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TEOLOGIA DOGMATICA

-DEFINIZIONE
La teologia è la disciplina che ordina e giudica la realtà alla luce della rivelazione che Dio comunica di se
stesso.
• La teologia è l’opera del credente che si serve della ragione per comprendere meglio quanto già possiede
con la fede.
• La teologia è rendere ragione delle fede cristiana, parlando con coerenza del Dio al quale le Scritture
rendono testimonianza o parlando di tutte le cose riferendole a Dio, sub ratione Dei.
• Sant’Agostino (IV sec) afferma: “ho desiderato di vedere con la mia intelligenza ciò che ho creduto”; si
tratta quindi di credere per poi cercare di comprendere.
• Con Dionigi (V sec) la teologia è la disciplina che può parlare solo di ciò che Dio non è.
• Con sant’Anselmo (XI sec) la si può definire: “fides quaerens intellectum”, cioè la fede applicata
all’intelligenza del suo oggetto.
• San Tommaso (XIII sec) afferma: compito della teologia è contemplari in Christo profunda Dei et
contemplata aliis tradere. Con ciò è varcata la soglia dell’apofatismo dionisiano, mentre rispetto ad
Agostino, si afferma che anche la ratio fide illustrata – e non solo l’intellectus – è chiamata a svolgere la sua
funzione propria in ordine all’illustrazione della verità rivelata.
• La teologia è dire Dio a partire dal dirSi di Dio in Cristo. Se la teologia può parlare di Dio nella sua vita
intima e nel suo piano di salvezza, è perché Dio per primo, nella sovrabbondanza del suo amore, è uscito
dal suo Mistero per iniziare con l’uomo un dialogo di amicizia.
• All’inizio dello studio della teologia vi è quindi l’iniziativa divina, l’automanifestazione di Dio, la Sua
rivelazione.
• La teologia parla di Dio ma la sua riflessione si basa su quanto Dio ha detto di sé.

-OGGETTO TEOLOGIA
Oggetto materiale: ciò che la disciplina studia.
Oggetto formale: il punto di vista, il profilo specifico, della disciplina.

L’oggetto materiale della teologia è Dio in quanto tale.


L’oggetto formale della teologia è la Sua rivelazione in Gesù Cristo.
CARATTERE STORICO. Avendo per oggetto Dio che si rivela nella storia e attraverso la storia, la
teologia si riferisce continuamente alla storia di salvezza. Essa non è riflessioni su un sistema di
proporzioni astratte ma sui liberi interventi di Dio nella storia. Essa deve dunque restare incentrata
sulla storia di salvezza.

CARATTERE CRISTOLOGICO. La storia di salvezza è tutta incentrata sul Cristo. Noi non conosciamo
Dio se non per mezzo del Cristo: perciò non vi è “teo-logia” senza “cristo-logia”.
CARATTERE ECCLESIOLOGICO. È nella Chiesa che la teologia ascolta e riceve la parola di Dio; è
nella Chiesa che la teologia cerca di comprendere e interpretare la parola di Dio Non vi è teologia
senza riferimento alla Chiesa.

CARATTERE ANTROPOLOGICO. La rivelazione di Dio è allo stesso tempo rivelazione all’uomo del
proprio mistero. Perciò la teologia non può parlare di Dio senza parlare dell’uomo e viceversa
Con ciò sono affermate, da un lato, l’unità ricapitolativa della verità che da Dio è comunicata nella
rivelazione mediante la Scrittura: Gesù Cristo; e, dall’altro, la pluralità organica delle verità rivelate (il
nexus mysteriorum) che indirizzano a Gesù e da Gesù Cristo si dispiegano: non solo in senso ontologico
o verticale (l’asse Dio/Cristo/Chiesa) ma anche storico o orizzontale (l’asse Antico/Nuovo testamento).

DOGMA. Dal greco dógma -–atos ‘decreto, decisione’, derivato dal verco dokéō ‘ritenere’. Verità di fede,
il dogma si definisce come la norma d’interpretazione del depositum fidei, e in particolare della Scrittura
Come tutte le formulazioni umane della verità, il dogma ha un carattere analogico cioè traduce
imperfettamente la verità divina, di cui non rinuncia tuttavia ad essere l’espressione. Pur inquadrando una
verità di fede, ogni dogma rimane caratterizzato da una certa apertura e incompiutezza. Di conseguenza, la
ragione umana ha il compito di approfondire costantemente la percezione del suo oggetto. Lo sviluppo del
dogma non può concepirsi che come “la spiegazione di quello che è implicitamente nella rivelazione
originale” (Kasper). Tuttavia una tale spiegazione non deve essere capita né secondo un semplice schema
biologico, né in senso puramente logico. Si rende più giustizia al processo reale dello sviluppo dogmatico
esaminando la tradizione della fede come un avvenimento vivente piuttosto che come la trasmissione di
tesi particolari. Nel corso della storia, la Chiesa fissa le verità di fede sotto diverse forme: le confessioni e le
decisioni conciliari sia come esposizioni dottrinali sia come determinazioni canoniche.

TEOLOGIA DOGMATICA O SISTEMATICA


Essa accoglie l’esegesi come punto di partenza e ha come scopo la predicazione.
’’La dogmatica non possiede né il linguaggio della sola ragione, né quello della sola fede’’. (Congar 1962).

OGGETTO : La teologia dogmatica non ha per oggetto solo i dogmi, in senso stretto. Essa mira alla totalità
della rivelazione cristiana che tenta di cogliere in maniera inglobante, integrando nella comprensione della
parola di Dio le interpretazioni apportate dalla tradizione e dal magistero e sforzandosi di mettere in atto il
senso permanente della Parola.
IL LUOGO ERMENEUTICO della dogmatica è l’incontro tra fede e ragione.

METODO :Il primo dovere di metodo della dogmatica è di non dissociare l’approccio positivo e
l’approccio speculativo. La teologia dogmatica realizza la sua opera solo in un movimento di rimando
perpetuo per mezzo del quale l’intellectus fidei effettua un ritorno “positivo” alle fonti mentre l’auditus
fidei si riflette nell’intelligenza “speculativa” di ciò che si crede. Un secondo dovere della dogmatica è di
non costituirsi come scienza delle conclusioni.( Piuttosto che come euristica, è come ermeneutica che la
dogmatica può organizzarsi rettamente, sforzandosi sistematicamente di riafferrare le verità della fede
nella loro unità e coerenza interna, come scienza delle conclusioni).Un terzo dovere è quello di articolare
servizio alla Scrittura e servizio della Chiesa per mezzo dello Spirito santo. In questo senso, possiamo
concepire lo Spirito santo come la via, lo stile, lo strumento per indagare rettamente in materia teologica.
Nella Chiesa, lo Spirito Santo agisce attraverso il sensus fidelium, come attraverso la predicazione.
Nel lavoro dei teologi ,lo Spirito sostiene nello studio della parola di Dio, nell’esaminare le differenti
interpretazioni alle quali essa ha dato luogo nel corso della storia, nel riflettere sulla coerenza interna del
messaggio cristiano e nell’assumerla davanti alle questioni del tempo.
In definitiva, una teologia dogmatica è veramente ecclesiale solamente nella misura in cui rimane fedele
all’ortodossia realizzando il suo uso della Scrittura e della Tradizione, il depositum fidei.
La teologia sarà simultaneamente discorso tenuto in delle chiese a favore di comunità costituite e discorso
missionario che si assegna il compito di difendere e diffondere la fede della Chiesa nel mondo. La teologia
accompagna tutta l’esperienza della Chiesa attraverso la quale si prolunga “l’evento della Parola”,
fondatore della Chiesa stessa.

