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LA RISPOSTA DELL’UOMO AL DIO CHE PARLA

Verbum Domini, nn. 22-28

Joseph Xavier, sj

1. Introduzione
Che cos'è la fede? Non è facile rispondere a questa domanda. Il Cate­
chismo della Chiesa Cattolica, per esempio, afferma che la fede è un dono
divino infuso da Dio. In esso si osserva anche che credere è un. atto au­
tenticamente umano (CCC153-154). Da tale prospettiva, tenendo assieme
sia l'aspetto divino, sia quello umano, si può dire che la fede è un atto
umano reso possibile e sostenuto dalla grazia divina. Non è tuttavia pos­
sibile ridurre la fede alla mera sfera umana. È vero che ogni attività
umana richiede una certa misura di fede. Avery Dulles direbbe addirit­
tura che la fede è un ingrediente che pertiene a ogni attività e conoscenza
umana. In tal senso, piuttosto, la vita umana senza la fede è impossibile1.
In senso generico, non-religioso, fede significa anche accettare come vero
ciò che non è immediatamente verificabile. Qui la fede assume la forma
della fiducia. La fede, dunque, sia in senso secolare, sia in senso religioso,
richiede l'impegno personale.
È vero che la fede in senso teologico include tutti gli aspetti pertinenti al
significato secolare del termine. Essa tuttavia compie un passo ulteriore:
possiede un carattere religioso. Ciò che distingue la fede religiosa dalla
fede secolare è "che cosa" noi crediamo. Secondo le parole di Newman,
«noi agiamo in base alla fiducia in ogni istante della nostra vita. Quando
si parla di fede come principio religioso, la peculiarità della religione è data
da ciò che si crede, non dall'atto di credere in tale contenuto».2 Inoltre, ben­
ché faccia parte della sfera che riguarda la fede religiosa, ciò che rende
unica la fede cristiana è il suo contenuto specifico, ovvero la rivelazione

1 A. D u l l e s , Il fondamento-delle cose sperate, Brescia 1 9 9 7 , 2 5 5 .


2 J. H. N e w m a n , Parochial and Plain Sermons, Vol. 1, London 1869,191.

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Joseph Xavier

divina che culmina in Gesù Cristo. Di conseguenza, per il cristianesimo la


fede è una risposta umana alla rivelazione di Dio. Tale risposta può assu­
mere diverse forme, come l'adorazione, l'assenso intellettuale o l'azione
sociale guidata dalla fede - iustìtiam socialem3. Il Concilio Vaticano II nella
Dei Verbum (DV) descrive la fede come obbedienza all'invito di Dio: «A
Dio che rivela è dovuta "l'obbedienza della fede" (Rm 16,26; cfr. Riti 1,5; 2
Cor 10,5-6), con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente
prestandogli "il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà" e assentendo
volontariamente alla Rivelazione che egli fa» (DV 5).
L'esortazione post-sinodale Verbum Domini (VD) nella prima parte
prende le mosse da tale comprensione conciliare della fede (VD 22-28). E
importante notare come il documento presenti la fede a partire dalla pro­
spettiva delle dinamiche della Parola di Dio; non dovrebbe pertanto essere
considerata una trattazione esaustiva del concetto teologico di fede. In que­
st'articolo vorrei limitarmi a questo documento papale, analizzando la sua
rilevanza per la teologia fondamentale. Se la fede è considerata come rispo­
sta alla rivelazione divina, prima di discutere l'idea di fede è necessario il­
lustrare brevemente la concezione generale della rivelazione in seno al
cristianesimo, in special modo nel magistero della Chiesa.

