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biblioteca di letteratura

collana diretta da
Gino Tellini
2
Laura Diafani

Ragionar di s
Scritture dellio
e romanzo in Italia (1816-1840)

Societ Editrice Fiorentina


2003 Societ Editrice Fiorentina
via G. Benivieni 1 - 50132 Firenze
tel. 055 5532924
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Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata

In copertina: Nicolas Didier Boguet, Danze vendemmiali (1797), particola-


re, olio su tela, Pistoia, Museo Civico, Collezione Puccini (foto M. Quat-
trone, Firenze)
Alla mia famiglia e a Luca
Un ringraziamento a Gino Tellini, che ha vigilato sulla ricerca e ne
ha infine accolto il risultato in questa collana. Un grazie anche ad
Alessandro Duranti, consulente prezioso nella revisione del volume.
Indice

3 Introduzione
3 1. La stagione degli esperimenti e del non finito
22 2. Questioni di metodo

27 I. Allombra di quella divinit che si chiama Io .


Le proposte del Conciliatore
27 1. Sullo sperimentalismo dei conciliatoristi
36 2. Di Breme, il romanzo e il probleme du moi:
Il romitorio di SantIda
53 3. Biographe de soi-mme, malgr soi-mme:
il Grand Commentaire
61 4. Lautobiografia sentimentale nelle Avventure
letterarie di un giorno di Borsieri
74 5. Pellico da LItaliano a Battistino Barometro

87 II. Il vizio di parlar di s. Progetti narrativi


e autobiografici di Leopardi
87 1. Tra autobiografismo e scienza delle passioni
109 2. Per il Diario del primo amore: Leopardi diarista
e Alfieri autobiografo
116 3. Dai Ricordi dinfanzia e di adolescenza
alla Storia di unanima
139 4. Lultimo approdo: Storia di una passeggiata
e le zibaldoniane Memorie della mia vita

147 III.
Pellico da Le mie prigioni alla Storia
della mia vita
147 1. Dalla tragedia alla memoria
x ragionar di s
153 2. Le mie prigioni: un libro di morali dettami
185 3. Lautobiografia impossibile: i Capitoli aggiunti
e i frammenti della Storia della mia vita

193 IV.Carlo Bini tra romanzo, autobiografia


e prosa morale
193 1. Uno scrittore difficile
199 2. A margine di uno scritto di Tozzi su Bini
205 3. Il rifiuto del romanzo e della memoria

221 V. Tommaseo memorialista, diarista,


narratore dellio
221 1. Scrivere, non pubblicare
228 2. Il memorialista
247 3. Il fedel specchio: il Diario intimo
255 4. La fedele pittura: Fede e bellezza

267 Indice dei nomi


ragionar di s
scritture dellio e romanzo in italia
(1816-1840)
Introduzione

1. la stagione degli esperimenti e del non finito

Nel 1770 Rousseau porta a termine le Confessions (1781, 1788); nel


1777 esce The Life of David Hume ; nel 1811 Goethe avvia la pub-
blicazione di Aus meinem Leben: Dichtung und Wahrheit. Quanto
allItalia, dal 1790 Alfieri lavora alla Vita; i Mmoires goldoniani
vanno in stampa nel 1784, le Memorie inutili di Carlo Gozzi nel
1798; quelle di Casanova vedono la luce nel 1791-1798 (bench edi-
te coi ritocchi di Laforgue solo nel 1826-1838). Intanto, sul fronte
del romanzo, Die Leiden des jungen Werther introduce nello schema
della narrativa epistolare un mutamento importante, raccogliendo
le lettere del protagonista ma non quelle dei suoi corrispondenti:
propone quella struttura epistolare monologica suprema finzio-
ne autobiografica [], con il protagonista sempre in scena1 su
cui di l a poco cadr anche la scelta di Foscolo. Questo per citare

1
Giorgio Brberi Squarotti, Luscita in scena, nellopera collettiva Scrit-
ture di s. Autobiografismi e autobiografie, a cura di Ferdinando Pappalardo, Napo-
li, Liguori, 1994, p. 3. Per il romanzo epistolare, si veda la distinzione fra tre va-
rianti essenziali (monologica, unilaterale, dialogica) elaborata da Jean Rousset,
Une forme littraire: le roman par lettres, in Forme et signification. Essais sur les struc-
tures littraires de Corneille Claudel, Paris, Jos Corti, 1964, trad. it., Una forma
letteraria: il romanzo epistolare, in Forma e significato. Le strutture letterarie da Cor-
neille a Claudel, introduzione e traduzione di Franco Giacone, Torino, Einaudi,
1976, pp. 81-117 (Bibliografia, pp. 118-120); tale distinzione ripresa anche in Ulla
Musarra-Schroder, Narciso e lo specchio. Il romanzo moderno in prima persona, Ro-
ma, Bulzoni, 1989, pp. 47 sgg.
4 ragionar di s

solo alcuni testi decisivi nella storia della scrittura di s tra Sette e
Ottocento, con un occhio particolare alle lettere italiane e senza di-
lungarsi su fenomeni di larga portata ma di minor incidenza sul ca-
none letterario, come il proliferare di testi memorialistici dambi-
to teatrale, incrementati soprattutto da artisti italiani allestero2. Ce
n comunque abbastanza per rendersi conto che lOttocento si
apre come si chiuder portando alla ribalta il pronome di pri-
ma persona3.
Un salto di qualche decennio. Nel 1832 Le mie prigioni inaugu-
rano da noi la stagione della memorialistica risorgimentale: costi-
tuiscono la stazione di partenza, almeno sulla carta, del cospicuo fi-
lone che si estende dai testi editi dai prigionieri politici dei moti del
20-21 (da Pellico a Maroncelli, da Confalonieri a Pallavicino, da
Andryane ad Arrivabene) al compatto nucleo degli scrittori garibal-
dini. Tra i due canoni, quello della grande autobiografia moderna
di fondazione settecentesca e quello della memorialistica risorgi-
mentale, c soluzione di continuit. Il lasso di tempo che va dal se-
condo e al quarto decennio dellOttocento i circa sei lustri che in
Italia intercorrono tra la Vita di Alfieri (1790, 1798-1803; a stampa
nel 1808) e Le mie prigioni non produce opere compiute assimila-
bili, se non per via assai approssimativa, ai due filoni. Non a caso,
negli studi sulla fisionomia dellautobiografia romantica, capita
dimbattersi in una avvertenza come questa: I use the term Ro-
mantic autobiography to denote a type of life writing whose classic
instances are The Confessions, Dichtung und Wahreit, and The Pre-
lude4. Sintomatico che a fianco di questi tre referenti in terra fran-
cese, tedesca e inglese, manchi un esempio italiano: dopo le auto-
biografie di Alfieri, Goldoni e Casanova con leccezione di Lo-
renzo Da Ponte, autore dagli Stati Uniti di quattro volumi di Me-

2
Cfr. Silvia Tatti, Gli Aneddoti interessanti e piacevoli di Giacomo Gotti-
fredo Ferrari e lautobiografia teatrale tra Sette e Ottocento, in Quaderni veneti, 16,
1992, pp. 153-175.
3
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e Novecento, Milano, Bru-
no Mondadori, 1998, p. 251.
4
Eugne L. Stelzig, Rousseau, Goethe, Wordsworth and the classic moment
of Romantic autobiography, in Neohelicon, xviii, 2, 1991, p. 256.
introduzione 5

morie di grande vivacit narrativa, scritti tra il 1823 e il 1827 e pub-


blicati nel 1830, ma settecenteschi per impianto e contenuti5 da
noi si spalanca il vuoto fino alla memorialistica risorgimentale.
Un vuoto per percorso da molteplici fermenti sperimentali.
Tra il settembre 1818 e lottobre 1819 gli scrittori del Conciliatore
propugnano una narrativa dargomento contemporaneo e attenta
al problema dellio (lespressione di Ludovico Di Breme); la
propugnano e la sperimentano anche pur non essendo questo il
loro punto forte, come Foscolo ebbe modo di criticare6. opinio-
ne condivisibile che il pi significativo tentativo di rinnovare la
forma del romanzo italiano tra lOrtis del 1798 e i Promessi sposi7
si debba proprio a Foscolo, con i frammenti del Sesto tomo dellIo,
stesi tra il novembre-dicembre 1799 e il luglio-agosto 1801, allinse-
gna di un forte distacco dallautobiografismo appassionato del-
lOrtis. Ma anche alcuni suoi amici [] caldissimi8 che saranno
tra gli animatori del foglio azzurro gi a partire dal 1815-1816 si
danno non poco da fare nel segno del binomio romanzo-scrittura
di s: si pensi almeno allincompiuto Romitorio di SantIda (1816)
del Di Breme, singolare miscela di finzione autobiografica e narra-
tiva; si pensi allio nutrito di molteplici suggestioni letterarie che
imperversa nelle Avventure letterarie di un giorno (1816) di Borsieri
e alla parabola narrativa del giovane Pellico, inscritta tra il proget-
to dichiaratamente autobiografico del romanzo LItaliano (risalen-

5
Cfr. soprattutto Anna Dolfi, Da Ponte e la tipologia delle Memorie, nel-
lopera collettiva Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, 5 voll., Firenze, Ol-
schki, 1983, iv. Tra Illuminismo e Romanticismo, 1, pp. 137-182 e Andrea Battisti-
ni, Le Memorie di Lorenzo Da Ponte: tra romanzo e melodramma, ivi, poi, rivisto
e ampliato, con il titolo Lautobiografia melodrammatica, in Lo specchio di Deda-
lo, Bologna, Il Mulino, 1990, pp. 103-125.
6
Cfr. Ugo Foscolo, Italian periodical Literature, in Opere. Ed. Naz., xi, Sag-
gi di letteratura italiana, parte ii, a cura di Cesare Foligno, Firenze, Le Monnier, 1958,
p. 363; trad. it., La letteratura periodica italiana, ivi, p. 393 (e infra, p. 28).
7
Vincenzo Di Benedetto, Introduzione, in Ugo Foscolo, Sesto tomo del-
lio, edizione critica e commento a cura di Vincenzo Di Benedetto, Torino, Ei-
naudi, 1991, p. ix.
8
Silvio Pellico a Ugo Foscolo, Milano, 9 agosto 1818, in Epistolario di Silvio
Pellico, raccolto e pubblicato per cura di Guglielmo Stefani, Firenze, Le Monnier,
1856, p. 13.
6 ragionar di s

te al 1816) e lesperimento incompiuto del Breve soggiorno in Mila-


no di Battistino Barometro (1819).
Dalla vivace capitale del Lombardo-Veneto a un oscuro borgo
marchigiano: sul finire del 1817, il giovane Leopardi legge la Vita
di Alfieri e si cimenta in una acuminata vivisezione del proprio
cuore in otto fitte e alfierianeggianti paginette, alternativamente
denominate, dopo la sua morte, Diario o Memorie del primo amo-
re (1817). Di l a poco, sullonda della lettura del Werther e dal-
lOrtis, abbozza come documenta quel che resta del progetto, i
cosiddetti Ricordi dinfanzia e di adolescenza (1819) un romanzo
autobiografico. Qualche anno dopo ne inizia davvero uno, dal
suggestivo titolo Storia di unanima (1825), spostato pi decisa-
mente sul piano dellautobiografia interiore; infine lascia perdere
anche questo, tornando di tanto in tanto a progettare diverse for-
me di scrittura di s appena documentate dalle liste dei Disegni
letterari e dallIndice dello Zibaldone. Che sembrano andare per
in altre direzioni: prose dellio non narrative ma riflessive (Collo-
qui con se stesso, Dialogo tra lio antico e lio nuovo, 1825; Colloqui
dellio antico con lio nuovo, 1829) o frammenti di vita (Storia di un
giorno, o delle disavventure di un giorno della propria vita, 1825; Sto-
ria di una passeggiata, 1829; ma anche le zibaldoniane Memorie
della mia vita, 1827).
Con i pi tardi fra i progetti leopardiani si giunge alle soglie
degli anni Trenta; gli anni, s detto, delle Mie prigioni (1832).
Uscito dalla fortezza morava, dopo una prigionia decennale, la
sera del 1 agosto 1830, un anno dopo Pellico avvia la stesura del-
le sue memorie del carcere. Ma non solo: proprio aver dato alle
stampe quellautobiografia parziale lo sollecita a cimentarsi in
una storia della sua vita, rimasta per incompiuta e riciclata dal-
lautore stesso, per frammenti staccati, nei Capitoli aggiunti alle
Mie prigioni.
Di l a poco la volta di Carlo Bini. Imprigionato nel Forte del-
la Stella, allisola dElba, dal settembre al dicembre 1833, il giovane
livornese inganna il tempo che scorre lentissimo tra le pareti della
sua cella scrivendo. Ma il suo Manoscritto di un prigioniero, facil-
mente inglobabile nella linea della memorialistica carceraria per la
tragica occasione biografica da cui scaturisce, con quel filone ha
introduzione 7

poco o niente a che fare: opera s scritta in carcere da un detenuto


politico, ma non alla ricerca di una memoria patriottica n di un
solipsistico sfogo, bens nella sperimentazione di una inedita e ori-
ginalissima prosa.
Intanto, mentre la memorialistica del carcere inizia a prendere
il volo, uno scrittore che da sempre ha un occhio di riguardo per
lauscultazione, per lesplorazione del proprio petto viene vo-
glia di dire, rovesciandoli, coi versi leopardiani della Palinodia al
marchese Gino Capponi , continua per la propria strada. Niccol
Tommaseo getta sulla carta centinaia e centinaia di solitari appun-
ti che affianca al quotidiano impegno letterario come indispensa-
bile tirocinio dellanima e dello stile (il cosiddetto Diario intimo,
dal 1821); sforna un libro di memorie sulla propria formazione in-
tellettuale (Memorie poetiche, 1838); ne concepisce, lasciandolo in-
compiuto e inedito, uno parallelo sulla propria educazione politi-
ca (Un affetto. Memorie politiche, 1838-1839) e pratica la narrativa e
la poesia come nutrite prima di tutto di un esercizio autoanalitico
e del vero del proprio vissuto.
Si pu concordare o no sullidea che la memorialistica del
carcere la parte pi interessante della sterminata ed eterogenea
memorialistica del primo Ottocento9; fatto sta che quel filone
solo la punta emergente di una trama sommersa e intricata di pa-
gine autobiografiche. In margine stanno gli esperimenti di cui so-
pra si discorreva: scritti ibridi e talora atipici, sovente sospesi tra
scrittura di s e finzione romanzesca, molto spesso incompiuti e
rimasti a lungo inediti; realt testuali refrattarie a ogni facile eti-
chettatura, difficilmente ascrivibili a un genere preciso, esponenti
di linee minoritarie e non vincenti nella letteratura ottocentesca.
Sta qui, in questa indeterminatezza e marginalit, una delle ragio-
ni della scarsa fortuna critica della maggior parte di questi testi;
scarsa almeno al cospetto dellattenzione goduta dalle monumen-
tali e fondative autobiografie tardosettecentesche, dalla successiva

9
Antonio Piromalli, Pellico e la memorialistica del carcere, in Il Cristal-
lo, xxxiii, 2, 1991, pp. 35-44, poi nellopera collettiva Sentieri della libert e della
fratellanza ai tempi di Silvio Pellico, Atti del Convegno, Saluzzo, 6-7 aprile 1990, a
cura di Aldo A. Mola, Foggia, Bastogi, 1994, pp. 107-117, da cui si cita: 107.
8 ragionar di s

memorialistica o dal romanzo storico10; scarsa particolarmente di


fronte alla ormai sterminata bibliografia sulla storia e sulla teoria
dellautobiografia11.

10
In mancanza di lavori critici complessivi sulla letteratura memorialistica
della prima met del secolo scorso: cos Trombatore, mezzo secolo fa (in Intro-
duzione, in Memorialisti dellOttocento, i, a cura di Gaetano Trombatore, Milano-
Napoli, Ricciardi, 1953, p. xxix); To date, no real study of Romantic autobio-
graphy has appeared, sentenziava appena un decennio fa Stelzig (in Rousseau,
Goethe, Wordsworth and the classic moment of Romantic autobiography, cit., p. 257).
11
Mi limito qui a indicare le principali e pi aggiornate fonti bibliografiche
per lo studio dellautobiografia. Per bibliografie di settore, cfr. Current Bibliography
on Life-Writing, in Biography (University of Honolulu, Hawai, Department of
English), e Bibliographie des tudes en langue franaise sur la littrature personnelle et
les rcits de vie, a cura di Philippe Lejeune, edita dal 1984 in Cahiers de smioti-
que textuelle (Paris, Centre de Smiotique textuelle de lUniversit de Paris X).
Utili le riviste settoriali A/B. Auto/Biography studies (University of Wisconsin,
Department of English, dal 1985), La faute Rousseau, pubblicata dallAsso-
ciation pour lAutobiographie et le Patrimoine Autobiographique, e Prima per-
sona: percorsi autobiografici, edita dal 1998 dalla Fondazione Archivio Diaristico
Nazionale (Pieve Santo Stefano, Arezzo). Selettiva (ma in realt assai larga) la bi-
bliografia di studi (1894-1994) fornita da Franco DIntino, Il genere autobiogra-
fia. Bibliografia di fonti e studi, nellopera collettiva Scrivere la propria vita. Lau-
tobiografia come problema critico e teorico, a cura di Rino Caputo e Matteo Mona-
co, introduzione di Raul Mordenti, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 315-350 (che rivede
e aggiorna le voci contenute in Franco DIntino, Lautobiografia moderna, Ro-
ma, Carucci, 1989, poi, con il titolo Lautobiografia moderna. Storia, forme, proble-
mi, Roma, Bulzoni, 1998). Per gli ultimi decenni, si consulta con profitto anche la
Bibliografia in Bartolo Anglani, I letti di Procuste. Teorie e storie dellautobiogra-
fia, Roma-Bari, Laterza, 1996, pp. 151-166 e nellantologia, a cura dello stesso, Teo-
rie moderne dellautobiografia, Bari, Edizioni B. A. Graphis, 1996, pp. 165-171. Per
i generi contigui allautobiografia (biografia, libri di famiglia, memorie e diari), si
rimanda invece ad Andrea Cortellessa, Generi contigui allautobiografia. Bi-
bliografia selezionata di studi, nellopera collettiva Scrivere la propria vita, cit., pp.
351-366. Per una sintesi del dibattito critico intorno allautobiografia, cfr. lIntro-
duzione di Marziano Guglielminetti, in Memoria e scrittura. Lautobiografia da
Dante a Cellini, Torino, Einaudi, 1977, pp. vii-xx; le versioni riviste e ampliate dei
saggi di Andrea Battistini, Lo scrittore allo specchio (1979) e Lautobiografia e il su-
perego dei generi letterari (1986), che si leggono con i titoli, rispettivamente, Il flui-
do della vita e il cristallo della scrittura e Il superego dei generi letterari, in Lo specchio
di Dedalo, cit., pp. 129-162, 163-196; Giuseppe Nicoletti, Introduzione allauto-
biografia italiana del Settecento (1988), in La memoria illuminata. Autobiografia e
letteratura fra Rivoluzione e Risorgimento, Firenze, Vallecchi, 1989, pp. 5-66; Fausta
Garavini, Io come io, nellopera collettiva Controfigure dautore. Scritture auto-
introduzione 9

Eppure, la rappresentanza della scrittura di s in quella stagio-


ne affidata soprattutto a questi esperimenti marginali e spesso
non finiti; ed anche questa una fetta di storia dellautobiografia e
del romanzo, anzi il momento in cui le due strade vanno a con-
vergere e a interagire pi che mai. Date e testi alla mano, per i pri-
mi decenni dellOttocento si parlato a pi riprese di battuta
darresto12, di pausa13, di entropia14, di crisi15 dellautobio-
grafia. Scrive Franco Fido:

Il periodo di legittimazione e codificazione del genere si apre nel de-


cennio 1720-30, e si conclude nel ventennio 1820-40, con una punta di
massima di produttivit autobiografica nei decenni ottanta e novanta
del Settecento, fra le Confessions di Rousseau e la Rivoluzione francese,

biografiche nella letteratura francese, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 7-28; lIntrodu-
zione di Bartolo Anglani, nellantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit.,
pp. v-xvi e il saggio di Riccardo Scrivano, Teoria e critica dellautobiografia, nel-
lopera collettiva Scrivere la propria vita, cit., pp. 25-35. Ma si veda anche: Aldo
Scaglione, Lautobiografia in Italia e i nuovi metodi di analisi critica, in Forum
italicum, xviii, 2, 1984, pp. 203-216; Paul Jay, Whats the Use? Critical theory and
the study of autobiography, in Biography, x, 1, 1987, pp. 39-54 e The intimate cri-
tique. Autobiographical literary criticism, edited by Diane P. Freedman, Olivia Frey
and Frances Murphy Zauhar, Durham-London, Duke University Press, 1993. In
ambito italiano, si segnala infine il neonato Centro Interdipartimentale di Studi
Autobiografici Auts, diretto da Simona Costa (Universit di Macerata, Dipar-
timento di Lingue e Letterature Moderne).
12
Batrice Didier, Romanzo e autobiografia agli inizi dellOttocento: Atala,
Ren e i Mmoires doutre-tombe, nellopera collettiva Il segno dellio. Romanzo e
autobiografia nella tradizione moderna, Atti del Convegno, Pavia, 8 maggio 1990, a
cura di Elena Agazzi e Angelo Canavesi, Udine, Campanotto, 1992, p. 43.
13
Andrea Battistini, Genesi e sviluppo dellautobiografia moderna, nellope-
ra collettiva Italian autobiography from Vico to Alfieri (and beyond), Atti del Con-
vegno, Londra, 2 febbraio 1996, a cura di John Lindon, 1999 (supplemento a The
Italianist, 17, 1997), p. 21.
14
Franco Fido, Topoi memorialistici e costituzione del genere autobiografico
fra Sette e Ottocento, in Quaderni di Retorica e Poetica, 1, 1986, numero mono-
grafico: Lautobiografia. Il vissuto e il narrato, a cura di Gianfranco Folena, pp. 73-
85, poi, con il titolo I topoi del soggetto: allorigine della autobiografia moderna, in
Le muse perdute e ritrovate. Il divenire dei generi letterari fra Sette e Ottocento, Fi-
renze, Vallecchi, 1989, pp. 161-178, da cui si cita: 164.
15
Cfr. ibidem e Andrea Battistini, Genesi e sviluppo dellautobiografia moder-
na, cit., p. 21.
10 ragionar di s

quando per un momento lautobiografia sembra addirittura soppiantare il


romanzo in nome della verit16.

E pi avanti:

Laltro termine cronologico [la chiusura del periodo di legittimazione


e codificazione del genere autobiografico] cade come si diceva intorno agli
anni trenta dellOttocento. In quegli anni appunto lautobiografia rag-
giunge uno stupefacente status commerciale, e contemporaneamente
sembra entrare in crisi per un eccessivo carico di responsabilit, cio per-
ch ormai ci si pu aspettare da esso un livello di verit tale che non sem-
pre lautore abbastanza forte (nel senso fisico, o meglio nervoso della pa-
rola) per raggiungerlo e sostenerlo. [] Negli stessi decenni in cui cade la
redazione delle monumentali autobiografie di Goethe [Aus meinem Leben:
Dichtung und Wahrheit, 1811, 1833] e di Chateaubriand [Mmoires doutre-
tombe, scritti fra il 1811 e il 1841] altri testi documentano quella che po-
tremmo chiamare lentropia, o una prima crisi del genere. [] sembra af-
fermarsi la tendenza verso un progetto autobiografico parziale, che abbia,
cio, come contenuto non la vita dellautore, ma un periodo limitato e
determinato di essa: ne sono esempio le Dix annes dexile cominciate e
non finite da Mme de Stal nel 1813-14 fra Coppe e Stoccolma, o da noi
Le mie prigioni (1832), e infine i Souvenirs dgotisme cominciati da
Stendhal a Civitavecchia nellestate del 1832 come petit mmoire di
quello che gli era accaduto durante il soggiorno parigino fra il 1821 e il
1839, ma interrotti dopo soli undici capitoletti17.

Nel documentare quella che chiama una prima crisi dellauto-


biografia, lo studioso propone una spiegazione, per cos dire, in-
terna al genere: il carico di responsabilit dire la verit che fa-
rebbe slittare gli scrittori da opere autobiografiche totalizzanti
(lautobiografia vera e propria) verso autobiografie parziali, ovvero
circoscritte a una sola epoca, anche minima, della vita.
Ad approfondire questa strada ha provveduto Franco DInti-
no nei suoi recenti studi sullautobiografia romantica, coniugan-
do prospettiva storica e indagine dei meccanismi formali. Questa,

16
Franco Fido, I topoi del soggetto: allorigine della autobiografia moderna,
cit., p. 162.
17
Ivi, pp. 164-165.
introduzione 11

in estrema sintesi, la tesi proposta: lautobiografia depoca ro-


mantica dissolve i modelli settecenteschi spostandosi radicalmen-
te dal piano degli eventi esterni a quello degli eventi interiori18
e concentrando lo scavo su singoli momenti dellesistenza, su
lampi di vita vissuta. A proposito di Rousseau, che dopo aver for-
nito con le Confessions larchetipo dellautobiografia moderna
vera e propria si fa autore delle Rveries du promeneur solitaire,
scrive DIntino:

La deriva autobiografica delle Rveries implica infatti non solo la di-


struzione della narrazione lineare in vista di unipotesi di scrittura ritor-
nante, ma la speculare trasformazione del rapporto autore/destinatario,
decisivo nelle Confessions (cos come in ogni autobiografia vera e pro-
pria), in un rapporto solipsistico dellio-autore con lio-lettore, coinci-
denti nello splendido isolamento circolare dellisola, ambientazione di
una non-storia del soggetto19.

entrata in crisi la miscela delle Confessions. DIntino ricon-


duce lesperienza romantica di scrittura di s a una deriva dellau-
tobiografia in due direzioni, quella intima frammentaria del diario
e del journal e quella finzionale del romanzo:

lottica autobiografica sembra distaccarsi irreversibilmente da quella bio-


grafica, spingendo da un lato verso una rielaborazione finzionale-lettera-
ria del materiale, dallaltro verso una cancellazione dei confini di genere e
in definitiva verso una sorta di deriva antitestuale20.

18
Franco DIntino, I paradossi dellautobiografia, nellopera collettiva Scri-
vere la propria vita, cit., p. 297.
19
Ivi, p. 295.
20
Ivi, pp. 294-295. Queste, per sommi capi con una sintesi che certo non
rende ragione della complessit delle categorie ideologiche ed estetiche messe in
campo da DIntino; e me ne scuso , le conclusioni esposte nel breve paragrafo
Lautobiografia romantica, ivi, pp. 294-297, che sintetizza una tesi proferita dallo
studioso in alcuni saggi precedenti: Introduzione, in Giacomo Leopardi, Scritti e
frammenti autobiografici, a cura di Franco DIntino, Roma, Salerno, 1995, pp. xi-
xcvii; Silenzio, gioco, caos: la romanticizzazione dellautobiografia (Leopardi, Nova-
lis, F. Schlegel), nellopera collettiva Silenzio cantatore. Forme e generi letterari, Atti
del Convegno, Roma, 20-21 ottobre 1994, a cura di Valerio Massimo De Angelis e
12 ragionar di s

Cos, se vero che

at the classic instances of Romantic autobiography, Rousseau, Goethe, and


Wordsworth also share the optimistic and in fact utopian presumption
that their lives can be narratized, that they can be translated not only into
a sequence of words, but into a coherent and unified narrative21,

anche vero che lincanto il momento classico dellautobiografia


romantica si rompe presto: Stendhal e Leopardi sono indicati al-
lora come il punto di questa rottura, i campioni del superamento
del momento classico. La narrazione autobiografica con loro divie-
ne impossibile e slitta verso il frammento, perch ha troppo po-
tenziato la propria lente di ingrandimento di fatti minimi, dei pro-
pri sussulti interiori.
A fare la parte del leone nella critica specialistica sullautobio-
grafia a lungo stata per una spiegazione di ordine puramente
storico. Si individuata nei convulsi avvenimenti tra la Rivoluzio-
ne francese e la Restaurazione una mina che fa esplodere e rende
impossibile quel senso complessivo della retrospettivit, indispen-
sabile in ogni autobiografia22:

in questi primi anni dellOttocento [] scarseggiano i grandi affreschi ro-


manzeschi, mancano i documenti autobiografici: si tentati di cercare le
ragioni di questa lacuna, ma le cause, come sempre quando si vuole spie-
gare un fenomeno complesso, appartengono a registri differenti, senza che
una sia determinante. Ci sono cause storiche, prima di tutto []. Per

Annalisa Goldoni, Roma, Euroma-La Goliardica, 1996, pp. 173-190; Da Alfieri a


Leopardi. La dissoluzione dellautobiografia, nellopera collettiva Italian autobio-
graphy from Vico to Alfieri (and beyond), cit., pp. 93-124. Sullo slittamento dellau-
tobiografia verso il romanzo, dello stesso autore cfr. soprattutto Ottica biografica e
ottica autobiografica, in Studi italiani e latini, iii, 1989, pp. 205-209 e Lautobio-
grafia moderna, cit., pp. 221-252.
21
Eugne L. Stelzig, Rousseau, Goethe, Wordsworth and the classic moment
of Romantic autobiography, cit., p. 262.
22
Andrea Battistini, Genesi e sviluppo dellautobiografia moderna, cit., p.
21. Sullautobiografia come visione retrospettiva dello sviluppo storico di una per-
sonalit, cfr. soprattutto Philippe Lejeune, Le pacte autobiographique (1975), trad.
it. Il patto autobiografico, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 4 sgg.
introduzione 13

scrivere le proprie memorie occorre un certo sguardo retrospettivo, non


solo rivolto alla propria vicenda personale, ma anche capace di cogliere
linsieme dello sviluppo storico: la Rivoluzione ancora troppo vicina
perch si possa evocarla in opere che non siano pamphlet o storie pi o
meno faziose23.

La cronologia sostanzia indubbiamente questa ipotesi che qui


chiamer, per semplicit, storica; ma decenni di studi attenti ai
meccanismi interni del genere autobiografico la hanno dimostrata
insufficiente e la hanno proficuamente arricchita. Fermo restando
che il difetto di ciascuna ipotesi che si voglia fare di accomunare
sotto ununica formula situazioni diverse individualit testuali
non omologabili se non per la cronologia , pi soddisfacenti ap-
paiono le posizioni che si pongono allincrocio di entrambe le pos-
sibilit di lettura. In un recente contributo, Andrea Battistini af-
fianca allipotesi che ho indicato come storica considerazioni sul-
levoluzione dellautobiografia dagli esempi protosettecenteschi (di
cui prende a paradigma Vico, ma anche Muratori e Giannone) a
quelli di secondo Settecento (Alfieri, Da Ponte, Gozzi): vi riscon-
tra una metamorfosi innescata, da un lato, dalla progressiva ricer-
ca dellunicit, dellirripetibilit della propria esperienza, da parte
dellautobiografo; dallaltro, dallinfluenza del romanzo (i model-
li romanzeschi di Richardson, della Nouvelle Hlose o delle Liai-
sons dangereuses) e che a lungo andare comporta la crisi dellisti-
tuto autobiografico24 settecentescamente inteso. la sensibilit
tardosettecentesca che dona alla scrittura autobiografica la voce
polifonica e centrifuga del romanzo25 e bisogna ricordare non
distingue lautobiografia dal romanzo: quel che per noi oggi un
caso di ibridazione letteraria (romanzo autobiografico, autobiogra-

23
Batrice Didier, Romanzo e autobiografia agli inizi dellOttocento, cit., pp.
43-44.
24
Andrea Battistini, Genesi e sviluppo dellautobiografia moderna, cit., p. 21.
25
Id., Lautobiografia e i modelli narrativi secenteschi, nellopera collettiva Cul-
tura meridionale e letteratura italiana. I modelli narrativi dellet moderna, Atti del-
lxi Congresso dellaislli, a cura di Pompeo Giannantonio, Napoli, Loffredo,
1985, pp. 145-190, poi, rivisto e ampliato, con il titolo I simulacri di Narciso, in Lo
specchio di Dedalo, cit., pp. 21-80: 56.
14 ragionar di s

fia romanzata, e cos via), non lo era affatto per i contemporanei di


Rousseau, di Alfieri e di Foscolo26.
Linfluenza del romanzo conta forse di pi di quanto non sia
stato messo a fuoco. Non a caso nei contributi teorici pi recenti
sullargomento dopo che tutto limpegno di Lejeune consisti-
to nel dissociare completamente autobiografia e romanzo27 per
mettere ordine nella teoria sul genere , ha preso il volo uninter-
pretazione incentrata sugli aspetti finzionali della scrittura auto-
biografica28, con una attenzione mirata ai rapporti non solo for-
mali intrattenuti da autobiografia e romanzo29, o, ancora, sulla
osmosi di statuti tra scritture dellio e narrativa30; cui sono da ag-
giungere significative riflessioni sugli aspetti romanzeschi che con-
traddistinguono lautobiografia depoca romantica rispetto ad ana-
loghe precedenti esperienze di scrittura31.

26
Cfr. ibidem.
27
Batrice Didier, Romanzo e autobiografia agli inizi dellOttocento, cit., p.
45, con allusione, naturalmente, al citato Le pacte autobiographique.
28
Cfr. Bartolo Anglani, I letti di Procuste, cit., pp. 117 sgg. In questo solco
si inserisce, per esempio, il recente contributo di Andrea Battistini, Lio auto-
biografico tra professione di veridicit e menzogna della scrittura, in Revue des tu-
des italiennes, xli, 1995, pp. 39-46. Interessanti anche alcune rapide considera-
zioni nellIntroduzione, di taglio eminentemente storico e non teorico, di Lucia
Martinelli a Memorialisti del XIX secolo, scelta e introduzione di Lucia Martinel-
li, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1995, pp. i-lii (su cui si veda la recen-
sione di Angelo Fabrizi, in Studi italiani, x, 2, 1998, pp. 195-199).
29
Per un esempio di analisi dei rapporti tra lautobiografia e il romanzo, cfr.
soprattutto Helmut Pfotenhauer, Literarische Anthropologie. Selbstbiographien
und ihre Geschichte, Stuttgart, Metzlersche Verlagbuchhandlung, 1987 (parzial-
mente trad. nellantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit., pp. 103-110). Pi
in generale, per il debito dellautobiografia verso il romanzo, cfr. Patricia Meyer
Spacks, Imagining a self. Autobiography and novel in eighteenth-century England,
Cambridge, Harvard University Press, 1976; Georges May, Lautobiographie, Pa-
ris, Puf, 1979, 19842, pp. 169-196; Franco Fido, Topoi memorialistici e costituzione
del genere autobiografico fra Sette e Ottocento, cit., pp. 175-178; Bartolo Anglani,
I letti di Procuste, cit., pp. 117-149.
30
Just as eighteenth-century fiction writers used autobiographical devices
(the letter, the diary, the first-person narrative), so autobiographers made use of
the resources of fiction to emphasize and highlight the subjective and the perso-
nal (Eugne L. Stelzig, Rousseau, Goethe, Wordsworth and the classic moment of
romantic autobiography, cit., p. 249).
31
Nel tratteggiare cosa contraddistingue specificamente lautobiografia ro-
introduzione 15

Per una significativa coincidenza di date, gli anni che da noi in-
tercorrono tra la conclusione della Vita alfieriana (1803) e Le mie
prigioni (1832) i due testi presi a emblema, in Italia, della grande
autobiografia moderna di fondazione settecentesca e del nuovo
corso della scrittura autobiografica sub specie memorialistica , an-
che sul fronte del nostro romanzo costituiscono unepoca a s: il
venticinquennio che separa lOrtis (1802) dal decisivo decollo del
romanzo storico, nel 1827, percorso da molteplici fermenti speri-
mentali32. Per riassumere la situazione della narrativa in Italia
prima del 1827, stato detto, si potrebbe adattarle un ben noto
titolo teatrale, En attendant Manzoni 33. Ma bisogna aggiungere
che aspettando Manzoni di narrativa in realt se ne scrive, guar-

mantica, Stelzig evidenzia proprio la contiguit con il Bildungsroman (cfr. ivi, pp.
256-257); considerazioni analoghe svolge DIntino in Lautobiografia moderna, cit.,
p. 243. Sullautobiografia (e il diario) depoca romantica, si segnalano, oltre agli
studi gi citati: Rodolfo Paoli, Goethe e Stilling, ovvero pietismo e romanticismo
nella prima autobiografia romantica, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1949;
Francesco Orlando, Infanzia, memoria e storia da Rousseau ai romantici, Pado-
va, Liviana, 1966; Leonzio Pampaloni, Memorialisti dellOttocento, nellopera col-
lettiva Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da Vittore Branca, Tori-
no, Utet, 1974, 19862, iii, ad vocem; Jacques Voisine, De la confession religieuse
lautobiographie et au journal intime: entre 1760 et 1820, in Neohelicon, ii, 3-4,
1974, pp. 337-357; Huntington Williams, Rousseau and romantic autobiography,
Oxford, Oxford University Press, 1983; Jerome Hamilton Buckley, The turning
key. Autobiography and the subjective impulse since 1800, Cambridge, Harvard Uni-
versity Press, 1984; Heidi I. Stull, The evolution of the autobiography from 1770-
1850. A comparative study and analyses, New York-Bern-Frankfurt, Peter Lang, 1985;
Franco Fido, Specchio o messaggio? Sincerit e scrittura nei giornali intimi fra Set-
te e Ottocento (rileggendo Benjamin Constant), in Quaderni di Retorica e Poetica,
2, 1985, numero monografico: Le forme del diario, a cura di Gianfranco Folena, pp.
73-81, poi in Le muse perdute e ritrovate, cit., pp. 149-160; Id., Topoi memorialistici
e costituzione del genere autobiografico fra Sette e Ottocento, cit.; Olga Ragusa, Au-
tobiografia italiana dellOttocento: orientamenti, in Annali dItalianistica, 4, 1986,
pp. 181-188; Michel Bastiaensen, Le journal personnel (1760-1820), in Neoheli-
con, xviii, 2, 1991, pp. 39-71; Jacques Voisine, Mmoires et autobiographie (1760-
1820), ivi, pp. 149-183. Attualmente in corso di stampa sono gli Atti del Convegno
Internazionale di Studi su Memoria e infanzia tra Alfieri e Leopardi, tenutosi a Ma-
cerata dal 10 al 12 ottobre 2002.
32
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 17.
33
Franco Fido, Il fantasma dei Promessi sposi nel romanzo italiano dellOt-
tocento (1984), in Le muse perdute e ritrovate, cit., p. 186.
16 ragionar di s

dando magari al Werther e allOrtis, alla traduzione foscoliana del


Sentimental journey e alla Corinne di Madame de Stal; insomma
al romanzo dellio e di costume contemporaneo piuttosto che al
romanzo storico, di cui sir Walter Scott aveva sfornato il primo
esempio nel 1814 con Waverley 34. Non risalgono al 1816 Il romito-
rio di SantIda, al 1819 il Breve soggiorno di Battistino Barometro e,
allo stesso torno di anni, i progetti autobiografici e narrativi leo-
pardiani? Testi incompiuti e che non hanno fatto scuola; narrativa
dellio condita in varie salse (la satira di costume sociale nel Batti-
stino Barometro, il romanzo gotico nel Romitorio di SantIda) e che,
fatta propria con una formula originale dal Tommaseo di Due ba-
ci e di Fede e bellezza, prender il campo solo agli sgoccioli del se-
colo; ma che intanto c, a testimoniare di un primo Ottocento ric-
co di promesse.
Dato che il romanzo da noi si affaccia sub specie Ortis, i due ver-
santi di scrittura narrativa e autobiografia in Italia si presentano
inestricabilmente congiunti. Il neonato romanzo moderno sta sag-
giando le sue possibilit e si incontra spesso e volentieri con le scrit-
ture dellio: le ingloba e le reinveste, si fa racconto autobiografico o
autobiografia romanzata. Cos, lo sperimentalismo nelle scritture
dellio spesso laltra faccia dello sperimentalismo nel romanzo; e
viceversa. E si sa, sperimentalismo pu essere agevolmente identifi-
cato con crisi ogni qual volta non approda a un risultato compiuto,
ogni qual volta non genera un libro bens solo un manoscritto a
lungo sepolto tra le carte inedite del suo autore; e anche ogni qual
volta non si afferma come canone, linea vincente; tutte cose che ac-
cadono spesso. Non per questo si pu dire che tali esperimenti, an-
che quelli rimasti a una fase progettuale e affidati al segreto delli-
nedito, non facciano la storia della letteratura: come stanno ad at-
testare soprattutto i carteggi, nella ristretta lite degli scrittori pri-
mottocenteschi le notizie circolavano. Per fare un esempio che ci ri-
guarda, Pellico e Borsieri conoscevano bene e seguivano molto da

34
Cfr. Gino Tellini, Sul romanzo di primo Ottocento. Foscolo e lo sperimenta-
lismo degli anni Venti, in Studi italiani, vii, 1, 1995, pp. 47-97, poi, con il titolo Fo-
scolo, Il Conciliatore e lo sperimentalismo degli anni Venti, in Filologia e Storiogra-
fia. Da Tasso al Novecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2002, pp. 29-88.
introduzione 17

vicino e in trepidante attesa quel tentativo di romanzo di Ludovico


Di Breme, Il romitorio di SantIda, rimasto inedito fino al 196135.
Ragion per cui, anche dei fallimenti, o almeno di alcuni, vale []
la pena di indagare le forme, i modi e le cause36.
Prima di procedere, si vogliono qui puntualizzare alcune consi-
derazioni preliminari intorno alla connessione sperimentalismo
narrativo-sperimentalismo autobiografico-crisi dellautobiografia
di cui si diceva, come modesto contributo alla questione. Innanzi-
tutto, il romanzo di vita contemporanea comporta luso dellio co-
me strumento di inchiesta sul presente, ovvero come mezzo di co-
noscenza piuttosto che come fine. Un esempio: nelle Avventure let-
terarie di un giorno (1816) di Pietro Borsieri, quellio cui pure lau-
tore intitola foscolianamente il primo capitolo e che pertanto esi-
bisce pavonescamente nelle pagine liminari dellopera, dopo que-
sta fugace apparizione in veste di primattore, funziona solo da
schermo rifrangente per le polemiche intessute a tavola, a teatro e
cos via, nellarco di una giornata; insomma, per lo scrutinio pole-
mico della societ contemporanea. Con questo si vuol suggerire
che la promozione del genere romanzesco in questa direzione non
eminentemente egocentrica e autoconoscitiva pu aver contribui-
to al disinteresse e allaffossamento (momentaneo) dellautobiogra-
fia canonica, che proprio nellegocentrismo e nellautoconoscenza
ha i suoi punti cardinali. Il nodo appunto questo: il romanzo di
qualit sta lasciando, nellItalia primottocentesca, la strada dellin-
trospezione e dellio protagonista, titanico ed eroico, per quella
dellanalisi del costume contemporaneo e dellio diseroicizzato,
magari impelagato umoristicamente (il che a questa altezza crono-
logica vale quasi come sinonimo di sternianamente) nella realt.
Insomma una strada antitetica a quella dei modelli autobiografici
e narrativi il Rousseau delle Confessions, lAlfieri della Vita, il Fo-
scolo dellOrtis pi attivi negli scrittori italiani37.
Seconda considerazione su questa crisi primottocentesca del-

35
Cfr. infra, pp. 38-40.
36
Franco DIntino, Da Alfieri a Leopardi, cit., p. 95.
37
Cfr. Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 3.
18 ragionar di s

lautobiografia. Crisi del genere dellautobiografia, non certo del-


la scrittura autobiografica; crisi avvertita dai puristi mi si pas-
si lespressione del genere, non dagli studiosi delle scritture del-
lio; perch il momento involutivo dellautobiografia tout court
quella che in molti si sono affannati a definire negli ultimi cin-
quantanni, con esiti pi o meno felici e pi o meno fortunati38
coincide, testi alla mano, con unesplosione di autobiografismo.
Direi anche che parafrasando i termini usati da Battistini per in-
dividuare la nascita dellautobiografia moderna39 con lesperien-
za del Conciliatore si torna a una situazione in cui lautobiogra-
fismo delega i suoi messaggi a generi vicari; lo fa continuamen-
te e, dunque, non avverte pi il bisogno di piena autonomia; si
contenta delle porzioni autobiografiche [] disseminate parassi-
tariamente negli edifici allotrii degli altri generi letterari. Lauto-
biografismo onnivoro e onnicomprensivo, proprio perch onni-
voro e onnicomprensivo, pu non avere bisogno dellautobiogra-
fia vera e propria.
Terza considerazione, strettamente interconnessa alla preceden-
te. Si detto che il primo Ottocento non distingue autobiografia
e romanzo; e non solo questione di terminologia, ma anche di so-
stanza. lo studioso novecentesco che si interroga se quello che ha
davanti pu essere etichettato come autobiografia o romanzo o ro-
manzo autobiografico o autobiografia romanzata in quanto a de-
finizione ibride, chi pi ne ha pi ne metta , non lo scrittore di
fine Settecento o di primo Ottocento: Friedrich Schlegel, per por-
tare un esempio di eccellente romanzo, sceglie le Confessions di
Rousseau40. La nascente autobiografia moderna, tra Sette e Otto-
cento, quando ancora la si chiamava vita, confessioni o ragio-

38
Il pi fortunato senza dubbio quello raggiunto da Philippe Lejeune con
il citato Le pacte autobiographique; Lejeune stesso vi ritornato, con alcune im-
portanti precisazioni, in Le pacte autobiographique [bis], in Potique, 56, 1983, pp.
416-433 (saggio poi rifuso in Moi aussi, Paris, Seuil, 1986).
39
Cfr. Andrea Battistini, Lo specchio di Dedalo, cit., pp. 14-15.
40
Cfr. Friedrich Schlegel, Lettera sul romanzo, in Frammenti critici e scrit-
ti di estetica, traduzione e introduzione di Vittorio Santoli, Firenze, Sansoni, 1967,
pp. 218-219, cit. in Andrea Battistini, I simulacri di Narciso, in Lo specchio di De-
dalo, cit., p. 56.
introduzione 19

nar di s41, stata il pi potente strumento di rinnovamento del


romanzo e della sua moderna fondazione. Chi difende e propugna
il romanzo in epoca romantica lo fa in nome del vero, contro le fri-
volezze avventurose o le assurde pitture di passioni di molte prove
romanzesche precedenti42; e prima che il vero prenda il nome di
Storia, coincide con il vissuto, con la confessione dellautore e
della sua esperienza (con le parole usate da Schlegel per Rous-
seau). Se lautobiografia va a impelagarsi nella narrativa, il roman-
zo talora rinasce attraverso lautobiografia.
Infine, unultima considerazione. Un discorso a parte merita la
caratteristica di opere incompiute che contraddistingue la quasi to-
talit delle esperienze di scrittura che si sono citate. Sperimentali-
smo vuol dire spesso strade percorse e poi, presto o tardi, abban-
donate, o anche percorse fino in fondo ma divenute con il tempo
viottoli erbosi e impraticabili; scampoli, magari solo schegge di
opere o opere compiute ma vissute un giorno, a cui il tempo non
d ragione. Appunto: il tempo dar ragione al romanzo storico,
non ai Battistini Barometri (Pellico), ai letterati avventurosi di un
giorno o alle Laurette (Borsieri), e neanche al prigioniero risenti-
to di Bini o ai tortuosi protagonisti di Fede e bellezza; per lo meno
per vari decenni. Si aggiunga che in quella fioritura sperimentale
imperversa la sindrome del non finito cui si accompagnata spes-
so la pubblicazione postuma di tali incompiuti esiti e, dunque, la
loro trasformazione in un fondo marino impraticabile se non do-
po pazienti operazioni palombare. Significativa la precisazione che
si legge in una lettera proprio di uno dei protagonisti dello speri-
mentalismo primottocentesco, Silvio Pellico. Scrivendo a Confalo-

41
Le terme autobiographie forg en Allemagne et Angleterre au tournant du
XVIIIe au XIXe sicle, ne sera pas dusage courant avant la seconde moiti du XIXe
sicle (Jacques Voisine, Mmoires et autobiographie, cit., p. 176). Sulla nascita del
termine, cfr. soprattutto Id., Naissance et volution du terme littraire autobio-
graphie, nellopera collettiva La littrature compare en Europe Orientale, Confe-
rence de Budapest, 26-29 octobre 1962, Budapest, Akadmiai Kiad, 1963, pp. 278-
286. Una bibliografia sullargomento fornita in Giuseppe Nicoletti, Introdu-
zione allautobiografia italiana del Settecento, cit., p. 11n.
42
Cfr. Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit.,
pp. 1-2.
20 ragionar di s

nieri il 29 maggio 1838 a proposito di libri nuovi da pascere la-


mabile curiosit degli stranieri colti, lex conciliatorista consiglia-
va cos le opere di Manzoni e Rosmini: Non vha dubbio che i due
primari ingegni viventi in Italia, conosciuti per opere pubblicate,
sono Manzoni e Rosmini43. I due primari ingegni, s, ma tra i
conosciuti per opere pubblicate: il che suggerisce lesistenza di
un mondo sommerso di ingegni forse altrettanto primari ma
ignoti per non aver pubblicato. E con questa categoria di ingegni
che hanno pubblicato poco o niente e dunque destinati alloscurit
del sommerso, Pellico era stato ampiamente in contatto.
Senza scomodare le riflessioni per cui lincompiutezza carat-
tere costitutivo in un genere come lautobiografia (si scrive la pro-
pria vita necessariamente da vivi, dunque quando essa non si an-
cora conclusa)44, esempi di non finito, per varie ragioni e a vari
stadi di elaborazione, sono quasi tutti i testi qui considerati: Il ro-
mitorio di SantIda del Di Breme, il Breve soggiorno in Milano di
Battistino Barometro di Pellico, gli scritti autobiografici di Leopar-
di (con leccezione del cosiddetto Diario del primo amore), lauto-
biografia abbozzata da Pellico dopo Le mie prigioni; infine, Un af-
fetto di Tommaseo, memorie politiche scritte per essere pubblicate
postume, poi ripetutamente corrette e infine ripudiate dal loro au-
tore come volume da cui chi avesse tempo e pazienza potrebbe
forse levarne qualche mezza pagina. Senza contare che si possono
ascrivere al limbo delle opere non finite anche il Manoscritto di un
prigioniero di Bini, perch pubblicato postumo senza imprimatur
dellautore; la congerie di foglietti privati del Diario intimo, ma an-
che le Memorie poetiche e il romanzo di Tommaseo, in considera-
zione del fatto che il loro autore avverte lesigenza di rivederli e

43
Lettera cit. in Francesco DOvidio, Proemio, in Silvio Pellico, Le mie
prigioni, I doveri degli uomini, La Francesca da Rimini, con proemio di Francesco
DOvidio, cenni biografici di Michele Scherillo e note di Angelo Ottolini, Mila-
no, Hoepli, 1898, 19326, p. xivn.
44
Cfr. Giulio Ferroni, Per una tipologia del non finito nella letteratura italia-
na, in LAsino doro, ii, 4, 1991, numero monografico: Il non finito nella letteratu-
ra e nellarte, p. 64. Ferroni invita anche ad approfondire il rapporto privilegiato che
taluni generi (tra cui, in primis, lautobiografia) e taluni autori (tra cui Di Breme, Bi-
ni e Tommaseo) mostrano di intrattenere con il non finito (cfr. ivi, p. 54).
introduzione 21

darne alle stampe nuove versioni; e persino Le mie prigioni di Pel-


lico, visto che, pochi anni dopo la prima edizione, sono corredate
dal loro autore di dodici Capitoli aggiunti 45.
Nel nutrito scaffale dei libri incompiuti quasi tutti questi testi
avrebbero ognuno un loro posto. Ed coincidenza, come quasi
tutte le coincidenze, non trascurabile. Induce a un sospetto: che
lincompiutezza talora possa coincidere con una patente sperimen-
tale, che si configuri spesso e volentieri quale scotto da pagare per
aver intrapreso una strada innovativa e solitaria. Il che pu aiutare
a capire perch i primi decenni dellOttocento epoca doro della
scrittura autobiografica, incuneata tra i grandi modelli settecente-
schi e la diffusa memorialistica risorgimentale, e, al tempo stesso,

45
Cfr. ivi, pp. 48-49, in cui Ferroni distingue ed elenca una serie di casi e di
questioni da prendere in considerazione, per un primo orientamento che agevoli il
percorso storico sulla tipologia del non finito. Delle dieci accezioni di non finito l
indicate, qui ce ne riguardano tre: la prima (il caso pi limitato e definito delle ope-
re interrotte, materialmente non concluse dai loro autori, in cui rientrano Il romito-
rio di SantIda del Di Breme e lautobiografia mancata di Pellico); la terza accezio-
ne, che considera le opere che hanno conosciuto redazioni molteplici, in prospetti-
va delle quali la prima si configura come non finita ( il caso delle Memorie poetiche
di Tommaseo e di Fede e bellezza nella prima edizione del 1840); e la quinta acce-
zione (i progetti non realizzati o attuati solo parzialmente [] testi di abbozzi, pro-
getti, prime idee di opere che spesso si trovano tra le carte degli scrittori, come
nel caso degli scritti autobiografici di Leopardi). Una nuova estetica della ricezione,
per cui la nostra cultura si annette materiali inediti, o dimenticati, o espunti, di-
chiarandoli testi (Emma Giammattei, In memoria della scriver lettere. Il gioco dei
carteggi, in Prospettive Settanta, 2-3, 1991, p. 416), sta moltiplicando linteresse per
lelaborazione di una estetica del non finito. Riguardo alla letteratura italiana, ca-
rattere pionieristico hanno il citato numero monografico della rivista LAsino do-
ro, ii, 4, 1991 e il successivo: iii, 5, 1992, numero monografico: Il non finito II: un
confronto italo-tedesco (in particolare, Premessa: non finito e frammento, punti di vi-
sta tedeschi e italiani, pp. 3-5, e lintervento di Remo Ceserani, Incompiutezza, sen-
so dellinfinito e frammentariet: considerazioni preliminari, pp. 6-16). Toccano la
questione del non finito nella scrittura autobiografica anche Klaus-Detlef Ml-
ler, Autobiographie und Roman. Studien zur literarischen Autobiographie der Goethe-
zeit, Tbingen, Niemeyer, 1976, pp. 63, 68; John Sturrock, The new model auto-
biographer (1977), nel volume collettivo Autobiography. Essays theoretical and critical,
a cura di James Olney, Princeton, Princeton University Press, 1980, pp. 51-63; Fran-
co DIntino, Lautobiografia moderna, cit. (in particolare, pp. 79-81, 90-98, 213-
216); Id., Introduzione, in Giacomo Leopardi, Scritti e frammenti autobiografici,
cit., pp. xi-xcviii (in particolare, pp. xiii-xix).
22 ragionar di s

fase irrequieta nel campo delle scritture dellio come in quello del
romanzo , generino tante opere non finite.
Queste considerazioni non vogliono certo esaurire la questio-
ne. Mi premeva mostrare come quella crisi dellautobiografia nel
primo Ottocento di cui si parla quanto meno da chiaroscurare: a
fronte della mancanza di opere che si presentino come autobiogra-
fie rispondenti al modello teorizzato dagli studiosi sulla scorta de-
gli insigni esempi tardosettecenteschi, sta tutta una serie di esperi-
menti e testi incompiuti che rilevano una poliedrica interazione tra
scritture dellio e romanzo. un virus, quello del non finito, a
quanto pare contagiosissimo in questi primi decenni del nostro
Ottocento, ma peraltro non necessariamente nefasto, se attecchi-
sce per un carica innovativa difficile da portare avanti.

2. questioni di metodo

Questo rapido e consapevolmente tendenzioso profilo valga a


suggerire una linea interpretativa. Si sono fatti alcuni nomi (Bor-
sieri, Di Breme, Pellico, Leopardi, Bini, Tommaseo) e alcune date
(il 1816, anno delle pubblicazione delle Avventure letterarie come
della stesura del Romitorio di SantIda, e gli anni Trenta, quando
vedono la luce le Mie prigioni ma, si ricordi, anche le Memorie
poetiche di Tommaseo e, nel 1840, Fede e bellezza). Sono nomi che
certo non esauriscono la pluralit delle forme di scrittura di s
esperite nellarco cronologico delimitato, ma che ne sono rappre-
sentativi. E sono date non di comodo, ma significative: gli scritto-
ri del Conciliatore come eredi della tradizione settecentesca e fo-
scoliana dellio; gli anni Trenta come una sorta di cerniera, sia nel-
la storia dellautobiografia italiana, che scivola ora verso la memo-
rialistica46, sia in quella del romanzo, che vede imporsi il modello
dei Promessi sposi.
Chiudo con una doverosa avvertenza metodologica. Qui non ci

46
Sulla distinzione tra autobiografia e memorialistica, cfr. almeno il classico
Philippe Lejeune, Le pacte autobiographique, cit., pp. 12-13 della citata trad. it.
introduzione 23

si occupa di autobiografia in senso stretto, di categorie formali o di


tipologie astratte; non interessa lenumerazione di problemi teorici e
metodologici, n una statistica ragionata di casi e di possibilit. Si
adotta il termine onnicomprensivo di scritture dellio, in linea con i
recenti orientamenti della letteratura critica intorno allautobiogra-
fia. Gli stessi specialisti, sempre pi insofferenti alle strette categorie
di lejeuniana fondazione, propendono ora a estendere concettual-
mente la definizione di genere autobiografico47 e a radicalizzare il
connotato relativistico di ogni tipologia. Prevale nel territorio delle
proposte pi recenti, non la preoccupazione [] di edificare una
teoria onnicomprensiva e totalitaria del genere autobiografico, ma
quella di moltiplicare i percorsi possibili che circondano e attraver-
sano questa particolare attivit letteraria, secondo una tendenza
pluralistica e antidogmatica48. Al tempo stesso, si sta diffondendo
lidea che oggi [] non valga tanto la pena di studiare la regola,
quanto lanomalia49; e ci si chiesti anche che senso abbia studiare
lautobiografia parlando sempre dei soliti tre o quattro testi50.
Come si sa, invece, gli studi dellultimo venticinquennio a
partire dalla svolta inaugurata da Lejeune nei primi anni Settanta,
dopo la quale si pu considerare la letterariet della scrittura au-
tobiografica come un dato stabilmente acquisito51 si sono posti

47
Cfr. Paola Luciani, Autobiografia dellessere e autobiografia dellagire: Rous-
seau e Alfieri, in Rivista di letterature moderne e comparate, xlix, 3, 1996, p. 293.
Lo stesso Battistini (in Il superego dei generi letterari, in Lo specchio di Dedalo, cit.,
pp. 163-196), affrontando la storia delle scritture autobiografiche in Italia, ha av-
vertito la necessit di postulare un macrogenere autobiografico, al di l delle ri-
strette categorie lejeuniane. Addirittura Arrigo Stara (in Autobiografia e romanzo,
in La Rassegna della letteratura italiana, s. viii, lxxxix, 1, 1985, pp. 128-141), trat-
tando del pieno Novecento, arriva a definire lautobiografia un carattere intrinse-
co e quasi statutario della parola romanzesca, come immanenza del discorso auto-
biografico dellautore in ogni atto di creazione immaginativa (ivi, p. 141).
48
Bartolo Anglani, Introduzione, nellantologia Teorie moderne dellauto-
biografia, cit., p. x.
49
Elena Agazzi, Introduzione, nellopera collettiva Il segno dellio, cit., p. 11.
50
Cfr. Franco DIntino, I paradossi dellautobiografia, cit., ripreso anche in
Raul Mordenti, Introduzione, nellopera collettiva Scrivere la propria vita, cit., p. 15.
51
Bartolo Anglani, Introduzione, nellantologia Teorie moderne dellauto-
biografia, cit., p. x.
24 ragionar di s

soprattutto il problema della specificit del genere autobiografico


rispetto alle forme contigue. Sono state necessit definitorie a pre-
dominare, il problema assillante dei confini del genere, di chi sta
dentro e di chi sta fuori. Qui ci si accontenta della definizione
istintiva di autobiografia come una biografia scritta da colui o da
colei che ne il soggetto52 (o, per dirla con Starobinski, la bio-
grafia duna persona fatta da essa stessa). In pi, ci si limita a con-
siderare lautobiografia come parte, sia pure distinta, dellampio
universo delle forme narrative; e ci si arrende al fatto che la finzio-
nalit lo stato ontologico di ogni testo53. Il che non vuol dire
derivarne un appiattimento di tutte le forme narrative in un unico
oceano, ma approfittarne per non lasciarsi ingurgitare dallansia di
distinguere fattualit e finzione nei testi esaminati. Fermo restan-
do, per, che proprio le proposte di lettura che insistono sullau-
tobiografia come costruzione dellio a partire dal fondativo e
fortunato saggio di Gusdorf Conditions et limites de lautobio-
graphie (1956)54 rimangono a mio parere le pi persuasive e lin-
dagine sul rapporto tra vissuto e costruzione narrativa la pi profi-
cua in sede critica.
Per cui, lungi dal soffrire di ossessioni definitorie come di
quella che potremmo chiamare sindrome di Misch, consistente
nel considerare autobiografia ogni scrittura ove siano impresse
marche autorali di un qualche tipo55, mi basta qui aver com-
piuto quel supplemento dindagine che per la scrittura autobio-
grafica richiesto dallanomala coincidenza di autore narratore e

52
Cfr. Georges May, Introduction, in Lautobiographie, cit., pp. 9-13 (par-
zialmente trad. nellantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit., pp. 67-70).
53
Cfr. Paul Jay, Introduction, in Being in the text. Self-representation from
Wordsworth to Roland Barthes, Ithaca-London, Cornell University Press, 1984, pp.
13-32 (parzialmente trad. nellantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit., pp.
91-102).
54
Cfr. Georges Gusdorf, Conditions et limites de lautobiographie, nellope-
ra collettiva Formen der Selbstdarstellung. Analekten zu einer Geschichte des literari-
schen Selbstportraits, Berlin, Duncker & Humblot, 1956, pp. 105-123 (parzialmente
tradotto, con il titolo Condizioni e limiti dellautobiografia, nellantologia Teorie
moderne dellautobiografia, cit., pp. 3-18).
55
Andrea Cortellessa, Generi contigui allautobiografia, cit., p. 355.
introduzione 25

personaggio56; il che al giorno doggi implica almeno aver percor-


so la selva labirintica della bibliografia sullargomento per esser poi
riapprodati al punto di partenza, stanchi e anche sazi ma con mol-
te idee in pi. Qui si esula, insomma, dal problema del genere, per-
suasi anche di non avere una preparazione adeguata a presentarsi
in veste di teorici57; e forti della convinzione di non essere in cat-
tiva compagnia, anche nel novero degli specialisti58. Ci si attiene,
seppure nutriti dalle riflessioni sui meccanismi della scrittura auto-
biografica condotte da altri, a una ricognizione e un sondaggio di
alcune concrete esperienze di scrittura, senza partecipare, neanche
indirettamente, al dibattito teorico. Si mira piuttosto a contribui-
re a rimediare al fatto che qualunque motivata ipotesi generale sul-
la crisi dellautobiografia nel primo Ottocento, non rende giustizia
ai filamenti di sensibilit individuali, ai climi fugaci che questi au-
tori, variamente dislocati nel nostro panorama letterario, rappre-
sentano, agli echi evanescenti dei loro testi, minoritari e magari an-
che non finiti. Questultimi si vogliono qui eleggere a veri prota-
gonisti; il che non toglie che laffondo dellanalisi testuale possa
fornire in ultima sede alcuni elementi di riflessione storica e per-
metta talvolta di trascorrere momentaneamente dallo svolazzo di
testo in testo a una prospettiva a volo duccello. Si cercato di fa-
re della definizione teorica dei generi non una gabbia concettuale
per separare e ripartire comodamente testi e autori nelluna o nel-
laltra teca, ma un punto di forza dellanalisi testuale, ricavandone
una griglia di spunti di indagine proficui per penetrare i meccani-
smi di scrittura: non certo prescindendo dalla discussione teorica
sui generi, ma insieme senza assumerla a faro della ricerca.

56
Andrea Battistini, Il fluido della vita e il cristallo della scrittura, in Lo
specchio di Dedalo, cit., p. 129.
57
Richard N. Coe (in When the grass was taller. Autobiography and the expe-
rience of childhood, New Haven-London, Yale University Press, 1984, p. xiv) scri-
ve di aver letto quasi seicento fonti primarie durante gli otto anni della ricerca.
58
Cfr. almeno i citati Georges May, Introduction, in Lautobiographie, cit.,
pp. 9-13, e Paul Jay, Introduction, in Being in the text, cit., pp. 13-32.
I.Allombra di quella divinit che si chiama Io .
Le proposte del Conciliatore

Fa un romanzo. Scrivi la tua vita, velando,


aggiungendo, modificando, ed ecco un romanzo.
(Silvio Pellico al fratello Luigi, [luglio 1816])

1. sullo sperimentalismo dei conciliatoristi

Rasori, Breme ed altri, la pi parte amici tuoi caldissimi (e vi son io),


faremo un giornale, che uscir il 3 settembre prossimo. Corr qualche
occasione per mandarti il nostro Manifesto.

Ti dissi, mi pare, nellaltra mia che si stampa un nuovo Giornale let-


terario a Milano, impresa non mercantile, ma danimi sinceri e anelan-
ti la diffusione del vero. I soci sono Rasori, Breme, Borsieri, Berchet, io,
ed altri, fra i quali Sismondi di Ginevra Ti mando i primi due nu-
meri del nostro Giornale. Vedrai che il nostro supplizio si quello di ot-
tenere dalla censura il permesso di dire qualche verit. Siamo associati al-
lEdimburgh-Rewiew. Spero che talvolta vi troveremo articoli tuoi, e che
potremo riportarli nel nostro Conciliatore 1.

1
Silvio Pellico a Ugo Foscolo, Milano, 9 agosto e 9 settembre 1818, in Epi-
stolario di Silvio Pellico, cit., pp. 13, 14-15. Nella seconda citazione, i puntini di so-
spensione corrispondono a un taglio voluto da Pellico stesso, che raccomand al
primo editore dellepistolario foscoliano, Francesco Silvio Orlandini (cfr. Epistola-
rio di Ugo Foscolo, 3 voll., in Opere edite e postume, a cura di Francesco Silvio Or-
landini e Enrico Mayer, Firenze, Le Monnier, 1850-1862, vi-viii; le lettere di Pelli-
co si leggono nel vol. viii), di espungere un passo polemico sulle paure di Mon-
ti per la nuova iniziativa editoriale (cfr. Silvio Pellico a Francesco Silvio Orlandini,
Torino, 15 settembre 1853, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 401).
28 ragionar di s

Cos, nella tarda estate del 1818, Silvio Pellico annunciava a Fo-
scolo la nascita del Conciliatore, sperando di procacciarsi linte-
resse e magari la firma dellillustre esule. Dal canto suo, com no-
to, a esperienza conclusa, nel 1824 Foscolo non fu troppo genero-
so coi volenterosi conciliatoristi:

Un altro giornale letterario, intrapreso sei anni dopo, sotto il titolo


Conciliatore, costitu un vano tentativo di opporsi alla dannosa tendenza
della Biblioteca italiana. I fondatori di quellimpresa ebbero pi buone
intenzioni e pi abilit, che non pratica e prudenza. Le pagine del gior-
nale, quasi esclusivamente occupate nel favorire i partigiani del romanti-
cismo contro i partigiani de classici, risultarono tediosissime alla genera-
lit dei lettori, che richiede opere dimmaginazione belle e fatte e non lun-
ghe disquisizioni intorno alla maniera di comporle2.

Il giudizio foscoliano sul foglio azzurro come esperienza ge-


nerosa ma incapace di scendere dalla teoria alla pratica non del
tutto fondato. in direzione di questo accertamento che sono an-
dati studi antichi e recenti3. Il Conciliatore si riconosciuto
allinea non poche opere dimmaginazione, le quali non possono
essere appiattite nella loro spesso pur indubbia consistenza di ma-
nifesto. In effetti, la sezione Letteratura e critica la seconda delle
quattro materie in cui, come da programma, il foglio scientifico
letterario diviso , prima che il giornale venga stroncato nel suo
fervore iniziale da lpidmie de carb[onarisme]4, in un anno di
2
Ugo Foscolo, La letteratura periodica italiana, cit., p. 393. Per il giudizio
di Foscolo sul Conciliatore e per il rapporto tra le istanze della generazione di
Pellico, Borsieri, Di Breme con leredit foscoliana, cfr. soprattutto Saveria
Chemotti, Foscolo, Pellico e Il Conciliatore: dagli astratti furori ai nuovi dove-
ri, nellopera collettiva Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, cit., iv, Tra
Illuminismo e Romanticismo, 2, pp. 473-492.
3
Si veda almeno Giorgio Petrocchi, Confalonieri e i racconti del Conci-
liatore, in Italianistica, i, 2, 1972, pp. 235-244, poi in Lezioni di critica romanti-
ca, Milano, Il Saggiatore, 1975, pp. 39-50; Ugo M. Olivieri, P. Borsieri e il ro-
manzo darea lombarda nella prima met dellOttocento, nellopera collettiva Effetto
Sterne. La narrazione umoristica in Italia da Foscolo a Pirandello, Pisa, Nistri-Lischi,
1990, pp. 121-143, e Gino Tellini, Sul romanzo di primo Ottocento, cit.
4
Stendhal a Adolphe de Mareste, [Gnes], le 2 novembre [1819], cit. in
Alessandro Manzoni, Le tragedie, a cura di Gino Tellini, Roma, Salerno Editri-
ce, 1996, pp. 959-960.
i. le proposte del conciliatore 29

vita non infeconda ospita sperimentazioni narrative che spaziano


dalle partiture del racconto breve al rcit filosofico, dalla parodia al-
la fantasia satirica, dalla cronaca mondana e teatrale alla finzione
epistolare, al frammento romanzesco5: tutte forme usate, di volta
in volta, come veicolo di poetica o di giudizi sociali e politici. I
conciliatoristi non sono, come li bollava sbrigativamente Foscolo,
solo astratti predicatori di innovazioni letterarie6. Non fossal-
tro, ragioni sia di poetica che empiriche richiedono che gli scritto-
ri del foglio azzurro svolgano il loro compito di predicatori ca-
muffati negli abiti pi appetibili e, insieme, meno riconoscibili,
dellintrattenitore:

In un angolo del Conciliatore, non tanto a sancire lavvenuta conquista


duna nuova prosa creativa secondo gli ideali espressi nei numeri del foglio
azzurro e ancor prima nelle polemiche del 16, quanto per creare zone di
letteratura dintrattenimento che valessero ad attirare pi lettori al dibattito
assolutamente centrale, stanno una serie piuttosto folta di novelle, apologhi,
aneddoti, resoconti di viaggi, lettere narrative e morali, pezzi di cronaca,
saggi di traduzione (anche in versi), dialoghi letterari, variet, ecc. Lo ri-
chiede lo stampo tradizionale del giornalismo inglese e del Caff, ma i Con-
ciliatoristi vaggiungono il gusto dun ritrovato piacere per il racconto o,
meglio, per lo svago o linciso narrativo []. Pur tuttavia non tutto di-
letto del divertissement letterario; c di pi e di meglio: la volont di espri-
mere, dietro le ambagi della novelletta amena o morale, il giudizio non al-
trimenti divulgabile avverso la societ conservatrice italiana, il tipo di poli-
tica dominante dellAustria nella Lombardia, i governanti, la censura7.

Va riconosciuto che nelle pagine del Conciliatore il discorso

5
Utile la catalogazione fornita in Alessandra Briganti-Camilla Catta-
rulla-Franco DIntino, I periodici letterari dellOttocento. Indice ragionato (col-
laboratori e testate), Milano, Franco Angeli, 1990, pp. 46-47: se ne ricava agevol-
mente che largo spazio dato a narrativa di fantasia (favole, novelle), spettacolo
(dialoghi), variet, saggistica (critica letteraria), recensioni librarie; nessun spazio
invece alla narrativa empirica (biografie, autobiografie, memorie, agiografie, diari,
relazioni di viaggi); piuttosto, versi, cronaca e attualit (corrispondenze e polemi-
che), testi descrittivi, inediti, moda.
6
Ugo Foscolo, La letteratura periodica italiana, cit., p. 393.
7
Giorgio Petrocchi, Confalonieri e i racconti del Conciliatore, cit., p. 235.
30 ragionar di s

teorico talora si distende nelle sedi a esso tradizionalmente deputate


(saggi e anche recensioni), ma pi spesso si incarna in forme narra-
tive sperimentali; d vita, proseguendo su una strada intrapresa gi
prima della nascita del foglio azzurro, sin dal 1816 delle Avventure
letterarie di un giorno di Borsieri, a manifesti in re. Anche a non iden-
tificare questa messe disomogenea di scritti con la testimonianza del-
la conquista duna nuova prosa creativa, ormai fuor di discussione
che le esperienze narrative che ruotano intorno al Conciliatore co-
stituiscono una tappa significativa della lunga strada da percorrere in
Italia per arrivare a una moderna forma di romanzo che [] si pro-
ponga come realistico quadro di vita contemporanea8.
Non preme qui ripercorre linteresse e il dibattito dei concilia-
toristi intorno ai generi (e soprattutto intorno al romanzo; aspetti
peraltro ricostruiti in modo eccellente gi da altri9); n tanto me-
no ci si sogna di indagare lo scivoloso discrimine che separa vellei-
tarismo ed effettiva conquista di una nuova, originale prosa creati-
va. Prima di passare in rassegna alcuni sperimentali scritti narrati-
vi di ispirazione autobiografica approntati tra il 1816 e il 1819 dal
gruppetto pi irrequieto e battagliero (quello del Breme, Pellico,
Borsieri)10, interessa qui richiamare brevemente lattenzione su al-
cuni cruciali aspetti a monte di tale sperimentalismo.
Innanzitutto, la priorit etico-civile e la finalit pedagogica del-
loperazione culturale11 che al centro della battaglia ingaggiata
dal Conciliatore e la conseguente attenzione per il genere del ro-

8
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 3.
9
Cfr. soprattutto la rapida quanto limpida rassegna di testimonianze intes-
suta da Mario Santoro, Dal romanzo storico al romanzo decadente, Napoli, Li-
guori, 1970, pp. 10-15, la dettagliata ricostruzione di Rodolfo Macchioni Jodi,
Prodromi di narrativa ottocentesca, in Prodromi di narrativa ottocentesca e altri stu-
di, Messina-Firenze, DAnna, 1973, pp. 7-206, alle pp. 7-70, e Gino Tellini, Sul
romanzo di primo Ottocento, cit.
10
Vittore Branca, Prefazione, in Il Conciliatore. Foglio scientifico-letterario,
a cura di Vittore Branca, 3 voll., Firenze, Le Monnier, 1948-1954, i, p. xiii. Da que-
sta a tuttoggi fondamentale edizione (dinnanzi semplicemente: Il Conciliatore), si
citano i testi apparsi sul foglio azzurro.
11
Michele DellAquila, Profilo di Ludovico di Breme, Fasano, Schena,
1988, p. 136.
i. le proposte del conciliatore 31

manzo, verso cui, com noto, contro la diffidenza della cultura clas-
sicista, si fa esplicito e spiccato linteresse dei romantici lombardi. A
questo proposito sono particolarmente eloquenti alcune note pagi-
ne delle poco fa citate Avventure borsieriane: quel capitolo settimo,
Il pranzo, in cui lautore prende le difese del romanzo, Musa divi-
na che non ebbe culto in Grecia in una contemporanea lettera di
Pellico12, genere proscritto nella letteratura italiana moderna, la
quale ha la gloria di non averne o pochissimi, nella prima stesura
dellintroduzione al Fermo e Lucia 13. Nel libello di Borsieri il ro-
manzo viene difeso e propagandato come pittura delle passioni e
dei costumi contemporanei in funzione pedagogica e, dunque, co-
me una delle tre parti integranti dogni letteratura, a fianco di
teatro comico e di buoni giornali, [...] che sono destinate ad edu-
care e ingentilire la moltitudine14. Questo secondo la concezione
romantica dello stretto rapporto tra letteratura e societ contempo-
ranea, secondo il principio dellattualit e del carattere popolare
della letteratura (e non senza, da parte di Borsieri, un moralismo
un po angusto)15: bisogna combattere la corruzione colle sue stes-
se armi, e servirsi della pittura dei nostri costumi per insinuare ne-
gli animi svogliati qualche utile verit16.
Tre anni dopo, non suoner troppo diversamente la un po me-
no nota recensione di Pellico alle Lettere di Giulia Willet 17, pateti-

12
Silvio Pellico al fratello Luigi, 16 settembre [1816], in Silvio Pellico, Let-
tere milanesi (1815-1821), a cura di Mario Scotti, Torino, Loescher, 1963 (supple-
mento n. 28 del Giornale storico della letteratura italiana), p. 67. I Greci non
ebbero romanzi o non cominciarono ad averne se non quando gi toccavano alla
decadenza loro, si legge nelle coeve Avventure borsieriane, uscite il 19 settembre
1816 (Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno o consigli di un galantuo-
mo a vari scrittori, a cura di William Spaggiari, Modena, Mucchi, 1986, p. 84).
13
Alessandro Manzoni, Fermo e Lucia, a cura di Salvatore Silvano Nigro,
con la collaborazione di Ermanno Paccagnini, Milano, Mondadori, 2002, p. 5.
14
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 87.
15
Cfr. William Spaggiari, Introduzione, in Pietro Borsieri, Avventure let-
terarie di un giorno, cit., p. xx e soprattutto Sebastiano Timpanaro, Unoperetta
di Pietro Borsieri ed una di Pietro Giordani (1987), in Nuovi studi sul nostro Otto-
cento, Pisa, Nistri-Lischi, 1995, pp. 37 sgg.
16
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 85.
17
Nel n. 37 (7 gennaio 1819), del foglio azzurro (in Il Conciliatore, ii, pp.
15-19). La citazione che segue, ivi, p. 19.
32 ragionar di s

co romanzo epistolare della cesenatese Orinzia Romagnoli Sacra-


ti la cui protagonista sconta la condizione di orfana indifesa con
un amore infelice che la conduce alla tomba. Prontamente il
recensore coglie lo spunto per propagandare ladozione di questo
genere presso gli scrittori italiani e, nel contempo, per contestare
le riserve dei suoi detrattori. Di nuovo, giover ricordare, nella
difesa del romanzo il Pellico rifletteva due motivi fondamentali
della poetica romantica []: la popolarit e laderenza della
letteratura alla realt della societ contemporanea18. Fin qui
niente di nuovo rispetto alla presa di posizione di Borsieri nelle
Avventure. Vale la pena rammentare per che lautore della Fran-
cesca da Rimini insiste sulla materia amorosa e passionale del ro-
manzo come veicolo privilegiato di uno studio realistico e acu-
minato del cuore umano e di un ritratto della societ al vero.
Analisi interiore e indagine sul contemporaneo per il Pellico mi-
lanese vanno a coincidere: fare studio delle passioni che
esercitano un grande impero nella societ, copiare i personaggi
dalla societ e non dai libri sono i due comandamenti del ro-
manziere; e libri [] dove la societ ritratta al vero, e dove il
cuore umano analizzato con pi minuta esattezza19 sono i ro-
manzi (per ora conta meno lilluminante [] osservazione del
valore educativo che avrebbe potuto assumere la storia, se questa,
pi che grandi eventi pubblici, avesse ritratto la vita e il costume
della societ20, perch rester tale, solo unosservazione, per gli
scrittori del Conciliatore).

18
Mario Santoro, Dal romanzo storico al romanzo decadente, cit., p. 12.
Questa recensione di Pellico costituisce un chiaro e precoce esempio del fenome-
no messo in evidenza da Roberta Turchi, Introduzione, in Paride Zajotti, Po-
lemiche letterarie, a cura di Roberta Turchi, Padova, Liviana, 1982, pp. ix-x: nel
primo Ottocento, e particolarmente tra il 1827 e il 1831, la recensione [] con la
disputa del romanzo divenne il luogo deputato del dibattito culturale. I critici
non la usarono solo in senso illustrativo per dare il ragguaglio e per esprimere,
quindi, il giudizio su unopera, ma pi modernamente colsero in essa la possibi-
lit di sviluppare un discorso teorico che portasse a chiarire la funzione e le for-
me della letteratura.
19
Silvio Pellico, Lettere di Giulia Willet, in Il Conciliatore, ii, p. 18.
20
Mario Santoro, Dal romanzo storico al romanzo decadente, cit., p. 13. Il
i. le proposte del conciliatore 33

questo il primo aspetto che interessa per il carattere sperimen-


tale della narrativa degli uomini del foglio azzurro e per il loro
complesso uso delle scritture dellio: la vocazione moralistica e con-
temporanea, per cui lo scrittore engag assolve un compito educati-
vo che si traduce in un apostolato trascendente ogni municipali-
smo21 e, bisogna aggiungere, ogni personalismo, dunque superiore
a ogni puntiglio autobiografico. Lesperienza autobiografica espe-
rienza di uomini e cose sar indispensabile allanalisi veritiera del
cuore e della societ; ma sar un mezzo e non un fine. Lio tita-
nico che giganteggiava sulla scena nelle autobiografie di Rousseau e
di Alfieri e nel romanzo di Foscolo finisce allora in sordina, entro
strutture compositive che orientano gli aspetti polemici della de-
nunzia e della satira allintento costruttivo del rinnovamento libera-
le dei costumi e delle istituzioni civili22. la breve illusione del
Conciliatore.
Questa tensione verso il contemporaneo non vuol dire annul-
lamento dellio. Anzi. Proprio la finzione autobiografica si rivela
nei conciliatoristi strumento privilegiato nel tentativo di rinnova-
re lo spirito polemico del saggismo illuministico, modernamente
attualizzato23. In effetti, se c unesperienza letteraria che del pro-
nome io ha fatto una bandiera, quella degli scrittori del foglio
azzurro, i quali ereditano quella divinit (Regna in noi tutti
quella divinit che si chiama Io )24 dal maestro Foscolo. Era stato

passo di Pellico in questione il seguente: La storia sarebbe eccellente per loro


[per le donne, pubblico privilegiato del romanzo nel dibattito primottocentesco]
se vi fosse una storia meno degli imperi che degli uomini, una storia in cui le sce-
ne segrete della vita fossero svelate, in cui i quadri di famiglia non fossero omessi.
Ma questa storia non esistendo fuorch in pochi libri di biografia, non meravi-
glia se le donne gustano sovra ogni altro la lettura de romanzi.
21
Andrea Battistini-Ezio Raimondi, Retoriche e poetiche dominanti, nel-
lopera collettiva Letteratura italiana, diretta da Alberto Asor Rosa, iii, 1, Le forme
del testo. Teoria e poesia, Torino, Einaudi, 1984, p. 183.
22
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 22.
23
Ibidem.
24
Ugo Foscolo, Ragguaglio dunadunanza dellAccademia de Pitagorici, in
Opere. Ed. Naz., vii, Lezioni. Articoli di critica e di polemica, 1809-1811, a cura di
Emilio Santini, Firenze, Le Monnier, 1933, p. 248.
34 ragionar di s

questultimo ad additare la formula ortisiana del saldare letteratu-


ra e vita, lunica miscela romanzesca italiana disponibile nel 1816:
Come? lItalia non ha Romanzi? bestemmie bestemmie; non ab-
biamo forse il Jacopo Ortis?, Borsieri non trovava altro da escla-
mare contro un tale denigratore del romanzo nelle sue Avventu-
re 25. Foscolo stesso di quella formula stava offrendo versioni pi
complicate e meno trasparenti nella congerie in parte sommersa
dei cosiddetti scritti didimei. Ma anche il Foscolo didimeo ema-
nava un invito esplicito allautobiografia, se uno dei manoscritti at-
tribuiti a Didimo Chierico consiste nei Didymi clerici libri memo-
riales quinque, in cui lautore descrive schiettamente i casi per lui
memorabili dellet sua giovenile educata dagli uomini letterati26.
E inaugurava una particolare tipologia di autobiografismo, se con
Didimo evocava quasi una controfigura destinata a nascondere la
sua identit27. La strada disegnata dal Foscolo didimeo andava
verso un autobiografismo mimetizzato in cui autore e personag-
gio non si sovrappongono pi di tanto e il primo non cos facil-
mente riconoscibile dietro il secondo e sdrammatizzato median-
te il ricorso a un personaggio-filtro, ironico e disincantato, che
unisse consapevolezza, saggezza e distacco. Sar analoga a questa la
via battuta anche dagli scrittori del foglio azzurro; scrittori pro-
tesi verso una letteratura dellio che si trasformi continuamente in
qualcosaltro: in letteratura, antieroica e moralistica, del cuore e
della societ. Punto comune tra le loro prove che linteresse per
le scritture dellio si coagula intorno alla funzione civile dellarte:

25
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 83.
26
Ugo Foscolo, Notizia intorno a Didimo chierico, in Lawrence Sterne,
Viaggio sentimentale nella versione di Ugo Foscolo, a cura di Gianfranca Lavezzi, te-
sto inglese a fronte, Milano, Rizzoli, 1995, p. 393.
27
Giorgio Luti, Introduzione, in Ugo Foscolo, Scritti didimei, a cura di
Giorgio Luti (Milano, Longanesi, 1974), Firenze, Vallecchi, 1991, p. 5. Cfr. ivi, p.
6: il personaggio di Didimo [] dovette in primo luogo servire a sdrammatizza-
re lautobiografismo foscoliano, o quanto meno a depurarlo dalla matrice ortisia-
na [], mediante il ricorso a una arguta e sfumata sensibilit, dominata da uno
scettico controllo intellettuale e da un ermetico mimetismo che confonde le carte
e impedisce il sovrammettersi sistematico delle due immagini, quella del perso-
naggio e quella dello scrittore.
i. le proposte del conciliatore 35

lautobiografia slitta cos verso il quadro sociale contemporaneo in


cui lio interessa solo come pedina cruciale del gioco, per lo pi
nella funzione di testimone critico.
I testi creativi dei conciliatoristi sono, appunto, opere che sem-
brano trasformarsi in qualcosaltro mentre si legge, non appena si
pensato di stringerle e contenerle in una definizione. Il cerchio si
chiude. Ancora nelle Avventure di Borsieri si rintraccia laltro moti-
vo essenziale della poetica dei romantici lombardi: laspirazione al
superamento della rigida distinzione classicista dei generi28. I con-
ciliatoristi si appropriano dei generi consolidati o in via di consoli-
damento spesso forzandone forme e contenuti, sottoponendoli a
una sperimentazione cosciente e talvolta spregiudicata. Punto di for-
za cruciale di questo loro sperimentalismo proprio labbattimento
delle barriere fra i generi e, insieme, la loro corrosione dallinterno
attraverso un uso umoristico delle forme della tradizione. Lestro
umoristico non risparmia niente e nessuno, dal romanzo sentimen-
tale a quello gotico, alla stessa autobiografia, talvolta piegata a svago
parodico, pur nutrito di irrinunciabili allusioni politiche: si pensi,
per esempio, alla Vita dun orso, scritta da lui medesimo di Federico
Confalonieri29, o a un articolo, probabilmente di Silvio Pellico, dal
titolo Le memorie della mia sedia ai giardini pubblici di Olinam, mai
pubblicato per il veto della censura30. Ne conseguono effetti dirom-
penti, anche se destinati a restare episodici, nella letteratura dellio.
E non c niente di meglio che una lettura diretta per accorgersene.
Al crocevia di questi tre aspetti vocazione contemporanea e
moralistica, autobiografismo mimetico, deriva dei generi si col-
locano le prove maggiori e minori dei tre cervelli gravidi (come
ebbe a definirli Pellico nel 1816, a proposito di quel Bersagliere
che fu progetto antesignano del foglio azzurro31) del Concilia-

28
Mario Santoro, Dal romanzo storico al romanzo decadente, cit., p. 11.
29
Nel n. 30, 13 dicembre 1818 (in Il Conciliatore, i, pp. 478-481).
30
Cfr. Vittore Branca, Nota, in Il Conciliatore, i, p. lxi.
31
Silvio Pellico al fratello Luigi, 3 aprile 1816, in Ilario Rinieri, Della vita e
delle opere di Silvio Pellico: da lettere e documenti inediti, 3 voll., Torino, Libreria
Ed. R. Streglio, 1898-1901, i, pp. 143-144 (ora anche in Silvio Pellico, Lettere mi-
lanesi, cit., p. 39).
36 ragionar di s

tore: Di Breme, Borsieri e Pellico stesso. Ma lo hanno gi la-


sciato intuire le pagine delle Avventure borsieriane e del Pellico re-
censore prima accostate ognuno lo fa secondo una propria para-
bola e con un personalissimo contributo a questioni di comune in-
teresse. Gruppo compatto quello dei futuri sodali del foglio az-
zurro, ma con individualit ben definite da cui germinano scrit-
ture autobiografiche e narrative di taglio ben diverso. Allunicit di
intenti corrisponde una pluralit di soluzioni:

il romanzo gotico parodizzato e rivolto allindagine etico-introspettiva


(con il Romitorio di SantIda, lasciato nel 1816 incompiuto e inedito da di
Breme); il sentimentalismo wertheriano (con il Pellico recensore delle Let-
tere di Giulia Willet [Roma, Tipografia De Romanis, 1818] della marchesa
Orinzia Romagnoli Sacrati); il racconto sterniano e didimeo (con il Pelli-
co del Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro e in parte con il
Borsieri della Storia di Lauretta); lapologo fantastico (con il Di Breme
della novella Lebino)32.

