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LA MODERNITÀ LETTERARIA

collana di studi e testi

diretta da
Anna Dolfi, Alessandro Maxia, Nicola Merola
Angelo R. Pupino, Giovanna Rosa

[45]
Sublime e antisublime
mella modernità
Atti del XIV Convegno Internazionale della MOD
13-16 giugno 2012

a cura di
Marina Paino e Dario Tomasello

con la collaborazione di
Emanuele Broccio e Katia Trifirò

Edizioni ETS
www.edizioniets.com

Il presente volume è pubblicato grazie al contributo


dell’Università degli Studi di Messina

© Copyright 2014
EDIZIONI ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com
www.edizioniets.com

Distribuzione
PDE, Via Tevere 54, I-50019 Sesto Fiorentino [Firenze]

ISBN 978-884673945-2
PREFAZIONE

Dal secondo Settecento, il tema del Sublime è ben presente nella cultu-
ra letteraria e figurativa.
Una tragedia, sia reale sia finzionale, infligge di massima tormenti e
lacrime. Tuttavia può procurare pure «godimenti» [«Vergnügens»]. Non
sempre rubricati come tali, la cultura antica da Aristotele a Lucrezio non li
ignorò. Del tutto anomali, sono i godimenti del dolore: secondo i moderni,
frutti dell’Erhabene, del «sublime». La Philosophical Enquiry into the Ori-
gin of our Ideas of the Sublime and the Beautiful di Burke, uscita nel 1757,
fu tradotta anche in italiano fin dal 1804. Di quella Enquiry si individua
qualche traccia nella Kritik der Urteilskraft di Kant e nell’Estetica di Croce.
Sono queste, le radici filosofiche del tema che gli Atti in questione hanno
articolato: com’è ovvio in chiave prevalentemente letteraria e in ambito
prevalentemente italiano, ma senza escludere escursioni extra moenia.
La MOD (Società italiana per lo studio della Modernità letteraria) nel
celebrare, a Messina, il suo XIV convegno nazionale ha ancora una volta,
con il contributo prezioso di numerosi studiosi, misurato diacronicamente
il tempo lungo dello svolgimento sinuoso e contraddittorio di una catego-
ria concettuale complessa e feconda.
A sigillo del presente volume, in forma di postfazione, la preziosa testi-
monianza di un grande artista sublime e anti-sublime al contempo: Emilio
Isgrò.

Marina Paino e Dario Tomasello


GIULIA IANNUZZI

SUBLIME INNOCENZA DELL’ALIENO,


TRAGICA VIOLENZA DELL’UOMO NELLA NARRATIVA
DI GILDA MUSA

Sono particolarmente contenta che questa mia comunicazione abbia tro-


vato posto all’interno di un panel leopardiano perché Leopardi è uno dei
riferimenti più importanti all’interno della narrativa di Gilda Musa, più
ancora che nella sua poesia.
Ma prima di entrare nel vivo del mio tema vi presento brevemente Musa,
un’autrice non sconosciuta fino agli anni Novanta, soprattutto come poetes-
sa, ma le cui opere sono raramente state ristampate.
Nata in Romagna, classe 1926, figlia dello xilografo Romeo Musa, Gilda
Musa si laureò in lettere a Milano, si specializzò in germanistica a Heidel-
berg e si diplomò in lingua inglese a Cambridge. Come germanista, nel
corso degli anni Cinquanta, firmò diverse cure, saggi e traduzioni, tra cui
alcune di Brecht1. Cominciava negli stessi anni anche l’attività poetica. La
raccolta d’esordio, che porta il titolo ungarettiano de Il porto quieto, è del
1953 (Milano, Schwarz). La produzione poetica dell’autrice è proseguita
attraverso numerose raccolte fino agli anni Novanta e io non la ripercor-
rerò tutta qui. Vale però la pena segnalare un momento di passaggio fon-
damentale attorno ai primi anni Sessanta, non a caso coincidente con il
trasferimento dell’autrice a Milano: a partire da Amici e nemici del 1961
(Venezia, Ca’ Diedo), e poi nella raccolta seguente Gli onori della cronaca
del 1964 (Caltanissetta-Roma, Sciascia) e forse soprattutto nel poemetto
La notte artificiale del 1965 (Firenze, Quartiere) l’habitat urbano sale alla
ribalta del verso e determina un processo di radicale frantumazione me-

