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PONTIFICIA UNIVERSITÀ SAN TOMMASO D'AQUINO IN URBE

FACOLTÀ DI FILOSOFIA

Mario Padovano OP

matr. : 13858

La veridicità della fede.


Breve introduzione alla teologia fondamentale e la sua dimensione di apologetica

Lavoro scritto per il corso:


Teologia fondamentale TI1303

Professor: Mauro Gagliardi

Roma 2022
INDICE

Introduzione………………………………………………………………………………………p.3

Capitolo I: oggetto e metodo della teologia fondamentale e la sua dimensione apologetica...p.4

Capitolo II: Dall’apologia all’apologetica alla Teologia fondamentale………………………p.11

Bibliografia………………………………………………………………………………………p.18
3

INTRODUZIONE:

Quando si sviluppa un tema, bisogna primariamente dire di cosa ci stiamo occupando, cosa stiamo
studiando. Ebbene in questo breve studio ci occupiamo di una scienza. L’ oggetto del nostro
articolo è la Teologia fondamentale nella sua intrinseca struttura, nella sua essenza, e nella sua
storia. I due approcci, l’uno teoretico.epistemologico e l’altro storico, sono necessariamente
interconnessi tra di loro. Un primo motivo di questa interconnessione è che se non so, almeno in
linea di principio, nominaliter, di cosa mi stia occupando non posso tracciarne nemmeno la storia.
In altri termini non potrei rispondere alla domanda: di cosa questa è la storia? D’altra parte,
approfondendo il discorso storico, si può più facilmente affinare la propria comprensione delle
stesse caratteristiche dell’ id quod che viene studiato, conoscendone meglio le relative evoluzioni o
relativi sviluppi, o più in generale i cambiamenti e i temi e le problematiche di volta in volta
trattati.Il nostro oggetto allora è proprio la Teologia fondamentale in quanto scienza.
Ebbene nel primo capitolo tratteremo dell’oggetto e del metodo della scienza in questione mentre
nel secondo cercheremo di tracciare le linee essenziali di quello sviluppo storico che ha portato non
solo ad approfondire i vari argomenti ma addirittura, in questo caso, alla nascita di una nuova
scienza teologica.
4
CAPITOLO I: Oggetto e metodo della Teologia fondamentale e la sua dimensione
apologetica1

Per stabilire se una attività umana è una scienza occorre individuarne l’oggetto ed il metodo.
Segu2endo R. Garrigou-Lagrange, il soggetto (objectum formale quod) di una scienza è ciò in base
al quale una res viene “speculata”3. Ad esempio il subjectum della metafisica è l’ens realis
(commune) studiato in quantum ens ( sub ratione entis) e il subjectum della Sacra Doctrina è Dio
studiato in quanto Dio (sub ratione Deitatis). Come si vede qui sopraggiunge altresì un’ altra
distinzione tra objectum formale quod (di cui abbiamo già parlato)e objectum formale quo, che è la
particolare luce sotto la quale un oggetto viene studiato.
In quanto Teo-logia la Teologia fondamentale ha per subjectum Dio e la sua opera salvifica ma non
in quanto (objectum formale quod) oggetto o contenuto della rivelazione stessa ma in quanto
rivelante e rivelato e cioè sotto l’aspetto della di Lui Rivelazione in quanto tale, trattando in special
modo dei loci theologici, ad lumen fidei et ex fide argomentando (objectum formale quo).
Padre Garrigou- Lagrange scrive:

«Theologia fundamentalis significat theologiam quae versatur circa fundamementa fidei scilicet...circa
Revelationem, quae est motivum formale fidei...vocatur etiam Theologia generalis prout versatur circa
revelatum in genere, ut revelatum, vel dogma in genere et non circa dogmata revelata in speciali» 4

In altri termini la Teologia fondamentale studia la Rivelazione divina in quanto rivelazione divina (e
cio’ che gli compete o è ad essa connessa in quanto tale) e quei luoghi della rivelazione che
costituiscono e il motivo formale della fede e i presupposti di tutta la Sacra Theologia, anche se la
fonte di tutta la teologia è la stessa Divina Rivelazione. Studiare la Rivelazione divina in quanto tale
significa studiare lo stesso Dio in quanto rivelante e rivelato in quanto tale (ossia: Dio rivelato in
quanto rivelato e cio’ che lo riguarda come revelata in quantum revelata).
Nello studio della Rivelazione divina in quanto tale la Teologia fondamentale studia lo stesso
metodo di tutta la Teologia stessa, prendendo le mosse dal rinvenimento e dalla definizione dei
cosiddetti loci theologici, dalla nozione di rivelazione stessa, della sua esistenza e della sua
possibilità, della fede in quanto risposta ad essa, dalla nozione di Mistero, da quella di Dogma, delle
fonti della Rivelazione, ecc.. E tuttavia oggetto proprio della Teologia fondamentale non è una
rivelazione qualsiasi o le condizioni di possibilità (logiche ed ontologiche) di una rivelazione
1 Per il titolo si è preso spunto da quello della stessa opera di Tanzella -Nitti, Teologia della credibilità.. La teologia
fondamentale in contesto scientifico e la sua dimenzione apologetica (Vol.I), Città nuova, Guidonia (Roma) 2015
2 R. Garrigou-Lagrange, De Revelatione, pp. 11-15
3 Si veda Nicola Porro, Appendice I, in Tommaso d’Aquino, Commenti a Boezio, Bompiani, Milano 2007, p. 475.
4 R.Garrigou-Lagrange, De Revelatione, p. 12
soprannaturale qualsiasi e dell’atto di fede che richiede: questo può benissimo essere studiato in
filosofia (ad esempio in: teologia naturale, epistemologia, logica della rivelazione e della fede 5,
ecc.).
Tuttavia alla teologia fondamentale non può bastare l’aver individuato il suo oggetto formale quod;
ne deve difendere l’esistenza e addirittura la possibilità, essendo la Rivelazione Divina una cosa non
immediatamente e direttamente evidente quoad nos. A questo punto si tratta di rinvenire, con
l’ausilio e l’uso delle stesse discipline filosofiche e anche storiche, le argomentazioni necessarie e
probanti contra inpugnates.
E’ così che una prima parte di questa disciplina verterà nella riduzione all’assurdo delle obiezioni
contro il suo stesso campo di studio. Questa prima parte è quella che comunemente si chiama
Apologetica. L’apologetica è la difesa (defensio) della Rivelazione divina in quanto tale, ossia della
sua esistenza, cosa che presuppone la difesa della sua possibilità stessa. Ora l’affermazione, o
posizione, di una divina rivelazione fa sistema con quella della sua perfetta credibilità e credentità.
Pertanto l’apologetica nella sua defensio intende provare la credibilità e veridicità della Rivelazione
divina studiata in generale dalla Teologia fondamentale. In questo modo, l’apologetica, come prima
parte della Teologia fondamentale, deve ricorrere, assumere, e utilizzare le stesse verità di ordine
naturale. In altri termini l’apologetica studia le stesse verità della filosofia, non in quanto principi e
cause dell’ens qua ens ma in quanto preambula fidei ossia rationes ad fidem. La filosofia infatti non
si cura di mostrare che le verità a cui perviene possano essere indirizzate ad accogliere una fede
religiosa e ad escluderne altre. E’ in virtù di tale lume direttivo che si distingue formalmente
l’apologetica da una più propria riflessione filosofica su Dio (Teologia naturale) e/o sull’anima
immortale (antropologia/psicologia filosofica). L’apologetica è ratio ad fidem ed anche se
presuppone la stessa ratio ante fidem non coincide con quest’ultima, che è identica alla filosofia. In
sintesi: la filosofia non studia Dio o altre verità, a cui pur giunge autonomamente, in quanto
preambula fidei, ossia non li studia sub diretione fidei, o alla luce della fede, al fine di provare di
codesta la credibilità e credentità (da credendum: obbligatorietà morale di credere). Insomma alla
filosofia in sé e per sé non interessa e non pertiene la difesa critica della fede e della Rivelazione
rivelata. Da ciò consegue che l’Apologetica presuppone un atto di fede già compiuto anche se non
prova la fede per la fede (attraverso i suoi contenuti, oggetti di stretta rivelazione, ossia i dogmi che
esprimono i Misteri) ma attraverso i motiva credibilitatis interpretati alla luce dei preambula fidei.
Del resto nemmeno il rinvenimento dei motiva credibilitatis per se considerati è né oggetto né
scopo della scienza filosofica, come non lo è strictu senso il rinvenimento di una rivelazione
soprannaturale storicamente avvenuta. L’apologetica inoltre rileva i motiva credibilitatis alla luce di

