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Ermetismo

Il termine “Ermetismo” fu usato per la prima volta dal critico Francesco Flora nel
libro La poesia ermetica, del 1936. Il termine con un’accezione negativa, per il
carattere oscuro della poesia di giovani come Gatto, Luzi, Bigongiari. Il modello che
seguivano era quello di Ungaretti. All’inizio la critica aveva ravvisato nella lirica di
Ungaretti una supposta vicinanza con alcune esperienze frammentiste che erano
circolate in Italia, mutuate da altre tradizioni. In particolare, la presenza del poeta di
Alessandria d’Egitto sulla «Diana» di G. Marone accanto ai poeti giapponesi
contemporanei .In una cartolina inviata il 24 luglio, grazie alla funzione di mediatore
svolta da Marone, Ungaretti rivelava di aver conosciuto sprazzi della contemporanea
poesia giapponese:[…] Marone mi ha mandato i giapponesi; tranne Maeta, di un
dolore così stridente, che lascia in bocca un sapore di rame e nei nervi un formicolìo
di corda musicale spezzata a un tratto sullo strumento, -il resto è roba frivola da
servizio da tè e mobilio laccato. Marone aveva inviato già da tempo ad Ungaretti le
Poesie Giapponesi, che aveva tradotto insieme ad Hrukichi Shimoi, per l’editore
Ricciardi.Le poesie, in piccola parte già proposte sulla «Diana», dal maggio al
dicembre del 1916, erano per lo più inedite. I critici incominciarono a porre in
relazione questa tipologia di lirica, breve, franta, essenziale, al taglio che Ungaretti
dava alle sue composizioni. Francesco Flora, in particolare, avrebbe poi evidenziato
una evidente linea di contiguità tra Ungaretti e i giapponesi. giapponesi, pubblicate
sulla “Diana” a partire dal 25 maggio 1916.F. FLORA, Storia della letteratura italiana,
Milano, Mondadori, 1956, vol. V, p. 562.«L’influenza di questi testi sulla poesia
ungarettiana, più volte denunciata ma recisamente smentita da Ungaretti (si veda la
polemica con Enzo Palmieri nell’”Italia Letteraria” del 7 e 21 maggio 1933), è
rigorosamente dimostrata dal Rebay, sulla base di un’inoppugnabile priorità
cronologica delle poesie giapponesi, pubblicate sulla “Diana” a partire dal
25giapponesi, pubblicate sulla “Diana” a partire dal 25 maggio 1916», cfr. G.
UNGARETTI, Lettere a Giovanni Papini, p. 131.Ermetismo, nella storia letteraria,
indica una linea poetica –tra gli anni Trenta e Quaranta- che proponeva la “poesia
pura”, assoluta, lirica, priva di riferimenti al discorso logico e ideologico. Firenze,
dove si stampavano le riviste «Il Frontespizio» e «Campo di Marte», fu l’epicentro
del movimento, la cui data iniziale viene fatta coincidere con la pubblicazione, nel
1932, di Isola di Gatto. La tendenza ermetica durò fino agli inizi degli anni Cinquanta
(Luzi, Sereni).Con la caduta del fascismo e il precipitare della situazione politica e
sociale, la linea ermetica fu in parte abbandonata. Iniziava a prevalere una
letteratura responsabile e capace di raccontare la realtà (Neorealismo).

