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II CONGRESSO INTERNAZIONALE DI CATECHESI

Città del Vaticano, 20-23 settembre 2018

Il catechista testimone del mistero

Il fascino del mistero

Dei tre termini che compongono il titolo del nostro Congresso, quello di “mistero” è
certamente il più intrigante. Sappiamo chi è il catechista. Lo troviamo descritto in tante
pagine dei documenti ufficiali della Chiesa e diversi titoli sono stati dedicati per
descriverne la natura, la vocazione, i compiti e la responsabilità a cui è destinato. Non solo.
Quanti sono presenti in questo momento non hanno particolarmente bisogno che ci si
soffermi ampiamente sull’esposizione del termine, perché lo vivono in prima persona.
L’esperienza di essere catechista tocca a tal punto la vita di un credente che vede in questo
servizio una autentica chiamata a svolgere un ministero per la comunità cristiana.
Ricordiamo le parole che Papa Francesco ha rivolto nel 2013 in occasione del I Congresso
Internazionale: “‘Essere’ catechisti! Non lavorare da catechisti: questo non serve! Io lavoro
da catechista perché mi piace insegnare… Ma se tu non sei catechista, non serve! Non sarai
fecondo, non sarai feconda! Catechista è una vocazione: ‘essere catechista’, questa è la
vocazione, non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto ‘fare’ i catechisti, ma
‘esserlo’, perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita,
con la testimonianza” 1.
Abbiamo esempi di totale dedizione ad essere catechista che si corre il rischio di
essere superficiali nel momento in cui si tenti di farne una riflessione puramente
intellettuale. D’altronde, dinanzi alla testimonianza di santi e sante catechisti, alcuni dei
quali giunti fino al martirio, abbiamo più da imparare con il silenzio della meditazione
piuttosto che dal moltiplicare le nostre parole.
Il termine di “testimone” è anch’esso diventato ormai abituale nel linguaggio
corrente a tal punto da correre il rischio di inflazionarne il significato. Grande e grave
tentazione questa, perché la testimonianza è una azione fondamentale nella vita della

1
Francesco, Discorso ai partecipanti al Congresso Internazionale sulla Catechesi, Aula Paolo VI, 27 settembre 2013.

1
Chiesa e per la credibilità del suo annuncio. Non è un caso che questa categoria sia
diventata l’emblema del rinnovamento conciliare per provocare i credenti a una presa di
coscienza personale e alla responsabilità del loro vivere da discepoli di Cristo. Le parole di
Paolo VI secondo cui “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i
maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono testimoni” (EN 41), permangono con la
loro immutabile attualità e rendono evidente la responsabilità che possiedono quanti
hanno la missione dell’evangelizzazione.
Il termine “mistero”, invece, sembra sempre più avvolto nell’incertezza e nel
fraintendimento. Causa una pluralità di sensi che possiede, viene utilizzato in maniera
differenziata nell’ambito profano e religioso, quasi che il significato sotteso possa essere
identico. Se siamo chiamati a essere “testimoni del mistero”, è necessario che si chiarifichi
il senso profondo del termine e il valore che possiede per la fede. Lo impone, d’altronde, il
contesto stesso nel quale utilizziamo il concetto, perché legato alla riflessione sulla seconda
parte del Catechismo della Chiesa Cattolica dedicato alla celebrazione del mistero cristiano.
Nell’introduzione a questa parte del Catechismo della Chiesa Cattolica, ci si incontra,
anzitutto, con un affresco degli inizi del IV secolo presente nelle catacombe dei Santi Pietro
e Marcellino sulla via Casilina a Roma. Il dipinto è molto chiaro ed eloquente, rappresenta
una delle immagini che fin dai primi tempi della Chiesa sono stati inspiegabilmente
realizzati 2. Si tratta della donna che malata da dodici anni di perdite di sangue, in un moto
d’animo colmo di fede in Gesù toccò il suo mantello e fu immediatamente guarita (cfr. Mc
5,25-43). La spiegazione simbolica offerta dal Catechismo è interessante: “Nell’immagine si
può scorgere il segno della potenza divina e salvifica del Figlio di Dio che, mediante la vita
sacramentale, salva la persona umana nella sua totalità, spirito e corpo. I sacramenti della
Chiesa continuano nel tempo le opere che Cristo ha compiuto durante la sua vita terrena.
In essi si manifesta e realizza la potenza che esce dal corpo di Cristo, che è la Chiesa, per
guarirci dalla ferita del peccato, per donarci la vita nuova in Cristo e farla crescere” 3.
Questo testo non è privo di significato per quanto riguarda il tema del mistero. In
proposito, quasi un commento a questo testo del Catechismo della Chiesa Cattolica può essere
quanto Origene scriveva, richiamando la stessa scena evangelica: “La donna toccò il lembo
della veste di Gesù e fu guarita. Se ella ricevette tanta utilità dall’estremità di un mantello,
che pensare di Simeone che ricevette il bambino nelle sue mani? E ciò non deve essere