5 A tal proposito uno dei migliori studi sulla logica della testimonianza in un discorso prettamente gnoseologico è
quello che compie Antonio Livi. Ad esempio in Antonio Livi, La ricerca della verità. Dal senso comune alla
dialettica, pp. 289-318
uno studio anche storico e avvalendosi anche dell’apporto, sempre per la mediazione della filosofia,
delle altre scienze (scienze particolari e/o filosofie seconde). Sotto questo punto di vista abbastanza
stimolante e pertinente per le circostanze dottrinali attuali si rivela l’opera di un Tanzella -Nitti 6.
Ancora Garrigou- Lagrange scrive:

«objectum formale quod vel subjectum Apologeticae est Religio revelata sub ratione evidentis
credibilitatem […] Quodnam sit objectum formale quo, seu lumen Apologeticae – ex definitione nominali
et ex huiusce disciplinae apparet hoc lumen esse lumen naturalis rationis, sub directione fidei, ad ipsam
fidem rationabiliter defendenda[…] »7

L’apologetica trasforma dunque la naturale ratio ante fidem in vera e propria ratio ad fidem, sotto la
stessa guida, estrinseca per ora, della fede. Per fare Apologetica dunque si presuppone l’ atto di
fede, in quanto è detta fede che si vuol difendere, o meglio è di questa fede che se ne vuol difendere
l’assoluta credibilità e veridicità: presupporre ciò che si vuol difendere è logicamente pertinente alla
nozione stessa di “difesa”. Se non ammettessi quanto voglio difendere non ci sarebbe alcuna difesa
ad esso relativa.
Un’altra differenza importante, per distinguere (ma non separare) filosofia e apologetica come
prima parte della Teologia fondamentale, è che le verità metafisiche riguardanti Dio e/o l’anima
umana sono tra i principi e le cause dell’oggetto di studio della metafisica, l’ens qua ens, non ne
costituiscono l’oggetto ma piuttosto sono conclusioni a cui detta scienza giunge. Nella Teologia
fondamentale, e già nella sua prima parte apologetica, tali verità sono già in qualche modo oggetto
stesso di studio. In tal modo si capisce che, per evitare il circolo vizioso del probare idem per idem
in cui incorrerebbe la Sacra Teologia se volesse provare l’esistenza del suo oggetto a partine dalla
sua stessa ragione formale, l’uso della filosofia da parte della teologia fondamentale e specialmente
della apologetica, non è analogo a quello di una scienza seconda che richiede la sua ultima
fondazione alla scienza prima, piuttosto, al contrario è un utilizzo strumentale e non una ultima
fondazione. Nell’essere usata però la filosofia viene anche assunta dalla teologia. Detto ciò, è
chiaro anche che l’apologetica e la teologia fondamentale non si riducono ad un momento dialettico
di una scienza tutta naturale che assorbirebbe il mistero giungendo a negare la stessa Rivelazione
soprannaturale in quanto tale, rendendola impossibile metafisicamente ed inintelligibile (questo
accade ad esempio nell’ hegelismo e nella teologia della cosiddetta destra hegeliana e di quei
pensatori pur sedicenti cattolici che assumono i principi di base dell’immanentismo e che
conseguentemente commettono l’errore di identificare implicite/explicite la Teologia Sacra con una
vaga filosofia religiosa). Qui occorre poi distinguere l’apologetica anche dalla Sacra Teologia e