-Alfonso Gatto, Mario Luzi, Piero Bigongiari

-In qualche modo ermetici Quasimodo, Ungaretti e Montale, pur non essendo stati
mai interni al movimento

Montale aveva dichiarato la propria equidistanza tanto dalla poesia pura che
dall’Ermetismo. Tuttavia Le occasioni rimandava a dei riferimenti e a delle
suggestioni ermetiche.La teorizzazione estetica ermetica identifica vita e poesia.
«Nessun’altra teologia all’infuori della poesia», si afferma su «Campo di Marte»:
dunque la poesia consente l’accesso ad una dimensione esistenziale sacra e
profondamente umana, universale, astorica e atemporale .Nella sua Storia della
Letteratura Italiana F. Flora, a distanza di molti anni dal saggio sull’ermetismo,
ritornava su quest’esperienza :«Si svolgeva intanto sempre più autorevole la
divulgazione della poesia ermetica. Dalla «Ronda» veniva l’invito alla poesia in
prosa, dalla «Voce» un vago invito al frammento, dall’ermetismo l’invito alla lirica
raddensata e analogica come unico genere di poesia. Congiunti quegli esempi agli
influssi del valérismo e del surrealismo a loro volta motivi opposti ma egualmente
delusi di quella ragione che Valéry voleva render matematica e i surrealisti sostituire
con la scrittura automatica: congiunti ancora gli influssi narrativi che venivano dalla
letteratura europea ed americana, crearono lo stadio presente delle nostre lettere.

Alla poesia ermetica successe una critica ermetica».

« Il nostro punto di vista è rigorosamente sintetico…Perciò faremo come il


drammaturgo che non partecipa per i personaggi buoni o cattivi dei suoi drammi
ma soltanto per la buona poesia».Pier Vincenzo Mengaldo in «La tradizione del
Novecento» osserva che fra le avanguardie del primo anteguerra e l’ermetismo si
stende…una poesia «neoclassica», non senza infiltrazioni leopardiane ed esposizioni
programmatiche come nei montaliani «Sarcofaghi»(Ossi), in armonia con quanto
accade nel resto d’Europa». Secondo il critico il ‘900 poetico si affanna dietro un
canone, e forse ancora di più la critica ha provato a tracciarlo. Bisognerebbe invece
considerare la pluralità delle esperienze in sè .Nel 1938 il critico Carlo Bo scrive
Letteratura come vita, una sorta di manifesto dell’Ermetismo. Bo afferma che la
letteratura non è una pratica, una «professione» ma una «condizione»
esistenziale, che consente agli autori di riflettere e tornare sulla vita interiore.
Dunque la lett non può essere attenta alle sollecitazioni del «tempo minore», ma
deve «svolgersi in una sospensione di reazioni fisiche, in un golfo di attesa
metafisica». Questa «vita dello spirito» -indagata dalla lett- si esprime nella poesia,
«unica nostra ragione d’essere», unica «dignità» possibile. Gli ermetici si
allontanano dal contingente per tutelare l’universale umano, affidarlo ad una
purezza che esclude la realtà.

«Il Frontespizio» «Campo di Marte», «Corrente», «Prospettive»

L’Ermetismo pratica il simbolismo, l’analogia che serve ad elidere, le


corrispondenze surreali, la ricerca sonora e musicale, la scrittura alogica
.Esistenzialismo e intimismo cattolico sono i riferimenti ideologici dell’E.Astrazione,
rarefazione evocativa e lirica;Analogie, semplificazione del lessico; Soppressione dei
determinativi (articoli) per privilegiare la parola;Riduzione dei nessi grammaticali e
sintattici; Endecasillabo

Giuseppe Ungaretti

U cerca e pratica una lirica essenziale ed assoluta, capace di riflettere il vuoto e la


consunzione del linguaggio. La sua poesia parte dalla constatazione
dell’esaurimento di tutte le potenzialità della parola. Per questo U cerca il silenzio,
il segreto, e pratica una mistica della parola che staglia la poesia sullo sfondo della
tradizione.

La vita

Per questo U si allinea al simbolismo europeo.

