A causa dell’avanzata del fascismo e di una serie di problemi riscontrati nel primo dopoguerra, quali la vittoria mutilata, lo scontento dei proletari, il problema dei reduci e la paura del comunismo, si sviluppa un malcontento, che porta ad anni di fermento in Europa, e in Italia portano a un dibattito letterario che è accompagnato dalla paura per la censura fascista. Durante il Novecento l’Italia ha prodotto una ricchissima serie di forme narrative diverse che sfuggono agli schemi della storiogra a. I soli due nomi che entrano nel canone per consenso comune sono Svevo e Pirandello. Per classi care gli autori si fa appello a tanti possibili canoni, spesso intrecciati tra loro e si tentano raggruppamenti storiogra ci più o meno convincenti. A partire dalla seconda metà del secolo, l’idea stessa di un canone che ssa una gerarchia di valori viene percepita sempre più come rigida e commentatori rinunciano a ssare del romanzo novecentesco valido per tutti. Nei primi decenni del Novecento l’Italia è paralizzata da un dibattito che oppone i “frammentisti” della rivista “La Voce” e gli “edi catori”. La rivista romana “La Ronda” prolunga e rinforza i pregiudizi dei frammentisti contro il genere romanzesco. Invocando un ritorno all’“ordine” della scrittura e alla perfezione stilistica dei classici italiani contro il “disordine” sperimentale delle avanguardie, e spiegando i letterati al disimpegno nei confronti dei problemi sociale e politici. Dal gruppo degli autori legati alla “Ronda” si muove Riccardo Bachelli, il quale sceglie la via del Realismo e del romanzo storico. Sul fronte opposto Borgese continua a difendere sul piano critico qualunque tipo di romanzo purché “costruito”. La narrazione utilizzata da Borgese per rappresentare l’animo in crisi non aderisce alle sfumature dell’animo inquieto dei personaggi, ma nomina e descrive senza esitazione ciò che l’inetto sente in maniera incerta. Mentre i “contenutisti” e i “formalisti” continuano ad a rontarsi procedendo lungo strade di erenti, alcune riviste italiane ospitano sulle loro pagine gli autori più innovatori della letteratura europea contemporanea. Un ruolo fondamentale nel processo di sprovincializzazione della cultura italiana viene svolto dalla rivista “Solaria”, fondata da Carocci. La rivista vuole conciliare l’interesse per il linguaggio letterario con l’esigenza di un impegno morale e storico dello scrittore. Tuttavia l’estetica dei “Solariani” prolunga di fatto la di denza propriamente italiana nei confronti di una forma narrativa destrutturata che porta alla dissoluzione dell’individuo. Gli scrittori di “Solaria” ammettono l’esplorazione degli istinti più oscuri per esprimere la complessità della coscienza umana, purché sia sorretta da una prospettiva unitaria. L’ERMETISMO Negli anni Trenta del Novecento Firenze è forse il centro più sensibile della cultura italiana. Nascono in questo periodo numerose riviste culturali che si occupano in particolare di poesia, tra le quali “Il Frontespizio”, “Letteratura”, “Campo di Marte” e “Solaria”. Alcuni luoghi della città diventano leggendari punti di ritrovo degli intellettuali. Gli intellettuali sono accumunati dal di cile rapporto con il regime fascista, nei confronti del quale assumono talora posizione di aperto dissenso, o più frequentemente atteggiamenti di distacco, di non collaborazione. In questo contesto nasce il cosiddetto “Ermetismo”: si tratta di un modo di intendere e praticare la poesia. A Firenze giunge nel 1929 Quasimodo, che viene introdotto negli ambienti letterari della città e dà alle stampe la sua prima raccolta di liriche nella quale si colgono alcune caratteristiche del nuovo modo di poetare, ossia l’estrema concentrazione verbale e la densità metaforica e analogica. Il termine “Ermetismo” viene usato per la prima volta dal critico Francesco Flora nel saggio La poesia ermetica: il nome deriva da Ermete Trismegisto, gura leggendaria dell’età ellenistica, che in alcuni trattati avrebbe esposto dottrine mistiche di origine egiziana, di di cile comprensione e riservare a pochi iniziati. I poeti ermetici manifestano una ducia incondizionata nel valore della letteratura, alla quale intendono dedicare un impegno totale. La letteratura implica una concentrazione assoluta sulla vita interiore che esclude la vita pratica e si svolge nella continua tensione verso una realtà superiore. La vita si realizza soltanto nella poesia, intesa come unica ragione d’essere, unica possibile dignità. I poeti del gruppo degli ermetici vogliono attingere all’assoluto, ossia distacco della parola da tutto ciò che è realtà concreta. Nei confronti del mondo vedono come unica soluzione possibile quella di rifugiarsi nel mondo astratto della parola poetica, dove ogni oggetto concreto viene levigato attraverso l’elaborazione stilistica, trasformato in puro nome. Ai consueti rapporti temporali si sostituisce la dimensione della durata. Si tratta perciò di un assoluto non trasmissibile: è un’esperienza individuale del poeta nella sua solitudine, non condivisa con gli altri uomini. La lingua è lontana dalla comunicazione ordinaria, perché il suo scopo non è rappresentare ma costruire oggetti verbali autonomi capaci di attingere al mistero del mondo e ff fi fi fi fi ff ffi fi fi fi fi ffi ffi dell’uomo. In questa ricerca dell'assoluto nella parola attraverso un linguaggio estremamente selezionato e spesso simbolico, modello privilegiato di riferimento è la raccolta Sentimento del tempo di Ungaretti. Forti sono i legami con i poeti simbolisti dell’Ottocento. Elemento tipico della stagione ermetica è la stretta collaborazione tra poeti e critici letterari: le riviste danno infatti ampio spazio alla ri essione teorica sulla nuova poesia sino a delineare quella che è stata de nita una lingua è un modo di sentirsi a ni. Nell'ermetismo orentino propriamente detto ricorre il tema dell'attesa di signi cato, la ri essione sullo scorrere del tempo, il viaggio solitario dell'individuo alla ricerca di sé, il desiderio di liberarsi dalla burrasca che sferza il mondo, l'attesa religiosa. In autori come Quasimodo, Gatto, Sinisgalli, è possibile individuare un tratto comune nel legame con la terra d’origine. Il paesaggio non è descritto in maniera realistica ma è percepito come serbatoio di immagini mitiche. Gli elementi del paesaggio divengono manifestazioni dell'interiorità del poeta. Gli studiosi di letteratura e linguisti hanno individuato una serie di procedimenti messi in atto da questi poeti che contribuiscono a creare un'atmosfera di indeterminatezza: la creazione di analogie e l'adozione costante di un linguaggio metaforico; gli accostamenti in editi e incongrui di aggettivi e sostantivi; l'adozione di sinestesie e ossimori; l'uso del "sostantivo assoluto"; neologismi verbali oppure recupero di termini obsoleti; lessico raro e prezioso; predilezione per