Tutte le filosofie che si sono poste il problema della produzione della totalità lo hanno risolto in modo riflessivo. A
determinare una filosofia riflessiva non è l’oggetto, ma il come la filosofia raggiunga l’oggetto: il compito specifico
della filosofia è infatti giungere alla totalità, ma bisogna anche che ci si interroghi su come giungere a essa.
Dal momento che il problema del filosofo è quello della sua relazione con lo Spirito, il filosofo non può porre con il
proprio pensiero una “soggettività” (Fichte) o un assoluto (Schelling), perché questo “porre” è pur sempre un’attività
dell’intelletto, cioè riflessiva, e come tale genera divisione e non totalità.
La soluzione a questo problema sta nel fare in modo che il discorso sullo Spirito sia un discorso dello Spirito, vale a
dire che il discorso non deve essere un parlare del filosofo, ma uno svelarsi dello Spirito. Solo così la filosofia, cioè il
discorso che parla dello Spirito, ha una sua necessità, da cui tutte le altre discendono, infatti nulla è possibile se non in
quanto è.
Fenomenologia
(costruzione di un discorso dello Spirito su se stesso)
1
Tappe della Fenomenologia dello Spirito
1. Coscienza
a) certezza sensibile
b) percezione
c) intelletto
2. Autoscienza
a) dialettica di padrone-servo
b) stoicismo-scetticismo
c) coscienza infelice
3. Ragione
a) ragione osservativa
b) ragione pratica
c) rigorismo della virtù
4. Spirito
a) Spirito in sé
b) Spirito che si estrania da sé
c) Spirito che riacquista coscienza di sé
5. Religione
a) Religione naturale-orientale
b) religione greca
c) religione cristiana
6) Sapere assoluto
Ognuna delle tappe della Fenomenologia è costituita da differenti momenti o “figure”. Hegel mostra come la
“determinatezza” di ciascuna delle singole figure sia inadeguata e costringa pertanto a passare al proprio opposto;
quest’ultimo, pur superando il negativo del precedente, si mostra a sua volta ugualmente determinato, inadeguato,
contraddittorio, quindi da superare.
Hegel precisa che la molla di questa dialettica fenomenologica sta nell’ineguaglianza o dislivello tra la Coscienza e il
duo oggetto (che è il negativo) e nel superamento progressivo di questa ineguaglianza. Il momento culminante di
questo processo coincide con il momento in cui lo Spirito diventa oggetto a se stesso.
1. Coscienza. In questa tappa iniziale la Coscienza è intesa in senso gnoseologico, vale a dire come quella che guarda
e conosce il mondo come altro da sé e indipendente da sé. Essa si distingue in tre momenti successivi:
- certezza sensibile
- percezione
- intelletto.
Ciascuno dei tre momenti porta dialetticamente all’altro. Nel momento della sensazione il particolare appare come
verità, pertanto la conoscenza sensibile sembra essere la conoscenza più ricca per la quale non è dato trovare un
limite (assolutizzazione della figura fenomenologica), ma ben presto essa manifesta quella contraddizione che è
inevitabile quando si vuol rendere assoluto ciò che è invece relativo e provvisorio, infatti tutto quello che la conoscenza
sensibile fissa, dilegua continuamente per essere sostituito da altri dati. Anche nella “percezione”, che è il
superamento della suddetta contraddizione, si verifica, per opera di una nuova interna contraddizione, un movimento
dialettico. Nella percezione, infatti, vi è un contrasto tra l’unità delle cose e la molteplicità delle sue proprietà (ad es. il
sale è un’unità semplice e nello stesso tempo una molteplicità: bianco, cristallino, sapido, ecc...). Il superamento
dialettico di tale opposizione si ha con l’«intelletto», con il quale l’oggetto appare come un “fenomeno”, cioè come un
prodotto di forze e di leggi che sono proprie dell’intelletto. La coscienza dunque giunge a comprendere che l’oggetto
“dipende” da qualcos’altro, ossia dall’intelletto e dunque da se medesima (l’oggetto si risolve nel soggetto). In tal
modo la coscienza diventa “autocoscienza” (sapere di sé).
2. Autocoscienza.
Hegel presenta l’autocoscienza come un’attività eminentemente pratica e la serie dei suoi momenti come una serie di
sforzi pratici, storicamente circostanziati, per l’emancipazione della personalità umana. Il problema fondamentale
dell’autocoscienza consiste pertanto nel fatto che essa sa che gli oggetti dipendono da lei, ma non sente riconosciuto
tale dominio. Il primo momento dello sviluppo dialettico dell’autocoscienza è il desiderio, ossia quella tendenza ad
appropriarsi delle cose e a far dipendere tutto da sé. Nel suo slancio espansivo l’autocoscienza si incontra con gli
oggetti della natura animata che le fanno resistenza ed essa pone il proprio impegno a superare tale resistenza.
