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PARMENIDE E LA FONDAZIONE DELLONTOLOGIA OCCIDENTALE

Il poema Sulla natura di Parmenide, di cui ci sono rimasti alcuni frammenti, si divide in tre
parti: un proemio, in cui il filosofo viene trasportato su un carro trainato da cavalle
impetuose e scortato dalle figlie del sole al cospetto di una Dea, che ha il compito di
rivelargli il solido cuore della ben rotonda verit (vedi T. 1); una prima parte in cui ci parla
delle due fondamentali vie della conoscenza, quella della verit e dellerrore; e infine una
seconda parte, la cosiddetta terza via, che pone problemi interpretativi non indifferenti. Il
linguaggio poetico e il tono oracolare testimoniano, come gi accadeva in Eraclito,
linfluenza della sapienza legata al mito nei confronti del logos e della filosofia. Tuttavia,
come vedremo presto, il linguaggio mitico nasconde una dimostrazione rigorosamente
razionale. Innanzitutto, ad iniziare Parmenide verso la Verit una Dea: questultima,
tuttavia, solo il travestimento mitico della ragione. Il filosofo di Elea vuol dirci che solo la
ragione in grado di trasmetterci la verit, di procedere al disvelamento ( altheia).
Di fronte alluomo, prosegue il poema, si aprono due vie inconciliabili luna con laltra:
I.

Via della Verit (p. gnoseologico): il solido cuore della ben rotonda Verit
(che fa uso della ragione), p. 69, verso 3 (T. 3): la via che dice che e che non
possibile che non sia. Essa parla dellEssere (p. ontologico), di cui la verit
pu solo dire, necessariamente, che e che non pu non essere.

II.

Via dellErrore: parla del Non Essere (o Nulla assoluto) : laltra che dice
che non e che non possibile che non sia. Lerrore deriva da un uso errato
della ragione e coincide con la doxa (opinione ingannevole).

Esaminiamo le due vie, i due sentieri opposti in cui il filosofo si imbatte. La via della
verit, il sentiero della persuasione, fa un uso rigoroso della razionalit e afferma
lesistenza necessaria dellessere, inteso come tutto ci che esiste, una totalit al di
fuori del quale non vi nulla. Perch possiamo (anzi, dobbiamo) affermare la
necessaria e indubitabile esistenza dellessere? Per rispondere nel miglior modo
possibile, facciamo riferimento ad un altro passo del poema, in cui Parmenide
sostiene, al frammento 3: infatti lo stesso pensare ed essere. Anche al fr. 6 egli
dice bisogna che il dire e il pensare sia lessere (p. 70, verso 1). Ci va inteso
cos: linscindibilit, lo stretto collegamento di Essere e pensiero.
Lessere causa del pensiero: il fatto che pensiamo implica (vuol dire) che c
lessere. Attenzione, questo non significa che tutto ci che io penso esiste, ma al
contrario, che si pu pensare (e dire, come vedremo) soltanto ci che . Il
pensiero sempre e soltanto il pensiero dellessere, e solo esso esprimibile, in
quanto tale, dal linguaggio. Come possiamo notare, alla base di tale ragionamento
sta un principio cardine del modo di ragionare dei presocratici, che abbiamo visto
anche in Eraclito, ma che con Parmenide viene a esplicitarsi nel modo pi pieno: lo
strettissimo collegamento tra essere, pensiero e linguaggio, che si rimandano
reciprocamente. Questi filosofi non dubitano, come far luomo moderno, che il
pensiero rifletta, rispecchi lessere e sia in grado di comprenderne lessenza, la
struttura pi profonda, rivelabile solo dalla ragione. Questa epistme, discorso
indubitabile, incontrovertibile, sulla base della sua suprema evidenza razionale (e
perci, scienza).
Esplicitato il senso della verit, indicato dalla prima via, guardiamo cosa significa la
seconda, quella dellerrore: essa dice e dunque parla di ci che non e che
necessario che non sia. Con tale modo di esprimersi intendiamo il nulla, come
assolutamente altro rispetto allessere. Non il nulla relativo, attenzione, che
indichiamo quando sosteniamo che la penna non il banco, ma il nulla assoluto,
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lassoluta privazione di essere. In questo senso, il nulla impensabile (non ho


unidea ad esso relativa) e inesprimibile. Noi possiamo anche non pensare, ma
quando lo facciamo ci riferiamo sempre ad un oggetto, a qualcosa che . Il non
essere lopposto contraddittorio dellEssere stesso. Con questa contrapposizione,
Parmenide individua i termini dellopposizione suprema, Essere e Nulla.
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Fermiamoci un attimo: come giunge Parmenide allammissione dellesistenza


dellessere? Il filosofo eleate enuncia, per la prima volta nella storia del pensiero
filosofico, il principio di non contraddizione, espresso nella sua formulazione pi
radicale (che sar chiamato cos da Aristotele, per cui una stessa cosa non pu
essere e non essere nello stesso tempo quello che : x non pu al tempo stesso
essere e non essere, oppure x non pu essere contemporaneamente bianco e
nero), ritenuto qualcosa di assolutamente autoevidente. Ricostruiamo i passaggi
logici impliciti nel ragionamento parmenideo:

