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di Davide Salvatori
Intendimenti e contenuto
Il presente studio si pone l’obiettivo di introdurre i partecipanti al Corso alle nozioni
fondamentali concernenti l’esorcismo dal punto di vista del diritto della Chiesa.
Nella prima parte si trattano alcune questioni terminologiche (esorcista, indemoniato ed
esorcismo), come emergono dallo studio dei Rituali del 1614 e 2004, rifacendosi alla dottrina dei
probati auctores con riferimento al Magistero e alla disciplina codiciale.
Nella seconda parte si affronta il ministero dell’esorcista, come emerge dall’esegesi del can.
1172. Verrà pertanto spiegata la disciplina essenziale concernente i doveri e diritti dell’esorcista
e dell’autorità competente nel conferire la licenza di esorcizzare gli ossessi.
Nella terza parte si espongono alcune linee di ecclesiologia giuridica concernenti la relazione
vescovo-diocesi-presbiteri, per poi scendere a trattare delle facoltà dell’esorcista, che vanno
comprese ed esercitate in tale contesto.
Nella quarta parte si trattano alcune questioni particolari concernenti anche il diritto liturgico:
l’esorcismo privato dei fedeli laici, il religioso esorcista, le facoltà dell’esorcista di adattare il
Rito, esorcismi e preghiere di guarigione, l’esorcismo di Leone XIII, la questione della formula
deprecativa o imperativa nella preghiera di esorcismo maggiore e infine se sia possibile o meno
fare uso di carismatici nell’esercizio di tale ministero.
1.2. Indemoniato-indemoniati
Il Rituale del 1614 e quello dell’editio typica del 2004, per quanto concerne l’individuazione
della persona che beneficia degli esorcismi, non utilizzano mai la parola indemoniato, ma
preferiscono l’utilizzo del termine posseduto e vessato.
La dottrina teologica e canonica, lungo i secoli, ha elaborato alcuni principi di discernimento
per accertare quando ci si trova di fronte a una persona sulla quale è lecito e necessario, col suo
consenso, proferire l’esorcismo maggiore. Il Rituale del 1614 individuava i seguenti criteri:
«Prima di tutto [l’esorcista] non creda facilmente che qualcuno sia posseduto dal demonio, ma abbia
noti quei segni dai quali si riconosce che qualcuno è un posseduto, rispetto a quegli altri che
manifestano una malattia, soprattutto psichica. I segni della possessione demoniaca possono essere:
parlare lingue ignote con molte parole oppure intendere chi le parla; rivelare cose distanti e nascoste;
mostrare forza non proporzionata alla natura dell’età o della condizione [fisica] e altri segni di questo
genere, che più concorrono, più confermano gli indizi».
Il Rituale pubblicato nel 1998 e la successiva editio typica del 2004 presentano quasi gli stessi
parametri che, in continuità col Rituale del 1614, sono stati ripresi e precisati:
«Secondo una prassi consolidata, vanno ritenuti segni di possessione diabolica: parlare correntemente
lingue sconosciute o capire chi le parla; rivelare cose occulte e lontane; manifestare forze superiori
all'età o alla condizione fisica. Si tratta però di segni che possono costituire dei semplici indizi e,
quindi, non vanno necessariamente considerati come provenienti dal demonio. Occorre perciò fare
attenzione anche ad altri segni, soprattutto di ordine morale e spirituale, che rivelano, sotto forma
diversa, l'intervento diabolico. Possono essere: una forte avversione a Dio, alla Santissima Persona di
Gesù, alla Beata Vergine Maria, ai Santi, alla Chiesa, alla Parola di Dio, alle realtà sacre, soprattutto ai
sacramenti, alle immagini sacre. Occorre fare attenzione al rapporto tra tutti questi segni con la fede e
l'impegno spirituale nella vita cristiana; il Maligno, infatti, è soprattutto nemico di Dio e di quanto
mette in contatto i fedeli con l'agire salvifico divino ».
A completamento di quanto rilevato va considerato che la dottrina canonica, attingendo dalla
consolidata riflessione teologica, è solita distinguere tre gradi di possessione diabolica:
«Circumsessio (assedio), che si ha quando il diavolo, agendo e influendo dal di fuori del corpo,
impedisce le azioni umane; obsessio (invasione), che si verifica quando il demonio, risiedendo nel
corpo dell’uomo e usando le forze fisiche come le sue, crea un grave dissidio tra la volontà umana e il
dominio dello stesso demonio; possessio (possessione) che si realizza quando il demonio è così
profondamente padrone del corpo dell’uomo che sembra quasi cessare del tutto l’azione umana,
sebbene come demonio non possa ottenere il comando diretto sulla volontà umana» .
2 Il ministero dell’esorcista
Il ministero dell’esorcista è segnatamente disciplinato dal can. 1172, che statuisce:
«§1. Nessuno può proferire legittimamente esorcismi sugli ossessi, se non ha ottenuto dall’Ordinario
del luogo peculiare ed espressa licenza. §2. L’Ordinario del luogo conceda tale licenza solo al
sacerdote che sia ornato di pietà, di scienza, di prudenza e d’integrità di vita».