Nato ad Alessandria d’Egitto, 1888, apparteneva ad una famiglia emigrata dalla


zona di Lucca. Ad Alessandria si legò ad Enrico Pea e ai fratelli Thuile. Nel 1912 si
traferì a Parigi, dove frequentò Apollinaire e conobbe Soffici, Papini,
Palazzeschi;Iniziò a collaborare a «Lacerba»

Trasferitosi a Milano, irriducibile interventista, partecipò come soldato semplice alla


guerra, combattendo sul Carso. Nel 1916 esce Il porto sepolto.Nella primavera del
‘18 il suo reggimento passò a Parigi e lì si stanziò come corrispondente del giornale
fascista «il Popolo d’Italia»;Nel 1919 uscì Allegria di naufragi. Nel 1920 sposa
Jeanne Dupoix, da cui avrà Ninon e Antonietto . Nel 1921 a Roma, lavora per il
Ministero degli Esteri.Nel 1928 piena adesione al fascismo e conversione religiosa.
Collabora ai maggiori periodici italiani e stranieri; tiene cicli di conferenze in tutta
Europa e nel mondo.Nel 1933 esce Sentimento del tempo e 1936 si trasferisce in
Brasile. Dopo aver perso il figlio Antonietto, torna in Italia. Nel 1939 pubblica Il
dolore e nel 1969 Vita d’un uomo.

