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VITA E OPERE
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1896 Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896 da una famiglia appartenente alla media borghesia.
1915 Ottenuto il diploma di ragioniere affianca per qualche tempo il padre nella sua attività commerciale ma nel frattempo studia e si
appassiona alla letteratura Dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale con il grado di sottotenente, ritorna a Genova e comincia
a frequentare gli ambienti letterari, stringendo rapporti di amicizia con i maggiori poeti liguri.
o Formazione: i simbolisti francesi (Rimbaud, Verlaine, Mallarmé), i poeti inglesi (T.S. Eliot, Pound), i
filosofi (Schopenhauer, Nietzsche)
1922 Esordisce come poeta sulla rivista Torinese “Primo Tempo” e in seguito collabora con Piero Gobetti, stimato intellettuale antifascista,
fondatore della rivista IL BARETTI.
1922-1923: vacanze a Monterosso (La Spezia), dove conosce Anna degli Uberti (Annetta-Arletta)
Montale firma il MANIFESTO DEGLI INTELLETTUALI ANTIFASCISTI redatto da Benedetto Croce, in cui esprime il netto
dissenso nei confronti della dittatura esce la sua prima raccolta di poesie intitolata OSSI DI SEPPIA:
o il titolo è emblematico perché rispecchia le scelte formali del poeta e la sua visione della realtà.
1925 o Gli ossi di seppia sono i residui calcarei di quei molluschi che il mare deposita sulla riva e alludono a una condizione
esistenziale impoverita e prosciugata.
In questa prima fase della sua produzione atteggiamento di radicale pessimismo perché considera la condizione umana come una
prigione arida e priva di scampo e ritiene che la poesia non sia in grado di attingere alla verità o di proporre messaggi positivi.
o I componimenti sono caratterizzati dalla presenza di suoni aspri e di ritmi spezzati e dalla poetica degli oggetti che
consente di rappresentare i concetti astratti o stati d'animo attraverso elementi della realtà concreta e quotidiana.
1927 Il poeta si trasferisce a Firenze dove lavora come redattore nella casa editrice Bemporad e negli anni successivi collabora con la rivista Solaria.
Dirige il prestigioso GABINETTO VIEUSSEUX, cioè un'istituzione che si occupa di promuovere gli studi scientifici e letterari e
diventa un punto di riferimento per gli intellettuali avversi al regime dove però sarà espulso 9 anni più tardi perché non iscritto al
partito fascista.
1929-1938 A Firenze Montale conosce la futura moglie Drusilla Tanzi (Mosca) e stabilisce un'intensa relazione sentimentale intellettuale con la
studiosa americana Irma Brandeis (Clizia)
Per Montale la figura femminile era molto importante infatti ad ognuna assegnava un SEGNAL cioè poeti provinciali chiamavano
con un termine che li caratterizzava.
Nel 1938 Montale comincia a dedicarsi a un'intensa attività di traduzione delle opere dei grandi scrittori americani e nel 1939
pubblica la sua seconda raccolta poetica LE OCCASIONI che sono liriche più oscure e difficili da decifrare.
o Lo stile diventa aulico ed elevato e scompare ogni commento che possa guidare il lettore a comprendere le corrispondenze
tra il dato concreto e il suo significato astratto (Tecnica del correlativo oggettivo)
All'inizio della Seconda guerra mondiale, il poeta è chiamato a svolgere incarichi di tipo amministrativo nell'esercito e dato nel 1942
1942 fa ritorno a Genova, dove si trova ad affrontare il dolore per la scomparsa della madre, della sorella e per la distruzione della casa di
famiglia in seguito ai bombardamenti.
1944 Decide di impegnarsi direttamente nella vita politica italiana, entrando a far parte del Comitato di liberazione nazionale e iscrivendosi
al partito d'azione di orientamento laico e repubblicano dopo quattro anni si trasferisce a Milano, dove lavora per il Corriere della
Sera, senza però rinunciare alla sua vocazione poetica
1956 Pubblica la sua terza raccolta LA BUFERA E ALTRO ispirata quasi esclusivamente all'esperienza della guerra e alle contraddizioni
della società di massa.
