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Gente tanto inurbana e temeraria.

Locchio del tribunale diocesano genovese su Moneglia in et di


antico regime.

Paolo Fontana

Con il presente contributo si intende fornire una lettura della realt monegliese in antico regime vista
dalla prospettiva del tribunale diocesano. La fonte qui utilizzata, appunto gli atti di tale tribunale, non ha
carattere di indagine sociologica o criminologica. Non ha come fine descrivere la realt di Moneglia. Piuttosto
testimonia, attraverso il depositarsi dei documenti, come l'autorit diocesana ha amministrato (forse
governato o gestito o disciplinato: la scelta di un verbo gi scelta di un'interpretazione) Moneglia e come i
Monegliesi hanno cercato di risolvere i loro contenziosi dinnanzi all'autorit vescovile. Il foro ecclesiastico
riguardava i beni e le persone in sacris, quindi un reato commesso da un religioso, contro di lui o su beni
della chiesa era giudicato dal nostro tribunale. Ho preso in esame solo i reati commessi nei territori delle due
parrocchie di Moneglia, S. Croce e S. Giorgio. Non ho considerato il territorio della vicara che comprendeva
anche S. Saturnino e Lemeglio. Ho per seguito alcuni processi contro Monegliesi coinvolti in reati
commessi fuori del luogo di residenza.

Prima di prendere in esame le denuncie sar opportuno richiamare alcuni dati che emergono dalle relazioni
delle visite pastorali e dai decreti ad esse riferiti. Come noter il lettore ho preso in esame solo i dati pi
significativi ai fini della presente ricerca.

La visita alla parrocchia di S. Croce del 1630 ci mostra il parroco Giovanni Battista Fieschi (1626-1639) che
fruisce del giuspatronato di famiglia con una rendita di L. 300, anche se sappiamo che nel 1620 aveva
contratto un debito con don Giovanni Battista Vacc di 60 Lire. Per altro la stessa visita del 1630 affermava
che S. Giorgio, dove era parroco Nicol Dolera (1582-1632) con una rendita di 25 scudi non mancava di
nulla. Lo stesso la chiesa di S. Lorenzo. A Moneglia, non si dice in quale parrocchia, nel 1630 vi erano dei
concubini, Pietro Carrodano e Giacomo Falconetti. 1

La visita del 1652 afferma che sotto S. Croce, della quale era parroco Lorenzo Fieschi, canonico di S.
Salvatore, si trovavano le parrocchie di S. Maria di Lemeglio, S. Saturnino, S. Giorgio con l'annessa S.
Lorenzo, e S. Michele di Masso. La popolazione di S. Croce era di 1156 anime delle quali da comunione 770
e non comunicandi 386. La rendita comprendeva terratici per L .170 e L. 200 di incerti. 2 Nei decreti del
vescovo Lercari del 1769 si afferma che S. Croce tenuta da Giacomo Figari (1764-1777). Si ricorda al
parroco come, da precedenti decreti, fosse obbligatorio tenere due volte la settimana l'accademia di casi di
coscienza e di cerimonie sacre alla quale tutti i sacerdoti e chierici di Moneglia devono partecipare
discutendo tra loro di questioni morali e liturgiche. Si ordinava anche che nelle controversie che nascevano
tra S. Croce e S. Giorgio stesse attento a non intromettersi in inutili questioni tra secolari e controllasse il suo
clero in modo che non giungessero pi lamentele all'arcivescovo. 3

A S. Giorgio nel 1652 era parroco Troilo Chioino (1637-1662) e i francescani condividevano l'uso della
chiesa. Vi erano segnalati 108 fuochi per 541 anime delle quali da comunione 334 e 207 no. Viene notata,
senza commento, l'esistenza della chiesa di S. Lorenzo e la visita aggiunge che sono in costruzione
l'oratorio della dottrina cristiana nel quale non si celebra ancora, nonch quello di SS Erasmo e Sebastiano
fatto da poco dove non si celebra. In S. Pietro al mare si celebrava. In parrocchia vi erano gli ufficiali della
Compagnia del SS Sacramento e della Compagnia della Concezione della Vergine. Nel 1638 a S. Giorgio il
rettore censisce 325 anime da comunione e 200 no. 4

La relazione del 1769 richiedeva di escludere dalla comunione gli inconfessi e i concubini. Risultavano
presenti a S. Croce 11 sacerdoti, 9 dei quali aiutavano in parrocchia, tutti abitavano con i parenti tranne due,
tutti sono stati ordinati con proprio patrimonio e non con beneficio tranne uno: Marc'Antonio Gotuzzo, che ha
una cappellania dei Pagliettino. Il rettore di S. Giorgio deve intervenire alla processione del Corpus Domini
se si fa in S Croce. Le processioni di S. Croce possono entrare nel territorio di S. Giorgio senza problemi e
nelle chiese di S. Giorgio e S. Lorenzo per le rogazioni. Il parroco di S. Croce pu cantare il vangelo nella
chiesa di S. Giorgio. Lo stesso nella processione di S. Sebastiano e nel giorno della prima delle tre rogazioni
precedenti la festa dell'Ascensione nel distretto di S. Giorgio e S. Lorenzo. Per contro le processioni di S.
Giorgio non possono entrare nel territorio di S. Croce e si devo fermare al ponte. Per la rogazione di S.
Marco ciascuno sta nel suo territorio. Il rettore di S. Croce legge il Vangelo in mezzo al torrente e quello di S.

1
ASDG 4, pp. 108 r-109 v; 110 r; Chiavari, Archivio storico diocesano, Santa Croce di Moneglia.
2
ASDG 5 A p. 558 r.
3
ASDG 35 p. 7r
4
ASDG 5A p. 560r; 21, p. 62

1
Giorgio nel suo territorio. A S. Giorgio non si possono fare processioni per il Corpus Domini. Il rettore di S.
Giorgio deve intervenire alla mattina del sabato santo alla funzione del fonte battesimale. 5

Nei Decreta relativi alla visita a S. Giorgio del 1769 il cui parroco era Giovanni Battista Assereto (1763-1777)
si affermava di non permettere il matrimonio a chi non sapeva i rudimenti della fede cristiana. Assereto
doveva andare sempre alla congregazione dei casi di coscienza che si faceva a S. Croce. Il parroco non
doveva intervenire nei fatti dei secolari. Sempre in questi Decreta vi sono alcune note rivolte specificamente
al vicario foraneo, in particolare si doveva occupare che il clero servisse le chiese, portasse l'abito talare e la
tonsura, si dedicasse allo studio e non alla vita oziosa. Doveva controllare che non fosse dedito al gioco, alle
taverne e coabitazioni pericolose. C' poi una lamentela specifica. Alcuni sacerdoti non vanno mai alla
conferenza sui casi di coscienza, gli si ordina quindi di farlo. Per le cerimonie si estrarr il nome di un
sacerdote dalla bussola e questi dovr provarsi nelle funzioni. Chi mancasse sar punito con una pena di L
4. 6

Cerimoniale come forma di governo e occasione di conflitto. Funerali, matrimoni e processioni

Morire e gestire la morte un problema che richiede di essere risolto tramite dei rituali comunitari. Questi se
hanno come fine di ricomporre la comunit dopo il trauma possono per a loro volta, come vedremo, essere
fonte di conflitti. Parrocchie, famiglia, confraternite e localit si organizzano e dividono attorno ai funerali.

Il 24 giugno 1575 Silvio Arlotto, vicario dellarcivescovo, scriveva alla casaccia di S. Maria a Moneglia. Il
rettore di S. Giorgio, Giovanni Tassino (1550-1581), aveva sporto denuncia perch i confratelli avevano
preso il cadavere di Bernardo di Arzeno e lo avevano portato fuori dal territorio della parrocchia senza aver
fatto nella stessa i riti dovuti e lo avevano seppellito nel loro oratorio. Il vicario da Genova minacciava la
scomunica e la pena di 25 scudi di multa se il fatto si fosse ripetuto e i confratelli non avessero prima fatto il
funerale in parrocchia. 7 Questo fatto, che inaugura i conflitti sui funerali, mostra la permanenza di tendenze
all'autonomismo confraternale e a soluzioni liturgiche locali (o escludenti la liturgia). E' probabile che il
comportamento dei confratelli sia stato la prosecuzione di autonomie laicali di origine medioevale. 8

Nel settembre del 1649 si presentava una nuova lite sui funerali. Padre Michele Angelo da Bogliasco dei
minori dell'osservanza del monastero di Moneglia denunciava don Troiolo Chioino, parroco di S. Giorgio.
Essendo morto Domenico Betino che aveva chiesto di essere sepolto nella chiesa dei francescani di
Moneglia nella sepoltura della Compagnia del cordone se ne diede notizia al parroco che, sebbene il defunto
fosse della parrocchia di S. Croce, si oppose e "fortivamente" lo port nella sua chiesa e lo seppell nella
sepoltura comune. Dalla curia si scriveva a don Cristoforo Dolera, perch si informasse della questione. Le
liti tra parroci e francescani continuavano. Un documento non datato, ma probabilmente del 1653, riportava
la denuncia del parroco di S. Croce lamentante che il sabato santo i francescani avevano suonato le
campane prima della chiesa matrice di Moneglia. 9

Nel luglio del 1668 il parroco di S. Croce, Lorenzo Fieschi, che, come vedremo, dopo una vita al centro di
conflitti sarebbe stato ucciso, lamenta che durante il funerale di Maria Castella, il suo viceparroco mentre
accompagnava la salma per portarla alla chiesa dei francescani si trovava a destra, come richiesto dal
sinodo, ma venne spostato dal parroco di S. Giorgio don Giacinto Lavagnino (1665-1683) "con violenza e
scandalo". Inoltre don Giacinto Lavagnino era venuto giorni prima a benedire le barche con cotta e stola e
aveva celebrato un matrimonio nel territorio di S. Croce. Per questo Fieschi chiedeva che fosse "punito e
castigato alla forma de leggi e sacri canoni." Parecchio tempo dopo il 14 gennaio 1669 era interrogato il
Lavagnino. La sua versione era diversa. La defunta, morta nel territorio di S. Croce, doveva essere seppellita
a S. Giorgio. La processione si snod quindi col viceparroco S. Croce alla destra. Arrivati a met del ponte
5
ASDG 34 p. 519 v; p. 559 r; 573-574.
6
ASDG 35. p 8 v; 9 r; 11r-15 r.
7
ASDG 341 n 40.
8
Un decreto del 18 settembre 1625 proibiva ai sacerdoti di partecipare, senza il permesso del parroco
territoriale, ai funerali assieme ai membri delle confraternite sotto la pena di incorrere nella sospensione a
divinis ipso facto (ASDG 1061).
9
ASDG 382 n 68; 384 n 30. Dalla documentazione dell'ASDG sappiamo che fu cappellano della chiesa di S.
Pietro in Banchi e, in data non precisata "bandito per donne" (ASDG 19; ASDG 16A p. 28r). Va notato qui,
come poi riprender pi avanti, che contro questo prete non vi siano processi, segno delle difficolt di
valutare la documentazione giudiziaria. Il bando per donne in che modo stato deciso? Perch manca un
processo a riguardo? La documentazione del TD non fornisce soluzioni. Si pu vedere in questo caso sia
una mappa della situazione del clero sia il linguaggio delle conflittualit locali visto attraverso il foro
ecclesiastico.

