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RIASSUNTI DI ITALIANO 1

IL DOLCE STIL NOVO


Il Dolce stil Novo è il movimento letterario più importante della seconda metà del duecento. Esso si
sviluppa dapprima a Bologna e bolognese ne è l’iniziatore, Guido Guinizzelli. Di là, poi, si diffonde a Firenze
grazie al lavoro di Guido Cavalcanti e Dante Alighieri.
Il Dolce Stil Novo non può essere considerato una vera e propria scuola, perché si tratta di poeti che hanno
una spiccata individualità, una propria storia umana e poetica. È vero però che essi sono legati dall’amicizia
e perseguono un comune ideale di poesia.
Dante in un celebre passo del Purgatorio, e poi nel De vulgari eloquentia, dà a questo movimento il nome
con cui ancora lo designiamo, e ne ha definito la poetica. Secondo Dante, la “novità” di questi poeti consiste
nel fatto che essi scrivono quando l’“Amore” li ispira, esprimono quello che “detta dentro” di loro.
Gli stilnovisti tralasciano le tematiche polico-civili: l’amore diventa il tema centrale. È un amore sottratto del
tutto ai sensi e contemplato in modo intellettuale per definire la sua essenza misteriosa. La donna viene
considerata un angelo, cioè un intermediario tra dio e l’uomo in grado di donare salvezza spirituale con il
suo solo saluto. Tuttavia la novità, come spiega anche Dante, non è la donna angelo, ma la descrizione
dell’interiorità del poeta risvegliata dall’amore a una vita più intensa ed elevata.
Solo chi ha un animo nobile, può conoscere e provare l’amore teorizzato dal Dolce Stil Novo. Essere nobili
significa possedere qualità umane (gentilezza) e intellettuali. Infatti la civiltà borghese dà maggiore
importanza alle qualità interiori e ai meriti personali piuttosto che alla provenienza da famiglia illustre.
Le poesie si distinguono per la ricerca di musicalità e armonia attraverso le scelte lessicali, retoriche e
metriche che tendono alla chiarezza e alla limpidezza del testo. Questo stile dolce, sfumato, morbido,
melodioso serve appunto a dare voce ai sentimenti del poeta.
Gli stilnovisti elaborano un volgare illustre, cioè il fiorentino depurato dalle espressioni più basse e
idiomatiche, per renderlo il più possibile chiaro e musicale, unito eventualmente con termini filosofici ed
espressioni più adatte a descrivere i moti d’animo dell’io lirico.

