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Breviarium principii 291

Si pubblicano i contributi presentati e discussi nel IX “Incontro” promos-


so dal Giornale di Metafisica a Lecce sul tema “Metafisica e archè”.
Il convegno si è svolto nei giorni 5 e 6 novembre del 1991 con il patroci-
nio dell’Università di Lecce ed è stato organizzato da Mario Signore e dal
Dipartimento di Filosofia.
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Breviarium principii 293

Nunzio Incardona

BREVIARIUM PRINCIPII
prosènanchos archèten

Sussiste enigmatica nel recesso sempre futuribile della divisione


da tutti i tempi del tempo e della differenza sempre incoata da que-
sto stesso e dalla sua intrinsecazione a tutto quanto sta: ultimamen-
te e fin da principio;
immota nella contrazione identitaria del non essere posta a sé,
ma in sé posta ad altro e così non incontraddittoriamente ma con-
traddifferendo;
sé movente nell’involgimento delle sue segmentazioni che fissa
la dynamis a se stessa e libera ogni internamento pur sempre dia-
lektikòteron ma, appunto, per flessione discorsiva e non per atto
dialettico;
separata da un suo estremo all’altro suo non opposto estremo e
dunque come inanemente rastremata all’infinito nella durata im-
perscrutata e non percettibile dell’uscita perenne alla finitezza: e
pure, così, assoggettata alla proposizione costitutiva del disfacimen-
to dell’intero e alla pretesa del differimento come distanza ricosti-
tuita di ogni parte come totalità dell’intero diviso;
e ancora prosènanchos impedita a se stesso e, così, come divari-
cata e sbalzata archèten fino agli inferi aorgici del principio ancora
più oscuro e radicale perché contemporaneo alla solare vertigine
delle radici spiantate, pure non bruciate, dall’horror mentis;
e però impedita a se stessa e divaricata fino al primordio in ogni
modo: che è questo così indeterminatamente determinato e deter-
minatamente determinativo, segno sempre incoato della comples-
sione prosènanchos archèten, di quella stessa che non riesce nel-

Giornale di Metafisica - Nuova Serie - XVI (1994), pp. 293-298.


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l’uno che pure è non per sé ma per ciò che di questo stesso è segno
e di questo stesso è anche criterio di elementarità per la frammen-
tazione cosmica;
e in fine fin dall’inizio compiuta secondo la incompibilità ance-
strale dei compimenti dell’essere iniziato e dell’essere per questo fi-
nito;
per tutto questo interamente secondo una perenne inchoatio fi-
nis incommensurabilmente rastremata nel contrario che la possiede
nell’origine senza per questo svelare il principio o indurre l’essere
iniziato all’inizio e l’inizio a ogni inizio;
per tutto questo sussiste interamente definita nella sua totalità,
impatibile e però possibile nella elementarità della destinazione e
nella sua consecutiva privazione, la fondatezza di un traslato
ejxaivfnh" rinserrato in una vincolatezza aorgica nella quale un co-
minciare pur che sia adegua se stesso al conoscere qualcosa.
È questo senza se stesso nemmeno non determinatamente ma in
realtà sempre interminatamente, il primordio di ciò che per chori-
smòs risulterà atto: ma in quanto stante all’inizio di questo stesso
come la stessa stabilità di ciò che identifica sé stesso identificando
topos e chronos e identificando l’uno e l’altro nel loro essere come
medesimo e indiviso da questo essere come stare, inscioglibilmente,
prima e da tergo: così originando la indivisibilità di questo essere
come principio e fine dell’essere uno di topos e chronos; ma così,
anche, acuendo la svelatezza del traslato ejxaivfnh". In questo senso
la primordialità, a sua volta, interamente aorgica secondo la im-
patibilità di quella fondatezza, è essa stessa un risultare anticipato
all’atto che risulterà dopo, cioè in fine, la stessa ultimativa termina-
zione del primordio: il non essere di ogni inizio e il compimento di
ogni essere iniziato; e dunque, così, la privazione del primordio e la
primordialità di ogni negazione fino alla separazione del traslato da
se stesso e fino alla liberazione dell’ ejxaivfnh".
Ma la privazione del primordio, in realtà e secondo un che radi-
cato della verità che scioglie e risolve la verità nella veritatività e
dunque soltanto e ultimativamente nella svelatezza, non si rideter-
mina nella formalizzazione di una indeterminatezza che torna a sus-
sistere, rispetto alla privazione e rispetto al primordio, come pri-
mordialità non della negazione ma del conato della stessa in quan-
to sia tale, di questa, di una sua pluralità appunto indeterminata e
dunque non-determinante negazione, ma risulta a sua volta, come
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agita dalla costanza simultaneamente non negabile e non patibile