2
Eusebio nella sua Storia ecclesiastica, attesta che aveva visto personalmente, davanti alla casa
dell’emorroissa guarita da Gesù, nella città di Paneas o Cesarea di Filippo, una statua del Salvatore in bronzo
voluta in segno di gratitudine: “Su un alto masso davanti alla porta di casa, già abitazione dell’emorroissa, si
erge una statua di bronzo di una donna che piega il ginocchio, con le mani protese nell’atteggiamento di
persona che implora; dirimpetto ad essa, si erge un’altra immagine della medesima materia riproducente un
uomo in piedi, che splendidamente avvolto in un manto, tende la mano alla donna… Si dice che tale statua
raffigura Gesù. È rimasta fino ai nostri giorni; l’abbiamo veduta con i nostri occhi, nel nostro soggiorno in
quella città” (Eusebio, Storia Ecclesiastica, VII, 18)
3
Catechismo della Chiesa Cattolica, Parte seconda. La Celebrazione del mistero cristiano.

2
detto solo di Simeone, ma di tutto il genere umano… ogni anima che toccherà la carne del
sacrificio sarà santificata” 4. Balthasar commenta così questo passaggio: “Il contatto con il
quale Gesù guariva era, dunque, come i suoi miracoli, il simbolo di un contatto più
spirituale; la forza di una guarigione… l’emorroissa ha compreso il senso definitivo di
questa legge antica: ogni anima deve toccare questa carne salvifica e, facendolo con fede,
toccherà attraverso di essa il divino” 5.
Queste brevi considerazioni, comunque, introducono con maggior convinzione a
trattare in modo privilegiato il tema del mistero. D’altronde, è una categoria talmente
onnicomprensiva che raccoglie in sé l’esistenza di ognuno, il rapporto interpersonale, la
relazione con Dio e il creato… insomma, tutto sembra essere avvolto dal mistero. Si può
affermare che cresce tanto più si manifesta. Non ha avuto ragione chi ha voluto relegare il
mistero nello spazio dell'irrazionalità. Il mistero, infatti, lo si comprende; la verità che
contiene viene percepita e intuita e nell'amore viene accolta nell’intimo della persona. Più
la verità si affaccia come mistero e più la persona è posta nella condizione di entrare in
esso e di comprendere la propria esistenza.

Il mistero nella cultura di internet

Non è difficile verificare presso il nostro contemporaneo una reazione contraddittoria


nei confronti del mistero. In alcuni casi, si potrebbe parlare perfino di allergia. La cosa,
tuttavia, stride ancora di più se si verificano i dati secondo i quali vi è una rincorsa verso il
mondo esoterico, ed espressioni ormai di superstizione che stridono con la cultura
scientifica dei nostri giorni. Lasciata alle spalle una concezione numinosa del mondo, il
nostro contemporaneo sembra intravedere solo spazi per la comprensione razionale di sé e
del mondo. La scienza e la tecnica inseriscono sempre più in orizzonti che fino a ieri
sembravano impossibili raggiungere. Eppure, più ci si addentra nell'appropriazione
dell’universo, più diventa pressante la domanda circa il senso e la cultura che sostiene
questa visione dell’uomo e del mondo. A un uomo sempre più sottoposto al predominio
della tecnologia che, lo si voglia o no, determina a vari livelli le fasi fondamentali della vita,
il riferimento alla scienza, e alla tecnologia che ne è la figlia primogenita, diventa immediato
e quasi istintivo. La “robotica” assume sempre più potere fino a stabilire, anche per via
legislativa, quando si è in presenza della vita e della morte, quando si può fecondare una
cellula e quando si possono asportare gli organi. In tutto questo orizzonte, il mistero
dell’esistenza personale svanisce dinanzi al potere della tecnica, a tal punto che l’entusiasmo
per la bellezza delle emozioni sembra venire sempre meno, e l’uomo si ritrova succube di