6 Tanzella-Nitti infatti ha composto una serie di volumi di Teologia fondamentale in contesto scientifico, editi da
Città nuova
7 R. Garrigou-Lagrange, De Revelatione, p. 14
dalla stessa parte positiva della Teologia fondamentale, che sono Né ratio ante fidem nè ratio ad
fidem ma ratio post fidem, ossia ragione illuminata dalla fede intrinsecamente e parte positiva
dell’intellectus fidei stesso.. E la distinzione è data ancora una volta dall’ objectum formale quo,
perché l’apologetica non argomenta ex fide ma ex ratione naturali anche se supponendo la fede per
coerenza materiale, sub diretione fidei et ad fidem defendendam (secondo la terminologia scolastica
e garrigou-lagrangiana). La Sacra Doctrina invece e la stessa Teologia fondamentale non solo
presuppongono la fede materialmente ma addirittura formalmente perché argomentano già ex
auctoritate Dei revelantis.
Ma come procede l’apologetica o come essa dovrebbe procedere al netto delle stesse tentate
revisioni della sua metodologia da parte di alcuni autori contemporanei?
Apologetica dell’evidenza e apologetica dell’immanenza. Il metodo classico dell’apologetica, intesa
come disciplina sistematica ed organica e non solo nei contenuti espressi di volta in volta trattati
però in maniera disarticolata ed occasionale, divenne tale a partire dal XVII secolo, come afferma
anche Dulles.8 Si basa sull’assunzione appunto delle verità filosofiche riguardanti l’esistenza e gli
attributi di Dio e quelle concernenti l’uomo ed il suo fine naturale, la filosofia della natura e la
possibilità metafisica dell’intervento diretto di Dio nella storia e nel mondo (possibilità di atti
creativi e santificativi). A questo punto in base ai motiva credibilitatis mostra la evidente credibilità
del Cristo e dei Vangeli (demonstratio christiana) e poi della permanenza dell’azione
soprannaturale di Dio nella Chiesa cattolica sempre attraverso i segni empiricamente rilevati
(demonstratio catholica). Il metodo classico è deduttivo-induttivo, storico e filosofico. Il metodo
classico è un metodo preferibilmente evidenzialista che predilige affidarsi ai segni esterni. La
differenza tra il metodo evidenzialista in uso nell’apologetica classica cattolica e una di quelle in
uso in quella protestante, è che i cattolici si rendono ben conto che tali segni vanno interpretati in
virtù della luce offerta dalla philosophia perennis. Tra i protestanti non si giunge ad un livello di
assolutezza ma ci si ferma a ragioni probabilistiche e collezioni di eventi che solo incertamente
possono essere interpretati come segni divini. Insomma l’evidenzialismo protestante non si eleva al
grado dell’ermeneutica dei fatti e non può spiegare nemmeno in qual modo ed in qual senso pur
parlano di segni per la ragione secondo cui lo stesso identificare una res o un evento come segno
suppone un lavoro di esegesi filosofica. Dunque è una proposta inficiata da intrinseca incoerenza
materiale. Altro metodo debole e per tale ragione non fondante è quello che Dulles stesso chiama
della dimostrazione cumulativa. Tale metodo assume una ipotesi che spiegherebbe soltanto meglio
rispetto ad altre ipotesi la serie convergente di molti segni. Tuttavia:1) partire da una premessa
ipotetica non ci eleva al livello di conoscenza certa per causas; 2) nessuno può esclude a priori, per
il problema della induzione scientifica, che in futuro non si possa avere una spiegazione o ipotesi

8 Si veda Dulles, Storia dell’apologetica, p. 375


migliore, il che rende tale metodologia insufficiente per lo scopo prefissato. Dunque la questione
del fondamento è spostata ma non risolta. Simile al metodo cumulativo è quello che Dulles chiama
“presupposizionale”: l’infondato pregiudizio protestantico circa la validità della ragione naturale
porta questo tipo di apologetica a partire dall’assunzione, che è dogmatica di fondo, che la
rivelazione biblica è vera e da questa premessa si vorrebbe concludere alla spiegazione coerente
della vita e della esperienza umana, mostrando che solo tale teoria è il modello di spiegazione della
realtà Qui possiamo notare che l’assunzione di partenza è una assunzione di ciò che si vuol
dimostrare (probare idem per idem) e che del resto il problema dell’apologetica è proprio mostrare
e dimostrare la perfetta credibilità del teste rivelante e della sua rivelazione. Inoltre come succede
con il metodo cumulativo e quello evidenzialistico anti-realistico ma pragmatistico ed empiristico
anche qui il tutto è inficiato da una accettazione seppur in vari casi surrettizia e latente del principio
di immanenza, che porta alla negazione in toto della capacità naturale umana di risalire a Dio a
partire dalle creature e ad altre verità preambulari della fede. Per quanto riguarda la cosiddetta
epistemologia riformata essa rifiuta in linea di principio il ricorso alla “prova” ma si affidano
calvinisticamente, come dice lo stesso Dulles, a testimonianze interne dell’anima cristiana da parte
dello Spirito Santo. Qui la questione irrisolta concerne il problema della discernibilità dell’origine e
della causa delle mozioni interiori e dunque della stessa presunta testimonianza spirituale. Come
posso sapere che è proprio Dio a testimoniare a favore della sua Rivelazione in interiore homine? E
poi perché allora ci deve essere ad un tempo la Rivelazione esteriore proposta non solo dalla Chiesa
cattolica ma dalle stesse chiese riformate? Che senso avrebbe lo stesso Cristo Rivelatore in quanto
tale? Scompare qualsiasi oggettività. E dunque l’oggettività stessa presunta dei segni interni. Qui si
rivela che l’unica apologetica epistemologicamente valida, dal punto di vista della metodologia
assunta, è quella dell’evidenza. E l’evidenza non può che inerire all’oggetto anche se è qualità che
si forma nel soggetto conoscente, dando luogo alla certezza.
Tuttavia c’è un altro modo di utilizzare l’apologetica dell’immanenza senza assumere il principio
dell’immanenza gnoseologica e dell’appartenenza dell’esse al cognosceri (cogitari e/o percipi)9.
Questo modo è quello di considerare sempre lo stesso mondo interiore in quanto ens ed in quanto
oggetto di conoscenza ma anche in quanto campo in cui al pari del mondo esterno Dio agisce. I
segni che Dio può dare a favore della Rivelazione possono essere interni ed esterni ugualmente.
Eppure il metodo dell’evidenza è presupposto anche dall’apologetica dei segni interni perché è
necessario che tali segni stessi appaiano alla coscienza in tutta la loro evidenza non solo come fatti
ma come segni divini ossia come rimandi evidenti alla sola azione straordinaria di Dio nell’anima.

