Sei sulla pagina 1di 193

1

2
3
4
5
TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Prima Edizione : novembre 1953


Seconda Edizione : ottobre 1958

COPYRIGHT BY U. MURSIA & C. - EDIZIONI A.P.E.


1953 Printed in Italy

6
INDICE

Presentazione 7

I. Circo si dissolve 10
II. Alla ventura 16
III. C'è Circo e Circo 43
IV. Vercingetorige 50
V. Tad 61
VI. II Signor Pitt e il Signor Pott 89
VII. II cavallo più capriccioso del mondo 96
VIII. II metodo del Circo Alicante 104
IX. Un uomo con la sciarpa, una donna con gli occhiali 130
X. Cuor perfido e volto angelico 148
XI. La prima corsa 168
XII. L'ultima carta 180
XIII. II quale fu il seguente 189

Finito di stampare per conto delle Edizioni A. P. E. - Corriceli! di Ugo Mursia & C
dalla Tipografia Molinari Aldo e C. - Milano, nel 1959.

7
PRESENTAZIONE

Anche Giana Anguissola, come nelle caratteristiche della


collana II Dono, non narra fatti prodigiosi e fuori dalla quotidiana
esperienza terrena, che possono avere per protagonisti fate o maghi;
ma rivendica l'interesse dei lettori alle cose di tutti i giorni, alla gente
e ai sentimenti comuni che i ragazzi sono destinati a incontrare nella
vita.
E così abbiamo in questo romanzo, « Gli eredi del Circo
Alleante », i residui componenti di un Circo: il fiero e leale bambino
Tad, il bugiardo, sfrontato, buono, generoso e simpatico nano
Vercingetorige, la piccola Reginella tutta fossette, sorrisi e riccioli, la
dolce e materna signora Paola, il saggio ammaestratore d'animali
Sem, il malvagio Pompeo, il più bello e il più capriccioso cavallo dd
mondo: il candido Perfetto, col suo allenatore Sam Poti, subdolo e
invidioso; l'aristocratico proprietario di scuderie Sir Barrymoore col
suo secco segretario Tom Pitt; la bella e perfida miss Margherita, la
perfida e brutta miss Cunegonda, il signor Thompson Harris così
grasso che le poltrone per lui dovevano fargliele apposta.
E intorno a tutti questi personaggi, il clamore iniziale di una
piazza gremita di baracconi, il ruggito dei leoni, lo scrosciar degli
applausi, il sibilar dei fischi, giorni fortunati, giorni sfortunati, la
sabbia dei maneggi, i box delle scuderie, il raccolto scintillar d'un
lago e il vasto recinto di San Sir o a Milano, con la folla che ne
gremisce ogni ordine di posti per assistere alla corsa finale del Gran
Premio Eccezionale, in cui Perfetto e Vercingetorige sono impegnati
nella loro più difficile e, per il nano, più dolorosa prova.

8
Questo libro denso di personaggi e di avventure, convincerò,
una volta di più che la volontà umana può compiere prodigi non
inferiori a quelli che sapevano compiere i maghi del passato,
meravigliando e appassionando i ragazzi moderni meglio di quanto
non riuscissero a meravigliarli e ad appassionarli i soprannaturali
eroi dei libri di un tempo, tenendo insieme desto costantemente il loro
senso umorìstico.

GIANA ANGTJISSOLA incominciò a scrivere giovanissima per i ragazzi, collaborando


assiduamente al Corriere dei Piccoli, per vent'anni. Molti genitori di oggi, infatti, ricordano i
suoi racconti e romanzi letti sul « Corrierino » non disgiunti dagli spiritosi pupazzi con cui lei
stessa li illustrava. Pubblicò inoltre parecchi volumi, sempre per ragazzi, fra cui Nel tosco, La
polizia indaga, Gli animali al principio del mondo, Chi sarei il nuovo re dei leprotti?, 1 tre.
Collabora per i ragazzi anche alla radio, la quale ha trasmesso con successo Gli eredi del
Circo Alleante. Il suo ultimo romanzo per ragazzi, Priscilla, pubblicato dalla nostra Casa in
altra Collana, può considerarsi come la sua prova più impegnativa nel campo della letteratura
infantile.

9
10
11
I

IL CIRCO SI DISSOLVE

IN ogni città, piccola o grande, c'è una piazza per i divertimenti e


gli spettacoli nomadi: circhi, giostre, castelli incantati, tiro a segno,
automobili elettriche ed altro.
Anche Piacenza ha la sua piazza per questo genere di spettacoli:
si chiama Piazza Cittadella. Una vecchia rocca viscontea e un immen-
so palazzo antico, il Palazzo Farnese, non condotto a termine e pieno
di nidi di rondini, si stagliano scuri a uno dei suoi margini. Al tra-
monto le strida delle rondini che solcano con ampi voli il ciclo sopra
la piazza, aumentano il frastuono delle musiche, degli scoppi, delle
voci degli imbonitori che vanno a gara per soverchiarsi davanti all'in-
gresso dei vari padiglioni.
— Venghino, venghino, signori! Lo spettacolo più sensazionale
del mondo sta per incominciare! La Donna Metà Serpente e per Tre
Quarti con le Corna, il più bel Mostro vivente sul globo terracqueo, vi
concederà l'alto onore di mostrarsi a voi, solo che si vendano ancora
dieci biglietti, al misero prezzo di venti lire l'uno! Cosa sono venti lire
per un Mostro, quando normalmente con venti lire potete comperare
solo due sigarette? Avanti! Avanti! Musica, ragazzo! Grazie, signore,
si accomodi. Ecco il biglietto a lei, signora! Ancora otto persone di
buona volontà e poi il Mostro, anzi la Mostra, si mostrerà in tutta la
imponenza delle sue Corna e della sua Coda, nonché del suo Pezzo di
Persona Umana! Avanti! E tre biglietti, e quattro, e cinque! Ancora un
piccolo sforzo da parte dell'esimio pubblico e poi si va a incominciare!
A lei! A lei, a lei... Musica!
— Tre tiri per trenta lire! Tre tiri per trenta lire! Al Tiro a Segno
di Parigi! Tutti al Tiro a Segno di Parigi! Militari, ragazzi, giovanotti,
da questa parte! Chi centra il gatto nero avrà una bambola in regalo!
Una bambola parlante, dormente e svegliante! Da questa parte,
signori! Da questa parte, militari!
Si succedevano gli spari, rullavano i tamburi e rimbombava una
voce nel megafono:

12
— Al Grande Circo Giustini! Al Grande e Premiato Circo! Tigri
sei, Leoni quattro, Elefanti otto, Leopardi sette! Il tutto ferocissimo!
Uno dei leoni è quello che ha tentato di sbranare il domatore a Marsi-
glia! Ma il domatore l'ha vinto con la sola forza del suo magnetico
sguardo! Leone e domatore si esibiranno a questo colto pubblico della
città di Piacenza, stasera stessa, in uno dei loro più difficili esercizi!
Avanti, signori!
Fra tanto chiasso, una tenda è silenziosa, non solo da stasera, ma
da quando è arrivata tre sere fa: è la tenda del Circo Alicante, un circo
che appare piccolo accanto al grande Circo Giustini, un circo modesto
ma rinomato per i suoi numeri di Cavalli Danzanti, Cani Calcolatori,
Uccelli Parlanti, istruiti dal più anziano della compagnia, il vecchio
Sem; per il Trio di Acrobati: Pompeo, Tad e Graziella; e per i lazzi del
suo clown, il nano Vercingetorige.
Il Circo Alicante è buio fra i lumi sfavillanti delle baracche cir-
costanti, nessuno è seduto dietro la cassa dipinta a fiori e i megafoni
pendono muti all'esterno delle pareti di tela. Illuminato è invece il
primo dei tre carrozzoni contigui, attraverso le cui finestrine velate di
candide tende trasparenti, si vedono ombre muoversi agitate.
In esso una donna ancor giovane, giace pallida, molto pallida nel
suo letto ; tre uomini le sono ritti al fianco : uno con i capelli bianchi e
la barba bianca, uno con i capelli rossi e gli occhi verdi, il terzo
piccolo e sbi'enco con una gran bazza, e la testa grossa il quale cir-
conda con le braccia due bambini, un maschietto di undici anni e una
bambina di cinque.
L'ammalata che pareva assopita si mosse a stento, fece un debole
cenno quasi a chiamare a sé qualcuno senza che le labbra riuscissero
ad articolarne il nome, infine mormorò in un soffio:
— Taddeo!
Il bambino si scosse: Sem, Pompeo, Vercingetorige, Reginella e
la mamma stessa quando stava bene, lo chiamavano sempre Tad, per-
ché, gli avevano spiegato, Taddeo è un nome da uomo e non da bam-
bino. « Ti chiameremo Taddeo quando avrai quarantanni e dirigerai il
Circo come lo dirigeva il tuo povero papa, come lo dirige adesso la tua
mamma ». Ed ora la mamma lo chiama Taddeo. Ha dunque qua-
rant'anni? Interroga con gli occhi quelli del nano che gli è prossimo,
ma non riesce a leggervi nessuna spiegazione perché sono fissi sul
pavimento del carrozzone. Sem, invece, lo guarda grave:

13
— Dice a te, Tad. Avvicinati a lei ed ascolta.
— Ma... Sem! Hai sentito come mi ha chiamato? «Taddeo»! Il
povero babbo e anche lei mi dicevano sempre che mi avrebbero
chiamato col mio nome intiero solo quando sarei stato uomo ed avrei
diretto il circo! Ma... per adesso son sempre un bambino... e il circo lo
dirige la mamma da quando è morto il babbo. Perché non mi chiama
Tad come sempre?
— Forse, — proferì Sem tenendolo sotto quel suo sguardo gra-
ve, — perché stasera vuoi parlarti come a un uomo e non come a un
bambino. Su via, avvicinati, Tad, -- passò dietro di lui, lo spinse un
poco verso il letto, — ella, — la voce gli si ruppe — non può
aspettare.
Col cuore che incominciava a battergli violentemente, Tad si
fece accanto al letto in cui la mamma era coricata da otto giorni: —
Son qui, mamma.
— Porgimi la mano.
Tad mise la mano bruna in quella della madre che la rinserrò
strettamente :
— Taddeo, io conto di parlare ad un ometto...
Per questo, dunque, lo chiamava Taddeo. Tad si drizzò sulle
spalle: — Ti ascolto, mamma.
La mamma prese ad ansimare, improvvise gocciole di sudore le
imperlarono la fronte, abbandonò il capo sui cuscini : — Portami
Regi-nella... — sussurrò a Vercingetorige che arrivando col mento
solo alla sponda del letto, le era più prossimo.
Il nano sollevò la bambina deponendola sulle coltri, ricciuta,
rosea, bionda, vestita d'un giubbettino scarlatto e di una gonnellina
verde. Subito ella rise; le piaceva star seduta sul letto della mamma
con intorno tutti i membri del circo al completo.
Una mano tremula le si posò sul capo, una voce stenta riprese:
— Ecco, Taddeo, la grande raccomandazione che devi ricordare per
tutta la vita : tu e Reginella siete fratellini : amatevi con tutto il cuore.
Hai undici anni e comprendi il significato della mia preghiera, lei ha
cinque anni e non lo comprende; appena il suo cervellino incomincerà
a ragionare, diglielo subito che la sua mamma le ha raccomandato
l'amore per il suo fra telline, diglielo subito! Tu, Taddeo, oltre che
amarla dovrai proteggerla : ora perché è piccola, in seguito perché sarà
una debole donna. E poi, ricordati, desidererei tanto che non crescesse

14
saltimbanca! Oh, la vita randagia sotto il sole e le bufere! E il pericolo
di cader dal filo o dal cavallo durante gli esercizi! Prometti, Taddeo,
che la farai sempre dormire in case vere in cui il suo lettino non oscil-
lerà al girare delle ruote... Per questo ho incaricato Pompeo di vendere
il circo e i carrozzoni; egli è in trattative col padrone del Tiro a Segno
qui di fronte a noi, sulla piazza.. Poi non vi abbandonerà,
amministrerà la somma ricavata, cercherà lavoro per te, Tad, sarà il
vostro tutore. Ho scelto lui non perché sia migliore di Sem e di Verci...
sono tanto buoni anche il mio Sem e il mio Verci...!
— Padrona!
— Oh, padrona! — riuscirono soltanto a dire costoro.
La mamma continuò : — Ho scelto Pompeo perché è più
giovane di Sem e potrà vegliare più a lungo su di voi, e perché... —
annaspò,
— perché è più... più abile negli affari del nostro
Vercingetorige... — S'interruppe imbarazzata.
Vercingetorige disse per lei : — E poi, padrona, io sono un nano
e non potrei venir preso sul serio come tutore, non avrei l'aspetto ne-
cessario a farmi rispettare e a far rispettare i bambini.
Con un lieve moto del capo la mamma assentì tristemente: — Sì,
anche per questo, mio povero buon Verci, ho scelto Pompeo invece di
te. E così, Tad, — si volse di nuovo al figlio, — altro non ha da dirvi
la vostra povera mamma che se ne va...
— Ma dove, dove vai? — le chiese Tad, smarrito.
— In un luogo dal quale vedrò se manterrai la promessa che ti
ho chiesta.
— Che promessa mi hai chiesta? — Tad, sconvolto da quei di-
scorsi, non ricordava nessuna promessa.
La mamma parve costernata dalla sua dimenticanza: — Ah, Tad!
T'ho raccomandato di vegliare sulla tua sorellina!
Il ragazzo ricordò, le si chinò sopra: — Ssst! Taci! Non t'affa-
ticare! Mi ricordo! E debbo procurarle una casa senza le ruote, vero?
— Sì... — accennò col solo moto delle palpebre la mamma. Tad
si spiegò una mano sul petto e fu molto solenne nel dire:
— Stai tranquilla, avrò cura di Reginella e le procurerò la casa
che desideri.
— Bravo. E...
— Che cosa? — Tad avvicinò l'orecchio alla bocca smorta.

15
— Obbedite a Pompeo, vi raccomando. Egli è il vostro tutore, te
l'ho detto, che è come dire il vostro papa e la vostra mamma.
Tad replicò sbalordito: — Ma io l'ho la mamma! Non voglio
Pompeo!
La povera donna guardò con infinito amore i suoi figli e sospirò:
— Avrete la mamma per poco ancora, piccini miei...
Tad le afferrò una mano, la scosse: — Come sarebbe a dire? In
quel mentre due colpi risuonarono alla porta del carrozzone.
— Chi è? — chiese Sem.
Per tutta risposta una voce lo chiamò: — Ehi, Sem! Vieni fuori
un momento, fai presto!
Sem uscì trovandosi davanti, sulla scaletta di legno che
conduceva al carrozzone, un ometto grasso, rosso : — Ah, siete voi,
signor Fuchs. Che c'è, signor Fuchs?
— Scendete, Sem, vi vogliono.
Sem scese; un uomo col bracciale rosso crociato gli si fece
davanti toccandosi il berretto dalla visiera d'incerato: — Sono un
milite della Croce Rossa. Laggiù, — accennò oltre la folla e i
baracconi, — vi sono i miei compagni con l'autoambulanza. È qui la
donna che sta male e che dev'esser ricoverata d'urgenza all'ospedale?
— Sì. È la padrona del Circo Alleante. La mia padrona. Sta
molto male...
— Se sta molto male, — disse il milite cogliendo la desolazione
che c'era nella voce del vecchio, — sarà meglio che le dia un'occhiata
prima di chiamare la barella, prima di muoverla.
— Sì, - - annuì tristemente Sem, — credo anch'io che sarà me-
glio. — Lo precedette su per la scaletta aprendogli la porta. Il milite
entrò, si curvò sul lettuccio, guardò attentamente il volto supino in cui
le occhiaie s'incavavano, fece un cenno negativo, quasi impercettibile,
a Sem che lo fissava, uscì accostando l'uscio: l'onda sonora dei suoni e
delle voci lo investì mentre scendeva rapido la scaletta fra le
innumerevoli luci della piazza:
— Venghino! Venghino, signori! Lo spettacolo più sensazionale
del mondo sta per incominciare!
— Tre tiri per trenta lire! Tre tiri per trenta lire! Chi centra il
gatto nero avrà una bambola in regalo! Una bambola parlante, dor-
mente e svegliante! Da questa parte, signori! Da questa parte!

16
Gli spari si succedevano secchi sopra le aspre e facili musiche
dilatate dagli altoparlanti. Il milite della Croce Rossa procedeva rapido
facendosi strada tra la folla.
— Al Grande Circo Giustini! Al Grande Circo! Tigri sei, Leoni
quattro, Elefanti otto, Leopardi sette, il tutto ferocissimo! Uno dei
leoni è quello che ha tentato di sbranare il domatore a Marsiglia! Ma il
domatore lo ha vinto cori la sola forza del suo magnetico sguardo!
Leone e domatore insieme si mostreranno a questo colto pubblico
della coltissima città di Piacenza, stasera stessa, in uno dei loro più
difficili esercizi! Avanti, signori!
La folla ai margini della piazza era più rada, il frastuono vi giun-
geva attutito. Due militi che si tenevano pronti reggendo la barella
accanto all'autoambulanza ferma in un punto sgombro, si fecero rapidi
incontro al compagno :
— Hai trovato il circo? Andiamo?
— L'ho trovato, ma è inutile. La donna per cui ci han chiamato,
sta morendo. Fa pietà così giovane con quei bimbi accanto e i suoi
compagni di lavoro: un vecchio, un nano... Sembra impossibile —
accennò la piazza, clamorosa dietro di sé — che qualcuno debba
morire fra tanta allegria...
I due militi si volsero a rimettere a posto la inutile barella entro
la vettura : — Eppure è proprio così, — dissero facendola scorrere
silenziosa sugli appositi binari bene oliati. Le salirono accanto
chiudendo lo sportello, il terzo si mise al volante accingendosi a girare
la macchina.
— Avanti! Avanti! Venti lire l'ingresso!
— Tre colpi trenta lire!
— Ancora cinque minuti e il grande spettacolo del Circo
Giustini andrà a incominciare! Otto Elefanti, sette Leopardi, quattro
Leoni...!
II rullare dei tamburi, i colpi di timpano davanti al circo, copri-
rono il rombo del motore dell'autoambulanza che tornava vuota alla
sua sede.

17
II.

ALLA VENTURA

Si DICE che le disgrazie non vengono mai sole e, purtroppo,


generalmente è così. Tad e Reginella erano appena stati colpiti dalla
più grande fra le sventure, quando ad essa si aggiunse il tradimento di
Pompeo di cui la mamma si era fidata al punto d'incaricarlo della
vendita del circo e da eleggerlo a loro tutore.
Il pagliaccio dai capelli rossi e gli occhi verdi, vendette, sì, il
Circo Alleante al padrone del Tiro a Segno, ma se ne mise il ricavato
in tasca, una bella somma, un milione e mezzo, fuggendo quindi senza
un pensiero per gli orfani affidati alle sue cure.
Reginella era troppo piccola per disperarsi e Tad troppo
orgoglioso : insieme con il vecchio Sem e con il nano Vercingetorige,
egli tenne consiglio di famiglia seduto sulla nuda terra della Piazza
Cittadella, dove non possedeva più nemmeno un piolo per fissare la
tenda, nemmeno la ruota di un carrozzone. Dopo un lungo silenzio che
nessuno osava rompere, parlò il vecchio Sem:
— Povera Tad, -— disse, — sei proprio disgraziato.
— Zitto, — ribattè Tad, -— che serve piangere sul latte versato?
Nessuna forza al mondo potrebbe raccoglierlo. Pensiamo, piuttosto,
all'avvenire.
— Latte versato, latte versato... — brontolò Vercingetorige
nella bazza, — che nessuna forza al mondo può raccogliere... può
raccogliere... Ma quello è latte! — proruppe. — E qui si tratta di un
uomo, di Pompeo! Se non si può raccogliere il latte versato, si può
però acciuffare un ladro scappato! Che cosa aspetti a denunciarlo,
Tad?
Tad appariva meditabondo : — Sarebbe logico che lo facessi,
ma...
— Ma cosa?
— Vedi, Verci, — il bimbo si rivolse al nano, — non so come
spiegarmi: noi nomadi, — tentò, — noi saltimbanchi, l'abbiamo nel
sangue l'istinto di non rivolgerci alla polizia. Prima di tutto perché è
difficile che ci credano proprio perché siamo saltimbanchi, e poi, so-

18
prattutto, perché c'è il pericolo di perdere la libertà, di essere trattenuti
per accertamenti o che so .io. E che è più un saltimbanco senza la
libertà? Preferisco cercarlo da me, Pompeo, o confidare nella puni-
zione che Iddio gli serberà certamente per aver derubato gli orfani che
gli affidò la sua padrona morente.
— Dio, già... — Verci si grattò la testa aguzza sotto il
cappelline, - certamente Dio lo punirà... ma chi sa quando! Ed io ho
una fretta
maledetta di vederlo chiuso in una bella gabbia davanti a un
giudice che lo obblighi a restituire il mal tolto e lo condanni, quindi,
almeno a cento anni di prigione! — Si rivolse a Sem che taceva: — Tu
che ne dici, Sem? Perché stai zitto? Cosa sei vecchio come il cucco a
fare? — si stizzì perché Sem non accennava a rispondere. — Non è
dai vecchi che si aspetta la saggezza? E allora schiudi il becco fra
quella barba!
Il vecchio tacque ancora un poco, quindi si schiarì la voce lenta-
mente, ponderatamente: — Ehm! Ehm! C'è del buono e del giusto in
quel che tu dici, Vercingetorige...
— Naturalmente... — incominciò a pavoneggiarsi il nano,
mentre Sem continuava senza badargli, rivolgendosi a Tad : — E c'è
del buono e del giusto in quel che tu hai detto, Tad.
— Ma come? — si stupì Vercingetorige. — Se ha detto il con-
trario di quel che ho detto io!
Sem proseguì senza tener conto del suo stupore come non aveva
tenuto conto del suo compiacimento: — Hai ragione, Verci, nella tua
impazienza di veder preso e condannato un... uno...
— ... schifoso ladro, — suggerì senza pensarci su tanto, Vercin-
getorige.
— ... come Pompeo, — continuò Sem. — Ma ha ragione anche
Tad nel suo timore di compromettere, denunciando Pompeo, la propria
libertà.
Verci si levò sdegnato mettendosi davanti a Sem, agitandogli le
mani sul viso: — Ma come? Per dir queste cose hai fatto la barba
bianca? Non invidio la tua saggezza, Sem, se ti fa pensare che il deru-
bato, debba perdere la libertà come se fosse il colpevole!
Sem gli oppose calmo: — Non proprio nel senso che intendi tu,
cioè di condanna. Ma, recandosi in questura a denunciare Pompeo,
Tad rischia lo stesso di perderla, la libertà, insieme con Reginella.

19
Il nano si dimenò impaziente: — Se non ti spieghi meglio, io
non capisco niente. Sembra che tu parli per indovinelli!
— Ti spiego subito : Tad e Reginella sono minorenni, perciò,
presentandosi in questura, verrebbero subito tolti dalla circolazione,
visto che non hanno più nessuno, e schiaffati in collegio.
— No! — oppose Tad con un grido.
— No! — oppose Verci, con orrore.
— No! — ripetè Reginella per fare come gli altri.
— In collegio! — ripetè il nano, come se mirasse un baratro
senza scampo. — Voi due... — Abbracciò i bambini con lo sguardo.
— Oh, no! No!
Tad aggiunse semplicemente: — Io ci morirei, figurati, in colle-
gio, abituato come sono a girare il mondo fin dalk nascita. Reginella
che è piccola forse ci resisterebbe. Ma io...
Verci si chinò impetuoso ad afferrare, sotto la barba, il risvolto
della palandrana olivastra di Sem, compostamente seduto per terra:
— Sem! Hai detto che li metterebbero in collegio perché son
soli... E chi è solo? Hanno noi, no?
— Prima di tutto noi non vantiamo con i bambini nessun grado
di parentela, e poi non abbiamo nessuna procura di tutori, perciò ri-
spetto ad essi, legalmente, condamo meno che nulla e non potremmo
influire sulla decisione della questura. In secondo luogo, Verci. — una
nota dolente offuscò la voce saggia di Sem, — io non posso seguirvi
per le vie del mondo, alla ventura: sono vecchio, ormai, ed ho bisogno
di un impiego fisso. Il Circo Giustini mi ha offerto di preparare un
numero di Cani Calcolatori... ed io... ho accettato.
Un lungo silenzio seguì la rivelazione, in cui nessuno, tranne Re-
ginella che guardava tutù, osò guardarsi in faccia.
Il primo a parlare, soffocato dal dolore, dalla sorpresa, fu Tad:
— Oh, Sem! Ci lasci!
Il nano fece meno complimenti: — Ah, così, — proruppe. — Al-
lora ci pianti! Non hai pensato che a te stesso: sei un traditore, —
rincarò ormai trascinato dalla sua amarezza, incapace di controllarsi
secondo l'impulsività del suo carattere, — né più né meno che Pom-
peo! — Si rivolse con slancio patetico ai due bambini: — Ma io non
vi lascerò mai, pulcini miei! Anche se sono solo uno straccio d'uomo,
un povero disgraziato di un nano, per quel che posso non vi abban-
donerò mai, mai!

20
Sem si sporse risentito dalla sua barba : — E chi ti autorizza a
credere che « io » li abbia abbandonati ? Mi rincresce di offenderti,
Vercingetorige, ma sono costretto a dirti che hai corto il cervello come
la persona! La prima cosa che ho fatto col padrone del Circo Giustini,
— spiegò sdegnato, — è stata quella d'imporre come condizione
alla mia assunzione, l'assunzione di voi due e il mantenimento di
Reginella fino a che non abbia raggiunto l'età di prodursi in qualche
modo!
— Sem! — esalò estatico Verci, come se un momento prima
non avesse affatto espresso sul suo conto i sentimenti decisamente
opposti,
— sei un vero amico, sei il re degli amici! Che ti dicevo, Tad?
— non si peritò di chiedere spudoratamente : — « Lasciamo fare al
vecchio Sem, fidiamoci ad occhi chiusi del vecchio Sem! ». Questo ti
dicevo. E infatti eccoci sistemati tutti, in un secondo, per merito suo!
Credevamo di essere dei poveri accattoni ed invece, senza saperlo,
facevamo già parte del grande, del rinomato, del mondiale Circo
Giustini! E di' un po' Sem, — chiese con l'aria di aspettarsi mirabilie,
— che incarico avrò io ? Hai detto al signor Giustini che so fare
benissimo il Numero dell'Ape, che so star ritto su un uovo, che ho
sempre riscosso deliranti successi nel Numero del Calabrone? Se
posso mettermi in vista coi miei numeri in un circo come il Giustini, è
facile che diventi una celebrità mondiale come i Fratelli Max! — non
mise limite alle sue previsioni. Continuò gesticolando eccitato: - -
L'occasione! Ecco quella che mi è sempre mancata: l'occasione di
farmi conoscere dal grande pubblico internazionale! Mi vedo già in
un'auto, — s'abbandonò a sognare senza ritegno, — lunga da qui a
Cremona, con tutti voi dentro, si capisce. Giustini ha dimostrato di
aver buon fiuto, scritturandomi. Non faccio per vantarmi, ma si
contano sulle dita di una mano i clown come me. E dimmi, Sem, —
s'informò dall'alto, — che cifra mi propone, Giustini, dapprincipio,
s'intende, perché in seguito, col successo che avrò, la dovrà
aumentare, ma aumentare di molto, se non vorrà che lo pianti in asso!
Ma già, vedrete, — immaginò facilmente, — che lo dovrò lasciar lo
stesso perché finirò a Hollywood, di sicuro. L'ho sempre sentito che
ero destinato a finire a Hollywood, che l'America, — terminò
battendosi il petto, — aveva bisogno di me! Tacque senza più fiato.

21
— Sem! — esalò estatico Verci... — sei un vero amico,
sei il re degli amici!... (Capitolo II).