4
Citato da H. U. von Balthasar, Parola e mistero in Origene, Milano 1972 (or. 1957), 64.
5
Ibidem.

3
oggetti diventati ormai come una protesi insostituibile, incapace di reagire per ritrovare
quelle espressioni di umanità che ne garantiscono la sua unicità in mezzo al creato.
Eppure, la domanda sul senso della vita: “chi sono io in questo mondo?” “dove sto
andando errando, e verso quale obiettivo?”; “esiste ancora la possibilità di amare ed essere
amato per sempre?”, rimane imperterrita, senza possibilità di poterla rimuovere se non per
la spazio di qualche momento. L’assillo nell’utilizzo di strumenti tecnologici e l’influenza
sulla propria vita non possono che accrescere la domanda di senso e del mistero che avvolge
ogni esistenza personale. Tutto questo spinge ad affermare con maggior convinzione che
l'uomo del XXI secolo, pur essendo un impenitente razionalista soprattutto nella cultura
tecnicizzata, sente il bisogno del mistero e dell'ineffabile; lo percepisce con lucidità a volte lo
contempla e riconosce di avere con esso un legame che niente e nessuno potranno mai
spezzare.
Il valore della tecnica e la sua supremazia acquisita nel tempo, fino a identificare
questi tempi come quelli della tecnocrazia, può ridimensionarsi se si passa con forza alla
presenza del mistero che obbliga a interrogativi a cui la tecnica e la scienza non possono né
devono rispondere. Per alcuni versi, proprio dinanzi ai drammi che l'umanità sperimenta
dinanzi alla potenza del creato, la tecnica mostra la sua impotenza, la sua debolezza e il
suo stesso limite. La scienza e la tecnica, a onor del vero, studiano per limitare i danni;
creano strumenti in grado di poter prevenire e difendersi… eppure, nonostante questo, la
natura diventa spesso portatrice di morte inaspettata, soprattutto nei confronti di migliaia
di vite innocenti. Se, da una parte, quindi, la scienza compie progressi, e la tecnica crea
condizioni per migliorare la vita, dall’altra si mostra in maniera ancora più drammatica la
debolezza che è compagna dell’esistenza umana e che non risparmia nessuno dal limite e
dalla contraddizione.
La verità del mistero, pertanto, può essere accolta solo se si inserisce la ragione
fondamentale del mistero stesso: l'amore. Senza l’amore che sa cogliere il limite ma nello
stesso tempo permette di andare oltre, rimarrebbe solo l'irrazionalità del rifiuto. Il
dilemma, pertanto, corre tra l’accettazione del mistero o il suo rifiuto. Sappiamo che solo la
conquista della verità, alla fine, permette di avere certezza e solidità. La vita non presenta
solo aspetti positivi che il progresso fa balenare davanti agli occhi; spesso, quelli negativi
sembrano avere la meglio. Porsi dinanzi al mistero, sapendo che è una verità che viene
fatta conoscere e che nell'amore incontra e progetta il futuro, permette di fondare
l’esistenza personale sulla solidità della roccia e non sull'effimero della sabbia. Niente
come il mistero, d'altronde, consente di avere uno spazio infinito che si apre alla pienezza
della verità. Chi lo accoglie giunge alla certezza che la verità sperimentata è sempre molto
più grande e onnicomprensiva di quanto riesce a esprimere. La verità del mistero non
opprime né schiaccia l'esistenza, ma le permette quel necessario scatto di reni per avere

4
accesso a Dio, verità prima e per questo ultima, che nell'amore rivela se stesso e il senso
del suo amore, origine di ogni verità e paradigma di ogni amore.
Il mistero, dunque, appartiene all’uomo e l’uomo si affida al mistero per trovare
una risposta che sia carica di senso, senza lasciarlo nel vuoto dell’incertezza che crea
paura. Alla stessa stregua, impedisce di cadere nelle mani di un pensiero che pretende di
spiegare tutto, senza neppure essere in grado di comprendere fino in fondo cosa sia ciò che
lui stesso sta pensando e riflettendo.

