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Per Carta e per Voce

il ‘magico incanto’ di Adriana e Giambattista Basile

Anna Aurigi

1. «DI DOLCI GROPPI AMPIA CATENA»: UNA VIRTUOSA NAPOLETANA E IL


FRATELLO SCRITTORE.

Nel fitto ordito di guerre, scambi, interessi e relazioni diplomatiche, che


caratterizza i rapporti tra le corti italiane nel XVII secolo, una catena sonora lega
Napoli alla corte di Mantova: l'interesse ostinato del duca Vincenzo Gonzaga per la
voce di Adriana Basile1. I ‘dolci groppi’ del verso mariniano sono i trilli della
virtuosa, che formano anelli, tanto più tenaci quanto più soavi, di una catena intesa
a soggiogare un vasto pubblico d’intellettuali, musicisti, poeti e aristocratici. Tra
questi, appunto i Gonzaga, alla cui corte Adriana si trasferisce con un nutrito
gruppo di familari, rimanendovi per quasi quindici anni, quale gioiello della
cappella musicale privata delle dame Margherita ed Eleonora2.
Intorno a quel ‘maraviglioso’ canto si intrecciano questioni che trascendono
l'aspetto propriamente musicale, poiché addentrarsi nel magico incanto della voce
di Adriana implica incrociare anche la storia del fratello Giambattista e i racconti
incantati (magici?) del suo celebre Cunto de li cunti3.Virtuosa contesa dalle più
raffinate case regnanti della penisola, celebrata da insigni poeti, la sorella;

1
Il verso è tratto dall'Adone di Giovan Battista Marino (Canto VII, st. 40, v. 6) la cui prima
edizione esce a Parigi nel 1623 presso Oliviero Varennes (per una moderna edizione critica cfr. G. B.
MARINO, Adone, a cura di Emilio Russo, Milano, BUR, 2013). Il termine 'groppo' qui utilizzato da
Marino proviene dal linguaggio musicale e, secondo le dettagliate indicazioni fornite da Caccini
nell'introduzione alle sue Nuove musiche (Firenze, Marescotti, 1601), è un trillo che si conclude con
un gruppetto finale; il gruppetto odierno ne è l'erede parziale. Il suo andamento può richiamare, anche
figurativamente, il 'trillo', termine con cui, invece, Caccini indica la nota ribattuta di gola, cioè
l’abbellimento che si ottiene con un particolare uso della glottide e dell'aria. Sull'argomento si veda
anche A. AURIGI, Dai “Discreti lettori” ai moderni esecutori, in L. COSI, a cura di, Del Parnaso
ovvero Mons Arduus, Galatina, EdiPan, 2011, pp.71-90, p. 77.
2
Margherita Gonzaga (1564-1618), sorella di Vincenzo, figlia di Guglielmo Gonzaga duca di
Mantova e di Eleonora d'Austria; sulla duchessa Margherita basti il rimando alla voce di R. TAMALIO,
Margherita Gonzaga, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia
Italiana, vol. 70, 2008. Eleonora de' Medici (Firenze, 28 febbraio 1567 – Cavriana, 9 settembre 1611)
primogenita di Francesco de' Medici e Giovanna D'Austria, e seconda moglie di Vincenzo Gonzaga
(cfr. la voce di S. PELLIZZER, Eleonora de’ Medici, in Dizionario Biografico degli Italiani, cit., vol.
42, 1993).
3
Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de’ peccerille viene pubblicato postumo tra il 1634 e
il 1636 a Napoli, presso Ottavio Beltrano e Lazzaro Scorriggio; per maggiori dettagli sull’opera si
veda più avanti il III paragrafo.
1
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

intellettuale, soldato, autore di una delle più significative opere letterarie del tempo,
il fratello: l’una e l’altro a lungo personalità di spicco delle più importanti
accademie del tempo4.
Napoletani probabilmente di nobile rango, i Basile rappresentano, ognuno nel
suo campo, il meglio del sapere dell’epoca: da una parte la raffinata tecnica vocale
e interpretativa della monodia e del recitar cantando, fucina di sperimentazioni che
danno origine al belcanto e al melodramma; dall'altra, la scrittura favolistica nel
processo di sintesi tra una antica tradizione orale, d’ascendenza soprattutto
orientale, e una colta e strutturata, quasi aulica: sintesi così felice, da rendere il
Cunto punto di riferimento per la letteratura a venire tout court, relativamente sia al
contenuto, sia alla forma. E nel Cunto risuona l'esperienza biografica, artistica e
professionale di entrambi i Basile, là dove l’impronta individuale si intreccia con
musica, letteratura, politica, vita sociale di un intero secolo5.
Guardando più dappresso le biografie dei Basile, Adriana sembrerà aver
ottenuto maggior plauso in vita, oggetto di desiderio per corti e cortigiani in un
sistema che, dopo l'avvento della seconda prattica e del canto monodico, andava
già creando delle dive. Per parte sua, il multiforme Giambattista sembrerà muoversi
in una zona d'ombra, pur lasciando potente traccia di sé nei più diversi ambiti
culturali. Certamente le vicende personali dei fratelli, sviluppandosi in modo
indipendente, s’incrociano a intervalli più o meno regolari, in virtù di un legame
fortissimo.
Mettere in più stretta relazione gli eventi della vita dell'uno e dell'altra, quindi,
può dare nuova luce alle rispettive biografie, consentendo di valutare come i casi
del’uno abbiano inciso su quelli dell’altra. In questa prospettiva, assunzioni,
trasferimenti, incarichi, lettere, dedicatorie, testi poetici, favole e viaggi acquistano
un valore diverso, e suggeriscono nuove valutazioni critiche che sembrano essere

4
A proposito del prestigio ottenuto dalla cantante presso l'aristocrazia si veda anche la
pubblicazione, dal titolo emblematico di per sé, Lettere de diversi principi alla signora Adriana di cui
si vede la molta stima da essi degnamente fatta del valore di sì peregrina Donna, Venezia, Napoli,
1628. Ancora più interessante, per il nostro studio, è la considerazione che le riservano i poeti:
Giovan Battista Marino, ad esempio, scrive di Adriana e del suo canto non solo nell'Adone ma anche
in sonetti e altre composizioni poetiche pubblicate nel Teatro delle Glorie della signora Adriana
Basile, alla virtù di lei dalle cetre degli Anfioni di questo secolo fabricato,(Venezia, E. Deuchino,
1623; Napoli 1628). A quest’opera prendono parte più di cento autori: nobili, dignitari, intellettuali e
accademici. Tra questi compaiono, oltre al Marino e al fratello stesso di Adriana, Giambattista,
importanti poeti quali Gabriello Chiabrera e Claudio Achillini, e librettisti come Claudio Busenello e
Giulio Strozzi. Scrive per Adriana inoltre anche il musicista e poeta Francesco Rasi nella sua raccolta
La Cetra di Sette corde (Venezia, Ciotti, 1620).
5
Poco si sa della famiglia di origine di Giambattista e Adriana, nati a Napoli, rispettivamente nel
1572 (?) e 1580. È noto il nome della madre, Cornelia Daniele, ma un mistero gravita intorno alla
figura paterna. I due fratelli hanno un facile accesso al mondo delle élites del tempo, e ne fanno parte
in maniera integrata (in particolare il cursus honorum di Giambattista non può spiegarsi altro che con
un forte accreditamento iniziale da parte di una figura di spicco del mondo dell'aristocrazia).
L'espressione «la nobiltà della sua nascita» usata in Le Glorie degli Incogniti (Venezia, Valvasense,
1647, p. 209-210) nei riguardi di Basile alcuni anni dopo la sua morte pare avvalorare l'ipotesi che i
due fratelli siano figli naturali, non riconosciuti ma protetti, di un aristocratico napoletano.
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Anna Aurigi

sfuggite tanto alla storiografia di fine Ottocento-primo Novecento (Ademollo,


Croce: autori fondamentali al ‘recupero’ di entrambi i Basile), quanto a quella più
recente.
Il tono agiografico non esclude perciò fondatezza di contenuto, quando già nel
1623 Orazio Cattaneo, Rincorato Academico Intronato, così relaziona vita e virtù
dei due Basile:

Febo è in ciel? Febo è in terra. /Anzi ha sol una suora,


E chi più crede, erra, / e vaneggia ancora,
Favola quella è vana: / Febo è solo BASIL, Musa ADRIANA6

2. «DI QUEL CANTO NEL VER MIRACOLOSO»: LA CANTANTE E IL DUCA7.

Agli inizi del Seicento Adriana è la cantante più famosa d’Italia e Vincenzo
Gonzaga, pur di averla a corte, accetta nel contratto d’ingaggio le molte clausole
‘vessatorie’ da lei imposte. E quando la virtuosa, nonostante i favori accordati, si
rifiuta ancora di partire per Mantova il desiderio del duca si fa esasperato:

[Vincenzo] andò su tutte le furie, sospettò maneggi della principessa di


Stigliano e dei suoi per recargli disgusto, sordide ostilità del Viceré e della
Viceregina di Napoli, fece il suo piano di battaglia contro tali avversari e in
un giorno solo, il 5 di marzo 1610, scrisse la bellezza di sette lettere tutte
piene di dispetto, d'emozione e di minacce. Si direbbe trattarsi di un casus
belli vero e proprio. Queste sette lettere sono un capo d'opera nel loro
complesso8.

Il duca scrive al viceré di Napoli, alla viceregina, e alla principessa di Stigliano,


al cui servizio era al momento Adriana, chiedendo che permettessero alla cantante
di partire per Mantova. Si rivolge anche al proprio messo Ottavio Gentile -
destinato a seguire in loco la questione - suggerendo nei dettagli il da farsi e le
strategie di persuasione:

Andando voi adonque in diligenza per il sud.to fine, parlerete con esso
Barone toccando seco tutti quelli rispetti di mala soddisfazione che ci
potriano alterare, vedendo che dopo aver aggiustata la venuta sua e della
moglie con tante conditioni all'ultimo tutto si risolva in fumo sotto vani
pretesti che non stanno al cimento del verosimile. […] così d'amorevole
persuasione come di risentite parole, vedrete di ritornarlo in fede et di

6
Orazio Cattaneo, in Il teatro delle Glorie, cit., p. 136.
7
Il verso citato nel titolo è tratto ancora dall'Adone di Marino (Canto VII, st. 40, v. 1).
8
A. ADEMOLLO, La bella Adriana ed altre virtuose del suo tempo, Città di Castello, Lapi, 1888, p.
91. Lo studioso riporta in questo studio una vasta e preziosa messe di documenti, cronache, poesie e
lettere che egli stesso ha trovato consultando l'Archivio Gonzaga conservato presso l’Archivio di
Stato di Mantova.
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Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

confermarlo nella risolutione della venuta sua, alla quale non è da credere che
resista la moglie contro un suo determinato pensiero. […] Insomma dovrete
voi con ogni studio di possibile diligenza tentar di disponer le cose che la
venuta di essa Adriana abbi ad ogni modo a succedere9.

L’offensiva epistolare investe anche il marito di Adriana, Muzio Baroni:

Ho veduto con qual pretesto di scusa ella mi voglia tener fuori di speranza
della venuta di sua moglie al servizio mio, il che non mi può se non riuscire
strano et dispiacente per havere io con tutti li modi procurato che conoscano
la sincerità dell'animo mio. […] Però non ho voluto lasciar di raccordar la
serie di tante cose passate in questa trattatione10.

In effetti, Muzio intermedia efficacemente, quando Adriana, ottenute


vantaggiose condizioni per sé e la propria ampia famiglia, si rifiuta tuttavia di
trasferirsi a Mantova. Dopo un colloquio con Paolo Facone, altro messo del duca,
«accaparratore patentato di cantanti di ambo i sessi e neutri per la corte
mantovana»11, marito e moglie sottoscrivono un contratto in cui definiscono nei
dettagli i termini del rapporto che legherà la cantante e la sua famiglia ai Gonzaga:

Poiché è venuto il S.r Paolo Facone a richiedere Andreana Basile che


vada alli servizi dell' Al.za di Mad.ma di Mantova e della Se Infanta
Principessa di Mant.a, offrendole quel partito ch'essa domandasse, le si
risponde per detta Andreana suo marito e Parenti, ch'ella riceverà gratia
particolare andando a servire dette S.me Signore. Però desidera le sottoscritte
conditioni:
Prima, che ella non riene per cosa conveniente il partirsi per detto servigio
senza particolar comando di dette S.re S.me Ducehssa e infanta aciò
conoscano e s'intenda che il suo fine particolare è di andare a servire come
minima serva delle loro create, e non altro. E che dette S. S.me si degnino
scrivere alla Sig.ra Vice Regina Ecc.ma di Napoli, acciò detta Sig.ria la
chiami e da lor parte glielo comandi, acciò con sua reputatione vada a servirle
per rispetto de' suoi parenti, e sia noto con effetto che la sua partita sia
particolar gusto e servigio di dette S.re Ser.me aciò ella resti con tal mezzo
maggior.te honorata. [...]
Secondo, si desidera, che l'Al.za del S.r Duca occupi in casa sua tanto
Mutio Barone suo marito, quanto Gio. Batt.a suo fratello, i quali sono
persone dell'habilità […] e che procureranno per le persone loro di esser
degni de lor creati di S. A. D.° Sig.n Paolo d'ogni altra cosa e particolarmente
degli altri impedimenti che non l'hanno lasciata venire alla prima richiesta di
S. A. egli medesimo ne darà relatione.

9
Ivi, pp. 93-94.
10
Ivi, pp. 95-96.
11
La definizione di Paolo Facone è sempre di ADEMOLLO, cit., pp. 89.
4
Anna Aurigi

Io Andriana Basile affirmo quanto sopra / Io Mutio Barone affermo


quanto sopra è scritto12.

Il contratto affronta questioni cruciali. In avvio, ribadisce con netta formula, e


per voce di Paolo Facone, che il duca è pronto ad offrire «quel partito che essa
[Adriana] comandasse» pur di ottenerne il trasferimento a Mantova. E Adriana
chiede, per suo servizio, di dipendere direttamente dalle duchesse e da nessun altro
delegato a gestire la cappella musicale. Inoltre chiede che a corte siano accolti e
stipendiati anche il ‘nobile’ marito e il fratello Giovambattista Basile. Ma il 22
marzo, sollecitato più volte a convincere la moglie a partire, Muzio Baroni scrive a
uno dei messi del duca:

Non ho potuto mai disporre mia Moglie in questo fatto, di maniera che
avendo voluto io due volte usar la forza et autorità di Marito, se ne ammalò
per molti giorni, con molto pericolo della vita, di maniera ci havea tutte le
Sig.re di Napoli contrarie a fatto, rintuzzandomi che io volea far morire mia
moglie.
Cominciai un'altra volta, et me disse per fine volersi mettere in
monasterio prima che partirsi da Napoli; or dunque veda che potrò fare
mentre ci sono femine di natura così fatte […]. Io conosco esser debitore con
S.A. però per mia moglie non ci è rimedio13.

Adriana si sottrae ancora all'impegno preso poiché a Napoli aveva prestigio,


relazioni sociali, e le mancava una motivazione forte per partire: la città, infatti,
una vivace capitale europea affacciata sul mare, offriva grandi opportunità e un
clima dolcissimo; e anche quando il duca di Mantova, il messo Ottavio, il principe
di Stigliano e il marito stesso aumentano la pressione, la Basile appare
irremovibile, tanto che ad aprile don Ottavio è costretto a scrivere:

Ho fatto l'ultimo sforzo ma indarno, perché questa donna sta più ostinata
che mai di non si voler partire di Napoli, e non hanno giovato le persuasioni
della S.ra Vice Regina né del S.r Vice Re, né della S.ra Prin.sa di Stigliano,
né del Principe, né tutti li mezi, che io mi ho potuto immaginare.[…]
Finalmente mi sono risoluto di andarla a ritrovare questa mattina alla casa, et
doppo con lungo contrasto gli ho fatto vedere la lettera di Mad.ma S.ma, et il
scritto firmato di sua mano alla quale non ha risposto altro se non che lei sa
molto bene che saria tenuta a venire per obbligo, ma che non lo vuole fare per
altro se non che sa certo che moreria in cotesta aere la quale è stata impressa
per pestiffera sempre.
Io, vista la sua ostinazione ho mutato registro di parole e mi sono lasciato
intendere che li Principi pari di V. A. non vogliono essere burlati da nissuno,
lei subitam.te inteso questo principio, è saltata su li pianti gagliardis.mi

12
Ivi, pp. 89-90.
13
Ivi, p. 99.
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Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

dicendo, se il S.r Duca mi vorrà morta o strupiata lo potrà fare lo so, lo credo,
ma piuttosto mi contentarò di patire tutti questi mali, che mai andare a servire
a nissuno, e nel dire queste parole gli è venuto uno svenimento gagliardo, e,
rinvenuta, mi ha pregato per l'amor di Dio che me ne vadi, altrimenti sarò
causa della sua morte14.

