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PATRIARCATO DI VENEZIA

COMMISSIONE PER LA FORMAZIONE


PERMANENTE DEL PRESBITERIO

Marcello Bordoni

Le implicazioni antropologiche,
sociali, cosmiche
del mistero della Resurrezione di Cristo

Giornata Presbiterale
Centro pastorale “Card. G. Urbani”, 4 maggio 2006

Marcello Bordoni, nato a Roma nel 1930, è sacerdote della Diocesi di Roma.
Attualmente è Presidente della Pontificia Accademia di Teologia e Consultore
delle Congregazioni per la Dottrina del Fede, del Clero e per le Cause dei Santi.
Già docente ordinario di cristologia nella Pontificia Univerisità Lateranense, tra le
sue opere fondamentali va ricordato soprattutto: Gesù di Nazaret, Signore e
Cristo. Saggio di cristologia sistematica, 3 voll., Roma 1982-1986; da questa
vasta e voluminosa opera è nata la trattazione cristologica: Gesù di Nazaret.
Presenza, memoria, attesa, Brescia 1988.

© Maggio 2006
Patriarcato di Venezia
Commissione per la Formazione Permanente del Presbiterio
San Marco, 320/A – 30124 Venezia

2
MARCELLO BORDONI

Le implicazioni antropologiche, sociali, cosmiche


del mistero della Resurrezione di Cristo

Prendo lo spunto della relazione dalla traccia per il prossimo convegno ecclesiale di
Verona “Essere testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo”.
Nel nostro tempo si sente sempre più forte l’urgenza di una testimonianza
credibile della nostra fede: mi tornano alla mente alcune parole che il Santo Padre
Benedetto XVI, poco prima della sua elezione, pronunziò in un suo discorso su “L’Europa
nella crisi delle culture” per la consegna del Premio San Benedetto (Subiaco, 1° aprile 2005):
«viviamo un momento di grandi pericoli e di grandi opportunità per l’uomo e per il mondo, un
momento che è anche di grandi responsabilità per tutti noi. Durante il secolo passato le
possibilità dell’uomo e il suo dominio sulla materia sono cresciuti in misura davvero
impensabile. Ma il suo potere di disporre del mondo ha anche fatto sì che il suo potere di
distruzione abbia raggiunto delle dimensioni che a volte ci fanno inorridire».

I. Una prima riflessione di carattere introduttivo mi viene suggerita leggendo in


contrappunto queste parole: da un lato la crisi, che investe non solo l’Europa, ma l’intera
umanità, rivela che il suo dramma non è superficiale, perchè raggiunge i livelli profondi delle
culture e dell’ethos collettivo, concentrandosi nello smarrimento dell’identità dell'uomo
soprattutto nella sua identità di persona, che affonda le sue radici nella dimenticanza di Dio e
per quanto riguarda, in modo particolare l’Europa, nel distacco dalle “sue radici cristiane” . Da
questa eclisse deriva la concezione deviante della coscienza e libertà umana senza valori
oggettivi, il conseguente smarrimento dei valori morali fondamentali, del senso della famiglia,
della solidarietà, “le difficoltà della convivenza civile”, il problema del predominio delle
scienze naturali ed umane come unica via di verità e di crescita dell’umanità, la rovinosa
degradazione dell’ambiente cosmico e del valore della identità corporea umana assoggettata
alla biotecnologia, la banalizzazione della sessualità umana nella così detta ‘cultura del
corpo’.
Dall’altro lato, però, guardando le realtà umane sotto un aspetto, meno pessimista, si
devono pur scorgere, in questo travaglio, aspirazioni di ricerca della verità e del bene: così, in
molti si nota un forte bisogno sincero di spiritualità, di un ritorno alla preghiera. Molti, specie
nel mondo giovanile, come ci testimoniano le giornate mondiali della gioventù, vivono in uno
stato di ricerca di punti di riferimento nei valori cristiani, come ragioni di vita e di speranza.
In questa ricerca però non devono prevalere dei valori generici. Come scrisse il
compianto Pontefice Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica Novo millennio ineunte (n.
29) «non ci seduce certo la prospettiva ingenua, che, di fronte alle grandi sfide del nostro
tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona,
e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi! Non si tratta, allora di formulare un ‘nuovo
programma’. Il programma già c’è: è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva
tradizione. Esso si incentra in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare,
per vivere in Lui la vita trinitaria e trasformare con Lui la storia fino al suo compimento nella
Gerusalemme celeste»1.
Dunque: la ricerca dei valori cristiani, o delle radici cristiane, si concentra proprio nella
“Persona di Cristo” una Persona che vive ed è presente tra noi. È nella Persona e nell’opera
personalizzante del Risorto che l’uomo non solo trova la Conoscenza-Sapienza della
Rivelazione di Dio, ma anche la conoscenza piena di sé, la pienezza della vocazione
all’umano, il significato ed il valore del cosmo e della storia intera. Riprendendo ancora le
parole di Benedetto XVI (nell’omelia della Messa pro eligendo Romano Pontifice, del 18
aprile 2005): «Il Figlio di Dio, il vero uomo. È Lui la misura del vero umanesimo»: oggi più
che mai siamo chiamati ad arrivare alla «misura della pienezza di Cristo per essere
realmente adulti nella fede: ”adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima
1
GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, n. 29 (Ench. Vat. 20, 57-58).
3
novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo» 2. Nel
recente discorso ai membri della Pontificia Commissione Biblica in occasione della Sessione
plenaria il 28 aprile 2006 il Santo Padre tornando sull’argomento specialmente in una chiave
etica ha ribadito che «la fede in Cristo ci dona il compimento dell’antropologia. Perciò il
rapporto con Cristo definisce la più alta realizzazione dell’agire morale dell’uomo» 3.

