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Il cristianesimo a confronto
con le grandi religioni
(induismo, buddismo e islâm)
e le sètte.
Le ragioni della fede cristiana
(cf. 1 Pt 3,15)
Proprietà letteraria riservata dell’Autore
ISBN 88-89094-57-0
I - -
Abbreviazioni e sigle 7
ABBREVIAZIONI E SIGLE
VS GIOVANNI PAOLO II, Enc. Veritatis splendor, LEV, Città del Vati-
cano 1993
Ucoii Il Corano, a cura di H. Roberto Piccardo. Revisione e controllo
dottrinale delle comunità ed Organizzazioni islamiche in Italia,
Newton & Compton, Roma 20045
Watt W.M. WATT – A.T. WELCH, L’Islâm. Maometto e il Corano, Jaca
Boook, Milano 1981
Introduzione 11
INTRODUZIONE
1
Cf. PAOLO VI, Evangelii nuntiandi [EV] 54.
2
Cf. EE 7.
3
Ibid., n. 9. Già nella VS n. 88 e nella RM n. 32 il pontefice aveva osservato che spesso
si vive e si pensa «come se Dio non esistesse».
4
D. BROWN, Il codice da Vinci, Mondadori, Milano 2003.
5
C. AUGIAS – M. PESCE, Inchiesta su Gesù. Chi era l’uomo che cambiò il mondo, Mon-
dadori, Milano 2006.
6
P. ODIFREDDI, Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), Longa-
nesi, Milano 2007.
7
C. HITCHENS, Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, Einaudi, Torino
2007.
8
C.A. VIANO, Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni, Einaudi, Torino 2005.
9
R. DAWKINS, L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Mondadori, Milano 2007.
10
G. MUCCI, Dagli argomenti alle favole, in CivCat 158/3 (2007), pp. 390-398; cf. G. DE
ROSA, Un attacco alla fede cristiana, in ibid., 157/4 (2006), pp. 456-466; M. VERONESI,
Odifreddi, matematico fuori luogo, in «Studi Cattolici», 51 (2007), pp. 370-376.
12
11
Cf. I. MORALI, «De rationibus re-instituendi tractatum de Gratia». La teologia della
Grazia tra storia e prospettiva, in «Sapienza», 54 (2001), p. 39; M. CROCIATA, La teo-
logia delle religioni tra specializzazioni metodologiche, teologia fondamentale e dogma-
tica, in ID., Teologia delle religioni. La questione del metodo, Città Nuova – Facoltà
Teologica di Sicilia, Roma 2006, p. 290.
12
Gli interrogativi posti dalla teologia della religione – la quale, in quanto sapere teolo-
gico, ha come oggetto il significato del pluralismo religioso in una prospettiva cristiana,
per cui è formalmente distinta dal momento del dialogo – si suddividono in due ambiti che
danno vita a due metodi distinti e complementari: uno dogmatico e uno apologetico-fon-
damentale. Nell’ambito dogmatico ci si chiede, alla luce della fede in Gesù, salvatore
unico degli uomini, qual è il significato delle religioni nell’unico disegno salvifico di Dio;
quale il loro rapporto con Cristo e con la Chiesa, come il mistero pasquale agisce in esse
e come riconoscervi la presenza di Cristo; in definitiva, se e come possono essere pensate
come vie di mediazione salvifica. Sotto il versante apologetico-fondamentale, invece, che
si preoccupa di legittimare razionalmente la fede in un contesto di pluralismo religioso, le
domande principali sono due: qual è la specificità della rivelazione cristiana e, in ultima
analisi, qual è la vera religione? Il nostro studio si colloca proprio in questo peculiare am-
bito apologetico-fondamentale della teologia delle religioni.
Introduzione 13
13
GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, n. 46.
14
J. RATZINGER (Benedetto XVI), Gesù di Nazaret, Rizzoli, Milano 2007, pp. 339-340.
15
Ibid., p. 368. La fede nella divinità di Gesù, che rappresenta il cuore e la fonte di tutto
il messaggio evangelico, conosce oggi una profonda crisi che investe anche la teologia.
Basti considerare le «ambiguità» espresse in un’opera di J. Dupuis, dal titolo Verso una teo-
logia del pluralismo religioso (Queriniana, 1997) – oggetto di una Notificazione da parte
della CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione «Dominus Iesus» (6
agosto 2000). Documenti e studi, LEV, Città del Vaticano 2002, pp. 141-145 – e, ancora
più recentemente, agli «errori» di R. Haight – secondo cui Gesù è una creatura umana e
finita come noi e, conseguentemente, le persone della Trinità sarebbero solo metafore per-
ché contrarie all’unicità di Dio (cf. ID., Notificazione sul libro «Jesus Symbol of God» di
padre Roger Haight S.J., LEV, Città del Vaticano 2006) – e di J. Sobrino sulla distinzione
tra il Figlio e Gesù, sulla sua coscienza filiale, sul valore salvifico della sua morte, sulla
sua relazione con il Regno, ecc.: cf. ID., Notificazione, in «Il Regno-documenti», 52/7
(2007), pp. 225-232.
14
16
Cf. R. FISICHELLA, IV. La credibilità della rivelazione cristiana, in TF, vol. 2, p. 443; cf.
M. DI TORA, La teologia delle religioni. Bilanci e prospettive alla luce della «Dominus
Iesus», in «Sapienza», 58 (2005), pp. 7-8, 48-50; H. WALDENFELS, Il cristianesimo nella
disputa delle religioni intorno alla verità, in CTF, vol. 2, pp. 284-313.
17
Cf. A. BAUSANI, L’Islam, Garzanti, Milano 1999, pp. 69-93.
