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MARCELLO SEMERARO
MISTERO,
COMUNIONE
E MISSIONE
MANUALE DI ECCLESIOLOGIA
ABBREVIAZIONI
AA
AG
CCC
CD
CIC
DH
DS
DV
EO
EV
GS
LG
PG
PL
PO
SC
UR
PREMESSA
H. DE LUBAC, Paradosso e mistero della Chiesa, Jaca Book, Milano 1968, 15.
zano per stili di vita e per obiettivi comuni, per l'impiego solidale di
strumenti adatti al conseguimento di un fine prefissato?
Si dir che la Chiesa pu senz'altro essere osservata in questi suoi
elementi esteriori. Essi, difatti, la connotano e la distinguono dalle altre
societ umane, anche di ordine religioso. Nei suoi aspetti fenomenici ed
empirici, la Chiesa pu essere oggetto di studio da parte dello storico,
cos come del sociologo e dell'antropologo. C', per, un'altra prospettiva
alla quale un cristiano non pu rinunciare e che, anzi, la prima nella
quale egli si pone quando, pronunciando il Simbolo della propria fede,
dice: credo la Chiesa. Con ci le riconosce un posto in quel piano della
salvezza, che egli proclama pensato, voluto e attuato da Dio. dalla
missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa [la
Chiesa], secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine. 2
Questo progetto, il cristiano lo proclama nel suo Credo e lo celebra per
se stesso e per il mondo intero.
la prospettiva nella quale si posto il concilio Vaticano II Questo
concilio, cos centrato ecclesiologicamente da essere chiamato un
concilio della Chiesa sulla Chiesa, stato sicuramente un momento di
forte autocoscienza per l'intera comunit cristiana, dovuto, non da
ultimo, alla sua docilit alla voce dello Spirito. Nella lettera apostolica
scritta per l'avvento del terzo millennio, Giovanni Paolo II ne ha cos
riassunto il significato e i frutti:
Nell'assise conciliare la Chiesa, proprio per essere pienamente fedele
al suo Maestro, si interrogata sulla propria identit, riscoprendo la
profondit del suo mistero di corpo e di sposa di Cristo. Ponendosi in
docile ascolto della parola di Dio, ha riaffermato la universale vocazione alla santit; ha provveduto alla riforma della liturgia, "fonte e culmine" della sua vita; ha dato impulso al rinnovamento di tanti aspetti
della sua esistenza a livello universale e nelle Chiese locali; si impegnata per la promozione delle varie vocazioni cristiane, da quella dei
laici a quella dei religiosi, dal ministero dei diaconi a quello dei sacerdoti e dei vescovi; ha riscoperto, in particolare, la collegialit episcopale,
espressione privilegiata del servizio pastorale svolto dai vescovi in comunione col successore di Pietro. Sulla base di questo profondo rinnovamento, il concilio si aperto ai cristiani delle altre confessioni, agli
aderenti ad altre religioni, a tutti gli uomini del nostro tempo.3
Il concilio, per, non stato un evento improvviso. Esso stato il
frutto di una stagione teologica, avviata gi da prima dell'inizio del
2
3
AG 2: EV 1/1090.
GIOVANNI PAOLO II, lettera apostolica Tertio millennio advenente, 1994, 19.
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per, che in forza dell'amore possibile conoscere meglio e pi approfonditamente quanto, in qualche modo, gi si conosce.7 Si riascolti H.
De Lubac:
Il mistero della Chiesa e la sua benefica influenza sono sempre al di l
di quel poco che noi praticamente ne viviamo. Noi non ci appropriamo
mai che di una piccola parte delle ricchezze che la madre nostra ci dispensa. Nondimeno ogni cattolico, se non un figlio ingrato, canta nel
suo cuore l'inno di gratitudine al quale un grande poeta ha dato nei nostri giorni la sua forma verbale. Ogni cattolico esclama con Paul Claudel: Sia sempre benedetta questa grande madre augusta, sulle cui ginocchia ho tutto appreso.8
doveroso, perci, per addentrarsi nello studio dei singoli punti
dell'ecclesiologia e delle sue questioni particolari, contemplare in se
stesso il mistero della Chiesa e comprendere quanto Dio, nella sua bont
e sapienza, ha disposto per essa fin dall'inizio. necessario elevarsi a
quel liberissimo e arcano disegno di Dio, secondo cui gli uomini, creati
ed elevati alla partecipazione alla vita divina ma caduti in Adamo, non
rimangono abbandonati; piuttosto sono da Dio nuovamente e in maniera
pi mirabile rigenerati e invitati a salvezza in considerazione di Cristo.
Come per mezzo di Cristo, in Cristo e in vista di Cristo gli uomini sono
stati creati, cos per mezzo della fede in Cristo sono chiamati nella santa
Chiesa.9
Nella prospettiva della fede, quando si guarda all'economia salvifica
e alla storia delle meraviglie compiute da Dio in favore dell'uomo, la
realt e il volto della Chiesa emergono pi chiari. Nello stesso Credo la
menzione della Chiesa si fa spazio in questo medesimo e ampio contesto
che ammira ed esalta l'opera di Dio, dal suo inizio alla sua perfezione
escatologica. P. Nautin, che sulla storia e sulla teologia del Simbolo
apostolico ha compiuto uno studio approfondito, ha ritenuto di ravvedere
nella .Tradizione Apostolica la base della terza domanda battesimale.
Essa suonerebbe cos: Credi anche allo Spirito Santo, nella santa
Chiesa, per la risurrezione della carne?. Ne risulterebbe in primo piano
la fede nella terza Persona divina, lo Spirito Santo, di cui si mette in
evidenza l'opera vivificatrice. Per il credente quest'azione ha il proprio
spazio nella Chiesa. Lo ricorda anche il Catechismo della Chiesa
cattolica che, dopo avere accennato alla dipendenza della Chiesa da
Cristo, aggiunge:
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L'articolo sulla Chiesa dipende anche interamente da quello sullo Spirito Santo, che lo precede. In quello, infatti, lo Spirito Santo ci appare
come la fonte totale di ogni santit; in questo, il divino Spirito ci appare
come la sorgente della santit della Chiesa. Secondo l'espressione dei
padri, la Chiesa il luogo dove fiorisce lo Spirito10
Sant'Ireneo di Lione insegnava che, per partecipare alla vita dello
Spirito, occorre andare alla Chiesa; sicch
quelli che non partecipano dello Spirito, non si nutrono alle mammelle
della madre per la vita, n attingono alla purissima sorgente che sgorga
dal corpo di Cristo...; essi fuggono la fede della Chiesa per non essere
smascherati e respingono lo Spirito per non essere istruiti.11
Sarebbe stata la necessit di combattere le eresie a fare collegare cos
strettamente l'opera dello Spirito Santo alla menzione della Chiesa. Ma
un motivo ancora pi profondo dato dal fatto che
alla Chiesa stato affidato il dono di Dio, come il soffio alla creatura
plasmata, affinch tutte le membra, partecipandone siano vivificate; e in
lei stata deposta la comunione con Cristo, cio lo Spirito Santo, arra di
incorruttibilit, conferma della nostra fede e scala della nostra salita a
Dio.12
La Chiesa non solo un oggetto di fede. Essa stessa il luogo nel
quale la fede cattolica accolta, resa possibile e professata. dalla
Chiesa che i neofiti, tutti insieme, ricevono il Simbolo ed alla Chiesa
che, a uno a uno, lo restituiscono, pronunciando le parole su cui
costruita con saldezza la fede della madre Chiesa sopra il fondamento
stabile che Cristo Signore. 13 la Chiesa che accoglie e trasmette il
Vangelo. La fede di tutti e di ciascuno, perci, sempre fede che
ascolta la Chiesa e crede nella Chiesa. 14 Nella propria riflessione il
cristiano non si sottrarr mai alla fede della Chiesa ma, piuttosto, l'avr
come il ritmo del proprio respiro.
CCC, n. 749.
S. IRENEO, Adv. Haer. 24, 1: PG 7, 966-967.
S. IRENEO, Adv. Haer. 24, 1: PG 7, 966; cf. P. NAUTIN, Je crois l'Esprit Saint
dans la Sainte glise pour la Rsurrection de la chair. tude sur l'histoire et la thologie
du Symbole, du Cerf, Paris 1947.
6
S. AGOSTINO, Disc. 215, 1: PL 38, 1072.
14
K. RAHNER, Credo la Chiesa, in ID., Nuovi Saggi, Paoline, Roma 1968, II, 142.
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Capitolo primo
II testo della costituzione dogmatica sulla Chiesa del concilio Vaticano II esordisce con un titolo significativo: il mistero della Chiesa.
Esso impiega, cos, un termine che, centrale nel pensiero cristiano,
carico di multiforme significato, molto antico nel suo uso eppure nuovo
per la risonanza di cui carico ai nostri giorni. Proprio per questo esso ha
bisogno di un chiarimento. Quando, infatti, all'inizio della discussione sul
primo schema De Ecclesia presentato in concilio fu avanzata la
proposta di affermare sin dal principio che la Chiesa non una societ
semplicemente umana bens un mistero, sorsero subito alcune perplessit.
Non forse il mistero, domandarono alcuni, una realt incomprensibile,
comunque occulta e, perci, una dottrina oscura e difficile a capirsi? Era
forse questo che s'intendeva dire indicando la Chiesa come mistero? No,
certamente.
Per capirlo necessario riferirsi al significato biblico di questo
termine e, in particolare, al suo uso nell'epistolario paolino, dove indica
sempre una realt divina, trascendente e salvifica, che in qualche modo
rivelata e manifestata nella storia. Un testo chiave quello di Ef 3,5-6:
Questo mistero non stato manifestato agli uomini delle precedenti
generazioni, come al presente stato rivelato ai suoi santi apostoli e
profeti per mezzo dello Spirito: che i gentili cio sono chiamati, in Cristo
Ges, a partecipare alla stessa eredit, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo.
In questo senso la nozione di mistero appare come particolarmente
adatta a designare la Chiesa. In essa, infatti, si manifestato il
libralissimo e arcano disegno di sapienza e di bont dell'eterno
13
La prima qualit del mistero2 quella d'appartenere a Dio Padre: il mistero suo in un senso assoluto, radicato com' nella sua
stessa misteriosit e nella sua inaccessibilit. Per questo si dice che
nascosto in lui, perch il decreto che egli da sempre ha deliberato a favore degli uomini, prima ancora della fondazione del
mondo. un evento estremamente libero, che ha la sua radice nell'amore infinito, nella misericordia del Padre (cf. lTm 3,16).
Se il Padre all'origine del mistero, il suo contenuto Cristo nel
quale, come dice san Paolo, sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza (Col 2,2). Cristo Ges appartiene al mistero in tutto e per tutto poich in lui la benevolenza del Padre,
senza cessare di essere dono divino, si fatta storia umana. Perci
l'apostolo non intende annunciare altri che Cristo crocifisso e risorto
(cf. ICor 2,2). Egli il Ricapitolatore e l'Unificatore dell'intera
realt (cf. Ef 1,9-10). Il Rivelatore del mistero, infine, lo Spirito
Santo. Il mistero, infatti, non destinato a rimanere occulto bens
progettato per essere manifestato, rivelato e comunicato ai santi (cf.
Col 1,26-27), cio ai fedeli, agli apostoli, ai profeti (cf. Ef 3,5) e, in ultima analisi, all'intera comunit cristiana per mezzo dello Spirito
Santo (cf. Ef 3,4-5).
Il mistero , dunque, legato alla storia di salvezza che il Dio trinitario ha preparato e voluto per l'uomo. Ci che dapprincipio nascosto in Dio destinato a una progressiva realizzazione, ampliantesi di continuo sia in estensione sia in intensit verso il compimento
finale. Per questa ragione il mistero conosce stadi successivi: quello
pre-temporaie, del libralissimo e arcano disegno di bont che il Padre ha preordinato avanti l'origine del mondo per la nostra gloria
(cf. ICor 2,7), e l'altro della sua graduale manifestazione nella prima
alleanza, cui seguono le fasi del suo compimento in Cristo
Cf. LG 2: EV 1/285.
I testi fondamentali dai quali possibile dedurre le qualit proprie del mistero
Paolino sono ICor 2,1.7; Rm 16,25; Col 1,26-27; 2,2; 4,3; Ef 3,4.9; 5,32; 6,19. Sul tema
cf. G. BORNKAMM, Mysterion, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia,
Brescia 1971, VII, 645-716; R. PENNA, // mysterion paolino, Paideia, Brescia 1978.
2
14
Ges, quella della sua propagazione nel tempo della Chiesa e, in ultimo,
quella del compimento finale.
Tale successione di eventi storico-salvifici, opera del Dio vivente che
liberamente in essi si manifesta per andare incontro all'uomo e per
comunicarsi a lui, nella sacra Scrittura pure chiamata economia della
salvezza (cf. Ef 3,9). In quanto economia la storia della salvezza
progressiva e graduale, tutta informata dalla pedagogia divina, con cui
Dio abitua l'uomo a se stesso ed egli si adatta all'uomo. Questa dottrina
presente in sant'Ireneo, che scrive:
Bisognava che l'uomo prima venisse creato, crescesse, dopo essere cresciuto divenisse adulto, si moltiplicasse, dopo essersi moltiplicato divenisse forte, dopo essere divenuto forte fosse glorificato e dopo essere
stato glorificato vedesse il suo Signore. 3
Con la sua pedagogia Dio mostra la sua mirabile condiscendenza
verso l'uomo, affinch questi possa apprendere la sua ineffabile benignit. Dio contempera a noi il suo parlare e cos, quando vuole
compiere opere meravigliose, invia prima delle ombre e delle figure
affinch, grazie a questo processo, la verit trovi migliore accoglienza. 4
1. Il mistero e la Chiesa
Nel contesto dell'economia e della pedagogia divine acquista valore e
significato quanto si legge in Lumen gentium:
I credenti in Cristo [l'eterno Padre] li ha voluti chiamare nella santa
Chiesa, la quale, gi prefigurata sino dal principio del mondo, mirabilmente preparata nella storia del popolo d'Israele e nell'antica alleanza,
e stabilita negli ultimi tempi stata manifestata dall'effusione dello Spirito e avr glorioso compimento alla fine dei secoli. 5
La Chiesa la pedagogia di Dio in azione. Per questo mistero essa
stessa e, al contempo, destinataria della rivelazione del mistero,
16
alla famiglia di qol (voce), il qahal ha anch'esso il significato di assemblea e di folla radunata. Soprattutto nella tradizione deuteronomistica, il termine designa la comunit di Israele in quanto costituita
dall'alleanza. Il nome di JHWH, aggiunto come suo elemento specifico,
la qualifica ancor pi come comunit religiosa: la convocazione di Dio.
Israele l'assemblea del Signore. Tale appare all'Horeb, nel giorno
solenne del Patto e poi, per sempre, raccolta attorno a Dio come sua
unica fonte di vita. In questo senso l'opera del Cronista designa con
qahal l'assemblea liturgica d'Israele al tempo dei re e dopo l'esilio.
Da queste sommarie indicazioni emerge chiaramente la differenza tra
la qahal/ekklesia biblica e la ekklesia greco-profana. Questa differenza
gi dispone verso la comprensione degli elementi nuovi propri della
Chiesa di Cristo. Nell'assemblea del Signore, infatti, non importante
che si raduni qualcuno. , invece, essenziale che sia Dio a radunare il suo
popolo. La comunit quella che Dio, per sua libera elezione, raccoglie
affinch ascolti le Parole che egli vuole comunicarle. Cos la Chiesa di
Dio sostituisce al carattere deliberativo dell'assemblea greca quello suo
proprio dell'ascolto. Israele dovr sempre ricordare che all'Horeb non
vide immagine alcuna, ma solo ud la Voce che promulgava il patto e
pronunciava parole per la vita (cf. Dt 4,10-14).
A quest'assemblea del Signore, diversamente dall'assemblea della
citt greca, non appartengono solamente i cittadini liberi di sesso
maschile, ma tutti, anche le donne e i bambini. Essa non comprende
soltanto i componenti di una citt, bens tutti i figli dell'unico Israele. La
realt demografica e politica di questo popolo passa, quindi, in
sott'ordine, rispetto al carattere religioso che ne fa la comunit del
Signore. La chiamata da parte di Dio il contenuto stesso e\Y ekklesia
veterotestamentaria. Essa l'appello scaturito interamente dalla potenza
di Dio, dalla sua pura grazia. dono di comunione, appello che convoca
gli uomini e li raduna come la comunit di quanti si pongono in
atteggiamento di fede e di amore di fronte all'istanza divina. Al tempo
stesso ekklesia questa comunit di uomini che, nella sua realt sociale e
storica, realizza l'annuncio divino della salvezza. Globalmente intesa
Vekklesia veterotestamen-
17
9
Cf. W. BEINERT, Il senso della Chiesa, in Mysterium Salutis, Queriniana,
Brescia 1972, VII, 352.
10
Complessivamente nel Nuovo Testamento il termine ekklesia compare circa
109 volte: 62 volte nel corpus paolino, 20 volte negli Atti e nell'Apocalisse, 3 volte in
Matteo e nella terza Lettera di Giovanni, 1 volta nella Lettera di Giacomo. li termine
risulta assente in Marco, Luca e Giovanni. La ragione si potrebbe individuare nel
fatto che il termine ekklesia designa soprattutto il costituirsi della comunit attorno al
mistero pasquale del Signore Ges. Il termine, dunque, sarebbe legato a un momento
storico che la narrazione evangelica, per quanto lo presupponga, non pu anticipare.
11
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, documento Temi scelti di ecclesiolo
gia, 1 ottobre 1985, 1.2: EV 9/1674.
18
12
Cf. PENNA, // mysterion, 69-72; H. SCHLIER, Lettera agli Efesini, Paideia, Bre
scia 1972, 163-164.
13
H. SCHLIER, Ecclesiologia del Nuovo Testamento, in Mysterium Salutis,
Queriniana, Brescia 1972, VII, 197; cf. anche tx>., // tempo della Chiesa, EDB, Bologna
1981, 255-297, 481-493.
14
Cf. LG 4.12: EV 1/287.316.
15
S. CIPRIANO, De orat. Doni. 23: PL 4,553, citato da LG 4: EV 1/288.
19
possibile ad occhio umano, la luce del Dio vivente che s'irradia sul
mistero ecclesiale.
Considerando questo mistero della Chiesa nella prospettiva del
binomio visibile-invisibile, si dir che la Chiesa certamente una realt
visibile e che, anzi, lo proprio a motivo e non, invece, nonostante il suo
essere mistero. Tuttavia occorre sapere che quanto di essa si vede
molto meno di quanto rimane invisibile. Quello che la Chiesa contiene la
supera infinitamente. Considerando, poi, il medesimo mistero nella
prospettiva del binomio temporale-eterno, si aggiunger che, per la
Chiesa, il suo essere mistero dice apertura sui due confini della storia:
verso il suo inizio e verso il suo compimento. La Chiesa, infatti, ha la sua
origine e la sua meta nell'eternit di Dio. Qui stata concepita e voluta e
verso di essa cammina. Viene dal Padre e ha come destino la
riunificazione in Chiesa universale presso di lui.16 Nasce da Cristo,
vive per lui e a lui diretta. 17 santificata dallo Spirito che abita in essa
per condurla alla perfetta unione con il suo Sposo.18 In tal modo la
Chiesa collocata all'incrocio di un movimento che, partendo dal Dio
Trinitario, tocca la storia degli uomini e la trasforma secondo un disegno
d'amore che, dopo molte prove, si concluder nella gloria, quando tutti i
giusti a partire da Adamo, dal giusto Abele fino all'ultimo eletto, saranno
riuniti presso il Padre nella Chiesa universale.19
2. Dalla fonte di amore del Padre
Nel disegno del Padre di creare gli uomini e di chiamarli alla comunione con s mediante la loro partecipazione alla sua vita divina c'
gi, potremmo dire, una Chiesa prima della Chiesa. 20 Per capirlo
necessario ricorrere al testo della Lettera agli Efesini (1,4-6), ove si
benedice il Padre che in Cristo
ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carit, predestinandoci a essere suoi figli
adottivi per opera di Cristo Ges, secondo il beneplacito della sua volont.
16
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20
Cf. LG 2: EV 1/285.
Cf. LG 3: EV 1/286.
Cf. LG 4: EV 1/287.
Cf. LG 2: EV 1/285.
Cf. A.D. SERTILLANGES, // miracolo della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1947,13.
In questa benedizione eterna voluta la Chiesa. Essa un progetto concepito dal cuore di Dio Padre. Non c' alcun dubbio che,
nella prospettiva della Lettera agli Efesini, la Chiesa ha avuto la sua
origine nel corpo del Crocifisso (cf. 2,15-16). Tuttavia, senza che
nulla venga smentito, vero pure che la Chiesa ha avuto la sua origine nell'eterna volont e nell'eterno amore del Padre. Egli, prima
della creazione, ha eletto la Chiesa e l'ha predestinata insieme con
Cristo e per mezzo di lui (cf. Ef 1,3). -La conseguenza non pu che essere questa: mai, senza dubbio, esistita la Chiesa a prescindere da
Cristo, ma Cristo dall'eternit nel pensiero del Padre. Nell'unico
sguardo e nell'unico disegno col quale guarda al Figlio, il Padre
guarda e progetta la Chiesa; nel suo Verbo da sempre la vuole, la
vede e la ama. E cos,
nell'eterno inconcepibile moto d'amore di Dio verso il suo Figlio
stata scorta e concepita la Chiesa, in quel moto si fonda il suo essere, da
quello trae la sua essenza.21
Il Padre vede la Chiesa nel Figlio, nel quale tutti siamo, in anticipo, benedetti con una benedizione spirituale; la vede presente nel
Diletto, perch nel suo sangue gli eletti sono gi gratificati della remissione dei peccati, resi santi e immacolati. Nel Figlio e sul Figlio il
Padre si da sempre impegnato a favore della Chiesa. Essa, prima
ancora della sua apparizione nella storia, nasce nel pensiero del Padre come Chiesa di Cristo, Chiesa di chi si donato a favore di
quanti il Padre gli aveva preordinato come sue proprie membra. Sicch quando sulla croce egli li avr purificati, li avr fatti diventare
ci che da sempre sono, cio Chiesa.
Si tratta di affermazioni che, evidentemente, pongono gravi problemi circa il rapporto fra il tempo e l'eternit. Come pu, propriamente, ci che eterno precedere il tempo? Come pu esserci una
Chiesa prima della Chiesa? Non si rischia di cadere in una sua indebita ipostatizzazione? Non si subisce cos una contaminazione di tipo
gnostico? Sono domande legittime. In realt, mediante l'affermazione di una successione cronologica tra l'eterno e il temporale, noi
esprimiamo semplicemente rapporti e legami di ben altro tipo. Parlare di una Chiesa preesistente come dire che esiste una grazia che
la precede, la motiva e la fonda; che la Chiesa, nella sua pi intima
natura, non spiegabile con criteri semplicemente umani; aiuta a capire che essa non , in ultima analisi, legata alla casualit della storia
21
21
e che ha, invece, la sua ragion d'essere nell'amore eterno, preveggente e creatore del Padre. In questo senso la Chiesa vive di quella
stessa preesistenza di cui vivono tutti i predestinati in Cristo Ges.
Per suo mezzo appare nella storia la sapienza. La Chiesa, infatti,
stata voluta per proclamare ai principati e alle potenze nei cieli
(Ef 3,10) la riuscita del disegno del Padre. Qualunque forza negativa
che pretenda di avere il dominio sull'uomo , dunque, intollerabile
per il cristiano. Non soltanto per ciascuno ma per tutta la Chiesa, la
quale deve rendere noto che con essa e in essa esiste ormai uno
spazio di libert, di pace e di speranza che Dio stesso ha realizzato in
Cristo contro chiunque lo ignorasse, o peggio, lo ostacolasse. 22
Come Cristo, e in lui gi vivente nel progetto del Padre, la Chiesa
attiva sin dall'eternit, partecipe della primogenitura del Figlio nell'ordine della creazione e in quello della redenzione.
L'uomo moderno, tanto compreso dal senso della sua efficienza,
difficilmente disposto ad ammettere il valore di qualcosa che
sfugge alla sua iniziativa e alla sua operosit. Egli, invece, si sente
forgiatore del proprio mondo e del proprio destino, che avverte
come affidati, in tutto e per tutto, alle sue mani e alle sue possibilit.
Anche il convivere sociale egli lo percepisce e lo vuole come frutto
della sua iniziativa. Disposto pure ad ammettere l'utilit e i fattori
benefici di un fenomeno storico religioso, lo molto di meno nei
confronti di qualcosa che non sia prodotto da lui. La Chiesa, al contrario, nel suo mistero un dono che viene dall'alto, iniziativa del
Padre che l'uomo deve anzitutto accettare. Ci non significa che la
Chiesa una superentit posta al di fuori e al di sopra degli uomini concreti. Certamente essa vive e si realizza in persone che, singolarmente e tutte insieme, rispondono e assentono a una Parola che
le precede.23 Ma non pu esservi Chiesa senza il fiat alla Parola preveniente di Dio. In questo la Chiesa somiglia a Maria e in lei, Vergine accogliente, ha il suo archetipo trascendente. Il suo fiat alle parole dell'angelo non soltanto un s per la Chiesa, ma gi il s della
Chiesa a Cristo. Nel suo assenso di fede Maria si mostra quale
Chiesa prima della Chiesa. Alla luce di ci necessario ammettere
che il sentire ecclesiale e Tessere-Chiesa suppongono la prima, essenziale e fondamentale umilt di Maria e il suo coraggio nel lasciarsi donare qualcosa da Dio.
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27
Per TERTULLIANO la nuova madre dei viventi nasce dal costato di Cristo mo
rente sulla croce, come Eva dal costato di Adamo che dorme, cf. De Anima 43: PL 2,
723. Questa interpretazione ricorrente in s. AGOSTINO, cf. ad esempio In Jo.Ev. 9,10:
PL 35,1463; si vedano i passi paralleli In Jo.Ev. 15,8: PL 35,1513; 120,2: PL 35,1953;
En. in Ps. 40,10: PL 36,461. Per ulteriori testimonianze S. TROMP, De nativitate Ecclesiae ex corde Jesu in cruce, in Gregorianum 18(1937), 489-527.
28
Cf. Y. CONGAR, Ecclesia ab Abel, in Abhandlungen ttber Theologie und Kirche. Festschrift fiir Karl Adam, Dusseldorf 1952, 79-108.
29
Cf. H. RAHNER, L'ecclesiologia dei Padri, Paoline, Roma 1971, 865-938.
30
AG 2: EV 1/1091.
31
Si vedano brani analoghi in LG 2.9 e in GS 24: EV 1/285.308.1393.
32
Cf. LG 6 e le citazioni annesse: EV 1/291-293.
24
33
PO 16: EV 1/1297.
Cf. il Sacramentario Leoniano: Ante mundi principium in tua semper est
praesentia praeparata, a cura di L.C. MOHLBERO, Rerum ecclesiasticarum documenta.
Ser. Maior, Fontes I. Sacramentarium Veronense, Roma 1978,116/17, n. 921; cf. PL 55,
lllb.
35
Cf. LG 2: EV 1/285. Fra i padri, il tema presente, ad esempio, in s. ILARIO,
Tractatus Mysteriorum I, 1: Sources Chrtiennes 19 bis, Paris 1967, 74 con l'introdu
zione di J.-P. BRISSON, 15-28; cf. pure ORIGENE, In Cani lib. 2: PG 13,134. Per un'ec
clesiologia veterotestamentaria si rimanda a N. FOOLISTER, Strutture dell'ecclesiolo
gia veterotestamentaria, in Mysterium Salutis, Queriniana, Brescia 1972, VII, 23-113;
A. ANTON, La Iglesia de Cristo. El Israel de la Vieja y de la Nueva Alianza (BAC), Ma
drid 1977, 113-303.
36
LG 9: EV 1/308.
34
25
Quando poi la storia dell'alleanza e della fedelt di Dio s'intreccer drammaticamente con la storia delle infedelt di Israele, attraverso la voce dei profeti il Padre annuncer la rifondazione dell'alleanza e un nuovo patto: Questa sar l'alleanza che io concluder
con la casa di Israele in quei giorni... Porr la mia legge nel loro
animo, la scriver nel loro cuore... tutti mi riconosceranno (Ger
31,33-34; cf. Ez 36,27). I profeti conieranno pure un termine per sottolineare che l'offerta di Dio trover sempre qualcuno su cui effondersi. Si tratta del resto, chiamato a rappresentare il popolo dinanzi a
Dio e del quale faranno parte i poveri, gli umili e tutti coloro che,
come Abramo, aderiranno solo a JHWH. Essi formeranno il vero
Israele, quello che per san Paolo sar l'Israele secondo lo Spirito (cf.
ICor 10,18). In esso si attuer la vocazione dell'intero popolo e questo non per merito umano ma, come sempre, per l'intervento di Dio.
In questo resto, destinato ad essere come un ceppo, dal quale nascer un nuovo albero (cf. Is 6,13) e che continuer a mettere radici in basso e a fruttificare in alto (cf. Is 37,31), la Chiesa trover il
suo punto di continuit con Israele. Nei suoi inizi essa s'identificher
con questo santo resto. Nella persona di Maria, in particolare, initium Ecclesiae che canta il suo Magnificat, si concentrer tutta la
piet religiosa di Israele: ella, come ha detto il concilio Vaticano II,
primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza.37 Su di lei, eccelsa Figlia di
Sion, e su quanti come lei formeranno la schiera dei poveri del Signore, sar nuovamente, e questa volta in via definitiva, sparso il
sangue dell'alleanza nuova ed eterna.
3. L'opera del Figlio
Il tema dell'alleanza ci ha condotti quasi per mano alla fase della
costituzione della Chiesa negli ultimi tempi, cio in Cristo Ges.
Egli, infatti, realizza quel piano di convocazione universale degli uomini in famiglia di Dio che il Padre aveva concepito sin dall'eternit,
che era stato prefigurato sin dal principio del mondo e preparato in
Israele. convinzione comune a tutte le confessioni cristiane che
dove esiste un cristianesimo ecclesiale, l esso convinto di provenire
da Ges, convinto che non esso a stabilire autonomamente in forza
di se stesso un rapporto verso Ges, bens che tale rapporto deriva ed
37
LG 55: EV 1/429. 26
stabilito dal Crocifisso e dal Risorto, opera di Ges e non primariamente della Chiesa stessa.38
Non riprenderemo qui le riflessioni e le argomentazioni che, riguardo alla fondazione della Chiesa da parte di Ges durante la
sua vita terrena, sono prodotte dalla teologia fondamentale. 39 Baster richiamare alcuni elementi ormai comunemente acquisiti. Ricorderemo, anzitutto, che la Chiesa non il frutto di una singola parola istitutrice o di un singolo evento fondatore da parte di Ges, ma
che piuttosto essa il frutto di tutta la sua esistenza, dall'istante della
sua incarnazione nel grembo verginale di Maria sino all'evento dell'effusione del suo Spirito.40 Ciononostante, possibile individuare
nell'agire di Ges alcuni elementi pi chiaramente preparatori e ravvedere sviluppi progressivi e tappe che gradualmente conducono
alla fondazione della Chiesa. Tra questi comunemente s'indicano
l'annuncio dell'avvento del Regno, la raccolta e la istituzione dei dodici, la cena consumata da Ges coi suoi discepoli nell'imminenza
della sua passione e morte.41
Il primo evento sul quale bisogna portare l'attenzione , dunque,
l'annuncio del Regno da parte di Ges: Il Signore Ges diede inizio
alla sua Chiesa predicando la buona novella, cio la venuta del regno
di Dio da secoli promesso nelle Scritture.42
La Chiesa totalmente relativa al mistero del Regno. Non si dimenticher il profondo significato di questa parola, con la quale
Ges si present ufficialmente a Israele e nella quale si deve ricono-
27
43
Cf. W. KASPER, Ges il Cristo, Queriniana, Brescia 1975, 91-114; M. BORDONI,
Ges di Nazaret. Signore e Cristo. Saggio di cristologia sistematica. II. Ges al fonda
mento della cristologia, Herder, Roma 1982,77-99; LOHFINK, Ges come voleva, 43-47.
44
Cf. LOHFINK, Ges come voleva, 22-25.
45
AG 5: EV 1/1096.
29
Ges era il segno personale e il servitore, del Regno che egli annunciava e impersonificava come Regno in Persona46 e per il quale
raccoglieva la sua comunit.
In Le 22,28 conservato un detto del quale gli esegeti sostengono decisamente e alquanto unanimemente la storicit: Poich io
vi dico: da questo momento non berr pi del frutto della vite finch
non venga il regno di Dio. Ges, esprimendosi come un pio israelita tutto orientato verso la fine dei tempi, proclama qui la sua incrollabile certezza di partecipazione al banchetto escatologico (cf. Le
22,15-16). Al tempo stesso egli dichiara la sua speranza riguardo alla
comunit, raccolta attorno a lui.47 Per essa Ges pronuncia la parola
alleanza (nell'ultima cena la prima e unica volta che ci accade)
quasi a dire che intende una comunit che permane, conservando indissolubile il legame con la sua Persona.
Ges, dunque, nell'imminenza della propria morte, lungi dal disperarsi, confida, per s e per i suoi discepoli, nel Padre, la cui fedelt vince la morte. Nell'ultima cena egli non soltanto ribadisce la
sua piena confidenza nel Padre, ma pure mostra la sua intenzione di
fondare, mediante la sua presenza prolungata, una comunit di discepoli. Le parole di Ges pronunciate sul vino ci confermano ancora di pi in questa sua volont: Questa coppa [] la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi.48 Il fondamentale
binomio sangue e alleanza rinvia senza dubbio al racconto della conclusione del patto tramandato da Es 24,3-8. Come nuovo Mos,
Ges annuncia e stipula una nuova alleanza, fondamento della comunit escatologica di Dio. Nel suo sangue si realizza la nuova e definitiva comunione con Dio.
Il popolo della nuova alleanza nasce, dunque, nell'ultima cena.
D'ora in avanti la Chiesa vivr per la partecipazione a quest'unico e
irripetibile evento. Ogni volta che si fa la memoria della morte del
Signore e si proclama la sua risurrezione nei segni del convito eucaristico, si stabilisce la comunione con lui. Da questa medesima co-
30
munione scaturiscono la comunione dei discepoli tra loro e il loro reciproco servirsi.
4. Lo Spirito nella Chiesa
Dopo quanto stato appena richiamato non si potr dire che l'ora
della Pentecoste sia quella dell'origine in assoluto della Chiesa. L'autore
stesso degli Atti, che ci narra quanto avvenne in quel grande giorno, ha
cura di presentare come gi esistente la comunit dei discepoli del
Risorto. Nell'imminenza del dono dello Spirito, tutti, scrive, si
trovavano insieme nello stesso luogo (At 2,1). un'affermazione di
fondamentale importanza. Con finezza teologica J.A. Mhler ha
ravvisato in questa riunione come una premessa per la venuta dello
Spirito. Lo stare insieme, in un'unit non solo di cuori ma anche spaziale,
una paraclesi, un'invocazione dello Spirito. Egli, infatti, predilige
l'unit e, laddove la trova, vi si effonde per assumerla e trasformarla con
la sua forza divina. Per questo Mhler annotava:
Giunto il tempo stabilito da Cristo per l'invio dello Spirito, questi si
comunic agli apostoli e agli altri discepoli, allorch essi ne implorano
l'avvento riuniti nello stesso luogo e concordi; non mentre l'uno di essi
si trovava qui e l'altro l, in qualche luogo nascosto... Qui il perfezionamento dei singoli con la virt dall'alto ebbe luogo in quanto essi ne
furono partecipi solo perch formavano contemporaneamente una
unit.49
Ed ecco che, compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al Figlio
sulla terra il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa, e i credenti avessero cos per Cristo accesso al Padre in un solo Spirito.50 Nel giorno della Pentecoste avviene
la definitiva manifestazione di quanto, nel cenacolo, si era compiuto la
sera di Pasqua. Quel che allora si era svolto all'interno ora si manifesta
all'esterno davanti a tutti i popoli (cf. At 2,5-11). In quel giorno
la Chiesa apparve ufficialmente di fronte alla moltitudine ed ebbe inizio attraverso la predicazione la diffusione del vangelo in mezzo alle
genti, e finalmente fu prefigurata l'unione dei popoli nell'universalit
49
50
31
della fede attraverso la Chiesa della nuova alleanza, che in tutte le lingue si esprime e tutte le lingue nell'amore intende e comprende, superando cos la dispersione babelica.51
Con tale capovolgimento di Babele, che si realizza quando la
forza dello Spirito permette il ristabilirsi della comunicazione e della
comunione tra gli uomini, inizia il tempo della Chiesa. Questa effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa ha, tuttavia, una premessa cristologica che non pu certamente essere dimenticata. Nel Vangelo
secondo Luca ci detto a chiare lettere. Gi la discesa dello Spirito
su Maria (cf. Le 1,35) fu un'anticipazione della Pentecoste e della
nascita della Chiesa. Anche la teofania del Giordano (cf. Le 3,22),
evento che segna indubbiamente l'avvio dell'attivit messianica di
Ges, possedeva una connotazione ecclesiologica, ancora pi eloquente se vale la suggestiva interpretazione di A. Feuillet circa il
simbolismo della colomba, che l'apparenza corporea dello Spirito
nella scena del Giordano. Nella colomba, infatti, sarebbe simboleggiato il popolo di Dio che prende il suo avvio dal Messia e Servo di
JHWH.52
In continuit con questi misteri, l'evento della Pentecoste l'effusione dello Spirito che dall'umanit del Salvatore si espande su
tutti coloro che partecipano della sua stessa vita. Il Vangelo secondo
Giovanni indica Ges come la fonte e la sorgente dello Spirito che, a
partire dalla sua glorificazione, scorrer dalla sua Persona come
fiume d'acqua viva (cf. Gv 7,38; 14,26; 15,25). L'ora della Pasqua, infatti, per il quarto evangelista anche l'ora del dono spirituale (cf.
Gv 19,30), simboleggiato dall'acqua che, mescolata al sangue, scorre
dal costato colpito del Salvatore. Mandato dal Padre e dal Figlio
come sorgente di acqua zampillante, lo Spirito inonda la Chiesa.
Scaturita come acqua sorgiva dalle fonti del Padre, l'unzione dello
Spirito riposa su Cristo e da lui, quale torrente capace di suscitare in
loro la medesima vita del Risorto, raggiunge ogni uomo.
Questi richiami neotestamentari e questo intreccio di testi fanno
capire che lo Spirito il dono supremo del Risorto ai suoi discepoli.
Il suo soffio, simile a quello del Creatore su Adamo (cf. Gen 2,7), il
soffio vitale che crea la fede pasquale nel cuore dei discepoli affin-
51
AG 4: EV1/1095. La nota 21 offre numerose referenze patristiche sull'analo
gia capovolta tra Babele e Pentecoste e sul significato del miracolo delle lingue.
52
Cf. A. FEUILLET, Le symbolisme de la colombe dans les rcits vangliques du
baptme, in Recherches de Science Religieuse 46(1958), 524-544.
32
53
Cf. G. HAYA PRATS, L'Esprit force de l'glise. Sa nature etson activit d'aprs les
Actes des Aptres, du Cerf, Paris 1975; I. DE LA POTTERIE, L'Esprit Saint et l'glise dans le
Nouveau Testament, in Credo in Spiritimi Sanctum, Citt del Vaticano 1983, II, 791-808.
33
LG 4: EV 1/287.
Cf. Y. CONGAR, Pneumatologie ou "Christomonisme" dans la tradition la
tine?, in Ecclesia a Spiritu Sancto edocta. Mlanges thologiques. Hommage Mgr
Gerard Philips, Duculot, Gembloux 1970, 41-63; ID., Le Concile de Vatican II. Son
glise. Peuple de Dieu et corps du Christ, Beauchesne, Paris 1984, 163-176; J.D. ZiZIOULAS, Cristologia, pneumatologia e istituzioni ecclesiastiche: un punto di vista or
todosso, in Cristianesimo nella Storia 2(1981), 111-127; G. COLOMBO, Cristomonismo e pneumatologia o cristocentrismo e Trinit, in Teologia 10(1984), 189-220.
54
55
34
. ,
56
35
Quale vergine dunque questa che viene irrorata dalle fonti della santissima Trinit e alla quale dalla pietra scaturiscono acque, non viene
meno il latte e piove dall'alto dolcissimo miele? Ma la pietra secondo
l'apostolo Cristo. Dunque non le viene meno n il latte dal Cristo, n il
candore da Dio Padre, n l'acqua dallo Spirito. Questa la Trinit
santa, Padre, Figlio e Spirito, che irrora la sua Chiesa, 63
La vita intima di Dio, che amore, nelle missioni del Figlio e dello
Spirito si espande sulla creatura alla quale si dirige assumendola nel suo
dinamismo. L'agape trinitaria nel Figlio e nello Spirito mandati dal Padre
si effonde all'esterno come sorgente zampillante e creatrice. Ad essa
sospesa la vita della Chiesa, come al suo permanente principio.
Nel suo momento fondativo la Chiesa legata alla missione visibile
del Figlio che, nella sua umanit santa l'ha iniziata e perennemente la
fonda come sua pietra angolare, e alla missione, anch'essa visibile ma
solo nei suoi effetti, dello Spirito che, col suo soffio, la coaduna dai
quattro angoli della terra. Sono questi i doni personali e supremi coi quali
il Padre offre realt alla sua Chiesa. Dopo non ci saranno che le missioni
invisibili, con le quali il dono iniziale sar ravvivato e coesteso a ogni
spazio e a ogni tempo, sino alla manifestazione nella gloria del Signore
Ges. Mediante queste missioni le due divine Persone continuano a
visitare nascostamente la Chiesa, attraendola ancor pi nella loro vita
divina e rinnovando la sua giovinezza. Cos il Padre torna a riprendere
l'opera delle sue mani, per condurla nello spazio della pienezza e della
gioia consumata.
Nella Chiesa la Trinit santa pone dunque il suo sigillo, chiamandola
all'imitazione del suo supremo modello. L'amore trinitario riversato sulla
Chiesa ne fa l'assemblea dell'amore.
[La] Chiesa assoluta della Trinit divina si pone... come immagine normativa della Chiesa degli uomini, comunit dell'amore reciproco: l'unit del molteplice.64
Per questo la Chiesa la comunit di coloro che vivono della comunione vitale e personale con il Dio trinitario, una comunione che
riflette in termini di fraternit e condivisione l'amore eterno che lega il
Padre col Figlio nell'unit dello Spirito. La Chiesa il sacramento
63
64
36
della comunione trinitaria, ossia lo spazio storico dove questa comunione viene effettivamente donata e partecipata dagli uomini. In
quanto tale essa rende testimonianza alla Trinit divina.
Nata da questo mistero e modellata a sua immagine, la Chiesa gli
cammina incontro per essere perfezionata nella sua unit. Quando
poi sar stabilizzata nel cielo, e saranno perfetti il suo amore e la sua
conoscenza, allora l'immagine della Trinit sar anch'essa chiarissima e splendente nella Chiesa.65
IL LINGUAGGIO DEL MISTERO
Il mistero della Chiesa ha la sua fondazione nell'economia trinitaria, in totale dipendenza dal disegno salvifico del Padre, dall'opera
istitutrice del Figlio compiuta nel mistero pasquale e dal continuo
rinnovamento operato in essa dalla forza vivificante dello Spirito. In
esso, dunque, rifulge il mistero stesso di Dio ed egli soltanto conosce
il termine proprio che potrebbe esprimerne l'intera realt. Quanto a
noi, il nostro linguaggio sperimenta la sua radicale inadeguatezza a
esprimere con pienezza il mistero della Chiesa. Esso perci deve ricorrere a una molteplicit di immagini, di rappresentazioni e di analogie che, d'altro canto, non potranno che indicare aspetti parziali
della realt.66
A tale proposito anche il concilio Vaticano II ci avverte che la
natura intima della Chiesa si fa conoscere a noi attraverso immagini
varie.67 La cultura contemporanea sembra essere nella condizione
di meglio comprendere il valore di un simile linguaggio. Oggi, infatti,
l'immaginazione conosce una sorta di riabilitazione. Essa non pi
ritenuta la matta di casa n, come affermavano gli illuministi e i
positivisti dei secoli passati, la maestra della menzogna e dell'illusione, bens la sorella della ragione e il contrappunto assiologico
dell'azione. Immagini e simboli si avverte sono dotati di una
profondit tutta propria, appartengono alla sostanza della vita spirituale, vivono al centro della vita immaginativa, aiutano lo spirito
65
Per la dottrina del Vaticano II cf. N. SILANES, La Iglesia de la Trinidad. La
Santisima Trinidad en el Vaticano IL Estudio gentico-teologico, Segretariado Trinita
rio, Salamanca 1981. Si vedano pure Y. CONGAR, Ecclesia de Trinitate, in Irnikon
19(1937), 131-146; G.L. MOLLER, La comprensione trinitaria fondamentale della
Chiesa nella costituzione "Lumen Gentium", in L'ecclesiologia trentanni dopo la
Lumen Gentium, a cura di P. RODRIOUEZ, Armando, Roma 1995, 17-34.
66
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Temi scelti di ecclesiologia, 2.1: EV
9/1681.
67
LG 6: EV 1/291.
37
38
71
Si risenta, fra l'altro, questa espressione di DIONIGI AREOPAGITA (PSEUDO), Lettera IX:
contrariamente alle opinioni che ha la folla intorno a ci, penetriamo con riverenza dentro
questi sacri simboli; e non dobbiamo disprezzarli, in quanto essi sono germi e figure delle
qualit sensibili e immagini sensibili di visioni arcane e soprannaturali, (in Tutte le opere a
cura di P. SCAZZOSO, Rusconi, Milano 1983, 454).
12
Ci. H. DE LUBAC, Esegesi Medievale, Paoline, Roma 1962; ID., Esegesi Medievale, 2
voli., Paoline, Roma 1972. Per s. Tommaso, cf. F. CACUCCI, Teologia dell'immagine.
