164
ante-litteram quello del Tommaseo, in veste di ricercatore di po-
esia popolare frammisto di toni volgari ed eletti. Quindi nel XIX
secolo fu la volta del Marcoaldi, Dalmedico e del Rubieri con
Storia della poesia popolare italiana del 1877.
Opera poderosa, come ebbe a descriverla Pasolini, fu quella
di Alessandro D’Ancona, Poesia Popolare Italiana, che segna e
inaugura una seconda stagione di studi scientifici, esegesi stori-
co-comparativa tra settentrione e meridione d’Italia accentuan-
done il carattere distintivo che dividerà le due terre italiche in un
Nord epico-lirico e un Sud essenzialmente lirico.
Tralasciando altri importanti testi eccoci dunque a Il Canzo-
niere italiano. Antologia della poesia popolare, a cura di Pier Paolo
Pasolini. Fu pubblicato per la prima volta a Parma nel 1955 per i
tipi della Guanda editrice31 con tre successive ristampe, nel 1960
con il titolo La poesia popolare italiana, nel 1972 e 199232.
Come afferma il linguista De Mauro, il lavoro cui Pasolini si
dedicò poteva completarsi in breve e senza troppa fatica, ma fu
invece durissimo e lungo perché Pasolini lo impiantò e lo svolse
da studioso. Ancora Tullio De Mauro, in due relazioni tenute alla
Sapienza33, fece ammenda della poca considerazione e critiche
che si fecero all’uscita del Canzoniere pasoliniano: «…siamo re-
31
Collezione Fenice diretta da Attilio Bertolucci (ed. fuori serie).
32
2 voll., Garzanti, Milano. Si veda anche Tito Saffioti, Enciclopedia della canzone po-
polare e del nuovo canto politico, Teti Editore, Milano 1978.
33
Due lezioni (19 gennaio e 26 febbraio 1996) tenute alla Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Roma “La Sapienza” nell’ambito di un ciclo di lezioni (10 novembre
1995-26 novembre 1996) incentrate su Pier Paolo Pasolini per il ventennale dalla morte,
poi confluite nel volume Lezioni su Pasolini del 1997 a cura di T. De Mauro e F. Ferri.
Lo stesso De Mauro in uno scritto pubblicato nel 1955 in “La Lapa” (diretta da Eugenio
Cirese e poi da Alberto Maria), dal titolo Di alcuni problemi di circolazione culturale,
si occupò dell’Introduzione al Canzoniere italiano. Pasolini ne aveva anticipato l’uscita
su “Nuovi Argomenti” in un articolo dal titolo Pagine introduttive alla poesia popolare
italiana. Si veda anche il contributo di Emilia De Simoni, Pasolini: l’ordito e la trama,
in Costumi per narrare. L’officina di Piero Farani: arte, artigianato, cinema, a cura di
B. Giordani Aragno, Milano, Electa, 1998, pp. 94-113; Clemente Fanelli, «Intenso nel
sentire ma sobrio nell’esprimersi». Il Molise dei due Cirese, in “Glocale”, n. 6-7, 2013,
pp. 51-78.
165
sponsabili noi, della mia generazione ormai più che settantenne,
dei torti che allora furono fatti al Canzoniere italiano… Certo
non siete responsabili voi studenti, per quel remoto passato: ma
attenti al vostro oggi, voi che avete ora la nostra età di allora, e
occhio ai vostri futuri rimorsi, se oggi non avrete pensato abba-
stanza». Aggiunse inoltre: «Ciò che lamento di allora non è che
non si applaudisse, ma che si stroncasse; e, per quanto mi riguar-
da personalmente, l’aver scoperto oggi quel che avrei dovuto sa-
pere allora mi rende ancor più sgradite le aggressioni altrui, e più
pesante il fatto di non aver dato il dovuto sviluppo alle note in
cui presi sul serio Pasolini come studioso di poesia popolare».