9 La critica insuperata al principio d’immanenza e appartenenza è stata condotta serratamente da Cornelio Fabro in
Introduzione all’immanentismo moderno. Lo stesso Fabro ha poi rilevato in molti teologi contemporanei
l’assunzione implicita di tale principio (il principio fondamentale del soggettivismo moderno e contemporaneo) tale
da invalidare qualsiasi tetntaivo di fare teologia in quanto tale e dunque di apologetica in quanto apologetica.
A tal punto potremmo noi gettare le basi per un nuovo approccio al problema.
Iniziamo a distinguere, cercando di chiarire la terminologia stessa, tra apologetica esternalistica ed
apologetica internalistica. La prima è quella classica, sostanzialmente, e si sviluppa attraverso la
rilevazione dei segni esterni e sensibilmente esperiti di credibilità; la seconda studia i segni di
credibilità esperiti nel proprio vissuto interiore. Ora questi due studi non sono in contrapposizione
tra di loro ma anzi sono complementari e possono benissimo essere compresenti. L’unico problema
da risolvere sarebbe quello di un eventuale primato dell’uno sull’altro o viceversa. Il principio
dell’et-et rivela ancora tutta la sua consistenza e validità ma richiama subito la gerarchia aletica tra
le diverse verità scoperte. Allora diciamo che l’apologetica dell’evidenza esternalistica ha primato
sull’apologetica dell’evidenza internalistica perchPè, antropologicamente, quoad nos, la nostra
conoscenza inizia con l’esperienza sensibile. Tuttavia ad un secondo momento i segni interni
possono essere di gran lunga più intensi e presenti di quelli esterni. Dunque la soluzione del
problema “apologetica dell’evidenza o apologetica dell’immanenza?” è risolto innanzitutto
distinguendo l’immanetismo gnoseologico dalla “metafisica” del mondo interiore, e mostrando che
il criterio dell’evidenza è il criterio fondamentale di ogni cognitio e quindi ogni scientia stessa.
Casomai era da discutere se il primato toccava all’apologetica dell’evidenza esternalistica o a quella
internalistica. Però in entrambi i casi trattasi di apologetica dell’evidenza, perché – ripetiamolo –
l’evidenza può inerire al mondo esteriore e al mondo interiore ugualmente. Nell’opera di Garrigou-
Lagrange sembra già esserci tale sintesi o compresenza di vedute in una sintesi superiore
comprensiva dei due momenti della nostra scienza.
Dopo di ciò è chiaro che l’apologetica comincia ad entrare nel vivo. E lo fa con la demonstratio
christiana e la demonstratio catholica.
Ora fatta questa discussione sullo statuto epistemico e la metodologia dell’apologetica quale prima
parte della Teologia fondamentale, pars defensiva o destruens, possiamo qualcosa sulla parte
positiva della Teologia fondamentale.
I temi della Teologia fondamentale cono Cristo in quanto rivelatore, la Chiesa in quanto rivelatrice,
Rivelazione soprannaturale, Mistero e dogma, fede in quanto risposta alla rivelazione e credibilità
in quanto caratteristica intrinseca della Rivelazione soprannaturale, i loci theologici come loci
revelationis (qui la differenza ad esempio circa lo studio della Sacra Scrittura rispetto alla Trinitaria
è che la Teologia fondamentale la studia proprio in quanto è fons revelationis, ossia sotto tale
aspetto e non altro). Il principio dell’et-et per quanto riguarda i loci theologici e il loro organizzato
ordine gerarchico è subito chiaro. C’è un primato della Sacra Scrittura e della Tradizione ossia del
depositum fidei che è oggetto materiale della nostra scienza studiato formalmente ut revelatum. Ma
fonti della Rivelazione è lo stesso Magistero della Santa Chiesa cattolica in quanto fonte
dell’ermeneutica stessa del dato rivelato e dei conseguenti sviluppi dogmatici. A tal punto è chiaro
che la Teologia fondamentale si occupa anche del rapporto tra il depositum e il suo sviluppo
omogeneo, così come più generalmente, alla luce della Rivelazione soprannaturale, e al fine di
giustificarla, del rapporto fede-ragione come fondativo per la stessa possibilità e validità epistemica
di essa. Si occupa di Cristo come pienezza della Rivelazione, della Chiesa come custode della
rivelazione e partecipe, in quanto suo corpo mistico, della missione rivelatrice del Cristo 10, degli
aspetti e dei fini stessi della divina rivelazione (come l’aspetto soteriologico) in quanto motivi e
ragioni della rivelazione stessa, dei rapporti stessi delle fonti della rivelazione tra di loro (ad
esempio il rapporto Scritture, Tradizione, Magistero),del tema della comunità e della risposta
personale della fede, delle distinzioni dei diversi aspetti dell’atto di fede in quanto risposta al Dio
rivelante ed in genere dei rapporti tra Rivelazione, fede e credibilità 11.
Citando ancora Garrigou – Lagrange, diciamo in sintesi:

«Hic tractatus de Locis theologicis est quasi ad s. Theologiam introductio, quae saepe vocatur theologian
fundamentalis vel generalis, sed antequam tractetur de auctoritate fontium revelationis, scilicet sacrae
Scripturae et Traditionis quae per Ecclesiam catholicam conservantur et explicantur, agendum est de
possibilitate et existentia revelationis divinae ac de signis divinae missione Ecclesiae ad revelationem
hominibus proponendam»12

E tuttavia, concludendo questo primo capitolo, non sempre la Teologia fondamentale è stata una
disciplina esplicitamente studiata di per sé dagli autori cattolici. Anzi dobbiamo dire che
l’esplicitazione della Teologia fondamentale così come la conosciamo oggi è avvenuta solo dopo il
XIX secolo. E non si tratta nemmeno della storia di un’unica disciplina ma di una presa di coscienza
sempre più viva man mano che si sviluppavano nuove obiezioni e nuove risposte ai vari problemi
che ha portato da un approccio ad un altro ed un altro ancora nella determinazione di una disciplina
che ptrendesse a tema gli stessi fondamenti della fede in maniera organica e sistematica. Tale
organicità e sistematicità non era presente ad esempio nei primi apologisti mentre negli apologeti
del XVII-XVIII secolo prevaleva o era quasi esclusiva la dimensione (pars) difensiva della
Rivelatione sub ratione evidentis credibilitatis. Questo però non significa che gli altri punti, o
almeno alcuni di loro, che avrebbero poi fatto sistematicamente parte della trattazione teologico-
fondamentale futura non si potevano trovare qua e là trattati in ordine sparso. Ne sia esempio il
Trattato di Melchior Cano op De locis theologicis.
Passiamo così a compilare una seppur breve storia dell’impegno teologico teso al rilevamento dei
fondamenti e delle nozioni generali della stessa Sacra Theologia.

