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Con Thomas Bernhard nella direzione opposta*

PIER ALDO ROVATTI

1. Commedia e tragedia, da una parte e dallaltra Nel 1981, in una delle rare interviste, alla domanda ma lei, con quello che scrive, intende anche far ridere la gente, almeno qualche volta?, Thomas Bernhard risponde Io ho sempre descritto situazioni comiche. In realt a ogni istante c molto da ridere. Ma non so, la gente non ha alcun senso dellumorismo, o mi sbaglio? A me ha sempre fatto ridere. Quando mi annoio, o vivo un periodo in un certo senso tragico, apro uno dei miei libri: ancora la cosa che pi facilmente mi fa ridere. Non capisce perch sia cos? Questo non vuol dire che non abbia scritto, tra le altre, anche delle frasi serie, per tenere insieme le facezie. lo stucco. Il serio lo stucco per il programma faceto. Naturalmente si pu anche dire che il mio sia un programma filosofico faceto che in qualche modo ho avviato ventanni fa, quando ho iniziato a scrivere.1 Dobbiamo prenderlo sul serio? Bernhard che ride come un matto leggendo Kant o pensando al barboncino di Schopenhauer, che sghignazza su Heidegger e sui suoi nipotini? Mentre, bambino, aspetta che ancora una volta la nonna si scotti con la piastra della stufa? O che si scompiscia dal ridere quando il fratello, appena partorito, sdraiato dalla levatrice sul tavolo di casa, gli piscia in faccia e anzi in bocca (aperta per la cosiddetta gioia o emozione della nascita)? E se fosse, invece, il ghigno di un detrattore ormai cronico della vita e di ogni sua eventuale e relativa gioia? Il ridere reattivo e alquanto sadico di chi sa, o pensa di aver capito, che tutto ci che facciamo e diciamo destinato a incanalarsi in un deflusso nauseante, e perci delizioso, gi per lo scarico della nostra risibile e derisoria esistenza? Un riso non buono, anzi abbastanza maligno, coltivato e goduto da una posizione un po nascosta, e da un osservatore sufficientemente distante, a lato o dietro gli eventi e in definitiva fuori di essi e con ci stesso anche sopra di essi? La stessa risposta allintervistatrice, di cui ho qui trascritto

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Pubblicato su aut aut, 325, 2005, pp. 78-87. Th. Bernhard, Monologhi a Maiorca (1981), in Un incontro. Conversazioni con Krista Fleischmann (1991), trad. di A. Rovagnati, a cura di L. Reitani, SE, Milano 2003, p. 26.

una parte, potrebbe essere qualcosa come un ghigno provocatorio che indossa la maschera dellamabile presa in giro. O tutti e due? Mi chiedo perch, leggendo Bernhard, facendomi prendere dalla sua scrittura, e dunque entrando in consonanza con questa scrittura (mentre so che ad altri procura fastidio), non mi sono mai rattristato e anzi mi sono sempre divertito e perfino alle volte ho riso da solo. Se le tragedie di Bernhard hanno un effetto comico, come si giocano precisamente nella sua pagina tragedia e commedia? Si possono fare diverse ipotesi, ma gi ne abbiamo fatta una, forse la pi importante, nel momento in cui ci avviamo per questa strada: per lui tragedia e commedia stanno dalla stessa parte anzich affrontarsi luna laltra. Ma cosa significa stare dalla stessa parte? Intanto, vuol dire che dallaltra parte stanno o la tragedia o la commedia: questaltra parte non poi affatto la parte opposta, ma la parte pi comune, la parte della normalit, quella che abitualmente e automaticamente tutti recitiamo quando ci incupiamo, per esempio, di fronte alla malattia o alla morte, o quando ridiamo dei clown che riempiono ogni giorno i buchi della nostra esistenza. La parte che invece ci addita Bernhard sta effettivamente dallaltra parte rispetto alla routine di una vita in abbonamento, perch l la tragedia e la commedia stanno dalla stessa parte. Bernhard ci invita ad andare con lui nella direzione opposta. Non solo ci fa fare un iperrealistico zoom nei confronti delle cose e delle parole, dove le cose anche le pi terribili, anche le pi grandi si deformano quanto pi ci avviciniamo a esse ignorando le distanze di sicurezza, e le parole vengono a loro volta sformate circuitandole, ripetendole, in un giro di parole che si avvia, e forse potrebbe non interrompersi, se non ci fermiamo dove di solito sembra conveniente arrestarsi. Abbiamo cos un effetto grottesco, uno sbilanciamento comico anche di ci che appare pi tragico o pi terribilmente serio. un procedimento ampiamente documentabile nei romanzi di Bernhard, e forse il segreto della sua passione per la ripetizione, per esempio la ripetizione per i nomi propri, e anche dellevidenziazione continua di termini e formule linguistiche prelevate dal discorso di qualcuno e isolate nella pagina che stiamo leggendo. Nessuna ossessione, come amano dire molti suoi critici per allontanare il problema, che in tal modo, invece, si avvicina e reclama di essere visto. Ma la natura e il senso di questo problema si spingono oltre la dinamica del grottesco, la quale mi sembra ci dice ancora troppo poco della scrittura/pensiero di Bernhard. La deformazione grottesca annienta laura delle cose e delle parole: avviciniamoci il pi possibile, resistiamo allavvicinamento pi di quanto siamo soliti resistere, ed ecco le cose sgretolarsi in frammenti sprovvisti di valore e le parole afflosciarsi del loro presunto 2