II. Di qui mi viene suggerita la proposta di una duplice serie di riflessioni sul mistero
della resurrezione di Cristo: la prima riguardante l’ esperienza del Risorto come fonte di
testimonianza adulta e credibile, considerando il significato del suo mistero cristologico-
trinitario. La seconda : il Cristo Risorto, come fonte di speranza per le sue implicazioni
antropologiche, sociali, cosmiche.

II.1. La prima serie di riflessioni riguarda l’importanza essenziale della Resurrezione


per un incontro attuale con Cristo che approfondisca la conoscenza della sua Persona e del
suo pensiero in vista di una più profonda amicizia.
A questo proposito vorrei notare che nella traccia di riflessione in preparazione del
Convegno Ecclesiale di Verona, tra le tante note affermazioni del NT come quelle di Paolo
nella l° lettera ai Corinzi: «se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei
vostri peccati» (15,17) e «se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo solo in questa vita,
siamo da compiangere più di tutti gli uomini» (15, 19), ha scelto quelle della prima lettera di
Pietro, in diversi passi in chiave di testimonianza (Pt 1,3: «nella sua grande misericordia Dio
ci ha rigenerati mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva»;
3,18; 2,4-5; 2,9) in specie il noto passo di 1 Pt 3,15: «adorate il Signore Cristo, nei vostri
cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in
voi». Soprattutto si dà importanza ad una figura adulta della testimonianza (n. 8) perché,
come ricordavo all’inizio, citando le parole di Benedetto XVI, solo una testimonianza adulta è
credibile e genera speranza.
Ma ci chiediamo: come raggiungere una testimonianza ‘adulta’ e ‘credibile’? Essa deve
scaturire da una autentica esperienza del Risorto nella nostra vita: ciò richiede di evitare,
come “in vario modo si è tentato di fare e si continua a fare trasformandola in un
avvenimento puramente spirituale”, questo “è vanificare la nostra fede” 4. Per questo ritengo
importante dare rilievo ad alcuni punti essenziali di questa autentica esperienza dell’evento
della Resurrezione di Cristo che si esprima in una testimonianza adulta.

II.1.1 A questo scopo si impone anzitutto la necessità di riconoscere ed ereditare


tutta l’importanza della “memoria” del Gesù terreno come costitutivo della fede nel “Cristo
pasquale”: i discepoli nelle loro esperienze pasquali, non sono partiti da una esperienza
puramente interiore. Essi, interiormente, erano piuttosto dominati da un senso di
scoraggiamento e di timore (Gv 20, 19), raccolti nel cenacolo a porte chiuse (vv. 19.26). Il
Risorto apparve a persone che non lo attendevano, e furono colte di sorpresa dalla sua
presenza.
Il riconoscimento che fu laborioso, avvenne attraverso la sua memoria, richiamata da
una serie di ‘segni’: tra i quali un posto notevole occuparono le sue ‘parole’. Nei racconti
delle apparizioni dai quali inizia la fede nel Cristo Risorto, il riconoscimento incomincia
quando Egli parla, come per i discepoli di Emmaus (Lc 24, 25-27; Gv 20, 16-18). Ma le sue
parole sono accompagnate da gesti significativi quali il mostrare le mani, il costato (Gv 20,
20), i piedi (Lc 24, 39) che richiamavano l’esperienza drammatica della croce, ed attraverso
lo «spezzare il pane condividendolo con loro» (Lc 24, 30). Questo gesto richiamava, da un
lato, la memoria di tutta la sua vita conviviale «nel suo sedere a mensa con i peccatori» (Lc
15, 1-3), ma, in particolare, la “memoria” del suo pasto eucaristico, che riassumeva la sua
vita terrena ed annunciava il mistero della ‘sua pasqua’ di morte e resurrezione e che
costituiva un punto essenziale del ‘passaggio’ dalla sua storia prepasquale al tempo della
sua presenza operante tra loro ed in loro. È nel gesto dello spezzare il pane, che seguì le
parole che «facevano ardere il cuore nel petto, mentre conversava con loro lungo il cammino,
quando spiegava le Scritture» (Lc 24, 32) che ad Emmaus gli occhi dei discepoli si aprirono
per riconoscerlo. Da questo insieme di parole e di gesti, appare che la fede nel Risorto si è
imposta ai discepoli a partire da un evento esteriore, dalla sua presenza che lo mostrava vivo
2
Parole di Benedetto. La visione della Chiesa e del mondo negli interventi di J.Ratzinger, Ancora, Milano 2005, p. 26.
3
OR, venerdì 28 aprile 2006, p. 5.
4
BENEDETTO XVI, Messaggio al Regina Caeli in S.Pietro, in OR, 2-3 maggio 2006, p. 6.
4
tra loro, anche se in una condizione nuova di esistenza, però in una condizione di persona
viva ed operante.

