* Gli autori da più di dieci anni discutono e leggono insieme i testi di Severino. Pur
essendo il testo pensato e rivisto a quattro mani, attribuiamo per fini accademici
l’introduzione e le pratiche numero uno e due a Sangiorgio e il commento e le pra-
tiche numero tre e quattro a Candiotto.
1 G. Brianese, “L’eterno che è qui”, in L. Taddio (a cura di), A lezione da Emanuele
Severino. La guerra e il mortale, Mimesis, Milano-Udine 2010, pp. 29-87, p. 73.
2 Così si esprime Socrate, per indicare la personalità di Parmenide, in: Platone, Te-
eteto, 184 a 1.
3 Per un’analisi più approfondita della formazione del giovane Severino e per una sin-
tesi generale del suo pensiero, si rinvia all’agevole e preciso studio: L. Messinese,
Né laico, né cattolico. Severino, la Chiesa, la filosofia, Edizioni Dedalo, Bari 2013.
344 Primum philosophari
4 Uno dei protagonisti di questa aspra critica all’Idealismo – che definiva il pensie-
ro come principio di produzione della realtà – è il maestro di Heidegger, Edmund
Husserl, del quale è bene ricordare almeno l’ultima importante opera: La crisi del-
le scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1936).
5 Dopo dieci anni di precoce insegnamento universitario (1954-64), Severino giun-
geva a sostenere – da pensatore ancora cattolico – una dimostrazione dell’eternità
del tutto che lo metteva in aperto contrasto con la dottrina cristiana della creazio-
ne e che gli provocò, nel biennio 1969-70, un processo canonico in Vaticano e la
conclusiva dichiarazione di inconciliabilità con il pensiero cattolico. Dal 1970,
Severino veniva chiamato come docente all’Università di Venezia ed elaborava il
suo definitivo distacco dal Cristianesimo, dedicandosi all’approfondimento teore-
tico della struttura originaria e all’analisi della tradizione nichilistica occidentale.
Per leggere un resoconto autobiografico, si possono confrontare gli interessanti
L. Candiotto, S. Sangiorgio - Emanuele Severino: la verità di ogni cosa 345
volumi: E. Severino, Il mio scontro con la Chiesa, Rizzoli, Milano 2001; E. Seve-
rino, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Rizzoli, Milano 2012.
6 Come vedremo nel corso del contributo, Severino giunge a questa deduzione sul-
la base di una lettura ontologica del principio di non contraddizione: cfr. E. Seve-
rino, La struttura originaria. Nuova edizione ampliata, Adelphi, Milano 1981, pp.
528-531.
7 Cfr. E. Severino, La struttura originaria, cit., pp. 335-364 e 531-555. È importan-
te notare che, nonostante l’affermazione dell’immutabilità dell’essere, ne La
struttura originaria il divenire – inteso come processo dell’emersione degli enti
dal nulla e del loro ritorno nel nulla – è ancora considerato un’evidenza: è proprio
su questa presunta evidenza che, dal 1964, si concentreranno le analisi di Severi-
no. La sua filosofia è dunque anche un grande esercizio di autocritica.