DANTE ALIGHIERI
Dante Alighieri nasce a Firenze da una famiglia guelfa della piccola nobiltà nel 1265. Frequenta l’Università
di Bologna, inizia ad apprendere l’arte di scrivere in rima e compie studi filosofici. Le rime più importanti di
questo periodo sono scritte per Beatrice, di cui Dante ha una particolare ammirazione. Tuttavia nel 1290
Beatrice muore e quindi ha inizio per Dante un periodo di crisi spirituale e di travagli dovuti alla politica
difficile e tormentata del comune di Firenze. Inoltre dopo la morte di Beatrice lui compone la Vita nuova,
cioè la storia della sua giovinezza e del suo amore per Beatrice.
Nel 1289 Dante prende parte alla battaglia di Campaldino contro i ghibellini di Arezzo combattendo nella
prima schiera dei cavalieri.
Poiché gli Ordinamenti di giustizia di Giano della Bella escludono i nobili dal governo del comune,
riservandolo solo a coloro che fossero iscritti a una corporazione d’arti e mestieri, Dante s’iscrive a quella
dei Medici e degli Speziali (la medicina del tempo è uno studio assai vicino a quello della filosofia), e
comincia una brillante carriera politica che culmina nel 1300, quando dal 15 giugno al 15 agosto giunge alla
suprema magistratura comunale, viene nominato Priore.
Per Firenze sono anni sconvolti dalla rivalità che divide le fazioni dei guelfi bianchi e dei guelfi neri,
sostenute rispettivamente dalla famiglia dei Cerchi e da quella dei Donati. I bianchi sono più moderati e
tengono all’indipendenza della città. Invece i neri non esitano a cercare l’appoggio del papa pur di ottenere
il controllo totale. I bianchi erano dalla parte del popolo. I neri erano più vicini alla classe nobiliare.
Il papa bonifacio VIII si inserisce nella lotta, desiderando di estendere, con l’aiuto dei neri, la sua autorità
politica su tutte le terre della Toscana. Dante cerca quindi di rimanere estraneo alla rissa politica e si
interessa del bene della città. Per esempio quando nel 1300 scoppia una rissa fra i capi delle due fazioni,
per ottenere la pacificazione della vita politica cittadina, manda in esilio i capi principali delle due fazioni.
Tra loro c’è l’amico Cavalcanti, di parte bianca, che durante l’esilio si ammala di malaria e quindi muore.
Nel 1301 le pesanti ingerenze di papa Bonifacio VIII nella politica di Firenze inducono Dante a schierarsi con
i bianchi. Ad ottobre del 1301, il pontefice invia a Firenze Carlo Di Valois, fratello del re di Francia,
apparentemente per mettere pace alle fazioni in lotta, ma in realtà con l’incarico di debellare
definitivamente i bianchi e assicurare il trionfo ai Neri. Dante viene inviato a Roma presso Bonifacio con
l’incarico di scongiurare pericoli per l’autonomia comunale.
Sulla strada di ritorno dalla missione diplomatica a Roma, Dante apprende di esser stato condannato
all’esilio per due anni perchè responsabile di baratteria, cioè di aver trattato illeciti guadagni dagli incarichi
ricevuti dal Comune. Inoltre non essendosi presentato a discolparsi, una successiva sentenza lo condanna a
morte e alla confisca di tutti i beni. Quindi Dante si trova a pellegrinare di corte in corte nell’Italia
Settentrionale.
Nel 1304, dopo esser stato il rappresentante dei bianchi in esilio, il poeta rompe definitivamente con loro a
causa della grossa disfatta nella battaglia di Lastra. Nel 1310 la discesa dell’imperatore Arrigo VII, con
l'obiettivo di riportare la penisola sotto il controllo imperiale, riaccende in Dante la speranza di tornare a
Firenze. Tuttavia improvvisamente nel 1313 Arrigo muore e si spengono tutti i sogni di Dante.
Il poeta muore a Ravenna, probabilmente di malaria, nel 1321.

LA TRAMA DELLA VITA NUOVA


La vita nuova si apre con Dante che racconta di aver incontrato a nove anni Beatrice e ne ha un'impressione
indelebile. Dopo nove anni la rincontra e lei lo saluta: questo incontro rappresenta per Dante la prima e
piena rivelazione dell’amore che egli portava ancora indefinito nell’anima. Dopo questo evento, lui ha un
sogno in cui vede Amore con Beatrice addormentata in braccio, il quale dopo avergli rivelato di essere il suo
signore, sveglia la donna, le fa mangiare il cuore del poeta e vanno nel Paradiso. Dante quindi chiede aiuto
agli altri stilnovisti per definire il messaggio della visione.
Per non far vedere l’amore che traspare tra lui e Beatrice, Dante decide nel prosieguo della storia di porre
le sue attenzioni a due donne schermo della verità. Tuttavia Beatrice non condivide questo suo
comportamento e quindi gli nega il saluto. A una festa nuziale a cui partecipano sia Beatrice sia Dante,
quest’ultimo, alla vista dell’amata, viene colto da tremore e smarrimento. Le altre donne, accorgendosi del
suo stato, sorridono maliziosamente.
Interrogato da alcune donne sulla natura del suo sentimento, Dante risponde che la sua felicità consiste
nelle parole che lodano la sua donna.
Successivamente, come già capito da Dante da un sogno premonitore, Beatrice muore. Dopodichè Dante
narra che un giorno mentre gira sconsolato per la città, viene attratto dallo sguardo di una giovane donna
che mostra pietà per lui e per il suo dolore. Ma una visione in cui appare al poeta Beatrice mentre la stava
vedendo per la prima volta, tronca il “malvagio desiderio” del nuovo amore per la “donna gentile” e
pietosa. Poco dopo appare a Dante un’altra visione su Beatrice, dopo la quale il poeta si propone di non
parlare più di lei finchè non utilizzerà una poesia più alta (SPOILER DIVINA COMMEDIA).

