Sei sulla pagina 1di 9

V.

MEMORIA FIDEI: MEMORIA, EVENTO, PROFEZIA

Pierangelo Sequeri

La memoria Jesu è il primo e più fondamentale elemento costitutivo della memoria fidei della
Chiesa. Il ricordo dell’evento costituito da Gesù è il grembo nel quale si forma la fede confessante di
Lui, che lo riconosce come Figlio di Dio fatto uomo e si affida alla sua irrevocabile mediazione
salvifica: per sé e per ogni uomo. I depositari e custodi di questa memoria, per iniziativa di Gesù stesso,
sono gli Apostoli, attraverso i quali questa memoria dell’evento rivelatore viene trasmessa di
generazione in generazione e annunciata fino ai confini della terra: nella confessione della fede, nella
celebrazione del sacramento, nel cammino dei comandamenti, nella preghiera incessante (LF 40.45.46).
È impossibile condividere e comunicare la fede cristiana in Dio senza legarla alla memoria evangelica di
Gesù e alla memoria apostolica della fede in Lui, che le appartiene (DV 5.6).
In questa breve riflessione mi propongo di fare una serie di annotazioni (e di rettifiche) sul valore
metodologico di questa correlazione nell’esercizio della didaskalia della fede: ossia nella mediazione
catechetica del suo accesso e dei suoi contenuti (della fides qua e della fides quae).

La memoria Jesu come principio e norma: la rivelazione come evento inclusivo della fede apostolica.

La narrazione di Gesù istituisce il legame della fede cristiana col suo principio genetico. Faccio
notare subito che questo principio è identico per il kerygma e per il dogma. La narrazione di Gesù, cioè
l’attestazione dell’evento, è iscritta nel Credo, non soltanto nell’annuncio. Il dogma svolge la linea della
verità del kerygma, che implica la memoria Jesu, il kerygma restituisce la memoria fidei all’evento
fondatore della sua tradizione ecclesiale. L’ermeneutica cristiana di questa correlazione – nella
catechesi, come nella teologia – traccia il suo solco nella linea dell’oggettiva linearità del rimando
all’evento. Ciò significa che, per poterlo illuminare e anche per poterlo giustificare, deve anzitutto farlo

1
valere: metterlo in esercizio come chiave esplicativa, appropriarsene come orizzonte metodologico. Il
saggio di Josef Ratzinger/Benedetto XVI su Gesù di Nazaret inaugura la ripresa di questo esercizio
cristiano della correlazione di fede, ragione e narrazione. Esercizio caduto in disuso nella separazione
fra estrapolazione biografica di Gesù e sistema teorico della cristologia. Non si tratta di escludere dalla
pratica cristiana della teologia il confronto con l’approccio storico-critico, e tanto meno con
l’elaborazione degli enunciati cristologici. Si tratta di assicurare al legame dell’evento di Gesù e della
fede in Gesù la sua specifica dignità di evento e di principio, perché quel legame è l’accaduto. E quello
stesso legame è ciò a cui la fede cristiana, come principio e norma insostituibile e irrevocabile, tende sia
dal punto di vista della storia, sia dal punto di vista del dogma.
In questa prospettiva, la catechesi, e prima ancora la teologia, non deve cadere nella trappola di una
problematica che riflette livelli di discussione che stanno a valle di quel dispositivo e non possono
rappresentare la condizione pregiudiziale della sua applicazione.
Per fare degli esempi, non si può essere entusiasti dell’enfasi che la teologia pone sulla problematica
razionalistica del raccordo fra il cosiddetto Gesù storico e il Cristo della fede. Naturalmente sono ben
note le ragioni che hanno suscitato quel problema, che porta in campo molti aspetti degni di discussione,
ma anche molti presupposti puramente congetturali. Nessuno di quei livelli di discussione però impone
di apprezzare e di far apprezzare la memoria fidei partendo dal punto di vista di quella scissione. La
maggior parte delle impostazioni che accompagnano quella rappresentazione del problema, in realtà,
rimuove pregiudizialmente il rapporto che c’è sulla base dell’ipotesi che il rapporto non ci sia (o non ci
possa essere). In verità, quella problematica va piuttosto decostruita, nella sua distanza dalla struttura e
dal dinamismo dell’attestazione memoriale invece di essere posta alla base della sua ricostruzione. È
chiaro, infatti, che la fede porta alla luce significati il cui ordine di referenza oltrepassa le dimensioni
empiricamente apprezzabili dell’evento. Non c’è discussione su questo, ma questo non dice ancora nulla
circa la relazione determinata che esiste, nella tradizione della fede, fra la rivelazione di questi
significati che vi si illumina e la manifestazione dell’evento che si svolge storicamente. La scrittura
evangelica, per prima, indica il punto di sovrapposizione proprio in ciò che è storicamente accaduto fra
lui e i suoi, al cospetto di molti e nel continuo ripensamento della sua verità. La forma della scrittura
evangelica restituisce a futura memoria il dinamismo genetico della loro fede, che si intreccia con lo
svolgimento storico della manifestazione, e offre esplicite indicazioni di metodo per accedere al
carattere processuale – revisionistico e persino dialettico – di quella corrispondenza. Esiste un
dinamismo temporale, intrinseco e non aggirabile, della maturazione della fede: che comporta il
progressivo ripensamento della manifestazione e la continua conversione dell’immaginazione. Il

