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Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono
scritte per ispirazione dello Spirito Santo. La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e
canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti
per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati
consegnati alla Chiesa per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso
delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori,
tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte.
Il dettato conciliare insiste soprattutto sul come avviene l’ispirazione, ma il discorso relativo alle
modalità ispirative richiede alcune osservazioni previe 1. Da un punto di vista sensoriale l’esperienza
profetica descritta semplicemente come una esperienza uditiva e visiva 2 sembra essere se non
proprio un errore, una limitazione certamente sì. In realtà la vicenda profetica è una esperienza
sensoriale profonda che corrisponde sovente all’attivazione di aree (anche cerebrali, come è
evidente nel caso dei mistici) che normalmente non vengono attivate. Del resto è evidente come il
profeta, a differenza degli altri uomini, ha una prerogativa fondamentale che è quella di dover
comunicare, trasmettere, dire. Ci sono uomini normali che magari hanno anche una relazione
profonda con Dio, ma non per questo sono chiamati a dire, a trasmettere ad altri, limitandosi
soltanto a vivere e servire tale relazione. Una relazione Dio-uomo come quella del profeta reca in sé
un profondo innamoramento, un profondo senso di sintonia. Nelle relazioni profonde poi succede
sempre che i parametri biochimici normali si alterino. Ed infatti alcuni sono arrivati a paragonare le
reazioni biochimiche dell’innamoramento intenso addirittura a quelle che si riscontrano all’interno
dei parametri della follia, perché in entrambi i casi l’alterazione è fortissima. Una domanda
interessante da porsi consiste nel chiedersi cosa provoca in un essere umano l’impatto con il divino
o con lo Spirito Santo. Cosa succede nel loro corpo, nei loro occhi, nel loro cervello, nella loro
locuzione, nella loro interpretazione del reale? Un simile tipo di situazioni sensoriali si sono
verificate con ogni probabilità anche nei profeti, uomini che hanno avuto una esperienza enorme e
così diretta di Dio. Parlare di resistenze a questo livello è una consequenzialità logica. Infatti per il
principio della conservazione l’uomo tende ad opporsi ai cambiamenti, anche a quelli minimi e
normali. Figuriamoci quindi per cambiamenti e trasformazioni così radicali come quelli che
l’esperienza profetica richiede. Inoltre al di là dell’evento iniziale dell’esperienza profetica e di
quello finale del suo destino, occorre altresì riflettere sul livello intermedio e cioè sul problema che
il profeta ha quando si chiede: “ed io ora cosa devo dire, dopo tutto quello che mi è capitato? Qui si
va incontro alle rogne! Chi mi crederà? Forse mi uccideranno anche!”. Perché l’esperienza profetica
tutto è fuorché una situazione comoda3. Di conseguenza resistere alla parola ed all’evento che viene
da Dio si lega anche alla paura, un po’ anche legittima, che una roba del genere suscita nell’essere
umano.
Ragion per cui la domanda logica diventa: come mai, nonostante l’impatto, la resistenza e la
paura, il profeta quanto gli viene chiesto realmente poi lo attua? Perché il profeta parla e va incontro
alle conseguenze che quella vicenda gli provocherà? Sicuramente l’aspetto della costrizione e
1 Per molte delle considerazioni presenti in questo capitolo rimando a P. BASTA, Il carattere relazionale
dell’ispirazione biblica (Manuali Teologia. Strumenti di studio e ricerca 51), Urbaniana University Press, Città del
Vaticano 2017.
2 Rimando all’ottimo R. FORNARA, La visione contraddetta. La dialettica tra visibilità e non-visibilità nella Bibbia
ebraica (AnBib 155), PIB, Roma 2004.
3 Al riguardo si può leggere con frutto M. CECCARELLI, Il profeta rifiutato. Studio tematico del rifiuto del profeta nel
libro di Geremia (Saggistica), Youcanprint, Roma 2003.
dell’imperativo categorico che gli viene rivolto da Dio o la sua funzione di messaggero dice
qualcosa ma non tutto! Infatti ben difficilmente l’imperativo assoluto rivolto da Dio ai suoi profeti
può persuaderli a rimanere in tale stato per tutta la vita. Al massimo l’imperativo può spaventarli e
persuaderli nel tempo breve, magari anche nel tempo medio, ma poi nel tempo lungo come la
mettiamo? Ed in effetti i profeti conservano e mantengono per tutta la vita questa loro prerogativa.
Segno evidente di come ci sia un loro coinvolgimento di scelta. Cioè ad un certo punto non solo
superano la paura, ma aderiscono pienamente e scelgono in prima persona di seguire la loro strada.
Con questa considerazione siamo ancora una volta prepotentemente ricondotti alla nostra idea
centrale di relazione. Ora il concetto di relazione non può essere liquidato con la funzione del
messaggero o del trasmettitore di parole e di verbo religioso, di codifica o decodifica del messaggio,
come se ciò fosse solo una problematica di natura linguistica. La stessa ermeneutica non può essere
affatto ridotta alla linguistica, perché in essa ci passano molte altre realtà, che vanno tenute nella
debita attenzione.
Io credo invece che il profeta, proprio per il fatto che deve comunicare, forse è uno che
maggiormente si presta a questo tipo di relazione con Dio e vi aderisce come libera scelta personale,
profondamente e per tutta la vita. Dio è per lui quel grande amore che non si lascia più. Queste
considerazioni pongono quindi ancora una volta prepotentemente al centro l’accento su un aspetto
relazionale, che invece non si sente normalmente in molti scritti che dissertano a proposito della
ispirazione4. Si parla infatti tanto del profeta in quanto poeta 5, indovino6 o estatico7. Figure queste
certamente interessanti, ma che vanno a pescare in qualità relazionali ben diverse dal tipo più
profondo del profeta biblico.
Occorre in definitiva ascoltare con interesse ed attenzione come questi uomini che noi
chiamiamo profeti hanno reagito all’apparizione di Dio. Certamente non sembra che essi abbiano
avuto un colpo di fulmine. Il primo che ha fatto il passo è stato sempre Dio; mai il profeta si
autocandida. Anzi qualcuno tra loro ha cercato di declinare l’invito (dato pressoché costante),
mentre altri hanno cercato addirittura di scappare (si pensi a Giona). Ciò dice che dei due quello più
pronto alla relazione è sempre Dio, mentre nella parte umana appaiono resistenze, molto spesso
4 Sulla difficoltà nella identificazione e definizione del profeta cf. J. BLENKINSOPP, Sage, Priest, Prophet. Religious and
Intellectual Leadership in Ancient Israel (Hebrew Studies 38), John Knox, Louisville 1995, 123-129; J. L. SICRE DÍAZ,
Profetismo en Israel. El Profeta. Los Profetas. El Mensaje, Verbo Divino, Estella 1992, 76-97.
5 Sulla quota di poesia contenuta nei profeti cf. L. ALONSO SCHÖKEL, Estudios de poética hebrea, J. Flors, Barcelona
1963; ID., Manual de poética hebrea, Agapea, Madrid 1987 (traduzione italiana: Manuale di poetica ebraica
[Biblioteca biblica 1], Queriniana, Brescia 1989); N. FRYE, The Great Code. Bible and Literature, Harcourt Brace
Jovanovich, New York 1984 (traduzione italiana: Il grande codice. La Bibbia e la letteratura, Vita e Pensiero, Torino
1986); R. ALTER, The Art of Biblical Poetry, Basic Books, New York 1985 (traduzione italiana: L’arte della poesia
biblica, San Paolo, Roma – Cinisello Balsamo 2011).
6 Sul rapporto tra rivelazione profetica e indovini della mantica cf. L. L. GRABBE, Priests, Prophets, Divines, Sages. A
Socio-historical Study of Religious Specialists in Ancient Israel, Trinity Press International, Valley Forge, PA 1995; H.