STRUTTURA E INTERPRETAZIONE DELLA VITA NUOVA


Alla storia della vita nuova, i critici hanno dato sia un'interpretazione religiosa che una letteraria.
Nell’opera non si possono negare i vari riferimenti biblici sia espliciti che impliciti, e anche i frequenti
collegamenti a temi cristiani. Secondo chi interpreta l'opera religiosamente Beatrice, simboleggerebbe Dio
stesso, che eleva l’anima di chi l’ammira a una vita nuova.
Invece l’interpretazione laica pone l’accento sul significato letterario e poetico dell’opera assimilabile, in
quanto libro di ricordi e confessioni, ai romanzi d’amore cortese di tradizione provenzale.
Strutturalmente la Vita nuova è un prosimetro ovvero un testo misto di prosa e versi. È composto da 31
poesie, scelte da Dante tra quelle scritte tra il 1283 e il 1293, in 42 capitoli. Praticamente le poesie sono
legate a un commento in prosa che le presenta oppure offre una spiegazione dei versi.

SPIEGAZIONE SINTETICA SULLA DIVINA COMMEDIA


Dante scrive la Divina Commedia per dare un giudizio morale sulla storia e sugli uomini del suo tempo
attraverso la finzione di un viaggio compiuto nei tre regni dell’oltretomba.
Commedia chiamò Dante il suo poema perché da un inizio torbido e cupo (lo smarrimento nella selva) si
passa a un lieto fine (l’arrivo al Paradiso). Divina la chiamarono i posteri, a cominciare dal Boccaccio,
avendo riguardo non tanto all’argomento religioso, ma alla sublime grandezza di quella poesia.
La critica moderna suppone che la composizione dell’opera è iniziata nel 1307 (con Dante già in esilio). Le
prime due cantiche erano già pubblicate nel 1319. All’ultima Dante dovette lavorare negli ultimi anni della
sua vita.
L’inferno è una voragine a forma di cono che si apre sotto Gerusalemme con il vertice al centro della Terra.
La voragine si aprì quando fu lanciato via dal cielo Lucifero, l’angelo ribelle. Secondo la legge del
contrappasso: la pena riflette per contrasto o per somiglianza il peccato commesso in vita.
Il purgatorio è agli antipodi di Gerusalemme nell’emisfero australe ed accoglie le anime purganti, che dopo
un periodo di espiazione del peccato sono ammesse in paradiso. L’inferno e il purgatorio sono collegati per
mezzo della natural burella. Alla sommità della montagna del Purgatorio c’è il Paradiso terrestre. Intorno
alla terra ruotano nove cieli concentrici; tutti sono poi contenuti in un decimo, l’Empireo, sede di Dio e di
tutti i beati.
Il viaggio si svolge entro un preciso arco temporale, che ha inizio il Venerdì Santo, l’8 aprile del 1300, e si
conclude il giovedì dopo Pasqua.
I numeri nella divina commedia rimandano a una precisa simbologia:
1. 3 sono le guide che accompagnano il pellegrino (Virgilio, Beatrice e San Bernardo);
2. il poema è scritto in terzine incatenate di endecasillabi, è composto da 3 cantiche, ognuna ha 33
canti, più 1 canto nell’Inferno che fa da Proemio;
3. l’Inferno è diviso in 9 cerchi e 1 vestibolo; comprende al suo interno 3 fiumi;
4. il Purgatorio comprende 9 partizioni: l’Antipurgatorio, le 7 cornici del Purgatorio e il Paradiso
terrestre;
5. il Paradiso è costituito da 9 cieli e dall’Empireo.
I cerchi dell'Inferno sono corone circolari concentriche e sovrapposte nelle quali Dante Alighieri immagina
sia suddiviso l'Inferno. Essi sono nove, in ciascuno dei quali vengono puniti coloro che in vita si sono
macchiati di un ben definito tipo di peccato.
Della Divina Commedia non abbiamo il testo ufficiale, ma soltanto delle copie di amanuensi che sono state
studiate da critici letterati per produrre delle edizioni critiche. Una delle più autorevoli è quella del
Petrocchi pubblicata nel 1966-1967 in cui si servì soltanto di 27 manoscritti della prima metà del trecento.
Questa è la migliore perchè i manoscritti successivi presentano degli errori che si sono accumulati nelle
diverse trascrizioni.