Riceve la laurea in lettere ad honorem dall'Università di Milano e l'anno successivo si sposa con Drusilla Tanzi, con la quale
conviveva ormai da più di vent'anni dopo sei anni viene nominato senatore a vita per i suoi altissimi meriti in campo letterario e
artisti E infine dopo un lungo silenzio poetico viene pubblicata la raccolta intitolata SATURA e successivamente escono le ultime
1961 raccolte: DIARIO DEL 71 E DEL 72, QUADERNO DI QUATTRO ANNI E ALTRI VERSI.
o Quest'ultima fase della produzione di Montale è caratterizzata da un'aspra critica alla società dei consumi e dalla nostalgia
nei confronti della cultura umanistica tradizionale per adeguarsi al progressivo svuotamento dei valori collettivi.
o Montale abbandona lo stile alto delle raccolte precedenti e mescola nei suoi versi linguaggi e materiali eterogenei per
ottenere effetti ironici e parodistici.
1975 La sua fama di poeta ed intellettuale viene coronata dal Premio Nobel per la letteratura.
1981 Montale muore a Milano il 12 settembre 1981 e viene onorato con la celebrazione dei funerali di Stato.
PENSIERO DI SCHOPENHAUER
Molto importante per Montale il pensiero di Schopenhauer che si trova all'interno degli scritti:
o Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente (1813)
o Il mondo come volontà e rappresentazione (1818; I ed. italiana 1913)
Secondo Schopenhauer il mondo dei fenomeni è caratterizzato da un determinismo materialistico, tutto è regolato dalla necessità,
da una rigida consequenzialità di causa-effetto:
o la necessità logica regola il nostro conoscere;
o la necessità fisica regola il divenire;
o la necessità matematica riguarda gli enti matematici e geometrici;
o la necessità morale riguarda il rapporto tra il nostro carattere e i nostri atti.
Per lui noi conosciamo la realtà attraverso lo ‘spazio’, ‘il tempo’ e la ‘causalità’: la rappresentazione che noi abbiamo del mondo
non è libera e l’agire umano non può presumersi emancipato dai vincoli che determinano la realtà.
La rappresentazione è la forma fenomenica del mondo, è la nostra percezione della realtà. Il mondo tuttavia non è solo ciò che
appare ai nostri occhi. Il velo di Maya è ciò che distingue l’illusione dalla verità, ciò che sembra da ciò che è.
Gli atti dell’uomo sono determinati dalla sua volontà che è impulso, energia cieca, volontà di vivere (ossia brama di sopravvivere e
di riprodursi) Elementi della riflessione di Schopenhauer che ricorrono spesso nelle opere di Montale
o L’idea che la realtà sia regolata dal principio di necessità, ossia da stringenti rapporti di causa-effetto;
o L’idea che le nostre azioni non siano autenticamente libere, ma siano condizionate dalla volontà;
o L’idea che tra noi e la realtà ci sia uno schermo, un filtro (Montale usa le metafore della rete, del velo, del muro ecc.) che
altera e deforma la nostra percezione della realtà
È possibile un’eccezione? È possibile strappare il velo? Fuggire alla cieca legge della necessità?
Montale non approda a un’idea definitiva in alcuni momenti prevale la costatazione di uno scacco fallimentare, per cui
subentrano il «male di vivere» e l’angoscia soffocante, tipici di chi si sente prigioniero. In altri momenti invece subentra la speranza
di trovare, per miracolo, un’eccezione, qualcosa che sfugga alla legge della necessità e della cieca volontà di vivere. Montale
esprime la ricerca di un varco verso la libertà, in attesa di un fantasma o di un miracolo, che aiuti l’uomo ad andare al di là
dell’apparenza.