Prospettive attuali, Edizioni i 7, Roma 1971.
73
Cf. LG 6: EV1/291-295. Rimando a quanto ho gi scritto al riguardo in M. SEMERARO, Le immagini della Chiesa (Lumen gentium 6), in Lateranum n.s. 54(1988), 92118. Indicazioni utili pure in S. DIANICH, Ecclesiologia. Questioni di metodo e una proposta,
Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 61-75. Sul tema generale cf. H. RIK-HOF, The
Concep ofthe Church. A Methodological Inquiry nto the Use of Metaphors in
Ecclesiology, London - Shepherdstown 1981.
39
74
Cf. P. MINEAR, Images ofthe Church in the New Testamenti Westminster Press,
Philadelphia 1960,28-29. In LG sono state contate circa 35 immagini bibliche. In tutto
il Nuovo Testamento queste immagini ammonterebbero a circa un centinaio.
75
H. DE LUBAC, Meditazione sulla Chiesa, Jaca Book, Milano 1979,72; cf. Y. DE
MONTCHEUIL, Aspects de l'glise, du Cerf, Paris 1949, 20-21.
76
Cf. L. CERFAUX, Le immagini simboliche della Chiesa nel Nuovo Testa
mento, in La Chiesa del Vaticano II, a cura di BARAONA, 299-313.
77
LG 64: EV 1/440.
40
78
Sul tema della Ecclesia mater nella protopatristica, cf. K. DELAHAYE, Per un
rinnovamento della pastorale. La comunit madre dei credenti, Ecumenica, Bari 1974.
Per altri riferimenti patristici cf. S. TROMP, Ecclesia sponsa, virgo, mater, in Gregorianum 18(1937), 3-21. Cf. pure M. SEMERARO, Ecclesia sponsa et mater nella Summa de
Ecclesia di J. de Torquemada, in Lateranum n.s. 60(1994), 257-276.
41
tere in luce la trascendenza del capo (lo Sposo) sul suo corpo che la Chiesa. Si
osservi come G.B. Bossuet (1627-1704) ha magistralmente commentato questo
rapporto:
Voi mi domandate cos' la Chiesa. La Chiesa Ges Cristo che si espande e
si comunica (c'est Jsus-Christ rpandu et communiqu), Ges Cristo nella
sua totalit, Ges Cristo uomo perfetto, Ges Cristo nella sua pienezza.
Come pu, la Chiesa, essere il corpo di Cristo e, al tempo stesso, la sua
sposa? [...] La Chiesa la sposa, la Chiesa il corpo. Con questo si dice
qualcosa di particolare e alla fine, tuttavia, si dice la stessa cosa. sempre la
stessa unit della Chiesa con Cristo, proposta in forme e prospettive
differenti. La porta si apre. Entriamo e guardiamo, adoriamo con fede e
annunciamo con gioia la santa verit di Dio. L'uomo sceglie la sua sposa, ma
essa formata dalle sue membra. Ges, uomo perfetto, ha scelto la Chiesa.
Ges Cristo, uomo perfetto, stato formato e si completa ogni giorno nella
Chiesa e con la Chiesa. La Chiesa in quanto sposa in rapporto a Ges come
colei che si scelta. La Chiesa in quanto corpo in rapporto a Ges a motivo
di un'intima operazione dello Spirito divino. Nel nome della sposa appare il
mistero dell'elezione mediante l'adempimento delle promesse. Il mistero
dell'unit, consumato mediante l'effusione dello Spirito, appare invece nell'appellativo di corpo. Il termine corpo ci mostra in quale rapporto la Chiesa
con Ges Cristo; il titolo di sposa ci mostra la diversit della Chiesa e il fatto
che volontariamente Cristo se l' cercata. Cos il nome di sposa ci mostra
un'unit per amore e per volont e il nome di corpo lascia comprendere
quest'unit come naturale. Cos nell'unit del corpo appare una grande
intimit e nell'unit della sposa si mostra maggiore sensibilit e tenerezza.
Ma in fondo sempre la stessa realt: Ges Cristo ha amato la Chiesa e l'ha
fatta sua sposa. Egli ha consumato il suo matrimonio con la Chiesa e l'ha resa
suo corpo. Ecco la verit: due in una carne sola, osso delle mie ossa e carne
della mia carne. quello ch' scritto di Adamo e di Eva. Questo, dice
l'apostolo, un grande mistero in Cristo e nella sua Chiesa. Cos l'unit dei
corpi l'ultimo sigillo che conferma il titolo della sposa. Dio sia lodato per lo
svelamento di queste verit sempre adorabili.79
Il tema della donna, con tutte le sue varianti, sar tra i pi diffusi nella
catechesi e nell'insegnamento dei padri, cos come lo sar nell'arte sacra. Sua
analoga l'immagine della Gerusalemme celeste, che nei tempi messianici
succede alla prima Gerusalemme. Prepa-
79
II testo tratto, in nostra traduzione, da una lettera scritta a una giovane,
quando BOSSUET era ancora decano a Metz. Essa ha per titolo Il mistero dell'unit
della Chiesa ed riportata come Lettera IV nelle Oeuvres, t. XXXVIII, Versailles
1818, 378-392.
42
43
Chiesa vigna evangelica. Anzi essa il simbolo e la figura non solo del
popolo di Dio, ma di Ges stesso. Lui il ceppo e noi, i discepoli, siamo
i tralci; lui la vera vite, nella quale sono vitalmente inseriti i tralci. 82
Quasi in conseguenza della novit apportata dal Nuovo rispetto
all'Antico Testamento, laddove la vigna era segno d'Israele distinto da
JHWH, suo agricoltore, essa ora diviene il simbolo e la figura di Cristo
medesimo, che si fatto vigna come il suo popolo.83 Cos intesa e
descritta, a differenza della precedente immagine della sposa dove la
Chiesa mostrata quasi collocata di fronte allo Sposo, quella della vigna
insiste maggiormente sull'unit vitale tra Cristo e i discepoli.
Due annotazioni conclusive circa l'uso cristiano di questa immagine.
Nell'epoca patristica essa assunse facilmente una intonazione polemica
antigiudaica, come appare, ad esempio, in una catechesi mistagogica di
Zenone da Verona (f 380 ca.):
La vigna del Signore fu in primo tempo la sinagoga, che per produsse
lambrusche invece di grappoli. Indignato di ci, il Signore ne piant
un'altra, conforme alla sua volont, la Chiesa nostra madre. La coltiv
per mezzo dei suoi preti e, maritandola al legno benedetto (la croce), le
insegn a produrre una vendemmia abbondante. 84
In epoca moderna, invece, il tema ha ripreso il carattere missionario
gi presente in Clemente Alessandrino quando parlava dei pagani come
degli alberi trapiantati nel terreno buono della Chiesa, dove portano
molti frutti. Si tratta della formula plantatio Ecclesiae mediante cui,
nonostante i limiti che oggi le si riconoscono, avvenne, negli anni '30 e
nel dopoguerra il recupero del tema della missione all'ecclesiologia
cattolica.
3. L'immagine del tempio
Accanto alle precedenti, l'immagine del tempio apre ulteriori
prospettive e getta nuova luce sul mistero della Chiesa. Insieme con
82
GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Christifideles laici, 30 dicembre
1988, 8: EV 11/1634.
83
Cf. anche R. SCHNACKENBURG, La Chiesa nel Nuovo Testamento, Morcelliana,
Brescia 1971, 119-121 dove pure si sottolinea la somiglianza-dissomiglianza tra l'im
magine della vigna e quella paolina del corpo. In realt il legame tra i tralci e la vite
descrive direttamente il discepolato di Ges.
84
Traci. II, 28: PL 11, 471-472.
44
85
Cf. SCHNACKENBURG, La Chiesa nel Nuovo Testamento, 172-173; Y. CONGAR, //
mistero del Tempio, Boria, Torino 1963; J. DANILOU, Le signe du Tempie ou de la prsertce de Dieu, Gallimard, (s.l., ma Paris) 1942.
45
Testamento che in qualche modo non sia stato presentato come tipo della
Chiesa prefigurata in Sara, in Rachele, nella madre di Samuele, in Ester...
Anche le schiave e persino le meretrici disegnano una Ecclesia ex
gentibus redenta da Cristo.86 L'ecclesiologia dell'alto medioevo
proseguir nella medesima direzione. In questo periodo san Beda il
Venerabile, quasi parafrasando l'avvio della Lettera agli Ebrei, scriver:
Multifariae et multis figurarum modis eadem Christi et Ecclesiae
mysteria repetuntur. Nelle molte e svariate figure, infatti, si ripetono i
medesimi misteri di Cristo e della Chiesa, ma in ciascuna di esse si
aggiunge sempre qualcosa di nuovo.87 Ecco come, ad esempio, san
Bernardo di Chiaravalle, l'ultimo dei padri, commenta il testo del
Cantico dei cantici: O mia colomba che stai nei rifugi della roccia
(2,14). Nella sua interpretazione la colomba simbolo della Chiesa che
brama il rapporto sponsale con Cristo:
L [nella Pietra che Cristo] trova riposo il mansueto e il semplice [...].
La Chiesa colomba, e perci riposa. Colomba perch innocente, perch geme. Colomba, dico, che nella mansuetudine accoglie la parola seminata in lei. E riposa nel Verbo, cio nella Pietra, poich la Pietra il
Verbo. La Chiesa dunque nelle fenditure della roccia, attraverso le
quali guarda dentro e vede la gloria del suo Sposo.88
Di fronte a tanta esuberanza non sono mancati i tentativi di organizzazione. H. Rahner, ad esempio, ha ritenuto d'individuare nella
simbolica ecclesiologica dei padri alcune immagini fondamentali, tra cui
quel mysterium lunae che descrive il rapporto sponsale della Chiesa-luna
con il Cristo-sole.89 Si tratta di una simbolica che si comprende solo
all'interno di una precisa concezione del mondo e
86
Cf. H. DE LUBAC, Cattolicismo. Gli aspetti sociali del dogma, Studium, Roma
1964, 152-156.
87
Cf. Y. CONGAR, L'ecclsiologie du haut Moyen-Age, du Cerf, Paris 1968, 98113.
88
BERNARDO DI CHIARAVALLE, Serm. 62, III, 4 (a cura di D. TURCO, Vivere In,
Roma 1982, 579). L'immagine della colomba applicata alla Chiesa presente in di
versi padri, come EPIFANIO, Panar. I, 3, 35: PG 41, 632; Exp. Fidei 3, 5, 6: PG 42,
777.781; GREGORIO NISSENO, Homil. 15: PG 44,1116-1117. Tra i medioevali cf. PASCASIO RADBERTO, Exp. in Ps. 44, 1: PL 120,1001; GIUSTO DI URGEL, In Cant. 104: PL 67,
980.
89
Cf. RAHNER, L'ecclesiologia dei Padri. Questa immagine implicitamente ri
chiamata dalle prime parole della costituzione dogmatica sulla Chiesa del Vaticano II.
Nelle fasi lunari, che portano l'astro celeste dall'oscurit alla pienezza del suo splen
dore, simboleggiata la partecipazione della Chiesa al mistero pasquale del Salva
tore. Importanti saggi di ecclesiologia patristica si trovano anche in J. DANIELOU, Sacramentum Futuri. Etudes sur les origines de la typologie biblique, Beauchesne, Paris
1950; ID., Les symboles chrtiens primitifs. Per la liturgia cf. A. ALCALA GALVE, La
Iglesia. Mysterio y Missin (BAC), Madrid 1963, 165-227.
46
della storia, dal di dentro di un universo culturale dominato dalla tipologia e dal simbolismo. Tuttavia, dal punto di vista dell'ispirazione
ecclesiologica, essa intimamente legata all'affermazione della Chiesa in
quanto mistero. Ecco, in proposito, un testo di san Giovanni Crisostomo:
Guarda la Chiesa... talvolta sposa, talaltra figlia; ora vergine, ora
serva, ora regina, ora sterile; ora un monte, ora paradiso, ora feconda, ora giglio, ora sorgente; la Chiesa tutte queste cose. Ma
dopo averle udite, bada a non ritenerle cose corporee, ma fa' attenzione. Queste cose, infatti, non possono essere corporee... La Chiesa
tutte queste cose spiritualmente. 90
Come il Crisostomo, anche Bossuet ci ha lasciato un prezioso criterio-guida per leggere correttamente questa magnifica ecclesiologia
misterica, che l'ecclesiologia in figure. Nella lettera gi citata egli
scriveva:
Occorre adorare l'economia sacra mediante cui lo Spirito ci mostra
l'unit semplice della fede mediante la diversit delle espressioni e
delle figure. proprio delle creature il non potere rappresentare quell'unit immensa donde proviene se non attraverso una pluralit raccolta. Cos in ciascuna delle similitudini offerte dallo Spirito bisogna
sottolineare quel tratto particolare che le caratterizza, per contemplare
poi nel tutto unificato le sacre similitudini che lo Spirito ci dona.
Quindi necessario osservare tutte le figure per scoprirvi la verit pi
interiore, giacch n prese separatamente n assommate sono capaci di
mostrarcela. l che poi bisogna immergersi nella profondit del mistero di Dio; laddove non si vede pi nulla, quando le cose non si osservano pi come appaiono. Siffatta la nostra conoscenza, allorquando la fede a guidarci. Capite con questa regola generale le singole verit che meditiamo dinanzi a Dio.
In questa regola aurea l'uso delle immagini in ecclesiologia trova la
sua permanente validit.
90
47
Capitolo secondo
IL POPOLO DI DIO
Quanto alla nozione di popolo di Dio essa ci ricorda che la Chiesa
non sorge dalla libera iniziativa degli uomini, ma prende la sua origine e
il suo attuale sostentamento dal progetto eterno del Padre. Egli, volendo
santificare e salvare gli uomini, non li chiam a uno a uno e senza alcun
legame tra loro, ma
volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verit e fedelmente lo servisse. Si scelse quindi per s il popolo israelita, stabil
con lui un'alleanza e lo form lentamente manifestando nella sua storia
se stesso e i suoi disegni e santificandolo per s. Tutto questo avvenne
per in preparazione e figura di quella nuova e perfetta alleanza da farsi
in Cristo, e di quella pi piena rivelazione che doveva essere fatta per
mezzo del Verbo stesso di Dio fattosi uomo. 1
LG 9: EV 1/308.
49
2
Con quest'ultimo termine s'intendono tanto gli stranieri residenti in Canaan
quanto, soprattutto, le nazioni che non invocano il nome di Dio. Nel senso pi
estremo gojim sono identificati con gli empi. Cf. A.R. HULST, Popolo, in E. JENNI C. WESTERMANN, Dizionario Teologico dell'Antico Testamento, Marietti, Casale Mon
ferrato 1982, II, 261-295. Per la vasta bibliografia sull'argomento cf. M. ROSE, "Le
peuple de Dieu". Un concept de l'Ancien Testament comme archtype et prototype
de l'glise, in Revue de Thologie et de Philosophie 119(1987), 133-147. Cf. pure i
due saggi di N. FOGLISTER, Strutture dell'ecclesiologia veterotestamentaria e di H.
SCHLIER, Ecclesiologia del Nuovo Testamento, in Mysterium Salutis, Queriniana,
Brescia 1972, VII, 23-265.
3
Questo fatto linguistico fa vedere che si sentito il bisogno di una parola spe
ciale per esprimere il carattere particolare d'Israele, popolo cos diverso dagli altri per
il mistero della sua vocazione che la sua esperienza nazionale ha acquistato un signifi
cato religioso e un aspetto essenziale del disegno di salvezza che ha cominciato a rive
larsi in esso: P. GRELOT, Popolo, in Dizionario di Teologia Biblica, a cura di X.
LEON DUFOUR, Marietti, Casale Monferrato 1984, 931.
50
4
Cf. W. EICHRODT, Teologia dell'Antico Testamento. I. Dio e popolo, Paideia,
Brescia 1979, 15.
5
La hesed costituisce l'oggetto proprio di una berith, di cui pu essere definita
come il contenuto. Un'alleanza pu sorgere e perdurare solo s' presente la hesed.
Per questo motivo spesso hesed e berith possono essere usate come uno zeugma fisso
(EICHRODT, Teologia dell'Antico Testamento, I, 234).
6
Si vedano, ad es. Sai 79,13; 95,7; 100,3; Is 40,11; Ger 23,2; Ez 34,1-31; Os 1-3;
Ger 3; Ez 16; Is 50,1; 54,4-8; 61,10.
51
zia del suo raccolto (cf. Ger 2,3)- Soprattutto ricordando gli eventi
dell'Esodo si dir che Dio ha trasportato e sorretto Israele come un
padre porta il suo figlio (Dt 1,31) e che dall'Egitto Dio ha chiamato
il suo figlio (cf. Os 11,1): evento di salvezza, questo, che Mt 2,15 ricorder salutando in Ges il figlio che, riassumendone l'intero destino, personifica l'intera vocazione di Israele.
La nozione di popolo di Dio implica, inoltre, l'affermazione di
uno stretto vincolo, come di parentela, che lega Dio alla comunit
che si scelta. Questo vale almeno per l'espressione ebraica 'arri
JHWH, che significa famiglia di Dio. A tutto questo si dovr aggiungere che una relazione cos singolare comporta senz'altro un reciproco dovere di fedelt e di amore. Il popolo di Dio pure un popolo per Iddio. La scelta gratuita di Dio deve avere quale suo corrispettivo la dedizione di Israele. Solo JHWH il Dio di Israele e
Israele sar suo popolo soltanto comportandosi in maniera corrispondente alla sua vocazione e adeguata alla sua qualifica teologica.
Cos costituito, il popolo di Dio non potr mai trarre vanto della sua
singolare vocazione. Essa non esclusiva ma impegnativa. Rende,
ossia, Israele pars pr toto, segno per tutte le nazioni. Quando, poi, il
popolo incorrer nell'infedelt, la predicazione profetica esalter la
fedelt di Dio e annuncer pure la permanenza di un resto col
quale JHWH riproporr un'alleanza totale e definitiva, capace di
creare essa stessa in Israele le condizioni che le permetteranno di
realizzarsi, valicando persino i confini della stessa nazione.7
La comunit di Ges vedr realizzata per se stessa quest'aspirazione del profetismo veterotestamentario. Allo scopo di costituire il
popolo di Dio ormai essenziale la relazione con Cristo. In san
Paolo possibile riscontrare la pi elevata consapevolezza della
piena partecipazione a questo titolo della comunit cristiana. Se Cristo colui verso il quale tendono la legge e i profeti e nel quale tutto
si compiuto allora l'Israele di Dio formato da quanti in lui sono
nuova creazione (cf. Gal 6,16; ICor 10,18; Rm 9,6). Essere discendenza di Abramo subordinato oramai all'appartenere a Cristo (cf.
Gal 3,29). In rapporto a lui acquistano verit la circoncisione (cf. Fil
7
Cf. H. STRATHMANN, Laos, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia,
Brescia 1970, VI, 108-110. La nozione di "resto" corregge cos quella di "popolo": questo
ora viene ridimensionato quanto al numero e al tempo, ma diviene una realt anche del
futuro (Is. 4,3s; 28,5s; cf. Dn 12,1). Il "resto" sar come un "ceppo", "semenza santa" (Is
6,13), che "verr salvato" comunque, una semenza che former tutto il futuro popolo dei
salvati (cf. Is 65,8-12; Ab 17; G 3,5) e comprender anche i pagani (Is 66,19; Zc 9,7): L.
DE LORENZI, Chiesa, in Nuovo dizionario di teologia biblica, a cura di P. ROSSANO - G.
RAVASI - A. GIRLANDA, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1989, 251.
52
53
gione di questa compiutezza non ha pi senso la separazione fra giudei e pagani. Nel popolo di Dio si vive originariamente in forza della
fede in Cristo Ges.
2. La nozione in ecclesiologia e nel Vaticano II
La nozione di popolo di Dio non fu ignota ai padri della Chiesa i
quali, coerentemente ad essa, illustrarono la realt del sacerdozio
dei fedeli. In tal modo si opposero a ogni distinzione radicale tra le
diverse categorie di cristiani cos come a ogni esoterismo e a ogni
spirito di casta. Dalla nozione di popolo di Dio essi ricavarono pure
la prospettiva dinamica e storica della Chiesa pellegrina sulla terra.9
L'idea, tuttavia, non fu centrale. L'ecclesiologia patristica, infatti,
prefer muoversi in una prospettiva eminentemente cristologica e fu
cos che nel V secolo il valore storico salvifico della nozione era gi
quasi del tutto scomparso.10 In epoca medioevale l'idea della Chiesapopolo di Dio non comparir pi e si preferir insistere sulla simbolica ecclesiologica. A partire dal XI secolo; le circostanze storiche
che portarono all'acuirsi dei grandi contrasti fra papato e impero
spinsero gradualmente alla formazione di un'ecclesiologia societaria, dove la Chiesa era prevalentemente considerata come un soggetto di diritti ed era osservata soprattutto nella figura del suo capo,
il papa, titolare della plenitudo potestatis. Per di pi, conformemente
alla cultura del momento, la successiva epoca scolastica non era propriamente disponibile all'uso di quelle categorie storico-salvifiche
cui, invece, la nozione di popolo di Dio era congiunta. Sicch neanch'essa si trov nelle condizioni di poterla appieno valutare. Tale situazione si prolung per diversi secoli anche a motivo delle dispute
antiprotestanti. Dopo il concilio di Trento, infatti, rimarr prevalente per molto tempo l'impostazione di san Roberto Bellarmino
tesa a provare, contro le affermazioni caratteristiche della riforma
protestante, il carattere di visibilit della Chiesa. Ci non toglie che
l'espressione popolo di Dio abbia continuato a essere usata nei testi
liturgici del Missale Romanum, dove l'espressione ricorre ben ses-
9
Si vedano per le annotazioni di H. DE LUBAC, La Lumen Gentium e i Padri
della Chiesa, in La teologia dopo il Vaticano II, a cura di J.H. MILLER, Morcelliana,
Brescia 1967, 200.
10
Cf. V. Loi, Populus Dei-Plebs Dei. Studio storico linguistico sulla denominazione del "Popolo di Dio" nel latino paleo-cristiano, in Salesianum, 27(1965), 606626.
54
santa volte per indicare il soggetto orante e altre trenta volte con diverse accezioni.11
Fra i teologi che le riaprirono la strada in epoca moderna da ricordare almeno J.H! Newman (1801-1890), soprattutto con le sue riflessioni sul sensus fidelium12 e, nel XX secolo, l'abate A. Vonier,13
che si propose di mettere cos in evidenza il carattere storico e sociale della fede cristiana. Nel medesimo periodo il domenicano M.D.
Koster pubblic un vivace libretto nel quale, insieme con una critica
un po' troppo veemente e non sempre ben ponderata alla nozione
ecclesiologica di corpo mistico, indicava nella nozione di popolo di
Dio l'unica ed esatta definizione della Chiesa.14 Fu, comunque, con
L. Cerfaux che si giunse a una riflessione pi appropriata e organica.
Egli, studiando il pensiero paolino, trasse la conclusione che proprio quella di popolo di Dio l'idea ecclesiologica fondamentale dell'apostolo, mentre tutte le altre, compresa quella di corpo di Cristo,
non sarebbero che suoi aspetti particolari.15 Tale opinione trov,
d'allora, un crescente consenso che ne permise l'ingresso nei testi del
Vaticano II.16
Onde esprimere la realt della Chiesa quale popolo di Dio, il
concilio fa riferimento soprattutto a lPt 2,9-10. Sono significative le
ragioni per le quali la costituzione sulla Chiesa ha preferito questa
nozione ecclesiologica e ha voluto inserire, immediatamente dopo il
primo dedicato al mistero della Chiesa, un esplicito capitolo dedicato al popolo di Dio, nel quale sono cointesi tutti i cristiani, sia i pastori che i fedeli. Con la scelta di questa organizzazione strutturale,
11
A. SCHAUT, Die Kirche als Volkgottes. Selbstaussagen der Kirche irti rmischen Messbuch, in Benediktinische Monatsschrift 25(1949), 187-196.
12
Cf. J.H. NEWMAN, Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina, Morcel
liana, Brescia 1991. Per l'autore, la Chiesa, non altro che il popolo di Dio sotto altro
nome, cf. ID., Parochial and Plain Sermons, London 1869, II, 89.
13
Cf. A. VONIER, The People of God, London 1937.
14
Cf. M.D. KOSTER, Ekklesiologie im Werden, Paderbon 1940. Una smentita alle
varie critiche del Koster si pu trovare in S. JAKI, Les tendances nouvelles de l'ecclsio
logie, Herder, Roma 1957,16-264 passim. Per un bilancio cf. Y. CONGAR, Le Concile
de Vatican II. Son glise. Peuple de Dieu et corps du Christ, Beauchesne, Paris 1984,
123-136.
Cf. L. CERFAUX, La teologia della Chiesa secondo S. Paolo, AVE, Roma 1968. 16 Cf.
trattazioni specifiche in Y. CONGAR, La Chiesa come popolo di Dio, in Conclium
1(1965), 22-26; G. DEJAIFVE, L'glise, peuple de Dieu, in Nouvelle Re-vue Thologique
103(1981), 857-871; P.M. GUILLAUME, Peuple de Dieu, in Dic-tionnaire de Spiritualit,
XII (1984), 1233-1237; J. GROOTAERS, Peuple de Dieu, in Catholicisme (1986), 1108; E.
SAURAS, El pueblo de Dios, in Comentarios a la Con-stitucin sobre la Iglesia (BAC),
Madrid 1966, 226-263; R. SCHNACKENBURG - J. Du-PONT, L'glise, Peuple de Dieu, in
Concilium (ed. fr.) 1(1965), 91-100; M. SEME-RARO, Popolo di Dio. Una nozione
ecclesiologica: al concilio e vent'anni dopo, in Rivista di Scienze Religiose 2(1988), 29-67.
55
17
In questo senso cf. la Commissione dottrinale, (cf. Constitutionis Dogmaticae
Lumen Gentium Synopsis historca, a cura di G. ALBERIGO e F. MAGISTRETTI, Istituto
per le Scienze Religiose, Bologna 1975, 441).
18
Cf. LG 2: EV 1/285.
56
19
20
21
22
LG 9: EV 1/310.
LG 9: EV 1/310.
LG 53: EV 1/427; RUPERTO DI DEUTZ, In Apoc. I, 7, 12: PL 169, 1043.
LG 63.68: EV 1/439.444.
57
23
24
25
58
LG 17: EV 1/327.
LG 9: EV 1/308.
H. KONG, La Chiesa, Queriniana, Brescia 1969, 142-143.
59
perch un popolo non sia una massa, la nozione di popolo di Dio include per tutti i battezzati la comune dignit dell'esserne membri, la
comune grazia dell'essere figli di Dio e la comune vocazione alla
santit. Tutti questi valori sono come racchiusi nell'espressione sacerdozio comune dei fedeli. Il Vaticano II ne ha indicate esplicitamente le radici nel lavacro battesimale e nell'unzione dello Spirito e
ne ha descritto l'esercizio in termini di partecipazione alla triplice
missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo.
Cristo profeta, sacerdote e re. Con questa trilogia ormai
d'uso corrente sistematizzare l'opera del Salvatore.30 Ne fu occasione il titolo di Cristo, traduzione greca dell'ebraico masiah (messia), che significa unto. Nei testi biblici un titolo che mette il portatore in un diretto rapporto con Dio. Presente nel Nuovo Testamento insieme con molti altri riguardo a Ges di Nazaret, questo titolo assunse via via maggiore importanza nella professione di fede
della Chiesa, al punto da diventare ben presto il titolo collettore di
tutti gli altri e da essere unito stabilmente al nome di Ges. In tal
modo l'espressione Ges Cristo diventa non soltanto la pi ricorrente professione della fede cristiana, ma pure l'indicatore della sua
opera salvifica, globalmente intesa come opera di annuncio della Parola, ministero di santificazione e di guida pastorale. Si tratta di tre
aspetti dell'unica azione salvifica di Cristo, che hanno la loro radice
nell'incarnazione del Figlio di Dio e che sono inseparabilmente collegati ai misteri del Verbo incarnato. Per questa ragione essi sono, di
volta in volta, descritti a partire dalla sua vita e dalla sua missione,
dall'istante dell'incarnazione a quello della gloriosa parusia, quando
il mistero di Cristo si mostrer nel suo vertice escatologico.
Nella teologia cattolica l'applicazione di questa trilogia sia a Cristo sia ai cristiani si trova gi impiegata con una certa ampiezza da
M.J. Scheeben,31 ma sar il Vaticano II a imporla nell'odierno linguaggio teologico.
30
Cf. J. ALFARO, Le funzioni salvifiche di Cristo quale rivelatore, sacerdote e signore, in Mysterium Salutis, Queriniana, Brescia 1971, V, 811-889; A. AMATO, Ges il
Signore. Saggio di cristologia, EDB, Bologna 1988.
Cf. MJ. SCHEEBEN, / Misteri del cristianesimo 60, Morcelliana, Brescia 1960, 391392: In virt di questa unzione egli l'Unto per eccellenza, il Cristo. Ma appunto perci
anche tutte le membra di questo capo, formanti con lui un sol tutto, debbono essere un sol
Cristo con lui; l'unzione della Divinit deve discendere dal capo su tutte le membra
affinch, ripiene di dignit e di virt divina, nell'unione col loro capo divengano quello che
egli stesso , un sacerdozio regale: re, i quali con Cristo e in Cristo, prendono parte come
figli alla gloria e alla felicit di Dio; sacerdoti che, in forza di Una consacrazione divina,
debbono partecipare al sublime sacerdozio del Figlio di Dio, con cui Dio sia onorato e
glorificato nella sua maest trinitaria.
60
Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini, fece del popolo
nuovo un regno e sacerdoti per il Dio e Padre suo. Infatti, per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a
formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le opere del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i
prodigi di Colui, che dalle tenebre li ha chiamati all'ammirabile sua
luce. Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e
lodando insieme Dio, offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio, rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della loro speranza della vita eterna. 32
Derivando dal sacerdozio di Cristo, che non ha offerto vittime, ma ha
donato se stesso al Padre in forza di uno Spirito eterno, anche il
sacerdozio comune dei fedeli consiste nell'offerta totale della propria
esistenza al Padre mediante Cristo nello Spirito Santo e, su questo asse
verticale, nella propria donazione ai fratelli. Esso , dunque, da
intendersi quale comune partecipazione alla vita di Cristo, offerta una
volta per sempre al Padre per i fratelli. questa la radicale novit
cristiana che nasce col battesimo, trova il suo sviluppo nel sacramento
della confermazione, ha il suo sostegno e compimento dinamico
nell'eucaristia e la sua espressione in tutta l'esistenza del cristiano.
Questo sacerdozio universale perch riguarda, senza esclusione
alcuna, tutti i battezzati e deve coinvolgere per intero la loro vita,
esprimendosi come partecipazione al triplice ufficio sacerdotale,
profetico e regale di Ges Cristo. Partecipare, poi, significa che ogni
battezzato, conformemente al proprio stato di vita e alla propria
condizione nella Chiesa, chiamato a corrispondere a tutta la missione di
Cristo. Il soggetto primo di questa partecipazione alla triplice missione di
Cristo tutto il popolo santo di Dio. In quanto realt organica, esso
interamente popolo profetico, sacerdotale e regale, ma proietta su
ciascuno dei suoi membri la sua partecipazione agli uffici di Cristo e li
contrassegna con essa mediante il carattere battesimale, rendendoli adatti
ad adempiere, ciascuno nel modo suo proprio, la sua stessa missione.33
32
LG 10: EV1/311. Il concilio applica la trilogia anche al ministero dei vescovi e
dei presbiteri. Per alcuni studi, cf. EJ. DE SMEDT, Il sacerdozio dei fedeli; B. VAN
LEEUWEN, La partecipazione comune del popolo di Dio all'ufficio profetico di Cri
sto; J. LECUYER, Il triplice ufficio del Vescovo; J. GIBLET, I presbiteri collabora
tori dell'ordine episcopale, tutti in La Chiesa del Vaticano II, a cura di G. BARANA,
Vallecchi, Firenze 1965, 453-464; 465-490; 851.871; 882-888.
33
Una tale partecipazione si realizza in linea verticale e non, invece, orizzontale.
Ci vuol dire che dall'unico Cristo profeta, sacerdote e signore tutti attingono la loro
triplice funzione: non, dunque, gli uni dagli altri ma tutti da Cristo. appunto questo
che il Vaticano II insegna quando esclude che la differenza tra il sacerdozio comune
dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico sia soltanto di grado. Sul tema cf.
61
M. ADINOLFI, // sacerdozio comune dei fedeli, Pontificio Ateneo Antoniano, Roma 1983; A.
VANHOYE, Prtres anciens, prtte nouveau selon le Nouveau Testament, du Seuil, Paris
1980, e gli studi raccolti in Lateranum 47(1981)/1 interamente dedicato al tema sacerdozio
comune e sacerdozio ministeriale: unit e specificit.
34
LG 34: EV 1/373.
35
LG 12: EV 1/316.
62
36
M. LABOURDETTE, Universale vocazione alla santit nella Chiesa, in La Chiesa del
Vaticano II, a cura di G. BARAONA, 1040.
63
problematica. Baster, infatti, scorrere un qualunque lessico per osservare come e quanto nella storia sino ad oggi sia mutevole l'uso
linguistico della parola. pure da aggiungere che, soprattutto nel
quadro della cultura marxista, il termine popolo ha assunto una forte
carica ideologica, che ha fatto sorgere ben presto il timore di riverberi negativi sulla stessa ecclesiologia. Se ne trova un'eco nel documento approntato dalla Commissione Teologica Internazionale e
pubblicato nel 1985 in occasione del XX anniversario della conclusione del Vaticano II. Gi nel suo preambolo esso lamenta che il
concetto di popolo di Dio diventato una di quelle parole a effetto,
che vanno in giro con un contenuto sovente molto esagerato. Si ribadisce poi che riguardo all'espressione decisamente da escludersi
non soltanto l'interpretazione in un senso meramente biologico, razziale, culturale e politico, ma anche quella ideologica del termine
popolo. Si tratta, quindi, di un concetto che ha bisogno di essere
chiarito.37 Questa necessit, ad ogni modo, non pu indurre a un'emarginazione del concetto di popolo di Dio. Anzi, proprio l'istanza
di approfondimento offre l'occasione per aggiungere qualcosa circa
la sua particolare fecondit in ordine a una questione pastorale di
grande importanza, che sorge quando specifiche difficolt esterne
tentano i cristiani a chiusure di tipo elitario, nell'ordine spirituale o
intellettuale, e, persino, di tipo settario.38
La nozione di popolo di Dio, infatti, per essere fondata essenzialmente sulla professione di fede e sul battesimo, che n' il segno
sacramentale, stabilisce per la Chiesa un forte carattere anti-elitario,
del tutto non-settario e anticorporativistico. In altre parole, essendo
onnicomprensiva al massimo, la categoria di popolo di Dio include
in se stessa ogni ordine di persone e ogni stato di vita. Mettendo in
primo piano il noi ecclesiale, essa precede ogni successiva distinzione. Popolo di Dio, infatti, sono tutti i battezzati nel loro insieme,
a prescindere che siano fedeli laici o vescovi o presbiteri o diaconi o
fedeli consacrati. Vi sono inoltre diverse modalit per vivere nella
Chiesa, quali ad esempio l'appartenenza a un ordine religioso o l'adesione a un'aggregazione ecclesiale. Nessuno per far il suo ingresso nel popolo di Dio e sar cristiano (n lo sar di pi) semplice-
37
Cf. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, documento Temi scelti di eccle
siologia (7 ottobre 1985), preambolo e 2.2: EV 9/1669.1685. Cf. J.A. DOMINGUEZ, Le
interpretazioni postconciliati, in L'ecclesiologa trent'anni dopo la Lumen Gentium, a cura di P. RODRIGUEZ, Armando, Roma 1995, 35-75.
38
Per quanto segue, cf. S. DIANICH, Popolo di Dio. II. Problematica pastorale di
un'idea, in Rivista del Clero Italiano 71(1990), 245-256; ID., Ecclesiologia. Questioni
d metodo e una proposta, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 241-255.
64
39
S. DIANICH, La teologia della parrocchia, in V. Bo - S. DIANICH - G. CARDARO-POLI,
Parrocchia e pastorale parrocchiale, EDB, Bologna 1986, 80.
65
* J. RATZINGER, // nuovo popolo di Dio, Queriniana, Brescia 1971,107; ID., Popolo e casa di Dio in S. Agostino, Jaca Book, Milano 1971.
41
Cf. A.J. HESCHEL, Dio alla ricerca dell'uomo, Boria, Torino 1969.
66
nel quale pure l'uomo offre a Dio finalmente una risposta perfetta.
Iniziativa di Dio e fedelt dell'uomo sono realmente distinte, non
mescolate e non confuse come lo sono, secondo il dogma calcedonense, la natura divina e quella umana del Verbo incarnato. Nell'unica persona del Figlio, per, esse sono vincolate in una comunione
che non conosce separazione e divisione. Ci che il Verbo ha assunto definitivamente salvato. Partecipando alla stessa vita di questo Figlio, vero Dio e vero uomo della stirpe di Abramo, gli uomini
ereditano le promesse e sono ammessi alla comunione col Padre.
Israele era stato chiamato per giungere a questa meta e il popolo di
Dio era stato costituito sin dal principio in vista di Cristo, alleanza in
persona. Dio si era scelto un popolo appunto per questa ricapitolazione nel suo Figlio, ormai costituito ministro dei beni celesti ed
escatologici (cf. Eb 9,11).
In questa luce la nozione di popolo di Dio non pu bastare a descrivere da sola il mistero della Chiesa. Neppure sufficiente una
sua giustapposizione alla nozione di corpo di Cristo. I due temi ecclesiologici sono, invece, in intimo nesso tra loro e si completano reciprocamente. Essere corpo di Cristo specifica la novit di questo
popolo e il suo essere popolo di Dio tutela quella nozione da tendenze spiritualistiche e da un certo monofisismo ecclesiologico, sempre in agguato. La Chiesa un corpo che non cessa di essere un
popolo, cio una comunit composta da persone libere e capaci di
compiere scelte di cui loro sono responsabili. Il corpo di Cristo che
la Chiesa rimane sempre un popolo composto da donne e uomini
che conservano, ciascuno, la propria individualit, che sono soggetti
a evoluzioni progressive e a involuzioni regressive e che conoscono
la virt ma pure il peccato. Lo Spirito Santo poi, unico e medesimo
in Cristo e nei cristiani, unisce e compagina nell'unico corpo di Cristo i membri del popolo di Dio, mentre le persone conservano tutta
la loro autonomia e responsabilit. Per questo le membra del corpo
non cessano mai di essere un popolo.
1. La teologia paolina del corpo di Cristo
La nozione della Chiesa corpo di Cristo tipicamente paolina.
Nel suo epistolario la si ritrova con maggiore frequenza nelle due
Lettere agli Efesini e ai Colossesi, ma gi anche, e soprattutto, nella
prima Lettera ai Corinti. Con essa si giunge potremmo dire ai
vertici dell'ecclesiologia neotestamentaria: la Chiesa non soltanto
radunata attorno a Cristo ma, ancora di pi, unificata in lui come
suo corpo.
67
Le ipotesi circa le possibili fonti ispiratrici, in san Paolo, di questa formula espressiva del mistero della Chiesa sono molteplici. Esse
vanno da quella gnostica, alquanto improbabile col suo mito delVAnthropos, dell'Uomo-salvatore primordiale (Urmensch-Erlser),
all'ipotesi stoica secondo cui il mondo come il grande corpo della
divinit e gli uomini formano un tutt'uno vivente; dall'ipotesi rabbinica della personalit corporativa alla pi probabile ipotesi eucaristica.42 La comunione al corpo eucaristico di Cristo si sostiene in
quest'ultimo caso sarebbe l'esperienza fontale da cui san Paolo ha
dedotto l'idea dell'identificazione della Chiesa col corpo personale
del Risorto.
Il calice della benedizione, che noi benediciamo, non forse una comunione del sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo non forse
una comunione del corpo di Cristo? (ICor 10,16-17).
Unirsi al corpo di Cristo concluderebbe Paolo passando dal
senso individuale al senso sociale ed ecclesiale significa formare
con lui un solo corpo.43 Se, dunque, per la mediazione della realt
eucaristica che l'espressione corpus Christi passa dalla metafora all'identificazione della Chiesa, per comprendere l'affermazione paolina non v' bisogno alcuno di ricorrere a ipotesi estranee all'ambito
cristiano. La koinnia eucaristica, che stabilisce l'unione verticale
dei fedeli con Cristo e quella orizzontale dei cristiani tra loro, conduce logicamente all'idea di Chiesa come corpo di Cristo. Partecipando al corpo eucaristico del Signore i fedeli diventano membra
del suo corpo glorioso.
In ci, quel che avvenne alle porte di Damasco (cf. At 9,3-9) continua a segnare l'esperienza cristiana dell'apostolo. L'identificazione
tra Cristo e la Chiesa, in ultima analisi, per quanto sia ancora necessario specificarne la natura, si pone sulla medesima lunghezza
d'onda della voce di Cristo che san Paolo ud nell'estasi della sua vocazione: Io sono Ges che tu perseguiti. Fu senza dubbio allora
42
Cf. CERFAUX, La teologa della Chiesa, 265-282; 368-372; P. BENOIT, Corpo,
Capo e Pleroma nelle lettere della prigionia, in Io., Esegesi e Teologia, Paoline,
Roma 1964, 399-460.
43
Sulla base del rapporto eucaristia-Chiesa si svilupper, poi, la nozione della
Chiesa come corpo mistico di Cristo, cf. H. DE LUBAC, Corpus mysticum. L'Eucaristia e
la Chiesa nel medioevo, Jaca Book, Milano 1982. Si vedano queste espressioni di s.
AGOSTINO e di s. LEONE MAGNO: Manducabis me: nec tu me in te mutabis, sicut cibum
carnis tuae, sed tu mutaberis in me (Confes. VII, 10: PL 32,742); Non aliud agit participatio corporis et sanguinis Christi, quam ut in id quod sumimus transeamus {Semi.
63, 7: PL 54, 357). Le referenze patristiche potrebbero facilmente moltiplicarsi.
68
che egli percep, per la prima volta ma per sempre, l'esistenza dell'intima unione che vige tra ciascun membro della Chiesa, soprattutto se perseguitato, e il Signore Ges. Data la natura di questa rivelazione non possibile pensare che essa lo abbia mai abbandonato. Piuttosto c' da pensare che Paolo ne sia rimasto segnato per
sempre.
L'idea della Chiesa quale corpo di Cristo appare gi con sufficiente chiarezza in ICor 6,12-20. Qui l'apostolo, per uno scopo di ordine morale, stabilisce un confronto tra due poli opposti (Cristo e la
meretrice) e introduce l'idea che i corpi dei cristiani sono membra
del corpo di Cristo. I cristiani, infatti, a seconda del loro comportamento, sono membra dell'uno o dell'altra. In forme ancora pi evidenti l'idea presente in ICor 12,12-38 e in Rm 12,3-8, dove la
Chiesa descritta quale organismo vivente in cui vige l'interdipendenza delle membra, unite l'una all'altra nella vita e nell'azione. La
diversit senza ombra di dubbio affermata, in analogia al corpo
umano che pur essendo uno, ha molte membra (ICor 12,12.14).
Quanto ad esse san Paolo sembra avere un sentimento di particolare
predilezione e di maggiore attenzione proprio per quelle parti che,
fra tutte, appaiono come le meno appariscenti, le pi deboli e le pi
sofferenti (cf. ICor 12,22-26). Ad ogni modo, le varie membra hanno
funzioni molteplici e diversificate (cf. Rm 12,4) e, ci nonostante,
tutto cospira e converge verso l'unit e la cooperazione. La diversit
ricchezza afferma san Paolo perch se tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? (ICor 12,19). Si dir ancora di pi,
poich l'unit in un solo corpo genera e stimola la carit. Infatti, se
un membro soffre, soffrono con esso tutte le altre membra; e se un
membro onorato, ne gioiscono con esso tutte le altre membra (cf.
ICor 12,26).
Bisogna, tuttavia, intendersi: in qual senso i cristiani formano un
tutt'uno e anzi un corpo? San Paolo era probabilmente a conoscenza di quell'idea, caratteristica dell'ambiente culturale grecoellenistico, secondo cui l'organismo sociale dello Stato paragonabile al corpo umano. Si tratta di una concezione che, secondo quanto
riferisce lo storico romano Tito Livio nella sua storia di Roma, serv
al console romano Menenio Agrippa per raccontare il noto apologo
col quale convinse la plebe, ritiratasi sull'Aventino, a tornare in
citt.44 Era, dunque, questa l'idea anche di san Paolo? Si potrebbe
44
II confronto tra la vita socio-politica e il composto umano si trova pure in CICERONE
(Definibus XIX, 63), EPITTETO (Diatr. II, 5,24-25; 10,3-4; 23-24), MARCO AURELIO (Pensieri
II, 1; VII, 13), PLATONE (Timeo 31b; 32a) e SENECA (Epist. XCV, 52).
69
45
Cf. L. MALEVEZ, L'glise Corps du Christ. Sens et provenance de l'expression chez saint Paul, in Recherches de Science Religieuse 32(1944), 85-87.
46
Gen 2,24 cit. da Ef 5,31, che prosegue: Grande mistero questo, ma io lo dico
in rapporto fra Cristo e la Chiesa (v. 32).
70
47
48
49
71
50
Cf. A. FEUILLET, L'glise plrme de Christ d'aprs Ephs. 1, 22 in Nouvelle
Revtie Thologique 78(1956), 449-472; 593-610; BENOIT, Corpo Capo e Pleroma,
457.
51
/ Clem. 46, 6-7: PG 1, 303.
52
Didach, 9, 4. facile intuire il rimando a Gv 11,52: Ges doveva morire per
radunare in unit i dispersi figli di Dio.