carico di senso, eccoci entrati in uno scenario squallido e ignobile, dozzinale e vuoto. Ma cos? solo cos? soprattutto questo che accade in Bernhard? Pensiamo alla Wolfsegg di Estinzione. Una macchina distruttiva poderosa frantuma questo paese patria, e con esso un intero mondo di gesti, immagini, persone e parole, prima da lontano, non appena il protagonista ha ricevuto il telegramma che notifica il tragico incidente mortale, poi da vicino, nel suo progressivo avvicinamento al funerale e quindi al luogo stesso. Lesempio di Wolfsegg pu valere come test del rapporto tra Bernhard e lodiata Austria. Ma non una vera distruzione, poich nellimmenso processo distruttivo, che inizia mettendo di fronte a s (e accanto al telegramma appena ricevuto) alcune foto di famiglia, una famiglia adesso quasi completamente estinta, il protagonista di Estinzione non distrugge mai davvero n la propria storia n la propria provenienza. Nella pur radicale distruzione qualcosa si salva perch in realt si innesta un gioco che ogni volta doppio e da cui si produce unoscillazione costante nella scrittura e quindi anche nella descrizione degli eventi, unininterrotta andata e ritorno, un dentro che si rovescia, anche con violenza, e talora con un gesto di terribile violenza iconoclasta, nel fuori del grottesco e del dozzinale, ma che poi si ripiega da questo fuori, allapparenza cos perentorio, di nuovo in un dentro che risulta ancora e ogni volta abitabile e perfino desiderabile. Come se lestinzione non fosse affatto solo una soppressione o una totale cancellazione ma consistesse proprio in questo movimento di incessante oscillazione, che riprende e realizza una volta di pi il gesto tipico della scrittura e del pensiero di Bernhard: da una parte e dallaltra. Gesto che trova nella lucida follia del principe in Perturbamento il suo primo grande teatro. Se andiamo con Bernhard nella direzione opposta (come dice di se stesso adolescente in uno dei tasselli dellautobiografia, La cantina) ci lasciamo alle spalle la logica comune dellopposizione, o tragedia o commedia, o lamento o pathos ghignante, o riso superficiale o riso grottesco, ed entriamo invece in una logica paradossale, conosciuta e praticata dalla minoranza pi pensante del pensiero contemporaneo, in cui gli opposti stanno dalla stessa parte e paradossalmente non si oppongono pi: non sono pi fermi uno di fronte allaltro ma si combinano in un movimento che assomiglia a quello di un pendolo, o di una medaglia mobile in cui il recto e il verso si alternano in rapida e perfino rapidissima intermittenza dandosi il cambio, con il risultato che non c pi, per cos dire, n recto n verso, e neanche un prima o un poi, come se ora entrambe le facce potessero comparire contemporaneamente pure dentro uninevitabile successione. Ogni volta la tragedia si gira rapidamente in una commedia, ogni volta la commedia convive con una tragedia. Andando nella direzione opposta, bisogner ogni volta ricominciare ad andare nella direzione opposta per trovare, 3