10 Notevoli, a tal proposito, gli spunti circa «Gesù Cristo , principio sintetico della fede e della teologia» nell’opera di
Mauro Gagliardi,La verità è sintetica. Teologia dogmatica cattolica, pp. 37-44
11 Si veda Ocariz – Blanco, Rivelazione fede e credibilità, cap. II, III,V,VIII,XIV
12 R. Garrigou – Lagrange, De Revelatione, p. 11
11
CAPITOLO II: Dalle apologie alla apologetica e alla Teologia fondamentale. Breve storia.

Come dicono anche Ocariz e Blanco13 la Teologia fondamentale nasce come «disciplina a sé» solo
tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Abbiamo visto che già Garrigou-Lagrange, ma con lui
anche altri autori tipo Gardeil, Guzmics, Brenner, Knoll, Ehrlich, ecc. 14, usavano il termine di
Teologia fonamentale per indicare il trattato De Revelatione. Alcuni la considerano erede
dell’apologetica dei XVI-XVII-XVIII secoli eppure non si tratta solo di sviluppo intrinseco ad una
scienza già data (l’apologetica nel caso specifico) ma anche di un ampliamento del campo di studio
dove la stessa disciplina apologetica dei secoli precedenti viene inglobata per un discorso più
ampio, riguardo al quale tale pars defensiva proprio in quanto defensiva e non in contrasto a ciò
assume esplicitamente anche il carattere espositivo e propositivo di ciò che difende 15: la evidenza
della credibilità e veridicità della rivelazione soprannaturale e la razionalità dell’atto di fede
corrispondente.
Senza troppi giri di parola diciamo che l’istanza difensiva è quella che è stata sempre più emergente
nel corso della storia della disciplina.
E’ stato il primo compito degli autori successivi all’era apostolica, Tuttavia richiami al dovere
apologetico vi si trovano già nei Vangeli. Il Cristo stesso afferma la necessità di osservare i segni di
manifesta credibilità e di manifesta origine divina di Se’ e della Sua Parola quando afferma ad
esempio:

«Ve l'ho detto, e non lo credete; le opere che faccio nel nome del Padre mio, sono quelle che testimoniano
di me»(Gv 10,25) oppure «Se non faccio le opere del Padre mio, non credetemi;ma se le faccio, anche se
non credete a me, credete alle opere, affinché sappiate e riconosciate che il Padre è in me e io sono nel
Padre» (Gv 10,37). Oppure nel discorso circa la guarigione del paralitico: «Ora, perché sappiate che il
Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati,ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il
tuo lettuccio e va' a casa tua» (Mc 2, 10-11). Senza dimenticare la più citata lettera di Pietro dove si dice:
«Pronti sempre a rendere ragione della speranza che è in voi » (1 Pt 3,15). Oppure tutta la logica della
testimonianza soggiacente nella lettera di Giovanni: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo
udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre
mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di
ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a
noi),quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in

13 Fernando Ocariz-Arturo Blanco, Rivelazione, fede, credibilità, p. 9


14 Si ricordano infatti: L.Guzmics, Theologia christiana fundamentalis, 1828; F. Brenner, Fundamentierung der
katholischen spekulativen Theologiae 1837; A.Knoll, Institutiones theologiae generealis seu fundamentalis 1852;
J.N. Ehrlich, Leitfaden fur Vorlesungen uber die allgemeine Einleitung in Teil der Fundamental – Theolohie, 1859
e Leitfadden fur Vorlesungen Offenbarung Gottes als Tatsache der Geschichtes, zweiter Teil der Fundamentakle
Theologie, 1860 e 1862, oltre a Apologetische Erganzungen zur Fundamental -Theologie nel 1863 e 1864)
15 Si veda: Fernando Ocariz – Arturo Blanco, op. cit., p. 211
comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi
scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta.» (1Gv, 1-4). O ancora, per finire, le stesse ultime parole del
Quarto Vangelo:«Questo è il discepolo che rende testimonianza su questi fatti e li ha scritti; e noi
sappiamo che la sua testimonianza è vera. » (Gv 21, 24).

Fu così che già a partire dal II secolo si diede vita ad opere in difesa del cristianesimo con autori
come San Giustino martire, Quadrato, Atenagora, san Teofilo, Aristide di Pella, Taziano il Siro,
Apollinare di Ierapoli, Melitone di Sardi, Tertulliano ed altri. In questi primi autori però la difesa
del cristianesimo si limita a rispondere ad accuse circostanziate e particolari ora relative a singoli
dogmi ora relative ai costumi o a singole pratiche dei cristiani senza però omettere la spiegazione
della rivelazione cristiana in relazione alla cultura dei diversi popoli e persone non cristiani
dell’epoca. Sono per lo più motivazioni contingenti a spingere tali autori a rispondere a coloro che
impugnavano il cristianesimo. Non c’è non solo una trattazione sistematica dei luoghi teologici e
delle nozioni e principi fondamentali della Sacra Teologia ma nemmeno la difesa generale della
razionalità della vera religio in quanto tale che sarà occupazione specifica dell’apologetica in
epoca moderna. In generale diciamo che come per la teologia in sé non si avverte né nel II secolo
nei in quelli immediatamente successivi, dunque per l’epoca patristica, la necessità della
sistematicità. Gli stessi autori alessandrini del III secolo, in primis Clemente Alessandrino, non
daranno luogo ad una trattazione sistematica né per quanto riguarda la Sacra Doctrina in tutta la sua
totalità né ad un suo specifico trattato come può essere quello apologetico e teologico-
fondamentale. Tuttavia dagli alessandrini è sviluppato positivamente l’insegnamente giustiniano sul
valore della filosofia per la stessa trattazione della fede. Tuttavia si giunge in generale a ritenere la
vera religio come la stessa vera philosophia venendo meno al compito del distinguere per unire,
secondo l’espressione maritainiana. Tale atteggiamento si riscontra nella patristica tout court
considerata, anche in Agostino. Per tali motivi storicamente si preferisce chiamare, da parte di
alcuni studiosi,questi autori come apologisti e non apologeti e le loro opere come apologie. Le
stesse opere di San Giustino martire16 in difesa del cristianesimo contro il paganesimo e il
giudaismo non superano il livello di difese occasionali su singoli punti di dottrina ( su singoli
articuli fidei) e di morale e costume dei cattolici. E pur se è già con il martire patrono dei filosofi
che inizia il vero confronto e contatto assumente del cristianesimo con la filosofia antica che
continuerà a svilupparsi in seguito con gli autori alessandrini e con i padri latini, in special modo
Sant’Ambrogio e Sant’Agostino, questo dialogo non giunge a quei punti di sistematicità e
organicità, a quella visione di insieme, come già detto, che avrà, seppur restando in fase ancora
embrionale, con la scolastica a partire dalle esperienze anselmiane ed abelardiane. Lo stesso Doctor