Tutti esperimenti che vogliono supplire il difetto di prosa33 in


Italia e molti dei quali, per una ragione o per unaltra, non finiti.

2. di breme, il romanzo e il probleme du moi:


il romitorio di santida

Della sindrome del non finito, tra i conciliatoristi Di Breme


appare la vittima per eccellenza. O cos almeno lo ritraeva Pellico,
pochi giorni dopo la sua morte:

Lodovico non ha lasciato nulla di terminato: la sua mente feconda


preparava molti lavori, ma tutto restato imperfetto.
Egli mi disse che mi lascierebbe le sue carte: vedr se vi sar qualcosa
da pubblicarsi che possa fare onore alla sua memoria, ma temo di non tro-
vare che abbozzi34.

32
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., pp. 21-22.
33
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 85.
34
Lettera di Silvio Pellico cit. in Piero Camporesi, Introduzione, in Ludo-
i. le proposte del conciliatore 37

Nato per teorizzare, buono solo alla polemica e incapace di


unopera di lunga lena, si definiva Di Breme stesso, in un autori-
tratto citato preliminarmente, a mo di attenuante, da tutti o qua-
si i suoi studiosi: Je ne sais pas si je suis ou non appel faire des
bons livre: je prfrais encore ce talent l le secret de dtruire les
mauvais35. Nella vasta sperimentalit bremiana, che si coniuga
spesso e volentieri a una condizione di incompiutezza, un posto
spetta anche allesperienza narrativa. Incompiuto il Lebino, apo-
logo morale rimasto fermo alla prima puntata, che appare nel n. 88
(domenica 4 luglio 1819) del Conciliatore36: troppo presto con-
siderando che il bisettimanale foglio azzurro muore di morte vio-
lenta il successivo 17 ottobre per ipotizzare che la chiusura forza-
ta del giornale abbia determinato limpossibilit di andare oltre
quella prima parte. Lo testimonia indirettamente il fatto che del
Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro, la cui pubblica-
zione avviata nel numero immediatamente precedente a quello in
cui appare la prima puntata del Lebino, ovvero gioved 1 luglio
1819, fanno in tempo a uscire ben altre due parti (nel n. 100, 15 ago-
sto 1819, e nel n. 105, 2 settembre 1819). Ce n abbastanza in as-
senza di testimonianze che indichino un accanimento della censu-
ra tale da spingere lautore a rinunciare , per dedurre che Di Bre-
me non aveva altre puntate da pubblicare; o, se le aveva in mente,
gli sono rimaste nella penna.
Non terminato, rimasto in gran parte nella penna del suo au-

vico Di Breme, Il romitorio di SantIda, inedito a cura di Piero Camporesi, con


appendice di Scritti biografici , Bologna, Commissione per i Testi di Lingua, 1961,
p. xxiv. Per un ritratto a tutto tondo di Ludovico Arborio Gattinara dei marchesi
di Breme, cfr. soprattutto Carlo Calcaterra, Introduzione, in Ludovico Di
Breme, Polemiche. Intorno allingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani, Il
Giaurro di Lord Byron, Postille al Londonio, introduzione e note di Carlo Calca-
terra, Torino, Utet, 1923, pp. v-lxxxii; Angiola Ferraris, Ludovico di Breme. Le
avventure dellutopia, Firenze, Olschki, 1981; Michele DellAquila, Profilo di Lu-
dovico di Breme, cit. e il volume collettivo Ludovico di Breme e il programma dei ro-
mantici italiani, Atti del Convegno di Studi, Torino, 21-22 ottobre 1983, Torino,
Centro di Studi Piemontesi, 1984.
35
Cos Di Breme, il 1 dicembre 1814, alla contessa dAlbany (cit., tra laltro,
in Carlo Calcaterra, Introduzione, cit., p. xlii).
36
In Il Conciliatore, iii, pp. 21-28.
38 ragionar di s

tore anche il romanzo tentato dallabate torinese intorno al 1816,


il suo pi ambizioso progetto narrativo, Ida. Ci giunta solo la pri-
ma parte, peraltro essa stessa incompiuta: Il romitorio di SantI-
da, racconto preliminare si legge sul terzo foglio del manoscritto
apografo di centocinquattotto pagine che ci conservato37. Del ro-
manzo progettato Il romitorio andava dunque a costituire solo la
parte introduttiva (il necessario prologo di una storia ben altri-
menti importante lo definisce Di Breme). Ne nota la genesi38,
ma giover qui rammentarne le tappe essenziali. Poich nel no-
vembre 1815 nessun successo arride alla prima mantovana della
comdie larmoyante Ida su cui Di Breme aveva investito tante
energie e gli amici Pellico e Borsieri tanto entusiasmo39 , lesor-
diente tragediografo pensa di volgere il testo teatrale in romanzo.
Significativi, alla luce di questa decisione, i rilievi dellautore della
Francesca da Rimini sullIda (di cui nulla sappiamo)40. Pellico ne
loda, in prima istanza, lincredibile piena daffetto e ne enfatizza

37
Cfr. Piero Camporesi, Introduzione, cit., p. x: Il romanzo nel suo com-
plesso prendeva il nome di Ida; ci che abbiamo ritrovato (Il romitorio di SantI-
da, racconto preliminare) ne costituisce lantefatto, linnesto fantastico, la roman-
zesca vicenda che porta lautore (gi damerino alla moda) a trasformarsi in penso-
so estensore di memorie; e Rodolfo Macchioni Jodi, Il romanzo gotico di Lu-
dovico Di Breme, in La Rassegna della letteratura italiana, s. viii, xcvii, 1-2, 1993,
p. 96: Il testo, quale ci giunto, non rivela uno stadio definitivo di elaborazione,
ci che fra laltro testimoniato dalle lacune, sia pur scarse, che esso presenta.
38
Per i dettagli, cfr. Piero Camporesi, Introduzione, cit., pp. xi-xxiv.
39
Di Breme non solo istru di persona sulla scena le attrici [] ma giunse
a dirigere lopera stessa nel giorno della sua rappresentazione (Piero Camporesi,
Ludovico Di Breme e le sue lettere, in Ludovico Di Breme, Lettere, a cura di Piero
Camporesi, Torino, Einaudi, 1966, pp. x-xi). Riguardo lentusiasmo degli amici,
eloquenti sono alcune testimonianze epistolari di Silvio Pellico, in particolare la
lettera al fratello Luigi da Mantova, 11 novembre 1815: Di Breme ha fatto due
drammi intitolati Ida, parte prima, e parte seconda, soggetti dinvenzione, trattati
con incredibile piena daffetto. Borsieri [] rimasto colpito al sentire una lettu-
ra di quei drammi (Silvio Pellico, Lettere milanesi, cit., p. 26).
40
Le due azioni sceniche che componevano lIda non furono pubblicate, e
dopo linsuccesso mantovano non vennero pi rappresentate (s che oggi risultano
disperse) (Angiola Ferraris, Ludovico di Breme, cit., p. 92). Stando a una testi-
monianza dautore, la composizione dellIda e di unaltra rappresentazione, lEr-
nestina, risale alla primavera del 1815 (Di Breme a Filippo Chiotti, Milano, 19 di-
cembre 1815, in Ludovico Di Breme, Lettere, cit., p. 312).
i. le proposte del conciliatore 39

la scelta moderna di personaggi non principeschi41; ma dopo la


funesta messa in scena della prima parte, pur inveendo contro il
pubblico mantovano, soggiunge:

Se vuoi sentirne il mio parere, questo: Il soggetto bello, ma quei


due drammi formando un tutto, il maggior interesse era veramente nel se-
condo; le azioni erano due, ma la prima non si sviluppava con bastante
movimento: le narrazioni teneano troppo luogo. Di questi difetti non
maccorsi che alla recita. Ma la immensa passione che c li riscatta alla let-
tura []42.

E un anno dopo, sempre sullo stesso tono:

i suoi drammi sono forse la prima cosa in cui egli [Di Breme] abbia per
cos dire cominciato a tradurre s stesso; a Mantova non s recitato che il
primo e fece fiasco, ma il primo appunto era il meno teatrale 43.

Quello per cui le narrazioni teneano troppo luogo un di-


fetto per unopera teatrale, non per un romanzo. In fondo, anche
il conte Giovanni Arrivabene, generoso ospite mantovano della-
spirante trageda e spettatore della sfortunata Ida, era pronto a de-
cretare che al colto, appassionato e nobile Di Breme il genio
drammatico natura glielo aveva negato44. Un giudizio senza pos-

41
Nella citata lettera al fratello dell11 novembre 1815, in Silvio Pellico, Let-
tere milanesi, cit., p. 26 (cfr. supra, p. 38, n. 39).
42
Silvio Pellico al fratello Luigi, Milano, 11 dicembre 1815, ivi, p. 28. Della
trasferta mantovana con Di Breme Pellico si ricorder ancora nel capitolo xciv del-
le Mie prigioni (Mi parea ieri che io vera venuto con Lodovico nel 1815).
43
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano], 30 dicembre 1816, ivi, p. 77. Cfr.
le conclusioni di Angiola Ferraris, Ludovico di Breme, cit., pp. 93-94: Ispirata
ai canoni compositivi ed ai temi delezione del dramma lacrimoso, lIda dovette
per accentuarne la tendenza alla macchinosit dellintreccio e alla sovrabbondan-
za degli intermezzi narrativi e dei soliloqui lirici, affidati ad unattrice di grande
versatilit drammatica come Carlotta Marchionni []. Il riconoscimento della
fragilit strutturale del dramma indusse il Breme a tradurre in forme narrative il
complesso intreccio dellIda .
44
Giovanni Arrivabene, Intorno ad unepoca della mia vita. Memorie, Tori-
no, 1860, p. 13, cit. in Piero Camporesi, Introduzione, cit., p. xvi.
40 ragionar di s

sibilit dappello cui Camporesi aggiunge la testimonianza, da lui


sagacemente scovata e valorizzata, di un anonimo uditore dellIda
che quasi due anni dopo, nellestate 1817 ne giudica le plan,
lintreccio, trop compliqu et extraordinairement romanesque45.
Laccostamento del Di Breme al romanzo appare dunque motiva-
to da ragioni interne, non di poetica; ed momentaneo, addirit-
tura, verrebbe voglia di dire, estemporaneo.
Cos, tra il febbraio e lottobre 1816 vede la luce Il romitorio di
SantIda. di nuovo una lettera dellattento Silvio Pellico al fratel-
lo Luigi a fare chiarezza, a fissare termini cronologici precisi e an-
che a fornire dettagli compositivi:

Egli [Di Breme] ha ripigliato largomento de suoi drammi [le due


parti dellIda] e lo sviluppa in un Romanzo, dove passione, politica, storia
degli ultimi tempi contribuiranno, se non erro, a imprimere grandi bel-
lezze. Questo suo lavoro peraltro un segreto, fuorch per me []. Per
amor mio, Lodovico sarebbe ambizioso del tuo suffragio, e ti farebbe vo-
lentieri confidente duna Introduzione [Il romitorio] da lui gi scritta pel
suddetto Romanzo; introduzione non estranea ma inerente, ed anzi par-
te del Romanzo medesimo. Larte del racconto, la flessibilit dellingegno,
la variet delle tinte, i pensieri, lo stile corrente, gi mi sembrano singo-
larmente sensibili in quella Introduzione46.

Lintreccio di materia contemporanea (storia degli ultimi


tempi), passione e politica sul piano contenutistico; larte
del racconto, la flessibilit dellingegno, la variet delle tinte,
[] lo stile corrente sul piano pi propriamente stilistico, sono
i pregi dellopera rilevati da Pellico, che non a caso ne seguir
con apprensione le vicende interrotte: continuer a caldeggiarne
la composizione e a esercitare una fine pressione psicologica
direttamente e indirettamente, magari ricorrendo al fratello
sullamico, anche quando questi sembrer disamorato del ro-
manzo perch assorbito dal Grand Commentaire prima, dal pro-
getto del Conciliatore, da sventure familiari e da problemi di

45
Cfr. Piero Camporesi, Introduzione, cit., p. xviii.
46
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano], 7 dicembre 1816, in Silvio Pelli-
co, Lettere milanesi, cit., p. 78.
i. le proposte del conciliatore 41

salute poi47. La morte arriva precocemente per Di Breme il 15 giu-


gno 1820, a quarantanni non ancora compiuti; ma, a quella data,
quel tentativo di romanzo non compiuto e non figura pi nem-
meno tra le opere in cantiere. Rimasto fermo allintroduzione, ha
ceduto il passo, stando ancora alla testimonianza di Pellico, a una
storia del perfezionamento della razza umana, a una tragedia
politico-filosofica, il Costantino e a una commedia intitolata
lAbdicazione. Allaltezza del 1815 lanno dellIda risalgono an-
che un secondo dramma, Ernestina e un altro componimento, ro-
manticamente tra fantasia e storia [], un non so che il cui titolo
I Cavalieri piemontesi: il fondo tutto storico48. Lungi dal ro-
manzo, quindi, verso le alte sfere della filosofia, verso la miscela di
fantasia e storia e verso il mondo, ingrato ma a quanto pare
pieno di attrattive per Di Breme, del teatro.
Breve e circoscritta parentesi in una carriera multiforme votata

47
Cfr. due lettere di Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano, 10 maggio 1817]
e [Milano], 7 luglio [1817], ivi, pp. 88-89, 94: Quando avrai tempo vorrei che tu
mi mandassi per lui [Di Breme] una lettera, nella quale tu gli dicessi che tho lo-
dato questo suo Opuscolo [il Grand Commentaire] e gli consigliassi nondimeno di
non frapporre troppo indugio al compimento dellIda ; Il suo scritto francese [il
Grand Commentaire] terminato []. Dopo questo scritto verr lIda, la quale se
con erro, richiuder un nuovo tesoro di quelle idee generose che in Italia pi che
altrove sono cosa quasi nuova, e che tanto necessario di farvi germogliare. Uni-
ca testimonianza epistolare dautore sul romanzo mancato forse una lettera di da-
ta incerta a Federico Confalonieri: Ora vorrei gustare alcun poco dellaure laria-
ne, dove so che maspetta la pi leale e la pi disinvolta accoglienza; quindi venir-
ne a Valmadrera, tornare alla Valsesia e dar cos tempo al tempo onde ti venga for-
se la frega di salire meco il Sempione e di conoscere quelle poetiche rive da me pe-
regrinate con tanta delizia nello scorso anno. Ora nulla di tutto questo, e me ne
voglio andar solo, che solo amo pur anche assai di viaggiare, perch viaggiando so-
lo, e fermandomi due volte per giornata vengo scrivendo la mia Ida a misura che
bevo per tutti i sensi e tutti i pori le varie ispirazioni di quei cieli e di quei costu-
mi (Ludovico Di Breme, Lettere, cit., p. 442; il curatore attribuisce la missiva,
ma con molte incertezze, al luglio 1817).
48
Cos Di Breme nel luglio 1816 (cfr. Ludovico Di Breme, Lettere, cit., p.
345). A tale componimento da riallacciarsi, come ha ben visto Macchioni Jodi,
la lettera del 16 ottobre successivo, in cui Di Breme prega Giuseppe Grassi di sol-
lecitare lavvocato Bessone onde [] mi tragga fuori della Biblioteca reale di bei
documenti, sui Crociati piemontesi (cfr. Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di
narrativa ottocentesca, cit., p. 78).
42 ragionar di s

per lo pi alla teoria e alla riflessione morale, Il romitorio di SantIda


resta come documento di un esperimento narrativo singolare e che
attinge largamente alle risorse della scrittura autobiografica. Stravol-
gendo limpianto teatrale delloriginaria Ida, laspirante romanziere
opta per la prima persona. Per lio narrante, Florindo, ritaglia il ruo-
lo di testimone involontario, di cronista e commentatore49 del-
la vicenda romanzesca. Il percorso che gli fa compiere inverso a
quello a cui Pellico uno dei pochi, si ricordi, a conoscenza del pro-
getto del Romitorio sottoporr due anni dopo il suo Battistino: da
Milano al lago dOrta, ovvero dalla pi sfarzosa metropoli dItalia
a una appartata contrada, dalla falsa sapienza della citt alla pu-
rezza. Vi si configura dunque come essenziale il tema tipicamente
romantico della frattura tra citt e campagna; ma qui, tra gli ingre-
dienti del romanzo mancato, ne interessa soprattutto un altro: il so-
stanzioso pizzico dautobiografismo. Cospicui, e agenti in profon-
dit, sono infatti i motivi autobiografici. Innanzitutto, nellambien-
tazione, a partire dalla Valsesia e dal lago dOrta, soggiorno predilet-
to dellabate Di Breme in fuga da Milano che campeggia in apertu-
ra del Romitorio 50. A questo si aggiunga che fa da sfondo alle prime
disgrazie della protagonista, Teresa, una Torino bigotta e provincia-
le, conformista e ipocrita, che (secondo i tempi del romanzo) do-
vrebbe illustrare la Torino degli anni morenti dellancien rgime, ma
che facilmente riconoscibile per la citt soffocante della restaura-
zione sabauda51; ed una Torino autobiografica, come testimonia-
no se ce ne fosse bisogno alcuni riscontri epistolari52.
Passando poi dallambientazione ai personaggi, la stessa Teresa,
pericoloso cervello moderno che potrebbe forse uscire dalle pa-
gine di quei Caractres du dix-neuvime sicle ai quali il di Breme la-
vorava gi nel 181453, anche proiezione autobiografica: paralleli-

49
Piero Camporesi, Introduzione, cit., p. xxv.
50
Cfr. Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di narrativa ottocentesca, cit.,
p. 123.
51
Piero Camporesi, Introduzione, cit., p. xxix.
52
Cfr. soprattutto la lettera di Di Breme a Silvio Pellico, 17 marzo 1820, cit.
ivi, pp. xxx- xxxi.
53
Piero Camporesi, Introduzione, cit., pp. xxxii, xxxiv.
i. le proposte del conciliatore 43

smo singolare col moralista di Breme, anche Teresa aveva scritto


un libro di aggiunte ai Caratteri di La Bruyre54. Un dato di fat-
to cui bisogna aggiungere almeno unulteriore quanto plateale con-
sonanza autobiografica: la musicale ora dello sfogo55, il ricorso al-
la musica per esprimere co suoni quegli affetti che le parole non
bastano a spiegare56, comune allautore e alla sua eroina. Gli stessi
meccanismi narrativi messi in azione nel Romitorio sostanziano
questa lettura della protagonista come personaggio esemplarmente
e allusivamente autobiografico. Il narratore, dal momento in cui
giunge al convento per incontrare Teresa, scompare di fronte al suo
possente alter ego femminile: da quel punto in poi non ci sar pi
spazio per i pur rapidi soliloqui che fin l avevano introdotto il let-
tore nella sua mente. Il narratore insomma passa la staffetta a Tere-
sa e sembra non avere altro da aggiungere a quel che la protagoni-
sta pensa e dice. Senza contare che forse sdoppiamento impensato
e autoironico del mondano abate di Breme poi lo stesso Florin-
do, che condivide col suo autore quello stesso amore per i laghi in
generale e per il lago dOrta in particolare che d lavvio alla vicen-
da57; e senza contare i prestiti dellautore verso altri personaggi del
romanzo (come, per esempio, verso quello di don Adriano)58 o il ri-
cordo della contessa Anna Porro Lambertenghi, amata intensamen-
te da Di Breme e morta nel 1813, riconoscibile come ispiratrice di
alcuni tratti della figura di Teresa59. Qui non mi dilungo oltre sul-
lalto tasso dautobiografismo del Romitorio; basti averne suggerito
la portata, rimandando senzaltro agli studi citati.

54
Ibidem.
55
Ludovico Di Breme, Il romitorio di SantIda, cit., p. 45.
56
Cos Giuseppe Montani ricorda Di Breme nel suo gi citato commosso
elogio (in Antologia, xxxxii, giugno 1824, pp. 17-18). Ulteriori tratti autobio-
grafici nel personaggio di Teresa sono individuati da Michele DellAquila, Pro-
filo di Ludovico di Breme, cit., pp. 132-133.
57
Cfr. una lettera di Di Breme a Confalonieri del 1817 chiamata in causa in
Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di narrativa ottocentesca, cit., p. 123.
58
Cfr. Angiola Ferraris, Ludovico di Breme, cit., p. 161.
59
Cfr. Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di narrativa ottocentesca, cit.,
pp. 78 sgg., in particolare, pp. 96-99 e Piero Camporesi, Ludovico Di Breme e le
sue lettere, cit., p. xi.
44 ragionar di s

Siamo di fronte, dunque, a un progetto narrativo imperniato


su una corposa componente autobiografica. Per una ragione di
poetica. Per lautore del Romitorio si tratta di porsi e di risolvere
quello che egli stesso di l a poco, nel Grand Commentaire, indi-
cher come il probleme du moi. Ci che vha di pi riposto e di
pi profondo [] nellanimo e nel sentire umano60, lesplorazio-
ne acuminata delle zone buie della vita interiore lobiettivo cru-
ciale di Di Breme scrittore, di teatro prima, di narrativa poi. E gi
in quel manifesto di poetica che Intorno allingiustizia di alcuni
giudizi letterari italiani (1816) appariva fondamentale linvito []
non pi a imitare la natura, ma a studiare luomo61. Ma forse dav-
vero nato per teorizzare piuttosto che per tradurre la propria poe-
tica in pratica, Di Breme brilla pi nella polemica su cosa non si
deve fare che nellesempio pratico di cosa fare. Cosa sia sbagliato
infatti evidentissimo nel Romitorio: si vedano le pagine scanzo-
nate in cui lautore polemizza con gli strumenti analitici della
scienza nella fattispecie con le teorie fisiologiche della psichia-
tria settecentesca62 , giungendo a parodizzarli gustosamente63.
Non pu farcela la nuda ragione64 a sondare i faits de lme, la
notre substance sensible et active, il mondo des intuitions
immdiates, des perceptions soudaines, des sentiments primitifs,
de tout plein dactivits internes65 che da quella sostanza scaturi-
sce, argomenter Di Breme nel Grand Commentaire : potr discer-
nere, descrivere, ma non comprendere, perch la ragione non che
una de toutes nos facults, anzi, la plus limite di esse66. A que-

60
Ludovico Di Breme, Osservazioni sul Giaurro, in Polemiche, cit., p. 90.
61
Anco Marzio Mutterle, Introduzione, in Discussioni e polemiche sul Ro-
manticismo (1816-1826), a cura di Egidio Bellorini, 2 voll., Bari, Laterza, 1943, re-
print a cura di Anco Marzio Mutterle, Roma-Bari, Laterza, 1975, i, p. ix.
62
Angiola Ferraris, Ludovico di Breme, cit., p. 168.
63
Cfr. Ludovico Di Breme, Il romitorio di SantIda, cit., pp. 46-48.
64
Cos Di Breme in una lettera a Tommaso Valperga di Caluso, cit. Piero
Camporesi, Introduzione, cit., p. xl.
65
Ludovico Di Breme, Grand Commentaire, a cura di Giovanni Giuseppe
Amoretti, Milano, Marzorati, 1970, pp. 110, 111.
66
Ivi, p. 112. Su questi aspetti del pensiero di Di Breme, sono utili soprat-
tutto, per documentazione e finezza danalisi, le pagine di Carlo Calcaterra, In-
i. le proposte del conciliatore 45

sto si aggiunga lidea, strenuamente proposta dallautore sempre


nelle meditate proposizioni del Grand Commentaire, che lessenza
umana vive oscillando tra opposti estremi lorganico e li-
norganico, il razionale e lirrazionale, il caotico e larmonico, la
composizione e la decomposizione , risucchiata perennemente
tra due tremende ventose, sempre al limite, sempre al bivio67:
unessenza umana bipolare e intricata di cui la protagonista del
Romitorio, Teresa, il campione appositamente delineato dallau-
tore per essere sottoposto alla prova dellanalisi.
Fin qui la pars destruens, condotta con le armi della parodia; le
stesse che lautore punta contro il Gothic novel tanto in voga in que-
gli anni. In questo lungo racconto in cui le situazioni da romanzo
nero non mancano, il gotico non appare una scelta di campo; piut-
tosto, una patina cara al Di Breme, in quanto si prestava a una po-
lemica giocosa di cui lo scrittore ha dato pi volte prova e che gli
doveva essere congeniale68. La stessa problematicit inquieta e do-
lorosa di Teresa, come sfugge [] nelle sue venature morbose, ai
criteri ermeneutici della fisiologia cerebrale, al tempo stesso si po-
ne su di un piano altro rispetto a quello dei meccanismi psicolo-
gici che regolano limmaginario tra lugubre ed orrido del roman-
zo nero69. Volenteroso romanziere alle prime armi, Di Breme mi-
scela idillico e gotico; ma gli ingredienti non si amalgano tra di lo-

troduzione, cit., pp. v-lxxxii, e la sintesi di Piero Camporesi, Introduzione, cit.,


pp. xxxix-xliii.
67
Si cita dalla traduzione data in Piero Camporesi, Introduzione, cit., pp.
xlii-xliii.
68
Si tenga presente la briosa ma pesante satira dellerudizione pedantesca
che il Di Breme presenta nella Leggenda profetica del settimo secolo (apparsa sul
Conciliatore, 19, gioved 10 dicembre 1818; si legge in Il Conciliatore, i, pp. 452-
461, 482-486), un capolavoro dumorismo esercitato con gran gusto formale nel-
la parodia del linguaggio degli eruditi e dei filologi, nellilare dialogo tra il Cava-
liere e il Monaco, caricatura assai felice dei dialogati dei romanzi sepolcrali e la-
crimosi settecenteschi (Giorgio Petrocchi, Confalonieri e i racconti del Con-
ciliatore, cit., p. 237). Sul riuso, in funzione parodistica, che Di Breme fa del ne-
ro nella sua Leggenda profetica del settimo secolo, cfr. Vincenzo Paladino, Intro-
duzione, in Mitologia romantica. Proposte del Conciliatore, Messina, Peloritana,
1981, p. 15.
69
Angiola Ferraris, Ludovico di Breme, cit., p. 168.
46 ragionar di s

ro. Al primo versante rimandano soprattutto le primissime pagine,


sullo sfondo dellintatta natura del lago dOrta. Al versante del lu-
gubre rinvia il resto pur nella tonalit ambigua che ha fatto par-
lare, per Il romitorio, di parodia del romanzo nero , a partire dal-
lingresso in scena della figura del sacerdote-protettore Don Adria-
no70. Questi passa presto il testimone alla necrofila Teresa, subito
prima di divenire cadavere e, in quanto tale, fare da compagno di
viaggio al narratore Florindo che lo deve condurre allultima desi-
derata dimora, il romitorio di SantIda. Qui, impareggiabile custo-
de delle tombe della sorella Ida e di Stanislao (amanti sfortunati al
pari dellunica altra coppia innamorata del Romitorio, i disgraziati
Clarina e Giacomino), Teresa lincarnazione vivente pi di co-
s! dei concetti foscoliani di lacrimata sepoltura e di corri-
spondenza damorosi sensi71: cos il romitorio che d il titolo alla
parte compiuta del romanzo se non un vero e proprio monumen-
to alla memoria e alla speranza di una sopravvivenza degli affetti
dopo la morte?72. Non a caso tutto quel che nel racconto riguarda
la tomba, lurna e i fiori che la onorano, si tinge di non di ne-
ro ma di bianco; le ossa stesse sono dette candide73.
Sorregge la bizzarra mistura anche linguistica74 del Romito-
rio lesile pars costruens. Il romanzo mancato del Di Breme, mentre

70
La stessa figura del sacerdote-protettore costante tipica del romanzo go-
tico (peraltro passata senza variazioni significative nel romanzo storico), come ri-
corda Rodolfo Macchioni Jodi, Dal romanzo gotico al romanzo storico italiano,
in Italianistica, 2-3, 1994, pp. 389-416.
71
Non lunico ingrediente foscoliano rinvenibile nellopera: anche senza
dir niente della scelta del nome delleroina Teresa, non ai Sepolcri, ma allepisodio
di Lauretta nellOrtis, fa correre la memoria la triste vicenda di amore e follia, sin-
tetizzata per noi dal narratore, di Clarina e Giacomino. Manca in quella sfortuna-
ta storia solo laltro ingrediente foscoliano, la morte; ma daltra parte essa impre-
gna di s, con evidenti passi di necrofilia, tutto il Romitorio.
72
Ugo M. Olivieri, P. Borsieri e il romanzo darea lombarda nella prima met
dellOttocento, cit., p. 133.
73
Ludovico Di Breme, Il romitorio di SantIda, cit., p. 92.
74
Sullacceso sperimentalismo linguistico del Romitorio che contempla
francesismi, neologismi, arcaismi, parole rare, lombardismi, piemonte-
sismi , cfr. Piero Camporesi, Nota al testo, cit., pp. lxii-lxiii e Rodolfo Mac-
chioni Jodi, Prodromi di narrativa ottocentesca, cit., pp. 147 sgg.
i. le proposte del conciliatore 47

prendeva le debite distanze dalle teorie fisiologiche settecentesche


e dal lugubre romantico parodiandoli, soprattutto offriva un mo-
dello di narrativa dellio destinata non a esprits raisonnables75,
ma, come si legge nella conclusione del Romitorio, a quelle certe
anime che sole possono amar di conoscere le cose in essa con-
tenute76. La pars costruens consiste nella meditazione sul nucleo ri-
posto e insondato dellanimo umano, sulle sue contraddizioni ap-
parenti; sta nel motivo degli interni fatti, indefinibili e segre-
ti ma non per questo meno reali e del problema irrisolto del-
la loro resa scrittoria (rovello, qualche anno dopo, anche del Di
Breme conciliatorista77). una questione che si affaccia esplicita-
mente nelle ultime pagine:

In questi momenti accadono i trionfi e direi i prodigi [] di quelle


forze interiori, che noi abbiamo chiamate immaginazione e cuore. La ra-
gione unaltra di quelle forse anchella, e i discernimenti suoi semplici e
meri fatti interni delluomo: ma certo sentimenti indefinibili, cos fre-
quenti, certe intime prospettive dellanimo; certe segrete armonie, non so-
no forse interni fatti ben reali anchessi78.

Una pars costruens, come si vede, ben pi fumosa e impalpabile


della pars destruens. Potremmo dire, con Manzoni (che di l a qual-
che anno nella lettera Sul Romanticismo avrebbe compendiato la
parte negativa, critica, e la parte positiva, propositiva, del siste-
ma romantico): Il positivo non a bon pezzo, n cos preciso, n
cos diretto, n sopra tutto cos esteso come il negativo79.

75
Ivi, p. lv (con citazione da Antoine Franois Prvost, Mmoires et aven-
tures dun homme de qualit, La Haye, s.e., 1749, parte i, p. 253).
76
Piero Camporesi, Introduzione, cit., p. xlviii.
77
Cfr. in particolare Ludovico Di Breme, rec. a Orazione in lode del conte
Pietro Verri milanese. Del prof. Adeodato Ressi, in Il Conciliatore, 49, 18 febbraio
1819 (in Il Conciliatore, ii, pp. 201-210), cit. anche in Carlo Calcaterra, Intro-
duzione, cit., pp. lxviii-lxix.
78
Ludovico Di Breme, Il romitorio di SantIda, cit., p. 9.
79
Alessandro Manzoni, Sul Romanticismo, Lettera al Marchese Cesare
DAzeglio, in Opere di Alessandro Manzoni, a cura di Lanfranco Caretti, Edizione
del Centenario, Milano, Mursia, 1973, p. 1153.
48 ragionar di s

Sulla pagina, come si realizza concretamente questa proposta


di narrativa che dia voce in modo non razionalistico alle zone pi
impalpabili del cuore? Facendo ricorso alle risorse delle scritture
dellio e allautobiografismo. Nel ritratto della sua complessa pro-
tagonista, Di Breme ricorre ampiamente a quella che stata defi-
nita la finzione del non fittizio80: il documento epistolare ac-
colto nella narrazione romanzesca. Il problema dellio in parte
sembra risolto proprio cos: il personaggio di Teresa emerge pri-
ma attraverso le sue lettere, poi attraverso una sorta di mini-bio-
grafia, in un lungo flash-back81. Ma la soluzione pare affidata so-
prattutto a quella aprioristica, simpatetica quanto elitaria comu-
nione di anime tra autore, personaggi e lettori invocata nelle pa-
gine di chiusura; che pi un aggirare il problema che risolverlo.
Fatto sta che tale falsa soluzione porta dritto lautore a valorizza-
re il proprio vissuto, anzi, non trova altri punti di sostegno se non
nellautobiografismo: porta dritto, perci, ai personaggi parzial-
mente, ma concretamente, autobiografici del Romitorio, di cui si
diceva. Colori, vita e verit contro arabeschi, inezie solenni e
idee puntellate82: vita interiore, misurata dallautore in se stesso,
contro la letteratura. Il problema irrisolto, per il nostro aspirante
romanziere dellio, quello della parola vera 83, di un qualche
altro mezzo oltre allespediente della stampa [] venuto cos a
vile, di un qualche pi incontaminato linguaggio [] onde co-
municare le cose [] a quelle certe anime che solo possono amar
di conoscerle84. lutopia accarezzata da Di Breme nel Romito-
rio e che suggella questo che doveva essere il racconto prelimina-
re al romanzo:

lespediente della stampa ormai venuto cos a vile; chi d giudizi do-
gni libro per lo pi di siffatta gena, che non sarebbe gi un libro chio
ora presenterei, ove un qualche altro mezzo, un qualche pi incontamina-

80
Jean Rousset, Una forma letteraria: il romanzo epistolare, cit., p. 91.
81
Cfr. Ludovico Di Breme, Il romitorio di SantIda, cit., pp. 71 sgg.
82
Ivi, p. 102.
83
Ugo M. Olivieri, P. Borsieri e il romanzo darea lombarda nella prima met
dellOttocento, cit., p. 135.
84
Ludovico Di Breme, Il romitorio di SantIda, cit., p. 107.
i. le proposte del conciliatore 49

to linguaggio esistesse, onde comunicare le cose contenute a quelle certe


anime che sole possono amar di conoscerle, e a cui le dedica Teresa.

Dalla fine allinizio. Seguiamole queste cose contenute, cos


come si dipanano nel racconto; e lopera mostrer di reggersi su
una finzione narrativa singolare che, di nuovo, con le scritture del-
lio intrattiene un rapporto privilegiato. Il Romitorio si apre con un
puntualizzazione cronologica (e meteorologica): Era il principio
di autunno nel 1811: autunno che fu bellissimo ed uniforme85. Ta-
le precisazione si svela immediatamente dopo tuttaltro che acces-
soria: subito entra in scena il narratore nel duplice ruolo di io
narrante e io narrato , che si connota proprio per la preferenza per
la vita di campagna e lattitudine alla solitudine: Questa lepoca
dellanno in cui non so pi resistere alle attrattive della vita di cam-
pagna, e non mi sembra di esservi mai solitario abbastanza. Fissa-
to il tempo storico della vicenda, gli sgoccioli del 1811 (dunque il
presente, il mondo contemporaneo); emblematizzata la stagione,
questa patente di amante della solitudine e della natura si risolve
in un elogio della vita solitaria che, a sua volta, offre il destro a
una scoperta polemica contro il contagio urbano, contro la cor-
ruzione dellindividuo in una grande citt:

gi molto che si possa vivere per otto mesi consecutivi in una gran-
de citt (se non si abbia qualche laboriosa e continua occupazione, come
credo che i soli utili artigiani ve labbiano) e non perdere assai di quella
naturalezza e integrit di cuore, le quali certamente valgono ben di pi di
tutte le artificiali qualit che vi si acquistano invece. Lindividuo come
un frutto. A un per uno i frutti hanno un loro sapore, qual pi, qual me-
no delizioso, ma pur loro proprio, ed i pi lhanno buono, molti delizio-
sissimo. Ammassatene insieme qualche centinaia, stivateli, poco stanno a
fermentare, a guastarsi vicendevolmente, e non avrete gi pi che una fu-
mosa putrefazione, e di mille gentili sapori, un solo violento, aspro e po-
co men che incendiario al palato. Queste considerazioni morali in favor
della vita solitaria, adoperata come antidoto del contagio urbano, giova ri-
peterle, se anche dovessero parere comuni e ripetute gi troppo86.

85
Ivi, p. 3. La citazione che segue, ibidem.
86
Ivi, pp. 3-4. La citazione che segue, ivi, p. 4.
50 ragionar di s

Chiusa la parentesi morale, si ritorna allio narrante e alla sua vo-


luttuosa propensione alla solitudine, in un fiducioso appello al let-
tore sensibile che permetta di considerare concluso tale argomento:

Che se avessi a dire della gioconda volutt che mi vi alletta sempre,


ma in questi mesi [autunnali] mi seduce, n la finirei presto, n arriverei
a farmi capire da chi non sa fuorch capire: mentre da chi sente io sono
gi pi o meno inteso.

Dellio narrante sappiamo dunque, per ora, solo la volutt del-


la solitudine campestre, specie in autunno, cui si va ad aggiungere,
poco dopo, lamore per i laghi (Amo i laghi87). Anche questa
informazione addizionale si rivela tuttaltro che accessoria, perch
appunto in un solitario e silenzioso viaggio verso il lago dOrta e
poi in un notturna gita in barca su quelle acque che il narratore si
fa seguire dal lettore. Salvo poi annunciare, alla pagina 22 del ma-
noscritto, che la piega presa narrazione di s e delle avventure in
cui ebbe parte, dei propri casucci solo momentanea e fun-
zionale a ben altra narrazione, per ora lasciata nel mistero:

Dichiaro una volta per tutte al mio lettore chio non mi credo gi in ob-
bligo di intrattenerlo di me e delle mie avventure in cui ebbi parte, se non
tanto quanto indispensabile onde porre lui in quella stessa situazione nel-
la quale mi trovai quando venni a conoscere la storia (ben altrimenti im-
portante) a cui questi miei casucci non servono che di necessario prologo88.

Non sar dunque, come poteva sembrare a primo acchito, il re-


soconto di uno dei viaggi che il narratore fa per soddisfare la sua
ansia autunnale di pensosa solitudine campestre: la storia che si
mette sulla strada dellio narrante sar il vero fulcro della narrazio-
ne. Dopo la dichiarazione dintenti si torna a s e al proprio auto-
ritratto morale che altro non serve se non a introdurre il ritratto e
la rapida biografia del personaggio di Don Adriano:

87
Ibidem.
88
Ivi, p. 14. La citazione che segue, ivi, pp. 14-15.
i. le proposte del conciliatore 51

Se mi si offerisse dal destino di poter conseguire la gloria, non dico sol-


tanto n di Licurgo, n di Cesare, ma sarei quasi per dire, fin quella di Wa-
shington, nel mondo intero, oppure quella di Don Adriano nella sola rivie-
ra dOrta, Iddio sel vede, io torrei questa, non quella []. Intanto io voglio
accennare il perch torrei questa impercettibile gloria per compagna della
mia vita e custode del mio nome dopo morte, in quel solo catinello l.

Un ritratto e una biografia in cui lio narrante torna a intro-


dursi in veste di emozionato testimone e di acceso moralista:

Chi saprebbe ora decidere se la dolcezza di Paradiso che il mio cuore


gustava in quei momenti scendeva in esso pi dai casti accenti di Clarina
o da quelli rauchi e tremuli del suo padre che le rispondevano?

Predicatori accademici, apostoli cincinnati, freddissimi amplificatori


del Vangelo, che con tanto orgoglio succedete nelle nostre metropoli ai
matti carnevali, perdonatemi se n un solo avendio fin qui potuto rite-
nere dei vostri librati periodi, porter pure sino alla tomba impresse nel
pi profondo pensiero queste ultime voci di Don Adriano89.

A pagina 39 del manoscritto, ecco la svolta. Dice Don Adriano,


ridotto fin di vita, rivolgendosi alla fedele Clarina:

- Non ti sembra, buona Clarina, che sia questo il momento di pensa-


re al deposito di cui tu ed io siamo i custodi? []
- Dimmi, Clarina, se a te non pare che sia giunta fra noi, come a ora
segnata, la persona destinata a riceverlo?90

Ecco che si precisa la funzione dellio narrante-personaggio co-


me una sorta di uomo del destino, scelto per una misteriosa mis-
sione. La quale si chiarir poi consistere nella stesura un libro di
memorie che i diretti interessati non sono in grado di portare a ter-
mine. La lettera che una fin qui misteriosa Teresa ha indirizzato a
Don Adriano e che questi sul letto di morte mostra a Florindo par-
la chiaro:

89
Ivi, pp. 19, 20.
90
Ivi, p. 26.
52 ragionar di s

Non troveremo pi, vero, n voi [Don Adriano] n io [Teresa] la


forza di proseguire quella storia, di cui fummo tanta parte e di riempire
glintervalli che vi stanno ancora in bianco.
Voi solo per potreste incontrare qualche degno esecutore delle nostre
intenzioni. A quegli date il libro, caro Padre. Munito di quel sacro depo-
sito, colui mi venga tosto a ritrovare. [] Gli narrer ogni cosa; lo porr
in grado di ordinare in un solo quei racconti troncati e di legarne insieme
i documenti originali91.

La lettera continua indicando i requisiti del degno esecutore:


Dotato chei sia duna capacit e integrit di sentire proporziona-
ta allindole di quei fatti, baster daltronde chei di letteratura ne
sappia da non offendere le comuni regole della grammatica.
Il Romitorio si fa cos romanzo della memoria, che sospende il
tempo e eufemizza la morte92. A un libro autobiografico fallito, non
finito per mancanza di forza da parte dei protagonisti-autori, sta di
fronte la ricostruzione della vicenda affidata allopportuno estenso-
re93 e da questi portata avanti sui loro racconti e su documenti ori-
ginali. Insomma, lautobiografo mancato, Teresa, mette un annun-
cio per trovare un degno biografo, che si scopre essere il nostro
narratore. E il romanzo del Di Breme sarebbe stato appunto questa
storia la storia vera di Ida che i protagonisti non hanno potu-
to o saputo narrare e che lo scrittore racconta al posto loro, facen-
dosi cos accurato editore delle loro memorie: questo il contenuto
del racconto preliminare Il romitorio di SantIda ; questa la sostitu-
zione di una autobiografia impossibile con una biografia la finzio-
ne narrativa su cui doveva essere costruito il romanzo. Ritorna,
com evidente, il tradizionale espediente del manoscritto ritrovato
(convenzione cos radicata nel gotico)94, qui per complicato e ori-
ginalmente sviluppato con la presenza di una dei diretti interessati
che lo offre personalmente allo scrittore e ne sorveglia il lavoro.

91
Ivi, pp. 28-29.
92
Suggestiva la lettura del Romitorio come romanzo di Kronos e Thanatos
proposta da Angiola Ferraris, Ludovico di Breme, cit., pp. 158-180.
93
Ludovico Di Breme, Il romitorio di SantIda, cit., p. 29.
94
Cfr. Rodolfo Macchioni Jodi, Il romanzo gotico di Ludovico Di Bre-
me, cit., p. 98.
i. le proposte del conciliatore 53

Il romitorio di SantIda si presenta insomma come la storia di


un libro da fare. E infatti, una volta esaurita la funzione del rac-
conto preliminare delle situazioni esterne e delle corrisponden-
ti loro nellanimo del narratore, questi assume su di s la fun-
zione di poco pi che leditore di queste memorie: la parte mia
compiuta: io piglio qua congedo dal mio lettore e sottraggo dal
suo sguardo la mia persona95. Il libro da fare , per, rimasto da
fare. Per un paradosso del destino, la realt rovescer la finzione ro-
manzesca immaginata nel Romitorio. Il Di Breme pseudo-biografo
che supplisce a una mancata autobiografia, nel corso del 1817, ce-
der il posto allindignato autobiografo che risponde a una inde-
gna biografia: il Grand Commentaire alle porte.

3. biographe de soi-mme, malgr soi-mme:


il grand commentaire

Come nel 1816 da drammaturgo si fa romanziere per ripiego, cos


nel 1817 Di Breme si fa autobiografo per necessit e non per scelta.
Accade nel Grand Commentaire sur un petit article, steso in risposta
alla voce tuttaltro che elogiativa riservatagli da Aim Guillon nella
Biographie des Vivants, appendice di contenuto contemporaneo alla
Biographie universelle ancienne et moderne dei fratelli Michaud,
stampata a Parigi dal 1810 al 182896. Lindignazione per quel petit
quanto astioso scritto biografico, unita alla scarsa convinzione con
cui lautore si era avvicinato al romanzo sentimentale, interviene a
distoglierlo prepotentemente dallIda, condannando questultima al
destino di opera appena avviata.
Compiuto invece il Grand Commentaire ; compiuto e anche

95
Ludovico Di Breme, Il romitorio di SantIda, cit., p. 106.
96
Nella voce dedicata a Di Breme, in linea con lintento politico della Bio-
graphie des Vivants, Guillon [] abilmente [] lascia scivolare accuse di adula-
zione, di carrierismo, di conformismo, per non dire dei rimproveri allo stile del
Breme poeta ed allanimosit contro chi non la pensa come lui (Marziano Gu-
glielminetti, Vendere le vite, in Sigma, 1-2, 1984, numero monografico: Vende-
re le vite: la biografia letteraria, p. 8).
54 ragionar di s

pubblicato: steso quasi di getto (ma recuperando pagine elaborate


negli anni precedenti)97, esce prontamente a Ginevra presso il tipo-
grafo Paschoud nel settembre 1817. A questa situazione di finitezza
sul piano editoriale fa riscontro la particolare tessitura del testo:
una difesa di s che una parziale vita di s medesimo98 per ri-
spondere, come meglio si pu, a una biografia faziosa e denigrato-
ria. Il Grand Commentaire autobiografia incompleta sollecitata
non da dsir autobiographique ma da cause esterne e contingenti e a
esse cos strettamente legata su un piano sia strutturale che concet-
tuale (nonch per la scelta stessa della lingua, il francese). Risponde
a una delle pi comuni motivazioni della scrittura autobiografica,
quella apologetica99, e si configura, nel caso specifico, come una ri-
sposta insistentemente polemica contro un maldicente biografo. Il
fatto che, nel delineare il proprio autoritratto intellettuale e spiri-
tuale, il moralista Di Breme abbia dipinto anche un quadro della
situazione politica, religiosa, culturale dellItalia dallImpero alla re-
staurazione e abbia innalzato la polemica individuale fino al pia-
no della riflessione etica, politica, religiosa, artistica100 ha fatto pas-
sare in secondo piano la natura autobiografica del testo e ne ha aval-
lato la fruizione come puro documento di poetica, utile a studiare
la vicenda intellettuale del suo autore. Riattingere invece alle vicen-
de della genesi di questo scritto significa ricostruire un capitolo del-
la storia accidentata dei complessi rapporti intercorsi tra biografia e
autobiografia101. Nel contempo, vuol dire avvicinarsi a un esempio
sui generis di autobiografia primottocentesca italiana, maturata in
quel decennio il secondo del secolo e in quel contesto milanese
che ha dato, come si cominciato a vedere, esempi sempre sui ge-
neris di diverse tipologie narrative e autobiografiche.

97
Cfr. Angiola Ferraris, Ludovico di Breme, cit., p. 18.
98
Marziano Guglielminetti, Vendere le vite, cit., p. 8.
99
Cfr. soprattutto Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., pp. 58 sgg.
100
Giovanni Giuseppe Amoretti, Genesi del Grand Commentaire, in Lu-
dovico Di Breme, Grand Commentaire, cit., p. 31.
101
Come accade nel citato saggio di Guglielminetti, che considera il Grand
Commentaire quale documento della polemica anti-biografica che prende il via al-
la fine del Settecento (Vendere le vite, cit., pp. 7-9), e anche, fugacemente, nel vo-
lume di DIntino (Lautobiografia moderna, cit., p. 70).
i. le proposte del conciliatore 55

C un aspetto che salta prepotentemente agli occhi nella let-


tura del Grand Commentaire : laccento vivacemente polemico. Fin
qui niente di nuovo per un autore battagliero che, s visto, alla po-
lemica nemmeno tanto velata ritagliava ampi spazi persino nella
sua mancata prova di narrativa sentimentale, il Romitorio. Origi-
nale per che tale caratteristica si riveli come lunico e vero col-
lante di questa dispersiva, sottoposta a innumerevoli forze centri-
fughe, scrittura autobiografica. Il filo dellio in teoria il punto di
forza del discorso si rivela esile, tenue, se si segue il suo dipanar-
si nel frastagliato percorso cui lautobiografo obbliga il lettore
clair per tenerlo alla larga dalla voce biografica del Guillon. Il
Vivant remarquable sans le savoir cos si autopresenta Di Bre-
me nel titolo preannuncia, attraverso lepigrafe tratta da Mon-
taigne, une galimafre de divers article, condotta secondo un
parlare suculent et nerveux: non tant dlicat et peign comme
vhment; dcousu et hardi: non pdantesque, non fratesque, non
plaideresque, ma plutt soldatesque102. Le promesse sono mante-
nute. Da homme outrag che aspira innanzitutto a repousser
loutrage et [] confondre le dtracteur, Di Breme non vede al-
ternativa se non en lui mettant en action et en lui dveloppant
sous les yeux des lecteurs clairs. Una precisazione di non poco
conto la mancanza di alternative si va ad aggiungere:

Je crois quil est permis de refaire ainsi sa propre Biographie, puisque


cest moins crire son histoire quy fournir. Mais non-seulement je me
croirai permis de sortir le plus souvent que possible de ma cause person-
nelle, jaurai la modestie de mimposer ce devoir comme une tche indi-
spensable, et de lenvisager comme une biensance de rigueur. Ce ne sau-
roit tre qu la faveur de quelques digressions dun intrt plus gnral
que jen concilierai un suffisant ce qui me concerne personnellement.
Aussi ai je intitul mon livre de faon dclarer davance, que je nenvi-
sage ma cause que comme devant amener quelques considrations plus
importantes et plus dignes du grand jour103.

102
Ludovico Di Breme, Grand Commentaire, cit., p. 49. Le citazioni che se-
guono, ivi, pp. 53, 60.
103
Ivi, p. 61. Si avverte sin da ora che per le successive brevi citazioni in tra-
duzione italiana dal Grand Commentaire scelte talora per rendere pi scorrevole
la lettura ci si avvale della traduzione fornita in calce nelledizione citata.
56 ragionar di s

Scritto autobiografico, s, il Grand Commentaire, ma solo, po-


tremmo dire, per caso. La propria autobiografia per il trentaset-
tenne Di Breme non dinteresse generale; non sufficientemen-
te importante e degna dessere manifestata se non serve da tram-
polino di lancio per digressioni e riflessioni e pi generali. Lim-
magine del Biographe assassin104 certo rimanda allo scrittore a
soldo delleditore esorcizzato da Alfieri nellIntroduzione alla Vita
lettura cos importante per la composizione del Grand Commen-
taire 105 , ma nessuna delle giustificazioni allo scrivere di s ac-
campate dagli illustri precedenti autobiografici settecenteschi sono
ereditate da Di Breme. Ribaltata per cause di forze maggiori la si-
tuazione rispetto alla Vita alfieriana non scrivere di s prima che
lo facciano altri incompetenti e faziosi biografi, ma perch gi lo
hanno fatto , Di Breme giustifica lungamente il suo articolo auto-
biografico. Lo fa innanzitutto con una ragione esterna la neces-
sit di confutare un oltraggio , cui ne aggiunge una interna le
considerazioni e le digressioni pi generali che innalzino il grado
dinteresse e di dignit dellopera. Non sul piano della scrittura
autobiografica, ma su quello di un libello morale, che Di Breme si
vuole porre; e ci insiste parecchio. Se lessere esposto a necessit
giustificative tratto peculiare e diffuso della letteratura autobio-
grafica di ogni stagione106, ci particolarmente vero per il Grand
Commentaire. Originale non tanto questinsistenza, quanto il fat-
to che la chiave di volta della giustificazione sta proprio nel pas-
saggio dal piano personale (autobiografico) a quello generale (mo-

104
Ivi, p. 60.
105
Di Breme aveva particolarmente presenti due modelli di discorso auto-
biografico: la Vita di Alfieri e lAdolphe di Benjamin Constant. Sceglie il primo; ri-
fiuta il secondo (Giovanni Giuseppe Amoretti, Genesi del Grand Commentai-
re, cit., ivi, p. 32). Di Breme leggeva la Vita alfieriana a Milano nellestate 1808,
come testimoniano le lettere (cfr. Ludovico Di Breme, Lettere, cit., p. 112). Vice-
versa, un commento su lAdolphe si legge nella lettera del Di Breme, ormai prossi-
mo alla stesura del Grand Commentaire, a Madame de Stal, Milano, s.d. [ma pri-
mi di dicembre 1816], ivi, p. 395. Da non dimenticare che intorno al 1812 Di Bre-
me aveva aspirato senza esito a tre le biographe di quel grand homme del-
lAlfieri, come scriveva alla contessa dAlbany il 2 giugno di quellanno (cfr. Lu-
dovico Di Breme, Lettere, cit., p. 153).
106
Cfr. soprattutto Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., p. 64.
i. le proposte del conciliatore 57

rale). Ma non nel senso alfieriano di autobiografia come utile al-


lo studio delluomo in genere: nel senso, invece, che lindivi-
duo diventa occasione per parlare della societ in cui vive, si
formato e opera, nella fattispecie lItalia napoleonica. cos
per esempio che nel capitolo xii, senza abbandonarsi a una di-
gression historique sur lassassinat di Giuseppe Prina, Di Breme
non pu comunque resistere la tentation de mettre cet hom-
me en jeu sous le yeux des ses lecteurs, mettendolo in scena co-
me personaggio-protagonista di un entretien riferito con une
fidlit [] religieuse107. cos che il capitolo pi lungo, il xiii
annunciato dallautore come un petit paragraphe, ma petit
in rapporto alla vastit della materia trattata, non certo allesigua
mole del Grand Commentaire , dedicato allhistoire littraire
des temps, in accorata polemica con un paese o les lettres ne
sont peu prs quun jouet, et nagissent gure qu la surface des
esprits et des curs108. Ed cos, infine, che il capitolo conclu-
sivo (il xiv) si apre colloquialmente allinsegna del filo biografi-
co perduto, anzi, coscienziosamente abbandonato: Jai perdu de
vue mon Biographe: je ne reviendrai pas sur mes traces pour le
rejoindre et prende cong de lui; on ne sen formalisera point.
Lallievo e affettuoso biografo dellabate di Caluso109 dunque si
inserisce nel solco di quella polemica anti-biografica i cui momen-
ti pi significativi e acuminati erano stati segnati da Rousseau e da
Alfieri. Scomparse le ragioni esistenziali e autoconoscitive del pri-
mo; parimente dileguatasi lambizione di servire allo studio del-
luomo in genere svelata dal secondo, di questultimo per rie-
cheggiano ampiamente le motivazioni empiriche, incentrate
sullavidit mercenaire110 di biografi ed editori:
Aprs tout ce qui a t dit et senti touchant la difficult de faire des
histoires vridiques, conoit-on que la cupidit des libraires dune part, et

107
Ludovico Di Breme, Grand Commentaire, cit., pp. 135, 136, 137.
108
Ivi, pp. 145, 156. Il capitolo xiii, intitolato Principes en discussion Contro-
verse Tripots, etc. etc., occupa le pp. 146-182.
109
Cfr. Ludovico Di Breme, Degli studi e delle virt di Tommaseo Valperga di
Caluso. Cenni storici (1815), ora in appendice alledizione del Romitorio di SantIda,
cit., pp. 155-171.
110
Id., Grand Commentaire, cit., p. 63.
58 ragionar di s

de lautre loiseuse ou maligne curiosit des lecteurs pussent encore sen-


tendre assez pour procurer quelque fortune de pareils livres []?
Lhistoire des vivants sera-t-elle jamais, et toutes les poques socia-
les, autre chose en gnral, aux yeux dun critique de bonne-foi, que le
triomphe de la flatterie et de la malveillance?

Pourquoi donc na-t-on pas demand davance aux intresss de four-


nir au moins la substance de leur propre historie? Les faits bien garantis,
le dates mmes, le tmoins compars aux assertions, que le Biographes eus-
sent prsent leur tour, auraient constat lincompatibilit des uns avec les
autres.

Le dfaut de monuments ne fut peut-tre jamais si funeste lhistoire


de ce que va le devenir lembarras de la critiques dans le chaos o nous la
jetons par tant de pices contradictoires. Notre postrit sera-t-elle assez
peu avise pour tenir compte de cet immense fatras de biographies, d-
loges, de satyres, de pamphlets, de pangyriques composs en prsence des
hros ou des victimes? Combien nous parotrons fats, ridicules et m-
chants nos neveux! Mais j prie nos neveux de considrer que parmi ces
messieurs qui se donnent la jouissance de parler sans cesse deux et de
confesser leur gloire, il se trouve les Biographes deux-mmes, malgr eux-
mmes; que je suis de ce nombre; que nous mritons111.
La proposta che ne emerge quella di una biografia costruita
sulla base di faits bien garantis [] dates [] tmoins fornite da

111
Ivi, pp. 61-62, 64, 69. I corsivi sono miei. Si notino le consonanze con il
noto passo dellIntroduzione di Alfieri alla Vita: Avendo io oramai scritto molto,
e troppo pi forse che non avrei dovuto, cosa assai naturale che alcuni di quei
pochi a chi non saranno dispiaciute le mie opere (se non tra miei contemporanei,
tra quelli almeno che vivrai dopo) avranno qualche curiosit di sapere qual io mi
fossi. Io ben posso credere, senza neppur troppo lusingarmi, poich di ogni altro
autore anche minimo al valore, ma voluminoso quanto allopera, si vede ogni gior-
no e scrivere e leggere, o vendere almeno, la vita. Onde, quandanche nessunaltra
ragione vi fosse, certo pur sempre che, morto io, un qualche libraio per cavare al-
cuni pi soldi da una nuova edizione delle mie opere, ci far premettere una qua-
lunque mia vita. E quella, verr similmente scritta da uno che non mi aveva o
niente o mal conosciuto, che avr radunato le materie di essa da fonti o dubbj o
parziali ; onde codesta vita per certo verr ad essere, se non altro, alquanto meno
verace di quella che posso dare io stesso. E ci tanto pi, perch lo scrittore a soldo
delleditore suol sempre fare uno stolto panegirico dellautore che si ristampa, sti-
mando ambedue di dare cos ampio smercio alla loro comune mercanzia (Vitto-
rio Alfieri, Vita, introduzione e note di Marco Cerruti, Milano, Rizzoli, 1987,
pp. 49-50; i corsivi sono miei).
i. le proposte del conciliatore 59

chi ne loggetto: biografia, insomma, che nasce e lievita dallau-


tobiografia, da fonti dautore; cio si noti proprio come dove-
vano essere, nella singolare finzione scelta da Di Breme per il Ro-
mitorio di SantIda, le memorie che Florindo veniva chiamato a
stendere con la collaborazione di Teresa e dei documenti da lei
amorevolmente custoditi. In mancanza di un lavoro biografico sif-
fatto, lautobiografia allora non che una rivincita resa necessaria
da una indegna provocazione (e tratteggiata da Di Breme non
senza qualche risentita tinta misogallica112). Cruciale e insistita
risulta nel Grand Commentaire la distinzione tra quei messieurs
qui se donnent la jouissance de parler sans cesse deux et de con-
fesser leur gloire e lautobiografo suo malgrado, come si defini-
sce Di Breme, mosso non da mire autocelebrative da amor di s
stesso, si potrebbe dire alfierianamente , ma da puro amor di ve-
rit. Se lamore di verit (scrivere una vita pi verace di quella
che darebbe un biografo a soldo) si congiungeva nella Vita di Al-
fieri allamor di se medesimo, in Di Breme resta solo il primo ele-
mento del binomio: nessuna traccia di quellamor di s indiretta-
mente evocato da Rousseau113, apertamente celebrato da Alfieri
allinizio della sua introduzione come motore di ogni alto opera-
re, poi ripreso da Leopardi nel proemio alla sua Storia di unani-
ma. Lautobiografia romantica, bisogner allora ricordare, contem-
pla anche questo caso: altro che egotismo, altro che scrutinio mo-
lecolare dellio e dei singoli momenti dellesistenza fino alla disso-
luzione dellimpianto narrativo tradizionale, fino alla deriva del-
lautobiografia verso forme di scrittura di s parziali e frammenta-
rie o finzionali114; nel romanticissimo Di Breme, allaltezza del
1817, il generale analisi di temi di utilit generale a rendere
degna la scrittura autobiografica, per lappunto convogliata in un
libello che sin dal titolo si annuncia in forma di Commentaire.
La deriva dellautobiografia verso qualcosaltro questa volta avvie-
ne in direzione del saggio. Paradossalmente, il Di Breme investiga-

112
Per il chiaroscurato misogallismo del Grand Commentaire, cfr. i capitoli iii
e vii, in particolare pp. 66 sgg., 86 sgg. delledizione cit.
113
Paola Luciani, Autobiografia dellessere e autobiografia dellagire, cit., p. 294.
114
Per questa tesi, cfr. supra, pp. 10-12.
60 ragionar di s

tore dellio, del problme de moi, sta nelle pagine del romanzie-
re (mancato); lautobiografo si nutre piuttosto del polemista e del-
lo scrutatore della societ contemporanea. Allabate Di Breme,
scrittore engag, non interessa lautobiografia di per s, ma solo in
quanto pu farsi veicolo di battaglie ideologiche.
Si veda infatti la struttura dello scritto. I primi tre capitoli del
Grand Commentaire da cui ho finora spigolato i passi salienti si pre-
sentano come una sorta di introduzione: pagine liminari di aperta
polemica e di ripetuta giustificazione che precedono la ricostruzio-
ne autobiografica. La quale inizia dal capitolo iv, intitolato Mon P-
re. Non accabler le faussaire sous la masse de la vrit, ma limi-
tarsi a opporre aux faits et aux indictions dictes par [] malveil-
lance delle precisazioni115: questo il metodo che lautobiografo di-
ce di seguire per une pnible obissance al padre, che na pas dai-
gn prouver de ressentiment la vue du menteur et sot article qui
le concerne116. Pi risentito e sciolto il piglio delle pagine successi-
ve, sulle quali non si stende pi lombra paterna. Nel capitolo v, ri-
dotto tout ce quil y a de vrai et dexact dans larticle que son Bio-
graphe assassin vous a vendu alla nata di nascita117, si procede ades-
so per citazioni, recise negazioni e articolate correzioni, ora in pri-
ma persona, ora in terza (questultima, verosimilmente, per attra-
zione dellil dellarticolo biografico del Guillon). Qualche esempio:

fut destin par son Pre ltat ecclsiastique. Faux. Mon Pre na de-
stin ses enfants qu lhonneur [].
Il fit ses tudes dans la maison paternelle. Non. Il suivit les cours de
luniversit [].
Promu au sacerdoce 22 ans par dispense dge. Faux; et mme si
compltement faux que je diffrai dune anne par-del le terme canoni-
que []118.

Questa esposizione lineare, fortemente scandita, da requisitoria

115
Ludovico Di Breme, Grand Commentaire, cit., pp. 70-71.
116
Ivi, p. 70.
117
Peraltro errata: cfr. Carlo Calcaterra, Introduzione, in Ludovico Di
Breme, Polemiche, cit., p. lxxxiii.
118
Ludovico Di Breme, Grand Commentaire, cit., pp. 74, 76, 77.
i. le proposte del conciliatore 61

giudiziaria, aderente alla griglia temporale offerta dal petit arti-


cle, si infrange per gi alla fine dello stesso capitolo v: Quon
me permette ici un aveu, touchant les dignits de la prlature. Jo-
se penser119. Insomma, si comincia per davvero: dalla causa
personale alla digressione generale, secondo il meccanismo esposi-
tivo annunciato da Di Breme allinizio e rispondente alla necessit
di assicurare interesse e dignit alla rivincita autobiografica. Il
contenzioso in sospeso col biografo che, di volta in volta, si pren-
de dellassassin, del perfide, dellemposoinneur, del vil im-
posteur120 funziona da agevole punto di partenza, talora per un
esibito autoritratto morale, pi spesso per osservazioni di costume
e di politica. Alla fine, com noto, prende campo la polemica let-
teraria e lansia de rendre une justice solennelle121 ai protagonisti
del rinnovamento della scena letteraria italiana da Borsieri a Ber-
chet, da Manzoni a Pellico, per fare solo qualche nome. Se il pe-
nultimo capitolo (xiii), s gi detto, occupato dal quadro pole-
mico delle lettere italiane, lultimo (xiv) consiste nel congedo del-
lautore, patriotticamente esposto nel duplice segno della politica
e della morale. Ma lautobiografia, davvero, a questo punto non
centra pi niente.

4. lautobiografia sentimentale
nelle avventure letterarie di un giorno di borsieri

Di nuovo alla penna di Pellico si deve un consuntivo della car-


riera di Pietro Borsieri. Si legge in un celebre ricordo epistolare del
saluzzese, allindomani della morte dellamico e compagno di bat-
taglie di giovent:

Quandio di Francia venni a Milano, in et danni 21, trovai, tra i gio-


vani dingegno, Pietro Borsieri, danni 23 o 24. Avea fatto con onore i suoi
studi alluniversit di Pavia, ed uscitone, venne impiegato nel ministero

119
Ivi, p. 77.
120
Rispettivamente, ivi, pp. 74, 80, 82, 115.
121
Ivi, p. 180.
62 ragionar di s
della Giustizia. Scriveva bene in prosa ed in poesia, ragionava con elo-
quenza, si nudriva di molte letture, il suo intelletto gustava soprattutto le
indagini filosofiche e le scienze del bello. Era tenuto in pregio da Monti,
da Foscolo, da Manzoni, da ogni uomo che lo conoscesse, ed in lui ama-
vano non solo il nobile ingegno, ma le sode qualit dellanimo.
Non ti so dire quasi altro di Pietro Borsieri, se non che ci vedevamo
ogni giorno come amici allegri, studiosi, sempre in buona armonia. Ei fa-
cea progetti di libri dogni genere, ordiva drammi storici, e non saffretta-
va a compiere nulla; onde non diede pressoch niente alle stampe. Pub-
blic soltanto opuscoli doccasione, brevi poesie, cose poco notevoli; col-
labor nel Conciliatore. []
Perch con tante cognizioni e con segnalato ingegno non lasci egli
unopera letteraria notevole? Mutava troppo spesso progetti, sannoiava
dei lunghi lavori, e pi lo dilettava il leggere, pensare e discorrere che ac-
quistar fama dautore. In giovent ei diceva: troppo presto ; in vecchiaia
disse: troppo tardi 122.

Pellico avvicina lintellettuale di origini trentine allaltro com-


pagno delle battaglie letterarie giovanili, Di Breme, dipingendolo
come preda anchegli della sindrome del non finito. Di Borsieri
scrittore, date per universalmente riconosciute le tante cognizio-
ni e letture, leloquenza, il nobile e segnalato ingegno, de-
limita larea di interesse (le indagini filosofiche e le scienze del bel-
lo), cui fa riscontro la pluralit eterogenea di progetti (libri do-
gni genere, pur con unattenzione particolare al dramma stori-
co): un affastellamento in fase progettuale cui si lega la propen-
sione per opere di breve respiro, dunque di rapida e immediata
composizione (sannoiava dei lunghi lavori). Pellico traccia in-
somma il ritratto di un giovane colto e dotato di genio, amante
della lettura e portato al confronto e alla discussione teorica, ma
inconcludente e velleitario, perch incapace di applicarsi a opere di
vasta mole e anche perch non sospinto dallambizione dacqui-
star fama dautore o amor di gloria letteraria che si voglia.
In effetti, il nome di Borsieri legato, nella storia della lettera-
tura, essenzialmente alle Avventure letterarie di un giorno e alla col-
laborazione con il Conciliatore: una petit ouvrage, una bro-

122
Silvio Pellico, Pietro Borsieri, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., pp. 466-468.
i. le proposte del conciliatore 63

chure in cui cercare, scriveva Di Breme nel Grand Commentaire,


ce qui de nos jours a peut-tre t crit de plus ingnieux parmi
nous et de plus irrcusable, sur les devoirs de la critique, et sur le
got et le choix du style historique italien123, e articoli di critica
letteraria, prose satiriche, alcune pagine narrative ospitate dal fo-
glio azzurro. insomma alla veste di pugnace polemista del Ro-
manticismo nostrano che affidata la fama letteraria dellautore,
poi a lungo sepolto vivo nello Spielberg e prostrato da quella terri-
bile esperienza. Vale per la pena ricordare che al narratore, piut-
tosto che al teorico e al critico, da ascrivere un indiretto ricono-
scimento del padre dei Promessi sposi. proprio Borsieri a essere
privilegiato come narratore dinvenzione nella assai selettiva scelta
del Conciliatore (48 pezzi su 343) che Manzoni predispone nel
1820 per lamico Fauriel, impegnato in uno studio sul Romantici-
smo italiano:

Di Borsieri vengono segnalati 7 interventi. [] Manzoni sembra []


pi attento a segnalare la sua prosa dinvenzione, alla quale dedica largo
spazio: 4 articoli (nn. 32, 36, 61-63, 91), di cui uno, Storia di Lauretta, in
3 puntate. Da registrare invece, sempre per quel che riguarda la narrativa
dintrattenimento, lassenza delle voci di Pellico, Di Breme, Confalonieri,
i quali come Borsieri avevano pur fornito al Conciliatore non pochi
scritti narrativi di vario genere, quali racconti, novelle, divertissements let-
terari, ecc.124.

Neppure quel Battistino Barometro che, com noto, sembra


aver prestato lonomastica ai Promessi sposi 125, sopravvive alla strin-
gatissima selettivit con cui Manzoni vaglia il foglio azzurro. Se

123
Ludovico Di Breme, Grand Commentaire, cit., p. 174.
124
Irene Botta, Manzoni a Fauriel: lindication des articles littraires du Con-
ciliateur, in Studi di filologia italiana, xlix, 1991, pp. 204, 228.
125
Sulla possibile incidenza della lettura del Battistino sullautore dei Promes-
si sposi, cfr. in particolare Vittorio Cian, Gli alfieriani-foscoliani piemontesi ed il
Romanticismo lombardo-piemontese del primo Ottocento, Roma, Societ Nazionale
per la Storia del Risorgimento Italiano, 1934, pp. 87 sgg.; Riccardo Massano, Sil-
vio Pellico compilatore responsabile del Conciliatore, in Studi piemontesi, i, 1972,
pp. 3-31; Giorgio Petrocchi, Confalonieri e i racconti del Conciliatore, cit., pp.
243-244.
64 ragionar di s

lo scrittore per salvaguardare Fauriel da una lettura integrale del


periodico in vista della stesura di una petite partie dhistoire litt-
raire italiana certo pone locchio sugli articoli che sviluppano i
motivi pi scottanti della querelle classico-romantica, anche ve-
ro che affida la rappresentanza della prosa dinvenzione del Con-
ciliatore a Borsieri, considerandolo evidentemente come il pi si-
gnificativo; o, semplicemente, come il pi rappresentativo dei nar-
ratori del foglio azzurro.
Forma narrativa presenta anche quella gemma della lettera-
tura minore del nostro Ottocento126 che sono le stesse Avventure
letterarie di un giorno. Com tipico dei manifesti127 romantici, in
questa briosa operetta pre-Conciliatore

i propositi abrogativi vengono ratificati, coerentemente, con le forme an-


ticonvenzionali molto distanti dal trattato: [] Borsieri, con il sorriso
malizioso della satira, si vale di un pastiche che inzeppa nella struttura pla-
stica del diario una sorta di menippea inclusiva, saltando dal dialogo allo
squarcio epistolare, dalloratoria al teatro128.

Si tratta di sostituire al trattato una forma pi accattivante e


perci pi efficace e nel contempo antitradizionale, di pari passo
con le idee: dire cose nuove e antipedanti in una forma nuova e an-
tipedante. Che la forma prescelta sia appunto quella del romanzo,
lo ammette Borsieri stesso in una lettera (inedita) del 1816 e quasi
trentanni pi tardi, scrivendo a Gioberti il 17 marzo 1843129. Per la
ricezione dei contemporanei utile testimonianza una recensione,
anonima ma dellavvocato torinese Carlo Guasco130. Lamico e per-

126
Sebastiano Timpanaro, Unoperetta di Pietro Borsieri ed una di Pietro
Giordani, cit., p. 31.
127
Come, con termine non del tutto adeguato, si usa ormai chiamarli, pre-
cisa Timpanaro, che preferisce parlare di operetta (ivi, p. 32).
128
Andrea Battistini-Ezio Raimondi, Retoriche e poetiche dominanti, cit.,
p. 202.
129
Cfr. William Spaggiari, Due schede romantiche (1983), in In mezzo a lumi
de Gonzaghi heroi. Note e ricerche di letteratura moderna, Catanzaro, Pullano, 1993,
p. 90n. e Id., Prefazione, in Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit.,
p. xxi.
i. le proposte del conciliatore 65

sonaggio delle Avventure Carlo G. ne discorre come di un saggio


di censura morale e letteraria che offre un esame particolare di al-
cune importanti quistioni in forma di Romanzetto, nel quale
lautore frammischia le sue dottrine alla pittura di diversi acci-
denti e caratteri, dimostrandosi nemico capitalissimo della noja;
oltre che la continua variet delle cose e dei modi di esporle, il friz-
zo, la rapidit e leleganza dello stile ne fanno riconoscere in lui uno
studioso lettore di Luciano e di Sterne. La materia insomma
quella del pamphlet, la forma quella del romanzo di ascendenza
settecentesca131, che, attingendo alle risorse della satira e della pro-
sa sterniana, ravvivi cos dallinterno la sostanza saggistica: per Bor-
sieri e per lamico recensore non ci sono dubbi.
A questa scissione pi apparente che reale tra contenuto saggi-
stico e forma narrativa rimanda lo stesso titolo completo dellope-
retta, del quale purtroppo facile dimenticarsi visto che, per co-
modit, invalsa labitudine di tralasciare la seconda parte: Avven-
ture letterarie di un giorno o consigli di un galantuomo a vari scritto-
ri. I consigli di un galantuomo a vari scrittori esplicano il conte-
nuto, mentre le avventure letterarie di un giorno titolo che pe-
raltro ha una sua tradizione132 rimandano alla finzione narrativa
entro cui tali consigli sono calati. La formula quella, per citare un
esempio cruciale per lo stesso Borsieri, dello staliano Corinne ou
lItalie del 1807, dove, com noto, la vicenda amorosa della prota-
gonista consente ampie divagazioni sulla civilt italiana: anche in
quel caso lintestazione bimembre avvertiva gi. Dunque, a poste-

130
Recentemente ripubblicata in William Spaggiari, Due schede romantiche,
cit., p. 83, da cui si cita il testo.
131
Per romanzo intendiamo quel genere (ora narrativo, ora dialogato) che
[] aveva avuto i suoi grandi modelli nel Settecento, e che continu a sussistere,
minoritario ma non per questo meno interessante e originale, nel primo Ottocen-
to, ben distinto dal nuovo romanzo ottocentesco: il genere a cui appartennero, vi-
cini nel tempo anche se di ben diverso valore, le Operette morali del Leopardi, il
Manoscritto di un prigioniero e il Forte della Stella di Carlo Bini, il Viaggio di tre
giorni di Luigi Ciampolini (Sebastiano Timpanaro, Unoperetta di Pietro Borsie-
ri ed una di Pietro Giordani, cit., p. 39).
132
Cfr. William Spaggiari, in Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un
giorno, cit., p. 1n.
66 ragionar di s

riori, il titolo completo delle Avventure appare come lesplicita


quanto eloquente dichiarazione di quel che Borsieri diceva della
propria operetta nel privato delle lettere: libretto in forma di ro-
manzo. Lo stesso vale per i titoli dei capitoli centrali, anchessi bi-
membri e organizzati intorno a una congiunzione disgiuntiva che
affianca esplicitamente finzione narrativa e oggetto della corrispet-
tiva polemica: La compera di un buon libro o censura della Biblio-
teca italiana (ii), La visita o rivista di due articoli cos detti italiani
del signor T.C. (iii), Il caff ovvero disputa sullautenticit e origina-
lit dei Dialoghi degli antichi letterati nellEliso (iv), Il passeggio
con quel che segue o cenni sulle Cronache di Pindo e sullopera buf-
fa (v), Lincontro dun poeta o idee sovra Lucano, sovra limitazione
dei grandi scrittori stranieri, e sul Discorso di Lodovico di Breme
(vi). Che razza dintitolazioni!133, esclama il Lettore nel Dialogo
che serve di prefazione di fronte al Galantuomo-autore che sciorina
con compiacimento i titoli scorciati dei nove grandiosi capitoli
[] Io La Compra dun buon libro La Visita Il Caff Il
Passeggio LIncontro dun poeta Il Pranzo Il Teatro e Alcune
Riflessioni un po serie: Come, come? Questi sono capitoli di cri-
tica sui giornali e sulla letteratura italiana?, incalza il Lettore da-
vanti a titoli che promettono tuttaltro. E il Galantuomo: Il no-
me, signor mio, non fa la sostanza delle cose; e se legger: eb-
bene, solo se legger scoprir la sostanza non coincidente col
nome. Di l a poco, si sa, Di Breme nel Grand Commentaire
commenter negativamente la scelta borsierana del titolo disimpe-
gnato, proprio per il rischio che la veste amena facesse passare in
secondo piano la serissima polemica letteraria134. Intanto, strano
libro, conclude esterrefatto il Lettore alle soglie delle Avventure 135.
Strano libro davvero, in cui nome e sostanza non coinci-
dono. Quel che conta, e che qui interessa, che loperetta incarna
concretamente laspirazione al superamento della rigida distinzio-
ne classicista dei generi promossa dai conciliatoristi col supporto
della mobile tradizione settecentesca (il che ha fatto discorrere del-

133
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 5.
134
Cfr. Ludovico Di Breme, Grand Commentaire, cit., pp. 173 sgg.
135
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 5.
i. le proposte del conciliatore 67

le Avventure come da ascrivere al genere satirico, se la satira mo-


derna si fonda sulla appropriazione e libera commistione di gene-
ri, sullintarsio poliedrico di molteplici forme letterarie)136. E im-
porta che dal punto di vista della storia del romanzo ottocentesco,
loperetta non si limita a elaborare una duplice proposta operativa
il romanzo di vita contemporanea e il romanzo storico, indicati
da Borsieri nel capitolo vii (Il pranzo ) , ma fa di pi: mette in
pratica la prima di queste due strade narrative, lo studio del pre-
sente137. Della narrativa desprit, di matrice autobiografica e di ma-
teria contemporanea di l a poco tentata a pi riprese dagli scritto-
ri del Conciliatore, le Avventure nel 1816 insomma vogliono esse-
re la giustificazione teorica, ma anche un primo esempio pratico.
Le due cose non si escludono ma collimano per il nostro autore,
educato da letture settecentesche: in fondo stato notato la
stessa difesa del romanzo nel capitolo vii e lesempio della Corinne
portato da Borsieri tradiscono laspirazione dello scrittore a uno-
pera letteraria dove il contenuto di pensiero sia nettamente deter-
minante, e intorno ad esso si sviluppi poi la drammatizzazione con
appropriate soluzioni strutturali e stilistiche138. Quel che succede
appunto nelle Avventure.
Loperetta si presenta come il diario di un giorno, ma struttu-
rato retrospettivamente, come una mini-autobiografia: Ritornato
a casa mia, e ripassando col pensiero tutto ci che mera occorso
nella giornata, deliberai di scriverne fedelmente la storia139. Sul
modello del Parini biografo satirico di una giornata del giovin si-
gnore, Borsieri si finge autobiografo quasi altrettanto pungente di

136
Cfr. Francesco Spera, Le avventure della satira di Pietro Borsieri, nello-
pera collettiva I bersagli della satira, a cura di Giorgio Brberi Squarotti, Torino,
Tirrenia Stampatori, 1987, pp. 181 sgg.
137
Cfr. Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit.,
p. 20 e anche William Spaggiari, Prefazione, in Pietro Borsieri, Avventure let-
terarie di un giorno, cit., pp. xix sgg.
138
Francesco Spera, Le avventure della satira di Pietro Borsieri, cit., p. 188.
Il Romanzo appartiene al genere filosofico ed alleloquenza propriamente detta,
fa dire Borsieri a Silvio P., dietro cui adombra lamico Pellico (Pietro Borsieri,
Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 85).
139
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 105.
68 ragionar di s

una giornata da galantuomo: una giornata paradigmatica che si


risolve in una curiosa storia cittadina che offre il destro per la
deformazione parodistica e grottesca della posizione degli avversa-
ri140. Tale uso eccentrico di una forma tradizionale di scrittura au-
tobiografica quale il diario si inserisce nel pi ampio panorama
del rigetto della forma canonica del saggio operato dai conciliato-
risti: un fondamentale episodio di quel rifiuto e della ricerca di
soluzioni alternative, eterodosse, pi vive e liberate dalle incrosta-
zioni pedantesche, secondo la tecnica della contraffazione e in
omaggio a una musa giocosa141.
Le Avventure, si sa, nascono col preciso intento di difendere
coloro che si erano gi pronunciati per le nuove teorie romanti-
che, dalla Stal allamico Breme, e in esse riversata lIntroduzio-
ne del 1815 alla Biblioteca Italiana142. Una prefazione e nove
grandiosi capitoli143, secondo uno svolgimento non organico, ma
che si coagula di volta in volta intorno ai singoli momenti della
giornata il passeggio, il pranzo, il teatro e cos via da cia-
scuno dei quali prende il volo la vis polemica dellautore. Attraver-
so il suo Galantuomo, com noto, Borsieri prende posizione via
via contro la Biblioteca italiana, il Botta, il Caleppio, i detratto-
ri di Madame de Stal e di Di Breme, i compositori di opere buf-
fe. Un dato costante: trova nello scontro loccasione per esporre le
proprie teorie. il dialogo, verosimilmente dietro lesempio di
Monti144, la risorsa strutturale cui si affida Borsieri nel suo libret-
to in forma di romanzo. Tolti tre capitoli il primo (Io), il quin-

140
William Spaggiari, Prefazione, ivi, p. xviii.
141
Andrea Battistini-Ezio Raimondi, Retoriche e poetiche dominanti, cit.,
p. 202. Sulle alternative alla forma canonica del trattato elaborate dagli scrittori ro-
mantici, cfr. ivi, pp. 200-203.
142
Per il rapporto tra le Avventure e lIntroduzione del 1815, cfr. soprattutto
William Spaggiari, Lopposizione dei romantici tra civile concordia e fortuna ser-
vile, in Il ritorno di Astrea. Civilt letteraria della Restaurazione, Roma, Bulzoni,
1990, pp. 11 sgg.
143
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 5.
144
Sullinflusso montiano per ladozione della struttura dialogica applicata a
temi di polemica letteraria, cfr. William Spaggiari, in Pietro Borsieri, Avven-
ture letterarie di un giorno, cit., p. 1n. Sullincidenza del dialogo nella struttura ro-
manzesca delle Avventure, cfr. Francesco Spera, Le avventure della satira di Pietro
i. le proposte del conciliatore 69

to (Il passeggio) e lultimo (Riflessioni un po serie) , i restanti sei


sono tutti costruiti su scene di dialogo; e persino la prefazione
in forma dialogica (sintitola infatti Dialogo che serve di prefazione).
Non c da stupirsi: che la drammatizzazione nella saggistica serva
a fugare o per lo meno ridurre i rischi della noia, potentissimo
inciampo ai progressi degli studi145, convinzione di Borsieri det-
ta espressamente nelle Avventure. Accade nel capitolo iv (Il
caff )146, in riferimento al coevo settimanale antiromantico di Ber-
nardo Bellini, colpevole, fra laltro, di non essere allaltezza delle
promesse del titolo: Non le negher che i Dialoghi dellEliso
[Dialoghi degli antichi letterati nellEliso] annoierebbero meno se
fossero scritti drammaticamente come vorrebbe il suo Aristarco,
deve ammettere un interlocutore dopo che il Galantuomo ha rife-
rito la vivace requisitoria di Baretti quondam Aristarco Scanna-
bue , apparsogli in sogno:

Almeno questi orgogliosi, che si sono accinti a far parlare settimanal-


mente i pi granduomini del mondo, avessero almeno saputo [] porli
in contrasto; far nascere in somma quellinteresse drammatico, senza il
quale una continuata serie di conversazioni sepolcrali debbessere un
Giornale cos papaverico da far morire per sonno il benigno lettore. []
Omero [] Machiavelli [] e tutti quegli altri genii immortali non san-
no entrare in discorso se non sinterrogano per esempio cos, e che ne dice
il Tasso? e come la pensa Aristotile? e che te ne pare Messer Boccaccio?

