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Laura Candiotto e Stefano Sangiorgio*


EMANUELE SEVERINO: LA VERITÀ DI OGNI COSA
 
 
I nostri occhi credono di vedere
ciò che è impossibile che essi vedano,
ossia un mondo in perpetuo divenire,
nel quale, incessantemente,
tutto ciò che è, scaturendo dal nulla,
diventa sempre di nuovo altro da sé,
per diventare, infine, nuovamente nulla.1
Giorgio Brianese
 
 
Introduzione
 
Il pensiero di Emanuele Severino ha una “nobile profondità”2 e un’origi-
nalità alle quali è impossibile rimanere indifferenti. Propone infatti una tra-
sfigurazione delle categorie con cui tradizionalmente leggiamo la realtà, a
cominciare da quelle di tempo e mortalità. Siamo abituati a pensare la vita
come divenire, cioè come una temporanea emersione dal nulla, a cui la mor-
te riconsegna tutto: per Severino questa evidenza del divenire, sulla quale la
civiltà occidentale è fondata, è una fede nell’impossibile, una tragica follia
che occulta la verità dell’essere. Tramite un ritorno alle origini dell’ontologia
greca, il filosofo dimostra che ogni cosa è già da sempre salva dal nulla ed è
dunque eterna: la totalità dell’essere è oltre il tempo, in una vita infinita.
Per comprendere il significato di questa tesi, da molti contestata ma ca-
pace di mostrare una coerenza eccezionale, è opportuno citare gli influssi
filosofici che l’hanno preparata: sapere “da dove viene” un autore è infatti
una delle vie privilegiate per comprendere “dove va e come ci va”.3

* Gli autori da più di dieci anni discutono e leggono insieme i testi di Severino. Pur
essendo il testo pensato e rivisto a quattro mani, attribuiamo per fini accademici
l’introduzione e le pratiche numero uno e due a Sangiorgio e il commento e le pra-
tiche numero tre e quattro a Candiotto.
1 G. Brianese, “L’eterno che è qui”, in L. Taddio (a cura di), A lezione da Emanuele
Severino. La guerra e il mortale, Mimesis, Milano-Udine 2010, pp. 29-87, p. 73.
2 Così si esprime Socrate, per indicare la personalità di Parmenide, in: Platone, Te-
eteto, 184 a 1.
3 Per un’analisi più approfondita della formazione del giovane Severino e per una sin-
tesi generale del suo pensiero, si rinvia all’agevole e preciso studio: L. Messinese,
Né laico, né cattolico. Severino, la Chiesa, la filosofia, Edizioni Dedalo, Bari 2013.
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Severino si forma all’Università Cattolica di Milano, sotto la guida di


Gustavo Bontadini, all’interno della corrente Neoscolastica: da questa e
dalle fonti della metafisica greca – in particolare da Platone e da Aristotele
– il nostro pensatore deriva l’impostazione del sapere filosofico come
scienza incontrovertibile e la fondazione della stessa attraverso il principio
di non contraddizione; deriva inoltre la subordinazione del divenire all’es-
sere che, almeno nelle prime fasi del suo pensiero, è identificato con Dio.
Grazie all’intelligente apertura dei suoi insegnanti, Severino studia an-
che filosofi non cattolici – su tutti Giovanni Gentile e Martin Heidegger –
che saranno determinanti per il completamento della sua formazione:
dall’Idealismo, il nostro pensatore deriva il metodo dialettico e il supera-
mento del presupposto naturalistico, per il quale pensiero e realtà sono due
dimensioni indipendenti.
Dalla Fenomenologia, Severino deriva infine una nuova lettura della co-
scienza, come dimensione finita che lascia apparire le cose ed è destinata
all’errore e alla disumanizzazione delle scienze, se pretende di produrre gli
enti invece di rispecchiarli.4 Nel solco della tradizione fenomenologica,
Heidegger merita un posto privilegiato fra le fonti del giovane Severino: il
filosofo tedesco radicalizza infatti l’analisi husserliana, criticando la di-
struttività della tecnica, individuando la causa dell’errore nella dimentican-
za del senso dell’essere e indicando nel ritorno al pensiero presocratico la
medicina essenziale per ridestare la verità ed evocare una dimensione di
salvezza dal nichilismo dell’età della tecnica.
Se questi punti di riferimento sono necessari a comprendere le basi del
pensiero severiniano maturo, non sono peraltro sufficienti a spiegare la
svolta che – a partire dalla pubblicazione del saggio “Ritornare a Parmeni-
de” (1964) – ha delineato un nuovo orizzonte filosofico.5

4 Uno dei protagonisti di questa aspra critica all’Idealismo – che definiva il pensie-
ro come principio di produzione della realtà – è il maestro di Heidegger, Edmund
Husserl, del quale è bene ricordare almeno l’ultima importante opera: La crisi del-
le scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1936).
5 Dopo dieci anni di precoce insegnamento universitario (1954-64), Severino giun-
geva a sostenere – da pensatore ancora cattolico – una dimostrazione dell’eternità
del tutto che lo metteva in aperto contrasto con la dottrina cristiana della creazio-
ne e che gli provocò, nel biennio 1969-70, un processo canonico in Vaticano e la
conclusiva dichiarazione di inconciliabilità con il pensiero cattolico. Dal 1970,
Severino veniva chiamato come docente all’Università di Venezia ed elaborava il
suo definitivo distacco dal Cristianesimo, dedicandosi all’approfondimento teore-
tico della struttura originaria e all’analisi della tradizione nichilistica occidentale.
Per leggere un resoconto autobiografico, si possono confrontare gli interessanti
L. Candiotto, S. Sangiorgio - Emanuele Severino: la verità di ogni cosa 345