16 Si vedano ad esempio le due Apologie di San Giustino, dove grande importanza è data «alla buona moralità della
vita dei cristiani» (A.Dulles, Storia dell’apologetica,p.53) oppure al Dialogo con Trifone il giudeo.
gratiae si ferma quasi sempre a discutere su singoli temi apologetici senza formulare una
apologetica come tale, ossia come scienza dell’evidenza della credibilità della fede cattolica in
quanto tale e della sua assoluta veridicità17. Fa eccezione, in qualche modo, il De doctrina
christiana e il De vera religione, che restano però alquanto generici circa tutti gli aspetti della
scienza apologetica e teologico-fondamentale. Eppure Agostino ci ha lasciato un principio cardine
che fa da presupposto materiale alla legittimità e necessità in special modo della demonstratio
catholica:

«Si ergo invenires aliquem, qui Evangelio nondum credit, quid faceres dicenti tibi: Non credo? Ego vero
Evangelio non crederem, nisi me catholicae Ecclesiae commoveret auctoritas.»18

Sarà soprattutto l’opera di San Tommaso d’Aquino, il Dottore angelico, seguendo il nuovo metodo
scolastico che ebbe in Sant’Anselmo e Pietro Abelardo i suoi precursori 19, a chiarire e distinguere
meglio la filosofia e la teologia, la fede e la ragione, pur in una distinzione che non è separazione
ma si risolve in una unità comprensiva della più alta disciplina della regione naturale in quanto
ancillae theologiae. San Tommaso pur non avendo inventato lui la vera e propria disciplina della
Teologia fondamentale e nemmeno il trattato sistematico di apologetica, nondimeno ne getta le basi,
individuando e mostrando quei principi basilari da cui prendere le mosse, dimostrando “teoremi”
circa i fondamenti stessi della fede e assumendo le verità filosofiche all’interno della speculazione
teologica stessa in quanto scientia revelationis. Inoltre specialmente la sua Summa contra Gentiles20
si rivela essere nelle intenzioni una vera prima opera sistematica di difesa della fede cattolica contro
gli oppositori ed a vantaggio dell’intellectus fidei stesso dei credenti, anche se non vi si ritrova in
essa un trattato vero e proprio che prende per tema proprio gli stessi luoghi teologici e i fondamenti
della fede generaliter difesi. Non vi è ancora esplicitato il campo proprio dell’apologetica né della
più ampia Teologia fondamentale. Ma ciò non vuol dire che non vi siano contenuti realmente tali.
E’ che nell’opera di Tommaso tali discipline ancora non divengono trattati a se stanti, pur nella loro
appartenenza al “tutto” della teologia sistematica. Anche in Tommaso i dogmi vengono trattati e
difesi, possiamo dire, specialiter, ossia singolarmente presi. Eppure vi sono passi in cui l’Aquinate
getta quelli che saranno argomenti fondamentali per la stessa costituzione delle discipline da noi
prese in considerazione. L’Angelico ad esempio dice, riguardo al metodo argomentativo della Sacra
17 Si vedano ad esempio opere di apologia di Agostino che non superano il livello della disputa “occasionale” su
problemi e obiezioni particolari:Adversus Iudaeos tractatus ,Breviculus Collationis cum Donatistas ,Contra
Adimantum Manichaei discipulum liber unus ,Contra Adversarium Legis et Prophetarum libri duo , Contra Duas
Epistolas Pelagianorum libri ad Bonifacium quatuor ,Contra Faustum Manichaeum libri triginta tres ,Contra
Iulianum haeresis Pelagianae defensorem libri sex ,Contra Priscillianistas et Origenistas liber unus
18 Agostino d’Ippona, Contra epistolam Manichaei quam vocant fundamenti liber unus, 5,6
19 Ricordiamo di S.Anselmo d’Aosta, per la questione del nuovo metodo pre-scolastico, soprattutto il Cur Deus
homo? E di Pietro Abelardo il Sic et non e il Dialogus inter philosophum, judaeum et christianum, dove però il
Magister Palatinus ancora non fonda una vera e propria sistematica della filosofia ut ancilla theologiae.
20 Il titolo originale dell’opera è addirittura Liber de veritate catholicae fidei.
Teologia:

« sicut aliae scientiae non argumentantur ad sua principia probanda, sed ex principiis argumentantur ad
ostendendum alia in ipsis scientiis; ita haec doctrina non argumentatur ad sua principia probanda, quae
sunt articuli fidei; sed ex eis procedit ad aliquid aliud ostendendum; sicut apostolus, I ad Cor. XV, ex
resurrectione Christi argumentatur ad resurrectionem communem probandam. Sed tamen considerandum
est in scientiis philosophicis, quod inferiores scientiae nec probant sua principia, nec contra negantem
principia disputant, sed hoc relinquunt superiori scientiae, suprema vero inter eas, scilicet metaphysica,
disputat contra negantem sua principia, si adversarius aliquid concedit, si autem nihil concedit, non potest
cum eo disputare, potest tamen solvere rationes ipsius. Unde sacra Scriptura, cum non habeat superiorem,
disputat cum negante sua principia, argumentando quidem, si adversarius aliquid concedat eorum quae
per divinam revelationem habentur; sicut per auctoritates sacrae doctrinae disputamus contra haereticos,
et per unum articulum contra negantes alium. Si vero adversarius nihil credat eorum quae divinitus
revelantur, non remanet amplius via ad probandum articulos fidei per rationes, sed ad solvendum rationes,
si quas inducit, contra fidem. Cum enim fides infallibili veritati innitatur, impossibile autem sit de vero
demonstrari contrarium, manifestum est probationes quae contra fidem inducuntur, non esse
demonstrationes, sed solubilia argumenta.»21

oppure circa le verità filosofiche in quanto preambula fidei dei motivi di credibilità:

«fides non habet inquisitionem rationis naturalis demonstrantis id quod creditur. Habet tamen
inquisitionem quandam eorum per quae inducitur homo ad credendum, puta quia sunt dicta a Deo et
miraculis confirmata. »22