La poetica

La poesia di U nasce dalla congiunzione di due opposte tensioni: il senso


d’avventura e la percezione dello spaesamento, dell’esilio.Allo stesso modo U è
attratto dalle avanguardie ma si allinea nel solco della tradizione.Alla base della sua
formazione c’è l’esperienza francese e il contatto con il simbolismo europeo.Prima
dell’esperienza della guerra era entrato in contatto con la cultura espressionista:
per questo motivo IL SUO SIMBOLISMO SI ARRICCHISCE DI DATI ESISTENZIALI-
AUTOBIOGRAFICI. La sua poesia reca sempre le tracce di un’esistenza concreta,
deve raccontare la vita di un uomo.Questa immagine di umanità emerge dal
silenzio, dal vuoto, in un grido che afferra il senso profondo della condizione
naturale. U. non ha una prospettiva sociale, non attacca la società; tuttavia la sua
poesia riesce a raccogliere –nel dato autobiografico ed esistenziale- la condizione
di un’epoca, il senso profondo dei valori collettivi. È anche una poesia
“generazionale”.Per U la poesia è l’unica possibile testimonianza dell’uomo, è sacra,
resiste alle distruzioni della storia; essa adopera una parola essenziale e
scarnificata, «moderna», lontanissima dalla retorica dannunziana.La pubblicazione
de Il Porto sepolto –legata al fortunato incontro con Ettore Serra, al fronte- viene
indicata da molti critici come una sorta di spartiacque, termine dopo il quale
l’atteggiamento di Ungaretti cambia: alle esitazioni da poeta esordiente, che
doveva ancora programmare il suo debutto, seguono ora la ricerca di consensi, la
necessità del riscontro critico. Con l’uscita della prima opera, anche quella
separatezza dagli altri intellettuali, coltivata come espressione estrema di dolore per
riflettere il proprio smarrimento rispetto all’orrore della guerra, veniva incanalata in
un’ipotesi di partecipazione, sostenuta da una salda autostima, dalla nitida
consapevolezza del proprio valore. Così scriveva, nei primi giorni di dicembre del
1916: Forse presto esce il mio Porto sepolto. Si sta stampando, pare, a Udine, in
edizione di 80 esemplari numerati. Un mio amico ha voluto raccogliere le mie cose di
quest’anno di guerra. Ho rifatto quasi tutto. Vedrai: è una cosa signorile: è certo il
miglior libro: il più sincero: il più puro, di quest’anno: ne dicano pure male i
grammatici: il primo esemplare sarà per te: in Francia l’ameranno.
La cartolina è de 5 dicembre 1916 (ivi, pp. 76-7). Ettore Serra, conosciuto a Versa
(Gorizia) nell’aprile del 1916, aveva sostenuto Ungaretti nel progetto della
pubblicazione. Sempre in quel mese, la prima licenza invernale diventerà l’occasione
per Ungaretti di recarsi a Napoli, ospite da Gherardo Marone, nella grande casa-
redazione, in via Duomo 36. Con sé le ottanta copie del Porto sepolto, stampate a
Udine da Ettore Serra. A questo punto, ha osservato Antonio Saccone, «per un
periodo breve, ma decisivo, della sua formazione Ungaretti intesse una rete di
rapporti con la cultura napoletana», il cui epicentro è proprio nel gruppo dei
“dianisti”.A. SACCONE, Ungaretti e “La Diana”, in Letteratura e cultura a Napoli tra
Otto e Novecento, a cura di E. Candela, Napoli, Liguori, 2003, pp. 445-457, qui a p.
450. Anni dopo, così Marone avrebbe ricordato quel momento: Ungaretti giunse a
Napoli senza altro bagaglio che un tascapane gonfio, e in esso c’erano soltanto
ottanta copie numerate della prima edizione del Porto sepolto. Nella mia stanza di
lavoro, io e l’indimenticabile Mario Cestaro abbiamo ascoltato per la prima volta
quel mirabile libro, e dal mio stesso tavolo Ungaretti lo ha spedito ai rari uomini che
egli amava stimava.G. MARONE, Pane nero, Lanciano, Carabba, 1934, p. 230. Da Napoli, dunque, Ungaretti
s’accingeva a far circolare il volume; sempre da qui si rivolgeva a Papini, lamentando
la distratta accoglienza che gli sembrava gli intellettuali italiani manifestassero verso
il suo Porto:Mio Papini, […] sono venuto qui sperando nel frastuono delle grosse
città; ma mi sento assente, come lassù: sono triste, infinitamente triste, Papini mio.
[…] In Italia nessuno capisce nulla; ho mandato il mio libro in giro; avrei fatto meglio
a bruciarlo. Nessuno? Qualcuno; ma è tanta la massa pretenziosa e orecchiante; è
tanta la falsità; sono disgustato; mi fanno e mi faranno delle lodi; chi sentirà come
ho sofferto, mio Papini? Chi sentirà quanta mia vita s’è fermata tremante in una
parola, a dirmi, con lo spasimo oscuro dell’uomo, che mai si saprà dire com’è, (e
vorrebbe), perché non è altro che un uomo?La lettera, priva di data, è degli ultimi
giorni del dicembre 1916 ( Lettere a Giovanni Papini, cit., pp. 80-1). Il 5 gennaio del
1917 Ungaretti si soffermava dettagliatamente sulla sua esperienza napoletana,
restituendo un eccezionale ritratto della città:Me ne vado contento di questo giro.
Ho veduto Napoli; e quando conoscerai i miei «Semente ‘e ‘o spasso» che mi stanno
maturando, vedrai che ho fatto bene. Napoli è la sola grande città d’Italia; con un
aspetto –o meglio con infiniti aspetti propri- originati schiettamente dalla sua
natura, dagli scugnizzi alle canzonette, dalle fiere ai suoi meandri di rioni, dalla
passeggiata in via Toledo in carrozzella per ostentazione alla coltellata «bbona»; il
festaiolismo, la boria e il lazzaronismo, e l’«ammore» sentito come un frutto che il
sole porta a compimento, una meravigliosa cosa della natura, che si coglie per
bearsene, e se qualcun altro volesse toccarlo, guai; del resto ci son tante frutta in
quel giardino. Penso di fare dopo la guerra una rivista d’arte in Italia: avrei i mezzi
[…] tu la dirigeresti-no? –se non di nome, almeno con il tuo spirito (e non parlo della
Diana; voglio bene a Marone che aiuterò di cuore, perché ha ingegno e perché m’ha
usato infinite cortesie-, parlo d’una cosa più mia, se avrò questa fortuna). La
cartolina è del 5 gennaio 1917.Di questo momento della sua vita si ricorderà negli
anni successivi, evocando un‘atmosfera calda e familiare, in cui aveva lavorato a
Natale (del 26 dicembre del ’16) e a Dolina notturna («un fantasma della guerra
apparso nelle dolcezze di Napoli»):«Non ho voglia –di tuffarmi- in un gomitolo-di
strade-/Ho tanta- stanchezza- sulle spalle-/Lasciatemi così –come una –cosa-
posata- in un- angolo- e dimenticata-/ Qui- non si sente- altro che il caldo
buono-/Sto- con le quattro- capriole-di fumo – del focolare».Ero andato a Napoli
dove c’era Marone. Ed ero suo ospite, mi aveva accolto a casa sua e naturalmente
mi aveva dato un letto magnifico dove avrei dovuto passare la notte. Ma io non
riuscivo a dormire nel letto perché ero abituato a dormire per terra: non potendo
dormire mi sono messo giù, nel pavimento, mi sono riabituato al letto per tornare,
davvero, a riabituarmi alla terra.G. UNGARETTI, Lettere dal fronte a Gherardo
Marone, cit., pp. 19-20.