di privatibilità, in modo tale da costituire a inizio della negazione
pluralizzata negli elementi o, più propriamente, dichiarata posi-
tivamente nei suoi elementi costitutivi, la ricostituzione della strut-
tura diffusa e con-fusa del primordio come forma ancestrale di co-
noscenza del principio: come primordialità, appunto, per la quale
la destinazione a termine della sua stessa terminatività è propria-
mente la indeterminatezza della negazione come negata nella plu-
ralità di se stessa; capace, cioè, soltanto di terminatività rispetto alla
forma ancestrale di conoscenza del principio e consecutivamente,
per questo, patibile di determinatezza a termine di tutto quanto del
principio rimane a principio: la primordialità cioè come consecu-
zione del primordio e come risoluzione in sé di tutti gli elementi
aorgici della forma ancestrale di conoscenza del principio. In que-
sta infatti gli elementi costitutivi non sono ma risultano di volta
in volta inizio origine essere iniziato e comunque tali da essere
non per sé ma per e in quanto la complessione stessa della loro
destinazione prima che a se stessi, al loro compimento; che dun-
que così, alla fine, diventa, d’altra parte, la loro stessa in-finitez-
za: in questo la destinazione del termine che ne risolve ogni di-
versità, il principio cioè in quanto termine di conoscenza secon-
do la sua stessa forma ancestrale, è essa stessa impedimento po-
sto (secondo la radicatezza del che della verità o della svelatezza,
appunto, radicata) a principio o, più propriamente, anticipato as-
solutamente da tergo, alle spalle del non essere stesso del princi-
pio e dell’essere determinato di tutti gli elementi identificati della
sua forma ancestrale di conoscenza: l’inizio l’origine l’essere ini-
ziato, l’originazione fino alla fondatezza del dis-creto radicato che
rimane pur sempre il primordio nei confronti degli elementi con-
fusi che lo costituiscono.
D’altra parte si può già comprendere che la forma ancestrale di
conoscenza del principio in quanto sia e sia secondo il primordio, è
svelatamente, e dunque senza possibilità e senza necessità, simulta-
neamente la reciprocazione aorgica del dis-creto e del con-fuso in
quanto propri del primordio (e della sua notizia) nel di là da che lo
limita a sé e nel di qua da che (da questo stesso) lo capisce intera-
mente in sé: così determinando per assunzione, e dunque indif-
ferentemente ad ogni determinazione possibile o solo pre-destinata
come determinatezza, il dativo originario come es-posizione dis-cre-
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ta degli elementi con-fusi del primordio. E però anche secondo