M. BARSTAD, “Comparare necesse est? Ancient Israelite and Ancient Near Eastern Prophecy in a Comparative
Perspective”, in M. NISSINEN (ed.), Prophecy in Its Ancient Near Eastern Context. Mesopotamian, Biblical, and
Arabian Perspectives (SBL Symposium Series), Atlanta 2000, 3-11; R. J. THELLE, Ask God. Divine Consultation in the
Literature of the Hebrew Bible (BET 30), Lang, Frankfurt 2002; A. M. KITZ, Prophecy as Divination, “Catholic
Biblical Quarterly” LXV (2003), 22-42; M. J. de JONG, Isaiah among the Ancient Near Eastern Prophets. A
Comparative Study of the Earliest Stages of the Isaiah Tradition and the Neo-Assyrian Prophecies (VT.S 117), Brill,
Leiden 2007; P. MERLO, Il profetismo nel Vicino Oriente Antico: panoramica di un fenomeno e difficoltà comparative,
“Ricerche Storico-Bibliche” XXI (2009), 55-83; J. L. SICRE, Introducción al profetismo bíblico, Verbo Divino, Estella
2011, 35-60.
7 Sul profeta come estatico meritano di essere ricordati i contributi di A. J. HESCHEL, The Prophets, Harper & Row,
London 1962; J. LINDBLOM, Prophecy in Ancient Israel, Basil Blackwell, Oxford 1962; S. B. PARKER, Possession
Trance and Prophecy in Pre-Exilic Israel, “Vetus Testamentum” XXVIII (1978), 271-285; R. R. WILSON, Prophecy
and Ecstasy: A Reexamination, “Journal of Biblical Literature” XCVIII (1979) 321-337; G. ANDRÉ, Ecstatic Prophecy
in the Old Testament (SIDA 11), Uppsala 1982; J. R. LEVISON, Prophecy in Ancient Israel. The Case of the Ecstatic
Elders, “Catholic Biblical Quarterly” LXV (2003), 503-521.
anche legittime. E naturalmente questa fenomenologia dice anche che la parte divina, per quanto
possa aver “confezionato” se stesso nel momento in cui è apparso ad un essere umano senza
terrorizzarlo più di tanto, tuttavia un po’ della sua grandiosità e della sua maestà ha dovuto gioco-
forza mostrarla. Si pensi a Mosè che “vede” Dio ascoltandone la declinazione dei nomi. Quanto
dura una apparizione di Dio? Un minuto, un’ora, un giorno, una notte? Ma perché poi Dio sceglie
proprio quell’uomo? Si pensi ancora una volta a Mosè che, ancor prima della chiamata divina,
sentiva bollire il suo sangue quando vedeva i suoi fratelli ebrei maltrattati dai soldati egiziani. Ci
sono quindi anche delle qualità personali che entrano in gioco all’interno della relazione tra Dio ed
il suo profeta, perché ci sono sempre delle aspettative di Dio su quel determinato profeta a partire
dalle sue caratteristiche tipiche, perché comunque l’Altissimo gli dà un compito preciso, che è
quello di dover dire, di dover parlare. Il profeta non è come un eremita che custodisce le cose nel
suo cuore dopo che Dio lo ha visitato. No, il profeta è uno che deve andare a dire fuori le parole che
ha ascoltato nel suo cuore. C’è un popolo come quello di Israele a cui dover trasmettere! C’è tutto
un discorso di oppressione, di rischio, di morte. Insomma i contesti sono notevoli e di grande
importanza. Ora Dio in tale relazione incontra un uomo che si innamora di Lui, e che per tutta la
vita tiene fede a quell’impegno portandolo avanti fino alla fine dei suoi giorni. Questo significa che
Dio, se nella sua immensità aveva potuto provocare una paura immediata, poi, dopo la sua
apparizione, è capace di fare anche innamorare. Del resto la Scrittura certifica come dopo un primo
shock, all’apparizione di Dio fa seguito sempre una sensazione di grande pace. Ecco allora che
quando descriviamo un profeta non deve mai mancarci l’aspetto più squisitamente relazionale,
fermandoci a considerazioni che sarebbero anche ottime ma prive di questo quid fondamentale, che
è la relazione tra il profeta ed il suo Dio, con tutte le sue dinamiche di innamoramento, con tutto il
gioco di corteggiamento tra i due, fino al momento in cui finalmente l’uomo cede. Le vicende
profetiche ricordano molto due amanti che finalmente cedono al loro reciproco amore fino a vincere
tutte le paure che la loro storia comporta. Ma come mai nei libri scientifici di questo non si parla?
Come mai il profeta viene visto solo come un messaggero o un trasmettitore linguistico?
Ovviamente gli aspetti sottolineati dalla teologia sono veri, ma a me sembra che manchi un aspetto
a dir poco centrale che è quello della relazione. Sarebbe molto interessante vedere come nella
Bibbia viene espressa l’idea di relazione. Certamente ci sono immagini, come quelle dello sposo e
della sposa o del padre e del figlio. Ma si potrebbe anche riflettere sul vocabolario del patto o
dell’alleanza. Del resto, il mio obiettivo qui non consiste tanto nel voler definire il dialogo di
relazione e di rivelazione tra Dio e l’uomo, ma nel provare a farne sentire il gusto e l’odore. Spero
di averlo per un po’ evocato e suscitato.
2. Modelli di Ispirazione
Se si passano in rassegna gli articoli o i libri più recenti capita non di rado di assistere ad una
suddivisione, a dire il vero piuttosto didattica e pedagogica, degli approcci teologici e biblici
sull’ispirazione offerta e scandita in una forma tripartita 8, a seconda che l’attenzione venga di volta
in volta attirata:
• sull’autore individuale, cioè su colui che con una terminologia un po’ più classica viene
chiamato comunemente agiografo;
8 Per queste divisioni cf. W. VOGELS, “L’Écriture, inspirée et inspirante”, in J. DUHAIME – O. MAINVILLE (édd.),
Entendre la voix du Dieu vivant. Interprétations et pratiques de la Bible (Lectures bibliques 41), Mediaspaul, Montréal
1994), 261-296, [traduzione italiana: “La Scrittura, ispirata e ispirante”, 245-281, in La voce del Dio vivente.
Interpretazioni e letture attuali della Bibbia (Nuove vie dell’esegesi), Borla, Roma 1997]. L’articolo è comparso alcuni
anni dopo in forma più larga e documentata in W. VOGELS, “Three Possible Models of Inspiration”, in A. IZQUIERDO
(ed.), Scrittura Ispirata. Atti del Simposio internazionale sull’ispirazione promosso dall’Ateneo Pontificio «Regina
Apostolorum», (Atti e Documenti 16), LEV, Città del Vaticano 2002, 61-79.
• sulla comunità, vale a dire colei che materialmente presiede alle varie tappe di produzione del
testo, nei suoi passaggi dall’orale allo scritto, dallo scritto a nuove oralità, fino alla fissazione finale
nel libro;
• sul libro stesso, inteso come il frutto maturo di un processo che ha avuto origine in un singolo, ma
che è poi diventato patrimonio di una comunità che in esso trova il suo fondamento e che ad esso in
definitiva si ispira.
Secondo il primo modello, quello che potremmo altresì definire come il modello classico per
eccellenza, ogni libro biblico è stato scritto dal profeta o dall’apostolo di turno, destinatario
esclusivo ed unico dell’ispirazione divina. Un simile schema, che assolutizza il ruolo dell’agiografo
nella sua singolarità e peculiarità, attribuendogli la totalità del fenomeno ispirativo nel suo versante
umano, domina la riflessione teologica fino al XIX secolo, anche se con la presenza di numerose
varianti al proprio interno, che potrebbero essere così sintetizzate a seconda che lo Spirito venga
individuato nel suo lavoro sull’agiografo, prima, durante o alla fine del processo di produzione del
libro:
Non costituisce argomento del nostro studio l’approfondimento delle motivazioni che stanno
alla base delle tre opzioni sopra elencate, che sono però facilmente reperibili in qualsiasi manuale di
introduzione alla Bibbia o di ermeneutica del testo sacro. Basti qui soltanto ricordare come
l’indagine teologica si sia soffermata a lungo sul punto di contatto tra il Dio ispirante e l’uomo
ispirato, o meglio sulle modalità, le forme, i luoghi ed i tempi di inserzione dell’elemento divino
all’interno dell’essere umano. Tra i più celebri esponenti di questo indirizzo non si può non citare
Tommaso d’Aquino e le sue riflessioni in merito alla cosiddetta ispirazione strumentale, che tanto
seguito hanno avuto e, per molti versi, continuano ad avere anche in quanti materialmente non si
dichiarano suoi discepoli, ma che in realtà poi lo sono. A questo modello fa, ad esempio,
riferimento Leone XIII con la sua celebre teoria psicologica dell’ispirazione, altrimenti detta
modello leonino, così autorevolmente espressa in Providentissimus Deus: Egli stesso così li stimolò
e li mosse a scrivere con la sua virtù soprannaturale, così li assisté mentre scrivevano, di modo che
tutte quelle cose e quelle sole che egli voleva, le concepissero rettamente con la mente, e avessero la
volontà di scrivere fedelmente e le esprimessero in maniera atta con infallibile verità: diversamente
non sarebbe egli stesso l’autore di tutta la sacra Scrittura9.