22
Parlò Sem, disadorno e preciso : — Quindicimila mensili più il
vitto e l'alloggio, con l'obbligo di due spettacoli la domenica e le altre
feste in calendario, più la pulizia giornaliera nella gabbia delle
scimmie.
— Eh? Che dici? Che hai detto?
Sem si apprestò a ripetere monotono allo stupore di Verci: —
Quindicimila mensili, più il vitto e l'alloggio, con l'obbligo di due...
— Ma è la paga di una donna di servizio!
— Infatti ti assumono come inserviente.
— Ma se hai parlato di spettacoli: due la domenica e tutte le
altre feste del calend...
- Sì, durante i quali tu aiuterai i pagliacci ad arrotolare i tappeti
nella pista per far posto alle gabbie delle belve.
Il nano balbettò avvilito: - - Ho capito. E.... Tad? Spero, — si
animò, — che non cadrà così in basso anche lui, che non « arrotolerà
tappeti » con tutto quel che sa fare, dal Doppio Salto Mortale al Volo
dell'Angelo. Dal...
— Sì, — confermò Sem, -- arrotolerà tappeti anche lui, alle tue
stesse condizioni.
Verci scattò come non aveva scattato per sé : — Ma lui non è un
nano! Lui è un magnifico bambino! Arrotolar tappeti è lavoro da nani
e non da acrobati quale lui è. Non accettare, Taci! — si rivolse al
ragazzo. — Non degradarti!
— Stai tranquillo, Verci. Io... — incominciò Tad. Ma già Sem
ne soverchiava la voce:
— Lo truccheremo da nano. Grazie alla sua statura nessuno si
accorgerà che è un bambino. Lo so che per le vostre capacità l'offerta
di Giustini è una degradazione, miei cari, — riconobbe, — ma,
credete, non ho potuto ottenere di più. Ed allora ho pensato che per i
primi tempi potevate adattarvi, riservandovi in seguito di far valere le
vostre doti che non consistono certo, — riconobbe con non minor
convinzione ed orgoglio di Vercingetorige, — nell'arrotolar tappeti!
Bastò il riconoscimento di Sem a rianimare il vanitoso Vercinge-
torige ed a mostrargli l'avvenire suo e di Tad da un punto di vista più
ottimistico : — Ah, naturalmente... se in seguito... Ma certo, Sem! Ma
certo, Tad! Per ora occorre adattarci, bimbo mio, ha ragione Sem!
Così avremo subito una scodella di minestra certa e un buon tetto di
carrozzone sulla testa. Ma in seguito... eh, in seguito! — S'infilò i

23
pollici nel panciotto, sotto le ascelle, scostandosi l'ampia giacca che
gli ondeggiò ammucchiata dietro la schiena nella passeggiatina avanti
e indietro, piena di importanza, che iniziò. — Gli farò veder io, gli fa-
remo veder noi al signor Giustini, chi siamo! Scusa, ci dovrà chiedere,
scusa in ginocchio per averci assunti come arrotolatori di tappeti... un
clown come me, un acrobata come te! E quando le nostre prodezze gli
avranno raddoppiato il pubblico, oh, allora saremo noi a fissare il
compenso... e non certo in quindicimila lire mensili, ma in quindici
milioni! E se esiterà: o prendere o lasciare, gli dirò sul muso! Finché
Hollywood...
- E allora, — chiese Sem, — dico al signor Giustini che
accettate le sue condizioni?
- Ma certo, certo, — elargì Verci — ... per ora! — aggiunse
strizzando un occhio.
- E va bene, — concluse Sem alzandosi, — vado a riferirglielo.
Si levò anche Tad: — Un momento, Sem.
Sem si fermò: — Che c'è, Tad? Non ti vuoi adattare? — chiese
allarmato. Se Tad non s'adattava voleva dire separarsi, non veder più i
bambini : e lui li aveva visti nascere.
- Ma si tratta dei primi tempi, bimbo mio, — s'intromise a pe-
rorar fervido Vercingetorige, — solo dei primi tempi e per, — precisò
teneramente, profondamente, - - per dar subito cibo e tetto alla tua
sorellina che non può, piccola com'è, sopportar stenti, disagi. In se-
guito, — rigonfiò il petto, — gli farò veder io chi siamo, al signor
Giustini, gli dimostrerò io...
Tad lo frenò mettendogli una mano sul braccio, per spiegar quin-
di calmo e ponderato come chi ha ben meditato ciò che dice: — Non
si tratta di questo, Verci, e non si tratta del compenso, Sem. È che la
mamma, lo sapete, mi ha fatto promettere di non crescere Reginella
saltimbanca, e da Giustini sono certo che, dopo quindici giorni, nono-
stante abbia solo cinque anni, già la vestirebbero di lustrini introdu-
cendola in un numero qualsiasi. È per questo che rifiuto la tua offerta,
pur ringraziandoti di cuore, Sem.
Sem apparve scosso, preoccupato: — Ma allora, che farai, Tad?
Oltre l'acrobata non sai far nulla. Non vorrai vagabondare, chiedere la
carità! La tua mamma non intendeva certo questo!

24
— Cercherò lavoro, Sem, son forte. — Tese le braccia dai saldi
muscoli temprati ai duri esercizi. — E con il ricavato del mio lavoro
affitterò una stanzetta per Reginella.
Sem scosse il capo: — Mio povero Tad, hai il coraggio e la vo-
lontà di un uomo, ma, naturalmente, l'inesperienza di un bambino.
Ammesso che tu, pur in momenti di crisi come questi, trovassi mira-
colosamente subito lavoro, mi sai dire che farebbe una bambina di
cinque anni chiusa tutto il giorno sola in una stanza?
— Già... non ci avevo pensato. — Lo sguardo già fiero di Tad
divenne perplesso, smarrito : lo sguardo di un bambino di undici anni
che aveva voluto essere un uomo.
Si fece avanti Ver cinge torige fin sotto il naso di Sem, la punta
della cui barba gli sfiorava il tondo cappelline. Parlò strascicando le
parole: — «Sola» hai detto, Sem? Oppure ho inteso male?
— Sarò vecchio, — si risentì Sem, guardando impermalito in
fondo alla propria barba, — ma mi esprimo ancora chiaramente. Ho
detto « sola » e tu hai udito benissimo.
— Allora, — lo rimbeccò levando fieramente il viso di sotto i
bianchi peli, il nano, — ti sei espresso malissimo, perché Reginella
non sarà sola mentre Tad andrà a lavorare!
— Tu vorresti... — Sem lo scostò da sé tenendolo per gli omeri,
guardandolo negli occhi per indovinarne il pensiero.
Ma frattanto lo indovinava anche Tad che esultava : — ... venir
con noi, con me? Oh, Verci!
— Si capisce, — borbottò il nano, — che discorsi! Cosa siamo
amici a fare?
— Forse, — Tad si sentì in dovere di prospettargli senza veli la
realtà a cui col suo impeto generoso andava incontro, — sarà la fame,
dapprincipio, per noi due, voglio dire, non certo per Reginella.
— Fame? — si chiese scettico, molto scettico il nano. — Può
darsi... in tal caso... — disse senza convinzione, — la divideremo. Ma,
— la voce gli si ravvivò e anche lo sguardo che brillò malizioso di tra
le ciglia socchiuse, — è difficile, bimbo mio, che io e chi è con me,
soffra la fame!
— Verci! — lo richiamò severamente- conscio Tad. — Non
vorrai già rubare!
— Ohibò! — protestò Verci, enfatico.

25
Tad non fece nessun conto della sua enfasi, proseguendo: — Sai
che il babbo diverse volte ti punì per questo vizio!
— O bella, — si confuse il nano, — e come lo sai? Un gentiluo-
mo come si vantava di essere tuo padre Intrepido Alicante, — si
lagnò, — non doveva spifferare i miei fatti privati.
— E tu non dovevi rubare.
— Pace, pace, non litigate, — intervenne Sem. — E così, —
mise fuori tristemente ciò che l'opprimeva, — vi perdo proprio piccini
miei, mio buon Verci... Ah, quasi, quasi... Ma sì, — decise in furia, —
vengo anch'io, con voi! Disdico il contratto, aspettatemi! — Si volse
verso le grandi tende verdi dell'attiguo Circo Giustini. — Arrivo fin
qui dal padrone e torno: divideremo insieme la sorte come l'abbiamo
divisa per tanti anni, brutta o bella che sia!
Già avanzava una delle sue lunghe gambe quando Tad, triste ma
risoluto, lo fermò: — No, Sem. Poco fa l'hai detto: sei vecchio e le
strade del mondo, alla ventura, non sono più per te. Tu hai bisogno di
una occupazione stabile, di un cibo e di un letto sicuri, non di ansie e
di privazioni. Rimani, Sem: sono io che te lo dico pur ringraziandoti.
Sem aveva abbassato il capo : c'era del vero nelle parole di Tad,
ma ero duro convenirne, riconoscersi un mezzo invalido, non poter se-
guire i ragazzi, il suo compagno.
Si avanzò anche il nano, gli prese e gli strinse una delle mani
rilassate lungo il corpo: — Ha ragione Tad, Sem, — disse con fare
persuasivo se pure accorato. — Rimani. E non per questo ti riterremo
meno amico dei ragazzi di me che li seguo. Per quanto... sì... defor...
nano, insomma, io ho ventisette anni, sono giovane e perciò più
resistente di te che ne hai settanta.
Seni sospirò : — Forse avete ragione... ma non per me : per voi.
Alla mia età sarei molto spesso un peso, v'impedirei di muovervi e di
agire con la sveltezza e la resistenza della gente giovane. Perciò è
meglio che rimanga... per quanto... Oh! — la voce gli si ruppe, voltò
via il viso mentre Tad gli prendeva l'altra mano, continuando: — ...
per quanto sia terribile! Avevo sognato di vivere sempre insieme, di
morire fra di voi... che mi chiudeste gli occhi... voi che siete da tanti
anni la mia famiglia... e... invece... — Lunghi fremiti gli percorrevano
la barba mossa dalle labbra agitate le quali si sforzavano di trattenere
virilmente il pianto.

26
— Sem, — anche la voce di Tad era malcerta per quanto
anch'egli volesse comportarsi da uomo. -- A noi pure dispiace di
lasciarti... ma la volontà della mamma per Reginella'... Ti ricordi?
«Non crescerla saltimbanca », si raccomandò.
— Sì, sì, — confermò Sem, — mi par di sentirla. Va'... va'... an-
date e che Dio vi assista!
— Arnvederci, Sem, — disse Tad, staccandosi da lui, intuendo
che protrarre gli addii sarebbe stato peggio. — Cerca di rimanere sem-
pre con Giustini : chi sa che un giorno, se avrò fatto fortuna, non ti
cerchiamo per portarti a vivere con noi!
— Dio lo voglia, ragazzo mio! — consentì Sem con fervore.
Chinò l'alta, magra persona sperduta dentro la palandrana senza tinta :
— Dammi un bacio, Tad... Verci... e Reginella, Reginella mia! Di'
proprio tu, — s'inginocchiò davanti alla bambina, — con la tua bocca,
con la tua vocina, al vecchio Sem che ti ha allevata : « Arnvederci,
Sem! ». E Iddio ti ascolterà.
— Arnvederci, Sem, — ripetè Reginella, un po' imbarazzata nel
vederne la lunga figura in ginocchio davanti a sé, e quegli occhi rossi,
lucidi, fervidi, fissi con tanto intenso ardore nei suoi. Nel circo non
l'avevano abituata alle scene sentimentali. Perciò si scosse e chiese
allegramente a Tad, a Verci: — E adesso, dove andiamo? - - visto che
aveva salutato Sem. I saluti si fanno in procinto di partire, lo sapeva
benissimo a cinque anni.
Strano, Tad esitò prima di rispondere come se non lo sapesse, e
poi le disse: — Chi sa... — II che non significava nulla. Guardò Verci
ed anch'egli ripetè : — Chi lo sa... — prendendola al tempo stesso per
mano e trascinandola via come se volesse impedire altre domande. Ma
Reginella non ne fece : era contenta che si andasse anche se non
sapeva dove. A lei piaceva andar via.
— Ad ogni modo, — si levò dietro di loro che tenevano ostina-
tamente il capo fisso in avanti, la voce di Sem, — se vi trovaste nei
pasticci, venitemi a cercare! Il vecchio Sem è sempre pronto a darvi
una mano, non dimenticatelo! Il Circo Gius tini si ferma ancora dieci
giorni a Piacenza, poi va a Pavia. Venite da me se vi va male, ragazzi!
— raccomandò.
Tad e Verci si voltarono : — Sì, Sem! — gridarono perché erano
ormai lontani. — Sì, Sem!

27
— Sì, Sem! — gridò Reginella che doveva sempre ripetere quel
che dicevano gli altri anche se non ne capiva nulla.

***

Ma nessuna azienda volle assumere Tad, nessuna delle tante fab-


briche di bottoni che mandavano il fumo delle loro alte ciminiere
verso il ciclo di Piacenza, volle assumere Tad, il quale anche se alto e
robusto per i suoi undici anni, era pur sempre un bambino. Quando
mezzogiorno suonò a distesa da tutti i vecchi campanili che, insieme
alle ciminiere delle fabbriche, sovrastano la vecchia città adagiata
sulla riva destra del Po, Reginella dichiarò : — Ho fame.
- Subito, agnellino mio, — rispose immediatamente Verci a quel
richiamo, tanto più che anch'egli aveva fame, era stanco di girare a
caso, e avvilito dai rifiuti collezionati da Tad. — Vedo là una trattoria,
vieni con me, ed anche tu Tad, s'intende.
— Nemmeno per sogno! — si oppose Tad. — E neppure voi ci
andrete!
— Come sarebbe a dire ? - - Verci che già trascinava
allegramente con sé Reginella per mano, si fermò stupitissimo. -- Hai
inventato il modo di vivere senza mangiare?
— Magari! Ma è che tu hai in tutto duemila lire iri tasca ed io
non ho nulla. Dove dormiremo, stanotte, dopo aver pagato il conto di
un pasto per tre in trattoria?
Non c'era niente da ribattere, e il nano, dopo qualche tentativo da
lui stesso giudicato vano, non ribattè. -- E va bene, mangeremo panini,
allora, — si arrese. — Nel pomeriggio cercheremo ancora lavoro per
te sperando di trovarlo e di mangiar presto ostriche, — s'andava riani-
mando sulle ali della fantasia, — aragosta, arrosto...
— Sì, sì, intanto aspettami qui che vado a comperare tre panini
e un etto di mortadella.
— Pheu! — fece Verci, trascinato di nuovo sulla nuda terra
della loro realtà, dagli allegri cicli in cui aveva incominciato a
sollevarsi. — Perché, almeno, non compri un panino e tre etti di
mortadella?
Invece ben presto furono sei panini e mezzo etto di mortadella a
rappresentare i loro pasti: Tad non trovò lavoro né quel pomeriggio,
né il giorno dopo, né il giorno dopo ancora. E la misera stanzuccia che

28
affittavano in una trattoria di quart'ordine, per dormire, esigeva la più
parte del loro danaro ormai quasi sfumato. Reginella si lamentava che
le dolevano i piedi a furia di camminare. Allora Verci disse:
-Tad.
— Che vuoi? — rispose Tad, depresso.
Anche a lui dolevano i piedi e più l'anima. Erano destinati a non
servire proprio a nulla il suo coraggio, la sua buona volontà di proteg-
gere la sorellina, di provvedere a tutti loro?
— Siamo in piazza, — il nano indicò con un vasto gesto circo-
lare lo spazio lastricato di lisce pietre in mezzo al quale si trovavano, a
un lato del quale si ergeva rosseggiante un magnifico palazzo gotico,
fronteggiato da un palazzo sormontato da aeree statue; due grandi,
impetuosi cavalli di bronzo, col vento nei gonfi mantelli dei cavalieri,
lo fiancheggiavano alti sui loro piedistalli, — nella piazza maggiore di
Piacenza, Piazza Cavalli, si chiama, per quei due cavalli di bronzo.
Tad alzò le spalle: — Se tu credi che io sia nello stato d'animo
adatto a interessarmi delle bellezze del luogo, ti sbagli. M'interessa
solo di lavorare e guadagnare, caro mio.
— Questa piazza detta dei Cavalli, — proseguì Vercingetorige
imperterrito, — è lastricata a grandi pietre lisce.
— Potrebbe essere lastricata di brillanti e non me ne
importerebbe nulla! — oppose rabbiosamente Tad, dominato dal
pensiero delle loro necessità.
— Importerebbe a me, in tal caso! — inserì vivacemente il
nano, mentre gli occhi gli si accendevano di cupidigia. — Disfarei il
selciato in un secondo trasferendolo al completo nelle mie tasche. Ad
ogni modo, — riprese — continuo a farti osservare che su questa
antica piazza passa molta gente.
Figure lente o frettolose, infatti, l'attraversavano in tutti i sensi
sollevando brevi voli di colombi sul loro cammino.
- E piantala, Verci, -- proruppe Tad, infastidito, — con questi
discorsi insulsi!
Il nano tirò via come se nulla fosse: — Tu hai in tasca, ci scom-
metto, i tuoi gessetti colorati.
Tad lo guardò stupito: non s'aspettava che da quella vasta
piazza. Verci passasse ai suoi piccoli gessetti : — Sicuro che li ho. E
che c'entra?

29
— Piazza centrale con pietre lisce, — enumerò Vercingetorige
come se facesse una somma, — su cui passa una quantità di gente, più
gessetti colorati, più ragazzo che disegna benissimo, uguale una piog-
gia di soldini, caro mio! — concluse trionfante.
— Oh! — fece Tad con voce soffocata. — Oh! È questo, dun-
que, che intendevi dire! Io... io dovrei disegnare sulle pietre di una
piazza, come tanti poveri disgraziati a cui il babbo e la mamma mi
insegnavano a fare la carità! Oh, Verci!
Senza scomporsi, Verci sentenziò: — Disgraziato è chi nonjnan-
gia! Disgraziato è chi non ha un letto! Disgraziato, — scandì le parole
severo, — è chi non può far riposare una bambina di 'cinque anni che
da un'ora dice di esser stanca di camminare!
Tad si levò impetuosamente la giacca rimanendo in maglietta a
righe: — Tieni, Verci! Ripiegala come un cuscino e mettivi a seder
sopra Reginella! E dille pure di dare ai piccioni — i quali già si avan-
zavano vedendo dei bambini, — il pane che le avevamo detto di ser-
bare per mezzogiorno. Fra poco, sia pure a costo di disegnar per terra,
avrai tanto da comperarle un panino dolce!
Dieci minuti dopo, mentre già la mistica scena della « Fuga in
Egitto » si delineava sulle lastre della piazza e Reginella, non più stan-
ca e piagnucolosa, rideva felice al sole di marzo, quasi sepolta da un
nugolo di colombi grassi e ingordi, il nano passeggiava avanti e in-
dietro arringando un gruppo di gente che si era fermata seguendo con
interesse l'opera di Tad :
- Osservino egregi cittadini della egregia città di Piacenza, come
incominciano i pittori a diventar pittori! Fra il mio amico Tad e
Ciotto, corre solo questa lieve differenza : Ciotto all'età di Tad dise-
gnava pecore sulla nuda terra con un bastoncello; Tad, più progredito,
disegna con i gessetti sulle pubbliche lastre di una rispettabile piazza!
Perché Ciotto diventò celebre? Perché un giorno passò dalle sue parti
il pittore Cimabue il quale, scorgendo i disegni del pastorello, esclamò
: « Poffare, questo bambino ha il bernoccolo della pittura! Diventerà
mio allievo! » E Ciotto imparò tanto bene da riuscire a fare i cerchi
senza compassi, per conto del Papa. Ebbene, cosa si aspetta per trarre
dall'ombra il novello Ciotto che Tad si noma? Chi non è pittore gli
offra cinque lire... no, meglio dieci... no, meglio quindici, venti, — si
corresse sempre più veloce, — trenta, quaranta, cinquanta! E chi è
pittore faccia due passi avanti e sia il suo Cimabue!

30
Parecchi foglietti da cinque e da dieci, volteggiarono e si posa-
rono intorno a Tad, mentre Vercingetorige modulava i suoi grazie in
vari toni corrispondenti al valore di essi; e vi fu chi avanzò i due passi
richiesti: una guardia cittadina dai folti baffi neri. Benché im-
pressionato, Verci non resistette al desiderio di far dello spirito :
— Scusi, lei è Cimabue?
— Che storia è questa? — ribattè burbera la guardia, mentre la
gente si disponeva a divertirsi come se fosse stata a teatro. — Sono
una guardia cittadina e mi par che si veda!
— Siccome avevo detto, — non disarmò Vercingetorige, — che
facesse due passi avanti solo chi voleva essere il Cimabue di questo
novello genio e lei li ha fatti... io credevo... supponevo...
La gente rise e la guardia divenne ancor più burbera: — Poche
chiacchiere e mostratemi le vostre carte!
— Eccole! — obbedì prontamente il pagliaccio, cavando dalle
tasche delle ampie brache un fascette di carte, porgendolo sulla palma
aperta e tracciandovi sopra con l'altra dei gran segni cabalistici mentre
mormorava : — Abracadabra, solimen soliman, Porta dei Portenti
apriti e inghiottiscile!
Il pubblico ora guardava attento il nano, dimenticando Tad che
continuava a disegnare : lui lo conosceva bene quel giochetto.
— Tutti i tuoi giochi di prestigio, — osservò la guardia sarca-
stica, — se le carte non saranno in regola non potranno impedir loro di
essere quello che sono.
— Ah, — lo sfidò Verci, — non potranno impedir loro di essere
quello che sono?
— Certo che no, — ghignò sicura la guardia.
— Ebbene, giudichi lei, allora, illustre protettore della pubblica
quiete, se le mie carte sono ancora quelle che erano.
— Oh! — La mano che la guardia aveva tesa incontrò, innocen-
temente bianco, un uovo sodo al posto del fascette che nessuno aveva
visto sparire.
— Un uovo... — fu il mormorio che percorse stupito la
piccola folla che s'andava ingrossando.
— E sodo! — rincarò Vercingetorige.
Scoppiarono gli applausi, Vercingetorige ringraziò inchinandosi,
ma la guardia con i mustacchi irti di sdegno lo rialzò afferrandolo per
il colletto: — Fuori le carte! Non si scherza con i vigili urbani!

31
Vercingetorige, tra gli ammirati commenti del pubblico, fece al-
l'istante riapparire le carte, quindi, disinteressandosi dell'esame di esse
da parte del vigile, sapendo che erano in regola, raccolse tre monete da
dieci lire e si mise a lanciarle in aria raccogliendole a turno in equi-
librio sulla punta del naso. Ma era destino che la guardia non mo-
strasse nessuna considerazione per le sue abilità:
— Le carte dei bambini! --lo interruppe.
— Illustrissima signora guardia, — rispose Vercingetorige
digrignando i denti al ricordo, — ho il disonore di comunicarle che le
ha rubate quell'infame di Pompeo insieme al danaro ricavato dalla
vendita del circo.
La gente rise a quella che credeva una qualsiasi panzana
inventata lì per lì per canzonare la guardia. La quale si fece
minacciosa:
— Vi ho già avvertito che con me non si scherza. Tenetevi le
vostre buffonate e rispondete a tono : di chi sono, anzitutto, questi
bambini?
— Ma... di nessuno... Miei... se lei crede.
— Come « di nessuno » ? — La guardia s'insospettì, la gente
non rise più, Tad levò il capo poiché si trattava di lui, di loro. — Non
saranno bambini rapiti, per caso?
— Eh, già, — Verci levò le spalle con compatimento, — io
rapisco Tad che è alto più di me e che con una sberla può mandarmi a
gambe levate! Ma andiamo, signora guardia! Lei non ha il senso delle
stature!
Scoppiò una risata, la guardia si gonfiò tutta : — Ah, io non... —
Ma si contenne se pure a stento : le premeva di arrivare in fondo alla
storia di quei bambini senza documenti, che non si sapeva di chi
fossero. — Di questo parleremo poi. Ora voglio sapere dei bambini:
come mai si trovano con voi?
- Son con me, — il nano fu solo e sinceramente triste nel ri-
spondere, — perché i loro genitori sono morti.
— Oh, poverini! — corse un mormorìo fra il pubblico.
— La bimba così graziosa...
— Il maschietto che disegna così bene...
« La Fuga in Egitto » era terminata ed era bella davvero con San
Giuseppe in marrone e viola, la Madonna in rosa e azzurro

32
sull'asinello bigio, il Bambino riparato dal mantello materno da cui
spuntava la testolina raggiante. E le palme, le rocce intorno.
— Quel buon nano che li protegge...
— Silenzio! — intimò la guardia. — Buon nano, buon nano...
Staremo a vedere.... — borbottò — se è davvero un buon nano! Non si
sa mai con questi burroni! Fuori le carte dei ragazzi!
— Ma se le ho detto che le ha Pompeo, — ripetè Vercingetorige
pazientemente. Si scosse alla nuova risata del pubblico, guardandosi
intorno stupefatto. Ora diceva la verità, come mai non lo capivano?
Ma allora la gente crede proprio che un pagliaccio parli sempre e solo
per far ridere? — Come, anche lor signori mi credono un impostore?
— chiese. — La signora guardia, pazienza, percepisce uno stipendio
apposta per diffidare del prossimo! Ma loro! Mi meraviglio! Se non
vogliono credere a me, ascoltino la voce dell'innocenza, allora... Ehi,
bambini, — si volse a Tad e a Reginella, — chi è scappato con le
vostre carte?
— Pompeo, — rispose prontamente Tad, levandosi in piedi.
— Pompeo, — fece eco, al solito, Reginella, levandosi in piedi
come lui.
— Seguitemi in questura! — tagliò corto la guardia. — Là
appureremo l'affare !

***

La questura era un luogo attraversato da lunghi corridoi fitti di


usci. In uno di questi vennero spinti il nano e i bambini e fatti schie-
rare davanti a una scrivania dietro la quale sedeva un signore senza
capelli, con gli occhiali cerchiati d'oro.
— Signor questore, — l'informò la guardia, — questo pagliac-
cio non sa provare l'identità dei bambini che lo accompagnano.
— Come? — scattò Vercingetorige. — Non so provare la loro
identità? Se li ho allevati io insieme con Sem! Reginella, poi, l'ho
persine allattata, col biberon, s'intende, perché le febbri avevano fatto
andar via il latte a sua madre. « Non sa provare la loro identità»! —
rifece il verso alla guardia. — Ora sentirà se non la so provare! —
Infilò tutto d'un fiato : — I qui presenti bambini sono Taddeo Alleante
del fu Intrepido Alleante e della fu Graziella Alleante Boni nato a
Nervi undici anni fa. La piccina si chiama Graziella è figlia degli

33
stessi genitori di Taddeo così che viene ad essere sua sorella ha cinque
anni ed è nata a Parigi.
II questore oppose col suo accento meridionale calmo e incisivo:
— Tutto questo lo dite soltanto voi.
— No, signore. Lo dicono anche i bambini. Dite su: come vi
chiamate?
— Taddeo e Reginella Alleante, — rispose Tad.
— Le loro carte? — proseguì il questore, mentre il viso della
guardia s'illuminava di un maligno sorriso : qui lo voleva quel nano
smargiasso, a rispondere a quella domanda davanti al questore.
Vercingetorige apparve infatti un po' meno spiritoso e un po' più
impressionato : — Ebbi già l'onore di spiegare alla signora guardia
che esse ci vennero vilmente rubate da Pompeo.
— Spiegatevi meglio.
Verci si spiegò meglio : — La loro mamma prima di morire, otto
giorni fa, — la voce da motteggiatrice gli si fece malcerta, — nominò
loro tutore un nostro compagno di lavoro, Pompeo Calvelli, incarican-
dolo di vendere il Circo Alleante perché non voleva che i suoi figli
crescessero saltimbanchi. Come tutore gli consegnò anche le carte dei
bambini. Lui vendette il circo, ma solo per scappare col danaro, le
carte e tutto, senza un pensiero al mondo per questi poveretti. Ed io
dovevo lasciarli senza tetto e senza pane perché non avevano i docu-
menti? — terminò abbracciando con trasporto Reginella, ricambiato
dalla piccina con uguale effusione.
La guardia prese a mangiarsi la punta di un baffo, segno indub-
bio in essa di commozione, mentre il questore diceva: — Sarà facile
telefonare a Nervi per accertarci se le indicazioni da voi fornite sul
conto del Taddeo Alleante, corrispondono a verità. Occorrerà maggior
tempo per l'accertamento a Parigi. Frattanto vi terrete a disposizione
della questura.
— Chiuso in una stanza? •— chiese Vercingetorige.
— Perfettamente.
— Ah, mi dia la morte, signor questore, ma non la reclusione!
— Gli balenò un'idea e la espose ansioso, protendendosi attraverso il
piano della scrivania: — Se qualcun altro le assicurasse che quanto le
ho detto è la verità, sarei libero?
— Sicuro.