Tesi da dimostrare: LEssere


Se dicessi: lEssere non , ci significherebbe che lEssere non essere. Ma
questo una palese ed evidente contraddizione, visto che essere e non essere
sono i due concetti assolutamente opposti, che si escludono a vicenda ( dunque,
contraddittori).
Il Non Essere : se dico che Non essere , mi contraddico. Come fa il niente ad
essere, se niente? Il nulla non pu essere Essere, perch lEssere lo esclude
automaticamente.
Qui Parmenide opera quella che si chiama in filosofia dimostrazione per assurdo,
che vuole cio dimostrare la validit di una tesi (lessere , il non essere non )
partendo dallinsostenibilit della tesi opposta o antitesi. Questultima sostiene: il
nulla o non essere . In tal modo, essa sostiene che il non essere essere, ossia
Non-A=A, il che una palese violazione del principio di non contraddizione, legge
suprema dellEssere e del Pensiero. Alla base del principio di non contraddizione vi
, ovviamente, la stretta connessione tra pensiero ed essere, tra logica e ontologia,
cui accennavamo sopra.

Guardiamo adesso di comprendere che cos, precisamente, lEssere per


Parmenide. E scopriremo una concezione decisamente diversa rispetto alla nostra.
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LEssere. E la realt in generale, nel senso pi astratto e indeterminato possibile:


lessere puramente positivo, privo di differenziazioni e di qualit particolari al suo
interno e di qualunque negativit. Per Parmenide tutto ci che pu essere oggetto
di pensiero e di discorso, tutto ci che si pu pensare ed esprimere con il
linguaggio. Ma con la parola e con il suo sostantivo Essere egli non intende
lessere dellalbero, della cattedra o del cane (cio di enti particolari, determinati,
aventi qualit specifiche), bens lessere che sottintende e riguarda ognuno di
essi, a cui cio facciamo riferimento ogni qual volta vogliamo affermare
lesistenza di qualcosa, senza riferirsi per a qualcuno di essi in particolare.
E come se non considerassimo, per esempio, le singole cose o persone belle (il
discobolo di Mirone, la tigre della Malesia, Gorge Clooney, Nicole Kidman, ecc.),
ma la bellezza in generale, nel senso pi astratto e indeterminato possibile, che
comprende tutti quegli enti nominati tra parentesi, senza tuttavia riferirsi ad ognuno
di essi in senso specifico.
Tale impostazione dipenderebbe, a detta degli studiosi, dalla particolarit della
lingua greca, cio la sua capacit di astrazione: il sostantivo neutro on pi larticolo
determinativo to d vita a to on, lEssere, considerato nella sua astrattezza e
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indeterminatezza, che solo il genere neutro, unito ad un articolo determinativo come


il o lo, indicanti lEssere per eccellenza, in grado di esprimere. Tale concezione,
secondo gli studiosi, dovuta al fatto che Parmenide non distingue ancora, in
questa fase della filosofia e dello stesso sviluppo della lingua greca, la funzione
predicativo-copulativa e quella esistenziale del verbo essere: secondo la prima,
io posso affermare che il gesso bianco o quelluomo alto, esprimendo quello
che grammaticalmente si chiama predicato nominale, mentre con la seconda io
posso dire il gesso oppure quelluomo , nel senso di esiste.
Nella visione parmenidea, tali funzioni sono fuse insieme, o meglio quella
predicativa compresa nella esistenziale: pertanto, io dellessere posso dire solo
che , nel senso dellessere indeterminato e astratto. Ne deriva una concezione
univoca dellessere, gravida di conseguenze a livello ontologico: se cos stanno le
cose, infatti, le differenze, le cose molteplici, a rigore non sono essere, ma
solo una manifestazione transitoria e illusoria del suo apparire. Secondo
alcuni interpreti, possiamo anche dire che lEssere lessere del cosmo,
delluniverso, permeato, costituito di logos, di ragione. E un cosmo pensante,
intelligente, che non ha un Dio che lo crei dallesterno, ma eterno e immutabile,
simile in questo al logos eracliteo. Dunque, che lessere , non pu venir smentito,
pena la contraddizione: una verit innegabile, su cui non si pu discutere.
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Il divenire. Nel gi menzionato frammento 6 Parmenide parla degli uomini a due


teste (p. 70, v. 4): essi sono cos chiamati perch ammettono contemporaneamente
lessere e il non essere, visto che il divenire, il fluire incessante delle cose implica,
cos come lo intende il senso comune, un passare delle cose dal nulla allessere
per poi far ritorno nel nulla stesso (un oscillare tra lessere e il nulla, come dir
Platone). Il divenire, cos concepito, conseguenza dellerrore compiuto da chi
resta ancorato alla seconda via, perch ammette implicitamente il nulla (da cui le
cose deriverebbero per poter diventare ci che sono). Esso figlio della doxa, cio
dellopinione ingannevole, di cui schiavo chi fa uso dei sensi e si ferma
allapparenza delle cose (come indicano le parole contenute nella seconda parte
del frammento).