2
L’autocoscienza, o possiamo dire l’uomo, però, incontra anche altri uomini che resistono efficacemente al suo sforzo
espansivo e lo costringono a ripiegarsi. Questo momento è di capitale importanza, perché per mezzo di esso si effettua
lo sdoppiamento ed insieme il riconoscimento di sé nell’altro e dell’altro in sé. Tutto ciò si effettua non in modo
pacifico, ma attraverso una dura lotta per la vita. L’esito di tale lotta è l’assoggettamento del più debole da parte del
più forte. Si stabilisce, così, quella relazione servo-padrone che ha la sua concreta espressione nella società antica.
Il padrone, giovandosi del servo per soddisfare i suoi desideri, ottiene, oltre al soddisfacimento di questi, anche un
ascendente su un altro uomo. Il rapporto, però, gradualmente si inverte: il servo lavora secondo il volere del padrone
e a vantaggio di esso, tuttavia, lavorando, egli non solo forma le cose, ma forma anche se stesso ed acquista
coscienza del proprio valore.
A questa sua emancipazione crescente fa riscontro una crescente degradazione del apdrone che, vivendo del lavoro
altrui, si fa sempre più dipendente dal servo, tanto che alla fine il padrone si rivela come “servo del servo”, mentre il
servo come “padrone del padrone”. La lotta, dunque, si conclude con il trionfo della “libertà” attraverso la redenzione
del lavoro. La libertà che l’autocoscienza raggiunge nei confronti delle altre autocoscienze non è però completa, di qui
la necessità di passare al momento successivo dello Stoicismo-Scetticismo.
Lo Stoicismo rappresenta la libertà della coscienza, in quanto essa scopre che la libertà è del tutto indifferente alle
condizioni esteriori di vita, compresa la servitù. Lo Stoicismo trapassa dialetticamente nello Scetticismo, il quale
trasforma il distacco dal mondo in un atteggiamento di negazione del mondo. Ma lo scetticismo, negando tutto ciò che
la coscienza prendeva per certo, svuota l’autocoscienza e la porta all’autocontraddizione, infatti l’autocoscienza
scettica nega le cose che è costretta a fare (l’autocoscienza nega la validità delle percezioni, ma percepisce; nega la
validità del pensiero, ma pensa; nega i valori dell’agire morale, eppure li segue).
La suddetta contraddizione determina un nuovo momento fenomenologico, quello della coscienza infelice, in cui la
coscienza di sé appare come duplicata, sdoppiata. I due lati dello sdoppiamento sono l’aspetto immutabile e l’aspetto
mutevole; il primo è fatto coincidere con un Dio trascendente, il secondo con l’uomo. La coscienza infelice è il tratto
che, secondo Hegel, caratterizza soprattutto il Cristianesimo medievale. La ricerca del divino rende la coscienza
consapevole del carattere essenzialmente spirituale della propria natura, per cui essa si riconosce come Ragione, ossia
certezza di essere ogni realtà.
3. Ragione
La “ragione” nasce nel momento in cui la Coscienza acquisisce la “certezza di essere ogni realtà”. È questa la posizione
propria dell’Idealismo. Le tappe fenomenologiche della Ragione sono le progressive tappe dialettiche dell’acquisizione
dell’unità di pensare e di essere. La prima tappa, cioè quella della ragione che osserva la natura o ragione
osservativa, è costituita dalla scienza della natura, la quale si muove fin da principio sul piano della consapevolezza
che il mondo è penetrabile dalla ragione, ossia è razionale. Dall’osservazione dei fatti empirici e degli oggetti sensibili
la ragione osservativa trae i concetti e le leggi, distinguendo, raggruppando, astraendo e, dove l’osservazione non
basta, essa si serve dell’esperimento. I risultati che essa consegue, però, sono sempre meno soddisfacenti, infatti con
il fissare in concetti sempre più generali i dati sensibili osservati, il divenire si irrigidisce in una realtà permanente; in
altri termini, la ragione pretende di costituire una costante legalità di rapporti a cui la vita, però, si rifiuta di sottostare.