1. MODELLO GNOSTICO-SAPIENZIALE DELLA BIBBIA E DEI PADRI. CATECHESI ED ESEGESI


Sul piano teologico, il primo problema che la teologia ha dovuto risolvere era di natura esegetica: il
compimento in Gesù Cristo delle speranze d’Israele. La trattazione di questo problema attraversa tutto il
corpus di testi che assumerà il nome di “Nuovo Testamento”. Esso sarà la prima forma teologica della
nuova comunità cristiana. La teologia tratta di avvenimenti interpretando dei testi riconosciuti come
canonici cioè dotati del rango di testimonianze normative.
CARATTERISTICHE DELLA GNOSI-SAPIENZA CRISTIANA
Primo strato – lo sfondo comune a tutta l’antichità: una conoscenza non puramente concettuale ma
complessiva - totalizzante e religiosa - in cui intervengono affetto, volontà, concetto, raziocinio, intuizione:
l’ideale gnostico-sapienziale religioso. Essa era ritenuta un dono comunicato all’uomo per rivelazione
trasmessa da maestri e presuppone l’armonia in tutta la vita morale e pratica: ascesi, purificazione, retto
agire.
Secondo strato – la comunanza con i caratteri fondamentali della rivelazione ebraica. Un Dio personale
creatore che interviene nella storia e la dirige secondo un suo piano, offrendo e realizzando l’alleanza e
chiedendo la piena disponibilità a questo suo disegno. Oggetto di questa gnosi sono i mirabilia Dei: la
creazione, la provvidenza, l’alleanza, l’escatologia.
Terzo strato – la visione propria della fede cristiana dove l’evento pasquale di Gesù Cristo diventa la chiave
interpretativa della gnosi giudaica. La teologia primeva è segnata da un profondo biblicismo. Ciò che si
intende raggiungere come opus, e quindi come finis operis, non è semplicemente una conoscenza sia pure
superiore delle realtà della fede cristiana, ma una loro conoscenza salvifica totale e beatificante l’uomo
quanto è possibile già quaggiù.
2. MODELLO APOLOGETICO
La prima teologia che poté rivendicare la dignità d’incarnare una figura del logos fu quella degli apologeti.
Alla teologia si assegna la funzione di difendere la coerenza e la credibilità del cristianesimo nei confronti
delle ragioni religiose e filosofiche del paganesimo. Tale discorso difensivo è anche discorso creativo: la
difesa del cristianesimo si accompagna con una messa in luce nella quale si elaborano delle concettualità a
lunga portata.
CARATTERISTICHE
Distinguendo tra fede - pistis - e conoscenza – gnosis - e cogliendo in quest’ultima il compimento di quella,
Clemente d’Alessandria fornisce la sua carta fondatrice ad una teologia il cui fine è quello di rispondere alle
esigenze intellettuali del credente. La teologia si organizza come sforzo d’intelligenza speculativa. Con la
scuola catechetica di Alessandria da parte di Panteno e Eusebio di Cesarea, si assiste all’atto pubblico di
nascita del teologo. La teologia si formalizza, allora, come strumento che consente alla Chiesa di rispondere
alle esigenze di una fede in cerca di conoscenza.
IL PRIMO MILLENNIO si conclude con la celebrazione di sette Concili Ecumenici i quali affrontarono
teologicamente questioni fondative circa la natura e la persona di Gesù Cristo. Lo sforzo fatto dalla teologia
conciliare fu quello di mettere a fuoco l’evento Gesù Cristo con il linguaggio e le categorie concettuali del
tempo. L’obiettivo fu di riuscire a comunicare il contenuto della fede servendosi delle forme culturali e
cultuali del tempo
3. MODELLO SCOLASTICO: SCIENTIA E QUAESTIO
Nel medioevo, la teologia si definisce anzitutto per la posizione che essa occupa nell’organizzazione
codificata delle istituzioni incaricate di trasmettere il sapere: sull’edificio dell’università di Parigi appare
l’espressione facultas theologica. L’ideale entitativo metafisico delle cose rivelate è messo in rilievo rispetto
ad altre istanze. 1/ Rispetto al contenuto. La ricezione di Aristotele in occidente con le sue categorie
filosofiche offrì alla teologia i mezzi per definirsi in modo nuovo come discorso rigoroso. La teologia si
sviluppa sotto i canoni della dialettica. Il logos della teologia e quello della logica filosofica hanno ormai una
sorte in comune. 2/ Rispetto alla forma. L’adozione della quaestio come strumento di argomentazione
teologico.
CARATTERISTICHE DELLA SCOLASTICA
Primo aspetto. Gli scolastici insistono sul fatto che la realtà della fede, e anzitutto i misteri, possono essere
inclusi negli schemi strutturali e nelle leggi dell’essere. Questo grazie all’analogia entis. Si ha così una
radicale ontologizzazione dell’approfondimento della fede.
Secondo aspetto. La teologia è annoverata come scienza. Vi è un doppio genere di scienze quella i cui
principi sono evidenti di per sé o quella alla luce di una qualche scienza superiore. E in tal maniera la sacra
dottrina è una scienza; essa poggia su principi conosciuti per lume di scienza superiore, cioè della scienza di
Dio e dei Beati.
Terzo aspetto. Costituita per soddisfare le richieste della “fede alla ricerca dell’intelligenza”, la teologia
scolastica è una teologia per intellettuali. Essa perde quasi ogni rapporto con la predicazione e con le
attività kerygmatiche della Chiesa. Il limite di questo approccio teologico è un forte concettualismo; la
separazione tra teologia e vita spirituale; l’esclusione dalla teologia della prospettiva storico salvifica e
simbolista che è propria alla Scrittura.
4. RIFORMA E MODERNITÀ
La teologia deve il suo volto moderno ad una pluralità di fattori eterogenei: dalla protesta di Lutero contro
la scolastica, allo sviluppo delle discipline storiche, ad una riorganizzazione dei rapporti tra filosofia e
teologia, alla tensione tra scienza e Chiesa. Lutero fornì il suo programma ad una teologia d’orientamento
risolutamente biblico-esistenziale. Per lui la teologia non è il discorso di una fede alla ricerca
dell’intelligenza ma quello di una fede alla ricerca della certezza della salvezza.
CARATTERISTICHE DELLA TEOLOGIA POST-TRIDENTINA
Nei confronti della Riforma, il cristianesimo è debitore di un genere letterario nuovo, quello della
confessione della fede e del trionfo di un genere già esistente in maniera incoativa, il catechismo. Trento
ribadì la natura gerarchica della Chiesa con l’importanza del sacerdozio ordinato. Ridefinì la teologia della
giustificazione mantenendo la teoria del peccato originale senza spegnere interamente il libro arbitrio
dell’uomo. Contro una teologia sacramentaria bistrattata dal protestantesimo, Trento proclamò la dignità
sacramentale dei sette riti. L’insistenza principale fu sull’eucaristia. Si svilupperà una concezione del
cristianesimo come codice morale, come somma di precetti, all’osservanza dei quali funge d’ausilio la
grazia. L’atto sacramentale diventò il “mezzo” che sorregge il cristiano nel faticoso assolvimento dei doveri
morali, dove l’accento poggia sull’uomo, che assurge a protagonista, pur sorretto dall’intervento continuo
di Dio. L’età che fa seguito alla Riforma è quella delle specializzazioni teologiche. L’influenza delle discipline
storiche sulla teologia costituisce il fatto più rilevante. Ormai persino nel proprio discorso magisteriale la
Chiesa deve fare i conti con la storia critica delle proprie fonti.
IL SECONDO MILLENNIO teologico si conclude con non poche questioni teologiche da risolvere. La Chiesa è
segnata dai due scismi (XI sec. Oriente e XVI sec. Occidente). L’unità si fa sempre più urgente. La
dimensione ecumenica sempre più pressante. Le proteste di Martin Lutero porteranno la Chiesa a indire il
Concilio di Trento (1563) che condurrà la Chiesa fino al Vaticano II (1962) passando per il Vaticano I (1868).
5. RIORGANIZZAZIONI CONTEMPORANEE
Ristabilire un legame stretto con la vita quotidiana della Chiesa costituì uno dei problemi principali della
teologia del XX sec. Una teologia che possa essere predicata. Si trattò di sostituire una teologia
euristica/deduttiva con una teologia ermeneutica. Ad una scienza delle conclusioni, occorreva sostituire
una risalita verso la sorgente - la Parola -, senza la quale tali conclusioni non avrebbero alcun senso e alla
quale spetta di misurarle. I legami della teologia contemporanea col movimento liturgico costituì un fatto
molto importante. La teologia è liturgica per essenza. La teologia approfondisce il mistero di Dio e lo fa in
una Chiesa che celebra i misteri in una Chiesa per la quale tale mistero si fa pensare in un’economia di
presenza e evento.
CARATTERISTICHE DELLA TEOLOGIA CONTEMPORANEA La teologia diventa un discorso storico, tenuto da
una Chiesa che non esaurisce integralmente nessuno dei suoi compiti. L’unità della teologia non si scopre
se non nella pluralità articolata. Le questioni maggiormente affrontate riguardarono l'esigenza di rinnovare
l'immagine della Chiesa come luogo della presenza del Cristo, in particolare nell'Eucaristia; uno studio della
Rivelazione più attinente alla teologia kerigmatica, e il rapporto tra Dio e le dimensioni terrene della storia.
Il Concilio fece registrare un acceso dibattito sui temi del rapporto con le realtà terrena e dei problemi della
secolarizzazione, oltre a determinare un sempre più marcato ecumenismo.
1.1 DESIDERIO DI DIO
L'uomo, con la sua apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la sua
libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all'infinito e alla felicità, si interroga
sull'esistenza.
Così, attraverso queste diverse «vie», l'uomo può giungere alla conoscenza dell'esistenza di una realtà
che è la causa prima e il fine ultimo di tutto e «che tutti chiamano Dio». (Tommaso d'Aquino, Summa
theologiae, I)
Le «vie» per avvicinarsi a Dio hanno come punto di partenza la contemplazione della creazione: il
mondo e l’uomo.
Partendo dal movimento e dal divenire, dalla contingenza, dall'ordine e dalla bellezza del mondo,
l’uomo può giungere a conoscere Dio come origine e fine dell'universo. Il mondo e l'uomo attestano,
così, che essi non hanno in se stessi né il loro primo principio né il loro fine ultimo, ma che partecipano
di quell'« essere » che è in sé senza origine né fine.

2.2 DAL DESIDERIO DI DIO AL PROCESSO DI TRASCENDENZA


Dio trascende ogni creatura. Per Bernard Lonergan “l’essenziale della vita umana è assolutamente la
trascendenza”, un cammino che si sviluppa progressivamente in tutta l’esistenza dell’uomo. Quando arrivo
alla scelta e ne faccio una non semplicemente perché è gradevole per me ma perché è buona in sé, faccio
un cammino di trascendenza, esco da me stesso. E quando arrivo a quel gesto fondamentale che è “l’atto
di amore”, il cammino di trascendenza ha raggiunto in qualche modo il culmine.
LA RIVELAZIONE HA DELLE CARATTERISTICHE:
Essa ha una “destinazione universale”. Si indirizza a tutto il genere umano.
La Rivelazione è “pubblica e sociale”.
La Rivelazione è “gerarchica”. Non viene comunicata immediatamente a ciascuno ma attraverso la
mediazione di testimoni privilegiati, scelti da Dio: i profeti e gli apostoli.
La Rivelazione è “progressiva”. L’uomo non possiede di colpo la sua perfezione.
La Rivelazione è un complesso di verità che sono conoscibili solo alla luce di una conoscenza
soprannaturale
Esse quindi non possono essere soggette rigidamente al controllo della ragione. L’atto della rivelazione è
concepito come una auto-comunicazione di Dio che esce dal silenzio del suo mistero per farsi conoscere e
comunicare se stesso in vista di una comunione di vita con l’umanità

LA RIVELAZIONE HA DELLE TAPPE STORICO-CRONOLOGICHE


1 Adamo ed Eva
2 L'Alleanza con Noè dopo il diluvio (Gen 9,9) esprime il principio dell’economia divina verso le nazioni
(Gen 10, 5)
3 Dio elegge Abramo Per riunire tutta l'umanità dispersa, Dio sceglie Abraham chiamandolo fuori dal suo
paese, dalla sua parentela, dalla casa di suo padre, (Gen 12, 1) per fare di Abraham, il padre di una
moltitudine. (Gen 17, 5).
4 Dio forma Israele come suo popolo Dopo i patriarchi, salvandolo dalla schiavitù dell'Egitto. Conclude
con lui l'Alleanza del Sinai e gli dà, per mezzo di Mosè, la sua legge, perché lo riconosca e lo serva come
l'unico Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e stia in attesa del Salvatore promesso [Cf
Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 3].
5 Dio ammonisce attraverso i profeti Dio sollecita il suo Popolo nella speranza della salvezza, nell'attesa
di un’alleanza nuova ed eterna destinata a tutti gli uomini (Is 2, 2-4) e che sarà iscritta nei cuori (Ger
31, 31-34; Eb 10, 16). I profeti annunziano una radicale redenzione del popolo di Dio, la purificazione
da tutte le sue infedeltà (Ez 36) una salvezza che includerà tutte le nazioni
6 cristo Gesù mediatore e pienezza di tutta la Rivelazione «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi
molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a
noi per mezzo del Figlio » (Eb 1,1-2)

RIVELAZIONE E SACRA SCRITTURA


La religione della Bibbia è fondata su una rivelazione storica; questo fatto la colloca a parte tra le religioni.
L'uomo non può trovare da solo le chiarezze necessarie. È indispensabile che si rivolga a Colui «al quale
appartengono le cose nascoste», perché gli scopra i suoi segreti impossibili da penetrare, perché gli faccia
«vedere la sua gloria». Ora, prima ancora che l'uomo si sia rivolto a lui, Dio prende l'iniziativa e gli parla per
primo.