Dalla lettera si apprende che la virtuosa decide di sfoderare una teatralità


gagliarda, resa icastica da termini ed espressioni dialettali (strupiata, servire a
nissuno), nonché da movenze caricaturali (gli è venuto uno svenimento gagliardo);
tuttavia, per la gioia di Vincenzo Gonzaga, il 23 maggio la Basile lascerà
finalmente Napoli, muovendosi con tutta la ‘Basileria’ - clausola fondamentale
della trattattione era che ella si potesse trasferire alla corte mantovana con uno
stuolo di parenti:

Saranno dunque la signora Adriana con una sorella et cognata, e un suo


figliuoletto, che sono quattro; il marito, con un fratello di lei et un creato che
in tutto sono sette; viene ancora per accompagnarla sino a Mantova, e poi
passarsene in Spagna, un altro suo fratello dottore con un creato15.

I fratelli cui si fa cenno sono Lelio e Francesco, la sorella è Vittoria. A costoro


nel 1613 si aggiunge il membro più noto della famiglia, Giambattista. Peraltro, la
virtuosa brigata si muove a tappe stabilite dal duca: Adriana canta prima a Roma e
poi a Firenze, aumentando nel risalire la penisola il proprio prestigio professionale
e, di conseguenza, quello della cappella gonzaghesca che la ospiterà come
principale virtuosa. Inoltre a Mantova tutti i parenti più prossimi della cantante
trovano adeguata collocazione, godendo di privilegi e prebende16.
Dopo il parossismo iniziale, i rapporti tra Adriana e i duchi si addolciscono,
raggiungendo una familiarità quasi affettuosa. Nel 1624, dopo un decennio di
permanenza a corte, così scrive Ferdinando Gonzaga:

Signora Adriana mia, vi saluto caramente, e vi do parte come il Sig.e mi


ha visitato di maniera, che se non usava la sua misericordia di questo mondo
non ce n'era più per me. Hora lodato la bontà sua mi vo’ recuperando e sono
il solito desiderosissimo di servire a V. S. in ogni sua occorrenza. / Di
Fiorenza 21 agosto 162417.

E lo stesso giorno, al marito Muzio:

14
Ivi, p. 111.
15
'Basileria' temine adottato ancora da Ademollo in La bella Adriana (cit., p.121), contributo da
cui è tratta anche la presente lettera di Gentili, che risale al 12 maggio 1610 (p. 117).
16
Nel 1612 Adriana fu insignita del feudo di Piancerreto dal duca Vincenzo.
17
Ivi, p. 296. Ferdinando Gonzaga, fratello di Vincenzo I, succede nel 1613 a Francesco IV, suo
nipote morto prematuramente lo stesso anno in cui era succeduto al padre Vincenzo.
6
Anna Aurigi

Sig. Mutio mio carissimo […] non vi scordate di gratia di noi come noi
non ci scordiamo di voi18.

Anche la duchessa Caterina manifesta vicinanza:

Venga però allegramente sicura di ricevere da S. A. e da me veri


dimostramenti dell'affetto che le portiamo19.

E ancora Ferdinando ad Adriana, due mesi dopo:

Venga che sarà ben venuta al solito, venga che l'attendiamo e senza di lei
la musica è molto imperfetta. Partenope ha goduto assai la sua sirena, non ne
pianga il Mincio che per lungo tempo già pretende farne acquisto20.

Aldilà delle espressioni cerimoniali di rito, nel carteggio tra la virtuosa e i duchi
riportato dall'Ademollo traspare grande familiarità, per un rapporto professionale e
umano che nel corso di circa quindici anni (1610-1624) ha appagato entrambe le
parti21.
Tutta la vicenda descritta, tuttavia, appare singolare: il fatto che una cantante si
sia opposta inizialmente in modo così ostinato ai voleri di un principe induce a
pensare che il rango della cantatrice non sia così basso.
Molte virtuose del tempo, com’è noto, provengono da famiglie di artisti o
intellettuali, o comunque di ceto civile; l’eccellente competenza musicale innalza
queste donne nella scala sociale, permettendo loro di vivere a corte come dame di
compagnia - l'ensemble di professioniste attivo alla corte di Ferrara dal 1580 si
chiama appunto ‘Concerto delle Dame’22. Ma nel caso di Adriana, unica
meridionale assunta in modo stabile presso una corte del nord (cfr. il prospetto in

18
Ivi, p. 296.
19
Ivi, p. 297.
20
Ibid. Da notare che Vincenzo Gonzaga si preoccupava addirittura di curare gli affari di Adriana:
“Sign. Adriana ho dato ordine che si chiami i fittadio delle Giare e si faccia che paghi l'affitto
maturato”; ancora in ADEMOLLO, La bella Adriana, cit., p. 296.
21
È probabile che la trasformazione del concerto delle dame di Ferrara da una consuetudine di
nobildonne dilettanti a pratica di un ensemble di professioniste sia da attribuire proprio al matrimonio
di Alfonso d'Este con la quattordicenne Margherita Gonzaga (1579), e alla volontà di intrattenere la
sposa.
22
«During the early and middle decades of the sixteenth century, women musicians in Italy
existed in a shadowy half-world; theirs was a profession that hesitated to declare itself clearly. With
the sudden rise of the famous singing ladie in th 1580s, this situation changed dramatically, first
opening the way for highly prestigious woman performers and then, if always to a less degree, for
women composer as well. […] Women were musically prepared to accept these roles once they were
offered by a society because of the place of musical training in the long standing tradition of courtly
lady in Italian society». Cfr. J. BOWERS, J. TICK, Women Making Music: The Western Art Tradition,
1150-1950 , Chicago, University of Illinois Press, 1987, p. 109).
7
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

appendice), il fenomeno ha caratteristiche peculiari, come fosse guidato in partenza


da un vento favorevole.
Mancano informazioni sul casato dei Basile: non si conosce nemmeno il nome
del padre di Adriana e Giambattista. Il fallimento d’indagini specifiche farebbe
pensare che questa damnatio memoriae fosse voluta, ovvero che tale identità sia
stata tenacemente nascosta. I ruoli ricoperti, i luoghi frequentati dai Basile,
sembrano contraddire l'ipotesi di una famiglia di modeste origini, il cui
avanzamento di rango sarebbe dovuto particolarmente all’ambiziosa e
spregiudicata cantatrice. Significativi indizi traspaiono invero da carteggi,
incarichi, matrimoni, assunzioni, toni, scelte, contrattazioni, regalie, titoli, che
punteggiano vita e opera di Adriana e di Giambattista, come se entrambi fossero
protetti in esordio da una figura genitoriale potente, un padre naturale, capace di
introdurre i figli presso circoli aristocratici e di potere, e di aprire loro una qualche
via privilegiata. Naturalmente, tra i vari fratelli Basile, solo i due più talentuosi,
Adriana e Giambattista, avrebbero messo a frutto l’input d’origine, cavalcando
genialmente trasformazioni culturali proprie del secolo XVII, emblematizzate da
una parte dalla ‘nascita’ della monodia e della dimensione virtuosisticamente
attoriale e performativa del canto; dall’altra, dall’utilizzo della fiaba letteraria e
dell'elemento magico come mezzo per indagare e narrare una parte profonda e
altrimenti ineffabile dell'animo umano.
Nemmeno facile è capire quale segno i Basile abbiano lasciato nella cultura
mantovana. La città gonzaghesca, grazie all'attività ventennale (1592-1612) di
Monteverdi e al canto di prestigiose virtuose, era fucina pulsante della seconda
prattica. Fabbri ipotizza che Monteverdi abbia conosciuto la poesia di Marino
grazie ai Basile.
Monteverdi scrive di Adriana, nel dicembre 1610:

Avanti mi partissi da Roma udì la sig.ra Ippolita molto ben cantare a


Firenze la sig, ra filiola del sig.r Giulio Romano molto ben cantare et sonare
di leuto chitaronato et clavicembalo, ma a Mantova la sig.ra Andriana
benissimo cantare, benissimo sonare et benissimo parlare ho udito, sino a
quando tace e accorda, ha parti da essere mirate e lodate degnamente [… A
Mantova] ogni venere di sera si fa musica nella sala de specchi, viene a
cantare in concerto la sig.ra Andriana, et così fatta forza, et particolar gratia
da alle compositioni aportando così fatto diletto al senso, che quasi novo
teatro diven quel loco23.

A Mantova Adriana trova e si confronta con i vertici del nuovo modo di cantare,
poiché la tradizione della virtuosa cantatrice nasceva venti anni prima proprio tra
Mantova e Ferrara, e di comporre in quanto nel 1610 Monteverdi lavora ancora per
i Gonzaga.

23
Da una lettera del 28 dicembre 1610 riportata in P. FABBRI, Monteverdi, Torino, Edt, 1985, p.
171.
8
Anna Aurigi

Tra i Basile e Monteverdi si crea però un clima di evidente competizione,


dovuta certo anche agli scarsi riconoscimenti economici destinati al compositore, a
fronte della prodigalità dei Gonzaga nei riguardi di Adriana e Giambattista.
Competizione che appare palese nelle parole di Monteverdi ad Alessandro Striggio
suo librettista e amico:

Il mondo senz'altro direbbe contro di me molto e se non fossero altri, che


cosa non direbbe una Adriana, un suo fratello, un Campagnolo, un Don
Bassano che sono sino ad ora molto e molto più riconosciuti di me24.

Questo passo della lettera di Montevedi e la competizione cui vi si


accenna hanno un'eco nei versi che Giambattista dedica alla sorella nel
Teatro delle glorie:

Con le possenti note


del suo magico incanto oscura i pregi
di quante opre fer mai musici egregi.25

Segno della partecipata solidarietà di Giambattista al successo e alla carriera di


Adriana il cenno alla sua capacità di mettere in ombra le opere di eccellenti
musicisti, tra i quali forse anche Monteverdi.

Sempre di Monteverdi, ma in questo caso non ostile, una testimonianza che


mostra come i fratelli Basile collaborassero, forse in veste giocosa, anche nei
luoghi della loro attività professionale, cantando insieme:

...canterà la sig.ra Andriana e d. Gio. Batt.a [Basile?] il madregale


belli.mo «Ahi che morire mi sento», et l'altro madregale nel organo
solamente26.

Fabbri stesso, che riporta la lettera di Monteverdi, inserisce le parentesi quadre a


ipotizzare che sia forse il fratello, il Giambattista citato da Monteverdi.

24
In C. MONTEVERDI, Lettere, a cura di E. Lax, Firenze, Olschki, 1994, lettera n. 49, p. 94. I
personaggi citati, oltre ad Adriana e Giambattista, sono Francesco Campagnolo, tenore di corte, e
Bassano Cassola, cantore e vicemaestro di cappella della corte dei Gonzaga.
25
Nel Teatro delle Glorie, cit., p. 138.
26
P. FABBRI, Monteverdi, cit., p. 171.
9
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

3. «UNA ISTORIA NARRAR BELLA TI VOGLIO». GIAMBATTISTA E I SUOI


FANTASTICI RACCONTI.

Perdonerà Basile se a scandire gli argomenti di questo articolo si sono presi


versi del Marino, suo conterraneo e, al tempo, più famoso - seppur Lo Cunto de li
Cunti, secondo Croce, resti «il più bel libro italiano barocco, quale non è certo il
verboso e gonfio Adone»27. D'altra parte i due autori secenteschi si pongono
consapevolmente su posizioni diverse, quando parlano del fine della poesia. Anche
se i celebri versi della Murtoleide hanno ridotto la complessità poetica di Marino a
stupefacente ‘maraviglia’28, tuttavia, quanto più ‘moderno’ sembra il Basile
quando, nell'introduzione alle sue Muse Napolitane (prima edizione nel 1635)
scrive: «primma e principale ’ntenzione de lo poeta [è] de regolare le passiune de
l’anemo», tramite «l’acconciare e componere medemme li costume e l’affette de
l’uommene»29. La parola quindi sarebbe mezzo per regolare, misurare le passioni
dell'animo, ricomporne gesti e sentimenti. Una parola che da pensiero si fa
racconto, in grado di cogliere verità che, senza narrazione, rimarrebbero nascoste.
Lo scavo di Basile è rivolto al magma di passioni cui solo una parola affabulatrice
può dar voce e forma; nei suoi Cunti egli sembra intuire con secoli di anticipo la
parte inconscia della psiche, porta alla luce una dimensione alogica che, pur
sfuggendo il controllo della mente, resta motore di tanto agire umano.
Naturalmente, ciò che permette a uno straordinario intuito di prefigurare
scoperte future affonda le radici in un patrimonio molto antico di storie,
cosmogonie e sogni, provenienti da culture vicine (ebraica, greca e latina) e
lontane, di ambito soprattutto orientale (persiano, indiano). Basile rinnova un
sapere ancestrale e ridiscende nel profondo delle passioni più violente, in un
processo investigativo che prepara la strada all’uomo futuro: per questo da
centinaia di anni egli catalizza con le sue storie l'attenzione di studiosi e scrittori di
varie parti del mondo, diventando sempre più attuale - apparente paradosso - via
via che passa il tempo. Per il suo viaggio dentro l'uomo Basile si serve
dell'elemento magico: torna la ‘maraviglia’ mariniana, ma da fine, essa diventa
mezzo, in un disegno più dolente e complesso.

