-DEFINIZIONE
La teologia è la disciplina che ordina e giudica la realtà alla luce della rivelazione che Dio comunica di se
stesso.
• La teologia è l’opera del credente che si serve della ragione per comprendere meglio quanto già possiede
con la fede.
• La teologia è rendere ragione delle fede cristiana, parlando con coerenza del Dio al quale le Scritture
rendono testimonianza o parlando di tutte le cose riferendole a Dio, sub ratione Dei.
• Sant’Agostino (IV sec) afferma: “ho desiderato di vedere con la mia intelligenza ciò che ho creduto”; si
tratta quindi di credere per poi cercare di comprendere.
• Con Dionigi (V sec) la teologia è la disciplina che può parlare solo di ciò che Dio non è.
• Con sant’Anselmo (XI sec) la si può definire: “fides quaerens intellectum”, cioè la fede applicata
all’intelligenza del suo oggetto.
• San Tommaso (XIII sec) afferma: compito della teologia è contemplari in Christo profunda Dei et
contemplata aliis tradere. Con ciò è varcata la soglia dell’apofatismo dionisiano, mentre rispetto ad
Agostino, si afferma che anche la ratio fide illustrata – e non solo l’intellectus – è chiamata a svolgere la sua
funzione propria in ordine all’illustrazione della verità rivelata.
• La teologia è dire Dio a partire dal dirSi di Dio in Cristo. Se la teologia può parlare di Dio nella sua vita
intima e nel suo piano di salvezza, è perché Dio per primo, nella sovrabbondanza del suo amore, è uscito
dal suo Mistero per iniziare con l’uomo un dialogo di amicizia.
• All’inizio dello studio della teologia vi è quindi l’iniziativa divina, l’automanifestazione di Dio, la Sua
rivelazione.
• La teologia parla di Dio ma la sua riflessione si basa su quanto Dio ha detto di sé.
-OGGETTO TEOLOGIA
Oggetto materiale: ciò che la disciplina studia.
Oggetto formale: il punto di vista, il profilo specifico, della disciplina.
CARATTERE CRISTOLOGICO. La storia di salvezza è tutta incentrata sul Cristo. Noi non conosciamo
Dio se non per mezzo del Cristo: perciò non vi è “teo-logia” senza “cristo-logia”.
CARATTERE ECCLESIOLOGICO. È nella Chiesa che la teologia ascolta e riceve la parola di Dio; è
nella Chiesa che la teologia cerca di comprendere e interpretare la parola di Dio Non vi è teologia
senza riferimento alla Chiesa.
CARATTERE ANTROPOLOGICO. La rivelazione di Dio è allo stesso tempo rivelazione all’uomo del
proprio mistero. Perciò la teologia non può parlare di Dio senza parlare dell’uomo e viceversa
Con ciò sono affermate, da un lato, l’unità ricapitolativa della verità che da Dio è comunicata nella
rivelazione mediante la Scrittura: Gesù Cristo; e, dall’altro, la pluralità organica delle verità rivelate (il
nexus mysteriorum) che indirizzano a Gesù e da Gesù Cristo si dispiegano: non solo in senso ontologico
o verticale (l’asse Dio/Cristo/Chiesa) ma anche storico o orizzontale (l’asse Antico/Nuovo testamento).
