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1 – La sostanza primordiale
Come abbiamo visto nel capitolo precedente (“Dal mito al logos”), la convinzione che l’universo sia dotato di
senso perché intriso di razionalità (= ordine = kòsmos = intelligibilità, e non caos…) porta i primi filosofi alla
ricerca di un principio (archè) costitutivo di tutte le cose.
Probabilmente condizionati dalla precedente tradizione poetica, e dalla fondamentale esperienza socio-
politica che si stava svolgendo sotto i loro occhi (la funzione unificatrice della legge nella polis
democratica), i primi filosofi avevano sviluppato una visione “monistica” della realtà; ovvero erano convinti
che alla base della multiforme e mutevole realtà naturale, empiricamente constatabile, vi fosse un unico
sostrato materiale che, in qualche modo, costituisse la sostanza di ogni cosa.
Infatti, come ci fa notare Nicola Abbagnano: “In Omero si trova per la prima volta il concetto di una legge
che dà unità al mondo umano: l’Odissea è tutta dominata dalla fede in una legge di giustizia, di cui gli dei
sono custodi e garanti, che determina nelle vicende umane un ordine provvidenziale per il quale il giusto
trionfa e l’ingiusto viene punito. Esiodo personifica tale legge nella dea Dìke (Giustizia), figlia di Zeus, che
siede accanto al padre e vigila affinché siano puniti gli uomini che commettono ingiustizia. L’infrazione di
questa legge appare nello stesso Esiodo come tracotanza (hybris), dovuta alla sfrenatezza delle passioni e
in generale a forze irrazionali… Il poeta tragico Eschilo (VI-V secolo a.C.) è, infine, il profeta religioso di
questa legge universale di giustizia, della quale la sua tragedia vuole esprimere il trionfo”. 1
Così, come la poesia greca aveva giustificato “l’unità della legge al di sotto delle vicende
apparentemente disordinate e mutevoli della vita umana associata” 2, la riflessione dei primi filosofi ha
cercato di individuare nella natura quel principio unitario di ordine che i poeti avevano scoperto nel mondo
umano. Ma come è possibile spiegare la molteplicità e il divenire delle cose se (dato il “monismo”) la
materia di cui esse sono costituite è unica? La soluzione sta nell’ilozoismo comune ai primi filosofi greci,
consistente nell’ipotizzare all’interno della materia primordiale una forza che, agendo secondo una legge,
presiede a tutte le trasformazioni della materia stessa, spiegandone così il divenire e l’apparente molteplicità.
La caratteristica fondamentale della forza è di essere “immanente”, intinseca alla materia, in modo tale da
non dover ricorrere a spiegazioni “trascendenti” (di carattere mitico-teologico), tali da compromettere la
razionalità della spiegazione naturalistica. La Natura è spiegata solo attraverso la Natura, individuando in
essa un principio unitario di ordine e razionalità, senza ricorrere ad interventi esterni di natura divina o, in
qualche modo, soprannaturale.
PRINCIPIO
TRASCENDENTE
La Creazione di
Adamo, di
Michelangelo Bunarroti,
rappresenta il tipico
esempio di un principio
(Dio) che agisce
dall’esterno, e in modo
“arbitrario” (creazione
dal nulla), rispetto al
mondo e all’uomo di cui
è la causa e l’essenza.
1
Abbagnano-Fornero, La filosofia. Dalle origini ad Aristotele, Pearson Paravia Bruno Mondatori spa, 2009, pp. 18-19
2
Abbagnano-Fornero, La filosofia. Dalle origini ad Aristotele, op. cit., p. 19
PRINCIPIO
IMMANENTE
In sintesi, possiamo dire che il principio (arché) cercato dai primi filosofi è, al tempo stesso, materia, forza
che la anima e legge che la governa.
2 – I “presofisti”
La ricerca dell’arché coinvolgerà un gruppo di pensatori che, se pur con sfumature diverse, possiamo
definire “filosofi della natura” o “fisiologi” (da physis = natura).
Questi filosofi sono chiamati anche “presofisti”, poiché precedono cronologicamente quei filosofi, i Sofisti,
che (con Socrate) si occuperanno principalmente dell’uomo e della polis, ovvero dei problemi derivanti dalla
convivenza umana, con particolare riguardo alla problematica dei valori.
Per la particolare prospettiva con cui affrontano il problema della natura, possiamo suddividere nel seguente
modo i filosofi “presofisti”:
- I filosofi ionici di Mileto: Talete, Anassimandro, Anassimene.
