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Prof. Cislaghi
Siamo in Vaticano, a Roma. I Padri conciliari erano più di 2500 (ed è la prima volta che
appare una presenza così numerosa di Padri riuniti.
Gli italiani sono circa 379, ma solo un quinto del totale. La realtà planetaria dell’evento
conciliare che si verifica per la prima volta nella storia.
Tutti entrano in abiti episcopali, il Papa entra in concilio e si muove con loro a piedi e usa
la sedia gestatoria solo per il protocollo.
C’è da parte del Papa la volontà di creare comunione con gli altri vescovi; anzi il Papa
compie gesti che mettono in evidenza la comunione.
Viene cantato.
Intronizzazione della Parola.
Il Concilio inizia all’insegna dello Spirito Santo, viene definito evento pneumatico. E
inizia anche all’insegna della Parola azione di discernimento decisa all’insegna dello
Spirito e della Parola. E’ questo che realizza la vita della Chiesa.
Subito il concilio ape dicendo: noi ci poniamo così.
Principio primo dell’esperienza conciliare è la fede, la professione della fede che nasce
appunto da Spirito e Parola.
E lettura di Mt 28, 18-20 mandato degli apostoli e Mt 16, 13-13 mandato di Pietro.
Anche nei gesti liturgici del protocollo si vuole dire che avviene qualcosa di particolare
come a Pentecoste.
Stile liturgico, intronizzazione della Parola, camminare dei vescovi in tutte le lingue del
mondo con la presenza dei media.
In questo contesto emerge il discorso, l’omelia di Giovanni XXIII (scritta di suo pugno).
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Lettura del discorso, che non è uno dei 16 documenti, ma è importante per capire l’evento
ed anche la recezione.
Evidenziamo i nodi
1) L’attore è uno e uno solo, GAUDET MATER ECCLESIA questo è l’attore del
Qualifica di MATERNITA’ che vuol dire missionarietà e passione per l’uomo (figli).
MATER ET MAGISTRA.
La Chiesa è l’attore di questo evento e lo è come madre. E tema altrettanto caro a Papa
Giovanni è la GIOIA, la gioia del Vangelo.
C’è in gioco anche la gioia di essere Chiesa. La Chiesa in se stessa e l’evento di Chiesa è
profondamente legata al dono speciale della Divina Provvidenza, l’evento dello Spirito.
Poi c’è il profilo della gerarchia questo stare insieme col Papa e sotto il Papa come il
più alto momento di autorità magisteriale. Chiesa materna, gioiosa, gerarchica e nello
S.S.
Il vero protagonista naturalmente è lo S.S. ovvero ciò che lo S.S. dice alla Chiesa.
La seconda parte è intrisa del senso della storia e della tradizione.
Il Papa colloca nella continuità del Magistero “questa grandiosa assemblea”.
Questa è l’idea forte: CONTINUITA’ e FORZA DEL MAGISTERO.
In modo straordinario il Concilio si presenta e si apre al mondo e soprattutto l’idea di
parlare al tempo presente: tenuto conto dei bisogni, delle risorse e degli errori del mondo
contro di Lui e restano deliberatamente fuori dalla Chiesa il centro di tutto è Cristo.
Gli uomini o aderiscono a Lu e alla sua Chiesa oppure vivono senza di Lui o combattono
La grande preoccupazione del Concilio: far incontrare veramente l’istanza della Verità e
della storia (nella vita e per la vita).
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L’indole di questo Concilio è quella di parlare all’uomo di oggi,
AGGIORNAMENTO E PASTORALITA’.
Altra notazione: non c’è Cristo senza Chiesa.
Poi anche il il problema della pace.
Non c’è possibilità di Cristo di essere il centro della storia, se non nella Chiesa.
Riferimento a Cristo e alla Chiesa questo è il motivo per cui sono stati fatti i Concili
essi trasmettono la luce della Verità.
Il Papa insiste: bisogna ridire la Verità e Gesù è la Verità che si è incarnata.
La Chiesa dovrà rendere la storia degli uomini storia della salvezza: questo è il modo con
Centro Cristo è il centro di tutto, e se sei contro Cristo c’è solo la guerra.
Poi nel terzo passaggio descrive le fasi preparatorie. E nel finale tutto il tono lo si può
collocare come lo stile di tutto il Concilio cioè lo stile della dossologia eucaristica.
Il Concilio viene elaborato come azione eucaristica di rendimento di grazie e come
L’UNITA’ dedica una parte del suo discorso. Il Concilio si occupa della Verità. La
Esporre e proporre il deposito della fede in maniera più adeguata.
finalità prima è custodire ed esporre la Verità perché ad essa è collegata l’unità che
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E la Verità è la garanzia per l’unità:
1. Unità dentro la Chiesa Cattolica
2. Unità con i cristiani separati
3. Unità di tutte le famiglie umane
1. ATTORE: CHIESA
2. PREMESSA: CONTINUITA’ DEL MAGISTERO
3. STILE: DOSSOLOGIA
4. ORIZZONTE: CERCARE PRIMA IL REGNO E DIRE LA FINE ETERNA
5. CENTRO: CRISTO, IN QUANTO ANCHE L’UOMO
6. METODO: POSITIVITA’
EVENTO
TESTI
RECEZIONE
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è ovvio, niente accade piombando giù dal cielo, ma c'è tutto un dinamismo che prepara
l'evento.
famosa questione della continuità e discontinuità, c'è tutto un fermento che ha portato a
maturazione ciò che già ferveva nel cattolicesimo, anche nell' 800, nel romanticismo
cattolico. Erano frutti già seminati. Di cosa è fatto questo fermento?
Grandi temi che non ci toccano ma li evochiamo → 4 punti fondamentali:
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ENCICLICA BIBLICA SULLA SCRITTURA → Divino afflante Spiritu, 1943
ENCICLICA ECCLESIOLOGICA → Mistici Corporis, 1943
ENCICLICA SULLA LITURGIA → Mediator Dei, 1946, dove il Papa incomincia a
pensare un nuovo modo di interpretare l'azione liturgica.
Questa la gestazione del Concilio. Tra la gestazione e il parto, nel travaglio, aggiungiamo
una piccola nota di carattere storico per dire che l'intuizione di Papa Giovanni XXIII non
fu un fulmine a ciel sereno, è importante segnalare che alcuni progetti conciliari erano già
stati accarezzati, con Pio XI e Pio XII: entrambi avevano accarezzato questa idea ma non
ne fanno nulla; Pio XI, nel 1923, consultò tutti i vescovi perchè aveva l'idea di
completare il CVI perchè era stato interrotto prima. Siamo però negli anni della
"questione romana" (questione Chiesa-Stato italiano) e Patti Lateranensi nel 1929.
Questa questione era più urgente per cui si rinvia l'altro discorso.
Anche Pio XII pare avesse l'intenzione di proporre un Concilio, c'era la proposta di farlo
nel 1951, nel 1500esimo anniversario del Concilio di Calcedonia (451), non per un
discernimento dottrinale ma per confermare la solidità della Chiesa Cattolica e dottrina
cattolica dopo 1500 anni, era una idea "promozionale".
Giovanni XXIII era Patriarca di Venezia.
LA GRIGLIA ---> fatti fondamentali, date, termini tecnici e poi si evocano alcuni nodi
interessanti per capire i documenti.
NON CHIEDE TUTTE LE DATE ECC MA SOLO LE COSE FONDAMENTALI, ad
es. le PAROLE CHIAVE
25/01/1959 --> l'evento inizia qui: Festa DELLA CONVERSIONE DI PAOLO, dal 1908
concludeva la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, era nata da una iniziativa di
un anglicano perchè il movimento ecumenico nasce già nei primi del '900 e il Papa
decide di convocare quei cardinali presenti a Roma (meno di 20), a San Paolo fuori le
Mura e lì annuncia di voler fare tre cose:
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Il Concilio ("una voce intima del nostro spirito venuta dall'alto"), qualcosa cmq che lui
aveva maturato prima, Sconcerto, imbarazzo ma certamente un annuncio sorprendente.
PAROLA CHIAVE: PAPA GIOVANNI XXIII
11/10/1962 → inizio solenne del Concilio, già convocato, primo periodo conciliare.
PERIODO (autunno: lavori e poi in mezzo 4 PERIODI CONCILIARI, 4 AUTUNNI
62/63/64/65
SESSIONI CONCILIARI E INTERSESSIONE TRA UNA SESSIONE ALL'ALTRA ma
TECNICAMENTE IL TERMINE SESSIONE STA PER L'ASSEMBLEA PLENARIA
TENUTA DAL PAPA, QUANDO SI ERA NELL'AULA VATICANA COL PAPA.
Sessioni solenni, in apertura e chiusura dei lavori conciliari.
11/10/62 - 08/12/62 prima sessione o periodo poi intersessione.
Intersessione data importante 03/06/1963 morte santa del Papa 21/06/63 il Cardinale
Montini (Arcivescovo di Milano), diventa Paolo VI.
Paolo VI continua il Concilio → categoria storiografica nella 1 intersessione con cambio
di Pontefice viene chiamata nuova preparazione, perchè l'imput è rivediamo tutto
reimpostiamo tutto.
29/09/63 - 4/12/63 seconda sessione con seconda intersessione
14/9/64 21/11/64 terza sessione
14/009/65 8/12/65 quarta sessione e la solenne conclusione del CVII.
Quattro sessioni e tre intersessioni.
Alcune parole chiave che riguardano le sessioni e le intersessioni
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SESSIONI → assemblee plenarie col papa
congregazioni generali → lavori assembleari
tre cose, tre parole tecniche:
ORATIONES → cioè i discorsi orali al microfono con tempo prestabilito.
ANIMADVERTIONES → le relazioni scritte, dei padri timidi che dei logorroici, sia
perchè non c'era tempo.
poi più verso l'ultimo periodo ci sono le votationes → le votazioni come? il voto è in tre
forme: “placet” “non placet” e la forma “placet iuxta modum” → mi piace ma a patto che
fai questo emendamento.
modo interessante di votare e buono. poi anche nelle sessione negli ultimi due periodi le
promulgationes, promulgati i documenti
votazioni, voto prototecnologico, schede forellate, non secretata ma la scheda veniva
raccolta, nOn erano nominali, un dato interessante è che c'era la regola di statuto del
concilio che prevedeva i 2/3, regola ufficiale che viene intenzionalmente scavalcata
perchè al scelta è quella di avere l'unità morale 2500 padri conciliari. volevano essere
tutti d'accordo, unanimità morale.
ciò durante i quattro autunni → lavoro assembleare.
e durante le intersessioni? lavori d commissioni → ogni schema ha le sue commissioni e
sottocommissioni, lavoro circolare a catena.
COMMISIONE DI COORDINAMENTO
COMMISSIONI PER CIASCUNO SCHEMA
SOTTOCOMMISSIONI per parti dei capitoli dei vari schem, lavoro puntuale ed analitico
Nello schema, bisogna ricordare le persone che costituiscono il CVII, i personaggi e
vanno ricordate almeno 4 categorie più una:
PAPA
PADRI CONCILIARI → VESCOVI (ARCIV E CARDINALI E I SUPERIORI
GENERALI DELLE CONGREGAZIONI MASCHILI)
PERITI → FIGURA NOTEVOLE, I TEOLOGI → due sottocategorie:
1) periti ufficiali nominati dal Papa che partecipavano alle congregazioni generali
ma senza diritto di voto e potevano essere impiegati nelle commissioni per
elaborare gli schemi;gli schemi li hanno scritti i periti, non i vescovi...
2) periti privati cioè i consiglieri personali dei vescovi e non partecipavano alle
congregazioni generali ma erano consiglieri nelle commissioni.
Quanti periti? 315 fino a 450 nel secondo periodo (De Lubac, Congar e il suo “Diario del
Concilio”...). Anche Benedetto XVI viene portato come perito del concili.
GLI AUDITORES → uditori, osservatore; due categorie fondamentali:
1) gli osservatori delle chiese e comunità ecclesiali non cattoliche, ortodosse e
protestanti, idea di concilio ecumenico;
2) dal secondo periodo, la presenza di laici, sottogruppo → le donne.
GLI OFFICIALI, AIUTANTI → chi si sbatteva a pulire ecc, anche i chierici, non solo i
laici.
Nelle votazioni finali l'alternativa era placet o placet
Evidenziamo ora qualche nodo interessante e qualche nome per dare concretezza allo
schema.
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1) fattore dei VOTA → quali sono i contenuti che emergono nella fase dei VOTA → su
sollecitazione della commissione ante-preparatoria arrivano 2150 (tante) risposte su 2800
realtà/persone interpellate → tutto l'episcopato del mondo. Quali sono gli aspetti
fondamentali che arrivano nei VOTA → abbiamo alcuni temi generali, che ritornano
quasi sempre nelle 2150 risposte →
IL RAFFORZAMENTO DELLA POSIZIONE DEL VESCOVO DIOCESANO,
soprattutto nei confronti di 2 “rivali”: i parroci e gli ordini religiosi, le
congregazioni di diritto pontificio per cui esenti o estranei alla giurisdizione
diocesana. Questo è un problema di vita pastorale quotidiana (la maggior parte
dei 2800 erano vescovi diocesani ed essi dicono “noi abbiamo un problema di
identità!”), che porta quasi tutti a dire il Concilio chiarisca questa cosa, chi è il
Vescovo, proprio come identità (il CVII per la prima volta sancirà la sacralità
Dall'altra parte, ci sono molti VOTA che invece aspettano dal CVII il
questioni sociali dal punto di vista cattolico.
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In questa linea arrivano anche, in positivo, sulla scia di quanto Pio XII aveva fatto nel
1950, la volontà di nuovi dogmi mariani; un sacco di documenti chiedono qusi che si
celebri un Concilio mariologico, e in particolare la richiesta (che non passerà nel
Concilio), di dogmatizzare un titolo che abbia a che fare con la mediatrice o
corredentrice. La maggior parte di questo gruppo più intransigente, vengono soprattutto
dall'Italia, dalla Spagna, dall'America latina, dai paesi cosiddetti comunisti, dall'Irlanda,
dall'Inghilterra e in tutto questo abbiamo anche richieste estreme, addirittura la richiesta
di definire l'assoluta inerranza della Sacra Scrittura, o definire che ogni giurisdizione
della Chiesa deriva direttamente dal Papa.
2) FASE PREPARATORIA → una piccola parola per dare più contenuto a quelle
commissione e far emergere due nomi che dicono già anche qui come poi si focalizzano
gli schieramenti conciliari.
Fase preparatoria costituita da 10 commissioni, composte dai CURIALI, I PRESIDENTI
DI COMMISSIONE, che coincidevano coi PRESIDENTI DELLE CONGREGAZIONI
VATICANE derivate a questa realtà. Da alcuni VESCOVI RESIDENZIALI (Vescovi
delle diocesi), e da alcuni PERITI.
Quali erano le 10 commissioni?
1 COMMISSIONE TEOLOGICA → competente per tutte le questioni dottrinali
2 COMMISSIONE SUI VESCOVI E SUL GOVERNO DELLE DIOCESI
3 COMMISSIONE PER LA DISCIPLINA DEL CLERO E DEL POPOLO CRISTIANO
4 COMMISSIONE PER LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI
5 COMMISSIONE PER GLI STUDI E I SEMINARI
6 COMMISSIONE PER I RELIGIOSI
7 COMMISSIONE PER LA LITURGIA
8 COMMISSIONE PER LE CHIESE ORIENTALI
9 COMMISSIONE PER LE MISSIONI
10 COMMISSIONE SULL'APOSTOLATO DEI LAICI
Per tutte queste commissioni, tranne l'ultima, c'era già la congregazione vaticana di
riferimento e la scelta è quella di porre come presidente di commissione il PRESIDENTE
PREFETTO della congregazione di fatto. Questo è già un segno che dice che in qualche
misura la curia è presente, appunto, nelle commissioni, però non è più in mano solo ai
curiali ma vengono inseriti anche dei vescovi residenziali e dei periti.
La COMMISSIONE CENTRALE era composta dai cardinali presidenti delle 10
commissioni (che a loro volta coincidevano con i capi di dicastero vaticano), poi alcuni
cardinali esterni rispetto la curia, e i presidenti delle conferenze episcopali nazionali.
Formano il COMITATO CENTRALE.
Si oscilla, nella fase preparatoria (2 anni), da 85 a 102 membri.
Viene poi istituito, per decreto pontificio, un SEGRETARIATO (un motu proprio del
Papa), il SEGRETARIATO PER LA PROMOZIONE DELL'UNITA' DEI CRISTIANI.
E' voluto perchè Papa Giovanni XXIII voleva un concilio ecumenico era le intenzioni
c'era proprio il fare qualcosa per l'unità dei cristiani, e quindi mancava un organismo
deputato esattamente a questo.
Questo segretariato avrà la dignità delle 10 commissioni, anche se il nome è diverso.
Qui emergono già due nomi importanti:
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→ CARDINALE OTTAVIANI → cardinale prefetto del Sant'Uffizio (per la dottrina
della fede), presidente della commissione teologica, che aveva come braccio destro il
PADRE GESUITA, insegnante nella Pontifica Università Gregoriana, SEBASTIAN
TROMP (professore di dogmatica), che sarà uno che avrà il suo influsso no da poco nella
prima fase conciliare.
Il Cardianale Ottaviani sarà quello che porta la cifra del grande conservatore, nella prima
fase, ma è quello che iniziando ha la pretesa che la commissione dottrinale sia quella che
presieda poi a tutto, perchè è quella che salvaguardia la purezza della dottrina anche nei
temi delle altre commissioni.
Dall'altra parte, invece, comincia ad emergere la figura del:
→ CARDINALE BEA, che invece viene poco prima elevato alla dignità cardinalizia, è
GESUITA, ma è l'antesignano di OTTAVIANI. E' colui che gestisce il segretariato per
l'unità de cristiani ed è colui che dà l'impostazione dell'aggiornamento.
Saranno due soggetti in tensione.
Con l'inizio del Concilio, nella prima sessione, la direzione del Concilio, è affidata ad un
PRESIDIO di 10 membri (cardinali) → che hanno il compito di gestire i lavori.Presidio
internazionale, mondiale.
C'è anche il SEGRETARIATO GENERALE DEL CONCILIO (quello operativo) →
Segretario → Cardinale PERICLE FELICI, mai stato contestato.
Affrontiamo ora alcuni momenti notevoli che dicono del dinamismo e anche delle
tensioni che hanno animato il Concilio.
Oggi introduciamo la possibile lettura teologica dei fatti e quindi ritorniamo sulla parola
EVENTO e su quale accezione dare a questo concetto: cosa vuol dire affermare che il
CVII è stato un EVENTO.
Concludiamo la raccolta dei dati essenziali e poi ci sposteremo a dire perchè l'insieme
delle date, delle personalità, degli elementi materiali, hanno composto un EVENTO → e
di questo EVENTO proponiamo una lettura teologica.
Nella seconda sessione ci sarà una differenza, dal presidio dei 10 a 4 moderatori.