DOGMA. Dal greco dógma -–atos ‘decreto, decisione’, derivato dal verco dokéō ‘ritenere’. Verità di fede,
il dogma si definisce come la norma d’interpretazione del depositum fidei, e in particolare della Scrittura
Come tutte le formulazioni umane della verità, il dogma ha un carattere analogico cioè traduce
imperfettamente la verità divina, di cui non rinuncia tuttavia ad essere l’espressione. Pur inquadrando una
verità di fede, ogni dogma rimane caratterizzato da una certa apertura e incompiutezza. Di conseguenza, la
ragione umana ha il compito di approfondire costantemente la percezione del suo oggetto. Lo sviluppo del
dogma non può concepirsi che come “la spiegazione di quello che è implicitamente nella rivelazione
originale” (Kasper). Tuttavia una tale spiegazione non deve essere capita né secondo un semplice schema
biologico, né in senso puramente logico. Si rende più giustizia al processo reale dello sviluppo dogmatico
esaminando la tradizione della fede come un avvenimento vivente piuttosto che come la trasmissione di
tesi particolari. Nel corso della storia, la Chiesa fissa le verità di fede sotto diverse forme: le confessioni e le
decisioni conciliari sia come esposizioni dottrinali sia come determinazioni canoniche.
OGGETTO : La teologia dogmatica non ha per oggetto solo i dogmi, in senso stretto. Essa mira alla totalità
della rivelazione cristiana che tenta di cogliere in maniera inglobante, integrando nella comprensione della
parola di Dio le interpretazioni apportate dalla tradizione e dal magistero e sforzandosi di mettere in atto il
senso permanente della Parola.
IL LUOGO ERMENEUTICO della dogmatica è l’incontro tra fede e ragione.
METODO :Il primo dovere di metodo della dogmatica è di non dissociare l’approccio positivo e
l’approccio speculativo. La teologia dogmatica realizza la sua opera solo in un movimento di rimando
perpetuo per mezzo del quale l’intellectus fidei effettua un ritorno “positivo” alle fonti mentre l’auditus
fidei si riflette nell’intelligenza “speculativa” di ciò che si crede. Un secondo dovere della dogmatica è di
non costituirsi come scienza delle conclusioni.( Piuttosto che come euristica, è come ermeneutica che la
dogmatica può organizzarsi rettamente, sforzandosi sistematicamente di riafferrare le verità della fede
nella loro unità e coerenza interna, come scienza delle conclusioni).Un terzo dovere è quello di articolare
servizio alla Scrittura e servizio della Chiesa per mezzo dello Spirito santo. In questo senso, possiamo
concepire lo Spirito santo come la via, lo stile, lo strumento per indagare rettamente in materia teologica.
Nella Chiesa, lo Spirito Santo agisce attraverso il sensus fidelium, come attraverso la predicazione.
Nel lavoro dei teologi ,lo Spirito sostiene nello studio della parola di Dio, nell’esaminare le differenti
interpretazioni alle quali essa ha dato luogo nel corso della storia, nel riflettere sulla coerenza interna del
messaggio cristiano e nell’assumerla davanti alle questioni del tempo.
In definitiva, una teologia dogmatica è veramente ecclesiale solamente nella misura in cui rimane fedele
all’ortodossia realizzando il suo uso della Scrittura e della Tradizione, il depositum fidei.
La teologia sarà simultaneamente discorso tenuto in delle chiese a favore di comunità costituite e discorso
missionario che si assegna il compito di difendere e diffondere la fede della Chiesa nel mondo. La teologia
accompagna tutta l’esperienza della Chiesa attraverso la quale si prolunga “l’evento della Parola”,
fondatore della Chiesa stessa.
LE FONTI E IL METODO
Qualsiasi ricerca che pretende di essere storica oltre che teologica non può prescindere dal previo
accertamento sulle fonti. Una prima divisione delle fonti è stabilita in base al criterio della loro relazione
diretta con la persona e l’opera di Gesù oppure con l’ambiente storico culturale nel quale egli vive e opera.
In quest’ultimo gruppo rientrano sia i documenti testuali letterari ed epigrafici sia i reperti archeologici.
È più che legittimo iniziare l’indagine sulle fonti del settore ebraico. Ebbene dalle fonti giudaiche palestinesi
si ricava ben poco per non dire nulla di storicamente valido per conoscere la persona l’insegnamento di
Gesù. Gli autori ebrei non si interessano di Gesù se non quando il movimento cristiano prende tale
consistenza nell’impero romano da non poter più ignorare il nome del fondatore.