- Eraclito
- Pitagora e i pitagorici.
- I filosofi eleatici: Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso.
- I “fisici” pluralisti: Empedocle, Anassagora, Democrito.
Il primo pensatore di questa scuola filosofica, secondo le testimonianze, fu Talete, “ingegnoso nelle
tecniche” (secondo la definizione di Platone). Nato a Mileto, probabilmente intorno al 624 a.C., oltre a
essere considerato uno dei Sette Savi dell’antichità, la tradizione gli attribuisce gesta leggendarie:
l’esatta predizione di un’eclissi totale di sole (probabilmente quella del 28 maggio del 585 che interruppe una
battaglia tra Lidi e Medi); il calcolo della distanza delle navi in mare con un metodo che anticipava il teorema
di Pitagora; il calcolo dell’altezza delle piramidi egiziane attraverso la misura dell’ombra. Ingegnose furono
anche alcune applicazioni tecniche che egli fece del suo sapere teorico: avrebbe deviato il corso di un fiume
per permettere il passaggio dell’esercito di Creso e, in base a previsioni meteorologiche di un’annata
favorevole al raccolto di olive, si sarebbe arricchito facendo incetta di frantoi per poi rivenderli a prezzi di
monopolio.
Questi episodi leggendari sono sintomatici di un atteggiamento completamente nuovo, improntato a
“razionalità” e “dominio”, nei confronti della natura, un atteggiamento che non ha uguali nel mondo
contemporaneo a Talete. Egli rappresenta una svolta nella storia del pensiero, incarnando in modo
emblematico l’origine di tutta la successiva cultura filosofica e scientifica occidentale.
Di ciò parve consapevole lo stesso Aristotele quando, nella Metafisica, ricostruisce la ricerca che i primi
“fisici” fecero del principio di tutte le cose o arché:
<<Ci dev’essere una qualche sostanza, o una più di una, da cui le altre cose vengono all’esistenza, mentre essa permane.
Ma riguardo al numero e alla forma di tale principio non dicono tutti lo stesso: Talete, il fondatore di tale forma di
filosofia, dice che è l’acqua (e perciò sosteneva che anche la terra è sull’acqua): egli ha tratto forse tale supposizione
vedendo che il nutrimento di tutte le cose è umido, che il caldo stesso deriva da questa e di questa vive (e ciò da cui le
cose derivano è il loro principio): di qui, dunque egli ha tratto tale supposizione e dal fatto che i semi di tutte le cose
hanno natura umida – e l’acqua è il principio naturale delle cose umide. Ci sono alcuni secondo i quali anche gli
antichissimi, molto anteriori all’attuale generazione e che per primi teologizzarono, ebbero le stesse idee sulla natura:
infatti cantarono che Oceano e Tetide sono gli autori della generazione [delle cose]… Se dunque questa visione della
natura sia in verità antica e primitiva potrebbe essere dubbio, ma Talete senz’altro si dice che abbia descritto la prima
causa in questo modo>>3.
In questo brano della Metafisica Aristotele coglie l’essenza del mutamento di paradigma operato da Talete
nel pensiero occidentale: dalla divinizzazione antropomorfica dei grandi fenomeni della natura, alla
razionalizzazione (anche se ancora “ingenua”) dell’osservazione della natura.
Infatti, anche Omero, nell’Iliade, aveva in
qualche modo posto l’acqua a principio di
tutto, ma essa ci appariva nelle sembianze
divine e antropomorfe di Oceano e Teti,
progenitori degli dèi:
Dalla testimonianza di Aristotele non si evidenzia la forza immanente all’acqua che dovrebbe presiedere alle
sue trasformazioni, mentre la troviamo in un altro filosofo di Mileto, più giovane di Talete,
Anassimandro. Nato probabilmente nel 610 a.C., fu il primo autore di scritti filosofici in Grecia, prese
parte attivamente alla vita politica della città, occupandosi sia di problemi teorici (studiò l’intera gamma delle
scienze naturali allora esistenti), sia di problemi pratici (la fondazione di una colonia). E’ significativo il fatto
che, essendo Mileto una polis marinara, aperta agli scambi commerciali e alla creazione di colonie,
Anassimandro elaborò la prima carta geografica del mondo che si conosca.
