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Anno CXL
2014
ISSN 0392-0232
ISBN 978-88-205-1064-0
ALESSANDRA MITA FERRARO
Milano, Silvestri, 1824, pp. 1-52 (dove lo scritto risulta anonimo ma a lei facilmen-
te attribuibile). Si veda anche G. BARALDI, Notizia biograica sul conte Giambattista
Giovio dell’abate Giuseppe Baraldi, “Memorie di religione, di morale e di letteratura”,
II (1822), pp. 435-466. Giudizio più distaccato, ma ancora positivo, esprime anche
A. CERATI, Elogio di G. Rovelli, Parma, Carmignani, 1815, pp. 70-71.
4 Le citazioni rispettivamente in F. GIOVIO, Cenni cit., p. 51; CATENAZZI, Elogio
cit., p. 42.
5 Nel 1833 Giambattista Corniani critica garbatamente il suo stile “sempre
purgato, lascia desiderare maggiore semplicità e più naturale andamento; come
talvolta si bramerebbe maggior parsimonia di erudizione” e riconosce utilissime le
opere di religione e di morale, specchio delle sue “rare qualità”. I secoli della lettera-
tura italiana dopo il suo risorgimento. Commento di Giambattista Corniani continuato ino
all’età presente da Stefano Ticozzi, Milano, Vincenzo Ferrario, 1833, pp. 616-617; C.
CANTÙ, voce Giambattista Giovio, in Biograia degli italiani illustri nelle scienze, lettere
ed arti del secolo 18 e de’ contemporanei compilata da letterati italiani di ogni provincia e
pubblicata per cura del professore Emilio De Tipaldo, Venezia, Tipograia di Alvisopoli,
1834-1845, II, 1836, pp. 284-290.
6 Ivi, p. 284. Il suo ingeneroso commentatore pungente e feroce nel giudicarne
la produzione letteraria, parlando degli incarichi pubblici, lo riconosce “in ogni
cosa laborioso ed integerrimo”.
7 Il più celebrativo studioso comasco di Alessandro Volta fu Felice Scolari cui
mancò la lucidità nel ricostruire le relazioni fra i due amici. Ma di questo ho già
trattato e mi si permetta di rimandare a G. GIOVIO, Lettere Elvetiche. Diario del viaggio
in Svizzera del 1777 con Alessandro Volta, a cura di A. Mita Ferraro, Napoli, Editoriale
scientiica, 2012. Il primo attento lettore dell’archivio Giovio fu Carlo Volpati che
non si occupò soltanto del carteggio fra Foscolo e Cecchina Giovio, ma studiò i le-
gami fra il conte e il poeta, rendendolo noto agli studiosi, prima della pubblicazione
PROFILO DI UN CONSERVATORE ILLUMINATO 277
se ho visto bene, compare solo nel 1929 nelle pagine del Settecento di
Giulio Natali. Inserito fra i “poligrai, critici e polemisti” l’italianista lo
deinisce “nutrito di vasta, se non profonda, cultura classica e moderna
preromantici” e, aggiunge, “il numero e la varietà degli argomenti da
lui presi a trattare generò supericialità, mancanza di freno, iacchezza di
stile, scorrettezza di lingua”8. Natali, il cui giudizio sulla poesia non si
discosta da quello manzoniano, vide il meglio della produzione gioviana
nelle Iscrizioni militari9. Un nuovo paradigma interpretativo orientato ad
inserire Giovio, come molti altri personaggi minimi, in quel ricco Sette-
cento riformatore dell’Italia dei centri minori è stato proposto da Franco
Venturi10. Giovio nelle pagine dello storico torinese è ricollocato nella
sua epoca e nella sua città di cui seppe, progressivamente, prendersi cura
(difendendone anche gli interessi economici) e presentandosi ai suoi con-
cittadini, poco avvezzi alle novità, come un consapevole protagonista del-
la rivoluzione culturale messa in atto dai grandi di quell’età, come Spal-
lanzani, Beccaria, i Verri, Volta, con cui non solo mantenne una durevole
corrispondenza ma con cui condivise la Repubblica delle lettere. Questo il
punto di partenza da cui si sono sviluppati gli studi più recenti11.
Anche a Como si compì, soprattutto nei due ultimi decenni del Set-
tecento e molto più di quanto non si sia creduto, quella “rivoluzione ita-
liana” orientata non più dai sonetti ma dalle “isiche esperienze”, mossa
non dalla “vana letteratura” ma guidata – seppure ben ancorata ai valori
dell’antico –, alle arti, al commercio, all’agricoltura. In Giovio, nel mo-
saico della sua vita, ispirato dall’amore per il proprio casato, da inte-
ressi artistici, letterari, ilosoici, politici, istituzionali, storici, emerge
il ritratto di un protagonista del proprio tempo, consapevole dei propri
limiti e insieme del proprio ruolo. Egli visse le contraddizioni della sua
epoca, diviso fra la iducia nella ragione e nel progresso e le certezze della
tradizione, tra la necessità di adattarsi ad un ritmo nuovo e il sospetto di
non potersi affrancare da una “forma di vivere” aristocratica consolidatasi
nei secoli. Egli si sentì, in da bambino, investito di una missione privata
(tener alto il nome della famiglia che aveva dato i natali a Paolo Giovio)
nella quale la cultura classica, giuridica, scientiica e religiosa non poteva
essere scissa dall’impegno pubblico, in una sorta di rinnovato umane-
simo dove tutti gli sforzi convergevano in un’autentica “vita civile”. Si
trovarono in lui a convivere, come in altri contemporanei, due anime: la
parte illuminista, razionale e pragmatica, pronta a seguire i percorsi della
ragione, e l’altra, cresciuta al riparo dei dogmi della fede cattolica12.