Un caso a parte rappresenta lo storico giudeo Giuseppe Flavio, nato verso gli anni 30 in Palestina da una
famiglia sacerdotale. Nella sua opera Antichità giudaiche menziona il nome di Gesù.Il primo storico non
giudeo che menziona Gesù è Tacito negli Annales. Riferendo dell’incendio scoppiato a Roma nel luglio del
64.Un secondo autore romano, Svetonio, menziona con notizie frammentarie il nome di Cristo nella sua
opera Vite dei Cesari dove parla dei provvedimenti presi da Claudio mi confronti delle varie province
dell’impero.
LE FONTI CRISTIANE EXTRA EVANGELICHE
La più antica documentazione cristiana sono lettere autentiche di Paolo.Paolo considera Gesù Cristo sotto
una prospettiva che va oltre l’involucro storico.Quindi i criteri di valutazione non possono più essere quelli
storico umani o carnali, ma la relazione vitale di fede con Gesù il Cristo, Signore crocifisso e risorto. Paolo
conosce il Gesù storico tramite i formulari tradizionali della comunità primitiva ai quali si richiama più
volte.In questa ricostruzione storica del Vangelo secondo Paolo manca qualsiasi riferimento ai miracoli di
Gesù, alla sua attività in Galilea, al suo insegnamento sul regno di Dio con sentenze e parabole
ATTENDIBILITÀ STORICA DEI VANGELI CANONICI
Attualmente esiste un consenso dell’indagine circa l’origine degli scritti che conosciamo come Vangeli che
collocano la loro stesura nella seconda metà del primo secolo dal 70 circa.
IL PROGETTO DI GESÙ
Il tema del Regno di Dio pervade tutta la predicazione di Gesù. Il contenuto centrale del Vangelo può
essere sintetizzato ne: “il regno di Dio è vicino”.
Il messaggio di Gesù è molto semplice e del tutto Teocentrico. L’aspetto nuovo del suo messaggio consiste
nel fatto che egli ci dice: Dio agisce adesso. È questa l’ora in cui Dio ,in un modo che va oltre ogni
precedente modalità, si rivela nella storia come il suo stesso signore, come il Dio vivente. Con la categoria
evangelica Regno di Dio dobbiamo intendere la signoria di Dio sulla storia.
La prima interpretazione del Regno di Dio è cristologica.Una seconda linea interpretativa del significato del
Regno di Dio è quella che possiamo definire idealistica o mistica: essa vede il Regno di Dio collocato
essenzialmente nell’interiorità dell’uomo.L’ultima interpretazione partorita dalla teologia protestante
sottolinea il senso morale del regno di Dio: l’agire morale del singolo, le sue opere di amore, deciderebbero
del suo ingresso o della sua esclusione dal Regno.
Altro aspetto identificativo di questo Regno è il fatto che esso è per i poveri. Il regno di Dio è anche per i
piccoli e precisamente per i deboli e gli indifesi. A questa categoria sono assimilati i discepoli.
Fanno parte della categoria dei poveri anche i peccatori ed in particolare quelli pubblici e i pagani.Il Regno
di Dio per Gesù non è solo una realtà già compiuta o vicina o da attendere ma una realtà dinamica che si
rivela nella storia della salvezza degli uomini come promesso. Il suo compimento verrà realizzato di fronte
alla morte violenta sulla croce.
Gesù e i discepoli
Un dato innegabile della tradizione evangelica comune ai tre sinottici e anche soggiacente al quarto
vangelo è la presentazione di Gesù come maestro o rabbi. Questa funzione è oltremodo individuata dall
esistenza di discepoli o apostoli. Essi non appartengono alla dinamica ne ebraica o greca dove era l’alunno
a scegliere il maestro. È Gesù che convoca e invita a seguirlo.