La poetica dell’analogia

Tutta l’esperienza di U è dominata dalla poetica dell’analogia.Nel primo momento,


quello dell’Allegria, è caratterizzato da un’assoluta concentrazione linguistica, che
riduce al minimo la parola e spezza il ritmo del verso, fino alla sillabazione.I
componimenti di questo momento sonobrevissimi (Mattina,
M’illumino/d’immenso), versi essenziali che sconvolgono ogni consuetudine
metrico sintattica.Sparisce la punteggiatura, la parola lirica si isola nel suo nucleo
primigenio.In un secondo momento, negli anni Trenta, con Sentimento del tempo,
la poesia cerca espressioni più distese, recupera le forme più eleganti e preziose

Barocco

Della tradizione, ritorna alla metrica tradizionale, guarda ai modelli supremi di


perfezione Leopardi e Petrarca.Il linguaggio non è più scarno ma si avvolge in
complessi intrecci, tra suggestioni e immagini analogiche. Questa seconda fase
porta U alla scoperta del Barocco: tutto il linguaggio della letteratura universale è
per lui un immenso repertorio di analogie, uno sterminato campo di immagini e
metafore che possono essere combinate all’infinito. Il lavoro del poeta è ora la
manipolazione magica e sacrale di tutte queste forme. La poesia è un’inchiesta sui
nuovi segreti da scoprire, sui misteriosi legami tra le parole, che alludono ad una
realtà profonda e inconoscibile.La parola recupera il suo significato religioso e la
continuità dei valori eterni dell’uomo. U concepisce tutta la sua opera come un
rapporto di analogie, un intreccio di riscritture, correzioni, perfezionamenti; tutto
è in relazione, tutto si tiene.

Simbolismo

Talvolta U porta all’estremo la sua concezione simbolista della poesia; spesso


l’affermazione del valore sacrale della parola poetica resta qualcosa di astratto e
programmatico, lontano da un’autentica capacità di conoscenza.