COME DIO si RIVELA


Tecniche arcaiche - divinazione, presagi, sogni, consultazione della sorte, astrologia.Adattandosi alla
mentalità imperfetta del suo popolo, Dio effettivamente affida la sua rivelazione a questi canali tradizionali.
La rivelazione profetica - due modi: mediante visioni e mediante l'audizione della parola divina. Le visioni,
da sole, rimarrebbero enigmatiche.
La riflessione della sapienza - A differenza dei profeti, i sapienti non presentano la loro dottrina come il
risultato di una rivelazione diretta. La sapienza fa appello alla riflessione umana, all'intelligenza,
all'intelletto. Tuttavia essa è un dono di Dio, perché ogni sapere deriva da una sapienza trascendente.
L'apocalisse – Profezia e sapienza si intersecano nella letteratura apocalittica, che è, per definizione, una
rivelazione dei segreti divini

CIÒ CHE DIO RIVELA


L'oggetto della rivelazione divina è sempre di ordine religioso.
a) Dio rivela se stesso attraverso ciò che compie in terra. La rivelazione permette ora al popolo di Dio
di contemplare per analogia il creatore attraverso la grandezza e la bellezza delle creature
b) Nato in una stirpe peccatrice, l'uomo non sa neppure esattamente ciò che Dio vuole da lui. Dio
quindi gli rivela regole di condotta: la sua parola assume forma di insegnamento e di legge e l'uomo
possiede in tal modo «cose rivelate» che deve mettere in pratica
c) Dio rivela al suo popolo il senso degli avvenimenti che gli è dato di vivere. Questi avvenimenti
costituiscono il lato visibile del disegno di salvezza; ne preparano la realizzazione finale e già la
prefigurano
d) Dio rivela progressivamente il segreto degli «ultimi tempi». La sua parola è una promessa…
e) Dio si rivela in modo specifico soprattutto con la storia di Israele. I suoi atti fan vedere chi egli è:
LA VIRTU TEOLOGALE
Il termine ‘‘fede’’ rimanda al greco ‘’pistis’’, sostantivo radicato nel verbo peithomai: ‘essere persuaso, aver
fiducia, confidare’. L’idea rinvia al fascino, perché Peitho era la dea greca che presiedeva all’attrazione e
all’innamoramento. La pistis è il fascino generato nell’uomo, rispetto al quale si è trainati, trascinati. Per
vivere una relazione è necessario abbandonarsi, avere fiducia. Avere fiducia è un atto della persona che
conosciuto l’oggetto vi aderisce mediante la sua forza trainante sotto il comando della volontà.
Credere in Dio è un atto dell’intelletto che aderisce alla verità Divina sotto il comando della volontà mossa
da Dio stesso mediante la grazia.
LA FEDE NELL’A. T. = OBBEDIENZA A DIO E ALLA SUA PAROLA DATA
Nella Bibbia la fede è indicata con la parola ebraica ’emûnah, derivata dal verbo ’amàn, che nella sua radice
significa "sostenere". Il termine ’emûnah può significare sia la fedeltà di Dio, sia la fede dell’uomo. L’uomo
fedele riceve la sua forza dall’affidarsi nelle mani del Dio fedele
LA FEDE E L'INTELLIGENZA
Se è impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo, non è meno vero che credere
è un atto autenticamente umano. Credere in Dio e aderire alle verità da Lui rivelate non è contrario né alla
libertà né all'intelligenza dell'uomo. Nella fede, l'intelligenza e la volontà umane cooperano quindi con la
grazia divina.
La FEDE nel N. T. = adesione libera a una persona che conduce al Padre
FEDE E TEOLOGIA
La fede è una luce, ci invita a inoltrarci in essa, a esplorare sempre di più l’orizzonte che illumina. Da questo
desiderio nasce la teologia cristiana. È chiaro allora che la teologia è impossibile senza la fede
La prima conseguenza è che nella teologia non si dà solo uno sforzo della ragione per scrutare e conoscere,
come nelle scienze sperimentali. Dio non si può ridurre ad oggetto. La teologia non è soltanto parola su
Dio; prima di tutto accoglienza e ricerca di un’intelligenza più profonda di quella parola che Dio ci rivolge.
Volendo fare uno schema dei momenti della fede abbiamo: ASCOLTO DEL KERIGMA (venirne a
conoscenza), ACCOGLIENZA (capirlo e ritenerlo vero), SCELTA E ADESIONE (facendolo proprio).
La fede dunque è conoscenza. Mediante la fede io vengo a sapere delle cose e progressivamente a
conoscerle attraverso degli atti intellettivi grazie ai quali aderirò attraverso un atto di volontà libero.
FEDE E RAGIONE
L'uomo, per natura, ricerca la verità: “l'adeguamento dell'intelletto alla realtà”. (Tommaso d'Aquino.)
La sua ricerca tende verso una Verità ulteriore che sia in grado di spiegare il senso della vita; è perciò una
ricerca che non può trovare esito se non nell'assoluto. Davanti alla realtà, l’uomo s’interroga sulla realtà.
Mediante la ragione si chiede, anzitutto, cosa è o chi sia Dio. L’uomo ci prova attraverso la filosofia e le
religioni. Si pone, così, il problema della ragionevolezza della fiducia nell’esistenza di Dio. La ragione è
posta al servizio della fede. Fede intesa come fiducia in Dio (dimensione religiosa).
La filosofia ha, dunque, provato a dare risposte alle domande esistenziali dell’uomo senza riuscire a
compiere il salto necessario. Dio, allora, gli viene incontri con la Rivelazione
La fede e la ragione sono come le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione
della verità.
Il Concilio Vaticano I insegna che «esistono due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio,
ma anche per il loro oggetto: per il loro principio, perché nell'uno conosciamo con la ragione naturale,
nell'altro con la fede divina; per l'oggetto, perché oltre le verità che la ragione naturale può capire, ci è
proposto di vedere i misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono rivelati
dall'alto».
Insegna il Concilio che «a Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza della fede». Con questa breve ma densa
affermazione, viene indicata una fondamentale verità del cristianesimo. Si dice, anzitutto, che la fede è
risposta di obbedienza a Dio.
La tradizione cattolica sin dall’inizio ha rigettato il cosiddetto ‘’fideismo’’, che è la volontà di credere contro
la ragione. Credo quia absurdum (credo perché è assurdo) non è formula che interpreti la fede cattolica.
Dio, infatti, non è assurdo, semmai è mistero. Il mistero, a sua volta, non è irrazionale, ma sovrabbondanza
di senso, di significato, di verità. Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero
non ci sia luce, ma piuttosto perché ce n’è troppa.
Credi per comprendere, comprendi per credere»). Intelletto e fede dinanzi alla divina Rivelazione non sono
estranei o antagonisti, ma sono ambedue condizioni per comprenderne il senso, per recepirne il messaggio
autentico, accostandosi alla soglia del mistero.
L'unità della verità è un postulato fondamentale della ragione umana, espresso nel principio di
noncontraddizione. La Rivelazione dà la certezza di questa unità, mostrando che il Dio creatore è anche il
Dio della storia della salvezza.
Quest'unità della verità, naturale e rivelata, trova la sua identificazione viva e personale in Cristo, così
come ricorda l'Apostolo: «la verità che è in Gesù».
Fu compito dei padri far emergere il legame tra la ragione e la religione.
Si intraprese, così, una strada che si immetteva in uno sviluppo che corrispondeva alle esigenze della
ragione universale. Il fine verso cui tale sviluppo tendeva era la consapevolezza critica di ciò in cui si
credeva. La prima a trarre vantaggio da simile cammino fu la concezione della divinità
L’incontro del cristianesimo con la filosofia, dunque, non fu immediato né facile.
I padre d’oriente e d’occidente ebbero il compito di mostrare in quale modo la ragione, liberata dai vincoli
esterni, potesse uscire dal vicolo cieco dei miti, per aprirsi in modo più adeguato alla trascendenza.
Nella teologia scolastica il ruolo della ragione filosoficamente educata diventa ancora più cospicuo sotto la
spinta dell'interpretazione anselmiana dell'intellectus fidei.
L'armonia fondamentale della conoscenza filosofica e della conoscenza di fede è ancora una volta
confermata: la fede chiede che il suo oggetto venga compreso con l'aiuto della ragione; la ragione, al
culmine della sua ricerca, ammette come necessario ciò che la fede presenta.
IL RAPPORTO RAGIONE E FEDE SECONDO TOMMASO D’AQUINO
Tommaso riconosce che la natura, oggetto proprio della filosofia, può contribuire alla comprensione della
rivelazione divina.
La fede, infatti, è in qualche modo «esercizio del pensiero»; la ragione dell'uomo non si annulla né si
avvilisce dando l'assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e
consapevole.Se san Tommaso ci ha lasciato “la formulazione più chiara, precisa, rigorosa e feconda” del
rapporto ragione/fede è perché ha saputo radicare il concetto di fede nell’ambito della riflessione
gnoseologica (fede come conoscenza).
San Tommaso ritiene che la fede sia una particolare forma di comprensione dell’essere. L’uomo dispone di
due modi per accedere alla verità:
• o mediante l’evidenza attraverso la quale la realtà si impone alla mente ai sensi del soggetto;
• o attraverso la libera partecipazione all’evidenza altrui. È in questo secondo ambito che va colto lo status
della fede perché si tratta di una forma di conoscenza per comunicazione di notizia.
Per Tommaso la fede è un ancoraggio oggettivo ad una testimonianza affidabile – o rivelazione o autorità.
L’affidabilità è la conditio sine qua non per l’adesione alla testimonianza e, a sua volta, l’adesione ad una
testimonianza è la conditio sine qua non perché si possa parlare di fede.
Nel vocabolario tommasiano il termine "fede" può significare due realtà distinte: o "ciò che" la Rivelazione
cristiana svela all’uomo [= fides quae creditur] oppure "ciò mediante cui" l’uomo dà il suo assenso a ciò che
la Rivelazione svela [= fides qua creditur]. Fra i due significati esiste un rapporto di dipendenza dell’uno
dall’altro.
La fede e la rivelazione, in altre parole, devono affondare le proprie radici da un lato nella nostra
esperienza e dall’altro nell’auto esperienza di Dio. Bisogna mostrare che credere non è contro le esigenze
della ragione, non aliena l’uomo come essere pensante, ma, anzi è massivamente conforme ad una ragione
che viene da Dio come principio e ritorna a Dio come punto finale della ricerca della verità.
Tommaso affida così alla ragione due compiti apologetici e, su un piano differente, uno di subordinazione
alla fede. Il primo consiste nella dimostrazione dell’esistenza di Dio e nei cosiddetti preambula fidei o
articulos fidei; con il secondo, strettamente apologetico, si impegna nella verifica della credibilità della
rivelazione.
Tommaso rimarca che la fede non è un vago sentimento avvolto nell’emotività, ma un formale atto di
conoscenza animato dalle “ragioni” della volontà, la quale è attratta dalla pienezza del bene. Dall’altro
sottolinea che l’adesione alla rivelazione suppone logicamente la conoscenza razionale della sua credibilità
così da giustificarla di fronte alle esigenze critiche della ragione.
Nell'interpretare le fonti della Rivelazione, pertanto, è necessario che il teologo si domandi quale sia la
verità profonda e genuina che i testi vogliono comunicare, pur nei limiti del linguaggio .