L’ATTESA DEL «FANTASMA SALVIFICO»
La prima raccolta, Ossi di seppia, è il libro dell’attesa frustrata e del prodigio fallito
La seconda raccolta, Le occasioni, contengono un’intuizione nuova: è possibile la liberazione dalla prigione della volontà e delle
illusioni grazie a un «fantasma salvifico»
Tra la seconda e la terza raccolta, La bufera e altro, si delinea progressivamente questa figura: prima una creatura capace di resistere
al dolore e alla tragedia e poi una figura femminile, che condivide la condizione negativa degli uomini, pur
rimanendo incontaminata
In Satura l’angelo salvifico diventa il fantasma della moglie morta. È un cambiamento notevole: le donne delle Occasioni e
della Bufera sono esseri mitizzati e miracolosi; il fantasma che compare qui è invece legato al ricordo di colei che ha condiviso un
cammino esistenziale con il poeta.
COSTANTI STILISTICHE
All’eloquenza della nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il collo [vd. Verlaine, Arte poetica], magari a rischio di
una controeloquenza (rifiuto di una poesia aulica)
Realtà impoetiche e ricchezza lessicale (materiali verbali, metaforici e tematici propri della prosa)
Una poetica degli oggetti (il correlativo oggettivo): oggetti che sono l’equivalente di concetti astrati o della condizione esistenziale
del poeta.
OSSI DI SEPPIA (1925)
I ed.: 1925 (Gobetti)- II ed. 1928 (Ribet)
Gli «ossi di seppia» sono residui calcarei di molluschi depositati dal mare sulla spiaggia. L’immagine allude a una condizione
vitale impoverita, a una esistenza frammentaria e a una profonda aridità interiore. Gli «ossi» sono anche immagine di una poesia
spoglia, priva di ornamentazioni, di abbellimenti retorici estrinseci, una poesia essenziale.
L’io lirico, la cui integrità è sempre al centro dei componenti, è infatti proteso verso la ricerca di un senso del reale e si pone
costantemente di fronte alla vanità della vita.
Il paesaggio marino e della riviera ligure diventa così uno specchio degli stati d'animo dell'autore, che trovano spesso espressione
attraverso oggetti concreti come alberi, ritorti, rocce, terre riarse.
o Un rilievo particolare assume il mare, inteso da una parte come un emblema di una vitalità sognata ma inafferrabile,
dall'altra come forza che travolge ogni cosa, non lasciandone che scarti e relitti.
o In questo stato di paralisi esistenziale si manifestano talvolta alcuni momenti privilegiati dei miracoli che permettono
nello spazio di un istante di intravedere il senso delle cose può accadere però di scoprire che la verità coincida con la
percezione del nulla, ovvero della totale vanità della vita.
o Per Montale il poeta non è una figura che si erge al di sopra degli altri uomini, con la pretesa di attingere a verità rivelate.
La poesia è uno strumento di inesausta ricerca esistenziale che permette di cogliere soltanto i frammenti di significato, fugaci,
inconsistenti qui l’io lirico si affida spesso a figure femminili distanti ma portatrici di una speranza di salvezza.
La lingua e lo stile aderiscono alla poetica dell'aridità, in particolare nella scelta degli aggettivi a termini rari e preziosi
Montale accosta sapientemente parole umili e comuni e recupero i metri della tradizione, soprattutto nei decasillabi, affiancandoli,
avversi, liberi, più lunghi e narrativi ne deriva una musicalità complessa, fatta di suoni aspri e non cantabili, ma in cui rime,
assonanze allitterazioni concorrono a creare una non è profonda e sotterranea.
“I limoni” è una poesia che Montale compone attorno al 1921-1922 e si trova all’interno della raccolta Ossi di seppia.
La raccolta si apre con un componimento intitolato “In limine” proprio perché è il primo componimento che accoglie il lettore.
È un testo poetico importante poiché viene descritta l’idea di poesia di Montale Manifesto della poetica montaliana
All’interno di questa poesia si possono intuire alcuni aspetti del sostrato filosofico che è presente nelle sue poesie.
o Il testo i limoni è composto da 5 strofe di versi liberi (cioè che non ci sono regole)Eh? Anche se nutriamo in questi testi
ancora una prevalenza degli.