Il canone si riferisce espressamente e unicamente all’esorcismo solenne o grande
esorcismo, non a quello semplice né a quello privato; l’espressione «esorcismi sugli ossessi»
esprime esattamente il concetto mediante un termine tecnico.
Nessuno può proferire legittimamente esorcismi sugli ossessi. Il divieto sancito dal canone è
solenne e imperativo; la disattenzione della norma crea un comportamento illecito e pone
l’esorcista in una situazione di disobbedienza; poiché l’esorcismo è un sacramentale, ci
s’interroga sulla sua efficacia non solo nel caso di mancanza di specifica facoltà, ma in ogni altro
caso di non obbedienza alla Chiesa. Ciò contrasterebbe con la natura dei sacramentali, che
operano ex opere operantis Ecclesiae.
Se non ha ottenuto dall’Ordinario del Luogo peculiare ed espressa licenza: la licenza è
una condicio sine qua non per proferire legittimamente un esorcismo; essa dev’essere data in
forma scritta (can. 59) e dev’essere specifica ed espressa. La licenza è concessa in seguito a una
richiesta o motu proprio data da parte dell’autorità; pertanto non è sufficiente una licenza
accordata tacitamente o presunta, a meno che non si tratti di licenza implicita, come ad esempio
quella annessa a un ufficio.
La prassi di richiedere la licenza è antichissima, come si legge in una lettera di Papa
Innocenzo I († 417):
«Riguardo a coloro che sono battezzati e che, a causa di un vizio o di un peccato, vengono in seguito
posseduti dal demonio, la tua sollecitudine ti porta a chiedere se possano o debbano essere segnati dal
presbitero o dal diacono. Riguardo a ciò non è lecito procedere, a meno che non l’abbia ordinato il
vescovo. Infatti, non si deve imporre la mano su costoro a meno che il vescovo non abbia conferito a
loro l’autorità di farlo. Affinché poi ciò avvenga è prerogativa del vescovo ordinare che il presbitero o
gli altri chierici impongano la mano su di loro».
L’autorità competente a concedere la licenza è l’Ordinario del luogo, la cui nozione è
stabilita dal can. 134 §1, escludendo i Superiori maggiori degli Istituti Religiosi e delle Società di
Vita Apostolica (can. 134 §2). Nelle diocesi, pertanto, anche il Vicario generale e il Vicario
episcopale hanno la potestà di concedere la licenza, sebbene si debba evidenziare che il n. 13 dei
praenotanda dell’Ordo exorcizandi precisa che «di norma [è] il vescovo diocesano» che la deve
concedere. Ciò richiama indirettamente il dovere del vescovo di vigilare sull’operato
dell’esorcista (can. 393 §2) e dall’altra il dovere di non esimersi dal dare opportune indicazioni e
direttive.
L’autorità può conferire l’ufficio di esorcista caso per caso (ad actum) oppure a tempo
determinato o indeterminato; oppure il vescovo diocesano può stabilire con legge particolare che
tale facoltà sia annessa a un ufficio ecclesiastico (e.g. parroco, rettore di un santuario, canonico
penitenziere, ecc.), secondo le necessità della diocesi.
L’autorità concede la licenza sponte propria o su richiesta. L’autorità dovrà soppesare con
opportuna cura ogni elemento prima di concedere la licenza, soprattutto tenendo conto delle
ragioni che portano un presbitero a chiedere la facoltà di esercitare tale ministero.
L’Ordinario del Luogo conceda tale licenza solo al presbitero. L’essere presbitero è una
condicio sine qua non affinché il vescovo conceda la licenza. Riteniamo che tale qualità sia
inderogabile e non suscettibile a dispensa: tale qualità, infatti, alla luce della disciplina liturgica e
canonica precisata lungo i secoli, può essere qualificata come requisito essenziale, quindi ad
validitatem, per poter ottenere l’ufficio ecclesiastico di esorcista, come prescrive la mens del can.
149 §2; per tali ragioni pare che il vescovo diocesano non possa dispensare, nel caso, dalla legge
universale (can. 1172 §2) a norma del can. 86.
Che sia ornato di pietà, scienza, prudenza e integrità di vita. La Chiesa propone questo
elenco frutto di una sapienza maturata lungo i secoli, entrato successivamente nella normativa
codiciale del 1917 (can. 1152) e in quello vigente (can. 1172); va rilevato che il vigente Codice
ha aggiunto la prerogativa della scienza.
Per quanto concerne la pietà e l’integrità di vita, oltre agli elementi desunti dalla vita
spirituale e morale, si possono considerare le indicazioni deducibili dai cann. 273-289 per quanto
concerne i doveri e i diritti dei chierici; per quanto concerne i Religiosi si tengano presenti i
cann. 662-672, nonché le Costituzioni dell’Ordine e tutto ciò che concerne il loro diritto
particolare.