34
— Ebbene, quel tale si chiama Sem e lavora nel Circo Giustini,
in Piazza Cittadella. Lavorò con me nel Circo Alleante, fino a che
Pompeo, Dio lo fulmini dove si trova, non lo vendette... — E sedette
fra i bambini ad aspettare Sem il quale arrivò con la barba sventolante
per la fretta che lo sospingeva, confermando parola per parola ciò che
aveva detto Vercingetorige.
— Allora, — concluse il questore, — faremo il possibile per
arrestare il nominato Pompeo Calvelli. Voi, Vercingetorige Sansoni,
siete libero, potete andare.
— Libero? Oh, signor questore! Grazie! Grazie! —
Concitato ed eccitato, il nano si rivolse a Sem, ai bambini: —
Andiamo Seni, andiamo, bambini! Ringrazia il signor questore, Sem!
Ringraziate il signor questore, bambini! Buon giorno, signor questore,
e arri veder la... — andava inchinandosi. — Cioè « arrivederla »... no!
Non si offenda, sa, ma, effettivamente, per me è meglio non
rivederla... Cioè... sì, perché è stato tanto buono... tanto buono... Però,
cioè no lo stesso! Buon giorno, eh? Buon giorno! — Era così giunto
all'uscio, stava per varcarne la soglia fra i due bambini, mentre Sem
gli veniva dietro inchinandosi a sua volta, quando :
— Alt! — gli intimò il questore.
— Come? Non sono libero?
— Voi sì. I bambini no.
— Li prendiamo sotto la nostra tutela, — si offrirono smorti
smorti Sem e Vercingetorige.
— No. È proibito favorire il vagabondaggio. I bambini verranno
ricoverati.
— Ricoverati? Come sarebbe a dire? Non intenderà mica il
coli... il collegio, per caso?
— Un istituto di orfani, — precisò il questore. — Sono orfani,
no? Là riceveranno quella educazione, quella istruzione che voi con la
vostra vita e con i vostri mezzi non potreste mai dare loro.
Vercingetorige rimase senza parole davanti a un ragionamento
che, lo riconosceva, era inattaccabile, se pure... Ma era difficile da
dire.
Tentò Sem di spiegarsi: — Sicuro che... certo che... Certamente
laggiù nel coli... •— nemmeno lui si sentì di pronunciare intiera quella
parola, — avranno tutte le cure che lei dice e che noi, sicuro, non
potremmo dar loro. Però non avrebbero... — Si guardò attorno dispe-

35
ratamente: era davvero difficile esprimersi; lui era solo un ammaestra-
tore di cani e di cavalli, non sapeva parlare. Ma lo seppe Vercingeto-
rige a un tratto, mettendo fuori d'impeto :
— Non avrebbero il nostro affetto!
— Ecco! — approvò Sem. — E senza il nostro affetto, essi,
specie la bimba che è piccola... ma no, anche Tad, anche Tad che è
grande...
— Sì, anch'io! — assicurò Tad fervidamente.
Il questore s'impazientì: — Ma tu, ma voi, che cosa infine? Spie-
gatevi meglio o se no qui non si finisce più!
— I bambini morirebbero, in collegio, -- condensò Verci, in una
drammatica sintesi.
— Sì, signore, moriremmo, — confermò Tad con sentita sem-
plicità.
— Ma via! Nessuno è mai morto per essere entrato in collegio!
— Quando saranno morti questi ragazzi, non direte più così, —
l'ammonì cupamente Vercingetorige.
— Oh, basta! — concluse il questore, levandosi in piedi
seccato. — Ho di là pratiche ben più importanti da sbrigare che la
vostra! Avanti, salutatevi, lesti!
Subito Tad, Seni, Verci, si affollarono supplici presso la sua pol-
trona :
— Ma signor Questore!
— Signor Questore!
— Signor Questore! — L'invocazione di Tad superava le altre
per intensità e dolore.
Il questore battè il pugno sul tavolo: — Ho detto! Ebbe principio
allora il coro straziato: — Addio Tad!
— Tad, addio!
— Verci! Sem! — Tad piangeva. Anche Reginella si mise a
piangere aggiungendo il suo vocino: — Sem! Verci!
— Basta! Basta! — sbuffò il questore premendo a lungo il cam-
panello per cui apparve sull'uscio un agente sull'attenti. — Sembra un
addio all'alba per una fucilazione, parola! Mai vista una esagerazione
simile! Avanti, agente, fate che sia finita, mandate tutti fuori tranne i
bambini che condurrete con voi alla mensa, avranno fame... Uscite,
via! Voi che siete vecchio, — si rivolse a Sem, — date il buon
esempio.

36
— Sì, signor Questore, sì. Tad! Reginella!
— Reginella! Tad! — riattaccò il nano.
Ma il questore calò un altro pugno sul tavolo e l'agente li
sospinse :
— Andate, andate, non lo vedete che il signor questore
s'arrabbia? Obbedite...
Obbedirono, ma Tad aggiunse nell'orecchio di Verci mentre fìn-
geva di abbracciarlo stretto: - - Io troverò il modo di fuggire, non
dubitare. Aspettami al Circo Giustini, stanotte!

***

Tad e Reginella fecero colazione e alla distanza di un'ora


apparve una dama con i capelli bianchi e il cappelline sulla punta della
testa. Li guardò attraverso l'occhialetto :
— Sono questi i bambini da ricoverare?
— Sì, signora contessa, — le rispose il piantone che li
custodiva.
— Uhm! Uhm! Provengono da un circo vero? — La contessa
esplorava guardinga fra i riccioli di Reginella.
Tad credette bene di rassicurarla : — È pulita, signora. La
mamma la pettinava sempre con il pettine fitto.
— Strano. Di solito i saltimbanchi non usano troppo adoprar
pettini né fitti né radi...
— C'è saltimbanco e saltimbanco! - - rispose Tad con sussiego,
ripetendo 'una frase del suo povero babbo, Intrepido Alicante, che vo-
leva sempre i fiori ai finestrini dei carrozzoni e un nastro fra i capelli
della mamma.
— La bimba viene con me, — disse all'agente, — il bambino lo
preleverà fra poco un'altra Dama del Comitato Assistenziale, la mar-
chesa Tavanelli. Allora, carina, — si rivolse melliflua a Reginella, —
andiamo : ti condurrò in un giardino pieno di bimbi belli e buoni, con i
quali potrai giocare. Abbraccia il tuo fratellino, su da brava.
Reginella obbedì volentieri.
— Ed ora vieni.
— Sì. Andiamo, Tad? — Reginella aveva messo una mano in
quella della contessa e l'altra in quella del fratellino.

37
— No! No! — La contessa si affrettò a dividerli. —• Tuo
.fratello rimane qui... Ci... ci raggiungerà dopo! Vieni!
Ma Reginella tutta fossette e sorrisi un momento prima, ora resi-
steva caparbia gridando acutamente: — No! No! No! Voglio Tad!
Tad! Tad! — Pestava anche i piedi secondo le perfette regole di un
buon capriccio.
La contessa borbottava disgustata cercando di dividerli : —
Dovevo aspettarmelo! Non è certo nei circhi che s'impara
l'educazione. Ma tu, — si rivolse irata a Tad, accorgendosi che la sua
mano non resisteva meno di quella di Reginella ai suoi sforzi, —
perché non persuadi tua sorella a obbedire?
— Mi scusi, signora, — rispose Tad, rispettoso ma deciso, —
ho ricordato che debbo vedere il luogo dove verrà condotta. Lo debbo
proprio.
— Perché?
— Per un perché importante.
— Dimmelo.
Tad esitò tentato : - - Perché... — Ma quella signora, benché
ogni tanto mettesse fuori un sorriso e una voce melati, non gli ispirava
fiducia: — No, — decise.
— Allora la bimba viene con me sola.
Bastò un breve comando di Tad: — Non andare, Reginella! — E
la bimba si trasformò in una girandola di pugni e di calci.
Naturalmente bisognò accondiscendere al suo desiderio, e la
contessa durante il tragitto in carrozza dalla questura all'Asilo
Infantile, tenne costantemente le labbra serrate e le sopracciglia
aggrottate. Discesero infine davanti a una porticina di legno giallo che
si apriva in un lungo muro a sommo del quale ondeggiavano odorosi
fiori di caprifoglio. La contessa suonò il campanello ed apparve una
ragazza, vestita di bianco a cui chiese: — C'è la direttrice?
— La signora Paola? Eccola! — La ragazza indicò una figura
che s'avanzava attraverso un verde prato : aveva il sole alle spalle e
intorno al viso i capelli biondi ravvivati dai raggi, sembravano d'oro.
Gli occhi erano grandi e chiari, quando parlò la sua voce suonò
dolcissima:
— Un ometto tanto grande tra i miei piccini? — chiese alla con-
tessa, sorridendo a Tad.

38
— È un piccolo prepotente che ha voluto scortare la sorellina ad
ogni costo con la scusa di un motivo misterioso...
— Oh! Oh! — esclamò la signora Paola. E quindi, rivolta a Tad
con insinuante bontà: — E si può sapere, ora, questo segreto?
La contessa intervenne senza dar tempo al bambino di aprir boc-
ca: — Mai più! Si e rifiutato di dirmelo!
Due dita sollevarono il mento di Tad verso il volto rattristato
della signora Paola: — I bambini sinceri non debbono mai aver
segreti, — disse, e per mitigare il rimprovero le due dita
abbandonarono il mento, strisciarono sulla gota in fiamme del
ragazzo. Quindi la signora Paola a fianco della contessa, tenendo per
mano Reginella, si avviò verso il candido edificio dell'asilo sorgente
in fondo al prato, senza più occuparsi di Tad come se lo avesse
dimenticato.
Ma Tad, che veniva ultimo e solo, non aveva dimenticato la
direttrice né il rimprovero che gli aveva rivolto; col cuore gonfio e a
capo chino, nonostante desiderasse contemplare a lungo il volto soave
della donna che gli ricordava quello della mamma morta e di tutte le
mamme incontrate durante i suoi undici anni di vita, pensava : « Che
quella contessa bisbetica mi creda un ragazzo capriccioso non
importa, ma che lo creda questa signora non lo posso sopportare ».
Irresistibilmente fece alcuni passi di corsa e le tirò la veste: —
Signora!
— Che vuoi?
— Vorrei dirle quel segreto.
— Ti ascolto.
— La mia mamma, —- attaccò Tad pieno di confusione
dovendo fare un discorso piuttosto intimo, difficile e lungo a una
persona sconosciuta, istruita, ma deciso lo stesso a spiegarsi, — prima
di morire mi disse : « Taddeo, ti raccomando la tua sorellina. Non
permettere che diventi saltimbanca perché ho paura che cada dal filo o
dal cavallo ». E poi desiderava che abitasse in una casa senza le ruote
che quando girano fanno oscillare il letto!
La contessa scoppiò a ridere: — Scioccherello! Dunque era
questo il tuo segreto? Temevi che conducessi la tua sorellina in un
circo! Ah, scioccherello, scioccherello! — E rideva facendo tremolar
la piuma del cappelline.

39
Mortificato, Tad guardò se anche la signora Paola prendesse
tanto alla leggera la sua volontà di obbedire ai desideri della mamma,
invece vide che lo fissava pensosamente:
— Di solito, — disse infine, — i saltimbanchi non sanno conce-
pire per sé e per i figli una casa diversa dal carrozzone. Ed è strano
che la tua mamma...
— La mia mamma non è nata saltimbanca. Ha incominciato a
vivere nel carrozzone soltanto dopo aver sposato il mio papa.
— Ah! — fece la signora Paola, mentre la contessa spariva al
richiamo di una bambinaia. — Allora capisco come ella abbia
desiderato che la sua piccola tornasse ad abitare in una casa vera. —
Guidò amorevolmente Tad davanti all'asilo in cui Reginella sarebbe
stata custodita: — Guarda dunque quella che diventerà la casa della
tua sorellina: inutile dirti che non ha ruote, lo vedi da te che è fatta di
calce e di mattoni come tutte le altre case, ed anche la tua mamma dal
cielo lo vede ed è felice. Ora entra e seguimi.
Attraversarono una serie di lucenti sale in cui trotterellavano
tanti piccini che Reginella salutava con strilli di amicizia, giunsero a
una camera con dieci lettini abbinati, divisi da uno spesso cristallo
attraverso il quale i bambini, svegliandosi, potevano sorridersi ma non
toccarsi ed eventualmente scambiarsi infezioni o dispettucci. La
signora sostò presso un lettino di fronte a una finestra dalla quale si
scorgeva un pesco tutto fiorito. — E questo sarà il suo lettino. Ti
assicuro, — sorrise, — che non oscilla.
— Signora Paola! — si udì la voce della contessa che la
cercava.
— Sono qui!
La contessa apparve sulla soglia: — Oh, finalmente la trovo! Ma
che cosa fa?
- Dimostro al fratellino di Reginella che questo non è un
carrozzone.
— Ah, signora Paola, signora Paola... lei diventa bambina tra i
bambini!
— Certo... Per comprenderli e rassicurarli in ogni occasione, —
rispose la signora Paola seriamente.
Tad suggerì guardando le coltri tese e il cuscino gonfio : —
Corichi Reginella. Ogni giorno, a quest'ora, dorme.

40
— Prima bisogna farle il bagno, vestirla come gli altri bambini.
— Gli altri bambini avevano grembiulini celeste e rosa.
— Allora, ragazzo, — intervenne la contessa, spiccia, — saluta
tua sorella. Ti debbo ricondurre in questura dove, ha telefonato adesso,
la marchesa Tavanelli ti aspetta per condurti all'Orfanotrofio.
— Sono certa, — la signora Paola gli pose amorevolmente una
mano sul capo, -- che in collegio sarai un bravo bambino, rispettoso
con i superiori, gentile con i compagni. Non rispondi?
Tad avrebbe voluto rispondere, ma non poteva perché il labbro
inferiore gli tremava odiosamente; pure tentò di farlo se pur smoz-
zicando le parole : — Io sento... che non potrò star chiuso... Sono abi-
tuato a camminar sempre, attraverso città, paesi... Oh, signora! — si
rivolse intieramente a lei: — Sento che morirò davvero in collegio! Ne
sono sicurissimo! — E scoppiò in singhiozzi a un così nero presagio,
mentre Reginella tentava invano di consolarlo baciandolo dove
arrivava e cioè sulle ginocchia callose e non precisamente pulite.
— Che esagerazioni! — esclamò la contessa come già il
questore. — II collegio non è un carcere! C'è un bel giardino dove
potrai correre e poi, ogni domenica, i maestri conducono i collegiali in
fila a due a due a compiere lunghe passeggiate.
Tad rabbrividì, ripetendo afono, scandendo le sillabe: — In fila a
due a due?
— Ma certo! — confermò la contessa, sussurrando quindi alla
signora Paola: — Lo vede come il sangue nomade è avverso ad ogni
forma di disciplina?
— A passeggio in fila, — mormorava intanto Tad, trasognato.
— Su, — lo incitò la signora Paola, — saluta la tua sorellina,
dille che torni subito, così sta quieta.
Macchinalmente, Tad obbedì: — Ciao, Reginella, torno subito.
— Assorto seguì le due signore attraverso il prato, giunse alla
porticina gialla che si apriva sulla via. La signora Paola tirò il
chiavistello, apparve il magro muso, pendulo verso terra, del cavallo
attaccato alla carrozza che doveva condurio in questura e quindi... in
collegio.
La contessa levò il naso e vide un ramo di caprifoglio
ondeggiante sui tegolini rossi del muretto : — Oh, che bel caprifoglio!
Che profumo! Potrei avere quel rametto tutto fiorito, signora Paola?

41
— Glielo colgo subito, — rispose la signora Paola, gentile. Ma
per quanto tendesse le braccia, non arrivava a sfiorare il ramo troppo
alto.
— Tilde! — chiamò verso una delle bambinaie apparsa sulla
soglia dell'asilo. — Portami una scaletta!
Tilde non udì e rientrò.
Allora la signora Paola corse attraverso il prato per raggiungerla
e ripeterle l'ordine; la contessa le trottò dietro protestando: — Ma no,
signora Paola, non s'incomodi! — Così scomparvero ambedue
attraverso l'uscio che già aveva inghiottito la bambinaia distratta.
Tad si affacciò sulla via : il cavallo continuava a meditare
soffiando il respiro sui ciottoli, il cocchiere dormiva a cassetta. «Mi
perdoni! » sospirò pensando alla signora Paola. Stringendo il berretto
fra i denti si slanciò fuori a corsa pazza, svoltando a caso per vie
sconosciute fin che trovò un palazzo in costruzione dove nessun
muratore lavorava. Si cacciò in cantina e vi rimase, senza mangiare,
fino a che fu notte.
Quando il raggio della luna s'insinuò attraverso le finestre a fior
di terra, ancor prive d'inferriata, uscì e raggiunse il Circo Giustini
sorgente come un fungo enorme nel mezzo della Piazza Cittadella,
circondato da carrozzoni addormentati e da macchine spente. Nostal-
gici ruggiti si levavano ogni tanto dalle gabbie invisibili, insieme al
minaccioso russare delle tigri imprigionate.
Tad passò cauto da un carrozzone all'altro, finché sui gradini di
uno di essi trovò quel che cercava: Verci e Sem seduti in fiduciosa
attesa. Modulò un breve fischio a loro noto, a cui essi risposero con un
sobbalzo di gioia :
— Tad! Oggi sono venuti i carabinieri a cercarti ed hanno
frugato dappertutto senza trovarti.
— Sfido io! Ero in una cantina!
— Racconta un po'!
— Andiamo sotto il carrozzone: non si sa mai: se una ronda
notturna arrivasse fin qui!
— Buona idea. Le precauzioni non sono mai troppe.
Un istante dopo, Sem bocconi sotto il carrozzone, con la barba
che scopava la terra, Ver cinge torige tranquillamente seduto in virtù
della sua statura, ascoltavano il racconto di Tad sogghignando :
— A passeggio in fila!

42
— A due a due!
— Solo alla domenica!
— Oh, in che trappola stavi per cadere, nostro povero, piccolo
Tad!

43
III.

C'È CIRCO E CIRCO...

Il, GIORNO seguente i carabinieri tornarono a cercar Tad, ma Tad


non si lasciò cogliere e Sem e Vercingetorige giurarono con la destra
tesa di non averlo veduto. Appena gli uomini del pennacchio rosso e
blu furono scomparsi, si affrettarono a rintracciar Tad e a congratularsi
perché, ancora una volta, era sfuggito al pericolo di venir strappato al
loro affetto. Avevano inoltre una buona notizia da dargli, certi che egli
non l'avrebbe respinta ora che Reginella non doveva più dividere la
sua sorte :
— Il signor Giustini ha detto che ti metterà ai trapezi come nel
tuo vecchio circo, invece di farti avvolgere i tappeti, appena avremo
cambiato città, per non esibirti in vista a tutti qui dove sei ricercato.
Qui ti farà fare qualcos'altro, purchessia, nel retrotenda.
Infatti Tad ne fu entusiasta : — II signor Giustini vedrà come
sono bravo al trapezio! Presto guadagnerò una buona paga e il danaro
lo metterò da parte per costruire la casina a Reginella come voleva la
mamma!
Tad vedeva l'avvenire roseo, ma non l'avrebbe visto così se
avesse avuto esperienza di quello che è in realtà un circo di bestie
feroci a cui si aggiungeva una dozzina di scimmiette ammaestrate. Il
circo diretto dai suoi genitori, era stato un circo la cui vita privata, a
parte il nero cuore di Pompeo rivelatosi all'improvviso, continuava la
gaiezza delle rappresentazioni. Le stesse carezze che il cavallo
danzante riceveva da mamma Graziella davanti al pubblico, gli
venivano prodigate nel suo carrozzone-stalla che divideva con cinque
colombi ammaestrati, un orso bruno e beone, una coppia di cani
calcolatori dal muso umido e gli occhi umani.
Nel Circo Giustini, invece, le cose procedevano diversamente: le
dodici scimmie che in pubblico apparivano in affettuosa confidenza
col loro ammaestratore Vincenzo, tanto da levargli inaspettatamente il
fazzoletto di mano quand'egli voleva soffiarsi il naso, a rappresenta-
zione finita diventavano dodici scimmie timide, spaurite, dalla coda
strisciante sulla sabbia e le piccole mani scarne levate a difendere il

44
delicato musino. E ne avevano il motivo : Vincenzo non le avvicinava
se non armato di staffile per piegarle a imparare sempre nuovi
esercizi. Lo scherzo del fazzoletto rubato che tanto divertiva i ragazzi
e i grandi pigiati sulle gradinate, quante frustate era costato alla
intelligente scimmietta Kiss che lo eseguiva! Essa ne serbava le
lividure sulla schiena, ma il pubblico non le vedeva perché il pelo ben
spazzolato e lucidato prima della rappresentazione, le nascondeva.
— Sem, — sibilò Tad tornando, tremante per lo sdegno,
dall'aver assistito a una lezione di Vincenzo durante la quale Kiss
aveva pianto lacrime vere dagli occhietti appassionati, — il signor
Vincenzo è un mostro, bisogna che mi azzuffi con lui!
— Per carità, Tad... — incominciò Sem, timoroso di
complicazioni che potevano significare il licenziamento di Tad, la
separazione di loro tre; ma l'interruppe Vercingetorige il quale,
parteggiando incondizionatamente per i sentimenti di Tad, riteneva
suo dovere fargli eco: — Bisogna che ci azzuffiamo con quell'uomo!
L'idea del nano in lotta col mastodontico Vincenzo, fece piegar
in due Sem dalle risa: — Ah! Ah!
Vercingetorige s'impermalì : — Ridi perché io sono una pulce
accanto a lui? Ricordati che un gatto irato può essere micidiale a un
toro!
— Ah! Ah! Ah!
— Piantala di ridere! Non mi credi?
— No, — rispose Sem, immediatamente.
— Ah, no? — chiese Verci, aggressivo.
— No, — ripetè Sem, tranquillo.
— Ripeti!
— No, — ripetè infatti Sem, sempre più convinto e sempre più
tranquillo.
— Seguimi e vedrai! — l'invitò il nano con improvvisa
risoluzione.
— Ma dove vuoi andare? —gli chiese Tad, allarmato.
— Da Vincenzo, si capisce! Gli voglio far mordere la polvere a
quel prepotente, gli voglio far mordere! -- E Verci corse via agitando
le corte gambe nelle ampie brache.
Il vanitoso contava di farsi onore col solo annunzio della lotta,
poiché sperava di essere trattenuto a viva forza prima di raggiungere la
tenda di Vincenzo; invece Sem curioso di vedere come andava a finire

45
l'avventura, Tad con il proposito di dargli una mano, lo seguirono, sì,
ma solo per accompagnarlo sul luogo della sfida. Il nano sentendo i
loro passi risuonare dietro i suoi, finse di raddoppiare la velocità come
chi teme di essere fermato, però non avvertendo nessun richiamo ed
essendo prossima la tenda di Vincenzo, girò il capo : forse correva
troppo in fretta? Si lasciò raggiungere e prese a tirar calci, a menar
pugni gridando:
— Lasciatemi! Voglio strappargli gli orecchi! Voglio frustarlo
con la sua frusta! Non riuscirete, no, a impedirmelo!
— E chi te lo impedisce?
— Chi ti dice nulla? — chiesero Sem e Tad che avevano
assistito alla scena immobili.
Vercingetorige si grattò in testa: — Non me lo impedite?
— Ti rincresce, forse? — si scandalizzò Tad.
Ah, il suo idolo si scandalizzava? Come se una catapulta lo
avesse spinto, Verci riprese la corsa e, infilata l'apertura della tenda,
piombò davanti a Vincenzo che si frustava gli stivali fumando la pipa
accanto alle sue scimmie allineate.
Se la insinuazione di Tad aveva avuto la forza di spingerlo
avanti, la statura di Vincenzo e i suoi poderosi muscoli che il costume
attillato tradivano, ne ebbero altrettanta per spingerlo indietro. Ma
Vincenzo lo acciuffò per il colletto:
— Che cosa vuoi?
Sem guardava avidamente da un buco della tenda la scena, Tad
entrato con Vercingetorige, gli si teneva accanto per secondarlo al
primo pugno che avesse sferrato.
— Io... io... — balbettò Verci sotto lo sguardo di fuoco del
domatore curvo su di lui.
— Intanto, chi sei?
Girando lo sguardo smarrito, il nano incontrò il viso duro di Tad,
allora ricordando perché si trovava lì e la frase che ve lo aveva spinto,
ripetè sforzandosi di essere disperatamente aggressivo — Sono...
sono... un... un gatto! Ssssffttt! — soffiò in faccia all'uomo per
dimostrargli il suo odio.
— Gnao, allora, — concluse Vincenzo a mo' di congedo. Solle-
vando il nano da terra scostò la tenda e lo lanciò fuori, accorgendosi di
Tad gli fece fare lo stesso volo, quindi, schioccando una frustata quasi
sui piedi delle scimmie, riprese la sua crudele lezione.

46
Sem accorse dove Tad e Vercingetorige giacevano in mucchio, e
li stropicciò per una buona mezz'ora allo scopo d'impedire sul loro
corpo la formazione di lividi causati dalla caduta, non senza ridere fra
la barba alle smargiassate del nano che voleva fargli credere d'aver
morsicato il collo a Vincenzo :
— Ti dico che l'ho morsicato, Sem, proprio qui, guarda, quando
mi teneva sollevato per il colletto!
— Ma va'! Ti vedevo dal pertugio della tenda: non tiravi
neanche il fiato, non tiravi!
— Ti dico che l'ho morsicato e il fiato lo tiravo benissimo :
diglielo tu, Tad, che eri lì e mi hai visto!
Ma Tad taceva pensieroso e rivedeva i fiori che suo padre voleva
alle finestrine dei loro carrozzoni, le zollette di zucchero che il cavallo
danzante mangiava delicatamente nella rosea manina di Reginella,
tacendole piovere la serica criniera come un manto sulla testolina: —
Non posso veder soffrire le bestie! È più forte di me... — sospirò
mentre Sem lo stropicciava.

***

Verso la mezzanotte, il padrone del circo, il grande Giustini in


persona, andò a svegliar Tad nel suo giaciglio nascosto a una
probabile visita dei carabinieri: — Svegliati e seguimi, — gli disse
con la sua voce quieta, misurata e che proprio da ciò s'intuiva
inflessibile. — Mi aiuterai a pagarli.
— Ah... Oh... Chi è... — farfugliò Tad svegliato
all'improvviso. — Sei tu, Sem... — Di colpo, al chiarore fioco di una
lanterna, riconobbe l'alta ombra in attesa davanti a lui. — II signor
Giustini! Che c'è, signor Giustini?
— Piccolo Alicante, vestiti e seguimi, — ripetè il signor
Giustini, inalterato, — mi aiuterai a contarli e a pagarli.
— Sì, signore, subito, signore, — rispose Tad tirandosi su in
fretta i calzoni e ammucchiandovi dentro la camicia. - - Chi « contarli
e a pagarli » ?
— Le domande sono sempre inutili, piccolo Alicante. Quel
che conta è obbedire. Sei pronto?
— Sì, signore, — mormorò Tad in soggezione.

