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LA RIFORMA PROTESTANTE

1. Cause remote e prossime della riforma


1.1. Cause religiose:
 Il lusso e los sfacciato nepotismo dei cardinale della chiesa: Sisto IV, elevò alla porpora a 6 parenti,
Innocenso VIII ostentò per publicamente i figli avuti prima di essere papa, Alessandro VI, dopo avere avuto
7 figli da varie donne era già sacerdote. Cesare Borgia, detto il Valentino è nominato cardinale a 16 anni.
 Nel vaticano si respiraba un’aira nel tutto mondana, tra feste e banquete che finiva spesso in orge, quindi
se le conosce come il periodo più triste dalla storia del papato.
 La causa vera della riforma fu per causa della corruzione degli ecclesiastici che cercaba un rinnovamento
della chiesa, sia nei suoi costumi, nel dogma e nella struttura.
 Un’altro problema è la crisi teologica per l’influsso del pensiero occamista, la capacità della ragione che
dimenticaba la santificazione del peccatore senza il suo rinnovamento interiore.
1.2. Cause politiche, sociale e economiche.
 Bisogna ricordare lo scisma del 1054, tra Roma e Costantinopoli.
 Il luteranismo constituye l’aspetto religioso dell’oposizione del nazionalismo tedesco contro Roma, ma
anche sia inghilterra alla francia all’italia, si cerca di trasformare lo stato feudale in uno stato assoluto
privando la nobiltà della sua potenza politica
1.2. la personalità, la vita, e la dottrina de Lutero.
 Personalità: lutero fu un uomo profondamente religioso, sintendose molto peccatore e confidandose ciecamente
nella redenzione di Cristo. A avuto una grande familiarità con la mistica tedesca, avuto una viva esperienza
personale di Dio. È nato il 10 nov del 1483 a Eisleben in Sassoni, morì il 18 febraio del 1546, avuto una famiglia
di contadini. Nel 1505 entrò fra gli aostiniani, insegnò etica ed essegesi, comentando i salmi e le lettere di S.
Paolo. Ma nel 1515 ed il 1517 avuto una forte crisi, dovuta:
o all’ecessivo lavoro,
o malinconia,
o sopratutto all’influso dell’occamismo
o e della mistica tedesca.
 Nel 1517: leggendo un passo dalla Lettera ai Romani, Il giusto vivrà di fede, dove interpreta che la parola
giustizia, nella bibbia, non allude alla punizione dei peccatori, bisogno solo la fede, non le opere.
 La dottrina luterana si può riassumere in 3 punti:
o Sola scrittura: nega la tradizione, la mediazione della chiesa, e il magistero, e aferma che ogni uomo
è libero de impretare la bibbia.
o Giustizia imputata: il perdono di Dio non ci porta un rinnovamento interiore, ontologico, quindi
l’uomo è simul giustus et peccator, l’uomo viene salvato solo per la sola fede e non per le opere, queste
non aiutano alal salvezza, ma bisogna capire che Lutero non condanna per nulla le opere buone, ma
nega che queste aiutano nella salvezza dell’uomo, Solo Dio salva non le opere.
o Rifiuto della gerarchia della Chiesa: Lutero pensa nel rapporto diretto dell’uomo con il Signore,
quindi non ha bisogno di nessuna mediazione, ma anche lui al no accettare l’Eucaristia come sacrificio
di Dio, e quindi non creden anche nel sacramento dell’odinazione dei sacerdoti.
 La questione dell’indulgenzie:
o Fino dal 1507, Giulio II, dando inizio ai lavori della nuova Basilica di S. Pietro, aveva conceso
un’indulgenza a chi avesse offerto unèelemosina per l’impressa. Un Domenicano, Giavanni Tetzel,
predicava che per applicare l’indulgenze ai difunti, non è necessario lo stato di grazia e il dolore dei
peccati, perche appena la moneta cade nella cassetta delle elemosine, l’anima è liberata dal purgatorio.
o Alla vigilia di Oganissata nel 1517, Lutero invia a parecchi vescovi 95 tesi sulle indulgenze, dove
afermava che l’indulgenza è solo la remissione della pena caconica inflita dalla chiesa e non dell’aldilà,
non può essere applicata ai difunti.
o Nel 1518: alla crescente difuzione luterana, Leone X intimò a Lutero di presentarsi a Roma, ma viene
dispenzato dal viaggio a Roma per intercessione di Federico, elettore di Sassonia.
o In otobre del 1518: viene interrogato ad Augusta, dal Car. Tommaso de Vio detto Caietano.
o Nel 1519: si svolge a Lipsia una grande disputa fra lutero e il cattolico Giovanni Eck, lo obligò a che
Lutero spiegara, publicamente, la sua dottrina sul:
 Primato di Roma,
 Infabilità dei concili, che lui negava,
 Sul pprincipio del protestantesimo,
 E il riconoscimento della sacra scrittura come unica fonte della verità rivelata.
o Nel 1520: a Roma viene promulgata la bolla, exsurge Domine, con il mandato di che Lutero se retratte
entro 60 giorni la sua dottrina, ma su questo Tempo Lutero publica 3 libri in lingua tedesca, che desato
un grande scalpore, cui Lutero incita alla demolizione delle 3 grande muraglie della Chiesa Romana:
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 Primo: alla nobiltà cristiana della nazione germanica:
 La distinzione tra clero e laicato
 Il diritto esclusivo de interpretare la Sacra scrittura
 Il diritto esclusivo del S Pontifece di convocare un concilio.
 Secondo: de captivitate babylonica eclesiae praeludium, cui demoliva
 La dottrina sui sacramenti, conservando solo il battesimo e la penitenza, acetta
l’eucaristia ma non come un sacramento perche bìnega la transustanzazione e il valore
sacrificale della messa.
 Terzo libro: De libertate christianai:
 Esaltava la libertà dell’uomo interiore, giustificato per la fede in quanto è unito
intimamente a Cristo, le opere buone non sono necessarie per la giustificazione, ma
anche non rendono buone alla persona che la fa.
o Il 3 gennaio del 1521: la bolla Decet Romanum Pontificem, scomunicò Lutero e i suoi seguaci, e nello
stesso anno venne sanzionato dell’autorità civile alla dieta di Worms, i suoi scritti vennero bruciati, e
lla difussione della sua dottrina viene proibita, ma lui fu salvato da Federico di Sassonia.
1.3. Le lotte religiose in Germania fino al 1555:
 Bisogna ricordarsi di tre periodi:
o La rivoluzione sociale del 1521 – 1525
o La fase delle diete e dei colloqui, lo sforso invanno di raggiungere un’accordo pacifico nel 1525-
1555
o Lo scontro violento fra l’imperatore e i riformatori, con la sterile vittoria di Carlo V che rinuncia
alla lotta compromettendosi con i principi protestanti nel 1532-1555.
 Allo stesso tempo di questa diffusione del luteranismo, si sviluppo le gueere fra Francesco I (=e il suo
succesore Enrico II), Re di Francia e i Carlo V, (=suo succesore Filippo II), nello stesso tempo i Turchi
avanzano nell’europa orientale e nel 1529 assediano Vienna, e fra l’imperatore e il papa manca un vero
accordo.
1.3.1. Periodo delle rivolte:
 Dal 1521-1525: si svilupano 3 rivoluzione:
o Dei cavaliere.
o Degli anabatisti: negavano la validità del battesimo, e sostenevano la necessità di farlo nuovamente
a chi lo aveva ricevuti prima dell’uso di ragione,
o Dei contadini:
 E poi l’autorità del papa viene sostituità per quella del principi, alla chiesa democratica, succede la chiesa
dello stato.
1.3.2. Periodo delle diete e dei colloqui:
 Nel 1526: si riuni la dieta di Spira, dove viene concessa ai principi e alle città, il libero diritto di abracciare
el protestantesimo, così vari stati tedeschi passarono alla nuova religione, poi viene una nuova
 Dieta di Spira nel 1529: dove si dichiarava che li stati che erano protestanti potevano restare con la sua fede,
le altri dovevano rimanre fedeli al cattolecesimo.. a questo 6 principi e 14 città protestarono contro questa
decizzione, e per quello ricevono l’appellativo di protestanti,
 Nel 1530: viene un’altra dieta che esamina la professione di fede composta da Melantone, discepoli di
Lutero, ma si rimane fedele la confessione di Augusta, Carlo V condanna la confessione di Augusta, ribadì
l’editto di Worms e impose la restituzione dei beni confiscati.. nel 1540-1541: si cerca i colloqui a Worms e
Ratisbona, ma tutto fu inutile.
1.3.3. Periodo della lotta armada: 1532-1555.
 Come non c’era la speranza del dialogo pacifico, Carlo V si decisse alla lotta armada: così nel 1547 a
Mulberg in sassonia si da una bataglia dove i protestanti vengono sconfitti, il vincitore accolse un
compromesso interim di Augusta 1548, poi viene la pace di Augusta 1555 con due clausule:
o Che i principi possono sciegliere liberamente la religione cattolica o luterana, e i sudditti devono
seguire la religione del suo principe,
o Che i principi ecclesiastici che dopo il 1552 sono passati al luteranesimo, perdono il loro beni, perche
devono essere restituiti ai cattolici...
 Due anni Carlo V abdica e muore nel 1558.
1.4. L’impero dalla pace religiosa di Augusta alla pace di Westfalia
1.4.1. Lo sviluppo dopo la pace religiosa di augusta
 Nella pace del 1555, il potere imperiale fu redimensionato anche religiosamente dal potere delle chiese
territoriale.
1.4.2. la guerra dei 30 anni e la pace di Westfalia:
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 Nel 1606, il giorno di San Marco si ebbe una processione in un monastero di Donauworth, questa viene
disturbata dai protestanti, la conseguenza è che la Baviera aplica alla città il bando dall’impero, la incorporò
e la ricattolicizzò, questo conduce alla unione protestanti nel 1608 sotto la guida del Palatinato e nel 1609
quella della Lega cattolica sotto guida baverese.
 Nel 1618: viene la defenestrazione di praga, la costituzione di un governo cittadino e la all’eanza con gli
stati di Austria supepriore e Transilvania... gli insorti non riconobbero al nuovo imperatore Fernandino II,
e viene eletto il principi del Palatinato il Calvinista Federico V, il potere di Fernadino II viene minacciato,
ma con l’aito della Baviera, Spagna del elettorato literano di sassonia e con l’apoggio economico del papa
Paolo V, riprende il potere e così può infliggere ai protestanti –antiasburgiche, nella bataglia della montagna
bianca nel 1620.
 Poi vengono 4 tappe delle guerre:
o Guerra boemio-palatina: 1618-1623
o Guerra danesse-bassosassonica 11625-1629
o Guerra svedesse: 1630-1635
o Guerra franco svedese: 1635-1648
 Ma nel nel 1648 viene la pace di Westfalia che pone fine alla guerra.
1.5. Calvino e il Calvinismo.
 Calvino nacque a Noyon i Piccardia nel 1509, studiò a parigi, quando Ignazio dell’Oyola terminava la sua
formazione. Fu costretto a lasciare Francia, e a Basilea publicò la prima edizione della sua opera institutio
christianae religionis, nel 1511 ritorna a Ginevra e rimase lì fino alla sua morte nel 1564.
 Calvino vide il Signore come un arbitro dei nostri destini, più che il padre amoros che ci salva, predicava una
morlae eccesiva, quasi imumana. Pensava nella predestinazione. Lo iportante di calvino è per la
sistematizazione del pensiero teologico dei protestanti, quindi la sua opera è come la Somma di tommaso di
Aquino per i cattollici.
 Secondo lui, Dio con un atto della sua volontà, independiente dei nostri meriti e e dei nostri peccati, alegge
alcuni all’eterna felicità, altri alla dannazione eterna. Cioè alcuni già sono predestinati a essere salvati, altri
invece già sono stati condanati, quindi non bisogna fare niente perche le nostre opere non aiutano in niente alla
salvezza dell’uomo. Della stessa forma afermava che la chiesa non ha alcun potere temporale... così per quasi
25 anni Ginebra si encamino sotto la dottrina di Calvino:
o I diaconi: adetti alle opere di carità
o I dottori: insegnanza alle scuole
o Gli anziani: vigilanti della moralità, pubblica e privata,
o I pastori: amministratori dei sacramenti
 Tutto è controlato dal concistoro, così dal 1542-1546: vengono essiliati 70 persone e 60 condannati a morte.
1.6. La riforma in Inghilterra:
 La separazione di Ingelterra da Roma, non solo è la colpa di Enrico VIII, e la sua passione per Anna Bolena,
perche questa veniva svilupandosi da tempo fa,...
 Nel distaco giunsse 4 tappe:
o Enrico VIII
o Edoardo VI
o Maria la Cattolica
o Elissabetta
 Enrico VIII, della casa di Tudor, 1509-1547:
o Aveva sposato a Caterina di Aragona, figlia di Fernadino il Cattolico re di Spgna e Zia di carlo V.
Ma, Caterina aveva sposato prima a Arturo, primo di Enrico VIII, e poi si spossa con Enrico, che è
stata necesariamente la dispenza di impedimento di affinità.
o Verso il 1527: Enrico VIII, avuto una grande passione per Anna Bolena,così cerca la forma di
annullare il matrimonio con Caterina di aragona per sposarsi con Anna, fino al 1529, il Papa Clemente
VII aveva la speranza che Enrico dessistesse dell’idea, ma nel 1529 Enrico contrattaco, così nel 1531,
in unèassemblea generale del Clero, si fece proclamare capo della chiesa inglese. Ma contradittorio
perche pochi anni prima il Papa Leone X, lo aveva proclamato defensore della fede...
o Viene dette le dimissione del cancilliere Tomaso Moro, e le succede Tommaso Cranmer, che in
Gennaio del 1533 celebrò il matrimonio di Enrico VIII, e Anna Bolenna, e poi qualche anni dopo viene
dichiarato nullo il suo primo matrimonio. Clemente II scomunicò Enricò, chi replica la scomunica nel
1534 con l’atto di supremazia, chi li atribuiva sovrano di i diritti su tutta la chiesa inglese... si comincia
a una persecuzione dei cattolici e dei luterani, anche muoino Tomaso Moro, Giovanni Fisscer, e vari
religiosi.
 Alla morte di Enrico le succede il suo figlio, Edoardo VI 1547-1553
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o
Lui è nato dar terzo matrimonio dal re, aveva sposato a Giovanna Seymour, quindi dal Scisma si
passò all’eresia. Nel nuovo rituale si elimina ogni frase che alludesse al carattere sacrificale della
Messa, e un simboli di 43 articoli, e acetta le tesi di Calvino sull’Eucaristia.
 Maria la Cattolica: 1553-1558:
o Era figlia di Enrico y Caterina, con lei si fa un tenttativo di restaurazione cattolica, ma queste falisce
subito la sua morte, causa degli errori politici, e per la alleanza con la Spagna e il matrimonio con
Filippo II.
 Elizsabetta 1558-1603:
o Figlia di Enrico e Anna, con lei rese definitivo lo scisma, così nel 1559: viene promulgata la legge che
riconosceva a la regina, supremo governatore della chiesa di Inghilterra, e si impone ai funzionari
estatale e agli ecclesiastici il giuramento di fedeltà alla regina. In questo anno viene consacrato secondo
il nuovo rotuale un tale Mattia Parker, la consacrazione fu invalida, ma tutti le consacrazione da lui
impartita che detterò origine alla nuova gerarchia di inghelterra, fu nulla perche non c’era la succezione
apostolica, era rota. Leone XIII, nel 1896 risolse il problema con la bolla apostolicae Curae,
o Nel 1570, Pio V scomunicò Elisabetta, e sciolse i sudditi dall’ubbedienza, la conseguenza è che in
Irlanda, i cattolici, vengono sonciderati traditori politici...

1.7. Gli Ugonotti in Francia


Il protestantesimo francese passò al calvinismo; al posto di «luterani» si cominciò allora a parlare di ugonotti.
Il sinodo nazionale di Parigi adottò nel 1559 la «Confessio gallicana» e l'ordinamento ecclesiastico ereditati da Calvino.
A un editto di tolleranza del 1562 i Guisa risposero col massacro di Vassy e diedero il via a una serie di otto guerre
degli ugonotti. La reggente Caterina de' Medici aveva tentato inizialmente una politica di tolleranza, cui doveva servire
anche il progettato matrimonio di Enrico di Navarra, capo degli ugonotti, con una sorella del re Carlo IX. L'influsso
dell'ammiraglio ugonotto Gaspard de Coligny su quest'ultimo doveva finire con un attentato, il cui fallimento provocò
il bagno di sangue della notte di san Bartolomeo (23-24 agosto 1572). In questa guerra caddero i capi degli ugonotti e
molte migliaia di questi sia a Parigi che in tutta la Francia. La lega del 1576 contro i riformati (calvinisti) e contro l'erede
al trono Enrico di Navarra rafforzò la parte cattolica, mentre tra il popolo la ricattolicizzazione fu portata avanti dalla
propaganda dei gesuiti. Il re Enrico III cercò di infrangere il potere dei Guisa con l'assassinio del duca Enrico e del
cardinale Luigi di Guisa, ma fu costretto a rifugiarsi tra gli ugonotti e fu pugnalato dal domenicano Jacques Clément.
Con lui si spegneva la dinastia dei Valois.
Enrico di Navarra era diventato per forza cattolico dopo la notte di san Bartolomeo, ma si era poi rifugiato tra gli
ugonotti ed era tornato al calvinismo. Escluso da Sisto V come eretico recidivo dalla successione al trono, poté
affermarsi come Enrico IV anche con l'aiuto di molti cattolici. Con l'editto di Nantes del 1598 gli ugonotti ottennero il
diritto di praticare la religione entro confini locali e sociali, il diritto di libertà di coscienza, di avere scuole proprie e il
diritto di «posti sicuri» per otto anni. Ai cattolici furono restituiti i beni ecclesiastici alienati e il loro culto ristabilito
dove era stato soppresso. Il cattolicesimo acquisiva una posizione predominante. Con l'assolutismo di Luigi XIV, che
nel 1685 abrogò l'editto di Nantes, gli ugonotti furono alla fine ricatolizzati o costretti a lasciare la Francia.

1.8. Effetti della riforma protestante


Con la riforma crollò l'unità religiosa dell'Europa:. Più gravi furono le conseguenze sul piano spirituale:
 Il libero esame ed il rifiuto di ogni mediazione fra Dio e l'uomo finisce rafforzando l'individualismo.
 Il rifiuto di una gerarchia,
Si discute tuttora se si possa parlare di un influsso del protestantesimo sull'arte, ma si ammettere un influsso
sulla musica sacra.
Sul piano economico, si è d'accordo nell'ammettere un influsso del protestantesimo sul capitalismo che portava
a limitare i consumi ed a favorire l'accumularsi del capitale, si sottolinei la negazione di un nesso fra le opere e la
salvezza, che corrodeva tutta la morale tradizionale.
Non possiamo dimenticare gli aspetti positivi del protestantesimo, l'affermazione e la difesa di alcune verità e
valori, il senso del mistero davanti all'Onnipotente; una certa austerità di vita, il culto e la frequente lettura della Scrittura,
ecc.
CAPITOLO II
LA RIFORMA CATTOLICA E LA CONTRORIFORMA

2.1. La problematica: «Riforma Cattolica» e «Controriforma»


L'insuccesso del Concilio Lateranense V (1513-1517) costituisce una delle obiezioni fondamentali contro questa
posizione. Prima di Lutero esisteva in seno alla Chiesa cattolica un movimento spontaneo di riforma. I risultati erano
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scarsi. La Riforma cattolica, costituisce quel moto di rinnovamento spontaneo, anteriore al concilio di Trento e che
prosegue in modo parallelo a1 concilio, ma indipendentemente. La Controriforma comprende le iniziative prese
dall'alto, a partire dal pontificato di Paolo III che culminano nel Concilio di Trento e nell'attuazione dei suoi decreti.
Oggi si riconosce l'autentica religiosità della Controriforma, ma si ammettono anche le sue ombre.

2.2 . La riforma cattolica


I tentativi di un rinnovamento della Chiesa, che precedono la riforma protestante, si possono schematicamente
ridurre a questi:
a) Le varie associazioni laiche, che si propongono un doppio fine, la carità verso i poveri e la pietà eucaristica.
In Italia si diffondono con questi intenti le Compagnie del Divino Amore, composte da laici, da cardinali e vescovi.
b) La riforma degli antichi ordini religiosi. Si moltiplicano i conventi di stretta osservanza, che finiscono per
raccogliersi in una congregazione riformata, governata da un proprio vicario generalecome i francescani, le clarisse, i
benedettini, i cistercensi e i camaldolesi, i domenicani e gli agostiniani.
c) Nascita di nuovi istituti. Il movimento si accentua dopo il 1517, ed è parte della controriforma. Tuttavia alcuni
dei nuovi istituti sono lo sviluppo logico delle confraternita laiche di cui abbiamo fatto cenno: la loro genesi è piuttosto
lenta, e le prime idee risalgono alla fine del Quattrocento, anche se l'approvazione pontificia è posteriore; molti di essi
sono sorti senza rapporto con l'eresia luterana. La stessa Compagnia di Gesù alla sua nascita non si prefiggeva di opporsi
al protestantesimo.
d) L'opera riformatrice dei vescovi nelle loro diocesi. Se molti vescovi non mostrano particolare zelo pastorale,
altri si prodigano, convocano sinodi, promuovono la predicazione, si preoccupano della formazione del clero. In
Germania emerge Nicolò da Cues vescovo di Bressanone che estende la sua attività al di là della sua diocesi; in Spagna
spiccano tre persone; il «gran cardinale», Pietro Gonzales de Mendoza, Ferdinando de Talavera, il cardinale
Ximenes de Cisneros, arcivescovo di Toledo, che fonda l'università di Alcalá, cura l'edizione della Bibbia
Compeutense, traduce la Imitazione di Cristo. In Italia, Sant'Antonino, arcivescovo di Firenze.
e) I gruppi dell'umanesimo cristiano, che inculcano lo studio della Scrittura e dei Padri, e i circoli
dell'evangelismo che si ricollegano in vario modo alla devotio moderna, che aveva avuto nell'Imitazione di Cristo la sua
espressione più alta, e che ora hanno in Erasmo il loro campione più efficace.
f) Le iniziative della curia e dei papi. Nel 1512 Giulio II convocò a Roma un concilio ecumenico, il
Lateranense V, ecumenico XVIII: il Papa non si preoccupava di rispondere all'attesa universale di una reformatio in
capite et membris, e voleva soprattutto svuotare di ogni importanza un'assemblea aperta a Pisa dal re di Francia Luigi
XII con cui egli era in guerra, e che si atteggiava a concilio ecumenico. I propositi del Lateranense V restarono lettera
morta. La bolla di riforma della curia è contemporanea all’autorizzazione data ad Alberto di Brandeburgo di reggere
una terza diocesi, a condizione di pagare a Roma una forte tassa. Non è senza significato la successione di due date: il
Lateranense V si chiuse nel marzo 1517; il 31 ottobre, Lutero pubblicava le sue tesi sulle indulgenze.

2.3. Il Concilio di Trento: vicende esteriori


L'iniziativa più importante presa da Paolo III fu l'apertura del Concilio di Trento. Il futuro concilio, secondo
Lutero, doveva svolgersi in terra tedesca, sotto la direzione dell'imperatore e dei principi, non del Papa, doveva aprire
le sue porte anche ai laici, ed assumere come unico criterio di fede la Scrittura.
Le cose cambiarono con l'avvento di Paolo III che nel 1537 convocò il concilio a Mantova. Le difficoltà
frapposte dal duca di Mantova, lo scoppio di una nuova guerra tra Carlo e Francesco, imposero la scelta di una nuova
sede, Vicenza, e il rinvio dell'apertura al 1538. A questa data la guerra era ancora in corso, il concilio fu nuovamente
differito. Si scelse come sede Trento, nella speranza che fosse accetta ai protestanti. Dopo vari tentativi si giunse ad un
accordo precario il 13 dicembre 1545 alla presenza di 25 vescovi e di 5 generali di ordini religiosi, l'assemblea ebbe
inizio. Il Concilio non ebbe una vita facile, e i suoi lavori si dovettero interrompere due volte, la sua storia abbraccia tre
periodi distinti, 1545-47, 1551-52, 1561-63.

2.3.1. La prima fase


Fra il 1545 ed il 1547 vennero approvati:
 i decreti sulla Sacra Scrittura e sulla tradizione, «che il concilio accoglie e venera con uguale senso di rispetto e
venerazione»,
 il canone del Vecchio e Nuovo Testamento,
 l’autenticità della Volgata, in senso non filologico ma dogmatico,
 il peccato originale,
 sulla giustificazione,
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 sui sacramenti in genere, sul battesimo e sulla cresima. Parallelamente vennero promulgati i decreti di riforma
sulla predicazione, sull'obbligo della residenza, sul divieto del cumulo di benefici.