2
che divide Moneglia e segna i confini parrocchiali Lavagnino aveva spostato il viceparroco di S. Croce
perch secondo lui da sempre cos si era fatto. Entrando nel suo territorio la mano destra spettava al
parroco. A precedere la processione vi erano tre croci, una della confraternita e le altre delle due parrocchie:
tra queste due sul ponte sarebbe scoppiata una lite ma Lavagnino affermava di trovarsi troppo lontano per
controllare la situazione. La barca che aveva benedetto, apparteneva al territorio della sua parrocchia; era
stata spinta dalla violenza del fiume nel territorio dell'altra. La sentenza emessa il 13 agosto 1669 negava il
diritto di Lavagnino di stare a destra anche nel territorio della sua parrocchia in quanto questo
comportamento era contrario ai canoni del sinodo diocesano e anche circa il matrimonio lo riprendeva. Lo
condannava quindi ad una multa di 50 Lire di moneta corrente. 10

Alla fine dellantico regime i conflitti sui funerali continuavano. Un altro caso riguardava nellagosto del 1773
don Antonio Gerolamo Grillo. Era ammalata una ragazza in una casa della parrocchia di S. Croce.
Aggravandosi fu portata in una di S. Giorgio. Il parroco Giovanni Battista Assereto la interrogo, ormai
agonizzante, su dove volesse essere sepolta. Rispose nella chiesa di S. Giorgio. Il parroco di S. Croce,
Giacomo Figari (1764-1777), il giorno dopo si rec a parlare del funerale con quello di S. Giorgio. Questi gli
disse che, stante il sinodo, i 2/3 dellincasso spettavano al parroco della defunta (quindi a quello di S. Croce)
1/3 a lui. Si accordarono amichevolmente, decidendo anche sul rito del funerale. Per evitare liti non vi
avrebbero partecipato preti delle parrocchie. Il parroco di S. Croce sarebbe andato a prendere il cadavere in
casa portandolo sino sulla porta della chiesa di S. Giorgio, l il parroco lo avrebbe preso per la funzione e
linterro. Nel pomeriggio la situazione si sarebbe complicata. Grillo era in casa dellAssereto quando questi
disse di aver letto il "Ristretto della dottrina" di Benedetto XIV e vi aveva trovato un decreto che insegnava
che spettava a lui la facolt di essere presente di persona o tramite un rappresentante e accordare al
parroco del cadavere (Figari) di estrarlo da casa. Decise di mandare per questo Grillo a prendere il cadavere
con "croce e stola". Arrivati al dunque Grillo si present davanti alla casa della defunta, qui vi trov per don
Bartolomeo Bollo, delegato da Figari, anche lui con croce e stola. Bollo disse che Grillo non avrebbe dovuto
essere l, ma questi rispose che era l solo per accordare il permesso del parroco per l'estrazione ed il
trasporto del cadavere sino alla porta della chiesa. Bollo replic che non aveva bisogno di permesso e che
Grillo non avrebbe dovuto avere n stola n croce. Grillo ribatt che aveva le insegne per rappresentare il
parroco e che se voleva Bollo poteva accompagnare la defunta alla chiesa. Questi per si rifiut e torn
indietro. La processione venne alla fine fatta dal Grillo. La causa non ebbe sentenza 11.

Oltre che nei casi dei funerali si registravano conflitti legati al cerimoniale ed alle processioni. Nell'aprile del
1666 il vice parroco di S. Croce don Geronimo Piazza lamentava che i preti delle parrocchie sottoposte non
partecipassero alla processione del Corpus Domini, n alle rogazioni; il vicario generale minacciava di non
consegnare loro gli oli il sabato santo. La risposta della curia (che forse fraintende la lettera) era che i rettori
fossero obbligati ad andare il sabato santo a prendere gli oli sotto pena arbitraria alla curia.
Anche le rogazioni potevano essere motivo di contesa. Il loro tracciato segnava confini e competenze
giuridiche. Nel maggio del 1689 il rettore di S. Saturnino si rifiutava di aprire la porta della chiesa a don
Antonio Roverano che sostituiva il rettore di S. Croce di Moneglia alle rogazioni, dicendo che non lo avrebbe
fatto entrare se non si fosse prima levato la stola, segno di autorit sacerdotale. Il rettore di S. Saturnino
venne convocato in curia e ammonito. 12

In altri casi processioni, rogazioni funerali e suono di campane agivano assieme come sintomo e causa di
conflitti che contrapponevano le parrocchie di S. Croce e S. Giorgio.

Nel luglio del 1693 veniva denunciato dal rettore di S. Croce che quello di S. Giorgio, Francesco Maria
Gotuzzo (1683-1722) aveva permesso, contro di decreti della Congregazione dei riti e dell'arcivescovo, che il
sabato santo si suonassero le campane mezz'ora prima di quelle della chiesa arcipresbiterale e matrice di S.
Croce. Inoltre aveva proibito a don Angelo Rossi che reggeva la parrocchia di S. Croce nelle veci del vero
rettore Roboaldo Fieschi (1681-1723), di intervenire alla sepoltura di un cadavere, quello di Marietta Grillo,
capo casa, nella parrocchia di S. Giorgio, mentre Rossi vi era tenuto perch la morta era "capo casa" e
pertanto vi doveva andare. Un'altra supplica lamentava che il rettore di S. Giorgio faceva Rogazioni sia
maggiori sia minori e usciva dai confini della sua parrocchia a pregiudizio di quelli di S Croce. Anche
Gotuzzo per aveva da lamentarsi. Il parroco di S. Croce (nel settembre del 1693) in assenza del Gotuzzo,
si era recato nella chiesa di S. Giorgio e aveva portato un cadavere alla chiesa dei frati, senza consenso n
intervento del Gotuzzo. 13 Udite le lamentele dellarciprete di S. Croce, Roboaldo Fieschi, si decideva nel
dicembre del 1693 di prendere ulteriori informazioni. Allinterno della pratica si trova una supplica. Qui il

10
ASDG 406 n 60.
11
ASDG 469 1773 B.
12
ASDG 404 n 147; 414 n 196.
13
ASDG 423 n 13.

3
supplicante lamentava che il rettore di S. Giorgio, contro gli ordini della congregazione (non dice quale) dei
sinodi e degli arcivescovi "non cessa dinquietare, perturbare la giurisdizione" della chiesa di S. Croce
impedendo al parroco della stessa di fare quegli "atti iurisditionali che sono suoi propri." In particolare il 29
novembre aveva levato e seppellito in S. Giorgio il cadavere di Livia, moglie di Marcantonio Botto,
parrocchiana di S. Croce alla quale il viceparroco della stessa parrocchia aveva dato i sacramenti della
penitenza e dell'estrema unzione. Erano state suonate le campane e i parenti volevano che fosse seppellita
a S. Croce. Mentre il viceparroco aspettava di essere chiamato, il rettore di S. Giorgio aveva preso il
cadavere e lo aveva portato via di casa. Ci in evidente "pregiudicio del gius parochiale" di S. Croce. La
supplica fu inoltrata in curia senza esito. 14

Nonostante il 9 aprile 1696 l'Arcivescovo avesse ingiunto al Gatuzzo, con minaccia di sanzioni, di recarsi il
sabato santo alla chiesa matrice di S. Croce, di intervenire alle rogazioni, sia maggiori sia minori e di non
fare le suddette funzioni nella sua chiesa; Gatuzzo contro lordine ricevuto e la consuetudine aveva fatto le
sue funzioni nella propria parrocchia, le Rogazioni e la benedizione del mare anche nella giurisdizione di S.
Croce, senza intervenire a quelle fatte dall'arciprete di S. Croce, Roboaldo Fieschi, che pertanto supplicava
l'arcivescovo di intervenire. Il vicario generale mandava una lettera al vicario foraneo con la facolt di istituire
un processo. 15

I conflitti rituali non contrapponevano solo parrocchie e confraternite ma coinvolgevano i religiosi. La


presenza dei francescani era fonte di tensione con il parroco di S. Giorgio. Per il natale del 1681 i religiosi
rifiutarono di dare al parroco di S. Giorgio i paramenti per cantare la messa della notte. Il giorno dopo lo
maltrattarono quando, andato a sentire la predica da loro, si era messo con cotta e stola (anche qui segni di
autorit) nel Sancta Sanctorum. Il vicario generale diede ordine a quello foraneo di prendere informazioni. 16
Pochi anni dopo (aprile 1688) il Gioved Santo alcuni frati conventuali, capeggiati da Fra Angelo da Masso,
impedivano al rettore, il gi visto Francesco Maria Gotuzzo di celebrare la messa nella sua chiesa di S.
Giorgio interrompendolo durante la funzione e sottraendogli calice e messale. Il 27 settembre 1688 il vicario
foraneo di S. Saturnino iniziava il processo per il seguito dei fatti. Il rettore Gotuzzo aveva tentato nella II e III
domenica del mese di impedire ai frati la celebrazione della messa conventuale per celebrarla lui nella
stessa ora. Nonostante gli ordini dell'arcivescovo del 9 novembre 1686, il Gotuzzo con dei suoi seguaci
"facinorosi" si era recato dai frati ed era riuscito con la forza a celebrare la messa. Al posto dell'omelia aveva
ringraziato i sostenitori e rivendicato i suoi diritti riproponendosi in futuro di fare anche la processione della III
domenica del mese. Un teste per, Geronimo Dolera, di 82 anni ricordava come i precedenti rettori avessero
sempre celebrato la messa bassa, senza proibire ai frati di celebrare cantata quella conventuale. Il 3 marzo
1689 la causa si concludeva con un non luogo a procedere. 17
I dati qui presentati, una parte del materiale conservato nellASDG, mostrano una conflittualit continua che
attraversa tutto lantico regime. La ritualizzazione della morte, che avrebbe dovuto integrare la stessa nelle
comunit attraverso un rituale di rielaborazione del lutto, diventava, in realt, fonte e sintomo di divisione e
tensione rafforzando e rimotivando le tensioni preesistenti.