1
Un volume di Poesie di B. Brecht per l’editore romano La Carovana nel 1956 e Una lettera e
alcune poesie per la fiorentina La Nuova Italia nel 1958; un saggio sulla Poesia tedesca del dopoguerra
(Milano, Schwarz, 1958); la cura di un’edizione di E. Wiechert con testo a fronte (Le mie poesie, Vicen-
za, La Locusta, 1959).
598 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

trica e prospettica. Dall’ironia ancora rasserenante che permea la raccol-


ta del 1961 (un’ironia in cui si possono distinguere ascendenze lombarde,
razionalistiche, reboriane, che torneranno a essere importanti in seguito),
passando per il maggiore coinvolgimento morale e per l’attenzione sempre
più fissata sugli aspetti malati e violenti della città neocapitalistica ne Gli
onori della cronaca, per arrivare all’alienazione del soggetto, cui corrispon-
de, ne La notte artificiale, anche un abbandono dei metri regolari, mentre
la città diventa luogo del caos e dell’enumerazione dei beni di consumo2.
Propongo molto brevemente queste note sulla produzione poetica perché
credo aiutino a illuminare l’approdo alla narrativa fantascientifica di que-
sta autrice, che avvenne in maniera naturale, per conseguenza della nuova
importanza che assunse la riflessione anche critico-ideologica sulla realtà
contemporanea, sulle problematiche dell’urbanesimo e del progresso indu-
striale e scientifico.
L’altro fattore determinante nell’avvicinamento di Musa alla fantascien-
za fu una consapevole esigenza di allargamento del proprio pubblico: della
poesia, che per altro non verrà mai abbandonata, venne sentita dall’autrice
anche la peculiare «limitazione, un’impossibilità di effettiva e allargata co-
municazione [...] perché la poesia è essenzialmente solitudine o, al massi-
mo, colloquio fra addetti ai lavori»3. Una sensibilità, questa nei confronti
dell’istanza comunicativa della letteratura, che mi pare di poter riscontrare
anche in altri fronti di impegno, che videro Musa negli anni seguenti acco-
stare alle collaborazioni con testate culturali specializzate – «La Fiera Let-
teraria», «Quartiere», «Il Baretti» – attività nel campo della divulgazione
della letteratura fantascientifica in sedi e su media diversi, rivolgendosi a
un pubblico più ampio di quello dei settimanali e mensili letterari. Musa
firmava con costanza recensioni a opere di narrativa fantascientifica sulle
pagine di «Paese Sera», scrisse numerosi racconti di fantascienza per la
Radio Svizzera Italiana4 e diversi romanzi specificamente rivolti al pubblico
dei bambini e dei ragazzi5.

2
Per approfondire il discorso critico sulla poesia di Gilda Musa cfr. G. LUZZI, Gilda Musa.
Alcuni rilievi sull’itinerario poetico, in «Il Lettore di Provincia», giugno-settembre 1985, 61-62, pp.
54-62; G. BÀRBERI-SQUAROTTI, La cultura e la poesia italiana del dopoguerra, Bologna, Cappelli, 1966, p.
140; S. RAMAT, Storia della poesia italiana del Novecento, Milano, Mursia, 1976, p. 621; G. SPAGNOLETTI,
Prefazione a G. MUSA, Notizie in bianco e nero, Caltanissetta, Sciascia, 1983.
3
G. MUSA, Esperienza personale, in «La Collina», marzo 1982, 3, pp. 90-96, citazione a p. 91.
4
Alcuni dei racconti scritti da Musa per la Radio Svizzera Italiana sono raccolti nella seconda
parte del volume che ospita il romanzo Esperimento donna, Milano, De Vecchi, 1979.
5
I romanzi di Musa per ragazzi sono: Le grotte di Marte, scritto insieme a Inìsero Cremaschi,
nel 1974 e pubblicato dalla Bietti di Milano nella collezione Identikit (poi ripreso nel 1996 dall’editore
Piccoli di Torino nella collezione Topo di biblioteca, con l’aggiunta di un’appendice didattica a cura
SUBLIME INNOCENZA DELL’ALIENO 599