I miracoli di Gesù. Complessivamente i tre vangeli sinottici riportano una ventina di miracoli compiuti da
Gesù a beneficio di singoli o di gruppi a cui si devono aggiungere otto episodi miracolosi riferiti dal quarto
vangelo.
In conclusione i sinottici conservano alcune parole di Gesù che presuppongono la sua attività taumaturgica
nella forma di esorcismi e di guarigioni. Marco vede nei miracoli una manifestazione della potenza salvifica.
Matteo colloca I miracoli all’interno di due poli spirituali: Gesù, il figlio di Dio vivente, e la chiesa. Luca
presente i miracoli come segni della salvezza già anticipata nei gesti dei grandi profeti taumaturghi ma che
si attua nell’azione e nella parola di Gesù. Giovanni sceglie i miracoli come segni per fondare la fede dei
destinatari. In sintesi i miracoli sono segni dell’eruzione del regno di Dio nella storia e sulla terra.
MISTERI DI GESU
Il Simbolo della fede, a proposito della vita di Cristo, non parla che dei Misteri dell'Incarnazione e della
Pasqua: “Tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui fu assunto in cielo (At 1,1-
2) deve essere visto alla luce dei Misteri del Natale e della Pasqua.
L'Incarnazione
Riprendendo l'espressione di san Giovanni “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14), la Chiesa chiama
“Incarnazione” il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto una natura umana per realizzare in essa la nostra
salvezza. La Chiesa canta il Mistero dell'Incarnazione in un inno riportato da san Paolo.
Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio.
Le prime eresie più che la divinità di Cristo hanno negato la sua vera umanità. Ma nel terzo secolo, la
Chiesa ha dovuto affermare contro Paolo di Samosata, in un Concilio riunito ad Antiochia, che Gesù Cristo è
Figlio di Dio per natura e non per adozione. Il primo Concilio Ecumenico di Nicea nel 325 professò nel suo
Credo che il Figlio di Dio è “generato, non creato, della stessa sostanza ["homousios"] del Padre”, e
condannò Ario, il quale sosteneva che “il Figlio di Dio veniva dal nulla” [Concilio di Nicea I: Denz. -Schönm.,
130] e che sarebbe “di un'altra sostanza o di un'altra essenza rispetto al Padre”.L'eresia nestoriana vedeva
in Cristo una persona umana congiunta alla Persona divina del Figlio di Dio.
Dall’unione ipostatica scaturisce una serie di corollari. Gli uni spettano alla persona e alla natura divina, gli
altri alla natura umana ma sono intimamente connessi da non potersi dividere in due classi.
La comunicazione degli idiomi: con questa espressione s’intende la comunanza e lo scambio reciproco
degli attributi divini e umani nell’uomo Dio. La pericòresi: le due nature esistono l’una nell’altra e non l’una
accanto all’altra come volevano i nestoriani. Tale mutua compenetrazione è tenuta insieme esclusivamente
dalla natura divina. La divinità che in se stessa è impenetrabile, compenetra e abita l’umanità, che i tal
modo, senza subire alcun mutamento, viene divinizzata. I privilegi della natura umana di Cristo: La natura
romana di Cristo assunta all’unità personale con il logos fu interiormente nobilitata e glorificata; fu cioè
elevata alla più alta dignità a cui può giungere una creatura, arricchita di prerogative e perfezioni naturali e
specialmente soprannaturali. Le prerogative riguardano in modo particolare la sua conoscenza (visione
beatifica, scienza infusa, scienza acquisita), la sua volontà (esente da ogni peccato, impeccabile, santa e
piena di grazia), la sua potenza capace di produrre effetti soprannaturali. La natura umana di Cristo era
tuttavia soggetta ai dolori del corpo. L’anima di Cristo fu soggetta alle passioni dell’anima.