Giambattista Giovio nacque a Como il 10 dicembre 1748, rimasto
a quattro anni orfano dei genitori, fu prima afidato alle cure del prozio
Ottavio e, alla morte di questi, nel 1757, del cugino Fulvio Tridi. In linea
con il cursus honorum del patriziato lombardo13, fu alunno dei Collegi dei
nobili retti dai Gesuiti a Milano e a Parma (ove si trovavano lo zio An-
tongioseffo e il cugino Castone Rezzonico14) dove, guidato da illustri ma-
estri, acquisì una salda conoscenza della tradizione greca e latina, senza
lombardo nell’Europa dei lumi fra arte, lettere e diplomazia, Cinisello Balsamo, Silvana,
pp. 191-194, 295-298. Chi scrive al momento sta terminando l’edizione di alcuni
testi inediti del conte e attendendo ad una sua completa biograia.
12 Ne parla in questi termini anche RIVA, L’uomo giusto cit., pp. XXI-XXII.
13 Sull’argomento si vedano G.P. BRIZZI, La formazione della classe dirigente nel
Sei-Settecento, Bologna, il Mulino, 1976 e I Gesuiti e la ratio Studiorum, a cura di M.
Hinz - R. Righi - D. Zardin, Roma, Bulzoni, 2004.
14 Antonio Giuseppe, Antongioseffo (1709-1785), padrino e zio materno e il
iglio Carlo Castone furono i parenti più vicini a Giambattista con cui mantenne
sempre una itta corrispondenza accomunata dalla comune passione per i libri e la
letteratura. Giovio giudicò lo zio un erudito (Lettere Lariane, p. 23). E. GALLI, Poesia
e scienza in un illuminista comasco: Carlo Castone Della Torre di Rezzonico, “Periodico
della Società Storica Comense”, 58 (1996), pp. 141-156; SCOTTI, Il carteggio cit.
280 ALESSANDRA MITA FERRARO
lettera sulla felicità, il Saggio sopra la religione18 (di cui cercò con una itta
trama epistolare di favorire la diffusione) e la sua prima raccolta di poesie
anticipata nel 1772 da alcuni versi celebrativi in occasione della visita
degli Arciduchi a Como.
Il Saggio, accolto con favore dalla critica19, è l’esercizio di un buon
allievo dei Gesuiti, di un “cavaliere della religione”, e rimane uno dei
suoi lavori più personali perché non si contentò di riassumere una speci-
ica opera ma cercò, sebbene impegnato in temi troppo ardui per lui, di
confutare lo scetticismo, l’ateismo, il manicheismo richiamandosi ad una
vasta letteratura: pur riuscendo in alcune pagine a dar prova di una logica
rapida e serrata con una confutazione intelligente non riesce a liberarsi
tuttavia da un moralismo scolastico20. A questo testo guardò spesso nel
corso degli anni, riprendendone, senza farne mistero, alcuni contenuti e
passaggi nelle Operette ed epiloghi, nell’Enchiridion e nel Rodriguez21.
La fedeltà di Giovio al casato d’Austria e le speranze in lui riposte, an-
che dallo stesso ministro plenipotenziario Firmian, che lo avrebbe voluto
a corte per avviarlo alla carriera diplomatica, si concretarono, non senza
dificoltà, nel 1773, in due ambiti riconoscimenti: la nomina a cavaliere
di giustizia del Sacro Militare Ordine di Santo Stefano di Toscana e la
patente di Ciambellano di Sua Maestà Regia Imperiale22.
Il suo deinitivo rientro a Como, a venticinque anni, nel gennaio del
1774, coincise, e non credo si tratti di un caso, con la maggiore età e l’in-
gresso nel collegio cittadino dei decurioni23. Entrato in possesso del suo
18 Sulla stesura del saggio e sul clima nel quale il conte scrisse le 372 pagine
per rispondere “cristianamente” allo scetticismo dilagante, rimane testimonianza in
una lettera inviata da Giovio all’abate Draghetti a corredo di un volume del Saggio
in BCCo, Fondo Brera, cart. 9, fasc. 13. Sull’argomento utile Il cattolicesimo lombardo
tra Rivoluzione francese, Impero e Unità, Atti del Convegno di Studio (Milano 3-4 ot-
tobre 2003), a cura di R. Ghiringhelli - O. Sanguineti, Pescara, ESA, 2006.
19 Positivo il giudizio sul “Journal encyclopédique de Bouillon”, avril, 1775,
p. 167.
20 VENTURI, Settecento cit., p. 701.
21 Il Rodriguez ossia la Perfezione cristiana: con un prologo e le idee sulla tristezza,
p. 17.