Ora, il tema suggerito dal titolo del convegno può essere adoperato
come chiave per una lettura critica della fantascienza di Musa, poiché il
sublime ne pervade l’opera a più livelli: sul piano linguistico prende la for-
ma di una sostenutezza e una rarefazione raggiunte tramite una originale
invenzione lessicale, cui il genere fantascientifico schiude ampie e peculiari
possibilità, soprattutto in termini di invenzione linguistica. Sul piano te-
matico della storia, degli eventi e degli esistenti narrati, il sublime prende
corpo nell’alieno (nel senso di extraterrestre e di altro da sé), nella sublime
innocenza di cui l’alieno è portatore, rappresentante di un rapporto panico
con l’ambiente naturale. Infine, al livello delle tematiche profonde, la rifles-
sione sulla perdita di quest’innocenza e sulla sopraffazione, spesso ribalta il
sublime nel suo opposto tragico, nella violenza.
Sarà per altro interessante notare come questa autrice sia stata in grado,
nella sua narrativa, di recepire e impiegare gli stilemi propri del genere fan-
tascientifico – tradizionalmente caratterizzato dall’esistenza di convenzioni e
repertori forti, entro cui gli autori possono o meno introdurre innovazioni –
ma al contempo piegando gli elementi convenzionali a una riflessione molto
personale su talune tematiche (negli esempi che seguono le tematiche della
poetabilità della scienza moderna, dell’alterità e della sopraffazione), rifles-
sione che si giova, da un altro lato, di una strumentazione letteraria altamen-
te consapevole. In altre parole Musa offre un ottimo esempio del “riuso dei
generi” in senso autoriale teorizzato a suo tempo da Schulz-Buschhaus6.
La lettura ravvicinata di due testi rappresentativi – il racconto breve
Max (1964), tra i primi scritti dall’autrice, e il romanzo Esperimento donna

di M. Gigliotti); Marinella super e L’arma invisibile, pubblicati dalla Società Editrice Italiana (SEI) di
Torino rispettivamente nel 1978 e nel 1982, nella collana «I Nuovi adulti»; La grotta della musica, SEI,
1986 con edizioni nelle collane «I Nuovi adulti», «Scrittori per la scuola» e «Gli eroi dell’avventura».
6
Riferimenti teorici sul riuso dei generi sono i lavori di Schulz-Buschhaus e Petronio (ad esem-
pio l’articolo U. SCHULZ-BUSCHHAUS, Critica e recupero dei generi. Considerazioni sul “moderno” e sul
“postmoderno”, in «Problemi», gennaio-aprile 1995, 101, pp. 4-15; gli scritti raccolti in G. PETRONIO,
Letteratura di massa, letteratura di consumo. Guida storica e critica, Roma-Bari, Laterza, 1979). Quanto
invece alle questioni teoriche e critiche più strettamente inerenti al genere fantascientifico novecentesco
sono comparse in Italia opere importanti (ad esempio DARKO SUVIN, Le metamorfosi della fantascienza.
Poetica e storia di un genere letterario [1979], Bologna, Il Mulino, 1985), ma non si potranno ignorare
alcuni riferimenti di area anglosassone, dove gli Science Fiction studies godono di una tradizione con-
solidata e di contributi in costante aggiornamento. Penso al marxismo critico di studiosi come Suvin,
Tom Moylan, Patrick Parrinder, Frederic Jameson; all’impegno teorico di una rivista come «Science
Fiction Studies»; al cospicuo lavoro di analisi del vasto corpus costituito dalle opere di genere in lingua
inglese, di individuazione di sotto-filoni tematici e critici, che ha prodotto opere d’insieme di ampio
respiro come la Cambridge Companion to Science Fiction, a cura di E. James e F. Mendlesohn (Cam-
bridge, Cambridge University Press, 2003) e la Routledge Companion to Science Fiction, a cura di M.
Bould, A.M. Butler, A. Roberts e S. Vint (London and New York, Routledge, 2009), oltre alle numerose
monografie su temi e autori specifici.
600 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

(1979) appartenente invece a una fase seguente – mostrerà nella narrativa di


Musa la presenza di un sublime scientifico variamente declinato: la poesia
si misura con le tematiche della scienza moderna, la sublime innocenza
dell’alieno viene tragicamente incrinata dall’intervento umano quando esso
si serve della tecnica per snaturare l’altro.
Il racconto breve del 1964 intitolato Max 7 è significativo per come vi
sono coniugate la tematica della scienza e quella della creazione poetica,
all’interno di una riflessione che caratterizza la prima fase della narrativa
fantascientifica dell’autrice.
Max, il giovane protagonista di cui il lettore non sa nulla, fugge da un mi-
sterioso Centro. Rimane coinvolto in un incidente e interrogato dalla polizia
racconta la sua storia: egli non è registrato all’anagrafe perché è stato creato
artificialmente, è il frutto delle ricerche del professor Deana al Centro Gene-
tica, da cui è fuggito quando ha saputo che Deana aveva deciso di eliminarlo
per motivi che gli sfuggono. Il commissario non crede ovviamente a nulla di
tutto ciò. La spiegazione data da Deana è decisamente più plausibile: Max è
il frutto di un suo amore illegittimo e la storia di una sua creazione in vitro
è stata inventata come copertura. Il ragazzo viene fatto passare per mental-
mente incapace e trasferito in una clinica. Solo a questo punto la verità viene
a poco a poco svelata: le ultime pagine del racconto ospitano alcune lettere
che Max e Deana si scambiano: il ragazzo è davvero frutto degli esperimenti
del professore sulla materia genetica; andava eliminato prima che il governo
lo scoprisse e imponesse al Centro di produrre uomini artificiali da usare
come carne da macello nelle sue guerre.
Vi è però nella storia un ulteriore risvolto: nel corso della vicenda il
lettore ha scoperto che una delle passioni di Max, che aveva passato la sua
giovane vita nel Centro, esplorandone e studiandone i laboratori e i macchi-
nari, era la poesia. Durante la fuga iniziale, proprio al momento di scavalca-
re l’ultima recinzione, si legge:

