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La Vita Nuova

Nella Vita Nuova, opera giovanile e scritta in volgare, Dante ripercorre idealmente la
storia del suo amore per Beatrice.
L'opera venne redatta fra il 1292 ed il 1293 legando insieme rime con brani in prosa.
Dante racconta che il suo primo incontro con Beatrice avvenne quando entrambi
avevano nove anni, numero che, nella interpretazione numerologica, identifica il
miracolo. Da quel momento il poeta è preso d'amore per lei.
I due giovani si rivedono nove anni dopo: Beatrice gli rivolge un cortese saluto.
Il successivo evento fondamentale della vicenda d'amore di Dante è l'episodio della
"Donna -Schermo".
Dante rivede Beatrice in Chiesa, ma, per timore che altri si accorgano della sua
attenzione per lei, volge lo sguardo ad un'altra donna, che fa da schermo alla verità
del suo amore.
Questa donna deve poi allontanarsi da Firenze e Dante è costretto a cercare un altro
"schermo" ai suoi sentimenti. Questo atteggiamento viene però frainteso da Beatrice,
che lo priva del saluto.
Il poeta comprende che il suo amore per Beatrice trascende ogni manifestazione
concreta, sia pur tenue come il saluto. Comincia così la sezione dedicata alle rime in
lode di Beatrice ma una visione avuta durante una malattia preannuncia la morte della
donna che avviene da lì a poco tempo
Il libro è suddiviso in tre parti, il saluto, la lode della donna (Beatrice) e la morte della
“gentilissima”. A queste tre parti corrispondono i tre diversi stadi dell’amore:
Amor cortese: quando l’innamorato spera in una ricompensa al suo amore da parte
della donna (saluto)
Amore fine a se stesso: quando l’innamorato è felice al semplice contemplare e
lodare la donna amata
Amore mistico: quando l’amore per la donna innalza l’uomo fino a Dio.

Le rime

Le Rime contengono le poesie composte tra il 1283 e il 1307 non incluse nella Vita
nuova né nel Convivio.
La raccolta non fu organizzata da Dante ma da alcuni curatori che ne scelsero il titolo
e inclusero oltre ai componimenti di Dante anche altri di autore incerto e altri di poeti
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corrispondenti che attraverso i componimenti erano in dialogo con Dante, ad esempio


Angiolieri, Cavalcanti e Donati.
I componimenti sono raggruppati in cinque categorie a seconda delle fasi della vita
del poeta e sono:
Rime stilnovistiche: risalgono ai tempi della Vita nuova e il tema centrale è l’amore
per la donna amata.
Tenzone con Foreste Donati: sei sonetti, tre di Dante e tre di Donati, la tenzone è una
gara poetica.
Rime allegoriche e dottrinali: il tema dominante è l’impegno morale come nel
Convivio.
Rime petrose: tema centrale l’amore per una donna indifferente, appunto di pietra,
crudele.
Rime dell’esilio: temi dominanti di carattere etico e civile e una critica alla civiltà
comunale.

Il Convivio

Il Convivio, scritto tra 1304 e il 1307 negli intenti dell’autore doveva essere una vasta
enciclopedia del sapere umano. Doveva comprendere 15 trattati ma ne furono
composti soltanto 4, non c’è noto il motivo dell’interruzione.
Nel primo trattato che ha la funzione di introduzione all’opera Dante spiega che vuole
offrire un banchetto (convivio) di sapienza non ai dotti ma a coloro che per varie
ragioni non hanno potuto dedicarsi agli studi e per questo non scrive in latino ma in
volgare e pronuncia una appassionata esaltazione del volgare proclamando che la sua
dignità è pari al latino. L’opera era comunque destinata ai ceti sociali più elevati.
Nel secondo e terzo trattato, Dante introduce la canzone con la spiegazione del
criterio utilizzato nell’interpretare la poesia. Dante spiega poi che dopo la morte di
Beatrice, egli cercò di consolarsi con la filosofia, e decise di fare della “Donna
Gentile” la rappresentante della Filosofia.
Il quarto trattato abbandona i temi precedenti e pone al centro dell’attenzione pone il
significato di nobiltà, escludendo una relazione tra nobiltà e nascita. La vera nobiltà è
un dono esclusivamente divino, che l’uomo deve completare esercitando le sue virtù.
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De vulgari eloquentia