Lasciando la descrizione dei tratti di questa novità alla sezione dedicata al


commento, delineo ora alcuni elementi rilevanti della “prima” filosofia di
Severino, che possono essere utili per comprendere i brani antologici: a par-
tire dalla Struttura originaria (1958), il sapere filosofico è distinto nei due
rami complementari dell’evidenza fenomenologica (F-immediatezza) e
dell’evidenza logica (L-immediatezza); per semplificare potremmo dire, un
po’ impropriamente: ciò che appare ai “sensi” e ciò che appare alla “ragio-
ne”. Ora, se quest’ultima mostrava già la necessità di affermare l’immutabi-
lità dell’essere,6 d’altra parte il dato fenomenologico testimoniava la finitez-
za della coscienza umana e la conseguente impossibilità di diventare
l’apparire della totalità. Perciò – concludeva l’autore – la struttura originaria
del sapere, frutto della sintesi della “ragione” e dell’“esperienza”, è costituti-
vamente abitata da una contraddizione originaria, che consiste nella disequa-
zione fra la totalità dell’essere (l’infinito) e il suo manifestarsi finitamente
nella coscienza: il compito dell’uomo è dunque quello di portare alla mani-
festazione ogni ente, togliendo la contraddizione consistente nel suo non ap-
parire.7 Questa impostazione del problema della filosofia, che precede la
svolta del 1964, è considerata dallo stesso autore fondamentale e consente di
apprezzare meglio la novità dei brani antologici che ora presentiamo.
 
 
Brani antologici: Essenza del nichilismo, La Gloria, Destino della necessità
 
Ma quando l’essere, ogni essere, si rivolge verso quella direzione, lungo la
quale si lega al suo «è» (questo rivolgersi è la «via verace», alethes odos, di cui
parla Parmenide) – quando cioè dell’albero non si dice (soltanto) che non è il
monte, ma si dice che è e che non può accadere che non sia, allora ogni essere
prende volto divino. In quanto questo albero, con questa sua forma e colori, è e
non può accadere che non sia, già questo albero è theion, se o theos è l’essere

volumi: E. Severino, Il mio scontro con la Chiesa, Rizzoli, Milano 2001; E. Seve-
rino, Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Rizzoli, Milano 2012.
6 Come vedremo nel corso del contributo, Severino giunge a questa deduzione sul-
la base di una lettura ontologica del principio di non contraddizione: cfr. E. Seve-
rino, La struttura originaria. Nuova edizione ampliata, Adelphi, Milano 1981, pp.
528-531.
7 Cfr. E. Severino, La struttura originaria, cit., pp. 335-364 e 531-555. È importan-
te notare che, nonostante l’affermazione dell’immutabilità dell’essere, ne La
struttura originaria il divenire – inteso come processo dell’emersione degli enti
dal nulla e del loro ritorno nel nulla – è ancora considerato un’evidenza: è proprio
su questa presunta evidenza che, dal 1964, si concentreranno le analisi di Severi-
no. La sua filosofia è dunque anche un grande esercizio di autocritica.
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nella sua immutabile pienezza. L’essere, tutto l’essere, visto come ciò che è e
non può non essere, è Dio.8
 
D’altra parte, ogni essente è in relazione a ogni altro essente – nella relazio-
ne necessaria per la quale ogni essente, in quanto eterno, abita eternamente,
cioè necessariamente, il Tutto insieme ad ogni altro essente. Essere in relazio-
ne a ogni altro essente (compresa la totalità di cui ciò che è in relazione è even-
tualmente parte) è includerlo come altro. Incluso come altro, è incluso nel suo
non essere ciò da cui è incluso e con cui è in relazione. Un essente può quindi
includere, come negato, un altro (e ogni altro) essente, nel senso che include un
aspetto di ogni altro essente (...).9
 
Nell’orizzonte della verità, «io», «tu», «noi» non dobbiamo far nulla: non
solo perché il «fare» è la volontà di guidare l’epamphoterizein dell’ente, ma
perché la persuasione di dovere fare qualcosa si fonda sulla persuasione che un
ente – «io», «tu», «noi», il «popolo», la «nazione», la «razza», la «classe», l’«i-
stituzione», «Dio», – possa disporre di altri enti separandoli dal Tutto; e quindi
si fonda sulla fede nella terra isolata dal destino della verità e resa disponibile
al dominio. La volontà di potenza – l’alienazione essenziale – sta al fondamen-
to di ogni «etica», di ogni «morale», di ogni «diritto» e di ogni «politica». […]
Tuttavia, affinché l’isolamento della terra tramonti, è necessario che il suo
permanere nel cerchio dell’apparire giunga al proprio compimento e che quin-
di l’Occidente continui a decidere sino al compimento del decidere. […] Nes-
suna «azione razionale», nessuna azione o iniziativa del mortale possono con-
durre alla salvezza della verità, ma se la salvezza della verità è destinata ad
accadere, allora essa accade solo in quanto l’alienazione della verità (la deci-
sione originaria) è accaduta ed è giunta al proprio compimento.10
 
 
Commento
 
I brani qui presentati evidenziano tre dei temi fondamentali della filoso-
fia severiniana: l’eternità di ogni essente,11 la relazione originaria tra ogni
essente e tra gli essenti e il tutto, l’impossibilità dell’agire nichilistico.
Come vedremo essi sono strettamente collegati tra loro perché proprio il ri-
levamento dell’eternità attraverso la negazione del divenire e la dimostra-
zione dell’olismo fungono da capi d’accusa contro l’agire nichilistico.