Sottolineiamo adesso due elementi del primo periodo conciliare →
la questione delle correnti che cominciano a muoversi intorno a queste due figure
particolari poi si determinano ed emergono dagli interventi conciliari
(ORATIONES, ANIMADVERTIONES), attraverso discorsi e scritti,
incominciano a delinearsi le due più grandi correnti di questo Concilio. Come
sono queste correnti? Nelle relazioni dei mass media, e in alcune ricostruzioni del
post Concilio, ben presto si usa la classificazione PROGRESSISTI e
CONSERVATORI (si usa ancora oggi). Diciamo che questo tipo di
classificazione è intuitiva, aiuta ma può essere anche imprecisa e allora
normalmente la storiografia del Concilio, in maniera più prudente e forse più
azzeccata, preferisce parlare, come si è fatto anche per gli altri grandi Concili, di
MAGGIORANZA e MINORANZA. La minoranza viene qualificata come
conservatrice e la maggioranza è quella che di fatto produrrà il dato conciliare,
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tanto che tra le tensioni più forti, tra maggioranza e minoranza, è proprio quella
che abbiamo già intuito, ciò che avviene in questo primo periodo, cioè il
passaggio critico, sofferto, da un progetto di Concilio rapido, dove la minoranza
conservatrice (che coincideva grossomodo con la Curia di Roma), auspicava la
sbrigativa approvazione degli SCHEMI PREPARATORI (qualcuno sostiene, il
dibattito è ancora aperto, che in buna fede Giovanni XXIII pensava e auspicava
che finisse tutto in un paio di mesi), invece il contrasto delle correnti porterà
questo passaggio da questo progetto di un Concilio rapido, fatto per approvare
sbrigativamente gli schemi già preparati, (erano una roba della Curia), ad un
Concilio auto-responsabile, gestito in maniera progressiva, quindi più lunga, e
anche in maniera combattiva, da parte dell'episcopato del mondo, nella libertà di
espressione e in quella di ricerca. Questo è il rivolgimento interno (“trauma” ma
benefico), che ha permesso al Concilio di essere ciò che poi è stato, e qui ha
giocato la tensione tra minoranza (di per sé forte perchè curiale), e maggioranza
(più debole), ma che alla fine riesce ad imporsi subito → nel giro di due giorni,
vedremo il discorso di Papa Giovanni, già dice come tutto sta per cambiare. Poi
queste tensioni ai troveranno anche nel secondo, terzo quarto periodo del
Concilio, la dialettica tra maggioranza e minoranza, ma ad un certo punto ci sarà
anche la dialettica tra l'ASSEMBLEA CONCILIARE e il Papa → 3 esempi:
la SETTIMANA NERA del Concilio → quella che ha preceduto, nel terzo
periodo (1964), la promulgazione della Lumen Gentium, l'enciclica rischiava di
non essere promulgata, era tutto pronto, ma ad un certo punto il Papa, inquieto,
per una questione legata alla dottrina sul primato e sulla collegialità episcopale,
allora si interverrà (lo si vedrà più avanti). E' una settimana in cui il Papa stesso è
Tra i tanti temi, due temi → Paolo VI no vorrà che siano dibattuti in Concilio ma
preoccupato.
sceglierà di parlarne lui dopo, sono due temi da sempre delicati, il CELIBATO
SACERDOTALE e IL CONTROLLO DELLE NASCITE. Usciranno le
encicliche Humanae Vitae (1968) e la Sacerdotalis Caelibatus (24/06/1967) →
Anche tra il Papa e l'assemblea ad un certo punto ci sono tensioni (es. con la Curia
posizioni sue e non del CVII.
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quiroga y parassios, il cardinale di Siviglia, de montreal, il cardinale di Manila,
l'arcivescovo di Los Angeles, Lisbona, Buones Aires, Venezia SEGNI, Francia, Africa,
Brasile, che si coagulano intorno a questi tre cardinali italiani.
CORRENTRE RIFORMASTA → maggiori esponenti → CARDINAL BEA, FRINGS
(di Colonia), DOPFNER (Monaco), KONIG (Vienna), ALFRINK (Utrech), SUENENZ
(Bruxelles), LIENART (Lille), LERCARO (Arcivescovo di Bologna) e, ovviamente solo
nel primo periodo, il cardinal MONTINI (Milano), poi altri dagli States; il più illustre
portavoce dell'Africa fu l'arcivescovo di Bucova, che fu il primo, dal 1960, e unico,
cardinale di colore; poi un personaggio che fu di spicco, rappresentante delle chiese
cattoliche orientali, il patriarca melchita Massimo IV Saig, di Antiochia, e l'unico
cardinale indiano, Grassias di Bombay, e dall'Estremo Oriente il cardinal Doi, di Tokyo.
La presenza di Wojtyla (cardinale nel 1967) ha un paio di interventi che poi hanno avuto
un influsso soprattutt nela Gaudium et spes, la persona umana, uno dei grandi cavalli di
battaglia della filosofia e teologia di Wojtyla.
Passaggio traumatico ma fecondo con la minoranza che pensava di gestire tutto e finire
presto, ad una maggioranza che poi effettivamente gestirà tutto e prolungatamente per
dare spazio a tutto il dibattito, compresi i travagli.
Nota storica → a dire il passaggio è interessante dire ciò che è successo due giorni dopo
l'11 ottobre, questo val la pena dirlo perchè ricordato in tutte le cronache → il 13 ottobre,
il cardinale Pericle Felici (gestisce lui la segreteria generale per tutto il CVII), annuncia ai
padri riuniti in assemblea che si doveva eleggere le 10 commissioni conciliari (dopo
quelle preparatorie): e viene distribuita ai padri una lista coi nomi dei apri che avevano
fatto parte delle commissioni preparatorie → in buona fede, per fare una cosa veloce, si
dice “eleggiamo le stesse commissioni che si va di fretta” → l'idea era quella di
approvare i documenti già fatti per cui il Concilio di per sé era già fatto → il primo ad
alzarsi è il cardinale LIENART a dire all'incirca: “ci siamo appena radunati, veniamo da
tutte le parti del mondo, non ci conosciamo, vogliamo del tempo per conoscerci ed
eleggere in maniera adeguata i membri delle commissioni conciliari”. Quindi la proposta
viene subito approvata dal cardinal FRINGS, che parla a nome degli altri germanofoni, e
subito viene accettata da parte della direzione del Concilio l'idea di lasciare del tempo
perchè si formino dal basso delle nuove liste internazionali coi candidati che poi verranno
votate il 16 ottobre. Dal 13 al 16 ottobre è già lì il passaggio che decide la prima svolta
decisiva, di un Concilio non già fatto e veloce, ma di un Concilio da farsi, con tutto il
tempo di cui ci sarà bisogno e con davvero la partecipazione reale di tutto l'episcopato
internazionale.
L'altra svolta interessante è nel secondo periodo (in estate muore Papa Giovanni XXIII,
eletto Montini), Paolo VI annuncia la volontà di continuare i lavori conciliari.
Quando ci si trova, il 29 settembre 1963, cambia la gestione e qui è interessante perchè, il
presidio dei 10 viene giudicato troppo inefficiente e si decide che la direzione del
Concilio sia fatta da 4 moderatori, ma la scelta dei 4 moderatori dice che davvero il
Concilio è passato in mano alla maggioranza riformatrice, perchè i 4 nomi sono (e
rimarranno fino alla fine) → cardinal DOFNER, SUNES, LERCARO e, unico
rappresentante ma diciamo “rappresentante aperto” della Curia romana, AGAGIANIAN,
che tra l'altro era uno dei papabili nei veloci conclavi di quel periodo. Questi diventano
coloro che, a turno, devono presiedere a nome del Papa i lavori conciliari ma vedete che
questa scelta è una scelta di semplificazione.
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Il fatto conciliare è EVENTO, ma quale accezione dare alla parola EVENTO? Abbiamo
un testo (letto prima e che ora si riprende in alcuni passaggi), che dice come è possibile
gestire la parola EVENTO → c'è un piano immediato dell'utilizzo medio del linguaggio,
c'è un livello filosofico, c'è un livello teologico. Per Congar la pienezza è quello teologico
che poi ha una figura precisa, quella della Pentecoste. In mezzo c'era quella interessante
affermazione che era già di carattere pneumatologico: la forza del fatto conciliare, forza e
quindi EVENTO), “un momento di concentrazione della coscienza della Chiesa in atto di
vivere la sua fedeltà al Signore Gesù e al suo Santo Spirito, nella confessione e nella
celebrazione della sua fede”.
Poi ritorna sull'idea → il Concilio certo fatto di uomini, tensioni, manovre politiche (la
Chiesa è fatta di tutto ciò anche), ma ecco l'idea questi uomini erano pastori, le tensioni
sono quelle di un travaglio, le manovre sono la modalità umanissima con cui le persone
di questo mondo portano avanti il loro compito.
Lo Spirito Santo vi opera e quindi il passaggio tra sociologia e teologia → sociologico
dove delle persone comunicano idee (a livello teologico → esperienza di comunione
pentecostale).
Questa definizione, dobbiamo farla funzionare con altre possibili accezioni di EVENTO
→ una era qui, quando Congar parla di senso filosofico, dice che l'EVENTO è un fatto
che quando è avvenuto cambia qualcosa (accezione già filosofica) → il fatto è una cosa
che accade, l'EVENTO è una cosa che, accadendo, muta, cambia qualcosa del presente e
del futuro. Questa è l'accezione filosofica che ha mosso una scuola di pensiero
storiografico francese, il “RITORNO ALL'EVENTO” → un ritorno all'idea dell'
EVENTO, è la visione evenemenziale della storia, ma qual è l'idea dell'EVENTO? → l'
EVENTO è un fatto storico che lascia una traccia unica e singolare, quella che segna la
storia con le sue conseguenze particolari ed inevitabili.
Ci sono due modalità tra le possibili, ad es. la storiografia francese sottolinea molto il
tema della MEDIATIZZAZIONE DI UN FATTO → quando un fatto è raccontato ed è
conosciuto e perciò lo stesso provoca come uno choc nella popolazione, allora diventa un
EVENTO: rendere conosciuto e dare peso a un fatto lo rende EVENTO perchè questo
crea un impatto.
Oppure, più semplicemente, l'EVENTO è quando il fatto ha il carattere di cesura e di
raccordo tra due modelli, due strutture, due tempi: l' EVENTO è ciò che crea trauma,
cambiamento, che decostruisce e ricostruisce.
E' questa idea storiografica di EVENTO che ha condizionato la tesi della scuola di
Bologna, Alberigo e compagnia, è proprio perchè loro dicono EVENTO è qualcosa che
rompe, che segna una cesura e poi un raccordo, un trauma e poi un cambiamento: questo
anche attraverso la mediatizzazione → il Concilio è stato ciò, un evento mediatico, un
evento conosciuto e che perciò immediatamente ha creato delle rotture e dei profondi
cambiamenti.
Da lì parte l'ermeneutica della discontinuità o della rottura, che è la seconda nostra
questione fondamentale (la prima era il gap tra EVENTO e TESTI, il secondo è rapporto
TESTI e RICEZIONE e qui CONTINUITA' o DISCONTINUITA'?).
Quella scuola di pensiero è tutta legata a questa idea di EVENTO, esso è qualcosa che
interrompe, che rompe, cesura, raccorda, trauma, ecc e poi la mediatizzazione come
strumento fondamentale per creare questo cambio. E allora questa scuola cavalca l'idea
che quei quattro anni sono stati un EVENTO perchè si è prodotta una rottura nella
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routine, una discontinuità, che ha suscitato sorpresa, disturbo anche e in ciò stesso è un
EVENTO perchè l'EVENTO si caratterizza nella differenza.
Il Concilio è un evento se crea una differenza, sennò è inutile.
Quindi ecco perchè questa scuola di pensiero, questi storiografi, perchè Alberigo è uno
storico, non un teologo, ma assumendo l'opzione di questa filosofia francese
caratterizzata dal ritorno all' EVENTO, ha dato questo impulso all'idea di EVENTO, che
in qualche modo viene determinato come realtà.
Allora possiamo dire → ok c'è questa possibilità interpretativa ma forse è troppo
storiografica, occorre approfondire questa opzione che ha i suoi perchè, ma in chiave
filosofica, come diceva Congar, e quindi teologica. E allora la filosofia cosa ci può dire?
Innanzitutto c'è un senso, un EVENTO accade in un luogo e in un tempo. L'EVENT è
l'esito di una attesa e di una gestazione, l'idea del lieto evento, della nascita di un
bambino.
Perchè quell'evento è atteso, preparato, poi è sempre una sorpresa, anche se sai già il
sesso del piccolo, perchè lo vedi lì e tutto cambia, però è una attesa, ed è una gestazione
→ a sua volta l' EVENTO è ciò che, avvenendo, marca dinamicamente, la realtà cui
concerne. Non è solo ciò che accade nello spazio e nel tempo, questo lo è anche un fatto,
ma un EVENTO è il fatto il quanto atteso e preparato, anche se poi è sempre sorpresa, ed
è qualcosa che una volta che accade, incide, marca dinamicamente la realtà. In termini
filosofici un po' raffinati, si parla di DIMENSIONE TELEOLOGICA E
ARCHEOLOGICA → cioè l' EVENTO è allo stesso tempo telos (il fine → di una attesa)
e arché (il principio di una avventura nuova).
In questa logica, già è un concetto più di continuità, certo che l' EVENTO segna, sennò
non sarebbe tale, ma proviene da una attesa e da una gestazione, che è la cosa che si
descriveva la volta scorsa → il Concilio non è sceso dal fico, né di botto, ma lo ha
preparato un grande, straordinario fermento.
Il concilio è accaduto qui ed ora, Roma, 1962-1965, ma tutto quello è stato un telos e una
arché di quel fenomeno che abbiamo già individuato come il fenomeno della
RECEZIONE, e questo è un approccio che ci aiuta.
Ce ne sarebbe un altro, che non approfondiamo, solo accennato perchè è intrigante →
Congar diceva EVENTO a livello non solo accezione comune, non solo sociologia ma
filosofia → c'è una filosofia dell' EVENTO che è molto intrigante ed è quella di uno dei
massimi pensatori del '900 → l'idea è affascinante, è la filosofia di MARTIN
HEIDEGGER (padre dell'esistenzialismo) → lui è quello che ad un certo punto del suo
discorso, ha dato un rilievo ed una centralità insuperata ad oggi, al concetto di EVENTO
→ in tedesco “” → il problema profondo di tutto il suo pensiero è l'ESSERE e lui ha due
fasi del suo pensiero e in mezzo sta quella che lui stesso chiama “la svolta”; la prima
parte del suo lavoro è quella esistenzialista, cioè il suo tema è → come faccio ad arrivare
all'Essere? Parto da quell'ente che si pone la domanda sull'Essere, cioè l'uomo e
l'esistenza dell'uomo, lui vuole scoprire l'Essere, ma parte dall'esserci → dall'esistenza
dell'uomo, al tentativo di scoprire l'Essere, perchè lui critica il linguaggio della metafisica
tradizione, l'oltoteologia come la chiama lui, lui dice che è insufficiente, occorre un
nuovo approccio, e il nuovo approccio indicato è quello esistenzialista, che vuol dire
partire dall'esistenza dell'uomo, che è quell'ente che si pone la domanda sull'Essere, per
vedere se da lì si riesca carpire qualcosa dell'Essere, che è la domanda di fondo della
filosofia.
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Questo è il primo procedimento → dall'ente all'Essere, dall'esistente, l'esserci dell'uomo,
alla possibilità di comprendere l'Essere. Ma, ad un certo punto, lui inaugura una svolta,
quella di spostare completamente il baricentro, non più dalla verità derivata dell'esistenza
alla verità originaria dell'Essere, ma partire dalla verità originaria dell'Essere, che parla
all'esistente e nell'esistente → non più dall'esistente che pensa l'Essere, all'Essere,
cambiamo, si parte dall'Essere che parla all'esistente e qui il problema è proprio il parla
→ ecco al sua idea di EREIGENIS (EVENTO), parola che ha dentro la radice propria
dell'appropriarsi, l'Essere e l'ente si appropriano → l'idea è di dire → che l'Essere si dà
soprattutto parlando all'esistente, e quindi il cammino fondamentale del darsi, del
mostrarsi è il linguaggio → qui si voleva arrivare → che Heidegger, che è il filosofo che
più arriva a parlare dell'evento come la struttura del mostrarsi dell'essere, nell'esistente
ma soprattutto nel dirsi dell'esistente, lui chiamerà anche l'Essere il “dire originario”, si
dice, si mostra, si dà, e da qui tutta la fenomenologia del dono, tutta quella corrente lì.
Questa cosa ha una sintonia estrema con i nostri temi teologici: il Dio che si rivela, si
autocomunica, la Parola ecc ecc. L'idea che non siamo noi ad andare verso l'Essere, ma è
l'Essere che viene a noi, e viene a noi attraverso il Logos, cioè la Parola, il linguaggio.
Il darsi dell' EVENTO, è un darsi per ciò stesso linguistico. E' il linguaggio il luogo
fondamentale della nostra esperienza dentro il quale si mostra l'Essere, che è il dire
originario.
Quando parli di EVENTO, dello Spirito, ogni evento dello spirito ha come paradigma
l'evento pentecostale, quindi è sempre evento di glossa, c'è una lingua, un racconto, e
quello è il veicolo fondamentale che ci interessa.
Questa intuizione corrisponde al Concilio, ma soprattutto corrisponde nel momento in cui
riusciamo a mantenere un equilibrio, non solo accezione di rottura, ma ci piace di più
l'idea di una teleologia-archeologia, un fatto qui e ora che deriva da una attesa e
gestazione e che marca progressivamente, dinamicamente, il presente e il futuro e così in
una continuità dinamica si pone un EVENTO. Ma poi inserendo questa idea di un
EVENTO che per ciò stesso porta con sé la dimensione del linguaggio.
L'intuizione che nasce dal protocollo conciliare, il Sinodo, il Concilio ma anche i testi
omnia et singula sono in Spirito Santo, quindi già questo ci portava a pensare alla
Pentecoste, poi il testo di Congar che evoca il giusto calibrare i livelli, senso comune,
teologia, filosofia.
Ritorniamo sulla teologia e allora alle testimonianze più blande, di Giovanni XXIII e
Paolo VI. Sono stati loro i primi a usare e a coniare l'idea di nuova Pentecoste, proprio
per indicare l'evento conciliare.
Due esemplificazioni, una giovannea e una paolina → tra le tante, tantissime, quante
volte è uscita dalle labbra di quei pontefici la parola nuova Pentecoste.
Tre date coincidevano con la data di Pentecoste →
17/05/59 → viene inaugurata la COMMISIONE ANTE PREPARATORIA
05/06/60 → quando si costituiscono le COMMISSIONI PREPARATORIE
03/06/63 → morte Papa Giovanni XXIII
sono casualità forse, ma andare a leggere anche le varie omelie che ha tenuto in quelle
Pentecoste Giovanni XXIII, lui continuamente torna a parlare del Concilio. L'intenzione è
lucida, scegli la festa di Pentecoste per indire con documenti le varie fasi e poi la
provvidenza vuole che la sua morte si compia proprio in quel giorno.
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Se dobbiamo scegliere un testo sufficientemente sintetico per dire poi il tutto indichiamo
il testo della preghiera → Papa Giovanni più e più volte chiede alla Chiesa universale di
invocare lo Spirito Santo, per il Concilio e a un certo punto crea di suo pugno una
preghiera che viene poi pubblicata dagli atti della penitenzeria apostolica, che ne
arricchisce il valore perchè la rende opera indulgenziata.
Come funzionava? Siccome c'era l'indulgenza, tutti la pregavano...
Questa preghiera ha dentro esattamente l'idea di una nuova Pentecoste ma dice anche
come il Papa intendeva davvero dirigere e poi realizzare il Concilio come EVENTO
pneumatico-linguistico.
Letta in classe → i vari testi dovrebbero essere distribuiti in classe...
Preghiera di Papa Giovanni →
“Divino Spirito, che mandato dal Padre nel nome di Gesù, sei presente alla Chiesa e la
conduci infallibilmente, ti chiediamo di effondere benigno la pienezza dei tuoi doni sopra
il Concilio ecumenico. Maestro e consolatore dolcissimo, illuminale menti dei nostri
santi presuli, che assecondando prontamente il Sommo Romano Pontefice, si riuniranno
a celebrare insieme il sacro Concilio. Fa che questo da Concilio maturino frutti
abbondanti, sempre più si diffondano dall'umana società la luce e la forza del Vangelo.
Cresca di vigore e fiorisca a religione cattolica e l'attività missionaria, si giunga
felicemente a una più piena comprensione della dottrina della Chiesa e i costumi
cristiani ottengano un salutare progresso. Oh dolce ospite dell'anima, rendi salde le
nostre menti nella Verità e disponi bene i nostri cuori all'obbedienza perchè quanto sarà
stabilito nel Concilio trovi il nostro sincero ossequio e la nostra pronta attuazione. Ti
preghiamo anche per le pecore che non appartengono più all'unico ovile di Gesù Cristo,
perchè anche esse, come si gloriano del nome cristiano, così giungano finalmente
all'unità sotto la guida dell'unico Pastore. Rinnova nella nostra epoca i Tuoi prodigi,
come per una nuova Pentecoste e concedi che la Chiesa santa, perseverando con Maria,
Madre di Gesù, in unanime ed intensa preghiera e insieme condotta dal beato Pietro,
faccia crescere il Regno del Salvatore Divino di Verità e giustizia, Regno di amore e di
pace. Amen
C'è tutto il linguaggio protocollare/retorico/primo '900 a cui noi oggi siamo meno
abituati, poi ci sono invece tutti i titoli di tradizione spirituale molto alta, ma l'idea
fondamentale è che Papa Giovanni pensa e vuole che sia pensato e vissuto il Concilio,
come nuova Pentecoste; la preghiera significa riconoscere il primato dello S.S. la cui
presenza e azione permanente nella Chiesa rende possibile il rinnovarsi di un
avvenimento, che per forza di incidenza e per significato teologico attualizza le
coordinate della Pentecoste originaria.
