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IL BATTESIMO FA LA CHIESA
Il sacramento che fonda la vita cristiana
e regola la missione

di Michele Giulio Masciarelli

PARTE PRIMA
IL BATTESIMO, INIZIAZIONE A CRISTO
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RICOGNIZIONE BIBLICA
Il battesimo di Giovanni e Gesù

1. Gesù al battesimo di Giovanni. Il discorso sul Battesimo impone una breve ricognizione
biblica perché è nelle Scritture che troviamo la sua istituzione e la sua consegna da parte di Cristo
agli Apostoli (cfr. Mt 28,20). Ed è ancora nelle Scritture che troviamo la sua collocazione come
risposta di Cristo al peccato di Adamo, come evento della salvezza che, in termini nuovi, Gesù,
quale nuovo Adamo, procura agli uomini dando loro il dono e la dignità, immeritabili e
indesiderabili, della filialità, il nome più alto e inoltrepassabile della salvezza cristiana.

1. Un battesimo di conversione. Ormai alle soglie della nuova alleanza Giovanni Battista predica
nel deserto un “battesimo di acqua” come segno di conversione e di preparazione per accettare
colui che verrà a battezzare «in Spirito Santo e fuoco» (cfr. Mt 3,11). Il battesimo di Giovanni
completava una predicazione molto severa ed esigente, nella linea dei profeti, che chiedeva agli
uditori un cambio di vita e l’abbandono delle sicurezze religiose legate all’appartenenza al popolo
eletto (cfr. Lc 3,7-9) e all’eliminazione delle ingiustizie (cfr. Lc 3,10-15). Gesù, invece d’invocare
dal cielo il fuoco divino, domanda di ricevere il battesimo di Giovanni, nonostante lo stupore e
l’esitazione di quest’ultimo (cfr. Mt 3,14). Egli ha la certezza che il suo posto è in mezzo agli altri,
in una piena solidarietà con coloro che sono coscienti dei loro errori. Ciò significa che Dio non
vuole liberarci da una vita inautentica senza dapprima condividere pienamente quella vita.
a) Il battesimo di Gesù al Giordano, inizio della sua vita pubblica. Col battesimo ricevuto da parte di
Giovanni nel Giordano (cfr. At, 1,22) Gesù dà inizio della vita pubblica (cfr. Lc 3,23). «Appena
battezzato, Gesù uscì dall’acqua» (Mt 3,16). Questa scena dell’entrare-uscire dall’acqua, rievoca
l’evento dell’Esodo e l’attraversamento del Giordano, in concreto, l’ingresso in un mondo nuovo e in
una nuova terra promessa, che – segno della sorpresa recata da Colui che ha inaugurato i tempi nuovi
– sono piuttosto i cieli: «Ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come
una colomba e venire su di lui» (Mt 3,16; cfr. Mc 1,10). Gesù esce dalle acque ed entra nello spazio
santo della presenza del Padre che fa planare dolcemente su di lui il suo Spirito, come già era stato
promesso per il Messia atteso e invocato da Israele. L’importanza del battesimo di Gesù, oltre che
alla manifestazione dello Spirito, è legata anche alla solenne proclamazione del Padre: «Questi è il
Figlio mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,17). Colui che si era fatto il servo è
proclamato adesso figlio (cfr. Is 40,2). Gesù, nella sua esistenza filiale, ha confermato il senso di
questa dichiarazione, del Padre, chiamandolo con il nome pregnante di singolare confidenza: Abbà
(Babbo, Padre caro). Dalle parole e dall’agire di Gesù affiora incoercibile la coscienza di essere il
Figlio di Dio. I Vangeli ce lo mostrano in un dialogo costante che egli ha con il Padre, eco
santissima del quello esistente dall’eternità in seno alla Famiglia trinitaria.
b) Il Padre al battesimo di Gesù al Giordano. L’intera nostra esperienza di fede è ancorata a questa
coscienza di Gesù. Egli ci salva in quanto Figlio di Dio e la qualità della salvezza che ci offre non
consiste solo nel liberarci dal peccato e dalla morte ma nel farci figli di Dio, partecipandoci la sua
condizione di Figlio unico del Padre: facendosi nostro fratello, noi siano diventati figli. Egli perciò
è il nostro Fratello necessario. A noi non importa se quelli che vissero con Gesù fossero coscienti
di questo segreto fin dall’inizio e ne capissero la portata. Ciò che importa veramente è sapere che
Gesù ne era consapevole lasciandone prove sicure durante la sua esistenza messianica. Capiamo
meglio l’intervento del Padre se ricordiamo anche quello che egli dirà nell’evento della
trasfigurazione: «Questi è il Figlio mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt
17,5). Il Padre pertanto raccomanda il Figlio agli uomini; se ne fa garante con questa motivazione:
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è il Figlio della sua compiacenza. Perché è amato dal Padre dobbiamo ascoltare Gesù. Questo
imperativo non significa solo: prestategli attenzione, o: mettete in pratica quanto vi dirà, ma
significa soprattutto: credetegli, date a lui la vostra adesione di fede, accogliete la sua persona pri-
ma ancora che la sua parola. Così, il battesimo di Gesù al Giordano ripropone un duplice
significativo movimento: Dio viene verso l’uomo con la rivelazione, ma l’uomo deve andare anche lui verso Dio
con la fede.

2. Gesù e il nuovo Battesimo. Gesù pone il suo Battesimo, quello in Spirito santo e acqua,
al centro della sua missione e di quella della Chiesa: è un contenuto essenziale di esse, per cui non
coglie nel vero il tentativo di ribaltare una unilaterale ‘sacramentalizzazione’ con una unilaterale
‘evangelizzazione’: un difetto non bilancia il difetto contrario, ma lo aggrava. Evangelizzare e
battezzare sono due fuochi di un’unica ellissi missionaria. Si dice talvolta in modo improbabile:
Gesù non ha mandato a sacramentalizzare, ma a evangelizzare. Quale Gesù ha detto questo? Gesù
di Nazaret ha detto certamente: «Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura.
Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato»
(Mc 16,15,16). E ancora: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel
nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose
che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente» (Mt
28,19-20). Come pure, per Gesù non basta la fede, ma occorre la fede che desidera, chiede e
accoglie il Battesimo. Gesù non crea un aut-aut tra fede e Battesimo, ma stabilisce un et-et: «Chi
avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato» (Mc 16,16). E la prima Chiesa ha compreso e
regolato la sua missione nella saggezza della congiunzione fede-Battesimo. All’etiopo, che aveva
chiesto di essere battezzato, Filippo disse: «“Se tu credi con tutto il cuore, è possibile”. L’eunuco
rispose: “Io credo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio”. Fece fermare il carro, e discesero tutti e due
nell’acqua, Filippo e l’eunuco; e Filippo lo battezzò» (At 8,7.38). In più: Paolo e Sila, al carceriere
di Filippi dissero: «“Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia”. Poi annunciarono
la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua. Ed egli li prese con sé in quella
stessa ora della notte e subito fu battezzato lui con tutti i suoi» (At 16,31-33).
Lasciandosi sommergere dalle acque, Gesù simbolizza il suo desiderio di andare fin nel più
basso della condizione umana per aprirla alla luce di Dio dal suo interno. Ed ecco che questa
«morte» è subito seguita da una «risurrezione». Abbattuto il muro tra l’umanità e Dio, in mezzo
agli esseri umani Dio è di nuovo a casa sua. Le parole ricordate che provengono Padre, alla luce
delle Scritture ebraiche esprimono la sua relazione con Gesù e allo stesso tempo la missione
affidata a suo Figlio di manifestare agli altri questa relazione con lui. A partire dall’umanità di
Cristo lo Spirito creatore lavora e rinnova la terra, facendola entrare in una comunione con il
Padre eterno.
Non è sbagliato vedere il nostro Battesimo come il gesto attraverso cui il Cristo mette il suo
braccio attorno alla nostra vita e ci prende con sé nello spazio indicato dal suo Battesimo. Noi
moriamo con lui a un’esistenza segnata dalla falsa sufficienza e dall’isolamento per entrare in una
vita nuova, una vita di comunione (cfr. Rm 6,3-6). Insieme a Gesù ascoltiamo il Padre
pronunciare queste parole di luce verso di noi: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono
compiaciuto» (Mc 1,11). Figli e figlie nel Figlio, noi possiamo ora continuare la missione stessa di
Gesù in ogni ambito della nostra vita: testimoniare la venuta del Regno di Dio che irrompe nel
nostro mondo e lo trasforma dall’interno. Il Battesimo ci situa dentro il mistero invisibile-visibile
del Corpo di Cristo e, immergendo i nostri limiti e anche i nostri rifiuti nelle acque della
misericordia divina, apre dentro di noi una misteriosa breccia in cui Dio può farsi presente, per il
nostro tramite, nel cuore stesso della storia.
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PRIMA RIFLESSIONE TEOLOGICA
Oltre il peccato di Adamo, figura di Cristo

1. L’arco salvifico disegnato dal Padre precede il peccato di Adamo. Il Padre ha


disegnato e, con le due mani del Figlio e dello Spirito, ha realizzato e va ancora realizzando il suo
progetto salvifico per l’intera famiglia umana. A fondamento della storia degli uomini c’è il
gratuito amore del Padre, ossia la sua grazia, che dona redenzione «con ogni benevolenza
spirituale» (Ef 1,3) in Cristo, preparandola nell’eternità, attuandola nel tempo, portandola a
compimento della gloria. Tutti siamo pensati, amati, creati, redenti e glorificati come figli adottivi
in comunione col Figlio unigenito.

1 Il Padre ci ha preceduto nell’amore. Prima della creazione, cioè quando c’era solo il Dio trinitario,
il Padre ci ha avvolto nella sua carità paterna. Questo sottolinea la gratuità del suo amore: non
c’era condizione più radicale per un amore disinteressato, libero e immeritato che il nostro non
esserci precedente l’atto creativo da parte del Padre. Da quell’atto e per quell’atto noi esistiamo e
siamo. Perciò Dio ci è più intimo di noi stessi. Il Padre ci ha amato addirittura prima che fossimo
amabili; di noi non c’era assolutamente nulla, a noi nessuno pensava e poteva pensare; noi
potevamo anche non esistere mai: non eravamo necessari a nessuno. Eppure a noi ha pensato il
Padre inventandoci, volendoci, creandoci senza di noi e rispondendo solo al moto libero e
misterioso della sua carità elettiva. Quando non dovesse amarci più nessuno, quando dovessimo
divenire intollerabili a noi stessi, dovremmo ricordare di essere stati amati prima di essere, di
essere stati voluti dal Padre, che gratuitamente ci ha scelti in Cristo e creati per mezzo di lui e in
vista di lui (cfr. Col 1; Ef 1). In tal modo il Padre ha rivolto a ognuno l’amore che genera nutre e
fa crescere per mezzo del «suo Figlio diletto» (Col 1,13).

2. Il Padre ci ha eletto nel Figlio. La scelta di predestinare gli uomini a Cristo e di crearli per
mezzo di lui non ha impegnato il Padre in un amore generico, ma in un amore personale che si
riversa su ogni uomo: ognuno è amato e scelto da Dio per se stesso, per quello che è agli occhi di
lui, la cui carità crea distinzioni originali nelle sue creature, che per lui hanno un singolare valore
sempre e in modo totale, anche se mai nessuno saprà o vorrà notarlo e riconoscerlo. In Cristo il
Padre «ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto
nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il
beneplacito della sua volontà» (Ef 1,4-6).
3. Ha amato in noi ciò che ama nel Figlio. La complessa signoria del Padre antecedente la
creazione della storia umana è ciò che chiamiamo predestinazione: si tratta della predestinazione
di Cristo alla creazione1, entro il cui raggio si situa la predestinazione degli uomini a lui. La
predestinazione di Cristo a salvatore è la chiave di comprensione del senso dell’uomo e della vita,
della creazione e della storia e, evidentemente, anche della persona e della vocazione di ciascuno
nel piano della salvezza. Qual è la portata della predestinazione di Cristo agli uomini e degli
uomini a Cristo? La risposta a questa domanda va costruita ad ampio raggio prospettico. È la
paternità di Dio la parola fondamentale che ‘spiega’, nel mistero, la bellezza e la verità degli
uomini e delle cose:
«Si chiarisce così il significato stesso della creazione. Quando il Padre ha creato il mondo, ad
animare la sua forza creatrice è stato un amore paterno che desiderava donare a se stesso dei
figli nel Figlio unigenito. Colui che ha creato il primo atomo o la materia che nella sua
espansione ha formato lo spazio dell’universo, voleva fondamentalmente dare un posto in

1 Cfr. G. COLZANI, Antropologia teologica. L’uomo: paradosso e mistero, Dehoniane, Bologna 1988, pp. 219-238.
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questo spazio ai propri figli. Nel produrre la scintilla della vita che doveva moltiplicare sulla
terra, nel corso dell’evoluzione, le diverse specie vegetali e animali, il Padre aveva come fine
quello di preparare l’esistenza fisica di coloro che amava a priori come suoi figli. È in virtù di
questo stesso amore che ha formato uomini e donne, creando per ognuno un’anima unita al
corpo derivato dall’evoluzione. È l’opera creatrice di un Padre che ha voluto estendere la sua
paternità a innumerevoli esseri e donare a ognuno un amore personale»2.

L’amore che il Padre ha portato agli uomini noi creandoli e che porta permanentemente loro
custodendoli, è un’irradiazione dell’amore che porta al suo «Figlio unigenito» (Gv 1,18): egli ama
anzitutto e, potremmo dire, unicamente il Figlio e, nel raggio di questo completo amore (perciò è
unico), ama tutti gli uomini con amore estremo e singolare. «Così hai amato in noi ciò che tu
amavi nel Figlio», prega il sacerdote rivolgendosi al Padre durante la liturgia eucaristica3. Amando
Cristo, il Padre sceglie e ama ogni creatura umana nello stesso amore. Non si tratta di un amore
ridotto, accorciato, subalterno; è invece l’unico amore possibile: solo in questo amore l’uomo è
amabile e di fatto è amato dal Padre.