SPIEGAZIONE PRIMO CANTO


La notte del 7 aprile dell’anno 1300, dunque a trentacinque anni di età, Dante si smarrisce in una selva
oscura e intricata, impossibile da descrivere tanto è angosciosa. Lui stesso non sa dire come c’è finito,
poiché era pieno di sonno quando ha perso la giusta strada: a un tratto però, mentre sta camminando, si
ritrova ai piedi di un colle, dalla cui vetta vede spuntare i primi raggi del sole. Questo, oltre al fatto che è
primavera, gli ridà speranza e lo spinge a tentare la scalata del colle, dopo essersi riposato per qualche
istante e aver ripensato al pericolo appena corso (come un naufrago che guarda le acque in tempesta dalle
quali è appena scampato). Il poeta inizia quindi a salire la china del colle, ma con grande fatica e incertezza.
Mentre sta salendo il colle, gli appare improvvisamente una lonza dal pelo maculato, assai agile e snella,
che lo spinge più volte a tornare indietro. All’inizio l’ora del mattino e la stagione mite gli danno speranza di
continuare, ma subito dopo compare un leone, che gli viene incontro con fame rabbiosa e sembra far
tremare l’aria, e una lupa famelica, tanto magra da sembrare carica di ogni bramosia. Quest’ultima incute
molta paura in Dante, che perde ogni conforto e lentamente scende verso il basso, nella zona non
illuminata dal sole.
Dante sta tornando verso la selva, quando intravede una figura nella penombra, appena visibile nella poca
luce dell’alba. Intimorito, supplica lo sconosciuto di avere pietà di lui e gli chiede se sia un uomo in carne ed
ossa oppure l’anima di un defunto. L’altro risponde di non essere più un uomo in vita, ma di avere avuto i
genitori lombardi e di essere originario di Mantova. Si presenta come Virgilio, il poeta latino vissuto al
tempo di Cesare e Augusto, ovvero durante il paganesimo, e che ha cantato le gesta di Enea nel poema a lui
dedicato. Virgilio rimprovera Dante perché sta scivolando verso il male della selva, mentre dovrebbe
scalare il colle che è principio di felicità. Dante risponde a sua volta con ammirazione, dicendo a Virgilio che
lui è il più grande poeta mai vissuto e dichiarando che è il suo maestro e modello di stile poetico. Si
giustifica indicando la lupa come la bestia selvaggia che gli sbarra la strada, pregando Virgilio di aiutarlo a
superarla.
Virgilio riprende la parola spiegando a Dante che, se vuole salvarsi la vita, dovrà intraprendere un altro
viaggio. Infatti la lupa è animale particolarmente pericoloso e malefico, incapace di soddisfare la propria
fame, che uccide chiunque incontri. Virgilio profetizza poi la venuta di un «veltro», un cane da caccia che
ucciderà la lupa con molto dolore e la ricaccerà nell’Inferno da dove è uscita. Costui non sarà interessato
alle ricchezze materiali ma ai beni spirituali, e la sua patria non sarà nessuna città in particolare. Egli sarà la
salvezza dell’Italia, per la quale già altri personaggi hanno dato la vita, come i troiani Eurialo e Niso, la
regina dei Volsci Camilla, il re dei Rutuli Turno, tutti cantati dallo stesso Virgilio nell’Eneide.
Virgilio conclude dicendo a Dante che dovrà seguirlo in un viaggio che lo condurrà nei tre regni
dell’Oltretomba: dapprima lo condurrà attraverso l’Inferno, dove sentirà le grida disperate dei dannati; poi
lo guiderà nel Purgatorio, dove vedrà i penitenti che sono contenti di espiare le loro colpe per essere
ammessi in Paradiso. Qui, però, non sarà Virgilio a fargli da guida: egli non ha creduto nel Cristianesimo,
quindi Dio non può ammetterlo nel regno dei Cieli. Sarà un’altra anima, più degna di lui, a guidare Dante in
Paradiso, ovvero Beatrice. Dante risponde a Virgilio pregandolo di fargli da guida in questo viaggio, poiché è
ansioso di vedere la porta di san Pietro e le pene dei dannati. Virgilio inizia a muoversi e Dante lo segue.