22 Per l’intera vicenda e la bibliograia aggiornata mi si permetta di rimandare
ad A. MITA FERRARO, Presenza stefaniana in Lombardia - Il conte Giambattista Giovio
e i Guicciardi, nobili di Valtellina, “Quaderni stefaniani”, XXXIII (2014), in corso di
stampa.
23 Il consiglio, composto da quaranta decurioni, era il nevralgico organo istitu-
zionale della città. Ciò che contraddistinse il decurionato settecentesco comasco fu
la vicinanza, per la convergenza di interessi, del gruppo patrizio-decurionale con il
282 ALESSANDRA MITA FERRARO
ceto produttivo dei mercanti impegnati soprattutto, ma non solo, nel commercio
serico. In questo senso Giovio non rappresenta un’eccezione ma incarna in sé un mo-
dello di suddito e di “cittadino-patrizio” dove nell’ossimoro è siglato il legame tra
la vocazione economica coniugata con la fedeltà sincera all’imperatore in un mondo
che è sempre quello dell’Ancien Régime. La carriera politica del conte è ricostruita
in A. MITA FERRARO, Economia e istituzioni a Como sotto gli Asburgo: il ruolo di Gian
Battista Giovio, Tesi di Dottorato in Storia e Dottrina delle Istituzioni, Università
dell’Insubria, 2013. Pubblicata on-line: http://insubriaspace.cilea.it, pp. 34-70.
24 Da quando nel 1427 Giovanni di Benedetto era stato ascritto al Consiglio
decurionale, l’ascesa economica e il lustro del casato non si erano arrestati, favorito,
nei momenti di crisi, da alcune eredità come quella Tridi e Dugnani che avevano
permesso alla famiglia di mantenere un buon livello di ricchezza. Nonostante la cat-
tiva amministrazione di alcuni degli eredi di Benedetto e Paolo (i maggiori arteici
della fortuna economica del casato) avesse rischiato di compromettere il patrimonio,
la solidità economica poggiava su una varietà di investimenti fondiari, sui proventi
delle locazioni e, non ultimo, sul ricorso al credito nelle sue diverse forme. RIVA,
Giambattista Giovio cit., pp. 31-40, 76.
25 Giovio si inserì nell’ampio dibattito suscitato dalle teorie di Winckelmann,
anche se la sua fu un’attenzione occasionale e con prevalenza di tematiche storico-
archeologiche e di pura erudizione. “Io”, scrisse nel Discorso sulla pittura, “non ana-
tomizzo i precetti minuti, non tolgo il velo de’ misteri pittorici, scrivo, e parlo da
amatore, da Uomo, in cui fa breccia profonda ogni Bello” (p. 8). L’attenzione alle
arti igurative era anche frutto della frequentazione del pittore Raffaele Cigalini,
dedicatario dell’opera, “compagno nella lettura di coloro, che meglio scrissero di
pittura” (pp. 6-7). Giambattista accomunò l’amore per l’arte con quello per la po-
esia: “troppa è l’analogia, che [h]anno insieme queste dolci tiranne del mio cuore.
[...] I voli, le attitudini, le passioni della Poesia sollevano, rapiscono, commovono,
e la Pittura, visibil parlare, e degna germana di lei all’intelletto ci discorre agli
occhi, ed al cuore” (pp. 10-11). Ripercorrendo le varie epoche e soffermandosi in
particolare su quella comunale, che deplora per esaltare l’età rinascimentale, si iner-
pica in discorsi teorici trattando del bello e contrapponendolo all’entusiasmo senza
approfondire le tematiche affrontate. L’opera fu l’occasione per entrare in contatto
con Giambattista Roberti (avviando, come accennato, una sincera amicizia) con il
quale ebbe una garbata polemica intorno al colorito (Lettera del sig. abate G.B. Rober-
ti). L’interesse per le arti igurative fu costante in lui e il tema torna centrale nel suo
epistolario ma, come per altri argomenti, non riuscì a svincolarsi dall’immagine del
passato e a guardare, come riuscì invece all’amico Ignazio Martignoni, al presente.
PROFILO DI UN CONSERVATORE ILLUMINATO 283
Dell’opera espresse un giudizio positivo Corniani, I secoli cit., p. 617; TRAVI, Cultura
e letteratura cit., pp. 25-29.
26 La documentazione in ASCo, ASC, Famiglia Giovio, cart. 101, c. 72 e ivi, Ex
museo, cart. 62, c. 12. Balbiano, acquistato nel 1774 per 6525 lire fu rivenduto al
cardinale Durini nel 1787 per 2300 zecchini (pari a 34970 lire). GEDDO, Il cardinale
cit., pp. 193 e nota 370.
27 Nel suo primo testamento, steso nel 1792, Giambattista parla di “spese paz-
ze della gioventù”, che nel giro di un decennio lo portarono quali alla rovina (BCCo,
Ms. 4.5.31). Nel 1780 risulta indebitato nei confronti dei Luoghi Pii (S. Colomba-
no, S. Leonardo, S. Cecilia) e di Fulvio Tridi per la somma di 6122 gigliati pari a
91830 lire. RIVA, Giambattista Giovio cit., p. 45.
28 La reintegrazione del patrimonio fu possibile con la vendita di alcuni immo-
bili e con l’incremento del prestito ad interesse. ASCo, ASC, Famiglia Giovio, cartt.