L’Antologia era stata preceduta nel dicembre del 1952 da Po-
esia dialettale del Novecento firmata da Pasolini e dal poeta ro-
manesco Mario Dell’Arco (pseudonimo di Mario Fagiolo): quasi
quattrocento pagine di testi dialettali di tutte le regioni, accom-
pagnati dalle traduzioni e preceduti da un’introduzione di oltre
cento pagine, stesa dallo stesso Pasolini.
Nello stesso mese l’editore proponeva a Pasolini la cura di una
seconda antologia dedicata alla poesia popolare italiana. Inizial-
mente Pasolini ebbe qualche perplessità, nel gennaio 1953 scrive-
va a Giacinto Spagnoletti: «Adesso Guanda mi propone la Poesia
popolare: forse non ha torto né dal punto di vista commerciale né
da quello culturale, ma io non sono molto entusiasta…»
Ma alla fine dello stesso mese l’esitazione andava sciogliendosi:
«Non penso invece di rinunciare all’antologia della poesia popo-
lare: anche perché ideologicamente sento che potrei mantenermi
nel giusto mezzo».
Subito dopo Pasolini ebbe l’occasione di giudicare la fonda-
tezza delle sue aspettative. Eugenio Cirese34, cui Pasolini aveva
34
Eugenio Cirese (Fossalto 1884 – Rieti 1955) visse nel paese natio fino al 1911, allor-
quando la famiglia si trasferì a Castropignano. Maestro elementare in Molise dal 1904
al 1915, fu poi Direttore didattico e Ispettore scolastico a Teano, Avezzano, Cittaduca-
le, Rieti, Campobasso e poi di nuovo a Rieti dal 1940 alla morte, avvenuta l’8 febbraio
1955. Una vita dedita alla scuola e di cui Gente buona (Sussidiario per le Scuole) ne
rappresenta opera esemplare che si salda al suo Molise: canti del popolo, dialetto, poesia
166
dedicato attenzione nell’antologia del 1952, gli inviava il primo
volume appena edito della raccolta Canti popolari del Molise35,
e Pasolini così ringraziava: «Gentile Cirese, ho avuto, e subito
letto con grandissimo interesse, il suo volume di Canti popolari.
Ne parlerò diffusamente su “Il Giovedì”36. Poiché adesso dovrò
fare per Guanda un’Antologia della poesia popolare italiana, il
Suo lavoro mi interessa in modo speciale. Il secondo volume dei
Canti quando uscirà? Nel caso che la sua pubblicazione dovesse
tardare, potrei osare di chiederLe una primizia dattiloscritta (pur-
ché ne abbia una copia in più)? La ringrazio molto, per i deliziosi
testi cui mi ha introdotto, e Le invio i miei più rispettosi e cordiali
saluti»37.
Dopo qualche tempo l’impegno sull’Antologia fu preso in ca-
rico. «E mi è caro segnare» aggiunse Pasolini «che l’avvio fu
proprio dal Molise». Dopo aver ricevuto dal Cirese il dattilo-
scritto richiesto. Il 29 marzo 1953 Pasolini scrive: «Gentile Ci-
rese, grazie per i nuovi canti molisani: comincerò dunque la
mia scelta proprio dal Molise, e spero che Lei e la sua terra mi
portino fortuna»38.
e la buona gente della sua terra. Tra il 1910 e il 1915 escono nell’ordine Canti popolari e
sonetti, Discurzi di cafoni e Ru Cantone de la Fata. Nel 1951 pubblica Lucecabelle (Luc-
ciole) – Pasolini se ne avvalse per l’antologia dei poeti dialettali del 1952 – nel 1953 da
avvio a una straordinaria avventura letteraria, la rivista di storia e letteratura popolare
“La Lapa”, palesandosi da subito come di respiro internazionale, fu la prima difatti a
pubblicare in italiano uno scritto di Claude Levi-Strauss.
35
Eugenio Cirese, Canti popolari del Molise, vol. I, Nobili, Rieti 1953. Il secondo volume
comparve postumo nel 1957. Nel 1945 l’autore aveva già pubblicato Canti popolari
della Provincia di Rieti che Pasolini chiese in prestito (Lett., I, p. 556).
