Il termine “Ermetismo” fu usato per la prima volta dal critico Francesco Flora nel
libro La poesia ermetica, del 1936. Il termine con un’accezione negativa, per il
carattere oscuro della poesia di giovani come Gatto, Luzi, Bigongiari. Il modello che
seguivano era quello di Ungaretti. All’inizio la critica aveva ravvisato nella lirica di
Ungaretti una supposta vicinanza con alcune esperienze frammentiste che erano
circolate in Italia, mutuate da altre tradizioni. In particolare, la presenza del poeta di
Alessandria d’Egitto sulla «Diana» di G. Marone accanto ai poeti giapponesi
contemporanei .In una cartolina inviata il 24 luglio, grazie alla funzione di mediatore
svolta da Marone, Ungaretti rivelava di aver conosciuto sprazzi della contemporanea
poesia giapponese:[…] Marone mi ha mandato i giapponesi; tranne Maeta, di un
dolore così stridente, che lascia in bocca un sapore di rame e nei nervi un formicolìo
di corda musicale spezzata a un tratto sullo strumento, -il resto è roba frivola da
servizio da tè e mobilio laccato. Marone aveva inviato già da tempo ad Ungaretti le
Poesie Giapponesi, che aveva tradotto insieme ad Hrukichi Shimoi, per l’editore
Ricciardi.Le poesie, in piccola parte già proposte sulla «Diana», dal maggio al
dicembre del 1916, erano per lo più inedite. I critici incominciarono a porre in
relazione questa tipologia di lirica, breve, franta, essenziale, al taglio che Ungaretti
dava alle sue composizioni. Francesco Flora, in particolare, avrebbe poi evidenziato
una evidente linea di contiguità tra Ungaretti e i giapponesi. giapponesi, pubblicate
sulla “Diana” a partire dal 25 maggio 1916.F. FLORA, Storia della letteratura italiana,
Milano, Mondadori, 1956, vol. V, p. 562.«L’influenza di questi testi sulla poesia
ungarettiana, più volte denunciata ma recisamente smentita da Ungaretti (si veda la
polemica con Enzo Palmieri nell’”Italia Letteraria” del 7 e 21 maggio 1933), è
rigorosamente dimostrata dal Rebay, sulla base di un’inoppugnabile priorità
cronologica delle poesie giapponesi, pubblicate sulla “Diana” a partire dal
25giapponesi, pubblicate sulla “Diana” a partire dal 25 maggio 1916», cfr. G.
UNGARETTI, Lettere a Giovanni Papini, p. 131.Ermetismo, nella storia letteraria,
indica una linea poetica –tra gli anni Trenta e Quaranta- che proponeva la “poesia
pura”, assoluta, lirica, priva di riferimenti al discorso logico e ideologico. Firenze,
dove si stampavano le riviste «Il Frontespizio» e «Campo di Marte», fu l’epicentro
del movimento, la cui data iniziale viene fatta coincidere con la pubblicazione, nel
1932, di Isola di Gatto. La tendenza ermetica durò fino agli inizi degli anni Cinquanta
(Luzi, Sereni).Con la caduta del fascismo e il precipitare della situazione politica e
sociale, la linea ermetica fu in parte abbandonata. Iniziava a prevalere una
letteratura responsabile e capace di raccontare la realtà (Neorealismo).
-In qualche modo ermetici Quasimodo, Ungaretti e Montale, pur non essendo stati
mai interni al movimento
Montale aveva dichiarato la propria equidistanza tanto dalla poesia pura che
dall’Ermetismo. Tuttavia Le occasioni rimandava a dei riferimenti e a delle
suggestioni ermetiche.La teorizzazione estetica ermetica identifica vita e poesia.
«Nessun’altra teologia all’infuori della poesia», si afferma su «Campo di Marte»:
dunque la poesia consente l’accesso ad una dimensione esistenziale sacra e
profondamente umana, universale, astorica e atemporale .Nella sua Storia della
Letteratura Italiana F. Flora, a distanza di molti anni dal saggio sull’ermetismo,
ritornava su quest’esperienza :«Si svolgeva intanto sempre più autorevole la
divulgazione della poesia ermetica. Dalla «Ronda» veniva l’invito alla poesia in
prosa, dalla «Voce» un vago invito al frammento, dall’ermetismo l’invito alla lirica
raddensata e analogica come unico genere di poesia. Congiunti quegli esempi agli
influssi del valérismo e del surrealismo a loro volta motivi opposti ma egualmente
delusi di quella ragione che Valéry voleva render matematica e i surrealisti sostituire
con la scrittura automatica: congiunti ancora gli influssi narrativi che venivano dalla
letteratura europea ed americana, crearono lo stadio presente delle nostre lettere.