Esattamente quello che, nellintento di fare saggio non papa-


verico, Borsieri procura di evitare nelle sue Avventure.
Scritto dallo svolgimento non organico, s detto. Assicura con-
tinuit formale al libretto (se legger que capitoli da capo a fon-
do, trover che formano un tutto, ci teneva a precisare il Galan-

Borsieri, cit., p. 187. Pi in generale, per luso della strutture drammatiche nel ro-
manzo primottocentesco, cfr. Roberto Bigazzi, Sul romanzo drammatico nel pri-
mo Ottocento, nellopera collettiva Studi di filologia e critica offerti dagli allievi a
Lanfranco Caretti, 2 voll., Roma, Salerno, 1985, ii, pp. 559-583.
145
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 23. Sul motivo
della noia in Borsieri, cfr. ivi, p. 23, n. 30.
146
Cfr. ivi, pp. 52-57, da cui sono tratte le citazioni che seguono.
70 ragionar di s

tuomo nella prefazione147) lespediente di far s che linizio di ogni


capitolo si riallacci strettamente alla fine del precedente, attraverso
la ripresa dal punto esatto in cui ci si era interrotti. Un esempio per
tutti: congedandomi ebbi in premio dalla bella [la signora cui il
Galantuomo ha fatto visita], per la mia disinteressata difesa di Ma-
dama Stal, un dolcissimo sorriso, e due o tre lievi colpi di venta-
glio sulla guancia sinistra, che mi fecero pensare a moltaltre cose
come sentirete, la fine del capitolo iii (La visita ); Un sorriso e
un saluto col ventaglio, che piccola cosa mai questa, e quanto
grandi conseguenze pu avere!, linizio del capitolo iv (Il
caff )148. La continuit sostanziale sta negli argomenti trattati, tut-
ti di polemica letteraria, ma unico filo ininterrotto la costante
presenza in scena dellio narrante, il Galantuomo che si sposta per
i luoghi cruciali della vita pubblica milanese quelli dove le idee
nuove si scontrano con le vecchie149 e in quegli ambienti nevral-
gici si fa seguire nei nove capitoli, mettendoci a parte dei suoi in-
contri e delle sue conseguenti riflessioni. Sulla struttura composi-
tiva delle Avventure sono state scritte pagine persuasive che la pon-
gono in relazione con la trasformazione del genere odeporico mes-
sa in atto nel Viaggio sentimentale di Sterne:

[Nelle Avventure] Il tempo narrativo scandito sullitinerario dellio


narrante sostituisce al racconto omogeneo di una vita del romanzo dav-
venture gli incontri, i giudizi e le sensazioni di un soggetto che si muove
nel contesto culturale della Milano della restaurazione. Dietro questo trat-
tamento del tempo narrativo non sar difficile scorgere il richiamo al
Viaggio sentimentale di Sterne [].
Anche quando adotta lespediente di una esile trama narrativa attor-
no alla figura del viaggiatore la scrittura del travel book si offre al lettore
come resoconto veritiero di unesperienza vissuta di contro al romanesque
della letteratura di finzione. [] Prima che della narrativa di primo otto-
cento la Storia divenga garanzia di questa veridicit del romanzo alla
metabolizzazione del genere odeporico operata dal Viaggio sentimentale

147
Ivi, p. 5.
148
Ivi, pp. 48, 49.
149
Chi vuol conoscere a fondo i grandi argomenti delle nostre dispute lette-
rarie, frequenti il teatro, i caff, i gabinetti delle dame, si legge nellultimo capi-
tolo (Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 38).
i. le proposte del conciliatore 71

che si erano riferiti i tentativi del Conciliatore di una letteratura dsprit


come forma aperta alla contemporaneit e al dibattito polemico150.

Il discorso varr, fatti i debiti aggiustamenti di tiro, in parte an-


che per il Battistino Barometro. Questo hanno imparato dal Viag-
gio sentimentale il Borsieri delle Avventure e il Pellico del Battistino:
a procurare al romanzo una garanzia di veridicit presentandolo
come racconto autobiografico di vita vissuta e a trasformare la
narrazione oggettiva del viaggio nella fisiologia degli umori e del-
le insorgenze sentimentali del soggetto151, nella modalit umori-
stica che le si accompagna nellarchetipo sterniano.
Lautobiografia sentimentale introdotta apertamente nel capi-
tolo iniziale delle Avventure, dal titolo foscolianamente emblema-
tico: Io 152. Un capitolo dove la forma autobiografica reinvestita
da Borsieri quale strumento di quello studio del presente che sta a
cuore a lui e ai suoi futuri colleghi del Conciliatore. Dopo aver
introdotto in veste di spalla, nella scena pi affollata delle Avven-
ture, proprio quella del Pranzo dedicata al romanzo, gli amici Pel-
lico (Silvio P.) e Guasco (Carlo G.)153, nelle pagine finali, in-
titolate Riflessioni un po serie, che Borsieri mette le carte in tavola
e rivela esplicitamente di parlare a nome di un intero gruppo, quel-
lo di alcuni modestissimi e dotti uomini che vivono in segreto
e non tengono il campo nella letteraria Repubblica154. Questi
dotti uomini, che proprio perch hanno a cuore le lettere italia-
ne scelgono deliberatamente di vivere lontano dalle luci della ri-

150
Ugo M. Olivieri, P. Borsieri e il romanzo darea lombarda nella prima met
dellOttocento, cit., pp. 123-124.
151
Ivi, pp. 125-126.
152
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 20.
Per la consonanza daccenti tra il primo capitolo delle Avventure e il foscoliano Rag-
guaglio dunadunanza dellaccademia de Pitagorici, cfr. Ugo M. Olivieri, P. Borsieri
e il romanzo darea lombarda nella prima met dellOttocento, cit., pp. 126-127.
153
Cfr. Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 82 e n. Non
mancano comunque nelle Avventure elementi autobiografici di polemica strettamen-
te personale, a partire dal caso pi eclatante, nel capitolo ii, sulle sorti dellintrodu-
zione di Borsieri alla Biblioteca italiana respinta sul finire del 1815 (cfr. ivi, p. 38).
154
Ivi, p. 105. Le citazioni che seguono, ibidem.
72 ragionar di s

balta, questi umili onesti Borsieri li contrappone a que lettera-


ri invece abili nel procacciarsi la fama e pronti a parlare alta-
mente di s. Viene allora in mente che aveva ragione Pellico a di-
re dellamico che aveva poca ambizione, scarso amor di gloria let-
teraria; ma perch la gloria, stando a queste pagine delle Avventu-
re, a Borsieri appare inversamente proporzionale alla seriet e al va-
lore del letterato.
Parimenti opposta allutilit e seriet del lavoro letterario det-
ta la vanit, il gusto del parlare altamente di s. Allora, come
leggere quel capitolo primo, Io, che sin dal titolo appare come una
esibita offerta proprio al nume della vanit? Bisogna ricordare
che il Galantuomo-io narrante che dedica a se stesso tutto il primo
capitolo in realt ha gi avuto occasione di presentarsi nel succoso
Dialogo che serve di prefazione. Sollecitato da un ameno quanto in-
genuo Lettore, il Galantuomo ha l comodamente esposto le sue
patenti romantiche155 e ci ha incuriosito intorno al suo libretto.
Forte della tradizione giornalistica settecentesca, nel primo capito-
lo intitolato Io si libera della mediazione del Lettore-personaggio,
terzo incomodo tra narratore e lettore vero, e si lancia ora in una
diretta autopresentazione. Subito, in apertura, una vecchia cono-
scenza degli studiosi dautobiografia: lo spettro del biasimo per
lindulgenza al parlare di se stesso, con la conseguente necessit
di autogiustificarsi. Un fantasma che Borsieri allontana sbrigativa-
mente appellandosi alla dolcezza del ragionar di s e, soprattut-
to, al cos fan tutti:

Non debbo essere biasimato, se prima di pormi a pi pari nella mate-


ria che ho assunto a trattare, credo sommamente opportuno di parlare di
me stesso. s dolce cosa il parlare di se stesso! Tutti gli Scrittori sogliono
farlo pi o meno lungamente; n solo gli Scrittori e i Magistrati e i Guer-
rieri e gli Artisti, ma ben anche limmensa e piacevolissima schiera di tut-
ti coloro che altro non sanno che bere, dormire, e mangiare, e tornar a
mangiare, bere, e dormire156.

155
Le riassume brevemente William Spaggiari, ivi, p. 3n: la letteratura de-
ve parlare al cuore e non soltanto alla mente; anche gli uomini semplici possono
sentire e giudicare; i nomi non fanno la sostanza delle cose.
i. le proposte del conciliatore 73

Questa la giustificazione ufficiale; con una punta di polemica


par di vedere verso quel lo fan tutti, ma proprio tutti; come a
dire che la cosa pi facile da fare. Giustificazione troppo leggera,
troppo scanzonata, per essere soddisfacente sulla soglia delle impe-
gnative pagine delle Avventure. Per quale ragione il parlare di se
stesso sia davvero sommamente opportuno al Galantuomo in
apertura alle sue avventure letterarie di un giorno si capisce an-
dando avanti nella lettura del capitolo. Che tutto una polemica
col presente (la nostra et) e soprattutto con i frivoli letterati
contemporanei: polemica, si capisce, preliminare ai punti del di-
battito affrontati nei capitoli successivi, e affidata dallio narrante
al racconto umoristico della propria formazione e educazione sen-
timentale. Ad avvertirci che il tono di burla ci pensa il narra-
tore stesso: guai a scambiare il titolo di Eroe che egli si autoat-
tribuisce per serio. Di eroico, alla fine, appare esserci solo la capa-
cit di adattamento con cui lio che d il titolo al capitolo, per so-
pravvivere, ha saputo tramutare lindole sua nativa in un carat-
tere fatto a posta per la nostra et.
Il capitolo, s detto, sintitola Io. Avrebbe potuto chiamarsi, per
uniformit con le intestazioni bimembri dei capitoli successivi: Io
o della nostra et. Niente di pi lontano dal dsire autobiographique.
Niente di pi lontano dal piacere di parlare di s, che anzi Borsie-
ri mette in ridicolo come egocentrismo e smania di protagonismo
nel capitolo vii, con esplicito rimando al capitolo i157. La tirata da-
pertura sulla dolcezza del ragionar di s come tentazione irresi-
stibile non sfugge al gioco umoristico su cui si regge lintero capi-
tolo Io. Se di esso si vanno a cercare i precedenti, si scoprir che ri-
mandano per lo pi a pagine giornalistiche settecentesche so-
prattutto del moralista Gasparo Gozzi , a scritture saggistiche e
polemiche158. Dunque una duplice funzione svolge il capitolo da-

156
Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 7. Le citazioni
che seguono, ivi, pp. 8, 9.
157
Detto questo, il mio Silvio P. prendeva gi il cappello per uscire, ma io
che mi sentiva una smania terribile di fare come gli altri il mio sermoncino (vedi
capitolo Io) (ivi, p. 88).
74 ragionar di s

pertura intitolato allio: chiave daccesso umoristica alla polemi-


ca letteraria del libretto e, insieme, antifrasticamente, strumento
di satira contro la vanit come nefasto motore che fa girare il
mondo letterario, dal parlar di s in su. Lio allautore delle Avven-
ture interessa solo nella misura in cui pu essere uno schermo ri-
frangente del presente.

5. pellico da litaliano a battistino barometro

Intorno al 1816, proprio quando Borsieri ne fa uno dei protagoni-


sti del capitolo delle Avventure in difesa del romanzo (il vii, Il pran-
zo), il signor P. alias Silvio Pellico al romanzo ci pensa davvero.
Lo testimonia il fatto che il giovane autore della Francesca da Ri-
mini, divenuto famoso da un giorno allaltro dopo la prima mila-
nese della tragedia nellestate del 1815, della Musa divina che non
ebbe culto in Grecia parla ripetutamente nelle lettere al fratello.
Ma piuttosto che al romanzo storico o di costume contemporaneo
le due strade indicate da Borsieri , in questi anni di una prima
e per ora inconcludente sperimentazione narrativa Pellico pensa a
un romanzo eminentemente autobiografico. Idea germinata
manco a dirlo, vista la sanguigna ammirazione del giovane Pellico
per luomo e scrittore Ugo Foscolo soprattutto nellombra ferti-
le delle Ultime lettere di Jacopo Ortis. In assenza di esplicite testi-
monianze dautore e, soprattutto, in mancanza del risultato quel
romanzo autobiografico Pellico non lha mai scritto , sono le trac-
ce sparse nelle lettere milanesi al fratello Luigi che autorizzano a
vedere nel Pellico aspirante romanziere del 1816 un mancato epi-
gono del Foscolo dellOrtis 159. Un novizio che sembra avere idee
molto chiare: Fa un romanzo. Scrivi la tua vita, velando aggiun-
gendo, modificando, ed ecco un romanzo160.

158
Cfr. le indicazioni di William Spaggiari, ivi, p. 7, n. 1.
159
Le lettere al fratello Luigi si leggono in Silvio Pellico, Lettere milanesi,
cit., pp. 1-232. Sulla scorta di quelle missive, stato soprattutto Rodolfo Macchio-
ni Jodi, a puntualizzare, pur en passant, la suggestione foscoliana (cfr. Prodromi di
narrativa ottocentesca, cit., p. 74).
i. le proposte del conciliatore 75

Quellinvito al romanzo come autobiografia velata Pellico da


tempo lo stava provando su se stesso. Per lesattezza da almeno un
anno, ma a pi riprese e senza costanza, passando con disinvoltu-
ra dal teatro al romanzo e dal romanzo di nuovo al teatro, a se-
conda degli stimoli offerti allimmaginazione da sempre nuove e
convulse letture. Cos almeno confessa al fratello il 18 luglio 1815:

Unidea che da lungo tempo mi passeggia per la testa mi fece comin-


ciare un romanzo. Qualche pagina stata scritta con buon volere, ma lessi
un cenno nel Muratori sulla morte della moglie di Lodovico Sforza, ne or-
dii una tragedia [una mai compiuta Beatrice dEste], e ora la sto compo-
nendo. Non biasimarmi dincostanza. Ci che preparato non perduto161.

Esattamente un mese dopo, il 18 agosto 1815, la prima glorio-


sa della Francesca da Rimini al teatro Re di Milano, sufficiente a far
parlare di Pellico tra i contemporanei come dellerede designato di
Alfieri, ma di l a qualche mese il progetto del romanzo riaffiora.
Ancora unallusione rassicurante quanto generica sul finire dellan-
no: Non sospettare chio viva dissipato: studio e fantastico. Im-
magino tragedie e romanzi, qualche cosa pu essere che muscir
del cervello162; poi, nel febbraio del 1816, finalmente Pellico con-
segna la trama di un romanzo come far tre anni dopo per lal-
tro consistente esperimento narrativo di giovent, il Battistino Ba-
rometro , ancora a una lettera al fratello:

Ho altri argomenti in capo, fra i quali un Romanzo che tosto o tardi


far, e sar una delle occupazioni pi care della mia vita. Il titolo sar lI-
taliano. Si chiamer Tancredi. Sar un giovane piemontese, dotato dalla
natura di tutta la forza di mente e di cuore che pu infondere il nostro
Sole. Un vecchio inglese se ne innamora, lo piglia come se fosse suo figlio.
Passano per alcune citt dItalia. Sentimento squisito di Tancredi per le
belle arti. Passione pel bello, ma ignoranza totale della scienza politica. In
Inghilterra perde i pregiudizi della religione; gli sapre lorizzonte politico

160
Silvio Pellico al fratello Luigi, [luglio 1816], in Silvio Pellico, Lettere mi-
lanesi, cit., p. 50.
161
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano], 18 luglio 1815, ivi, p. 19.
162
Silvio Pellico al fratello Luigi, Milano, 11 dicembre 1815, ivi, p. 31.
76 ragionar di s

dinanzi agli occhi. Fervore con cui si slancia a considerarlo. Delira di ver-
gogna e di speranza pensando a ci che lItalia e a ci che pu divenire.
Ama la figlia dun Lord. Tutto il bello e il sublime dellamore. Impossibi-
lit di sposare quella fanciulla per la differenza di condizione. Unidea lu-
minosa, gigantesca, gli sorge nella mente: rendersi degno di quella sposa
con una grande azione. Entra nelle truppe anglo-itale (che nobiliter. E
che non pu nobilitare lo scrittore?) colla romanzesca risoluzione di mo-
rire per la patria o di acquistare tal gloria da meritare gli applausi dellIn-
ghilterra. Qualche somma prodezza. Cattivo successo. Sacrificio dellIta-
lia. Tancredi disperato. Sono indeciso se lo far morire, o se far che il
Lord informato dalla propria figlia delle intenzioni eroiche di Tancredi, e
vedute le sue lettere, consenta al matrimonio. Tancredi va a Londra per
vedere ancora una volta lamata, e poi morire. Trova tutto spianato ed
felice. Se esamini bene, vedrai che una parte della storia dei tempi co-
spira a ingrandire questo lavoro. Lo scopo di presentare lideale del ca-
rattere italiano163.

Fin troppo facile riconoscere i modelli, dalla Corinne (per il


tour italiano e la passione per le belle arti) allOrtis (per il binomio
amore impossibile-patriottismo e la soluzione tragica), intrecciati e
sovrapposti ad alcuni motivi autobiografici: il protagonista pie-
montese; lamore di Silvio adolescente per la figlia dellospite lio-
nese, gi fidanzata dal padre ad un altro, il suo desiderio di mori-
re, la crisi religiosa164. Lopzione del lieto fine, invece, sar anche
stata legata a ragioni psicologiche165, ma, checch ne scrivesse Car-
lo Curto, almeno avrebbe introdotto una variante originale: un fi-
nale gemello dellOrtis, a sua volta gemello di quello del Werther
se ne ricordava con qualche perplessit anche Borsieri nelle Avven-

163
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano], 28 febbrajo 1816, ivi, pp. 36-37.
164
Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di narrativa ottocentesca, cit., pp. 74-
75. Lo studioso ipotizza che proprio le troppo appariscenti [] risonanze di moti-
vi desunti dalla Stal e dal Foscolo, unite al contributo poco significativo che la
propria esperienza umana e sentimentale poteva offrire allautore, abbiamo indot-
to il giovane Pellico a desistere dal progetto. Sullimmanenza foscoliana, cfr. pure
Carlo Curto, Origine e unit dellispirazione del Pellico, in Lettere italiane, vi, 4,
1954, p. 354 e Mario Fubini, Lettere del Pellico (1954), in Romanticismo italiano. Sag-
gi di storia della critica e della letteratura, Bari, Laterza, 1971, pp. 96-97.
165
Tanto poco gli [a Pellico] si conveniva la parte delleroe e del ribelle!, com-
mentava Carlo Curto, in Origine e unit dellispirazione del Pellico, cit., pp. 354-355.
i. le proposte del conciliatore 77

ture 166 cominciava a essere davvero troppo.


Referenti troppo in luce, originalit dellopera affidata solo a
un magro supporto autobiografico: questi i difetti, di cui scemato
lentusiasmo dellispirazione, Pellico si sar presto reso conto, fi-
nendo con il rinunciare al progetto dellItaliano. In pi, va detto
che la storia contemporanea, punto di forza del romanzo nelle in-
tenzioni dellautore, in fondo non ne usciva poi pi protagonista
di quanto gi non lo fosse nellillustre modello foscoliano. Pellico,
sul piano dei propositi, non fa eccezione rispetto al programma
realistico e pedagogico propugnato nello stesso torno di mesi da
Borsieri167: lautobiografismo, su cui certo egli calca la mano pi
degli altri suoi colleghi, non era fine a se stesso, ma doveva servire
a introdurre in modo realistico la storia e i costumi contempora-
nei. Pellico lo diceva chiaramente: Lo scopo di presentare li-
deale del carattere italiano, attraverso lItaliano Tancredi, pla-
smato su materia autobiografica, ovvero su quellesperienza di
cose e uomini che presupposto di ogni buon libro per i ro-
mantici lombardi: dal vissuto, dal reale allideale, cio dallauto-
biografia al ritratto morale. Quella del Pellico che progetta LIta-
liano non dunque una posizione di retroguardia rispetto alla teo-
ria del romanzo di vocazione realistica e contemporanea propu-
gnata da Borsieri, ma la stessa posizione in versione pi marcata-
mente autobiografica, cio pi ortisiana. Si sa, per il Pellico mila-
nese Foscolo lidolo, letterario e umano, della sua giovinezza, gi
prima delle conoscenza personale (avvenuta nella capitale del
Lombardo-Veneto nel 1809)168. Nelle lettere del 1816, lanno del
progetto dellItaliano, allesule rifugiato in Svizzera tributa lodi ta-
li che nel 1853, al momento della pubblicazione dellepistolario fo-
scoliano, Pellico (un Pellico post-Spielberg, non si dimentichi) de-

166
Cfr. Pietro Borsieri, Avventure letterarie di un giorno, cit., p. 83 e n.
167
Come ha voluto vedere invece Macchioni Jodi (in Prodromi di narrativa otto-
centesca, cit., p. 73), trascurando laccento posto dal saluzzese sulla storia dei tempi.
168
Cfr. Silvio Pellico a Ugo Foscolo, [Milano], 8 gennaio 1816, in Epistolario
di Silvio Pellico, cit., p. 3. Ancora nelle Mie prigioni, nel capitolo l Pellico ricorda
lamicizia giovanile con Foscolo come intensa e privilegiata: siffatto iracondo uo-
mo, che colle sue asprezze provocava tanti a disamarlo, era per me tutto dolcezza
e cordialit, ed io lo riveriva teneramente. Sullamicizia Foscolo-Pellico, cfr. so-
78 ragionar di s

finir oltrespinte e puerili; ed esiger che vengano soppresse169.


Fatto sta che allaltezza del 1816 Foscolo il buon fratello, lami-
co del [] cuore, anzi un cuore uguale al proprio: Amiamoci
frattanto, ch i nostri cuori certo si somigliano170. Cos come si as-
somigliavano i cuori di Tancredi lItaliano e di Jacopo Ortis, con
la delusione del 1814 al posto di Campoformio.
La miscela poco originale dellItaliano dunque non ha seguito,
ma il pensiero del romanzo da farsi riemerge ciclicamente nel car-
teggio col fratello. Risale al luglio 1816 il gi citato invito al ro-
manzo autobiografico rivolto a Luigi, ma ora vale la pena riporta-
re il passo per intero:

Fa un romanzo. Scrivi la tua vita, velando aggiungendo, modificando,


ed ecco un romanzo. Sai tu cos un bel romanzo? Pi assai che una gi-
gantesca epopea, che cento canzonieri, che mille Odi Pindariche, Orazia-
ne, Chiabrerane.
Si ha un bel dire, ma se la letteratura migliora luomo, poche pagine
di Rousseau dicono assai pi che tante cicalate di molti celebri poeti171.

Insomma: il romanzo come scrittura autobiografica appena un


po travestita, ma anche come superiore alla poesia per potere edu-
cativo, per efficacia pedagogica; e come esempio di romanziere
lautore delle Confessions e della Nouvelle Hlose. Si vede che Pelli-
co non troppo lontano dal Borsieri delle Avventure ; e si capisce
anche che la posta in gioco troppo alta per arrendersi subito. Co-
s, mentre tutto preso da una nuova tragedia, Matilde, nellau-
tunno 1816 Pellico, incapace di scrivere quel romanzo cui pensava,
ci riprova con il fratello. In una appassionata lettera sul valore
dellesperienza delle cose del mondo, porta ad esempio il nostro

prattutto Carlo Tenca, Silvio Pellico (1854), in Saggi critici, a cura di Gianluigi Be-
rardi, Firenze, Sansoni, 1969, pp. 133-160.
169
Cfr. Silvio Pellico a Francesco Silvio Orlandini, Torino, 15 settembre 1853,
in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 401.
170
Silvio Pellico a Ugo Foscolo, [Milano], 20 marzo 1816, ivi, pp. 5, 6.
171
Silvio Pellico al fratello Luigi, [luglio 1816], in Silvio Pellico, Lettere mi-
lanesi, cit., p. 50.
i. le proposte del conciliatore 79

Ugo (un esempio forzato: Costui non ha perduto nulla trascu-


rando pi i libri che il mondo!) e conclude: costui, se verr tem-
po, scriver, non fossaltro, un adombramento della sua vita, in cui
vi saranno pi maschi e sentimenti pi nobili che non ne ha mai
ricavato dai libri172. Vista la definizione di romanzo come auto-
biografia velata data da Pellico due mesi prima, cosa sar un
adombramento della sua vita se non un altro romanzo, quello
che Pellico stesso non sa scrivere? E mentre auspica che sia lesule
Foscolo, forte della intensa vita attiva, a dare allItalia unopera sif-
fatta, sprona il fratello a farsi lesperienza necessaria e a trasfonder-
la in un romanzo. Risulta ora pi chiaro perch LItaliano o qual-
cosa di simile non divenuto realt: a parte la questione della scar-
sa originalit della vicenda, per quel romanzo, autobiografico e
contemporaneo, Pellico doveva sentirsi mancare lesperienza che
ne sostenesse adeguatamente lossatura autobiografica, veicolo es-
senziale della contemporaneit. Preso dalla tragedia, che non ha bi-
sogno dappigli autobiografici ed immersa nel passato, non gli re-
sta che sperare insistentemente che ci pensi il fratello e frattanto
educarlo additandogli le proprie preferenze romanzesche: non t
venuto un accesso di amore a Talia o a Melpomene, o a quella Mu-
sa divina [del romanzo] che non ebbe culto in Grecia, e che Ri-
chardson, Gothe, Rousseau hanno s bene celebrato?173, si legge
nella lettera a Luigi del 16 settembre 1816, successiva di un solo
giorno a quella poco fa citata sullesperienza delle cose del mon-
do di Foscolo.
Sembra chiudersi cos, rimandando il compito di dare allItalia
quel romanzo che non ha a Foscolo o al fratello Luigi, laccensio-
ne di Pellico per questo genere. Sar perch larte drammatica ad
assorbire le energie del saluzzese spargendole su innumerevoli sog-
getti; sar perch al romanzo, lo sa bene Pellico, sta lavorando Di
Breme con lIda; sar perch a difendere il genere e a propugnarne
lutilit ci ha appena pensato Borsieri nelle Avventure (uscite pro-
prio in quello stesso settembre 1816), nessun altro accenno a pro-

172
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Balbianino], 15 settembre [1816], ivi, pp. 65, 66.
173
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano], 16 settembre [1816], ivi, p. 67.
80 ragionar di s

getti narrativi si legge nellepistolario per oltre un anno: cio fino


al vaghissimo ti parler unaltra volta [] dei miei futuri poemi,
romanzi, tragedie in aria etc. etc. della lettera del 30 gennaio
1818174 che prelude al Breve soggiorno in Milano di Battistino Baro-
metro. Due i punti inequivocabili: litinerario narrativo del Pellico
dallabbozzo dellItaliano ai racconti del Conciliatore pi vir-
tuale che reale; e si svolge secondo un linea che dallautobiografi-
smo condizionato dalla storia passa alla nota satirica di costume,
saporosamente oggettiva175. Vi sottost un dato costante: la fun-
zione educatrice della letteratura. Si veda, ad esempio, una lettera
del 1817, anno che fa da cerniera tra le velleit romanzesche-auto-
biografiche del 1816 e linizio dellesperienza del foglio azzurro
(1818): Io considero sempre la letteratura importante sotto un so-
lo punto di vista, quello cio della sua influenza sopra leducazio-
ne degli uomini176.
Un paio danni dopo lelaborazione di quella teoria del roman-
zo come vita scritta da se medesimo e appena velata e arricchita
da elementi finzionali, Pellico individua una strada pi vicina a
quella del compagno Borsieri; e dunque meno autobiografica. Il
consiglio rivolto al fratello nel 1816 Fa un romanzo. Scrivi la tua
vita non funziona da pass par tout narrativo, se Pellico descri-
ve in questi termini loperetta intrapresa allinizio del 1818:

Sono alla cinquantesima pagina di unoperetta per cui ho il suffragio


di Breme, di Borsieri, e di qualche altro. il racconto delle cose osserva-
te in Milano nel breve soggiorno che ivi fece nellanno scorso un Provin-
ciale [semplice ma santo], venuto dalla Capitale per istabilirvisi, ma in-
dotto a ritornare nel suo paese dalla incompatibilit de suoi costumi sem-
plici con quelli artifiziati duna grande citt. Non una satira maligna
di Milano, ma bens un quadro delle stravaganze de vari costumi sociali,
opinioni, dottrine, ecc. scritto con bonariet di uomo rozzo ma dotato
dalla natura dun certo grosso criterio che niuna perniciosa autorit, niun
errore applaudito pu far crollare. Il mio eroe Taddeo Barometro ha tutta

174
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano, 30 gennaio 1818], ivi, pp. 126-127.
175
Rodolfo Macchioni Jodi, Prodromi di narrativa ottocentesca, cit., p. 77.
176
Silvio Pellico al fratello Luigi, Cascina Lambertenghi, 24 luglio 1817, in
Silvio Pellico, Lettere milanesi, cit., p. 106.
i. le proposte del conciliatore 81

quellapparenza volgare che deve aver luomo per piacere al volgo, e per
contrasto una tempra danimo elevata. Da siffatto contrasto desumo un
colorito, che non senzeffetto, a quel che mi pare, e traggo il vantaggio
di poter introdurre anche la turba nelle regioni della filosofia, senza che se
ne accorga, e se ne spaventi177.

Taddeo Barometro, com noto, cambia nome e il racconto del-


le cose osservate in Milano nel suo breve soggiorno sfocia nel-
lincompiuto Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro, la
prova narrativa pi consistente del Pellico conciliatorista, pubbli-
cata sul foglio azzurro tra il luglio e il settembre 1819 e rimasta
interrotta alla terza puntata per la soppressione della rivista178. Si-
gnificativamente, questa volta nella lettera non compare pi il ter-
mine romanzo. Pellico non se la sente di definire cos il nuovo
progetto e parla genericamente di operetta: cominciato lespe-
rimento narrativo libero da debiti con lOrtis e la Corinne e lonta-
no dalla complessit strutturale del romanzo, cos come dalle in-
genti componenti autobiografiche che per il Pellico milanese sono
insite in quel genere. Il tema questa volta il contrasto insanabile
tra provincia semplice e citt artiziata, con conseguente pole-
mica verso la decadenza dei costumi cittadini (motivo caro, come
si sa e come s visto per Il romitorio di SantIda, ai romantici lom-
bardi e anche autobiografico nel caso di Pellico179). La soluzione
narrativa funzionale a far emergere quel tema il viaggio di un
provinciale nella Milano contemporanea (lanno scorso) riferi-

177
Silvio Pellico al fratello Luigi, [Milano], 28 febbraio 1818, ivi, p. 131.
178
Cfr. Silvio Pellico, Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro, in
Il Conciliatore, 87, 1 luglio 1819; 100, 15 agosto 1819; 105, 2 settembre 1819 (in
Il Conciliatore, iii, pp. 11-20, 190-195, 273-277). Loperetta si legge ora anche in
edizione autonoma: Silvio Pellico, Breve soggiorno in Milano di Battistino Baro-
metro. Con una appendice di articoli dal Conciliatore, a cura di Mario Ricciardi,
Napoli, Guida, 1983. Da questa edizione si citer il testo dinnanzi.
179
Il 30 luglio 1819, nel pieno della composizione e pubblicazione del Batti-
stino Barometro, Pellico scriveva allamico Ferdinando Rossi, dalla villeggiatura di
Balbianino: da gran tempo non sono pi innamorato che della solitudine, del-
la natura selvaggia, dun mondo fantastico, diverso diverso assai da quello delle
citt; mi basterebbe un amico, polvere, schioppo, una barca, e la dimenticanza, il
82 ragionar di s

to in prima persona dal protagonista stesso: una finzione autobio-


grafica, il resoconto di un pezzo di vita vissuta che indulge meno
nella descrizione delle cose viste e pi nella rappresentazione sen-
timentale di quellesperienza, del tutto analogamente a quanto av-
veniva nelle Avventure borsieriane e nellarchetipo sterniano comu-
ne ai due testi. Lesito un quadro delle stravaganze dei costumi
urbani, non improntato a satira maligna ma a un tono amabil-
mente umoristico (di nuovo come per il libello di Borsieri). La pe-
culiarit sta nel colorito che deriva dai connotati morali e psicolo-
gici del personaggio protagonista e io narrante. Battistino una
sorta di buon selvaggio, campagnolo e ingenuo quanto basta per
sentirsi un marziano nella metropoli, per affascinare lettori popo-
lari e per avere un punto di vista altro, straniato, meno consape-
vole rispetto a quello del suo autore. Ma ha una tempra danimo
elevata che lo rende suscettibile, nellarco dellanno che si finge
trascorso tra il presente della scrittura e il passato della vicenda, di
una evoluzione psicologica e che pertanto scava un solco tra il pun-
to di vista dellio narrato e dellio narrante180. Un animo elevato
che, va detto anche, insieme gli permette di sostenere il ruolo di
strumento di educazione morale che preme a Pellico. Attraverso
questa particolare fisionomia del personaggio, Pellico dice di co-
gliere il risultato pi ambito: arrivare alla turba e introdurla effi-
cacemente nelle regioni della filosofia.
Ne esce delineata una narrativa moralistica e satireggiante che
ha lasciato la strada dellautobiografia. Qui larchitesto sternia-
no181 quasi esibito nella scrittura riflessiva della prefazione e del-

disprezzo di tutto ci che gli uomini fanno nei loro greggi (Silvio Pellico,
Lettere milanesi, cit., p. 383); e di l a poco soggiungeva: Milano un turbine vor-
ticoso che aggira gli uomini senza lasciarli in posa mai. impossibile qui dessere
poeta. Si pu ben essere osservatore, critico, politico, tutto ci che non innalza la
fantasia sino al bello ideale, ma questo bello ideale, la poesia oh per attingerla
ci vuol pace campestre, solitudine, compagnia tranquilla (Silvio Pellico a Felicia
de Conti Giovio, Milano, 8 ottobre 1819, ivi, p. 424).
180
Sui rapporti tra io narrato, io narrante e autore implicito nel Battistino, cfr.
soprattutto la brillante descrizione, condotta con gli strumenti della narratologia,
da Ugo M. Olivieri, P. Borsieri e il romanzo darea lombarda nella prima met del-
lOttocento, cit., pp. 137-140.
i. le proposte del conciliatore 83

le sue continuazioni, che occupano addirittura i capitoli i-v e nel-


le quali riemerge [] quella concezione del romanzo come gene-
re filosofico gi evidente in Borsieri182; e non a caso sulle pagi-
nette prefatorie richiama lattenzione la nota introduttiva dautore
che precede loperetta nel Conciliatore183. Dal 1816 dellItaliano
evidentemente le cose si sono complicate anche per Pellico.
Sul romanzo introspettivo, pittura di forti passioni, sentimenta-
le ed eroica narrativa dellio, Pellico per ritorna anche nel Battisti-
no, allinterno di una pi ampia e romanticissima critica alla cultura
tradizionale. Si veda la scena sullo sfiorato matrimonio di Battistino
con la figlia del dottore, la pragmatica Luigia di cui il giovane si in-
vaghito e che ha lungamente corteggiato nellunico modo in cui sa
fare sulla scorta della sua educazione accademica e antiquata, ovvero
con poco apprezzate pastorellerie. Costretto dal padre a lasciare
suo malgrado la riva Tramezzina per la metropoli milanese e a ri-
mandare di almeno una decina danni leventuale matrimonio, Bat-
tistino protagonista dun esilarante colloquio con il padre della-
mata e con la fanciulla stessa. Egli, il pi colto e raffinato dei tre, ne
esce silenzioso e sconfitto, dice, semplicemente perch non ha letto
romanzi. Messo alle strette se te ne vai e non mi sposi adesso non
mi sposerai mai pi non sa che restare muto, balordo, tremante,
senza minacciare di ammazzarsi e nondimeno desiderando in si-
lenzio di morire; poi balbetta finalmente qualche sillaba, ma
troppo tardi: il mancato suocero lo ha gi messo alla porta. Questo
per quanto riguarda lio narrato, il Battistino del passato. Nella veste
di io narrante, il Battistino del presente della scrittura commenta:

Che cosa avrebbe fatto qui un uomo bene educato, cio che avesse let-
to romanzi? Non vera un momento da esitare. Precipitarsi ai piedi di Lui-
gia, a costo desser bastonato dal dottore Abbondio, piangere, dimandar
perdono e giurare per tutti i santi di volerla sposare, non fra dieci anni,
ma anche sul momento, a dispetto di tutti padri e di tutte le madri del ge-

181
Ivi, p. 140.
182
Ivi, p. 138.
183
Cfr. Silvio Pellico, Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro, cit.,
p. 21.
84 ragionar di s

nere umano. Il matrimonio non si sarebbe lasciato consumar l su due pie-


di; no, ma gli animi offesi si sarebbero calmati, Luigia mavrebbe rialzato
dal suolo, le sarei caduto fra le braccia, il suo alito divino avrebbe dissipa-
ta ogni mia angoscia Me infelice! io non aveva letto romanzi! Restai
muto, balordo, tremante, senza minacciare di ammazzarmi e nondi-
meno desiderando in silenzio di morire.
Quando balbettai finalmente qualche sillaba, il dottore non mi lasci
pi finire; mi colm di maledizioni e di scherni, e mi cacci di casa sua184.

Il nodo allora questo: la vecchia cultura accademica ricevuta


da Battistino formale e inutile, non intrattiene alcun rapporto
con la realt, ha poco a che fare con la vita, tant vero che non lo
aiuta ma lo ostacola nel corteggiamento dellamata; quella dei ro-
manzi pu essere una preziosa carta da giocare nel formalismo dei
rapporti sociali, ma con i sentimenti del protagonista, con la sua
vita interiore, con lesperienza vissuta, con lautoconoscenza, ha
ugualmente poco a che fare. La critica non nuova nella sostanza,
anzi, antica rispetto alla breve storia del genere del romanzo: sia-
mo ancora alla pazzia daffetti, agli eccessi passionali e retorici ca-
stigati da accorti letterati settecenteschi185. Quel che interessa qui
che tale critica viene dallo stesso che in veste di recensore, e pro-
prio nello stesso periodo (la recensione alle Lettere di Giulia Willet
esce nel gennaio 1819), come s visto, al romanzo tributa il com-
pito di fare la realistica pittura del cuore e della societ uma-
na. In questo senso il Battistino Barometro completa le pagine di-
fensive della coeva recensione: il romanzo esistente si porta dietro
inganno e dissimulazione, eccessi patetici e ridondanza retorica.
Risultato: lEroe di Pellico solo con i suoi sentimenti, col suo
io profondo, senza che la letteratura n quella delle pastorellerie,
n quella dei romanzi che le lettere contemporanee gli mettono a
disposizione possa intervenire ad aiutarlo, se non suggerendogli
comportamenti sociali formali e inautentici. Il romanzo la cui in-
dagine dellinteriorit e della vita sociale serva davvero alla cono-
scenza delluomo, allora, ancora da fare.

184
Silvio Pellico, Breve soggiorno in Milano di Battistino Barometro, cit., p. 29.
185
Cfr. Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit.,
pp. 1-2. Lespressione pazzia daffetti appartiene a Baretti ed riportata ivi, p. 2.
i. le proposte del conciliatore 85

Da fare come? Analogamente a quanto accadeva nel Di Breme


del Romitorio, il narratore ha ben chiaro cosa non si deve fare
leccesso patetico e convenzionalmente stilizzato che hanno rap-
presentato fin qui i romanzi e si affida alle armi, nella scena sul
matrimonio mancato, della parodia e della caricatura186. Pi diffi-
cile proporre una alternativa. Il Pellico del Battistino si limita a ri-
conoscere lesistenza di un istinto interiore vero, sincero, e quin-
di naturale, di una natura profonda e non descrivibile nelluo-
mo: autentico il non pubblicizzato, il non detto, quel che resta
inespresso, insomma l dove la letteratura si pu approssimare so-
lo per via negativa, nei silenzi di Battistino; che sono molti nel bre-
ve racconto. Lopera narrativa meno autobiografica ideata dal gio-
vane Pellico, dunque, quella che tratta a livello pi profondo del
rapporto tra romanzo e io, indicando una soluzione negativa. Un
anno dopo, il 13 ottobre 1820, Pellico viene arrestato. Dopo sar
tutta unaltra storia.

186
Cfr. Mario Ricciardi, Introduzione, in Silvio Pellico, Breve soggiorno in
Milano di Battistino Barometro, cit. p. 10 (il saggio si legge anche, con il titolo Il
Battistino Barometro: incunabolo di un possibile romanzo borghese, nellopera col-
lettiva Piemonte e letteratura 1789-1870, Atti del Convegno di Studi, San Salvatore
Monferrato, 15-17 ottobre 1981, a cura di Giovanna Ioli, Torino, Regione Piemon-
te-Assessorato alla Cultura, s.d. [ma 1983], 2 tt., ii, pp. 611-620). Le citazioni che
seguono, ivi, p. 11.
II.
Il vizio di parlar di s.
Progetti narrativi e autobiografici di Leopardi

E forse, in compagnia di molti altri miei


disegni, anche questo se ne andr col vento.
(Giacomo Leopardi, Le Rime di Francesco Petrarca [1826])

1. tra autobiografismo e scienza delle passioni

Circa negli stessi anni in cui gli scrittori del Conciliatore sag-
giano le possibilit di una moderna narrativa moralistica e di ma-
teria contemporanea, il giovane Leopardi indugia nel sogno di
una moderna narrativa danalisi, introspettiva e di materia auto-
biografica. Soltanto un sogno, per quanto lungamente accarezza-
to. I risultati di tale protratta e velleitaria sperimentazione sono ri-
masti tutti sepolti a lungo tra le carte dello scrittore, perch pri-
vati ( il caso del cosiddetto Diario o Memorie del primo amore 1)
o perch non finiti ( il caso di tutto il resto, a partire dai cosid-
detti Ricordi dinfanzia e di adolescenza o Vita abbozzata di Sil-
vio Sarno, come propone la recente edizione critica , fino ai due
Supplementi e alla pi tarda Storia di unanima scritta da Giulio Ri-
valta pubblicata dal conte Giacomo Leopardi 2): tutti scritti, pur
nella variet degli stadi di elaborazione raggiunti, pur nella mol-

1
Carlo Leopardi testimoni che per il fratello quelle memorie [] doves-
sero sopprimersi (Appendice allepistolario e agli scritti giovanili di G. Leopardi a
compimento delle edizioni fiorentine, a cura di Prospero Viani, Firenze, Le Monnier,
1878, p. xxxi).
2
Cfr. Franco DIntino, Nota ai testi, in Giacomo Leopardi, Scritti e
frammenti autobiografici, cit., pp. 139-167 (dinnanzi SFA). Com noto, tali scritti,
88 ragionar di s

teplicit delle forme esperite e nellampiezza dellarco cronologico


coinvolto circoscrivibile tra il dicembre 1817 del Diario del pri-
mo amore e il maggio 1829, data che segna, nello Zibaldone, lulti-
ma occorrenza del titolo Memorie della mia vita , tutti scritti
confinati negli scaffali dei libri incompiuti3. Fatto sta che in
virt di questi esperimenti sempre inconclusi Leopardi ha recen-
temente cominciato a guadagnarsi un posto anche nei profili del-
lautobiografia e nelle storie del romanzo, dove fin qui figurava
piuttosto come colui che fece [] lo gran rifiuto, scegliendo la
strada dellautobiografismo lirico e indiretto dei Canti e della pro-
sa satirico-filosofica delle Operette morali 4. Pure in questa veste
minore di autobiografo e romanziere fallito, ha goduto di una
consistente fortuna editoriale5 e di una attenzione critica crescen-

a eccezione della Storia di unanima, sono senza titolo negli autografi; circostanza
questa che ha generato frequenti oscillazioni (Diario del primo amore /Memorie del
primo amore ; Appunti e ricordi / Ricordi dinfanzia e di adolescenza /Vita abbozzata
di Silvio Sarno). Qui si seguono i titoli adottati in Giacomo Leopardi, Tutte le
prose e tutte le poesie, a cura di Lucio Felici e Emanuele Trevi, Roma, Newton &
Compton, 1997 (dinnanzi TPP ) da cui si citano tutti i testi leopardiani; per lo Zi-
baldone (abbreviato Zib.), si rimanda alledizione con premessa di Emanuele Tre-
vi, indici filologici a cura di Marco Dondero, indice tematico e analitico a cura di
Marco Dondero e Wanda Marra, Roma, Newton & Compton, 1997.
3
Novella Bellucci, Dal Diario ai versi damore. Scrittura e malinconia
nel primo Leopardi, in La Rassegna della letteratura italiana, s. viii, xcix, 1-2,
1995, p. 89. A una casistica del non finito leopardiano era dedicato lo studio di
Pier Giorgio Conti, Lautore intenzionale. Ideazioni e abbozzi di Giacomo Leo-
pardi, Losone, Alla Motta, 1966 (per gli abbozzi pi strettamente autobiografici e
da romanzo, cfr. pp. 124-132).
4
Tra i profili dellautobiografia, cfr. soprattutto Franco DIntino, Da Al-
fieri a Leopardi, cit., pp. 83-124 e Id., Silenzio, gioco, caos, cit., pp. 173-190; per le
storie del romanzo, si veda Gino Tellini, Sul romanzo di primo Ottocento, cit., pp.
95-96 e Id., Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., pp. 29-30.
5
Oltre alla prima edizione del Diario del primo amore (con questo titolo ne-
gli Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi dalle carte napoletane, a cura di Giovan-
ni Mestica, Firenze, Successori Le Monnier, 1906, pp. 165 sgg.), si segnalano: Dia-
rio damore. Discorso sulla poesia romantica. Appunti e ricordi e altre prose e dialoghi,
pref. e note di Flavio Colutta, Milano, Sonzogno, 1939; Memorie e pensieri damo-
re, a cura di Carlo Muscetta, Torino, Einaudi, 1943, 19562 (la nuova edizione, ora,
con introduzione di Giorgio Ficara, ivi, 1994); Diario damore, Firenze, Il Fiore,
1945; Memorie, a cura di Francesco Flora, Milano, Universale Economica, 1949;
Pensieri-Memorie del primo amore-Elegia I-Elegia II, introduzione di Sergio Solmi,
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 89

te, sebbene a singhiozzi6. Dato di fatto che Leopardi rientra a


pieno titolo nello sperimentalismo degli anni Venti. Basta un rapi-
do censimento degli abbozzi e dei disegni leopardiani di carattere

Alpignano, Tallone, 1970; Diario del primo amore e prose autobiografiche, a cura
di Giovanni Giuseppe Amoretti, Genova, Il Melangolo, 1981; Neuro Bonifazi,
Leopardi autobiografico: saggio, cronologia e testi, Ravenna, Longo, 1984; Diario
del primo amore, introduzione di Alvaro Valentini, Abano Terme, Francisci,
1987; Diario del primo amore, presentazione di Matteo Palumbo, Venosa, Osan-
na, 1997; Diario del primo amore e altri scritti autobiografici, a cura di Vincenzo
Guarracino, Milano, Bompiani, 1998. Riproducono pagine degli scritti auto-
biografici anche alcune antologie di memorie spesso centoni di passi auto-
biografici o costruite intorno al tema dellamore: Memorie della mia vita.
Spunti autobiografici dallo Zibaldone e da altri scritti, a cura di Beniamino Dal
Fabbro, Milano, Bompiani, 1942, 19432, 19453; Memorie della mia vita, Roma,
Gremese, 1989; Storia di unanima: memorie, Roma, Mancuso, 1993; Scritti da-
more e di politica, a cura di Leone Piccioni, Milano, SugarCo, 1993; Tristano.
Amore e morte, con un saggio di Alfredo Giuliano e immagini di Giovetta Fio-
roni, a cura di Goffredo Binni, Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata,
1993; Pensieri damore, Genova, Ecig, 1993, 19982; Memorie della mia vita. Pagi-
ne scelte da una voce dello Zibaldone, a cura di Aldo Arminante, Napoli, LO-
rientale, 1997; Lamore nelle prose e nei versi, a cura di Davide Rondoni e Valen-
tino Fossati, introduzione di Paolo Ruffilli, Milano, Garzanti, 1998; Giacomo
Leopardi e lamore, a cura di Giorgio Saviane, nota critica di Giacomo Grassi,
Empoli, Ibiskos, 1998.
6
Le acque del dibattito critico intorno al Leopardi aspirante narratore era-
no ristagnanti dai tempi delle reazioni a catena innescate nei tardi anni Trenta da-
gli studi di Manlio Dazzi: si veda soprattutto il suo Leopardi e il romanzo, Milano,
Bocca, 1939, la immediata quanto dura replica di Giuseppe De Robertis (Leopardi
romanziere [1939], in Saggio sul Leopardi, Firenze, Vallecchi, 1973, pp. 137-140) e le
postille aggiunte da Angelo Monteverdi al suo Gli Appunti e ricordi di Giacomo
Leopardi (1909), in Frammenti critici leopardiani, Napoli, Esi, 1967, pp. 3-23. Di re-
cente, la lettura condotta secondo lestetica del non finito da Franco DIntino (cfr.
la lunga Introduzione, in SFA, pp. xi-xcvii) ha alzato un comprensibile polve-
rone. Si segnalano, a titolo desempio, ladesione entusiastica nella recensione di
Corrado Pestelli, in Studi italiani, viii, 2, 1996, pp. 163-175 (poi, ampliata,
con il titolo Editando le foglie di Sibilla. Gli scritti e i frammenti autobiografici di
Leopardi, le magiche carte dellio e lestetica internazionale del romanticismo, in Oc-
casioni leopardiane e altri studi sullOtto e sul Novecento, introduzione di Marino
Biondi, Roma, Bulzoni, 1998, pp. 145-179) e soprattutto la ragionata replica nella
recensione di Paolo Rota, in Studi e problemi di critica testuale, 56, 1998, pp.
201-207, che riconosce fra i tanti e corposi meriti ascrivibili al curatore quello di
far muovere il recanatese allinterno della temperie romantica e della riflessione
teorica di primo Ottocento (p. 205), ma, nel contempo, di contro allimmagine
di un Leopardi incline al frammento e allopera aperta, richiama severamente al si-
90 ragionar di s

narrativo e autobiografico per rendersene conto. Procedendo in or-


dine cronologico, si comincia con le quattro (tante sono nellauto-
grafo) pagine del Diario del primo amore, scritte a Recanati tra il 14
dicembre 1817 e il 2 gennaio 1818, come attestano le date in calce.
Poco pi tarda lidea di un romanzo autobiografico ispirato dalle
letture (o riletture) del Werther e dellOrtis: lo documenta quel ca-
novaccio di appunti che sono i Ricordi dinfanzia e di adolescenza,
vergati, di nuovo secondo le indicazioni di Leopardi stesso, tra il
marzo e il maggio 1819. Lidea non abbandona lautore, che stende
due frammenti di supplemento, sotto le diciture Alla Vita del Poggio
e Alla Vita abbozzata di Silvio Sarno (di Ruggiero, o Ranuccio, Vanni
da Belcolle), non datati sul manoscritto ma forse risalenti rispettiva-
mente allo stesso 1819 e al soggiorno romano (1822-1823)7. Non lo
abbandona addirittura per anni, considerando che verosimilmente
al 1825 risale quel nuovo tentativo autobiografico che la stesura del-
linizio della Storia di unanima scritta da Giulio Rivalta pubblicata
dal conte Giacomo Leopardi. Un progetto, questo della storia di una-
nima, duro a morire, visto che un romanzo col medesimo titolo e
con la stessa, peculiare materia affidato nel 1829 a una celebre let-
tera a Pietro Colletta. Dietro richiesta dellamorevole Generale,
Leopardi mantiene la promessa di specificare alcuni titoli delle tan-
te opere che vorrebbe scrivere e per le quali ha materiali in gran co-
pia, parte in capo, e parte gittati in carte cos alla peggio8:

gnificato che il momento del labor limae assumeva per lo scrittore (un richiamo che ci
sentiamo di sottoscrivere, considerando quello di DIntino un sagace esperimento di
lettura con spunti eccellenti, ma da non accogliere in toto perch, insistendo a oltran-
za sulla legittimazione del progetto a scapito del risultato, rischia di far perdere di vi-
sta che il progetto coincide con il risultato soltanto nella prospettiva, provvisoria per
lautore, del lavoro in fieri). La risposta non si fatta attendere: c una bella differen-
za fra titolare Scritti e frammenti autobiografici, come DIntino, o Appunti e ricordi, co-
me si legge sul frontespizio delledizione dei Ricordi dinfanzia e di adolescenza recen-
temente curata da Pasquini e Rota (Roma, Carocci, 2000) e che a quella di DIntino
si contrappone: le terminologie adottate rimandano a opposte estetiche di ricezione.
7
Per i problemi di datazione e le diverse proposte avanzate dagli studiosi al
riguardo, si rimanda a Franco DIntino, Nota ai testi, in SFA, pp. 139-167.
8
Giacomo Leopardi a Pietro Colletta, Recanati, 16 gennaio 1829, in Gia-
como Leopardi, Epistolario, a cura di Franco Brioschi e Patrizia Landi, 2 voll., To-
rino, Bollati Boringhieri, 1998, ii, p. 1608 (dinnanzi: Ep.; si avverte che citando da
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 91

Seguita la notizia de miei Castelli in aria.


Storia di unanima. Romanzo; che avrebbe poche avventure estrinse-
che e queste sarebbero delle pi ordinarie: ma racconterebbe le vicende
interne di un animo nato nobile e tenero, dal tempo delle sue prime ri-
cordanze fino alla morte9.

Com evidente, Leopardi vi riafferma il proprio mai sopito in-


teresse per il vecchio progetto di un romanzo danalisi. Senza peral-
tro farsi troppe illusioni: quel romanzo ha s il ruolo prestigioso di
capofila di un elenco selettivo (questi non sono anche una quinta
parte degli altri)10 di disegni da portare a compimento, ma lauto-
re stesso si schernisce parlando di castelli in aria; i quali, lo sanno
bene i lettori dellepistolario, compiuti o incompiuti riscaldavano
comunque lorrenda notte di Recanati11. Ingiusto per dire che
essi avessero una funzione meramente autoterapeutica. Ne svolge-
vano anche una operativa di propositi fissati sulla carta, come pro-
memoria caso mai venisse il momento buono. Che si tratti di una
lista di base da cui poi pescare a seconda del genio del momento
e che i materiali accumulati possano agevolmente travasarsi da un
progetto a un altro contiguo, lo attesta il prosieguo della lettera:

Voi riderete di tanta quantit di titoli; e ancor io ne rido, e veggo che


due vite non basterebbero a colorire tanti disegni. [] Ma quando avessi
tanta salute da poter comporre, sceglierei quelli che allora mi andassero pi
a genio: e i materiali destinati a quei disegni che non avessero esecuzione,
entrerebbero per buona parte in quei lavori a cui dessi effetto12.

questa edizione, per comodit, si scelto di sciogliere le numerose abbreviazioni e


di distinguere gli accenti, l tutti gravi).
9
Giacomo Leopardi a Pietro Colletta, Recanati, marzo 1829, ivi, ii, p. 1634.
10
Ivi, ii, p. 1635.
11
Giacomo Leopardi a Adelaide Tommasini, [Firenze], 19 giugno [1830], ivi,
ii, p. 1737. Tanti indici per opere da comporre; indici o sogni con i quali egli,
spesso, illudeva il suo desiderio di lavoro, riempiva certe nere giornate, scriveva
Giuseppe De Robertis (in Leopardi romanziere, cit., p. 137), sminuendo il valore
delle testimonianze sulla scorta delle quali Dazzi aveva costruito un ritratto a tut-
to tondo di Leopardi romanziere.
12
Giacomo Leopardi a Pietro Colletta, Recanati, marzo 1829, in Ep., ii, p.
1635.
92 ragionar di s

La folta messe di disegni si configurava dunque come una sorta


di magazzino, di archivio di idee e Leopardi era il primo a sapere che
solo ad alcuni di essi avrebbe dato compimento e che i materiali l
accatastati non sarebbero comunque andati del tutto perduti13.
La scena infatti si affolla se si passa dallesile manipolo degli
scritti compiuti ma non concepiti per la pubblicazione (Diario del
primo amore ) o solo abbozzati (Ricordi dinfanzia e di adolescenza e
i due Supplementi ) o appena avviati (Storia dun anima) a quelli di
cui esiste soltanto il disegno. I Disegni letterari leopardiani14 pre-
sentano alcuni titoli che rimandano a una mai sopita vocazione au-
toanalitica e nel contempo rinviano anchessi a unidea di narrati-
va che sia soprattutto storia di unanima. A partire dal primo,
Storia di una povera Monaca, risalente verosimilmente pro-
prio al 1819 dei Ricordi dinfanzia e di adolescenza. Tale storia il
progetto pi romanzesco e meno esplicitamente autobiografico tra
quelli accarezzati da Leopardi, ma intrattiene comunque un rap-
porto strettissimo con taluni dati esistenziali e biografici del suo
autore e, fissati alcuni indispensabili sostegni narrativi, si focalizza
proprio sulle vicende interne. Si rilegga il disegno leopardiano:

Storia di una povera Monaca nativa di Osimo che disperata essendo-


si monacata per forza, si uccise gettandosi da una finestra del suo mona-
stero di S. Stefano in Recanati. Questa aveva una compagna monaca con-
fidente de suoi pensieri. Chiese al Papa e ottenne il permesso di smona-
carsi, ma i suoi parenti non la rivollero in casa, ed ella fu costretta a ri-
manere. Si potr fingere che la compagna per simile licenza ottenuta
uscisse effettivamente, e dipingere la loro separazione, e lo stato della in-
felice dopo tale partenza. Chiese un veleno (deliberata di morire) al Chi-
rurgo Giordani che ne rest compreso dinfinita compassione, come pa-
les ad alcuni. Si dovr dipingere i gradi che lanimo umano percorre per
determinarsi al suicidio quando non vede pi nella vita altro che un ma-
le, e dispera di poter mai migliorar sorte, come anche il contrasto con la
religione, massime in una monaca. Fu da principio strapazzata infinita-

13
Di un principio archivistico opportunamente parla, per gli appunti au-
tobiografici, DIntino (cfr. Introduzione, in SFA, pp. xv sgg.).
14
In TPP, pp. 1108-1113, da cui di seguito, per semplicit, si citano tali dise-
gni letterari senza ulteriori rimandi in nota.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 93

mente dalle superiore: poi data per pazza fu strettamente custodita, e da-
tale una monaca continuamente per guardiana, essendosi scoperta la sua
deliberazione di morire creduto o voluto credere effetto di pazzia. Final-
mente offertasi una volta alla sua custode, di andarle a prendere in unal-
tra stanza un paio di forbici, e lasciata andare col dirle che non facesse qual-
che pazzia, si precipit da una finestra.

Di evidente matrice autobiografica quasi tutto, a partire dal-


la vita monacale sentita come clausura forzata (motivo peraltro
accennato pure nei coevi Ricordi ), che Leopardi stava sperimen-
tando sulla propria pelle15. Ispirato alla realt anche il perso-
naggio della compagna [] confidente de suoi pensieri, per il
quale si rintraccia agevolmente un corrispettivo biografico nel
fratello Carlo, compagno della clausura recanatese che Leopardi
nel 1817 presenta quale il suo confidente universale (tanto per
citare la pi esplicita tra molte testimonianze16) e che in quella ve-
ste infatti presenza fitta nelle pagine dei Ricordi. Cos pure lin-
venzione del Chirurgo Giordani, che con lomonimo illustre
corrispondente leopardiano allaltezza del 1819 condivide, oltre
che il cognome, anche il ruolo di confidente compreso dinfini-
ta compassione e di portavoce nel mondo della giovinezza di-
sperata della monaca (nella finzione romanzesca), del contino
(nella realt del carteggio)17; un ruolo che per lappunto lo stes-
so con il quale Giordani introdotto come personaggio roman-
zesco anche nei coevi Ricordi 18. Infine, si segnala come elemento
autobiografico la riflessione sul suicidio: la meditazione su questo
tema, e proprio negli stessi termini in cui articolata nel disegno
(origine e progressione del proposito suicida e suo contrasto con
la religione), com noto, impegna Leopardi sia in vari appunti
autobiografici e riflessivi dello Zibaldone e dei Ricordi che in al-

15
Per il rapporto [] ambivalente del giovane Leopardi, destinato alla car-
riera ecclesiastica, con un tipo di vita monacale, si rimanda allaccurata ricostru-
zione di DIntino in SFA, p. 67, n. 66.
16
Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, Recanati, 26 settembre 1817, in Ep.,
i, p. 143.
17
Cfr. il carteggio giovanile con Giordani, ivi, i, pp. 53 sgg.
18
Cfr. SFA, pp. 75-76, n. 86.
94 ragionar di s

cune lettere, forse anche per effetto della lettura del Werther e del-
lOrtis 19.
Quella della povera Monaca la storia di un tentativo falli-
mentare di prendere in mano e rovesciare il proprio destino non
diversamente dal proposito leopardiano di fuga del luglio 1819 e
del conseguente desiderio di morte. Questa miscela romanzesca di
clausura obbligata e meditazione sul suicidio, con i personaggi del-
la compagna confidente e del Chirurgo Giordani, lievita da da-
ti esistenziali o biografici che sono tutti confluiti anche nellaltro
progetto narrativo e autobiografico accarezzato da Leopardi in
quello stesso 1819, ovvero i citati Ricordi dinfanzia e di adolescenza.
Come questultimi, anche la storia di una povera Monaca si con-
figura quale romanzo di un conflitto dautorit e dellimpoten-
za20. Oltre che, in questo caso, romanzo della pazzia (pazza e
pazzia ritornano in tutto per ben tre volte nel pur breve disegno)
come etichetta facilmente affibbiata agli infelici da chi non ne
comprende la disperazione; motivo anche questo, sia detto qui per
inciso, di matrice autobiografica21.
Dunque, circa nello stesso torno di tempo in cui vergava gli ap-
punti dei Ricordi dinfanzia e di adolescenza, Leopardi disegnava
unopera narrativa anchessa parzialmente vincolata ai modelli del
Werther e dellOrtis (ma solo sul piano tematico, non strutturale,
non essendo rivenibile nel disegno alcuna traccia che faccia pensa-
re a una forma epistolare). Optava per questa volta non per un al-

19
Cfr. ivi, p. 63, n. 57.
20
la lettura dei Ricordi dinfanzia e di adolescenza suggestivamente proposta
da Franco Ferrucci, Il sogno del prigioniero, in Addio al Parnaso, Milano, Bom-
piani, 1971, pp. 129 sgg. (e ripresa da DIntino, Introduzione, in SFA, pp. lxi sgg.).
Sulla scrittura di s come il luogo di produzione di una vera identit che non rie-
sce altrimenti a manifestarsi e dunque sullautobiografia come il genere pi con-
geniale [] ai delusi, agli sconfitti, ai falliti, da Rousseau in poi, cfr. soprattutto
Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., pp. 71-72 (che riprende alcune
considerazioni di Gusdorf in Conditions et limites de lautobiographie, cit.).
21
Per il nesso disperazione-pazzia agli occhi del mondo, cfr. soprattutto Gia-
como Leopardi a Pietro Giordani, Recanati, 19 ottobre 1818 e 19 novembre 1819, e
la lettera della fuga indirizzata al padre [s.d., ma Recanati, fine di luglio 1819], in
Ep., i, pp. 213, 350, 323. La volont suicida scambiata facilmente per pazzia og-
getto invece di Zib., 183 (23 luglio 1820).
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 95

ter ego plasmato interamente su se stesso la prima e la terza per-


sona provvisoriamente senza nome dei Ricordi che si chiamer, nel
1820, Lorenzo e poi Silvio Sarno, salvo i ripensamenti docu-
mentati da uno dei supplementi22 , bens per una maschera au-
tobiografica meno esplicita come quella della povera Monaca []
monacata per forza nel monastero di S. Stefano in Recanati, pi
o meno come il suo autore negli stessi anni era monacato per for-
za nel palazzo Leopardi in Recanati. Conta che qui lo spessore au-
tobiografico serve da punto di partenza per un tema di pi ampio
respiro: i gradi che lanimo umano percorre per determinarsi al
suicidio. Si tratta di prestare i propri dati esistenziali e biografici
essenziali al protagonista e attraverso la finzione narrativa passare
dallautobiografia a un romanzo danalisi.
Continuando a scorrere i Disegni letterari, ci si imbatte nella
lunga lista numerata ix e risalente al 1825, dove si distillano age-
volmente alcuni titoli attinenti alla sfera delle scritture dellio:

Storia di unanima. Lettere in prosa. Epistola o Lettere al fratello. []


Lettere di un padre a suo figlio. [] Colloqui con se stesso. [] Dialogo
tra lio antico e lio nuovo. [] Storia di un giorno, o delle disavventure
di un giorno della propria vita. [] Lettera a un giovane del 20 secolo.

Lidea di praticare lepistolografia come genere letterario riaf-


fiora nella lista successiva, la x (1826), con le Lettere a diversi uo-
mini illustri, antichi e moderni, mentre vecchi propositi si riaf-
facciano nella XII, posteriore al febbraio 1829:

Memorie della mia vita. []


Eugenio, romanzo (Werther), frammenti.
Colloqui (sopra il secolo 19, la vita ec.) con me stesso, poich gli altri
son di diverso pensare.

Per chiudere questo attraversamento mirato dei Disegni lettera-

22
Sulla questione del nome del protagonista, cfr. Franco DIntino, Nota ai
testi, in SFA, pp. 157-158.
96 ragionar di s

ri, mancano solo lelenco xiii, dove colpisce lo studioso dei pro-
getti narrativi e autobiografici di Leopardi il titolo Meditazioni
sopra la mia vita, le mie memorie ec.23 (oltre a un Libretto o Me-
moriale [Livret de Paul Louis Courier] che per rimanda esplici-
tamente al modello pamphlettistico di Courier de Mr), e la pi
tarda e breve lista xiv, risalente al 1833-1834, dove ci interessa solo
la Storia duna passeggiata.
Non mia intenzione insistere troppo su questi titoli, scarni
castelli in aria che evidente , a meno di forzature, restano
criptici in mancanza della coloritura (come diceva Leopardi) e
persino di un disegno articolato come quello riservato alla Storia
di una povera Monaca. Da un lato, mi preme aver fatto tocca-
re con mano la consistenza e la durevolezza dellinteresse leopar-
diano per la scrittura dellio: si tratta di ben altro che fuggevoli vel-
leit24. Dallaltro lato, mi interessa additare la molteplicit delle
forme prese in considerazione nei Disegni letterari che va ad accre-
scere di molto la pluralit delle forme esperite negli abbozzi: non
c solo il romanzo dispirazione wertheriana-ortisiana come i Ri-
cordi dinfanzia e di adolescenza del 1819 (e documentato dieci anni
dopo nei Disegni da Eugenio, romanzo [Werther], frammenti );
non c solo la storia di unanima, avviata nel 25 e recuperata nel
29, ma anche un tradizionalissimo, almeno nella dicitura, Me-
morie della mia vita; poi svariate raccolte di lettere non possiamo
sapere fino a che scritte ex novo o ricavate dalla corrispondenza pri-
vata dellautore e due curiose storie autobiografiche minime: Sto-
ria di un giorno, o delle disavventure di un giorno della propria vi-
ta e Storia di una passeggiata. C, infine, la struttura dialogica
comune, si sa, anche alla maggior parte delle coeve Operette mo-
rali attestata dal Dialogo tra lio antico e lio nuovo e da quel
Colloqui dellio antico e dellio nuovo che ha il privilegio di es-

23
Per la datazione di tale progetto allinizio del 1828 e sul significato del ti-
tolo (Meditazioni piuttosto che Memorie), cfr. Fiorenza Ceragioli, Lo Zibaldo-
ne pisano, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e
Filosofia, s. iv, iii, 1-2, 1998, pp. 195-204, alle pp. 196-197.
24
Sulla durevolezza dei propositi autobiografici leopardiani insiste partico-
larmente Novella Bellucci in Dal Diario ai versi damore, cit., pp. 88 sgg.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 97

sere lunico tra i disegni di tipo autobiografico, insieme alla Sto-


ria di unanima, a venire selezionato da Leopardi nella lista di ca-
stelli in aria stilata per Pietro Colletta nel marzo 1829 e l descrit-
to in questi termini: Colloqui dellio antico e dellio nuovo; cio
di quello che fui, con quello chio sono; delluomo anteriore alle-
sperienza della vita e delluomo sperimentatore (su un fronte
esterno alla scrittura di s si collocano i Colloqui con se stesso del
25 che pi tardi, nella citata lista xii, si esplicitano in Colloqui
[sopra il secolo 19, la vita ec.] con me stesso, poich gli altri son di
diverso pensare, spostandosi cos dalle parti delle Operette ).
Pare evidente, scorrendo le molteplici soluzioni prospettate,
che il centro dinteresse leopardiano converga, con gli anni sempre
pi prepotentemente, dallautobiografia verso quella scienza delle
passioni presto cara allo scrittore. A questa formula Leopardi si
rif annunciando lidea di scrivere la storia dellamore di Petrarca
nella Prefazione dellinterprete stesa nel novembre 1825 per il com-
mento alle Rime. Indica, significativamente, questo ennesimo pro-
getto come lettura non meno piacevole [] e pi utile che un ro-
manzo25. Il Leopardi che un lustro prima aveva citato Petrarca co-
me esempio di poeta che parla di se, delle sue sventure, de suoi
amori sfortunati (Zib., 221, 21 agosto 1820) e aveva elencato tra i
suoi disegni lIncontro di Petrarca morto, con Laura p[er] la pri-
ma volta26, sta qui pensando a una alternativa al romanzo con-
temporaneo: altrettanto piacevole, si pu intuire, perch di ma-
teria intima e amorosa; pi utile perch scritta adoperando non
altra scienza che quella delle passioni e dei costumi degli uomini e
delle donne e dunque capace di comunicare la forza intima, e la
propria e viva natura dei componimenti per Laura:

quello che pi, la forza intima, e la propria e viva natura loro [dei com-
ponimenti del Petrarca], credo che verrebbero in una luce e che appari-
rebbero in un aspetto nuovo, se potessi scrivere la storia dellamore del Pe-
trarca conforme al concetto della medesima che ho in mente: la quale sto-
ria, narrata dal Poeta nelle sue Rime, non stata fin qui da nessuno inte-

25
Giacomo Leopardi, Le Rime di Francesco Petrarca, in TPP, p. 1026.
26
Cfr. Id., Disegni letterari, vii, ivi, p. 1111.
98 ragionar di s

sa n conosciuta come pare a me che ella si possa intendere e conoscere,


adoperando a questo effetto non altra scienza che quella delle passioni e
dei costumi degli uomini e delle donne. E tale storia, cos scritta come io
vorrei, stimo che sarebbe non meno piacevole a leggere e pi utile che un
romanzo27.

evidente la vicinanza al progetto pressoch coevo della Storia


di unanima, sia per la scelta della materia intima, interna, sia
per la fedelt alla scienza delle passioni28; e tale materia e tale im-
pegno conoscitivo e analitico sono i due vessilli sotto cui si alli-
neano tutti i progetti narrativi leopardiani, nellintento di andare
oltre il romanzo corrente.
La generosa progettualit insita nellinsaziabile sperimentare29
di Leopardi lo porta a indossare innumerevoli maschere di scrittore
e a lasciarle poi spesso cadere. Si sa quale direzione, in prosa, sar
quella giusta: quella antiromanzesca delle Operette morali. Ma in-
tanto, gli abbozzi e i disegni narrativi, tutti di carattere autobiogra-
fico, restano come sentieri interrotti ma tante volte ritentati, prima
e dopo le Operette. Alle loro spalle in effetti per non sembra stare
linteresse per le potenzialit del genere del romanzo, come nel ca-
so dei conciliatoristi; piuttosto, una assidua ricerca letteraria che,
puntando prestissimo in direzione del concetto-chiave di natura-
lezza (la celeste naturalezza degli antichi30), per un po di tem-
po va incontro alla scrittura di s. Lo documentano testimonianze
epistolari e non solo. A partire dal 1819, negli anni di pi intenso
sperimentalismo in prosa e in poesia, c un Leopardi che individua
nel ragionar di s una garanzia deloquenza, la quale a sua volta si
identifica con il poetico (inteso come qualit della scrittura). Uno
scrittore moderno riesce a riprodurre bella e viva leloquenza de-
gli antichi quando parla di se medesimo, perch se leloquenza
coincide con la disinvoltura e facilit di stile e con lessere spon-

27
Id., Le Rime di Francesco Petrarca, ivi, p. 1026.
28
Cfr. Franco DIntino, Nota ai testi, in SFA, pp. 163-164.
29
Emanuele Trevi, Leopardi prosatore, in TPP, p. 476.
30
Giacomo Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica,
in TPP, p. 988.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 99

taneo ed accomodato al soggetto, e in oltre caldo e veemente, que-


ste virt gli sono assicurate dal cavare tutto da se. Cos, in so-
stanza, argomenta Leopardi il 21 giugno 1819, lodando come un ca-
polavoro delleloquenza italiana moderna la breve Apologia di Lo-
renzino de Medici, la cui lettura lo ha confermato

nel parere che le scritture e i luoghi pi eloquenti sieno dovaltri parla di


se medesimo. Vedete se questi pare contemporaneo di quei miserabili cin-
quecentisti chebbero fama deloquenti in Italia al tempo loro e dopo, e se
par credibile che luno e gli altri abbiano seguito la stessa forma delo-
quenza. Dico la greca e latina che quei poverelli a forza di sudori e daf-
fanni trasportavano negli scritti loro cos a spizzico e alla stentata chera
uno sfinimento, laddove costui ce la porta tutta di peso, bella e viva, e la
signoreggia e ladopera da maestro, con una disinvoltura e facilit negli ar-
tifizi pi sottili, nella disposizione, nei passaggi, negli ornamenti, negli af-
fetti, e nello stile, e nella lingua [...] che pare ed non meno originale di
quegli antichi, ai quali tuttavia si rassomiglia come uovo a uovo, non so-
lamente nelle virt, ma in ciascuna qualit di esse. Perch quegli che par-
la di se medesimo non ha tempo n voglia di fare il sofista, e cercar luo-
ghi comuni, ch allora ogni vena pi scarsa mette acqua che basta, e lo
scrittore cava tutto da s, non lo deriva da lontano, sicch riesce sponta-
neo ed accomodato al soggetto, e in oltre caldo e veemente, n lo studio lo
pu raffreddare, ma conformare e abbellire, come ha fatto nel caso nostro31.

Cinque anni pi tardi, com noto, questo parere diventa uno


dei Detti memorabili di Filippo Ottonieri. Nelloperetta (scritta tra
il 29 agosto e il 26 settembre 1824), il ragionar di s viene svisce-
rato con abbondanza di dettagli: allOttonieri Leopardi delega una
sorta di arringa difensiva contro i pregiudizi che incombono sopra
il molto parlar di se medesimi in cui spesso e volentieri si crogio-
lano gli scrittori. Vale la pena riportare lintera pagina:

[Filippo Ottonieri] Non riprendeva, anzi lodava ed amava, che gli


scrittori ragionassero molto di se medesimi: perch diceva che in que-
sto, sono quasi sempre e quasi tutti eloquenti, e hanno per lordinario
lo stile buono e convenevole, eziandio contro il consueto o del tempo o

31
Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, Recanati, 21 giugno 1819, in Ep., i,
pp. 312-313.
100 ragionar di s

della nazione, o proprio loro. E ci non essere maraviglia; poich quel-


li che scrivono delle cose proprie, hanno lanimo fortemente preso e oc-
cupato dalla materia; non mancano mai n di pensieri n di affetti nati
da essa materia e nellanimo loro stesso, non trasportati di altri luoghi,
n bevuti da altre fonti, n comuni e triti, e con facilit si astengono da-
gli ornamenti frivoli in se, o che non fanno a proposito, dalle grazie e
dalle bellezze false, o che hanno pi apparenza che di sostanza, dallaf-
fettazione, e da tutto quello che fuori del naturale. Ed essere falsissi-
mo che i lettori ordinariamente si curino poco di quello che gli scritto-
ri dicono di se medesimi: prima, perch tutto quello che veramente
pensato e sentito dallo scrittore stesso, e detto con modo naturale e ac-
concio, genera attenzione e fa effetto, poi, perch in nessun modo si
rappresentano o discorrono con maggior verit ed efficacia le cose al-
trui, che favellando delle proprie: atteso che tutti gli uomini si rassomi-
gliano tra loro, s nelle qualit naturali, e s negli accidenti, in quel che
dipende dalla sorte; e che le cose umane, a considerarle in se stesso, si
veggono molto meglio e con maggior sentimento che negli altri. In con-
fermazione dei quali pensieri adduceva, tra le altre cose, laringa di De-
mostene per la Corona, dove loratore parlando di se continuamente,
vince se medesimo di eloquenza: e Cicerone, al quale, il pi delle volte,
dove tocca le cose proprie, vien fatto altrettanto: il che si vede in parti-
colare nella Miloniana, tutta maravigliosa, ma nel fine maravigliosissi-
ma, dove loratore introduce se stesso. Come similmente bellissimo e
eloquentissimo nelle orazioni del Bossuet sopra tutti gli altri luoghi,
quello dove chiudendo le lodi del Principe di Cond, il dicitore fa men-
zione della sua propria vecchiezza e vicina morte. Degli scritti di Giu-
liano imperatore, che in tutti gli altri sofista, e spesso non tollerabile,
il pi giudizioso e pi lodevole la diceria che sintitola Misopongone,
cio contro alla barba; dove risponde ai motti e alle maldicenze di quel-
li di Antiochia contro di lui. Nella quale operetta, lasciando degli altri
pregi, egli non molto inferiore a Luciano n di grazia comica, n di co-
pia, acutezza e vivacit di sali, laddove in quella dei Cesari, pure imita-
tiva di Luciano, sgraziato privo di facezie, ed oltre alla povert, debo-
le e quasi insulso. Tra glItaliani, che per altro sono quasi privi di scrit-
ture eloquenti, lapologia che Lorenzino dei Medici scrisse per giustifi-
cazione propria, un esempio di eloquenza grande e perfetta da ogni
parte; e Torquato Tasso ancora non di rado eloquente nelle altre pro-
se, dove parla molto di se stesso, e quasi sempre eloquentissimo nelle
lettere, dove non ragiona, si pu dire, se non de suoi propri casi32.

32
Giacomo Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri, in TPP, p. 566.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 101

Contro il coro dei detrattori del ragionar di s, questulti-


mo identificato col momento pi alto della scrittura di ciascun
autore, con una garanzia di eloquenza e di stile buono e conve-
nevole oltre la qualit media sia dellopera dello scrittore che dei
suoi contemporanei. Per pi ragioni. Perch scrivere di s, a det-
ta di Leopardi, implica: avere lanimo fortemente preso e occu-
pato dalla materia; non mancare di pensieri e di affetti germi-
nati da quella materia, dunque originali, non imitati; astenersi da
ornamenti frivoli e dallaffettazione, da grazie e bellezze
false, non sostanziali, fuori di proposito e fuori del naturale,
dunque esser naturali (come lo sono gli antichi). La naturalezza
del quasi negletto stile, per usare le parole dellabate di Caluso
sulla Vita alfieriana, insomma dato intrinseco della scrittura di
s. Anche sulla scorta di questi pregi, Leopardi passa poi a con-
trobattere lopinione (a quanto pare corrente) che le scritture au-
tobiografiche non suscitino linteresse dei lettori. Leloquenza
loriginalit, la convenienza e la naturalezza dello stile di per s
garantiscono effetto e lattenzione di chi legge. Non solo: se tut-
ti gli uomini si rassomigliano tra loro sia nella natura umana
(le qualit naturali), sia nella fortuna (gli accidenti)33 , allo-
ra parlare con verit e efficacia di s equivale a parlare con verit
e efficacia degli altri, delluomo in genere. Anzi, poich favellar
di s vuol dire ragionare delluomo che si conosce meglio, esso
coincide con il pi veritiero e il pi efficace discorso che si pos-
sa fare sulluomo, sulla natura umana. Queste ultime due affer-
mazioni saranno certo memori dellIntroduzione alfieriana alla
Vita, appassionatamente letta da Leopardi nel novembre 1817 e a
sua volta debitrice degli Essais di Montaigne e delle Confessions
roussoviane:

Allo studio dunque delluomo in genere principalmente diretto lo


scopo di questa opera. E di qual uomo si pu egli meglio e pi dottamen-
te parlare, che di s stesso? Quale altro ci vien egli venuto fatto di mag-

33
Natura e fortuna come le due variabili cruciali dellesistenza umana:
cfr. liscrizione che Filippo Ottonieri detta per la propria tomba (non ignaro del-
la natura / n della fortuna sua: ivi, p. 567).
102 ragionar di s

giormente studiare, di pi addentro conoscere, di pi esattamente pesare,


essendo, per cos dire, nelle pi intime di lui viscere vissuto tanti anni?34

Passo cui da aggiungersi quello successivo in cui Alfieri riven-


dica la triviale e spontanea naturalezza dello stile della sua auto-
biografia, dettata da cuore e non dallingegno. Insomma, lascia-
to da parte il discorso sullamor di s come nobile fonte della scrit-
tura autobiografica con cui Alfieri apriva la sua Vita, a Leopardi in-
teressa sceverare non lorigine del ragionar di s, ma i pregi arti-
stici che a suo parere ne discendono: originalit dellopera, natura-
lezza dello stile, verit ed efficacia del contenuto.
Nel passo dellOttonieri poco fa citato merita attenzione anche
la lista degli esempi portati a suffragare quellopinione: lorazione
autodifensiva di Demostene Per la Corona (330 a.C.); le pagine
pi autobiografiche di Cicerone e in particolare nel Pro Milone
(52 a.C.); un luogo autobiografico della secentesca orazione di
Jacques-Bnigne Bossuet per il principe di Cond; il libello Miso-
pongone di Giuliano LApostata, mosso anchesso da un intento
autodifensivo; poi, di nuovo, lApologia di Lorenzino de Medici;
infine Torquato Tasso prosatore in toto in quanto autore molto
autobiografico e soprattutto come epistolografo, veste nella
quale non ragiona, si pu dire, se non de suoi propri casi. Un
aspetto hanno in comune tutti questi esempi, comprese le lettere
di Tasso (loccorrergli spessissimo di difendersi, dice Leopardi
in Zibaldone, 29, lo fece veramente eloquente): la natura apolo-
getica, quel rispondere a una esigenza difensiva e autodifensiva
che una delle pi potenti muse autobiografiche35. Non al puro
piacere di ragionar di s, invocato come ricordava Borsieri nel
primo capitolo delle sue Avventure letterarie da una lunga schie-
ra di scrittori si richiama Leopardi, ma a qualcosa di pi, a un
mettere in gioco se stessi e la propria vita per rivendicare la pro-
pria identit misconosciuta.

34
Vittorio Alfieri, Vita, Introduzione (p. 51 delledizione cit.). Le citazio-
ni che seguono, ibidem e p. 49.
35
Cfr. soprattutto la sintesi di Franco DIntino, Lautobiografia moderna,
cit., pp. 67 sgg.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 103

Quella pagina dei Detti memorabili di Filippo Ottonieri ha,


com noto, un precedente non solo nella citata lettera al Giorda-
ni del 21 giugno 1819, ma anche in tre appunti dello Zibaldone (29-
30, 58 e 60-61), per quel che riguarda gli esempi di Bossuet, Cice-
rone, Giuliano LApostata, Lorenzino de Medici e Torquato Tasso.
Non solo. Gi la perorazione in favore del ragionar di s nel
primo di quei tre passi zibaldoniani:

Chi mi chiedesse qual sia secondo me il pi eloquente pezzo italiano,


direi le due canzoni del Petrarca Spirto gentil ec. e Italia mia ec. se con-
cedessi qualche cosa al Tasso chera in verit eloquente, e principalmente
parlando di se stesso, ed eccetto il Petrarca, il solo italiano veramente
eloquente. La sventura in gran parte lo fece tale, e loccorrergli spessissi-
mo di difendersi ec. e in qualunque modo parlar di se, perchio sosterr
sempre che gli uomini grandi quando parlano di se diventano maggiori di
se stessi, e i piccoli diventano qualche cosa, essendo questo un campo do-
ve le passioni e linteresse e la profonda cognizione ec. non lasciano cam-
po allaffettazione e alla sofisticheria cio alla massima corrompitrice del-
leloquenza e della poesia, non potendosi cercare i luoghi comuni quando
si parla di cosa propria, dove necessariamente detta la natura e il cuore, e
si parla di vena, e di pienezza di cuore. Onde quello che si dice della uti-
lit derivante agli scrittori dal trattare materie presenti, a miglior dritto si
dee dire del parlare di se stesso comunque paia a prima vista che il parlar
di se non debba interessar gran fatto gli uditori, cosa falsissima: e si veda
nel migliore e pi celebre pezzo del Bossuet, quello in fine dellOraz. di
Cond che effetto fa lintroduzione di se stesso, al qual pezzo io parago-
no quello di Cicerone nella Miloniana (ch forse la sua migliore Orazio-
ne come questo forse il pi gran pezzo di essa) il quale si combina pari-
mente ch nel fine, dove per intenerire i giudici introduce menzione di se
stesso, e mi par che faccia un effetto incredibile, come e pi di quello che
fa il Bossuet, tanto pu lintrodurre se stesso nei discorsi eloquenti, al con-
trario di quello che si crede (Zib., 29-30).

La riflessione leopardiana sullutilit derivante agli scrittori


dal parlare di s dunque matura e si dispiega intorno al 1818-1819,
per poi approdare un lustro pi tardi alla sistematica argomenta-
zione dei Detti memorabili. Alle spalle ha, evidente, le pagine sul-
la perdita dautenticit che patiscono i moderni in quel testo capi-
tale per la comprensione dellestetica leopardiana che il Discorso
di un italiano intorno alla poesia romantica (scritto, si ricordi, tra il
104 ragionar di s

gennaio e lagosto 1818). La meditazione sul ragionar di s quale


antidoto alla affettazione e alla sofisticheria e, viceversa, quale
garanzia di eloquenza (la naturalezza, la convenienza che larte
moderna deve recuperare) si configura come unappendice alla ri-
flessione estetica organizzata nel Discorso.
Sia le osservazioni sul parlar di s che la polemica contro larti-
ficiosit dei moderni si riverberano sui pochi appunti leopardiani
che riguardano il romanzo. Che questultimo sia al presente assai
contaminato dallaffettazione Leopardi lo riconosce nello stesso
Discorso 36 e lo ribadisce implicitamente nello Zibaldone, additan-
dolo come possibile fonte di una falsa sensibilit o corruttore
di quella vera in chi legge37. Del fatto che lItalia, tra tutte lal-
tre nazioni civili, di romanzi sia la pi povera, anzi priva affatto,
nonch la pi insensibile alleffetto di queste tali opere e generi,
si dimostra poi consapevole intorno al 1824, nel Discorso sopra lo
stato presente dei costumi deglItaliani 38. Quello del romanzo per
genere su cui Leopardi non prodigo di meditazioni: lunico ap-
punto teorico sullargomento si sofferma sulla narrativa (nella fat-
tispecie, romanzo e novella) come genere che costringe lautore a
spogliarsi della propria individualit meno del dramma. In una no-
ta del 5 settembre 1828, concepita come glossa a una del preceden-
te 29 agosto sullarte drammatica, Leopardi stila infatti una scala di
generi letterari, dal pi al meno alieno alluomo di genio. Ele-
mento su cui riposa tale curiosa classifica lesigenza di spogliarsi
della propria individualit e di trasformarsi in altri individui (i
personaggi) che ciascun genere impone allo scrittore, secondo un

36
Cfr. Giacomo Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia roman-
tica, in TPP, p. 987: possiamo vedere non so sio dica senza pianto o senza riso o
senza sdegno, scialacquarsi il sentimento cos disperatamente come usa ai tempi
nostri, gittarsi a manate, vendersi a staia; persone e libri innumerevoli far profes-
sione aperta di sensibilit; ridondare le botteghe di Lettere sentimentali, e Ro-
manzi sentimentali e Biblioteche sentimentali []?.
37
Cfr. Zib., 64: Molti sono che dalla lettura de romanzi libri sentimentali
ec. o acquistano una falsa sensibilit non avendone, o corrompono quella vera che
avevano.
38
Cfr. Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglI-
taliani, in TPP, p. 1023, da cui sono tratte le citazioni.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 105

rapporto inversamente proporzionale: maggiore sar tale esigenza,


pi alieno alluomo di genio sar il genere:

Il romanzo, la novella ec. sono alluomo di genio assai meno alieni che
il dramma, il quale gli il pi alieno di tutti i generi di letteratura, per-
ch quello che esige la maggior prossimit dimitazione, la maggior tra-
sformazione dellautore in altri individui, la pi intera rinunzia e il pi in-
tero spoglio della propria individualit, alla quale luomo di genio tiene
pi fortemente che alcun altro (Zib. 4367, 5 settembre 1828)39.

