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DANTE ALIGHIERI
Dante Alighieri nasce a Firenze da una famiglia guelfa della piccola nobiltà nel 1265. Frequenta l’Università
di Bologna, inizia ad apprendere l’arte di scrivere in rima e compie studi filosofici. Le rime più importanti di
questo periodo sono scritte per Beatrice, di cui Dante ha una particolare ammirazione. Tuttavia nel 1290
Beatrice muore e quindi ha inizio per Dante un periodo di crisi spirituale e di travagli dovuti alla politica
difficile e tormentata del comune di Firenze. Inoltre dopo la morte di Beatrice lui compone la Vita nuova,
cioè la storia della sua giovinezza e del suo amore per Beatrice.
Nel 1289 Dante prende parte alla battaglia di Campaldino contro i ghibellini di Arezzo combattendo nella
prima schiera dei cavalieri.
Poiché gli Ordinamenti di giustizia di Giano della Bella escludono i nobili dal governo del comune,
riservandolo solo a coloro che fossero iscritti a una corporazione d’arti e mestieri, Dante s’iscrive a quella
dei Medici e degli Speziali (la medicina del tempo è uno studio assai vicino a quello della filosofia), e
comincia una brillante carriera politica che culmina nel 1300, quando dal 15 giugno al 15 agosto giunge alla
suprema magistratura comunale, viene nominato Priore.
Per Firenze sono anni sconvolti dalla rivalità che divide le fazioni dei guelfi bianchi e dei guelfi neri,
sostenute rispettivamente dalla famiglia dei Cerchi e da quella dei Donati. I bianchi sono più moderati e
tengono all’indipendenza della città. Invece i neri non esitano a cercare l’appoggio del papa pur di ottenere
il controllo totale. I bianchi erano dalla parte del popolo. I neri erano più vicini alla classe nobiliare.
Il papa bonifacio VIII si inserisce nella lotta, desiderando di estendere, con l’aiuto dei neri, la sua autorità
politica su tutte le terre della Toscana. Dante cerca quindi di rimanere estraneo alla rissa politica e si
interessa del bene della città. Per esempio quando nel 1300 scoppia una rissa fra i capi delle due fazioni,
per ottenere la pacificazione della vita politica cittadina, manda in esilio i capi principali delle due fazioni.
Tra loro c’è l’amico Cavalcanti, di parte bianca, che durante l’esilio si ammala di malaria e quindi muore.
Nel 1301 le pesanti ingerenze di papa Bonifacio VIII nella politica di Firenze inducono Dante a schierarsi con
i bianchi. Ad ottobre del 1301, il pontefice invia a Firenze Carlo Di Valois, fratello del re di Francia,
apparentemente per mettere pace alle fazioni in lotta, ma in realtà con l’incarico di debellare
definitivamente i bianchi e assicurare il trionfo ai Neri. Dante viene inviato a Roma presso Bonifacio con
l’incarico di scongiurare pericoli per l’autonomia comunale.
Sulla strada di ritorno dalla missione diplomatica a Roma, Dante apprende di esser stato condannato
all’esilio per due anni perchè responsabile di baratteria, cioè di aver trattato illeciti guadagni dagli incarichi
ricevuti dal Comune. Inoltre non essendosi presentato a discolparsi, una successiva sentenza lo condanna a
morte e alla confisca di tutti i beni. Quindi Dante si trova a pellegrinare di corte in corte nell’Italia
Settentrionale.
Nel 1304, dopo esser stato il rappresentante dei bianchi in esilio, il poeta rompe definitivamente con loro a
causa della grossa disfatta nella battaglia di Lastra. Nel 1310 la discesa dell’imperatore Arrigo VII, con
l'obiettivo di riportare la penisola sotto il controllo imperiale, riaccende in Dante la speranza di tornare a
Firenze. Tuttavia improvvisamente nel 1313 Arrigo muore e si spengono tutti i sogni di Dante.
Il poeta muore a Ravenna, probabilmente di malaria, nel 1321.