La volontà umana di Cristo Parallelamente, la Chiesa nel sesto Concilio Ecumenico ha dichiarato che Cristo
ha due volontà e due operazioni naturali, divine e umane, non opposte, ma cooperanti, in modo che il
Verbo fatto carne Ha umanamente voluto, in obbedienza al Padre, tutto ciò che ha divinamente deciso con
il Padre e con lo Spirito Santo per la nostra salvezza.
Il vero Corpo di Cristo Poiché il Verbo si è fatto carne assumendo una vera umanità, il Corpo di Cristo era
delimitato. Perciò l'aspetto umano di Cristo può essere “rappresentato”.
PASSIONE E GLORIA DI CRISTO La fede può dunque cercare di indagare le circostanze della morte di Gesù,
fedelmente riferite dai Vangeli e illuminate da altre fonti storiche, al fine di una migliore comprensione del
senso del mistero di Cristo e della sua Redenzione.
La Risurrezione di Cristo La risurrezione consiste nel risorgere dalla morte per mai più morire. La
resurrezione di Cristo non consiste nel miracolo di un cadavere rianimato. Essa è stata l’evasione verso un
genere di vita totalmente nuovo, verso la vita non più soggetta alla legge del morire e del divenire, una vita
che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere. Nella risurrezione di Cristo è stata raggiunta una
nuova possibilità di essere uomo, l’inaugurazione di un nuovo dimensione dell’esistenza umana. Gesù non
è tornato in una normale vita umana come Lazzaro ma è uscito verso una vita diversa, nuova, verso la
vastità di Dio.
Era necessaria la risurrezione di Cristo per:
• l’esaltazione della giustizia divina,
• per l’istruzione della nostra fede,
• per il sostegno della nostra speranza,
• per l’informazione della nostra condotta,
• per il compimento della nostra salvezza.
La risurrezione è anche la chiave ermeneutica di tutta quanta la Scrittura. Essa accreditò definitivamente
Gesù come inviato di Dio presso i suoi discepoli.
I DUE TIPI DIVERSI DI TESTIMONIANZA SULLA RISURREZIONE
La tradizione in forma di testimonianza “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture”. Riferito alla
sua morte sulla croce, essa ribadisce che tale morte non fu un caso. È un evento in cui si adempiono parole
della Scrittura. La morte di Gesù non proviene dalla presunzione dell’uomo ma dall’umiltà di Dio.
La tradizione in forma di narrazione Mentre la prima tradizione sintetizza la fede nella risurrezione in
modo normativo mediante formule determinate e impone fedeltà fino alla lettera per l’intera comunità dei
credenti, le narrazioni sono legate a differenti portatori di tali tradizioni e, localmente, sono distribuite tra
Gerusalemme e Galilea. Si noterà subito la diversità dei racconti della resurrezione nei quattro Vangeli.
La tradizione in forma di narrazione parla d’incontri con il risorto e di ciò che egli in tali circostanze ha
detto. La tradizione in forma di professione conserva solo i fatti più importanti che appartengono alla
conferma della fede. Una prima differenza tra le due tradizioni consiste nel fatto che nella tradizione in
forma di professione vengono nominati come testimoni soltanto uomini mentre nella traduzione in forma
di narrazione le donne hanno un ruolo decisivo anzi preminente a confronto degli uomini.
Le apparizioni di Gesù nei vangeli
Apparire, parlare, stare a tavola sono le tre auto-manifestazioni del risorto strettamente connesse tra loro
con cui egli si rivela come il vivente. L’essenza della risurrezione sta proprio nel fatto che essa infrange la
storia e inaugura una nuova dimensione che noi comunemente chiamiamo la dimensione escatologica
LA REDENZIONE IN GENERALE Occorre distinguere tra redenzione in senso oggettivo in senso soggettivo.
La prima è l’opera stessa del redentore, la seconda è chiamata anche giustificazione. Essa è l’attuazione
della redenzione nei singoli uomini ossia la distribuzione dei frutti della redenzione degli stessi. Dal lato
negativo, la redenzione è la liberazione dal dominio del peccato e dei mali che lo accompagnano come la
morte. Dal lato positivo è la restaurazione dello stato di unione sovrannaturale con Dio distrutto col
peccato.