346 Primum philosophari
nella sua immutabile pienezza. L’essere, tutto l’essere, visto come ciò che è e
non può non essere, è Dio.8
D’altra parte, ogni essente è in relazione a ogni altro essente – nella relazio-
ne necessaria per la quale ogni essente, in quanto eterno, abita eternamente,
cioè necessariamente, il Tutto insieme ad ogni altro essente. Essere in relazio-
ne a ogni altro essente (compresa la totalità di cui ciò che è in relazione è even-
tualmente parte) è includerlo come altro. Incluso come altro, è incluso nel suo
non essere ciò da cui è incluso e con cui è in relazione. Un essente può quindi
includere, come negato, un altro (e ogni altro) essente, nel senso che include un
aspetto di ogni altro essente (...).9
Nell’orizzonte della verità, «io», «tu», «noi» non dobbiamo far nulla: non
solo perché il «fare» è la volontà di guidare l’epamphoterizein dell’ente, ma
perché la persuasione di dovere fare qualcosa si fonda sulla persuasione che un
ente – «io», «tu», «noi», il «popolo», la «nazione», la «razza», la «classe», l’«i-
stituzione», «Dio», – possa disporre di altri enti separandoli dal Tutto; e quindi
si fonda sulla fede nella terra isolata dal destino della verità e resa disponibile
al dominio. La volontà di potenza – l’alienazione essenziale – sta al fondamen-
to di ogni «etica», di ogni «morale», di ogni «diritto» e di ogni «politica». […]
Tuttavia, affinché l’isolamento della terra tramonti, è necessario che il suo
permanere nel cerchio dell’apparire giunga al proprio compimento e che quin-
di l’Occidente continui a decidere sino al compimento del decidere. […] Nes-
suna «azione razionale», nessuna azione o iniziativa del mortale possono con-
durre alla salvezza della verità, ma se la salvezza della verità è destinata ad
accadere, allora essa accade solo in quanto l’alienazione della verità (la deci-
sione originaria) è accaduta ed è giunta al proprio compimento.10
Commento
I brani qui presentati evidenziano tre dei temi fondamentali della filoso-
fia severiniana: l’eternità di ogni essente,11 la relazione originaria tra ogni
essente e tra gli essenti e il tutto, l’impossibilità dell’agire nichilistico.
Come vedremo essi sono strettamente collegati tra loro perché proprio il ri-
levamento dell’eternità attraverso la negazione del divenire e la dimostra-
zione dell’olismo fungono da capi d’accusa contro l’agire nichilistico.
prima era apparso. Gli uomini che si credono mortali temendo la morte
come annullamento interpretano invece lo sparire come nullificazione.14
Scopo della filosofia di Severino è quindi quello di dimostrare che tutti
gli enti sono eterni. Per farlo confuta il divenire come annullamento e, in
sintonia con Parmenide, dimostra che non c’è nascita e morte. Bisogna
quindi pensare in modo autentico il tempo, come un movimento che non
sia nientificazione e divenir altro. Su queste basi, gli obiettivi principali
della nuova filosofia di Severino sono, da un lato mostrare come sia possi-
bile conciliare la processualità dell’apparire e l’immutabilità dell’essere,15
dall’altro spiegare come sia possibile che l’intera parabola della civiltà oc-
cidente sia definibile come storia del nichilismo.16 Nel “Poscritto”17 a “Ri-
tornare a Parmenide” il movimento è inteso come l’iniziare ad apparire
dell’essente eterno nel cerchio dell’apparire e il suo dileguarsi. Così facen-
do Severino non sostituisce solo alla parola “essere” la parola “apparire”
(come secondo Severino fa la fenomenologia) ma dimostra come il cerchio
dell’apparire sia sempre presente in ogni singola apparizione. Appare l’ap-
parire di x e non solo appare x. Ne La Gloria si dimostra come il tutto si di-
spieghi in un continuo oltrepassamento degli scenari dell’apparire, dove
ciò che viene superato non viene annullato e dove ciò che apparirà già è.
Secondo Severino le foglie verdi che si manifestano in t1 sono eternamen-
te anche se in t2 si manifestano come rosse. Esse dimorano eternamente in t1
pur avendo delle tracce in t2. Il nichilismo dell’occidente invece dice che nel
passaggio da t1 a t2 le foglie verdi sono diventate nulla. Ecco chiarirsi l’e-
quazione severiniana: il divenire altro (trasformarsi) è un divenire nulla.
Come pensare una trasformazione che non implichi il nulla?
Per rispondere a questa domanda a mio parere bisogna comprendere il
tempo grazie alla figura della relazionalità nell’olismo semantico,18 tema
del secondo brano antologico. Il tutto è eterno perché tutto è già presente
grazie alle relazioni19 di ogni cosa con ogni altra (l’ente x che si manifeste-
rà in t2 è già presente in t1 grazie alla relazione eterna che intrattiene con y
che é appunto manifesto in t1. X è presente in t1 come traccia in y). Come
vedremo nel commento al terzo brano, la risposta capace di cogliere un si-
gnificato positivo dello stesso agire è rintracciabile nella relazionalità.
