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MONTALE VITA

I) Nasce a Genova nel 1896. Suo padre è un grosso commerciante. Nell'adolescenza è costretto ad
abbandonare gli studi regolari per la sua cattiva salute, ma continua a leggere molto: Rousseau,
Baudelaire, Mallarmé, Valéry, Cervantes, Manzoni...

II) A vent'anni scrive il suo primo capolavoro: Meriggiare pallido e assorto. Chiamato sotto le armi,
partecipa alla I guerra mondiale come ufficiale di fanteria, ma non sarà un'esperienza così
significativa come per Ungaretti.

III) Nel dopoguerra legge Gentile, Croce e soprattutto Boutroux, la cui filosofia contingentista (che
si oppone al determinismo positivistico, cioè alla spiegazione scientifica di tutta la realtà) lo
influenza nella composizione della raccolta di poesie Ossi di seppia (tra il '20 e il '25).

IV) Nel '25 scopre, come critico letterario, l'importanza di Svevo. Aderisce anche al Manifesto degli
intellettuali contro il fascismo, promosso da Croce.

V) Con Ossi di seppia (stampati da quel Piero Gobetti che solo pochi mesi dopo morirà a seguito di
violenze fasciste), Montale si stacca dalla precedente tradizione aulica-accademica, carica di toni
retorici, per affermare invece una poesia dal timbro familiare e dialogico, rivolta a un
interlocutore-lettore vicinissimo. La polemica è soprattutto nei confronti di Carducci, D'Annunzio e
Pascoli. Montale non sopporta, di loro -com'egli stesso dirà-, i "furori giacobini", il "superomismo",
il "messianismo". Il poeta preferisce porsi in attesa d'incontrare qualcuno o qualcosa che dia senso
al tutto.

VI) Ossi di seppia infatti hanno come tema centrale la riflessione su di sé e la proiezione di sé in un
simbolo naturale, nel senso che la natura viene usata per parlare del proprio io. L'essere dell'uomo
può essere colto solo nel suo "non-essere". La parola parla solo per negare i contenuti della vita e
della storia. Uno dei suoi versi recita: "Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò
che non vogliamo". Ma si tratta di una negatività dialettica, tesa al positivo, valida per sgombrare il
campo dalla retorica consolatoria. L'uomo non ha un "centro" ma vuole cercarlo. In questo senso
Montale rifiuta quelle che per lui sono le false certezze del marxismo e del cristianesimo
ideologizzato (come nel fascismo).

VII) Con il '27 inizia il suo ventennio fiorentino. Fa l'impiegato presso una casa editrice, poi diventa
direttore del Gabinetto Scientifico Letterario Vieusseux (sarà sollevato dall'incarico nel '38 dal
regime per motivi politici). Scrive sulla rivista "Solaria", stringe amicizia con Vittorini, Gadda, Bo,
Contini..., sposa la moglie di un critico d'arte.

VIII) Nella nuova raccolta Le occasioni (1928-39) il tema centrale è "l'altro da sé", una presenza
umana o naturale che viene incontro al poeta, alla ricerca della salvezza. Questo "altro", di cui
Montale è sempre stato gelosissimo, è stato rivelato da un critico letterario nell'82: si tratta di Irma
Brandeis, appartenente a un'illustre famiglia di ebrei mitteleuropei emigrati negli USA. Pare certo
che Irma si sia convertita al cattolicesimo. La sua presenza percorre quasi tutta l'opera di Montale
(vedi la figura di Clizia, pseudonimo usato per indicare la trascendenza). Ne Le occasioni la lirica è
più ermetica, più chiusa, perché pretende di evocare un mistero senza svelarlo.
a
IX) Negli anni prebellici e durante la II guerra mondiale Montale vive di collaborazioni letterarie e
di traduzioni. Il terzo libro pubblicato s'intitola La bufera e altro (1940-1954). L'interesse continua
a vertere sulla condizione umana in sé, a prescindere dagli avvenimenti storici. La storia è ciò che
passa, l'uomo è ciò che resta. L'infelicità è nell'uomo a prescindere dal suo tempo presente. In lui
v'è tensione verso l'essenziale, l'assoluto. La sua poesia è metafisico-simbolista. La stessa Clizia fa
da mediatrice fra il poeta e l'assoluto.

X) Nel '48 viene assunto dal "Corriere della sera". Dal '67 è senatore a vita. Nel '75 ottiene il Nobel
per la letteratura. Negli ultimi libri vi è una saggia e amara ironia (Satura, 1962-70, e altri). Muore
nel 1981.