8 E. Severino, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, p. 58.


9 E. Severino, La Gloria, Adelphi, Milano 2001, p. 221.
10 E. Severino, Destino della necessità, Adelphi, Milano 1980, pp. 407-408.
11 “Essente” è la parola utilizzata da Severino al posto di “ente”, “cosa”, “oggetto”,
con la finalità di evidenziare l’”esse” di ogni ente.
L. Candiotto, S. Sangiorgio - Emanuele Severino: la verità di ogni cosa 347

Scopo di questo commento è riassumere i tratti fondamentali della filo-


sofia severiniana partendo da queste tre tematiche ma anche mostrare
come, riconoscendo la verità dei primi due punti, si apra una possibilità per
un agire veritativo. Questa possibilità è alla base della scelta di inserire la
filosofia di Severino in un testo dedicato alle pratiche filosofiche e verrà
approfondita nella sezione conclusiva di Invito alle pratiche.
Il primo brano qui presentato è tratto dal saggio “Ritornare a Parmeni-
de”, poi compreso in Essenza del nichilismo.
In questo testo Severino sosteneva che tutta la storia della filosofia dopo
Parmenide fosse storia della dimenticanza del senso dell’essere, avendo
costretto l’essere alla identificazione con il nulla a causa della fede nel di-
venire. Infatti il divenire, inteso come passaggio dal non essere all’essere e
viceversa, pone l’identificazione di essere e non essere. A causa di ciò le
cose del mondo sono interpretate come in una costante oscillazione (epam-
photerizein) che le rende preda del nulla. Severino usando l’espressione
“dimenticanza del senso dell’essere” intende il concepire l’essere, ciò che
è, come qualcosa che può non essere, e, da un punto di vista logico, crede-
re nella contraddizione. Sulla base del principio di non contraddizione
aristotelico,12 l’essere viene invece definito da Severino come ogni determi-
nazione che è sé stessa e non il suo altro: l’essere per definizione è ciò che
non può non essere. Se accettiamo questa definizione (e non ad esempio
l’essere è ciò che in un momento t1 è e in t2 non è più), ne consegue che
dire che l’essere non è, è contraddittorio. Essa è una contraddizione anali-
tica nel senso che è basata sulla stessa definizione dell’essere.
Analizziamo la struttura del divenire da un punto di vista logico: se in t1
abbiamo x1, in t2 abbiamo x2, che ne è di x1 quando siamo in t2? Severi-
no sostiene che, in una concezione classica del divenire, x1 risulta annulla-
to in t2. Aristotele direbbe che ciò che permane nel passaggio da t1 a t2 è il
sostrato x e che ciò che si è annullato sono solo le qualità accidentali.13 Se-
verino però vuole pensare ad una struttura del divenire dove le qualità sia-
no tutte necessarie e non solo le qualità materiali, ma anche lo stesso mani-
festarsi di x1 in t1 quando ci si trova in t2, non deve annullarsi.
Da un punto di vista fenomenologico, Severino fa notare come non si at-
testi nell’esperienza l’annullarsi bensì solo lo scomparire di qualcosa che

12 Cfr. E. Severino, Fondamento della contraddizione, Adelphi, Milano 2005, pp.


237-290.
13 Cfr. ivi, pp. 179-236.
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prima era apparso. Gli uomini che si credono mortali temendo la morte
come annullamento interpretano invece lo sparire come nullificazione.14
Scopo della filosofia di Severino è quindi quello di dimostrare che tutti
gli enti sono eterni. Per farlo confuta il divenire come annullamento e, in
sintonia con Parmenide, dimostra che non c’è nascita e morte. Bisogna
quindi pensare in modo autentico il tempo, come un movimento che non
sia nientificazione e divenir altro. Su queste basi, gli obiettivi principali
della nuova filosofia di Severino sono, da un lato mostrare come sia possi-
bile conciliare la processualità dell’apparire e l’immutabilità dell’essere,15
dall’altro spiegare come sia possibile che l’intera parabola della civiltà oc-
cidente sia definibile come storia del nichilismo.16 Nel “Poscritto”17 a “Ri-
tornare a Parmenide” il movimento è inteso come l’iniziare ad apparire
dell’essente eterno nel cerchio dell’apparire e il suo dileguarsi. Così facen-
do Severino non sostituisce solo alla parola “essere” la parola “apparire”
(come secondo Severino fa la fenomenologia) ma dimostra come il cerchio
dell’apparire sia sempre presente in ogni singola apparizione. Appare l’ap-
parire di x e non solo appare x. Ne La Gloria si dimostra come il tutto si di-
spieghi in un continuo oltrepassamento degli scenari dell’apparire, dove
ciò che viene superato non viene annullato e dove ciò che apparirà già è.
Secondo Severino le foglie verdi che si manifestano in t1 sono eternamen-
te anche se in t2 si manifestano come rosse. Esse dimorano eternamente in t1
pur avendo delle tracce in t2. Il nichilismo dell’occidente invece dice che nel
passaggio da t1 a t2 le foglie verdi sono diventate nulla. Ecco chiarirsi l’e-
quazione severiniana: il divenire altro (trasformarsi) è un divenire nulla.
Come pensare una trasformazione che non implichi il nulla?
Per rispondere a questa domanda a mio parere bisogna comprendere il
tempo grazie alla figura della relazionalità nell’olismo semantico,18 tema
del secondo brano antologico. Il tutto è eterno perché tutto è già presente