Severino oltrepassa lo stesso Parmenide non solo per quanto riguarda la
concezione del tempo, ma anche perché secondo Severino egli avrebbe
aperto la strada del nichilismo considerando eterno l’essere e non tutti gli
enti.20 Pur essendo, secondo Severino, la risposta di Platone l’unico passo
avanti per risolvere l’aporia parmenidea in merito al rapporto tra essere e
mondo, eterno e diveniente, uno e molteplice, il filosofo ateniese ha inteso
le determinatezze (le cose particolari che sono, gli essenti) in uno stato di
epamphoterizein (oscillazione tra l’essere e il non essere) e quindi ha falli-
to il tentativo di “salvare i fenomeni”.21
Ogni determinazione nella sua interezza, non solo un ente assoluto o una
caratteristica “speciale” degli enti, è essere.
Queste foglie che appaiono dietro il vetro della finestra sono in relazione a
ogni altro essente e quindi, esse, come tali, includono in sé, in un modo speci-
fico, ogni altro essente: lo includono non nel senso che esse siano, in quanto
tali, il proprio altro o siano la totalità di cui l’altro è parte ma lo includono, ap-
punto, come altro, e di esso includono un aspetto finito; sì che in queste foglie
sono inclusi – nel senso indicato – il cielo e il sole e le più lontane galassie e
quelle che la volontà interpretante pone come le opere dei mortali sulla terra e
i loro pensieri e impulsi più reconditi; ed è dunque inclusa la totalità dei conte-
nuti degli altri cerchi dell’apparire, ossia la totalità che non è la fede della vo-
lontà interpretante ad affermare, ma la struttura originaria del destino.22
“Ogni determinazione” significa che ogni cosa è essere, che ogni cosa,
appunto, è un essente; l’essere è quindi la foglia, il cielo, il sole, le lontane
galassie e la mia volontà interpretare. Non solo, l’essere è la relazione che
permette a queste parti di essere se stesse e non il loro altro, all’interno di
una struttura olistica chiamata da Severino “struttura originaria del desti-
no”. L’essere è quindi anche la totalità di tutte le cose che sono. La totalità
non è frutto di una volontà di connettere parti che sono tra loro separate, ma
è l’apparire del legame eterno che permette ad ogni cosa di essere se stes-
sa e cioè negazione del non essere e quindi eternità.
È quindi necessario tornare a Parmenide per cogliere l’eternità dell’essere
secondo l’attributo dell’immutabilità. Alla parola “eternità” Severino dà un
significato che potremmo definire minimale (ma che è stato dimenticato):
poiché l’essere è ciò che non può non essere e poiché l’essere è ogni deter-
minazione (e tutto ciò che è, è determinazione nel senso di esser sé e non il
suo altro), l’essere è eterno.
Eterno significa che l’essere non può diventare nulla. L’eternità è quin-
di la negazione del divenire come nullificazione.
La scommessa della filosofia di Severino è di dare gli attributi parmeni-
dei dell’essere a ogni cosa, rompendo così il dualismo essere-enti che ha
dominato in tutta la filosofia occidentale fino ad Heidegger. È quindi una
proposta filosofica rivoluzionaria che vuole ridare la dignità all’intera esi-
stenza. Si noti: essa non è dichiarata come una proposta ma come una tesi
necessaria fondata su un piano logico e fenomenologico. La filosofia di Se-
verino è infatti espressione del metodo argomentativo-dimostrativo tipico
della filosofia occidentale fino a Hegel, capace di coniugare il momento lo-
gico a quello fenomenologico, per portare all’evidenza necessaria una tesi
inaudita per l’occidente e cioè che ogni essere è eterno.