18
R. FISICHELLA, op. cit., pp. 449-450.
Introduzione 15
Dio, dell’uomo, della salvezza –– e quali sono i criteri per la verifica della sua
credibilità»19, che cioè ne attestino l’origine divina. Scrive A. Russo: «perché sono
cristiano? Quando ho scelto di esserlo? Tanti, prima o poi, si imbattono in
queste domande e si affaticano a cercare una risposta. Si tratta di questioni che
riposano nel fondo della coscienza, ma che riaffiorano periodicamente e creano
un intimo disagio […] La nostra fede non è stata frutto di una selezione operata
tra le altre possibili scelte. Quasi mai capita che un credente si trovi nella
condizione di esaminare con distacco varie proposte religiose e alla fine di
preferirne una, perché più convincente delle altre»20. Ancora più serrata è la
considerazione di G. Gäde: «la fede cristiana ci assegna, come singoli e come
Chiesa, il compito di render conto della nostra fede (cf. 1 Pt 3,15). Questo
compito fu sempre svolto dalla teologia fondamentale. Nei nostri giorni tale
compito si impone con maggio urgenza a causa dell’attuale pluralismo
religioso. Infatti non è solo la nostra religione cristiana ad avanzare una pretesa
assoluta di verità. Anche altre tradizioni religiose si presentano con unna simile
pretesa, promettendo la salvezza a coloro che vi aderiscono. Questa pretesa
costituisce una sfida per chiunque voglia poter vivere con sincerità la propria
religione. Come può il cristiano in questa situazione rendere conto della
ragionevolezza della sua fede e del perché egli non può aderire ad un’altra
religione? Con quale ragione rimango fedele al cristianesimo anche in un
contesto dominato da un’altra religione? […] Con quali criteri una persona in-
teressata alle religioni può dare o rifiutare il suo consenso a una pretesa di
verità religiosa? Davanti a questo problema ci si potrebbe abbandonare a criteri
mera- mente soggettivi, simili al gusto personale nell’ambito dell’arte […] La
teologia delle religioni […] non può accontentarsi di un utilitarismo e
soggettivismo religioso, ma si sentirà pur sempre impegnata dalla questione
della verità […] Essa dovrà perciò elaborare e mettere in evidenza dei criteri
che permettano di distinguere un’opzione religiosa da una scelta
semplicemente arbitraria e di conseguenza fideista»21.
19
M. DI TORA, op. cit., p. 11. Scrive H. WALDENFELS: «Di fronte alla molteplicità delle pro-
poste (dottrinali e di vita, religiose e no) sorge il problema della giusta via, mentre la ri-
duzione della verità al “vero per me” lascia aperta la questione se questa strada sia vera
per l’uno e quella lo sia per l’altro» (op. cit., p. 285). E ancora: «di fronte all’offerta plu-
rale di dottrine e di vie di salvezza non è possibile chiudere gli occhi all’interrogativa di
Pilato: che cos’è la verità» (ibid., p. 287).
20
A. RUSSO, Credibilità e significatività della fede, in «Rassegna di Teologia», 44 (2003),
p. 273.
21
G. GÄDE, La problematica del concetto di rivelazione come criterio epistemologico della
teologia fondamentale delle religioni, in «Rassegna di Teologia», 48 (2007), pp. 97-98.
16
Scrive quindi K. Ward: «non è possibile eludere il problema delle ragioni che
spingono ad adottare una particolare fede religiosa»22. Il cristiano è perciò invitato
a legittimare la propria fede nel Dio rivelato da Gesù Cristo indagando sulle moti-
vazioni per cui crede. La teologia fondamentale*, come accennato, recependo la più
genuina istanza dell’apologetica classica di rendere ragione della speranza cris-
tiana (cf. 1 Pt 3,15) –– dunque da non confondere con polemica, aggressività e
scontro –– è la disciplina teologica che si occupa di mostrare la credibilità della
rivelazione presentando le ragioni per cui si crede (cf. FR 67). Sottoponendo ad
analisi il contenuto della fede, la ragione, che si orienta alla ricerca della verità e
al senso ultimo dell’esistenza (cf. FR 12-15, 24-35, 81), scorgendo i segni della
presenza di Dio nella sua manifestazione in Cristo, acquisisce la consapevolezza di
essere realmente dinnanzi alla «testimonianza divina» «perché è Dio stesso che se
ne fa garante» (FR 13, cf. 7, 14, 49)23. Proprio perché in presenza del mistero di Dio
che si rivela e si comunica all’uomo, colui che è alla ricerca della verità (cf. FR 13,
33) può compiere il salto della fede oppure, nel caso in cui avesse già il dono della
fede, è in grado di giustificarla razionalmente. La fede è ragionevole perché può es-
sere legittimata dal punto di vista razionale. «So a chi ho creduto», esclama Paolo
(2 Tm 1,12). Animato dallo spirito di fede del salmo, «ho creduto, per questo ho par-
lato», Paolo aggiunge: «anche noi crediamo e perciò parliamo» (2 Cor 4,13). La
fede, per sua natura, si apre alla testimonianza e all’annunzio. Il destinatario della
teologia fondamentale è duplice: «il credente e l’altro. Al primo, si dovranno dare
le “ragioni” del suo credere; al secondo, i motivi per poter almeno prendere in con-
siderazione la sfida della fede»24. Scrive al riguardo von Balthasar: «l’apologetica
è già carica di tutta la dogmatica quando intraprendere il tentativo di rendere plau-
sibile e di avvicinare a colui che ancora non crede l’immagine della rivelazione
divina». E ancora: «fa buona apologetica colui che fa buona e centrale teologia:
colui che espone validamente la teologia ha fatto la migliore apologetica»25.
Nel nostro studio, che suppone già una sufficiente e ferrata preparazione del
lettore sulle ragioni della sua fede in Cristo, l’approccio al tema della credibilità
cristiana è condotto secondo il peculiare taglio dello studio comparato delle
religioni. Del resto, come ha suggerito Giovanni Paolo II, il confronto con le
religioni
22
K. WARD, Immagini di eternità. Concetti di Dio in cinque tradizioni religiose, Oscar
Mondadori, Milano 2001, p. 202.
23
Cf. C. GRECO, La Rivelazione. Fenomenologia, dottrina e credibilità, San Paolo, Cini-
sello Balsamo (MI) 2000, pp. 20, 265-266.
24
R. FISICHELLA, Introduzione alla Teologia fondamentale, Piemme, Casale Monferrato
(AL) 1992, p. 61; cf. p. 57.
25
Le citazioni sono tratta da ibid., p. 132; cf. pp. 56-57, 80, 143.
Introduzione 17
26
J. JONCHERAY – D. GIRA, I cristiani e le grandi religioni, ElleDiCi, Leumann (TO) 2000,
p. 14.
18
27
R. FISICHELLA, Introduzione…, cit., p. 146; cf. J. RATZINGER, Fede Verità Tolleranza. Il
cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003.