termini astratti. Sul piano della sintassi nelle poesie ermetiche si osservano piccole alterazioni della struttura grammaticale consueta. Le immagini tuttavia non sono mai accostate come semplici frammenti, ma vengono collegate in un tessuto sintattico, anche se nesso logico resta il più delle volte implicito. Il rischio di simili scelte è l'autoreferenzialità, l'esclusione del lettore. L'allontanamento dalla storia è stato letto come manifestazione di ri uto nei confronti del regime. Molti intellettuali decidono di non ancheggiare il regime ma nemmeno si oppongono in modo aperto: scelgono cioè la strada della non collaborazione, del ri uto nella letteratura come unico spazio in cui far sopravvivere i valori della cultura. Dopo la guerra la posizione degli ermetici viene però criticata come una fuga in un linguaggio astruso che lascia del tutto implicita un eventuale intenzione di denuncia. GIUSEPPE UNGARETTI Nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori emigranti dalla provincia di Lucca. A due anni perde il padre, e viene allevato dalla madre. L’infanzia egiziana lascia un segno incancellabile nella sua immaginazione: la luce accecante del giorni e i rumori sinistri delle notti; i paesaggi continuamente modi cati dalla sabbia del deserto gli trasmettono un senso generale di precarietà. Ad Alessandria il giovane Ungaretti compie studi rigorosi. Ben presto gli interessi di Ungaretti si orientano verso la letteratura e la poesia, soprattutto italiana e francese. A ventun anni inizia a collaborare ad alcuni periodici egiziani con articoli di critica letteraria. Decide quindi di seguire la propria vocazione letteraria e lascia a ventiquattro anni Alessandria per recarsi a Parigi. Durante il viaggio verso la capitale francese decide di fare una tappa in Italia. La vista delle montagne gli lascia un’impressione indimenticabile, il giovane si trova di fronte, nella terra dei suoi avi, a uno sconosciuto orizzonte di stabilità e lo vive come una rivelazione improvvisa della profondità della storia. Con l’amico arabo Moammed Sceab si stabilisce a Parigi. Risalgono a questi anni i suoi primi contatti con gli intellettuali parigini legati alle avanguardie artistiche e letterarie. Ungaretti perfeziona l’apertura cosmopolita della propria educazione. Pochi mesi dopo il suo arrivo a Parigi, Ungaretti perde l’amico Moammed Sceab, che si suicida nell’estate del 1914; il suo destino gli pare emblematico della condizione di sradicamento che entrambi condividono. Parigi o re invece a Ungaretti la strada per giungere a una consapevolezza di sé. Il lungo periodo di apprendistato culturale si concretizza ne quando Ungaretti pubblica le sue prime poesie su “Lacerba”. Negli stessi mesi egli assume posizione nazionaliste e patriottiche, e partecipa alla campagna per l’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale; arruolatosi come soldato semplice, è invitato a combattere sull’altopiano friulano del Carso. Alla disumanità della vita in trincea Ungaretti reagisce a dandosi alla poesia, vera e propria esperienza conoscitiva capace di rivelare all’uomo il senso misterioso delle cose e di restituirgli lo slancio vitale. Nel dicembre 1916 esce a Udine in ottanta esemplari la prima raccolta di poesia di Ungaretti, Il Porto Sepolto. La storia editoriale del volumetto è complicata, ma l’edizione de nitiva si ha nel 1942 con il titolo L’Allegria. Nelle diverse stampe la raccolta subisce revisioni e rimaneggiamenti profondi. Nel 1918 il poeta decide di rimanere in Francia nel 1919 Ungaretti aderisce al fascismo; nel 1921 lascia la Francia per stabilirsi a Roma, dove ottiene un impiego all’u cio stampa del Ministero degli Esteri. Sono questi gli anni in cui Ungaretti si pone il problema di conciliare la spinta rivoluzionaria e anarchica propria della sua formazione con un’esigenza di ordine e misura. Sul piano letterario comporta il recupero della tradizione e dei modelli classici: il risultato è Sentimento del Tempo, fi fl fi ff ffi fi ffi fi fi ffi fi fi fi fl fi pubblicata nel 1933. Ungaretti sottopone le proprie poesie a un’instancabile lavoro di sistemazione. Una sezione di Sentimento del Tempo rispecchia la conversione di Ungaretti al cattolicesimo, che avviene nel 1928. Ungaretti esercita l’attività di critico letterario, traduttore e conferenziere. Nel 1936 Ungaretti accoglie l’invito ad occupare la cattedra di Letteratura italiana dell’Università di San Paolo del Brasile. È un periodo di vari interessi culturali e letterari. Sul piano degli a etti familiari sono però anni di profonda a izione, per la morte dell’unico fratello nel 1937 e la drammatica perdita del glio Antonietta. Questi lutti determinato una ripresa della scrittura poetica e ispira ad Ungaretti le liriche della terza breve raccolta, Il Dolore. Nel 1942 Ungaretti torna in Italia, accolto del regime fascista con la nomina onori ca a membro dell’Accademia d’Italia. Nello stesso pubblica l’edizione de nitiva delle due prime raccolte. Ciascuna delle quali reca per la prima volta sul frontespizio anche il titolo Vita d’un uomo, come segno della chiave autobiogra ca e insieme universale. Con la caduta del fascismo Ungaretti attraversa un momento di cile; tuttavia recupera presto la considerazione dei lettori e dei critici e la sua fama di poeta si di onde sia in Italia sia all’estero. Nel 1969 l’opera poetica di Ungaretti viene raccolta in un unico volume. Non si può a ermare che sia la vita del poeta ad ispirare la sua poesia: piuttosto è la poesia a ricostruire e dare signi cato alla sua vita attraverso improvvise e parziali illuminazioni. Anche negli anni della vecchiaia Ungaretti continua la sua instancabile attività di letterato e conferenziere. La sua vitalità gli fa prediligere la compagnia dei giovani discepoli, con cui ama intrattenersi in conversazioni letterarie e in letture pubbliche e muore a Milano nel giugno del 1970. La nascita in Egitto favorisce l’internazionalità della formazione intellettuale di Ungaretti. Il mondo arabo lascia un’impronta incancellabile per la suggestione dei paesaggi egiziani e dei racconti favolosi della vecchia governante, ma in uisce nella sua formazione anche l’amicizia con letterati di cultura araba. Lo studio in una scuola di lingua francese lo mette precocemente in contatto con l’ambiente francese delle avanguardie. Con inesauribile energia partecipa attivamente all’atmosfera di fervore creativo che caratterizza Parigi. I poeti Apollinaire e Mallarmé sono considerati da Ungaretti maestri nell’arte di ricercare nuove sonorità poetiche. Con i futuristi Ungaretti condivide soprattutto il bisogno di rinnovare la parola letteraria, il frequente ricorso all’analogia per generare nuove suggestioni. Fin dal 1919 prende le distanze dagli eccessi avanguardistici, riconoscendo la necessità di valorizzare la tradizione letteraria. È ora necessario