Come si vede bene, in un testo del magistero si arrivano a definire nel dettaglio le modalità di
azione dello Spirito Santo all’interno delle facoltà volitive, intellettive e psicologiche
dell’agiografo. Segno questo di quanto nel XIX secolo si fosse preoccupati di definire con
precisione una teoria che sembrava stesse per sgretolarsi sotto i colpi inferti, di volta in volta, da
modernisti e razionalisti anche alla sola possibilità dell’evento ispirativo in se stesso. È la questione
del come (how) dell’ispirazione su cui i documenti magisteriali dell’ultimo cinquantennio hanno
preferito non avventurarsi, da Dei Verbum § 11 fino a Verbum Domini, imitati in questo dalla
Pontificia Commissione Biblica con il suo recente Ispirazione e verità della Sacra Scrittura. La
parola che viene da Dio e parla di Dio per salvare il mondo, del luglio 2014. Non così, invece,
Leone XIII che diede largo spazio nella sua riflessione proprio alle modalità ispirative. Egli, infatti,
riprende nella sua enciclica, anche se in maniera più sfumata, così come si conviene del resto ad un
testo magisteriale, le teorie espresse qualche tempo prima dal gesuita austriaco Johannes Baptiste
9 LEO PP. XIII, Litterae encyclicae Providentissimus Deus de studiis Scripturae Sacrae, 18 novembris 1893 (EB 125).
Franzelin, cardinale e teologo raffinato che vede l’origine delle idee bibliche in Dio, lasciando
all’agiografo soltanto il compito di rivestirle di parole e letteratura. Per dirla con terminologia
retorica, a Dio apparterebbe il momento dell’inventio al livello dei contenuti da esprimere, mentre
all’autore umano sarebbe lasciata la fase successiva della dispositio e dell’elocutio, vale a dire la
tassonomia del discorso con relativo ornamento verbale. La teoria del Franzelin, apprezzato teologo
dogmatico nonché peritus del Concilio Vaticano I, nasconde tra le sue pieghe il grande interesse che
egli nutriva circa il modo in cui la parola sorge all’interno dell’essere umano. Questa attenzione alla
cosiddetta psicologia linguistica derivava al cardinale dalla sua grande passione per le lingue
antiche. Gli storici narrano, infatti, la sua grande competenza nell’aramaico, nel siriaco e nel caldeo,
lingue che insegnava regolarmente con diletto suo grande, e degli alunni che accorrevano
numerosissimi alle sue affascinanti ore di lezione. Se sia, poi, davvero possibile separare i due
momenti dell’idea e della sua
verbalizzazione risulta chiaro altresì dalla opposizione netta che la neoscolastica riservò alle
opinioni di Franzelin. I neotomisti, infatti, rifacendosi ai contenuti più sostanziosi della teoria
dell’ispirazione strumentale elaborata secoli prima da Tommaso d’Aquino optarono per una
attribuzione del giudizio
speculativo sul testo a Dio, riservando all’autore umano tutta la quota rimanente del giudizio
pratico-realizzativo. Ancora una volta l’autore divino sarebbe l’iniziatore assoluto del processo, a
cui l’uomo contribuirebbe con una strumentalità fattivo-fattuale. Il dibattito così condotto, e a cui
prese parte anche il padre Lagrange, cerca in definitiva di meglio precisare la psicologia stessa
dell’autore ispirato, o meglio il suo dinamismo interiore, tentando di dare il peso più appropriato e a
Dio e all’uomo10.
Le visioni teologiche a noi più vicine notano giustamente come il dibattito di fine ottocento e
primo novecento risulta inadeguato se lo si confronta con le acquisizioni e la sensibilità attuale. In
particolare sulla riflessione circa le modalità ispirative (how) non si era ancora abbattuta la
riflessione heideggeriana, che facendo del linguaggio la casa stessa dell’essere, poneva un legame
ormai inestricabile tra l’oggetto e la parola, tra l’essere ed il suo venire al linguaggio 11. Le
conseguenze teologiche per l’ispirazione diventavano enormi. Come si può infatti porre una
distinzione netta tra giudizio speculativo in Dio e giudizio pratico nell’agiografo? Di chi sarebbe la
responsabilità dello scritto? Non si corre il rischio di una impostazione del discorso che risente del
vecchio meccanicismo di tomistica memoria? In definitiva, è davvero possibile afferrare lo Spirito
Santo definendone con rigore assoluto il punto esatto in cui cade sull’uomo ed il momento preciso
in cui poi si stacca, per così dire, da Dio? Non sarebbe forse più opportuno prendere sul serio il
concetto di “relazione” tra Dio e l’agiografo chiedendosi in che cosa esso davvero consista? Può
una relazione vera, viva e vitale come quella tra l’autore divino e l’autore umano essere
vivisezionata dall’indagine teologica con gli strumenti che gli provengono ora dall’antropologia
sociale ora dalla psicologia cognitiva? Sono questi strumenti davvero adeguati e connaturali
all’oggetto di cui si parla o non corrono forse il rischio di non riuscire in se stessi a prendere le
esatte misure dell’evento con cui si confrontano? Per tutte queste ragioni, nonostante gli indubbi
elementi di bontà del modello personale-profetico, che sono innegabili in quanto insistono con forza
sul rapporto tra Dio ed il singolo scrittore sacro – modello a cui non si può affatto rinunciare a cuor
leggero –, rimangono tuttavia ambiti di estrema criticità. Come testimonia il fatto che l’indagine
10 Cf. M. J. LAGRANGE, Une pensée de Saint Thomas sur l’inspiration scripturaire, “Revue Biblique” IV (1895), 563-
571; ID., «L’inspiration des livres saints», “Revue Biblique” V (1896), 199-220; ID., «L’inspiration et les exigences de
la critique», “Revue Biblique” V (1896), 496-518.
11 Oltre al fondamentale M. HEIDEGGER, Sein und Zeit, Verlag, Halle 1927 [traduzione italiana a cura di P. CHIODI,
Essere e Tempo, Longanesi, Milano 2005], servono bene M. INWOOD, A Heidegger Dictionary, Blackwell, Malden
1999; F. SCHALOW – A. DENKER, Historical Dictionary of Heidegger’s Philosophy, Scarecrow Press, Lanham-Toronto
2010; D. O. DAHLSTROM (ed.), The Heidegger Dictionary, Bloomsbury Academic, London-New York 2013; F. JARAN
– C. PERRIN (eds.), The Heidegger Concordance. I-II-III, Bloomsbury Academic, London-New York 2013. Per una
introduzione al pensiero di Heidegger cf. G. VATTIMO, Introduzione a Heidegger, Laterza, Bari 1991; C. B. GUIGNON
(ed.), The Cambridge Companion to Heidegger, Cambridge University Press, Cambridge 1993; A. FABRIS – A.
CIMINO, Heidegger, Carocci, Milano 2009; C. ESPOSITO, Introduzione a Heidegger, Il Mulino, Bologna 2013.
teologica si è spinta verso comprensioni diverse ed ulteriori. Resta da verificare, però, se queste
ultime siano anche più idonee ed efficaci.
La grande stagione ermeneutica della patristica e del tomismo conosce all’inizio dell’epoca
moderna una grande crisi con l’incedere della critica razionale e della nuova sensibilità storica 12. In
campo biblico a farla da padrone non è più la vecchia allegoria con i suoi sensi spirituali 13, ma la
ricerca analitica sui contesti di provenienza del materiale scritturistico. Se ai padri nulla interessava
degli strati e delle fonti del Pentateuco, della distinzione tra un proto ed un deutero-Isaia, dell’autore
Marco o del circolo giovanneo, non così è per gli esegeti che subentrano loro nel XVII secolo.