Fanalino di coda dunque il dramma, preceduto, ma non a


ruota (assai meno alieni), da romanzo e novella. La classifica,
evidente, tagliata addosso alluomo di genio suo estensore: in
effetti il dramma Leopardi lha coltivato solo in anni puerili, men-
tre ha inseguito il romanzo, come s visto, per anni e in una for-
ma che ruotava sempre e comunque intorno alla propria indivi-
dualit. Allopposto dei romantici lombardi suoi contemporanei, il
poeta di Recanati non minimamente interessato a sondare le ca-
pacit di aderenza al reale e lefficacia comunicativa del genere del
romanzo, ma a sfruttarne le insite possibilit autobiografiche.
Non fa meraviglia che per un Leopardi intento ad argomenta-
re lutilit estetica dello scrivere di s (tra il 1818 e il 1824); per un
Leopardi poi teorico della memoria, della rimembranza come or-
gano poetico, quasi novello re Mida che trasforma in poesia tutto
ci che tocca, ci sia un Leopardi sempre autobiografico40 e che si
cimenta a pi riprese con forme di scrittura autobiografica e me-
moriale. Oltre che per un presupposto estetico, anche per una ra-
gione esistenziale: per tenere afferrati con ambe le mani questi ul-
timi avanzi e queste ombre di quel benedetto e beato tempo,

39
Su questo appunto aveva insistito mezzo secolo fa Piero Bigongiari, valo-
rizzandolo per discutere dellimpossibilit romanzesca del poeta di Recanati: cfr.
Piero Bigongiari, Leopardi e la Storia di unanima (1951), in Leopardi, Firenze,
La Nuova Italia, 1976, p. 463.
40
Cfr. Manfredi Porena, Leopardi autobiografo, in Scritti leopardiani, Bo-
logna, Zanichelli, 1959, p. 297 (seguito da Franco DIntino, Introduzione, in SFA,
p. lvii).
106 ragionar di s

dovio sperava e sognava la felicit, e sperando e sognando la go-


deva, ed passato, n torner mai pi, certo mai pi, che la
fanciullezza41. Sempre, per, nel segno del rifiuto sprezzante di
un uso del parlar di s puramente narcistico, condotto in ossequio
a mero e naturale piacere o a una pur comprensibile esigenza libe-
ratoria42; un uso, questo, che Leopardi censura nellepistolario e
nei Pensieri :

Vedi chio tho scritto pur lungamente, e sempre delle cose mie, di-
mostrandomi contaminato di quel vizio chio detesto sommamente, e del
quale invero io mi stimo esser netto forse pi che non bisognerebbe con
questa gente con cui si vive43.

Assai difficile mi pare a decidere se sia o pi contrario ai primi prin-


cipii della costumatezza il parlare di se lungamente e per abito, o pi ra-
ro un uomo esente da questo vizio.

Cosa odiosissima il parlar molto di se. Ma i giovani, quanto sono


pi di natura viva, e di spirito superiore alla mediocrit, meno sanno
guardarsi da questo vizio44.

A quanto pare, quello di ragionar di s uno splendido vi-


zio solo in letteratura e soltanto se corroborato da ansia autoco-
noscitiva (e, pertanto, conoscitiva). Portato nella narrativa, tale
portentoso vizio vorrebbe dire per Leopardi superare in piace-
volezza e utilit il romanzo coevo, con le sue affettatezze, la sua
faciloneria, la sua sensibilit falsa. Sul perch quel romanzo o
quella storia della sua vita Leopardi non la scrisse mai, le proposte
non sono mancate, a partire da quella sbrigativa di Giuseppe De
Robertis (Forse perch una, eccelsa, landava componendo nei

41
Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, Recanati, 17 dicembre 1819, in Ep.,
i, p. 355.
42
Sebbene una funzione anche liberatoria la svolgano alcuni tra gli scritti au-
tobiografici leopardiani: cfr. Franco Ferrucci, Il sogno del prigioniero, cit., p. 129
e Franco DIntino, Introduzione, in SFA, p. xviii.
43
Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, Recanati, 4 agosto 1823, in Ep., i, p. 739.
44
Giacomo Leopardi, Pensieri, xxii e xl, in TPP, pp. 632, 636.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 107

Canti )45, fino a quelle pi chiaroscurate che sono state avanzate


da interpreti successivi, ciascuna delle quali contiene senzaltro al-
meno un elemento di verit: da chi non riconosce a Leopardi la ca-
pacit, necessaria al narratore, di oggettivarsi in un personaggio e
confina la vena romanzesca nel ruolo di una pura preparazione al-
lo spicciare della vena poetica46, a chi gli nega le qualit psicolo-
giche proprie di un autobiografo, riconoscendogli piuttosto quelle
del diarista47; da chi riconduce il fallimento al concetto di memo-
ria48 a chi lo lega alla ricerca di serena, naturale oggettivit, tan-
to pi necessaria quanto pi forte la pressione di un incande-
scente materiale autobiografico, ricerca che porta diritto alla solu-
zione delle Operette 49; da chi parla dellincompiutezza dei progetti
narrativi e autobiografici come di una ulteriore prova dellantipa-
tia leopardiana per i generi fortemente strutturati50 a chi fa di
Leopardi il pi insigne e rappresentativo esempio italiano di un fe-
nomeno di portata europea, il processo di deriva dellautobio-
grafia romantica, mettendolo accanto al Rousseau delle Rveries du
promeneur solitaire, allo Stendhal del Journal e dei romanzi, al
Wordsworth di Prelude e, per larea tedesca, a Novalis e Friedrich
Schlegel51; a chi, infine, ci rammenta che di quel romanzo psicolo-
gico e antieroico cui Leopardi ambiva non cerano esempi e pu es-
sere questa una delle ragioni del fallimento52.

45
Giuseppe De Robertis, Leopardi romanziere, cit., p. 137.
46
Cfr. Piero Bigongiari, Leopardi e la Storia di unanima, cit., p. 464.
47
Cfr. Andrea Battistini, Il superego dei generi letterari, in Lo specchio di De-
dalo, cit., p. 183: lautobiografia si addice ai volitivi Cellini o Alfieri, il diario ai
contemplativi Leopardi o Zeno Cosini, la maschera letteraria di Svevo.
48
Come mai Leopardi non ha affrontato una lunga estensione in prosa del-
le sue memorie, che pure aveva progettato? Credo sia perch in lui la condizione
del ritorno della memoria-immaginazione (e quindi della poesia) risiede nella im-
prevedibilit e nella frammentariet senza le quali ricordo diventa assuefazione,
e come tale impoetico (Franco Ferrucci, Memoria come immaginazione in Leo-
pardi, in Lettere italiane, xxxix, 4, 1987, pp. 513-514).
49
Emanuele Trevi, Leopardi prosatore, in TPP, p. 479.
50
Joanna Ugniewska, Strutture saggistiche e strutture diaristiche nello Zibaldo-
ne leopardiano, in La Rassegna della letteratura italiana, xci, 2-3, 1987, p. 327.
51
Cfr. Franco DIntino, I paradossi dellautobiografia, cit., pp. 296-297 (per
ulteriori indicazioni bibliografiche, cfr. supra, pp. 11-12, n. 20).
52
Cfr. Emilio Pasquini, Leopardi 1819: fra sperimentalismo e tentazioni ro-
108 ragionar di s

Da quel che Leopardi non ha scritto, al terreno un po meno in-


sidioso di quel che ha scritto. Alcuni punti fermi ci sono. Innanzi-
tutto, gli estremi della cronologia: tutti i progetti leopardiani di ri-
cognizione autobiografica si collocano tra la prima, privata speri-
mentazione diaristica, in concomitanza con levento perturbante
del primo amore (1817), e gli sgoccioli degli anni Venti. Altro
punto fermo sono le molteplici direzioni cui si indirizza il Leopar-
di degli scritti autobiografici: ora tenendo a modello lAlfieri noto-
mizzatore di s per un coeso e autoanalitico diario di pochi giorni
(Diario del primo amore); ora prendendo appunti per un romanzo
autobiografico per il quale guarda, almeno in parte, alla struttura
epistolare, frammentaria e discontinua, del Werther e dellOrtis (Ri-
cordi dinfanzia e di adolescenza e Supplementi ); ora cimentandosi
con una pseudonima storia della propria anima (Storia di unani-
ma); sempre, in questultimi due casi, pagando lo scotto di non tro-
vare quella soluzione narrativa che dapprima cerca nel romanzo epi-
stolare, poi in un romanzo di taglio storico-soggettivo. Al di l di
queste due diverse ipotesi strutturali, bisogna ricordare che il ro-
manzo dellio inseguito per almeno un decennio (1819-1829) da
Leopardi in quegli anni seme sterile che cade in un terreno colti-
vato a tuttaltra messe. In particolare, il progetto di una Storia di
unanima si rivela tanto pi significativo se si pensa che lo si trova
nella lettera al Colletta nel marzo 1829: quasi due anni dopo lac-
clamata uscita della prima edizione dei Promessi sposi (avvenuta, si
ricordi, il 15 giugno 1827) e il conseguente lancio del romanzo sto-
rico. Fuori i fatti, la Storia sia essa storia di grandi o di genti mec-
caniche, tanto a Leopardi non interessa lo stesso , dentro la sto-
ria dellio; fuori la storia estrinseca, dentro la storia interna, per
usare la terminologia leopardiana (dal proemio alla Storia di unani-
ma). Insomma: controcorrente rispetto ai modelli di prosa roman-
zesca disponibili Leopardi si inserito non solo in atto con le Ope-
rette morali, ma anche in potenza, accarezzando il sogno di quel ro-
manzo psicologico e antieroico che in Italia ancora non cera.

manzesche, in Atti e Memorie dellAccademia dellArcadia, s. iii, x, 1, 1995-1997,


pp. 125-141 e Leopardi e labbozzo del romanzo, in Giacomo Leopardi, Appunti e
ricordi, cit., pp. 7-39.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 109

Non ci si sogna qui di ricomporre la carriera di Leopardi auto-


biografo e narratore autobiografico incompiuto per desumerne un
volto compiuto. Come non si vuole indugiare in una dettagliata de-
scrizione e interpretazione dei singoli esperimenti leopardiani, di
fronte alla profluvie di letture critiche che illuminano e talvolta
gravano sulle spalle di questi esili bench sintomatici abbozzi e
frammenti. Una volta indicate le direzioni essenziali in cui si muo-
ve lo sperimentalismo leopardiano sul fronte delle scritture dellio;
una volta ribadita la posizione originale e avanguardistica dellau-
tore nel panorama narrativo dei suoi giorni, preme piuttosto pun-
tualizzare alcune osservazioni.

2. per il diario del primo amore: leopardi diarista


e alfieri autobiografo

Come sarebbero scritte dallAlfieri, suggeriva Carlo Leopardi nel


tirar fuori dalle carte inedite del fratello quelle pagine di Memorie
sopra pochi giorni della sua prima giovent53, poi note sotto il ti-
tolo Memorie o Diario del primo amore. In effetti era impossibile che
a un lettore non del tutto sprovveduto non venisse subito in men-
te la Vita; figuriamoci a Carlo, in giovent autore, a detta di Gia-
como, di versi che hanno moltissimo dellAlfieresco54. Non a ca-
so, negli studi sul Diario, in forza anche dellentusiasmo simpateti-
co attestato dal sonetto Letta la Vita dellAlfieri scritta da esso 55, la
caccia ai reperti alfieriani divenuta la via pi praticata dopo quel-
la della correlazione con i versi del Primo amore 56. In anni recenti

53
Cfr. la testimonianza di Carlo Leopardi, in Appendice allepistolario e agli
scritti giovanili di G. Leopardi, cit., p. xxxi.
54
Giacomo a Carlo Leopardi, [Roma], 5 febbraio [1823], in Ep., i, p. 646.
55
Su quel sonetto come atto mimetico di schietta e intensa simpatia nei
confronti dellAstigiano, cfr. ora Christian Genetelli, In biasimo della facilit
di rimare. Leopardi, Alfieri e il sonetto, nellopera collettiva Carmina semper et
citharae cordi. tudes de philologie et de mtriques offertes Aldo Menichetti, dites
par Marie-Claire Grard-Zai, Paolo Gresti, Sonia Perrin, Philippe Vernay, Massi-
mo Zenari, Genve, Slatkine, 2000, pp. 495 sgg.
56
Per i debiti lessicali della prosa del Diario con quella della Vita, cfr. so-
110 ragionar di s

si andati oltre. Movendo dalla constatazione che liniziativa del


Diario a ridosso della lettura della Vita Leopardi finisce di leg-
gerla il 27 novembre 1817, e il 14 dicembre stende il primo ap-
punto del diario non pu essere casuale57, uno studioso ha in-
dicato persuasivamente il nucleo generatore del breve scritto
leopardiano nel passo della Vita sul primo amoruccio (ii, 10)
e, attraverso una accurata comparazione dei due testi, ha docu-
mentato come da quellepisodio dellautobiografia alfieriana (di
cui Leopardi si rammenta peraltro anche in Zibaldone, 200) il
giovane diarista abbia potuto ricavare lintreccio, i tratti dei

prattutto Giuseppe Guido Ferrero, Alfierismo leopardiano, in Giornale storico


della letteratura italiana, cix, 1937, pp. 211-238; Walter Binni, Leopardi e la poe-
sia del secondo Settecento, nellopera collettiva Leopardi e il Settecento, Atti del i
Convegno Internazionale di Studi Leopardiani, Recanati, 13-16 settembre 1962, Fi-
renze, Olschki, 1964, pp. 92 sgg.; Id., La protesta di Leopardi, Firenze, Sansoni,
1973, pp. 32 sgg. Per i legami stilistici, tematici e ideologici, cfr. particolarmente
Id., Lezioni leopardiane, a cura di Novella Bellucci, con la collaborazione di Mar-
co Dondero, Firenze, La Nuova Italia, 1995, pp. 54 sgg.; Sergio Solmi, Introdu-
zione ai Pensieri e alle Memorie del primo amore (1970), in Studi e nuovi studi
leopardiani, Milano-Napoli, Ricciardi, 1975, p. 136 (che riduce tale influenza a una
generica lezione di stile) e Alberto Folin, Esperienza della perdita e malinconia.
Le memorie del primo amore, in Leopardi e la notte chiara, presentazione di Ce-
sare Galimberti, Venezia, Marsilio, 1992, pp. 75 sgg. Per la correlazione tra prosa e
versi, cfr. soprattutto Ferruccio Monterosso, Il primo amore di Giacomo Leo-
pardi, in Cremona produce, marzo 1986, pp. 97-109; Luigi Blasucci, Alle ori-
gini della poesia leopardiana: Il primo amore, in Il Veltro, xxxi, 1987, pp. 565-
575 (poi in I titoli dei Canti e altri studi, Napoli, Morano, 1989, pp. 13-28); Al-
varo Valentini, I versi e il diario del primo amore, in Giacomo Leopardi, Diario
del primo amore, introduzione di Alvaro Valentini, Abano Terme, Francisci, 1987
(poi in Alvaro Valentini, Leopardi. Idillio metafisico e poesia copernicana, Roma,
Bulzoni, 1991, pp. 36-41); Michele DellAquila, Lingua e stile nei versi e nelle pro-
se della puerizia e delladolescenza, nellopera collettiva Lingua e stile di Giacomo
Leopardi, Atti dellviii Convegno Internazionale di Studi Leopardiani, Recanati,
30 settembre-5 ottobre 1991, Firenze, Olschki, 1994, pp. 381-392 (poi in Id., Le fon-
dazioni del cuore. Studi su Leopardi, Fasano, Schena, 1999, pp. 187-204); Id., Il
Primo amore, in Italianistica, xxii, 1-3, Studi in memoria di Giorgio Varanini, 2,
Ottocento e Novecento, 1993, pp. 29-38 (poi in Id., La linea dombra. Note sullelegia
di Leopardi, Fasano, Schena, 1994); Novella Bellucci, Dal Diario ai versi da-
more, cit., pp. 105 sgg.; Michele DellAquila, Leopardi. Lamore gli amori, nel-
lopera collettiva Leopardi. Viaggio nella memoria, cit., pp. 109-115 (poi in Id., Le
fondazioni del cuore, cit., pp. 71-92).
57
Franco DIntino, Da Alfieri a Leopardi, cit., p. 95.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 111

personaggi, alcune indicazioni estetico-filosofiche (tra cui il


programma del parlar di s come studio delluomo) e lo stes-
so metodo del descrivere analiticamente i sintomi della pas-
sione58.
In anni altrettanto recenti, per la suggestione esercitata dalla
Vita unaltra giovane studiosa del Diario rimanda, en passant, oltre
al brano sul primo amoruccio, anche a un passo del capitolo ii
dellepoca iv in cui lAlfieri autobiografo chiama in causa lAlfieri
diarista59. un cenno autoreferenziale che credo sia altrettanto
pertinente dellepisodio del primo amoruccio e meriti di essere
valorizzato maggiormente. Ecco di cosa si tratta. A testimonianza
di quanto precoce e duratura a dispetto della tardiva conversio-
ne alle lettere fosse la passione per lo studio di se medesimo,
lAstigiano rammenta un suo giovanile diario:

Cos a poco a poco ogni giorno pi ridestandomi dal mio lungo e


crasso letargo, io andava vedendo e imparando (un po tardetto) assai co-
se. Ma la pi importante si era per me, chio andava ben conoscendo ap-
purando e pesando le mie facolt intellettuali letterarie, per non isbagliar
poi, se poteva, nella scelta del genere. N in questo studio di me medesi-
mo io era tanto novizio come negli altri; atteso che piuttosto precedendo
let che aspettandola, io fin da anni addietro avea talvolta impreso a di-
ciferare a me stesso la mia morale entit; e lavea fatto anche con penna,
non che col pensiero. Ed ancora conservo una specie di diario che per al-
cuni mesi avea avuta la costanza di scrivere annoverandovi non solo le mie
sciocchezze abituali di giorno in giorno, ma anche i pensieri, e le cagioni
intime, che mi faceano operare o parlare: il tutto per vedere, se in cos ap-
pannato specchio mirandomi, il migliorare dalquanto mi venisse poi a
riuscire. Avea cominciato il diario in francese; lo continuai in italiano;
non era bene scritto n in questa lingua, n in quella; era piuttosto origi-
nalmente sentito e pensato. Me ne stufai presto, e feci benissimo; perch
ci perdeva il tempo e linchiostro, trovandomi essere tuttavia un giorno

58
Ivi, pp. 96-97. Ma gi Binni (in Leopardi e la poesia del secondo Settecento,
cit., p. 92) aveva puntato il dito, pur senza indugiare in raffronti testuali, sulla ri-
presa dello schema scheletrico del primo amoruccio alfieriano nel Diario.
59
Cfr. Patrizia Girolami, Loffice du miroir. Autobiografia, pensiero e poe-
sia nel Diario del primo amore, in La Rassegna della letteratura italiana, s. ix,
ciii, 1, 1999, p. 86 e n.
112 ragionar di s

peggiore dellaltro. Serva questo per prova chio poteva forse ben per lap-
punto conoscere e giudicare la mia capacit e incapacit letteraria in tut-
ti i suoi punti60.

Lallusione, si sa, conduce ai due giornali redatti tra il novem-


bre 1774 e il febbraio 1775 in francese e, dopo un intervallo, tra
laprile e il giugno 1777 in italiano , non destinati dal loro esten-
sore alla pubblicazione ed editi per la prima volta nel 1861 da Emi-
lio Teza, sebbene in forma incompleta61. questa la pi distesa
delle menzioni che lautobiografo della Vita fa della propria prati-
ca diaristica, ma non lunica. Nel capitolo i dellepoca iii Leopardi
poteva leggere anche che un diario fu tenuto da un giovanissimo
Alfieri nel corso del viaggio in Italia del 1766-1767. Questa volta
linformazione data incidentalmente:

Coi compagni di viaggio si conversava sempre in francese, e cos in al-


cune case milanesi dove io andava con essi, si parlava pur sempre france-
se; [] e alcune letteruzze chio andava scrivendo eran pure in francese;
ed alcune memoriette ridicole chio andava schiccherando su questi miei
viaggi, eran pure in francese []62.

Altrettanto incidentale, subito dopo, la precisazione sulla sor-


te toccata a tali memoriette:

siccome quelle mie sciocche Memorie sul viaggio furono ben presto poi da
me corrette con le debite fiamme, non le rinnover io qui certamente, col
particolarizzare oltre il dovere questi miei viaggi puerili.

Il vecchio autobiografo tratta il giovane diarista con distacco


autoironico, in linea col vettore deprezzativo che percorre la Vita
da capo a fondo. Ma nel primo dei due luoghi citati (iv, 2) assai

60
Vittorio Alfieri, Vita, iv, 2 (pp. 194-195 delledizione cit.).
61
Qui si far riferimento al testo fornito in Vittorio Alfieri, Mirandomi in
appannato specchio, a cura di Arnaldo Di Benedetto, Palermo, Sellerio, 1994.
62
Vittorio Alfieri, Vita, iii, i (p. 94 delledizione cit.). La citazione che se-
gue, ibidem.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 113

accorto nellindicare in quellesercizio di scrittura diaristica la pre-


cocit dellautoanalisi e un oscuro preludio allopera del futuro
poeta63. Proprio per lautocompiacimento esibito da Alfieri e per
linsistenza su quella giovanile pratica diaristica come strumento di
autoconoscenza e presagio della vocazione letteraria, tali menzioni
possono essere state stimolanti per il Leopardi diciannovenne let-
tore della Vita, per lappunto dopo poco incappato anchegli nel
suo primo amoruccio e quindi, in concomitanza con quella tur-
bativa esperienza, estensore delle memorie (parola leopardiana)
che chiamiamo Diario del primo amore 64. Questultimo proprio
una specie di diario, privato e circoscritto, per diciferare se stes-
so con penna, non che col pensiero, come recitava lautobiogra-
fia alfieriana. Da garzon di nove / e nove Soli65 pi uno qual ,
Leopardi comincia a scrivere nel mezzo del caos emotivo suscitato
dallarrivo di Geltrude Cassi, per isfogo del cuore e per cono-
scere se medesimo e le passioni66; riepiloga analiticamente i fatti e
si lancia in una serrata, acuminata vivisezione del proprio cuore;
abbandona la scrittura non appena gli sembra di poter dire poco
[] di nuovo e sente scemare lintensit del turbamento; chiude
le annotazioni chiamandole riduttivamente ciarle (come le me-
moriette ridicole del giovane Alfieri), e anni dopo, almeno stando
alla gi citata testimonianza del fratello Carlo, le considera da sop-
primersi (insomma da correggersi con le debite fiamme, di
nuovo come il giovanile precedente alfieriano).
Ci non toglie che il Diario leopardiano si contraddistingua

63
Arnaldo Di Benedetto, Postfazione, in Vittorio Alfieri, Mirandomi
in appannato specchio, cit., pp. 84, 82 (il saggio ora si legge anche in Arnaldo Di
Benedetto, Le passioni e il limite. Uninterpretazione di Vittorio Alfieri, nuova edi-
zione riveduta e accresciuta, Napoli, Liguori, 1994, pp. 21-35).
64
Cfr. Giacomo Leopardi, Diario del primo amore, in TTP, p. 1099.
65
Come Leopardi si autodefinisce nel Primo amore (vv. 67-68), forse in ot-
temperanza a certa numerologia stilnovistica (Franco Zabagli, La gigantessa [con
la segnalazione di una fonte latina per gli attributi della Natura nel Dialogo della
Natura e di un islandese], nellopera collettiva Leopardi. Viaggio nella memoria,
Catalogo della Mostra, Recanati, Palazzo Leopardi, 29 giugno-30 ottobre 1998, a
cura di Fabiana Cacciapuoti, Milano, Electa, 1999, p. 135).
66
Cfr. Giacomo Leopardi, Diario del primo amore, in TTP, p. 1099. Le cita-
zioni che seguono, ibidem.
114 ragionar di s

come sperimento (di nuovo, parola leopardiana)67 per certi versi


molto originale. Lo scritto, va detto, scivola verso il diario ma non
comincia come tale. Linizio presenta una forma retrospettiva: or-
dinato ragguaglio sulla visita della Signora, si configura come
una moviola della memoria [] con improvvise accelerazioni,
flash-back e rallenty 68. Tale forma retrospettiva viene mantenuta
finch ce n bisogno per riagganciarsi col presente della scrittura;
poi il testo diventa una somma di oggi. Il passaggio dalla retro-
spezione allimmediatezza dellappunto diaristico, avvertibile an-
che sul piano dei tempi verbali (dal passato, remoto o prossimo,
ma soprattutto la durata dellimperfetto, al presente), avviene, non
a caso, soltanto allindomani della partenza della Signora:

Non mha saputo dispiacere questa partenza, perch io prevedeva che


avrei dovuto passare una trista giornata se i forestieri si fossero trattenuti.
Ed ora la passo con quei moti specificati di sopra []69.

Il ricongiungimento col presente della scrittura segnato sulla


pagina da un ed ora e va a coincidere con la fine delle avventure
esterne: partita la Signora, il giovane Leopardi passa dal vivere
lesperienza del primo amore a scriverla. Ed ora che non ha pi
persone da descrivere (lalta e membruta Geltrude), n fatti da
raccontare (per esempio, la partita a scacchi), si pu dedicare com-
pletamente alla notomizzazione dei propri affetti. La forma re-
trospettiva necessariamente retrospettiva, visto che bisognava re-
cuperare il gi successo , esaurita la sua funzione di aggancio al
presente, scompare. Lascia il posto a una successione di appunti a
scadenza quasi quotidiana per la durata di una decina di giorni e
lo scritto diventa diario a tutti gli effetti, ma nella miscela di auto-
biografia e pensiero70 con cui Leopardi segue laltalena degli affet-

67
Ibidem.
68
Michele DellAquila, Leopardi. Lamore gli amori, in Le fondazioni del
cuore, cit., p. 78.
69
Giacomo Leopardi, Diario del primo amore, in TTP, p. 1096.
70
Cfr. in particolare le ricchissime note di Franco DIntino in SFA, pp. 3-44 e
le pagine centrali del saggio di Patrizia Girolami, Loffice du miroir, cit., pp. 81-99.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 115

ti, inseguendo e raggiungendo una prosa analitica, razionale, anti-


romanzesca (Ma sempre sincerissimamente detestando ogni om-
bra di romanzeria)71. In fondo, accade qui quel che avviene nello
stesso torno di anni anche per lesercizio del tradurre: la reazione
spontanea di difesa dal turbamento e dalla confusione consiste
nellapplicare alloggetto perturbante i metodi appresi alla scuola
della ragione72; ovvero sondare, registrare, analizzare (il crescendo
leopardiano dellesplorare, notare, e notomizzare73) uno per uno i
sintomi e i decorsi del turbamento, come in una cartella clinica, ra-
zionalizzandoli. Da qui quello sdoppiamento del giovane Leopar-
di in osservatore e oggetto dellosservazione74 che costituisce la ci-
fra peculiare del Diario.
Al di l dei tratti originali dello scritto leopardiano, lideazione
del Diario a ridosso della lettura della Vita non devessere stata ca-
suale, ma i brani che possono esserne il nucleo generatore sono due,
da combinare insieme. La diletta autobiografia alfieriana non forni-
va al giovane Leopardi solo lappoggio operativo, tematico e ideo-
logico della prosa elencativa del primo amoruccio (ii, 10). Conte-
neva pure, nella compiaciuta menzione del diario come appanna-
to specchio dellio (iv, 2), linvito a una scrittura diaristica autoa-
nalitica e autoeducativa, da praticarsi in et giovanile, per periodi
circoscritti, per studiarsi e meglio conoscersi. Lautore della Vita de-
ve aver agito s su un piano operativo come modello di notomizza-
tore scientifico delle proprie passioni, ma anche, a livello pi
profondo, come possente esempio di una giovent caparbiamente e
sintomaticamente ripiegata su se stessa, in un precoce quanto pro-
ficuo esercizio diaristico di autoconoscenza. Al diciannovenne let-
tore della Vita, lesempio alfieriano presentava lautobiografia ov-

71
Giacomo Leopardi, Diario del primo amore, in TTP, p. 1099 (su cui cfr. le
indicazioni di DIntino in SFA, pp. 42-43, n. 130).
72
Franco DIntino, Introduzione, in Giacomo Leopardi, Poeti greci e lati-
ni, a cura di Franco DIntino, Roma, Salerno, 1999, p. xiv.
73
Id, Scene di caccia: analisi di un topos leopardiano, in La Rassegna della let-
teratura italiana, s. ix, ciii, 1, 1999, pp. 112-131.
74
Cfr. Sergio Solmi, Introduzione ai Pensieri e alle Memorie del primo
amore, cit., p. 118. Ma si veda anche Alberto Folin, Esperienza della perdita e
malinconia, cit., pp. 80 sgg.
116 ragionar di s

vero il racconto retrospettivo e ordinato della propria vita (dal


principio alla fine per ordine, dir Leopardi nella Storia di unani-
ma ) come occasione per riorganizzare teleologicamente la propria
esistenza da parte di un uomo maturo e famoso. Ma nel contempo
additava il diario come prezioso strumento autoconoscitivo, utile
soprattutto proprio tra le ansie e le incertezze della giovinezza. Sul-
la prima proposta quella autobiografica Leopardi ci sarebbe ri-
tornato anni dopo, e in modo del tutto originale, con la Storia di
unanima; linvito al diario invece era da mettere a frutto subito.
Piuttosto che affermare che il giovane Leopardi del Diario del pri-
mo amore stravolge larchetipo autobiografico della Vita trasfor-
mandone la struttura da lineare in diaristica75, mi sembra il caso di
dire che ne raccoglie lo stimolo che pu raccogliere nel 1817: quello
al diario di autoanalisi, allo studio di se medesimo in forma di me-
morie (memorie e diario si equivalgono ancora a questa altezza
cronologica, tant che Alfieri usa indifferentemente entrambe que-
ste definizioni, Leopardi solo la prima); memorie di momenti cru-
ciali della propria giovent, come, appunto, quello del primo amo-
ruccio o amore. Pi fedele di cos allamato Alfieri il giovane
Leopardi del Diario non poteva esserlo.

3. dai ricordi dinfanzia e di adolescenza


alla storia di unanima

Che la pratica della biografia incomba sugli spiriti magni, nolenti


o volenti; che una folta messe di scritti biografici sia contrappasso
alla fama scontato. Destino dellanima grande, eccellente dice
la Natura allAnima prediletta in una celebre operetta morale ,
se tutto va bene76, quello di essere, subito dopo la morte [] ce-

75
Franco DIntino, I paradossi dellautobiografia, cit., p. 296.
76
Eccetto se dalla malignit della fortuna, o dalla sovrabbondanza medesi-
ma delle tue facolt, non sarai stata perpetuamente impedita di mostrare agli uo-
mini alcun proporzionato segno del tuo valore, avverte la Natura (Giacomo Leo-
pardi, Dialogo della Natura e di unAnima, in TTP, p. 514). Le citazioni che seguo-
no, ibidem.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 117

lebrata e levata al cielo, non dir da tutti, ma, se non altro, dal pic-
colo numero dagli uomini di buon giudizio. Il che comporta an-
che il privilegio di godere di uno stuolo di accaniti biografi:

E forse le ceneri della persona nella quale tu sarai dimorata, ripose-


ranno in sepoltura magnifica; e le sue fattezze, imitate in diverse guise, an-
dranno per le mani degli uomini; e saranno descritti da molti, e da altri
mandati a memoria con grande studio, gli accidenti della sua vita.

Lautobiografia invece una scelta; certo pi o meno indotta


dallesterno, comunque non scontata. la scelta, per usare unim-
magine leopardiana, di raccogliere le pietruzze nere e quelle
bianche che simboleggiano i giorni infelici e felici di una vi-
ta e che formano nella memoria un mosaico dai colori ineluttabil-
mente torbidi77. una scelta che Leopardi ha cominciato a tra-
durre in atto almeno un paio di volte: con i cosiddetti Ricordi din-
fanzia e di adolescenza (e relativi supplementi) e con la Storia di
unanima, documenti di due diverse modalit di organizzazione
delle pietruzze di una vita.
In anni recenti la palma di esperimento pi interessante par-
sa andare ai Ricordi 78. Di fronte a quegli appunti che paiono
unanticipazione del monologo interiore e del flusso di coscien-
za79, il frammento della Storia di unanima prova formalmente
assai meno sperimentale, una sorta di ritorno allordine. Deve que-
sto carattere a una peculiarit: lunico tra gli incompiuti scritti
autobiografici leopardiani che si propone di passare dal sistema

77
Id., Dialogo di un Fisico e di un Metafisico, ivi, p. 527.
78
La prospettiva del non finito adottata da DIntino nel citato volume degli
Scritti e frammenti autobiografici leopardiani spinge lo studioso a valorizzare il sug-
gestivo archivio dei Ricordi, cui dedica ben una cinquantina di pagine circa la
met del centinaio che compongono lIntroduzione e in cui addita addirittura
lapice della creativit leopardiana; viceversa, lo porta a interessarsi poco a un te-
sto che si annuncia dotato di una struttura tuttaltro che aperta come la Storia di
unanima: cfr. Franco DIntino, Introduzione, in SFA, pp. xliv-xcvii (e la citata
recensione, di segno contrario, di Paolo Rota, in particolare alle pp. 205-207).
79
Giampaolo Rugarli, Il bruno dei crepuscoli (I non amori di Giacomo Leo-
pardi), con un Dialogo di Mario Luzi, Milano, Libri Scheiwiller, 1998, p. 219.
118 ragionar di s

dellarchivio [] al sistema testuale e librario, soggetto cio alle


convenzioni delledito, in altre parole dal privato al pubblico, ed
da porsi in relazione col desiderio di portare a termine un vero e
proprio libro nato forse traducendo [] e annotando intorno al
182580. Il che la rende preziosa: assai significativo che lavvio del-
la Storia di unanima, concepita essere un libro, sia elaborato se-
condo un metodo rovesciato rispetto alla prosa dei Ricordi. Vuol
dire che le novit dellopera autobiografica che Leopardi sogna di
approntare per la stampa dovevano investire non tanto la forma,
quanto piuttosto il contenuto. La prosa saldamente strutturata e
compassata della Storia di unanima, con il suo nitore marmoreo
sta a ricordare se ce ne fosse bisogno che lincedere fratturato e
intermittente, la consistenza impressionistica e lirica dei Ricordi, al
di l delle suggestive letture che se possono dare, sono legati in-
scindibilmente alla condizione abbozzata del testo, che Leopar-
di [] considerava assai probabilmente uno scartafaccio privato di
appunti da utilizzare in seguito nella stesura di un romanzo auto-
biografico81.
Caratteristica precipua della prosa dei Ricordi e fonte essenziale
del loro fascino la larga presenza di appunti di carattere evocativo,
del genere di quelli che, ma sempre meno negli anni, aprono squar-
ci lirici nello Zibaldone 82. Lo stesso diffuso uso di pronomi dimo-
strativi indica quegli appunti come rubrica a uso personale, scalet-
ta di immagini presenti alla memoria, cui sufficiente rimandare

80
Cfr. Franco DIntino, Introduzione, in SFA, pp. xvi-xvii, da cui sono trat-
te le citazioni.
81
Id., Poesia e grammatica. Di alcune sviste leopardiane, in Studi e proble-
mi di critica testuale, 50, 1995, p. 53. In questo contributo a latere delledizione
critica degli Scritti e frammenti autobiografici, lo studioso spiega il fascino che lab-
bozzo romanzesco ha esercitato su generazioni di lettori con una peculiarit: la
peculiarit della Vita abbozzata [Ricordi dinfanzia e di adolescenza] sta nello spe-
rimentare una riduzione dei due momenti creativi solitamente individuati e di-
stinti da Leopardi, ispirazione e studio, a un unico tempo (ivi, p. 55). Un gra-
do di studio, mi sembra il caso di ricordare, comunque minimo al cospetto
dellinfinito studio e fatica (Giacomo Leopardi a Pietro Giordani, Recanati, 30
aprile 1817, in Ep., i, p. 95) che per Leopardi sottinteso alla creazione poetica.
82
Cfr. Luigi Blasucci, Quattro modi di approccio allo Zibaldone, in I tem-
pi dei Canti. Nuovi studi leopardiani, Torino, Einaudi, 1996, p. 231, n. 7.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 119

fugacemente giacch il ricordo conservato nella mente e deve es-


sere solo fatto affiorare: insomma, un promemoria per rammentar-
si al momento opportuno, cio nellatto di stendere un romanzo
autobiografico, di servirsi di determinati ricordi che fanno parte di
un patrimonio interiore consolidato. Daltro canto, frammenta-
riet, intermittenza, impressionismo, lirismo sono caratteristiche
dellabbozzo che la forma romanzesca di tipo epistolare o parzial-
mente epistolare verso cui Leopardi sembra indirizzarsi avrebbe
consentito di salvaguardare almeno in parte. Quanto alla fisiono-
mia del romanzo, quale dovesse essere nelle intenzioni dellautore,
il poco che si pu dire senza allontanarsi dal testo stato detto83. A
un short, lyrical, nonretrospective novel84 come il Werther e come
lOrtis pensava Leopardi, assumendone almeno a tratti la forma epi-
stolare, come indicano alcune allusioni esplicite85. Per lesattezza, la
stessa forma epistolare monologica (non vi sono cenni a lettere di
corrispondenti) e non priva di elementi diaristici che la novit dei
romanzi di Goethe e di Foscolo rispetto agli schemi settecenteschi
del genere86. In pi, con quella disponibilit inclusiva ch tipica sia
del romanzo epistolare che dellautobiografia: in Leopardi si affac-
cia lidea di inserire i propri scritti giovanili (si pu portare il mio
primo sonetto) e le proprie lettere, quelle dove pi parlava di s
(come apparisce da una mia lettera al Giordani)87. A conferma di

83
Cfr. Angelo Monteverdi, Gli Appunti e ricordi, cit.; Danilo Bianchi,
Leopardi romanziere, in Giornale storico della letteratura italiana, lxxviii, 1921,
pp. 274-287; Manlio Dazzi, Leopardi e il romanzo, cit.; Fernando Figurelli, Gli
Appunti e ricordi del Leopardi, in La Rassegna della letteratura italiana, lx, 3-
4, 1956, pp. 473 sgg.
84
H. Porter Abbott, Diary fiction. Writing as action, Ithaca and London,
Cornell University Press, 1984, p. 34.
85
Per fare un esempio: scrisse [] o dett al suo amico questultima lette-
ra (Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p. 1103).
86
Sul monologismo assoluto che caratterizza il Werther e lOrtis, cfr. Ulla
Musarra-Schroder, Narciso e lo specchio, cit., pp. 50-51.
87
Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, pp. 1103,
1102. Lo stesso meccanismo inclusivo compare nel Werther e nellOrtis particolar-
mente l dove lamico-editore prende la parola e prosegue la narrazione inserendo
altre lettere del protagonista, i suoi appunti e cos via (nel caso del romanzo di
Goethe, anche le prose liriche nello stile di Ossian composte e lette da Werther a
120 ragionar di s

questipotesi di struttura, sta anche la tessitura dellabbozzo, con-


dotta in prima persona, mentre la terza si affaccia unicamente in
concomitanza della morte del protagonista. lepisodio che, qua-
lunque forma epistolare e/o diaristica Leopardi avesse voluto
dare al romanzo, sarebbe stato raccontato da un depositario vivo
delle carte delleroe morto, analogamente a quanto avveniva, per ov-
vie ragioni, nel Werther e nellOrtis:

apr la finestra ec. era lalba ec. ec. non aveva pianto nella sua malattia se
non di rado ma allora il vedere ec. per lultima volta ec. comparare la vi-
ta della natura e la sua eterna giovinezza e rinnuovamento col suo morire
senza rinnovamento appunto nella primavera della giovinezza ed. pensa-
re che mentre tutti riposavano egli solo, come disse, vegliava per morire
ec. tutti questi pensieri gli strinsero il cuore in modo che tutto sfinito ca-
dendo sopra una sedia si lasci correre qualche lagrima n pi si rialz ma
entrati ec. mor senza lagnarsi n rallegrarsi ma sospirando comera vissu-
to, non gli mancarono i conforti della religione chegli chiamava (la cri-
stiana) lunica riconciliatrice della natura e del genio colla ragione per
laddietro e tuttavia (cove questa mediatrice non entra) loro mortale ne-
mica, (dove ho qui sopra, come disse, bisogna notare chio allora lo fingo
solo) scrisse (o dett) al suo amico questultima lettera (muoio innocente
seguace ancora della santa natura ec. non contaminato ec.)88.

La pagina presuppone un narratore onnisciente ed esterno, co-


me richiede la finzione esplicita: bisogna notare chio lo fingo so-
lo. Di nuovo come gi il Werther e lOrtis, anche labbozzo ro-
manzesco leopardiano contemplava scene in cui la finzione episto-
lare si dissolveva e il punto di vista mutava radicalmente, passando
dalla soggettivit alloggettivit; un passaggio alla terza persona che
diventa scelta deliberata nei due supplementi89.

Lotte [libro ii]). Sulla facilit con cui lautobiografia accoglie altri generi, in parti-
colare pagine epistolari e diaristiche, cfr. soprattutto Andrea Battistini, Il supe-
rego dei generi letterari, in Lo specchio di Dedalo, cit., pp. 175, 186-187 e Franco
DIntino, Lautobiografia moderna, cit., p. 100.
88
Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, pp. 1102-1103.
89
Cfr. Id., [Supplemento] alla vita del Poggio e [Supplemento] alla vita ab-
bozzata di Silvio Sarno (di Ruggiero, o Ranuccio, Vanni da Belcolle), ivi, p. 1006.
Delloscillazione tra soggettivit e oggettiva nei Ricordi offre una sintetica e lu-
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 121

Se solo parzialmente intuibile la struttura che Leopardi inten-


deva dare al proprio romanzo autobiografico, agevolmente sonda-
bile la materia prescelta. Basta seguire il dipanarsi degli appunti: a
cenni di autoritratto morale che coinvolgono i pi gran tratti del
suo carattere90, costanti imprescindibili del proprio universo inte-
riore, si affiancano, per associazione mentale, note psicofisiche di ti-
po mobile91, perch si articolano su due piani temporali, infanzia
ed et adulta, e vanno a istituire un rapporto di continuit (o di di-
scontinuit) tra lio del passato e lio del presente. Si tratta, insom-
ma, di costruire lio protagonista, dargli un volto interiore pla-
smandolo su materiali interamente autobiografici (sebbene spesso
mediati attraverso la proprie letture, in particolare, di nuovo, da Al-
fieri)92: non a caso molti di questi appunti sono vicini a quelli del-
lo Zibaldone rubricati sotto il titolo Memorie della mia vita 93. An-
dando avanti, predomina piuttosto una materia aneddotica (sugge-
stioni, fugaci accensioni del ricordo, amori infantili, minime espe-
rienze, esili trame legati a personaggi come Teresa e la Brini, com-
posizioni, letture), di nuovo secondo associazioni mentali solo par-
zialmente ricostruibili94. E sono ricordi che appartengono per lo pi

cida ricostruzione Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecen-


to, cit., pp. 29-30. Sul paradosso dellautobiografia in terza persona, mi limito a
segnalare i contributi di Philippe Lejeune, Autobiography in third person, in
New literary history, ix, 1, 1977, pp. 27-50, e Je est un autre. Lautobiographie de
la littrature aux mdias, Paris, Seuil, 1980, e alcune pagine di Jean Starobinski,
Le style de lautobiographie, in Potique, i, 3, 1970, pp. 257-265 (poi in Loeil vi-
vant II. La relation critique, Paris, Gallimard, 1970, pp. 83-98; trad. it., in Locchio
vivente. Studi su Corneille, Racine, Rousseau, Stendhal, Freud, Torino, Einaudi,
1975, pp. 204-216).
90
Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p. 1100.
91
Cfr. SFA, p. 47, n. 5.
92
Sui numerosi richiami a motivi e luoghi alfieriani, alcuni dei quali pe-
raltro comuni anche allOrtis, cfr. Franco DIntino, Da Alfieri a Leopardi, cit.,
pp. 100-102.
93
Della contiguit tra gli appunti dei Ricordi e quelli delle Memorie zibaldo-
niane rende ineccepibilmente conto DIntino in nota (cfr. ivi, p. 45, n. 2; p. 48, n.
7; p. 55, n. 30; p. 71, n. 77). Sullesclusione di un ritratto anche fisico del protago-
nista per ragioni di strategia romanzesca, cfr. ivi, pp. 48-49, n. 8.
94
E quando ricostruibili, sagacemente documentate da DIntino in nota:
cfr., a titolo desempio, ivi, p. 62, n. 53.
122 ragionar di s

alla famiglia privilegiata delle rimembranze lontane, di cui Leo-


pardi scriver nello Zibaldone il 7 ottobre 1821:

Del resto la rimembranza quanto pi lontana, e meno abituale, tan-


to pi innalza, stringe, addolora dolcemente, diletta lanima, e fa pi vi-
va, energica, profonda, sensibile e fruttuosa impressione, perch essendo
pi lontana, pi sottoposta allillusione; e non essendo abituale n essa
individualmente, n nel suo genere va esente dallinfluenza dellassuefa-
zione che indebolisce ogni sensazione (Zib., 1860-1861, 7 ottobre 1821).

Rimembranze lontane per lestensore appena ventunenne di


questi appunti vuol dire ricordi dinfanzia, la stagione della vita
svalutata, com noto, negli scritti biografici e autobiografici fino a
Rousseau e da Rousseau in poi eletta a chiave daccesso privilegia-
ta al carattere delluomo adulto95. Cos accade anche in unauto-
biografia post-rousseauiana ben nota al giovane Leopardi, la Vita
di Alfieri, in cui lAstigiano intitola alla Puerizia e allAdole-
scenza due delle cinque Epoche e non perde loccasione di am-
monire severamente i lettori a non dimenticarsi che luomo una
continuazione del bambino96. La stessa tendenza di Leopardi a
stabilire una continuit tra il s dellinfanzia e il s delloggi in que-
sto abbozzo romanzesco-autobiografico, in fondo, corrisponde al

95
Sulla funzione pionieristica delle Confessions di Rousseau per lingresso
trionfale dellinfanzia nellautobiografia, cfr. Francesco Orlando, Infanzia,
memoria e storia da Rousseau ai romantici, cit., pp. 3 sgg., 13-40, ma anche Phi-
lippe Lejeune, Je est un autre, cit., pp. 10-31; Richard N. Coe, When the grass
was taller, cit., e la sintetica ricostruzione di Franco DIntino, Lautobiografia
moderna, cit., pp. 198 sgg., che cita, tra laltro, lesempio dellautobiografia di
Monaldo Leopardi, significativamente in ritardo rispetto alle tendenze coeve:
Credo che linfanzia mia niente offrisse di singolare, come non loffre ordina-
riamente linfanzia degli altri uomini (Monaldo Leopardi, Autobiografia e
dialoghetti, a cura di Anna Briganti, Bologna, Cappelli, 1972, p. 61). Sullimma-
gine dellinfanzia nella Vita alfieriana, cfr. soprattutto Arnaldo Di Benedet-
to, Ein Heldenleben: linfanzia e limmagine delluomo nella Vita, in Vittorio
Alfieri. Le passioni e il limite, Napoli, Liguori, 1987, ora in Le passioni e il limi-
te, cit., pp. 135-150.
96
Vittorio Alfieri, Vita, i, 5 (p. 64 delledizione cit.). Non v certezza, in-
vece, che Leopardi conoscesse le Confessions di Rousseau: cfr. infra, p. 132, n. 124.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 123

meccanismo per cui nelle prime pagine della Vita, Alfieri si dilun-
ga su di s omiccino per rintracciarvi indizi delluomo futuro.
Sempre per quando riguarda la materia prescelta, fin troppo
facile, ricorrendo a una delle griglie tematiche stilate in sede teori-
ca per il genere autobiografico, individuare nei Ricordi dinfanzia e
di adolescenza alcuni topoi dellautobiografia moderna97. Pochi, per
la verit, e tutti appartenenti a un ambito emblematico-esisten-
ziale: senzaltro quello fin troppo lacaniano dello specchio98 e il
momento metafisico di contemplazione della natura99. Alcuni al-
tri punti fermi dordine contenutistico, poi, si possono fissare: co-
me la quasi totale assenza di riferimenti alla propria attivit intel-
lettuale, in favore della vita interiore100. L dove pure confluiscono
ricordi delle proprie letture, questultime sono allineate alle espe-
rienze di vita vissuta, messe sullo stesso piano per le sensazioni cui
sono agganciate e per lessere sintomatiche del carattere dellio pro-
tagonista. Non a caso sono letture che tutte o quasi hanno pi di
una occorrenza in Leopardi. Baster un esempio particolarmente
significativo: Lettura di Virgilio e suoi effetti, notato quel passo
del canto di Circe come pregno di fanciullezza mirabile e da me
amato gi da scolare, dove quel passo del canto di Circe sono i
versi di Eneide, vii, 8-16 che vengono citati anche nel Discorso di
un italiano sulla poesia romantica [] come esempio di senti-
mentale antico e nello Zibaldone (1930, 16 ottobre 1821) e che,

97
Cfr. Franco Fido, I topoi del soggetto, cit., pp. 171 sgg., da cui sono trat-
te le citazioni che seguono.
98
Cfr. Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p.
1001, dove il Leopardi ventunenne si specchia in un ritratto, oggi perduto, di s
fanciulletto. Su di esso come ritratto ideale, immagine di s in cui [Leopardi]
si riconosce, si piace, cfr. ora Stefano Ferrari, La psicologia del ritratto nellarte
e nella letteratura, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 111.
99
Cfr. Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p.
1001: descriz. della veduta che si vede dalla mia casa le montagne la marina S. Ste-
fano e gli alberi da quella parte con quagli strabelli ec., mie meditazioni dolorose
nellorto o giardino al lume della luna in vista del monastero deserto.
100
Non mancano, vero, accenni a studi o piuttosto a letture isolate [],
ma sono scarsissimi, occasionale, fugaci, privi di autonomia e quasi soltanto in
funzione degli stati danimo che loro furono [] congiunti (Fernando Figu-
relli, Gli Appunti e ricordi del Leopardi, cit., p. 474).
124 ragionar di s

per finire, lasceranno tracce evidenti nella Vita solitaria, vv. 63-
66, e pi labili in A Silvia, vv. 9-10, 21-22101.
Dati fermi, infine, sono anche gli espliciti rimandi dautore al
Werther e allOrtis. I due romanzi giunta lora di dirlo Leo-
pardi li trovava nella biblioteca paterna, rispettivamente, nella tra-
duzione italiana Verter. Opera originale tedesca del celebre signor
Goethe trasportata in italiano dal D[ottor] M[ichelangelo] S[alom],
Venezia, Giuseppe Rosa, 1796102 e nella ristampa Ultime lettere di
Jacopo Ortis, Napoli, presso Gennaro Reale, 1811 e li leggeva, pi o
meno simultaneamente103, in quelle edizioni: per la ristampa del-
lOrtis testimonia infatti Zibaldone, 58 (dove Leopardi appunta
ediz. di Napoli 1811), per la traduzione del Werther i Ricordi stes-
si104. Avventurandosi nel terreno ancora insondato del romanzo,

101
Cfr. SFA, p. 69, n. 73.
102
Su questa traduzione, influenzata da preoccupazioni autocensorie, cfr.
Giuliano Manacorda, Materialismo e masochismo. Il Werther, Foscolo e Leopar-
di, Firenze, La Nuova Italia, 1973, pp. 22 sgg. e Riccardo Massano, Werther,
Ortis e Corinne in Leopardi (filigrana dei Canti), nellopera collettiva Leopar-
di e il Settecento, Atti del i Convegno Internazionale di Studi Leopardiani, Reca-
nati, 13-16 settembre 1962, Firenze, Olschki, 1964, pp. 415-435: 415-417.
103
Cfr. le argomentazioni di Emilio Giordano, Foscolo nello Zibaldone di
Leopardi, nellopera collettiva Letteratura fra centro e periferia. Studi in memoria di
Pasquale Alberto Lisio, a cura di Gioacchino Paparelli e Sebastiano Martelli, Na-
poli, Esi, 1987, pp. 791-812: 793 sgg.
104
Ezio Raimondi (nella recensione a Cesare Galimberti, Il linguaggio del
vero in Leopardi, Firenze, Olschki, 1959, in Lettere italiane, 1960, pp. 496-500; poi
ripreso da Riccardo Massano, Werther, Ortis e Corinne in Leopardi, cit., p.
416 e da Giuliano Manacorda, Materialismo e masochismo, cit., p. 25) ha notato
come un appunto dei Ricordi (Ecco dunque il fine di tutte le mie speranze, de miei
voti e degli infiniti miei desideri [dice Verter moribondo e ti pu servir pel fine])
sia un evidente calco della traduzione del Salom (Ecco dunque compiute tutte le
mie speranze, tutti cos finiscono i miei voti e glinfiniti miei desideri). Su Leopar-
di lettore del Werther, cfr. Giuliano Manacorda, Materialismo e masochismo, cit.
(interessato per a sceverare soprattutto la forte presenza wertheriana nei Canti, fi-
no alla conclusione per cui il Consalvo lunica traccia superstite artisticamente
compiuta dei famosi abbozzi per un romanzo autobiografico: ivi, p. 40; per i Ri-
cordi, cfr. ivi, pp. 168-169); e il contributo di Raffaella Bertazzoli, Il Werther
tra Monti e Leopardi, in Humanitas, liii, 1998, n. monografico: Leopardi poesia-
filologia-pensiero, a cura di Pietro Gibellini e Claudio Moreschini, pp. 131-154 (che
riscopre le suggestioni che il Werther esercit su Monti di cui rilegge gli sciolti Al
Principe don Sigismondo Chigi e, per questo tramite, su Leopardi).
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 125

Leopardi cerca le coordinate nel romanzo di Goethe, di cui ricor-


da a se stesso la descrittiva lett. 3, del 12 maggio 1771 e di cui pen-
sa addirittura di ricalcare il finale105. Non poteva essere altrimenti,
se il Werther citato pi volte con piena adesione sentimentale nel-
lo Zibaldone 106. Quasi in egual misura, gli spunti gli vengono an-
che dal romanzo di Foscolo, per cui Leopardi rimanda se stesso al-
la parte finale della celebre lettera del 25 maggio 1798 (Eppur mi
conforto nella speranza di esser compianto) e a quella del 4 di-
cembre 1798 (in cui Jacopo Ortis racconta il colloquio con Pari-
ni)107. Tutti appunti bibliografici a uso e consumo dellaspirante
romanziere che coinvolgono singoli aspetti tematici e momenti
staccati del discorso romanzesco.
Leopardi ambiva dunque a un romanzo introspettivo che lo in-
seriva nella scia del Goethe wertheriano e del Foscolo ortisiano108.

105
Cfr. Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, pp.
1004, 1005.
106
Cfr. soprattutto Zib., 56 (questi piccoli diletti [] ci appagano meglio
che qualunque altro come dice Verter); 57 (circa le immaginazioni de fanciulli
comparate alla poesia degli antichi vedi la verissima osservazione di Verter); 64
(nellamore la disperazione mi portava pi volte a desiderar vivamente di ucci-
dermi: [] mi parea di sentire che quello mi sorgea cos tosto perch dalla lettu-
ra recente del Verter, sapevo che quel genere di amore ec. finiva cos, in somma la
disperazione mi portava l); 261-262 (5 ottobre 1820: Io so che letto Verter mi so-
no trovato caldissimo nella mia disperazione). Viceversa, anni dopo, nella lettera
a Francesco Puccinotti, Bologna, 5 giugno 1826, Leopardi sar aspramente critico
verso le Memorie del Goethe (cfr. Ep., i, p. 1174).
107
Cfr. Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p. 1004.
Parimenti, in Zib., 58 (lunica menzione nellOrtis nello Zibaldone), Leopardi anno-
ta: Per unOde sullItalia pu servire quel pensiero di Foscolo nellOrtis lett. 19 e 20
Febbraio 1799, p. 200. ediz. di Napoli 1811. Per la presenza foscoliana in Leopardi,
cfr. le indicazioni bibliografiche in Emilio Giordano, Foscolo nello Zibaldone di
Leopardi, cit., p. 783, n. 4 (cui da aggiungere il poco significativo volumetto di Er-
nesto Guidi, Leopardi e lOrtis, Genova, Emiliano degli Orfini, 1947).
108
vero che nel Werther c uno sfondo sociale che non interessa a Leopar-
di, anche se sia detto qui per inciso lavvertimento wertheriano che lautenti-
cit [] dalla parte della realt contadina e popolare, simboleggiata dalla natu-
ra, dalle ragazze alla fonte, dai bambini, e persino del povero demente che gli av-
viene di incontrare (Franco Fortini, Introduzione, in Johann Wolfgang
Goethe, I dolori del giovane Werther, introduzione di Franco Fortini, trad. di Al-
do Busi, Milano, Garzanti, 1967, 19869, p. xiv) avvertimento che genera una vi-
126 ragionar di s

Ma per contro a questi stessi referenti, spicca lassenza di una tra-


ma portante: gli appunti leopardiani si disperdono in aneddoti e
note introspettive staccate e si coagulano soltanto intorno allinte-
riorit del protagonista, per lampi, per affondi introspettivi acu-
minati, certo come solo una struttura narrativa per frammenti dia-
ristici e/o epistolari, tra i modelli allora esistenti, pu consentire.
In pi, viene scartato uno snodo romanzesco cruciale come il sui-
cidio, giacch il suo Lorenzo (poi Silvio) Sarno Leopardi intende-
va farlo morire per malattia, dopo un suicidio solo pensato. Il che
indica una pista antieroica tuttaltro che scontata nel panorama
narrativo primottocentesco109. Il pi wertheriano e ortisiano dei
progetti romanzeschi leopardiani non sono allora i Ricordi, quan-
to quella coeva Storia di una povera Monaca... dove il suicidio
non solo veniva accolto come soluzione narrativa, ma addirittura
era tematizzato. Nei Ricordi labili sono le componenti romanze-
sche, tanto pi al cospetto di quelle diaristico-autobiografiche: la
qualit romanzesca dellabbozzo emerge soprattutto dalla convi-
venza di tempo narrato e tempo narrante e dalla presenza di un
intermittente piano dialogato, quale emerge, per esempio, in una
delle pi vivaci sequenze dei Ricordi, quella della lucciola110.
Tutto, insomma, pende verso le avventure interiori, minime e
antieroiche, a scapito di quelle esteriori. Le novit del libro auto-
biografico che Leopardi per anni sogna di approntare stavano qui.
Se lo lasciano intravedere i Ricordi, con i loro appunti che indulgo-
no al ritratto interiore e sono refrattari a qualunque organicit e
con gli accenni alla morte naturale del protagonista, lo conferma
esplicitamente la Storia di unanima, che sbandiera la novit della
materia fin dallinizio. Quel che abbiamo infatti altro non che il
lapidario avvio di una nuova pseudonima autobiografia interiore.

sione idillica di quel mondo lo stesso che si ritrova nel Leopardi di alcune let-
tere, come per esempio quella celeberrima sulla tomba del Tasso (Giacomo a Car-
lo Leopardi, [Roma], 20 febbraio [1823], in Ep., i, pp. 653-664).
109
Cfr. Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit.,
p. 29.
110
Cfr. Giacomo Leopardi, Ricordi dinfanzia e di adolescenza, in TPP, p. 1105
(e, in proposito, Emilio Pasquini, Leopardi 1819, cit.).
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 127

Leopardi ricorre a un espediente romanzesco di lunga tradizione,


quello del manoscritto ritrovato, come attesta il titolo completo:
Storia di unanima scritta da Giulio Rivalta pubblicata dal conte Gia-
como Leopardi. Secondo il ruolo esperito dalleditore nel Werther
e da Lorenzo Alderani nellOrtis, il conte si presenta come deposi-
tario delle carte altrui; certo con meno lavoro da fare e con un mi-
nor grado di coinvolgimento, giacch non si tratta di raccogliere,
dare organicit e colmare i vuoti di un coacervo altrimenti informe
di lettere a firma di un amico, ma solo di pubblicare la storia scrit-
ta da un Giulio Rivalta, i rapporti del conte-editore con il quale
non vengono precisati. Fin qui niente di rivoluzionario. Ma Giulio
Rivalta scrive come ci tiene a precisare e com tuttaltro che scon-
tato in unautobiografia, in special modo primottocentesca scrive
da uomo qualunque e da giovane. Le due condizioni dellautobio-
grafia tradizionale importanza pubblica e et avanzata dellesten-
sore vengono tutte e due platealmente rovesciate. Sono bruciate
subito, in apertura, una dopo laltra e senza mezzi termini:

Incomincio a scrivere la mia Vita innanzi di sapere se io far mai co-


sa alcuna per la quale debbano gli uomini desiderare di aver notizia del-
lessere, dei costumi e dei casi miei. Anzi, al contrario di quello che io ave-
va creduto sempre per lo passato, tengo oramai per fermo di non avere a
lasciar di me in sulla terra alcun vestigio durevole111.

Fuori il primo topos autobiografico per eccellenza: chi scrive si


presenta non solo come un uomo comune conquista questa del-
lautobiografia moderna, soprattutto fuori dItalia112 ma addirit-
tura come un fallito. Il che ci riporta al concetto di romanzo del-
limpotenza cui sono riconducibili i tentativi autobiografici leo-
pardiani e d ragione a chi sostiene che tutto il proemio della Sto-
ria di unanima scritto sulla falsariga dellIntroduzione alla Vi-
ta113, di cui rovescia lassunto iniziale e decisivo: scrivere perch

111
Id., Storia di unanima, ivi, p. 1106. La citazione che segue, ivi, pp. 1105-1106.
112
Cfr. Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., p. 46.
113
Id., Da Alfieri a Leopardi, cit., p. 110.
128 ragionar di s

Autore, perch personaggio di rilievo storico che ha lasciato sul-


la terra qualche vestigio durevole per il quale debbano gli uo-
mini desiderare di aver notizia dellessere, dei costumi e dei casi
suoi (cos Alfieri nella sua Introduzione). Adesso tocca allaltro luo-
go comune dellautobiografia, let:

E per questo medesimo mi risolvo ora di por mano a descrivere la mia


vita, perch quantunque in et di ventisette anni, e per giovane di cor-
po, mi avveggo nondimeno che lanimo mio, consumata gi, non solo la
giovinezza, ma eziando la virilit, scorso anche molto avanti nella vec-
chiaia, dalla quale non essendo possibile tornare indietro, stimo che la mia
vita si possa ragionevolmente dire quasi compiuta, non mancando altro a
compierla che la morte, la quale, o vicina o lontana che ella mi sia, certo,
per quel che appartiene allanimo, non mi trover mutato in cosa alcuna
da quella che io sono al presente.

La scelta di scrivere da giovane, a ventisette anni, per un au-


tobiografo quanto meno singolare. Lo sa bene Leopardi-Giulio
Rivalta, che infatti si giustifica ampiamente. noto che sono ra-
re le autobiografie scritte da persone giovani, perch comune
lintenzione (pi o meno esplicita) di tirare finalmente le fila del-
la propria vita, di fare il punto su se stessi114, obiettivo cui si pre-
sta particolarmente let avanzata: statistiche alla mano, la ten-
denza quella di aspettare la soglia dei cinquanta anni115. Poche
le eccezioni. Per restare in Italia, dalla media esuler Saba nella sua
Autobiografia poetica, e per una ragione molto leopardiana: si

114
Id., Lautobiografia moderna, cit., p. 194.
115
Georges May, Conclusion, in Lautobiographie, cit., pp. 208-215 (trad. nel-
lantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit., pp. 57-66, da cui si cita: p. 62).
Sullet dellautobiografo-tipo, cfr. soprattutto Wayne Shumaker, English auto-
biography. Its emergence, materials and form, Berkeley, University of California
Press, 1954, pp. 37, 43, 128; Georges Gusdorf, Conditions et limites de lautobio-
graphie, cit., p. 115; Roy Pascal, Design and truth in Autobiography, Cambridge,
Harvard University Press, 1960, p. 178; William L. Howarth, Some principles of
autobiography (1974), nellopera collettiva Autobiography. Essays theoretical and cri-
tical, cit., p. 86; Georges May, Lautobiographie, cit., pp. 30 sgg., e Anthony Oli-
ver John Cockshut, The art of autobiography in 19th and 20th century England,
New Haven, Yale University Press, 1984, pp. 4-5.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 129

scrive presto la propria autobiografia perch si crede che ci resti


poco da vivere116. Anche il Leopardi alias Giulio Rivalta di Storia
di unanima d torto ai calcoli dei teorici. Non smentisce per la
tendenza di fondo: per lui si conclusa una parte della vita suf-
ficientemente lunga perch sia possibile tracciare gli orientamenti
fondamentali della vita stessa117. Il fatto che a quei ventisette
anni che lautore verosimilmente decide di prestare al suo alter
ego 118 la condizione giovanile solo biologica (giovane di cor-
po animo scorso anche molto avanti nella vecchiaia); e il pun-
to di forza del racconto autobiografico annunciato proprio in
questa paradossale, ossimorica discrasia tra et anagrafica e et in-
teriore. noto poi che per Leopardi, varcata la soglia del quinto
lustro, le cose cambiano:

Nuovo sentimento quello che prova luomo di et poco pi di ven-


ticinque anni, quando, come a un tratto, si conosce tenuto da molti de
suoi compagni pi provetto di loro, e, considerando, si avvede che v in
fatti al mondo una quantit di persone giovani pi di lui, avvezzo a sti-
marsi collocato, senza contesa alcuna, come nel supremo grado della gio-
vinezza, e se anche si reputava inferiore agli altri in ogni altra cosa, cre-
dersi non superato nella giovent da nessuno; perch i pi giovani di lui,
ancora poco pi che fanciulli, e rade volte suoi compagni, non erano par-
te, per dir cos, del mondo. Allora incomincia egli a sentire come il pre-
gio della giovinezza, stimato da lui quasi proprio della sua natura e della
sua essenza, tanto che appena gli sarebbe stato possibile dimmaginare se
stesso diviso da quello, non dato se non a tempo; e diventa sollecito di
cos fatto pregio, s quanto alla cosa in se, e s quanto allopinione altrui.
Certamente di nessuno che abbia passata let di venticinque anni, subi-
to dopo la quale incomincia il fiore della giovent a perdere, si pu dire
con verit, se non fosse di qualche stupido, chegli non abbia esperienza
di sventure; perch se anco la sorte fosse stata prospera ad alcuno in ogni
cosa, pure questi, passato il detto tempo, sarebbe conscio a se stesso di una

116
Cfr. Umberto Saba, Storia e cronistoria del Canzoniere, Milano, Monda-
dori, 19632, p. 504.
117
Georges May, Conclusion, cit., trad. nellantologia Teorie moderne dellau-
tobiografia, cit. p. 62.
118
Sul verosimile prestito e sulla questione della datazione della Storia di
unanima al 1825 (che diamo qui per scontata), cfr. Franco DIntino, Nota ai te-
sti, in SFA, pp. 162-163.
130 ragionar di s

sventura grave ed amara fra tutte laltre, e forse pi grave ed amara a chi
sia dalle altre parti meno sventurato; cio della decadenza o della fine del-
la cara sua giovent119.

Il Pensiero xlii, com noto, il distillato cristallino di un ap-


punto riflessivo che Leopardi aveva steso, ventisettenne, nellotto-
bre 1825 e intorno a cui aveva cominciato a meditare da qualche
tempo120. Linvecchiamento, insomma, incomincia nelluomo an-
che prima dei trentanni (Zib, 4130, 5-6 aprile 1825) e Giulio Ri-
valta ha bruciato particolarmente le tappe, scorrendo anche mol-
to avanti nella vecchiaia. Il che lo mette interiormente sullo stes-
so piano dei suoi colleghi autobiografi det avanzata e gli consen-
te di dare per definitiva la propria prospettiva di oggi, di dare com-
piutezza alla sua incompiuta parabola biografica, di trasformare,
come accade in tutte le autobiografie, il non finito della vita in fi-
nito. Per usare unespressione foscoliana, nel non-leggibile scarta-
faccio del fato suo121 non ci possono essere sorprese significative;
il che per Leopardi vuol dire sorprese come si legge nel Proemio
per quel appartiene allanimo.
Per quel appartiene allanimo, appunto. Accanto alle due no-
vit che s detto (lautobiografo Giulio Rivalta un uomo comu-
ne, anzi un fallito, e ha appena ventisette anni), novit prelimina-
ri e di ordine extratestuale, nel Proemio della Storia di unanima se
ne staglia una terza. Lultima rivoluzione del manoscritto autobio-
grafico che Leopardi finge di ritrovare e pubblicare sta nella mate-
ria ed anticipata dal titolo, al punto tale che chi scrive avverte il
bisogno di spiegarlo:

Intitolo questo mio scritto, istoria di unanima, perch non intendo


narrare se non i casi del mio spirito, e anche non ho al mio racconto al-

119
Giacomo Leopardi, Pensieri, xlii, in TPP, p. 636.
120
Cfr. Zib., 4241 (Bologna, 6 ottobre 1825), i cui antecedenti, per il valore che
la soglia del quinto lustro assume in Leopardi, sono rintracciabili nel Dialogo del-
la Natura e di un Islandese (del maggio 1824) e in Zib., 4130 (5-6 aprile 1825).
121
Cos nellAvvertimento al Sesto tomo dellIo (Ugo Foscolo, Scritti didimei,
cit., p. 38).
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 131

tra materia, perocch nella mia vita niun rivolgimento di fortuna ho spe-
rimentato fin qui, e niuno accidente estrinseco diverso dallordinario n
degno per se di menzione122.

Il titolo Storia di unanima che ha incantato generazioni di leo-


pardisti, pronti ad adottarlo soprattutto per le lettere, indicate pro-
prio come quellautobiografia interiore che lautore non ha mai scrit-
to123 prelude a una materia nuova: dalle avventure estrinseche ai
casi dello spirito, per scelta deliberata e, dice Giulio Rivalta, per
causa di forza maggiore. Sarebbe gi una discreta novit questo an-
nullamento di una griglia fattuale esterna (e romanzesca: rivolgi-
mento di fortuna, accidenti estrinseci diversi dallordinario). Ci si
aggiunga che neanche tali casi dello spirito sono fuori del comu-
ne, come richiederebbe un romanzo pur introspettivo: N pure i
casi che narrer del mio spirito, credo gi che sieno n debbano pa-
rere straordinari. Dove sta allora linteresse di questa storia che ri-
balta polemicamente tutti i punti di forza intreccio romanzesco,
importanza pubblica del protagonista o comunque eccezionalit del-
la sua statura morale dellautobiografia e della narrativa contem-
poranea, compresa quella individualistica-introspettiva ma pur sem-
pre eroica alla Werther e alla Ortis? Nel suo spessore conoscitivo:

ma pure con tutto questo mi persuado che agli uomini non debba essere
discara n forse anche inutile questa mia storia, non essendo n senza pia-
cere n senza frutto lintendere a parte a parte, descritte dal principio alla
fine per ordine, con accuratezza e fedelt, le intime vicende di un qualsi-
voglia animo umano.

Dietro, trattandosi di Leopardi, c la legittimazione dello stu-


dio della pianta-uomo a partire dalla propria autoanalisi invoca-

122
Giacomo Leopardi, Storia di unanima, in TPP, p. 1106. Le citazioni che
seguono, ibidem.
123
Cfr. almeno lintervento di Giuseppe De Robertis, Le lettere come storia
dun anima (1933), in Saggio sul Leopardi, cit., pp. 55-65 e le antologie Storia di
unanima. Lettere scelte dallepistolario, a cura di Irene Riboni, Milano, Vallardi,
1935 e Storia di unanima. Scelta dallepistolario, a cura da Ugo Dotti, Milano, Riz-
zoli, 1982.
132 ragionar di s

to a suo tempo nellIntroduzione alla Vita alfieriana; quello spo-


starsi dellottica dal piano strettamente personale a quello generale
che lAstigiano trovava gi nellouvrage utile [] pour ltude des
hommes di Rousseau. Gi, Rousseau. Le Confessions erano pre-
senti nella biblioteca di Recanati nelledizione in lingua enrichie
dun nouveau recueil de ses lettres [1786-1790], Londres, 10 voll.:
un testo la cui lettura non peraltro attestata da alcun scritto leo-
pardiano124. A poterlo documentare, le Confessions sarebbero certo
il subtetso o il referente pu opportuno da citare insieme alla Vi-
ta. La Storia di unanima non sarebbe stata unautobiografia del-
lagire come quella alfieriana; piuttosto, unautobiografia delles-
sere come quella roussoviana, in cui linteriorit prevarica ogni al-
tro aspetto125. Ma c anche un altro aspetto da tenere presente. Se-
condo il Gozzi delle Memorie inutili 126, degli utili specchi de-
sempio alla posterit volevano offrire gli zelanti che si accinge-
vano a divenire biografi delle imprese considerabili dei grandi
santi, soldati, giurisconsulti, filosofi o letterati che siano : lequa-
zione considerabile-utile e non considerabile-inutile, com
noto, si ribalta solo da Rousseau in poi.
Nel Proemio leopardiano, allautore di questa storia per niente
romanzesca e antieroica resta da mettere le mani avanti di fronte a
una eventuale accusa di vanitosa immodestia, altro tarlo dei suoi
colleghi autobiografi. Giacomo Leopardi alias Giulio Rivalta si
barrica dietro il vero e annuncia che non far la propria autoa-
pologia ma dir del suo spirito il male e il bene indifferentemen-
te. Il Proemio si chiude allora sulla dolente applicazione autobio-

124
Punti di contatto tematici e testuali tra le pagine liminari delle Confessions
e il Proemio della Storia di unanima sono indicati in Emilio Giordano, Dai Ri-
cordi dinfanzia e di adolescenza alle Ricordanze: il linguaggio e i percorsi dellau-
tobiografia, in Lettere italiane, xlvii, 1, 1995, pp. 112-113. Viceversa, DIntino pru-
dentemente ammonisce che nulla di preciso sappiamo, allo stato attuale degli stu-
di, su una eventuale lettura delle Confessions da parte di Leopardi (Franco DIn-
tino, Da Alfieri a Leopardi, cit., p. 107).
125
Cfr. Paola Luciani, Autobiografia dellessere e autobiografia dellagire,
cit., p. 306.
126
Cfr. Carlo Gozzi, Memorie inutili, a cura di Giuseppe Prezzolini, Bari,
Laterza, 1910, i, p. 21.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 133

grafica del finale steso lanno prima per il Dialogo della Natura e di
unAnima :

Non avendo in questo mio scritto a seguitare altro che il vero, dir del
mio spirito il male e il bene indifferentemente: ma perciocch molti sono
cos delicati e teneri che si risentono per ogni menoma parola che essi cre-
dano risultare in lode di chi la scrisse; a questi tali ed a chiunque fosse per
giudicare che io avessi nella presente storia trasandati i termini della mo-
destia, voglio per loro soddisfazione e contento, e per segno della opinio-
ne che io ho di me stesso, protestare in sul bel principio che io, conside-
rata gi da gran tempo bene e maturamente ogni cosa, stimerei fare un in-
finito guadagno se potessi (e potendo, non mancherei di farlo in questo
medesimo punto) scambiare lanimo mio con qual si fosse tra tutti il pi
freddo e pi stupido animo di creatura umana127.

Dunque, non solo un uomo comune, ma un fallito; non solo


un animo qualsivoglia, ma tale che il tenutario vi rinuncerebbe
volentieri. Lamarezza intride le pagine del Proemio spandendosi se-
veramente su quel resto del libro che non mai stato scritto. E sul-
lunico frammento che stato steso, la frase iniziale del capitolo i
del libro i, intitolato, con perfetto parallelismo allintestazione del-
lopera, Fanciullezza di unanima:

Del mio nascimento dir solo, perocch il dirlo rileva per rispetto del-
le cose che seguiranno, che io nacqui di famiglia nobile in una citt igno-
bile della Italia128.

La Storia di unanima si interrompe qui. Per il titolo del Libro


primo (Fanciullezza di unanima ), sar il caso di pensare a una gri-
glia temporale strutturata come quella classica e gi alfieriana

127
Giacomo Leopardi, Storia di unanima, in TPP, p. 1106. Si rammenti la ri-
chiesta dellAnima nel Dialogo della Natura e di unAnima (scritto tra il 9 e il 14
aprile 1824): Dunque alluogami, se tu mami, nel pi imperfetto [di tutti i viven-
ti]: o se questo non puoi, spogliata delle funeste doti che mi nobilitano, fammi
conforme al pi stupito e insensato spirito umano che tu producessi in alcun tem-
po (ivi, p. 515).
128
Id., Storia di unanima, ivi, p. 1106.
134 ragionar di s

delle cinque et delluomo (Puerizia, Adolescenza, Giovinezza,


Virilit, Vecchiaia)129 che il protagonista, anagraficamente venti-
settenne ma interiormente vecchio, della Storia di unanima avreb-
be potuto adattare a suo uso e consumo. Per la propensione iro-
nica dispiegata in questavvio di capitolo, bisogner rammentarsi
che la stesura della Storia di unanima di poco posteriore alla
composizione del primo, sostanzioso nucleo delle Operette mora-
li; oltre che la scrittura autobiografica implica per sua natura una
resa dei conti, pi o meno straziata, pi o meno crudele, con la
propria esistenza, al massimo grado in quelle scritture di s difen-
sive e apologetiche che Leopardi aveva dimostrato di apprezzare
tanto nei Detti memorabili di Filippo Ottonieri. Per usare parole
dautore, proprio da quella operetta, parleremo per la maschera di
Giulio Rivalta di quella certa ironia naturale in chi si trova
impedito di aver parte, per dir cos, nella vita130. Lavvio del pri-
mo capitolo da solo testimonia come la componente poetica ed
evocativa che contraddistingueva gli appunti autobiografici dei
Ricordi dinfanzia e di adolescenza nella Storia di unanima cede il
posto a una vena polemica131.
Per il cenno al proprio nascimento, infine, vale la pena nota-
re come Leopardi-Giulio Rivalta ribalti uno dei topoi dellautobio-
grafia moderna: il compiacimento di esser nato in un certo paese
[] in una famiglia nobile e benestante [] o povera ma one-
sta132. Al contrario, nel parallelismo oppositivo nobile-ignobile
(nacqui di famiglia nobile in una citt ignobile), lautobiografo
denuncia una sorta di crudele scherzo della fortuna. Lo stessa scel-

129
Paola Luciani, Autobiografia dellessere e autobiografia dellagire, cit., p. 298.
130
Giacomo Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri, in TTP, p. 557.
131
Sar quella sorta di autobiografia lirica che sono Le ricordanze non a ca-
so, con La sera del d di festa, componimento che mostra movenze wertheriane
(Luigi Blasucci, I tempi dei Canti [1993], in I tempi dei Canti. Nuovi studi leo-
pardiani, cit., p. 202) a riunire e sovrapporre la vena poetica dei Ricordi dinfan-
zia e di adolescenza e quella polemica della Storia di unanima (cfr. Michele Del-
lAquila, Memoria e scrittura nelle Ricordanze di Giacomo Leopardi, in Espe-
rienze letterarie, xxiv, 3, 1999, p. 6 e Emilio Giordano, Dai Ricordi dinfanzia
e di adolescenza alle Ricordanze, cit., pp. 114-116).
132
Franco Fido, I topoi del soggetto, cit., pp. 167-168.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 135

ta pseudonima Rivalta, esibita nel titolo, in fondo (un po come


Renzo che diventa Antonio Rivolta nei Promessi sposi ), pu adom-
brare una volont agonistica. Fatto sta che lesperimento della Sto-
ria di unanima si arresta qui, dopo aver alluso ai propri natali per
ellissi, ma non senza uno scoperto risentimento; natali ai quali, di-
ce lautore, occorre accennare perocch il dirlo rileva per rispetto
delle cose che seguiranno. Sulle cose che seguiranno e che in-
vece non seguono si irradia cos lo spirito polemico insediatosi in
apertura. un caso che lo scritto si arresti dopo un esordio che, per
contenuto e per tono, implicherebbe di proseguire sullo stesso bi-
nario ironico e pungente? Non saranno proprio le cose che segui-
ranno cenni alla vita nella natia citt ignobile che lautore, si
pu immaginare senza troppo fantasia, presta a Giulio Rivalta
uno dei problemi con cui Leopardi autobiografo intenzionale, sia
pure in forma romanzesca e pseudonima, deve fare i conti e infine
arrendersi? Forse che s, forse che no. Alcune semplicissime consi-
derazioni si possono per svolgere.
Dellimpossibilit romanzesca-autobiografica di Leopardi si
parlato a lungo e avanzando molteplici e tutte sensate ipotesi, che
probabilmente si completano a vicenda. A margine di queste pro-
poste, tutte legate a ragioni profonde di poetica o strutturali (co-
stringere la materia tutta interiore e sentimentale entro un discor-
so retrospettivo e basato su rapporti di causa-effetto), bisogner
forse aggiungerne una empirica, pragmatica, se non addirittura ba-
nale e forse per questo trascurata , ma che relativamente al non
finito della Storia di unanima pu rivelarsi pertinente. Partiamo
dal fatto che se c una costante negli esperimenti autobiografici
leopardiani il ricorso alla pseudonimia e alla finzione romanzesca
che li allontanino dallautobiografia schietta, immediatamente ri-
conoscibile come tale: dalla Monaca nativa di Osimo di Storia di
una povera Monaca e dal Lorenzo Sarno dei cosiddetti Ricordi
dinfanzia e di adolescenza ai Poggio, Silvio Sarno, Ruggiero, o Ra-
nuccio, Vanni da Belcolle dei due supplementi; dal Giulio Rivalta
di Storia di unanima allEugenio appuntato nei Disegni letterari.
Leopardi, insomma, per usare una formula fortunata, ha sempre
evitato di firmare il patto lejeuniano con il lettore, scegliendo
piuttosto la strada pseudonima e finzionale del romanzo autobio-
136 ragionar di s

grafico: allorch si accinge a diventare autobiografo, si maschera o


da romanziere o da editore dellautobiografia altrui. Il meccanismo
quello della delega a un alter ego fittizio messo a frutto soprat-
tutto in alcune delle Operette. Un alter ego cui peraltro, anche nel-
le stesse Operette, lautore presta talvolta non solo il proprio punto
di vista ma anche la propria vicenda biografica. A partire, per
esempio, dai Detti memorabili di Filippo Ottonieri, i quali, nellat-
tacco che vuole essere una presentazione storica e morale del per-
sonaggio, simulano proprio una sintetica e interiore biografia dal
lampante lampante almeno per il lettore dellepistolario sot-
tofondo autobiografico:

Filippo Ottonieri [] visse il pi del tempo, a Nubiana, nella pro-


vincia di Valdivento; dove anche mor addietro; e dove non si ha me-
moria dalcuno che fosse ingiuriato da lui, n con fatti n con parole.
Fu odiato comunemente da suoi cittadini; perch parve prendere poco
piacere di molte cose che sogliono essere amate e cercate dalla maggior
parte degli uomini; bench non facesse alcun segno di avere in poca sti-
ma o di riprovare quelli che pi di lui se ne dilettavano e le seguivano.
Si crede che egli fosse in effetto, e non solo nei pensieri, ma nella prati-
ca, quel che gli altri uomini del suo tempo facevano professione di es-
sere; cio a dire filosofo. Perci parve singolare dallaltra gente; bench
non procurasse e non affettasse di apparire diverso dalla moltitudine in
cosa alcuna133.

Il ricorso alla terza persona, a un alter ego, rientra, si sa, in una


complessa strategia artistica per allontanare da s il proprio incan-
descente materiale autobiografico e conquistare una serena, natu-
rale oggettivit134. Il progetto dellautobiografia pseudonima Sto-
ria di unanima per esponeva maggiormente lautore rispetto alla
ragione investigativa delle Operette morali cos come alla lirica

133
Giacomo Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri, in TTP, p. 556.
Per riscontri nellepistolario, si veda almeno quel che Leopardi scriveva a Giorda-
ni sin dal 5 dicembre 1817: In Recanati poi io son tenuto quello che sono, un ve-
ro e pretto ragazzo, e i pi ci aggiungono i titoli di saccentuzzo di filosofo dere-
mita e che so io (Ep., i, p. 165).
134
Emanuele Trevi, Leopardi prosatore, in TPP, p. 479.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 137

trasfigurazione autobiografica dei Canti 135. Considerato come


inizia il capitolo i del libro i (Fanciullezza di unanima ), di segui-
to occorreva render conto analiticamente, come del nascimento,
del resto: una volta bollato il paese natio come citt ignobile del-
la Italia, bisognava accennare, pur con la tecnica ellittica usata al-
linizio, almeno alleducazione ricevuta, agli affetti domestici e co-
s via. Salvo inventare di sana pianta; cosa per, questultima, as-
sai improbabile, perch implica la rinuncia alla sostanza autobio-
grafica su cui si regge lo scritto e che chiede quellintero spoglio
della propria individualit di l a poco, nel 1828, vituperato da
Leopardi come alieno alluomo di genio: Quanto pi un uo-
mo di genio, quanto pi poeta, tanti pi avr de sentimenti
suoi propri da esporre, tanto pi sdegner di vestire un altro per-
sonaggio, di parlare in persona daltrui, dimitare, tanto pi di-
pinger se stesso e ne avr il bisogno (Zib. 4357, 29 agosto 1828).
Allora, una volta che Leopardi avesse pubblicato la storia di una-
nima scritta da Giulio Rivalta non ci sarebbe voluto molto, per
chi viveva con lo scrittore, a riconoscere Recanati nella citt igno-
bile della Italia (omologo prosastico del borgo selvaggio delle
Ricordanze ) in cui il protagonista riferisce di esser nato e nel no-
bile Giulio Rivalta il conte Giacomo Leopardi. Esporsi polemica-
mente contro i propri concittadini e contro la propria vita nel pa-
lazzo avito, come sanno bene i lettori dellepistolario, Leopardi lo
fa nelle pagine private; sul versante pubblico, resta levocazione
dolceamara di canti come Le ricordanze. Privatezza e segretez-
za136 sono spesso i due requisiti necessari perch la scrittura auto-
biografica conservi senza reticenze la propria funzione liberatoria
e polemica. Che Leopardi, allora, non abbia continuato la propria
pseudonima autobiografia interiore concepita per essere pubbli-
cata anche per una ragione autocensoria? Una conferma indiret-
ta a tale ipotesi viene dallepistolario. Intorno al 1820 Leopardi elu-
de loccasione che gli si presenta di pubblicare le sue lettere priva-
te proprio per una ragione di autocensura. Un sagace Pietro Bri-

135
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 30.
136
Franco DIntino, Introduzione, in SFA, p. xviii.
138 ragionar di s

ghenti, folgorato dalla bellezza delle missive leopardiane e forte


della sua pratica a giudicare ci che piace, o non piace, nel 1820
addita nel suo giovane corrispondente il pi grande scrittore di
Lettere dItalia e lo invita pertanto a dare alle stampe un saggio
della sua mirabile arte epistolare:

Ella non solo poeta in tutta la grandezza del termine, ma scrittore


di Lettere tali, che io non crederei che lItalia potesse presentare altri che
la vinca in questo genere, compresi i pi acclamati, e riveriti [...]. Io vor-
rei dunque supplicarla di regalarne un tomo almeno allItalia137.

Rispondendo, Leopardi si dimostra refrattario alla pubblicazio-


ne delle sue lettere private, non per problemi di ordine stilistico o
per scetticismo sul loro valore letterario, ma per la materia auto-
biografica, ancorata a persone reali e a vicende troppo recenti:

Io la ringrazio di cuore dellaffetto che V. S. mi dimostra consiglian-


domi graziosamente di pubblicare un tomo di lettere. Io non so se ella in-
tenda delle gi fatte, o di altre da farsi a posta perch le gi fatte, quan-
tunque io ne abbia in qualche numero scritte con una certa attenzione,
non so se quelli a cui le ho indirizzate mi saprebbero buon grado sio le
pubblicassi. E generalmente suol esser pericoloso il pubblicar le lettere
troppo recenti, o a motivo delle persone che vi si nominano, o per altri ri-
spetti. N la mia et mi permette di averne se non di recenti138.