insieme, la commedia e la tragedia. Si verifica cos, come si vede, una specie di sospensione che deforma il normale flusso temporale, accorciandolo e comprimendolo in un processo che resta sempre solo tendenziale senza mai realizzarsi. Riflettiamo un momento su questa impossibilit di andare davvero e definitivamente nella direzione opposta. Ecco la lucida follia di Bernhard. Espressione certo non inadeguata, ma ancora sfuggente, elusiva. Occorrer pure far questione di questa follia, magari solo per chiedersi se cattiva o buona, faceta o tragica, costruttiva o devastante. una domanda che ci sale sulle labbra: alla quale, se andiamo con Bernhard nella direzione opposta, dovremo rispondere cercando di smontarla per farla esplodere proprio come domanda. Da una parte e dallaltra. Ecco pi precisamente la cosiddetta follia di Bernhard, che pencola continuamente ora da una parte ora dallaltra con una instabilit che ci dice appunto che la follia non uno stare ma un oscillare, il pendolare stesso. Per cui possiamo anche dire che ogni romanzo, e perfino quasi ogni pagina di Bernhard, e certo ogni personaggio compreso il personaggio Bernhard dei volumi autobiografici, insieme devastante e costruttivo, tragico ma nello stesso momento comico. Dobbiamo, per, aggiungere qualcosa che viene a complicare questa logica paradossale, ma che forse semplifica la descrizione possibile dellesperienza che facciamo leggendo Bernhard. Questo gioco, che fa giocare la tragedia e la commedia avvitandole su se stesse e deformandole in se stesse, poich si svolge provocatoriamente nella direzione che si oppone alla direzione normale della nostra routine (visiva, percettiva in senso lato, emotiva, psicologica, e anche filosofica), viene subito scambiato o tradotto in un nuovo scenario esistenziale gravato dalla seriet che tutti automaticamente attribuiamo a un esistere come percorso di sofferenza e infine come tunnel senza uscita. Questo gioco viene subito derubricato o sublimato in qualcosa di terribilmente serio che non ha pi nulla a che fare con il gioco. Nella traduzione istantanea che ne diamo, la dimensione comica viene svalutata e svuotata, e loscillazione folle o paradossale diventa semplicemente linquietudine di Bernhard, il dilemma di Bernhard, il suo brancolare, uno spirito greve e magari malato che proprio per questo ci attira. Al prezzo, tuttavia, di una cancellazione: infatti rendiamo cos inattiva e nulla la dimensione comica, della quale di solito non ci compiaciamo e che perci mettiamo al margine o consideriamo alla stregua di un eccipiente, e che comunque ogni volta tendiamo a ridurre a un ghigno grottesco affratellato allinquietudine di esistere di un autore alquanto fuori dalle righe. La mia ipotesi che Bernhard tenga assolutamente conto di questa abituale macchina psicologica, e sappia benissimo che, mentre lui se la ride leggendo le proprie pagine, il lettore 4