Nasce infatti in questi anni il metodo storico-critico, impianto di pensiero e di procedure molto ben
congegnato, che avrà delle grosse ripercussioni anche sulla teologia dell’ispirazione. Avendo,
infatti, la critica letteraria appurato come sia da ritenere soltanto un mito il fatto che un singolo
autore abbia presieduto per intero alla stesura di un qualsiasi libro biblico, di conseguenza il
modello personale-profetico andava rimesso radicalmente in discussione. Si può ancora ragionare in
termini di singolo individuo ispirato dopo che il metodo storico-critico ha mostrato come sia
nell’Israele antico quanto all’interno della chiesa delle origini molte mani sono intervenute
nell’opera di scrittura del testo sacro? Non sarebbe più conveniente allargare il concetto di
ispirazione alla comunità, rendendolo in tal modo più elastico e meno schiacciato sul profeta o
sull’apostolo? Ecco che molti teologi nati in piena stagione storico-critica, o meglio dopo che
questo metodo aveva dato i suoi risultati migliori, ponendosi quasi come l’unico possibile, si sono
12 Per un primo approccio alla storia dell’interpretazione biblica cf. P. GIBERT, Petit histoire de l’exégèse biblique (Lire
la Bible 94), Cerf, Paris 1992, [traduzione italiana: Breve storia dell’esegesi biblica (GdT 238), Queriniana, Brescia
1995], opera snella, ma acuta, che ha il merito di presentare in rapida e ben articolata successione le varie epoche
dell’esegesi biblica, sottolineandone di volta in volta gli elementi di valore e quelli di criticità e perciò finendo quasi per
essere una “storia delle idee esegetiche”; W. YARCHIN, History of biblical interpretation: a reader, Hendrickson,
Peabody 2004, sicuramente tra le migliori introduzioni alla storia dell’interpretazione biblica, dal periodo prerabbinico
fino ai contemporanei (Childs, Schüssler Fiorenza, Patrick, Segovia, ecc.); H. G. REVENTLOW, Epochen der
Bibelauslegung. I-IV (München 1990-2001) [traduzione italiana: Storia dell’interpretazione biblica, Piemme, Casale
Monferrato 1999-2004; traduzione inglese: A history of Biblical interpretation, Atlanta 2009-2010]; A. J. HAUSER – D.
F. WATSON (eds.), A History of Biblical Interpretation. Vol. 1: The Ancient Period, Eerdmans, Grand Rapids-
Cambridge 2003; Vol. 2: The Medieval though the Reformation Periods, Eerdmans, Grand Rapids 2009; D. K. MCKIM
(ed.), Dictionary of Major Biblical Interpreters, Inter-Varsity Press, Downer Grove, IL - Leicester, UK 20072; J. F. A.
SAWYER, A Concise Dictionary of the Bible and Its Reception, Elsevier, Amsterdam, 2001; R. N. SOULEN, Sacred
Scripture. A Short History of Interpretation, John Knox, Louisville, KY 2009; M. LIEB – E. MASON – J. ROBERTS
(eds.), Oxford Handbook of the Reception History of the Bible, Oxford University Press, Oxford 2011; R. MARDSEN –
E. A. MATTER (eds.), The New Cambridge History of the Bible, 2: From 600 to 1450, Cambridge University Press,
Cambridge 2012; J. C. PAGET – J. SCHAPER (eds.), The New Cambridge History of the Bible, 1: From the Beginnings to
600, Cambridge University Press, Cambridge 2013; J. RICHES (ed.), The New Cambridge History of the Bible, 4: From
1750 to the Present, Cambridge University Press, Cambridge 2015. Interessante la prospettiva di M. TÁBET, Le
trattazioni teologiche sulla Bibbia. Un approccio alla storia dell’esegesi, San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, libro che
analizza le varie “introduzioni generali alla Bibbia” scritte dall’antichità fino ai giorni nostri con l’obiettivo di
presentare attraverso questo spaccato l’evolversi stesso della storia dell’esegesi.
13 1Per una introduzione al tema dei sensi della Scrittura cf. H. DE LUBAC, Exégèse médiévale. Les quattres sens de
l’Écriture. I-IV, Du Seuil, Paris 1959-1964 [traduzione italiana: Esegesi medievale, Jaka Book Milano 1986,1988];
Dictionnaire de la Bible. Supplément, ad vocem “Sens de l’Écriture”, vol. XII, fasc. 67-68, Paris 1992-1993, 434-536.
fatti interpreti di un nuovo modo di concepire l’ispirazione. Rahner 14, Ohlig15, Limbeck16 e Grelot17,
solo per citarne i più importanti, abbandonano la visione classica dell’autore e dell’agiografo
scrittore per approdare ad un modello che tenesse in maggiore considerazione le novità di
impostazione provenienti dalle metodologie ad impronta temporale.
Per ragioni di convenienza e di spazio, mi limito a presentare la posizione di Karl Rahner,
ritenendolo non solo un pioniere ma anche il più rappresentativo dell’insieme di questi teologi. Per
Rahner, dunque, l’ispirazione andrebbe pensata meno in termini personali o individuali e più in base
ad un’ottica che includa anche la nozione di comunità. Relativamente al Nuovo Testamento, ma per
analogia lo stesso discorso vale anche per l’Antico Testamento, il rapporto principe di Dio non è
tanto con il singolo autore ma con la chiesa apostolica (e con il popolo di Israele), intesa quale unica
realtà voluta in se stessa come fonte e norma della fede che abbraccia anche le future generazioni.
Di conseguenza l’ispirazione va ripensata in questi termini: Dio è l’autore/artefice (Urheber) di quei
libri che contengono in maniera perfetta l’oggettivazione della fede apostolica (e della fede ebraica)
così come è stata intesa da Cristo stesso (o da patriarchi e profeti), mentre l’agiografo va
considerato nella sua funzione di semplice autore letterario (Verfasser), a cui però compete la
composizione effettiva dei singoli libri18. La teoria di Rahner ha il grande merito di meglio
impostare le relazioni Dio – libro – comunità – agiografo, tenendo anche nella giusta
considerazione la riflessione filosofica condotta, in quei medesimi anni, in materia di rivalutazione
del concetto di Tradizione da parte di Gadamer con la sua celebre teoria del cosiddetto circolo
ermeneutico19.
Nonostante l’evidente passo in avanti, le difficoltà però non mancano. Infatti, la distinzione tra
Dio “autore/artefice” in senso proprio e l’agiografo “autore letterario”, seppur mediato dalle
comunità di origine e di riferimento, rimane di difficile assunzione, perché risente anche essa di
quel vecchio meccanicismo che era già emerso a proposito del modello personale-profetico.
Davvero si può scindere in maniera netta l’autore in senso generale (Dio) dall’autore specifico
(agiografo con alle spalle però Israele o Chiesa, che dir si voglia)? È possibile distinguere i livelli di
oggettività da quelli di materialità? Non si corre forse il rischio di non riuscire di fatto mai a
sganciarsi dalle categorie tomistiche, tanto deprecate da alcuni rappresentanti della Nouvelle
Théologie, ma poi in realtà sempre riemergenti?
Come già i fautori del modello classico, anche i tenenti del modello comunitario o della
comunità sociale o socio-ecclesiale si differenziano notevolmente tra loro nel momento in cui
14 Una presentazione estremamente rapida della sua teoria dell’ispirazione in K. RAHNER, Corso fondamentale sulla
fede, Paoline, Alba 1977, 470-477 [originale tedesco: Grundkurs der Glaube. Einführung in den Begriff des
Christentums, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1976].
15 K.-H. OHLIG, Woher nimmt die Bibel Ihre Autorität. Zum Verhaltnis von Schrifkanon, Kirche und Jesus, Patmos,
Düsseldorf 1970.
16 M. LIMBECK, “Die Heilige Schrift”, in W. KERN (ed.), Handbuch der Fundamentaltheologie, vol. IV, Freiburg 1988,
68-99; Id., «Inspiration», in P. HEICHER (ed.), Neues Handbuch theologischer Grundbegriff 2. Erweitere Neauasgabe in
5 Bänden, Peter Eicher, München 1991, 409-418.
17 P. GRELOT, La Bible, Parole de Dieu. Introduction théologique a l’étude de l’Écriture Sainte, Desclée, Paris 1965,
33-134; ID., La constitution sur la révélation: 1. La preparation d’un schéma conciliaire, “Études” CCCXXIV (1966),
99-113; ID., La constitution sur la révélation: 2. Contenu et portée du texte conciliaire, “Études” CCCXXIV (1966),
233-246; ID., “Commentaire du chapitre III. L’inspiration de l’Écriture et son interprétation”, in B.-D. DUPUY (ed.), La
révélation divine. II, Desclée, Paris 1968, 345-380; ID., Dix propositions sur l’inspiration scripturaire, “Esprit et vie”
XCVI (1986), 97-105.