Giuseppe Ungaretti
La vita
La poetica
La poetica dell’analogia
Barocco
Simbolismo
L’Allegria
L’Allegria è la raccolta che contiene tutta la prima produzione di U, quella tra il 1914
e il 1919. I primi componimenti rivelano la concentrazione del poeta sulla parola. La
guerra porta al confronto tra l’io poetico e la realtà esterna minacciosa, la natura
ostile e indifferente.La poesia è un modo per affermare nel vuoto minaccioso la
tragica dignità di un destino umano e collettivo. La guerra appare come un dato
ineluttabile: il paesaggio, percorso dalle macchine belliche, è espressione di una
violenza naturale ed artificiale. L’io prova ad affermare la sua vitalità, ad attaccarsi
alle illusioni per sopravvivere («Ungaretti/ uomo di pena/ti basta un’illusione /per
farti coraggio»).Lo stesso titolo Il porto sepolto –ad Alessandria si credeva vi fosse
un antico porto sepolto nella sabbia- allude a «ciò che di segreto rimane in noi
indecifrabile» e alla funzione della poesia come scavo alla ricerca di un «nulla/
d’inesauribile segreto». Il titolo Allegria – quello originario era Allegria di naufragi-
allude alla paradossale vitalità che si afferma in mezzo alla morte alla forza allegra
della sopravvivenza nel vuoto e nel naufragio.Questo è il senso della condizione
moderna, il residuo vitale di un’umanità che ritrova se stessa nel nulla, nello
svuotamento, nella sopravvivenza incosciente ed euforica.Questa poesia raggiunge
i suoi risultati migliori quando registra lo svuotamento dell’io annullato dalla
esperienza della guerra.L’io diviene parte del paesaggio bellico: «eccovi un’anima/
deserta/ uno specchio impassibile». L’analogia mette sullo stesso piano il mondo
scarnificato e l’io, che coincide con il paesaggio carsico. La parola è ridotta, l’io
poetico si identifica col grado zero dell’universo. Talvolta vi sono elementi di
nostalgia e di meditazione morale.
Sentimento
Sullo sfondo desolato della guerra la parola poetica si allontana dal linguaggio
consumato: la distruzione è un fatto naturale, connaturata al vivere stesso.Nei
componimenti successivi alla guerra –in quelli nell’ultima sezione di A- U va verso
forme più allargate, distese, composte. Nella successiva raccolta –Sentimento del
tempo-torna all’endecasillabo, alla punteggiatura, alle immagini della poesia
tradizionale. Le esperienze che condizionano questa fase sono legate a Roma, la
città barocca per eccellenza, in cui il p sperimenta l’orrore del vuoto e i ricostituirsi
dello spazio. Inoltre, in questo momento U vive la sua conversione religiosa.Questa
è la poesia dell’analogia, un arcano dialogo tra voci diverse ricavate dal fondo della
natura. Il gioco poetico confonde concreto e astratto, sommerge la parola sotto
metafore; l’anima si ricava da immagini sfuggenti, proietta se stessa in forme del
mito.I componimenti migliori sono quelli in cui il poeta si libera da questo
reticolato di analogie e affronta temi legati alla solitudine dell’uomo di fronte al
male e alla morte. L’esperienza di U in Brasile, che si sviluppò per un lungo, intenso
periodo nel nuovo mondo, dettagliatamente ricostruita dalla critica, comportò dei
cambiamenti importanti dopo il primo traumatico contatto con questa realtà,
suggellato, osserva Paola Montefoschi, «dalla visione della natura esorbitante, nella
quale si integrano la ridondanza e le stravaganze delle architetture settecentesche,
deriverà violente emozioni», il poeta recuperava intatte le dolorose, antiche
emozioni di essere “privo” di patria.
Il Dolore
Nel 1947 pubblica Il Dolore, raccolta legata alla scomparsa del figlio, del fratello, alle
immagini dell’occupazione nazista di Roma. Il verso endecasillabo si modula in un
discorso disteso, accorato, essenziale, un amaro accordo musicale.Alle ulteriori
proposte di Marone, Ungaretti sembra cedere, ipotizzando, dopo il ciclo di lezioni
argentine, di poter tornare in Brasile, per “un saluto” alla tomba del figlio: Caro
Gherardo,di ritorno da Parigi, dove ero andato come membro della delegazione
italiana alla Conferenza dell’Unesco, Azpiri mi informa di come stanno a questo
momento le cose. Va bene: verrò in Argentina, e di lì farò un salto a San Paolo per
salutare la tomba del mio bambino, e qui mi riimbarcherò per l’Italia. Impegnarmi
per altre conferenze in Brasile o altrove, potrebbe, temo, nuocere alla mia salute.
Voglio accontentarti, e basta. Scrivimi subito, per fissare d’accordo con te, la data
della mia partenza.I miei si ricordano alla Signora e ti abbracciano fraternamente.
Il tuo Ungaretti
Il 4 novembre del 1959, Ungaretti si era rivolto a Marone per commentare, con
amara ironia, la vittoria di Salvatore Quasimodo al Premio Nobel.La lettera
autografa, custodita nell’Archivio Gherardo Marone di Napoli, non è catalogata
nell’inventario; è stata ritrovata nel fascicolo contrassegnato dalla sigla U.V.109/119,
in cui sono contenute undici fotocopie di epistole, già schedate in originale e
indicate nel regesto, inviate tra il 1940 al 1959. Lo scritto appare come un serrato
sfogo, maturato dopo anni di speranze disattese, nel quale Ungaretti non esitava a
definire Salvatore Quasimodo «un pappagallo e un pagliaccio», aggiungendo le
taglienti rivelazioni di alcuni retroscena per spiegare la bocciatura della sua
candidatura.