Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
CAPITOLO III
GLI ORDINI RELIGIOSI
3.2. Teatini
Chierici regolari con finalità riformatrici furono i teatini, così detti dal loro fondatore, l'ex vescovo di Chieti
(Theate) Gian Pietro Carafa e futuro papa Paolo IV. Oltre duecentocinquanta vescovi uscirono da questa
congregazione. Si dedicarono alla formazione di un clero alto locato molto prima che i decreti del concilio di Trento
venissero tradotti in pratica. Chierici regolari con un'importanza locale furono i barnabiti o Chierici regolari di San
Paolo (fondati da sant'Antonio Maria Zaccaria) e i somaschi (fondati da san Girolamo Emiliani). Tutte queste
fondazioni si proposero dichiaratamente di perseguire un ideale cristiano, indicato col concetto e col termine di
humanitas: cura dei bambini, delle vedove e degli orfani, cura dei malati di peste e dei feriti, servizio dei più poveri tra
i poveri. Qui dobbiamo menzionare anche l'inizio della formazione ecclesiale sistematica delle fanciulle: nel 1535
Angela Merici fondava le Orsoline.
3.3. Maurini
La riforma degli antichi ordini è legata per i benedettini, a Gregorio Cortese. La costituzione di questa
congregazione si riallacciò ad aspirazioni simili del secolo XV e fece scuola per unioni corrispondenti del secolo XVII
(congregazione dei maurini).
3.4. Cappuccini
Il modello di san Francesco dimostrò tutta la sua vitalità nella fondazione dell'ordine dei cappuccini (1525-28).
Motivi trainanti del nuovo ordine (autonomo dal 1527 e 1619) furono: 1. un rinnovato entusiasmo per la povertà: si
volle di nuovo seguire letteralmente la regola e il «testamento» del fondatore ed essere l'ordine religioso più povero e
piccolo di tutti; 2. una tendenza pronunciatamente eremitica, laicale e contemplativa; l'esperienza mistica di Dio era un
8
presupposto per un'attuazione coerente di questa forma povera di vita. Ciò conferì 3. una nota carismatica alla
predicazione apostolica penitenziale e itinerante; nei primi decenni fu praticata la predicazione entusiastica da parte di
laici, finché solo una minima parte dei frati, fu destinata alla cura d'anime, alle missioni tra il popolo e alla predicazione
missionaria. La predicazione cappuccina dei secoli XVII e XVIII, con il suo carattere popolare collegata a devozioni
popolari, processioni e rappresentazioni sensibili divenne un genere letterario. In tal modo si soddisfaceva una delle
istanze centrali del periodo della riforma protestante. 4. Questo movimento riformistico ascetico fu vicino ad ambienti
revivalistici ed entusiastici italiani. Matteo da Bascio fu efficacemente sostenuto da Vittoria Colonna, e dagli interventi
di donne ricche presso i papi se nelle difficili crisi dell'inizio non furono soppressi dalla curia. I primi cappuccini
dimostrarono 5. una pericolosa tendenza all'individualismo e alla ribellione (Ludovico di Fossombrone rifiutò di
obbedire al suo successore), a fuoriuscire dall'ordine (il fondatore Matteo da Bascio ritornò fra gli osservanti), anzi
all'apostasia dalla fede (il vicario generale Bernardino Ochino da Siena).
Questa relativa indipendenza permisero ai cappuccini di metter piede nelle regioni alpine della Svizzera (1589),
del Tirolo, della Baviera (1605), della Boemia (1618), dell'Austria interna (1619) e di Salisburgo (1593, Radstadt 1613),
con una organizzazione provinciale. Essi lavorarono come missionari nelle campagne e riuscirono a penetrare nel cuore
della società paesana. Essi rappresentarono anche nelle città un complemento eccellente al lavoro dei gesuiti. Data la
loro levatura spirituale e intellettuale e la loro origine, li troviamo presto anche in posizioni chiave della politica
ecclesiastica e della diplomazia, o alla testa della predicazione di crociate e dell'istruzione del popolo (san Lorenzo da
Brindisi, san Fedele da Sigmaringen).
3.5. Gesuiti
Il riconoscimento della Compagnia di Gesù da parte di Paolo III i1 27 settembre 1540 è una delle date principali
della recente storia della Chiesa. Il basco Íñigo di Loyola era stato gravemente ferito nel 1521 dai francesi durante
l'assedio di Pamplona. Durante il periodo trascorso a letto lesse libri intrisi di pietà certosina (Vita di Gesù di Ludolfo
di Sassonia) e visse un'esperienza di conversione. Nella solitudine di Manresa trova la sua identità spirituale e mistica
(Libro degli Esercizi). Giunto all'età di trent'anni, si sottopone con rigorosa auto disciplina. Nel 1534 a Parigi, emette
coi compagni i primi voti. Il gruppo di compagni è alla ricerca. Essi sognano un «passaggio» in Terra Santa. Circostanze
esteriori li trattengono in Italia, finché a Ignazio viene in mente di obbligare la sua comunità personalmente al papa con
un quarto voto. Ciò avveniva in un tempo in cui l'autorità morale del papato era gravemente scossa.
Questo riconoscimento e questa dedizione consapevole alla Chiesa gerarchicamente strutturata e al papato furono
messi a dura prova sotto Paolo IV. Il papa voleva che la Compagnia si adeguasse agli ordinamenti tradizionali del clero
(l'obbligo del coro, la vita comune, l'abito religioso, la clausura). Ignazio vide messa in pericolo la sua opera dall'autorità
suprema della Chiesa cattolica. Tuttavia già dal 1543 Pietro Canisio lavorava nell'impero come secondo «apostolo della
Germania», dal 1542 Francesco Saverio come un «secondo Paolo» in India. In tal modo erano stati lanciati dei segnali:
alla tumultuosa espansione della riforma protestante era stato posto un argine. Ecco alcuni tratti del profilo spirituale
della Compagnia di Gesù:
a) Servizio nel mondo e al mondo: il gesuita non porta inizialmente un proprio abito religioso. Qualsiasi «mezzo
mondano» (le scienze profane, l'architettura, la retorica, la politica) deve servire alla diffusione del regno di Dio. Un
lungo curriculum di studi costituisce il presupposto per la predicazione. I gesuiti integrarono l'umanesimo dell'evo
moderno nella propagatio fidei. Per essi la povertà non è fine a se stessa. Essi operarono anche secondo il «principio
dei moltiplicatori», in quanto mirarono intenzionalmente come missionari dell'alto medioevo alle classi politiche
dirigenti.