2.3.2. La seconda fase


Alla morte di Paolo III nel 1549, venne eletto Giulio III (1550-1555). Era un uomo piuttosto rozzo che non
mostrò uno zelo veramente acceso per la riforma: tuttavia non la trascurò nemmeno. Ebbe il merito di riaprire il concilio,
con una bolla del novembre 1550.
Il 1 maggio 1551 a Trento, il concilio era finalmente ripreso, ma i presenti erano così pochi che si dovette rinviare
la prossima sessione a settembre. Dal settembre del 1551 all'aprile del 1552 i lavori proseguirono: vennero promulgati:
 i decreti dogmatici
o sull'Eucarestia,
o la Penitenza,
o l'Estrema Unzione,
 e i decreti disciplinari
o sull'autorità episcopale,
o sui costumi dei chierici,
o sull’accumulamento dei benefici.
Nell'ottobre 1551 arrivarono a Trento i delegati di tre principi e sei città protestanti tedesche. Le speranze di un dialogo
svanirono perché i nuovi venuti non vollero avere alcun contatto con i legati papali, ed avevano delle condizioni: i padri
avrebbero dovuto essere liberati dal giuramento di fedeltà al Papa; si doveva proclamare la superiorità del concilio sul
Papa; i decreti fino allora approvati dovevano essere annullati ed i lavori dovevano essere ripresi dall'inizio.
Per diversi motivi, autorizzati dal Papa, i padri decisero di sospendere per la seconda volta il concilio, ed alla fine di
aprile tutti abbandonarono Trento in fretta e furia.

2.3.3. Terza fase


Il concilio si riaprì un anno dopo la convocazione, nel gennaio 1562, e proseguì sino alla fine dell'anno seguente,
giungendo alla conclusione definitiva il 4 dicembre 1563. Nel luglio e nel settembre del 1562 vennero promulgati:
 i decreti sulla comunione sotto le due specie (dichiarata non necessaria)
 e sul carattere sacrificale della Messa.
La preoccupazione di opporsi ai novatori indusse i padri tridentini a conservare l'antico uso di celebrare la Messa e di
amministrare i sacramenti in latino. La decisione influì in maniera assai forte su tutta la vita della Chiesa sino al Vaticano
II, contribuendo ad isolare il sacerdote ed a spingere i fedeli verso forme di pietà non liturgiche.
Nella stessa sessione di luglio venne approvato il decreto di riforma sull'erezione dei seminari in ogni diocesi,
sull'obbligo della residenza, sulla selezione dei candidati al sacerdozio. L'11 novembre 1563 furono approvati i decreti:
celebrazione annua dei sinodi diocesani e triennale dei provinciali; visita pastorale almeno ogni due anni; riforma dei
capitoli; conferimento delle parrocchie ai più idonei, mediante concorso; divieto del cumulo di benefici per tutti.
L’11 novembre vennero approvati due decreti sul matrimonio. Il primo definiva contro Lutero la sacramentalità
del matrimonio, e ne riaffermava esplicitamente l'indissolubilità. Il secondo, noto dalla parola iniziale, Tametsi,
dichiarava nulli i matrimoni clandestini, contratti solo con il consenso dei nubendi, senza la presenza di un sacerdote
appositamente incaricato e di testimoni. Tali matrimoni erano considerati illeciti, ma validi: così chiarirono il potere
della Chiesa di legare ad una data forma giuridica la validità del contratto matrimoniale, essi vennero dichiarati da allora
in poi nulli. Si ordinava insieme al parroco di tenere un registro dei battezzati e degli sposati: provvedimento che ebbe
anche una grande rilevanza sociale, determinando sino alla Rivoluzione Francese una regolare anagrafe. Nelle ultime
quattro settimane vennero portati a termine in fretta i decreti sul purgatorio, sulla venerazione dei santi, sulle indulgenze,
e quello sui religiosi. Il 4 dicembre 1563, lette le solenni acclamazioni in onore del Papa e dell'Imperatore preparate dal
card. Guisa, il card. Morone chiuse 1'assemblea con le parole: «Post actas Deo gratias, ite in pacem». Superata la forte
resistenza della curia Pio IV con la bolla Benedictus Deus confermò i decreti tridentini.

2.4. Significato del Concilio


Il Concilio di Trento non è riuscito a ristabilire l'unità, provocò l'irrigidimento dei protestanti, che andavano
sempre meglio chiarendo a se stessi ed agli altri le proprie posizioni, mostrandone la profonda divergenza con
l'insegnamento cattolico. La Chiesa non poteva scendere a compromessi senza rinunziare ad essere sé stessa. Insieme si
fa evidente la forte capacità di ripresa della Chiesa, vittoriosa di una gravissima crisi: ed è il Tridentino ad aprire e in
certo modo a determinare la storia della Chiesa dal Cinquecento al Vaticano II, che ha chiuso definitivamente l'era
postridentina per aprirne un'altra.
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Era necessaria una condanna degli errori, ma soprattutto una esposizione positiva della dottrina cattolica, che
servisse di norma a sacerdoti e fedeli. Il Concilio ha risposto a quest'attesa, con le sue condanne esposte nei canoni e
con l'esposizione positiva dei suoi capitoli; gli uni e gli altri hanno servito di base ai catechismi postridentini. I teologi
tridentini hanno voluto esporre unicamente la dottrina comune a tutta la Chiesa, fondandosi soprattutto sulla Scrittura e
sui Padri. In questo senso il Tridentino è più vicino ai Concili dell'antichità che a quelli medievali. Il Tridentino è un
momento nella continua evoluzione della Chiesa che non rifiuta il passato ma lo perfeziona.
Fra tutti i decreti tridentini, il migliore è quello sulla giustificazione, considerato tra i più bei documenti di tutto
il magistero ecclesiastico e paragonabile al Tomus ad Flavianum. Si affianca degnamente ad esso il decreto sul
sacrificio della Messa: esso conferma il carattere sacrificale della Messa, ma insieme ricorda che il vero ed unico
sacrificio del NT è quello della croce.
Sotto l'aspetto disciplinare il Tridentino dette un vigoroso impulso alla vita religiosa della Chiesa. Il nocciolo
della riforma tridentina è compreso nel progetto redatto dal Morone e dal Paleotti nell'estate e sostanzialmente
approvato, nell'autunno 1563. L'intera riforma si ispira al principio: salus animarum, suprema lex esto. Cura animarum.
Nel Medio Evo fra i due elementi di cui constava l'ufficio ecclesiastico (ufficio sacro - diritto di percepire dei redditi
annessi all'ufficio e destinati al sostentamento di chi assolve una missione sacra), il secondo aveva assunto una
preponderanza schiacciante sul primo. Di conseguenza, vescovi, abati, parroci molto spesso affidavano ad altri la cura
pastorale loro commessa ma trattenevano per sé i redditi dell'ufficio di cui erano rimasti nominalmente titolari. Il
Tridentino restituisce all'ufficio sacro la prevalenza e la sua dignità: il diritto di percepire un certo reddito è una
conseguenza secondaria della cura pastorale. Dal principio fondamentale deriva sia l'obbligo della residenza, sia la
proibizione del cumulo di benefici; un'identica ispirazione appare nel decreto sulla formazione dei chierici che prescrive
la fondazione di un seminario in ogni diocesi, delinea il metodo da seguire nella formazione dei candidati al sacerdozio,
a educarli religiosamente e formarli nelle scienze ecclesiastiche, e vuole che al sacerdozio siano indirizzati insieme
poveri e ricchi.

CAPITOLO III
GLI ORDINI RELIGIOSI

3.1. Oratorio del divino amore


L'oratorio del divino amore è un ordine clericale i cui inizi risalgono prima della riforma protestante e che fu
influenzato in maniera decisiva da san Filippo Neri (1515-95). Grandissima importanza essa annette alla formazione
spirituale e teologica dei suoi membri. Affiancò la catechesi biblica con la musica e la rappresentazione drammatica
(questa fu l'origine dell'«oratorio»). Considerò buoni tutti i mezzi umani per la predicazione, segnatamente per
l'istruzione dei fanciulli. Coltivò e propagò le varie devozioni. L'umorismo di Filippo Neri divenne proverbiale.

3.2. Teatini
Chierici regolari con finalità riformatrici furono i teatini, così detti dal loro fondatore, l'ex vescovo di Chieti
(Theate) Gian Pietro Carafa e futuro papa Paolo IV. Oltre duecentocinquanta vescovi uscirono da questa
congregazione. Si dedicarono alla formazione di un clero alto locato molto prima che i decreti del concilio di Trento
venissero tradotti in pratica. Chierici regolari con un'importanza locale furono i barnabiti o Chierici regolari di San
Paolo (fondati da sant'Antonio Maria Zaccaria) e i somaschi (fondati da san Girolamo Emiliani). Tutte queste
fondazioni si proposero dichiaratamente di perseguire un ideale cristiano, indicato col concetto e col termine di
humanitas: cura dei bambini, delle vedove e degli orfani, cura dei malati di peste e dei feriti, servizio dei più poveri tra
i poveri. Qui dobbiamo menzionare anche l'inizio della formazione ecclesiale sistematica delle fanciulle: nel 1535
Angela Merici fondava le Orsoline.

3.3. Maurini
La riforma degli antichi ordini è legata per i benedettini, a Gregorio Cortese. La costituzione di questa
congregazione si riallacciò ad aspirazioni simili del secolo XV e fece scuola per unioni corrispondenti del secolo XVII
(congregazione dei maurini).

3.4. Cappuccini
Il modello di san Francesco dimostrò tutta la sua vitalità nella fondazione dell'ordine dei cappuccini (1525-28).
Motivi trainanti del nuovo ordine (autonomo dal 1527 e 1619) furono: 1. un rinnovato entusiasmo per la povertà: si
volle di nuovo seguire letteralmente la regola e il «testamento» del fondatore ed essere l'ordine religioso più povero e
piccolo di tutti; 2. una tendenza pronunciatamente eremitica, laicale e contemplativa; l'esperienza mistica di Dio era un
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presupposto per un'attuazione coerente di questa forma povera di vita. Ciò conferì 3. una nota carismatica alla
predicazione apostolica penitenziale e itinerante; nei primi decenni fu praticata la predicazione entusiastica da parte di
laici, finché solo una minima parte dei frati, fu destinata alla cura d'anime, alle missioni tra il popolo e alla predicazione
missionaria. La predicazione cappuccina dei secoli XVII e XVIII, con il suo carattere popolare collegata a devozioni
popolari, processioni e rappresentazioni sensibili divenne un genere letterario. In tal modo si soddisfaceva una delle
istanze centrali del periodo della riforma protestante. 4. Questo movimento riformistico ascetico fu vicino ad ambienti
revivalistici ed entusiastici italiani. Matteo da Bascio fu efficacemente sostenuto da Vittoria Colonna, e dagli interventi
di donne ricche presso i papi se nelle difficili crisi dell'inizio non furono soppressi dalla curia. I primi cappuccini
dimostrarono 5. una pericolosa tendenza all'individualismo e alla ribellione (Ludovico di Fossombrone rifiutò di
obbedire al suo successore), a fuoriuscire dall'ordine (il fondatore Matteo da Bascio ritornò fra gli osservanti), anzi
all'apostasia dalla fede (il vicario generale Bernardino Ochino da Siena).
Questa relativa indipendenza permisero ai cappuccini di metter piede nelle regioni alpine della Svizzera (1589),
del Tirolo, della Baviera (1605), della Boemia (1618), dell'Austria interna (1619) e di Salisburgo (1593, Radstadt 1613),
con una organizzazione provinciale. Essi lavorarono come missionari nelle campagne e riuscirono a penetrare nel cuore
della società paesana. Essi rappresentarono anche nelle città un complemento eccellente al lavoro dei gesuiti. Data la
loro levatura spirituale e intellettuale e la loro origine, li troviamo presto anche in posizioni chiave della politica
ecclesiastica e della diplomazia, o alla testa della predicazione di crociate e dell'istruzione del popolo (san Lorenzo da
Brindisi, san Fedele da Sigmaringen).

3.5. Gesuiti
Il riconoscimento della Compagnia di Gesù da parte di Paolo III i1 27 settembre 1540 è una delle date principali
della recente storia della Chiesa. Il basco Íñigo di Loyola era stato gravemente ferito nel 1521 dai francesi durante
l'assedio di Pamplona. Durante il periodo trascorso a letto lesse libri intrisi di pietà certosina (Vita di Gesù di Ludolfo
di Sassonia) e visse un'esperienza di conversione. Nella solitudine di Manresa trova la sua identità spirituale e mistica
(Libro degli Esercizi). Giunto all'età di trent'anni, si sottopone con rigorosa auto disciplina. Nel 1534 a Parigi, emette
coi compagni i primi voti. Il gruppo di compagni è alla ricerca. Essi sognano un «passaggio» in Terra Santa. Circostanze
esteriori li trattengono in Italia, finché a Ignazio viene in mente di obbligare la sua comunità personalmente al papa con
un quarto voto. Ciò avveniva in un tempo in cui l'autorità morale del papato era gravemente scossa.
Questo riconoscimento e questa dedizione consapevole alla Chiesa gerarchicamente strutturata e al papato furono
messi a dura prova sotto Paolo IV. Il papa voleva che la Compagnia si adeguasse agli ordinamenti tradizionali del clero
(l'obbligo del coro, la vita comune, l'abito religioso, la clausura). Ignazio vide messa in pericolo la sua opera dall'autorità
suprema della Chiesa cattolica. Tuttavia già dal 1543 Pietro Canisio lavorava nell'impero come secondo «apostolo della
Germania», dal 1542 Francesco Saverio come un «secondo Paolo» in India. In tal modo erano stati lanciati dei segnali:
alla tumultuosa espansione della riforma protestante era stato posto un argine. Ecco alcuni tratti del profilo spirituale
della Compagnia di Gesù:
a) Servizio nel mondo e al mondo: il gesuita non porta inizialmente un proprio abito religioso. Qualsiasi «mezzo
mondano» (le scienze profane, l'architettura, la retorica, la politica) deve servire alla diffusione del regno di Dio. Un
lungo curriculum di studi costituisce il presupposto per la predicazione. I gesuiti integrarono l'umanesimo dell'evo
moderno nella propagatio fidei. Per essi la povertà non è fine a se stessa. Essi operarono anche secondo il «principio
dei moltiplicatori», in quanto mirarono intenzionalmente come missionari dell'alto medioevo alle classi politiche
dirigenti.
b) «Actio in contemplatione»: Ignazio esorta i suoi a camminare costantemente alla presenza di Dio in mezzo
all'attività incessante.
c) L'ideale dell'apostolo itinerante: nell'interesse della predicazione, il gesuita non doveva avere una dimora
fissa da alcuna parte. Sempre disponibile doveva essere capace di perseverare nella disciplina religiosa senza la
protezione di una vita comune.
d) L'«encomio» della Chiesa diventa un principio spirituale e teologico. Esso corrisponde alla visuale credente
d'una Chiesa peccatrice, che il cristiano sa malgrado tutto guidata dallo Spirito Santo. Troviamo in Ignazio una mistica
molto concreta della Chiesa e dell'ufficio. Qui il quarto voto trova il suo fondamento spirituale.
e) L'«obbedienza cadaverica» dei gesuiti fu affiancata da una sorprendente pratica della responsabilità
personale, dello sfruttamento delle qualità individuali e della libertà spirituale. L'ordine dei gesuiti fece la sua comparsa
nella storia, quando i dialoghi religiosi erano falliti, quando con Calvino era penetrato nel protestantesimo un momento
oltremodo militante. I gesuiti impersonarono il destino della cristianità dal 1555 al 1648.
A partire dal generalato di Claudio Acquaviva, la Compagnia di Gesù raddoppiò il numero dei suoi membri,
portandoli da 10.581 ai 23.000 del 1773, anno della sua soppressione. Con l'aiuto del primo assolutismo avevano salvato
la Chiesa cattolica e a motivo del tardo assolutismo delle potenze cattoliche furono soppressi dal Papa Clemente XIV,
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fu un trionfo del complotto internazionale contro i gesuiti. Tutte le potenze cattoliche furono concordi nell'impedire
l'elezione di un sostenitore di questo ordine. Il nuovo papa, un francescano Conventuale, il 16 agosto del 1773, col
breve Dominus ac Redemptor, annuncio la soppressione dell'ordine. Gesuiti furono tollerati solo dalla Prussia calvinista
e dalla Russia ortodossa.

3.6. Trappisti
Le discussioni e le controversie degli ordini monastici rispecchiarono il dilemma del periodo della riforma
protestante. Ciò venne chiaramente in luce nel noto confronto tra i maurini OSB e il rigoroso monastero cistercense di
La Trappe. I benedettini di St. Germain-des-Prés di Parigi divennero il centro della congregazione dei maurini, che
cercò di risolvere grandiosi progetti scientifici comunitariamente e con una pianificazione a lungo termine, sullo stile
delle accademie. Uno dei superiori più meritevoli di tale congregazione fu Jean Mabillon, che editò tra l'altro le opere
di san Bernardo. Egli cadde in una violenta polemica col fondatore del futuro ordine dei trappisti, l'abate Armand-Jean
Le Bothillier de Rancé che divenne un celebre direttore spirituale, ebbe contatti con leader giansenisti e fu a sua volta
sospettato tale a motivo del suo rigore. Con la loro richiesta di una contemplazione pura, di un duro lavoro manuale e
di una continua pratica della penitenza fisica questi cistercensi volevano attuare lo spirito di san Bernardo.

3.7. Lazaristi
Dopo che il concilio di Trento aveva sollecitato la fondazione di seminari per la formazione dei sacerdoti, sorsero
congregazioni clericali come quella degli Eudisti e Saint-Sulpice o l'Holzhauer, le quali si assunsero il compito di
formare sotto il profilo ascetico e intellettuale un clero all'altezza delle esigenze del tempo.
Una fondazione fu la congregazione della «missione» o dei lazzaristi e del loro ramo femminile, le vincenzine
o figlie della Carità. Vincenzo de' Paoli fu un carismatico dell'amore del prossimo e della pastorale. Egli scoprì il suo
talento per le missioni popolari, che praticò in maniera pianificata e regolare in campagna. Il nome dato alla sua
fondazione deriva del lebbrosario di St. Lazare vicino a Parigi. Vincenzo istituì numerosi seminari tridentini e il suo
ordine arrivò alla fine a dirigerne quarantanove. Dopo la soppressione dei gesuiti, i lazzaristi presero in parte il loro
posto. Nel secolo XIX essi svilupparono una vivace attività missionaria. Nel 1873, essi furono perseguitati come «affini
ai gesuiti», cosa che riuscì a beneficio della loro attività d'oltremare.

3.8. Scolopi
Gli scolopi furono fondati da san Giuseppe Calasanzio. Nel 1597 il santo aprì la prima scuola elementare per
ragazzi gratuita d'Europa, cui nel corso del secolo XVII seguirono numerose altre scuole. L'ordine emise un quarto
voto, quello di dedicarsi all'educazione dei giovani. Soprattutto si accollò la conduzione di collegi e seminari, cercando
di assecondare le intenzioni di Trento e di far fronte ai bisogni dell'evo moderno nel campo dell'istruzione e della
formazione.

3.9. Camilliani
Camillo de Lellis con la sua società dei camilliani continuò gli ideali dell'andalusiano Giovanni di Dio
(fatebenefratelli). Fondò in Italia la moderna diaconia organizzata a favore dei malati e dei moribondi e si dedicò alla
loro cura pastorale. Originariamente clarissa, l'inglese Mary Ward si dedicò con umiltà eroica all'idea della formazione
della donna e della sua partecipazione all'apostolato, superando le grandissime difficoltà frapposte dall'autorità
ecclesiastica. Col suo istituto delle Dame inglesi ella cercò di applicare gli ideali di sant'Ignazio allo stile di vita delle
monache, anticipando propriamente l'idea degli istituti secolari.

3.10. Passionisti
La fondazione dei passionisti fu operata nel 1725 dal piemontese Paolo della Croce. L'ordine doveva predicare
con la parola e con l'esempio soprattutto la passione di Cristo. Diversamente dalla tradizione gesuitica, esso impose
anche l'obbligo del coro e coltivò intensamente la vita contemplativa. Si è quasi tentati di vedere in queste fondazioni
dell'era dell'illuminismo un'alternativa alla spiritualità gesuitica.

3.11. Redentoristi
Quale un giansenista cattolicizzato e un avversario del probabilismo gesuitico appare il fondatore dei redentoristi
(1735), il «Doctor zelantissimus» Alfonso Maria de Liguori. Nato a Napoli e laureatosi in legge egli operò con grande
zelo dedicandosi particolarmente al popolino, ma alla morte lasciò un ordine con duecento membri soltanto. I
redentoristi furono considerati dai governi ostili ai religiosi come gesuiti mascherati. Il loro grande momento sarebbe
venuto dopo la rivoluzione nel secolo XIX. Clemens Maria Hofbauer, l'apostolo di Vienna, li introdusse nel mondo
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di lingua tedesca. La sua attività apostolica in Vienna in qualità di missionario popolare, confessore e ispiratore
spirituale di circoli tardoromantici, contribuì in misura sostanziale alla restaurazione religiosa dopo l'era napoleonica.
Come «Società dello Spirito Santo» (1703) per la conduzione di un seminario per bambini poveri di Parigi
furono inizialmente concepiti i futuri spiritani, fondati da Claude-Francois Poullart des Places. Quasi completamente
annientati dalla rivoluzione francese, essi risorsero nel 1841 ad opera di Paul Libermann, figlio di un rabbino, e
divennero una delle società più importanti per la missione in Africa e soprattutto per la cura spirituale degli
afroamericani. La crudele decimazione dei missionari da parte del clima inospitale non frenò l'eroico zelo missionario
di questa comunità di sacerdoti.
Riassumendo possiamo indicare i seguenti segni distintivi moderni a proposito di queste comunità religiose, solo
limitatamente «affini ai gesuiti»: base di partenza pastorale costituita da sacerdoti secolari, comunità sacerdotali di
lavoro e di vita comune, apostolato nei seminari e nella scuola, pastorale delle campagne, missioni popolari, pastorale
del confessionale come direzione spirituale, diaconia pratica, a differenza dei gesuiti un certo rigorismo in teologia
morale e nella condotta.

CAPITOLO IV
CHIESA NELL'ETA' DELL'ASSOLUTISMO

4.1. Osservazioni generali


a) La Società è ufficialmente cristiana. L'ambiente, le strutture sociali, la legislazione, i costumi, tutto è o
vorrebbe essere ispirato ai principi cristiani. Dalla nascita alla morte gli uomini incontrano nella loro vita consuetudini
cristiane, e sono sorretti e quasi guidati da queste strutture confessionali. La società in sé stessa prende la sua ispirazione
dalla religione.
b) La Chiesa è soggetta a pesanti catene. Lo Stato riconosce l'esistenza di un'altra società, che si proclama
indipendente nei suoi confronti, evitando per lo più inutili discussioni teoriche, lo Stato, col pretesto di tutelare la Chiesa,
la sottopone a pesanti controlli in tutta la sua attività, che finisce per essere in molti casi quasi soffocata. La Chiesa ha
perso gran parte della sua libertà.
c) La Chiesa è appesantita da uno spirito terreno, mondano: vescovi, abati, monsignori ambiscono ricchezze
e onori, la curia romana non vuole essere inferiore alle altre corti per ricchezza e lusso. Gli ecclesiastici godono di
numerosi privilegi che la società riconosce loro, e, scambiando i mezzi col fine, finiscono per considerarli come un
vantaggio personale. La pastorale si fonda sulla costrizione, l'autorità sul prestigio ispirato dalla pompa: l'umiltà e la
povertà sono poco apprezzate. Un significativo esempio di questa mentalità è la lettera con cui il 30 aprile 1783
l'ambasciatore francese a Roma, card. Bernis, racconta al suo sovrano il fanatismo di cui hanno dato prova i romani
davanti alla salma di un povero disgraziato, che viveva di elemosine, e forse aveva ricevuto qualche volta la sua scodella
di minestra dalla cucina del ricco e potente cardinale. L'eminentissimo card. Bernis, e quello straccione, Giuseppe
Benedetto Labre, canonizzato un secolo dopo, rappresentano due aspetti opposti di una sola Chiesa, santa e peccatrice.

4.2. Caratteri generali dell'assolutismo.


L'età dell'assolutismo, detta anche ancien régime abbraccia in genere i secoli immediatamente anteriori alla
Rivoluzione Francese, cioè il Cinque, Sei e Settecento, ma si possono far rientrare in essa anche gli anni dal 1815 al
1830 o al 1848, cioè l'età della Restaurazione, che tenta di ripristinare il sistema anteriore alla Rivoluzione. Possiamo
distinguere in questo periodo tre fasi: assolutismo puro (l'età di Filippo II, di Elisabetta e di Luigi XIV: Cinque e
Seicento); dispotismo illuminato (l'età delle riforme, con Giuseppe II e Pietro Leopoldo) che vogliono governare
secondo ragione; restaurazione (con Luigi XVIII e Carlo X).
Politicamente l'assolutismo comporta l'indipendenza del sovrano da ogni altra autorità, fosse pure l'imperatore o
il Papa, e l'accentramento dei poteri nelle sue mani, ottenuto togliendo ai nobili dopo una lotta di secoli ogni potenza
politica, sopprimendo o limitandole autonomie locali, sviluppando l'uniformità amministrativa del regno. E' logico che
il re consideri i nobili come suoi potenziali nemici e si allei alla borghesia da cui trae i suoi ministri: questi sono però
semplici esecutori delle direttive del sovrano, che non ammette critiche e controlli e può con un solo atto di volontà far
arrestare chi crede.
Privilegi sociali: accesso esclusivo ad alcune cariche (soprattutto nella carriera militare); distinzioni onorifiche
tanto appariscenti quanto vane; diritto di lasciare il patrimonio al primogenito maschio, in modo che non possa mai esser
diviso a costo di sacrificare gli altri fratelli, obbligandoli a scegliere fra il chiostro e la vita militare (maggiorascato,
limitato dai principi illuminati del Settecento, abolito dalla Rivoluzione Francese, ripristinato dalla Restaurazione,
definitivamente soppresso in tutti i codici moderni); diversità di pene (galera ai villani, elevazione ai nobili: e magari,
in caso di condanna a morte di un nobile).
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Privilegi economici: esenzione dalle tasse. I nobili non svolgono alcuna funzione sociale ed è esente da ogni
peso: il terzo stato assolve le più importanti funzioni sociali ed è gravato di tutti gli oneri fiscali.
In conclusione, «la società antica era tutta fondata sul privilegio: la monarchia era il privilegio di una famiglia, i
nobili avevano i loro privilegi, le città i loro privilegi; l'autorità era un privilegio e un privilegio la libertà».