47
— E allora andiamo.
Senza parlare raggiunsero il padiglione delle belve, saturo di
puzza e di brontolii. Gli animali avevano terminato lo spettacolo da
poco e saltavano eccitati contro le sbarre. Le tigri spaventosamente
belle, parevano volar per l'aria tanto lungo e leggero era il loro balzo. I
leopardi soffiavano, il forte mento bianco dei leoni fremeva e i grandi
occhi verdi fosforeggiavano.
— Perché mai, signore, — non potè trattenersi dal chiedere
Tad, •— le belve sono così inquiete?
— Ora vedrai, giovane amico. — II signor Giustini levò di
tasca un taccuino e una matita volgendosi verso un vasto angolo buio.
Allora Tad si accorse che nell'ombra attendeva una diecina di ragazzi,
ciascuno dei quali stringeva fra le mani l'imboccatura di un sacco
stranamente mobile.
— Avanti! — comandò il padrone. Un ragazzo grasso, dagli
occhi loschi, si avanzò col sacco. — Attento, Taddeo Alicante, a
contare il mucchio di gatti che lancerò alle belve!
Il sacco venne schiuso e cinque gatti miagolanti, disorientati,
rabbuffati, furono lanciati attraverso le sbarre della gabbia alle belve
che se li contesero. Quando il sacco fu vuoto, il padrone chiese senza
voltarsi :
— Quanti erano?
— Cinque... — rispose Tad, bianco in viso come la tela del
lino.
— A centocinquanta lire l'uno, fai il conto. Domanda al
ragazzo il suo nome.
Carlo Sfondrini, — rispose costui, pronto. — Ho già fatto il
conto io, signor Giustini. Cinque gatti fanno settecentocinquanta lire.
— Esatto. Aspetta. Avanti l'altro.
Dalle parole che seguirono fra il padrone e i ragazzi, Tad
comprese che i gatti erano stati rubacchiati qua e là durante il giorno,
per la via, sulle porte o sulle finestre dove stavano a godersi il sole.
Uno di essi, candido come la neve, il nasetto rosa, portava ancora al
collo un gran fiocco celeste: scomparve nella gola della leonessa col
fiocco e tutto. A pasto finito, a conti regolati, il padrone ordinò senza
voltarsi : — Torna a letto, piccolo Alleante.
Tad, che voleva invece dirgli la sua indignazione, mosse
risolutamente due passi avanti, ma in quel mentre un fievole miagolìo

48
lo colpì; guardò in terra : un minuscolo soriano, sfuggito chi sa come
alle belve, si trascinava verso di lui. Rapido lo acciuffò, lo ficcò nel
berretto soffocandolo quasi, e, timoroso che il padrone lo scoprisse,
rinunciò alle sue rimostranze uscendo in fretta.
Arrivò correndo al carrozzone di Sem deciso a svegliarlo per
raccontargli tutto, ma non ve ne fu bisogno : Sem godeva il fresco
seduto sui gradini di legno, fumando la pipa. La luna alta nel ciclo
limpido, battendo sulla sua barba bianca, la faceva sembrar d'argento.
— Sei tu, Tad? — chiese. — Ti aspettavo.
— Come mai non dormi? E come mai mi aspettavi? — chiese
Tad stupito.
— Sapevo dov'eri andato. Oggi il signor Vincenzo ha detto al
padrone che sei troppo sensibile e il padrone si è proposto d'indurirti
come si conviene a chi deve vivere in un circo di belve, dove necessa-
riamente gli spettacoli non sono troppo teneri.
— « Necessariamente » ! — ripetè Tad, con amara ironia. —
Tu non puoi pensare sul serio, Sem, tu che sei vissuto nel nostro circo
dove pure si ammaestravano animali, che la crudeltà sia necessaria.
Quei poveri gatti potevano venire uccisi prima di essere dati in pasto
alle belve.
— Le belve, ogni tanto, — spiegò Sem, — per la loro natura
feroce amano un pasto... ehm... sì... vivo, e il padrone, se vuole mante-
nerle in forma, deve procurarglielo. Compra gatti rubati perché li paga
meno dei conigli o altro. Anche i serpenti... ehm... sì... si nutrono di
conigli vivi. È meglio che tu lo sappia subito, Tad.
— E in tal caso, — ribattè Tad, impetuosamente, — è meglio
che tu sappia subito che non potrò vivere qui!
Per prender tempo a rispondere a una decisione così
importante, Sem cambiò discorso: — Che cosa stringi nel berretto?
— Oh, che sciocco! Me n'ero dimenticato e son corso da te
proprio per questo! Ho potuto sottrarre un gattino sfuggito alle belve
che però l'hanno ferito. Tu sei bravo a curar le bestie, hai sempre
curato anche le mie quando si facevano male : guarda un po' questo...
— Gli porse il gatto che prese a miagolare con una piccola voce acuta
da cucciolo. — Sssst! Non farti sentire!
— E tira dentro le unghie, — aggiunse Sem che lo esaminava.
— Ha una zampa rotta.
— Tu gliela puoi aggiustare, vero?

49
Il vecchio saltimbanco cavò di tasca un bastoncello e un
temperino, divise il bastoncello in quattro schegge, le levigò,
scomparve nel carrozzone per tornare con dello spago e una scodella
piena d'acqua. Nonostante le proteste del gattino tenuto fermo da Tad,
gli lavò la ferita, la fasciò, la immobilizzò legando intorno alla
fasciatura le quattro schegge : — Sì, — borbottò infine considerando
la sua opera, — mi pare che così l'osso dovrebbe saldarsi bene.
— Ma certo, Sem! Sei magnifico in queste cose! Dovevi fare il
dottore, tu. Be', io vado a letto, ciao.
— No, fermati.
— Che vuoi?
— Siedi qui, accanto a me, sulla scaletta e ascoltami. Piccolo
mio, — incominciò accingendosi a medicare la ferita morale che uno
dei crudi aspetti della vita aveva inferto nell'animo del ragazzo, come
aveva appena medicato la ferita fisica del gatto, — io non sono un
uomo sapiente, ma sono vecchio e l'esperienza mi ha insegnato le
verità che i sapienti imparano sui banchi della scuola. Tu vuoi andar-
tene di qui perché Vincenzo e il padrone trattano male le bestie. Oh,
Tad... e se anche te ne andrai vedrai che tutto il mondo è paese!
— Ma Sem, — l'interruppe Tad, risentito, — come fai a dire
che tutto il mondo è paese? Hai già dimenticato quanto fossero buoni
il mio papa e la mia mamma, con le bestie del nostro circo?
Non l'ho dimenticato... — mormorò Sem, ma distratto, come se
cercasse altre parole per spiegare le vaghe idee che gli fluttuavano, in
profondità, nella mente.
— Come si può essere cattivi, — incalzò Tad, — con delle
innocenti bestiole?
— Ecco! — proruppe Sem. Ecco! Questo volevo dire:
spiegami un po' perché il tuo papa che amava tanto le innocenti
bestiole, non appena piantavamo le tende in campagna nella stagione
adatta, imbracciava il fucile e si recava a impallinare le lepri?
Tad rimase interdetto: — Bisognava pure... — spiegò poi, —
che procurasse da mangiare alla famiglia.
— Giusto. E il padrone di questo circo bisogna che procuri il
pasto alle sue belve.
Tad, spaventato da quella logica, tentò di salvarsi in più dolci
visioni : — Ricordi, Sem, i gerani che il babbo voleva ai finestrini dei
nostri carrozzoni? Oh, là tutto era più gentile!

50
Il vecchio gli posò teneramente la mano sul capo: — Sei pieno
d'illusioni, mio povero Tad. La vita là era come qui. C'erano i fiori ma
c'erano anche le galline a cui la tua mamma buon'anima tirava il collo,
e i pezzi di manzo che Pompeo, Dio lo incenerisca dove si trova,
portava a casa ogni mattina nella carta gialla. È il diritto del più forte,
caro mio!
- Che cosa significa il diritto del più forte?
— Che il più forte mangia il più debole. Il gatto, — e ne
sollevò il muso gentile, — sbrana i topi precisamente come le belve
sbranavano poco fa i gatti.
Tad sospirò: — Preferirei che tu non mi avessi detto nulla...
— Ebbene? Non per questo avresti eternamente ignorato le
cose tristi della vita. L'esperienza te le avrebbe insegnate un giorno o
l'altro. Siccome davvero tutto il mondo è paese, rimani! Io non mi
sento di seguirti se proprio vuoi andartene. E perderti sarebbe un gran
dolore.
Tad lo abbracciò e s'immerse in profonde riflessioni col naso
sepolto nella barba di Sem. Infine alzò il capo: — Nel nostro circo le
bestie si mangiavano, è vero, ma non si torturavano inutilmente come
Vincenzo tortura le sue scimmie. Domani a notte fuggirò. Bisogna
proprio che me ne vada a cercar di meglio, mio povero, vecchio Sem.
— E il gattino zoppo? — chiese questi non trovando altri argo-
menti per trattenerlo. — Non credo che lo vorrai portare con te: e se lo
lascerai qui, — pronosticò con cruda certezza, — farà la fine degli
altri.

51
IV.

VERCINGETORIGE

TAD andò a letto non sapendo proprio cosa rispondere, e


nemmeno il mattino seguente, svegliandosi, trovò una risposta alla
domanda di Sem. Questi, arrivando con la scodella della zuppa, lo
sorprese che mirava, perplesso, il gattino.
— Ebbene, — chiese, — sei sempre deciso a scappare, Tad,
piccino mio?
Tad gli accennò l'animaletto: — Proprio non so risolvermi,
Sem, ad abbandonarlo. Perché l'ho salvato se non continuo a
proteggerlo?
- Sicuro, — annuì energicamente il vecchio, sentendo la
speranza di non separarsi dal fanciullo. — Dici d'aver compassione
delle bestie e te ne vai abbandonandone una invalida, che non può
difendersi né scappare, in balìa di Vincenzo e del padrone! Ma che
cuore hai? — terminò uscendo sdegnato e sbattendo anche la porta.
Riapparve dopo un istante per constatare l'effetto delle sue
parole: Tad fischiettava rifacendosi la cuccetta. — Ebbene? — chiese.
— Ti sei deciso?
-Sì.
- Rimani? — aggiunse afono per la gioia, giudicando dall'aria
rappacificata del ragazzo.
- No, fuggo.
— E... è... il gatto? — chiese pur non ritenendo più valido
quell'argomento davanti alla sicurezza di Tad.
— Ho trovato a chi affidarlo. Ma mi occorre l'aiuto di Verci. ,
— Verci dorme ancora.
— Poco male : lo sveglierò.
Vercingetorige divideva il carrozzone con Sem e lo si udiva
russare dai piedi della scaletta.
— Lo senti? — osservò zelantemente Sem, parandosi davanti
a Tad. — Ha lavorato fino a tardi, ieri sera, e dovresti lasciarlo
riposare, poveretto...

52
— Tu cerchi di guadagnar tempo, Sem, — indovinò Tad, —
ma, tanto, ho deciso. — Scostò il suo vecchio amico, salì rapido i
gradini, entrò nel carrozzone rimbombante, si curvò sul nano sonoro :
— Ehi, Verci! Svegliati! È urgente!
Vercingetorige si agitò in una serie di moti scomposti
accompagnati da versi analoghi, molto vicini ai grugniti, infine fu
seduto sul letto fregandosi gli occhi: — Che... che... va a fuoco il
circo? Ah, sei solo tu, Tad! Che idea di svegliarmi a quest'ora! — si
risentì. — Lo sai che sono andato a letto alla una?
— Io gliel'ho detto, — attaccò Sem, — ma lui...
— Verci, — troncò quelle chiacchiere inutili, Tad, — io,
stanotte, fuggirò.
Nel silenzio che seguì, egli stette in trepida attesa: con tutta
l'anima desiderava che Verci lo accompagnasse, ma prevedendo di
andare incontro a una vita di lotte e di disagi, esitava a proporre al
nano di dividerla; per questo aveva annunciato la sua decisione al
singolare. Ed ora, ansioso, aspettava che spontaneamente Verci
correggesse la persona del suo verbo in: «noi fuggiremo». Ma la
dolorosa sorpresa di sentirsi escluso impedì al nano di rispondere, e
così rimasero zitti tutti e due, l'uno credendo che l'altro non volesse
dividere la sua sorte, questi credendo di non essere desiderato a
dividerla.
Il primo a recuperare la parola fu Tad, per quanto
profondamente deluso: aveva proprio sperato che Verci lo seguisse, ne
era quasi stato certo. Comunque continuò amaro : — Fuggirò, ma per
questo ho bisogno del tuo aiuto.
— Se credi, — fece Verci amarissimo.
— Ho un gatto ferito, — e gliene raccontò la storia. — Ho
deciso di portarlo stanotte nel giardino dell'Asilo d'Infanzia, dov'è
Reginella. Ti ho già detto che la direttrice è un angelo : le
raccomanderò il gattino in una lettera che gli legherò al collo.
— Come sei buono! — non potè trattenersi dall'apprezzarlo il
nano, non resistendo all'impulso di abbracciarlo mentre pensava, sen-
tendo sulla fronte l'amato tepore della gota di Tad : « E vuoi fuggire
solo? Ma io ti seguirò come un cane. Dovrai cacciarmi a calci... ».
Intanto che Tad rimuginava, nella fervida stretta del nano : « E
non ti sei offerto di seguirmi? Ma io ti trascinerò a viva forza con me,
dovessi legarti come un salame! ». Pacificati dai loro propositi segreti,

53
si divisero con un identico risolino furbo che non riuscirono recipro-
camente a spiegarsi. Durante il giorno Tad preparò il suo fagottello, e
Verci, non visto, fece altrettanto nascondendo il proprio sotto il letto.
Quindi Tad, assistito dai suoi amici, con molto raspar di penna e
lingua fra i denti, si accinse a scrivere alla signora Paola:
« Carissima signora Pau... Pao... ». Come si scrive in italiano,
Paola?
— Paula, — risposero Verci e Sem in coro.
— Infatti, mi pareva.
— E... scusa, — intervenne Verci, — non è per farti
un'osservazione, ma qui hai scritto « carissima » con due esse. Ce ne
va una sola, diamine!
— Meno male che mi hai avvertito, — lo ringraziò Tad •—
Correggo subito! — eseguì fervido. — Allora andiamo avanti: —
«...che mi perdoni se sono scapato alla contessa, ma in colegio ci
morivo garantito. Voglia bene a Reginetta », — scrisse leggendo man
mano ciò che scriveva, con lo stesso stento.
— Oh, sì! — Verci e Sem tirarono in su col naso.
« ...io sarò buono e lavorerò, basta che non sia in... ». — Ehi,
voi due: mi pare che ci vada qualcosa su sarò e lavorerò. Forse
l'accento?
— dubitò cauto.
— Su sarò, sì. Su lavorerò, no, — decretò, sicuro,
Vercingetorige.
— E perché mai su sarò ci va l'accento e su lavorerò no? Si
pronunciano tutti e due allo stesso modo, dunque...
— Perché la grammatica ha le sue eccezioni, — lo tacitò
Verci.
— Continua.
« ...e lavorerò, —• riprese a scrivere Tad, docile, — basta che
non sia in colegio, e metcro da parte... ». Su metterò ci va l'accento o
fa anche lui eccezione?
— Fa anche lui eccezione.
Tad depose la penna per ammirare Verci : — Come sai bene la
grammatica, Verci! Se non fosse per te chi sa che figura facevo, con
questa lettera, presso la signora Paola che è istruita!
— Davvero, Tad, — condivise gravemente Sem. — Così
rimarrà ammirata, invece, vedrà che sai persine su quali parole va o

54
non va l'accento, scrivendo, anche se a pronunciarle sembra che ci
vada.
— Sciocchezze! — si schermì Verci. — Basta aver studiato un
po'! Certo che se avessi studiato molto, non fo per dire... Ma: avanti,
Tad!
— virò come colto da una improvvisa crisi di modestia.
« ...melerò da parte i soldi per farle una... ». E, scusa : metterò
con una sola t oltre che senza accento, vero?
— Proprio così, piccino mio, — l'approvò il nano,
paternamente soddisfatto. — Bravo, bravo. Eh, anche tu, se avessi
studiato...!
— Tad è intelligente, — confermò orgogliosamente Sem.
« ..melerò da parte i soldi per farle una casina come promisi
alla mia marna. Intanto questo e un povero gatto...
— Una sola t, gatto! — ammonì Verci. — Una t sola!
> Scusa, Verci, — arrossì Tad, correggendo: — ...« gato che le
belve del circo lo mangiavano. Non poso stare in questo circo perche
tuti sono crudeli col le bestie. Ha una gamba rota... ». Di', Verci, mi
pare che ci vada l'acca davanti all'a, quando è voce del verbo avere,
no?
— Sei matto? — si scandalizzò Verci, ritraendosi come se
l'avesse punto un serpe.
— Tad! Tad! — lo disapprovò severamente Sem.
« ...a una gamba rota, — riprese Tad confuso, — e coi
bastonceli dice Sem che si agiustera)). Ci va l'accento su aggiusterà?
— Sì, non fa eccezione.
« ...Non conosco nessun buono al mondo trane lei. Le afido il
gato pigliera i rati. Altro non mi resta che di salutarla insieme a
Reginetta mia che la curi bene. Spero che non dira ai carabinieri dì
cercarmi non le vorei più bene perche tradire e bruto e mio padre lo
diceva sempre. Pompeo... ». Lettera maiuscola, Pompeo?
— Minuscola! — proclamò con disprezzo Sem.
— Minuscolissima! Invisibile per quel verme! — rincarò
Verci. « ...pompeo a tradito, non facia come pompeo », concluse Tad.
((.Firmato Tadeo Alicante».
Dopo di che Tad, Sem e Verci, chiusero il foglio in una busta
che, stretta fra due cartoni perché le unghie del « gato » non la
sciupassero, fu legata al collo del medesimo il quale, tra l'armatura

55
intorno alla zampina e quella specie di rigido bavaglio che gli pendeva
davanti, era assolutamente incapace di muovere un passo, come Tad
desiderava affinchè al mattino venisse trovato dove la notte contava di
deporlo, indirizzato alla « Lustrissima si gora Paul a ».
***
Scesa che fu la notte, Tad si levò nel carrozzone 'di Sem in cui
stava seduto fra i due e disse a Verci: — È l'ora.
Vercingetorige rispose levandosi lui pure : — Va bene. Tu
porterai il gatto ed io il fagotto dei tuoi panni.
Tad si rivolse a Sem: — Allora, Sem...
— Allora, Tad, bambino mio... — principiò Sem con voce tre-
mante, pur volendo contenersi come Tad.
Cogliendo il momento in cui rinunciando a parlare i due si
strinsero in un abbraccio, il nano cacciò una mano sotto il letto, ne
trasse il suo fagotto e, tirando per di dietro l'elastico della cintura, se lo
cacciò nelle brache. Quindi, non volendo partire senza salutar Sem, gli
si attaccò al collo, fìngendo di scimmiottare Tad:
— Addio, allora, Sem, vecchio mio... abbiti cura... ricordati di
me!
— Come? Te ne vai anche tu? — gli chiese Sem, sorpreso.
— Io? Ma nemmeno per idea! Sto imitando Tad che pareva
una donnetta commossa! Addio mio buon Sem, — continuò in
falsetto, — ricordati di me!
Sem, annoiato, se ne liberò con malgarbo: — Scostati! Non è
questo il momento di buffonate! Mi pare che lo dovresti capire da te...
«Il nano non ha cuore... » pensò Tad, dal canto suo,
oscurandosi in viso. « Credevo che mi volesse bene... che mi seguisse,
invece la mia partenza lo diverte soltanto! ».
« Sono delusi tutti e due sul mio conto », capì benissimo il
nano, dandosi una furtiva fregatina di mani, « ma che importa? Non
potevo certo partire senza salutar Sem! ».
Uscirono sulla piazza. La luna non c'era, ben presto l'alta e
magra figura di Sem che, ritto sui gradini del carrozzone, andava
asciugandosi gli occhi con l'estremità della barba, si confuse con
l'oscurità. Tad e Verci si allontanarono rasentando i muri delle case
addormentate. Vercingetorige precedeva Tad camminando d'un passo

56
marzialmente giulivo che pungeva il cuore del ragazzo, come la
buffonesca imitazione del suo addio a Sem. Com'era diventato strano,
Vercingetorige! Persine la sua figura era cambiata : più grassa,
sembrava : aveva dei fianchi enormi. Si fregò gli occhi dubitando di
soffrire le traveggole: sì, Vercingetorige sfoggiava un paio di fianchi
fenomenali. Frattanto erano giunti ai piedi del muro che cingeva
l'Asilo Infantile. Quel muro alto e liscio che avrebbe spaventato
tutt'altri, fece sorridere i due saltimbanchi i quali, nello spazio di un
secondo, si trovarono seduti nel prato sottostante col gatto e tutto. A
un tratto Tad si accorse che Verci si asciugava gli occhi.
— Che hai? — gli chiese.
— Penso, — sospirò il nano accennando con un moto del
lungo mento l'asilo confusamente biancheggiante davanti a loro, —
che lì dentro c'è Reginella, e non posso io, l'amico dei suoi poveri
genitori... io che l'ho addormentata tante volte fra queste braccia...
suonare il campanello, farmi aprire, baciarla!
— Ma tu non lasci Piacenza come me: potrai venire, domani,
suonare il campanello, farti aprire, baciarla...
— Domani! — ripetè il nano guardandolo dolorosamente; e
non aggiunse altro riflettendo che per la terza volta Tad l'escludeva
dalla sua sorte, mentre Tad rifletteva che per la terza volta
Vercingetorige non si era ribellato all'esclusione.
— Vieni, Verci, — disse poiché il tempo stringeva, — so qual
è la sua finestra: c'è davanti un pesco fiorito. Voglio lasciarle un bacio
sul davanzale.
Cautamente s'appressarono all'asilo, ne girarono l'angolo : il
pesco assurgeva nitidamente roseo fra l'oscurità del giardino perché
quella finestra era illuminata! I due si tenevano per mano irresoluti,
nella tema di venir scoperti inoltrandosi, ma quando Tad dubitò : —
Non... non ci sarà qualche bambino malato... Non sarà ammalata
Reginella?
— in un attimo si trovarono con i nasi incollati contro i vetri.
Nessuno dei bambini a due a due coricati e trasparenti dietro i
cristalli tersi era ammalato, soltanto la bambinaia nel suo giro notturno
era giunta fin lì e leggeva sotto la lampada vegliando il loro sonno.
— Guarda come dorme Reginella! — sussurrò Tad bevendo i
tratti della sorellina dalla boccuccia dischiusa, i riccioli sparsi sul
piccolo cuscino.

57
— È curata come i bambini dei ricchi! Ha persine una camicia
da notte! — notò Verci, ammirato.
— Vedo che non le manca proprio nulla, — riconobbe il
fratello.
— Sono felice di lasciarla qui, — dichiarò posando il bacio sul
davanzale, staccandosene bruscamente seguito da Vercingetorige,
volgendo le spalle al pesco luminosamente roseo fra il buio, — sì,
felice... — ripeteva camminando in fretta verso l'ingresso dell'asilo
davanti al quale depose il gatto. — Lo sono mol... mol... moltissimo!
— ribadì rizzandosi e trovandosi di fronte la faccia lagrimosa del nano
che non sapeva nascondere i propri sentimenti. — E tu perché piangi?
— lo investì. — Non ti vergogni? Cosa vor... vorresti, forse, che
facesse la saltimbanca con te o la vagabonda con me?
— Oh, Tad! — rispose Verci in uno scoppio. — Piango come
piangi tu e non me ne vergogno come te ne vergogni tu! — Rapide
lacrime scorrevano infatti lungo le guance di Tad, mentr'egli lottava
invano per contenerle. — Una volta mi disse: «Sei bello, Velcinge-
tolige! ». Tutti gli altri bambini scappano o mi beffeggiano quando mi
vedono senza trucco, lei solo mi trovava bello! Ah, come l'amo... e
come ti amo, piccino mio!
« Ah, sì? » pensò Tad. « E vuoi lasciarmi partir solo? Aspetta
che siamo in strada e vedrai! ». Gli strinse, grato per le sue parole, un
braccio.
« Ah, sì, tu mi vuoi bene? » giudicò Verci dalla tacita stretta. E
vuoi abbandonarmi? Ma mi appenderò alla tua giubba e dovrai
trascinarmi con te per forza! Aspetta che siamo in strada e vedrai! ».
— Andiamo! — lo invitò Tad, risoluto.
— Andiamo pure! — consentì Verci, risolutissimo.
Di corsa attraversarono il prato, con due agili salti mortali
furono in strada. Era giunto il momento decisivo : si guardarono ostili:
— Tad!
— Vercingetorige! — incominciarono con l'intento di esporre
le loro pretese; ma, credendo reciprocamente che ciascuno cercasse di
ac-comiatarsi, digrignarono i denti :
— Taddeo!
— Ebbene? — rimbeccò questi, aggressivo.
Verci diventò altrettanto aggressivo: — Credi d'intimorirmi?
— Non lo crederai tu, per caso!

58
— Guarda! — il nano si trasse di tasca biondi panini da cui occhieggiavano rosee
tette di prosciutto. (Capitolo V).

59
Si trovarono vicinissimi coi pugni stretti: — Cosa vuoi, da me?
— E tu, cosa vuoi?
— Fuggir con te, to'! — sbottò ferocemente il nano sul muso a
Tad.
— Verci! — gridò questi, esultante. — Ed io che volevo
forzarti a fuggir con me!
— Davvero? Oh, Tad!
— Lo sapevo che all'ultimo momento ti saresti deciso a
seguirmi!
— All'ultimo momento, eh? — sogghignò Verci. — Ma io mi
sono deciso subito, stamattina, quando mi hai svegliato per dirmi che
volevi lasciare il circo! Tira l'elastico delle mie brache, guardaci
dentro e te ne persuaderai!
Tad nicchiò perplesso: — L'elastico delle tue... ehm... per
guardarci dentro? Io, veramente, Verci...
Il nano insistette seccato : — Non far tante storie! Se ti dico di
tirar per di dietro l'elastico delle mie brache, significa che c'è la sua
brava e legittima ragione! Su, tira, spicciati! — Voltò il dorso a Tad.
— E va bene... — Tad eseguì. — Oh! Il fagotto dei tuoi panni!
Mi spiego, ora, perché mi sembravi tutt'a un tratto ingrassato!
— Dammelo! — Verci si cacciò il fagotto sotto il braccio, —
Ed ora alziamo il tacco, mio caro, piccolo, indivisibile Tad!
***

Quando sorse l'alba sull'asilo, una delle bambinaie aprendo la


porta vide...
— Un gatto! E con un cartello al collo, dei legni intorno a una
zampa! Ma chi è che ti ha conciato così, poverino?
— Miu! — potè solo rispondere il gatto a quell'evidente inter-
rogativo.
— Ma è una lettera che hai al collo! — La ragazza ne compitò
l'indirizzo : — Ai-la lus-trisima si-gora Pau-la... — Balzò in piedi
chiamando verso l'alto: — Signora Paola! Signora Paola!
Venga! Venga giù!
Una finestra, quella della camera della signora Paola, si aperse
subito. Si affacciò la direttrice allacciandosi l'immacolata vestaglia

60
bianca indossata allora: — Che c'è? Che hai da gridare, Giulietta? Lo
sai che non sta bene alzar la voce. Potevi venirmi a cercare per dirmi
quel che mi volevi dire, con calma.
— Sì, signora, scusi signora. Ma c'è un gatto indirizzato a lei!
— Un gatto? Indirizzato a me? Ma che dici? E da quando in
qua s'indirizzano gatti alla gente?
— Eppure, signora...
— Aspetta, vengo subito. — La figura alla finestra disparve,
riapparve sulla porta: — Dov'è il... Oh, è davvero un gatto, — ammise
chinandosi su di esso e leggendo l'indirizzo sul cartello : — E... e pare
davvero indirizzato a me!
— Che le avevo detto? — si prese la rivincita Giulietta. — Chi
sa chi lo manda! — aggiunse curiosa.
— Ora vedrò. Va' pure, Giulietta.
— Sì, signora. — Giulietta obbedì a malincuore : sapeva che
la signora Paola, pur essendo buona, non permetteva che si
discutessero i suoi ordini.
— Vediamo un po', — diceva questa, frattanto,
armeggiando attorno al magro collo del gattino, — sta' buono, piccino,
che ti tolgo questo impaccio... Deve averti dato un bel fastidio, —
riuscì a levargli i due cartoni che rinserravano la lettera, — chi sa da
quanto tempo sei qui senza poterti muovere, poiché vedo che hai
anche una zampina ferita. Abbi pazienza, — lacerò la busta, — leggo
questa lettera e poi ti porterò in cucina dove avrai una bella scodella di
latte! — Strappò la busta: — Vediamo chi mi manda un gatto. — Oh!
— esclamò piacevolmente sorpresa scorgendo la firma in fondo al
foglio, — Taddeo Alicante! Si ricorda di me! Non è dunque un
vagabondo qualunque, contento solo di essere fuggito senza più
curarsi della sua sorellina... né di me, come sosteneva la contessa!
Vediamo, vediamo cosa dice! — Si accoccolò sul gradino
dell'ingresso, incominciò : — Carissima signora Paula...
Aveva letto in fretta, tornò a leggere, abbandonò la lettera in
grembo, ma non si levò dal gradino su cui era seduta. La preghiera di
Tad di non denunciarlo ai carabinieri, la rendeva perplessa. Che ne
sarebbe stato, in tal caso, di un fanciullo di undici anni, in giro per il
mondo? Parecchie volte tentò di levarsi per telefonare alla questura, ed
altrettante ristette meditando sugli istinti di Tad che lo volevano
libero.

61
Infine, persuasa che gli occhi seri del fanciullo, la sua
devozione ai desideri della mamma morta, la tenerezza per la
sorellina, la pietà per le bestie, denunciassero in lui un'anima onesta e
buona, non ebbe più paura del mondo e dei suoi esempi talvolta cattivi
per esso, e rientrò volgendo via risolutamente il capo dall'apparecchio
telefonico, per non essere peggior ladro di Pompeo rubando a Tad
l'unico tesoro che gli rimaneva : la libertà.