18 Cf. nuovamente RAHNER, «L’ispirazione della Scrittura», 19-31.
19 H. G. GADAMER, Verità e metodo, Bompiani, Milano 1983 [originale tedesco: Wahrheit und Methode, Tübingen
1960, 1965, 1972]. Per una applicazione di Gadamer al mondo degli studi biblici servono bene H. DE LUBAC,
L’Écriture dans la Tradition, Flammarion, Paris 1966; L. ALONSO SCHÖKEL, Il dinamismo della tradizione (BCR 19),
Paideia, Brescia 1970; P. GRECH, La reinterpretazione intra-biblica e l’ermeneutica moderna, “Studia Patavina” XLIX
(2002), 641-662; A. M. PELLETIER, D’âge en âge les Écritures. La Bible et l’herméneutique contemporaine (Le livre et
le rouleau 18), Lessius, Bruxelles 2004, 77-136.
provano ad individuare il momento in cui ispirazione e comunità si toccano, attribuendo di volta in
volta vari gradienti al peso ora dell’uno ora dell’altro:
• ispirazione successiva: sono ispirati tutti gli autori sacri, dal primo all’ultimo senza esclusione
alcuna all’interno della catena di quanti materialmente intervengono nella costruzione e nella
trasmissione dei singoli libri (patriarchi, profeti, discepoli, scribi, saggi, scuole, apostoli, prime
comunità cristiane, didascali, lettori, ecc.);
• ispirazione finale: si può considerare ispirato a pieno titolo solo il redattore finale, mentre il
carisma non può essere esteso con la stessa considerazione di potenza spirituale a tutti i livelli
intervenienti, intermedi o di passaggio (discepoli, scribi, maestri, copisti, carismi di scienza e di
insegnamento, ecc.);
• ispirazione e comunità con distinzioni precise: nella stessa comunità c’è chi è ispirato ad agire
(patriarca o re, apostolo), chi a parlare (profeta, maestro di sapienza, apostolo, predicatore), chi a
scrivere (scriba, evangelista, segretario); di conseguenza esiste un carisma profetico o apostolico
che non necessariamente coincide con il carisma scritturistico che può tranquillamente riguardare
altri membri della stessa comunità: l’orizzonte è lo stesso, ma le funzioni sono ben diverse;
• ispirazione e comunità senza distinzioni precise: nella stessa comunità di fede, in cui lo Spirito è
presente, ci sono autori che scrivono in comunità, mediante la comunità e per la comunità.
Il modello sociale aveva intravisto ma non tematizzato il ruolo del potenziale lettore del testo
sacro. La figura del lettore “competente”, intesa come elemento essenziale che ridona vita ad un
testo scritto che altrimenti sarebbe pagina morta domina, invece, il modello linguistico. Se, infatti,
l’impostazione classica rifletteva solo sull’ispirazione di un singolo autore in riferimento alla
produzione del testo scritto, e se il modello comunitario si concentrava sul ruolo che le varie
componenti sociali svolgono in ordine alla stesura dello stesso testo, l’approccio linguistico attira
l’attenzione sul lettore percepito nella sua valenza di figura di competenza, tale cioè da essere in
grado di diventare, a sua volta ed in un certo senso, autore, nel momento in cui crea un legame tra la
comunità che ha prodotto in origine il testo e quella che ultimamente lo riproduce.
Secondo questa ottica, l’ispirazione diventa la qualità che la Bibbia ha come testo, vale a dire in
quanto prodotto da e di una comunità ispirata, e come tale di conseguenza capace di ispirare
nuovamente nell’oggi una ulteriore comunità di fede. In tal modo, però, l’attenzione viene a
spostarsi drasticamente dall’autore ispirato al testo ispirato/ispirante 22. Per alcuni aspetti
l’antesignano di un simile modello fu Luis Alonso Schökel, nel momento in cui, muovendosi in
base alle nuove istanze che cominciavano a provenire dalle scienze del linguaggio, propose di
ripensare l’ispirazione in base al paradigma delle molteplici componenti che entrano in gioco ai fini
della elaborazione di un’opera letteraria23.
In tal modo si cominciò a passare dall’esame della psicologia dell’autore ispirato alla
considerazione delle valenze di ispirazione che si muovono all’interno di un’opera letteraria,
considerando quest’ultima come una pluralità strutturata di non facile catalogazione e tale da
sfuggire a qualsiasi tentativo di meccanicismo. Come si può facilmente notare, la complessità è la
costante di una simile impostazione. Lo Spirito irrompe, infatti, in modo improvviso all’interno
della storia chiamando il profeta a fare esperienza di un Dio che sconvolge le categorie umane. Di
22 Per una critica di questo spostamento di asse ritenuto “non decisivo” cf. G. BORGONOVO, “Una proposta di rilettura
dell’ispirazione biblica dopo gli apporti della Form- e Redaktiongeschichte”, in IZQUIERDO, L’interpretazione della
Bibbia nella Chiesa, 41-63 (in particolare 50-52).
23 Cf. ALONSO SCHÖKEL, La parola ispirata, 111-177.
colpo appaiono nuove possibilità. La speranza torna a rifiorire laddove regnavano soltanto
rassegnazione e morte. La vita riprende quota disegnando spazi di incontro e di fraternità, di vittoria
sul peccato e l’ignoranza, sull’odio e la frammentazione. Comunicare ad altri un simile vissuto è un
percorso che parte dalla manifestazione primigenia di Dio ad un santo, ad un uomo di Dio, ad un
profeta e che passa attraverso la loro recezione umana, fatta di visione, audizione, sgomento, paura,
timore e tremore, ma anche silenzio e grande pace fino a giungere alla formulazione di tutta intera
questa inenarrabile vicenda in un linguaggio che sia antropologicamente accessibile. Ad un certo
punto le parole del singolo autore si imbatteranno nella vita della comunità, provocando
l’elaborazione di tante forme diverse di discorso che avranno il compito di rendere traducibile e
fruibile l’esperienza originaria. Nasceranno così racconti e discorsi, inni e cantici, saghe e formulari
di fede, parabole e detti, insomma una varietà di generi di cui molte opere letterarie, e la Bibbia in
primis, sono piene24.
A questo punto distinguere tra individuo e società, tra livello personale e ruolo della comunità
comincia ad essere francamente impossibile. È infatti già iniziata una tradizione ispirata che si
arricchirà di volta in volta di tanti e diversi contributi, sulla cui molteplicità di forme e provenienze
è superfluo anche solo l’accennarne. Il prodotto finale è però lì a portata di mano: è il testo biblico
da intendere ormai come opera ispirata, nel suo insieme e nel suo complesso, senza più nessuna
possibilità di scindere quel che va assolutamente tenuto unito.
La proposta di Alonso Schökel ha il grande merito di superare fissità ed antiche dicotomie,
facendosi apprezzare al contempo per la sua capacità di includere elementi che solo a prima vista
appaiono tra loro disparati e di aprirsi a dimensioni di intelligenza che gli provenivano da ambiti
culturali ben più ampi delle vecchie speculazioni teologiche sull’argomento. Del resto non si
potevano davvero ignorare oltre gli apporti che provenivano da filosofi del linguaggio e da teorici
del testo come Georges Dumézil, Claude Lévi-Strauss e Maurice Merleau-Ponty, che con i loro
studi mostravano in maniera sempre più chiara le strutture dei testi in riferimento alle modalità
espressive tipiche del mondo dei miti, delle epopee e dei popoli a forte connotazione ancestrale.
A propendere per un paradigma del testo considerato nel suo doppio versante di opera ispirata
ed al contempo ispirante è anche W. Vogels, fautore di una teoria dell’ispirazione costruita
interamente sulla base di un modello linguistico, la cui posizione può essere ben riassunta da questa
sua frase: “L’ispirazione è questa qualità umano-divina che la Bibbia ha come testo, dal momento
che essa fu prodotta da una comunità ispirata e perché a sua volta è capace di ispirare oggi una
comunità di fede”25.