RIASSUNTO CANTO II
Il canto II racconta che Dante dice a Virgilio che oltre a lui solo Enea e san Paolo hanno avuto l’onore di
compiere questo viaggio ultraterreno. Quindi lui chiede a Virgilio perché dovrebbe ripercorrere tale
impresa. Virgilio gli rivela poi che è stata Beatrice a chiedergli di intervenire in suo favore, dopo che santa
Lucia, per conto della Vergine Maria, le aveva chiesto di aiutare l’uomo che l’aveva tanto amata.
SPIEGAZIONE CANTO III
Dante e Virgilio giungono di fronte alla porta dell'Inferno, su cui campeggia una scritta di colore scuro che
dice che una volta varcata non c'è speranza di tornare indietro. Virgilio sprona Dante ad andare avanti
nonostante la paura e quindi accedono all’antinferno.
Una volta varcata la soglia, Dante sente un orribile miscuglio di urla, parole d'ira, strane lingue che lo
spingono a piangere in quel luogo buio e oscuro. Sono le anime degli ignavi, ovvero delle anime che in vita
non si sono schierate né dalla parte del bene né del male. Tra di esse vi sono anche gli angeli che non si
sono schierati né contro né in favore di Dio nella lotta contro Lucifero. Dante vede che le anime corrono
dietro un'insegna senza significato, che gira vorticosamente su se stessa. Formano una schiera infinita e tra
esse Dante crede di riconoscere papa Celestino V, che per viltà rinunciò al soglio pontificio. Gli ignavi sono
punti e tormentati da vespe e mosconi, che gli fanno colare il sangue dal volto, il quale cade a terra
mischiato alle loro lacrime e viene raccolto da vermi ripugnanti.
Poco dopo i due poeti giungono nei pressi di un grande fiume (l'Acheronte), sulla cui sponda sono accalcate
le anime dannate. Giunge Caronte, il traghettatore dei dannati, che rema verso di loro a bordo di una barca:
è un vecchio dalla barba bianca, che grida minaccioso alle anime di essere venuto a prenderle per portarle
all'Inferno, tra le pene eterne.
Caronte si rivolge poi a Dante e lo invita ad andarsene, essendo ancora vivo; aggiunge anche che Dante
dopo la morte non andrà lì, bensì in Purgatorio. Il demone è zittito da Virgilio, che gli ricorda che il viaggio di
Dante è voluto da Dio e lui non può opporsi. A quel punto il nocchiero, che ha gli occhi circondati di
fiamme, tace, mentre le anime tremano di terrore e bestemmiano Dio, i loro genitori, il momento della loro
nascita.
I dannati si accalcano lungo la sponda e Caronte fa loro cenno di salire sulla sua barca: stipa le anime dentro
di essa e batte col suo remo qualunque anima tenti di adagiarsi sul fondo. I dannati si gettano dalla riva alla
barca proprio come le foglie cadono dagli alberi in autunno. Caronte le porta dall'altra parte del fiume e,
prima che siano scese, sulla sponda opposta si è formata un'altra schiera.
Virgilio spiega a Dante che tutti i dannati finiscono sulle sponde dell'Acheronte e qui la giustizia divina li
spinge a desiderare ardentemente di passare dall'altra parte. Perciò non c'è da stupirsi se Caronte protesta
per la presenza di Dante in quel luogo, dal momento che il poeta è destinato ad essere salvo.
Alla fine delle parole di Virgilio, il suolo infernale è scosso da un tremendo terremoto, si vede una luce
rossastra, la quale fa perdere i sensi a Dante; il poeta cade svenuto a terra.
RIASSUNTO CANTO IV
Un forte tuono risveglia dal sonno profondo Dante. Virgilio e Dante si ritrovano nel Limbo dove risiedono le
anime che non sono state battezzate o che sono vissute prima di Cristo, tra le quali anche quella di Virgilio.