2
riconoscimento della rivelazione che istituisce la fede mette l’affezione degli apostoli di Gesù alla prova
della manifestazione; al tempo stesso, l’adesione del cuore alla manifestazione di Gesù consente di
affrontare i passaggi difficili del riconoscimento. La scrittura evangelica, proprio come gesto
intenzionale della chiesa apostolica, che iscrive la narrazione di questa memoria come momento
costitutivo della formazione cristiana della fede, restituisce l’evidenza di questo processo, senza
dissimularla, come canone per il discernimento di ogni storia possibile della fede.
La valorizzazione metodologica di questa consapevolezza iscritta nel dispositivo memoriale
originario della fede, mi pare ancora troppo esile nella pratica corrente. Questo vale per la teologia
fondamentale e per la teologia dogmatica e, forse, vale anche, nonostante l’apprezzabile arricchimento
biblico di questi decenni, per la catechesi.
Il tema fondamentale della pratica cognitiva che fa valere la correlazione della storia e della fede
attestata dalla memoria fidei è l’articolazione della manifestazione storica (la forma storica dell’evento)
e della rivelazione divina (la verità teologale dell’evento), perché la fede attesta lealmente di essersi
formata in questo modo e di potersi onestamente riformare proprio in questo modo. Il primo problema
della messa in opera della memoria fidei, pertanto, non è la dimostrazione della “storicità” di Gesù, per
uno sguardo storico condizionato dalla convinzione che la fede si muove in una sfera di produzione di
significati alienata rispetto l’effettività degli eventi. Questo diventa piuttosto il motivo di una
discussione integrativa, che dovrà affrontare direttamente la costituzione di quel pregiudizio,
discutendone la legittimità in ordine alla pertinenza fenomenologica della riduzione dell’evento che
deve essere decifrato: non la biografia documentale di Gesù o, separatamente, la convinzione ideale dei
discepoli, bensì l’accadimento di una iniziativa religiosamente anomala di Gesù che include il formarsi
di una risposta teologicamente improbabile dei discepoli. L’invenzione dell’anomalia religiosa non ha
motivo di formarsi: la pretesa di Gesù (“Io sono”) è religiosamente controproducente, non
religiosamente raccomandabile, per il testimone/profeta. La risposta teologale dei discepoli non ha
necessità di portarsi fino al compimento cristologico del suo azzardo (l’incarnazione irrevocabile del
Figlio eterno, che include l’inclusione della sua crocifissione come evento salvifico per gli uomini). Non
ne ha la necessità, se non perché essa è imposta dall’evento: che si interpreta in questo modo,
sottraendosi alla possibilità (del tutto realistica) di adattarsi ad altra – meno traumatica – interpretazione.

La memoria fidei come argomento della lealtà intellettuale e della coerenza teologica della
didaskalia.