Per la cronaca, Brighenti non si arrende e ritorna sulla sua pro-


posta specificando i suoi intenti e suggerendo a Leopardi di aggi-
rare lostacolo:

Riguardo alle Lettere che io proposi, chElla volesse pubblicare po-


trebbono essere tanto delle gi scritte, quanto di altre chElla appostata-

137
Pietro Brighenti a Giacomo Leopardi, Bologna, 1 giugno 1820, in Ep., i,
p. 409. Qui di seguito riprendo alcune considerazioni sulle riserve espresse da Leo-
pardi intorno alla pubblicabilit delle proprie lettere private che ho gi svolto in
La stanza silenziosa. Studio sullepistolario di Leopardi, Firenze, Le Lettere, 2000,
pp. 251-253.
138
Giacomo Leopardi a Pietro Brighenti, Recanati, 9 giugno 1820, in Ep., i,
pp. 410-411.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 139

mente si volesse dare la pena di scrivere, e riguardo alle prime, chi sa, che
Ella non potesse ridurle in guisa da non dispiacere alle persone che vi si
nominano139.

Ma Leopardi non torna pi sullargomento, e la premurosa e


lungimirante proposta di Brighenti cade nel vuoto. Senza forzare
troppo il parallelo, il problema della scottante materia autobiogra-
fica, legata a persone reali e a fatti recenti si pone sia per le lettere
che per unopera come la Storia di unanima. Anche qui occorre-
rebbe, parafrasando Brighenti, ridurla in guisa da non dispiacere
alle persone che, pur non nominate, si sarebbero potute agevol-
mente riconoscere nei familiari e nei conoscenti di Giulio Rivalta.
Che sia questa una delle ragioni di ordine non ideologico o strut-
turale ma contenutistico che blocca la stesura della Storia di una-
nima dopo la frecciata duramente polemica sul paese natio? Una
proposta pragmatica, e per questo poco suadente, ma verosimile, se
non realistica: correlare la rinuncia del Leopardi autobiografo della
Storia di unanima anche a un semplice problema empirico, ovvero
come non ferire persone vive e vicine (se non a patto di trascende-
re dal romanzo autobiografico ad altre ben pi velate e vaghe mo-
dalit di scrittura). Una modesta proposta, nientaltro.

4. lultimo approdo: storia di una passeggiata


e le zibaldoniane memorie della mia vita

Uno scritto come gli appunti dei Ricordi dinfanzia e di adolescen-


za certo mostra un Leopardi incline a una rievocazione del passa-
to pi lirica, evocativa e frammentaria che narrativa. Viceversa,
uno come linizio della Storia di unanima va nella direzione oppo-
sta e, nel contempo, testimonia che in quella direzione lautore
non fa strada e non va oltre le lucide indicazioni del Proemio e la
prima riga del capitolo i del libro i. Sta qui la ragione strutturale
dellinsuccesso leopardiano come autobiografo, dellinconcludente

139
Pietro Brighenti a Giacomo Leopardi, Bologna, 17 giugno 1820, ivi, i, p. 412.
140 ragionar di s

ricerca di una soluzione narrativa: nellabbozzo romanzesco dei Ri-


cordi, il pi corposo tra gli esperimenti autobiografici, il percorso
narrativo sembra non attrarre linteresse dellautore e fatti e figure
del passato sfumano in evocazione o riflessione piuttosto che esse-
re momenti di un racconto; cadono le istante mimetiche e realisti-
che del progetto autobiografico e si riconosce allautore piuttosto
la disposizione a cogliere la vita non nel continuo del narrato ma
nei frammenti di una proiezione immaginativa140.
Anche l, nei Ricordi, veniva fuori soprattutto la storia di una-
nima, ma per frammenti staccati e dislocati in lettere e in se-
quenze diaristiche. L avrebbe potuto trovarci posto, per esempio,
la storia di una passeggiata: storia che da sola, dieci anni dopo,
costituisce uno dei disegni letterari leopardiani. stato detto che
lesito finale della poetica autobiografica leopardiana, sar, dieci
anni dopo la Vita abbozzata [i Ricordi dinfanzia e di adolescenza],
la poesia al tempo stesso narrativa e frammentaria di A Silvia e del-
le Ricordanze 141. Lesito finale compiuto; ma tra i progetti sono
tracciate anche altre strade.
Sulla linea della dissoluzione dellautobiografia nel frammento
stanno anche alcuni tra gli ultimi Disegni letterari : i frammenti
narrativi promessi da titoli quali Storia di un giorno, o delle disav-
venture di un giorno della propria vita e Storia di una passeggiata,
due disegni ascrivibili rispettivamente al 1825 e al 1829. Questi
per quel che un titolo pu dire da solo danno ragione a chi scor-
ge in Leopardi lo slittamento dallautobiografia al frammento: si
configurano come il pi coerente sviluppo in prosa dei germi con-
tenuti negli appunti dei Ricordi, perch vanno in direzione delli-
solamento di singoli e minimi momenti della propria vicenda: la
storia [] di un giorno della propria vita, o quella di una pas-
seggiata. Di nuovo la parola storia, a ribadire il carattere narra-
tivo del disegno, ma con una specificazione che la circoscrive a un
minimo tassello dellesistenza. Insomma, se si vuol tracciare un
percorso della poetica autobiografica leopardiana, il suo punto

140
Come ha visto bene DIntino (cfr. Da Alfieri a Leopardi, cit.).
141
Ivi, p. 124.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 141

darrivo in prosa, seppure non finito, dovrebbe essere identificato


proprio in disegni come Storia di un giorno, o delle disavventure di
un giorno della propria vita (1825) e Storia di una passeggiata (1829),
opere che dovevano dilatare un momento della vita interiore eleg-
gendolo a unica materia. Tagliati fuori i problemi di strutturazio-
ne retrospettiva e di causa-effetto, ne poteva risultare una avven-
tura storica del suo animo in prosa. Che sarebbe stata unavventu-
ra interiore, una di quelle promesse nella Storia di unanima, ci si
pu scommettere. Lungi da me fare il ritratto di unopera che non
c, che non mai stata scritta ma solo pensata. Per abbandonare
il condizionale e il campo insidioso dei se, per qualche elemen-
to c. Riguarda la enigmatica e fascinosa Storia di una passeggiata
di cui Leopardi annota il titolo tra i Disegni letterari nel 1829. Co-
sa fosse una passeggiata per Leopardi lo dicono soprattutto alcune
sue lettere. Parlano chiaro missive come quella al fratello Carlo da
Bologna, del 23 novembre 1825:

io sospiro ogni giorno pi di rivedere voi altri miei cari, e in certe passeg-
giate solitarie che vo facendo per queste campagne bellissime, non cerco
altro che rimembranze di Recanati142.

O una celebre lettera a Paolina, da Pisa, il 25 febbraio 1828:

Io sogno sempre di voi altri, dormendo e vegliando: ho qui in Pisa


una certa strada deliziosa, che io chiamo Via delle Rimembranze : l vo a
passeggiare quando voglio sognare a occhi aperti143.

In fondo, anche la celeberrima lettera romana sulla visita al se-


polcro di Tasso non che la storia di una passeggiata144. Se per il
suo maestro di giovent, Alfieri, la passeggiata il momento della

142
In Ep., i, p. 1004.
143
Ivi, ii, p. 1459.
144
Si allude naturalmente alla lettera a Carlo Leopardi, Roma, 20 febbraio
1823, in Ep., i, pp. 653-654, il capolavoro romano di Leopardi secondo Binni (cfr.
Walter Binni, La lettera del 20 febbraio 1823 [1963], in La protesta di Leopardi, Fi-
renze, Sansoni, 1973, p. 267).
142 ragionar di s

vita di fuori145, per Leopardi, avvenga essa in un paesaggio natura-


le (le campagne di Bologna) o cittadino (le strade di Pisa), , al
contrario, il trionfo della vita interiore, lapice di quella solitudi-
ne effettiva celebrata in una lettera giovanile al fratello come
compagnia effettiva, compagnia [] del proprio cuore146. Due
preziosi regali rimembranza e sogno a occhi aperti offrono
le passeggiate solitarie a Leopardi, perch costituiscono uno dei
momenti pi propizi per cogliere le analogie tra luoghi diversi,
dunque per essere assaliti dal ricordo. Passeggiare il momento in
cui si osservano i luoghi scoprendone le possibili rispondenze con
altri vivi nella memoria:

Notano quelli che hanno molto viaggiato (Vieusseux parlando meco),


che per loro una causa di piacere viaggiando, questa: che, avendo vedu-
to molti luoghi, facilmente quelli per cui si abbattono a passare di mano
in mano, ne richiamano loro alla mente degli altri gi veduti innanzi, e
questa reminiscenza per se e semplicemente li diletta. (E cos li diletta poi,
per la stessa causa, losservare i luoghi, passeggiando ec., dove fissano il lo-
ro soggiorno). Cos accade: un luogo ci riesce romantico e sentimentale,
non per se, che non ha nulla di ci, ma perch ci desta la memoria di un
altro luogo da noi conosciuto, nel quale poi se noi ci troveremo attual-
mente, non ci riescir (n mai riusc) punto romantico n sentimentale
(Zib., 4471, 10 marzo 1829).

Le passeggiate sono i viaggi sentimentali di Leopardi: quelli


il cui resoconto si risolve nella storia dei suoi sentimenti147. So-

145
Je vois en attendant que le temps minterdit le plaisir, ou pour mieux di-
re lhabitude de la promenade, je cours risque de me retrouver moi-mme, si je suis
tout seul mon dner (sotto la data Dimanche 15 9bre 1774 in Vittorio Alfie-
ri, Mirandomi in appannato specchio, cit., p. 11).
146
Cfr. Giacomo a Carlo Leopardi, [Roma], 6 dicembre [1822], in Ep., i, p.
578: Veramente per me non v maggior solitudine che la gran compagnia, e per-
ch questa solitudine mi rincresce, per desidero dessere effettivamente solitario,
per essere in effettiva compagnia, cio nella tua, ed in quella del mio cuore.
147
Cfr. Lawrence Sterne, Viaggio sentimentale (nella versione di Ugo Fosco-
lo), a cura di Gianfranca Lavezzi, cit., p. 142. Per ulteriori considerazioni su que-
sto tema rimando al mio Unsentimental travellers. La lettera di viaggio in Leopar-
di e in Tommaseo, nellopera collettiva Scrivere lettere. Tipologie epistolari dellOtto-
cento italiano, a cura di Gino Tellini, Roma, Bulzoni, 2002, pp. 153-177.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 143

no microviaggi dellanima, fonte privilegiata di rimembranze, dun-


que di sensazioni poetiche (e non a caso la mite Pisa, la citt del-
le passeggiate per eccellenza, la citt del risorgimento poetico); a
essi, proprio in quanto tali, Leopardi a quanto pare ha avuto in-
tenzione di dedicare un testo specifico, creato per loccasione, qua-
le la Storia di una passeggiata.
Non c solo questa strada, per. C anche lautobiografia per
frammenti consegnata a una delle polizzine, le Memorie della mia
vita, microtesto contenuto nel macrotesto dello Zibaldone, ovvero
uno dei libri ricavabili secondo Leopardi dal suo Zibaldone. Com
noto, fu lo stesso Leopardi a predisporre alcuni strumenti per leg-
gere le carte zibaldoniane e per orientarsi in quel labirinto, non
senza una tensione progettuale148; e, com altrettanto noto, uno di
questi strumenti sono le polizzine richiamate e non richiamate,
minuscole schede tra cui ne figura una, la pi ampia, intitolata Me-
morie della mia vita (a fianco di: Trattato delle passioni, Manuale
di filosofia pratica, Della natura degli uomini e delle cose, Teorica del-
le arti, lettere. Parte speculativa, Teorica delle arti, lettere. Parte pra-
tica, storica, Lingue, Volgare latino ). Leopardi inizia ad approntar-
le il 23 luglio 1827, subito dopo la rilettura completa dello Zibal-
done che soggiace alla compilazione dellIndice (tra l11 luglio e il 14
ottobre 1827) e che certo favorisce nello scrittore un ripensamento
della globalit della propria esperienza.
Al pari delle altre polizzine, la Memorie della mia vita promet-
tono nel titolo una sistematicit che allo stato di opera dislocata e
virtuale in cui si trovano, non mantengono; ma si distinguono per
certo come lunico percorso di carattere esplicitamente e program-
maticamente autobiografico. Con una caratteristica precipua: con-
dividono molti brani con le opere filosofiche e letterarie con cui l
convivono, si sovrappongono spesso e volentieri a esse, particolar-
mente al Trattato delle passioni (com possibile per il fatto che ogni
passo dello Zibaldone si ricordi viene selezionato da Leopardi

148
Sulla funzione progettuale dellIndice leopardiano dello Zibaldone, cfr. ora
Fabiana Cacciapuoti, Lindice fiorentino e gli indici dello Zibaldone. Dal sistema al
progetto, nellopera collettiva Leopardi a Firenze, Atti del Convegno di Studi, Firen-
ze, 3-6 giugno 1998, a cura di Laura Melosi, Firenze, Olschki, 2002, pp. 239-250.
144 ragionar di s

per una sola o anche per pi polizzine)149. Oltre che preludio alla
nuova poesia leopardiana150, le Memorie della mia vita sono il per-
corso che pi degli altri sviluppato e aperto, perch fortemente in-
trecciato con la riflessione etica, logica, metafisica, estetica e lettera-
ria delle altre polizzine151. Ci possibile perch le Memorie della
mia vita si nutrono di appunti evocativi, del tipo di quelli dei Ri-
cordi dinfanzia e di adolescenza, ma pi spesso prendono la strada
della riflessione che lievita dallautobiografia. Sta di fatto che pro-
prio quella polizzina costituisce il pi corposo e cronologicamente
lultimo esperimento autobiografico leopardiano, nel duplice segno
dellevocazione memoriale e della meditazione etica, di autobiogra-
fismo e di scienza delle passioni il cerchio si chiude ; ma pi
delle seconde che dei primi. La voglia dautobiografia del giovane
Leopardi non si spenta cogli anni, ma ha preso i binari della poe-

149
Ogni brano che compone il testo [] scelto per uno o pi percorsi.
[] il brano che parla dellamore [] sar scelto per due percorsi, mettiamo il
Trattato delle passioni e le Memorie della mia vita (Id., La scrittura come memoria,
nellopera collettiva Leopardi. Viaggio nella memoria, cit., p. 60).
150
Cfr. Fiorenza Ceragioli, Lo Zibaldone pisano, cit., pp. 197-200 e Carlo
Caporossi, Dallo Zibaldone allEpistolario: riflessioni sulla rinascita poetica pi-
sana di Leopardi, in Il Veltro, xlv, 1-2, 2001, pp. 84-85.
151
Cfr. Fabiana Cacciapuoti, La scrittura come memoria, cit., p. 61: Il
percorso delle Memorie della mia vita che considerato da solo risponde ad une-
sigenza autobiografica in realt aperto, comunicante a seconda del significato
insito nei diversi brani del testo, cos da legarsi alla sfera etica che contenuta
nei percorsi del Trattato delle passioni e del Manuale di filosofia pratica, o a quel-
la logica e metafisica di Della natura degli uomini e delle cose, o a quella estetica
della Teorica delle arti, lettere. Parte speculativa, o ancora a quella letteraria del-
laltra Teorica. [] lanalisi delle passioni e dei sentimenti umani che si compie
nel Trattato delle passioni in parte comune al percorso delle Memorie della mia
vita, proprio perch dal fondo della memoria, e quindi dalla capacit di analiz-
zare se stesso e le proprie passioni, deriva poi la riflessione sulle pulsioni che
muovono i comportamenti individuali e che confluiscono nel gioco sociale.
Per come Leopardi considerasse le polizzine non richiamate (come le Memorie
della mia vita) pi importanti delle polizzine richiamate, cfr. Id., Polizzine ri-
chiamate e non richiamate, in Zibaldone di pensieri, edizione fotografica dellau-
tografo con gli indici e lo schedario, a cura di Emilio Peruzzi, 10 voll., Pisa,
Scuola Normale Superiore, 1989-1994, x, Indici e schedario, a cura di Silvana
Acanfora, Marcello Andria, Fabiana Cacciapuoti, Silvana Gallifuoco, Paola Zi-
to, p. 63.
ii. progetti narrativi e autobiografici di leopardi 145

sia o quelli, sempre interrotti, del frammento o della riflessione eti-


ca. Opera solo virtuale, per ora ci vuole un po di fatica a leggere le
Memorie della mia vita, seguendo i numeri della polizzina di Leo-
pardi. Ledizione tematica dello Zibaldone in corso152 dopo non
poche operazioni editoriali che si sono appropriate indebitamente
di quel titolo ci permetter presto di leggerle in santa pace.

152
Il piano dellopera edizione tematica dello Zibaldone di pensieri condot-
ta sugli Indici leopardiani prevede sei volumi, di cui il vi costituito dalle Me-
morie della mia vita. Finora sono usciti i primi quattro, a cura di Fabiana Caccia-
puoti e con pref. di Antonio Prete: Trattato delle passioni, Roma, Donzelli, 1997;
Manuale di filosofia pratica, ivi, 1998; Della natura degli uomini e delle cose, ivi,
1999; Teorica delle arti, lettere ec. Parte speculativa, ivi, 2000.
III. Pellico da Le Mie prigioni alla Storia della mia vita

Talvolta prendo la penna, e, non sentendomi voglia


di fare altro, scrivo la mia propria Vita
(Silvio Pellico, Capitoli aggiunti, xii [1837])

1. dalla tragedia alla memoria

Autore di un solo libro, il Pellico: chi sente oggi il bisogno di leg-


gere le tragedie, o i Doveri degli uomini ?1, sentenziava Mario Fu-
bini negli anni Cinquanta. Poco cambiato da allora. Per il gran-
de pubblico Pellico continua a essere autore di un solo libro, Le mie
prigioni ; anche se tra gli specialisti, soprattutto a partire dalle pub-
blicazione delle Lettere milanesi, nel 19632, si fatta strada una pi
attenta valutazione del contributo dato dal Saluzzese alla favola
breve del Conciliatore e allo sperimentalismo degli anni Venti. Il
risultato che oggi Pellico autore almeno di un libro e mezzo. Ma
con due penne diverse. Tra il Pellico conciliatorista e quello delle
Mie prigioni, tra il Pellico degli astratti furori e quello dei nuo-
vi doveri3 c soluzione di continuit. Si sa: la decennale e dolo-
rosa esperienza del carcere (13 ottobre 1820-1 agosto 1830) a scava-
re un solco incolmabile, una inversione di tendenza rispetto alla

1
Mario Fubini, Lettere del Pellico, cit., p. 95.
2
Cfr. Silvio Pellico, Lettere milanesi, cit.
3
Saveria Chemotti, Foscolo, Pellico e Il Conciliatore: dagli astratti furo-
ri ai nuovi doveri, cit.
148 ragionar di s

militanza e le idee liberali coltivate in giovent, in libert. Quan-


do, stremato dalla prigionia, Pellico torna a Torino sul finire del
1830, ha quarantuno anni e una storia esemplare, che lo consacra
emblema delle generose istanze patriottiche, alle spalle; di fronte,
un presente da vivere nellombra (la polizia piemontese ne sorve-
gliava [] le mosse)4, nel segno di quellintimismo consolatorio
e pietistico cui sono orientate le Mie prigioni (1832). A un anno dal-
la liberazione, nel pieno della stesura delle memorie del carcere, co-
s Pellico presenta ora la sua nuova disposizione letteraria allami-
co padre Boglino:

Se non temessi laffanno di petto, e perci non mastenessi dallo scrive-


re, parmi che avrei gusto di comporre. []. Fra le cose che rumino e che
mi propongo di scrivere un giorno, si una limpida, larga, piena esposizio-
ne della dottrina veramente cattolica. Se riuscissi a farla bene, secondo la
mia intenzione, credo che risulterebbe evidente il pi perfetto accordo di
questa dottrina coi progressi della ragione. Quando pi rifletto alla malac-
corta separazione de Saint-Simoniani dal cattolicesimo, tanto pi parmi
che bisognerebbe con dimostrazioni accurate impedire siffatti errori5.

in questa direzione che va, univocamente, il Pellico post-


Spielberg. Le mie prigioni fanno dittico con I doveri degli uomini
(1834), loperetta morale scritta anchessa con semplicit di stile e
zelo educativo, ma coi limiti di un cattolicesimo aproblematico e
pacificatore6 che rende Pellico tuttaltra cosa da Manzoni.
Come accade spesso, per il convertito la conversione diventa
retroattiva e confonde o tenta di confondere almeno in parte la
ricostruzione del passato. Quando per tre lustri dopo Le mie
prigioni Pellico sostiene: Sono stato tutta la mia vita contrario
alle dispute, ai libelli, alleroico agitarsi7, una parte di verit c

4
Paolo Mauri, Il caso Pellico: la Torino dei santi sociali, nellopera collet-
tiva Letteratura italiana. Storia e geografia, diretta da Alberto Asor Rosa, ii, 2, Let
moderna, Torino, Einaudi, 1988, p. 861.
5
Silvio Pellico a padre Gian Gioseffo Boglino, Villanuova, 11 settembre 1831,
in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 64.
6
Paolo Mauri, Il caso Pellico: la Torino dei santi sociali, cit., p. 860.
7
Silvio Pellico a Andrea Ighina, Torino, 18 luglio 1847, in Epistolario di Sil-
vio Pellico, cit., p. 330.
iii. pellico 149

anche per questo che stato uno degli amici-allievi pi vicini a


Foscolo e che ora, come s visto, sta ritrattando gli entusiasmi
giovanili profusi nelle proprie lettere al padre di Jacopo Ortis. La
conversione va a corroborare un tratto psicologico costante e il
sornione antieroe Battistino Barometro diventa ora un umile
eroe cristiano che aspira a mangiare del pane di fra Cristoforo8,
a coltivare quelle virt domestiche e la carit civile da cui so-
le, dice lultimo Pellico, pu venire il progresso sociale9; e a dar-
ne testimonianza scritta. Non mai venuta meno lidea della
funzione edificante della letteratura. Ma il fatto che lo scritto-
re ha rinunciato a compiere quello scrutinio polemico nella so-
ciet contemporanea chera stata la cifra della sua esperienza con-
ciliatorista in favore, s visto nella citata lettera a padre Boglino,
del ruolo di puro e semplice testimone della secondo lui dottri-
na veramente cattolica e della ideologia politica che ne fa di-
scendere; quella che cos Tommaseo sintetizzava e stigmatizzava
efficacemente in Un affetto : che poich tutti i reggimenti han-
no le loro magagne, tant soffrire in ischiava tranquillit quello
a cui soggiaciamo10.
Una costante per c tra il Pellico milanese e il Pellico post-
Spielberg ed la dedizione alla tragedia. Lultimo Pellico si prodi-
ga largamente nelle sue lettere per sgombrare il campo da interes-
si letterari11. Per giustificare la propria inerzia creativa di fronte a
Confalonieri, nel 1838 liquida il teatro tragico come un peccato di
giovent: La smania di far tragedie era perdonabile quandio era
giovine; non lho pi. In realt, per lasciarsi alle spalle il desiderio

8
Silvio Pellico a Gian Gioseffo Boglino, Torino, 7 febbraio 1836, ivi, p. 127.
9
Silvio Pellico a Cesare Cant, Torino, aprile 1843, ivi, p. 252.
10
Niccol Tommaseo, Un affetto. Memorie politiche, testo inedito, edizione
critica, introduzione e note di Michele Cataudella, Roma, Edizioni di Storia e Let-
teratura, 1974, p. 113.
11
Cfr. soprattutto Silvio Pellico a Federico Confalonieri, Torino, 11 settem-
bre 1837 e Torino, 17 maggio 1838, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., pp. 151-152,
174 (da cui tratta la citazione che segue) e anche lultimo dei Capitoli aggiunti, in
Opere scelte di Silvio Pellico, a cura di Carlo Curto, Torino, Utet, 1954, 19642, edi-
zione riveduta e corretta (dinnanzi: Opere), p. 611. Per le poche cose che Pellico
stampa in questi anni, cfr. Appendice, ivi, pp. 447-470.
150 ragionar di s

di farsi emulo dAlfieri Pellico impiega molto pi tempo di quan-


to non voglia far credere allamico. La passione per il coturno tra-
valica ben oltre la giovinezza milanese dellautore e sopravvive an-
che alla decennale prigionia. Se a prima dellarresto risalgono la
Laodamia (1813), la celeberrima Francesca da Rimini (1815), che im-
pone il nome del Saluzzese nel mondo letterario (e anche nelle Mie
prigioni Pellico per tutti gli italiani lautore della Francesca, dal
custode e dai secondini dei Piombi al cameriere bresciano)12, e in-
fine lEufemio da Messina (1820), durante la detenzione nei Piom-
bi di Venezia Pellico stende lEster dEngaddi e lIginia dAsti (pub-
blicate nel 1830); allo Spielberg compone a memoria il Leoniero
da Dertona 13, che mette sulla carta dopo la liberazione e d alle
stampe nel 1832; una volta rientrato a Torino, si dedica ancora a
numerose tragedie, tra cui il Boezio (1831), la Gismonda da Mendri-
sio (1832), lErodiade (1832), Tommaso Moro (1833) e, infine, il Cor-
radino (1834). Solo dopo linsuccesso di questultimo lavoro Pellico
abbandona il teatro tragico.
Intanto, gi a partire dallesperienza del carcere, si fatto avan-
ti alla sua attenzione un nuovo genere: quelle novelle in versi, sul
tipo dei poemetti di Ossian e del Byron, che egli chiam sulle-
sempio del Monti, Cantiche 14 (due delle quali, Ildegarde e Rafael-
la, composte nei giorni della prigionia). Pellico si fa cos autore
prolifico di versi di tema storico e leggendario, di ambientazione
per lo pi romanticamente medievale, ma anche di chiara im-
pronta autobiografica, tant che il poeta immagin che fossero
lopera dun trovatore di Saluzzo del secolo XII, vissuto successiva-
mente a Pinerolo e a Torino, e ora languente nel carcere dun ti-
ranno straniero15. Quelle cantiche Pellico aveva intenzione di

12
Cfr. Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, pp. 432, 580-581.
13
Cfr. ivi, p. 541.
14
Michele Scherillo, Cenni biografici, in Silvio Pellico, Le mie prigioni,
I doveri degli uomini, La Francesca da Rimini, cit., p. xxxv. Tredici in totale le can-
tiche pubblicate dallo scrittore: Tancredi, Rosilde, Eligi e Valafrido, Adello (edite nel
1830); Eugilde della Roccia (1834), Rafaella, Ebelino, Ildegarde, I saluzzesi, Aroldo e
Clare, Roccello, La morte di Dante (1837); Tasso e tre amici (1844).
15
Ibidem.
iii. pellico 151

fonderle con i due romanzi storici, entrambi di argomento me-


dievale e di ambientazione saluzzese, cui stava attendendo16. Nes-
sun romanzo storico uscito per dalla sua penna:

Ho lavorato alquanto ad un romanzo storico, e poi ad un altro, ma


prima dessere a met, mi sono intiepidito, vedendo chio stava infinita-
mente lontano dal merito de grandi libri del genere, come i Promessi spo-
si dellinimitabile Manzoni17.

Piuttosto, scrive, per bisogno18, liriche dove predominante


il tema religioso (confluite nel 1837 nel volume Poesie inedite) e
prose morali e autobiografiche. Daltra parte, negli anni Trenta lo-
pera da farsi ancora, come ai tempi del Conciliatore, proprio
il romanzo. Lo sa bene Pellico, se nella lettera del maggio 1838 a
Confalonieri, dopo aver ingenerosamente liquidato la propria pas-
sione per la tragedia come smania solo giovanile, soggiunge, a
mo di giustificazione: Romanzi, non ho il talento di farli19. Ro-
manzo, quando scrive Pellico nei tardi anni Trenta, non vuol dire
pi Ortis o Corinne; non vuol dire pi la Musa divina che non eb-
be culto e sul cui altare immolare un fratello gemello di Jacopo
Ortis, Tancredi lItaliano, o la ben pi originale narrativa satiri-
ca di Battistino Barometro. La Musa divina un suo imponente
sacerdote lha ormai trovato e romanzo vale ora essenzialmente ro-
manzo storico secondo la formula manzoniana, sulla scia di quei
Promessi sposi tanto ammirati dal Saluzzese sin dal 1830. Pellico li
legge in carcere in una delle numerose ristampe della prima edi-
zione, in due volumi, recapitatigli clandestinamente proprio dal-

16
Cfr. la nota di Aldo A. Mola, in Silvio Pellico, I saluzzesi. Cantica, a cu-
ra di Aldo A. Mola, nellopera collettiva Saluzzo e Silvio Pellico nel 150 de Le mie
prigioni, Atti del Convegno di Studio, Saluzzo, 30 ottobre 1983, a cura di Aldo A.
Mola, Torino, Centro Studi Piemontesi, 1984, p. 119. I romanzi storici in questio-
ne sono Raffaella (poi ridotto a racconto ed edito postumo a Torino nel 1877 e nel
1880) e labbozzo Ebelardo.
17
Silvio Pellico, Capitoli aggiunti, in Opere, p. 612.
18
Ivi, p. 611.
19
Silvio Pellico a Federico Confalonieri, 17 maggio 1838, in Epistolario di Sil-
vio Pellico, cit., p. 174.
152 ragionar di s

lamico Confalonieri20. Non ne parla nelle Mie prigioni, ma ne scri-


ve nel 1830 a Confalonieri stesso:

Ci che ho provato alla lettura di questi due volumi non credo daverlo
provato mai ad altre letture. Deriva ci in qualche parte dalla mia disposi-
zione attuale, e da altre circostanze che non possono essere comuni a tutti i
lettori, o realmente questo romanzo ci che mi pare, una delle pi belle,
delle pi nobili, pi perfette produzioni umane? Io non posso fare a meno
di riputarlo tale; vi scorgo Manzoni in una s ampia e sovrana manifestazio-
ne di potenza creatrice, di giusto e profondo criterio di energia e verit, di
destrezza e grazia, di tutte le doti che fanno il grande scrittore in generale e
il maestro grandissimo nella specie di produzioni di cui egli, primo, ha fatto
dono alla nostra letteratura, che mi sembra essersi dun volo innalzato dove
non ha in Europa chi lo superi dove sar sempre difficilissimo anche ai
sommi, anche ai Walter Scott, il seguirlo dappresso. [] mi rallegra som-
mamente che unopera s alta a formare il criterio e ad ingentilire i costumi
abbia avuto tanto incontro. Opere tali possono ben chiamarsi belle azioni!
Possa la nostra letteratura scuotersi dal giogo dei pedanti, e anelare ad altre
opere di questo merito. Oh, quanto venerabile la scienza del bello allorch
serve a far amare la virt voluta dal Vangelo! Oh, quanto misera e vana la
filosofia delle dottrine irreligiose! Ed oh, quanto consola il vedere in Manzo-
ni il cristiano senza pusillanimit, senza servilit, senza transazioni co pre-
giudizi dellignoranza, senza alcuna delle brutte lordure che purtroppo fan-
no torto a molta parte de credenti e che finora diedero causa agli increduli
di stimarsi i veri filosofi, i veri liberali. Ma ho la testa s piena delle vicende
lette, di quella Lucia tanto angelica, di quel Renzo tanto buon ragazzo, di
quel don Rodrigo cogli altri birboni suoi simili, di quel Don Abbondio che
mi ricorda il paurosissimo e pur benevolo Fortini; di tutti insomma que
personaggi, tanto al vivo rappresentati, ma in particolare dellarcivescovo Fe-
derico e di Fra Cristoforo che annoverandoli tutti, e fermandomi ora ai no-
minati ora ad altri, come la Signora di Monza, il nobile masnadiero che si
converte, etc., rimango rapito, e non so che dirne, tranne che simili inven-
zioni, simili scene, simili quadri di storia, simile fusione dinteressi e morali
e civici e religiosi, hanno per me un incanto, unefficacia senza pari []21.

20
Cfr. Miriam Stival, Un lettore del Risorgimento: Silvio Pellico, presentazio-
ne di Anna Maria Bernardinis, Pisa-Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Interna-
zionali, 1996, pp. 84 sgg.
21
Silvio Pellico a Federico Confalonieri, [1830], nellantologia Manzoni e gli
scrittori: da Goethe a Calvino, a cura di Lanfranco Caretti, Roma-Bari, Laterza,
1995, pp. 12-13.
iii. pellico 153

A lato di qualche puntata che ricorda i furori conciliatoristi


(Possa la nostra letteratura scuotersi dal giogo dei pedanti), la
prospettiva sul romanzo inevitabilmente cambiata anche per lin-
ventore di Battistino Barometro. Ladesione di Pellico al libro di
Manzoni entusiastica, unilaterale e, tutto sommato, riduttiva.
Nei Promessi sposi il futuro autore delle Mie prigioni vede, al di l
dei pregi artistici che pure riconosce, soprattutto un romanzo edu-
cativo e religioso: unopera edificante, venerabile esempio di co-
me la scienza del bello possa servire a far amare la virt voluta
dal Vangelo; opera che frutto maturo di un cristiano senza pu-
sillanimit, senza servilit, senza transazioni co pregiudizi delli-
gnoranza e dunque capace di battere finalmente gli increduli;
opera alla cui base, si badi bene, Pellico individua la fusione din-
teressi e morali e civici e religiosi. la formula che per lappunto
cercher di far propria nelle Mie prigioni, innestandola per non
sulla storia, ma su un altro vero: il proprio vissuto, la propria espe-
rienza autobiografica. Ci che a quanto pare non gli riesce nella
narrativa storica, per cui rinuncia presto a farsi epigono di Manzo-
ni, Pellico lo sa fare nella scrittura di s.
Le mie prigioni sono oggi libro quasi strappato alla letteratura
[] e idealmente conteso dalla Fede e dalla Patria22. Qui si aspi-
ra a riportarlo nel dominio della letteratura (e soprattutto di quel
genere a cui appartiene formalmente, la memorialistica) e a farlo
interagire cosa cui, mi risulta, nessuno abbia fin qui provveduto
con il successivo disegno di unautobiografia completa, quellin-
compiuta Storia della mia vita il cui progetto occupa, a lungo e in-
fruttuosamente, lultimo Pellico.

2. le mie prigioni: un libro di morali dettami

Accade spesso, nelle scritture autobiografiche, che i proponimen-


ti espliciti degli autori non sempre coincidano con le vere inten-

22
Mino Milani, Una lettura de Le mie prigioni, oggi, nellopera collettiva
Saluzzo e Silvio Pellico nel 150 de Le mie prigioni, cit., p. 31.
154 ragionar di s

zioni, inconfessate o rimosse; che lautobiografo tenti di esercita-


re un aperto controllo sulle aspettative del lettore, orientandolo
con precise indicazioni programmatiche, che non sono poi in gra-
do di rendere conto del pi segreto ordito del suo discorso23. Il
contrario di quel ch successo alle Mie prigioni. Dove lautore cer-
ca di orientare il lettore con esplicite indicazioni programmati-
che, le quali, s, rendono conto del senso pi profondo del di-
scorso, ma incontrano lindifferenza, se non la resistenza, di chi
legge. E il tentativo di controllare le aspettative del lettore fallisce,
e non per un vizio interno, ma perch quelle aspettative precede-
vano la lettura del testo: erano innescate dalla materia dattualit
politica promessa dal nome e dal titolo sul frontespizio del libro
il carcere austriaco patito da un carbonaro italiano e talmente
forti da non accettare smentita alcuna. Ragion per cui, il disegno
che lautobiografo cerca di imporre alla propria vita non attecchi-
sce nella mente dei lettori.
Quale disegno premeva allautore? Pellico molto chiaro, fuo-
ri e dentro le pagine delle sue memorie. Nel sesto dei dodici Capi-
toli aggiunti alle Mie prigioni fornisce chiarimenti sulle motivazio-
ni e sulle circostanze della loro stesura:

Fu quel santo uomo [labate e teologo torinese Giovan Battista Gior-


dano, ottuagenario direttore di coscienza di Pellico dopo la liberazione],
che udito da me in diverse volte il minuto racconto delle angosce da me
patite nelle prigioni di Milano, di Venezia e di Spielberg, mi disse di scri-
vere tutto ci e pubblicarlo. Non marresi subito al consiglio. Troppo cal-
de mi parevano in Italia e per tutta Europa le passioni politiche, e la sma-
nia di calunniarsi a vicenda. Le mie intenzioni saranno interpretate ma-
le, diceva io; le cose che avr narrate colla pi esatta verit saranno giudi-
cate esagerazioni dai miei nemici, e non avr pace.
Vi sono due specie di pace, mi dissegli: quella del forte e quella del
pusillanime; la seconda non degna di voi, non degna del Cristiano. Nel
libro che vi consiglio di scrivere, voi rendereste una testimonianza non co-
mune dellimmensa carit che il Signore ha deglinfelici, quando ricorro-
no a lui; voi mostrerete quanto sieno cosa inutile la filosofia irreligiosa e
il deismo in confronto della religione cattolica. Molti giovani leggendovi

23
Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., p. 61.
iii. pellico 155

si scuoterebbero dallincredulit, o almeno si disporrebbero a rispettare la


religione, a studiarla meglio. E che importa se, mentre operate un poco di
bene, sorger qualche nemico a denigrare le vostre intenzioni?
Quelleccellente D. Giordano aveva un linguaggio maschio e genero-
so che poteva assai sullanimo mio. La pace dei pusillanimi non val
niente! mi ripet pi volte. Pensate che, se Dio vha fatto acquistare qual-
che riputazione in letteratura, la sua mira fu dindurvi a scrivere qualche
libro salutare pel prossimo.
Non diedi assoluta promessa dobbedire, domandai tempo a riflette-
re; ma tutte le volte chio incontrava il buon vecchio parroco, ei mi strin-
geva la mano come per comunicarmi la sua energia, poscia alzava due di-
ta ridicendo: Vi sono due specie di pace; scegliete.
Parlai del progetto con mia madre. Vedo ch pericoloso, dissella, e
mi fa tremare. Cerchiamo dilluminarci colla preghiera.
Indi a pochi giorni, ella mi chiese sio avessi pregato Dio a questo pro-
posito. S, le risposi, e mi sembra che quel libro possa esser buono, e sia
da farsi24.

Forte la consonanza tra le parole qui usate da Pellico e quelle


della lettera sui Promessi sposi: la pace [] del pusillanime []
non degna del Cristiano rimanda direttamente a Manzoni cri-
stiano senza pusillanimit; il voi mostrerete quanto sieno cosa
inutile la filosofia irreligiosa e il deismo in confronto della religio-
ne cattolica ricorda Manzoni privo delle brutte lordure che pur-
troppo fanno torto a molta parte de credenti e che finora diedero
causa agli increduli di stimarsi i veri filosofi. La sostanza si par-
la di unopera educativa e religiosa la stessa. Nella pagina c poi
sovrapposto a posteriori, indubbiamente, il riflesso delle polemiche
innescate dalluscita delle Mie prigioni (Le mie intenzioni saranno
interpretate male), che qui acquista sapore di premonizione.
Per il resto, i dubbi si legano, comprensibilmente, alle inevitabili
complicazioni politiche pur intrinseche a un simile libro. Ma, si
noti, a esser degna e utile (salutare) da narrare non la prigionia
in s: non il fatto storico-politico ch insieme biografia individua-
le e patrimonio collettivo di un intero popolo (fondamento cru-
ciale della memorialistica risorgimentale), ma il conforto cristiano

24
Silvio Pellico, Capitoli aggiunti, in Opere, pp. 601-602.
156 ragionar di s

che lesperienza del carcere ha offerto, provvidenzialmente, la pre-


ziosa occasione di maturare. Che alle spalle vi siano i processi ai
carbonari per i moti del 20-21 , si pu dire, cornice accessoria e
tutto sommato indifferente: nel libro conta che il prigioniero sia
stato visitato dalla grazia; cosa che poteva avvenire fra le pareti di
un altro carcere, in un altro frangente storico e politico e forse
addirittura al di l dellesperienza del carcere, in una qualunque al-
tra circostanza traumatica e tragica che ponga un individuo solo a
tu per tu con la propria coscienza. Pellico abdica al vissuto storico-
politico; e soppressi i temi civili e patriottici, le sue prigioni si ri-
solvono essenzialmente in strumento divino di conversione. Il li-
bro che cronologicamente inaugura la stagione della memorialisti-
ca risorgimentale dunque volutamente apolitico e astorico e se-
gue regole sue che lo diversificano da quel filone: non vuole essere
per niente una denuncia della durezza della repressione austriaca,
ma il documento di unaccettazione cristiana del destino di un
mondo dominato dal male, che pesa ugualmente su tutti gli uo-
mini, carcerieri o carcerati, dominatori o dominati25. Pellico pre-
senta il proprio libro di memorie come un atto doveroso di buon
cristiano: unopera di bene richiesta alla scrittore dalla volont di-
vina, che lo ha portato dagli altari della fama alle tetre e fredde cel-
le dello Spielberg perch la sua piccola celebrit letteraria26 fosse
messa umilmente al servizio della propaganda fides ; una testimo-
nianza di fede (e di inerte rassegnazione, ora al centro della nuova
ideologia politica di Pellico) da portare, uomo tra gli uomini. La
scrittura di s gli va incontro per la sua funzione testimoniale; da
qui la scelta di uno stile memorialistico antiletterario (su cui Pelli-
co insiste a oltranza parlando delle Mie prigioni ), assai pi sem-
plice e diretto di quello adottato nelle tragedie e modellato sulle
scritture sacre. Pellico trasferisce unistituzione ormai consolidata

25
Lucia Martinelli, Introduzione, in Memorialisti del XIX secolo, cit., p.
xiv. Per come Le mie prigioni escano cos dallambito dellautobiografia in un mo-
do molto sottile e suasivo, cfr. Giorgio Brberi Squarotti, Il palinsesto dellau-
tobiografia: Pellico, DAzeglio, nellopera collettiva Piemonte e letteratura 1789-1870,
cit., ii, pp. 665-695.
26
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 432.
iii. pellico 157

come quella del libro di memorie dal piano letterario e storico a


quello educativo e religioso.
Ma lo scrittore non ha fatto i conti col pubblico. Vinti i timori
e deciso infine a convertire il racconto orale tante volte fatto al con-
fessore in un libro, Pellico inizia a scrivere nellestate 1831 e nel lu-
glio 1832 (dunque in poco meno di un anno) ha gi portato a ter-
mine lopera. Restano i modesti ritocchi dovuti a ragioni censorie:
Le modificazioni che mi si richieggiono dalla Censura per passare
le mie Memorie sono piccola cosa. Moccuper tosto della stam-
pa27. Le memorie arrivano in tipografia nellagosto e in ottobre
Pellico ne ha gi corretto le bozze. Escono infine, col titolo Le mie
prigioni. Memorie di Silvio Pellico da Saluzzo, ai primi di novembre
del 1832, presso leditore torinese Giuseppe Bocca (tipografia Chi-
rio e Mina), fruttando al loro autore la somma di lire novecen-
to28, una insperata fortuna editoriale e, insieme, un generale travi-
samento. Pare strano, ma lunico a non travisare era stato forse pro-
prio il censore piemontese dalle cui mani il manoscritto delle Mie
prigioni era uscito quasi indenne. Solo il taglio morale e religioso
voluto dallautore giustifica latteggiamento tollerante mantenuto
in Piemonte nei confronti del libro anche dopo il suo immediato,
e spiegabile solo col richiamo allattualit politica, successo29.

27
Silvio Pellico a Cesare Balbo, Torino, 20 luglio [1832], in Epistolario di Sil-
vio Pellico, cit., pp. 416-417. In proposito, si veda ledizione delle Mie prigioni, con
introduzione e commento di Egidio Bellorini, Firenze, Vallardi, 1907, dove il cu-
ratore riferisce dallautografo i passi che Pellico soppresse o modific nel testo del-
la prima edizione per ubbidire alla censura.
28
Paolo Mauri, Il caso Pellico: la Torino dei santi sociali, cit., p. 861.
29
Il libro di Pellico [] non aveva, in Piemonte, noie con la censura: il ta-
glio morale e religioso smorzava, agli occhi del censore, il possibile effetto politi-
co (Id., Il Primato e le Speranze, nellopera collettiva Letteratura italiana. Sto-
ria e geografia, cit., ii, 2, Let moderna, cit., p. 863). Infatti, leditore Bocca pot
in breve tempo diffondere una seconda edizione dellopera e [] la proibizione di
farne una terza giunse soltanto quando sul mercato librario erano comparse delle
edizioni che nel frattempo si erano stampate in Svizzera dalla tipografia Elvetica di
Capolago (Giancarla Bertero, Introduzione, in Rassegna bibliografica di opere di
Silvio Pellico [1818-1910], Catalogo della Mostra, Casa Cavassa, Saluzzo, 25 giugno-
1 ottobre 1989, a cura di Giancarla Bertero, Citt di Saluzzo, Assessorato per la
Cultura, 1989, p. 5). Tollerante fu pure latteggiamento verso una delle tragedie del
Pellico composte durante la prigionia, la Gismonda di Mendrisio (Torino, Bocca,
158 ragionar di s

Intanto, nella primavera del 1833 il libro in Milano non si la-


scia vendere30, come Onorato Pellico, padre di Silvio, informa la-
conicamente un amico di famiglia. Se la censura piemontese non
aveva male interpretato gli intenti dellautore, certo aveva sottova-
lutato le pur involontarie implicazioni politiche di quelle memorie
tutte spirituali e morali e non aveva intuito lefficacia proprio di
quel taglio apolitico e di quel tono rassegnato. A quale fortuna e a
quale ricezione lopera and incontro, si sa31. Per quanto riguarda
la fortuna, qui baster ricordare genericamente che Le mie prigioni
diventano rapidamente un vero e proprio best-seller internazionale:
nellimmediato e nei decenni successivi fino alla fine del secolo al-
meno, centinaia di edizioni ne vedono la luce e tutte ottengono

1832), che rievocava vicende dellepoca di Federico Barbarossa: non fu proibita la


vendita del libretto, ma solo la recita dei passi pi evidentemente allusivi della si-
tuazione italiana contemporanea, per cui alla prima rappresentazione gli spetta-
tori interruppero gli attori e lessero ad alta voce quei passi (Narciso Nada, Si-
gnificati politici e riflessi diplomatici della pubblicazione de Le mie prigioni, nello-
pera collettiva Saluzzo e Silvio Pellico nel 150 de Le mie prigioni, cit., p. 29).
30
Onorato Pellico a L. Gonzaga, Torino, 20 aprile [] 1833, in Epistolario di
Silvio Pellico, cit., p. 100.
31
Per una rapida rassegna dei giudizi contrastanti dei contemporanei, cfr. Al-
do A. Mola, Lenigma Pellico, in Studi piemontesi, xviii, 2, 1989, pp. 375 sgg.
(nonch lintervento con lo stesso titolo, nellopera collettiva Sentieri della libert e
della fratellanza ai tempi di Silvio Pellico, cit., pp. 191-214). Sulla problematica dif-
fusione delle Mie prigioni e la loro ricezione, cfr. anche le notizie sullatteggiamen-
to tenuto dalla censura toscana in Misteri di polizia: storia italiana degli ultimi tem-
pi ricavata dalle carte dun archivio segreto di Stato, per cura di Emilio Del Cerro, Fi-
renze, Salani, 1890. Per la ricezione allestero, si rimanda ad Attilio Begey, Le mie
prigioni di Silvio Pellico e la Corte Russa, in Il Risorgimento italiano, xx, 1, 1927,
pp. 120-122; Henri Bdarida, La fortune des Prisons de Silvio Pellico en France
(1832-1932), in Revue de littrature compare, xii, 4, 1932, pp. 729-764 e xiii, 1,
1933, pp. 73-101; Mario Battistini, La fortuna del Pellico in Belgio, in Rassegna
storica del Risorgimento, xx, 4, 1933, pp. 1-37; Jacques Misan, Luvre de Silvio
Pellico vue par les revues franaises, in Rivista di letterature moderne e comparate,
xxxii, 2, 1979, pp. 85-102; Mariella Colin, Les versions franaises de Le mie pri-
gioni di Silvio Pellico. De lusage politique de la traduction, nellopera collettiva La
France et lItalie. Traductions et changes culturels, Caen, Centre de Publications de
lUniversit de Caen, 1992, pp. 53-67; e Id., La fortuna di Manzoni e Pellico in Fran-
cia nellOttocento, in Campi immaginabili, i, 1, 2000, pp. 16-30 (che evidenzia co-
me la ricezione del libro di Pellico condizioni quella dei Promessi sposi, respingen-
doli sul piano del romanzetto educativo-religioso).
iii. pellico 159

grandissimo spaccio, esaurite appena comparse32. Sul piano


della ricezione, bisogner dire, seppur sinteticamente, qualcosa di
pi. Chi apriva il libro di Pellico vi cercava le memorie di un pri-
gioniero di stato (come reciter il titolo dellopera di Alexandre
Philippe Andryane, Mmoires dun prisonnier dtat au Spielberg ,
edita sei anni dopo): vi cercava unopera politica, dove la narrazio-
ne autobiografica si risolvesse in strumento antiaustriaco di educa-
zione patriottica. E in genere ve la trov, in barba ai pacifici intenti
religiosi e morali dello scrittore e al suo rinnegamento della lotta
politica. Anzi: anche grazie al tono di umile rassegnazione cristia-
na prescelto e, va detto, coerentemente portato avanti dallau-
tore che concorreva in modo determinante a fare del protagonista
un martire, unimitazione di Cristo33. I contemporanei per lo pi
lessero nelle Mie prigioni un atto daccusa contro gli austriaci (la fa-
mosa pi che una battaglia persa per lAustria), tanto pi terri-
bile quanto pi moderato e privo di astiosit il tono. Su questa
linea si colloca, ad esempio, lentusiastico ed eloquente giudizio di
Giordani affidato alla lettera a Vieusseux del 29 dicembre 1832
(dunque a poco pi di un mese dalluscita del libro), quando il let-

32
Prefazione delleditore in Le mie prigioni di Silvio Pellico, Torino, Salesiana,
18878, p. 3. Marino Parenti (in Bibliografia delle opere di Silvio Pellico, Firenze, San-
soni antiquario, 1952) registra complessivamente, in poco pi di un secolo, 594 edi-
zioni delle Mie prigioni, di cui 334 le italiane, 170 le francesi, 28 le inglesi, 13 le tede-
sche, 17 le spagnole e 32 in altre lingue (riprendiamo i dati da Giancarla Bertero,
Introduzione, in Rassegna bibliografica di opere di Silvio Pellico [1818-1910], cit., p. 14,
n. 7). Sulla scia delle memorie del carcere, un nuovo record di vendite registra Dei
doveri degli uomini (1834): 10 edizioni nel solo 1834 (cfr. Marino Parenti, Un cente-
nario pellichiano e un primato editoriale, in La Bibliofilia, xxxvii, 1935, pp. 27-33).
33
Paolo Mauri, Il caso Pellico: la Torino dei santi sociali, cit., p. 862. Ri-
marca particolarmente lefficacia di tale modello cristologico Alberto M. Banti,
La nazione del Risorgimento. Parentela, santit e onore alle origini dellItalia unita,
Torino, Einaudi, 2000. Per lefficacia in senso politico del tono pacato e addirit-
tura indulgente delle Mie prigioni, cfr. almeno Letture autobiografiche di scrittori
dellet moderna, scelte e commentate da Letterio Di Francia, Firenze, Sansoni,
1912, con nuova presentazione di Luigi Baldacci, Firenze, Sansoni, 1963, p. 337;
Gaetano Trombatore, Silvio Pellico, in Memorialisti dellOttocento, cit., i, p. 19
(ma si veda pure lappassionata rivendicazione che Trombatore fa del significato
politico del libro, a dispetto degli intenti espliciti dallautore, nellIntroduzione, ivi,
p. xi); Antonio Piromalli, Pellico e la memorialistica del carcere, cit., pp. 109-110.
160 ragionar di s

terato piacentino si avvicina alle Mie prigioni proprio su segnala-


zione del direttore dellAntologia:

Infinitamente vi ringrazio dellottimo consiglio datomi di leggere il li-


bro del Pellico. Me nera stato scritto in maniera da dissuadermene la let-
tura, ma voi avete un milione di ragioni []. Come mai un tal libro si
stampato? Ma le censure non hanno il senso comune. che libro! che libro!
Io ne ho letti parecchie decine di migliaia: Non ne conosco un altro da
produrre maggior effetto. Come ho pianto! come mi son sdegnato! che
dir il mondo (e tutto il mondo ne dovr parlare) di colui che pi cru-
de di nerone [cos nel testo]? perch pi freddamente crudele. Il povero
nerone era pazzo34.

Lo stesso entusiasmo percorre il pi meditato e articolato di-


scorso sul libro immortale del Pellico che si legge nello scritto su
Paride Zaiotti inquisitore austriaco in Italia svergognato dal suo libro
contro Enrico Misley (1836):

Se ti pareva che facesse per lAustria contrapporre libro a libro; se era


in te facolt di comporre un libro almeno tollerabile; avevi cui risponde-
re, il volume del Pellico: tradotto in tante lingue; letto da moltitudine in-
finita; scritto con s stupenda o felicit di natura o industria dingegno; ac-
compagnato da tanta persuasione; cagione di tante lacrime, motore di
sdegni s profondi. Io confesso di averlo grandemente ammirato e invi-
diato; confesso che non in me potenza di far cosa che lo vaglia o somi-
gli. Confesso che se avessi debito di amare limperatore, mi farebbe mol-
to infelice quel libro. [] Il povero Silvio non accusa, non si lamenta;
narra come un martire35.

Lo stesso Giordani, in unaltra lettera, riconosce ed esalta la


coerenza dello scrittore-martire: Per me mirabile la padronanza

34
Pietro Giordani a Giovan Pietro Vieusseux, 29 dicembre 1832, in Pietro
Giordani, Lettere, a cura di Giovanni Ferretti, Bari, 1937, ii, p. 52, ora in Carteg-
gio Giordani-Vieusseux 1825-1847, a cura di Laura Melosi, presentazione di Giorgio
Luti, Firenze, Olschki, 1997, p. 160, da cui si cita.
35
Paride Zaiotti inquisitore austriaco in Italia svergognato dal suo libro contro
Enrico Misley, in Scritti editi e postumi di Pietro Giordani, pubblicati da Antonio
Gussalli, Milano, Borroni e Scotti, 1856-1863, 6 voll. e un vii di Appendice, v, p. 53.
iii. pellico 161

di s stesso che ha e mantiene lo scrittore; al quale neppur una pa-


rola sfugge contraria al suo assunto36. Lefficacia politica antiau-
striaca delle Mie prigioni direttamente proporzionale allassenza
di astio antiaustriaco. E le memorie di Silvio Pellico da Saluzzo
(come gi, sebbene in misura minore, la Francesca da Rimini ) di-
ventano imprescindibile lettura per i nati con lItalia ed entrano
subito, loro malgrado, tra i testi su cui si fonda leducazione senti-
mentale dei patrioti, non solo italiani: Pellico diviene ora, anche
agli occhi dei visitatori stranieri, un esempio della letteratura pa-
triottica della libert, insieme a DAzeglio, Niccolini, Guerrazzi37.
Se oggi appare impensabile una lettura in chiave liberale del-
lesperienza [] dellautore de Le mie prigioni38, molti se ne ac-
corsero anche allora. Nel clima risorgimentale e immediatamente
post-risorgimentale il libro sembra accontentare tutti ogni ma-
niera di leggitori, persone dogni et e di ogni ordine39 , ma in-
sieme scontenta molti. Francesco DOvidio poteva affermare nel
1898: fino al sesto decennio di questo secolo, se un donna o un
giovinetto chiedeva a un letterato qual libro italiano potesse legge-
re, la risposta era: i Promessi sposi e le Mie prigioni 40. Le memorie
di Pellico diventano infatti, accanto al romanzo di Manzoni, un te-
sto esemplare del cattolicesimo liberale e della linea moderata che
sar vincente nella politica italiana. Non a caso un reazionario ar-
cigno e intransigente come Monaldo Leopardi ritiene Le mie pri-
gioni un potenziale pericolo, perch possono insinuare nellanima
dei semplici che la filosofia liberale lalleata fedele del Cristiane-
simo41. Invece, sul fronte democratico e mazziniano il cristianesi-

36
Scritti editi e postumi di Pietro Giordani, cit., vii, p. 504.
37
Cfr. Giuseppe Prezzolini, Monti, Pellico, Manzoni, Foscolo veduti da viag-
giatori americani, in Pgaso, iv, 5, 1932, pp. 526-538.
38
Franco Boiardi, Pellico politico, nellopera collettiva Sentieri della libert
e della fratellanza ai tempi di Silvio Pellico, cit., p. 105.
39
Cos, rispettivamente, nella gi citata Prefazione delleditore in Le mie pri-
gioni di Silvio Pellico, Torino, Salesiana, 18878, p. 3 e in Guglielmo Stefani, Ai
lettori, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. i.
40
Francesco DOvidio, Proemio, in Silvio Pellico, Le mie prigioni, I do-
veri degli uomini, La Francesca da Rimini, cit., p. xiii.
41
Cit. in Aldo A. Mola, Lenigma Pellico, cit., p. 375.
162 ragionar di s

mo del libro di Pellico, con la sua ideale continuazione che sono


due anni dopo I doveri degli uomini, da alleato si fa mortale nemi-
co: anche senza citare la puntata polemica di Carlo Bini nel suo
Manoscritto di un prigioniero 42, LItalia morta per tutti. Manzo-
ni e Pellico sono le colonne dErcole, scrive Mazzini il 7 settem-
bre 1837 alla madre da Londra. E lanno dopo: Io lo amo molto
[Pellico], ma mi noia quel suo continuo predicare rassegnazione e
inerzia alla giovent, risultato ultimo di tutte le cose sue43. Le mie
prigioni trovarono non pochi denigratori non solo fra i liberali, ma
anche tra i moderati: i lettori interessati alla parte politica per lo
pi restarono delusi dal libro di Pellico e attendevano con interes-
se quello di Alexandre Philippe Andryane, compagno di cella di
Confalonieri allo Spielberg (ma peraltro mai menzionato nelle Mie
prigioni ), graziato nel 1832 e poi autore dei citati Mmoires dun
prisonnier dtat au Spielberg (Paris, 1838)44, che tante polemiche su-
scitarono sia perch il carbonaro parigino vi maltrattava Pallavici-
no45, sia per la fantasiosa, romanzesca prolissit della sua rievoca-
zione46. Vieusseux, per esempio, sul finire del 1837 scrive a Tom-
maseo: Ora tutti vorrebbero leggere le memorie dellAndryane, ma
sar libro presto proibito, perch lAndryane che non ha come Pel-
lico des mnagements garder, sar entrato nella parte politica47.
Lo scrive a Tommaseo, peraltro ammiratore delle Mie prigioni. Nel

42
Cfr. infra, p. 211, n. 58.
43
Giuseppe Mazzini, Epistolario, vi (Scritti editi e inediti, xiv), Imola, Ga-
leati, 1912, p. 81.
44
Si segnala anche la quarta edizione (lultima vivente lautore, nato nel 1797
e morto nel 1863), revue par lauteur et augmente dune correspondance indite
de Confalonieri, Paris, Gaume et Duprey, 1862, 2 voll.
45
Si veda quel che ne scrive lo stesso Pellico a Confalonieri, da Torino, il 14
dicembre 1837: La cosa che mha fatto qualche pena nel secondo volume, laver
parlato con unallegria s viva delle miserie di Pallavicini. Avrei preferito che vi get-
tasse piamente il mantello sopra (Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 163).
46
Cfr. Gino Capponi a Giovan Pietro Vieusseux, [ottobre 1837], in Gino Cap-
poni-Giovan Pietro Vieusseux, Carteggio, Firenze, Fondazione Spadolini-Nuova
Antologia, Le Monnier, 1994-1996, 3 voll., ii [1834-1850], con introduzione e a cura
di Aglaia Paoletti, premessa di Cosimo Ceccuti, 1995, pp. 119-120: lAndryane che
gli [a Confalonieri] prepara uno scritto palpitante! Cose proprio da fare ad un ga-
lantuomo venir voglia di ritornarsene allo Spielberg.
47
Giovan Pietro Vieusseux a Niccol Tommaseo, Firenze, 25 novembre
iii. pellico 163

1834 lo scrittore dalmata inserisce Pellico in una lista di ottimi


scrittori viventi da anteporre per valore letterario a quelli dellet
napoleonica48 e nel 1838 lo contrappone cos ad Andryane:

Il libro [Mmoires dun prisonnier dtat au Spielberg ] dellAndryane


pass qui di contrabbando: che se ci avessero badato in sul serio, era peg-
gio. Tra Pellico e lui ci corre quanto da un uomo di cuore a uno sciocco49.

E se memorabile il duro colpo assestato al Pellico della canti-


ca La morte di Dante (edita nel 1837) da Tommaseo in Un affetto,
l per contrasto Le mie prigioni sono, per ben tre volte, libro im-
mortale, tale da espiare ogni futuro [] fallo50 del loro autore.
Come disse qualcuno (per lesattezza il governatore della Mo-
ravia incaricato da Metternich di redigere una confutazione del-
le Mie prigioni ), Pellico aveva fatto di un livre de calomnie un
livre de prire51. Per lesattezza, un libro di morali dettami,
che accordano il [] cuore del lettore a religione e ad amo-

1837, in Niccol Tommaseo-Giovan Pietro Vieusseux, Carteggio inedito, i


[ma ii] (1835-1839), a cura di Virgilio Missori, Firenze, Olschki, 1981, p. 283.
48
Cfr. Niccol Tommaseo a Emilio De Tipaldo, 29 maggio 1834, in Nic-
col Tommaseo, Lettere inedite a Emilio De Tipaldo [1834-1835], a cura di Raffae-
le Ciampini, Brescia, Morcelliana, 1953, pp. 19-28 e, in proposito, William Spag-
giari, La lettera dallesilio, nellopera collettiva Scrivere lettere, cit., p. 63.
49
Niccol Tommaseo a Cesare Cant, 22 marzo 1838, in Il primo esilio di N.
Tommaseo (1834-1839). Lettere di lui a Cesare Cant, curate e illustrate da Ettore
Verga, Milano, Cogliati, 1904, p. 178. Con Andryane Tommaseo non fu mai tene-
ro: cfr. larticolo La storia vera e la storia verace: Giorgio Pallavicino e il signor An-
dryane (sul Diritto, 17-18 aprile 1857), dove lo scrittore dalmata gli contrappone
la misura memorialistica di Giorgio Pallavicino Trivulzio, che, condannato nel 1821
a venti anni di carcere, dei quattordici scontati (nove allo Spielberg, cinque tra
Gradisca e Lubiana) ha lasciato memoria nel suo Spilbergo e Gradisca: scene dal car-
cere duro in Austria (Torino, Stamperia dellUnione tipografico-editrice, 1856; poi
ristampata nel primo volume delle postume Memorie di Giorgio Pallavicino, pub-
blicate per cura della moglie, Torino, Loescher, 1882-1895, 3 voll.: i, Dal 1796 al
1848, ii, Dal 1848 al 1852, iii, Dal 1852 al 1860, questultimo a cura della figlia).
50
Cfr. Niccol Tommaseo, Un affetto, cit., pp. 5, 56, 112, 113. Nel primo dei
passi, in questione Tommaseo si ricorda giovanissimo spettatore, a Venezia, della
lettura pubblica della sentenza per Pellico e gli altri carbonari (cfr. ivi, pp. 5-6).
51
Cfr. Narciso Nada, Noterelle di storia piemontese (1814-1848). Un com-
mento austriaco alle Mie prigioni, in Studi piemontesi, ii, 1, 1973, pp. 110-114.
164 ragionar di s

re52; ma questo interessava solo a lui, al suo confessore abate


Giordano e a pochi altri, come lautore dovette presto accorger-
si. Sintomatica la lettera a Cesare Balbo in cui Pellico, mentre Le
mie prigioni vanno in stampa, elenca sbrigativamente i consigli
con cui vari amici stanno tentando inutilmente di dissuaderlo
dalla pubblicazione:

Comincio la stampa delle mie Memorie, ed cosa risibile lo spaven-


to con cui parecchi amici (dei liberali esagerati) mi vengono a diman-
dare se poi ho pensato bene; se poi son certo che ci non faccia torto a
me e al liberalismo; se non sarebbe meglio prescinderne, giacch non
posso dare addosso con eloquenti invettive allAustria; se quella mia ma-
nia di far tanto caso della religione non possa scandalizzare i pensatori.
Mi sarei adirato di queste impertinenti paure, ma ho pensato esser
meglio riderne. Quando potessi dar addosso allAustria con invettive, lo
vorrei io? No. Disprezzo troppo i libelli, e so che le invettive dan sem-
pre aria di libello alle lagnanze. E le mie opinioni dogni specie (e mas-
simamente la credenza religiosa, ch pi che un opinione) professan-
do io davvero e non per commedia, sarei io onestuomo se ne arros-
sissi, se mi curassi dun ingiusto biasimo chaltri vapponga? Ma ti di-
ranno che sei un Gesuita, che sei della Societ cattolica. Padronissimi.
I vostri sospetti ed i vostri titoli non faranno n pi n meno chio sia
quel che sono53.

Gi prima che le memorie escano, vi , oltre alla diffidenza


per la chiusa religiosit maturata dalla scrittore, lidea che costi-
tuiscano un torto [] al liberalismo, che non ha senso parlare
della prigionia se non in chiave antiaustriaca e che, essendo que-
sto impossibile per ragioni di censura, meglio rinunciare a scri-
verne. Non la qualit memoriale delle Mie prigioni che interes-
sa, ancor prima della loro uscita: da un lato, ci sono le potenzia-
lit di strumento propagandistico, che premono ai liberali; dal-
laltro c lo spessore morale e religioso, che interessa allestenso-
re delle memorie, ormai convinto che la strada della rassegna-
zione sia lunico e vero modo donorare la patria, i parenti, gli

52
Cfr. Traduzione de versi di Madamigella Maria Luigia Boyle a Silvio Pelli-
co, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 464.
53
Silvio Pellico a Cesare Balbo, Torino, 11 agosto 1832, ivi, pp. 80-81.
iii. pellico 165

amici e s medesimo54. La materia si imporr sul programma


dellautore: e il libro morale di Pellico diventa suo malgrado libro
politico.
Dal novembre 1832 compaiono nellepistolario le lettere di
Pellico in risposta ai suoi lettori-ammiratori. Spigolando da tali
responsive, si ricavano preziose indicazioni sul rapporto dellau-
tore con la propria opera. Ci si imbatte in un Pellico ripetuta-
mente impegnato a sottolineare lantiletterariet delle sue me-
morie, di cui parla come di uno scritto in cui la finalit educati-
vo-religiosa ha il sopravvento su tutto il resto preoccupazioni
estetiche, forma e contenuti ; o costretto a difendere la scelta di
una rappresentazione indulgente e antipolemica della repressio-
ne austriaca come obbediente ai suoi ideali morali e religiosi55.
Particolarmente interessante la responsiva a Cesare Balbo (che
non ha da censurargli che un verbo dedotto malamente [] da
Tacito)56. Pellico vi ripercorre laccoglienza alle Mie prigioni,
senza interrogarsi troppo sulle ragioni del loro immediato e cla-
moroso successo, ma intuendone comunque il motivo cruciale,
sostanziale:

Ma sia quella specie di favore che il pubblico ebbe sinora per me, sia
la curiosit che naturalmente mettono le narrate vicende dun cos detto
Carbonaro, sieno queste od altre ragioni, il libro in questi giorni si vende
a furia. Se non minganno, piace ai pi. Se nadirano tuttavia parecchi: e
sono gli ultra-liberali, ed alcuni della parte opposta, (i quali ultimi non
credono che si possa essere stato reo di Stato ed amare la religione). []
Quanto agli altri liberali, gli uni sono arrabbiati davermi voluto bene si-
no allaltro d, e si stimano obbligati in coscienza despiare questo pecca-
to, gli altri mi fanno la grazia di riputarmi solamente un uomo meno eroi-
co di loro, un uomo che i patimenti hanno degradato.
[] Ne ho ricevuto elogi grandi da taluni cherano o so credevano ir-

54
Silvio Pellico a G. Vico, Torino, 16 settembre 1832, ivi, p. 86.
55
Cfr., ad esempio, Silvio Pellico a Ottavia Masino di Mombello, 12 novem-
bre 1832 e a una lettrice francese, 14 novembre 1832, ivi, pp. 91, 92-93.
56
Si tratta di taciteggiare, nel capitolo xxxvi delle Mie prigioni ; verbo che
si converrebbe meglio [] alla maniera stilistica che al giudizio storico di Taci-
to cui Pellico lo riferisce invece (cfr. Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere,
p. 459 e n.).
166 ragionar di s

religiosi, e mi dissero davere scoperto dessere cristiani. Ci mi fa gran


piacere57.

Pellico dunque consapevole che il soggetto trattato, le narra-


te vicende dun cos detto Carbonaro, suscitano una naturale cu-
riosit, pur illudendosi che questa non sia pi forte delle priorit
etiche e spirituali che ha inteso affidare allopera. Ma nella re-
sponsiva a un altro ammiratore, questa volta un religioso, che, da-
to il profilo dellinterlocutore, Pellico si lancia in una ricognizione
della vicenda narrata nelle Mie prigioni dove esplicita quanto mai
la chiave di lettura sottintesa alle memorie:

La mia mente, in giovent, avea dubitato, avea cercato sapienza laddo-


ve non sapienza. Eppure nella Religione chio mal seguiva, apparivami an-
che allora una bellezza incantevole, una verit adorabile. Io era spesso tor-
mentato dal desiderio di accordare insieme Cristianesimo e Filosofia, ma
mille divagazioni e stolto rispetto umano men distogliea. Quella pusillani-
mit, quel misto indegno e vergognoso di fede e dondeggiamento fin a
quando sarebbe durato? Forse lintera vita. Iddio benignamente vi provvide
col mezzo duna sventura che mi segregasse dagli uomini e mi chiamasse
con maggior forza a lui. Possio non riconoscere in tale sventura un tratto
damore di Colui che, sebbene felice senza noi, pur sindustria a salvarci
quasi che gli fossimo necessari? [] Pur troppo il mio ingegno tanto lie-
ve da non bastare a rendere debito onore a quella verit che, senza mio me-
rito, io vedo; ma non chiesto alle creature se non ci che possono dare58.

Il cerchio si chiude, riportandoci a quel che abbiamo letto nel


sesto dei Capitoli aggiunti : Le mie prigioni vogliono essere la testi-

57
Silvio Pellico a Cesare Balbo, Torino, 27 novembre 1832, in Epistolario di
Silvio Pellico, cit., pp. 94-95.
58
Silvio Pellico a E. Beccardi, Torino, 15 dicembre 1832, ivi, p. 98. Pellico
forse lesponente pi rappresentativo di come i disagi, le privazioni, le umiliazio-
ni, la mancanza di prospettive possono [] spingere lesule [in questo caso il pri-
gioniero] a intraprendere un processo radicale di riesame della propria esistenza e
ad interrogarsi sulle scelte compiute, senza escludere la pulsione verso gesti estre-
mi ovvero, pi frequentemente, la sconfessione del proprio passato [] o la con-
versione religiosa, narrata nei dettagli e vista come rimedio al trauma terreno
(William Spaggiari, La lettera dallesilio, cit., p. 70).
iii. pellico 167

monianza, in senso evangelico, della provvida sventura con cui


Dio ha richiamato a s un incredulo. Luomo che riconosce la
chiamata raccoglie le forze per renderne testimonianza ai suoi si-
mili nel modo in cui ne capace. Lindividualit, lio soggiacciono
a unistanza pedagogica; la storia individuale, il vissuto solo il vei-
colo di altri contenuti: non storici (o storiografici), come accadeva
in alcuni testi memorialistici settecenteschi59 e come avverr so-
prattutto nella successiva memorialistica risorgimentale, dove il
proprio vissuto individuale una finestra aperta sulla storia con-
temporanea, ma morali e religiosi.
Sgombrato il campo dalla questione dei proponimenti di Pelli-
co, a dispetto della ricezione delle sue memorie, resta da verificare
se essi funzionino nel testo: se ci sono cedimenti, falle interne nel
disegno e nella sua attuazione. No: lassunto, aveva ragione Gior-
dani, portato avanti con assoluta coerenza, dallinizio alla fine. In
limine, Le mie prigioni presentavano al lettore che le apriva nel 1832
qualcosa di molto familiare: un topos dellautobiografia, ovvero la
giustificazione della propria impresa per evitare accuse di vanit e
presunzione60. Non fa eccezione la prima edizione delle Mie pri-
gioni, che conteneva una breve premessa dellautore:

Ho io scritto queste Memorie per vanit di parlar di me? Bramo che


ci non sia, e per quanto uno possa di s giudice costituirsi, parmi dave-
re avuto alcune mire migliori: quella di contribuire a confortare qual-
che infelice collesponimento dei mali che patii e delle consolazioni che-
sperimentai essere conseguibili nelle somme sventure; quella di attesta-
re che in mezzo a miei lunghi tormenti non trovai pur lumanit cos ini-
qua, cos indegna dindulgenza, cos scarsa degregie anime, come suol ve-
nire rappresentata; quella dinvitare i cuori nobili ad amare assai, a non
odiare alcun mortale, ad odiar solo irreconciliabilmente le basse finzioni,
la pusillanimit, la perfidia, ogni morale degradamento; quella di ridire
una verit gi notissima, ma spesso dimenticata: la Religione e la Filoso-
fia comandare luna e laltra con energico volere e giudizio pacato, e sen-

59
Cfr., a titolo di esempio, Augusto Placanica, Sulle Memorie storiche del
mio tempo di G. M. Galanti, nellopera collettiva Biografia e autobiografia degli an-
tichi e dei moderni, Atti delle i Giornate Filologiche Salernitane, Salerno-Fisciano,
2-4 maggio 1994, a cura di Italo Gallo e Luciano Nicastri, Napoli, Esi, 1995, p. 165.
60
Franco Fido, I topoi del soggetto, cit., p. 167.
168 ragionar di s

za queste unite condizioni non esservi n giustizia, n dignit, n princi-


pii securi61.

Il peccato di vanit, il complesso di Narciso che ha gravato a


lungo sulla nascita e formazione del genere autobiografico62, come
si vede sventato attraverso lindicazione di addirittura ben quat-
tro mire alternative e migliori (il conforto degli infelici; la te-
stimonianza a favore di una visione ottimistica dellumanit; lin-
vito a deporre ogni odio politico per abbracciare lamore cristiano;
il richiamo alla Religione e alla Filosofia come guide sociali). Non
a caso tale presentazione cade dopo lepigrafe biblica dal libro di
Giobbe, XIV, i: Homo natus de muliere, brevi vivens tempore, re-
pletur multis miseriis. Il la dellautobiografia dato: addio al-
lautoapologia e al celebrato amor di s alla Rousseau e alla Alfieri
(per quel che riguarda pi da vicino le nostre lettere). Siamo inve-
ce dalle parti della sofferta testimonianza interiore di santAgosti-
no, una delle letture pi intense del Pellico post-Spielberg63.
Dalla presentazione si passa ai novantanove capitoli che com-
pongono Le mie prigioni 64. Linizio memorabile. Si comincia
con una data, nel segno di un avvio cronachistico e spoglio, che
conferisce spietata concretezza ai fatti narrati e immette imme-
diatamente tra le pareti inespugnabili del carcere: Il venerd 13

61
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 387.
62
Cfr. Andrea Battistini, I simulacri di Narciso, in Lo specchio di Dedalo,
cit., pp. 21-80.
63
Cfr. Silvio Pellico al signor abate N. N., Turin, 19 aot 1831 e a Cesare Bal-
bo, Torino, 2 settembre 1831, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., pp. 67-68, 70-71.
La maniera di raccontare di s di Pellico riconducibile ancora allantica ma-
trice agostiniana delle Confessiones, secondo Guglielminetti (cfr. Introduzione, in
Carlo Bini, Il Manoscritto di un prigioniero ed altro, introduzione di Marziano
Guglielminetti, nota bibliografica e commento di Mario Ambel, Bologna, Cap-
pelli, 1978, pp. 5-18, poi, rivista, con il titolo Il manoscritto di un prigioniero, in
Marziano Guglielminetti, Gertrude, Tristano e altri malnati, cit., pp. 63-75: 66).
64
Sulla numerologia delle Mie prigioni e sul suo probabile significato ini-
ziatico, cfr. Aldo A. Mola, in Cugino Pellico, in Delta, ottobre 1989, pp. 89-
91 e Franco Molinari, Il fratello Federico Confalonieri e il buon cugino Pelli-
co, nellopera collettiva Sentieri della libert e della fratellanza ai tempi di Silvio Pel-
lico, cit., pp. 97 sgg.
iii. pellico 169

ottobre 1820 fui arrestato a Milano, e condotto a Santa Marghe-


rita. Erano le tre pomeridiane65. Va ascritto a Pellico il merito di
un attacco in medias res crudele quanto, per questo, efficace: lo
stile rapido e conciso, quella brevitas di Pellico per sua stessa
ammissione ammiratore dellingegno di Tacito66 che prorom-
pe da talune delle pagine pi riuscite del libro, in special modo in
concomitanza di eventi chiave della prigionia, dal pomeriggio
dellarresto su cui si aprono le memorie allalba della restituzione
alla vita, con la scarcerazione, dieci anni dopo67. Fatto sta che non
si resta sulla soglia nemmeno un attimo: chi legge si ritrova subi-
to con larrestato, in carcere, sottoposto a sfinenti interrogatori,
solo e senza cena.
Landamento cronachistico per si spezza quasi subito, per la-
sciare il campo a una precisazione del narratore:

Mi si fece un lungo interrogatorio per tutto quel giorno e per altri an-
cora. Ma di ci non dir nulla. Simile ad un amante maltrattato dalla sua
bella, e dignitosamente risoluto di tenerle il broncio, lascio la politica
ovella sta, e parlo daltro.

Sin dallinizio il testo esibisce dunque una volontaria e marca-


ta apoliticit. La precisazione contenutistica di non poco conto
sul piano artistico: la scelta di sorvolare sulle vicende giudiziarie e
politiche, qui legata, nella metafora dellamante maltrattato, uni-
camente alla propria delusione, funzionale a dare risalto ad altro,
allaspetto umano e spirituale che costituisce la cifra peculiare del
libro. Va da s che dietro ci siano non solo motivazioni ideologi-
che e operative, ma anche comprensibili ragioni di prudenza, con-
fessate pi tardi nel privato dellepistolario. Si veda una lettera a

65
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 389.
66
Ivi, p. 459.
67
Si vedano, per esempio, la scena della lettura pubblica della sentenza, il 23
febbraio 1822, sullo scalone dei giganti in piazza San Marco a Venezia, davanti a
un immenso popolo (ivi, pp. 497-498), la presentazione dellinfausta rocca di
Spielberg (ivi, pp. 504-505), lepisodio drammatico dellamputazione di una gam-
ba a Maroncelli (ivi, pp. 563-565).
170 ragionar di s

Pietro Giuria, allindomani delluscita, nel 1838, del libro di An-


dryane, occasione per tornare a parlare del proprio:

Les Mmoires dun Prisonnier che tu maccenni, le ho avute, e sono in-


teressanti. [] contengono vari aneddoti di carcere, dei quali io non po-
teva parlare: avrei nociuto ai concaptivi68.

Per il silenzio sotto cui fa passare molti aneddoti nelle Mie


prigioni, Pellico chiama in causa questa motivazione anche nella
lettera successiva:

Allorch io pubblicai le Mie prigioni, tacqui dAlessandro Andryane e


dalcuni altri, perch ogni mio cenno avrebbe potuto esser loro nocivo
finch stavano in carcere. Nominai que soli pochi che meco erano noto-
riamente stretti di fraterna intimit; dico notoriamente, riguardo alla co-
gnizione che se nebbe dal potere austriaco69.

Al di l delle ragioni ideologiche e pratiche che sottostanno al-


lesclusione della politica, nellesplicita delimitazione contenutisti-
ca tracciata dallio narrante sulle soglie delle Mie prigioni si river-
bera un assunto fondamentale della scrittura autobiografica: la ma-
teria, pur vera e vissuta quanto si vuole, comunque in mano al
narratore che, libero di trascegliere in essa di tacere o, viceversa,
di sceverare questo o quellaspetto della sua vicenda , la seleziona
e, dunque, la interpreta. La regia dellautobiografo ha, dal mo-
mento che si parla di autobiografia, il solo limite della verit; ve-
rit, nel caso delle Mie prigioni, peraltro confermata dalle ricerche
darchivio e difesa strenuamente e a oltranza da Pellico, talora an-
che di fronte a innocenti sviste70. Qui, anzich occultata, come av-
viene per lo pi da parte degli autobiografi, sempre ansiosi di ri-
vendicare la veridicit totalizzante delle loro memorie (dire tutto il

68
Silvio Pellico a Pietro Giuria, Torino, 24 febbraio 1842, in Epistolario di Sil-
vio Pellico, cit., p. 228.
69
Silvio Pellico a Pietro Giuria, Torino, 1 marzo 1842, ivi, pp. 230-231.
70
Cfr., per esempio, Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 486 e n.,
per uninesattezza riguardo la decapitazione di Marin Faliero, doge nel 1355.
iii. pellico 171

vero), lazione della regia esibita: la selettivit addirittura pro-


grammatica nelle Mie prigioni. E molti sono i cenni, nel corso del
libro, che ci ricordano come lio narrante-regista padroneggi la ma-
teria e sopprima sistematicamente la parte politica, secondo il pro-
prio disegno71. Sulla pagina, della vicenda politica resta soltanto un
tragico riflesso psicologico: il tormento che nel prigioniero si ac-
compagna alla difficolt di non mancare a [] doveri donest e
damicizia72 verso i compagni durante gli estenuanti interrogatori
condotti dallabile giudice inquirente Antonio Salvotti. Le ricerche
darchivio e il confronto con altre fonti (come le Addizioni di Ma-
roncelli) aiutano a chiaroscurare e toccare con mano lazione selet-
tiva (e, conseguentemente, interpretativa) della regia. Mostrano,
per fare un solo esempio, come ultraselettive e miratissime sono le
menzioni riservate alle letture del prigioniero. Sappiamo che nel
1823 il fondo di cui erano proprietari Pellico e Maroncelli allo
Spielberg comprendeva settantadue opere, per un totale di cento-
cinquantacinque volumi: in particolare, una Bibbia, un Virgilio,
un Dante, un buon manipolo di vocabolari, un discreto numero di
rimatori del Cinquecento, con limmancabile Pastor fido, e poi Al-
fieri, Byron e Ossian; mentre molta letteratura inglese moderna fi-
gurava tra i libri di Andryane73. Di tale bibliotechica messa in-
sieme allo Spielberg, di esplicito c solo una menzione a posterio-
ri, quando ormai Pellico e i suoi compagni sono stati crudelmente
privati anche di quella compagnia:

Doverano le ore chio mingolfava nello studio della Bibbia, o dO-


mero? [] Dante, Petrarca, Shakespeare, Byron, Walter Scott, Schiller,
Goethe, ecc., quanti amici merano involati! Fra siffatti io annoverava pu-
re alcune libri di cristiana sapienza, come il Bourdaloue, il Pascal, lImita-
zione di Ges Cristo, la Filotea, ecc.74.

71
Si veda, per esempio, nel capitolo xxiv: Ho fermato di non parlare di politi-
ca, e bisogna quindi chio sopprima ogni relazione concernente il processo (ivi, p. 433).
72
Ivi, p. 438.
73
Per lelenco dei libri posseduti dai prigionieri dello Spielberg, reso pubbli-
co nel 1925 dal Chiurlo, cfr. ora Miriam Stival, Un lettore del Risorgimento, cit.,
pp. 105 e sgg.
74
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, pp. 533, 550-551.
172 ragionar di s

Viceversa, nelle prime pagine delle Mie prigioni, quando Pelli-


co ancora nelle carceri di Santa Margherita a Milano, sono men-
zionate esplicitamente queste sole opere: ben mi si permise chio
avessi una Bibbia ed il Dante; ben fu messa a mia disposizione dal
custode la sua biblioteca, consistente, in alcuni romanzi di Scude-
ri, del Piazzi [cos per Piazza], e peggio75. Come a dire che, eccet-
to una Bibbia ed il Dante, nessunaltra lettura poteva tener de-
gna compagnia al prigioniero: non certo i romanzi alla moda di
Madeleine de Scudry lallora celeberrima Mademoiselle, pro-
prio nel 1820 citata come esempio negativo dellarte di far roman-
zi nella manzoniana Lettre M. Chauvet e di Antonio Piazza76. Il
che rafforza limmagine della solitudine disperata del prigioniero e
prelude alla conversione.
Ma ritorniamo al punto di partenza, nel capitolo i. Conclusa la
precisazione sul carattere apolitico del libro, Pellico si volge di nuo-
vo alla vita in carcere, con fulminei dialoghi e con lapidarie quan-
to efficaci descrizioni che suggeriscono lo choc dellimpatto con la
prigionia: Carceri di qua, carceri di l, carceri di sopra, carceri di-
rimpetto77. Il vissuto del prigioniero, il suo presente, inciso dal-
le riflessioni con cui di volta in volta cerca di farsi forza (il riflet-
tere alla fugacit del tempo minvigoriva lanimo), ma che non
sempre si rivelano efficaci:

Ma mi ricorsero alla mente il padre, la madre, due fratelli, due sorelle,


unaltra famiglia [i Porro] chio amava quasi fosse la mia; ed i ragionamen-
ti filosofici nulla pi valsero. Mintenerii, e piansi come un fanciullo.

questa la scena su cui si chiude laconicamente il capitolo i.