Questa è la duplice idea di evento pentecostale, la Chiesa è sempre, permanentemente
abitata e agita dallo spirito, questa è una idea di Pentecoste perenne, l'idea che la Chiesa
tutta, sempre, è esperienza dello Spirito, ma allo stesso tempo c'è l'idea di Pentecoste
come EVENTO, come accadimento, ma le due cose non si escludono, anzi, è proprio la
presenza costante e l'opera costante dello Spirito nella Chiesa che rende possibile, in
alcuni frangenti, il rinnovarsi di accadimenti che per forza di impatto, di incidenza, e per
significato teologico, attualizzano in modo più evidente le coordinate della Pentecoste.
Sono due livelli: tutta la Chiesa, in ogni momento, è una continua Pentecoste, perchè
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senza lo Spirito non possiamo essere, fare nulla, ma ci sono poi anche eventi accadimenti
particolari, che hanno una incidenza e un senso teologico tali da rinnovare in maniera
davvero singolare, le coordinate di quella Pentecoste originaria, che guarda caso, le
coordinate combaciano proprio con le linee guida che erano le linee guida del primo
momento, Atti2, iniziano a parlare e a raccontare la Verità di Gesù alla presenza di tutti i
popoli radunati a Gerusalemme, l'elenco delle nazioni, e quindi il miracolo è: tutti
sentono parlare la propria lingua. Ecco la famosa idea di Papa Giovanni → lezione
11/10/12 → “la Verità non cambia, dobbiamo cambiare il modo di raccontarla, perchè il
tempo è cambiato”. In gioco c'è la Verità che è Gesù, la signoria di Gesù ma che va fatta
comprendere, come quel giorno originario, per la prima volta accade il miracolo della
comprensione universale dell'unica Signoria di Gesù.
In quella preghiera si ripropone l'idea che l'accadimento conciliare ricalca le coordinate
della Pentecoste originaria → ecco la nuova Pentecoste, non una Pentecoste che si
aggiunge, ma il riaccadere delle stesse coordinate, che hanno soprattutto quel perno: la
Verità e la storia, la Verità si è fata storia, e deve essere raccontata alla storia, perchè la
storia è plasmata da quella Verità → è la grande intuizione conciliare, ed è quello che la
preghiera allo Spirito dice in maniera molto chiara.
Ecco come il Papa aveva educato a pregare tutto il popolo di Dio, a pregare con
indulgenza quella cosa, perchè così aveva abituato tutti i fedeli ad accogliere la portata
reale di quello che stava per accadere, un dono dello Spirito, per la capacità di un
linguaggio nuovo per dire la Verità di sempre, e questa capacità per tutti, si insiste perchè
questa Verità sia data a tutti.
Papa Giovanni cercava (giocava) già in anticipo, perchè poi chiedeva la luce e la forza
per guidare i lavori conciliari, ma anche l'obbedienza di accogliere quanto sarebbe stato
stabilito. In anticipo il Papa dice preghiamo perchè accada qualcosa di spirituale, ma
perchè io so già, era il metodo del Concilio, che questo qualcosa avrebbe prodotto,
stabilito, qualcosa che va colto in obbedienza. Ecco una risposta in chiave spirituale al
problema della separazione, ed è l'obbedienza, ciò che è stabilito è quello che diventa poi
il perno dell'accoglienza dell'EVENTO.
Lettura di una pagina di Alberigo (autore della storia del Concilio più importante
pubblicata) → “Giovanni XXIII aveva insistito ripetutamente sul Concilio come nuova
Pentecoste, preferendo questo richiamo a quello classico al Concilio di Gerusalemme”
(c'è tutta la tradizione che, sia esegeticamente, sia storicamente non proprio esatta, vede
in Atti 15 il primo concilio della Chiesa, il Concilio di Gerusalemme, dove si dibatte la
questione circoncisione si o no. Il racconto di Atti e ciò che è accaduto, in qualche modo
ha a che fare con un dinamismo conciliare, ma sia gli esegeti che gli storici sono
abbastanza prudenti nel segnalare quello come il primo Concilio della Chiesa.
“E questo per mettere in evidenza il carattere del CVII come evento di luce e di
conversione, quale è stata per eccellenza la Pentecoste secondo la tradizione cristiana.
Roncalli era ben consapevole della straordinaria pregnanza teologica e storica della
Pentecoste e il fatto di invocarne una ripetizione, era un modo preciso ed inequivocabile
per sottolineare, con linguaggio tipicamente cristiano l'eccezionalità della congiuntura
storica attuale, le prospettive straordinarie che essa apriva e le necessità che la Chiesa vi
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facesse fronte con un rinnovamento di grande profondità in modo da potersi presentare al
mondo per testimoniare agli uomini il messaggio evangelico con la stessa forza ed
immediatezza della Pentecoste originaria. Il richiamo alla Pentecoste ancora, poneva in
primo piano l'azione dello Spirito, e non quella del Papa o della Chiesa, come già era
stato per gli apostoli e i discepoli che, secondo gli Atti, si erano trovati ad essere oggetto
dell'azione prepotente e travolgente dello Spirito”.
Di questo testo va sottolineata, come opzione interessante, la parola CONVERSIONE →
categoria interessante → il CVII non è stato una rivoluzione, come piace dire a qualcuno,
quelli che sostengono la tesi della rottura, ma la rivoluzione non è la categoria più
opportuna, Gesù non era un rivoluzionario, la categoria giusta e che Gesù ha avuto sulle
labbra il primo giorno che ha iniziato a predicare il regno, è CONVERTITEVI!
Il Concilio ha segnato un rinnovamento, ma era all'insegna del recupero della fedeltà al
Vangelo di sempre, e questo si chiama conversione, questo è stato l'atto che ha rinnovato
la Chiesa, non quindi una rivoluzione: una Chiesa che anche dopo aver accumulato molta
zavorra e molte incrostazioni lungo la sua storia, ha capito ad un certo punto che non
doveva cambiare tutto, ma doveva riferirsi ancora all'origine, che è Gesù e il Vangelo.
Non un evento di rottura, ma di RICONCILIAZIONE, una Chiesa che si riconcilia col
Vangelo, con l'uomo del suo tempo e non rompe nulla → è lo stile di Gesù.
“L'evento e le decisioni” testo di Alberigo, pag. 517-518
Paolo VI → esortazione apostolica tra le più belle, quella dedicata alla gioia cristiana, la
“Gaudete in Domino”, scritta nel 1975, e il Papa scriveva (c'è continuità) → “Non è forse
un rinnovamento interiore di tal genere, quello voluto in fondo dal recente Concilio?
senza dubbio vi è ivi un'opera dello Spirito, un dono della Pentecoste, parimenti bisogna
riconoscere una intuizione profetica del nostro predecessore Giovanni XXIII, il quale
previde come frutto del Concilio, una specie di nuova Pentecoste”.
C'è una sfumatura interessante → il frutto del Concilio una nuova Pentecoste per la
Chiesa → la categoria che noi stiamo usando per l'evento, a questo punto attraversa non
solo l'evento, ma anche i testi e addirittura la ricezione, perchè è la ricezione stessa un
frutto di Pentecoste, un evento di Pentecoste. E' interessante, che noi adesso ci stiamo
focalizzando sull'evento, ma Paolo VI prende la stessa categoria e la ampia e fa tenere
unite le tre cose. Una unica categoria che le tiene insieme e crea quella circolarità
virtuosa tra EVENTO, TESTI, RECEZIONE.
“Anche noi abbiamo voluto metterci nella stessa prospettiva e nella medesima attesa,
non che la Pentecoste abbia mai cessato di essere attuale, lungo il corso della storia
della Chiesa”. (N.D.P. → ci sono due vie fondamentali nell'applicare la categoria della
Pentecoste alla Chiesa: una è l'idea di una Pentecoste che non cessa mai di essere attuale,
ogni istante di vita ecclesiale è parte di un permanente stato di Pentecoste, perchè non c'è
nulla che accade nella Chiesa che non sia all'insegna dello Spirito della Parola suscitata
dallo Spirito, e quindi un modo di usare la Pentecoste come cifra per dire la Chiesa e la
vita della Chiesa in ogni momento; ma, d'altra parte, l'utilizzo della stessa categoria per
dire alcuni epifenomeni della vita ordinaria della Chiesa, come il CVII. Paolo VI in
questo passaggio dice che tutte e due vanno bene: “Non che la Pentecoste abbia mai
cessato di essere attuale lungo il corso della storia della Chiesa, ma così grandi sono i
bisogni e i pericoli di questo secolo, così vasti gli orizzonti di una umanità rivolta alla
coesistenza mondiale (globalizzazione), ma impotente a realizzarla, che per essa non c'è
salvezza se non in una nuova effusione del dono di Dio. Venga dunque lo Spirito
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Creatore a rinnovare la faccia della terra.” (invocazione finale, una delle antifone
classiche della liturgia e della vita spirituale di carattere pneumatologico).
Altro testo, bellissimo → il discorso inaugurale del terzo periodo conciliare → 14/09/64
→ festa dell'esaltazione della Croce → lettura della prima parte → questa parte è stata
definita, da Daniel Ange (1998, Paolo VI, “La Pentecoste perenne), “in quell'occasione
Paolo VI celebra una vera epiclesi, (chiamare dall'alto), termine tecnico liturgico per dire
l'invocazione dello Spirito Santo.
L'epliclesi la leggiamo tutta, a sua volta è fatta da due sezioni, che ruotano tutto intorno a
una unica frase che sta al centro e che poi viene declinata con un duplice ritornello.
(spiegato in classe, scritta sulla lavagna).
Testo → l' affermazione centrale, che è un po' tutto il programma della locuzione del
Papa, recita così → “ se dunque qui c'è la Chiesa, qui c'è anche lo Spirito Paraclito”.
Le tre parole chiave, che poi diventeranno le parole usate nei ritornelli della prima e della
seconda sezione, sono HIC (qui), ECCLESIA, SPIRITUS.
Evento di Chiesa, evento di Pentecoste. Hic è ciò che esprime la concretezza delle
coordinate storiche spazio-temporali del Concilio → qui accade qualcosa, siamo qui oggi
e qui accade qualcosa, è l'hic dell'evento.
Questo evento è un evento che accade per la reciproca connessione tra la realtà della
Chiesa e la presenza attiva dello Spirito.
Un evento ecclesiale, pneumatico, nello Spirito.
HIC è ciò che torna sempre.
Partiamo dall'Ecclesia, perchè è interessante che la prima cosa che si dice è che qui c'è la
Chiesa, qui noi stessi facciamo la Chiesa → questo noi è descritto in maniera complessa e
gerarchica proprio come è la Chiesa, ma poi viene sviluppato sulle quattro note della
Chiesa → qui è celebrata l'unità, qui è celebrata la nota cattolica, qui la santità della
Chiesa, qui è celebrata la nota apostolica della Chiesa → un piccolo trattato di
ecclesiologia, tutto ciò accade qui in questo luogo, in questa ora.
“Nel segno della Santa Croce, in cui ora abbiamo appena celebrato il mistero eucaristico,
qui prende inizio la terza sessione del CVII.
INIZIA LA SCANSIONE, IL RITORNELLO → “Qui è veramente la Chiesa, noi stessi
qui siamo Chiesa, e questo perchè siamo membra del corpo mistico di Cristo, per un dono
inestimabile della sua grazia, Dio ci ha dato di credere il lui, di essere purificarti nel
battesimo, di essere uniti nella carità del sacro e visibile popolo di Dio”.
Nel 1964 → Lumen Gentium
Il Papa ha già assimilato questa rivoluzione copernicana, che il punto di partenza è tutto il
popolo dei battezzati, tutti uguali, alla pari, in quanto credenti, in quanto battezzati, in
quanto fratelli nella carità del Vangelo → siamo Chiesa perchè noi siamo queste cose,
gente che crede, battezzata → questo è la Chiesa, innanzitutto. Poi esiste anche il noi
gerarchico, “siamo Chiesa perchè siamo suoi ministri, vale a dire sacerdoti insigniti di un
carattere proprio per il quale siamo stati costituiti in questa funzione, quando abbiamo
ricevuto la sacramentale ordinazione che ci ha conferito poteri mirabili e terribili e ci ha
inseriti nella sacra gerarchia dell'ordine, la quale deve adempiere i suoi compiti perchè
abbia a perpetuare nel tempo e a propagare sulla terra la missione salvifica di Cristo”.
E' una Chiesa necessariamente gerarchica, ma la prospettiva, qui E' CHIESA, NOI
SIAMO CHIESA, ma lo siamo innanzitutto in quanto battezzati e poi lo siamo in maniera
particolare come ministri.
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“siamo infine Chiesa, perchè, come maestri della fede, pastori delle anime,
amministratori dei misteri di Dio, ne rappresentiamo qui tutte le parti, non però come
delegati o deputati dai fedeli che governiamo con spirituale sollecitudine, ma come padri
e fratelli che impersonifichiamo le comunità affidate alle cure di ciascuno di noi e come
… noi (il Papa) associati a voi come vostro fratello, abbiamo convocato secondo il diritto
dell'occorrenza in quanto vescovo di Roma, in questa città preminente per volere della
divina provvidenza in quanto successore, umilissimo ma autentico, dell'apostolo Pietro, al
cui sepolcro siamo pienamente convenuti e perciò come indegno ma vero capo della
Chiesa cattolica di Cristo.”
La cosa interessante è che la prospettiva in cui viene descritto l'evento, secondo le
connotazioni delle quattro note tradizionali, è la prospettiva insieme storica e missionaria,
perchè il modo in cui vengono descritte le quattro note è il modo che dice come la Chiesa
si preoccupa dell'uomo, dell'umanità e del mondo.
“noi dunque, che nelle nostre persone, nelle sacre funzioni, compendiamo tutta la Chiesa,
chiamiamo ecumenico questo Concilio. Qui è celebrata l'unità, qui è celebrato l'aspetto
cattolico della Chiesa”. Polarizzazione che non va scissa, unità-cattolicità.”con cui essa
testimonia il mirabile vigore e quella sorprendente facoltà di unire tra loro gli uomini in
un accordo fraterno, di accogliere forme diverse di civiltà, lingue radicalmente dissimili
tra loro, espressioni degnissime di liturgia e pietà, quelle entità contrastanti che la vita
delle nazioni, la realtà sociale, la cultura e la scienza prospettano. Tutte queste cose essa
le convoglia felicemente in unità rispettando di tutte la legittima e naturale varietà”.
Il Concilio è stato proprio questo incontro, unito ma di tutte e lingue, di tutte le tradizioni
liturgiche, di tutte quelle realtà apparentemente contrastanti dal punto di vista umano, ma
che la Chiesa è capace di fare uno. Una, nella capacità di pluralismo, e plurale nella
capacità di unità.
Ciò il Concilio l'ha realizzato come epifenomeno, una Chiesa veramente una ma
veramente cattolica. Convergenza di tutte le diversità, così come accaduto il primo giorno
di Pentecoste.
“Si celebra qui la santità della Chiesa, perchè qui essa implora la misericordia di Dio
affinchè perdoni le debolezze e gli errori degli uomini peccatori, così come ci
riconosciamo e perchè qui, esercitando il sacro ministero, comprendiamo al massimo che
noi possiamo attingere, dalle imperscrutabili ricchezze di Cristo, i doni preziosissimi
della salvezza e della santificazione, dei quali arricchiremo tutti gli uomini e perchè
siamo coscienti che noi non abbiamo altro obiettivo, se non quello di preparare al Signore
un popolo ben disposto”. Santità vista come impegno costante a invocare per sé ed
esercitare per gli altri la misericordia di Dio in Cristo. Santità come figura di
misericordia, ricevuta ed offerta, e quindi una Chiesa santa perchè si preoccupa della
santificazione progressiva di tutti gli uomini. Atteggiamento missionario.
“Qui finalmente si celebra la nota apostolica della Chiesa, prerogativa che a noi stessi
appare meravigliosa, poiché conosciamo per esperienza la nostra fragilità, né ignoriamo
che la storia documenta che anche le più stabili istituzioni umane ne sono soggette, ma
sappiamo anche benissimo quanto coerentemente e costantemente il comando dato da
Cristo agli apostoli sia pervenuto fino a noi, umili e stupefatti, quanto inspiegabilmente e
quanto incivilmente la Chiesa ha resistito ai secoli sempre viva, sempre in grado di
suscitare in sé le forze per le quali rinverdisce come per un impeto irrefrenabile”.
Apostolicità descritta come impegno a mantenere una vivacità sempre giovane, fedele, e
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questo attraverso e nonostante la storia, attraverso il legame di successione storica che
dagli apostoli porta ai vescovi di oggi e nonostante la fragilità storica delle persone. Nella
nostra fragilità, cmq passa la fedeltà al Vangelo → per garantire, dentro la storia, la
fedeltà e la perenne giovinezza della Chiesa, fedele alle origini.
La vera giovinezza della Chiesa è la fedeltà alle origini, è Cristo l'origine.
Questa prima sezione si conclude con Tertulliano → “riunirsi da ogni dove a Cristo, sotto
gli auspici della fede” → il Papa vuole dire le coordinate dell'evento conciliare.
E' lo Spirito Paraclito, poi, la condizione di possibilità per l'accadere della Chiesa e di
ogni evento di Chiesa; il nesso è sugli apostoli: citando la Pentecoste, dice che a
Pentecoste l'apostolato e lo S.S. Sono stati meravigliosamente associati insieme.
Citando Giovanni 14, 16-17 → “Io pregherò il Padre e vi darà un altro consolatore
perchè rimanga con voi per sempre. Lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere
perchè non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perchè Egli dimora presso di voi e
sarà in voi” → è uno dei testi più importanti del N.T. circa l'identità e l'opera specifica
dello Spirito nella vita cristiana della Chiesa.
“Come sappiamo Cristo ha promesso e ha trasmesso, in forma diversa, l'intervento di due
cose, cioè l'apostolato e lo S.S., per continuare la sua missione, estendere nel tempo e in
tutto il mondo, il regno da lui fondato, e accogliere gli uomini in lui credenti nella sua
Chiesa, nel suo corpo mistico, perchè formassero la sua pienezza fin quando dura l'attesa
del suo ritorno alla fine dei secoli, che avverrà alla fine come un trionfo”.
Ecco ancora la prospettiva storica, la Chiesa esiste per estendere nello spazio e nel tempo
il regno che Gesù ha portato su questa terra, ma per poterlo fare, la Chiesa è associata
all'opera dello Spirito, perchè lo Spirito è principio di universalizzazione ed
attualizzazione dell'opera di Cristo. La Chiesa è necessitata, perchè possa l'evento della
Pasqua raggiungere ogni uomo e ogni tempo, ma per poterlo fare è associata all'opera
dello S.S.
“L'apostolato, operando dall'esterno e in modo oggettivo, forma per così dire il corpo
materiale della Chiesa, a cui dà una compagine visibile sociale, mentre lo S.S. agisce
all'interno ed esercita la sua forza non solo negli animi degli individui, ma anche
nell'intera comunità, perchè la anima, la vivifica, la santifica”. Ecco il nesso tra Chiesa
come realtà istituzionale, storico-sociale, e lo S.S., la Chiesa è l'esteriorità oggettiva, il
corpo, la materia, lo S.S. è l'anima, la forza, ciò che anima, vivifica e santifica quel corpo
materiale, la Chiesa.
Se siamo Chiesa, siamo anche Spirito.
“l'apostolato, che la sacra gerarchia ha ereditato per successione, e lo Spirito di Gesù, di
cui usufruisce questa stessa gerarchia, come strumento ordinario nel mistero della Parola
e dei sacramenti, agiscono entrambi insieme. Il giorno di Pentecoste si allacciano
meravigliosamente l'un l'altro, quando ha inizio la grandiosa opera di Cristo Signore, non
più visibile, ma sempre presente negli apostoli e nei loro successori, che ha eletto suoi
vicari e costituiti pastori. Entrambi, pure in modo diverso, ma complementare, danno
testimonianza a Cristo, uniti in una intesa dalla quale viene effusa.. apostolica una forza
sovrannaturale”.