Nella prima strofa Eugenio Montale prende le distanze da quelli che lui definisce i poeti laureati,
o I poeti che amano muoversi soltanto tra piante dai nomi poco usati, cioè i poeti che appartengono a quella tradizione
aulica della storia della poesia lirica Italiana.
o Mentre come ritroviamo anche in una testimonianza del poeta egli voleva usare un lingua poetica non troppo distante
dalla lingua di tutti i giorniegli vuole lasciar perdere la lingua aulica della tradizione letteraria italiana, cioè i poeti che
sono associati a una pianta particolare cioè quella dell’alloro.
o Montale vuole collocarsi all'interno di una realtà più dimessa, di una realtà umile, rifiutando dunque qualsiasi processo
estetizzante. Non vuole una poesia che diciamo che selezioni la realtà in chiave estetizzante:
o La poesia inizia con un attacco particolare “Ascoltami” un imperativo che probabilmente allude al celeberrimo attacco
della pioggia nel Pineto di D'Annunzio questo è il suo obiettivo quello di staccarsi dalla tradizione aulica.
Nella seconda strofa viene sviluppato ciò che è stato detto prima viene ancora ribadito la passione, l'amore per l'odore dei
limoni che rappresentano la parte di ricchezza anche per noi poveri.
o Ci sono molti rimandi a d’Annunzio attraverso diverse immagini (personificazione e senso di fraternità degli elementi
della natura presenti in Alcyone)
o Montale riprende D'Annunzio per questa idea di una natura con la quale l'uomo può entrare in relazione, ma il poeta si
autodefinisce insieme ad altri, una persona povera:
Assolutamente diversa dal Superomismo Dannunziano Il poeta diventa nel corso del novecento come una
persona superiore a nessuno
o Ribadisce la volontà di trovare un legame con la realtà, con la natura semplice, dimessa che ci dona quealcosa.
La terza strofa è una strofa centrale dove si trova il cuore filosofic-ragionativo del componimento.
o Utilizzo dell’imperativo “vedi” che si rialaccia a quello della prima strofa il poeta dei limoni, il poeta che non si
confonde, non si mescola con i poeti laureati, vuole un'effettiva compartecipazione dell'ascoltatore ( non è superiore)
o È presente l'idea delle cose che forse tradiscono, rivelano il loro ultimo segreto riferimenti filosofici:
il rapporto tra apparenza e verità cioè tra i fenomeni e il segreto delle cose, tra ciò che appare e ciò che è.
Scoprire uno sbaglio di natura, il punto morto del mondo, l'anello che non tiene il filo da sbrogliare.
o Tutte queste espressioni sono vari modi per rappresentare “Il miracolo laico dell'eccezione alla catena delle necessità”
la possibilità che in quel luogo che a contatto con la natura sia possibile percepire qualcosa che sfugga alla
rigida se le prime due strofe si concludevano entrambe con la parola limoni, per la terza si utilizza una
parola certamente impegnativa “verità” c'è questa possibilità di capire la verità che si nasconde dietro alle
cose di vedere, di individuare qualcosa che sfugga alla catena della necessità.
Nella quarta strofa si analizza il tema della disturbata divinità prima veniva analizzato che questa verità, questa divinità è
presente, però si allontana, quindi prima c'è una certa fiducia nella possibilità di trovare la verità dietro ai fenomeni.
Nell’ultima strofa all'inizio Montale, dopo aver sperato nella possibilità di attingere la verità dietro ai fenomeni, invece è preso da
un sentimento di disillusione perché è cambiato il contesto e siamo in una città, nelle nostre città di nuovo viene
problematizzato, sembra quasi impossibile raggiungere quella verità che il poeta aveva forse percepito.
o Siamo in un contesto diverso, in una città segnata dalla pioggia, una città d'inverno.
o Però finale della strofa un'immagine nuovamente positiva è la luce in queste giornate di inverno in città avara:
la luminosità delle piante la possibilità che il giallo dei limoni ci fa rinascere dentro di noi, dentro al
nostro cuore, il sole che viene associato al suono di trombe d'oro.
o Alla fine capiamo che i limoni rappresentano qualcosa di semplice, di dimesso che ha un sapore aspro, qualcosa che ha
un odore intenso che non sa staccarsi da terra.
o Ma soprattutto il limone è un frutto associato alla luce e alla chiarezza associato per il suo colore a una qualche verità
che possa portarci ad avere un rapporto più autentico con il mondo nel quale viviamo.