Per quanto riguarda l’arché, questo filosofo non individua il principio in una sostanza empirica come l’acqua
(di Talete) o l’aria (del successore Anassimene), bensì in un concetto astratto, l’apeiron, che,
etimologicamente, corrisponde ad una materia indeterminata, indefinita e infinita. Da questa massa
indifferenziata primordiale, attraverso un processo di determinazioni successive si sono formati gli elementi
(acqua, aria, terra , fuoco) e le cose di cui è costituito il mondo della nostra esperienza quotidiana.
Secondo la testimonianza di Simplicio (l’antico commentatore di Aristotele):
<<Tra quanti affermano che [il principio] è uno, in movimento e infinito, Anassimandro, figlio di Prassiade, milesio,
successore e discepolo di Talete, ha detto che principio ed elemento degli esseri è l’infinito, avendo introdotto per primo
questo nome del principio. E dice che il principio non è né l’acqua né un altro dei cosiddetti elementi, ma un’altra
natura infinita, dalla quale tutti i cieli provengono e i mondi che in essi esistono: “da dove infatti gli esseri hanno
l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e
l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”…..
3
I Presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni e altri, Laterza, Bari, 1981, p. 90
4
Omero, Iliade, XIV, vv. 301-303, trad. it. di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 1977, p. 495
E’ chiaro che, avendo osservato il reciproco mutamento dei quattro elementi, ritenne giusto di non porre nessuno come
sostrato, ma qualcos’altro oltre questi. Secondo lui, quindi, la nascita delle cose avviene non in seguito ad alterazione
dell’elemento, ma per distacco dei contrari [dall’infinito] a causa dell’eterno movimento>>5.
Dal brano di Simplicio ricaviamo, in primo luogo, l’informazione che Anassimandro fu il primo ad usare il
termine arché (principio) per indicare la sostanza primordiale.
In secondo luogo, dall’oscura citazione letterale della celebre frase di Anassimandro (che è quanto ci resta
della sua opera), intuiamo una visione ciclica del divenire cosmico: tutti gli esseri hanno origine
dall’apeiron e tutti, “secondo l’ordine del tempo”, si dissolveranno nell’apeiron, per poi rigenerarsi in un nuovo
ciclo cosmico.
In terzo luogo si fa accenno a quella che potrebbe essere la legge immanente all’apeiron che presiede alla
formazione di tutte le cose: il processo di separazione dei contrari. La sostanza infinita è animata da un
eterno movimento, in virtù del quale si staccano da essa i contrari (caldo/freddo, asciutto/umido, ecc.) dai
quali si formano infiniti mondi che si succedono secondo un ciclo eterno.
Infine, troviamo la spiegazione della scelta del filosofo di non utilizzare come arché nessuno dei quattro
elementi sensibili (aria, acqua, terra, fuoco), ma di far ricorso al concetto di apeiron (dal greco: a-, “non”, e
péras, “limite”). Infatti, i quattro elementi sono palesemente soggetti alla reciproca trasformazione, ovvero ai
passaggi di stato fisico, per cui risultano poco adatti a fungere da principio eterno di tutte le cose. Come ci
testimonia l’esperienza quotidiana, e come teorizzerà più tardi il filosofo Eraclito, la vita è un continuo
susseguirsi di fenomeni contrari e diversi: se uno di essi si affermasse definitivamente rispetto agli altri,
cesserebbe la vita stessa, che è appunto divenire e trasformazione; ma ciò è assurdo, quindi bisogna
ammettere che nessun elemento particolare può essere principio di tutti gli altri.
Invece il concetto di apeiron, nella sua ambiguità semantica, o meglio, nella sua duplicità di significato
(infinito, illimitato, ma anche indefinito, indeterminato) può assurgere a fondamento di tutte le cose
determinate. Infatti, così come il triangolo rettangolo è una determinazione del concetto di triangolo, solo da
ciò che è massimamente indeterminato (indistinto, totalmente privo di attributi) possono nascere tutte le
determinazioni e le specificazioni; mentre ciò che è già determinato (come l’acqua, per esempio) presuppone
sempre qualcos’altro a partire da cui si determina, e solo questo qualcos’altro potrà fungere da principio! E’
per questo motivo che l’apeiron non va concepito come una miscela dei quattro elementi, ciascuno dei quali
conservi le proprie specifiche qualità, ma come una materia eterna e indistruttibile, in cui gli elementi non
sono ancora distinti, e che si distingueranno solo grazie alla legge della separazione dei contrari.