L’Allegria

L’Allegria è la raccolta che contiene tutta la prima produzione di U, quella tra il 1914
e il 1919. I primi componimenti rivelano la concentrazione del poeta sulla parola. La
guerra porta al confronto tra l’io poetico e la realtà esterna minacciosa, la natura
ostile e indifferente.La poesia è un modo per affermare nel vuoto minaccioso la
tragica dignità di un destino umano e collettivo. La guerra appare come un dato
ineluttabile: il paesaggio, percorso dalle macchine belliche, è espressione di una
violenza naturale ed artificiale. L’io prova ad affermare la sua vitalità, ad attaccarsi
alle illusioni per sopravvivere («Ungaretti/ uomo di pena/ti basta un’illusione /per
farti coraggio»).Lo stesso titolo Il porto sepolto –ad Alessandria si credeva vi fosse
un antico porto sepolto nella sabbia- allude a «ciò che di segreto rimane in noi
indecifrabile» e alla funzione della poesia come scavo alla ricerca di un «nulla/
d’inesauribile segreto». Il titolo Allegria – quello originario era Allegria di naufragi-
allude alla paradossale vitalità che si afferma in mezzo alla morte alla forza allegra
della sopravvivenza nel vuoto e nel naufragio.Questo è il senso della condizione
moderna, il residuo vitale di un’umanità che ritrova se stessa nel nulla, nello
svuotamento, nella sopravvivenza incosciente ed euforica.Questa poesia raggiunge
i suoi risultati migliori quando registra lo svuotamento dell’io annullato dalla
esperienza della guerra.L’io diviene parte del paesaggio bellico: «eccovi un’anima/
deserta/ uno specchio impassibile». L’analogia mette sullo stesso piano il mondo
scarnificato e l’io, che coincide con il paesaggio carsico. La parola è ridotta, l’io
poetico si identifica col grado zero dell’universo. Talvolta vi sono elementi di
nostalgia e di meditazione morale.

Sentimento

Sullo sfondo desolato della guerra la parola poetica si allontana dal linguaggio
consumato: la distruzione è un fatto naturale, connaturata al vivere stesso.Nei
componimenti successivi alla guerra –in quelli nell’ultima sezione di A- U va verso
forme più allargate, distese, composte. Nella successiva raccolta –Sentimento del
tempo-torna all’endecasillabo, alla punteggiatura, alle immagini della poesia
tradizionale. Le esperienze che condizionano questa fase sono legate a Roma, la
città barocca per eccellenza, in cui il p sperimenta l’orrore del vuoto e i ricostituirsi
dello spazio. Inoltre, in questo momento U vive la sua conversione religiosa.Questa
è la poesia dell’analogia, un arcano dialogo tra voci diverse ricavate dal fondo della
natura. Il gioco poetico confonde concreto e astratto, sommerge la parola sotto
metafore; l’anima si ricava da immagini sfuggenti, proietta se stessa in forme del
mito.I componimenti migliori sono quelli in cui il poeta si libera da questo
reticolato di analogie e affronta temi legati alla solitudine dell’uomo di fronte al
male e alla morte. L’esperienza di U in Brasile, che si sviluppò per un lungo, intenso
periodo nel nuovo mondo, dettagliatamente ricostruita dalla critica, comportò dei
cambiamenti importanti dopo il primo traumatico contatto con questa realtà,
suggellato, osserva Paola Montefoschi, «dalla visione della natura esorbitante, nella
quale si integrano la ridondanza e le stravaganze delle architetture settecentesche,
deriverà violente emozioni», il poeta recuperava intatte le dolorose, antiche
emozioni di essere “privo” di patria.

G. Ungaretti, Invenzione della poesia moderna. Lezioni brasiliane di letteratura


(1937-1942), a cura di P. Montefoschi, Napoli, ESI, 1984.

P. Montefoschi introduzione a G. Ungaretti, Invenzione della poesia moderna.


Lezioni brasiliane di letteratura (1937-1942), cit., p. 9.

La dimensione di sradicamento percepita da giovanissimo nella libertà di Alessandria


d’Egitto veniva ora emotivamente riformulata in Brasile, dove gli era stata offerta la
cattedra di Lingua e letteratura italiana dall’Università di San Paolo. Il poeta decide
di accettare e di restare qui, tra sentimenti altalenanti, con la famiglia, fino al 1942.
L’incarico durerà fino al 1942.Nel primo biglietto dal Brasile, del 1940 (“XVIII”), il
poeta non esita a rimarcare le ingiustizie subite in patria, vagheggiando possibili
riscatti: Mio caro Gherardo, grazie di quanto hai voluto fare per me. Dovrei ritornare
in Italia in agosto. Confermami dunque se mi sarà possibile passare prima
dall’Argentina.Un abbraccio dal tuo Ungaretti

1/49 Alameda Santos, casa 11

Saô Paulo, l’8 di Maggio del XVIII.