A favore del modello linguistico si schierano inoltre autori importanti come Croatto 26,
Koertner27, Huizing28 e Salmann29. Anche se la proposta più interessante in questa linea, tra le più
24 Sulle valenze simboliche del linguaggio religioso cf. ALONSO SCHÖKEL, Il dinamismo della tradizione; M. GIRARD,
Les symboles dans la Bible. Essai de théologie biblique enracinée dans l’expérience humaine universelle, Mediaspaul,
Paris-Montreal 1991; M. LURKER, Wörterbuch Biblischer Bilderund Symbole (München 1973) [traduzione italiana: G.
RAVASI (a cura di), Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, San Paolo, Cinisello Balsamo 1990].
25 Cf. W. VOGELS, Inspiration in a Linguistic Model, “Biblical Theology Bulletin” XV (1985), 87-93: «Inspiration is
this human-divine quality that the Bible has as text, because it was produced by an inspired community and because it is
capable of inspiring today a community of faith».
26 Dalla sua impostazione ermeneutica dell’ispirazione dipendono poi le opere maggiormente esegetiche come J. S.
CROATTO, Historia de la Salvacion. La experiencia religiosa del Pueblo de Dios, Paulinas, Buenos Aires 1966; ID.,
Liberacion y libertad. Pautas hermeneuticas, Mundo Nuevo, Buenos Aires 1978; ID., Exilio y sobrevivencia.
Tradiciones contraculturales en el Pentateuco, Lumen Argentina, Buenos Aires 1997; ID., Imaginar el futuro.
Estructura retórica y querigma del Tercer Isaías (Isaías 55-66), Lumen, Buenos Aires 2001.
27 Per questo autore estremamente prolifico cf. solo U. H. J. KÖRTNER, Der inspirierte Leser. Zentrale Aspekte
biblischer Hermeneutik, Sammlung Vandenhoeck Göttingen 1994; ID., Theologie des Wortes Gottes. Positionen –
Probleme – Perspektiven, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2001.
28 Cf. solo l’opera principale K. HUIZING, Homo legens. Vom Ursprung der Theologie im Lesen (TBT 75), Degruyter,
Berlin-New York 1996.
29 Anche qui tra le tante possibilità cf. solo E. SALMANN, Neuzeit und Offenbarung. Studien zur Trinitarischen
Analogik des Christentums (Studia Anselmiana), Centro Studi Sant’Anselmo, Roma 1986; ID., Der geteilte Logos. Zum
offenen Prozeß von neuzeitlichen Denken und Theologie, Centro Studi Sant’Anselmo, Roma 1992.
recenti, rimane quella di F. Martin, a cui va ascritto il merito di aver incrociato la teologia
dell’ispirazione con la teoria del testo elaborata da Greimas 30. Secondo il padre della semiotica
strutturale, infatti, la struttura che soggiace ai vari testi altro non è che un sistema semantico
organizzato secondo diversi livelli di profondità, il tutto regolato da un meccanismo di generatività
interna che permette di passare dagli elementi più profondi a quelli più superficiali, dai fattori più
semplici a quelli più complessi secondo regole ben precise e codificabili all’interno dei vari
orizzonti
di comunicazione e di produzione del senso. Anzi, il sistema creato da Greimas può essere a ragione
ritenuto come una teoria della generazione del senso secondo vari livelli, in cui si assiste al
passaggio dai piani più elementari della sintattica a quelli ben più complessi della semantica, fino ad
arrivare finalmente alla manifestazione ultima del senso ultimo inteso e voluto dal testo. Collocare
in tale ambito l’ispirazione equivale a porre in intersezione le profondità dello Spirito di Dio con le
strutture del linguaggio umano che abitano in meandri altrettanto profondi, secondo l’adagio
salmico dell’abisso che richiama un altro abisso (Sal 41,8).
Il modello linguistico ha il grande merito di far interagire teologia e socio-linguistica, Bibbia e
filosofia del linguaggio, arrivando ad elaborare un impianto di grande raffinatezza e sensibilità
teologica e culturale. Rimangono, tuttavia, anche qui in piedi delle questioni meritevoli di un
qualche approfondimento. Ancora una volta le comunità di fede vengono sopravvalutate, come nel
modello socio-ecclesiale, a discapito del singolo profeta o agiografo. Mentre l’approdo finale del
testo ispirato, capace a sua volta di ispirare comunità di credenti, non riguarda stricto sensu
l’ispirazione biblica, ma soltanto la sua recezione finale ed ultima, che si colloca – per ragioni
temporali – esternamente alla produzione originaria della pagina sacra. Il testo ispirato, infatti, può
ispirare, ma può anche non ispirare, rimanendo lettera morta, perché qui entra in causa il lettore
ultimo, il fruitore spazialmente
e temporalmente lontano, con le sue valenze di libertà e di accettazione personale.
Prima di passare ad una riflessione che non abbia soltanto il sapore della rassegna storico-
contenutistica, meritano in questa sede un rapido accenno gli studi prodotti sul tema dell’ispirazione
nell’ambito evangelico statunitense, non per le novità di pensiero che ne sono venute, a dire il vero
abbastanza modeste a causa della preoccupazione apologetica di fondo, ma per sottolineare come
l’interesse per la questione sia rimasto lì molto vivo. Del resto l’evangelismo attribuisce un grande
peso alla Bibbia, forte dell’adagio luterano del Sola Scriptura e della volontà di difendere ad
oltranza il carattere divino del testo sacro e la sua inerranza di fronte alla minaccia di quanti
volessero ridurne in qualche modo la portata 31. Timore questo che, provvidenzialmente, non sembra
toccare troppo l’orizzonte cattolico attuale, se non in alcune frange di cui però voglio qui segnalare
soltanto l’esistenza, non fosse altro per il fatto che si muovono più sul web, per mezzo di siti pieni
di articoli molte volte anonimi e dalle chiare tinte fondamentaliste, che non mediante libri di ben più
faticosa stesura e di più chiara paternità. Mettendo da parte ogni polemica, notiamo soltanto come le
teorie sull’ispirazione nate in ambito di teologia evangelica possono essere ragionevolmente divise
in due grandi gruppi a seconda che si insista di più sull’elemento divino (deduttivisti
dell’ispirazione) o su quello umano (induttivisti dell’ispirazione)32.
30 F. MARTIN, Pour une théologie de la lettre. L’inspiration des Écritures (Cogitatio fidei), Cerf, Paris 1996.
31 Per verificare come la teologia della Riforma affronti questo tema, a cui da un po’ di tempo concede notevole spazio,
cf. J. P. MORELAND, The Rationality of Belief in Inerrancy, “Trinity Journal” VII (1986), 75-86; M. A. GRISANTI,
Inspiration, Inerrancy, and the OT Canon: The Place of Textual Updating in an Inerrant View of Scripture, “Journal of
the Evangelical Theological Society” XLIV (2001), 577-598; S. L. ANDREW, «Biblical Inerrancy», “CTS Journal” VIII
(2002), 2-21.
32 Per una rassegna puntuale ed una presentazione del punto di vista di ciascuno degli autori aderenti ai due fronti cf.
W. ABRAHAM, The divine inspiration of Holy Scripture, Oxford University Press, Oxford-New York-Toronto-
Melbourne 1981, 14-57; K. R. TREMBATH, Evangelical Theories of Biblical Inspiration. A Review and Proposal,
2.2.1 Teorie o approcci deduttivisti
• Louis Gaussen (1790-1863), teologo svizzero di marca calvinista, espressione massima della
teoria della theopneustia, intesa quale potenza misteriosa esercitata dallo Spirito Santo sugli
agiografi con l’obiettivo di guidarli nella composizione del testo fin nell’uso delle singole parole ed
espressioni, immunizzandoli in tal modo da qualsiasi tipo di errore 35. Ispirazione ed inerranza si
sovrappongono arrivando all’equazione tutto ispirato = tutto vero. Ovviamente una simile
impostazione di pensiero è facile preda della critica perché la presenza dell’errore all’interno della
Bibbia è altrettanto lampante come la presenza in essa dellaverità. Senza che le due affermazioni
risultino essere in contraddizione alcuna.