62
V.

TAD

TAD e il nano uscirono tranquillamente dalla città, accoccolati


sulla cima di un carro carico di sacchi di farina, sul quale con la loro
abituale agilità erano saliti senza che il carrettiere se ne accorgesse.
Siccome non avevano preferenze per una direzione piuttosto che per
l'altra, pur di allontanarsi da Piacenza dove le guardie erano sulle loro
tracce, si lasciarono beatamente trasportare a pancia all'aria, godendosi
il sole, fino a che il carro non accennò a svoltare verso una fattoria :
allora si affrettarono a discendere e il carrettiere, smontando sul
cancello, si fregò gli occhi scorgendo in mezzo alla strada che un
momento prima si stendeva deserta a perdita d'occhio, un nano e un
bambino.
Durante quel giorno non capitò ai due nessun inconveniente, ma
il giorno dopo se ne verificò uno grave : le provviste di cui Vercin-
getorige si era munito a danno della dispensa del Circo Giustini, sfu-
marono durante la colazione e bisognò pensare alla cena.
— Cosa mangeremo, stasera? — chiese, appunto, Tad.
Vercingetorige accennò l'immediato orizzonte : — Guarda su quegli
argini le mondariso. Cantano.
Infatti veniva loro, or sì or no, sull'ala del vento, l'onda di una
delle antiche canzoni che formano il repertorio delle mondariso.
— Ti ho chiesto cosa mangeremo stasera. Non divagare.
— Non divago. — II nano sommò sulle dita : — Mondariso, più
Verci, più Tad, uguale cena assicurata.
— E come?
— Aspetta che smettano di lavorare, che tornino alla base per
cenare e vedrai se noi staremo solo a guardare.
Risuonò un fischio acuto, il canto s'interruppe. — Ecco che il
capo ha fischiato, — spiegò Verci che avendo girato il mondo con gli
occhi bene aperti, s'intendeva un po' di tutto, — il lavoro per oggi è
finito. Che ti dicevo? Guarda! Si mettono in fila, lasciano i campi... —
Le mondariso in variopinta schiera, con i cappelloni di paglia in testa,
si erano infatti rizzate sugli argini e procedevano spedite verso di loro,

63
riflesse capovolte nell'acqua ferma su cui si stendeva la rete degli
argini. — Vanno a casa, seguiamole!
Tad lo afferrò per la giubba: — Che vuoi fare? Non vorrai già
chiedere la carità? Mio padre mi ha insegnato che è meglio morir di
fame piuttosto che chiedere la carità!
— E tu non la chiederai, — lo rassicurò il nano, liberandosi di
lui con uno strattone. — Sono arrivate., si son sedute sull'aia con la
scodella sulle ginocchia. Tu stai lì fino a che non ti chiamo... — E
spiccò la corsa.
— Verci, vieni qui! — gli intimò Tad, intuendo quel che voleva
fare.
Ma Verci non obbedì ed egli lo vide, come ben si aspettava,
piombar sull'aia con una serie di veloci capriole e fermarvisi nel
mezzo sulle palme poggiate a terra, la pancia ad arco, i piedi nelle
scarpe di corda puntati verso il ciclo.
Sentì un'ondata di collera salirgli impetuosamente alla testa e
sarebbe corso a riprendere Verci a costo di trascinarlo via con la forza-
se le mondariso non avessero applaudito.
I saltimbanchi si dividono in categorie distinte : il saltimbanco
che possiede bei carrozzoni e da spettacolo esclusivamente nelle città
e nelle grosse borgate, non vuoi essere confuso con quello che viaggia
in carrette e si ferma in ogni piccolo paese, il quale a sua volta non
vuoi saperne di essere affine a chi dorme sui fienili e paga l'ospitalità
allestendo ingenui spettacoli in onore dei contadini e delle loro
famiglie.
La collera di Tad era originata dalla disinvoltura con cui
Vercinge-torige passava dalla prima categoria all'ultima. Ma le
mondariso avevano applaudito e continuavano ad applaudire
entusiaste ai lazzi del nano, e niente elettrizza e lusinga il saltimbanco
come l'applauso del pubblico, qualunque esso sia. L'applauso è un
richiamo irresistibile per il saltimbanco di razza, e fu così che Tad si
trovò in un baleno di fronte a Vercingetorige, con le mani ugualmente
in terra e la pancia ugualmente ad arco. Il nano gli sussurrò muovendo
la bocca nella faccia capovolta :
— È questione di pregiudizi, mio piccolo Tad : questo pubblico
vale quello della città e questa buona terra è migliore della rena del
circo!

64
— Però, — borbottò Tad, — mio padre diceva che i
saltimbanchi con carrozzone e tenda non devono... — Verci balzò per
aria e vi si girò tre volte : gli applausi scrosciarono e in più le
mondariso picchiarono con i cucchiai contro le scodelle. — Ma certo,
Verci, — mutò parere, immediatamente, Tad, quando il nano gli
ricadde accanto leggero, •— hai ragione : questa terra è migliore della
rena del circo... ed anche il pubblico è intelligente quanto quello della
città! Li senti che applausi?
— Se li sento! Ma sentirai quelli che verran dopo! — Scattò in
piedi agile, inchinandosi al pubblico con la mano sul cuore : —
Coltissimo ed integerrimo pubblico di distinte mondariso! — lo
interpellò.
— Bene!
— Bravo!
— Bis! — rispose entusiasta il pubblico, picchiando più che mai
sulle scodelle di latta ormai vuote.
— Ora eseguiremo per voi, in esclusiva e per questa unica sera
soltanto essendo per domani attesi al Metropolitan di New York, — il
pubblico accolse con naturalezza la notizia, — II Gioco delle Api,
nuovissimo per l'Italia. E perciò presento al presente nobile pubblico il
mio cameriere che si chiama Tad. Siccome, a dirlo in confidenza, —
Verci si sporse intimo verso le mondariso, abbassando la voce, — il
poveretto ha il cervello di materia bianca e verde anziché di materia
bianca e grigia, ed è un po' tardo a comprendere, vorranno
compatirlo...
— Si volse brusco a Tad : — Avanzati, imbecille! Si sta
parlando di te! E cammina! — poiché Tad non si muoveva. — Saluta
il colto pubblico!
— Salam! — salutò Tad avanzando di un passo, toccandosi la
fronte e il petto.
— Come? — si agitarono le mondariso. — Salame a noi?
Salame sarai tu e il tuo cervello bianco e verde!
— Non s'adirino, apocalittici signori, — il pubblico applaudì il
nano che gli era simpatico e che lo lusingava senza risparmio di agget-
tivi, alcuni dei quali, come questo, mai sentiti addirittura. — Grazie,
grazie, non c'è di che... Eh, diamine, si vede subito che sono apocalit-
tici, ci vuoi poco... basta il colpo d'occhio! Però, apocalittici gentiluo-

65
mini ed eterogenee dame, nemmeno il mio cameriere, — precisò sen-
tendoli ostili a Tad che già aveva il viso scuro e temendone le reazioni
— si è permesso di mancarvi di rispetto! Guai se l'avesse fatto!
L'avrei subito licenziato... e dove trovava più un padrone che gli desse
un milione al mese solo per accendergli il sigaro che non fuma? — I
cucchiai batterono sulle scodelle, mentre le mondariso sedute in
cerchio si dondolavano avanti e indietro per il gran ridere. — Soltanto,
— continuò a spiegar Verci, — che egli è nato in Turchia e laggiù, per
dire a una persona che è graziosa, le si da del salame. Che volete farci:
paese che vai, usanza che trovi. Ma ora andiamo a incominciare —
riprese sentendoli rabboniti verso Tad, — l'annunciato Gioco delle
Api, senza più discutere sulle usanze dei continenti! Ohe,
mammalucco di un turco, — Tad gli si avvicinò di malavoglia, — apri
quelle sventole e ascoltami: tu non sei più un turco ma un'ape, hai
capito? Ma che fai, ora, santo Dio! Cosa ti cerchi sulla schiena?
— Le ali, padrone.
— Oh, che stupido, che stupido, — gridò il nano, dandosi dei
rimbombanti pugni sulla testa. — Si cerca le ali! Be', tu sarai l'Ape
Regina!
— Io? La Regina? L'Apo Re, caso mai.
— E perché?
— Perché sono un uomo.
— Quanto sei scemo : si fìnge, no ? Le api, poi, son tutte donne
e non posso farti far l'apo. Avanti, siediti su quella carriola che rap-
presenterà il trono...
Tad sedette: — E adesso, cosa faccio?
— Quello che fan le regine : aspetta che i sudditi ti portino i
doni.
— Oh, che bel mestiere! Che bel mestiere! — esultò Tad dime-
nandosi sulla carriola del concime. — Padrone: quando sarò grande
voglio fare la regina e non il ciabattino come volete voi!
Moderate risate accolsero la sua battuta, punteggiate da qualche
picchiatina di cucchiaio sulle scodelle.
— Se proprio ti diporterai bene, — promise Verci, serio, — può
darsi che secondi la tua inclinazione. — Le risate scoppiarono frago-
rose, convinte. — Frattanto, per darti un saggio della bella vita che le
regine conducono, io farò l'ape operaia, cioè il tuo suddito.

66
— La suddita. Avete detto che le api son tutte donne e anche voi
la sarete come me, no?
— Eh?... Che... Oh, povero me, — si disperò il nano
strappandosi i capelli, -- ma guarda cosa va a cercare! Ti secca proprio
tanto di fingerti una donna, per un momento?
— Moltissimo! — confermò Tad ergendosi sulla vita.
— Bene, non appena finito il gioco tornerai ad essere un uomo e
sarai cretino lo stesso! — Apparvero persine i piedi degli spettatori,
agitati nel convulso delle risa. Si andava proprio bene : solo che il
pubblico avesse avuto un po' più di simpatia per Tad e questi fosse
stato di conseguenza un po' meno immusonito, più comunicativo...
Bah, pazienza. Meno male che aveva preso in simpatia lui, così il cibo
era assicurato per tutti e due.
— Ed ora attento senza più interrompermi, — continuò Verci
solennemente. — Come suddito ti porterò un dono.
— Ta.
— E che significa: ta?
— Sud-di-ta, non suddito. Se io sono una regina voi siete una
suddita.
— Oh, ciclo! — finse di svenire Verci.
— E piantala, — intervennero, seccate, le mondariso,
prendendosela con Tad, invece di ridere, — non interrompere sempre,
turco della malora!
Applausi a chi aveva parlato e fischi per Tad si levarono dal
gruppo: — Bene! Bravo!
— Grazie, californici signori, di avermi aiutato a farlo star zitto,
— tirò via Verci fingendo di non udire Tad che, sulla carriola, sbuf-
fava tra i denti: «che roba! », — da solo non ci riesco... fa sempre
così... è la mia dannazione... — Si mise a piangere estraendo un fazzo-
letto largo come un asciugamani. — Cre... credete... la mia vita...
con...con... questo cretino è un martirio... Lo tengo solo per com... per
com... per companatico... no: per compassione! — Le risate ripresero
scroscianti. — E così, - - Verci si volse a Tad, — ti porterò un dono,
se mi lasci parlare.
— Che dono? — buttò lì Tad, di malumore.
— Ma: del miele! Che vuoi che ti porti, un'ape? Una
millecinque carrozzata fuori serie?

67
— Del miele? Pancia mia fatti capanna! — esclamò Tad come
voleva la sua parte, leccandosi le labbra come se le doveva leccare.
Lui come lui se ne sarebbe andato sull'istante, ma non voleva mandare
a male lo spettacolo di Verci, né il suo piccolo successo fra quella
gente, per quanto personalmente gli fosse odiosa come lui era odioso
ad essa.
— Va bene. Ora volerò a suggere i fiori, poi tornerò, ti farò tre
inchini, al terzo mi dirai : « Dammi il miele! ». Ed io te lo darò. Ciao!
Baj ! Baj ! — Prese a saltellare leggero sbattendo le braccia a guisa
d'ali, fingendo di suggere immaginari fiori, ronzando: zzz! e
allontanandosi sempre più fino a che, sottraendosi alla vista di tutti, si
gonfiò le gote a un secchio d'acqua che trovò dietro la casa, per
tornare davanti a Tad che si dimenava in segno di golosità e di gioia.
Strisciò un inchino, due, al terzo Tad gridò:
— Dammi il miele!
— To'! — II nano gli soffiò l'acqua in piena faccia, mentre il
pubblico scompariva a gambe all'aria tra un volo di scodelle e di
cucchiai.
— Bis! Bis! — chiese quando riapparve.
— Bis un corno, — protestò Tad che si era sforzato di arrivare
fino in fondo allo spettacolo e si andava asciugando la faccia... — Io...
— Tu taci! — l'ammonì Verci, sottovoce. — Esimio e
motorizzato pubblico! — disse forte, di tutto cuore concederemmo un
bis, un tris, un quadris, ma, — chinò il capo triste, — purtroppo un
proverbio ce lo vieta.
— E che proverbio?
— « Sacco vuoto non sta in piedi » — scandì Verci, — o
biforcuti signori!
— Ha fame! Ha fame! — esclamarono le mondariso, tutta gente
di campagna usa anch'essa a intendersi per proverbi. — Avanti, cuci-
niera, grattate la pentola! Qualcosa sul fondo ci sarà ancora o se no
fate una zuppa ben condita per il nano! Un cucchiaio per il nano! Un
bicchierotto, nano? Non fate complimenti!
Tutti gli porgevano qualcosa, una gamella, un cucchiaio, un bic-
chiere, una bottiglia, un pane. Nessuno badava a Tad.
— Me ne vado, — fremette egli, — non ci sto più, qui!
— Fermati! — Verci lo acciuffò in mezzo alla schiena, per la
maglia a righe. — Ti darò tutta la mia parte!

68
— Non la voglio! Voglio andarmene! Sta' qui tu, col « tuo »
pubblico!
— Dove vuoi andare? — gli sussurrò Verci, concitato, proprio
dentro l'orecchio perché nessuno sentisse e s'indisponesse oltre contro
Tad, costringendolo a prendere le sue difese, compromettendo il gia-
ciglio che contava di chiedere per la notte. — È buio, ormai! C'è
acqua dappertutto con queste risaie : è un momento cadere in una
roggia, annegare. Domani andremo via, ma per stasera, credi a me, è
meglio pazientare per avere un angolo sul fienile... E poi, portano due
gamelle, guarda! Han pensato anche a te: su, ringrazia e mangia!
— Grazie... — borbottò Tad.
— Grazie! — rinforzò Verci, fervido, pigliando la gamella dalle
mani della cuciniera. — Grazie mia buona signora! Se permette m'ap-
parto col mio cameriere, -- gli premeva di separare Tad dai mondariso,
— perché ho lo stomaco delicato e, anche a casa, mangio sempre solo,
in un salottino lontano dalla folla e dal rumore.
— Qui di salottini non ne abbiamo, — rise la cuciniera col me-
stolo in mano e la faccia sudata e arrossata dal fuoco, — ma mangiate
pure dove volete, e poi il fattore ha detto che potete dormire sul
fienile. Buona notte!
— Grazie... fata! — si sdilinquì Verci davanti al donnone.
— Oh! — si schermì costei, pudica, col mestolo.
— Che ti ho detto, Tad, — attaccò Verci non appena furono se-
duti a ridosso della siepe dell'orto, sbattendo con allegro e veloce ru-
more il cucchiaio contro la gamella nella spola che gli faceva fare
dalla zuppa alla bocca. — II letto è assicurato, hai sentito? Non son
cattivi: tutto sta a saperli prendere... Su, mangia!
— Che prendere e non prendere! — Tad mangiava suo
malgrado, spinto dalla fame. — Son loro che non capiscon nulla e mi
credono scemo davvero perché tu hai detto che lo sono. Ah, mio padre
non mi avrebbe mai permesso questa vita! — tornò a riconoscere
poiché gli applausi non erano toccati a lui.
— Ma bisogna pur mangiare, Tad! — Verci, dopo aver grattato
il fondo della gamella, si accinse a dividere, col suo affilato coltello a
serramanico, il pane in lunghe fette sottili che lo facevano sembrar più
buono, secondo la sua convinzione.
— Ebbene, Verci, preferirei lavorare per guadagnarmi da man-
giare, — confessò Tad.

69
— Non abbiamo lavorato, oggi? — si stupì il nano, per cui
l'unico lavoro possibile al mondo era quello di far ridere la gente.
— Con le braccia, Verci, vorrei lavorare, — precisò Tad. — È
più serio.
— Che idee! — II nano alzò le spalle non ritenendole nemmeno
degne di venir confutate.
— Oppure, — il viso di Tad s'illuminò, — preferirei disegnare le
figurine in terra come a Piacenza! Ci son sempre i miei gessetti nel
tascapane?
— Uhm... — dubitò Verci, fermando il coltello nel pane, pen-
sieroso. E quindi : — Però... in fondo... È un genere di lavoro che non
disapprovo quello di dipingere. Disegnando rimani sempre nel campo
dell'arte, benché non vi sia arte che uguagli quella del saltimbanco.
Siamo artisti, Tad mio, non lo dimenticare! E vorresti abbassarti a
lavorar con le braccia?
— È — Tad tornò a ribadire, — che non mi va giù di essere
stato trattato da sciocco solo perché ho finto di esserlo! Domattina di-
segnerò una bella scena sul muro della stalla, così capiranno con chi
hanno a che fare!
Il mattino seguente un urlìo irato svegliò Vercingetorige il quale
lestamente, senza dimenticare il tascapane, calò dal fienile e, cosparso
di fieno, gliene uscivano dei fili persine dagli orecchi, corse presago
verso il luogo del dissidio il quale era precisamente il muro della stalla
su cui Tad aveva disegnato un bel pavone verde e blu, con la coda
distesa, per dar prova della sua intelligenza.
— Somaro! — gridava il fattore. — Come t'è saltato in mente di
rovinarmi l'intonaco nuovo? E mi è costato un occhio della testa! Ah,
caro il mio padron pagliaccio, — proruppe rivolto al sopraggiunto
Vercingetorige, — quando si sa d'aver per le mani dei cretini non
bisogna lasciarli andar attorno da soli... Se penso che poteva saltargli
il ticchio d'incendiarmi il fienile!
Tad era bianco bianco; il nano che conosceva quel pallore
foriero di collera, lo rimorchiò in fretta verso la strada maestra
dicendo con disprezzo al fattore :
— È chiaro, buon uomo, che voi non siete Cimabue.
— Bue a me? — si risentì l'altro, furibondo.

70
— Lo vedete che non capite nulla? Del nome di un grande pit-
tore capite solo quel tanto che si riferisce a una bestia! Andiamocene,
Tad, questo non è luogo per gente come noi...
E, avvolto il fattore in uno sguardo di disprezzo, sospingendo
Tad per le spalle si allontanò, superiore, da lui e dalla sua fattoria.
***
Le campane suonavano a distesa il mezzogiorno dai campanili
vicini e lontani sorgenti come steli chiari nella vastità della pianura
padana, fra gruppi di case ognuna delle quali, a denunciare la minestra
che cuoceva sul fuoco, sfoggiava il suo bravo pennacchio di fumo.
— Tutti mangiano, — sospirò Tad, soffermandosi stanco dopo
quattro ore di cammino a caso.
— E noi mangeremo, — rispose" Verci, tranquillo.
— E cosa mai, se ieri non avevamo nulla e giusto abbiamo
dovuto dare quell'orribile spettacolo per masticar qualcosa?
Il nano sedette all'ombra di una quercia, mettendosi a giocare
troppo disinvolto con le lucide ghiande ancora verdi, disseminate sul
terreno erboso. Tad drizzò gli orecchi : lo conosceva quel fare
disinvolto.
— Ho dimenticato di raccontarti, piccino mio, la straordinaria
fortuna che mi è capitata stamani all'alba. Immagina... Ma perché non
siedi? — s'interruppe impacciato dalla persona di Tad piantata davanti
a sé.
— Ti ascolto.
— Ascoltami stando seduto, santo Dio! — si agitò il nano. —
Mi dai noia lì impalato! Sembri un confessore... un giudice...
— Un giudice? — ripetè Tad, sempre più insospettito. — Che
idee! — Ma non sedette.
Vercingetorige gli voltò le spalle e proseguì ridacchiando : —
Sai... è proprio da ridere; sentirai! Indovina cos'è successo stamani
mentre disegnavi su quel muro. Mai più lo immagini, tanto... Ohi!
Ohi! Ohi! — si teneva la pancia ridendo: — Tanto è incredibile!
— Continua.
— E va bene. — Verci lo sbirciò di sopra la spalla : Tad non
rideva affatto. — Vedrai come riderai quando te l'avrò raccontato! —
pronosticò ottimista. — Tu, dicevamo, sei giù che disegni, io sono sul
fienile che dormo, quando, tutt'a un tratto, mi sveglia un clamoroso:

71
Coccodè! Coccodè — Si dilungò in una efficace imitazione della
gallina.
— Avanti.
— Stai tranquillo che ci arrivo. Ascolta bene, Tad, poiché, te
l'ho detto, è una cosa incredibile. Uno... poniamo... potrebbe anche
non crederci! Guardo, e che ti vedo? Quattro... cioè cinque... ma che
dico: sei! Sei galline che stavano facendo l'uovo proprio vicino al
nostro tascapane! — A questo punto battè le mani animato da
un'allegria a cui Tad non partecipò. — Era la provvidenza del buon
Dio! Con un colpo di dito l'assecondai facendo ruzzolare le uova nel
tascapane. Credi in Dio, piccino caro, — esortò mistico e solenne, —
perché Egli ci ha dato segni indubbi della sua esistenza!
— E se mio padre fosse vivo, — esplose Tad facendoglisi di
fronte per guardarlo bene in faccia e girando perché il nano girava su
se stesso per sottrarsi al suo sguardo, — ti darebbe lui pure segno
indubbio della sua esistenza! Lo sai che proibiva a tutti di rubare! Lo
sai che ci sono i carabinieri e le prigioni per chi ruba!
Verci si fermò ed anch'egli, come se si decidesse a deporre una
maschera, levò in faccia a Tad gli occhi in fondo ai quali balenava
scaltra e scettica la sua vera anima. — Tad, sei un ingenuo : tuo padre
ti raccontava queste storie per spaventarti.
— Verci! Non vorrai insinuare che mio padre mentiva!
— No. Ma voglio dire che un bravo saltimbanco ruba senza la-
sciarsi cogliere, così che l'affare della prigione a chi ruba diventa una
storiella qualsiasi. Non è brutto rubare... brutto è lasciarsi prendere! —
ridacchiò.
— Gli altri saltimbanchi la pensano come te o come mio padre?
— Come me! Come me! — gli assicurò il nano. — Tuo padre,
con le sue idee sull'onestà, era un originale... ma tanto allegro e
buono! — sospirò con rimpianto.
— Capisco, — mormorò Tad, a capo chino, — capisco, ora,
perché la gente non ci rispetta anche se ci applaude... Verci, — decise
ergendosi, — io non mangerò di quelle uova!
E tenne la parola, nonostante le suppliche dell'affezionato nano,
fino a mezzanotte, ora in cui si svegliò sulla paglia di un capanno
abbandonato, per la fame che gli mordeva i sanissimi visceri, e la
mano gli corse irresistibilmente bramosa verso il tascapane in cui
quattro uova erano in serbo per lui.

72
— Quando penso, — brontolava bucando con uno spillo il
guscio del quarto uovo, — che mentre io dormivo tu vagavi carponi
nel basso pollaio come una faina!
— Carponi? — rise Vercingetorige accarezzandogli timidamente
i ginocchi e beandosi di ciò che egli inghiottiva. — Se è ciò che ti
preoccupa, rassicurati; giravo in piedi e ancora ne avanzava dello spa-
zio sopra il mio capo! Infine, Tad, te lo confesso, è vero che l'istinto di
rubare ce l'ho; non mi sembra di commettere del male, rubando, ma di
burlar qualcuno. Però stavolta rubai per te, piccino mio, perché tu ti
sfamassi!
E si abbracciarono schiacciando fra i menti il guscio dell'ultimo
uovo ormai vuotato.
***
Tad e il nano si presentarono col capo rispettosamente scoperto a
un contadino che, essendo il tramonto, guidava due enormi buoi
biondi a dissetarsi al fossato.
— Padrone, — lo interpellarono, come avevano interpellato
invano altri contadini durante la giornata — ha bisogno di due
braccianti?
— E chi sarebbero? — chiese colui guardandosi intorno.
— Noi, — rispose il nano.
Il contadino scoppiò a ridere: — Un bambino e un nano! Che
cosa sapete fare? Volete schiacciar le lumache sulle foglie dei cavoli,
forse?
— Abbiamo scherzato! — si affrettò a dire Vercingetorige,
felice di non esser stati presi sul serio come contadini. — Siamo
saltimbanchi e daremo una rappresentazione in vostro onore! —
annunciò senz'altro poiché il proposito di Tad di lavorare con le
braccia era fallito, rubare non si doveva e mangiare bisognava.
Ma il contadino crollò il capo: — No, caro il mio nano! Siamo
stufi di saltimbanchi! Ne è partito uno soltanto stamani, che era qui da
tre giorni e sapeva fare dei bellissimi giochi!
— Chi sa che giochi, poi! — commentò Verci con meccanico
disprezzo per l'ignoto rivale.
— Quello d'impostarsi una lettera in un orecchio e di cavarsela
fuori dall'altro, per esempio! Ne siete capaci, voi?
— Noi, no, — rispose Tad, scosso, — ma ne era capace...

73
— Scusate, -- intervenne Vercingetorige, agitato, — quel
saltimbanco che dite, si faceva spuntare una coda di cane dandosi un
pizzicotto in fondo alla schiena?
— Proprio. Lo conoscete?
— Sì... è probabile... Si cavava un topo bianco dal naso? — in-
calzò Tad.
— Per l'appunto.
— Aveva i capelli rossi e gli occhi verdi? — Verci lo afferrò per
le bretelle.
— Sì! Sì!
— Era Pompeo! — esclamarono i due, abbandonando Verci le
bretelle che ricaddero con uno schiocco secco sul petto del contadino
il quale protestò : — Ehi!
Ma essi non gli badarono chiedendogli febbrili : — Sapete da
che parte si è diretto?
Il contadino accennò con una mano un viottolo fra i vigneti, di-
fendendo con l'altra le bretelle a cui ora minacciavano d'attaccarsi tutti
e due, quasi per paura che scappasse prima d'informarli. — A que-
st'ora sarà in qualche fattoria a cercar ricovero per la notte.
— Grazie! — rispose Tad, slanciandosi nella direzione indicata;
ma il nano lo trattenne frugandosi in tutte le tasche, stringendosi,
infine, nelle spalle: — Non ho spiccioli, mi dispiace. Ad ogni modo
grazie delle vostre informazioni, buon uomo! — Si slanciò anch'egli
insieme a Tad e ben presto essi scomparvero agli occhi del contadino
nella nuvola di polvere sollevata dai loro piedi in corsa.
— Perché, Verci, — chiese Tad, col fiato mozzo, — hai finto di
cercare del danaro che sapevi di non avere?
— Per il gesto, bambino caro! Per mostrare a quello zotico la
mia educazione!
Ma per quanto durante la sera entrassero in ogni aia e durante la
notte esplorassero molti fienili, pestando parecchie pance di addor-
mentati e girando senza complimenti i volti affondati nel sonno tra il
fieno, di Pompeo non trovarono traccia.
Sorse l'alba dietro gli snelli pioppi segnanti il corso del Po : sotto
il delicato ciclo rosa entrarono in una vasta aia da cui partiva un
confuso clamore e in mezzo alla quale si agitava un gruppo di gente.
Si avvicinarono: il centro dell'attenzione di tutti era Pompeo il quale,
con le braccia disperatamente levate, giurava che durante la notte,

74
mentre dormiva sul fienile, era stato derubato del portafogli
contenente un milione e mezzo.
— Un milione e mezzo! — soffiò Vercingetorige stringendo i
pugni. — Certo il ricavato del nostro circo!
— Un milione e mezzo... — Tad strascicò fra i denti le parole
con esecrazione. — Dici nulla! Avrei potuto costruire subito un
intiero palazzo per Reginella! Via?
— Via!
Da una estremità dell'aia scattarono radendo la terra due forme
scure che i contadini, sbigottiti, ravvisarono per un nano ed un fan-
ciullo soltanto quando furono attaccate ferocemente al saltimbanco
Pompeo.
Questi, a tutta prima, non li riconobbe perché Vercingetorige ad-
dentandogli il naso gli oscurava con la fronte gli occhi, ma la voce di
Tad che gridava : - - Infame traditore! Ladro di orfanelli! — non gli
lasciò dubbi sull'identità degli assalitori e ne proferì i nomi :
— Tad! Verci!
— Noi, sì, proprio! Non te l'aspet... — provò a dirgli il nano, ma
non aggiunse di più perché avendo, per parlare, abbandonato il mal
ridotto naso di Pompeo, questi si slanciò a bocca aperta sul suo, e sol-
tanto con un'abile mossa del capo egli potè rimorsicare l'antica posi-
zione.
Frattanto Tad, senza trascurare di prenderlo a calci, narrava
come Pompeo avesse tradito la fiducia di sua madre morente e tolto il
pane a due orfani.
— Ah, vigliacco! — urlarono i contadini stringendosi
minacciosamente intorno a Pompeo, la cui testa rossa che si dimenava
nel sole, senza per altro riuscire a scuotersi il nano dal naso, sembrava
la cima di una candela accesa. E qui accadde l'incredibile.
Un ragazzetto arrivò annunciando: — I carabinieri! I carabinieri!
Li ho chiamati! Arrivano!
— Dai! Tenetelo! — incitò il gruppo.
Come se avesse suggerito il contrario, il nano cadde dal naso del
ladro come una foglia secca, il ragazzo che gli si era aggrappato alla
schiena stringendogli il collo, piombò a terra e via se la batterono pei
campi mentre Pompeo, approfittando del momento di confusione, se la
svignava dalla parte opposta dimostrando nel correre a passi lunghi e

75
ventre a terra, di appartenere alla stessa scuola degli altri due che, con
l'identica tecnica, erano già scomparsi all'orizzonte.
Pennacchio rosso e blu, bottoni luccicanti, apparvero i
carabinieri : — Dove sta il ladro? Dove stanno i derubati?
— Ahimè! All'annuncio del loro arrivo sono fuggiti di comune
accordo!
In tutti i sensi venne battuta la campagna: ma il nano e Tad,
palpitante per la paura di esser preso e condotto in collegio, non
furono scovati nell'oscuro condotto sotterraneo di un canale asciutto
dove si erano infilati.
A tarda notte sentirono uno scalpiccio sul capo : il tubo di
cemento ne rimbombava: — Saranno i carabinieri... — sussurrarono
sporgendosi cautamente ad esplorare. Erano tre uomini con la barba
lunga e il cappellaccio:
— Questo luogo deserto, -- bofonchiò uno che pareva il capo,
— è proprio adatto a dividerci il bottino soffiato stanotte al
saltimbanco!
— Il mio danaro! — alitò Tad, slanciandosi impulsivamente in-
sieme a Vercingetorige; ma il semplice gesto con cui i ladri si acco-
modarono il fucile a tracolla, bastò ad appiattirli contro la terra, nella
qual posizione rimasero fino a che la spartizione non fu fatta ed il capo
della banda ebbe concluso:
— Il portafogli e le carte che contiene servirebbero soltanto a
comprometterci, perciò sbarazziamocene! — E lanciò l'oggetto nel
condotto, cioè in faccia a Tad che riebbe in tal modo il portafogli di
suo padre.
Quando i ladri furono lontani, Tad e Vercingetorige si arrampi-
carono al posto da essi abbandonato. Tad piangeva: — E dire che il
mio danaro mi è passato accanto senza che io abbia mosso un dito per
riaverlo! Ah, perché non ho vent'anni e uno schioppo?
— O almeno un fiammifero per vedere se le tue carte e quelle di
Reginella ci son tutte...
Il Signore esaudì il desiderio del nano liberando con delicate
mani la luna dai drappi di nubi che la celavano. La campagna diventò
tutta chiara e i grilli rafforzarono i cori. Tad potè leggere : — Taddeo,
Umberto, Emanuele Alleante di Intrepido e di Graziella Boni. Nato a
Nervi il 14 settembre 1942. Reginella Alleante, nata a Parigi il 12 feb-
braio 1946».