XI) Meriggiare. In questa lirica Montale usa 5 infiniti presenti a capoverso per abolire ogni
possibilità di determinare il soggetto dell'azione e per rendere universale, indefinito ed
eternamente presente il contenuto della poesia, che è la cosmica contemplazione della vita come
sofferenza. Il muro contemplato in lungo e in largo non si può scavalcare. Il paradiso è
irraggiungibile. Il "colle" del Leopardi era un'occasione per fantasticare su ciò che non si vedeva. Il
"muro" di Montale impedisce qualunque fantasia. Il suicidio non è la conclusione finale, perché
Montale, pur convinto che l'uomo da solo non possa trovare soddisfazione di sé, spera di poter
incontrare qualcuno che gli porti la salvezza (è in attesa di un "miracolo" che gli sveli l'origine delle
cose).

AVEVAMO STUDIATO PER ANDARE ALL’ALDILA’

Analisi del testo


Anno:1965
Temi: il rimpianto per la moglie scomparsa – un tentativo di comunicazione tra vivi e defunti –
l’inesplicabile mistero dell’aldilà

Leggiamo il quarto componimento della prima serie degli Xenia (il termine, dal greco, significa
“doni” fatti agli ospiti) E’ come gli altri, dedicato al ricordo e al difficile colloquio con la moglie
“Mosca” (Drusilla Tanzi), da poco scomparsa: a questa ospite, che torna a visitarlo, nel ricordo, il
poeta offre il dono, solo apparentemente minimo, della sua poesia. Gli Xenia erano usciti
parzialmente in tre edizioni private (1966-1968-1970); vennero poi ripresi in Satura, dove
compongono le due sezioni iniziali del libro (ciascuna di esse formata da quattordici testi)

Schema Metrico: Versi liberi, con una fitta trama di rime, specie interne (avevamo/siamo;
aldilà/già) e assonanze (modularlo/saperlo).

Commento
Il poeta rievoca una specie di scherzo concordato assieme alla moglie: i due avevano immaginato
di poter comunicare anche dopo la morte per mezzo di qualche segnale particolare. Adesso dopo
la scomparsa della Mosca, il poeta effettivamente dice: provo a modularlo.
Questo tentativo è innanzitutto un sintomo di rimpianto per la moglie morta. Ma la poesia non si
ferma qui e fornisce una spiegazione per il gesto di Montale, un’implicazione più profonda, ovvero
la speranza (espressa con ironia) che tutti siamo già morti senza saperlo. Si esprime qui la
prospettiva del rovescio, tipica dell’ultima stagione della poetica di Montale.
L’ironia del poeta dà adito a due possibili ipotesi:
- egli forse, vuole dirci che non c’è alcun aldilà, alcuna possibilità effettiva di rincontrare la moglie.
- o forse pensa che aldilà e aldiquà sono termini intercambiabili e che il mistero coinvolge non solo
la vita oltre la morte, ma innanzitutto questa vita, della quale non sappiamo nulla.

Ho sceso dandoti il braccio - Montale: parafrasi, analisi, commento


Appartiene alla raccolta Satura, pubblicata nel 1971 (precisamente alla seconda serie di liriche,
Xenia) ed è una delle poesie più belle di tutto il Montale in memoria della moglie Drusilla Tanzi. Il
tema è quello della morte, o meglio della vita osservata nell'ottica di chi adesso non c'è più, ma
che già in vita vedeva meglio.

Testo:
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Parafrasi
Ho sceso almeno un milione di scale con l'aiuto del tuo braccio e tu con il mio, e ora che sei morta
senza il tuo aiuto mi sembra cadere ad ogni scalino.
Nonostante la lunga vita trascorsa insieme è stata troppo breve. La mia vita, invece dura ancora,
non mi servono più le coincidenze dei treni, le prenotazioni degli alberghi e gli affanni della vita
appaiono trappole prive di senso senza la tua presenza e le delusioni, arrabbiature di gente che
pensa sia vero ciò che appare.
Ho sceso tantissime scale col tuo aiuto perché con quattro occhi forse si vede meglio.
Le ho scese insieme a te perché tra di noi quello che vedeva meglio, nonostante la miopia eri tu.

Analisi del testo


Schema metrico: versi liberi, con alcuni endecasillabi e varie assonanze e rime
(crede/vede,due/tue, viaggio/braccio).
Anno: 1967

Temi: le contraddizioni dell’esistere – l’affetto per la moglie scomparsa e il rimpianto del poeta – il
vuoto incolmabile lasciato dalla morte

La prima strofa accenna a una metafora, la discesa delle scale, che poi diventa una conferma al
verso 3, il mio lungo viaggio, per definire la vita umana.

Il v. 3 propone il rimpianto del poeta per la scomparsa della moglie e costituisce una riflessione
sulla durata dell'esistenza umana.