"Si toccorno la mano come sposi" Concubinato e matrimonio.

Il controllo dei costumi sessuali fu una delle iniziative portanti della riforma tridentina. Anche a Moneglia
troviamo fatti del genere.
Il I luglio 1615 era denunciato a Genova dal vicario foraneo don Nicola Dolera, Lazzaro de Ducis perch
prima del matrimonio aveva convissuto, nella parrocchia di S. Giorgio, contro i canoni dei sinodi diocesani e
provinciali, con Manola Bellando. Laveva poi sposata per le insistenze del padre di lei. Durante il
concubinato erano stati sospesi dai sacramenti; vennero alla fine perdonati perch si erano sposati 18. Nel
settembre del 1629 si svolgeva la pratica su un altro caso. Angeleta, figlia di Lorenzo Dell'Orso, era stata
sedotta con promessa di matrimonio da Andrea Chioino, la donna aveva ceduto alle richieste dell'uomo e,
arrivati i parenti, si era subito concluso il matrimonio con una dote data dalla donna di 200 scudi. I due "si
toccorno la mano come sposi, s come anco se la se la toccorno esso Andrea e padre e madre e fratelli
d'essa Angeleta, promettendosi da socera, genera e cugnati e secondo l'usanza del luogo di Moneglia
mentre s'intendono da parenti li bevetero sopra sempre trattandosi da parenti e dopo d'haver bevuto ognuno
se ne and a fatti suoi fuorch detto Andrea quale si trattenne in casa e vi dorm quella notte con essa
Angeleta." Dopo, Andrea, era tornato sui suoi passi e "contro ogni giustitia divina e humana" non voleva
sposare Angeleta, per questo i parenti chiedevano fosse obbligato a sposarla d'ufficio. Il I settembre 1636 il
14
ASDG 423 n 20.
15
ASDG 423 n 56.
16
ASDG 415 n 14.
17
ASDG 416 n 18; 416 n 4.
18
ASDG 344 n 23.

4
canonico della cattedrale Cusano sentenziava che "nulla sponsalia valida intercessisse" tra i due per questo
Andrea poteva "ducere aliam uxorem." Qui si nota la permanenza di usi arcaici (matrimoni formati sul solo
consenso delle parti tra parenti senza ricorrere alla benedizione del sacerdote) e il loro scontrarsi con la
pastorale tridentina. 19

Alcune denuncie riguardano casi di concubinato. Una, redatta con scrittura grossolana, firmata "Li zelanti del
timor divino," accusava nell'ottobre del 1649 Giovanni Andrea Gotuzzo di convivere in concubinato con una
ragazza di 20 anni sua parente in terzo grado di affinit sperando di prenderla in moglie, questo perch il
Gotuzzo " ricco et delli principali di detto luogo." Nonostante l'ammonizione del vicario il concubinato
continuava e "tutto il popolo ne esclama et si scandaligia." Si chiedeva al vescovo di intervenire perch
Gotuzzo si emendasse e non incorresse nell'ira divina. Il 23 ottobre 1649 da Genova si scriveva al vicario
foraneo che si informasse e intervenisse. La causa non ebbe seguito. 20 Una nuova denuncia si rivolgeva
verso Giovanni Andrea Gotuzzo nel 1649 perch teneva in casa Tobia Roverano figlia di Nicolino
(probabilmente la ventenne di cui sopra) e intenderebbe sposarla aspettando la dispensa da Roma. 21

Pochi e tardivi sono i casi di matrimonio clandestino. Nel 1736 si era svolto quello tra Giovanni Battista Bollo
di Lemeglio e Maria Geronima vedova di Stefano Pagliettino (Il 7 settembre 1737 la curia concedeva di
assolvere dalla scomunica incorsa per matrimonio clandestino Giovanni Battista Carattino e Geronima
Pagliettino imponendo loro salutare penitenza. 22

Rari sono i casi nei quali vengono denunciati abusi sessuali di sacerdoti presi in se stessi, staccati da altre
lamentele. Il 31 luglio 1682 si proibiva a don Francesco Bollo di Moneglia di frequentare sia di giorno sia di
notte Maddalena Caffarena in vico Boccaso sotto pena di 100 scudi o del carcere. Nel dicembre 1729 don
Giuseppe Grillo era denunciato per frequentazione di donne, la pratica non ebbe seguito. 23

Il controllo della sessualit, come emerge dalla documentazione monegliese, non sembra essere un
problema affrontato direttamente dalle autorit del TD. Tale verifica pu servire a riflettere su di una
questione di carattere metodologico. Il concetto stesso di sessualit probabilmente anacronistico attribuito
alle comunit di antico regime. Pi che di controllare luso dei piaceri e dei corpi il problema quello di
gestire i rapporti allinterno delle comunit quindi di controllare matrimoni, convivenze e gradi di parentela.
Luso e labuso del sesso compare pi come prova allinterno di procedure giuridiche o come elemento di
accusa presentabile in maniera specifica verso persone, che come oggetto diretto di indagine e controllo. Le
societ di antico regime catalogavano il controllo della sessualit allinterno di altre categorie come la
direzione spirituale, confessione, ascesi e formazione delle coscienze. Un controllo informale era esercitato
dai discorsi, dal giudizio e dalle dicerie, e dai rapporti di vicinato in genere. Si notano quindi due scale di
letture nel rapporto tra quella che oggi chiamiamo sessualit e poteri nella societ. Una scala pi ampia che
agisce tramite il controllo delle figure giuridiche con il normare matrimoni, proibire convivenze; unaltra ridotta
che educa, convince, intimorisce e prescrive comportamenti e che agisce tramite figure diverse che vanno
dal confessore alle dicerie e lamentele di vicinato.

Usi della violenza

Sulluso della violenza a Moneglia possediamo biografie giudiziarie di personaggi che spiccano. Non
mancano per casi di risse o di conflitti che non si addensano su singole personalit, ma riguardano casi pi
generici come risse, vendette, scambi di pietrate o insulti, specie durante feste, resistenze violente alla forza
pubblica, i birri. 24

Nel 1646 si svolgeva, sotto la competenza del viceparroco di S. Croce, Giovanni Battista Castellino, il
processo contro il suddiacono Giulio Gotuzzo che aveva ucciso Antonio Valdenaro avendolo scoperto
mentre gli rubava delle fave. Il 29 maggio, la causa era ripresa dalla curia civile di Levanto. Il 25 gennaio
1647 Gotuzzo fu condannato dal TD a 10 anni a remare sulle galere. Si tratta di una delle sentenze pi dure
emesse dal TD. Questo non vuol dire che sia stata effettivamente applicata. 25

Un gruppo di pratiche riguardano un chierico (probabilmente tonsurato, ma non sacerdote): Andrea Casale.
19
ASDG 349 n 1
20
ASDG 382 n 87.
21
ASDG 383 n 35. Altri casi in ASDG 405 n 114; 366 n39;376 n 70; 393 n 22; 398 n76; 404 n 172; 411 n 5.
22
ASDG 452 n 4; 453 n 51
23
ASDG 415 n 25; 446 n 168.
24
Altri casi in ASDG 363 n 15; 363 n 20; 366 n 48; 367 n 15; 368 n 32; 369 n 1; 372 n127; 401 n 114.
25
ASDG 375 n 128.

5
Il 22 maggio 1652, Nicol Casale denunciava, in una supplica, il nipote, il chierico Andrea Casale, che,
invece di essere riconoscente verso lo zio ("infermo e podagroso) che "tanto bene" gli ha fatto, lo maltrattava
cantando, tutti i giorni, sotto le sue finestre, canzoni oscene. Non solo lo insultava minacciandolo della vita. A
Pentecoste si recato dallo zio "vantando volersene andare per il mondo doppo di essersi compiaciuto delle
mia vita" in quell'occasione aveva anche minacciato il parroco che era presente. Nicola Casale sperava con
la sua supplica nella giustizia del vescovo. Un mese dopo il vicario generale scriveva a Troilo Choino di
indagare sui fatti. I testi convocati furono interrogati. Simone Bollo affermava che Andrea Casale aveva
apostrofato lo zio come "ladro, assassino." Gli altri testi (Domenico Gotuzzo; Ginevrina moglie di Giovanni
Battista Bollo) confermavano le accuse. Il 28 febbraio 1653 Andrea venne condannato alla multa di 100
scudi per pii usi. Il 22 marzo 1654 "ad aures" arrivava la notizia che Andrea Casale il 24 febbraio andando in
giro di notte con altri preti aveva sparato un'archibugiata contro Angeletta Olivetta e le aveva bruciato la
porta del forno. A carnevale andava in giro mascherato e armato. Venne convocato per chiarimento in curia.
La causa non risulta finita. Una denuncia del maggio 1656 afferma che Giovanni Bernardo Piazza, aveva
ferito alle spalle con coltello Andrea Casale; si aggiungeva che il vicario foraneo non interveniva e anzi era
stato spesso corrotto durante altri processi. La risposta da Genova era che si prendessero informazioni sui
fatti. 26
Nel gennaio del 1658 Ottavio Moneglia scriveva da Moneglia che Andrea Casale si era impossessato di
alcuni terreni spettanti al fu Agostino Airolo dei quali il Moneglia era amministratore. Moneglia aveva
contattato Casale per convincerlo a cedergli le terre, ma questi lo aveva investito con "male parole." Per
questo lamministratore si era rivolto al foro secolare: Poco dopo, mentre la pratica era in corso, Casale si
era recato sotto le finestre del Moneglia armato di archibugio e "con parole enormi indegne dun sacerdote"
gli aveva intimato di uscire dicendogli che intendeva dargli le terre. Moneglia si era chiuso in casa per paura.
Per questo si rivolgeva allarcivescovo per avere giustizia. Dalla descrizione del Moneglia non chiaro lo
svolgersi dei fatti, la scenata del Casale sotto le sue finestre cosa significa? Il fatto che intendesse cedere le
terre va preso come una provocazione ironica o come lessere intimorito dal ricorso al foro civile del suo
avversario? La causa non ebbe seguito 27