La conoscenza del mistero

“Chi persegue con venerazione l'infinito, anche se non arriverà mai alla fine,
progredirà sempre mentre cammina” 6. Sono le parole di Ilario nel suo trattato De Trinitate.
In poche battute viene delineato il percorso a cui giunge il credente quando si pone
dinanzi al grande mistero della sua fede: Dio uno e trino. Chissà per quale strano motivo
la parabola dei talenti ha trovato sempre un’interpretazione piuttosto estrinseca; come se
Gesù volesse parlare di qualcosa di materiale che ci viene consegnato. In effetti, il più delle
volte abbiamo sempre sentito la spiegazione che i talenti sono i doni che sono stati fatti e
di cui si deve pazientemente e con arguzia avere cura per restituire a tempo debito quanto
si è realizzato. E’ vero, che questa spiegazione si impone per la logica della parabola. Essa
ha lo scopo di insegnare ai discepoli di Cristo che nell’attesa della sua venuta sono
chiamati a essere attivi nel trasformare il mondo. Eppure, è pur sempre vero che la
parabola parla del “regno dei cieli” (cfr. Mt 25,1); quindi, di un mistero che è posto dinanzi
a noi perché ne tentiamo di conoscere sempre di più la ricchezza attraverso la nostra attiva
partecipazione. In questo senso, mi piace vedere nei “talenti” che sono stati affidati ai
servi, non solo qualcosa che tocca le nostre qualità e i carismi, ma in primo luogo la
ricchezza della conoscenza che possiamo avere del mistero di Gesù Cristo. A ciascuno ne
viene data in misura differente, ma ciò che conta è l'uso che ne facciamo e la condivisione
che siamo chiamati a realizzare.
Rimane attuale, pertanto, l'invito di Ambrogio: “Abbi fiducia non nelle tue opere,
ma nella grazia di Cristo… questa non è presunzione, ma fede. Proclamare ciò che hai
ricevuto, non è superbia, ma ossequio. Leva dunque i tuoi occhi al Padre che ti ha generato
per mezzo del lavacro” 7. Siamo in presenza di un ulteriore richiamo ai contenuti della
seconda parte del Catechismo della Chiesa Cattolica. Il battesimo che ha immesso nel credente
la vita nuova di Dio, tanto da poterlo riconoscere e chiamare “Padre”, è impegno a una

6
Ilario, De Trinitate, II,10; citato da Tommaso nella Summa Contra Gentiles, I,8.
7
Ambrogio, De Sacramentis, V, 4,19.

5
conoscenza sempre più profonda del mistero che è stato messo in noi per giungere fino
alla sua contemplazione.
Con sorprendente attualità ritornano le parole cariche di significato che la Gaudium
et spes ha posto come chiave interpretativa del suo multiforme insegnamento: “In realtà
solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo… Cristo,
proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo
all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (GS 22). Tutto ruota intorno al “mistero”:
quello di Cristo, quello del Padre, quello dell’amore trinitario, quello dell’uomo… tutto è
inserito nel mistero e trova in esso la sua comprensione più coerente e definitiva. Non
possiamo quindi allontanarci dal mistero né avere timore di pronunciarlo all’inizio del
nostro cammino di fede. “Mistero” è la parola iniziale non finale, quando spaesati e
frastornati poiché si è affidato tutto alla sola ragione di voler comprendere, si vuole
concludere che è “mistero”. Quanto questo atteggiamento allontani e contraddica la realtà
stessa del mistero cristiano è facile mostralo.
Sorge spontanea, pertanto, la domanda: cos'è il mistero? Una possibile risposta la si
trova se ci si addentra nell'analisi di almeno due orizzonti: l'esistenza personale e la rivelazione.

La contemplazione del mistero

La costituzione Dei Verbum ha ben chiarificato questo concetto quando, volendo


spiegare il “mistero” della rivelazione, afferma che questo si realizza con “eventi e parole
intimamente connessi, in modo che le opere compiute da Dio nella storia della salvezza
manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano
le opere e fanno emergere il mistero in esse contenuto” 8.
La Sacra Scrittura permette di entrare maggiormente in profondità quanto la
costituzione conciliare ha affermato. In essa si trova una ricchezza di significati intorno
all'unico termine “mistero” perché, come ogni forma basilare propria del mondo antico e
orientale, il mistero non è una speculazione dell'intelletto; quanto, piuttosto, un'azione, un
fatto, un'esperienza, un rito che viene celebrato. Un significato costante che abbraccia
l'Antico Testamento e il Nuovo Testamento è quello di mistero inteso come il progetto di
Dio che si realizza nella storia 9.
È soprattutto alle Lettere di Paolo a cui bisogna far riferimento per comprendere il
senso del mistero, la sua progressiva rivelazione e l’esistenza personale. E’ un fatto

8
DV 2. Traduciamo con «fanno emergere», piuttosto che «chiarificano» come nella traduzione dell'Enchiridion
Vaticanum (Bologna), il latino elucident, in modo da togliere l'equivoco sul carattere della chiarificazione che, in
parte, si riduce alla comprensione razionale, mentre di per sé è l'emergere della totalità del mistero della
persona di Gesù di Nazaret che si riflette nelle sue parole e opere.
9
Cf. G. Bornkamm "" in GLNT 686-716.