Poi tutto facile, troppo facile arrampicarsi e saltare sotto la luna leggermente
cresciuta da ieri notte, lucida luna di luglio a cui vorrebbe dedicare la più mera-
vigliosa delle sue poesie, una di quelle che scriverà dopo. Le altre stanno chiuse
in una cassetta blindata […] la poesia non esiste più se nessuno la conosce, se
nessuno la fa rivivere sotto i propri occhi e dentro la propria immaginazione. Ma

7
G. MUSA, Max, in Interplanet 4, Piacenza, La Tribuna, 1964, Presentazione di S. Sandrelli e V.
Bassanesi, pp. 225-273; poi in I tris (2), Bologna, San Pietro, 1966, pp. 49-97; poi in G. MUSA, Strategie,
Bologna, Cappelli, pp. 119-160; poi in ead., Festa sull’asteroide, Milano, dall’Oglio, 1972, pp. 109-156.
Tradotto in russo nell’antologia, Bandagal, tr. L. Veršinin, Moskva, Mir, 1970. Cito dall’edizione in
Festa sull’asteroide.
SUBLIME INNOCENZA DELL’ALIENO 601

basta che Max, che uno solo, la legga, e la poesia esiste ancora, esiste tutta quanta
è stata scritta.
Anche lui scriverà un’ode alla luna, un’ode nuova, perché sulla luna abitano
forse altri esseri sconosciuti, diversi, e lui manderà a loro il suo messaggio di amore
[...] (p. 128).

Il riferimento al Leopardi delle Odi resta in sospeso fino allo sciogli-


mento finale. Nella lettera che contiene la spiegazione definitiva dell’acca-
duto, mandata da Deana a Max, lo scienziato racconta:
[…] io avevo studiato trenta anni per scoprire la formula dei geni in cui fossero
impressi i caratteri della creatività artistica. Ci sono riuscito: quella formula tanto
preziosa che chiamavo materia x, l’incognita che cercavo, ha dato a te il nome, ma
x, Max. […] Tu sei nato per la poesia e la farai rinascere nel mondo; tu, carico delle
esperienze scientifiche che io ti ho fatto studiare per anni e che studierai ancora,
ricco della nuova cosmovisione che ha trasformato le antiche scritture, scriverai la
nuovissima De rerum natura, la nuovissima cosmogonia e cosmografia, un poema
universale, una sintesi di quanto noi scienziati abbiamo studiato e solo aridamente
esposto con formule e cifre. (p. 153)

Ecco l’ambizioso obiettivo della poesia scientifico-filosofica della nuova


era: l’espressione poetica della nuova visione del cosmo, delle nuove scoper-
te, dei nuovi concetti messi a punto della scienza. Il primo homo artificialis,
un altro innocente, poiché privo di «inceppi, d’inibizioni ataviche, preven-
zioni […] nuovo, libero, integralmente e totalmente se stesso», raccoglie il
testimone dell’homo naturalis in ciò che forse questi ha di più peculiare:
l’arte. Oltre all’equiparazione tra uomo nato e uomo creato, rimarchevole
per la lontananza da qualunque “complesso di Frankenstein” e da qualun-
que ostilità a priori verso il concetto di artificiale, ciò che è rimarchevole
all’interno del racconto è il saggio lasciato dal narratore (e dall’autrice at-
traverso esso) di quella messa in poesia di concetti scientifici profetizzata
nel brano succitato come opera dell’uomo nuovo. Il tema prescelto è ovvia-
mente quello della vita artificiale e della creazione della vita a partire dalle
catene di DNA. Non mi riferisco solo alla declinazione di questi temi che il
racconto costituisce nel suo complesso, ma anche a un passo specifico. Du-
rante la fuga, a Max capita di avere una visione onirica, rannicchiato sotto
un cespuglio si è assopito per qualche minuto:

A doppia spirale, ogni anello una doppia spirale, una nera e una bianca, cate-
ne che sbucano come lingue di rettile da un enorme bulbo genetico, o forse due
serpenti, uno nero e uno bianco, si incrociano a ellissi continue, due interminabili
serpenti, uno nero uno bianco.
602 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