Dopo Tommaso d’Aquino, gli autori scolastici iniziarono a trattare più specificatamente alcune
questioni tra cui anche quelle teologico-fondamentali. Un caso di particolare interesse per
l’evoluzione che dalle apologie dei primi secoli ha portato alla migliore identificazione dell’oggetto
della Teologia fondamentale è stato anche il trattato De locis theologicis di Melchior Cano op (1509
-1560) in cui per la prima volta si stabilirono i luoghi in cui rinvenire i punti di partenza medesimi
per una autentica dimostrazione in teologia. E’ da questo momento in poi che, in ambito cattolico,
anche per rispondere alle eresie dei riformati e ai nuovi sviluppi della filosofia moderna che
recavano pregiudizi enormi (ed abnormi) circa lo stesso rapporto fede/ragione che sembrava essere
stata acquisito nei secoli precedenti, che si iniziarono a scrivere trattati sistematici ed organici di
scienza apologetica. Tra i più importanti voglio ricordare quelli di San Roberto Bellarmino,
Catechismo maggiore della Chiesa cattolica, e quello poderoso di Sant’Alfonbso Maria de’ Liguori
nel XVIII secolo, Verità della fede dove l’apologetica classica è sviluppata in tutti i suoi aspetti di
difesa e rinvenimento dei preambula fidei e di demonstratio christiana e demonstratio catholica e

21 S.Theol., Iª q. 1 a. 8 co.
22 Ibid., IIª-IIae q. 2 a. 1 ad 1
dove il Doctor zelantissimus mostra come tanto sprono abbiano avuto i vari defensores fidei a tale
opera di apologetica dalle stesse correnti della filosofia moderna immanentistica come il deismo o
addirittura l’ateismo. L’opera di Sant’Alfonso è così il modello che rappresenta tutta un’epoca di
apologetica che sarà alla base dell’apologetica nello stesso XIX secolo e inizio del XX secolo.
A proposito del XIX secolo dobbiamo dire che tra le varie attività, o presunte tali, di apologetica
cattolica iniziarono ben presto a comparire alcune che facevano del fideismo la loro dottrina di
fondo (fideismo condannato dal Concilio Vaticano I) o quelle, anche in ambito protestante che
assumevano l’immanentismo metafisico di stampo hegeliano. Oltre alla rinnovata scuola tomistica,
che dopo il 1814, cominciava a rimettersi in moto soprattutto spinta dal confronto con la filosofia
moderna, è bene ricordare che fu un filosofo o scrittore religioso di Danimarca, un paese protestante
dunque, a reagire fermamente ai nuovi sviluppi di quello che possiamo chiamare hegelismo
teologico o più in generale immanentismo teologico, anche se forse tale approccio era in molti casi
ancora implicito. Sto parlando di Soren Kierkegaard. Dulles ne parla nel suo libro Storia
dell’apologetica23 ma presentandolo ancora come un pensatore fideista che fa delle nozioni di
“assurdo” e “paradosso”, irrazionalmente intese, le nozioni essenziali della sua “teologia
fondamentale. In realtà seguendo la lezione fabriana, io stesso ho già scritto sulla ormai
improponibilità di questa lettura kierkegaardiana. In un mio articolo, Percorsi fabriani. Fede e
ragione nel pensiero di Kierkegaard, ho avuto modo di precisare che:

«Il concetto da chiarire in primis diventa allora proprio quello più notoriamente usato dal danese in
rapporto al tema della fede: quello, cioè, di «assurdo», di «paradosso». Dal confronto dei testi fatto da
Fabro specialmente nel saggio Foi et raison dans l’oeuvre de Kierkegaard, in Revue des sciences
philosophiques et théologiques, t. XXXII (1948), emerge con chiarezza che ciò che Kierkegaard
espressamente combatte è l’assorbimento idealista della Fede nella ragione e che quel che chiama assurdo
non va inteso nel senso di contraddizione logica ma in quello di salto esistenziale dovuto ad un contrasto,
o meglio ad una sproporzione, tra l’inafferrabilità dell’oggetto di fede in se stesso e le sole forze della
finita ragione umana, soprattutto nel caso in cui questa si illude addirittura di essere la misura stessa della

verità..»24

E che:

«in Kierkegaard, nota Fabro, la ragione ha un vasto campo di lavoro a partire da quel che si dice «giudizio
di credibilità» che «per lui, come per San Tommaso,… è opera della ragione che si accosta alla
fede…»[17]. È con questo giudizio infatti che riconosciamo i segni di autorità, fondamento della stessa
credibilità[18], ottenendo così il presupposto logico per compiere l’atto di fede: «Quando si dice» –
afferma Kierkegaard – «che la Fede si appoggia sull’autorità, e con ciò si crede di aver escluso il

23 A. Dulles, Storia dell’apologetica, pp. 237-241


24 M. Padovano, Percorsi fabriani: fede e ragione nel pensiero di Kierkegaard. Disponibile in www.academia.edu,
www.briciolefilosofiche.com, www.garrigou-lagrange.weelby.com.
momento dialettico, si è in errore. La dialettica della Fede comincia con la questione: “Come ora avviene
che ci si affida a questa autorità? C’è una ragione per sceglierla o è per puro caso?”. In quest’ipotesi
l’autorità non è autorità neppure per il credente, se egli sa che si tratta di un puro caso»[19]. Pertanto ha
ragione Fabro nel ritenere che anche per il danese va assolutamente affermata la possibilità e necessità
dell’apologetica, di quella che si definisce «ratio ante fidem et ad fidem». Tuttavia c’è apologetica e
apologetica. Il millantato fine apologetico della filosofia idealistica a partire da Cartesio, infatti, come già
abbiamo visto, è tradito ab origine in virtù del razionalismo di base e del principio d’immanenza su cui
detta filosofia si fonda, in quanto in essa la nozione stessa di «rivelazione divina» risulta a conti fatti
invalidata. »25