36
Rotocalco settimanale diretto da Giancarlo Vigorelli; P.P. Pasolini, I Canti popolari
del Molise, “Il Giovedì”, 9 luglio 1953, p. 7, poi, rielaborato in “La Fiera Letteraria” del
20 marzo 1955 (Poetica popolare e colta) e di qui ristampato in “Passione e ideologia”
col titolo Un poeta in molisano (1960, pp. 308-12; 1985, pp. 269-73; 1994, pp. 338-43).
Alla raccolta molisana Pasolini dedicò anche una nota comparsa su “il Belli”, a. II, n. 2,
maggio 1953, p. 47.
37
Lett., I, p. 547, 12 febbraio 1953. Pasolini, Lettere (1955-1975), Nico Naldini (a cura
di), Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi, 1988,
38
Ivi, p. 556.
167
Né fu frase di circostanza. L’accennato scritto sui canti molisa-
ni, più che una recensione, fu un discorso incentrato sulla poesia
popolare come lo stesso Pasolini scrisse al Cirese, costituendone il
primo saggio, se non addirittura il primo impianto, di quell’am-
pio discorso storico-critico con cui due anni dopo si aprirà il Can-
zoniere italiano. Pasolini lo predispose con sapore antologico e le
idee del critico, poggiando le basi sulla storiografia e lettura delle
centinaia di raccolte regionali pubblicate nel corso degli ultimi
centocinquanta anni. Una “tremenda fatica” già in sé, e tanto più
disperante, scrive De Mauro, perché allora i libri erano irreperibi-
li, con frenetiche copiature a macchina o addirittura a mano. In
contemporanea, difatti, Pasolini lavorava a Ragazzi di vita.
Pier Paolo Pasolini raccolse in questa monumentale antologia
le espressioni più belle e curiose della poesia popolare italiana,
operando le scelte letterarie in modo estetico e non per generi,
in accordo col Croce e diversamente dal D’Ancona, tralasciando
però i testi musicali e peccando in didascalie e note che ne corre-
dino e completino provenienza geografica e genere; manca altresì
la distinzione tra tradizione orale e d’autore. Di converso una
generosa ed esaustiva bibliografia di rimando, compilata regione
per regione, è presente a fine volume.
In premessa Pasolini dichiara di ripercorrere l’antologia par-
tendo un secolo addietro, dalla raccolta del Tommaseo per arri-
vare sino ai Canti del Cirese, collettanea ricchissima e variegata
di tutte le XIX regioni d’Italia (il Molise si aggiunse al novero
italico nel 1963) che nel 1955 contava circa 7.800 comuni e quasi
altrettante varianti dialettali.
Il Canzoniere italiano rappresenta, come recitano le quarte di
copertina delle ristampe e l’ampia introduzione di Pasolini in ol-
tre 100 pagine, una tappa fondamentale per la riscoperta della
poesia popolare italiana, ritratto vivissimo e poetico-critico delle
radici regionali degli italiani, rassegna di quasi ottocento testi che
spaziano dai canti narrativi piemontesi alle biojghe romagnole,
168
dalle vilote venete e friulane ai rispetti e l’ottava rima toscana,
dalle canzune abruzzesi ai canti funebri calabresi, dal mutos sardo
agli stornelli, strambotti, ninne nanne, orazioni e scongiuri, canti
fanciulleschi, cantilene, canzoni iterative, gridi, sino ai temi sulle
due guerre e alle liriche fasciste e partigiane. Nell’areale nord-i-
taliano spadroneggiano le ballate epico-liriche, tra queste Donna
Lombarda rappresenta forse la più famosa canzone narrativa,
probabilmente ricamata sulle vicende di Rosmunda ed Elmichi.