Ecco il meraviglioso allacciamento tra lo Spirito e il ministero apostolico, perchè la
Chiesa nasce e vive così.
“Possiamo credere che questo piano di azione salvifica, mediante al quale giunge a noi e
si compie in noi la redenzione di Cristo, sia ancora oggi in vigore? Certamente, venerabili
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fratelli, dobbiamo anzi ritenere che questo piano continua e giunge ad effetto per mezzo
nostro, perchè siamo investiti di un potere e di una capacità che viene da Dio”.
Tutte parole che hanno a che fare con la “Dynamis” (riferita allo Spirito) → potere,
capacità.
“Se qualcuno dubitasse di questa realtà, farebbe ingiuria alla fedeltà di Cristo, che
adempie alle sue promesse, verrebbe meno alla nostra missione apostolica, priverebbe la
Chiesa di quella solidissima realtà della quale non può privarsi e della quale è dotata dalla
parola divina, come provato durante i secoli dell'esperienza”.
“Lo Spirito è qui, non già per aggiungere la grazia sacramentale all'opera che riuniti in
Concilio noi tutti affrontiamo, ma per illuminarla e indirizzarla all'utilità della Chiesa e di
tutta la famiglia umana” → funzione illuminativa e direttiva dello Spirito proprio in
funzione dell'efficacia del Concilio, perchè sia utile alla Chiesa e al mondo.
“Lo Spirito è qui, noi lo invochiamo, lo aspettiamo, lo seguiamo”.
“Lo Spirito è qui, (qui abbiamo il livello più vero, quello che impegna il ruolo essenziale
dello Spirito, che è la conformazione a Cristo), ricordiamo questo punto della dottrina,
questa sua vera presenza, soprattutto per percepire ancora una volta, e in forma
pienissima e pressochè indicibile, la comunione con il Cristo vivente, perchè lo Spirito ci
unisce a Lui”.
Il principio pneumatologico non è mai alternativo concorrenziale al cristocentrismo,
tutt'altro, ma è la garanzia del vero cristocentrismo.
La convergenza, ciò che Lui fa per noi, e ciò che noi facciamo epr Lui, ma ciò che unisce
questa complementarietà ta noi e Lui è perchè Lui, in forma pienissima ci pone in unione
a Cristo vivente → ciò è l'essenziale dell'opera di Cristo.
Poi parte tutta una approfondimento spirituale molto intenso, che ci fa bene alla
meditazione: “Questo rammentiamo, anche per stare alla Sua presenza, con animo pronto
e sollecito, per sentire la nostra miseria e l'insufficienza che ci umilia e la necessità di
implorare la sua misericordia e il suo soccorso ed ascoltare queste parole dell'aopostolo,
come se fossero dirette a noi, negli infimi recessi degli animi, investiti di questo ministero
per la misericordia che ci è stata usata, non ci perdiamo d'animo (2Cor. 4-1). In questo
tempo del Concilio, siamo così invitati alla massima docilità interiore, ad accogliere nella
massima disponibilità la Parola di Dio, come si addice ai figli, a pregare e ad amare
intensamente e ad infiammare le nostre menti di ardore spirituale”. → è tutto un
programma di vita spirituale ma che dice cosa vuol dire credere ,sapere che c'è lo Spirito,
se Lui c'è a noi è chiesta docilità, amore, ardore, preghiera ecc.
questa è la modalità con cui il Papa, e lo dice (abbiamo rammentato questa dottrina..), lo
facciamo per dire che c'è una vera presenza dello Spirito che fa realizzare queste cose.
Poi il Papa completa e da arcivescovo ambrosiano emerito, commenta uno dei testi
ambrosiani più famosi, “a questo eccezionale evento, sembrano quanto mai convenire
queste parole dette da Sant'Ambrogio, con quel genio poetico di chi era dotato..... questo
la sobria ebrezza dello Spirito: questo avvenga a noi nel tempo sacro del Concilio”.
A questo evento eccezionale si confanno quelle parole. E' conclusa l'epiclesi, leggo solo
la cerniera che poi apre la seconda parte, che è importante perchè ci ricorda che già da
arcivescovo, e poi da Papa, la scelta è quella di mettere come oggetto fondamentale della
riflessione conciliare, la Chiesa: “diciamo infine questo, perchè nel succedersi degli
eventi e delle vicissitudini, è venuto ora il momento in cui la Chiesa, che è da noi
rappresentata e riceve da noi forma e vita, dica di sé quello che Cristo, istituendola, pensò
23
e volle e i Padri, i Pontefici, i Dottori, nella loro sapienza, hanno fedelmente e piamente
indagato, come in una meditazione protratta nei secoli”.
La Chiesa si è detta, è giunto il momento che la Chiesa dica sé → recuperando il sogno di
Gesù. Il vero rinnovamento conciliare è la conversione all'origine, questa è la novità del
Concilio. Non ha disegnato un volto nuovo di Chiesa, ma il suo volto originario.
Ermeneutica della continuità, non nostalgia anacronistica, ma riscoperta della freschezza
delle origini.
“Bisogna che la Chiesa definisca se stessa e dalla sua autentica consapevolezza, tragga la
dottrina che già lo S.S. le ha infuso, secondo la promessa del Signore”. (Paraclito)
Ecco allora il passaggio → dall'evento pneumatico, il passaggio pnematico, meta-
pneumatico, pneumatologico: pneumatico → un evento, l'esperienza dello Spirito; il
meta-pneumatico → lo Spirito che parla, che dice di sé; pneumatologico → una dottrina
sulla Chiesa e sullo Spirito.
Prepariamoci a creare una dottrina, per la prima volta, completa sulla realtà globale della
Chiesa.
Una dottrina della Chiesa secondo lo Spirito, e soprattutto un evento di conversione e non
rivoluzione.
Fino a Giovanni Paolo I si usa il plurale maiestatis.
Passiamo ora al secondo momento, ossia ai TESTI → raccontare la storia delle quattro
costituzioni. Lettura di tutti e 16 i documenti conciliari (almeno una pagina).
C’è una differenza minima tra la liturgia pre-conciliare e quella post-conciliare. Non c’è
tutta questa rivoluzione, c’è un passo in avanti nella continuità.
Dal punto di vista epistemologico, metodologico, la differenza è di scienza cioè la
scuola legata agli studi di Bologna, è una storia di storiografia, mentre la nostra
impara con l’approccio con la Sacra Scrittura: non confondiamo però i documenti del
Concilio e il testo sacro; in ogni caso c’è una analogia tra quello che impariamo
nell’approccio esegetico ed ermeneutico. Lettura storico-critica e lettura canonica.
conciliari per capire il senso del testo lettura diacronica, che fa passare le varie tappe, i
quel testo, storico-critica, quale è stato il dibattito che cosa dicono le fonti, gli atti
vari periodi, e fa capire come si è arrivati al testo finale, quindi capirlo meglio.
Vale poi anche per il Concilio la questione di una lettura d’insieme: una volta che il
Concilio si conclude e consegna alla Chiesa il pacchetto dei documenti, lo stesso deve poi
essere gestito unitariamente: alcuni documenti si citano a vicenda, a segnalare che poi
occorre una lettura non dei singoli ma di ogni documento dentro l’insieme.
24
Teniamo quindi presente la lettura sincronica e quella diacronica, cioè una attenzione
storico-critica, la genesi dei testi e su questo faremo un assaggio solo sulle quattro
costituzioni e da subito, la chiave di lettura sincronica, di tutto il messaggio conciliare in
quanto tale.
A partire dalle costituzioni, leggeremo alcune pagine degli altri documenti.
Il primo dato che va rilevato riguarda le note formali dei documenti cioè la nota
Leggere almeno una pagina di tutti i documenti.
formale di un documento è la qualità che gli estensori del documenti dallo allo stesso.
Il Concilio ha prodotto 16 documenti definitivi che si distinguono per nota formale in tre
categorie:
- LE COSTITUZIONI
- I DECRETI
- LE DICHIARAZIONI
Decreti
Dichiarazioni
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Le costituzioni sono i documenti dottrinali fondamentali, che cercano di descrivere i
principi costitutivi del dato cristiano: sono i 4 documenti più importanti, comunemente si
chiamano i 4 pilastri su cui si regge tutta l’architettura conciliare. Sono quelli che vanno
conosciuti per primi, studiati a fondo, perché è dai principi argomentati ì che poi si
capisce anche l’impostazione di tutto il resto.
Queste 4 costituzioni hanno una specificazione interessante, perché abbiamo una
costituzione che è chiamata solo costituzione, che è la SACROSANTUM CONCILIUM
sulla divina liturgia. Il nome ufficiale è nota formale, titolo che è il titolo delle prime due
nome proprio le prime due parole latine, e poi la nota formale: costituzione e
l’argomento: divina liturgia.
Poi abbiamo 2 costituzioni che vengono chiamate dogmatiche, aggettivo pesante, ma che
è caro alla tradizione cattolica e qualifica ancora di più l’importanza fondativa di quella
dottrina che, è insegnata nella costituzione dogmatica LUMEN GENTIUM sulla Chiesa,
e nella costituzione dogmatica DEI VERBUM, sulla divina rivelazione.
Due costituzioni dogmatiche, e la qualifica dà un peso specifico notevole a questi due
Poi abbiamo un inedito: “quasi una bestemmia per la tradizione cattolica” una
argomenti.
I DECRETI sono 9 sono quei documenti che sono una declinazione settoriale di alcuni
concreta è principio costitutivo) del dato cristiano. 20.45
temi già affrontati nelle grandi costituzioni, e con una prospettiva particolare e che è una
prospettiva di riforma ad intra, cioè si prende un tema, un capitolo, che è già compreso
nelle grandi visioni delle 4 costituzioni, e viene approfondito, sempre da un punto di vista
dottrinale, quasi tutti i decreti hanno come primo capitolo i principi dottrinali, che sono la
rivisitazione di quanto già detto nelle costituzioni, e poi dalle costituzioni dottrinali si
Abbiamo infine le 3 DICHIARAZIONI con questo nome si dice che invece quei
affrontano le questioni anche concrete, con indicazioni anche concrete di riforma.
documenti.. il Concilio non parla tanto ad intra, ma parla ad extra le dichiarazioni sono
i documenti con cui il Concilio e quindi la Chiesa che si dice nel Concilio, parla
espressamente, direttamente al mondo, quindi si dichiara e fa una dichiarazione al
mondo. Il Concilio ha mostrato una certa simpatia per il mondo.
Quindi tramite questi documenti il Concilio vuole dire delle cose specifiche al mondo,
alla Chiesa.
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Queste le note formali, c’è già tutto il metodo che il Concilio ha usato e ci insegna, un
metodo di vita ecclesiale, ci sono dei principi, c’è la vita, c’è il dialogo.
Principi di uno stile che il Concilio ha fatto suo, e lo ha insegnato già nel modo con cui
Come vederli tutti insieme SUA PROPOSTA (ispirata da Luigi Sartori) far ruotare
produce i documenti.
bene tutti i 16 documenti, come una galassia, facendo cogliere l’idea di fondo, che
insieme veicolano.
È fuori di sé, non è autonoma, non auto-sussiste, il suo cibo è l’eucarestia e così vive di
Cristo, non può chiudersi in se stessa, è sempre relazionarsi a Cristo.
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Chiesa si scopre eccentrica, ma si scopre ESTROVERSA fatta per l’altro, rivolta
In questo modo le costituzioni vanno necessariamente lette tutte insieme, ma non solo la
intuizione iniziale di LG, che è l’immagine della luce la Chiesa riflette la luce di
della carne di Cristo, ma lo fa perché così può portare Cristo al mondo, è la grande
questo caso orientali che hanno una loro tradizione liturgica, canonica, pastorale,
anche una pluralità che invece è legittima ospitalità della Chiesa di realtà diverse, in
spirituale ma che è dentro la Chiesa cattolica, dove unità non vuol dire massificazione,
ma anche pluralità e tradizioni, purchè siano salvaguardati i principi di unità.
occidente e oriente.
CHIESA CHE DEVE SAPER RESPIRARE CON DUE POLMONI (Giovanni Paolo II)
Poi mettiamo sotto 5 decreti che corrispondono esattamente ad alcuni capitoli di LG: un
capitolo un argomento settoriale preso da lì e approfondito, declinato. E sono i decreti che
riguardano le articolazioni carismatiche, vocazionali, della Chiesa.
DECRETO CHRISTUS DOMINUS SUI VESCOVI
DO DECRETO PRESBYTERORUM ORDINIS SUI PRETI
DECRETO DC PERFECTAE CARITATIS SULLA VITA RELIGIOSA
DECRETO AA APOSTOLICAM ACTUOSITATEM SULL’APOSTOLATO DEI
LAICI
Ci sono le 3 grandi famiglie carismatiche, il ministero ordinato, la gerarchia, (ciò che il
Concilio chiamava ancora la vita religiosa li mettiamo vicini a cosa?), e poi dopo, nel
magistero conciliare conierà una categoria più ampia, che è la vita consacrata, e poi il
ruolo dei laici. Ma già LG ha un capitolo sulla gerarchia, sui laici e sui religiosi.
Viene sviluppato con un documento a parte e sotto abbiamo anche il decreto OPTATAM
TOTIUS decreto sulla formazione dei religiosi e va messo sotto PO perché è anticamera
necessaria del ministero presbiterale.
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Quindi lo mettiamo lì perché strettamene legato a questo. Abbiamo 7 decreti che sono
satellitari a LG, perché parlano di chiesa plurale e una Chiesa che vive delle diverse
vocazioni tutte corresponsabilmente necessarie per la vita della Chiesa, con un appello
alla formazione dei sacerdoti, paradigma di una formazione che vale per tutti. Mancano
due decreti, li collochiamo sempre intorno ad LG ma sono già tendenzialmente proiettati
verso il mondo: sono AG (AD GENTES) che mettiamo sopra e IM sotto la linea di
congiunzione la Chiesa e la sua identità e la Chiesa che si rivolge, che esiste per il
mondo.
Ad gentes è il decreto sulla attività missionaria della Chiesa e IM è il decreto sui mezzi
di comunicazione sociale. Perché stanno lì? Perché è esattamente la cerniera di fondo, la
Chiesa ha simpatia per il mondo con il Vangelo, esiste per dare al mondo la salvezza per
tutti, è nell’esercizio della missionarietà che si muove questo rapporto fondamentale,
questa cerniera, questo ponte, fra la Chiesa e il mondo, realtà autonome ma che si legano
nel Vangelo.
E poi il documento meno letto, perché è il più acerbo, per una ragione precisa, perché
negli anni 60 non c’era ancora stata la rivoluzione tecnologica, ma l’idea c’era già, se la
Chiesa deve parlare al mondo, non può né disprezzare né ignorare la grammatica dei
mezzi di comunicazione sociale, deve conoscere le regole della comunicazione, non
ignorarla, non demonizzarla, perché altrimenti la Chiesa è muta, si parla addosso.
Mancano le dichiarazioni, sono i documenti tramite le quali il Concilio parla direttamente
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Raccontiamo alcuni momenti fondamentali: il primo schema ad essere sottoposto a
dibattito, nel primo periodo conciliare, 11 ottobre-8 dicembre 1962, quello che fa l’inizio
è proprio i DE SACRA LITURGIA, uno dei 69 schemi che erano stati fatti; la scelta fu
fatta dal consiglio di presidenza, il 15 ottobre 1962, 4 giorni dopo l’inizio ufficiale, e
indicate in aula il giorno seguente e la motivazione anche molto contingente, di iniziare
da questa cosa, era relativa al bisogno di affrontare subito dai momenti pratico-pastorali,
sul quale il consenso era immaginato più facile, piuttosto che sulle spinose questioni
teologiche dottrinali; c’era la percezione che le questioni liturgiche fossero una cosa
pratica, da gestire in fretta e lasciare dopo le questioni più spinose.
L’altro motivo contingente era la percezione che c’era un aspetto nel suo complesso già
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Lavorano le 13 commissioni e poi si ritrovano insieme nella seconda plenaria con un
primo schema, nella terza plenaria invece viene elaborato uno schema in 8 capitoli e 107
paragrafi intercalati da declarationes, cioè commenti esplicativi.
Questo ultimo schema viene approvato dal cardinal Cicognani, mandato alla
commissione preparatoria centrale che decide di lasciare gli 8 capitoli ma di sopprimere
le dichiarazioni per cui si arriverà al primo schema fatto da un proemio e 8 capitoli.
Quindi alla fine lasciati limpidi, puri gli 8 capitoli.
In tutta questa fase è decisiva la scelta di trattare solo della riforma della liturgia romana,
la scelta altrettanto importante di elaborare un documento insieme dottrinale e
disciplinare, e in questa scelta l’opzione per un compromesso, cioè uno stile teologico
magisteriale classico, ma la scelta è già con questo documento, di far convergere uno stile
più biblico e più patristico nel dire la liturgia e le sue applicazioni.
Dottrina più indicazioni pratiche.
Allora arriva il documento, che è fatto così:
- PROEMIO
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No a qualsiasi riforma, una idea di adattamento, un apprezzamento all’equilibrio di
questo documento, i vescovi terzomondisti che volevano un adattamento alla realtà più
radicale.
Vengono fatti 328 interventi orali e più di 350 interventi scritti, per dire una cera vivacità
nell’approvare il testo che dal punto di vista dell’organigramma è positivo, prende dentro
tutte le questioni emerse, certe osservazioni particolari che vengono appunto portate
avanti. Cito solo una delle 328 più 350 che fa 678, un solo intervento che però ha influito
parecchio in un passaggio notevole che è due osservazioni che fece sia oralmente che poi
per iscritto, l’arcivescovo di Santiago del Cile, cardinale Silva Henriquez. Egli giudicò
positivo il sapore biblico patristico e quindi cristologico del documento, ma chiese di
mistero trinitario ed in particolare allo S.S. chiede espressamente che lo S.S., che lui
approfondire questo sapore biblico patristico e cristologico con maggiore attenzione al
presenta come l’anima autentica della stessa Chiesa, l’attore principale, intimo, di tutta la
vita liturgica.
Questa declinazione pneumatologica che poi ha a che fare con una grande questione
liturgica, la questione dell’epiclesi, dietro ha una idea di fondo su chi è l’attore
fondamentale della liturgia.
Nello stesso intervento, il cardinale poi definisce lo Spirito personalmente come amore, il
primato della carità non è contraddetto con la vita liturgica, cioè è più importante
celebrare o fare la carità ai poveri? E il cardinale dice, non sono in contrapposizione, il
culto e la vita, perché lo stesso protagonista del culto è esattamente ciò che forma
teologicamente il servizio della carità, e questo perchè da sempre una delle accuse e dei
pericoli dell’attività liturgica è quella del formalismo, essere azione vuota, inutile.
Tramite la chiave pneumatologica, il cardinale cileno riesce a far dire sia qual è la base
teologica fondamentale, che dice la natura dell’azione liturgica, e poi, in questo stesso
modo, riesce a contrapporsi ad ogni accusa di formalismo liturgico, cioè di apparato
esteriore che non ha niente o che addirittura sottrae attenzioni e tempo alla vera opera
della in massa l’approvazione del Vangelo, la carità.
Intenzione di cogliere il nesso che è il grande tema biblico, il nesso tra liturgia e vita,
culto e vita.
Ciò sarà poi sostenuto, anche se non avevano diritto di parola e di voto, ma erano
presenti, dagli osservatori, gli auditores ortodossi che da sempre, storicamente, avevano
una collocazione centrale della dimensione epicletica dell’atto liturgico. Per cui anche in
risposta ad un certo giudizio che l’oriente faceva nei confronti della liturgia latina, di
fatto, è poi una piccola parola in virtù dello Spirito tutto ciò che viene scritto viene
essere fredda, penta e muta, allora un recupero di questo protagonismo dello S.S.. Di
32
Quindi fin dall’inizio, in una relazione fatta apposta dal cardinal Lercaro, si dice la piena
accoglienza anche dell’approfondimento pneumatologico.
Poi non si promulga tutto, con l’inizio del secondo periodo conciliare, 29 settembre, 4 sei
sette e il capitolo ottavo fu incorporato al sesto.