2. Rivelazione
Sebbene il primo documento ufficiale della Chiesa sulla rivelazione, la
Dei Filius, non definisca esplicitamente cosa sia la rivelazione, la consi­
dera un dono soprannaturale (DS 3010). Nella descrizione dei suoi di­
versi aspetti, il documento dà priorità al suo aspetto oggettivo, cioè la
verità rivelata. Il termine "rivelazione" è utilizzato per designare il con­
tenuto del messaggio divino trasmesso per iscritto per mezzo della Scrit­
tura e oralmente dalle tradizioni della Chiesa (DS 3006). Da tale
prospettiva, la fede non è altro che la confessione di tutto ciò che è con­
tenuto nella Parola di Dio, che si trova nella Scrittura e nella tradizione
(DS 3011). Possiamo pertanto dire che la rivelazione nella Dei Filius è in­
nanzi tutto una dottrina caratterizzata da un certo estrinsecismo, in

3 G. O ' C o l l i n s , Retrieving Fundamental Theology: The Three Styles of Contemporary Theology,


New York 1993,11.

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quanto separa l'azione della rivelazione dal contenuto della rivelazione4.


Tenendo presente tale limite, il Concilio Vaticano II tenta di spiegare la ri­
velazione con un approccio cristocentrico.
Il Concilio Vaticano II presenta Gesù Cristo come la rivelazione di Dio.
Egli è la comunicazione di sé che Dio fa all'umanità. Gesù Cristo, la Pa­
rola fatta carne/ corona e completa la rivelazione con la sua presenza e la
manifestazione di sé. Attraverso le sue parole e le sue azioni, i suoi segni
e i suoi miracoli ma soprattutto attraverso la sua morte e la sua gloriosa
risurrezione e l'invio finale dello Spirito di verità, egli conferma che Dio
è con noi (DV 4). In altre parole, secondo il Vaticano II, l'idea cristiana
della rivelazione raggiunge il suo culmine nell'evento-Cristo. In tal modo
la Chiesa è in grado di affermare che Cristo è l'universale concreto che
siamo esortati ad accettare nella fede.
La Verbum Domini continua sulla stessa linea, ma la espande per mezzo
dell'analogia della Parola. Con l'aiuto del Prologo del Vangelo di Giovanni
(Gv 1,1-18), il documento descrive la rivelazione come Parola di Dio. Nelle
parole di papa Benedetto XVI, questo testo giovanneo offre una sintesi del­
l'intera fede cristiana (VD 5). È la Parola che rivela dii Dio è. Il metodo at­
traverso cui Dio ha rivelato se stesso è il dialogo. È particolarmente
interessante notare che il termine "dialogo" è utilizzato per descrivere sia la
rivelazione, sia la fede. Il dialogo è il termine appropriato per descrivere la
rivelazione cristiana perché, come fede, ha primariamente a che fare con il
mistero di una persona, non di una cosa. La rivelazione prende la forma di
un "io" che si rivolge a un "tu". Qui l'"io" non è nient'altro che Dio incarnato,
Cristo. In particolare quando descrive la natura dialogica della rivelazione,
il documento attira la nostra attenzione sul suo obiettivo: «11 Verbo, che dal
principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amore tra
le Persone divine e d invita a partetipare a esso» (VD 6). Nel momento in cui
si rivela al mondo, il logos eterno viene "abbreviato", così che la Parola può
essere colta da noi. Inoltre, la Parola acquisisce per noi una nuova fonna;
«Adesso la Parola non solo è udibile, non solo possiede una voce, ora la Pa­
rola ha un volto, che dunque possiamo vedere: Gesù di Nazareth» (VD 12).

4 R. L a t o u r e l l e , «Rivelazione» in R. Latourelle a n d R. Fisichella edv Dizionario di Teologia


Fondamentale, Assisi 1990,1042.

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Joseph Xavier

La rivelazione raggiunge così il suo culmine nella persona di Gesù Cri­


sto. Egli è sia il mistero rivelante, sia il mistero rivelato di Dio. Egli è sia
il mediatore, sia il compimento della rivelazione. In altre parole, la rive­
lazione non è altro che il dono di sé che Dio fa agli esseri umani. Tale
dono invita l'uomo ad entrare nel mistero del Dio trino. Come può
l'uomo entrare in tale mistero? La fede è la porta che ci svela tale mistero.