risuscitare la parola e provare a ricomporre il verso, pur in una forma profondamente innovativa. Negli anni venti matura anche l’avversione di Ungaretti per la teoria di Freud; la parola è invece per il poeta il risultato di un lavoro di scavo e ricerca, e tale sforzo non può prescindere dalla memoria della tradizione. La parola trovata ha il potere di aprire al poeta uno spiraglio sull’assoluto, essa non può tuttavia esaurire il mistero irriducibile che riguarda la vita. Proprio la convinzione che sia impossibile fare luce sugli abissi interiori dell’io se non per momentanee folgorazioni separare decisamente Ungaretti dalla psicoanalisi freudiana che tale mistero si propone di svelare. Negli anni successivi si colloca sempre più in linea con i classici della letteratura italiana, attraverso la memoria della tradizione letteraria. Egli individua in Petrarca e Leopardi i due poeti che hanno saputo attribuire alla lingua letteraria la facoltà di trasmettere ai lettori un’emozione estetica e una vera e propria rivelazione di signi cato. Bisogno mirare a restituire alla parola la sua nudità, la sua primitività, senza dimenticare la musica della tradizione da cui essa deriva. Una tale attenzione al fare poetico induce Ungaretti a polemizzare con le concezioni esotiche del losofo Benedetto Croce, che minimizza l’aspetto formale. Ma la poesia non può essere ridotta a pura anima. La poesia non deve nemmeno sposate l’attenzione esclusivamente sulla forma, come avviene per la poesia simbolista. La poesia deve essere via al perfezionamento interiore, cammino verso la verità. Il compito del poeta è quello di far scaturire la rivelazione di un signi cato che sia anche una spinta al perfezionamento morale. EUGENIO MONTALE Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896. Il paesaggio ligure si incide profondamente nella sua immaginazione e diviene parte integrante della sua identità poetica. Montale frequenta le scuole tecniche in un istituto religioso, conseguendo il diploma di ragioniere. Non è però facile per il giovane Montale trovare una strada che gli garantisca l’indipendenza economica: non continua gli studi all’università e non trova un lavoro. In una prosa è lo stesso Montale a descrivere la sua irresolutezza a riconoscersi una vocazione precisa. Di salute piuttosto cagionevole e di carattere introspettivo, il giovane Montale si sente poco adatto alla vita degli a ari. In un’epoca come gli anni Venti dell’ascesa del fascismo Montale considera la propria inettitudine alla vita attiva come un segno di diversità e di fallimento esistenziale. Negli ultimi anni della guerra Montale frequenta a fi fi ff ffi fi ffl fl fi fi ff fi fi ff ff fi Parma un corso per allievi u ciali. Combatte al fronte come volontario in Trentino, e intanto comincia a comporre poesie e a tenere un diario. Sulla rivista torinese “Primo tempo”, fondata da un gruppo di intellettuali antifascisti, Zonate pubblica nel 1922 una serie di sette componimenti, intitolata Accordi. Nel 1925 rma il Manifesto antifascista e nello stesso anno pubblica la sua prima raccolta, “Ossi di seppia”. Parallelamente, Montale si dedica ad un’assidua attività di critico letterario: grazie alla segnalazione dell’amico triestino Roberto Bazlen scopre i romanzi di Italo Svevo. Montale manifesta un vivo interesse per una letteratura aperta alle novità culturali europee, e si sente estraneo all’altisonante modello dannunziano. Nel 1927 a Firenze, la casa editrice Bemporad gli o re un lavoro, al quale si adatta con fatica perché lo ritiene un ostacolo alla vita intellettuale. Nel 1928 viene denominato direttore del Gabinetto Vieusseux, incarico che conserva no al licenziamento, nel 1938, in quanto non iscritto al partito fascista. A Firenze frequenta gli intellettuali di “Solaria” e conosce Drusilla Tanzi, futura moglie, e Irma Brandeis con la quale istaura una relazione, che dura no al 1938. Dopo il licenziamento dal Gabinetto Vieusseux, Montale vive faticosamente di traduzioni e collaborazioni a diverse riviste. Nel 1939 escono Le occasioni, e nel 1943 vengono pubblicate le liriche di Finisterre. Durante la Seconda guerra mondiale Montale presta il proprio aiuto ad alcuni amici ebrei costretti alla clandestinità. Alla ne del con itto vive una brevissima stagione di impegno politico attivo: per pochi mesi si iscrive infatti al Partito d’Azione. Già dal 1946 Montale aveva iniziato a collaborare con il “Corriere della Sera”; nel 1948 è assunto dal quotidiano come redattore e si trasferisce a Milano, dove inizia un’intensissima attività giornalistica. Il poeta può in ne compiere come inviato speciale quei viaggi che avrebbe voluto intraprendere durante la giovinezza. Nel 1956 Montale pubblica la terza raccolta poetica, La bufera e altro. Un’antologia dei suoi articoli di viaggio è pubblicata nel 1969 mentre parte della produzione saggistica con uisce in due opere del 1966 e del 1972. In questi anni Montale ottiene alti riconoscimenti: nel 1961 la laurea in Lettere honoris causa e nel 1975 riceve il premio Nobel per la letteratura. La perdita della moglie è l’evento che induce il poeta a ricominciare a comporre versi. Le poesie dedicate a lei, gli Xenia, appaiono nel 1971 come prima sezione di Satura. Con Satura inizia per Montale un nuovo periodo di intensa produzione poetica, che corrisponde a una svolta nella sua concezione poetica: egli compone versi di tipo diaristico, talvolta satirici e provocatoriamente prosaici. Muore il 12 settembre 1981. Montale è sempre stato un osservatore esterno della vita. Si tratta di un isolamento in primo luogo esistenziale. La letteratura è uno strumento per indagare le forme universali della condizione umana. Costretto a prendere coscienza della dolorosa insensatezza della vita, il poeta le oppone la propria fragile volontà di resistenza. Oggetto della poesia è dunque l’uomo, la sua condizione di esiliato nel mondo, lo spaesamento che nasce dalla caduta di ogni sistema di certezze. Il poeta è incapace di sentirsi personalmente inserito nella vita, e avverte dolorosamente la so erenza universale, il “male di vivere” che riguarda tutti. Egli non può ignorare le assurde catene della vita che imprigionano l’uomo in una condizione di dolore. A questa negatività pone uno sguardo consapevole e dignitoso. Talora è o erto all’angoscia qualche sollievo: è l’attimo in cui il pensiero si placa e cessa momentaneamente il suo tormento, oppure l’istante in cui può sperare nell’apparizione di una donna. Ma questo evento si compie eccezionalmente e non dura: è uno spiraglio improvviso e provvisorio. Il poeta non è un individuo eccezionale, è un isolato, che si distingue dagli altri per una vocazione ineliminabile ma priva di utilità pratica: l’attitudine a guardare oltre l’apparenza delle cose. La dignità morale del poeta consiste nel guardare in faccia la realtà ri