II.1.2 Ma vorrei aggiungere che l’evento della resurrezione costituisce quel


fondamentale evento ermeneutico che per la potenza dello Spirito Santo, introducendo i
testimoni nel cuore dell’evento oggettivo, invade la loro anima, regola la loro comprensione di
fede, vivifica e sollecita la loro testimonianza come “Apostoli” (testimoni della resurrezione: At
2, 32) rivelando che la memoria della storia di Gesù, della sua morte e resurrezione non è
solo una “memoria storica” di fatti accaduti, ma una memoria testimoniale, illuminata
dall’esperienza della fede pasquale. Questa esperienza di fede testimoniale si trasmette nella
Chiesa nella quale il Risorto vive 5 si mostra operante nella potenza dello Spirito che
accompagna la predicazione apostolica, opera nelle azioni sacramentali della Chiesa, nel
suo culto, nella vita stessa spirituale dei cristiani. Allora, l’autentica esperienza del Cristo
Risorto, avviene, non in modo puramente ‘esteriore oggettivo’, né in modo puramente
‘interiore soggettivo’: ma in quel luogo di comunione e di mediazione che è della Chiesa.
Senza il mistero della Chiesa, la memoria di Gesù si ridurrebbe ad un ricordo delle gesta
lontane di un grande eroe della storia e la sua singolarità, perderebbe l’attualità sempre viva
della tradizione della fede 6, sia negli atti sacramentali del culto, specialmente eucaristico, sia
nella predicazione dell’annunzio pasquale, sia nella esperienza e nella vita nella spirituale dei
credenti . È nella Chiesa che il Risorto si mostra operante nella forza del suo Spirito, per il
quale, accompagna la Chiesa, nella storia, in un continuo progresso che si sviluppa come
memoria intramontabile del passato di Gesù verso la comprensione della sua Verità tutta
intera e nell’annuncio delle cose future (Gv 16, 13)7.

II.2. Di qui passo alla seconda serie di riflessioni, che tocca il punto nodale della
situazione drammatica dell’uomo nel nostro tempo e che mostra, antropologicamente, la
forza rinnovatrice del mistero del Cristo Risorto. Vorrei premettere a queste riflessioni
l’affermazione che l’evento della Resurrezione, proprio introducendoci nel cuore del mistero
di Cristo annunciato dalla Chiesa, conduce l’uomo alla conoscenza della sua vera identità
conforme al piano creativo di Dio ed alle sue più profonde aspirazioni e speranze umane. Per
questo, è proprio «il Risorto la misura del vero umanesimo»: oggi più che mai siamo, quindi,
chiamati a camminare verso la «misura della pienezza del Cristo Risorto» per essere
realmente adulti e testimoni credibili della nostra fede.