L’opera fu scritta nello stesso periodo del Convivio e vuole fornire un trattato di
retorica che fissi le norme per l’uso del volgare. Scritta in latino, è destinata ad un
pubblico dotto. Doveva comprendere 4 libri ma si interrompe a metà del secondo.
Il primo libro tratta del volgare illustre cioè adatto ad uno stile sublime, che deve
avere 3 caratteristiche essere cardinale, cioè fungere da cardine per gli altri volgari,
essere aulico e curiale cioè rispondere alle esigenze di eleganza e dignità delle corti.
Nel secondo libro sono definiti gli argomenti per i quali occorre uno stile tragico
ovvero le armi, l’amore e la virtù. La forma poetica adatta per questo è la canzone.

De Monarchia

Il ‘300 era caratterizzato da una profonda crisi tra Impero e Papato. Dante ne
individua la causa nella mancanza di un’autorità imperiale. Sogna la restaurazione
imperiale e ciò pare avverarsi nel 1310 quando il nuovo imperatore Enrico VII scende
in Italia per ristabilire la sua autorità ma muore in breve tempo. A causa di questo
evento Dante scrive il De Monarchia, in latino, che è l’unica opera dottrinale
completa di Dante. E’ divisa in tre libri.
Nel primo dimostra la necessità di una monarchia universale.
Nel secondo dimostra come l’autorità imperiale sia concessa da Dio per rendere il
mondo adatto al messaggio di Cristo.
Nel terzo affronta il tema dei rapporti tra Impero e Chiesa affermando che sono due
poteri autonomi perché entrambi derivano direttamente da Dio. L’impero garantisce
la felicità dell’uomo in questa vita e la Chiesa il raggiungimento della beatitudine
eterna, quindi la loro azione è complementare perché l’impero deve mantenere le
condizioni necessarie affinchè la Chiesa possa svolgere il suo compito.

Le 13 epistole
Si tratta di tredici lettere ufficiali, scritte in latino secondo le regole medievali dell’ars
dictandi, quindi secondo uno stile estremamente elaborato. Le più interessanti sono
quelle in cui si esprimono il pensiero e la passione politica di Dante. Al tema della
Commedia si collega l’epistola all’amico fiorentino, in cui Dante rifiuta la possibilità
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di ritornare a Firenze, e l’epistola a Cangrande della Scala ( della cui autenticità però
non si è certi) che contiene la dedica del Paradiso al Signore di Verona che era stato
generoso verso il poeta e che contiene anche fondamentali indicazioni di lettura del
poema: il soggetto, che è la condizione delle anime dopo la morte; la pluralità dei
sensi, letterale, allegorico, morale, analogico; il titolo, che deriva dal fatto che l’inizio
è luttuoso e la fine lieta ;la finalità dell’opera che mira a rimuovere i viventi dallo
stato di miseria e portali alla felicità.

Francesco Petrarca - Il Secretum

Il Secretum è la più importante tra le opere di meditazione religiosa e morale nella


produzione di Petrarca. Viene concepito probabilmente tra il 1342-1343, ma poi
subisce vari rimaneggiamenti fino alla stesura definitiva del 1353. L’opera è divisa in
tre libri ed è strutturata come un dialogo tra Francesco stesso e la sua guida spirituale
e filosofica, Sant’Agostino.
Il dialogo prosegue per tre giorni al cospetto di una donna dall’aspetto bellissimo,
allegoria della Verità, che ascolta sempre in silenzio.
Nel primo libro Agostino, nel corso della sua analisi del comportamento di
Francesco, si sofferma sulla debolezza di volontà che lo caratterizza da sempre. Gli
rimprovera perciò l’incapacità di riuscire a tradurre in atto le sue aspirazioni a una
vita pura e virtuosa, lontana dai peccati e dalle cose mondane.
Nel secondo, invece, il santo prosegue il suo discorso focalizzandosi sui sette peccati
capitali (ira, lussuria, accidia, avarizia, superbia, invidia, gola). Tra questi, quello che
affligge di più lo scrittore è indubbiamente l’accidia. Viene definita come una
“malattia interiore”, una sorte di inerzia morale, una languida debolezza del volere,
che annulla ogni possibilità di decisione e di scelta, gettando Petrarca nello sconforto
e nella perenne tristezza dell’animo.
Nel terzo e ultimo libro Sant’Agostino fa emergere e riconoscere al suo interlocutore
le due colpe più gravi di cui si è macchiato: il desiderio di gloria terrena, che distoglie
il pensiero dalle cose eterne, e l’amore per Laura. Francesco considera questi due
peccati delle semplici inclinazioni innocenti, mentre per Sant’Agostino sono le più
basse passioni, da condannare e evitare in ogni modo. In particolare, Petrarca ha
sempre creduto l’amore per Laura fonte di virtù e crescita spirituale; al contrario
Sant’Agostino gli dimostra come proprio esso sia stato l’inizio della sua degradazione
morale.
In tutto il dialogo si riconosce come Petrarca cerchi di raggiungere, mediante un
approfondito esame di coscienza, la pace interiore. È un bisogno ansioso e
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imprescindibile, che tuttavia resta insoddisfatto: Petrarca, al termine del Secretum,