ELEMENTI CONNOTATIVI DEL PRIMO CANTO


Dante compare nella veste di personaggio reale, che a metà della sua vita si smarrisce in una selva ovvero è
chiamato a compiere un percorso di redenzione e purificazione morale per liberarsi dal peccato e
guadagnare la beatitudine. Sul piano allegorico, dunque, la selva rappresenta proprio il peccato.
Il colle rappresenta la via verso la salvezza che viene impedita dalle tre belve: la lonza, il leone e la lupa. La
lonza rappresenta la lussuria, il leone è la superbia e la lupa è l’avarizia-cupidigia.
Invece il veltro, evocato da Virgilio che preannuncia la venuta di questo misterioso personaggio destinato a
cacciare e uccidere la lupa-avarizia dall’Italia e dal mondo, può essere ricondotto a un nuovo papa più
giusto o a un imperatore (Arrigo VII di Lussemburgo).

RIASSUNTO CANTO II
Il canto II racconta che Dante dice a Virgilio che oltre a lui solo Enea e san Paolo hanno avuto l’onore di
compiere questo viaggio ultraterreno. Quindi lui chiede a Virgilio perché dovrebbe ripercorrere tale
impresa. Virgilio gli rivela poi che è stata Beatrice a chiedergli di intervenire in suo favore, dopo che santa
Lucia, per conto della Vergine Maria, le aveva chiesto di aiutare l’uomo che l’aveva tanto amata.
SPIEGAZIONE CANTO III
Dante e Virgilio giungono di fronte alla porta dell'Inferno, su cui campeggia una scritta di colore scuro che
dice che una volta varcata non c'è speranza di tornare indietro. Virgilio sprona Dante ad andare avanti
nonostante la paura e quindi accedono all’antinferno.
Una volta varcata la soglia, Dante sente un orribile miscuglio di urla, parole d'ira, strane lingue che lo
spingono a piangere in quel luogo buio e oscuro. Sono le anime degli ignavi, ovvero delle anime che in vita
non si sono schierate né dalla parte del bene né del male. Tra di esse vi sono anche gli angeli che non si
sono schierati né contro né in favore di Dio nella lotta contro Lucifero. Dante vede che le anime corrono
dietro un'insegna senza significato, che gira vorticosamente su se stessa. Formano una schiera infinita e tra
esse Dante crede di riconoscere papa Celestino V, che per viltà rinunciò al soglio pontificio. Gli ignavi sono
punti e tormentati da vespe e mosconi, che gli fanno colare il sangue dal volto, il quale cade a terra
mischiato alle loro lacrime e viene raccolto da vermi ripugnanti.
Poco dopo i due poeti giungono nei pressi di un grande fiume (l'Acheronte), sulla cui sponda sono accalcate
le anime dannate. Giunge Caronte, il traghettatore dei dannati, che rema verso di loro a bordo di una barca:
è un vecchio dalla barba bianca, che grida minaccioso alle anime di essere venuto a prenderle per portarle
all'Inferno, tra le pene eterne.
Caronte si rivolge poi a Dante e lo invita ad andarsene, essendo ancora vivo; aggiunge anche che Dante
dopo la morte non andrà lì, bensì in Purgatorio. Il demone è zittito da Virgilio, che gli ricorda che il viaggio di
Dante è voluto da Dio e lui non può opporsi. A quel punto il nocchiero, che ha gli occhi circondati di
fiamme, tace, mentre le anime tremano di terrore e bestemmiano Dio, i loro genitori, il momento della loro
nascita.
I dannati si accalcano lungo la sponda e Caronte fa loro cenno di salire sulla sua barca: stipa le anime dentro
di essa e batte col suo remo qualunque anima tenti di adagiarsi sul fondo. I dannati si gettano dalla riva alla
barca proprio come le foglie cadono dagli alberi in autunno. Caronte le porta dall'altra parte del fiume e,
prima che siano scese, sulla sponda opposta si è formata un'altra schiera.
Virgilio spiega a Dante che tutti i dannati finiscono sulle sponde dell'Acheronte e qui la giustizia divina li
spinge a desiderare ardentemente di passare dall'altra parte. Perciò non c'è da stupirsi se Caronte protesta
per la presenza di Dante in quel luogo, dal momento che il poeta è destinato ad essere salvo.
Alla fine delle parole di Virgilio, il suolo infernale è scosso da un tremendo terremoto, si vede una luce
rossastra, la quale fa perdere i sensi a Dante; il poeta cade svenuto a terra.