La ragione osservativa non riesce dunque ad adempiere al compito che si era proposto, pertanto essa si modifica in
ragione che agisce o ragione pratica, la cui attività consiste nell’iniziare a realizzarsi, dapprima, come individuo per
elevarsi, alfine, all’universale, superando i limiti dell’individualità e raggiungendo la superiore unione spirituale degli
individui. Le tappe di questo processo sono indicate da Hegel in tre figurazioni:
- faustismo (il momento in cui l’uomo ricerca la felicità nel piacere e nel godimento, come il primo faust; l’arbitrio
dell’individuo trova però un arresto nell’ordine oggettivo delle cose, che non gli permette di oltrepassare impunemente
il proprio limite);
- sentimentalismo (è il momento in cui l’uomo segue la legge del cuore individuale, come Rousseau. In questa fase,
però, si rivela un nuovo contrasto tra il sentimento individualistico e il mondo che, incurante dei desideri dei singoli,
segue la propria legge);
- rigorismo della virtù (è il momento in cui predominano la virtù e l’uomo di virtù, come l’ideale dell’«incorruttibile»
Robespierre. In questa fase, pertanto, attraverso la forza intransigente del moralismo, si vuole vincere il corso del
mondo per attuare il proprio ordinamento).
Ma né l’edonista, né il sentimentale, né il moralista riescono a vincere il corso del mondo. La soluzione del conflitto tra
l’individuo e il mondo, tra il soggetto e l’oggetto appartiene a una fase più alta dell’attività della Ragione, cioè a quella
che sintetizza l’opera della “ragione osservativa”, esploratrice del mondo oggettivo, e della “ragione attiva”, che
afferma il diritto dell’individualità. tale fase è lo Spirito.
4. Spirito
È definito da Hegel come “Io che Noi, Noi che è Io”, e ciò evidenzia la dimensione intersoggettiva, sociale dello Spirito.
Di conseguenza per tutto il corso delrestante itinerario fenomenologico, le “figure” diventano “figure di un mondo”,
tappe della storia, che ci mostrano lo Spirito “alienato nel tempo” e che attraverso questa alienazione si realizza e si
ritrova e, alla fine, si autoconosce. Le tappe sono
5. La Religione
3
Attraverso di essa si giunge alla meta, al Sapere Assoluto. La Religione può essere considerata come l’autocoscienza
dell’Assoluto, ma ancora non perfetta, ossia nelle forme della rappresentazione e non del concetto. In questa fase
hegel distingue tre tappe:
Nei dogmi fondamentali del Cristianesimo Hegel vede i concetti cardine della propria filosofia: l’Incarnazione, il regno
dello Spirito e la Trinità esprimono infatti il concetto di Spirito che si aliena per autopossedersi e che nel suo essere-
altro mantiene l’uguaglianza di sé con sé, operando la sintesi suprema degli opposti. Il superamento della forma di
conoscenza “rappresentativa” propria della religione porta, infine, al puro concetto, ossia alla fase del sapere
assoluto, che Hegel esporrà nella logica, nella filosofia della Natura e nella filosofia dello Spirito.
Appendix
RAGIONE
Il fallimento della ragione dipende dal fatto che essa ha cercato di realizzarsi come mera individualità (ora come
“piacere”, ora come “cuore”, ora come “virtù”), sì che il mondo si è mostrato solamente come una universalità
“opinata”.
SPIRITO
Rappresenta il momento dell’integrarsi della ragione dell’individuo nella vita di un popolo, nelle sue istituzioni politiche.
4
Scienza della logica
Mostrando come un tale sapere assoluto divenga possibile, la Fenomenologia, in un certo senso, lo fonda. Lo fonda
dal punto di vista della coscienza, in modo antropologico (perché la coscienza in questione è una dimensione
tipicamente umana) e in modo storico (perché quella coscienza rappresenta la memoria del passato e il potenziale
culturale dell’uomo). D’altra parte il sapere assoluto ha come ogni sapere i propri principi e una propria trama
concettuale. In questo senso, la sua fondazione più rigorosa sarà data dalla scienza di quei principi e di quelle trame,
ossia dalla scienza della sua interna “logica”. Ad essa è dedicata la Scienza della logica, articolata in tre libri, i quali
trattano rispettivamente
- la dottrina dell’essere;
- la dottrina dell’essenza;
- la dottrina del concetto.
Quello della logica è un sapere assoluto, cioè un sapere che intende costituirsi oltre la contrapposizione di soggettivo e
oggettivo, di pensiero ed essere. I principi di un tale sapere dovranno dunque valere tanto come principi del
conoscere, quanto come principi dell’essere ed essi dovranno essere cercati nel pensiero puro. Con questa
espressione Hegel vuole indicare un pensiero che non è ancora questa o quella maniera di pensare determinata,
vincolata a un determinato interesse per le cose e a un determinato ordine di fenomeni. Solo innalzandosi al di là di
tale pensiero, la riflessione può raggiungere quelle funzioni universali, condizioni preliminari a ogni atto particolare,
concreto del pensare e che costituiscono appunto i principi del sapere assoluto. Hegel sostiene che il “cominciamento
logico”, vale a dire ciò che può avviare l’analisi del pensiero puro, del pensiero inteso come condizione di possibilità del
pensare in generale, va ricercato nell’Essere. L’essere è infatti la disposizione originaria del pensiero,da cui tutte le
altre discendono, infatti nulla è possibile se non in quanto è. L’essere di cui parla Hegel è l’essere indeterminato, cosa
che lo fa, però, coincidere con il puro nulla.