4. Ci ha predestinati alla gloria dei figli. La predestinazione del Padre di salvare la creazione in
Cristo non esclude nessuno; dunque nessuno è predestinato alla perdizione eterna. L’uomo,
nell’esercizio della sua libertà, può ostinatamente respingere la carità salvante del Padre e
ostacolare così il compimento della sua predestinazione universale all’eternità della gloria, ma,
anche in questa reale eventualità, il senso della predestinazione non muta: resta sempre una
chiamata alla filiazione adottiva, orientata alla gloriosa ed eterna vita filiale nel Cielo trinitario. Con
un Padre che vuole che tutti gli uomini si salvano (cfr. 1 Tm 2,4), con un Figlio che è venuto «per
salvare il mondo» (Gv 12,47), con lo Spirito che è mandato a rinnovare «la faccia della terra» (Sal
103,30), non c’è possibilità nel cristianesimo di avallare un concetto di pre-destinazione come un
pre-scegliere, nel senso di selezionare alcuni fra molti alla salvezza, col corredo di pessimismo e di
disperazione implicato4. L’orizzonte dell’universalismo salvifico del cristianesimo permette solo di
concepire la pre-destinazione come un pre-scegliere, nel senso di pre-eleggere tutti in Cristo alla
salvezza. Perciò, la predestinazione implica la benevolenza paterna che esista dall’eternità: la
rivelazione rende i cristiani certi di questo amore che il Padre ha liberamente deciso e donato e
che non revocherà mai, anche se venisse tante volte meno la fedeltà degli uomini.

5. Un solo progetto salvifico ideato dal Padre. Anzitutto va detto che la scelta predestinante del
Padre è precreatrice e prelapsaria, cioè antecede lo stesso atto della creazione e il peccato originale
che lo segue, sotto un certo aspetto, non sarà mai annullata o ribaltata da questo. La grazia della
predestinazione è il progetto primigenio al quale il Padre resta sempre fedele, al quale tutto
conduce e riconduce nello svolgersi della storia della salvezza. Il peccato originale cade dentro un
piano salvifico precedente e superiore a esso: la conseguenza è che il piano salvifico include la
liberazione da tale peccato e dal suo infelice corredo, ma l’oltrepasserà anche, portando gli uomini
alla conformazione a Cristo, punto apicale e permanente del proposito salvifico del Padre. Per
realizzare questa sua eterna e personale decisione, il Padre ha donato suo Figlio che, come Verbo
fatto uomo, è il mediatore unico e definitivo di tale piano originario del Padre.

2 J. GALOT, Dio Padre, chi sei? Breve catechesi su Dio Padre, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1998, p. 46. Cfr. M. G.
MASCIARELLI, Darwin tra storia, storia e società. 150° anniversario della pubblicazione di “Origine della scienza” [Università di
Chieti], a cura di F. Stoppa, R. Veraldi, Edizioni Universitarie Romane, Roma 2010, pp. 37-60.
3 Prefazio VII delle Domeniche ordinarie.
4In proposito, sono chiare le delucidanti note di p. Galot: «Interpretazioni erronee della predestinazione hanno ge-

nerato disperazione in coloro che temevano di essere esclusi dalla felicità celeste. L'autentica predestinazione, che of-
fre agli uomini la filiazione in Cristo in vista della partecipazione alla felicità celeste, anima la speranza e fornisce un
solido sostegno all'ottimismo che deve caratterizzare la mentalità cristiana. La sovranità benevola del Padre domina
tutti gli eventi; essa permette di osservarli con sguardo fiducioso, anche quando sembrano negativi, poiché tutto ciò
che accade sottostà al disegno paterno, che consente all’intero universo di contribuire allo sviluppo della nostra
filiazione adottiva in Gesù Cristo» (J. GALOT, Dio Padre, chi sei?, p. 48).
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6. Un solo progetto salvifico affidato al Figlio. Venendo nel mondo e sviluppando la sua opera
messianica, il Figlio si è impegnato con la sua opera di mediazione nell’unico misterico piano
affidatogli dal Padre, che, al suo interno, si articola in due gradi fondamentali: la redenzione e la
salvezza dell’umanità. Così il Cristo ha cambiato definitivamente il destino degli uomini anzitutto
riconciliandoli con il Padre (redenzione) e soprattutto, quale vertice del suo atto mediativo,
procurando loro la vita filiale nell’intimità del Padre, che comporta come sua estrema espressione
la divinizzazione (salvezza)5. Nella predestinazione s’esprime il dono più grande che il Padre può
concederci, ossia il vertice della grazia filiale, facendoci condividere la condizione vitale ed
esistenziale del Figlio. In tal modo egli elevato la nostra natura umana a una dignità insuperabile,
disponendoci completamente al suo amore paterno: «Ci ha benedetti con ogni benedizione
spirituale nei cieli, in Cristo» (Ef 1,3); «Piacque a Dio / di fare abitare in lui ogni pienezza» (Col
1,19); «Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi / con ogni sapienza e intelligenza» (Ef 1,8).
Predestinando gli uomini alla filiazione adottiva in Gesù Cristo, il Padre ha concesso loro l’accesso
all’eredità della gloria (cfr. Ef 1,11). La gloria dei figli si può fruire solo nella «casa del Padre» (Gv
14,2).

2. Meditando sul ‘climax’ paolino: Legge, Fede, Battesimo. San Paolo è l’autore del
Nuovo Testamento che più di ogni altro s’interessa al tema della giustificazione. Egli lo fa
soprattutto componendo un climax, un crescendo misterico e teologico, composto di tre soglie
ascensive: la Legge, la Fede, il Battesimo. In concreto egli inarca il suo discorso dalla Legge alla
Fede e dalla Fede al Battesimo.

1. Dalla Legge alla Fede. Nella 1 Lettera ai Corinzi (9,8.9; 14,21.34) san Paolo presenta, per la
prima volta, la terminologia essenziale della complessa questione della Legge e in essa delinea la
funzione negativa della Legge (cfr. 1 Cor 15,56). Tuttavia il discorso sulla Legge inizia a essere
sviluppato nella Lettera ai Galati: i cristiani della Galazia, pur non avendo conosciuto il giudaismo,
si lasciano imporre alcune osservanze giudaiche, ma san Paolo insegna loro che, ormai giustificati
per la fede (Gal 3,1-4,7) di Cristo (2,16), la Legge non possiede più un carattere o un valore
fondativo; essa è storicamente segnata e datata: è posteriore alla promessa di Dio ad Abramo. In
tal modo, essa si mostra non eterna e non perfetta. Tuttavia, pur tale, non può concludersi che la
Legge debba essere annullata o disattesa: Gesù infatti, pur essendo venuto dopo la Legge, non ha
mancato di sottomettersi alla «maledizione» di essa (cfr. Gal 4,4) per procurare a tutti la
benedizione di Abramo (cfr. Gal 3,13).
Il discorso paolino sulla Legge continua nella Lettera ai Romani nei capp. 4 e 5, ma anche oltre
essi. Così, dopo aver insegnato ai Galati che non solo la Legge ma anche le opere della Legge – ad
per esempio le questioni di purità alimentare (cfr. Gal 2,11-14) – sono in antinomia con la fede di
e in Gesù Cristo (Gal 2,16), nella Lettera ai Romani sviluppa il discorso sul conflitto tra i «forti» e i
«deboli» (Rm 14,1-15,13). Questi ultimi erano fratelli che aderirono a un giudaismo centrato su
Cristo, provenivano dalle fasce più umili della società e si riunivano nelle cosiddette ‘chiese
domestiche’, in mancanza di una sinagoga o di una chiesa centralizzata. I motivi del ricordato
conflitto erano costituiti dalle norme di purità alimentare (cfr. Rm 14,14) e dal calendario giudaico verso
le quali Paolo chiedeva rispetto a coloro per i quali tutto è puro. Di fronte ai «diffamatori» di
Roma (cfr. Rm 3,8) egli avrà il difficile compito di dimostrare che la Legge, pur non salvando, non
è tolta, sebbene non sia da ritenere determinante per la giustificazione.
La giustificazione in Cristo, che libera dal giudizio di condanna (cfr. Rm 1,18-3,20), non
comporta un atteggiamento contro la Legge (i forti) e quelli che ancora l’osservano (i deboli) non
sono giustificati da essa. Sia i forti che i deboli sono morti alla Legge per vivere e servire il Signore
(cfr. Rm 5,1-8,39). Il conflitto tra i due gruppi rischiava invece di vanificare la morte di Cristo e la

5 Cfr. S. MEO, Le tematiche teologiche attuali intorno alla funzione materna di Maria verso gli uomini, in AA.VV., Il ruolo di Maria

nell’oggi della Chiesa e del mondo. Simposio mariologico (Roma, ottobre 1978), Edizioni «Marianum»-Dehoniane, Roma-
Bologna 1979, pp. 45-54.
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stessa morte alla Legge. Pertanto, sebbene abrogata, la Legge, per caso, tornava a imperare? È il
problema affrontato nella pericope di Rm 7,7-25, nella quale Paolo sembra fare delle concessioni
alla Legge per il bene dei deboli. In realtà egli non sta «concedendo» nulla alla Legge, poiché al
centro del brano vi è l’impotenza dell’io («infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che
non voglio»: Rm 7,19); l’io, pur riconoscendo il bene della Legge, non riesce ad attuarlo elevando
nel contempo una tragica domanda di liberazione («Sono uno sventurato! Chi mi libererà da
questo corpo votato alla morte?»: Rm 7,24). Solo Dio, per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro,
che ci giustifica gratuitamente, può liberare l’umanità da questa situazione («Siano rese grazie a
Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la Legge di
Dio, con la mia carne invece la legge del peccato»: Rm 7,25).
La Legge è pervenuta al suo fine, che di per sé non comporta l’abrogazione, ma la
consapevolezza che solo Dio giustifica in Cristo, per mezzo dello Spirito Santo («Ora invece,
indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai
Profeti: giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti
non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati
gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. È lui che Dio ha
stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a
manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati mediante la clemenza di
Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e rendere
giusto colui che si basa sulla fede in Gesù»: Rm 3,21-24; «Poiché la legge dello Spirito che dà vita
in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte»: Rm 8,2)6.

2. Dalla Fede al Battesimo. San Paolo, partendo da motivi autobiografici, pone in risalto la
gratuità dell’adesione a Cristo a cui tutti gli uomini sono chiamati perché egli è il secondo Adamo,
ossia l’Adamo buono, il vero Adamo, colui che è Adamo più di Adamo: a lui perciò egli applica il
modello di Adamo (cfr. Fil 2,10-11). Ma l’adesione fondamentale a Cristo è la conformazione a lui
dell’essere personale dell’uomo, che avviene nel Battesimo, quando la figura di Gesù, per così dire,
si stampa o si incide in lui in modo definitivo. San Paolo, perciò, che aveva così tanto insistito
sulla fede come oltrepassamento della Legge, continua il disegno del suo climax elevando il livello
del vertice salvifico all’evento del Battesimo: è quanto opera in Rm 6. Qui il contatto col Cristo
non è pensato solo in termini di adesione testimoniale (perciò sul filo dell’imitazione di lui), ma
anche su quello dell’inserimento vitale (potremmo dire ontologico) nel suo mistero e, in modo
particolare, nel centro del suo mistero, che è l’evento pasquale: in Rm 6 e in altri passi analoghi si
mette in evidenza lo stretto nesso esistente fra morte e risurrezione di Gesù. In modo indiretto,
ma pur sempre chiaro, l’evento del Battesimo è interpretato come l’inizio che fa incominciare la
vita nuova e orienta alla confermazione a Cristo.
Questi brevi accenni dovrebbero aver chiarito che il Nuovo Testamento presenta, illustrando
il contenuto del Battesimo, una ricca varietà di aspetti e di prospettive che si rifrange sull’intera
vita cristiana che è assunta alla luce battesimale. Il brano più significativo nella teologia di Paolo
sul Battesimo è Rm 6,3-11. L’Apostolo delle genti ricorda ai cristiani: «Per mezzo del battesimo
siamo stati dunque sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti
per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4).
Il Battesimo, pertanto, opera due misteriosi legamenti a Cristo: 1) alla sua morte (si diventa con-
crocifissi) perché sia distrutto il corpo del peccato; 2) fa partecipi della sua risurrezione perché
anche i battezzati diventino «viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rm 6,11). Cosicché, l’apice
dell’esistenza di Cristo, la risurrezione-glorificazione, a motivo dell’innesto battesimale in lui,
diventa anche l’apice dell’esistenza cristiana.

6 Cfr. A. PITTA, Paolo, la Scrittura e la Legge. Antiche e nuove prospettive, Dehoniane, Bologna 2009.
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SECONDA RIFLESSIONE TEOLOGICA
Il Battesimo, atto salvifico di Cristo

1. Il Battesimo, esperienza pasquale. Il Battesimo fa compiere al cristiano una reale


esperienza di Pasqua: lo fa partecipare al mistero della morte e della risurrezione di Cristo.
Cosicché egli annulla, nel modo più radicale, ogni estraneità nei confronti del Redentore
dell’uomo: è l’esperienza della più grande assimilazione alla sua esistenza, perché riguarda lo stato
finale di lui, quello della morte-risurrezione, della risurrezione-elevazione, della elevazione-
glorificazione.

1. Il Battesimo: il “consummatum est” sacramentale. Il Battesimo senza la Croce non è possibile:


discende da questa come frutto dall’albero. Se Gesù non fosse salito sull’albero della Croce col
carico dei peccati degli uomini, noi non saremmo mai scesi nelle acque purificatrici del Battesimo
per il lavacro della rigenerazione e il recupero della nostra innocenza dinanzi al Padre «veramente
santo e fonte di ogni santità»7. Se Gesù non avesse compiuto tutto sulla Croce dinanzi al Padre, non
sarebbe incominciato nulla nel Battesimo per la nostra salvezza:
«Il cristiano viene battezzato in nome di colui che ha eseguito fino in fondo, di colui che sulla
croce ha portato via in anticipo la colpa del peccatore, affinché questi al momento del
battesimo sia rigenerato e stia dinanzi all’opera compiuta dal Signore come un bimbo
innocente. E poiché il Figlio non la rivendica personalmente a sé, essa è tanto opera compiuta
dal Dio uno e trino quanto opera compiuta ... dalla Chiesa»88.