28
R. FISICHELLA, IV. La credibilità…, cit., p. 449.
Introduzione 19
proposte religiose avanzate dalle altre religioni, nonché dalle sue ragioni. Va no-
tato che in questo ambito, eccezione per qualche studio in tal senso, come quella
autorevole dal Catechismo degli adulti (CdA, nn. 581-606), e il volume-intervista
di Giovanni Paolo II (cf. Speranza, pp. 85-113), non si riscontrano opere che ab-
biano esplorato in modo sistematico il tema della legittimazione della fede in con-
testo di pluralismo religioso, mostrando come il messaggio cristiano sia il «più
convincente» dal momento che il suo proprium ed il suo novum è il Vangelo, dal
quale emana la forza dell’amore di Cristo29. La nostra ricerca si propone di col-
mare, almeno in parte, questa che, come abbiamo avuto modo di osservare, rapp-
resenta una vera e propria lacuna30. L’ausilio principale è costituito dai dati offerti
dalle discipline scientifiche –– quali la storia, la fenomenologia, la sociologia e
l’antropologia delle religioni* –– che si occupano del mondo delle religioni sec-
ondo il metodo empirico e avalutativo presentando così un quadro oggettivo per
una conoscenza adeguata delle rispettive tradizioni.
Se la prima sezione della seconda parte si propone di far emergere l’original-
ità del messaggio cristiano, nella seconda l’obiettivo è «discernere la rivelazione
divina da altri fenomeni» religiosi mediante il riconoscimento della credibilità cri-
stiana (FR 67). Si tratta di un’analisi senza dubbio più complessa giacché si dovrà
passare da un fase descrittiva a un’altra argomentativa. In essa si dovranno for-
mulare alcuni criteri razionali che permettano di stabilire i tratti della vera reli-
gione. Dal momento che solo il cristianesimo presenta i segni inequivocabili
dell’origine divina, la loro forza probativa garantisce la legittimità dell’adesione
di fede. Con l’evoluzione dalla apologetica alla fondamentale, l’istanza della de-
monstratio christiana è stata in gran parte abbandonata per lasciare posto ad una
valutazione delle religioni in chiave prevalentemente soteriologia31. Lo sforzo ul-
timo di questo saggio è proprio quello di riprendere questa tematica antica ma
sempre attuale così da offrire, in modo sistematico e organico, le principali ra-
gioni per le quali il credente si affida alla Parola di Gesù, che è «la via, la verità e
la vita» (Gv 14,6).
29
Cf. R. FISICHELLA, IV. La credibilità…, cit., pp. 455. 453.
30
Cf. M. DI TORA, Teologia delle religioni e islamologia. Osservazioni sulla relazione di
Giuseppe Rizzardi, in M. CROCIATA (ed.), op. cit., pp. 208-209; ID., La credibilità della ri-
velazione: Tommaso d’Aquino e l’attuale teologia fondamentale, in «Ho Theológos», 24
(2006), pp. 281-283. Il nostro saggio intende sviluppare, certo non in modo completo ed
esaustivo, le considerazioni finali abbozzate in questo articolo.
31
Cf. G. CANOBBIO, L’emergere dell’interesse per le religioni nella teologia cattolica del
Novecento, in M. CROCIATA (ed.), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive, Paoline,
Milano 2001, p. 19.
20 PARTE PRIMA
Per motivi di spazio non si potrà dare corso all’ultimo interrogativo posto a
tema dall’apologetica, con la demonstratio catholica, sulla vera Chiesa di Cristo.
Di fronte alla molteplicità di comunità cristiane che rivendicano la continuità con
la Chiesa fondata da Cristo, qual è quella che realmente risponde all’intenzione del
Nazareno, che ne interpreta fedelmente la Parola, e ne custodisce i canali della
grazia (i sacramenti)? Si badi bene che si tratta di una questione che non va con-
fusa con il cammino ecumenico. Se l’impegno ecumenico delle Chiese consiste
nello sforzo, sostenuto dallo Spirito, di giungere alla piena e visibile unità dei cre-
denti in Cristo, superandone gli ostacoli, la questione apologetica intende rispon-
dere ad una previa esigenza razionale connaturale alla fede: legittimare
l’appartenenza ad una determinata Chiesa, la cattolica, con il suo peculiare patri-
monio dottrinale, rituale ed etico. Durante le riflessioni sulla credibilità di Cristo
e sui miracoli si troveranno, comunque, utili spunti di riflessione.
Per finire, un’ultima annotazione. Visti i limiti imposti a questo lavoro, reso già
disagevole a motivo della complessità e la diversità del fenomeno da analizzare,
la ricerca dovrà tenere conto di due esigenze. Da un lato, quella dell’agilità e della
semplicità, così da essere comprensibile anche da un pubblico di non addetti ai la-
vori; dall’altro quella della documentazione, così da offrire un ampio materiale
per l’ulteriore approfondimento delle singole tematiche affrontate. Al fine di snel-
lire le pagine, la bibliografia ragionata è collocata nella sezione finale del volume.
Un asterisco “ * ” in grassetto lungo il testo ne segnalerà la presenza. Per facilitare
la consultazione, lo strumento bibliografico privilegerà le opere facilmente di-
sponibili in italiano. Un indice analitico finale permetterà di riprendere sistemati-
camente le principali tematiche trattate nelle loro articolazioni e nei loro intrecci.
AVVERTENZA
PARTE PRIMA
Capitolo primo
La dimostrazione dell’esistenza di Dio: creazione ed evoluzione
La nostra ricerca si apre con la prima sezione nella quale rifletteremo sulla
possibilità di dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio e sulle vie di cui disponi-
amo per giungere a tale conoscenza. Ma per coglierne la portata ed il significato
dobbiamo necessariamente richiamare e chiarire il significato del termine “fede”.
Solo allora potrà essere compresa non come il tentativo azzardato e irriverente di
sostituire la fede con la ragione, ma al contrario, di porre la ragione al servizio
della fede. Secondo la tradizione cattolica, infatti, espressa recentemente anche
dalla FR, il rapporto ragione-fede può esser così sintetizzato32:
32
Per ulteriori approfondimenti ci permettiamo di rinviare al nostro La credibilità della ri-
velazione. Tommaso d’Aquino…, cit.
22 PARTE PRIMA
puramente soggettiva –– essa in realtà si presenta ben più rispondete alle esigenze
della nostra ragione. Fede significa sostanzialmente affidarsi ad un persona cred-
ibile, affidabile, degna di fiducia, la quale ci trasmette le sue conoscenze, apprese
personalmente dalla realtà o da altri, la cui testimonianza è reputata attendibile
(cf. FR 30-33). La fede è una forma di conoscenza. Essa è ancorata impre-
scindibilmente all’oggettività della realtà e non va riferita immediatamente al
mondo della religione perché ogni giorno, a prescindere da ogni riferimento reli-
gioso, facciamo continuamente esperienza di fiducia riposta negli altri: dal tran-
viere al medico, dal droghiere al panettiere. Nell’alveo dei rapporti di fiducia di
natura sociale matura l’aspetto specifico della fede che è costituito dall’adesione
a una testimonianza o rivelazione trasmessa da altri. L’atto della fede, per essere
tale, e non un atto di credulità, richiede che si sia verificata previamente, implici-
tamente o esplicitamente, la credibilità di colui che parla. La fede suppone quindi
la perizia e l’onestà del testimone. Pertanto la fede implica necessariamente due
cose. Essa dice accoglienza di una testimonianza. E suppone come sua condizione
che si sia appurato che il testimone non si inganna e non ci inganna.