53
In Jo. 11, 11: PG 74, 560.
72
54
73
57
74
riori opera per il ministero delle parti superiori.77 Ben diversa , invece,
l'ottica del Vaticano II, il quale, pure riconoscendo e affermando in pi
parti che l'esercizio dei carismi subordinato al discernimento dei
pastori, tuttavia precisa:
Lo Spirito Santo, non solo per mezzo dei sacramenti e dei ministeri,
santifica il popolo di Dio e lo guida e adorna di virt, ma distribuendo a
ciascuno i propri doni come piace a lui, dispensa pure tra i fedeli di ogni
ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi
varie opere ed uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione
della Chiesa.78
Queste poche osservazioni pongono l'istanza di un'ulteriore
esplicitazione delle implicanze pneumatologiche gi presenti nella
nozione della Chiesa-corpo mistico di Cristo.
IL TEMPIO DELLO SPIRITO SANTO
Popolo di Dio radunato dal Padre e corpo mistico di Cristo raccolto
dal Figlio, la Chiesa una realt sociale interiormente animata dallo
Spirito Santo s da essere chiamata suo tempio vivente. 79 Con questa
immagine si completa l'equilibrio trinitario del mistero della Chiesa.
L'opera dello Spirito Santo rende presente nella storia la convocazione
del Padre e dona al popolo messianico, costituito dalla risposta a questa
chiamata, la sua piena dignit. Nel cuore di questi eletti, infatti, come in
un tempio, dimora lo Spirito Santo. Egli interiorizza e attualizza l'opera
del Figlio edificandone il corpo che la Chiesa: per la comunione al
corpo e al sangue di Cristo, lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo,
recita la seconda Preghiera eucaristica. La Chiesa la comunione dello
Spirito Santo. Grazie a lui i fedeli sono costituiti in Corpo di Cristo,
come insegna il Vaticano II: Comunicando il suo Spirito, [Cristo]
costitu misticamente come suo corpo i suoi fratelli, convocati fra tutte le
genti.80 Lo Spirito Santo forza d'incorporazione, poich siamo stati
battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo (ICor 12,13). La
Chiesa la
81
comunione dello Spirito Santo, la comunit Sancto Spirita congregata, la famiglia di Dio raccolta nello Spirito del Figlio e dallo Spirito
consumata nell'unit.
1. La testimonianza biblica
Il termine ebraico col quale l'Antico Testamento designa lo Spirito Santo ruah, tradotto con pneuma nella lingua greca e con spiritris in quella latina. Se la cosa si osserva dal punto di vista etimologico, si rinviati al simbolo del vento, addirittura della bufera, all'idea dello spazio aperto e dell'atmosfera, a qualcosa, comunque, che,
pur non essendo visibile in quanto tale, si fa sentire e sperimentare
nei suoi effetti. Il termine designa anche la forza vitale con la quale il
Dio vivente guida il suo popolo. Essa, in particolare, investe per
breve tempo alcune persone in vista di particolari interventi ordinati
alla salvezza del popolo. Si posa, perci, su Davide nel giorno della
sua consacrazione regale (cf. ISam 16,3) ed promesso come dono
permanente al re messianico ed escatologico (cf. Is 11,2); principio
dell'ispirazione profetica; annunziato come forza di salvezza e di
rinnovamento per Israele (cf. Ez 36,26-27).
Nel capitolo 37 di Ezechiele si annuncia che la ruah di Dio verr
dai quattro ruhot (venti), ossia dai quattro punti cardinali e far rivivere le ossa aride. Il profeta Gioele, infine, in un testo che sar ripreso da san Pietro nel suo primo discorso nel giorno della Pentecoste (G 3,1-2; cf. At 2,16-18), parler di un'effusione universale dello
Spirito:
Io effonder il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani
avranno visioni. Anche sopra gli schiavi e le schiave, in quei giorni, effonder il mio spirito.
Nel Nuovo Testamento l'azione dello Spirito come forza per la
proclamazione del vangelo e per la realizzazione del piano salvifico
presente soprattutto nel Vangelo secondo Luca. Qui la persona e
l'opera di Ges sono totalmente sotto l'azione dello Spirito. Egli
riempie della sua forza Giovanni il precursore (cf. Le 1,15-17) e i
suoi genitori, Elisabetta e Zaccaria (cf. Le 1,22.67). Lo Spirito inserisce nel tempo il Figlio eterno del Padre (cf. Le 1,35), discende su di
lui sotto apparenza di colomba nel momento del battesimo al Giordano (cf. Le 3,22) lo sospinge nel deserto prima e lo avvia, dopo, all'adempimento della sua missione profetica. Per l'impulso dello Spirito Ges avvia la propria attivit messianica (cf. Le 4) e nella sina82
goga di Nazaret applica a se stesso la profezia di Is 61,1-2: lo Spirito del Signore su di me.... Dopo averli mandati a due a due,
Ges accoglie il ritorno dei settantadue discepoli ed esulta sotto l'azione dello Spirito (cf. Le 10,21). Lo scopo della sua missione, infatti, portare il fuoco sulla terra (cf. Le 12,49), il che, nell'interpretazione lucana, allude probabilmente al fuoco dello Spirito. Per
questo Ges promette ai discepoli il dono dello Spirito che li sosterr anche nella loro testimonianza di fronte a giudei e pagani (cf.
Le 11,13; 12,12).
L'opera lucana prosegue con gli Atti degli Apostoli, autentico
vangelo dello Spirito. Qui la vita della Chiesa nascente descritta
come un cammino nello Spirito. Per i discepoli, infatti, come per
Ges, l'effusione dello Spirito Santo l'inizio della missione profetica e della testimonianza. Cos, gli ellenisti attualizzeranno la presenza dello Spirito superando i confini del giudaismo (cf. At 6-8,4);
mosso dallo Spirito, Pietro aprir la missione ai samaritani (cf. At 8)
e battezzer il centurione pagano Cornelio (cf. At 10); Paolo, quale
apostolo dello Spirito, aprir il cammino della Chiesa verso i gentili.
sempre lo Spirito la forza principale che dirige la vita della Chiesa,
sin dai suoi inizi.81
Se nella prospettiva storico-salvifica dell'opera lucana lo Spirito
Santo effuso sulla Chiesa soltanto a partire dalla Pentecoste, secondo il quarto Vangelo egli donato ai discepoli gi durante la vita
terrena del Signore. lo Spirito, infatti, che suscita la loro fede profonda in Ges e, come un maestro interiore, li guida verso tutt'intera
la verit. Lo Spirito nella forma di una colomba scende dal cielo e riposa su Ges (cf. Gv 1,32-33) facendo di lui il nuovo tempio, il
luogo della presenza dello Spirito, la dimora santa nella quale occorre entrare per far parte del regno di Dio. Le parole del Signore
sono spirito e vita (Gv 6,63) ed egli dona lo Spirito senza misura
(cf. Gv 3,34). Nella festa dei Tabernacoli Ges annuncia tale profusione: Chi ha sete venga a me, e beva chi crede in me, secondo
quanto dice la Scrittura. Dal suo intimo fluiranno fiumi di acqua
viva (Gv 7,37-38). L'acqua viva appunto il dono dello Spirito, che
avrebbero ricevuto i credenti in lui (v. 39). Questo accadr nell'ora
della croce, quando Ges raccoglier nell'unit i dispersi figli di Dio
e li attirer tutti a s (cf. Gv 11,52; 12,32). La Madre di Ges, figlia di
Sion, e il discepolo amato riceveranno in persona della Chiesa l'ul-
81
Per la teologia lucana, cf. G. HAYA PRATS, L'Esprit force de l'glise, du Cerf, Paris
1975; I. DE LA POTTERIE, L'Esprit Saint et l'glise dans le Nouveau Testa-ment, in Credo
in Spiritum Sanctum, Citt del Vaticano 1983, II, 794-797.
83
82
84
85
85
Non
sfuggir
all'attenzione la formula prudenziale adottata dal Vaticano IL Essa parte
dal presupposto che l'allegoria dell'anima del corpo mistico di Cristo
riferita allo Spirito Santo si comprende soltanto nel riferimento alla
teologia trinitaria. Il concilio riconosce allo Spirito Santo un'azione
peculiare nella Chiesa, che gli compete in quanto Persona che gi
nell'intimo della vita trinitaria il vincu-lum tra il Padre e il Figlio. Per
dirla con sant'Agostino, quod ergo
87
Cf. l'ampia rassegna di testi raccolta da S. TROMP, De Spirita Sancto anima corporis mystci. I: Testimonia selecta e patribus graecis, Romae 1948; II: Testimonia selecta e patribus latinis, Romae 1952; De Spiritu Christi Anima, Roma 1960. Cf. pure S.
DOCKY, L'Esprit Saint me de l'glise, in Ecclesia a Spiritu Sancto edocta. Lumen
Gentium 53, Duculot, Gembloux 1975, 68-50.
88
Cf. Sermo 267,4: PL 38,1231. L'idea presente anche altrove. Ad esempio in
s. GIOVANNI CRISOSTOMO, In Eph. hom. 9,3: PG 62,72; DIDIMO ALESSANDRINO, Trin. 2,
1: PG 39, 449.
89
Si veda, ad esempio, questa espressione: Sicut constituitur unum corpus ex
unitate animae, ita Ecclesia ex unitate Spiritus... {In Col. 1, 18, lect. 5). Lo Spirito
Santo, per s. TOMMASO Vultima perfectio et principalis totius Corporis Mystici, quasi
anima in corpore naturali (In III Sent. d. 13, q. 2, a. 2 qla 3, sol. 2).
90
Cf. R. BELLARMINO, De Ecclesia militante II, in Opera Omnia, Neapoli 1857, II,
57. In epoca contemporanea sar soprattutto C. Journet a tornare su questo modello
per individuare nello Spirito Santo in persona l'anima increata della Chiesa, cf. C.
JOURNET, L'glise du Verbe ncam II. Sa structure interne etson unite catholique, Descle de Brouwer, Bruges 1951, 565-579. La distinzione tra anima creata della
Chiesa, ossia la carit, e anima increata serv a Journet per conservare allo Spirito
Santo la sua alterit rispetto alla Chiesa. Essa per non riscosse molte adesioni e anzi
fu criticata come inutile ed equivoca.
91
Cf. LEONE XIII, lettera enciclica Divinum illud munus, in Ada Sanctae Sedis
29(1896-1897), 650, seguito da Pio XII nella Mystici corporis.
92
LG 7: EV 1/302.
86
commune est Patri et Filio, per hoc nos habere voluerunt communionem et Inter nos et secum, et per illud donum nos colligere in unum, hoc
est per Spiritum Sanctum Deum et donum Dei.93 Cos come nella Trinit
immanente lo Spirito unisce il Padre al Figlio e reciprocamente cos nella
storia della salvezza la sua opera propria quella di unire molte persone
in un noi ecclesiale. La propriet personale dello Spirito, infatti,
quella di unire persone, tanto nella vita trinitaria quanto nella Chiesa che
il pleroma della Trinit. Egli il noi in persona. 94 Ci che lo Spirito
nella Trinit, lo pure nel corpo di Cristo. L'unico e medesimo Spirito,
che comunione del Padre e del Figlio, lo Spirito di Cristo e lo Spirito
della Chiesa.
Egli le interiore, ma non compone con essa un solo essere fisico.
Opera diversamente, cio, da come accade nel corpo umano dove
l'anima, secondo l'antropologia tomista, la sua unica forma sostanziale,
col quale forma l'unica sostanza-uomo. Nella Chiesa lo Spirito Santo
sicuramente il principio intimo e vitale ma un principio che e rimane
sempre ad essa trascendente. La sua opera, perci, da ravvedersi non
gi al livello ontologico bens al livello di una causalit che, in termini
filosofici, si potrebbe chiamare di causalit efficiente ma che, in termini
teologici, si direbbe piuttosto unione di alleanza e di grazia.
Lo Spirito Santo non diviene mai lo Spirito della Chiesa ma
sempre lo Spirito mandato dal Padre, lo Spirito di Dio, lo Spirito del
Figlio che, abitando nella Chiesa, la vivifica, la unifica e la sostenta.
Dominum et vivificantem, lo Spirito Santo dona vita e unit alla Chiesa.
questa la radice di tutti gli altri doni che da Dio giungono all'uomo.
Nel dono, che lo Spirito, ci giunge ogni altro dono.
Un'altra immagine che aiuta a comprendere ci che la terza divina
Persona opera nella Chiesa quella del cuore. Quest'allegoria, in verit,
molto rara a trovarsi. Tuttavia essa fu cara a san Tommaso d'Aquino, il
quale diceva che lo Spirito agisce nella Chiesa come il cuore che opera
nascostamente nel centro del corpo umano: et ideo cordi comparatur
Spiritus Sanctus, qui invisibiliter Ecclesiam vivificat et unti. 95 Con
immagini diverse, comunque, si afferma sempre un unico mistero: la
Chiesa l'opera propria dello Spirito Santo.
93
87
88
Gentium", ambedue in Lo Spirito Santo e la Chiesa, a cura di E. LANNE, AVE, Roma 1970,
297-314; 317-343; A.M. CHARUE, Le Saint Esprit dans "Lumen Gentium", in Ecclesia a
Spiritu Sancto edocta, 19-39; Y. CONOAR, Credo nello Spirito Santo. I: Rivelazione ed
esperienza dello Spirito, Queriniana, Brescia 1981, 187-193; H. MOHLEN, El Espiritu y la
Iglesia, in Estudios Trinitarios 9(1975), 385-389; N. SILANES, El Espiritu Santo y la
Iglesia en el Concilio Vaticano II, in Credo in Spiritum Sanctum, II, 1011-1024; ID., La
pneumatologia del Vaticano II, in Estudios Trinitarios 17(1983), 366-382; P. RODRIGUEZ,
Verso una considerazione cristologica e pneumatologica del Popolo di Dio, in
L'ecclesiologia trent'anni dopo, a cura di ID., 149-177.
^ CCC, n. 798.
101
Cf. Rm 12,6; ICor 12,4.9.28.30; lTm 4,14; 2Tm 1,6; lPt 4,10.
89
102
91
Capitolo terzo
LA CHIESA COMUNIONE
93
4
Cf. SINODO DEI VESCOVI, relazione Exeunte coetu secundo (La Chiesa, nella pa
rola di Dio, celebra i misteri di Cristo per la salvezza del mondo), 7 dicembre 1985, II,
C, 1: EV 9/1800. Per la concezione neotestamentaria della communio cf. E. FRANCO,
Comunione e partecipazione. La Koinonia nell'epistolario paolino, Morcelliana, Bre
scia 1986. Sull'ecclesiologia di comunione cf. M. SEMERARO, La Chiesa comunione,
in Rivista di Scienze Religiose 4(1990), 347-387, da cui si potr anche ricavare una bi
bliografia di base. Particolarmente impegnato nella elaborazione di un'ecclesiologia
di comunione J.-M.-R. TILLARD, glise d'glises. L'ecclsiologie de communion, du
Cerf, Paris 1987. Per l'aspetto ecumenico cf. E.F. FORTINO, La "communio-koinonia"
nel dialogo teologico cattolico-ortodosso, in L'ecclesiologia trentanni dopo la Lu
men Gentium, a cura di P. RODRIGUEZ, Armando, Roma 1995, 181-199.
5
Cf. UR 2: EV 1/502.
6
Cf. LG 7.11: EV 1/297.313.
7
Cf. per una sintesi G. BKS, L'Eucaristia fa la Chiesa, in Vaticano II: bilancio
e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), a cura di R. LATOURELLE, Cittadella,
Assisi 1987, II, 825-838. In prospettiva ecumenica cf. G. BKS, Eucaristia e Chiesa. Ri
cerca dell'unit nel dialogo ecumenico, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1985.
94
ecclesiologica assunta, opportuno considerare l'efficienza dell'eucaristia nella prospettiva trinitaria. L'eucaristia forma la Chiesa
come popolo di Dio, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo. In
essa, difatti, si perfeziona la nuova ed eterna alleanza che costituisce
la Chiesa in popolo di Dio; in essa questo popolo formato corpo di
Cristo e, sempre nell'eucaristia, la Chiesa si ritrova adunata nell'unit dello Spirito Santo. Nella celebrazione della santa eucaristia il
mistero della comunione trinitaria s'immette nella nostra storia, radunando e modellando il popolo dei credenti secondo la sua unit.
L'epifania della Chiesa, dunque, attinge direttamente dal mistero eucaristico che poi, esso stesso, evento trinitario. Per comprenderlo sufficiente osservare la struttura classica delle anafore liturgiche. Il Padre vi appare sempre come il principio a quo e il termine ad quem dell'azione liturgico-sacramentale. A lui, infatti, rivolta tanto la preghiera iniziale quanto la lode conclusiva. Il Figlio
incarnato Ges Cristo, a sua volta, vi appare come colui per mezzo
del quale compiuta l'azione sacramentale. Lo Spirito Santo, infine,
la divina Persona nella cui presenza essa si compie hic et nunc.8
L'eucaristia sacrificio trinitario, sacramento della morte redentrice del Figlio, offerta al Padre in uno Spirito eterno e dal Padre per
sempre accettata. Ogni volta che essa viene celebrata, l'ora pasquale
ora trinitaria per eccellenza e supremo momento salvifico per
noi fa la sua irruzione nella nostra storia e la scandisce salvificamente. In ogni eucaristia attiva nel mondo l'attrazione universale
di tutti i dispersi figli di Dio fra le braccia e nel cuore di Cristo crocifisso. L si riceve di continuo l'amore del Padre e l'effusione perenne
dello Spirito, che Spirito di filiazione e d'incorporazione a Cristo.
Egli, infatti, inviato dal Padre per trasformare con la sua virt nel
corpo e nel sangue di Cristo i doni consacrati, mette in comunione
con il corpo di Cristo quanti partecipano allo stesso pane e allo
stesso calice. Nell'eucaristia, dunque, i fedeli partecipano alla vita
trinitaria e formano l'unico corpo ecclesiale. Qui la Chiesa, per Cristo, con Cristo e in Cristo, rende la sua lode al Padre e si muove filialmente verso di lui. Avendo accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell'effusione dello Spirito Santo essa entra in comunione con la santissima Trinit.9
Questa dottrina gi presente in san Paolo, che insiste nel mettere in evidenza il carattere fondativo dell'eucaristia riguardo alla
comunione ecclesiale. la comunione alle realt sante (sancta) che
Cf. C. VAGAGGINI, // senso teologico della liturga, Paoline, Roma 1965, 224. * Cf.
UR 15: EV 1/547.
95
10
Quest'espressione, presente nel Simbolo romano detto anche apostolico,
giunge probabilmente dalla Gallia. Se ne trova la pi antica attestazione in NICETA DA
REMESIANA (cf. Explanatio Symboli ad competentes: PL 52, 871). La formula include
l'idea della comunione alle cose sante e quella della comunione tra le persone sante.
Nel medioevo si aggiunge anche il senso dell'unione della Chiesa pellegrina con la
Chiesa celeste.
11
Cf. J.-M.-R. TILLARD, Chair de l'glise, chair du Christ. Aux sources de l'eccl
siologie de communion, du Cerf, Paris 1992.
Cf. COMMISSIONE MISTA INTERNAZIONALE PER IL DIALOGO TEOLOGICO TRA LA CHIESA
CATTOLICA ROMANA E LA CHIESA ORTODOSSA, documento // mistero della Chiesa e della
eucaristia alla luce del mistero della santa Trinit, Monaco 30 giugno-6 luglio 1982: EO
1/2188-2189.
13
S. ALBERTO MAGNO, De Eucharistia, d. 3, tr. 1, e. 9; cf. A. PIOLANTI, // Corpo
mistico e le sue relazioni con l'Eucaristia in S. Alberto Magno, Roma 1939, 200.
14
Sulla comunione eucaristica come comunione trinitaria cf. M.-M. PHILIPON, /
sacramenti nella vita cristiana, Morcelliana, Brescia 1959, 92-160; J.-M.-R. TILLARD,
L'glise de Dieu est une communion, in Irnikon 53(1980), 453-456.
96
tere (e a dovere riflettere) il mistero dell'unit divina. Una meravigliosa e plastica espressione di questo mistero si trova nella celebre
Icona della Trinit dipinta da Andrej Rublv (1360-1430), dove i Tre
sono mostrati come i concelebranti di una divina liturgia e tutti insieme
rendono presente alla Chiesa la Pasqua eterna.
La Chiesa assoluta delle tre Persone divine si pone come immagine
conduttrice della Chiesa terrena degli uomini, comunit dell'amore mutuo, unit nel molteplice [...] Tutti gli uomini sono chiamati a riunirsi attorno alla medesima e unica coppa, ad elevarsi al livello del cuore divino
e a prendere parte alla cena messianica, a divenire un solo TempioAgnello.15
2. La Chiesa locale
Se, dunque, vogliamo vedere la Chiesa, dobbiamo accedere alla
sinassi eucaristica. Proprio con principale riferimento ad essa il Nuovo
Testamento parla non solamente, al singolare, di Chiesa ma anche, al
plurale, di Chiese. 16 Denominandosi, infatti, Chiesa del Signore, la
prima comunit cristiana aveva trasferito su di s l'idea
veterotestamentaria della comunit di Dio, dandole per un significato
cristologico pieno. Se ci pot accadere, lo fu per il fatto che essa aveva
la consapevolezza di essere la comunit acquistata da Cristo col suo
proprio sangue (cf. At 20,28). Precisamente secondo quest'uso nel Nuovo
Testamento il termine Chiesa indica senza dubbio l'intero popolo sparso
su tutta la terra e radunato nel nome del Padre e del Figlio suo Ges
Cristo.17 Esso, per, indica pure l'assemblea in atto, la riunione dei
cristiani per la celebrazione del servizio liturgico, dell'eucaristia.
15
P.N. EVDOKIMOV, Teologia della bellezza. L'arte dell'icona, Paoline, Roma
1981, 231-243. Per una differente interpretazione di quest'icona, dichiarata nel 1551
dal concilio dei Cento Capitoli quale modello della rappresentazione della Trinit, cf.
N. GRESCHNY, L'icne de la Trinile de Rublv, ed. du Lion de Juda 1986.
16
Cf. PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, documento Unit e diversit nella Chiesa,
11-15 aprile 1988: EV 11/544-643. Tra i commenti, D. MUNOZ LEON, "Ekklesia" y
"Ekklesiai" en el Nuevo Testamento, in COMMISSION BIBLIQUE PONTIFICALE, Unite et
diversit dans l'glise. Texte officici de la Commission Biblique Pontificale et travaux
personnels des membres, Citt del Vaticano 1989, 113-116.
17
II termine Ekklesia in senso universale o generale, senza referenza a un luogo
o a una riunione concreta appare 19 volte, di cui 17 in s. Paolo. Cf. ad esempio Mt
16,18; At 20,28; ICor 10,3?; 12,28; Gal 1,13; FU 3,6; Ef 1,22; 3,10.21; 5,23-32; Col
1,18.24 ecc. Si noti come nelle Lettere deuteropaoline il significato di Chiesa as
sume pure dimensioni che sorpassano la terra e la storia.
97
18
Cf. J. ZIZIOULAS, L'Eucharistie, l'vque et l'glise durant les trois premiers
sicles, Descle de Brouwer, Paris 1994, 51-59; 93-98.
19
In senso locale, con l'indicazione del nome della citt, o della regione, o rife
rendosi all'assemblea di culto o alle deliberazioni della comunit raccolta in assem
blea il termine ricorre 86 volte, di cui 41 in s. Paolo, 20 in Ap ( 19 in At e le rimanenti
in 3Gv, Mt e Gc. Cf. ad esempio ICor 1,2; 11,16.22; 2Cor 1,1; lTs 2,14; 2Ts 1,4; lTm
3,5. La Chiesa, inoltre, secondo l'uso del Nuovo Testamento si esprime anche in co
munit domestiche (cf. ICor 16,19; Rm 16,5; Col 4,15; Fil 2). Tuttavia in questi casi la
menzione di Ekklesia non riceve mai il nome di Chiesa di'Dio o di Cristo. Ci po
trebbe essere indicativo del fatto che in queste chiese^ non sono presenti gli ele
menti, che costituiscono una Chiesa completa.
/
98
monianza della parola Chiesa si muove precisamente in questa direzione (cf. lTs 1,1; 2,14).20 In epoca recente essa divenuta d'uso comune,21 ricorrendo nei testi del Vaticano II22 e in quelli, successivi, di
dialogo ecumenico.23 A prescindere da alcune questioni che saranno
tra poco richiamate, importante sottolineare subito il significato
del riferimento al luogo, richiamato dall'espressione Chiesa locale.
L'interrogativo se esso sia una semplice constatazione, dovuta
al fatto che una comunit di persone umane deve pure radunarsi in
uno spazio determinato e che un'eucaristia pu essere celebrata soltanto in un luogo ben preciso. Se cos fosse, l'elemnto locale sarebbe, tutto sommato, da ritenersi come un dato alla fin fine estraneo al mistero della Chiesa, quasi una materiale condizione perch
esso si lasci cogliere dall'uomo. Diversamente si dir, invece, se il riferimento a un luogo esprime un'istanza che mutua la sua necessit
dalla legge dell'incarnazione e dalla natura della salvezza, storica e
insieme escatologica. Proprio da questo riferimento all'intima natura della Chiesa, che come corpo di Cristo intimamente legata al
mistero del Verbo incarnato, nasce l'esigenza di visibilit e di concretezza, di cui stiamo parlando.
Ci detto necessario precisare che, nel nostro, caso per luogo
non s'intende solamente uno spazio territoriale bens anche, e soprattutto, uno spazio umano e culturale. La Chiesa, infatti, al
tempo stesso Ecclesia de Trinitate ed Ecclesia ex hominibus. L'opera
del Dio trinitario si compie in e attraverso forme e modelli vari di
rapporto sociale, che sono del tutto umani. Sorvolare su questa complessit del mistero ecclesiale comporterebbe il rischio d'intendere
la Chiesa come un'entit astratta, posta fuori dal mondo. Se, invece,
20
Cf. S. CIPRIANI, Chiesa comunit di fede e di servizio. Saggi biblico-teologici di
attualit ecclesiale, PUL-Citt Nuova, Roma 1979, 31-63; B. MAGGIONI, La chiesa lo
cale nella Scrittura, in Vita e Pensiero 54(1971), 44.236-247; A. VANHOYE, La Chiesa
locale nel Nuovo Testamento, in La Chiesa locale. Prospettive teologiche e pastorali,
a cura di A. AMATO, LAS, Roma 1976, 15-27.
21
La bibliografia sull'argomento molto vasta. Cf. sino al 1971 quella offerta da
M. MARIOTTI sia in Vita e Pensiero 54(1971), 347-375; sia in Presenza Pastorale
41(1971), 213-242. Per l'avviamento del tema nella riflessione teologica, cf. O. GONZALES DE CARDEDAL, Genesi di una teologia della Chiesa locale dal concilio Vaticano I
al concilio Vaticano II, in Chiese locali e cattolicit. Atti del Colloquio internazionale
di Salamanca (2-7 aprile 1991), a cura di H. LEGRAND - J. MANZANARES - A. GARCIA Y
GARCIA, EDB, Bologna 1994, 27-61.
22
L'espressione, al singolare o al plurale, si trova in LG 23; UR 14 (2 volte, an
che in alternativa con particulares Ecclesias); AG 19. 27. 32. La terminologia tuttavia
non costante.
23
Cf. il documento di studio L'glise: Locale et Universelle, richiesto e adottato
dal Gruppo misto di lavoro tra la Chiesa cattolica romana e il Consiglio ecumenico
delle Chiese, pubblicato in Irnikon 63(1990), 497-522.
99
24
100
cos essa diventa e crea storia. Cos come non si d parola di Dio allo
stato puro, altrettanto non si d fede che non sia veicolante una cultura,
giacch l'uomo risponde con tutto se stesso a Dio che gli si rivela. Ci
vale anche per i sacramenti e per l'eucaristia i quali, in quanto segni
misti come ha sempre insegnato la manualistica sacramentaria
rinviano non soltanto ai mirabilia Dei e alla storia della salvezza coi suoi
elementi d'inculturazione, ma pure si radicano nell'antropologia
esprimendo, dell'uomo, la profondit del senso religioso, nonch nella
stessa creazione. In questo senso Yhu-manum entra nella costituzione di
una Chiesa locale.
Questo modo d'intendere la localizzazione della Chiesa, non gi in
un senso semplicemente topografico bens anche e soprattutto in un
senso antropologico e culturale, impedisce di concepire la Chiesa locale
come una semplice circoscrizione territoriale. Riferita, invece, a uno
spazio umano o culturale particolare essa il luogo concreto a partire dal
quale si realizza la cattolicit o l'universalit della Chiesa.26 Si dir di pi,
ossia che
il locale esprime una vocazione alla visibilit e alla storia, che non
solo fedelt all'uomo, ma prima ancora fedelt al piano di salvezza
e all'incarnazione... luogo non solo una realt a cui adattare, pastoralmente, il messaggio, ma una realt da assumere per capire il messaggio:
non solo fatto pastorale ma luogo di maturazione della fede e di elaborazione teologica. 27
Tuttavia, poich la Chiesa di Cristo (o la Chiesa di Dio in Cristo
Ges) certamente la comunit che vive in un luogo ma non, essenzialmente, una comunit determinata dal luogo in cui vive bens dalla sua
appartenenza a Cristo, i testi del Vaticano II, pur usando l'espressione
Chiesa locale, le uniscono, talvolta alternativamente e talvolta come
sinonima, l'espressione di Chiesa particolare. 28 La sua analisi aiuter a
comprendere ci che essa aggiunge a quanto gi incluso
nell'espressione Chiesa locale.
26
Cf. A. PEELMAN, L'inculturazione. La Chiesa e le culture, Queriniana, Brescia
1993, 23-24.
27
MAGGIONI, La chiesa locale nella Scrittura, 240.
28
Per la questione se tali elementi culturali possano essere ritenuti anch'essi ele
menti costitutivi caratterizzanti una Chiesa locale, cf. D. VALENTINI, // nuovo Popolo
di Dio in cammino. Punti nodali per un'ecclesiologia attuale, LAS, Roma 1984,49-68;
J.A. KOMONCHAK, Chiesa locale e Chiesa cattolica. La problematica teologica con
temporanea, in Chiese locali e cattolicit, a cura di LEGRAND - MANZANARES - GARCIA
Y GARCIA, 433-457.
101
3. La Chiesa particolare
Il testo conciliare pi eloquente in proposito il terzo capitolo della
costituzione Lumen gentium, dove l'espressione Chiesa particolare
designa certamente una comunit episcopale, ossia una Chiesa retta da
un vescovo cooperato dal suo presbiterio e, perci, la diocesi. Si tratta di
Lumen gentium n. 23, dove si parla delle relazioni dei vescovi in seno al
collegio episcopale, e di Lumen gentium n. 27, dove si espone l'ufficio
proprio dei vescovi di reggere le Chiese particolari a loro affidate, come
vicari e legati di Cristo. La stessa terminologia adottata dal n. 11 del
decreto Christus Dominus sul ministero pastorale dei vescovi, in un
passaggio che sar poi integralmente ripreso dal Codice di Diritto
Canonico per designare la diocesi.29 Vi si dice, infatti, che
la diocesi la porzione del popolo di Dio, che affidata alle cure pastorali del vescovo coadiuvato dal suo presbiterio, in modo che, aderendo
al suo pastore e da lui per mezzo del vangelo e della santissima eucaristia unita nello Spirito Santo, costituisca una Chiesa particolare, nella
quale veramente presente e operante (vere inest et operatur) la Chiesa
di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica.
Come si vede da questa formulazione, nel definire una Chiesa
particolare il Vaticano II porta l'attenzione su due elementi precisi: la
populi Deiportio e la persona del vescovo, strettamente congiunta alla
realt del presbiterio, cui essa affidata. Pare quasi di risentire, qui,
l'espressione di san Cipriano: La Chiesa formata dal popolo unito al
suo vescovo e dal gregge che resta fedele al suo pastore. 30
Nel testo non si fa esplicita menzione di un determinato territorio.
Questa assenza ha un suo significato, che tuttavia non dev'essere
sopravvalutato. Aiuta a capire, infatti, che, diversamente da quanto
farebbe pensare l'etimologia greca della parola, la diocesi non per
29
Cf. EV1/593. La scelta del CIC del 1983 supera le fluttuazioni terminologiche
del Vaticano II e designa con l'espressione Chiesa particolare unicamente la Chiesa
diocesana. Si deve ritenere tale scelta come una soluzione di fatto, nonostante abbia
avuto tra i suoi principali'promotori H. DE LUBAC (cf. la sua opera Les glises particulires dans l'glise universelle, Aubier, Paris 1971). I teologi hanno in genere difficolt
ad adottarla e preferiscono l'espressione Chiesa locale. Sulla questione cf. G. RouTHIER, "glise locale" ou "glise particulire": querelle smantique ou option thologique?, in Studia Canonica 25(1991), 277-334. Si veda come J.-M.-R. TILLARD, L'
glise locale. Ecclsiologie de communion et catholicit, du Cerf, Paris 1995, si muove
esplicitamente nel senso della preferenza per Chiesa locale, con cui indica la Chiesa
presieduta dal vescovo, ossia la diocesi.
30
S. CIPRIANO, Epist. 66,8: PL (ep. 69) 4, 419.
102
nulla un distretto amministrativo della Chiesa universale. Essa, invece, una comunit nella quale sono in primo piano i rapporti personali tra una comunit di battezzati che professano la stessa fede
cattolica e il suo pastore. Egli, quale principio e fondamento visibile
della communio di questa porzione del popolo di Dio, rende la
stessa un soggetto ecclesiale.
Per la costituzione di una Chiesa particolare il territorio, a differenza della Parola e del sacramento, ha solo una funzione determinativa. Tuttavia la sua presenza non manca d'importanza. Sembra
pertinente in proposito l'osservazione di H. Legrand circa il fatto
che, se la Chiesa locale diocesana si organizzasse su un principio diverso da quello territoriale, apparirebbe piuttosto come un club, i
cui membri si cooptano secondo la razza, la lingua, la classe sociale o
altre caratteristiche comuni. La territorialit, invece, segnalata anche dalla presenza di precisi confini geografici che delimitano una
Chiesa locale diocesana, segno e insieme garanzia di cattolicit.
Essa aiuta a capire la natura di convocazione propria della Chiesa
che raduna un popolo da ogni trib, lingua, popolo e nazione, reagendo efficacemente alla sfida babelica delle divisioni umane di ordine culturale, sociale e politico.31
In verit, l'aggettivo particolare applicato alla Chiesa non appare, a un primo sguardo, molto felice. Esso, difatti, potrebbe essere
frainteso in senso spaziale-quantitativo, facendo cos pensare alla
diocesi come a una parte geografica all'interno di una pi grande
realt che, in questo caso, sarebbe la Chiesa universale. Cos malintesa la diocesi o Chiesa particolare altro non sarebbe che una circoscrizione territoriale della Chiesa universale (in questo caso nel
senso di mondiale) o una parte separata di una grande struttura
amministrativa, alla maniera di una determinata regione che una
circoscrizione territoriale all'interno di uno Stato. In realt, le cose
stanno ben diversamente.
31
Cf. H. Legrand, La Chiesa si realizza in un luogo, in Iniziazione alla pratica della
teologia, sotto la direzione di B. LAURET - F. REFOUL, Queriniana, Brescia 1986, III, 178.
Occorre, dunque, distinguere fra la struttura essenziale di una Chiesa particolare, che
comprende tutto ci che le deriva per istituzione divina (iure divino), e la sua figura
concreta e mutevole o la sua organizzazione (ad esempio, all'interno di precisi confini
territoriali), che pu variare. Di diritto divino la Chiesa particolare, non una singola
diocesi. Rimane il fatto, per, che la struttura essenziale sempre implicata in una figura
concreta, senza.la quale non potrebbe sussistere. Per questo motivo la figura concreta non
neutra nei confronti della struttura essenziale che deve poter esprimere con fedelt ed
efficacia, in una determinata situazione (cf. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE,
documento Temi scelti di ecclesiologia, 7 ottobre 1985, 5.1: EV 9/1712).
103
32
Cf. F. GUILLEMET, Thologe des confrences pscopales. Une hermneutique
de Vatican II, Mdiaspaul, Montreal 1994, 131-143.
33
Sulla tipologia delle Chiese particolari descritte dal CIC e sulle relative pro
blematiche, cf. A. LONOHITANO, Le Chiese particolari, in Chiesa particolare e strut
ture di comunione, EDB, Bologna 1985, 30-35. L'espressione Chiesa particolare
utile al CIC per inserire nella nozione oltre alla diocesi anche queste altre realt: pre
lature personali, abbazie territoriali, vicariati apostolici ecc.
104
cresceva, e si moltiplicava assai il numero dei discepoli in Gerusalemme (At 6,7; cf. 19,20).
La sua importanza messa in evidenza anche da san Paolo, ad
esempio quando scrive che piacque a Dio di salvare i credenti per
mezzo della stoltezza della predicazione (ICor 1,21). Si tratta, in questo
caso, dell'annuncio della parola di Dio, della cui responsabilit l'apostolo
si sente particolarmente investito e il cui contenuto essenziale lo
scandalo della croce.34 lGv 1,1-3, infine, sottolinea la forza genetica della
comunicazione della Parola quando scrive:
Quello che era da princpio, quello che abbiamo udito e visto coi nostri
occhi... del Verbo della vita... lo annunciamo anche a voi, affinch anche
voi abbiate comunione con noi. La nostra comunione poi con il Padre
e con il Figlio suo Ges Cristo.
La Chiesa la comunit che si forma attorno a questo annuncio.
Annuncio, beninteso, non di un semplice messaggio bens di una
Presenza, quella del Signore Ges, del quale l'annunciatore ha fatto
esperienza e che ora comunica, affinch si riproduca in chi ascolta il
vangelo. La comunione quale configurazione finale dell'evento-Chiesa,
come opportunamente insiste nell'annotare S. Dianich, :
prima di tutto un incontrarsi di persone concrete che si conoscono, che
si parlano, che si comunicano la loro esperienza di Cristo e che giungono cos a possedere in comune ci che per ciascuno il valore pi profondo della propria vita, cio il proprio incontro con Cristo. 35
Questa medesima comunione, poi, non ha soltanto una dimensione
immanente ma pure una dimensione trascendente: comunione con il
Padre, meta ultima del popolo di Dio, cui il Signore Ges apre la via
mediante il dono del suo Spirito.
Dono dello Spirito, annuncio del vangelo e risposta di fede sono
sempre stati all'origine della Chiesa: Gli apostoli predicano ovunque il
vangelo, che viene accolto dagli uditori per l'azione dello Spirito Santo;
radunano cos la Chiesa universale.... 36 Dalla risposta all'annuncio
apostolico nasce la Chiesa, come avverte sant'Agostino: Hanno
predicato la parola della verit e hanno generato le Chiese.37 In effetti:
34
Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad evangelizzare... (ICor 1,17);
Guai a me, se non annuncio il vangelo (ICor 9,16); non volli sapere in mezzo a voi
altro che Ges Cristo e questi crocifisso... (ICor 2,1-5).
35
S. DIANICH, La Chiesa mistero di comunione, Marietti, Torino 1977, 58.
36
LG 19: EV 1/330.
37
Enarr. in Ps. 44, 23: PL 36, 508.
106
PO 2: EV 1/1247.
Cf. DV 10: EV 1/886.
LG 12: EV 1/316.
41
Orazione mozarabica: PL 96, 759 cit. da LG 26: EV 1/348.
42
LG 26: EV 1/348. Come avvertiva la Commissione dottrinale questo passaggio
fu introdotto per sottolineare l'importanza della comunit eucaristica nella Chiesa lo39
40
107
cale. Esso guarda, dunque, anche alle comunit eucaristiche infra dioecesim, quali
sono, ad esempio, le parrocchie. Cf. G. ALBERIGO - F. MAGISTRETTI, Constitutionis
Dogmaticae Lumen Gentium Synopsis Historica, Istituto per le Scienze Religiose, Bologna 1975, 459.
43
PO 5: EV 1/1523.
44
AG 6: EV 1/1100.
45
I vescovi, infatti, sono gli araldi della fede che portano a Cristo nuovi disce
poli, sono dottori autentici, cio rivestiti dell'autorit di Cristo, che predicano al po
polo loro affidato la fede da credere e da applicare nella vita (LG 25). Ogni legit
tima celebrazione della eucaristia diretta dal vescovo... (LG 26).
108
109
49
50
110
/
/
':
51
LG 30: EV 1/361.
AG 21: EV 1/1163.
53
Cf. G. CANOBBIO, Laici o cristiani? Elementi storico-sistematici per una descri
zione del cristiano laico, Morcelliana, Brescia 1992; S. PINTOR, / laici nella missione
della Chiesa, EDB, Bologna 1987; M. SEMERARO, Con la Chiesa nel mondo. Il laico
nella storia, nella teologia, nel magistero, Vivere In, Roma 1991. Cf. pure A. BARRUFFO, Laico, in Nuovo Dizionario di spiritualit, a cura di S. DE FIORES e T. GOFFI,
Paoline, Roma 1982, 810-828; e il quad. di Credere Oggi 81(1994)3 dedicato a: / laici
nella Chiesa e nel mondo.
54
LG 31: EV 1/362.
52
Ili
infatti, inseriti nel corpo mistico di Cristo per mezzo del battesimo, fortificati dalla virt dello Spirito Santo per mezzo della confermazione,
sono deputati dallo stesso Signore all'apostolato... Per l'esercizio di tale
apostolato lo Spirito Santo, che opera la santificazione del popolo di
Dio per mezzo del ministero e del sacramento, elargisce ai fedeli anche
doni particolari... Dall'avere ricevuto questi carismi, anche i pi semplici, sorge per ogni credente il diritto e il dovere di esercitarli per il
bene degli uomini e per l'edificazione della Chiesa nella Chiesa e nel
mondo. 55
In ragione, infine, della vocazione propria di questi fedeli, che si
scoprono chiamati da Dio non ad abbandonare la propria posizione nel
mondo, ma piuttosto a personalizzare e a concretizzare la propria novit
battesimale assumendo tutte le realt che costituiscono l'ordine
temporale,56 il Vaticano II parla dell'indole secolare come vocazione e
missione propria dei laici e addita loro il mondo come ambito e mezzo
della loro vocazione cristiana. Alla luce di questi principi,
sommariamente ricordati, il concilio ricorda la necessit dei reciproci
rapporti tra fedeli laici e pastori cosicch la Chiesa intera, fortificata da
tutti i suoi membri, possa svolgere con maggiore efficacia la sua
missione per la vita del mondo.57
Il rapporto fedeli laici / sacri ministri non esaurisce certamente la
ricchezza e la vitalit della comunione ecclesiale, giacch alla vita e alla
santit della Chiesa appartiene fermamente e indiscutibilmente anche lo
stato di vita costituito dalla professione dei consigli evangelici della
castit consacrata a Dio, della povert e dell'obbedienza, fondati
sull'esempio e sulla parola del Signore Ges.58 Per quanto nella storia
della Chiesa sia possibile registrare una grande variet di forme, alcune
delle quali sono scomparse mentre di nuove ne sono fiorite, la
professione dei consigli evangelici come tale parte integrante della vita
della Chiesa n mai potr mancarle come suo elemento irrinunciabile e
qualificante, in quanto espressivo della sua stessa natura. Queste ultime
parole, desunte dal n. 29 dell'esortazione apostolica Vita consecrata di
Giovanni Paolo II, sembrano dirimere la questione, gi dibattuta nel
concilio Vaticano II, se la vita consacrata sia una struttura della Chiesa o
nella Chiesa. La questione, piuttosto, quella di riconoscere che la vita
della Chiesa
55
AA 3: EV 1/918.
Tali sono i beni della vita e della famiglia, la cultura, l'economia, le arti e le
professioni, come pure le istituzioni della comunit politica e le relazioni internazio
nali. Cf. AA 7: EV 1/938.
57
LG 37: EV 1/385.
58
LG 44: EV 1/407.
56
112
non si esaurisce nel binomio sacri pastori / fedeli laici, ma fa riferimento a una struttura fondamentale che Cristo ha voluto pi ampia
e articolata e che comprende il dono della presenza della vita consacrata. In essa si manifesta l'esigenza della Chiesa-sposa di vivere
nella dedizione piena ed esclusiva al suo Sposo e ad essa affidato il
compito di additarlo come il traguardo escatologico a cui tutto
tende, lo splendore di fronte al quale ogni altra luce impallidisce,
l'infinita bellezza che, sola, pu appagare totalmente il cuore
dell'uomo.59
La visione di Chiesa che ne risulta , ancora una volta, quella di
una comunione organica dove si armonizza in una superiore unit la
diversit delle vocazioni, dei carismi e dei ministeri operata dallo
Spirito. Nello scambio dei reciproci doni i cristiani esprimono l'essere ecclesiale che loro stato donato con il battesimo ed alimentato dall'eucaristia, a perfezionamento e compimento di quella natura e vocazione comunionale gi voluta da Dio per l'uomo nell'ordine della creazione.60
La diversit delle vocazioni particolari nella Chiesa pu essere in
qualche modo articolata in tre vocazioni paradigmatiche giacch
tutte, assunte separatamente o congiuntamente, secondo la ricchezza del dono di Dio, sotto l'uno o l'altro aspetto, si richiamano o
si riconducono ad esse. Si tratta della vocazione alla vita laicale, al
ministero ordinato e alla vita consacrata. In relazione a queste tre
vocazioni si configurano nella Chiesa anche tre stati di vita nei
quali, come raggi da un'unica luce, si esprime la ricchezza del mistero di Cristo e nella cui variet passa e si realizza il dono della comunione ecclesiale. Anche queste vocazioni ricorda Giovanni
Paolo II sono al servizio l'una dell'altra, per la crescita del corpo
di Cristo nella storia e per la sua missione nel mondo.61
Il modello della communio si applica pure alle articolazioni interne della vita di una Chiesa particolare e in primo luogo alla parrocchia, quasi ultima localizzazione della Chiesa. Pi che una struttura e un territorio, essa l'espressione pi immediata e visibile
della comunione ecclesiale poich, in definitiva, fondata su di una
realt teologica ed una comunit eucaristica. Sia storicamente, vi59
GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Vita consecrata, 25 marzo 1996, n.