Il Battesimo però non è solo effetto della Croce, ma ne è anche sacramento; in esso infatti si
partecipa alla morte di Gesù: siamo sepolti nella sua morte (cfr. Rm 6,5.4)9. Questo significa che il
Battesimo ne fa memoria e crea una somiglianza fra una nostra attuale esperienza (sacramentale) e
l’esperienza estrema dell’esistenza storica di Gesù. La somiglianza della morte di Cristo col nostro
Battesimo è perciò attuazione nel presente di quella morte agli occhi del Padre, morte alla quale
partecipiamo nella realtà nascosta sotto forma di una similitudine che è misteriosamente reale,
perché, per la potenza di Dio, produce e contiene ciò che significa.

2. Nel Battesimo si diventa «figli della Risurrezione». Il Battesimo è sacramento di vita per
eccellenza poiché fa risorgere con Cristo (cfr. Rm 8,15; Gal 4,5) e, più ancora, rende partecipi
della vita di Dio e dell’adozione a suoi figli (cfr. 1 Pt 2,9). Come attestano le formule di
benedizione dell’acqua, esso è lavacro di rigenerazione dei figli di Dio e di rinascita che viene
dall’alto10. Il Battesimo viene dalla Risurrezione di Gesù e porta alla Risurrezione dell’uomo. Può
farlo perché partecipa della vittoria di Gesù sulla morte, del suo trionfo sulla causa della morte,
che è il peccato; ora, questa vittoria e questo trionfo si hanno proprio con la Risurrezione. I
battezzati sono pertanto «figli della risurrezione» (Lc 20,36) perché la glorificazione pasquale
(comprendente anche l’Ascensione) ha innalzato Gesù alla destra del Padre (cfr. Sal 1) rendendolo
capace di offrire anche agli uomini la Risurrezione e la «vita nuova» (cfr. Col 2,12ss).
Innestando in Cristo, il Battesimo arreca necessariamente una novità di vita: «Se uno è in
Cristo, è una creatura nuova» (2 Cor 5,17); crea pertanto la conformazione a Cristo realizzando
l’unione alla sua Risurrezione11. Cosicché, dopo che il catecumeno s’è immerso nella morte del

7
MESSALE ROMANO, Prece Eucaristica II.
8 A. VON SPEYR, Parole della Croce e Sacramenti, Morcelliana, Brescia 1976, p. 55.
9 Cfr. anche: CONCILIO ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Sacrosanctum Concilum, n. 6.
10 Cfr. CONCILIO ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Sacrosanctum Concilum, n. 6.
11 Cfr. CONCILIO ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 7.
9

Cristo mediante il Battesimo, in lui si crea un’esigenza di entrare nella vita nuova del Risorto (cfr.
1 Pt 3,18-21). L’unione sacramentale con Cristo nel Battesimo può essere considerata, in maniera
molto vera, una «con-risurrezione» e una «con-vivificazione» insieme al Cristo, cosicché pure il
battezzato esperimenta in sé la realtà dell’evento-Cristo (cfr. Rm 6,4-5; Gal 2,19s; Ef 2,5s; Col
3,1). Comprendiamo meglio il coinvolgimento battesimale alla condizione del Risorto se
consideriamo Cristo in paragone con Adamo (cfr. Rm 5,12-21; 1 Cor 15,20-22.45-49). Cristo è il
progenitore della nuova umanità salvata e, come «primogenito di molti fratelli» (Rm 8,29), aggrega
a sé, proprio per mezzo del Battesimo, altre membra per la «nuova creazione» (2 Cor 5,17; Gal
6,15).

2. Una domanda critica sul Battesimo cristiano. Non s’intende qui porre tante
interrogazioni sul Battesimo né dare risposte esaustive sui tanti aspetti di questo «sacramento
maggiore» (Pietro Abelardo). Si pongono solo due domande (la prima più classica e teologica, la
seconda più esistenziale e attuale): all’una e all’altra si daranno sbozzi di risposta, indicando tracce
di soluzione per la prima e d’impegno operativo-pastorale per la seconda.

1. Il Battesimo è necessario per la salvezza? Per comprendere il senso del Battesimo in tutta la sua
ampiezza, bisogna guardare come esso era vissuto dai discepoli di Gesù nella Chiesa antica.
Durante la prima Pentecoste cristiana coloro che stavano ascoltando Pietro sono feriti nel più
profondo di se stessi quando compresero che non avevano saputo riconoscere in Gesù l’Inviato
di Dio. Sotto il peso del rimpianto essi chiedono agli Apostoli: «Che dobbiamo fare?». E Pietro
risponde: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la
remissione dei vostri peccati; poi riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,37-38). Questo
significa che il Battesimo esprime da una parte la metanoia, ossia il cambiamento fondamentale
nell’orientamento della propria vita provocato dall’incontro con Dio, d’altra invece l’accoglienza
dello Spirito che fa dell’uomo una creatura nuova (cfr. 2 Cor 5,17), trasformando lo sterile
rimpianto nel pentimento, porta d’entrata in una vita di comunione. Così, lungi dall’essere un
semplice rito esteriore per segnare un’appartenenza solo sociologica, il Battesimo significa la
trasformazione profonda dell’essere umano che avviene grazie al Soffio di Dio: in qualche modo
si è sotto l’ala di una “Pentecoste continua” che costruisce la Chiesa lungo i secoli12.
Aprendo il suo cuore alla novità di Dio, il battezzato accoglie un germe di Vita che lo
trasformerà e gli permetterà di condurre una vita nuova (cfr. 1 Pt 1,22-23). Poiché questa vita è
essenzialmente una pro-esistenza, essa ha necessariamente una dimensione esteriore. La
trasformazione del cuore resta l’essenziale, ma essa s’esprime con un cambiamento concreto nel
modo di vivere che si fa riconoscere per l’appartenenza a una comunità di preghiera e di
condivisione dalle dimensioni universali (cfr. At 2,42-47). «Chi non ama il proprio fratello che
vede, non può amare Dio che non vede», dice san Giovanni (1 Gv 4,20). Non si tratta di provare
un sentimento d’amore umano, ma di condurre una vita con gli altri che concretizzi la comunione
col Dio invisibile. Il Battesimo è dunque anche un gesto pubblico col quale la comunità dei
credenti accoglie nel suo seno un nuovo membro che vivrà un personale rapporto filiale con Dio
insieme a un solidale e visibile rapporto fraterno con gli uomini.
Dio vuole per gli uomini la vita in pienezza e questi possono avere accesso a tale vita nel suo
Figlio (cfr. 1 Gv 5,11), che è il «sì» definitivo di Dio verso di noi e, in concreto, col Battesimo egli
associa al suo «sì» che diventa il «sì» che gli uomini dicono in risposta a Dio (cfr. 2 Cor 1,19-20).
Questo «sì», pronunciato durante il Battesimo dalla Chiesa a nome dei suoi figli o insieme a loro,
sarà poi concretizzato in tutte le scelte piccole o grandi che questi fanno per vivere la loro fede. In
questo senso si può dire che l’esistenza cristiana, nel suo insieme, è una concretizzazione del «sì»
pronunciato nel Battesimo mediante la Chiesa o in seno a essa dai figli di Dio. Coloro che sono
stati battezzati in giovanissima età e il cui impegno è stato preso per loro dalla Chiesa, così come

12Cfr. M. G. MASCIARELLI, Pentecoste continua. Il vento dello Spirito su Cristo Maria e la Chiesa, San Paolo, Cinisello Balsamo
(MI) 2007.
10

quelli che hanno chiesto personalmente il sacramento, sono tutti chiamati a esprimere il senso del
Battesimo nella loro esistenza quotidiana mettendosi sempre e di nuovo in cammino sulle tracce
del Cristo con atteggiamento e stile discepolare.

2. Un duplice Battesimo di desiderio. L’indiscussa necessità del Battesimo per la salvezza porta a
porre il problema sul modo in cui questo ‘sacramento maggiore’ debba essere ricevuto. Le aporie
o problematicità che si pongono o si frappongono dentro l’affermazione della necessità del
Battesimo non sono poche. Ci si chiede, ad esempio, come si possa e si debba affermare che esso
sia necessario, nei confronti di casi come i bambini morti senza poter ricevere il Battesimo,
mentre popoli interi non hanno mai sentito l’annuncio su Gesù e meno ancora hanno avuto
modo di fare esperienza cristiana. Sappiamo che s’è parlato e si parla ancora del cosiddetto
“Battesimo di desiderio” già da epoca patristica. Sant’Ambrogio, ad esempio, evocava questo tipo
di Battesimo allorché scriveva:
«Sento che voi siete addolorati perché [l’imperatore Valentiniano II] non ha ricevuto il
sacramento del battesimo [prima di morire]. Ditemi: che altro dipende da noi se non
l’intenzione, la richiesta di riceverlo? Orbene, anche poco fa aveva questo desiderio, di essere
cioè iniziato prima di venire in Italia, e mi espresse la volontà di essere battezzato da me al più
presto e per tale motivo, a preferenza di ogni altro, decise di farmi chiamare. Non ha dunque
la grazia che ha desiderato, non ha la grazia che ha insistentemente richiesto? E siccome l’ha
richiesta, l’ha ricevuta, anche secondo quel detto: “Qualunque sia la morte che ha colto
immaturamente il giusto, la sua anima avrà riposo”»13.

Ma ancora oggi la Chiesa parla del “Battesimo di desiderio” in modo convinto e sicuro, dopo
aver ricordato l’altra forma del Battesimo, che è quella “di sangue”:
— «Da sempre la Chiesa è fermamente convinta che quanti subiscono la morte a motivo della
fede, senza aver ricevuto il Battesimo, vengono battezzati mediante la loro stessa morte per
Cristo e con lui. Questo Battesimo di sangue, come pure il desiderio del Battesimo, porta i frutti del
Battesimo, anche senza essere sacramento»14.
— «Per i catecumeni che muoiono prima del Battesimo, il loro desiderio esplicito di riceverlo,
unito al pentimento dei propri peccati e alla carità, assicura loro la salvezza che non hanno
potuto ricevere mediante il sacramento»15.

Ma il discorso va necessariamente completato: è il caso di parlare di un secondo “Battesimo di


desiderio” che, di fatto e implicitamente, viene insegnato, ma che non è affatto esplicitato. Anzi,
questo “Battesimo di desiderio” ha una base biblica più forte del primo ora rievocato. Si tratta del
desiderio di Gesù di battezzare, anzi della sua volontà esplicita di portare il Battesimo (cfr. Mt 28,20).
Si tratta del desiderio della Chiesa di battezzare tutti, in ubbidienza al comando di Gesù, anche se il
suo cammino missionario non adegua pienamente il desiderio e il comando di Gesù. Tuttavia,
resta la domanda: come considerare atto di Battesimo un desiderio di fatto non realizzato? La
risposta non può darsi che in un’ottica trinitaria: «Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e
arrivino alla conoscenza della verità. Perché uno solo è Dio, e uno solo il mediatore tra Dio e gli
uomini, l’uomo Gesù Cristo, che ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1 Tm 2,4-6). Lo Spirito,
da parte sua, soffia dove vuole e conserva, attualizza e diffonde l’opera universale-salvifica di
Gesù. In modo appropriato, il Padre, che è sulla testa di chi desidera battezzare e di chi desidera di essere
battezzato, tiene conto dei due desideri del Battesimo e li soddisfa premiandoli.

13 In morte di Valentiniano, 51-53, Biblioteca Ambrosiana-Città Nuova, Milano-Roma 1985, pp. 192-195).
14 Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) (= CCC), n. 1258.
15 CCC, n. 1259.
11

UNA PRIMA CONCLUSIONE


Il Battesimo è tutto il cristianesimo

Nell’esperienza del Battesimo – l’atto sacramentale e la conseguente opera testimoniale del


Battesimo – passa l’intera esistenza cristiana, come si evince dall’insegnamento di Paolo:
1. il Battesimo salva rendendo figli, ossia portando gli uomini al vertice della salvezza che è proprio
la figliolanza divina: a motivo della rinascita (cfr. Gv 3; 1 Pt 1,3), il battezzato è diventato «nuova
creazione» (2 Cor 5,17) ed è costituito figlio (Rm 8,29; Gal 4,4ss);
2. il Battesimo fa cristiani perché incorpora a Cristo, il modo fondamentale più forte per dire che
si diventa cristiani: il Battesimo produce ed esige un “rivestirsi” di Cristo (cfr. Gal 3,27ss; Rm
13,14; Col 3,10; Ef 4,23);
3. il Battesimo fa ecclesiali per l’incorporazione alla santa realtà della Chiesa: il battezzato «viene
situato» in una comunità di Cristo che già esiste (cfr. At 2,41; 1 Cor 12,13);
4. il Battesimo crea il diritto di grazia alla Gloria: nel sigillo della sua fede battesimale (cfr. 2 Cor
1,22; Ef 1,13; 4,3) il cristiano ha ottenuto il pegno dell’eredità (Ef 1,14), la caparra dello Spirito (2
Cor 1,22; 5,5; Rm 8,14ss; 8,23), perché ora possa condurre una vita conseguente (Col e Ef passim);
5. il Battesimo regge la vita cristiana: da esso dipende l’intera trama della vita discepolare: la
remissione dei peccati (cfr. At 2,38), la purificazione (cfr. Ef. 5,26; 1 Cor. 6,11), l’aspersione del
cuore per la liberazione della cattiva coscienza (cfr. Eb 10,22), ma anche la liberazione dalla morte,
conseguenza del peccato (cfr. Rm 6), la salvezza nel giorno del giudizio (cfr. At 2, 40.47; Tt 3,5
ecc.). Gli effetti prodotti dai doni dello Spirito (cfr. At passim) prodotti nella Pentecoste battesimale
sono: la nascita dall’alto (Gv 3,5; cfr. 1, 13), la rinascita e il rinnovamento (cfr. Tit 3,5), la
santificazione e la giustificazione (cfr. 1 Cor 6,11; Rm 6; Tt 3,5).