76
Un lamentoso fischio li fece trasalire. Vercingetorige scrutò
l'orizzonte : un lungo treno merci era fermo al disco chiuso di una
prossima, piccola stazione bianca sotto la luna.
— Lesto, Tad! — gridò. — Metti il portafogli in tasca e corri! È
meglio allontanarci più che possiamo da Piacenza! Non perdiamo il
treno!
Corsero attraverso i campi, Verci balzò sul predellino che già il
merci si muoveva: — Dai prima che acceleri! Su! Forza!
Tad gli piombò accanto nel carrozzone vuoto e traballante. Si
lasciarono andare, stanchi, sulla paglia che copriva il pavimento della
vuota vettura e solo allora si chiesero : — Dove andrà questo treno?

***

I primi raggi del sole rischiaravano l'interno del rullante carroz-


zone in cui i due avevano passato il resto della notte, e Tad
sbadigliava.
— Se hai ancora sonno dormi, — gli suggerì Verci, premuroso.
— Se ho dormito come un ghiro!
— E allora perché sbadigli? Non sarà indigestione, per caso? —
lo scrutò il nano, preoccupato.
— Sarei un bel fenomeno se avessi l'indigestione senza aver
mangiato!
— Ma allora hai fame!
— Piuttosto.
— Che sciocco a non averlo immaginato prima! Da ieri non
mangi. Ma, capirai, tra ieri e stanotte ne son successe tante da
confondermi.
— E se anche non ti fossi confuso sarebbe lo stesso : non
abbiamo un soldo per comperarci da mangiare!
In quella il treno rallentò e Verci sporse fuori la bazza.: —
Siamo a Bologna, guarda, c'è scritto. Aspettami un attimo: vado e
torno!
Era già sulla banchina e correva rapido.
Le proteste di Tad, preoccupato di rimaner solo su di un treno
che si poteva muovere da un momento all'altro, non lo raggiunsero
nemmeno.

77
In un batter d'occhio ritornò sempre correndo: — Fa' presto! —
incitò Tad, senza salire, indicandogli un merci parallelo al loro. —
Sali qui!
— E perché poi? Su questo si sta bene. E quello ha i vagoni
sbarrati...
— Sciocchezze! Si sale sul tetto no? Muoviti! — Lanciava in
qua e in là rapide occhiate, batteva in terra i piedi impaziente.
— E va bene! — smise di discutere Tad, arrampicandosi sopra
uno dei vagoni attigui. — E adesso dimmi, — chiese quando Verci lo
ebbe raggiunto, — perché mi hai fatto cambiar treno.
— Ma... così... — rispose Verci, che appariva sollevato quanto
impacciato a dar spiegazioni. — Per prendere la coincidenza, no?
— Cos'è la coincidenza?
— Quando da un treno si passa su un altro per cambiar
direzione. Che gusto c'è a correre sempre nello stesso senso? È più
distinto cambiare!
- Un .bel distinto! -- Tad guardò sé e Verci. — Ci siam conciati
peggio di due spazzacamini con tutta questa fuliggine!
— Meglio neri che con la pancia vuota!
— Perché, quassù si mangia fuliggine, forse?
— No! Panini! — ribattè Verci, trionfante.
— Panini??
— Guarda! — il nano si trasse di tasca cinque panini biondi da
cui occhieggiavano rosee fette di prosciutto.
— Ma come li hai avuti?
—• In un modo quasi inverosimile! — affettò di ridere a
crepapelle, Vercingetorige, mentre Tad s'oscurava in proporzione. —
Ma tu non hai udito nulla?
— No.
— Strano, stranissimo... — si stupì enormemente il nano. —
Hai visto che correvo, quando son sceso, no?
— Sì.
— Bene, laggiù in fondo, sempre correndo, in che cosa vado a
urtare? Proprio nel vassoio di uno dei camerieri del ristorante, sai
bene, uno di quei tipi che nelle stazioni gridano: panini, cioccolato,
birra, vinooo!
-— Continua.
— Sul vassoio giusto c'erano i panini e...

78
— Verci! Questa è una storia analoga a quella delle galline che
deponevano le uova nel tascapane!
— Ti giuro, Tad, che la cosa è assolutamente andata come ti sto
raccontando : e i panini rimasero a me perché, una volta ruzzolati sul
marciapiedi, quel sofistico non li volle più vendere per via dei
microbi, dell'igiene...
Il treno si mosse, Verci liberò un lungo respiro : — Oh,
finalmente si parte!
— Perché sei tanto contento di partire? — gli chiese Tad, gli oc-
chi negli occhi.
— Chi? Io...? Oh, no, io non... te lo assicuro. Io starei qui anche
un anno! Bologna mi piace moltissimo! — dichiarò appiattendosi con-
tro il tetto del vagone mentre si avvicinava un brusio che si tramutava
in clamore col proceder del treno. — Perché mai dovrei provar
sollievo ad andarmene? Hai delle idee proprio strane a volte, Tad! Su,
mangia che dicevi d'aver fame! — offerse un panino che Tad respinse
teso ad ascoltare.
— Ladro! Farabutto! — veniva ora, chiaramente, dalla banchina
sotto di loro. — Anche il vassoio mi ha portato via per far più presto!
Ed ora lo dovrò pagare al padrone del ristorante!
— Che stai ad ascoltare? — si spazientì Verci. -— Su, prendi il
panino e mangia!
— Taci! — gli ingiunse Tad. — E lasciami vedere di che si
tratta. Si sporse: una schiera di gente perlustrava, curva, sotto il treno
attiguo, mentre un cameriere in giubba bianca, dal rosso volto
inferocito, dirigeva le ricerche agitando il tovagliolo : — S'è cacciato
lì sotto, il birbante! Dieci panini mi ha rubato, dieci! Con la sveltezza
di una scimmia!
Verci tirava Tad per la maglia: — Non sporgerti, Tad! Non spor-
gerti, t'ho detto! Potresti cadere... e poi... e poi... è meglio che non ci
vedano...
Il treno accelerava. Si udì ancora: — Che vergogna! — E: — Bi-
sognerebbe chiamare una guardia, denunciare il fatto... — II treno era
ormai fuori dalla stazione, fra i sobborghi di Bologna che
trascorrevano sempre più veloci.
— E così, Verci, — incominciò Tad, severo, — avevi urtato nel
vassoio, eh?
— Tad... io...

79
- Quante volte ti debbo ripetere che non devi rubare?
— Non lo farò più, — promise immediatamente e senza nessuna
convinzione Verci, per cui Tad non gli credette affatto e continuò :
— Correre il rischio di farci imprigionare, ora che ho le mie
carte!
— E che c'entrano le carte?
Tad si prese il capo fra le mani, abbattuto : — Ma non capisci
che se ci arrestassero trovandoci in possesso di roba rubata, non oserei
più mostrarle perché accanto al mio nome figurerebbe che sono un
ladro? Che non potrei più intraprendere nulla di buono, nulla? Che
Reginella non potrebbe mai avere la sua casa perché non potrei far
fortuna, costruirgliela... Oh, Verci, non rovinarti e non rovinarci!
Verci si turbò moltissimo. Non avrebbe mai immaginato che le
conseguenze dei furti potessero essere così gravi. Si cavò in fretta dal
seno gli altri cinque panini : — Rovinarvi, io ? Ma se siete tutto
quanto ho di più caro al mondo! Ecco: questo è il rimanente del mio
ultimo furto, lo consegno a te, non ho più indosso nulla di rubato e
così sarà per sempre! Fidati, Tad caro... Dimmi che ti fidi! Dammi la
mano per dimostrare che mi credi! — Teneva una mano tesa, ferma
nel vento della corsa, verso Tad che, leggendogli una sincera
promessa negli occhi ansiosi, sbarrati sul suo volto, la strinse :
— Sì, Verci. Ti credo. Ti voglio credere. Sento che sei sincero e
mi togli un peso dal cuore all'idea che le mie carte non correranno più
il rischio di essere macchiate perché vivo in compagnia di... un ladro.
Verci appariva pensieroso : — Tu ci tieni alle tue carte...
— Naturale, - - obbiettò Tad, sorpreso, — che ci tengo alle mie
carte! Esse sono tutto quanto dimostra al mondo che io sono Tad.
— Ah, — commentò il nano, senza interesse. — E ci tieni tanto
ad essere Tad?
— Certo. E ci tengo ad essere un Tad onesto, — specificò il ra-
gazzo fieramente.
— Ora capisco perché io, invece, non do importanza alle mie :
io non ci tengo ad essere Verci piuttosto che Caio o Sempronio. E in
quanto a onesto, d'ora innanzi lo sarò per farti piacere.
— Ma no, Verci! Devi essere onesto per te stesso! Ma perché
non ci tieni ad essere te stesso?
Trasalì : Verci s'era levato in piedi sul tetto del vagone in corsa :
la sua figura sbilenca su cui il vento incollava i larghi panni, spiccava

80
nitida contro il ciclo in movimento, le nuvole fuggenti, con la testa
enorme, le spalle strette, le braccia lunghe fin oltre i ginocchi : —
Guardami, bambino, guardami! E ti pare che debba tenerci ad essere
ciò che sono? Verci, Tizio, Caio... per me è tutt'uno: sarò sempre un mostro!
— Oh, no, no, Verci! — protestò Tad impetuosamente, abbrac-
ciandogli le gambe, traendolo giù a forza accanto a sé, premendogli
11 viso contro il petto. — Non dir così! Per me sei come gli
altri, più bello degli altri, migliore degli altri, di tutti...
— « Per te », — mormorò Verci amaramente, guardando
lontano.
— No, Verci, non è vero, — Tad cercava con furia le parole per
esprimere una verità consolante che sentiva confusamente, — non per
me solo lo potrai essere, ma per tutti, se vorrai!
— E in che modo mai? — chiese il nano, scettico.
— Ecco! Si tratta del corpo e dell'essere onesti... — Ma era
difficile a dirsi e Tad si arenò impacciato : — La signora Paola
capirebbe quel che voglio dire e troverebbe le parole... Senti: penso
che si può esser belli di dentro se non lo si è di fuori... Insomma,
Verci, se sarai onesto...
— Vuoi dire che avrò bello il cuore? - - II nano appariva inte-
ressato.
— Sì!
— Tad! Perché nessuno me l'aveva mai detto? È una cosa sem-
plice ma fa tanto bene! Hai ragione : coltiverò il mio cuore come un
fiore in un vaso...
— E quando quel fiore sarà bello, — gli chiese Tad, felice
d'esser stato capito, — t'importerà d'esser Verci piuttosto che un
Pompeo dal cuore marcio?
— Oh, sì! Anzi mi sento tanto cambiato che m'importa subito
d'esser Verci, e ci terrò a non macchiare i miei documenti come tu ci
tieni a non macchiare i tuoi!
Allegramente trasse dall'arsenale delle tasche le sue unte carte e,
tenendole ben strette perché non volassero via, lesse per la prima volta
soddisfatto le parole che, su di esse, confermavano la sua personalità
nel mondo.

***

81
La sera li colse mentre si lasciavano trascinare in riva all'Adige
verde e spumoso, chiuso fra le alte montagne veronesi. Il ciclo era di
un limpido celeste pallido dolcissimo a guardarsi, l'acqua del fiume
sembrava una fresca carezza contro le sponde, molti bambini torna-
vano dal pascolo con le capre e i casolari fumavano.
— Che pace! — esalò Verci. — Scendiamo alla prima fermata?
La prima fermata fu Avio e i due scesero inosservati dal treno,
uscendo dalla stazione, dirigendosi verso il paese; ma si
arrestarono al grido che una bambina dalle treccine nere legate con
due nastrini rossi, con un secchio in mano, lanciò scappando a gambe
levate: — I diavoli! I diavoli!
Impressionatissimi si guardarono intorno e rimasero molto per-
plessi quand'ella riapparve insieme a una donna, accennando proprio
loro per via della fuliggine di cui erano imbrattati.
— Sciocchina, — rise la donna, — non vedi che son magnani?
— Sì, signora, siamo magnani! — confermò immediatamente
Ver-cingetorige, pensando di trarre in un modo o nell'altro profitto dal
suo errore.
— Ho una padella da stagnare, — diss'ella infatti, ritta nel
chiaro crepuscolo, col secchio di rame roseamente acceso ai piedi. --
Quanto volete?
— Vitto per stasera e alloggio per questa notte! — rispose
pronto il nano, decidendo contemporaneamente di svignarsela all'alba,
prima che la massaia si levasse e reclamasse la loro opera. Si volse
infastidito a Tad che gli tirava la giacca in un momento così delicato :
— Si può sapere che cosa vuoi?
— Hai detto una bugia...
— Ebbene? E con questo? — sbigottì il nano. — Mi par che
adesso esageri. Non rubare va bene per via delle carte e il resto... Ma
qualche grama bugia la potrò pur dire, no?
— No, — accennò Tad, col capo. — È quasi rubare. A questa
donna, non compensandola domani col nostro lavoro, ruberemmo il
vitto e l'alloggio.
Verci strinse le labbra: diamine, non s'aspettava che l'onestà
fosse una faccenda tanto rigida. — E adesso dove dormiremo, con le
tue manie? Io l'alloggio l'avevo già trovato...
— Vedrai che in qualche modo ci aggiusteremo anche senza in-
gannare nessuno.

82
— E va bene, allora non siam magnani, — confessò Verci alla
donna che mostrava di averne abbastanza dei loro parlottamenti.
— E perché avete detto di sì prima? E perché siete così neri?
Chi siete, allora?
— A proposito, — riconobbe Tad, senza sentirsi in dovere di
soddisfarne la curiosità oltre ad agir bene nei suoi confronti, — non
possiamo andare in giro così sporchi. Ci permette di lavarci nel
secchio?
Siccome fece seguire alle parole i fatti, imitato da
Vercingetorige, a lei non rimase che tornarsene alla fontana piuttosto
disorientata per lo strano incontro, quasi propensa, ora, a dar ragione
alla sua bambina che le si stringeva timorosa alle gonne mentre i due
s'internavano per le vie del paese.
Camminarono a caso finché un odorino appetitoso non li guidò
in quello che sembrava il cortile di un albergo. L'odorino usciva da
una finestra a pianterreno ma non da solo, bensì insieme al clamore di
un alterco. Spiarono guardinghi e videro in una vasta cucina una
donna che pareva la padrona, intenta a litigare con due uomini, uno
vestito da cuoco, l'altro da cameriere.
— È un'indecenza! — gridava. — Non siete mai al vostro posto,
nessuno dei due! I clienti chiamano e il cameriere non risponde! In
cucina, se non ci fossi io, sarebbe più la roba bruciata che quella man-
giabile!
Tad urtò Verci con un gomito : — Se qualcuno non da una rime-
statina a quel soffritto, ho idea che anche stavolta si sentirà odor di
bruciato pure se in cucina vi son tutti!
— Lo stesso dicasi per quel plotone di polli arrosto se nessuno li
volta.
Siccome i litiganti si erano trasferiti verso una porta che dava su
un corridoio, voltando le spalle alla cucina, Tad suggerì: — Salviamo
noi tutta questa buona roba, intanto che quelli sono occupati a litigare :
chi sa che non ci consentano di ripulire le padelle con un po' di pane,
all'ora di cena...
— Buona idea! — approvò Verci. — Tu bada al soffritto, io
baderò ai polli. Dio! — vacillò scoperchiandoli e allargando le nari, —
che olezzo! Ma ho giurato di non rubare, — ricordò. — Però, —
riconobbe per giustizia verso se stesso, — sono una provocazione
queste ali, queste cosce che si staccherebbero in un amen e si

83
mangerebbero in un fiato. Senti, Tad, passa tu ai polli che vengo io al
soffritto!
— E perché? — chiese Tad aggiungendo acqua all'intingolo che
alzò un acuto strido di gioia tanto ne aveva bisogno.
— Perché la cipolla, non piacendomi, m'impedisce di diventar
spergiuro.
Si scambiarono i posti mentre dietro di loro, la lite essendo
giunta al culmine, il cuoco scaraventava in terra grembiule e berretta,
e il cameriere lanciava contro il soffitto giubba e tovagliolo:
— Questa è la sua roba e noi ci licenziamo sui due piedi!
— Bene! — approvò la padrona ormai roca, col poco fiato che
le rimaneva. — Benone!
— Sicuro, — ribatterono ironicamente i due che s'erano avviati,
volgendosi di sull'uscio, — ma chi servirà in tavola, stasera, al gran
pranzo offerto dal commendator Larghetti alle autorità del paese?
— Chi baderà ai fornelli?
Già la padrona, cui davanti la disastrosa prospettiva svaniva l'ec-
citazione, incominciava : — Ma io... veramente... se voi poteste... solo
per stasera ancora...
Quando una voce la esortò: — Ma li lasci andare! Li lasci
perdere quell'acciuga e quel pancione! Non siamo qua noi per servirla
stasera, domattina e sempre?
Si voltò vivamente, il cuoco e il cameriere inarcarono le
sopracciglia : tra il fumo dei fornelli qualcuno si dava da fare e più in
là un ragazzo si divertiva a tenere in bilico sui pollici due piatti che
prese a lanciare in svelta ruota da un pollice all'altro, con sosta
intermedia sulla punta del naso :
- Dove vuoi trovare un cameriere più abile di me? — Depose i
piatti, brandì la casseruola: — Guardi che polli! Ma se non ero io
poteva darli al gatto!
— Ma voi... chi siete? Povera me: i polli! — strillò. — È vero:
me n'ero scordata!
Si fece avanti l'altro personaggio inaspettato che era poi un
nano : - Guardi che soffritto! Ma senza di me a quest'ora era
carbonella!
— Povera me il soffritto! Me n'ero dimenticata! — Si volse
trionfante al cuoco e al cameriere: — Avete visto? Il pranzo per il

84
commendatore sarà servito e cucinato anche senza di voi! Potete
andare! E voi due: potete rimanere!

***
Tad e Verci rimasero.
Passò qualche tempo senza che la loro vita presentasse dei muta-
menti se si toglie la fenomenale avarizia subentrata alla loro
spensierata prodigalità di vagabondi. A sera, chi avesse origliato
all'uscio della loro cameretta sopra i tetti, sarebbe rimasto colpito dal
monotono rosario di cifre che ne usciva. Essi contavano e ricontavano
il danaro delle mance ricevute, ed anche durante il giorno, mentre le
ricevevano, continuavano i loro calcoli :
— Tad, ordinava la padrona, prelevando di sul tavolo di cucina
un vassoio pronto. — Queste cotolette al signor Bassetti!
Sì, signora! — Invece di partire subito per la sala da pranzo, Tad
si avvicinava a Verci indaffarato tra i fornelli, comunicandogli sotto-
voce : — II signor Giulini mi ha dato adesso cinquanta lire e trenta me
le ha lasciate Don Betti.
— Cinquanta e trenta fanno ottanta.
— Verci! Due zuppe di verdura!
— Sì, signora. — Verci brandiva il mestolo : — E cento lire che
il signor Marinotti ha dato a me, fanno centottanta!
- Ma Tad! Sei ancora qui con le cotolette? Metti sul vassoio
anche le zuppe e muoviti!
- Sì, signora. — Tad andava e tornava: — Ho ricevuto adesso
altre venti lire, Verci. Non son molte ma, insieme col resto, fan...
— Verci, quante cotolette vi sono ancora, in ghiacciaia?
— Duecento! — rispose Verci, seguendo i calcoli di Tad.
— Eh? Cosa vi è venuto in mente di comperare duecento coto-
lette? Mica è la mensa del reggimento, questa! Siete impazzito? Fate
vedere! — La padrona spalancò la ghiacciaia: — Ma qui ce n'è dieci!
— Naturale, signora. E quante ve ne dovevano essere?
Sopraggiunse Tad nel suo andirivieni fra la sala da pranzo e la
cucina: — Allora quanto abbiamo preso, in totale, sin qui, di
mance?
— Dieci, — disse Vercingetorige, voltando un polpettone.
— Ma come: dieci? Se ti ho appena dato ottanta lire!

85
- Ma no... - - si districò Verci, preso fra le richieste di Tad e
quelle della padrona. — Volevo dire: dieci son le cotolette e duecento
le lire!
La padrona si sdegnò: — E a me avete detto che erano duecento
le cotolette! Non capite più nulla, voi due, a furia di pensare solo al
danaro, avaracci!
Spesso le capitava di trovare in cucina le pietanze abbandonate
da Verci e, durante l'ora dei pasti, quando i clienti picchiavano le
forchette contro i bicchieri per essere serviti, Tad spariva.
Convenientemente spiati si appurò che salivano a turno, trafelati, fin
sotto il tetto per assicurarsi della presenza del loro tesoro.
— Portatelo alla banca, vi frutterà almeno, ed io vi troverò ai
vostri posti quando vi cerco!
Il consiglio della padrona generò un intiero pomeriggio di confa-
bulazioni, di richieste di schiarimenti, da cui risultò che il mattino
seguente essi si recarono ad Ala dove, a uno sportello della Banca
dell'Alto Adige, vuotarono quattro calze colme di danaro ed ottennero
un pulito libretto intestato al signor Taddeo Alicante. Ritornarono ad
Avio sollevati, ma un bello spirito li ripiombò nelle passate tribola-
zioni : — E se vi rubano il libretto?
L'impiegato della banca vide riapparire affannoso il nano allo
sportello : - - Se viene qualcuno che non sia io o il Taddeo Alicante (il
quale, come lei ricorderà, ha un segno rosso sul collo, a sinistra) a
ritirare il danaro che abbiamo depositato stamattina, non gli dia retta :
è un ladro!
- Ma siccome il libretto è nominale, ho l'obbligo di dare retta
soltanto al Taddeo Alicante, senza che lei me lo suggerisca.
— Ad ogni modo, per tutta sicurezza, tenga presente : o me o il
bambino col segno rosso sul collo, anche a distanza d'anni!
— Stia tranquillo, -- rispose l'altro divertendosi perché il giorno
dopo doveva aver luogo un suo trasferimento a Bolzano da lungo
tempo sognato.
All'albergo Vercingetorige fu ripreso per la sua assenza
arbitraria : — Si può sapere dove siete andato? Stamani alla banca, e
oggi?
— Ancora alla banca, signora, ad avvertire l'impiegato che,
se caso mai ci venisse rubato il libretto, non consegni al ladro il nostro
danaro.

86
- Il danaro! Sempre il danaro! - - storse il naso, disgustata, la
padrona. -- È una mania, la vostra. In voi passi, ma nel ragazzo fa
orrore. E siete voi, certamente, che gliela inculcate. Dovreste
vergognarvi!
***

— Cinquantamila lire! - - leggevano un'ora dopo, estatici, i due,


sporgendosi dai rispettivi letti e reggendo il libretto con una mano per
ciascuno, sotto la lampada accesa frammezzo a loro.
— Verci, — disse Tad con importanza, — siccome siamo sulla
via di arricchire, penso che mia sorella dovrà avere un'istruzione
adeguata alla sua fortuna : vorrei che la signora Paola sapesse che ho
intenzione di farla studiare, quando sarà grande.
— E tu scriviglielo.
- To'! Io posso scrivere a qualcuno e non ci avevo mai pensato!
E... forse la signora Paola mi risponderà! Potrò ricevere una lettera!
Pensa come sarebbe bello « ricevere una lettera » !
Un attimo dopo, Tad, in camicia, raspava giubilante con la penna
su un foglio a quadretti strappato al loro quaderno dei conti, mentre
Verci ne sorvegliava autorevolmente l'ortografia.

***

— Tad, una lettera per te!


— Una lettera per me? — ripetè il ragazzo, appoggiandosi al
banco dietro il quale la padrona smistava la posta arrivata allora.
— Lì c'è il tuo indirizzo. Porta la posta ai clienti, tieni : il signor
Bertorelli ha una raccomandata, il signor Franceschi un pacco... Ehi!
Ehi! Dove vai? E la posta ai clienti? Tad! Ma che: è già in cucina a
confabular con quell'altro, così fa perder tempo anche a lui... Ma
adesso mi sentiranno!
Tad, attraversata di corsa la cucina, si abbattè su Verci sormon-
tato da un berretto bianco alto quanto lui : — Verci... la signora Paola
deve aver risposto... C'è una lettera col timbro di Piacenza!
— Ebbene? E cosa aspetti a strappar la busta?
— No... non posso... Mi tre... tremano le mani. Strappala tu,
leggi tu! — Gliela porse.

87
— Da' qua, — consentì Verci, superiore. Strappò la busta, ne
trasse due fogli coperti da una chiara, slanciata calligrafia, incominciò
a leggere con piglio sicuro che andò man mano miseramente indebo-
lendosi: — «Mio caro piccolo T... T... Tad...».
— « A... a... a... avanti, — lo incitò Tad, oltre ogni dire
commosso solo per aver udito quell'affettuoso vocativo a se stesso.
« Mi... mi... mio e... e... caro... » — ritentò Verci, dovendo però
confessare : — Non posso : mi tre... trema la voce.
— Ebbene? — attaccò la padrona, entrando in cucina a vele
spiegate. — Cosa state combinando invece di dedicarvi al vostro
dovere? Oh! — esclamò vedendo che singhiozzavano con un foglio
per ciascuno in mano e la busta appena arrivata in terra : — È per
quella lettera? Cattive notizie?
— Non sappiamo! — disse Verci.
— Non sappiamo! — disse Tad.
— E perché non lo sapete?
— Perché non l'abbiamo ancora letta!
— E voi piangete prima di sapere che notizie vi porta? Siete
proprio scemi! Leggete prima di piangere!
— Non siamo ca... capaci... — rispose Tad.
— Come mai? Non siete forse andati a scuola?
— Tanto da leggere una lettera ci sono andato! — si offese Tad.
— Verci, poi, è molto istruito!
— E allora perché dite che non siete capaci di leggere quella
lettera?
— Perché è la prima che riceviamo e siamo... siamo...
— ...commossi...
— Oh, Santi del Paradiso! — si spazientì la padrona. — Ld io
che credevo che vi fossero morti i parenti tutt'in una volta! Date qua
che ve la leggo io!
— Oh, sì! Sì!
— Grazie! Grazie!
Le si strinsero ai lati, la padrona cercò in tasca gli occhiali a
molla, se li strinse sul naso, incominciò spedita : - - « Mio caro
piccolo Tad, abbi anzitutto il mio materno abbraccio... - Mat...
materno! Oh, Verci...!
— « ...perche non mi scrivesti mai prima di ora, quando avevi
tante cose belle da dirmi?