27
B. CROCE, Gambattista Basile e l'elaborazione delle fiabe popolari, introduzione a G. BASILE ,
Il pentamerone, ossia La fiaba delle fiabe, Napoli, Bibliopolis, 1925, p. XXI; Il verso del Marino
scelto per il titolo è tratto dall’Adone, cit., canto VII, st. 40, v. 2.
28
Si fa riferimento ai famosi versi, considerati “manifesto” della poetica mariniana, contenuti
nella Fisch. XXXIII della Murtoleide, la pungente operetta satirica scritta in occasione della disputa
letteraria con Gaspare Murtola: «È’ del poeta il fin la meraviglia / (Parlo dell'eccellente e non del
goffo): / Chi non sa far stupir vada alla striglia.». Sulla Murtoleide basti qui il rimando allo studio di
S. SCHILARDI, La Murtoleide del Marino, Lecce, Argo, 2007.
29
G. BASILE, Le Muse napolitane, Egloche, di Gian Alesio Abbattutis, Napoli, Maccarano, 1635,
introduzione. Edizione moderna di riferimento: G.B. BASILE, Lo cunto de li cunti overo Lo
trettenemiento de' peccerille; Le muse napolitane e le lettere, a cura di M. Petrini, Roma-Bari,
Laterza, 1976.
10
Anna Aurigi

Lo Cunto de li Cunti va in stampa solo dopo la morte dell'autore (1631), per


mano di Adriana, a ciò incaricata dal fratello stesso30. Dopo le prime ristampe si
succedono numerose traduzioni, prova di quanto e quanto presto l'opera catalizzi
l'attenzione degli intellettuali stranieri: tra la fine del Settecento, fino a tutto
l'Ottocento, mentre l’Italia quasi dimentica Basile, Der Pentamerone prende il volo
verso il Nord Europa, complice l’entusiasta giudizio dei fratelli Grimm31.
Nell'ultimo ventennio in particolare, studiosi di ambito statunitense hanno
cercato di chiarire il motivo per cui così tanti cultori di fiabe (oltre ai citati Grimm,
anche Perrault, per finire a Disney e alla recente versione filmica di tre ‘cunti’
realizzata da Garrone) hanno trovato in Basile un punto di riferimento così
importante al proprio narrare32. Una risposta è insita nell’opera di elaborazione che
il poeta napoletano realizzò delle sue fonti, sotto pretesto di raccontare l'indicibile
ai bambini (li piccerille). Per riuscire in ciò egli dovette inserire l'elemento magico
e fantastico nel racconto, trasformando una forma letteraria che ancora strettamente
si atteneva al modello boccacciano, in favola. La dimensione fantastica permise

30
Esiste un mandato testamentario, in possesso di fonti riservate, in cui Basile incarica la sorella
di pubblicare il Cunto dopo la sua morte.
31
Si citano qui alcune delle principali edizioni italiane di Lo Cunto: nel 1637 a Napoli (presso
Ottavio Beltrano) si ristampano le prime due giornate; nel 1645 e nel 1654, ancora a Napoli (presso
Camillo Cavallo), si pubblicano le prime cinque giornate; nel 1674, a Napoli, presso Antonio Bulifon
e a cura di Pompeo Sarnelli, compare la prima stampa che reca il titolo di Pentamerone, adottato
anche dalle edizioni successive (Roma 1679, 1697, 1714, 1722, 1728, 1749, 1788), fino a quella del
1891 di Croce, che esce dopo un secolo di silenzio editoriale italiano (G.B. BASILE, Lo cunto de li
cunti (Il Pentamerone), testo conforme alla prima stampa del MDCXXXIV-XXXVI, con
introduzione e note di Benedetto Croce, Trani, Vecchi, 1891). L’edizione oggi di riferimento è quella
a cura di C. Stromboli: G.B. BASILE, Lo cunto de li cunti overo Lo trattenemiento de' peccerille, a
cura di C. Stromboli, Roma, Salerno Editrice, 2013. Tra le prime traduzioni si ricorda qui quella in
dialetto bolognese ad opera di Maddalena e Teresa Manfredi, e Teresa e Anna Zanotti (La chiaqlira
dla banzola o per dir mii fol divers tradôtt dal parlar napulitan in leingua bulgneisa, Bologna, 1742);
quella dal titolo Il Conto dei conti, trattenimento dei fanciulli, trasportato dalla napoletana
all’italiana favella ed adornato di bellissime figure, stampata a Napoli (presso C. Migliaccio) nel
1754. Si ricorda poi la traduzione in inglese del 1843 ad opera di John Edward Taylor (The
Pentamerone, or the Story of stories, fun for the little ones by Giambattista Basile, translated from the
Neapolitan, London, David Bogue and J. Cundall, 1843) e quella in tedesco, di tre anni successiva,
con l'ampia e preziosa introduzione di Jacob Grimm (Der Pentamerone oder das Märchen aller
Märchen von Giambattista Basile, aus dem Neapoletanischen übertragen von Felix Liebrecht, mit
einer Vorrede von Jacob Grimm, Breslau, Max u. Komp., 1846, 2 voll.).
32
Tra i racconti dello Cunto che hanno dato origine a fiabe ancora oggi vive vi sono: La gatta
cenerentola (I, 6), divenuta Cendrillon nei Contes di C. Perrault; Sole, Luna e Talia (V, 5), il racconto
che tratta in forme popolaresche la leggenda della "bella addormentata nel bosco"; Le tre cetre (V, 9),
da cui C. Gozzi trae la sua favola L'amore delle tre melarance (1761); Gagliuso (II, 4), la storia di un
gatto che aiuta un pover'uomo a fare fortuna, che ha ispirato Le chat botté di C. Perrault e il
famosissimo Gatto con gli stivali di L. Tieck. Per quanto riguarda il cinema si ricorda Il Racconto dei
racconti –Tale of Tales, un film del regista Matteo Garrone uscito nel 2015, adattamento
cinematografico di tre fiabe della raccolta di Basile (La regina, La pulce e Le due vecchie). Tratto da
Lo cunto de lo cunti è anche C'era una volta, film del regista Francesco Rosi realizzato nel 1967, con
Sophia Loren e Omar Sharif.
11
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

insomma all'autore di mettere mano là dove era più difficile, dentro il lato oscuro
dell'uomo.
Come già precisato, il magico e il fantastico arrivano a Basile da tradizioni orali
e letterarie antiche e complesse, soprattutto assimilate dalla cultura araba, come
dimostrano Le mille e una notte, le cui prime parziali traduzioni escono in Europa
nel Cinquecento, passando principalmente per la Spagna. L'elemento favoloso
necessario per addentrarsi nel profondo dell'uomo arriva quindi a Basile dal mare.
Del resto Venezia e Napoli, le città dove l’autore vive e lavora più a lungo, sono
principali porti del Mediterraneo: la Napoli dove Basile nasce e diventa poeta,
nonché capitano di fanteria, era ‘spagnola’ da un secolo e si può supporre che dalla
penisola iberica mai del tutto dis-arabizzata provengano spunti preziosi alla sua
rivoluzionaria trasformazione del racconto33. Inoltre Venezia, dove il poeta arriva
venticinquenne per fare il soldato, è notoriamente città protesa a Oriente, e il
fervido scambio con porti lontani si riflette nel fervore di circoli letterari e
accademici.
Appena arruolato, forse con incarichi strategici (data la doppia veste di letterato-
soldato), il giovane napoletano è mandato a Candia (Creta), avamposto militare
della cristianità nel cuore del Mediterraneo orientale34. Nell’isola, Giambattista
comincia a frequentare l'ambiente accademico, dandosi nome di Pigro presso gli
Stravaganti, sotto il patrocinio del nobile Cornaro: poeta, filologo e antropologo
ante litteram, messo e ambasciatore, fratello della virtuosa Adriana (al tempo già
cantatrice), Basile prende contatto con centri del sapere (e forse politici) che
travalicano il Medio Oriente, pulsando da ben più lontano, dalla Persia e dall'India.
Comincia probabilmente in quegli anni il complesso lavoro di raccolta e sintesi di
un repertorio immenso, proveniente da fonti eterogenee, in movimento, per il quale
egli crea un nuovo contenitore: la fiaba letteraria35. A proposito di come Basile
s’allontana dalla novella boccacciana, scrive Ziolkowsy:

Brothers Grimm inferred that the tales had taken shape in prehistoric
times and had spread with the Indo-European peoples. They stated outright
already in 1815 the theory that Germanic folktales incorporated in the KHM
were if Indo-European myths.

33
Nel 1504 il regno di Napoli perde la sua indipendenza e diviene, per ben due secoli (fino al
1713), una provincia della corona spagnola. Non stupisce allora che il Canzoniere di Adriana Basile
(quello ritrovato da B. Croce e pubblicato in Illustrazione di un Canzoniere ms. italo-spagnuolo del
secolo XVII, Napoli, Stab. Tipografico della R. Università, 1900) sia dedicato al viceré spagnolo il
duca d'Alba (Antonio Alvarez di Toledo), e che Giambattistta sia presente con sette componimenti in
spagnolo (cfr. lo studio citato alla nota 40). Anche nella pubblicazione del Teatro delle Glorie di
Adriana Basile (cit.) molti testi sono di poeti o notabili spagnoli.
34
Candia era stata conquistata dagli Arabi nel 824 d. C.; in seguito alla IV crociata (1202-1204) la
città passò sotto il dominio di Venezia, sotto la quale stette fino al 1669.
35
Per un approfondimento sul complesso repertorio di fonti alla base della fiaba letteraria del
Basile si rimanda al recente studio di A. MAGGI, Preserving the Spell: Basile's "The Tale of Tales"
and Its Afterlife in the Fairy Tale Tradition, Chicago, The University of Chicago Press, 2015.
12
Anna Aurigi

Another German scholar, the Sanskritist Theodor Benfey (1809-81),


advanced a different theory – the so-called Indianist theory- about origins of
folktales that were attested internationally. In his Pantshatantra (1859),
Benfey maintained that whereas animal tales had arisen in Europe, most other
folktales had come into being in India; from the Indian subcontinent, the tales
had been transported, after the advent of Islam, first to Persia and then to the
whole of the Arabic-speaking Muslim world. According to Benfey's theory,
the tales eventually wended their way to the latin West, trough border zone in
Spain and Sicily as well as through the Crusaders. […] Sleuthing after the
origins of fairy tales has attracted the efforts of numerous literary detectives
over the years. Although they for a time credited Charles Perrault with the
invention of literary fairy tale, many of them now see its roots in Italy in the
sixteenth or seventeenth century, with the publication of Straparola's
Delightful nights (Le piacevoli notti) [1550-53] or Basile's The Tale of
Tales36.

Il passo di Ziolkowsy introduce Giovanni Francesco Straparola, intellettuale


abbastanza misterioso, il cui cognome è evidentemente uno pseudonimo, presente a
Venezia dal 153037. Egli, con la raccolta Le piacevoli notti, aveva realizzato un
primo autorevole tentativo di inserire nella novella l'elemento fantastico: tredici su
settantacinque delle sue storie presentano l'elemento magico, molte sono in
dialetto. Tradotte in francese (1560-72 da Luveau e da Larivey) e in castigliano
(Honesto y agradable entretenimiento de damas y galanes, 1578), con più di venti
edizioni in cinquantanni, Le piacevoli notti nel 1605 erano state messe all'indice
per oscenità, proprio quando Basile arrivava a Venezia; ma Giambattista le ebbe
comunque per bussola quando cominciò a cercare le sorgenti di un inedito,
‘favoloso’ patrimonio.
Rientrato a Napoli, l’esperienza culturale di Basile si fortifica in seno
all’Accademia degli Oziosi, ove mantiene il nome ‘stravagante’ di Pigro; in quella
fucina di pensiero e creatività, viene a contatto con campi del sapere che spaziano
dal letterario allo scientifico, dal filosofico all’alchemico, al musicale. Il Cunto,
allora, che s’alimenta anche di questo prodigioso milieu, «va letto come un libro
sapienziale: vi si trovano riferimenti sia a enciclopedie raffinate e auliche - come la
tradizione delle lirica d'amore e il rito di intrattenimento cortigiano - sia a saperi
‘nebbiosi’ di gruppi marginali e senza scrittura»38. Di questi, ci dà testimonianza
indiretta il poeta Francisco de Quevedo, che nel 1626 scrive «una serie di parole e
frasi spagnuole volgari, al fine di biasimarle e di additarle perché fossero evitate
36
J. M. ZIOLKOWSKI, Fairy Tales from Before Fairy Tales: The Medieval Latin Past of Wonderful
Lies, Ann Arbor, University of Michigan Press, 2010, p. 20.
37
Lo pseudonimo Straparola potrebbe essere stato scelto per evitare che il nome di un
aristocratico fosse legato a una letteratura di carattere licenzioso; per un approfondimento sul
personaggio e sulla sua famosa raccolta di novelle si rimanda all’edizione di Pirovano: G.F.
STRAPAROLA, Le piacevoli notti, a cura di D. Pirovano, Roma, Salerno Editrice, 2000.
38
M. RAK, Napoli gentile: la letteratura in "lingua napoletana" nella cultura barocca, 1596-
1632, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 4.
13
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

dai parlatori eleganti», cui dà un nome di Cuento de cuentos39. L’assonanza col


titolo e in piccola parte anche col contenuto (ma non con gli intenti) dell'opera di
Basile porta a pensare che, durante la permanenza a Napoli (1616-18) e tramite gli
Oziosi, Quevedo abbia avuto rapporti diretti con Basile. Il quale per parte sua
scriveva in spagnolo40: nell'edizione delle sue opere poetiche realizzata a Mantova
nel 1613, egli pubblica tre madrigali in spagnolo, osando trasportare in spagnolo
una delle forme poetiche “italiane” per eccellenza. In seguito, in una raccolta
manoscritta dedicata probabilmente al duca D'Alba, viceré di Napoli, e poi regalata
da questi ad Adriana, compaiono altri sette carmi in spagnolo di Basile: a
differenza dei madrigali, queste composizioni sono poesia per musica dal ritmo
marcato, che ripercorrono il modello dell'ode-canzonetta chiabreresca; inoltre,
mediante l'ostentata posizione che le composizioni occupano nel canzoniere, Basile
dimostra le sue abilità linguistiche e versificatorie, servendosi di forme poetiche
peculiari d’ognuna delle due tradizioni letterarie41.
Oltre a rinsaldare i contatti con la cultura spagnola, nel contesto accademico
napoletano, Basile certamente conosce un personaggio che gli è in qualche modo
affine: Pietro Della Valle, musicista, milite, viaggiatore e scrittore, che vive e si

39
La definizione è in B. CROCE, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari, Laterza, 1911,
p. 43.
40
A tal proposito si vedano gli studi di E. CANONICA: Le poesie spagnole del Basile nel
canzoniere del Duca d’Alba in P. BOTTA, C. PARILLA, I. PEREZ PASCUAL, a cura di, Canzonieri
iberici, Atti del Convegno internazionale di Padova, 27-30 maggio 2000, La Coruña, Noia,
Toxosoutos-Università di Padova, 2001, t. II, p. 167-188, gentilmente inviatomi dall'autore; dello
stesso autore, Poesia translingue italo-spagnola fra Cinque e Seicento: alcune prospettive di ricerca,
in A. CANCELLER, R. LONDERO, a cura di, Atti del XIX Convegno dell’Associazione degli Ispanisti
Italiani (Roma, 16-18 settembre 1999), Padova, Unipress, 2001, p. 85-95; ancora, Producción
española de autores italianos (siglos xvi-xvii), e Venere translingue: scrittura amorosa in spagnolo di
autori italiani, fra Cinque e Seicento, in La penna di Venere. Scritture dell’amore nelle culture
iberiche, Atti del XX Convegno (Firenze 14-16 marzo 2001), Messina, Lippolis, 2002, p. 59-69.
41
Ivi, p. 180. Sul manoscritto in questione si veda anche l’articolo F. NOCERINO, Il canzoniere di
Adriana Basile. Nuove considerazioni su un inedito napoletano, in A. CAROCCIA, F. DI LERNIA, a cura
di, Musica, storia, analisi didattica. Contributi del xx convegno annuale della Società Italiana di
Musicologia, Foggia, Grenzi, 2014, (I quaderni del Conservatorio “Umberto Giordano” di Foggia, 2)
pp. 119-129. L’articolo fornisce dati interessanti a proposito del ruolo dei due Basile nell’utilizzo – e
forse nella diffusione – di elementi della cultura spagnola nella vita letteraria e musicale della Napoli
del Seicento. Scrive Giuseppe Faccone in una lettera a Vincenzo Gonzaga (9 maggio 1609): «una
napoletana quale ha tutte queste qualità: sona di Arpa in eccelenza, vi canta a libro e quel che è
meglio suona di chitarra e cccanta alla spagnola, et in tal copia che tra le italiane e Spagnole sa più di
trecento opere a la mente» (p. 120); e ancora da una testimonianza coeva «Cantò primieramente
sonando un’arpa […poi] preso un istrumento men grave una ghitarra spagnola passò agli scherzi e
vezzi leggiadri or soli, or compagnati d’un’altra voce, […] si trattenne come prima con versi e
canzoni d’Italia, e di Spagna , eziandio che tutti erano fuoco.» (pag. 120). Interessante anche
l’osservazione circa la presenza, sia nel manoscritto spagnolo che nell’edizione a stampa dei
Madrigali e odi di Giambattista, della figura di un animale mitologico, il basilisco, con chiaro
riferimento al cognome dei due (figura presente anche in un quadro di Antiveduto Grammatica
commissionato dal duca Ferdinando Gonzaga: pp. 125, 126).
14
Anna Aurigi

muove a lungo in Oriente, con un percorso analogo42 al suo. Simile è lo sguardo


che i due poeti-soldati gettano a Oriente dalle rive del Mediterraneo occidentale, «il
loro protendersi verso un mondo lontano dal chiuso di biblioteche e riunioni
accademiche»43. Che Della Valle appartenga alla cerchia degli Oziosi è
testimoniato dalla stretta corrispondenza che tiene durante il viaggio in Oriente coi
membri dell’accademia; e probabilmente presso gli Oziosi aveva conosciuto anche
Della Porta, uno dei maggiori pensatori del Rinascimento napoletano, intellettuale
incredibilmente eclettico, amico di Campanella, Galileo e forse Bruno, scrittore di
ottica, astronomia, agricoltura, matematica, crittografia ma anche di arte militare,
di processi mentali legati alla memoria, di magia e di commedie in dialetto
napoletano. Precedenti che sembrano mostrare la strada all'opera di Basile, a sua
volta inteso a un poderoso processo di sintesi44.
Nel 1558 Della Porta aveva pubblicato il Magiae naturalis, sive de miraculis
rerum naturalium libri IV: alchimia e magia erano al tempo un modo per conoscere
il reale e fare scienza, e con lo scrivere e parlare di “mostri” un letterato del tempo
poteva entrare a tutti gli effetti nel dibattito scientifico45. Di seguito, Della Porta dà
alle stampe L'arte del ricordare (1566) tradotta in latino nel 1602, per Basile forse
l'opera più importante, che in effetti mette in evidenza (quasi uno studio di
neuroscienze ante litteram) come nell'esercizio della memoria abbiano ruolo
centrale le emozioni, legate ai ricordi di chi pratica l'arte mnemonica46. Solo un
decennio prima dell'Arte del ricordare, inoltre, erano uscite a Venezia le Piacevoli
notti, altra fonte di ispirazione per lo scrittore: risulta chiaro che Basile, con la sua
opera, faccia germogliare dei semi piantati già nella seconda metà del XVI secolo.
In effetti, nella parte finale della sua vita, egli trova in Venezia il contesto ideale
alla sua maturazione umana e creativa: dopo aver ricevuto una sorta di eredità
intellettuale da Straparola ed essersi inoltrato ai confini geografici e artistici della
fiaba, entra a far parte dell'Accademia degli Incogniti, probabilmente l’anno stesso