101, 103 già in RIVA, Giambattista Giovio cit., pp. 85-86.
29 Riportato da VENTURI, Settecento cit., p. 699.
30 Su questo, mi si permetta di rimandare a GIOVIO, Lettere Elvetiche cit., pp.
XVII-XXI.
284 ALESSANDRA MITA FERRARO
Je ne vis, en passant par Como, que cet homme rare, plein d’érudition
et qui, à chaque propos est en état de citer toutes sortes d’auteurs grecs
et latins dans leur langue originale. Je dois avouer que je fus étonné de
trouver parmi les habitants de cette ville un homme d’une si grande
capacité31.
La scarsa vivacità culturale della sua città, una certa solitudine vissuta
nei primi anni del suo rientro di contro ad un’armonia nei confronti della
natura, sono temi ricorrenti nella corrispondenza di questi anni. A Carca-
no che gli chiede sue nuove nel gennaio del 1780, Giambattista risponde:
Per darle mie nuove non posso dirvi che cose che sa. Io qui seguo a
viver solingo per non viver con corti bipedi indiscreti senza piume che
somigliano agli uomini. Pochissimi vale a dire tre al più rallegrano il
fuoco del mio camino, se questi sorridono a qualche mia bagattella che
scrivo tal plauso mi vale una posterità. Passo la sera in una loggia o due
al teatro e veramente l’ottantesimo del secolo sarà epoca per le nostre
scene. Or vi si applaude il ballo dell’amor fra le armi, saria degno che
il signor Marchese il vedesse. [...] Ritorno a casa e ecco la stessa serie
di vita. Io la percorro con gioia e tristezza compagne della rilessione e
procuro di invecchiare giovane per non ingiovanir vecchio. Son però un
serio contento. Il sole, la luna, il verno, la state, e ino il tuono e il vento
non mi paiono altrove sì miti, sì belli come nella mia casa e giardino.
Esso benché ora coperto di neve sì alta come nel Soratte di Orazio mi
piace più che non Versailles in primavera e alcune passere che uccisi ieri
mi divertirono più che se avessi stanato un cervo o ferito un cinghiale
in un parco sovrano. Parmi insomma godere l’aurea mediocrità. Non
sono né grande né piccolo per essere protettor o protetto con tutto ciò
vorrei essere e nano e colosso purché aggradassi meglio al mio Signor
marchese al quale fui amico sincero e sarò servitore obbligatissimo e
divotissimo32.
Alla ine di Luglio fui alla Gallia e una mattina fui a vedere in Como
la Casa del Sig.r Conte Giovio Poeta e autore di alcuni libretti. Nella
sala vi ho osservato un quadro grande con igure al naturale del quale la
rappresentazione è questa. Il Conte Giovio in abito elegante è la igura
che campeggia, ha alla sinistra la dea Pallade che con ossequio le resta
compagna e gl’indica il tempio posto di contro e di lontano sopra di un
monte, sul frontespizio del quale leggesi Immortalità. Mentre il Conte
s’incammina alla immortalità una fama volante per l’aria lo precede im-
boccando la tromba dorata e annunziando all’orbe terraqueo il grande
avvenimento. Una gloria volando pure scende con un serto d’alloro e sta
per collocarlo sul capo del Signor Conte, dietro cui mezzo sprofondata
e ingojata sulla terra vedesi l’invidia col crine di serpenti che incatenata
non può più nulla sul grande Conte Giovio. Per ultimo un amorino
stassene di canto al Signor Conte e presentandogli sopra un libro La
chiave di Cimabellano e la Croce di Santo Stefano. Io veramente am-
le pressioni dello zio, non acconsentì ad unirsi a Clelia e nel febbraio del
1780, ruppe ogni trattativa con i Borromeo.
Per uscire al più presto dall’incertezza e far cessare i pettegolezzi,
Giovio decise di accogliere la precedente proposizione e il primo giugno
sposò la graziosa diciannovenne Chiara Parravicini. L’unione fu felice e
tra i due regnarono costanti la stima e l’affetto. Fu Chiara la madre dei
suoi undici igli. Giambattista fu un padre tenero ed affettuoso, anche se
non sempre e non con tutti i igli il rapporto fu facile; soprattutto Fran-
cesco, introverso ed inquieto, lo fece più degli altri preoccupare. A loro
dedicò numerosi suoi scritti di carattere didascalico e religioso.
La seconda fase della produzione gioviana, scelto come spartiacque il
viaggio in Svizzera – dove incontri e suggestioni con i grandi dell’epoca
lo stimolarono ad un bilancio –, lo vide progressivamente allontanar-
si dalla poesia, della quale fu uno sperimentatore40, per approdare alla
prosa, che meglio si addiceva a quella eloquenza e a quell’atteggiamen-
to moralistico che non riuscivano nelle poesie a raggiungere la pienezza
espressiva. L’impegno nelle istituzioni non lo distrasse mai dalla stesura
di numerose opere (e moltissime lasciò manoscritte41) dagli argomenti
più vari (religiosi, politici, storici, artistici, epigraici, poetici, musicali)
accompagnata da una ittissima corrispondenza con i più illustri perso-
naggi del tempo (Volta, Parini, Cesarotti, Pindemonte, Andres, Firmian,
Carli, Amoretti, Bertola, Cesarotti, Rosmini, Andriani, Paolina Secco
Suardo Grismondi – in arcadia Lesbia Cidonia – Bettinelli, Roberti,
Metastasio, Algarotti, Tiraboschi, Botta, Giovanni Verri, Foscolo, Melzi
d’Eril, Vannetti, Federico II di Prussia e numerosi altri personaggi meno
noti) che gli fruttarono l’ingresso in molte accademie.
letto dai piedi, dice Gian Giacomo. Io dico son pur poco ambiziosi, e son pur mi-
seri, che si preparano la pena di Mezenzio che univa i corpi vivi ai morti”, in Alcune
prose, Pensieri vari, p. 66. Il principale studio di riferimento è R. BIZZOCCHI, Cicisbei.