Ebbene, perché la rivelazione soprannaturale possa essere accettata come una
realtà che non si contrappone alla nostra capacità razionale di cogliere il vero, pur
essendone al di sopra, è necessario che si parta da questo concetto di fede –– e
quindi di rivelazione –– più ampio rispetto a quello propriamente religioso perché
anche la fede cristiana è, propriamente, una forma di conoscenza per testimonianza
(cf. 1 Gv 5,9; Lc 5,5; Mt 14,22-32) che si realizza sostanzialmente con le stesse re-
gole gnoseologiche della fede umana. La novità è data in particolare dalla grazia
che fa accogliere il mistero della vita intima di Dio.
La fede cristiana si presenta come l’adesione a Dio che si rivela in Cristo co-
municando la sua vita divina. Dal punto di vista biblico, la fede cristiana, come
quella umana, comincia con la fiducia in qualcuno che ci parla. È il momento
dell’“io credo in te”. Naturalmente, la condizione perché si possa instaurare questo
rapporto di fiducia è che si conosca la sua credibilità e la sua attendibilità. In sec-
ondo luogo, posta la fiducia nella sua persona, accettiamo quanto ci dice di sé o
della realtà che ha conosciuto personalmente. È il momento specifico della fede e
corrisponde all’“io credo che”. In terzo luogo, una fiducia profonda nella sua per-
sona comporta anche che ne seguiamo i consigli e i suggerimenti. È il momento
dell’ “io ti seguo”. Nella fede naturale questi tre momenti non sempre sono cop-
resenti. Ci fidiamo del pilota di aereo, ma non abbiamo neanche l’occasione di
scambiare con lui qualche parola. Crediamo ai giornalisti, ma non ne seguiamo i
suggerimenti personali. Ritroviamo questi tre aspetti simultaneamente nel quadro
dei nostri rapporti di fiducia con il medico di famiglia. Nella fede biblica, invece,
i tre aspetti sono sempre inscindibili e dicono orientamento a Cristo.
Dimostrazione dell’esistenza di Dio 23
33
Cf. B. MONDIN, Il problema di Dio. Filosofia della religione e Teologia filosofica, ESD,
Bologna 1999, p. 99.
34
S. Th., I, q.2, a.2 ad 2.
24 PARTE PRIMA
2. La scienza e Dio
Le vie razionali per risalire a Dio dalla realtà che ci circonda sono molteplici
e costellano tutta la storia del pensiero filosofico occidentale, dalle origini ai nos-
tri giorni36. Non rientra nei compiti della nostra ricerca ripercorrere tutte queste
tappe, né di esporre tutti gli argomenti a favore dell’esistenza di Dio. Preferiamo
35
Cf. S. Th., II-II, q.1, a.6 ad 1; ibid., aa. 6.8-10.
36
Cf. B. MONDIN, op. cit., pp. 101-125; E. BERTI, In principio era la meraviglia. Le grandi
questioni della filosofia antica, Laterza, Roma-Bari 2007; E. CORETH, Dio nel pensiero
filosofico, Queriniana, Brescia 2004; N. FISCHER, L’uomo alla ricerca di Dio. La domanda
dei filosofi (Biblioteca di Teologia Cattolica), Jaca Book, Milano 1997; R. LAURENTIN,
Dio esiste. Ecco le prove, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997; J. MÖLLER, Il problema
di Dio nella storia del pensiero europeo, in CTF, vol. 1, pp. 80-107 (qui pp. 81-83).
La specificità del cristianesimo 53
PARTE SECONDA
Capitolo primo
A. La specificità del cristianesimo
1. La religione
1.1 L’etimologia
Un primo approccio per la comprensione di cosa sia la religione ci viene offerto
dall’etimologia. Le due definizioni classiche, dalle quali si sono diramate tutte le
altre, ci sono state consegnate dalla tradizione latina e non trovano corrispondenza
nel greco o nelle lingue orientali. Il termine religione deriva dal verbo relegere o,
meno fondata dal punto di vista etimologico, dal verbo religare, a seconda del-
l’elemento centrale che si sottolinea.
Per Cicerone, la religione (relegere) era la scrupolosa venerazione degli dèi; per
la precisione è l’«accurata e rispettosa osservanza di ciò che attiene al culto degli
dèi» (De natura deorum, 2,72). Questo approccio alla religione corrispondeva al
suo mondo culturale nel quale l’atteggiamento religioso era posto in relazione con
la riverenza ed il timore da assumere nel rapportarsi con il sacro e il divino.
Le pratiche rituali romane tendevano non soltanto al culto delle divinità, ma
anche alla conservazione e al benessere della comunità nazionale e imperiale. I sa-
crifici venivano compiuti con minuziosa attenzione per ottenere il beneficio degli
dèi e la loro protezione.
Per converso, l’inottemperanza o la negligenza verso i doveri religiosi era per-
cepita non soltanto come una mancanza personale, ma soprattutto come un delitto
contro la comunità tutta perché «metteva in pericolo la protezione degli dèi, la
54 PARTE SECONDA
pax deorum»150. Ciò spiega, peraltro, lo scandalo provocato dai cristiani che si ri-
fiutavano di tributare il culto agli dèi.
Ancora più rilevante, per la comprensione della religione, è il concetto di
“sacro” che emerge da questo contesto culturale e religioso romano –– imparen-
tato con quello orientale a motivo della matrice comune delle popolazioni semi-
nomadi che dall’Asia centro occidentale invasero sia la Valle dell’Indo,
sottomettendo le popolazioni locali e dando vita alla prima fase dell’induismo, sia
il bacino mediterraneo –– e che viene assunto per definire l’ambito più ampio
della religiose stessa. Sacro è ciò che è separato da un mondo profano; è ciò che
intoccabile e inviolabile perché appartiene al mistero della trascendenza divina
che è tremenda e terrificante perché pone in discussione i fondamenti stessi del no-
stro essere151. Ma sacro è anche ciò che affascina e attrae, oltre ad essere carico di
valore. R. Otto, studiando le religioni, riassumerà i tre aspetti del sacro con il tre-
mendum, il fascinans e l’augustum.