Non sono serpenti, due catene avvoltolate a spirali formano volute uguali,
paurosamente, stupendamente uguali; dà vertigine guardare le volute identiche,
nessuna sbaglia, nessuna si abbassa, nessuna si piega un attimo prima, un milli-
metro prima, nascono dal bulbo genetico trasparente in cui ribolle e fermenta una
sostanza gelatinosa. […]
La catena si allunga come una strada di cui non si può intravedere, nemmeno
immaginare, la fine, la possibile conclusione, si perpetua davanti allo sguardo, di
qua il bulbo che erutta, di là l’interminabile striscia a volute che corre.
Ma poi da ognuna di quelle spirali si stacca un anello, doppio, nero e bianco
anche quello, e a ogni anello si innesta un secondo anello, e un terzo, e un quarto,
e poi non può più contare: dalla prima catena sono nate decine, centinaia, migliaia
di nuove catene che fuggono in direzioni opposte, in alto e in basso, fin dove è
possibile vedere, ed è possibile vedere lontanissimo, un infinito allontanarsi in su e
in giù, c’è spazio fra una catena e l’altra, spazio vuoto, esiguo ed insieme immenso.
(pp. 122-123)

Si confronti il brano con alcuni versi de Poeticità della materia vivente


componimento in La notte artificiale, il già citato poema del 1965:

A doppia spirale, / ogni anello una doppia spirale, / una nera una bianca, /
catene che sbucano come lingue di rettile / da un’alfa genetica, o forse / doppio
serpente, uno nero uno bianco / incrociati a ellissi continue, / due interminabili
serpenti / uno nero uno bianco […] fra una catena e l’altra catena / il vuoto dilaga
a enormità, / incalcolabili distanze […].

L’immagine della doppia catena, nata all’interno del poema, trova in


prosa una formulazione più distesa, l’intero racconto né è coronato, è co-
struito come precipitato narrativo del concetto primario di riproduzione
della vita a livello genetico, un concetto scientifico e poetico insieme. Max
rappresenta così, pur nella relativa semplicità della sua trama, un efficace
esempio dei percorsi creativi che portano l’autrice dalla poesia alla prosa
narrativa, incorporando nei nuclei tematici profondi della propria opera
temi desunti dall’ambito scientifico, spesso colti nella loro declinazione fi-
losofica o nelle loro ricadute psicologiche, fecondi produttori di trame e di
immagini al contempo.
Del romanzo Esperimento donna voglio prendere in considerazione qui
solo il tema preciso indicato dal titolo della comunicazione, tralasciando
dunque altre vicende e personaggi8. In Esperimento donna un’astronave
umana fa naufragio su un pianeta sconosciuto, abitato da una razza simile a

8
Ead., Esperimento donna, Milano, De Vecchi, 1979. Nelle citazioni che seguono indico il nu-
mero di pagina di quest’edizione.
SUBLIME INNOCENZA DELL’ALIENO 603

quella umana, ma con la caratteristica di non provare emozioni, di vivere in


una sorta di apatia dei sentimenti – positivi o negativi che siano, dall’amore
alla rabbia.

[...] nessuno si innamorava, piangeva, soffriva, nessuno si sentiva incatenato,


costretto, deluso: tutto era semplice, lineare, coerente. Bastava guardare una don-
na ekramiana, farle capire con lo sguardo o con una carezza sulla mano ciò che si
desiderava da lei, e l’ekramiana avrebbe acconsentito. E anche una donna poteva
guardare e accarezzare un uomo che le piacesse. Potevano sdraiarsi nel bosco o
cercare un letto, chiacchierare come amici o fare l’amore: nessuno avrebbe spar-
lato di loro. (p. 27)

Il biologo Manfred, uno dei tre naufraghi, studia la struttura genetica


degli abitanti di Ekram e scopre le basi biologiche di questa incapacità emo-
tiva, cui da il nome di “costante apatia”.