6
significativo che l’uso del termine trovi negli scritti dell’apostolo una certa consistenza. Per
21 volte ritorna in maniera costante, quasi a voler ribadire che il mystérion, è un punto di
riferimento ineliminabile per entrare nel merito della sua rivelazione della fede 10. Dai testi
di Paolo emerge quasi una “teologia” del mistero che si sviluppa attraverso alcune
sequenze. In primo luogo, il nascondimento. Questa dimensione si ritrova in quattro testi (1
Cor 2,7; Rm 16,25; Col 1,26; Ef 3,9), collegati con il verbo “nascondere/tacere” al participio
perfetto, per indicare che è una realtà del passato, i cui effetti comunque durano fino al
nostro presente. Nella lettera ai Corinzi, Paolo attesta che: “Annunziamo una sapienza
divina, avvolta nel mistero, che fu a lungo nascosta e che Dio ha preordinato prima dei
tempi per la nostra gloria” (1 Cor 2,7). La sapienza di Dio, insegna Paolo, è avvolta nel
mistero come se fosse un nascondimento che dura prima ancora del tempo, quando nel suo
disegno di salvezza Dio ha voluto salvare l’uomo e il creato attraverso la morte del Figlio.
Come si sa, i primi capitoli della lettera sono incentrati sulla predicazione dell’apostolo che
non ha altro contenuto se non quello della “parola della croce” (1,18), nella quale Gesù si
rivela come “sapienza di Dio” (1,24). Tutto l’annuncio del Vangelo non è altro che il
“mistero di Dio” (2,1). Paolo, e con lui ogni credente, sa che si troverà sempre dinanzi alle
“profondità di Dio”; eppure, non teme perché ha certezza che può entrare in esse e
scandagliarle “attraverso il dono dello Spirito” (2,10). La sapienza avvolta nel mistero,
quindi, è radicata in Dio da sempre, prima della creazione del mondo, e trova luce nel
mistero della croce che supera ogni logica umana.
Il testo della Lettera ai Romani aggiunge alcuni particolari che aiutano a comporre il
mosaico. Scrive l’apostolo: “A colui che può darvi stabilità nella condotta di vita conforme al
mio vangelo e all’annuncio di Gesù Cristo secondo la rivelazione del mistero taciuto per una
durata indeterminata (tempi eterni), ma reso noto adesso per mezzo delle scritture
profetiche secondo l’ordinamento stabilito da Dio eterno per portare l’obbedienza della fede
a tutte le nazioni” (Rm 16,25-26). Il testo non è un caso che sia inserito nella dossologia finale
della Lettera. Fa intendere, infatti, che questo contenuto era al centro della celebrazione nei
momenti forti della comunità. A differenza del testo precedente di Corinzi, qui il mistero
non è in relazione con Dio; si dice solo che era stato taciuto per “tempi eterni” se si vuole
tradurre alla lettera. Ancora viene a trovare un posto rilevante il silenzio che in questo caso
si rompe nel momento in cui si compie la rivelazione con la presenza del Logos. E,
comunque, il fatto che il verbo “tacere” sia utilizzato al participio perfetto, permette di dire
che il silenzio permane come la condizione necessaria anche dinanzi alla rivelazione
effettuata da Gesù, perché la profondità della sua parola permane come avvolta
permanentemente in un alveo di scoperta sotto l’azione dello Spirito, fino alla fine dei tempi.

10
Come osserva R. Penna, Il “mysterion” paolino, Brescia 1978, 17: “I testi superstiti e appartenenti ad un
omogeneo ambito semantico di profonda valenza teologica sono i tredici seguenti (qui presentati secondo
una probabile successione cronologica): 1 Cor 2,1.7; Rm 16,25; Col 1,26.27; 2,2; 4,3; Ef 1,9; 3,3.4.9; 5,32; 6,19”.

7
In tutti i testi in cui Paolo parla del mistero, comunque, è sempre accompagnato da
verbi di rivelazione (rivelare, far conoscere, manifestare, parlare…), per far comprendere
non solo che il mistero viene conosciuto, ma che deve essere anche partecipato e annunciato
agli altri. La dimensione dell’evangelizzazione è fortemente presente nell’esperienza del
mistero, perché obbliga i credenti alla testimonianza per rendere accessibile a tutti il mistero
di Dio fatto uomo che salva con il suo amore misericordioso.