Morale privata e identità nazionale in Italia, Bari, Laterza, 2008.
40 Come scrive Travi, Giambattista non ebbe lo sguardo privilegiato del poeta,
fu invece uno sperimentatore non sempre felice con uno stile attento e ricercato
proprio del neoclassicismo di estrazione romantica. TRAVI, Cultura e letteratura cit.,
p. 7 e GASPARI, Tra Klopstock cit.
41 Giovio riunì le sue opere manoscritte in sette volumi: lo dichiara il iglio
Francesco in un “indice degli scritti inediti di mio padre”. Al momento ne ho in-
dividuati quattro. Il primo, Poesie inedite, è conservato nella Biblioteca Ambrosiana,
segnato Y 212 sup. dove Giovio dichiara di aver fatto rilegare quel suo zibaldone nel
1812 “perché chi verrà” ne scelga ciò che gli sembri degno di pubblicazione (c. 74);
altri tre sono invece in BCCo, Fondo Brera, cart. 19/I-III e riuniscono testi politici,
traduzioni, epigrammi e pensieri.
288 ALESSANDRA MITA FERRARO
Negli anni Ottanta, quelli che anche la iglia ricorda “di pace, di gio-
ia, di onore, di studio”42, pubblicò numerosi Elogi, il Dizionario, cui ho
già accennato, e una serie di opere dedicate al suo Lario, con le quali con-
tribuì a deinire il mito del Lario nato proprio sul inire del Settecento43.
Le critiche ricevute, lo studio continuo, l’indole naturale lontana dal ran-
core, lo portarono nel corso degli anni ad essere sempre più autoironico. È
un tratto che emerge con chiarezza nella corrispondenza come in un testo
a stampa dove recensì, a irma Poliante Lariano, il terzo degli elogi dedi-
cati ai suoi antenati, pubblicati sul “Giornale de’ letterati” di Modena:
Dal suo ingresso nelle istituzioni nel 1774, Giovio ricoprì, per tutta
l’età austriaca, le magistrature più importanti dell’amministrazione citta-
dina. Furono soprattutto i temi legati alla viabilità, terrestre e lacuale ad
impegnarlo quasi ininterrottamente per due decenni, portandolo a misu-
rarsi con lo strategico tema delle comunicazioni, centrale nella morfologia
della regione lariana, snodo geograico nevralgico, autentica porta lom-
barda sull’importante direttrice verso la Svizzera e la Germania45. Giovio
mostrò, e gli furono riconosciute nel tempo, capacità di gestire il governo
della città, tutelandone gli interessi di fronte alle pressioni esterne. Le sue
provate competenze in ambito economico, storico e politico, afinate nel
corso degli anni, lo resero un esperto di economia della regione. Come tale
fu interpellato dai funzionari governativi che si recheranno a Como per
illustrare poi a Milano la situazione nella quale versava la provincia. Per
tutti loro Giovio scrisse lucide relazioni (Del Commercio comasco46 e La iera
di Como) dove sono chiaramente esposti i limiti e le potenzialità dell’eco-
nomia legata all’opiicio, favorita e promossa in passato dalla politica go-
vernativa ma bisognosa, per restare attiva, di urgenti interventi di carattere
strutturale e non assistenziale. Vengono pertanto individuati una serie di
provvedimenti per risollevare l’industria ma, contemporaneamente, volti,
come era nelle intenzioni del governo asburgico, all’educazione popolare. Il
testo, lodato da Pellegrini, da Beccaria e da Kaunitz, non riuscì ad orientare
le scelte del governo impegnato dalla recessione economica e a contrastare
le idee provenienti dalla Francia. Così, quanto lo stesso Giovio aveva previ-
sto in mancanza di interventi strutturali, la diserzione dal lavoro, il rischio
dell’emigrazione di impiegati specializzati, disordini possibili, si veriicò
nell’estate del Novanta: poco meno di 500 tessitori, guidati da due decine
di loro spinti dalla miseria, organizzarono un tumulto gettando la città
nel panico. Accanto all’Intendente fu Giovio con due colleghi decurioni,
Giorgio Porro Carcano e Andrea Lucini Passalacqua, a gestire l’emergenza
e fu sempre il conte a presentare al governo, a poche settimane dal tumulto,
un piano per l’organizzazione di una Milizia urbana che a Como non si era
mai organizzata47.