ELEMENTI CONNOTATIVI DEL TERZO CANTO

RIASSUNTO CANTO IV
Un forte tuono risveglia dal sonno profondo Dante. Virgilio e Dante si ritrovano nel Limbo dove risiedono le
anime che non sono state battezzate o che sono vissute prima di Cristo, tra le quali anche quella di Virgilio.
Dante chiede a Virgilio se mai qualcuno è uscito da Limbo. Pronta la risposta del maestro; egli ricorda la
discesa agli Inferi di Cristo, dopo la Passione, e la liberazione dei Patriarchi e degli Ebrei dell'Antico
Testamento, vissuti in attesa del Messia. Dopo questa breve parentesi, i due poeti attraversano il Limbo e
vedono, in lontananza, una zona intensamente illuminata; vi sono accolti coloro che si sono distinti per
meriti e hanno ottenuto fama e altri riconoscimenti. Quattro poeti antichi, Omero, Orazio, Ovidio e Lucano,
si fanno avanti e esultano con grande onore Virgilio; anche Dante è accolto con benevolenza, e con loro si
dirigono verso il luogo illuminato. Ai loro occhi appare un nobile castello, circondato sette volte da mura e
difeso anche da un bel fiumiciattolo. Senza difficoltà vi entrano e su un prato verde possono scorgere gli
spiriti magni che si sono distinti nell'antichità per il coraggio nelle armi o per l’altezza dell’ingegno, dediti
con passione orgoglio a grandi cause. Dopo questi momenti di profonda commozione, Dante e Virgilio si
debbono separare dai quattro poeti e, tornando sui loro passi, si trovano di nuovo nel buio della notte
infernale.

RIASSUNTO CANTO V
Usciti dal Limbo, Dante e Virgilio entrano nel II Cerchio, meno ampio del precedente ma contenente molto
più dolore. Sulla soglia trovano Minosse, che è il giudice infernale, che ascolta le confessioni delle anime
dannate e indica loro in quale Cerchio siano destinate, attorcigliando intorno al corpo la lunghissima coda
tante volte quanti sono i Cerchi che il dannato deve discendere. Non appena vede che Dante è vivo, lo
ammonisce a non fidarsi di Virgilio, poiché uscire dall'Inferno non è così facile come entrare. Virgilio lo
zittisce ricordandogli che il viaggio di Dante è voluto da Dio.
Superato Minosse, Dante si ritrova in un luogo buio, dove soffia incessante una terribile bufera che trascina
i dannati e li sbatte da un lato all'altro del Cerchio. Dante capisce immediatamente che si tratta dei
lussuriosi, i quali volano per l'aria formando una larga schiera simile agli stornelli quando volano in cielo.
Dante vede poi un'altra schiera di anime, che volano formando una lunga linea. Chiede spiegazioni a Virgilio
e il poeta latino indica al discepolo i nomi di alcuni dannati, tra questi ci sono Semiramide, Didone,
Cleopatra, Elena (moglie di Menelao), Achille, Paride, Tristano, in compagnia di più di mille altre anime.
Dopo aver sentito tutti questi nomi, Dante è colpito da profonda angoscia e per poco non si smarrisce.
Dante nota che due di queste anime volano accoppiate e manifesta il desiderio di parlare con loro. Quindi
Virgilio acconsente e invita Dante a chiamarle. I due spiriti si staccano dalla schiera di anime e volano verso
di lui, come due colombe che vanno verso il nido: sono un uomo e una donna, e quest'ultima si rivolge a
Dante ringraziandolo per la pietà che dimostra verso di loro. Poi si presenta, dicendo di essere nata a
Ravenna e di essere stata legata in vita da un amore indissolubile con l'uomo che ancora le sta accanto nella
morte; furono entrambi assassinati e al loro uccisore attende la Caina, la zona del IX Cerchio dove sono
puniti i traditori dei parenti. A questo punto Dante resta turbato. Virgilio gli chiede a cosa pensi e Dante
risponde di essere colpito dal desiderio amoroso che condusse i due dannati alla perdizione. Poi parla a
Francesca, chiamandola per nome, e chiedendole in quali circostanze sia iniziata la loro relazione
adulterina. Un giorno lei e Paolo leggevano per divertimento un libro, che parlava di Lancillotto e della
regina Ginevra. Più volte la lettura li aveva indotti a cercarsi con lo sguardo e li aveva fatti impallidire.
Quando lessero il punto in cui era descritto il bacio dei due amanti, anch'essi si baciarono e interruppero la
lettura del libro. Mentre Francesca parla, Paolo resta in silenzio e piange; Dante è sopraffatto dal
turbamento e sviene.

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