Sono usciti quest’anno i libri Di Bo Contini De Robertis Gargiulo . Con saggi


entusiastici sulla mia poesia. E, in Italia, m’annunziano che mi sarà resa quella
giustizia alla quale il vecchio fascista del 19 e maggior poeta vivente d’Europa
avrebbe, forse, diritto. Purtroppo, ormai, non sono più che un uomo che ha bisogno
di pace. ANM, U. V. 87. Biglietto autografo, solo recto, su carta intestata “Por avião
“VIA CONDOR-LUFTHANSA”, privo di busta.

Il Dolore

Nel 1947 pubblica Il Dolore, raccolta legata alla scomparsa del figlio, del fratello, alle
immagini dell’occupazione nazista di Roma. Il verso endecasillabo si modula in un
discorso disteso, accorato, essenziale, un amaro accordo musicale.Alle ulteriori
proposte di Marone, Ungaretti sembra cedere, ipotizzando, dopo il ciclo di lezioni
argentine, di poter tornare in Brasile, per “un saluto” alla tomba del figlio: Caro
Gherardo,di ritorno da Parigi, dove ero andato come membro della delegazione
italiana alla Conferenza dell’Unesco, Azpiri mi informa di come stanno a questo
momento le cose. Va bene: verrò in Argentina, e di lì farò un salto a San Paolo per
salutare la tomba del mio bambino, e qui mi riimbarcherò per l’Italia. Impegnarmi
per altre conferenze in Brasile o altrove, potrebbe, temo, nuocere alla mia salute.
Voglio accontentarti, e basta. Scrivimi subito, per fissare d’accordo con te, la data
della mia partenza.I miei si ricordano alla Signora e ti abbracciano fraternamente.

Il tuo Ungaretti

Il 4 novembre del 1959, Ungaretti si era rivolto a Marone per commentare, con
amara ironia, la vittoria di Salvatore Quasimodo al Premio Nobel.La lettera
autografa, custodita nell’Archivio Gherardo Marone di Napoli, non è catalogata
nell’inventario; è stata ritrovata nel fascicolo contrassegnato dalla sigla U.V.109/119,
in cui sono contenute undici fotocopie di epistole, già schedate in originale e
indicate nel regesto, inviate tra il 1940 al 1959. Lo scritto appare come un serrato
sfogo, maturato dopo anni di speranze disattese, nel quale Ungaretti non esitava a
definire Salvatore Quasimodo «un pappagallo e un pagliaccio», aggiungendo le
taglienti rivelazioni di alcuni retroscena per spiegare la bocciatura della sua
candidatura.

Cfr. E. TIOZZO, La letteratura italiana e il premio Nobel. Storia critica e documenti,


Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2009. Ungaretti fu candidato al premio nel 1955,
1956, 1958, 1964, 1965, 1969, 1970.

Roma, il 4/XI/ 1959

 Mio caro Marone,

Ti ringrazio, e ti voglio sempre profondamente bene. Quas. è un pappagallo e un


pagliaccio, e l’avrai visto dai giornali francesi, e di tutti i paesi, e da quelli italiani.
Quelli che dànno il Premio? Sono quattro poeti mediocri- ne è uscita quest’estate
una traduzione italiana con pref. di Quas. (!!!)e conoscevano di persona Quas. che
andava a Stoccolma come membro del comitato dei Partigiani della Pace Tutto il
mondo è paese. Né la gloria di Tolstoi –che era scrittore infinitamente superiore al
povero sottoscritto e di cui il Nobel bocciò Guerra e pace! –né la mia, se un po’ di
gloria merito, può dipendere da quei presuntuosi cretini- e ingenui!

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