b) «Actio in contemplatione»: Ignazio esorta i suoi a camminare costantemente alla presenza di Dio in mezzo
all'attività incessante.
c) L'ideale dell'apostolo itinerante: nell'interesse della predicazione, il gesuita non doveva avere una dimora
fissa da alcuna parte. Sempre disponibile doveva essere capace di perseverare nella disciplina religiosa senza la
protezione di una vita comune.
d) L'«encomio» della Chiesa diventa un principio spirituale e teologico. Esso corrisponde alla visuale credente
d'una Chiesa peccatrice, che il cristiano sa malgrado tutto guidata dallo Spirito Santo. Troviamo in Ignazio una mistica
molto concreta della Chiesa e dell'ufficio. Qui il quarto voto trova il suo fondamento spirituale.
e) L'«obbedienza cadaverica» dei gesuiti fu affiancata da una sorprendente pratica della responsabilità
personale, dello sfruttamento delle qualità individuali e della libertà spirituale. L'ordine dei gesuiti fece la sua comparsa
nella storia, quando i dialoghi religiosi erano falliti, quando con Calvino era penetrato nel protestantesimo un momento
oltremodo militante. I gesuiti impersonarono il destino della cristianità dal 1555 al 1648.
A partire dal generalato di Claudio Acquaviva, la Compagnia di Gesù raddoppiò il numero dei suoi membri,
portandoli da 10.581 ai 23.000 del 1773, anno della sua soppressione. Con l'aiuto del primo assolutismo avevano salvato
la Chiesa cattolica e a motivo del tardo assolutismo delle potenze cattoliche furono soppressi dal Papa Clemente XIV,
9
fu un trionfo del complotto internazionale contro i gesuiti. Tutte le potenze cattoliche furono concordi nell'impedire
l'elezione di un sostenitore di questo ordine. Il nuovo papa, un francescano Conventuale, il 16 agosto del 1773, col
breve Dominus ac Redemptor, annuncio la soppressione dell'ordine. Gesuiti furono tollerati solo dalla Prussia calvinista
e dalla Russia ortodossa.
3.6. Trappisti
Le discussioni e le controversie degli ordini monastici rispecchiarono il dilemma del periodo della riforma
protestante. Ciò venne chiaramente in luce nel noto confronto tra i maurini OSB e il rigoroso monastero cistercense di
La Trappe. I benedettini di St. Germain-des-Prés di Parigi divennero il centro della congregazione dei maurini, che
cercò di risolvere grandiosi progetti scientifici comunitariamente e con una pianificazione a lungo termine, sullo stile
delle accademie. Uno dei superiori più meritevoli di tale congregazione fu Jean Mabillon, che editò tra l'altro le opere
di san Bernardo. Egli cadde in una violenta polemica col fondatore del futuro ordine dei trappisti, l'abate Armand-Jean
Le Bothillier de Rancé che divenne un celebre direttore spirituale, ebbe contatti con leader giansenisti e fu a sua volta
sospettato tale a motivo del suo rigore. Con la loro richiesta di una contemplazione pura, di un duro lavoro manuale e
di una continua pratica della penitenza fisica questi cistercensi volevano attuare lo spirito di san Bernardo.
3.7. Lazaristi
Dopo che il concilio di Trento aveva sollecitato la fondazione di seminari per la formazione dei sacerdoti, sorsero
congregazioni clericali come quella degli Eudisti e Saint-Sulpice o l'Holzhauer, le quali si assunsero il compito di
formare sotto il profilo ascetico e intellettuale un clero all'altezza delle esigenze del tempo.
Una fondazione fu la congregazione della «missione» o dei lazzaristi e del loro ramo femminile, le vincenzine
o figlie della Carità. Vincenzo de' Paoli fu un carismatico dell'amore del prossimo e della pastorale. Egli scoprì il suo
talento per le missioni popolari, che praticò in maniera pianificata e regolare in campagna. Il nome dato alla sua
fondazione deriva del lebbrosario di St. Lazare vicino a Parigi. Vincenzo istituì numerosi seminari tridentini e il suo
ordine arrivò alla fine a dirigerne quarantanove. Dopo la soppressione dei gesuiti, i lazzaristi presero in parte il loro
posto. Nel secolo XIX essi svilupparono una vivace attività missionaria. Nel 1873, essi furono perseguitati come «affini
ai gesuiti», cosa che riuscì a beneficio della loro attività d'oltremare.
3.8. Scolopi
Gli scolopi furono fondati da san Giuseppe Calasanzio. Nel 1597 il santo aprì la prima scuola elementare per
ragazzi gratuita d'Europa, cui nel corso del secolo XVII seguirono numerose altre scuole. L'ordine emise un quarto
voto, quello di dedicarsi all'educazione dei giovani. Soprattutto si accollò la conduzione di collegi e seminari, cercando
di assecondare le intenzioni di Trento e di far fronte ai bisogni dell'evo moderno nel campo dell'istruzione e della
formazione.
3.9. Camilliani
Camillo de Lellis con la sua società dei camilliani continuò gli ideali dell'andalusiano Giovanni di Dio
(fatebenefratelli). Fondò in Italia la moderna diaconia organizzata a favore dei malati e dei moribondi e si dedicò alla
loro cura pastorale. Originariamente clarissa, l'inglese Mary Ward si dedicò con umiltà eroica all'idea della formazione
della donna e della sua partecipazione all'apostolato, superando le grandissime difficoltà frapposte dall'autorità
ecclesiastica. Col suo istituto delle Dame inglesi ella cercò di applicare gli ideali di sant'Ignazio allo stile di vita delle
monache, anticipando propriamente l'idea degli istituti secolari.
3.10. Passionisti
La fondazione dei passionisti fu operata nel 1725 dal piemontese Paolo della Croce. L'ordine doveva predicare
con la parola e con l'esempio soprattutto la passione di Cristo. Diversamente dalla tradizione gesuitica, esso impose
anche l'obbligo del coro e coltivò intensamente la vita contemplativa. Si è quasi tentati di vedere in queste fondazioni
dell'era dell'illuminismo un'alternativa alla spiritualità gesuitica.