IMMANENTISMO E RAZIONALISMO
Anassimandro è anche l’ideatore di un’ipotesi generale sull’origine della vita sulla terra e, quindi, dell’uomo.
Dal fango riscaldato dal sole sarebbero sorte le primissime forme di vita, sviluppatesi successivamente in un
ambiente acquatico. Dalla trasformazione dei pesci, adattatisi a vivere sulla terra, sarebbero infine derivati gli
uomini. Questi, infatti, non potendo nutrirsi da sé, se fossero nati la prima volta come nascono ora,
sarebbero nati originariamente dentro i pesci e, solo dopo aver imparato a sopravvivere da soli, furono
gettati sulla terra, dove presero stabile dimora.
Il valore filosofico-scientifico di questa ingenua e fantasiosa ipotesi pre-darwiniana sta nell’atteggiamento
razionalistico per cui la natura viene spiegata solo attraverso la natura, quindi da un punto di vista
immanentistico, ovvero senza ricorrere all’intervento di divinità trascendenti soprannaturali.
Questo atteggiamento prosegue anche nell’ultimo dei grandi filosofi “fisici” di Mileto: Anassimene,
vissuto tra il 586 e il 525 a.C.
Di circa una generazione più giovane di Anassimandro, si occupò di meteorologia e astronomia e scrisse,
come il suo predecessore, un’opera in prosa, cui fu successivamente apposto il titolo Sulla natura, di cui ci è
rimasto un solo frammento. Da questo frammento, e da altre testimonianze (Plutarco, Ippolito), sappiamo
che per Anassimene l’arché è l’aria, chiamato anche soffio vitale (o pneuma):
<<Anassimene, figlio di Euristrato, milesio, fu amico di Anassimandro. Anch’egli dice che una è la sostanza che fa da
sostrato e infinita, come l’altro, ma non indeterminata come quello, bensì determinata – la chiama aria. L’aria differisce
nelle sostanze per rarefazione e condensazione. Attenuandosi diventa fuoco, condensandosi vento, e poi nuvola, e,
crescendo la condensazione, acqua e poi terra e poi pietre e il resto, poi, da queste. Anch’egli suppose eterno il
movimento mediante il quale si ha la trasformazione>>6 .
Come si può notare da questa testimonianza, e da altre simili, il processo di razionalizzazione e
l’osservazione della natura, nella scuola di Mileto, avevano raggiunto un alto grado di sviluppo: per spiegare
il modo di agire della materia prima (aria) si adducono cause puramente “fisiche”, osservabili e immanenti,
5
I Presocratici. Testimonianze e frammenti, cit. p. 98
6
I Presocratici. Testimonianze e frammenti, Tr. Di R. Laurenti, Laterza, Roma-Bari, 1986, vol. I, p. 109
come la condensazione e la rarefazione, evidentemente ricavate dai fondamentali passaggi di stato
dell’acqua.
L’aria o pneuma è anche il principio dell’anima nell’organismo umano che, paragonato all’organismo
dell’intero universo, fa interpretare anche quest’ultimo come un immenso animale che respira; tesi che avrà
una certa fortuna nella storia del pensiero, a partire da Platone.
L’aria, anche se può apparire come un ritorno ad un elemento determinato, probabilmente, nelle intenzioni di
Anassimene, doveva costituire un perfezionamento della teoria di Anassimandro che ipotizzava un eterno
movimento nell’arché, da cui si originavano tutte le cose per differenziazione. Ora l’aria, pur essendo una
sostanza determinata, è percettivamente indeterminata e possiede in sé un movimento (di
rarefazione/condensazione) cui corrispondono proprio i primi due opposti di Anassimandro, il caldo e il
freddo. Se ha lo svantaggio teoretico di essere già determinata, l’aria, ha però il vantaggio scientifico di
essere “fisicamente” osservabile, eliminando ulteriormente dalla natura qualsiasi ipotesi immaginaria o di
carattere mitico.
Questo processo di razionalizzazione delle spiegazioni naturalistiche lo troviamo, infine, anche nella
rielaborazione della carta della Terra di Anassimandro, ad opera di Ecateo di Mileto (550-480 a.C.) che
migliora e completa, con l’impiego di schemi geometrici, la carta del maestro. Nella mappa terrestre circolare
di Ecateo, con al centro proprio la città di Mileto in Asia minore, possiamo notare che il mitico titano Oceano
(“principio dei numi” in Omero) è diventato semplicemente l’anello d’acqua che circonda e chiude le terre
emerse.