utando le facili consolazioni e riconoscendo il destino umano di infelicità senza illusioni o compiaciuto vittimismo. Nelle ultime raccolte poetiche l’assenza di signi cato appare più radicale: la società di massa sembra avere travolto e consumato tutto, compresa la poesia. I versi della vecchiaia rivelano invece una maggiore disillusione sul possibile valore della poesia. Eppure, benché evidentemente priva di utilità per sé e per gli altri, la poesia appartiene all’uomo, è ineliminabile dal mondo ed esisterà sempre. Montale colma i suoi versi di oggetti, in modo che l’aderenza alla materialità delle cose escluda l’esplicito manifestarsi della commozione. L’espressione del dolore universale viene a data a elementi del mondo non umano. A tale intento di oggettivazione, ovvero di rappresentazione dello stato d’animo attraverso elementi concreti, Montale resta fedele in tutta la sua opera, pur nel variare dei modi espressivi delle successive raccolte. Si tratta di scrivere poesie in cui lo stato d’animo non sia più rivelato in modo esplicito, ma resti nascosto dietro oggetti concreti, in modo sempre meno comprensibile per il lettore. La poetica del correlativo oggettivo, si collega apertamente con una gura del pensiero tipica della cultura medievale e di Dante in particolare: l’allegoria. L’allegoria moderna appare priva di una chiara relazione tra l’oggetto e la realtà rappresentata, e ciò la rende di cilmente decifrabile dal lettore. Questa oscurità irrisolta si traduce nello smarrimento del lettore. Montale elabora uno strumento linguistico deliberatamente lontano dal preziosismo dei simbolisti e di d’Annunzio, alla fi fl fi ff fi ffi fi ff ffi fl fi fi ffi ff fi fi ricerca di uno tono sobrio. Nel suo verso si può riconoscere una forze tendenza all’esattezza terminologica: termini alti si accompagnano a parole dimesse. Sono frequenti le contaminazioni tra un lessico letterario e parti narrative o discorsive. Ossi di seppia Il titolo allude al paesaggio marino, ma è anche metafora di una condizione esistenziale: gli scheletri di seppia che si possono vedere sulle acque o sulle rive del mare sono da un lato emblema del desiderio da parte del poeta di dimenticare la condizione umana e di congiungersi con la natura, dall’altro della degradazione dell’io, che si sente simile a uno scarto, a un relitto scarni cato e inutile. Si respira nell’opera un’atmosfera particolare e nuova: un tono dolente, che in modo sobrio dà voce alla disperazione esistenziale. L’io lirico esprime la soggettività del poeta; è un io concentrato nella tensione a decifrare il senso del reale. L’importanza del paesaggio ligure la si nota anche nella de nizione data da Montale: spazio esistenziale. Questo testo è emblema del destino di esclusione cui l’uomo si sente condannato, e poi la so erenza del vivere. Gli elementi liguri del paesaggio sono spesso descritti da Montale con un’aggettivazione che crea il particolare tono linguistico della raccolta. Tra le parole poetiche si trovano termini nobili e rari, accanto ad altri più usati e umili, sempre però scelti con estrema precisione. D’altra parte egli recupera le misure metriche tradizionale, accanto a versi più lunghi e narrativi. L’intenzione di evitare la musicalità più scontata fa sì che le parole e i suoni urtino tra loro in soluzioni aspre e non cantabili. La scelta è allora quella di a dare agli oggetti il compito di rappresentare concetti e stati d’animo. La poesia è uno strumento per mezzo del quale egli conduce coraggiosamente la propria indagine sulla condizione umana. Il tema della possibilità di sfuggire anche soltanto per un attimo alla disarmonia e di intravedere il senso che sempre ci sfugge compare per la prima volta negli Ossi ma sarà costante nell’opera di Montale, che esprimerà di volta in volta questa intravista via d’uscita con immagini metaforiche e rivelazione improvvisa. Ma il prodigio annunciato è una speranza delusa. In questa ricerca assumono un ruolo decisivo spesso gure femminili lontane o perdute, che ra orzano il poeta nella sua volontà di resistenza morale o fanno balneare una speranza di salvezza. Le occasioni La seconda raccolta di Montale comprende poesie di ricerca esistenziale in cui le cose sembrano promettere possibilità di uscire dal l’insensatezza della vita e di entrare in contatto con un signi cato. Questa raccolta è costituita da quattro sezioni. Nelle occasioni cambia il paesaggio: quello ligure è sostituito da quello toscano. È diverso anche il clima che si respira nella raccolta: in generale prevale una sensazione di angoscia e di inquietudine, conseguenza inevitabile del progressivo oscurarsi del tempo storico. In questa situazione di accerchiamento storico e di solitudine esistenziale il poeta sembra trovare un fragile conforto nella letteratura: nell'impegno a tenere vivi i valori superiori della cultura e delle lettere. Firenze e negli anni 30 del 900 la città in cui gli intellettuali cercano di sfuggire alla volgarità e violenza del tempo attraverso un volontario isolamento nel territorio riservato della letteratura. Il poeta cerca nel mondo che lo circonda tracce della sua donna ormai lontana, frammenti della sua gura distante e perduta, nel tentativo spesso illusorio di ritrovare e trattenere un ricordo cui ancorare la propria esistenza. Anche in queste poesie gli elementi concreti e sensibili sono al centro della rappresentazione, occupano il verso, ne diventano i protagonisti. Un paesaggio, un oggetto, un animale non sono mai casuali, ma alludono a situazioni vissute. La rappresentazione delle situazioni interiori attraverso oggetti concreti si realizza nelle occasioni in modo più oscuro. Montale infatti di onde nei suoi versi oggetti che alludono stati d'animo e a situazioni esistenziali, senza però o rire indicazioni che ne chiariscono il signi cato. Anche nelle occasioni il lettore avverte che le situazioni e gli oggetti rinviano ad altro, ma spesso non è in grado di capire a che cosa; il risultato è una poesia di cile, impegnativa, dai molti possibili signi cati. Si incontrano nei versi delle occasioni accumulazioni disordinate di oggetti, accostati tra loro come a caso, in modo da formare veri e propri cataloghi; l'e etto di generare un'atmosfera di inquietudine e perplessità, forse di alludere al mistero del mondo e alla sua insensata ripetitività. La poesia delle occasioni è certo di di cile interpretazione. Montale si propone infatti di non smarrire il senso delle parole e la coerenza tra le frasi; resta per lui un'esigenza irrinunciabile lo sforzo di capire il mondo. Mentre l’io lirico appare sempre più indebolito, svuotato, inerte, la donna si de nisce progressivamente come colei che almeno per un istante può rischiarare il buio del presente, no ad assumere caratteristiche quasi divine, soprannaturali. Le occasioni sono la narrazione di un amore in