16. Sulla teologia della vita consacrata cf. J. AUBRY, Teologia della vita religiosa, LDC,
Leumann (TO) 1988; Vita consacrata. Un dono del Signore alla sua Chiesa, LDC,
Leumann (TO) 1993. Per l'esortazione apostolica cf. i commenti nei Quaderni de
L'Osservatore Romano 34, Citt del Vaticano 1996.
60
Sull'ontologia agapica dell'essere-in-Cristo, cf. M. Cozzou, Etica teologale.
Fede Carit Speranza, Cinisello Balsamo (MI) 1991, 147-152.
61
GIOVANNI PAOLO II, Vita consecrata, n. 31.
113
SC 42: EV 1/74.
Seguiamo G. ROUTHIER, Le dfi de la communion. Une relecture de Vatican II,
Montreal 1994,183-207. Sul tema della sinodalit si vedano pure E. CORECCO, voce
Sinodalit, in Nuovo Dizionario di Teologia, a cura di G. BARBAGLIO e S. DIANICH,
Alba 1977, 1466-1493; W. AYMANS, Diritto canonico e comunione ecclesiale. Saggi di
dirttQ canonico in prospettiva teologica, Giappichelli, Torino 1993, 33-59; 139-161; L.
GEROSA, Diritto ecclesiale epastorale, Giappichelli, Torino 1991,93-110. Al tema della
sinodalit dedicato l'intero quad. di Credere Oggi 76(1993)4.
62
63
114
la diversit delle funzioni e il secondo, per il suo impiego nelle democrazie moderne, suscettibile di equivoci assemblearistici. evidente, ad ogni modo, che la trasposizione in ambito ecclesiale del
linguaggio proprio delle istituzioni politiche non mai senza rischio
(si pensi, ad esempio, anche ai termini di consiglio e di consultazione) e che, d'altra parte, nessuna scelta terminologica pu prescindere dai suoi referenti culturali.
Proprio per il fatto di essere inusuale ma al tempo stesso capace
di riferirsi a una tradizione ecclesiale, il neologismo di sinodalit
risulta efficace per mettere in luce la peculiarit delle relazioni ecclesiali. In un senso generale esso rinvia all'espressione della communio
all'interno di una Chiesa diocesana. In pratica la sinodalit comporta il dialogo e la comunicazione tra i diversi soggetti ecclesiali e la
partecipazione a un'opera comune secondo il proprio stato di vita
nella Chiesa. Essa rispetta, perci, il ruolo proprio del vescovo, la
cooperazione del presbiterio al suo ministero e lo specifico apporto
dei fedeli laici. Altrimenti detto, la sinodalit si propone di coniugare, alla maniera di san Cipriano, il nihil sine epscopo dei fedeli e il
nihil sine Consilio vestro et sine consenso, plebis del vescovo.
Nel quadro della sinodalit da collocarsi il sinodo diocesano,
antica istituzione gi riconoscibile nel suo nucleo fondamentale
verso la fine del II secolo, in costante evoluzione giuridica sino ad
oggi. Il Vaticano II ne suggerisce la ripresa e il Codice di Diritto Canonico del 1983 gli ha dato un nuovo statuto giuridico (cf. cann. 460468). Esso prevede fra i suoi membri i fedeli di ogni stato di vita ecclesiale, e ha come suo scopo principale quello di prestare aiuto al
vescovo diocesano in ordine al bene comune dell'intera comunit
diocesana. La sua novit ecclesiologica rispetto alla precedente normativa piano-benedettina (il Codice del 1917) consiste nel fatto che
il sinodo non pi, per cos dire, la cassa di risonanza della legislazione episcopale, ma esso stesso soggetto protagonista dei provvedimenti e delle direttive pastorali.64
Fra le altre istituzioni sinodali, vicina per la sua composizione
al sinodo diocesano e anch'essa espressione concreta della communio nella Chiesa particolare, il consiglio pastorale diocesano. Altra
forma di manifestazione istituzionalizzata della communio, ma questa volta della fraternit sacramentale che lega i presbiteri fra di loro
64
Cf. E. CAPPELLINI - G.G. SARZI SARTORI, Il sinodo diocesano. Storia, normativa,
esperienza, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994; G. CORBELLINI, // Sinodo diocesano
nel nuovo Codex Iurs Canonici, PUL, Roma 1986.
115
65
S. PINTOR, L'uomo via della Chiesa. Elementi di teologia pastorale, EDB, Bologna 1992, 227.
116
66
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, lettera Communionis notio, 28
maggio 1992, n. 7: UV13/1784. Per l'interpretazione del documento si veda il commento
non firmato ne L'Osservatore Romano (23 giugno 1993), 1.4. Cf. pure P. EYT, L'glise
comprise comme communion, in Nouvelle Revue Thologique 115(1993), 321-334.
67
Cf. DE LUBAC, Les glises particulires, 54.
117
dell'espressione), bens la universalis Ecclesia, che parla tutte le lingue e tutte, nell'amore, comprende.68 Le due dimensioni della localit e dell'universalit coincidono, dunque, pienamente in questa
condizione originaria della Chiesa, che unica e irripetibile. Legata
al suo momento fondativo, essa ha i caratteri dell'ephapax, vale a
dire dell'una volta per sempre, e, perci, progetta normativamente
tutta la vita della Chiesa sino alla fine dei tempi.
Da allora in avanti la Chiesa, fondata in una prima Chiesa denominata perci Chiesa-madre, si espander e metter radici nel
mondo intero. Nel giorno stesso della Pentecoste il numero dei discepoli aumenter subito di circa tremila persone (cf. At 2,41) e, mediante la predicazione apostolica, continuer a espandersi per addizione di nuovi membri: Il Signore aggiungeva ogni giorno coloro
che saranno salvati (At 2,47). L'unico gruppo di quelli che erano
stati col Signore sin dall'inizio aumenter e si diffonder su tutta la
terra, spinto dalla forza missionaria dello Spirito.
Il libro degli Atti traccia idealmente il percorso espansivo della
Chiesa fuori di Gerusalemme: La Chiesa in tutta quanta la Giudea,
la Galilea e la Samaria aveva pace e si rafforzava e camminava nel timore del Signore ed era piena della consolazione dello Spirito (At
9,31). Poi si convertirono al Signore gli abitanti di Lidda e di Saron
(At 9,35) e ancora ad Antiochia, Listra e Iconio, nella Panfilia e poi,
via via, sino a Roma, quasi attuazione storica della lista dei popoli
presenti a Gerusalemme nell'evento della Pentecoste. San Girolamo
scriver che in Jerusalem primum fundata Ecclesia totius orbis Ecclesias seminavit.69 Nello svilupparsi della missione sono fondate le
Chiese, tutte comunicanti alla pienezza del dono fatto alla Chiesamadre di Gerusalemme.
Partecipando della sua grazia e del suo kairos, prenderanno dunque consistenza le diverse Chiese locali, ma sar sempre l'unica
Chiesa di Cristo ad accrescersi e a diffondersi. Tutte queste comunit sparse nel mondo, portando in se stesse l'immagine o potremmo dire la grazia di quella prima Chiesa e ultimamente fondate nella medesima eucaristia, lungi dall'essere frammentate e divise in molteplici parti, sono invece compaginate nell'unico corpo di
Cristo.70 Per questo il Vaticano II ne parla come di un corpus Eccle68
Cf. AG 4: EV 1/1095.
In Is. 2, 3: PL 24, 45b.
Cf. LG 23: EV 1/339. Dal fatto che la Chiesa c' e si conserva anche come tota
lit solo perch si attua e si compie con costante reiterazione nell'unico e onnicom
prensivo evento della eucaristia K. Rahner deduce che una Chiesa locale sorge non
per frammentazione del cosmo dell'intera Chiesa ma per concentrazione della Chiesa
nel suo proprio tradursi in avvenimento. Cf. K. RAHNER, Episcopato e primato, in K.
69
70
118
RAHNER e J. RATZINGER, Episcopato e primato, Queriniana, Brescia 1966, 32-33. SulVephapax della prima Chiesa cf. TILLARD, L'glise locale, 29-42.
71
La Chiesa universale perci il corpo delle Chiese, per cui possibile appli
care in modo analogico il concetto di comunione anche all'unione delle Chiese parti
colari, e intendere la Chiesa universale come una comunione di Chiese: CONGREGA
ZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Communionis notio, n. 8: EV 13/1785.
72
PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Unit e diversit nella Chiesa, B.2: EV 11/641.
119
unicum nelle origini cristiane, ma non per questo privo d'importanza e di significato. In Gal 2,10 l'apostolo ricorda il suo impegno nel
corrispondere alla richiesta di ricordarsi dei poveri fattagli nel cosiddetto concilio di Gerusalemme. In quest'opera egli profuse molte
delle sue energie. Dai testi paolini non difficile capire che l'apostolo
intese in primo luogo la colletta come qualcosa di ben pi qualificato
rispetto a un semplice sovvenire materiale ai bisogni dei poveri. Per
san Paolo essa era un segno di comunione tra le Chiese dei gentili e la
Chiesa-madre di Gerusalemme. In Rm 15,27, infatti, scrive che le comunit della Macedonia e dell'Acaia hanno voluto fare la colletta
perch avendo i gentili partecipato (ekoinesan) ai loro beni spirituali, sono in debito di rendere un servizio solenne (leitourghesai)
nelle loro necessit materiali. Come osserva R. Penna, qui si riconosce apertamente il primato spirituale della Chiesa-madre, dalla quale
avevano preso avvio la diffusione del vangelo e tutta la storia cristiana. In secondo luogo le collette per Gerusalemme sono un importante fattore di comunione per le stesse Chiese dei gentili. In tal modo
la comunione con Gerusalemme si riversa sulla coesione delle Chiese
beneficiami, quasi una restituzione, che prende forma da un salutare
vincolo vitale, il quale si aggiunge ai fondamentali beni salvifici originariamente di l irradiatisi.73
Se non possibile registrare analoghi comportamenti nella storia
antica della Chiesa, ben diverso il discorso riguardo ad altri segni
di comunione. Tra questi si ricorderanno le iscrizioni sui dittici
(due tavolette unite insieme) contenenti i nomi dei martiri, dei fondatori delle chiese, dei benefattori, dei vescovi succedutisi nella sede
episcopale, degli altri vescovi della provincia e di quelli con cui si era
in comunione, specialmente il vescovo di Roma, e di altri di cui si
menzionavano i nomi durante la liturgia. Avere il nomen in sacris
diptycis scriptum era segno di comunione e giudizio di ortodossia; al
contrario, la rimozione del nome era segno di condanna. Quanto al
nome di un vescovo inserito nei dittici, ci significava la sua accoglienza nell'ordine dei vescovi al termine di uno scambio di lettere
nelle quali i vescovi d'una medesima provincia attestavano la legittimit della sua ordinazione. Un richiamo a questa prassi era presente
pure nell'intercessione per i vescovi delle altre Chiese durante la
preghiera eucaristica: in tal modo si evidenziava che la sinassi eucaristica era come luogo generativo della communio Ecclesiarum.
73
R. PENNA, Le collette di Paolo per la Chiesa di Gerusalemme, in Parola, Spirito e Vita 31(1995)1, 189, cf. 179-190.
120
Altri segni erano le lettere di comunione, chiamate pure tesserne o symbola o litterae pacis, ove pace senza dubbio sinonimo di
comunione. Queste lettere erano date dall'autorit ecclesiastica e testificavano l'appartenenza di un individuo alla comunione cattolica,
permettendo cos la sua ammissione all'eucaristia in un altro luogo.
Esse erano pure un importante strumento di reciproca unione tra
vescovi e, in ogni caso, erano segno sicuro della communio Ecclesiarum. Il loro contrario era l'atto di scomunica, mediante cui un vescovo, a motivo di particolari peccati o delitti compiuti, rompeva le
relazioni con un cristiano o anche con un altro vescovo e lo poneva
fuori dalla sua comunione. Anche qui si trattava, ultimamente, di
esclusione dal comune assidersi alla mensa del Signore, cos come la
cessazione della scomunica si manifestava mediante la riammissione
alla medesima eucaristia.
In questa prassi, dove l'autorit ecclesiastica rilasciava le lettere
di comunione e decideva se le lettere che le pervenivano erano da
accettarsi o meno, si vede chiaramente come la communio che lega
nella Chiesa universale le diverse Chiese particolari non era per
nulla intesa come un certo vago "affetto" bens come una "realt
organica", che richiede forma giuridica e insieme animata dalla carit.74 La communio Ecclesiarum o la comunione universale della
Ekklesia tou Theo , infatti, al tempo stesso una realt sacramentale, perch fondata sull'eucaristia, e anche un'istituzione giurdica,
giacch l'incorporazione e l'esclusione erano sempre fatte dall'autorit.75 Cos strutturata dall'intima connessione del sacramentale e del
giuridico, la communio Ecclesiarum ha come momento emergente la
comunione dei vescovi di ogni Chiesa particolare, a sua volta fondata nel legame che singolarmente tutti li congiunge nel collegio episcopale cui, unitamente al suo capo, affidata la cura della Chiesa
universale.
Del collegio episcopale e del successore di Pietro si dovr trattare in modo pi esteso, ma questi pochi accenni sono sufficienti per
fare comprendere come l'unit dell'eucaristia e l'unit dell'episcopato cum et sub Petro siano la radice sacramentale-istituzionale, che
sostiene la realt della Chiesa universale quale communio Ecclesia-
74
SEGRETARIO GENERALE DEL CONCILIO VATICANO II, Nota explicativa praevia, 16
novembre 1964, n. 2: EV 1/451, dove questa carit da intendersi in senso pierio, in
quanto fondata nella comune partecipazione alla eucaristia.
75
Ci. L. HERTLING, Communio. Chiesa e papato nell'antichit cristiana, PUG,
Roma 1961; J. RATZINGER, La Chiesa. Una comunit sempre in cammino, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1991, 60-68.
121
122
78
Ci appare chiaramente nel testo analogo di Ad gentes n. 19, dove il portare
l'immagine della Chiesa universale visto non pi soltanto come un dono ma anche
come un compito della Chiesa particolare: Cum Ecclesia particularis universalem Ecclesiam quam perfettissime repraesentare teneatur, probe noscat... Kpmonchak inter
preta l'espressione immagine della Chiesa universale come un riferimento ai prin
cipi generatori della Chiesa che possono essere descritti formalmente o euristica
mente, ma che sono solo concretamente universali in quanto effettivamente genera
tori di Chiese, KOMONCHAK, Chiesa locale e Chiesa cattolica, 440, nota 23.
79
La lettera Communionis nodo della CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA
FEDE, al n. 9 afferma che la Chiesa universale una realt ontologicamente e tempo
ralmente previa ad ogni singola Chiesa particolare: EV 13/1787. Al riguardo, per,
un commento non firmato su L'Osservatore Romano del 23 giugno 1993 spiega che
tale priorit affermata per negare la concezione secondo cui la Chiesa universale sa
rebbe da intendersi come la somma o la confederazione delle Chiese particolari e, di
conseguenza, come una realt astratta contrapposta alla realt concreta che sarebbe
la Chiesa particolare; e che per intendere bene la priorit cronologica di cui parla la
lettera bisogna avere come punto di riferimento la Chiesa-mistero e la Chiesa manife
statasi nel giorno di Pentecoste.
123
80
81
1789.
EV 1/285.
CONGREGAZIONE
PER
LA
DOTTRINA
DELLA
FEDE,
82
KOMONCHAK, Chiesa locale e Chiesa cattolica, 444-445. L'autore conclude:
Negare ci sembrerebbe costringere la Chiesa universale in ci che gli scolastici
chiamano universale ante rem. In continuit con quest'osservazione potremmo dire
che il rapporto tra Chiesa universale e particolare , invece, analogo a quel tipo di
rapporto di una totalit con le sue parti che s. TOMMASO chiamava totum universale.
Come tale s'intende il tutto che presente (adesi) a ciascuna parte secondo tutta la
sua essenza e potenza (virtus) e per questo si predica propriamente di ciascuna delle
sue parti (S. Th., I, q. 77, a. 1 ad 1).
124
8. I raggruppamenti di Chiese
Le varianti nei documenti del Vaticano II circa l'uso di espressioni
come Chiesa locale e Chiesa particolare conducono all'individuazione di una particolare forma storica della communio Ecclesiarum quale raggruppamenti di Chiese o coetus Ecclesiarum. Testo
fondamentale in proposito quello di Lumen gentium n. 23:
Per divina Provvidenza avvenuto che varie Chiese, fondate in vari
luoghi dagli apostoli e dai loro successori, durante i secoli si siano costituite in molti gruppi organicamente uniti, i quali, salve restando l'unit
della fede e l'unica costituzione divina della Chiesa universale, godono
di una propria disciplina, di una propria consuetudine liturgica, di un
patrimonio teologico e spirituale proprio. Alcune fra di esse, segnatamente le antiche Chiese patriarcali, come matrici della fede ne hanno
generate altre quali loro figlie, con cui restano fino ai nostri tempi legate
da pi stretto vincolo di carit nella vita sacramentale e nel mutuo rispetto di diritti e di doveri. Questa variet di Chiese locali in concorde
armonia dimostra con pi evidenza la cattolicit della Chiesa indivisa. 83
Questo testo molto significativo, dove peraltro l'espressione Chiesa
locale applicata a un raggruppamento d Chiese, fu aggiunto nel terzo
schema De Ecclesia onde offrire, mediante il rimando al fatto storico del
coordinamento di pi diocesi in un gruppo organicamente costituito, una
base per la pi stretta unione dei loro vescovi, con riferimento soprattutto
all'antico istituto dei patriarcati in oriente. La nuova pericope ha, perci,
lo scopo di meglio illustrare l'indole e la rilevanza teologica del collegio
episcopale. In questo medesimo contesto essa dev'essere compresa84 e ci
anche nel senso della fondazione della solidariet e eYaffectus
collegiale delle pi recenti conferenze episcopali nella solidariet e nella
comunione di pi Chiese diocesane. Sono appunto queste Chiese che,
come ricorda il concilio, sono costituite in un gruppo (coetus), la cui
organicit data da omogeneit di ordine non soltanto liturgico ma pure
teologico e spirituale. Nel caso dei patriarcati, poi, il legame ancora pi
stretto, come di generazione e filiazione.
I criteri che presiedono a tali raggruppamenti di Chiese non sono
propriamente (o unicamente) quelli costitutivi la communio Ecclesiarum
denominata Chiesa universale, ma sono piuttosto criteri di
EV 1/341.
Cos s'espresse la Commissione dottrinale, cf. ALBERIGO - MAGISTRETTI, Constitutons Dogmaticae Lumen Gentium Synopsis Historica, 457.
83
84
125
tipo antropologico. Ci nonostante, di tali raggruppamenti il concilio afferma il loro valore manifestativo della cattolicit della Chiesa
indivisa e la loro origine risalente non a una semplice casualit storica, bens al piano della divina Provvidenza, che guida il cammino
della Chiesa. Alla medesima realt, da alcuni chiamata pure Chiesa
regionale e da altri, in modo forse pi pertinente, comunione di
Chiese locali, si riferisce pure Lumen gentium n. 13, dove l'espressione Chiesa particolare non designa la diocesi, bens raggruppamenti di Chiese con tradizioni proprie, la cui presenza nella comunione ecclesiale pienamente legittima. Ad gentes n. 22 si riferisce
ad esse quando parla delle giovani Chiese che dalle consuetudini
del sapere e dalla cultura, dalle arti e dalle scienze dei loro popoli
sanno ricavare tutti gli elementi che valgono a rendere gloria al
Creatore, a mettere in luce la grazia del Salvatore e a bene organizzare la vita cristiana.85
Raccogliendo sinteticamente i dati esposti, possibile dire che
questi raggruppamenti di Chiese, pur distinguendosi da ci che si denomina Chiesa universale e Chiesa locale diocesana o particolare,
non sono da intendersi semplicemente come strutture amministrative
intermedie fra un centro e una periferia, ma hanno una loro autentica
ragione e rilevanza teologica, ecclesiologica e antropologica. In essi,
infatti, rimane salva l'unit della fede e la costituzione divina della
Chiesa. Garantiti dalla presidenza della comunione universale della
carit propria della cattedra di Pietro, questi raggruppamenti di
Chiese pongono le loro particolarit al servizio dell'unit. Essi hanno
la propria esistenza radicata nella cattolicit della Chiesa indivisa,
della quale, con il loro valorizzare le ricchezze culturali dei rispettivi
popoli, attualizzano la relazione con Yhumanum, colto nella sua densit non solo personale, ma anche collettiva. Nella prospettiva dell'ecclesiologia di comunione essi mettono in luce il fatto che una
Chiesa particolare diocesana non pu esplicare le sue virtualit senza
l'apporto della comunit regionale delle Chiese locali. Ad ogni modo,
proprio nel pi ampio contesto della cooperazione fra le Chiese una
Chiesa particolare riesce di fatto ad assolvere molti dei suoi compiti.
La Chiesa nel suo insieme, d'altra parte, esprime maggiormente la
sua cattolicit quando lascia spazio alle particolarit locali.86
EV 1/320.1168.
Per il testo di LG 23 cf. O. ROUSSEAU, Divina autem Providentia. Histoire
d'une phrase de Vatican II, in Ecclesia a Spiritu Sancto edocta. Lumen Gentium, 53.
Mlanges thologiques. Hommage Mgr. Gerard Philips, Duculot, Gembloux 1970,
281-289. Sul tema cf. A. ANTON, Chiesa locale/regionale: riflessione sistematica, con
la Risposta di H.J. POTTMEYER, in Chiese locali e cattolicit, a cura di LEGRANDMANZANARES-GARCIA Y GARCIA, 581-603; 605-610; TILLARD, L'Eglise locale, 467-473.
85
86
126
Capitolo quarto
Dopo avere trattato della Chiesa nel suo mistero, nella sua origine trinitaria e nella sua concreta realizzazione di communio ai diversi livelli, consideriamo ora le quattro caratteristiche che abitualmente le vengono attribuite, ossia quelle dell'unit, santit, cattolicit
e apostolicit. Si tratta di quattro doni definitivi della Trinit alla
Chiesa. Anche in questo caso essa riceve dalla Trinit tutto ci che
e tutto ci che ha. Popolo che Dio Padre si scelto, la Chiesa comunit dei fratelli che Cristo ha costituito come suo corpo, organismo sociale che serve allo Spirito di Cristo per essere sacramento
universale di salvezza. In queste azioni trinitarie sono radicate anche
le quattro propriet della Chiesa.1 Scaturenti immediatamente dalla
sua natura, la pervadono continuamente de Trinitate.
Il popolo di Dio, avendo il suo supremo modello e principio
nella Trinit delle persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito
Santo,2 non pu essere che uno e unico. Esso un popolo santo perch tratto in salvo e acquistato da Dio (cf. lPt 2,9-10); un popolo
universale perch sono chiamati a farvi parte tutti gli uomini; un
popolo, infine, il cui carattere apostolico-missionario scaturisce dalla
missione paterna del Figlio e dello Spirito.
In quanto corpo di Cristo la Chiesa, pur composta da molte e diverse membra, non pu che essere una e unica. 3 Essa il corpo purificato e santificato dal lavacro battesimale che discende dal capo, la
pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose (cf. Ef
1,22-23), l'organismo dotato di doni multiformi tra cui eccelle quello
degli apostoli.
216.
' Cf. F.A. SULLIVAN, Noi crediamo la Chiesa, Piemme, Casale Monferrato 1990, 2122
3
UR 2: EV 1/502.
Cf. ICor 12,12; Rm 12,4-5; Ef 4,4-6.
127
Lo Spirito Santo, infine, anima la Chiesa unificandola nella comunione e nel ministero, la abbellisce dei suoi frutti e la rinnova di
continuo. Egli la forza della sua diffusione nella storia e nel mondo
(cf. At 1,8) e della sua permanenza nella Parola di Ges insegnata
dagli apostoli.
I doni dell'unit, della santit, della cattolicit e dell'apostolici t
sono doni trinitari che giungono alla Chiesa dall'eucaristia. Questo
sacramento, infatti, il sacramentum ecclesiasticae unitatis, nel
quale i cristiani divengono un solo corpo in Cristo Ges. Anche la
santit giunge alla Chiesa dall'eucaristia nella quale
racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cio lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, d la vita agli uomini: e questi sono invitati e indotti a offrire insieme a lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose
create.4 \
Strettamente congiunte al mistero eucaristico sono pure l'apostolicit e la cattolicit. In ogni sinassi, infatti, la cui presidenza unicamente affidata al ministero della successione apostolica, si rende
presente l'intero mistero della Chiesa cattolica.5
In quanto doni, le sue quattro propriet sono anche dei compiti
per la Chiesa. Quello che la Trinit offre alla Chiesa quale suo dono
proprio e permanente pure ci che le assegna come meta da raggiungere. Ogni dono divino, infatti, sempre un compito da realizzare. Sicch le propriet della Chiesa sono pure il suo obbligo storico
e la sua possibilit escatologica. Per questo pu dirsi che la Chiesa
deve permanentemente diventare ci che , ossia una, santa, cattolica e apostolica.
Componenti di una riflessione di fede, gli enunciati sulle propriet della Chiesa smarriscono il loro senso se sono posti al di fuori
di una protestano fidei. Appaiono, invece, pi chiari quando la
Chiesa compresa nell'ambito dell'iniziativa del Dio trinitario, cio
nel contesto della sua vocazione e missione. In una Chiesa che
sempre Ecclesia vocata et missa, le sue propriet sono quelle che essa
riceve nella sua vocazione per la missione. Mediante ciascuna la
Chiesa si vede donato nella fede, promesso nella speranza e affidato
PO 5: EV 1/1253.
Cf. P. CODA, L'Eucaristia fa la Chiesa, in L'Eucaristia sacramento di ogni sal
vezza, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1996, 100-102. Cf. SACRA CONGREGAZIONE
PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, lettera Sacerdotium ministeriale, 6 agosto 1983, III/2-4:
EV 9/388-391.
5
128
per la missione il suo stesso mistero, affinch di fronte al mondo esibisca se stessa in forma sempre pi pura e pi chiara.6 Professando la
fede nel suo stesso mistero e affermando le sue propriet, la Chiesa
rende la sua confessione della signoria unificante, santificante, universale e mandante di Cristo,7 cos come pone nella storia la proclamazione della sua indefettibile speranza che il Regno, gi presente
mistericamente in essa, si mostri perfetto alla fine dei tempi.
1. Le origini di questo capitolo ecclesiologico
Il primo testo nel quale si trovano riuniti per la prima volta i
quattro attributi, che d'allora in avanti accompagneranno pressoch
costantemente il nome della Chiesa, il Simbolo della fede detto niceno-costantinopolitano.
La storia dei vari Simboli della fede lascia vedere che queste
quattro propriet furono aggiunte al nome della Chiesa in diversi
momenti e sotto l'influsso di fattori diversi. In ultima analisi esse
possono considerarsi come delle risposte ecclesiologiche alle tendenze scismatiche apparse molto presto nella vita della Chiesa.
Della sua santit, ad esempio (e questa sembra essere stata la prima
delle propriet riconosciute alla Chiesa), si cominci a parlare
espressamente allo scopo di contrastare la minaccia dello gnosticismo, che riservava la santit a pochi eletti. Qualcosa di analogo pu
dirsi dell'unit, dell'apostolicit e della cattolicit.
Quanto alla loro denominazione, per tutto il medioevo il termine
preferito fu quello conditiones. Derivando dal verbo latino condere,
che significa fondare e istituire, esso designava una qualit nativa
della Chiesa, tale da fondarla e da essere un suo dato di fatto e una
sua prerogativa costituzionale e irrinunciabile.8 Con esso, per, venivano usati anche altri termini come argumenta, caracteres, praeroga-
6
Questa prospettiva sottolineata da alcuni teologi evangelici, cf. J. MOLTMANN,
La Chiesa nella forza dello Spirito, Brescia 1976, 436-438; W. PANNEMBERG, // credo e
la fede dell'uomo d'oggi, Brescia 1973, 158-159: I quattro classici attributi o note
della Chiesa... non sono propriet di una istituzione ormai sussistente, compiuta nella
sua essenza, ma criteri d'un movimento missionario, in cui la Chiesa si sforza di at
tuare la sua essenza, che la sua destinazione.
7
MOLTMANN, La Chiesa nella forza dello Spirito, 436.
8
Per s. TOMMASO D'AQUINO, ad esempio, la Chiesa la congregalo fidelium che
ha quatuor conditiones, quia est una, quia est sancta, quia est catholica, et quia est fOr
tis et firma (Expos. in Symb. 9). Cf. Y. CONGAR, Propriet essenziali della Chiesa,
in Mysterium Salutis, Queriniana, Brescia 1972, VII, 439; M. SEMERARO, L'influsso di
S. Tommaso sul trattato "de notis Ecclesiae", in Atti dell'VIH Congresso Tomistico
Internazionale, Citt del Vaticano 1981, IV, 350-361.
129
9
Cf. il Tractatus de Ecclesia (1431) di GIOVANNI DA RAGUSA e la Summa de Ecclesia
(1486) di J. DI TORQUEMADA. A queste due esposizioni, che praticamente introducono la
formulazione di un vero e proprio trattato De Ecclesia, si aggiunga almeno il De Regimine
Christiana (1301-1302) di GIACOMO DA VITERBO.
10
II termine nota deriva dal verbo latino noscere, ossia cominciare a conoscere.
Una formula mnemonica indicava queste sette note individuanti: Forma, figura, locus, tempus, stirps, patria, nomen. Haec ea sunt septem, quae non habet unus et al
ter. Il primo trattato intitolato De notis del francescano N. HERBON (1529). La via
notarum sar di gran lunga la pi seguita tra gli apologeti. Per un elenco sino al 1931
cf. G. THILS, Les notes de l'glise dans l'apologtique catholique depuis la Rforme,
Duculot, Gembloux 1937.
11
Cf. A. GARDEIL, Tractatus apologeticus de Ecclesia, visibili societate, secundum
quatuor causas (testo manoscritto per il corso nell'anno accademico 1885-1886).
130
prio nella via notarum. Ad essa si aggiunger successivamente (talora sostituendovisi) la cosiddetta via empirica. Quest'ultima si proporr di mostrare come la fecondit della Chiesa romana e la sua
universale espansione siano da considerarsi come veri e propri miracoli morali, comprovanti la sua autenticit.12 Nel secolo XIX il tema
dell'apostolicit della Chiesa, attraverso la dottrina del primato romano, sar sempre pi collegato alla nota di romanit, dando
luogo alla cosiddetta via primatusP II ragionamento seguito dalla
demonstratio catholica pu cos essere brevemente descritto: sulla
base delle testimonianze neotestamentarie si mostra anzitutto che
Cristo Ges ha voluto per la sua Chiesa le quattro note distintive e
permanenti dell'unit, della santit, della cattolicit e dell'apostolicit. A questa premessa maggiore segue la minore, che evidenzia la
indubitabile e esclusiva presenza di queste quattro caratteristiche
nella Chiesa cattolica romana. Esse mancano, invece, e comunque
non si presentano in forma ugualmente chiara e netta, nelle altre
confessioni cristiane.
2. La denominazione di propriet della Chiesa
Le non poche difficolt inerenti a questo ragionamento inducono oggi a descrivere l'unit, la santit, la cattolicit e l'apostolicit
della Chiesa a partire dalla nozione di propriet. Si tratta di un termine, il cui primo significato percepibile alla luce della logica aristotelica. Qui il proprium, da cui deriva il termine di proprietas, inteso come una determinazione che appartiene a tutta una classe di
oggetti e che, pur non facendo parte della sua definizione, posseduta sempre e solo da questa classe.14 In questo senso il proprium
12
II principale fautore della via empirica fu il card. Dechamps (t 1883). Cf. S.
PI-NINOT, La via empirica, in Dizionario di Teologia Fondamentale, sotto la dire
zione di R. LATOURELLE e R. FISICHELLA, Cittadella, Assisi 1990, 181-182.
13
Ad essa si riconduce di fatto anche la cosiddetta via historica. La vera Chiesa
di Cristo, si afferma in questo caso, quella laddove si realizza il primato voluto da
Cristo per Pietro e per i suoi successori. La Chiesa che pu rivendicare questa nota,
facilmente riconoscibile e accertabile, pu pretendere anche tutte le altre. Tale la
Chiesa di Roma, poich essa sola possiederebbe le quattro note in modo causativo.
Le restanti Chiese, invece, le possiederebbero in un modo partecipativo. Secondo tale
via il primato, o la romanitas, diventa la nota characteristica et sufficiens. Sul proce
dimento della demonstratio catholica: cf. H. FRIES, Teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 1987, 688-689; HJ. POTTMEYER, La questione della vera Chiesa, in
W. KERN e H.J. POTTMEYER - M. SECKLER, Corso di Teologia Fondamentale. Ili: Trat
tato sulla Chiesa, Queriniana, Brescia 1990, 245-259.
14
Cf. Topica I, 5. 102, a 18.
131
15
Nella logica classica il proprium uno dei predicabili delle idee universali definito
come unum quidpiam, quatenus de compluribus univoce praedicatur, non qui-dem ut nota
constitutiva essentae sed tamquam necessario conexum cum eorum essen-tia. Il proprium
id quod convent omni, soli, semper. Con accidente logico, invece, s'intende un
predicabile che, come la propriet, indica la caratteristica di un soggetto ma che,
diversamente da essa, non risulta necessariamente dall'essenza. In quanto tale esso
separabile dal soggetto ed contingente, ossia non necessario. Ad esempio, per un uomo,
un accidente logico l'essere musicista.
In una lettera del 16 settembre 1864 inviata dal S. Ufficio all'episcopato inglese
circa l'impegno unionista della Association for the promotion of the reunion of
Christendom, si legge questa precisazione: Quaelibet ex hisce notis ita cum aliis cohaeret, ut ab iis nequeat seiungi; hinc fit, ut quae vere est et dicitur catholica, unitatis simul, sanctitatis et apostolicae successonis praerogativa debeat effulgere (DS 2888).
132
17
Nel pensiero dei padri spesso l'unicit della Chiesa stata intesa parallela
mente alla unicit divina, cf. E. LANNE, L'glise une, in Irnikon 50(1977), 46-58.
18
CCC, nn. 811-812.
133
19
Si tenga conto, per, del fatto che una propriet pur essendo sempre posta in
sieme con una determinata realt, non sempre evidente n sempre necessariamente
si mostra. Ci vale anche per la Chiesa.
20
Nota propria chiamata quella propriet che assume esteriorit e appari
scenza nella realt cui stabilmente appartiene. In questo caso la propriet stessa viene
notificata e fatta conoscere mediante la sua espressione fenomenica. Tra i caratteri di
una nota propria la manualistica indicava i seguenti: visibilis saltem mediate vel indirecte, notior re significata, facile cognoscibilis ovvero obvia omnibus etiam rudibus.
21
Valga al riguardo questa indicazione: Ovviamente non possibile, semplice
mente con esse, dimostrare ai cristiani non cattolici la vera Chiesa. La confessione
della vera Chiesa presuppone l'incontro e la conversione. Ma le quattro caratteristi
che, prese tutte insieme, costituiscono un complesso che, con l'accordo e la ricchezza
di significato, possiede e trasmette una forza notevole di persuasione (cf. CONFE
RENZA EPISCOPALE TEDESCA, Catechismo cattolico degli adulti. La confessione di fede
della Chiesa, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1989, 306).
134
come nella Scrittura Dio viene avvicinato all'uomo non da ultimo mediante
il discorso umano sulle "propriet di Dio", altrettanto, nel discorso della
Chiesa, ci viene chiarito e approfondito il suo mistero mediante l'indicazione
delle "propriet della Chiesa". 22
LA CHIESA UNA
Seguendo l'ordine presente nel Simbolo, anche noi consideriamo
come prima tra le sue propriet l'unit della Chiesa. La Chiesa una. La
tradizione teologica intende questa affermazione nel duplice senso
dell'unicit della Chiesa e della sua interiore compattezza. Che la Chiesa
sia una suppone sempre ambedue queste affermazioni.23
1. La Trinit, principio e modello dell'unit
Nel primo significato ci che s'intende la singolarit della Chiesa,
in quanto attuazione nella storia dell'unico disegno salvifico del Padre,
portato da Cristo Ges al suo pieno compimento e reso attuale dall'opera
dello Spirito Santo. La Chiesa l'unico gregge nel quale il buon pastore
vuole raccogliere le sue pecore (Gv 10,16), l'unico corpo di Cristo (cf.
ICor 12,12-13), l'edificio o il tempio che ha Cristo stesso come pietra
angolare (cf. Ef 2,20-21). Dalla tradizione patristica raccogliamo solo
questo passaggio di san Cipriano:
Unica la Chiesa, che si estende su molti per la crescita della sua fecondit. Come sono molti i raggi del sole, ma una sola la luce; come
sono molti i rami dell'albero, ma uno solo il tronco piantato in terra
con solida radice... [come sono] molti i raggi del sole, ma una sola la
fonte alla sua origine... ugualmente la Chiesa del Signore. 24
22
452.
23
Questa distinzione appare esplicita per la prima volta nella bolla Vnam sanctam di BONIFACIO Vili, del 18 novembre 1302 (cf. DS 870-872). In realt unit e uni
cit si richiamano a vicenda. Dal fatto che la Chiesa unica segue che essa indivisa.
Se invece fosse o potesse essere divisa in se stessa la Chiesa non sarebbe o non po
trebbe essere unica. L'unit della Chiesa, dunque, nega che ci siano pi chiese volute
da Cristo e afferma che la Chiesa esiste in se stessa come indivisa. Nel Vaticano II la
Chiesa chiamata unica in LG 8, UR 2.3.18, DH1: EV 1/305.501.504.555.1043. L'e
spressione una e unica presente in LG 23 e UR 1.3.4.24: EV 1/338.494.572.
24
De cathol. eccl. untiate 5: PL 4, 501.
135
25
26
Cf. LG 14 e UR 2: EV 1/323.500: in confessione unius fidei, in divini cultus
ce-lebratione, necnon in familiae Dei fraterna concordia. La necessit di convergere
in questa triplice forma di unit ormai riconosciuta nel dialogo ecumenico.
137
possono di per s separarsi l'uno dall'altro. Isolarli sarebbe deleterio. L'unit della fede si celebra nei sacramenti, essendo la liturgia
culmine e fonte della vita cristiana; l'unit sociale nella Chiesa, poi,
fruttuosa solo se vissuta come risposta all'eterno amore che la Parola annuncia e la fede accoglie e che il sacramento rende presente
nella storia dell'uomo.
3. Le ferite dell'unit
Il dono dell'unit continuamente minacciato dal peccato e dal
peso delle sue conseguenze. un doloroso dato di fatto che nell'una
e unica Chiesa di Cristo i cristiani sono divisi tra loro in diverse confessioni cristiane. La storia della Chiesa ha conosciuto molto presto
persone ed eventi che hanno vulnerato il mistero della sua unit.
Gi il Nuovo Testamento porta il segno delle tensioni all'interno
della comunit dei discepoli di Ges fra la ecclesia ex circumcisione e
la ecclesia ex gentibus. Sono poi giunte sino ai nostri giorni le gravi
lacerazioni fra i cristiani causate dalle grandi controversie cristologiche del IV secolo. Nello stesso periodo la divisione dell'impero romano nelle due grandi aree dell'oriente e dell'occidente avvi per la
Chiesa in quelle medesime regioni delle storie separate che, con l'emergere sempre pi insistente di diffidenze e incomprensioni, culmineranno nelle reciproche scomuniche del 1054 fra il Patriarcato di
Costantinopoli e la Chiesa di Roma. In questo grande dramma della
separazione fra i cristiani l'intreccio di fattori teologici e non teologici di ordine linguistico, politico, etnico e culturale form un nodo
intricato che ancora oggi non si riusciti a sciogliere. L'impoverimento causato dalla separazione tra oriente e occidente fu ancora di
pi aggravato dall'altra grande lacerazione avvenuta in occidente
con la Riforma nel XVI secolo. Sono queste le fratture pi evidenti
avvenute fra i cristiani nel secondo millennio.
Alle varie scissioni che hanno ferito l'unit del corpo di Cristo la
tradizione teologica ha dato il nome di scisma e di eresia. Ambedue i
concetti hanno conosciuto una certa evoluzione nel corso della storia. Attualmente il Codice di Diritto Canonico li inserisce tra i delitti contro la religione e l'unit della Chiesa.27 Lo scisma di per s,
in quanto distinto dall'eresia, non comporta direttamente un errore
circa la dottrina della fede bens una rottura della comunione al livello della Chiesa in quanto struttura visibile. Cos inteso esso il
21
138
139
140
gionem subsistere credimus in catholica et apostolica Ecclesia.... Per il valore di questa espressione si veda F.A. SULLIVAN, "Sussiste" la Chiesa di Cristo nella Chiesa cattolica romana?, in Vaticano II: bilanci e prospettive venticinque anni dopo (19621987), a cura di R. LATOURELLE, Cittadella, Assisi 1987, II, 811-824.
35
EV 1/325.
141
36
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Ut unum sint, n. 55. Al dialogo con le Chiese d'oriente
lo stesso pontefice ha dedicato pure la lettera apostolica Orientale lumen, del 2 mag
gio 1995.
37
Cf. LG 8: EV 1/305.
38
Si pensi alle iniziative di doni L. BEAUDUIN (1873-1960) presso il monastero di
Chevetogne con la pubblicazione dal 1962 della rivista Irnikon e all'opera di Y. CONGAR, Chrtiens dsunis. Principes d'un aecumnisme catholique, du Cerf, Paris 1937,
considerata il punto d'avvio dell'ecumenismo cattolico.
142
dizi e opere rende pi difficile le mutue relazioni tra cristiani e dall'altra di avviare un dialogo che aiuti una reciproca conoscenza della
dottrina e della vita rispettive.
Nell'enciclica Ut unum sint Giovanni Paolo II ha dichiarato formalmente la irreversibilit, per la Chiesa cattolica, d'impegnarsi per
la via della ricerca ecumenica. Per questo ai suoi fedeli essa chiede di
essere solleciti verso i fratelli separati39 pregando per loro, comunicando a loro le cose della Chiesa, facendo i primi passi verso di
loro. Domanda, inoltre, di riconoscere e stimare i valori veramente
cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso
questi fratelli.
Il cammino ecumenico, d'altra parte, acquista tutto il suo vigore
e il suo slancio se compiuto nel contesto di una interiore conversione
personale e di un rinnovamento della mente, che assumono la loro
dimensione comunitaria ed ecclesiale nell'impegno per un'autentica
riforma di cui la Chiesa peregrinante, in quanto istituzione umana e
terrena, ha sempre bisogno affinch la sua vita renda una testimonianza pi fedele e pi chiara della dottrina e delle istituzioni tramandate da Cristo per mezzo degli apostoli.40
Le fasi conciliare e immediatamente post-conciliare sono state
segnate dal cosiddetto ecumenismo della carit, che ha avuto tra
le sue prime espressioni l'incontro a Gerusalemme del 6 gennaio
1964 tra Paolo VI e il patriarca ecumenico Athenagoras di Costantinopoli, seguito, il 7 dicembre 1965, dalla reciproca abolizione delle
scomuniche del 1054. Ad esso ha fatto seguito e si ben presto accompagnato, a partire dagli anni '70, il cosiddetto ecumenismo
della verit, che per la Chiesa cattolica si esprime soprattutto nei
contatti bilaterali con le diverse confessioni cristiane.41
I princpi teologici per il dialogo ecumenico sono delineati da
Unitatis redintegratio e dalla prima parte dell'enciclica Ut unum sint.
Essi possono essere riassunti in questi punti:
1) il dialogo teologico-ecumenico dev'essere contrassegnata
dalla chiarezza dottrinale. Niente, infatti, pi alieno dall'ecumenismo, quanto il falso irenismo che compromette la purezza della dot39
L'espressione latina non dice fratres separati, che potrebbe esprimere un giudi
zio negativo, bens fratres a nobis seuncti. L'espressione, difficile da rendere in lingua
italiana, dichiara che la fraternit tra i cristiani non perduta anche quando essa
compromessa dalla separazione.
40
A questo tema dedicato esplicitamente UR 6: EV 1/520-521. Per l'enciclica
Ut unum sint ci. i nn. 15-16.
41
Un'esposizione di temi ecclesiologici con l'indicazione di testi d dialogo ecu
menico si trova in H. SCHUTTE, La Chiesa nella comprensione ecumenica. La Chiesa
del Dio uno e trino, Messaggero, Padova 1995.
143
42
144
fondamento della fede, e che vi sono altre verit di fede il cui significato
si differenzia in funzione del loro rapporto con il mistero di Cristo.
Cos inteso, quello della gerarchia delle verit non affatto un
criterio che regola l'accettazione o meno di un dogma di fede ma,
piuttosto, una regola di dialogo ecumenico che vale allorquando si
mettono a confronto le dottrine. Essa invita a ricordare che nella fede di
tutti i cristiani sono presenti alcuni elementi comuni i quali, nonostante la
divergenza su molte altre e gravi questioni, sospingono realmente verso
il superamento delle divisioni.43
questo, difatti, il fondamento del dialogo ecumenico e la sua ragion
d'essere. Ad esso tutti, sia i fedeli sia i pastori, devono sentirsi impegnati
nell'umile consapevolezza che questo santo proposito di riconciliare
tutti i cristiani nell'unit della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le
forze e le doti umane. Ogni speranza riposta nell'orazione di Cristo
per la Chiesa, nell'amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito
Santo.44
LA CHIESA SANTA
La Chiesa [...] per fede creduta indefettibilmente santa. 45 Come
ogni altra sua propriet anche questa le inerisce alla maniera del dono
che viene dall'alto. La santit primaria della Chiesa santit d'elezione.