14 Cfr. E. Severino, Educare al pensiero, Editrice La Scuola, Brescia 2012.


15 A questo tema è dedicato l’importante saggio “Poscritto” a “Ritornare a Parmeni-
de”, pubblicato singolarmente nel 1965 e poi ristampato, insieme ad altri saggi
della svolta, in: E. Severino, Essenza del nichilismo. Nuova edizione ampliata,
Adelphi, Milano 1982, pp. 63-133.
16 La questione di come sia possibile che l’intera storia dell’Occidente sia stata e sia
storia della follia più estrema – quella che identifica l’ente al niente – senza che
nessuno se ne sia avveduto, e di come la rimozione dell’errore sia stata necessaria
all’instaurazione del nichilismo, sono affrontate nell’importante saggio “Alethe-
ia” (1981), ristampato in: E. Severino, Essenza del nichilismo, cit., pp. 415-442.
17 Presente anch’esso in Essenza del nichilismo, pp. 63-133.
18 Questo è l’argomento che ho discusso nel ciclo di seminari intitolati “ A partire da Se-
verino” realizzati a Ca’ Foscari nell’a.a. 2011/2012 e i cui atti sono in pubblicazione.
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grazie alle relazioni19 di ogni cosa con ogni altra (l’ente x che si manifeste-
rà in t2 è già presente in t1 grazie alla relazione eterna che intrattiene con y
che é appunto manifesto in t1. X è presente in t1 come traccia in y). Come
vedremo nel commento al terzo brano, la risposta capace di cogliere un si-
gnificato positivo dello stesso agire è rintracciabile nella relazionalità.
Severino oltrepassa lo stesso Parmenide non solo per quanto riguarda la
concezione del tempo, ma anche perché secondo Severino egli avrebbe
aperto la strada del nichilismo considerando eterno l’essere e non tutti gli
enti.20 Pur essendo, secondo Severino, la risposta di Platone l’unico passo
avanti per risolvere l’aporia parmenidea in merito al rapporto tra essere e
mondo, eterno e diveniente, uno e molteplice, il filosofo ateniese ha inteso
le determinatezze (le cose particolari che sono, gli essenti) in uno stato di
epamphoterizein (oscillazione tra l’essere e il non essere) e quindi ha falli-
to il tentativo di “salvare i fenomeni”.21
Ogni determinazione nella sua interezza, non solo un ente assoluto o una
caratteristica “speciale” degli enti, è essere.
 
Queste foglie che appaiono dietro il vetro della finestra sono in relazione a
ogni altro essente e quindi, esse, come tali, includono in sé, in un modo speci-
fico, ogni altro essente: lo includono non nel senso che esse siano, in quanto
tali, il proprio altro o siano la totalità di cui l’altro è parte ma lo includono, ap-
punto, come altro, e di esso includono un aspetto finito; sì che in queste foglie
sono inclusi – nel senso indicato – il cielo e il sole e le più lontane galassie e
quelle che la volontà interpretante pone come le opere dei mortali sulla terra e
i loro pensieri e impulsi più reconditi; ed è dunque inclusa la totalità dei conte-
nuti degli altri cerchi dell’apparire, ossia la totalità che non è la fede della vo-
lontà interpretante ad affermare, ma la struttura originaria del destino.22
 

19 Da notare che la relazione è intesa da Severino come la negazione dell’identità


con l’altro. In questo testo non è possibile commentare questa tesi, ma in vista di
un opportuno ripensamento di questa figura rinvio agli studi di Luigi Vero Tarca
in merito alla differenza tra differenza e negazione. Cfr. L. V. Tarca, Differenza e
negazione. Per una filosofia positiva, La Città del Sole, Napoli 2001.
20 Alcuni interpreti, attraverso una rilettura della doxa parmenidea, ritengono invece
che Parmenide affermasse l’eternità di ogni cosa. Cfr. L. Ruggiu, “L’altro Parme-
nide”, in G. Reale, L. Ruggiu (a cura di), Parmenide, Poema sulla natura. I fram-
menti e le testimonianze indirette, Bompiani, Milano 2003, pp. 19-80.
21 Per un approfondimento in merito a questa tematica nel Sofista di Platone, cfr. L.
Candiotto, “The Children’s Prayer: Plato’s Sophist on Saving the Phaenomena”,
in Anais de Filosofia Classica, n. 9, vol. 5, 2011, pp. 77-85.
22 E. Severino, La Gloria, cit., pp. 221-223.
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“Ogni determinazione” significa che ogni cosa è essere, che ogni cosa,
appunto, è un essente; l’essere è quindi la foglia, il cielo, il sole, le lontane
galassie e la mia volontà interpretare. Non solo, l’essere è la relazione che
permette a queste parti di essere se stesse e non il loro altro, all’interno di
una struttura olistica chiamata da Severino “struttura originaria del desti-
no”. L’essere è quindi anche la totalità di tutte le cose che sono. La totalità
non è frutto di una volontà di connettere parti che sono tra loro separate, ma
è l’apparire del legame eterno che permette ad ogni cosa di essere se stes-
sa e cioè negazione del non essere e quindi eternità.
È quindi necessario tornare a Parmenide per cogliere l’eternità dell’essere
secondo l’attributo dell’immutabilità. Alla parola “eternità” Severino dà un
significato che potremmo definire minimale (ma che è stato dimenticato):
poiché l’essere è ciò che non può non essere e poiché l’essere è ogni deter-
minazione (e tutto ciò che è, è determinazione nel senso di esser sé e non il
suo altro), l’essere è eterno.
Eterno significa che l’essere non può diventare nulla. L’eternità è quin-
di la negazione del divenire come nullificazione.
La scommessa della filosofia di Severino è di dare gli attributi parmeni-
dei dell’essere a ogni cosa, rompendo così il dualismo essere-enti che ha
dominato in tutta la filosofia occidentale fino ad Heidegger. È quindi una
proposta filosofica rivoluzionaria che vuole ridare la dignità all’intera esi-
stenza. Si noti: essa non è dichiarata come una proposta ma come una tesi
necessaria fondata su un piano logico e fenomenologico. La filosofia di Se-
verino è infatti espressione del metodo argomentativo-dimostrativo tipico
della filosofia occidentale fino a Hegel, capace di coniugare il momento lo-
gico a quello fenomenologico, per portare all’evidenza necessaria una tesi
inaudita per l’occidente e cioè che ogni essere è eterno.
Ogni cosa è essere. Non c’è differenza tra un essere assoluto e un essere re-
lativo o tra il tutto e la parte in quanto a pienezza ontologica. In questo senso
dobbiamo quindi intendere il richiamo a “Dio”23 presente nel primo brano an-
tologico: ogni essente assumerà le caratteristiche del divino e non avrà biso-
gno di un essere superiore per possedere l’esistenza. Severino usa a volte que-
sta espressione: “siamo dei re che si credono mendicanti”. Fuor di metafora:
siamo già l’essere, ma andiamo a chiederlo, pensando di non esserlo, ad un
ente superiore. La filosofia di Severino è quindi anche una critica a quelle po-
sizioni della filosofia cristiana secondo le quali l’essere sarebbe quell’attribu-
to dato da Dio alle creature che può essere a loro tolto in qualsiasi momento.