Posto ci, Parmenide nel fr. 8 (T. 5, p. 71) evidenzia i caratteri distintivi dellessere
(vedi anche parte manualistica, p. 57): eterno, ingenerato, omogeneo, immutabile,
finito, in una parola ontologicamente perfetto. Il filosofo eleate cos il fondatore
dellontologia, visto che costruisce e giustifica, sulla base del ragionamento
addotto sopra (il nesso inscindibile essere pensiero), quelli che saranno i caratteri
fondamentali dellAssoluto, a prescindere dal modo in cui esso sar poi concepito
dal pensiero occidentale. Non a caso Platone definir Parmenide il padre terribile
e venerando della filosofia greca.

Che cosa sostiene Parmenide nella seconda parte del poema? Egli ci parla della
cosiddetta terza via, che lo stesso Abbagnano a p. 59 definisce problematica. In
questa parte del poema leleate indaga la Physis, la Natura; il luogo del poema di
cui abbiamo meno frammenti e dunque di pi ardua interpretazione. Ma perch ne
parla, se per lui la physis e il divenire sono figli dellopinione ingannevole e dunque
dellerrore?

Interpretazione tradizionale: Parmenide, secondo essa (sostenuta da diversi


studiosi), negherebbe il divenire, in quanto misto di essere e non essere. Le cose, per
divenire, debbono provenire dal nulla e ad esso far ritorno; ma se il nulla impossibile,
e solo lessere , allora il divenire sar contraddittorio, ossia unillusione. Nella seconda
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parte del poema Parmenide parlerebbe comunque del mondo della natura e del
divenire perch, in quanto uomo, deve pur spiegare come ragionano i mortali e rendere
conto, giustificare, spiegare lesistenza del mondo apparente, della opinione
ingannevole. C il riferimento alla Luce, interpretata come lessere e le tenebre o la
notte, vista come il nulla.
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Interpretazione di Giovanni Reale (ed altri): secondo questo studioso (uno dei
massimi storici della filosofia antica), il pensatore di Elea nella seconda sezione del
poema parlerebbe dellopinione plausibile, verace, cio in sintonia con la verit. In
effetti Parmenide, alla fine del Proemio, dice: Eppure anche questo imparerai:
come le cose che appaiono (cio il divenire, il mondo della Natura, di cui parla nella
seconda parte dellopera) bisognava che veramente fossero, essendo tutte in
ogni senso. Se Parmenide usa queste parole, da me messe in grassetto, perch
lo farebbe, se ritenesse il divenire pura e semplice illusione? Allora, qui la dea si
rende conto che luomo deve inevitabilmente adattarsi allapparenza delle cose, ma
egli pu farlo rimanendo comunque coerente alla verit dellessere, che esclude il
nulla come impossibile. Secondo questa interpretazione, nella seconda parte
Parmenide affermerebbe che unillusione non il divenire di per s, ma il
considerarlo, come fanno i mortali che si affidano puramente ai sensi e non alla
Verit dellEssere, un provenire dal nulla e un farvi ritorno (i mortali dalla doppia
testa). C per unopinione plausibile, verosimile, che non contraddice la verit
dellEssere, secondo la quale il divenire delle cose l apparire dellEssere, il suo
manifestarsi necessario ed esteriore: come se lEssere fosse la luce e il divenire
delle forme naturali i colori: essi esistono solo per locchio umano, ma sono una
manifestazione necessaria della luce.
Luce e notte, di cui Parmenide parla nella seconda sezione, per esemplificare
simbolicamente i due elementi naturali per eccellenza, sono entrambi due momenti
dellapparire dellessere, e non lessere e il non essere. Il loro alternarsi non uno
svanire nel nulla: pertanto, lessere , anche quando noi non lo vediamo e non pi
presente ai sensi. La notte anche quando noi non la vediamo; le cose della
natura non sono di per s illusorie nel loro trasformarsi perenne, ma unillusione il
credere che il loro perire sia un tornare nel nulla, mentre in realt il cosmo, lessere,
si rigenera in continuazione nelle sue forme: qui sta la sua intelligenza, il suo
pensiero. Quindi, nulla si crea e nulla si distrugge: solo lopinione ingannevole di chi
si affida ai sensi pu pensare questo, ma la Verit dellEssere e lopinione
plausibile, in sintonia con essa, lo smentiscono (cfr. il manuale a p. 59).