• René Pache (1904-1979), professore evangelico svizzero, fautore della cosiddetta “ispirazione
plenaria”, nei cui scritti compaiono accenti talmente assertivi circa l’ispirazione, l’autorità del testo
sacro e l’inerranza biblica, al punto da poterlo individuare quasi come il simbolo stesso di un
atteggiamento e di una modalità davvero troppo conservatrice, tanto da accorgersi subito quanto
essa suoni ormai superata e nei toni e nei contenuti 36. Per avere soltanto una idea circa le forme in
Oxford University Press, New York-Oxford 1987, 8-71.
33 Secondo la formula contenuta in D. R. LAW, Inspiration (New Century Theology), Continuum, London-New York
2001, 41-97.
34 Cf. soprattutto B. B. WARFIELD, The Inspiration and Authority of the Bible (a cura di S. CRAIG), The Presbyterian
and Reformed Biblical Company, Philadelphia 1948, 1970; ID., Limited Inspiration (Philadelphia, s.d.); ID., Biblical
and Theological Studies (a cura di S. CRAIG) The Presbyterian and Reformed Biblical Company, Philadelphia, PA
1952; ID., Rivelazione e ispirazione (La grande teologia evangelica), Alfa & Omega, Caltanissetta 2001.
35 Su questo autore, conosciutissimo ed amatissimo nell’ambito evangelico, cf. gli originali e le sue numerose riprese
così come contenute in L. GAUSSEN, Théopneustie, ou, inspiration plénière des Saintes Écritures, Paris 1840
[traduzione inglese: Theopneustia: The Plenary Inspiration of the Holy Scripture, London 1841]; ID., Le Canon des
saintes écritures au double point de vue de la science et de la foi, Lausanne 1860; ID., The Divine Inspiration of the
Bible, Eerdmans, Grand Rapids, MI 1971; ID., God Breathed: The Divine Inspiration of the Bible, Unicoi, TN 2001);
ID., The Divine Inspiration of Scripture. Originally published in 1847 as “It is Written: or Every Word and Expression
contained in the Scriptures Proved to be from God”, Peabody, MA 2007.
36 Cf. soprattutto il suo best-seller, tradotto in più lingue e riedito a ripetizione: R. PACHE, L’ispirazione e l’autorità
della Bibbia, UCEB, Roma 1978, 2010, [originale francese: L’inspiration et l’autorité de la Bible, Saint-Légier 1967;
traduzione inglese: The Inspiration and Authority of Scripture, Chicago 1969]. Per comprendere il tono dei suoi scritti si
può altresì consultare ID., Le retour de Jésus-Christ, Saint-Légier sur Vevey, s.d.
cui questi autori pensano l’ispirazione 3730, servono bene le seguenti citazioni tratte da alcuni loro
libri relativi al nostro argomento:
L’ispirazione è l’influenza determinante esercitata dallo Spirito Santo sugli autori dell’Antico e del
Nuovo Testamento, che fa sì che essi annunzino e redigano in maniera esatta e con autorità il
messaggio ricevuto da Dio. Questa influenza si è estesa fino all’uso delle parole per preservarle da
qualsiasi errore ed omissione38.
I libri della Bibbia sono detti ispirati, perché sono il prodotto divino realizzato mediante uomini
ispirati; gli scrittori della Bibbia sono chiamati ispirati nel senso che lo Spirito Santo ha soffiato in
loro, cosicché il prodotto della loro opera trascende la loro capacità ed è rivestito di autorità divina.
Per questo, generalmente, l’ispirazione è definita come un’influenza soprannaturale esercitata sugli
autori sacri dallo Spirito di Dio, in virtù della quale ai loro scritti è comunicata una divina
attendibilità39.
Gli uomini che hanno parlato da parte di Dio, sono stati presi dallo Spirito Santo e portati dal suo
potere a compiere lo scopo da lui preordinato. Perciò, le cose che hanno annunciato sotto l’influenza
dello Spirito non provenivano da loro, ma dallo Spirito40.
A questo breve elenco si potrebbe ancora aggiungere Charles Hodge (1797-1878), teologo tra
l’altro abbastanza stimolante in taluni ambiti di riflessione ermeneutica, ma totalmente posizionato
sulla stessa lunghezza d’onda del fondamentalismo di Gaussen per quel che concerne il nostro
tema41. Senza voler approfondire troppo questo angolo visuale, al quale riserviamo la nostra più
totale disapprovazione, notiamo soltanto come in questi tipi di approccio l’ispirazione venga
sovente collegata con il concetto di autorità, intesa però alla stregua di un dare ordini e decreti
apodittici a cui il fedele deve rispondere con pieno ossequio e deferenza.
Ma è davvero questa l’autorevolezza dell’ispirazione? Si può parlare di potere divino al
riguardo? Che tipo di relazione ci sarebbe tra Dio e l’agiografo se quest’ultimo venisse
continuamente stordito dalla potenza di un Dio che opera in lui, trascendendolo e tramortendolo
però in maniera sistematica? Esiste davvero relazione laddove uno dei due partner si erge in
maniera troppo assertiva ed autoritativa nei confronti dell’altro, di fatto riducendolo a docile
osservante? Warfield e Pache portano a sostegno della loro linea interpretativa, ma insistendovi
eccessivamente, i testi classici relativi all’ispirazione, vale a dire:
2Tm 3,16-17: Ogni Scrittura, infatti, è ispirata da Dio (Pa/sa grafh. qeo,pneustoj) e utile a insegnare,
a riprendere, a correggere, a educare nella giustizia, affinché l’uomo di Dio sia ben
formato, perfettamente attrezzato per ogni opera buona.
2Pt 1,19-21: E abbiamo resa così più solida la parola dei profeti cui fate bene ad attenervi: è come
una lucerna che brilla in un luogo tenebroso, fino a quando non cominci a splendere il
giorno e la stella del mattino spunti nei vostri cuori. Sappiate anzitutto questo: a nessuna
profezia della Scrittura compete un’interpretazione soggettiva. La profezia infatti non ci
fu portata per iniziativa umana, ma degli uomini parlarono da parte di Dio, sospinti
dallo Spirito Santo (avlla. u`po. pneu,matoj a`gi,ou fero,menoi).
In particolare nella loro interpretazione dei due passaggi neotestamentari si assiste ad una
accentuazione troppo marcata del senso passivo insito in qeo,pneustoj ed in fero,menoi, senza però
una adeguata considerazione del contesto in prevalenza parenetico in cui cadono le due forme
37 Per una disamina più completa e circostanziata di questi autori cf. LAW, Inspiration, 66-89.
38 PACHE, L’ispirazione e l’autorità, 43.
39 WARFIELD, Rivelazione e ispirazione, 104.
40 Ibid., 110.
41 Il suo fondamentalismo dell’ispirazione, specie per quel che concerne l’autorità della Bibbia intesa in senso forte,
emerge a chiare lettere in C. HODGE, Systematic Theology. I-III, New York 1899; reprinted London 1960.
verbali. Infatti 2Tm 3,16 fa parte dell’insieme più ampio di 3,10-4,5, sezione dalle tinte fortemente
polemiche in cui è retoricamente importante che l’autore insista sul carattere sacro delle Scritture, in
sede di difesa della fede cristiana dagli attacchi dei primi movimenti ereticali42. Inoltre lo stesso
utilizzo di un termine raro come qeo,pneustoj serve in definitiva per distinguere gli scritti profani da
quelli che hanno la loro origine in Dio, senza però che ne sia ricavabile alcuna teoria
dell’ispirazione. L’accento è posto solo sulla utilità della Scrittura, senza nessun altro addentellato
teologico43.
Anche 2Pt 1,20–21 e la sua nozione di autori “mossi dallo Spirito di Dio”, quasi che essi non
avessero nessuna altra possibilità di scelta, richiede di essere contestualizzata in maniera netta, pena
un uso surrettizio della Bibbia a sostegno di idee teologiche 44. I versetti in questione cadono, infatti,
all’interno di una sezione in cui l’autore, ormai prossimo alla fine, ribadisce la fondatezza della sua
testimonianza: non si tratta di favole inventate (σεσοφισμένοις μύθοις) ma di martyria oculare
(ἐπόπται). Addirittura superiore alle parole profetiche, di quegli uomini che parlarono da parte di
Dio mossi da Spirito Santo (ἀλλ᾽ὑπὸ πνεύματος ἁγίου φερόμενοι ἐλάλησαν ἅγιοι θεοῦ ἄνθρωποι).