LE FONTI E IL METODO
Qualsiasi ricerca che pretende di essere storica oltre che teologica non può prescindere dal previo
accertamento sulle fonti. Una prima divisione delle fonti è stabilita in base al criterio della loro relazione
diretta con la persona e l’opera di Gesù oppure con l’ambiente storico culturale nel quale egli vive e opera.
In quest’ultimo gruppo rientrano sia i documenti testuali letterari ed epigrafici sia i reperti archeologici.
È più che legittimo iniziare l’indagine sulle fonti del settore ebraico. Ebbene dalle fonti giudaiche palestinesi
si ricava ben poco per non dire nulla di storicamente valido per conoscere la persona l’insegnamento di
Gesù. Gli autori ebrei non si interessano di Gesù se non quando il movimento cristiano prende tale
consistenza nell’impero romano da non poter più ignorare il nome del fondatore.
Un caso a parte rappresenta lo storico giudeo Giuseppe Flavio, nato verso gli anni 30 in Palestina da una
famiglia sacerdotale. Nella sua opera Antichità giudaiche menziona il nome di Gesù.Il primo storico non
giudeo che menziona Gesù è Tacito negli Annales. Riferendo dell’incendio scoppiato a Roma nel luglio del
64.Un secondo autore romano, Svetonio, menziona con notizie frammentarie il nome di Cristo nella sua
opera Vite dei Cesari dove parla dei provvedimenti presi da Claudio mi confronti delle varie province
dell’impero.
LE FONTI CRISTIANE EXTRA EVANGELICHE
La più antica documentazione cristiana sono lettere autentiche di Paolo.Paolo considera Gesù Cristo sotto
una prospettiva che va oltre l’involucro storico.Quindi i criteri di valutazione non possono più essere quelli
storico umani o carnali, ma la relazione vitale di fede con Gesù il Cristo, Signore crocifisso e risorto. Paolo
conosce il Gesù storico tramite i formulari tradizionali della comunità primitiva ai quali si richiama più
volte.In questa ricostruzione storica del Vangelo secondo Paolo manca qualsiasi riferimento ai miracoli di
Gesù, alla sua attività in Galilea, al suo insegnamento sul regno di Dio con sentenze e parabole
ATTENDIBILITÀ STORICA DEI VANGELI CANONICI
Attualmente esiste un consenso dell’indagine circa l’origine degli scritti che conosciamo come Vangeli che
collocano la loro stesura nella seconda metà del primo secolo dal 70 circa.

Criteri di storicità applicati ai vangeli


Un principio criterio fondamentale su cui concordano gran parte degli studiosi di qualsiasi indirizzo è quello
che con diverse sfumature terminologiche viene detto “Criterio della discontinuità’’. Si considera
storicamente attendibile una situazione o una sentenza o un fatto attribuito dai Vangeli a Gesù quando
questo non si spiega come un prodotto della tradizione biblica che lo precede o dell’ambiente
contemporaneo e neppure come retro proiezione di quello che caratterizza la vita e le concezioni religiose
della comunità cristiana primitiva. Questo criterio non è l’unico, Perciò possono essere ritenute
storicamente attendibili quelle situazioni o parole o fatti evangelici che corrispondono sotto il profilo
storico culturale all’ambiente palestinese e giudaico degli anni 30. Questo criterio lo chiamiamo
continuità.

UN PRIMO SGUARDO SUL MISTERO DI GESÙ


Nel libro del Deuteronomio incontriamo una promessa completamente diversa della speranza messianica
degli altri libri dell’antico testamento.
Ciò che distingue Mosè dal resto dei profeti era il fatto che egli aveva comunicato con il Signore faccia a
faccia. L’insegnamento di Gesù proviene, invece, dall’immediato contatto con Dio.La nascita di Gesù è
collocata verso la fine del regno di Erode il grande che in base alla documentazione extra evangelica
sarebbe morto nella primavera delle 750 di Roma, corrispondente al 4 a.C. L’inizio dell’attività pubblica di
Gesù, in connessione con quella di Giovanni il Battista, è riferito al quindicesimo anno dell’imperio di
Tiberio, cioè verso gli anni 28/29 del computo romano.Negli anni 30 dell’era cristiana la bassa Galilea di
questa parte Nazareth e Cafarnao appartiene al territorio di Erode Antipa, figlio di Erode il Grande. Il suo
matrimonio irregolare con la moglie del fratellastro provoca la reazione dell’austero predicatore del
giordano. La Giudea, di cui Gerusalemme era la capitale, alla morte di Erode il grande fu assegnata ad
Archelao fratello di Erode Antipa. Lì, era procuratore Ponzio Pilato. Al tempo di Gesù, tre sono i gruppi
religiosi che contraddistinguono la fede in Israele: i farisei, i sadducei, gli esseni.

I PRINCIPALI TITOLI DI GESÙ


Cristo, Messia : Messia, ricalcato sull'ebraico e sull'aramaico, e Cristo, trascritto dal greco, significano
entrambi «unto». Questo appellativo, all'epoca apostolica, è divenuto il nome proprio di Gesù ed ha
assunto il contenuto degli altri titoli da lui rivendicati. Gesù non si dà mai il titolo di messia. Si lascia
chiamare figlio di David, ma proibisce agli indemoniati di dichiarare che Egli è il messia. Nei Vangeli, Gesù
non si autodesigna mai come il messia. Sono gli altri, i discepoli e la folla, che lo chiamano così o con
formule equivalenti come figlio di Davide o re d’Israele.
Figlio di Davide è l’appellativo con il quale Gesù è invocato da alcuni ammalati. I due capitoli del Vangelo
delle origini di Matteo e Luca pongono l’accento sull’origine politica di Gesù grazie alla paternità legale di
Giuseppe della stirpe di Davide. Il titolo re di Israele registrata da Matteo era riservato al racconto della
passione e posto in bocca agli avversari di Gesù che lo insultano ai piedi della croce. Il titolo re dei Giudei
evoca l’ideologia del messianismo regale. Il messianismo riguarda essenzialmente la restaurazione
religiosa, sociale e politica di Israele dove il modello ideale è costituito dal regno davidico con la figura di un
mediatore storico dell’azione di Dio che riproduca i tratti del sovrano idealizzato. L’appellativo messianico è
dato a Gesù essenzialmente dalla folla mentre è contestato dai capi d’indirizzo farisaico o sadduceo.
Figlio di Dio Il titolo figlio di Dio attribuito a Gesù è attestato in una quindicina di testi dell’epistolario
Paolino. Si può dunque ritenere che a distanza di soli una decina di anni della morte Gesù è proclamato
figlio di Dio nelle comunità giudeo cristiane. Gesù non si proclama mai figlio di Dio. Più feconda e la tesi in
cui Gesù si definisce figlio.
Maestro Un primo dato che attira l’attenzione e l’uso dell’appellativo maestro nella forma aramaica rabbi,
ampliata in rabbouni. Per la tradizione evangelica l’attività pubblica di Gesù è caratterizzata dal suo
insegnamento per cui pare giustificato nei suoi confronti l’appellativo di maestro. Gesù pur adottando lo
stile dei saggi biblici si pone al di fuori e al di sopra dell’istituzione magisteriale giudaica. Gesù non solo non
fa appello all’autorità dei maestri dell’attrazione ma neppure ne adotta il metodo esegetico per
interpretare la scrittura. Gesù non si lascia scrivere nel modello del maestro scolastico perché convoca
attorno a sé degli uomini adulti non per un corso scolastico ma per coinvolgerli in un progetto dove la sua
persona ha un ruolo insostituibile.
Profeta Il titolo del profeta non è attribuito a Gesù e a nessuna delle professioni di fede cristologica
documentate dall’epistolario Paolino. La fede cristologica e la situazione delle prime comunità cristiane
non favoriscono l’utilizzazione del modello profetico per interpretare la figura di Gesù. In tale contesto il
titolo di profeta appariva troppo dimesso è limitato per esprimere la fede in Gesù Signore e Salvatore.
Punto secondo, l’interpretazione di Gesù come profeta sulla base della documentazione evangelica più
sicura si riscontra solo nell’ambiente popolare.
Figlio dell’uomo In termini quantitativi essa ricorre 82 volte. La formula è posta esclusivamente in bocca a
Gesù. I discepoli esprimono dopo la Pasqua quando applicano a Gesù il titolo figlio dell’uomo rileggono le
sei parole come annunci profetici dell’avvenuta nella gloria.