Oceano, mosaico, Museo Archeologico di Antiochia, Turchia Ricostruzione della carta di Ecateo
4 – Eraclito
Due caratteristiche ricorrenti nell’idea di arché dei filosofi ionici erano l’eterno movimento della materia e la
generazione delle cose tramite opposizione: si pensi al processo di separazione dei contrari dall’apeiron,
secondo Anassimandro, e alla legge di condensazione/rarefazione dell’aria di Anassimene.
Eraclito di Efeso raccoglie e rielabora questi temi, legati alla problematica dell’arché, ad un maggior livello di
consapevolezza filosofica e da un punto di vista di aristocratica superiorità nei confronti della moltitudine dei
suoi contemporanei.
Infatti Eraclito, nato attorno al 540 a.C., da famiglia che, secondo tradizione, discendeva da antichi re,
avversò l’avvento della democrazia in Efeso, vivendo appartato e sdegnoso, fino a conquistarsi l’appellativo
di “solitario”. Egli espresse il suo pensiero con oracoli profondi, ma enigmatici, ispirati a quelli dell’Apollo di
Delfi, e per questo i contemporanei lo definirono anche “l’oscuro”.
La tradizione narra che, malato, si rifiutò di lasciarsi curare da medici profani; scese nell’ agorà di Efeso, si
coprì di sterco e morì divorato dai cani.
Significativo del modo di pensare di Eraclito è un oscuro frammento, riferito ad un enigma subito da Omero,
riportato da Giorgio Colli in La nascita della filosofia:
<<Rispetto alla conoscenza delle cose manifeste gli uomini vengono ingannati similmente a Omero, che fu il più
sapiente tra tutti quanti i Greci. Lo ingannarono infatti quei giovani che avevano schiacciato pidocchi, quando gli
dissero: “quello che abbiamo visto e preso, lo lasciamo; quello che non abbiamo visto né preso, lo portiamo”>>7.
Secondo la tradizione, l’enigma che Omero non riuscì a risolvere (e che, per lo scoramento, sarebbe stato
addirittura causa della sua morte) venne formulato da giovani pescatori che, non avendo pescato nulla, si
stavano spidocchiando.
E’ chiaro che la soluzione superficiale dell’enigma sta nei pidocchi che, “visti e presi” vengono lasciati,
mentre “non visti né presi” vengono portati con sé; ma Eraclito intravede nel celebre enigma uno strato più
profondo, un enigma nell’enigma, che richiede un’altra soluzione, diversa dai pidocchi.
10
I Presocratici. Testimonianze e frammenti, a cura di G. Giannantoni e altri, Laterza, Bari, 1981, pp. 194-216
11
I Presocratici. Testimonianze e frammenti, op. cit., pp. 194-216
12
I Presocratici. Testimonianze e frammenti, op. cit., pp. 194-215
13
I Presocratici. Testimonianze e frammenti, op. cit., pp. 194-216
cosa diventa il suo contrario, e in ciò è l’espressione visibile di quell’”armonia nascosta” in cui consiste il Dio
come unità degli opposti>>14.
Eraclito, infatti, identifica panteisticamente Dio con l’Universo, un Dio-Tutto, concepito come l’unità di tutti i
contrari:
<<Il dio è giorno-notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come < il fuoco >, quando si mescola ai
profumi e prende nome dall’aroma di ognuno di essi…
Per la divinità tutte le cose sono belle, buone e giuste; gli uomini invece alcune cose ritengono ingiuste ed altre giuste…
Non comprendono come, pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell’arco e della
lira>>15.
Ancora una volta ci rendiamo conto di come lo sguardo profondo del filosofo si discosti dal senso comune.
Infatti, mentre la moltitudine degli uomini ritengono ed auspicano che un opposto possa vivere senza l’altro
(ad esempio, il bene senza il male, la salute senza la malattia, la vita senza la morte...), la teoria del divenire
e la legge dell’unità dei contrari che la sottende, ci dimostrano quanto sia illusoria tale credenza.
Metaforicamente parlando, è come se gli uomini, per avere solo strade in discesa, eliminassero tutte le
salite, ottenendo come risultato un mondo piatto, immagine della quieta morte dell’universo.
È necessario quindi che gli uomini non si fermino a considerare i singoli aspetti della realtà, approvandoli o
respingendoli secondo il loro particolare tornaconto, ma che, elevandosi così una visione complessiva,
comprendano la complementarità di tutti i contrari.