PARTE SECONDA
IL BATTESIMO,
INIZIAZIONE ALLA CHIESA
E ALLA MISSIONE
1
PRIMA RIFLESSIONE TEOLOGICA
Dalla Famiglia trinitaria alla Famiglia ecclesiale
1. Il Battistero è una culla: il Battesimo è una nascita. Il Battesimo s’inserisce nel
dinamismo trinitario della missione rappresentandovi un momento decisivo16. Con l’evento
trinitario del Battesimo la missione si esprime nella maniera più essenziale e più fruttuosa: per esso
si espande la Chiesa e con essa viene sacramentalmente il Regno di Dio: per mezzo del Battesimo
infatti si diffonde la «vera religione». Afferma il Concilio Vaticano II: «Crediamo che questa unica
vera religione sussiste nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato il
compito di comunicarla a tutti gli uomini, dicendo agli apostoli: “Andate dunque, istruite tutte le

16 CONCILIO ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 17; cfr. Decr. Ad gentes, n. 5.
12

genti, battezzandole17 nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro a
osservare tutto quello che vi ho comandato” (Mt 28,19-20)»18.

1. Il Battesimo, evento trinitario. Il Battesimo, evento natalizio della Chiesa, è strutturalmente e


radicalmente evento trinitario. Si è battezzati nel nome della Trinità19, volendo intendere non «per
conto, su commissione» della Trinità, ma dall’azione trinitaria: «La formula trinitaria non viene
applicata al battezzato così come si appone lo stampo del padrone sulle cose che possiede. La
formula indica piuttosto la partecipazione del battezzato alla comunione che, nel mistero
profondo di Dio, unisce il Padre e il Figlio e lo Spirito santo»20. Ci si rende ben conto allora
perché Gesù ha rivolto al Padre questa invocazione: «Fa’ che siano tutti una cosa sola: come tu,
Padre, sei in me e io in te, anch’essi siano in noi ... Padre, voglio che dove sono io, siano anche
quelli che tu mi hai dato, perché vedano la gloria che tu mi hai dato» (Gv 17,24). San Giovanni
della Croce, commentando questo passo del quarto Vangelo, esprime con grande potenza
espressiva l’intima comunione trinitaria che il Cristo invoca per noi dal Padre:
«Questa invocazione di Gesù non va intesa nel senso che il Figlio e i santi siano una cosa sola
essenzialmente e naturalmente come lo sono il Padre e il Figlio ma che lo siano per unione di
amore come il Padre e il Figlio vivono in unità di amore. Perciò, le anime possiedono per
partecipazione gli stessi beni che egli possiede per natura. In forza di ciò esse sono veramente
Dio per partecipazione, uguali a lui e sue compagne»21.

Il Battesimo chiama e abilita a partecipare alla comunione delle tre persone divine. Rinati in
Cristo a una vita nuova, i battezzati appartengono a Cristo e a lui sono intimamente associati; ma,
nello stesso tempo, essi sono uniti al Padre e allo Spirito, poiché sono stati battezzati nel nome
della Trinità: in tal modo sono diventati infatti figli adottivi del Padre (cfr. Gal 4,5), tempio dello
Spirito (cfr. 1 Cor 6,19), fratelli e coeredi di Cristo, viventi profondamente e intimamente della sua
stessa vita e destinati a condividere la sua gloria (cfr. Rm 8,17). Nel Battesimo la Trinità costruisce
la Chiesa trinitariamente: nel senso che l’intera Trinità opera per generarla e nel senso che la Trinità
compie tale generazione in forma trinitaria: il Padre opera da Padre, il Figlio da Figlio, lo Spirito da
Spirito. Si può dire che ognuna delle tre persone divine, per così dire lascia alla Chiesa il suo
particolare dono legato all’irriducibile e incomunicabile condizione personale: di Padre la prima
persona, di Figlio la seconda, di Spirito la terza.

2. Il Battesimo fa la Chiesa. Alla domanda personalistica: – Chi è la Chiesa?, così come la


formulerebbe Maritain22, si può rispondere solo tentando prima di dare una risposta alla domanda
trinitaria: – Chi è il Padre, chi è il Figlio, chi è lo Spirito? A questa domanda non è facile,
evidentemente dare una risposta completa – fra l’altro impossibile –, ma soltanto dire qualcosa di
essenziale, di «caratteristico», di tipico di ognuna delle tre persone divine, ognuna della quali
caratterizza la fisionomia della Chiesa, dandole in tal modo forma trinitaria.

a) La Chiesa nata dal Battesimo è un popolo trinitario. È evidente che la comprensione trinitaria
della Chiesa rimandi a una comprensione trinitaria di Dio; un Dio inteso solo monoteisticamente,
senza un’effettiva articolazione trinitaria della sua esistenza e del suo operare, non è il Dio a cui ci
si possa riferire, per interpretare e comprendere la Chiesa. Ora il problema è di come debba essere

17 Il corsivo è nostro.
18 CONCILIO ECUM. VAT. II, Dich. Dignitatis humanae, n. 1.
19 «Riguardo al battesimo, battezzate in questo modo: avendo bene esposto tutti i precetti, battezzate nel nome del

Padre e del Figlio e dello Spirito Santo in acqua corrente» (Didaché, 7,1). Cfr. anche: S. GIUSTINO, Apol. I 61,2-12;
TERTULLIANO, De Bapt., 6,2; S. AMBROGIO, De Sacram., II, 5,19; 7,20; III, 1,1.
20 CONVERENZA EPISCOPALE ITALIANA – COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Signore, da chi

andremo? Catechismo degli adulti (1981), n. 227.


21 Cantico spirituale, 39, 5-6.
22 Cfr. J. MARITAIN, La Chiesa del Cristo. La persona della Chiesa e il suo personale, Morcelliana, Brescia 19773.
13

l’interpretazione trinitaria di Dio. Come intendere, allora, che Dio è Padre?23. Basti un solo
esempio riferito alla concezione del Padre: c’è un’interpretazione nota che pensa Dio come «padre
primordiale» (J. W. von Goethe), cioè come «autorità suprema dell’universo», come «padre
universale alla pari di Zeus», come padre perché onnipotente e onnipotente perché creatore e
signore del cielo e della terra. Va subito detto che questa non è un’interpretazione di Dio padre di
tipo cristiano e, dunque, trinitario24.
Chiarito che non un qualunque Dio e nemmeno un Dio in un qualunque modo padre (ad
esempio non quello che è Padre in senso ideologico-religioso-politico) può essere il Dio a cui può
ispirarsi la Chiesa nella sua esistenza, c’è da chiedersi che cosa comporti un Dio trinitario quando
genera un popolo di figli. La risposta a questo quesito, a un livello molto sintetico, è facile darla:
comporta che sia un popolo trinitario. Se il Padre trinitario, nella sua vita ad intra è Padre in
riferimento al Figlio, questa posizione verso il Figlio che è la posizione paterna, deve rimanere anche
ad extra nell’atto in cui il Padre, nel Battesimo, effonde la sua paternità per creare e generare la
Chiesa. Come Dio è Padre solo di fronte al Figlio, così il suo essere Padre anche di fronte agli
uomini (è questa la causa generativa della Chiesa) non può avvenire senza che il Padre resti nella
sua indimissibile posizione paterna, che è l’essere verso il Figlio.

b) Generazione trinitaria e generazione ecclesiale. Se il Battesimo è una generazione, questa può


essere solo una generazione trinitaria, nella quale viene data la vita non genericamente da Dio, ma
dal Dio trinitario; deve trattarsi perciò di una generazione in cui vi sia implicato, oltre al Padre
(non si dà generazione senza paternità), anche il Figlio. Nella generazione battesimale della Chiesa
non ci è Padre Gesù Cristo: il «Padre nostro» del Battesimo è lo stesso Padre del Figlio esistente
nella vita immanente della Trinità. C’è profonda coerenza fra immanenza trinitaria ed economia
trinitaria – Rahner direbbe che c’è identità25 –, tanto che il Padre non ci potrebbe essere Padre
senza il Figlio, perché senza il Figlio egli non solo non sarebbe Padre di noi, ma non lo sarebbe
affatto.
L’antica Chiesa vedeva il Battesimo sullo sfondo cristologico-trinitario secondo lo schema a,
per, in, ad. Il primo sacramento veniva subito pensato come una ri-generazione a opera della
Trinità; questa rigenerazione veniva concepita come un essere immessi nel circolo della
comunione trinitaria, inaugurandosi così l’esistenza nuova della Chiesa che consiste, a sua volta,
nel ricevere il germe incorruttibile della vita nuova, della vita di grazia quale vita di figli adottivi del
Padre:

23 La qualificazione trinitaria di Dio Padre non coincide con la qualificazione che se ne potrebbe dare in una
prospettiva ideologica. È dalla rivelazione specificamente cristiana e dalla riflessione su di essa che, noi possiamo sapere e
dire come Dio Padre è Padre e ... per chi lo è. L’originalità del discorso rivelato-cristiano su Dio evidentemente non
consiste solo nell’affermazione che Dio è Padre, poiché essa si estende essenzialmente anche all’affermazione sulla
qualità e sull’ambito di questa paternità. Si tratta di fare un discorso cristiano su Dio in tutto. E cosa comporta un
discorso completamente cristiano su Dio? Comporta che il Cristo non possa essere considerato solo come il Figlio che si
pone di fronte al Padre come suo rivelatore, ma anche come colui che è il Figlio di fronte a cui il Padre è Padre. Dio è
il Padre del suo Figlio unigenito, che divenne il nostro Fratello primogenito e necessario. Rispetto a questo Figlio Dio è
qualificato come Padre. La sua paternità è data e determinata dalla relazione a questo Figlio e dalla relazione di questo
Figlio a lui.
24 Un’interpretazione non trinitaria di Dio Padre è, ad un tempo, impossibile dal punto di vista di una teologia fedele

alla rivelazione e davvero segnata dalla dimensione cristologica; sarebbe invece possibile parlare di Dio Padre non
trinitariamente, solo in una prospettiva che da teologico-rivelata si facesse ideologico-religiosa: «Dio o viene
compreso Padre in modo trinitario, o non può essere compreso come Padre. Ma chi vuole intendere il Dio trinitario
come Padre, deve dimenticare le raffigurazioni della sua religione patriarcale, del super-Io, del Padre di famiglia, del
padre della patria, e pure la “provvidenza paterna”, per indirizzare il suo sguardo soltanto alla vita ed al messaggio del
Fratello Gesù: nella comunione con il Figlio unigenito comprenderà allora che il Padre di Gesù Cristo è anche suo
Padre e capirà cosa significhi la paternità divina. Il concetto di Padre è dunque un concetto teologico e più
precisamente trinitario, non una raffigurazione di tipo cosmologico o politico-religioso» (J . MOLTMANN, Trinità e
Regno di Dio. La dottrina su Dio, Queriniana, Brescia 1983, p. 177).

25K. RAHNER, Il Dio Trino come fondamento originario e trascendente della storia della salvezza, in Mysterium salutis, III,
Queriniana, Brescia 1969, p. 124.
14

«Ecco quello che ci attesta la fede, secondo ciò che gli anziani, i discepoli degli apostoli, ci
hanno trasmesso. Anzitutto ci obbliga a ricordarci che noi abbiamo ricevuto il battesimo per
la remissione dei peccati nel nome di Dio il Padre, e nel nome di Gesù Cristo, il Figlio di Dio,
e nello Spirito santo di Dio ... Perciò i1 battesimo che ci rigenera ci è conferito attraverso
questi tre articoli26 e ci garantisce la rinascita in Dio il Padre, per mezzo del suo Figlio, per lo
Spirito santo. Perché coloro che ricevono lo Spirito di Dio, sono condotti al Verbo, cioè al
Figlio; ma il Figlio li riceve e li presenta al Padre e il Padre conferisce loro l’incorruttibilità»27.

3. Il Battesimo, porta del popolo trinitario. Cristologico-trinitaria era in antico la struttura della
professione battesimale della fede. Tutto il Credo che veniva posto come contesto del rito del
battesimo era strutturato trinitariamente. Il battezzando prima di ricevere il sacramento doveva
rispondere «credo» a tre interrogazioni28:
«Credi tu in Dio, il Padre onnipotente? ... Credi tu nel Cristo Gesù, il Figlio di Dio, nato dallo
Spirito santo e dalla vergine Maria, e crocifisso sotto Ponzio Pilato, che morì (e fu sepolto) e
il terzo giorno risuscitò vivo dai morti e salì ai cieli e siede alla destra del Padre e deve venire a
giudicare i vivi e i morti? ... Credi allo Spirito santo nella santa chiesa per la risurrezione della
carne»29.

Il Battesimo immette nel popolo trinitario; l’ammissione al Regno è una ammissione


battesimale-trinitaria: «Nessuno, se non nasce da acqua e da Spirito, può entrare nel Regno di
Dio» (Gv 3, 5). Perciò la missione, che è destinata alla venuta del Regno, è mediata dalla
diffusione della grazia trinitaria del (cfr. Mt 28,19). Rinato in Cristo a nuova vita, il battezzato
diviene proprietà di Cristo ed è a lui intimamente associato (cfr. Rm 6, 3-4; Gal 3, 26-29; Col
2,12-14.20). Tuttavia, mentre è unito a Cristo, è unito anche al Padre e allo Spirito, poiché egli è
stato battezzato «nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo»: in tal modo egli diventa
figlio adottivo del Padre (Gal 4,5), fratello e coerede di Cristo (Rm 8,17, tempio dello Spirito (cfr.
1 Cor 6,19). La Chiesa è pertanto la comunità di quelli che, credendo nel Cristo risorto, sono
battezzati nel nome della Trinità e hanno come frutto dell’atto battesimale la partecipazione reale
al mistero dell’unità trinitaria mediante l’inserimento al corpo ecclesiale del Signore (cfr. Ef 4,45).
Nell’evento del Battesimo la vera novità è una novitas natalis, perché la Chiesa è generata dalla
Trinità, e perché è chiamata a esercitare la sua maternità per generare nuovi figli in vista
dell’accrescimento del popolo trinitario. La più evidente realtà, cui siamo posti di fronte nel
Battesimo è pertanto la maternità della Chiesa30.