Con Lattanzio il significato di religione slitta verso una concezione che nasce
dall’esperienza del cristianesimo. Religione è ora intesa come ripristino dei le-
gami interrotti tra l’uomo e Dio (religare).
Per Agostino, la religione è religere, ossia nuova scelta dei legami con Dio, o
rilettura nella grazia, dell’AT, o della creazione.
150
Guerra, p. 44.
151
Cf. A. ALESSI, Sui sentieri del sacro. Introduzione alla filosofia della religione (Bi-
blioteca di scienze religiose 135), LAS, Roma 2004, pp. 151.
152
Cf. Guerra, p. 11.
La specificità del cristianesimo 55
153
Le riprendo da M. DI TORA, Religione e salvezza. La prospettiva antropologica islamica
a confronto con quella cristiana, in M. CROCIATA (ed.), L’uomo al cospetto di Dio. La con-
dizione creaturale nelle religioni monoteiste, Città Nuova – Facoltà Teologica di Sicilia,
Roma 2004, pp. 313-352 (qui pp. 314-327).
154
Cf. C. GATTO TROCCHI, Antropologia culturale delle religioni, in «Euntes Docete», 55
(2002), p. 104.
155
Cf. Terrin, pp. 42-43.
156
cf. M. SCHELER, L’eterno nell’uomo, a cura di U. Pellegrino, Edizioni Logos, Roma
1991, p. 262; M. ELIADE, Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino 1976, pp.
30, 43.
157
I. KANT, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari 1960, p. 201.
56 PARTE SECONDA
158
G. VAN DER LEEUW, Fenomeologia della religione, Boringhieri, Torino 1975, p. 466.
159
Cf. Guerra, pp. 247-260.
La specificità del cristianesimo 57
160
Basti rimandare, al riguardo, ad O. AIME – M. OPERTI, Religione e religioni. Guida allo
studio del fenomeno religioso, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1999, pp. 220ss.
161
H. Küng, p. 6. Su come la salvezza viene interpretata nelle diverse religioni, si veda A.
AMATO, L’unicità della mediazione salvifica di Cristo: il dibattito contemporaneo, in M.
CROCIATA (ed.), Gesù Cristo e l’unicità della mediazione, Paoline, Milano 2000, pp. 13-
44 (qui pp. 13-18).
162
A. AMATO, op. cit., p. 14.
58 PARTE SECONDA
163
Cf. EdSpec, pp. 458-459.
164
Cf. A. ALESSI, op. cit., pp. 212-213.
La specificità del cristianesimo 59
Questa presentazione generale su ciò che sono le religioni, viste nella loro glo-
balità, ci permette di compiere ora il successivo passaggio che consiste nel porre
a confronto il cristianesimo con le altre tradizioni storiche. L’obiettivo di fondo è
165
Rimando a M. DI TORA, Religione e salvezza…, cit., pp. 339-350.
166
Cf. EV 53.
60 PARTE SECONDA
quello di evidenziare la specificità del cristianesimo rispetto alle altre tradizioni re-
ligiose, in particolare all’induismo, al buddismo e all’islam e, in definitiva, la sua
origine divina.
In questo contesto è opportuno presentare anzitutto un quadro generale delle
caratteristiche che il cristianesimo condivide con le altre tradizioni religiose. In
questo percorso saremo guidati soprattutto dalla storia comparata delle religioni
e dalla fenomenologia delle religioni.
Nello studio delle religioni gli elementi costitutivi il fenomeno religioso ven-
gono distinti in un versante oggettivo, rappresentato dal sacro e dal divino, e in un
altro soggettivo, comprendente gli atteggiamenti religiosi del soggetto religioso,
quali le credenze, i riti, la preghiere e le norme etiche, raggruppati sotto la voce
“esperienza religiosa” e studiati nella loro interdipendenza167. Il materiale raccolto
viene ordinato dalla fenomenologia secondo una prospettiva sistematica, anziché
storica, interrogandosi su cosa le religioni credono su Dio, sul male, sull’uomo,
ecc168. Inoltre, la fenomenologia classifica le religioni secondo alcune tipologie,
mutuate dalle scienze naturali, ponendo in luce ciò che è comune a diverse reli-
gioni e ciò che è unico e particolare di ciascuna di esse169. Ogni religione, infatti,
pone un accento particolare su qualche aspetto dell’esperienza religiosa, presen-
tandosi con la sua originalità. Dal momento che vi possono esser più di due ca-
ratteristiche costitutive comuni nel “tipo” in questione, ne consegue che una
religione può appartenere a più di un tipo. Anche la sociologia delle religioni clas-
sifica le religioni universali secondo taluni parametri sociali170.
Tra i diversi modelli tipologici della fenomenologia se ne distinguono soprat-
tutto quattro171.
A) Se si assume (come Van der Leeuw) il criterio del sentimento religioso
avremo le religioni dell’allontanamento e della fuga, come anche le religioni del
combattimento, ma anche le religioni del nulla e le religioni della volontà e del-
l’obbedienza.
B) Adottando il criterio dell’universalità possiamo distinguere in religioni na-
zionali –– o etniche, ossia le religioni legate ad un gruppo sociale –– e religioni
universali (Guerra).
C) In base al rapporto personale con il divino, le religioni mistiche e quelle
profetiche (F. Heiler).
167
Cf. O. AIME – M. OPERTI, op. cit., p. 209.
168
Cf. M. DHAVAMONY, Religione: fenomenologia, in DTF, p. 933.
169
Cf. ibid., pp. 932-933.
170
Cf. L.R. KURTZ, Le religioni nell’era della globalizzazione. Una prospettiva sociologica,
Il Mulino, Bologna 2000, pp. 39-75.
171
Cf. A. ALESSI, op. cit., pp. 43-81.
La specificità del cristianesimo 61
172
Cf. M. DHAVAMONY, op. cit., p. 935.
173
Cf. EdSpec, pp. 462-464; KüngC, pp. 39ss.
62 PARTE SECONDA
174
Cf. Guerra, pp. 41-50, 69-70.
175
P. FILIPPANI-RONCONI, L’induismo, Newton Compton, Roma 1994, p. 11; cf. Guerra,
pp. 69-70.
176
Guerra, p. 106.
177
Cf. C.W. TROLL, Missione e dialogo: l’incontro tra cristiani e musulmani, in CivCat
149/4 (1998), p. 390; W. WALDENFELS, Pluralità delle Religioni. Conseguenze e sfide per
la missione della Chiesa in Europa, in CivCat, 146/4 (1995), p. 52.