14
Emanuele Severino, Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti, Vol. 1, Sansoni, Firenze, 1991, p. 43
15
I Presocratici. Testimonianze e frammenti, op. cit., pp. 194-216
tutte le generazioni o mutamenti dei fenomeni.
In ogni manifestazione fenomenica, anche se apparentemente irrazionale, è sempre presente lo stesso
Logos, comprendendo il quale si comprende l’essere, ovvero il divenire.
5 – Pitagora e il “pitagorismo”
Nato a Samo, un’isola della Ionia vicino alla costa tra Mileto ed Efeso, attorno al 570 a.C., Pitagora è un
filosofo per gran parte avvolto nel mistero. Legato, come Eraclito, alla tradizione aristocratico-sacerdotale,
nel 530 si trasferì a Crotone (nella Magna Grecia) per ostilità al governo del tiranno Policrate che conduceva
una politica avversa all’aristocrazia terriera.
A Crotone fondò una setta iniziatica di
Ispirazione mistico-religiosa che era, al tempo
stesso un centro di studi matematici (una
numerologia con valore metafisico e morale) e un
centro di potere politico ad indirizzo ultraconservatore
(ne è testimonianza la distruzione della democratica
Sibari, nel 510, voluta da Pitagora e giustificata come
Una sorta di “guerra santa” contro l’immoralità dei
sibariti). Attorno al 500 una rivolta democratica
cacciò i pitagorici da Crotone e Pitagora fuggì,
forse, a Metaponto dove, si narra, si lasciò morire
di fame nel tempio delle Muse.
Altri pitagorici fondarono nuove comunità, come
quelle di Archita a Taranto e di Filolao a Tebe,
dando vita al cosiddetto “secondo pitagorismo”;
ma, dai frammenti rimastici noi, come accadeva già
ad Aristotele (che nella Metafisica parla in generale
dei “cosiddetti pitagorici”) non siamo in grado di
distinguere nettamente i due periodi della scuola,
così come non sappiamo quasi nulla della dottrina
direttamente insegnata da Pitagora. Incertezze e mistero dovute a diverse ragioni: al fatto che probabilmente
Pitagora non scrisse nulla; alla religiosa segretezza che circondava la sua dottrine, che venivano tramandate
oralmente e non dovevano essere note all’esterno della setta; all’aura sacrale che ben presto, ancor vivo,
circondò la sua persona, attorno alla quale fiorirono numerose leggende.
La tesi che unanimemente gli viene attribuita (ma che, per la verità, è tipica anche dell’ orfismo) è quella
della metempsicosi, ovvero della trasmigrazione delle anime dopo la morte e della loro reincarnazione, fino
alla completa liberazione dai corpi ottenuta grazie alle pratiche purificatrici trasmesse da Pitagora. Egli
stesso si diceva discendente dal dio Apollo, attraverso successive reincarnazioni della sua anima!
La purificazione comportava diversi gradi spirituali dei quali faceva parte la “scienza” pitagorica del numero,
chiamata, secondo varie testimonianze, per la prima volta da Pitagora “filosofia”.
Fu Filolao (originario della Magna Grecia, fuggito in Grecia dopo la rivolta democratica del 454 a.C., attivo
in Tebe fino alla fine del V secolo, tra i primi pitagorici a mettere per iscritto le dottrine della setta) ad
elaborare in modo definitivo la suddetta teoria dei numeri - punti - figure geometriche, costruendo quello
che Mari Vegetti chiama il modello “cristallografico” della generazione dei corpi fisici a partire dall’unità 18.
Filolao giunse anche, coerentemente, a spiegare la differenza fra gli elementi naturali (aria, acqua, terra,
fuoco) con la diversa forma geometrica delle particelle di materia di cui sarebbero composti, una concezione
che ritroveremo ancora nella storia del pensiero filosofico e scientifico, a partire da Democrito, lo “scopritore”
degli atomi.
Si noti inoltre che, come era già accaduto per gli accordi musicali, ancora una volta vengono impiegati i primi
quattro numeri naturali, la cui somma dà il “sacro” numero dieci:
18
Vegetti-Alessio-Fabietti-Papi, Filosofie e società, Parte prima, Zanichelli, BO, 1981, p.42
<<Il dieci è <numero> perfetto; ed è conforme a ragione e a natura il fatto che noi Greci e gli altri uomini tutti, sempre,
nel trattare i numeri, ci incontriamo spontaneamente in esso. Perché esclusivamente sue sono molte proprietà del
numero perfetto; e molte altre proprietà esso possiede che, se non sono esclusivamente sue, tuttavia il numero perfetto
deve possedere… nel dieci sono compresi tutti i rapporti… ci sono inoltre i numeri lineari e quelli piani e quelli solidi,
perché l’uno è punto, il due è linea, il tre è triangolo, il quattro piramide: e questi son tutti primi, e principi di ciascun
numero dello stesso genere>>19.