Dalla seconda metà dell’ ‘800 come dice A. Blanco nel cap. X del manuale scritto con Fernando
Ocariz, si assiste ad una sorta di «rinnovamento dell’apologetica». Autori come Ollé-Laprune senza
negare gli argomenti dell’apologetica classica propose per la prima volta di interessarsi
maggiormente al rapporto tra la dottrina cristiana e la perfezione della vita del credente. In questo
modo gettava le basi dell’apologetica dell’immanenza o forse meglio dire che nella sua opera
allargava soltanto gli orizzonti, o almeno ci tentava. Fu Maurice Blondel a intendere più
specificamente la nozione di “apologetica dell’immanenza” . Difatti allargare l’orizzonte dei motiva
credibilitatis anche ai segni interiori (alle mozioni, ecc.) non è di per sé immanentismo perché la
stessa vita interiore è realtà e il relativo studio presuppone la philosophia perennis e il realismo
metodico per usare una espressione gilsoniana. Nulla di contrario ed opposto alla metodologia
tradizionale. Fu con il modernismo ed il suo agnosticismo di fondo, condannato come primo errore,
dallo stesso San Pio X nella Pascendi, ad esasperare tale posizione teologico-fondamentale,
assumendo presupposti filosofici kantiani, positivistici, bergsoniani che non rendevano ragione
degli stessi sentimenti e mozioni interiori di natura religiosa e li rendvano indiscernibili ed
inintelligibili. Tale esasperazione coincide con la posizione esclusivistica della “apologia
dell’immanenza”. Esclusivismo a cui si perviene anche soltanto affermandone il primato:1) perché
al criterio dell’evidenza si preferisce quello della certezza soggettiva; 2) perché non si tiene conto
della vera metafisica dell’uomo la cui conoscenza inizia con l’esperienza sensibile anche se non
rimane a questo livello ma si erge fino al grado dell’ermeneutica metafisica dei fatti e “fenomeni”.
Nel corso del Novecento tale impostazione immanentistica, per altre vie forse, è stata raggiunta
anche da autori come Rahner26 (nella cui opera implicitamente scomparirebbe la stessa nozione di
“rivelazione soprannaturale” per l’identità tra l’uomo presso di sé e l’uomo come auto-
trascendenza, dove il Trascendente è appiattito all’immanente e dunque non avrebbe nulla di

25 M. Padovano, art. cit.


26 Si veda soprattutto K. Rahner, "Spirito nel mondo" (1939)
misterioso e soprarazionale da rivelare)27, Kung, ecc., e la risposta di uno stesso Ratzinger 28 e della
cosiddetta “opzione fondamentale” è del tutto insufficiente ed inconcludente per una certa tendenza
a concedere qualcosa di troppo al cosiddetto “pensiero debole”, specie se si intende sostituire al più
forte significato di “razionalità della fede” quello più “debolista” appunto di soffice “ragionevolezza
della fede. Oltre a questa storia di teologi, per concludere, lo stesso Magistero ecclesiastico ha
parlato in tal senso della Rivelazione, della fede cristiana e dei suoi fondamenti e del rapporto
fede/ragione che ne è alla base. Non solo la Fides et ratio di Giovanni Paolo II, ma già in particolar
modo il Concilio Vaticano I con la costituzione Dei Filius ed il Sillabo di Pio IX, San Pio X con la
Pascendi Dominici gregis ed il decreto Lamentabili da parte del Sant’Uffizio nel 1907, i vari
interventi dello stesso Pio XII come le encicliche Humani generis e Mystici corporis o i suoi
Discorsi alla Pontificia Accademia delle scienza, la Dei Verbum del Concilio Vaticano II, ecc. Ma
prima di tutto con i Simboli della fede in cui la prima parola è Credo. Allo stato attuale, infine, la
Teologia fondamentale, al di là della disputa tra le diverse correnti, è e resta la scienza della dei
fondamenti della fede e della teologia cattolica in quanto tali e della loro stessa veridicità.

17
27 Per una critica approfondita del pensiero del gesuita tedesco si veda : Cornelio Fabro, Lsvolta antropologica di
Karl Rahner e lo studio consequenziale di Mauro Gagliardi, La critica di Cornelio Fabro al pensiero filosofico di
Karl Rahner e alcune conseguenze teologiche Angelicum 94 (2017), 709-740. Il Gagliardi afferma: «Circa la conoscenza
di Dio, l’impostazione filosofica di Rahner produce in teologia il rigetto di una chiara distinzionetra conoiscenza naturale e
soprannaturale...se il pensiero rahneriano fosse portato all’estremo si potrebbe anche arrivare a dire che Dio esiste nel momento
in cui l’ uomo lo afferma ...dato che essere coincide con conoscere, essere conosciuto, o almeno poter essere conosciuto». In
questo modo la Teologia fondamentale stessa perderebbe tutto il suo senso perché non esisterebbe alcuna rivelazione
soprannaturale, o almeno sarebbe indiscernibile dalla conoscenza naturale di Dio. Addirittura Dio come orizzonte della
coscienza dell’uomo sarebbe ad un tempo il più noto non solo in se ma quoad nos il che rende insensata la stessa teologia
naturale e parlare di Dio è perfettamente equivalente che parlare dell’uomo, perché l’essere-presso di sé e essere
autotrascendente (fuori-di sé) coinciderebbero (anche se auto-contriddoriamente) e il fuori sarebbe il dentro, il metafisicamente
trascendente sarebbe lo stesso ontologicamente dello gnoseologicamente immanente.
28 Si veda J.Ratzinger, Introduzione al cristianesimo (1969)
BIBLIOGRAFIA
Antonio Livi, La ricerca della verità. Dal senso comune alla dialettica, Casa editrice Leonardo da
Vinci, Santa Marinella (Roma) 2005

Avery Dulles, Storia dell’Apologetica, Fede & Cultura, Verona 2010

Fernando Ocariz-Arturo Blanco, Rivelazione, fede e credibilità. Corso di Teologia fondamentale,


EDUSC, Roma 2001

Josef Neuner, sj – Jacques Dupuis, sj, La fede cristiana nei documenti della Chiesa cattolica, a cura
di Jacques Dupuis sj, Edizioni San Paolo, Torino 2002

Mario Padovano, Percorsi fabriani: fede e ragione nel pensiero di Kierkegaard. Disponibile in
www.academia.edu, www.briciolefilosofiche.com, www.garrigou-lagrange.weelby.com.

Mauro Gagliardi, La verità è sintetica. Teologia dogmatica cattolica, Cantagalli, Siena 2017

Mauro Gagliardi, La critica di Cornelio Fabro al pensiero filosofico di Karl Rahner e alcune
conseguenze teologiche, Angelicum 94 (2017), 709-740

Reginald Garrigou-Lagrange, De Revelatione, Libreria editrice religiosa F.Ferrari, Roma 1932

Tommaso d’Aquino, La somma teologica, ESD, Bologna 1995

Tommaso d’Aquino, Somma contro i Gentili, UTET, Torino2005

Tommaso d’Aquino, Commenti a Boezio, Bompiani, Milano 2007

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