Dante chiede a Virgilio se mai qualcuno è uscito da Limbo. Pronta la risposta del maestro; egli ricorda la
discesa agli Inferi di Cristo, dopo la Passione, e la liberazione dei Patriarchi e degli Ebrei dell'Antico
Testamento, vissuti in attesa del Messia. Dopo questa breve parentesi, i due poeti attraversano il Limbo e
vedono, in lontananza, una zona intensamente illuminata; vi sono accolti coloro che si sono distinti per
meriti e hanno ottenuto fama e altri riconoscimenti. Quattro poeti antichi, Omero, Orazio, Ovidio e Lucano,
si fanno avanti e esultano con grande onore Virgilio; anche Dante è accolto con benevolenza, e con loro si
dirigono verso il luogo illuminato. Ai loro occhi appare un nobile castello, circondato sette volte da mura e
difeso anche da un bel fiumiciattolo. Senza difficoltà vi entrano e su un prato verde possono scorgere gli
spiriti magni che si sono distinti nell'antichità per il coraggio nelle armi o per l’altezza dell’ingegno, dediti
con passione orgoglio a grandi cause. Dopo questi momenti di profonda commozione, Dante e Virgilio si
debbono separare dai quattro poeti e, tornando sui loro passi, si trovano di nuovo nel buio della notte
infernale.
RIASSUNTO CANTO V
Usciti dal Limbo, Dante e Virgilio entrano nel II Cerchio, meno ampio del precedente ma contenente molto
più dolore. Sulla soglia trovano Minosse, che è il giudice infernale, che ascolta le confessioni delle anime
dannate e indica loro in quale Cerchio siano destinate, attorcigliando intorno al corpo la lunghissima coda
tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve discendere. Non appena vede che Dante è vivo, lo
ammonisce a non fidarsi di Virgilio, poiché uscire dall'Inferno non è così facile come entrare. Virgilio lo
zittisce ricordandogli che il viaggio di Dante è voluto da Dio.
Superato Minosse, Dante si ritrova in un luogo buio, dove soffia incessante una terribile bufera che trascina
i dannati e li sbatte da un lato all'altro del Cerchio. Dante capisce immediatamente che si tratta dei
lussuriosi, i quali volano per l'aria formando una larga schiera simile agli stornelli quando volano in cielo.
Dante vede poi un'altra schiera di anime, che volano formando una lunga linea. Chiede spiegazioni a Virgilio
e il poeta latino indica al discepolo i nomi di alcuni dannati, tra questi ci sono Semiramide, Didone,
Cleopatra, Elena (moglie di Menelao), Achille, Paride, Tristano, in compagnia di più di mille altre anime.
Dopo aver sentito tutti questi nomi, Dante è colpito da profonda angoscia e per poco non si smarrisce.
Dante nota che due di queste anime volano accoppiate e manifesta il desiderio di parlare con loro. Quindi
Virgilio acconsente e invita Dante a chiamarle. I due spiriti si staccano dalla schiera di anime e volano verso
di lui, come due colombe che vanno verso il nido: sono un uomo e una donna, e quest'ultima si rivolge a
Dante ringraziandolo per la pietà che dimostra verso di loro. Poi si presenta, dicendo di essere nata a
Ravenna e di essere stata legata in vita da un amore indissolubile con l'uomo che ancora le sta accanto nella
morte; furono entrambi assassinati e al loro uccisore attende la Caina, la zona del IX Cerchio dove sono
puniti i traditori dei parenti. A questo punto Dante resta turbato. Virgilio gli chiede a cosa pensi e Dante
risponde di essere colpito dal desiderio amoroso che condusse i due dannati alla perdizione. Poi parla a
Francesca, chiamandola per nome, e chiedendole in quali circostanze sia iniziata la loro relazione
adulterina. Un giorno lei e Paolo leggevano per divertimento un libro, che parlava di Lancillotto e della
regina Ginevra. Più volte la lettura li aveva indotti a cercarsi con lo sguardo e li aveva fatti impallidire.
Quando lessero il punto in cui era descritto il bacio dei due amanti, anch'essi si baciarono e interruppero la
lettura del libro. Mentre Francesca parla, Paolo resta in silenzio e piange; Dante è sopraffatto dal
turbamento e sviene.