assenza. Sono molte le donne delle occasioni, identi cabili grazie ai nomi riportati nelle poesie e anche per gli interventi chiari catori successivi di Montale. La vera protagonista delle occasioni è però Irma Brandeis il cui nome tuttavia non compare mai il sarà attribuito allo pseudonimo di Clizia. Secondo quanto avrebbe in seguito chiarito Montale, quasi tutti i mottetti, sono riferiti a lei, donna reale insieme ff fi fi ff fi fi fi fi ffi fi fi fi ff fi ff ff ffi fi ffi tras gurazione angelica, creatura salvi ca venuta dal cielo a o rire soccorso. Le sue improvvise apparizioni ce la mostrano astratta e concentrata come un angelo visitatore capace di salvare dal male; la sua epifania è annunciata da segni precisi, come il gelo o il fuoco ma soprattutto i lampi di luce improvvisa. Attributo corporeo in evidenza di lei sono soprattutto gli occhi. Nelle occasioni convivono registri linguistici di erenti: parole appartenenti al linguaggio quotidiano. Sul piano della metrica si osserva nelle poesie delle occasioni un recupero dei versi tradizionali, prevalentemente l'endecasillabo; numerosi sono inoltre i rimandi fonici. Satura Montale trascorre 10 anni in un quasi totale silenzio. A erma di avere iniziato a riconoscere in sé un'inclinazione verso una poesia più vicina alla lingua quotidiana e ai ritmi della prosa. Il poeta è immerso nella società massi cata e meccanizzata degli anni 60 del 900. E per lui un mondo dominato dall'apparenza, dall'insigni canza, dall'indistinzione, in cui non sembrano più trovare spazio i valori intellettuali umanistici che erano stati l'essenza della sua formazione. La parola latina satura indica un piatto di varie primizie o erto agli dei. L'intenzione di Montale è sottolineare la varietà tematica. La raccolta è divisa in quattro sezioni: Xenia I, Xenia II, Satura I, Satura II. Tutte queste sezioni sono dedicate a ricordo della moglie Drusilla Tanzi. Gli Xenia, nella tradizione latina, erano brevi componimenti che accompagnavano le o erte di doni ospitali agli amici. Si presentano perciò come o erte del poeta alla memoria della moglie morta. Le tue essere intitolate satura cercano un programmato disordine, come emblema del caos e dell'incomprensibilità del mondo. Convinto della propria radicale estraneità a un mondo in cui i valori della letteratura vengono emarginati Montale accetta il proprio isolamento. Il fermo ri uto delle illusioni contemporanee avvicina questo Montale all’ultimo Leopardi. Ma se Leopardi guardava con disprezzo al proprio tempo mantenendo comunque aperta la prospettiva utopica della costruzione di una società fraterna e solidale, il pessimismo di Montale risulta privo di spiragli: egli sottolinea la mancanza nell’uomo di ogni margine di libertà. Il poeta sembra dunque rassegnato considera inconoscibile la verità e guarda alla realtà come ad una nuova apparenza. Si moltiplicano in satura le a ermazioni di inesistenza del mondo sensibile. In questa come in altre formulazioni è evidente il gusto del poeta per le a ermazioni illogiche e per i giochi di parole; si tratta di frasi che si sottraggono ad un senso razionale e comunicano nella loro contraddittorietà un'immagine assurda del reale. Il con ne tra vita e morte è sempre più incerto, la vita appare misteriosa tanto quanto la morte. Il dubbio sul senso del mondo si era già presentato ma ora la negazione investe la realtà intera in cui ogni cosa è se stessa e il suo contrario. Ora l'orizzonte è mutato e domina incontrastata la gura della moglie Mosca, rievocata dopo la morte attraverso i minimi atti della sua esistenza quotidiana. La donna perde il proprio ruolo di annunciatrice di senso semplicemente perché non sembra più possibile trovare un senso nel mondo e nella storia: tutto sfugge. Tuttavia Mosca assolve alla stessa funzione rivestita dalle altre donne che hanno accompagnato il poeta ispirato la sua poesia: li Ta soccorso nella sua inettitudine ad a rontare la vita. Eppure questa donna che Montale doveva sentire così radicalmente diversa da sé non era una donna ordinaria: ella era ricca di istintiva vitalità E amava tutto ciò che interrompeva il corso monotono dell’esistenza. Da quando Mosca non c'è più il poeta la cerca negli oggetti quotidiani, nel ricordo delle lunghe telefonate, ed è in ne costretto a confessare il proprio peregrinare sulle sue tracce. Tutti gli Xenia sono l'a ettuosa rievocazione del rapporto con la moglie, tuttavia il tono delle poesie non risulta mai lamentoso. E questa è una costante dello stile di Montale sceglie il registro ironici, leggeri, disinvolti. Nell'orizzonte quotidiano prevalentemente occupato una mosca non scompare tuttavia la gura di Clizia. Indubitabili segnali ne rivelano la presenza, ma domina soprattutto il ricordo della sua assenza e il poeta è costretto ad ammettere la sua impossibilità di profonda conoscenza. Il poeta lascia trasparire il profondo attaccamento alla vita, e anche il suo bisogno di credere che esista qualcos'altro aldilà della vita terrena. Da una parte il poeta confessa di adorare il quaggiù, mostrando amore per la vita che inevitabilmente scaturisce dai poeti del negativo; dall'altra a erma di sperare e di sperare allo stesso tempo che esista un mondo trascendente. In questo libro degli opposti l’insistenza del poeta nel dichiararsi incredulo cela dunque un insopportabile desiderio meta sico. Anche quando Montale parla evidentemente d'altro l'allusione a un Dio nascosto percorre i suoi versi. È come se il poeta volesse a ermare il vuoto dell'assenza per evidenziare la mancanza del divino nella realtà. Mentre ri uta ogni illusione nalistica che sottolinea l'insensatezza di quel tutto nienti cato che il mondo, Montale non può tuttavia nascondere il proprio persistente bisogno di un signi cato. Certo si tratta di divinità davvero in riconoscibili, dall'aspetto ordinario; eppure il poeta percepisce nel loro contatto la promessa di un senso. Il tono prosaico e narrativo dei testi li distingue da quelli delle raccolte precedenti. Il lettore percepisce che è mutata l'idea stessa della poesia: essa cessa di essere un mezzo di rivelazione. Accanto le parole tratte dall'uso colloquiale se ne incontrano di più ricercate fi ff fi fi ff fi ff fi ff fi ff ff fi fi fi fi ff ff ff fi fi ff fi fi ff ff e letterarie; l'e etto generale di questa mescolanza non è lo scarto dal quotidiano, ma la sua ria ermazione, ottenuta attraverso l'abbassamento ironico della lingua letteraria. Si moltiplicano inoltre le parole straniere e i giochi di parole, con un ampliamento del linguaggio a tutti i registri e gli stili. È una gura adatta a descrivere una società incomprensibile e contraddittoria. SALVATORE QUASIMODO Il paesaggio della Sicilia, la professione di assoluta fede nella poesia, una formazione classica da autodidatta ma intensa rigorosa sono tra gli elementi chiave della vita intellettuale