2. Il Battistero è una tomba: il Battesimo è una morte. Paolo ha descritto la vita cristiana
come un continuo e crescente radicarsi dei fedeli nei misteri della vita di Cristo. Se tutto di noi è
con lui e in lui, anche la morte lo è. Moriamo in Cristo, perché siamo di lui: «Nessuno di noi
infatti vive per sé stesso, e nessuno muore per sé stesso; perché, se viviamo, viviamo per il
Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore. Sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del
Signore. Poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore sia dei morti
sia dei viventi» (Rm 14,7-9). Come potrebbe accadere che il continuo vivere con Cristo e in Cristo
s’interrompesse nella morte? Se tutto di noi è con lui e in lui, anche la morte lo è.

26 Precedentemente Ireneo parla dei tre articoli del Credo: il primo in Dio Padre, il secondo in Gesù Cristo, il terzo
nello Spirito santo.
27 S. IRENEO, Demonstr. 3; 7.
28 Questa triplice interrogazione secondo le tre parti del simbolo, seguita dalla triplice risposta del candidato al

battesimo e dalla triplice immersione fatta senz’altra formula fu l’unica forma battesimale nell’antichìtà cristiana (cfr.
A. STENZEL, Il battesimo, Alba 1962, 129-145).
29 B. BOTTE, La tradition apostolique de Saint Hippolyte, Münster i. W. 1963, 49-51; cfr. anche: S. AMBROGIO, De sacr. II,

6, 16; 17, 20, 22.


30 Sulla maternità feconda esercitata dalla chiesa nel battesimo, cfr. M. MAGRASSI, Vivere la liturgia, La Scala, Noci (BA)

1978, 122-127; Id., Diventa quello che sei. Dal battesimo a una maternità di fede e coerenza di vita, Elledici, Torino-Leumann
1983, pp. 37-48.
15

1. Il Battesimo lega a Cristo per la vita. Fin dal momento del Battesimo «quanti siamo stati
battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte» (Rm 6,3): fin dal Battesimo, inizia
perciò l’impegno di assimilazione a Cristo per essere partecipi della sua morte, ma questa non è
l’unica e ultima assimilazione a Cristo: si è assimilati alla morte di Cristo perché si è chiamati a
essere assimilati alla sua vita, dal momento che morte e vita non si possono separare mai quando
si parla di Cristo in sé e di Cristo per noi: egli infatti ha aggiunto alla data della morte, che poteva
essere l’ultima data della vita dell’uomo, quella gloriosa della risurrezione. Nessuno meglio di
Paolo sa dire questo: egli è il teologo insuperabile del con-morire con Cristo e del Battesimo che
questo con-morire realizza in modo sacramentale: in esso – egli afferma – «siamo stati sepolti
insieme a Cristo nella morte, perché come lui fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del
Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati
completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione»
(Rm 6,4-5).
L’unione con Cristo nella morte è per Paolo un termine di simmetria con l’unione con Cristo
nella Risurrezione: egli non scinde mai il mistero pasquale, dimostrando così che la morte non è
un tema in sé conchiuso per il cristianesimo, ma solo un primo termine di esso: quasi a dire che la
Croce di Gesù sarebbe un’astrazione senza la Risurrezione, o anche che essa, se fosse in sé
conchiusa, sarebbe un evento brutale, che complicherebbe senza scampo e senza uscita di
sicurezza l’idea stessa di Dio insieme al tema della salvezza dell’uomo. Lo sforzo della teologia
contemporanea di evidenziare l’unione sacramentale del credente con Cristo aiuta comprendere
l’unione sacramentale di lui con la morte di Cristo e determina altresì l’incidenza che essa deve
avere sul vivere del cristiano e anche sul suo morire31.

2. Il Battesimo lega a Cristo per la morte. Il morire con Cristo è una verità da un certo punto di
vista seconda perché è la conseguenza di un’altra verità e di un’altra esperienza, anzitutto della
verità che gli uomini sono di Cristo e appartengono a lui (cfr. Rm 1,6-7; 1 Cor 3,23)32. Il tema
dell’appartenenza a Cristo è per il cristiano un tema capitale e totale, nel senso che da solo basta a
dire chi sia il cristiano; per cui ogni volta che si riflette sull’identità cristiana si evoca l’appartenenza a
Cristo, tema che resta sempre attuale33. Come Cristo chiamava la propria morte un battesimo, così
san Paolo intende il nostro Battesimo come un ingresso e una partecipazione al mistero della
morte e della Risurrezione di Cristo (cfr. Rm 6,2-11; Col 2,12; Ef 5,26), come già la simbologia
battesimale sa ben spiegare. «Il Battesimo, il cui segno originale e plenario è l’immersione, significa
efficacemente la discesa nella tomba del cristiano che muore al peccato con Cristo in vista di una
vita nuova»34. La morte è l’ultima realizzazione e l’estrema conferma del Battesimo dei cristiani,
compimento della loro morte al peccato e ingresso nella Risurrezione del Cristo. Per questo Paolo
giunge a dire: «Per me infatti vivere è Cristo e il morire un guadagno [...], ma continuare a vivere
nella carne è più necessario per il vostro bene » (Fil 1,21.24).
Il Battesimo, origine e qualificazione di tutta la vita cristiana, offre anche il fondamento
all’esistere-per-la-morte del cristiano, per cui il modo heideggeriano di dire che l’uomo è un essere
fatto per la morte esprime solo qualcosa della stessa affermazione che fa il cristianesimo, per il
quale «la “mortalità” dell’uomo è “cristologicamente” determinata. Il suo morire è, di diritto, un

31 G. MOIOLI, L’«Escatologico» cristiano. Proposta sistematica, Glossa, Milano 1994, p. 261.


32 Cfr. l’intervento di don Luigi Giussani alla Giornata di fine-anno degli adulti di CL [Assago, 30 maggio 1992)]. Una
versione più sintetica del testo in questione si trova in CL-Litterae Communionis con il titolo: L’appartenenza sorgente di
moralità e di cultura (7-8, 1992, inserto), poi riproposta nel volume miscellaneo: L’avvenimento cristiano. Uomo Chiesa
Mondo, Rizzoli, Milano 1993, pp. 71-77.
33 Questa identità cristiana intesa come legame misterico-sacramentale con Cristo è la matrice dell’identità cristiana

concepita come comportamento, atteggiamento e stile del cristiano nella sua presenza nel mondo fra le realtà storiche,
terrene e temporali (cfr. di E. Bianchi: Cristiani nella società, Rizzoli, Milano 2003; La differenza cristiana, Einaudi, Milano
2006).
34 CCC, n. 628.
16

morire in Cristo»35. Questo diritto (evidentemente di grazia) di morire in Cristo è un esito del
Battesimo, evento nel quale diventa realistico quanto afferma Paolo: «Sia che viviamo, sia che
moriamo, siamo dunque del Signore» (Rm 14,9). Il Battesimo orienta a Cristo la vita e il morire
del cristiano; in un certo senso battezza la sua esistenza e la sua morte: essere completamente di
Cristo significa esserlo da sempre (predestinazione e creazione), nel frattempo (nel tempo
dell’esistenza cristiana) e per sempre (nella morte e al di là di essa).

3. Il Battesimo è la morte al peccato. La situazione radicale dell’essere in Cristo, con Cristo e per
Cristo, in sola espressione riassuntiva dell’essere di Cristo, è creata su un piano vitale p di ontologia
di grazia dal Battesimo. «Così la vita del cristiano, in quanto è morte al peccato e vita per Dio in
Cristo Gesù, ma anche in quanto esperimenta nella sofferenza una specie di “prolixitas mortis” che
si cerca di assumere in coerenza con la logica della morte al peccato e della vita per Iddio, è
obbiettivamente un procedere verso la morte-che-salva»36. C’è un passaggio che non va
dimenticato nel nostro discorso sull’esperienza del con-morire dei credenti in Cristo. Il Cristo,
facendo immergere l’uomo nel suo mistero, gli fa compiere l’esperienza della morte al peccato:
«Sappiamo bene – scrive Paolo – che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché
fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto,
è ormai libero dal peccato» (Rm 6,6-7). Con l’infinito paradosso della Croce il Cristo inchioda
mortalmente il peccato dell’uomo, uccidendolo; così la morte, invece di mostrare debolezza,
sprigiona forza e dinamismi irresistibili, che operano il trapasso verso la vita: «Ma se siamo morti
con Cristo, – continua Paolo – crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo
risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui» (Rm 6,8-9). Gesù, con la
sua morte, distrugge il peccato che è causa della morte (cfr. Rm 5,12) e apre un varco nel regno
della Gloria.
Durante la vita terrena dei cristiani, perciò, la morte e la risurrezione sono già una sola realtà,
che progredisce lungo tutta l’esistenza da loro trascorsa. I cristiani vivono la loro esperienza
discepolare portando sempre e dovunque la morte di Gesù nel loro corpo, perché anche la vita di
Gesù sia manifestata in esso (cfr. 2 Cor 4,10-12). Tuttavia morte e vita implicano per loro ancora
un avvenire: essi infatti sono morti e la loro vita è nascosta con Cristo in Dio e, quando Cristo
apparirà, allora anch’essi finiranno di morire con lui e appariranno anche con lui, rivestiti di gloria
(cfr. Col 3,3-4).

2
SECONDA RIFLESSIONE TEOLOGICA
L’indole battesimale della Chiesa e della missione
1. Nel Battesimo diventiamo un ‘popolo di figli’ nel ‘Fratello necessario’. Il Battesimo è
la prima esperienza trinitaria fatta dalla Chiesa antica e il primo ‘luogo teologico’ per la sua presa
di coscienza sul mistero principale e fontale del cristianesimo. Questo chiede alla teologia del
Battesimo di non dimenticare in nessun modo, anzi di valorizzare al massimo, la struttura
trinitaria dei sacramenti, a cominciare proprio dal Battesimo, “porta” dell’intero edificio
sacramentale, inizio dell’esistenza cristiana, atto che incorpora alla Chiesa rendendo ‘ecclesiali’ per
sempre, creando cristiani-missionari che, conformati al Dio trinitario (il primo missionario…) e
innestati nelle sue due permanenti missioni, vendono abilitati alla missione di piantare la Chiesa e
il Regno.

35 G. MOIOLI, L’«Escatologico» cristiano. Proposta sistematica, p. 252.


36 G. MOIOLI, L’«Escatologico» cristiano. Proposta sistematica, p. 261.
17

1. «Siamo figli della Trinità…» (Firmilliano)37. È sorprendente e vuole essere spiegata l’espres-
sione di un padre minore della Chiesa: «Siamo figli della Trinità». L’evento di grazia della filiazione
divina adottiva con cui inizia la storia della salvezza d’ogni uomo, accade nel Battesimo, la culla
della vita cristiana. San Paolo aiuta a illuminare la densità di senso di questa frase patristica,
sciogliendo equivoci e mostrandone la sua profonda, anche se non evidente esattezza. Il brano
paolino che serve a questa chiarificazione è il seguente:
«Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete
ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli
adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà Padre! Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito
che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se
veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,14-
17).

Di questo brano esiste anche un parallelo: è Gal 4,4-7. È una pericope che va composta con
quella sopra ricordata della Lettera ai Romani, anche perché, come è stato osservato, Paolo, prima
di comporre questo suo grande capolavoro teologico, si sforza quasi di prepararne lo schema, la
struttura in quella che può essere quasi considerata una prova d’autore, la Lettera ai Galati38.

2. Siamo un popolo di figli. Teologizzando questo messaggio biblico possiamo dire che, a
immagine della «pericòresi» o comunione trinitaria, la Chiesa è per sua natura la «comunità dell’amore
mutuo» (Khomiakoff): essa è l’immagine della Trinità perché porta con sé il carattere di un volto filiale
(per il suo rapporto con il Padre), il carattere di un volto fraterno (per il suo rapporto con Cristo), il
carattere di un volto sponsale (per il suo rapporto con lo Spirito). Il volto della Chiesa è pertanto un
volto trinitario, perché la Chiesa è «il corpo delle tre Persone» (Tertulliano). Oltre l’icona del volto,
più compiutamente, la Chiesa è un popolo di figli perché l’intera Trinità si è impegnata a renderla tale:
essi sono «figli di Dio in Gesù Cristo» (Gal 3,26), ma chi li lega al Cristo è lo Spirito; essi dunque
sono figli dallo Spirito (cfr. Gv 3,5).

a) Figli di Dio, ‘Padre essenziale’. L’iniziativa della filiazione divina adottiva è del Padre, come
insegna san Pietro in una sua esclamazione gioiosa e grata: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore
nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di
Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia
e non marcisce» (1 Pt 1,3-4). L’adozione filiale dei cristiani è operata dal Padre, il quale ci adotta
«nel Figlio», per mezzo dello Spirito: siamo «figli di Dio in Gesù Cristo» (Gal 3,26). Il Padre è
presentato da Paolo come colui al quale possiamo rivolgerci chiamandolo, un po’ al modo di
Gesù, Abbà, ossia in un modo vivo, intenso, intimo, confidenziale. Noi veramente possiamo
sentire il Padre suo anche come Padre nostro, perché Dio ci ha generato come veri figli,
esprimendo la sua paternità al fonte battesimale, santo letto nuziale, dove egli misteriosamente
suscita e valorizza la maternità della Chiesa39.