3
Nell’ottica della memoria fidei, nessuno dei nodi di tensione tra forma della storica manifestazione e
pretesa cristologica della rivelazione è occultato (cf. Lc 24,13-35), ma al tempo stesso, quei nodi
vengono prospettati come una passaggio che deve – e può – essere riconosciuto e apprezzato come
portatore di un significato inedito e radicale della manifestazione di Dio. E vengono offerte, in quanto
sperimentate in prima persona, le condizioni che rendono possibile a chiunque la scoperta della
profonda coerenza di un disegno inatteso di rivelazione.
I termini costitutivi della memoria fidei sono riconosciuti come l’effetto coerente della memoria Jesu,
nella quale ritrovano, al tempo stesso, l’attestazione della loro inclusione nell’evento stesso di
rivelazione. La costituzione della fede, infatti, fa originariamente parte dell’evento della rivelazione di
Gesù: vi attinge il suo fondamento nel momento stesso in cui riconosce di essersi formata insieme con
l’accadere dell’evento. Dunque la fede che approda al riconoscimento cristologico di Gesù non vive
semplicemente di un’ermeneutica a posteriori rispetto all’evento: si comprende invece come il
dinamismo di un’esperienza e di un’adesione che si è formata insieme al suo accadere e in ragione del
suo accadere. Il luogo di questo rimando, e dunque la giustificazione della intrinseca correlazione fra
l’evento rivelatore, che suscita la fede, e la ripresa riflessiva, che ne svolge le implicazioni, è
precisamente la memoria fidei. Questa memoria non è un semplice ricordo dei fatti, è l’orizzonte
permanente del loro significato autentico. Non è una memoria ingenua: essa ricomprende in sé anche
tutti i passaggi attraverso i quali il credito rivolto a Gesù e l’attaccamento alla sua persona hanno dovuto
fronteggiare le proprie incomprensioni, le proprie resistenze, il dirottamento delle proprie attese (anche
le meglio intenzionate) e lo smarrimento dei loro fraintendimenti.
La scrittura evangelica della memoria Jesu, autorevolmente riconosciuta come canone divinamente
ispirato della memoria fidei, per ogni generazione a venire, deve essere apprezzata nell’insostituibilità
della sua forma. Il Credo cristiano si mantiene sul proprio asse in quanto integra questa memoria storica,
il dogma illumina la sua verità in quanto la interpreta senza sostituirsi ad essa. Quando l’assimilazione
del Credo e la comprensione del dogma perdessero il loro humus vitale in questa memoria, la fede e la
ragione del cristianesimo andrebbero perse insieme.
Inoltre, uno degli aspetti più emozionanti della scrittura evangelica è proprio la disarmata trasparenza
con la quale tutte le componenti di questa dialettica sono restituite all’evidenza della memoria fidei, per
tutte le generazioni a venire. È così poco frequentata la meditazione – anche teologica – di questo gesto,
che quasi mancano le parole per dirlo, nella lingua cristiana più corrente. La scrittura evangelica, nel
momento in cui si è formata, è stata riconosciuta come scrittura divinamente ispirata, occupando di

4
diritto il suo posto regale all’interno del canone apostolico della fede cristiana. Vuol che dire che senza
questa forma – ossia, senza la narrazione testimoniale della manifestazione in cui si è formata la fede e
riconosciuta la rivelazione – la fede non potrebbe rimanere sul suo fondamento. La struttura poi di
questa memoria immodificabile, attestante e attestata al tempo stesso, è la restituzione del dinamismo in
cui si è costituita la fede: che dunque dà ragione del suo rapporto determinato con l’evento storico di
rivelazione, perché tutti possano attingervi il filo rosso che consente tale approdo, e riconoscano la
posizione che di volta in volta occupano in questo itinerario.
La povertà della nostra immaginazione e della nostra profezia cristiana, nel discernimento dei segni
dei tempi e della posizione degli uomini nei confronti della fede cristologica, non dipendono forse dalla
debolezza di una teologia della fede che stenta ad integrare una fenomenologia sistematica dei molti
modi in cui il seme della fede fa la sua comparsa fra gli interlocutori di Gesù, ricevendone l’esatto
discernimento della sua grazia e l’indirizzo della sua maturazione?

La scrittura evangelica come dispositivo metodologico della correlazione fra storia di Gesù e
accesso alla fede.