3.11. Redentoristi
Quale un giansenista cattolicizzato e un avversario del probabilismo gesuitico appare il fondatore dei redentoristi
(1735), il «Doctor zelantissimus» Alfonso Maria de Liguori. Nato a Napoli e laureatosi in legge egli operò con grande
zelo dedicandosi particolarmente al popolino, ma alla morte lasciò un ordine con duecento membri soltanto. I
redentoristi furono considerati dai governi ostili ai religiosi come gesuiti mascherati. Il loro grande momento sarebbe
venuto dopo la rivoluzione nel secolo XIX. Clemens Maria Hofbauer, l'apostolo di Vienna, li introdusse nel mondo
10
di lingua tedesca. La sua attività apostolica in Vienna in qualità di missionario popolare, confessore e ispiratore
spirituale di circoli tardoromantici, contribuì in misura sostanziale alla restaurazione religiosa dopo l'era napoleonica.
Come «Società dello Spirito Santo» (1703) per la conduzione di un seminario per bambini poveri di Parigi
furono inizialmente concepiti i futuri spiritani, fondati da Claude-Francois Poullart des Places. Quasi completamente
annientati dalla rivoluzione francese, essi risorsero nel 1841 ad opera di Paul Libermann, figlio di un rabbino, e
divennero una delle società più importanti per la missione in Africa e soprattutto per la cura spirituale degli
afroamericani. La crudele decimazione dei missionari da parte del clima inospitale non frenò l'eroico zelo missionario
di questa comunità di sacerdoti.
Riassumendo possiamo indicare i seguenti segni distintivi moderni a proposito di queste comunità religiose, solo
limitatamente «affini ai gesuiti»: base di partenza pastorale costituita da sacerdoti secolari, comunità sacerdotali di
lavoro e di vita comune, apostolato nei seminari e nella scuola, pastorale delle campagne, missioni popolari, pastorale
del confessionale come direzione spirituale, diaconia pratica, a differenza dei gesuiti un certo rigorismo in teologia
morale e nella condotta.
CAPITOLO IV
CHIESA NELL'ETA' DELL'ASSOLUTISMO
CAPITOLO V
CORRENTI RELIGIOSE DEL SEI E SETTECENTO
5.1. Il quietismo
Nella seconda metà del Seicento era arrivato a Roma dalla Spagna un giovane dottore in teologia, Michele
Molinos, per sostenere la causa di beatificazione di un sacerdote. La missione era fallita, ma l'abate era uno di quegli
uomini che sanno mantenersi sempre a galla, e nessuno pensò a rispedirlo a casa. Il Molinos nel 1675 ritenne giunto il
momento di pubblicare una sintesi del suo pensiero, La Guia espiritual. La sua fortuna crebbe coll'avvento al pontificato
di Innocenzo XI. Il nuovo pontefice, austero e dedito ad un'intensa vita di preghiera.
Non tutti erano ugualmente persuasi della bontà della nuova corrente, soprattutto per qualche abuso che sembrava
diffondersi fra i devoti del Molinos. C'era a Pomigliano d'Arco, una suora, discepola del Molinos che dopo uno
scandaloso e triviale alterco in pubblico continuava a comunicarsi senza essersi confessata. Soprattutto i gesuiti erano
preoccupati dei pericoli connessi con le dottrine del Molinos, nel 1680 usciva a Roma La concordia tra la fatica e la
quiete nell'orazione, I gesuiti erano ridotti al silenzio, e il Molinos, vide crescere i suoi figli spirituali, fra cui la stessa
ex regina di Svezia, Cristina, la figlia di Gustavo Adolfo.
Poi, la tempesta. Il 18 luglio 1685 si ferma dinanzi all'abitazione del Molinos la carrozza dell'Inquisizione. Roma
era divisa: i suoi discepoli annunciavano che fra poco sarebbe stato liberato come un santo, i gesuiti gongolavano, e
Cristina dichiarava: «Se è innocente uscirà giustificato, se reo sarà punito come merita». Innocenzo XI riconobbe di
essersi ingannato, e il 3 settembre 1687 alla Minerva fu proclamata la sentenza, che condannava Michele Molinos
all'ergastolo, proibiva i suoi libri e censurava come eretiche, sospette 68 tesi, estratte non dalla Guía espiritual ma dalle
sue lettere di direzione spirituale.
Il quietismo, la dottrina diffusa da Molinos, insegnava che per eliminare ogni ostacolo alla grazia e lasciare a
Dio il dominio assoluto delle nostre azioni, dobbiamo sopprimere più che sia possibile ogni nostra attività, agendo
soltanto nel caso di un manifesto intervento di Dio che ce lo comandi. Il pelagianesimo sosteneva che possiamo fare
tutto da soli, il quietismo invece che dobbiamo lasciar fare tutto a Dio. Perciò resistere alle tentazioni significa opporsi
ad uno stato voluto da Dio, che talora per umiliarci permette che il demonio ci faccia violenza, muovendo fisicamente
il nostro corpo, senza che questo costituisca peccato. Bisogna poi sopprimere ogni desiderio, anche buono e santo.
Infine, l'orazione perfetta è quella in cui non si compie alcun atto, ma ci si limita ad un senso confuso della presenza
divina. Inerte attesa della mozione divina, soppressione di ogni desiderio, orazione ridotta ad una specie di
annichilimento: ecco i tratti essenziali del quietismo, condannato da Innocenzo XI nel 1687 con la bolla «Coelestis
Pastor».
Fra le tesi condannate, varie affermano che non è bene resistere alle tentazioni, mezzo per purificare l'anima e
condurla all'unione; che non vi è bisogno di confessare eventuali atti contro la purezza, perché sono opera di Satana e
non del soggetto che le subisce: solo in questo modo si acquista e si conserva la pace.
Le nuove dottrine riapparvero pochi anni dopo in Francia. Madame Giovanna Guyon, affascinò con il suo
libriccino sulla preghiera non solo marchese e duchesse, ma anche un dotto vescovo, Fénelon, che si fidava ciecamente
delle virtù di quella donna. La Guyon ai principi professati dal Molinos aggiungeva una cosa sola: la perfezione esige
che si agisca con un amore del tutto disinteressato, che escluda ogni speranza, ogni timore, ogni interesse personale,
fosse pure quello della propria salvezza. Anche questa dottrina dell'amore completamente disinteressato fu condannata
dalla Chiesa: l'amore deve essere in noi il sentimento predominante, ma non esclude il timore e la speranza.