L’essere e il nulla non sono elementi staccati, dei quali l’uno sussiste prima dell’altro e si converte nell’altro, ma
rappresentano soltanto due espressioni correlative dello stesso essere indeterminato. L’unità dell’essere e del non-
essere si determina, pertanto, come “divenire” (essere – non essere – divenire). Dopo aver spiegato il
“cominciamento”, Hegel prende in esame quelle che sono le determinazioni immediate dell’essere, cioè le forme più
elementari del pensiero, quali la qualità, la quantità, la misura.
Essenza
La logica dell’essenza procede a scavare in profondità, per trovare le radici dell’essere. Anzi, è l’essere stesso che si
ripiega e si approfondisce riflettendo su se stesso. In altre parole si potrebbe dire che la logica dell’essenza studia il
pensiero che vuol vedere che cosa c’è sotto la superficie dell’essere e arriva al fondo di esso. Attraverso le tre
categorie principali della riflessione, del fenomeno e della realtà in atto, Hegel studia le tappe nelle quali il fondo
dell’essere (l’essenza), prograssivamente prima pare, poi ap-pare, infine si manifesta pienamente. Si trovano in
questa parte della Logica le discussioni sui celebri principi di identità e di non-contraddizione di cui Aristotele aveva
fornito la prima trattazione. A tale proposito Hegel esamina le due coppie identità-differenza e diversità-
opposizione. L’identità non può mai darsi se non in unità con il suo contrario, la differenza.
Nessuna cosa è soltanto se stessa, o uguale a sé, senza essere contemporaneamente anche connessa con altre, cioè
con quello che essa non è. Ogni concetto è pertanto collegato al suo opposto in modo tale che ha verità (e quindi
realtà) non in sé soltanto, cioè preso isolatamente, bensì nell’unità di entrambi. Suddetta nozione di unità degli opposti
mette in discussione, secondo Hegel, il principio di non-contraddizione, che è il principio base dell’Intelletto, il quale è
da considerarsi come il potere che fissa i concetti e li oppone rigidamente, dando così luogo a un sistema che irretisce
la realtà.
Concetto
Hegel intende per concetto l’intero risultato del movimento logico fin qui raggiunto. Esso è ciò che si autocrea e
autocreandosi dà luogo a tutte le determinazioni logiche (la logica hegeliana del concetto è la logica condotta dal punto
di vista di quello che Kant aveva intravisto con il suo IO penso, già sviluppata da Fichte e qui non solo ulteriormente
approfondita, ma portata alle sue conseguenze estreme. Tutto viene visto, ora, come un autodispiegarsi dialettico del
Soggetto, che è tutta la realtà).
Poiché d’altra parte la parola “concetto” indica qualcosa in cui il pensiero si può pienamente riconoscere, dire della
realtà che è concetto significa semplicemente dire che una tale tematizzazione della realtà corrisponde a qualcosa in
cui il pensiero si ritrova come tale. Vuol dire che, pensando la realtà come totalità autocreatrice, io la penso in una
maniera che soddisfa le esigenze del pensiero: esigenze di autocomprensione, di coerenza e di legittimità. Nella stessa
prospettiva Hegel ha chiamato la realtà idea. L’idea è quel concetto della cosa che comprende (nel loro valore
universale) tutte le condizioni (particolari) di esistenza della cosa stessa.
Dal fatto che il mondo è dialetticamente razionale, Hegel conclude che esso deve essere la manifestazione di una
ragione dialettica o Logos o Assoluto impersonale ed infinito, fuori dello spazio e del tempo. Da questa Ragione
eterna o Assoluto scaturisce un sistema infinito di idee che procedono l’una dall’altra secondo un ritmo dialettico di
tesi, antitesi e sintesi in una successione non temporale, ma puramente logica. Il sistema infinito delle idee costituisce
una specie di piano architettonico sul quale il Logos modella tutta la storia del mondo.
Le idee, infatti, non sono che puri pensieri del Logos esprimenti la semplice possibilità logica delle cose, cioè la loro
razionalità o essenza. Ma una possibilità logica che rimanesse sempre tale dimostrerebbe di non essere veramente
5
possibile, per questo essa deve realizzarsi o, come dice Hegel, divenire altro da sé, cioè la sua antitesi, tramutandosi
da semplice essenza logica quale è in un oggetto che abbia esistenza reale (ciò che è razionale è reale).