4.3. Il principio fondamentale dell'assolutismo e le sue applicazioni.


Un principio fondamentale ispira l'assolutismo per quanto riguarda l'influsso che la religione può avere nella
società: deve regnare un perfetto parallelismo fra l'ordine politico-civile-temporale e quello spirituale-religioso-
soprannaturale. Più concretamente: la società civile tende ad assumere alcuni tratti sacri propri della società religiosa, e
questa a sua volta adotta i mezzi legali. La stessa tendenza si può esprimere in un'altra forma: tutto ciò che è proibito o
permesso nell'ordine religioso, deve essere proibito permesso anche nell'ordine civile, tranne qualche rara eccezione. Se
questa mentalità è diametralmente opposta a quella dei secoli XIX-XX non è però scomparsa tuttora la tentazione di
proiettare in una delle due società i metodi propri dell'altra, anche se oggi il fenomeno ha assunto un'unica direzione: la
società civile non guarda più alla Chiesa come a suo modello, ma la Chiesa è spinta ad adottare in larga misura le
strutture e i metodi propri della società democratica.

4.3.1. Diritto divino dei re.


Il sovrano ha la sua autorità soltanto da Dio, immediatamente, attraverso un atto positivo analogo a quello che si
verifica nell’elezione del Papa. Si ha un'investitura trascendente che comporta un carattere sacro. La cerimonia della
consacrazione regale con le unzioni e le invocazioni recitate sul re aveva questo significato: il sovrano acquistava un
carattere superiore a quello umano e un'antichissima tradizione gli attribuiva il potere di guarire alcune malattie:
numerosi malati accorrevano perciò in giorni fissi a corte, sicuri di essere risanati al tocco del re. Del suo modo di agire,
doveva rendere conto solo a Dio: nessuna autorità terrena poteva intervenire. Ai sudditi non resta che l'ubbidienza cieca.
«Il rispetto, la fedeltà e l'ubbidienza che si deve al re non possono essere alterati da alcun pretesto. I sudditi non possono
opporre alla violenza del sovrano che rimostranze rispettose, senza ammutinamenti e senza mormorazioni, e delle
preghiere per la conversione del sovrano».

4.3.2. L'unità politica si fonda sull'unità religiosa.


Non si concepisce la possibilità di uno stato politicamente unito, religiosamente diviso, e si ritiene che l'unico
vincolo che può unire popolazioni che hanno abitudini un po' differenti e che soprattutto non sentono ancora
profondamente la partecipazione ad un identico patrimonio spirituale sia la religione. Ovvia ed immediata conseguenza
di questo principio: chi non segue la religione dominante, è privo dei diritti ma anche dei diritti civili. Il principio vale
sia per gli stati cattolici come per quelli protestanti: le applicazioni però variano.
Rientra in questo contesto la speciale legislazione degli Ebrei, che era una conseguenza ovvia dello stretto nesso
fra unità politica e religiosa, ma si ispirava anche alla preoccupazione di impedire ogni pericolo che poteva nascere dal
contatto con gli Ebrei, all'antisemitismo radicato nella Chiesa per una lunga tradizione che risaliva a Crisostomo ed a S.
Agostino, era stata rafforzata da S. Bernardo, e raggiunse le sue espressioni definitive con Bossuet, e spingeva a vedere
negli Ebrei i responsabili della crocifissione che la Chiesa doveva trattare giuridicamente inferiori ai cattolici. La
legislazione antisemita si sviluppò attraverso tre fasi essenziali, il tardo impero, il Duecento, e la controriforma e
culminò nelle Bolle di Paolo IV, Pio V, Clemente VIII, dette dagli Israeliti «Bolle infami».
Paolo IV nella «Cum nimis absurdum», del 1555 dichiara: «E' troppo assurdo e sconveniente che gli Ebrei, che
per la loro colpa sono stati condannati da Dio alla perpetua schiavitù, possano, con la scusa di essere protetti
dall'amore cristiano e tollerati dalla loro coabitazione in mezzo a noi, mostrare tale ingratitudine verso i cristiani da
oltraggiarli per la loro misericordia e pretendano di dominarli invece di prestar loro la dovuta sottomissione...
Considerando che la Chiesa romana tollera gli Ebrei a testimonianza della veracità della fede cristiana... e che perciò
è bene che, finché essi persistono nei loro errori, dagli effetti delle loro opere riconoscano che essi sono stati ridotti in
servitù, mentre i cristiani sono stati liberati da Cristo, e che perciò sarebbe del tutto ingiusto che i figli della libera
servano ai figli dell'ancella...». Non molto dissimili nel tono e nel contenuto i documenti di Pio V e di Clemente VIII:
«La stirpe ebraica, un tempo eletta da Dio in modo esclusivo... divenne poi perfida e ingrata... la pietà cristiana tollerò
che essa abitasse presso di lei, perché i fedeli, avendo sotto gli occhi le loro condizioni, potessero ricordarsi spesso
della Passione del Signore... Ma la loro empietà...». «La cieca e ostinata perfidia degli Ebrei... non cessa di commettere
ogni giorno eccessi... a danno di quei cristiani, che li sopportano a testimonianza della vera fede e a memoria della
Passione del Signore».
Gli Ebrei dovevano portare il segno sull'abito; dovevano abitare nel ghetto (imposto da Paolo IV con la bolla del
1555), ritirandosi prima di notte e non uscendo prima dell'alba. Al tramonto le porte del ghetto erano chiuse da un
custode cristiano, che gli Ebrei erano obbligati a pagare. Essi non potevano muoversi liberamente, ma avevano bisogno
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volta per volta del permesso del S. Uffizio. Agli Ebrei era preclusa ogni proprietà immobiliare, e delle loro abitazioni
avevano solo l'usufrutto, sia pure trasferibile di padre in figlio. Era loro proibito l'accesso alle scuole cristiane, e quindi,
la laurea, sia in diritto che in medicina: di fatto si tollerava che frequentassero i corsi universitari in medicina, e, senza
mai avere il titolo di dottore, di cui erano giuridicamente incapaci, conseguissero l'abilitazione all'esercizio della
medicina: tuttavia essi potevano svolgere la loro attività solo a vantaggio dei loro correligionari, ed era severamente
proibito ai cristiani di ricorrere a medici ebrei. In pratica, gli stessi Sommi Pontefici si valsero in caso di necessità delle
cure di famosi medici ebrei. Ovviamente agli Israeliti erano sbarrate quasi tutte le altre professioni, e non restava loro
che il piccolo commercio, il prestito in scala più o meno grande, la rivendita di stracci vecchi. Vari oneri finanziari erano
poi addossati alle comunità ebraiche, sottoposte ad avvilenti manifestazioni di ossequio, soprattutto per rendere più
allegre le feste. Talora, per essere esonerati da queste umilianti prestazioni, le comunità israelitiche chiedevano ed
ottenevano di pagare una certa somma, che si trasformava presto in un nuovo tradizionale tributo. Non basta: gli ebrei
non potevano avere dipendenti cristiani, ed era loro proibito di servire in famiglie cristiane. A Roma l'uso della predica
per gli Ebrei cessò solo nel 1847.

4.3.3. La religione cattolica è religione di Stato e il re ne diviene il difensore.


Lo Stato assoluto riconosce ufficialmente la religione cattolica come la sola vera, e la Chiesa come una società
sovrana, i cui interessi sono connessi con quelli dello Stato. Di conseguenza, il re considera suo stretto dovere difendere
e promuovere la religione: Stato e Chiesa ad un solo fine, il bene ultimo dell'uomo. Di qui:
—il sovrano cerca di creare e mantenere le strutture che rendono più facili ai sudditi l'osservanza dei loro doveri
religiosi, anzi li stimola in vari modi al loro adempimento;
—il sovrano difende la religione, vietando la diffusione di libri contrari alla religione
—i delitti contro la religione sono considerati lesivi del sentimento religioso di una larga parte dei cittadini come
un fenomeno sociale di una certa entità che deve essere tutelato dalla legge la quale si interessa solo del mantenimento
dell'ordine e della tutela dei diritti individuali e sociali. I delitti contro la religione sono sentiti come un'offesa al
patrimonio spirituale della nazione, come un delitto di lesa maestà, e come una ingiuria al Signore il cui onore lo Stato
ha il dovere di difendere.
Per esempio la bestemmia era punita con pene gravissime, che andavano da una multa alla flagellazione, al rogo.
Nella restaurazione troviamo in vari codici penali la pena dell'ergastolo o addirittura la condanna a morte per «chi
profana le specie consacrate, in cui è la presenza reale della divinità». D'altra parte non va dimenticato che non solo il
diritto divino dei re, ma il principio secondo cui l'unità politica si fonda sull'unità religiosa costituiscono precisi capisaldi
non solo degli Stati cattolici, ma anche di quelli protestanti. Religione di Stato e confessionismo non si devono mai
identificare con una protezione accordata solo e sempre alla religione cattolica: la situazione era identica a Londra come
a Madrid, nel senso che i protestanti subivano nella capitale spagnola lo stesso trattamento riservato ai cattolici nella
metropoli inglese.

4.4. Altre applicazioni dello stesso principio

4.4.1. Le leggi civili sono in armonia con quelle canoniche.


Lo Stato non solo si ispira nella sua legislazione alla dottrina cattolica, ma riconosce le leggi della Chiesa, dà ad
esse la sua sanzione e 1'appoggio del braccio secolare per imporne Coattivamente l'esecuzione; spesso lo Stato fa sua la
norma canonica, promulga una legge civile del tutto analoga a quella ecclesiastica. Alcune leggi mirano a facilitare
l’osservanza dei precetti ecclesiastici, soprattutto delle feste, dell'astinenza e del digiuno: è punita l'inosservanza di
questi precetti, si vieta di tenere aperti negozi e botteghe, di divertirsi in pubblico durante le funzioni sacre, si punisce
chi non osserva la dovuta riverenza in chiesa.
Due casi particolari meritano l’attenzione, il matrimonio e la censura preventiva sulla stampa. Nonostante qualche
tendenza contraria è riconosciuta l'esclusiva competenza della Chiesa sul matrimonio, che resta regolato dalla
legislazione tridentina di cui si è fatto cenno nella lezione precedente. Il matrimonio civile sino alla seconda metà del
Settecento non esiste: è la Chiesa a fissare le condizioni del vincolo matrimoniale, a regolarne la forma, a giudicare della
sua validità. Contratto matrimoniale e sacramento sono considerati dalla Chiesa e dallo Stato come una cosa sola. Per
quanto riguarda la censura, possiamo dire che ogni autore era soggetto ad una duplice censura, ecclesiastica e civile, e
che i libri potevano uscire solo con un duplice imprimatur.

4.4.2. Uso della coercizione da parte dell'autorità ecclesiastica.


La tendenza ad applicare alla società religiosa i mezzi tipici della società civile, appare evidente nella possibilità
data agli inquisitori, vescovi, superiori religiosi, di ricorrere alla forza per punire i colpevoli. Non contenta di poter
ricorrere agevolmente al braccio secolare la Chiesa afferma e pratica una sua potestà coattiva: L'Inquisizione, le curie
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vescovili (che hanno larghi poteri a tutela della pubblica moralità), hanno il loro corpo di polizia, come i monasteri
(femminili) e i conventi (maschili) hanno le loro prigioni. Applicando con tutta la coerenza questo principio Pio V nel
1566 vieta ai medici sotto pena di infamia perpetua, di espulsione dall'ordine dei medici, e di multa proporzionata, di
visitare più di tre volte un ammalato, se questi non prova con un documento scritto di essersi già confessato. Chi non
vuole il medico spirituale, non ha diritto al medico corporale. All'atto della laurea, il medico deve giurare di osservare
questa norma. La legge, confermata e aggravata nel Sinodo romano del 1725, sollevò tutta una casistica, in cui vari
autori cercavano di conciliare ubbidienza e buon senso. Ad essa si ispiravano i regolamenti di molti ospedali: l'ammalato
doveva confessarsi appena ricoverato, prima di ricevere qualsiasi cura.

4.4.3. Organizzazione cristiana del lavoro.


Ogni lavoratore, doveva far parte della corporazione o università corrispondente alla sua professione, che aveva
una finalità economica (impedire la libera concorrenza, controllando prezzi, salari, prodotti) e religioso-cultuale-
caritativo (partecipazione a celebrazioni religiose comunitarie; controllo morale sui soci). Quasi sempre si affiancava
all'università una confraternita con fini esclusivamente religiosi (suffragi dei soci defunti, feste patronali, celebrazioni
comunitarie, assistenza ai malati, indulgenze...). Soppresse con la Rivoluzione Francese le corporazioni, restarono in
vita le confraternite, ma con un'attività ridotta e stentata, finché sotto i colpi della laicizzazione o furono soppresse o
cambiarono fine.

4.4.4. Monopolio ecclesiastico dell'istruzione e della carità.


Lo Stato si disinteressa largamente di questi due campi. La scuola resta in mano agli ecclesiastici, e in particolare
ai religiosi: accanto ai gesuiti, si distinguono gli Scolopi, i Fratelli delle Scuole Cristiane, detti Ignorantelli, perché
volutamente non si occupano dell'istruzione superiore, consacrandosi a quella elementare, e non insegnano il latino, e,
per le ragazze del popolo, varie fondazioni (Maestre Pie Venerini, Maestre Pie Filippini ecc.), che, senza avere un
vero e proprio carattere «religioso», pronunziavano voti privati e si dedicavano alla gioventù femminile. Anche gli
ospedali erano gestiti da ecclesiastici.

4.5. Le immunità e la problematica relativa.


La Chiesa gode di numerose immunità che riguardano le cose, i luoghi, le persone sacre. Una classifica ben nota
distingue le immunità in reali, personali e locali.
-Le immunità reali. I beni ecclesiastici sono esenti da tasse, e resi inalienabili per eliminare ogni pericolo di
diminuzione, e per fronteggiare così a sufficienza i vasti compiti sociali riservati alla Chiesa. Il complesso di beni
immobili è designato col nome di "mano morta".
-Le immunità locali. Si riducono in sostanza al diritto d'asilo, proprio delle chiese e degli edifici annessi.
-Le immunità personali. Accanto all'esenzione dal servizio militare, comprendevano soprattutto l'esenzione
degli ecclesiastici dalla giurisdizione dei tribunali ordinari, e il diritto di essere giudicati dal tribunale ecclesiastico.
L'esistenza di due diverse giurisdizioni nello stesso territorio creava facilmente degli inconvenienti, per la
difficoltà di determinare chiaramente la competenza dei due fori. Si aggiungeva la frequente mancanza nei tribunali
ecclesiastici di persone competenti e l'incongruenza che degli ecclesiastici fossero quasi del tutto assorbiti in occupazioni
poco confacenti con il loro ministero. Lo Stato moderno non poteva ammettere l'esistenza nel suo territorio di un'altra
autorità, che rivendicava la piena giurisdizione su un settore non esclusivamente religioso, pertinente all'intimo delle
coscienze, ma con larghi riflessi e interferenze sull'ordine sociale. Fare altrimenti avrebbe significato per lo Stato
moderno rinunziare alla propria missione, abdicare alla propria sovranità.
Ricordiamo solo un episodio fra questi: il clamoroso conflitto fra Paolo V e la Repubblica di Venezia, che si era
rifiutata di consegnare al foro ecclesiastico due sacerdoti arrestati per delitti comuni. Paolo V nell'aprile 1606 lanciò
l'interdetto: la Repubblica accettò la sfida e ordinò ai sacerdoti di non seguire le direttive di Roma. L'opinione pubblica
europea salutò con entusiasmo Venezia come il campione del moderno Stato laico, che non riconosceva più le immunità
e il loro fondamento teorico. Il Papa ritirò l'interdetto; la Repubblica consegnò i due sacerdoti non al Papa ma alla
Francia. La vittoria sostanziale fu di Venezia che non abrogò le sue disposizioni, non sconfessò i suoi principi, non si
umiliò affatto davanti al Papa. Il prestigio del pontificato riceveva dalla tenace difesa del foro ecclesiastico un colpo
grave.
La S. Sede e la gerarchia del Sei e vollero ad ogni costo difendere la loro supremazia sull'Europa, anziché adattarsi
alla nuova situazione, alla nascita di stati nazionali gelosi della loro sovranità. La Chiesa si irrigidì nella difesa del
privilegio del foro, del diritto di asilo, della manomorta. Era d'altra parte ben difficile distinguere due elementi
diversi: la difesa di strutture storiche contingenti, e la difesa della indipendenza della missione della Chiesa, e, inoltre,
si poteva a ragione pensare che le immunità fossero solo un falso obiettivo, che nascondesse il vero fine dello Stato: la
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laicizzazione della società e la subordinazione della Chiesa al potere civile. Cedere su un punto, poteva mettere in
forse il risultato finale della lotta.
Si può comprendere questa mentalità, ma si deve aggiungere che i risultati della tattica sembrano negativi. I
privilegi non furono salvati, si approfondì il solco fra Chiesa e Stato e la tutela di strutture peculiari al clero sembrò
giustificare l’affermazione che ogni ideologia tende a strumentalizzarsi a vantaggio di quanti si sono ad essa consacrati.

CAPITOLO V
CORRENTI RELIGIOSE DEL SEI E SETTECENTO

5.1. Il quietismo
Nella seconda metà del Seicento era arrivato a Roma dalla Spagna un giovane dottore in teologia, Michele
Molinos, per sostenere la causa di beatificazione di un sacerdote. La missione era fallita, ma l'abate era uno di quegli
uomini che sanno mantenersi sempre a galla, e nessuno pensò a rispedirlo a casa. Il Molinos nel 1675 ritenne giunto il
momento di pubblicare una sintesi del suo pensiero, La Guia espiritual. La sua fortuna crebbe coll'avvento al pontificato
di Innocenzo XI. Il nuovo pontefice, austero e dedito ad un'intensa vita di preghiera.
Non tutti erano ugualmente persuasi della bontà della nuova corrente, soprattutto per qualche abuso che sembrava
diffondersi fra i devoti del Molinos. C'era a Pomigliano d'Arco, una suora, discepola del Molinos che dopo uno
scandaloso e triviale alterco in pubblico continuava a comunicarsi senza essersi confessata. Soprattutto i gesuiti erano
preoccupati dei pericoli connessi con le dottrine del Molinos, nel 1680 usciva a Roma La concordia tra la fatica e la
quiete nell'orazione, I gesuiti erano ridotti al silenzio, e il Molinos, vide crescere i suoi figli spirituali, fra cui la stessa
ex regina di Svezia, Cristina, la figlia di Gustavo Adolfo.
Poi, la tempesta. Il 18 luglio 1685 si ferma dinanzi all'abitazione del Molinos la carrozza dell'Inquisizione. Roma
era divisa: i suoi discepoli annunciavano che fra poco sarebbe stato liberato come un santo, i gesuiti gongolavano, e
Cristina dichiarava: «Se è innocente uscirà giustificato, se reo sarà punito come merita». Innocenzo XI riconobbe di
essersi ingannato, e il 3 settembre 1687 alla Minerva fu proclamata la sentenza, che condannava Michele Molinos
all'ergastolo, proibiva i suoi libri e censurava come eretiche, sospette 68 tesi, estratte non dalla Guía espiritual ma dalle
sue lettere di direzione spirituale.
Il quietismo, la dottrina diffusa da Molinos, insegnava che per eliminare ogni ostacolo alla grazia e lasciare a
Dio il dominio assoluto delle nostre azioni, dobbiamo sopprimere più che sia possibile ogni nostra attività, agendo
soltanto nel caso di un manifesto intervento di Dio che ce lo comandi. Il pelagianesimo sosteneva che possiamo fare
tutto da soli, il quietismo invece che dobbiamo lasciar fare tutto a Dio. Perciò resistere alle tentazioni significa opporsi
ad uno stato voluto da Dio, che talora per umiliarci permette che il demonio ci faccia violenza, muovendo fisicamente
il nostro corpo, senza che questo costituisca peccato. Bisogna poi sopprimere ogni desiderio, anche buono e santo.
Infine, l'orazione perfetta è quella in cui non si compie alcun atto, ma ci si limita ad un senso confuso della presenza
divina. Inerte attesa della mozione divina, soppressione di ogni desiderio, orazione ridotta ad una specie di
annichilimento: ecco i tratti essenziali del quietismo, condannato da Innocenzo XI nel 1687 con la bolla «Coelestis
Pastor».
Fra le tesi condannate, varie affermano che non è bene resistere alle tentazioni, mezzo per purificare l'anima e
condurla all'unione; che non vi è bisogno di confessare eventuali atti contro la purezza, perché sono opera di Satana e
non del soggetto che le subisce: solo in questo modo si acquista e si conserva la pace.
Le nuove dottrine riapparvero pochi anni dopo in Francia. Madame Giovanna Guyon, affascinò con il suo
libriccino sulla preghiera non solo marchese e duchesse, ma anche un dotto vescovo, Fénelon, che si fidava ciecamente
delle virtù di quella donna. La Guyon ai principi professati dal Molinos aggiungeva una cosa sola: la perfezione esige
che si agisca con un amore del tutto disinteressato, che escluda ogni speranza, ogni timore, ogni interesse personale,
fosse pure quello della propria salvezza. Anche questa dottrina dell'amore completamente disinteressato fu condannata
dalla Chiesa: l'amore deve essere in noi il sentimento predominante, ma non esclude il timore e la speranza.

5.2. Il giansenismo: protagonisti e principi


Due cause essenziali sono alla radice del movimento. Da una parte, esso nasce come una reazione alla tiepidezza
di tanti cristiani del Seicento ed al lassismo teorico di vari moralisti che dal probabilismo (il sistema che ritiene lecito
seguire un'opinione solidamente probabile, anche se la tesi contraria gode di maggior probabilità) erano scivolati nella
casistica (la tendenza a formarsi sulle applicazioni particolari, che appare in varie opere del tempo), e dalla casistica
erano caduti nel lassismo (che ritiene lecito seguire un'opinione non solidamente fondata). Il duello era scusato con
facilità; l'obbligo dell'elemosina era ridotto al minimo; l'infedeltà e il piacere considerati con straordinaria indulgenza
ed erano minimizzati i doveri della vita cristiana. A Lovanio Michele Baio dopo il 1550 aveva insegnato alcune tesi
non troppo lontane dalla dottrina luterana, condannate perciò dalla Chiesa; una nuova controversia aveva diviso
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domenicani e gesuiti, rimasti ciascuno sulle proprie posizioni finché Paolo V intimò a tutti il silenzio, riconoscendo
implicitamente la legittimità delle opposte scuole.
Il decreto di Paolo V del 1607 non poteva impedire che qualcuno tentasse ancora di difendere la dottrina di Baio.
Fu quello che si propose Cornelio Giansenio. Senza essere un genio, Giansenio possedeva una notevole intelligenza e
soprattutto una tenacia tipicamente olandese, congiunta ad un orgoglio smisurato, alimentato dai brillanti successi
ottenuti nei suoi studi. A Lovanio si era imbevuto delle idee di Baio, poi, a Parigi, aveva stretto amicizia con un certo
Du Vergier, più noto sotto il nome di Saint Cyran, dall'abbazia di cui godeva i redditi come abate commendatario. I
due avevano un carattere complementare: teorico puro Giansenio, uomo d'azione, notevole direttore di coscienza, capace
di esercitare un forte ascendente Saint Cyran. Li univa una convinzione profonda: essi erano chiamati a purificare la
Chiesa dagli errori che si erano diffusi per opera della scolastica e del giuridismo: Giansenio sarebbe stato il fondatore
di una nuova teologia, Saint Cyran il riformatore della Chiesa.
Morendo, Giansenio professava la sua fedeltà a Roma, ma insieme l'attaccamento alle sue idee: gli stessi
sentimenti apparivano anche nelle parole con cui si chiudeva l'Augustinus. L'antinomia riapparirà in tutta la storia del
giansenismo. Intanto Saint Cyran aveva fatto propaganda per le nuove idee finendo per incutere qualche timore nel
card. Richelieu. La prigionia durò sino alla morte del cardinale nel 1642. Saint Cyran morì qualche mese dopo, ma
aveva già conquistato alla causa Antonio Arnauld. Con la sua vasta erudizione, la sua formidabile dialettica, la sua
penna facile, la sua abile tattica nello sfuggire alle strette degli avversari, ma con il suo sincero amore alla Chiesa e la
stima che ebbero per lui pontefici come Innocenzo XI e Benedetto XIV, egli recò al giansenismo i più grandi servizi.
Dei suoi quarantatré il suo libro più famoso, De la fréquente communion, sosteneva la necessità di ritornare alla prassi
della Chiesa primitiva, che ammetteva alla comunione solo dopo una lunga e severa penitenza: l'Eucarestia costituisce
un premio per i santi, non un rimedio per i peccatori. Antonio aveva una sorella, Jacqueline. Una serie di circostanze
aveva trasformato la frivola postulante di un tempo in una monaca decisa e piena di fervore, che aveva assunto il nome
di Madre Angelica. Per suo merito Port Royal divenne il vero centro spirituale del giansenismo, dove affluirono
vocazioni notevoli, fra cui un'altra Jacqueline, la sorella di Pascal.
Il giansenismo si presenta sotto tre aspetti diversi: dogmatico, morale, disciplinare. Sotto il profilo dogmatico,
Giansenio si avvicina al pensiero di Lutero e di Calvino. Egli nega il carattere soprannaturale dello stato di giustizia
originale che, dopo il peccato originale, la natura umana, intrinsecamente corrotta, ha perso la vera liberta. La volontà
umana segue necessariamente la grazia se le viene offerta, o la concupiscenza, quando, in assenza della grazia, viene
lasciata sola. La grazia non è sempre concessa agli uomini, e in questo caso essi seguono necessariamente la
concupiscenza e peccano. In altre parole, la Chiesa difende libertà e grazia, Giansenio esaspera l'efficacia della grazia
fino a distruggere praticamente ogni libertà. La Chiesa distingue grazia efficace, non sempre concessa, e, grazia
sufficiente, sempre concessa: Giansenio nega la grazia sufficiente e ammette solo la grazia efficace, non sempre
concessa. Cristo dunque non è morto per tutti, ma per gli eletti, ai quali solo viene data la grazia. Di qui l'inclinazione a
raffigurare il Crocifisso con le braccia protese verso l'alto e ristrette, perché offre il suo sangue solo per un ristretto
gruppo di eletti.
Nel campo morale il giansenismo difende un chiaro rigorismo che ha diverse manifestazioni: il rifiuto del
probabilismo, la visione negativa delle opere degli infedeli e dei peccatori, che costituiscono sempre un peccato; la
condanna dell'attrizione, considerata non solo insufficiente ad ottenere la remissione dei peccati al di fuori del
sacramento, ma in sé e per sé immorale; il cumulo di condizioni quasi impossibili a raggiungersi richiesto per la
comunione; la predilezione, per penitenze straordinarie, il disprezzo con cui è vista la natura umana in sé stessa,
l'eccessiva svalutazione del matrimonio nei confronti della castità, la diffidenza mostrata verso gli affetti familiari e
l'amicizia.
Sotto il profilo disciplinare, i giansenisti svalutano l'autorità del Papa per aumentare quella dei vescovi e dei
parroci. Col tempo il giansenismo abbandonò l'iniziale ostilità verso l'autorità civile, per stringere alleanze con esse
contro l'autorità del Papa e della curia romana.