Si vota ancora con la possibilità juxta modo, quella di proporre nuovi emendamenti,
LUMEN GENTIUM
Lo scheletro delle vicende è sempre lo stesso, dentro quel grande quadro dei fatti
raccontati nella prima parte, poi il documento ha la sua storia interna. SCHEMA I (1):
DE ECCLESIA, sul quale inizia la discussione, era stato consegnato dai padri conciliari
per tempo ma inizia la sua discussione nel primo periodo conciliare, 11 ottobre - 8
dicembre 1962).
Come è fatto questo primo schema e chi lo ha fatto: ciò ci dice un po’ la prospettiva.
Frutto della commissione teologica preparatoria, che poi procede con il lavoro a catena
delle sottocommissioni.
Il documento viene plasmato con l’imput, la supervisione del cardinal Ottaviani,
presidente della commissione teologica preparatoria e, suo segretario, che mette
direttamente mano a elaborare questo testo è Padre Sebastian Tromp, gesuita e ordinario
di Ecclesiologia presso la gregoriana università pontificia.
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E’ importante perché è uno che “ha le mani in pasta”, ed è significativo ricordare qual era
Il corpo di Cristo che è la Chiesa questo è il manuale che usava e dunque commento
il titolo delle dispense, del manuale di scuola che usava:
della Mystici corporis di Pio XI, ossia l’atto ministeriale più vicino al Concilio, i carattere
ecclesiologico, che aveva scelto l’immagine del corpo mistico di Cristo come idea
portante per dire la Chiesa.
L’idea di Padre Tromp entra, in maniera forte, in questo primo schema.
Questo I schema elaborato soprattutto col contributo di Padre Tromp, ha 11 capitoli: i
vari titoli fanno intuire le caratteristiche di questa prima elaborazione di una costituzione
tradizionale, ontologico, e poi questa idea, che scomparirà poi dal documento definitivo,
e di fatto scompare dal linguaggio ecclesiale, che è l’idea di Chiesa militante; modalità
molto deduttiva e logica, scolastica, di proporre la questione. Idea di Chiesa forte,
2 i membri della Chiesa militante e la sua necessità per la salvezza (tema classico di
battagliera nel mondo.
4 i vescovi residenziali
5 gli stadi per conquistare la perfezione
6 i laici
7 il magistero della Chiesa
8 l’autorità e l’obbedienza nella Chiesa (molti capitoli legati al tema gerarchico quindi
molte questioni legate all’ecclesiologia classica preoccupata delle questioni giuridiche
9 rapporti tra Chiesa e Stato
10 dovere della Chiesa di annunciare a tutti, e dunque il Vangelo
11 l’ecumenismo (che poi si lega e diventa un decreto a parte UR)
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3. GERARCHIA
4. LAICI
La vocazione alla santità non riguarda sol i religiosi, ma è di tutti, tutti sono chiamati ad
essere perfetti come è perfetto il Padre nostro che è nel Cielo.
Un modo radicalissimo per vivere questa santità è la vita religiosa:
5. UNIVERSALE SANTITA’
6. RELIGIOSI
DEI VERBUM
E’ la costituzione dogmatica che ha vissuto l’iter più lungo e più travagliato. La relazione
viene fatta da Monsignor Garofalo.
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Nel luglio del 1960, la commissione preparatoria, a partire da numerose sollecitazioni
presenta nei vota, sceglie di approntare uno schema sui temi della Scrittura e della
tradizione anche tenendo conto del particolare fermento su questi temi (esegesi,
ermeneutica…) la commissione vuole approfondire il rapporto tra la scrittura e la
tradizione.
Schema COMPEDIOSUM COSTITUTIONIS DE FORTIBUS RIVELATIONIS, schema
in 13 punti, preparato da Garofalo. Ed inviato alla commissione teologica e poi si
affronterà una sottocommissione e un documento che arriva in aula conciliare.
Titoli dei capitoli:
1. LA DUPLICE FONTE DELLA RIVELAZIONE (idea dicotomica)
2. L’ISPIRAZIONE DELLA SCRITTURA, inerranza e la composizione letteraria
(scrittura ispirata da Dio, è vera e poi metodo storico-critico. Nuove acquisizioni
sulla composizione letteraria).
3. ANTICO TESTAMENTO
4. NUOVO TESTAMENTO
5. LA SCRITTURA NELLA VITA DELLA CHIESA
Questo è il primo schema che viene presentato al Concilio. Viene composto anche uno
schema DE VERBO DEI e un VOTUM SCRIPTURA E TRADITIONE (stretto rapporto
tra scrittura e tradizione).
C’è uno schema che viene patrocinato insieme da belga, francese, olandese ecc: DE
REVELATIONIS DEI ET HOMNIS IN JUSUS CHRISTO FACTA.
Il giudizio è negativo e accompagnato da una richiesta di rifacimento. I motivi: per prima
cosa la mancata trattazione circa la natura e l’oggetto della rivelazione; in secondo luogo
il problema del plurale (no soddisfacente, impressione che si mantiene una certa
concorrenzialità tra scrittura e tradizione, non piace che si parli di due fonti distinte
(quindi indipendenti ed autonome); è il cosiddetto
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1 i temi da affrontare li affrontano a partire a partire dai principi della legge naturale o dei
principi della visione cristiana; da quale prospettiva partire per considerare chi è l’uomo
del nostro tempo.
2 presentano una sintesi dottrinale a carattere generale o sette premesse e particolare di
linee direttive?
3 parliamo ai cattolici o a tutti gli uomini? Rivolgersi a tutti gli uomini con un metodo
misto (filosofico e teologico) e un contenuto dottrinale e pastorale.
del messaggio è un coinvolgimento della libertà non ci sono più anatemi nella
Lo stile narrativo dice che questa azione interpella la libertà (ma la recezione intellettuale
storia della salvezza interpellata la libertà dell’uomo e allora anche il Concilio si propone
ad una recezione di libertà).
Racconto e poesia sono il linguaggio proprio della testimonianza (ultima pag. 8 e 9 delle
fotocopie).
Il Concilio è il racconto di una storia, disegno di alcune immagine, libertà dell’uomo di
riconoscere in quell’atto testimoniale della verità così come è. La Chiesa dà
testimonianza della verità e la testimonianza è incontro di due libertà.
La libertà potrà dire: si riconosce qui un senso per me e mi impegno per essa.
Qui c’è dento un’ermeneutica del Concilio ma anche della vita cristiana che ruota intorno
al dinamismo testimoniale.
MEMORIZZARE LE STRUTTURE DEI DOCUMENTI
SC DV LG GS
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Il cuore che è la terza sezione, ha 4 passaggi natura gerarchica, natura comunionale,
natura didattica, pastorale e necessariamente chiede d essere inculturata.
Poliedrica natura dell’azione liturgica della Chiesa.
L’arco complessivo che va dalla natura teologica della liturgia fino a pastorale liturgica al
centro una riforma con la PRINCIPIO DELL’ACTUOSA PARTECIPATIVO.
Criteriologia che riguarda la natura poliedrica della Chiesa.
Num 5 tutti i grandi momenti dottrinali del Concilio partiamo sempre dal piano
LEGGIAMO IL 5 E IL 6 DEL CAPITOLO I
A DIO PADRE
a) Missione del Figlio
b) Il Figlio è unito nello S.S.
c) Predicazione + azione
d) Instrumentium nostrae salutis (los trumento concreto è la natura umana
assunta)
e) Mistero pasquale
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L’azione liturgica ha la sua sorgente nell’azione pasquale di Gesù, ha il suo contenuto
che è la salvezza e ha il suo segreto che è quello dello S.S.
Il mistero ecclesiologico è mistero sacramentale.
L’umanità di Gesù è il luogo dove accade la salvezza per noi. Tutta la sua umanità è
mediazione della salvezza che genera per l’uomo (non è solo instrumentum).
Origene, natura e profilo teologico di quella che è l’azione liturgica che è centrata
sull’eucarestia. E’ l’eucarestia che fa la Chiesa o…
Il Concilio dice prima culmine e poi fonte. Il primo atto è l’annuncio del Vangelo ti porta
all’eucarestia e una volta posta diviene centrale la sorgente di tutta la vita. Ma
storicamente e pastoralmente ci si arriva all’eucarestia, è un punto di arrivo per
appropriarsi del mistero eucaristico: è la celebrazione del mistero eucaristico.
La partecipazione eucaristica è pedagogica.
Il misero eucaristico lo capisci e lo vivi in pienezza nell’azione celebrativa.
Numero 11 ACTUOSA PARTECIPATIO necessità delle disposizioni personali; la
Armonizzazione del cuore e labbra scollamento cuore labbra e poi labbra/vita attiva
che vuol dire un’interazione.
Il Concilio ha ribadito che ci sono delle norme liturgiche, non è una questione di
operatività materiale, ma fare di tutto che il fedele sia preso dentro nel mistero
Numero 14 è richiesta dalla natura stessa della liturgia la piena e attiva partecipazione
eucaristico.
di tutto il popolo.
partecipatio come criterio in questi tre punti che abbiamo letto distinguere ciò che è
immutabile da ciò che è immutabile e vale anche per la liturgia.
Modi nuovi perché il mistero celebrato coinvolga la mente, il cuore e la vita delle
persone.
Quindi si però si deve cambiare o perché nella storia si è aggiunta una zavorra o perché
sono mutate le condizioni antropologiche.
Numero 31
Numero 36 SC
Il bene delle anime concessione alla lingua laddove c’è la comunicazione diretta tra il
Il Concilio non ha mai voluto abolire il altino né che fosse introdotto nella liturgia.
popolo e la Chiesa.
Mantenersi la conservazione della lingua nazionale per il popolo.
Le conferenze episcopali nazionali creano un accordo per cui le conferenze nazionali
hanno iniziato ad editare libri in lingua nazionale sempre però approvate dalla CEI.
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Che cosa ha voluto dire nel Concilio? Conservazione e concessione dove tenere insieme
un principio di tradizione ma con un adattamento per il bene delle anime.
Anche dove si apre all’attualità rimane fedele al patto che i libri liturgici sono vincolanti.
Questo è un tema interessante sulla cattolicità e apostolicità della Chiesa. La fedeltà ai
libri liturgici è questione dell’unità cattolica della Chiesa.
Qualità del Concilio è la virtù dell’equilibrio (concetto positivo), nel gestire
correttamente le cose. Essere fedele alle norme è un valore, ma c’è anche il concetto del
sentirsi a casa tua ovunque tu sia.
I. IL MISTERO DELLA CHIESA (la Res della Chiesa, quod, che cosa,
il mistero
II. IL POPOLO DI DIO (quid, chi è, popolo, soggetto storico)
III. LA COSTITUZIONE GERARCHICA DELLA CHIESA ( la struttura
della Chiesa)
IV. LAICI
V. UNIVERSALE VOCAZIONE ALLA SANTITA’
VI. I RELIGIOSI
VII. INDOLE ESCATOLOGICA (la vita della Chiesa, vive giorno per
giorno)
VIII. BEATA VERGINE MARIA
1) LUCE / SACRAMENTO
Metafora / concetto
La Chiesa è segno e strumento di salvezza
Poi 3 numeri trinitari (economia salvifica che è trinitaria):
2) PADRE
3) FIGLIO
4) SPIRITO
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6) IMMAGINE BIBLICA DELLA CHIESA quattro immagini pastorale,
5) REGNO
Testo conclusivo di LG8 che declina su due temi la questione del rapporto Chiesa-Cristo
(come, Così).
Da Cristo alla Chiesa e dalla Chiesa a Cristo.
Cristo è istitutore della Chiesa e fondamento permanente, ma c’è una circolarità
elementare, la Chiesa porta a Cristo.
Ritrovare lo stile originario della Chiesa (non è un volto nuovo di Chiesa).
TEMA POVERTA’ E PECCATI
Stile cristoforme; il Concilio delinea questa cristoformità in relazione alla povertà e al
Lercaro LG8 ci sono due testi tra i più importanti di omologia cristologica.
peccato.
MA (avversativa) mentre Cristo qui con il peccato l’analogia con Cristo non tiene più.
La gerarchia e la comunione gerarchica sono un punto importante.
IL MISTERO DI LUI inclusione perfetta con l’inizio del capitolo in mezzo c’è il
tema del peccato.
Chiesa che fa penitenza, che si purifica, che si rinnova. Triade, papa Benedetto XVI, ha
sempre citato nel caso degli scandali sessuali.
Una Chiesa che mantiene nel suo seno il peccato purchè possa sempre seguire la strada
della penitenza e purificazione come stile di un cammino in cui rinnovare sempre e
veramente il mistero della misericordia di Dio.
Chiesa che prende sul serio la contraddizione drammatica del peccato che ferisce.
Santità è figura della misericordia e non estraneità dal peccato che storicamente segnano
il volto della Chiesa che sia realmente con questo stile di povertà e di penitenza riesce ad
essere credibile come riflesso di Cristo.
41
LEZIONE NONA 13 DICEMBRE 2012
DEI VERBUM
CAPITOLO I
Proemio che introduce sulla Parola di Dio, sulla Rivelazione.
Natura e oggetto della Rivelazione e preparazione della rivelazione del vangelo di Cristo
completa la rivelazione.
Tema della fede
Tema delle verità rivelate
2 grandezze fondamentali:
1) AUTORIVELAZIONE DI DIO
2) FEDE COME RISPOSTA DELL’UOMO
CAPITOLO II
Concetto chiave di tradizione (trasmissione della rivelazione, consegna) viva della Chiesa
e dentro a questo sia attua la Scrittura.
Una volta che si cristallizza, concretizza la Scrittura, questa diventa normativa per la
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1) Rapporto tra Cristo e gli apostoli
2) Rapporto tra gli apostoli e noi
3) Rapporto tra noi e il mondo
Il centro di questa strada di concetti è il tema dell’esperienza di vita, come luogo decisivo
dell’incontro con Dio.
“Così venne fedelmente eseguito dagli apostoli e che”
Il fenomeno della tradizione ha inizio con gli apostoli, che hanno ascoltato la parola d
Eventi che suscitano parole che interpretano eventi rivelazione gentis verbisque.
Gesù, hanno vissuto con lui e lo hanno guardato vivere.
NUMERO 8 così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto (triade).
hanno messo per iscritto.
Il perno di tutto è la vita con Gesù, Egli esempio di vita degli apostoli, e della vita della
Chiesa.
La Chiesa trasmette “tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede”.
Chiesa, comunità di fede che esiste per trasmettere questa rivelazione in Cristo (la Chiesa
crede alla parola di Dio che si è fatta carne), ma per fare questo deve trasmettere se
stessa.
La Chiesa è tradizione (è il volto, è il dinamismo della Chiesa).
La Chiesa esiste per continuare nel tempo e nello spazio la consegna del vangelo e lo fa
in ciò che essa è.
La vita che si mette in gioco per il vangelo, Gesù ha chiamato fin dall’inizio tutti a stare
con lui.
La Chiesa ha una dottrina e un culto, ma se non ci fosse il forma di una testimonianza
vitale non potrebbe trasmettere la fede.
Cristo consegna se stesso e lo Spirito e dentro questa consegna vi è la consegna della
Chiesa che è tradizione (è il senso stesso della Chiesa nel mondo: attenzione MAI
confondere la tradizione con le tradizioni).
Gesù rimprovera i farisei perché li accusa di aver dimenticato il comandamento di Dio
per le loro tradizioni.
dinamismo che è il senso della Chiesa. La Chiesa, per poter trasmettere il vangelo lo può
trasmettere solo attraverso la sua esperienza di vangelo (testimonianza). La Chiesa non è
mai referenziale.
Con lo Spirito cresce la comprensione delle parole trasmesse.
Ci sono tre modalità con cui si sviluppa e progredisce la tradizione (cresce la
comprensione della verità rivelata):
1) Contemplazione e studio dei credenti
2) Spiritualità (santi ed esperienza spirituale di ciascuno di noi)
3) Vescovi con a capo il Papa (Magistero)
Il riferimento fondamentale della fede è la tradizione…
Così Dio il quale ha parlato in passato no cessa di parlare con la sua sposa.
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Attraverso la formulazione trinitaria viene descritto come la parola è incessantemente
fonte della vita della Chiesa. Con lo Spirito la Parola del Padre (PdP) risuona come parola
CAPITOLO 3
Tema dell’ispirazione (verità della Scrittura)
CAPITOLO NUMERO 12
Dedicato all’ermeneutica della Bibbia. Qui vengono assunti i guadagni del criterio
storico-critico a cui si aggiunge la lettura canonica della Scrittura che va interpretata alla
luce dello stesso Spirito con cui è stata scritta e con tutta la Chiesa.
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Modulo tematico tripartito: ci sono sempre 3 sezioni del discorso; si muove su un piano
dinamico di rilevazione storica e fenomenologica.
In questa rilevazione vengono evidenziati 3 caratteri salienti dell’attuale condizione
umana:
1) Dinamismo delle profonde mutazioni che mostrano l’uomo come una realtà in
divenire (dentro l’analisi dell’oggi);
2) L’affermarsi, in questo dinamismo, della dimensione sociale per cui l’uomo è
propriamente un fenomeno sociale e si presenta più come collettività che come
singolo (negli anni ’60);
3) La capacità dell’uomo di agire e di influire a partire della proprio realtà ambiente
sul mondo e sulla storia (capacità che l’uomo ha di plasmare il mondo).
Ne derivano 3 valori proprio dell’ermeneutica teologica:
1) La soggettivizzazione:
2) La socializzazione;
3) La storicità l’importante è che l’agire dell’uomo ha la sua storia).
qualcosa da offrire dal mondo, ma anche da ricevere dal mondo sui tre temi affrontati
(persone, comunità degli uomini, agire dell’uomo/attività umana).
N° 40 ritorna sempre il modulo tripartito (esposizione, primi tre capitoli e cap. 4.
METODOLOGIA esposizione introduttiva metodo del volere, giudicare, agire.
Al centro c’è attenzione per lo più sociologica e dentro tutto questo stanno i mutamenti
dei quali si cerca la causa, le caratteristiche e gli effetti e di cui si cercano gli squilibri.
Finale esposizione introduttiva su interrogativi (n° 10) più fondamentali: che cosa è
l’uomo, quale è il significato del dolore, del male, della morte, cosa ci sarà dopo questa
vita.
La Chiesa crede che Cristo dà all’uomo luce e forza (si recupera la forza teologica nel
finale) e che Cristo sia la risposta. Quindi approdo finale è di carattere cristocentrico.
Passaggio dalla prospettiva dinamica e storica alla dottrina più essenzialistica dei capitoli
seguenti.
Qui si pone in modo radicale la questione antropologica tra natura e storia: la soluzione è
Cristo, lo stesso ieri, oggi, sempre.
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Terzo momento di carattere biblico-teologico insieme, dove si fa riferimento alla
persona di Cristo e solo questo momento permette di pervenire alla soluzione del
problema. Qui è un po’ la critica de commentatori: giustapposizione dei passaggi
e ritardo del momento cristologico che apparirebbe posticipato rispetto alla
dimostrazione teologica e quindi potrebbe sembrare una aggiunta quella di Cristo
In realtà bisognerebbe sempre parlare di Cristo: mentre qui sembra aggiunto quale
e mantenere un dinamismo natura/sopra-natura.
I 9 DECRETI e le 3 DICHIARAZIONI
Seguiremo lo stesso ordine teologico che ci eravamo dati quando attraverso lo schema
che riguarda le costituzioni conciliari.
Non seguiamo l’ordine cronologico ma quello logico o teologico che ci siamo dati
insieme.
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questi due decreti lo stesso giorno della LG 21 11 1964 e questo dato è importante
2 DECRETI satelliti in alto alla LG perché i Padri conciliari decisero di promulgare
perché ci dice che la LG va letta necessariamente letta unita e quindi integrata dalla unità
di questi 2 DECRETI e dicevamo allora una formula sintetica, il mistero della Chiesa,
così come LG lo descrive, è per sua stessa natura una realtà ecumenica e plurale.
Come sono strutturati questi 2 DECRETI?
1. ORIENTALIUM ECCLESIARUM: sulle Chiese Orientali Cattoliche
2. UNITATIS REDINTEGRATIO: sull’ecumenismo
Scelta di una pagina tanto per sentire il tipo di linguaggio e di argomentazione ci viene
proposta da questi due testi.