Questione di cromosomi e di geni: Manfred aveva ormai risolto il problema da


cui era stato assillato sin dall’inizio, trovandosi di fronte a una razza tanto placida
da sembrare insensibile. Aveva passato centinaia di vetrini davanti alla lente del
microscopio, aveva analizzato le molecole del DNA e aveva finalmente scoperto la
presenza costante di una base organica che sostituiva il gruppo fosforico, parte del
glucosio e gli acidi eterodinàmici: i geni determinanti le passioni non esistevano
nella costituzione molecolare degli ekramiani. Tanto per darle un nome appro-
priato, aveva chiamato “Costante Apatia” quella base sempre presente. (p. 27)

Si vede in questo brano anche un esempio dell’uso fantasioso, e – per dir


così – non fantascientificamente ortodosso, dell’elemento scientifico, piut-
tosto funzionale alla messa in scena di un esperimento sociale e psicologico
e alla raffigurazione concreta di una problematica morale9.
Questa caratteristica degli ekramiani non è priva di ombre, ma si pre-
senta anche come panica armonia dell’individuo rispetto al suo ambiente
e agli altri membri della comunità: ogni attività è svolta per conseguenza
di un naturale istinto, non vi sono idee come quelle di “possesso”, “pro-
prietà”, “potere”, dunque non vi sono nemmeno cause di conflitto, e gli
ekramiani vivono secondo un’organizzazione sociale primitiva e priva di
classi sociali.
Il biologo Manfred si innamora di una ekramiana, di nome Vila-Vila

9
Al di là del merito dei contenuti (se si può parlare di una base del DNA in cui compare un
acido fosforico, l’uso del termine “glucosio” non può invece corrispondere al tipo di zucchero - deossi-
ribosio - presente nel DNA, né si comprende cosa possano designare gli “acidi eterodinamici”) è chiara
la suggestione poco scientifica nell’idea di un “gene delle passioni”.
604 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

e l’impossibilità che questa lo ricambi ne aumenta sempre più lo sconfor-


to; egli non si arrende all’idea di una compagna anaffettiva. In nome di
una superiore civiltà terrestre, gli abitanti del pianeta Ekram andranno
terrestrizzati. La scienza viene così messa al servizio di un vero e proprio
snaturamento dall’altro – Manfred si serve del laboratorio a bordo dell’a-
stronavicella, per sottoporre la ekramiana a un esperimento che ne modifi-
chi la struttura genetica, neutralizzando la “costante apatia”. Quel dominio
dell’uomo sull’ambiente che a tutta prima avvicina Manfred a un novello
Robinson Crusoe, prende immediatamente il chiaro aspetto di una violen-
za perpetrata verso un’alterità non accettata.
I primi segni di terrestrizzazione di Vila-Vila sono descritti in alcune
delle pagine più notevoli del romanzo. La ekramiana, per la prima volta,
nota la bellezza di un frutto, la sua bontà; ma, subito dopo, la nuova consa-
pevolezza umana mostra il suo risvolto più oscuro: Vila-Vila osserva il pa-
norama consueto ma poi domanda «come per una scoperta triste: “Perché
le cose sono tanto complicate?”» (p. 67).

Lei formulò una domanda in cui s’incideva una nuda disperazione: «Perché le
cose sono così tristi?»
«Non sono tristi».
«Allora sono false. Sembrano in un modo e sono in un altro».
Manfred articolò una domanda, ma lo fece con una mollezza svuotata di per-
suasività, proprio perché desiderava che lei si opponesse alla proposta: «Vuoi che
interrompiamo l’esperimento?»
«No, voglio continuarlo. Adesso vedo e capisco cose che prima non vedevo e
non capivo».
«Quali cose?»
Vila-Vila ripeté enigmatica: «Adesso capisco. Prima non capivo». (p. 68)

La consapevolezza umana si configura immediatamente come un’appa-


rente nuova capacità di penetrare il senso delle cose, un senso di cui pri-
ma, la ekramiana, non immaginava l’esistenza. Da ciò deriva la dolorosa
percezione di un distacco tra la superficie della realtà e il suo significato
autentico e riposto, in altre parole di una “falsità” delle cose e di un’estre-
ma difficoltà, forse un’impossibilità, di afferrarne il senso («perché le cose
sono tanto complicate?»). L’acquisizione di una coscienza umana coincide
con l’irrimediabile perdita di quell’innocenza sublime che per l’aliena era
data dalla propria condizione naturale, da una esistenza in consonanza con
il proprio ambiente e con i propri istinti.
Gli impulsi negativi che Vila-Vila non riesce a controllare danno alla
vicenda un epilogo tragico: la gelosia porta all’omicidio di un’altra donna,
SUBLIME INNOCENZA DELL’ALIENO 605

ma anche a quello del biologo, delitto col quale Vila-Vila si libera dalla
schiavitù psichica in cui l’uomo l’aveva costretta.
Alla tragedia segue però un lieto fine: su Ekram le cose si avviano a
tornare al loro equilibrio naturale, la scienza verrà impiegata da chi rimane
per comprendere la natura degli esseri viventi, non per deviarla secondo
la propria volontà. Il romanzo offre in questo modo al lettore una vicenda
complessa, gravida di dilemmi (soprattutto nel personaggio di Vila-Vila vit-
tima ma in seguito anche colpevole di violenze a sua volta), ma non priva di
un chiaro messaggio finale nel rispetto per l’alterità, in cui l’autrice implici-
ta ha voluto raffigurare la sublime, perduta, innocenza dell’uomo.
INDICE DEL VOLUME