5.3. Il gallicanesimo
I contrasti fra Roma e Parigi, acquistarono particolare gravità quando davanti a Luigi XIV si trovò una personalità
energica come Innocenzo XI. Nel 1673 il re confermò ed estese a tutte le diocesi francesi il diritto di conferire gli uffici
ecclesiastici che non importavano cura d'anime durante la vacanza della sede (regalia spirituale). Innocenzo XI, protestò
con tre Brevi molto forti. Luigi XIV volle assicurarsi l'appoggio del clero e convocò un'assemblea del clero, che nel
1682 riconobbe valide le ragioni del re e approvò una dichiarazione redatta da Bossuet per ordine di Luigi XIV. I
quattro articoli approvati il 19 marzo 1682 sostengono l'indipendenza assoluta del re di Francia nelle questioni
temporali, la superiorità del concilio sul Papa secondo i decreti di Costanza, l'inviolabilità delle antiche e venerande
consuetudini della Chiesa gallicana, l'infallibilità del Papa condizionata dal consenso dell'episcopato. Luigi XIV
impose a tutte le scuole teologiche l'insegnamento dei quattro articoli. Innocenzo XI deplorò l'arrendevolezza
16
dell'episcopato francese, dichiarò nulle tutte le disposizioni sulla regalia spirituale, negò l'istituzione canonica ai
candidati all'episcopato che avevano preso parte alle riunioni del 1681-82, ma preferì non intervenire direttamente sul
valore dei quattro articoli. Per non mostrarsi debole, Luigi XIV rifiutò di domandare le bolle di istituzione canonica per
i nuovi candidati all'episcopato, finché i designati non l'avessero ricevuta: il risultato fu che in sei anni il numero delle
sedi vacanti si avvicinò alla quarantina. Il re Sole, non si preoccupò della censura, anzi per rappresaglia occupò i territori
che la S. Sede possedeva in Francia, Avignone e il Venosino, e presentò un appello al concilio.
Sotto i successori di Innocenzo XI, Alessandro VIII ed Innocenzo XII, si raggiunse un compromesso, facilitato
anche dalla critica situazione politica di Luigi XIV, esausto da tutte le guerre sostenute. Il re restituì i territori occupati,
ma non cedette sulla questione dei quattro articoli. Allora Alessandro VIII pubblicò la bolla che dichiarava nulli i quattro
articoli. Sotto Innocenzo XII Luigi XIV revocò l'ordine di insegnare le quattro tesi incriminate: il papa cedette
l'istituzione canonica ai candidati alle sedi vacanti, a condizione che dichiarassero almeno genericamente il loro
rincrescimento per l'accaduto. Il decreto sulle regalie non fu revocato; gli articoli continuarono ad essere insegnati in
molte università. La lotta si chiudeva con un compromesso fra le due parti.
5.4. Il Giuseppinismo
Il fine perseguito in politica ecclesiastica da Giuseppe II fu la piena dipendenza della Chiesa dallo Stato,
l'erezione d'una specie di Chiesa nazionale austriaca il più possibile indipendente da Roma. Con le sue riforme
ecclesiastiche egli intese sradicare la superstizione dalla coscienza del popolo. Giuseppe II cominciò le sue riforme
politico-ecclesiastiche nel 1781 con l'editto di tolleranza, che concedeva a luterani, calvinisti e greco-ortodossi pari
diritti civili e libertà di culto rispetto alla maggioranza cattolica. Alcune norme limitative (costruzione di campanili
accanto alle chiese luterane), dovevano continuare a garantire una preminenza della religione cattolico-romana. Un
atteggiamento tollerante Giuseppe II mostrò anche verso gli ebrei, a cui concesse pari diritti e libertà di religione e liberò
dal pedaggio personale e da alcune fastidiose limitazioni di movimento. Nel 1782 dispose la soppressione di tutti gli
ordini contemplativi, degli ordini mendicanti e di tutti i monasteri e conventi mal governati. I beni furono incamerati
dallo Stato e destinati a un «fondo religioso», che avrebbe dovuto servire a pagare le pensioni agli ex-religiosi e gli
stipendi ai parroci e ai cappellani. Fino al 1787 furono soppressi all'incirca 700-800 monasteri e conventi in Austria e
Ungheria.
Parallelamente alle soppressioni di monasteri e conventi procedettero le erezioni di parrocchie, sovvenzionate col
fondo religioso. La nuova suddivisione delle circoscrizioni parrocchiali cominciò nelle città. Vienna fu suddivisa in
nove parrocchie, mentre per i sobborghi ne furono previste diciannove. Le direttive dicevano che bisognava stabilire
una nuova stazione pastorale dove il cattivo stato delle strade rendeva difficile la frequenza della chiesa, dove la
lontananza dalla chiesa comportava un'ora di cammino e dove la comunità contava più di settecento persone. Tra il 1782
e il 1789 furono erette circa tremila duecento stazioni pastorali.
Nel campo sociale le parrocchie si videro assegnare compiti importanti. In particolare dovettero assumersi la cura
dei poveri, e a questo scopo fu fondata la confraternita «dell'amore fattivo del prossimo». L'imperatore suscitò malumore
quando nelle principali città del paese istituì seminari generali e mediante essi sottrasse la formazione del clero
diocesano ai vescovi. Lo studio della teologia ne trasse profitto, perché fu particolarmente incentivato o introdotto di
sana pianta lo studio delle scienze bibliche, della patristica, della storia della Chiesa e delle discipline pastorali. Il
sacerdote formato in questi istituti doveva concepirsi come un pastore d'anime, un maestro e un funzionario dello Stato
e attuare così l'ideale del «pastor bonus».
L'opposizione della popolazione crebbe quando l'imperatore cominciò a immischiarsi nelle questioni del culto e
a prescrivere la durata delle prediche e il numero delle candele. Data la sua avversione per le processioni, egli le ridusse
a due all'anno per parrocchia. Pure le sepolture cercò di semplificare e fece sostituire le bare con sacchi, una misura
penosa che dovette essere subito revocata. Anche la nuova regolamentazione dei giorni festivi. Nella regolamentazione
delle diocesi egli cercò di ottenere che i loro confini coincidessero con quelli del paese. Pure i membri dei due capitoli
della cattedrale furono nominati dall'imperatore.
17
CAPITOLO VII
LA RIVOLUZIONE FRANCESE
7.2. Presentazione
1. La rivoluzione francese è un avvenimento d'importanza storica anche nell'ambito della storia della Chiesa. Per
un duplice motivo: poiché segna la conclusione di sviluppi passati e pone le basi di nuove possibilità. Essa è insieme
catastrofe e crisi (positiva), mediante un unico atto: distruzione delle istituzioni medievali.