IL PROGETTO DI GESÙ
Il tema del Regno di Dio pervade tutta la predicazione di Gesù. Il contenuto centrale del Vangelo può
essere sintetizzato ne: “il regno di Dio è vicino”.
Il messaggio di Gesù è molto semplice e del tutto Teocentrico. L’aspetto nuovo del suo messaggio consiste
nel fatto che egli ci dice: Dio agisce adesso. È questa l’ora in cui Dio ,in un modo che va oltre ogni
precedente modalità, si rivela nella storia come il suo stesso signore, come il Dio vivente. Con la categoria
evangelica Regno di Dio dobbiamo intendere la signoria di Dio sulla storia.
La prima interpretazione del Regno di Dio è cristologica.Una seconda linea interpretativa del significato del
Regno di Dio è quella che possiamo definire idealistica o mistica: essa vede il Regno di Dio collocato
essenzialmente nell’interiorità dell’uomo.L’ultima interpretazione partorita dalla teologia protestante
sottolinea il senso morale del regno di Dio: l’agire morale del singolo, le sue opere di amore, deciderebbero
del suo ingresso o della sua esclusione dal Regno.
Altro aspetto identificativo di questo Regno è il fatto che esso è per i poveri. Il regno di Dio è anche per i
piccoli e precisamente per i deboli e gli indifesi. A questa categoria sono assimilati i discepoli.
Fanno parte della categoria dei poveri anche i peccatori ed in particolare quelli pubblici e i pagani.Il Regno
di Dio per Gesù non è solo una realtà già compiuta o vicina o da attendere ma una realtà dinamica che si
rivela nella storia della salvezza degli uomini come promesso. Il suo compimento verrà realizzato di fronte
alla morte violenta sulla croce.

L’ATTUAZIONE DEL PROGETTO


È nota la trama comune ai tre vangeli sinottici dove si prevedono quattro fasi successive dell’attività di
Gesù:
• Giovanni battista e il battesimo;
• l’inizio dell’attività in Galilea;
• il viaggio verso Gerusalemme e l’attività in Giudea;
• conclusione negli avvenimenti della passione, morte e risurrezione.
Più che un’attestazione di interesse storiografico questo canovaccio evangelico riflette in realtà un’esigenza
cherigmatico catechistica.
Per un primo sguardo panoramico sulla tradizione storico-evangelica delle parole di Gesù si può rinviare ai
canoni letterari della tradizione biblica: parole di stile profetico e detti-discorsi sapienziali. Al primo gruppo
rientrano le sentenze in cui si annuncia la salvezza o la rovina: beatitudini, guai, detti sulla missione di Gesù
e sulla sequela dei discepoli. Al genere sapienziale appartengono le sentenze che vanno sotto il nome
biblico di meshalîm: proverbi, enigmi, similitudini, parabole, metafore, detti paradossali.
La ricerca sulle parole di Gesù può seguire due criteri che si incrociano: quello dei destinatari e della
funzione e quello della forma-contenuto. Sulla base di tali criteri si possono distinguere le parole di Gesù
rivolte ai discepoli o alla folla in un contesto di istruzione o spiegazione, e quelle indirizzate agli avversari in
contesto dialogico o polemico. Nel primo gruppo si possono raccogliere le parole-istruzioni in cui appare la
nuova immagine di Dio proposta da Gesù e le relative esigenze etico-spirituali che ne derivano. Nel
secondo gruppo possono essere annoverate le parabole per mezzo delle quali Gesù spiega la sua
prospettiva religiosa e cerca di comunicarla agli ascoltatori per condurli a un nuovo giudizio e a una nuova
scelta esistenziale.

Prese di posizione di Gesù


I Vangeli riportano diverse situazioni conflittuali in cui Gesù si contrappone ai rappresentanti autorevoli del
giudaismo, il più delle volte associabili ai farisei, dove in alcuni casi si aggiungono i sadducei e persino gli
erodiani. I cosiddetti “controversia” sono un modello letterario che confermano il nucleo storico del
Vangelo secondo il criterio della discontinuità. L’ambito oggetto dei dibattiti sono l’osservanza delle
consuetudini religiose, dell’interpretazione della Scrittura e della tradizione. Il Tempio ha esaurito il suo
compito.

Gesù e i discepoli
Un dato innegabile della tradizione evangelica comune ai tre sinottici e anche soggiacente al quarto
vangelo è la presentazione di Gesù come maestro o rabbi. Questa funzione è oltremodo individuata dall
esistenza di discepoli o apostoli. Essi non appartengono alla dinamica ne ebraica o greca dove era l’alunno
a scegliere il maestro. È Gesù che convoca e invita a seguirlo.

I miracoli di Gesù. Complessivamente i tre vangeli sinottici riportano una ventina di miracoli compiuti da
Gesù a beneficio di singoli o di gruppi a cui si devono aggiungere otto episodi miracolosi riferiti dal quarto
vangelo.
In conclusione i sinottici conservano alcune parole di Gesù che presuppongono la sua attività taumaturgica
nella forma di esorcismi e di guarigioni. Marco vede nei miracoli una manifestazione della potenza salvifica.
Matteo colloca I miracoli all’interno di due poli spirituali: Gesù, il figlio di Dio vivente, e la chiesa. Luca
presente i miracoli come segni della salvezza già anticipata nei gesti dei grandi profeti taumaturghi ma che
si attua nell’azione e nella parola di Gesù. Giovanni sceglie i miracoli come segni per fondare la fede dei
destinatari. In sintesi i miracoli sono segni dell’eruzione del regno di Dio nella storia e sulla terra.

MISTERI DI GESU
Il Simbolo della fede, a proposito della vita di Cristo, non parla che dei Misteri dell'Incarnazione e della
Pasqua: “Tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui fu assunto in cielo (At 1,1-
2) deve essere visto alla luce dei Misteri del Natale e della Pasqua.

L'Incarnazione
Riprendendo l'espressione di san Giovanni “Il Verbo si fece carne” (Gv 1,14), la Chiesa chiama
“Incarnazione” il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto una natura umana per realizzare in essa la nostra
salvezza. La Chiesa canta il Mistero dell'Incarnazione in un inno riportato da san Paolo.
Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio.
Le prime eresie più che la divinità di Cristo hanno negato la sua vera umanità. Ma nel terzo secolo, la
Chiesa ha dovuto affermare contro Paolo di Samosata, in un Concilio riunito ad Antiochia, che Gesù Cristo è
Figlio di Dio per natura e non per adozione. Il primo Concilio Ecumenico di Nicea nel 325 professò nel suo
Credo che il Figlio di Dio è “generato, non creato, della stessa sostanza ["homousios"] del Padre”, e
condannò Ario, il quale sosteneva che “il Figlio di Dio veniva dal nulla” [Concilio di Nicea I: Denz. -Schönm.,
130] e che sarebbe “di un'altra sostanza o di un'altra essenza rispetto al Padre”.L'eresia nestoriana vedeva
in Cristo una persona umana congiunta alla Persona divina del Figlio di Dio.
Dall’unione ipostatica scaturisce una serie di corollari. Gli uni spettano alla persona e alla natura divina, gli
altri alla natura umana ma sono intimamente connessi da non potersi dividere in due classi.
La comunicazione degli idiomi: con questa espressione s’intende la comunanza e lo scambio reciproco
degli attributi divini e umani nell’uomo Dio. La pericòresi: le due nature esistono l’una nell’altra e non l’una
accanto all’altra come volevano i nestoriani. Tale mutua compenetrazione è tenuta insieme esclusivamente
dalla natura divina. La divinità che in se stessa è impenetrabile, compenetra e abita l’umanità, che i tal
modo, senza subire alcun mutamento, viene divinizzata. I privilegi della natura umana di Cristo: La natura
romana di Cristo assunta all’unità personale con il logos fu interiormente nobilitata e glorificata; fu cioè
elevata alla più alta dignità a cui può giungere una creatura, arricchita di prerogative e perfezioni naturali e
specialmente soprannaturali. Le prerogative riguardano in modo particolare la sua conoscenza (visione
beatifica, scienza infusa, scienza acquisita), la sua volontà (esente da ogni peccato, impeccabile, santa e
piena di grazia), la sua potenza capace di produrre effetti soprannaturali. La natura umana di Cristo era
tuttavia soggetta ai dolori del corpo. L’anima di Cristo fu soggetta alle passioni dell’anima.

La volontà umana di Cristo Parallelamente, la Chiesa nel sesto Concilio Ecumenico ha dichiarato che Cristo
ha due volontà e due operazioni naturali, divine e umane, non opposte, ma cooperanti, in modo che il
Verbo fatto carne Ha umanamente voluto, in obbedienza al Padre, tutto ciò che ha divinamente deciso con
il Padre e con lo Spirito Santo per la nostra salvezza.
Il vero Corpo di Cristo Poiché il Verbo si è fatto carne assumendo una vera umanità, il Corpo di Cristo era
delimitato. Perciò l'aspetto umano di Cristo può essere “rappresentato”.
PASSIONE E GLORIA DI CRISTO La fede può dunque cercare di indagare le circostanze della morte di Gesù,
fedelmente riferite dai Vangeli e illuminate da altre fonti storiche, al fine di una migliore comprensione del
senso del mistero di Cristo e della sua Redenzione.