II.2.1 Parto dalla radice della crisi dell’umanesimo odierno che si concentra in quella
caduta nella sub-cultura del conclamato post-umano, che svuota l’uomo di quel volto di
identità, che si compendia nel mistero del suo essere ‘persona’ proprio dell’eredità cristiana.
Questo vuoto si può riassumere in tre fondamentali carenze: la prima che è molto
riscontrata a vari livelli di intelligenza critica è quella dell’ indebolimento della componente
metafisica della persona, per cui, come scriveva acutamente anni or sono il sociologo
Alberoni8: «uno dei più grandi vuoti della nostra epoca è la perdita del senso metafisico della
persona e dell’intuizione che ogni essere umano ha in sé qualcosa di divino, che è un
mistero». In realtà, non si può ignorare, come dice la Fides et Ratio (nn. 39; 41) che un
grande apporto della fede cristiana, alla promozione dell’umanesimo è stato il suo contributo
allo sviluppo di quella comprensione dell’essere che ha un suo vertice nella concezione della
‘persona’9 umana, nel superamento della categoria della sostanza che costituiva il punto più
5
MARCELLO BORDONI, È possibile accedere a Gesù Cristo attraverso gli Evangeli?, Separata de «Revista española de
Teología». T. LXIII, Fac. de Teología «San Dámaso» pp. 141-165.
6
ANGELO SCOLA, Chi è la Chiesa ? Una chiave antropologica e sacramentale per l’ecclesiologia , Queriniana, Brescia
2005, rimando qui in particolare alla seconda parte pp. 133-191.
7
M. BORDONI, L’universalità della salvezza in Cristo e le mediazioni partecipate, in PATH 2(2003), pp. 375-399. È alla
luce della Resurrezione che la storia di Gesù si dischiude sempre più ai testimoni nella vita della Chiesa e lascia
trasparire quei contenuti del mistero che si possono penetrare oltre il testo stesso della Scrittura, nella Tradizione
Vivente.
8
F. ALBERONI, in Corriere della Sera del 7.4.1997, cit. in I. SANNA, L’identità aperta. Il cristiano e la questione
antropologica, Queriniana, Brescia 2006, p. 382.
9
Afferma la Fides et Ratio che, nel suo incontro con la cultura del mondo greco, la fede dei Padri della Chiesa, non fece
una semplice opera di «trasposizione delle verità di fede in categorie filosofiche»: essi fecero molto di più. Riuscirono,
infatti, a fare emergere in pienezza, «quanto risultava ancora implicito e propedeutico nel pensiero dei grandi filosofi
5
elevato dell’ontologia. Non basta, come oggi avviene, continuare a parlare di persona
ignorando le radici cristiane, poiché il linguaggio di persona senza un chiaro supporto di
queste radici, decade in concezioni individualistiche, o nell’idea della semplice condizione
umana10 nella quale si fa fatica a trovare concezioni soddisfacenti per la coscienza, la libertà,
la solidarietà, il valore della corporeità 11.
La seconda carenza che sta alla radice di tutto è la perdita di quel senso originale
della categoria di ‘persona’ che deriva dalla fede trinitaria e cristologica e che, in particolare,
ha portato alla dissoluzione del rapporto tra cristologia ed umanesimo. La fede cristologica
viene, infatti, oggi, estromessa dall’umanesimo, perché in tale contesto si ritiene che sia
come un’aggiunta accessoria ad una concezione dell’uomo definito autonomamente senza
alcun rapporto verso Cristo, quando, invece, Egli, per la fede cristiana, entra nella stessa
costituzione creativa originaria dell’uomo come persona, per cui annunciare Cristo è
annunciare l’atteso da tutti i popoli.
È di particolare urgenza quindi recuperare, non solo il valore metafisico della persona,
ma la sua radice teologica dalla quale ogni altro valore deriva e che connette la ‘persona’
all’evento cristologico-trinitario considerato, sia nella dimensione discendente
dell’incarnazione, nella quale, si opera, l’umanizzazione della Persona divina del Verbo
(Cost. II, 553) nella sua discesa kenotica fino alla croce, sia la personalizzazione,
dell’umanità assunta nel Verbo, per la quale Gesù, come Figlio dell’Uomo, viene proclamato
dalla voce del Padre quale suo Figlio prediletto (Mt 3, 17; 17, 5) in relazione con lo Spirito
che opera su di Lui ed in Lui, ed in relazione con tutta l’umanità, con tutto il mondo della
creazione. In questo secondo aspetto della elevazione dell’umanità assunta, si compie quella
trasfigurazione dell’umano che trova nella resurrezione di Cristo, il suo massimo
splendore ed il massimo della personalizzazione dell’uomo. È il processo dello scambio al
quale, come noto, dedicano non poche pagine di riflessone gli antichi Padri.
Così, per l’opera personalizzante che la Persona del Cristo, Figlio «prediletto»
(agapetós, Mc 1, 11; 9, 7 e par.) del Padre, si compie nell’ umanità del Salvatore quel
processo di incarnazione e trasfigurazione dell’ umano per il quale, lo sviluppo della
personalizzazione coincide con lo sviluppo dell’ Amore nel quale la Persona non si
chiude, ma si apre nella relazione con l’Altro che la genera (il Padre) in comunione con lo
Spirito Santo. Per usare le parole di Benedetto XVI, nella sua Enciclica Deus Caritas est
potremmo dire che in questo processo di personalizzazione che si compie, nell’umanità
assunta, e tende a diffondersi, purificandosi, in tutta l’umanità, lo sviluppo dell’amore umano,
come eros, si purifica e si eleva come agape, tanto da poter affermare che «nel Cristo
Crocifisso e Risorto eros ed agape coincidono»12.
Connessa a questa seconda carenza teologica se ne aggiunge una terza di carattere
ecclesiologico. Proprio perché la personalizzazione che si opera nella trasfigurazione
dell’umano, per cui il cristianesimo fonda un umanesimo dell’agape, l’azione personalizzante
coincide pure con quella socializzante. Nella sua opera Introduzione al cristianesimo 13 il
teologo J. Ratzinger, già affermava che «la fede vede in Gesù l’uomo in cui […] si è per così
dire compiuto [...] il superamento dei limiti del nostro essere uomini, del suo isolamento
monadico; l’uomo in cui personalizzazione e socializzazione non si escludono più, ma si
confermano». Infatti, il processo di “personalizzazione dell’uomo” che ha la sua radice
nell’evento cristologico-trinitario dell’Incarnazione, è un processo di elevazione dell’umanità in
una apertura universale all’amore trinitario ed a tutta l’umanità, a tutto il mondo della
creazione, che trova la sua sublimazione nella resurrezione del Capo ed annuncia in essa il
compimento nel Corpo dell’umanità e del cosmo, nell’avvento della Parusia. Nella
resurrezione, il Cristo, diviene così, già il Primogenito tra coloro che risuscitano dai morti (Col
1, 18).
antichi» (n. 41). Così, «la storia mostra come lo stesso pensiero platonico assunto in teologia abbia subito profonde
trasformazioni, in particolare, per quanto riguarda concetti quali l’immortalità dell’anima, la divinizzazione dell’uomo e
l’origine del male» (n. 39).
10
PAUL O’CALLAGHAN, L’Europa e la speranza: tra promessa e ricordo. Riflessioni intorno all’«Ecclesia in Europa», in
PATH, 4 (2005)/1, p. 249. Cf. M. BORDONI, L’annuncio di Cristo e l’umanizzazione delle culture, in
PONTIFICIOCONSIGLIO DELLA CULTURA, Atti della X Seduta Pubblica, Vaticano 15 novembre 2005, Cristo, Figlio di Dio,
Uomo perfetto, “misura del vero umanesimo”, LEV 2005, p. 31.
11
Utile rimando per tutta la questione dell’appartenenza religiosa ed identità europea si può trovare in I. SANNA,