Qui d'importanza decisiva non scambiare causa ed effetto, non capovolgere la relazione tra dono e compito, tra donatore e beneficato: noi
siamo Chiesa di Dio non perch saremmo buoni, ma perch lui buono,
viene a noi e ci fa dono di s [...] La professione di fede nella "Chiesa
santa" [...] pu essere capita nel suo nocciolo unicamente se riconosciamo il suo fondamento autentico, il movimento di Dio verso di noi.46
43
Cf. LG 11: EV1/536. La formula parla non gi di gerarchia della verit, ma di
gerarchia delle verit. La regola molto preziosa per la metodologia teologica e anche nel
campo della catechesi. Cf. W. HENN, Gerarchia delle verit, in Dizionario di Teologia
fondamentale, di LATOURELLE e FISICHELLA, 453-456.
iV
UR 24: EV 1/572.
45
LG 39: EV 1/387.
* T. SCHNEIDER, La nostra fede. Una spiegazione del Simbolo apostolico, Queri-niana,
Brescia 1989, 363.
145
47
48
146
LG 40: EV 1/388.
LG 41: EV 1/390.
45
LG 42: EV 1/397.
147
mentre Cristo, "santo, innocente, immacolato", non conobbe il peccato, e solo venne allo scopo di espiare i peccati del popolo, la Chiesa
che comprende nel suo seno peccatori, santa insieme e sempre bisognosa di purificazione, mai tralascia la penitenza e il suo rinnovamento... non cessa di pregare, sperare e operare ed esorta i suoi figli a
purificarsi e a rinnovarsi perch il segno di Cristo risplenda pi chiaramente sul volto della Chiesa.50
Unitamente al grato riconoscimento della propria santit, la Chiesa
unisce l'umile confessione del peccato dei suoi figli. Ha fatto sempre
cos, soprattutto quando da parte di alcuni stata propugnata l'idea di una
comunit senza peccatori e riservata soltanto ai puri. Cos, ad esempio,
nel 1415 quando, tra gli errori di J. Hus, il concilio di Costanza condann
quello secondo cui il numero dei membri della Chiesa sarebbe limitato al
numero dei predestinati;51 oppure con il rigetto di Clemente XI nel 1713
e di Pio VI nel 1794 degli analoghi errori giansenisti di Pascasio Quesnel
e del sinodo di Pistoia.52 Nella sua enciclica Mystici corporis del 1943,
Pio XII ha ricordato che i peccatori restano membri della Chiesa
poich non ogni peccato commesso, per quanto grave, tale che di sua
natura (come fanno lo scisma, l'eresia e l'apostasia) separa l'uomo dal
corpo della Chiesa. N si estingue ogni vita in quelli che, pur avendo
perduto col peccato la carit e la grazia divina s da non essere pi capaci del premio soprannaturale, conservano tuttavia la fede e la speranza cristiana e, illuminati da luce celeste, da interni consigli e impulsi
dello Spirito Santo, sono spinti a concepire un salutare timore e vengono eccitati a pregare e a pentirsi dei propri peccati.53
Rimane, comunque, il paradosso: bench santa la Chiesa segnata
dal peccato dei suoi figli. Al fine di spiegare questa compresenza di
santit della Chiesa e di peccato nella Chiesa la tradizione
50
LG 8.15: EV 1/306.325.
Cf. DS 1201.
Cf. DS 2474.2615.
53
Pio XII, lettera enciclica Mystici corporis, n. 22 (ediz. a cura di M. SEMERARO,
Vivere In, Roma 1994, 56). Questo insegnamento conforme a quello dei padri sin
dall'antichit. Ricorderemo qui soltanto quanto insegnavano ORIGENE e s. Agostino.
Il primo, riferendosi alle parabole evangeliche presenti in Mt 13,24-30. 47-50 (della
zizzania nel campo e dei pesci buoni e cattivi nella rete) avvertiva che mentre siamo
nel secolo presente, nell'aia e nella rete esistono buoni e cattivi, avendo luogo la sepa
razione alla venuta di Cristo (Hom. in Et. 1,11: PG 13, 677). Il secondo, soprattutto
polemizzando con i donatisti, ammoniva che la separazione dei buoni dai cattivi non
appartiene a questo tempo ma all'escatologia. Sino a quel momento nella Chiesa si
sperimenta la tensione dolorosa tra essere e dover-essere, tra indicativo e imperativo.
51
52
148
protestante non ha esitato ad applicare alla Chiesa il principio antropologico del simul iustus et peccator. Di conseguenza essa ha considerato la Chiesa come santa e peccatrice. La teologia cattolica, per
parte sua, ha cercato delle spiegazioni che ora sarebbe lungo riesporre nel dettaglio.54 In sintesi potrebbe fissarsi quanto segue.
La santit della Chiesa dev'essere anzitutto considerata come
un dono originario del Signore continuamente rinnovato dallo Spirito. lo Spirito che d la vita ed per lui che il Padre ridona la vita
agli uomini morti per il peccato. Ci vero per ogni uomo ed vero
anche per la Chiesa. Essa come impastata dalla grazia di Dio. Se i
padri della Chiesa hanno osato assimilarla a una prostituta, lo
hanno fatto aggiungendo sempre che essa stata fatta vergine dal
perdono divino. La Chiesa era impura quando, ancora Chiesa
delle nazioni, seguiva i falsi di; ora, per, che ha dietro di s il suo
passato e si convertita al Signore, essa vive in ragione del perdono
che permanentemente la trasforma in sposa del Signore Ges. cos
che il tema appare in Origene. Anche in sant'Ambrogio l'audace
formula della casta meretrix e l'immagine dell'habitus meretricius
non sono riconducibili alla condizione di debolezza della Chiesa ma
alla sua esemplarit con Cristo, che si fatto solidale coi peccatori
per condurli alla salvezza.55
Nella Chiesa sono stati depositati doni di santit, che la rendono segno e strumento efficace di salvezza per tutti gli uomini. Tali
sono i doni della fede e dei sacramenti, i doni gerarchici e carismatici. Sono queste le realt, sante in se stesse perch derivano dalla
Trinit santa, che danno ragione della santit della Chiesa. La parola
di Dio rimane santa, anche quando annunciata da uno che non lo
. Essa sempre capace di convertire il peccatore, se questi l'accoglie con cuore sincero e pentito. I sacramenti sono santi e tali rimangono, anche se uno pu amministrarli o riceverli indegnamente. Poich, poi, sono questi gli elementi costitutivi della Chiesa, la Chiesa
stessa indefettibilmente santa. Tuttavia
54
Cf. per questo R. LATOURELLE, Cristo e la Chiesa segni di salvezza, Cittadella,
Assisi 1980, 177-220. Si veda anche B. GHERARDINI, Santa o peccatrice? Meditazione
sulla santit della Chiesa, Ediz. Studio Domenicano, Bologna 1992.
55
Lei ch' vergine immacolata, senza ruga, incontaminata nel pudore, amante
pubblica (plebeia), meretrice casta, perch molti amanti la frequentano per l'attrat
tiva dell'affetto ma senza la sconcezza del peccato... essa prende la figura della pecca
trice, perch anche Cristo assume l'aspetto del peccatore (cf. S. AMBROGIO, Exp. in
Le 3,23. 6, 21: PL 15,1681.1760). Per i vari testi in cui si tratta della presenza del pec
cato e della santit nella Chiesa, cf. H.U. VON BALTHASAR, Casta meretrix, in ID.,
Sponsa Verbi. Saggi teologici, Morcelliana, Brescia 1972, II, 189-283.
149
fin quando non vi saranno i cieli nuovi e la terra nuova abitati dalla
giustizia, la Chiesa pellegrinante continua a portare iscritta nei suoi sacramenti e nelle istituzioni del tempo presente la figura fugace di questo
mondo.56
Anche la santit in tensione verso uno stadio che sorpassa e
supera l'attuale fase terrena. La Chiesa totalmente pura e santa si
realizzer soltanto alla fine dei tempi, quando celebrer le sue
nozze con l'Agnello. Questo futuro, tuttavia, la determina sin da
ora come caparra. Nell'ora escatologica della piena manifestazione,
insieme col mistero di Cristo sar svelato anche il mistero della
Chiesa, sposa di Cristo senza macchia n ruga. Oggi, per, la santit
della Chiesa come sospesa tra la gratuit dell'elezione divina e il
perfezionamento escatologico. Per questo, in quanto istituzione
umana e terrena, la Chiesa pellegrina sempre impegnata nella
propria riforma, affinch il suo volto concreto sia sempre meglio
conforme alla propria vocazione e pi rispondente alle domande
emergenti nella storia.57
Sebbene la santit sia dono di Dio essa richiede una risposta
libera da parte di coloro che egli ha chiamato. Il vero discepolo di
Cristo si caratterizza per la carit verso Dio e verso il prossimo.
Chiunque stato giustificato nel Signore Ges ed stato reso vero
figlio di Dio e partecipe della natura divina nel battesimo della fede
realmente santo. Con l'aiuto di Dio egli tenuto a mantenere e
perfezionare la santit ricevuta.
Nella Chiesa vi sono anche quanti, non perseverando nella
carit, non posseggono lo Spirito di Cristo. Costoro, in virt del carattere battesimale, non cessano di fare parte della Chiesa, per
quanto ne facciano parte soltanto col corpo ma non col cuore e
quindi non siano pienamente incorporati in essa.58 Ci nonostante la
santa madre Chiesa non disconosce i suoi figli peccatori. Anzi li riconosce come propri davanti a Dio e davanti agli uomini. Che il loro
peccato eserciti, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o
56
LG 48: EV 1/417.
I luoghi in cui il Vaticano II indica come necessaria una continua riforma sono
in particolare i costumi, la disciplina ecclesiastica e il modo di enunziare la dottrina,
cf. UR 6: EV 1/520, dove si trovano i termini di renovatio e di reformato. Collocata nel
decreto sull'ecumenismo questa terminologia un implicito richiamo alla formula
cara alla coscienza protestante della Ecclesia semper reformanda. Sul tema cf. Y. CONGAR, Vera e falsa riforma nella Chiesa, Jaca Book, Milano 1972.
58
Cf. LG 14: EV 1/323.
57
150
59
GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, 2 di
cembre 1984, n. 16: EV 9/1114.
60
Essendo le membra del corpo di Cristo delle persone libere e responsabili, cia
scuna di esse porta per s la responsabilit del proprio eventuale peccato. La prima e
fondamentale conseguenza del peccato, in quanto atto della persona, ricade sempre
sul peccatore stesso. Altro dire che il peccato dei singoli ha il suo influsso sulla vita
della Chiesa altro, invece, dire che i peccati delle membra possano intaccarne tutto il
corpo della Chiesa s da renderla peccatrice. Ci si potrebbe verificare soltanto se la
loro unione nel corpo ecclesiale fosse di tipo fisico.
151
LA CHIESA CATTOLICA
Il termine greco katholikos, donde la forma avverbiale kath'-lon,
gi presente nella filosofia greca, dove ha il valore di un insieme (in
latino: secundum totum). Ci da intendersi non gi nel senso di una
somma bens di una totalit, di un tutt'uno. Per questo, non di rado,
l'aggettivo di cattolico era predicato di concetti come verit e bellezza, in
quanto distinti dagli oggetti particolari, buoni e belli, che sono esempi
concreti di tale universalit.
61
LG 9: EV 1/310. 152
62
63
64
65
Smyrn. 8, 2: PG 5, 713.
Cf. s. CIPRIANO, De cath. Eccl. unit., 5: PL 4, 501.
S. AGOSTINO, Epist. 52, 1: PL 33, 194.
Commonitonum I, 2: PL 50, 640.
153
154
piezza, la lunghezza, l'altezza e la profondit e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perch siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.
La cattolicit della Chiesa il risultato di un dono del Dio trinitario
reso presente in Cristo e nello Spirito (altezza), profondamente inserito
nella natura umana che, da questo dono, stata guarita fin nelle sue
radici (profondit). In tal modo la Chiesa gode d'illimitate possibilit
spaziali, etniche e linguistiche (larghezza) e, fedele alla sua tradizione,
trascende le barriere del tempo (lunghezza).69
Con analoga prospettiva in Lumen gentium n. 13, elemento di
congiunzione tra le due sezioni che compongono il capitolo secondo sul
popolo di Dio, il Vaticano II offre una lettura trinitaria della cattolicit
della Chiesa. Quanto al Padre, lui che ha chiamato tutti gli uomini a
formare il nuovo popolo di Dio. Scrive, perci, il concilio:
Questo popolo, restando uno e unico, si deve estendere a tutto il
mondo e a tutti i secoli, affinch si adempia l'intenzione della volont di
Dio, il quale in principio ha creato la natura umana, e vuole radunare
insieme infine i suoi figli che si erano dispersi.
Prima base per la cattolicit della Chiesa , come si vede, la libera
volont creatrice di Dio, che ha creato una sola natura umana nella quale
sono incluse tutte le persone xhe condividono questa natura, qualunque
ne sia la razza, lajiaziorralit, la cultura. A quest'umanit il Padre rivolse
sin dal principio la chiamata della partecipazione alla vita divina. Quando
poi essa vi si sottrasse mediante il peccato, Dio non rinunci al suo piano
di salvezza, ma progett il recupero della dispersione nell'unit. A tale
scopo il Padre mand il Figlio suo, costituito erede dell'universo, perch
sia maestro, re e sacerdote di tutti, capo del nuovo e universale popolo
dei figli di Dio. Il passo conciliare richiama Eb 1,2, che addita nel
Verbo, mediatore dell'opera della creazione, colui nel quale si adempiono
tutte le promesse del Padre. Infine, richiamando la missione dello Spirito,
il concilio conclude: Per questo pure mand lo Spirito del Figlio suo,
Signore e Vivificatore, il quale per tutta la Chiesa e per tutti e singoli i
credenti principio di unione e di carit nell'insegnamento degli
69
Sintesi di M.A. FAHEY, La cattolicit della Chiesa nel Nuovo Testamento e nel
periodo patristico primitivo, in Chiese locali e cattolicit. Atti del Colloquio internazionale di Salamanca (2-7aprile 1991), a cura di H. LEGRAND - J. MANZANARES - A. GARCIA
Y GARCIA, EDB, Bologna 1994.
155
70
ziom.
Nel quadro dell'attuazione di questo piano trinitario, la Chiesa
cattolica perch voluta da Dio come ministra dell'universale ricapitolazione di tutta l'umanit e di tutti i suoi beni sotto il Cristo capo,
nell'unit del suo Spirito. In questo senso da Lumen gentium essa
chiamata sacramento dell'unit di tutto il genere umano e anche
popolo messianico che per l'intera umanit germe sicurissimo
di unit, di speranza e di salvezza.71 Alla Chiesa il Dio trinitario ha
donato la pienezza del suo amore in modo da poterla manifestare e
comunicare, per suo mezzo, all'intera umanit.
2. Carattere estensivo della cattolicit
Affermata l'origine trinitaria della cattolicit della Chiesa, il testo di Lumen gentium n. 13 prosegue col dichiararne il carattere
estensivo. In tutte le nazioni della terra, infatti, radicato un solo
popolo di Dio. Ci che distingue questo popolo , appunto, il suo
carattere di universalit, contraddittorio con ogni forma di settarizzazione e di discriminazione razziale. Fu questa la grande intuizione
agostiniana. Ci che egli in realt rimproverava ai donatisti non era
il loro piccolo numero in raffronto a una Chiesa cattolica i cui fedeli
erano sparsi in tutto il mondo ma piuttosto la mancanza di un riferimento alla totalit. Certamente, egli osservava: la setta di Donato
in Africa, mentre gli eunomiani in Africa non ci sono.... La Chiesa,
al contrario, come una vite: sviluppandosi si estesa per tutto il
mondo. La vera questione, per, era il loro chiudersi all'interno del
proprio piccolo gruppo in spirito di autosufficienza e il pensare che
la chiesa era tutta e unicamente l. Nella setta, osservava sant'Agostino, ciascuno conosce soltanto se stesso, perch soggiace all'orgoglio che produce la disgregazione. La Chiesa cattolica, al contrario, conosce tutti poich a contatto con tutti.72
EV 1/318.
Cf. LG 1.9: EV 1/284.309.
Cf. Sermo 46, 18: PL 38, 280-281. La Chiesa non cattolica perch attual
mente diffusa su tutta la faccia della terra e conta un gran numero d'aderenti. Essa
era gi cattolica il mattino della Pentecoste, quando tutti i suoi membri erano conte
nuti in una piccola sala; lo era al tempo in cui le ondate ariane sembravano sommer
gerla; Io sar ancora domani, se apostasie in massa le facessero perdere quasi tutti i fe
deli. Essenzialmente la cattolicit non questione di geografia o di cifre. Se vero che
deve dilatarsi necessariamente nello spazio e manifestarsi agli occhi di tutti, non tut
tavia di natura materiale, ma spirituale. Essa prima di tutto qualcosa d'intrinseco
alla Chiesa: H. DE LUBAC, Cattolicismo. Gli aspetti sociali del dogma, Studium,
Roma 1964, 39.
70
71
72
156
La cattolicit della Chiesa, dunque, se pure contiene la sua vocazione a raggiungere gli estremi confini della terra, non unicamente
estensiva ma, pi interiormente e decisivamente, qualitativa. Essa
non coincide con la sua mondialit, bens prioritariamente con la
sua capacit di entrare nelle diverse culture e di fare propri i problemi e le speranze di tutti i popoli. In questa pi completa accezione cattolica non semplicemente la Chiesa universale ma
ogni Chiesa locale, in quanto epifania nella storia del progetto divino di superare la dispersione e d'instaurare la comunione.
Conseguentemente, cattolicit della Chiesa anche la sua interiore capacit di annunciare il vangelo a tutte le genti e di partecipare alle ricchezze culturali degli uomini, cui il vangelo proclamato. Il nome che oggi si d al grandioso impegno di fare penetrare
il messaggio di Cristo nel cuore delle concrete esperienze umane e in
un determinato ambiente socio culturale, invitandolo a credere secondo tutti i suoi valori propri in quanto conciliabili col vangelo,
quello di inculturazione.73 Il termine ormai entrato nell'uso comune e si trova anche in documenti ufficiali, come nell'enciclica Redemptoris missio di Giovanni Paolo II. Esso sta a indicare l'intima
trasformazione degli autentici valori culturali mediante la loro integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle
varie culture. Il suo fondamento si trova nel mistero stesso dell'incarnazione della parola eterna di Dio. Come il Figlio di Dio entr
nella storia particolare di un popolo, anche la Chiesa sacramento
universale di salvezza nella carne delle diverse culture. Attuando
in esse il delicato ma necessario equilibrio tra fedelt al vangelo e rilevanza nella vita degli uomini, la Chiesa assume, per l'espansione
del Regno, tutto quel materiale che proviene dalle culture umane
e con l'annuncio del vangelo libera in ciascuna di esse la verit suprema, i semina Verbi ivi racchiusi. In tal modo la Chiesa, con la sua
fides oculata, capace di discernere e di accogliere, entra con il vangelo dentro la storia dei popoli e, lungi dall'assimilarsi ad essi come
un popolo tra gli altri, li rende tutti cattolici.
Anche quest'aspetto della cattolicit riguarda in primo luogo le
Chiese locali, in quanto costituiscono il punto di contatto del mistero della Chiesa con il mondo. Proprio mediante la loro azione
la stessa Chiesa universale si arricchisce di espressioni e valori nei
73
Cf. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, documento Fede e inculturazione, 8
ottobre 1988: EV 11/1347-1424. Per un approfondimento, cf. Evangelizzazione e culture.
Atti del Congresso internazionale scientifico di missiologia 5-12 ottobre 1975, 3 voli.,
Pontificia Universit Urbaniana, Roma 1976.
157
74
GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Redemptoris missio, 7 dicembre 1990, n.
52: EV 12/652.
75
LG 13: EV 1/320; G. COLZANI, Teologia della missione. Vivere la fede donan
dola, Messaggero, Padova 1996, 69.
76
Pio XII, lettera enciclica Mystici corporis, n. 17 (a cura di SEMERARO, 53).
158
LA CHIESA APOSTOLICA
Se in forza della sua cattolicit la Chiesa si autocomprende come
capace di partecipare a tutte le ricchezze dei popoli s d'accoglierle nel
suo grembo e integrarle nei suoi propri valori, l'apostolicit la propriet
per cui essa rimane stabilmente costruita sul fondamento degli apostoli
(Ef 2,20) conservando integra, peregrinante sulla terra sino alla fine dei
tempi, l'identit di quei principi di unit che, nella loro persona, ha
ricevuto da Cristo Signore. Per questo, nella teologia medioevale,
l'apostolicit della Chiesa anche indicata come firmitas.19 In ragione di
essa e del suo radicamento apostolico, la Chiesa non s'inventa n si
autocostruisce in ogni nuova generaV
77
E. ZOGHBY, Unit e diversit, in La Chiesa del Vaticano II, a cura di G. BAVallecchi, Firenze 1965, 528.
78
COMMISSIONE FEDE E COSTITUZIONE DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE,
Confessare una sola fede. Una spiegazione ecumenica del Credo, 240, EDB, Bologna
1993,
118.
79
Cos s. TOMMASO, In Symbolum apostolorum, a. 9: Circa quartum sciendum
est quod ecclesia est firma. Domus autem dicitur firma primo si habet bona fonda
menta.... La Chiesa fondata sulla dottrina degli apostoli et ideo firma est, unde in
Apoc. XXI dicitur quod civitas habebat duodecim fondamenta....
RANA,
160
zione di cristiani, ma vive un'altra forma di comunione, quella del legame attraverso il tempo con la sua propria origine nella missione degli
apostoli.
La Chiesa apostolica, perch fondata sugli apostoli, e ci in un triplice senso:
essa stata e rimane costruita sul "fondamento degli apostoli" (Ef
2,20), testimoni scelti e mandati in missione da Cristo stesso;
custodisce e trasmette, con l'aiuto dello Spirito che abita in essa, l'insegnamento, il buon deposito, le sane parole udite dagli apostoli;
fino al ritorno di Cristo, continua a essere istruita, santificata e guidata dagli apostoli grazie ai loro successori nella missione pastorale: il
collegio dei vescovi, "coadiuvato dai sacerdoti e unito al successore di
Pietro e supremo pastore della Chiesa".80
In queste parole del Catechismo della Chiesa cattolica troviamo
indicati i tre distinti ma inscindibili fattori che compongono l'apostolicit della Chiesa: la sua fondazione apostolica, l'integrit, attraverso i
tempi, dell'annuncio del Vangelo ricevuto dagli apostoli (pa-rdosis o
tradizione) e la permanenza dell'ufficio apostolico mediante una
successione (diadochn). L'apostolicit della Chiesa non legata solo a
un'origine storica, ma anche alla fedelt al vangelo ricevuto e al
sacramento che rende permanente nel tempo l'ufficio apostolico. Queste
tre realt non potranno mai essere separate poich il tesoro della
tradizione apostolica sempre affidato alla Chiesa nella forma personale
del testimone. Non vi altra maniera per la quale il deposito consegnato
una volta per sempre possa essere conservato e trasmesso nel decorso
della storia. In questo senso si dice che la successione la forma della
tradizione e la tradizione il contenuto della successione.81
1. Gli apostoli nel Nuovo Testamento
Nel Nuovo Testamento la parola apostolo si trova con una certa
frequenza,82 ma il suo significato deve essere di volta in volta
CCC, n. 857.
Cf. J. RATZINGER, Primato, episcopato e successione apostolica, in K. RAHNER e J. RATZINGER, Episcopato e primato, Queriniana, Brescia 1969, 58.
82
Vi si contano 79 ricorrenze, delle quali 68 sono da assegnarsi agli scritti paolini
e all'opera lucana. Per un analogo precedente giudaico contemporaneo a Ges, alcuni
esegeti richiamano l'istituto giuridico dello shaliakh con cui s'indicava una funzione di
tipo plenipotenziario o di legale rappresentanza. L'analogia sarebbe possibile se
nello shaliakh giudaico non fosse assente sia l'idea di una trasferibilit ad altri sia
quella di un mandato missionario, ch' invece fondamentale per l'apostolo neotesta
mentario.
80
81
161
83
Si tratta anzitutto di Paolo stesso e poi di Silvano, Timoteo, Barnaba, Apollo,
Andronico e Giunia: cf. lTs 1,1; 2,7; 2Ts 1,1; ICor 4,9; 9,5-6; 2Cor 1,19; Gal 2,1.8-10;
Rm 16,7. In questo senso molto ampio sono indicati come apostoli anche coloro che
sono designati per le collette a favore della comunit di Gerusalemme, cf. 2Cor 8,23;
Fil 2,25 ecc.
84
Cf. P. GRELOT, Le lettere di Paolo: la missione apostolica, in // ministero e i
ministeri secondo il Nuovo Testamento. Documentazione esegetica e riflessione teolo
gica, a cura di J. DELORME, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1977, 47-79.
162
85
Cf. A. GEORGE, L'opera di Luca: Atti e Vangelo, in // ministero e i ministeri, a cura
di DELORME, 306-314.
163
2. La nozione di apostoliche
Questa consapevolezza un dato costante nella vita della Chiesa.
Certamente, nei dettagli, il processo storico fu alquanto pi complesso,
ma nelle sue linee generali non possibile concepire diversamente il
perpetuarsi della funzione apostolica. Si pu trovarne testimonianze sin
dalla pi antica letteratura cristiana. Da esse emerge chiaramente che il
principio della pardosis kata diadochn, ossia della tradizione mediante
la successione, la legge costantemente ripetuta dai padri. Ecco, ad
esempio, un testo di san Clemente Romano dov' descritta quasi una
cascata di missioni che, a partire dal Padre attraverso Cristo e gli
apostoli, giunge sino alla Chiesa:
Gli apostoli che ci predicarono il vangelo furono mandati dal Signore
Ges, e Ges Cristo fu mandato da Dio; dunque Cristo viene da Dio e
gli apostoli da Cristo. Perci anche loro procedono ordinatamente dalla
volont di Dio... Anche i nostri apostoli per mezzo del Signore nostro
Ges Cristo sapevano che sarebbero sorte delle contese per la dignit
episcopale. Per questo motivo, avendo conseguito una prescienza per-
86
Nelle due Lettere a Timoteo e nella Lettera a Tito si legge dell'incarico di cu
stodire il deposito della pura dottrina e si danno le norme per una trasmissione del
servizio apostolico. Cf. A. LEMAIRE, Le lettere pastorali. B. I ministeri nella Chiesa,
in // ministero e i ministeri, a cura di DELORME, 146-155; cf. pure R. BROWN, Le Chiese
degli Apostoli. Indagine esegetica sulle origini della ecclesiologia, Piemme, Casale
Monferrato (AL) 1992, 35-54. Nelle Lettere pastorali si tratta delle figure ministeriali
dei presbyteroi-episkopoi.
87
EV 1/332.
164
fetta, essi stabilirono i vescovi predetti e poi fissarono le norme di successione, cos che alla loro morte altre persone onorate ne raccogliessero il ministero.88
Pi espliciti richiami alla radice apostolica furono formulati allorquando si tratt di delimitare i confini della vera Chiesa di Cristo
rispetto alle pretese delle sette. Cos gi sant'Ireneo di Lione oppose alle
speculazioni della gnosi del suo tempo l'autentica tradizione discesa per
il canale della successione apostolica: Noi mostreremo che la tradizione
che essa [la Chiesa] ha avuto dagli apostoli e la fede che ha annunziato...
sono giunte fino a noi per mezzo delle successioni dei vescovi.89
Tertulliano enunci il medesimo principio descrivendo la Chiesa come
una germinazione dalla radice apostolica:
[Gli apostoli] partirono per il mondo e annunciarono alle nazioni la
medesima dottrina della medesima fede. Quindi fondarono Chiese
presso ciascuna citt alle quali da allora le altre Chiese attinsero il seme
della fede e della dottrina e l'attingono ogni giorno per diventare esse
stesse Chiese. Per questo anch'esse sono ritenute apostoliche, in quanto
figlie delle Chiese apostoliche. necessario che ogni cosa si caratterizzi
per la propria origine. Per questo tali Chiese, per quanto grandi e numerose, non sono se non quell'unica e primitiva Chiesa apostolica da cui
tutte procedono. 90
La medesima idea sar sempre conservata dalla patristica ed in
conseguenza di essa che i Simboli della fede cominceranno ad aggiungere al nome della Chiesa l'aggettivo apostolica. San Tommaso
d'Aquino nel suo commento al Simbolo l'intender nel senso di
permanenza e di solidit della Chiesa, come di una casa che non potr
mai essere distrutta dai persecutori, n dagli errori, n dalle
88
165
91
171.
166
92
93
COMMISSIONE FEDE E
una sola fede, n. 241, 118.
COSTITUZIONE DEL
CONSIGLIO
ECUMENICO DELLE
CHIESE, Confessare
167
168
95
169
98
COMMISSIONE FEDE E COSTITUZIONE DEL CONSIGLIO ECUMENICO DELLE CHIESE,
documento Battesimo, eucaristia, ministero (BEM), Lima 1982, n. 35: EO 1/3156.
99
Cf. per un'esposizione sintetica P. STAPLES, Apostolicit, in Dizionario del
movimento ecumenico, 41-44.
170
Capitolo quinto
Il tema dell'apostolicit della Chiesa, col quale si concluso il capitolo precedente, ci ha gi introdotti in questo, che riguarda la necessit, per una Chiesa che ha preso coscienza di avere una storia davanti a s, di un ministero abilitato a servire la sua permanenza nella
radice apostolica.
IL COLLEGIO EPISCOPALE
Quest'ufficio la Chiesa cattolica lo riconosce presente in pienezza nell'ordine episcopale. La ragione teologica, che sta alla base
della costituzione di questo ministero, il suo servizio al valore essenziale della tradizione, sentita come l'indispensabile continuit
della trasmissione, lungo il tempo, dell'unico messaggio fondante la
Chiesa, cio del messaggio apostolico. Attuantesi fra i due eventi
fondamentali della risurrezione e della parusia del Signore Ges, il
ministero episcopale ha precisamente lo scopo di servire la Chiesa
nella sua esigenza di apostolicit. In tal senso pure chiamato ministero della successione apostolica. Mediante esso la comunit di
Ges Cristo, pur divenuta cronologicamente post-apostolica, rimane
e continua a essere comunit apostolica.1
1
significativo che alcuni testi del Nuovo Testamento siano stati elaborati dai viri
apostolici (ci. DV18: EV1/900). Mediante essi la Scrittura stessa rende testimonianza della
tradizione e comincia gi a manifestarsi il magistero nel richiamo all'insegnamento degli
apostoli (ci At 2,42; 2Pt 1,20). Questo magistero avr la sua piena fioritura nel II secolo,
quando sar reso pienamente esplicito il concetto di successione apostolica: COMMISSIONE
TEOLOGICA INTERNAZIONALE , documento L'apostolicit della Chiesa e la successione
apostolica, 17 aprile 1974, proemio: EV 5/442.
171
LG 20: EV 1/333.
Cf. A.-M. JAVIERRE, Il tema della successione degli apostoli nella letteratura
cristiana primitiva, in L'episcopato e la chiesa universale, a cura di Y.M.J. CONGAR B.D. DUPUY, Paoline, Roma 1965,211-273. All'incertezza storica si potrebbe supplire
col seguente criterio dogmatico: come la Chiesa ha accettato determinati libri come
appartenenti al canone della sacra Scrittura e ne ha respinto altri, analogamente ha ri
conosciuto il ministero episcopale come appartenente all'essenza della Chiesa.
4
S. AGOSTINO, In Ps. 44, 32: PL 36, 313. L'esegesi agostiniana sar ripresa dallo
PSEUDO GIROLAMO (Paolo Diacono?), il quale sottolineer l'impossibilit da parte de
gli apostoli di portare lungo tutto il corso dei tempi il deposito ricevuto, cf. Breviarium in Ps. 44: PL 26,1018.1 vescovi sono figli della Chiesa chiamati a svolgere in
luogo degli apostoli il vicariato di Cristo, sicch vale anche per loro la parola del Si
gnore: Chi riceve voi, riceve me (Mt 10,40); Chi ascolta voi, ascolta me (Le
10,16).
3
172
173
continua di mani sovrapposte che determina la struttura della societ ecclesiale. Questo tipo di successione, infatti, si d pure al di
fuori di ogni legittimit, come nel caso dell'usurpazione di un posto.7
Essa, invece, si realizza mediante l'ordinazione episcopale nella
piena comunione della Chiesa. Da ci si esige che chi inserito nel
corpo dei ministri abbia la fede trasmessa dagli apostoli e permanga
in essa. Come ogni altro sacramento anche quello dell'ordinazione
episcopale una protestatio fidei. Poich non si legittimamente ordinati senza questa fede, la successione apostolica nell'episcopato
consiste nella funzione di presidenza di una Chiesa particolare realizzata nella continuit della fede apostolica e nella comunione con
le altre Chiese particolari.8
2. La sacramentalit dell'episcopato
Congiuntamente all'affermazione che i vescovi sono ex divina institutione i successori degli apostoli, il concilio Vaticano II ha insegnato pure la sacramentalit della consacrazione episcopale, con la
quale conferita la pienezza del sacramento dell'ordine.9 Quest'affermazione una conseguenza dell'altra riguardo all'istituzione
divina della successione apostolica e appartiene al senso del ministero episcopale, che ha lo scopo di rendere presente in mezzo ai credenti il Signore Ges Cristo, pontefice sommo. I vescovi, infatti, in
modo eminente e visibile, svolgono la parte dello stesso Cristo maestro, pastore e sacerdote, e agiscono in sua persona. Superando
l'impostazione medievale, che vedeva nell'episcopato solo un ampliamento della giurisdizione rispetto all'ordine del presbiterato, il
concilio ha cos segnato un effettivo progresso dottrinale.
La sacra potestas del vescovo si caratterizza, dunque, per quella
partecipazione al triplice ministero di Cristo, che donata dal sacramento dell'ordine sacro nel grado dell'episcopato. In forza di ci il
7
Tali sono i casi in cui un vescovo ottiene una sede episcopale mediante simonia.
Y. CONOAR chiamava scimmiottatura della vera successione apostolica e atti pie
tosi di irresponsabili anche le ordinazioni episcopali che avvengono al di fuori di cri
teri ecclesiali. La successione apostolica non un puro fatto di validit sacramentale
(cf. Propriet essenziali, 662-663).
8
Per questo un vescovo che personalmente sia caduto nello scisma o nell'eresia
devia dall'autentica successione apostolica, pur permanendo in lui il carattere sacra
mentale che ha ricevuto con la sacra ordinazione. Conseguentemente egli non pi
capace di compiere atti di magistero e di governo pastorali. Per una valutazione dei
ministeri non cattolici cf. COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, L'apostolicit
della Chiesa, VI: EV 5/473-478.
9
LG 21: EV 1/335.
174
vescovo l'araldo della fede che porta a Cristo nuovi discepoli, cos
come il dottore autentico che, rivestito dell'autorit di Cristo, predica al popolo di Dio a lui affidato la fede da credere e da applicare
nella pratica della vita. Egli pure l'economo della grazia del supremo sacerdozio e colui che, come vicario di Cristo, governa una
Chiesa particolare col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorit e la sacra potest, della quale si serve per edificare il proprio gregge nella verit e nella santit.10
Questi tre aspetti, o tria munera, conferiti dall'ordinazione episcopale costituiscono un tutt'uno e sono da intendersi in connessione col fatto che il vescovo il presidente principale della communio fidelium, la quale ha la sua massima espressione nella sacra sinassi. L il vescovo occupa la sua cathedra e si mostra come il centro
visibile dell'unit della Chiesa particolare; da l raduna il popolo di
Dio per mezzo dell'annuncio del vangelo e con la celebrazione del
sacramento. Mediante il suo ministero sono rese presenti le forze divine della Parola e del sacramento, i bona Ecclesiae che danno contenuto reale all'essere Chiesa, fondano la comunione nello Spirito e
ne sono come la causa.
Per questa ragione il ministero episcopale costituisce l'elemento
formale strutturante la Chiesa quale comunit ove si rende presente
Cristo. Il legame di una Chiesa particolare col suo vescovo cos intimo da fare dire a san Cipriano: il vescovo nella Chiesa e la
Chiesa nel vescovo.11 Con questa espressione non s'intende affermare che il vescovo fa la Chiesa, ma che egli ha la qualit carismatica
di portare in s la sua comunit, s da poterla rappresentare e da essere capace di agire in persona Ecclesiae.12
3. La communio episcoporum o collegialit episcopale
La communio Ecclesiarum, radicata nella partecipazione di ciascuna Chiesa all'unica eucaristia, ha il suo primo luogo espressivo
nella comunione dei vescovi, che legittimamente la presiedono. Essi,
10
175
infatti, non sono degli individui slegati tra di loro ma, nella Chiesa,
formano insieme un unico corpus o collegium e costituiscono Vordo
episcoporum.13 A motivo di questa inscindibile e soprannaturale
unit, ogni vescovo chiamato a esercitare la sua missione nella
communio episcoporum, paragonata da san Cipriano al cemento
che, mentre tiene compatta la Chiesa, la difende dalle divisioni.14
La dottrina dell'unione collegiale dei vescovi tra le pi impegnative affermazioni del concilio Vaticano II. In Lumen gentium n.
2215 essa articolata su quattro punti bea precisi. Esprime, anzitutto,
la certezza che Cristo Ges, chiamando a s i dodici perch stessero
con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio, li costitu a modo
di collegio o ceto stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di
mezzo a loro. Egli stesso, prima di lasciare questo mondo, mentre
assicurava la sua presenza in mezzo ai suoi sino alla fine dei tempi,
affid pure a questo collegio una missione universale.16 In secondo
luogo la dottrina sul collegio episcopale afferma che l'ufficio affidato
da Cristo agli apostoli permane nel sacro ordine dei vescovi, il quale,
succedendo al gruppo apostolico nel magistero e nel regime pastorale, ne prolunga anche la struttura collegiale. Come, dunque, gli
apostoli erano uniti in un unico corpo apostolico, cos i vescovi sono
uniti tra loro in un unico corpo episcopale. L'episcopato, per questo,
anch'esso uno e indiviso e ciascun vescovo possiede personalmente
13
Sulla collegialit episcopale si vedano gli studi raccolti in La collegialit episco
pale. Histoire et thologie, du Cerf, Paris 1965. Si aggiungano S. LYONNET, I fonda
menti scritturistici della collegialit episcopale; J. HAJJAR, La collegialit episcopale
nella tradizione orientale; G. DEJAIFVE, La collegialit episcopale nella tradizione
latina, tutti in La Chiesa del Vaticano II, a cura di G. BARAONA, Vallecchi, Firenze
1965, 793-809; 810-831; 832-850. L'espressione ordo episcoporum designa in un senso
storico la successione dei vescovi per mezzo dei quali, insieme col carisma donato dal
l'imposizione delle mani, tramandata la tradizione apostolica. Essa stata usata per
la prima volta da TERTULLIANO, Adv. Marc. IV, 5: PL 2, 395.
14
Cf. Epist. 66, 8: PL 4,419. L'affermazione ricorrente anche altrove, come in
Epist. 55,24: PL 3, 815: Episcopatus unus episcoporum multorum concordi numerositate diffusus. Per illustrare quest'unit s. CIPRIANO ricorreva a un'immagine che as
similava l'unit dell'episcopato all'unit della Chiesa stessa: L'episcopato uno e in
diviso... Uno l'episcopato di cui ogni vescovo possiede semplicemente una porzione.
Anche la Chiesa una e si moltiplica nello spazio in forza dell'incremento della sua
fecondit; come il sole ha molti raggi, ma una sola la luce... (De catholicae Ecclesiae
unitale, 5: PL 4, 516-517).
15
EV 1/336-337.
16
Cf. LG 19: EV 1/330. Nell'uso conciliare del Vaticano II il termine collegio
s'intende non gi in un senso strettamente giuridico, cio di un gruppo di eguali i quali
abbiano demandato a un presidente la loro potest. Cos inteso, il collegio comporte
rebbe la negazione del primato di Pietro e dei successori. Invece il Vaticano II ado
pera la nozione di collegio nel senso di gruppo stabile, la cui struttura e autorit de
v'essere dedotta dalla rivelazione (SEGRETARIO GENERALE DEL CONCILIO VATICANO II,
Nota explicativa praevia, 16 novembre 1964, 1: EV 1/448).
176
ma solidalmente il tralcio della radice apostolica, senza che l'episcopato rimanga diviso. Il concilio insegna, inoltre, che come Pietro,
scelto tra i dodici, fu messo da Cristo a capo del collegio apostolico,
cos il vescovo di Roma, successore di Pietro, posto per volont di
Cristo a capo del collegio episcopale e afferma, infine, che uno
costituito membro del corpo episcopale in virt della consacrazione
sacramentale e mediante la comunione gerarchica con il capo del
collegio e con le membra.17
Allo scopo di mostrare la conformit di tale affermazione con la
tradizione della Chiesa Lumen gentium n. 22 accenna a un'argomentazione di tipo storico, che si basa sull'antichissima disciplina, nella
quale i vescovi di tutto il mondo comunicavano tra loro e col vescovo di Roma nel vincolo dell'unit, della carit e della pace, 18
sulla prassi sinodale e conciliare e sull'uso liturgico, attestato gi dal
can. 4 del concilio di Nicea, di convocare almeno tre vescovi per l'elevazione di un nuovo eletto al ministero del sommo sacerdozio.
4. Ut vero episcopatus unus et indivisus esset...
pure chiaro il proposito del concilio di precisare la struttura
del collegio episcopale nella sua relazione con il suo capo. Infatti afferma esplicitamente che il collegio o corpo episcopale non ha autorit, se non lo si concepisce insieme con il vescovo di Roma, successore di Pietro, quale suo capo. Secondo la dottrina cattolica,
dogmaticamente formulata dal concilio Vaticano I e ribadita dal Vaticano II, il vescovo di Roma, successore di Pietro, il principio e il
fondamento visibile della communio episcoporum. Del ministero pettino si tratter diffusamente pi avanti. Qui, con riferimento al collegio episcopale, se ne anticipa soltanto la fondamentale prospettiva
17
Quest'affermazione strettamente collegata all'altra che indica nella consa
crazione la radice sacramentale di tutti e tre gli uffici apostolici di insegnare, santifi
care e governare. I due requisiti per tale incorporazione nel collegio sono la consacra
zione sacramentale e la comunione con il capo e con i membri del collegio. Per quanto
entrambi richiesti, i due requisiti non sono da intendersi sullo stesso piano. La consa
crazione, infatti, ha valore di causa efficiente; la comunione, ulteriormente qualificata
come gerarchica, ha invece valore di condizione indispensabile. Questa diversit in
dicata dalla stessa formulazione verbale: inforza della consacrazione sacramentale e
mediante la comunione. Cf. U. BETTI, La dottrina sull'episcopato del Concilio Vati
cano IL II capitolo III della costituzione dommatica Lumen Gentium, Pontificio Ate
neo Antoniano, Roma 1984, 381.
18
Cf. L. HERTLING, Comunione, Chiesa e Papato nell'antichit cristiana, Pontifi
cia Universit Gregoriana, Roma 1961; G. D'ERCOLE, Communio, collegialit, pri
mato e sollicitudo omnium ecclesiarum dai Vangeli a Costantino, LAS, Roma 1964.
177
DS 3051.
Nel suo commento al prologo della Pastor aeternus, Betti mette in evidenza
l'importanza della distinzione tra la fondazione della Chiesa e la sua continuazione,
per quanto vi si debba aggiungere analoga riflessione di tipo pneumatologico:
Quanto alla fondazione, essa [la Chiesa] ha ricevuto tutti i suoi elementi costitutivi
esclusivamente da Cristo, e perci lui soltanto in origine il principio e il fondamento
di tutto quanto essa possiede, compresa l'unit di fede e di comunione... Quanto in
vece alla sua continuazione, la Chiesa poggia su Pietro... In altre parole: Pietro e il ro
mano pontefice di Cristo sono soltanto vicari, non successori (U. BETTI, La costitu
zione dommatica Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I, Pontificio Ateneo Antoniano, Roma 1961, 587-588).
21
Nel De cathol. Ecclesiae imitate, 4: PL 4, 516-517, commentando Mt 16,18-19,
s. CIPRIANO aveva commentato: Super unum aedificat ecclesiam suam... ut unitatem
manifestaret (unam cathedram constituit), unitatis eiusdem originem ab uno incipientem sua auctoritate disposuit. Hoc erant utique et caeteri apostoli quod fuit Petrus,
pari consortio praediti et honoris et potestatis, sed exordium ab unitate proficiscitur...
ut Ecclesia una monstretur. Nella Ep. 66, 8, 1: PL (ep. 69) 4, 419, si legge l'altra
espressione riferita ai vescovi: qui pacem cum sacerdotibus Dei non habentes obrepunt et latenter apud quosdam communicare se credunt, quando Ecclesia quae catholica una est scissa non sit neque divisa, sed sit utique conexa et cohaerentium sibi invicem sacerdotum giurino copulata.
19
20
178
22
L'eterno pastore e vescovo delle nostre anime (lPt 2,25), per rendere perenne l'opera salutare della redenzione decise di edificare la santa Chiesa, nella quale,
come nella casa del Dio vivente, i fedeli fossero raccolti dal vincolo della stessa fede e
della medesima carit (DS 3050).