23 Termine che in questo contesto assume un significato positivo, ma che nei testi
successivi indicherà solo il Dio onnipotente della tradizione giudaico cristiana.
L. Candiotto, S. Sangiorgio - Emanuele Severino: la verità di ogni cosa 351

Il destino della verità dell’essere è l’intramontabile. Abita eternamente l’ap-


parire. E l’eterno apparire della verità appartiene alla verità. Esso non si trova
in un «altro mondo», in un «al di là», ma è il senso stesso del «qui».24

La concezione secondo la quale l’essere può essere tolto perché è stato


dato e che quindi non appartiene necessariamente a tutte le cose domina se-
condo Severino ogni concezione dell’occidente, non solo la filosofia cri-
stiana, perché è espressione dell’isolamento creato dalla volontà di poten-
za che rende nichilistica ogni prassi umana.
Il terzo brano antologico evidenzia con chiarezza come il nichilismo
della prassi derivi dalla volontà di intendere le cose come separate.
Da un lato il decidere è l’intenzione di separare gli enti dal tutto: l’azio-
ne è perciò parte integrante del nichilismo; dall’altro l’agire è inevitabile e
necessario al tramonto dell’isolamento. Agire infatti per Severino significa
decidere “liberamente”, separando la parte dalla sua appartenenza origina-
ria al Tutto.
La decisione è la scelta che impone la preferenza di una parte sull’altra,
separandole e impadronendosene. Il potere, che si identifica con il potere
tecnico dell’utilizzo di mezzi per il raggiungimenti di scopi, è quindi la ci-
fra della separazione operata dalla volontà calcolante del mortale, sia esso
un singolo uomo, un gruppo o uno stato, o come dice Severino nel brano
citato: “«io», «tu», «noi», il «popolo», la «nazione», la «razza», la «clas-
se», l’«istituzione», «Dio»”.25 L’agire nichilistico è dominato dalla fede nel
divenire, ovvero dalla persuasione che le cose siano manipolabili e in ulti-
ma istanza, che siano nulla. L’agire è quindi nichilistico poiché si ritiene
svincolato dalle relazioni originarie tra le parti e tra le parti e il tutto, che
rendono ogni essente eterno. L’agire nichilistico nega quindi i primi due
principi evidenziati finora: l’eternità di ogni essente e l’olismo.
 
La decisione che sta al fondamento di ogni decisione, la fede che sta al fon-
damento di ogni fede è la separazione della terra dal destino della verità. Que-
sta separazione è l’evento in cui l’uomo diventa un mortale, cioè un tecnico e
un fedele.26
 
Il mortale ha fede nella terra isolata dal destino della verità. Questa è la pri-
ma decisione che lo rende mortale e che rende la sua esistenza storia dell’er-
rare. La terra è il transitare nel cerchio dell’apparire di ciò che eternamente ap-

24 E. Severino, Destino della necessità, cit., pp. 400-401.


25 Ivi, p. 407.
26 Ivi, p. 398.
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pare nell’apparire infinito del destino della verità. La terra isolata è la


persuasione che la terra costituisca la regione sicura dell’essente, lo spazio
dove l’essente è manipolato e dove l’uomo diventa tecnico. È quindi lo spazio
dell’insicurezza più radicale. Severino in Destino della necessità dimostra che
il tramonto dell’isolamento della terra avverrà necessariamente. Questa non è
una promessa ma è una tesi immediatamente dimostrata dalla struttura origi-
naria del destino: l’errore appartiene al destino in quanto negato.
 