Qualche dato sulla storia dei 2 decreti: partiamo dall’UR: 3 momenti che scandiscono la
storia del decreto ecumenico, legati alle prime tre sessioni conciliari (62, 63,64):
1. Nel primo periodo conciliare (11-10-62/8-12-62), vengono consegnati ai Padri
conciliari 3 testi che in qualche misura riguardano l’ecumenismo. Il primo è il
capitolo 11 (de ecumenismo), ossia l’ultimo capitolo dello schema 1 DE
ECCLESIA: quindi una prima scelta era di affrontare la questione ecumenica
dentro il trattato sulla Chiesa come ultimo capitolo.
2. Secondo testo, la commissione sulle Chiese Orientali aveva preparato un testo
relativo all’ecumenismo e soprattutto relativo alla questione del rapporto con
l’oriente cristiano e questo documento aveva di mira proprio la relazione tra la
Chiesa Cattolica e le Chiese Orientali. Era un tema settoriale, non completo, circa
la questione ecumenica. “De ecclesia unitate ut unum sint”. Titolo significativo
che mette insieme l’unità della Chiesa che è l’oggetto teologico della questione
ecumenica, e la citazione di Gv 17, la preghiera sacerdotale di Gesù, “ut unum
sint”, che 10 anni dopo diventerà il titolo dell’enciclica ecumenica di GPII.
3. Nella fase preparatoria veniva istituito il segretariato per l’unità dei cristiani, e
allora anche quel segretariato prepara uno schema che gli sta a cuore perché
riguarda la questione dell’unità dei cristiani. Questo schema non fa nemmeno in
tempo ad essere presentato in assemblea, perché già il dibattito aveva deciso che
il materiale presente non andava bene, per due ragioni: non sembrava opportuno
trattare l’ecumenismo in tre luoghi diversi, per cui si decide di fare un unico
documento che affronti il più possibile tutte le questioni inerenti la tematica
ecumenica, in modo organico. Il secondo motivo: l’altro limite è che il modello
presene in quel modello del cap. 11 del De Ecclesia e in quel “De ecclesia
unitate”, è ancora un modello che alcuni autori chiamano il modello
dell’UNINISMO irenico: è quel modello del cosiddetto ECUMENISMO DEL
RITORNO, la tesi per cui l’unità della Chiesa si può raggiungere mediante il
ritorno dei dissidenti a Roma. Creare le condizioni giuridiche, pastorali,
teologiche, perché i dissidenti tornino nell’alveo dell’obbedienza al Papa e quindi
in piena comunione con la Chiesa Cattolica. Irenico nel senso che le formule
delle parole, rispetto ad un passato più polemico, sono molto più pacate,
pacifiche, IRENICO significa PACIFICO. Questo modello è giudicato in quel
momento ancora troppo ingenuo e paradossalmente ancora troppo poco
ecumenico.
Allora si decide di occuparsi delle chiese orientali cattoliche, quelle già in comunione con
Roma, in un decreto a parte: decreto “Orientarum Ecclesiarum”, che vuole essere un
47
documento solo disciplinare, che non affronta questioni teologiche, è quello un po’ più
arido dal punto di vista del pensiero, anche se importante, perchè affronta questioni
disciplinari circa i rapporti con le chiese già cattoliche ma che hanno una tradizione
orientale.
Altra scelta, il De ecclesia venne bocciato tutto, anche il cap. 11, snellito, da 11 a 4
capitoli, e quindi rimane disponibile il tema ecumenico, e quello porta ad un nuovo
documento.
Così anche il segretariato per l’unità dei cristiani è contento perché può giocare la sua
carta per integrare in un unico documento la questione ecumenica in quanto tale.
Allora si arriva alla 2da sessione, 1963: questo momento è quello in cui arriva uno
schema, approvato nell’aprile 63 e arriva dai Padri conciliari in aula e si apre il dibattito,
questo schema è fatto in 5 CAPITOLI:
1. PRINCIPI DELL’ECUMENISMO CATTOLICO
2. ESERCIZIO DELL’ECUMENISMO
3. I CRISTIANI SEPARATI DALLA CHIESA CATTOLICA: composto da due
parti: una prima parte tratta il rapporto con le chiese orientali, la seconda parte il
rapporto con le comunità ecclesiali sorte con la riforma protestante. Questi primi
tre capitoli poi corrisponderanno ai tre capitoli dello schema definitivo. E’
interessane che in questa seconda fase erano 5 cap.
4. DEDICATO ALLE RELAZIONI CON GLI EBREI
5. LIBERTA’ RELIGIOSA
Il dibattito, nel secondo periodo conciliare, affronta questo argomento, e la scelta più
importante è che il cap. 4 e il cap. 5 trattano questioni così delicate e così fondamentali da
necessitare documenti a parte.
La questione del rapporto con gli ebrei viene tolta da lì e inserita in una dichiarazione
apposita, dove si inserirà anche un discorso su tutte le religioni non cristiane. “La nostra
aetate”: si capisce dal punto di vista delle proporzioni che ha un lungo numero dedicato
all’ebraismo e qualcosa di meno sulle altre, perché nasce sulla questione dell’ebraismo,
anche come scelta di condannare ogni forma di antisemitismo, e poi per completare si fa
un discorso più generale sul rapporto con tutte le religioni non cristiane.
Anche il tema della libertà religiosa si dice che non è un discorso ecumenico ma è molto
più fondamentale ed ampio, e anche per questo si sceglie di costruire un altro documento,
che sarà la dichiarazione “dignitatis humanae”.
Si fa il dibattito e si fa il passaggio al terzo momento.
Una sola citazione nel dibattito, curiosa e simpatica da memorizzare ma molto semplice,
è la questione che qualche autore scherzando parla della questione di una “S”: si cambia
una S, nel titolo del primo capitolo; il 1 capitolo era: i principi dell’ecumenismo cattolico,
“de principis chatolici oecumenismi”. Interviene un padre conciliare che suggerisce una
cosa molto semplice, cioè di aggiungere una s, così che il capitolo poi diventerà:
chatolicis: cambia quindi la prospettiva: diventa i principi cattolici dell’ecumenismo.
Questa formulazione dà l’idea che c’è un ecumenismo di altro stampo, a cui si affianca e,
nel migliore dei modi, dialoga, un ecumenismo extra-cattolico. 1910: nascita del
movimento ecumenico tradizionale, nato in area protestante, e ha portato, nel 1948, alla
costituzione del consiglio ecumenico delle Chiese, che è una realtà interessante, notevole
di uno sforzo di convergenza tra i cristiani di tutte le confessioni.
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La Chiesa Cattolica rimane molto a margine, molto perplessa rispetto questo grande
movimento che ha già occupato tutta la prima parte del 1900.
Questa formazione aveva questa idea: ok quelli hanno fatto quelle cose, ora noi facciamo
un altro ecumenismo, anzi no, l’ecumenismo è uno solo, perché il paradosso è che se il
problema è la divisione dei cristiani, e tu la risolvi moltiplicando la soluzione, facendo
tanti ecumenismi, peggiori, apri ancora di più la ferita: già sono divise le confessioni, se
poi dividi anche gli ecumenismi…e allora il problema è di dire: non puoi rispondere con
l’idea che noi abbiamo un ecumenismo parallelo, alternativo, ma l’idea è che c’è un solo
ecumenismo: è l’atto cattolico di riconoscere che un movimento è già in atto, la Chiesa
Cattolica fa il passo di dire entro dentro, avviene nello Spirito, è un dono dello S.S., ma
certo ci entra da cattolico.
Quindi entro con i principi cattolici, perché ho la mia identità, ho i miei principi, ho la
mia pretesa, con cui volentieri entro dentro quell’unico movimento.
Il passaggio di una S, il cambio di titolo, dice tutta una prospettiva che è davvero
interessante per il Concilio.
Si arriva quindi alla terza sessione, per cui possiamo die, con una formula sintetica, nel
secondo periodo la tesi è l’ecumenismo cattolico, mentre la terza sessione è un
CATTOLICESIMO ECUMENICO.
Oltre all’ecumenismo cattolico, un conto è un ecumenismo a fianco di altri, un conto è un
cattolicesimo che sceglie di star dentro la partita ecumenica di tutti.
E allora il documento finale avrà tre capitoli, perché i due sono diventati materia per le
due dichiarazioni.
Il primo capitolo è:
1. I PRINCIPI CATTOLICI DELL’ECUMENISMO
2. L’ESERCIZIO DELL’ECUMENISMO
3. I CRISTIANI SEPARATI
Vediamo lo schema definitivo che qui presentiamo, che poi studieremo nel dettaglio nel
prossimo corso, qui leggeremo solo una pagina.
Il decreto sull’ecumenismo è costituito da un PROEMIO, da 3 CAPITOLI.
Il 1 CAP. è costituito da tre numeri che sono 3 numeri fondamentali di questo testo e
costruiti in maniera particolare, molto intensa sia dal punto di vista letterario che
teologico.
Il numero 2 3 4 che sono i numeri più importanti: il n. 2, è il cosiddetto numero ideale,
quello che descrivi i principi fondamentali della unicità e della unità della Chiesa. La
Chiesa una è unica e quindi unita, e lì c’è la descrizione della Chiesa come Gesù l’ha
voluta, con tutti i fattori di unità che vengono elencati.
Il numero tre fa quasi da controaltare, da chiaroscuro, perché invece presenta la Chiesa
reale, che è la Chiesa ferita dalle divisione dei cristiani e lì si descrivono le ragioni.
Il quarto è la risultanza dell’incontro-scontro tra l’ideale e il reale, l’ideale è la Chiesa
unita e riunita di Gesù, il reale è una realtà frantumata, ferita, l’incontro-scontro o meglio
lo scontro ma che adesso diventa l’incontro positivo, tra l’ideale e il reale, è
l’ecumenismo come scelta irreversibile per una Chiesa che voglia essere la Chiesa di
Gesù.
Infatti il num. 2 è la Chiesa unita, il num. 3 è la Chiesa separata, divisa e il num. 4 è
l’ecumenismo come l’unica scelta possibile perché il reale torni il più possibile a
corrispondere all’ideale di Gesù.
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In quei tre numeri abbiamo i principi dottrinali più solidi e sono le pagine più importanti,
il secondo capitolo invece descrive, dal numero 5 al numero 12, quelle che vengono poi
chiamate LE 4 FORME FONDAMENTALI di pratica ecumenica, che vanno sotto il
nome di ecumenismo istituzionale (quello che ha a che fare con l’impegno di riforma
delle istituzioni), ecumenismo spirituale (ha a che fare con la conversione del cuore, e
con il tema della preghiera, per l’unità e con gli altri cristiani), ecumenismo teologico (la
questione del dialogo che ha tre scansioni: la conoscenza reciproca, la formazione
ecumenica e la questione del modo di esprimere la dottrina, quella famosa intuizione Già
del discorso inaugurale di Giovanni XXIII), ecumenismo pratico (collaborare insieme
soprattutto sulle questioni sociali: corrispondere ai temi della povertà, dei bisogni della
pace ecc).
Dai principi sgorga una pratica, cioè 4 forme di esercizio istituzionale, spirituale,
teologico e pratico.
Completiamo lo schema: il capitolo 3: chiese e comunità ecclesiali separate dalla sede
apostolica romana.
I principi dottrinali, le forme di esercizio, e poi c’è come uno sguardo sereno, pacifico,
sulla situazione, fatto apposta per far vedere che cosa di buono c’è nelle realtà che sono
separate dal mondo cattolico.
E allora c’è un numero 13: presenta le varie divisioni, e poi c’è la prima parte dal 14 al 18
che descrive la speciale considerazione delle chiese orientali, e una seconda parte che v
dal num. 19 al num. 24 circa le chiese e le comunità ecclesiali separate in occidente, est,
ovest.
Legge i titoli dei paragrafi.
Teologia orientale, e tutti gli ambiti, la ricchezza del mondo orientale, ricchezza liturgica,
spirituale.
Seconda parte il mondo ovest, soprattutto il protestantesimo, anche qui si descrivono le
condizioni di queste comunità, e si cerca di vederne gli aspetti in positivo, quelli che già
ci uniscono, la fede in Cristo, lo studio della sacra scrittura, una certa vita sacramentale e
la vita morale in Cristo.
Ogni tanto cmq si mette in luce anche qual è il deficit di queste realtà per cui non sono in
comunione con Roma.
Scelta che già è presente in LG, poi è consacrata in Unitatis redintegratio, e fino ad oggi
il Magistero cattolico non fa una piega, rimane fedele a questa scelta lessicale, è la
differenza tra Chiese e comunità ecclesiali.
L’appellativo chiese il magistero lo utilizza solo per le chiese ortodosse, per la ragione
che hanno una valida successione apostolica e quindi un valido sacerdozio e perciò una
valida eucarestia. Lì c’è pienezza di identità ecclesiale.
Mentre le altre realtà che non hanno un valido sacerdozio perché si è interrotta la
successione apostolica, come nel caso anglicano o perché la teologia stessa non riconosce
il valore del sacramento dell’ordine e quindi non c’è una valida eucarestia per regioni
anche teologiche; queste realtà il Magistero non le chiama chiese, perché mancano di
episcopato ed eucarestia, ma le chiama comunità ecclesiali.
Quindi certamene realtà di chiesa, ma con una forma diversa.
Questo per dire un linguaggio che fino ad oggi è rigorosamente nostro, e qualche
problema lo pone, agli altri, ma che dice appunto il modo in cui non è tutto uguale, le
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realtà separate dalla Chiesa Cattolica non sono tutte identiche, ma sono molto variegate e
dice quindi anche un atteggiamento diverso che va gestito.
Pagina antologica, sono una lettura che è spirituale, quasi da breviario, ma che sta bene
per dire come poi davvero la questione che tutto parte dal cuore, cioè convertirsi al
Vangelo.
Se tutti vivessimo veramente il Vangelo, per quello che è integralmente, già quello quasi
spontaneamente ci impatta, perché vivere il vangelo vuol dire essere in comunione gli uni
con gli altri.
Decreto sull’ecumenismo UNITATIS REDINTEGRATIO: N° 7: “Non esiste un vero
ecumenismo senza interiore conversione. Infatti il desiderio dell'unità nasce e matura dal
rinnovamento dell'animo, dall'abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità.
Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia di una sincera abnegazione,
dell'umiltà e della dolcezza nel servizio e della fraterna generosità di animo verso gli altri.
« Vi scongiuro dunque - dice l'Apostolo delle genti - io, che sono incatenato nel Signore,
di camminare in modo degno della vocazione a cui siete stati chiamati, con ogni umiltà e
dolcezza, con longanimità, sopportandovi l'un l'altro con amore, attenti a conservare
l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace» (Ef 4,1-3). Questa esortazione
riguarda soprattutto quelli che sono stati innalzati al sacro ordine per continuare la
missione di Cristo, il quale « non è venuto tra di noi per essere servito, ma per servire »
(Mt 20,28).Anche delle colpe contro l'unità vale la testimonianza di san Giovanni: « Se
diciamo di non aver peccato, noi facciamo di Dio un mentitore, e la sua parola non è in
noi» (1 Gv 1,10). Perciò con umile preghiera chiediamo perdono a Dio e ai fratelli
separati, come pure noi rimettiamo ai nostri debitori”.
Questo passaggio è un richiamo al tema dell’umiltà, abnegazione e quindi carità, e poi
questa insistenza è molto interessante sul tema della dolcezza, di un modo delicato di
affrontare le ferite della divisione, ma poi è interessane questo passaggio spirituale, per
una cosa che sta scritta nei principi dottrinali, che lì c’è, non approfondita, ma chiara:
cioè la tesi che la divisione dei cristiani è una ragione di peccato: dal punto di vista
teologico, e quindi anche storico, non ci sono giustificazioni che tengano: se i cristiani
sono divisi la ragione è il male, il mysterium iniquitatis, è un peccato, e legato al peccato
c’è il tema della colpa, cioè della responsabilità del peccato, e là è detto; si dice anche che
chi si trova a nascere in una confessione cristiana non ha lui la colpa di una ferita dei suoi
avi, ma nel dire così sta dicendo che la colpa esiste.
Leggere anche il proemio, nel quale si dice chiaramente che la divisione dei cristiani si
oppone apertamente alla volontà di Cristo, è di scandalo al mondo e danneggia la più
santa delle cause, che è la predicazione del Vangelo.
Num. 1
Ecco perché allora la spiritualità ecumenica, di umiltà, un lavoro di ciascuno, ma è poi
esercizio di perdono fraterno, dare perdono, ricevere perdono, come forma spirituale più
alta, la forma apice di un ecumenismo spirituale.
“Si ricordino tutti i fedeli, che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica
l'unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al
Vangelo. Quanto infatti più stretta sarà la loro comunione col Padre, col Verbo e con lo
Spirito Santo, tanto più intima e facile potranno rendere la fraternità reciproca”.
Numero 7: la conversione del cuore.
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Numero 8 che in maniera più dettagliata riguarda il tema della preghiera e dell’unità della
preghiera.
Il recente sinodo dei Vescovi ha ricollocato l’attenzione sul primato della vita spirituale,
di una vita convertita e quindi santa, ecco già il Concilio aveva intuito, anche sul tema
dell’unità, questo passaggio necessario.
In mezzo ai grandi temi della conversione del cuore e della santità di vita: il tema del
perdono, che lega esattamene il convertirsi e anche l’essere santi, perchè non c’è
perfezione massima che essere misericordiosi come il padre nostro.
CHIAVE DEL PERDONO (la causa del peccato, non di conseguenza).
Molto più arido, ma per scelta del Concilio, è il decreto ORIENTALIUM
ECCLESIARUM: sulle chiese cattoliche orientali.
Per la scelta di affrontare il discorso sul piano meramente disciplinare, di mettere un po’
ordine.
Esistono due codici di diritto che saranno rivisitati dopo il Concilio: il nostro codice di
diritto canonico e un libro apposito fatto per le chiese orientali, esiste una disciplina
diversa di un mondo che è anche molto diverso su tanti fattori.
Sono 30 numeri, è anche un documento breve, si ha un proemio, poi abbiamo questi
passaggi: dal 2 al 4: descrizione delle chiese particolari, soprattutto intorno alla categoria
del rito; si sceglie come aspetto concreto che qualifica ed unisce la distinzione, il tema
del rito.
La varietà dei riti, pur nell’unità, e l’uguale dignità di tutti i riti. Anche con un invito a
studiare i vari riti.
Tema positivo di una pluralità del rito che è inteso come ricchezza;
proemio, poi primo passaggio chiese particolari o riti; poi num. 5 e 6, patrimonio
spirituale delle chiese orientali che deve essere conservato; num 7 all’11, terzo passaggio
i patriarchi orientali, è una questione molto giuridica circa l’onore, i privilegi, la
fondazione dei vecchi patriarcati e nuovi patriarcati, come struttura organizzativa delle
chiese d’oriente, e poi quarto passaggio dedicato alla disciplina dei sacramenti, diritto
disciplinare sui sacramenti, il quinto passo il culto divino, sesto ed ultimo passo i rapporti
con i fratelli delle chiese separate. Come le chiese cattoliche orientali devono avere buoni
rapporti con la chiesa ortodossa.
Leggo il proemio perché dice il senso: questi non sono testi particolarmente densi dal
punto di vista teologico-spirituale, sono regole di disciplina che sono premessa al diritto
delle chiese orientali per rapporti corretti.
L’inizio è interessante: “La Chiesa Cattolica ha in grande stima…”
PROEMIO DECRETO ORIENTALIUM ECCLESIARUM.
Non solo vengono tollerati i riti, ma vengono promossi, la CC desidera che fioriscano, e
assolvano con nuovo vigore apostolico.
Non solo li riconosce leciti, ma la CC vuole che questa realtà anche geograficamente e
culturalmente distante sia valorizzata perché tutta quella tradizione appartiene al
patrimonio, divinamente rivelato ed indiviso della Chiesa universale.
Giovanni Paolo II: la teoria dei due polmoni: occidentale ed orientale, e questa è quella
ricchezza che viene posta.
Numero 20: riguarda la questione della data della Pasqua, interessante sia dal punto di
vista storico che da quello dell’attualità, perché fa tutti i passaggi: se la Pasqua è il centro
del nostro credere, dovremmo essere tutti d’accordo sulla data: il Concilio si fa un
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auspicio: “fino a che fra tutti i cristiani non si sarà giunti al desiderato accordo…” lettura
n° 20
Là dove si convive chiese orientali cattoliche ed ortodosse, nella stessa regione o
nazione, è concesso un accordo anche per spostare eventualmente la celebrazione della
Pasqua.