37 Nobile di Cappadocia, poi Vescovo di Cesarea dal 230 (m. 268). Origenista e avversario del novazianismo, sostenne
in Oriente, con san Cipriano, l’invalidità del Battesimo impartito dagli eretici.
38 G. RAVASI, Il mistero di Dio. Ciclo di Conferenze, Dehoniane, Bologna 2011, p. 58.
39 Nel Battistero scorrono acque feconde. L’acqua è legata fin dall’inizio al potere materno di generare alla vita:

«Nessuna meraviglia – scrive Tertulliano – che nel battesimo acque siano capaci di vivificare» (De Bapt. 2). Si chiede
sant’Ambrogio: «Perché sei tu immerso nell’acqua? Leggiamo che le acque produssero gli esseri viventi. Ciò è
avvenuto all’inizio della creazione. Ma a te era riservato che l’acqua ti rigenerasse per la grazia, come quella ha
generato alla vita naturale» (De Sacr. 3, 2). La natura delle acque per la presenza dello Spirito acquista una capacità
creatrice-generativa: il Battesimo è una nuova creazione (cfr. 2 Cor 5,17), una ripresa della creazione primitiva: «La
nuova creazione si fa per mezzo dell’acqua e dello Spirito, come la creazione dell’universo» (CIRILLO ALESSANDRINO,
Eclog. proph. 7).
18

Gli antichi formulari liturgici presentano con insistenza la nascita come effetto del Battesimo.
Ora, la nascita suppone un parto e una madre, che nell’evento battesimale è la Chiesa40. Il fonte
battesimale è simbolicamente grembo materno41 e culla della figliolanza divina adottiva. Ma qual è
la causa generativa della maternità della Chiesa? Prima di rispondere, anzitutto un’operazione di
sgombro. La Chiesa non ha scelto di essere madre né si rende madre da sola: essa è resa madre dal
Padre, il suo Sposo divino; essa perciò è madre perché Dio è Padre. Infatti, al fonte battesimale si
celebra sacramentalmente anzitutto Dio che esprime la sua paternità e genera nuovi figli per il
Regno. È la prima verità che va affermata, perché la paternità divina non è solo la causa della
figliolanza degli uomini, ma anche la causa della maternità della Chiesa, che di quella figliolanza è,
per grazia, una concausa. Ma va detto anche di più: la Chiesa è resa madre anche dal Figlio che le
ha ottenuto, come unico Mediatore di salvezza, la grazia della maternità messianica; è resa madre
anche dallo Spirito che l’ha fecondata mediando la generazione del Padre in lei. La Chiesa è una
vera madre, al fonte battesimale, per opera dell’intera Trinità: essa vi manifesta, in umiltà e letizia,
la fecondità verginale, di cui il Padre, nello Spirito, in sinergia con la sua paternità, l’ha resa capace,
per realizzare insieme con lui la generazione del Figlio nel tempo.

b) Figli nel Figlio, ‘Fratello necessario’. Il Risorto ci rende figli dalla ‘destra del Padre’, che non è il
luogo più lontano dagli uomini nel quale Cristo si trova. Dalla destra del Padre egli battezza gli
uomini rendendoli «figli della risurrezione» (Lc 20,36). Il Padre, con la glorificazione pasquale
(comprendente anche l’Ascensione), ha innalzato Gesù chiamandolo a sedere alla sua destra (cfr.
Sal 1) e rendendolo così capace di offrire anche agli uomini suoi fratelli la Risurrezione e la «vita
nuova» (cfr. Col 2,12ss). Questo progetto del Padre si realizza per ognuno nel Battesimo, che
rende partecipi della vita di Dio e dell’adozione a suoi figli (cfr. 1 Pt 2,9; Rm 8,15; Gal 4,5). Come
attestano le formule di benedizione dell’acqua, il Battesimo è lavacro di rigenerazione dei figli di
Dio e di rinascita che viene dall’alto42. Con esso si diventa figli di Dio nel Figlio essenziale.
Uscendo dalle acque del sacro fonte, i battezzati riascoltano la voce che un giorno si è udita sulle
rive del fiume Giordano: «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (Lc 3,22) e
capiscono d’essere stati associati al Figlio prediletto, diventando fratelli di Cristo e, perciò, figli di
adozione (cfr. Gal 4,4-7).
Si compie così nella storia dei battezzati l’eterno disegno del Padre: «quelli che egli da sempre
ha conosciuto li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli
sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29)43. Pertanto Cristo si mostra con loro quale Fratello
necessario, perché, mentre nella generazione umana il fratello non è richiesto per essere generati,
in quella battesimale, senza questo Fratello maggiore, nessuno può diventare figlio di Dio. Per
essere figli di Dio è necessario tanto il Padre, quanto il Figlio: anzi è necessario anzitutto il Figlio
che mette a disposizione il suo mistero per far diventare figli del Padre. È come se dicessimo che
prima si diventa fratelli di Cristo e poi figli di Dio. Di questo Fratello siamo perciò coeredi. Anzi,
siamo suoi fratelli e coeredi in tutto, anche nella sofferenza: come egli ha sofferto, anche noi
soffriamo e viceversa.

c) Figli dallo Spirito, ‘Mediatore di comunione’. Diventiamo figli nel Figlio, nel senso che il Figlio di
fa partecipare alla sua stessa vita e ci mette in rapporto dialogale-filiale con il Padre, ma chi ci
assimila al Cristo è lo Spirito, legame di comunione per eccellenza. Dunque, come è vero che
siamo figli nel Figlio (cfr. Gal 3,26), così è parimenti vero che noi siamo figli dallo Spirito: la
generazione alla vita nuova che avviene nel Battesimo è un nascere dallo Spirito (cfr. Gal 4,6; Rm

40 È a causa di tale evento che si può dire con tutto realismo: «Mater [...] viventium ecclesia est» (S. AMBROGIO, In Lucam

II, 86). L’acqua battesimale, fecondata dalla forza dello Spirito e intrisa di luce divina, è l’utero verginale della Chiesa,
da cui emerge una nuova progenie destinata al cielo. In una iscrizione del Battistero di San Giovanni in Laterano si
legge: «Il seno materno è l’acqua del Battessimo» (S. AGOSTINO, Serm. 119,4).
41 È significativa, al riguardo, questa espressione patristica: «Guardate quanti fratelli, che vengono ad aggiungersi a

tanti altri, vi dona in questa sola notte il seno verginale e fecondo della Chiesa» (EUSEBIO GALLICANO, Hom. XV, 3.).
42 Cfr. CONCILIO ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Sacrosanctum Concilium, n. 6.
43 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Christi fidele laici (30.12.1988), n. 11.
19

8,14; cfr. anche Gv 3,5). È lo Spirito che costituisce i battezzati in figli di Dio e nello stesso tempo
membra della chiesa. Lo insegna Paolo ai cristiani di Corinto: «Noi tutti siamo stati battezzati in
un solo Spirito per formare un solo corpo» (1 Cor 12, 13), cosicché Paolo può dire ai fedeli laici:
«Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (1 Cor 12,27). E ancora:
«Che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo
Figlio» (Gal 4,6; cfr. Rm 8,15-16). Lo Spirito, perciò, non permette soltanto di divenire figli di
Dio, ma dà anche il senso filiale. Come pure, egli lavora perché il Figlio sia generato nel mondo e vi
prenda corpo.

2. Battesimo, riscoprire il senso della Chiesa Madre. Il popolo trinitario cresce e si


rinnova per via della rigenerazione battesimale, nella quale s’esprimono insieme il mistero della
maternità e il mistero della filiazione ecclesiali: per mezzo dello Spirito che «grida Abbà» in ognuno
dei suoi nuovi figli, la Chiesa celebra il mistero dell’eterna filiazione in Dio; e, per mezzo dello stesso
Spirito, essa è fecondata ed è resa madre di nuovi figli: così nel Battesimo essa celebra anche il
mistero dell’eterna paternità di Dio, origine e causa della sua maternità.

1. Il Battesimo che genera la Chiesa la fa anche crescere. Nel Battesimo la Chiesa, partecipando
graziosamente all’infinita fecondità della paternità di Dio, diviene, secondo l’espressione
ambrosiana, «mater viventium»44: si tratta di una fecondità inesauribile che la rende Madre
perennemente giovane, il cui seno non è destinato a isterilire. Aumentando il numero dei suoi figli,
la Chiesa rinnova l’universo ed estende il suo corpo nel tempo e nello spazio degli uomini: tutti i
figli che essa genera dal fonte sono aggregati al suo corpo45. La Chiesa riesprime cioè il mistero
mariano46: come Maria ha partorito l’Unico, ma si è trovata ad essere madre della moltitudine, così
la Chiesa genera la moltitudine, ma si trova ad essere «madre dell’unità»47.
Nel Battesimo, trinitaria è la filiazione, trinitaria è la generazione: nel primo evento agisce
l’intera Trinità ma l’appropriazione è del Figlio; nel secondo evento agisce di nuovo tutta la Trinità
ma l’appropriazione è del Padre. La Chiesa nasce dalla singolarità delle nascite battesimali dei nuovi
figli di Dio, dei nuovi fratelli del Cristo, dei nuovi uomini spirituali e comunionali resi tali
dall’effusione dello Spirito. Come si nasce uno per volta dal seno della propria madre, così si
rinasce uno per volta nel Battesimo trinitario:
«Il sacro fonte battesimale è non solo un Mar Rosso, in cui il re delle tenebre viene affogato;
ma, per la santa consacrazione che chiama il Pneuma di Dio nell’acqua battesimale, è anche
un santo grembo materno, il grembo della chiesa vergine-madre, dal quale viene ora generato
un nuovo uomo pneumatico. Per il mistero del battesimo l’ecclesia stessa diventa madre di figli
santi. Qui vediamo chiaramente come il mistero sia opera comune della vergine-sposa e dello
sposo. Il Pneuma di Cristo, penetrato nell’acqua del fonte battesimale, dona a lei il potere di
generare una nuova santa progenie»48.

Il Padre feconda il fonte battesimale spalancandolo sul mondo perché possa accogliere tutti i
popoli. È il Padre che prende l’iniziativa d’inviare, mediante il suo Spirito, la grazia dell’Unigenito,
perché nel fonte battesimale – verginale e materno a un tempo – gli uomini fossero generati dalla
grazia-madre – «Gratia mater» – a una stessa infanzia divina. In ogni anima – «ogni anima è una
ecclesia»49 – la Chiesa è trinitaria: il Battesimo, infatti, secondo l’incisiva espressione liturgica,
imprime nell’anima il «sigillo della Trinità» e, trasformando in Cristo, mediante la grazia fa
diventare immagini viventi del Dio trinitario e inoltre, mediante il carattere sacramentale,

44 S. AMBROGIO, In Lucam II, 86; cfr. anche: S. AGOSTINO, De nuptiis et concupiscentia, II, 4,12
45 Cfr. M. MAGRASSI, Vivere la liturgia, La Scala, Noci (BA) 1978, pp. 123-124.
46 Cfr. M. MAGRASSI, Maria e la Chiesa una sola madre, La Scala, Noci (BA) 1977, pp. 15-29.
47 S. AGOSTINO, Serm. 192,2.
48 O. CASEL, Il mistero dell’Ecclesia, Città Nuova, Roma 1965, p. 224.
49 O. CASEL, Il mistero dell’Ecclesia, p. 221.
20

configura a Cristo sacerdote, associando al suo culto di glorificatore del Padre nell’azione liturgica
della Chiesa.
Il Battesimo, nell’ordine della grazia santificante, produce il carattere sacramentale, cioè la
capacità e il potere di partecipare al culto della Chiesa, popolo liturgo dedito alla cura della gloria
del Padre: consacra i battezzati per farli diventare «un tempio spirituale e un sacerdozio santo»50. Il
Battesimo rinnova e accresce, nella sincronia e nella diacronia della storia, il popolo trinitario
incorporandovi sempre nuovi membri, edificandoli come abitazione di Dio nello Spirito (cfr. Ef
2,22), rendendoli sacerdozio regale e popolo santo (cfr. 1 Pt 2,9), facendoli diventare, a imitazione
dell’immanente realtà unitaria e trinitaria di Dio, una comunione51. Il Battesimo, lavacro dell’acqua
unito alla parola (cfr. Ef 5,26), rende gli uomini partecipi della vita trinitaria: la rinascita
battesimale avviene dall’alto e porta all’alto della vita trinitaria.

2. Cogliere tutti i sensi ecclesiologici del Battistero. Il Battesimo cristiano, dentro il nel settenario
sacramentale, si distingue non solo per essere la «porta» di tutti gli altri sacramenti, ma anche per
la ricchezza di sensi misterici che lo connota. Quanti ricevono il primo sacramento cristiano (è
primo a tanti livelli) si arricchiscono delle sue numerose grazie, che non entrano nelle dita di una
sola mano: «Dio sia benedetto! Lui solo compie meraviglie! lui ha fatte tutte le cose e le rinnova.
Coloro che ieri erano prigionieri, oggi sono uomini liberi e cittadini della Chiesa. [...] Non solo
sono liberi, ma santi; non solo santi, ma giusti; non solo giusti, ma figli ed eredi; non solo eredi,
ma fratelli di Cristo; non solo fratelli di Cristo, ma suoi coeredi; non solo coeredi, ma sue membra;
non solo membra, ma tempio; non solo tempio, ma strumenti dello Spirito. Dio sia benedetto! Lui
solo compie meraviglie! Hai visto quanti sono i benefici del Battesimo? Mentre molti pensano che
abbia l’unico beneficio di rimettere i peccati, noi ne abbiamo contati dieci»52.

a) I dinamismi di vita simboleggiati dal Battistero. Essendo molteplici i sensi misterici del Battesimo,
neppure uno solo può essere il senso del fonte battesimale: esso è segno delle molteplici grazie
conferite dal primo fra i sacramenti cristiani. Diremmo che il fonte battesimale è un segno completo
del Battesimo: ne sa ricordare sia le radici trinitarie, sia le dimensioni cristologiche, sia le note
ecclesiologiche. Basta far cenno ai molteplici nomi che i Padri gli attribuiscono per rendersene
conto: lo chiamano lavacro, fonte, fiume, generazione, battistero; e a questi termini si possono aggiungere
due attribuiti all’acqua del Battesimo: tomba e madre53.