Dal punto di vista strutturale il tema di partito del componimento, cioè la contrapposizione elementare tra bene e male, si risolve
in due strofe, ciascuna di esse è introdotta da una dichiarazione teorica, alla quale segue una sequenza di metafore o episodi in
funzione esplicativa.
o Le due strofe sono caratterizzate sotto il profilo formale, da un parallelismo, ha una sentenza iniziale e sia nella prima
sia nella seconda strofa, tre immagini che presentano altrettanti esempi del male di vivere e della divina indifferenza,
il rivo, la foglia, il cavallo (prima strofa) mentre la statua, la nuvola e il falco nella seconda.
o Molto importante il livello musicale di questo componimento La seconda strofa è irregolare rispetto alla prima,
soprattutto per la lunghezza dell'ultimo verso. .
Il tema della poesia è nel primo verso il male di vivere e il disagio esistenziale sperimentato da chi vivendo sente la morsa dei lacci
che gli impediscono di essere libero.
Sia per il poeta Leopardi che per Montale la vita è male (forse meglio neppure viverla) perché la vita è sempre strozzata, cioè è
bloccata, impedita, chiusa in un destino ferreo e ineluttabile in una sorte dalla quale non possiamo evadere e che gradualmente
inaridisce l'individuo fino a che questi non si arrende.
o Nella poesia Arsenio Montale descrive l'idea di una vita strozzata cioè impossibilità del poeta di non esprimersi
compiutamente.
Ripresa del canto VII dell'Inferno di Dante, quando nella palude Stigia Dante descrive gli iracondi tristi o accidiosi che sono
collocati in questa palude stigia nel fango e ci sono però degli iracondi che sono completamente immersi nel fango e Dante,
Virgilio, sanno, sono consapevoli della loro esistenza, per il fatto che delle bolle d'aria si formano sulla superficie della palude
stigia e Virgilio dice a Dante che cioè quelli che erano così finti dall'ira che non potevano neppure esprimere i propri sentimenti.
“Tristi fummo Nell’aer dolce che dal sol s’allegra, Portando dentro accidioso fummo: Or ci attristiam nella belletta negra. Quest’inno si
gorgoglian nella strozza, Che dir nol posson con parola integra.”
L'immagine del male di vivere determina da una vita strozzata che non può esprimersi, che non arriva mai.
o Qualcosa di profondo, di autentico, ma continua ad essere caratterizzata dall'impossibilità di raggiungere di raggiungere
una autentica libertà.
Nella prima strofa abbiamo una sorta di climax che in queste tre immagini che procedono dal mondo inanimato a quello vegetale e
poi a quello animale:
o Il rivo che gorgoglia cioè che non riesce a esprimere il proprio dolore per gli ostacoli che gli impediscono di fruire
liberamente, la foglia che riarsa e secca dal sole, il cavallo stramazzato al suolo tutta la natura è legata e sottoposta a
una uguale legge di dolore, di frustrazione.
Nella seconda strofa invece si parla di questa divina Indifferenzauna sorta di espressione montaliana di quella voluntas (non
volere) che Schopenhauer indicava come unico, possibile, autentico rimedio a quella volontà di vivere che segna in modo
drammatico e negativo l'esistenza umana.