lo sta prendendo molto sul serio e applica a ogni sua pagina una reattivit psicologica che tende a disinnescare loscillazione paradossale. come se Bernhard fosse perfettamente consapevole che il lettore non in cammino verso la direzione opposta, ma rincula continuamente nella tonalit tragica abituale. Linsistenza sulla tonalit comica potrebbe, allora, essere un contrappeso, una funzione di bilanciamento, lo spostamento voluto della gravit verso uno svuotamento relativo della tregedia, la sua necessaria compensazione. Forse per questo Bernhard chiama la sua operazione di scrittura una filosofia faceta, proprio per introdurre uno squilibrio nello squilibrio. Se loscillazione tra tragico e comico e la follia di questa logica paradossale trovano un ascolto stereotipato che assorbe di preferenza la dimensione drammatica isolandola, allora, ogni volta, Bernhard cerca di ripristinare loscillazione colpendo questo ascolto stereotipato con uno spiazzamento comico, evidenziando il lato ridicolo delle situazioni insensate in cui conduce il lettore, creando cos uno spazio al riso proprio laddove lo stucco della seriet sembra dover invadere la scena e ulteriormente solidificarsi in un rigore tragico. Cos, andando nella direzione opposta, incontreremo qualcosa qualcosa che appartiene alla scrittura stessa di Bernhard che ci risveglia da qualunque sogno stucchevole (e da ogni compiacimento tragico) e che ci avvisa, con evidenza, che quella scena patetica, e perfino atroce nella sua drammaticit, altro non che una scena, un teatro o piuttosto un teatrino, attraversabile da parte a parte dalla comicit e perci anche risibile. La grandezza, per dir cos, di Bernhard, il suo speciale talento, o soltanto la sua sensibilit, consiste nel far filare il racconto, che sempre si presenta come un resoconto o come la registrazione incrociata di voci e di citazioni cosa che gi ne attenua limpatto veritativo , verso situazioni sempre pi atroci e insostenibili, producendo nello stesso tempo da parte del lettore linsostenibilit di un tono alto e drammatico. Pi la situazione si fa atroce tanto pi Bernhard accentua, attraverso il suo linguaggio, gli elementi comici come se le cose, una volta che abbiamo spinto al massimo il nostro avvicinamento a esse, si rivelassero cos ridicolmente prive di senso da provocare un sorriso e perfino una risata. Vedremo, tra poco, uno degli innumerevoli esempi (quello comunque che mi ha colpito di pi), la scena delle marionette in Il respiro. Ma ora, a riprova delle ultime considerazioni che ho introdotto, fermiamoci ancora un istante sulla cosiddetta follia. Se diciamo la follia di Bernhard, o la follia di andare nella direzione opposta, o la follia di questa paradossale oscillazione, ci serviamo di una parola che abitualmente, pi che aprire, chiude. La parola follia subito caricata di mille pesi: non solo ci immaginiamo i folli (con i loro tratti) ma ci predisponiamo a un ascolto non giocoso, anzi completamente serio, tanto pi serio quanto pi 5

sospettiamo che, prima o poi, in un qualche modo, per qualche aspetto, ne vada anche di noi stessi. Come se espungessimo da questa parola ogni aspetto comico. Bernhard vuole andare esattamente nella direzione opposta per tentare di mostrarci che la follia del suo oscillare, quanto pi folle, tanto pi rivela un volto comico. Come se la sua fosse appunto paradossalmente una follia faceta. 2. Lesempio del trapassatoio Come tutti sanno, la fama di Bernhard, nel senso ambivalente che questa parola ha in origine, passata attraverso le sue opere teatrali e i rumori che le hanno spesso accompagnate. Bernhard stato un uomo di teatro, come si dice. Letteratura e musica lasciano infine e soprattutto spazio alla scena. Non ho mai avuto occasione di vedere rappresentata una sua pice (il teatro ha assorbito molti anni della mia vita, poi mi venuto a noia come se andasse in controtempo rispetto alla velocit delle cose), e confesso di aver letto con qualche fatica i suoi testi teatrali, come quasi sempre mi capita con questo genere di testi. Ma nel caso di Bernhard, in modo specifico, trovo che la narrativa abbia un ritmo vorticoso e anche vertiginoso, una velocit di movimento che il suo teatro smorza, diluisce e rallenta, rischiando ogni volta di annullarlo. Ci non significa che i suoi romanzi non siano teatrali e che la teatralit delle sue narrazioni sia priva di importanza. Al contrario, questa teatralit, cos presente e riconoscibile, una cifra manifestamente decisiva del suo narrare e del suo pensare narrando. Andare nella direzione opposta, come ho appena osservato, cio tentare di abitare la logica paradossale dove tragedia e commedia stanno dalla stessa parte, esige dalla scrittura di essere dallinizio alla fine una scrittura di scene, una scrittura scenica. Il continuo ritornare da parte di Bernhard sullintreccio ambivalente, e infine paradossale, tra verit e finzione, per ritrovare ogni volta la menzogna e per poterla ogni volta indicare in modo sorprendente come una verit ancora pi vera, a me pare che diventi comprensibile solo se verifichiamo che la realt denudata, destituita dalle ideologie, smascherata nella sua dozzinalit, non una realt scientifica, per dir cos, e tanto meno una realt naturale, meno che mai una realt originaria e incontaminata, un fondo esistenziale o come direbbero molti filosofi un qualche fondamento ontologico delle cose. Questa realt, cos poco naturale ma al tempo stesso cos alla mano da sembrare proprio la nostra, una realt teatrale, con i movimenti e la finzionalit di uno scenario nel quale sperimentiamo risibilmente un processo di continua duplicazione. Presi nella scena, attori di noi stessi, in uno spazio speciale dove persone e cose