La specificità del cristianesimo 63
dismo è molto più paziente, le due religioni davvero concorrenti oggi sono solo il
cristianesimo e l’islam. Abbiamo notato come il processo di riformulazione della
propria identità religiosa è ciò che chiamiamo “conversione”. Ma cosa significa,
realmente, convertirsi? Si tratta di un’esperienza estremamente complessa, in-
fluenzata perlopiù da fattori ambientali e sociali piuttosto che da una dimostra-
zione della verità della religione cui si approda. Pur raramente tematizzata
sistematicamente, tuttavia possiamo tentare di segnalare la sua dinamica sotto due
versanti. Dal punto di vista psicologico, la conversione è il «mutamento perma-
nente dei propri orientamenti dottrinali ed etici»178 e quindi della propria perso-
nalità. Dal punto di vista sociologico, la conversione religiosa comporta una
rinascita interiore. Pertanto, «convertirsi significa entrare in un altro gruppo, un
altro partito, un’altra chiesa. E ogni gruppo vuole tutto per sé, vuole una fede in-
tegra, vuole totale dedizione, vuole l’abiura degli errori del passato»; la conver-
sione è perciò la rottura totale con il passato e l’acquisizione di nuova libertà dai
precedenti obblighi e doveri, tanto che, non raramente, conduce all’eccesso, verso
la conquista, all’intolleranza e al fanatismo179. La conversione, in definitiva, è
un’alterazione della propria identità, il «distaccarsi da uno specifico modello
d’identità ed il processo di adozione di un altro»180.
È tipico del cristianesimo, come dell’ebraismo e dell’islam, essere una reli-
gione profetica e rivelata, distinguendosi così dal tipo delle religioni mistiche in-
diane e sapienziali cinesi. I credenti di queste tre religioni ritengono che gli
insegnamenti ricevuti non sono frutto della saggezza umana, ma sono accolti come
rivelati da Dio. «L’iniziativa decisiva nell’evento salvifico è di Dio con il quale
l’uomo né forma per natura un’unità né diventa uno in virtù di un qualche sforzo
umano, ma “davanti” al quale (davanti al cui “volto”) egli agisce e al quale può
affidarsi nella fede. Ciò significa che a determinare fin dall’inizio il cristianesimo,
come già l’ebraismo e poi anche l’islamismo, non è una mistica dell’unità, come
in India, o un’armonia cosmica, come in Cina, ma […] l’incontro tra Dio e uomo.
Il cristianesimo, come le altre due religioni profetiche, è dunque una religione del
confronto tra Dio e uomo, tra il Dio santo e l’uomo peccatore. Ma in virtù della
parola di Dio rivolta all’uomo e della fede dell’uomo in Dio esso diventa una re-
ligione della comunicazione»181.
178
M. INTROVIGNE, Le nuove religioni, SugarCo, Milano 1989, p. 20.
179
F. ALBERONI, Valori, BUR Supersaggi, Milano 19973, pp. 98-102.
180
L. R. KURTZ, op. cit., pp. 151-152; cf. F. HEILER, Le religioni dell’umanità. Volume
di introduzione generale, Jaca Book, Milano 1985, p. 569.
181
KüngC, p. 39. Per un quadro sinottico sulle rispettive fonti della rivelazione, cf. KüngE,
p. 164
64 PARTE SECONDA
182
Su convergenze e differenze della figura di Abramo nelle dette religioni, si veda il qua-
dro sinottico presentato da KüngI, p. 73 e da KüngE, p. 34.
183
KüngC, p. 39.
184
Cf. M. DHAVAMONY, L’Indusimo, Cittadella, Assisi 1991, pp. 7-8. 10, 20-21.
185
Cf. Guerra, pp. 104, 108, 251-254.
186
KüngC, p. 39.
187
Per un confronto completo e autorevole sul rapporto ebraismo-cristianesimo si veda
PONTIFICIA COMMISSIO BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cri-
stiana, LEV, Città del Vaticano 2001.
La specificità del cristianesimo 65
l’islam, con la fede nella risurrezione dei morti, preceduta dal ritorno sulla terra
di Gesù che farà trionfare l’islam e sconfiggerà l’Anticristo188, sono religioni esca-
tologiche. In esse la storia «non è quindi pensata in base a cicli cosmici»189 circo-
lari, come in Oriente. La tradizione induista, infatti, ha del tempo e dell’universo
una visione ciclica nella quale ogni ciclo –– identico ai successivi –– è suddiviso
in quattro età, come nelle credenze babilonesi e greche190. Tutto deriva dal Brâh-
man e al termine di ogni ciclo cosmico, della durata di 4.320.000 anni umani, tutto
viene purificato e/o distrutto per fare ritorno alla sua sorgente. Per il cristiane-
simo, invece, «tutta la storia dell’umanità appare tendere in modo rettilineo verso
il compimento finale: la salvezza dell’umanità, riunita nella fede “cattolica” e cioè
universale nel Cristo. Per questo, a differenza di altre religioni universali come
l’induismo e il buddismo, il cristianesimo si realizza e non può non realizzarsi
nella storia»191.
Come ha mostrato H. Küng, le tre religioni profetiche presentano –– come ve-
dremo meglio in seguito –– un comune ethos fondamentale basato sulla parola e
sulla volontà di Dio192. Tale ethos condiviso potrebbe costituire un importante piat-
taforma per la formazione di un’etica mondiale.
188
Cf. R. TOTTOLI, I profeti biblici nella tradizione islamica, Paideia, Brescia 1999.
189
KüngC, p. 39
190
Cf. Guerra, pp. 79-80; Küng, pp. 223-224
191
G. FILORAMO, Cristianesimo, in G. FILORAMO – M. MASSENZIO – M. RAVERI – P. SCARPI,
Manuale di storia delle religioni, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 195-196.
192
Cf. KüngC, pp. 39-42.
193
EdSpec, p. 464.
194
H. KüngC, p. 27.
66 PARTE SECONDA
concetto, ma in una persona, che ancora oggi, con l’antico linguaggio, viene chia-
mata Cristo. Questa –– osserva il noto teologo –– è certamente una risposta ele-
mentare. Ma, come vedremo, questa risposta elementare si rivela estremamente
complessa nelle conseguenze per la teoria e la prassi»195. Quindi, «a differenza di
molte altre religioni, il cristianesimo sta e cade con una persona concreta, che sta
per una causa, per un intero cammino di vita: Gesù di Nazaret […] Questo costi-
tuisce la specificità del cristianesimo: non un principio, ma una figura vivente»196.