42
Sulla biografia di Della Valle basti qui il rimando alla voce curata da C. MICOCCI, sub voce
‘Pietro della Valle’, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,
vol. 37, 1989.
43
«Lo sguardo che quegli studiosi gettavano a Oriente dalle rive del Mediterraneo occidentale, il
loro protendersi verso un mondo lontano dal chiuso delle biblioteche e delle riunioni accademiche,
dettero a della Valle lo spunto definitivo per mettersi in viaggio» (in C. CARDINI, La porta d'Oriente:
lettere di Pietro della Valle. Istanbul 1614, Roma, Città Nuova, 2001).
44
Su Della Porta si rimanda alla monografia di O. PICCARI, Giovan Battista Della Porta: il
filosofo, il retore, lo scienziato, Milano, Franco Angeli, 2007.
45
Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium libri IIII, Napoli 1558; l’opera conobbe
straordinaria fortuna, tanto da raggiungere entro la metà del Seicento le 58 edizioni, anche in
traduzione francese, italiana, olandese, tedesca, inglese.
46
Pubblicata per la prima volta nel 1566 (Napoli, M. Cancer, 1566), L'arte del ricordare viene
ristampata presso lo stesso editore nel 1583 e seguita da una seconda edizione in latino, intitolata Ars
reminiscendi (1602), in molti punti significativamente diversa da quella italiana. Si veda anche A.
MAGGI, Giovan Battista Della Porta. The art of remembering-l'arte del ricordare, Ravenna, Longo,
2012; A. ALBANESE, Un trattato cinquecentesco sulla memoria: L’Arte del Ricordare di G.B. Della
Porta, in «Giornale Storico della Letteratura Italiana», vol. 188, n. 621, 2011, pp. 86-108.
15
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

della fondazione, il 1623. Anche Giulio Strozzi, già citato, è accademico Incognito,
e tra i più attivi: nel suo poema eroico La Venezia edificata dedica alcune ottave ad
Adriana Basile, che sembrano riferite anche a Giambattista, per l'allusione che si fa
alle Veglie47. D’altro canto lo studio delle esperienze e della documentazione
relativa agli Incogniti offre elementi fondamentali per conoscere l’ancora oscura
vita del Basile: nel vivido trafiletto a lui dedicato nelle Glorie degli Incogniti,
scritto alcuni anni dopo la sua morte, si riconosce il tono di chi dovette conoscerlo
di persona 48.

GIO BATTISTA BASILE NAPOLETANO


Napoli Patria de' Cigni, ed albergo delle Sirene diede alla luce del Mondo
Gio. Battista Basile, il quale non degenerando punto dalla nobiltà della sua
nascita, e dalla gentilezza della sua patria applicatosi nel fiore dell'età alla
cognitione egualmente delle più scielte lettere, ed alla pratica degli esercitij
cavallereschi vennne a rendersi una verace norma di compitissimo Cavaliere.
Apprese intanto con la notitia delle più nobili discipline quella di varie
lingue; e chiamato dalla vivacità del suo genio alle vaghezze poetiche, scrisse
con somma facilità e leggiadria diversi componimenti. […] E perché
l'amenità dell'ingegno di Gio: Battista il credeva capace di ogni maniera di
componimento, si compiacque egli per suo diporto, e per trattenimento delle
conversationi di comporre nel linguaggio materno un'Opera ripiena di facetie,
di Motti, e di Piacevolezza, che intitolò, lo Conto de' Conti Trattenimento di
Picciarilli, pubblicando col finto nome di Gian Alessio Abbattutis,
Anagrammatismo nato dal proprio nome.
Queste conditioni letterarie di Gio. Battista venivano rese più riguardevoli
dal suo gentilissimo tratto, dalla sincerissima affettione, ch'egli portava agli
Amici, e dalla perpetua allegria dello spirito, per la quale veniva stimato la
delitia delle conversationi. Quindi s'acquistò non solamente l'affetto de'
Cavalieri, e delle Dame, che domesticamente il praticavano; ma la gratia
ancora de' Principi Grandi, a quali si rese carissimo: […] e benché non
mancasse la Fortuna di fargli conoscere in vita la nemicitia, che professa co'
grandi ingegni, tenendolo continuamente distratto in occupationi travagliose;
non si perdé egli però mai d'animo, ma fino all'ultimo conservò un
tranquillissimo tenori di vita.

Il brano conferma quanto detto dei Basile nella lettera dedicatoria del Teatro
delle glorie della signora Adriana49, scritto maturato in seno all'accademia
napoletana degli Oziosi (con dedica al principe-fondatore Giovanni Battista

47
Scrive lo Strozzi: «Com'altri posto ne la stanza il piede, / dove i Tripudi s'odono, e le Veglie» in
G. STROZZI, Venezia edificata poema eroico, Venezia, Pinelli, 1624, canto XII, p. 119). Basile
stesso usa l'espressione «Passava l’Ecc.mo signor Principe d’Avellino in dilettevoli trattenimenti le
notti del verno tra in liete giostre e in sontuosi tornei e in vaghe mascherate et in gioconde commedie
et in piacevoli veglie, e in festosi balli», in un passo citato da Croce (G.B. BASILE, Lo cunto de li
cunti, introduzione, p. XLV).
48
Le Glorie degli Incogniti, cit., pp. 209-210
49
Il teatro delle Glorie, cit., lettera dedicatoria di D. Bombarda a G.B. Manso, pp. 3-14.
16
Anna Aurigi

Manso) ed edito a Venezia nel 1623, anno di fondazione dell'Accademia degli


Incogniti (quando anche Adriana è a Venezia al seguito dei Gonzaga). Sono
dunque confermati i natali nobili, la conoscenza linguistica (Giambattista traduce
dal greco e compone in spagnolo)50, l'ingegno, l’allegria di spirito, la capacità di
amicizia affettuosa. Soprattutto, già figura come centrale il Cunto, segno che i
contemporanei conoscono il valore dell'opera, composta «per trattenimento delle
conversationi». Ma quali erano e dove si svolgevano queste conversazioni, chi ne
era destinatario, pubblico, lettore? Par di capire che le fiabe di Basile fossero
essenzialmente un intrattenimento cortigiano, non estraneo alla dimensione
performativa: il testo era destinato alla recitazione, probabilmente usato allo scopo
quando ancora manoscritto51.
In effetti, la conversazione, nelle piccole corti napoletane, era un rituale del
dopopranzo, e «prevedeva vari tipi di spettacoli minimi, come la lettura di testi
narrativi, la recitazione di microazioni teatrali, facezie, musiche, balli, giochi,
canzoni e vari tipi di racconti»52; probabilmente già nel 1615 le novelle del Cunto
circolavano manoscritte.
Del resto, prima di entrare negli Incogniti e circa un anno dopo la nascita
dell’accademia degli Oziosi napoletani, Basile si era trasferito a Mantova. Il suo
ruolo alla corte dei Gonzaga non è quello del povero poeta sotto l'ala della ricca
sorella cantante, ma piuttosto di prezioso intrattenitore, dotato di un enorme
bagaglio di racconti truci e incantatori, amabile nei modi, affabulatore fantastico.
Giambattista probabilmente, insieme ai propri racconti (magari criptati nelle sue
storie) portava da una corte all'altra, da un cenacolo all'altro, anche informazioni
politiche e comunicazioni che dovevano rimanere segrete - tornano alla mente gli
studi sulla criptografia di Dalla Porta53. Forse, allora, i racconti di Basile non
potevano essere pubblicati che dopo la morte dell’autore, cosa che, come si è
accennato, la sorella fece su preciso mandato testamentario.
L’enigmatica personalità del Basile, uomo di fiducia di centri di potere e messo
speciale, è del resto ancora da studiare. Le significative cariche politiche da lui
ricoperte quale capitano di fanteria, militare in missione a Candia, governatore di
Avellino, confermano l'ipotesi che godesse della fiducia di alti apparati; a ciò si
aggiunga la parallela attività di intrattenitore di corte, uomo di lettere e giochi,

50
V. IMBRIANI, Il gran Basile. Studio biografico e bibliografico, in «Giornale Napoletano di
filosofia e lettere, scienze morali e politiche», II, 1875, p. 336.
51
«Lo stesso Cunto, però, non è estraneo alla dimensione performativa: il testo era infatti
destinato alla lettura di gruppo, alla recitazione, alla «conversazione» cortigiana, e fu probabilmente
usato per questo scopo quando era ancora un manoscritto» Cfr. C. STROMBOLI, La lingua de Lo Cunto
de li cunti di Giambattista Basile, Tesi di Dottorato di ricerca, Università degli Studi di Napoli
“Federico II”, Dipartimento di filologia moderna, 2005, p. 14, disponibile su
<http://www.fedoa.unina.it/2796/1/Stromboli_Filologia _Moderna.pdf>.
52
Ivi, p. 14; La Stromboli trae la citazione da M. RAK, Napoli gentile. La letteratura in “lingua
napoletana” nella cultura barocca (1596-1632), cit., p. 311.
53
Si fa riferimento all’opera di crittografia del Della Porta, De FurtIvis Literarum Notis, Napoli,
Scoto, 1563.
17
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

scrittore del Mondo nel senso più profondo del termine, capace di conoscere da
vicino e descrivere le più diverse realtà sociali della società rigidamente
gerarchizzata del Seicento.
In questa complessa trama esistenziale, la sorella Adriana è un punto di
riferimento familiare e soprattutto intellettuale in quanto, come si è detto, i due
fratelli si trovano a lavorare in alcune occasioni nelle stesse corti o negli stessi
cenacoli accademici: il loro legame profondo traspare proprio dalle poesie di
Giambattista per Adriana contenute nel Teatro delle Glorie. Le due figure, del
resto, possono essere accostate anche sul versante delle scelte estetiche, sullo
sfondo dell’imperativo del ‘maraviglioso’ che impernia il secolo: raccontare,
rappresentare le passioni dell'uomo e intrattenere suscitando stupore sono infatti
obiettivi molto simili a quelli perseguiti dalle virtuose del Seicento. Sotto più
aspetti canto e fiaba giocano un ruolo simile all'interno degli intrattenimenti di
corte: ciò che Marino scrive a proposito del meraviglioso canto di Adriana, «udir
musico mostro o meraviglia»54, del pari potrebbe dirsi della fiaba, che racconta e
suscita meraviglia.

una meraviglia tra le altre. Il racconto fiabesco è stato considerato un


gioco e un utensile che circolava nella grande corrente europea delle
“meraviglie” da mostrare ai “curiosi” di novità. […] Al pari dei balli, degli
strumenti musicali, dei gioielli, degli abiti, dei microscopi, delle piante
dell'America e dell'Oriente e dei coccodrilli impagliati. In alcuni decenni -
attraverso viaggiatori, lettori, cortigiani, curiosi - il racconto fiabesco è
diventato uno dei giochi letterari preferiti nelle piccole e grandi corti e, nella
prestigiosa corte di Luigi XIV, una delle pratiche alla moda imitate da tutti i
gruppi dominanti ed emergenti nei paesi europei55.

Ma, come s’è detto, la meraviglia in Basile non è il fine, ma il mezzo per
arrivare là dove il raziocinio non può e così più facilmente «regolare le passiune
dell'anemo»56. A proposito del canto della sorella nei versi a lei dedicati nel Teatro
delle glorie così s’esprime: «E 'l magico stupore / il senso non ammaga, / ma desta
ad opre eccelse ogni uman core» e ancora «Con mirabil valore / cantando, anzi
incantando maga altera / gli umani affetti dolcemente impera»57. La meraviglia
artistica non deve stordire l'intelletto e far dimenticare gli affanni, ma agir d’impero
sugli affetti, destare il cuore e portare a ben agire.
Rispetto a Napoli, Venezia e Creta, Mantova è certo il luogo più continentale
dove Basile soggiorna in maniera stabile, benché meno di quanto faccia la sorella; i
contatti con i Gonzaga, del resto, precedono e seguono con certa costanza il

54
G.B. MARINO, Adone, cit., canto VII, v. 36.
55
M. RAK, Da Cenerentola a Cappuccetto rosso: breve storia illustrata della fiaba barocca,
Milano, Mondadori, 2007, p. XVI.
56
Come scrive nella già citata introduzione alle Muse Napolitane (cfr. nota 29).
57
Versi tratti dalle odi Di Sebeto a le sponde e Con mirabil valore contenute nel Teatro delle
glorie, cit. (pp. 136-137 della stampa napoletana del 1628).
18
Anna Aurigi

periodo di permanenza a corte. Lo scrittore si trasferisce a Mantova pochi mesi


dopo la nomina del duca Ferdinando Gonzaga, secondogenito di Vincenzo58. Il
fatto che il nuovo regnante inserisca Giambattista «tra gli gentiluomini, famigliari
et curiali» di casa59, fa pensare s’instauri un legame più stretto rispetto al passato;
inoltre il 6 aprile, per diritto concesso dall'Imperatore Massimiliano II al duca
padre e successori, e considerato quanto Basile valesse «in humanarum litterarum,
philosophicis et Musarum studiis», Ferdinando lo nomina «militem, sive equitum
auratum ac sacri Lateranensis Palatii, aulaeque ac Imperialis Concistorii Comitem;
aliorumque equitum auratorum et comitum Palatinorum numero et con- sortio
ascribimus et aggregamus»60.
D’altra parte Basile è uomo prezioso per la corte, amabile nei modi, aperto nel
ricevere le sollecitazioni del mondo esterno, originale nell'elaborarle, prodigo nel
raccontarle. Egli probabilmente già aveva in cantiere cinquanta e più racconti, e
forse portava con sé il manoscritto del Cunto, opera concepita per una società di
ruoli, di cui si trascrivono e osservano regole, vizi, virtù e rapporti d'etichetta,
mettendo a nudo il nesso, non sempre felice, tra potere e sapere61. Basile aveva
giocato abbondantemente questo ruolo ‘cortese’ a Napoli, e lo racconta lui stesso in
una lettera riportata da Croce; nelle ‘piacevoli veglie’ descritte (espressione che
suona in eco delle Piacevoli notti di Straparola) pare vedere il letterato che
trasmette un poliedrico sapere nell'amabile gioco del racconto e dell'intrattenimento
cortese.

Passava l’Ecc.mo signor Principe d’Avellino in dilettevoli trattenimenti le


notti del verno tra in liete giostre e in sontuosi tornei e in vaghe mascherate et
in gioconde commedie et in piacevoli veglie, e in festosi balli». E «una sera,
fra l’altre, che in quella nobilissima corte, - delle più illustri d’Italia sovrana
emolatrice -, v’erano gran numero dei cavalieri e di Dame ragunate62.