questo modo abbreviato di ricevere per notizia ancestrale la con-
secuzione di potenza di questo dialektikòteron che restringe il pen-
sare (una sua prima inopinata e inopinabile apparizione) in un suo
atto infra-noumenico fino a un dinamismo dell’atto che lo muove
al contrario fino al dativo originario, la indeterminatezza di questa
reciprocazione ha termine nel non essere principio da parte del-
l’essere determinato che ne consegue: per cui ne consegue in veri-
tà, svelatamente, che la reciprocazione riguarda propriamente il
non avere principio-e-la determinazione fino ad un inveramento
finito di questo stesso per cui il non avere principio si ribalta sulla
determinazione in modo tale per cui essendo la determinazione a
non avere principio è l’essere stesso della determinazione-non aven-
te principio a divenire fino a tornare ad essere come essere determi-
nato, per una parte; e per l’altra è il principio in fine a non essere in
quanto avente della determinazione l’essere determinato!
In questo senso rimane annientato perché vero, svelato cioè com-
piutamente e senza residui, l’ejxaivfnh" del traslato la cui fondatezza
originaria risolve la propria stabilità nella hypotheticità di se stessa
in quanto in qualche modo, nei modi molteplici e pluralizzati che
stanno a principio dell’essere determinato e del non essere della
privazione, risulta opinatamente e opinabilmente ristabilita nel ter-
mine come teticità del fondamento o come fondamento dipenden-
te, e in questo senso, determinato, dalla caduta a inizio di sé della
stessa hypotheticità; ma questo stesso pregiudica assolutamente e
correlativamente allo svelamento dell’ ejxaivfnh", la stabilità della
fondatezza e la posizione del fondamento in quanto il dinami-
smo della reciprocazione che sta pur sempre all’origine, iden-
tifica il principio non come tale ma come termine al quale tende
incoativamente e a suo perenne inizio il fondamento stesso: che
è la linea di movimento più appropriato alla pluralizzazione di
una segmentazione che rende elementare ogni inizio fino a deter-
minarlo, surrettiziamente, come elemento del principio non in
quanto tale ma in quanto termine della stessa incoatività del fon-
damento.
Di più: l’annientamento dell’ ejxaivfnh", a parte la originazione
dell’essere determinato come per altra parte generato fino al tem-
po e ingenerato fino all’eterno, rende vero il traslato diviso dalla
propria fondatezza in quanto ne svela il costitutivo fondamentale
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come radice inclusiva e propriamente determinativa della tempora-


lità del tempo (scissa appunto per annientamento dell’ ejxaivfnh"
dall’ ejxaivfnh"): infatti in questo senso che è l’ultimo di tutti i sensi
così possibili, il traslato, fondato, è la continuità di un passaggio dal
determinato in quanto tale non essente, al conosciuto in quanto
tale essente questo stesso, che è propriamente ciò che prima di es-
sere come tale, passato, è pensato e per ciò determinato ad essere e
ad essere soltanto passato. E cioè: l’internamento del passato a se
stesso e ai suoi elementi non tollera interruzione se non e soltanto
per quella che ne svela la terminatività come ejxaivfnh" ; ma nel mo-
mento nel quale lo svelamento del traslato conosce come irriducibi-
le il fondamento e la sua incoatività fino alla potenza di insorgenza
dell’inizio verso il principio, questo stesso insedia nel punto limite
della vincolatezza degli elementi del traslato la interruzione fonda-
mentale per la quale capire questo conoscere e possederne la
vincolatezza fino a dominarne il termine di potenza della interru-
zione riconducendolo a principio e dunque all’atto in quanto inter-
rotto, è pensare assolutamente prima e attorno e differentemente
rispetto al limite del traslato e così ad ogni limite: quello stesso,
questo atto interrotto, che è, in questo senso soltanto, il che di meta-
fisico per il quale indifferentemente all’internamento vincolato e
vincolante: la metafisica. Non tutto quanto per epistème successiva-
mente e per filosofia consecutivamente è stato conosciuto come
metafisica a sua volta sciente della sua epistème e delle filosofie
conseguenti, ma quale è stato, così, del che di metafisico tutto quan-
to condeterminato, limitatamente a principio e a principio intera-
mente determinato fino a pensare e al pensare metafisica.
Questi lineamenti che disegnano appena i contorni di un’abbre-
viazione radicale che ha concetto nell’atto e termine nell’inizio di
ogni inizio, inscrivono, a glossa della pluralità sistematica delle de-
terminazioni e delle condeterminazioni destinate al principio (e
dunque alla determinazione della determinazione) il registro mai
svelabile di una glossa radicale del pensare che costringe ogni inizio
al principio fino all’inizio: secondo un breviarium principii, qui an-
cora correlativamente intonso, nei cui confronti metafisica è il di-
spiegato sempre tentativo chorismòs della infinitezza dei suoi mar-
gini (la physis e le cose) e la finita rastremazione di ogni orizzonte
di totalità.

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