5.3. Il gallicanesimo
I contrasti fra Roma e Parigi, acquistarono particolare gravità quando davanti a Luigi XIV si trovò una personalità
energica come Innocenzo XI. Nel 1673 il re confermò ed estese a tutte le diocesi francesi il diritto di conferire gli uffici
ecclesiastici che non importavano cura d'anime durante la vacanza della sede (regalia spirituale). Innocenzo XI, protestò
con tre Brevi molto forti. Luigi XIV volle assicurarsi l'appoggio del clero e convocò un'assemblea del clero, che nel
1682 riconobbe valide le ragioni del re e approvò una dichiarazione redatta da Bossuet per ordine di Luigi XIV. I
quattro articoli approvati il 19 marzo 1682 sostengono l'indipendenza assoluta del re di Francia nelle questioni
temporali, la superiorità del concilio sul Papa secondo i decreti di Costanza, l'inviolabilità delle antiche e venerande
consuetudini della Chiesa gallicana, l'infallibilità del Papa condizionata dal consenso dell'episcopato. Luigi XIV
impose a tutte le scuole teologiche l'insegnamento dei quattro articoli. Innocenzo XI deplorò l'arrendevolezza
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dell'episcopato francese, dichiarò nulle tutte le disposizioni sulla regalia spirituale, negò l'istituzione canonica ai
candidati all'episcopato che avevano preso parte alle riunioni del 1681-82, ma preferì non intervenire direttamente sul
valore dei quattro articoli. Per non mostrarsi debole, Luigi XIV rifiutò di domandare le bolle di istituzione canonica per
i nuovi candidati all'episcopato, finché i designati non l'avessero ricevuta: il risultato fu che in sei anni il numero delle
sedi vacanti si avvicinò alla quarantina. Il re Sole, non si preoccupò della censura, anzi per rappresaglia occupò i territori
che la S. Sede possedeva in Francia, Avignone e il Venosino, e presentò un appello al concilio.
Sotto i successori di Innocenzo XI, Alessandro VIII ed Innocenzo XII, si raggiunse un compromesso, facilitato
anche dalla critica situazione politica di Luigi XIV, esausto da tutte le guerre sostenute. Il re restituì i territori occupati,
ma non cedette sulla questione dei quattro articoli. Allora Alessandro VIII pubblicò la bolla che dichiarava nulli i quattro
articoli. Sotto Innocenzo XII Luigi XIV revocò l'ordine di insegnare le quattro tesi incriminate: il papa cedette
l'istituzione canonica ai candidati alle sedi vacanti, a condizione che dichiarassero almeno genericamente il loro
rincrescimento per l'accaduto. Il decreto sulle regalie non fu revocato; gli articoli continuarono ad essere insegnati in
molte università. La lotta si chiudeva con un compromesso fra le due parti.

5.4. Il Giuseppinismo
Il fine perseguito in politica ecclesiastica da Giuseppe II fu la piena dipendenza della Chiesa dallo Stato,
l'erezione d'una specie di Chiesa nazionale austriaca il più possibile indipendente da Roma. Con le sue riforme
ecclesiastiche egli intese sradicare la superstizione dalla coscienza del popolo. Giuseppe II cominciò le sue riforme
politico-ecclesiastiche nel 1781 con l'editto di tolleranza, che concedeva a luterani, calvinisti e greco-ortodossi pari
diritti civili e libertà di culto rispetto alla maggioranza cattolica. Alcune norme limitative (costruzione di campanili
accanto alle chiese luterane), dovevano continuare a garantire una preminenza della religione cattolico-romana. Un
atteggiamento tollerante Giuseppe II mostrò anche verso gli ebrei, a cui concesse pari diritti e libertà di religione e liberò
dal pedaggio personale e da alcune fastidiose limitazioni di movimento. Nel 1782 dispose la soppressione di tutti gli
ordini contemplativi, degli ordini mendicanti e di tutti i monasteri e conventi mal governati. I beni furono incamerati
dallo Stato e destinati a un «fondo religioso», che avrebbe dovuto servire a pagare le pensioni agli ex-religiosi e gli
stipendi ai parroci e ai cappellani. Fino al 1787 furono soppressi all'incirca 700-800 monasteri e conventi in Austria e
Ungheria.
Parallelamente alle soppressioni di monasteri e conventi procedettero le erezioni di parrocchie, sovvenzionate col
fondo religioso. La nuova suddivisione delle circoscrizioni parrocchiali cominciò nelle città. Vienna fu suddivisa in
nove parrocchie, mentre per i sobborghi ne furono previste diciannove. Le direttive dicevano che bisognava stabilire
una nuova stazione pastorale dove il cattivo stato delle strade rendeva difficile la frequenza della chiesa, dove la
lontananza dalla chiesa comportava un'ora di cammino e dove la comunità contava più di settecento persone. Tra il 1782
e il 1789 furono erette circa tremila duecento stazioni pastorali.
Nel campo sociale le parrocchie si videro assegnare compiti importanti. In particolare dovettero assumersi la cura
dei poveri, e a questo scopo fu fondata la confraternita «dell'amore fattivo del prossimo». L'imperatore suscitò malumore
quando nelle principali città del paese istituì seminari generali e mediante essi sottrasse la formazione del clero
diocesano ai vescovi. Lo studio della teologia ne trasse profitto, perché fu particolarmente incentivato o introdotto di
sana pianta lo studio delle scienze bibliche, della patristica, della storia della Chiesa e delle discipline pastorali. Il
sacerdote formato in questi istituti doveva concepirsi come un pastore d'anime, un maestro e un funzionario dello Stato
e attuare così l'ideale del «pastor bonus».
L'opposizione della popolazione crebbe quando l'imperatore cominciò a immischiarsi nelle questioni del culto e
a prescrivere la durata delle prediche e il numero delle candele. Data la sua avversione per le processioni, egli le ridusse
a due all'anno per parrocchia. Pure le sepolture cercò di semplificare e fece sostituire le bare con sacchi, una misura
penosa che dovette essere subito revocata. Anche la nuova regolamentazione dei giorni festivi. Nella regolamentazione
delle diocesi egli cercò di ottenere che i loro confini coincidessero con quelli del paese. Pure i membri dei due capitoli
della cattedrale furono nominati dall'imperatore.
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CAPITOLO VII
LA RIVOLUZIONE FRANCESE

7.1. Osservazioni fondamentali


La rivoluzione francese non sorse come movimento ostile alla Chiesa. Anzi, all'inizio, il clero rinunciò ai suoi
privilegi sociali ed economici e cercò di accettare anche la «Costituzione civile del clero». L'unione tradizionale fra
«chiesa francese e stato» perdurò durante i primi mesi. L'evoluzione è da addebitare soprattutto a gruppi radicali. Tra le
cause concomitanti provenienti dall'esterno con le loro gravi conseguenze vanno ricordate:
a) l'atteggiamento incerto e poi sprovveduto di Pio VI.
b) la crescente pressione sul piano della politica estera delle potenze europee conservatrici.

7.2. Presentazione
1. La rivoluzione francese è un avvenimento d'importanza storica anche nell'ambito della storia della Chiesa. Per
un duplice motivo: poiché segna la conclusione di sviluppi passati e pone le basi di nuove possibilità. Essa è insieme
catastrofe e crisi (positiva), mediante un unico atto: distruzione delle istituzioni medievali.
Per ciò che concerne la situazione storico-ecclesiastica dell'anno 1789 il fatto più importante era costituito dalla
stretta unione fra Chiesa e Stato. Essa si fondava:
a) sulla concezione centrale dell'esistenza e della coesistenza di due «società perfette», come pure nel
corrispondente regolamento giuridico.
b) sul patrimonio terriero della chiesa francese e nei proventi dei benefici maggiori. Questo processo era iniziato
nel Medioevo con l'investitura dei vescovadi di beni appartenenti ai principi della Corona. Sia l'ascesa della Chiesa al
potere, sia il movimento di reazione della nuova chiesa nazionale, inaugurato da Filippo IV, pur agendo in diversa
direzione ebbero lo stesso risultato: effettiva, stretta unione fra Chiesa e Stato. La Chiesa possedeva terre, finanze e
potenza politica. L'alto clero era una classe privilegiata: maggiori libertà e maggiori diritti di natura economica e politica,
meno oneri delle altre classi.

2. Portando alle sue ultime conseguenze la chiesa gallicana e ora illuministica, la rivoluzione francese abbatte
questo sistema: essa proclama l'uguaglianza di tutti gli uomini senza eccezione, essa ritira nelle mani dello Stato ogni
competenza per l'organizzazione della vita civile. Per principio la Chiesa non è più una società eguale, esiste una sola
società perfetta, lo Stato. Con la separazione tra potere temporale e potere religioso dei vescovi e con l'abolizione degli
antichi privilegi caddero d'un solo colpo tutti gli inconvenienti che minacciavano la Chiesa a motivo della sua collusione
con lo Stato e della confusione tra potestà politico-ecclesiastica e potere temporale. L'unica distruzione possibile del
sistema di chiesa territoriale e nazionale fu operata dalla rivoluzione stessa. Erano state raggiunte due cose importanti
per il bene della Chiesa:
a) una più profonda nozione ed una maggiore stima della realtà religiosa separata da essa;
b) la conseguente tendenza dei vescovi a cercare il collegamento con Roma come al loro centro e appoggio
naturale. La rivoluzione abbattendo completamente gli ultimi resti dell'impalcatura tipicamente medievale in ambito
politico-ecclesiastico diede inizio ad un secolo XIX ormai svincolato dalla tradizione. Questa rottura con il passato se
fu da una parte il più ostile nemico esterno della Chiesa, servi dall'altra come base e presupposto per la sua opera di
ricostruzione.

3. L'urto fra rivoluzione francese e Chiesa non fu soltanto la conseguenza di un movimento sociale in lotta contro
il sistema feudale. Vi confluirono tendenze politico-sociali e religiose. Ambedue le correnti hanno un unico nome:
illuminismo. La rivoluzione francese fu il risultato logico delle idee illuministe, quali si erano venute sviluppando in
Francia a partire dal 1750 con Voltaire, Diderot e Rousseau: i quali si basavano sul diritto naturale ma nutrivano anche
un odio contro ogni religione rivelata e ogni Chiesa gerarchica.

4. Da queste idee nacque un movimento diretto contro la Chiesa che rappresentò una vera e propria persecuzione,
la quale mirò al clero organizzato nella diocesi e nel più vasto ambito della Chiesa papale. La persecuzione dei cristiani
divenne anche salvezza per la Chiesa, fece dei martiri.
Non l'abolizione dei privilegi del clero e la confisca di molti beni ecclesiastici costituirono un reale pericolo, ma
la «Costituzione civile del clero» (12 luglio 1790) e con essa la richiesta di un distacco completo della chiesa francese
dal papato a servizio dello Stato illuminista. In effetti essa rappresentò il tentativo di una totale soppressione della Chiesa
cattolica in Francia. Infatti, la Chiesa eretta mediante la Costituzione era del tutto scismatica. Il pensiero gallicano
significava la distruzione della gerarchia cattolica fondata sulla successione apostolica. La Costituzione civile è di fatto
l'idea fondamentale dell'identità di tutte le religioni. Non soltanto i sacerdoti e i vescovi devono venire considerati come
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semplici impiegati dello Stato ma la Costituzione è estesa a tutti i culti. Venivano negate la verità assoluta del
cristianesimo e l'autorità dell'episcopato proveniente dal mandato apostolico, e pertanto del sacerdozio cattolico.

5. Il Medioevo aveva raccolto la vita attorno al campanile mediante la suddivisione ecclesiastico-religiosa del
giorno, del la settimana e dell'anno liturgico e l'aveva permeata di spirito religioso. La rivoluzione intuì istintivamente
la sua funzione vitale e tentò di troncarla.
a) Soppressione delle antiche diocesi.
b) L'abolizione del calendario gregoriano era il desiderio di cancellare la storia cristiana e il cristianesimo stesso.
Il tempo che ha preso avvio dalla nascita di Cristo, creato dalla Chiesa e da essa benedetto, non esiste più.
c) La settimana gravitante intorno alla domenica deve lasciare il posto alla decade. Viene a cadere la struttura
dell'anno liturgico, al loro posto subentrano le feste della nuova Repubblica. Nel novembre 1793 si instaura
solennemente, nella cattedrale di Notre Dame, il culto della dea ragione.
d) Gran numero di chiese furono messe all'asta per servire ad usi profani.

6. Il «Terrore» infierì talmente, dal giugno 1793 fino al luglio 1794, che quei 14 mesi passarono alla storia con
tale nome. Più della metà dei sacerdoti si era rifiutata di prestare giuramento alla Costituzione civile o aveva ritrattato
in un secondo tempo il giuramento prestato quando il papa condannò la Costituzione. A molti di essi non si permise di
usufruire del limite di tempo previsto dalla legge che comminava l'esilio per poter espatriare di propria iniziativa. La
maggior parte vennero tenuti prigionieri in condizioni inumane. Molte centinaia furono inviati a Caienna. E parecchie
centinaia di altri sacerdoti furono semplicemente massacrati.
Il popolo oppose inizialmente resistenza alla lotta contro la religione. Soprattutto nel periodo delle «due chiese»
quando in qualche luogo accanto a un parroco insediato dall'Assemblea Nazionale ne era rimasto un altro, in segreto,
che si era rifiutato di prestare giuramento. Quando i preti costituzionali cercarono di appropriarsi delle chiese che erano
state loro assegnate, si ebbero nel 1791 i primi scontri sanguinosi attorno alla chiesa dei teatini a Parigi, scontri che si
conclusero con la sua sconsacrazione e con il saccheggio.
Durante il Terrore la popolazione non opponeva più alcuna resistenza. Conclusa la «festa della ragione», tutte
le chiese di Parigi furono chiuse, i rappresentanti dei singoli quartieri cittadini portarono i tesori delle chiese all'erario
dello Stato. Il 23 novembre 1793 fu emanato un editto che ordinava la chiusura e il saccheggio delle chiese di tutta la
Francia. Soltanto di nascosto si poteva celebrare una Messa. Una parte del clero francese ebbe il coraggio di sfidare la
morte nel servizio della cura d'anime.

7. Ma non tardò a delinearsi una certa reazione. L'abolizione del «culto della dea ragione» mediante il
riconoscimento di un «Ente supremo» restò significativo soprattutto come negazione dell'ateismo radicale dello Stato.
Il passo decisivo verso il miglioramento fu segnato dalla separazione fra lo Stato e la chiesa costituzionale con la
proclamazione della libertà di culto. Ma l'odio verso religione e sacerdoti era divenuto ormai il sentimento dominante e
durò ancora. A partire dal 1797 ci furono ancora due anni di dura persecuzione.

8. La libertà era stata proclamata in un grandioso delirio come «libertà, uguaglianza, fraternità». Nel secolo
XVI erano stati negati, distrutti o trasformati i fondamenti della tradizione occidentale in misura tale da imprimere un
mutamento alla vita stessa. La Riforma del XVI secolo infatti non era stata un processo svoltosi esclusivamente in seno
alla Chiesa e neppure in campo teologico. In misura sempre crescente essa si era trasformata in un fermento
rivoluzionario che aveva investito il modo stesso di pensare dei popoli occidentali. La ribellione della rivoluzione
francese realizzò la rivolta in forma nuova, secolarizzata.

9. Le cause materiali e immediate della rivoluzione francese sono da ricercarsi in certi avvenimenti e sviluppi
della storia francese che ci sono già noti dal tardo Medioevo. In una forma o nell'altra doveva essere pagato il conto per
il troppo stretto legame fra Chiesa e Stato: assieme al trono cadde quasi automaticamente anche l'altare.
a) Già il gallicanesimo rappresentò un pericoloso attentato all'autorità della Chiesa e alla sua unità, attentato che
nel gallicanesimo del XVII secolo si era coerentemente espresso nei quattro articoli.
b) La grave intima non credibilità della politica a-religiosa, in certi frangenti a-cattolica e in altri antipapale del
Richelieu e del Mazarino, aveva tanto più preparato la strada ad una rivoluzione generale con tendenze a-ecclesiastiche
e anti-ecclesiastiche, in quanto lo stretto legame della Chiesa ufficiale con lo stato feudale assolutista aveva creato delle
reazioni anche per i privilegi dal punto di vista fiscale.
c) In campo intellettuale fu un ramo dell'umanesimo francese, quale si esprimeva nelle idee a-cristiane di Jean
Bodin, il precursore che finì nel Diderot. Il Terrore della rivoluzione ci mette di fronte a una costatazione umiliante che
ci insegna quanto e fino a che punto la pura umanità degeneri necessariamente nella bestialità qualora abbandoni il
sostegno soprannaturale. Si giunse ad atti inumani di cui i filosofi dell'illuminismo credevano capace il Medioevo, e ai
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quali essi stimavano superiore l'età della ragione, atti inumani che nel XX secolo dovevano poi rincrudirsi in maniera
quasi inimmaginabile all'insegna dell'ateismo.

10. La rivoluzione francese rappresenta d'altra parte il primo passo, senza il quale non si sarebbe avuto il moderno
stato costituzionale. In un tale stato la predicazione cristiana e pertanto anche i diritti della Chiesa sono meglio tutelati
che non in un regime. Anche per la crescita della realtà ecclesiale il lavoro distruttivo della rivoluzione francese creò
delle importanti condizioni preliminari: la potente autonomia dell'episcopato francese e tedesco, privilegiato e investito
del potere dai principi regnanti, scomparve; la secolare organizzazione delle più potenti chiese del mondo crollò.

7.2.1. Aspetti positivi della Rivoluzione Francese


Ridotti all'uguaglianza ed alla libertà, che formano il nocciolo dei principi proclamati solennemente il 24 agosto
1789 e che sono spesso detti senza ulteriore specificazione, gli immortali principi dell’89.
a) Uguaglianza. Si ribadisce il principio: «Gli uomini nascono e vivono liberi ed uguali nei diritti. Le distinzioni
sociali non possono essere fondate che sull'utilità comune»; «tutti i cittadini sono ugualmente ammissibili a tutte le
dignità, uffici ed impieghi pubblici a seconda delle loro capacità e senz'altra distinzione che quella della loro virtù o
del loro impegno»; per le spese pubbliche è necessario un contributo comune, «ripartito fra tutti i cittadini in ragione
delle loro facoltà». E già poco prima della dichiarazione dei diritti, il 4 agosto 1789 l'Assemblea Costituente aveva
decretato la fine dei diritti e dei privilegi feudali di cui godevano i nobili. Il principio ha un'applicazione assai vasta.
Nell'ambito delle singole famiglie è abrogato il maggiorascato. Nella società, sono abrogati i privilegi economici, e le
esenzioni di intere classi dagli oneri fiscali. Finiscono le discriminazioni sociali nelle leggi penali, e nell'ammissione
alle cariche ed agli uffici pubblici. Per quanto riguarda la religione, hanno ugualmente fine le discriminazioni di carattere
confessionale, abrogate implicitamente dall'art. 6 della dichiarazione, ed esplicitamente da varie leggi apposite, mentre
parallelamente cessano le immunità di cui godevano di fronte alla legge civile gli ecclesiastici, considerati ormai dallo
Stato come cittadini con gli stessi diritti e doveri. Crolla definitivamente quel sistema per cui lo Stato non solo fondava
l'unità politica su quella religiosa, ma riconosceva ufficialmente una data confessione come religione di Stato, attribuiva
ad essa e ai suoi seguaci privilegi speciali, e cercava di ispirare la sua legislazione ai principi di questa.
L'uguaglianza si applica anche nell'amministrazione: nasce lo Stato moderno con un ordinamento giuridico
uniforme in tutto il territorio. Sono soppresse le antiche divisioni in diversi territori e sostituite con divisioni di carattere
puramente amministrativo rette da prefetti.
b) Libertà, definisce «il potere di fare tutto ciò che non nuoce agli altri», e che quindi ha un solo limite, il rispetto
di una uguale libertà altrui. Il principio trova le sue applicazioni nella politica, dove al diritto divino dei re, succede la
sovranità popo1are, da cui derivano i vari poteri, distinti fra loro per assicurare uno stabile equilibrio ed evitare arbitri.
Il re non farà più ricorso alla formula «per grazia di Dio», ma all'altra «per volontà della nazione», ad indicare la
fonte del suo potere ed il dovere di rendere conto del suo operato al popolo, composto di cittadini. Più tardi il re si
ridurrà a un mero simbolo dell'unità nazionale secondo il principio «il re regna, ma non governa». Si passerà dalla
monarchia costituzionale pura alla monarchia parlamentare, in cui i ministri sono responsabili di fronte al Parlamento e
devono godere della sua fiducia.
Nel campo civile, i cittadini godono ora di precise garanzie che li difendono da eventuali arbitri dell'esecutivo.
Non meno importante, è il riconoscimento della libertà di opinione e di stampa, che ha la sua immediata applicazione
concreta nella soppressione di ogni censura preventiva. Nel campo religioso invece «Nessuno deve essere molestato per
le sue opinioni, anche religiose». E' così riconosciuto il diritto alla pratica ed alla propaganda di ogni religione, senza
che alcuno possa esercitare una coazione sulle coscienze.