Prefazione
Marina Paino e Dario Tomasello 5

RELAZIONI

Marco Antonio Bazzocchi


Vertigine e volo cosmico: Pascoli/Pasolini 9

Simona Costa
Il sublime dal tragico di Alfieri all’umorismo di Pirandello 21

Mario Domenichelli
Del sublime, dell’origine, del vuoto, del grottesco nella modernità 45

Marco Manotta
Sotto la soglia della modernità. Leopardi e il poetico sublime 63

Antonio Saccone
Sublime e antisublime tra crepuscolari e avanguardie 89

Baldine Saint Girons


Il Kitsch come principio dell’antisublime 103

Gianni Turchetta
La coazione al sublime nel Novecento letterario italiano:
peripezie di una impossibile necessità 117
922 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

COMUNICAZIONI

Federica Adriano
Pirandello, ovvero il sublime e l’antisublime della follia 141
Daniela Bombara
Dal tragico al grottesco: l’esperienza del Sublime nell’Anello
di Ugo Fleres 151
Emanuele Broccio
Travestimento antisublime delle passioni. Figure del teatro
ruccelliano 161
Bartolo Calderone
Comisso, (l’astronauta) Petrarca e l’avvenire di una sublimazione 169
Alberto Carli
«L’anima illuminerà di sinistra luce l’abisso». Sublime e antisublime
nelle Strenne del Pio Istituto dei Rachitici di Milano 179
Loredana Castori
Ifigenia e la dimensione del sublime nel secondo Settecento 191
Silvia Cavalli
La sublimità (e l’antisublimità) dell’invenzione linguistica:
Isabella delle acque di Giancarlo Buzzi 205
Sandra Celentano
L’antisublime e la malattia: Il poema osceno di Ottiero Ottieri 219
Gianni Cimador
L’eccesso dell’irrappresentabile: Carmelo Bene e l’impossibilità
del sublime 231
Angela Cimini
Un esempio di scrittura d’attore antisublime: Il figlio di Iorio
di Eduardo Scarpetta 257
Carmela Citro
Una grande amara risata…
“Il Rinoceronte” di Eugène Jonesco nella lettura di Glauco Mauri 267
Vincenza D’Agati
«La nudità e scabrosità delle vette disalberate». Il sublime
di Giuseppe Antonio Borgese 275
Roberta Delli Priscoli
Tragico e comico, sublime e antisublime nell’opera di Alberto Savinio 289
INDICE DEL VOLUME 923

Ida De Michelis
Il sublime ungarettiano del povero monello 301

Sandro De Nobile
L’umanissimo sublime. Le epifanie del Male in Giorno dopo giorno
di Salvatore Quasimodo 311

Maria Cristina Di Cioccio


Beata Beatrix in D’Annunzio, Gozzano, Pavese 319

Maria Dimauro
Vertige de l’hyperbole: La Piramide di Aldo Palazzeschi 331

Martina Di Nardo
Anima attonita e tragico riso nella prima produzione onofriana 345

Novella Di Nunzio
Rubè tra guerra e dopoguerra: sublimazione narrativa
e antisublime come strategia di ricostruzione 359

Vincenza Di Vita
Sublime e antisublime nell’estetica della perversione
di Tommaso Landolfi 371
Monica Faggionato
Sublime e antisublime in Stefano Benni. La poetica della Rêverie 377
Patrizia Farinelli
Fantasticare lacerante estatico in terra di provincia: sul sublime
tardo-moderno nel Delfini di Ritorno in città 383
Federico Fastelli
Sublimazione e desublimazione. Effetti, operazioni e condizioni
di possibilità del sublime nell’opera di Edoardo Sanguineti 395
Francesca Fistetti
«Accaniti riti». Sublimazioni liriche e conquista del reale
nella poesia di Patrizia Valduga 405
Silvia Freiles
L’antisublime di Bartolo Cattafi tra tradizione letteraria
e avanguardie informali 415
Luca Gallarini
Sublime e «satire tra amici» nelle opere di Giuseppe Rovani 427
924 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