Da quanto detto, risulta pertanto che ciò che esiste realmente non può essere irrazionale, in quanto gli oggetti
esistenti sono le stesse idee fattesi visibili, cioè che hanno assunto la forma di fenomeni che si svolgono nello spazio e
nel tempo (ciò che è reale è razionale). Questa negazione o antitesi dell’Idea è la Natura o Idea fuori di sé.
Anche la Natura, in virtù delle sue interne contraddizioni, si svolge nel sistema triadico della dialettica. tale sistema si
articola in
meccanica (Tesi)
Fisica (Antitesi)
Organica (Sintesi).
Molto importante è notare la contraddizione presente nella Natura, la quale esiste, ma è come se non esistesse in
quanto non è in grado di riconoscersi come esistente. A questo punto è pertanto necessario che l’Idea, dopo essersi
espressa nella Natura, ossia dopo essere uscita “fuori di sé”, ritorna in se stessa come pensiero concreto di sé. L’Idea
in sé (T) e l’Idea fuori di sé o Natura (A) sono dunque sintetizzate nello Spirito.
6
CARLO MARX
Per Marx i filosofi fino a questo momento hanno interpretato il mondo, ma ora devono CAMBIARLO. La filosofia,
pertanto, non deve limitarsi a riflettere la realtà, ma deve agire su di essa fino a rovesciarne il processo storico. Gli
uomini, con i loro bisogni, sono come li fa l'ambiente, ma poi, a loro volta, agiscono sull'ambiente stesso per
eliminarne gli ostacoli che impediscono la realizzazione dei loro bisogni. Di qui nasce quell'agire umano nella storia a
cui Marx dà il nome di PRAXIS CHE ROVESCIA e che rappresenta la molla della sua dialettica. Tutto ciò inoltre spiega
come la filosofia non debba più essere IDEA, ma AZIONE, non più pura contemplazione, ma LOTTA.
A tale proposito Marx sostiene che Hegel, nella sua filosofia, dà luogo ad uno svolgimento dialettico puramente
astratto, che ignora la realtà concreta dell'uomo. Hegel muove infatti dall'IDEA e cerca di ricavare da essa, come sue
manifestazioni empiriche, l'uomo e i prodotti della sua attività; in questo modo l'idea è soggetto e l'uomo concreto, con
i propri bisogni e le proprie attività, è il predicato. Il vero rapporto è invece per Marx quello inverso, per cui SOGGETTO
E' L'UOMO con le sue qualità ed attività e PREDICATO SONO I VARI RISULTATI COLLETTIVI.
Anche lo Stato non è che una oggettivazione dell'uomo e del popolo: non è infatti lo Stato che fa l'uomo e il popolo,
ma sono l'uomo e il popolo che fanno la società e lo stato. Marx sostiene inoltre che Hegel aveva tentato di dare una
giustificazione di razionalità assoluta a degli istituti e delle realtà che invece sono provvisori e vanno pertanto
modificati (Hegel aveva fatto dell'ordinamento dello stato prussiano un momento necessario ed essenziale dello
sviluppo dell'idea dello stato). Contrariamente ad Hegel e all'idealismo, che considerano il mondo come espressione
dell'Idea, Marx afferma che nella sua essenza la REALTA’ è MATERIA. La materia non è però intesa come la inerte
corporeità del materialismo, ma come NATURA IN CONTINUO SVOLGIMENTO E PROGRESSO, cioè come un'attività che
per virtù propria di continuo si sviluppa da una forma all'altra; si ha pertanto una sorta di MATERIALISMO DIALETTICO
che si esprime attraverso un ritmo di
Appunto perché mossa da tale dialettica la STORIA non è dominata da esigenze spirituali, ma appare condizionata da
elementi ECONOMICI ( mezzi di produzione, distribuzione delle ricchezze, rapporti tra le varie classi) che vengono da
Marx chiamati STRUTTURA del processo storico. Gli elementi economici formano pertanto la vera ossatura o "struttura"
del processo storico e caratterizzano l'ambiente sociale. Tale ambiente, così caratterizzato, dà luogo a sua volta a
determinate SOVRASTRUTTURE (dette anche "epifenomeni") che sono l'arte, la religione, la cultura ecc... e che
esercitano pure la loro influenza sul corso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano la forma in modo
preponderante. Il processo storico va dunque interpretato attraverso gli ELEMENTI ECONOMICI, che Marx definisce
MATERIALI e questo spiega come tale interpretazione economica assuma il nome di MATERIALISMO STORICO.