7.2.2. Aspetti negativi


a) Dall'esasperazione dell'uguaglianza si sviluppa il dualismo. Per meglio difendere l'uguaglianza e la libertà di
tutti i cittadini, lo Stato sopprime le associazioni professionali: «Non ci sono più corporazioni nello Stato non c'è che
l'interesse individuale di ognuno e l'interesse generale di tutti. Spetta alle libere convenzioni di fissare la giornata per
ogni operaio, e spetta al singolo operaio mantenere il contratto che ha fissato con colui che l'impiega». Ogni contratto
di lavoro, stipulato liberamente fra due individui è giusto e va rispettato: ingiusta violazione della libertà sarebbe invece
un intervento dello Stato per imporre contratti collettivi obbligatori o per determinare comunque le condizioni concrete
del lavoro. Mentre gli operai restano abbandonati a se stessi lo Stato rifiuta di intervenire in difesa della loro effettiva
libertà, e ritiene di soddisfare alle esigenze del bene comune, limitandosi a difendere l'ordinamento giuridico positivo.
La società diviene così una somma di unità chiuse in se stesse in cui il bene comune appare la pura somma dei beni
individuali. Il risultato finale è l'accumularsi di ricchezze in mano di pochi e il pauperismo delle masse. E rinascono le
servitù e le discriminazioni sociali. La Rivoluzione francese riveste un carattere essenzialmente astratto, illuminista,
borghese, tendendo in definitiva non a elevare i proletari, ma a difendere i diritti e i privilegi della nuova classe dirigente,
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la borghesia.
b) Il mito dell'uguaglianza e della libertà finiva per mettere in crisi l'autorità dello Stato, e dava nuovo incremento
al laicismo del Settecento. La preoccupazione di salvaguardare la libertà assicurò la prevalenza del potere legislativo
sull'esecutivo, dando origine al sistema parlamentare che degenerò poi nel parlamentarismo; carenza di un'autorità
capace di garantire la sicurezza e di promuovere il bene comune, violazione dei diritti essenziali delle minoranze da
parte della maggioranza.
c) Una delle conseguenze immediate della Rivoluzione fu la perdita di buona parte delle ricchezze e della potenza
temporale di cui godeva la Chiesa. In Francia nel novembre 1789 per salvare il bilancio statale fu deciso l'incameramento
dei beni ecclesiastici: l'esempio fu presto imitato in Germania, dove con la pace di Lunéville del 1801, conclusa tra
Austria e Francia vennero soppressi i principati ecclesiastici e i loro territori ed i loro beni furono assegnati agli altri
principi tedeschi. Il fatto è noto col nome: secolarizzazione dei principati ecclesiastici. Ebbero fine i principati
ecclesiastici di Colonia, Treviri e Magonza, e tutto l'assetto politico della Germania subì un cambiamento di cui fu segno
evidente la rinunzia da parte di Francesco I d'Austria al titolo di Imperatore del Sacro Romano Impero della Nazione
Germanica il 6 agosto 1806.
Le conseguenze per la Chiesa furono notevoli: il clero tedesco, da una posizione ricca passò ad una condizione
più modesta con difficoltà immediate per l'apostolato e la formazione del clero, ma con un notevole approfondimento
spirituale. Il card. Ercole Consalvi, osservava: «Un gran numero di cattolici dell'Impero Germanico è composto di
persone povere. Se quindi mancherà in avvenire ai vescovi e al clero ogni modo di sovvenire ai bisogni dei cattolici,
avverrà con molta facilità che i protestanti forniti di ricchezze guadagneranno molti cattolici al loro partito...». Quanto
era avvenuto in Germania è accaduto in tutti i paesi. La Chiesa usciva dalla Rivoluzione impoverita e spogliata della
potenza politica e materiale di un tempo e lo stesso Stato della Chiesa era destinato a scomparire.

CAPITOLO VIII
LA CHIESA NEL DOPO-RIVOLUZIONE:
GLI INTRANSIGENTI E I LIBERAL-CATTOLICI

8.1. Gli intransigenti


El liberalismo es pecado! Il libro pubblicato nel 1884 dal sacerdote spagnolo Sardá y Salvany è il simbolo
dell'atteggiamento generale dei cattolici intransigenti di fronte alle libertà moderne. La libertà è l'amica più fedele e cara
del demonio perché apre la via a innumerevoli e quasi infiniti peccati, ogni particella della libertà è da condannarsi. Vari
elementi concorrono a formare questa mentalità. E' presente un forte conservatorismo nato sotto l'influsso di diversi
fattori: il timore di perdere gli antichi privilegi e il rispetto e la venerazione per tradizioni. E si diffidava di tutto quello
che si presentava come nuovo: ogni novità in politica è rivoluzione, in filosofia errore, in teologia eresia.
La condanna semplice e radicale di quanto ha operato la Rivoluzione non restò solo nel piano teorico. Se nel
regno di Sardegna, al ritorno del re Vittorio Emanuele I si propose la demolizione di un ponte sul Po costruito dai
Francesi, altrove non mancò chi auspicasse un ritorno puro e semplice all'ancien régime, come se gli anni 1789-1815
fossero stati solo un incubo notturno da dimenticare al più presto. Mons. Bonaventura Gazzola disse: «Pius servus
servorum Dei, tutte le cose ritorneranno come al 1796». Per questo, anche innovazioni tecniche innocenti e utilissime
erano guardate con diffidenza. Leone XII e Gregorio XVI, seguirono una linea decisamente avversa a ogni novità.
Gregorio XVI non volle introdurre nei suoi Stati non solo le ferrovie ma nemmeno l'illuminazione a gas. Gli intransigenti
combattono i capisaldi del nuovo ordine sociale, l'uguaglianza, la promozione delle classi meno abbienti, la diffusione
dell'istruzione. Il Ventura nel suo periodico l'Enciclopedia Ecclesiastica difende una società organizzata
gerarchicamente, dove ciascuno ha fin dalla nascita il suo posto e il suo compito e crede che lasciare le masse senza
istruzione sia il solo mezzo efficace per mantenere la pace nella società.
La resistenza all'anticlericalismo ed al laicismo, se da una parte spingeva gli intransigenti a serrare sempre più i
vincoli con Roma dall'altra si concretava spesso in una tattica storicamente errata. In pratica, si continuò a difendere una
società organizzata gerarchicamente e fondata sul privilegio religiosamente unita e quindi i diritti politici e civili erano
subordinati alla fede ed alla pratica religiosa. E si credette di difendere la fede cristiana opponendosi all'emancipazione
civile e politica degli acattolici, all'effettiva promozione del proletariato, alla libertà di stampa, al regime parlamentare,
ad un maggior distacco fra Stato e Chiesa.

8.2. I cattolici liberali


Mentre gli intransigenti si irrigidivano i cattolici liberali iniziavano e proseguivano il loro faticoso lavoro di
chiarificazione e di accettazione dei principi dell'89. La stessa partecipazione dei cattolici alle prime lotte parlamentari
finiva per abituarli ad uno stile politico del tutto diverso. Se la Chiesa in tutti i paesi liberali, tranne il Belgio, è
aspramente combattuta, questo accade perché i cattolici in maggioranza non hanno accettato sinceramente il nuovo
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regime politico, e restano nel loro cuore fedeli all'assolutismo.
Non è stato sempre questo l'atteggiamento della Chiesa. «Se la Chiesa non marcerà coi popoli, non per questo i
popoli si fermeranno dal marciare, ma marceranno senza la Chiesa, fuori della Chiesa e contro la Chiesa». Rosmini
nelle Cinque Piaghe dimostra a lungo come fosse ristretta la libertà di cui la Chiesa ancora godeva nell'ancien régime,
e deplora che il potere civile nomini i Vescovi e controlli l'amministrazione dei beni ecclesiastici: «Ogni società libera
ha essenzialmente il diritto di eleggersi i propri ufficiali. Questo diritto le è tanto essenziale ed inalienabile, quanto
quello di esistere». Difendendo poi la sua opera davanti al Papa, l'abate riassumeva la sua posizione in una formula
scultorea: «Credo altresì che sia migliore la libertà dei privilegi.
Vi erano poi nel liberalismo degli aspetti positivi, che si possono riassumere nel più chiaro riconoscimento e nel
maggior rispetto della dignità della persona umana. Restando su un terreno oratorio, il Ventura aveva chiamato la
democrazia una «eroina selvaggia, che bisognava addomesticare e battezzare».
I cattolici liberali notavano l'ambiguità, le contraddizioni e i danni di una politica che la nega agli altri quando si
è in maggioranza. La libertà della Chiesa si poteva salvare nel mondo contemporaneo solo appellandosi al principio
della libertà generale, non ad una speciale missione propria della Chiesa. Questa riflessione torna spesso in molti
scrittori.

8.3. Lamennais e la sua evoluzione


Le opposte correnti del pensiero cattolico dell'Ottocento subirono in modo paradossale un forte influsso da parte
di Felicité Lamennais, passato dall'intransigenza al cattolicesimo liberale. Lamennais nega che la ragione possa
raggiungere le verità morali e religiose, accetta come criterio il consenso universale degli uomini, che si fonda su una
rivelazione divina comunicata agli uomini al momento della creazione insieme alla parola e trasmessa di generazione
in generazione. Egli sottolinea la funzione sociale della religione, esalta il primato pontificio e difende il potere indiretto
della Chiesa sullo Stato. Presto l'abate bretone ebbe una crisi: il fallimento delle speranze di una cooperazione fra Chiesa
e Stato, il progresso delle correnti liberali imponevano un mutamento di rotta: la Chiesa doveva separare la sua causa
da quella dei regimi assoluti e limitarsi a chiedere la libertà riconosciuta dal liberalismo come un diritto universale.
Il tono aggressivo, le critiche rivolte ai vescovi, la campagna per la denunzia del concordato, sollevarono infinite
proteste, e invano i tre «pellegrini della libertà» scesero a Roma per guadagnare alla loro causa Gregorio XVI: il Papa
li ricevette con difficoltà, e non fece parola della questione in gioco. Se questo silenzio poteva ancora lasciare sussistere
qualche dubbio sulle reali intenzioni di Roma, ogni equivoco venne tolto dall'enciclica Mirari vos in cui si
condannavano le tesi dell'Avenir e si bollavano con termini durissimi la libertà di coscienza («delirio»), la libertà di
stampa, la separazione fra Chiesa e Stato.
Montalembert e Lacordaire si sottomisero, Lamennais invece pubblicò le Paroles d'un croyant, visione poetico-
apocalittica di una Chiesa legata a dei regimi prossimi a morire e invitò a una rivolta generale. La sua apostasia era
consumata.

8.4. Il Sillabo
Le aspirazioni per un riavvicinamento fra il cattolicesimo e la libertà restarono vivissime in molti cattolici.
Continuò d'altra parte la critica degli intransigenti non solo contro il liberalismo laicista e razionalista, ma contro tutti i
possibili compromessi; tipica fu soprattutto la polemica svolta per anni in tono durissimo da Luigi Veuillot nel suo
giornale L'Univers, e quella più acuta condotta dalla Civiltà Cattolica. Le inevitabili esagerazioni delle due parti, ma
soprattutto la diffusione della mentalità naturalistica e gli avvenimenti italiani del 1859-61 indussero Pio IX a pubblicare
1'8 dicembre 1864 un elenco di 80 proposizioni, detto Sillabo, che conteneva i principali errori del tempo. Il Sillabo
uscì insieme ad un'enciclica, la Quanta Cura, che tentava una sintesi organica delle singole tesi.

Le 80 proposizioni del Sillabo si possono raccogliere in quattro gruppi:


a) errori derivanti dal naturalismo, razionalismo, indifferentismo;
b) errori morali, soprattutto intorno al matrimonio;
c) errori intorno alla natura della Chiesa ed alle sue relazioni con lo Stato;
d) errori del liberalismo: libertà di culto, di pensiero e di stampa.

L'ultima proposizione dichiara falsa la pretesa di chi vorrebbe riconciliare il Papa «con il progresso, con la civiltà
moderna, con il liberalismo» e col suo tono radicale sembra costituire una autentica sfida alla civiltà ed al pensiero
moderno incompatibile con il cattolicesimo. Il documento sollevò una marea di polemiche fra intransigenti e cattolici
liberali, non tanto per le tesi dei primi tre gruppi quanto per quelle dell'ultima classe. Mentre gli intransigenti e radicali
si rallegravano della presa di posizione del Papa, i cattolici liberali cercavano di interpretarla in modo minimistico.
Tuttavia la mancanza di ogni chiarimento, l'assenza di una distinzione fondamentale tra la libertà di coscienza, la
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giustapposizione di affermazioni secondarie e di punti centrali, costituiscono degli errori tattici assai pericolosi. Il
Sillabo ha mancato al suo scopo, non ha chiarito la polemica fra cattolici liberali ed intransigenti e non ha costituito una
barriera contro la crescente laicizzazione. Esso resta invece un esempio tipico della mentalità della gerarchia alla metà
dell'Ottocento. Si può tuttavia ammettere che esso formò per molti cattolici uno stimolo utile per un ulteriore
approfondimento del problema.

8.5 Conclusioni
La polemica fra cattolici liberali ed intransigenti forma quasi il leitmotiv di tutta la storia della Chiesa
nell'Ottocento, e con la sua asprezza divise profondamente i cattolici e finì per indebolirli. Gli intransigenti ebbero il
merito di cogliere tutte le insufficienze del liberalismo, di sostenere con coraggio una lotta a fondo contro la
laicizzazione, di appoggiare i passi verso una maggiore centralizzazione nel campo ecclesiastico, di mostrarsi più
sensibili dei loro avversari ai problemi sociali. Questi a loro volta hanno sentito tutta l'urgenza dell'assoluta necessità di
una conciliazione fra chiesa e mondo moderno, hanno avvertito in modo vivace i segni dei tempi e la linea della storia,
che spingevano verso una chiesa meno sorretta da aiuti estrinseci e più fiduciosa nell'efficacia della grazia e nella forza
della verità.
In questo senso, hanno svolto un'efficace funzione di stimolo e la loro opera si è rivelata positiva, mentre molte
vittorie degli intransigenti, come i concordati con l'Austria del 1855 e con l'Equador del 1862, che assicuravano alla
Chiesa piena libertà e insieme l'appoggio dello Stato, ma legavano strettamente S. Sede e gerarchia locale al potere
costituito. Il concordato con l'Austria è caduto dopo 15 anni, quello con l'Equador poco dopo la morte di Garcia Moreno,
avvenuta nel 1875.

CAPITOLO IX
LA CHIESA E IL REGIME LIBERALE:
I VARI TIPI DI SEPARAZIONE TRA STATO E CHIESA

9.1. Separazione pura


La separazione pura non esclude affatto un'autorità trascendente, e prescinde da presupposti filosofici razionalisti.
Essa non è sinonimo di indifferentismo e tanto meno di ateismo dello Stato, ma solo di rispetto delle rispettive
competenze. Lo Stato non professa nessuna religione particolare, esso non riconosce nessuna società religiosa nel suo
territorio come dotata di piena sovranità e indipendenza; attribuisce però ai cittadini una piena ed effettiva libertà nel
culto e nell'attività religiosa. Tutti i culti godono di un uguale trattamento giuridico davanti alla legge, secondo i principi
del diritto comune. La Chiesa non riceve alcun aiuto da parte dello Stato, neppure per il mantenimento delle scuole, ma
gode di piena libertà nella nomina dei Vescovi e di tutti gli uffici ecclesiastici. Lo Stato esonera però gli ecclesiastici
dal servizio militare e riconosce gli effetti civili del matrimonio religioso, mantenendosi in questo punto ben lontano dal
laicismo europeo, che vede in questo riconoscimento un avvilimento dello Stato.
La separazione pura e applicata negli Stati Uniti d'America. Questa situazione era già determinata
nell'emendamento della Costituzione Federale anche per influsso di John Carroll il quale aveva chiesto che il nuovo
Stato rinunziasse ad ogni forma di religione di Stato, e riconoscesse gli stessi diritti a tutti i gruppi confessionali: e dopo
l'elezione di Washington, Carroll scrisse al neo presidente una lettera di rallegramenti, esprimendo per la Chiesa cattolica
solo il voto che fosse sempre riconosciuta a tutti piena libertà.
Più che di separazione si potrebbe parlare di mutua indipendenza delle due società, congiunta ad una certa
collaborazione ristretta ad alcuni campi soltanto. Proprio la mancanza di un riconoscimento formale della Chiesa da
parte dello Stato creò difficoltà per la sicurezza e la trasmissione della proprietà ecclesiastica e per un ordinato governo
delle parrocchie e delle diocesi. Tra i vari sistemi offerti dalla legislazione del paese, mons. England, scelse quello del
trust: si intestavano i beni ad una società riconosciuta dallo Stato (trust), affidandone l'amministrazione ad un consiglio
composto dal vescovo, dal vicario generale, da un certo numero di sacerdoti e di laici eletti dalla base.
Il sistema provocò inconvenienti dando luogo al trusteeism. L'influsso dell'organizzazioni democratica delle
chiese protestanti, il carattere non sempre equilibrato di molti immigrati, le rivalità tra i diversi gruppi nazionali,
irlandesi, tedeschi, americani, spinsero i laici membri del consiglio di amministrazione (trustees) a considerarsi i veri
capi della parrocchia tenendo i curati in conto di dipendenti stipendiati al loro servizio. I parroci ribelli al vescovo furono
sostenuti dai propri trustees, i laici si arrogarono il diritto di nomina dei parroci e quello di fissare il loro stipendio e non
mancò ai tempi di Pio VII un tentativo di scisma. Se il vescovo di Filadelfia, mons. Conwell, cedette nel 1826 alle
pretese dei laici, col risultato di essere richiamato a Roma da Leone XII e di essere sostituito da un coadiutore, uno dei
suoi successori, san Giovanni Nepomuceno Neumann dovette sostenere vari processi per difendere la libertà del suo
governo.
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Solo nel 1863 una legge dello Stato di New York modificò la situazione: il consiglio di amministrazione era
composto dal vescovo, dal vicario generale, dal rettore della chiesa e da due laici eletti per un anno dal vescovo con i
suoi due aiutanti. In pratica le condizioni delle chiese erano rovesciate: tolta ogni autorità effettiva al laicato, il governo
era interamente nelle mani della gerarchia. La legge subì ulteriori modifiche che davano poteri sempre più ampi al
vescovo.
Agli albori degli Stati Uniti, Pio VI avrebbe voluto che il Congresso gli proponesse ufficialmente il primo vescovo
di Baltimora, ma l'assemblea ritenne che tale atto non rientrava nelle sue competenze. Il vescovo venne allora designato
dal clero locale nella persona di John Carroll, e la scelta si dimostrò particolarmente felice. In seguito per Propaganda
intervenne direttamente nella nomina, senza consultare l'episcopato locale, e i vescovi statunitensi chiesero che si tenesse
conto del loro parere sui candidati. Si raggiunse finalmente un compromesso con due decreti dell'episcopato in cui si
avrebbe inviato una terna a Roma che si riservava piena libertà di nomina. Il governo restava in ogni caso del tutto
estraneo alla questione.

9.2. Separazione mista


Lo Stato si professa incompetente nelle questioni religiose, considera la Chiesa come una società privata, pur
riconoscendole alcuni privilegi, che la legge accorda alle persone morali in vista del bene comune. Il Belgio costituisce
l'esempio più caratteristico di questo sistema. L'unione con l'Olanda sancita dal Congresso di Vienna del 1815 non era
stata felice, anche perché i cattolici belgi erano passati da un regime confessionale ad uno Stato religiosamente neutrale.
La politica poco prudente del re Guglielmo I aggravò la situazione, soprattutto quando nel 1825 il sovrano approvò
alcune leggi che praticamente distruggevano la libertà d'insegnamento, e sottoponevano al controllo statale la
formazione del clero. Sarà il nuovo arcivescovo Engelberto Sterckx.
L'affinità delle posizioni dei cattolici e dei liberali nell'opposizione alla monarchia, motivata per gli uni dalla
difesa della libertà di culto e di insegnamento, negli altri dalla rivendicazione della libertà di stampa e dell'effettiva
responsabilità dell'esecutivo di fronte al Parlamento, non tardò a provocare un'alleanza fra le due correnti. Grazie
all'influsso dello Sterckx, per la prima volta nella storia dell'Ottocento, cattolici e liberali formarono un fronte unico,
che senza dubbio fu uno dei fattori decisivi del successo della rivoluzione che nel 1830 portò alla separazione dall'Olanda
ed alla nascita di uno stato belga indipendente sotto un nuovo sovrano, Leopoldo I della casa di Sassonia. Al congresso
Sterckx scrisse una lettera per esporre i voti dei cattolici: «Essi domandano solo una perfetta libertà con tutte le sue
conseguenze: tale è l'unico oggetto dei loro voti, tale è il vantaggio che essi vogliono condividere con i loro
concittadini». Il passo dell'arcivescovo fu coronato da successo. La Costituzione del 7 febbraio 1831 riconosceva piena
libertà alla Chiesa.
Le richieste del Méan erano state soddisfatte, ed il Belgio divenne il solo paese europeo in cui la Chiesa fosse
governata dal Papa: infatti solo in Belgio i vescovi erano nominati direttamente dal Papa. Di fatti, se la lettera della
legge stabiliva una separazione fra i due poteri, si realizzò piuttosto una collaborazione basata su cordiali rapporti dei
rappresentanti della Chiesa e dello Stato. A Roma non si era entusiasti, ma si accettò la situazione con i suoi innegabili
vantaggi.

9.3. Separazione ostile


Si sviluppa in tutte le nazioni latine (Francia, Spagna, Portogallo, Italia, e nei vari Stati dell'America Latina), per
naturale reazione all'unione troppo stretta fra Chiesa e Stato. Questo si chiama «giurisdizionalismo aconfessionale» il
quale non solo non riconosce la Chiesa come una società sovrana ma in molti casi non le accorda nemmeno i diritti che
spettano alle società private, e che vengono loro normalmente attribuiti dal regime separatista.
Le iniziative che vengono attuate nel corso dell'Ottocento nei paesi sopra enumerati con una certa uniformità si
possono riassumere in questi termini: introduzione del matrimonio civile e del divorzio; incameramento dell'asse
ecclesiastico, laicizzazione della scuola; soppressione degli ordini religiosi e l’espulsione del clero secolare. I fenomeni
ora elencati si verificano in Francia, Italia, Spagna e Portogallo. Negli altri Stati in periodi diversi (così nel Messico, in
forma più aspra a partire dal 1917, dopo la promulgazione della nuova Costituzione, formalmente ancora in vigore).
Per quanto riguarda l'incameramento, è bene rilevare alcune cose. Si assalivano le ricchezze della Chiesa, o si
assaliva la Chiesa? Probabilmente i due motivi si fondevano insieme.
Qualunque fossero le reali intenzioni dei fautori delle leggi, è certo che l'iniziativa non giovò alle finanze statali,
sia perché la messa in vendita simultanea di una massa ingente di immobili portò ad un inevitabile crollo del loro valore
commerciale, sia perché troppi interessi privati erano in gioco perché l'operazione riuscisse vantaggiosa allo Stato
anziché ad interessati e abili speculatori! D'altra parte, dall'incameramento non trassero profitto le masse proletarie, ma
i latifondisti della nobiltà e della borghesia.
Si può osservare più volte questa evoluzione nell'atteggiamento dello Stato: in un primo momento, il governo
confisca e vende i beni ecclesiastici, assumendosi però come contropartita l'onere delle spese di culto e della sussistenza
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del clero, che tuttavia in cambio del reddito di un tempo riceve una pensione immutabile, fondata su titoli di Stato,
soggetti ad una progressiva svalutazione e di fatto prima o poi deprezzata. Il clero così perde inevitabilmente buona
parte dei redditi precedenti. Come se questo non bastasse, lo Stato non assolve più l'obbligo che si era assunto, e priva
il clero di ogni stipendio.
Più importante però è un'ultima osservazione. Che effetti ebbe per la vita interna della Chiesa questa perdita di
tanti beni? Certamente, ebbero fine in gran parte le vocazioni interessate, si dette meno peso ai mezzi umani e si pose
più efficacemente l'accento sull'efficacia della grazia nell'apostolato, si sottolineò l'aspetto soprannaturale della Chiesa.
D'altra parte, il basso clero fu ridotto ad una situazione di estrema miseria. Per quanto riguarda i religiosi, essi furono
spesso nell'Ottocento bersaglio delle solite accuse, che si ripetevano dai tempi di Giuseppe II: inutilità dell'istituzione,
decadenza dallo spirito primitivo.
In genere, i primi ad essere colpiti furono i gesuiti e gli ordini che seguivano nella loro pastorale criteri analoghi,
i redentoristi e le dame del S. Cuore. L'applicazione delle leggi eversive della vita religiosa avvenne in modo diverso
nei vari paesi. In Italia i religiosi cedettero alle intimazioni delle autorità senza resistere. In Francia preferirono provocare
incidenti clamorosi obbligando i funzionari statali a veri colpi di mano e provocando negli ufficiali «comandati» ad
appoggiare con le truppe l'occupazione autentici e dolorosi drammi di coscienza. La vicenda assunse aspetti drammatici
in Spagna. Basti ricordare «la matanza de los frailes», avvenuta nel 1834, mentre imperversava la lotta fra i carlisti
(difensori del pretendente al trono don Carlos) e i cristini (sostenitori di Maria Cristina).
Superando varie e gravi difficoltà, molti ordini poterono ripristinare la vita comune, e in qualche caso, riuscirono
a ritornare negli antichi conventi, sia che le leggi fossero abrogate, sia che i religiosi avessero raccolto le somme
necessarie per acquistare dallo Stato le case già di loro proprietà.

CAPITOLO X
LA CHIESA E IL PAPTO NEL XIX SECOLO

10.1. Il papato dal 1815 al 1846


Pio VII si dedicò alle funzioni spirituali e all'abbellimento di Roma, mentre lasciò il governo dello Stato della
Chiesa e il governo della stessa Chiesa al suo segretario di Stato. Consalvi ebbe molta comprensione per il nuovo spirito.
Nel conclave del 1823 l'Austria pose il veto alla elezione del cardinale Severoli. Il 28 settembre i cardinali elessero
allora Annibale della Genga. La sua principale sollecitudine Leone XII fu quella di rinnovare spiritualmente la città di
Roma e nel 1825 fece celebrare solennemente un anno giubilare. Per la sua dura repressione della società segreta dei
carbonari, gli anni del suo governo furono definiti una ricaduta nel medioevo. Egli moriva il 10 febbraio 1829 al culmine
dell'impopolarità.
Dopo cinquanta giorni e cento votazioni, il 2 febbraio 1831 fu eletto Bartolomeo Mauro Cappellari che assunse
il nome di Gregorio XVI. Egli durante la prigionia di Pio VI, aveva composto il libro intitolato Il trionfo della Santa
Sede, in cui sosteneva l'infallibilità e la monarchia assoluta del papa. La rivoluzione di luglio precipitò lo Stato della
Chiesa in una grave crisi. Perciò con l'enciclica Mirari vos del 1832 condannò il razionalismo, il gallicanesimo e
l'indifferentismo, la libertà di coscienza che definì un errore. Inoltre respinse l'idea che dalla libertà d'opinione potesse
venirne un vantaggio per la Chiesa.