sono anche i fantasmi delle cose e delle persone che lo abitano. In cui la scena stessa procede a colpi, e allora di colpo pu rovesciarsi come se ruotasse attorno a se stessa. Come accade in una pagina del quarto volume dellautobiografia, quando Bernhard racconta della sua malattia quasi mortale e della sua guarigione quasi miracolosa. Il respiro viene presentato come il libro della decisione, come se a un passo dalla cassa di zinco lui decidesse di continuare a vivere, ormai giunto nella zona estrema e di non ritorno dellospedale, dove si attende solo lultimo respiro in uno sconvolgente rituale di passaggio il caso di dire in cui la pratica della morte viene sbrigata senza pathos n particolare riguardo verso chi sta aspettando il suo turno, insomma, come una routine qualsiasi. Bernhard racconta come, quasi dimprovviso, e comunque con una precipitazione di tempi del tutto ingovernabile, a diciottanni stesse per morire di polmoni e in realt fosse gi stato dichiarato morto. Ma sono anche pagine di sublime comicit, guadagnata prima attraverso quel minimo di osservazione che la stretta del male ancora gli permette, e poi dilaganti di humour quando le forze cominciano a tornare, e lui si sente infine uno scampato che osserva quellincredibile luogo di morte e i quasi cadaveri che lo riempiono, ciascuno invincibilmente abbarbicato a se stesso e alle proprie minute vicende. Basterebbe ricordare che Bernhard morente battezza questo luogo di orrore, di routine da cadaveri e di umanit che non vuol saper di morire, il trapassatoio, con un colpo di teatro linguistico che rende tutta la scena mobile, basculante attorno a se stessa, sdoppiata in una specie di sogno comico che poi non propriamente un sogno (nulla di propriamente onirico, secondo me, in Bernhard: ecco unaltra scorciatoia interpretativa che lui stesso ci taglia). La morte resta drammatica, ma di colpo diventa anche comica nel trapassatoio. Ecco Bernhard precipitarsi nella direzione opposta facendo diventare lanticamera della morte (quasi in una sfida con se stesso) niente meno che un teatro di marionette: Tutti i pazienti senza eccezione erano attaccati a delle flebo, e siccome da lontano i tubi di gomma sembravano fili, io ogni volta avevo limpressione che i pazienti, sdraiati nei loro letti, fossero marionette appese a dei fili, marionette abbandonate, la maggior parte delle quali non venivano pi mosse, se non assai di rado. Eppure questi tubi di gomma che a me erano sempre sembrati fili di marionette, per coloro che pendevano da questi fili, e dunque da questi tubi di gomma, erano ormai perlopi il solo legame con la vita. Se arrivasse qualcuno e tagliasse i fili e quindi i tubi di gomma, avevo pensato molto spesso, coloro che ne pendono morirebbero allistante. Tutto questo aveva a che fare col teatro ben pi di quanto io non fossi disposto ad ammettere, e in effetti era teatro, sia 7

pure un teatro spaventoso e miserabile. Un teatro di marionette che da un lato veniva manovrato da medici e suore secondo un sistema messo a punto nei minimi dettagli, e dallaltro, cos mi sembrava, era continuamente usato da quegli stessi medici e suore in modo del tutto arbitrario. Sta di fatto che il sipario di questo teatro, un teatro di marionette situato dallaltra parte del Mnchsberg, era permanentemente alzato. Quelle che avevo occasione di vedere nel trapassatoio erano a dire il vero marionette vecchie, in gran parte decrepite, da tempo fuori moda, senza alcun valore, logore in un modo che faceva addirittura vergogna, marionette i cui fili venivano ormai tirati, qui nel trapassatoio, solo controvoglia e che tra non molto sarebbero state gettate al macero e sotterrate o bruciate. Era dunque ovvio che io avessi qui limpressione di trovarmi di fronte a marionette e non a esseri umani, e che dovessi immaginare che tutti gli esseri umani prima o poi si sarebbero dovuti trasformare in marionette per essere quindi gettati al macero e sotterrati o bruciati, poco importa dove e quando si fosse svolta e quanto tempo fosse durata la loro precedente esistenza sulla scena di quel teatro di marionette che si chiama mondo.2 La metafora del mondo di marionette non certo originale, anzi potrebbe perfino apparire alquanto frusta. Salvo che qui non solo una metafora ma piuttosto unosservazione, la puntuale descrizione di una scena: semplice eppure particolarissima perch la retorica della metafora viene evacuata proprio dal tipo di descrizione che comincia con una percezione visiva (i fili e quindi i tubi di gomma) e si distende in un quadro comico dove il lavorio (qui sobrio) delle ripetizioni bandisce ogni letterariet retorica. I tubi delle flebo e i fili delle logore marionette diventano una cosa sola: da una parte sono le esili cannule della sopravvivenza, dallaltra sono gli spaghi un po afflosciati che reggono fantocci senzanima e ripiegati su se stessi. Da una parte lorrore macabro di una grigia fabbrica di trapassi, dallaltra il trapassatoio, cio uno spettacolo di pupazzi. Ma le due parti sono infine la stessa parte che gira su se medesima producendo cos un ulteriore effetto di teatro. Non vero che i tubi sono la realt e i fili un fantasma: per Bernhard, se c una realt, e soprattutto se c qualcosa di vero in questa realt, il miscuglio mobile tra realt e fantasma, questo teatro appunto, che non riguarda solo e principalmente le marionette, ma che attraversa la scena tutta intera con la sua andatura oscillante. Teatrale innanzitutto il gioco tra tubi e fili: questa realt supplita,