La Risurrezione di Cristo La risurrezione consiste nel risorgere dalla morte per mai più morire. La
resurrezione di Cristo non consiste nel miracolo di un cadavere rianimato. Essa è stata l’evasione verso un
genere di vita totalmente nuovo, verso la vita non più soggetta alla legge del morire e del divenire, una vita
che ha inaugurato una nuova dimensione dell’essere. Nella risurrezione di Cristo è stata raggiunta una
nuova possibilità di essere uomo, l’inaugurazione di un nuovo dimensione dell’esistenza umana. Gesù non
è tornato in una normale vita umana come Lazzaro ma è uscito verso una vita diversa, nuova, verso la
vastità di Dio.
Era necessaria la risurrezione di Cristo per:
• l’esaltazione della giustizia divina,
• per l’istruzione della nostra fede,
• per il sostegno della nostra speranza,
• per l’informazione della nostra condotta,
• per il compimento della nostra salvezza.
La risurrezione è anche la chiave ermeneutica di tutta quanta la Scrittura. Essa accreditò definitivamente
Gesù come inviato di Dio presso i suoi discepoli.
I DUE TIPI DIVERSI DI TESTIMONIANZA SULLA RISURREZIONE
La tradizione in forma di testimonianza “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture”. Riferito alla
sua morte sulla croce, essa ribadisce che tale morte non fu un caso. È un evento in cui si adempiono parole
della Scrittura. La morte di Gesù non proviene dalla presunzione dell’uomo ma dall’umiltà di Dio.
La tradizione in forma di narrazione Mentre la prima tradizione sintetizza la fede nella risurrezione in
modo normativo mediante formule determinate e impone fedeltà fino alla lettera per l’intera comunità dei
credenti, le narrazioni sono legate a differenti portatori di tali tradizioni e, localmente, sono distribuite tra
Gerusalemme e Galilea. Si noterà subito la diversità dei racconti della resurrezione nei quattro Vangeli.
La tradizione in forma di narrazione parla d’incontri con il risorto e di ciò che egli in tali circostanze ha
detto. La tradizione in forma di professione conserva solo i fatti più importanti che appartengono alla
conferma della fede. Una prima differenza tra le due tradizioni consiste nel fatto che nella tradizione in
forma di professione vengono nominati come testimoni soltanto uomini mentre nella traduzione in forma
di narrazione le donne hanno un ruolo decisivo anzi preminente a confronto degli uomini.
Le apparizioni di Gesù nei vangeli
Apparire, parlare, stare a tavola sono le tre auto-manifestazioni del risorto strettamente connesse tra loro
con cui egli si rivela come il vivente. L’essenza della risurrezione sta proprio nel fatto che essa infrange la
storia e inaugura una nuova dimensione che noi comunemente chiamiamo la dimensione escatologica
LA REDENZIONE IN GENERALE Occorre distinguere tra redenzione in senso oggettivo in senso soggettivo.
La prima è l’opera stessa del redentore, la seconda è chiamata anche giustificazione. Essa è l’attuazione
della redenzione nei singoli uomini ossia la distribuzione dei frutti della redenzione degli stessi. Dal lato
negativo, la redenzione è la liberazione dal dominio del peccato e dei mali che lo accompagnano come la
morte. Dal lato positivo è la restaurazione dello stato di unione sovrannaturale con Dio distrutto col
peccato.
L’ATTUAZIONE DELLA REDENZIONE “Io sono la Via, la verità e la vita”. La morte in croce e perciò
prevalentemente, ma non esclusivamente, la causa efficiente della nostra redenzione. Il progetto di Gesù e
la sua immagine storica restano indelebilmente segnati dalla sua conclusione tragica sulla croce. Possiamo
ritenere che Gesù, sulla base delle accuse che circolano ha potuto seriamente mettere in conto la
possibilità di una condanna a morte per l’intervento dell’autorità religiosa giudaica.
SODDISFAZIONE VICARIA La soddisfazione in senso più ristretto è la riparazione dell’offesa. La riparazione
si fa con un’opera che compensi il torto arrecato. Se l’opera, per il suo intrinseco valore, compensa
pienamente la gravità della colpa secondo le esigenze della giustizia, la soddisfazione è adeguata e piena.
Se invece non corrisponde alla gravità della colpa e viene accolta come bastevole solo per benigna
accondiscendenza, la soddisfazione è inadeguata o congrua. Se la soddisfazione è resa non dall’offensore
stesso ma da un altro in sua vece è vicaria. Il Vangelo di Matteo afferma che Mediante la sua passione e
morte, Cristo rese a Dio soddisfazione vicaria dei peccati degli uomini e non soltanto per i credenti. Ciò
rende manifesta l’universalità della redenzione.
IL MERITO DI CRISTO Il merito è la ricompensa con il premio dell’opera compiuta a favore di un altro. Se la
ricompensa è dovuta per giustizia oppure soltanto per equità si ha il merito de condigno oppure il merito
de congruo. L’opera redentrice di Cristo è nello stesso tempo soddisfattoria e meritoria in quanto da un
lato distrusse il rapporto di debito degli uomini verso Dio e dall’altro fondò un diritto alla ricompensa da
parte di Dio. Cristo ha meritato presso Dio la redenzione con la sua passione e con la sua morte. L’oggetto
del merito è quindi lo stato di glorificazione: Resurrezione, trasfigurazione del corpo e assunzione al
cielo.La missione terrena di Cristo si conclude con L’ASCENSIONE AL CIELO: la definitiva elevazione della
natura umana di Cristo allo stato di gloria divina.

5. CREDO LA CHIESA “Cristo è la luce delle genti, e questo sacro Concilio, adunato nello Spirito Santo,
ardentemente desidera che la luce di Cristo, riflessa sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini,
annunziando il Vangelo a ogni creatura”. Con queste parole si apre la “Costituzione dogmatica sulla Chiesa”
del Concilio Vaticano II. Con ciò il Concilio indica che l'articolo di fede sulla Chiesa dipende interamente
dagli articoli concernenti Gesù Cristo. La Chiesa non ha altra luce che quella di Cristo. Secondo
un'immagine cara ai Padri della Chiesa, essa è simile alla luna, la cui luce è tutta riflesso del sole.
LA CHIESA NEL DISEGNO DI DIO
I nomi e le immagini della Chiesa. La parola “Chiesa” [“ekklèsia”, dal greco “ek-kalein”-“chiamare fuori”]
significa “convocazione”. Designa assemblee del popolo, [At 19,39] generalmente di carattere religioso. È il
termine frequentemente usato nell'Antico Testamento greco per indicare l'assemblea del popolo eletto
riunita davanti a Dio.Nel linguaggio cristiano, il termine “Chiesa” designa l'assemblea liturgica ma anche la
comunità locale o tutta la comunità universale dei credenti.
I simboli della Chiesa
753 Nella Sacra Scrittura troviamo moltissime immagini e figure tra loro connesse mediante le quali la
Rivelazione parla del mistero insondabile della Chiesa. Le immagini dell'Antico Testamento sono variazioni
di un'idea di fondo, quella del “Popolo di Dio”. Nel Nuovo Testamento [Ef 1,22; Col 1,18] tutte queste
immagini trovano un nuovo centro, per il fatto che Cristo diventa il “Capo” di questo Popolo.
754 “Così la Chiesa è l' ovile.
755 La Chiesa è il podere o campo di Dio
756 Più spesso ancora la Chiesa è detta l' edificio di Dio
757 La Chiesa che è chiamata "Gerusalemme che è in alto" e "madre nostra"

Origine, fondazione e missione della Chiesa


758 Per scrutare il mistero della Chiesa, è bene considerare innanzitutto la sua origine nel disegno della
Santissima Trinità e la sua progressiva realizzazione nella storia.La Chiesa, infatti, “prefigurata sino dal
principio del mondo, mirabilmente preparata nella storia del popolo d'Israele e nell'Antica Alleanza, e
istituita "negli ultimi tempi", è stata manifestata dall'effusione dello Spirito e avrà glorioso compimento alla
fine dei secoli.
La Chiesa - prefigurata fin dall'origine del mondo 760 “Il mondo fu creato in vista della Chiesa”, dicevano i
cristiani dei primi tempi. Come la volontà di Dio è un atto, e questo atto si chiama mondo, così la sua
intenzione è la salvezza dell'uomo, ed essa si chiama Chiesa [Clemente d'Alessandria.
La Chiesa - preparata nell'Antica Alleanza 761 La convocazione del Popolo di Dio ha inizio nel momento in
cui il peccato distrugge la comunione degli uomini con Dio e quella degli uomini tra di loro. La
convocazione della Chiesa è, per così dire, la reazione di Dio di fronte al caos provocato dal peccato.
La Chiesa - istituita da Gesù CristoPer compiere la volontà del Padre, Cristo inaugurò il Regno dei cieli sulla
terra. La Chiesa è “il Regno di Cristo già presente in mistero”.
Il germe e l'inizio del Regno sono il “piccolo gregge” (⇒ Lc 12,32) di coloro che Gesù è venuto a convocare
attorno a sé e di cui egli stesso è il pastore.
Il Signore Gesù ha dotato la sua comunità di una struttura che rimarrà fino al pieno compimento del Regno.
Innanzitutto vi è la scelta dei Dodici con Pietro come loro capo [Cf ⇒ Mc 3,14-15 ]. Rappresentando le
dodici tribù d'Israele, [Cf ⇒ Mt 19,28; ⇒ Lc 22,30 ] essi sono i basamenti della nuova Gerusalemme. Infatti
dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” [Conc.
Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 5]. Come Eva è stata formata dal costato di Adamo addormentato,
così la Chiesa è nata dal cuore trafitto di Cristo morto sulla croce.
768 Perché la Chiesa possa realizzare la sua missione, lo Spirito Santo “la provvede di diversi doni gerarchici
e carismatici, con i quali la dirige. “La Chiesa perciò, fornita dei doni del suo fondatore e osservando
fedelmente i suoi precetti di carità, di umiltà e di abnegazione, riceve la missione di annunziare e instaurare
in tutte le genti il Regno di Cristo e di Dio, e di questo Regno costituisce in terra il germe e l'inizio”
La Chiesa - pienamente compiuta nella gloria 769 “La Chiesa. . . non avrà il suo compimento se non nella
gloria del cielo”, [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48] al momento del ritorno glorioso di Cristo. Fino a
quel giorno, “la Chiesa prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di
Dio”.