Pregare il mistero

“Mistero della fede”. Nella semplicità dell'espressione la Chiesa proclama nella


liturgia ciò che ha di più prezioso e che conserva nello scorrere dei secoli come l'ultima
verità rivelata dal Padre. Il mistero è posto nel cuore della fede e ne costituisce il suo
fondamento insostituibile. Per paradossale che possa sembrare, quanto il termine raccoglie
in sé diventa, nello stesso tempo, contenuto da pregare. In maniera inesauribile, esso
permane come provocazione per una conoscenza sempre più profonda che spinge alla
contemplazione. Il mistero, in questo senso, si concretizza come la forma privilegiata
dell’orante che attinge alla ricchezza teologica e liturgica accumulata nei due millenni di
storia della Chiesa. Senza il mistero verrebbe meno il desiderio per una conoscenza
sempre nuova. Con il mistero, al contrario, la ragione sostenuta dalla fede entra nell’abisso
della conoscenza per comprendere quale sia “l’altezza, la larghezza e la profondità” (Ef
3,18) di quell’amore inesauribile che da millenni percorre la nostra storia, imprimendo
figure di alta spiritualità e santità.
La catechesi, pertanto, ha bisogno di radicare la sua esistenza nel mistero. Senza
questo termine essa sarebbe priva del fondamento e non potrebbe comunicare la ricchezza
della sua esperienza e del suo desiderio a formare una coscienza credente. La prima parola
che la catechesi dovrebbe pronunciare, quindi, è: mistero. Il catechista non può né deve
arrossire quando afferma di affondare la sua competenza nel mistero conosciuto e pregato.
Con ragione, Giovanni Paolo II poteva scrivere a tal proposito: “La conoscenza di fede,
non annulla il mistero; solo lo rende più evidente e lo manifesta come fatto essenziale per
la vita dell'uomo: Cristo Signore “rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela
anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”, che è quella di
partecipare al mistero della vita trinitaria di Dio” (FR 13).
Uno sguardo all’etimologia mostra con evidenza che il termine “mistero” è un mistero
a se stesso. Un testo di Aristofane (sec III a.C.), può orientare a comprendere la sua più
immediata derivazione: “Furono chiamati misteri per il fatto che chi udiva doveva
chiudere la bocca e non raccontare a nessuno nulla di tutto questo. μύειν infatti, vuol dire
chiudere la bocca”. Questo testo, insieme ad altre testimonianze che si ritrovano in Eraclito

8
ed Eschilo portano alla conclusione che con molta probabilità, il termine derivi la sua
semantica dal greco muein (μύειν) chiudere le labbra, e quindi tacere. In una parola, il
contenuto del mistero richiede il silenzio. In questo senso, acquistano tutto il loro valore le
parole sapienti del Santo Vescovo Ignazio quando scrivendo ai cristiani di Magnesia
affermava: “C’è un solo Dio che si è rivelato per mezzo di Gesù Cristo suo figlio, che è il
11
suo Verbo uscito dal silenzio” . Il mistero viene quindi celebrato. Il linguaggio più
coerente per esprimerlo diventa quello evocativo con il quale si rinvia sempre oltre ogni
parola pronunciata e ogni segno espresso. Con parole ancora cariche di significato il
vescovo Ignazio così invitava i credenti: “È meglio tacere ed essere, che dire e non essere.
È bello insegnare se chi parla opera. Uno solo è il maestro che ha detto e ha fatto e ciò che
tacendo ha fatto è degno del Padre. Chi possiede veramente la parola di Gesù può
avvertire anche il suo silenzio per essere perfetto, per compiere le cose di cui parla o di
essere conosciuto per le cose che tace” 12.
Con ragione, pertanto, il Catechismo della Chiesa Cattolica fa del mistero la sua
propria sintesi: “‘Grande è il mistero della fede’. La Chiesa lo professa nel Simbolo degli
Apostoli (parte prima) e lo celebra nella liturgia sacramentale (parte seconda), affinché la
vita dei fedeli sia conformata a Cristo nello Spirito Santo a gloria di Dio Padre (parte
terza). Questo mistero richiede quindi che i fedeli credano in esso, lo celebrino e di esso
vivano in una relazione viva e personale con il Dio vivo e vero. Tale relazione è la
preghiera” 13.

 Rino Fisichella

11
Ignazio di Antiochia, Ad Magnesis, VIII, 2.
12
Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini, XV, 1.
13
Catechismo della Chiesa Cattolica, 2558.

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