Cinzia Gallo
Verso Pirandello: il dibattito sull’umorismo nella Sicilia
di secondo Ottocento 439
Rosalba Galvagno
L’oggetto sublime nei Viceré di Federico De Roberto.
La leggenda della Beata Ximena 453
Angela Francesca Gerace
Fenomenologia del sublime scapigliato: la lirica
di Giuseppe Cesare Molineri 465
Gloria Maria Ghioni
Il sentimento che «spaura»: Inventario privato di Elio Pagliarani 479
Andrea Gialloreto
Concertino per rane. Il poeta come “usignolo del fango 491
Alessio Giannanti
Il martirio tra storia e mito nella “poesia tragica” di Ignazio Buttitta:
Turiddu Carnivali, I morti di Portella, Colapesce 501
Rosa Giulio
Figure del ‘dynamisch erhabene’ kantiano: tempeste e naufragi
nella letteratura e nelle arti della modernità 515
Alberico Guarnieri
L’irruzione del sublime nel regno delle bambole
su Il “re delle bambole” di Edmondo De Amicis 529
Alberico Guarnieri
La tragedia incompiuta del seduttore: una lettura de Il bell’Antonio
di Vitaliano Brancati 545
Oretta Guidi
Tommaso Landolfi: alle soglie del sublime 573
Anna Guzzi
Adverso fornice portas: allusività e ragionamento nel Pasticciaccio
di Gadda 587
Giulia Iannuzzi
Sublime innocenza dell’alieno, tragica violenza dell’uomo
nella narrativa di Gilda Musa 597
Monica Lanzillotta
Lo «strepito infernale» della Massa cristiana nell’opera
di Edoardo Calandra 607
INDICE DEL VOLUME 925

Stefania La Vaccara
Sublime e tragico nella drammaturgia dannunziana 627
Giuseppe Lo Castro
Il suicidio impossibile dei moderni. L’Ortis e altro Ottocento 639
Chiara Marasco
Dall’inetto al vegliardo. Italo Svevo e la sublimazione dell’inferiorità 647
Aldo Maria Morace
Tirannia, Eros e Thanatos. Appio Claudio da Gravina ad Alfieri
(e Salfi) 657
Aldo Nemesio
Il momento di volontaria sospensione dell’incredulità 671

Alessandra Ottieri
De-sublimazione ironica e quotidianità del dolore nelle poesie
dell’ultimo Scialoja 681
Ugo Perolino
Badiou e Pasolini. La grammatica dell’evento nella sceneggiatura
della Vita di San Paolo 695
Francesca Polacci
Il sublime come sentimento del limite: “figure di cornice”
a inizio XX secolo 707
Novella Primo
Leopardi e la traduzione: del sublime e del semplice 723
Ilaria Puggioni
Sublime e antisublime in Feria d’agosto di Cesare Pavese 733
Elisabetta Reale
In scena l’antisublime nella femminilità transgender 743
Francesca Riva
«Messor lo frate Sole»: sublime francescano in Luigi Fallacara 753
Elena Rondena
Il sublime e il patetico nella poetica di Ludovico Di Breme 765
Carlo Santoli
Ethos, pathos e sublime: Ortis e La virtù sconosciuta
di Vittorio Alfieri 775
926 SUBLIME E ANTISUBLIME NELLA MODERNITÀ

Antonella Santoro
Paradossi e aforismi nell’ultimo Caproni 781
Davide Savio
Un’ipotesi di sublime nel Giappone di Italo Calvino 795
Simona Scattina
L’(anti)sublime nel teatro di Emma Dante: Mishelle di Sant’Oliva 805
Gennaro Schiano
Humour noir, comicità e ironia. Alberto Savinio e il sublime
cambiato di segno 817
Stefania Segatori
«Circonda il tempo il tempo dell’attesa». La sublimazione
dell’exspectatio nell’opera di Elena Bono 833
Dario Stazzone
«Riflessione e inganno, fatamorgana e sogno»: il viaggio siciliano
di Vincenzo Consolo tra sublime ed antisublime 853
Barbara Sturmar
«Ah, la bellezza eterno / firmamento» Sublime e antisublime
nelle poesie di Alda Merini dedicate a Marilyn Monroe 863
Francesca Tuscano
L’impresentabilità del ragno. Il ‘sublime’ Stavrogin da Dostoevskij
a Pasolini 873
Katia Trifirò
Demenza borghese vs demenza antiborghese: meraviglie e orrori
del surreale nell’Italia degli anni ’40 887
Alberto Zava
La vertigine degli scacchi: gioco e tragedia tra Arrigo Boito
e Paolo Maurensig 897
Alexandra Zingone
Luzi. La parola “alta”, la pittura, la “sublimazione” del reale 905

POSTFAZIONE

Emilio Isgrò
Precarietà del sublime 919
Edizioni ETS
Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa
info@edizioniets.com - www.edizioniets.com
Finito di stampare nel mese di giugno 2014

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