Per quanto attiene alla scienza, oltre a ciò che la sostanzia e la sostiene come virtù infusa per
opera e assistenza dello Spirito santo, si deve considerare lo studio e l’approfondimento delle
discipline teologiche, non escluse anche quelle umane, non potendo l’esorcista esimersi
dall’avere conoscenze, seppur essenziali, di tipo medico, psicologico e psichiatrico. A tal fine
non si esclude che, sotto la guida e la moderazione del vescovo, egli saprà avvalersi di esperti
che possano consigliarlo e aiutarlo, non esclusa anche la costituzione di un’equipe di esperti.
Questi elementi verranno ad alimentare la virtù cardinale della prudenza, che, illuminata e
sostenuta dall’azione della grazia, sarà corroborata dal progredire attivo delle proprie conoscenze
umane e spirituali, attingendo dall’esperienza della vita dei santi e dai loro scritti, soprattutto dai
Dottori della Chiesa.
Non si deve infine dimenticare che il ministero di esorcista va compiuto «con fiducia e
umiltà sotto la guida del Vescovo della diocesi» (cf. n. 13 dei praenotanda all’Ordo exorcizandi)
senza escludere il ricorso ai mezzi della preghiera e del digiuno (cf. n. 31 dei praenotanda
all’Ordo exorcizandi).
3 Il ministero dell’esorcista si situa nella relazione tra vescovo e diocesi
3.1 Il vescovo è il pastore proprio della diocesi
Il can. 369 riporta la definizione di diocesi, tratta integralmente dal documento conciliare
Christus Dominus n. 11:
«La diocesi è la porzione del popolo di Dio che viene affidata alla cura pastorale del Vescovo con la
cooperazione del presbiterio, in modo che, aderendo al suo pastore e da lui riunita nello Spirito santo
mediante il Vangelo e l’Eucaristia, costituisca una Chiesa particolare in cui è veramente presente e
operante la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica».
Dalla definizione conciliare viene messo in risalto lo stretto e diretto legame tra Vescovo e
fedeli, affidati alla sua cura pastorale; l’azione del presbiterio s’insinua in tale relazione, nella
prospettiva della cooperazione. Questi stessi principi vengono sviluppati dal Concilio vaticano
stesso secondo un’armonica prospettiva ecclesiologica, di cui possiamo offrire solo una sintetica
suggestione.
Lumen gentium n. 28 ricorda che i presbiteri «costituiscono con il loro Vescovo un unico
presbiterio» e, «nelle singole comunità locali di fedeli, per così dire, rendono presente il
Vescovo, cui sono uniti». Questo testo fa eco a quello di Sacrosanctum Concilium n. 41:
«Poiché nella sua Chiesa il Vescovo non può presiedere personalmente sempre e ovunque l’intero gregge,
deve necessariamente costituire delle assemblee di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le
parrocchie, organizzate localmente sotto la guida di un pastore che fa le veci del vescovo: esse infatti
rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra».
Secondo questo principio la stessa Lumen gentium n. 28 specifica che i presbiteri, «sotto
l’autorità del Vescovo, santificano e governano la porzione di gregge del Signore loro affidata,
nella loro sede rendono visibile la Chiesa universale e lavorano efficacemente all’edificazione di
tutto il Corpo di Cristo».
Lo stesso Concilio, poi, specifica che i vescovi esercitano i tria munera «con l’aiuto dei
presbiteri e dei diaconi, presiedendo a nome di Dio il gregge di cui sono pastori come maestri di
dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo» (Lumen gentium n. 20).
Sotto questo profilo il Codice di diritto canonico ha ripreso i principi ecclesiologici dei tria
munera rileggendoli in chiave disciplinare, evidenziando in tal senso che il Vescovo, per la sua
diocesi, è il «moderatore di tutto il ministero della parola» (can. 756 § 2), «moderatore della
sacra liturgia» (can. 838 § 1 e § 4) e a lui «spetta […] governare la Chiesa particolare […] con
potestà legislativa, esecutiva e giudiziale» (can. 391 § 1). In tal senso è chiaro che a Lui spetti il
dovere di vigilanza nei confronti sia del gregge a lui affidato, ma anche e soprattutto nei
confronti dei principali cooperatori, che sono i presbiteri:
«[Il vescovo] vigili che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica, soprattutto nel ministero
della parola, nella celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, nel culto di Dio e dei Santi e
nell’amministrazione dei beni» (can. 392 § 2).
Alla luce di quanto finora evidenziato può apparire del tutto chiaro come anche questo tipo di
pastorale sia affidata in primo luogo alla responsabilità e alla sollecitudine del vescovo
diocesano. Egli pertanto non solo ha il dovere di prendersi cura anche di questo ambito ma è
chiamato a esercitarvi in pienezza i tria munera.