di Salvatore Quasimodo. Quasimodo nasce a Modica nel 1901; il padre è trasferito a Messina subito dopo il disastroso terremoto del 1908 e la famiglia abita per alcuni mesi in un vagone merci fermo su un binario; lo spettacolo del dolore della devastazione naturale si imprime nella mente del bambino. Quasimodo non compie studi classici ma viene avviato all'istruzione tecnica e si adatta a svolgere molti mestieri nché nel 1926 viene assunto come geometra dal ministero dei Lavori Pubblici. Nel frattempo matura in lui un'intensa passione per la poesia. Inizia a scrivere testi poetici sotto la guida di un insegnante privato. Per seguire la sua vocazione letteraria si trasferisce a Firenze nel 1929; l'anno dopo tre sue poesie sono pubblicate sulla rivista "solaria" ed esce la sua prima raccolta, acque e terre. Nel 1932 viene pubblicata la sua seconda raccolta, Oboe sommerso, e nel 1936 Erato e a Apòllion. Nel 1938 decide nalmente di abbandonare il lavoro di geometra civile inizia lavorare nell’editoria. Nel 1940 pubblica la sua traduzione dei lirici greci, che suscita polemiche nel mondo accademico. Nel 1942 esce ed è subito sera, una scelta antologica delle poesie da lui pubblicate sino a quel momento. Nel 1943 e denunciato da una spia come antifascista, ma non viene arrestato; la sua candidatura era stata promossa dei critici Francesco Flora e Carlo Bo, ma l'attribuzione del premio suscita mi faccio i contestazioni dell'ambiente intellettuale italiano. Negli anni seguenti esce la sua ultima raccolta, dare e avere. Nella raccolta degli anni 30 Quasimodo porta all'esasperazione il modello di espressione poetica derivata dalle poesie di Giuseppe Ungaretti poi con uite in sentimento del tempo: adotta infatti un linguaggio oscuro. Elemento cardine di questa poesia non è il verso, ma la singola parola, che cessa di essere un mezzo di comunicazione verso l'esterno per trasformarsi in strumento di indagine. Le poesie scritte da Quasimodo in questi anni contribuiscono a stabilire alcune delle costanti proprio dello stile ermetico: la brevità, la presenza di sostantivi privi di articoli, la prevalenza di termini astratti, l'anomalia delle costruzioni sintattiche, la densità di analogie metafore, la ricerca di un'intensa musicalità. Quasimodo introduce nella sua poesia temi autobiogra ci, primo tra tutti quello della Sicilia arcaica e leggendaria evocata attraverso elementi simbolici del paesaggio. Si aggiungono il tema dell'infanzia, la condizione di esilio della terra natale, la presenza di morti, la fragilità della carne. 5 raccolte pubblicate a partire dagli anni 40 mostrano la svolta profonda che si determina in Quasimodo dopo l'esperienza della seconda guerra mondiale il contatto con il dolore in itto dagli uomini ad altri uomini. Temi centrali della ri essione di Quasimodo divengono ora la guerra, la violenza che stravolge la natura umana, la condizione dell'uomo in quanto membro di una collettività civile. Il linguaggio sia di quella nuova esigenza comunicativa diviene più concreto e aperto; nella metrica viene abbandonata la tendenza al frammento e prevalgono gli endecasillabi, settenari e i quinari. UMBERTO SABA La scrittura di Umberto Saba si presenta come una costante autobiogra a. Nelle sue poesie e nelle sue prose egli esplora con impegno inesauribile la propria esistenza, convinto della necessità di indagare il rapporto tra gli avvenimenti esteriori e la propria interiorità. L'assenza del padre condiziona l'infanzia e la giovinezza di Saba, che lo conosce soltanto intorno ai vent’anni. Il risentimento materno per questo abbandono si ri ette sul bambino n dalla sua venuta al mondo. Il piccolo viene a dato a una balia no ai quattro anni, quando viene separato bruscamente da lei per ritornare alla casa materna; questo traumatico allontanamento sarà in seguito identi cato da Saba come una delle radici della propria so erenza esistenziale. La malinconia della vita accanto alla madre mesta e attenuata in parte dalle letture dell'infanzia orientati soprattutto verso i classici della letteratura italiana. Gli studi intanto non procedono regolarmente. Sono questi gli anni in cui Saba dà inizio alla sua attività poetica, accolta con a ettuoso incoraggiamento dalla zia Regina e comprendersi ostile dalla madre. A vent'anni si propone di occuparsi quasi esclusivamente della cultura e si trasferisce perciò nel gennaio del 1903 a Pisa, dove frequenta alcuni corsi universitari. Anche questi studi vengono però interrotti, a causa del primo manifestarsi di una malattia nervosa. Saba si trasferisce nel 1905 a Firenze, con il proposito di immergersi nel pieno centro della vita culturale italiana, da cui egli, nato in una città che allora faceva ancora parte dell'impero asburgico, si sentiva lontano. Tra il 1905 e il 1906 conosce Carolina Wol er, Lina, la donna che sarebbe stata la compagna della sua vita, incontro probabilmente il padre per la prima volta ed entra in contatto con Gabriele D’Annunzio. Il soggiorno orentino deve essere interrotto quando ff fl fi fi ff ffi fi fl fi ff fl ff fi fl fi fl fi fi fi stava viene richiamato per il servizio militare. Concluso il servizio militare, nel 1909 sabato torna a Trieste e sposa Lina. L'anno successivo nasce la glia Linuccia e Saba decide di pubblicare privatamente il suo primo volume di versi, poesie. Per aiutare il lettore a comprendere la sua poesia Saba elabora nel 1911 un articolo in cui descrive gli elementi fondamentali della propria poetica. Nel 1912, ancora a proprie spese, stava pubblica il suo secondo libro di poesie, coi miei occhi, che diventa successivamente una sezione del canzoniere con il titolo di di Trieste e una donna. La parte conclusiva di questo volume documenta la crisi coniugale che in quei mesi aveva indotto Lina ad allontanarsi per la crescente estraneità e chiusura del marito. Allo scoppio della prima guerra mondiale Saba sostiene l'intervento militare dell'Italia; a causa delle frequenti crisi nervose egli non viene però inviato al fronte ma destinato a incarichi amministrativi. Nel 1919 acquista una libreria antiquaria a Trieste in cui trascorrerà gran parte della propria vita. Nel 1921 Saba pubblica una raccolta delle poesie scritte no a quell'anno, che intitola il canzoniere. Dopo l'uscita del canzoniere stringe una salda amicizia con il critico Giacomo Debenedetti, il quale dedica alla sua poesia saggi di analisi critica che suscitano nalmente l'interesse dei lettori contemporanei. Nello stesso periodo Saba conosce Eugenio Montale e consolida la sua amicizia con il concittadino Italo Svevo. Altri parziali riconoscimenti che giungono da Firenze, Dove la rivista "solaria" gli dedica nel 1928 un numero monogra co. Nel 1929 Saba decise di sottoporsi a Trieste alle cure dello psicoanalista Edoardo Weiss. La psicoanalisi assume così per Saba, il valore di uno straordinario