La lealtà intellettuale che guida questa restituzione della memoria fidei apostolica non arretra di
fronte a nulla: ci racconta la storia delle approssimazioni riuscite e delle distanze che hanno dovuto
essere superate, a cominciare dagli Apostoli del Signore. L’atto della confessione della fede iscritto nella
tradizione apostolica della memoria fidei che si fa scrittura ispirata della memoria Jesu è roccioso tanto
quanto lo è l’onestà intellettuale e cristiana della confessione dei loro passaggi difficili attraverso le
acque. La memoria fidei ci insegna a riconoscere con quale forza l’evento del Signore sostiene la nostra
fede: è la stessa con la quale resiste ai nostri inevitabili tentativi di adattarlo alle confortevoli abitudini
del sacro condiviso fra gli uomini, e alle comprensibili regressioni di una fede che si adatta all’apologia
di se medesima.
Il canone evangelico della fede va dunque assunto come anche un prezioso dispositivo metodologico,
pieno di sottili istruzioni per il suo uso in funzione del dinamismo della fede, e non un semplice
repertorio di formule e di esempi, che possono essere citati per illustrare i contenuti dottrinali e morali
del cristianesimo. Memoria fidei e ratio fidei si intrecciano, nella ricostruzione della logica dell’evento
di rivelazione teologale, secondo la logica della manifestazione storica in cui esso si è costituito e
compiuto.

5
In questo senso, la struttura della memoria evangelica – un vero dono dello Spirito promesso da
Gesù! – non è semplice pro-memoria documentale, né puro manifesto dottrinale. Non è un commento
narrativo del Credo cristiano, è la restituzione del suo fondamento di verità, a disposizione per chi
voglia arrivarci e per chi voglia rimanervi fedele. Non è l’applicazione dell’invenzione dottrinale alla
memoria storica dell’evento, è la canonizzazione della memoria storica degli apostoli come regola
permanente del dogma. L’intera storia della tradizione ecclesiale, considerata come storia degli effetti –
dottrinali, sacramentali, esistenziali e sociali – di questo dispositivo del giudizio testimoniale della verità
rivelata, ossia della memoria fidei nei tempi della Chiesa cristiana, aprirebbe un orizzonte di grande
visione per il racconto dell’intera storia ecclesiale della tradizione.
A tale proposito, si offre un inciso che riguarda specificamente la catechesi. È un po’ singolare
l’irrilevanza di una tematica (e problematica) catechetica della storia della Chiesa e del cristianesimo.
Parlo naturalmente di una prospettiva specifica, in cui la trasmissione della fede comprenda la consegna
di un catechismo storico della fede cristiana, che metta in sintonia la memoria fidei originaria con la
storia dei suoi effetti nelle epoche del tempo della Chiesa sino ad ora, un catechismo leale e partecipe
della memoria fidei, proprio nello stile delle scritture evangeliche, un racconto che istruisca e affezioni a
riguardo delle luci e delle ombre di questa straordinaria vicenda, della quale siamo gli eredi e, in certo
modo, i responsabili. Dopo tutto, la memoria fidei è affidata a noi ora. Un cristiano deve sentire che
deve essere degno della testimonianza (e del martirio) di coloro che “ci hanno preceduto nel segno della
fede” e che deve anche accettare di portare il peso delle incongruenze che hanno segnato quella vicenda:
i suoi peccati gli ricordano che egli fa sempre parte anche di questo lato della storia. E tuttavia, è pur
sempre una storia alla quale si deve essere fieri e commossi di appartenere, un’eredità bella, della quale
essere grati alle generazioni che ci hanno preceduto. Non c’è solo una comunione spaziale della Chiesa,
che abbraccia le comunità sparse nel mondo; esiste anche una comunione temporale, che tiene viva la
genealogia della fede e rinsalda la fede e la speranza che – pur tra mille contraddizioni – sono
miracolosamente arrivate fino a noi. Di fatto, si ha l’impressione che la catechesi abbia meritoriamente
ritrovato e incorporato la vitalità dell’attestazione biblica della memoria fidei, impegnandosi a renderne
eloquente il rapporto con l’attualità esistenziale (e storico-sociale). Rifletto però sul carattere
problematico dell’assenza di una restituzione, essenziale ma complessiva, della storia ecclesiale
dell’evangelizzazione e della testimonianza ecclesiale. È come se l’odierna catechesi avesse ritrovato i
Vangeli, ma non fosse ancora arrivata agli Atti degli Apostoli. Mi sembra che, proprio in questo
momento, in cui sembra che siamo sollecitati – dentro e fuori – a prendere ogni distanza dalla memoria
fidei, per guardare al presente e al futuro, la coscienza credente potrebbe trarre sostegno e arricchimento,