Il clero della famiglia Lardito era coinvolto, a met Seicento, in alcune denuncie. Alcune coinvolgevano don
Antonio Lardito 28 che il 3 settembre 1634 era assolto dal Magistrato delle Nuove Mura da una denuncia per
debito. Il 30 ottobre 1644 don Antonio Lardito denunciava Francesco Bollo. Mentre Lardito era in "villa "
aveva scoperto che il Bollo aveva preso delle sue pietre in localit Piano presso Lemeglio. Bollo di fronte
all'evidenza dei fatti (si erano recati a fare un sopraluogo nel luogo dove aveva preso le pietre e constava
che fosse del cugino del Lardito) aveva minacciato il prete con un coltello. La causa non venne conclusa..
Nel maggio del 1647 don Antonio Lardito era denunciato perch spesso ubriaco dedito a comportamenti
scandalosi e al commercio di stoffa. 29.
Nel giugno del 1653 era presentata una denuncia anonima perch il giorno di Pasqua don Benedetto Lardito
di Lemeglio si preso a pietrate con Giovanni Battista Castellino rettore di Lemeglio. Il giorno del Corpus
Domini si era picchiato con un garzone del rettore. Si era inoltre scontrato con Angelo Bollo, Pasquale Tesi e
aveva picchiato a sangue una figlia di Nicol Bollo. Convocato a Genova prometteva di non molestare pi
nessuno. 30

In alcuni casi le gesta picaresche di membri del clero potevano avere una conclusione drammatica. Il
diacono Domenico Roverano nell'agosto del 1675 rubava agnelli e galline a S. Saturnino. Da Genova la
curia chiedeva di sospendere la causa contro di lui. Lo stesso anno Roverano era in lite con Antonio de
Negri per aver mangiato dei fichi sugli alberi altrui, la denuncia aggiungeva che Roverano andava in giro
cantando e suonando in compagnia di secolari. Nel gennaio del 1677 il parroco di S. Saturnino, Ottavio
Maineri, apriva il processo per l'omicidio di Domenico Roverano, avvenuto a Moneglia da parte di Antonio
Mazante. Il vicario inviava la perizia sul cadavere a Genova, di qui gli si rispondeva di seguire la causa
nonostante fosse seguita anche dal giudice laico. La causa non pare sia stata conclusa, per lo meno nella
parte ecclesiastica. L'avventura di Domenico Roverano aveva avuto tragicamente fine. Il processo contro
Alberto Manzante si svolse poco dopo. I giusdicenti di Moneglia e Levanto minacciavano il vicario foraneo,
Ottavio Maineri, e i suoi famigli perch non volevano che si formasse il processo. Il 22 novembre 1677
cominciava con l'ascolto dei testimoni e si fermava il 16 dicembre. Le pressioni e intimidazioni delle famiglie
avevano avuto la meglio. 31
26
ASDG 385 n 31; 390 n 10; 392 n 23.
27
ASDG 396 n 4.
28
Abit a Genova presso la parrocchia di S. Stefano (ASDG 19) celebrando messa in S. Maria in Via Lata
(ASDG 16).
29
ASDG 367 n 13; 374 n 24; 377 n 18.
30
ASDG 386 n 118.
31
ASDG 408 n 7; 408 n 12; 410 n 13; 411 n 20.

6
Il 22 gennaio 1718 erano ricevute in curia a Genova le lettere del sostituto del parroco di S. Croce, don
Angelo Rossi, su di un processo da svolgere. Poco dopo arrivavano quelle del vicario foraneo parroco di S.
Saturnino dal 1690 al 1728, don Pietro Antonio De Barbieri, illustranti il caso. La curia autorizzava pochi
giorni dopo un prete abitante a Framura, don Giovanni Bernardo Da Passano, a svolgere la causa.
Il racconto dei fatti avvenuti ci giunto tramite un primo testimone. Giacomo Bollo stava passeggiando nella
piazza della chiesa di S. Croce di Moneglia assieme a Giovanni Andrea Camposoprano, quando pass loro
vicino don Giovanni Simone Chioino assieme al suddiacono Giovanni Filippo Chioino. Camposoprano e i
due avevano avuto a che dire tra loro prima per strada, poi in chiesa, giungendo alla fine alle mani.
Una denuncia anonima non datata ci racconta un'altra versione dei fatti. Giovanni Simone Chioino aveva
assaltato con un coltello Camposoprano; era seguita una colluttazione a colpi di pietra nella quale era stato
anche sparato un colpo di archibugio. Il Chioino era aiutato da circa cinque parenti. A salvare la situazione
era stato, secondo il denunciante, l'intervento della Madonna in favore dei suoi devoti.
In realt una lettera inviata dalla curia di Genova al Da Passano nel febbraio del 1718 affermava
chiaramente come esistessero diverse versioni del fatto nelle quali si presentava il Chioino come aggressore
o come aggredito, per questo si chiedeva da Genova al Da Passano di promuovere una precisa indagine sui
fatti.
La versione di Giovanni Simone Chioino, interrogato a letto ferito alla testa, racconta che incontr per strada
Camposoprano con Lazzaro Vernengo, che lo aggredirono ferendolo con un bastone (19 gennaio 1718).
Nella documentazione si notano due versioni discordanti. In una Simone Chioino assieme ad alcuni parenti
aveva cercato di uccidere a coltellate Camposoprano in un'altra che "rappresentava il fatto tutto diverso"
sarebbe stato il Chioino ad essere assalito e ferito alla testa da Giovanni Andrea Camposoprano assieme a
Lazzaro Vernengo.
Un teste, Giovanni Raverano, ci informa su quella che era stata forse l'origine della questione. Il 2 gennaio si
trovavano in chiesa padre e figlio Camposoprano e trattavano circa la nomina del priore della Compagnia del
rosario; avrebbero voluto che questi fosse nominato da confratelli e consorelle e non dai governatori, come
per il passato era stato fatto. don Chioino era intervenuto redarguendo i presenti sul rispetto da portare in un
luogo sacro. I Camposoprano lo avevano apostrofato di farsi i fatti suoi. Camposoprano, a quanto pare,
aveva mostrato di essere armato. Per questo un altro presente, Giovannettino Bollo, aveva suggerito (non si
capisce a chi, a don Chioino, a tutti i presenti?) di andarsene.

Nel giugno del 1718 era emessa la sentenza. Camposoprano e Vernengo erano scomunicati per aver ferito
don Chioino. Nel gennaio 1719 gli scomunicati per non si erano ancora presentati in curia per il processo
definitivo. Nei primi mesi del 1719 presentavano finalmente un ricorso. Stanti le difficolt di istituire il
processo da Genova si decideva di affiancare a Da Passano don Angelo Rossi (1718 marzo 9). La causa
per si concludeva senza sentenza 32. Una decina di anni dopo il 28 ottobre del 1729 vi era una rissa tra
Lazzaro Maria Bollo e don Simone Chioino che sparando colpiva di striscio Bollo. Come prima la causa non
ebbe seguito. 33

Giovanni Battista Cavero nel 1726 denunciava don Giuseppe Grillo. Mentre si stavano costruendo
contemporaneamente le due chiese di Moneglia cera stata una lite tra donne della parrocchia di S. Giorgio.
Lo scrivano di curia subito dopo aggiunge, cancellandolo "e altre di quelle di S. Croce" il lapsus denota come
nella mente del notaio di curia la conflittualit tra parrocchie fosse un dato ovvio che agiva in maniera
automatica. In realt la lite avvenne tra donne di S. Giorgio e le sorelle del denunziante: Nicoletta, Maria
Francesca e Maria. Il fatto segu la domenica avanti la festa di san Giovanni Battista. Il giorno dopo le sorelle
Cavero erano state nuovamente assalite da Maria Angela, moglie di Giacomo Land, Maria Geronima,
moglie di Filippo Grillo e Geronima Fantone istigate a ci da don Grillo, che le aveva anche fornite di coltelli.
Il prete aveva anche fornito "schioppi" a Filippo Grillo in modo che potesse vendicarsi qualora il Cavero
avesse reagito. Di questultimo pericolo Cavero era stato avvertito da Bernardo Godano. Grillo, stante la
supplica del Cavero, si serviva dei bravi di Filippo Vassallo per punire e spaventare gli avversari ("hor battere
questo hor quello") e conduceva vita immorale "tenendo amicizia e proteggendo donne di mal affare." Non
solo don Grillo; frequentava Angea Maria Land "s di giorno che di notte con scandalo et ammirazione di
tutto il popolo" tanto pi che Maria Angela aveva avuto un figlio da don Grillo prima di essere sposata. L8
luglio veniva delegato il vicario foraneo a svolgere il processo. Larciprete Olivieri scriveva al vescovo in data
12 luglio che avrebbe svolto il processo come indicatogli. Tra i testimoni si nota la deposizione di Filippo
Vassallo (25 anni) che sosteneva che la lite ebbe origine da tensioni nate durante il viaggio da Chiavari delle
donne. Inoltre Vassalo aggiungeva che era stato a suo tempo amico di don Grillo con il quale andava
assieme, anche di notte, a casa delle sorelle Fantone sia dinverno, (attorno al fuoco) sia destate. A maggio

32
ASDG 435 n 88.
33
ASD 446 n 155.

7
era andato assieme a don Grillo a "cantar maggio" sotto le finestre di Marco Antonio Gotuzzo. La causa non
ha sentenza. 34

In alcune denuncie le lamentele non vertono su episodi di violenza, ma su comportamenti immorali.


Una denuncia di alcune persone "zelanti del timor di Dio", non datata ma attribuibile al 1678, accusava il
canonico Lazzaro Barbieri di numerose imputazioni (7 in tutto). Viveva con 4 donne e teneva una vendita al
minuto di pane e vino senza che la giustizia secolare intervenisse. In secondo luogo "ha renonciato il suo
canonicato e fondato un beneficio semplice in terre sogete a un figlio di Comiso e particolarmente in una
terra della comunit de beni del q. Giacomo Vernengo e detto canonico va debitore della comunit di L.
10000 pi questo beneficio non resta bene fondato e contro la mente de sacri canoni." Dopo essere
arrivato a Moneglia fomentava i parrocchiani di S. Croce contro i Fieschi, faceva scandali contro il curato e
aveva fatto un prestito di 50 scudi sugli argenti della chiesa. Prestava denaro ai mulattieri per tre giorni,
viaggio per viaggio, in particolare a Saturnino Marcone q. Giacomo e prestava denaro con "cangio maritimo."
Aveva fatto sposare suo fratello e poi gli aveva preso la dote infine lo aveva cacciato di casa ("e more di
fame") per vivere con le suddette 4 donne. Non celebrava messa, non diceva l'ufficio e bestemmiava. 35 In
fine prestava denaro al 6x100 di interesse. I supplicanti chiedevano che si mandasse il cancelliere con un
addetto da Genova perch il vicario foraneo non interveniva e in particolare che indagasse sulla questione
del beneficio fondato dal Barbieri; che "nostro Signore ghe dar il premio." Si sottoscrivevano: Ambrogio
Dolera di Placito, Giovanni Bernardo Piazza, Rev. P. Nicola Grillo, Giuliano Grillo, Francesco Bollo q. Giulio,
Giulio Bollo, R.P. Giovanni Battista Pagliettino; Giovanni Tagliaferro q. Bernardo, Rev. Antonio Marcone,
Michele Tagliaferro, Geronimo Vernengo, Giovanni Antonio Figlio, Giuseppe Tagliaferro. Si nota anche in
questo, come rilevato sopra, che le accuse su questioni sessuali siano strategiche a conflitti relativi
allaccesso alle risorse ed al controllo dei beni. 36

Dopo aver illustrato i casi nei quali si ha un uso generico della violenza, sia di gruppo sia individuale,
passer adesso a prendere in esame le vicende biografiche di alcuni sacerdoti monegliesi implicati in accuse
e processi.