La stessa cronaca di Paolo Diacono nella Historia Langobardourm
narra come la donna cerchi di avvelenare il marito con una mi-
stura di testa di serpente nel vino. Sarà il figlioletto a salvare il
padre, costringendo la madre a bere: “Solo per amore del re di
Francia lo berrò e poi morirò. La si intendeva da farla agli altri, la
se l’è fatta a lè!” Da annoverarsi anche la Povera Cecilia, diffusa
in tutta la penisola italiana, a esclusione delle isole, con riscontro
nella tradizione popolare catalana. Le differenze consistono nella
morte della donna o nel suicidio del capitano. Cecilia chiede la
grazia al capitano per fare uscire il marito da prigione; “se la
grazia vuoi” risponde il capitano “a letto con me dovrai venir”. Il
marito incoraggia la donna di non pensare all’onore ma a salvar-
gli la vita; la mattina seguente dopo un brutto sogno “s’affaccia a
lo balcon, e vede il suo marito col capo a ciondolon. Grazia m’ha
fatto signor capitan, la mi ha tolto l’onore e la vita al mio marì!”
Fantassùt, Giovinetto,
al plòuf il Sèil tai spolèrs dal to paìs, piove il Cielo sui focolari del tuo paese
172
Biografia: quella del Molisano che vi vive dalla culla – quatrale
tra le braccia di una madre infante anch’essa – al carcere, al cata-
letto; che si perde in superstiziose allegrie, in goffe tradizioni, in
ingenue e edificanti credulità; che apposta, giovinotto, le ragazze
del paese con deliziosa indecenza; che va in Puglia “come un gi-
gante” e ne torna “come un pezzente”; che invoca fiabescamente
Roma e si fa corrompere dal malandrino narcisismo napoletano:
figura disegnata con tratti il cui valore assoluto nessun volume
di etnologia o sociologia, per quanto romanzato o poetizzato, po-
trebbe uguagliare. E Cirese ne è ben cosciente: ed è questa sua
coscienza che fa di questa oggettiva raccolta un libro personale,
com’era personale la raccolta toscana del Tommaseo o la raccolta
piemontese del Nigra».
Ed è per questo che, come accennato, i canti molisani costitu-
irono il primo saggio di quell’ampia introduzione con cui aprirà
il Canzoniere italiano.
173
Evviva le cuntadine
Sta vota è tiempe pe nù, è tiempe felice. Questo è il nostro tempo, è tempo felice.
Evviva lu cuntadine e l’operaie, Evviva il contadino e l’operaio,
chi zappa e chi campeja le lemàrie chi zappa e chi pascola gli animali
e tutte chille che ce suonn’amice! e tutti quelli che ci sono amici!
A che serve ‘ssa luce, pe sapé? A che serve questa luce, per sapere?
Pe ghì a la casa iamme mure mure, Per andare a casa andiamo muro muro,
e pò, de notte, è meglie a ghì a ru scure… e poi, di notte, è meglio andare allo scuro
Ca ‘n zacce lègge e scrive? E pò chi è…? Che non so leggere e scrivere? E poi cos’è…?
… jè meglie carta ghianca, siénte a me, … è meglio carta bianca, senti a me,
ca, nzapé legge e ne scrive, ‘n ze fanne che, a non saper leggere e né scrivere, non si
errure! fanno errori!
175
Pasolini torna a parlare di Cirese in La Fiera Letteraria39: «…
nel fare poesia è folclorista e nel fare folclore è poeta», ricerca-
tore in una concezione moderna assimilato al marxismo, «ac-
centi prefascisti, calore e simpatia per la classe popolare, che è
insieme per lui, proletariato contadino e gente tout court della
sua terra; e quindi i due amori condividendo e saldando due
amori, quello socialistico e quello patrio regionale si confondo-
no contraddittoriamente e appassionatamente, in un comune
sostrato romantico».
176
Non sarà più la capa che mi sveglia alla mattina,
ma là nella casetta mi sveglia la mammina.
OI RONDINELLA
177
E vai nel campo e piega quella rama,
quella penna che l’é là è la mia, se non ci arrivi, mettici
una scala.
Na donni, a lu spuntà lu soli aje visto ‘na donni Una donna, allo spuntare del sole ho
Quann’era granni, putenzia delli dii quann’erra Quant’era grande, potenza di Dio quant’e-
granni ra grande
et l’avea capilli ricci e faccia tonni, e aveva capelli ricci e faccia tonda,
ghianca come la nevi a la muntagni bianca come la neve alla montagna
E si monaca ti faje isso eremiti si farà E se monaca ti fai lui eremita si farà
e tu diciarraje la messa e isso la servirà. tu dirai la messa e lui la servirà.