Precisamente, il cristianesimo nasce a partire dall’annuncio degli apostoli che, te-
stimoniando di averlo visto risorto dopo la sua morte per crocifissione (cf. At 2,32;
3,15; 12,30-31; 1 Cor 15,3-8.11), lo proclamano «innalzato alla destra di Dio» (At
2,33), che lo ha costituito «Signore e Cristo» (At 2,36). Nel battesimo ammini-
strato nel suo nome gli uomini possono ricevere la remissione dei peccati (cf. At
2,38). È la risurrezione di Gesù la sorgente di questa vita nuova, che è la salvezza
cristiana. A coloro che nella comunità cristiana ne mettevano in dubbio la storicità,
Paolo replicava: «se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi sete ancora
nei vostri peccati» (1 Cor 15,17). L’evento Cristo è dunque il fondamento su cui
si poggia il cristianesimo.
Spesso «la religione cristiana rischia di esser considerata una religione fra le
tante o di essere ridotta ad una pura etica sociale a servizio dell’uomo. Così non
sempre emerge la sua sconvolgente novità nella storia: essa è un “mistero”, è
l’evento del Figlio di Dio che si fa uomo e dà a quanti l’accolgono il “potere di di-
ventare figli di Dio” (Gv 1,12)»197. Giovanni Paolo II riprenderà questo concetto
nel già citato passaggio della TMA, laddove scriverà che la novità cristiana sta
nel fatto che «Cristo non si limita a parlare “a nome di Dio” come i profeti, ma è
Dio stesso che parla nel suo Verbo eterno fatto carne […] Con l’Incarnazione del
Verbo] non è soltanto l’uomo a cercare Dio, ma è Dio che viene in Persona a par-
lare di sé all’uomo e a mostrargli la via sulla quale è possibile raggiungerlo […]
Cristo è il compimento dell’anelito di tutte le religioni del mondo e, per ciò stesso,
ne è l’unico e definitivo approdo. Se da una parte Dio in Cristo parla di sé al-
l’umanità, dall’altra, nello stesso Cristo, l’umanità intera e tutta la creazione par-
lano di sé a Dio, anzi si donano a Dio. Tutto così ritorna al suo principio. Gesù
Cristo è la ricapitolazione di tutto (cf. Ef 1,10) e insieme il compimento di ogni
cosa in Dio: compimento che è gloria di Dio»198. Alla luce del principio dell’In-
195
Ibid., p. 29.
196
Ibid., p. 37 (corsivo mio).
197
GIOVANNI PAOLO II, Pastores dabo vobis, n. 46.
198
TMA 6.
La specificità del cristianesimo 67
carnazione, quindi, Gesù Cristo «è più che un fondatore di religione perché è Dio
stesso che viene ad abitare in mezzo a noi»199. È qui che troviamo la radice del-
l’unicità del mistero di Cristo e del cristianesimo. Nei capitoli successivi analiz-
zeremo nel dettaglio i risvolti dottrinali ed etici che scaturiscono da questa verità
centrale della fede cristiana e che costituiscono l’originalità della fede cristiana ri-
spetto alle altre tradizioni religiose.
Concludiamo questo paragrafo con alcune considerazioni che rannodano quanto
esposto sopra. Nel panorama religioso mondiale, il cristianesimo si presenta con
alcune caratteristiche che permettono di classificarlo come una religione che pre-
senta affinità con alcune tradizioni religiose e differenze con altre. Per i suoi con-
tenuti dottrinali, etici e spirituali è molto più vicino alle religioni dette
monoteistiche, come l’ebraismo e l’islam. E tuttavia, anche da esse si distingue
per una caratteristica che gli è propria: la presenza terrena del «Verbo che si è fatto
carne e ha posto la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14). Da questo punto di vista,
il cristianesimo, nella sua realtà più profonda, non è una religione. Non è cioè un
percorso di ricerca instaurato dagli uomini, mediante quelle istituzioni sociali che
sono le religioni storiche, le quali si protendono a tentoni (cf. At 17,26-27) verso
il trascendente o il divino. L’avvio dell’incontro con il Dio vivente è dato dall’ini-
ziativa di Dio che, nella pienezza dei tempi, ha inviato il suo Figlio, nato da donna,
perché ricevessimo l’adozione a figli (cf. Gal 4,4). Dio ci parla nel Figlio e per il
Figlio. Ed è il Figlio, fatto uomo, a rivelarci l’immagine del Padre. «Dio nessuno
l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rive-
lato» (Gv 1,18; cf. 14,6-11). L’incontro con Dio si innesta in una realtà umana che
è già orientata a Dio perché la religiosità, o la dimensione religiosa, è parte della
struttura costitutiva dell’essere umano. La fede cristiana, conseguentemente, ridi-
mensiona il concetto di sacro della fenomenologia delle religioni perché il mistero
di Dio non è più intoccabile, separato e inviolabile, ma si è reso accessibile tramite
l’Incarnazione del Verbo. Qui sta la radicale differenza tra il cristianesimo e le altre
forme di esperienza religiosa. Il cristianesimo, inoltre, non nasce, come nell’islam,
da un’idea monoteistica di Dio a-temporale (cf. Cor 7,172) che si sviluppa nella
storia come messaggio unico ricordato da tutti i profeti (cf. Cor 3,84), o dalla con-
sapevolezza dell’unità sostanziale tra il sé e il divino, come nell’induismo, o dalla
scoperta delle verità con le quali l’uomo raggiunge la liberazione della sofferenza
e dal dolore come nel buddismo, ma dall’irruzione di Dio nella storia degli uo-
mini. Si tratta di una irruzione nascosta, di un abbassamento (kénosi) (cf. Fil 2,5-
199
C. GEFFRÉ, Il mistero del pluralismo religioso nell’unico progetto di Dio. Fondamento
biblico e teologico, in M. CROCIATA (ed.), La teologia delle religioni.., cit., p.230.
68 PARTE SECONDA
8) che la espone all’indifferenza (cf. Lc 2,7) o, peggio, all’ostilità degli uomini (Mt
2,1-18; Gv 1,1.10-11). Ma è il mistero dell’Incarnazione. Ancora di più, l’atto di
nascita storica del cristianesimo è determinato dal fatto che il Rabbi crocifisso «è
risorto dai morti, come aveva detto» (Mt 28,5). L’iniziativa parte dal Nazareno (Gv
20,14.19.26) che si fa riconoscere (Lc 24,15-16.31; Gv 20,14.16) e raduna la sua
comunità attraverso la testimonianza degli apostoli mediante il suo Spirito (At 2,42-
48; 4,32-35; 10,41). Se non ci fosse stata la risurrezione e Gesù non si fosse mo-
strato vivo ai suoi discepoli, questi avrebbero passato il resto della loro vita nel
timore dei giudei e perciò si sarebbero presto dispersi. Il cristianesimo si sarebbe
trasformato in una reminiscenza di ricordi, appesantiti dal passato, di alcuni pe-
scatori che, dopo aver creduto nel Maestro di Galilea, si sarebbero ricreduti di
fronte al tragico evento della sua morte in croce. E sulla croce si sarebbero infrante
le ultime speranze di riscatto e di liberazione dal gioco romano (cf. Lc 24,18-21).