L’identità aperta, cit., pp. 236-246.
12
BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, n. 12. Rimando al commento di ANGELO SCOLA, Cantagall I, Siena 2006, p. 64 per
cogliere l’importanza attuale di questi rilievi dell’Enciclica.
13
Cito l’edizione recente J.RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 2005, p. 229.
6
II.2.2 Aspetti antropologici, sociali, cosmici della personalizzazione in Cristo:
a) Il Risorto promuove al massimo la realizzazione dell’uomo persona nella sua
coscienza e libertà: la decadenza del valore della persona umana nella chiusura in un
soggetto individuo, va di pari passo con quella della sua “coscienza” che costituisce “il cuore
della persona”, la dimensione più sacra della sua interiorità e che, come osservava Giovanni
Paolo II: «apre l’uomo alla chiamata della voce di Dio», in quello spazio interiore, santo, nel
quale Dio parla all’uomo. In questo, non in altro, sta tutto il mistero e la dignità della
coscienza morale . Nel suo discorso ai membri della Pontificia Commissione Biblica, già
citato, Benedetto XVI nota criticamente come «alcuni sono arrivati a teorizzare un’assoluta
sovranità della ragione e della libertà nell’ambito delle norme morali: tali norme
costituirebbero l’ambito di un’etica solamente ‘umana’, sarebbero, cioè, l’espressione di una
legge che l’uomo autonomamente dà a se stesso: i fautori di questa ‘morale laica’ affermano
che l’uomo, come essere razionale, non solo può, ma addirittura deve decidere liberamente il
valore dei suoi comportamenti» 14. Nella cultura del soggetto, inoltre, non solo esercitano un
peso le false idee umanistiche, ma anche il sopravvento della introspezione psicologica della
persona, affidata alle sole scienze umane, che fanno perdere alla “coscienza” la sua
relazione imprescindibile alla Verità, in favore, dice la Veritatis Splendor (n. 32) di un «criterio
di sincerità, di autenticità, di accordo con se stessi», portando ad una concezione
radicalmente soggettiva del giudizio morale. In questa situazione, è solo la forza interiore del
Risorto che può risanare, illuminare, la coscienza filiale, mediante l’azione del suo Spirito che
ci libera dalle paure (Rm 8, 15) venendo incontro alla nostra debolezza (ivi 8 ,26),
promuovendo in noi il gemito interiore della speranza nella piena adozione a figli, nella
redenzione del nostro corpo (8, 23-24).
b) In sintonia con quanto riguarda l’opera del Cristo Risorto nella coscienza della
persona umana si promuove un umanesimo nel quale risplende il valore della libertà filiale.
Contro la crisi della libertà autonomica che pretende creare dei propri valori e che, alla fine,
decade in una messa in questione radicale dello stesso essere liberi di fronte ai
condizionamenti di ordine psicologico, sociologico, culturale che pesano sul suo esercizio,
nella visione cristiana, la libertà che si esercita, nella relazionalità, è relativa a due
fondamentali riferimenti: uno alla “Verità” (Gv 8, 31): «se rimarrete fedeli alle mie parole,
sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la Verità vi farà liberi». Questo rapporto
alla Verità che è Cristo stesso e la sua Parola, trova il massimo della sua espressione
nell’evento della esaltazione di Cristo per il dono del suo Spirito di Verità (14, 17) che
guiderà chi segue Cristo, alla Verità tutta intera (16, 13).
L’altro riferimento è l’adempimento nell'Amore. Questo nesso è così fondamentale
che non c’è vera adesione alla Parola-Verità senza Amore, così come non c’è autentico
amore filiale senza Verità. Per approfondire il valore della libertà cristiana come “libertà
nell’amore”, bisognerebbe commentare il passo classico di Paolo ai Galati 5, 1-26 che ci
richiama al dramma della libertà filiale nella nostra vocazione all’uomo nuovo in quella libertà
(Gal 5, 13) che non è liberismo carnale (v. 13b), ma è vivere in pienezza la “carità” (v. 13c).
Questo comporta affrontare una lotta per “camminare secondo lo Spirito” (v. 16), per godere i
suoi frutti (v. 22). Il che richiede l’immergersi nel mistero della croce, crocifiggere la carne con
le sue passioni ed i suoi desideri (v. 24). Come per la Verità, è lo Spirito che scaturisce dalla
Croce e Resurrezione il principio animatore dell’ amore che libera.
c) La promozione di un “umanesimo della persona” nel suo realismo, insieme
singolare e comunitario-sociale, comporta concretamente la difesa del principio della
giustizia che ha il suo adempimento nella carità. Importanti sono i richiami dell’Enciclica di
Benedetto XVI, Deus Caritas est, al rapporto tra ‘fede e prassi politica’ alla luce della ‘dottrina
sociale della Chiesa’ nel suo ribadire che se la Chiesa «non può e non deve prendere nelle
sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile […] non può e non
deve restare ai margini nella lotta per la giustizia» (n. 28). Il Santo Padre, nell’indicare
l’importanza della presenza della Chiesa come forza viva nella quale «pulsa la dinamica dell’
amore suscitato dallo Spirito di Cristo» (ivi) ci fa comprendere quanto il Cristo Risorto operi
attraverso lo Spirito sia per la conversione dei cuori, sia per l’attuazione già in terra di quella
comunione che dai cuori uniti porta alla condivisione e comunione dei beni.
14
OR, cit., p.5.
7
Sottolineando il rapporto concreto tra giustizia e carità: Benedetto XVI ricorda le lotte
che agitarono fin dall’Ottocento la questione sociale. Se è vero che una concezione della
carità come assistenzialismo, è inadeguato, proprio per l’autentica concezione stessa della
carità cristiana, è altrettanto errato pensare, come talora oggi ancora avviene, che la lotta a
favore dei poveri non ha bisogno di carità, ma solo delle rivendicazioni di giustizia. Anche se
talora, con qualche lentezza, si è andata sviluppando la dottrina sociale della Chiesa, dal
1891 in poi, essa si è andata approfondendo in una serie di importanti documenti ed ha
trovato un punto di riferimento e di sintesi nel noto compendio della dottrina sociale della
Chiesa redatto dal Pontificio Consiglio Iustitia et Pax.
Così, dice ancora l’Enciclica citata: «nella difficile situazione nella quale noi oggi ci
troviamo anche a causa della globalizzazione dell’ economia, la dottrina sociale della Chiesa
è divenuta una indicazione fondamentale» (n. 28), particolarmente urgente, richiamando da
un lato, l’ impegno dei credenti a non disertare il loro contributo per un giusto ordine della
società15. Ma dall’altro, non dimenticando che il principio della libertà deve compiersi sempre
nell’ adempimento dell’amore. In questo si sottolinea la rilevanza antropologica e sociale
della fede.
La chiesa ha quindi la missione di ricordare a coloro che sono impegnati in prima
persona nell’ambito sociale-politico che «l’ amore – caritas – sarà sempre necessario anche
nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere
superfluo il servizio dell’ Amore» (ivi). Il Risorto, da un lato rafforza la speranza per la
testimonianza sofferta nell’attuazione di una società più giusta, nel servizio della carità, ma
dall’altro costituisce quella luce utopica del futuro trascendente dell’ umanità per la quale
avverte profeticamente che la perfezione nell’ordine di giustizia, non sarà mai una meta
finale, ma solo quel cammino nell’ Amore-Giustizia che deve sempre mantenere vive le