Una profonda analisi dei rapporti di produzione, del loro sviluppo storico e delle loro conseguenze politiche e sociali è
data da Marx nell'opera IL CAPITALE: esiste una profonda differenza tra la concezione economica di Marx e quella
dell'economia classica; tale differenza consiste nel fatto che per Marx non si tratta di studiare le leggi e i rapporti di
produzione della vita economica come se fossero leggi eterne ed immutabili, ma si tratta di domandarsi perché la vita
economica si sia di volta in volta configurata in un certo modo e quale sia l'esito INSITO NELLE SUE ATTUALI
CONTRADDIZIONI, al fine di poter incidere sul suo sviluppo. Ogni epoca storica ha prodotto in sé i germi della propria
dissoluzione: l'economia schiavista ha generato il feudalesimo da cui è stata uccisa; il feudalesimo ha prodotto la
BORGHESIA che doveva rovesciarlo. A sua volta la borghesia genera il PROLETARIATO che la soppianterà.
Lo schiavismo rese possibile l'incremento delle forze produttive, ma ad un certo punto cessò di essere remunerativo
perché non produsse più di quanto occorreva ai padroni per il mantenimento degli schiavi stessi. I proprietari
frazionarono allora la terra in tanti fondi che dettero in affitto ai coloni. In tal modo si passa gradualmente dalla società
schiavistica a quella feudale.
Successivamente, con la DIFFUSIONE ED IL PERFEZIONAMENTO DELLE MACCHINE, la produzione manifatturiera ed
artigianale si trasforma in produzione industriale. In tal modo la potenza economica capitalista cominciò a prevalere su
quella della grande e piccola proprietà di origine feudale. La nuova classe si avvalse del proprio potere economico per
conquistare anche quello politico.
Analizzando il modo in cui si è formato il CAPITALE dell'industriale, Marx sostiene che esso è costituito da un INSIEME
DI REDDITI GODUTI DAL CAPITALISTA A DANNO DEL LAVORATORE. Tutte le merci, per differenti che siano, hanno
una caratteristica comune: quella di essere prodotta dal lavoro umano. Ne consegue che il valore reale di qualsiasi
prodotto è rappresentato dalla QUANTITÀ DI LAVORO, cioè di ore lavorative, CHE ESSO RICHIEDE; di qui l'equazione
VALORE=LAVORO.
Quando il capitalista, mediante il SALARIO, si garantisce l'attività lavorativa di un operaio, ciò significa che l'operaio
vende la propria capacità di lavoro (detta anche FORZA-LAVORO) come se si trattasse di una merce. Proprio come
tutte le merci, anche la forza-lavoro ha un valore che equivale alla SOMMA NECESSARIA PER GARANTIRE
ALL'OPERAIO I MEZZI DI SOSTENTAMENTO. Questa somma necessaria è detta appunto SALARIO. La forza-lavoro
dell'operaio, acquistata dal capitalista con il salario, in realtà crea molto più valore di quanto ne richieda per il suo
sostentamento. La differenza fra il valore creato dalla forza-lavoro ed il salario che la stessa forza-lavoro costa al
capitalista, rimane di proprietà del capitalista e costituisce il PLUS-VALORE.
Anche il sistema economico borghese, come quelli che lo hanno preceduto, presenta delle contraddizioni che rendono
inevitabile la sua fine; tali contraddizioni sono
- contraddizione tra il carattere sociale della produzione e la proprietà privata dei mezzi di produzione
- contraddizione fra il debole potere d'acquisto delle masse e la sovrabbondante produzione. E' questa la causa,
inoltre, delle cosiddette CRISI ECONOMICHE RICORRENTI, dovute appunto ad un fenomeno di sovrapproduzione
rispetto alle capacità di assorbimento del mercato
7
- contraddizione del LAVORO ALIENATO, secondo la quale il lavoro con cui l'uomo modifica la natura ed entra in
relazione con gli altri uomini, invece di contribuire ad esprimere l'essenza dell'uomo stesso e a permettergli la
manifestazione di tutte le sue possibilità, costringe gli operai a negare se stessi.