179
Mio onore il solido vigore dei miei fratelli. Allora io mi sento veramente onorato, quando a ognuno di essi non si nega l'onore dovuto.23
Il concilio Vaticano II, per sua parte, nel contesto della dottrina
sul collegio episcopale, ha specificato l'appartenenza al collegio episcopale del vescovo di Roma con la funzione del capo che, come
tale, ha potest su ciascun vescovo e sull'intero collegio.24 In forza
del suo ufficio, mentre presiede alla sua Chiesa particolare di Roma
egli pure il garante e il presidente della comunione di tutte le
Chiese particolari. Egli stesso gode, perci, di un primato su tutti, sia
pastori che fedeli. Ciascun vescovo, poi, che principio e fondamento visibile dell'unit della sua Chiesa particolare, in virt della
consacrazione episcopale, riceve la pienezza del sacramento dell'ordine e, mediante la comunione col capo del collegio e con le altre
membra, inserito nel corpo episcopale. La communio in questo
collegio chiamata gerarchica perch raccolta sotto un solo
capo e non si concepisce se non insieme con lui.25
5. Le conferenze episcopali
Fin dall'antichit i vescovi di una determinata regione si sono
riuniti per risolvere comuni problemi di tipo non solo dottrinale, ma
anche relativo al buon ordine nella comunione ecclesiale. Per la
met del III secolo si conoscono sinodi, che potremmo chiamare regionali e provinciali, radunati a Roma o nell'Africa del nord o ad
Antiochia per consultazioni circa problemi di vario genere. Questa
pratica sinodale era accompagnata dalla circolazione di lettere sinodali, con le quali o si preparava la riunione o se ne rendevano note le
decisioni. Cos, ad esempio, fece Cipriano, quando comunic al vescovo di Roma Cornelio l'esito del concilio di Cartagine del 252. Egli
24
180
stesso, scrivendo a papa Stefano verso il 256, gli notificava che le decisioni dei vescovi erano state assunte consensu et auctoritate communi. L'idea di san Cipriano era che queste riunioni impegnavano
l'autorit episcopale in quanto tale, a motivo della solidariet episcopale.
Analogamente accadeva oltre i confini africani.
Questa prassi pose, fra l'altro, anche alcuni problemi relativi alla
presidenza di queste assemblee. Un'interessante indicazione in proposito
si trova in due canoni, ammessi fin dal IV secolo in tutte le Chiese
dell'oriente: il can. 9 del concilio di Antiochia del 341 e il can. 34 detto
degli apostoli che, redatto attorno al 381, cos si esprime:
I vescovi di ciascun popolo debbono sapere chi di loro il principale
(protor) e considerarlo come capo (kephal) e non compiere alcunch
di particolare importanza senza il suo parere (gnome); ogni singolo deve
invece limitarsi a svolgere tutte quante le attivit che concernono la sua
parrocchia (= diocesi) e i territori che le sono soggetti. Ma neppure
quegli (= il primate) faccia alcunch senza il parere di tutti: in tal modo
vi sar unanimit (homonoid) e sar glorificato il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo.26
La sua conclusione dossologica caratterizza questo testo in senso
ecclesiologico e rimanda al mistero trinitario come modello della comunione ecclesiale. Verso lo stesso significato dirige pure il termine
gnome, che ricorda l'idea espressa da sant'Ignazio nella sua Lettera agli
Efesini (III, 2) riguardo a Cristo che nella gnome del Padre, come i
vescovi, stabiliti sino ai confini della terra, sono in quella di Cristo. In
tal modo il consenso dei vescovi indicato come espressione del mistero
della comunione trinitaria. In questa prospettiva anche la presenza di un
protos ben pi di una semplice presidenza amministrativa, ma,
piuttosto, un centro di coesione nella solidariet e nell'armonia
episcopale. Questa, infine, si mostra nella reciprocit fra il protos e i suoi
confratelli vescovi, nella cui concordia si riflette la comunione trinitaria.
Il ricordo di questi modelli di comunione fra i vescovi di una determinata regione pu avere il suo valore oggi, con riferimento alla realt
delle conferenze episcopali. Le origini di quest'istituto risalgono alla
met del 1800, quando la costituzione degli Stati nazionali, la
secolarizzazione delle istituzioni e la crescente socializzazione della vita
suggerirono l'opportunit di una consultazione sistematica tra i vescovi
appartenenti a una stessa nazione, al fine di realizzare
26
181
iniziative comuni, dirette a fare fronte alle nuove esigenze dell'evangelizzazione. Sorte per spontanea iniziativa degli episcopati, esse ottennero subito un deciso appoggio dalla Santa Sede. Su questa
forma di cooperazione sempre pi stretta e concorde tra i vescovi di
specifici raggruppamenti di Chiese, si soffermato il concilio Vaticano II, il quale ha pure avvertito l'esigenza di una nuova adeguata
normativa. Nel decreto Christus Dominus nn. 37-3827 si trova, perci,
anzitutto affermata la loro somma utilit affinch da uno scambio
di esperienze pratiche e dal confronto di pareri sgorghi una santa
collaborazione per il bene comune delle Chiese. Circa la loro natura il decreto afferma che esse sono
un tipo d'assemblea (yeluti coetus), in cui i sacri pastori di una determinata nazione o territorio esercitano congiuntamente (coniunctim) il loro
ministero pastorale per l'incremento del bene che la Chiesa offre agli
uomini, specialmente per mezzo di forme e di metodi di apostolato appropriati alle circostanze dei nostri giorni.
Il testo di Christus Dominus n. 38 prosegue indicando chi appartiene a una conferenza episcopale, chi vi partecipa con voto deliberativo e quali ne sono le competenze. Il Codice di Diritto Canonico
del 1983 recepisce questo dato conciliare.
Riguardo allo statuto teologico delle conferenze episcopali
oggi aperto un ampio dibattito, la cui importanza segnalata dagli
Atti del Colloquio internazionale di Salamanca del gennaio 1988. Secondo alcuni, lo status teologico delle conferenze episcopali da intendersi alla luce di una concezione dinamica della collegialit e,
conseguentemente, all'interno dell'interazione, sacramentalmente
fondata sull'ordinazione episcopale, tra la collegialit effettiva,
che suppone l'azione di tutto il collegio (detta pure azione strettamente collegiale) e la collegialit affettiva, il cui scopo quello di
esprimere la collegialit effettiva, precedendola pure storicamente
nel suo pratico sviluppo. Cos inteso, l'affectus collegiale, ben diverso da un semplice sentimento di solidariet, come l'anima della
collaborazione dei vescovi in ambito territoriale, regionale, nazionale e internazionale. In questa prospettiva le conferenze episcopali
esplicherebbero un'attivit veramente collegiale ma parziale.
Questa tesi non condivisa da altri, soprattutto a partire dalla
considerazione che il collegio episcopale, il quale comprende l'universalit dei vescovi, non pu essere scomponibile in parti. Esso si
27
Cf. EV 1/681-689.
, 182
EV 1/341.
183
29
Sul tema cf. Natura e futuro delle Conferenze episcopali. Atti del Colloquio internazionale di Salamanca (3-8 gennaio 1988), a cura di H. LEGRAND - J. MANZANARES - A.
GARCIA Y GARCIA, EDB, Bologna 1988; A. ANTON, Le conferenze episcopali. In-stanze
intermedie?, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1992; U. BETTI, LO "status" teologico delle
Conferenze Episcopali, in Rivista di Scienze Religiose 7(1993), 83-88; TILLARD, L'glise
locale, 467-479.
184
30
31
LG 23: EV 1/338.
CD 6: EV 1/582.
185
IL MINISTERO PETRINO
Il dinamismo comunionale, che vede nella communio episcoporum il segno che esprime e serve la realizzazione della communio
Ecclesiarum, porta ora a trattare di quel centro visibile della communio, che la Chiesa di Roma con il suo vescovo, successore di Pietro.
32
AG 38: EV 1/1220.
W. KASPER, Teologia e Chiesa, Queriniana, Brescia 1989, 297. In linea di prin
cipio nella Chiesa universale escluso un conflitto fondamentale tra l'autorit del
papa e quella dei vescovi, poich il vescovo di Roma fa parte del collegio episcopale,
di cui il capo. L'immagine geometrica dell'ellisse con due fuochi impiegata pure da
J. RATZINGER, Primato, Episcopato e Successio Apostolica, in K. RAHNER - J. RAT
ZINGER, Episcopato e primato, Queriniana, Brescia 1966, 50.
33
186
34
S. IGNAZIO D'ANTIOCHIA, Ad Romanos, Inscr.: PG 5, 685; s. IRENEO, Adv. Haer.
Ili, 3,l:PG 1, 848.
35
Missale Romanum, Praefatio ad missam in die 29 iunii. Sull'importanza
della tradizione che accomuna Pietro e Paolo si soffermato GIOVANNI PAOLO II: Il
vescovo di Roma il successore di Pietro; egli per pu dirsi anche l'erede di Paolo...
I vescovi di Roma hanno generalmente parlato, insegnato, difeso la verit di Cristo,
compiuto i riti pontificali, benedetto i fedeli, nel nome di Pietro e di Paolo, i "Principi
degli apostoli", "olivae binae pietatis unicae"... (Discorso del 27 gennaio 1993, in
L'Osservatore Romano del 28 gennaio 1993, 4). Si veda, per, A. GARUTI, S. Pietro
unico titolare del primato. A proposito del decreto del S. Uffizio del 24 gennaio 1647,
Edizioni Francescane, Bologna 1993; cf. anche Y. CONGAR, S. Paul et Pautorit de
l'glise de Rome d'aprs la Tradition, in Acta Studiorum Paulinorum. Congressus
internationalis catholicus (1961), Romae 1963, 491-516.
187
36
37
188
proedroi) le rimanenti Chiese, i quali invece [lo] condannarono con anatema? Concilio che non ebbe cooperatore il papa della Chiesa romana
allora regnante... e non ebbe neppure consenzienti (symphronountas) i
patriarchi dell'oriente, di Alessandria, di Antiochia e della citt
santa....38
In questa testimonianza, che giunge dall'epoca detta della
Chiesa indivisa, il comportamento e l'azione del vescovo di Roma
si vedono nettamente collocati su un piano parallelo al comportamento e all'azione dell'intera assise conciliare. Alla sua luce si pu
dire che il riconoscimento di una funzione speciale di sinergia propria del vescovo di Roma, tanto per la promozione quanto per il ristabilimento dell'unit di tutte le Chiese nella identica fede, presente fino al secolo Vili anche in ambiente orientale.39
2. Configurazioni storiche del ministero petrino
Ci detto, doveroso ammettere cosa non irrilevante anche
dal punto di vista teologico che nel corso della storia tale servizio
ha conosciuto forme e modalit differenti al punto che, in vista di
una loro adeguata presentazione, doveroso distinguere tra ci che,
nel fluire dei secoli, divenuto il papato da ci che, propriamente, ,
invece, il ministero petrino. Non ultimo, doveroso discernere tra
ci che dogmaticamente ha espresso la Chiesa cattolica, anche nel
dogma del Vaticano I, e quelli che, invece, sono stati i commenti e le
interpretazioni, talora forzate, che ne hanno fatto alcuni teologi.40
38
MANSI, 13, 208-209. La lettera ha un maggior valore se si tiene conto che il papa
aveva affermato che nella Chiesa non sussiste un prestabilito computo di priorit
(proarithmeoumenon): Sinodica al papa Leone III: PG 100, 597.
Cf. V. PERI, Sul ruolo ecclesiale del vescovo di Roma, in Papato e istanze
ecumeniche, Bologna 1984, 61-118. Nella lettera apostolica Duodecimum saeculum (4
dicembre 1987) in occasione del dodicesimo centenario del Niceno II, GIOVANNI PAOLO II
alla luce di altre testimonianze ricorda cos l'episodio: L'ultimo concilio ecumenico
riconosciuto dalla Chiesa cattlica e da quella ortodossa un esempio notevole di sinergia
tra la Sede di Roma e un'assemblea conciliare. Si iscrive nella prospettiva dell'ecclesiologia
patristica di comunione, fondata sulla tradizione, come il concilio ecumenico Vaticano II ha
giustamente rimesso in luce: EV 10/2370.
40
Una tale distinzione tra essere e manifestarsi del primato pontificio significa tenere
conto della vera storicit della Chiesa, la quale deriva dal suo legame con l'Homo viator e,
come si sa, anche soggetta a.possibilit di sviamento senza che possa per questo essere
distrutta o condotta in errore in ci che le pi autentico: J. RATZINGER, Il nuovo popolo di
Dio, Queriniana, Brescia 1971,56-57. L'importanza di questa distinzione ricordata da
GIOVANNI PAOLO II nell'enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995), laddove rimanda
all'impegno di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in
nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova (n. 95).
Sull'argomento si vedano J.M.R. TILLARD, L'-
189
vque de Rome, du Cerf, Paris 1982,15; e K. SCHATZ, Il primato del Papa. La sua storia
dalle origini ai nostri giorni, Queriniana, Brescia 1996.
190
sempre urgente tornare a riflettere sui punti fondamentali che, secondo la dottrina cattolica, danno fondamento storico e teologico al
ministero petrino e sui termini coi quali il suo carattere e la sua natura sono stati descritti.
3. Pietro, il primo apostolo
Il posto e il ruolo speciale svolto dall'apostolo Pietro nel Nuovo
Testamento incontestabile, ed singolare come i vangeli abbiano
unito alla fragilit di Simone la rocciosit di Pietro. Della vicenda
storica di questo apostolo si pu dire che egli aveva un fratello di
nome Andrea, pescatore come lui sul mare di Galilea e col quale
aveva un'abitazione in Cafarnao; che fu uno dei primi a essere chiamato tra quanti sarebbero stati i compagni abituali di Ges e i testimoni autorevoli della sua risurrezione; che nel gruppo dei dodici
sempre indicato per primo, occupando talvolta anche il posto di loro
portavoce; che egli fece una singolare confessione di Ges; che nel
momento cruciale della passione del Signore conobbe un fallimento;
che nella Chiesa primitiva riconosciuto come il destinatario di
un'apparizione (probabilmente la prima) del Risorto; che era chiamato Kepha (Pietro), nome probabilmente attribuitogli da Ges medesimo; che in Gerusalemme era il pi importante dei dodici; che
inizi un'attivit missionaria tra i circoncisi e tra i pagani.41
Il Nuovo Testamento non attesta esplicitamente la presenza e il
martirio di Pietro a Roma. Ci non significa che sia impossibile rintracciarvi delle allusioni. Pietro, in effetti, scompare dalla scena degli
Atti laddove si narra della sua liberazione dal carcere e del suo essersene andato in un altro luogo (At 12,17). La tradizione riportata da Eusebio di Cesarea, secondo cui Pietro sarebbe giunto una
prima volta a Roma all'epoca dell'imperatore Claudio (41-54 d.C.)
potrebbe avere una conferma in quanto scrive san Paolo ai Romani
riguardo al suo non volere costruire sul fondamento posto da altri
(Rm 15,20). Ad ogni modo, Pietro non potrebbe esservi rimasto nel
periodo che va dal 49 al 54, quand'era in vigore il decreto di Claudio
di espulsione da Roma di tutti i giudei. Un catalogo della Chiesa di
Roma dell'epoca di papa Liberio (352-366) parla di un secondo soggiorno romano dell'apostolo fra il 55-56, ed possibile che egli sia
giunto nella capitale dell'impero provenendo da Corinto dove, attorno al 56, Paolo trover un partito di Cefa, che si richiama abusi41
Per questo indiscutibile volto storico e per le referenze neotestamentarie cf. R.E.
BROWN, Pietro nel Nuovo Testamento, Boria, Roma 1988. Cf. pure ASSOCIAZIONE BIBLICA
ITALIANA, S. Pietro. Atti della XIX Settimana biblica, Paideia, Brescia 1967.
192
vamente a Pietro per contrapporglisi (cf. ICor 1,12; 3,22). Infine Pietro sarebbe giunto a Roma una terza e ultima volta nel 65, quando vi
sub il martirio. Un'allusione a quest'evento si trova certamente in
Gv 21,18-19 e, comunque, la tradizione del martirio e della sepoltura
di Pietro a Roma ha solidissime basi storiche. Oltre alla testimonianza della Lettera di Clemente ai Corinti, secondo cui Pietro sarebbe stato vittima di delazioni provocate dalla gelosia e dall'invidia
fra giudei e cristiani, vi quella della cosiddetta Ascensione di Isaia
che, alla fine del primo secolo e sotto la forma di una profezia ex
eventu, ne descrive con linguaggio apocalittico la morte per opera di
Nerone. Queste attestazioni letterarie sono confermate dagli scavi
archeologici fatti sotto la Basilica di San Pietro in Roma. I risultati di
questi scavi corrispondono alla testimonianza del presbitero romano
Gaio che, all'epoca di Zefirino (199-217), assicurava che i cristiani di
Roma indicavano il trofeo costruito sulla tomba di Pietro non lontano dal Circo di Nerone, a sud del Colle Vaticano. Su questo trofeo l'imperatore Costantino costruir la sua basilica.42
Per descrivere il ruolo unico e preminente di Pietro, la tradizione
cattolica preferisce soffermarsi sui testi di Mt 16,16-19, di gran lunga
il pi ricorrente, nonch su Le 22,31-32 e Gv 21,15-17.
4. Pietro, la roccia
Il brano di Mt 16,16-19, nel confronto con quelli paralleli di Me
8,29-30 e di Le 9,20-21, si caratterizza per la presenza di una significativa risposta di Ges, che equivale a una dichiarazione su Pietro. 43 Il
testo ben conosciuto. Alla domanda su cosa dica la gente circa il
Figlio dell'Uomo, Pietro risponde: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio
vivente.44 Di rimando Ges dice a lui:
42
Cf. R. MINNERATH, De Jrusalem Rome. Pierre et l'unite de l'glise apostolique, Paris 1994. Cf. anche O. CULLMANN, Ptros, Kephas, in Grande Lessico del
Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1975, X, 154-160.
43
Per le questioni di storia della tradizione e della redazione cf. G. CLAUDEL, La
confession de Pierre. Trajectoire d'une pricope vanglique, J. Gabalda et e, Paris
1988. Si veda pure ORTENSIO DA SPINETOLI, // Vangelo del primato, Paideia, Brescia
1969.
44
In Me 8,29 la risposta : Tu sei il Cristo, cui segue l'intimazione di Ges di
non parlare di lui a nessuno; per questa forma della confessione e l'intero testo cf. I.
DE LA POTTERIE, La confessione messianica di Pietro in Marco 8,27-33, in ASSOCIA
ZIONE BIBLICA ITALIANA, San Pietro. Atti, 59-77. Secondo Le 9,20 la risposta : Il Cri
sto di Dio. Per questa formulazione cf. M. CORBIN, Le Christ de Dieu. Mditation
thologique sur Le 9,18-27, in Nouvelle Revue Thologique 99(1977), 641-680. Per la
corrispondenza della confessione dei Sinottici con Gv 6,68-71, cf. S. CIPRIANI, La
confessione di Pietro in Gv 6,69-71 e i suoi rapporti con quella dei Sinottici (Me
8,27-33 e paralleli), in ASSOCIAZIONE BIBLICA ITALIANA, San Pietro. Atti, 93-111.
193
45
Nel brano, come nei successivi vv. 22-23 e anche nei testi di Le 22,31s e Gv
21,15s sembra essere insinuato il tema della debolezza di Pietro. La cosa vera, ma
non il caso di enfatizzarla. Ha scritto al riguardo von Balthasar: Non biblico dire
che Pietro il peccatore, l'uomo puramente naturale ("carne e sangue") avrebbe reso
assurdo tutto, soltanto la grazia del ministero lo abiliterebbe a delle azioni giuste
(H.U. VON BALTHASAR, // complesso antiromano. Come integrare il papato nella chiesa
universale, Queriniana, Brescia 1974, 151).
46
Potrebbe esserci, qui, un riferimento a Is 28,16. La trascrizione greca Kephas
ricorrente in Paolo, che ha Ptros solo in Gal 2,7. In Mt 16,18 esiste identit tra ptra
= kepha = Ptros. In nessun altro passo del Nuovo Testamento il singolo cristiano
chiamato ptra. I credenti sono piuttosto lithoi, pietre viventi (lPt 2,5), comunit che
deve la sua vita a Cristo, pietra (lithos) vivente (lPt 2,4); cf. J. JEREMIAS, Lithos, in
Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1970, VI, 733-754.
194
eia che Pietro.47 Questi non il materiale col quale sar costruito
tale edificio, ma la roccia di fondazione su cui esso pogger, essendone Cristo l'edificatore escatologico.48
Per questa ragione le porte degli inferi non potranno prevalere su di esso. Anzi, l'Ade, privato della sua forza, dovr ormai spalancare le sue porte dinanzi alla Chiesa, attivamente partecipe della
forza di Cristo. L'immagine presente nel testo matteano assume un
certo ulteriore valore alla luce delle antiche concezioni semitiche
circa l'importanza della porta per una citt. Conquistare le porte,
nel linguaggio veterotestamentario, equivaleva a conquistare la citt
intera. Normalmente, dunque, la Chiesa di Cristo, la Gerusalemme
celeste discesa sulla terra, doveva temere l'assalto dell'inferno, proprio contro le sue porte, e doveva avere in esse un difensore capace
di sconfiggere qualunque assalto.49
Pietro, per, non ha semplicemente un ruolo difensivo contro le
porte infernali, bens pure uno positivo nello stesso regno dei cieli.
Egli ha infatti il potere delle chiavi. Anche quest'immagine presente nella letteratura biblica. Is 22,20-22 la usa per dire che Eliaqim
avrebbe assunto, come prefetto del palazzo, il potere di governare la
casa di Davide al posto di Sebnah. Ugualmente nel linguaggio dei
rabbini l'espressione indicava la detenzione di un particolare potere.
47
In senso proprio soltanto Cristo ptra. Se perci Mt 16,18 ci costringe ad as
sumere un'identit formale e sostanziale tra ptra e Ptros, ci mostra fino a qual
punto l'apostolato (e in particolare la posizione di Pietro) appartenga intimamente
alla rivelazione di Cristo e sia per sua natura incluso in essa. Ptros in persona, e non
gi la sua professione di fede o la sua fede tale ptra... Ora, se Cristo vuole costruire
su questa ptra un edificio spirituale, la Ekklesia, vuol dire che proprio Ptros in per
sona il fondamento di questa Ekkiesia, voluto e posto dalla parola di Cristo "tu sei
Pietro" (O. CULLMANN, Ptra, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, X, 119120).
48
Non v' contraddizione con ICor 3,9-15, dove Cristo chiamato fonda
mento {themliori) e Paolo si autodenomina architetto. Anche in Ef 2,19-22 gli
apostoli e i profeti sono chiamati fondamento {themliori), mentre Cristo la pietra
angolare. Si tratta di utilizzazioni diverse di un medesimo tema. Luoghi paralleli
sono Mt 7,24-25 e Le 6,48; cf. P. GRELOT, "Sur cette pierre je btirai mon glise" (Mt
16,18b)", in Nouvelle Revue Thologique 109(1987), 641-659. O. Cullmann richiama il
Midrash Tanhuma a Nm 23,9 dove Dio chiama Abramo la roccia su cui costruire e
fondare il mondo e dalla quale stato tagliato Israele. Un altro testo rabbinico par
lava della roccia attorno a cui era edificato il tempio di Gerusalemme e sulla quale era
posta l'arca dell'alleanza, come il punto da cui si era iniziata la fondazione del mondo
e sulla quale Abramo aveva voluto immolare Isaceo. Mt 16,18 inserirebbe la figura di
Pietro nel quadro di queste tradizioni facendo saltare cos la concezione rabbinica di
Abramo. Pietro viene a sostituirsi al capostipite di Israele, con la differenza che ora
egli il fondamento dell'Israele secondo lo Spirito, della comunit del nuovo patto
che Cristo edifica su quella roccia che Pietro (CULLMANN, Ptra, 120-121).
49
E. TESTA, La fede della Chiesa madre di Gerusalemme, Dehoniane, Roma
1995, 177.
195
50
Cf. TESTA, La fede della Chiesa madre, 178-179. Di un certo interesse l'inter
pretazione di J.M. VAN CANOH - M. VAN ESBROECK, La primaut de Pierre (Mt 16,1619) et son contexte judai'que, in Revue Thologique de Louvain 11(1980), 310-324,
che, collegando la confessione di Pietro alla liturgia del Kippur, ravvedono in Ges la
volont di conferire a quella festa un nuovo senso e a Pietro la funzione di nuovo
sommo sacerdote. Cf. J. GALOT, Rivelazione di Cristo e liturgia giudaica, in La Ci
vilt Cattolica 140(1989)/I, 16-30.
51
Sull'immagine del legare e sciogliere cf. B. RIGAUX, "Lier et dlier". Les
ministres de rconciliation dans l'Eglise des temps apostoliques, in La Maison-Dieu
117(1974), 87-94.
52
Non di ostacolo il fatto che in Mt 18,18 (cf. Gv 20,23) venga affidato comuni
tariamente agli altri discepoli ci che, singolarmente, conferito a Pietro. Opportuna
mente J.-J. VON ALLMEN, Il primato della Chiesa di Pietro e d Paolo, Morcelliana, Bre
scia 1982, 70, annota che Pietro Aprano ma non l'unico. Per parte sua R. Brown os
serva che da un punto di vista teorico la supposizione che in Mt 16,19 e 18,18 si tratti
di un unico e identico potere inficierebbe ambedue i testi (cf. BROWN, Pietro, 119-120).
53
Richiami veterotestamentari possono ritenersi Am 9,9 e Zc 3,1-9.
196
La traduzione del testo lucano, qui riportata nella sua parte conclusiva, una tra le molte possibili. Nel nostro caso essa suppone un
velato richiamo o una profezia del rinnegamento di Pietro (cf. Le
22,34): quando Pietro, anch'egli vagliato da Satana, sar ritornato a
Ges, dovr confermare nella fede i suoi fratelli. 54 Il brano metterebbe, cos, in evidenza la debolezza umana di Pietro. Giovanni
Paolo II ha preferito quest'interpretazione tutte le volte che nella
sua enciclica Ut unum sint ha richiamato il passo lucano:
proprio come se, sullo sfondo dell'umana debolezza di Pietro, si manifestasse pienamente che il suo particolare ministero nella Chiesa proviene totalmente dalla grazia; come se il Maestro si dedicasse in modo
speciale alla sua conversione per prepararlo al compito che si appresta
ad affidargli nella sua Chiesa e fosse molto esigente con lui.55
Ad ogni modo, evidente che Ges vuole affidare a Pietro il
compito di sostenere i suoi fratelli. La sua fede, dunque, svolge un
ruolo decisivo per la formazione della comunit e Ges, rassicurando Pietro della efficacia della sua preghiera, gli promette, con
formula solenne, l'investitura dei poteri supremi.
6. Il pastore
Il terzo e ultimo testo quello di Gv 21,15-17. Si tratta del racconto della triplice richiesta di amore rivolta da Ges a Simone: Mi
ami tu pi di costoro? Mi ami tu?. Domanda strana per uno che altre volte aveva richiamato i suoi discepoli dal sentimento di rivalit
(cf. Me 9,34-35; 10,43-44 e parr.) e per di pi collocata in un Vangelo
che ben conosce la figura del discepolo amato. La domanda, ripetuta tre volte, richiama spontaneamente il rinnegamento perpetrato
da Pietro durante la passione del Signore. La scena, tuttavia, non
racchiude soltanto il racconto di una riabilitazione dell'apostolo, ma
pure l'assegnazione di un compito pastorale, nonch l'annunzio di
una morte da subire a imitazione del Maestro.
Alla risposta positiva di Pietro, Ges risponde con il mandato di
pascere {bskein e poimainein) i suoi agnelli e le sue pecore. Anche
34
Le possibili interpretazioni sono cos riassunte dalla TOB nella nota al testo:
quando sarai ritornato a Dio (= convertito); quando sarai ritornato a Gerusalemme, dopo la fuga dei discepoli; quando ti sarai emendato; quando avrai ricondotto i tuoi fratelli. Sulla base di un semitismo, anche possibile tradurre: e tu, a tua
volta, conferma i tuoi fratelli (cf. B. PRETE, Il senso di epistrpsas in Luca 22,32, in
San Pietro. Atti, 113-135).
55
GIOVANNI PAOLO II, Ut unum sint, 91.
197
questa parola del Risorto giunge inattesa per il fatto di essere presente nel quarto Vangelo dove Ges l'unico e vero Pastore (cf. Gv
10,11-18). Egli ora affida a Simone l'incarico di una cura onnicomprensiva verso coloro che, tuttavia, non cessano di appartenere a lui.
Ges non aliena il suo diritto di propriet. Si tratta pur sempre dei
miei agnelli e delle mie pecore. Cristo dunque il pastore supremo,
mentre a Pietro affidato il compito di proteggere e di guidare con
attenta cura le pecore che appartengono a Cristo. Questa missione,
simboleggiata dalla figura del pastore, contiene un mandato di autorit che, se da un lato potrebbe descriversi coi termini di sant'Ambrogio: Egli ci lasci Pietro come vicario del suo amore, 56 dall'altro
include anche il dovere di una sollecitudine inesausta, appunto
come quella del buon pastore che dona la vita per le sue pecore.
Sono questi tre i brani pi frequentemente utilizzati per richiamare
la funzione speciale di Pietro all'interno del gruppo apostolico.
Dall'insieme risulta un servizio carico di autorit verso la Chiesa intera e di responsabilit unica nei riguardi di Cristo.
7. Il dogma sul primato
La dottrina cattolica sul primato stata dogmaticamente definita
dalla costituzione Pastor aeternus promulgata dal concilio Vaticano
I, il 18 luglio 1870. L'insegnamento esposto con una particolare
terminologia giuridica. Rileggerla fuori degli antecedenti e del momento storico in cui stata formulata ne impedirebbe un'esatta
comprensione e porterebbe a conseguenze spiacevoli. Bisogna, fra
l'altro, tenere conto del fatto che la costituzione era in origine la
prima parte di una pi ampia costituzione sulla Chiesa, che non si
ebbe tempo di completare per la precoce interruzione del concilio.
Anche il suo linguaggio da intendersi alla luce della contrapposizione alle tesi che il concilio Vaticano I intendeva condannare. Tra
queste si ricorderanno anzitutto le tesi gallicane evocatrici il conciliarismo, quelle episcopaliste sostenute da Febronio e quelle assolutistiche propugnate dal giuseppinismo. Tutte le precisazioni della
Pastor aeternus mirano direttamente a cancellarne ogni traccia.
A dire il vero, al Vaticano I occorre riconoscere una propria condizione di equilibrio rispetto alle tesi estremiste di una monarchia
papale assoluta e discrezionale, sostenute dalla corrente detta ultramontana. Tuttavia bisogner attendere il Vaticano II e, soprattutto,
56
S. AMBROGIO, In Lucam 10: PL 15, 1942: il Signore interroga Pietro non perch
dubitasse di lui, ma per insegnare che sui nobis velut vicarum relinquebat.
198
il capitolo terzo della Lumen gentium, per avere la seconda parte del
dittico che il Vaticano I, per diverse ragioni teologiche e storiche, non
ebbe modo di completare. Qui la volont d'integrare la dottrina sul
primato del Vaticano I vi si legge esplicitamente:
Sulle orme del concilio Vaticano I e in accordo con esso, questo sacrosanto sinodo insegna e dichiara che Ges Cristo pastore eterno ha edificato la santa Chiesa, inviando gli apostoli cos come egli stesso era stato
inviato dal Padre; e ha voluto che i loro successori i vescovi siano pastori
della Chiesa fino alla fine dei tempi. Affinch poi l'episcopato resti uno
e indiviso, ha preposto agli altri apostoli il beato Pietro, e in lui ha istituito il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unit della fede
e della comunione. Il sacro sinodo ripropone a tutti i fedeli da credersi
fermamente questa dottrina circa l'istituzione, la perpetuit, il valore e
il carattere del sacro primato del romano pontefice e del suo magistero
infallibile; e, proseguendo nello stesso intento, ha deciso di professare
pubblicamente e di esplicitare la dottrina sui vescovi successori degli
apostoli, i quali, insieme col successore di Pietro, che il vicario di Cristo e il capo visibile di tutta la Chiesa, dirigono la casa del Dio vivente.57
Il principio dell'unit della Chiesa la Trinit santa. Cristo, in
particolare, ne il capo compaginante e lo Spirito il principio unificatore
nella comunione e nel ministero. Se ora anche Pietro chiamato
principio dell'unit nella Chiesa, lo si afferma nell'ordine della sua
visibilit. Per questa ragione la sua funzione e quella dei suoi successori
chiamata vicara. Lo , in altre parole, in rapporto a Cristo. Questo vuol
dire che il vero soggetto della potest sulla Chiesa unicamente Cristo e
che in coloro che agiscono visibilmente come suoi vicari sono presenti il
suo potere e la sua autorit.58
Le pagine seguenti sono da leggersi come un commento ai primi tre
capitoli della Pastor aeternus, alla luce del successivo magistero del
Vaticano II.59 Ambedue i testi conciliari affermano l'esistenza
57
LG 18: EV 1/329.
La riserva del titolo di vicario di Cristo al romano pontefice sembra imporsi
con s. Bernardo. Cf. M. MACCARRONE, Vicarius Christi. Storia del titolo papale, Roma
1952 (Lateranum n.s. 18, n. 1-4); Y. CONGAR, Titoli dati al papa, in Concilium
11(1975), 1314-1317. In LG 27 il medesimo titolo applicato anche ai vescovi in rap
porto alla loro Chiesa particolare.
59
Ci serviremo prevalentemente delle analisi di U. BETTI, La costituzione dommatica Pastor Aeternus del Concilio Vaticano I, Pontificio Ateneo Antoniano,
Roma 1961; ID., La dottrina sull'episcopato del Concilio Vaticano II. Il capitolo III
della Costituzione dommatica Lumen gentium. Pontificio Ateneo Antoniano, Roma
1984.
58
199
60
Come gli altri tre che concludono i rispettivi capitoli, formulato in forma ne
gativa. Nei canoni sono condannati come eresie gli errori che ad essi direttamente si
oppongono. Il senso della definizione del Vaticano I si deduce da questi canoni, intesi
alla luce dei capitoli che li precedono.
61
Cf. DS 3055.
200
62
Nel suo contesto storico il Vaticano I, escludendo un primato di solo onore
o di ispezione, intendeva opporsi alle tesi episcopaliste presenti in Germania all'ini
zio del XIX secolo, secondo cui al papa spetterebbe unicamente il ruolo di guar
diano o di notaio dei canoni ecclesiastici.
63
Cf. DS 3058.
201
202
Cattedra romana sarebbe di diritto divino. Essa, infatti, porterebbe cori s l'idea di un
legame anche geografico con la citt di Roma, la quale avrebbe cos ricevuto la promessa di durare per sempre. Deduzione davvero arbitraria! Quand'anche Roma
scomparisse per una qualsiasi ragione, non scomparirebbe certamente il ministero petrino nella Chiesa. Le definizioni dommatiche della Chiesa non sono previsioni su
eventi intramondani pi o meno remoti. 67 Cf. DS 3064.
203
68
Cf. MANSI, 52, 1105; cf. 2Cor 10,8. Riferendosi al Decreto di Graziano (I,
15,6) antichi teologi, come J. de Torquemada e il Gaetano, d'indubbia fedelt alla
Sede romana, hanno ipotizzato il caso di un papa eretico o scismatico. Come scriveva
il GAETANO, La persona del papa pu rifiutarsi di sottostare al suo dovere di papa
(In II-II, 39, 1,6); in questo caso, continuava, la pertinacia del suo atteggiamento lo
renderebbe scismatico per la sua separazione dal capo della Chiesa che Cristo.
C. JOURNET ricordando queste ipotesi commentava: La supposizione di un papa scismatico ci rivela maggiormente, visto in luce tragica, il mistero della santit di questa
unit d'orientamento ch' necessario alla Chiesa (L'glise du Verbe Incarn, Bruges
1962, 840).
204
69
GIOVANNI PAOLO II, Discorso del 24 febbraio 1993, in L'Osservatore Romano
(25 febbraio 1993), 4.
70
Cf. DS 3061.
205
da ogni arbitraria disposizione umana. In virt della medesima disposizione divina sulla quale si fonda l'ufficio del sommo pontefice, stabilito l'episcopato. Ad esso spettano diritti e doveri in virt di una disposizione data da Dio e il papa non ha n il diritto n il potere di mutarli. 71
71
La lettera collettiva dell'episcopato tedesco fu sottoscritta nel gennaio-feb
braio 1875, cf. DS 3112-3116. Pio IX lod e conferm la risposta dell'episcopato sia
con una lettera apostolica del 4 marzo 1875 (cf. DS 3117) sia con l'allocuzione conci
storiale del 15 marzo dello stesso anno (cf. Acta Sanctae Sedis 8(1874-1875), 301-305).
In queste condizioni il testo dell'episcopato tedesco pu ritenersi un'interpretazione
autentica del capitolo III della Pastor aeternus. Cf. anche O. ROUSSEAU, La vraie valeur de l'piscopat dans Pglise d'aprs des documents de 1875, in Irnikon
29(1956), 121-150.
72
Cf. la relazione di Zinelli in MANSI, 52, 1103-1104. In questo caso l'aggettivo
episcopale non significa affatto che il papa sia l'unico vescovo della Chiesa. Ugual
mente si dica per la formula catholicae Ecclesiae episcopus, usata anche da Paolo VI
nella firma dei documenti del Vaticano II.
73
A. ZAMBARBIERI, / concili del Vaticano, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1995,
102.
206
74
Durante il Vaticano II alla domanda su quale fosse la potest di un papa eletto
ma non ancora consacrato vescovo, la Commissione dottrinale rispose asserendo che
questo caso particolare non era considerato dal testo della costituzione e che le ulte
riori determinazioni erano lasciate ad explicationem theologicam, cf. G. ALBERIGO - F.
MAGISTRETTI, Constitutionis Dogmaticae Lumen Gentium Synopsis Historica, Bolo
gna 1975,521 {modus 35 ad n. 21). La questione era gi stata posta da Pio XII nel 1957
al II Congresso mondiale dell'apostolato dei laici (cf. Discorsi e radiomessaggi di Sua
Santit Pio XII, 19, Tip. Poligl. Vaticana 1958, 457).
75
PAOLO VI, cost. apost. Romano pontifici eligendo, 1 ottobre 1975, 88: EV
5/1541. Il CIC, can. 332,1, stabilisce: Plenam et supremam in Ecclesia potestatem romanum pontifex obtinet legitima electione ab ipso acceptata una cum episcopali consecratione. Con l'espressione una cum giuridicamente recepita l'idea dell'inscindi
bilit tra accettazione dell'elezione canonica e consacrazione episcopale.
76
Cf. W. BERTRAMS, De missione divina et de consecratione episcopali tamquam constitutiva officii Supremi Ecclesiae Pastoris, in Periodica de Re morali cano
nica et liturgica 65(1976), 187-242. Cf. anche R. GIRALDO, Rapporto tra poteri papali e
consacrazione episcopale, LIEF, Vicenza 1978. L'ultimo non vescovo che sia stato
eletto papa stato Gregorio XVI nel 1831.
207
77
208
LG 22: EV 1/337.
scovi presi collettivamente, bens soltanto tra il papa da solo (seorsim) e il papa insieme con i vescovi. L'unica suprema potest risiede,
dunque, in pienezza nel vescovo di Roma, che, in quanto vicario di
Cristo e capo visibile della Chiesa universale, la possiede a titolo personale, e nel collegio episcopale, che la possiede collegialmente, essendo unito sotto l'autorit del papa.
Ci significa che esistono due soggetti della medesima, suprema
potest?78 E, in caso di risposta positiva, come questi due soggetti si
rapportano tra di loro? In proposito possibile registrare tra i teologi, bench con sfumature differenti, almeno tre opinioni, le quali,
in modo diverso, si richiamano agli enunciati del Vaticano IL79
La prima di esse ritiene che com'esiste un'unica potest piena e
suprema, cos esiste anche un unico soggetto, che il vescovo di
Roma in quanto vicario di Cristo. Quest'opinione poggia sul dogma
del Vaticano I e anche sull'affermazione della Nota explicativa praevia per cui il collegio episcopale, pur esistendo sempre, esercita la
sua funzione in senso strettamente collegiale solo quando a ci lo
chiama il romano pontefice e, comunque, consentiente capite.80 Quest'opinione sottolinea giustamente che la presenza in esso del vescovo di Roma a dare all'insieme dei vescovi il carattere di collegio.
Di contro, per, essa potrebbe lasciar capire che la potest suprema
del collegio ha un'origine papale piuttosto che divina. In questo caso
essa non coerente con l'affermazione conciliare secondo cui il collegio episcopale (exsistit) soggetto della suprema potest. Se, infatti, la potest del collegio derivasse dal papa si sarebbe dovuto dire
che esso fatto (ft) soggetto della suprema potest del papa
quando questi lo chiama a esercitarla.
La seconda opinione parte anch'essa dal presupposto che, com'esiste un'unica potest piena e suprema, cos esiste anche un
unico soggetto. Diversamente, per, dalla precedente, quest'opinione lo individua nel collegio episcopale, insieme col papa suo capo.
78
La formula conciliare dice che il collegio episcopale subiectum quoque supremae ac plenae potestatis in unversam Ecclesam exsistit. Se al quoque si attribuisce
una funzione reduplicativa ci che ne risulta l'esistenza di due soggetti dell'unica su
prema potest; se, invece, gli si attribuisce solo una funzione predicativa risulta che il
collegio ha pure un esercizio di suprema autorit nella Chiesa, ma solo a determinate
condizioni. La questione lasciata alla libera discussione dei teologi, purch sia salva
guardato il primato del vescovo di Roma.
79
Per quanto segue cf. W. BERTRAMS, De subiecto supremae potestatis Ecclesiae, in Periodica de Re Morali Canonica Liturgica, 54(1956), 173-232.
80
Cf. Nota explicativa praevia, 3-4: EV 1/453-455. Tuttavia si legga quel che se
gue: Dicitur autem "consentiente Capite", ne cogitetur de dependentia velut ab aliquo extraneo; terminus "consentiens" evocat e contra communionem inter caput et
membra, et implicat necessitatem actus qui capiti proprie competit.
209
stesso comunicata all'intero collegio episcopale e concentrata per intero nella persona del suo capo.81
Senza ritenere chiusa la questione, sembra che quest'ultima opinione, alla quale per taluni obiettano un linguaggio marcatamente
giuridico, riesca meglio delle altre due tanto a salvaguardare il
dogma del primato del vescovo di Roma quanto a conservare alla
dottrina sulla collegialit episcopale insegnata dal Vaticano II il suo
valore reale e non puramente nominale. Ad ogni modo rimane
chiaro che autorit del papa e autorit del collegio sono inseparabili.
Il collegio non tale senza il papa e il papa non tale senza il collegio. La sua funzione, infatti, secondo la volont di Cristo, non separata dalla missione affidata all'insieme dei vescovi. Il vescovo di
Roma appartiene al collegio dei vescovi ed essi sono suoi fratelli nel
ministero.
14. Il ministero petrino e il dialogo ecumenico
Il papato pu essere ritenuto come il masso errante nel dialogo ecumenico. Lo ammise lo stesso Paolo VI il 28 aprile 1967: il
papa, lo sappiamo bene, senza dubbio l'ostacolo pi grande nel
cammino dell'ecumenismo. Tuttavia bisogna pur dire che, a livello
ecumenico, non si lavora pi contro il papato, ma per un papato
diverso, nuovo.82 Conoscere le difficolt dei fratelli coi quali noi
cattolici non ci ritroviamo in perfetta comunione un atto doveroso certamente verso di loro ma anche verso noi stessi, in vista di
una nostra maggiore fedelt alla verit rivelata, sempre da approfondire e meglio conoscere. Qui possibile soltanto fare il punto
della situazione.
L'ecclesiologia delle Chiese orientali, pur affermando l'importanza della Chiesa di Roma come sede della Cattedra di Pietro, non
le riconosce altro che un primatus honoris. Il vescovo di Roma il
primo nell'onore e presiede nell'amore, come si espresse il patriarca di Costantinopoli Athenagoras I. D'altra parte la questione
non ancora stata affrontata nei dialoghi ufficiali bilaterali tra cattolici e ortodossi calcedonensi ed stata solo posta all'ordine del
giorno in quelli tra cattolici e ortodossi orientali.83
81
211
nica orientale riguardo a un primato di onore, et J.-M. TILLARD, L'glise locale. Ecclsiologie de communion et catholicit, du Ceri, Paris 1995,484-489; V. FIDAS, L'au-torit
de "protos" au niveau de la province ecclsiastique, in Nicolaus n.s. 18(1991), 37-49.
84
COMMISSIONE DI STUDIO EVANGELICA LUTERANA - CATTOLICA ROMANA, rapporto //
Vangelo e la Chiesa, Malta 1972: EO 1/1193.
85
COMMISSIONE INTERNAZIONALE ANGLICANA - CATTOLICA ROMANA, Chiarimento
circa la prima dichiarazione concordata sull'autorit nella Chiesa, Windsor 1981, n. 8:
EO 1/102.
86
COMMISSIONE INTERNAZIONALE ANGLICANA - CATTOLICA ROMANA, Dichiarazione
concordata sull'autorit nella Chiesa, II, Windsor 1981, n. 28: EO 1/130. Il testo prose
gue stabilendo delle condizioni rigorose perch il giudizio del vescovo di Roma sia un
discernimento decisivo della verit. Pi diffusamente, cf. G. PATTARO, Corso di teolo
gia dell'ecumenismo, Queriniana, Brescia 1985,408-423. Sul dialogo ecumenico in ge
nerale cf. Papato e istanze ecumeniche, EDB, Bologna 1984.
212
87
Il ministero del Papa dopo i due Concili Vaticani, in La Civilt Cattolica
quad. 3249 (2 novembre 1985), 211.
88
GIOVANNI PAOLO II, Discorso del 24 febbraio 1993, in L'Osservatore Romano
(25 febbraio 1993), 4.
213
IL SACRO MAGISTERO
Cristo Ges il criterio ultimo e supremo della vita della Chiesa,
inviata al mondo per annunciare il mistero della sua Pasqua mediante il
ministero della predicazione (kerygma). Quest'annuncio ha assunto fin
dal principio, come testimoniano le Lettere pastorali, varie forme tra cui
quella dottrinale di una didascalia e di un deposito che se, da una parte,
affidato a tutta la comunit consegnato, dal-l'altra, in modo particolare
a quanti ne hanno la responsabilit della guida autorevole. La storia del
magistero ecclesiastico s'identifica, di
89
47.