Il ruolo di primo piano del Comasco nei commerci e nella produ-
zione di alcuni prodotti, ispira altre pagine scritte da Giovio nell’estate
dello stesso anno, in occasione dei lavori della voluta Deputazione sociale
promossa da Leopoldo II a Milano. I testi delle Occorrenze di Como e la sua
Appendice, orientati dalle scelte condivise dal Consiglio generale e dal ceto
produttivo, sono una sorta di breve storia dell’economia lariana. Lì con
lucidità, ma senza il dono della sintesi, sono analizzati i mali della regione
e individuati i rimedi per risollevarla. Il testo, letto dallo stesso Giovio
davanti agli altri undici rappresentati, innescò una reazione a catena ben
superiore alle rimostranze attese. La posizione di Como, infatti, portò
all’aggiunta nelle Occorrenze delle altre province di una nota supplementa-
48 Ivi, p. 58.
49 Sono due le cronache, che nella loro immediatezza hanno il merito di restituire
il clima di paura e di disorientamento di una parte della società comense. La prima,
più voluminosa, è il Giornale Gallo Cisalpino scandaloso che contiene i fatti accaduti entro
le mura della mia Patria dal 1796 al 1801 con alcune note profetiche del 1789 in avanti,
di Giulio Cesare Gattoni (conservato presso la BCCo, Ms.4.6.1); l’altra, Ritratti
delle cose Lombarde (nel 1796 e 1797 e 1798) sotto l’armata di Napoleone Bonaparte di
Giovio. Ad esse si uniscono i numerosi epigrammi politici di Giovio (in corso di
pubblicazione a cura di chi scrive). Da ricordare, inine, l’opera dello storico Giu-
seppe Rovelli: G. ROVELLI, Storia de’ principali avvenimenti dopo l’ingresso de’ Francesi
in Lombardia, in Storia di Como descritta dal marchese Giuseppe Rovelli patrizio comasco e
divisa in tre parti, Como, Ostinelli, 1796, rist. anast. Como, Meroni, 1992, III, parte
III, pp. 1-110.
PROFILO DI UN CONSERVATORE ILLUMINATO 291
dei giacobini più accesi, il 15 maggio 1796 fu ancora lui con Alessandro
Volta, alcuni giorni prima dell’arrivo dei Francesi a Como, a rappresenta-
re la città nel comitato di accoglienza organizzato per Napoleone a Mila-
no50. Giovio non attendeva nulla dal giovane generale e continuò a spe-
rare nella brevità della parentesi francese51. La sua posizione d’altra parte
era ben nota in città e i repubblicani comaschi, guidati dal “sedicente
avvocato Valaperta” riconoscevano in lui l’aristocratico per eccellenza. Sui
giornali milanesi uscirono numerosi articoli contro di lui e la Municipali-
tà e anche in città i giacobini non mancavano di provocarlo52. Col passare
delle settimane la situazione peggiorò e il 28 agosto 1796 Giambattista
fu destituito dalla Municipalità (Volta tempestivamente aveva lo stesso
giorno fatto pervenire a Valeri le proprie dimissioni). Il conte, benché
assicurasse il contrario, scrive Gattoni, si sentì grandemente offeso da
questo provvedimento53.
I tre anni successivi furono molto duri per lui e la sua famiglia. Gli
fu tolta la libertà in casa, costretto ad alloggiare continuamente nuovi
uficiali, fu insultato negli editti ed invitato ad esprimere la propria gioia
per le vittorie francesi e, non ultimo, fu lagellato dalle tasse, dalle con-
tribuzioni e dai prestiti forzosi.
Giovio non comprese il valore storico della rivoluzione francese e anche
la sua idea di uguaglianza non si spinse oltre l’idea di una parità davanti
alla legge. Nondimeno egli non fu ostinatamente chiuso alle novità. Aveva
guardato con interesse e speranza ai lavori delle prime assemblee legislative
della Francia rivoluzionaria e aveva abbracciato l’illuminismo inteso come
un movimento riformistico volto a spogliare la tradizione di tutto ciò che
di viziato e di morto le impediva di migliorare le condizioni dell’uomo54.
I problemi giunsero dopo, come egli stesso scrive nella Conversione politica o
Lettere ai Francesi nel 1799. Giambattista attese con trepidazione la notizia
delle vittorie degli austro-russi55 e non appena seppe del loro arrivo a Mila-
no, il 29 aprile, fece cantare “una messa solenne nel suo oratorio”.
Il conte non ebbe neppure il sospetto che si trattasse di una breve paren-
tesi. Nell’entusiasmo tradusse le Lettres aux Français di Giuseppe Gorani.
L’autore, da anni ormai in esilio, aveva denunciato quelli che erano stati per
lui i misfatti e i limiti dell’illuminismo. In chiusura alla libera traduzione
nel Quadro della moderna democrazia, il conte inserì considerazioni personali,
come aveva dichiarato nella Prefazione. Il tono delle pagine gioviane non
è quello di un uomo chiuso alle novità né quello di chi teme la ine dei
privilegi di classe; per lui l’aristocrazia ha il valore di una categoria morale
e sociale saldamente radicata nella chiesa cattolica: “Ma quando m’avvidi,
che volevate al Vangelo sostituire l’ateismo, e dar in templi e cerimonia e
culto a tanta follia, il mio cuore si spezzò di cordoglio, non volli goder più
delle grazie vostre e riguardai la metropoli vostra come la cloaca del vizio”.