In quanto l’isolamento della terra è l’apparire della contraddizione tra la sicu-
rezza e l’insicurezza della terra, anche questa contraddizione (...) può apparire
solo in quanto appare non come contraddizione pura, ma come contraddizione
negata. L’apparire di questa contraddizione costituisce l’errore originario, la di-
mensione isolata della verità; ma è legge della verità che l’apparire della contrad-
dizione – e quindi anche della contraddizione in cui consiste l’errore originario,
ossia la contraddizione tra sicurezza e insicurezza della terra – non sia l’apparire
della pura contraddizione, ma della negazione della contraddizione.27
 
Severino sottolinea che il tramonto del nichilismo, come oltrepassamento
della fede nella terra isolata, è necessario.28 Testi successivi quali La gloria,
Oltrepassare e La morte e la terra descrivono la modalità attraverso la quale
il contrasto tra la terra isolata e il destino sarà necessariamente oltrepassato.
In questo luogo non possiamo esporre adeguatamente queste tesi e nemme-
no dimostrarne la necessità; pensiamo però sia importante almeno enunciare
l’esito della filosofia severiniana ed esporre una nostra personale proposta, in
seno alla pratica, per cogliere l’eternità di ogni cosa già qui e ora.
 
 
Invito alle pratiche
 
Le pratiche che qui suggeriamo si inseriscono nel più ampio tentativo di
pensare un’etica veritativa, cioè una teoria dell’azione che si ponga il pro-
blema filosofico del proprio fondamento. La presente antologia è la miglior
prova di come le vie di pratica possano testimoniare in molti modi la veri-
tà e anche di come questa possa comporsi attraverso le filosofie di ogni
tempo, traendo dalla pluralità delle voci una conferma, e non una negazio-
ne, della propria forza. L’orizzonte dell’impegno del Seminario aperto di
pratiche filosofiche di Venezia è definito dunque dal riconoscimento del
nesso essenziale che intercorre fra teoria ed etica e, in particolare, fra un

27 Ivi, p. 477.
28 Ivi, p. 408.
L. Candiotto, S. Sangiorgio - Emanuele Severino: la verità di ogni cosa 353

pensiero che sappia portarsi oltre una logica negativa e la possibilità della
prassi di un libero accordo universale.29
Ora, siamo convinti che la filosofia di Severino sia un luogo fecondo
anche per pensare un agire secondo verità, nonostante essa possa apparire
ad una lettura superficiale come la più radicale negazione della possibili-
tà di un’etica. Pensiamo infatti che esistano pratiche, riconoscibili nelle
stesse figure del pensiero di Severino, che pur non potendo essere esenti
dalla contraddizione dell’agire, la trasformano in modo decisivo, per il
modo in cui sono in relazione alla verità: queste pratiche rappresentano
l’esercizio stesso del filosofare, cioè i modi in cui si determinano i mo-
menti della struttura originaria, nella loro relazione essenziale all’errore.
In una battuta: la fenomenologia e la logica, insieme al loro intreccio,
sono altrettante pratiche di verità. Vediamo in che senso lo sono e quali
esercizi possono prevedere.
 
1- La pratica della contemplazione
L’immediatezza fenomenologica consiste nel percepire lo spettacolo di
ciò che appare ai nostri sensi, senza sovrapporgli schemi interpretativi, per
lasciare apparire gli enti nella loro purezza. La dimensione originaria della
manifestazione è infatti uno sfondo sempre presente, ma che risulta di nor-
ma alterato da un notevole volume di pensieri che organizzano gli enti
come strumenti in vista di scopi. La parola della filosofia indica invece nel-
la figura dell’ascolto30 la condizione per il ritorno all’integrità dell’appari-
re degli enti, che si trova costitutivamente “oltre il linguaggio”31 e può es-
sere attinta solo nel silenzio di sé.
La pratica della contemplazione appare dunque l’esercizio più adatto a
ripristinare una coscienza fenomenologica e a vivere “[…] lo stare dell’en-
te, cioè l’impossibilità di disporre di alcunché”.32 Anche la contemplazione

29 Il riferimento è qui agli scritti di Luigi Vero Tarca, sui quali ci siamo formati du-
rante il nostro percorso universitario e che rappresentano lo sfondo del nostro ten-
tativo di dare continuità e realizzazione al pensiero severiniano. Una chiara espo-
sizione di come il discorso filosofico possa, e in certo modo anche debba, essere
vero e buono allo stesso tempo si può trovare in: L. V. Tarca, Quattro variazioni
sul tema negativo/positivo. Saggio di composizione filosofica, Diastema, Treviso
2006, pp. 153-201.
30 La figura dell’ascolto appare in vari luoghi del pensiero di Severino, ad esempio
in: E. Severino, La struttura originaria, cit., p. 98.
31 Abbiamo posto tra virgolette questa espressione in quanto è mutuata da: E. Seve-
rino, Oltre il linguaggio, Adelphi, Milano 1992.
32 E. Severino, Studi di filosofia della prassi. Nuova edizione ampliata, Adelphi, Mi-
lano 1984, p. 27.
354 Primum philosophari

delle cose nella loro naturalità è un’azione e come tale è esposta ai limiti di
ogni agire, ma può condurci alla sospensione temporanea del decidere e
preparare quello spazio libero da presupposti che è il primo momento del
filosofare nella struttura originaria.33
 