214
fatto, con la storia dell'autocomprensione della Chiesa quale portatrice del messaggio evangelico, che va predicato nella sua permanente verit.
Nel primo millennio la trasmissione fedele si vedeva garantita
dalla sintonia fra la testimonianza apostolica (assicurata dalla successione apostolica) e il consenso della Chiesa universale. Quando,
poi, cominciarono a essere celebrati i concili ecumenici, le loro dichiarazioni ufficiali furono assunte quali affermazioni normative per
tutti i credenti. Nel secondo millennio, l'occidente tender gradualmente a identificare il magistero ecclesiastico con quello del papa, riconosciuto quale suo soggetto supremo. L'oggetto di questo magistero sar a sua volta indicato con la formula dottrina sulla fede e
sui costumi (res fidei et morum). Nel XIX secolo, il concilio Vaticano I dogmatizzer l'infallibilit, a determinate condizioni, del magistero pontificio. Il Vaticano II, infine, la inquadrer nel contesto
dell'attivit di tutta la Chiesa e del magistero dell'intero collegio episcopale.
1. La permanenza della Chiesa nella verit
Il Paraclito, mandato dal Padre nel nome di Cristo, ammaestra la
Chiesa, insegnandole ogni cosa e ricordandole di continuo tutto ci
che il Signore ha detto e ha fatto (cf. Gv 14,26). Cos egli riconduce
costantemente la Chiesa verso quella Parola, Cristo Signore, dove
tutto stato detto una volta per sempre e nella quale essa dev'entrare ogni giorno, per averne una pi profonda comprensione. Docile alla guida dello Spirito, la Chiesa rimane indefettibilmente congiunta a Cristo suo Sposo, certa di poterlo sempre riconoscere e di
sapere chi Colui nella cui verit essa permane. La Chiesa ha coscienza di potere dire la verit su di lui. Senza questa garanzia non
potrebbe davvero amarlo, servirlo e annunciarlo al mondo intero.
Dire la verit su Cristo Salvatore! La Chiesa deve e pu farlo,
bench con un linguaggio umano sempre sproporzionato rispetto al
mistero infinito di cui parla.90 Ci nonostante la Chiesa, in forza
della promessa del Signore e dello Spirito che la inabita come in un
tempio e che la guida per tutt'intera la verit, sa, dopo averla infalli-
90
Quando parla di Dio e della sua opera di salvezza, il linguaggio umano sempre legato al proprio limite. Si ricorder in proposito l'espressione del concilio Lateranense IV: Inter creatorem et creaturam non potest similitudo notari, quin Inter eos
maior sit dissimilimelo notando (DS 806).
215
bilmente riconosciuta, di potere esprimere la sua fede in proposizioni che, nonostante i limiti del linguaggio umano, sono e rimangono vere.91 La Chiesa lo ha sempre ritenuto. Essa, infatti, ha avuto
origine con l'accoglienza di una confessione di fede sul Cristo crocifisso e risorto. Sin dal principio, l'espressione una sola fede ha indicato non soltanto la comune risposta a Dio che si rivela (fides qua
creditur), ma anche la comune professione di tutti i cristiani (fides
quae creditur). La Chiesa non pu esistere senza la comune certezza
che la sua professione di fede corrisponde effettivamente a ci che
Dio ha fatto per noi uomini e per la nostra salvezza. Posta in permanente status confessionis, essa ha ricevuto dal Signore la promessa
di non venire meno nella propria fedelt allo Sposo (indefettibilit)
e, al tempo stesso, la certezza di permanere nella verit, anche attraverso l'esplicita confessione della propria fede e la sua oggettivazione espressa in formule proposizionali (infallibilit).
2. Sensus fidei e magistero
Tutti i fedeli sono partecipi della comprensione e della trasmissione della verit rivelata. L'universalit dei fedeli, che hanno l'unzione del Santo, non pu fallire nel credere. Lo Spirito di verit, infatti, suscita e sostiene nel popolo di Dio il soprannaturale senso
della fede. Si tratta di un'attiva facolt soprannaturale per cui la totalit dei fedeli, discernendo tra il vero e il falso in questioni di fede, riconosce la rivelazione trasmessa, aderisce indefettibilmente alla fede
una volta trasmessa ai santi, penetra in essa con retto giudizio e, al
tempo stesso, l'applica nella vita.92 Questo senso della fede opera interiormente in tutti i fedeli, tanto nei vescovi quanto negli altri fedeli, portandoli insieme verso l'universale consenso nella fede da
credere e da applicare nella vita cristiana. Grazie all'assistenza dello
Spirito Salito, l'intelligenza, sia delle realt sia delle parole del deposito della fede, progredisce nella vita della Chiesa. Mezzi principali
ne sono la riflessione e lo studio dei credenti, la loro esperienza spiri-
91
In epoca recente si sviluppato un ampio dibattito su questo tema, soprattutto
in seguito alla pubblicazione del libro di H. KONG, Infallibile? Una domanda, Queriniana, Brescia 1970. Per questo dibattito cf. K. Rahner - K. Lehmann - M. Lohrer ri
spondono all'"Infallibile" di Kilng, Paoline, Roma 1971; Infallibile?. Rahner, Con
iar, Sartori, Ratzinger, Schnackenburg e altri specialisti contro Hans Kilng, Paoline,
Roma 1971. In queste opere collettive si possono trovare molti spunti utili per l'ap
profondimento. Cf. anche G. SALA, Infallibile? Una risposta, Paoline, Roma 1971;
F.A. SULLIVAN, // magistero nella Chiesa cattolica, Cittadella, Assisi 1986, 22-25.
92
LG 12: EV 1/316.
216
93
DV 8: EV1/883. Cf. S. PI-NINOT, Sensus fidei, in Dizionario di teologia fon
damentale, a cura di R. LATOURELLE e R. FISICHELLA, Cittadella, Assisi 1990, 11311134. Si tratta dell'infallibilitas in credendo del popolo di Dio. Il consensus fidelium
aggiunge alla nozione l'elemento di universale consenso che manifesta il sensus fidei.
Tale consenso si riferisce alla situazione in cui la totalit del popolo di Dio, pastori e
fedeli, condividono lo stesso credo.
94
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, tesi // mutuo rapporto fra magistero
ecclesiastico e teologia, 6 giugno 1976, 1: EV 5/2033. Questo compito include certa
mente un aspetto positivo, che consiste nell'ufficio d'interpretare autenticamente la
parola di Dio scritta o trasmessa, ma suppone pure il dovere di difendere autoritativamente l'integrit della fede anche attraverso la condanna di opinioni pericolose o ad
essa contrarie.
95
LG 25: EV 1/344.
96
Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione sulla vocazione
ecclesiale del teologo, 24 maggio 1990, n. 14: EV 12/263.
217
97
DV 10: EV 1/887. Il termine autentico inteso in senso etimologico, dal
greco authentia, che significa autorit. In quanto maestri, i vescovi sono auctoritate
Christi praediti (LG 25: EV 1/344).
98
LG 25: EV 1/344.
218
99
Cf. su questo SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA
Mysterum Ecclesiae, 24 giugno 1973, n. 5: EV 4/2578.
DELLA FEDE,
dichiarazione
219
modo tale da confutare o sradicare direttamente alcuni specifici errori e da dirimere precise controversie; o, infine, che essa risenta
delle concezioni mutevoli di una determinata epoca.100 Questi condizionamenti storici, e gli altri che possono essere registrati dal lavoro
dell'interpretazione teologica, non rendono, tuttavia, di per se stessa
erronea una proposizione. La Chiesa, invece, ritiene che, allorquando mediante una di esse viene espresso e definito un elemento
irrinunciabile e determinante per la sua fede, il suo significato rimane sempre vero e coerente (irreformabile), anche se un dato magisteriale enunciato come infallibile dovesse in seguito essere maggiormente chiarito, meglio compreso ed espresso.
Ci premesso, per descrivere la natura e per indicare i termini
dell'esercizio del magistero infallibile della Chiesa, necessario riferirsi alla definizione dogmatica del concilio Vaticano I, quale si trova
esposta nel capitolo quarto della Pastor aeternus.101 Di per se stessa,
questa definizione tratta solo dell'infallibile magistero del romano
pontefice. Essa, tuttavia, serve pure quale analogatum princeps per
riconoscere le altre forme di magistero infallibile, di cui soggetto il
collegio dei vescovi. Anch'essi, infatti, esprimono un magistero infallibile, sia quando, con atto collegiale unitamente al loro capo visibile, definiscono una dottrina che dev'essere ritenuta da tutti i fedeli,
sia quando, bench sparsi nel mondo intero ma in comunione di magistero col successore di Pietro, convergono in un'unica sentenza da
ritenersi come definitiva.
Prima di entrare in ulteriori dettagli, opportuno, per, chiarire
di quale natura sia questo carisma d'infallibilit, del quale Cristo ha
voluto che siano dotati i pastori della sua Chiesa. In proposito sono
importanti alcuni punti. Anzitutto necessario ricordare che, in un
senso proprio, soltanto la parola di Dio infallibile. La Chiesa e il
magistero ecclesiale sono inerranti unicamente ne\Y interpretazione,
guidata dallo Spirito Santo, della parola di Dio data una volta per
tutte e delle verit che logicamente vi aderiscono di necessit. L'infallibilit della Chiesa si estende quindi fino al punto richiesto dalla
rivelazione di Dio. A ci bisogna aggiungere che il carisma dell'infal-
100
Per queste e altre ragioni affidato alla teologia il compito di delimitare con
esattezza l'intenzionalit d'insegnamento propria delle diverse formule, di fare op
portune aggiunte espositive ed esplicative che ne chiariscano il senso congenito, di
proporre espressioni nuove che, approvate dal magistero, indichino l'identico signifi
cato delle antiche formule in modo pi chiaro e completo. Cf. M. SEMERARO - G. AN
CONA, Studiare la teologia dommatica, Vivere In, Roma 1994, 112-117.
101
Su questo capitolo cf. BETTI, La costituzione dommatica "Pastor Aeternus",
627-647.
220
102
DS 3070; cf. pure LG 25: EV1/346-347. Questa divina assistenza non esclude
la cooperazione della Chiesa all'atto di magistero infallibile, come spiega LG 25:
Perch poi sia debitamente indagata ed enunziata in modo adatto, il romano ponte
fice e i vescovi per il loro ufficio e secondo la importanza della cosa, prestano la loro
vigile opera usando i mezzi convenienti; per non ricevono una nuova rivelazione
pubblica come appartenente al divino deposito rivelato.
103
Cf. la spiegazione della Commissione dottrinale su LG 25 in ALBERIGO - MAGISTRETTI, Constitutionis Dogmaticae, 458.
104
DS 3074.
221
222
LG 25: EV 1/345.
LG 25: EV 1/345.
II quarto articolo gallicano era gi stato dichiarato irrito da ALESSANDRO Vili
con la costituzione Inter multiplices del 4 agosto 1690, cf. DS 2284.
110
111
112
223
quando le definizioni papali sono gi pronunciate, questo dato sufficiente perch tale dottrina sia ritenuta definitiva e irrevocabile.
Con la formula ex sese, non autem ex consensu Ecclesiae, perci,
non s'intende affermare che, nel suo magistero, il papa sia dispensato dal seguire il sensus Ecclesiae o il sensus fidei. D'altra parte l'espressione ex sese si riferisce direttamente alla definizione dogmatica e non alla persona del papa, quasi che egli possa staccarsi
dalla fede della Chiesa e sia esonerato dal dovere di attingere le proprie definizioni dalla rivelazione divina e dalla fede della Chiesa.
Per definire le questioni di fede della Chiesa il magistero deve,
invece, applicare tutti i mezzi possibili per la ricerca della verit.113
Come enunciato generale su tutte le definizioni dogmatiche, Vex sese
dice che esse hanno valore d'infallibilit e d'irreformabilit non perch sono l'effetto di una maggioranza umana che ne approva la verit, ma perch, alla loro origine, c' la promessa di un'assistenza divina.114 Quest'assistenza dello Spirito Santo garantita ed attiva
per tutta la Chiesa. In essa, vale personalmente per il sommo pontefice e, collegiamente, per il corpo dei vescovi, nei loro rispettivi e
formali titoli di pastori e maestri di tutti i fedeli. Per questo alle definizioni magisteriali
non pu mai mancare l'assenso della Chiesa, per l'azione dello stesso
Spirito Santo che conserva e fa progredire nell'unit della fede tutto il
gregge di Cristo.115
113
Come spiegava il vescovo Gasser, relatore sul quarto capitolo della Pastor aetemus, il papa, in ragione della sua carica e dell'importanza della questione trattata,
obbligato a usare i mezzi opportuni per esplorare ed esprimere la verit con la mas
sima esattezza. A questo servono i concilii, i consigli dei vescovi, dei cardinali, dei teo
logi, ecc. I mezzi di investigazione sono diversi secondo le epoche (MANSI, 52,1213).
Ecco come la spiegazione del Gasser entra nel testo di LG 25: EV1/347: Nell'esplorare convenientemente questa rivelazione e nell'enunciarla correttamente, il romano
pontefice e i vescovi, coscienti del loro compito e secondo la gravit del caso, si impe
gnano con diligenza e si avvalgono dei mezzi appropriati, ma non ricevono alcuna ri
velazione pubblica come appartenente al deposito divino della fede.
114
L'ex sese non dev'essere dunque tradotto con isolatamente, ma con di per
se stesse. Su questo punto LG 25: EV 1/346 chiarifica il testo del Vaticano I: Le sue
definizioni sono dette irreformabili per se stesse e non per il consenso della Chiesa,
essendo esse pronunziate coll'assistenza dello Spirito Santo... per cui non abbiso
gnano di alcuna approvazione di altri n ammettono appello alcuno ad altro giudizio.
Allora infatti il romano pontefice non pronuncia la sentenza come persona privata,
ma espone o difende la dottrina della fede cattolica quale maestro supremo della
Chiesa universale, personalmente insignito del carisma d'infallibilit della Chiesa
stessa. Questa espressione ha il valore di una spiegazione dottrinale con finalit ecu
menica, cf. ALBERIGO - MAGISTRETTI, Constitutionis Dogmaticae Lumen Gentium Synopsis Historica, 458-459. Sulla formula cf. G. DEJAIFVE, EX sese, non autem ex con
sensu Ecclesiae, in Salesianum 25(1962), 283-295.
115
LG 25: EV 1/346.
224
116
Cf. W. BEINERT, Magistero ecclesiastico, in Lessico di teologia sistematica, a
cura di ID., Queriniana, Brescia 1980, 384; SULLIVAN, // magistero nella Chiesa, 126135.
117
Pu, infatti, accadere che alcuni documenti magisteriali non abbiano colto o
non colgano sin dal principio tutti gli aspetti o tutta la complessit di una questione e
che solo in un tempo successivo sia stato o sia possibile giungere a un vero progresso
dottrinale.
225
7. Le qualificazioni teologiche
La variet delle forme magisteriali impone, soprattutto al teologo, il
dovere di studiarne la rispettiva forza vincolante, in modo tale da non
appiattirlo sui fronti opposti di interventi comunque e sempre di carattere
definitivo e irreformabile o di semplici orientamenti pastorali non
impegnativi. La tradizione teologica ha elaborato, per questo, una certa
criteriologia, la cui nomenclatura, tuttavia, non stata e non uniforme.
Si tratta della dottrina delle cosiddette qualificazioni teologiche.119
Con esse s'intende l'espressione di un giudizio'positivo, dato dai
teologi o, in determinate circostanze, anche dal magistero ecclesiastico,
circa il grado di certezza da attribuire a una singola proposizione
magisteriale o teologica, a seconda della sua connessione con la verit
rivelata. Ad esse, in negativo, corrispondono le censure teo-
118
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione sulla vocazione ec
clesiale del teologo, n. 24: EV12/275; sul tema cf. pure la Dichiarazione della CONFE
RENZA EPISCOPALE TEDESCA del 22 sett. 1967, in K. RAHNER, Magistero, in Sacramentum Mundi, Morcelliana, Brescia 1976, V, 14-15.
119
Cf. SEMERARO - ANCONA, Studiare la teologia, 107-112. In un documento del
l'ottobre 1989 dedicato al tema dell'interpretazione dei dogmi, la COMMISSIONE TEOLO
GICA INTERNAZIONALE ha ricordato l'utilit di rinnovare e sviluppare la dottrina delle
note teologiche: EV 11/2749.
226
120
Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA
del teologo, nn. 15-17: EV 12/264-266.
DELLA FEDE,
227
2) Dichiarazioni definitive di verit connesse con la divina rivelazione: si hanno quando il magistero propone in modo definitivo
enunciati che, per quanto non contenuti nelle verit di fede, sono
tuttavia ad esse intimamente connessi, cos che il loro carattere definitivo deriva, in ultima analisi, dalla rivelazione medesima. In questo
caso la dottrina insegnata dev'essere accettata e fermamente ritenuta.
3) Dichiarazioni non definitive che conducono a una migliore
comprensione della divina rivelazione: si hanno quando, pur senza
giungere a una definizione infallibile o a una dichiarazione definitiva, sia il papa che i vescovi in comunione con lui, propongono un
insegnamento che conduce a una migliore comprensione della verit
circa la fede e la morale o mettono in guardia nei confronti di posizioni incompatibili con queste stesse verit. In questi casi richiesto
un ossequio religioso della volont e dell'intelletto, da non intendersi
in senso semplicemente esteriore bens nella logica dell'obbedienza
della fede.
4) Interventi prudenziali su questioni dibattute. Allo scopo di meglio servire il popolo di Dio il magistero interviene su talune questioni nelle quali, insieme con principi fermi, sono implicati elementi
congetturali e contingenti. In questi casi la regola generale quella
di una volont di ossequio religioso e leale, che non esclude l'impegno di chiarificazioni e di approfondimenti ulteriori da parte dei teologi, sempre, comunque, nel quadro della loro vocazione ecclesiale.
228
Capitolo sesto
LA CHIESA IN CAMMINO
VERSO LA TRINIT
Voluta dalla comunione trinitaria e consacrata nell'unit dal Padre mediante l'opera del Figlio e nella forza dello Spirito, la Chiesa
ha il compito di esprimere in s quell'unit donde ha avuto principio
per renderne partecipe il mondo intero. Per questo esiste la Chiesa.
Non per se stessa, ma per il mondo. Essa missionaria per sua natura, ossia per la sua origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito.1
LA SACRAMENTALIT DELLA CHIESA
Possiamo trovare qui l'avvio del gran decentramento della
Chiesa avviato ai nostri giorni dal concilio Vaticano II, indicato da
una breve formula che per alcuni aspetti ne caratterizza l'ecclesiologia: la Chiesa , in Ges Cristo, come un sacramento, cio segno e
strumento della salvezza universale dell'umanit. La Chiesa-sacramento una Chiesa estroversa.2
1. La Chiesa sacramento
L'espressione ha un duplice significato. Per un verso dice che,
nella sua struttura di visibilit-invisibilit, la Chiesa configurata a
AG 2: EV 1/1090.
L'espressione di S. DIANICH, Chiesa estroversa. Una ricerca sulla svolta dell'ec
clesiologia contemporanea, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1987. L'impiego in que
sto senso del tema della sacramentalit della Chiesa evidente dalle sue valutazioni
sulla teologia di K. Rahner (cf. 68-70). La qualit missionaria della sacramentalit
della Chiesa subito richiamata sin dall'inizio: Troviamo l'avvio di questa prospet
tiva in concilio quando la Lumen gentium definiva la Chiesa "come un sacramento"
collocandola cos in una posizione essenzialmente relativa a Dio e al destino del
mondo (12).
1
2
229
230
LG 48: EV 1/416.
sotto forma di strumento di salvezza con cui Dio, in maniera tangibile, offre ai singoli la sua salvezza, anche nella forma del sociale e
dello storico.4
Il Vaticano II, accogliendo l'intuizione di questi e di altri autori,
dir anch'esso che la Chiesa sacramento e porr la sua affermazione proprio nell'esordio della costituzione dogmatica Lumen gentium:
La Chiesa in Cristo come sacramento ossia segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unit di tutto il" genere umano.
Non questo l'unico brano nel quale il concilio Vaticano II ha
esposto la dottrina della sacramentalit della Chiesa.5 Certamente,
per, oltre a essere il pi noto e il pi ampio, questo quello che meglio pu essere impiegato come criterio interpretativo di tutti gli altri. Il termine sacramento qui inteso in un senso generalissimo,
come parola abbreviata per indicare la presenza, in forma storicamente sperimentabile, di una salvezza invisibile. Da questo punt di
vista si pu senz'altro ritenere che la nozione trova la sua perfetta attuazione in Cristo Ges. In lui, difatti, Figlio eterno fattosi uomo,
divenuta visibile la stessa essenza divina. Perci si dice di Cristo che
egli il sacramento originario e il sacramento primordiale per eccellenza. Con lui si concludono tutti i precedenti atti salvifici; pi ancora, tutti sono racchiusi e compresi in lui, sorgente di ogni salvezza.
Nessuna grazia giunge all'uomo che non provenga e che non si
debba ascrivere all'influsso dell'umanit del Salvatore. Per questo
egli per noi un vero sacramento. Tuttavia, dopo avere sofferto la
4
Cf. O. SEMMELROTH, La Chiesa come sacramento, D'Auria, Napoli 1965; ID., Il
nuovo popolo di Dio come sacramento di salvezza, in Mysterium Salutis, Queriniana,
Brescia 1972, VII, 347-437. E. SCHILLEBEECKX, Cristo sacramento dell'incontro con
Dio, Paoline, Roma 1968; K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede, Paoline, Alba
1977, 522-523; ID., Chiesa e sacramenti, Morcelliana, Brescia 1973.
5
A LG 1: EV1/284 si aggiungano, con terminologia esplicita, LG 9 e 48: EV1/
310. 416; SC 5: EV 1/7. Con citazioni interne cf. GS 42 e 45: EV 1/1451.1463; AG 1.5:
EV 1/1087.1096. Implicitamente la sacramentalit della Chiesa richiamata in LG
8.9: EV 1/304.309.310; UR 3: EV 1/506; AG 9: EV 1/1109. A commento della dottrina
del Vaticano II si vedano G. CANOBBIO, La Chiesa sacramento di salvezza, in divi
sta del clero italiano 73(1992), 342-359; W. KASPER, Teologia e Chiesa, Queriniana,
Brescia 1989, 247-334, in partic. 247-265; M. SEMERARO, La Chiesa, Sacramento di
Cristo e dello Spirito, in Lateranum n.s. 57(1991), 55-70; P. SMULDERS, La Chiesa sa
cramento di salvezza, in La Chiesa del Vaticano II, a cura di G. BARAONA, Vallecchi,
Firenze 1965, 363-386. Per la storia di questa nozione ecclesiologica e per una esposi
zione sistematica cf. A. ANTON, El msterio de la Iglesia. Evolucion de las ideas eclesologicas, BAC, Madrid 1987, II, 760-831; B. GHERARDINI, La Chiesa sacramento,
PUL-Citt Nuova, Roma 1976; Y. CONGAR, Un popolo messianico, Queriniana, Bre
scia 1976, 13-91.
231
passione ed essere risuscitato dai morti, Cristo entrato per sempre nella
gloria del Padre suo. Non pi visibile nella sua umanit storica, egli
comunica il suo Spirito agli uomini che credono in lui e li costituisce
misticamente come suo corpo.
Questo corpo la Chiesa, a Cristo conforme e somigliante per grazia
di assimilazione, sua epifania nel mondo e spazio diffusivo della sua
pienezza. In questo senso essa sacramento, proiezione nella storia
della sacramentalit fontale e originaria di Cristo. La Chiesa
sacramento perch dipende da Cristo, a lui conformata nel proprio essere
e chiamata ad agire come lui. Pi che gloria, grazia e missione, dono e
compito. La missione e il compito sono di oggi, la grazia e il dono le
sono anticipati come promessa. Prima di ottenerli stabilmente, infatti, la
Chiesa dovr essere pellegrina nel tempo, vivendo come visse Ges nei
giorni della sua vita terrena: sottomessa, cio, alle leggi dell'umano
divenire, della crescita e dello sviluppo, partecipe della kenosis del suo
esemplare e fondatore, signum levatimi in nationes al modo di Ges
crocifisso. Il concilio Vaticano II lo ha ricordato:
Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povert e le persecuzioni, cos pure la Chiesa chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Ges Cristo sussistendo
nella natura di Dio... spogli se stesso, prendendo la natura di un servo
(Fil 2,6-7) e per noi da ricco che egli era si fece povero (2Cor 8,9): cos
anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non costituita per cercare la gloria della terra,
bens per diffondere, anche col suo esempio, l'umilt e l'abnegazione.
Come Cristo infatti stato inviato dal Padre a dare la buona novella ai
poveri, a guarire quei che hanno il cuore contrito (Le 4,18), a cercare e
salvare ci che era perduto (Le 19,10): cos pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dall'umana debolezza, anzi riconosce
nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo Fondatore, povero e sofferente, si premura di sollevarne l'indigenza, e in loro intende servire a
Cristo.6
Si comprende, allora, perch la sacramentalit della Chiesa , prima
di ogni altra cosa, in funzione dell'intima unione dell'uomo con Dio.
Dirlo significa affermare anzitutto che la Chiesa in funzione di Cristo,
perch in lui Dio ha definitivamente incontrato l'uomo, onde renderlo
partecipe della natura divina. Condividere la vita divina del Figlio, che
ha assunto la nostra natura umana: questo
LG 8: EV 1/306. 232
233
8
S. DIANICH, Ecclesiologia. Questioni di metodo e una proposta, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 83; cf. Io., Chiesa estroversa, 66-77.
234
9
Cf. la comunicazione al Colloquio di Chevetogne del 1-5 settembre 1986 sulla
sacramentalit della Chiesa e la tradizione luterana, in Irnikon 59(1986), 482-507. In
chiave ecumenica di dialogo con la Riforma, cf. J.M.R. TILLARD, glise et Salut. Sur la
sacramentalit de l'glise, in Nouvelle Revue Thologique 106(1984), 658-685. Un
importante elemento di chiarificazione e un contributo di convergenza viene dal document
Chiesa e Giustificazione della COMMISSIONE CONGIUNTA CATTOLICA ROMANA -EVANGELICA
LUTERANA, approvato l'il settembre 1993 (cf. testo in EOec 3/1223-1538).
10
Cf. CONFERENZA EPISCOPALE TEDESCA, Catechismo cattolico degli adulti. La confessione
di fede della Chiesa, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1989, 282-283.
235
di una missione. Popolo messianico costituito da Cristo per una comunione di vita, di carit e di verit, la Chiesa da lui stesso assunta per
essere strumento di redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale
della terra (cf. Mt 5,13-16), inviata a tutto il mondo.11 Il mondo d cui
qui si parla
quello degli uomini, ossia l'intera famiglia umana nel contesto di quelle
realt entro le quali essa vive, il mondo che teatro della storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi suoi, delle sue sconfitte e delle sue
vittorie, il mondo che i cristiani credono creato e conservato in esistenza
dall'amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavit del
peccato, ma dal Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del maligno,
liberato e destinato, secondo il proposito divino a trasformarsi e a giungere al compimento.12
questo il mondo cui inviata la Chiesa: un mondo mai senza
l'uomo, popolato da uomini e donne divenuti peccatori e come sfuggevoli
alle mani di Dio mai, per, sottratti alla sua volont di redenzione.
Vivente in questo mondo e convocata da questo mondo, la Chiesa , per
questo mondo, strumento di universale salvezza. Collocata nel cuore del
mondo, la Chiesa vive e si presenta in Cristo come sacramento dell'unit
di tutto il genere umano, come piccolo gregge che pure un grande
ovile.13 Bench essa non comprenda tutti gli uomini, per tutti un germe
validissimo di unit, di speranza e di salvezza. Si ripete cos per la
Chiesa la legge che domina, in tutto e per tutto, la storia della salvezza e
che vede sempre la scelta di un popolo, di un Resto e, infine, di Uno, al
quale sia affidata la responsabilit del mondo intero: movimento dal
particolare all'universale, dai pochi ai molti. In questa legge storicosalvifica la storia del mondo legata alla storia, esaltante ma non poche
volte anche tragica, di questo popolo messianico, che ne porta il seme di
salvezza. Si tratta di un mistero che non pu essere giustificato n
spiegato, ma solo creduto.
Mistero della Chiesa, pi profondo ancora, se possibile pi "difficile a
credersi" del mistero di Cristo, come quest'ultimo era gi pi difficile a
credersi del mistero di Dio. Scandalo, non soltanto per i gentili o per gli
Cf. LG 9: EV 1/309.
GS 2: EV 1/1321.
Cf. un Inno della Dedicazione cit. da H. DE LUBAC, Meditazione sulla Chiesa, Jaca
Book, Milano 1979,23: Haec est cymba qua tufi vehimur/hic ovile quo tecti con-dimur.
11
13
236
14
52.
H. DE LUBAC, Cattolicismo. Gli aspetti sociali del dogma, Studium, Roma 1964,
15
Cf. T.L. WITTE, La Chiesa sacramentum unitatis del cosmo e del genere
umano, in La Chiesa del Vaticano II, a cura di BARANA, 490-521.
237
16
W. KASPER, Il ruolo soteriologico della Chiesa e i sacramenti della salvezza,
in Euntes Docete 41(1980), 399.
17
GS 40: EV 1/1444.
18
Cf. PAOLO VI, esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, nn.
30-31: EV 5/1622-1623; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, istruzione Li
bert cristiana e liberazione, 15 aprile 1986, n. 63: EV 10/280.
238
19
Cf. H. RAHNER, L'arca di No come nave della salvezza, in ID., L'ecclesiolo
gia dei Padri, Paoline, Roma 1971, 865-938.
20
Per la storia e il senso dell'assioma, cf. Y. CONGAR, La Santa Chiesa, Queriniana, Brescia 1967,385-399; G. CANOBBIO, Chiesa perch. Salvezza dell'umanit e me
diazione ecclesiale, Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1994; J. RATZINGER, // nuovo po
polo di Dio. Questioni ecclesiologiche, Queriniana, Brescia 1971, 365-389; F. SULLIVAN, Salvation outside the Church? Tracing the History ofthe Catholic Response, New
York 1992.
21
Cf. ORIGENE, In Iesu Nave, III, 5; PG 12,841-842, a commento dell'episodio di
Rahab nel libro di Giosu, e s. CIPRIANO, De cath. Eccl. unit., 6: PL 4, 519; Epist. 73,
21: PL 3, 1169.
239
averne avuto alcuna notizia, tutti concordavano nel ritenere che un suo
rifiuto non poteva che essere colpevole. La tendenza fu ulteriormente
rafforzata dalle discussioni antipelagiane sul peccato originale, che
sembravano fornire una risposta alla domanda su come mai Dio potesse
lasciare perire tante persone senza smentire la sua volont salvifica
universale.
Saranno queste convinzioni a fare s che s'imponesse l'espressione
rigorosa, esclusiva e severa dell'assioma. La si trova formulata da un
discepolo di sant'Agostino, Fulgenzio di Ruspe (437-532), in un testo
che avr forte influenza sulla teologia successiva e che sar ripreso alla
lettera dal concilio di Firenze del 1442:
Credi molto fermamente e non dubitare che non solo tutti gli uomini
che hanno l'uso della ragione, ma anche i bambini... che muoiono senza
avere ricevuto il battesimo, dovranno essere puniti con fuoco eterno
nell'eterno supplizio... non solo i pagani ma anche tutti i giudei e tutti gli
eretici e scismatici, che finiscono questa vita presente fuori della Chiesa
cattolica, andranno al fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi
angeli.22
In un orizzonte limitato sia geograficamente sia psicologicamente,
che ritiene coincidenti i limiti della cristianit e quelli del mondo, e nel
quale si presuppone come necessaria la colpevolezza di chi ancora non
ha accettato il vangelo, l'asserto riconduce alla responsabilit dell'uomo
la mancata salvezza, salvando cos l'universale volont salvifica di Dio.
La scoperta dei nuovi mondi nel XV secolo, per, e la conseguente
constatazione dell'esistenza di un vasto numero di popolazioni che non
solo mai avevano ascoltato il vangelo, ma che neppure mai erano state in
questa possibilit, contribu all'elaborazione di nuovi approcci e di nuove
interpretazioni. Tra i nomi di maggiore spicco in questo senso si
ricorderanno almeno quelli di F. de Vitoria, A. Vega e D. Soto, che
svilupparono il tema c\Vignoranza invincibile?1. Un'altra via di
soluzione fu seguita, nello stesso periodo, da san Roberto Bellarmino e
da F. Suarez, mediante l'introduzione del
22
FULGENZIO DI RUSPE, De fide ad Petrum 27, 68.38, 79: PL 65, 701.704. Per il
concilio di Firenze, cf. DS 1351.
23
II tema era gi stato introdotto da Alessandro di Hales. Ipotizzando il caso di
un bambino catturato dai saraceni e nell'impossibilit di essere istruito sulle verit
della fede, egli aveva affermato il principio: Se fa ci che pu (quod in se est), Dio lo
illuminer con una ispirazione nascosta, o tramite un angelo o tramite un uomo (5.
Th. II, 8,1). S. TOMMASO aveva ipotizzato analoga situazione per un uomo cresciuto
nella foresta e nutrito dagli animali (cf. De Ventate q. 14, a. 11 ad 1).
240
tema del battesimo di desiderio, di cui aveva parlato gi sant'Ambrogio nel suo discorso De obitu Valentiniani.24 Per ambedue, l'affermazione che nessuno si salva fuori della Chiesa era da intendersi riguardo a coloro che non appartengono ad essa n di fatto n in desiderio
(almeno implicito).
La Riforma protestante, con la sua forte accentuazione della corruzione dell'uomo e, nella versione calvinista, con la rigida teoria della
predestinazione, come pure il riflesso che tutto ci ebbe nella Chiesa
cattolica con il giansenismo, sembr frenare questa tendenza a una
maggiore apertura. I giansenisti, infatti, continuavano a sostenere le
posizioni tradizionali. Al contrario i teologi gesuiti, la cui famiglia
religiosa era fortemente impegnata nell'azione missionaria, sostenevano
che Dio non avrebbe mai negato, n mai negher a nessuno, la grazia
necessaria per la salvezza. Un appoggio a questa posizione venne da
Innocenzo X, che nel 1653 condann la tesi giansenista, secondo cui
sarebbe semipelagiano dire che Cristo mor o vers il sangue per tutti
gli uomini senza eccezione, 25 e da Clemente XI, che nel 1713 condann
la tesi di Quesnel, per il quale fuori della Chiesa non ci sarebbe dono di
grazia.26
I temi dell'ignoranza invincibile e del votum si troveranno ripresi in
epoca pi recente dal magistero della Chiesa. Anzitutto da Pio IX, il
quale, pure ribadendo fermamente, contro l'indifferentismo religioso e il
razionalismo del suo tempo, che la Chiesa l'unica arca della salvezza,
dichiarer che
con altrettanta sicurezza dobbiamo affermare che davanti agli occhi
del Signore non incorre in questa colpa di non essere entrato nella
Chiesa colui che vive nell'ignoranza invincibile della vera religione. 27
L'insegnamento riproposto da Pio XII nell'enciclica Mystici
corporis e da una lettera del 1949 all'arcivescovo di Boston dell'al-lora
sant'Uffizio.28
24
L'imperatore Valentiniano morto prima di ricevere il battesimo, sostiene s.
Ambrogio, doveva essere ritenuto salvato in forza del battesimo di desiderio: Non
habet ergo gratiam quam desideravit, non habet quam poposcit? Certe quia poposcit,
accepit. Quod si [cathecumeni] suo abluuntur sanguine, et hunc sua pietas abluit et
voluntas (PL 16, 1374-1375).
25
DS 2005.
26
Cf. DS 2429.
27
Pio IX, allocuzione Singulari quaderni del 9 dicembre 1854, ripresa e ampliata
dall'enciclica Quanto conficiamur moerore del 10 agosto 1863 (cf. DS 2867).
28
Cf. M. SEMERARO, Mystici Corporis. Dall'enciclica al Vaticano II, Vivere In,
Roma 1994, 28-31.
241
29
GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Redemptoris missio, 7 dicembre 1990, n.
9: EV 12/568.
30
LG 14: EV 1/322-324.
,
31
LG 16: EV 1/326.
32
Nel primo caso si tratta dei fedeli cattolici che vivono nella grazia, LG 14: EV
1/323; nel secondo, dei catecumeni e dei cristiani non cattolici, LG 15: EV 1/325.
242
gione. Esso non si esaurisce nel riconoscere che, come avverte Lumen gentium, la storia del popolo d'Israele e dell'alleanza costituisce
la prefigurazione della Chiesa. In realt gi lo sterminio (shoa) crudelmente perpetrato dalla barbarie nazista durante l'ultimo conflitto
mondiale aveva posto alla coscienza cristiana altre ineludibili domande. Per rispondervi un cattolico limpido come J. Maritain, sin
dal 1937, aveva parlato di un impossible antismitisme e individuato
nella questione ebraica un mistero di ordine teologico, della stessa
natura del mistero del mondo e del mistero della Chiesa.33
Come punto emblematico per l'avvio di una nuova fase di rapporti tra cristiani ed ebrei si assumono abitualmente i Dieci punti di
Seelisberg (5 agosto 1947), un testo che pu essere inteso come il rinnovato appello di san Paolo alle Chiese cristiane: Essi (gli ebrei)
sono amati a causa dei padri, perch i doni di Dio sono irrevocabili
(Rm 11,28-29). D'allora il dialogo ha compiuto, pur tra numerose
difficolt, molti passi.
L'intervento pi significativo della Chiesa cattolica si trova nel
lapidario paragrafo ad esso dedicato nel n. 4 della dichiarazione Nostra aetate. Il concilio, con riferimento a Rm 9,4-5, comincia col ricordare i molteplici vincoli che legano il popolo del Nuovo Testamento
con la stirpe di Abramo, donde soprattutto nato Cristo secondo la
carne. Procede, quindi, con l'annotare che dal popolo ebraico
sono nati gli apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e cos quei
moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il vangelo
di Cristo. Sempre con terminologia neotestamentaria il testo prosegue col dire che Gerusalemme non ha conosciuto il tempo quando
stata visitata (Le 19,44) e che, in gran parte, gli ebrei non hanno
accettato il vangelo, mentre non pochi si sono opposti alla sua diffusione.
Tuttavia secondo l'apostolo, gli ebrei, in grazia dei padri, rimangono
ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento. Con i profeti e con lo stesso apostolo la Chiesa attende il giorno
che solo Dio conosce in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con
una sola voce e "lo serviranno appoggiandosi spalla a spalla" (Sof 3,9).
33
Cf. i due saggi di J. MARITAIN, Il mistero d'Israele, in ID., Questioni di coscienza,
Vita e Pensiero, Milano 1980, 77-112 e in ID., Ragione e ragioni, Vita e Pensiero, Milano
1982, 162-179. Per una documentazione cf. L. SESTIERI - G. CERETI, Le Chiese cristiane e
l'ebraismo, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1983.
243
34
Cf. l'intero testo in EV1/861-868. la prima volta che la Chiesa fa propria in
forma pubblica la visione paolina del mistero di Israele, ha scritto J. OSTERREICHER
introducendo il suo commento alla dichiarazione (cf. Lexicon fiir Theologie und Kirche, XIII [Das zweite Vatikanische Ronzii, II], 406).
35
Dopo i richiami nel Vaticano II, cf. SEGRETARIATO PER L'UNIONE DEI CRISTIANI,
Orientamenti e suggerimenti per l'applicazione della dichiarazione Nostra aetate (n.
4), 1 dicembre 1974: EV 5/772-793; ID., Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella
catechesi della Chiesa cattolica, 24 giugno 1985: EV 9/1615-1658. Per tutti questi inter
venti cf. R. NEUDECKER, Chiesa cattolica e popolo ebraico, in Vaticano II. Bilancio e
prospettive venticinque anni dopo 1962/1987, a cura di R. LATOURELLE, Cittadella, As
sisi 1987, II, 1300-1334.
244
Non che Israele sia sostituito dalla Chiesa, oppure che Dio abbia
piantato un altro ulivo oltre a Israele; vi un solo ulivo, Israele, e in
questo ulivo la Chiesa innestata. I rami d'Israele potati dall'ulivo, alla
fine verranno nuovamente innestati (Rm 11,4), il che include senza
equivoco il fatto che questi rami nel frattempo vengono conservati e
non seccano, n vengono bruciati; proprio questo il punto da notare.
Se questo ulivo, con la sua radice porta la Chiesa..., la Chiesa stessa continua a vivere d'Israele e non pu fare a meno d'Israele se non vuole
seccare. Staccherebbe se stessa dal tronco e dalla radice, se si dimenticasse di Israele. 36
Dopo avere parlato del popolo ebreo, il concilio prosegue menzionando i musulmani, i quali, professando di tenere la fede di Abramo,
adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicher gli uomini
nel giorno finale, aggiungendo la menzione di coloro che cercano
sinceramente Dio e di quanti non sono ancora arrivati alla sua
conoscenza, ma si sforzano di condurre una vita retta. Per stabilire il
legame di ordinazione alla Chiesa per tutti costoro, il concilio ricorre
alla dottrina patristica della praeparatio evangelica di ci che di vero e di
positivo presente nella loro tradizione religiosa e all'affermazione
dell'importanza salvifica della loro onesta e sincera ricerca della verit.37
Analizzando le affermazioni conciliari possibile individuare alcuni
progressi compiuti. In primo luogo si vede che laddove in precedenza si
era presupposta la colpevolezza di quanti erano fuori della Chiesa, il
concilio sembra propendere verso la presunzione della loro innocenza.
Pi rilevante il fatto che il Vaticano II non risponde alla questione della
salvezza dei non cristiani procedendo a una dilatazione del concetto di
Chiesa, ma piuttosto operando una ridefinizione del mondo a partire dalla
volont salvifica di Dio. un mondo che Dio ha finalizzato a Ges
Cristo e pertanto riceve da questi un'oggettiva qualificazione ontologica,
un mondo per cos dire impregnato di volont di Dio. 38 Si tratta, qui,
dell'indicazione di un dato oggettivo, cui le persone possono aprirsi o
chiudersi con le loro scelte. Precisamente in questa prospettiva il concilio
riprende la dottrina dell'ignoranza invincibile, poich come afferma
sono esclusi dalla salvezza e non possono salvarsi soltanto quegli
uomini
36
F. MUSSNER, // popolo della promessa. Per il dialogo cristiano-ebraico, Citt Nuova,
Roma 1982,77-78. Sui modelli teologici circa i rapporti tra Israele e Chiesa cf. 79-81. Cf.
pure C. THOMA, Teologia cristiana dell'ebraismo, Marietti, Casale Monferrato (AL) 1983.
3)
Cf. EV 1/326.
38
KASPER, Il ruolo soteriologico della Chiesa, 411.
245
i quali, non ignorando che la Chiesa cattolica stata da Dio per mezzo di
Ges Cristo fondata come necessaria, non vorranno entrare in essa o in
essa perseverare. 39 Per quanti, invece, non ostacolano con le loro scelte
la volont salvifica di Dio, il concilio parla piuttosto di una nascosta
presenza di Dio in mezzo alle genti e di beni seminati nel cuore e nella
mente degli uomini, o nei riti particolari e nelle culture dei popoli, cui la
Chiesa adempiendo al mandato missionario si rivolge nella volont di
illuminarli con la luce del vangelo.40
La seconda novit si trova in un testo fondamentale della Gau-dium
et spes dove, al n. 22, si afferma che nel cuore di tutti gli uomini di
buona volont
lavora invisibilmente la grazia. Poich Cristo morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo effettivamente una sola, quella divina, noi
dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilit di venire
a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale.41
Giovanni Paolo II ha cos commentato:
L'universalit della salvezza non significa che essa accordata solo a
coloro che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella
Chiesa. Se destinata a tutti, la salvezza deve essere messa in concreto a
disposizione di tutti. Ma evidente che, oggi come in passato, molti uomini non hanno la possibilit di conoscere o di accettare la rivelazione
del vangelo, di entrare nella Chiesa. Essi vivono in condizioni socioculturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati in altre tradizioni religiose. Per essi la salvezza di Cristo accessibile in virt di una
grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in ssa, ma li illumina in modo adeguato alla loro
situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo,
frutto del suo sacrificio ed comunicata dallo Spirito Santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione.42
cos che il concilio risponde alla domanda di chi nella salvezza.
La ordinatio alla Chiesa non consiste in un tortuoso procedimento
mentale, per il quale si vedono immessi nella Chiesa tutti e a qualunque
costo, bens nel riconoscimento di un agire misterioso di
39
40
41
42
246
LG 14: EV 1/322.
Cf. AG 9: EV 1/1109.
EV 1/1389.
GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, n. 10: EV 12/569.
43
MASO:
II principio affermato da Pietro Lombardo e fu una guida anche per s. TOMDeus potentiam suam sacramentis non alligavit (cf. Sent. IV, d. 1, ce. 4-5).
247
J. Ratzinger. Ma la Chiesa c' appunto per questo: per essere universale sacramentum salutis, come sale che dona valore di salvezza a
tutto quanto di vero e di buono nel mondo.
Piuttosto che risultare un giudizio su quanti non sono nella
Chiesa l'assioma extra Ecclesiam nulla salus , dunque, un lieto messaggio per quanti sono nella Chiesa, perch non si ritengano dei privilegiati a buon prezzo ma dei responsabilizzati a caro prezzo: dalla
croce del Salvatore crocifisso e risorto scaturisce l'acqua nella quale
sono stati rigenerati e il sangue nel quale comunicano i credenti, attingendo la forza dello Spirito che spinge alla missione. Necessaria
per la salvezza di tutti gli uomini, la Chiesa presente nella storia
come lo spazio in cui si rende manifesta e attiva la volont salvifica
di Dio. Senza di essa il mondo non saprebbe fino a che punto e
quanto stato ed amato. Con essa invece notificato nel mondo il
mistero che era fin dal principio.