88
— Per... perché non ci abbiamo pensato! — le rispose Verci, di
slancio, come se sentisse.
— Zitti! Lasciatemi leggere o se no non la finiamo più e ci sono
tutti i letti da rifare! «Io trepidavo per la vostra sorte-», riprese in
fretta pensando ai letti, « e non osavo immaginare cosa fosse avvenuto
del piccolo Tad. Invece sento con piacere che, con il buon Vercìnge-
torige...
— Il bu... Ah! — singhiozzò il nano colpito all'improvviso dal
suo nome e dall'aggettivo che l'accompagnava.
— « ...buon Vercingetorìge che conoscerei tanto volentieri...
— ...tanto voi... — I singhiozzi del nano si trasformarono in
ululati che Tad accompagnava sincrono tirando in su col naso.
« ...ti sei allogato in un albergo. Bravil Continuate sulla via del-
l'onestà e del lavoro : solo così arriverete atta vera -fortuna ». —
Verci si era calmato tirando su anch'esso con Tad a regolari intervalli.
— « Non è a dire quanto mi commosse sapere che, negandovi ogni
divertimento, — i due ripresero a piangere in sordina, dolcemente,
immaginando quel che sarebbe venuto poi, — raggranellate tutto il
danaro che guadagnate per rendere facile l'avvenire di Reginetta... ».
— La padrona s'interruppe sorpresa : - - Chi è questa Reginella ?
— Mi... mia sorella, — rispose Tad strozzato dall'emozione.
— Hai una sorella...? — Anche la voce della padrona
incominciò a farsi meno sicura.
— Di... di nove anni. È a Piacenza in collegio. Qu... questa che
mi scrive è la sua direttrice: un angelo!
— Si vede. Ma anche voi siete... — riconobbe, — ed io credevo
che foste... — Riprese a leggere : —- « Ma prima di pensare agli
studi che compirà da grande, bisogna aspettare che cresca. Tuttavia
vi consiglio di non imporvi soverchie privazioni: anche voi avete
come lei diritto alla vita...
— Verci! Pe... pensa a noi!
— Pe... pe... per noi si preoccupa!
— « ...e non e bene che soffochiate ogni vostro desiderio, —
tirò via, volendo indurirsi, la padrona. — « Appagatevene qualcuno :
farete felice la povera mamma Graziella in... ciclo... e la vostra amica
Paola... sulla terra... » — Vinta, anche la padrona tirò su col naso.
I due le fecero eco.

89
Si schiarì la voce, continuò : « Reginetta e un po' gracilina ma
vispa. Frequenta la terza elementare in un istituto che non è più
l'asilo...
— Oh! — si delusero e si allarmarono Verci e Tad, venendo
davanti alla padrona, sotto la lettera che ella teneva spiegata in mano,
quasi a chiederle di rassicurarli. E la rassicurazione venne:
— « ...ma dove mi reco spesso a visitarla...
— Ah! — si rasserenarono Verci e Tad.
— « ...e a parlarle del suo fratettino Tad... Tad singhiozzò.
« ...che ella ama teneramente...
— Mi ama ten... Oh!
Verci riprese a tirar su furiosamente col naso.
« ...ed a rinfrescarle la memoria del quale, fino a che rimase
nell'asilo, c'era il gattino non più zoppo e ormai gattone che trovai
qui in un lontano mattino al mio indirizzo. Addio, dunque, caro Tad.
Ab...biti cura, cer... cerca di star bene e seri... scrivimi spesso. Sa...
saluta i tuoi bu... bu... bu... buoni padroni, — anche la padrona si
abbandonò finalmente a piangere come da un pezzo ne aveva voglia,
— e strin... strin... stringi la mano al bra... bra... bravo Ver... Ver...
Ver... Vercingetorige!
Verci ululava.
La padrona tirò su : — « E tu, Tad, abbiti l'abbraccio e la be...
be... benedizione...
Anche Tad ululava.
— « ...della tua mammina Paola! »
Piansero un poco insieme, in mezzo alla cucina. Quindi si ripre-
sero: c'erano, appunto, i letti da rifare e la colazione da preparare.
— U... u... u... u... una bella lettera, — commentò la padrona.
— S... s... s... s... sì... — annuì Tad.
— Co... co... co... così, economizzavate per Reginella, eh?
— S... s... s... s... sì, signora, — confermò Verci.
— Ed io che vi chiamavo avaracci!
— Oh, non importa, signora, —• la confortò Tad, gentilmente,
— noi eravamo tanto felici di possedere del danaro per la mia
sorellina, che non avevamo il tempo di offenderci!

90
VI.

IL SIGNOR PITT E IL SIGNOR POTT

Poco LONTANO dall'Albergo, che si chiamava « Stella d'Italia »,


c'era un fossato profondo in cui vivevano legioni di rane. Nelle notti di
luna si udivano gracidare a chilometri di distanza : se qualcuno si
avvicinava, l'acqua risuonava a lungo di tonfi. Quando sedevano sulla
sponda col dorso verde e lucido come le foglie giovani, la pancia
tonda e bianca, esse facevano un gran bel vedere.
Vercingetorige si mise in mente di trasformarle in cotolette e
zuppe, perciò si recò a pescarle di notte, in camicia, restando
immobile lunghe ore in mezzo al fossato, in attesa che la sua presenza
venisse dimenticata e fiduciose frotte lo circondassero, per lanciare
fulmineamente in giro una rete speciale inventata da lui stesso.
Prese molte rane e la pleurite.
Rimase a letto un mese; prelevando trentamila lire dal libretto di
risparmia, Tad pagò il medico e le medicine.
— Oh, Tad! Mio buon Tad! — si rammaricava cocentemente
Verci, alzandosi per il primo giorno, pallido e sperduto nei panni
diventati larghi. — Dovevi lasciarmi morire invece di togliere tutti
quei soldi dal capitale di Reginella!
— E piantala! Se lei è mia sorella tu sei come mio fratello! E le
mance e i mensili erano miei come tuoi, dunque! Bevi l'uovo che è
l'ora dell'uovo, — lo esortava porgendogliene uno freschissimo e già
forato, — se vuoi rimetterti presto!
Verci si rimise e, per quanto ancora un po' male in gambe, volle
ad ogni costo tornare in cucina. Vi tornò proprio il giorno in cui capi-
tarono all'albergo due signori dei quali quello secco e lungo si firmò
sul registro dei forestieri : Tom Pitt, e l'altro piccolo e grasso che
calzava stivali gialli e aveva un frustino : Sam Pott. Subito chiesero
dove fosse l'abitazione del conte Ventura. Siccome la padrona si
perdeva in molti : girate a destra e poi girate a sinistra, chiesero una
guida e lei chiamò Verci.
Il nano accorse.

91
— Il dottore ha detto che per ora il calore dei fornelli v'indeboli-
rebbe troppo, così farò da mangiare io e voi, conducendo questi
signori dal conte Ventura, farete una passeggiata.
Durante il cammino il signore secco e lungo, il signore grasso e
piccolo, mantennero un rigoroso silenzio" che annoiava assai il nano
chiacchierone il quale, quando non potè più star zitto, disse : — II
conte Ventura è un conte ma è più povero di me.
— Lo sappiamo, — risposero il signor Pitt e il signor Pott.
— Vive solo.
— Lo sappiamo.
— ...con un cavallo bianco! — aggiunse Verci, rabbiosamente,
convinto che quello, almeno, lo ignorassero. Invece anche stavolta i
due risposero secchi:
— Lo sappiamo.
— Allora, — borbottò Verci, indicando una casupola in mezzo
a un prato, che sembrava ancor più piccola ai piedi delle alte
montagne fra cui serpeggiava il nastro della strada, — sapranno anche
che quella è la casa del conte!
— Se l'avessimo saputo, — ribattè il signor Pitt, — non
avremmo chiesto una guida.
— Che catapecchia! - - si scandalizzò il signor Pott. — Non par
nemmeno vero che ci possa vivere...
— ...un conte, vero? — interpose il becco Verci.
- Ma che conte! — lo redarguì il signor Pitt, severamente. —
Non par vero, dico, che ci possa vivere Perfetto!
— E chi è Perfetto? - - chiese Verci stupefatto del nuovo perso-
naggio che entrava in scena.
— Il cavallo, si capisce! — spiegò ovvio il signor Pott.
« O bella! » commentò il nano fra sé. « Non si meravigliano che
ci abiti un conte, in quel rudere, e si meravigliano che ci abiti un
cavallo! Che siano matti tutti e due, il corto e il lungo? ».
— Voi aspettateci qui! — gli venne intimato. — Dal conte
vogliamo andar soli.
— Sì, signore, — rispose ossequiente Vercingetorige,
proponendosi di girar dietro la casa e di spiar dalla finestra.

92
La padrona s'interruppe sorpresa: — Chi è questa Reginella? — domandò.
(Capitolo V).

93
Il conte Ventura, calvo, con i lunghi baffi grigi spioventi, in
maniche di camicia, spaccava la legna davanti alla casa; alla vista di
due signori che si dirigevano verso di lui, fece l'atto di entrare
precipitosamente, ma quelli l'arrestarono chiamandolo per nome :
— Conte Ventura!
— Il tempo d'indossare una giacca e sono da loro! —
Scomparve in casa.
— Questi nobili! — bofonchiò Sam Pott. — Non rinunciano a
fare un sacco di cerimonie nemmeno quando muoiono di fame!
Il conte riappariva in quel momento: — Vogliono favorire?
Così ritto sulla soglia, con la giacca nera abbottonata sui panta-
loni dalla piega ben stirata, il conte sembrava irreprensibile, ma dile-
guata la prima impressione la sua irreprensibilità si rivelava per quel
che era: miseria dignitosa. Il nero dell'abito tendeva al verde, il col-
letto e la cravatta erano sfilacciati come gli orli della giubba e dei
calzoni. Sedettero in una nuda stanza a pianterreno e Verci si
accovacciò sotto la finestra.
Il signor Pott tacque sempre, parlò solo il signor Pitt: — Io sono,
— incominciò solenne, — il segretario del famoso proprietario di scu-
derie da corsa, sir Barrymoore. Mi chiamo Tom Pitt. È giunto a nostra
cognizione che voi possedete Perfetto, figlio di Tunisina e di Ras del
Deserto, figlio di Divino Predone e di Sultana...
— Grazie, — lo interruppe il conte Ventura, — conosco
benissimo i nobili antenati del mio cavallo arabo Perfetto.
— Sta bene. Allora veniamo subito alla conclusione : il mio
padrone desidera comperare Perfetto.
— Ma io non ho intenzione di venderlo.
— Perché mai? Scusate, disponete di uomini che lo curino e lo
allenino?
— No. Perfetto si diverte tutto il giorno nel piccolo prato.
— Pretendete di farlo correre senza allenarlo?
— Io non pretendo di farlo correre.
— E allora?
Il conte alla cui delicatezza quelle domande parevano assai indi-
screte, esitò prima di rispondere, poi si decise: — E allora pensate che
lo tenga per ricordo del mio unico figlio, del mio povero bambino che
lo cavalcava dall'età di cinque anni.

94
Il signor Pitt si alzò a metà dalla sedia in segno di rispetto alla
memoria del bambino, poi riprese: — Mi... mi è doloroso dirvi che
sarete presto costretto a venderlo e vi consiglio di venderlo al mio
padrone perché non troverete nessuno disposto ad offrirvi, per un
cavallo inselvatichito, ciò che ho l'incarico di offrirvi io.
Il conte Ventura balbettò: — Perdonate, forse non ho compreso
bene... Volete dire che sono minacciato da una nuova sventura? Ho
venduto tutti i miei beni per pagare fin l'ultimo creditore : mi rimane
soltanto questa casetta, il cavallo del mio bambino morto e il mio
nome di galantuomo...
— Avete dimenticato la causa che intentaste al tempo della
vostra, scusate, fortuna, contro certi parenti della vostra defunta
moglie che vantavano dei diritti su di un podere nei pressi di Varese?
— Sì... sì... — ammise il conte la cui fronte s'andava
imperlando di sudore, — ...ma son fatti risalenti a sette anni fa. Il
tribunale non si fece mai vivo ed io avevo persine dimenticato...
— La causa è stata vinta dai vostri parenti. Ve ne giungerà
l'avviso in questi giorni.
Il conte piegò il viso fra le mani e scese nella povera stanza il
silenzio. Nel silenzio si udirono chiarissimi il galoppo e il nitrito di un
cavallo che, attraverso la piccola finestra, apparve fantasticamente
bianco fra gli alberi cupi in fondo al prato, riverso il capo ebbro di
libertà. Scomparve.
Il conte disse : — Chi non può pagare va in prigione.
— Già, — confermò il signor Pitt, — ma voi potete pagare ven-
dendo a me il cavallo... che ad ogni modo perdereste perché vi
verrebbe sequestrato.
— Io, — concluse il conte alzandosi per troncare il colloquio
penosissimo, — acconsentirò a vendere Perfetto soltanto quando avrò
ricevuto la formale notizia della perdita della causa.
Tom Pitt e Sam Pott, s'inchinarono e uscirono.
Per tornare dopo due giorni, sempre guidati da Vercingetorige. Il
conte Ventura sedeva al sole di primavera, su di un sasso, ma non
corse a rivestirsi, anzi non levò nemmeno il capo. Il bel cavallo bianco
cui teneva una mano fra le cortissime orecchie, fuggì alla vista di
persone sconosciute.

95
Il signor Pitt chiese : — Avete deciso di vendermi Perfetto ?
— Sì.
— Oh! Oh! Vivi rallegramenti! Benissimo! Benissimo! —
proruppe il magro segretario, animandosi come uno stecco che prende
fuoco. — Noi gli daremo nel mondo il posto che merita! Vincerà tutte
le corse! Il suo nome verrà immortalato nella storia dell'Ippica!
Perfetto! Figlio della divina Tunisina e di Ras del Deserto... Ah! Ah!
Convenite che era un'idea assurda quella di segregare un tal campione
fra le montagne di Avio!
— Signore! — II conte balzò in piedi, fissandolo con gli occhi
rossi per il pianto che dovevano aver versato. — Fra noi non esiste
nessun argomento di conversazione estraneo a quello di un contratto.
Su quel cavallo, — e parve parlare trasognato ai biancospini fioriti
della siepe, — mio figlio tutto bianco volava stringendo le redini nelle
piccole mani di dieci anni. Spesso affondava la gota rosea fra la
criniera e parlava a Perfetto... il quale rispondeva nitrendo. Puledrino,
non conobbe altro compagno che il mio bambino. Oh, quando si
rotolavano sul prato della nostra villa venduta! Io so che quando
Perfetto mi mette il muso sulle ginocchia e mi guarda, vuoi sapere
dove sia il bambino, e se ancora lunga debba essere la sua attesa e vani
i suoi richiami. Perché esso lo chiama, il mio piccino morto, lo chiama
con lo stesso speciale nitrito di quando lo invitava ai giochi...
Ascoltate!
Tutti si voltarono. Splendido nel sole, col muso puntato al ciclo,
Perfetto nitriva insistentemente.
— È troppo! È troppo! — balbettò soffocatamente il conte. —
Era l'unico essere che mi attaccasse alla terra. Prendetelo, portatelo
via... Ch'io non vi veda più! Ah, dimenticavo: è capriccioso come
forse nessun cavallo al mondo. Non sopporta sulla sua groppa peso
maggiore al peso di un bambino. È mio dovere avvertirvi.
Sam Pott che non aveva mai parlato, si fece avanti battendosi il
manico del frustino sui gambali: — Bene... bene... Ne conobbi altri di
cavalli capricciosi che ora, davanti a Sam Pott, tremano come agnel-
lini... — Ma l'udì soltanto il nano, perché il conte Ventura e Tom Pitt
erano entrati in casa a concludere il contratto. Appena il signor Pitt
uscì recando in mano il pedigree del puro sangue arabo Perfetto,
l'uscio venne sprangato alle sue spalle.

96
Così il conte non vide il suo cavallo preso al laccio e trascinato,
con gli occhi sgusciati e la bava alla bocca, lungo la via polverosa fra i
monti rocciosi, frustato sul muso da Sam Pott che gli volteggiava
intorno per schivarne i calci.

97
VII.

IL CAVALLO PIÙ' CAPRICCIOSO DEL MONDO

Quando giunsero in Avio, vi fu un accorrere confuso di uomini e


di donne a ritirare i bambini che giocavano sul selciato da cui Perfetto
cavava sprazzi di scintille. Appena fu serrato nella stalla, affacciò alla
inferriata un muso veramente da belva.
— Avrete un bel da fare a domarlo, — pronosticò il signor Pitt
al signor Pott, che andava asciugandosi il copioso sudore. Questi alzò
il viso rosso:
— Ricordatevi bene, vecchio mio : nessun cavallo al mondo ha
mai avuto ragione sull'allenatore Sani Pott.
— Bene, bene, — mormorò con indifferenza il signor Pitt, —
questo è affar vostro. Il mio compito, riguardo a Perfetto, è finito. — E
da quel momento si mantenne muto e assente rispetto al cavallo
quanto lo era stato il signor Pott durante le trattative dell'acquisto.
Il carro ferroviario speciale necessario per trasferire Perfetto da
Avio a Riva sul Carda, dove esisteva una piccola scuderia di Sir
Barry-moore, impiegò tre giorni ad essere pronto, durante i quali Sam
Pott, capo delle scuderie di Sir Barrymoore, non lasciò nulla
d'intentato per venire ai primi approcci col selvaggio cavallo, senza
ottenere nessun risultato favorevole.
— Hai ragione, — gli sibilava con odio attraverso il finestrino a
cui Perfetto, avido di libertà, stava costantemente affacciato, — che
qui manca ogni comodità per condurti fuori, ma se possiamo essere a
Riva, la vedremo! In maneggio ho molti mezzi per farti passare la
superbia!
— È un fantino in gamba, — confidava lo sparuto
Vercingetorige a Tad, mentre, seduti accanto, fuori dalla porta della
cucina, mondavano le verdure in vista della stalla, — ma è un uomo
senza cuore e perciò non può ammettere che ne possegga uno il
cavallo, il quale è tutto cuore per purezza di razza e perché è cresciuto
insieme a un bambino che lo amava. Insomma, Tad, se non capisci
quel che voglio dire sei uno zuccone! Va preso con le buone, ecco! E
bisogna parlargli, parlargli molto, con voce dolce, persuasiva, se lo si

98
vuoi calmare! Seni era famoso in questo, era un vero incantatore di
cavalli.
— Come faceva?
— Così. — E Verci prese a mormorare, variando le
modulazioni, una filastrocca di parole insensate ma legate tanto
armoniosamente fra di loro da sembrare una canzone. L'interruppe un
gridolino di Tad che si era visto sfuggire una verza di tra le mani
divenute molli :
— Olà! Hai incantato anche me e stavo per addormentarmi! Di'
un po', e se tu provassi il tuo metodo con Perfetto?
— Aspetta che quello zoticone di un Pott si tolga dai piedi e
vedrai!
— Se ne va! Se ne va! Sotto, Verci!
Abbandonarono le verdure e quatti quatti si avvicinarono al
finestrino della stalla, davanti al quale, issato su di una sedia,
Vercingc-torige chiamò dolcemente: —Perfetto! Perfetto! Bello,
piccino... to'!
Il cavallo rincantucciato rispose con un'occhiata bieca a tanta
gentilezza, ma l'uomo che lo chiamava doveva avere un buonissimo
carattere perché non si offese, anzi continuò nei suoi suoni amorevoli
in cui correva a intervalli sempre più brevi il suo nome, di modo che
non poteva sbagliarsi, erano rivolti proprio a lui dopo tanto tempo che
di suoni amorevoli non ne udiva :
— Ma no, Perfetto, non guardarmi così, io sono un amico; non
sono l'uomo di prima : pfui! Sono un altro, sono Verci, Verci, il tuo
Verci! Vorrei essere tuo amico, Perfetto, e tu no, Perfetto? Ma sì, Per-
fetto, che anche tu, quando mi conoscerai bene, sarai mio amico :
Verci e Perfetto. Perfetto e Verci...
Era una nenia lenta e soave a udirsi come il mormorio di un
fiume. E, proprio come una corrente, passando e ripassando con quei
lenti suoni che s'intuivano pieni di buone intenzioni, attraverso il
cuore esacerbato di Perfetto, ne diluiva, ne trascinava via l'amarezza e
il dispetto che vi erano accumulati: certamente fra poco la porta di
questa stalla estranea gli verrebbe aperta dall'uomo capace di ridonare
la speranza ai cavalli che l'avevano perduta, ed esso sarebbe tornato
nel piccolo, verde prato a pie' dei monti, ad aspettare che un peso
leggero gli balzasse in groppa.
Incominciò a levarsi per tenersi pronto.

99
— Si alza! Si alza! — esultò Tad.
— Tu taci, Tad, — l'ammonì monotono Vercingetorige, —
perché Perfetto non ama le voci estranee, ma solo la mia, la voce di
Verci. Naturale che deve alzarsi e deve anche avvicinarsi : avvicinati,
avvicinati, Perfetto, su, via, fidati, non son quel di prima, io : son più
bello perché son più buono, e ti capisco, oh se ti capisco, Perfetto!
Perfetto mosse un passo verso la porta dalla cui apertura lo
sconosciuto lo invitava.
— Si avvicina! — esclamò Tad.
Verci continuò a cantilenare suasivo : — Ti ho detto di star zitto,
Tad, o ti allungo una pedata, una bella pedatona, — specificò dolcis-
simamente, — proprio coi fiocchi! Perché non vogliamo nessuno,
vero, fra noi due, Perfetto? Nemmeno questo moccioso, per ora, anche
se non è cattivo, anche se ti vuoi bene. Vogliamo star soli noi due,
come due sposi, io e te, te ed io, Verci e Perfetto, Perfetto e Verci...
Avvicinati, avvicinati bello... vieni... vieni... vieni da me!
Il cavallo sentiva benissimo che quello era un invito e mosse un
altro passo, un terzo, infine fu davanti al finestrino fissando il volto
dell'uomo che pareva amico : un volto con la bazza, il naso
schiacciato, la fronte altissima, un volto incantevole perché gli
ispirava fiducia : dai precordi gli salì un gran respiro che spruzzò il
nano di minute goccioline.
- Ecco, — sentenziò questi senza tergersi per non spaventarlo
con un gesto improvviso, - - ha esalato un poco del suo dolore che,
compresso, lo rendeva pericoloso, quasi feroce.
Ed era così.
— Posso toccarlo liberamente, ora, e vedrai che non mi morderà
la mano come l'ha morsa ieri al signor Pott. — Senza abbandonare con
10 sguardo gli occhi di Perfetto, levò la destra: - - Stai buono,
Perfetto... buono... buono... Io voglio solo accarez... — Allungò la
mano :
11 cavallo dette un tal balzo che urtò la testa contro il soffitto,
scoprendo i denti. Tad strillò. — Zitto! — gli ordinò rudemente il
nano, riprendendo subito la sua trasognata nenia: -- Perché, piccino,
hai paura di me? Io sono il tuo amico; Vercingetorige è il tuo amico;
avvicinati, avvicinati... — II cavallo bianco aveva ripreso ad ascoltare.
— Ma avvicinati dunque.
— Verci! Si avvicina! Ritorna!

100
— Ma sicuro, sicuro... io lo sapevo... sapevo che Perfetto
sarebbe tornato al suo amico. Ancora un passo, bello, coraggio! — lo
esortò.
Perfetto lo fece.
— Un altro, via, un altro passino, proprio un passetto da nulla...
perché io possa, — appoggiò bene in vista la mano sul parapetto del
finestrino, — accarezzarti la fronte. — Perfetto si fermò sull'istante.
- Be', perché ti fermi, adesso? — si stupì enormemente la voce
suadente. — Per accarezzarti debbo pur usare la mano, no? E allora?
Su, vieni, vieni...
Ma Perfetto ci pensava su. La nenia e l'uomo gli piacevano: la
mano, no. Ora sapeva che le mani afferrano la criniera, lanciano la
corda che stringe il collo, impugnano la frusta che brucia i fianchi e il
muso. No, la mano non gli piaceva.
Però, ad esser giusti, questa non impugnava nulla e non si
muoveva, inoltre era difficile resistere a quell'invitante nenia che
continuava, continuava...
Levò uno zoccolo.
La mano prese a tamburellare lieve sul legno. Non era più im-
mobile.
Lo zoccolo ricalò sulla paglia.
Ma la nenia non smetteva di chiamarlo. Infine, anche se si muo-
veva, quella mano apparteneva all'uomo simpatico dalla voce dolce:
forse, in ogni caso, non doveva essere una mano terribile. Perfetto
allungò il collo a guardarla.
— Lo vedo, sai, che hai voglia di avvicinarti a me! Avanti,
coraggio, Perfetto! Vieni, vieni, — lo incitò il nano, irresistibile, —
vieni da Verci!
Le orecchie rigide come spilli, il cavallo fu di nuovo accanto al
finestrino; sentendosi temerario oltre ogni dire, aspettandosi dall'atto
arrischiato una catastrofe, si curvò a fiutar la mano tamburellante, per
sentire se il suo odore fosse rassicurante come la voce che ora gli
suonava appresso : essa si prestò di buon grado al suo esame. Perfetto
diventò baldanzoso e la tentò col labbro : la mano non se l'ebbe a
male. Sollevò gli occhi in viso a Vercingetorige e, tremando come una
canna, se la sentì leggera e carezzosa sul muso.

101
— Ah, disgraziato imbecille! — scoppiò in quella. — Ti vuoi
far mutilare? Via di lì! — II signor Pott sollevò il nano dalla sedia
scaraventandolo in terrà.
— Un'altra volta, — disse Vercingetorige rialzandosi convulso
di rabbia, — vi consiglio di non avvicinarvi quando sto domando un
cavallo! Avevo la mano sul suo muso, voi avete rotto l'incanto con i
vostri modi, ed ho corso il rischio di farmela stroncare con un morso
dalla bestia spaventata! Sentite come brontola, ora! Non si fida più! In
un secondo avete rovinato il lavoro di un'ora! E vi par che ci sia da
ridere?
Il signor Pott rideva facendo sussultare il ventre : — Ah! Ah!
Ah! Stavate domando Perfetto issato su una sedia ? Sostenete di
avergli messo una mano sul muso? Ah! Ah! Ah! E nessuno ha veduto
una simile prodezza?
— Io ho veduto, signore, — testimoniò educatamente Tad,
avanzandosi col berretto in mano.
— Tu? — gli si rivolse bruscamente severo Sam Pott. — Ti
consiglio, monello, di non prendermi in giro! Guai a voi se vi ripesco
ancora vicino alla stalla! March! Filate!
Svoltarono l'angolo della stalla e andarono a sbattere contro il
signor Pitt che vi stava ritto dietro : — Anch'io ho veduto, — diss'egli
come se continuasse la testimonianza di Tad. — Dove avete imparato
a trattare i cavalli?
— Ho vissuto fino a qualche anno fa nei circhi.
— Osereste montare Perfetto?
— Ma... certo! Un momento, però: il conte Ventura ha detto che
il cavallo vuoi portare solo il peso di un bambino di dieci anni, vero?
— Esatto.
— Una volta pesavo di più : ora, grazie alla mia statura e a una
pleurite da cui sono appena guarito, credo di pesar giusto come un
bambino di dieci anni. Sì, signore, — si aderse fiero, — oserei
montare Perfetto.
— Mi pare, — osservò il signor Pitt, — che secondiate i
capricci del cavallo invece di combatterli, se vi preoccupate di non
sorpassare il solo peso che esso tollera.
— Per domarlo, signor mio. Se lo assecondo mi amerà, e
quando mi amerà farà tutto quello che io vorrò. Ma se questo metodo

102
non vi garba non importa, perché il domatore di Perfetto non sono io
ma il signor Pott.
— Uhm! Uhm! — fece il signor Pitt, allontanandosi.
***
II signor Pitt, il signor Pott e Perfetto, partirono per Riva sul
Carda, nel frattempo giunse una cartolina rappresentante uno gnomo
rosso seduto su di un fungo giallo, scritta proprio da Regineìla con
larga calligrafia : « Baci da Regineìla ». L'accompagnava una lettera
della signora Paola che dava particolareggiate notizie dei progressi
scolastici della bambina, reputata la più intelligente alunna della terza
elementare. Ormai l'arrivo di lettere e cartoline al loro indirizzo non li
meravigliava più, ma l'arrivo di un telegramma li sconvolse.
Nell'ansia di sapere quale novità portasse, ciascuno dei due ne
strappò un lembo e così lo ridussero in due pezzi che riuniti dicevano :
« // signor Vercingetorìge Sansoni si presenti giovedì 15 maggio ore
14 a villa Flora in Riva sul Carda da Sir Barrymoore, Tom Pitt
segretario ».
— Immagino cosa si vorrà da me! — urlò Vercingetorige. —
Sam Pott non riuscirà a domare Perfetto e il signor Pitt si è ricordato
che ho garantito di poterlo montare! Tad! Dovranno pagarmi bene per
un lavoro del genere, e potrò rimettere sul libretto i denari che tu
spendesti per la mia malattia!
Corse a rizzarsi tre volte coi piedi contro la parete della cucina,
in segno di gioia, mentre Tad, salito a portar le scarpe previamente
lucidate al pensionante del numero 23, dava ugual segno di giubilo
capovolgendosi contro il muro del corridoio prima di bussare.
— Vercingetorige, — brontolò la padrona quand'egli le chiese
un giorno di permesso per recarsi a Riva sul Carda, — non è per farvi
delle osservazioni, ma, quando c'era quel dannato cavallo, gli eravate
sempre intorno invece di badare alla cucina. Adesso che, finalmente, è
andato fuori dai piedi, pretendete addirittura di spassarvela per un
giorno intero a Riva! Non vi accorgete di fare un po' troppo i vostri
comodi?
1— Eh, sì, me ne accorgo.
— E allora rimarrete a casa.