Per ciò che concerne la situazione storico-ecclesiastica dell'anno 1789 il fatto più importante era costituito dalla
stretta unione fra Chiesa e Stato. Essa si fondava:
a) sulla concezione centrale dell'esistenza e della coesistenza di due «società perfette», come pure nel
corrispondente regolamento giuridico.
b) sul patrimonio terriero della chiesa francese e nei proventi dei benefici maggiori. Questo processo era iniziato
nel Medioevo con l'investitura dei vescovadi di beni appartenenti ai principi della Corona. Sia l'ascesa della Chiesa al
potere, sia il movimento di reazione della nuova chiesa nazionale, inaugurato da Filippo IV, pur agendo in diversa
direzione ebbero lo stesso risultato: effettiva, stretta unione fra Chiesa e Stato. La Chiesa possedeva terre, finanze e
potenza politica. L'alto clero era una classe privilegiata: maggiori libertà e maggiori diritti di natura economica e politica,
meno oneri delle altre classi.
2. Portando alle sue ultime conseguenze la chiesa gallicana e ora illuministica, la rivoluzione francese abbatte
questo sistema: essa proclama l'uguaglianza di tutti gli uomini senza eccezione, essa ritira nelle mani dello Stato ogni
competenza per l'organizzazione della vita civile. Per principio la Chiesa non è più una società eguale, esiste una sola
società perfetta, lo Stato. Con la separazione tra potere temporale e potere religioso dei vescovi e con l'abolizione degli
antichi privilegi caddero d'un solo colpo tutti gli inconvenienti che minacciavano la Chiesa a motivo della sua collusione
con lo Stato e della confusione tra potestà politico-ecclesiastica e potere temporale. L'unica distruzione possibile del
sistema di chiesa territoriale e nazionale fu operata dalla rivoluzione stessa. Erano state raggiunte due cose importanti
per il bene della Chiesa:
a) una più profonda nozione ed una maggiore stima della realtà religiosa separata da essa;
b) la conseguente tendenza dei vescovi a cercare il collegamento con Roma come al loro centro e appoggio
naturale. La rivoluzione abbattendo completamente gli ultimi resti dell'impalcatura tipicamente medievale in ambito
politico-ecclesiastico diede inizio ad un secolo XIX ormai svincolato dalla tradizione. Questa rottura con il passato se
fu da una parte il più ostile nemico esterno della Chiesa, servi dall'altra come base e presupposto per la sua opera di
ricostruzione.
3. L'urto fra rivoluzione francese e Chiesa non fu soltanto la conseguenza di un movimento sociale in lotta contro
il sistema feudale. Vi confluirono tendenze politico-sociali e religiose. Ambedue le correnti hanno un unico nome:
illuminismo. La rivoluzione francese fu il risultato logico delle idee illuministe, quali si erano venute sviluppando in
Francia a partire dal 1750 con Voltaire, Diderot e Rousseau: i quali si basavano sul diritto naturale ma nutrivano anche
un odio contro ogni religione rivelata e ogni Chiesa gerarchica.
4. Da queste idee nacque un movimento diretto contro la Chiesa che rappresentò una vera e propria persecuzione,
la quale mirò al clero organizzato nella diocesi e nel più vasto ambito della Chiesa papale. La persecuzione dei cristiani
divenne anche salvezza per la Chiesa, fece dei martiri.
Non l'abolizione dei privilegi del clero e la confisca di molti beni ecclesiastici costituirono un reale pericolo, ma
la «Costituzione civile del clero» (12 luglio 1790) e con essa la richiesta di un distacco completo della chiesa francese
dal papato a servizio dello Stato illuminista. In effetti essa rappresentò il tentativo di una totale soppressione della Chiesa
cattolica in Francia. Infatti, la Chiesa eretta mediante la Costituzione era del tutto scismatica. Il pensiero gallicano
significava la distruzione della gerarchia cattolica fondata sulla successione apostolica. La Costituzione civile è di fatto
l'idea fondamentale dell'identità di tutte le religioni. Non soltanto i sacerdoti e i vescovi devono venire considerati come
18
semplici impiegati dello Stato ma la Costituzione è estesa a tutti i culti. Venivano negate la verità assoluta del
cristianesimo e l'autorità dell'episcopato proveniente dal mandato apostolico, e pertanto del sacerdozio cattolico.
5. Il Medioevo aveva raccolto la vita attorno al campanile mediante la suddivisione ecclesiastico-religiosa del
giorno, del la settimana e dell'anno liturgico e l'aveva permeata di spirito religioso. La rivoluzione intuì istintivamente
la sua funzione vitale e tentò di troncarla.
a) Soppressione delle antiche diocesi.
b) L'abolizione del calendario gregoriano era il desiderio di cancellare la storia cristiana e il cristianesimo stesso.
Il tempo che ha preso avvio dalla nascita di Cristo, creato dalla Chiesa e da essa benedetto, non esiste più.
c) La settimana gravitante intorno alla domenica deve lasciare il posto alla decade. Viene a cadere la struttura
dell'anno liturgico, al loro posto subentrano le feste della nuova Repubblica. Nel novembre 1793 si instaura
solennemente, nella cattedrale di Notre Dame, il culto della dea ragione.
d) Gran numero di chiese furono messe all'asta per servire ad usi profani.
6. Il «Terrore» infierì talmente, dal giugno 1793 fino al luglio 1794, che quei 14 mesi passarono alla storia con
tale nome. Più della metà dei sacerdoti si era rifiutata di prestare giuramento alla Costituzione civile o aveva ritrattato
in un secondo tempo il giuramento prestato quando il papa condannò la Costituzione. A molti di essi non si permise di
usufruire del limite di tempo previsto dalla legge che comminava l'esilio per poter espatriare di propria iniziativa. La
maggior parte vennero tenuti prigionieri in condizioni inumane. Molte centinaia furono inviati a Caienna. E parecchie
centinaia di altri sacerdoti furono semplicemente massacrati.
Il popolo oppose inizialmente resistenza alla lotta contro la religione. Soprattutto nel periodo delle «due chiese»
quando in qualche luogo accanto a un parroco insediato dall'Assemblea Nazionale ne era rimasto un altro, in segreto,
che si era rifiutato di prestare giuramento. Quando i preti costituzionali cercarono di appropriarsi delle chiese che erano
state loro assegnate, si ebbero nel 1791 i primi scontri sanguinosi attorno alla chiesa dei teatini a Parigi, scontri che si
conclusero con la sua sconsacrazione e con il saccheggio.