LEssere cos il fondamento unitario della natura e delle sue due forze
fondamentali, luce e notte. Personalmente, ritengo la seconda interpretazione di
Reale la migliore, anche alla luce del testo parmenideo. Tuttavia, va detto che
Parmenide, non distinguendo ancora la funzione predicativo-copulativa e quella
esistenziale del verbo essere, concepiva lessere stesso come indeterminato e
astratto: quindi, le differenze, le cose molteplici, a rigore non sono essere, ma solo
una sua manifestazione, cio modi del suo apparire. La concezione univoca
dellEssere pone un enorme problema per il pensiero e per il linguaggio: se solo
lessere in generale , come posso io parlare delle cose singole senza
contraddirmi? In altri termini, stando alla logica del discorso parmenideo, io non
posso dire lalbero non rosso, perch ogni volta che introduco la parola non,
aleggia sul discorso e dunque sullessere lo spettro del nulla. Spetter a Platone
prima e ad Aristotele poi risolvere questo problema di notevole rilevanza per il
prosieguo del cammino del pensiero occidentale.

Concludiamo con una puntualizzazione di carattere storiografico. Per lungo tempo


linterpretazione tradizionale ha visto, forzando notevolmente o quanto meno
semplificando i termini della questione, Parmenide ed Eraclito come due filosofi in
netta contrapposizione: luno il filosofo dellessere, dellimmutabilit che esclude il
divenire, laltro il filosofo del panta rei, di una realt in mutamento perpetuo . Su
queste basi alcuni interpreti hanno visto nella critica parmenidea agli uomini a due
teste un riferimento polemico ad Eraclito e alla sua scuola, in quanto ancorati alla
concezione dellessere in quanto divenire perenne. Fermo restando che tale
presentazione ha un fondo di verit (al di l di questultimo aspetto, che non trova
riscontro perch non abbiamo elementi per poter affermare con certezza che
Eraclito e Parmenide sapessero luno dellaltro; se mai la contrapposizione esplicita
si ha in seguito, con i seguaci dei due pensatori), va anche detto che la storiografia
pi recente ha evidenziato lesistenza di diversi punti in comune tra i due filosofi:
a) Entrambi riflettono sul significato dellopposizione, sebbene gli opposti di cui
parla Eraclito siano contrari, che in quanto tali danno vita ad unimplicazione
reciproca (luno non pu stare senza laltro), mentre quelli parmenidei risultano
contraddittori, ossia essere e nulla, che si escludono a vicenda;
b) Tutti e due hanno al centro della loro indagine la questione della altheia, il
disvelamento della verit che avviene attraverso il logos, la ragione (visto che la
ragione non solo nelle nostre menti, ma nelle cose stesse, immanente al
reale) e costituiscono dunque il primo fondamentale esempio di razionalismo
nella storia del pensiero occidentale, svilendo molto il ruolo della doxa e della
conoscenza sensibile (anche se questo avviene obiettivamente assai di pi in
Parmenide che in Eraclito, per il quale lesperienza immediata affidabile nella
vita di ogni giorno). La filosofia si presenta come epistme, sapere indiscutibile,
che dallalto della sua evidenza razionale pretende di cogliere lessenza del
reale. In entrambi si assiste ad un indagine certo pi complessa di quella ionica
e pitagorica, sebbene la stessa si approfondisca ancora di pi con Parmenide:
anche la physis per gli ionici essere, ma solo con il filosofo di Elea lindagine
investe in maniera esplicita e consapevole il senso dellessere, per la prima
volta nella storia della filosofia. Non a caso, Parmenide ritenuto il fondatore
dellontologia, un pensatore, come sostiene Emanuele Severino, con cui la
filosofia tocca vertici cos alti da segnare per sempre il cammino della stessa
civilt occidentale;
c) Ambedue hanno una concezione elitaria della filosofia: gli uomini a due teste del
poema parmenideo somigliano decisamente ai dormienti di cui parla Eraclito,
per cui sia il pensatore di Efeso che quello di Elea ritengono la vera sapienza
prerogativa di pochi, non per un fatto di nascita, ma di capacit ed impegno
speculativo;
d) Tutti e due scrivono con un linguaggio enigmatico che risente ancora, sebbene
solo nella sua forma, dellinfluenza del mito e dellantica sapienza oracolare:
laforisma nelluno, la poesia nellaltro. (vedi DOC. su mito e logos).

Resta il fatto che, pur ponendo entrambi problemi non indifferenti di carattere
ermeneutico (interpretativo), Eraclito e Parmenide influenzeranno il pensiero
successivo ben oltre i confini della filosofia greca.

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