strumento di indagine della propria interiorità e del mondo. Nonostante si senta profondamente ferito, egli non soltanto non smette di scrivere poesie ma allarga i suoi orizzonti anche alla prosa. Sono del 1934 del 1935 le prime brevi prose che egli chiama scorciatoie, libere ri essioni in forma di aforisma sull'uomo e sulla realtà contemporanea. Dopo la promulgazione delle leggi antisemite nel 1938 e lo scoppio della seconda guerra mondiale, il clima politico diventa sempre più pesante per Saba. Per mettere a riparo dalle persecuzioni se stesso e la propria famiglia egli esce dalla comunità ebraica, ma non accetta di farsi battezzare. Dopo l'8 settembre 1943 Saba fugge da Trieste e si nasconde a Firenze. La disperazione del suo stato lo induce a pensare seriamente l'idea del suicidio. Saba stesso de nisce questi mesi un periodo di felicità, in cui comincia a pubblicare su rivista i suoi scorciatoie e vede nalmente l'edizione presso Einaudi del canzoniere 1900-1945. Presto diventata proprio stanti le di coltà economiche ed egli si trasferisce a Milano. Qui ricade negli abissi della nevrosi. Alla vigilia delle elezioni del 18 aprile 1948 Saba è a Milano, e li riceve dalla radio la notizia della vittoria della democrazia cristiana. Con la scon tta dei partiti di sinistra Saba viene delusa non soltanto le sue speranze politiche, ma anche quelle di essere nalmente riconosciuto in Italia per il valore della propria opera poetica. Le condizioni di salute peggiorano: dal 1950 viene ripetutamente ricoverato in clinica per malattie nervose. Di riconoscimenti pubblici attesi per tutta la vita arrivano intorno ai suoi settant'anni, quando gli vengono attribuiti premi prestigiosi. In questi mesi Saba concepisce l'idea di concludere la propria vicenda poetica con un'opera di congedo e ne compone quasi una all’anno. Negli ultimi anni di vita stava continua dedicarsi anche alla prosa: nel 1953 compone i primi cinque episodi di un romanzo, Ernesto, mentre alla ne del 1956 esce la raccolta di prose ricordi-racconti. Nel novembre dello stesso anno muore Lina, a Trieste. Sempre più isolato e pieno di sconforto, muore il 25 agosto 1957. Stavo scopre la propria vocazione letteraria al di fuori della scuola. In questi anni si dedica ad ampie letture senza però alcuna guida che lo orienti, come sottolinea egli stesso descrivendo in terza persona la propria formazione da autodidatta. L'essere nato a Trieste è considerato da Saba un'aggravante, la città gli pare arretrata e lontana dalle tendenze più nuove della letteratura. In queste condizioni ritenute avverse alla propria formazione letteraria, Saba sottolinea come un proprio merito aver trovato la solo il lo d'oro della tradizione italiana. Tutta via Trieste non è coi tempi soltanto il luogo periferico lontano dall'esperienza letteraria d’avanguardia che Saba polemicamente descrive; e anche la città aperta alle novità della cultura e della loso a mitteleuropea. L'essere nato a Trieste consente infatti a Saba di entrare in contatto diretto con gli studi di Freud e degli psicoanalisti della sua scuola. Questa mescolanza di tradizione e modernità caratterizza tutta la formazione di Saba e te la fonte della sua particolare voce poetica. Tra tutti, ricorda il poeta, quello del mio preferito è Leopardi. Tra i 16 e i 19 anni egli matura infatti una vera passione per Leopardi, di cui restano i segni visibili nella sua opera. Non si tratta soltanto di echi stilistici, lessicali e di immagini, ma anche di in uenze tematiche. Sono presenti anche occasionali riferimenti letterari a Foscolo o a Dante, ma mai troppo palesi. Il suo legame con la tradizione letteraria italiana resta particolarmente visibile nella scelta di avvalersi delle forme metriche tradizionali, a partire dal verso endecasillabo, così come nell'uso di sistemi stro ci regolari, quali il sonetto o la canzonetta. La tendenza di Saba a usare con una certa libertà espressioni strutture linguistiche di altri autori vale anche rispetto ai poeti della generazione che lo ha immediatamente fl fi fi fi fl fi fi fi fi fi fi fi ffi fi fi fi preceduto. Egli dichiara che l'in uenza di Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli si fa sentire, mentre riconosce a D'Annunzio il merito di aver in uito sulle proprie scelte metriche. All'ingannevole ampli cazione dei versi dannunziani Saba contrappone l’astuera onestà di Manzoni. Piuttosto di cili sono invece i rapporti di Saba con i letterati contemporanei. Ugualmente complessi e segnati da incomprensioni sono i suoi rapporti con la rivista orentina "la voce" di Prezzolini. Saba è dominato al contrario dal desiderio di scrivere un vero e proprio "romanzo" in versi. Un poeta contemporaneo conquistavo intrattiene rapporti di reciproca stima, pur nella diversità delle poetiche, è Eugenio Montale. Con Giuseppe Ungaretti e con la poetica della parola assoluta, evocatrice di arcani signi cati, Saba ha invece ben poco in comune, poiché la sua ricerca di un'espressione chiara e limpida che svegli ragioni più profonde dell’io non può riconoscersi nel clima del mistero della sacralità della parola propri della poesia di Ungaretti. Il Canzoniere La prima impressione che si prova di fronte alla poesia del canzoniere è che sia semplice e piana. Ai lettori del tempo i versi di Saba parevano ingenui e inattuali. Tuttavia la loro facilità è soltanto apparente: nonostante l'andamento discorsivo del linguaggio e i molteplici interventi successivi del poeta per chiarire e commentare i suoi testi, il canzoniere resta un'opera complessa e sfuggente. Ogni poesia è il racconto di una situazione e del suo ri esso nell'animo del poeta. Saba ha sempre voluto sottolineare lo stretto legame tra la sua poesia e la sua vita dichiarando apertamente di voler dare al canzoniere la sionomia di un "romanzo" lirico, cioè di un racconto della propria esistenza. Saba lavora incessantemente ai propri testi cercando no alla morte una conclusione capace di illuminare il signi cato compiuto dell'opera, ovvero il senso della sua intera vita. Saba è mosso dalla necessità di ricostruire attraverso la poesia la propria identità di uomo per comprendere i motivi di una so erenza interiore. Il lettore che si dispone alla lettura del canzoniere non può dunque ignorare che l'opera è risultato di un preciso disegno di ricostruzione della propria immagine da parte del poeta. Con la consapevolezza di questo limite si deve dunque considerare il programma poetico delineato da Saba nella giovinezza e perseguito per tutta la vita: dedicarsi ad una poesia onesta che si proponga di fare chiarezza. La poesia assume in questo modo per Saba la funzione di uno strumento. L'aspetto decisamente moderno della poesia di Saba è appunto la centralità dell'aspetto psicologico, lo stretto legame che il poeta stabilisce con la propria poesia e l'analisi dei processi interiori