L'operaio diventa estraneo nei confronti di ciò che produce, in quanto produce NON PER SODDISFARE I PROPRI
BISOGNI, ma per aumentare il capitale degli imprenditori. Avviene insomma anche nel campo del lavoro ciò che
avviene nella religione, cioè che l'oggetto prodotto dall'uomo rende schiavo l'uomo, ergendosi contro di lui. Nel caso
del lavoro, è la stessa maniera di organizzarlo che ne produce l'alienazione e che dà origine alla proprietà privata. Lo
sviluppo dell'economia capitalistica determina pertanto fatalmente la formazione e lo sviluppo del proletariato, della
classe lavoratrice, che acquista via via sempre una maggiore coscienza del suo essere, della sua potenza e delle sue
possibilità politiche rivoluzionarie (coscienza di classe). Il proletariato non si assoggetterà più con rassegnazione al suo
stato di necessità, ma reagirà per modificare la sua condizione attraverso la LOTTA DI CLASSE. Il risultato finale di tale
lotta sarà che il complesso dei mezzi di produzione passerà dalle mani della borghesia che lo detiene alla collettività
non più divisa in classi antagoniste: il capitale sarà "socializzato" dopo una rivoluzione sociale mondiale, diretta dai
proletari. Queste idee furono presentate come una PREVISIONE SCIENTIFICA, ricavata dalla conoscenza delle forze
economiche e sociali che operano nel sistema capitalistico. Il passaggio dal capitalismo al socialismo è determinato non
solo dalla formazione di una coscienza di classe del proletariato, ma anche dalla sua conseguente azione rivoluzionaria.
Attuata la rivoluzione sociale, il proletariato, per garantirsi da ogni tentativo rivoluzionario, dovrà per un certo tempo
instaurare una sua dittatura, DITTATURA DEL PROLETARIATO, per sancire definitivamente la fine di ogni distinzione di
classe.
CROCE
Tutta la realtà per Croce si risolve nello Spirito, che è pura attività. tale attività si svolge in due momenti, un
momento teoretico e un momento pratico. Ciascuno di questi momenti si sviluppa attraverso forme, cioè modi di
operare universali e costanti. tali forme sono:
- arte (attività conoscitiva volta alla conoscenza del particolare, cioè del bello;
- filosofia (attività conoscitiva volta alla conoscenza dell’universale, cioè del vero;
- economia (attività pratica volta al particolare, cioè all’utile;
- morale (attività pratica volta all’universale, cioè al bene).
Lo sviluppo dello Spirito consiste in un continuo passaggio dall’una all’altra delle quattro forme, vale a dire che i
risultati della forma conoscitiva possono essere motivo di azione pratica, come le azioni pratiche possono, a loro volta,
divenire motivo di attività conoscitiva. È questo il concetto crociano di “circolarità dello Spirito”.
Per Hegel lo sviluppo dello Spirito consiste in un movimento che, procedendo attraverso due termini opposti, supera
l’opposizione, operando la sintesi. Per Croce questo tipo di dialettica, cioè la “dialettica degli opposti”, è valida solo
all’interno di ogni singola forma dello Spirito (l’opposizione è possibile solo all’interno dell’arte o della filosofia, o
dell’economia, ma non è possibile ad esempio tra arte e morale, ecc...), ma non tra le diverse forme di esso, infatti
non è possibile affermare che un’opera d’arte è l’opposto di un’opera di filosofia, cioè che il bello è l’opposto del vero.
Questi termini non possono essere contrapposti, in quanto sono rigorosamente distinti. L’opposizione potrà esservi,
invece, all’interno di ciascuna forma o distinto; nell’arte, ad esempio, ci sarà opposizione tra bello e brutto e ciascuna
di queste opposizioni dovrà e potrà essere superata sempre all’interno della sua forma.
Arte
Costituisce la forma dell’attività intuitiva, per cui l’arte è intuizione ed espressione insieme del modo in cui sentiamo la
realtà. Per Croce, infatti, ogni vera intuizione è anche espressione, dal momento che ciò che non si oggettiva in
un’espressione non è intuizione, ma sensazione e naturalità. L’arte è il frutto di un atto contemplativo e quindi
teoretico che non si accompagna però ad alcuna attività intellettuale, ad alcun concetto, e non può pertanto essere
espressa in un giudizio logico. Dal momento che l’arte è intuizione, essa non può consistere in nessuna delle altre tre
forme, di qui l’autonomia dell’arte. L’arte, che è un distinto rispetto alle altre forme dello Spirito, ha contro di sé,
come suo opposto, la non-arte, il disvalore estetico, il brutto. Dal momento che l’arte è espressione dels entimento, la
non-arte, cioè il brutto, sarà mancanza di espressione.