Basile si occupa anche di musica: compone madrigali e testi per musica in


toscano, e sviluppa la riflessione teorica sull’argomento in una delle sue opere in
dialetto, le Muse Napolitane. Qui egli è in grado di coniugare la vitalità dell’idioma
parlato e la finitezza della forma letteraria che gli sono proprie con la descrizione

58
Vincenzo I regna dal 1587 al 1612; alla sua morte gli succede il figlio primogenito Francesco
IV, il quale muore prematuramente alla fine del 1612 lasciando il trono al fratello, il cardinale
Ferdinando Gonzaga.
59
B. CROCE, Lo cunto de li cunti (Il Pentamerone), cit., p. XXXVI.
60
Ivi, p. XXXVI. Croce trae la citazione da un documento conservato nell’Archivio di Mantova
(Arch. di Mantova, 1613, 6 aprile, Liber decret., n. 54. p. 30).
61
«Il Cunto è un'opera scritta per la società dei ranghi. Per questo ne trascrive e ne osserva le
regole: il ruolo dei re e delle belle fanciulle, la marginalità dei bambini, la tavole dell'etica con i suoi
vizi e le virtù e i loro rapporti con l'etichetta, il nesso tra potere e sapienza» (M. RAK, Logica della
fiaba: fate, orchi, gioco, corte, fortuna, viaggio, capriccio metamorfosi corpo, Milano, Mondadori,
2005, p. 4).
62
La citazione in B. CROCE, Lo cunto de li cunti (Il Pentamerone), cit., p. XLI.
19
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

della vita musicale partenopea, relativamente a un repertorio ibrido, né popolare né


colto. Si scoprono così tradizioni, abitudini, strumenti di una musica eseguita per
diletto, per se stessi o per un piccolo gruppo, che si può identificare con quello di
ambiente cortigiano; si ritrova, allora, «the urban 'soundscape' of such an important
capital as was Naples during this pivotal period in the history of European
society»63.
In veste accademica Basile partecipa attivamente alle feste teatrali che, insieme
alla produzione di villanelle, moresche e canzoni alla villanesca che pullula nella
Napoli tra Cinque-Seicento, preparano l’avvento del dramma per musica. In
particolare egli compone nel 1612 La Venere addolorata, quasi un libretto d'opera;
più avanti, nel 1630, la ‘mascarata’ Monte Parnaso in onore di Maria d'Austria
regina d'Ungheria, posta in musica da Giacinto Lambardi64. Ma, ancora una volta,
sono i suoi testi in dialetto quelli che meglio rappresentano il costume musicale del
Seicento napoletano. Nell'introduzione all'ecloga IX, Caliope o vero la Museca,
della raccolta Muse Napolitane, l’autore scrive:

Mentre voleva l’autore mettere mano a fierre, dare fuoco a lo piezzo e


varare ’sta varca, se sentie siscare l’arecchie da cierte pierdeiornate, decenno,
a che fine s’erano ’mpizzate ’st’Egroche sotto l’ascelle de le Muse, è parzeto
de fare ’na recercata pe le ragiune che l’hanno muoppeto a chiammarele
Muse.
La primma è che le Muse non sulo so’ chiammate de ’sta manera da la
Museca, e da lo cantare, tale che ogne canzone, ogne vierzo se pò ’norare de
lo nome loro, ma da l’acconciare e componere medemme li costume e
l’affette de l’uommene: e perzò essenno stata primma e principale ’ntenzione
de lo poeta de regolare le passiune de l’anemo, come se vede in tutte
’st’Egroche, mostra d’avere sale ’n cocozza chiammannole Muse. […] e lo
poeta avenno voluto a scrivere ’ste composte la semprece bellezza de la
lengua napolitana, senza la ’nzalata ’mescata che semmenaro li Varvare e
cogliettero li Toscanise, perzò l’è parzeto co gran ragione ’ntitularele Muse.
[…] E decennose a l’utemo le laude de lo cantare, le sta de spanto lo nomme
de CALLIOPE, ch’è anima de lo munno e segnifeca bona voce. Chi ne vo’
chiù se l’accatta, chi no le piace torneme lo caparro, chi la sente d’autra
manera faccia meglio lavore ca ’nce lo pago65.
Manifesto artistico di cui abbiamo visto il contenuto («componere li costume e
l'affette de l'uommene») e il fine («essenno primma e principale ’ntenzione de lo
63
D. FABRIS, Music in Seventeenth-century Naples: Francesco Provenzale (1624-1704),
Aldershot, Hampshire, Ashgate Publishing, 2007, p. XIV.
64
La Venere addolorata è un dramma in cinque atti che esce a Napoli, presso G.D. Roncaglioli,
nel 1612; Monte Parnaso è un’opera in musica inframmezzata da balli, rappresentata a Napoli nel
1630 (ora in M. RAK, La maschera della fortuna. Lettura del Basile “toscano”, Napoli, Liguori,
1975, appendice III).
65
Designo de l’autore ‘ntuorno a li titoli de l’Egroche, in Muse Napolitane, cit., pp. 443-445.
L’ecloga IX si legge alle pp. 559-571 della stessa edizione. Sull’argomento si veda anche E.
BARASSI, Costume e pratica musicale a Napoli all'epoca di Giambattista Basile, in «RIvista Italiana
di Musicologia», Vol. 1, N° 2 (1967), pp. 74-110.
20
Anna Aurigi

poeta de regolare le passiune de l’anemo»), in queste poche righe ne sono enunciati


anche i criteri formali: si utilizza espressamente il dialetto, per «la semprece
bellezza de la lengua napolitana senza la ’nzalata ’mescata che semmenaro li
Varvare e cogliettero li Toscanise».
Nel corso dell'ecloga prende vita quel panorama di suoni, echi, pensieri e
sentimenti, abitudini circa la musica che caratterizza la città nella vita quotidiana.
Non manca l’ironia verso la musica colta e scritta in toscano, troppo astratta e forse
un po' noiosa: «dove se conservava/ doce comme lo mele/ la mammoria de Napole
ientile?/ Dov’è iuto lo nomme/ vuostro, dove la famma,/ o villanelle mei
napoletane?/ Ca mo cantate tutte ’n toscanese,/ coll’airo a scherechesse,/ contrarie
de la bella antichetate»; come anche il lieve sarcasmo che traspare nella riflessione
sulla selva intricata di strumenti moderni: «E peo de li stromiente/ de musece
modierne!/ L’arceleiuto, l’arcesordellina,/ l’arceteorba e l’arcebordelletto,/
l’arcechitarra e l’arpa a tre reistre», che «han guastato/ lo calascione re de li
stromiente», ovvero che «con tante corde e tante, hanno spodestato il dominio
assoluto del calascione». Notevole anche la descrizione di oggetti di utilità
quotidiana, usati come percussioni: «Valea chiù lo consierto/ de lo tiempo passato,/
lo pettene, la carta,/ l’ossa ’miezo a le deta,/ lo crò–crò che parlava,/ lo bello zuco–
zuco,/ la cocchiara sbattuta/ co lo tagliero e co lo pignatiello,/ lo vottafuoco co lo
siscariello,/ che te ne ive ’n siecolo!/ Tutte le bone osanze / mo so’ iute»66.
Basile quindi dipinge la Napoli del tempo come profondamente permeata
dall’elemento musicale: ovunque si cantava, durante il carnevale e oltre,
accompagnandosi con una miriade di strumenti oggi sconosciuti, anche, come si è
detto, con percussioni di fortuna. Si è di fronte a un mondo musicale «‘minore’,
fiorito all'ombra della più nota civiltà madrigalistica, e non senza fecondi scambi
con essa»67.

4. «O CHE VEZZOSE, O CHE PIETOSE RIME /LASCIVETTO CANTOR COMPONE E


DETTA». IL CANTO OGGETTO DI POESIA TRA CINQUE E SEICENTO68.

A cavallo tra Cinque e Seicento, con una fioritura di versi straordinaria, la


poesia canta la musica, ovvero il canto diventa, sistematicamente, tema poetico,
attraverso due filoni in parte coincidenti, quello letterario e quello celebrativo69.
Nel primo troviamo le composizioni dei più importanti poeti del tempo, dal Guarini
al Marino; nel secondo, dove compaiono ancora i due poeti, vi sono anche generali,
cardinali, scienziati, filosofi, accademici e gentiluomini impegnati a versificare, fra

66
Si sono citati i vv. 124-132, 134-138, 144-145, 149-160 di Caliope (pp. 562-563 dell’edizione
di Petrini).
67
E. BARASSI, Costume e pratica musicale a Napoli all'epoca di Giambattista Basile, cit., p. 110.
68
G.B. MARINO, Adone, cit., canto VII, 34, vv. 1-2.
69
Uno degli studi più interessanti al riguardo è il saggio di L. BIANCONI, Il Cinquecento e il
Seicento, in Letteratura italiana, diretta da Alberto Asor Rosa, vol. VI, Teatro, musica, tradizione dei
classici, Torino, Einaudi 1986, pp. 319-363.
21
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

l’altro, per le raccolte dedicate ad Adriana e alla figlia Leonora, come il più volte
citato Teatro delle glorie della signora Adriana Basile, e gli Applausi poetici alle
glorie della signora Leonora Baroni (1639)70.
Poesia d'autore e poesia celebrativa, che in taluni casi coincidono, risultano
molto interessanti ai fini dell'indagine storica e musicologica, fornendo
informazioni e suggestioni altrimenti irraggiungibili. In effetti, mai come nel
momento in cui nasce la monodia accompagnata, nell'epoca del madrigale
monodico cacciniano e delle prime opere di corte, i poeti hanno tanto scritto sul
canto, soffermandosi anche sulla fenomenologia dell'esecuzione. Guarini si
attribuisce l'invenzione del particolare genere poetico, con la celebre Gorga di
cantatrice su cui egli stesso commenta:

Mi sono ingegnato di descrivere lo sgorgheggiare e le tirate e i groppi che


si fan nella musica. Cosa nuova et difficile assai, e, per quel ch'i abbia fin qui
veduto, da niun rimatore, né tampoco da poeta greco, e tra i latini dal
divinissimo Ariosto in una sua ode, e da Plinio prosatore antico solamente
tentata: Nella quale credo che il musico troverà molta invenzione di farsi
onore71.

Ma c’è di più. In un singolare gioco di specchi accade un altro evento


straordinario: la poesia sul canto è a sua volta musicata e diventa nuovo canto (non
a caso, Guarini è padre di una celebre virtuosa, Anna, membro del primo Concerto
delle Dame a Ferrara). Il musico che si fa più onore nell'intonare con rigogliosa
invenzione la Gorga guariniana è Monteverdi, nel madrigale a due tenori Mentre
vaga angioletta dall'VIII Libro (1638)72. Il virtuosismo descritto nel testo suscita,
libera nuove e più difficili diminuzioni nella parte vocale, con molto onore oltre
che del musico che le ha composte, anche del cantante che le eseguirà.
Questo singolare processo che conduce la poesia sul canto a divenire oggetto di
musica può essere così schematizzato: esso nasce dalla poesia P, che posta in
musica M, diventa canto C(p+m) e attraverso la fase di esecuzione E[C(p+m)] e di
ascolto produce poesia descrittiva dell'esecuzione canora, ossia P{E [C(p+m)]}.
Questa poi è nuovamente posta in musica, e nuovamente eseguita, quindi ascoltata,
forse nuovamente descritta…

70
Gli Applausi poetici alle glorie della signora Leonora Baroni escono a Bracciano, presso G. B.
Cavazza, nel 1639, a cura di Francesco Ronconi.
71
Il passo è tratto da L. BIANCONI, Il Cinquecento e il Seicento, cit., p. 350. Su B. Guarini si
rimanda alla voce di E. SELMI, Battista Guarini, in Dizionario Biografico degli Italiani, cit., vol. 60,
2003. Più in generale sul potere del canto solistico e il fascino della voce nel Seicento si veda anche
B. GORDON, Monteverdi’s unruly women. The power of song in early modern Italy, Cambridge
University Press, Cambridge, 2004.
72
Il testo è intonato infatti da Monteverdi nel suo VIII Libro di Madrigali (Venezia, A. Vincenti,
1638), a due tenori e basso continuo (un’edizione moderna del libro è stata curata da A.M.
VACCHELLI: C. MONTEVERDI, Madrigali guerrieri, et amorosi, libro ottavo, Cremona,
Fondazione Claudio Monteverdi, 2004).
22
Anna Aurigi

P + M = C (p+m) E [C(p+m)]
ASCOLTO
P {E [C(p+m)]} + M = C (P{E [C(p+m)]}) E [C(P{E [C(p+m)]})]
ASCOLTO.

Questa sequenza di azioni (porre in musica, eseguire, ascoltare, scrivere,


descrivere) porta a un prodotto, che stratifica le esperienze precedenti non come
somma, ma in una soluzione completamente nuova rispetto ai singoli elementi di
partenza, stimolando a ogni passaggio l'aggiunta di una nuova prospettiva, di nuovi
affetti, parole, note, suoni. Scrivere-leggere-intonare-cantare-ascoltare-sentire (non
come udire, ma come provare emozioni: due significati nello stesso verbo) e di
conseguenza, ancora scrivere-intonare-cantare-ascoltare... Con la differenza che
l'azione dello scrivere in versi, in musica (e per critica) può lasciare un segno
permanente dell'atto creativo, mentre esecuzione ed ascolto sono legati alla
contingenza del tempo. Ed è forse nell'incontro di questi due piani che nascono il
mistero e il fascino dell’intero processo.
Tra gli epigoni più autorevoli di Guarini, troviamo Giulio Strozzi col Canto di
bella Bocca (1645), musicato a due voci (SA) e b.c. dalla figlia Barbara,
compositrice e cantante. Ancora una volta la musica è stimolata ai virtuosismi dalla
poesia, che descrive quegli stessi virtuosismi; e poiché compositrice è colei che
anche canterà una delle voci, il gioco di specchi diventa più luminoso. Il «canto, o
pur incanto»73, che tocca chi legge o ascolta, è tale che sembra quasi assistere alle
antiche esecuzioni, mentre preziose informazioni emergono, oltre che sul dato
storico (accademie, committenza, rapporti tra i poeti, tra poeti e cantanti etc.),
anche su questioni prettamente musicali e di prassi esecutiva. Dopo il cantante
dilettante del madrigale polifonico e prima dei grandi cantanti d'opera e i castrati, a
inizio Seicento si crea un interregno canoro, che per specifiche caratteristiche -
virtuosismi tecnici e interpretativi dei cantanti, repertorio, pubblico, luoghi -
colpisce la sensibilità dei poeti con forza inconsueta.
Nuovi cantanti-attori, forti di un doppio sapere, e quindi potere, comunicativo
ed evocativo si vanno esibendo in ambienti raccolti, in circoli ristretti. Il periodo in
cui più forte è il legame tra poeti e cantanti va grossomodo dal sodalizio
Peverara/Tasso (1582) a quello Renzi/Strozzi (1644), passando attraverso
Basile/Marino (1623) e Baroni/Milton (1639), per citare alcune tra le
collaborazioni più illustri. Si tratta di una corrispondenza artistica che si realizza
spesso al di là dei carmi, per via professionale, personale e - perché no? - familiare:
Guarini descrive il canto della figlia Anna, Strozzi l'arte di Anna Renzi ma anche
della figlia Barbara e, cosa più importante, scrive i testi per la sua musica, in
quanto, forse proprio per volere del padre, essa è stata educata anche a comporre74.
Giambattista Basile descrive e scrive i testi del canto di Adriana, e facilmente

73
E. DURANTE, A. MARTELLOTTI, Cronistoria del concerto delle dame proncipalissime di
Margherita Gonzaga d'Este, Firenze, ArchIvium Musicum, S.P.E.S., p. 252.
74
Per un approfondimento si rimanda ad A. AURIGI, Giulio Strozzi: Poesie per il Primo libro de'
madrigali di Barbara Strozzi, Firenze, Studio Editoriale Fiorentino, 1999.
23
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

immaginiamo solleciti altri a scrivere della e per la sorella. In effetti, più di cento
poeti – molti d'occasione – contribuiscono al Teatro delle glorie della signora
Adriana Basile, che, come si è già ricordato, viene maturato in seno all'accademia
napoletana degli Oziosi (con dedica al principe-fondatore Giovanni Battista
Manso) ed edito a Venezia nel 1623, anno di fondazione dell'Accademia degli
Incogniti. In quell'anno Adriana è a Venezia al seguito dei Gonzaga: è evidente che
i due Basile giocano un ruolo importante nel mettere in relazione i due circoli
Oziosi-Incogniti, che sono noti occuparsi non solo di poesia ma anche di musica,
matematica, scienze, filosofia, politica morale.
In effetti, quando il duca di Alba fa dono ad Adriana del Canzoniere
napoletano-spagnolo (ritrovato dal Croce e pure sopracitato per contenere i sette
carmi in spagnolo di Giambattista)75, la cantante v’inserisce poesie dedicate a lei e
alle figlie da altri accademici.
Presente con alcuni carmi sia nel Teatro delle Glorie sia nel detto Canzoniere
(ove traduce Lope de Vega) Giovan Battista Marino spicca al di fuori di queste
raccolte con il suo Adone, il cui VII canto descrive il musico-mostro Adriana, sotto
metafora d'usignolo, lascivo cantor che suscita, «detta» ai poeti rime belle,
«vezzose», che muovono l'animo a compassione «pietose». Per la lussureggiante,
sensuale descrizione del canto, della tecnica esecutiva e interpretativa
dell'usignolo-Adriana, Marino risulta il più grande esponente del filone inaugurato
da Guarini. L'affresco è prezioso perché tramite le parole del poeta rivivono prassi
e ricezione, artista e ascoltatore, tecnica e affetti. Così vivida è la descrizione che
Marino dà del canto d’Adriana-usignolo, che quasi permette di ascoltare oggi
quella musica come allora era.
32 Ma sovr’ogni augellin vago e gentile 34 O che vezzose, o che pietose rime
che più spieghi leggiadro il canto e ’l volo lascivetto cantor compone e detta.
versa il suo spirto tremulo e sottile Pria flebilmente il suo lamento esprime,
la sirena de’ boschi, il rossignuolo, poi rompe in un sospir la canzonetta.
e tempra in guisa il peregrino stile In tante mute or languido, or sublime
che par maestro del’alato stuolo. varia stil, pause affrena e fughe affretta,
In mille fogge il suo cantar distingue ch’imita insieme e ’nsieme in lui s’ammira
e trasforma una lingua in mille lingue cetra flauto liuto organo e lira.