Lho riportata per intero perch conduce a un altro nodo cruciale

75
Ivi, p. 399.
76
Si vedano ora le recenti ristampe di alcuni suoi romanzi: La trilogia di Giu-
lietta, a cura di Antonia Mazza Tonucci, Azzate, Otto-Novecento, 1983; Lattrice, a
cura di Roberta Turchi, Napoli, Guida, 1984; Lamor tra larme, ovvero La storia mi-
litare e amorosa di Aspasia e di Radamisto, a cura di Ilaria Crotti, Milano, Franco
Angeli, 1987.
77
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 390. Le citazioni che seguo-
no, ivi, p. 391.
iii. pellico 173

di queste memorie: il rapporto tra il presente del prigioniero, il suo


ora e il suo passato. Nella compatta materia narrativa delle Mie pri-
gioni, compresa tra la data darresto e linaspettata scarcerazione
per grazia imperiale, il prima entra spesso ma solo nella misura
in cui si affaccia nei pensieri del carcerato e non scompagina mi-
nimamente il flusso lineare e organico della narrazione. Si veda co-
me esempio il capitolo ii, che sapre con un ricordo: Tre mesi pri-
ma, io era andato a Torino, ed avea riveduto, dopo parecchi anni
di separazione, i miei cari genitori, uno de fratelli e le due sorel-
le78. Questa che pare una parentesi aperta nella descrizione del
vissuto del prigioniero incuneata tra il passo poco fa citato sul
pianto indotto nel carcerato dal ricordo dei familiari e il seguente:
Ora, nel carcere, mi sovvenivano quello spavento, quellangoscia;
mi risovvenivano tutte le parole udite, tre mesi innanzi, da geni-
tori. Insomma: non stavate leggendo uno squarcio aperto dal-
lio narrante sul suo passato in libert; stavate seguendo il filo dei
pensieri del prigioniero. Non si apre mai alcuna parentesi esterna
nelle Mie prigioni : tutto ci che pertiene al prima e al fuori perfo-
ra le pareti del carcere solo nella misura in cui ha aperto un varco
nella memoria del prigioniero79. Il che sintomatico di come lio
narrante tenda a identificarsi con lio narrato e solo di rado, e per
brevi tratti, incomba tangibilmente sul personaggio con la sua vi-
sione onnisciente di oggi; semmai gli si affianca, per inciso, inte-
grando un commento a mente fredda che non solo lascia intatto il
punto di vista di allora ma addirittura ne potenzia la drammati-
cit80. Accorgimento tecnico da non sottovalutare: il libro cos, per
lo pi, non appare scritto con la coscienza di poi. Si dispiega inve-

78
Ibidem. La citazione che segue, ivi, p. 392.
79
Lesempio pi efficace e struggente, si ha forse nel capitolo xxii, in occa-
sione del trasferimento da Milano a Venezia, nella notte tra il 18 e il 19 febbraio
1821, attraverso il contrappunto acerbo tra il recente e soave passato, il cupo pre-
sente e il futuro incerto: Oh corsia di porta Orientale! Oh pubblici giardini, ovio
avea tante volte vagato con Foscolo, con Monti, con Lodovico di Breme, con Pie-
tro Borsieri, con Porro (ivi, p. 429).
80
Si veda, ad esempio, nel capitolo liv, lepisodio della lettera del prigionie-
ro consegnata ai familiari solo con un gravissimo ritardo che ne vanifica crudel-
mente gli intenti consolatori (ivi, p. 499).
174 ragionar di s

ce come rendiconto del pulsare vivo della sensibilit del carcerato


e della coscienza spirituale che lo attende al varco della conversio-
ne e che subentra gradatamente: da qui lefficacia di molte pagine
che rendono tangibili le convulsioni e le orribili angosce del
prigioniero.
Quella che uno dei miti biblici pi ricorrenti nella scrittu-
ra dellio e forse la figura pi frequentata nella letteratura auto-
biografica81, la conversione, nelle Mie prigioni il tema su cui gra-
vita lintero libro di memorie. E non solo un nodo dellintreccio,
ma il nodo; e perse le tracce dello schema agostiniano e della fon-
te biblica82, la conversione non n istantanea n inspiegabile e
non si accompagna, come spesso nellautobiografia, alla necessit
di far emergere il divario tra lio passato e lio presente, il solco tra
luomo vecchio e luomo nuovo: piuttosto, mette in luce la diffi-
colt dellapprodo e il tornaconto, lindicibile consolazione che
dalla fede ritrovata discende sullanimo del prigioniero. Pi che le
memorie del carcere, Le mie prigioni sono il romanzo autobiogra-
fico della conversione. Questultima, la vera protagonista, fa la
comparsa in scena nel capitolo iii, guadagnandosi lunico momen-
to retrospettivo narrativamente il meno felice del libro. Biso-
gnava sbrigare il nodo, annunciarlo esplicitamente, perch non ci
fossero dubbi in chi legge: cos, per questa volta, lautore rinuncia
ad annullarsi nel personaggio e porta il lettore per mano nel mo-
mento cruciale dellesperienza del carcere. Prima la viva pittura dei
turbamenti del protagonista, diviso tra il dolore per i familiari e la
perentoria consolazione che gli viene da una voce interna che
parea rispondergli, altrettanto segreta (sebbene un po meno
imperiosa) della voce che comanda allInnominato manzonia-
no (I promessi sposi, xxi, 80). Poi lio narrante prende la parola per
riassumere garbatamente preamboli, decorso e esito incontroverti-
bile della conversione: Quello fu il primo momento che la reli-
gione trionf del mio cuore83. una conversione preparata, ri-

81
Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., p. 165. Sui miti biblici
assai sovente accolti nella letteratura autobiografica, cfr. ivi, pp. 160-172.
82
Ivi, p. 169.
83
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 401.
iii. pellico 175

condotta a un malessere spirituale e a dubbi precedenti (il sintag-


ma gi da lungo tempo ripetuto due volte in poche righe) e gra-
duale, sebbene ruminata soprattutto in quella prima notte di
cattura. Di nuovo vengono in mente le pagine manzoniane su
quella certuggia dellInnominato (I promessi sposi, xx, 105) che
prelude alla conversione.
Superato lincaglio incaglio sul piano dellesito narrativo
della conversione, esplicitato ben bene quel nodo cruciale, la nar-
razione pu riprendere secondo le modalit che si detto: il rac-
conto lineare dei giorni della prigionia; lio narrante dora prende
la parola per s solo quando si tratti di ritornare sullargomento fe-
de84; per il resto, assume e mantiene la prospettiva dellio narrato,
con esiti di ben altra efficacia, soprattutto nel dipingere le maree
dei convulsi stati danimo del prigioniero. Il problema, anche do-
po la conversione, guarire dalla debolezza, ricorrendo a moltepli-
ci e non sempre efficaci espedienti85 psicologici. Lalternanza tra
ferrea autodisciplina dellanima, tra conforto della fede e abbatti-
mento, ritratta distesamente nei fitti e lunghi soliloqui86 del
prigioniero e in scene molteplici. Illuminante, a questo proposito,
la risposta epistolare di Pellico a un ignoto scrittore, il signor
Fea (probabilmente, credo di poter dire dopo alcune rapide ricer-
che, il torinese Leonardo Fea, collaboratore della Rivista europea
e dellEridano e autore di saggi di critica letteraria poi raccolti
in volume con questo titolo [Torino, Stamperia reale, 18522], tra i
quali uno Sul romanzo: considerazioni [Torino, Tip. Mussano,
1841]). Fea aveva sottoposto allautore delle Mie prigioni un ro-
manzo damore, Giuliano. Nellindividuare i limiti artistici di quel-
la prova romanzesca, Pellico delinea unipotesi di narrativa che cal-
za a pennello al suo libro di memorie: apprezza assai la scelta della
storia intima dalcuna parte della vita dun uomo quale ottimo
soggetto dun libro; nel contempo, sul piano della resa artistica,
suggerisce una pittura segnata e varia del personaggio e della

84
Cfr., a titolo desempio, nel capitolo vi, la lunga digressione sugli effetti
della lettura di Dante (ivi, p. 399).
85
Ivi, p. 419.
86
Ivi, p. 403.
176 ragionar di s

pratica del suo magnanimo sentire, con palesi svolgimenti di


fatti che lo mettano alla vista del lettore87. Appunto quel che fa
nelle Mie prigioni. Dove la rappresentazione particolareggiata e
chiaroscurata dellio e dei suoi meandri converge, nella forte ten-
sione etica che permea il testo, verso lintento di incoraggiare i let-
tori a premunirsi contro le forti emozioni e, viceversa, di scorag-
giare in loro quella malattia epidemica nel mondo che lin-
quietudine, suggerendo la fede come efficace antidoto:

Una mente agitata non ragiona pi: avvolta fra un turbine irresistibi-
le didee esagerate, si forma una logica sciocca, furibonda, maligna: in
uno stato assolutamente antifilosofico, anticristiano.
Sio fossi predicatore, insisterei spesso sulla necessit di bandire lin-
quietudine: non si pu esser buono ad altro patto. Comera pacifico con
s e cogli altri Colui che dobbiamo tutti imitare! Non v grandezza da-
nimo, non v giustizia senza idee moderate, senza uno spirito tendente
pi a sorridere che ad adirarsi degli avvenimenti di questa breve vita. Li-
ra non ha qualche valore se non nel caso rarissimo che sia presumibile du-
miliare con essa un malvagio e di ritrarlo dalliniquit88.

(Il caso rarissimo contemplato da Pellico sia detto qui per in-
ciso di nuovo fa venire in mente un luogo manzoniano: fra Cri-
stoforo alle prese con don Rodrigo nel palazzotto di questultimo).
Contro lindividualismo agonistico alla Ortis, nelle Mie prigioni la
divinit che regna in noi una voce interna che non risponde
pi al nome di Io ma di Dio. E la scrittura dellio, da introspe-
zione e sanguigno omaggio a quella divinit che si chiama Io, si fa
testimonianza morale e limpido omaggio a ben altra divinit.
Il libro di morali dettami voluto da Pellico efficace per
proprio perch si sostanzia del vissuto e attinge non tanto alla tra-
dizione apologetica o trattatistica quanto alle risorse del roman-
zesco: lavvincente e travagliata storia di unanima assediata dal-
la fede ma anche dalle proprie ritornanti debolezze, secondo un
andamento sussultorio e umanissimo, tra tempi infami di ca-

87
Cfr. Silvio Pellico al signor Fea, [s.d], in Epistolario di Silvio Pellico, cit., pp.
427-428.
88
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, pp. 419-420.
iii. pellico 177

duta e proponimenti rinnovati di ritorno sincero alla religio-


ne89. La guerra lunga e non pu dirsi mai finita: la conversio-
ne, nelle prime pagine delle memorie, segna solo linizio di una
fitta alternanza di combattimenti90, trattati di pace con la pro-
pria coscienza che si rivelano solo tregue, poi di nuovo combatti-
menti. Le mie prigioni si configurano come la storia di un soffer-
to addestramento spirituale, di una autoterapia consolatoria espo-
sta ai sussulti dellinteriorit cos come degli incontri diretti o
indiretti, anche solo attraverso suoni che provengono dalle celle
con i carcerieri e con altri carcerati. Sono il desiderio di morte e
la pazzia i due pericoli che incombono sul prigioniero, da esor-
cizzare ora con la fede ritrovata91, ora, quando questa non ce la fa,
con qualche pensiero consolatorio o, semplicemente, con qualche
distrazione: una persona, un libro, un animale. Laltalena tra con-
solazione religiosa e risorgere della disperazione si dipana nella
carrellata dei giorni sempre uguali della prigionia. A scandirli so-
no alcuni episodi della vita giudiziaria (lo spostamento di cella, la
visita finalmente consentita del padre, il trasferimento a Venezia,
gli interrogatori della Commissione speciale per i rei di delitti po-
litici e cos via); ad animarli sono i pensieri e le perturbazioni
del carcerato, ma anche e soprattutto la serie dei personaggi che
gli si pongono sulla strada, tutti esempi di quellideale umano po-
sitivo e transnazionale che lautore annunciava alle soglie delle
Mie prigioni (nella citata pagina di presentazione premessa alla
prima edizione). Si comincia subito col secondino Tirola, davan-
ti al quale Pellico racconta di aver dovuto ammettere: Mi viene,
buon uomo, un pensiero che non ho mai avuto: che si possa fare
il carceriere ed essere dottima pasta92. Programmaticamente,

89
Ivi, pp. 435, 436.
90
Ivi, p. 438.
91
Pi di una volta Pellico indugia nel dire: qualche tentazione di suicidio
mi prese, e talvolta temei dimpazzare. Ma, grazie al Cielo, erano smanie non du-
revoli, e la religione continuava a sostenermi (ivi, p. 439).
92
Cfr. ivi, p. 395. Verso la fine del libro Pellico neutralizza una possibile obie-
zione dei lettori (ma perch se erano tutti cos buoni, compresi i carcerieri, la vita
dei prigionieri era cos dura?), invocando la paura che rende le guardie passivi
178 ragionar di s

Pellico vuole estrapolare il buono e il bello dalla povera raz-


za umana93 e questa scoperta del bene riguarda tutti, ma proprio
tutti, compreso il tristemente noto conte Luigi Bolza, uno dei pi
spietati persecutori dei patrioti italiani94. Sempre e solo scene di
umanit, ora schiva e diffidente, ora aperta e diretta, popolano Le
mie prigioni. Col mutolino, introdotto al capitolo vii, si apre una
galleria di personaggi capaci di far apparire al prigioniero la cella
solitaria come luogo di vivi piuttosto che come una tomba95. So-
no tutti investiti della funzione di tappe della formazione spiritua-
le del prigioniero e insieme introducono elementi di sapore ro-
manzesco nelle memorie: al Santa Margherita, sincontra Madda-
lena, carcerata dal nome evangelico la cui voce soave e le cui pa-
role pietose, udite attraverso il muro sottile che separa le celle,
nutrono la mente del prigioniero di nobili fantasie e lo spingono
a cercare un colloquio, con esiti umoristici96; poi i poveri ladri
della cella contigua, protagonisti con il prigioniero di una scena tra
le pi teatrali del libro97; quindi linfelice duca di Normandia98,
autore e personaggio, per sua bocca, di un vero e proprio roman-
zo davventure. Seguiranno, ai Piombi, la Zanze, il secondino Tre-
merello e Giuliano; allo Spielberg, il vecchio capocarceriere Schil-
ler e il giovane conte Oroboni, uscito cadavere dal carcere mora-
vo: personaggi che entrano ed escono di scena ad aprire innume-
revoli e polimorfi squarci narrativi, portando ognuno il proprio
personale romanzo nella filigrana spirituale delle memorie. Ma mai
per puro gusto della digressione. Lautobiografia orale, romanzesca
e falsa, del misterioso avventuriero che si dice di essere il mancato

strumenti di sventura: tutti erano buoni intorno a me, ma tutti legati da somma
paura (ivi, p. 556).
93
Silvio Pellico a Gian Gioseffo Boglino, Camerano, 12 agosto [s.a.], in Epi-
stolario di Silvio Pellico, cit., pp. 417-418 (e si veda pure la lettera a Luigi Porro, To-
rino, 2 giugno 1852, ivi, p. 383).
94
Cos Angelo Jacomuzzi, in Silvio Pellico, Le mie prigioni, a cura di An-
gelo Jacomuzzi, Milano, Mondadori, 1986, p. 70n.
95
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 452.
96
Cfr. ivi, pp. 408-411.
97
Cfr. ivi, pp. 411-414.
98
Cfr. ivi, pp. 420 sgg.
iii. pellico 179

Luigi XVII, se spezza per un po la monotonia della vita del carce-


re per il prigioniero, per lautore delle memorie si traduce nelloc-
casione, prontamente messa a frutto, di una dichiarazione di poe-
tica99, di una sorta di manifesto delle Mie prigioni :

il confessare con franchezza, e modestia ad un tempo, ci che fermamen-


te si tiene per importante verit, il confessarlo anche laddove non pre-
sumibile dessere approvato, n devitare un poco di scherno, egli preci-
so dovere. E siffatta nobile confessione pu sempre adempirsi, senza pren-
dere inopportunamente il carattere di missionario100.

Viceversa, lavventura epistolare intessuta dal prigioniero, no-


vello convertito, con un ignoto e ateo carcerato che si firma Giulia-
no (in onore, per lappunto, di Giuliano lApostata) gli offre un pri-
mo banco di prova della propria capacit testimoniale e comunica-
tiva della fede ritrovata. Proprio questa fallimentare esperienza sta
forse, come stato notato, allorigine della particolare modalit del-
le Mie prigioni : una apologia del cristianesimo condotta in forma
autobiografica e narrativa anzich nel modo sistematico e didatti-
co scelto da Pellico nelle lettere a Giuliano101: un modo proprio da
missionario102 rivelatosi inefficace, se non controproducente.
Tutto partecipa del disegno morale sottinteso alle memorie.
Quando non ci sono creature umane ad alleggerire la raggelante
solitudine della cella, come si ricorder, il prigioniero si rivolge agli
insetti con cui condivide il doloroso soggiorno: un esercito di for-
miche e un bel ragno che niente hanno della bestia ma sono piut-
tosto surrogati di umanit103. Per contro, lesercito questo davve-
ro bestiale di zanzare che flagella il prigioniero nellumida e op-
primente estate veneziana ai Piombi, insieme al caldo soffocante
della cella (un forno) eletto a stromento della giustizia divi-

99
Cos Angelo Jacomuzzi, in Silvio Pellico, Le mie prigioni, a cura di An-
gelo Jacomuzzi, cit., p. 66, in calce al capitolo xx.
100
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 428.
101
Cos Angelo Jacomuzzi, in Silvio Pellico, Le mie prigioni, a cura di An-
gelo Jacomuzzi, cit., p. 107, in calce al capitolo xli.
102
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 467.
103
Cfr. ivi, pp. 438-439, 558.
180 ragionar di s

na104, secondo lidea cristiana della provvidenzialit del male che


attraversa il libro, venendo a tratti apertamente in superficie. C
s, talvolta, qualche contrasto amaro e ironico che sa di denuncia,
ma non vuole perforare la pagina: quella assenza di vis polemica
antiaustriaca che rende ancora pi pungente il racconto. Si vedano
due episodi minimi: la visita ai prigionieri dello Spielberg del ba-
rone von Mnch che,

impietosito della poca luce che avevamo, disse che avrebbe implorato di
poter prolungare la nostra giornata facendoci mettere per qualche ora del-
la sera una lanterna alla parte posteriore dello sportello. La sua visita fu
nel 1825. Un anno dopo fu eseguito il pio suo intento. E cos a quel lume
sepolcrale potevamo indi in poi vedere le pareti, e non romperci il capo
passeggiando105.

E nella gita a Vienna e dintorni, dopo la scarcerazione di Pelli-


co, Maroncelli e Andrea Tonelli, questo fugace episodio sullo sfon-
do della villa imperiale di Schnbrunn:

Mentre eravamo ne magnifici viali di Schnbrunn, pass lImperato-


re, ed il commissario ci fece ritirare, perch la vista delle nostre sparute
persone non lattristasse106.

Una scena emblematica quanto minima, costruita su quella ef-


ficace incisivit ch propria delle pagine migliori delle Mie prigio-
ni, in cui suggerito e inespresso, il tema dellassurdit del male
che ha colpito il prigioniero politico e che Pellico ha programma-
ticamente scelto di lasciare ai margini.
Al di l delle componenti romanzesche, forze centrifughe che
alla vicenda del prigioniero ne sommano altre, Le mie prigioni vo-
gliono essere memorie compatte di un dramma, quello della con-
versione, e di una scommessa, quella della fede. Non a caso, lu-

104
Ivi, p. 440. Per il tema esplicito della provvida sventura, cfr. soprattutto ivi,
pp. 449-450.
105
Ivi, p. 558.
106
Ivi, p. 576.
iii. pellico 181

scita del racconto negli spazi aperti del mondo coincide necessa-
riamente con il compimento della narrazione, il congedo quasi
frettoloso da Pellico personaggio107. Dopo la scarcerazione, Pelli-
co segue se stesso sparuto e indebolito fino alleffettiva liberazione,
appena varcata la soglia della casa paterna a Torino. C appena il
tempo per suggerire, tra le righe, di aver trovato nel Lombardo-Ve-
neto, sulla strada del ritorno, solidariet per gli ideali che avevano
portato Pellico al carcere108; il tempo per chiudere circolarmente il
flusso della memoria, con una sorta di percorso allindietro della
mente che ripensa ai primi giorni della prigionia109, e per conge-
darsi con una chiusa che vuole essere un richiamo alla visione
provvidenzialistica propugnata nel libro110.
Tutto quel che si detto reso possibile dal fatto che si tratta
di una ricostruzione memoriale a posteriori, sottratta al magma
convulso delle urgenze sentimentali pur cos efficacemente rappre-
sentate dalle scrittore. In carcere Pellico vive tutto agli studi, e,
quando possibile, scrive, soprattutto tragedie, ma non la sua vita di
prigioniero. Le memorie del carcere le stender dopo, nel raccogli-
mento torinese. Le mie prigioni sono dunque memorie sul carcere,
non memorie nel carcere. Qualcosa di autobiografico scritto du-
rante la prigionia per c. Ci sono innanzitutto le quotidiane,
lunghe meditazioni intorno ai doveri degli uomini e di me in par-
ticolare111 incise e poi cancellate sul tavolo della cella dei Piombi.
Le quali consistono, sintuisce, in una sorta di lenticolare e meto-
dico esame di coscienza con una esplicita funzione autoterapeuti-
ca, di supporto alla conversione:

Per viemeglio divenir costante in questo proposito [benedire i retti


giudizi di Dio, amandoli ed estinguendol in me ogni volont contraria ad

107
Angelo Jacomuzzi, Introduzione, in Silvio Pellico, Le mie prigioni, a
cura di Angelo Jacomuzzi, cit., p. 16.
108
Cfr. nel capitolo xcv, la scena di solidariet che ha per protagonista un ca-
meriere bresciano (Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, pp. 580-581).
109
Ivi, pp. 582-583.
110
Cfr. ivi, p. 590.
111
Ivi, p. 441. Le citazioni che seguono, ibidem.
182 ragionar di s

essi], pensai di svolgere con diligenza dor innanzi tutti i miei sentimen-
ti, scrivendoli.

In pi, precisa Pellico, sono meditazioni dal carattere piutto-


sto biografico:

Io facea la storia di tutto il bene ed il male che in me serano formati


dallinfanzia in poi, discutendo meco stesso, insegnandomi di sciorre ogni
dubbio, ordinando quanto meglio io sapea tutte le mie cognizioni, tutte
le mie idee sopra ogni cosa.

Che la riflessione autobiografica sia una sorta di esorcismo get-


tato tra s e la propria confusione interiore si schiarisce ancor pi
qualche pagina pi avanti, di fronte al turbamento suscitato nel
prigioniero dalla non bella ma pietosa Zanze:

Veramente io non erane invaghito. Esaminai lungo tempo i miei scru-


poli; scrissi le mie riflessioni su questo soggetto, e lo svolgimento di essi
mi giovava.
Luomo talvolta satterrisce di spauracchi da nulla. A fine di non te-
merli, bisogna considerarli con pi attenzione e pi da vicino112.

scrittura dove lautobiografia si affossa continuamente nella


meditazione, secondo la miscela che, pur in sordina, sar tipica an-
che delle Mie prigioni : la mia storia, sempre rallentata da digressio-
ni dogni specie, da analisi or di questo or di quel punto di metafisi-
ca, di morale, di politica, di religione113. Dunque Pellico scrive an-
che unautobiografia nel carcere; che , come Le mie prigioni, inti-
ma e morale, ma, diversamente da quelle, una storia della sua vita
intera e per forza di cose a proprio uso e consumo, senzaltra mu-
sa e senzaltro lettore che se stesso; autobiografia segreta e clandesti-
na, infine condannata a non esistere perch affidata non al legale
quinternetto di carta (riservato alle cose letterarie), bens alla su-

112
Ivi, pp. 448.
113
Ivi, p. 442.
iii. pellico 183

perficie di un tavolo usata a mo di lavagna114. Il segreto del legno in-


ciso e poi raschiato garantisce la preziosa possibilit di soddisfare un
desiderio fondamentale dellautobiografico: non volendo avere al-
cuna ragione dimpedimento nel ridire a me stesso colla pi libera
fedelt i fatti chio ricordava e le opinioni mie115. Si voluto vede-
re in quelle meditazioni il germe del successivo trattato dei Doveri
degli uomini e dellincompiuta autobiografia: quanto cospicuo rap-
porto sussistesse tra il testo di quelle riflessioni e quello delle pi ope-
re pi tarde non si pi stabilire; certo questa la volta in cui si af-
faccia in Pellico il desiderio di una meditazione morale organica e di
una ricognizione autobiografica totalizzante, qui sotto forma di eser-
cizio spirituale volto a lasciarsi alle spalle il passato.
Di autobiografico e scritto nel carcere ci sono poi le lettere.
Non le lettere destinate a familiari e amici116, ma quelle stese per se
stesso, incise e poi raschiate sul tavolino, come le meditazioni, di
cui sono il drammatico contraltare. Se quelle, le meditazioni, sono
esercizio di dominio sulle cieche brame del cuore, queste sono lo
spazio in cui si profonde la disperazione non vinta. Sempre nel se-
gno dellautobiografia e della sua inesauribilit:

114
Cfr. ivi, pp. 441-442: la Commissione, permettendo chio avessi calamaio
e carta, mi numerava i fogli di questa con proibizione di distruggerne alcuno, e ri-
servandosi ad esaminare in che li avessi adoperati. Per supplire alla carta, ricorsi al-
linnocente artifizio di levigare con un pezzo di vetro un rozzo tavolino chio ave-
va, e su quindi scriveva ogni giorno lunghe meditazioni []. Quando tutta la su-
perficie adoprabile del tavolino era piena di scrittura, io leggeva e rileggeva, medi-
tava sul gi meditato, ed alfine mi risolveva (sovente con rincrescimento) a raschiar
via ogni cosa col vetro, per riavere atta quella superficie a ricevere nuovamente i
miei pensieri.
115
Ivi, p. 442.
116
Questultime (stese tutte prima di approdare allo Spielberg, poich la con-
danna comporter crudelmente per il prigioniero la rottura di tutti i rapporti con
lesterno), non funzionano come termine di confronto per Le mie prigioni. Spe-
cialmente in quelle dirette ai familiari, per ovvie ragioni affettive che lo portano a
espressioni talora paradossali, Pellico si mostra soverchiamente tranquillo e in ot-
time condizioni di salute, in una situazione per molti versi invidiabile, quasi si tro-
vasse al servizio di ottimi e umanissimi signori. Cfr., a titolo desempio, alcune let-
tere al padre Onorato: Milano, dalla mia cella, 25 gennaio 1821, Venezia, 18 mag-
gio 1821 e 8 giugno 1821, Adelsberg, 20 marzo 1822, in Epistolario di Silvio Pellico,
cit., pp. 25-26, 29, 49.
184 ragionar di s

Prendea la penna per comporre qualche verso o per attendere ad altra


cosa letteraria, ed una forza irresistibile parea costringermi a scrivere
tuttaltro. Che? Lunghe lettere chio non poteva mandare; lunghe lettere
alla mia cara famiglia, nelle quali io versava tutto il mi cuore. Io le scrive-
va sul tavolino, e poi le raschiava. Erano calde espressioni di tenerezza, e
rimembranze della felicit chio aveva goduto presso genitori, fratelli e so-
relle cos indulgenti, cos amanti. Il desiderio chio sentiva di loro mispi-
rava uninfinit di cose appassionate. Dopo avere scritto ore ed ore, mi re-
stavano sempre altri sentimenti a svolgere.
Questo era, sotto una nuova forma, un ripetermi la mia biografia, ed il-
ludermi ridipingendo il passato; un forzarmi a tener gli occhi sul tempo fe-
lice che non era pi. Ma, oh Dio! quante volte, dopo aver rappresentato con
animatissimo quadro un tratto della mia pi bella vita, dopo avere inebriata
la fantasia fino a parermi chio fossi colle persone a cui parlava, mi ricordava
repentinamente del presente, e mi cadea la penna ed inorridiva! []
Io attribuiva tali convulsioni e tali orribili angosce al troppo eccita-
mento degli affetti, a cagione della forma epistolare chio dava a quegli
scritti, e del dirigerli a persone s care.
Volli far altro, e non potea; volli abbandonare almeno la forma epi-
stolare, e non potea. Presa la penna, e messomi a scrivere, ci che ne ri-
sultava era sempre una lettera piena di tenerezza e di dolore.
Non son io pi libero del mio volere? andava dicendo. []
Cercava allora di pregare, o dopprimermi collo studio della lingua te-
desca, vano sforzo! Io maccorgeva di torna a scrivere unaltra lettera117.

sempre la superficie del tavolino lo spazio della libert, pur


nellantro della cella; ma meditazioni autobiografiche e autobio-
grafia in forma epistolare si dividono i compiti: razionali, metodi-
che e imperniate su una indagine solipsistica le prime; effusiva,
sorretta dalla ricerca del tempo perduto e dal dialogo a distanza
con le persone amate la seconda. La scrittura di s nel carcere con-
tenuta di riflesso in quella sul carcere illumina lo sforzo di autoco-
noscenza, di autodisciplina e di limpida ricostruzione della propria
esperienza che soggiace alle Mie prigioni. Rovesciando limmagine
suggerita da Lejeune in uno dei suoi pi recenti studi di argomen-
to autobiografico, Les brouillons de soi 118, il libro di memorie di

117
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, pp. 475-476.
118
Cfr. Philippe Lejeune, Les brouillons de soi, Paris, Seuil, 1998, dove lo stu-
iii. pellico 185

Pellico una storia di s in bella copia. La prova, la brutta copia di


s, Pellico la fa nellautobiografia nel carcere, negli scritti affidati al
segreto del legno; nelle Mie prigioni lautobiografia sul carcere, il
libro pubblico , resta il solco luminoso di un cammino sussulto-
rio e tragicamente difficile ma gi segnato.

3. lautobiografia impossibile: i capitoli aggiunti


e i frammenti della storia della mia vita

Una volta messosi sulla strada dellautobiografia, Pellico vi insiste


fino agli ultimi giorni. Perch non sa fare altro, come dice lo
scrittore nellultimo dei Capitoli aggiunti alle Mie prigioni 119, ma
anche per ragioni esterne. Nei ritratti post-prigionia di Pellico co-
stante limmagine di un uomo che stato spezzato dalle sofferenze
del carcere, affettuoso ma diffidente120. Tale diffidenza si lega da un
lato alla sorveglianza poliziesca di cui Pellico non cessa di essere og-
getto, dallaltro alle accuse un bigot, un jsuite, un monstre121
cadutegli addosso dopo la pubblicazione del libro di memorie. Le
mie prigioni si rivelano infatti unarma a doppio taglio per il loro
autore. Il personaggio del prigioniero-martire cristiano che Pellico
si cucito addosso lo fa incappare in alcuni incidenti di percorso.
Da un lato, prende campo limmagine del pinzochero122 che lex
carbonaro convertito alla politica della rassegnazione, attrae su di
s; dallaltro, la fama conquistata vede moltiplicare le note biogra-
fiche lo riguardano, spesso pullulanti di inesattezze. C chi, oltre-

dioso, mettendo laccento sulla funzione autoconoscitiva della scrittura autobio-


grafica, parla dellautobiografia come luogo per tastare il terreno della propria in-
teriorit, come creazione di una brutta copia di s, indispensabile base per li-
dentit in bella copia.
119
Silvio Pellico, Capitoli aggiunti, in Opere, p. 612.
120
Cfr. soprattutto lagile panorama di testimonianze intessuto in Giuseppe
Prezzolini, Monti, Pellico, Manzoni, Foscolo veduti da viaggiatori americani, cit.,
pp. 529 sgg.
121
Silvio Pellico a Ottavia Masino di Montebello, Turin, 25 janvier 1834, in
Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 130.
122
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 440.
186 ragionar di s

passando les termes exacts de la vrit, arriva a sostenere che lau-


tore delle Mie prigioni non era coupable di Carboneria e Pelli-
co rettifica affettuosamente 123; e c chi, tratteggiandone i natali,
lo promuove a conte o sbaglia i titoli delle sue tragedie e Pelli-
co in questo caso non riesce a trattenere la stizza124.
Il pi consistente di questi incidenti di percorso sta nellinter-
vento dellamico Maroncelli, autore delle Notes et claircissements
historiques (in appendice alla traduzione francese delle Mie prigioni
di de Latour, Paris, H. Fournier-Jeune, 1833) e delle fortunate Ad-
dizioni (presso Baudry, nello stesso anno) e in quanto tale ricorda-
to da Pellico nel ix dei Capitoli aggiunti. Scritti biografici come
quello dellex concaptivo Maroncelli erano assai apprezzati dal pub-
blico: andavano incontro al bisogno avvertito dai lettori, di fronte
alla storia di una fase circoscritta della vita, di risalire alle origini
delluomo, di completare la narrazione col prima e col dopo.
Quanto ne fosse per insoddisfatto Pellico, lo dicono le lettere. Ve
n una doppiamente significativa, perch lautore delle Mie prigio-
ni vi si lamenta da un lato delliniziativa di Maroncelli, dallaltro
delle accuse mossegli dal fronte reazionario e conclude auspicando
di rimediare a tutti i possibili travisamenti e disguidi con una pro-
pria nuova e questa volta completa opera autobiografica:

Je ne sais plus ce quest devenu Maroncelli, depuis son arrive New-


York; en auriez-vous des nouvelles? Son excellent cr est plein damiti
pour moi, mais je regrette que, croyant sans doute me faire plaisir, il ait
compos la notice biographique sur mon compte quil a publie avec ses
Additions. Ne mayant pas consult, et ne conservant sur certaines choses
que des rminiscences confuses, il est devenu inexact sur bien des points,
et a donn des interprtations inconcevables qui ne pouvaient faire
moins que de prter des armes mes ennemis. Patience! Dans ce sicle de
passions politiques et dexagration, il est difficile un ami de bien com-
prendre son ami. En attendant, les journaux de Modne [La voce della
Verit], de Pesaro [La voce della Ragione], etc., se rjouissent me di-

123
Cfr. Silvio Pellico a Ottavia Masino di Mombello, Torino, 6 novembre
1836, in Epistolario di Silvio Pellico, cit., p. 140, da cui sono tratte le citazioni.
124
Cfr. Alcune nozioni autobiografiche scritte da Silvio Pellico e comunicate da
Federico Crger da Knisberga, ivi, p. 383 e la replica di Pellico, ibidem.
iii. pellico 187

re des injures, au nom de la religion. A leurs yeux, je ne suis quun impie


cach, un rvolutionnaire, un sducteur. Je ne rponds ni ces gens-l,
ni aux fanatiques du libralisme qui me blment de ce que je ne partage
pas leurs folles illusions. Je nambitionne de plaire ni aux uns ni aux au-
tres. Ils nauront de moi dautre rponse que ma conduite sans masque,
sans servilit vers aucun des partis violents, et aussi chrtienne quil me se-
ra possible. Peut-tre un jour je publierai aussi ma petite biographie125.

La volont autobiografica successiva alle Mie prigioni da le-


garsi insomma a due motivazioni essenziali: controbattere alle ac-
cuse di ordine ideologico e politico rivolte al cattolicesimo pacifi-
catore l espresso; correggere e neutralizzare lopera di indesiderati
e improvvisati o addirittura faziosi biografi, provvedendo perso-
nalmente a integrare il prima e il dopo; insomma, farsi autobio-
grafo per esorcizzare e sventare linvadenza nefasta dei biografi.
Due motivazioni vecchie, possiamo dire, quanto lautobiografia
moderna: quella apologetica, una delle pi diffuse alla scrittura di
s, e quella polemica contro il biografo assassino (cos Di Breme)
di cui le pagine liminari della Vita alfieriana costituiscono lesem-
pio pi esplicito e gustoso.
Se due sono le ragioni che spingono Pellico a stendere la storia
della sua vita, soprattutto una sembra quella che condanna tale pro-
getto a restare non finito; ed anchessa adombrata nella appena ci-
tata lettera a de Latour: ce sicle de passions politiques et dexag-
ration. La politica contemporanea sembra essere la nemica invin-
cibile del Pellico aspirante autobiografo di una vita: Avrei sola-
mente pubblicato volentieri la mia storia di me medesimo, ed ave-
va creduto di poterla pubblicare. Mingannai. I tempi non lo con-
sentono, e ci vuol pazienza126. I non pochi inediti emersi dopo la
morte dellautore127 delineano senzombra di dubbio unautobio-

125
Silvio Pellico a Antoine de Latour, 1834, ivi, pp. 119-120. Per il giudizio sulle Ad-
dizioni maroncelliane, cfr. pure Silvio Pellico a Andrea Ighina, giugno 1852, ivi, p. 384.
126
Silvio Pellico a Quirina Mocenni Magiotti, Torino, 2 maggio, 1836, in Ope-
re, p. 172.
127
Cfr. Aldo A. Mola, Pellico ritrovato (1984), nellopera collettiva Saluzzo e
Silvio Pellico nel 150 de Le mie prigioni, cit., pp. 11 sgg. Sulla dbacle archivisti-
ca degli scritti di Pellico per mette il dito opportunamente Franco Molinari
(in Il fratello Federico Confalonieri e il buon cugino Pellico, cit., p. 97).
188 ragionar di s

grafia fallita, compiuta, poi smembrata e infine distrutta dallauto-


re, dopo un libro di memorie riuscito. Di quella Storia della mia vi-
ta iniziata a ridosso delle Mie prigioni, Pellico non pubblica se non
le poche pagine che sono passate alla tradizione come i Capitoli ag-
giunti 128. Dei primi parla Pellico stesso in alcune lettere a de Latour,
cui affida nel 1837 i Capitoli aggiunti perch ne faccia luso che ri-
tiene pi opportuno in una nuova edizione delle memorie del car-
cere. Insoddisfatto della ricezione del suo libro, titubante sulla pub-
blicazione pur di quei pochi frammenti, lautobiografo spiega che
essi non sono che piccola parte di unopera assai pi vasta (une
partie si petite et si peu saillante de mon manuscrit) e che posso-
no aprire uno squarcio sul presente dellautore: Ils feraient voir
quelle est mon existence actuelle, quelles sont mes opinions129.
Una finestra sulloggi ch corredo esplicativo essenziale al libro. I
dodici Capitoli aggiunti si configurano infatti come nati per spiega-
re le Mie prigioni piuttosto che per completarle. vero che si co-
mincia dalla fine di quelle memorie, con la notte dellarrivo in fa-
miglia (capitolo i) e le vicende della giornata successiva (ii); ma poi

128
Negli anni ne sono poi saltati fuori alcuni frammenti sparsi, di cui taluni
editi postumi da Ilario Rinieri e altri segnalati da Domenico Chiattone: cfr. Ilario
Rinieri, Della vita e delle opere di Silvio Pellico. Da lettere e documenti inediti, 3 voll.,
Torino, R. Streglio, 1898-1901, ii, 1899, pp. 371-376 (ora tali frammenti si possono
leggere, con il titolo La storia della mia vita [frammenti], in Opere, pp. 43-45) e Do-
menico Chiattone, Per lAutobiografia e per I Costituti di Silvio Pellico e per
una recente riabilitazione, comunicazione del prof. Domenico Chiattone, Roma,
Tip. DellAccademia dei Lincei, 1904 (estr. da Atti del Congresso Internazionale di
Scienze Storiche, Roma, 1903), che d notizia di frammenti brevissimi dettati in
francese esistenti inediti nel museo di casa Cavassa di Saluzzo. Pronta per le stam-
pe gi nel 1834, essa [lautobiografia] non fu pubblicata per il probabile intervento
di re Carlo Alberto, attento lettore del saluzzese. Domenico Chiattone riusc a
strapparla alloblio e lavrebbe pubblicata come appendice alla sua biografia del Pel-
lico, purtroppo incompiuta e dispersa dopo la sua precoce morte (Franco Moli-
nari, Il fratello Federico Confalonieri e il buon cugino Pellico, cit., p. 97).
129
Silvio Pellico a Antoine de Latour, Turin, 7 novembre 1837, in Epistolario
di Silvio Pellico, cit., pp. 158-159. E si veda pure la lettera allo stesso, Turin, 14 avril
1838, ivi, p. 170: Quant mes fragments, ne vous htez pas: peut-tre vaudrait-il
mieux ne pas les publier. Cependant vous en tes le matre; et si vous les publiez,
je nai aucune difficult ce que vous retranchiez ce qui vous parat trop peu d-
velopp ou inopportun.
iii. pellico 189

un salto di quattro mesi (iii) i lunghi quattro mesi che servono al


prigioniero per lasciarsi alle spalle il trauma della prigionia e riac-
quistare forza dallinizio del capitolo iv porta la narrazione su un
altro piano: da questo punto in poi i Capitoli aggiunti sono libro,
per usare celebri parole manzoniane, impiegato a giustificarne un
altro; per lesattezza, a esplicitare il sottofondo ideologico delle Mie
prigioni e le novelle politiche opinioni del loro autore rispondendo
alle distorsioni e alle accuse dei detrattori. I lettori delle Mie prigio-
ni sono quasi onnipresenti nei Capitoli aggiunti, come implica di
per s la motivazione apologetica, che fa s il lettore diventi davve-
ro la musa dellautobiografo: tolte le pagine sugli affetti familiari
(v), tutto quel che segue fa perno sul concepimento del libro (vi-
vii) e sulle reazioni contrastanti del pubblico (viii). Poi si tratta di
prendere le distanze dallaggiunta che fece alle Mie prigioni linfe-
lice Piero Maroncelli130 e di scongiurare una lettura antiaustriaca
delle memorie carcerarie (ix), per approdare al fine dellopera: ov-
vero che Le mie prigioni spingano chi legge a studiar meglio la re-
ligione cattolica (x)131. Quindi ancora qualche pagina per dire che
la fortuna delle Mie prigioni incoraggia il loro autore a continuare
nellopera di cristianizzazione del suo tempo; e cos sono nati I do-
veri degli uomini (xi). Lultimo dei Capitoli aggiunti, il xii, suona in-
fine come un congedo dal pubblico: il congedo di un uomo stanco,
che scrive non poco, comincia molto e non finisce mai niente; e
con una sorta di ossessione, lautobiografia:

Insomma scrivo non poco, sebbene di rado io termini un lavoro; e


scrivo piuttosto per mio sollievo, che colla fiducia di saper produrre libri
di notevole pregio. Talora prendo la penna, e non sentendomi voglia di
fare altro, scrivo la mia propria Vita132

la Vita che Pellico stesso ha smembrato per ricavarne quella


coda esplicativa alle memorie che sono appunto i Capitoli aggiunti.
Quel poco altro che, oltre a essi, ci dato conoscerne, fa pensare a

130
Silvio Pellico, Capitoli aggiunti, in Opere, p. 606.
131
Ivi, p. 608.
132
Ivi, p. 612.
190 ragionar di s

unopera tradizionale nellimpianto narrativo (si comincia con la


data di nascita133), doviziosa di notizie estrinseche, nello stile delle
Mie prigioni, antiletteraria e a tratti volutamente opaca, spezzata in
due dalla carcerazione; a tratti sintetica, a tratti introspettiva. Uno-
pera certo capitale per Pellico, che a essa intende affidare lindiretta
risposta ai suoi detrattori e che sogna di portarla avanti anche dopo
averne estrapolato i Capitoli aggiunti, magari aggirando lostacolo
del sicle de passions politiques con una pubblicazione postuma:

Or ritornando allo scriver Memorie, ti dir chio aveva schiccherato


per passatempo una mia Vita, forse da stamparsi quando non sar pi. A
M. De Latour ho fatto dono di pochi brevi capitoli di siffatta vita, per for-
nire qualche maggior interesse ad una nuova edizione che egli vorrebbe
fare delle Mie Prigioni. Per verit quei capitoli sono semplicissimi e poco
attraenti; ma bastano, ed hanno almeno la qualit dessere sinceri e non
nocenti ad alcuno. Mi vi mostro qual sono e come io vivo, non senza
qualche patire, ma anche non senza consolazioni134.

Cinque anni dopo siamo ancora l:

Pour des livres, je nen plus faits; du moins, je nen ai plus achevs.
Jai quelques matriaux informes; je passe des mois sans pouvoir men oc-
cuper. Si une petite pice de vers sort de temps en temps de ma plume,
cest quelque bagatelle que je nai pu refuser un ami, un enfant, une
circonstance. Ma biographie est reste en silence: je ne suis pas press de len
faire sortir 135.

Con gli anni Pellico per accantona la soluzione dei mmoi-


res doutre-tombe e il silenzio gli appare la strada pi consona:
lunica che non abbia sapore di vendetta contro le fitte de fratel-
li, e la sconoscenza del suo paese, come si legge in una significati-
va lettera dellaprile 1843 a Cesare Cant, allora in visita a Parigi,
dove de Latour gli ha mostrato i Capitoli aggiunti :

133
Cfr. La storia della mia vita [frammenti], ivi, p. 43.
134
Silvio Pellico a Federico Confalonieri, Torino, 17 maggio 1838, in Epistola-
rio di Silvio Pellico, cit., pp. 172-173.
135
Silvio Pellico a Antoine de Latour, 1843, ivi, p. 260.
iii. pellico 191

Que brani che vi ha mostrato M. Latour ora mi son cagione di di-


spiacere. Io che aveva sofferto dieci anni di penosa agonia senza lamen-
tarmi, non ho saputo recarmi in pace queste fitte de fratelli, e la scono-
scenza del mio paese. [] vingannate nel supporre nelle Mie Prigioni
unarte, una disposizione diretta a spargere luce su tutto, per gettar tutta
lombra su una persona sola. Colla mano sul cuore vi protesto che nessun
pensiero di vendetta mi anim; che ebbi di mira raccontare, raccontar
semplicemente, non tutto al certo, ma tutto vero. Mentirei a me stesso, se
negassi di aver anche avuto intenzione di far un libro: ma lasciatemi ripe-
terlo, non ho voluto far una vendetta136.

Lanno successivo infatti Pellico blocca anche la ripubblicazio-


ne dei Capitoli aggiunti:

mincresce, ma non posso consentire che si stampino que capitoli


chio lasciai pubblicare in francese da Monsieur de Latour. Gli stessi mo-
tivi che mhanno fatto sospendere la pubblicazione in originale della mia
biografia (e per conseguente de mentovati capitoli) esigono chio non
condiscenda al pubblicarsi tal cosa da altri. Leccezione che ho fatta a fa-
vore di Monsieur de Latour, permettendo che stampasse tradotto quel
frammento, non posso ripeterla per altre persone infino ad ora137.

Lansia della scrittura di s di Pellico ha intanto preso una stra-


da meno compromettente, capace di aggirare lostacolo dei tempi:
quella dellautobiografismo consegnato alle cantiche. Lo rivela il
frammento dun lungo lavoro inedito, Il Trobadore Saluzzese 138,
in cui, secondo lespediente tradizionale del manoscritto ritrovato,
Pellico finge di scoprire in unantica e oscura cronaca la storia e
i frammenti poetici di un ignoto trobadore saluzzese, rimasto nel-
loblio perch era sdegnoso di propagare i suoi scritti cercando il
favore dei letterati coetanei ma che, proprio per questa ragione,
dice Pellico, sarebbe stato caro ai posteri. Il dimenticato trovato-

136
Silvio Pellico a Cesare Cant, Torino, aprile 1843, ivi, p. 252.
137
Silvio Pellico a Pietro Giuria, 27 luglio 1844, in Epistolario di Silvio Pellico,
cit., pp. 291-292. La richiesta di ripubblicare i Capitoli aggiuntivi proveniva da Sil-
vio Giannini.
138
Ivi, pp. 461-462.
192 ragionar di s

re saluzzese ha anchegli un amoroso padre che, non diversamente


da Onorato Pellico, compone versi e lascia al figlio in eredit una
poverarpa; in pi, come il giovane Silvio Pellico, giovanetto
staccato dalla citt natia e da suoi amati parenti e finisce a Lio-
ne dove compie la sua educazione sentimentale attraverso un mi-
sterioso amore e lesercizio poetico che laccompagna. Il lungo la-
voro inedito si configura insomma come una biografia fittizia di
evidente matrice autobiografica e mischia il modello dellautobio-
grafia intellettuale settecentesca (con linserzione di frammenti
poetici che documentino le fasi del percorso intellettuale del pro-
tagonista e il suo orientarsi verso precisi modelli) con limpianto
narrativo e storico-documentario in voga dopo I promessi sposi.
Pellico invece finisce come uomo disfatto nella salute, minata
dai lunghi anni di carcere, e che lascia la letteratura a chi ha mag-
gior lena139; e, curiosamente, negli ultimi anni si occupa semmai
di biografia140. Fatto sta che le proposte avanzate da pi parti per
spiegare la rinuncia degli scrittori primottocenteschi ad autobio-
grafie vere e proprie ovvero retrospettive e complete 141 non reg-
gono per la mancata Storia della mia vita di Pellico. Nel caso del-
lautore delle Mie prigioni, lautobiografo si arrende alla propria
materia e ai tempi: come ha gi sperimentato con Le mie prigioni,
la sua vicenda di ex carbonaro resisteva al suo intento di fare unau-
tobiografia tutta spirituale, una storia di unanima, e presso i con-
temporanei generava un libro suo malgrado politico. Di nuovo,
come si detto per i conciliatoristi e per Leopardi, e come si avr
modo di vedere con Bini e con Tommaseo, il panorama della scrit-
tura autobiografica depoca romantica pi complicato.

139
Silvio Pellico a Niccol Puccini, Torino, 28 gennaio 1845, lettera inedita
(Biblioteca Forteguerriana, Pistoia, Raccolta Puccini. Carte, Cassetta xviii, 4).
140
Cfr. le Notizie intorno alla Beata Panasia pastorella Valsesiana nativa di Qua-
rona, raccolte e scritte da Silvio Pellico, premessa una biografia dellautore, Torino,
Tip. G. B. Paravia, 1862 (estr. da Letture cattoliche, 9, fasc. 10, dicembre 1862).
141
Cfr. supra, pp. 9-14.
IV. Carlo Bini tra romanzo, autobiografia e prosa morale

Ho studiato il modo
per paragonare la prigione in cui vivo al mondo.
(William Shakespeare, Riccardo II, V, v)

E sento
che lio
poco per me.
Qualcuno da me erompe ostinato.
(Vladimir Majakovskij, La nuvola in pantaloni [1915])

1. uno scrittore difficile

La Livorno di primo Ottocento, ormai si riconosciuto, la citt


pi irrequieta dellintero granducato1: citt di aperture cosmo-
politiche, un po come, quasi un secolo dopo, la Trieste di Svevo2,

1
Giuseppe Nicoletti, Firenze e la Toscana. Lettere dal carcere: Carlo Bini,
nellopera collettiva Letteratura italiana. Storia e geografia, cit., ii, 2, Let moderna,
cit., p. 818. Sulla posizione di Livorno nel contesto culturale e politico toscano pri-
mottocentesco, cfr. soprattutto Nicola Badaloni, Democratici e socialisti livornesi
nellOttocento, Roma, Editori Riuniti, 1966; Id., Il pensiero politico di F. D. Guer-
razzi, nellopera collettiva Francesco Domenico Guerrazzi nella storia politica e cultu-
rale del Risorgimento, Atti del Convegno di Studi, Livorno-Firenze, 16-18 novembre
1973, Firenze, Olschki, 1975, pp. 67-90; Toni Iermano, Frammenti di Risorgimen-
to: C. Bini-F. D. Guerrazzi. Lantirisorgimento-La cultura moderata, Napoli, Liguo-
ri, 1981, pp. 23 sgg.; Sebastiano Timpanaro, Antileopardiani e neomoderati nella si-
nistra italiana, Pisa, Ets, 1982, pp. 83-87, 199-202; Toni Iermano, Intellettuali e
stampatori a Livorno tra 700 e 800, Livorno, Nuova Fortezza, 1983, pp. 57 sgg.
2
Ernesto Sestan, Guerrazzi e il memorialismo toscano, nellopera collettiva
Francesco Domenico Guerrazzi nella storia politica e culturale del Risorgimento, cit., p. 33.
194 ragionar di s

estranea al moderatismo della Firenze dellAntologia, percorsa da


fermenti progressivi. Questa Livorno mazziniana e guerrazziana,
spina nel fianco della Toscana granducale, vede nascere, per dirla
con Sebastiano Timpanaro, i due piccoli capolavori di Carlo Bi-
ni3: le operette Manoscritto di un prigioniero e Il Forte della Stella,
stese entrambe in carcere nellautunno del 1833 ed edite postume,
rispettivamente, nel 1843 e nel 1857. Sepolto nel Pantheon labroni-
co di Montenero a fianco di Guerrazzi e l ricordato da una risen-
tita epigrafe di Mazzini che ne fa un novello foscoliano eroe bel-
lo di fama e di sventura e uno sfortunato patriota4, Carlo Bini
uno di quegli scrittori che tanto faticano ad entrare nelle storie
letterarie5; per ragioni, innanzitutto, di ordine quantitativo. Mor-
to precocemente, a trentasei anni, per i postumi duna coltellata
buscata [] in una rissa di anonimi in Via delle Galere a Livorno,
che non proprio lequivalente dei Parioli di Roma6, ha lasciato

3
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, in Antileopar-
diani e neomoderati nella sinistra italiana, cit., p. 202. Su Timpanaro studioso di
Bini, cfr. ora Gino Tellini, In margine agli studi sul nostro Ottocento, in Il Pon-
te, lvii, 10-11, 2001, i, Per Sebastiano Timpanaro, pp. 114-122.
4
Si pu leggere lepigrafe, tra laltro, in Giorgio Fontanelli, Carlo Bini:
un eroe seduto?, in Bollettino della domus mazziniana, xxxvii, 2, 1991, pp. 167-
171: 167. Le spoglie di Bini, morto a Carrara il 12 novembre 1842 e sepolto inizial-
mente nel cimitero di quella citt, nel gennaio 1843 sono trasferite nel cimitero li-
vornese di Salviano grazie a una colletta degli amici e, infine, il 15 settembre 1895
sono traslate a Montenero.
5
Luca Toschi, Foscolo e altri Sentimental Travellers di primo Ottocento
(1982), nellopera collettiva Effetto Sterne, cit., p. 118. Poteva compiacersi di avere per
primo allogato a suo posto il Bini nella nostra storia letteraria dellOttocento Gui-
do Mazzoni (cfr. Guido Mazzoni, Prefazione, nellopera collettiva Carlo Bini [nel
centenario della morte], in Bollettino storico livornese, vi, 3-4, 1942, poi in volume,
Livorno, Deputazione di Storia Patria per la Toscana-Sezione di Livorno, 1943, da cui
si cita: p. viii); ma si rammenti che nel 1908 Pirandello menzionava il livornese nel-
la sua perlustrazione del filone carsico dellumorismo italiano (cfr. Luigi Pirandel-
lo, Lumorismo [1908], in Lumorismo e altri saggi, a cura di Enrico Ghidetti, Firenze,
Giunti, 1994, p. 109). Bini intanto ha cominciato a guadagnarsi un posto anche nel-
la storia degli intellettuali rivoluzionari in Italia: coevo al capitale saggio di Tim-
panaro (Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit.) il contributo di Roberto Tacchi-
nardi, Per una storia degli intellettuali rivoluzionari in Italia: Carlo Bini e il Mano-
scritto di un prigioniero, in Inventario, xx, 5-6, 1982, pp. 81-90.
6
Giorgio Fontanelli, Carlo Bini: un eroe seduto?, cit., p. 170.
iv. carlo bini 195

prose che ammontano in tutto a poche centinaia di pagine, episo-


diche traduzioni (tra cui quelle da Sterne che fanno di Bini il pri-
mo, precoce traduttore italiano del Tristram Shandy, dopo lepiso-
dio di Maria che Foscolo-Didimo aveva allegato alla sua versione
del Viaggio sentimentale )7, sporadici versi, commemorazioni ed
epigrafi occasionali. Ha lasciato, infine, un epistolario tuttaltro
che sterminato, fortemente amputato nelle sue sezioni pi illustri
(per esempio il carteggio con Mazzini, che distrusse le missive di
Bini per ragioni di sicurezza) e ancora da ricostruire nella sua inte-
gralit, sebbene una certa fortuna editoriale abbiano goduto una
intensa lettera al padre (tale da poter essere affiancata, in questo
sottogenere epistolare, agli analoghi e celeberrimi testi di Leopardi
e di Kafka) e le letterarissime missive amorose indirizzate nellarco
di un anno a Adele Perfetti De Witt8. Il tutto rimasto rigorosa-
mente inedito, tranne gli articoli di letteratura e di economia e le
traduzioni apparse sullIndicatore Livornese (12 gennaio 1829-8
febbraio 1830), la rivista diretta da Guerrazzi e della quale Bini fu
uno degli scrittori pi assidui durante i tredici mesi in cui fu tolle-
rata dallintormentito Governo Toscano9. Quasi tutto edito po-

7
Bini intraprende la versione di tre episodi di Life and opinions of Tristram
Shandy, gentleman nel 1829: la Storia di Yorick (dal volume i del Tristram Shandy,
edita in Indicatore Livornese, 12, 18 maggio 1829), la Storia di Le Fever (dal vo-
lume vi, in Indicatore Livornese, 13, 25 maggio 1829); il terzo, il Racconto di
Slawkenbergius (dal volume iv), titolato da Bini Il naso grosso, apparve verosimil-
mente postumo, per la prima volta negli Scritti editi e postumi del 1843, e anches-
so con data 1829, apposta dal curatore Silvio Giannini (poi nelledizione Lawren-
ce Sterne, Il viaggio sentimentale tradotto da Foscolo, Storia di Yorick, Il naso gros-
so, Storia di Lefevre, episodi del Tristano Shandy, tradotti da Carlo Bini, Firenze, Le
Monnier, 1855). Su questo versante dellattivit di Bini, cfr. Alma Borgini, Carlo
Bini traduttore, in La Rassegna della letteratura italiana, s. vii, lxviii, 2-3, 1964,
pp. 382-398 e Giovanni Maffei, Carlo Bini traduttore di Sterne, nellopera collet-
tiva Effetto Sterne, cit., pp. 341-389.
8
Si allude, rispettivamente, alla lunga lettera al padre, da Camaiore, 28 lu-
glio 1836, riportata in tutte o quasi le sillogi di scritti biniani, e alle Lettere allAde-
le, di cui si vedano le edizioni a cura di Adolfo Mangini e Dino Provenzal, Roma,
Formggini, 1925 e a cura di Enrico Emanuelli, Milano, Martello, 1944.
9
Giuseppe Mazzini, Note autobiografiche, a cura del Centro napoletano di
studi mazziniani, Napoli, 1972, p. 86. Fu causa indiretta, e per cos dire occasio-
nale della soppressione della rivista, proprio un articolo del Bini, contro la va-
196 ragionar di s

stumo non tanto per la precoce scomparsa dellautore quanto per-


ch Bini, una volta uscito, nel dicembre 1833, dal carcere del Forte
della Stella, dopo una breve detenzione per motivi politici, decise
di tacere; per ragioni di prudenza10, ma anche per un motivo pi
profondo: perch, in quanto intellettuale rivoluzionario avanzato e
isolato rispetto alle idee dei suoi stessi amici Guerrazzi e Mazzini,
materialista, antiprovvidenzialista, ami du peuple votato interclassi-
sticamente alla causa della plebe e sostanzialmente privo di senti-
mento patriottico, auspice di una rivoluzione sociale piuttosto che
di quella nazionale, Bini non poteva trovare un pubblico11.
Come non trov lettori capaci di intendere, o meglio disposti
a intendere, tra gli stessi intellettuali che gli furono vicini. La poco
fa citata epigrafe mazziniana per la tomba di Bini ne rammenta i
santi sdegni e lo ricorda come uno spirito attivo (anima [] /
temprata a patire e a fare) ma inespresso a causa dei tempi, del
soffocante contesto politico e sociale in cui si trovato a agire (ine-
spresso soprattutto, va detto, rispetto a quella nozione di lettera-
tura finalizzata ch propria di Mazzini12). Viceversa, per Guerraz-

cuit delle Accademie in generale e di quella Labronica in particolare (Ersilio


Michel, Carlo Bini cittadino e patriota, nellopera collettiva Carlo Bini [nel cente-
nario della morte], cit., p. 8).
10
Con le cose che avrebbe potuto dire, sapeva che sarebbe presto diventato
un habitu delle patrie galere (Luca Toschi, Foscolo e altri Sentimental Travellers
di primo Ottocento, cit., p. 118).
11
Per la questione del pubblico che Bini non poteva trovare tra i lettori del
suo tempo, si rimanda a Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bi-
ni, cit., pp. 259-263: Ci sarebbero voluti lettori colti amis du peuple; ma, dai mo-
derati ai mazziniani o guerrazziani, la Toscana dei primi anni Trenta [] era pie-
na di amici del popolo in tuttaltro senso (ivi, p. 260). Sullo sviluppo del pen-
siero sociale di Bini, dalla iniziale adesione alla Carboneria prima e alla Giovine
Italia poi, fino ad approdare, attraverso travagli e speranze deluse alla convin-
zione dellinutilit delle sette e di ogni cospirazione e ad un rivoluzionarismo
spontaneista (motivi questultimi documentati nel Bini maturo del Manoscrit-
to di un prigioniero e del Forte della Stella), cfr. Id., Due cospiratori che negarono di
aver cospirato (forse Giordani, certamente Bini), in Nuovi studi sul nostro Ottocento,
cit., pp. 103-125 (su Bini, pp. 116-125), completamento di Alcuni chiarimenti su
Carlo Bini, cit.
12
Anna Nozzoli, Mazzini e il romanzo, nellopera collettiva Teorie del ro-
manzo nel primo Ottocento, Roma, Bulzoni, 1991, p. 163. Dello stesso tono la pre-
iv. carlo bini 197

zi, propenso a riconoscere a Bini un ingegno genialoide, non


questione dei tempi, ma di indole: Bini stesso ad aver gettato, a
un certo punto, una bella intelligenza alle ortiche, per scegliere
di gozzovigliare tra gente rozza e rissosa e di inseguire un folle so-
gno damore con una bella signora sposata dellalta borghesia13.
Fatto sta che questa la maschera in cui si fossilizzato a lungo lo
scrittore Carlo Bini: soltanto una promessa e un tentativo14. Do-
po il giudizio di seconda mano di De Sanctis15 e dopo la strumen-
talizzazione polemica in chiave antiromantica di Carducci16, per

fazione Ai giovani, anonima ma di Mazzini, in Carlo Bini, Scritti editi e postumi,


[a cura di Silvio Giannini], Livorno, Al Gabinetto Scientifico Letterario [Tip. Van-
nini], 1843 [ma gennaio 1844], pp. ix-xxiii: Egli era come quegli augelli, che sot-
to un cielo sereno empiono laria di bei concerti e nella maremma ammutiscono
(ivi, p. ix; la prefazione si legge ora anche nellantologia della critica approntata in
Tommaso Scappaticci, Lo scrittore emarginato. Carlo Bini e la critica, Cassino, Ga-
rigliano, 1995, pp. 160-236: 160-166).
13
Di Guerrazzi, amico di Bini per vari anni fino alla rottura dei rapporti, ve-
rosimilmente, per divergenze ideologiche, cfr. soprattutto una lettera del 1843 ad An-
gelica Palli Bartolomei, in Scritti scelti di Francesco Domenico Guerrazzi e di Carlo Bi-
ni, a cura di Arrigo Cajumi, Torino, Utet, 1955, 19662, pp. 659-662; Intorno allAsse-
dio di Firenze ed ai casi della sua vita fino al gennaio 1848, Livorno, Poligrafia italia-
na, 1848, pp. 33 sgg.; Commemorazione di Carlo Bini e Memoria di Carlo Bini (31 ot-
tobre 1860), in Scritti letterarii, Torino-Milano, Guigoni, 1862, pp. 313-360.
14
Federigo Tozzi, Un dimenticato: Carlo Bini (1918), in Realt di ieri e di
oggi, ristampa anastatica delledizione originale (pref. di Giuseppe Fanciulli, Mila-
no, Alpes, 1928), Amadeus, Treviso, 1989, p. 195. Come rileva Giovanni Maffei (in
Carlo Bini traduttore di Sterne, cit., p. 344), fu proprio Mazzini con la sua affet-
tuosa prefazione del 1843 a fondare una tradizione di giudizi limitativi destinata a
lungo credito: Bini poeta inespresso, o espresso solo a sprazzi; per il contesto ino-
spitale, sociale o teorico; per la morte precoce []; per i prevalenti e quindi dele-
teri interessi ideologici e politici; per le carenze della cultura e dellispirazione,
inette a imporre ordine e armonia nelle sparse promesse, nelle pur brillanti intui-
zioni, ecc.. Sulle fasi della contrastata fortuna critica di Bini, cfr. Lucia Mari,
Carlo Bini e la critica, nellopera collettiva Carlo Bini (nel centenario della morte),
cit. e ora lagile e documentata ricostruzione in Tommaso Scappaticci, Lo scritto-
re emarginato, cit., pp. 5-156.
15
Cfr. Francesco De Sanctis, La scuola democratica, in La letteratura ita-
liana nel secolo XIX, Napoli, Morano, 19227, p. 401 (e, al riguardo, Tommaso Scap-
paticci, Lo scrittore emarginato, cit., pp. 44-45).
16
Cfr. Giosu Carducci, Mosche cocchiere, in La Vita italiana, 16 marzo
1897, p. 580 (e, in proposito, Tommaso Scappaticci, Lo scrittore emarginato, cit.,
pp. 51-52).
198 ragionar di s

citare due giganti delle nostre lettere che si sono occupati fugace-
mente di Bini, ci sono voluti gli studi di Nicola Badaloni e soprat-
tutto di Sebastiano Timpanaro per attestare un poderoso colpo a
quellimmagine e tratteggiare larticolato ritratto di Bini come
scrittore maturo: il ritratto dellautore rivoluzionario del Mano-
scritto di un prigioniero e del Forte della Stella depurato il pi pos-
sibile ovvero per quanto consentono testi, documenti e testimo-
nianze sagacemente compulsati dai fraintendimenti di amici e
estimatori premurosi di tramandarne, s, la memoria ai posteri, ma
a modo loro.
Davanti a quel fiore a cui il sole manc che sarebbe Bini nel-
le testimonianze di Mazzini e Guerrazzi17, sono purtroppo ancora
attuali le parole che nella citata epigrafe mazziniana seguono e
completano quellimmagine: pochi / [] ne raccolsero sulla ter-
ra / il profumo. Chi lo legge oggi si andato a unire al novero di
quei pochi che alla morte dello scrittore consistevano negli ami-
ci e conoscenti che sostennero la spesa delledizione postuma dei
suoi scritti (1843) , rimpinguandolo poveramente. Il manipolo de-
gli estimatori di Bini infatti leggermente lievitato negli ultimi de-
cenni e non pu che rallegrare la notizia che da circa dieci anni se
ne pu raccogliere il profumo anche oltralpe18. Sono ormai lon-
tani i tempi in cui uno studioso francese del romanzo italiano
prontamente rimbrottata da Giovanni Rabizzani discorreva del

17
Limmagine mazziniana del fiore calpesto da molti, inavvertito dai pi, al
quale mancarono laria e il sole ritorna sia nella prefazione mazziniana alla prima
edizione degli scritti biniani (Ai giovani, in Scritti editi e postumi, cit., p. ix), che
in Guerrazzi (cfr. la citata lettera a Angelica Palli Bartolomei, in Scritti scelti di
Francesco Domenico Guerrazzi e di Carlo Bini, cit., p. 661: Quei suoi scritti sono
belli, anzi bellissimi, per un giovane che scriveva nel 26, 27; aveva 21 anni, ma
quei fiori non si possono dare per frutti). Come ha notato Giorgio Fontanelli, Bi-
ni stesso in molti luoghi delle sue opere [] inconsapevolmente collaborava alla
legittimazione di quel clich del quale doveva poi rimanere vittima (Giorgio
Fontanelli, Lo spirito del Risorgimento nellopera letteraria di Carlo Bini, in Rivi-
sta di Livorno, x, 2-3, 1960, pp. 204-209).
18
Risale al 1991 la traduzione francese del Manoscritto biniano, Manuscrit
dun prisonnier, traduit par Franois Bouchard, Paris, Jos Corti, 1991, comparsa
nella collana di auteurs romantiques; Bini viene l ascritto al filone sterniano che
attraversa lOttocento italiano, da Foscolo a Raiberti, a Dossi.
iv. carlo bini 199

valore puramente documentario del Manoscritto di un prigionie-


ro 19: se proprio in terra francese si conta oggi una traduzione del
libro, una recente antologia di scritti memorialistici dellOttocen-
to accoglie il Manoscritto discorrendo di come esso esuli dalla tra-
dizione memorialistica anche perch ha valore pi letterario che
documentario20. La difficile alchimia21 dellarte di Bini ha co-
minciato a incantare un numero crescente di lettori. Soprattutto
ed da qui che voglio cominciare aveva incantato un lettore ec-
cellente allinizio del Novecento.

2. a margine di uno scritto di tozzi su bini

Si deve a Tozzi un coraggioso invito alla lettura degli scritti di Car-


lo Bini22. In un articolo del 1918, che si apre con la parola forse
ma poi procede con ostentata sicurezza dritto alla meta (Noi []
siamo convinti che [Bini] meriti un bel posto tra i nostri scrittori
moderni23), lautore senese propugnava una lettura di Bini final-
mente non inficiata da alcun pregiudizio patriottico, fino a chie-
dere che uno scrittore di tale fatta non sia pi tenuto su la soglia del-
luscio; per farlo entrare con gli altri migliori della nostra letteratu-
ra. Dietro questa intensa rivendicazione del valore misconosciuto di
Bini, da parte di Tozzi sta la convinzione che il Manoscritto di un pri-

19
Si allude a Jean Dornis, Le roman italien contemporain, Paris, Ollendorf,
1907, p. 18, cit. polemicamente in Giovanni Rabizzani, Sterne in Italia. Riflessi
nostrani dellumorismo sentimentale, con pref. di Odoardo Gori, Roma, Formggi-
ni, 1920, p. 145, n. 3.
20
Cfr. I memorialisti del XIX secolo, scelta e introduzione di Lucia Martinel-
li, cit., p. 87.
21
Gaetano Mariani, Il romanticismo di Carlo Bini, in Convivium, xviii,
3-4, 1950, poi, con il titolo Carlo Bini, ovvero un pastiche mancato, in Ottocento
romantico e verista, Napoli, Giannini, 1972, pp. 81-94: 93.
22
Marziano Guglielminetti, Introduzione, in Carlo Bini, Il Manoscritto
di un prigioniero ed altro, cit., pp. 5-18, poi, rivista, con il titolo Il manoscritto di un
prigioniero, in Marziano Guglielminetti, Gertrude, Tristano e altri malnati, cit.,
pp. 63-75, da cui si cita: p. 63.
23
Federigo Tozzi, Un dimenticato: Carlo Bini, cit., pp. 193-194. Le citazio-
ni che seguono, ivi, pp. 194, 203.
200 ragionar di s

gioniero tale opera che soltanto ora la nostra sensibilit critica pu


cominciare a studiarla: soltanto ora, cio, che si sono lasciati alle
spalle certi pregiudizi patriottici, con i quali impastata la storia
della nostra letteratura durante il risorgimento nazionale.
Di quei pregiudizi in realt si contavano esempi ancora recenti
nei giorni in cui scriveva Tozzi. Non a caso il Manoscritto di un pri-
gioniero (noto, sebbene in forma gravemente mutilata dalla censu-
ra, sin dal 1843 e poi dalle edizioni integrali del 1869 e del 190024)
non aveva trovato posto nelle Letture autobiografiche di scrittori del-
let moderna scelte e commentate da Letterio Di Francia nel 1912
per la Carducciana. Eppure unampia sezione, incuneata tra
quelle riservate agli Avventurieri e ai Letterati e quella devolu-
ta agli Artisti, era l dedicata a Martiri e patriotti e raccoglieva
pagine esemplari di minori dellOttocento, dando largo spazio agli
scritti del carcere: vi figurano Guglielmo Pepe, Giorgio Pallavicino,
Giovanni Arrivabene, Silvio Pellico, Giuseppe Mazzini, Carlo Cat-
taneo, Giuseppe Montanelli, Marco Minghetti, Sigismondo Ca-
stromediano, Luigi Pastro, Giovanni Visconti Venosta, Enrico
Della Rocca, Giuseppe Cesare Abba, Giuseppe Garibaldi e Anton
Giulio Barrili. Il Manoscritto biniano non vi aveva trovato posto
perch era un testo assai poco conforme a quellideale nazionalri-
sorgimentale e a quellinteresse per certe vite altamente paradig-
matiche (vorremmo dire boi ) che ispiravano la raccolta del Di
Francia25.
Fa forse poco testo la sbrigativa denuncia dei limiti di chi fino
ad allora si era occupato di Bini26 avanzata da Tozzi in apertura

24
Si allude, rispettivamente a Carlo Bini, Scritti editi e postumi, cit. e a
Scritti editi e postumi di Carlo Bini, con saggio introduttivo di Giuseppe Levanti-
ni-Pieroni, Firenze, Successori Le Monnier, 1869 (poi, con il titolo Scritti di Carlo
Bini, seconda edizione notevolmente accresciuta per cura di Giuseppe Levantini-
Pieroni, ivi, 1900). Unedizione finalmente affidabile del Manoscritto e del Forte
della Stella stata recentemente ricostruita da Gino Tellini in Carlo Bini, Mano-
scritto di un prigioniero e altre cose, a cura di Gino Tellini, Palermo, Sellerio, 1994
(dora innanzi semplicemente: Manoscritto di un prigioniero e altre cose ).
25
Luigi Baldacci, Presentazione, in Letture autobiografiche di scrittori dellet
moderna, cit., p. xiv. Sui principi ispiratori dellantologia del Di Francia, mosso da
intenti pedagogici, cfr. in particolare ivi, pp. xiii-xiv.
26
Marziano Guglielminetti, Il manoscritto di un prigioniero, cit., p. 63.
iv. carlo bini 201

del suo articolo; e, c da aggiungere, lo scrittore pecca di ingenuit


nellattribuire interamente allantipatia per Pellico la genesi del
Manoscritto (Al Bini era antipatico il Pellico; e senza tale ragione
noi non avremmo questa sua opera)27; ma nelluno e nellaltro ca-
so c del vero. Per il primo aspetto, Tozzi ha ragione quando met-
te sotto accusa limpostazione di taglio nazionalrisorgimentale e
moralistico della storia letteraria tardo-ottocentesca, la quale non
poteva trovare soddisfazione in uno scrittore per niente patriottico
come Bini28. Per quanto riguarda laccenno a Pellico, vero che per
molti versi il Manoscritto si configura come le anti-Mie prigioni ;
sebbene il suo significato non si esaurisca l. Non interessa qui per
enumerare meriti e limiti dellarticolo tozziano, ma riflettere sui
perch di quella strenua e appassionata rivendicazione del valore di
Bini; col convincimento che dalla lettura di uno dei maggiori del
nostro Novecento possano venire elementi utili a decifrare un mi-
nore del nostro Ottocento verso cui la critica e le storie letterarie
sono state troppo a lungo troppo ingrate.
A motivare perch uno dei maggiori autori novecenteschi si
dichiara convinto che Bini merita un bel posto tra i nostri scrit-
tori moderni, che non teme il tempo ed, infine, che sotto le
brutte ceneri della dimenticanza, s conservato a meraviglia ci ha
gi pensato un interprete di Bini29. La risposta convince per fino
a un certo punto: se lobiettivo era (come sembra, e va tutto a me-
rito dello studioso) mostrare perch a un lettore del Novecento Bi-
ni pu rivelarsi autore moderno, da riscoprire, ci siamo; ma se si
fosse voluto mostrare perch a Tozzi proprio a Tozzi Bini sem-
br un grande scrittore ingiustamente dimenticato, allora bisogna-
va prestare meno orecchio allopera del livornese e pi invece al-
larticolo tozziano. Che , s, un saggio meritorio come rivendica-

27
Federigo Tozzi, Un dimenticato: Carlo Bini, cit., p. 194.
28
Lo stesso Timpanaro, ridimensionando notevolmente il valore critico del-
larticolo tozziano, ha riconosciuto allo scrittore senese il merito di essere stato il
primo a sottolineare la sostanziale mancanza, in Bini, di sentimento patriottico
(Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., p. 261n.).
29
Cfr. Marziano Guglielminetti, Il manoscritto di un prigioniero, cit., pp.
63 sgg., da cui tratta la citazione.
202 ragionar di s

zione, ma sostanzialmente estraneo allideologia e allarte del Bi-


ni30: e, va detto, lestraneit dellarticolo allideologia e allarte di
Bini direttamente proporzionale alla sua aderenza allideologia e
allarte di Tozzi. Se ci si sofferma a pensare che lautore novecente-
sco del saggio in questione risponde al nome di Federigo Tozzi, il
ritratto del livornese l tratteggiato si rivela tendenzioso perch, in
fondo, autobiografico. Colpisce il lettore di Tozzi quanto il Bini di
quellarticolo sia soprattutto fascinoso personaggio tozziano, per
caratteri suoi propri cui fanno da cassa di risonanza suadenti auto-
proiezioni dello scrittore senese:

Forse, nessun altro scrittore quanto Carlo Bini lascia nel nostro ani-
mo un senso di giovinezza dolorosa e affrettata.

Carlo Bini era nato faceto e burlone; e in vece la sorte e la vita gli cam-
biavano il sorriso in una contrazione nervosa.

Il Bini era un solitario anche letterariamente; e nessuno andava a di-


sturbarsi per lui.

Il Bini era un timido: ma di quelli che di dentro son tutta energia e fer-
vore; di quelli che piangono senza che li senta e li veda nessuno. Ma rie-
scono a pigliare il sopravvento con certe loro violenze senza ritegno, sfac-
ciate, quando dicono quel che gli altri non si arrischierebbero n meno.

Ma il Bini anche uno dei nostri paesaggisti moderni che pi savvi-


cinano a quegli elementi psicologici che sembrano apparire solo a contat-
to con la natura; quando il nostro spirito quasi si completa e trova da se
stesso unesistenza pi profonda; come se riuscisse ad esprimere per mez-
zo delle cose sensibili certi sentimenti che in altro modo resterebbero non
solo indefinibili ma anche senza espressione31.

30
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., p. 261n.
Quasi un autoritratto ha definito lo scritto tozziano su Bini Giorgio Luti, che in-
dica come nel livornese Tozzi trovasse un compagno di strada scoperto dimprov-
viso (cfr. Giorgio Luti, Due paragrafi per Federigo Tozzi. i [1983], in Cronache dei
fatti di Toscana. Storia e letteratura tra Otto e Novecento, Firenze, Le Lettere, 1996,
pp. 132-133).
31
Federigo Tozzi, Un dimenticato: Carlo Bini, cit., rispettivamente, pp. 193,
iv. carlo bini 203

C dellaltro. Nella sua proposta di lettura Tozzi procede per as-


saggi staccati di cose belle e notevoli32 tratte dal Manoscritto di un
prigioniero, dalle lettere al padre e dal breve Cenno sulla letteratura
(edito sullIndicatore livornese del 28 settembre 1829). Per quel che
riguarda lopera maggiore, il Manoscritto, spicca come le citazioni
scelte dallautore senese siano tutte o quasi esemplificative di un uni-
co aspetto della scrittura di Bini: il gusto per le immagini fantastiche,
le fantasticherie tra tragico e grottesco che attestano una delle
varianti dellironia biniana33. Colpisce cos, in quella sorta di anto-
logia minima dellopera biniana che Tozzi intesse a sostegno della sua
rivendicazione, la presenza di immagini che si confanno allo scritto-
re visionario di Con gli occhi chiusi; e gli si confanno a tal punto che
di quasi identiche se ne trovano in Con gli occhi chiusi e in Tre croci.
Cominciamo dalla meno significativa (perch la pi casuale). Dopo
il passo su Bini paesaggista moderno poco fa citato, scrive Tozzi:

A un certo punto del suo Manoscritto, quando sembra che il prigio-


niero riesca a trovare in se stesso quel che non aveva mai desiderato, il Bi-
ni mette insieme questo paesaggio; che, se ha un difetto, di esser trop-
po fatto di umanit. Egli scrive: Non mi giova il passeggiare; vado in su
e gi per i dodici passi della mia prigione, e di l a poco torno a sedermi
con la vertigine []34.

Ai lettori di Con gli occhi chiusi vengono in mente, mutatis mu-


tandis, i movimenti che davano a Pietro un malessere come
quello delle vertigini35. Tozzi intanto continua la citazione dal
Manoscritto :

195, 195, 196-197, 199. A proposito della giovinezza [] affrettata del primo dei
cinque passi qui citati, Gino Tellini ha parlato di oscuro presagio autobiografico
(Gino Tellini, Carlo Bini, scrittore postumo e clandestino, in Carlo Bini, Mano-
scritto di un prigioniero e altre cose, p. 190; il saggio si legge anche in Gino Telli-
ni, Larte della prosa. Alfieri, Leopardi, Tommaseo e altri, Firenze, La Nuova Italia,
1995, pp. 117-137).
32
Federigo Tozzi, Un dimenticato: Carlo Bini, cit., p. 201.
33
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., pp. 230, 233.
34
Federigo Tozzi, Un dimenticato: Carlo Bini, cit., p. 197.
35
Cfr. Id., Con gli occhi chiusi, in Opere, a cura di Marco Marchi, introdu-
zione di Giorgio Luti, Milano, Mondadori, 1987, 19954, p. 20.
204 ragionar di s

[] Se mi affaccio, vedo, vero, un bel cielo, ma le sbarre, che mi


traversano locchio, me lo tingono color di ferro; vedo un cerchio di mon-
ti, e mi paion sepolcri; vedo una mandria di soldati, che la disciplina mi-
litar ha saputo convertire in altrettanti arcolai. [] Non posso pi pen-
sare n al passato n allavvenire, spaz cos vasti, e cos comodi per il di-
porto dello spirito. Son confinato nel presente, e il presente di un carce-
rato non gi il tempo con le ali velocissime: una figura di piombo
sdraiata in un canto36.

Il cielo che trascolora tinto color di ferro dalle sbarre che tra-
versano locchio di chi guarda e il tempo raffigurato non classica-
mente con le ali velocissime ma identificato, senza neanche il tra-
mite rassicurante della similitudine, in una figura di piombo
sdraiata in un canto sono immagini allucinate che potrebbero
sbucare anche da qualche pagina tozziana, senza che nessuno si
meravigli. E i monti che paion sepolcri non sono lontani dai vi-
coli di Fontebranda come tanti baratri attraversati da Giulio
Gambi in Tre croci 37.
Con questo si vuol dire che solo Tozzi proprio Tozzi, e non
un altro lettore novecentesco poteva cogliere e propugnare in
quei termini, nel 1918, la modernit di Bini e della sua singolare ar-
te letteraria, tratteggiando un autoritratto pi che un ritratto. Lo-
riginalit tutta da scoprire di Bini si sarebbe pi tardi chiarita per
quel che : non consiste (almeno non soltanto, e non principal-
mente) nei tratti tragici, grotteschi e anche visionari che contrad-
distinguono talora la sua ironia e che tanto piacevano a Tozzi, ma
affonda le radici nella sua parabola ideologica che, approdando al
materialismo, allantiprovvidenzialismo, al comunismo38,
allorigine di un esperimento assolutamente eccentrico e isolato nel
quadro nella prosa del nostro primo Ottocento quale il Manoscrit-
to di un prigioniero. Ed una miscela sperimentale in cui il con-
trasto irrisolto e lirrazionale, aveva visto bene Tozzi, hanno un
ruolo precipuo.

36
Id., Un dimenticato: Carlo Bini, cit., pp. 197-198.
37
Id., Tre croci, in Opere, cit., p. 236.
38
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., p. 264.
iv. carlo bini 205

3. il rifiuto del romanzo e della memoria

Il Manoscritto di un prigioniero, steso da Bini durante la breve de-


tenzione (dal 2-3 settembre al 15-20 dicembre 1833) nel carcere el-
bano del Forte della Stella, opera singolare nel panorama dellau-
tobiografia e della narrativa italiana di primo Ottocento innanzi-
tutto per il genere. s un testo autobiografico legato allesperien-
za della prigionia, ma non ascrivibile a nessuna tipologia conso-
lidata che possa venire in mente: n alla memorialistica carceraria,
n alla confessione di carattere autoapolegetico, difensivo, e nean-
che al diario. Non mancano n parti narrative, n momenti rifles-
sivi e speculativi, n pagine autointrospettive con lannotazione di
data e luogo della loro stesura, ma non ci sono gli estremi che per-
mettano di scegliere una etichetta calzante e soddisfacente; niente
che rimandi compiutamente alla finzione romanzesca, allaffresco
di un memoriale, allautoapologia, allautobiografia intima e nep-
pure alla cronaca diaristica dei giorni del carcere. Il Manoscritto ap-
pare come libro s autobiografico, ma di riflessioni39; maturato s
in carcere da un prigioniero politico del nostro Ottocento, ma ec-
centrico rispetto alla memorialistica risorgimentale cos come a
ogni altro canone della tradizione letteraria autobiografica.
Alla singolarit di genere si accompagna una singolarit di
struttura: parti apertamente saggistiche e ragionative si affiancano
e si alternano a sequenze narrative e drammatiche, in un pastiche
variato dal rapido mutare dei registri espressivi e tenuto insieme
dalla particolare fisionomia della voce narrante in prima perso-
na40. Difatti, nel corso degli anni le definizioni di un oggetto co-
s atipico41 come il Manoscritto si sono sprecate: racconto sternia-
no, libro memorialistico anche se disordinato e convulso, pastiche
malriuscito perch mero effetto dimmediatezza autobiografica o
di deficitario controllo estetico42, eccentrico libro di riflessioni,
saggio-diario. Eccentrico comunque: come romanzo, come me-

39
Gino Tellini, Carlo Bini, scrittore postumo e clandestino, cit., p. 200.
40
Ibidem.
41
Giovanni Maffei, Carlo Bini traduttore di Sterne, cit., p. 344.
42
Ibidem.
206 ragionar di s

morie o diario del carcere, come libro di riflessioni. Dunque, spe-


rimentale da qualunque verso lo si pigli.
Oggi non si crede n al Bini tutto impeto e naturalezza del suo
primo interprete43, secondo il mito dello scrittore spontaneo e in-
costante, che non si d cura e pensiero della forma; un mito radi-
cato sin dalle testimonianze epistolari del contemporaneo Giusti44
e in ossequio al quale si letto il Manoscritto come testo ch cos
sui generis semplicemente perch privato e steso di getto da un au-
tore che sapeva scrivere soltanto in quel modo, currenti calamo.
Come non si crede pi al Bini tutto sterniano di Rabizzani45, che
riconduceva la miscela singolare e variata delloperetta interamen-
te allimitazione del modello offerto dallamato scrittore irlandese:
n luno n laltro hanno retto a un confronto-verifica [] con la
pagina46, che, se letta attentamente, testimonia piuttosto del pa-
stiche biniano come scelta artistica cosciente e in gran parte origi-
nale. Ma a causa di quegli equivoci sulla presunta spontaneit e
immediatezza della sua variatissima prosa o su una pedissequa imi-
tazione di Sterne, su Bini pesano pagine elogiative e limitative.