3. La fede negli insegnamenti conciliari


Se consideriamo il concetto della fede negli insegnamenti della Chiesa
a partire dal Vaticano I, notiamo che il modo in cui è intesa va di pari
passo con il cambiamento del modo di intendere la rivelazione stessa.
Come abbiamo visto in precedenza, nel Vaticano I, specialmente nella Dei
Filius, la rivelazione assume la forma del "deposito della fede" (DS 3070),
dove l'enfasi è posta sul contenuto della fede: «crediamo essere vero ciò
che Dio ha rivelato» (DS 3008). Quando parla delle fonti della rivelazione,
la Dei Filius chiede al fedele di credere «tutte quelle cose che sono conte­
nute nella parola di Dio, scritta o trasmessa per tradizione, e che vengono
proposte dalla Chiesa, o con solenne definizione, o con il magistero ordi­
nario e universale, come divinamente ispirate, e pertanto da credersi» (DS
3011). Qui la fede è compresa come l'assenso intellettuale alle verità rive­
late. La risposta umana a queste verità rivelate assume la forma dell'"ob­
bedienza" o accettazione di esse come vere. Queste verità, inoltre, sono
identificate come dottrine della Chiesa. L'aspetto positivo riguardo a tale
comprensione è costituito dal fatto che la fede non è intesa come una
vuota esperienza di una divinità senza volto, ma ha un oggetto "mate­
riale" da credere. La questione rimane però aperta: tale accettazione di
verità è sufficiente della salvezza? Che fine fanno la speranza, la carità e
l'impegno personale? Abbastanza stranamente, il Vaticano I non fa riferi­
mento alle promesse di Dio o a Cristo come oggetto della fede5. Il Vaticano
II prende in considerazione questi temi quando tratta il concetto della fede
nella Dei Verbum 5.
Il Vaticano II utilizza un approccio biblico-personale alla fede. Il Con­
cilio affronta l'argomento molto sinteticamente nella Dei Verbum, al pa­

5 A . D u l l e s , Il fondamento delle cose sperate, 1 2 2 .

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ragrafo 5. A prima vista, potrebbe sembrare una ripetizione delle afferma­


zioni della Dei Filius. Uno sguardo più approfondito all'articolo fa invece
capire che si è realizzato un significativo miglioramento nella compren­
sione della fede, Sebbene essa sia descritta come obbedienza in senso
paolino, il documento dice chiaramente dove sia la priorità, cioè Dio. In
altre parole, l'oggetto dell'obbedienza non è nient'altro che Dio stesso.
Qui l'obbedienza è compresa innanzi tutto come un affidamento libero e
confidente in Dio che rivela se stesso all'umanità. Solo secondariamente
è proposta come libero assenso alla verità divina rivelata. In altre parole,
per il Vaticano II la rivelazione non consiste solo in verità rivelate come
dottrine, ma più fondamentalmente nella realtà e la vita di Dio che invita
gli uomini a condividere la sua vita. La fede è dunque compresa come ri­
sposta all'invito a condividere la vita di Dio in Cristo. In sintesi, possiamo
dire che la fede secondo gli insegnamenti del Vaticano II è una risposta
umana, personale, soggettiva alla Parola di Dio.

4. Fede come dialogo


Mentre il Vaticano II assegna solo un paragrafo (DV5) alla fede, il do­
cumento post-sinodale Verbum Domini ne dedica ben sei (VD 22-28) per
spiegare l'idea cristiana di fede. La Verbum Domini riprende gli insegna-
menti fondamentali del Vaticano II e interpreta la fede attraverso il ter­
mine chiave 'dialogo'. Dialogo è un concetto assai contemporaneo. Al
posto dell'"autorità" del Dio rivelatore, la Verbum Domini propone la fede
come un impegno "dialogico" tra Dio e la persona umana. Tuttavia, il
documento vuole conservare intatto il primato della Parola di Dio in tale
processo dialogico. «Il mistero dell'Alleanza esprime questa relazione tra
Dio che chiama con la sua Parola e l'uomo che risponde, nella chiara con­
sapevolezza che non si tratta di un incontro tra due contraenti alla pari;
ciò che noi chiamiamo Antica e Nuova Alleanza non è un atto di intesa
tra due parti uguali, ma puro dono di Dio» (VD 22). Con queste parole il
documento vuole affermare che il dialogo non toglie in nessun modo im­
portanza all'obbedienza dovuta a Dio nell'atto di fede. In altre parole,
non l'uomo ma Dio è la misura del dialogo; egli nel suo infinito amore in­
vita gli esseri umani a stringere alleanza con lui.