33 Udir musico mostro, o meraviglia, 35 Fa dela gola lusinghiera e dolce


che s’ode sì, ma si discerne apena, talor ben lunga articolata scala.
come or tronca la voce, or la ripiglia, Quinci quell’armonia che l’aura molce,
or la ferma, or la torce, or scema, or piena, ondeggiando per gradi, in alto essala,
or la mormora grave, or l’assottiglia, e, poich’alquanto si sostiene e folce,
or fa di dolci groppi ampia catena, precipitosa a piombo alfin si cala.
e sempre, o se la sparge o se l’accoglie, Alzando a piena gorga indi lo scoppio,
con egual melodia la lega e scioglie. forma di trilli un contrapunto doppio76.

75
Cfr. note 33 e 40.
76
G.B. MARINO, Adone, cit., canto VII, ottave 32-35.
24
Anna Aurigi

Leggendo la seconda strofa, inoltre, pare ritrovare le note di un arioso di


Caccini, d’India, Monteverdi, e, allo stesso tempo, ascoltare la cantante che
l’esegue. La competenza dell’autore traspare dalla ricchezza terminologica
(maestro, stile, musico, grave, alto, groppi, melodia, lamento, canzonetta,
compone, fughe, imita, insieme, scala, armonia, gradi, pause, gorga, trilli,
contrappunto, cetra, flauto, liuto, organo, lira), degna di una lezione di canto; per di
più, con eccezionale maestria vengono scelti aggettivi che definiscono il contenuto
emotivo del canto (vago, gentile, leggiadro, tremulo, sottile, peregrino, alato, dolci,
vezzose, pietose, lascivietti, flebilmente, languido, sublime, lusinghiera, lunga,
articolata, precipitosa) e i verbi che descrivono l’attività stessa del canto,
paragonabile a una fatica amorosa (versa, tempra, distingue, trasforma, tronca,
ripiglia, ferma, torce, scema, piena, mormora, assottiglia, sostiene, cala, lega,
scioglie, detta, esprime, rompe, varia, affrena, molce, essala, ondeggiando, folce,
alzando, forma)77. In ultimo, risultano suggestivi, sebben più esigui, i termini che
indicano elementi della natura o delle parti del corpo (augellino, spirto, sirena,
boschi, rosignuolo, sospiri, gola). Marino, così, sollecita l'immaginazione fino a
che par udire la voce della cantatrice nei diminuendo (affrena, scema, assottiglia,
tempra), nei forte (piena, sostiene) e piano (mormora); elenca effetti onomatopeici
ottenuti col fiato (tronca, essala), con la dimensione più fisica della voce (torce,
molce, ondeggia); mostra la cantante intesa a giustapporre modi esecutivi opposti
(tronca/ripiglia, ferma/torce, scema/piena, grave/ assottiglia, or fa di dolci groppi
ampia catena, sparge/accoglie, lega/scioglie, affrena/affretta), un topos
frequentissimo nella poesia sul canto, che andrebbe preso in considerazione dai
cantanti moderni per arricchire lo studio della prassi antica. Infatti l’esecutore
moderno può comprendere, da questa descrizione e da molte altre, la necessità di
giustapporre effetti fortemente contrastanti, sempre basandosi sull’andamento della
frase musicale e del testo, usando il colore del suono con effetti vicini a quelli della
voce parlata o dei suoni che non sono connessi ad essa, come il respiro i gemiti, i
sospiri, il pianto, il grido, il riso.
È noto che il cantante potenzia l'armamentario espressivo anche con risorse
derivate dall'arte degli attori. Il canto si rifà al parlato, e il parlato a sua volta risale
a suoni che precedono la parola, quali gemiti, lamenti, sospiri, pianti, grida. Questi
tre diversi piani della vocalità coesistono nella raffinatissima arte maturata nei

77
A proposito della dimensione sensuale del canto si veda per esteso il testo di Giulio Strozzi per
il madrigale a due voci, soprano e contralto, della figlia Barbara, Canto di bella bocca: «Che dolce
udire una leggiadra bocca / tutta lieta cantar versi d’amore! / Vaga, vezzosa voce / con passaggio
veloce / t’alletta, ti circonda, anzi ti tocca/ e dentro va quasi a baciarti il core, / mentre musico labbro /
spiega d’amore i pregi. / Altro non dice / quel canoro felice / che le gioie che senti; / altro non dice/
che i diletti che provi; / altro non dice / che i tuoi piaceri nuovi, / i tuoi vecchi contenti. / Dillo, o mio
core, / ch’è dolce udire una leggiadra bocca / tutta lieta cantar versi d’amore! / Quell’aura
armonizzata / da una gorga canora / ti ravviva e ristora, / ti fa l’alma beata. / Folle sei se non godi e
non cominci, / qua giù ristretto in un caduco velo, / Tirsi, a gustar le melodie del Cielo» in A.
AURIGI, Giulio Strozzi: Poesie per il Primo libro de' madrigali di Barbara Strozzi, cit., p. 3.
25
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

secoli ed esplosa a fine Cinquecento nel canto delle virtuose: là dove il magistrale
controllo della voce produce prolungati e tenaci crescendo o sottili diminuendo,
ove il sapiente utilizzo della gola realizza lunghi passaggi di semicrome e permette
di spaziare con somma grazia o potenza dal grave e all'acuto, là si aggiunge - con
un ritorno alle origini della voce - il ritmo e il colore del parlato (recitar cantando)
e, ancora più a monte, il colore di quei suoni che precedono la parola e che hanno a
che fare col puro respiro, il sospiro, il pianto, il grido, i gemiti, i singulti.
L'emozione infatti vive nel corpo: lo strumento del cantante, da costruire attimo per
attimo, è il corpo. Per questo la voce più di altri strumenti può tornare all'origine
dell'emozione, mentre mantiene la dimensione espressiva più astratta fatta di
poesia, invenzione compositiva, tecnica vocale: una tecnica del tutto innaturale,
frutto di secoli di pratica e ricerca.
«Da’ suoi sospiri a sospirare imparo» scrive Marino in uno dei cinque carmi per
Adriana presenti nel Teatro delle glorie78. Se centinaia di poesie, talvolta anche
mediocri, non avessero ritratto quest’aspetto dell'esecuzione, esso non sarebbe
arrivato a noi così chiaramente. Pur potendoci basare sullo studio di spartiti,
trattati, cronache, parte non solo dell'emozione ma proprio della fenomenologia di
questa vocalità sarebbe persa. La carta del musico, lo spartito, ha bisogno della
carta del poeta per far rivivere l'arte più effimera. Il poeta è ascoltatore per
eccellenza, portavoce del pubblico, colui che registra e racconta, per carta, appunto,
a contemporanei e posteri l'evento sonoro, ovviando in qualche modo alla sua
dimensione impalpabile, momentanea. Non tutta la poesia sul canto delle virtuose,
tuttavia, tratta le multiformi sfaccettature della vocalità. Il bel carme già citato di
Marino, che contiene la chiusa sul sospiro, preferisce una dimensione più intima,
personale (il «dolce canto e caro»):
Tu che i miei brevi sonni, allor che ’l core 8 Soavemente innebriar d’Amore.
Sopito sí, non riposato giace, Stranio veleno il cor mi rode e sugge,
Rompi cantando, e del notturno orrore Pasce l’aure di dolce e me d’amaro,
4 L’alto silenzio e la tranquilla pace; 11 M’empie di gioia e poi m’ancide e strugge.
Novo del mar sei certo augel verace, Al tremolar del dolce canto e caro
Che con sí misurate arti canore L’anima trema, a le sue fughe fugge,
Sai l’onda e l’aria e ’l Ciel, quando piú tace 14 Da’ suoi sospiri a sospirare imparo
Come già ricordato, più di cento autori scrivono poesie in onore di Adriana
Basile: nobili, prelati, accademici, poeti, generali, cardinali, tutte persone che
frequentano Adriana e Giambattista, dentro e fuori le accademie. Non mancano
testi di autori stranieri, come quelli in greco (tradotti in italiano da Basile) in latino,
in spagnolo; e sono presenti poi, oltre al Marino e al fratello Basile, gli altri più
grandi poeti del tempo, come Achillini, Chiabrera, Stigliani, nonché Strozzi e

78
Tu, che i miei brevi sonni, allor che ’l core, in Teatro delle glorie, cit., p. 54 dell’edizione
napoletana del 1628; di sotto il sonetto per intero, tratto da G.B. MARINO, La Lira, a cura di M.
Slawinski, Torino, Res, 2007, vol. 2, p. 89. Si noti che nel Teatro delle glorie la poesia è presente con
una variante all’ultimo verso: «Da’ suoi sospiri a tremolar imparo».

26
Anna Aurigi

Busenello, librettisti di Monteverdi (allora che si aprivano i primi teatri pubblici),


nonché accademici Incogniti come Basile.
Queste poesie contenute nel Teatro descrivono in modo più o meno originale il
virtuosismo di Adriana, pur senza toccare le punte dell'Adone. Altre, come la citata
Tu, che i miei brevi sonni, sempre di Marino, abbandonano il lussureggiante
descrittivismo per una dimensione personale, calda, intima, in cui il poeta parla non
solo di Adriana ma ad Adriana. Similmente fanno i carmi del fratello Giambattista
e di Strozzi e Busenello. Ecco di seguito Busenello il cui «ricevi ne l'affetto il core
involto» fa eco al «dolce canto e caro» del Marino:

Archi le labra son, la lingua è il dardo


[...]
Qui dove il mar con cento amiche braccia
circonda e cinge singolar Cittade,
e con flusso e reflusso ognor l'abbraccia
Cantò Adriana e fe sonar i marmi
echi ben mille, e l'aura fa beata,
che poi dagli ascoltanti respirata
usciva in lode e ricuonava in carmi.
Prendi da roza penna il poco, il vile,
gradisci dell'affetto, il grande, il molto,
ricevi ne l'affetto il core involto,
e concetto eminente in basso stile79.

Notevole l'autoironia della chiusa: l'affetto non si presta a iperboli. D’altra parte,
uno splendido esempio di gusto seicentesco è in apertura, con l'immagine del
pubblico che respira il canto di Adriana, ossia l'aria pregna di suono, che entra nei
polmoni degli ascoltatori (piuttosto che nelle orecchie) e ne esce, sempre attraverso
la bocca, in lodi, per risuonare poi nei versi.
Il Teatro delle Glorie riprende inoltre alcuni passi della Venezia edificata
(1623) di Strozzi: qui risulta interessante il cenno alle veglie accademiche e
cortigiane in cui c’è spazio per il racconto, per la musica e per il canto, che
alludono forse anche al raccontare di Giambattista Basile:

79
G.F. BUSENELLO, Questa Maga d’Amor bella, e canora ne Il teatro delle glorie, cit., pp. 171-
173. Sull’autore si rimanda alla voce di M. CAPUCCI, Giovanni Francesco Busenello, in Dizionario
Biografico degli Italiani, vol. 15, 1972.
27
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

Stanze del Canto Duodecimo della Venezia edificata dove si descrive la signora
Adriana

Canto che può d'ogni selvaggio core Ove l'arti di Pace Anime illustri,
la ferocia placare e l'alterezza. di Honor, di Gloria, e Libertade amiche,
Canto che con maniera illustre e rara quando avran mai tanti sudori industri,
le Serventi di lei formano a gara, quando avran fine un dì vostre fatiche?
fra l'altre la bellissima Adriana Passa la bella età di lustri in lustri,
s'avanza poi, con la sonora voce, Ma non invecchian mai le voglie antiche;
Vincer la melodia d'Arpa sovrana, La memoria del Ben non prova oblio,
che batte con la man pronta e veloce e se manca il poter cresce il desio80.
[...]
Sì soave da questo esce il concento
che piace detto cento volte e cento

Com'altri posto ne la stanza il piede,


dove i Tripudi s'odono, e le Veglie,
l'aria gentile ad alta voce chiede,
e fra mill'altre sol, questa si sceglie:
il gran senso di cui gli animi siede,
anzi i sopiti amor par che risveglie:
e questo qui del canzonar, c'ho detto
in più dolce sermone era il concetto

Quindici anni dopo, Strozzi pubblica le Veglie de' Signori Unisoni: Veglia
Prima havuta in casa del Signor Giulio Strozzi alla molto illustre Signora la Sig.
Barbara Strozzi (Venezia, Sarzina, 1638). Qui si accenna all’idea che il canto
plachi le passioni, le ammorbidisca: «Canto che può, d'ogni selvaggio core, / la
ferocia placare e l'alterezza»81, concetto analogo, ancora una volta, a quello
espresso nei testi di Giambattista, che insiste sull'idea che il canto di Adriana
tempri le emozioni più violente dell'animo: «anzi incantando maga altera gli umani
affetti dolcemente impera»; «Può far le belve immote»; «le tempeste placar, frenare
i venti». Basile, in più, sembra descrivere le suggestioni delle interpretazioni di
Adriana con estrema delicatezza, cogliendo dettagli che solo l’affetto di un fratello
può afferrare, come i suoi capelli grigi che rendono lucenti gli occhi («il volto assai
più adorno/ di purissimo argento, /e nel Ciel vi ha più belle di rogiada a nodrirsi
escon le stelle»), e tutto il fascino di un’interprete che è in grado di superare per
fama i compositori («Con le possenti note / del suo magico incanto oscura i pregi /
di quante opre fer mai musici egregi»)82.

80
G. STROZZI, Tutti però con sì sfrenato ardore ne Il teatro delle glorie, cit., pp. 174-177.
81
Ivi, vv. 1-2.
82
I passi del Basile citati sono tratti dall’ode Con mirabil valore, ne Il teatro delle glorie, cit., pp.
137-138; il carme è riportato per intero appena sotto.
28
Anna Aurigi

Basile, inoltre, descrive le virtù della sorella anche dal punto di vista morale:
«Ella - scrive - non è sirena, poiché non porge altrui sonno mortale ma ne desta a
virtute alta immortale».