Numero 23: lingua liturgica, problema già affrontato, (SS), torna anche nell’oriente. E’ lo
steso procedimento, ci sono lingue antiche, come il greco antico, ma poi c’è la
concessione, come per il altino, di adattare i testi liturgici alle lingue del paese. Lettura n°
23
Articolazione vocazionale o carismatica della Chiesa: 5 decreti, quelli dedicati ai vescovi,
ai presbiteri, ai religiosi, ai laici, più il decreto dedicato alla formazione sacerdotale.
Guardiamo brevemente la struttura di questi 5 decreti, e un assaggio su qualche pagina
significativa.
CHRISTUS DOMINUS, decreto sull’ufficio (sulla missione) pastorale dei vescovi (25
Ottobre 1965)
La dottrina è spiegata nel capitolo 3 della LG, lì stanno i principi dottrinali, dogmatici,
circa la struttura gerarchica della Chiesa, quindi l’episcopato.
Qui, a partire dando per presupposta quella dottrina, e la famosa nota esplicativa previa
che viene allegata per capire bene la dottrina del capitolo 3, il Concilio riprende la
questione e sviluppa in chiave più pastorale, il tema dell’episcopato.
Sono 44 numeri, così divisi: PROEMIO, CAPITOLO 1: i vescovi e la Chiesa universale
(4-10), CAPITOLO 2: i vescovi e le chiese particolari o diocesi (11-35), CAPITOLO 3:
cooperazione dei vescovi al bene comune di più diocesi (36-44).
Questi tre capitoli sono significativi, perché ci fanno capire quale è il procedimento
ecclesiologico che muove l’argomentazione ed è il tema appunto che prima c’è una idea
di Chiesa e di chiese: la Chiesa universale, le chiese particolari, e poi quella terra di
mezzo che è il rapporto che si costituisce tra chiese particolari.
C’è tutta una teologia, una ecclesiologia dell’universale, del particolare, che sta alla base
di una riflessione sull’episcopato e dentro questo emerge il dato che è il dato dottrinale di
LG, che l’episcopato anzitutto è un corpo unico, il collegio episcopale e solo all’interno
del corpo unico c’è poi il ministero del singolo vescovo; questa cosa, già chiarissima in
LG3, riemerge in questo decreto.
Non esiste il vescovo, esiste il membro del corpo episcopale, del collegio episcopale.
Esiste un uomo che per il sacramento dell’ordine è inserito in quel corpo, e quindi certo
ha una responsabilità personale su quella porzione di chiesa che chiamiamo chiesa
particolare o locale.
Prima c’è l’episcopato e poi ci sono gli episcopi, i singoli vescovi.
Il proemio ha come titolo redazionale: Il Papa e i vescovi.
Il primo cap. è suddiviso in 2 parti, 1) la posizione dei vescovi riguardo la Chiesa
universale (primo tema il collegio episcopale, num.4, il sinodo dei vescovi num.5, poi il
6e poi 7). Quindi la posizione dei vescovi nella Chiesa universale. 2) i vescovi e la santa
Sede: il loro rapporto.
Curia romana come colla tra Papa e vescovi.
Questo per quanto riguarda l’aspetto comunionale dell’episcopato, poi c’è il secondo
capitolo che si preoccupa dei vescovi diocesani: i vescovi e le chiese particolari o diocesi,
53
e qui ci sono tre parti: 1) i vescovi diocesani, 2) la delimitazione delle diocesi, 3) i
cooperatori del vescovo diocesano nel ministero pastorale.
Qui si parla di tutti gli organismi che aiutano il vescovo: i vescovi coadiutori, che sono
quelli di aiuto con diritto di successione, i vescovi ausiliari, la curia diocesana, i consigli
diocesani, il clero diocesano (piccolo accenno sui parroci e sulle parrocchie), e poi i
religiosi, la convocazione dei religiosi nella diocesi.
Tutti temi che verranno affrontati dopo, nel decreto PRESBYTERORUM ORDINIS, ma
già qui vanno bene.
Terza parte: I sinodi, concili e specialmente conferenze episcopali, è il tema delle
cosiddette conferenze episcopali regionali o nazionali, la CEL (conf. Ep. Lombarda), la
CEI. Che ragione hanno queste cose?
Sono terre di mezzo che dicono un senso di collaborazione, sono organismi di
collaborazione.
Secondo passaggio: la circoscrizione delle provincie ecclesiastiche, e l’elezione delle
regioni ecclesiastiche.
Una geografia che aiuti questa convergenza alla diocesi. Regione ecclesiastica
Lombardia, la provincia ecclesiastica milanese.
Terzo, i vescovi che hanno un incarico interdiocesano, un accenno anche ai vicari
castrensi, nome antico dello “statuto dell’ordinariato militare” (chiamato così dopo il
Concilio).
Questo decreto è dunque l’approfondimento della dottrina dogmatica del cap.3 di LG, su
questi tre fattori.
Le pagine più belle, più ricche teologicamente e pastoralmente, sono nel capitolo 2, dove
è descritto, secondo lo schema già utilizzato in LG, quello del triplice munus (docendi,
santificandi, regendi), ossia: il compito di insegnare, santificare e governare, secondo
questa triplice scansione è descritto il ministero dei vescovi.
Lettura: le indicazioni pratiche circa il munus regendi. Numero 16, pagina ricca e bella.
Padri e pastori: padre in generale e padre dei presbiteri, tutte le domande sulla
dimensione di una diocesi, sulla capacità effettiva di una relazione che permetta un
esercizio vero, non formale di paternità.
Tema della reciproca conoscenza, problema pratico, le condizioni pratiche affinchè
queste non siano pie esortazioni. Quale praticabilità di tutto ciò.
Il vescovo e la vita della diocesi, con una cura specifica che il vescovo deve avere, in
paternità, in amicizia.
Discorso completo, anche nei confronti dei fedeli ( ma come si fa a conoscere tutti i
fedeli…).
Il Concilio chiede a tutti i vescovi, in quanto tali, di occuparsi di tutto, anche degli
stranieri.
Vescovo non signore e padrone, ma diritti di tutti nella collaborazione.
Vescovo ecumenico, vescovo interreligioso, non è questione di sensibilità, in questa
lettura non c’è teologia speculativa, c’è un volto completo di una pastoralità del vescovo
che riesce, a partire dai preti, tutti i fedeli, i cristiani separati, i non battezzati.
Nello stesso ordine di cose è il decreto sui preti:
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Dal punto di vista strettamente teologico, il tema del presbiterato e del presbitero è già
trattato in LG 28, penultimo numero del capitolo 3 di LG; la dottrina è già lì ma merita un
approfondimento.
In questo decreto la preoccupazione è proprio di carattere esistenziale, pastorale, il
ministero e la vita dei presbiteri.
E’ un decreto particolarmente importante, fatto bene, ed è strutturato da un PROEMIO, e
3 CAPITOLI.
Il Concilio ha fatto ben capire che esiste il presbiterato e quindi il presbiterio, e poi il
presbitero: il Concilio anche sui preti insiste che c’è prima la dimensione comunionale,
all’interno della quale poi c’è il ministero del singolo.
C’è una analogia tra collegio episcopale e vescovi, presbiterio e presbiteri. E’ una
ecclesiologia che precede una riflessione sull’ordine, perché l’ordine è un ministero per la
Chiesa e non viceversa.
Tema molto attuali, quello delle vocazioni e quello delle destinazioni, entrambi temi
delicati.
Cap. 3, scelta dibattuta, circa i tre consigli evangelici: i preti diocesani non fanno i voti,
per ragioni storiche, spirituali e il Concilio rilancia l’idea che c’è una convenienza di
queste tre opzioni con il ministero sacerdotale.
Chiamata dei presbiteri alla perfezione: è il tema della santità dei preti, ed è la pagina più
bella, poi obbedienza, celibato, povertà.
Terzo passaggio: sussidi per la vita dei presbiteri: i mezzi per favorire la vita spirituale, lo
studio e la scienza pastorale, l’equa retribuzione, fondo comune e previdenza sociale,
cioè le strutture per gestire l’età avanzata, la malattia ecc.
Lettura numero 13 e 14, l’idea della santità: in sintesi: come diventano santi i preti?
All’interno dell’esercizio del loro ministero.
Sembrerebbe ovvia, ma per la via non è così: sennò sembra che nel ministero c’è solo
noia, dolore, frustrazione, poi scappi, vai in un monastero e dici che bello! Qui ho
recuperato la serenità. Il Concilio dice no caro! Tu diventi santo lì, poi magari hai
bisogno di quei momenti di stacco, ma il luogo di santificazione del prete è il prete, cioè
fare il ministro, lavorare, anche se è difficile, pesante…
Certo, il compito del prete oggi dice di fare tante cose che logorano, frantumano, ci vuole
unità nella molteplice attività, ma la sfida che il Concilio dice chiarissima è questa, il
luogo di santificazione non è altro, ma è dentro l’esercizio del ministero.
Lettura (n° 16) di un argomento che ha una storia fondamentale nella storia del Concilio;
una idea ben chiara, su un tema che il Concilio ha dibattuto e sul quale Paolo VI ha
evocato a sé la soluzione: il celibato.
Il celibato non è necessità dogmatica, ma è legge ecclesiastica. L’ipotesi che sia abolito il
celibato è realista, non è un dogma, bob c’è incompatibilità tra sacramento dell’ordine e
quello del matrimonio, come da noi per il diaconato permanente.
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Però il celibato, cmq, e poi Paolo VI lo dirà e rimane ad oggi l’opzione decisa e decisiva,
il celibato ha per molte ragioni un rapporto di convenienza (esistenziale, spirituale,
pastorale) con il sacerdozio.
Quindi non dogma ma scelta, costante lungo la storia e che il Concilio dice questa rimane
la scelta della CC.
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APOSTOLICAM ACTUOSITATEM DECRETO SULL’APOSTOLATO DEI LAICI
1. VOCAZIONE LAICI
2. I FINI
3. I VARI CAMPI DI APOSTOLATO
4. I VARI MODI DI APOSTOLATO
5. L’ORDINE DA ASSORVARE NELL’APOSTOLATO
6. LA FORMAZIONE ALL’APOSTOLATO
Leggere in N° 2, definisce cosa è apostolato, esso riguarda tutta la Chiesa. Dentro c’è il
grande tema sull’idea del Concilio: l’indole propria dei laici è quella secolare (cfr. LG),
consacratori del mondo.
APOSTOLATO ASSOCIATO: UOMO ESSERE SOCIALE E CRISTIANO.
Si mostra segno della comunione.
AGGREGAZIONE DEI LAICI: le ASSOCIAZIONI non sono a margine, si collocano
dentro e poi c’è spazio per le libere.
Quando c’è frizione..
FAMIGLIA PARROCCHIA DIOCESI: tutto si combina
Forma più elementare di apostolato.
Anche nell’ambiente di lavoro: mentalità generale. Si devono trovare forme per
collaborare insieme (vari movimenti, abitare i luoghi).
Grande importanza e di valori
CAPITOLO 4
18
19: grande varietà delle associazioni apostoliche: es. Azione Cattolica
“salvo il dovuto legame con l’autorità ecclesiastica, con libertà di agire…”
RAPPORTO LAICI/GERARCHIA
CAPITOLO 5
Costitutivo dial
N°13 la cultura umanistica
LA SCRITTURA, LA DOGMATICA.
1. PRINCIPI DOTTRINALI
2. L’OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA
3. LE CHIESE PARTICOLARI
4. I MISSIONARI
5. L’ORGANIZAZIONE DELL’ATTIVITA’ MISSIONARIA
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6. LA COOPERAZIONE
Ultimo decreto
INTER MIRIFICA - DECRETO SUGLI STRUMENTI DI COMUNICAZIONE
SOCIALE
2 CAPITOLI:
1. DOTTRINA CHIESA
2. AZIONE PASTORALE DELLA CHIESA
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cui poi Gesù la Verità l’ha detta, sempre e comunque, ma nel rispetto, nella pazienza e
nell’attesa, sempre, per una scelta non di un messianismo politico ma di un messianesimo
antimessianico che è quello del servo, quello del Figlio di Dio.
N° 11: no messianesimo regale ma del Servo di Dio
Dentro questo stile poi il rapporto che Gesù ha avuto con la protesta civile, Gesù ha avuto
lo stile di legittimazione e di rispetto della protesta civile, ma ad una condizione: che
questa protesta non contraddica i diritti di Dio.
“Riconobbe la potestà civile…”
Rendete a Cesare quel che è di Cesare, rispetto della laicità, il rispetto che Gesù ha avuto
e la legittimazione che Gesù ha dato all’autorità civile, ma ad una condizione: che non
siano violati i diritti di Dio. Iura Dei: date a Dio ciò che è di Dio.
“Finalmente (cioè alla fine), ha ultimato…”: ecco il momento vertice, con cui Gesù ha
reso testimonianza alla Verità: il momento della sua totale impotenza, ma dove l’amore
più grande del mondo è riuscito a dire la Verità di Dio per gli uomini.
Queste tre parti, lo stile generale di Gesù, il riconoscimento dell’autorità civile ma ad una
condizione e l’apice della croce, ritorna nello stile degli apostoli, che poi diventa lo stile
dalla Chiesa.
N° “Gli apostoli, istruiti..”, il Concilio insiste nella capacità di dire: anche gli apostoli,
non hanno la Verità, non hanno imposto la Verità, l’hanno testimoniata, con lo stile di
pieno rispetto della coscienza di tutti e quindi confidando nella forza che è insita,
intrinseca alla Parola stessa di Gesù, che è il Vangelo.
Questa è la cosa interessante, anche sullo stile pastorale, missionario, alla nuova
evangelizzazione, cosa vuol dire, non tanto cercare chissà quale strategia di convinzione,
niente propaganda, niente proselitismo, non è lo stile di Gesù, non è stato lo stile degli
apostoli, ma è un altro lo stile; lo stile è una testimonianza che confida sulla forza stessa
di una Parola che è vera, e che quindi chiede il coraggio di crederla, di dirla, ma con
quello stile di mansuetudine, di modestia, oggi diremmo, in recezione, di minoranza,
dove minoranza allora non è neanche più un problema, ma diventa una chance in più, per
osservare lo stile che fu di Gesù.
Forse oggi è più profetico essere in minoranza, per dare forza e credibilità alla Parola di
Gesù per quello che è, non per qualsiasi altro compromesso o realtà di altro tipo che può
essere aggiunta.
Secondo momento speculare: “Come il maestro…” quella che si chiama la lealtà civile
che fu di Gesù e deve essere degli apostoli e della Chiesa.
Il rispetto assoluto della istituzione civile, ma anche qui c’è un ma: “nello stesso tempo
però, non hanno avuto timore di resistere…”, come per Gesù, rendere a Cesare ciò che è
di Cesare, e quindi la parte degli apostoli, rispettare in maniera assoluta l’autorità civile,
ma, come Gesù al di sopra del rendere a Cesare pone il rendere a Dio ciò che è di Dio,
così anche per gli apostoli è necessario ubbidire prima a Dio, che agli uomini.
Gesù ebbe una lealtà civile assoluta, un rispetto assoluto.
La massima lealtà civile, purchè non siano messi in discussioni quelli che sono i diritti di
Dio, i cosiddetti “valori non negoziabili”, legati alla legge naturale e quindi alla legge
stessa di Dio.
Finale: “la stessa via…” accenno finale alla via del martirio che è quella corrispettiva alla
croce.
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Pagina importante: in un clima culturale come il nostro, che ci vede da una parte in
minoranza, ma dall’altra ancora con la pretesa sana di avere da dire qualcosa di vero, di
buono, di bello, per tutti gli uomini, è una questione di stile, rispettoso della dignità delle
persone, della libertà e responsabilità delle persone, delle istituzioni culturali e politiche,
il massimo rispetto, la massima mansuetudine, che diventa alla fine più credibile, più
convincente, come è stato lo stile di Gesù.
Ci vuole una maturazione di stile vero.
Questa pagina diventa come la Magna Charta di uno stile cristiano nel mondo, perché c’è
in gioco la Verità che fa liberi, solo la Verità rende liberi, questa è la pretesa della nostra
fede, e il modo in cui questa Verità che è libera, coinvolge la nostra vita cristiana, è il
modo della testimonianza, che dice davvero il rispetto della libertà religiosa.
Quando abbiamo raccontato, per sommi capi, la storia della Unitatis Redintegratio, il
decreto ecumenico, ricordate che nel secondo momento, si presenta un decreto in 5
capitoli, e il cap. 4 e 5 erano dedicati al rapporto con gli ebrei e la libertà religiosa.
E’ in quel momento che si decide di dedicare documenti a parte, la Dignitatis Humanae e
poi Nostra Aetate, e in Nostra Aetate viene poi completato il discorso, non solo il
rapporto con l’ebraismo, ma i rapporti con le religioni non cristiane.
Documento gioiello, anche se molto breve.
N° 1-2 pongono criteri teologico-cristiano, per dare un valore, perché hanno un valore,
anche soteriologico, le religioni non cristiane.
E’ argomento di cristologia, teologia fondamentale, di dialogo interreligioso.
N°3 rapporto con i musulmani
N° 4 rapporto con la religione ebraica.
Oggi non si può capire Gesù senza inserirlo nella sua cultura.
Accenno ad una affermazione di carattere culturale e anche pastorale che è la conclusione
del n° 4: “essendo però tanto grande…”
Oggi è imprescindibile, avendo a che fare con la vicenda singolare di Gesù, che è tutta
impregnata di quella fede, che è la fede giudaica-ebraica, conoscere la storia di Israele, ed
è raccomandata la stima reciproca.
Riguardo alla frase che sta leggendo: Dietro c’è un pregiudizio storico abbondante: gli
ebrei pagano le loro colpe perché deicidi. Paradigma di un pregiudizio che ha crato
antigiudaismo e antisemitismo lungo la storia.
La cosa interessante di questo testo è che nella frase concessiva, nella prima parte, non si
nega il dato che le autorità ebraiche (non il popolo) siano stati responsabili della morte di
Gesù in croce, quindi né tutto il popolo di allora fu responsabile, così come non lo è
quello odierno, però si dice che la morte di Gesù non è venuta giù dal cielo, è raccontata
con delle responsabilità, ciò che ha fatto scatenare tutto questo è insito nel rifiuto da parte
di Israele.
Si esclude ogni forma di antisemitismo, ma è chiaro che nella Pasqua di Gesù, nella
vicenda singolarissima di Gesù, anche sotto il punto di vista storico, c’è stato lo scontro
tra l’Israele che non ha accolto il Cristo come Messia e ha contribuito alla condanna
capitale.
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Riconoscere che la frattura tra l’Israele biblico e l’evento di Gesù è avvenuta e da lì la
distanza rimane (con tutto il dialogo fraterno che possiamo metterci, rimane): tenete a
mente questo riferimento alla morte di Cristo, perché anche l’ultima frase è molto
interessante, stimolante.
“e se è vero che la Chiesa…”
Nonostante ciò (Chiesa come Nuovo Popolo di Dio) gli ebrei rimangono popolo eletto da
Dio. Rm 9, 10, 11: i doni di Dio sono irrevocabili, e tutto ciò che Israele ha ricevuto, Dio
non l’ha più tirato indietro. L’elezione, è ancora di quel popolo, in maniera particolare,
singolarissima, dura ancora oggi e durerà per sempre. Nessuno gli toglie l’elezione di
popolo eletto.
Ciò non toglie che la Chiesa, che nasce inserita in quella storia, per noi è il momento di
pienezza e di inveramento della vocazione originaria che si era espressa in quel popolo
singolare.
“se è vero che la Chiesa…”:
“la Chiesa che esecra” tutte le persecuzioni, anche per questioni razziali. Contro
qualsiasi uomo.
Non è che se uno ha avuto una tragedia inimmaginabile (Shoa), allora ha l’esclusiva di
dire non siamo tangibili noi, perché abbiamo sofferto tanto, mentre per altri ci si pone
meno il problema (vedi problema palestinese).
La Chiesa rifiuta ogni forma di persecuzione, per ragioni anche razziali, radicalmente
ogni forma, ma vale per tutti, non per qualcuno.