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Bisogna dire che le dinamiche della rivelazione/ fede come dialogo non
sono un concetto completamente nuovo negli insegnamenti della Chiesa.
Nella lettera enciclica Ecclesiam suam (ES 70-79), papa Paolo VI aveva già
descritto rivelazione e fede in termini di dialogo. Per lui, questo dialogo
della salvezza non dipende dai meriti di coloro con cui fu iniziata, cioè
dagli esseri umani, Al contrario, il dialogo della salvezza è nato dalla
bontà e dall'amore di Dio. È causato da Dio, che per primo ha amato
l'uomo fino a donare il Suo Figlio. Paolo VI spiega sinteticamente il signi­
ficato di questo dialogo:

«Ecco, Venerabili Fratelli, l'origine trascendente del dialogo. Essa si trova


nell'intenzione stessa di Dio. La religione è di natura sua un rapporto tra
Dio e l'uomo. La preghiera esprime nel dialogo tale rapporto. La rivelazione,
cioè la relazione soprannaturale che Dio stesso ha preso l'iniziativa di in­
staurare con l'umanità, può essere raffigurata in un dialogo, nel quale il
Verbo di Dio si esprime nell'incarnazione e quindi nel Vangelo» (ES 72).

Secondo De Lubac, quando il Concilio ha adottato l'espressione paolina


"obbedienza della fede", è stato ispirato dall'enciclica Ecclesiam Suam, che
presenta la fede cristiana come dialogo di salvezza5. Papa Benedetto XVI
prende spunto da tale idea e la elabora in armonia con il pensiero del Va­
ticano II, che ha compiuto passi importanti per coinvolgere il mondo con­
temporaneo per mezzo del dialogo. Certamente qui il dialogo con il
mondo contemporaneo è in relazione con i problemi umani. I paragrafi 23
e 24 della Verbum Domini mostrano come le parole umane rivolte a Dio
sono di importanza cruciale in questo processo di dialogo. Rappresentano
delle domande esistenziali a cui l'uomo non trova risposta se lasciato a se
stesso. Di nuovo, in maniera significativa, al numero 24 il documento pre­
senta i salmi come esempi di tali interrogativi umani:

«Il Dio che parla ci insegna come noi possiamo parlare con Lui. Il pensiero
va spontaneamente al Libro dei Salmi, nel quale Egli ci dà le parole con cui
possiamo rivolgerci a Lui, portare la nostra vita nel colloquio davanti a Lui,

f‘ H. D e L u b a c , La rivelazione divina e il suo senso dell'uomo, Milano 1979,104.

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La risposta dell'uomo al Dio che parla (p i

trasformando così la vita stessa in un movimento verso Dio. Nei Salmi infatti
troviamo tutta la gamma articolata di sentimenti che l'uomo può provare
nella propria esistenza e die vengono posti con sapienza davanti a Dio; gioia
e dolore, angoscia e speranza, timore e trepidazione trovano qui espressione.
Insieme ai Salmi pensiamo anche ai numerosi altri testi della sacra Scrittura
che esprimono il rivolgersi dell'uomo a Dio nella forma della preghiera di in­
tercessione (cfr. Es 33,12-16), del canto di giubilo per la vittoria (cfr. Es 15), o
di lamento nello svolgimento della propria missione (cfr. Ger 20,7-18). In tal
modo la parola che l'uomo rivolge a Dio diventa anch'essa Parola di Dio, a
conferma del carattere dialogico di tutta la Rivelazione cristiana, e l'intera
esistenza dell'uomo diviene un dialogo con Dio che parla ed ascolta, che
chiama e mobilita la nostra vita. La Parola di Dio rivela qui che tutta l'esi­
stenza dell'uomo è sotto la chiamata divina» (VD 24).