Lo Stato della Chiesa cominciava ad essere considerato da molti un anacronismo perché tutte le cariche importanti
erano riservate ad ecclesiastici. Al papa lo Stato della Chiesa sembrava necessario per l'esercizio del suo ufficio
spirituale. In favore di Gregorio XVI depone comunque il coraggio con cui difese l'indipendenza della Santa Sede di
fronte alle grandi potenze.

10.2. Il pontificato di Pio IX (1846-1878)


Fu eletto Giovanni Mastai-Ferretti, che assunse il nome di Pio IX e che nella storia della Chiesa è stato il papa
che finora ha governato più a lungo. Appena eletto rimise in libertà i prigionieri politici dello Stato della Chiesa, diede
a Roma una costituzione civile e introdusse udienze pubbliche settimanali. Inizialmente questo gli procurò la simpatia
di vasti ambienti. La sua protesta contro l'Austria, che nel 1847 aveva aumentato il numero delle proprie truppe a Ferrara
indusse molti a vedere nel papa un eroe nazionale e addirittura il possibile capo del risorgimento.
Ma ben presto comparvero i segni premonitori dell'anno rivoluzionario 1848. Già il 1° gennaio di tale anno si
cercò di far pervenire al papa trentaquattro petizioni del popolo, ch'egli rifiutò di accogliere. L'8 febbraio una
dimostrazione chiese le dimissioni dei ministri pontifici. Sotto la pressione della rivolta scoppiata in febbraio a Parigi,
Pio IX concesse allo Stato della Chiesa uno statuto (14 marzo 1848), che però non riuscì più a stornare l'incombente
tempesta.
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10.3. La fine dello Stato Pontificio (1870)
Un pericolo permanente per l'esistenza dello Stato pontificio divenne il risorgimento, il movimento per l'unità
d'Italia, che ebbe in Giuseppe Mazzini e in Vincenzo Gioberti prima e in Cavour poi le sue menti direttive, mentre
Garibaldi ne fu il braccio. Pio IX diede l'impressione che fosse possibile porre l'Italia unita sotto la sua presidenza e
sotto la protezione militare del Piemonte. Quando i moti insurrezionali si diffusero in Lombardia allora soggetta
all'Austria, Carlo Alberto, principe di Savoia-Carignano mosse guerra all'Austria: era la prima guerra di indipendenza,
come venne chiamata. In questa situazione, Pio IX ritirò il suo sostegno al risorgimento italiano e dichiarò la propria
neutralità verso l'Austria.
L'irritazione provocata da questo gesto scatenò la tempesta sul Quirinale, allora sede residenziale del papa e del
suo governo. Pellegrino Rossi, il neo-primo ministro dello Stato pontificio fu assassinato; i1 papa fuggì travestito; a
Roma fu proclamata la repubblica e i1 papa vi fece ritorno solo il 12 aprile 1850, dopo la riconquista da parte dei
francesi. D'allora in poi la politica di Pio IX fu influenzata in larga misura dal cardinale Giacomo Antonelli che a tutti i
tentativi di liberalizzazione oppose un tenace «non possumus».
Nel 1859 gli austriaci dovettero abbandonare la Lombardia, nel 1860 finì il dominio papale sulla parte
settentrionale dello Stato pontificio (Romagna, Marche e Umbria). Nel 1860 Garibaldi conquistò la Sicilia, Napoli e la
pontificia Benevento. Vittorio Emanuele II poté così farsi proclamare primo re d'Italia, conservando in un primo
momento la capitale a Torino: inutilmente infatti aveva fatto pressioni sul papa perché rinunciasse a Roma. Costituito il
regno d'Italia, Cavour ne fece proclamare capitale Roma. Questo non poteva non rendere sospettoso Pio IX, che poco
dopo respinse un nuovo tentativo di mediazione politica.
Nel 1870, dopo lo scoppio della guerra franco-tedesca i piemontesi occuparono Roma. La breccia di Porta Pia,
il 20 settembre 1870, segnò la fine dello Stato pontificio. Benché il papa avesse ordinato solo una resistenza simbolica,
ci fu un piccolo scontro armato. Infine Pio IX diede l'ordine di issare la bandiera bianca. Nel plebiscito svoltosi il 2
ottobre 1870 solo poco più dell'un per cento della popolazione di Roma si dichiarò contrario all'unificazione con l'Italia,
ma proprio i più fedeli al papa non vi avevano potuto prendervi parte a motivo del Non expedit di Pio IX del 1868. Il
giorno di Tutti i Santi del 1870 il papa scomunicò tutti gli autori e gli esecutori dell'usurpazione di Roma; nonostante
ciò, Roma fu proclamata definitivamente capitale della nuova Italia (4 febbraio 1871). Pio IX rifiutò di aprire qualsiasi
trattativa col regno, per cui questo emanò autonomamente la cosiddetta legge delle guarentigie, che riconosceva al
pontefice la piena sovranità e inviolabilità e un appannaggio annuale di tre milioni e duecentocinquanta mila lire, nonché
l'extraterritorialità dei palazzi del Vaticano, del Laterano e della villa di Castelgandolfo. Similmente gli fu concesso il
libero esercizio del suo ministero, ivi inclusi i rapporti coi vescovi del mondo e la libera nomina dei vescovi in Italia.
Ma Pio IX respinse la legge già dopo due giorni, rifiutò la dotazione prevista e rinnovò invece l'istituzione dell'obolo di
san Pietro (libere offerte dei cattolici).
Da allora in poi il papa fu il prigioniero del Vaticano: la «questione romana» che ne seguì fu risolta solo nel 1929.
Quando Pio IX morì il 7 febbraio 1878, il prestigio del papato nel mondo era aumentato. Naturalmente egli lasciava in
eredità alla Chiesa cattolica e al nuovo papa Leone XIII. In particolare bisognava ancora metter fine al «Kulturkampf».

10.4. Il Vaticano I (1869-1870)


L'evento ecclesiale più importante del pontificato di Pio IX fu il Concilio Vaticano I (1869-70) XX Ecumenico.
Non bisogna considerare in maniera isolata il concilio e le sue definizioni del primato giurisdizionale e dell'infallibilità
papale, che contribuirono a rafforzare l'autorità morale e spirituale del papato. Il già descritto tramonto dello Stato
pontificio e le conseguenti perdite in fatto di potere temporale da parte del papa si verificarono parallelamente al
movimento ultramontanista, che cercava tutta la salvezza in Roma.
Quanto agli antecedenti del concilio, ricordiamo la proclamazione dogmatica del 1854. Pio IX attribuì la sua
salvezza alla Madre di Dio e ritenne suo dovere promuoverne il culto e la venerazione. Mentr'era ancora in esilio a
Gaeta, raccolse i pareri dei vescovi sulla possibilità della proclamazione dogmatica della «Immaculata Conceptio
Mariae». Il settantacinque per cento degli interrogati si dichiarò favorevole, e con la bolla Ineffabilis Deus dell'8
dicembre 1854 il papa proclamò allora solennemente la relativa proposizione di fede. In tal modo il papa aveva
dimostrato il suo potere di definire una dottrina di fede anche indipendentemente da un concilio. Nel 1864 furono
emanati l'enciclica Quanta cura e il cosiddetto Syllabus, un elenco di ottanta «errori del tempo». Ambedue fanno parte
della «preistoria» del Vaticano I.
L'8 dicembre 1869 ebbe luogo la solenne inaugurazione del CVI. Da aula conciliare servì la navata di destra della
basilica di San Pietro. Dei circa 1050 vescovi cattolici con diritto di partecipazione ne furono complessivamente presenti
al concilio 774. Nelle singole sessioni il loro numero oscillò dai 600 ai 700, alla sessione di apertura presenziarono in
642. L'ordine dei lavori stabiliva che i membri delle singole commissioni fossero indicati dai padri conciliari. Sotto la
guida di Manning e Senestrey fu tuttavia fatta circolare una lista di possibili membri della commissione per le questioni
dogmatiche che conteneva solo infallibilisti e che, si diceva, sarebbe stata approvata dal papa. Così per tutta la durata
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del concilio la minoranza fu esclusa da questo importantissimo organo.
Nel dicembre del 1869 la maggioranza presentò una lista di circa 450 nomi, i quali chiedevano si trattasse la
questione dell'infallibilità; una contro richiesta similmente presentata portava solo 136 firme. Il papa aderì alla richiesta
della maggioranza e domandò che ora si preparasse uno schema speciale sul papa. Il 13 maggio 1870 si aprì la
discussione sul primato giurisdizionale del papa e sulla sua infallibilità. Nella votazione preliminare del 13 luglio circa
un quarto dei vescovi aveva ancora rifiutato la bozza del testo. Il 16 luglio, Senestrey e Manning riuscirono a ottenere
un inasprimento della formula prevista della definizione dell'infallibilità papale con l'inserimento di un «ex sese»; tale
formula suonava ora: «...ideoque eiusmodi Romani pontificis definitiones ex sese, non autem ex consensu ecclesiae
irreformabiles esse».
La votazione conclusiva del 28 luglio registrò l'assenza di 88 padri, tra cui 20 francesi, 15 ungheresi, 9 tedeschi
e 7 austriaci, che avevano ottenuto in antecedenza dal papa il permesso di poter partire. Dei presenti, 533 votarono a
favore, 2 contro, e così la costituzione «Pastor aeternus» fu approvata. Con voce appena percettibile egli pronunciò le
parole: «Definiamo col consenso del sacro concilio tutto ciò che è stato letto e lo confermiamo in virtù dell'autorità
apostolica».
La sessione solenne del 18 luglio 1870 segnò in pratica anche la fine del concilio. Il 20 settembre 1870 gli italiani
entrarono in Roma, e Pio IX aggiornò il concilio «sine die», perché temeva che non si sarebbe più potuto svolgere
liberamente.
L'arcivescovo di Monaco di Baviera, Scherr ebbe un abboccamento con la facoltà teologica. In quella occasione
egli disse: «Rimettiamoci di nuovo al lavoro per la santa Chiesa». Dollinger aggiunse: «Sì, per la vecchia Chiesa». Al
che l'arcivescovo ribatté: «Esiste solo una Chiesa, non ne esiste né una nuova, né una vecchia». E Dollinger di rimando:
«Ne è stata creata una nuova!». Queste parole caratterizzano lo stato d'animo postconciliare di alcuni intellettuali, che
in seguito passarono al vetero-cattolicesimo. Così fu detto quel movimento che ebbe in Dollinger il suo padre spirituale.
Questi rifiutò sì per tutta la vita il primato giurisdizionale e l'infallibilità del papa e fu per questo scomunicato
dall'arcivescovo di Monaco. I membri della nuova comunità si elessero nel 1873 un vescovo nella persona del professor
Joseph Hubert Reinkens, che fu consacrato dal vescovo giansenista Heykamp di Deventer. Sempre nel medesimo anno
fu elaborata una costituzione sinodale e parrocchiale. Nel 1899 seguì l'adesione all'unione di Utrecht, e con ciò i
veterocattolici diventarono parte di una più vasta comunità ecclesiale cattolica separata da Roma.

10.5. Il «Kulturkampf»
In Prussia si scatenò un Kulturkampf. Questo termine indica lo «scontro dello Stato nazionale moderno e della
società liberale con le tendenze restauratrici del cattolicesimo», per cui il «Kulturkampf» non fu limitato alla Germania.
Tuttavia il più delle volte esso viene riferito solo al Reich fondato nel 1871 e alla Prussia, dove i conflitti ebbero un
andamento particolarmente violento.
Tutto iniziò con diffidenza del cancelliere, Otto von Bismarck, verso il partito cattolico del Centro, in cui egli
scorgeva uno strumento della Santa Sede. Nel Reichstag la Baviera propose il paragrafo del pulpito che puniva l'abuso
politico della predicazione ecclesiale, nonché la legge sui gesuiti che vietava ai membri della Compagnia di Gesù e agli
ordini religiosi «affini» il soggiorno nel Reich. Il papa protestò.
In Prussia, nel 1871 fu abolito l'ufficio cattolico del ministero del culto e nel 1872 fu emanata la legge sulla
vigilanza statale nelle scuole. La situazione peggiorò con la nomina di Adalbert Falk a ministro prussiano del culto. A
lui si debbono le leggi di maggio del 1873 che sottoposero la Chiesa quasi completamente alla sorveglianza dello Stato.
Il papa si vide interdetto ogni atto giurisdizionale sulla Germania (anche le scomuniche). In futuro le questioni
ecclesiastiche si sarebbero dovute trattare davanti ai tribunali civili e le misure disciplinari interecclesiali essere
sottoposte al benestare statale. Per uscire dalla Chiesa sarebbe stato sufficiente notificarlo all'ufficio dell'anagrafe.
Mentre il Baden, l'Assia -Darmstadt e la Sassonia emanarono leggi simili a quelle della Prussia, la Baviera si
attenne solo alle leggi del Reich (paragrafo del pulpito e leggi sui gesuiti), ma favorì tendenze aspiranti a una Chiesa di
Stato come il veterocattolicesimo, senza che la vita ecclesiale ne subisse comunque alcun danno. Come conseguenza
delle misure statali in Prussia tutti i seminari rimasero chiusi fino al 1878 e otto vescovi furono allontanati, mentre più
di mille parrocchie rimasero senza parroco. Ma l'opposizione del popolo si manifestò e contribuì al rafforzamento del
cattolicesimo e del partito del Centro.

10.6. Leone XIII (1878-1903)


Gioacchino Pecci, fu eletto papa il 20 febbraio 1878 e pur essendo malato governò la Chiesa per 25 anni. Dal
1843 al 1846 era stato nunzio a Bruxelles, nel 1846 era diventato vescovo di Perugia e nel 1877 cardinale camerlengo.
In questa veste dovette preparare l'elezione del papa. Per la sua formazione e per la carriera egli era incline al
compromesso e all'accordo e conseguì notevoli successi. Nel periodo di appena dieci anni (1879-89) non meno di
sessantadue documenti papali presero posizione in favore di un ristabilimento dello Stato pontificio. Scrisse quarantasei
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encicliche. Già nella prima enciclica Inscrutabili si occupò della conciliazione della Chiesa con la cultura. In questo
contesto va menzionata anche l'elevazione nel collegio cardinalizio di J. H. Newman nonché l'apertura dell'Archivio
Segreto Vaticano, cosa che impresse un potente impulso al metodo storico-critico in teologia.
Nel 1887 furono condannate quaranta tesi desunte dalle opere del filosofo idealista Antonio Rosmini, nel fu
rivisto l'indice dei libri proibiti, furono poste all'indice le opere del teologo dogmatico tedesco Hermann Schell, nel
1899 fu condannato l'americanismo, un tentativo di stabilire un dialogo tra il tempo moderno e la dottrina della Chiesa,
e nel 1902 fu fondata la pontificia Commissione biblica come organo di sorveglianza per le scienze bibliche.

CAPITOLO XI
LA CHIESA E IL PAPATO, PRIMA METÀ DEL XX SECOLO

11.1. Pio X (1903-1914)


Il conclave del 1903 elesse Giuseppe Sarto che prese il nome di Pio X. Il veto (l'ultimo nella storia) posto dal
cardinale J. Puzyna di Cracovia in nome dell'imperatore austriaco contro il cardinale francese Mariano Rampolla del
Tindaro fu espresso solo quando questi non aveva più alcuna probabilità di essere eletto; inoltre Puzyna aveva informato
il conclave già prima dell'inizio delle votazioni.
Subito dopo l'elezione, il papa vietò per il futuro la rivelazione e la pubblicazione di qualsiasi notizia relativa allo
svolgimento del conclave, nonché l'ingerenza degli Stati nell'elezione papale (abolizione del veto). Subito dopo l'inizio
del suo pontificato istituì una commissione per la revisione e la ricodificazione del diritto canonico. Con un motu proprio
sulla «musica sacra» fece del canto gregoriano la norma e il criterio della musica ecclesiastica; un decreto papale
promosse la comunione frequente e una riforma del breviario.
Quanto all'Italia merita una menzione l'istituzione di seminari regionali accanto a quelli diocesani. Degna di nota
è anche la sua richiesta di impiegare catechisti laici. Nel 1905 egli allentò il «non expedit», sicché ora i cattolici poterono
far uso a certe condizioni del loro diritto politico di voto. Egli favorì i liberali moderati ma liquidò l'associazionismo
cattolico.
Pio X morì nel1914, subito dopo lo scoppio della prima guerra mondiale. Egli si era ancora dichiarato pronto a
fungere da arbitro tra Austria e Serbia e ad esercitare un influsso moderatore sui due governi; contemporaneamente però
aveva riconosciuto all'Austria il diritto a una piena riparazione. Merito imperituro di Pio X sono le sue riforme
interecclesiali, mentre il suo modo di procedere contro il modernismo getta un'ombra sul suo pontificato. Egli venne
canonizzato da Pio XII nel 1954.

11.2. Il periodo della Prima Guerra Mondiale (1914-1918)


Subito dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, il cardinale Giacomo della Chiesa, fu eletto un papa, che in
virtù del proprio carattere e della propria formazione diplomatica era incline al compromesso e alla composizione dei
contrasti. In memoria di Benedetto XIV assunse il nome di Benedetto XV (1914-22) e considerò suo primo compito
quello di contribuire a porre fine alla guerra. Nella sua attività in favore della pace cercò di tener l'Italia fuori dal
conflitto, ma senza successo (dichiarazione di guerra all'Austria il 24 maggio 1915).
La Santa Sede adottò molte misure per alleviare i mali materiali causati dalla guerra, indipendentemente
dall'appartenenza religiosa o etnica dei colpiti, per esempio in favore degli armeni durante il massacro turco del 1915-
16. Il papa lanciò continui appelli e spese in aiuti circa 82 milioni di lire-oro per lenire le sofferenze di tanta gente. Infine
ricordiamo la sua collaborazione per lo scambio di oltre centomila prigionieri di guerra e la sua intensa partecipazione
alla ricerca dei dispersi. Il Vaticano fu allora detto una «seconda Croce Rossa». Nella questione romana si fece strada
una soluzione, portata a compimento solo sotto Pio XI. Dal punto di vista intraecclesiale importanti eventi furono la
pubblicazione del Codex Iuris Canonici (1917) nonché la progressiva cessazione delle lotte moderniste.

11.3.Dalla fine della Prima Guerra Mondiale a Pio XII.


La scomposizione della monarchia austro-ungarica in Stati nazionali procurò alla Chiesa notevoli difficoltà. Molte
diocesi furono lacerate, e la pace di Saint-Germain rese definitive queste divisioni Qualcosa di analogo avvenne per
la Germania col trattato di Versailles. La vecchia alleanza politico-ecclesiastica fra trono e altare era diventata un
ricordo storico. In Germania il protestantesimo perse di colpo la sua posizione privilegiata e la sua struttura organizzativa
territoriale. Nel 1922, durante il Katholikentag di Monaco, il cardinale Michael Faulhaber si espresse duramente contro
la sovversione, criticò la costituzione di Weimar e i politici del Centro che la appoggiavano. Il presidente del
Katholikentag, il sindaco di Colonia Konrad Adenauer, perorò il riconoscimento della situazione di fatto. Le due ali del
cattolicesimo, quella regalistica bavarese e quella renana democratica, manifestarono le loro divergenze. Benedetto XV,
pochi mesi prima di morire (22 gennaio 1922) poté ancora vedere la Francia riprendere pienamente le relazioni
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diplomatiche col Vaticano.
Pio XI (1922-39), il suo successore, verso la fine della guerra aveva lavorato come prefetto della Biblioteca
Vaticana. Il suo programma di governo, riassunto nel motto «Pax Christi in regno Christi», fu da lui spiegato nella sua
prima enciclica Ubi arcano, con cui chiamava in vita anche l'Azione cattolica.
In Spagna nel 1928 veniva fondato l'Opus Dei, un'organizzazione cattolica che esercitò subito un grande influsso
sulla vita politica ed economica del paese. Oggi essa è diffusa e attiva ben al di là dei confini della Spagna ed è stata
elevata nel 1982 da Giovanni Paolo II «prelatura personale».

11.4. I Concordati di Pio XI


Sotto Pio XI fu stipulata una serie di concordati, a partire da quello con la Lettonia e seguito da quelli con la
Baviera, la Polonia, la Lituania, la Prussia. Ne ricordiamo in modo particolare tre: l'11 febbraio 1929 furono siglati i
Patti lateranensi, comprendenti un trattato politico, una convenzione finanziaria e un concordato. Essi risolvevano la
«questione romana» sorta con gli eventi del 1870 e ponevano fine al conflitto tra Chiesa e Stato italiano. Col trattato
politico lo Stato italiano riconosceva la religione cattolica come unica religione di Stato e la piena sovranità della «Santa
Sede». Il concordato completava il trattato politico e regolava dettagliatamente in quarantacinque articoli le materie di
comune interesse. Lo Stato ottenne notevoli concessioni quanto alle nomine del personale ecclesiastico (vescovi e
parroci). Agli ecclesiastici fu interdetta ogni attività politica e partitica.
I Patti lateranensi vennero accolti favorevolmente da gran parte dell'opinione pubblica italiana e internazionale
eppure delle critiche severe. In particolare, dando ragione ai timori degli antifascisti, molti dei quali erano in esilio o in
carcere. La scarsa buona fede del regime divenne evidente poco dopo, perché esso non si sentì affatto vincolato dagli
accordi pattuiti, come ad esempio nei duri scontri verificatisi nel 1931 a proposito dell'educazione della gioventù e che
misero in forse la stessa sopravvivenza dell'Azione cattolica, che Pio XI difese come la pupilla dei suoi occhi. Si disse
da più parti che lo stesso Pio XI progettasse qualche gesto clamoroso, tra cui forse la stessa sconfessione dei Patti, che
non poté attuare a causa della morte avvenuta abbastanza repentinamente proprio alla vigilia della ricorrenza del
decennale dei Patti, il 10 febbraio 1939.
Il concordato austriaco, solennemente firmato a Roma nel 1933 dal cancelliere Engelbert Dollfuss, dal ministro
della giustizia Kurt Schuschnigg e dal segretario di Stato, cardinale Eugenio Pacelli non conteneva clausole analoghe a
quello italiano. Nel 1933 i vescovi decisero sì di interdire ai sacerdoti l'attività politica e 1'esercizio di un mandato
politico a motivo «della situazione politica particolarmente delicata» e richiamandosi paradigmaticamente all'Italia e
alla Germania (concordato col Reich). Però tale divieto non venne osservato nell'era dello «Stato cristiano corporativo».
Il concordato regolava in ventitré articoli le relazioni fra Chiesa e Stato in Austria e risolveva questioni aperte, come ad
esempio il modo di procedere nella nomina dei vescovi, le questioni attinenti l'insegnamento della religione e delle
scuole cattoliche, i beni ecclesiastici e gli effetti civili dei matrimoni celebrati in chiesa.
Il concordato col Reich, firmato nel 1933 fu sfruttato dal regime nazionalsocialista. Questo, guidato da Adolf
Hitler, aveva preso legalmente il potere in Germania il 30 gennaio 1933. Le due Chiese, in specie quella cattolica,
guardavano con diffidenza al nuovo regime, soprattutto alla sua ideologia. La Conferenza episcopale di Fulda aveva
decisamente dichiarato: il nazionalsocialismo dà a credere di essere solo un partito politico con giustificate finalità
nazionali, ma in realtà contrasta nella maniera più netta con verità fondamentali del cristianesimo e con
l'organizzazione della Chiesa cattolica stabilita da Cristo. Dato che allora il cattolicesimo politico era ancora assai
virulento e col partito del Centro e la Volkspartei bavarese rappresentava un importante fattore politico, una simile
istruzione pastorale non aveva solo un significato pastorale, bensì politico.
Ancora alcune settimane dopo la presa del potere da parte di Hitler la Conferenza episcopale tedesca fece una
dichiarazione che era una chiara indicazione in favore del partito del Centro. Ciò può aver contribuito a far sì che la
NSDAP fallisse la sua dichiarata volontà di conseguire la maggioranza assoluta. Le dichiarazioni di Hitler
sull'importanza e sulla posizione del cristianesimo nel nuovo Stato nazionalsocialista neutralizzarono la dichiarata
opposizione delle Chiese. Dopo che nei giorni di marzo le manifestazioni di assenso, verso il nuovo Stato si erano andate
moltiplicando da parte luterana, il 28 marzo anche l'episcopato cattolico rinunciò alla sua opposizione. Riferendosi alle
assicurazioni di Hitler, i vescovi ritirarono condizionatamente in un comunicato le loro riserve nei confronti del
movimento nazionalsocialista.
Hitler vedeva nel cattolicesimo politico un avversario serio e pericoloso per il raggiungimento dei suoi fini. Per
poterlo mettere completamente fuorigioco, cercò di far inserire nel concordato del Reich un articolo che vietasse ogni
attività politica a sacerdoti e religiosi. In tal modo la Chiesa doveva essere estromessa dal campo politico e confinata in
quello puramente pastorale e religioso.