Durante il Terrore la popolazione non opponeva più alcuna resistenza. Conclusa la «festa della ragione», tutte
le chiese di Parigi furono chiuse, i rappresentanti dei singoli quartieri cittadini portarono i tesori delle chiese all'erario
dello Stato. Il 23 novembre 1793 fu emanato un editto che ordinava la chiusura e il saccheggio delle chiese di tutta la
Francia. Soltanto di nascosto si poteva celebrare una Messa. Una parte del clero francese ebbe il coraggio di sfidare la
morte nel servizio della cura d'anime.
7. Ma non tardò a delinearsi una certa reazione. L'abolizione del «culto della dea ragione» mediante il
riconoscimento di un «Ente supremo» restò significativo soprattutto come negazione dell'ateismo radicale dello Stato.
Il passo decisivo verso il miglioramento fu segnato dalla separazione fra lo Stato e la chiesa costituzionale con la
proclamazione della libertà di culto. Ma l'odio verso religione e sacerdoti era divenuto ormai il sentimento dominante e
durò ancora. A partire dal 1797 ci furono ancora due anni di dura persecuzione.
8. La libertà era stata proclamata in un grandioso delirio come «libertà, uguaglianza, fraternità». Nel secolo
XVI erano stati negati, distrutti o trasformati i fondamenti della tradizione occidentale in misura tale da imprimere un
mutamento alla vita stessa. La Riforma del XVI secolo infatti non era stata un processo svoltosi esclusivamente in seno
alla Chiesa e neppure in campo teologico. In misura sempre crescente essa si era trasformata in un fermento
rivoluzionario che aveva investito il modo stesso di pensare dei popoli occidentali. La ribellione della rivoluzione
francese realizzò la rivolta in forma nuova, secolarizzata.
9. Le cause materiali e immediate della rivoluzione francese sono da ricercarsi in certi avvenimenti e sviluppi
della storia francese che ci sono già noti dal tardo Medioevo. In una forma o nell'altra doveva essere pagato il conto per
il troppo stretto legame fra Chiesa e Stato: assieme al trono cadde quasi automaticamente anche l'altare.
a) Già il gallicanesimo rappresentò un pericoloso attentato all'autorità della Chiesa e alla sua unità, attentato che
nel gallicanesimo del XVII secolo si era coerentemente espresso nei quattro articoli.
b) La grave intima non credibilità della politica a-religiosa, in certi frangenti a-cattolica e in altri antipapale del
Richelieu e del Mazarino, aveva tanto più preparato la strada ad una rivoluzione generale con tendenze a-ecclesiastiche
e anti-ecclesiastiche, in quanto lo stretto legame della Chiesa ufficiale con lo stato feudale assolutista aveva creato delle
reazioni anche per i privilegi dal punto di vista fiscale.
c) In campo intellettuale fu un ramo dell'umanesimo francese, quale si esprimeva nelle idee a-cristiane di Jean
Bodin, il precursore che finì nel Diderot. Il Terrore della rivoluzione ci mette di fronte a una costatazione umiliante che
ci insegna quanto e fino a che punto la pura umanità degeneri necessariamente nella bestialità qualora abbandoni il
sostegno soprannaturale. Si giunse ad atti inumani di cui i filosofi dell'illuminismo credevano capace il Medioevo, e ai
19
quali essi stimavano superiore l'età della ragione, atti inumani che nel XX secolo dovevano poi rincrudirsi in maniera
quasi inimmaginabile all'insegna dell'ateismo.
10. La rivoluzione francese rappresenta d'altra parte il primo passo, senza il quale non si sarebbe avuto il moderno
stato costituzionale. In un tale stato la predicazione cristiana e pertanto anche i diritti della Chiesa sono meglio tutelati
che non in un regime. Anche per la crescita della realtà ecclesiale il lavoro distruttivo della rivoluzione francese creò
delle importanti condizioni preliminari: la potente autonomia dell'episcopato francese e tedesco, privilegiato e investito
del potere dai principi regnanti, scomparve; la secolare organizzazione delle più potenti chiese del mondo crollò.
CAPITOLO VIII
LA CHIESA NEL DOPO-RIVOLUZIONE:
GLI INTRANSIGENTI E I LIBERAL-CATTOLICI
8.4. Il Sillabo
Le aspirazioni per un riavvicinamento fra il cattolicesimo e la libertà restarono vivissime in molti cattolici.
Continuò d'altra parte la critica degli intransigenti non solo contro il liberalismo laicista e razionalista, ma contro tutti i
possibili compromessi; tipica fu soprattutto la polemica svolta per anni in tono durissimo da Luigi Veuillot nel suo
giornale L'Univers, e quella più acuta condotta dalla Civiltà Cattolica. Le inevitabili esagerazioni delle due parti, ma
soprattutto la diffusione della mentalità naturalistica e gli avvenimenti italiani del 1859-61 indussero Pio IX a pubblicare
1'8 dicembre 1864 un elenco di 80 proposizioni, detto Sillabo, che conteneva i principali errori del tempo. Il Sillabo
uscì insieme ad un'enciclica, la Quanta Cura, che tentava una sintesi organica delle singole tesi.
L'ultima proposizione dichiara falsa la pretesa di chi vorrebbe riconciliare il Papa «con il progresso, con la civiltà
moderna, con il liberalismo» e col suo tono radicale sembra costituire una autentica sfida alla civiltà ed al pensiero
moderno incompatibile con il cattolicesimo. Il documento sollevò una marea di polemiche fra intransigenti e cattolici
liberali, non tanto per le tesi dei primi tre gruppi quanto per quelle dell'ultima classe. Mentre gli intransigenti e radicali
si rallegravano della presa di posizione del Papa, i cattolici liberali cercavano di interpretarla in modo minimistico.
Tuttavia la mancanza di ogni chiarimento, l'assenza di una distinzione fondamentale tra la libertà di coscienza, la
22
giustapposizione di affermazioni secondarie e di punti centrali, costituiscono degli errori tattici assai pericolosi. Il
Sillabo ha mancato al suo scopo, non ha chiarito la polemica fra cattolici liberali ed intransigenti e non ha costituito una
barriera contro la crescente laicizzazione. Esso resta invece un esempio tipico della mentalità della gerarchia alla metà
dell'Ottocento. Si può tuttavia ammettere che esso formò per molti cattolici uno stimolo utile per un ulteriore
approfondimento del problema.