6
dalla migliore confidenza con la storia effettiva della testimonianza ecclesiale, tanto più che questo
vuoto accumulato all’inizio, viene poi puntualmente occupato, per lo più con altri intenti, nei luoghi
dell’istruzione scolastica e della comunicazione sociale.
Il tema di questa rilettura kerygmatica della memoria fidei dal punto di vista degli effetti dell’evento
di Gesù Cristo nel tempo degli uomini e nei tempi della Chiesa, non è dunque da intendere come un
mero complemento apologetico e culturale della formazione cristiana, né deve ridursi a un semplice
esercizio di attualizzazione forzata, che pratica l’improvvisazione di una estemporanea applicazione del
Vangelo alla cronaca, come fosse immediatamente il discernimento dei segni dei tempi. Prima ancora,
ed essenzialmente, si tratta di riconciliare la fede con l’evidenza storicamente disponibile e collaudata
delle opere e dei doni di Dio e di come i migliori fra noi li hanno ricevuti, anche per noi.

Memoria, didascalia, profezia. L’esercizio della sapienza del sensus fidei circa l’avvento di Dio
nella storia.

L’ipotesi offre comunque lo spunto per aprire sinteticamente l’orizzonte di un ultimo aspetto della
memoria fidei, quello che è indicato nel titolo con il concetto biblico di profezia.
Nella teologia della modernità l’idea di profezia si è progressivamente appiattita sull’idea della
previsione del futuro; per contrasto, essa ha corso il rischio, uguale e contrario, di risolversi nella
semplice decifrazione del presente. Penso che la stessa profezia biblica sia adeguatamente compresa nel
momento in cui essa viene collocata nell’orizzonte di un pronunciamento della parola/giudizio di Dio
che accende una speciale connessione fra il passato, il presente e il futuro. Essa è al tempo stesso
memoria e immaginazione della fede, in cui risuona l’appello di un presente della storia in cui si decide
il nostro futuro con Dio. In questa prospettiva accenno – più in generale, ma anche più radicalmente – in
quale senso la memoria fidei istituisce il carattere intrinsecamente profetico della trasmissione della
fede: ossia del dinamismo temporale del suo formarsi e riformarsi nella storia.
Un primo aspetto riguarda la stretta connessione fra l’impegno di trasmissione della fede e di
purificazione della religione. La memoria fidei originaria è attraversata in tutta la sua lunghezza,
larghezza, altezza e profondità dalla nota caratterizzante di questa pulsazione. Non per caso, il primo
inquadramento della figura di Gesù, fra quelle disponibili per l’immaginazione religiosa contemporanea
a Gesù, è quella del profeta. E anzi, quella del profeta degli ultimi tempi (Elia), il profeta dei tempi
messianici in cui si ripresenta – in forma di compimento della promessa (Abramo) – la figura