Ogni cosa è essere. Non c’è differenza tra un essere assoluto e un essere re-
lativo o tra il tutto e la parte in quanto a pienezza ontologica. In questo senso
dobbiamo quindi intendere il richiamo a “Dio”23 presente nel primo brano an-
tologico: ogni essente assumerà le caratteristiche del divino e non avrà biso-
gno di un essere superiore per possedere l’esistenza. Severino usa a volte que-
sta espressione: “siamo dei re che si credono mendicanti”. Fuor di metafora:
siamo già l’essere, ma andiamo a chiederlo, pensando di non esserlo, ad un
ente superiore. La filosofia di Severino è quindi anche una critica a quelle po-
sizioni della filosofia cristiana secondo le quali l’essere sarebbe quell’attribu-
to dato da Dio alle creature che può essere a loro tolto in qualsiasi momento.
23 Termine che in questo contesto assume un significato positivo, ma che nei testi
successivi indicherà solo il Dio onnipotente della tradizione giudaico cristiana.
L. Candiotto, S. Sangiorgio - Emanuele Severino: la verità di ogni cosa 351
27 Ivi, p. 477.
28 Ivi, p. 408.
L. Candiotto, S. Sangiorgio - Emanuele Severino: la verità di ogni cosa 353
pensiero che sappia portarsi oltre una logica negativa e la possibilità della
prassi di un libero accordo universale.29
Ora, siamo convinti che la filosofia di Severino sia un luogo fecondo
anche per pensare un agire secondo verità, nonostante essa possa apparire
ad una lettura superficiale come la più radicale negazione della possibili-
tà di un’etica. Pensiamo infatti che esistano pratiche, riconoscibili nelle
stesse figure del pensiero di Severino, che pur non potendo essere esenti
dalla contraddizione dell’agire, la trasformano in modo decisivo, per il
modo in cui sono in relazione alla verità: queste pratiche rappresentano
l’esercizio stesso del filosofare, cioè i modi in cui si determinano i mo-
menti della struttura originaria, nella loro relazione essenziale all’errore.
In una battuta: la fenomenologia e la logica, insieme al loro intreccio,
sono altrettante pratiche di verità. Vediamo in che senso lo sono e quali
esercizi possono prevedere.
1- La pratica della contemplazione
L’immediatezza fenomenologica consiste nel percepire lo spettacolo di
ciò che appare ai nostri sensi, senza sovrapporgli schemi interpretativi, per
lasciare apparire gli enti nella loro purezza. La dimensione originaria della
manifestazione è infatti uno sfondo sempre presente, ma che risulta di nor-
ma alterato da un notevole volume di pensieri che organizzano gli enti
come strumenti in vista di scopi. La parola della filosofia indica invece nel-
la figura dell’ascolto30 la condizione per il ritorno all’integrità dell’appari-
re degli enti, che si trova costitutivamente “oltre il linguaggio”31 e può es-
sere attinta solo nel silenzio di sé.
La pratica della contemplazione appare dunque l’esercizio più adatto a
ripristinare una coscienza fenomenologica e a vivere “[…] lo stare dell’en-
te, cioè l’impossibilità di disporre di alcunché”.32 Anche la contemplazione
29 Il riferimento è qui agli scritti di Luigi Vero Tarca, sui quali ci siamo formati du-
rante il nostro percorso universitario e che rappresentano lo sfondo del nostro ten-
tativo di dare continuità e realizzazione al pensiero severiniano. Una chiara espo-
sizione di come il discorso filosofico possa, e in certo modo anche debba, essere
vero e buono allo stesso tempo si può trovare in: L. V. Tarca, Quattro variazioni
sul tema negativo/positivo. Saggio di composizione filosofica, Diastema, Treviso
2006, pp. 153-201.
30 La figura dell’ascolto appare in vari luoghi del pensiero di Severino, ad esempio
in: E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 98.
31 Abbiamo posto tra virgolette questa espressione in quanto è mutuata da: E. Seve-
rino, Oltre il linguaggio, Adelphi, Milano 1992.
32 E. Severino, Studi di filosofia della prassi. Nuova edizione ampliata, Adelphi, Mi-
lano 1984, p. 27.