Th. Bernhard, Der Atem. Eine Entscheidung, Residenz, Salzburg 1978; trad. di A. Ruchat, Il respiro. Una decisione, Adelphi, Milano 1989, pp. 41-42.

resa pi vera dal supplemento fantasmatico (quasi che tale supplemento la alzasse di livello), che spinge Bernhard a esclamare: ecco il teatro!. La riflessione successiva metaforizza levento in una considerazione di ordine generale: quel grande teatro di marionette che il mondo e dentro di esso ciascuno di noi. Ma la teatralit dellevento anticipa questa considerazione, ed qualcosa di completamente diverso da essa. Mentre il teatro del mondo ristabilisce la tristezza del trapassare, levento teatrale, costituito dal gioco tra i tubi e fili, si mantiene al di qua di ogni spirito triste e pensoso, e anzi afferma sorridendo laltalena del desiderio di vivere, riesce a insinuare nellatrocit del trapassare la comicit del trapassatoio. Il metaforico mondo di marionette, in quanto tale, non ha quasi pi nulla della mobilit della scena, in certo modo una negazione del teatro. Mentre la comicit del miscuglio tubi-fili restituisce la vitalit di una scena allo spazio bloccato nellattesa della morte. La visione di Bernhard, se proprio vogliamo chiamarla cos, fa tuttuno con la decisione di vivere del protagonista morente. Respirare significa, per Bernhard, secondo me, far entrare di nuovo questaria, rimettere in movimento la realt spiazzando lunidimensionalit della tragedia e ritrovando, in questo modo, loscillazione del teatro. Insomma, fare di nuovo ridere le cose. 3. In una stanza pi gradevole Un giorno mi fu proposto dal primario di trasferirmi dal trapassatoio in unaltra stanza, in una stanza pi gradevole, cos si era espresso il primario, il quale di punto in bianco doveva essersi reso conto di tutta latrocit, nonch dellassurdit della mia sistemazione in quel luogo, ossia nel trapassatoio, e poich voleva almeno rimediare a questo errore, pi volte durante la sua visita mi aveva incitato a trasferirmi dal trapassatoio in unaltra stanza pi gradevole, le parole in unaltra stanza pi gradevole le ho tuttora nellorecchio e, ogni volta che le sento, rivedo, nitidissimo, anche il volto del primario che ripeteva continuamente in unaltra stanza pi gradevole, senza mai cogliere, neanche per un attimo, linfamia e latrocit insite in quelle sue parole. In una stanza pi gradevole, ripeteva in continuazione il primario [...].3 La ripetizione (o meglio: la ripetizione scritta in corsivo, sottolineata) una delle modalit pi ricorrenti, e starei per dire pi ripetute, della scrittura di Bernhard in tutti i suoi romanzi. Non lunica ad avere questo rilievo (penso alluso rovesciato dellinterpunzione e della

Ivi, p. 91.