Volontà di un superiore di distacco, il rifiuto di ogni partecipazione emotiva all'indifferenza, l'evitare preventivamente qualsiasi
desiderio per non esporsi poi al rischio della delusione.
o Montale esprime il proprio stato d'animo, il concetto della divina indifferenza attraverso degli oggetti, attraverso delle
immagini concrete Attraverso non tanto una descrizione di sentimenti, ma proprio attraverso delle cose, degli oggetti
che vengono lasciati nella loro semplicità, nella loro nudità all'interno di un di un paesaggio imprecisato (che non
esiste).
o Sono oggetti collocati in una immobilità irreale: in una realtà metafisica come nei quadri, ad esempio di de Chirico.
Dora Markus è uno dei componimenti più celebri della seconda raccolta poetica di Eugenio Montale.
Questo componimento è composto da due parti che risalgono a due periodi distinti della vita dell'autore:
o La prima parte (I) risale al 1926, la seconda (II) risale invece al 1939
La prima parte viene pubblicata già nel 1937 invece il componimento completo nel 1939.
Dora Markus è una donna ebrea, originaria della Carinzia (una regione dell'Austria che si trova tra l'Italia e la Slovenia) ed è una
donna che Montale non conobbe ma infatti si possiede una lettera di un amico del poeta ROBERTO BAZLEN (Bobi Bazlen)
che da Trieste, nel 1928 invia a Montale, una cartolina di Gerti e Carlo, una coppia di amici dello stesso Montale:
«A Trieste, loro ospite, un’amica di Gerti, con delle gambe meravigliose. Falle una poesia. Si chiama Dora Markus».
La prima parte però venne scritta nel 1926 cioè due anni prima della lettera quindi potrebbe darsi che Montale l'abbia riadattato
alla figura di Dora che diventa un personaggio emblematico che condensa in sé lo smarrimento esistenziale di un'intera
generazione la generazione che sperimenta l'affermazione dei REGIMI TOTALITARI negli anni 20 e 30 del 1900.
A partire da questo dato molto semplice di realtà Montale elabora un componimento straordinario.
Nella PRIMA PARTE il poeta rievoca l'incontro, in realtà mai avvenuto con Dora Markus è collocato negli immediati dintorni
di Ravenna dove il poeta e Dora avevano passeggiato prima sul mare e poi in città durante questa passeggiata la donna parlò
della sua vita inquieta, lontana dalla sua patria vera (la Carinzia) che però in realtà sta a indicare la condizione esistenziale di ogni
uomo che aspira alla tranquillità e alla serenità senza mai potere raggiungere tale condizione positiva stabilità.
o Dora poi tornerà nella sua terra, ma questo ritorno qui tanto desiderato nella prima parte del componimento non
rappresenterà affatto la fine della sua inquietudine e della sua nostalgia Il suo senso di smarrimento non verranno
cancellati e né superati
Il poeta inizia con un passato remoto “FU” egli sta descrivendo un momento preciso del loro colloquio, quando Dora esprime
con i gesti e le parole i tratti salienti della propria del proprio carattere cioè una donna caratterizzata da una profonda dolcezza che
però nasconde sentimenti contrastanti da un lato irrequietudine cioè come incapacità di prendere in mano la propria vita e
dall'altro rassegnazione Il poeta non capisce come Dora possa vivere portando dentro di sé sentimenti così contrastanti.
o Egli ipotizza che Dora è preservata dalla disperazione grazie ad un AMULETO che ha la forma di un topo bianco
d'Avorio che lei porta sempre con sé insieme alla sua matita, al piumino della cipria, la lima per le unghie cioè i più
abituali strumenti del maquillage femminile.
Viene descritto durante la passeggiata anche il mare dove pescatori immobili calano o alzano le reti cioè sono i trabocchi, grandi
bilance azionate da una leva il cui piatto è costituito da una rete.
o Siamo in primavera inerte, senza memoria grigia, priva di luminosità, non ha più alcun ricordo delle luminose
atmosfere primaverili del passato e l'inquietudine di Dora viene costruita per contrasto con l'immobilità dei pescatori e
per analogia con il grigiore di quella primavera.
o Essa si riflette nella dolce ansietà d'Oriente dei mosaici ravennali, nelle scaglie di una triglia moribonda che è
determinata da una premonizione tragica, dall'idea della morte che incombe nella descrizione del paesaggio.