178
Vojè belli cchiù lucenti so’ li stelli voglia bella più lucenti sono le stelle
e de quanne n’aje amati tu mi pari la cchiù bella! e di quante ne ho amate tu mi sembri la
più bella!
180
nerentola del Meridione la chiama Pasolini nel Canzoniere, a
sottolinearne la bibliografia poverissima: «…dopo Levi, dopo
Scotellaro, sembra non esserci più nulla». Il trentenne Scotella-
ro scrive due incompiute opere, pubblicate postume col titolo
di Uva puttanella e Contadini del Sud, risultati di un vasto
programma di esplorazione del comportamento culturale, re-
ligioso e sociale dei contadini meridionali. Nel 1944 fonda a
Tricarico la sezione del Partito Socialista, divenendone sinda-
co a soli 23 anni. Partecipa con i braccianti all’occupazione
delle terre del 1949-1950 e per questo incarcerato sotto la fal-
sa accusa di peculato. Tra le sue opere É fatto giorno del 1954
vince il premio Viareggio.
VERDE GIOVINEZZA
Lingua e dialettu
Un populu Un popolo
mittitilu a ‘catina mettetegli la catena
spugghiatulu, spogliatelo,
attuppatici a vucca, tappategli la bocca,
è ancora libiru. è ancora libero
Un populu, Un popolo,
diventa poviru e servu diventa povero e servo
42
Tra i pochi poeti contemporanei che hanno scelto di esprimersi in dialetto siciliano,
Ignazio Buttitta (Bagheria 1899 –Bagheria 1997) rivolge la sua produzione letteraria
alla storia sociale, politica, intellettuale della Sicilia. I suoi versi hanno vivo impegno
sulle cause e conseguenze del disagio economico delle classi subalterne, vivendo in
prima persona le lotte contadine, le due guerre, l’antifascismo, la lotta contro la mafia
e la classe politica post-bellica.
183
quannu ci arribbanu a lingua aduttata quando gli rubano la lingua adottata dai padri
di padri
O guardo i crepuscoli,
le mattine su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
184
cui io assisto, per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età sepolta.
185
pánta rêi, lasciando scorrere senza contrastare o almeno chiaro-
scurare un lento fluire dove la corrente porta e una controcorren-
te sbiadisce. Mancano i giovani perché manca l’insegnamento,
scriviamo e componiamo oramai solo per il ‘circolo della cultura’,
quasi fossimo illuministi tra gli illuminati.
Le foto di Plutone di qualche mese orsono gettano nuove luci
sull’universo, ma la notizia giunge seconda al leghista di turno
che propaga odio, mentre Plutone emana la sua luce come in un
lottare e difendermi pasoliniano. Società oggi meno spontanea,
talvolta finzione di un consumismo, più che di un popolare, reli-
gioso e assorto sentimento collettivo in cui un sempre più gene-
rico prossimo, Pier Paolo lo avrebbe chiamato ‘sottoproletariato’,
dovrebbe amarsi davvero. E invece siamo incolonnati in rotatorie
senza fine, chiusi tra le pareti di un centro, più centri, troppi
centri commerciali, ‘non luoghi’ per eccellenza, che sostituiscono
l’agorà greca, il foro romano, la piazza, con questo luogo dove
tutti sono e tutti vanno, contenitori solitari dell’omogeneità.
Mi rifuggo allora nell’Amarcord felliniano (forma dialettale ro-
magnola di a m’arcord, io mi ricordo), nell’esistenzialismo di Pa-
solini e tra i poeti miei e d’altre lande, quelli più semplici, di sana
umiltà contadina o pastorale, analfabeta presenza che m’arrecu-
rodene della vita, della terra, difendendo ciò che deve continuare
a essere in me e senza di me.
Io… contemporaneo di nuovo millennio non obbligato a tacere
o costretto a sviolinare luoghi e persone senza assumere un punto
di vista, pensare e pesare con le parole di ciò che mi circonda.
186