Il mistero della Chiesa


770 La Chiesa è nella storia, ma nello stesso tempo la trascende. È unicamente “con gli occhi della fede”
che si può scorgere nella sua realtà visibile una realtà contemporaneamente spirituale, portatrice di vita
divina.
La Chiesa - insieme visibile e spirituale
La Chiesa è ad un tempo: - “la società costituita di organi gerarchici e il Corpo mistico di Cristo; -
l'assemblea visibile e la comunità spirituale; - la Chiesa della terra e la Chiesa ormai in possesso dei beni
celesti”. Queste dimensioni “formano una sola complessa realtà risultante di un elemento umano e di un
elemento divino”. La Chiesa ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma
dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e, tuttavia,
pellegrina;
La Chiesa - mistero dell'unione degli uomini con Dio È nella Chiesa che Cristo compie e rivela il suo proprio
Mistero come il fine del disegno di Dio: “ricapitolare in Cristo tutte le cose” (Ef 1,10). San Paolo chiama
“mistero grande” (Ef 5,32) l'unione sponsale di Cristo con la Chiesa. Nella Chiesa la comunione degli uomini
con Dio mediante la carità che “non avrà mai fine” (1Cor 13,8) è lo scopo cui tende tutto ciò che in essa è
mezzo sacramentale, legato a questo mondo destinato a passare.
La Chiesa - sacramento universale di salvezza La parola greca “ mysterion ” è stata tradotta in latino con
due termini: “ mysterium ” e “ sacramentum ”. Nell'interpretazione ulteriore, il termine “sacramentum”
esprime più precisamente il segno visibile della realtà nascosta della salvezza, indicata dal termine
“mysterium”. In questo senso, Cristo stesso è il Mistero della salvezza.L'opera salvifica della sua umanità
santa e santificante è il sacramento della salvezza che si manifesta e agisce nei sacramenti della Chiesa (che
le Chiese d'Oriente chiamano anche “i santi Misteri”). I sette sacramenti sono i segni e gli strumenti
mediante i quali lo Spirito Santo diffonde la grazia di Cristo, che è il Capo, nella Chiesa, che è il suo Corpo.
La Chiesa, dunque, contiene e comunica la grazia invisibile che essa significa. È in questo senso analogico
che viene chiamata “sacramento”. La Chiesa è anche il sacramento dell' unità del genere umano. In essa,
tale unità è già iniziata poiché essa raduna uomini “di ogni nazione, razza, popolo e lingua” (Ap 7,9); nello
stesso tempo, la Chiesa è “segno e strumento” della piena realizzazione di questa unità che deve ancora
compiersi.Essa “è il progetto visibile dell'amore di Dio per l'umanità”, progetto che vuole “la costituzione di
tutto il genere umano nell'unico Popolo di Dio, la sua riunione nell'unico Corpo di Cristo, la sua edificazione
nell'unico tempio dello Spirito Santo”.

LA CHIESA - POPOLO DI DIO, CORPO DI CRISTO, TEMPIO DELLO SPIRITO SANTO


1.La Chiesa - Popolo di Dio
Il Popolo di Dio presenta caratteristiche che lo distinguono nettamente da tutti i raggruppamenti religiosi,
etnici, politici o culturali della storia:
- È il Popolo di Dio: Dio non appartiene in proprio ad alcun popolo.
-Si diviene membri di questo Popolo non per la nascita fisica, ma per la “nascita dall'alto”, “dall'acqua e
dallo Spirito” (Gv 3,3-5), cioè mediante la fede in Cristo e il Battesimo.
- Questo Popolo ha per Capo [Testa] Gesù Cristo.
- “Questo Popolo ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo
Spirito Santo come nel suo tempio”.
- “Ha per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati.
- Ha per missione di essere il sale della terra e la luce del mondo.
- “E, da ultimo, ha per fine il Regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio.
Un popolo sacerdotale, profetico e regale :
Gesù Cristo è colui che il Padre ha unto con lo Spirito Santo e ha costituito “Sacerdote, Profeta e Re”.
L'intero Popolo di Dio partecipa a queste tre funzioni di Cristo e porta le responsabilità di missione e di
servizio che ne derivano.Entrando nel Popolo di Dio mediante la fede e il Battesimo, si è resi partecipi della
vocazione unica di questo Popolo, la vocazione sacerdotale.
“Il Popolo santo di Dio partecipa pure alla funzione profetica di Cristo
Il Popolo di Dio partecipa infine alla funzione regale di Cristo. Cristo esercita la sua regalità attirando a sé
tutti gli uomini mediante la sua Morte e la sua Risurrezione.

2.La Chiesa - Corpo di Cristo


La Chiesa è comunione con Gesù. Gesù parla di una comunione ancora più intima tra sé e coloro che lo
seguiranno: “Rimanete in me e io in voi … Io sono la vite, voi i tralci” (Gv 15,4-5). Annunzia inoltre una
comunione misteriosa e reale tra il suo proprio Corpo e il nostro: “Chi mangia la mia carne e beve il mio
sangue dimora in me e io in lui”.Quando la sua presenza visibile è stata tolta ai discepoli, Gesù non li ha
lasciati orfani, ha mandato loro il suo Spirito.
Il paragone della Chiesa con il corpo illumina l'intimo legame tra la Chiesa e Cristo. Essa non è soltanto
radunata attorno a lui; è unificata in lui, nel suo Corpo. Tre aspetti della Chiesa-Corpo di Cristo vanno
sottolineati in modo particolare: l'unità di tutte le membra tra di loro in forza della loro unione a Cristo;
Cristo Capo del Corpo; la Chiesa, Sposa di Cristo.
“Un solo corpo” I credenti che rispondono alla Parola di Dio e diventano membra del Corpo di Cristo,
vengono strettamente uniti a Cristo. Ciò è particolarmente vero del Battesimo, in virtù del quale siamo
uniti alla Morte e alla Risurrezione di Cristo, e dell'Eucaristia, mediante la quale “partecipando realmente al
Corpo del Signore” “siamo elevati alla comunione con lui e tra di noi”. L'unità del corpo non elimina la
diversità delle membra: “Nell'edificazione del Corpo di Cristo vige la diversità delle membra e delle
funzioni.
“Capo di questo Corpo è Cristo” Cristo “è il Capo del Corpo, cioè della Chiesa” (Col 1,18). È il Principio della
creazione e della redenzione. Elevato alla gloria del Padre, ha “il primato su tutte le cose” (Col 1,18),
principalmente sulla Chiesa, per mezzo della quale estende il suo regno su tutte le cose.
Cristo e la Chiesa formano, dunque, il “Cristo totale” [“Christus totus”]. La Chiesa è una con Cristo. I santi
hanno una coscienza vivissima di tale unità.
‘’La Chiesa è la Sposa di Cristo’’ L'unità di Cristo e della Chiesa, Capo e membra del Corpo, implica anche la
distinzione dei due in una relazione personale. Questo aspetto spesso viene espresso con l'immagine dello
Sposo e della Sposa. Il tema di Cristo Sposo della Chiesa è stato preparato dai profeti e annunziato da
Giovanni Battista.

3.La Chiesa - Tempio dello Spirito Santo


Lo Spirito Santo è “il principio di ogni azione vitale e veramente salvifica in ciascuna delle diverse membra
del Corpo”. Egli opera in molti modi l'edificazione dell'intero Corpo nella carità: [Ef 4,16 ] mediante la
Parola di Dio, mediante il Battesimo, mediante i sacramenti, mediante “la grazia degli Apostoli”, le virtù che
fanno agire secondo il bene, e infine mediante le molteplici grazie speciali [chiamate “carismi”], con le quali
rende i fedeli “adatti e pronti ad assumersi varie opere o uffici, utili al rinnovamento della Chiesa e allo
sviluppo della sua costruzione”.

I carismi Straordinari o semplici e umili, i carismi sono grazie dello Spirito Santo che, direttamente o
indirettamente, hanno un'utilità ecclesiale, ordinati come sono all'edificazione della Chiesa, al bene degli
uomini e alle necessità del mondo. I carismi devono essere accolti con riconoscenza non soltanto da chi li
riceve, ma anche da tutti i membri della Chiesa. È in questo senso che si dimostra sempre necessario il
discernimento dei carismi. Nessun carisma dispensa dal riferirsi e sottomettersi ai Pastori della Chiesa, “ai
quali spetta specialmente, non di estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono”
LA CHIESA È UNA, SANTA, CATTOLICA E APOSTOLICA
“Questa è l'unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica”. Questi
quattro attributi, legati inseparabilmente tra di loro, indicano tratti essenziali della Chiesa e della sua
missione. La Chiesa non se li conferisce da se stessa; è Cristo che, per mezzo dello Spirito Santo, concede
alla sua Chiesa di essere una, santa, cattolica e apostolica, ed è ancora lui che la chiama a realizzare
ciascuna di queste caratteristiche.

1.La Chiesa è una “Il sacro Mistero dell'unità della Chiesa”

-La Chiesa è una per la sua origine


-La Chiesa è una per il suo Fondatore.
-La Chiesa è una per la sua anima.
Fin dal principio, questa Chiesa “una” si presenta tuttavia con una grande diversità, che proviene sia dalla
varietà dei doni di Dio sia dalla molteplicità delle persone che li ricevono. Nell'unità del Popolo di Dio si
radunano le diversità dei popoli e delle culture. Tra i membri della Chiesa esiste una diversità di doni, di
funzioni, di condizioni e modi di vita. La grande ricchezza di tale diversità non si oppone all'unità della
Chiesa. Tuttavia, il peccato e il peso delle sue conseguenze minacciano continuamente il dono dell'unità
Quali sono i vincoli dell'unità? “Al di sopra di tutto... la carità, che è il vincolo di perfezione” (Col 3,14). Ma
l'unità della Chiesa nel tempo è assicurata anche da legami visibili di comunione: - la professione di una
sola fede ricevuta dagli Apostoli; - la celebrazione comune del culto divino, soprattutto dei sacramenti; - la
successione apostolica mediante il sacramento dell'Ordine, che custodisce la concordia fraterna della
famiglia di Dio.
Le ferite dell'unità : Di fatto, “in questa Chiesa di Dio una e unica sono sorte fino dai primissimi tempi
alcune scissioni. Le scissioni che feriscono l'unità del Corpo di Cristo (cioè l'eresia, l'apostasia e lo scisma)
non avvengono senza i peccati degli uomini.
Verso l'unità : L'unità, Cristo l'ha donata alla sua Chiesa fin dall'inizio, ma la Chiesa deve sempre pregare e
impegnarsi per custodire, rafforzare e perfezionare l'unità che Cristo vuole per lei. Il desiderio di ritrovare
l'unità di tutti i cristiani è un dono di Cristo e un appello dello Spirito Santo.
Per rispondervi adeguatamente sono necessari:
- un rinnovamento permanente della Chiesa
- la conversione del cuore per “condurre una vita più conforme al Vangelo”
- la preghiera in comune
- la reciproca conoscenza fraterna;
- la formazione ecumenica dei fedeli e specialmente dei preti; [Cf ibid., 10]
- il dialogo tra i teologi e gli incontri tra i cristiani delle differenti Chiese e comunità; [Cf ibid., 4; 9; 11]
- la cooperazione tra cristiani nei diversi ambiti del servizio agli uomini [Cf ibid., 12].