Nelle prime strofe di questo componimento, Montale cerca di essere realistico, ma allo stesso tempo vuole
essere allusivo, cioè Montale vuole che i particolari del paesaggio riflettano lo stato d'animo di Dora.
Il paesaggio diventa dunque IL CORRELATIVO OGGETTIVO, cioè diventa una trasposizione nelle cose dell'interiorità della
figura femminile di Dora che viene posta in relazione agli uccelli migratori che urtano contro i fari nelle sere tempestose.
Nella SECONDA PARTE (Ritorno di Dora nella sua patria) è trascorso un numero imprecisato di anni ed Dora è tornata nella
Carinzia, la sua terra d'origine che però non rappresenta qualcosa di positivo ma anzi coincide con una situazione ancora più
difficile della vita di Dora La Carinzia è la terra dei mirti fioriti ma anche la terra degli stagni cioè Dora vide in un lago una
carpa : Dettagli naturalistici che pongono in risalto il destino di morte che segna l'esistenza di tutto ciò che vive.
Dopo la descrizione del paesaggio esterno poi viene descritto l'interno della casa di Dora cioè di famiglia, nella quale lei è
tornata ad abitare lei è consapevole di un processo di decadenza che ha segnato una famiglia altoborghese ebraica, tra 7 e 800
o Questo processo di decadimento coinvolgerà inevitabilmente anche lei.
La casa nella quale lei torna a vivere è vuota, non è più abitati vicende di generazioni che sono segnate dall'errore che è inteso
come una erranza, cioè come la mancanza di una patria vera, di un centro, di una direzione, di un senso che da un processo di
decadenza che possa evitare.
Negli anni precedenti aveva visto Dora diversa da quella che adesso è diventata una storia di errori imperturbati cioè di progetti
esistenziali falliti che non possono essere cancellati nella sua casa Dora vede grandi ritratti d'oro, preziosi di valore, ma gli
uomini ritratti in quei quadri sono allo stesso tempo deboli: Dora sente il suono di un'armonica
o Un suono armonium che è ormai guasto cioè Dora a Ravenna è segnata dall'inquietudine e dalla rassegnazione,
desidera tornare nella patria ma quando è là vede semplicemente i segni di una famiglia, di un passato che però non può
darle un aiuto o un consiglio cioè delle motivazioni che possano indurre Dora a opporsi in qualche modo a quello che
sta avvenendo in quei anni.
Nelle ultime strofe si percepisce una catastrofe storica incompetente Montale parla di una fede feroce cioè probabilmente si
tratta dell'ideologia nazista che si sta diffondendo ovunque anche in Austria ed ora a causa delle sue origini ebraiche e travolta da
questa tragedia alla quale lei non può opporsi (LEGGI RAZZIALI)
La notte della storia, gli eventi storici tragici precipitano è sempre più tardi per opporsi.
Con questa poesia si conclude il terzo libro di Eugenio Montale inserita nell'ultima sezione della raccolta intitolata “Conclusioni
provvisorie” molto importante perché per Montale una qualsiasi conclusione non è però mai definitiva, è sempre necessariamente
provvisoria.
La poesia fu pubblicata per la prima volta nel 1954 e si presenta come la trascrizione del sogno di un prigioniero, ossia dei
pensieri, delle aspirazioni, dei dubbi, degli stati d'animo di un uomo, di un prigioniero cioè di un uomo privato della sua libertà.
o Montale ha affermato che il suo prigioniero può essere un prigioniero politico o della condizione esistenziale.
