del male. La morale del Vaticano II e il ‘metaconcilio’, Ares,
Milano 1981. Un recente articolo: M. Vergottini, Contro la ‘mitizzazione’ del concilio:
paraconcilio, metaconcilio, anticoncilio», Teol(M), 37 (2012), pp. 450-478.
48
G. Caprile, Il Sinodo dei Vescovi. Seconda Assemblea Generale Straordinaria (24
novembre - 8 dicembre 1985), La Civiltà Cattolica, Roma 1986. Fr. S. Venuto, Il Sinodo
dei Vescovi del 1985, in Id., La recezione del Concilio Vaticano II, cit., pp. 53-107.
49
H. de Lubac, Risposta alla Segreteria generale, 12 marzo 1985, Città del Vaticano,
Segreteria generale del Sinodo, 232/85, 3 ff., in Fr. S. Venuto, La ricezione del Concilio
Vaticano II, cit., pp. 377-380.
50
Synodus episcoporum, Relatio finalis «Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi
celebrans pro salute mundi», in EV 9, pp. 1779-1818.
51
W. Kasper, Risposta alla Segreteria del Sinodo, Città del Vaticano, Segreteria Generale
Francesco Saverio Venuto

del Sinodo, 187/85, 3 ff., in Fr. S. Venuto, La ricezione del Concilio Vaticano II, cit., pp.
371-372.
52
Per esempio: Lettera aperta delle teologhe e dei teologi di Concilium a proposito del
prossimo Sinodo, in Conc(I), 21/5 (1985), pp. 11-14. Per altre contestazioni si rimanda a
Fr. S. Venuto, La ricezione del Concilio Vaticano II, cit., pp. 83-85; 103, n. 190.
53
Fr. S. Venuto, La ricezione del Concilio Vaticano II, 320-350. Sul valore e l’utilizzo
dei concetti: H. Jedin, La storia della Chiesa è teologia e storia, cit., pp. 11-14; H.-I.
Marrou, La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna 2001, pp. 131-182; R. Koselleck,
Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, Clueb, Bologna 2007, pp. 131-132.
54
Fr. S. Venuto, La ricezione del Concilio Vaticano II, cit. pp. 326-330.
55
Ibi, pp. 330-337.
56
‘Nuova Pentecoste’, ‘fine dell’era costantiniana e dell’epoca tridentina’, ‘rivoluzione
copernicana’ rappresentano alcuni dei concetti più utilizzati e diffusi sia in favore sia in
opposizione al Vaticano II. R. Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa
cattolica nel secolo XX, 3 ed., Ricciardi, Milano-Napoli 1985, pp. 86-89; M.-D. Chenu,

58
1 Gennaio 2014

La fine dell’era costantiniana, in J.-P. Dubuois-Dumée et alii (eds.), Un concilio per il


nostro tempo, Morcelliana, Brescia 1962; Y. Congar, Una Chiesa contestata, Queriniana,
Brescia 1969, p. 14; H. Fesquet, Diario del Concilio. Tutto il Concilio giorno per giorno,
Mursia, Milano 1967, p. 1041, Id., Roma si è convertita ?, Paideia, Brescia 1967, pp. 24-
27; 122; R. Graber, Zur nachkoziliaren Sitution der Kirche. Ein Vortrag vor der Akademie
der “Kontakte der Kontinente” am 19. Januar 1967, Abensberg: Druck 1968, p. 12.
57
Fr. S. Venuto, La ricezione del Concilio Vaticano II, cit. pp. 338-346.
58
Queste due varianti rappresentano le posizioni dei ‘tradizionalisti’ e dei ‘progressisti’.
59
Fr. S. Venuto, La ricezione del Concilio Vaticano II, cit., pp. 346-348.
60
Chr. Bellitto, Renewing Christianity. A History of Church Reform from Day One to
Vatican II, Paulist, New York 2001. Sull’idea di riforma nel periodo patristico: G. B.
Ladner, The Idea of Reform. Its Impact on Christian Thought and Action in the age of the
Fathers, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1959. Sul significato del termine
‘rinnovamento’ e dei termini affini: G. Schwaiger, H.-J. Kraus, P. Neuner, «Riforma»,
in Enciclopedia Teologica, (1989), pp. 869-891; H. R. Schlette, «Adattamento», in SM,
1 (1974), pp. 1-8; G. Alberigo, Aggiornamento, in Lftk, (1993), p. 231; G. Alberigo - P.
Camaiani, Riforma cattolica e controriforma, in SM, 7 (1977), pp. 38-69; V. Conzemius,
Riforma, movimenti di, in SM, 7 (1977), pp. 80-94. Si tengano presenti anche: G.
Alberigo, La ‘riforma’ come criterio della Storia della Chiesa, in AISIG, n. 6 (1980), pp.
25-40; Y. Congar, Vera e falsa riforma nella Chiesa, 2 ed., Jaca Book, Milano 1994; J.
Ratzinger, Una compagnia in cammino. La Chiesa e il suo interrotto rinnovamento, in
Com(I), n. 114 (1990), pp. 91-105.
61
Fr. S. Venuto, La ricezione del Concilio Vaticano II, cit., 348-350.
62
Ibi, pp. 259-262 (con particolare attenzione alla nota n. 726).
63
Ibi, pp. 125-127.
64
Ibi, pp. 211-213.
65
É. Poulat, Une Église ébranlée. Changement, conflit et continuité de Pie XII à Jean-
Paul II, Casterman, Paris-Tournai 1980.
66
Johannes XXIII, Allocutio «Gaudet Mater Ecclesia», 11 ottobre 1962, AAS, 54

Il Concilio Vaticano II e la sua recezione


(1962), pp. 786-795.
67
J. Ratzinger, Che cosa significa rinnovamento della Chiesa, in Id., Il Nuovo popolo di
Dio, 4 ed., Queriniana, Brescia 2004, p. 289.
68
H. Jedin, Promemoria per la Conferenza Episcopale Tedesca, in Id., Storia della mia
vita, pp. 388-395.

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