L’ATTUAZIONE DELLA REDENZIONE “Io sono la Via, la verità e la vita”. La morte in croce e perciò
prevalentemente, ma non esclusivamente, la causa efficiente della nostra redenzione. Il progetto di Gesù e
la sua immagine storica restano indelebilmente segnati dalla sua conclusione tragica sulla croce. Possiamo
ritenere che Gesù, sulla base delle accuse che circolano ha potuto seriamente mettere in conto la
possibilità di una condanna a morte per l’intervento dell’autorità religiosa giudaica.
SODDISFAZIONE VICARIA La soddisfazione in senso più ristretto è la riparazione dell’offesa. La riparazione
si fa con un’opera che compensi il torto arrecato. Se l’opera, per il suo intrinseco valore, compensa
pienamente la gravità della colpa secondo le esigenze della giustizia, la soddisfazione è adeguata e piena.
Se invece non corrisponde alla gravità della colpa e viene accolta come bastevole solo per benigna
accondiscendenza, la soddisfazione è inadeguata o congrua. Se la soddisfazione è resa non dall’offensore
stesso ma da un altro in sua vece è vicaria. Il Vangelo di Matteo afferma che Mediante la sua passione e
morte, Cristo rese a Dio soddisfazione vicaria dei peccati degli uomini e non soltanto per i credenti. Ciò
rende manifesta l’universalità della redenzione.
IL MERITO DI CRISTO Il merito è la ricompensa con il premio dell’opera compiuta a favore di un altro. Se la
ricompensa è dovuta per giustizia oppure soltanto per equità si ha il merito de condigno oppure il merito
de congruo. L’opera redentrice di Cristo è nello stesso tempo soddisfattoria e meritoria in quanto da un
lato distrusse il rapporto di debito degli uomini verso Dio e dall’altro fondò un diritto alla ricompensa da
parte di Dio. Cristo ha meritato presso Dio la redenzione con la sua passione e con la sua morte. L’oggetto
del merito è quindi lo stato di glorificazione: Resurrezione, trasfigurazione del corpo e assunzione al
cielo.La missione terrena di Cristo si conclude con L’ASCENSIONE AL CIELO: la definitiva elevazione della
natura umana di Cristo allo stato di gloria divina.
5. CREDO LA CHIESA “Cristo è la luce delle genti, e questo sacro Concilio, adunato nello Spirito Santo,
ardentemente desidera che la luce di Cristo, riflessa sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini,
annunziando il Vangelo a ogni creatura”. Con queste parole si apre la “Costituzione dogmatica sulla Chiesa”
del Concilio Vaticano II. Con ciò il Concilio indica che l'articolo di fede sulla Chiesa dipende interamente
dagli articoli concernenti Gesù Cristo. La Chiesa non ha altra luce che quella di Cristo. Secondo
un'immagine cara ai Padri della Chiesa, essa è simile alla luna, la cui luce è tutta riflesso del sole.
LA CHIESA NEL DISEGNO DI DIO
I nomi e le immagini della Chiesa. La parola “Chiesa” [“ekklèsia”, dal greco “ek-kalein”-“chiamare fuori”]
significa “convocazione”. Designa assemblee del popolo, [At 19,39] generalmente di carattere religioso. È il
termine frequentemente usato nell'Antico Testamento greco per indicare l'assemblea del popolo eletto
riunita davanti a Dio.Nel linguaggio cristiano, il termine “Chiesa” designa l'assemblea liturgica ma anche la
comunità locale o tutta la comunità universale dei credenti.