non riesce a superare le proprie contraddizioni, e tantomeno riesce a mettere in
pratica il suo proposito di cambiare vita. In ogni caso, raggiunge il risultato di
riconoscere che, per quanto si impegnerà, non potrà mai vincere la sua natura. Sotto
quest’aspetto, si può notare come l’esperienza spirituale compiuta da Petrarca sia
molto diversa da quella di Dante. Quest’ultimo infatti riesce, dalla condizione di
partenza della “selva oscura” (metafora della perdizione della retta via nel peccato) a
elevarsi, tramite il suo viaggio di purificazione e pentimento tra l’Inferno e il
Purgatorio, a una condizione spirituale di pace, beatitudine interiore e salvezza nel
Paradiso. Di conseguenza, in Petrarca si può identificare l’uomo della crisi, che ha
smarrito tutte le certezze e le confortanti sicurezze della sua vita.
De vita solitaria
Il De vita solitaria ( la vita solitaria) del 1346, esalta la solitudine che per Petrarca
deve essere qualcosa di diverso dalla solitudine dei monaci: dev’essere rallegrata
dalle bellezze della natura, dalla conversazione con pochi amici ma soprattutto dalla
presenza dei libri. In questa esaltazione della solitudine occupata dall’esercizio
letterario si concilia l’ideale cristiano della rinuncia ai piaceri mondani e quello
classico dell’otium letterario per queste posizioni per Petrarca si è parlato di un
umanesimo cristiano.

Africa
Si tratta di un poema epico in esametri latini, concepito a Valchiusa ripreso più volte
e mai terminato. Argomento dell’opera è la seconda guerra punica e il proposito del
poeta è quello di esaltare la gloria e la grandezza di Roma, in particolare di Scipione
l’Africano vincitore di Annibale. Ma anche in quest’opera come in quelle religiose si
affermano i temi cari a Petrarca : la vanità delle cose umane, la vita che trascorre tra
illusioni e travagli con l’unica certezza della morte.
IL DE VIRIS ILLUSTRIBUS

Si tratta di una raccolta di biografie di illustri personaggi romani ( Cesare, Scipione,


Catone, ecc.) concepita contemporaneamente all’Africa. Anche quest’opera è
concepita per esaltare la grandezza di Roma ma anche qui troviamo gli stessi spunti
pessimistici, di ispirazione cristiana, sulla fugacità ( cioè breve durata) della gloria, e
sulla miseria della condizione umana.
Le raccolte epistolari
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Si tratta di circa 500 lettere, ordinate in svariate raccolte, dette epistolari: "Le
Familiari", ”Le Senili", e "Le 19 Sine nomine", così chiamate perché per prudenza
non viene indicato il destinatario in quanto contengono un’aspra polemica contro la
corruzione della Chiesa. A esse bisogna aggiungere anche le lettere conservate dai
destinatari e scoperte successivamente dagli studiosi, ovvero la raccolta "Le Varie";
le "Epistole metriche", riprese in tre libri per un totale di 66 componimenti in
esametri latini scritti tra il 1331 ed il 1361.
Anche qui troviamo i temi cari a Petrarca perché nel tempo, il poeta toglie ogni
riferimento preciso a persone, luoghi e fatti trasformando situazioni e sentimenti sul
modello dei testi classici soprattutto le epistole di Cicerone.
Petrarca vuole fissare un’immagine ideale del letterato e dotto che costituirà il
modello dell’intellettuale per secoli. Gli elementi sono: la fede in una cultura
disinteressata, il fastidio per le attività pratiche e il sogno di una vita tranquilla e
appartata tutta dedita ai libri.