Ritorna in questa lirica un tema già osservato nella Casa dei doganieri e in altre montaliane: l'idea
cioè che per vivere ci è necessario stabilire relazioni con i nostri simili. L'assenza di legami o
l'interruzione di essi, a causa della morte, è il nemico più terribile, ciò che dà un senso di vuoto (v.
2 ) alla nostra esistenza.

Protagonista della lirica è la figura della Mosca, onnipresente seppure nell'assenza della morte.

Un altro nucleo tematico del testo è quello del vedere: c'è chi, pur avendo le pupille offuscate,
vede tutto quello che serve; e c'è chi crede di vedere ma, in realtà, vede poco o nulla.

Analisi linguistica
L'apparente semplicità del linguaggio non impedisce al poeta di ottenere raffinati effetti di
musicalità, come l'analisi della prima strofa dimostra.

Nella seconda strofa è molto interessante la rima che lega i due versi. Se nella conclusione della
prima strofa il discorso si avvicina alla musicalità, qui invece il poeta vuole sorprendere il lettore
con una battuta tipica della satira, affidata a un verso imprevedibilmente breve.

È stato breve = la vita trascorsa insieme è stata troppo breve. Il poeta esprime così il suo affetto
per la moglie morta.

Il mio = cioè la mia vita.

Occorrono = nel duplice significato di mi necessitano e mi capitano.

Le coincidenze = il lessico freddo, neutro, sembra riguardare un percorso ferroviario, ma in realtà


si riferisce alle esigenze e agli inciampi del vivere. Senza la Mosca, le casualità e gli affanni della
vita paiono trappole prive di senso: perciò sembra incolmabile il vuoto aperto dalla sua morte.

Scorni = delusioni, arrabbiature.

Con quattr'occhi = in due. Accanto a lei il poeta vedeva meglio: due più due faceva quattro occhi e
cioè si accendeva una luce interiore, che dava la certezza di arrivare alla metà.
Offuscata = miopia.

Figure retoriche
Iperbole = Almeno un milione di scale (v.1). Viene esagerata la numerazione delle scale per
sottolineare l'abitudinarietà del gesto di scendere le scale e anche per il fattore nostalgico.

Ossimoro = breve / lungo. (v. 3). I due aggettivi opposti servono a farci capire che nonostante
abbia trascorso moltissimo tempo insieme alla moglie, questo tempo gli sembra adesso troppo
breve.

Iperbato = ( che è il nn rispettare il seguire logico delle parole ma scriverle secondo l'ordine scelto
dal poeta)

Metafora = il nostro lungo viaggio (v. 3). Il viaggio metaforicamente parlando è il corso della vita.

Anafora = la ripetizione di "ho sceso" a inizio verso (vv. 1-8) rappresenta un pensiero fisso per
Montale e quindi un dolore costante.

Sineddoche = le sole vere pupille (v. 11). Sostituzione di una parola con un'altra in base a un
rapporto di quantità: una parte, cioè le pupille, per il tutto, quindi gli occhi.

Enjambement = occorrono le coincidenze (vv. 4-5). le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli


scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede (vv. 5-7)

Commento
Montale ha percorso insieme alla moglie un lungo e intenso viaggio: il viaggio della vita. Ora la
donna è morta e il poeta avverte un gran vuoto intorno a sé; quel viaggio, guardato a ritroso, fu
davvero troppo breve. Il poeta e la moglie hanno camminato accanto, sono saliti e scesi insieme
per milioni di gradini. Apparentemente la più debole (non solo di vista) era lei. Ma adesso che non
c’è più, Montale si accorge che le cose stavano diversamente: infatti la realtà non è affatto quella
che si vede (v.7). Malgrado la miopia, tra i due sposi era proprio la Mosca a vederci meglio e a
condurre il marito nel viaggio della vita.
La situazione evocata nel testo è l’atto di scendere le scale: un’operazione comune, ma che
richiede vista buona. Altrimenti si può mettere il piede nel vuoto ed è qualcosa di peggio che un
semplice gradino mancato: Montale pensa al vuoto di un’esistenza priva di punti di riferimento.
Adesso che la sua Mosca non c’è più, egli compie l’esperienza amara di un vuoto radicale. Per
riempirlo non basta avere la vista acuta; bisogna saper riconoscere la realtà che si cela dietro le
apparenze.
Ecco perché la moglie manca tanto al poeta; fra i due era proprio lei la sola in grado di vedere. In
un mondo dove le cose vanno a rovescio, appunto la Mosca, umile insetto della casa e miope
com'era, sapeva muoversi a suo agio nel viaggio della vita; le sue pupille, benché offuscate,
sprigionavano una luce interiore preziosa per individuare la meta per raggiungerla. Se Montale era
per sua moglie una guida fisica, lei era per lui una guida spirituale.

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