Il vero problema era proprio la lontananza dal cristianesimo. Dopo il Terro-
re56 fu sempre più convinto che la rivoluzione conducesse esclusivamente al
materialismo e all’ateismo: “Ah non così si annunzia la Filosoia! Il ilosofo
adora un Dio, non fa epigrammi contro l’immortalità”57.
non peggiorar me, impiegandomi in tal guisa”. Ora, scrive, lui torna ed
osa parlare di amor di patria, che ino a pochi anni prima era considerata
una “specie di furore, una visione” di cui gli antichi erano “infatuati”.
La recente “smania di voler l’uomo cittadino del mondo intero” sembra,
continua, poggiare sulla “troppo ristretta” città natale. Queste parole,
che sarebbero sembrate troppo “calde” pochi anni prima, oggi, prosegue
Giovio, suonano diversamente ai moderni francesi repubblicani, i quali
“non cessano dal detestar quei giorni d’anarchica tirannia [...]. L’amor di
Patria aborrirà sempre l’anarchia e il disordine, e l’uomo saggio si crederà
sempre libero, dove regnin le leggi. A ciò mirano i desiderj di tutti i buo-
ni, sotto qualunque forma di governo li destini la Provvidenza”. Adesso
sembrano inalmente cessati, insiste, gli “impeti che agitaron gli spiriti a
questi ultimi tempi, quando parve libertà l’abuso de’ libelli atroci, parve
bello l’insultar coloro, cui la sorte guardò al lor nascere con qualche favo-
re”. Insomma quel che a me appare evidente è che Giovio dice e scrive ai
nuovi funzionari napoleonici ciò che loro stessi – e con loro il futuro re
d’Italia – vogliono sentirsi dire: dopo gli abusi della rivoluzione, il ter-
rore, il caos generale, ora, grazie ai nuovi equilibrati reggitori che hanno
recuperato molto dal passato sarà possibile lavorare, nuovamente, per il
bene comune.
L’opera sortì l’effetto desiderato e permise al conte il suo rientro a
testa alta nell’agone politico dove, pur con una nuova dolorosa parentesi
con la giustizia67, ricoprì numerosi incarichi, nonostante la compromessa
salute. Sempre attento alla condizione dei suoi concittadini e alla sua ter-
ra, sembrò cedere nel febbraio del 1812 alla vanità napoleonica. Indotto,
forse, dalle ragioni dei igli – che contro la sua volontà avevano intrapreso
la carriera militare e si erano arruolati nell’esercito – o persuaso del favore
che a loro poteva derivarne –, chiese a sua Maestà Imperiale Napoleone
una onoriicenza68. Questo nuovo corso, tale, infatti, doveva essere sentito
Havvi pur troppo coloro che altamente vantano i beni di questa vita, e
di questo bel mondo, e si direbbono gli ascetici i beati del secolo; ma v’ha
altresì di quelli, i quali con la loro cupa fantasia, tinta tutta di colori
bruni, accrescono i mali di questo soggiorno, e del nostro animo. [...]
Non voglio io già che tengasi ad Eden ridente questa valle di lacrime.
Ma vi sono pure in questa valle ed ombre care e il Sol puro, e mormo-
ranti ruscelli e specchi e laghi e di mari; vi sono in mezzo a perverse an-
che le anime belle e le indoli cortesi e gli umanissimi cuori, vi abbiamo,
sol che da noi si voglia, e corrispondasi ai lumi superiori, vi abbiamo un
commercio nobilissimo, e iduciale col sommo nostro Creatore, da cui
tutto avemmo, e ci attendiamo ilialmente immensi beni70.
Foscolo in data del 29 mi scrisse una lettera piena di cuore per Voi e per
me. Io la ricevetti ieri, volli dirne uno squarcio in famiglia, e le lagrime
m’inondarono gli occhi. Io mi consolo che avete in lui un eccellente aiu-
to per i begli studi e più avete uno che mi giura di volervi essere ‘amico,
fratello e in padre’. Fantasia e cuore fanno i piaceri e le pene di questo
mondo, ma ne fan le delizie... [...] Voi fate di riempirmi, come potrete
il meglio, fate di riempirmi d’un balsamo consolatore questo cuor mio
gonio e piegato. Balsamo saremmi l’onorata e prudente condotta vo-
stra. Ricordatevi dell’onoratissimo nostro Benedetto la cui onestà raris-
sima si lodava tanto da’ suoi contemporanei, onestà che non cedeva pun-
to alla tanta dottrina sua, dottrina superiore a suoi mezzi... Caro iglio
io vi conto quali perle quelle lagrime che spargeste meco, quai perle
preziosissime quelle vi conto che nella scorsa estate vi ruppero fuori del
cuor [...] quando due parole vi lessi del mio olografo testamento. [...]
Tosto che vedete Foscolo apritegli la veste e sul lato sinistro fralle coste
fategli un bacio da parte mia. La povera madre vostra voleva scrivergli
due righe. Io la trattenni. Vostra madre, Vostro padre quanto v’ama-
rono! V’amarono come v’amano... e noi tutti eravamo fatti per essere
una famiglia unica... e la Porro, l’eroica Porro, v’amò, e Vincenzina, e
Cecchina, e Carolina etc. e Cecco a suo modo. Addio. Io non posso che
reiterarvi le mie benedizioni.