Con mirabil valore Può con l'alta armonia


cantando, anzi incantando maga altera le tempeste placar, frenare i venti,
gli umani affetti dolcemente impera, e i delfini allettare al suono intenti,
e dal sen dell'onore. Può con sua melodia
Largamente disserra Tragger quantunque sorte
lume al ciel pace al mar grazie a la terra al tempo il dente, e la bipenne a Morte

Al suo dolce concento Ella non è sirena,


con maggior lume il sol ne mena il giorno, poiché non porge altrui sonno mortale.
e mostra Delia il volto assai più adorno Ma ne desta a virtute alta immortale.
di purissimo argento, Non è già Filomena,
e nel Ciel vi ha più belle Il cui cantar è pianto,
di rogiada a nodrirsi escon le stelle. Ma spiega il bel tenor, lo stesso vanto

Con le possenti note Non è già della riva


del suo magico incanto oscura i pregi del bel Meandro Cigno,ch'ei cantando
di quante opre fer mai musici egregi. Si more, ella i suoi giorni va eternando
Puo far le belve immote Ben è d'Aonio Diva,
può muover gli alti monti Dal quel sacro Laureto
e torre il senso ai pesci il suono ai fonti Stesa a bear le sponde di SEBETO.

Può con la diva cetra


Vincer colei, che per cento occhi stilla
lagrime ognor di fama a l'altrui squilla
può dar spirto alla pietra
onde al suo nome altero
s'era di eccelse glorie un Tempio vero

Da questa rapida rassegna si può comprendere che i testi poetici dedicati alle
cantanti, anche non avendo tutti lo stesso valore letterario, costituiscono viva
testimonianza di un evento artistico, ne sono una rappresentazione preziosa. Essi
contribuiscono alla ricostruzione della prassi esecutiva attraverso la descrizione
della componente non solo emotiva ma anche fisiologica dell'esecuzione, che in
testi tecnici o di trattatistica specifica non sempre compaiono con tale
immediatezza ed efficacia. Questi testi poetici, inoltre, danno la misura del
prestigio delle virtuose del tempo, e sanciscono più di ogni altra espressione
artistica la vicinanza tra poesia e musica su un duplice piano, astratto (artistico e
creativo) e concreto (esecutivo), vicinanza che, come si è visto, ha innumerevoli
implicazioni biografiche e di costume. Se in ogni epoca musicisti e poeti si
conoscono, frequentano e collaborano al processo creativo, mai come nel primo
29
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

Seicento su questa diade grava la figura del cantate-esecutore che è anche egli
stesso fonte di ispirazione ed elemento creativo.

5. «CHI È AMICO DE LO CIELO AMA LO CANTO». LA FIGLIA VIRTUOSA E I POETI:


MILTON E CLEMENTE IX.

Nel 1639, probabilmente in palazzo Barberini a Roma, il poeta inglese John


Milton ascolta il canto di Leonora Baroni, rimanendone profondamente colpito.
Dall'emozione provata scaturisce l’egloga in latino Ad Leonoram Romae canentem,
con cui si stacca dal coro di quanti tra Cinque e Seicento - in italiano, spagnolo,
latino e greco – scrivono del canto delle virtuose: la sua visione poetica, infatti, è
permeata di principi filosofici neoplatonici, e il canto ha la funzione di preparare lo
spirito alla contemplazione del divino83.
La poesia italiana sul canto, in genere, non sembra cercare nella musica una
dimensione spirituale e una spinta alla trascendenza, quanto piuttosto descrivere
l'immanenza d’essa nel mondo dei sensi e degli affetti, che è poi il terreno fertile
ove si muovono anche librettisti e compositori. Ciò vale, per esempio, per
l’usignolo-Adriana di Marino, o per la Vaga angioletta di Guarini, perché al centro
della relazione tra canto e poesia campeggia il momento performativo, di cui il
poeta è spettatore, nonché portavoce di effetti-affetti suscitati nel proprio animo.
Tra questi poeti, tuttavia, quelli vicini alla musica per questioni personali o
professionali, come Basile fratello di Adriana, Strozzi padre di Barbara, Busenello
librettista di Monteverdi, non sono esclusivamente interessati alla fenomenologia
dell'esecuzione-ricezione, ma accolgono nei loro versi sul canto sia una dimensione
intima, personale, sia un'apertura verso contenuti più astratti e filosofici.
Nel verso «Chi è amico de lo cielo ama lo canto»84, con quella leggerezza
propria della lingua napoletana, Basile simula una prospettiva giocosa, che è però
frutto della complessità, conoscenza e sintesi testimoniate dai suoi impegni
maggiori (come nell’attività filologica del Pentamerone). Il seguente passo delle
Muse Napolitane, per esempio, fa chiaro e dettagliato riferimento alla concezione
pitagorica e neoplatonica della musica:

83
Per i rapporti tra Milton e la Baroni si rimanda allo studio di A. ADEMOLLO, La Leonora
(Baroni) di Milton e di Clemente IX, Milano, R. Stabilimento Musicale Ricordi, 1885. I versi del
poeta per la cantatrice si possono leggere in J. MILTON, Complete Poems and Major Prose, a cura di
M.Y. Hughes, New York, 1957, pp. 130-132.
84
Calliope overo la museca, in Muse Napolitane, cit., p. 567, v. 278.
30
Anna Aurigi

Creo ca chi non osta de la museca,


o non è ommo, o a l'arma, che descorda
in numero, e 'n perzona,
Chi è amico de lo Cielo, ama lo canto
Ciull. M'allecordo una vota avere ntiso
da cierte studiante,
che facevano accepe cappiello,
a nnego consequenzia, e peto copia,
ca chisto munno è museca,
museca è l'ommo, e museca ogne cosa,
Ca se vota lo Cielo co la museca,
Ca la bellezza è mmuseca, e 'naffetto
Musece so chiammate,
E mmuseca è la bona sanetate85.

L'Accademia degli Oziosi era del resto fortemente permeata di neoplatonismo:


uno dei suoi fondatori, Giulio Cesare Capaccio, teologo e filosofo, era seguace di
Marsilio Ficino e Pico della Mirandola86. Si è detto che per Basile, nei versi
dedicati alla sorella, il canto, come la parola nel racconto, crea una sorta di magia
che placa l'animo e regola le passioni; ma ciò vale non solo in funzione catartica, in
quanto poesia e musica riescono a decifrare il mondo e quindi anche l'uomo a se
stesso. Nei giocosi versi soprariportati, allora, Basile manda anche un messaggio
serissimo: alludendo alla concezione della musica delle sfere, alla musica
universale, rimanda a teorie che hanno radici antichissime, precedenti a Pitagora e
Platone, quelle stesse che alimentano le favole del Cunto.
In quanto a Milton, nel 1638 era stato ospite degli Oziosi di Napoli, ove il
principe dell'accademia, Giambattista Manso, l’aveva introdotto all'opera di
Marino e di Tasso (quest’ultimo influenzerà lo straordinario Paradise Lost), e forse
anche ai versi di Basile, ormai morto, ma sempre ammiratissimo dagli accademici
napoletani. In Milton l'elemento neoplatonico, alchemico, cabalistico, così presente
fra gli Oziosi e in Basile soprattutto, assume connotati mistici. E il canto come
racconto delle passioni umane eleva e permette di raggiungere un ulteriore stadio
dell'animo, più profondo, vicino all'estasi. Scrive infatti nel suo Penseroso:
«Trough mine ear, dissolve me into extasis»87.

85
Calliope overo la museca, in Muse Napolitane, cit., p. 567, vv. 275-288. Sull’argomento si
veda D. GIORGIO, La 'conoscenza di se stessi' in imprese e accademie napoletane di fine
Cinquecento, in «Studi Rinascimentali, Rivista internazionale di letteratura italiana», 1, 2003, pp.
119-129.
86
Cfr. la voce di S. NIGRO, Giulio Cesare Capaccio, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol.
18, 1975.
87
Il verso compare nel Penseroso (1644) di Milton, poema che sarà poi posto in musica da
Haendel un secolo dopo; cfr. J. MILTON, Complete Poems and Major Prose, cit., p. 176, v. 164. Nel
Paradiso Perduto (1667) di Milton le sfere celesti diventano il canto gioioso degli angeli. Nel poema
questa musica, udibile solo in Paradiso, è descritta così da Adamo: «Celestial voices to the midnight
31
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

In questa accezione del rapporto musica/canto-poeta, dove l'estasi diventa un


mezzo per arrivare alla contemplazione di Dio, si arriva all’ultimo episodio del
nostro racconto sulla famiglia Basile-Baroni.
Se Milton abbia o meno conosciuto gli scritti di Basile non si può stabilire con
sicurezza, ma quel che è certo è che nel 1639, l'anno seguente al suo contatto con
gli Oziosi napoletani, egli senta cantare a Roma Leonora. Di seguito la prima delle
tre ecloghe a lei dedicate, che Estelle Haan ritiene «a masterfull study of the power
of inspiration and of enchanting effects of music upon listener»88.

Ad Leonoram Romae canentem A Leonora che canta a Roma

Angelus unicuique suus (sic credite gentes) Ad ognuno (credetemi genti) è stato assegnato
Obtigit æthereis ales ab ordinibus. un angelo alato dai ranghi celesti.
Quid mirum? Leonora tibi si gloria major, Quale stupore se tu, o Leonora, hai avuto
Nam tua præsentem vox sonat ipsa Deum. una gloria più grande? Infatti nella tua voce
Aut Deus, aut vacui certè mens tertia cœli risuona la presenza di Dio.
Pertua secretò guttura serpit agens; Dio – o la terza mente – si nasconde
Serpit agens, facilisque docet mortalia nella tua gola e lentamente abitua
corda ai suoni immortali i cuori degli uomini.
Sensim immortali assuescere posse sono. Perciò se Dio è in tutte le cose, e ovunque,
Quòd si cuncta quidem Deus est, per egli ci parla solo attraverso di te
cunctaque fusus, mentre tace in ciascun altro89.
In te unâ loquitur, cætera mutus habet.

Chi era Leonora quando Milton scrive: «nella tua voce risuona la presenza di
Dio»? Sicuramente a quell’altezza lei e la madre erano al vertice della popolarità:
la Baroni, pur non esibendosi a teatro e riservando le sue performances a un ambito

air [...] / With heavenly touch of instrumental sounds/ In full harmonic number joined, their songs,
Divide the night, and lift our thoughts to heaven. (IV.682-88)». A proposito del potere della musica
sui sensi e sullo spirito ricordiamo che un cinquantennio prima di Milton Shakespeare scriveva il
sonetto If Music be the food of Love, il cui primo verso sarà posto in musica da Purcell in ben quattro
diverse intonazioni. Nella canzone di Purcell, che adotta la riscrittura del testo fatta dal poeta
Heveningham, il secondo verso della lirica shakespeariana «play on; give me excess of it» è mutato in
«sing on, till I am fill’d with joy»; e il testo continua con il verso «for then my listing soul you
move», con un’espressione, forse intraducibile in italiano, «listening soul», che sembra una
definizione perfetta dell’ascolto del canto e della musica nell’Italia e nell’Inghilterra del XVII secolo
(G.E.P. ARKWRIGHT, A Collection of 24 Songs by English Composers of the 17th and 18th Centuries,
Oxford, Parker and son, 1908, pp. 26-29).
88
Cfr. E. HAAN, From Academia to Amicitia. Milton Latin Writings and the Italian Accademies,
American Philosophical Society, Philadelphia, 1998, p. 106. La forma poetica dell’ecloga, che
appartiene alla letteratura classica greca e latina ed è legata spesso all’argomento bucolico, conosce
nuova fortuna in epoca tardorinascimentale: l'Euridice di Ottavio Rinuccini, posto in musica da Peri e
Caccini (1600), ne rappresenta l'esempio più importante, essendo anche il primo dramma per musica
di cui sia testimoniato l'allestimento.
89
J. MILTON, Ad Leonoram Romae canentem, in Complete Poems and Major Prose, cit., pp. 130-
131, vv. 1-10 (traduzione della scrivente).
32
Anna Aurigi

privato, aveva infatti ottenuto un grandissimo successo in Italia e all'estero,


suscitando l'entusiasmo del pubblico, l’attenzione e il plauso dell’aristocrazia, di
cardinali e poeti90.
Leonora nasce nel 1611, quando la sua famiglia si trovava già presso i Gonzaga.
La sua personalità artistica, allora, si può considerare come uno dei preziosi frutti
di questo fecondo incontro tra Napoli e Mantova. Detta anche l'Adrianella o
l'Adrianetta, per la presenza certo ingombrante della madre, conduce in verità la
sua carriera autonomamente, ottenendo risultati forse anche più significativi di
quelli materni. Fu splendida virtuosa: si accompagnava sulla tiorba e la viola da
gamba; inoltre, secondo alcune testimonianze, la cantante avrebbe composto egli
stessa musica e testi poetici, sebbene nessuno di questi lavori sia arrivato a noi.
Lasciata definitivamente Mantova, quando le vicende politiche non garantivano
più la stabilità conosciuta in passato, la famiglia Baroni-Basile si trasferisce a
Roma nel 1633, abbandonando l’ambiente di corte e sistemandosi in una casa
propria, dove, sotto la supervisione di Adriana, si svolgono con regolarità
performances musicali private. Nel 1640, quando la virtuosa decide di tornare a
Napoli, Leonora si sposa e la sorella Caterina entra in convento: senza la madre
non avrebbero potuto continuare a muoversi come donne sole, liberamente, in
società. Un matrimonio di convenienza con il facoltoso Cesare Castellani, membro,
come Leonora, della piccola aristocrazia e segretario privato del cardinale
Francesco Barberini, forniva dunque la protezione morale e sociale necessaria; e
Adriana, ancora una volta, si dimostrava in grado di procurare un buono status
sociale ed economico alla propria famiglia.
Leonora comunque mostra di sapersi muovere con scaltrezza nella città, cuore
del potere politico-ecclesiastico, avvicinandosi a potenti prelati quali i cardinali
Barberini, Mazzarino (che nel 1644 la porterà a Parigi al servizio di Anna
d'Austria), Rospigliosi, librettista per vocazione, futuro papa Clemente IX91. Questa
Leonora, allora, pare lontana dall’eterea figura ritratta da Milton e assai
determinata invece nel costruire concreti sodalizi professionali e politici, come
quello con Giulio Rospigliosi. Già nel 1639 del resto, al tempo della pubblicazione
degli Applausi poetici, Leonora è ambasciatrice del re di Spagna Filippo IV a
Roma, come scrive Francesco Ronconi nella dedica della raccolta, accennando
anche alla nobiltà della cantatrice:

90
Ci si riferisce soprattutto agli Applausi poetici, per cui cfr. nota 71.
91
Dei libretti di Rospigliosi si ricordano Sant'Alessio (1631), melodramma sacro musicato da
Stefano Landi; Erminia sul Giordano (1633), primo dramma profano di Rospigliosi, con musica di
Michelangelo Rossi; Chi soffre speri (1637), in assoluto la prima commedia musicale ispirata a una
novella del Boccaccio, con musica di Virgilio Mazzocchi e Marco Marazzoli; Il palazzo incantato
con musica, come per l'Erminia, di Luigi Rossi (1642). Particolare la vicenda dell’Erminia sul
Giordano: dopo ben cinque messe in scena nel 1633 e una nel 1637 l’opera passa per quasi quattro
secoli sotto silenzio, per poi essere rappresentata solo il 22 settembre 2000, presso il teatro Manzoni
di Pistoia, in occasione delle «Celebrazioni del quarto centenario della nascita di Giulio Rospigliosi
(Papa Clemente IX)»: chi scrive ha interpretato il ruolo di Erminia in tale esecuzione.
33
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

All'illustrissima et eccellentissima signora D. Eleonora del Melo


marchessa di castel Rodrigo ambasciatrice di sua maestà cattolica in Roma
Nè mi estenderò longamente a raccontare del quarto Avo Materno di V.
E., che discese dalla Nobilissima stirpe di Astorga, e Traltamaro, e fu Conte
di Altamiro, la cui Baronia è Osorio, gloriandosi questa famiglia d'esser in
Castiglia più antica dei medesimi Ré92.