speranze escatologiche del Regno di Cristo, come Regno di Giustizia, Amore e Pace.
Speranze che sono animate e rafforzate nel mistero della resurrezione di Cristo.
d) Parlando delle implicazioni antropologiche del mistero della resurrezione di Cristo,
non si può ignorare quella sua azione con la quale attraverso le primizie dello Spirito, suscita
i gemiti interiori dei credenti verso una salvezza integrale dell’uomo nella redenzione del
suo corpo (Rm 8, 23-24). La persona umana è essenzialmente incarnata. Il mistero stesso
dell’incarnazione, come ho detto precedentemente, è quell’evento che comporta insieme una
umanizzazione della “Persona eterna” del Figlio di Dio nel suo ingresso nella storia, nel suo
divenire carne: ma anche una trasfigurazione del suo essere carne per cui la “ caro Verbi”
diviene “cardo salutis”.
Particolarmente notevole è, per il nostro tempo, questo richiamo al principio del
realismo dell’incarnazione, come reale ingresso personale del Figlio di Dio nella nostra carne
mortale, attraverso la sua nascita da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo. Tale
evento proclamato dalla dottrina cristiana, è l’evento “singolare ed unico” nel quadro di tutte
le religioni anche se esso deve essere affermato nel contesto di una universalità salvifica che
non possiamo qui esaminare ed approfondire nel suo rapporto alla singolarità 16.
L’umanesimo cristiano talora ha subito le suggestioni, non cristiane, di uno spiritualismo
disincarnato. Oggi, però, risente di uno sbilanciamento da parte di quella che è stata
chiamata la “cultura del corpo”, depersonalizzato e materializzato. In tale cultura, l’uomo e la
donna subiscono una strumentalizzazione ed alienazione nel corpo, reclamizzato, ma anche
assoggettato alla manipolazione biotecnica.
In modo particolare si deve rilevare il deprezzamento del valore del corpo umano
sessuato. Nella visione creativa della Genesi, l’uomo come “immagine di Dio” è
essenzialmente congiunto a quella dimensione di socialità che lo definisce come essere
maschio e femmina (Gn 2, 27), per cui nessuno dei due, da solo, realizza la perfezione di
“immagine di Dio”. L’uomo sessuato, nel tempo della cultura del corpo, viene invece ridotto a
realtà funzionale, a quella ‘condizione umana’ nella quale perde il valore esistenziale
dell’essere maschile e femminile come “perfezioni personali” e “sociali” che esprimono un
ruolo più ampio e più elevato rispetto al solo rapporto stretto di funzione di coppia. Il fatto che
la distinzione dei sessi trova riscontro nell’ambito dei viventi animali non deve costituire il
metro di valutazione del singolare “valore umano” dell’identità di genere maschile e
15
BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, cit., p. 108.
16
Per il rapporto tra singolarità ed universalità dell’evento cristologico rimando a M. BORDONI, Cristologia e
pneumatologia nell’orizzonte del problema universale della salvezza, in ID., La cristologia nell’orizzonte dello Spirito,
Queriniana, Brescia 1995, pp. 177ss.; ID., Trinità e missione, in PATH 1 (2003), pp. 179-195; ID., Universalità della
salvezza e mediazioni partecipate, cit.; NICOLA CIOLA, «Disagi» contemporanei di fronte al paradosso cristiano
dell’incarnazione, in PATH, 2 (2003), pp. 443-471.
8
femminile. Di qui appare già come questa carenza di un “valore umano personale”
dell’essere sessuato, incide spesso nel pregiudizio che senza la relazione sessuata di
coppia, l’uomo e la donna non possono realizzarsi come esseri umani. Ne consegue un
deprezzamento dei valori cristiani della verginità, della castità, del celibato ecclesiastico.
Importante, in proposito, è la risposta di Gesù ai Sadducei (Mt 22, 23-32): in essa,
Gesù dice che nella resurrezione non si prenderà né moglie, né marito «ma non afferma –
come dice Giovanni Paolo II nelle sue celebri catechesi 17 – che quest’uomo del ‘mondo
futuro’ non sarà più né maschio né femmina come lo fu ‘dal principio’. È quindi evidente che il
significato di essere quanto al corpo, maschio o femmina, nel ‘mondo futuro’, vada cercato
fuori del matrimonio e della procreazione, ma non vi è alcuna ragione di cercarlo fuori di ciò
che (indipendentemente dalla benedizione della procreazione) deriva dal mistero stesso della
creazione». In questa ottica acquista valore la scelta di verginità per il Regno che ci fa
comprendere, alla luce del futuro escatologico, che il valore personale e sociale dell’essere
uomini e donne consacrati al bene dell’umanità nel dono di sé, varca le soglie della vita
terrestre in una visione di eternità nella quale l’essere maschio e femmina supera la
dimensione della funzionalità biologica e porta a compimento le qualità del valore femminile
e maschile della persona umana che la caratterizza eternamente. Nel definire le
caratteristiche del genere maschile e femminile bisogna tener conto, allora, che da un lato,
ognuno dei due generi (antropologia duale) tocca, come diceva Edith Stein, non solo la
corporeità ma l’anima stessa 18 e che, per la loro caratteristica relazionale in ognuno dei due è
presente l’altro nella sua relazionalità sociale.
Ma dall’altro punto: l’importanza del valore sessuale maschile e femminile alla luce del
mistero di Cristo, risalta in particolare nel contesto di un “rapporto di alleanza” che si
personifica comunitariamente nella Chiesa, la quale ha, da un lato, una sua essenziale
struttura di Corpo di Cristo, di “Sacramento di salvezza”, nel quale si afferma il suo carattere
apostolico-petrino, e che si adempie nella sua comunicazione della grazia, ma, dall’altro
rivela il suo volto di Sponsa Verbi, di soggetto antropologico, che si concretizza in quel suo
volto femminile che ha il suo prototipo nella figura di Maria e che si realizza nella docile
accoglienza della grazia dello Spirito del Risorto. Nel suo Discorso di chiusura del terzo
periodo del Concilio (21-XI-1964) Paolo VI affermava che «la realtà della Chiesa non si
esaurisce nella sua struttura gerarchica, nella sua liturgia, nei suoi sacramenti, nei suoi
ordinamenti giuridici. La sua intima essenza, la sorgente prima della sua efficacia
santificatrice sono da ricercarsi nella sua mistica unione con Cristo. E così, Maria, costituisce
il prototipo della comunità ecclesiale, la persona umana che rappresenta la pienezza della
grazia». Il Magistero di Giovanni Paolo II riprese queste parole nella Mulieris dignitatem (n.
27) dove dice, al seguito di Von Balthasar, che da questo punto di vista mistico, «la
dimensione mariana della Chiesa precede la sua dimensione petrina».
Il mistero della Resurrezione costituisce l’evento fondamentale che fonda la speranza
escatologica dell’adempimento dell’uomo nella sua identità maschile e femminile nella sua
stessa realtà corporea: la speranza di “vita eterna”, esprime, infatti, non solo l’aspirazione
alla pienezza di comunione della vita spirituale in Cristo, che già attualmente si anticipa nel
credente, nella sua vita di fede che lo certifica della sua reale condizione di figlio di Dio (1Gv
3, 1-2), ma esprime anche, per la primizia dello Spirito, il gemito per la redenzione del corpo
(Rm 8, 23). Questa “speranza escatologica” affonda già oggi le sue radici in quel mistero di
comunione corporea con il Risorto nella sua reale presenza nell’Eucarestia, per la quale la