Carriere criminali.

Un caso specifico nell'uso della violenza si ha quando non si tratta di fenomeni isolati, ma di personaggi del
clero che conducono delle vere e proprie carriere criminali. La documentazione monegliese ci permette di
seguire alcuni casi.

Geronimo Castello lamentava (11 ottobre 1635) di essere stato insultato per strada da don Giovanni Battista
Gallo (gli aveva detto "furfante, impiccato") che aveva minacciato con un bastone anche Lazzaro Tagliaferro
che era con lui. Gallo era convocato in curia per spiegazioni. La causa non ebbe seguito. Pochi anni dopo
don Gallo era nuovamente al centro di questioni. Il vicario foraneo di Moneglia, Giovanni Battista Fieschi,
scriveva il 7 luglio 1636 inviando una causa. Si lamentava affermando che gli abitanti di Moneglia erano
"gente tanto inurbana e temeraria, il che sia detto con pace de buoni, che non posso pi respirare." don
Giovanni Battista Gallo, che nel 1652 sarebbe diventato arciprete della cattedrale, era a cena in casa sua
(nella parte occidentale di Moneglia) assieme a Gerolamo Martignone quando vennero tirate delle sassate
contro la sua finestra. Andato a vedere vide radunata la famiglia di Battino Becchettino assieme a madre e
sorelle (che abitavano nella casa di fronte) che lo coprirono di insulti ("porco, traditore, ladro"). Erano
presenti al fatto don Gerolamo Dolera, Giovanni Battista Ravetino, Giuseppe Martignone, Antonio
Martignone, Gerolamo Martignone, Giovanni Cristoforo Vallassallo, Pietro Bollo, Giovanni Battista Ravetino.
Dall'escussione dei testi risultava che il Gallo aveva per primo tirato una pietra all'indirizzo della famiglia
dirimpettaia senza colpire alcuno e questi erano venuti a protestare. Un'ingiuria riferita dal teste Geronimo
Martignone spicca, la rivolse Antonio Becchettino (padre di Battino) al Gallo: "Taci che li miei antichi sono in
sacrato e li toi non vi sono potuti stare" segno di come la sassaiola fosse radicata in antiche inimicizie e
primazialit cittadine. Il Bacchettino era convocato in curia per chiarire la sua posizione. Non si conosce la
conclusione della pratica. 37

34
ASDG 445 n 41.
35
Sulla bestemmia si veda Andrea Lercari, Moneglia. Una Comunit ligure dalla Repubblica di Genova al
Regno dItalia attraverso il suo Archivio Storico, Genova, Accademia Ligure di Scienze e Lettere - Comune di
Moneglia, 2009 p. 234.
36
ASDG 411 n 7
37
ASDG 366 n 42; n 48.

8
Un altro caso quello di don Giovanni Battista Pagliettino che a quanto ci riferiscono i dati di archivio viveva
a Genova presso S. Stefano e servendo come cappellano presso il monastero di Ges Maria 38.
Il 21 novembre 1646 erano convocati in curia a Genova don Antonio Marcone e Francesco suo fratello
costituiti contro Giovanni Battista Pagliettino per rissa seguita dopo pranzo a S. Saturnino.
Una lettera del 1647 (8 ottobre) denunciava al vescovo il comportamento di don Giovanni Battista
Pagliettino. Questi era accusato di aver picchiato padre, madre, fratelli e sorelle. Di far rumore di notte per i
"caruggi" (vicoli) del borgo. La denuncia suggeriva che se fosse fatta esaminare tutta la contrada a parte i
parenti del Pagliettino, tutti testimonierebbero contro di lui. Il padre non lo aveva mai denunciato per paura. I
denuncianti non si firmavano, ma suggerivano un elenco di testi da interrogare. Il parroco di S. Croce in una
lettera accompagnatoria informava il vescovo che avrebbe preso informazioni. I testi esaminati
confermavano sostanzialmente le accuse, affermando che Pagliettino aveva anche cercato di sparare a suo
padre: l'archibugio si era fortunatamente inceppato per questo il prete, deposta l'arma, aveva percosso
duramente il padre. Nell'aprile del 1649 Pagliettino si presentava spontaneamente per deporre sulla lite
avvenuta in casa sua l'anno precedente. I fatti si erano per lui svolti diversamente. Pagliettino aveva
scoperto un ammanco di denaro in un suo ripostiglio ed aveva accusato, ritenendolo responsabile, il fratello,
questi, preso un oggetto (tavola o sasso) lo aveva tirato al prete colpendo per il padre. Il fratello ed il ferito
si erano quindi rifugiati in casa di amici. Negava poi pi volte, risolutamente, di aver usato l'archibugio e di
aver malmenato i genitori. Venivano poi interrogati dei testi a favore del Pagliettino. Questi affermavano che
il prete era "giovane quieto pacifico di buona voce" non andava in giro la notte, temeva la giustizia e
rispettava i genitori. La sentenza finale assolveva completamente Pagliettino. 39

Nell'aprile del 1651 Giacomo Morchio denunciava Pagliettino perch teneva una bisca e suo figlio vi si
recava a giocare. Un foglio mal scritto del 21 agosto 1652, forse una denuncia, riferisce una lunga serie di
accuse contro il Pagliettino: avrebbe percosso sua madre, maltrattato Caterina Gallo, "svergognato "
Battistina Bollo, rubato un agnello a Domenico Chioino e devastato l'orto di Nicolino Casale e il giorno di S.
Lorenzo assaltato don Simone Bollo. I testi erano interrogati dal vicario foraneo di Moneglia il 23 agosto
1652. Sostanzialmente confermavano le accuse. Un documento aggiunto inviato dall'arcivescovo tramite il
fiscale al bargello di Moneglia richiedeva anche una perizia per stabilire la verginit della donna violentata.
Nell'ottobre del 1652 Pagliettino era convocato in curia e il 23 gennaio del 1653 rinchiuso nel carcere civile di
Chiavari. Il primo aprile era interrogato nel carcere laicale di Genova. Pagliettino ricostruiva brevemente la
sua carriera: "Una volta fui carcerato perch fui trovato in casa d'una donna mia vicina e fui bandito fuori
dalla diocesi e fui anche carcerato un'altra volta, mentre viveva mio padre, perch pareva che havessi
gridato contro P. Antonio Marcone e fui liberato." Proseguiva poi elencando i nemici capitali: Giuseppe
Salvago, dottore, don Simone Bollo, Lazzaro Camposoprano, Antonio Bollo, Andrea Gotuzzo lo speziale. Col
Salvago aveva litigato quando era stato arrestato per debiti verso la comunit in pi suo fratello aveva litigato
con i Salvago insultando il figlio di Giuseppe (tale fatto risultava da una denuncia inviata da Salvago il 13
ottobre del 1652 aggiunta alla causa). Per il resto Pagliettino affermava di vivere pacificamente con la
madre, conosceva di vista Caterina Gallo e aveva avuto occasione di conoscere Battistina Bollo essendo
andato a casa di suo padre, ma assieme a sua sorella. Anche per gli altri casi che gli venivano elencati
Pagliettino rimaneva evasivo. A questo punto il giudice gli elencava i capi di accusa che lo riguardavano.
Pagliettino rispondeva che erano "tutte persecutioni."
Le difese del Pagliettino non convincevano pero questa volta il vicario generale che il 5 novembre 1653 lo
condannava alla relegazione dallo stato ecclesiastico per 7 anni e a scontarli a remare sulle galere della
Serenissima Repubblica qualora avesse contravvenuto all'ordine. 40

Nel 1652 erano inviate all'arcivescovo alcune lettere di denuncia sulle malefatte di Pagliettino. Giovanni
Antonio Arata, viceparroco di S. Croce, scriveva il 19 novembre 1652 che una sera in casa sua era fatto
oggetto di un lancio di sassi. Sospettava che fosse il Pagliettino in quanto aveva avuto dall'arcivescovo una
cappella che prima spettava a lui. Era stato per questo minacciato da Pagliettino. Giuseppe Salvago lo
aveva poi assicurato di aver motivo di pensare che a lanciare le pietre fosse stato Pagliettino. Arata temeva
ad uscire di casa e portare i sacramenti ai malati per timore di essere ucciso dal Pagliettino inoltre non
poteva raccogliere le olive (4 o 5 barili di olio) della cappella. 41

Giuseppe Salvago ricordava di essere stato minacciato assieme al figlio dal Pagliettino che forte
dell'impunit fino allora goduta, continuava Salvago, commetteva sempre nuovi delitti. Salvago si era recato
dal vicario foraneo per avere il permesso di incarcerare Pagliettino. Troiolo Chioino, il vicario, glie l'aveva
concessa a malincuore. Salvago si era a questo punto reso conto che le accuse al Pagliettino venivano da