Il canzoniere

La maggior parte delle opere di Petrarca sono in latino e sono quelle da cui l’autore
pensava di ottenere la fama e l’immortalità che otterrà invece con l’unica opera in
volgare, insieme ai Trionfi (poema allegorico incompiuto) e cioè il Canzoniere.
Petrarca era effettivamente convinto della superiorità del latino, era persuaso che la
letteratura latina avesse toccato un culmine di perfezione che non poteva essere più
superato, dunque, in latino, non restava che imitare gli antichi mentre la lingua
volgare offriva l’opportunità di raggiungere l’eccellenza poetica. Egli si prefiggeva
una duplice impresa da una parte ridar lustro al latino dall’altro dimostrare che era
possibile far poesia di livello alto anche in volgare. Mentre dante puntava tutto sul
volgare e concepiva un vero e proprio trattato di retorica per la nuova lingua ( il De
vulgari eloquentia) Petrarca riafferma la supremazia del latino.
Petrarca iniziò a scrivere versi in volgare fin dalla prima giovinezza e continuò sino
agli ultimi anni di vita. Iniziò ben presto a raccogliere le sue liriche, gli studiosi
hanno contato ben nove raccolte, la sistemazione definitiva risale all’ultimo anno di
vita del poeta, il 1374, con il titolo di Rerum vulgarium fragmenta ( Frammenti di
cose in volgare), l’opera si suole designare come Rime sparse, dal primo verso del
sonetto che funge da introduzione, oppure come Canzoniere. Esso è costituito da 366
componimenti, in massima parte sonetti ma anche ballate, canzoni, sestine, tutte le
forme consacrate dalla tradizione dei trovatori, rimatori siciliani e stilnovisti.
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La materia quasi esclusiva del Canzoniere è l’amore per Laura, incontrata il sesto dì
d’aprile in una chiesa d’Avignone nel 1327.
Laura viene descritta spesso coi tipici caratteri della donna-angelo stilnovista, vale a
dire lunghi capelli biondi, occhi pieni di amorosa lucentezza, bellezza straordinaria,
anche se nella sostanza si presenta come creatura terrena ed è priva di qualunque
significato allegorico o religioso, dato che il poeta prova per lei un amore sensuale
centrato sulla sua bellezza fisica. Il sentimento di Petrarca non è corrisposto e ciò
causa in lui dolore e struggimento, insieme alla consapevolezza che Laura
rappresenta una "distrazione" dalla ricerca della virtù e perciò lui tenta più volte di
dimenticarla e volgersi a una vita di raccoglimento interiore, senza tuttavia riuscirci
neppure dopo la sua morte (questo atteggiamento è presente anche nel Secretum, la
donna viene inoltre descritta con tutti i difetti propri della sua umanità, tra cui
la vanità (è spesso intenta a specchiarsi e farsi bella, cosa che affligge il
poeta; ► TESTO: L'oro et le perle), la crudeltà e il carattere capriccioso (talvolta lo
illude con un atteggiamento benevolo, salvo poi respingere la sua corte), la sua
volubilità, mentre è soggetta all'invecchiamento e nel corso degli anni la sua bellezza
sfiorisce, benché Petrarca continui ad amarla (► TESTO: Erano i capei d'oro a
l'aura sparsi). Laura è dunque una donna in carne ed ossa che viene, sì, idealizzata
dal poeta, ma resta comunque lontana dallo stereotipo di Beatrice e delle altre donne
dello Stilnovo e anticipa i caratteri di tante figure femminili della letteratura
umanistica

L’argomento è prevalentemente amoroso, e canta, in maniera allusiva e non narrativa,


la passione del poeta per una donna chiamata Laura, desiderata ma irraggiungibile. I
sentimenti del poeta sono contraddittori, perché da una parte si avverte un sincero
amore, dall’altra il Petrarca mostra una sorta di vergogna per una condizione
psicologica indegna, secondo lui stesso, di un grande uomo di cultura. L’amore non
conduce alla fede come negli stilnovisti, ma fa correre il pericolo di distrarre l’anima
e da Dio e dagli studi. Nonostante questo, la passione amorosa domina la poesia, sia
nelle Rime in vita, sia nelle Rime in morte, quando Laura resta vittima della peste del
1348.

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