― La dinamica misterica del tempio cristiano. La considerazione del fonte battesimale come
«grembo della Chiesa» sarà maggiormente evidente e fondata se è contestualizzata in
un’interpretazione di esso come «Casa», per finire col dire che la chiesa-edificio ricorda ai membri
della Chiesa-comunità di essere chiamati ad avere «un cuor solo e un’anima sola» (cfr. At 4,23-29).
Nella chiesa-edificio, non solo con la Parola ma anche con i segni del suo spazio santo, si è invitati
a stabilire una relazione personale con Cristo, che insegna ai suoi discepoli l’amore reciproco (cfr.
Gv 15,9-17) e a corrispondere, come Famiglia di Cristo, all’amore quale comandamento capitale
dato da Gesù (cfr. At 4,23-25).

― Il punto più significativo dopo l’altare. Dopo l’altare-mensa, in una chiesa, il punto più ricco di
simbolismo e di senso misterico è il fonte battesimale: è la seconda grande presenza simbolica
dello spazio cultuale cristiano. La sua, pertanto, è una presenza che non può e non deve passare
inosservata. La sua collocazione, originariamente fuori dell’aula eucaristica (spesso in un edificio a
sé stante, Battistero, distaccato dalla Chiesa) ha ricevuto diversi adattamenti nel corso dei secoli, e
non sempre ugualmente felici. Oggi il fonte battesimale va recuperando la sua importanza e tutto
il suo valore simbolico: è collocato vicino (non dentro) al presbiterio, oppure all’ingresso della

50 CONCILIO ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 10.


51 Cfr. CONCILIO ECUM. VAT. II, Unitatis redintegratio, n. 22.
52 GIOVANNI CRISOSTOMO, Cath. bapt., III, 5-6.
53 Cfr. R. IORIO, Battesimo e Battisteri [Biblioteca Patristica], Nardini Editore, Firenze 1993.
21

chiesa o nel Battistero, compatibilmente con la struttura architettonica e con gli spazi a
disposizione. Esso fortunatamente tende a recuperare uno spazio idoneo a una celebrazione
comunitaria e solenne del sacramento54.

― Dal Battistero all’altare. Il fonte battesimale – a vasca o a zampillo – ha bisogno del


Battistero, cioè dell’ambiente in cui essere collocato. Il Rituale Romano stabilisce che il Battistero
«sia riservato al sacramento del Battesimo e sia veramente decoroso, come conviene al luogo dove
i cristiani rinascono dall’acqua e dallo Spirito Santo»55. Chiede inoltre che in esso «si conservi con
onore il cero pasquale, che vi sarà collocato al termine del tempo di Pasqua; rimanga acceso
durante il rito battesimale e alla sia fiamma si accendono le candele dei neobattezzati»56. La
tradizione lo ha generalmente collocato in prossimità dell’ingresso della edificio-chiesa (dentro o
fuori di essa), per significare che il Battesimo è il sacramento che introduce alla comunità cristiana
(di ciò è testimonianza anche la collocazione dell’acquasantiera alle porte della Chiesa). È
necessario comunque evidenziare un percorso inziatico che dal Battesimo (fonte) porta verso
l’Eucaristia (altare).
C’è forte reciprocità tra i «sacramenti maggiori» (P. Abelardo): il Battesimo tende all’Eucaristia
come al suo punto apicale, l’Eucaristia pretende il Battesimo per potersi dare e offrire al Padre e
agli uomini. L’afferma con espressione molto forte la Didaché: «Nessuna persona mangi né beva
della vostra Eucaristia al di fuori di coloro che sono stati battezzati nel nome del Signore; difatti il
Signore ha detto: “Non date le cose sante ai cani”» (9,5)57. Del resto, la liturgia battesimale si
svolge tradizionalmente in quattro luoghi distinti: l’accoglienza all’ingresso della chiesa, la liturgia della
Parola all’ambone, il Battesimo al battistero, l’annuncio della Confermazione e dell’Eucaristia
intorno all’altare. Attivare questa diversità di luoghi e praticare gli spostamenti che ne derivano
offrono significative opportunità catechetiche, a condizione che tutto sia ben fatto.
Simbolicamente ciò va a significare l’itinerario dell’iniziazione cristiana, che in tal modo si inscrive
nello spazio e nel cammino corporale dei partecipanti.

b) Il fonte battesimale, «letto nuziale» della Chiesa. Nel Battistero scorrono acque feconde. L’acqua
è legata fin dall’inizio al potere materno di generare alla vita: «Nessuna meraviglia – osserva
Tertulliano – che nel battesimo acque siano capaci di vivificare»58. Si chiede sant’Ambrogio:
«Perché sei tu immerso nell’acqua? Leggiamo che le acque produssero gli esseri viventi. Ciò è
avvenuto all’inizio della creazione. Ma a te era riservato che l’acqua ti rigenerasse per la grazia,
come quella ha generato alla vita naturale»59. La natura delle acque per la presenza dello Spirito
acquista una capacità creatrice-generativa: il Battesimo così è nel senso più vero una nuova
creazione (cfr. 2 Cor 5,17); è una ripresa e un oltrepassamento della prima creazione: «La nuova
creazione si fa per mezzo dell’acqua e dello Spirito, come la creazione dell’universo»60.

― Il fonte battesimale grembo materno. Gli antichi formulari liturgici insistono nel presentare la
nascita come novità del Battesimo. Ora, la nascita suppone un parto e una madre, che nell’evento
battesimale è la Chiesa. È a causa di tale evento che si può dire con tutto realismo: «Mater...
viventium ecclesia est»61. L’acqua battesimale, fecondata dalla forza dello Spirito e intrisa di luce
divina, è l’utero verginale della Chiesa, da cui emerge una nuova progenie destinata al cielo. In una
iscrizione del Battistero di San Giovanni in Laterano si legge: «Il seno materno è l’acqua del
Battessimo»62. Il fonte battesimale è grembo materno: «Guardate quanti fratelli, che vengono ad

54 Cfr. RITUALE ROMANO, Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, Ed. it. 1978, Introduzione generale, n. 25.
55 RITUALE ROMANO, Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, Introduzione generale, n. 25.
56 RITUALE ROMANO, Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti, Introduzione generale, n. 25.
57
Didaché, 9,5. Cfr. anche: S. GIUSTINO, Apol. I 66,1.
58 De Bapt. 2.
59 De Sacr. 3, 2.
60 CIRILLO ALESSANDRINO, Eclog. proph. 7.
61 S. AMBROGIO, In Lucam II, 86.
62 S. AGOSTINO, Serm. 119,4.
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aggiungersi a tanti altri, vi dona in questa sola notte il seno verginale e fecondo della Chiesa»63.
Nati dalla Chiesa madre al fonte battesimale, i cristiani non possono porsi solo di fronte alla Chiesa,
dopo essere stati generati in lei e da lei: la sua vita poi continua a circolare in loro. Quella nascita
battesimale determina infine l’essere ecclesiale dei cristiani in termini di esperienza vitale.

― Le due Madri al fonte battesimale. Nell’adombrare la maternità della Chiesa, gli antichi
s’ispiravano spesso alla figura della Vergine-Madre, nel convincimento di fede che, come Maria, la
Chiesa è fecondata dalla forza dello Spiritus creator, per cui ogni giorno può donare e dona a Dio
nuovi figli nel Battesimo. Sottili e delicati sono i parallelismi che vengono a crearsi, come questo:
Maria ha partorito l’Unico, ma si è trovata a essere madre della moltitudine; invece la Chiesa
genera la moltitudine, ma si trova a essere «madre dell’unità»64. Ciò che avvenne in Maria si
compie nel sacramento del Battesimo. Scrive sant’Ireneo circa la maternità messianica di Maria:
«Cristo ha aperto il grembo puro che genera gli uomini per Dio»65; e, sviluppando l’esemplare
rapporto di Maria verso la Chiesa, sant’Ambrogio afferma: «Solo Cristo aprì il silenzioso grembo
materno immacolato e fecondo della Chiesa per la nascita dei popoli di Dio»66. Il Cristo pone
perciò in continuità la maternità di Maria e la maternità della Chiesa: il misterioso luogo dive si saldano
queste due maternità è il fonte battesimale. Lì si dimostra che Maria e la Chiesa unisciono e
moltiplicano la loro maternità: «Maria et Ecclesia, una mater et plures»67 (Maria e la Chiesa sono
una sola madre e più madri).
La maternità mariana e la maternità ecclesiale sono frutto dell’unica grazia di Cristo; diverse sono
solo i momenti in cui queste maternità di grazia si sono date: la prima si è data nell’Incarnazione,
la seconda si dà al fonte battesimale. Ma qui, in occasione del «bagno di rigenerazione e di
rinnovazione nello Spirito Santo» (Tit 3,5), non può mancare la prima Madre, Maria, per
l’inscindibile misterioso rapporto esistente tra Incarnazione e Battesimo, espresso con densità di
senso da Papa Leone: «Il medesimo tipo di creazione che prese nel grembo della Vergine, lo ha
posto nel fonte battesimale. Diede all’acqua ciò che conferì alla Madre. Perché la potenza
dell’Altissimo e la fecondità dello Spirito Santo che fecero sì che Maria generasse il Salvatore
fanno anche sì che l’onda della rinascita crei il credente»68. Buona, efficace e memorabile è
pertanto la sintesi dell’illustre patrologo Hugo Rahner: «Accanto ad ogni fonte battesimale della
madre Chiesa sta la madre di Gesù»69.

― Il Fonte battesimale, culla della nostra figliolanza divina. Al fonte battesimale si celebra
sacramentalmente la paternità di Dio. Dio esprime la sua paternità e suscita nuovi figli per il
Regno: questa è la prima verità che va affermata, perché la paternità divina è non solo la causa
della figliolanza degli uomini, ma è anche la causa della maternità della Chiesa, che di quella
figliolanza, per grazia, è una concausa. La Chiesa è vera madre al fonte battesimale, dove
manifesta, in umiltà e letizia, la fecondità verginale, di cui Dio, in sinergia con la sua paternità, l’ha
resa capace. La generazione alla vita nuova che avviene nel Battesimo è un nascere dalla fecondità
dello Spirito (cfr. Gal 4,6; Rm 8,14), il quale non solo permette di essere figli inserendoci in Cristo,
ma abitua a respirare la singolare confidenza che l’Unigenito ha con il Padre. Egli crea nei
battezzati anche la psicologia di figli di Dio, ossia il senso filiale. Egli dall’essere figli di Dio, ossia da
una condizione personale, fa scaturire una dimensione esistenziale, che acquista anche la natura di una
virtù, quella di comportarsi in modo filiale e di trattare Dio come Padre nelle varie situazioni di
vita.

63 EUSEBIO GALLICANO, Hom. XV,3.


64 S. AGOSTINO, Serm. 192,2.
65 Adv. Haeres. IV, 33, 11.
66 In Lucam II, 57.
67 ISACCO DELLA STELLA, Sermone 51.
68 Serm. 28,5.
69
Maria e la Chiesa, Jaca Book, Milano 1977, p. 68. Cfr. M. MAGRASSI, Maria e la Chiesa una sola Madre, La Scala, Noci
(BA) 1977.
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3. Battesimo, siamo figli in esilio. Il Battesimo ci ha resi figli di Dio per sempre; tuttavia
noi viviamo la nostra realtà filiale nella situazione non pienamente luminosa del nostro esilio, che
significa lontananza dalla casa del Padre e non piena coscienza di quello che siamo; infatti, la
nostra vita è nascosta con Cristo in Dio (cfr. Col 3,3). Uniti a Cristo nella Chiesa e segnati dal
sigillo dello Spirito Santo, il quale «è caparra della nostra eredità» (Ef 1,14), con verità siamo
chiamati, e lo siamo, figli di Dio (cfr. 1 Gv 3,1), ma non siamo ancora manifestati con Cristo nella
gloria (cfr. Col 3,4), nella quale appariremo simili a Dio, perché lo vedremo quale egli è (cfr. 1 Gv
3,2). Pertanto, «finché abitiamo in questo corpo esuli lontani dal Signore» (2 Cor 5,6) e avendo le
primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi (cfr. Rm 8,23) bramando di essere con Cristo (cfr.
Fil 1,23)70. Intanto, prima che l’esistenza cristiana sfoci nella gloria, il Battesimo a quanti ha
inseminato con la sua grazia dà ispirazione e forza per vivere, nella fedeltà, la grazia che li ha resi
figli.

a) Cerchiamo il Padre, orizzonte estremo della nostra vita. Il Battesimo, facendo figli di Dio, ha dato
un orizzonte specialissimo all’esistenza umana: il Padre. Cosicché, la vita dei cristiani è
interamente orientata dallo Spirito verso il Padre; il suo grido in loro: «Abbà, Padre» (Gal 4,6) non
crea soltanto la loro condizione di figli, ma suscita anche nel loro cuore il bisogno del Padre, che
si esprime in tutta l’esperienza religiosa e morale. In tal modo lo Spirito iscrive l’esistenza dei
cristiani all’interno del movimento di ascesa della creazione e della storia verso il Padre: «Tutti
riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine, prima Cristo, che è la primizia; poi,
alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio
Padre» (7 Cor 22-24). Come il Padre è stato la meta dell’esistenza del Cristo, così deve esserlo
anche di quella dei cristiani: questi, infatti, proclamano «che Gesù è il Signore a gloria di Dio
Padre» (Fil 2,11).

b) Seguiamo il Figlio, strada unica che porta al Padre. La vita filiale suscitata dal Battesimo è anche vi-
ta fraterna, anzitutto con Cristo e, quindi, fra i battezzati; anzi, la vita filiale è possibile per la vita
fraterna con il Cristo. È Gesù, il Figlio, che porta al Padre; è in riferimento al Padre che egli dice:
«Io sono la strada» (Gv 14,6). I cristiani sono per definizione imitatori di Cristo, il quale si è
offerto come esempio agli uomini (cfr. Fil 2,7ss; Rm 15,1-3) e come tale ora vive nella propria
glorificazione (cfr. Rm 6,1-11). Questa imitazione di Cristo acquista senso dal fatto che Gesù è
«immagine del Dio invisibile» (Col 1,15), per cui chi vede Gesù vede il Padre (cfr. Gv 14,9).
Ponendosi alla sequela di Cristo si giunge dov’è egli ora, «nel seno del Padre» (Gv 1,18); invece,
rinunciando a seguire il Cristo, non si potrà raggiungere il Padre, vero fine salvifico della vita,
poiché nessuno va al Padre se non per mezzo di lui (cfr. Gv 14,6).

c) Siamo condotti dallo Spirito, orientamento infallibile che porta a Cristo. Nel Battesimo si è raggiunti
dall’azione dello Spirito, il quale crea l’orientamento a Cristo, dando la capacità di riconoscerlo, fra
tutti gli uomini della storia, come il Figlio di Dio, come il Messia del Signore, come l’unico
Salvatore. Senza l’iniziativa dello Spirito, in noi non sarebbe sceso il seme della fede e non
avremmo potuto credere in Gesù, come ci ricorda san Paolo: «Nessuno può dire “Gesù è il
Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1 Cor 12,3). Lo Spirito ci orienta a Gesù non
solo nel senso che c’insegna a cercarlo e a trovarlo, ma in un senso ancora più forte: più che
semplice «maestro interiore», lo Spirito è il principio di un’esistenza vissuta nel Cristo (cfr. Rm 5,5;
Gal 2,20). Dal Battesimo in poi comincia a essere vera per noi la consolantissima verità che,
essendo «guidati dallo Spirito di Dio», siamo «Figli di Dio» (Rm 8,14).