Invece, contro ogni previsione umana, Cristo è risorto di morti. Tramite il suo Spi-
rito (CCC 683-810, 1104-1112) incorpora i credenti a lui per mezzo dei sacramenti
della fede (cf. CCC 1084, 1113-1134, 1210-1212) –– a partire dal Battesimo (cf.
CCC 1267, 1694) –– comunicando loro la sua vita immortale. Cristo agisce ed è
presente nella sua Chiesa in molteplici forme: «nella sua Parola, nella preghiera
della Chiesa, “là dove sono due o tre riuniti” nel suo “nome” (Mt 18,20), nei po-
veri, nei malati, nei prigionieri, nei sacramenti di cui egli è l’autore, nel sacrificio
della messa e nella persona del ministro. Ma “soprattutto (è presente) sotto le spe-
cie eucaristiche”» (CCC 1373). Proprio perché nella liturgia (cf CCC 1066-1112)
Cristo si rende presente in modo speciale per ripresentare i frutti del suo Mistero
pasquale (CCC 1085, 1088, 1362-1368), associando sempre più a sé la Chiesa (cf.
CCC 1089) e santificando il mondo (cf. CCC 1325), le celebrazioni dei sacramenti,
e dell’Eucarestia in particolare, vanno comprese come momenti di grazia davvero
“sacri”, nel senso cristiano di straordinario, perché diversi dalle altre forme di
incontro con il Signore –– come ad esempio la preghiera personale –– e perciò
irrinunciabili. In esse si incrocia il movimento discendente, per il quale Cristo ri-
sorto si rende presente per essere incontrato –– come nel Cenacolo, a scadenza
settimanale (cf. Gv 20,19.26) –– comunicando il suo Spirito e la sua vita divina (cf.
Gv 20,22-23; At 9,31; Rm 5, 8), e dall’altro quello ascendente per cui il credente
esprime il proprio culto di adorazione e di lode a lui «e per lui al Padre nello Spi-
rito Santo» (CCC 1325). I credenti, poi, segnati dalla presenza dello Spirito (1 Cor
3,16; Rm 8), divenuti membra vive del Cristo (cf. 1 Cor 6,15-20) e rigenerati dalla
Parola di Dio (cf. 1 Pt 1,23), costituiscono le pietre vive che formano l’edificio
spirituale della Chiesa (cf. 1 Pt 2,4-5; 1 Cor 3,16-17; 2 Cor 6,16; Ef 2,20-22). È
questa la peculiarità del culto cristiano. Ciò che i cristiani offrono a Dio non sono
più solo gli elementi naturali (cf. CCC 1330, 1350, 1357, 1359-1361), come nelle
altre religioni, ma i loro «corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm
La specificità del cristianesimo 69
12,1), ormai luogo della dimora spirituale della presenza dello Spirito di Cristo. E
la lode a Dio Padre è offerta «per mezzo di Gesù Cristo» (2 Pt 2,5). «Tutto quello
che fate in parole ed opere –– esorta Paolo –– tutto si compia nel nome del Si-
gnore Gesù Cristo, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (Cor 3,17; cf. 1
Cor 10,31; 1 Pt 4,11). La lode del credente si innalza nello Spirito, principio del
nuovo culto (Gv 2,20-21; Rm 1,9), e nella verità della Parola di Gesù (Gv 8,31-32;
14,6). L’Eucarestia è, pertanto, il culto per eccellenza al Padre perché gli viene of-
ferto il bene assolutamente più prezioso: il Corpo e il Sangue di Cristo per la
salvezza del mondo (cf. CCC 1361, 1368, 1407, 1413.1418). Dal momento che
l’unico vero sacrificio gradito al Padre è quello del Cristo (cf. LG 28; SC 4,7), se-
condo la fede espressa anche nella liturgia, è importante trarre una conseguenza di
teologia delle religioni: il Sacrificio Eucaristico «porta alla perfezione tutti i ten-
tativi umani di offrire sacrifici» (CCC 1350; 614; 1149; 1545). Questi ultimi non
sono in grado di offrire la salvezza, che viene solo dalla croce e dal Nome di Gesù
(cf. At 4,12; 1 Tm 2,3-5; DI 5-15). E tuttavia, tramite la presenza di ciò che è vero,
buono e santo nelle religioni, in particolare in taluni sacrifici e preghiere, offerti con
animo sincero (cf. DI 21), «dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la pos-
sibilità di venire associato, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale» (GS
22; cf. DI 12,20-22).
Capitolo secondo
L’Incarnazione del Verbo
Se diamo uno sguardo d’insieme alla storia delle grandi tradizioni religiose
dell’umanità, il primo elemento che balza subito all’attenzione dell’osservatore è
che nella rivelazione cristiana il “fondatore”, Gesù Cristo, è la Parola stessa di
Dio fatta carne (cf. Gv 1,18). Per questo motivo Gesù «compie e completa la Ri-
velazione» (DV 4) ed è, allo stesso tempo, il messaggero ed il contenuto del mes-
saggio cristiano.
Questa considerazione, trascurata dalla storia delle religioni, la quale, come
tutte le scienze empiriche si astiene dall’esprimere giudizi di valore sulle religioni,
preferendo attestarsi su un piano di neutralità, è stata posta in particolare rilievo
dal fenomenologo A.N. Terrin: «Non c’è dubbio che il fatto della divinità di Cri-
sto nella religione cristiana è ciò che nell’arco dei secoli ha indotto a vedere nel
Cristianesimo il momento espressivo più altro di tutte le religioni. E infatti nes-
sun’altra religione rivendica un fondatore-Dio, un Dio che abbia assunto la forma
194 PARTE SECONDA
Proponiamo, infine, alla pagina seguente, un’altra tabella più generale, artico-
lata sulla distinzione tra religione monoteistiche e religioni orientali.
196 PARTE SECONDA
Fonte rielaborata: J. GAARDER – V. HELLERN – H. NOTAKER, Il libro delle religioni, tr. it.,
Neri Pozza, Vicenza 1999, p. 41.
Capitolo decimo
B. La vera religione e i criteri per riconoscerla