dell’io. Diversamente dei simbolisti Saba procede su una strada razionale: prima ancora di conoscere il metodo analitico freudiano, egli è convinto che soltanto con una coraggiosa indagine della ragione sulle cause remote delle proprie azioni sia possibile giungere alla verità su se stessi e sugli altri. Le sezioni del canzoniere sono disposte in ordine cronologico e sono tra loro collegate. Si tratta di testi scritti tra il 1900 e il 1954, compresi in sezioni uscite di volta in volta separatamente e poi riunite in una raccolta pubblicata in date successive. La revisione costante dell'opera prosegue nelle edizioni successive accresciute dei testi scritti nel frattempo. L'ultima edizione del canzoniere esce postuma nel 1961. La scelta di un titolo volutamente generico come canzoniere si spiega con l'intenzione di rendere omaggio alla tradizione poetica italiana ma anche con la volontà di alludere al carattere onnicomprensivo dell'opera, vera e propria sintesi di tutta una vita. Fare chiarezza dentro di sé e non è solo un programma di poetica, ma un imperativo morale, che nasce dal bisogno di scoprire le ragioni della propria infelicità. Al poeta non sfugge tuttavia quanta so erenza provochi il recupero alla coscienza. Se l'origine della poesia e nel dolore, la lettura del canzoniere non lascio tuttavia al lettore l'impressione di una inguaribile so erenza esistenziale. Mi puoi fare un goal abbandonarsi allo sconforto e lotta per resistere al male e ritrovare l'armonia con se stesso. Il primo rimedio è senz'altro la poesia. In una poesia della sezione parole la funzione consolatrice diversi viene rappresentata con una scenetta allegorica. Esiste anche un altro modo di reagire al dolore, che consiste nell'accettazione piena della vita e nella disponibilità ad appagarsi delle piccole cose. In ogni caso, mentre gli altri vivono, egli guarda e ascolta. Come avviene in genere per i poeti il suo sguardo è segnato dalla so erenza. Quanto più egli avverte la pena di questa diversità, tanto più si sente attratto dall'esistenza degli esseri semplici, dalla vita spontanea e spensierata, propria degli animali in primo luogo, e poi dei fanciulli. È frequentissima nelle poesie di Saba l'aspirazione immergersi nella calda vita di tutti: si può scorgere tale desiderio nello sguardo complice con cui il poeta abbraccia romanità emarginato delle strade e delle osterie. Si tratta evidentemente di situazioni simili: il soggetto si sente escluso dalla vita e ammira gli altri con invidioso stupore, benché abbia comunque la sotterranea coscienza che la propria solitudine sia anche indizio di una più profonda consapevolezza di sé. Si incontrano inoltre nel canzoniere numerose gure di ragazzi, che per lo slancio vitale e la provocatoria irrequietezza suscitano la meraviglia del poeta e gli restituiscono in cambio un momento di sollievo dal peso dell’esistenza. Una delle cause del dolore umano è l’amore. Il tema non è mai a rontato nel canzoniere in modo scontato ma si ffi fi fi ff fl ff fi ff fl fi ff fi ff fl fi fi complica di turbolenze nuove che derivano dalle conoscenze della psicoanalisi. La disunione familiare e l'opposizione tra la madre e la balia sono infatti riconosciute da Saba sulla base delle teorie freudiane, come l'origine della propria nevrosi. L'immagine della madre ha nel canzoniere sempre i connotati della gravezza e della so erenza, ed è contrapposta a quella del padre, infantile e spensierato. Si delinea così una specie di complesso di Edipo rovesciato: è la madre a rappresentare il principio di autorità, è lei che separa il glio dal rapporto a ettuoso e caldo con la balia ed è da lei che il glio desidera una inconfessabile liberazione. C'è poi l'amore per Lina, la moglie. Anche lei è una donna visitata dal dolore come la madre del poeta, e manifesta per il marito un amore lamentoso e colpevolizzante. Del resto quel tormento interiore, quell’a izione che spesso Saba lamenta per sé, sono propri anche di Lina. Il poeta percepisce l'improvviso e con sbigottimento la propria solitudine. La stessa ambivalenza a ettiva che il poeta ha vissuto con la madre si ripete con la moglie, soprattutto dopo la crisi coniugale che la allontana temporaneamente da lui; amore e odio si mescolano lui al punto che egli può concepire sogni omicidi. Si incontra tuttavia nel canzoniere anche un amore più lieve. Oltre l'orizzonte della madre e della moglie c'è tutto il mondo delle fanciulle, che per la loro grazia e leggerezza sono de nite cose leggere e vaganti. Saba dichiara spesso la propria avversione per la donna-moglie-madre e la predilezione invece per le giovinette. Le fanciulle sono spesso assimilate agli dei. Le poesie dedicate ai giovinetti sono dominate da un'intensa sensualità erotica de nita brama. Nella sua interpretazione della vita e del mondo tutto deve essere infatti ricondotto alla pulsione sessuale, che domina su ogni essere umano. Il dominio nei versi di Saba della forza vitale di Eros è una testimonianza del suo più generale amore per la vita: tra le tante attrazioni del suo animo appassionato non c'è quella per la morte, tante volte invocata e nominata, ma sempre respinta. In questo ri uto del suicidio si può riconoscere un paradossale segno di equilibrio. Tra gli amori di Saba occupa un posto di rilievo quello per la sua città. Il legame di Saba per Trieste è di tipo liale, con tutte le ambivalenze che questo tipo di a etto ha per lui: egli l’ama profondamente, ma sente di non essere ricambiato. Si spiegano così gli ossimori usati per descriverla. Il poeta alla vocazione a mettere in relazione il passato con il presente, a far nascere i suoi versi da un’originale mescolanza di tradizione e modernità. Mi stanno particolare della poesia di Saba nasce infatti dall'uso delle forme tradizionali e da una sintassi ricca di gure retoriche di posizione, come ad esempio anastro e iperbati, che attribuisce alla lingua una patina arcaica. La rinuncia innovazioni metriche e formali si spiega con il fatto che Saba vuole appartenere alla tradizione. La novità della sua poesia consiste nell'usare la lingua della tradizione per descrivere gli abissi della coscienza, quelli indagati dalla moderna psicoanalisi. La lingua letteraria viene dunque piegata alle esigenze di una poesia intesa come scandaglio interiore. Più volte Saba a ermato di preferire la verità alla letteratura. La conseguenza di questa scelta e la discontinuità dei risultati espressivi. Anche sul piano lessicale si veri ca la mescolanza tra parole molto comuni e generiche e altre decisamente arcaiche. Nonostante la consapevolezza di alcuni di questi limiti, Saba a conservato sempre l'orgoglio della propria poesia. Egli ha lottato instancabilmente contro l'incomprensione dei lettori, rivendicando l'anticonformismo e l'indipendenza della propria opera. fi fi fi fi fi ff ff fi ff fi fi ff ff ffl fi