spaziatura, o allincastro dei resoconti sovrapposti con la voce narrante che si stratifica e di continuo si decentra), ma forse quella che provoca maggiormente il lettore, a volte mettendolo letteralmente alla prova, e secondo me quella che ci permette di vedere lordito pi puntuale di ci che ho cercato di dire nelle pagine precedenti. Questo ordito, prima di essere una trama di senso, viene tessuto nella dimensione della scrittura, e propriamente nella pratica puntuale di essa. Non c un pensiero di Bernhard avulso da questo ordito. C effettivamente e soltanto un pensiero che si scrive, il cui ritmo e la cui andatura sono landatura e il ritmo della sua scrittura. Non c una filosofia seria o faceta di Bernhard, magari rintracciabile in alcune dichiarazioni pi esplicite di tipo filosofico. Queste dichiarazioni possono orientarci o disorientarci, e certo servono a collocare Bernhard in un qualche contesto culturale o in unaria di famiglia filosofica (con Schopenhauer e con Wittgenstein, contro Heidegger, ecc.), ma non sono la filosofia di Bernhard e forse neppure la porta pi adatta per introdurci a essa. Il pensiero di Bernhard non si trova neanche in quelle parentesi tematicamente riflessive che costellano la sua narrazione, quando indugia sulla scienza, o sulla natura, o anche quando confessa il rapporto incrociato che vuole inscenare tra verit e menzogna. Sono intermittenze importanti che ci avvicinano sicuramente alla fisiologia del suo modo di pensare, ma restano, per dir cos, pause nella respirazione di questo pensiero che corrisponde, invece ed esattamente, allesercizio effettivo e minuto della scrittura, direttamente, senza bisogno dellintercapedine della tematizzazione, di un secondo livello speciale, di una secondariet che contenga il messaggio esplicito: questa una filosofia. La macchina abituale della filosofia, che si caratterizza proprio grazie a questo secondo tempo, con Bernhard si inceppa, e cos ci troviamo a un bivio. O estrapoliamo il filosofico dal cosiddetto letterario, valutando se riusciamo a ricavarne la quantit sufficiente per fare di Bernhard un pensatore vero e proprio, e magari decidendo che si tratta semplicemente di un letterato, per quanto artista possa apparire. Oppure, decidiamo di andare con lui nella direzione opposta, accettando la sfida che ci lancia e che consiste nel fare della scrittura un luogo propriamente filosofico o nel considerare la scrittura come un farsi specifico del pensiero. Lesempio di ripetizione, che traggo sempre dalle pagine di Il respiro quando il giovane Bernhard dopo aver toccato la morte si riprende in modo completamente imprevedibile, al punto che solo con estrema lentezza la routine del luogo lo percepisce (nessuno era mai uscito dal trapassatoio se non dentro a una cassa di zinco) molto chiaro nella sua dinamica. Le parole, la frase che viene ripetuta (in una stanza pi gradevole), sono evidenziate dal corsivo, il quale funziona ogni volta in Bernhard come una specie di citazione, 10