2- La pratica della teoresi
L’immediatezza logica consiste nell’accertamento razionale della verità
dell’essere e nella testimonianza linguistica del modo in cui la filosofia può
risolvere le contraddizioni che scaturiscono dal suo confronto con l’errore.
Il pensiero filosofico si presenta dunque come quella pratica argomentati-
va che porta nel linguaggio le ragioni per le quali le aporie in cui la testi-
monianza della verità si imbatte sono solo altrettanti problemi risolvibili
sul piano logico e mai dilemmi indecidibili. D’altra parte, la verità si deter-
mina solo attraverso il risolvimento delle apparenti contraddizioni e la cor-
retta determinazione del campo dell’errore: se la verità fosse senza rappor-
to con l’errore, non potrebbe nemmeno istituirsi.34
La pratica della teoresi, intesa come forma di purificazione del pensiero,
del linguaggio e di chi li ascolta, appare dunque come il secondo esercizio
essenziale del filosofare. La pratica filosofica della ricerca, della docenza e
della scrittura, nella quale Severino si è dimostrato eccellente, è anch’essa
un agire e dunque una contraddizione, nella quale tuttavia è possibile indi-
viduare un potere di liberazione dalla sofferenza enorme: se infatti la con-
traddizione è un pensiero che testimonia il contrasto tra quanto essa crede
e la realtà che vorrebbe testimoniare, il suo risultato è sempre un distacco
dal vero e un’impotenza a risolvere i problemi della vita per i quali è stata
formulata. Come afferma spesso Severino, l’errore è una volontà che vuo-
le l’impossibile, dunque è una fonte di sofferenza infinita. Da questo pun-
to di vista, l’atto teoretico accolto da chi soffre è cura del dolore, anzitutto
perché è a sua volta un accogliere l’errore e l’errante nella loro necessità,
un rispettarli nella loro naturalità, mostrando con la gentilezza ferma della
ragione l’appartenenza del tutto alla Gioia dell’eternità.
La cura in cui la filosofia consiste può essere apprezzata, infine, anche
nelle conseguenze di lungo periodo che può manifestare: vivere nella testi-
monianza della verità, per quanto contrastata dall’errore, può consentire

33 Riteniamo che questo esercizio di rispetto della manifestatività originaria presen-


ti forti affinità con gli esempi di meditazione buddhista presentati nei contributi su
Zhuang Zi, Suzuki e Lama Gendün Rinpoche.
34 Il senso per il quale anche l’errore è eterno e necessario è chiarito molto bene in:
E. Severino, Tautótēs, Adelphi, Milano 1995, pp. 248-251.
L. Candiotto, S. Sangiorgio - Emanuele Severino: la verità di ogni cosa 355

una risemantizzazione del contesto pratico e favorire un’etica in cui si cer-


chi – a partire dalla volontà di rispettare l’essere delle cose – la massima
coerenza fra teoria e azione. Posto infatti che non possiamo non fare, il fare
con la coscienza della verità e della contraddittorietà di ogni fare è diffe-
rente dal fare che la ignora e deve perciò trasmettere questa diversità posi-
tiva anche alle azioni che si compiono in suo nome.35
 
3- Trasformazione dello sguardo
Severino dimostra che l’annullamento non appare. La verità dell’essere
ci dice che ogni essere è eterno. È possibile trasformare il nostro sguardo
da nichilista (che ha fede di vedere l’annullamento) a sguardo di eternità?
Pierre Hadot insegna, partendo dalla sua esperienza autobiografica, a in-
tendere la filosofia come trasformazione della percezione del mondo. Il
soggetto, nell’agire secondo eternità, trasforma se stesso, passando da un
essere mortale e isolato a un essere che si riconosce parte del destino della
verità. L’agire stesso si trasforma da agire tecnico a agire “disvelativo”.36
La trasformazione non agisce a livello ontologico – il mortale è già da sem-
pre libero dalla morte – ma nello scalfire la volontà interpretante che lo
modifica in agente tecnico. Nell’agire libero dalla fede nichilistica si com-

35 Questa proposta di un “agire cosciente” è stata elaborata attraverso un confronto


pluriennale con i principali studiosi del pensiero severiniano della mia generazio-
ne e ha trovato nella lettura del prof. Giorgio Brianese una fondamentale confer-
ma; si veda ad esempio il saggio: G. Brianese, “«Agire» senza contraddizione”, in
La filosofia futura, n. 01/2013, Mimesis, Milano-Udine 2013, pp. 17-28.
36 Questo non è il luogo dove poter dimostrare filosoficamente queste tesi. Tuttavia
vorrei indicare una direzione che trova origine nella filosofia di Luigi Vero Tarca
(cfr. in particolare L. V. Tarca, Differenza e negazione. Per una filosofia positiva,
La Città del Sole, Napoli 2001) e che ha avuto poi uno sviluppo personale e cioè
quella del considerare come lo stesso negativo abbia bisogno per essere del posi-
tivo come fondamento. Detto in altri termini: il negativo, inteso nella sua relazio-
ne originaria con il positivo, fa apparire esso stesso la verità del positivo. Inten-
dendo l’opposizione stessa come espressione della relazionalità, e il negativo
come momento del positivo, è possibile cogliere la verità che si manifesta, attra-
verso una sua trasfigurazione che manifesta la sua vera natura, nella stessa azione
nichilistica. La verità dell’essere che è a fondamento di ogni essente, e quindi an-
che di ogni azione, permette di cogliere la positività nello stesso errore. Si badi:
non sto proponendo di identificare errore e verità ma di cogliere la trasfigurazio-
ne dell’errore che è resa possibile dalla confutazione del nichilismo e dall’agire
secondo verità. La trasfigurazione non è opera della volontà dei mortali ma so-
praggiunge “spontaneamente”, come “il sopraggiungere della pioggia”. Ringrazio
Marco Simionato per aver suggerito questa bella immagine nel dialogo che abbia-
mo avuto su questo tema con Severino.
356 Primum philosophari