Sullo sfondo di questo testo c'è una precisa condizione storica ma è una figura generica che rappresenta la condizione umana
in quanto tale cioè una condizione di prigionia cioè d’assenza di libertà ripresa della FILOSOFIA DI SCHOPENHAUER che
induce Montale a soffermarsi sempre con grande attenzione sul problema della libertà in un mondo come rappresentazione, in un
mondo segnato dalla necessità, cioè da una rigida legge di causalità di causa effetto che determina i fenomeni e tutta la nostra vita.
o Della prigione in cui si trova per lui è difficile distinguere le albe dalle notti ma si vedono solo il frenetico movimento
degli uccelli intorno alle torri di guardia della prigione che sono l’unica possibilità di desiderio di libertà e sono come le
ali metaforiche con le quali il prigioniero vorrebbe evadere dalla sua prigione.
o Inoltre si vede l'occhio del capoguardia dallo spioncino, si sente il rumore di noci schiacciate e si percepisce l'odioso
sfrigolio di girarrosti reali o soltanto ipotizzati io sogno di essere presso di te, v.10 “i tuoi piedi” si rivolge a un tu.
Se ti sottometti o rinuncia alle tue idee, puoi essere risparmiato dalle uccisioni che colpiscono gli uomini come delle oche oppure
chi accusa sé stesso e rinuncia ai propri ideali denunciando gli altri può passare dalla parte del vincitore.
Montale in modo veramente geniale, straordinario, impiega un lessico assolutamente basso, mimetico un lessico culinario
relativo alla cucina per descrivere LA PRIVAZIONE DELLA LIBERTÀ e LE VIOLENZE di cui il prigioniero è vittima cioè per
descrivere la condizione di chi è imprigionato per le sue idee ed è tentato di passare dalla condizione di vittima alla condizione di
carneficese lui tradisce i propri ideali e denuncia gli altri e questo pensiero continua fino alla fine del testo siccome il prigioniero
si domanda se durante il banchetto sarà farcitore o farcito che era un pensiero sviluppato all’interno dei regimi totalitari dove tutti
per salvarsi erano disporti a tradire.
Però emerge l’'idea della consolazione che questo prigioniero riesce a percepire immagina di essere vicino a un'altra persona e
nella PENULTIMA STROFA prosegue nella descrizione del prigioniero, stordito dalla paura e che nel sogno di evasione si era
alzato e poi però era ricaduto nella condizione di sconforto di questa prigionia sorta di cucina infernale.
Però appena sogna di poter evadere accade che inizia a vedere delle allucinazionei come IRIDI ( arcobaleni) , ragnatele che è il
segnal di Clizia cioè del fantasma salvifico, donna Angelo che pervade le poesieL'attesa è lunga, il mio sogno di te non è finito
Questo testo è sono presenti due aspetti straordinari da un lato la capacità di tenere insieme una riflessione che ha a che fare con
un preciso contesto storico e dall'altro lato, però, allo stesso tempo descrivere la condizione di ogni uomo di qualsiasi uomo.
Capacità di fondere poesia con non poesia cioè attraverso il legame delle espressioni culinarie Montale “vorrebbe torcere il
collo anche a rischio di una contro eloquenza” egli fa attenzione anche alla condizione storica: V.11 le purghe ripresa dalla
dittatura staliniana, i forni mentre a i campi di sterminio e ai nazisti.
Per egli la condizione umana è come una CUCINA INFERNALE mentre la storia è un FESTINO dove agli artefici del male e i
loro collaboratori viene data la possibilità di stare dalla parte dei vincitori, dei dominatori dei persecutori, cioè la parte di quanti
siedono alla tavola, pronti a nutrirsi senza scrupoli del cibo preparato da cuochi disumani mentre dall’altra parte ci sono le
vittime dei perseguitati che devono essere cucinati ed eliminati per consentire il trionfo.
Nonostante la situazione difficile, nonostante l'ambiguità e la possibilità di passare dalla parte dei carnefici, il testo si conclude con
un segno di speranza cioè il mio desiderio di te perpetuamente alimentato dal ricordo del tuo amore che non avrà mai fine.
o La mia vita ha un senso, ha un significato perché tu esisti e continui ad attendermi.
CURIOSITÀ
Dante (plurilinguismo) ripreso nel Novecento da Montale cioè accostare termini di parole di registro
espressivo non elevato
Petrarca (unilinguismo) ripreso da Ungaretti che considera la parola come eloquenza e l’eleganza