comunione personale del singolo credente con il Corpo risuscitato di Cristo si compie
nell’unità del Corpo ecclesiale e della umanità intera che questo Corpo tende a ricostruire.
La comunione sacramentale eucaristica con il Cristo Risorto opera nella vita attuale
del credente, la sua progressiva conformazione al suo Corpo donato (1 Cor 11, 24; Lc 22,19)
e quindi la reale conformazione al Cristo Crocifisso-Risorto. Così, «l’Eucarestia ci attira
nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma
veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione» 19. L’uomo, nel suo corpo viene già
oggi inserito nel processo di trasfigurazione che troverà il suo momento finale glorioso nella
Parusia del Signore, in comunione con Lui.
e) Questa azione di rinnovamento dell’uomo che già oggi il Cristo Risorto realizza, non
resta quindi solo sul piano di un incontro mistico-sacramentale, ma tende a realizzarsi
concretamente nella vita della Chiesa, attraverso la “diakonia della Carità” verso ogni uomo,
17
Vedi IV ciclo di catechesi di GIOVANNI PAOLO II alle udienze generali (13 gennaio 1982).
18
ANGELA ALES BELLO, Sul femminile. Scritti di antropologia e religione, Città aperta, Troina (En) 2004, p. 44 (vedi ivi
il paragrafo “la dimensione femminile nell’esperienza religiosa cristiana”, p. 82).
19
BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, n. 13.
9
al di là di ogni questione socio-politica. È questo un altro fondamentale insegnamento
dell’Enciclica Deus Caritas est, per la quale «l’attività caritativa cristiana deve essere
indipendente da partiti ed ideologie» (n. 31), per essere aperta nel quadro universale della
creazione. Questo respiro cosmico impone sempre più l’esigenza di coniugare l'orizzonte
particolare della missione della Chiesa che si esplica nella sua incarnazione nel territorio, con
l’orizzonte mondiale rappresentato dalle varie identità razziali, culturali, sociali. È così che
l’orizzonte universale della carità fonda «al di là dei vincoli umani e naturali, già così forti e
stretti [...] alla luce della fede, un nuovo modello di unità del genere umano, al quale deve
ispirarsi, in ultima istanza, la solidarietà. Questo supremo modello di unità, riflesso della vita
intima di Dio, uno in tre Persone, è ciò che noi cristiani chiamiamo con la parola ‘comunione’.
Tale comunione, specificamente cristiana [...] è l’anima della vocazione della Chiesa ad
essere sacramento, e cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il
genere umano» (Sollicitudo rei socialis, n. 40).
f) Nell’annuncio del Cristo Risorto, Speranza del mondo specie nel nostro tempo,
sempre più appare che il dialogo tra Dio e l’uomo, che si realizza nel dinamismo della storia,
non può fare economia del mondo come natura. La creazione come “cosmo” non è infatti un
semplice scenario ornamentale del rapporto diretto interpersonale tra ‘Dio’ e ‘l’uomo’. Essa
costituisce piuttosto parte integrante dell’essere stesso corporeo umano. La corporeità,
dell’uomo non costituisce solo un essenziale vincolo di comunicazione e comunione tra
esseri umani, esso costituisce anche il luogo nel quale l’uomo comunica e vive nell’universo,
come un “luogo di mediazione” nel quale da un lato, l’uomo, nell’ intenzione creativa di Dio è
chiamato ad umanizzare il mondo (Gen 1, 28), ma dall’altro il mondo compenetra l’uomo il
quale è come un ‘microcosmo’.
Sappiamo che l’importanza del ruolo della creazione ha oscillato, in passato, tra una
comprensione cosmocentrica della natura o da una comprensione antropocentrica. Questa
ultima, se ha recuperato il valore storico dell’ uomo soggetto libero si è evoluta in una visione
di possesso illimitato della natura perdendo il suo valore creaturale e portando l’uomo a
considerarsi suo signore-possessore riducendola sistematicamente a strumento e semplice
mezzo per i suoi fini20. Da qui il passo è breve verso il sistematico sfruttamento del cosmo 21,
che si risolve in manipolazione distruttiva arbitraria, fraintendendo la concezione biblica della
creazione (Gen 1, 28) nella quale, il coronamento dell’opera creativa non è l’uomo, ma il
sabato22. La teologia cristiana, nel nostro tempo, ha talora ignorato il vero senso della storia
che implica l'imprescindibile mediazione tra uomo e cosmo, in quella mediazione per cui
l’uomo porta a compimento la parola della creazione muovendosi tra il senso globale del
mondo, come un dato che lo precede e le strutture di ordine poste nel mondo stesso, che egli
deve scoprire23. È così che l’uomo, integrato nella creazione, è protetto da ogni “arroganza
antropocentrica”.
Il superamento di questa crisi avviene nel ricentramento cristologico, sia dell’uomo che
del mondo nel “mysterion” per il quale il Cristo Risorto, luogo personale incarnato della
mediazione tra Dio, l’uomo ed il mondo, realizza la gloria del Padre salvando l’uomo nel
mondo creato, riscattato e trasfigurato (Rm 8, 19-25; 2Pt 3, 12-13; Ap 21, 1) come segno–
sacramento corporeo di comunicazione della sua grazia. Il cosmo, appartiene, alla
redenzione dell'uomo come corpo (Rm 8, 23), e quindi, come elemento intrinseco che
mediatizza l’opera redentiva e trasfiguratrice dell'uomo. Se nelle elaborazioni del concetto
cristiano di soteriologia, la riflessione teologica è stata troppo spesso dominata in maniera
20
Vedi W. KORFF, Technik-Ökologie-Ethik, p. 9 citato in A. AUER, Contestazione attuale dell’antropocentrismo, in ID.,
Etica dell’ambiente. Un contributo teologico al dibattito ecologico, Brescia 1988, pp. 201-206, il quale ritiene l’esigenza
di una essenziale correzione dell’antropocentrismo etico unilaterale che considera la natura extra-umana solo nella sua
ordinazione all’uomo rendendola così priva di qualunque valore proprio.
21
J. MOLTMANN, Futuro della creazione, Queriniana, Brescia 1980, pp. 130-143.
22
Certo, in quanto immagine di Dio, l’uomo ha un posto di privilegio nella creazione, ma egli non è solo un vertice, è
anche parte del creato e partecipa al movimento di gloria della intera creazione : «Questa concezione teocentrica del
mondo, presente nella Bibbia, conferisce all'uomo, oltre che una posizione privilegiata nel cosmo, anche la possibilità
d’intendersi quale membro della comunione creaturale. La teologia cristiana, se vuol riscoprire nell'incontro con la natura
la saggezza di cui è depositaria, dovrà purificare la fede nella creazione da ogni Weltanschauung antropocentrica del tipo
di quella elaborata nell'età moderna» (J. MOLTMANN, Dio nella creazione. Dottrina ecologica della creazione, Queriniana,
Brescia 1986, p. 46.
23
A. AUER, cit., pp. 230-231.
10
pressochè esclusiva dalla dialettica etica della “libertà/responsabilità”, in Gesù Cristo
Crocifisso e Risorto, essa deve recuperare anche l’importanza della mediazione cosmica e
del ruolo simbolico del mondo.
È in questa prospettiva che nella sua esigenza dialogica, il metodo stesso della
teologia, beneficio della luce di fede proveniente dal Cristo Risorto, speranza del mondo e
del suo apporto per la promozione di un umanesimo integrale va riscoprendo oggi
l’importanza non solo del dialogo con le scienze umane, ma anche di quelle naturali , aprendo
il campo ad un nuovo areopago nel quale avanza il convincimento che i credenti ed i teologi
potrebbero conoscere “qualcosa di più su Dio, se leggessero, oltre che la Bibbia, il ‘Libro
della natura’24.