Questa visione matematica delle
cose e della realtà in generale
entrerà a costituire un aspetto
importante della grande filosofia
di Platone e del successivo
neoplatonismo, fino a costituire
il fondamento metafisico della
moderna concezione della natura,
in particolare della fisica di Galileo,
sia per quanto riguarda il modo di
indagare i fenomeni (il cosiddetto
“metodo sperimentale”), sia per la
concezione della stessa struttura
geometrica della realtà.
Wassily Kandinsky,
Composition VIII (1923) –
Guggenheim Museum,
New York, USA
«La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico
l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne'
quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure
geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi
vanamente per un oscuro laberinto» [Galileo Galilei, Il Saggiatore, Cap. VI].
Lo stesso Kandinsky, nel descrivere i rapporti di forza e movimento che si stabiliscono tra figure
geometriche elementari (linee rette e curve, cerchi e semicerchi, angoli e triangoli, reticoli e scacchiere) e
alcuni colori puri, sembra alludere ad un possibile significato cosmico-teologico:
“il contatto dell'angolo acuto di un triangolo con un cerchio non ha minore effetto di quello del dito di Dio
con le dita di Adamo in Michelangelo” [Kandinsky, Spirituale nell'arte].
19
I Presocratici. Testimonianze e frammenti, op. cit., pp. 456-458
20
Aristotele, Metafisica, op. cit., p. 88
Filolao è stato quindi il primo pensatore che, oltre ad aver teorizzato la sfericità terrestre, non ha posto la
Terra al centro dell’universo, contrastando lo spontaneo geocentrismo dei suoi contemporanei e del senso
comune.
Attorno al fuoco centrale ruotavano quindi, da ovest a
est, dieci corpi celesti: l’Antiterra (il più vicino al
“focolare”), la Terra, la Luna, il Sole, Mercurio,
Venere, Marte, Giove, Saturno e il cielo delle stelle
fisse.
Oltre al moto di rivoluzione attorno al fuoco, un altro
membro della scuola pitagorica, Ecfanto di Siracusa,
riconobbe anche il moto di rotazione della Terra
intorno al proprio asse.
Nel III secolo a.C. l’aristotelico Aristarco di Samo,
collocando il Sole al posto del fuoco centrale,
trasformerà l’ipotesi pitagorica del movimento della
Terra in una vera e propria ipotesi eliocentrica; ma
nel contesto della dominante teoria geocentrica (che
dal II sec. d.C. prenderà il nome di teoria aristotelico-
tolemaica) la sua idea rivoluzionaria non avrà seguito.
Dovranno passare quasi due millenni perché
l’eliocentrismo venga ripreso dalla scienza europea, a
partire dalla “rivoluzione copernicana”.
Ricordandoci dell’importanza che ha avuto la musica nell’elaborazione della teoria pitagorica del numero
come arché, è interessante notare anche che gli astri, nel loro moto rotatorio, produrrebbero un suono
accordato secondo proporzioni perfette, generando un’armonia delle sfere celesti, non udibile dall’orecchio
umano poiché il suono è ininterrotto.
21
Aristotele, Metafisica, op. cit., p. 90
Come si può notare dal brano aristotelico, la coppia originaria degli opposti fondamentali (dispari = limite e
pari = illimitato) costituisce l’essenza e il criterio di interpretazione di tutte le opposizioni della realtà.
Interpretazione che, se in alcuni casi ha una certa coerenza logica (ciò che è fermo e stabile è controllabile
rispetto a ciò che è mosso e instabile; la luce è un bene per la vista, mentre la tenebra non lo è, ecc.), in altri
casi funge solo da legittimazione ideologica di stereotipi sociali o convinzioni politiche: al maschio
(culturalmente dominante) viene attribuita perfezione, mentre alla femmina imperfezione; la destra, parte più
attiva del corpo per la maggioranza degli uomini, sarebbe un bene, mentre la sinistra un male; l’uno (l’unico
legislatore o i pochi aristocratici) costituirebbe un principio d’ordine, mentre il molteplice (come la moltitudine
del demos) sarebbe foriero di disordine e caos.