2.La Chiesa è santa


La Chiesa, unita a Cristo, da lui è santificata; per mezzo di lui e in lui diventa anche santificante. Tutte le
attività della Chiesa convergono, come a loro fine, “verso la santificazione degli uomini e la glorificazione di
Dio in Cristo”
“La Chiesa già sulla terra è adornata di una santità vera, anche se imperfetta.
La carità è l'anima della santità alla quale tutti sono chiamati: essa “dirige tutti i mezzi di santificazione
la Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa e insieme sempre bisognosa di purificazione,
incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento” .
Tutti i membri della Chiesa, compresi i suoi ministri, devono riconoscersi peccatori, Perciò la Chiesa soffre e
fa penitenza per tali peccati. La Chiesa riconosce la potenza dello Spirito di santità che è in lei, e sostiene la
speranza dei fedeli offrendo loro i santi quali modelli e intercessori. “I santi e le sante sono sempre stati
sorgente e origine di rinnovamento nei momenti più difficili della storia della Chiesa.

3. La Chiesa è cattolica
Che cosa vuol dire “cattolica”? La parola “cattolica” significa “universale” nel senso di “secondo la totalità”
o “secondo l'integralità”. La Chiesa è cattolica in un duplice senso. È cattolica perché in essa è presente
Cristo. Essa è cattolica perché è inviata in missione da Cristo alla totalità del genere umano.Tutti gli uomini
sono chiamati a formare il nuovo Popolo di Dio.
Ogni Chiesa particolare è “cattolica”. Per Chiesa particolare, che è in primo luogo la diocesi (o l'eparchia), si
intende una comunità di fedeli cristiani in comunione nella fede e nei sacramenti con il loro vescovo
ordinato nella successione apostolica. Queste Chiese particolari sono “formate a immagine della Chiesa
universale”; in esse e a partire da esse “esiste la sola e unica Chiesa cattolica. Tutte le Chiese cristiane
sparse in ogni luogo hanno ritenuto e ritengono la grande Chiesa che è qui [a Roma] come unica base e
fondamento.“Ma dobbiamo ben guardarci dal concepire la Chiesa universale come la somma o, per così
dire, la federazione di Chiese particolari. È la stessa Chiesa che, essendo universale per vocazione e per
missione, quando getta le sue radici nella varietà dei terreni culturali, sociali, umani, assume in ogni parte
del mondo fisionomie ed espressioni esteriori diverse”. La ricca varietà di discipline ecclesiastiche, di riti
liturgici, di patrimoni teologici e spirituali propri alle “Chiese locali tra loro concordi, dimostra con maggior
evidenza la cattolicità della Chiesa indivisa.
Chi appartiene alla Chiesa cattolica? “Tutti gli uomini sono chiamati a questa cattolica unità del Popolo di
Dio. . ., alla quale in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in
Cristo. “Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo,
accettano integra la sua struttura e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti. Non si salva, però, anche se
incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col "corpo"
ma non col "cuore"”
La Chiesa e i non cristiani “Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, in vari modi sono ordinati al
Popolo di Dio”. Il rapporto della Chiesa con il popolo ebraico. A differenza delle altre religioni non
cristiane, la fede ebraica è già risposta alla rivelazione di Dio nella Antica Alleanza. popolo di Dio dell'Antica
Alleanza e il nuovo popolo di Dio tendono a fini analoghi: l'attesa della venuta (o del ritorno) del Messia.
Ma tale attesa è, da una parte, rivolta al ritorno del Messia, morto e risorto, riconosciuto come Signore e
Figlio di Dio, dall'altra è rivolta alla venuta del Messia, i cui tratti rimangono velati, alla fine dei tempi.
Le relazioni della Chiesa con i Musulmani. “Il disegno della salvezza abbraccia anche coloro che
riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i Musulmani, i quali, professando di tenere la fede di
Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale”.
Il legame della Chiesa con le religioni non cristiane è anzitutto quello della comune origine e del comune
fine del genere umano. Infatti tutti i popoli costituiscono una sola comunità. Essi hanno una sola origine,
essi hanno anche un solo fine ultimo. La Chiesa considera “tutto ciò che di buono e di vero” si trova nelle
religioni “come una preparazione al Vangelo.
“Fuori della Chiesa non c'è salvezza” Formulata in modo positivo, significa che ogni salvezza viene da
Cristo-Capo per mezzo della Chiesa che è il suo Corpo. Questa affermazione non si riferisce a coloro che,
senza loro colpa, ignorano Cristo e la Chiesa. E’ tuttavia compito imprescindibile della Chiesa, ed insieme
sacro diritto, evangelizzare tutti gli uomini.

La missione - un'esigenza della cattolicità della Chiesa


Il mandato missionario. “Inviata da Dio alle genti per essere "sacramento universale di salvezza", la Chiesa
si sforza d'annunciare il Vangelo a tutti gli uomini.
L'origine e lo scopo della missione. Il mandato missionario del Signore ha la sua ultima sorgente
nell'amore eterno della Santissima Trinità. il fine ultimo della missione altro non è che di rendere partecipi
gli uomini della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio nel loro Spirito d'amore.
Il motivo della missione. Da sempre la Chiesa ha tratto l'obbligo e la forza del suo slancio missionario dall'
amore di Dio per tutti gli uomini.
Le vie della missione. “Lo Spirito Santo conduce la Chiesa sulle vie della missione.
L'impegno missionario esige dunque la pazienza. Incomincia con l'annunzio del Vangelo ai popoli e ai
gruppi che ancora non credono a Cristo; prosegue con la costituzione di comunità cristiane che siano
“segni della presenza di Dio nel mondo”, e con la fondazione di Chiese locali; avvia un processo di
inculturazione per incarnare il Vangelo nelle culture dei popoli. L'attività missionaria implica un dialogo
rispettoso con coloro che non accettano ancora il Vangelo. I credenti possono trarre profitto per se stessi
da questo dialogo, imparando a conoscere meglio “tutto ciò che di verità e di grazia era già riscontrabile,
per una nascosta presenza di Dio, in mezzo alle genti”.

1. La Chiesa è apostolica La Chiesa è apostolica, perché è fondata sugli Apostoli, e ciò in un


triplice senso:
- essa è stata e rimane costruita sul “fondamento degli Apostoli” :testimoni scelti e mandati in missione
da Cristo stesso
-custodisce e trasmette l'insegnamento
-continua ad essere istruita, santificata e guidata dagli Apostoli grazie ai loro successori nella missione
pastorale: il collegio dei vescovi

La missione degli Apostoli La “missione divina, affidata da Cristo agli Apostoli, dovrà durare sino
alla fine dei secoli, poiché il Vangelo che essi devono trasmettere è per la Chiesa principio di tutta la sua
vita in ogni tempo. Per questo gli Apostoli... ebbero cura di costituirsi dei successori”

I vescovi successori degli Apostoli “Perché la missione loro affidata venisse continuata dopo la
loro morte, [gli Apostoli] lasciarono quasi in testamento ai loro immediati cooperatori l'incarico di
completare e consolidare l'opera da essi incominciata, Perciò la Chiesa insegna che “i vescovi per divina
istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli, quali pastori della Chiesa.
L'apostolato Tutta la Chiesa è apostolica in quanto rimane in comunione di fede e di vita con la sua
origine attraverso i successori di san Pietro e degli Apostoli. La vocazione cristiana infatti è per sua
natura anche vocazione all'apostolato”. “Si chiama apostolato” “tutta l'attività del Corpo mistico”
ordinata alla “diffusione del regno di Cristo su tutta la terra”.

LA COMUNIONE DEI SANTI Dopo aver confessato “la santa Chiesa cattolica”, il Simbolo degli
Apostoli aggiunge “la comunione dei santi. La comunione dei santi è precisamente la Chiesa. Il termine
“comunione dei santi” ha pertanto due significati, strettamente legati: “comunione alle cose sante
["sancta"]” e “comunione tra le persone sante ["sancti"]”.

I. La comunione dei beni spirituali


La comunione dei sacramenti
La comunione dei santi significa questa unione operata dai sacramenti. Il nome di "comunione"
conviene a tutti i sacramenti in quanto ci uniscono a Dio; più propriamente però esso si addice
all'Eucaristia che in modo affatto speciale attua questa intima e vitale comunione soprannaturale”

La comunione dei carismi.


Nella comunione della Chiesa, lo Spirito Santo “dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali” per
l'edificazione della Chiesa.

La comunione della carità Il più piccolo dei nostri atti compiuto nella carità ha ripercussioni benefiche
per tutti, in forza di questa solidarietà con tutti gli uomini, vivi o morti, solidarietà che si fonda sulla
comunione dei santi. Ogni peccato nuoce a questa comunione.

L'intercessione dei santi. “A causa infatti della loro più intima unione con Cristo i beati rinsaldano tutta
la Chiesa nella santità. . . non cessano di intercedere per noi presso il Padre, offrendo i meriti acquistati in
terra mediante Gesù Cristo, unico Mediatore tra Dio e gli uomini. . . La nostra debolezza quindi è molto
aiutata dalla loro fraterna sollecitudine”.

La comunione con i santi. “Non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo d'esempio, ma più
ancora perché l'unione di tutta la Chiesa nello Spirito sia consolidata dall'esercizio della fraterna carità.

La comunione con i defunti. La nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma anche rendere
efficace la loro intercessione in nostro favore.

Nell'unica famiglia di Dio. Tutti noi che “siamo figli di Dio e costituiamo in Cristo una sola famiglia,
mentre comunichiamo tra di noi nella mutua carità e nell'unica lode della Trinità santissima,
corrispondiamo all'intima vocazione della Chiesa”.

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