Senza la Chiesa non si avrebbe nella storia la certificazione che
Dio vuol condurre tutti gli uomini alla comunione con s... La
Chiesa nella storia il germe dell'unit di tutti gli uomini, che Dio ha
pensato come la meta verso la quale tutti, pur in forme diverse, sono
incamminati, ma che non si potrebbe conoscere se la Chiesa non ci
fosse.44 Sembrerebbe troppo poco, ma per potere essere la salvezza di tutti, non necessario che la Chiesa si identifichi anche
esternamente con tutti. La sua essenza piuttosto radicata nella sequela di quell'Uno, che ha preso l'umanit intera sulle sue spalle; la
sua essenza consiste nell'essere la schiera dei pochi, tramite i quali
Dio vuole salvare i molti. La Chiesa non tutto ma esiste per tutti.45
Consapevole di ci, la Chiesa procede nel mondo come sacramento universale di salvezza. Impegnata nella missione, essa attua
cos la sua propria sacramentalit. A proposito dell'attivit missionaria, infatti, il concilio ha ripetuto le parole gi dette riguardo alla sacramentalit della Chiesa, e cio che essa non n pi n meno che
la manifestazione, cio l'epifania e la realizzazione, del piano divino
nel mondo e nella storia.46 Epifania e manifestazione non sono diversi da segno e strumento; la salvezza, d'altra parte, non che la
44
CANOBBIO, Chiesa perch, 183-185. Vi nel mondo una realt la quale rappre
senta il dono che Dio ha destinato al mondo per salvarlo, cio farlo pervenire alla co
munione di vita con lui: Ges Cristo... morto e risuscitato per noi, maestro di verit il
quale ha affidato alla Chiesa, sua sposa e suo corpo, il deposito della parola e dei sa
cramenti che salvano: Y. CONGAR, Vaste monde, ma paroisse. Vrits et dimension du
Salut, Tmoignage Chrtien, s.l. (ma Paris 1959), 110-113; cf. pure ID., Cette glise que
j'aime, du Cerf, Paris 1968, 41-63.
45
RATZINGER, // nuovo popolo, 387.
46
AG 9: EV 1/1109.
248
47
Per una teologia della missione si rinvia a opere specifiche, come S. DIANICH,
Chiesa in missione. Per una ecclesiologia dinamica, Paoline, Cinisello Balsamo (MI)
1985; G. COLZANI, Teologia della missione. Vivere la fede donandola, Messaggero, Pa
dova 1996.
48
GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica Christifideles laici, 30 dicembre
1988, n. 32: EV 11/1742.
49
Citazione di Metodio d'Olimpio, in DE LUBAC, Cattolicismo, 206.
50
In una prospettiva misterica cf. B. FORTE, Maria, la donna icona del Mistero.
Saggio di mariologia simbolico-narrativa, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1989, in
particolare 183-188. Un classico da ritenersi M. THURIAN, Maria madre del Signore
immagine della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1980.
249
mariologia contemporanea chiamata a muoversi: La beata Vergine Maria, Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa.51 Qui
troviamo proclamata anzitutto la prerogativa pi alta di Maria, il suo
essere Theotokos, secondo l'espressione unanime della Chiesa sin
dal concilio di Efeso del 431. Bench unica nella sua vocazione, perch chiamata a realizzare in s la pi intima partecipazione all'umanit salvifica del Figlio di Dio quale sua vera Madre, Maria non
per un'isolata. Ella vive, piuttosto, nel mistero di Cristo, e della
Chiesa, trovando cos nell'unico Cristo totale il proprio posto di
membro sovreminente e singolarissimo, sua figura (typus) e modello eccellentissimo nella fede e nella carit.52
Con il suo intervento, il pi ampio che sino ad allora un concilio
aveva dedicato alla Vergine, il Vaticano II volle saldare in unit le
due correnti che ivi erano confluite: quella tradizionale, per un
verso, che insisteva sul legame di Maria con Cristo e quella innovatrice, per l'altro, che tendeva a lumeggiare in lei il ruolo di tipo e di
modello della Chiesa. La prima di queste due tendenze si era imposta fin da quando la mariologia aveva assunto, nell'ambito della teologia sistematica, il carattere di un trattato a s stante. Qui aveva
prodotto i suoi frutti migliori nell'additare la Vergine santa come associata in maniera indissolubile al suo Figlio. Non forse cos che la
conosce il quarto Vangelo che, mai chiamandola per nome, la indica
sempre come la Madre di Ges? Ma, come spesso accade quando
si vuole rimarcare un aspetto, non furono assenti le esagerazioni, soprattutto quando si vollero adoperare espressioni tali da compromettere, anche se non nelle intenzioni, l'unicit di Cristo mediatore.
Riguardo alla seconda tendenza, se ne pu trovare un'egregia
esposizione e una diffusa fondazione patristica in un elaborato capitolo che ad essa ha dedicato H. De Lubac,53 mostrando come la
51
Per un commento al e. Vili della costituzione sulla Chiesa, cf. S. DE FIORES,
Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa. Commento al capitolo mariano del concilio
Vaticano II, Ed. Monfortane, Roma 1984; per una vasta panoramica della mariologia
nel nostro secolo, nella sua evoluzione e nel suo rapporto con la cultura, cf. ID., Maria
nella teologia contemporanea, Centro di cultura mariana Madre della Chiesa, Roma
1991 e Maria madre di Ges. Sintesi storico salvifica, EDB, Bologna 1992. Sulla ma
riologia contemporanea cf. pure Theotokos 1(1993)1 dedicato a La mariologia in Ita
lia nel XX secolo e M. SEMERARO, 1948-1990. Rassegna critica dei pi recenti trat
tati di mariologia, in La mariologia nell'organizzazione delle discipline teologiche.
Collocazione e metodo. Atti dell'ottavo Simposio Internazionale Mariologico (Roma
2-4 ottobre 1990), a cura di E. PERETTO, Ediz. Marianum, Roma 1992, 257-268.
52
LG 53: EV 1/427.
53
Cf. H. DE LUBAC, Meditazione sulla Chiesa, Jaca Book, Milano 1979, 221-265.
Sul rapporto di Maria con la Chiesa cf. ACADEMIA MARIANA INTERNATIONALIS, Maria
et Ecclesia. Ada Congressus mariologici-mariani in civitate Lourdes anno 1958 cele
brati, 6 voli., Academia Mariana Internationalis, Roma 1959-1969; ID., Maria e la
250
Chiesa abbia in Maria il suo tipo e il suo esemplare, il suo punto d'origine e il suo traguardo di perfezione. Questa tendenza, gi indicata
come innovatrice, ha invece origini molto antiche. Se il concilio ha
ricordato un testo di sant'Ambrogio, altri e in gran numero se ne potrebbero elencare. Anzi E. Testa ha dimostrato che la dottrina in cui
s'identifica Maria con la Chiesa gi presente nel giudeo-cristianesimo.
Egli cita al riguardo il Discorso di san Barsaba su Cristo e le Chiese, in
cui detto che Maria la terra pura da cui stato plasmato l'uomo,
fertile di grano e di vino a partire dai quali sono costituiti Cristo e la
Chiesa. 54 sufficiente aggiungere il seguente brano di Isacco della
Stella, che riprende vigorosamente idee da lungo tempo presenti nella
coscienza di fede della Chiesa:
Testa e corpo: un solo Tutto, il Cristo unico. Di un Dio solo in cielo, e
sulla terra di una Madre unica. Molti figli e tuttavia uno solo. E proprio
come testa e membra sono un solo Figlio e pi di uno, cos Maria e la
Chiesa sono una sola madre e pi di una, una sola vergine e pi di
una. 55
Dalla sintesi conciliare non poteva che emergere una forte spinta per
il rinnovamento della teologia e del culto mariano, poi chiaramente
enucleata da Paolo VI nell'esortazione apostolica Marialis cultus, con
l'indicazione delle note trinitaria, cristologica ed ecclesiale e degli
orientamenti biblico, liturgico, ecumenico e antropologico del culto
mariano medesimo.56 Alla beata Vergine Maria nella vita della Chiesa in
cammino Giovanni Paolo II ha poi dedicato una lettera enciclica,
proponendo un'articolata riflessione sul significato che ha Maria nel
mistero di Cristo e sulla sua presenza attiva ed esemplare nella vita della
Chiesa.57
1. Maria de Trinitate
L'altissima dignit di questa Donna stata condensata dalla costituzione Lumen gentium nei tre titoli di Madre del Figlio di Dio, fi-
Chiesa oggi. Atti del quinto Simposio Mariologico Internazionale (Roma, ottobre 1984),
Marianum-EDB, Roma-Bologna 1985.
54
Cit. da E. TESTA, La fede della Chiesa madre di Gerusalemme, Dehoniane,
Roma 1995, 139.
55
Sermo 51 in Assumpt. B.M.: PL 171,1863. Per una raccolta di testi, cf. H. COATHALEM, Le paralllisme entre la sainte Vierge et l'glise. Dans la tradition latine jusqu' la fin du XII sicle, PUG, Romae 1954.
56
Cf. PAOLO VI, esortazione apostolica Marialis cultus, 2 febbraio 1974, nn.
25-39: EV 5/51-70.
57
Cf. GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Redemptoris Mater, 25 marzo 1987:
EV 10/1272-1421. A commento, con l'indicazione di bibliografia, cf. M. SEMERARO, Il
251
glia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo. Ella infatti
coinvolta nell'originario piano salvifico del Padre come la praedestinata Mater del Figlio di Dio e Redentore degli uomini. Maria
quindi adombrata dallo Spirito per diventare la Deipara, la santa
Genitrice di Dio. Cos, nata dalla mente del Padre per Cristo e in
Cristo, ella appare nella storia come la generosa Socia, la generosa
Compagna del Signore Ges.58
In questa partecipazione al mistero della Trinit gi attuata nel
mistero della Vergine Madre la nascita della Chiesa dalla stessa ineffabile e dolce unit del Padre col Figlio nello Spirito Santo. La costituzione conciliare possiede per questo un'espressione lapidaria, che
pu valere come cifra per indicare il legame che congiunge la santa
Vergine al popolo di Dio, come sua figura e modello nell'ordine
della fede, della carit e della perfetta unione con Cristo: come suo
membro eccellente e come sua Madre, in mysterio Ecclesiae Maria
praecessit, nel mistero della Chiesa Maria andata innanzi.59 La
Chiesa della Trinit e dalla Trinit inizia con Maria. Nella Madre di
Dio la Chiesa gi scende dalle altezze di Dio e inizia il suo cammino
per i sentieri degli uomini. In lei, assunta nella gloria dei cieli, la
Chiesa comincia gi a completare il suo cammino di ritorno al Dio
che l'ha voluta sin dal principio.
Nell'impianto della costituzione sulla Chiesa possibile ravvisare come un filo rosso di collegamento, quasi due stupende arcate
che sostengono il cammino della Chiesa pellegrina sulla terra: quella
che, partendo dal secondo capitolo sul popolo di Dio, termina col
penultimo che tratta dell'indole escatologica della Chiesa, e l'altra
arcata che, innalzandosi dal primo capitolo sul mistero della Chiesa,
raggiunge l'ottavo e ultimo capitolo mariano, che illustra il mistero
di Colei che praecessit il destino del popolo della nuova alleanza.
Se la Chiesa vuole ritrovarsi e vedersi deve guardare a Maria.
Ella precede la Chiesa come Vergine, poich in lei il popolo dei redenti ha cominciato a esprimere intatta la sua fede, a conservare solida la speranza e a vivere la sincera carit.60 Ella stessa precede la
Chiesa come predestinata Madre nel concepimento verginale del
Verbo del Padre. Si leggano, al riguardo, queste parole di san Leone
Magno:
cammino di Maria nel cammino della Chiesa. Dalla Lumen Gentium alla Redemp-toris
Mater, in Rivista di Scienze Religiose 1(1987), 233-256.
58
Cf. LG 61: EV 1/435.
59
LG 63: EV 1/439.
60
LG 64: EV 1/440. Gi S. TOMMASO D'AQUINO sottolineava che il s di Maria,
formulato nell'obbedienza della fede e nell'espansione della sua carit, espresso
loco totius humanae naturae (S. Th. Ili, 30, 1).
252
L'origine che Cristo ha preso nel grembo della Vergine, l'ha posta nel
fonte battesimale; ha dato all'acqua quel che aveva dato alla Madre; difatti la virt dell'Altissimo e l'adombramento dello Spirito Santo che
fece s che Maria desse alla luce il Salvatore, fa anche s che l'acqua rigeneri il credente.61
Maria, infine, precede la Chiesa nella sua assunzione in anima e
corpo alla celeste gloria, mostrando, quale loro icona escatologica, quel
che saranno tutti gli altri membri della Chiesa, quando appariranno con
Cristo nella gloria, simili a Dio perch lo contempleranno quale egli .62
Cos, nella persona di Maria che precede sono congiunti i due misteri
della Trinit e della santa Chiesa.
Il legame che congiunge la santa Madre di Dio al mistero della
Trinit ,cme contenuto e portato dalla Parola della rivelazione: Lo
Spirito Santo scender su di te, su te stender la sua ombra la potenza
Tdell'Altissimo (Le 1,35). Il Padre, nell'annuncio angelico, si rivolge a
Maria e le invia l'Evangelo dell'inaugurazione della pienezza dei tempi.63
Se la sacra Scrittura nella sua interezza come un chirographum divino,
un manoscritto di Dio e una lettera inviata da quella citt rispetto alla
quale noi siamo pellegrini,64 l'annuncio a Maria somiglia, secondo una
poetica espressione di sant'Efrem, a una dichiarazione d'amore del Padre
alla sua sposa: Pater scripserat epistolam per manum angeli eamque in
Nazaret misti ad Virginem Mariam ut Ma fieret Mater Unigenito suo
discendenti ad salvandum mundum.65 Appare qui un'idea non estranea
alla patristica, che cio, nella sua concezione verginale, Maria sia
divenuta la sposa del Padre cui si applica il Salmo 45: Ascolta, figlia,
guarda, porgi l'orecchio, dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre; al
Re piacer la tua bellezza (vv. 11-12). Cos anche Crisippo di
Gerusalemme, nel V secolo, richiamer l'attenzione sul Padre come
Sposo di Maria e sullo Spirito Santo come l'Amico che prepara tutto
quanto occorre per il rito nuziale. Il Figlio, poi, colui che assume e fa
propria la castit di Maria, di quel nuovo tempio che la sua stessa
Madre.66
61
253
67
Cf. A. SERRA, Aspetti mariologici della pneumatologia di Le 1,35, in Maria e lo
Spirito Santo. Atti del quarto Simposio Marologico Internazionale (Roma, ottobre
1982), EM-EDB, Roma-Bologna 1984,167. Sul rapporto Maria-Spirito Santo, oltre al
l'intero volume citato, cf. pure A. LANGELLA, Maria e lo Spirito, D Auria, Napoli 1993.
68
SERRA, Aspetti mariologici, 188; H. CHAVANNES, La Vierge Marie et le don
du cceur nouveau, in tudes Mariales 27(1970), 73-93.
69
Cf. PROCLO DI COSTANTINOPOLI, Oratio VI,17: PG 65,758, che usa l'espressione
katalyma della Trinit (cf. ISam 7,6; Le 2,7; 22,11). Cos anche ESICHIO DI GERUSA
LEMME, Sermo V de sancta Maria: PG 93,1466: Pater hospitabatur apud te, et Spiritus
Sanctus obumbrat, et assumpta carne Unigenitus ex te nascitur... Spiritus Sanctus adveniebat atque hospitabatur et Pater obumbrat, et Filius utero gestatus inhabitabat.
In questo testo le operazioni divine nei riguardi della Vergine sono interscambiabili.
70
Tutte queste espressioni sono di ILDEFONSO DI TOLEDO (?), Libellus de corona
Virginis: PL 96, 301-302. Cf. pure ADAMO DI S. VITTORE, sequenza Salve Mater Salvatoris, str. XIX: Salve Mater pietatis / Et totius Trinitatis / Nobile triclinium, in H.
SPITZMULLER, Carmina sacra Medii Aevi, Descle de Brouwer, Bruges 1971, 630. An
cora di ILDEFONSO sul rapporto Maria-Chiesa, cf. Sermo I de Assumpt. Beatae Virginis:
PL 96, 250.
71
Cf. s. BERNARDO, In laud. Virginis Matris, hom. IV, tr. it. Lodi della Vergine
Madre, a cura di D. TURCO con introd. di M. SEMERARO, Vivere In, Trani 1984,19. Per
ulteriori testimonianze cf. G. BITTREMIEUX, De relationibus Beatae Virginis ad personas Sanctissimae Trinitatis, in Divus Thomas (pi.) 37(1934), 549-568; D. SCARA
MUZZA "Totius Trinitatis nobile triclinium". Maria e la Trinit, in Rivista di Scienze
Religiose 1(1987), 257-291.
254
72
S. PIER CRISOLOGO, De nativ. Domini, in Enchirdion Marianum, 1272. Ugual
mente s. MASSIMO DI TORINO, Homil. V: PL 57, 236; PROCLO DI COSTANTINOPOLI, Oratio VI: PG 65,758 e CIRILLO ALESSANDRINO, Hom. IV: PG 77.991 a lui attribuita per la
conclusione del concilio di Efeso.
73
LG 69: EV 1/445.
74
DV 2: EV 1/873.
255
dro della vita terrena di Maria, implorante con le sue preghiere il dono
del medesimo Spirito che gi l'aveva adombrata nell'annunciazione, il
concilio ribadisce: Essendo piaciuto a Dio....75 La missione globale
della Vergine e ogni singolo momento della sua esistenza sono cos
collegati alla benevolenza del Padre. Maria infatti posta al vertice di
quel popolo che Dio scelse per s, col quale stabil l'alleanza e che volle
gradualmente ammaestrare. Tra gli umili e i poveri del Signore, che
attendono con fiducia il Signore e ricevono da lui la salvezza, ipsa
praecellit: Maria primeggia rivelando, nel vivo della sua esperienza di
fede, il vero volto di Dio che guarda agli umili, che espande la sua
misericordia di generazione in generazione e il cui nome santo (cf. Le
1,46-55).
Maria riflette nella sua persona il mistero del Padre. La sua maternit, cos singolare sia nei riguardi di Cristo sia nei riguardi della
Chiesa, dev'essere vista come una partecipazione alla paternit stessa di
Dio (cf. Ef 3,15). Maria ha tanto imparato dal Padre da avere poi sulle
proprie labbra le medesime parole. quanto sostengono oggi molti
studiosi del testo biblico quando, commentando l'episodio delle nozze di
Cana, lo collegano alla grande teofania del Sinai e al dono della legge. Il
nesso tra i due racconti si coglie soprattutto quando si pone attenzione
alle parole pronunciate dalla Madre di Ges ai servi del convito nuziale:
Fate quello che vi dir (Gv 2,5). Sono le stesse parole con le quali
Israele s'impegn di fronte a Dio: Quanto il Signore ha detto, noi lo
faremo (Es 19,8). Paolo VI ha colto un tale richiamo commentando:
Le parole che ella rivolse ai servitori delle nozze di Cana... (sono) in
apparenza limitate al desiderio di porre rimedio a un disagio conviviale,
ma, nella prospettiva del quarto Vangelo, sono come una voce in cui
sembra riecheggiare la formula usata dal popolo di Israele per sancire
l'alleanza sinaitica o per rinnovarne gli impegni. 76
Ma pi ancora ed sempre Paolo VI a ricordarlo le parole di
Maria si accordano con la voce del Padre nel mistero della Trasfigurazione, in riferimento a Ges: Ascoltatelo (Mt 17,3). Se dunque
vero che Maria fu fedele discepola di Ges avendolo seguito
nell'itinerario della sua vita pubblica, ascoltato nella sua predicazione e
avendone raccolte le parole,77 vero pure che, portando nel
75
LG 59: EV 1/433.
PAOLO VI, Marialis cultus, n. 57: EV 5/95. Cf. A. SERRA, Maria a Cana e sotto la croce,
Centro di cultura mariana, Roma 1985. 77 LG 58: EV 1/432: suscepit verba.
16
256
mistero della propria maternit la grazia di Dio apportatrice di salvezza per tutti gli uomini (Tt 2,11), ella fu colei che ascolt le parole
del Padre e, avendole imparate, fu la prima a metterle in pratica e a
ripeterle.
Quanto al rapporto tra Maria e Cristo sarebbe quasi superfluo
parlarne poich nella Vergine tutto relativo a Cristo e tutto da lui
dipende.78 La presenza di Maria nella storia voluta dal Padre con
l'unico atto col quale volle l'incarnazione del Figlio e la sua nascita
come vero uomo. Per questo di Maria si detto che appartiene all'ordine ipostatico. In ragione dei meriti del Figlio Redentore ella
redenta in modo sublime e a lui unita da uno stretto e indissolubile
vincolo, insignita del sommo ufficio e dignit di Madre del Figlio di
Dio.79 Le opere, i comportamenti e i pensieri di Maria, sono tutti visti
da Lumen gentium n. 57 nella prospettiva della coniuncto col Figlio
suo. Di lui Maria rimane sempre l'alma madre, la generosa compagna
e l'umile ancella.
Nella sua relazione con lo Spirito Santo, infine, Maria dal concilio chiamata il suo sacrarum e quasi a Spiritu Sanato plasmatam
novamque creaturam formatam.so Invocata come tempio dello Spirito, ella il tipo sia di ogni cristiano, chiamato a diventare abitazione dello stesso Spirito, sia della Chiesa tutta, anch'essa, come Maria e gi in Maria, tempio dello Spirito Santo. A chi, infatti, se non
anzitutto a lei, potranno applicarsi le parole di Paolo: Lo Spirito di
Dio abita in voi (cf. Rm 8,9-11)? Nel mistero dell'annunciazione lo
Spirito ricopre Maria con la sua ombra, cos come la nube aveva coperto la tenda del convegno e la gloria di JHWH aveva riempito la
dimora (cf. Es 40,34-35). Ma se in questo l'annuncio dell'angelo pose
la maternit di Maria come adempimento rispetto al passato, il medesimo annuncio la rese profezia rispetto al futuro. L'annunciazione
la pentecoste della Chiesa anticipata in Maria: a questa, come a
quella, seguiranno misteri di espansione missionaria e di comunicazioni carismatiche.81 Una preghiera di san Francesco d'Assisi potr
servire come sintesi della considerazione del rapporto di Maria con
la Trinit santa:
78
PAOLO VI, Marialis cultus, n. 25: EV 5/51. " TO
LG 53: EV 1/427; cf. DS 2803.
80
LG 56, cf. n. 53: EV 1/430.427.
81
Cf. S. DE FIORES, voce Trinit (e Maria), in Piccolo Dizionario Mariano,
Ediz. dell'Immacolata-Monfortane, Roma 1981, 311; A. SERRA, "LO Spirito santo
scender su di te...". Aspetti mariologici della pneumatologia di Le l,35a, in ID., E
c'era la Madre di Ges. Saggi di esegesi biblico-mariana (1978-1988), CENS-Marianum, Milano-Roma 1989, 44-92.
257
82
Citata da O. VAN ASSELDONK, Maria sposa dello Spirito Santo in S. Francesco
d'Assisi, in Credo in Spiritimi Sanctum, Libreria Editrice Vaticana,Vatican City 1983, II,
1126.
258
dere l'arca nelle viscere della terra fino al tempo della riedificazione
di Gerusalemme. Difatti il giudaismo nutrir sempre la speranza di
una sua riapparizione alla fine dei tempi e Rabbi Eleazaro ben Pedat
(f 279) dir che l'arca era destinata a sopravvivere sino al mondo
futuro. Questa speranza sar raccolta dall'Apocalisse cristiana: Allora si apr il santuario nel cielo e apparve nel santuario l'arca dell'alleanza (Ap 11,19). Questa, in breve, la tradizione dell'arca.
In coerenza con queste tradizioni alcuni esegeti hanno ritenuto
giusto di ravvicinare il racconto della visita di Maria a Elisabetta alla
narrazione veterotestamentaria della traslazione dell'arca al tempo
di Davide (cf. 2Sam 6,2-11). Non mancano, infatti, i parallelismi: medesima la regione, quella di Giuda; analoghi sono i segni della gioia
e dell'esultanza; simili le esclamazioni di Davide e di Elisabetta: A
che debbo che la Madre del mio Signore venga a me? (Le 1,43; cf.
2Sam 6,9); simile il periodo di permanenza di circa tre mesi, dell'arca
nella casa di Obed-Edom e di Maria in quella di Elisabetta. Sembra,
dunque, che l'evangelista, facendo uso dell'espediente letterario del
midrash, abbia davvero voluto mostrare in Maria l'arca della nuova
alleanza.
Il parallelismo tra le due narrazioni vorrebbe mettere in evidenza il fatto che la Vergine Madre la dimora itinerante di Dio,
portatrice di grazia, di gioia, di speranza, di benedizione; il segno
efficace della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, il luogo ove
si realizza la visita escatologica di Dio agli uomini.83 Divenuta, dal
momento dell'incarnazione del Figlio di Dio nel suo grembo, l'arca
dei tempi nuovi, Maria si trasforma nella prima missionaria e nella
prima cristofora. In questo ella anticipo e figura della Chiesa, che
diverr tale anch'essa in forza dell'azione dello Spirito: la Chiesa
spinta dallo Spirito Santo a cooperare perch sia eseguito il piano di
Dio, il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo
intero.84
83
La tesi dell'identificazione di Maria con l'arca, proposta da E. BURROWS, The
Gospel ofthe Infancy and other Biblical Essay, London 1940, 47-48, ripresa da altri
esegeti, tra cui A. SERRA, Mistero dell'arca: da Mos a Maria, in La Bibbia per la fa
miglia. Esodo, Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1993, 327-329; ID., Dimensioni ma
riane del mistero pasquale. Con Maria, dalla Pasqua all'Assunta, Paoline, Milano
1995,101-111. La liturgia dell'Assunta sceglie come lettura biblica anche quella di Ap
includendovi il testo di 11,19. Quantunque non sia ovviamente questa l'intenzione
dell'agiografo, la scelta suggerisce anch'essa l'idea che Maria l'arca della nuova al
leanza; lo stesso punto di vista implicato nella scelta di lCr 15,3-4.15-15; 16,1-2 per la
messa della vigilia.
84
LG 17: EV 1/327.
259
Quando Maria avr dato al mondo il Messia, a causa della sua maternit rester la figura della Chiesa, ma il simbolismo del tempio nuovo
indicher allora il Cristo stesso, il cristiano. Il corpo fisico di Cristo, poi
il suo corpo mistico, la Chiesa, e infine il corpo del fedele, membro della
Chiesa, corpo di Cristo, saranno, volta per volta, designati come la
nuova dimora di Dio... Maria compendio della Chiesa, figlia di Sion e
dimora di Dio nel giorno dell'incarnazione, riprender il suo posto nel
seno del popolo di Dio, e, dopo essere stata arca di alleanza per portare
fisicamente il Figlio di Dio, essa sar, come membro del corpo mistico di
questo Figlio, la Chiesa, la dimora di Dio che lo porta spiritualmente nel
suo cuore. Ma, a causa della sua vocazione unica di Madre di Dio, essa
rester la figura privilegiata della Chiesa, simbolo di una maternit verginale che la Chiesa dovr continuamente rivivere nel suo ministero di
madre dei fedeli.85
85
260
uno con Ges. Il cammino di Maria termina iuxta crucem, presso la croce
(cf. Gv 19,25).
Il suo fermarsi coincide con il concludersi del cammino terreno di
Ges poich il traguardo dell'ora, quello annunciato a Cana di Galilea,
stato ormai raggiunto. Pu, dunque, avere inizio un altro cammino, il
movimento della raccolta dei dispersi figli di Dio (cf. Gv 11,52) attirati
da Cristo, il buon pastore che d la vita per il suo gregge (cf. Gv 12,32;
10,15). Ferma sotto la croce, Maria , secondo un'interpretazione
esegetica molto accreditata, la personificazione della Gerusalemmemadre (Ecco la tua madre!), che vede tornare a s i figli dispersi che
Dio raduna.86
Il cammino esteriore della Madre, alla sequela del Pastore-Figlio che
raccoglie Israele, la figura di un altro cammino, interiore questa volta;
il farsi storia e scelta quotidiana di una pi profonda peregrinazione,
quella della fede. Ricorda il concilio:
Cos anche la beata Vergine avanz nella peregrinazione della fede (in
peregrinatione fidei processit) e serb fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce dove, non senza un disegno divino, se ne stette (stetti) soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con
animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente alla immolazione della vittima da lei generata.87
La fede di Maria, vissuta come peregrinano fidei, la fede della
discendente di Abramo. Anch'egli, infatti, aveva camminato nella fede,
cercando quel Dio che gli aveva parlato, lo aveva chiamato, lo aveva
indirizzato con il suo invito e gli aveva donato un figlio.
Le corrispondenze tra la fede di Maria e la fede di Abramo non sono
poche. Come il capostipite del popolo eletto, anche Maria accolse la
promessa di Dio e nella sua fede concep il capo del nuovo popolo.
Proclamatasi Serva del Signore, anch'ella si mise in viaggio dopo
avere fruttificato nel dono di una discendenza. Come Abramo anche
Maria fu provata nella fede e nella speranza accanto al suo Figlio; come
Abramo, credette e sper contro ogni speranza, s da divenire Madre dei
nuovi credenti.e madre di ogni umano consenso.
Offrendo l'obbedienza della sua fede, Abramo aveva portato nei suoi
lombi tutto Israele, dando l'avvio a un succedersi di benedizioni
86
Cf. I. DE LA POTTERIE, La maternit spirituale di Maria e la fondazione della
Chiesa (Gv 19,25-27), in ID., Ges Verit. Studi di cristologia giovannea, Marietti,
Torino 1973,158-164; A. SERRA, Maria, segno operante di unit dei "dispersi figli d
Dio" (Giov 11,52), in ID., E c'era la Madre di Ges, 285-321.
87
LG 58: EV 1/432.
261
che giunge a Maria. Maria, per sua parte, pronunciando il suo fiat
realizz una nuova concentrazione di Israele e dell'umanit, in
modo che alla personificazione originale di Israele succedette la sua
personificazione escatologica.
La vita di fede di Maria fu, cos, un cammino verso Qualcuno; fu
crescita costante articolata nei tre atti che il Vaticano II indica come
fideliter sustinere, vehementer condolere e amanter consentire. Cio:
conservando fedelmente l'unione col Figlio che aveva portato nel
grembo e presentato agli uomini; partecipando totalmente, in pienezza di cuore generoso, all'offerta di s vissuta dal Figlio; ripetendo
costantemente nel proprio cuore l'assenso che la univa a Dio con lo
slancio del primo dono.
Dopo essere vissuta sulla terra e avere indicato alla Chiesa la peregrinatio fidei, la Santa Vergine, terminato il suo cammino terreno,
abita ora la citt celeste e vive la beatitudine nella pienezza della sua
umanit glorificata. La prima e la perfetta discepola di Cristo, la sua
seguace pi amorosa e fedele vede realizzata, nella totalit del suo
essere Donna, Vergine e Madre, la promessa rivolta a tutti coloro
che seguono Cristo (cf. ICor 15,20-21). Nel giorno del Signore,
giorno senza fine, e nella terra del riposo (cf. Eb 34) Maria gi
quello che la Chiesa sar quando verr la fine. Nel riposo del settimo giorno per il popolo di Dio (Eb 4,9), per noi ancora riservato,
Maria ha gi fatto il suo ingresso come prima cittadina tra i santi,
prima al seguito della primizia che Cristo risorto. In questa terra
nuova Maria abita come icona escatologica della Chiesa, come
Donna nella quale il Padre rivela il compimento del suo mistero di
salvezza e che risplende innanzi al popolo ancora pellegrino sulla
terra come segno di consolazione e di sicura speranza.
L'arca della nuova alleanza ha, dunque, concluso il suo percorso
terreno e ora vivente nel santuario del cielo^ immersa nella pienezza del suo essere personale nella beata visione di quella Trinit,
dalla quale scaturita. Dopo avere camminato sulla terra come
donna portante nel proprio mistero la salvezza per tutto il genere
umano e avere nutrito il mondo generando per esso l'unico Salvatore; dopo avere camminato col suo Figlio e raggiunto insieme con
lui la meta dell'ora; dopo avere vissuto sul Calvario le doglie di un
nuovo parto, Maria mostra gi alla Chiesa il suo destino escatologico
e lo anticipa nella sua sorte gloriosa.
Nell'attesa che il piano divino sia definitivamente compiuto e
che si riveli in tutto il suo fulgore. Nell'attesa che la Chiesa intera diventi allora, finalmente, quello che Maria ora gi .
262
Adinolfi M. 62
Agostino 10 1112 24 59 65 68 72
73 74 85 86 87 107 140 148
151 153 156 172 173 240 253
Agostino di Dacia 39
Alberigo G. 56 108 125 207 221
224
Alberto Magno 96
Alcal Galve A. 46
Alessandro di Hales 240
Alessandro Vili 223
Alfaro J. 60
Alleau R. 38
Allmen JJ. von 196
Amato A. 60 99
Ambrogio 35 36 59 72 149 198
241 251
Ancona G. 220 226
Anton A. 25 126 184 231
Asseldonk O. van 258
Atanasio 78
Athenagoras 143 201 211
Aubry J. 113
Auer J. 135
Aymans W. 114
Balthasar H.U. von 149 194
Barana G. 35 40 61 62 79 160
176 231 237
Barbaglio G. 114
Barruffo A. Ili
Beauduin L. 142
Beda il Venerabile 46 59
Beinert W. 18 225
Bks G. 94
Bellarmino R. 54 86 130 222 240
Benoit P. 68 71
Berengario 73
Bernardo di Chiaravalle 46 254
Bertrams W. 207 209
Betti U. 177 178 180 184 199 211
220
Bittremieux G. 254
Bo V. 65
Bonifacio Vili 74 135,
Bordoni M. 29
Bornkamm G. 14
Bossuet J. B. 42 47 79
Botte B. 109
Bouyer L. 88
Bozio T. 130
Brisson J.-P. 25'
Brown R. 164 192 196
Burrows E. 259
Cacucci F. 39
Cangh J.M. van 196
Canobbio G. Ili 231 239 248
Cantalamessa R. 90
Cappellini E. 115
263
Cardaropoli G. 65
Casagrande D. 253
Cassirer E. 38
Cazelles H. 88
Cereri G. 243
Cerfaux L. 16 40 43 55 68
Charue A.-M, 88 89
Chavannes H. 254
Cipriani S. 99 193
Cipriano 19 72 102 115 136 151
153 175 176 178 180 181 188
239
Cirillo di Alessandria 78 255
Cirillo di Gerusalemme 154
Claudel G. 193
Claudel P. 11
Clemente Alessandrino 23 44 72
153
Clemente Romano 72 164 165
193
Clemente (Seconda Lettera di)
23
Clemente XI 148 241
Coathalem H. 251
Coda P. 93 128
Colombo G. 34
Colzani G. 158 249
Commissione evangelica luterana-cattolica romana 169
212 235
Commissione Fede e Costituzione 160 167 169 170
Commissione internazionale anglicana-cattolica 212
Commissione mista cattolico-ortodossa 96 168 211
Commissione teologica internazionale 18 27 37 64 103 157
166 171 174 180 217 226
Conferenza episcopale tedesca
134 226 235
Congar Y. 9 24 34 35 37 45 46 55
79 89 90 129 142 150 154 166
264
Eyt P. 117
Eliade M. 38
Epifanio 23 46
Erma 23
Esbroeck M. van 196
Esichio di Gerusalemme 254
Evdokimov P. 36 97
Fahey M.A. 155
Febronio 198
Feuillet A. 32 72
Fidas V. 212
Fisichella R. 131 145 217
Forte B. 249
Fortino E.F. 94
Franco E. 94
Fries H. 25 74 131
Fiiglister N. 25 50
Fulgenzio di Ruspe 240
Gaetano (Tommaso de Vio) 204
222
Galizzi M. 211
Galot J. 196
Garcia y Garcia A. 99 101 126
155 184
Gardeil A. 130
Garuti A. 187
George A. 163
Gerosa L. 109 114
Gherardini B. 149 231
Giacomo da Viterbo 130
Giovanni Paolo II 8 43 44 88 100
112 113 140 141 142 143 151
157 158 183 187 189 191 197
202 204 213 242 246 249 251
Giovanni Crisostomo 15 47 86
Giovanni da Ragusa 130
Giraldo R. 207
Girlanda A. 38 52
Girolamo 35 72 139
Giusto di Urgel 46
Goffi T. Ili
Gonzales de Cardedal O. 99
Graziano 204
Gregorio Nisseno 46 78
Gregorio Magno 179 180
Gregorio XVI 207
Grelot P. 50 162 195
Greschny N. 97
Grootaers J. 55
Guillaume P. M. 55
Guillemet F. 104
Guillet J. 27 30
Guardini R. 10
Hajjar J. 176
Haya Prats G. 33 83
Henn W. 145
Herbon N. 130
Hertling L. 121 177
Heschel A.J. 66
Hulst A. R. 50
Huss J. 130 148
Ignazio di Antiochia 23 153 181
187
Ilario di Poitiers 25 72
Ildefonso di Toledo 255
Innocenzo X 241
Ippolito 43 109 172
Ireneo di Lione 12 15 35 43 72 85
90 165 172 187
Isacco della Stella 251
Jaki S. 55
Javierre A.-M. 172
Jenni E. 17 50
Jeremias J. 194
Journet C. 79 86 204
Jung C.G. 38
Kasper W. 29 186 231 238 245
Kern W. 27 131
Komonchak J. A. 101 122 123
124
265
Koster M. D. 55
Krivocheine B. 88
Kting H. 22 58 216
Labourdette M. 63
Langella A. 254
Lanne E. 89 133
Latourelle R. 94 131 141 145 149
217 244
Laurentin R. 253
Lauret B. 103
Lecuyer J. 61
Leeuwen B. van 61
Legrand H. 99 100 101 103 109
126 155 184
Lehmann K. 216
Lemaire A. 164
Leon Dufour X. 30 50
Leone Magno 49 68 72 78 188
252 253
Leone III 188 189
Leone XIII 27 74 76 86
Lyonnet S. 176
Lohfink G. 27 29
Lhrer M. 216
Loi V. 54
Longhitano A. 104
Nautin P. 11
Neudecker R. 244
Newman J.H. 55
Niceforo patriarca 188
Niceta da Remesiana 96
Nicolas J.H. 79
Nissiotis N.A. 88
Novaziano 85
Maccarrone M. 199
Maestro Simone 73
Maggioni B. 99 101
Magistretti F. 56 108 125 207 221
224
Malevez L. 70
Manzanares J. 99 101 126 155
184
Mariotti M. 99
Maritain J. 243
Massimo di Torino 255
Massimo il Confessore 85
Metodio d'Olimpio 249
Miller J. H. 54
Minear P. 39 40
Minnerath R. 193
266
sterreicher J. 244
Origene 25 30 35 43 148 239
Ortensio da Spinetoli 193 202
Osio S. 130
Ottato di Milevi 188
Ottone di Bismark 205
Pannemberg W. 129
Paolo Diacono 172 '
Paolo VI 10 143 147 201 206 207
211 238 251 256 257
Pascasio Radberto 46
Pattaro G. 212
Peelman A. 101
Penna R. 14 19 22 119
Perette E. 250
Peri V. 189
Philipon M. 35 96
Pier Crisologo 255
Pi-Ninot S. 131 217
Pintor S. Ili 116
Pio V 130
Pio VI 148
Pio IX 205 206 241
Pio XII74 75 76 77 81 86 148 158
207 230 241
Piolanti A. 96
Pontificia Commissione Biblica
97 119
Pontificio Consiglio per l'unit
dei cristiani 144
Pottmeyer H.J. 27 126 131
Prete B. 197
Proclo di Costantinopoli 254 255
Pseudo Girolamo 172
Quesnel P. 148 241
Rahner H. 24 46 239
Rahner K. 12 27 118 161 186 216
226 229 230 231
Ratzinger J. 66 119 121 161 186
189 214 216 239 247 248
Ravasi G. 38 52
Refoul F. 103
Richof H. 39
Ricoeur P. 38
Rigaux B. 196
Riou A. 85
Riva R. 38
Routhier G. 102
Rodriguez P. 16 37 64 81 89 94
Rose M. 50
Rossano P. 38 52
Rousseau O. 126 206
Ruperto di Deutz 57
Sala G. 216
Sartore D. 38
Sartori L. 211 216
Sarzi Sartori G.G. 115
Sauras E. 55
Scaramuzzi D. 254
Scazzoso P. 39
Schatz K. 190
Schaut A. 55
Scheeben M. J. 60 230
Schillebeeckx E. 230 231
Schlier H. 19 21 50 71
Schmidt K.L. 16
Schnackenburg R. 44 45 55 216
Schneider T. 145
Schurmann H. 30
Schiitte H. 143
Seckler M. 27 131
Segretariato per l'unione dei cristiani 244
Semeraro M. 39 41 55 74 79 94
109 111 129 158 220 226 231
241 250 251 254
Semmelroth O. 230 231
Serra A. 254 256 257 259
Sertillanges A.D. 20
Sestieri L. 243
Silanes N. 37 89
Sinodo dei Vescovi (1985) 94
Smulders P. 231
Soto D. 240
Spicq C. 16
Spitzmuller H. 254
Staples P. 170
Stefano papa 181 188
Strathmann H. 52 53
Suarez F. 222 240
Sullivan F. 127 141 215 222 225
239
Tertulliano 16 24 35 165 176
Testa E. 23 43 195 196 251
Thils G. 130
Thoma C. 245
Thurian M. 169 249 260 261
Tillard J.-M.-R. 94 96 102 118
126 175 184 185 189 212 235
Todorov T. 38
Tommaso d'Aquino 74 78 86 87
93 124 129 160 165 166 240
247 252
Torquemada J. (de) 41 204 222
Triacca A. A. 38 81
Tromp S. 24 41 86
Turco D. 46 254
267
268
INDICE
ABBREVIAZIONI.................................................................
pag.
PREMESSA............................................................................
Capitolo primo
IL MISTERO DELLA CHIESA.............................................
13
14
15
20
26
31
34
37
41
43
44
45
Capitolo secondo
I NOMI TRINITARI DELLA CHIESA................................
49
DIO.......................................................................
Popolo di Dio nell'Antico e nel Nuovo Testamento.
La nozione in ecclesiologia e nel Vaticano II
Il sacerdozio comune dei fedeli................................
Possibilit e limiti della nozione...............................
49
50
54
59
63
IL CORPO DI CRISTO.....................................................................
1. La teologia paolina del corpo di Cristo................
2. La teologia del corpo mistico...............................
66
67
72
II
POPOLO DI
1.
2.
3.
4.
269
3.
4.
77
80
81
82
84
88
89
Capitolo terzo
LA CHIESA COMUNIONE..................................................
93
94
97
102
105
110
116
122
125
127
129
131
LA CHIESA UNA.......................................................................
1. La Trinit, principio e modello dell'unit.................
2. Le ragioni e le forme dell'unit.................................
3. Le ferite dell'unit.....................................................
4. Il dialogo ecumenico................................................
135
135
136
138
139
LA CHIESA SANTA....................................................................
1. Dono della Trinit.....................................................
2. Il dovere di manifestare la santit.............................
3. Santa e bisognosa di purificazione...........................
145
146
146
147
LA CHIESA CATTOLICA...............................................................
1. La cattolicit, dono trinitario....................................
2. Carattere estensivo della cattolicit..........................
3. La cattolicit come diversit interna.........................
152
154
156
158
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
Capitolo quarto
I DONI DELLA TRINIT ALLA CHIESA..........................
1.
2.
270
LA CHIESA APOSTOLICA.............................................................
1. Gli apostoli nel Nuovo Testamento..........................
2. La nozione di apostolicit.....................................
3. L'apostolicit nel dialogo ecumenico.......................
160
161
164
167
Capitolo quinto
IL SERVIZIO DELLA COMUNIONE..................................
171
IL COLLEGIO EPISCOPALE...............................................................
1. I vescovi, successori degli apostoli......................
2. La sacramentalit dell'episcopato.............................
3. La communio episcoporum o collegialit episcopale
4. Ut vero episcopatus unus et indivisus esset...
5. Le conferenze episcopali..........................................
6. Significato ecclesiologico del collegio episcopale...
171
172
174
175
177
180
184
IL MINISTERO PETRINO..................................................................
1. La Chiesa, che presiede alla comunione..................
2. Configurazioni storiche del ministero petrino.
3. Pietro, il primo apostolo.......................................
4. Pietro, la roccia.....................................................
5. Colui che conferma i fratelli.................................
6. Il pastore...................................................................
7. Il dogma sul primato.................................................
8. Il primato del beato Pietro........................................
9. La perpetuit del primato di Pietro nei vescovi
di Roma....................................................................
10. Natura e portata del primato.....................................
11. Primato papale e autorit episcopale........................
12. Poteri papali e consacrazione episcopale.................
13. Il vescovo di Roma e il collegio episcopale...
14. Il ministero petrino e il dialogo ecumenico....
186
187
189
192
193
196
197
198
200
201
203
205
206
208
211
IL SACRO MAGISTERO...................................................................
1. La permanenza della Chiesa nella verit..................
2. Sensus fidei e magistero.......................................
3. Le varie forme di magistero.....................................
4. Il magistero infallibile..............................................
5. Attuazioni del magistero infallibile..........................
6. L'assenso dei fedeli al magistero..............................
7. Le qualificazioni teologiche.....................................
214
215
216
218
219
221
223
226
271
Capitolo sesto
LA CHIESA IN CAMMINO VERSO LA TRINIT
229
229
229
235
239
239
242
247
249
251
255
258
260
263
272