43
Cfr. Giuseppe Levantini Pieroni, Introduzione, in Carlo Bini, Scritti
editi e postumi, cit., e la relativa discussione di Luca Toschi, Il rifiuto di Carlo Bi-
ni livornese, in Belfagor, xxxiv, 3, 1979, pp. 249-250.
44
Cfr. Giuseppe Giusti a Silvio Giannini, in Giuseppe Giusti, Epistolario,
ordinato da Giovanni Frassi, 2 voll., Firenze, Le Monnier, 1863, ii, pp. 2-3; poi ri-
stampato a cura di Ferdinando Martini, 5 voll., Firenze, Le Monnier, 1932, i (1822-
1843), pp. 560-561: Il Bini aveva molto ingegno, molto acume, molta lettura: ave-
va quella quieta malinconia che fa vedere le cose per un lato che molti non vedo-
no, e che invece di maledire si contenta di pungere; ma non era scrittore, forse per
non aver avuto tempo e per non essersi curato desserlo Non era sano, era stato
sempre in un solo giro di persone e di cose, era o sgomento o quasi sgomento di
s e degli altri. Di qui, secondo me, il bisogno di appuntare sulla carta ci che gli
passava davanti, e nello stesso tempo lincuria di pensare al poi e vivendo e scri-
vendo. Lingegno lo portava a pensare, la nausea e la fibra a tirar via, contento des-
sersi sfogato in qualche modo, senza badare pi oltre.
45
Cfr. Giovanni Rabizzani, Bini, in Sterne in Italia, cit., pp. 141-150 (e si ve-
dano i rilievi in proposito di Luca Toschi, Il rifiuto di Carlo Bini livornese, cit., p.
250).
46
Luca Toschi, Il rifiuto di Carlo Bini livornese, cit., p. 251. Sulloriginalit
della scrittura di Bini rispetto a Sterne, pur suo innegabile maestro di variet com-
positiva e stilistica, cfr. soprattutto Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su
Carlo Bini, cit., pp. 228-229.
iv. carlo bini 207

Uno scrittore difficile che il pi delle volte delude, che dopo aver-
ci donato una splendida immagine, ci tedia con un complesso e
slegato ragionare, lo definiva Gaetano Mariani nel 1950, lasciando
immutato il giudizio ventanni dopo47; e il Manoscritto era allora
un pastiche mancato, in cui lautore anestetizza la convinzio-
ne di una sua fondamentale incapacit allespressione prendendo
in prestito da altri autori forme e costrutti48. Non siamo troppo
lontani dalla linea promossa, negli stessi anni ma da una angola-
zione diversa, anche da Trombatore49, che ascrive lopera senzaltro
allambito della memorialistica; se i conti non tornano quando poi
ci si mette a leggere il Manoscritto, perch esso il memoriale non
di un solido patriota come Mazzini bens di un democratico
eversore e rivoluzionario, ma anche inesorabilmente fiaccato dal-
lo scetticismo e che come tale, sentendosi impotente, cerca un
illusorio rifugio nellumorismo alla Sterne e si abbandona a uno
sfogo di sentimenti vivi e brucianti; il quale sfogo, ineluttabil-
mente, si veste di una scrittura incontrollata e volubile. In-
somma, unopera memorialistica a tratti affascinante, ma, al co-
spetto degli altri grandi e posati monumenti della nostra memo-
rialistica ottocentesca, effusiva e che accusa [] il difetto di
unulteriore elaborazione. La controprova si trova, per linterpre-
te, nella scelta di Bini di lasciare inediti i suoi scritti: cosaltro vuol
dire se non che lautore stesso, a mente fredda, li considerava co-
se vane?
Linsistenza a ricondurre il Manoscritto al genere delle memo-

47
Gaetano Mariani, Carlo Bini, ovvero un pastiche mancato, cit., p. 81.
48
Ivi, p. 89.
49
Cfr. Gaetano Trombatore, Introduzione, in Memorialisti dellOttocento,
cit., i, pp. xxii-xxiii, da cui sono tratte le citazioni che seguono. Trombatore si
concentra, dato limpianto della sua antologia, su una interpretazione del libello
biniano in chiave politica e fa discendere i tratti peculiari della scrittura del Ma-
noscritto dallinstabilit dellideologia di Bini (contrapposta alla solida imposta-
zione del Mazzini) e da una crisi di sfiducia dellautore verso i rivolgimenti con-
temporanei: lumorismo alla Sterne allora una scelta stilistica conseguente allo
scetticismo e a un sentimento di impotenza; la spiccata versatilit e variet dei
toni (il variare di toni da un estremo allaltro) non lesito di un consapevole
progetto artistico, ma non altro che tratto intrinseco a una scrittura ch solo sfo-
go urgente e immediato, dunque estemporanea e volubile.
208 ragionar di s

rialistica carceraria, sebbene esso si mostri refrattario a questa co-


me a ogni altra etichettatura, riposava su una ragione profonda.
Non scaturiva solo da una lettura frettolosa delloperetta che non
sappia (o non voglia) enucleare la nuova ideologia politica e socia-
le l espressa da Bini, ormai lontano dal mazzinianesimo, dal suo
rivoluzionarismo cospirativo e, conseguentemente, dalle sue solide
pose pedagogiche; n nasceva soltanto da una indagine superficia-
le sugli aspetti strutturali e formali del Manoscritto che non sia in
grado di rivelarli come il frutto di una matura e consapevolmente
antitradizionale scelta artistica:

ladeguamento di Bini a un genere canonizzato dalla tradizione si confi-


gurava come una sorta di riconoscimento della dignit storico-artistica
della sua opera, daltra parte era anche un modo per esorcizzarne la di-
versit e attuare, sul piano letterario, il progetto di normalizzazione ten-
tato dalla critica ottocentesca sul piano ideologico50.

La questione della particolarit di questa scrittura, difficilmen-


te assimilabile ad alcun genere, primo fra tutti proprio quello me-
morialistico a cui se non altro la drammatica occasione del carcere
spinge istintivamente ad assimilarlo, negli ultimi decenni ha co-
minciato a trovare delle risposte pi chiaroscurate51. Strattonato,
quasi sempre con ottime e circostanziate ragioni, tra memorialisti-
ca e pamphlet, tra autobiografia e romanzo, il Manoscritto di un pri-
gioniero andato allora incontro a persuasivi tentativi di valutarne
compiutamente la posizione non tanto nel quadro della memoria-
listica, quanto in quello della narrativa del primo Ottocento. Ne
venuto fuori, allora, anzitutto il rifiuto del romanzo, della macchi-
na narrativa come incapace di conoscere e tanto meno spiegare il
mondo, con la conseguente assunzione di una scrittura sperimen-
tale che mischia consapevolmente molteplici forme discorsive tese

50
Tommaso Scappaticci, Lo scrittore emarginato, cit., p. 118.
51
Cfr. Marziano Guglielminetti, Il manoscritto di un prigioniero, cit., pp.
66 sgg.: Quel che importa sottolineare, anche grossolanamente, limpossibilit
di annoverare il Manoscritto di un prigioniero nella memorialistica risorgimentale,
se non a rischio di stravolgere la sostanza, le forme ed il messaggio.
iv. carlo bini 209

a riprodurre la complessit del reale52. Senza dimenticare che alla


base del rifiuto biniano del romanzo stanno ragioni di ordine non
solo conoscitivo ma anche sociologico: il romanzo primottocente-
sco prodotto borghese fruito da un pubblico borghese; e que-
stultimo, il popolo in accezione romantica, non era, non poteva
essere, linterlocutore del nostro53. Gli interlocutori ideali (ideali e
irrangiungibili) di Bini, lontano dal populismo astratto dei mode-
rati toscani come anche dei mazziniani o guerrazziani, sono sem-
pre pi il proletariato e il subproletariato urbano: un popolo di
operai e navicellai, per comunicare coi quali la letteratura non
serve54; piuttosto [] figli della plebe che del popolo, distingue-

52
Si veda la sagace e avvincente lettura di Luca Toschi, Il rifiuto di Carlo Bi-
ni livornese, cit. Cfr. anche Barbara Silvia Anglani, Sul Manoscritto di Carlo
Bini, in Studi italiani, viii, 1, 1996, pp. 19-33: Troppo spesso scambiato, oltre
che con un diario, con un pamphlet o un ibrido in concluso, il Manoscritto deve
essere ricondotto alla sua natura di esperimento, di cosciente intervento critico nel
dibattito sulla forma del romanzo, specie di fronte al grande successo ottenuto dal-
la narrativa storica (ivi, p. 19). Non si parla in questo caso tanto di rifiuto, quan-
to di risposta al problema del romanzo articolata su una dirompente proposta:
un umorismo basato sulla commistione di generi letterari diversi e sullosserva-
zione partecipata alla realt del suo tempo contro la separazione degli stili, al fi-
ne di creare un prodotto artistico che rispecchi la complessit della vita e della
situazione politica contemporanea (ibidem).
53
Cfr. Luca Toschi, Il rifiuto di Carlo Bini livornese, cit., pp. 260-261: era
[] lambito sociologico in cui si muoveva il romanzo nel primo Ottocento che
non soddisfaceva lo scrittore livornese. Si sa, invero, che il Bini aveva fatto una
scelta precisa eleggendo a suo diretto ed unico interlocutore il popolo [], specie
dopo il fallimento delloperazione Indicatore livornese, aveva deciso di concen-
trare le proprie energie nel tentativo di sensibilizzare la base operaia legata al gran-
de movimento del porto labronico. Dovr prima essere rinchiuso, isolato da tutti,
bisogner che il Granduca lo releghi in una torre, anche se in questo caso non
eburnea, perch decida di riprendere a scrivere rivolgendosi a quelluditorio che
ormai non era pi il suo interlocutore.
54
dato su cui convergono numerose testimonianze e ricostruzioni biogra-
fiche. Cfr., a titolo desempio, le parole di Giovanni La Cecilia, in Memorie stori-
che-politiche (1876), a cura di Ruggero Moscati, Milano, Fasani, 1946, pp. 45-46,
da collocarsi intorno al 1826-1828: Bini [] amava ardentemente i pi sventura-
ti delle classi lavoratrici. [] educ moltissimi operai al culto della patria e della
libert; e lampia ricostruzione di Ersilio Michel, Carlo Bini cittadino e patrio-
ta, nellopera collettiva Carlo Bini (nel centenario della morte), cit., p. 5. Si ricordi-
no, infine, anche le parole sulla lapide apposta alla casa dove Bini era nato det-
210 ragionar di s

va Guerrazzi ricordando lamico di un tempo55. Lideologia binia-


na della maturit, allaltezza del 1833 del Manoscritto, scavalcata la
fase romantica e mazziniana degli anni fino allIndicatore livorne-
se, inconciliabile con lambito sociologico in cui si muove la nar-
rativa primottocentesca. Se gli uomini del foglio azzurro tre lu-
stri prima avevano marciato incontro al romanzo come forma let-
teraria popolare ovvero moderna e borghese , Bini la rifiuta co-
me forma letteraria appunto borghese; la quale, come ogni pratica
letteraria, non raggiunge, per usare le parole di un suo collega no-
vecentesco, il popolo digiuno, il popolo illetterato56.
Un rifiuto altrettanto netto e altrettanto profondamente moti-
vato si scorge anche nei confronti della memorialistica carceraria,
di cui appena lanno prima Le mie prigioni avevano offerto un
esempio cos fortunato e, nel loro spiritualismo e intimismo con-
solatorio, cos radicalmente antitetico alla ideologia biniana da
configurarsi come ineludibile termine di confronto. Si veda cosa
accade al motivo della prigionia da cui il Manoscritto prende le
mosse. Con questo tema Bini si era confrontato letterariamente tre
anni prima di provare il carcere sulla propria pelle, nella traduzio-
ne dal byroniano poema romantico Il prigioniero di Chillon 57: l
chi scrive il misero avanzo di tre fratelli gittati in una carcere
presso il lago di Ginevra, autore di pagine tragiche e luttuose, det-
tate da un dolore devastante che si spinge fino alle soglie della fol-
lia. Quando tocca a Bini, tutto ci che egli scrive in carcere lega-
to allesperienza della prigionia (con leccezione dei versi autobio-

tate da Guerrazzi dopo la morte dello scrittore: Di popolo nacque, col popolo vis-
se, popolano mor (cit. in Antonio Piromalli, Pellico e la memorialistica del car-
cere, cit., pp. 110-112).
55
Prima di avere preso usanza meco, [] aveva scelto gli amici suoi piutto-
sto tra i figli della plebe che del popolo (Francesco Domenico Guerrazzi, Me-
morie scritte da lui medesimo. A Giuseppe Mazzini intorno allAssedio di Firenze ed
ai casi della sua vita fino al gennaio 1848, Livorno, Poligrafica italiana, 1848, p. 34).
56
Piero Jahier, Dichiarazione (1916), in Poesie, Firenze, Vallecchi, 1964, p.
75, vv. 3, 9.
57
Cfr. Il prigioniero di Chillon. Poema romantico di Lord Byron, trad. di Car-
lo Bini (1830), in Scritti di Carlo Bini, cit., pp. 275-288, da cui sono tratte le cita-
zioni che seguono. Sul byronismo di Bini, cfr. soprattutto Toni Iermano, Fram-
menti di Risorgimento, cit., pp. 45 sgg.
iv. carlo bini 211

grafici dellAnniversario della nascita): la prosa Manoscritto di un


prigioniero, la scena unica Il Forte della Stella e i capitoli berneschi
A messer Agnolo carcerato contento (dedicatorio lavvocato pisano
Angelini). Vi si parla di prigionia, ma non nel modo in cui ci si po-
trebbe aspettare: niente che sia memorie del carcere. Anzi, se nel
Manoscritto Bini rigetta esplicitamente Le mie prigioni di Pellico su
un piano ideologico, per la pazienza cristiana a cui il Bini rifiuta
di adattarsi58, le rifiuta

implicitamente come modello di scrittura carceraria: il Bini parla, tutto


sommato, poco del suo stare in prigione e ne parla, nei cap. xvii e xx,
con unautoironia, e con le bellissime considerazioni sulla noia, che sono
toto caelo distanti dal libro del Pellico 59.

Rispettoso ma inorridito di fronte al libro educato alla Scuola


della Fede60 di Pellico, in carcere Bini non pensa di documentare
la sua esperienza di martire della patria. Il suo Manoscritto di un
prigioniero non questo: parte con una sorta di autopresentazione
dellio narrante, che esibisce con molta autoironia le sue creden-
ziali di uomo addestrato alla dottrina degli anni (ovvero dalle-
sperienza) e ammiratore del buon senso popolare incarnato in San-
cio Pansa (capitoli i-ii); prosegue sottoforma di frammenti fatico-
samente ricostruiti di una storia di denuncia e di satira sociale (le
vicende del prigioniero povero opposte a quelle del prigioniero ric-
co, dal capitolo iii); poi, svelato sin dalla fine del capitolo xi che lo

58
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., p. 220. Cfr.
Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero e altre cose, p. 100: O Silvio Pellico! io
non ti domando la tenera ispirazione, da cui sgorgava quella tua Francesca, che sar
un palpito del cuore finch lAmore sar una passione delluomo; ma ti domando
soltanto dinsegnarmi donde traesti la tua decenne pazienza, a costo di fare un fac
simile delle tue Prigioni, che io non tinvidio punto, n descritte n in pratica. Ma
di Bini si veda anche il Ricordo di Silvio Pellico (in Scritti di Carlo Bini, cit., p. 541),
breve nota scritta quando si sparse la falsa notizia della morte del Pellico, in cui
Bini ricordava di lui soltanto la Francesca da Rimini, [] ma taceva delle Mie pri-
gioni (Ernesto Sestan, Guerrazzi e il memorialismo toscano, cit., p. 27, n. 8).
59
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., p. 220.
60
Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero e altre cose, p. 11.
212 ragionar di s

scrittore stesso in carcere, continua come una congerie di pensie-


ri veementemente gettati sulla carta e apparentemente currenti ca-
lamo, con un picco speculativo nel finale, il passo di pi alta ten-
sione utopica di tutta lopera61 (xxii); ma non mai il resoconto
della propria prigionia. N tanto meno la propria autobiografia,
come quella che lamico Guerrazzi, primo e sconcertato lettore del-
lo scritto biniano, stava stendendo nella cella accanto62. Nel Ma-
noscritto del binomio sterniano life and opinions ben noto al no-
stro scrittore restano solo le opinioni. Se interessano gli aspetti do-
cumentari della prigionia di Bini, se si cerca la trascrizione di fatti
e pensieri del carcere, bisogna volgersi altrove: alla scrittura priva-
ta dellepistolario. Su come trascorra la giornata-tipo del prigionie-
ro, su come ristagni il tempo nelle pareti della cella, informano pi
le lettere al padre (sebbene scritte con laffettuoso intento di rin-
cuorare i familiari che talora edulcora la realt) che le poche e bel-
lissime pagine sulla noia nel capitolo xx del Manoscritto :

Del resto, come vi ho gi detto, la vita che io meno non ha bisogno


di troppi colori a dipingersi. La notte dormo quando posso; e quando no,
veglio fantasticando. Il giorno mi levo; passeggio un poco sopra uno spa-
zio di 12 passi; poi leggo; poi di nuovo passeggio; alle 2 un trattore ci man-
da il desinare a modo suo, il dopo pranzo la medesima canzone, finch
non torni lora di rimettersi a letto. Come vedete, una nota unica sopra
una corda unica. Per unora del giorno uno dopo laltro siamo condotti
a respirare allaperto; laria in questi luoghi balsamica, e fa buono al san-
gue. Di quando in quando viene a visitarci il Comandante della Piazza,
una gentil persona, di cui non conosco per anche il nome, e ci tratta pa-
ternamente. Talvolta mi affaccio ad osservare i soldati occupati nellopere
loro; in due o tre giorni ho compreso tutti i misteri della vita militare;
una vita che non eccita tentazioni. In somma, a dirvela schietta, io mi
annoio piuttosto che no, e lozio, che una volta io vagheggiava come co-
sa morbida e cara, oggi mio nemico giurato, e mi sta in dosso come un

61
Roberto Tacchinardi, Per una storia degli intellettuali rivoluzionari in
Italia: Carlo Bini e il Manoscritto di un prigioniero, cit., p. 81.
62
Per Guerrazzi lettore del Manoscritto gi durante la sua stesura, ai primi di
ottobre 1833, cfr. Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero e altre cose, p. 109. Sul-
le Note autobiografiche composte da Guerrazzi durante la prigionia al Forte della
Stella, cfr. Ernesto Sestan, Guerrazzi e il memorialismo toscano, cit.
iv. carlo bini 213

cilizio, ed io concorro coi padri della Chiesa a dichiararlo peccato morta-


le. Insomma questa monotonia tale, che a lungo andare pu convertire
lanima in un orologio a polvere63.

E ancora:

Mi dite chio scriva pi spesso. Io vi scriverei volentieri anche ogni


giorno; ma che devo dirvi? Devo raccontarvi delle novelle? Quando io vi
ho scritto che sto bene, non ho pi altro da dire. La vita del prigioniero
troppo semplice, troppo monotona; la vita del primo giorno la stessa
di tutti gli altri che seguono, dovessero moltiplicarsi ancora fino a cento
millanni. Immaginatevi un uomo solo solo, chiuso in due stanze, e pa-
drone di ventiquattrore; che deve fare? mangiare, leggere e dormire, dor-
mire, leggere e mangiare; un ritornello sempre su queste rime. Ed io di
fatti non faccio altro64.

Qualcosaltro invece Bini faceva; ed era scrivere. La prigionia


costrizione a una vita contemplativa, momento in cui mille gril-
li [] da mattina a sera gli svolazzano nel cervello65: quelli che non
si possono raccontare nelle lettere al padre, ma che si possono met-
tere nero su bianco nel proprio Manoscritto; che si possono scrive-
re, una volta tanto, senza lasciare le parole nella penna pensando al-
le forbici della censura e a quel pubblico che non c66. Se per scri-

63
Carlo Bini al padre [Giulio Bini], dallo Stella, 17 settembre 1833, in Scritti
di Carlo Bini, cit., pp. 342-343.
64
Carlo Bini al padre [Giulio Bini], dallo Stella, 22 novembre 1833, ivi, p. 354.
65
Carlo Bini al padre [Giulio Bini], dallo Stella, 17 settembre 1833, ivi, p. 341:
Ora la vita attiva si mutata in vita contemplativa: n io saprei cosaltro raccon-
tarvi, se pur non fosse la storia dei mille grilli, che da mattina a sera mi svolazza-
no nel cervello. Ma questo nol comporteremmo n voi, n io, n quei signori de-
putati a leggere tutto ci che scriviamo.
66
Cfr. Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., pp.
259-260: Il rapporto autore-pubblico, che era stato il problema che aveva indot-
to Carlo Bini al silenzio e al rinnegamento dei propri scritti romantico-mazzi-
niani [] aveva trovato, paradossalmente, una soluzione proprio nel periodo del-
la prigionia. C un rapporto autore-pubblico profondo, che consiste nellesprime-
re bisogni, esigenze di conoscenza e di liberazione []. La prigionia, proprio
escludendo del tutto per il momento, e rinviando caso mai a un futuro imprecisa-
bile, la questione del rapporto autore-pubblico in quanto comunicazione diretta
214 ragionar di s

vere servono tre cose chiarezza didee, uno stile a esse corrispon-
dente e un pubblico per cui scrivere67 , le prime due Bini le ha
conquistate attraverso una lenta maturazione che passa in parte per
i libri; in parte per loperato di giornalista e traduttore sulle pagine
dellIndicatore livornese; in parte per lattivit di cospiratore affi-
liato alla Carboneria prima e alla Giovine Italia poi; infine, in par-
te e sta qui la componente originale dellideologia biniana per
le esperienze plebee68 dello scrittore. Se, allaltezza della prigionia,
nel 1833, rimaneva insoluto, e per certi aspetti insolubile, il proble-
ma del pubblico per cui scrivere, proprio la totale, materiale im-
possibilit di un contatto con un suo pubblico e con qualsiasi pub-
blico, almeno a breve scadenza fornita dalla prigionia, costitu per
lui un incitamento a scrivere, intanto, per se stesso69.
Come obiettivo polemico Le mie prigioni sono probabilmente
presenti in filigrana pi di quanto non appaia a prima vista. Oltre
a rigettare esplicitamente la pazienza propagandata dal libro di
Pellico, il Manoscritto ribalta categoricamente, sin dallinizio, il te-
ma del valore provvidenziale della detenzione (caro a Pellico e fon-
damentale nelle sue memorie) in assurda irrazionalit della prigio-
nia70. Ed da ascrivere alloperetta anche laperto rovesciamento

del prodotto letterario, coi problemi connessi della censura, del tipo di lettore sia
pur clandestino a cui lautore avrebbe potuto rivolgersi, ec., mise Carlo Bini in una
eccezionale situazione di libert espressiva e di realizzazione del rapporto autore-
pubblico in quellaltro senso profondo a cui si accennava.
67
Ivi, p. 218.
68
Cfr. ivi, pp. 217-218.
69
Ibidem.
70
Si veda il paragrafo conclusivo del capitolo i del Manoscritto (Carlo Bini,
Manoscritto di un prigioniero e altre cose, p. 13). Cfr. pure Antonio Piromalli, Pel-
lico e la memorialistica del carcere, cit., pp. 110-112, dove sono riportati alcuni versi
di Bini proprio su questo tema: In una quartina che egli lasci scritto sulla porta
della sua cella a Portoferraio si legge: Stette qui Carlo Bini, un uomo reo / di-
rimpetto al Governo, e in tale ospizio / un dito non gli crebbe di giudizio, / ch
divent pi gobbo e meno altro! Un ghiribizzo giustiano sembrano i seguenti ver-
si nei quali, invece, c il motivo dellirrazionalit della prigionia: Un Barbagian-
ni che fa da Pavone / mi disse un giorno: Vada in prigione. / - Per qual ragione? /
Oh! si suppone. / - Ma il si suppone / non ragione! / Vada in prigione. / - Ma in
qual nazione / senza ragione / si va in prigione? / Ma che nazione! / Ma che ra-
gione! / - Che conclusione! / - Vada in prigione. / / Ma se ho ragione? / - Colla ra-
iv. carlo bini 215

del rapporto di timida umanit instaurato dal protagonista delle


Mie prigioni coi propri carcerieri. Per fare un esempio, si veda
quando Bini dice del suo prigioniero povero:

Vorrebbe dir mille cose, alcune poi vorrebbe dirle pregando, dirle an-
che piangendo; vorrebbe che portassero a casa sua una parola di amore,
una consolazione; e se invece di un carceriere avesse un uomo dinnanzi
lo supplicherebbe di portare almeno un pane ai suoi figlioli71.

Un lettore fresco delle Mie prigioni quale Bini doveva essere,


essendo le memorie di Pellico uscite nellautunno 1832 corre col
pensiero alla lista dei carcerieri umanissimi l esemplati in figure
come quella del secondino Tirola, davanti al quale Pellico si trova-
va ad ammettere: Mi viene, buon uomo, un pensiero che non ho
mai avuto: che si possa fare il carceriere ed essere dottima pasta72.
A sua volta il capocarceriere del Forte della Stella, il Profosso, che
vivacizza molte pagine del Manoscritto (per esempio nel capitolo
xvii) e che Bini rende oggetto di una descrizione tra tragico e grot-
tesco, la negativa del capocarceriere Schiller. Mentre nel Forte del-
la Stella rimanda per rovescio al libro di Pellico linterlocutore di
Carlo, Innocenzio Tienlistretti, commerciante livornese reaziona-
rio e benpensante che vuole estorcere confessioni al prigioniero
con una tecnica, insieme, da prete e da commissario di pubblica si-
curezza73: di nuovo siamo agli antipodi delle Mie prigioni, dove il
carcerato, nei rari colloqui che gli vengono offerti, sospetta sempre
di avere davanti una spia e nessuno invece lo mai. Senza contare
che allopposto delle Mie prigioni colloca il Manoscritto anche
uninfinit di riferimenti storici compresa la politica estera at-
tuale e di citazioni letterarie74, con una esposizione tesa che

gione / vada in prigione. / In conclusione / senza ragione, / colla ragione / sono in


prigione. Nellautografo (non pi ritrovato) del Manoscritto erano questi i [cos
nel testo] due versi: La prigione una lima si sottile / Che aguzzando il pensier
ne fa uno stile.
71
Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero, p. 30.
72
Silvio Pellico, Le mie prigioni, in Opere, p. 395.
73
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., pp. 225 e n.
74
Ivi, p. 235. Per ulteriori rimandi, cfr. Marziano Guglielminetti, Il ma-
216 ragionar di s

lontanissima dai ritmi narrativi distesi e dalle tonalit medie del


Pellico memorialista.
Dunque, n romanzo n memorie del carcere, entrambi generi
estranei allorizzonte ideologico di Bini. Viceversa, il Manoscritto
ha tutte le carte in regola per essere definito prosa morale, se le pe-
culiarit stilistiche della prosa morale stanno proprio in una li-
bert di contaminazione tra generi e di variazione stilistica che la
sottrae a ogni possibilit di chiara classificazione75. Rifiuto del ro-
manzo e della scrittura memorialistica: fin qui la pars destruens,
che, vero, nelle opere sperimentali spesso pi cospicua della pars
construens. Non cos in Bini, se ci si rende conto che il disordine
strutturale e stilistico esibito dalla sua operetta scelta strutturale
e stilistica consapevole; che il pastiche non affatto mancato ma
il riflesso del disaccordo tra ci che e ci che dovrebbe essere76
da cui la contestazione di Bini prende le mosse. Per questa via il
Manoscritto si venuto configurando come racconto che attinge
al versante della prosa morale settecentesca e ai grandi illuministi
francesi, contro lOttocento e contro il romanzo spiritualista77,
dalle parti quindi delle Operette morali leopardiane; e la bizzarria
attribuita a Bini scrittore si venuta chiarendo come la cifra stili-
stica di un profondo disaccordo con la realt del presente. Solo
cos Bini si rivelato come uno dei pi significativi esponenti di
quella prosa desprit presto soffocata dal modello manzoniano (ol-
tre che, nellambito specifico della letteratura risorgimentale, oscu-
rata dal catechismo di intima rassegnazione delle Mie prigio-
ni )78. Solo cos il suo Manoscritto si venuto chiarendo come
unopera volutamente difficile: un libro di quelli che Bini diceva al-
la maniera dei tedeschi, ovvero non facili, trasparenti, ma che

noscritto di un prigioniero, cit., p. 67 e Barbara Silvia Anglani, Sul Manoscrit-


to di Carlo Bini, cit., p. 31, che richiamano lattenzione sul capovolgimento di pa-
gine e pagine del libro di Pellico.
75
Liana Cellerino, Prosa dinvenzione morale (1984), in Sentieri per capre.
Percorsi e scorciatoie della prosa dinvenzione morale, LAquila, L. U. Japadre, 1992,
pp. 25-26.
76
Gino Tellini, Carlo Bini, scrittore postumo e clandestino, cit., p. 198.
77
Ivi, p. 119. La citazione che segue, ibidem.
78
William Spaggiari, La lettera dallesilio, cit., p. 54.
iv. carlo bini 217

fanno pensare, e tengono lanimo del lettore in piedi da mane a


sera79. Allora, se in uno studio sulla memorialistica carceraria Pel-
lico rappresenterebbe il punto davvio del discorso, mentre Bini ci
entrerebbe sono lateralmente80, viceversa, in una indagine sullo
sperimentalismo autobiografico e narrativo di primo Ottocento,
Bini assurge a ruolo di protagonista come sperimentatore accorto,
originale e disgregante. Di nuovo, nessuna ipotesi generale di or-
dine storico o formale che sia che voglia spiegare perch lauto-
biografia appare impossibile nei primi decenni dellOttocento ci
soccorre: a far scartare le soluzioni sia del memoriale che del ro-
manzo allo scrittore dissidente ed emarginato Carlo Bini la sua
ideologia che richiede un libro di riflessioni e di denuncia sociale
postumo e clandestino81 che renda conto del flusso delle proprie
sensazioni e dei propri pensieri come dellirrazionalit []
della societ e del mondo in cui viviamo82.
Anche in questa tappa assolutamente singolare del percorso

79
, tra i frammenti di Bini, quello che pi piace citare a Tozzi nel suo
Un dimenticato: Carlo Bini, cit.: I tedeschi non fanno mai di quei libri facili, tra-
sparenti, spumosi, oppio vero dellanima; i tedeschi fanno pensare, e tengono la-
nima del lettore in piedi da mattina a sera (ivi, p. 201).
80
Antonio Piromalli, Pellico e la memorialistica del carcere, cit., p. 112. un
aspetto su cui oggi concordano tutti gli studiosi di Bini e/o della memorialistica ri-
sorgimentale: cfr., per esempio, Giorgio Fontanelli, Carlo Bini: un eroe sedu-
to?, cit., pp. 170-171: nella memorialistica del tempo, il Manoscritto di un prigio-
niero e il Forte della Stella non debbono essere letti rapportandoli ai classici di quel
particolarissimo genere: niente a che vedere con la crisi che tanto fece mutare Sil-
vio Pellico, facendolo approdare ad alte e pi consolanti verit; e tanto meno con
la puntigliosa denuncia che Luigi Settembrini fa di tutte le infamie del carcere bor-
bonico. Certamente favorito da unesperienza analoga solo nella forma a questul-
time, in quanto in Toscana un re travicello mai si sarebbe comportato come cer-
ti austriaci allo Spielberg o i Borboni nel povero Sud, il Bini ricav da quella espe-
rienza tutto quanto fu possibile cavarne: come crescita e come scrittura. Lungi dal-
le pose titaniche del concittadino Guerrazzi ospite anche lui del medesimo carce-
re, il Bini vide altre cose, e di quelle parl, con sicurezza ma senza arroganza n va-
ticini. E in quelle poche cose, tocc a lui andare a coprire, dellampio e variegatis-
simo fronte risorgimentale, un settore altrimenti rimasto sguarnito: gi preveden-
do come fondamentali, dopo i diritti politici che gli parvero evidentemente pi
effimeri e strumentali, i diritti civili della gente.
81
Cfr. Gino Tellini, Carlo Bini, scrittore postumo e clandestino, cit.
82
Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, cit., p. 224.
218 ragionar di s

molteplice della prosa italiana primottocentesca verso la modernit


che il Manoscritto, fondamentale la regia dellio. Sulla scorta di
un divario di tecnica compositiva, si distinguono tre momenti nel
Manoscritto: una prima parte basata sulla finzione narrativa del pri-
gioniero povero e di quello ricco (i-xvi); una seconda (xvii-xxi), in
cui cessa tale finzione e lautore si svela carcerato e esprime i suoi
pensieri in pagine speculative su argomenti dattualit e dordine
generale (dalla politica estera allingiustizia sociale, dal sistema car-
cerario al suicidio); infine, lultimo capitolo, di carattere saggistico
(xxii), il pi lungo e argomentato83. Il tutto si coagula intorno al-
lio narrante e alle istanze civili e morali di cui portatore, al suo
sdegno di fronte a temi come lingiustizia sociale, lirrazionalit del
carcere, la legittimit del suicidio. Quella di Bini una scrittura del-
lio non solipsistica, non egocentrica ma pugnace e spalancata sul di
fuori: la scrittura di s, quel che di autobiografico e di diaristico c
nel Manoscritto, a Bini interessa come polimorfo veicolo di prosa
morale, non, romanticamente come discesa nei meandri del cuore
umano o, tanto meno, dello spirito. Lio narrante riveste il duplice
ruolo di osservatore e vittima della irrazionalit della realt in cui vi-
ve; ma che sia un io autobiografico, dato estrinseco e, si pu dire,
accessorio. Si dice continuamente io nel Manoscritto, ma per fran-
tumarsi in reportages satirici della vita del carcere che travalicano la
propria stessa, cogente autobiografia, in accalorate invettive, in con-
citate perorazioni; si dice io per divenire strumento di dissacran-
te e indignata denuncia sociale, per auspicare infine una palingene-
si universale. Bini non scrittore da crogiolarsi nei territori del pro-
prio io, da abbandonarsi al piacere della pagina letteraria come con-
fessione privata; cos come non prosatore da mezze misure, da to-
no medio, da polemica che accetti compromessi: si pensi alla gra-
dazione aggettivale con cui accusa la societ presente di essere
falsa, ingiusta, putrida e allaut aut che fa seguire allinvettiva: o
deve perire o deve rinascere sotto spoglie migliori84.
Le velleit di creare un romanzo contemporaneo e critico colti-

83
Cfr. Luca Toschi, Il rifiuto di Carlo Bini livornese, cit.
84
Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero e altre cose, p. 125.
iv. carlo bini 219

vate dai conciliatoristi accogliendo le ceneri della propria autobio-


grafia e raccogliendo lestro polemico dellilluministico conte philo-
sophique (come nel Borsieri delle Avventure ), complicato magari al-
lumorismo sentimentale e divagante di Sterne, insospettabilmente
a distanza di un quindicennio hanno trovato in Bini un attuatore
originale e oltranzistico, un narratore eterodosso capace di infran-
gere e dissolvere le partiture dei generi tradizionali per aderire alle
contraddizioni del mondo reale, per far pensare, per tenere la-
nimo del lettore in piedi da mane a sera. Ma, probabilmente, ora
il miglior servizio che si pu rendere allo scrittore livornese non sta
in un saggio critico, bens in un contributo a un adeguato assesta-
mento della situazione editoriale approssimativa dei suoi scritti va-
ri, dei suoi versi e del suo epistolario: c molto ancora da studia-
re tra le carte del Bini, ammoniva nel 1995 Timpanaro al termine
del suo ultimo intervento dargomento biniano85.

85
Sebastiano Timpanaro, Due cospiratori che negarono di aver cospirato (for-
se Giordani, certamente Bini), cit., p. 125, n. 24.
V. Tommaseo memorialista, diarista, narratore dellio

Gli era mio destino oramai scrivere e scrivere e scrivere,


vivere per iscrivere; e scrivere talvolta per vivere.
(Niccol Tommaseo, Memorie poetiche [1838])

il Tommaseo vive di scrivere come un altro daria.


(Gino Capponi a Giovan Pietro Vieusseux, 20 agosto 1861)

Scrivere a questo mondo bisogna, ma pubblicare non occorre.


(Italo Svevo, Pagine sparse [1898])

1. scrivere, non pubblicare

noto il ritratto di Tommaseo tratteggiato nelle quartine del


poemetto Pape Satan Aleppe da Vincenzo Riccardi di Lantosca e
frutto di due visite del poeta satirico al gran vegliardo, rispettiva-
mente nel 54 a Torino e nel 70 a Firenze1. Scritto forse tenendo

1
Si legge nel poemetto in quartine, edito con lo pseudonimo V. Erdiel, Pa-
pe Satan Aleppe. Macchietta, Assisi, Tip. Froebel del Collegio Principe di Napoli,
1882 (cfr. ora la ristampa anastatica, prefazione di Franco Fortini, introduzione di
Carlo Fini, notizia biografica di Gino Monacchia, Rimini-Firenze, Guaraldi,
1974). Ne tratta distesamente Giacomo Debenedetti, Tommaseo. Quaderni ine-
diti, Milano, Garzanti, 1973, pp. 167-181 (ma si veda pure Gino Tellini, Introdu-
zione, in Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, introduzione e note di Gino Telli-
ni, Milano, Garzanti, 1992, p. xxiii). Per un ritratto giovanile di Tommaseo, si pu
ricorrere invece a Rosmini (ora in Niccol Tommaseo-Antonio Rosmini, Car-
teggio edito e inedito, 3 voll., a cura di Virgilio Missori, Milano, Marzorati, 1967-
1969, iii, Carteggio Tommaseo-Padri Rosminiani, pp. 138-139 e su cui cfr. Piero Fos-
si, Italiani dellOttocento: Rosmini, Capponi, Lambruschini, Tommaseo, Manzoni,
222 ragionar di s

presente quei versi un altro ritratto dello scrittore dalmata: un


ritratto novecentesco, steso da un visitatore immaginario anzich
reale, ma non per questo meno acuto. Si legge nel terzultimo li-
bro poetico di Marino Moretti, il diario senile in versi Tre anni e
un giorno (1971). Nel quarto quaderno, dal titolo Incontri nel tem-
po e datato 1969, la pagina di prosa Incontro col patriarca raccon-
ta un sogno letterario del poeta ultraottantenne attanagliato
dal dubbio se pubblicare o no la propria opera:

Diverso il copricapo di questo vecchio da quello quasi elegante del-


lumanista di Rotterdam, ch su questaltro vertice il berretto somiglia-
va invece a quello dello stesso Erasmo nellacquaforte del Drer arieg-
giante il nicchio cattolico e con paraorecchi duna meschina previdenza
invernale, questo di tipo solo ottocentesco. Di pi, sulla tavola da lavo-
ro, accanto al libro che il gran Dalmata stava sempre leggendo, si nota-
va una clessidra chera di Drer, non dHolbein; o viceversa. Senonch,
il moderno umanista del secolo scorso non aveva il profilo sottile e ta-
gliente, lespressione intrepida, il mento aguzzo, lo sguardo di faina del-
lantico maestro, homo pro se, a cui doveva far comodo lodar la pazzia,
ma era un vecchione dalla barba fluente per cui lespressione del viso,
anche se irata, risultava quella dun vecchio mendicante, dun barbone
milanese; e la direi quasi anonima in quella piccola foresta di peli.
Daltra parte, non era uno scrittore profano anche lui se aveva im-
maginato, in un suo poemetto, che un vescovo sinnamorasse duna ser-
va? E, per il momento, non cieco, come simmagina il Tommaseo fra il 68
e il 72 allincirca.
Lamico maveva detto prima dentrare: Non un Vergognoso come
gli altri, e non ha nemmeno fatto domanda, ma bisogner sovvenirlo lo
stesso. Io ricordavo chegli aveva mancato di rispetto al Recanatese usan-
do per la prima volta il verbo sgobbare. E mi ripromettevo di stare in
disparte perch il mio amico, uomo di Confraternita, aveva qualcosa da
dire che non doveva essere intesa che dal Vergognoso da sovvenire. Il qua-
le, per ascoltare, aveva prima scartato il libro, poi posata la penna doca
sullarto dun gigantesco calamaio in forma, mi pareva quasi, di Lao-
coonte e ascoltava con laria di dover dichiarare fra breve come dal verti-
ce dun altro secolo che non capiva il nostro linguaggio.
Pi tardi, quando mi parve che i due si fossero gi intesi, lasciai il mio

Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1941, pp. 105 sgg. e Giacomo Debenedetti,
Tommaseo, cit., pp. 45 sgg.).
v. tommaseo memorialista 223

cantuccio e, risoluto, con uno stile non sempre comprensibile, lo confes-


so, dovevo pur svelare alcuni miei patemi danimo al vecchio collega che
per un istante parve pi incuriosito di me che del mio stesso compagno,
bench soccorrevole e attento; e capiva e non capiva, ma finiva poi col
rendersi conto di tutto allorch, con un minimo di cerimonia, espressi li-
dea costante del mio scetticismo sul buon volere del lettore moderno la
cui malevolenza doveva pur essere nota in questa soffitta.
Ebbene, Niccol Tommaseo confessava che da qualche tempo per lui
linvenzione di Gutemberg era come se non fosse mai avvenuta. Ricorda-
va come a titolo donore che Firenze era stata lultima fra le grandi citt
europee, dopo Magonza, Amsterdam, Parigi, Roma e Venezia a conce-
dersi una modesta tipografia di provincia, tanto repugnava a una cos no-
bile citt, la cui tradizione medicea aveva dato il gusto dei bei manoscrit-
ti, la volgarit del libro stampato. Anche citava a memoria, riprendendo
in mano la penna dallarto di Laocoonte il dotto antico libraio, forse Ve-
spasiano da Bisticci:
Nella biblioteca di Lorenzo i libri eran belli in superlativo grado, tutti
scritti a penna e non ve nera ignuno a stampa, che se ne sarebbe vergognato .
E allora, chiesi a colui che parla come un antico del libro mano-
scritto che ce ne facciamo, sor professore?
A chi lasciare, intendete dire, unopera manoscritta? Ma alla nostra
Biblioteca Nazionale Centrale dove gi riposano i manoscritti miei, che
non ho pi voluto tenere con me per paura che finissero allArte della
Stampa con cui ho rotto i rapporti. Scrivere ripeteva il gran vecchio non
pub-bli-ca-re. Scrivere, non da-re al-le stam-pe.
Ricordo benissimo che la maggior biblioteca custodisce con gran re-
verenza gli inediti tommaseani, e si pu andare a studiarli. Ma il guaio
che dopo questo strano sogno che, come dicevo in principio, chiamer
letterario, io non proprio cosa fare. Dar retta al gran Dalmata facente
parte dei poveri Vergognosi che nellOttocento, dove ancora ci trovava-
mo, durava gi da quattro secoli? Dar seguito allo stesso atto in cui
contenuta una convenzione, cio un vero e proprio contratto?
Insomma: consegner o non consegner, dopo i lunghi indugi, il libro
nuovo in forma dantiquato manoscritto allamico Arnoldo [Mondadori]?
Insomma: sogno o son desto?2

Fermo restando che questa pagina priva di qualunque in-


tento ritrattistico senzaltro utile per intuire gli umori del vec-

2
Marino Moretti, Incontro col patriarca, in Tre anni e un giorno, Milano,
Mondadori, 1971, pp. 213-216.
224 ragionar di s

chio Moretti piuttosto che per conoscere Tommaseo, e al di l dei


luoghi comuni, debitori alla fama vulgata del Dalmata (un vec-
chione dalla barba fluente, la mancanza di rispetto al Recana-
tese), lincontro degno di nota. E non solo perch va a costi-
tuire un capitolo della esigua fortuna novecentesca dello scrittore
di Sebenico. Interessante sarebbe certo poter ricostruire le letture
tommaseane di Moretti (tra le quali ci deve essere il poemetto
narrativo in ottave Una serva, cui si allude nel testo: non []
aveva immaginato, in un suo poemetto, che un vescovo sinna-
morasse duna serva?). Interessante sarebbe poter sondare da do-
ve sia giunta al poeta di Cesenatico lispirazione di un tale incon-
tro onirico (e proprio in sogno, luogo tipicamente tommaseano),
da quali letture e magari da quali occasioni fiorentine sia stata
sollecitata la sua fantasia (forse la statua di Tommaseo a Settigna-
no, la stessa che faceva voltare dallaltra parte Papini giovinetto3,
e la Biblioteca Nazionale di Firenze dove si conservano tante
carte lasciate inedite dello scrittore , a due passi dallapparta-
mento fiorentino di Moretti); ma qualche conclusione si pu
trarre lo stesso.
Anche quello di Moretti, come per il Lantosca, il Tommaseo
barbato, il gran vegliardo arroccato in se stesso, pedante e senten-
zioso, venerando e vaticinante, divenuto proverbiale; insomma

il Tommaseo che conosciamo dai busti e dai monumenti [] che, con la


sua solennit ispirata e profetica, ha contribuito a creargli le antipatie, le
sogghignanti diffidenze delle generazioni venute subito dopo4.

Non da escludere che lo strano sogno di Moretti attinga

3
Cfr. Giovanni Papini, Sul Tommaseo scrittore, in Niccol Tommaseo,
Opere. Ed. Naz., 1, Sul numero, opera inedita preceduta da un saggio di Giovanni
Papini Sul Tommaseo scrittore, Firenze, Sansoni, 1954: Quando salivo giovinetto
sul colle dove Michelangelo fu a balia e scorgevo sulla piazza bistorta, tra la chie-
sa intonacata e la trattoria dello Scheggi, quel vegliardo barbato di marmo bianco,
mi sentivo preso da un senso molesto di noia e gli voltavo in fretta e furia le spal-
le. Sapevo che era la statua del Tommaseo, ma non sapevo bene chi fosse stato il
Tommaseo, n molto mi importava di saperlo.
4
Giacomo Debenedetti, Tommaseo, cit., p. 31.
v. tommaseo memorialista 225

proprio ai versi del Lantosca, come possono far pensare alcune


analogie (la visita in compagnia di un amico che gi conosce il vec-
chio scrittore; il Tommaseo per il momento, non cieco; la soffit-
ta), ma non ci sono n antipatia n diffidenza, al contrario, una
sorta di empatia. Questo ritratto immaginario pu soccorrere chi
voglia scrostare limmagine codificata del Tommaseo vate autori-
tario, pedante arcigno, moralista enfatico, predicatore e pedago-
go5. Se il fantasma di Tommaseo, proprio quello di Tommaseo,
veniva incontro allinquietudine senile di Moretti, con gli anni
sempre pi incline al fascino dellegolatria6, dedito alla poesia co-
me esercizio quotidiano di scrittura autobiografica e autoanalitica7
e angustiato dalla malevolenza del lettore moderno; se il gran
Dalmata poteva suggestionare il poeta ultraottentenne incerto se
onorare o no il contratto con lamico-editore Mondadori, al pun-
to da apparirgli come un vecchio collega cui svelare alcuni suoi pa-
temi danimo in materia di scrittura e di pubblicazione, qualche
ragione ci deve essere. che Moretti va oltre la crosta di quei bu-
sti e monumenti del patriarca che pure erano sotto i suoi occhi di
cesenaticese uso a passare a Firenze gran parte dellanno. Si adden-
tra piuttosto negli archivi nascosti della vicina Biblioteca Naziona-
le, tra le innumerevole carte vergate dal prolifico Tommaseo che
pure tanto ha stampato a proprio uso e consumo, secondo un ir-
rinunciabile esercizio di acuminata introspezione e di acrimoniosa
autoanalisi, in ossequio a un costante e necessario tirocinio auto-
conoscitivo; comera per lappunto anche per il morettiano diario
poetico Tre anni e un giorno. Si sa che chi compone pagine senza
darsi la briga di stamparle elegge come destinatario privilegiato pri-

5
Gino Tellini, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, cit.,
p. xxiii.
6
Franco Contorbia, Per un catalogo, nellopera collettiva Non c luogo, per
me, che sia lontano. Itinerari europei di Marino Moretti, Catalogo della Mostra bi-
bliografica e documentaria con una sezione di opere di Filippo De Pisis, Cesenati-
co, Casa Moretti, 3 luglio-12 settembre 1999, a cura di Manuela Ricci, testi di Ren-
zo Cremante, Franco Contorbia, Michela Scolaro, Bologna, Clueb, 1999, p. 16.
7
Cfr. almeno Saluto di Gianfranco Contini, nellopera collettiva Marino Mo-
retti, a cura di Giorgio Calisesi, Atti del Convegno di Studio, Cesenatico, 1975,
Milano, Il Saggiatore, 1977, pp. 12 sgg.
226 ragionar di s

ma di tutto se stesso8. Titubante sulla pubblicazione dei suoi ver-


si diaristici, Moretti dipinge un Tommaseo che custodisce accani-
tamente le proprie carte manoscritte al riparo dellarte della stam-
pa, che invita categoricamente a scrivere e a non pubblicare
(Scrivere [] non pub-bli-ca-re. Scrivere, non da-re al-le stam-
pe): lo elegge insomma a emblema dello scrittore che scrive per se
stesso, a icona della scrittura interiormente necessitata9, che pu
non avere bisogno di un pubblico e dei suoi consensi ma della qua-
le non si pu fare a meno. Solo cos il patriarca pu lasciare lau-
tore di Scrivere non necessario 10 con il consiglio che scrivere s,
necessario; pubblicare che non lo affatto. Lincontro col pa-
triarca di Moretti si offre insomma oltre che come una non tra-
scurabile sottolineatura dartista alla modernit di Tommaseo co-
me chiave di lettura della sua vocazione scrittoria tormentosamen-
te autoriflessiva; una chiave che apre tutte le porte della sua opera
creativa.
Si sa, c un altro probabile ritratto satirico di Tommaseo: i ver-
si 227-238 della leopardiana Palinodia al marchese Gino Capponi,
pubblicata nelledizione napoletana dei Canti, del 1835:

Un gi dei tuoi, lodato Gino; un franco


Di poetar maestro, anzi di tutte
Scienze ed arti e facoltadi umane,
E menti che fur mai, sono e saranno,
Dottore, emendator, lascia, mi disse
I propri affetti tuoi. Di lor non cura
Questa virile et, volta ai severi,
Economici studi, e intenta il ciglio
Nelle pubbliche cose. Il proprio petto
Esplorar che ti val? Materia al canto

8
Gino Tellini, Leredit di Palazzeschi (1988), in Larte della prosa, cit., p. 305.
9
Id., Su Tommaseo narratore e poeta, nellopera collettiva Niccol Tommaseo
e Firenze, Atti del Convegno di Studi, Firenze, 12-13 febbraio 1999, a cura di Ro-
berta Turchi e Alessandro Volpi, Firenze, Olschki, 2000, p. 127 (il saggio ora si leg-
ge anche in Gino Tellini, Filologia e storiografia, cit., pp. 215-236).
10
Cfr. Marino Moretti, Scrivere non necessario. Umore e segreti duno scrit-
tore qualunque, Milano, Mondadori, 1937.
v. tommaseo memorialista 227

Non cercar dentro te. Canta i bisogni


Del secol nostro, e la matura speme11.

Se ce uno scrittore che negli anni Trenta dellOttocento cura i


propri affetti, esplora il proprio petto e cerca materia al canto
dentro s proprio Niccol Tommaseo. Come poeta esordisce nel
1836 con un libro dal titolo sintomatico Confessioni, prima tappa di
una poesia, appunto, di privata confessione. Intanto, come narra-
tore sin dal 1825 si avvia, con labbozzo Una notte, allautoritratto
sentimentale e nel 1831 d alle stampe il racconto danalisi psico-
logica Due baci, [] ancora una volta orientato allinchiesta inte-
riore e alla confessione, sulla strada che avrebbe dovuto approdare
a Fede e bellezza 12, il romanzo a stampa nel 1840: opera antitetica
ai Promessi sposi 13, ampiamente autobiografica, di tema contempo-
raneo e con un impianto singolare che salda memoria, diario, scrit-
tura epistolare. Come prosatore ossessionato dal proprio io Tom-
maseo autore anche, verso il 1838, di due libri di memorie (Me-
morie poetiche e Un affetto) e, nel segreto delle carte private, di un
diario intimo. Che in Tommaseo lautobiografismo sostanza
di vita e di poesia; che al fondo della sua arte vi sia una profon-
da esigenza di verit umana e psicologica cui servono il soggetti-
vo ripiegarsi in s e la confessione14, non solo impressione facil-

11
Com noto, Capponi avanzava invece lipotesi, oggi per lo pi scartata,
che Leopardi si riferisse a Manzoni (cfr. la lettera a Fedele Lampertico, 9 novem-
bre 1875, in Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, raccolte e pubblicate da Anto-
nio Carraresi, 6 voll., Firenze, Le Monnier, 1882-1890, iv, pp. 416-418). Su quei ver-
si della Palinodia, cfr. ora Donatella Martinelli, Tommaseo e Leopardi nellulti-
mo soggiorno fiorentino, nellopera collettiva Leopardi a Firenze, cit., pp. 395-423:
396-404.
12
Gino Tellini, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, cit.,
p. x.
13
Nellintima sostanza Fede e bellezza propriamente la negativa dei Pro-
messi sposi, e laddove nel Manzoni c quella castit dordine superiore che impo-
ne il silenzio ad ogni tentazione autobiografica, tutto autobiografico il romanzo
del Tommaseo (Luigi Baldacci, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Fede e
bellezza, a cura di Luigi Baldacci, Milano, Mursia, 1990, p. 9).
14
Carmine Di Biase, Autobiografismo e arte in Niccol Tommaseo. Saggi, Na-
poli, Federico & Ardia, 1967, pp. 11, 16. Ma su questaspetto, cfr. pure Gianfran-
228 ragionar di s

mente condivisibile ma anche dato critico ineccepibile, quando si


rifletta su come la sua opera ruoti intorno a unidea di vero che non
quello manzoniano, ma coincide con la propria esperienza vissu-
ta, con la verit dellaffetto15.
Da anima [] rigorosamente consegnata allesame di co-
scienza16 qual , Tommaseo si cimentato anche in molteplici for-
me canoniche della scrittura di s in prosa: dallautobiografia in-
tellettuale (Memorie poetiche) allautobiografia politica (Un affet-
to), al diario ora abbreviato e cifrato, ora disteso e anche crona-
chistico (forme entrambe rappresentate nel Diario intimo) ; non
senza che queste interferissero col tavolo del narratore, se proprio
le scritture dellio costituiscono una risorsa strutturale privilegiata
in Fede e bellezza 17.

2. il memorialista

Nel mare onnicomprensivo e onnivoro dellautobiografismo tomma-


seano spiccano taluni scritti autobiografici per statuto. Alla fine degli
anni Trenta si colloca la composizione di entrambi i due libri di me-

co Contini, Per il romanzo di Tommaseo (1932), in Eserciz di lettura, Torino, Ei-


naudi, 1939, 19743, nuova edizione aumentata, pp. 268 sgg. e Anco Marzio Mut-
terle, La permanente autobiografia di Tommaseo, cit.
15
Niccol Tommaseo, Dizionario estetico, Milano, per Giuseppe Reina, co
tipi Bernardoni, 2 voll., i, Parte antica, 1852; ii, Parte moderna, 1853, ii, pp. 406-
407 (sui discorsi Del romanzo storico di Paride Zajotti).
16
Gianfranco Contini, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo (1947),
in Altri eserciz (1942-1971), Torino, Einaudi, 1972, p. 5.
17
Per questi testi si far riferimento alle seguenti edizioni: Niccol Tom-
maseo, Memorie poetiche. Edizione del 1838 con appendice di Poesie e redazione del
1858 intitolata Educazione dellingegno, a cura di Marco Pecoraro, Bari, Laterza,
1964 (dinnanzi: Memorie poetiche); Id., Un affetto. Memorie politiche, testo inedi-
to, edizione critica, introduzione e note di Michele Cataudella, Roma, Edizioni di
Storia e Letteratura, 1974 (dinnanzi: Un affetto); Id., Diario intimo, a cura di Raf-
faele Ciampini, Torino, Einaudi, 1938, 19392, edizione migliorata e accresciuta,
19463, edizione migliorata e accresciuta (questultima aggiunge un breve diario del
1871 e parte dellampio diario degli anni 1848-1849; dinnanzi: Diario intimo); in-
fine, Id., Fede e bellezza, introduzione e note di Gino Tellini, cit. (dinnanzi: Fede
e bellezza).
v. tommaseo memorialista 229

morie: innanzitutto, le Memorie poetiche, stese a partire dal maggio


1837 e uscite nella primavera del 38, per poi essere sottoposte a stre-
nui e impietosi tagli che approdano, ventanni dopo, alla ben pi bre-
ve redazione dal titolo Educazione dellingegno (in Ispirazione e arte,
1858) e, infine, ulteriormente ridotte negli Studii di stile. Memorie del
volume Esercizi letterarii a uso delle scuole italiane (1869)18; poi le me-
morie politiche Un affetto, scritte tra il settembre 38 e il febbraio 39
per essere edite postume, salvo poi venire corrette per lungo tempo,
anche a distanza di molti anni, ed essere infine considerate dal loro
pensato autore come testo provvisorio da non pubblicare.
Le due opere memorialistiche nascono dunque in un brevissi-
mo torno di tempo (1837-1839), alle soglie della maturit dellarti-
sta e verso la chiusura del suo periodo pi intensamente creativo.
In effetti trentacinque anni quanti Tommaseo, nato nellottobre
1802, ne ha nel 37 quando avvia le Memorie poetiche possono
sembrare pochi per riandare la propria vita, soprattutto se si tratta
di una autobiografia intellettuale: le statistiche parlano per gli au-
tobiografi, mediamente, di et ben pi avanzate19. Ma non sono
pochi per il nostro autore che indubitabilmente doveva sentirsi al
varco di una nuova fase della sua esistenza. Se per raccontarsi lau-
tobiografo deve dare compiutezza alla sua incompiuta esperienza
di vita individuarvi e delimitarvi un percorso concluso, caricare
di senso globale il proprio passato , Tommaseo non fa eccezione.
Ma con una sua originalit. Tale compiutezza la trova non nellav-
venuta realizzazione dei progetti letterari (come accade, per esem-
pio, nella Vita alfieriana), ma nel chiudersi della stagione giovani-
le, let della formazione poetica (nelle Memorie poetiche) e civile
(in Un affetto). Accade cos che Tommaseo scriva le sue memorie
prima e non dopo aver compiuto e pubblicato molte delle sue ope-
re. Si veda una frase come questa, assai poco comune in una auto-
biografia: la salute declinante e lanimo ferito minvigorivano a
poesia: scrissi allora cose delle quali pi tardi avrete novella20.

18
Cfr. Marco Pecoraro, Nota critica, in Niccol Tommaseo, Memorie
poetiche, p. 554.
19
Cfr. supra p. 128, nota 115.
20
Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, p. 292.
230 ragionar di s

Si consideri anche che gi il 25 febbraio 1836 Tommaseo ap-


puntava nel diario: Stato di salute ottimo; sento per dinvec-
chiare; e il 3 ottobre 1845: Son qui [a Sebenico] per procedere al-
la divisione de pochi beni lasciatici da nostro padre, e per assicu-
rare alquanto meglio un pane alla vecchiaia che gi mincomin-
cia21. La scelta dellautobiografia intellettuale adombra lidea che
si sia chiusa la fase del proprio faticoso apprendistato giovanile,
quella che pu essere utile ripercorre sistematicamente nelle sue
tappe accidentate, tirando le somme della propria esperienza di
scrittore tirocinante, con quella chiarezza e capacit di discerni-
mento che solo la distanza del tempo pu garantire. La chiave del-
le operazioni memorialistiche di Tommaseo infatti si legge, credia-
mo, nel componimento Le memorie. A Gino Capponi:

[]
veggo, mirando ai passati anni, o Gino,
distinto il mio cammino.

Pi chiara per distanza a me si svela


del mio destin la tela; e lombre e i rai
scerno pi certi assai
che non quando la man tenea sovrelli;
[]22

Vale per Tommaseo pi che mai lammonimento a tener conto


di come lautobiografia sia sempre in bilico tra presentarsi come lo
specchio di una vita e, in un certo modo, come la mappa di un de-
stino23. Cos, i libri delle memorie sono, soprattutto il primo, ope-
re che vogliono mettere ordine e trovare un filo nella giovinezza24. Si
veda la definizione che delle Memorie poetiche Tommaseo d in una
lettera a De Tipaldo nel 1837, annunciandone la pubblicazione:

21
Id., Diario intimo, pp. 182, 288.
22
Id., Le memorie. A Gino Capponi, in Memorie poetiche, p. 334, vv. 6-11.
23
Georges Gusdorf, Conditions et limites de lautobiographie, cit., parzial-
mente trad. nellantologia Teorie moderne dellautobiografia, cit., pp. 3-18, da cui si
cita: ivi, p. 13.
24
Gianfranco Contini, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo, cit.,
p. 20.
v. tommaseo memorialista 231

Le memorie poetiche saranno le memorie della mia giovent, ma in


quella parte che riguarda lingegno. Non saranno forse spiacevoli n inu-
tili a leggere come storia dun ingegno che viene a poco a poco emanci-
pandosi e aprendosi al vero. Saran tessute daffetti, e sparse di frammenti
dinedite cose mie, le quali saranno come le pietre miliari del mio duro
cammino25.

C qui tutta la miscela del libro: memorie limitate alla sola fa-
se giovanile, interrotte cio l dove la conquista di uno stile av-
venuta, e bilanciate sul solo versante intellettuale; in pi, leduca-
zione dellingegno intesa come cammino verso il vero di cui i
frammenti dinedite cose vanno a segnare tangibilmente i vari
gradi; memorie insomma dove conquista di uno stile e conquista
di una moralit vanno a coincidere.
Dal Settecento lautobiografia ufficiale che accompagni gli
scritti di un intellettuale, scienziato o uomo di lettere che sia, or-
mai una prassi anche in Italia, da Vico a Alfieri26. una formula
consolidata da noi a partire dal Progetto ai letterati dItalia per scri-
vere le loro vite di Giovanni Artico di Porca; il quale spiegava cos
tale progetto a Muratori, il 24 luglio 1721: In queste vite vorrei che
questi signori stendessero la storia de loro ingegni, cio da chi ab-
biano apparato il metodo de loro studi27. Com noto, da qui vi-
de allora la luce la Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo,

25
Niccol Tommaseo a Emilio De Tipaldo, 14-febbraio-1 marzo 1837, lette-
ra inedita cit. in Donatella Rasi, Storia di unamicizia: il carteggio inedito Niccol
Tommaseo-Emilio De Tipaldo, nellopera collettiva Alla lettera. Teorie e pratiche epi-
stolari dai Greci al Novecento, a cura di Adriana Chemello, Milano, Universit di
Padova-Dipartimento di Italianistica, Guerini Studio, 1998, p. 304 (il passo in que-
stione si legge anche in Raffaele Ciampini, Vita di Niccol Tommaseo, Firenze,
Sansoni, 1945, p. 245).
26
Cfr. Andrea Battistini, I simulacri di Narciso, in Lo specchio di Dedalo,
cit., p. 33.
27
Giovanni Artico di Porca a Ludovico Antonio Muratori, 24 luglio 1721,
cit. in Marziano Guglielminetti, Scritture autobiografiche nellet teresiana, nel-
lopera collettiva Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nellet di Maria Tere-
sa, Convegni per il ii Centenario di Maria Teresa dAustria, Mantova, 2-4 ottobre
1980-Milano, 6-9 novembre 1980-Pavia, 24-27 novembre 1980, a cura di Aldo De
Maddalena, Ettore Rotelli e Gennaro Barbarisi, Bologna, Il Mulino, 1982, ii, Cul-
tura e Societ, p. 387.
232 ragionar di s

autobiografia intellettuale in terza persona condotta secondo gli


schemi della biografia umanistica. Fatto sta che

nellarco di tempo, proteso dalla vita del Vico a quella dellAlfieri, lauto-
biografia si svilupp come racconto di s concepito in funzione della pro-
pria attivit dintellettuale o di scrittore. Al massimo di estraneit a ci
che non appartiene strettamente al mondo degli studi (Vico) fece da con-
trappeso alla fine il minimo di estraneit in ordine ai medesimi problemi
(Alfieri)28.

Unopera come le Memorie poetiche si inserisce su questo solco


e si presenta pertanto come anacronistica: autobiografia-studio,
testo che adotta un modo esplicativo pi che narrativo29; memorie
in cui il bilancio della propria vita condotto con unattitudine
analitica e scientifica che contamina lautobiografia con il saggio.
In fondo, gi la breve premessa (Lautore a chi lama ) alle Me-
morie poetiche annuncia una volont anti-autobiografica pur nella
scelta dellautobiografia. Si comincia, in questa paginetta liminare,
nel segno del topos autobiografico per eccellenza, quello della va-
nit: Parlare tanto di s, razzolare ne vecchi fogli per trarne qual-
che verso o concetto da presentarvi, sarebbe vanit troppa se non
avesse il suo fine30. Tommaseo dunque esorcizza il complesso di

28
Ivi, p. 390.
29
Non a caso nel suo profilo dellautobiografia moderna DIntino individua
nelle Memorie poetiche unautobiografia sconfinante nel saggio, esempio moderno
di res gestae intellettuali, con alle spalle una lunga tradizione e con il difetto di es-
sere sovrabbondante [] di discussioni filosofiche, estetiche (Franco DInti-
no, Lautobiografia moderna, cit., p. 180).
30
Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, p. 7, da cui tratta anche la cita-
zione successiva. Meno ci interessa qui la polemica selezione operata dallo scritto-
re sul pubblico (distinguendo tra i lettori chi lama da chi non lama) e sui per-
sonaggi che hanno animato la sua vita (separando coloro che gli giovarono e piac-
quero da quelli che gli dispiacquero e condannando questultimi con il silen-
zio); distinzione liminare, questultima, che poi cadr nella seconda redazione,
Educazione dellingegno (1858), dopo essere costata a Tommaseo i rimproveri di
Vieusseux (cfr. Marco Pecoraro, Nota critica, ivi, pp. 537-538). Dietro quella se-
lezione del pubblico cera comunque un timore antico e radicato, se quando nel
1834 Vieusseux invitava Tommaseo a pubblicare un volumetto di sue poesie,
questi rispondeva: Quanto ai versi io non amo gettarli in luce. Perch spargere al
v. tommaseo memorialista 233

Narciso con un preciso fine giovare agli scrittori novelli con i


risultati della propria esperienza che determina una drastica sele-
zione della materia autobiografica:

Ma del narrare come lingegno mio si venisse svolgendo, e quali age-


volezze rincontrasse per via, quali ostacoli, credo che qualche lume possa
agli scrittori novelli venire, e qualche conforto. [] Di sole le cose che ri-
guardano leducazione dellingegno parlato qui; del cuore, tanto quan-
to valse pi direttamente ad ampliare le vie dellingegno.

Sono frasi che, si badi bene, eccetto alcune varianti lessicali pas-
seranno cos come sono nella pi breve premessa alla redazione sti-
lata nel 58 (Educazione dellingegno ), dunque senza andare soggette
ad alcun pur minimo ripensamento. Lo scopo , come si ribadisce
nellultimo dei quattro libri, dare compita la storia dellingegno
suo 31 in quanto dotata di valore paradigmatico e dunque educativo
per chi si mette sulla faticosa strada delle lettere. libro didascalico
sullarte dello scrivere e di formarsi unarte dello scrivere che lievita
dalla vicenda autobiografica dellautore, dagli esordi fino alla matu-
rit, questultima testimoniata dalla folta Appendice di poesie32. Il te-
ma insomma quella delleducazione del letterato, caro allautore e
da lui affrontato in molteplici scritti, ma qui trattato programmati-
camente col supporto della propria personale esperienza vissuta.
In un libro siffatto interessa poco linfanzia, se non per sinte-
si estrema dove affiorano le poche figure e le molte esperienze che
furono fonte deducazione morale e artistica per lautore: si entra
quasi subito in collegio con lo scrittore, a seguire il dipanarsi ete-
rogeneo e sconnesso delle sue prime letture, a volte in quei veri e
propri elenchi di titoli e di nomi che tanto dispiacevano a Fubi-

vento le ceneri del mio cuore? Perdono quasi tutti di cuore; e che importa di me a
chi non mama? (Niccol Tommaseo a Giovan Pietro Vieusseux, Parigi, 1 aprile
1834, in Niccol Tommaseo-Giovan Pietro Vieusseux, Carteggio inedito, i
[1825-1834], a cura di Raffaele Ciampini e Petre Ciureanu, Roma, Edizioni di Sto-
ria e Letteratura, 1956, p. 185).
31
Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, p. 225.
32
Cfr. ivi, pp. 311-467.
234 ragionar di s

ni33 (e, diciamocelo, a tutti quei lettori che non costituiscano


davvero il pubblico ideale di Tommaseo, ovvero scrittori novel-
li disponibili a consigli di lettura, o che non siano studiosi del-
la formazione dellautore). Il fatto che quella che si pu defini-
re linea cartesiana del riesame del proprio intimo progresso in-
tellettuale34 si mischia qui con la preoccupazione [] di regi-
strare indicazioni puntuali di dati di fatto: debiti verso studiosi e
verso libri, impieghi e relazioni umane; ed per questo intento
apologetico che le Memorie poetiche (e anche quelle politiche)
hanno finito col cesellare e offrire icone alla storiografia, come ad
esempio quella del Vieusseux direttore e amico35.
Tratto costante nella prima parte poi soprattutto lautoironia,
come in taluni vivaci racconti nelle prove poetiche adolescenziali,
l dove emerge pi causticamente la doppia figura del Tommaseo
auctor e del Tommaseo agens. E in queste memorie ufficiali, di for-
mazione36, volte a scandire le tappe di una progressiva conquista di
moralit e di stile, si ritrovano a tutti gli effetti vari topoi autobio-
grafici: oltre alla giustificazione della propria impresa per evitare
accuse di vanit, il compiacimento di esser nato in un certo pae-
se [] in una famiglia [] povera ma onesta37; il tema del viag-

33
Cfr. Mario Fubini, Le Memorie poetiche (1965), in Romanticismo italia-
no, cit., pp. 360-361.
34
Marziano Guglielminetti, Lautobiografia: aggiornamenti critici, nello-
pera collettiva La memoria, i lumi, la storia, Quaderno dellIncontro della Societ
Italiana di Studi sul secolo XVIII, Santa Margherita Ligure, 5-7 giugno 1986, a cu-
ra di Alberto Postigliola, con la collaborazione di Gennaro Barbarisi e Nadia Boc-
cara, Roma, s.e., 1987, p. 63. La citazione che segue, ibidem.
35
Cfr. Alessandro Volpi, Alla ricerca del giornalista ideale: la collaborazione
di Niccol Tommaseo con Giovan Pietro Vieusseux, nellopera collettiva Niccol Tom-
maseo e Firenze, cit., p. 41.
36
Cfr. Giacomo Debenedetti, Tommaseo, cit., p. 120: Le Memorie poetiche
sono unautobiografia della formazione intellettuale, morale e soprattutto lettera-
ria, da cui i fatti esterni, cronachistici, diaristici son quasi completamente elimi-
nati. Sono narrati invece i pensieri, le idee nel loro maturare, le vicende dei tenta-
tivi e dei progressi, direi, tecnici nellarte di scrivere. [] Le Memorie poetiche sa-
rebbero, sul piano dellautobiografia, un Bildungroman, dove il racconto si riduce
quasi a una radiografia del racconto.
37
Cos tra i topoi elencati da Franco Fido, I topoi del soggetto: allorigine
della autobiografia moderna, cit., pp. 167-168.
v. tommaseo memorialista 235

gio e del cambiamento di dimora ch al centro di alcune delle pa-


gine pi mosse anche di Un affetto in quanto nucleo di una fase vi-
tale, come tappa verso la terra promessa dellidentit38; infine,
com tipico dellautobiografia intellettuale, la lotta dellautobio-
grafo contro le avversit procurate [] dalla societ e la fatica
sopportata per riuscire; lisolamento e quindi loriginalit del lavo-
ro intellettuale39. Al di l del valore educativo di queste memorie
sventolato da Tommaseo dallinizio alla fine, esse contengono an-
che la lista personale dei molti sacrifici fatti per inseguire le Muse.
Nel resoconto retrospettivo e dettagliato si inseriscono poi ta-
lora efficaci bilanci totalizzanti:

ristudiai un po di geometria per dover sostenere un esame che sostenni


infelicissimamente (perch non altri esami io sostenni mai che infelici)40.

Pochi gli sprazzi aperti sullio, solo quando il cuore fa coppia


con lingegno:

Ma il cuore pativa, rinchiuso in s stesso; e per poco poteva aprirsi a


nuova luce lingegno. Orgogliosamente timido, ignaro e sprezzante de
modi che simulano gentilezza e benevolenza, desideravo esercitare laffet-
to, e non sapevo se non con pochi; e tra il rispetto e lo spregio, tra il so-
spetto e la tenerezza non vedevo alcun mezzo. Fanciullo in molte cose, in
poche uomo, in altre decrepito41.

Ma si veda, per contro, il trattamento riservato al primo amo-


rettaccio (anti-memoria del primo amoruccio alfieriano), che
rapidamente liquidato solo come occasione di apertura dellin-
gegno:

38
Il cambiamento di luogo [] spesso richiama la trama del viaggio, della
peregrinazione verso la terra promessa dellidentit, uno degli intrecci autobiogra-
fici di origine biblica (Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., p. 151).
39
Andrea Battistini, Dalla Gorgone a Proteo, in Lo specchio di Dedalo, cit.,
p. 82.
40
Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, p. 24.
41
Ivi, p. 25.
236 ragionar di s

Col primo amorettaccio mi saperse lingegno. E il primo concetto mio


(e me ne tenni, e parvemi di sentirvi un principio di vita nuova) fu certa cor-
rispondenza da me trovata delle cose sensibili colle spirituali; il qual modo di
vedere mi piacque poi sempre, e ora mi condusse alle fonti della poesia, ora
me ne devi: mi condusse, se le corrispondenze del mondo esterno con lin-
terno da me scoperte erano spontanee ed importanti; mi devi, se minute42.

Dopodich si passa subito alla lettura di tutto Dante, e la


scelta di lasciar fuori la prima esperienza amorosa riaffiora solo co-
s: Lautunno del passato anno mi fu tempestoso per lamorettac-
cio sopra toccato, e, per esso, fecondo; linverno fu tranquillo e pe-
dante43. Credo non sia a caso se in concomitanza con la giovani-
le dedizione alla tragedia, tappa dobbligo della formazione lette-
raria, lAlfieri della Vita si insinua propria nella pagina appena suc-
cessiva a quella sullamorettaccio e in questi termini:

cominciai a leggere [] lAlfieri, del quale mera rimasta uggiosa memo-


ria, per una lettura quasi furtiva fatta dei primi capitoli della Vita allet
di dieci anni. Quellinfanzia stizzosa e povera daffetti, quelladolescenza
ignorante e di conte decrepito, quel sottomettersi alle pratiche religiose
come a castigo, e la disposizione stessa dello spirito mio, malcontento al-
lora di s, mi lasciarono delluomo unimagine fosca e sinistra, che poi
non s mai dileguata. Ma a diciottanni bisognava pure persuadersi da-
mare lAlfieri, bisognava calzare il coturno. E lo calzai44.

La momentanea passione per lAlfieri coturnato si presenta co-


me una sorta di debito da pagare; come quello, poche pagine pi
avanti, col Werther e con lOrtis, altre tappe dobbligo della giovi-
nezza dellartista, liquidate frettolosamente da Tommaseo:

Nella state ogni studio severo cess. Il teatro, e le veglie dopo il tea-
tro, e i lunghi sonni dopo le veglie, e il caff, e glidoli dellamore, e la let-
tura del Werther (al quale poi tenne dietro, com debito, lOrtis), e lo scri-
ver lettere ad imitazione di quelle, mi pigliavano tutto il tempo45.

42
Ivi, pp. 32-33.
43
Ivi, pp. 33, 34.
44
Ivi, p. 35.
45
Ivi, pp. 37-38.
v. tommaseo memorialista 237

una breve parentesi, come quella del coturno alfieriano


(questo parlar tanto damore mi mostra che la stagione dellire al-
fieriane presto era passata)46, che lascia qualche ragazzesca con-
cessione alla moda letteraria del tempo47; niente pi. Ben pi im-
portante per Tommaseo registrare gli esercizi degni di nota e i
relativi esiti, come consiglio a chi comincia48. Un esempio per
tutti:

Un esercizio insegnatomi da lui [Sebastiano Melan], dir qui, mi


giov grandemente. Invece di notare alla rinfusa i bei modi de grandi
scrittori, e me li fece disporre per ordine di materie in tanti quaderni
aventi ciascuno il suo alfabeto, e destinati ciascuno a distinta materia [].
Cos lesercizio pedantesco del notare le frasucce si convertiva in esercizio
dellintelligenza ordinatrice; e la memoria naveva agevolezza; e tornava
pi facile rinvenire le cose notate; e da que tanti modi raccolti uscivano
non solo modi nuovi di dire, ma pensieri, e materia di considerazioni va-
rie. [] E sebbene da tale lavoro, puerilmente fatto, io non traessi tutte
le utilit che dovevo, qualcuna ne trassi: certa ricchezza di dire, e certa va-
riet di maniera, labito di disporre sotto certi capi ogni idea, la prontez-
za a distinguere gli stili de varii scrittori49.

Ne affiora cos la variet di esperienze che cooperano a edu-


care lingegno: passare per idee e per affetti e per esercizii e per
consorzii diversi, e da tutti cogliere alcun poco da poter riparare
o temperare i difetti della natura mia50. E una tappa cruciale
46
Ivi, p. 58. La scarsa simpatia di Tommaseo per lAstigiano trova testimo-
nianza, per esempio, in una poco nota lettera, senza luogo e senza data (ma, come
attestano riferimenti interni, da Parigi, dunque tra il marzo 1834 e il novembre
1837): Io per me vorrei piuttosto aver fatto certi sonetti del Guidiccioni, e del Ca-
sa, e certe lettere del Bonfadio, e il Cela del Baldi, e la Nencia, e la Beca che un
dramma del Metastasio; e vorrei essere piuttosto il Gravina e il Tassoni, o il Pulci,
che Boccaccio, e il frate Savonarola piuttosto che il conte Alfieri. Ma queste a voi
parranno eresie (Giuseppe Baccini, Lettere inedite di Niccol Tommaseo al senato-
re abate Raffaello Lambruschini [continuazione e fine], in Rivista delle Biblioteche
e degli Archivi, xv, 2-4, 1904, p. 39).
47
Cfr. Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, pp. 53-54.
48
Ivi, p. 225.
49
Ivi, pp. 20-21. Un saggio di tali quaderni allegato da Tommaseo in
Appendice al libro primo (ivi, pp. 39 sgg.).
50
Ivi, p. 21.
238 ragionar di s

delleducazione dellingegno proprio leducazione al parlar di


s:

Il primo componimento che sotto la direzione sua [di Sebastiano Me-


lan] feci, fu certa epistola ad un compagno, nella quel parlavo a miei ver-
si, e indirizzandoli descrivevo il cammino che avevano a misurare per
giungere ad esso. Questo parlare di cose a me note, e dover riandare le im-
pressioni mie, e trovar le parole proprie a ci, era gi un passo innanzi.

Sul finir della state questanno, a me diciassettesimo, scrissi unepisto-


la latina per laurea dove facevo il ritratto mio. Qui trascrivo quei versi non
perch poesia centri ma perch lo stile (sebbene composto di frammen-
tuoli dOrazio) comincia ad avere fermezza; e perch dal lirico nobile
scendere al familiare senza capitombolo, era passaggio di non mal augu-
rio; e dancor migliore augurio era (non avendo di che altro) parlare di s,
come di cosa un po nota51.

I testi, come questo ritratto del poeta diciassettenne che, av-


verte lautore, in gran parte riman tuttavia somigliante52, sono
portati quali documenti di ingenuit artistica o come sintomatici
di un progresso verso lacquisizione duno stile e di un metodo
proprio. Capita cos che le Memorie poetiche contengano rapidi ap-
punti in cui esposto in sintesi il metodo della recensione del
Tommaseo53. E ne viene fuori, col tirocinio stilistico fatto di let-
ture e di esercizi ora pedanti ora originali, un ideale di stile
poetico che congiunge tre cose, evidenza, parsimonia, sceltezza54.
E si fa strada il bisogno invincibile [] di render ragione a se stes-
so dogni minimo gioco, dogni minima se cos posso dire scanala-
tura di questarme possente e s male adoprata, ch la parola55. La
via della crescita, come scrittore oltre che come uomo, si configu-
ra come imparare a essere pi malcontento di s , contro i ritor-

51
Ivi, pp. 22, 27.
52
Ivi, p. 27.
53
Roberta Turchi, K.X.Y.: una sigla per recensire, nellopera collettiva Teorie
del romanzo nel primo Ottocento, cit., p. 21.
54
Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, p. 210.
55
Ivi, p. 149.
v. tommaseo memorialista 239

nanti errori, tra cui in primis il malvezzo di sagrificare allarmonia


e alla singolarit, la naturalezza, la propriet, levidenza56; qualit
che esibisce la stessa prosa delle Memorie poetiche, la quale poggia
ora su una scrittura aforistica, ora su un periodare ampio che alli-
nea parallelismi e variationes, sempre nel segno per della limpi-
dezza e di una brevitas stringente.
Questi, in sintesi, i tratti contenutistici e stilistici macroscopi-
ci. Tornando a quel che qui pi ci riguarda, rispetto alle autobio-
grafie intellettuali del Settecento (lunico modello comparabile),
nuovo lassunto di Tommaseo: non la statura, la fama e la car-
riera ormai conclusasi dellintellettuale a giustificare il libro, ma il
solo fatto che la formazione dettagliatamente riferita di uno scrit-
tore ch approdato alla maturit possa essere utile. Insomma, non
si leggeva tanto per curiosit intorno a quell autore, quanto per in-
teresse intorno a come si forma un artista, a come matura un in-
gegno privilegiato agli oziosi esercizii e al meditato dolore57. Que-
sta novit non pass inosservata presso i contemporanei dello scrit-
tore. Una lettera di De Tipaldo nellottobre 1838 riferisce a Tom-
maseo, particolarmente avido di giudizi sulle sue Memorie poeti-
che 58, le critiche con cui il libro era stato accolto a Venezia:

Dicono: a che egli venuto ora in campo colle sue Memorie poetiche ?
Meno male chegli avesse scritta la Storia della sua vita. Ma scrivere come lin-
gegno suo si venisse svolgendo, non una grande vanit? E chi presume egli
di essere? Un Galileo, un Newton? Quante delle sue cose chegli condanna
sono migliori di quelle che prova! C molta boria in questo volume: Chi vo-
lesse, potrebbe con questo suo volume tagliargli bene le legna addosso59.

Tale critica assai significativa per la storia dellautobiografia


moderna, che ha dovuto fare i conti con la questione della legitti-

56
Ivi, pp. 150, 154.
57
Ivi, p. 98.
58
Sullinsistenza con cui Tommaseo chiedeva agli amici le impressioni loro
e di altri sulle Memorie poetiche, cfr. Marco Pecoraro, Nota critica, ivi, p. 540.
59
Emilio De Tipaldo a Niccol Tommaseo, 22 ottobre 1838, lettera inedita
cit. in Donatella Rasi, Storia di unamicizia, cit., p. 308.
240 ragionar di s

mit del parlar di s e che rimasta per secoli un genere sotterra-


neo e larvale, noto solo a chi lo coltivava60 finch non ha vinto la
sua battaglia. S, intorno al 1838 ormai accettata lidea che uno
scrittore e addirittura un uomo qualunque possa scrivere la storia
della sua vita, in quanto individuo unico e irripetibile: Rousseau
non passato invano. Resta per elitaria la storia dellingegno, pra-
ticabile solo da chi sia un Galileo o un Newton, non certo da
un letterato che appena giunto a met del cammino e che come
garanzia di utilit porta solo la propria esperienza individuale. Il li-
bro di Tommaseo si configura al suo tempo come una vistosa e in-
congruente eccezione: non era n la storia della vita (come si
chiamava allora lautobiografia) di un uomo qualunque, n la sto-
ria dellingegno di un personaggio di spicco nel campo del sapere
scientifico e filosofico o di un anziano letterato assunto stabilmen-
te in Parnaso. Miscelava in modo imperdonabile due forme con-
solidate ma distinte: una formula antica, secentesca e settecentesca,
quella dellautobiografia intellettuale, con una nuova, la moderna
autobiografia, che sancisce il diritto di tutti alla scrittura di s e in
cui il vero, il vissuto individuale assunto a paradigma universale.
Anche per quella autobiografia singolare che sono le Memorie poe-
tiche vale dunque quel che di Tommaseo ha detto Contini: lana-
cronismo in definitiva serve soltanto a reimmergerlo nelle grandi
correnti del [secolo] decimonono61.
Ma conta anche un altro aspetto. Tommaseo non dovette dare
peso alla critica dei contemporanei riferitagli dal De Tipaldo, anzi
sembr sfidarla, se nel 1858 sfrond le Memorie poetiche nellEdu-
cazione dellingegno. Eloquente lo stesso mutamento del titolo:
questa seconda opzione va ancor pi smaccatamente della direzio-

60
Marziano Guglielminetti, Memoria e scrittura, cit., p. 17. Sulla faticosa
legittimazione sociale e letteraria dellautobiografia, cfr. soprattutto Id., Scrittu-
re autobiografiche nellet teresiana, cit., p. 387 e Franco DIntino, Lautobiografia
moderna, cit., pp. 46 sgg.
61
Gianfranco Contini, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo, cit., p.
10. La scelta di una forma spiazzante e destinata alla marginalit si ripete di l a
poco sul fronte della scrittura aforistica: cfr. Gino Ruozzi, Introduzione, in Nic-
col Tommaseo, Pensieri morali, a cura di Gino Ruozzi, Bologna, Il Mulino,
2001, p. 19.
v. tommaseo memorialista 241

ne dellautobiografia intellettuale. Tutto ci che nel libro del 38


poteva essere romanzo dellio, nella nuova stesura viene scongiura-
to. Si veda la trasfigurazione a cui va incontro lavvio dellopera:
laddove le Memorie poetiche iniziavano con una lunga preterizione
che serviva a introdurre degnamente il caro e venerato zio frate,
protagonista della formazione di Tommaseo almeno fino allin-
gresso in seminario, nel testo rastremato dellEducazione dellinge-
gno si comincia con la lista delle letture condotte in collegio62. E se
nelle Memorie poetiche le parti pi riuscite su un piano artistico ap-
parivano talune nature, certe descrizioni paesaggistiche che si apri-
vano qua e l e certi racconti autoironici di prove poetiche adole-
scenziali, tutto ci che concessione sentimentale al proprio io
scompare nella seconda redazione. Lo stesso accade ai non pochi
autoritratti, alcuni dei quali celeberrimi e memorabili (io, cre-
dente per natura, cos come per natura son bipede; idoneo a
molte cose, adatto a nessuna; povero, solo, selvaggio, impazien-
te, ombroso, superbo)63 che si leggevano nelle Memorie poetiche e
che si sottraevano al ferreo sviluppo cronologico dellopera:

Gli era mia destino oramai scrivere e scrivere e scrivere, vivere per
iscrivere; e scrivere talvolta per vivere: era mio destino non avere pi n
famiglia n patria n sede certa n domani sicuro; portare le pene e de
non miei sbagli e de falli miei; venire a forza derrori e di dolori, e di sa-
crifizii non senza merito, raddrizzando da me il cammino, cercando alla
mia vita uno scopo, al mio pellegrinaggio una missione; e trovarla e ac-
cettarla con gioia tra rassegnata ed orgogliosa, come lunica espiazione del
passato, come lunica porta dellavvenire, come soave e severa necessit.

Il demone della critica sovente mi prese cos pe capelli, e fece talvolta


parere tristizia quel chera in me vanit scolaresca, o grettezza di studii, od
ostentazione di libert, o sdegno e sospetto dogni non vera grandezza64.

Dunque il passaggio dalle Memorie poetiche del 1838 allEduca-


zione dellingegno del 58 non soltanto un caso, lennesimo, di

62
Cfr. Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, pp. 5, 309.
63
Ivi, p. 53, 68, 147.
64
Ivi, pp. 19, 30.
242 ragionar di s

quel metodo consueto in Tommaseo di distillare frammenti dai


propri scritti (e da quelli altrui). Segue una direttrice ben precisa:
poggia su una vistosa riduzione della dimensione del soggetto in-
sita in quella prima storia dellingegno. Cos, nella rastremazio-
ne dellautobiografia a scapito dellio, sembra valere per il Tomma-
seo dellEducazione dellingegno non la critica dei suoi contempo-
ranei e il relativo invito a tratteggiare semmai una storia della pro-
pria vita ma, allopposto, quel che lo scrittore dice di s nelle Scin-
tille : troppo parlai di me stesso; e nho vergogna65.

Laltro testo tommaseano da affiancare alle Memorie poetiche,


per lo meno negli intenti dellautore, il loro corrispettivo sul pia-
no della formazione politica: Un affetto, autoricostruzione della
propria movimentata educazione patriottica e civile. La continuit
e la reciproca complementarit dei due progetti memorialistici
testimoniata dalle date di composizione: steso tra Bastia e Mont-
pellier, tra il settembre 1838 e il febbraio 1839, Un affetto dunque
contiguo alla pubblicazione delle Memorie poetiche (la cui stampa
avviata nel marzo 38). Dopo lartista e il giornalista, dopo il poe-
ta delle Confessioni, toccava al pensatore politico, allautore dei cin-
que libri DellItalia (1835).
Una differenza sostanziale per c. Un affetto destinato a una
pubblicazione postuma fin dal momento della sua stesura, come
attesta lexplicit:

Lettore, quando tu scorrerai queste carte, chi le dett sar morto. Pre-
ga per la sua pace: egli fin dora prega per la tua, o spirito ignoto. E que-
sti pensieri ti lascia, ultimo testamento, da fecondare con la meditazione,
con laffetto, con la parola, con lopera. Iddio abbia piet dellItalia66.