70 Cfr. CONCILIO ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 48 e 35.
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CONCLUSIONI SPIRITUALI E PASTORALI


Testimoniare il Battesimo e viverlo nella missione

1. Rimettere il Battesimo nell’ordine del principio. L’opera pastorale del presbitero ha


bisogno d’essere guidata da alcuni ‘primi principi’, di essere poggiata su alcune verità di fondo,
come una casa che, se si vuole reggere, necessita d’essere basata su profonde fondamenta. Ebbene
proprio il Battesimo offre anzitutto alla Famiglia presbiterale la prima solida base per impostare,
col Vescovo, la sua missione e la sua pastorale. Si tratta di un misterioso basamento sacramentale
che si articola in tre forti plinti:
a) Porre la chiamata universale alla salvezza come orizzonte della missione. La vocazione alla salvezza è
fondamentale ed è universale: «Dio non vuole che alcuno perisca» (2 Pt 3,9). Ma tale vocazione,
pur consistendo nell’adesione a un oggettivo piano di salvezza di valore universale e pur avendo
bisogno di passare per la mediazione della Chiesa, tuttavia deve farsi sempre vocazione personale e
singolare di ogni uomo: essa, insomma, realizza nella conformazione a Cristo, vero Uomo e perciò
modello d’ogni uomo (cfr. Gv 1,9), il progetto radicalmente originale che il Dio creatore e
salvatore ha dato a ogni uomo, considerato sempre come una creatura che ha un «nome» proprio
(cfr. Ap 22,4).
b) Considerare che la vocazione alla salvezza si fa concreta nel Battesimo. La vocazione fondamentale
alla salvezza si fa concreta per via sacramentale; oltre che concreta, essa si fa personale e
universale insieme: i sacramenti, infatti, sono eventi di grazia che si esperimentano singolarmente,
ma all’interno di una loro destinazione universale (cfr. Mt 28,18-20). Tuttavia, se tutti i sacramenti
in un certo senso hanno un’indole vocazionale, questa ha tratti caratteristici ben evidenti nei primi
tre sacramenti: «L’invito a prendere parte, per la grazia dello Spirito, all’esperienza di Cristo morto
e risorto, che comincia nel battesimo e si completa negli altri sacramenti dell'iniziazione cristiana, è
la fondamentale vocazione di tutti i figli di Dio»71.
c) Considerare e presentare il Battesimo come la trama essenziale della vita cristiana. La vocazione
battesimale realizza in sintesi l’intera opera di salvezza del cristiano: l’incorporazione a Cristo72,
l’ingresso nella Chiesa73, la chiamata alla santità74. In termini stretti, la grazia del Battesimo va
pensata e presentata per quello che è: il progetto embrionalmente completo di santificazione
personale e di responsabilità missionaria. Di conseguenza, nessuno può dire d’aver ormai finito di
svolgere e di realizzare la sua vocazione battesimale. Tale grazia sollecita in noi una risposta di
disponibilità ascetica e missionaria sempre più forte. Si è cristiani per sempre a motivo del
carattere che il Battesimo imprime, ma si può non esserlo a livello esperienziale, a motivo
dell’infedeltà a quanto il sacramento ha pur creato nell’essere e nelle facoltà di quanti l’hanno
ricevuto divenendo: 1) figli di Dio (cfr. Gal 4,5; Rm 8,14; Ef 1; Col 1; Gv 17; 1 Gv 3; Mt 6), 2)
idonei a capire le cose di Dio, 3) capaci di operare per l’avvento del suo Regno. Perciò, è dall’essere
cristiano che va ricavata la regola dell’agire cristiano, ma è l’agire cristiano che si fa segno di quanto si
è diventati con l’evento battesimale.

2. Riscrivere sempre daccapo il nostro «atto di Battesimo». Il Battesimo un’azione


misterica con cui veniamo inseriti in un popolo di fratelli riconciliati. Ciò che va recuperato a
livello esistenziale, con chiara coscienza di fede, è che con il Battesimo si è diventati figli di Dio per
sempre e per sempre fratelli di Cristo e tra i figli dello stesso Padre.

71 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, La formazione dei Presbiteri nella Chiesa italiana. Orientamenti e norme
(15.5.1980), n. 20, in Enchiridion/CEI, n. 221.
72 Cfr. CONCILIO ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 7.
73 Cfr. CONCILIO ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 2.7.13.48.
74 Cfr. CONCILIO ECUM. VAT. II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 39-42.
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a) La caratteristica permanenza della condizione filiale e fraterna che il Battesimo crea per
sempre (non scade mai né l’essere figli né l’essere fratelli) ha bisogno anzitutto che sia sentita
come uno stato di grazia sempre presente, che può quindi esprimersi e crescere a livello
dell’esperienza cristiano-ecclesiale giorno su giorno.
b) La verità è che si è più o meno fedeli alla grazia del Battesimo; si acconsente cioè con
maggiore o minore impegno a sviluppare i semi di grazia che il Battesimo depone nei cristiani e ci
si sforza, con una cura più o meno alta, di creare le condizioni idonee per la crescita di quei semi
di vita nuova deposti da Dio nei rigenerati dall’acqua e dallo Spirito.
c) Riscrivere sempre daccapo l’«atto di Battesimo» significa pertanto anche per i pastori
d’anime rimettere il mistero del Battesimo all’inizio di tutto:
— della propria identità presbiterale (ricordando che si è prima fratelli, poi padri, essendo il
Battesimo il sacramento che fa figli, la realtà di base dell’essere fratelli);
— della propria spiritualità presbiterale (creando in tal modo una grande sintonia spirituale con
l’intero popolo di Dio, vivendo in concreto il ‘principio di totalità’: la Chiesa è prima di tutto una
comunità di eguali, dentro la quale vi sono le differenze vocazionali, carismatiche, ministeriali);
— della propria opera pastorale (dando a essa il fondamento più solido: tutta la verità teologico-
pastorale del principio “l’Eucaristia fa la Chiesa” dipende dall’altro: “il Battesimo fa la Chiesa”).

3. Il fonte battesimale, scuola di ecclesialità. Anzitutto la chiesa-edificio ricorda, nel suo


insieme e nei suoi segni particolari, che la Chiesa, ad immagine della Trinità perché, come s’è
sopra accennato, essa porta con sé lo stigma delle divine Persone: la filialità le ricorda vitalmente il
Padre; la fraternità le fa vivere il dono di Cristo in ognuno dei suoi membri; la sponsalità la anima e
la vivifica con la fecondità dello Spirito. Questi segni trinitari presenti nella Chiesa sono
fortemente simboleggiati e ricordati dal fonte battesimale, il luogo dove siamo diventati figli, dove
siamo diventati fratelli, dove la Chiesa è stata sposa e madre. Al fonte battesimale, infine, si
determina la nostra psicologia di figli della Chiesa. È lì che si pone la condizione di come dobbiamo
comportarci come membri della casa di Dio (cfr. 1 Tm 3,15). La psicologia ecclesiale comporta
l’esercizio di virtù particolarmente ecclesiali:

a) La virtù dell’accoglienza: chiede di esercitare l’amore nell’atto d’accettare l’altro, di riconoscerlo


per tutto quello che è; comporta di rispettare l’altro, d’accoglierlo nella nostra vita, prima che nel
tempio e nella nostra casa, con ospitalità piena e delicata. Ciò implica anche tante altre virtù, fra le
quali ricordiamo: la capacità di ascolto, la tolleranza, il senso sacro della persona umana, la
discrezione.

b) La virtù della convivialità: la confidenza dell’appartenenza alla stessa famiglia ecclesiale, per
essere nati dallo stesso letto nuziale (fonte battesimale) e per essere commensali alla stessa cena di
famiglia (altare-mensa), pretende dai cristiani un atteggiamento consequenziale di calda e fraterna
intesa, di sincera e partecipe amicizia, di mutua e fraterna solidarietà.

c) La virtù del dialogo: senza dialogo la vita di famiglia non esiste. La vita di Chiesa, come vita
domestica per eccellenza, esige che si eserciti un vero dialogo ecclesiale, cioè teologicamente
motivato, spiritualmente vissuto, comunionalmente condotto, missionariamente finalizzato.

4. I doveri della fraternità cristiana nata dal Battesimo. La vita di Chiesa è un’esperienza
sponsale con Dio e tra i fratelli e le sorelle generati al fonte battesimale da un Dio Padre e Sposo.
Al ‘volto a volto’ creaturale-sponsale con Dio segue il ‘volto a volto’ orizzontale della fraternità.
La Chiesa è dunque una comunità di volti umani, caratterizzati dall’atto della creazione, ma anche una
comunità di volti fraterni, che portano su di sé i segni del Battesimo. È una nascita dall’alto (è oriens ex
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alto), un aspetto fondamentale al quale poniamo poco mente. La sua nascita battesimale conferma
che la Chiesa è quella che Dio vuole che sia; non può inventarsi nulla sulla sua natura e sul suo
destino, non essendo essa l’esito di un’autogenesi, di un’autogenerazione o autofioritura.
Leggendo dentro il mistero della Chiesa con occhio credente si trovano volti fraterni: è una
comunità di fratelli che colorano di fraternità e di sororità il suo volto. Lo è anzitutto per l’alleanza
creaturale cui appartengono, ma poi anche per la generazione filiale suscitata da quelle acque
feconde.
Attraversando i tratturi del servizio caritativo e i sentieri della carità, chiedendoci se sia mai
possibile esserci un amore senza un volto, ci si convince che è certamente possibile cercare ma non
trovare un tale amore. Il volto e l’amore possono essere cercati separatamente, ma solo insieme è
possibile trovarli: l’amore ha un volto perché solo il volto riceve e dà amore75. La vicenda
dell’uomo ha inizio dall’incontro con il volto della madre: è il volto che ci ha dato i primi segni di
amore su quel volto abbiamo imparato a decifrare l’amore o l’indifferenza o, per qualcuno,
l’ostilità. Proprio nell’incontrarsi dei volti s’impara fin d’allora a conoscere l’amore. Questa è
infatti la vocazione umana e cristiana primordiale: dare volto all’amore. Anche l’assumere da parte
di Dio un corpo umano nell’incarnazione del Figlio ha voluto significare che anzitutto Dio non
poteva restare amore senza diventare volto. Così alcuni uomini lo hanno visto, ascoltato, toccato
con mano (cfr. 1 Gv 1,1) nelle fattezze di Gesù di Nazaret.
L’amore chiede, reclama un volto. Soprattutto essenziale è avere occhi fraterni quando si parla
di cristiani. In negativo, non abbiamo cristiani testimonianti quando essi mancano d’amore e
quando difettano d’ogni sguardo fraterno su chi soffre, su chi vive situazioni difficili e
drammatiche. I cristiani poi debbono esercitare una doppia fraternità, umana e cristiana; la prima
si esprime nell’amore all’uomo e alla creazione recuperando due grandi appartenenza: quella alla
famiglia del “genere umano” e l’alleanza creaturale con tutti gli esseri viventi e anche con le cose.
Fraternità sociale e fraternità ecologica dunque:

1) La prima ci chiede di essere solidali con tutti gli uomini con la preferenza legittima e
doverosa di dare amore a quelli che hanno più bisogno (poveri, malati, diseredati, deboli, indifesi,
bisognosi di ogni genere di beni), ricordando che Cristo vuole farsi rappresentare da loro che egli
considera pertanto come un vivo e originale ‘sacramento’.

2) La seconda fraternità chiede di trattare la natura con responsabilità alta perché i cristiani
hanno motivi speciali per trattarla così, cioè con verità, delicatezza e amore: è la loro “sorella
minore” che Dio ha affidato agli uomini perché la conducessero alla realizzazione di sé (ossia alla
salvezza…): rispettando la sua verità protologica (è creatura che ha la sua origine da Dio, è uscita
come noi dalla sua stessa mano creatrice), essa deve poter raggiungere la sua verità escatologica (è
creatura destinata alla gloria: «La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma
quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al
mondo un uomo» (Gv 16,21).

75 Cfr. L. GIUSSANI, Alla ricerca del volto umano, Rizzoli, Milano 1995.

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