38
ASDG 19.
39
ASDG 375 n 140; 378 n 23.
40
ASDG 385 n 12; 387 n 79.
41
ASDG 389 n 2.

9
persone con "animo sanguigno come spinti dalle grandi offese", aveva riconsegnato il permesso del vicario e
scritto all'arcivescovo le sue lamentele perch "per il decoro ecclesiastico" rimediasse alla situazione.
Elisabetta Comelio lamentava che, di notte, Pagliettino si era recato sotto casa sua facendo delle "smorfie";
la donna gli aveva tirato dell'acqua e il prete aveva risposto prima a pietrate poi con unarchibugiata.
Il vicario foraneo accompagnava le denuncie con una lettera. In questa affermava la necessit di castigare
quanto prima il Pagliettino che era la "rovina di questo luogo". Il vicario non poteva fare di pi perch non
aveva l'aiuto della giustizia civile, n poteva fare un processo in quanto i testimoni temevano per la propria
vita. Il Senato aveva pensato di far intervenire Salvago, ma, temendo qualche inconveniente, il vicario,
Chioino aveva deciso di scrivere all'arcivescovo.
Da Genova si rispondeva di incarcerare il Pagliettino e di interrogarlo. Una lettera inviata al vicario dal
responsabile del carcere criminale, Domenico Grossi, descriveva il comportamento di Pagliettino in carcere:
abbordava sia le mogli dei carcerati sia le carcerate (detenute in un'altra zona e che vedeva quando andava
a celebrare la messa). Malediceva il giorno della sua nascita ed il battesimo e si vantava di essere stato gi
incarcerato per donne, di aver rapito una ragazza a Chiavari e di aver rubato negli orti di notte. 42
Il 21 aprile 1653 erano interrogati i testimoni. Don Simone Bollo, uno dei nemici di Pagliettino, lo definiva
"religioso scandaloso" e affermava di aver sentito dire che aveva "violato delle figlie". Sempre Simone
affermava di aver sentito Pagliettino vantarsi delle sue imprese amatorie e affermare che il cardinale era un
"beghino." Un altro teste, Ottavio Moneglia, affermava di aver sentito dire che Pagliettino "a Giulia moglie di
Domenico Connio l'apese le corna alla porta e ci procedeva perch detta Giulia s'era lamentata d'un
agnello l'era stato preso da detto P. Gio Batta e compagni ch'erano con lui". Emerge da questa
testimonianza uno squarcio su aspetti della vita monegliese. L'appendere le corna alla porta di qualcuno era
un rituale infamante conosciuto in Europa con il nome di Charivari. Il gesto venne fatto, ci viene detto, da
Pagliettino "e compagni". Chi sono questi compagni? Pagliettino era a capo di una banda? Un gruppo di
giovani? Oppure era solo un aggregato momentaneo finalizzato all'appendere delle corna? Non lo
sappiamo. In genere i testi riportano le accuse, anche se uno di questi, Nicol Casale, afferma al contrario
che Pagliettino "buon religioso" e non gira armato. Continuava affermando che se si vuole sapere se aveva
fatto del male bisognava interrogarlo direttamente continuando di non averlo mai visto maltrattare padre e
madre n "andar appresso a donne." E' difficile capire se Casale esprimesse un'altra versione sul Pagliettino
o, come affermato da altri testi, ne temesse le ritorsioni.
Il 17 marzo 1653 era interrogato Pagliettino ormai in carcere da 4 mesi. Elencava i nemici capitali (Nicolino
Casale, don Simone Bollo che abbiamo gi incontrato, Ottavio Moneglia, Giuseppe Salvago, Andrea
Gotuzzo, Antonio Bollo) che avevano secondo lui intenzione di "estinguere" la sua discendenza. Avevano
fatto incarcerare suo fratello per debiti. Per il resto Pagliettino negava ogni addebito come calunnioso. Alla
fine dava una sua versione delle origini della questione. Dipendeva tutto da Giuseppe Salvago il quale
desiderava "conforme si lasciato intendere, che io vada in precipitio perch, mancando mio padre, sono
restato io il maggiore impedimento et andare innanzi e indietro per sovenimento di mia casa. Fanno tutto ci
per sconquassarmi e maggiormente per poter maneggiare il sussidio di quelli poveri pupilli miei fratelli e
chiamo in testimonio domine Dio che mi castighi se ho fatto io quello che sono accusato". L'interrogatorio era
inviato a Genova l'11 giugno 1653. Non ci pervenuta la sentenza. 43
Una lettera del 28 settembre 1663 denunciava che Pagliettino "persevera nella mala vitta con scandalo
publico et con veruno timore di Dio et della giustitia ". Nel maggio del 1668 Pagliettino era denunciato per
aver minacciato con un coltello sua cognata, suo fratello e altre persone. Veniva convocato in curia, ma la
causa non ebbe seguito. L'anno dopo, nel dicembre, Pagliettino si picchiava col fratello. Su Pagliettino non
possediamo altre notizie. 44 Si nota in ogni caso come di fronte ad una mole di denuncie notevole i
provvedimenti effettivamente presi contro di lui siano stati scarsi ed inefficaci.

Un altro caso, conclusosi per tragicamente, era quello di Lorenzo Fieschi parroco di S. Croce.

I precedenti non mancavano, Lorenzo Fieschi era stato sin dallinizio del suo ministero monegliese al centro
di tensioni.
Nel marzo del 1655 giungeva in curia una denuncia contro il parroco di S. Croce, Lorenzo Fieschi, nella
quale si affermava che girava armato, in compagnia di banditi e maltrattava i parrocchiani "con grave et
universal scandalo del popolo." L'anno dopo (1656) il 20 febbraio i massari di S. Croce si lamentavano che
Lorenzo Fieschi era assente da un mese trascurando la parrocchia, al suo posto diceva una sola messa il
cappellano che era abilitato a confessare. Il 30 aprile 1666 il parroco don Lorenzo Fieschi aveva espulso di
casa il viceparroco don Geronimo Piazza "con mano armata, maniere indecenti e scandalose" nonostante
questi fosse l da 12 anni. Da Genova lo si ammoniva di non infastidire don Geronimo Piazza. Nel maggio

42
ASDG 387 n 79
43
ASDG 389 n 2 B-C.
44
ASDG 402 n 12; 405 n 59; 407 n 1

10
del 1666 era Geronimo Piazza, che impediva con la forza al parroco Lorenzo Fieschi di entrare in casa a
Moneglia come ci viene testimoniato del servo di Fieschi, Marco de Ferrari. 45

I Fatti sarebbero per precipitati nel 1677 quando i conflitti da tempo esistenti portarono alluccisione di
Fieschi.

Il 25 agosto 1677 a S. Michele di Rapallo, vicariato di S. Margherita, Lorenzo Fieschi figlio di Federico era
ferito con archibugiate. Venne visitato da Antonio Roisecco, parroco di S. Giacomo di S. Margherita e vicario
foraneo. Verific che era stato ferito da 5 archibugiate mortali. Venne interrogato in letto da Roisecco.
Andando alle 23 di sera a S. Michele per parlare con un suo manente incontr tre giovani tra i quali Andrea
Borzone q. Antonio gi processato alla corte di Rapallo per aver rubato in casa dello stesso Fieschi 80
doppie e mezza e un sacchetto di scudi di argento. Borzone gli aveva sparato. Interrogato in seguito il
manente Bartolomeo Mortetto aveva affermato di aver sentito dire a Rapallo che gli altri attentatori erano il
figlio del fornaio Giovanni Battista Ferretto e il figlio di Andrea Schiaffino, del quale non ricordava il nome. Il
30 agosto il Fieschi era ormai morto. 46.

Un caso successivo di carriere criminale quello di don Sebastiano Tagliaferro.

Nel marzo del 1698 si svolgeva una rissa a bastonate e coltellate tra don Sebastiano Tagliaferro e Ettore
Castiglione. Tagliaferro estraeva anche un coltello. La causa finiva forse con una pacificazione. Nel 1718
Sebastiano Tagliaferro litigava con un francescano, padre Nicol di Ovada. 47

Nel maggio del 1720 veniva inviata una supplica di Giuseppe Tagliaferro nella quale raccontava di essere
stato aggredito con parole e spintoni da don Sebastiano Tagliaferro mentre si trovava in una sua propriet
presso S. Saturnino. 48 Giuseppe si era rivolto al vicario foraneo che aveva per difficolt ad intervenire
perch don Sebastiano girava sempre armato. Il 13 febbraio don Sebastiano lo aveva nuovamente aggredito
per strada (sulla piazza dello scalo di Moneglia); minacciando di volerlo uccidere. Per questo Giuseppe era
fuggito. Si rivolgeva perci al tribunale vescovile. Il 20 marzo Sebastiano inoltrava una supplica nella quale
affermava di essere vittima di una macchinazione dei nemici dei Tagliaferro, gli stessi che avevano cercato
tramite banditi di uccidere suo fratello, il francescano conventuale fra Bonaventura. Inoltre riteneva sospetti
sia il vice parroco di S. Croce don Sebastiano Casale 49 sia il vicario foraneo, il parroco di S. Saturnino, don
Pietro Antonio de Barbieri; tutti complici dei suoi calunniatori. In particolare Casale e tutta la sua casa
avevano forte inimicizia contro la casa dei Tagliaferro. Il 26 marzo il processo era levato al parroco di S.
Croce e dato al rettore di Castagnola perch non si potessero sospettare interessi privati in quanto
Sebastiano aveva fatto un "allegatione di sospetto". Il 29 maggio don Sebastiano Passano rettore di
Castagnola scriveva in curia che aveva convocato i testi, ma, essendo assente, lo scrivano li aveva sentiti
extrajudicialiter, questi si erano rivelati poco e niente in formati, per questo rimandava la causa, per altro non
era conclusa, al vescovo. 50

Nel gennaio del 1720 il vicario generale veniva a sapere che don Sebastiano Tagliaferro di Michele
conduceva una vita "assai indecente al carattere sacerdotale". Lavora nella bottega di suo padre, droghiere,
e vendeva pi caro degli altri, era maldicente e potrebbe essere stato coinvolto nell'omicidio del rettore di
Lemeglio, Domenico Bertolone, commesso da Francesco Fellone. Dopo aver ascoltato i testimoni il 7
febbraio 1721 si ordinava l'arresto del Tagliaferro. Il 12 era estratto dal carcere.
Il primo gennaio 1721 iniziava la pratica contro Tagliaferro. L'accusato confermava, sminuendoli, gli addebiti;
solo alcune volte, per aiutare il padre, avrebbe lavorato in negozio. Alla fine dell'interrogatorio Tagliaferro era
condannato ad una multa di cento scudi e agli arresti domiciliari; poi per una lettera scritta da Caterina
Dolera Tagliaferro e Simonetta Tagliaferro, cognata e sorella di Sebastiano, che lamentavano la malattia del
consorte e fratello Giacomo chiedendo l'aiuto di Sebastiano gli fu permesso il 21 maggio di tornare 15 giorni
a Moneglia.
45
ASDG 391 n 40; 392 n 11; 404 n 162; 404 n 208.
46
ASDG 411 n 20.
47
ASDG 424 n 102; 436 n 171.
48
Giuseppe Tagliaferro sarebbe incorso in una denuncia circa vent'anni dopo, questa volta come
aggressore. Il 28 luglio 1742 una lettera della curia era inviata al vice parroco dellarciprete di Moneglia.
Doveva ricevere la denuncia di don Michele Angelo Di Negro contro Giuseppe Tagliaferro per le ingiurie e
percosse ricevute. La causa non ebbe seguito (ASDG 456 n 56).
49
Aveva studiato humanae litterae nel collegio dei gesuiti di Genova dove era stato membro della
confraternita mariana cfr. Chiavari, Archivio storico diocesano, Santa Croce di Moneglia, documento del 17
marzo 1702.
50
ASDG 438 n 22.