11.5. Sotto il dominio Nazionalsocialista


In Germania le violazioni del concordato del regime nazionalsocialista nelle istituzioni ecclesiastiche
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aumentarono continuamente, con conseguenti continue proteste dell'episcopato e note diplomatiche della Santa Sede.
Pacelli, utilizzando una bozza stesa dal cardinale Faulhaber, redasse «sotto la supervisione personale del papa» l'enc.
Mit brennender Sorge. Con questa, Roma attaccava duramente l'ideologia e la politica religiosa nazionalsocialiste,
evitando pero il termine "Nazionalsocialismo". Fu letta il 21 marzo 1937 dai pulpiti delle chiese parrocchiali della
Germania. Ma enciclica non ebbe l'effetto sperato: la conferenza episcopale di Fulda non smise con la sua politica di
protesta, ne passo alla mobilitazione della gente contro il nazionalsocialismo, ne il regime cambio la sua politica verso
la Chiesa.
Nello stato corporativo cristiano d'Austria i cattolici non assunsero una posizione unitaria verso il
nazionalsocialismo. L'ala conservatrice si mostro molto aggressiva contro il comunismo e non nazismo, mentre l'ala
moderata sostenne di trovare un accordo con nazismo, ritenere gli aspetti buoni dello stesso e rimanere come alleato
nella lotta contro il bolscevismo e comunismo. La Mit brennender Sorge fu pubblicata solo in parte tralasciando i passi
più critici. Un attenzione molto più grande fu data alla enciclica contro il comunismo Divini Redemptoris, pubblicata
quasi contemporaneamente. In questo modo Pio XI vuole esprimere le sue obiezioni e ammonimenti: "Due pericoli
minacciano la cultura europea e cristiana, il nazismo e il comunismo. Ambedue sono bellicosi, antireligiosi, totalitari,
tirannici, crudeli e militaristici".
L'allora diversa valutazione del comunismo e del nazismo da parte dell'ala progressista austriaca spiega il
comportamento dei vescovi in occasione dell'annessione del marzo 1938. Tre giorni dopo ingresso di Hitler, il
cardinale Innitzer gli fece una visita di cortesia e adopero la forma di saluto tedesca. I vescovi dichiararono: "Siamo
convinti che l'opera del movimento nazionalsocialista ha evitato il pericolo del bolscevismo ateo e onnidistruttore". I
fedeli furono chiamati ad aderire all'annessione tedesca.
In occasione del Progrom contro gli ebrei nella cosiddetta "notte di cristalli" del novembre 1938 le Chiese
tacquero. L'unico a protestare fu un professore della teologia a Graz, Johannes Ude. Scrisse una protesta energica e
appassionata contro le aggressioni banditesche alle sinagoghe ebraiche e fu per questo espulso dall'università. Suo ex
collaboratore Metzger fu accusato di alto tradimento per il suo lavoro in favore della pace e giustiziato.
L'esecuzione di Metzger non fu un caso isolato. Molti cristiani soffrirono indicibilmente per la loro fede nei
diversi campi di concentramento e nelle prigioni. Solo tra sacerdoti e religiosi, la barbarie nazista mieté all'incirca
quattromila vittime. Ricordiamo il nome di alcune personalità. Francescano Conventuale P. Massimiliano Kolbe, che
venne condannato a morte nel bunker della fame del campo di concentramento di Auschwitz, in sostituzione di un papà
di famiglia. Il carmelitano Tito Brandsma, giornalista. La studiosa di filosofia allieva di Martin Heideggèr Edith Stein,
di origine ebraica, divenuta carmelitana col nome di Teresa Benedetta della Santa Croce, caduta vittima dell'odio
razziale e contro la fede. Il vescovo Michele Kozal morto a Dachau.
Anche la Chiesa luterana, politicamente divisa in diversi gruppi, pago il suo tributo di vittime al
nazionalsocialismo. Contemporaneamente a questa persecuzione dei cristiani con l'eliminazione dei malati di mente,
detta eutanasia, e con la deportazione e lo sterminio degli ebrei europei, la dittatura nazista pervertì lo Stato di diritto in
una misura che supera ogni immaginazione umana. L'intervento pubblico e coraggioso del di Clemens Augustinus
Galen ebbe notevole successo. Nessun passo paragonabile a questo fece la Chiesa per porre fine all'eccidio in massa
degli ebrei. Ci fu chi cerco di aiutarli, come l'opera di Sankt-Rafael o cardinale Innitzer in favore dei cattolici non ariani,
ma i loro successi rimasero limitati. Se teniamo conto che le vittime tra la popolazione ebraica furono sei milioni, sono
stati 750 mila ebrei salvati dall'opera dei cattolici. Molti di questi devono la loro salvezza all'impegno di Pio XII. E’
vero che subito dopo la sua elezione egli aveva bloccato la pubblicazione dell'enc. Societatis Unio messa in cantiere dal
suo predecessore e destinata a condannare il razzismo, e che aveva imboccato via del silenzio per evitare il peggio, però
i suoi interventi in favore degli ebrei furono esemplari.
Come Roma, anche l'episcopato tedesco tacque. Un silenzio quasi assoluto fu osservato da parte Cattolica di
fronte agli eventi che accompagnarono l'attentato a Hitler, effettuato il 20 luglio 1944 per motivi cristiani di coscienza,
mentre da parte protestante si ritenne di dover inviare al Führer il seguente telegramma: «In tutte le chiese luterane della
Germania si esprime oggi nella preghiera la gratitudine per la benigna protezione di Dio e la sua visibile salvaguardia...».

11.6. Il pontificato di Pio XII (1939-1958)


Pio XII era stato eletto papa il 2 marzo 1939 durante la terza votazione, nel corso di uno dei conclavi più brevi
della storia. Egli proveniva da una famiglia di funzionari romani ed era stato consacrato sacerdote nel 1899. Alla vigilia
della seconda guerra mondiale, egli scongiurò i governi a salvaguardare la pace, ma invano. Tutti gli appelli, soprattutto
le allocuzioni natalizie, risuonarono inefficaci. In Vaticano fu istituito un ufficio informazioni sui prigionieri di guerra
e sui dispersi, incaricato di far pervenire ai familiari le notizie di cui disponeva.
In una delle sue encicliche più importanti la Mystici Corporis Christi, sviluppò la dottrina sulla Chiesa come
corpo mistico, sui segni dell'appartenenza alla Chiesa e sul rapporto tra ufficio e carisma. Con la Divino afflante Spiritu
aprì una nuova porta alla scienza biblica e le concesse di sfruttare le cognizioni della scienza moderna. Alla liturgia e
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alle sue riforme, verso cui Pio XII si dimostrò più aperto verso fu dedicata l'enc. Mediator Dei. La Madre di Dio e la
sua dignità regale è il tema dell'enc. Ad coeli Reginam. Con la bolla Munificentissimus Deus, egli aveva definito
l'Assunzione di Maria in cielo. Degli errori del tempo si occupò l'Humani generis, un documento marcatamente
conservatore.
In Cina e in varie parti dell'Africa Pio XII istituì la gerarchia ecclesiastica. L'autorità del papato raggiunse con
lui proporzioni sino ad allora sconosciute, ma nello stesso tempo egli dovette anche assistere alla diffusione su scala
mondiale del comunismo, da lui condannato nel 1949 con un decreto del Sant'Ufficio. La costituzione Provida Mater
Ecclesia del 1947 stabilì le regole per gli istituti secolari, i cui membri, senza vivere in comunità, si obbligano a osservare
i consigli evangelici. Nel 1953 fu concluso il concordato con la Spagna, che regolava in maniera quasi ideale il rapporto
fra Chiesa e Stato in un paese cattolico.

CAPITOLO XII
LA CHIESA NELLA SECONDA METÀ DEL XX SECOLO

12.1. I Papi del Concilio: Giovanni XXIII e Paolo VI


Il 28 ottobre 1958, il conclave elesse Angelo Roncalli. Giovanni XXIII (1958-63). Laureatosi e consacrato
sacerdote a Roma nel 1904, nel 1905 divenne segretario particolare del vescovo della sua diocesi d'origine e subito dopo
professore di storia della Chiesa, apologetica e patrologia nel seminario maggiore di Bergamo. Nel marzo del 1925,
nominato visitatore apostolico in Bulgaria, entrò al servizio diplomatico della Santa Sede. Nel medesimo anno fu
consacrato vescovo titolare di Areopoli e in quella occasione fece proprio il motto del Baronio «Oboedientia et pax».
Nove anni dopo fu nominato da Pio XI delegato apostolico per la Turchia e la Grecia e amministratore del vicariato
apostolico di Istanbul.
In tal modo egli imparò a conoscere da vicino e direttamente sia la Chiesa greco-ortodossa che quella uniate.
Durante il periodo di occupazione della Grecia da parte delle truppe tedesche si prodigò per aiutare la popolazione.
Verso la fine del 1944, Pio XII lo chiamò ad occupare uno dei posti diplomatici più importanti e difficili per il Vaticano
in quel periodo, la nunziatura di Parigi. Ivi egli conseguì presto un grande successo, impedendo la destituzione di
trentatré vescovi accusati di collaborazionismo col regime di Vichy. Dal 1951, fu anche osservatore permanente della
Santa Sede presso l'UNESCO. Nel 1953 fu creato cardinale e ricevette il berretto cardinalizio dal presidente francese
Vincent Auriol.
Qui egli fu totalmente pastore d'anime; istituì trenta nuove parrocchie e un seminario minore. Guidò pellegrinaggi
in Spagna e in Francia, dove a Lourdes consacrò la basilica inferiore. Con la sua cordialità, semplicità, modestia e bontà
fuori del comune Giovanni XXIII fece subito breccia nel cuore della gente. Con la massima tranquillità si mise a uscire
dal Vaticano, andò in treno in pellegrinaggio a Loreto e ad Assisi.

Il mondo si entusiasmò per il papa, che faceva volentieri delle puntatine attorno al Vaticano. «Giovanni fuori le
mura», dicevano i romani, «Johnny Walker», gli americani. Egli visitava chiese e seminari, ospedali e persino prigioni.
Giovanni XXIII riuscì ad aprire le porte anche all'ecumenismo. Rinunciò al principio sostenuto che l'unità della Chiesa
potesse essere ristabilita solo col ritorno dei cristiani non cattolici alla Chiesa cattolica. Vide in quei cristiani i suoi
fratelli e con l'istituzione del Segretariato per la promozione dell'unità cristiana, avvenuta nel 1960, fece un passo
notevole verso di loro. Il Sinodo diocesano romano, annunciato nella basilica di San Paolo fuori le Mura il 25 gennaio
1959 insieme al Vaticano II e alla revisione del codice di Diritto Canonico e tenuto nel gennaio 1960, si svolse su binari
del tutto conservatori. La riforma del Diritto canonico assunse forma concreta solo nel marzo del 1963, con la nomina
della relativa come missione cardinalizia.
Poco prima della convocazione del concilio Giovanni XXIII pubblicò la costituzione Veterum sapientia, che
dichiarava obbligatoria la lingua latina nella liturgia e nell'insegnamento della teologia (1962). Questo è uno dei tratti
contraddittori di questo papa, così come la sua messa in guardia di fronte agli scritti di Teilhard de Chardin. Giovanni
XXIII, la cui personalità carismatica irradiò in una maniera inaspettatamente potente ben al di là del mondo cattolico,
morì la domenica di Pentecoste del 1963.
Paolo VI (1963-1978) era un italiano del nord. Nato il 26 settembre 1897 da un padre avvocato e uomo politico.
Giovanni Battista Montini frequentò il seminario maggiore di quest'ultima città e fu ordinato l'8 marzo 1920. Dopo aver
frequentato la Gregoriana e l'università statale, entrò nella Pontificia accademia ecclesiastica e fece carriera nella
Segreteria di Stato. Il 21 giugno 1963, secondo giorno del conclave in cui era entrato come favorito, fu eletto papa.
Ultimo papa ad essere stato incoronato con la tiara, il 30 giugno, durante la messa dell'incoronazione rese noto il suo
programma. Menzionò la prosecuzione e il compimento del concilio e, inoltre, assicurò l'impegno per la giustizia
sociale, la pace e l'unità della cristianità.
Un'altra caratteristica di questo pontificato va vista nei grandi viaggi all'estero, il primo dei quali, effettuato nel
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1964, portò il papa in Israele e in Giordania, dove egli si incontrò col patriarca ecumenico di Costantinopoli,
Atenagora. Paolo VI non fu solo il primo papa a calcare il suolo americano, ma anche il primo ad avere visitato le altre
parti della terra. Nel 1967 istituì il Consiglio dei laici e la commissione Iustitia et pax, e due anni dopo la Commissione
teologica internazionale.
Con la udienza privata, da lui concessa il 30 gennaio 1967 al presidente sovietico Podgorny, i contatti della
Chiesa con l'oriente comunista assunsero forma visibile. La sua attività postconciliare fu turbata dalla lotta dai
«tradizionalisti» contro le diverse innovazioni, guidati dall’arcivescovo Marcel Lefebvre.

12.2. Annuncio e preparazione del Concilio


L'annuncio del concilio fatto da Giovanni XXIII fu assolutamente spontaneo e sorprese gli stessi cardinali
radunati il 25 gennaio 1959 nella basilica di San Paolo. Quando egli lo annunciò, uno dei motivi principali che lo
avevano indotto a farlo era quello di ristabilire l'unità dei cristiani, in particolare con gli ortodossi. Con il motu proprio
«Superno Dei nutu» del 5 giugno 1960 Giovanni XXIII battezzò ufficialmente l'imminente concilio col nome di concilio
Vaticano II e stabilì dieci «Commissiones praeparatoriae» col compito di elaborare i documenti e i testi da sottoporre
alla discussione conciliare. Mentre la commissione per l'apostolato dei laici lavorò in larga misura in maniera autonoma,
le altre nove rimasero in stretto contatto con le rispettive autorità curiali. A queste dieci commissioni si aggiunse presto
il «Segretariato per la promozione dell'unità cristiana». La presidenza della Commissione centrale rimase nelle mani del
papa.
Datata il giorno di Natale del 1961, la costituzione Humanae salutis convocò il concilio per il 1962 a Roma. Il
motu proprio «Consilium diu» del 2 febbraio 1962 stabilì come giorno di apertura 1'11 ottobre 1962. Attraverso il
Segretariato per l'unità le Chiese separate da Roma furono invitate a inviare osservatori ufficiali. Molte delle comunità
cristiane rappresentate nel Consiglio ecumenico delle Chiese accolsero tale invito. Particolarmente spiacevole apparve
l'atteggiamento di rifiuto dell'ortodossia, col patriarcato di Mosca a suonare regolarmente la tromba della propaganda
contro una simile partecipazione. Quando poi, all'apertura dell'assemblea, due rappresentanti del patriarca moscovita
Alessio comparvero a Roma, qui la cosa procurò una grandissima gioia e a Costantinopoli una sorpresa non minore.
Solo durante il terzo periodo del concilio il patriarcato ecumenico inviò degli osservatori. Fin dall'inizio furono tuttavia
rappresentati al concilio: sette Chiese ortodosse, la Chiesa anglicana, nove Chiese e comunità protestanti e i
veterocattolici.
L'ufficio stampa era strettamente collegato con la segreteria. Lo «schema» stampato proposto dalle commissioni
fu in linea di principio distribuito a tutti i partecipanti. Chi voleva parlare nel corso delle congregazioni generali doveva
notificare la cosa al segretario generale tre giorni prima, in seguito cinque giorni prima. Lo spazio concesso a ogni
oratore fu inizialmente di dieci minuti poi di otto. Il latino, malgrado i timori espressi da qualcuno assolse bene il suo
compito di lingua ufficiale. Secondo il regolamento modificato del 1963, per l'approvazione di uno schema ci voleva la
maggioranza di due terzi, ma per respingerlo bastava la maggioranza semplice. Competenti per apportare le modifiche
proposte erano le commissioni. L'approvazione definitiva era di competenza delle sessioni pubbliche, nel corso delle
quali il presidente, il papa, approvava e promulgava i singoli documenti conciliari. Tutto sommato possiamo dire a
proposito dello svolgimento del concilio che esso si mosse costantemente all'interno di un campo di tensioni dominato
da tre poli magnetici: il papa, il concilio e la curia.

4. Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II


Albino Luciani, fu eletto il 26 agosto 1978. Eletto il primo giorno del conclave, egli prese il duplice nome di
Giovanni Paolo I. Tale duplice nome annunciava in qualche modo anche il suo programma, ch'era quello di continuare
e portare a maturazione quanto i due predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI avevano iniziato. Soprattutto bisognava
mettere in pratica nella Chiesa le decisioni conciliari. L'insediamento nel suo nuovo ufficio di vescovo di Roma, il 3
settembre 1978, non fu accompagnato dalla solita pompa delle precedenti incoronazioni con la tiara. Con la sua
semplicità spontanea e più ancora col suo sorriso cordiale, egli si accattivò ed entusiasmò subito il popolo. Il suo
pontificato durò solo trentatré giorni, ma fu sufficientemente lungo per cancellare di fatto il plurale maiestatico dei
papi. La notte del 28 settembre 1978 egli moriva per infarto cardiaco.
Col suo successore Giovanni Paolo II finiva una tradizione che durava dal 1522. Il 16 ottobre 1978 dal conclave
non uscì un italiano, ma un polacco. Dopo aver conseguito la maturità nel 1938, si iscrisse al la facoltà di filosofia di
Cracovia. Durante le vicissitudini della guerra lo troviamo impegnato nel clandestino «Teatro rapsodico» e come operaio
in una cava di pietre vicino a Cracovia. Per salvare gli ebrei dallo sterminio, collabora alla falsificazione dei passaporti.
Significativi sono i suoi numerosi viaggi in tutto il mondo. Il 13 maggio 1981 il turco Alì Agca gli sparò durante
un'udienza generale in piazza San Pietro. Malgrado le gravi ferite riportate, egli è sopravvissuto a questo attentato. Il 25
gennaio 1983 egli poté promulgare il nuovo Codex Iuris Canonici, portato a termine dopo un lavoro intenso durato
molti anni. Il sinodo dei vescovi tenuto alla fine del 1985 ha confermato le decisioni del Vaticano II annunciò un
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catechismo della Chiesa universale, la cui progettazione e realizzazione furono affidate a una commissione
internazionale sono la presidenza di Ratzinger.

CAPITOLO XIII
LA SITUAZIONE NELLA CHIESA NEL XX SECOLO

13.1. La secolarizzazione e il rilancio di vita religiosa


Le nuove fondazioni si orientarono praticamente tutte alle missioni mondiali e furono caratterizzate da un
pronunciato attivismo, da efficientismo e dalla prosecuzione di fini concreti. Il sacerdote secolare romano Vincenzo
Pallotti divenne l'iniziatore di una delle congregazioni moderne più importanti, che da lui prese il nome. I pallottini
anticiparono l'idea dell'apostolato dei laici. La società fu approvata nel 1904 da Pio X e rappresenta l'ordine post-
riformatorio più importante in Germania, quello che lanciò per primo l'idea di seminari per le vocazioni tardive.
I salesiani, fondati nel 1857 a Torino da Giovanni Bosco dovevano garantire la continuazione dell'oratorio del
loro fondatore carismatico: uno degli ordini numericamente più forti della cristianità dopo i gesuiti, essi non furono
affatto concepiti come un ordine religioso. Diventarono una congregazione religiosa solo sotto l'influsso dei contrasti
religiosi allora imperversanti nel regno dei Savoia. Forme esteriori della vita religiosa usuale, come una divisa
particolare, furono assolutamente subordinate all'apostolato della gioventù. Oltre all'irradiamento spirituale del loro
fondatore, furono le concezioni pedagogiche progressiste, la prassi corrispondente e i bisogni dell'epoca della società
industriale a rendere possibile l'esemplare successo di questa congregazione. I salesiani divennero gli apostoli dei
moderni sobborghi cittadini e anticiparono alcuni degli ideali dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle di Charles de
Foucauld.
I Missionari del Cuore di Gesù, fondati nel 1854 da Jules Chevalier, svolsero un'attività preziosissima nei
territori missionari dell'Indonesia e del Congo Belga. Arnold Janssen nel 1875 la Società del Verbo divino società che
con la sua casa missionaria St. Gabriel di Modling, divenne una delle più eminenti congregazioni missionarie del mondo.
Il fondatore volle che i membri della società ricevessero una formazione scientifica e teologico - missionaria. Ciò portò
a scrivere opere di fondamentale importanza nel campo dell'etnologia, dell'antropologia, della scienza della religione e
del linguaggio.
I Mill-hill-fathers furono fondati dal card. Herbert Vaughan. Nel loro centro missionario di Londra i futuri
missionari venivano sistematicamente preparati. Scopo dichiarato di questa società fu quello di lavorare come «padri
degli schiavi» tra i negri americani e nei territori missionari più difficili e isolati di Asia, Africa e Nuova Zelanda.
I padri bianchi furono una fondazione del cardinale Charles Lavigerie. Con essi si annunciava un nuovo tipo
di ordine religioso, che riscopriva la necessità dell'adattamento e dell'inculturazione dopo la controversia dei riti dei
secoli XVII e XVIII. Col loro fluttuante e bianco abito religioso, essi si assimilarono ai figli del deserto del Sahara e si
proposero come compito di non mirare inizialmente a convertire i maomettani. L'esempio di Charles de Foucauld li
aiutò a smantellare l'odio e le riserve in questo territorio dominato dall'islam. Tra i musulmani i padri bianchi sono una
delle poche congregazioni cristiane rispettate. Una grottesca contraddizione a questa nuova forma di conversione non
violenta e discreta appare il fatto che il card. Lavigerie fondò pure una specie di cavalieri crociati, i quali avevano il
compito di proteggere le stazioni missionarie dagli assalti armati.
Dopo la seconda guerra mondiale sorsero istituti secolari. Il più importante è l'Opus Dei, una fondazione spagnola
approvata dalla Chiesa nel 1947 ed elevata nel 1982 a prelatura personale. Da Pio XII in poi le più alte autorità
ecclesiastiche cercarono di impiegare in maniera ottimale per la Chiesa il potenziale dei trecentomila religiosi e del
milione circa di suore, cercando di ricondurli allo spirito originario delle loro fondazioni e chiedendo loro di adattarsi
alle mutate condizioni. Il concilio Vaticano II, col decr. Perfectae caritatis sulla vita religiosa, sottolineò in maniera
decisa sul piano teologico l'esistenza di un'unica perfezione cristiana nella molteplicità delle vocazioni e personalizzò
la teologia dei voti.

13.2. Dalle missioni coloniali alle «Giovani Chiese»


Le potenze europee si suddivisero quasi in tutto il mondo in colonie e zone di influenza, con Inghilterra e Francia
in testa, ma anche con l'Olanda e successivamente con la partecipazione della Germania, del Belgio e della Francia. La
Cina e il Giappone furono costretti ad aprire le loro frontiere e l'interno dell'Africa fu esplorato e suddiviso. Decisivi
furono i fattori intraecclesiali: un nuovo entusiasmo missionario della popolazione europea, la fondazione e la
rianimazione di numerosi ordini e associazioni missionarie e l'opera della congregazione di Propaganda; questi tre
fattori si influenzarono a vicenda.
La Congregazione di Propaganda poté riprendere la sua attività solo nel 1817, dopo il ritorno dei suoi archivi da
Parigi e dopo che Pio VII l'ebbe rifondata. Dopo il 1826, guidata dal prefetto Mauro Cappellari, essa dispiegò una
notevole attività, e il medesimo Cappellari, divenuto pontefice col nome di Gregorio XVI, promosse le missioni in ogni
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modo. Nel 1840 egli pubblicò la prima enciclica missionaria e favorì le nuove congregazioni e associazioni
missionarie. Senza tener conto delle rivendicazioni patronali del Portogallo, eresse nove vicariati in India e guadagnò
alla causa missionaria religiosi che si sottomisero completamente a Propaganda. Decise anche che singoli territori
missionari fossero affidati a un unico ordine o istituto missionario, in modo da prevenire in partenza inutili conflitti.
Così la congregazione di Propaganda raggiunse ovunque una posizione preminente: ad essa sottostavano non solo le
missioni, ma anche i paesi delle Chiese orientali e dei protestanti.
Il missionario si proponeva come il rappresentante di una civiltà europea superiore, fondava scuole, costruiva
ospedali, esercitava la medicina e introduceva tecniche europee nel paese. In tal modo la missione riportò grandi successi
sotto l'aspetto numerico. I missionari condivisero la coscienza europea del secolo XIX e furono anche un sostegno del
colonialismo. Spesso si concepirono anche come rappresentanti della loro nazione. L'intreccio col colonialismo fu anche
la causa per cui le élites delle culture superiori asiatiche si inalberarono più che mai contro l'accettazione del
cristianesimo, tanto più che questo arrivava sotto la protezione militare delle potenze europee. Né possiamo parlare di
un adattamento, perché fu trasmesso un cristianesimo europeo. Proprio i missionari religiosi trascurarono la formazione
di un clero indigeno. Nuova fu anche nel secolo XIX la fiorente attività missionaria protestante, che dispose di maggiori
mezzi finanziari e di un più forte appoggio politico da parte delle potenze coloniali.
Quanto Gregorio XVI aveva iniziato portò i suoi frutti solo sotto i suoi successori Pio IX e Leone XIII. Solo allora
gli ordini missionari e i seminari di recente fondazione poterono dispiegare pienamente la loro attività e riprendere
l'attività missionaria in Africa. A questo scopo furono istituite un certo numero di nuove circoscrizioni ecclesiastiche e
si promosse in patria la coscienza missionaria. Furono anche le innumerevoli offerte della povera gente a finanziare
dopo il 1870 l'attività missionaria. Proprio i decenni che vanno dal 1870 al 1914 furono fruttuosissimi per le missioni.
Con la prima guerra mondiale ebbe inizio il declino del colonialismo. Il nazionalismo europeo contagiò i popoli
dell'Asia e dell'Africa. Così cominciò per il lavoro missionario una nuova fase, introdotta da Benedetto XV, che nell'enc.
Maximum illud stabilì i principi dell'attività missionaria moderna: netta separazione fra colonialismo e missioni,
costituzione di Chiese indigene con un clero indigeno. A questo scopo egli riorganizzò la congregazione di Propaganda;
sotto di lui sorse anche una serie di nuovi seminari per le missioni.
Pio XI cercò di tradurre in pratica i principi del suo predecessore. Con l'enc. sulle missioni Rerum Ecclesiae
promosse la costituzione di comunità religiose autoctone e di un clero autoctono, per far fronte in anticipo all'evenienza
dell'espulsione dei missionari. Nel 1926 consacrò i primi vescovi cinesi. La coscienza missionaria in patria egli la favorì
con l'introduzione della giornata missionaria mondiale.
Nei territori missionari asiatici il numero dei cattolici aumentò costantemente; grandi successi furono riportati
nell'Africa equatoriale; la missione fra gli indios del Sudamerica fu ripresa; negli USA fu avviata la missione tra i negri,
e gli Oblati di Maria immacolata (OMI) iniziarono a lavorare tra gli eschimesi. Tuttavia la Chiesa missionaria rimase
un'appendice della Chiesa europea, che plasmava la formazione del clero e la vita ecclesiale e «concedeva» vari
adattamenti, ma non le permetteva ancora di acquisire una propria dinamica. Il papa permise vari riti in Manciuria, in
Giappone e in Africa, e nel 1939 furono revocate varie norme contrarie ai riti malabarici e cinesi.
La seconda guerra mondiale danneggiò gravemente le missioni nell'Asia orientale e sudorientale. Nel 1950, l'Asia
era già sostanzialmente decolonizzata; attorno al 1960, la maggior parte delle colonie africane divennero indipendenti.
Il comunismo si estese in altri Stati, le culture indigene acquistarono una nuova consapevolezza e rivendicarono una
pari dignità di fronte alle altre. I giovani Stati interdissero spesso l'attività dei missionari stranieri tanto che si ebbero
delle persecuzioni.