C
Se AB = 1 e BC = 1, per lo stesso teorema di Pitagora,
la diagonale AC (che è anche ipotenusa del triangolo ABC)
sarà 2 = 1,414213562…... all’infinito.
Questo significa che alcune grandezze geometriche,
rapportate tra loro danno come risultato un numero irrazionale.
A B
La scoperta dei numeri irrazionali (che vanno all’infinito dopo la virgola), ovvero di numeri che esprimono
grandezze tra loro non commensurabili, per un sistema filosofico-teologico che si fondava sulla misurabilità
di tutta la realtà e, quindi, sulla finitudine e sull’ordine delle cose, rappresentava una sconfitta insanabile
poiché la contraddizione dimorava nelle stesse fondamenta del sistema.
Infatti la scoperta fu ritenuta così pericolosa da essere tenuta nascosta per parecchio tempo, finché non fu
svelata al di fuori della setta dal pitagorico Ippaso di Metaponto, che di conseguenza fu cacciato dalla
scuola. Sull’episodio fiorirono leggende, alcune delle quali narrano che i pitagorici eressero una tomba a
Ippaso, ancora in vita, come se fosse morto, e che Zeus stesso gli dette la morte, facendolo naufragare in
mezzo al mare.
I PRIMI FILOSOFI E LA
RICERCA DELL’ARCHÉ
PAROLE CHIAVE
Ápeiron: etimologicamente “senza limiti”, ovvero indefinito, infinito, indeterminato. È il nome del principio
da cui tutte le cose derivano, per separazione dei contrari, secondo il filosofo Anassimandro.
Archè: “principio” costitutivo di tutte le cose che contiene in sé una “forza”, la quale, agendo secondo una
“legge” necessaria, presiede a tutte le trasformazioni nell’incessante divenire del mondo.
Aritmo-geometria: matematica pitagorica che non distingueva tra aritmetica e geometria, attribuendo ad
ogni unità numerica un punto geometrico che, a sua volta, veniva concepito come un punto materiale in
modo tale da formare la serie dei numeri in modo “geometrico”, attraverso la combinazione di unità concrete.
Dio-Tutto: unità di tutti i contrari: <<giorno-notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame…>>.
Divenire: incessante movimento e mutamento delle cose nel tempo (pànta réi = “tutto scorre”).
Fisiologi: “filosofi della natura” (dal greco physis = natura), come vengono chiamati i primi filosofi ionici,
per il particolare tipo di interessi mostrati e di ricerche da essi condotte.
Ilozoismo: dal greco hýle (materia) e zóon (vivente): concezione della materia come dotata di una forza
intrinseca che, agendo secondo una legge, presiede a tutte le trasformazioni della materia stessa,
spiegandone così il divenire e la molteplicità.
Metempsicosi: nell’orfismo e nel pitagorismo, significa la trasmigrazione delle anime dopo la morte e la
loro reincarnazione, fino alla completa liberazione dai corpi ottenuta grazie a pratiche purificatrici.
Monismo: dal greco mónos (unico): concezione del mondo per la quale alla base della multiforme e
mutevole realtà naturale, vi è un unico principio che, in qualche modo, costituisce la sostanza di ogni cosa.
Numeri irrazionali: numeri che esprimono il rapporto tra grandezze che tra loro non sono
commensurabili; ovvero grandezze per cui non è possibile trovare un numero finito di volte in cui l’una è
compresa nell’altra, dando come risultato un numero che, dopo la virgola, va avanti all’infinito.
Trascendente: si dice di un principio “esterno” a ciò di cui si parla, ma da cui la cosa stessa dipende.
Tipico esempio di un principio trascendente è il Dio della Bibbia che agisce dall’esterno, e in modo
“arbitrario” (creazione dal nulla), rispetto al mondo e all’uomo di cui è la causa e l’essenza.
I PRIMI FILOSOFI E LA
RICERCA DELL’ARCHÉ
BIBLIOGRAFIA UTILIZZATA
Abbagnano-Fornero, La filosofia. Dalle origini ad Aristotele, Pearson Paravia Bruno Mondatori spa,
2009
Omero, Iliade, XIV, trad. it. di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino 1977
Emanuele Severino, Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti, Vol. 1, Sansoni, Firenze, 1991