Come si vede bene, l’autore della 2Pt pone l’accento ancor prima che sulle parole profetiche, sulla
testimonianza oculare di quanti erano sul monte ed udirono la voce celeste mentre diceva: «Questi è
il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». Di conseguenza, dedurre da 2Pt 1,21 tutta
una teoria dell’ispirazione significa chiedere troppo ad un versetto, importante sì, ma assolutamente
non rappresentativo della totalità dei problemi presenti sul tavolo della discussione teologica.
42 Un invito alla giusta considerazione del contesto in cui cade qeo,pneustoj in R. FABRIS, «In che senso la Sacra
Scrittura è testimonianza dell’ispirazione», in IZQUIERDO, Scrittura ispirata, 41-60. Per una critica sull’uso e l’abuso di
qeo,pneustoj nel contesto evangelico più conservatore cf. TREMBATH, Evangelical Theories, 5-6.
43 Su 2Tm 3,16 cf. G. DE VIRGILIO, Ispirazione ed efficacia della Scrittura in 2Tm 3,14- 17, “Rivista Biblica” XXXVIII
(1990), 485-494; A. M. ARTOLA, El momento de la inspiración en la constitución de la Escritura según 2Tm 3,16,
“Estudios Biblicos” LVII (1991), 61-82; J. P. MEIER, The Inspiration of Scripture: But What Counts as Scripture?
(2Tm 1,1-14; 3,14-17; cf. 1Tm 5,18), “Mid-Stream” XXXVIII (1999) 1-2, 71-78; Y.-M. BLANCHARD, “Toute Écriture
est inspirée” (2Tm 3,16). Le problematiques de la canonisation et de l’inspiration, avec leurs enjeux respectifs,
“Recherches de Science Religieuse” XCIII (2005), 497-515.
44 Su 2Pt 1,20-21 cf. G.M. PERELLA, La nozione dell’ispirazione scritturale secondo i primi documenti cristiani,
“Angelicum” XX (1943), 32-52; E. BAASLAND, 2 Peters brev og urkristeling profeti. An Exegese av 2 Pet 1,12-21, 2
Peter and Early Christian Prophecy. An Exegesis of 2 Pet 1:12-21, “Tidsskrift for Teologi og Kirke” LIII (1982), 19-
35; T. S. CAULLEY, The Idea of Inspiration in 2Peter 1:16-21, Mohr, Tübingen 1983; D. E. HIEBERT, Selected Studies
from 2 Peter: Part 2: The Prophetic Foundation for the Christian Life: An exposition of 2 Peter 1:19-21, “Biblioteca
Sacra” CXLI (1984), 158-168.
destinatari. Si comprende allora come un altro modo di definire un simile approccio possa essere,
con Law, “non-verbal theories of inspiration”45.
Le sfumature dei sostenitori di questa particolare vision sull’ispirazione sono, poi, quanto mai
variegate. Ricordiamone soltanto alcune tra le più significative:
• Charles Gore (1853-1932), uno dei più influenti teologi anglicani del XIX secolo, afferma che Dio
si limiterebbe ad ispirare solo gli insegnamenti morali e spirituali, lasciando all’autore umano tutto
il resto46. Questo significa che parole, forme del discorso, contesti narrativi e discorsivi,
storicizzazioni sono di pertinenza esclusiva dell’agiografo.
• William Sanday (1843-1920, autore tra l’altro a fine 1800 di un celeberrimo e monumentale
commentario sulla Lettera ai Romani in collaborazione con Headlam47) sostiene in maniera
alquanto originale che l’ispirazione vada intesa come una sorta di “selezione”, secondo l’adagio
suggerito da Paolo in Rm 9,11 «in modo che la predeterminazione di Dio rimanesse secondo la sua
scelta», con la conseguenza che l’ispirazione consiste, in definitiva, nella scelta che Dio mette in
opera relativamente alla comunicazione delle sue decisioni48. Anche qui gli aspetti formali
appartengono alla libera scelta dello scrittore di turno, visto che l’unica preoccupazione di Dio
consiste nel fatto che le sue decisioni arrivino in maniera chiara al partner umano.
• Austin Farrer (1904-1968), una delle figure più importanti nell’anglicanesimo del secolo scorso,
propone una teoria estremamente affascinante che ebbe molto seguito in Inghilterra. Egli ritiene che
l’ispirazione divina riguardi principalmente il mondo delle immagini, intese però, in maniera più
precisa, come un entrare nella visione divina della realtà 49. Pertanto la Bibbia sortisce il suo effetto
ultimo quando consegna all’umanità il modo in cui Dio vede la nostra storia. Compito
dell’agiografo è trasmettere questo quadro sublime.
• William J. Abraham (1947-), uno dei maggiori teologi metodisti viventi, utilizza un bel paragone
nel momento in cui nota come l’atto dell’ispirazione non fa altro che riprodurre la dinamica
insegnante/studente, con l’insegnante/Dio che si consegna interamente e l’alunno/uomo che
recepisce secondo la propria abilità, temperamento e interesse, sulla base della ben nota formula
latina quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur (ciò che viene ricevuto in un soggetto è
ricevuto secondo la capacità della natura del ricevente)50.
• Altri teologi di riferimento per questo tipo di approccio che va attualmente per la maggiore in tutto
l’orizzonte della Riforma – quello meno confessionalizzato e maggiormente aperto ad un confronto
teologico ampio, e non solo chiuso nell’orizzonte strettamente evangelico – rispondono ai nomi di
51 A. H. STRONG, Philosophy and Religion, New York 1888; ID., Systematic Theology, Old Tappan, NJ 1907.
52 B. RAMM, Special Revelation and the Word of God, Eerdmans, Grand Rapids, MI 1961; ID., After Fundamentalism.
The Future of Evangelical Theology, HarperCollins, San Francisco 1982.
53 H. W. ROBINSON, Inspiration and Revelation in the Old Testament, Paperbacks, Oxford 1946; ID., Predicare la
Bibbia. Svolgimento e comunicazione di messaggi espositivi, Roma-Paris 1984; K. WILLHITE – S. M. GIBSON (eds.),
The big idea of biblical preaching: connecting the Bible to people. In Honor of Haddon W. Robinson , Eerdmans, Grand
Rapids, MI 1999.
54 La produzione di Barr è molto abbondante e tocca tanti settori degli studi scritturistici, dove rimane famoso per le sue
grandi capacità critiche che lo rendono una delle migliori menti in sede di pars destruens, un po’ meno per quel che
concerne la pars costruens. In ogni modo per l’ispirazione servono bene J. BARR, The Bible in the Modern World, SCM
Press, London 1973; ID., The Scope and Authority of the Bible, XPress, Philadelphia-London 1980; ID.,
Fundamentalism, SCM Press, London 1977; ID., Holy Scripture. Canon, Autority, Criticism, Oxford University Press,
Oxford 1983.
55 P. J. ACHTEMEIER, The Inspiration of Scripture, Hendrickson, Philadelphia, PA 1980.
56 La sua opera principale per il nostro tema rimane I. H. MARSHALL, Biblical Inspiration, Hodder & Stoughton,
London 1982). Si trovano però accenni alla sua teoria dell’ispirazione anche in ID., I believe in the historical Jesus,
Eerdmans, London 1977; ID., Beyond the Bible. Moving from Scripture to Theology, Eerdmans, Grand Rapids, MI
2004.
57 TREMBATH, Evangelical Theories.
58 Ibid., 5.
59 Cf. ID., «Response to Professor Helmut Gabel’s “Inspiration and Truth of the Writing…”», in L’interpretazione della
Bibbia nella Chiesa, 85-89.
60 Si veda, per esempio, F. WILFRED, Beyond Settled Foundations. The Journey of Indian Theology, Department of
Christian Studies, University of Madras, Madras 1993; J. KUTTIANIMATTATHIL, The Holy Spirit and World Religions
and the Meaning of God’s Revelation, “Vidajoti Journal Theology and Religion” LXIII (1999), 339-350; J. DUPUIS,
Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso (BTC 95), Queriniana, Brescia 1997; A. AMATO, “Ispirazione
biblica e “ispirazione” dei Libri Sacri delle altre religioni”, in IZQUIERDO, Scrittura ispirata, 167-190.