Intanto, il legame fra maghe-cantatrici e poeti-incantati continuava ad


alimentare suggestive produzioni. Più o meno negli stessi anni, nella terza e quarta
decade del Seicento, Giulio Strozzi fonda a Venezia l'Accademia degli Unisoni
(1637-39), sorta di dependance musicale di quella degli Incogniti, al cui interno
solo una donna si esibisce: Barbara, figlia dello stesso Strozzi. A sua volta, a
Roma, Eleonora Baroni partecipa con funzioni simili alle riunioni dell'Accademia
degli Umoristi, riuscendo probabilmente anche ad ottenere un certo peso politico e
un qualche influsso sull'elezione di Rospigliosi a papa93. Ancora una volta, dunque,
nel caso del legame personale o familiare fra virtuosa e poeta, lì dove ci si
frequenta in ambienti selettivi, la musica costituisce una sorta di fucina ove
risuonano e si confrontano contenuti morali, estetici e politici in una dimensione
riservata, di sperimentazione, rivolta a pochi iniziati. Alle coppie Strozzi-Strozzi,
Baroni-Rospigliosi, si potrebbe aggiungere a ritroso quella Basile-Basile di
Adriana e Giambattista, accademico Incognito al pari di Giulio Strozzi.

6. «NAPOLE IENTILE»94. IL CANTO E LO CUNTO.

Nel 1640 Adriana, insieme con il marito Muzio, torna dunque a Napoli.
Giambattista vi era rientrato diversi anni prima, dopo essere stato governatore di
feudi e possedimenti per varie famiglie nobili e per lo stesso viceré95; nel 1632
però, a causa di un'epidemia non meglio identificata, lo scrittore viene a mancare.
In memoria dello zio scrive Caterina Baroni, altra figlia di Adriana:

Deh potess'io col tuo pregiato stile


scriver e coi tuoi lauri ornarmi il crine,
del mio materno sangue alma gentile!

92
Applausi poetici alle glorie della signora Leonora Baroni, cit., introduzione.
93
D. ROMEI, Una “virtuosa” nel “Puttanismo romano” di Gregorio Leti (2004), nella Banca Dati
Telematica Nuovo Rinascimento <http://www.nuovorinascimento.org>.
94
La citazione è tratta da un verso, già incontrato, di Calliope overo la museca, in Muse
Napolitane, cit., p. 562, v. 126.
95
Si ripercorrono qui alcune tappe della carriera politica del Basile: dal 1615 al 1617 egli è
governatore di Montemarano; nel 1617 è al seguito del marchese di Trevico, Cecco di Loffredo; nel
1619 viene nominato governatore di Avellino dal conte Marino Caracciolo, e negli anni 1621-22 è
governatore di Lagolibero; nel 1626 riceve il governo della città di Aversa dal viceré di Napoli,
Antonio Alvarez di Toledo, duca d'Alba; infine nel 1630 il duca d'Acerenza, Galeazzo Pinelli, lo
nomima governatore di Giugliano.
34
Anna Aurigi

I versi del sonetto, che compare nell'introduzione al Teagene, ultima opera


scritta da Basile e pubblicata postuma da Adriana96, paiono mossi da sincero affetto
e anticipano in qualche modo la stima e la considerazione poi espresse dagli
Incogniti veneziani («il suo gentilissimo tratto», «la perpetua allegria dello spirito»,
come già riportato).
Si conferma inoltre in morte la potenza del vincolo familiare. All'intelligenza
straordinaria dei due, alla scaltrezza nel gestire i rapporti con i potenti, si aggiunge
la consapevolezza del merito individuale e di quello comune, ossia dell'ulteriore
forza che a ciascuno veniva dalla presenza fisica, intellettuale e artistica dell'altro.
Come più volte ricordato, anche in altri casi poeti e musici d’inizio Seicento
risultano vicini sia sul piano creativo che su quello personale e familiare (i
Gauarini, padre poeta e figlia cantante nel Concerto delle Dame di Ferrara; gli
Strozzi, ancora padre poeta e figlia compositrice-cantante): in questi casi tuttavia i
padri appaiono come figure coercitive, che danno alle figlie l’opportunità di un’alta
formazione introducendole a corte o in accademia, in ambienti che costituiscono
però l'unico pubblico di cui esse possono disporre.
Invece, nelle vicende dei fratelli Basile è possibile individuare una maggior
autonomia della cantante rispetto al poeta, e un rapporto abbastanza paritario che
permette ai fratelli di essere una risorsa l’uno per l’altro: entrambi usano la voce
per cantare e raccontare, e affidano alle carte il compito di raccogliere, diffondere,
conservare nel tempo le magie prodotte; in questo modo carta e voce non solo si
incontrano e stimolano a vicenda in una conversazione oltre le discipline e il
tempo, ma amplificano il loro potere sul piano creativo, professionale e della
trasmissione delle idee.
È evidente che lo studio incrociato di Adriana e Giambattista Basile offre
qualche spunto nuovo riguardo al ruolo che ognuno ha rispetto all’altro, sia sul
fronte umano e affettivo, sia su quello professionale: ciascuno contribuisce a
introdurre l'altro in ambienti riservati quali erano corti e accademie; e se non è
azzardato affermare che Adriana apra alcune porte al fratello, presentandolo a
coloro che già seguivano lei, è poi certo che la virtuosa grazie al fratello scrittore si
avvicina alle più importanti accademie del tempo, dagli Oziosi di Napoli agli
Incogniti di Venezia. Inoltre Adriana, come si è già ricordato, pubblica postumi i
lavori di Giambattista, quelli più importanti e in dialetto; e Giambattista, a sua
volta, ha un ruolo determinante nella produzione delle raccolte di testi poetici per la
sorella. In questo modo i due danno per sempre risonanza l'uno all'altro, alla voce
rispettiva.
Dalla voce alla carta e dalla carta alla voce: il canto rivive per carta due volte: la
prima sul pentagramma, la seconda nelle testimonianze dei poeti, dove il ricordo
del momento vivo dell'esecuzione e della ricezione attraversa il tempo e giunge

96
Teagene, Poema del Cavalier Gio. Battista Basile Napoletano Conte di Torone,
All’Eminent.mo et Riv.mo Sig.re il Sig.re Card. Antonio Barberino, In Roma, Pietro Antonio
Facciotti, 1637. «La dedica dell’Adriana è in data di Roma, 10 marzo 1637; il permesso di stampa, 16
aprile 1635.» (in B. CROCE, Lo Cunto de li Cunti (Il Pentamerone), cit., p. 63.
35
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

fino a noi. E questo concetto è ben espresso proprio da Leonora, là dove essa
riconosce al foglio scritto, all'inchiostro su carta, il potere di andare oltre il soffio
del tempo d’esecuzione, cui il canto è soggetto.

Per me rapidi invan corron più gli anni.


Ricca di tanti onor io pur vorrei ,
stampando con gli inchiostri ombre vitali,
sciogler miei voti a voi, Cigni Dircei:
Ma se al voler non son le forze eguali,
veggiansi almeno eterni i desir miei
su questi di virtù fogli immortali97.

Per carta e per voce filosofia, scienza, poesia e musica collaborano alla
produzione e alla diffusione di nuove idee. Le ricerche portano a nuove
acquisizioni del sapere che necessitano una diffusione attenta, riservata ma tenace.
La conoscenza di sé – ‘motto’ ricorrete nelle accademie del tempo – è regola di
vita e di comportamento, che il filosofo della natura deve prendere a modello per sé
e per gli altri iniziati, è l’‘impresa’, sotto il cui nome gli studi sperimentali devono
esser intrapresi, con umiltà e rigore, secondo gli insegnamenti – già in circolazione
nell’Italia meridionale – di Telesio:

Tale programma di ricerca si sarebbe ben inserito nella strategia di altre


accademie napoletane le cui idee filosofiche avrebbero poi attinto ad una
ricca tradizione magico-scientifica particolarmente viva negli ambienti
culturali meridionali. La conoscenza di se stessi era comunque finalizzata al
miglioramento materiale e morale del genere umano attraverso la
comunicazione di forme di sapere sperimentate e autentiche: la pubblicazione
dei segreti sarebbe stata la logica conseguenza di tale programma.98

Nonostante il XVIII secolo sia stato duramente critico con Basile, alcuni
intellettuali ebbero chiara la portata dell'intuizione e del lavoro del poeta-soldato.
Si legga di seguito un'ultima amena testimonianza di un cultore del Basile, Luigi
Serio, che si schiera contro il severo giudizio di Ferdinando Galiani.

97
Ove m’inalzan delle glorie al Polo, in Applausi poetici alle glorie della signora Leonora, cit.,
p. 261.
98
D. GIORGIO, La 'conoscenza di se stessi' in imprese e accademie napoletane di fine
Cinquecento, cit., p. 124.
36
Anna Aurigi

Jammonnanze: volenno esser grazioso e far ridere, e non avendo alcun


talento a ciò fare, in luogo delle vere lepidezze si avvale di quellle
metaforacce, di quei traslati, di quei bisticci, e contrapposti, de' quali il suo
infelice secolo essendo stato tutto inondato, può dirsi con verità, che veruno
scrittore, ne facesse maggiore scempio di lui.
Io mo vorria che suzetasse lo Basile pe te rompere li ture, e pe te
ammaccà li moriente. Ma passo passo disse Gradasso. Avimmo da abbadà a
doje cose, a lo gusto del parlà de li Napoletane, e a lo certo gusto de lo
Basile. V. S. si Strunzillo mio, canoscite lo puopoli passanno ncarrozza, e pe
le smoccarie de li triate, ma si la sapissevo canoscere, vedarrissevo, ca nuje
amammo pe nnatura le metafore strampalate, pocca tutto lo juorno vanno
strellanno copeta cauda, e so castagne nfornate, ciefere ciefere, e so ssarde,
varre varre e so alice, femmenelle de la costa, e so sciuscelle: senterraje no
lazzarone, che te dà no cinco frunne dinta a la jelatìna, e bo dì no schiaffo.
[…] Cheste ssorte de metafore saranno strampalate pe ll'autre naziune, ma
pppe nnuje so belle e bone. E chesto succede pe tutto lu munno, pocca li
latine decevano, verborazìa, velificari honori, condere diem, componere
diem, e si uno decesse far vela all'annore, e atterà lo juorno ntoscanese, nce
farria venì lo vuommeco.
Lo Basile addonca fo n'ommo de sinno, pocca pette fa lo retratto de li
lazzarune nuoste.
[…] Pe lo gusto proprio del lo Basile s'ha da conzurdà chello che ave
scritto co lo core, e non chello, che screvette pe pazzajà. […]
VS, non sapite, ca lo Basile stisso fece le note a Bembo, e lo Casa e
facette stampà Galiazzo Tarsia? Ve pare che no Secentista ncocciuso poteva
avè gusto a tale sciorta del libri? Oltre a chesto facette lo Teagene, ch'è no
poemma arroico, lo quale è defferente assaje pe lo stile da lo Cunto de li
Cunte; le Mmuse Napoletane songo senza le metaforacce, e li bisticce e li
pasticce, che gghiate contanno. E perzò parlanno de lo Basile lavateve la
vocca e coo'acqua de sciure, pocca fo n'ommo addotto, e fammuso. A si a lo
Cunto de li cunte è no Secentista sfacciato, nce stà lo pperché.
Li Napoletane e lo tiempo sujo erano junte 'n paazzia pe ddoje cose: pe
parlà tosco; e pe caccia conciette nuove pe ffa restà stoppafatta la gente99.

Dalla testimonianza si evince che a Napoli allora, al tempo dei Basile, l’uso
dell’idioma toscano e il ricorso a contenuti nuovi, che destino meraviglia, sono gli
imperativi del gusto letterario; e per ottenere questi effetti di stupore, si studiano la
natura e il mondo, si cerca di carpirne i segreti attraverso la scienza e la magia (che
al tempo è una forma della prima).

99
La prima edizione dell’opera compare a Napoli, anonima, nei primi mesi del 1780, con il titolo
Lo vernacchio, resposta a lo Dialetto Napoletano; il testo citato è a p. 32 (per un’edizione moderna:
L. SERIO, Risposta al dialetto napoletano dell'abate Galiani, a cura di Giuseppe Antonio Arena e
Domenico Scafoglio, con una nota di Salvatore Ferraro, Napoli, Colonnese, 1982). Galiani aveva
attaccato il Basile l’anno precedente, nel 1779: F. GALIANI, Del dialetto napoletano, Napoli, V. M.
Vocola, 1779, alle pp. 123 e sgg.
37
Il magico incanto di Adriana e Giambattista Basile

Oltre al Tasso, in realtà, anche Dalla Porta indica al Basile quale nuova
connessione possa trovarsi tra scienza e letteratura100: secondo Dalla Porta l'uomo
si distingue dall'animale perché ricorda, e per capire il mondo è necessario
ricordare quanto di esso ci arriva per emozione; ma dal momento che questa
memoria s’attiva soprattutto con l'emozione dello stupore, la letteratura, se in grado
di destare meraviglia, ha un ruolo fondamentale in questo processo conoscitivo, e
la favola acquista piena dignità letteraria «Io mi ricordo meglio delle favole
malcomposte che mi recitava la balia quando io ero fanciullo»101. Attraverso il
meraviglioso si crea «un sottile dialogo tra memoria e immaginazione, nel quale
passato e futuro interagiscono sul palcoscenico interiore della mente»102: come
spiega Dalla Porta l'arte del ricordare è infatti anche un metodo per rivisitare e
reinterpretare la propria biografia. E Basile allora rilancia la lezione dallaportiana:
raccoglie la memoria di secoli come tradita nelle fiabe popolari per scendere
attraverso il magico e il meraviglioso nel passato della collettività, ma anche nella
parte più remota e rimossa della coscienza individuale.
Ed ecco una nuova connessione tra musica e poesia, voce e canto, sorella e
fratello, che insieme amplificano il loro potere di diffondere il meraviglioso, «il
magico incanto» per il mondo: la musica, così come la fiaba, offre una strada
privilegiata per indagare se stessi e allo stesso tempo risulta anche strumento
conoscitivo del mondo; ma, oltre a questa funzione gnoseologica, l’elemento del
meraviglioso si può a sua volta indagare, da un punto di vista antropologico, come
specchio dell'entusiasmo e della commozione dell'uomo nei confronti del mondo
stesso, della fiducia nel fatto che i segreti nascosti nella natura siano in qualche
modo leggibili e utili.
Il meraviglioso nel canto. Il meraviglioso nella poesia. Il meraviglioso della
voce di Leonora che dà a Milton il senso del divino e del trascendente. Il
meraviglioso che attraverso Adriana cattura regnanti, incanta poeti e placa il
dolore; lo stesso che permette a Giambattista Basile di studiare la parte più remota
dell'animo umano, criptata in quell’abisso naturale cui la letteratura si avvicina con
un occhio speciale molto prima della scienza di Freud. Dopo aver raggiunto,
descritto e scandagliato quelle profondità, dopo aver passato in rassegna le più
magiche, ma non men vere, ‘storie’, Basile mira a trasformarle («componere»),
perché il fine del poeta è regolare le passioni dell'uomo. Ed elementi regolatori

100
«The great philosophers, scientists and Reinassance "magi" emerged from the sixteenth-
century Spanish Viceroyalty of Naples and had a tremendous influence in early modern Europe,:
Giordano Bruno (1535-1615), Tommaso Campanella (1568-1639) and Giambattista Dalla Porta
(1535-1615). All three have strikkingly similars interests in the stars, the marvels of the world, magic
and memory» (F. A DE ARMAS, Giambattiste Della Porta, the impact of a Neapolitan playwright and
magus in early modern England, France, and Spain, in A. MAGGI, Giovan Battista Dalla Porta The
Art of Remembering. L'arte del ricordare, Ravenna, Longo, 2012, p. 43).
101
G. DALLA PORTA, L'arte del Ricordare, capitolo XI, in A. MAGGI, cit., p. 133.
102
A. MAGGI, Under the sign of marvel: Della Porta's art of memory as open-ended memoirs, in
Giovan Battista Dalla Porta The Art of Remembering. L'arte del ricordare, Ravenna, Longo, 2012, p.
35.
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Anna Aurigi

sono sia la parola che racconta sia il canto che incanta, perché «Le Muse non sulo
so’ chiammate de sta manera da la Museca, e da lo cantare»103. È chiaro allora che
quando Giambattista dice di Adriana: «incantando maga altera, gli umani affetti
dolcemente impera»104, descrive anche se stesso, che ai fini di «regolare le passiune
de l'anemo» racconta fiabe che incantano chi ascolta o legge.

103
Le Muse Napolitane, cit., introduzione, p. 443.
104
Nell’ode sopra riportata Con mirabil valore in Il teatro delle glorie, cit., p. 137, v. 3.
39

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