Verbum Domini 23 fa volgere l'attenzione al Dio "che ascolta". Siamo


incoraggiati a scoprire in questo dialogo umano-divino risposte alle do­
mande più profonde del nostro cuore. A tal proposito vengono rievocate
le domande poste da un altro documento importante del Vaticano II,
Gaudiun et spes (GS): «Cos'è l'uomo? Qual è il significato del dolore, del
male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso?
Cosa valgono quelle conquiste pagate a cosi caro prezzo? Che apporta
l'uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo que­
sta vita?» (GS 10). La Verbum Domini cerca di affrontare tali questioni. Ci
ricorda che alla fine Dio solo è capace di rispondere alle aspirazioni pre­
senti nel cuore di ogni uomo e di ogni donna. Ora la domanda è: come
risponde Dio all'uomo? La Verbum Domini ritiene che la Parola di Dio ha
la capacità "di entrare in dialogo con i problemi quotidiani che l'umanità
affronta". Di fatto, la Parola di Dio ci aiuta a vedere i nostri problemi
nella giusta prospettiva, ampliando i nostri valori ed aspirazioni. Per­
tanto è importante che la Chiesa nella sua attività pastorale affermi chia­
ramente come Dio ascolti i nostri bisogni e le nostre richieste di aiuto.
Tale dialogo e riflessioni non dovrebbero tuttavia limitarsi all'apertura
di Dio nei confronti dei nostri problemi. C'è bisogno di trovare in Cristo
la risposta ai nostri bisogni perché «in realtà solamente nel mistero del
Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo» (GS 22). Qui la fede
non è considerata un concetto astratto o un assenso intellettuale ad al­

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cune verità rivelate. Il documento tenta di connettere la fede cristiana


all'uomo moderno e ai suoi problemi. La teologia dopo tutto è quella di­
sciplina che ha a che fare con la relazione tra Dio e uomo7. Tuttavia,
l'uomo non è un essere a-temporale. Egli è situato nel mondo con le sue
gioie, speranze, dolori e ansie. La fede cristiana, secondo gli insegnamenti
del Vaticano II, prende in considerazione tutto ciò che è genuinamente
umano (GS 1).

5. La Verbum Domini e la fede


Una volta illustrata la natura dialogica della fede, il documento nel pa­
ragrafo 25 cerca di specificare di che fede si tratti. Nel ribadire gli insegna-
menti del Vaticano II, specialmente la Dei Verbum, il documento definisce
la fede come la risposta umana a Dio che parla. Questa risposta assume
la forma dell'"obbedienza della fede" (Rm 16,26). Il documento sta forse
semplicemente ripetendo ciò che i concili vaticani hanno detto riguardo
alla fede? Certamente esso ribadisce i precedenti insegnamenti della
Chiesa. Allo stesso tempo, pero, ci dice come questa obbedienza della
fede si concretizzi. Inizialmente, al fine di obbedire, l'uomo deve aprire
la sua mente e il suo cuore all'opera dello Spirito Santo, essere docile ai
suggerimenti dello Spirito. In larga misura, sono i nostri atteggiamenti
personali e disposizioni interiori che ci fanno aprire o chiudere alla pos­
sibilità di credere. Con le parole di Newman, persino «una prova mutila
o imperfetta basta a persuadere, quando il cuore è vivo»8. È necessario
tuttavia ribadire che la fede non è solo un atto soggettivo esclusivamente
umano. «Abramo è stato giustificato non solo perché ha creduto, ma per­
ché ha creduto nel Dio che fa vivere i morti e chiama all'esistenza ciò che
ancora non esiste (Rm 4 , 17)»9. Ciò significa che la fede è una risposta al­
l'iniziativa divina. Pertanto il documento mette in evidenza il ruolo della
predicazione della Parola. Esso fonda nuovamente la sua argomenta­
zione su un testo paolino: "La fede viene dall'ascolto e l'ascolto riguarda
la parola di Cristo" (Rm 10,17). È importante comunque notare come si