354 Primum philosophari
delle cose nella loro naturalità è un’azione e come tale è esposta ai limiti di
ogni agire, ma può condurci alla sospensione temporanea del decidere e
preparare quello spazio libero da presupposti che è il primo momento del
filosofare nella struttura originaria.33
2- La pratica della teoresi
L’immediatezza logica consiste nell’accertamento razionale della verità
dell’essere e nella testimonianza linguistica del modo in cui la filosofia può
risolvere le contraddizioni che scaturiscono dal suo confronto con l’errore.
Il pensiero filosofico si presenta dunque come quella pratica argomentati-
va che porta nel linguaggio le ragioni per le quali le aporie in cui la testi-
monianza della verità si imbatte sono solo altrettanti problemi risolvibili
sul piano logico e mai dilemmi indecidibili. D’altra parte, la verità si deter-
mina solo attraverso il risolvimento delle apparenti contraddizioni e la cor-
retta determinazione del campo dell’errore: se la verità fosse senza rappor-
to con l’errore, non potrebbe nemmeno istituirsi.34
La pratica della teoresi, intesa come forma di purificazione del pensiero,
del linguaggio e di chi li ascolta, appare dunque come il secondo esercizio
essenziale del filosofare. La pratica filosofica della ricerca, della docenza e
della scrittura, nella quale Severino si è dimostrato eccellente, è anch’essa
un agire e dunque una contraddizione, nella quale tuttavia è possibile indi-
viduare un potere di liberazione dalla sofferenza enorme: se infatti la con-
traddizione è un pensiero che testimonia il contrasto tra quanto essa crede
e la realtà che vorrebbe testimoniare, il suo risultato è sempre un distacco
dal vero e un’impotenza a risolvere i problemi della vita per i quali è stata
formulata. Come afferma spesso Severino, l’errore è una volontà che vuo-
le l’impossibile, dunque è una fonte di sofferenza infinita. Da questo pun-
to di vista, l’atto teoretico accolto da chi soffre è cura del dolore, anzitutto
perché è a sua volta un accogliere l’errore e l’errante nella loro necessità,
un rispettarli nella loro naturalità, mostrando con la gentilezza ferma della
ragione l’appartenenza del tutto alla Gioia dell’eternità.
La cura in cui la filosofia consiste può essere apprezzata, infine, anche
nelle conseguenze di lungo periodo che può manifestare: vivere nella testi-
monianza della verità, per quanto contrastata dall’errore, può consentire
pie quindi la trasformazione del mortale. Grazie alla confutazione che to-
glie la fede nel divenire altro, si mostra immediatamente la struttura origi-
naria. Se assumiamo la definizione data da Pierre Hadot di “esercizio
spirituale”,37 l’agire secondo verità si istituisce quindi come quella pratica
di “desoggettivazione” dove si compie la trasformazione del modo di co-
noscere, percepire ed esperire se stessi, gli altri e il mondo.
La theoria che coglie la verità dell’essere e l’agire veritativo, i quali tro-
vano una comunione nello sguardo di eternità, sono entrambi e nella loro
complementarietà, motori della trasformazione del soggetto e del mondo in
manifestazione della verità dell’essere. Per “sguardo” non intendo solo la
percezione visiva: essa è una metonimia che vuole indicare la necessità che
tutti i sensi (e con essi i pensieri!) siano radicati nell’eternità dell’essere e
non nella fede nel divenire. È importante intendere in modo relazionale i
sensi e al contempo non pensare che la pratica si realizzi solo tramite essi.
Partendo infatti da un piano corporeo si giunge a un coglimento che po-
tremmo definire corporeo, emotivo, logico, discorsivo e intuitivo. È un’a-
pertura alla presenza dell’eternità o, come afferma Brianese, un “rivolger-
si” al destino.
Tutto questo va senza dubbio tenuto presente: niente “consigli”, dunque; e
tuttavia anche il discorso che testimonia il destino è un “rivolgersi” che, come
tale, chiede che si presti ascolto ad esso; e se anche ciò che esso dice non è né
può essere un invito ad orientare in questo o quel modo la condotta degli indi-
vidui o dei popoli, tuttavia già il “semplice” prestare ascolto realizza nei fatti
una “trasformazione”, se non altro perché quell’ascolto deposita nella coscien-
za, sia pure nell’isolamento in cui la terra consiste, una “traccia” della verità
dell’essere (…).38
Le parole che ho utilizzato rimandano immediatamente alla fede nel ni-
chilismo, innanzitutto “agire”, ma anche “coscienza”, “libertà”, “trasfor-
mazione” e “soggetto”.