“in realtà il Cristo…” si è volontariamente immolato per tutti gli uomini, prima ha subito
dalle autorità ebraiche ma ha accettato volontariamente perché così ha salvato tutti.
Il finale: “il dovere della Chiesa…Annunciare”: dentro il dialogo, che è qui promosso,
chiesto, esigito, dentro il riconoscimento che lì stanno le nostre radici, se escludi ogni
forma pregiudiziale verso gli ebrei e gli altri popoli, ecco, dentro questo dialogo, la
Chiesa mantiene il dovere di annunciare Cristo, la croce: anche con gli ebrei, non perché
se la potrebbero prendere a male, i cristiani non devono annunciare anche a loro il
messaggio di Gesù.
Quindi missione anche nei confronti degli ebrei.
DIALOGO (riconosco la tua religione) – ANNUNCIO (c’è un solo volto ed è quello di
Cristo).
Anche nel paragrafo di dialogo con gli ebrei, si dice che la Chiesa, come per ogni uomo,
non c’è differenza, e quindi anche con gli ebrei, non può astenersi, per rispetto al fatto
che la possano prendere male, dall’annuncio di Cristo come il Messia atteso dalle
promesse antiche, da tutte le promesse che condividiamo, condividendo l’AT e dire che
la Croce, quella cosa che rimane scandalosa per la logica ebraica (S. Paolo).
Oggi, per queste ragioni complesse, oggi è politicamente scorretto che, laddove
costruiamo il dialogo, poi abbiamo quasi paura di dire, anche ai fratelli maggiori ebrei,
che per noi è il Cristo che dà senso a tutto il loro patrimonio, di Scrittura, di patriarchi, di
legislazione, di elezione ecc. anche se a loro rimane scandalosa o incomprensibile, è
questa la sfida cristiana. (parere del professore).
Conclusione missiologica anche per gli ebrei.
Cmq i pregiudizi sono incrociati: esiste l’antigiudaismo, l’antisemitismo, ed esiste anche
una pregiudiziale cristiana gravissima, il Concilio la esclude, ma esiste.
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GRAVISSIMUM EDUCATIONIS dichiarazione sull’educazione cristiana
RECEZIONE
Bibliografia
Alberigo-Jossua: Il Vaticano II e la Chiesa Ed. Paideia, 1985
Questo libro ha dentro un articolo di Pottmeyer, un modo per periodizzare la recezione.
Theobald: La recezione del Vaticano II – Vol. 1 Tornare alla sorgente, EDB
Jilles Routhier, Un Concilio per il XXI secolo. Il Vaticano II 50 anni dopo. Vita e
Pensiero.
Routhier, (amico del giro qui) teologo che insegna contemporaneamente in Canada e a
Parigi, ha scritto molti articoli, due sono da segnalare, nel volume sopra, il 2° è “Un
Concilio per le nuove generazioni” e il n° 8, “l’ermeneutica del Concilio”.
Le cose che dirò le trovate da pag. 17 a pag. 35 del libro di Jilles Routhier, è molto
originale e stimolante.
L’autore qui sintetizza quello che lui dice essere la questione complessa delle recezione.
RECEZIONE termine tecnico (ricevere): tutto ciò che è accaduto e sta accadendo e forse
accadrà ancora, per ACCOGLIERE-CAPIRE-APPLICARE.
E’ una questione complessa, e la complessità lui la esprime intorno a 4 domande:
1. Quale oggetto?
2. Quale livello?
3. Quali spazi
4. Quali tempi
La recezione non è una cosa semplice, capirla, studiarla, viverla, chiede di chiedersi “ma,
quale oggetto?” perché a seconda dell’oggetto, che cosa devo recepire, cambia il modo in
cui io dico a che punto siamo, così il livello, a quale livello io investigo lo stato di
recezione. In quali spazi? Perché gli spazi umani e culturali, dove la Chiesa degli ultimi
50 anni vive, non sono univoci, almeno i 5 continenti. E poi i tempi: sui tempi, c’è la
proposta più interessante.
Quale oggetto? Cambia se intendiamo come oggetto della recezione i diversi
insegnamenti del Vaticano II. Quelli che, in maniera antologica, abbiamo letto noi e molti
altri. Questo insegnamento, rispetto ad un altro insegnamento, l’antisemitismo, il latino
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nella liturgia, l’abito religioso delle suore, a che punto è? E’ stato capito? è stato
applicato? A seconda di questa cosa io potrò decidere di volta in volta, perché non tutti
gli insegnamenti sono stati recepiti allo stesso modo e con lo stesso ritmo, alcune cose
subito, qualcuno dice troppo subito, altre cose invece lentamente.
Quindi vedete, se già come oggetto della recezione considero tutti gli insegnamenti, il
discorso si complica, e non diventa univoca la risposta, siamo avanti, siamo indietro,
siamo al punto zero, siamo al punto mille. Dipende da che cosa stai guardando.
2° oggetto, l’EVENTO, se l’oggetto della recezione è il Vaticano II come evento che
propone alla Chiesa un modo particolare, quello sinodale, conciliare, di trattare le
questioni, allora lì devo valutare a che punto è la sinodalità per affrontare la Chiesa del
nostro tempo, se il Vaticano II ha imparato quello stile sinodale per affrontare le
questioni.
3°: la recezione del Vaticano II come stile, quello di essere cristiano nel mondo. A
seconda che io scelgo uno dei 3 oggetti, il Vaticano II come una molteplicità di
insegnamenti diversificati, o il Vaticano II come evento sinodale o lo stile conciliare, lo
stile di un certo modo di essere cristiani nel mondo, valuterò di volta in volta come 1,2,3
oggi è recepito nella Chiesa. Quindi, a seconda dell’oggetto, potrò stabilire a che punto è
la recezione. ACCOGLIENZA, COMPRENSIONE, APPLICAZIONE CONCRETA.
A quale livello? Le domande sono trasversali, si incastrano, a quale livello vado ad
indagare lo stato di recezione. Tre livelli: 1° livello: kerygmatico, il livello che dice lo
sforzo dei pastori della Chiesa, Papa e vescovi in prima linea, nel promuovere il Concilio,
gli insegnamenti conciliari, le riforme conciliari. Ha una dimensione istituzionale
evidente. In questi 50 il papa, i nostri vescovi, come hanno impostato kerygmaticamente,
con le loro omelie, con i loro piani pastorali, come ci hanno formato ad assimilare, capire,
applicare il Vaticano II? 2° livello: degli ambienti specializzati, della mediazione
culturale, come sono gli ambienti dove si fa teologia, i teologi, e dove si fa
comunicazione sociale, gli operatori della comunicazione. Quanto ha “usato”, proposto,
approfondito, il Concilio la teologia negli ultimi 50 anni? Quanto ha aiutato a fare
ermeneutica e discernimento. I libri, i manuali, pubblicati in questi 50 anni, la
bibliografia, la letteratura di tutti i generei, uno apre e dice: “andiamo a vedere qui il
Concilio dove è”. C’è, non c’è, l’ha citato. Questi due livelli sono i più studiati, perché
sono i più documentabili. 3° livello: il popolo di Dio. C’è in gioco la recezione pratica, o
la piena recezione, i due termini che usa Routhier, che dice: alla fine è questa la cosa
fondamentale, perché le prime due sono significative se hanno davvero veicolato un
impatto alla vita di tutto il popolo di Dio, ciò che dice la recezione pratica, che vuol dire
una piena recezione, è la vita della Chiesa, altrimenti è una realtà che naviga sopra ma
non incide sulla vita. Anche qui quindi si valuterà di volta in volta. Qual è l’oggetto
allora? Gli insegnamenti, l’evento, o lo stile? E a quale livello indago? A seconda del
libello indagato, le risposte saranno di volta in volta calibrate. Terza domanda, quali sono
gli spazi della recezione. Lo spazio umano e culturale è molto diversificato, è già diverso
ed è un lavoro che è stato fatto, anche a livello istituzionale, pensate a tutti i sinodi
straordinari dei vescovi continentali. Il sinodo per l’Europa, il sinodo per le Americhe,
per l’Oceania, per l’Asia, sono stati tutti sinodi di vescovi, celebrati in questi 50 anni,
esattamente per dire quello che è stato detto là, a che punto è in America? Del nord e del
sud, a che punto è in Asia? O in Medio Oriente? In Africa? O in Europa? Anche lì è un
modo diverso e il volume più volte citato ha un articolo per ciascun continente, con
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quella domanda: ma il Vaticano II in Africa, cosa è? Che cosa ha prodotto? Perché non è
la stessa cosa in Africa, nelle cosiddette Chiese giovani, che in Europa, nelle cosiddette
Chiese vecchie. Perché? Perché il tema è quello ma c’è uno spazio umano e culturale ben
diverso, che implica una accoglienza, una comprensione, una ritraduzione ben diversa.
Quindi L’OGGETTO, IL LIVELLO, LO SPAZIO. A seconda di come io determino,
cambia il modo in cui posso descrivere la recezione.
Da ultimo, ed è qui che poi l’articolo si sviluppa e diventa molto interessante, i tempi
della recezione: cioè la questione delle tappe e di una possibile periodizzazione di questi
50 anni. La prima risposta di metodo è che questo tentativo di disegnare delle tappe o
una periodizzazione, dipende dalle prime tre domande. A seconda dell’oggetto, a seconda
del livello, e a seconda dello spazio umano-culturale, potrò segnare una periodizzazione
piuttosto che un’altra. Ma poi questa periodizzazione, dice Routhier, è legata soprattutto a
2 temi: perché da una parte ci sono periodizzazioni semplificate, anche quella di
Pottmeyer riportata da Alberigo.
Quali sono le due periodizzazioni più semplificate?
La prima: periodizzazioni TERNARIE: c’è un momento di:
1. Espansione
2. Contrazione
3. Sintesi (oggi)
la seconda formula è molto simile: un momento di:
a. Esaltazione
b. Delusione
c. Sintesi
I primi anni espansione, pubblicazione dei documenti, di un sacco di commenti, di
articoli, diffusione capillare dei testi conciliari e poi, improvvisamente, contrazione.
Finito tutto, scompare tutto, altre preoccupazioni altri problemi; oggi, anche per imput del
magistero centrale della Chiesa, ritornare, recuperare, rileggere, riconciliarsi con il
Concilio.
Ha un suo senso, ma un po’ semplificatorio.
L’altra tesi che ritorna sempre, più che sulla periodizzazione, dice che a fasi alternate,
questi 50 anni hanno visto la contrapposizione tra conciliari/anticonciliari, ancora più
banale, è una sorta di riproduzione nel passaggio di decennio, di quella tensione
minoranza/maggioranza che aveva abitato il Vaticano II.
C’è questa cosa, ma Routhier dice, è troppo poco. Quali sono per lui i criteri più decisivi
per dire i tempi? Che poi però vanno collocati a seconda degli spazi, dei tempi, dei livelli
e degli oggetti.
Routhier dice due cose: la prima è il passaggio dai testi conciliari al diritto della Chiesa, il
passaggio alle figure istituzionali e al corpo giuridico che si è preoccupato di tradurre
l’insegnamento conciliare. Questo lo si è visto soprattutto nella pubblicazione dei rituali
per la liturgia e dei principi e norme per la liturgia, nella pubblicazione del nuovo codice
di diritto canonico, nella pubblicazione dei diversi direttori, a livello nazionale o
territoriale, la pubblicazione di istituzioni pastorali. Tutto il corpo giuridico.
Passaggio che segna il passaggio di una RECEZIONE REALE.
Questa tappa si è consumata, anche se c’è sempre qualcosa di nuovo, ma il grosso di
questo lavoro è stato fatto, è avvenuto.
Questo è un primo criterio, molto oggettivo, molto preciso, che dice questa fase.
64
Secondo criterio per Routhier che dice un altro passo in avanti è la scomparsa della
generazione che ha fatto il Concilio. Scomparsa non ancora del tutto consumata.
Lui dice: una fase di recezione importante non è conclusa, dobbiamo ancora arrivarci,
sarà questa; come dire, abbiamo vissuto certamente questa fase che è legata poi al
governo della Chiesa, cioè la pubblicazione di tutto quel corpo giuridico che ha
assimilato il dato conciliare, e la Chiesa vive, il diritto di liturgia, il diritto di pastorale,
(direttori, codici), ciò è avvenuto, mentre stiamo vivendo e in qualche modo prepariamo,
questa scomparsa della generazione che ha fatto il Concilio.
E qui c’è l’idea più interessante, che è l’idea per cui l’autore dice che la fatica che stiamo
vivendo, è un conflitto tra generazioni.
Qui c’è una parte più sociologico-filosofica, da leggere, su cosa si intende per
generazione, che cosa è una generazione.
Una sua citazione dagli autori che lui cita: per generazione intendiamo un insieme di
persone, all’incirca della stessa età, per le quali il principale criterio di identificazione
risiede in esperienze storiche comuni, da cui hanno tratto una comune visione del mondo.
C’è la generazione del Concilio e la nuova generazione o le nuove generazioni.
La cosa interessane è questa: lui dice che questo è il vero problema dello stato di
recezione, al di là dei documenti, ma che va a toccare la vita e parla di due problemi: il
problema rispetto la prima generazione, quella che era presente e che era la prima
depositaria del Concilio, la generazione dei baby boomers, la generazione anni ’60, i
padri delle nuove generazioni.
Qual è il problema di quella generazione? Che immediatamente ha ricevuto il Concilio?
E qual è il problema della nuova generazione? I giovani d’oggi (intende i giovani cattolici
militanti, attivi nei paesi occidentali, nella sua analisi l’autore considera i giovani
canadesi e francesi).
Primo problema: il Concilio ha prodotto una dottrina, la quale chiede di essere
istituzionalizzata. Cosa che è avvenuta con una generazione del ’68, una generazione che
anche dentro la CC respira un sentire anti-istituzionale e anti-tradizionale, esisteva la
contestazione anche nella Chiesa stessa.
Le due cose sono avvenute in quegli anni lì, prima il Concilio, poi nell’atto di concegnare
lo stesso alla generazione protagonista di quel momento, quella generazione risentiva di
uno spirito anti-istituzionale. Negli ultimi anni ’70, inizio anni ’80, si è creata una
sconnessione tra il programma enorme di riforme istituzionali di grande portata, e
dall’altra parte un ethos spirituale e culturale, e una mentalità popolare, distante da
questo, perché abituata più a ricercare un rapporto diretto con il Vangelo, una certa
spontaneità, una certa emotività di rituale ecc. ecc.
Per quello una fatica c’è stata, perché ogni Concilio chiede poi di essere tradotto in
istituzioni solide, chiare, sicure, per poi plasmare una Chiesa del Concilio.
Il problema è che culturalmente, la generazione protagonista, che ha appreso e goduto di
quella novità dello Spirito, la nuova Pentecoste, ma di fatto si era anche un po’
allontanata e quindi si è creata questa sorta di sconnessione.
E i giovani? Spesso sono convertiti, hanno conosciuto Cristo per conto loro, a modo loro
e convertendosi hanno accusato un certo vuoto spirituale e una disfatta della Chiesa.
Perché hanno respirato, nell’epoca del post-moderno, una volta incontrato Cristo, e preso
un impegno pieno per Cristo, si sono accorti che i loro genitori avevano una modalità
poco chiara, convinta, radicale di vivere la fede quindi, percependo un certo vuoto
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spirituale anche negli ambienti ecclesiali, un fallimento della Chiesa dei loro genitori, i
giovani hanno accusato i loro padri e le scelte conciliari dei loro padri, cioè il Concilio è
arrivato ad identificarsi con la generazione che non si è preoccupata del loro diventare
cristiani.
E allora ha incominciato ad essere guardato con sospetto, ma non dalle generazioni dei
nostri genitori vivaci o sessantottini, ma dei giovani, quelli nati dopo, che una volta che si
sono presi entusiasmo per Gesù e per la Chiesa, possono rischiare di guardare il Concilio
come un qualcosa che ha annacquato, perché loro vedono nella società e nella Chiesa, un
vuoto, una fragilità, un fallimento e si chiedono ma come mai questa cosa? Il rischio è di
far coincidere con il Concilio, la causa.
Questa cosa è avvenuta soprattutto in quella che era il grande guadagno del Concilio,
nel tema della Chiesa e del mondo.
Il Concilio ha segnato questo rapporto positivo tra la Chiesa e il mondo, e gli altri, anche
il mondo non cattolico, qualunque persona. Con atteggiamento di respiro, di cui appunto
aveva bisogno la Chiesa in quel momento, ma le nuove generazioni di cattolici attivi
invece oggi vivono con difficoltà il rapporto col mondo e con gli altri, perché lo vedono
un rapporto che non dà loro idee chiare, sicure, solide, per vivere in maniera radicale la
loro appartenenza a Cristo e alla Chiesa.
E’ come se i giovani cattolici non possano godere di quel respiro che il Concilio ha
realmente dato, perché là c’era una Chiesa che non era abituata a parlare con gli altri, col
mondo. Ora hanno il problema inverso, c’è una Chiesa che è scesa troppo a compromesso
col mondo e con gli altri, e non ritrova più il coraggio, la volontà, il gusto, di quella
pretesa cristiana di appartenenza limpida, radicale di appartenenza a Cristo, che chiede di
mettersi in gioco meglio; quindi i giovani non sentono proprio il Concilio, non li
rappresenta.
Dentro questa cosa allora si pone il problema di come creare la giusta
istituzionalizzazione.
Due ipotesi che poi vanno integrate: (p. 29)
1) bisogna interagire bene, una possibilità è questa: una istituzionalizzazione che assume
la forma di una reazione alle nuove forme proposte, a quello liturgico, a quello
catechetico, a quello del governo ecclesiale e di un rifiuto della nuova figura del
cattolicesimo che tenta di disegnarsi. Si tratta di una istituzionalizzazione per
restaurazione e regressione, per rigetto e rifiuto. Ritorno al tradizionalismo, per esempio
liturgico. I giovani hanno bisogno di un cattolicesimo forte.
2) si osserva anche una istituzionalizzazione per invenzione carismatica e bricolage: la si
trova soprattutto nei movimenti e nelle comunità nuove, che presto si affermeranno come
un vettore importante della recezione del Vaticano II. Esso era un Concilio di vescovi,
che poi si doveva impegnare a creare l’istituzionalizzazione della dottrina, cioè trovare
delle formule stabili e solide di una Chiesa riformata dal Concilio, che va avanti nel suo
cammino. Ha faticato con la prima generazione, ha trovato un sospetto e una sorta di non
appartenenza reciproca con la nuova generazione.
E in questi 50 anni cosa è accaduto? 2 forme:
a. Da una parte il rischio, che noi chiamiamo tradizionalismo, non solo liturgico, di
guardare con sospetto il CVII.
b. Dall’altra parte, per recepire ma non nella forma tradizionale, ma ecco la forma
creativa, l’invenzione carismatica. Un modo nuovo e diverso (nuovi movimenti,
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nuove comunità) che spesso si appellano dicendo: noi siamo il frutto più
adeguato del Concilio, della nuova Pentecoste del Concilio.
I due criteri fondamentali per la recezione sono la documentazione (testi conciliari,
diritto), e poi il passaggio tra generazioni, questi criteri fanno capire a che punto è la
recezione.
(pag. 33): “a prima vista dunque, la recezione del CVII sarebbe ostacolata dal ben noto
caso del conflitto generazionale. Il Vaticano II parlerebbe alla generazione dei baby
boomers, aperti ad accomodamenti con la cultura della propria epoca e desiderosi di
adattarsi al mondo…” Ecco il mito dell’aggiornamento, generazione che si sente
finalmente emancipata. Quindi “il Concilio parlerebbe a quella generazione, mentre non
avrebbe più niente da dire a una generazione di convertiti più inclini a rimarcare la
propria indifferenza e ad affermare la propria singolarità. Il cambiamento di contesto
vedrebbe dunque caduche le decisioni del Concilio, sulla questione capitale del rapporto
col mondo, con le culture e gli altri”.
CVII ad una generazione ha detto molto, forse troppo, all’altra troppo poco.
A CHE PUNTO STA LA RECEZIONE?
La verifica sono i giovani, ma non si può dare una risposta semplice, dipende dall’oggetto
che mi interessa, dal livello, dagli spazi umani che mi interessano, e soprattutto si tratta di
guardare a quella differenza di generazioni e a quel conflitto generazionale che ti dice
allora a che punto siamo.
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