73 Lettera a Baraldi del giugno del 1813. BARALDI, Notizia cit., p. 25.
299
S.M.I.R.A., in Elogi degli italiani raccolti da Andrea Rubbi, vol. VIII, Venezia,
Pietro Marcuzzi, 1782, poi con il titolo Elogio di Monsignor Paolo Giovio il vecchio
vescovo di Nocera, s.l., s.e., s.d., [Modena, Società Tipograica, 1783] (estr. da
“Continuazione del Nuovo Giornale de’ letterati d’Italia”, voll. XXVI e XXVII,
1783).
Elogio di monsignor Paolo Giovio il Giovane vescovo di Nocera ed uno de’ Padri
del Concilio di Trento. Si aggiungono alcune lettere inedite di quel prelato con altre a lui
dirette, estr. da “Continuazione del Nuovo Giornale de’ letterati d’Italia”, voll.
XXXV (1786), pp. 83-125 e XXXVI (1787), pp. 1-66.
Gli Uomini della Comasca Diocesi Antichi, e Moderni nelle Arti, e nelle Lettere
Illustri. Dizionario Ragionato del Conte Giovanni Battista Giovio, Cavaliere del Sacro
Militar Ordine di S. Stefano Ciambellano Att. di S.M.I.R. ed A., “Nuovo Giornale de’
letterati d’Italia”, Modena, Società Tipograica, XXVIII, 1784, pp. 28-XXIX, 1784,
pp. 31-192 e Supplemento, ivi, voll. XXX, 1785 e XXXI, 1785, poi stampato in unico
volume presso lo stesso editore nel 1784, rist. anast., Bologna, Forni, 1975.
Lettere de’ conti Roberti e Giovio. Alla occasione del libro “Sulla probità naturale”
colla aggiunta di un Apologo, Como, Francesco Scotti, 1785.
Versi epici in morte di Francesco Maria Zanotti, Milano, Fratelli Pirola, [1785].
Poesie nuove, Como, Ostinelli, 1785.
Oda e canzonetta del conte Giovan Battista Giovio, cavaliere del S. M. Ordine di
Santo Stefano, Como, Scotti, 1785.
Abusi del sig. d’Alembert nel suo opuscolo in materia di religione, “Giornale let-
terario” di Milano, di Francesco Pogliani e Polini, a nome di Poliante Lariano,
XI (1786).
Lettera sopra Dante di Poliante Lariano ad Artemisco Dedalo, ibid.
Frammento degli Efesiaci di Xenofonte sugli amori di Anzia e di Abrocome, ibid.,
X (1786).
Pensieri ilologici e cristiani, ibid., XIII, XIV, XV (1786).
Giudizio intorno ad una lettera sopra i Negri, ibid., XIV (1786).
Del commercio comasco. Lettera del Cavaliere Conte Giambattista Giovio Genti-
luomo di camera di S.M.I. al Signor Regio Intendente Politico don Giuseppe Pellegrini,
[Lugano], [Agnelli], 1787.
Elogio dell’abate Giambattista Roberti, Bassano, Remondini, 1787.
La iera di Como. Dialoghetti due. Da non essere stampati e scritti a penna corrente,
[seguono due sonetti scritti in occasione della Nella faustissima venuta in Como di
S.M.I.R.A. Leopoldo II], Como, Ostinelli, [1791].
Massime Operette varie interessanti la religione, lo spirito ed il cuore, raccolte da
Giovan Batista Giovio patrizio Comasco, Como, Ostinelli, 1793.
Poesie varie, in Anno poetico ossia raccolta annuale di poesie inedite di autori vi-
venti, Venezia,Tipograia Pepoliana, poesie negli anni 1793-1795, 1806-1807.
Affetti pii sul Paternostro latini ed italiani. Con altra esposizione e rilessioni ilo-
soiche tratte dallo Stess. Opuscoli tre, Como, Ostinelli, 1794.
Affetti divoti sulla orazioni domenicale tratti dal N. ed A. Testamento colla versione
italiana e con note, Como Ostinelli, 1794.
Altra sposizione del Paternostro, Como, Ostinelli, 1794.
PROFILO DI UN CONSERVATORE ILLUMINATO 301
ABSTRACT
Profile of an Enlightened Conservative: Giambattista Giovio (1748-1814)
Giambattista Giovio (1748-1814) felt from a young age that his specific
mission was to honour the name of his family, which had given birth
to his ancestor Paolo Giovio. A family where human, legal, scientific
and religious culture could not be separated from public commitment.
This could be considered a kind of renewed Humanism where all
efforts converged into a genuine “vita civile”. In Giovio, as in other
contemporaries, two souls lived together: the first following the rational
and pragmatic Enlightenment, ready to follow the paths of reason; and
the other growing up in the dogma of the Catholic Faith. At the same
time he was a “modern” father, a generous patron, a tireless reader and
writer, a collector and bibliophile, a courageous experimenter (especially
in poetry). He was also the author of a series of works which were
dedicated to his beloved Lario region, its natural beauty, its artistic
treasures, the famous people who had inhabited the coasts of Lake Como,
and he was one of the key actors in launching the myth of the Lario at
the end of the eighteenth century.