Nelle intenzioni dellautore appena trentaseienne, dunque, Un


affetto doveva essere un testamento morale e politico, opera po-
stuma non per vezzo letterario (come dovevano sembrare a Tom-

65
Cit. in Marco Pecoraro, Nota critica, ivi, p. 543.
66
Niccol Tommaseo, Un affetto, p. 129.
v. tommaseo memorialista 243

maseo i Mmoires dautre-tombe )67 ma perch a essa sarebbero sta-


ti affidati, come preziosa eredit, lo spirito patriottico e limpegno
civile dello scrittore, il succo del suo cattolicesimo liberale e so-
ciale68 clto nel suo formarsi.
Messo da parte lo scartafaccio, lautore vi ritorna sopra nel-
limmediato, per qualche mese, e poi oltre un decennio pi tar-
di per, com sua abitudine, rivederlo accuratamente: Lavoro
da rivedere, e forse da risecarne assai cose, ha scritto Tomma-
seo nella nota apposta in fronte al manoscritto69. Non c da stu-
pirsi per uno scrittore che alla summa estetica delle Memorie poe-
tiche ha affidato un ideale letterario secondo cui lesercizio del-
la lima il caro tormento della lima70 a fare gli scrittori;
in pi, uno scrittore per cui correggere cancellare71. Nella
fattispecie, si trattava per Tommaseo di scegliere e di correg-
gere quanto poteva72. Evidentemente fu pi facile a dirsi che a
farsi, se lautore ritenne lesito insoddisfacente e ne decret, pri-
vatamente nel 1851 e pubblicamente nel 1862, la non pubblica-
bilit:

leggendo i versi del volume intitolato Un affetto, e ripensando a tutto il


volume, mi accorgo quanto sia buona cosa non ne far nulla n prima n
dopo la morte mia. Chi avesse tempo e pazienza potrebbe forse levarne
qualche mezza pagina, pure per documento de tempi. Ma meglio tener-
lo sepolto in perpetuo, o bruciarlo73.

67
Cfr. una lettera tommaseana cit. in Michele Cataudella, Introduzione,
ivi, p. viii.
68
Cfr. Guido Verucci, Il cattolicesimo liberale e sociale di Tommaseo, nello-
pera collettiva Niccol Tommaseo e Firenze, cit., pp. 19-35.
69
Cfr. Niccol Tommaseo, Un affetto, p. 1.
70
Id., Diario intimo, p. 297.
71
Id., Memorie poetiche, p. 17.
72
Cfr. Niccol Tommaseo a Gino Capponi, Corf, 14 febbraio 1851, in Nic-
col Tommaseo-Gino Capponi, Carteggio inedito dal 1833 al 1874, a cura di Isi-
doro Del Lungo e Paolo Prunas, 4 voll., Bologna, Zanichelli, 1911-1932, iii (1849-
1854), 1922, p. 116.
73
La lettera a Capponi dellaprile 1851 (ivi, iii, p. 227) fu pubblicata da Tom-
maseo stesso nel suo Il secondo esilio. Scritti di Niccol Tommaseo concernenti le co-
se dItalia e dEuropa dal 1849 in poi, 3 voll., Milano, Sanvito, 1862, i, p. 134.
244 ragionar di s

Levarne qualche mezza pagina: non sorprende per uno


scrittore come Tommaseo, per il quale espressamente, lambi-
zione di un autore che dal suo lavoro si possa ricavare un bril-
lante centone di gemme, grazie al procedimento con cui egli vio-
lent i manoscritti di Giovita Scalvini74; ma perch meglio te-
nerlo sepolto in perpetuo? Come arguiva il primo editore di Un
affetto, linsoddisfazione non doveva essere legata ai contenuti (le
idee l espresse appartengono anche al Tommaseo successivo, per
esempio al Tommaseo di Roma et le monde ch proprio del 1851,
anno della citata lettera al Capponi); riguardava bens la qualit
del racconto, steso in fretta e ribelle alla struttura che lautore
aveva in mente75.
Quale fosse questa struttura ambta, francamente non dato sa-
pere se non da alcuni indizi interni. Quel che abbiamo una ste-
sura provvisoria76, edita per la prima volta nel 1974 anche se non
proprio integralmente77. La prima pagina si presenta come una sor-
ta di premessa al lettore che, come nelle Memorie poetiche, delinea
il contenuto e lutilit dellopera. Si ha prima una sintesi estrema
del pensiero politico dellestensore, con omaggio esplicito ai propri
referenti Dino Compagni, Dante Alighieri, Tommaso dAquino,
Girolamo Savonarola . dalla constatazione che tali idee non han-
no un portavoce in Italia e che esse sono consolidate nellautore per
lesperienza accumulata negli anni che muove lo scritto:

Ora che lesperienza delle ingloriose calamit che conseguono da li-

74
Gianfranco Contini, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo, cit., p.
6. Per Tommaseo pietoso, e falloso, editore dei testi scalviniani rimasti inediti;
cio quasi tutti (Mario Pazzaglia, Scalvini in Europa, nellopera collettiva Ro-
manticismo europeo e traduzione, Atti del Seminario Internazionale, Ischia, 10-11
aprile 1992, a cura di Lilla Maria Crisafulli Jones, Annalisa Goldoni e Romolo
Runcini, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli-Circolo Geor-
ges Sadoul, Valentino Editore, 1995, p. 65), cfr. Giovita Scalvini, Scritti, ordina-
ti per cura di Niccol Tommaseo, Firenze, Le Monnier, 1860.
75
Cfr. Michele Cataudella, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Un af-
fetto, p. ix.
76
Ivi, p. xvii.
77
Cfr. Alberto Manai, Ancora sul testo di Un affetto di Niccol Tommaseo,
in Rivista di letteratura italiana, vi, 1, 1987, pp. 101-160.
v. tommaseo memorialista 245

bert non curante di Dio, conferm sempre pi il mio pensiero; reputo


non inutile raccontare per quali gradi e venisse crescendo in me78.

Il problema che si presenta essenzialmente quello che sera af-


facciato per le Memorie poetiche : arginare lautobiografia privata, la
storia dellio, a vantaggio delle idee. Il privato affiora soprattutto l
dove Tommaseo addita lacerbo prezzo pagato per seguire la pro-
pria vocazione di scrittore civile: il tema della vita perseguitata ed
errante79 e della scelta dellesilio presente fin dalla prima pagi-
na80. Fatto sta che lo scritto risulta pi aneddotico e frammentario
delle Memorie poetiche, meno coeso, continuamente esposto a tra-
salimenti emotivi, disperso in notizie minute, in episodi minimi e
in struggenti memorie personali, ancora legato al gravame ancora
dei miti e dei risentimenti autobiografici81, soprattutto nelle pagi-
ne sulla giovinezza: si veda, come esempio per tutti, una pagina
sullincessabil rimorso che incombe sul rapporto coi genitori,
dove limmagine della madre si dilata come ricordo attualizzante e
ossessivo82. solo a partire dallesilio volontario in Francia sno-
do cruciale nellacquisizione di una nuova e veramente compiuta
identit politica83 che il racconto si fa pi stringente e organico,
funziona di pi, seguendo linearmente le tappe del peregrinare del-
lo scrittore.
La redazione di Un affetto cui Tommaseo approda insomma
un punto di partenza, pi che un punto di arrivo. Qui la memo-

78
Niccol Tommaseo, Un affetto, p. 3.
79
Ivi, p. 52.
80
Cfr. ivi, p. 3: perch nessuno de presenti mi parve in Italia finora annun-
ziar queste cose con la necessaria schiettezza e calore, credetti mio debito alzar la
voce: e a tal fine abbandonai volontario le care terre dItalia, la lingua, amore e spi-
rito mio, gli amici provati, gli agi affettuosamente due volte proffertimi, leredit
di mio padre, la speranza di assistere benedetto e consolatore allagonia di mia ma-
dre. Il tema ritorna soprattutto ivi, pp. 23, 91.
81
Aldo Borlenghi, Linedito Un affetto del Tommaseo (1975), in Il succes-
so contrastato dei Promessi sposi e altri studi sullOttocento italiano, Milano-Napo-
li, Ricciardi, 1980, p. 41.
82
Cfr. Niccol Tommaseo, Un affetto, p. 22.
83
Marco Cini, Lesperienza dellesilio in Niccol Tommaseo, nellopera collet-
tiva Niccol Tommaseo e Firenze, cit., p. 292.
246 ragionar di s

ria privata affiora come forza centrifuga, come materia viva e pul-
sante appena incellofanata in un disegno, dipanandosi in una pro-
sa frammentaria a tratti accostabile pi a quella del diario che a
quella delle Memorie poetiche. La scrittura stessa tende a seguire la
spinte centrifughe delle istantanee della memoria e si mostra re-
frattaria al percorso mentale precostituito che, in teoria, di quelle
istantanee avrebbe dovuto fare un continuum teleologico; e Un af-
fetto rischia davvero di assomigliare pi che alla storia della forma-
zione politica ambta da Tommaseo proprio a quella storia della
sua vita che auspicavano i suoi contemporanei.
Questa volta lorganizzazione unitaria delle memorie si rivela
pura velleit. Dipender forse dalla stessa ideologia politica del-
lautore, piena di contraddizioni84. Rinuncio ad approfondire gli
aspetti ideologici, ma mi preme sottolineare come, quando lau-
tobiografia, la storia convulsa dellio prende il sopravvento sulle-
sposizione serrata del pensiero (pericolo da cui le Memorie poeti-
che si erano salvate), le carte delle memorie politiche per Tom-
maseo da postume si fanno private. C in questo un motivo cru-
ciale dellispirazione del Tommaseo memorialista. Conquistato
dalle Confessions di Rousseau, il campione di una perenne dispo-
sizione autobiografica [] sotto il velo di ragioni educative, poli-
tiche, sociale85, il Tommaseo delle memorie scrive per gli altri al-
meno quanto per se stesso: accanto al valore autoconoscitivo e au-
tochiarificatore della ricostruzione autobiografica, entrano in gio-
co finalit pedagogiche ed edificanti che travalicano la scrittura di
s. Se dietro la frenesia di ricordi, bilanci e autodefinizioni che im-
perversa magnificamente in quasi tutta lopera dello scrittore ci
sono sempre esigenze private prima che pubbliche, anche vero
che il passaggio dallesercizio autoanalitico al libro di memorie
implica non solo dare coesione e ideale unit ai frammenti della
propria vita, ma anche eleggere a destinatario un pubblico oltre
che se stesso. Per un artista che riguarda la letteratura come una

84
Cfr. Gianfranco Contini, Per il romanzo di Tommaseo, cit., pp. 268-269.
85
Gino Tellini, Su Tommaseo narratore e poeta, cit., p. 118. Per Tommaseo
lettore delle Confessions (ricordate nelle Memorie poetiche, p. 225), cfr. particolar-
mente Raffaele Ciampini, Vita di Niccol Tommaseo, cit., p. 111.
v. tommaseo memorialista 247

professione morale86 e che da anni invitava i dotti ad uscire dal-


la loro separatezza; per uno scrittore la cui stessa idea di storia
letteraria [] implicava una finalit morale e pedagogica, chia-
mando in causa la responsabilit del letterato87; per un giornali-
sta che lamentava che la scarsa famiglia de dotti fosse in Italia
una razza duomini segregata dalla umana; che polemizzava con
i dotti che le idee pensano a possederle, pi che ad usarle per s,
ed rivolgerle in sentimento88, due libri di memorie poetiche e po-
litiche vanno ben oltre lautobiografia: sono lo strumento con cui
uscire da quella separatezza e andare incontro alla famiglia in ac-
crescimento di lettori che vorrebbe entrare a far parte di tante
idee. Se il libro di memorie non supera lincaglio dellio, allora
meglio tenerlo sepolto.

3. il fedel specchio: il diario intimo

Le cose che diciamo e facciamo ogni giorno e che alla fine, sommate
insieme, rendono il peso e il valore della nostra vita, non sono tutte, per
fortuna, degne di memoria o almeno dattenzione da parte degli altri89.

Cos Pirandello apriva nel 1933 un suo lungo articolo autobio-


grafico. Ma quel che vale per lautobiografo, non vale per il diari-
sta. Non vale a maggior ragione per il diario di Tommaseo, scrit-
tore convinto e fermo nel sostenere che nessuna verit per minu-

86
Niccol Tommaseo, recensione a Giuseppe Cardella, Compendio della sto-
ria della bella letteratura greca, latina e italiana, seconda edizione (1828), cit. in Ro-
berta Turchi, Dalle recensioni alla Storia civile nella letteraria: gli articoli per
lAntologia di Niccol Tommaseo, nellopera collettiva Niccol Tommaseo e Firen-
ze, cit., p. 138.
87
Roberta Turchi, Dalle recensioni alla Storia civile nella letteraria, cit.,
pp. 136-137.
88
Niccol Tommaseo, Biografia universale. Traduzione veneta. Presso G. B.
Missiaglia (1827), cit. ivi, p. 137. La citazione che segue, ibidem.
89
Luigi Pirandello, Non parlo di me, in Occidente, ii, gennaio-marzo
1933, pp. 13-24 (ora in volume, con altri brevi scritti autobiografici: Non parlo di
me, Pavia, Ibis, 1994, da cui si cita: p. 11).
248 ragionar di s

ta che sia, nessuna indagine della verit, per quanto paia importu-
na, pu dirsi inutile e che la verit individuale (cosa singolare ma
infallibile), se fedelmente espressa, non pu non essere insieme la
verit universale90; e si sa che per il nostro autore, quando si pren-
de la penna in mano, il vero coincide con il proprio vissuto e la sua
indagine con lo scrutinio dellio. Stiamo parlando di uno scrittore
che nella nota iniziale al manoscritto di Un affetto appunta: senza
tenere quotidiana memoria delle cose vedute e provate, non si d
a conoscere lintimo de sentimenti e de fatti91; di uno scrittore
per cui uninstancabile pratica diaristica fonte di autoconoscenza
e dunque di conoscenza. innanzitutto questa convinzione, cor-
roborata da unautoantipatia92 che non concede sconti, che fa di
Tommaseo lestensore di un diario straordinario, citato come per-
la rara nello scarno panorama del journal intime italiano da chiun-
que si occupi, con cognizione di causa, della materia93. Ed que-
sta convinzione che fa s che egli intrattenga col suo diario un rap-
porto necessario, bench delle due grandi famiglie in cui si posso-
no distinguere operativamente i diaristi quelli che vedono nel
proprio giornale unopera parallela [] e quelli per cui il diario
lopera principale o esclusiva94 , egli appartenga alla prima. Le
caratteristiche di uomo tanto sensibile al frantumarsi indefinito

90
Niccol Tommaseo, Dizionario estetico, cit., i, p. 27 e Id., Ispirazione
e arte o lo scrittore educato dalla societ e educatore, Firenze, Le Monnier, 1858, p.
22. Su come lautonalisi interiore assuma in Tommaseo significato soggettivo e
universale insieme, perch nel limite umano che ognuno indaga meglio in
se stesso scorge il postulato dellinfinito, cfr. soprattutto Carmine Di Bia-
se, Il credo (1966), in Autobiografismo e arte in Niccol Tommaseo. Saggi, cit., pp.
113 sgg.
91
Niccol Tommaseo, Un affetto, p. 1.
92
Cfr. Gianfranco Contini, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo,
cit., p. 12.
93
Cfr., a titolo desempio, Michel David, Il problema del diario intimo in
Italia, nellopera collettiva Journal intime e letteratura moderna, Atti di Semina-
rio, Trento, marzo-maggio 1988, a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni, 1989, pp.
83-84 e Marziano Guglielminetti, Biografia ed autobiografia, nellopera colletti-
va Letteratura italiana, diretta da Alberto Asor Rosa, v, Le questioni, Torino, Ei-
naudi, 1986, p. 877.
94
Franco Fido, Specchio o messaggio? Sincerit e scrittura nei giornali intimi
fra Sette e Ottocento, cit., p. 152.
v. tommaseo memorialista 249

della storia, e insieme di cavillosissima facolt giudicante95 fanno


il resto, cosicch Contini poteva asserire che la vera sede di Tom-
maseo [] il diario96.
Quel che indichiamo come Diario intimo con titolo che riu-
nisce e salda la terminologia italiana (diario) con quella francese
( journal intime ) Tommaseo usa chiamarlo memorie, secondo
luso invalso ai suoi tempi97. Cos fa lautore quando nellelenco dei
cotidiani suoi studi (in mezzo fra tradurre un faccia delle Ora-
zioni di Demostene e scegliere dal Forcellini tre vocaboli) regi-
stra: scrivere una faccia di queste smemorate memorie98; dove
smemorate varr senza filo, diversamente dai libri memorialistici.
Gi questa nota da sola attesta come lesercizio diaristico si confi-
guri per Tommaseo quale attivit non marginale ma intrinseca al
suo quotidiano operato di scrittore. Altri due certi rinvii interni al
diario tornano poi pi avanti: uno il 21 luglio 1835, nel segnalare che
gli appunti, a partire dallesilio francese, si fanno pi brevi (Ripi-
glio queste memorie, ma pi corte)99, laltro il 28 settembre 1838
(Queste memorie interrotte, mi gioia riprendere)100. Prima, un
altro, ma solo probabile autorinvio figura tra i libri da farsi o da
correggersi registrati nella lista del 30 ottobre 1833, dove alla voce
Memorie , incuneata tra Dante e Dizionario , si legge: Fram-
menti dove lindividuo sia simbolo dellumanit Miei frammenti
di prose e di poesie101. Infine, si riferisce verosimilmente al Diario

95
Gianfranco Contini, Per il romanzo di Tommaseo, cit., pp. 268-269.
96
Id, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo, cit., p. 12.
97
lo stesso uso che ha recentemente spinto DIntino a ritornare al titolo
Memorie del primo amore per il leopardiano diario, in considerazione del fatto che
nella cultura dellepoca i generi autobiografici (diario, o journal, autobiografia ve-
ra e propria, mmoires ecc.) non sono distinti in modo rigoroso, e memorie pu
valere sia ricordi, sia narrazione di avvenimenti degni di menzione, sia sempli-
cemente annotazioni, appunti, eventualmente presi giorno per giorno (Fran-
co DIntino, Nota ai testi, in SFA, p. 143).
98
Niccol Tommaseo, Diario intimo, p. 71, in un appunto senza data, ma
intorno al 1827.
99
Ivi, p. 177.
100
Ivi, p. 196.
101
Ivi, p. 141. Che anche in questo caso memorie stia a indicare il diario
sicuro Michele Cataudella, Il diario intimo del Tommaseo, in Quaderni di re-
250 ragionar di s

intimo (ma non ce la sentiamo di escludere del tutto leventualit


che si alluda a Un affetto, alternativamente indicato nel diario con
il titolo o come memorie), lappunto del 18 aprile 1846: Rileggo
le memorie della passata mia vita, e mi umilio, e mi consolo, pen-
sando che limagine della buona mia madre mha seguitato da per
tutto, e che sempre con affetto di venerazione fu contemplata dal-
lanima mia102. In alternativa a memorie Tommaseo usa le
espressioni i miei piaceri, piaceri della mia vita103, alludendo ai
contenuti della pratica diaristica e insieme alla pratica stessa.
Pratica che, infatti, si estende nellarco di quasi tutta una vita.
Inaugurato dalla data Venezia, 26 settembre 1821, con una nota ad
alto tasso di letterariet che non lascia minimamente supporre i va-
riegati sviluppi successivi104, il Diario intimo aduna appunti giorna-
lieri, con frequenti interruzioni, tra quellanno e il 1852, pi una bre-
ve appendice fiorentina del 1871: si estende insomma per cin-
quantanni su una serie sterminata di foglietti su cui Tommaseo re-
gistra pazientemente e accanitamente i minimi sussulti del proprio
esistere quotidiano. Privato, scritto per se stesso, ma, sembra, non
senza arguire che un lettore postumo ci sar: O voi che leggerete
queste mie carte105. Rare pagine di analisi letteraria si infram-
mezzano ad ampi squarci di vita quotidiana, costruiti spesso su una
tecnica puramente elencativa, con appunti di lettura e di lavoro, le
misere parti della sua vita attiva106. Ma vi si aprono anche brevi re-

torica e poetica, 2, 1985, numero monografico, cit., p. 94. Si riferir invece senzal-
tro a Un affetto la frase scrivo un po delle memorie del 4 gennaio 1839 (cfr. Nic-
col Tommaseo, Diario intimo, p. 203).
102
Niccol Tommaseo, Diario intimo, p. 314.
103
Cfr. ivi, p. 84 (alla data del 18 febbraio 1833: piaceri della mia vita), p. 86
(alla data 5 marzo 1833: Tutti questi giorni occupato, non potei tener conto de
miei piaceri) e la nota di Raffaele Ciampini.
104
Questo mio cuore adunque non sar allegra mia vita fattor che daffan-
ni? (ivi, p. 59).
105
Ivi, p. 60. In proposito, cfr. Michele Cataudella, Il diario intimo del
Tommaseo, cit., p. 90. Per una casistica dei destinatari di un diario (lettore virtua-
le, escluso, intruso, tollerato, ammesso), cfr. Jean Rousset, Le journal intime,
texte sans destinataire?, in Potique, 56, 1983 (numero monografico: Lautobio-
graphie), pp. 435-443.
106
Niccol Tommaseo, Diario intimo, p. 306.
v. tommaseo memorialista 251

soconti retrospettivi, sorta di bilanci e consuntivi esistenziali, sospe-


si tra passato e futuro107; registrazioni di debiti di riconoscenza, au-
toriflessioni spesso risolte in lezione data a se stesso108, propositi per
il futuro, folgorazioni repentine incorse per strada o a teatro, descri-
zioni di luoghi, dove affiora il Tommaseo en plein air 109; taluni au-
toritratti memorabili (io ignobile, povero uggioso, letterato, brutto,
coglione110): sempre in ossequio a una esplorazione autobiografica
paziente, continua e diffusa, ma non amorosa e indulgente secondo
quella linea con una lunga e nobile tradizione, a partire da Montai-
gne. Gli attacchi pi ricorrenti sono leggo, veggo, scrivo, cor-
reggo, vo, viene o vengono (riferiti alle visite di amici), pre-
go, passeggio (cui a partire dallesilio francese si vanno ad ag-
giungere dormo e pecco); infine sogno (ben oltre trenta oc-
correnze)111, anche questultimo quasi sempre al presente (una sola
volta Sognai, l8 marzo 1833, e Sognato, il 12 dello stesso mese112).
Due i caratteri specifici che saltano presto agli occhi e che costitui-
scono le peculiarit di tale diario nel panorama delle scritture affini,
non solo tra quelle coeve: da un lato, quello che Contini ha indica-

107
Si veda, per esempio, ivi, p. 75: Che mai ella stata finora la mia esistenza?
Superbia, umiliazioni, ignoranza. Che sar ella mai? Solitudine, povert e sventura.
Queste cose scrivo afflitto, ma tranquillo, pieno di fiducia in Dio, e desideroso che
mille tormenti del corpo e del cuore (?) valgano ad espiare le tante mie colpe.
108
Ivi, p. 73.
109
Su questaspetto dellispirazione dello scrittore, cfr. ora Donatella Mar-
tinelli, Fede e bellezza: gite, taccuini, pagine disperse, in Studi di filologia ita-
liana, lii, 1994, pp. 331-369.
110
Niccol Tommaseo, Diario intimo, p. 133. Michele Cataudella (in Il dia-
rio intimo del Tommaseo, cit., p. 93) propone una distinzione sommaria, nella
struttura polivalente del diario tommaseano, fra tre livelli: il livello dei dati di
fatto, delle cose minute che gli accadono nel giorno; il livello del rapporto [] con
la societ dei letterati e degli intellettuali e il livello della confessione, del riman-
do al suo mondo intimo.
111
Senza tener conto dei brani aggiunti da Vittore Branca, Il diario inti-
mo ma non integrale del Tommaseo. Inediti del Diario (1977), nellopera col-
lettiva Scritti in onore di Giovanni Macchia, 2 voll., Milano, Mondadori, 1983, i,
pp. 162-179 e Id., Questi sogni son troppo frequenti. Memorie inedite del Tom-
maseo per il 1830 nel cos detto Diario intimo, nellopera collettiva Miscellanea di
studi in onore di Marco Pecoraro, a cura di Bianca Maria Da Rif e Claudio Griggio,
Firenze, Olschki, 1991, ii, Da Tommaseo ai contemporanei, pp. 1-38.
112
Niccol Tommaseo, Diario intimo, pp. 87, 88.
252 ragionar di s

to come un recupero delle zone vili delluomo, lindugio sulla pro-


saica corporeit113, tratto macroscopico e inconsueto anche in un
diario; dallaltro, la scoperta dellio involontario114. Sul primo
aspetto, significativo e non scontato riverbero dellautoantipatia di
Tommaseo, acme dellio destabilizzato, detronizzato, diseroicizza-
to e sliricizzato115 che lo scrittore mette in scena nella privata prati-
ca diaristica come nella pubblica scrittura narrativa, molto stato
detto. Qui interessa soprattutto il secondo motivo (la scoperta del-
lio involontario), rimasto un po pi in ombra.
Presupposto della scrittura diaristica stare in compagnia di se
stessi; una compagnia pi o meno amata, pi o meno cercata, pi
o meno faticosa, ma che il diarista per vocazione riconosce come
sistema di vita, forse lunico attuabile. Anche in una giornata in-
sipida116: per una frase come quella dellAlfieri dei giornali: Nul-
la che vaglia dessere scritto, non c posto nel Diario intimo. Se
per dirla con Flaiano, i giorni della vita di un uomo che contano
sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume117, nel Diario
intimo c anche e soprattutto ci che fa volume. In esso scava il
diario, perseguendone la sua sostanza, la sua pur minuta verit118.
Non solo: allopposto dellAlfieri dei giornali, che per sua ammis-
sione fugge lo stare con se stesso soprattutto nei momenti in cui
pi scontento di s119, Tommaseo vi indulge proprio l dove i con-
ti non tornano. il caso dei sogni, che si affollano nei periodi del

113
Cfr. Gianfranco Contini, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo,
cit., p. 13, ma anche Giacomo Debenedetti, Niccol Tommaseo, cit., pp. 38-39.
114
Giovanni Macchia, Et le cur humain devient fou, cit. in Gino Telli-
ni, Su Tommaseo narratore e poeta, cit., p. 118.
115
Lio diseroicizzato il titolo del paragrafo dedicato a Fede e bellezza in Gi-
no Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., pp. 78-82.
116
Vittorio Alfieri, Mirandomi in appannato specchio, cit., p. 31 (sotto la
data Domenica li 20 Aprile [1777]). La citazione che segue, ivi, p. 44 (sotto la
data Marted 29 Aprile [1777]).
117
Il celeberrimo aforisma si legge in Ennio Flaiano, Frasario essenziale per
passare inosservati in societ (nelledizione con introduzione di Giorgio Manganel-
li e una nota di Maria Corti, Milano, Bompiani, 1986, p. 53).
118
Cfr. Arnaldo Colasanti, Il Diario intimo di Niccol Tommaseo, nello-
pera collettiva Niccol Tommaseo e Firenze, cit., p. 373.
119
Cfr. ivi, p. 11 (sotto la data Dimanche 15 9bre 1774: je cours risque de me
v. tommaseo memorialista 253

primo e del secondo esilio, particolarmente frequenti tra il gennaio


del 37 e il maggio del 38. Tanti sono anche nellaltro genere costi-
tuzionalmente deputato alla confessione, nelle lettere120: sogni che
non sono quelli oracolari della tradizione classica, che quasi sem-
pre lo riportano a Sebenico e che hanno il sapore di un rimprove-
ro; che sono spesso il contrappunto degli stati di coscienza e da cui
sovente troppo velocemente se ne ricava una morale, per il ro-
mantico Tommaseo121; sogni addomesticati per carpirne lultimo
segreto, ma pur sempre reali, non costruiti a tavolino, di quelli che
sono provvisti di un ombelico, di un punto che li ricongiunge
allignoto e allinsondabile122 della propria interiorit. Sono que-
sti i momenti in cui si fa chiara la volont del diarista di penetrare
negli arcana coscientiae, di procedere a un ritratto morale prossimo
allesame di coscienza, dove nessun angolo dellio resti imperscru-
tato. Cos, accanto al palpabile piacere di notare per iscritto non
tanto le pi memorabili cose, viste o provate, ma le pi sfuggenti,
lo scopo un altro: conoscersi e correggersi di ci che spiace, ren-

retrouver moi-mme, si je suis tout seul mon dner) e p. 19 (sotto la data Sa-
medi, le 19 de Fvrier 1775: Arrive un danseur, ensuite pour dner avec moi; ce-
la me fait plaisir, quoique la compagnie ne soit pas bien amusante, parce que je me
fuirais un peu moi-mme, et de cette faon je me trouverais moins humili).
120
Cfr., per esempio, le lettere ad Antonio Rosmini, Parigi, 25 settembre 1834,
in Niccol Tommaseo-Antonio Rosmini, Carteggio edito e inedito, cit., ii (1827-
1855), pp. 260-264 (I sogni [] mi sono e ispirazione e conforto e occasione di
pensieri e consiglio daffetti); a Giovan Pietro Vieusseux, 8 aprile 1834, in Nic-
col Tommaseo-Giovan Pietro Vieusseux, Carteggio inedito, cit., i, pp. 186-191;
a Gino Capponi, Parigi, 18 aprile 1834, in Niccol Tommaseo-Gino Capponi,
Carteggio inedito dal 1833 al 1874, cit., i (1833-1837), 1911. Su questo tema, cfr. Ste-
fano Jacomuzzi, Lesperienza del sogno nella lirica del Tommaseo, nellopera collet-
tiva Niccol Tommaseo nel centenario della morte, Atti del Convegno di Studi, Ve-
nezia, 30 maggio-1 giugno 1974, a cura di Vittore Branca e Giorgio Petrocchi, Fi-
renze, Olschki, 1977; Vittore Branca, Il diario intimo ma non integrale del
Tommaseo. Inediti del Diario, cit.; Id., Questi sogni son troppo frequenti. Me-
morie inedite del Tommaseo per il 1830 nel cos detto Diario intimo, cit. Ma si ve-
da pure Mario Puppo, Aspetti e problemi dellarte del Tommaseo scrittore (1974), in
Poetica e poesia di Niccol Tommaseo, Roma, Bonacci, 1979, pp. 45-46 e Arnaldo
Colasanti, Il Diario intimo di Tommaseo, cit., pp. 372 sgg.
121
Gianfranco Contini, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo, cit., p. 13.
122
Mario Lavagetto, Introduzione, in Italo Svevo, Zeno, a cura di Mario
Lavagetto, Torino, Einaudi, 1987, p. xx.
254 ragionar di s

dendo conto a se stessi delle azioni di ogni giorno; un metodo, se-


gnava Alfieri in apertura dei suoi giornali, che parecchi filosofi
han considerato ottimo123. E questo ci porta al nucleo cruciale
dellispirazione diaristica del nostro autore: nella formazione di un
abito autobiografico in Tommaseo senzaltro cogente linvasiva e
oltranzistica fede religiosa dellautore. La quale non necessaria-
mente funziona da resistenza124 e da deterrente dalla scrittura: il
cristianesimo acuisce in modo traumatico il cosiddetto complesso
di Narciso imponendo alla scrittura di s una finalit morale; la
cultura cattolica poi genera ripugnanza per il diario intimo []
in unaccezione psicologistica, protestantica125 (e il Diario intimo
di Tommaseo infatti ferocemente calato nelle cose), ma offre
pure il modello degli esercizi spirituali (oltre a quello della Vita
Ignatii, che per il diario meno ci riguarda)126. Non si dimentichi
che nei pi antichi testi che la letteratura cristiana ci abbia lascia-

123
Si cita dalla traduzione di Daniele Gorret in Vittorio Alfieri, Mirando-
mi in appannato specchio, cit., p. 59 (il testo originale in francese si legge ivi, p. 9).
Non a caso Alfieri chiamava le sue note diaristiche questi miei esami (ivi, p. 25,
sotto la data Gioved li 17 Aprile [1777]).
124
Michel David, Il problema del diario intimo in Italia, cit., p. 94. Nel ri-
percorrere il problema del diario intimo in Italia, Michel David evidenziava la
scarsit del materiale da esaminare o, per lo meno, di quanto ne stato pubblica-
to, e quindi la scarsit degli studi specifici (ivi, p. 81) e, dimostrandosi per niente
convinto della spiegazione psicologica-antropologica gli italiani popolo portato
allautobiografia, genere attivo ed estroverso, non al diario, contemplativo e intro-
verso avanzata a pi riprese dalla critica, perseguiva in un rapido disegno le ra-
gioni storiche e culturali del perch in Italia ci si sia occupati poco di pubblicare
ed esaminare diari, quando e come tale forma sia nata e in ossequio a quali mo-
delli si sia venuta affermando. Spiccano, in quella sempre attuale disamina, i rife-
rimenti alla cultura religiosa cattolica, nella fattispecie post-tridentina, che allop-
posto di quella protestante non promuove lautoanalisi scritta: difficile rintrac-
ciare nei testi dei grandi riformatori italiani della pedagogia [] il minimo consi-
glio riguardante la stesura di un diario regolare e cronologico di devozione. []
Solo Ignazio di Loyola, di cui abbiamo i frammenti dun diario spirituale (1546)
pieno di lagrime, d un curioso modello grafico settimanale per i sette esami par-
ticolari quotidiani, con due tempi e tre esami, in cui si registreranno le colpe in-
dividuali, sotto forma di punti disposti dopo una lettera-chiave (ivi, p. 92).
125
Gianfranco Contini, Per il romanzo di Tommaseo, cit., p. 268. La cita-
zione che segue, ibidem, n. 1.
126
Cfr. Andrea Battistini, I simulacri di Narciso, in Lo specchio di Dedalo,
cit., p. 33: se nei paesi protestanti la sostituzione del sacramento della penitenza
v. tommaseo memorialista 255

to in materia di scrittura spirituale si presenta la registrazione


scritta delle azioni e pensieri come un elemento indispensabile del-
la vita ascetica perch essa esercita una costrizione [] in ordine
ai movimenti interiori dellanima, assumendo cos un ruolo mol-
to vicino a quello della confessione al direttore spirituale127. Nel
Tommaseo del Diario intimo si ripresenta quel meccanismo di im-
pulso allautosservazione impietosa e insieme di disciplina peni-
tenziale, al ripiegamento su di s a scopo di conoscenza e perfezio-
namento spirituale proprio della pratica autobiografica sub specie
cristiana, ma con uno slittamento del destinatario da Dio a s128.
Dunque quando Tommaseo affronta il terreno minato mina-
to soprattutto per un cristiano che deve esorcizzare il complesso
di Narciso con una motivazione edificante dellautobiografia lo
affronta in due direzioni distinte: lautobiografia intellettuale con
finalit didascaliche da un lato (Memorie poetiche e Un affetto), il
diario intimo con finalit autoesplorative e penitenziarie, dallaltro.
Non la sentimentale storia della sua vita che invocano i contem-
poranei dello scrittore: quella non si sottrae alla vanit, come le
memorie intellettuali, e non ha laffondo del diario.

4. la fedele pittura: fede e bellezza

Delle due strade alternative al romanzo storico individuate dal


Tommaseo recensore il romanzo contemporaneo da una parte,

con un diario intimo (necessario nella convinzione luterana, calvinista e puritana


che il singolo sia comunque il solo responsabile della propria esistenza) conduce in
fine alle confessioni laiche del ginevrino Rousseau e al romanzo borghese del Set-
tecento, nei paesi cattolici gli esercizi spirituali e larchetipo della Vita Ignatii, pre-
sto imitata in forma biografica da numerosi confratelli [], garantiscono una tra-
ma narrativa capace di costruire un organismo indipendente. Pi in generale,
sullinfluenza del Cristianesimo sul genere autobiografico, in quanto pone al-
laccento sul rapporto individuale e segreto tra ogni singola anima e Dio, cfr. il
sintetico profilo in Franco DIntino, Lautobiografia moderna, cit., pp. 22-25.
127
Michel Foucault, La scrittura di s, in Aut Aut, maggio-agosto 1983,
pp. 5-6, a proposito della Vita Antonii di Atanasio.
128
Eccetto che nel finale, su cui gi richiamava lattenzione Contini (cfr.
Gianfranco Contini, Progetto per un ritratto di Niccol Tommaseo, cit., p. 23).
256 ragionar di s

un romanzo tutto storico, senza il sussidio dellinvenzione dallal-


tra 129, la prima quella pi congeniale e pi proficua per il nar-
ratore. la via su cui lo scrittore si mette presto, non appena in-
comincia a pensare alla narrativa. A ventitr anni, come si sa, Tom-
maseo abbozza Una notte, senza concetto, e scritto di capitolo in
capitolo, cos come il caso dettava130: romanzo di memoria e dau-
toritratto sentimentale sui turbamenti delladolescenza, in prima
persona. Di l a poco, eccone un altro, anchesso romanzo auto-
biografico di autoconoscenza, se lautore pu dire:

Pensai un romanzo, non condotto ad esecuzione; ma il pensiero era


notabile per ci solo che i concetti e i voleri e le sorti della seguente mia
vita sono ivi chiaramente indicate, vaticinate131.

la via che, passando per Due baci (1831), porta a Fede e bel-
lezza, lopera con cui Tommaseo, risolta la questione del vero in
modo diverso dal suo collega Manzoni, volge le spalle alla narra-
tiva della storia e inaugura, anzitempo da noi, il moderno roman-
zo di analisi, su materia di vita contemporanea132. Nel panorama
della narrativa italiana del primo Ottocento, si sa, Tommaseo se-
gna il ritorno allio: mentre il romanzo storico si avvia a una irre-
versibile crisi, lautore di Fede e bellezza si riallaccia piuttosto al
modello dellOrtis, archetipo di una narrativa autobiografica, ego-
centrica e autoinvestigativa, ma nel segno personalissimo di un
egocentrismo autocritico e antieroico che molto si differenzia
dalla foscoliana mitologia dellio133.
Non si tratta in questa sede di indagare le molteplici connes-
sioni istituibili fra il materiale narrativo e il vissuto dellautore, n
di soppesare linvadenza autobiografica dellautore ch laspetto

129
Cfr. Roberta Turchi, K.X.Y.: una sigla per recensire, cit., p. 26.
130
Niccol Tommaseo, Memorie poetiche, p. 164.
131
Ivi, p. 178. A parte, ma sempre sulla strada del contemporaneo, sta il di po-
co successivo disegno dun romanzo critico, dove tartassare un po la piccola let-
teratura del tempo (ivi, p. 196).
132
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 54.
133
Ivi, p. 78.
v. tommaseo memorialista 257

forse pi evidente nel romanzo e uno di quelli contro cui aveva ar-
gutamente polemizzato uno tra i primi e pi sottili esegeti di Fede
e bellezza, Carlo Cattaneo, nella sua celebre stroncatura sul Poli-
tecnico134. Non interessa qui lassodato rilievo autobiografico del
romanzo, per cui i due protagonisti, Giovanni e Maria, costitui-
scono due ipostasi dellautore. E non importa come tale autobio-
grafismo costituisca un limite per la creazione nel romanzo di una
ricchezza di vite potenziali135. Come non interessa, infine, che la
preponderanza dellelemento autobiografico e lafflato lirico che
sono le cifre caratterizzante dellopera sfilaccino le strutture narra-
tive e neutralizzino la fabula. Altri lo hanno gi messo in evidenza
molto meglio di quanto saprei fare.
Interessa invece che nella ricerca di una strada narrativa nuova,
autoanalitica, antiromanzesca, antiavventurosa e antieroica, venga-
no incontro al Tommaseo romanziere le scritture dellio: dal rac-
conto-confessione al diario, alla lettera. Fede e bellezza, opera nuo-
va nel panorama letterario di primo Ottocento, lesempio prin-
cipe di come, se tra Sette e Ottocento lautobiografia saccheggia le
strutture narrative del romanzo, contemporaneamente il roman-
zo a far suoi i molteplici registri della scrittura di s: cos accade nei
tentativi di quanti nel primo Ottocento sperimentarono forme
narrative inedite rispetto alla nostra tradizione romanzesca (dai
conciliatoristi a Leopardi, a Bini) o, nel caso di Tommaseo, di chi
volle creare unalternativa al modello imperante del romanzo stori-

134
Cfr. Carlo Cattaneo, Fede e bellezza di Niccol Tommaseo, in Il Poli-
tecnico, iii, 14, 1840, pp. 166-176 (ora in Scritti letterari, a cura di Piero Treves, Fi-
renze, Le Monnier, 1981, i, pp. 120-135). Per una rapida rassegna degli elementi au-
tobiografici prestati da Tommaseo al protagonista maschile del suo romanzo, cfr.
Mario Santoro, Dal romanzo storico al romanzo decadente, Napoli, Liguori,
1970, pp. 74-75.
135
Giacomo Debenedetti, Niccol Tommaseo, cit., p. 273. Cfr. Luigi Bal-
dacci, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, a cura di Luigi Bal-
dacci, cit., p. 10: nei Promessi sposi [] larte punta alla creazione del personaggio
mentre il Tommaseo fallisce sistematicamente il tentativo []. Nato alla confes-
sione, sentiva i personaggi solo nella dipendenza della sua memoria; e cos i pi
riusciti sono quelli fermati in rapide istantanee, come appunto le donne del diario
di Giovanni. Metterli in movimento, quei personaggi, renderli autonomi non era
il fatto del nostro scrittore.
258 ragionar di s

co, anzi, un vero e proprio antiromanzo, costruito su un succe-


dersi di quadri differenti, luno gerarchicamente equiparato allal-
tro136. In Fede e bellezza Tommaseo porta allestremo la disponi-
bilit inclusiva del romanzo, sfruttando non solo la facilit con
cui il genere monocellulare della lettera pu innestarsi in un tessu-
to narrativo pi disteso137, ma ricorrendo anche alla finzione me-
moriale e a quella diaristica: sul taglio memorialistico simposta il
libro i, con il passato di Maria riferito da lei in prima persona; la
misura diaristica scandisce il libro ii, con il giornaluccio di Gio-
vanni; le lettere poi sintervallano nel testo con frequente regola-
rit, nei libri iii, iv e v138.
Tale gestione delle scritture dellio pu essere sogguardata da
diversi punti di vista. Rispetto alle forme della scrittura di s, ri-
sulta che tutti i sottogeneri autobiografici autonomamente coltiva-
ti dallautore sono messi in gioco e reinvestiti in funzione narrati-
va: innanzitutto la storia di s, nella lunga confessione retrospetti-
va di Maria, che ripercorre le vicende delle sua vita dalla nascita al
momento in cui ha incontrato Giovanni in Bretagna139; quindi il
diario, col giornaluccio di Giovanni, tenuto a sbalzi per quat-
tro anni fino a poco tempo prima140; infine la scrittura epistolare,
nel carteggio che intercorre tra i due protagonisti. Rispetto alle
parti (i sei libri) di cui si compone il romanzo, la distribuzione di
tali forme calibrata con una sua regolarit, in modo tale che cia-
scun libro ospita uno solo di questi registri: il i quasi interamen-
te di taglio memorialistico, il ii tutto di taglio diaristico, il iii, il
iv e il v, in cui sono disseminate varie lettere, sono dunque di ta-

136
Raffaele Morabito, Il romanzo di un moralista: Fede e bellezza, in An-
tiromanzi dellOttocento. Foscolo-Sterne, Tommaseo, Verga, Oriani, DAnnunzio, Ro-
ma, Bulzoni, 1977, p. 38.
137
Andrea Battistini, Il superego dei generi letterari, in Lo specchio di Deda-
lo, cit., p. 187.
138
Gino Tellini, Su Tommaseo narratore e poeta, p. 120. Sulluso delle scrit-
ture dellio in Fede e bellezza, cfr., oltre ai saggi di Tellini pi volte citati, anche
Franco Fido, Il fantasma di Promessi sposi nel romanzo italiano dellOttocento,
cit., pp. 194 sgg.
139
Cfr. Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, pp. 6-34.
140
Cfr. ivi, pp. 35-53.
v. tommaseo memorialista 259

glio semi-epistolare; il vi e ultimo, infine, non conosce nessuna di


queste forme141. E si noti, da un punto di vista quantitativo, che i
primi due libri, appunto quelli in cui ciascuno dei due protagoni-
sti intende rivelare allaltro se stesso, sono quasi interamente occu-
pati dalla prima persona del personaggio che dunque non pre-
sentato al lettore dal narratore, ma si autopresenta. Per finire, pro-
prio rispetto ai personaggi, la particolarissima amministrazione
delle scritture dellio142 obbedisce a una logica facilmente per-
scrutabile: memoria orale per lilletterata Maria (il racconto a vi-
va voce nel libro i), memoria scritta per il letterato Giovanni (il
giornaluccio nel ii); infine, le lettere per tutte due, come richie-
de la momentanea lontananza. E anche: la storia lineare e totaliz-
zante della sua vita (Voi volete da me la mia vita)143 per Maria;
quasi frammenti di vita sotto cui vedere un sentimento con-
tinovo, che, quieto, invincibile, si solleva al suo fine, per Giovan-
ni144. La casistica, come si vede, assai articolata e complessa, fino
a configurarsi come una vera e propria strategia.
Ogni strategia ha un suo fine. In Fede e bellezza le forme della
scrittura di s sono strumento per rivoluzionare e liquidare dallin-
terno limpianto romanzesco fondato sulla prospettiva del narrato-
re onnisciente. Bisogna infatti tenere conto delle considerazioni in-
torno alla difficolt per quella tipologia di narratore di immerger-
si nella psicologia del personaggio e di mostrare il passaggio del-

141
Mi riferisco, naturalmente, al testo secondo la prima edizione (Venezia,
Gondoliere, 1840). Si ricordi che il processo di revisione del romanzo, ispirato da
intenti di moralismo pedagogico, di ideale e comunicativa esemplarit approda
come ultima tappa alledizione definitiva del 1852 presso Borroni e Scotti, la qua-
le modifica anche limpianto strutturale del romanzo, specie con il cospicuo am-
pliamento del giornaluccio di Giovanni, e fonde insieme il Libro iii con il iv, il
v con il vi, s che lopera viene ad articolarsi non pi in sei ma in quattro libri
(Gino Tellini, Nota al testo, ivi, p. xlvii). Sulle tre redazioni del romanzo, cfr. so-
prattutto Aldo Borlenghi, La questione di Fede e bellezza, in Fra Ottocento e
Novecento. Note e saggi, Pisa, Nistri-Lischi, 1955, pp. 9-42 e Mario Puppo, Sulle
edizioni di Fede e bellezza (1957), in Poetica e cultura del Romanticismo, Roma,
Canesi, 1962, pp. 231-266.
142
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 82.
143
Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, p. 6.
144
Ivi, p. 35.
260 ragionar di s

lanimo da un grado allaltro di affetto145 svolte da Tommaseo a


proposito dei Promessi sposi sin dal 1827. Quelle riflessioni mette-
vano a fuoco una difficolt tecnica che lo scrittore nel suo roman-
zo supera ricorrendo proprio ai registri delle scritture dellio. Del-
le molteplici funzioni cui il diario, la lettera e le forme della scrit-
tura di s in genere possono rispondere in un romanzo146, in Fede
e bellezza esse servono essenzialmente a una: eliminare il filtro del
narratore esterno. Sono il modo per far parlare direttamente il sog-
getto protagonista, il mezzo privilegiato per far emergere gli affet-
ti, oggetto profondo del romanzo, quelli verso cui converge ogni
aspetto dellopera, a partire dalle stesse scelte linguistiche147. Le
forme delle scritture dellio servono per Tommaseo a non fare la
sezione cadaverica148 dei pensieri e dei sentimenti dei personaggi,
come lo scrittore stigmatizzava in una recensione nel marzo 1830,
preoccupato davanti al degenerare del romanzo storico scaduto
nelle mani degli emuli di Scott e di Manzoni in letteratura di con-
sumo. La ricetta149 del romanzo storico che Tommaseo l offre
ironicamente ad aspiranti scrittori, colpisce come anti-descrizione

145
Roberta Turchi, Dalle recensioni alla Storia civile nella letteraria, cit., p. 141.
146
Per luso della forma del diario nella narrativa, cfr. soprattutto H. Porter
Abbott, Diary fiction, cit. (indicazioni bibliografiche si leggono a pp. 16-17). La
studiosa vi isola tre general functions of the diary strategy: una funzione mi-
metica (garantire un realismo formale), tipica del romanzo settecentesco; una
funzione tematica, creare un effetto di isolation and self-reflection (one of the
great espressive advantages of the diary lies in its confinement of the reader to the
internal world of a single ego. [] We are restricted to a document that emanates
from inside the story); infine, una funzione temporale (ottenere un effetto di
immediacity, suspence and timelessness). Viceversa, per luso della scrittura epi-
stolare nel romanzo, cfr. Jean Rousset, Una forma letteraria: il romanzo epistola-
re, cit. e Margherita Di Fazio, La lettera e il romanzo. Esempi di comunicazione
epistolare nella narrativa, Roma, Nuova Arnica, 1996.
147
Cfr. Donatella Martinelli, Voci del toscano vivo in Fede e bellezza, nel-
lopera collettiva Studi di letteratura italiana offerti a Dante Isella, Napoli, Biblio-
polis, 1983, p. 322.
148
K.X.Y [Niccol Tommaseo], I prigionieri di Pizzighettone. Romanzo storico del
secolo XVI. Dellautore della Sibilla Odaleta e della Fidanzata Ligure. Vol. III, Milano,
presso A. F. Stella e figli, 1829, in Antologia, xxxvii, marzo 1830, pp. 107-108, cit. in
Roberta Turchi, K.X.Y.: una sigla per recensire, cit., p. 29, da cui si cita il testo.
149
Roberta Turchi, K.X.Y.: una sigla per recensire, cit., p. 38.
v. tommaseo memorialista 261

degli ingredienti essenziali di Fede e bellezza. Mi riferisco a tre


elementi in particolare. Innanzitutto alla regola generale per cui,
dice Tommaseo, nel principio del romanzo si debba trovare il bra-
no di storia e la parafrasi duna carta geografica:

il vostro romanzo prender le mosse da un buon pezzo di storia cruda, lar-


dellata di qualche similitudine, di qualche sentenza, di qualche citazione
o furtiva o patente: ovvero da una buona descrizione topografica di una
valle, dun monte, duna citt, dun castello.

Viene in mente, per associazione oppositiva, la natura cavillo-


samente descritta e insieme labirintica, sfuggente e impossibile a
vedersi su cui si apre Fede e bellezza 150; una natura che la nega-
zione di ogni topografia.
Ma si veda come continua la ricetta del romanzo approntata
con divertita disinvoltura da Tommaseo: Poi venga un bel dialo-
go che vi faccia conoscere bene bene di che cosa si tratti. In Fede
e bellezza, subito dopo il brano naturalistico dapertura, c non un
dialogo ma il monologo-confessione di Maria, non introdotto da
alcuna spiegazione che faccia conoscere bene bene di che cosa si
tratti; anzi, la voce erompe nel labirinto della descrizione natura-
listica suddetta senza alcuna premessa esplicativa. Il che ci porta al-
laltra, fervida raccomandazione che il Tommaseo recensore dei
Prigionieri di Pizzighettone indirizza ai romanzieri alla moda:

Voi non dovete presentare un personaggio in iscena, senza tacerne il no-


me, e senza darne i connotati, vale a dire statura, viso, mento, occhi capel-
li, marche (come ne passaporti sta scritto) marche particolari, sopra tutto la
foggia dellabito, dalla punta degli stivali fino allultima piuma dellelmo.

Si ricordi che Fede e bellezza comincia per lappunto con un


verbo di cui il lettore non conosce nemmeno il soggetto (Scende-
vano il fiume)151 e che i nomi dei due personaggi arrivano molte

150
Cfr. Gianfranco Contini, Per il romanzo di Tommaseo, cit., pp. 265 sgg.
151
Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, p. 5. La citazione che segue, ibidem.
262 ragionar di s

righe sotto, come per caso (Maria guardava alle nubi, allacque
dellOdet, a Giovanni: egli sotto le nebbie di Bretagna pensava al-
lItalia). Di descrizioni dei connotati dei personaggi non se ne
parla per tutto il libro152, figuriamoci di presentazioni preventive al
loro ingresso in scena.
Lultimo ingrediente del romanzo storico modaiolo riguarda
infine come fare la citata sezione cadaverica di ciascun pensiero
del personaggio: ovvero togliendo a questultimo, al soggetto pro-
tagonista, la parola sintende che a farlo il narratore onniscien-
te in terza persona e provvedendo a modificare o a interpretare
in vece sua. Che il pensiero per s Tommaseo avrebbe detto laf-
fetto diventi cadavere in mano al narratore per il nostro sicu-
ro. Notate queste osservazioni del recensore, oltre che divertente ed
efficace, la ricetta appare vaticinante, seppure come profezia rove-
sciata, per il romanzo di Tommaseo. come se lautore avesse scrit-
to Fede e bellezza ricordandosi di quella sua ricetta di un decennio
prima e rovesciandola accuratamente. Non cos, naturalmente;
che la ricerca di una strada autonoma di narratore, saldando i
conti con lo Scott e tentando di liberarsi dallautorit di Manzo-
ni153, era gi cominciata.
Insieme, le scritture dellio servono, oltre che come meccani-
smo narrativo efficace, alla fedele pittura del male e del bene154,
a rappresentare lo spettacolo pi intero che si pu della vita155 e
fare dunque opera non inutile come un romanzo156. Che cos
una lettera per Tommaseo? E perch la si legge? Ci soccorre il Di-
zionario estetico. Si pensi che questo scrittore avido di vero cos in-
vitava a leggere una raccolta di lettere:

Le lettere dellAvogadro versano sopra argomenti di minuta erudizio-


ne patria: e sebbene nulla vi sia di piccante (giacch a giorni nostri si vuo-

152
Di nuovo evasivo, sotto le folte apparenze descrittive (parole di Conti-
ni), il ritratto tra fisico e morale di Maria in apertura del libro iii (cfr. ivi, p. 54).
153
Roberta Turchi, K.X.Y.: una sigla per recensire, cit., p. 29.
154
Niccol Tommaseo, Dizionario estetico, cit., ii, p. 386 (sui racconti di Pie-
tro Thouar).
155
Id., Diario intimo, p. 141.
156
Ivi, p. 89.
v. tommaseo memorialista 263

le del piccante a ogni costo), sarebbe per difficile dimostrare che le noti-
zie quivi raccolte non possono avere in alcun caso importanza []. Vole-
te voi prova che nessuna verit per minuta che sia, nessuna indagine del-
la verit, per quanto paia importuna, pu dirsi inutile?157.

Pi distesamente, a proposito dellepistolario ciceroniano,


Tommaseo analizza il piacere che deriva dalla lettura delle lettere
familiari degli uomini insigni. Ne isola due ragioni: il legame di
empatia che si instaura tra il lettore e lautore per effetto della co-
mune natura umana, delle somiglianze di difetti, pregi, bisogni,
casi in tutti gli individui, e il desiderio, maligno quanto naturale,
di poter giudicare laltro, di indovinarne lindole segreta, di co-
glierlo in fallo:

due le ragioni del diletto che porgono le lettere familiari degli uomini in-
signi; la prima, lamore innato della umana mente per tutte le particola-
rit che conducono a conseguenze alcun po generali: perocch quella ve-
rit che guardata divisamente dal resto par piccola, si collega con infinite
verit di pi alto ordine. Scoperti codesti vincoli, lanimo gode percorre-
re danello in anello la lunga catena, e dalle infime cose salire alle somme.
Leggendo le lettere degli uomini insigni, noi li riguardiamo da due lati;
nelluno e si presentano in parte simili a noi; i difetti, i pregi, i bisogni, i
casi loro troviamo in noi stessi. Basta una relazione vera di somiglianza
perch lamor proprio ne vegga altre cento; ci crediamo grandi in parte,
anche noi, senza quasi volercelo: e lessere occupati alle cose nostre, nel-
latto che osserviamo le altrui, rende piacevole la lettura.
Laltro lato in che si guardano allora gli uomini grandi quello in che
pi dissomigliano a noi. Lamor proprio in codesta dissomiglianza vor-
rebbe pur vedere dello strano: vorrebbe giudicare di quel che non sa: per-
ch la parte dellindole altrui, ch diversa affatto dalla nostra, da noi in-
teramente ignorata. Noi crediamo conoscerla, ci vantiamo daverla indo-
vinata, ma invano. Non sindovina dellanimo altrui se non quello che si
pi o men confusamente sentito nel proprio. Ogni altra specie di razio-
cinio temerit [].
Questesercizio piacevole: e il chiamare ad esame le azioni, le parole
gli affetti duomo singolare, il coglierlo in contraddizione e strappare dal
suo labbro la confession de suoi falli, soddisfazione tanto pi saporosa

157
Id., Dizionario estetico, cit., i, p. 27.
264 ragionar di s

quanto appar pi legittima, cio quanto maggior lingegno e lattenzio-


ne del leggente158.

In sintesi, non si leggono le lettere di Cicerone tanto per im-


parare a scrivere bene una lettera159, quanto per conoscere un
uomo. Siamo per oltre mi par di vedere il concetto ro-
mantico di lettera come specchio dellanima. Pur allineandosi
pienamente alla ricezione ottocentesca, che nelle lettere degli uo-
mini illustri ravvisa innanzitutto un modello di scrittura episto-
lare e poi lautoritratto veridico delluomo, Tommaseo non si fa
troppe illusioni. Mette sullavviso che, se c sempre un minuz-
zolo di verit,

converrebbe per altro guardarsi dal prendere le confessioni delluomo alla


lettera []. I sotterfugii dellamor proprio sono e pi varii e pi ingegnosi
che lo stesso paziente [lettore] non se ne possa avvedere.

Non solo. Lo abbiamo letto nel lungo passo prima citato: a


nuocere alla conoscenza della verit non soltanto lamor pro-
prio di chi scrive, ma anche lio di chi legge (Non sindovina del-
lanimo altrui se non quello che si pi o men confusamente sen-
tito nel proprio). Il che non pregiudica la piacevole utilit delle-
sercizio di leggere le lettere duomini illustri: d la soddisfazione
saporosa di chiamare ad esame le azioni, le parole gli affetti duo-
mo singolare, il coglierlo in contraddizione e strappare dal suo lab-
bro la confession de suoi falli. Sono nodi capitali per luso delle
scritture nellio in Fede e bellezza (e soprattutto per il carteggio
tuttaltro che limpido, attraversato e complicato da remore, in-
comprensioni e malintesi, tra Maria e Giovanni nel libro iv). La
via daccesso allio segreto e anche involontario del soggetto prota-
gonista sono proprio la confessione di Maria, il diario di Giovan-
ni e le lettere di entrambi, fittizi documenti privati inclusi nella
narrazione. Il che permette di stabilire una analogia oppositiva coi

158
Ivi, i, p. 73.
159
Ivi, i, p. 74. Le citazioni che seguono, ibidem.
v. tommaseo memorialista 265

Promessi sposi : non i testi delle gride manzoniane, n i brani di


storia160, ma la confessione, il diario e le lettere dei personaggi,
con una funzione analoga a quella che i documenti hanno nel ro-
manzo storico: l legittimano il vero della storia, qui il vero del vis-
suto, degli affetti. Le forme della scrittura dellio servono a Tom-
maseo per conquistare al romanzo il dominio dellesperienza inte-
riore, come i documenti servono a Manzoni per conquistare al ro-
manzo la verit della storia.
Infine, si pu trovare unaltra analogia oppositiva, che riguarda
questa volta luso della lettera in Fede e Bellezza. Lequivocit co-
municativa161 che caratterizza e avvelena di incomprensioni e
fraintendimenti il carteggio tra Giovanni e Maria nel libro iv ri-
chiama alla mente lepisodio della corrispondenza, altrettanto
esposta a equivoci, tra Renzo e Agnese nel capitolo xxvii dei Pro-
messi sposi. Con una differenza essenziale: nel romanzo di Manzo-
ni, essendo analfabeti i due corrispondenti, cerano di mezzo due
turcimanni, due segretari, necessariamente assoldati nel dupli-
ce ruolo di estensori e di lettori interpreti delle lettere (Renzo, si
ricorder, si serve di uno scrivano, Agnese si affida a un Alessio
suo cugino che sa leggere e scrivere); ed erano loro a causare gli
equivoci, come il narratore si prodiga a spiegare con mirabile e
sconsolata ironia in una lunga digressione (I promessi sposi, xxvii,
142-178). Paradossalmente, sia in Fede e bellezza che nel citato epi-
sodio del romanzo di Manzoni, chi pi se ne intende di carta e
penna, il pi letterato, a complicare, fraintendere e far frainten-
dere; ma in Fede e bellezza risulta nefasto anche se non si trova a
fare da intermediario ma egli stesso il diretto interessato: fa par-
te dellautoinvestigazione dellio di segno critico e a tratti dissa-
crante162 che contraddistingue il romanzo di Tommaseo. un po
come se lautore di Fede e bellezza riprendesse a distanza a quegli
equivoci manzoniani, legati a unintromissione esterna, radicando-
li nella comunicazione interpersonale stessa, come dato congenito

160
K.X.Y [Niccol Tommaseo], I prigionieri di Pizzighettone, cit. (in Rober-
ta Turchi, K.X.Y.: una sigla per recensire, cit., p. 29).
161
Gino Tellini, Il romanzo italiano dellOttocento e del Novecento, cit., p. 81.
162
Ivi, p. 64.
266 ragionar di s

e ineliminabile. anche per questo, forse, che questo strano e in-


sostituibile romanzo continua a trasmetterci una sensazione di di-
sarmonia, di ansia, dimpossibilit di comporre i contrarii163. Il
nostro primo Ottocento ha anche questo; e di certo non c esem-
pio pi evidente di come un nuovo tipo di romanzo possa nascere
dalle ceneri dellautobiografia, di quanto possa essere feconda lin-
terazione tra romanzo e scritture dellio, di quanto il panorama
delle scritture autobiografiche e narrative di primo Ottocento sia
irrequieto e screziato.

163
Luigi Baldacci, Introduzione, in Niccol Tommaseo, Fede e bellezza, a
cura di Luigi Baldacci, cit., p. 14.
indice dei nomi
Abba, Giuseppe Cesare 200 Avogadro, Giovanni Andrea 262
Abbott, H. Porter 119n, 260n
Acanfora, Silvana 144n Baccini, Giuseppe 237n
Agazzi, Elena 9n, 23n Badaloni, Nicola 193n, 198
Agostino, sant 168 Balbo, Cesare 157n, 164 e n, 165,
Albany, Luisa Massimiliana vedi 166n, 168n
Stolberg-Gedern, Luisa Massi- Baldacci, Luigi 159n, 200n, 227n,
miliana Carolina Emanuella, 257n, 266n
contessa dAlbany Baldi, Bernardino 237n
Alfieri, Vittorio 3, 4, 6, 13, 14, 17, 33, Banti, Alberto M. 159n
56 e n, 57, 58 e n, 59, 102 e n, Barbarisi, Gennaro 231n, 234n
107n, 108-116, 122 e n, 128, 132, Brberi Squarotti, Giorgio 3n,
141, 142n, 150, 171, 231, 232, 236, 67n, 156n
237n, 252 e n, 254 Baretti, Giuseppe 69, 84n
Alighieri, Dante 171, 172, 175n, Barrili, Anton Giulio 200
236, 244 Bastiaensen, Michel 15n
Ambel, Mario 168n Battistini, Andrea 5n, 8n, 9n, 12n,
Amoretti, Giovanni Giuseppe 13 e n, 14n, 18 e n, 23n, 25n, 33n,
44n, 54n, 56n, 89n 64n, 107n, 120n, 168n, 231n,
Andria, Marcello 144n 235n, 254n, 258n
Andryane, Alexandre Philippe 4, Battistini, Mario 158n
159, 162 e n, 163 e n, 170, 171 Beccardi, E. 166n
Anglani, Barbara Silvia 209n, 216n Bdarida, Henri 158n
Anglani, Bartolo 8n, 9n, 14n, 23n Begey, Attilio 158n
Aristotele 69 Bellini, Bernardo 69
Arminante, Aldo 89n Bellorini, Egidio 44n, 157n
Arrivabene, Giovanni 4, 39 e n, Bellucci, Novella 88n, 96n, 110n
200 Berardi, Gianluigi 78n
Asor Rosa, Alberto 33n, 148n, Berchet, Giovanni 27, 61
248n Bernardinis, Anna Maria 152n
Atanasio 255n Bertazzoli, Raffaella 124n
270 ragionar di s
Bertero, Giancarla 157n Buckley, Jerome Hamilton 15n
Bianchi, Danilo 119n Busi, Aldo 125n
Bigazzi, Roberto 69n Byron, George Gordon 150, 171,
Bigongiari, Piero 105n, 107n 210n
Bini, Carlo 6, 19, 20 e n, 22, 65n,
162, 168n, 192-219, 257 Cacciapuoti, Fabiana 113n, 143-
Bini, Giulio 212, 213 e n 145nn
Binni, Goffredo 89n Cajumi, Arrigo 197n
Binni, Walter 110n, 111n, 141n Calcaterra, Carlo 37n, 44n, 47n,
Blasucci, Luigi 110n, 118n, 134n 60n
Bocca, Giuseppe 157 e n Caleppio, Giangirolamo 68
Boccaccio, Giovanni 69, 237n Caluso, Tommaso Valperga, abate
Boccara, Nadia 234n di 44n, 57
Boglino, Gian Gioseffo 148n, 149 Camporesi, Piero 36n, 37n, 38-
e n, 178n 40nn, 42-47nn
Boiardi, Franco 161n Canavesi, Angelo 9n
Bolza, Luigi 178 Cant, Cesare 149n, 163n, 190,
Bonfadio, Jacopo 237n 191n
Bonifazi, Neuro 89n Caporossi, Carlo 144n
Borgini, Alma 195n Capponi, Gino 162n, 221, 226,
Borlenghi, Aldo 245n, 259n 230, 243n, 253n
Borsieri, Pietro 5, 17, 19, 22, 27, Caputo, Rino 8n
28n, 30, 31 e n, 32, 34 e n, 35, 36 Cardella, Giuseppe 247n
e n, 38 e n, 61-74, 77, 80, 82, 83, Carducci, Giosu 197 e n
102, 173n, 219 Caretti, Lanfranco 47n, 152n
Bossuet, Jacques-Bnigne 100, Carlo Alberto 188n
102, 103 Carraresi, Antonio 227n
Botta, Carlo 68 Casanova, Giacomo 3, 4
Botta, Irene 63n Cassi, Geltrude 113, 114
Bouchard, Franois 198n Castromediano, Sigismondo 200
Bourdaloue, Louis 171 Cataudella, Michele 149n, 228n,
Branca, Vittore 15n, 30n, 35n, 243n, 244n, 249n, 250n
251n, 253n Cattaneo, Carlo 200, 257 e n
Breme, Ludovico Arborio Gatti- Cattarula, Camilla 29n
nara, marchese di 5, 17, 20 e n, Ceccuti, Cosimo 162n
21n, 22, 27, 28n, 30, 36-62, 63 e Cellerino, Liana 216n
n, 66 e n, 68, 80, 85, 173n, 187 Cellini, Benvenuto 107n
Briganti, Alessandra 29n Ceragioli, Fiorenza 96n, 144n
Briganti, Anna 122n Cerruti, Marco 58n
Brighenti, Pietro 138 e n, 139 e n Cesare 51
Brini, Teresa 121 Ceserani, Remo 21n
Brioschi, Franco 90n Chateaubriand, Ren 10
indice dei nomi 271
Chemello, Adriana 231n Da Ponte, Lorenzo 4, 13
Chemotti, Saveria 28n, 147n Da Rif, Bianca Maria 251n
Chiattone, Domenico 188n David, Michel 248n, 254n
Chiotti, Filippo 38n DAzeglio, Cesare 47n
Chiurlo, Ugo 171n DAzeglio, Massimo 161
Ciampini, Raffaele 163n, 228n, Dazzi, Manlio 89n, 91n, 119n
231n, 233n, 246n, 250n De Angelis, Valerio Massimo 11n
Ciampolini, Luigi 65n Debenedetti, Giacomo 221n,
Cian, Vittorio 62n 222n, 224n, 234n, 252n, 257n
Cicerone 100, 102, 103, 264 Del Cerro, Emilio 158n
Cini, Marco 245n Della Casa, Giovanni 237n
Ciureanu, Petre 233n DellAquila, Michele 30n, 37n,
Cockschut, Anthony Oliver John 43n, 110n, 114n, 134n
128n Della Rocca, Enrico 200
Coe, Richard N. 25n, 122n Del Lungo, Isidoro 243n
Colasanti, Arnaldo 252n, 253n De Maddalena, Aldo 231n
Colin, Mariella 158n Demostene 100, 102, 249
Colletta, Pietro 90 e n, 91n, 97, De Pisis, Filippo 225n
108 De Robertis, Giuseppe 89n, 91n,
Colutta, Flavio 88n 106, 107n, 131n
Compagni, Dino 244 De Sanctis, Francesco 197 e n
Cond, Luigi di Borbone principe De Tipaldo, Emilio 163n, 230,
di 100, 102 231n, 239 e n, 240
Confalonieri, Federico 4, 19, 20, Di Benedetto, Arnaldo 112n, 113n,
35, 41n, 43n, 63, 149 e n, 151n, 122n
152 e n, 162 e n Di Benedetto, Vincenzo 5n
Constant, Benjamin 56n Di Biase, Carmine 227n, 248n
Conti, Pier Giorgio 88n Di Breme, Ludovico vedi Breme,
Contini, Gianfranco 228n, 230n, Ludovico Arborio Gattinara,
240 e n, 244n, 246n, 248n, 249 e marchese di
n, 251, 252-255nn, 261n, 262n Didier, Batrice 9n, 13n, 14n
Cortellessa, Andrea 8n, 24n Di Fazio, Margherita 260n
Costa, Simona 9n Di Francia, Letterio 159n, 200 e n
Contorbia, Franco 225n DIntino, Franco 8n, 10, 15n, 17n,
Corti, Maria 252n 21n, 23n, 29n, 54n, 56n, 87n, 88-
Courier de Mr, Paul Louis 96 90nn, 92-95nn, 98n, 105-107nn,
Cremante, Renzo 225n 110n, 114-118nn, 120-122nn,
Crisafulli Jones, Lilla Maria 244n 127n, 129n, 132n, 137n, 140n,
Crotti, Ilaria 172 154n, 174n, 232n, 235n, 240n,
Curto, Carlo 76n, 149n 249n, 255n
Dolfi, Anna 5n, 248n
Dal Fabbro, Beniamino 89n Dondero, Marco 88n
272 ragionar di s
Dornis, Jean 199n Foscolo, Ugo 3, 5 e n, 14, 27n, 28 e n,
Dossi, Carlo 198n 29 e n, 33 e n, 34 e n, 62, 74, 76n,
Dotti, Ugo 131n 77 e n, 78 e n, 119, 125 e n, 130n,
DOvidio, Francesco 20n, 110n, 161 149, 173n, 195, 198n
en Fossati, Valentino 89n
Drer, Albrecht 222 Fossi, Piero 221n
Foucalt, Michel 255n
Emanuelli, Enrico 195n Frassi, Giovanni 206n
Erasmo da Rotterdam 222 Freedman, Diane P. 9n
Este, Beatrice d 75 Frey, Olivia 9n
Fubini, Mario 76n, 147 e n, 233,
Fabrizi, Angelo 14n 234n
Faliero, Marin 170n
Fanciulli, Giuseppe 197n Galilei, Galileo 239, 240
Fattorini, Teresa 121 Galimberti, Cesare 110n
Fauriel, Claude 63, 64 Gallifuoco, Silvana 144n
Fea, Leonardo 175, 176n Gallo, Italo 167n
Federico Barbarossa 158n Garavini, Fausta 8n
Felici, Lucio 88n Garibaldi, Giuseppe 200
Ferrari, Stefano 123n Genetelli, Christian 109n
Ferraris, Angiola 37n, 38n, 39n, Grard-Zai, Marie-Claire 109n
43-45nn, 52n, 54n Ghidetti, Enrico 194n
Ferrero, Giuseppe Guido 110n Giacone, Franco 3n
Ferretti, Giovanni 160n Giammattei, Emma 21n
Ferroni, Giulio 20n, 21n Giannantonio, Pompeo 13n
Ferrucci, Franco 94n, 106n, 107n Giannini, Silvio 191n, 195n, 197n,
Ficara, Giorgio 88n 206n
Fido, Franco 9 e n, 10n, 11 e n, Giannone, Pietro 13
14n, 15n, 123n, 134n, 167n, 234n, Gibellini, Pietro 124n
248n, 258n Gioberti, Vincenzo 64
Figurelli, Fernando 119n, 123n Giordani, Pietro 93 e n, 94n, 99n,
Fini, Carlo 221n 106n, 118n, 119, 136n, 159, 160 e
Fioroni, Giovetta 89n n
Flaiano, Ennio 252n Giordano, Emilio 124n, 125n,
Flora, Francesco 88n 132n, 134n
Folena, Gianfranco 9n, 15n Giordano, Giovan Battista 154,
Foligno, Cesare 5n 155, 164
Folin, Alberto 110n, 115n Giovio, Felicia 82n
Fontanelli, Giorgio 194n, 198n, Girolami, Patrizia 111n, 114n
217n Giuliano LApostata, imperatore
Forcellini, Egidio 249 100, 102, 103, 179
Fortini, Franco 125n, 221n Giuliano, Alfredo 89n
indice dei nomi 273
Giuria, Pietro 170 e n, 191n Jahier, Piero 210n
Giusti, Giuseppe 206n Jay, Paul 9n, 25n
Goethe, Wolfgang Johann 3, 10,
12, 79, 119 e n, 125 e n, 171 Kafka, Franz 195
Goldoni, Annalisa 12n, 244n
Goldoni, Carlo 4 La Cecilia, Giovanni 209n
Gonzaga, L. 158n Laforgue, Jean 3
Gori, Odoardo 199n Lampertico, Fedele 227n
Gorret, Daniele 254n Landi, Patrizia 90n
Gozzi, Carlo 3, 13, 132 e n Lantosca, Vincenzo Riccardi di
Gozzi, Gasparo 74 221, 224
Grassi, Giacomo 89n Latour, Antoine de 186, 187n,
Grassi, Giuseppe 41n 188n, 190 e n, 191
Gravina, Manfredi 237n Lavagetto, Mario 253n
Griggio, Claudio 251n Lavezzi, Gianfranca 34n, 142n
Guarracino, Vincenzo 89n Lejeune, Philippe 8n, 12n, 14, 22n,
Guasco, Carlo 65, 71 23, 121n, 122n, 184n
Guerrazzi, Francesco Domenico Leopardi, Carlo 87n, 93, 109 e n,
161, 194-196, 197n, 198 e n, 210 e 113, 126n, 141 e n, 142n
n, 212 e n, 217n Leopardi, Giacomo 6, 11n, 12, 20,
Guglielminetti, Marziano 8n, 53n, 21n, 22, 59, 65n, 87-145, 195,
54n, 168n, 199-201nn, 231n, 222, 224, 227n, 257
240n, 248n Leopardi, Monaldo 94n, 122n, 161
Guidi, Ernesto 125n Leopardi, Paolina 141
Guidiccioni, Giovanni 237n Levantini Pieroni, Giuseppe
Guillon, Aim 53 e n, 55, 60 200n, 206n
Gusdorf, Georges 24 e n, 94n, Licurgo 51
128n, 230n Lindon, John 9n
Gussalli, Antonio 160n Luciani, Paola 23n, 59n, 132n, 134n
Luciano 65, 100
Holbein, Hans, il giovane 222 Luigi XVII 179
Howarth, William L. 128n Luti, Giorgio 34n, 160n, 202n,
Hume, David 3 203n
Luzi, Mario 117n
Iermano, Toni 193n, 210n
Ighina, Andrea 148n, 187n Macchia, Giovanni 252n
Ignazio di Loyola 254n Macchioni Jodi, Rodolfo 30n,
Ioli, Giovanni 85n 38n, 41-43nn, 46n, 52n, 74n,
76n, 77n, 80n
Jacomuzzi, Angelo 178n, 179n, Machiavelli, Niccol 69
181n Maffei, Giovanni 195n, 197n, 205n
Jacomuzzi, Stefano 253n Majakovskij, Vladimir 193
274 ragionar di s
Manacorda, Giuliano 124n Meyer Spacks, Patricia 14n
Manai, Alberto 244n Michaud, Louis Gabriel 53
Manganelli, Giorgio 252n Michel, Ersilio 196n, 209n
Mangini, Adolfo 195n Michelangelo 224n
Manzoni, Alessandro 15, 20, 31n, Milani, Mino 153n
47 e n, 61-64, 148, 151-153, 155, Minghetti, Marco 200
161, 227n, 256, 260, 262, 265 Misan, Jacques 158n
Marchi, Marco 203n Misch, George 24
Marchionni, Carlotta 39n Missori, Virgilio 163n, 221n
Mareste, Adolphe de 28n Mocenni Magiotti, Quirina 187n
Mari, Lucia 197n Mola, Aldo A. 7n, 151n, 158n, 161n,
Mariani, Gaetano 199n, 207 e n 168n, 187n
Maria Teresa dAustria 231n Molinari, Franco 168n, 187n, 188n
Maroncelli, Piero 4, 169n, 171, Monacchia, Gino 221n
180, 186, 189 Monaco, Matteo 8n
Marra, Wanda 88n Mondadori, Arnoldo 225
Martelli, Sebastiano 124n Montaigne, Michel Eyquem de 55,
Martinelli, Donatella 227n, 251n, 101, 251
260n Montanelli, Giuseppe 200
Martinelli, Lucia 14n, 156n, 199n Montani, Giuseppe 43n
Martini, Ferdinando 206n Monterosso, Ferruccio 110n
Masino di Mombello, Ottavia Monteverdi, Angelo 89n, 119n
165n, 185n, 186n Monti, Vincenzo 27n, 62, 68,
Massano, Riccardo 63n, 124n 124n, 150, 173n
Mauri, Paolo 148n, 157n, 159n Morabito, Raffaele 258n
May, Georges 14n, 24n, 25n, 128n, Mordenti, Raul 8n, 23n
129n Moreschini, Claudio 124n
Mayer, Enrico 27n Moretti, Marino 222, 223n, 224,
Mazza Tonucci, Antonia 172n 225, 226 e n
Mazzini, Giuseppe 162 e n, 194, 195 Moscati, Ruggero 209n
e n, 196, 197n, 198, 200, 207 e n Mller, Klaus-Detlef 21n
Mazzoni, Guido 194n Munch von Bellinghausen, baro-
Medici, Lorenzino de 99, 100, ne 180
102, 103 Muratori, Ludovico Antonio 13,
Medici, Lorenzo de (il Magnifico) 75, 231 e n
223 Musarra-Schroder, Ulla 3n, 119n
Melan, Sebastiano 237, 238 Muscetta, Carlo 88n
Melosi, Laura 143n, 160n Mutterle, Anco Marzio 44n, 228n
Mestica, Giovanni 88n
Metastasio, Pietro 237n Nada, Narciso 158n, 163n
Metternich-Winneburg, Klemens Nerone 160
Wenzel Lothar 163 Newton, Isaac 239, 240
indice dei nomi 275
Nicastri, Luciano 167n 38n, 39n, 40 e n, 41n, 74 e n, 75
Niccolini, Giovanni Battista 161 e n, 76n, 78 e n, 79 e n, 80 e n,
Nicoletti, Giuseppe 8n, 19n, 193n 81n
Nigro, Salvatore Silvano 31n Pellico, Onorato 158 e n, 183n, 192
Novalis (Friedrich Leopold von Pellico, Silvio 4, 5 e n, 6, 19, 20 e
Hardenberg) 107 n, 21 e n, 22, 27 e n, 28 e n, 30,
Nozzoli, Anna 196n 31 e n, 32 e n, 33n, 35 e n, 36 e n,
38 e n, 39n, 40 e n, 41 e n, 42n,
Olivieri, Ugo M. 28n, 46n, 46n, 61, 62 e n, 67n, 71, 74-85, 147-
71n 192, 200, 201, 211 e n, 214, 215 e
Olney, James 21n n, 217 e n
Omero 69 Pepe, Guglielmo 200
Orazio 238 Perfetti De Witt, Adele 195
Orlandini, Francesco Silvio 27n Perrin, Sonia 109n
Orlando, Francesco 15n, 122n Peruzzi, Emilio 144n
Oroboni, Antonio Fortunato 178 Pestelli, Corrado 89n
Ottolini, Angelo 20n Petrarca, Francesco 97, 103, 171
Petrocchi, Giorgio 28n, 29n, 45n,
Paccagnini, Ermanno 31n 63n, 253n
Paladino, Vincenzo 45n Pfotenhauer, Helmut 14n
Pallavicino Trivulzio, Giorgio 4, Piazza, Antonio 172
162 e n, 163n, 163n, 200 Piccioni, Leone 89n
Palli Bartolomei, Angelica 197n, Pirandello, Luigi 194n, 247 e n
198n Piromalli, Antonio 7n, 159n, 210,
Pampaloni, Leonzio 15n 214n, 217n
Paoli, Rodolfo 15n Placanica, Augusto 167n
Papini, Giovanni 224 e n Porca, Giovanni Artico di 231 e n
Pappalardo, Ferdinando 3n Porena, Manfredi 105n
Palumbo, Matteo 89n Porro (famiglia) 172
Paoletti, Aglaia 162n Porro, Luigi 173n, 178n
Paparelli, Gioacchino 124n Porro Lambertenghi, Anna 43
Parenti, Marino 159n Postigliola, Alberto 234n
Parini, Giuseppe 67, 125 Prete, Antonio 145n
Pascal, Blaise 171 Prvost, Antoine Franois 47n
Pascal, Roy 128n Prezzolini, Giuseppe 132n, 161n,
Paschoud (tipografo) 54 185n
Pasquini, Emilio 90n, 107n, 126n Prina, Giuseppe 57
Pastro, Luigi 200 Provenzal, Dino 195n
Pazzaglia, Mario 244n Prunas, Paolo 243n
Pecoraro, Marco 228n, 229n, Puccini, Niccol 192n
232n, 239n, 242n Puccinotti, Francesco 125n
Pellico, Luigi 27, 28n, 31n, 35n, Pulci, Luigi 237n
276 ragionar di s
Puppo, Mario 253n, 259n Schiller, Johann Christoph Frie-
drich 171
Rabizzani, Giovanni 198, 199n, Schlegel, Friedrich 18 e n, 1, 107
206 e n Scolaro, Michela 225n
Ragusa, Olga 15n Scott, Walter 16, 152, 171, 260, 262
Raiberti, Giovanni 198n Scotti, Mario 31n
Raimondi, Ezio 33n, 64n, 124n Scrivano, Riccardo 9n
Rasi, Donatella 231n, 239n Scudry, Madeleine 172
Rasori, Giovanni 27 Sestan, Ernesto 193n, 211n, 212
Riboni, Irene 131n Settembrini, Luigi 217n
Ricci, Manuela 225n Sforza, Ludovico 75
Ricciardi, Mario 81n, 85n Shakespeare, William 171
Richardson, Samuel 13, 79 Shumaker, Wayne 128n
Rinieri, Ilario 35n, 188n Sismondi, Jean-Charles-Lonard
Romagnoli Sacrati, Orinzia 32 Simonde de 27
Rondoni, Davide 89n Solmi, Sergio 110n, 115n
Rosmini, Antonio 20, 221n, 253n Spaggiari, William 31n, 64n, 65n,
Rossi, Ferdinando 81n 67n, 68n, 72n, 74n, 163n, 166n,
Rota, Paolo 89n, 90n 216n
Rotelli, Ettore 231n Spera, Francesco 67n, 68n
Rousseau, Jean-Jacques 3, 9, 11, 12, Stal, Anne-Louise-Germaine
14, 17, 18, 19, 33, 57, 59, 78, 79, Necker 10, 16, 56n, 68, 76n
94n, 107, 122 e n, 132, 246, 255n Stara, Arrigo 23n
Rousset, Jean 3n, 48n, 250n, 260n Starobinski, Jean 24n, 121n
Ruffilli, Paolo 89n Stefani, Guglielmo 5n, 161n
Rugarli, Giampaolo 117n Stelzig, Eugne L. 4n, 8n, 12n,
Runcini, Romolo 244n 14n, 15n
Ruozzi, Gino 240n Stendhal (Henri Beyle) 12, 28n, 107
Sterne, Lawrence 34n, 65, 142n,
Saba, Umberto 128, 129n 195 e n, 206n, 207n
Salom, Michelangelo 124 e n Stival, Miriam 152n, 171n
Salvotti, Antonio 171 Stolberg-Gedern, Luisa Massimi-
Santini, Emilio 33n liana Carolina Emanuella, con-
Santoli, Vittorio 18n tessa dAlbany 37n, 56n
Santoro, Mario 30n, 32n, 35n, Stull, Heidi I. 15n
257n Sturrock, John 21n
Saviane, Giorgio 89n Svevo, Italo 107n, 193, 221, 253n
Savonarola, Girolamo 237n, 244
Scaglione, Aldo 9n Tacchinardi, Roberto 194n, 212n
Scalvini, Giovita 244 e n Tacito 165 e n, 169
Scappaticci, Tommaso 197n, 208n Tasso, Torquato 69, 100, 102, 103,
Scherillo, Michele 20n, 150n 126n, 141
indice dei nomi 277
Tassoni, Alessandro 237n Turchi, Roberta 32n, 172n, 226n,
Tatti, Silvia 4n 238n, 247n, 256n, 260n, 262n,
Tellini, Gino 4n, 15n, 16n, 17n, 19n, 265n
28n, 30n, 33n, 36n, 67n, 71n, 84n,
88n, 121n, 126n, 137n, 142n, 194n, Ugniewska, Joanna 107n
200n, 203n, 205n, 216n, 217n,
221n, 225n, 227n, 228n, 246n, Valentini, Alvaro 88n, 110n
252n, 256n, 258n, 259n, 265n Verga, Ettore 163n
Tenca, Carlo 78n Vernay, Philippe 109n
Teza, Emilio 112 Verucci, Guido 243n
Thouar, Pietro 262n Vespasiano da Bisticci 223
Timpanaro, Sebastiano 31n, 64n, Viani, Prospero 87
193n, 194 e n, 196n, 198, 201- Vico, Giambattista 13, 231, 232
204nn, 206n, 211n, 213n, 215n, Vico, G. 165n
217n, 219n Vieusseux, Giovan Pietro 142, 159,
Tommaseo, Niccol 7, 16, 20 e n, 160n, 162 e n, 163n, 221, 232n,
21n, 22, 149 e n, 162 e n, 163 e n, 233n, 234, 253n
192, 221-266 Virgilio 123, 171
Tommasini, Adelaide 91n Visconti Venosa, Giovanni 200
Tommaso dAquino, san 244 Voisine, Jacques 15n, 19n
Tonelli, Andrea 180 Volpi, Alessandro 226n, 234n
Toschi, Luca 194n, 196n, 206n,
209n, 218n
Tozzi, Federigo 197n, 199-204, Williams, Huntington 15n
217n Wordsworth, William 12, 107
Treves, Piero 257n
Trevi, Emanuele 88n, 98n, 107n, Zabagli, Franco 113n
136n Zajotti, Paride 32n, 228n
Trombatore, Gaetano 8n, 159n, Zauhar, Frances Murphy 9n
207 e n Zenari, Massimo 109n
biblioteca di letteratura

1. Riccardo Bruscagli, Studi cavallereschi, 2003.


2. Laura Diafani, Ragionar di s. Scritture dellio e romanzo in Italia
(1816-1840), 2003.
Finito
di stampare
nel giugno 2003
da Stabilimento Poligrafico Fiorentino

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