Bibliografia di riferimento

BENEDETTO XVI, Deus Caritas est. Introduzione e commento di A. Scola. Cantagalli, Siena
2006.
ANGELO SCOLA, Chi è la Chiesa? Una chiave antropologica e sacramentale per
l’ecclesiologia, Queriniana, Brescia 2005.
IGNAZIO SANNA, L’identità aperta. Il cristiano e la questione antropologica, Queriniana, Brescia
2006.
MARCELLO BORDONI, La Chiesa, diaconia della carità fraterna. (= Quaderni della Caritas, 4),
Roma 2000.
LUCA BRESSAN, Verso Verona, la Chiesa italiana a convegno, in Rivista del Clero Italiano, 87
(2006), 85-98.
GIAMPIETRO ZIVIANI, Il Vangelo della speranza. Il Convegno di Verona a trent’anni da
Evangelii Nuntiandi, in Rivista del Clero Italiano, 87 (2006), 202-214.

24
J. MOLTMANN, Scienza e Sapienza. Scienza e teologia in dialogo, Brescia 2003. G. TANZELLA-NITTI, Teologia e
scienza. Le ragioni di un dialogo, Paoline, Milano 2003; I D. Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede, Urbaniana
University Press – Città Nuova, Roma 2002, pp. 404-424; vedi M. BORDONI, Prospettive di sintesi, in PATH 3 (2004)/1
Atti del Forum sul tema Il metodo teologico oggi, fra tradizione e innovazione, pp. 257-263.
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