8.5 Conclusioni
La polemica fra cattolici liberali ed intransigenti forma quasi il leitmotiv di tutta la storia della Chiesa
nell'Ottocento, e con la sua asprezza divise profondamente i cattolici e finì per indebolirli. Gli intransigenti ebbero il
merito di cogliere tutte le insufficienze del liberalismo, di sostenere con coraggio una lotta a fondo contro la
laicizzazione, di appoggiare i passi verso una maggiore centralizzazione nel campo ecclesiastico, di mostrarsi più
sensibili dei loro avversari ai problemi sociali. Questi a loro volta hanno sentito tutta l'urgenza dell'assoluta necessità di
una conciliazione fra chiesa e mondo moderno, hanno avvertito in modo vivace i segni dei tempi e la linea della storia,
che spingevano verso una chiesa meno sorretta da aiuti estrinseci e più fiduciosa nell'efficacia della grazia e nella forza
della verità.
In questo senso, hanno svolto un'efficace funzione di stimolo e la loro opera si è rivelata positiva, mentre molte
vittorie degli intransigenti, come i concordati con l'Austria del 1855 e con l'Equador del 1862, che assicuravano alla
Chiesa piena libertà e insieme l'appoggio dello Stato, ma legavano strettamente S. Sede e gerarchia locale al potere
costituito. Il concordato con l'Austria è caduto dopo 15 anni, quello con l'Equador poco dopo la morte di Garcia Moreno,
avvenuta nel 1875.
CAPITOLO IX
LA CHIESA E IL REGIME LIBERALE:
I VARI TIPI DI SEPARAZIONE TRA STATO E CHIESA
CAPITOLO X
LA CHIESA E IL PAPTO NEL XIX SECOLO
Lo Stato della Chiesa cominciava ad essere considerato da molti un anacronismo perché tutte le cariche importanti
erano riservate ad ecclesiastici. Al papa lo Stato della Chiesa sembrava necessario per l'esercizio del suo ufficio
spirituale. In favore di Gregorio XVI depone comunque il coraggio con cui difese l'indipendenza della Santa Sede di
fronte alle grandi potenze.
10.5. Il «Kulturkampf»
In Prussia si scatenò un Kulturkampf. Questo termine indica lo «scontro dello Stato nazionale moderno e della
società liberale con le tendenze restauratrici del cattolicesimo», per cui il «Kulturkampf» non fu limitato alla Germania.
Tuttavia il più delle volte esso viene riferito solo al Reich fondato nel 1871 e alla Prussia, dove i conflitti ebbero un
andamento particolarmente violento.
Tutto iniziò con diffidenza del cancelliere, Otto von Bismarck, verso il partito cattolico del Centro, in cui egli
scorgeva uno strumento della Santa Sede. Nel Reichstag la Baviera propose il paragrafo del pulpito che puniva l'abuso
politico della predicazione ecclesiale, nonché la legge sui gesuiti che vietava ai membri della Compagnia di Gesù e agli
ordini religiosi «affini» il soggiorno nel Reich. Il papa protestò.
In Prussia, nel 1871 fu abolito l'ufficio cattolico del ministero del culto e nel 1872 fu emanata la legge sulla
vigilanza statale nelle scuole. La situazione peggiorò con la nomina di Adalbert Falk a ministro prussiano del culto. A
lui si debbono le leggi di maggio del 1873 che sottoposero la Chiesa quasi completamente alla sorveglianza dello Stato.
Il papa si vide interdetto ogni atto giurisdizionale sulla Germania (anche le scomuniche). In futuro le questioni
ecclesiastiche si sarebbero dovute trattare davanti ai tribunali civili e le misure disciplinari interecclesiali essere
sottoposte al benestare statale. Per uscire dalla Chiesa sarebbe stato sufficiente notificarlo all'ufficio dell'anagrafe.
Mentre il Baden, l'Assia -Darmstadt e la Sassonia emanarono leggi simili a quelle della Prussia, la Baviera si
attenne solo alle leggi del Reich (paragrafo del pulpito e leggi sui gesuiti), ma favorì tendenze aspiranti a una Chiesa di
Stato come il veterocattolicesimo, senza che la vita ecclesiale ne subisse comunque alcun danno. Come conseguenza
delle misure statali in Prussia tutti i seminari rimasero chiusi fino al 1878 e otto vescovi furono allontanati, mentre più
di mille parrocchie rimasero senza parroco. Ma l'opposizione del popolo si manifestò e contribuì al rafforzamento del
cattolicesimo e del partito del Centro.
CAPITOLO XI
LA CHIESA E IL PAPATO, PRIMA METÀ DEL XX SECOLO
CAPITOLO XII
LA CHIESA NELLA SECONDA METÀ DEL XX SECOLO
Il mondo si entusiasmò per il papa, che faceva volentieri delle puntatine attorno al Vaticano. «Giovanni fuori le
mura», dicevano i romani, «Johnny Walker», gli americani. Egli visitava chiese e seminari, ospedali e persino prigioni.
Giovanni XXIII riuscì ad aprire le porte anche all'ecumenismo. Rinunciò al principio sostenuto che l'unità della Chiesa
potesse essere ristabilita solo col ritorno dei cristiani non cattolici alla Chiesa cattolica. Vide in quei cristiani i suoi
fratelli e con l'istituzione del Segretariato per la promozione dell'unità cristiana, avvenuta nel 1960, fece un passo
notevole verso di loro. Il Sinodo diocesano romano, annunciato nella basilica di San Paolo fuori le Mura il 25 gennaio
1959 insieme al Vaticano II e alla revisione del codice di Diritto Canonico e tenuto nel gennaio 1960, si svolse su binari
del tutto conservatori. La riforma del Diritto canonico assunse forma concreta solo nel marzo del 1963, con la nomina
della relativa come missione cardinalizia.
Poco prima della convocazione del concilio Giovanni XXIII pubblicò la costituzione Veterum sapientia, che
dichiarava obbligatoria la lingua latina nella liturgia e nell'insegnamento della teologia (1962). Questo è uno dei tratti
contraddittori di questo papa, così come la sua messa in guardia di fronte agli scritti di Teilhard de Chardin. Giovanni
XXIII, la cui personalità carismatica irradiò in una maniera inaspettatamente potente ben al di là del mondo cattolico,
morì la domenica di Pentecoste del 1963.
Paolo VI (1963-1978) era un italiano del nord. Nato il 26 settembre 1897 da un padre avvocato e uomo politico.
Giovanni Battista Montini frequentò il seminario maggiore di quest'ultima città e fu ordinato l'8 marzo 1920. Dopo aver
frequentato la Gregoriana e l'università statale, entrò nella Pontificia accademia ecclesiastica e fece carriera nella
Segreteria di Stato. Il 21 giugno 1963, secondo giorno del conclave in cui era entrato come favorito, fu eletto papa.