7
dell’inviato del Dio liberatore di Israele, che ha esercitato una sorta di sovranità mediatrice dell’alleanza
(Mosè). La lezione di Paolo, che iscrive la dialettica del peccato e della grazia fin dentro la religione –
mai negata, eppure dichiarata non bastante a se stessa – trascrive genialmente uno degli assi portanti
della rivelazione cristologica di Gesù e non inventa affatto un cristianesimo “altro”. Il nesso fra la
trasmissione della fede e la passione per una religione pura e senza macchia non va da sé: non c’è che lo
Spirito, al quale ricorrere perché sostenga l’impresa. La memoria fidei, a partire dalla memoria Jesu,
deve sapersi allargare fino alla immemorabile ferita che ha introdotto nell’eredità della creazione il
sospetto nei confronti di Dio, l’incredulità nella benedizione del suo comandamento, l’attitudine ad
immaginarlo come il Faraone della storia. La ratio della conciliazione cercata dagli uomini – religio –
ne è stata inquinata. Un’ombra oscura e ambigua avvolge, sin dall’inizio, la percezione del sacro: dentro
la sua tradizione si affollano confusamente e dolorosamente, in modo per noi inestricabile, le ombre
della trascendenza divina e le ambiguità del limite umano. Si pensi, nel contesto attuale, quali potenze
oscure si avvolgono intorno al sacro, e quante ombre resistono al discernimento del suo mistero e del
suo senso. La memoria fidei incoraggia ad accettare e a sostenere la sfida. La critica religiosa della
religione, che solo la rivelazione del Figlio può indirizzare in Spirito e verità, è un compito sacrosanto
del dinamismo della fede. La religione non va da sé nelle mani dell’uomo e il sacro è anche l’habitat
delle astute potenze del peccato, alle quali Adamo aprì le porte dell’anima e della creazione di Dio. Solo
la grazia del Figlio Crocifisso priva della loro presa sulla nostra vulnerabile intimità e sui nostri corpi
mortali. La nostra battaglia, come dice Paolo, non è contro gli uomini, ma contro le “potenze” di fronte
alle quali tutti sono vulnerabili. Nella cura della trasmissione della fede autentica, che ha umiltà e
coraggio sufficienti per articolare sempre di nuovo la purificazione della religione, i credenti in Gesù
Cristo, mostrano di essere pronti a sottoporsi per primi all’appuntamento con questo esigente compito di
purificazione. Essi sanno di essere chiamati a completare in se stessi, “quello che manca” alla passione
del Signore. E che cosa manca? Nulla, se non questo, per l’appunto: ossia l’atto della fede che affronta,
per il corpo del Signore che è la Chiesa e per tutti i fratelli per i quali Cristo è morto, le ambiguità e le
torsioni della religione. Il discepolo stesso, se fraintende il Crocifisso, non vede più il Risorto. La
rivelazione del Signore diventa un racconto senza rivelazione, e l’annuncio della fede spegne la sua
profezia.
Nell’epoca presente, non può sfuggire la crucialità – e insieme la straordinaria bellezza – di questa
nuova trasparenza memoriale e profetica della trasmissione fede. Di per se stessa, questa coniugazione
del dinamismo della fede con lo spirito della profezia, mi sembra in grado di stabilire un saldo legame di
reciproco sostegno fra l’atto della catechesi e quello dell’evangelizzazione. È necessario tuttavia che

8
questa didaskalia della fede, istruita dalla memoria fidei, allarghi il suo orizzonte e articoli più
esplicitamente il suo linguaggio con quella memoria della creazione, e quell’immaginazione della
destinazione dell’uomo, che si riflettono nell’accadimento del Figlio fatto uomo.
Mi sembra la specifica necessità del momento attuale. Riabilitare questa memoria e questa
immaginazione, che vengono necessariamente da Dio, per coglierne il lampeggiare fra le pieghe delle
contraddizioni e degli smarrimenti dell’uomo secolare, ridiventa un compito istituzionale della
catechesi. La Chiesa si assume in questo modo la responsabilità dell’epoca secolare, dove l’umano è per
la prima volta diffidente della religione e indifferente al sacro: un uomo che è senza strumenti adeguati
per affrontare la diversità delle religioni e le mutazioni degli idoli un uomo che, proprio per questa
ragione, è del tutto inerme di fronte alle angosce e ai risentimenti indotti dalla crescente reticenza del
linguaggio pubblico sulle questioni del senso ultimo dell’essere-al-mondo. La trasmissione della fede e
la purificazione della religione devono rendere trasparente – in sacramenti e parabole adatte – il
profondo legame di Dio con l’origine e la destinazione dell’umano. La religione non è una provincia
aliena della storia del mondo e il discernimento del sacro è questione di vita o di morte, per i dolori e gli
amori dell’uomo. Dire la verità della fede dei credenti e dire la verità sulla vita per tutti, sono un unico
atto o non sono.
Non possiamo più semplicemente ripeterci, in una lingua che è domestica solo per noi: dobbiamo
trovare parole di vita eterna, non un gergo per la sopravvivenza. E non possiamo perdere la memoria
della fede apostolica, senza la quale saremmo semplicemente una provincia ideologica dell’impero
secolare. La memoria fidei riaccende ogni volta la percezione dell’eccedenza di Dio nella nostra storia, e
riapre il senso universale della comune origine e destinazione (LG 9). La mia convinzione è che quello
che ho indicato come dispositivo metodologico della memoria originaria, contiene la risposta a questa
domanda di correlazione, perché ne ha risolto, sin dall’inizio, l’alternativa – già allora apparentemente
obbligata – fra verità della rivelazione ed esperienza dell’evento.

Potrebbero piacerti anche