lingresso di una voce altra, della voce di un altro, nel tessuto narrativo che ne riceve cos qualcosa di simile a unaccentuazione, a un segnale di avvertimento. Ci che viene ripetuto svolge, ancor prima di venire ripetuto, una funzione speciale nel continuum della narrazione. una sorta di increspatura della superficie del racconto, allinizio quasi un incidente. Ma poi accade che questa entrata in un modo che sembrerebbe al tempo stesso indiretto e diretto , di unaltra voce nella voce che narra, produca una sua superficie di risonanza, una metrica che taglia la narrazione stessa proprio grazie al gioco della ripetizione. Se gi il corsivo sbilancia lomogeneit del narrare con una modalit non consueta, e perci impropria, la ripetizione e magari la ripetizione molto ravvicinata, come accade quasi sempre in Bernhard, moltiplica questo movimento spiazzante sorprendendo il lettore con un effetto complessivo di dissonanza e quasi di eccessivit. La metrica della ripetizione pu diventare parossistica, e comunque sovrasta landatura della narrazione che il lettore vorrebbe ricomporre, ogni volta, nella sua regolarit. Lincrespatura agisce cos, spesso, e anche in questo caso, come un mulinello catastrofico, che talora si incolla alla narrazione stessa per pagine e pagine, e comunque sempre un po di pi di quanto ci aspetteremmo. Cosa produce? Questa produzione di spazio attorno a una parola e a una frase, che irrompono nella memoria e nella descrizione, e quindi nel resoconto, ha in Bernhard una quantit di contraccolpi e uninnumerevole variet di sfumati che andrebbero analizzati uno per uno. Si tratta comunque di densit e di faglie nellordito della narrazione, di impuntature della scrittura, che hanno sempre la capacit di interrompere la pigrizia dello sguardo. Parlo di sguardo perch qui si produce un fenomeno di attenzione visiva. Bernhard fa vedere queste parole e queste frasi, le isola e le staglia, in modo che esse entrino, proprio come parole e frasi, nel nostro occhio, e noi possiamo effettivamente vederle, vederle muoversi, vederle ricomparire, fissarle, e forse perfino esserne fissati. Come se potessimo vedere le parole e le frasi cos come di solito vediamo e riconosciamo un volto o un paesaggio. Non c nessuna distruzione in questo gesto che per Bernhard tanto abituale, al contrario, viene montato o inscenato ogni volta un mondo, e costruita una insolita invisibilit; attraverso quelle parole e quelle frasi, che di volta in volta vengono evidenziate dalla scrittura, come qui la frase in una stanza pi gradevole, si apre e si impone un particolare universo di eventi che sembrano precipitare a imbuto in quelle parole e frasi. Ma sono in realt queste parole e frasi che riescono a condensare interi mondi di eventi e che, con una messa a fuoco sorprendentemente accurata, quindi con una straordinaria nitidezza, tengono insieme una molteplicit di eventi, tra loro collegati o collegabili grazie alla tonalit propria di queste stesse parole o frasi che vengono portate dentro lo sguardo e che la ripetizione a sua volta moltiplica e intensifica. 11

Non c nulla di tragico in questa ripetizione. Inoltre, essa ha una propria tonalit di ripetizione che caratterizza tutte le altre tonalit dando a esse un timbro che quanto pi insistito, tanto pi produce effetti comici. La gamma di questa comicit a propria volta ampia e diversificata: dal sorriso lieve (vengono in mente le brevi prose dellImitatore di voci con il gioco leggero della ripetizione dei nomi propri, di luogo e di persona), attraverso tutti i gradi della parodia fino allo sberleffo pi o meno caustico. In una stanza pi gradevole appartiene a questultimo genere. Quando per lennesima volta, nel giro di poche righe, la frase viene ripetuta questa frase che Bernhard stesso ha davanti agli occhi (come se la udisse eternamente dentro la sua testa) , il medico che laveva pronunciata viene letteralmente annientato, e con lui tutto quel lugubre mondo di atrocit ospedaliere. Ma, mentre quel medico e il suo mondo precipitano nel ridicolo ed effettivamente vengono distrutti, la frase intanto diventata pienamente visibile, ed entrata indelebilmente in un orizzonte di verit. a ogni ripetizione diventa pi reale, e quindi pi vera, mediante il distanziamento comico. Ci fa ridere, Bernhard riesce a riderne e a far s che noi ne ridiamo. Ma proprio cos essa diventa pi visibile e pi vera. C dunque un rapporto preciso che Bernhard conosce e manovra di conseguenza tra produzione di vuoto attorno a una frase o ad alcune parole e produzione di effetti comici, e anche, di conseguenza, tra ripetizione e riso. Se Bergson come sappiamo faceva nascere il riso dallosservazione dei gesti automaticamente ripetuti, Bernhard costruisce le proprie ripetizioni verbali per scompigliare gli automatismi legati alla pigrizia del linguaggio e per liberare cos unesperienza comica che ci permetta di osservare le cose nella loro intrinseca paradossalit. Se, attraverso la ripetizione, guadagnamo questo spazio di osservazione (che forse potremmo indicare come la soggettivit del pensiero/scrittura di Bernhard), il campo si allarga e la scena comincia a muoversi. La frase in una stanza pi gradevole, ripetuta per lennesima volta, e quindi caricata di comicit, non cessa per di essere una frase amara che ci immette in un mondo atroce. Anzi, quanto pi viene ripetuta, quanto pi diventa comica, tanto pi quel mondo atroce a propria volta si evidenzia, mentre viene distrutto, e diventa pi amaro. Resta drammatico, anzi diventa ancor pi drammatico, ma ha perso la fissit della tragedia.

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