CAPITOLO XIV
CULTO, PASTORALE E PIETÀ
UNA CHIESA PIÙ PURA E PIÙ GIOVANE

14.1. Maggior indipendenza


L'autorità della S. Sede nella politica internazionale è quasi del tutto scomparsa; i legati pontifici sono esclusi dai
grandi congressi dell'Ottocento e dalla conferenza per la pace di Versailles nel 1919; il potere temporale ha cessato di
esistere. Ma la Chiesa ci appare più libera. Basta ricordare tre episodi significativi: la condanna esplicita da parte di Pio
X, nel 1904, di ogni intromissione dei governi nella elezione del papa; la nomina da parte del papa in modo
assolutamente libero e senza ingerenze statali; e soprattutto la libertà di cui hanno goduto i due ultimi concili.

14.2. Le condizioni del clero secolare


La situazione del clero secolare offre caratteristiche assai diverse in America e nel vecchio continente. Negli Stati
Uniti, i sacerdoti rimasero a lungo inferiori ai bisogni di una popolazione in continuo aumento. I vescovi continuarono
a lungo a chiedere aiuto all'Europa: nel 1860 1'85% del clero era costituito da immigrati. Per evitare l'arrivo di uomini
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generosi ma imprudenti, o di qualche autentico avventuriero, mons. Spalding aprì un seminario che in 50 anni procurò
agli Stati Uniti 800 sacerdoti, olandesi, tedeschi, belgi, irlandesi.
Nell'America Latina il numero degli ecclesiastici sarebbe stato sufficiente alle esigenze pastorali, se il loro livello
morale fosse stato all'altezza della situazione. Il vero problema era la scarsa selezione dei candidati, l'isolamento in cui
i sacerdoti erano costretti a vivere li spingevano spesso verso l'affarismo e l'immoralità. In Brasile il concubinaggio
sacerdotale era largamente diffuso. Il vescovo di San Paolo nella sua relazione ad limina del 1876 confessa il suo
angoscioso dilemma: o lasciare i suoi fedeli senza sacramenti, sospendendo dalle loro funzioni due terzi dei parroci, o
tollerare la presenza di sacerdoti notoriamente immorali.

La situazione europea era totalmente diversa. La casta sacerdotale dell'ancien régime sta scomparendo. In
Francia, si avverte un sensibile declino ininterrotto sino ai nostri giorni. In Italia alla metà del secolo la media è di 1
sacerdote per 200 ab., ma anche qui dopo l'unificazione comincia la diminuzione. Mentre diminuisce la quantità,
migliora la qualità. I programmi dei seminari lentamente si allargano, dando spazio autonomo alla Scrittura ed alla
storia. Si cerca di formare pastori ricchi di vita interiore e fedeli alle direttive della gerarchia. L'isolamento dalla società
del tempio fu il prezzo che la gerarchia pagò in questo sforzo di promozione intellettuale e morale del clero.

14.3. Le condizioni del clero regolare


Gli istituti religiosi in Europa e nell'America Latina durante l'Ottocento offrono uno spettacolo apparentemente
contraddittorio, di forte crisi e di promettente sviluppo. La crisi consisteva essenzialmente nella scarsa osservanza del
voto di povertà e della vita comune, nell'insufficiente selezione e formazione dei candidati, nelle frequenti beghe dei
religiosi tra loro e con il clero secolare.
La Santa Sede si mosse con tenacia in tre direzioni: pressioni per il pieno ripristino della vita comune; migliore
selezione dei candidati che imponeva a tutti i religiosi la professione semplice prima di quella solenne per almeno tre
anni: la disposizione venne estesa da Leone XIII a tutti gli istituti femminili con il decreto Perpensis preludio alle nuove
disposizioni del codice del 1917, che impose a tutti che la professione perpetua, semplice o solenne, avvenisse solo dopo
un triennio di professione temporanea, e non prima dei ventuno anni; appoggio a tutte le iniziative di riforma promosse
dal basso. Più tardi Leone XIII cercò di dare a vari istituti una forma più centralizzata, raccogliendo i benedettini in 14
congregazioni sotto la dipendenza di un abate generale, e riunendo i quattro rami dei francescani osservanti in una sola
famiglia.
Ma la vera novità nella vita religiosa, è l'irrompere in essa di un ingente numero di congregazioni femminili di
vita attiva. Giuridicamente, la fisionomia di queste associazioni resta ambigua, perché ufficialmente la S. Sede continua
a considerare vere e proprie religiose solo le monache di clausura. Di fatto, tale ambiguità da un lato finì per favorire le
congregazioni di fronte alle leggi eversive, dall'altro non poteva ormai frenare l'evoluzione in atto: la donna univa ormai
l'apostolato alla consacrazione effettiva al Signore, e le disposizioni di Pio V erano superate. Mai, come nella vita
consacrata, assistiamo ad un impulso prepotente della base, al di fuori di ogni piano organico, contro tutti i tentativi
dell'istituzione di frenare o di incanalare in modo più razionale il carisma.

14.4. Nuove linee di cura pastorale


Più pura. La perdita del potere temporale liberando il pontefice da tante questioni di carattere materiale ha
accresciuto l'autorità e la dignità del Sommo Pontefice, non più capo di uno Stato ma Vicario di Cristo. Un fenomeno
parallelo si è verificato per i vescovi, liberati da parecchie beghe amministrative per la laicizzazione delle opere pie. E'
interessante in proposito confrontare le visite pastorali dei primi decenni dell'Ottocento con quelle del secolo successivo.
Anche il parroco fu liberato da molti compiti che prima gravavano su di lui. La stessa perdita dell'asse ecclesiastico ha
giovato a purificare gli ecclesiastici da tante cose.

Più rispettosa della persona umana. Le vecchie strutture sacrali stanno crollando. Nella stessa linea si colloca
la prassi dei «biglietti pasquali». La troviamo ancora nelle tipiche residue situazioni di cristianità: a Malta, in Irlanda e
in particolare a Roma. Qui la prassi dei biglietti dura fino al 1870. E tuttavia si delinea chiaramente la nuova pastorale.
I metodi e gli episodi ricordati si fanno sempre più rari, sino a essere solo il ricordo di un passato definitivamente
tramontato.
La parrocchia resta il cardine fondamentale di tutto l'apostolato. Il parroco vede anzi aumentare i suoi poteri nei
confronti dei laici ed è il propulsore di un cumulo di attività. La parrocchia continua ad essere un punto di riferimento
importante. Accanto alla parrocchia, la scuola cattolica, tiene duro e resta in molti paesi. Le chiese vedono ancora
accorrere numerosi fedeli desiderosi di ascoltare la parola di Dio da predicatori. La diffidenza iniziale cede poi il posto
ad un mandato ufficiale e ad un esplicito riconoscimento. Si tratta solo di un adattamento tattico alla nuova situazione
che non cambia il volto «clericale» della teologia ed in genere della Chiesa post-tridentina.
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Tuttavia gradualmente anche la gerarchia finisce per riconoscere i fondamenti teologici del nuovo ruolo assunto
dal laicato. L'evoluzione ideologica si verifica verso la fine dell'Ottocento. Possiamo distinguere tre diverse iniziative.
In Francia, in Germania e in Italia, si sviluppa tutta una rete di associazioni con fini assistenziali, liturgici, culturali,
sociali, dalle Conferenze di S. Vincenzo alla società per la Propagazione della Fede, al Borromäusverein per la
diffusione della stampa, al Cäcilientverein per il rinnovamento della musica sacra. In genere, l'attività politica dei
cattolici dovette evitare due pericoli opposti: l'integrismo e l'accentuazione dell'aconfessionalismo.
Uno sguardo complessivo ci presenta una Chiesa con tratti diversi nei vari continenti: una Chiesa appesantita da
anacronistiche tradizioni e da vincoli troppo stretti con lo Stato nell'America Latina; una Chiesa quasi priva di tradizioni
e si lancia verso iniziative onerose che implicano gravi pesi finanziari, col rischio di serie crisi economiche delle curie
diocesane: è quanto avviene negli Stati Uniti una Chiesa che lotta con la secolarizzazione, ma non riesce con facilità a
trovare la propria strada, come capita in Europa; una Chiesa che col sacrificio dei missionari prepara lo sviluppo di
notevoli comunità cristiane, come in Africa ed in Asia. Da un altro punto di vista, notiamo due aspetti complementari:
una solidità esteriore dei tradizionali comportamenti morali, e una defezione dalla pratica religiosa. Resta salda quella
morale borghese. Se i rapporti prematrimoniali costituiscono un'eccezione, la prostituzione continua ad essere
largamente praticata, purché non in pubblico; i matrimoni e i funerali civili sono rarissimi.
A questa facciata si oppone il continuo declino della fede e della pratica religiosa. Basti ricordare il forte calo
della frequenza ai sacramenti nelle città e la flessione nelle campagne. Se in zone di forte tradizione cattolica la
maggioranza della popolazione ancora si accosta ai sacramenti, i vicariati industriali e commerciali registrano il 50% di
praticanti, che discende in alcune province francesi al 5% degli uomini superiori ai 21 anni ed al 30% delle donne della
stessa età... La Chiesa si avvia verso uno stato di «diaspora», cioè verso una condizione di una minoranza sparsa in
mezzo ad una popolazione largamente incredula e lontana dalla Chiesa. Fino a quando il comportamento morale delle
masse resterà saldo, e fino a quando questa minoranza saprà resistere alle pressioni ambientali?
Questi interrogativi sono alleviati dalla forte luce che emana dai grandi santi. Tuttavia in mezzo alle difficoltà ed
ai contrasti interni la chiesa dell'età liberale ci appare non solo capace di resistere ai nuovi assalti, ma più pura, più
giovane, più libera, anche se in molti casi alla ricerca della sua strada.

14.5. Sviluppo generale della pietà


Verso la metà del secolo la tendenza ad accentuare l'aspetto esteriore si intensificò e si servì di imponenti mezzi
di espressione: pellegrinaggi in massa con l'aiuto dei moderni mezzi di trasporto. Nel Barocco furono erette tante
Clavarie, in onore della Passione e si e' diffusa dappertutto la Via Crucis. Adesso si fanno erigere le statue colossali,
costruzioni di grandi chiese nello stile del neogotico concepito come «sacrale».
Dopo Pio X si scatenò una reazione contro una simile forma di pietà, soprattutto in seno alla gioventù, che tacciò
volentieri la prassi religiosa dei genitori di sentimentalismo, esteriorità ed egoismo salvifico. A ciò si aggiunse un nuovo
risveglio della coscienza della Chiesa. Si cercò di passare dall'antropocentrismo al cristocentrismo, da una pietà
soggettiva a una più oggettiva, basata sull'azione della grazia e da un egoismo sacrifico alla comunità orante. Da
sottolineare ancora la ricerca di una spiritualità dei laici che parte dal presupposto che essa non può essere una spiritualità
diluita del clero o dei religiosi, bensì rappresenta una entità specifica. Una forte spinta in tal senso è venuta dal Sinodo
dei vescovi del 1987 e soprattutto dagli ormai numerosi «movimenti», per i quali la spiritualità o forma di preghiera è
fondamentale; grande eco e numerosi imitatori ha avuto la «Scuola della Parola» avviata a Milano dal card. Carlo M.
Martini. Tutt'oggi viva e in fase crescente è pure la spesso conflittuale accentuazione della dimensione politica e sociale
della fede cristiana pertanto sono state avviate delle vere e proprie «scuole di politica».

14.5.1. Eucaristia, Cuore di Gesù, Cristo Re


All'adorazione dell'eucaristia si dedicarono nuovi ordini. L'«adorazione perpetua si diffuse in forme diverse da
paese a paese. L'idea di espiazione spesso risonante in essa fu collegata anche col potere laicista dello Stato. Di qui
nacquero nel 1874 i congressi eucaristici; inizialmente concepiti come pellegrinaggi espiatori a luoghi di miracoli
eucaristici, essi divennero in seguito dimostrazioni di massa anche contro una politica anticlericale.
L'interesse dei papi si manifestò con l'invio di legati e addirittura attraverso la partecipazione personale degli
stessi papi. Alla vigilia della prima guerra mondiale, la partecipazione dell'imperatore e degli arciduchi alla processione
del Santissimo Sacramento svoltasi a Vienna nel 1912 segnò un punto culminante. Negli ultimi tempi in questi congressi
trovarono la loro espressione pure istanze del rinnovamento intraecclesiale, del movimento liturgico e di quello
ecumenico. Il movimento per la comunione costituisce un anello di congiunzione col movimento liturgico. Tentativi di
promuovere la comunione frequente e quotidiana scatenarono violente discussioni tra il clero nella prima metà del secolo
XIX e furono incoraggiati dai papi. I relativi decreti di Pio X fecero chiarezza e determinarono lo sviluppo fino ai nostri
giorni.
La rinnovata devozione al Cuore di Gesù cominciata con Giovanni Eudes e con Margherita Maria Alacoque
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attraverso la promozione della comunione del primo venerdì del mese e la festa del Sacro Cuore, si condensò nel
«secolo del Sacratissimo Cuore», istanze della pietà, della pastorale e della politica. Queste ultime erano state collegate
ad essa, in polemica con la rivoluzione francese. Molte nuove comunità religiose si consacrarono al Cuore di Gesù, la
festa fu estesa a tutta la Chiesa. L'idea della consacrazione al Sacratissimo Cuore nel senso di una cristocrazia conquistò
singole persone, famiglie, altri gruppi, nazioni e infine, con la consacrazione da parte di Leone XIII nella notte a cavallo
dei due secoli, tutto il mondo.
Nel 1925 si introdusse la festa di Cristo Re. La festa fu propagandata da numerosi gruppi dalla mentalità
decisamente moderna, dal momento che sembrava confermare una immagine di Cristo ispirata alla Bibbia, ai Padri e
alla liturgia. Ma le obiezioni risuonarono sempre più forti, soprattutto da parte dei liturgisti; la sua collocazione al
termine dell'anno liturgico le ha dato nuovo significato e rilancio, ma in prospettiva più biblica ed escatologica. Dietro
di essa si nasconde il concetto pur sempre del regno di Dio e di Cristo divenuto sempre più chiaro solo a poco a poco
nel cattolicesimo del secolo XX, regno che dall'inizio del secolo XIX si identificò volentieri con la Chiesa terrena.

14.5.2. Maria e i santi


La devozione a Maria si sviluppò già nei secoli precedenti ad esempio in Francia il re Luigi XIII nel 1638, nel
giorno di Assunta consacro il paese alla Beatissima Vergine. Dopo il fallimento dell'assedio del monastero di Jasna
Góra da parte degli svedesi, la Madonna Nera divenne la regina ella Polonia. La vittoria sui Turchi alle porte di Vienna
porto all'istituzione della festa liturgica del nome di Maria, come prima lo fu nel caso della battaglia di Lepanto contro
gli stessi turchi, quando il giorno di 7 ottobre fu istituita la festa della Madonna del Rosario. Adesso questo movimento
si incrementò notevolmente nei secoli XIX e XX già in seguito alle apparizioni di Maria iniziate nel 1830, culminate a
Lourdes.
I papi definirono la Concezione Immacolata di Maria (1854) e la sua Assunzione corporea in cielo (1950) e
promossero le correnti mariane in genere. Nuove comunità religiose adottarono il titolo di comunità dell'Immacolata
Concezione o del Cuore di Maria, le congregazioni mariane ricominciarono a diffondersi già dopo il 1801. La devozione
del mese di maggio conobbe una grande fioritura a partire dagli anni '30 del secolo XIX, che ha conosciuto un declino
solo con l'introduzione della messa vespertina. Il rosario raggiunse un'importanza tutt'oggi perdurante. I congressi
mariani promossero numerosi studi mariologici.
Il culto dei santi corse il pericolo di esaurirsi nella devozione e nel culto mariano. Giuseppe, fu proclamato patrono
di tutta la Chiesa da Pio IX, mentre Leone XIII promosse la devozione alla Sacra Famiglia. Accanto al culto dei santi si
registrarono anche alcuni moti spontanei, come nel caso della devozione a «santa Teresina» o a san «Francesco
d'Assisi». Il lavoro teologico e spirituale attorno ai santi fu sempre più sostenuto anche da apporti provenienti da altre
comunità cristiane.

14.6. Movimento liturgico e movimento biblico


Il movimento liturgico dei secoli XIX e XX divenne un movimento riformatore e unificatore. Inizialmente
Prosper Guéranger, fondatore e primo abate di Solesmes, promosse la liturgia solenne romana e il canto corale. In
qualità di teologi si distinsero Ildefons Herwegen e Odo Casel. L'autentico movimento «liturgico popolare», che
cercava di familiarizzare con la liturgia non soltanto gruppi elitari fu inaugurato dal benedettino belga Lambert
Beauduin nel Katholikentag di Malines. Importante in questo senso fu anche la «teologia della predicazione» dei gesuiti
di Innsbruck, che nel Missarum sollemnia pose le basi storico-liturgiche della futura riforma della messa.
Un movimento biblico cattolico sorse in Germania. Dato che l'ultramontanismo adottò di nuovo il vecchio
atteggiamento di difesa contro il protestantesimo e la Bibbia, la maggior parte dei germi di una teologia e pietà biblica
gettati dall'illuminismo cattolico mori di nuovo. Nel secolo XIX, accanto al catechismo, nell'insegnamento della
religione entrava anche la storia sacra. Il rinnovato interesse per la Bibbia a cavallo del secolo si manifestò in nuove
traduzioni, riviste e commenti. Lo studio della Bibbia fu raccomandato da diversi papi.
Nello studio della Bibbia influirono le fondazioni delle nuove università cattoliche istituite secondo modelli più
antichi anche dopo la prima guerra mondiale. Benedetto XV fondò una congregazione specifica per i seminari e le
università. Per iniziativa di padre Agostino Gemelli e di mons. J. Schrijnen nel 1924 sorse la Federazione delle università
cattoliche.

14.7. Conclusione: Sguardo prospettivo


In Italia la divisione fra conciliatoristi ed intransigenti davanti alla questione romana continua piuttosto acuta,
spaccando fedeli e clero. Anche se Leone XIII nella Rerum Novarum ha riconosciuto la legittimità dei sindacati, questi
continuano ad essere osteggiati dagli eredi della vecchia mentalità intransigente. Nel primo Novecento, scoppia la crisi
modernista: dovuta essenzialmente al ritardo delle scienze ecclesiastiche rispetto ai progressi di alcune scienze, come
l'archeologia e la storia comparata delle religioni. La dura e indiscriminata repressione di Pio X, culminata nel 1907 con
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il decreto Lamentabili e con l'enciclica Pascendi, soffoca il movimento, ma non risolve tutti i problemi: alcuni
precursori si chiedono se non sia possibile un'esegesi più aperta. Dopo la prima guerra mondiale, si affacciano i vari
totalitarismi, di destra e di sinistra. La S. Sede si avvicina in Italia al fascismo, non solo per risolvere la questione romana
ma anche per un tentativo di far rinascere quello «Stato cattolico» che era nel cuore di alcuni gruppi cattolici e di vari
Pontefici. E si arriva così ai Patti Lateranensi dell'11 febbraio 1929 (che stabilisce la nascita dello Stato della Città del
Vaticano, concordato, che regola favorevolmente le condizioni della Chiesa in Italia).
Con il nazismo, la S. Sede ricorre ancora una volta a formulazioni. Il concordato del 1933 costituì un grave errore,
o, tutto sommato, fu l'ultima prova di buona volontà, il tentativo di salvare il salvabile davanti alla catastrofe? La
discussione è sempre aperta. Ma l'illusione di strumentalizzare il fascismo dopo il violento scontro col fascismo per la
difesa dell'Azione Cattolica e dopo l'enciclica Non abbiamo bisogno. All'enciclica del 1931 seguono quelle del 1937,
contro il nazismo Mit Brennender Sorge, contro il comunismo Divini Redemptoris, contro la persecuzione di cui erano
oggetto i cattolici messicani Firmissimam Constantiam. E davanti alle leggi razziali instaurate dal fascismo, Pio XI,
solleva più volte la sua voce.
Viene chiesta un'inversione di rotta nel processo di centralizzazione, una maggiore autonomia ai vescovi, un sano
pluralismo in seno alla Chiesa, una maggiore corresponsabilità del laicato, una teologia ed una liturgia più aperta e più
a contatto con le fonti, un riconoscimento dell'autonomia delle attività umane, la legittimazione di libertà di coscienza
e di culto e di propaganda per tutte le confessioni, in modo più netto di quanto era avvenuto dal Sillabo in poi.
Le voci erano emerse al Vaticano I da parte della minoranza antiinfallibilista, ma erano state soffocate. Le
esperienze della guerra, con i sacerdoti andati volontari clandestini nei campi di lavoro tedeschi per essere vicini agli
operai e il forte cambiamento della società, contribuiscono a stimolare queste istanze della base, che non trovano ascolto
sotto il pontificato di Pio XII, autore di molte riforme, ma fedele al principio che tutto deve partire dall'alto trattando da
pari a pari con lo Stato.
Emerge improvvisa la personalità di Giovanni XXIII, e la sua decisione di convocare un concilio. L'assemblea
avrebbe dovuto svolgersi in due o tre mesi, e il papa non pensava neppure da lontano ad una rivoluzione in seno alla
Chiesa, al trapasso da un'epoca all'altra. Ma le forze storiche travolgono le intenzioni di un uomo: le aspirazioni dal
basso, la necessità di aggiornare la Chiesa ai cambiamenti verificatisi nella società civile con un ritmo vertiginoso,
avviano il concilio aperto da papa Giovanni su una via per nulla prevista dal vegliardo, che si rende conto di aver dato
il via a un movimento più forte di lui e lascia al suo successore il compito di portare a termine la svolta da lui iniziata.
Paolo VI porta a termine il concilio e ne attua le riforme auspicate, prima fra tutte quella liturgica. Ma la solenne
assise ecumenica del 1962-65 arrivava troppo tardi, ed era naturale una reazione negativa e storicamente errata da parte
di chi era stato troppo a lungo fermo. Paolo VI muore in questo clima di incertezza. Al grande capo dell'Esodo succede
il papa venuto da lontano. E' finita l'epoca post-tridentina, in cura pastorale, e soprattutto la teologia e la liturgia si
muovevano nei binari fissati a Trento dal 1545 al 1563. La Chiesa si avvia verso i nuovi obiettivi indicati dal Concilio,
per una strada che ancora non intravede con tutta chiarezza. Il suo compito essenziale resta quello di sempre: difendere
quel sacro di cui essa è custode. Non è una missione nuova, anche se oggi assume dimensioni più vaste e deve svolgersi
in modo diverso, senza ritorni indietro, nel rispetto del pluralismo attuale.

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