11
Nel frattempo per Sebastiano aveva ricusato come giudice don Sebastiano Casale parroco di Santa Croce
di Moneglia, probabilmente perch membro della famiglia Casale che Tagliaferro riteneva a lui
specificamente avversa, che aveva, sino allora, condotto il processo ritenendolo parziale nella causa. 51
La sentenza era emessa l'8 agosto. Tagliaferro era assolto dalle accuse e non doveva essere pi molestato,
doveva per di l in poi non occuparsi pi del negozio paterno sotto la minaccia di pene arbitrarie, anche il
carcere, qualora contravvenisse. 52
Nel giugno del 1726 giunse "ad aures" del vicario che Sebastiano Tagliaferro con suo fratello avevano
forzato la porta di una casetta in localit Chiapuzzo di propriet di Benedetta Grillo vedova di Giovanni
Battista Tagliaferro e se ne erano impossessati. Una lettera, inviata dal vicario capitolare a quello foraneo
ordinava che Tagliaferro consegnasse le chiavi della casetta al vicario foraneo che le avrebbe date alla
proprietaria. Se avesse mancato sarebbe stato sospeso a divinis. 53
Il 13 settembre 1745 il parroco di S. Croce e vicario foraneo don Gian Antonio Caprile (1738-1763) scriveva
a Genova per varie questioni. Tra queste riferiva che don Sebastiano Tagliaferro lamentava che Antonio Mari
Testi aveva insultato suo nipote. 54. Questa volta era Tagliaferro a ricorrere al TD per offese ricevute dalla sua
famiglia, forse let lo aveva spostato dal campo di quelli che incutevano paura in quello di coloro che la
subivano. Si nota per altro come la lamentela che inoltra Tagliaferro riguardi insulti ricevuti da suo nipote. Il
prete mantiene il ruolo di protettore e rappresentante della famiglia, questa volta non pi con la forza ma
attraverso canali giudiziari.

A met Settecento si segnala nelle denuncie don Lorenzo Vernengo. Il 18 ottobre 1750 don Lorenzo figlio di
Lazzaro oste, irrompeva con alcuni "sfrenati" nella riunione degli agenti della comunit in casa del podest e
imponeva al notaio Dolera di dargli atto di "condotta o sia surroga di medico" fatta dagli stessi agenti durante
la riunione. Fatto grave perch mai si era avuta tale intromissione. Il Dolera stesso presentava la supplica
che si punisse il Vernengo. Dalla curia si rispondeva l'11 novembre aggiungendo in calce alla supplica che il
vicario foraneo, arciprete di Moneglia, si informasse e se la cosa risultasse vera intimasse a Vernengo sotto
pena di sospensione a divinis di presentarsi all'arcivescovo 55. La situazione per non migliorava, pare che
Vernengo non venisse ripreso; questo lo rendeva pi prepotente. Una nuova supplica (febbraio 1751)
affermava che armato di archibugio assieme a un fratello "dimenticato del debito christiano e sacerdotale"
aveva assalito Giovanni Antonio Beniscelli autore della supplica, minacciandolo e maltrattandolo nonostante
fosse anziano e infermo. La vittima era stata salvata dall'intervento dei presenti. Il supplicante, lo stesso
Beniscelli, concludeva con una raccomandazione che suonava come un ricatto: se non avesse provvisto il
vescovo con la sua "inalterabile giustizia" a correggere il prete ci avrebbe pensato qualcun'altro. Il 23
febbraio la curia commentava in calce di chiedere al rettore di Moneglia di aprire il processo. Un'altra
denuncia anonima (non datata) contro don Lorenzo Vernengo riprendeva l'accusava di aver aggredito con
archibugio alla mano assieme a suo fratello, Giovanni Antonio Beniscelli, anziano e malato. Solo l'intervento
dei presenti, per il denunciante, aveva evitato il peggio. Si richiedeva che fosse castigato. Sono citati come
testi don Bartolomeo Gotuzzo, Giovanni Francesco e Giuseppe Tagliaferro. La pratica non conclusa. 56
La vecchiaia non calmava per don Lorenzo. Nel 1796 il parroco di S. Croce e vicario foraneo, Giovanni
Augusto Paganini, inoltrava la supplica di Bartolomeo Bollo per gli "oltraggi" che subiva da don Lorenzo
Vernengo. Questi, abitante in Moneglia aveva insultato Bollo, nominando Dio e insultando anche la moglie e
la figlia in piazza a Moneglia. Questo perch il padre di Vernengo aveva dei debiti con il Bollo. Vernengo
assieme a suo fratello, durante un incontro con il Bollo, avevano strappato la polizia che attestava il debito. Il
31 gennaio 1796 Vernengo era condannato a 10 giorni di esercizi spirituali. 57.

Anche se non facile dare un valore statistico a questi comportamenti si nota la fatica di estendere un
controllo sui costumi del clero. Pi che sul tema della sessualit ( come rilevato sopra) lo sforzo riformatore
si arena su quello della violenza. I rapporti di forza locali tra famiglie assorbono in maniera agglutinante il
clero che rimane allinterno delle dinamiche faidali locali. Il TD, che a Genova doveva tra laltro governare
una diocesi molto estesa e frammentata, non riesce a perseguire i comportamenti criminali del clero.
Denuncie e protezioni, attacchi e difese, replicano i rapporti di forza locali tra famiglie. Allinterno di questi il
clero monegliese, e qui gli elementi pi turbolenti, si muove a suo agio, potendo contare su protezioni locali
che frenano lautorit del TD. Questo pu richiamare e minacciare ottenendo per scarsi risultati. Tale
situazione non esclude che vi fosse una forma di controllo su tali comportamenti, solo non era esercitata in
51
Il parroco ufficiale di S. Croce era don Roboaldo Fieschi (1681-1723) spesso assente e sostituito da
Casale.
52
ASDG 439 n 1.
53
ASDG 445 n 35.
54
ASDG 458 n 64.
55
ASDG 460 n 228.
56
ASDG 460 n 243.
57
ASDG 469 I n 27

12
maniera giudiziaria e verticale dal TD ma in maniera laterale e informale sul posto. Informale non vuole per
dire inoffensiva, o non violenta, si veda il fatto che alcuni preti vengano uccisi. La comunit locale elabora dei
suoi criteri di controllo sul clero e si ricorre al TD allinterno di queste tensioni e conflittualit. La stessa
violenza locale e faidale in questa ottica una forma di controllo. I preti criminali incutono paura e sono
minacciati. La violenza fatta, subita, denunciata allinterno di un uso locale di rapporti di forza tra famiglie.
Come si dir tra poco criminale non vuole dire per marginale, i preti implicati in tali azioni sono delle
famiglie principali di Moneglia. Le loro violenze agiscono in favore di interessi familiari, come loro stessi
rivendicano, e, in nome di altri interessi locali, sono combattute.

Conclusioni

Studiando questa documentazione si possono elaborare alcuni presupposti e conclusioni. Come detto
all'inizio la documentazione criminale deve essere utilizzata tenendo conto che non si tratta di documenti che
intendono fornire un quadro della realt locale utilizzabile in senso sociologico. Questi documenti ci
mostrano come la gente di Moneglia ha risolto i suoi conflitti di fronte al TD, non l'origine e la quantit dei
conflitti o dei reati. Per fare ci bisogna integrare la fonte criminale con altre, operazione non sempre facile.
Detto questo tenter di elaborare alcune piste di riflessione.
Il primo dato che spicca come le pratiche non abbiano per la maggior parte una sentenza. Si tratta di
denuncie, di lettere informative, di note inviate al vicario perch indaghi o cerchi di rappacificare i
contendenti. In pochi casi sentenze. In alcuni casi non neppure detto che le poche sentenze siano state
eseguite.
Non facile capire la causa di questa situazione che sembrerebbe per normale nel TD di Genova.
Probabilmente la funzione stessa del tribunale che si propone come strumento di mediazione e di
soluzione di conflitti pi che di punizione di colpevoli. La diocesi non intende punire reati quanto correggere
comportamenti e ricomporre tensioni.

Un altro dato che emerge lo stretto legame tra famiglie, istituzioni religiose e tribunale. Il clero coinvolto
nelle procedure monegliese: membro di famiglie importanti della localit. Il fenomeno della delinquenza
ecclesiastica o in genere dell'impossibilit di disciplinare i comportamenti del clero non riguarda personaggi
laterali alla societ, spostati o poveri. E' vero il contrario. Sono i sacerdoti delle famiglie pi influenti, che
risultano pi difficilmente controllabili. La forza del patrimonio familiare li rende forti di fronte all'autorit della
diocesi. Anche i comportamenti che, guidati dallocchio etnografico coloniale dellOttocento, qualificheremo
come folklorici (Pagliettino che appende le corna di notte sulle porte) non sono compiuti da figure marginali,
ma da sacerdoti di famiglie monegliesi importanti che hanno cappelle in parrocchia e ne gestiscono il
giuspatronato. Alcuni sacerdoti anche se di Moneglia risultano dagli schedari della diocesi attivi a Genova
come cappellani di chiese e conventi a Genova. Si pone qui la domanda sul loro vero ruolo. L'incarico
ufficiale genovese era solo formale mentre i soggetti in questione di fatto abitavano a Moneglia? Era solo
una copertura? Oppure si recavano a Moneglia solo occasionalmente? Ma a quanto sembra, per lo meno
per Pagliettino, cappellano delle suore di Ges Maria, solo per combinare malefatte? Il fatto che gli schedari
non siano sempre datati non aiuta a dirimere la questione se gli incarichi di cappellanie non siano stati
assunti in momenti diversi rispetto alla permanenza a Moneglia. Un dato da sottolineare il concetto di
cultura popolare che emerge dalla documentazione monegliese. Quellinsieme di fenomeni che chiamiamo
cultura popolare non sono caratterizzati da una stratificazione sociale o da unappartenenza (sociale o
locale), ma da una funzionalit. Non il popolo che fa la cultura popolare in contrapposizione alle classi alte
o colte, ma una modalit di comportamenti contrapposti a quelli alti che vengono agiti da persone di varia
provenienza (si veda il caso di Pagliettino): una rete di funzioni. Il popolare non una struttura stabile, ma un
modo di comportarsi che si attiva contrapposto ad un altro, quello ufficiale.

I conflitti cerimoniali contrappongono parrocchie e oratori nel definire poteri e competenze territoriali. Si tratta
di fenomeni che, almeno dal tribunale, ci appaiono come rari. Questo di per s non vuol dire che
accadessero raramente, ma solo che di rado arrivavano alla giustizia ecclesiastica, forse erano dati endemici
della vita monegliese che non erano sempre registrati.