pie quindi la trasformazione del mortale. Grazie alla confutazione che to-
glie la fede nel divenire altro, si mostra immediatamente la struttura origi-
naria. Se assumiamo la definizione data da Pierre Hadot di “esercizio
spirituale”,37 l’agire secondo verità si istituisce quindi come quella pratica
di “desoggettivazione” dove si compie la trasformazione del modo di co-
noscere, percepire ed esperire se stessi, gli altri e il mondo.
La theoria che coglie la verità dell’essere e l’agire veritativo, i quali tro-
vano una comunione nello sguardo di eternità, sono entrambi e nella loro
complementarietà, motori della trasformazione del soggetto e del mondo in
manifestazione della verità dell’essere. Per “sguardo” non intendo solo la
percezione visiva: essa è una metonimia che vuole indicare la necessità che
tutti i sensi (e con essi i pensieri!) siano radicati nell’eternità dell’essere e
non nella fede nel divenire. È importante intendere in modo relazionale i
sensi e al contempo non pensare che la pratica si realizzi solo tramite essi.
Partendo infatti da un piano corporeo si giunge a un coglimento che po-
tremmo definire corporeo, emotivo, logico, discorsivo e intuitivo. È un’a-
pertura alla presenza dell’eternità o, come afferma Brianese, un “rivolger-
si” al destino.
 
Tutto questo va senza dubbio tenuto presente: niente “consigli”, dunque; e
tuttavia anche il discorso che testimonia il destino è un “rivolgersi” che, come
tale, chiede che si presti ascolto ad esso; e se anche ciò che esso dice non è né
può essere un invito ad orientare in questo o quel modo la condotta degli indi-
vidui o dei popoli, tuttavia già il “semplice” prestare ascolto realizza nei fatti
una “trasformazione”, se non altro perché quell’ascolto deposita nella coscien-
za, sia pure nell’isolamento in cui la terra consiste, una “traccia” della verità
dell’essere (…).38
 
Le parole che ho utilizzato rimandano immediatamente alla fede nel ni-
chilismo, innanzitutto “agire”, ma anche “coscienza”, “libertà”, “trasfor-
mazione” e “soggetto”.
A mio parere però la questione non è tanto quella di distinguere una pa-
rola “giusta” da una “sbagliata”, quanto invece cogliere una risemantizza-
zione del linguaggio alla luce del destino. Di nuovo, la risemantizzazione
non va intesa come opera di un mortale: essa emerge nella trasfigurazione
che è compiuta dal destino, per la quale ogni cosa acquisisce i tratti della ve-
rità dell’essere, e così anche le parole e i linguaggi (verbali e non verbali).

37 Cfr. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino (1988), 2005.
38 G. Brianese, “«Agire» senza contraddizione”, in La filosofia futura, n. 01/2013,
Mimesis, Milano-Udine 2013, pp. 17-28, p. 23.
L. Candiotto, S. Sangiorgio - Emanuele Severino: la verità di ogni cosa 357

In questo modo le parole e gli atti che comunemente sono portatori della
fede nel nichilismo, assumono i tratti del destino nella sua testimonianza.

4 – La relazione integrale
Severino evidenzia come ogni cosa sia in relazione con ogni altra cosa e
come ogni essente sia indispensabile.39 Come nella terza pratica proposta
anche qui, Severino ci richiede un cambiamento di sguardo capace di vede-
re la relazionalità invece dell’isolamento.40 Pratiche dialogiche, artistiche,
corporee, di immersione nella natura, etc., che possano far sperimentare la
relazione con se stessi, con gli altri e il cosmo possono quindi essere utili
per favorire una trasformazione dello sguardo e per promuovere uno stile
di vita “relazionale”. La visione dell’orizzonte in cui appaiono le parti in
relazione è un “vedere il Tutto”. Severino chiama questa “intuizione
autentica”.41
 
 
 
Bibliografia per approfondire
 
Berto F., La dialettica della struttura originaria, Il Poligrafo, Padova 2003.
Petterlini A., Brianese G., Goggi G., (a cura di), Le parole dell’essere. Per Ema-
nuele Severino, Bruno Mondadori, Milano 2005.
Severino E., La filosofia futura. Oltre il dominio del divenire, Rizzoli, Milano
(1989) 2006.
– L’identità del destino. Lezioni veneziane, Rizzoli, Milano 2009.
– L’identità della follia. Lezioni veneziane, Rizzoli, Milano 2007.
– A lezione da Emanuele Severino. La guerra e il mortale, (a cura di L. Taddio),
file audio mp3, Mimesis, Milano-Udine 2010.
– A lezione da Emanuele Severino. Pòlemos, (a cura di N. Cusano), file audio
mp3, Mimesis, Milano-Udine 2012.
– A lezione da Emanuele Severino. Volontà, fede e destino, (a cura di D. Gros-
si), file audio mp3, Mimesis, Milano-Udine 2008.

39 “Se mancasse qualcosa, la briciola più irrilevante, non ci sarebbe il tutto, non ci
sarebbe nemmeno l’infinito”: da E. Severino, Educare al pensiero, Editrice La
Scuola, Brescia 2012, p. 32.
40 “L’etica che ho in mente, e che l’ontologia di Severino rende per la prima volta
pensabile e riconoscibile, non ha a che fare con l’orientamento dell’azione o con
le prescrizioni (...), ma piuttosto con il riconoscimento dell’appartenenza di ogni
(nostra) azione e decisione all’essere e del loro essere in relazione con la totalità
degli essenti.”: da G. Brianese, “«Agire» senza contraddizione”, in La filosofia fu-
tura, n. 01/2013, Mimesis, Milano-Udine 2013, pp. 17-28, p. 27.
41 E. Severino, Educare al pensiero, Editrice La Scuola, Brescia 2012, p. 50.

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