Il Croce ha messo efficacemente in rilievo l’inconsistenza dell’opinione che colloca l’artista in una sfera diversa da
quella della comune umanità. Poiché l’attività intuitiva è un momento necessario nella circolarità dello Spirito, essa non
può essere in privilegio di pochi, pertanto tra il genio artistico e l’uomo comune ci sarà solo una differenza
quantitativa. Per quanto riguarda il problema della critica d’arte, Croce si oppone a quel tipo di critica che mira alla
ricostruzione della genesi dell’opera nel suo contesto sociale o nei suoi legami con la personalità dell’autore (critica
tipica del Positivismo). per Croce il critico, per giungere al giudizio sull’opera d’arte, deve passare attraverso vari stadi:
a) riproduzione in se stesso dell’opera, in quanto non è possibile giudicare una poesia considerandola solo come un
arido documento. È necessario che si riviva la poesia, che si aderisca ad essa: in ciò consiste la sensibilità.
b) giudizio: momento in cui i dati della sensibilità vengono universalizzati dalla categoria, vale a dire che ciò che è
sentito come bello è riconosciuto come bello. Croce, per primo, ha avuto coscienza del carattere filosofico della critica
e ha sentito l’inadeguatezza di una interpretazione affidata solo alla sensibilità e al gusto.
c) caratterizzazione: si riferisce al contenuto della poesia, al sentimento che questa ha espresso, sentimento che il
poeta ha ampliato e idealizzato e che il critico, invece, deve considerare nelle sue sembianze specifiche, riferendolo a
una classe o tipo psicologico (amore, dolore, ecc...).
8
Filosofia
Costituisce la forma dell’attività logica, che produce giudizi, Giudicare significa riferire un concetto, che funge da
predicato del giudizio, alla rappresentazione di un fatto determinato, che funge da soggetto del giudizio. Il concetto
dunque assume a suo contenuto la rappresentazione di un fatto reale, cioè ha per oggetto la storia. La filosofia è
infatti una continua opera di riflessione sulla storia; da ciò si può affermare che senza la storia la filosofia manca
dell’oggetto della propria conoscenza; senza però la filosofia, cioè senza giudizi con valore universale, la storia decade
nella cronaca, nell’esteriorità dei puri fatti. Con ciò Croce viene a contestare l’esistenza di una filosofia pura, cioè di
una filosofia che abbia per oggetto non i fati reali, ma una immaginaria realtà in sé, al di là del mondo in cui viviamo.
da quanto detto risulta che la filosofia non è l’opera di una ristretta cerchia di specialisti, ma è l’espressione della
razionalità umana. L’opposto della conoscenza filosofica, cioè del vero (il concetto, essendo universale e necessario, è
per definizione vero) è il falso, che è il prodotto di un atto diverso da quello conoscitivo.
Dal momento che oltre il conoscere non vi è che il fare, per Croce l’errore sarà azione che si atteggia, però, a pensiero
(coerentemente al principio che ogni attività dello spirito condiziona le altre ed è condizionata dalle altre, Croce ha
vigorosamente insistito sulla inutilità di una filosofia che non nasca dall’azione e che non serva all’azione).
Economia
L’attività economica è quella che si pone sempre e soltanto fini individuali e viene giudicata in termini di utile.
Questa attività pertanto comprende in primo luogo le azioni più o meno consapevoli con cui gli esseri viventi tendono a
soddisfare i propri bisogni (bisogni fisiologici); in secondo luogo i rapporti utilitari tra gli individui, per cui essi si
specializzano nelle varie forme di lavoro (agricoltura, industria, commercio, ecc...) e si scambiano i servizi, e infine
l’attività giuridica e l’attività politica.
All’attività economica appartiene anche la scienza, i cui concetti sono esclusi dalla logica e sono considerati degli
“pseudoconcetti”, cioè delle funzioni concettuali in cui la natura viene presentata come un mondo uniforme, costante,
senza storia. Gli pseudoconcetti possono essere sia dei concetti a cui manca il riferimento a un fatto particolare, sia
delle pure rappresentazioni senza concetti. I concetti privi di rappresentazione sono propri della matematica e vengono
da Croce chiamati “pseudoconcetti astratti”; le rappresentazioni prive di concetti sono, invece, proprie delle scienze
empiriche e vengono chiamate “pseudoconcetti empirici”. Gli uni e gli altri vengono adoperati per la loro utilità pratica.
Etica
È un’attività volta all’universale, cioè a un fine che trascende l’interesse particolare dell’individuo. Alla domanda che
cosa sia l’universale oggetto della volontà etica, Croce risponde che è lo Spirito: morale è così ogni atto che promuove
la vita dello Spirito, il suo progresso, che è sempre progresso della libertà. Il valore etico, il bene, ha il suo “opposto”
nel disvalore etico, nel male, che è assenza di volontà universale, quando tale volontà dovrebbe, invece, affermarsi.
L’atto immorale è l’atto utilitario che si sostituisce a quello morale. la volizione del particolare è da Croce denominata
desiderio. Il desiderio è dunque la radice di ogni male.
9
Momenti Forme Opposti
attività
teoretica
attività
pratica
10