Le risse abbondano spesso collocate in prossimit di feste religiose. Tale dato merita alcune considerazioni.
Da un lato le aggregazioni festive fornivano occasioni di liti, ma va anche rilevato che in una societ che non
conosceva, di fatto, festivit solo civili e caratterizzata da una scarsa alfabetizzazione la misurazione del
tempo era collegata al calendario liturgico. In altre parole le risse avvenivano spesso in prossimit di feste di
santi, ma l'appiglio del calendario festivo era per molti l'unico modo di scandire il tempo; quindi era ovvio
datare un fatto ricordato collegandolo ad una festivit. Non sono pochi i membri del clero che fanno una
brutta fine e muoiono uccisi. Da un lato l'altro numero percentuale di preti facilitava statisticamente il fatto

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dall'altra questa situazione ci mostra un clero inserito pienamente nelle dinamiche faidali. Ma faidali non vuol
dire marginali, a morire ucciso un parroco di nobile famiglia, Lorenzo Fieschi. 58

Veniamo cos ad una questione specifica. Il comportamento morale del clero non sembra preoccupasse la
popolazione. La dove vi sono denuncie contro il malcostume sessuale del clero queste non colpiscono
direttamente l'argomento; sono allegate a proteste per questioni di patrimonio, risse o altro. Si tratta di
accuse aggiuntive, non del principale capo di imputazione. Da questa documentazione si potrebbe pensare
che la grande questione tridentina della moralizzazione del clero non suscitasse n specifiche approvazioni
n rifiuti ma poco interesse. La dove viene denunciato un sacerdote il suo malcostume sessuale un'accusa
laterale ed aggiuntiva a questioni che sono percepite come pi gravi: risse, favoritismi, liti di confine, abusi
cerimoniali. In un caso, quello di don Cristoforo Dolera, il comportamento immorale ci noto dallo schedario
diocesano del clero che lo definisce "bandito per donne", non da fonti giudiziarie. Questo dato ci utile per
interpretare le fonti criminali. L'assenza di una questione dalla documentazione del TD non vuol dire che il
problema non esistesse o che non fosse affrontato dall'autorit; pi semplicemente che non lo era in quella
modalit trasmessaci dal documento. Il comportamento immorale del clero nell'ambito sessuale era
affrontato dal vescovo, ma non attraverso denuncie da parte della popolazione in foro criminale. Si potrebbe
fare qui unulteriore precisazione. Forse i monegliesi non erano direttamente interessati alla moralit del
clero, o, quando e se, si lamentavano, non si servivano di denuncie al TD. Pi che inquadrare il fenomeno
dell'immoralit del clero in un contesto ampio i documenti criminali ci mostrano come un fatto direttamente
trascurato entri nella documentazione in maniera laterale. Non la denuncia che ha un contesto, ma la
stessa che lo crea dell'atto giudiziario che inizia.

Potremmo concludere notando come si possano vedere agire a Moneglia due livelli della realt. La
rappresentazione dell'autorit e le pratiche di controllo sulla societ. Ad un cerimoniale forte che si
autorappresenta in maniera autorevole (pensiamo a quello del vescovo nelle visite pastorali) pu
corrispondere un potere che agisce per trattative, concessioni, accomodamenti. Questa modalit di esercizio
della giustizia non deve essere necessariamente intesa come segno di debolezza (e in base a quale modello
di forza?) bens come una variabile dettata sia dalle circostanze sia da scelte di governo che si producono e
rafforzano reciprocamente. Una societ costituita da una rete di famiglie mostra un clero collegato
fortemente al territorio, immerso nei conflitti locali (a volta a costo della vita) difficilmente controllabile da
un'autorit sopralocale come quella episcopale. I vicari servono quindi a spingere, contattare e contrattare,
convincere. Le rare sentenze rimangono forse inapplicate.

Una fonte utile per comprendere il funzionamento della documentazione del TD il fondo Criminalium della
comunit di Moneglia oggi conservato nellarchivio comunale. La documentazione copre uno spazio di tempo
che va dai primi anni del XVII secolo alla fine della repubblica aristocratica. Leggendo i registri si nota subito
una conflittualit quotidiana e onnipresente: risse, sassaiole, alterchi accadono ogni giorno. Prender qui in
esame alcuni casi che possono essere usati per scompaginare le evidenze della documentazione
diocesana.

Come nelle fonti ecclesiastiche le feste da ballo sono teatro di risse e violenze. Il 14 marzo 1618 aveva luogo
una rissa ad una festa da ballo sulla piazza di Santa Croce, risultavano imputati Matteo Gotuzzo e Pietro
Carodano. Nel luglio del 1620, un sabato sera si svolgeva una festa da ballo a casa di Angelo Vernengo,
scoppiava una lite nella quale Matteo Gotuzzo feriva a coltellate Michele Multedo. 59

Alcune liti nascevano da conflitti per laccesso alle risorse. Il 30 agosto 1620 presso la localit Casale il
messo della curia di Moneglia mentre si recava a far legna per la comunit era aggredito piccozza alla mano
da Geronimo Botto, sua moglie Maddalena e dai figli Stefano e Alessandro 60. Nel maggio del 1673 si
58
Sulle famiglie (in particolare Dolera e Mottino) e le faide si veda Andrea Lercari, Moneglia. Una Comunit
ligure dalla Repubblica di Genova al Regno dItalia attraverso il suo Archivio Storico, Genova, Accademia
Ligure di Scienze e Lettere - Comune di Moneglia, 2009 pp. 138-144.
59
ACM, Criminalium 1618 -1619, p. 40r; 1620 luglio 27 p. 35v.
60
(ACM, Criminalium, 1620, p. 44v). Lo stesso anno si segnalano casi simili. Minetta moglie di Giovanni
Antonio Baliano viene picchiata a bastonate da Galeotto Cavero per aver raccolto erba in un terreno di suo
padre (ACM, Criminalium, 1620 giugno 11 p. 17r.) Nel 1620 scoppiava una lite nel giardino di Luca Gandolfo.
Angeleta, vedova di Stefano Cuneo, andava a prendere acqua nel pozzo del giardino, arrivava in quel
mentre Antonio Piazza che la malmenava e spingeva a terra perch non voleva che prendesse l lacqua
(ACM, Criminalium, 1620, pp. 12v-13r). Il 22 luglio 1620 era denunciato che Francesco Gallo prendeva a
schiaffi e pugni Caterina, moglie di Simone Migliaro, perch andava a prendere erba nel suo terreno (ACM,

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svolgeva una lite a picconate. Maria moglie di Gregorio Guerra di Catarile ferita a picconate in un occhio
da Francesco e Angelino Bracco perch era passata in un loro terreno detto Aiola. 61. Antonio Ameghino era
in un campo in localit Piano, terreno coltivato con olivo, fichi e vigna, che conduceva come mezzadro del
notaio Angelo Granara. Nel terreno, calpestando il seminato, passa Nicola Ravettino, quando Ameghino lo
redarguisce quello lassale e gli morde un dito. 62

Un altro tipo di reato la violenza (non sessuale) su donne o tra donne. Picchiare donne o picchiarsi tra
donne un fatto diffuso. Nel luglio del 1620 c una lite tra Maria Grillo e Marietta Multedo perch una aveva
sottratto allaltra una scure lasciata in un bosco. Nel luglio del 1669 Luigina Bollo e Domenichina sua figlia
insultano per strada Geronimo e Isabella Pagliettino sua moglie. 63 Un secolo dopo, nel luglio del 1726
Giovanni Francesco Gotuzzo prende a pietrate e graffia Benedetta, moglie di Batino Matalana. Nellagosto
del 1726 Caterina Grillo e sua madre Maria, moglie di Giovanni Battista Grillo, venivano picchiate a sangue
da: Chiara Fantoni, Maria Zabetta Fantoni, Maria Geronima Fantoni, Chiara Fantoni, Maria Angela Fantoni
moglie di Giacomo Land anche lui imputato per percosse. 64 Nel novembre 1757 Angelo Ugobono prende a
schiaffi Maria Vittoria Ugobono in un terreno presso Casale vicino alla cappella di San Giacomo perch la
donna gli aveva detto di pagargli un leccio che aveva tagliato. Il 9 dicembre 1759 Angela Dolera mentre era
nel forno di Elena Tagliaferro viene picchiata davanti a numerosi testi della famiglia Tagliaferro da Domenico
Grillo. Nella testimonianza di Elena Tagliaferro si afferma che don Antonio Grillo, fratello di Domenico aveva
picchiato Angela Dolera perch una sua serva aveva chiesto alla Dolera della stoffa che le avevano dato e
questa aveva voluto in cambio 40 L. 65 Nel giugno del 1788 sulla strada che da Moneglia porta a Lemeglio
avveniva una rissa a legnate tre le tre sorelle Bollo e altre due donne. 66

Da questo breve excursus sulle fonti della giustizia civile si nota come le cause ecclesiastiche, poche rispetto
a quelle civili, vadano inquadrate in un tessuto di conflittualit continuativo che contrapponeva le famiglie
monegliesi. Ho qui evidenziato tre modalit di conflitto, quello relativo alle feste da ballo, quello per il
possesso di beni e i casi di violenza su e tra donne. Da questi pochi dati si pu trarre una conclusione. Il
ricorso alla giustizia ecclesiastica una modalit di regolamento dei conflitti. La dove tensioni preesistenti
intersecano preti o beni della chiesa scatta il dispositivo del ricorso al tribunale diocesano. Questo tipo di
giustizia assume un lessico proprio che comprende questioni sia patrimoniali sia morali che servono a
legittimare o costruire il ricorso alla giustizia vescovile. La fonte del TD quindi un testo che crea un
contesto, quello appunto delle trasgressioni del clero, dei conflitti di precedenza, o delle risse che
coinvolgono preti, finalizzato a risolvere tensioni nate da conflitti per il predominio sul territorio.

Criminalium 1620 luglio 22, p. 32). Domenichina figlia di Antonio Vernengo dato che si era lamentata perch
si raccoglievano olive nel suo terreno viene picchiata da Violante moglie di Sebastiano Tagliaferro e Maria
sua figlia (ACM, Criminalium 1726 novembre 14 p. 59r).
61
ACM, Criminalium, 1673 maggio 16 p. 7
62
Ivi Criminalium, 1782-1791 1787 maggio 21 p. 2r.
63
Ivi, Criminalium, 1620 in 1621,1620 luglio 13 p. 30; 1669 luglio 2 40 r; 41 r )
64
Ivi, Criminalium, 1716-1728 p. 14 r; 1716-1728 p. 29 r.
65
Ivi, Criminalium 1750-1766 p. 127 r; 1750-1766 p. 55 v.
66
Ivi, Criminalium, 1787-1788 p. 52 r.

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