Ultimo papa ad essere stato incoronato con la tiara, il 30 giugno, durante la messa dell'incoronazione rese noto il suo
programma. Menzionò la prosecuzione e il compimento del concilio e, inoltre, assicurò l'impegno per la giustizia
sociale, la pace e l'unità della cristianità.
Un'altra caratteristica di questo pontificato va vista nei grandi viaggi all'estero, il primo dei quali, effettuato nel
31
1964, portò il papa in Israele e in Giordania, dove egli si incontrò col patriarca ecumenico di Costantinopoli,
Atenagora. Paolo VI non fu solo il primo papa a calcare il suolo americano, ma anche il primo ad avere visitato le altre
parti della terra. Nel 1967 istituì il Consiglio dei laici e la commissione Iustitia et pax, e due anni dopo la Commissione
teologica internazionale.
Con la udienza privata, da lui concessa il 30 gennaio 1967 al presidente sovietico Podgorny, i contatti della
Chiesa con l'oriente comunista assunsero forma visibile. La sua attività postconciliare fu turbata dalla lotta dai
«tradizionalisti» contro le diverse innovazioni, guidati dall’arcivescovo Marcel Lefebvre.
CAPITOLO XIII
LA SITUAZIONE NELLA CHIESA NEL XX SECOLO
CAPITOLO XIV
CULTO, PASTORALE E PIETÀ
UNA CHIESA PIÙ PURA E PIÙ GIOVANE
La situazione europea era totalmente diversa. La casta sacerdotale dell'ancien régime sta scomparendo. In
Francia, si avverte un sensibile declino ininterrotto sino ai nostri giorni. In Italia alla metà del secolo la media è di 1
sacerdote per 200 ab., ma anche qui dopo l'unificazione comincia la diminuzione. Mentre diminuisce la quantità,
migliora la qualità. I programmi dei seminari lentamente si allargano, dando spazio autonomo alla Scrittura ed alla
storia. Si cerca di formare pastori ricchi di vita interiore e fedeli alle direttive della gerarchia. L'isolamento dalla società
del tempio fu il prezzo che la gerarchia pagò in questo sforzo di promozione intellettuale e morale del clero.
Più rispettosa della persona umana. Le vecchie strutture sacrali stanno crollando. Nella stessa linea si colloca
la prassi dei «biglietti pasquali». La troviamo ancora nelle tipiche residue situazioni di cristianità: a Malta, in Irlanda e
in particolare a Roma. Qui la prassi dei biglietti dura fino al 1870. E tuttavia si delinea chiaramente la nuova pastorale.
I metodi e gli episodi ricordati si fanno sempre più rari, sino a essere solo il ricordo di un passato definitivamente
tramontato.
La parrocchia resta il cardine fondamentale di tutto l'apostolato. Il parroco vede anzi aumentare i suoi poteri nei
confronti dei laici ed è il propulsore di un cumulo di attività. La parrocchia continua ad essere un punto di riferimento
importante. Accanto alla parrocchia, la scuola cattolica, tiene duro e resta in molti paesi. Le chiese vedono ancora
accorrere numerosi fedeli desiderosi di ascoltare la parola di Dio da predicatori. La diffidenza iniziale cede poi il posto
ad un mandato ufficiale e ad un esplicito riconoscimento. Si tratta solo di un adattamento tattico alla nuova situazione
che non cambia il volto «clericale» della teologia ed in genere della Chiesa post-tridentina.
35
Tuttavia gradualmente anche la gerarchia finisce per riconoscere i fondamenti teologici del nuovo ruolo assunto
dal laicato. L'evoluzione ideologica si verifica verso la fine dell'Ottocento. Possiamo distinguere tre diverse iniziative.
In Francia, in Germania e in Italia, si sviluppa tutta una rete di associazioni con fini assistenziali, liturgici, culturali,
sociali, dalle Conferenze di S. Vincenzo alla società per la Propagazione della Fede, al Borromäusverein per la
diffusione della stampa, al Cäcilientverein per il rinnovamento della musica sacra. In genere, l'attività politica dei
cattolici dovette evitare due pericoli opposti: l'integrismo e l'accentuazione dell'aconfessionalismo.
Uno sguardo complessivo ci presenta una Chiesa con tratti diversi nei vari continenti: una Chiesa appesantita da
anacronistiche tradizioni e da vincoli troppo stretti con lo Stato nell'America Latina; una Chiesa quasi priva di tradizioni
e si lancia verso iniziative onerose che implicano gravi pesi finanziari, col rischio di serie crisi economiche delle curie
diocesane: è quanto avviene negli Stati Uniti una Chiesa che lotta con la secolarizzazione, ma non riesce con facilità a
trovare la propria strada, come capita in Europa; una Chiesa che col sacrificio dei missionari prepara lo sviluppo di
notevoli comunità cristiane, come in Africa ed in Asia. Da un altro punto di vista, notiamo due aspetti complementari:
una solidità esteriore dei tradizionali comportamenti morali, e una defezione dalla pratica religiosa. Resta salda quella
morale borghese. Se i rapporti prematrimoniali costituiscono un'eccezione, la prostituzione continua ad essere
largamente praticata, purché non in pubblico; i matrimoni e i funerali civili sono rarissimi.
A questa facciata si oppone il continuo declino della fede e della pratica religiosa. Basti ricordare il forte calo
della frequenza ai sacramenti nelle città e la flessione nelle campagne. Se in zone di forte tradizione cattolica la
maggioranza della popolazione ancora si accosta ai sacramenti, i vicariati industriali e commerciali registrano il 50% di
praticanti, che discende in alcune province francesi al 5% degli uomini superiori ai 21 anni ed al 30% delle donne della
stessa età... La Chiesa si avvia verso uno stato di «diaspora», cioè verso una condizione di una minoranza sparsa in
mezzo ad una popolazione largamente incredula e lontana dalla Chiesa. Fino a quando il comportamento morale delle
masse resterà saldo, e fino a quando questa minoranza saprà resistere alle pressioni ambientali?
Questi interrogativi sono alleviati dalla forte luce che emana dai grandi santi. Tuttavia in mezzo alle difficoltà ed
ai contrasti interni la chiesa dell'età liberale ci appare non solo capace di resistere ai nuovi assalti, ma più pura, più
giovane, più libera, anche se in molti casi alla ricerca della sua strada.