I simboli della Chiesa
753 Nella Sacra Scrittura troviamo moltissime immagini e figure tra loro connesse mediante le quali la
Rivelazione parla del mistero insondabile della Chiesa. Le immagini dell'Antico Testamento sono variazioni
di un'idea di fondo, quella del “Popolo di Dio”. Nel Nuovo Testamento [Ef 1,22; Col 1,18] tutte queste
immagini trovano un nuovo centro, per il fatto che Cristo diventa il “Capo” di questo Popolo.
754 “Così la Chiesa è l' ovile.
755 La Chiesa è il podere o campo di Dio
756 Più spesso ancora la Chiesa è detta l' edificio di Dio
757 La Chiesa che è chiamata "Gerusalemme che è in alto" e "madre nostra"
I carismi Straordinari o semplici e umili, i carismi sono grazie dello Spirito Santo che, direttamente o
indirettamente, hanno un'utilità ecclesiale, ordinati come sono all'edificazione della Chiesa, al bene degli
uomini e alle necessità del mondo. I carismi devono essere accolti con riconoscenza non soltanto da chi li
riceve, ma anche da tutti i membri della Chiesa. È in questo senso che si dimostra sempre necessario il
discernimento dei carismi. Nessun carisma dispensa dal riferirsi e sottomettersi ai Pastori della Chiesa, “ai
quali spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono”
LA CHIESA È UNA, SANTA, CATTOLICA E APOSTOLICA
“Questa è l'unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica”. Questi
quattro attributi, legati inseparabilmente tra di loro, indicano tratti essenziali della Chiesa e della sua
missione. La Chiesa non se li conferisce da se stessa; è Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede
alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a realizzare
ciascuna di queste caratteristiche.
3. La Chiesa è cattolica
Che cosa vuol dire “cattolica”? La parola “cattolica” significa “universale” nel senso di “secondo la totalità”
o “secondo l'integralità”. La Chiesa è cattolica in un duplice senso. È cattolica perché in essa è presente
Cristo. Essa è cattolica perché è inviata in missione da Cristo alla totalità del genere umano.Tutti gli uomini
sono chiamati a formare il nuovo Popolo di Dio.
Ogni Chiesa particolare è “cattolica”. Per Chiesa particolare, che è in primo luogo la diocesi (o l'eparchia), si
intende una comunità di fedeli cristiani in comunione nella fede e nei sacramenti con il loro vescovo
ordinato nella successione apostolica. Queste Chiese particolari sono “formate a immagine della Chiesa
universale”; in esse e a partire da esse “esiste la sola e unica Chiesa cattolica. Tutte le Chiese cristiane
sparse in ogni luogo hanno ritenuto e ritengono la grande Chiesa che è qui [a Roma] come unica base e
fondamento.“Ma dobbiamo ben guardarci dal concepire la Chiesa universale come la somma o, per così
dire, la federazione di Chiese particolari. È la stessa Chiesa che, essendo universale per vocazione e per
missione, quando getta le sue radici nella varietà dei terreni culturali, sociali, umani, assume in ogni parte
del mondo fisionomie ed espressioni esteriori diverse”. La ricca varietà di discipline ecclesiastiche, di riti
liturgici, di patrimoni teologici e spirituali propri alle “Chiese locali tra loro concordi, dimostra con maggior
evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa.
Chi appartiene alla Chiesa cattolica? “Tutti gli uomini sono chiamati a questa cattolica unità del Popolo di
Dio. . ., alla quale in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in
Cristo. “Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo,
accettano integra la sua struttura e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti. Non si salva, però, anche se
incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col "corpo"
ma non col "cuore"”
La Chiesa e i non cristiani “Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, in vari modi sono ordinati al
Popolo di Dio”. Il rapporto della Chiesa con il popolo ebraico. A differenza delle altre religioni non
cristiane, la fede ebraica è già risposta alla rivelazione di Dio nella Antica Alleanza. popolo di Dio dell'Antica
Alleanza e il nuovo popolo di Dio tendono a fini analoghi: l'attesa della venuta (o del ritorno) del Messia.