7 K. R ahner, "La dimensione teologica del problema n o m o /' in Teologia dell'esperienza dello
Spirito, Nuovi Saggi VI, Rom a 1978 , 482 .
8 H. N e w m a n , Fifteen Sermons Pn ached before thè University af Oxford, London 1872, 200.
9 A. D u l l e s , Il fondamento delle cose sperate, 355.

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La risposta dell'uomo al Dio che parla §¡¡11

illustri che cosa intende con Parola. Essa non è un insieme di dottrine. Il
documento identifica la Parola di Dio con la persona di Cristo: «La fede
prende forma come incontro con una persona cui affidiamo tutta la no­
stra vita». In sintesi, secondo il documento fede significa ascoltare Cristo.
Una volta chiarito cosa sia la fede, non è difficile comprendere cosa la
fede non è. Pertanto il paragrafo 26, prendendo spunto dalla compren­
sione biblica, definisce il peccato come il rifiuto dell'uomo ad ascoltare
Dio. «La Sacra Scrittura mostra come il peccato dell'uomo è essenzial­
mente la disobbedienza e il rifiuto ad ascoltare». L'obbedienza kenotica
di Gesù (FU 2,8) è presentata come esempio di ascolto di Dio. Essa non è
solo l'inizio della Nuova Alleanza tra Dio e l'uomo, ma anche un esempio
della vera fede. Se la fede è la nostra disponibilità ad ascoltare la Parola
di Dio, il peccato non è nienf altro che il nostro rifiuto ad ascoltarlo. Il
documento pertanto termina affermando che si riconosce «la radice del
peccato nel non ascolto della Parola del Signore e ad accogliere in Gesù,
Verbo di Dio, il perdono che ci apre alla salvezza».
Infine la Verbum Domini presenta Maria come esempio di questo ascolto
attento alla Parola di Dio. In Maria si può riconoscere l'interazione perfetta
tra Parola di Dio e risposta umana all'invito divino. Se la fede è intesa come
obbedienza alla Parola di Dio, Maria rappresenta il migliore esempio di
tale fede: «La realtà umana, creata per mezzo del Verbo, trova la stia figura
compiuta proprio nella fede obbediente di Maria». Maria è il paradigma
dell'apertura umana a Dio. Nel suo ascolto attivo lei ci mostra cosa signi­
fichi interiorizzare e assimilare la Parola di Dio nelle nostre vite. Pertanto
la Vergine Maria, «con il suo sì alla Parola dell'Alleanza e alla sua missione,
compie perfettamente la vocazione divina dell'umanità» (VD 27).

6. Conclusione
A partire dagli insegnamenti fondamentali del Vaticano II, la Verbum
Domini descrive la fede come «la risposta propria dell'uomo al Dio che
parla». Tale risposta si configura come incontro personale: «la fede
prende la forma dell'incontro con una Persona alla quale si affida la pro­
pria vita» (VD 25). Anche se la Verbum Domìni non tratta le diverse di­
mensioni e dinamiche della fede, essa cerca di collocare la fede entro la
cornice del Vaticano II. Essa è presentata come la risposta umana all'ini­
ziativa divina. Il documento enfatizza chiaramente come la fede cristiana
non consiste in alcune verità su Dio o la sua esistenza. È una fede che ha
a che fare con l'auto-comunicazione di un Dio d'amore, che invita ogni
persona ad avere una relazione personale con lui. Tale relazione rag­
giunge il suo culmine nell'atto di fede. Possiamo pertanto affermare che
la fede è l'epilogo o la parte conclusiva della struttura dell'offerta divina
di salvezza. Il documento Verbum Domini evidenzia questo aspetto della
nostra fede.

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