A mio parere però la questione non è tanto quella di distinguere una pa-
rola “giusta” da una “sbagliata”, quanto invece cogliere una risemantizza-
zione del linguaggio alla luce del destino. Di nuovo, la risemantizzazione
non va intesa come opera di un mortale: essa emerge nella trasfigurazione
che è compiuta dal destino, per la quale ogni cosa acquisisce i tratti della ve-
rità dell’essere, e così anche le parole e i linguaggi (verbali e non verbali).
37 Cfr. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino (1988), 2005.
38 G. Brianese, “«Agire» senza contraddizione”, in La filosofia futura, n. 01/2013,
Mimesis, Milano-Udine 2013, pp. 17-28, p. 23.
L. Candiotto, S. Sangiorgio - Emanuele Severino: la verità di ogni cosa 357
In questo modo le parole e gli atti che comunemente sono portatori della
fede nel nichilismo, assumono i tratti del destino nella sua testimonianza.
4 – La relazione integrale
Severino evidenzia come ogni cosa sia in relazione con ogni altra cosa e
come ogni essente sia indispensabile.39 Come nella terza pratica proposta
anche qui, Severino ci richiede un cambiamento di sguardo capace di vede-
re la relazionalità invece dell’isolamento.40 Pratiche dialogiche, artistiche,
corporee, di immersione nella natura, etc., che possano far sperimentare la
relazione con se stessi, con gli altri e il cosmo possono quindi essere utili
per favorire una trasformazione dello sguardo e per promuovere uno stile
di vita “relazionale”. La visione dell’orizzonte in cui appaiono le parti in
relazione è un “vedere il Tutto”. Severino chiama questa “intuizione
autentica”.41
Bibliografia per approfondire
Berto F., La dialettica della struttura originaria, Il Poligrafo, Padova 2003.
Petterlini A., Brianese G., Goggi G., (a cura di), Le parole dell’essere. Per Ema-
nuele Severino, Bruno Mondadori, Milano 2005.
Severino E., La filosofia futura. Oltre il dominio del divenire, Rizzoli, Milano
(1989) 2006.
– L’identità del destino. Lezioni veneziane, Rizzoli, Milano 2009.
– L’identità della follia. Lezioni veneziane, Rizzoli, Milano 2007.
– A lezione da Emanuele Severino. La guerra e il mortale, (a cura di L. Taddio),
file audio mp3, Mimesis, Milano-Udine 2010.
– A lezione da Emanuele Severino. Pòlemos, (a cura di N. Cusano), file audio
mp3, Mimesis, Milano-Udine 2012.
– A lezione da Emanuele Severino. Volontà, fede e destino, (a cura di D. Gros-
si), file audio mp3, Mimesis, Milano-Udine 2008.
39 “Se mancasse qualcosa, la briciola più irrilevante, non ci sarebbe il tutto, non ci
sarebbe nemmeno l’infinito”: da E. Severino, Educare al pensiero, Editrice La
Scuola, Brescia 2012, p. 32.
40 “L’etica che ho in mente, e che l’ontologia di Severino rende per la prima volta
pensabile e riconoscibile, non ha a che fare con l’orientamento dell’azione o con
le prescrizioni (...), ma piuttosto con il riconoscimento dell’appartenenza di ogni
(nostra) azione e decisione all’essere e del loro essere in relazione con la totalità
degli essenti.”: da G. Brianese, “«Agire» senza contraddizione”, in La filosofia fu-
tura, n. 01/2013, Mimesis, Milano-Udine 2013, pp. 17-28, p. 27.
41 E. Severino, Educare al pensiero, Editrice La Scuola, Brescia 2012, p. 50.