Ma tale attesa è, da una parte, rivolta al ritorno del Messia, morto e risorto, riconosciuto come Signore e
Figlio di Dio, dall'altra è rivolta alla venuta del Messia, i cui tratti rimangono velati, alla fine dei tempi.
Le relazioni della Chiesa con i Musulmani. “Il disegno della salvezza abbraccia anche coloro che
riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i Musulmani, i quali, professando di tenere la fede di
Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale”.
Il legame della Chiesa con le religioni non cristiane è anzitutto quello della comune origine e del comune
fine del genere umano. Infatti tutti i popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine,
essi hanno anche un solo fine ultimo. La Chiesa considera “tutto ciò che di buono e di vero” si trova nelle
religioni “come una preparazione al Vangelo.
“Fuori della Chiesa non c'è salvezza” Formulata in modo positivo, significa che ogni salvezza viene da
Cristo-Capo per mezzo della Chiesa che è il suo Corpo. Questa affermazione non si riferisce a coloro che,
senza loro colpa, ignorano Cristo e la Chiesa. E’ tuttavia compito imprescindibile della Chiesa, ed insieme
sacro diritto, evangelizzare tutti gli uomini.
La missione degli Apostoli La “missione divina, affidata da Cristo agli Apostoli, dovrà durare sino
alla fine dei secoli, poiché il Vangelo che essi devono trasmettere è per la Chiesa principio di tutta la sua
vita in ogni tempo. Per questo gli Apostoli... ebbero cura di costituirsi dei successori”
I vescovi successori degli Apostoli “Perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la
loro morte, [gli Apostoli] lasciarono quasi in testamento ai loro immediati cooperatori l'incarico di
completare e consolidare l'opera da essi incominciata, Perciò la Chiesa insegna che “i vescovi per divina
istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli, quali pastori della Chiesa.
L'apostolato Tutta la Chiesa è apostolica in quanto rimane in comunione di fede e di vita con la sua
origine attraverso i successori di san Pietro e degli Apostoli. La vocazione cristiana infatti è per sua
natura anche vocazione all'apostolato”. “Si chiama apostolato” “tutta l'attività del Corpo mistico”
ordinata alla “diffusione del regno di Cristo su tutta la terra”.
LA COMUNIONE DEI SANTI Dopo aver confessato “la santa Chiesa cattolica”, il Simbolo degli
Apostoli aggiunge “la comunione dei santi. La comunione dei santi è precisamente la Chiesa. Il termine
“comunione dei santi” ha pertanto due significati, strettamente legati: “comunione alle cose sante
["sancta"]” e “comunione tra le persone sante ["sancti"]”.
La comunione della carità Il più piccolo dei nostri atti compiuto nella carità ha ripercussioni benefiche
per tutti, in forza di questa solidarietà con tutti gli uomini, vivi o morti, solidarietà che si fonda sulla
comunione dei santi. Ogni peccato nuoce a questa comunione.
L'intercessione dei santi. “A causa infatti della loro più intima unione con Cristo i beati rinsaldano tutta
la Chiesa nella santità. . . non cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in
terra mediante Gesù Cristo, unico Mediatore tra Dio e gli uomini. . . La nostra debolezza quindi è molto
aiutata dalla loro fraterna sollecitudine”.
La comunione con i santi. “Non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo d'esempio, ma più
ancora perché l'unione di tutta la Chiesa nello Spirito sia consolidata dall'esercizio della fraterna carità.
La comunione con i defunti. La nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma anche rendere
efficace la loro intercessione in nostro favore.
Nell'unica famiglia di Dio. Tutti noi che “siamo figli di Dio e costituiamo in Cristo una sola famiglia,
mentre comunichiamo tra di noi nella mutua carità e nell'unica lode della Trinità santissima,
corrispondiamo all'intima vocazione della Chiesa”.