103
— Non posso. Ho ricevuto un telegramma il quale esige che mi
trovi domani alle 14...
— Va benissimo! — scattò la padrona senza lasciarlo finire. —
E se ci tenete più a obbedire al telegramma che a me, potete rimanere
sempre al servizio del telegramma!
— Può darsi, — mormorò Verci tristemente, perché le era affe-
zionato, — che ci rimanga proprio.
— Come: può darsi? — chiese la padrona la quale aveva
proferito quella frase solo come una collerica minaccia, senza pensare
che potesse contenere in sé la possibilità di avverarsi.
— Vede... è sempre per quel... dannato cavallo, come dice lei.
— E che c'entra il cavallo? — Questo, proprio, non se
l'aspettava che tornasse in scena.
— Vede, un giorno il signor Pitt si è accorto che io sapevo
domarlo meglio del signor Pott.
— Voi? Ma che andate dicendo, Verci? Questa è una delle
vostre solite fanfaronate! Pretendete di essere capace di domare una
bestiaccia simile: voi, un cuoco!
— Vede... non è una delle mie solite fanfaronate. Vede, — il
nano si dondolava impacciato e insieme deciso or su un piede or
sull'altro, — una volta ero cavallerizzo.
— Cavaller... Continuate... — La padrona si passò una mano
sulla fronte : udiva cose una più strana dell'altra.
— E allora vede, signora, è certo che il signor Pitt mi farà assu-
mere dal suo padrone per domare quella bestiacc... Voglio dire, — si
aderse orgoglioso, — quel magnifico animale! Non sarà una cosa
facile, e sarà anche pericolosa.
— Lo credo! Basta aver visto quell'infernale animale! Rimanete
qui, Vercingetorige, voi andate a farvi azzoppare come minimo. Qui
siete al sicuro, state bene... vi vogliamo bene!
— Vede, signora, — la voce di Verci suonava profondamente
dolente, — se fossimo soli al mondo, Tad ed io, rimarremmo con lei
per sempre : anche noi le vogliamo bene, ma abbiamo una bambina a
cui pensare, da far studiare, perciò è necessario guadagnar molto e qui,
certo, mi si offre una buona occasione per farlo.
La padrona pensò un poco : — Se si trattasse di una differenza di
due o tre mila lire al mese, vi aumenterei il salario pur di trattenervi,
Vercingetorige.

104
— Vede... forse si tratterà di molte migliaia di lire di differenza.
— Misericordia! Allora partite pure, ve lo consiglio contro il
mio interesse! E il ragazzo?
— A proposito : il ragazzo vuoi seguirmi da quel Sir per chie-
dergli se gli occorra uno stalliere. Se non venisse assunto, lei... lo
accetterebbe di ritorno?
— No, perché nessun telegramma lo obbliga a partire.
— Parte perché mi è affezionato.
— Dovrebbe essere affezionato un poco anche a me.
— Sì, — confidò Tad a Vercingetorige che glielo riferì, — ma
non c'è confronto.
Perciò lasciarono Avio insieme, abbandonando ben piegati su di
una sedia in cucina la giubba da cuoco e il grembiale da cameriere,
sormontati dal berretto bianco. E fu a quel mucchietto di panni che la
padrona, dopo aver udito il fischio del treno in partenza, tenne un
lungo discorso sulla ingratitudine umana.

105
VIII

IL METODO DEL CIRCO ALICANTE

bastava dunque girare un monte per imbattersi nel regno delle


Fate? Maggio empiva di fiori i giardini di Riva; nel boschetto proteso
sul lago, in faccia all'azzurra distesa delle onde luccicanti al sole, serti
di glicine dondolavano al vento tiepido e delicati grappoli lillà, i lauri
odoravano dietro i cancelli delle ville, le rondini tessevano veloci
come frecce il girotondo intorno alla vecchia torre; sotto i bassi portici
le orchestrine suonavano languidi valzer, e i tedeschi giravano con gli
occhiali sugli schiacciati nasi e la guida rilegata in rosso sotto il
braccio.
Tad procedeva ammutolito, e non protestò quando il signor Pitt
ritto sul cancello di Villa Flora con l'orologio in mano, si rifiutò di
lasciarlo entrare perché Sir Barrymoore ammetteva in casa sua
soltanto chi aveva chiamato.
— E allora? — fece Verci, perplesso.
— Ma io sono felicissimo di restar fuori! — sorrise l'imbambo-
lato Tad.
— E perché?
— E me lo domandi? — chiese il ragazzo accennando la prima-
vera prodigiosa di quel luogo.
Il signor Pitt, traendo con sé il nano, chiuse il cancello. —
Almeno,
— protestò Vercingetorige, gesticolando dietro le sbarre, —
lasciatelo dormire nella stalla!
— Vi ho detto che Sir Barrymoore non tollera infrazioni ai suoi
ordini. Il ragazzo si aggiusterà.
— Ma certo, — confermò Tad, — mi aggiusterò e prima di sera
ti verrò a dir come. Ciao, Verci. E... accostati! — Verci sfuggì al
signor Pitt e gli si accostò. — Ti raccomando il libretto! — gli soffiò
nell'orecchio emergente fra un'asta e l'altra del cancello.
— Stai tranquillo. È ben cucito fra la giubba e la fodera.
Il signor Pitt lo riacciuffò : — Basta, andiamo. — E lo trascinò
con sé nonostante egli camminasse a ritroso per veder Tad il più a
lungo possibile. Chi sa dove andava così solo... e così allegro! Era la

106
prima volta che si separavano in tanti anni e il ragazzo non pareva
soffrirci, anzi si guardava attorno con aria felice. Improvvisamente
Verci capì :
— Ha la passione della pittura, — spiegò a sé e al signor Pitt, —
e qui non sta più nella pelle per tutte le bellezze che vede. Ma: ohei!
— si scosse. — Ohei, voi : perché mi spingete in un... Sì, insomma, in
un... Mica vi ho detto che ho bisogno di andarci!
Erano entrati nella villa ed egli si trovava in un rilucente
stanzino da toilette.
— Questa è una toilette, — spiegò il segretario freddo e
incolore,
— perché vi riordiniate dopo il viaggio, prima di presentarvi a
Sir Barrymoore. Lì ci sono spazzola, pettine, sapone, asciugamani. Vi
aspetto fuori.
Il nano girò la chiave nella toppa dietro la secca figura del signor
Pitt.
— Che bel gabinetto! — esclamò incantato, guardandosi
intorno.
— E che specchio, che lavabo, che sapone! Peserà un chilo,
questo sapone, — giudicò prendendolo in mano ed esagerando
secondo il solito, — ed è nuovo. — Si tolse la giubba, si sfilò la
camicia cacciando voluttuosamente la grossa testa sotto il rubinetto,
insaponandosi così abbondantemente da scomparir nella schiuma : —
Che bellezza l'acqua fresca sul muso! Però che tipo, il signor Sir, —
commentò tuffandosi nell'asciugamani, — pretendere che la gente si
lavi e si pettini, prima di comparirgli davanti. Ed io che mi lavo solo la
domenica e mi pettino il giovedì. Ma non dovrà accorgersene, —
decise emergendo asciutto, — voglio dargli l'impressione di una
persona raffinata. Cosa ci sarà, — continuò aggirandosi curioso come
una scimmia, — in questa bottiglia con attaccata una palla di gomma?
Ohi, fa lo spruzzo a premere la palla! Che profumo! — annusò. —•
Ac-qua di Co-lo-nia,
— compitò leggendo la piccola etichetta sulla bottiglia. — Quel
che ci vuole perché il Sir mi creda una persona distinta! — E si
abbandonò a pompare senza risparmio, dirigendo lo spruzzo su ogni
parte della sua persona. In quel ronzìo risuonarono due colpi alla
porta:
— Ehi, un momento! — protestò Verci irrorandosi la schiena.

107
— Spicciatevi! È l'ora!
Verci depose la bottiglia e spalancò la porta soddisfatto di sé: —
Eccomi! — annunciò aspettandosi una lode.
Fu la volta del signor Pitt di annusar l'aria : — Che avete fatto,
disgraziato?
— Nulla — si difese il nano con la prontezza di chi è uso ad
avere la coscienza sporca : — Di là c'è tutto come l'ho trovato. Non
nego che volessi mettermi in tasca il sapone... così... per ricordo... ma
poi Tad non l'avrebbe mai più finita, tanto più che mi ha fatto
giurare...
— Ma il profumo, disgraziato, il profumo!
— Anche la bottiglia è al suo posto, — dichiarò solennemente
Ver-cingetorige. — Io non ho proprio nulla in tasca.
— Ma cosa importa quel che avete in tasca! È quel che avete
addosso che è terribile! Vi siete inzuppato d'Acqua di Colonia e Sir
Barrymoore «odia » i profumi! Cosa vi è venuto in mente di
appestarvi così?
— Un'abitudine, — lasciò cader dall'alto Verci, dandosi un buf-
fetto sulla manica. — Spesso, a casa, faccio il bagno nell'Acqua di
Colonia. Ehi! Ehi! — gridò poiché il signor Pitt gli aveva afferrato i
lembi della giacca. — Lasciate stare la mia giacca! Mollatela!
Il signor Pitt lo scuoteva energicamente: — Zitto! Bisogna pur
tentar di disperdere questo dannato odore!
— Ma ci son dentro io nella giacca! Ohi! Ohi!
Un alto e prolungato trillo di campanello s'impose su quel tram-
busto. — È lui! — si agitò il signor Pitt, abbandonando la giubba del
nano che se l'assestò indosso, dopo aver palpato se il libretto era
sempre al suo posto. — Seguitemi! Lesto! E badate a rispondere con
precisione alle sue domande!
— Ma, — balbettò Vercingetorige intimidito da tutti quei
riguardi dovuti al padrone della villa, cercando d'arrestare il signor Pitt
che lo precedeva di corsa attraverso una infilata di stanze, —
ascoltate! Se questo sir è così terribile, io me ne torno ad Avio!
Il signor Pitt non gli badò nemmeno; erano giunti davanti a una
severa porta scolpita, ed egli bussò premendone al tempo stesso la
maniglia : — Vostra Grazia, — annunciò deferentemente spingendo il
battente, — c'è il signor Sansoni. — Con l'altra mano pescò il nano
che gli si era nascosto dietro la schiena, introducendolo Senza remis-

108
sione in quello che pareva un vasto studio. Verci si trovò con i piedi su
un folto tappeto senza osare di alzar gli occhi.
— Andate pure, Pitt, — risuonò una voce gelida.
Si udì la porta chiudersi soffocatamente, con riguardo.
— Avvicinatevi, — la voce era ora rivolta al nano.
Questi obbedì e si trovò davanti a un signore costruito sul
modello del signor Pitt, il quale, sprofondato in una poltrona nel vano
di una finestra, stava leggendo un libro. Le spalle alte a prima vista lo
facevano sembrar gobbo, mentre invece guardandolo meglio ci si
accorgeva che era quasi privo di collo: la testa gli si innestava
direttamente alle spalle.
— Come vi chiamate? — chiese come se lo leggesse nel libro.
— Vertonicerige, — rispose il nano, impressionatissimo, —
Veger-citorige... Cetirvetorige Sansoni, Signor Sir!
— La vostra età?
— Tre... tre... tre... — Vercingetorige rinunciò a spiccicar altro :
non ci riusciva.
— Non vorrete dirmi, — fu un mormorio minaccioso molto
affine a un ruggito, — che avete tre anni!
— Oh, no, no, Signor Sir! Ne ho tre... tre... Facciamo
trentacinque, — propose.
— E perché non facciamo la cifra esatta? — chiese sdegnato il
vecchio signore.
— Perché non me la ricordo, ora... — sospirò Verci. — Mi fate
un effetto, mamma mia!
La voce fu di ghiaccio più che mai, nell'avvertire : — Tenete per
voi i vostri apprezzamenti sul mio conto. Non m'interessano.
— Sì, Signor Sir.
— Dovete essere un vanaglorioso, — entrò in argomento Sir
Barry-moore, — per aver garantito di poter montare Perfetto.
Verci perse la pazienza e con essa la soggezione : — Oh, adesso
basta, eh? Sir o non sir, Grazia o non grazia (che fra l'altro è anche un
nome da donna) io ne ho abbastanza! Sissignore! — alzò la voce: —
Abbastanza! Arrivo e quel Pitt mi porta in bucato come un fazzoletto
prima di farmi entrar qui, che è già un'offesa perché è come dire che
uno è sporco mentre io, per vostra norma — esagerò — mi lavo due
volte la settimana regolarmente! Poi voi mi tenete sull'attenti come un
cappellone, e infine, per colmo, mi date anche del bugiardo per via che

109
ho detto che saprei montare Perfetto! Sicuro che l'ho detto! E lo
ripeto! E con questo, mia, sua, nostra... no, ecco, ci sono: e con questo,
Vostra Grazia?
Il signor Pitt che origliava non per abitudine ma per apprensione,
si turò disperato gli orecchi.
— Dovrei buttarvi fuori, — decretò il signore, — lo dovrei,
ma...
— Ma avete bisogno di me e mi trattenete, — indovinò Verci,
fatto sempre più audace da quel che aveva indovinato.
Sir Barrymoore ignorò la sua supposizione : — Pare che abbiate
un metodo per domare i cavalli.
— Non pare: l'ho.
Il signor Pitt dovette appoggiarsi all'uscio colto da un capogiro.
Mai nessuno aveva risposto a quel modo a Sir Barrymoore. Chi sa
come avrebbe reagito. Invece egli si contenne; a stento come trasparve
dalla sua voce strozzata, ma si contenne; gli premeva più di tutto
arrivare in fondo all'argomento di cui si stava trattando:
— E che metodo?
— Quello della dolcezza. Perfetto lo esige.
— Il mio allenatore, Sarti Pott, asserisce il contrario.
— Per quel che ne capisce Sani Pott! — Vercingetorige sputò
con lento disprezzo sul tappeto.
Il signor Pitt che aveva l'occhio alla serratura, si ritrasse d'un
balzo come se si fosse scottato.
— Vedremo quel che ne capirete voi. Vi tengo in prova per otto
giorni. Uscite.
— Un momento! Eh, che fretta! Non abbiamo parlato del più
bello, — ammiccò Verci fatto audacissimo dalla conferma ufficiale
che si aveva bisogno di lui, — Nostra Grazia!
— Come sarebbe a dire?
— Non abbiamo parlato dei conquibus, Loro Grazia.
— Conquibus?
Verci sfregò l'indice contro il pollice : — Soldi, Sua Grazia.
Quanti ne facciamo al giorno?
— Uscite! — tuonò Sir Barrymoore, levandosi di scatto,
altissimo, gettando in terra il libro, mostrando infine gli occhi. Erano
chiarissimi; le pupille sembravano due punti neri galleggianti su due
cerchi d'acqua.

110
Vercingetorige non potè sostenere lo sguardo e balbettando : —
Sì... sì... Mia Grazia... — indietreggiò, varcò l'uscio preventivamente
aperto dal signor Pitt, che, chiudendosi, lo divise da Sir Barrymoore.
Uscirono nel prato dietro la villa, il segretario e il nano, e pas-
seggiarono un pezzo avanti e indietro senza poter parlare, l'uno per lo
sdegno, l'altro per lo spavento.
— Spero che un'altra volta vi comportiate meglio in cospetto di
Sir Barrymoore! — riuscì infine a metter fuori il signor Pitt.
— Ma... dovevo pur sapere quale compenso... Mica voglio
rischiar la pelle domando Perfetto per niente, io!
— Per trattare di questi particolari c'è il segretario che sono io.
Negli otto giorni di prova percepirete cinquemila lire al giorno,
provveduto di vitto e di alloggio. Avanti, venite nel mio ufficio a
firmare il contratto!
S'incamminò tutto di un pezzo seguito da Verci raggiante : —
Cinquemila lire al giorno! Qua qua che firmo subito prima che ve ne
pentiate! E con lo svolazzo, anche! Oh, Reginella, — proruppe chi-
nandosi con la penna brandita sopra la scrivania del signor Pitt,
dov'era pronto per lui un largo foglio tutto scritto a macchina, — con
quel che guadagnerò potrai frequentare persine le tecniche!
Che per lui erano gli studi massimi.

***
Tre giorni erano passati. Tad continuava a girar beato per Riva
godendosi il paesaggio e dormendo in una vecchia rovina annerita, che
una volta era stata un albergo distrutto da un violento incendio, sco-
vata sulla via del Fonale, nutrendosi del cibo che Verci, sottraendolo
ai suoi pasti, gli consegnava ogni sera quando lo andava a trovare
stando uno dentro l'altro fuori dal cancello di Villa Flora.
Il nano, invece, concentrava tutti i suoi sforzi per riuscire a
rendere minimamente mansueto Perfetto, nel breve spazio di tempo
che gli era stato concesso.
— E così? — gli chiese Sam Pott, avvicinandolo mentre, a
rischio della vita, aveva appena finito di legare il cavallo scalpitante
all'anello infisso in una parete del box. — Come va? Non mi pare che
il messere abbia l'aria di una pecora che ritorni dal pascolo, dopo la

111
passeggiatina che gli avete fatta fare nel prato. Vi ho visto : Perfetto
sgroppava come un demonio sollevandovi appeso alla cavezza!
— E così, — rispose Vercingetorige, facendo scorrere il
cancello di ferro che si chiuse con uno scatto, — ho provato a
condurlo fuori sperando che una passeggiatina sull'erba lo calmasse,
ma il prato, invece di quietarlo come, in genere, quieta tutti i cavalli,
l'ha impressionato. Durante il mese in cui tentaste di domarlo, che
cosa gli avete fatto, in quel prato?
Sam Pott, rise: — Ah! Ah! Indovinate che gli suscita dei brutti
ricordi, eh? Infatti... L'ultima volta, siccome si era impuntato a non
avanzare, ordinai allo stalliere di accendere un poco di paglia avvolta
alla sommità di una pertica e di accostargliela alla pancia... Bisognava
vedere come si decise a muoversi!
Vercingetorige schioccò, sdegnato, in ampio giro la frusta : —
Con i vostri metodi avete ridotto il cavallo in uno stato deplorevole.
Come mai non avete compreso che, reso nervoso e disorientato dal
viaggio, dal mutato ambiente, aveva più che mai bisogno di quiete e di
dolcezza?
— Ma sapete che siete ridicolo con la vostra dolcezza? Si tratta
di un cavallo, non di una signorina!
— Questo cavallo va trattato con maggior riguardo che una
signorina, se volete ricavarne dei milioni sui campi di corse. Io sarei
del parere, eccitato com'è, di lasciarlo riposare per otto giorni e lo dirò
a Sir Barrymoore.
Sam Pott ridacchiò : — Insemina, il vostro metodo si potrebbe
chiamare il metodo dei riguardi. E in quale circo equestre l'avete
imparato, mio signor saltimbanco?
— Nel Circo Alicante, signor Fantino Illustrissimo, dove
sarebbe bene che foste andato a scuola anche voi! Metodo del Circo
Alicante, e ne vedrete i risultati!
Sam Pott si allontanò con naturalezza dai box, scavalcò la
barriera bianca che recingeva il prato e si diresse con fare distratto
verso la villa, ma, appena fuori dal tiro della vista di Vercingetorige,
affrettò il passo, spense la sigaretta, si passò il fazzoletto sugli stivali,
controllò nello specchietto tascabile la correttezza del nodo della
cravatta e andò dritto a bussare allo studio di Sir Barrymoore.

112
Perfetto, ruggendo, si drizzò scotendosi disperatamente.. (Capitolo VIII).

113
Costui stava appunto rivedendo la genealogia di Perfetto : - -
Suo nonno era Predone, nipote di Ras Primo, fratello di Ras Secondo.
Non poteva derivare, da tale stirpe, che un cavallo come Perfetto, il
quale riunisse in sé materialmente tutte le qualità del corridore e, nel
cervello, tutti i capricci equini... Avanti! — s'interruppe bruscamente.
— Voi, — chiese fissando Sam Pott dal capo rigidamente inchinato in
segno di saluto, — ignorate forse che io ricevo solo quando chiamo?
Uscite!
— Sir... una parola: è necessario!
C'era tanta implorazione nella lucida, rossa faccia protesa
dell'allenatore, che Sir Barrymoore rispose : — Siate breve.
— Sir, nella mia qualità di capo delle vostre scuderie, ritengo
doveroso avvertirvi di ogni manchevolezza che avvenga in esse. Sir,
quel saltimbanco consigliatovi dal signor Pitt, è un imbroglione il
quale non sa domare nemmeno un cavallo da tiro. Ha inventato il
metodo della dolcezza, « il metodo del Circo Alicante » — proferì
con ironico disprezzo, — per avere il pretesto di guadagnare del
danaro senza lavorare. Ora, siccome non riesce ad approdare a nulla,
per non confessare la sua incapacità che equivarrebbe a un
licenziamento, vi chiederà otto giorni di tranquillità assoluta per il
cavallo che serviranno soltanto a fargli piovere in tasca lo stipendio a
sbafo. Servitor vostro umilissimo.
— Un momento, — lo fermò Sir Barrymoore, — ve l'ha detto
Sansoni che ha deciso di chiedermi otto giorni di riposo per il cavallo?
— Vostra Grazia sì, in questo momento.
— Dov'è l'uomo in questione?
— L'ho lasciato nei box, Vostra Grazia. Certo c'è ancora,
comunque non può essere andato troppo lontano. Volete che ve lo
chiami?
— Andrò io da lui. Uscite.

***

Sam Pott corse rapidamente, precedendo Sir Barrymoore, ad


assicurarsi che Verci fosse sempre dove l'aveva lasciato. Lo trovò
infatti nel corridoio dei box. Col capo basso, pareva meditare. Gli
gridò allegro, battendosi il frustino sui gambali:

114
— E così siete sempre deciso a chiedere otto giorni di riposo per
Perfetto?
— Non solo, — gli confidò il nano, vago, come chi pensa ad
alta voce, — ma, riflettevo : se la tranquillità lo appagherà in
principio, in seguito patirà il male della solitudine. Molti cavalli lo
patiscono e suppongo che Perfetto sia uno di questi. Era troppo
abituato a vivere in compagnia del bambino prima, del padre del
bambino poi, per non patirlo. Quando un cavallo soffriva la solitudine,
Sem lo univa a un animale della sua terra. Benché Perfetto sia nato in
Italia, riconoscerebbe per istinto il compatriota. Che ne direste di una
gazzella? Lui è arabo, lei è africana. Non è la stessa cosa? Voglio
chiederlo a Sir Barrymoore. A proposito: convenite che è ben
impressionante la sua mancanza di collo!
— Una gaz... — proferì eccitato Sam Pott, — da dare per
compagnia a Perfet... E volete chiedere a Sir... Scusate, — aggiunse in
fretta.
— Ehi! Dove correte?
— Torno subito! — gli gridò Sam Pott da lontano.
Si scontrò in Sir Barrymoore che, calzandosi i guanti senza dei
quali non usciva nemmeno in giardino, scendeva i gradini della villa.
— Scusate, Sir, — l'apostrofò affannoso, — perdonatemi
l'ardire. Vi sono corso incontro per avvertirvi che il nano ha l'aria di
volervi beffare perché oltre gli otto giorni di riposo, si è prefisso di
chiedervi una... gazzella, come aiuto per domare Perfetto!
Alla parola : beffare, Sir Barrymoore ebbe tale uno sfavillio
d'occhi che Sam Pott si appiattì all'istante contro la ben tosata siepe di
bosso a cui stava addossato: — Beffare! — scandì. — Sarebbe la
prima volta che qualcuno se lo permette con un Barrymoore, da mille
anni a questa parte, da quando i Barrymoore, Buchi del Lanchashire,
sono apparsi sulla faccia della terra! Comunque costui dovrà
amaramente pentirsi solo di averlo pensato! Dov'è? — chiese terribile.
— Nel corridoio dei box, Sir, — l'informò Sam Pott,
gongolante, precedendolo.
Poco dopo, Vercingetorige, uscito sulla soglia delle scuderie,
vide avanzarsi attraverso il prato l'alta figura di Sir Barrymoore
seguito a distanza da Sani Pott che schizzava ilarità da tutti i pori.
Movendo alacremente le corte gambe, gli si fece incontro : — I miei

115
rispetti, Signor Sir. Vi ha forse già detto, il signor Pott, che desidero
otto giorni di riposo per il cavallo?
La figura scura contro il ciclo rosa, non dette cenno di risposta.
— E... — continuò disorientato da quel silenzio, Vercingetorige,
— sapete, per caso, se le gazzelle siano africane?
Le mani di Sir Barrymoore tormentarono il bastone che portava
per uscire come i guanti, facendolo scricchiolare: — A... avete detto
«una gazzella » ?
— Sì, signore.
— Il vostro metodo per domare Perfetto, la esige?
Dietro di lui Sam Pott si contorceva in silenziose risa. Il nano
fremette come se quel riso gli frustasse il cuore. — Sì, signore, —
ripetè pallido quanto il fantino era paonazzo.
— In questi giorni di prova, — continuò il signore senza collo,
con una strana voce contenuta, — siete riuscito non dico certo a mon-
tarlo ma... a calmarlo?
S'udiva il cavallo tirar calci spaventosi contro i muri del box. Il
nano comprese che certo dietro insinuazione di Sam Pott, Sir Barry-
moore diffidava di lui e che, spirati i rimanenti giorni di prova,
l'avrebbe licenziato. E Reginella? E il trionfo dell'odioso fantino?
— Sentitelo, Vostra Grazia, — sottolineava appunto questi,
maligno e servile. — Altro che calmo! Sembra una belva!
— È perché sente la vostra voce, Sam Pott, — gli si rivolse il
nano,
— che si agita così, e voi lo sapete!
— Bella scusa! — sogghignò Sam Pott.
I calci di Perfetto si succedevano furiosi.
— Non voglio sentir scuse. Calmatelo! — ordinò Sir
Barrymoore.
— Se lo potete! —aggiunse Sam Pott, tenendosi la pancia.
Pazzo di furore, di ardore eroico, Vercingetorige si aderse sulla
piccola statura, lanciò la sua temeraria sfida come se parlasse in
sogno :
— Posso calmarlo... e posso anche montarlo! — (E morirò,
pensò, ma Sam Pott la smetterà di ridere!).
Sir Barrymoore lo considerò con curiosità : — Nientemeno! —
Sorrideva minacciosamente con le labbra sottili, supponendo che

116
l'audace asserzione fosse una nuova beffa. Cercò una punizione
adeguata a tanto misfatto, la trovò, ma esitò a impartirla.
— Sicuro: nientemeno! — ribatteva, intanto, il nano, senza più
controllo. — E voi, Pott, smettetela di ridere o io...
— O voi niente. Nessuno si è mai permesso di litigare davanti a
me né di rimbeccarmi. — Senza più esitare, Sir Barrymoore ordinò :
— Piuttosto, poiché avete detto di poter montare Perfetto,
montatelo! E subito!
Quindi uscì dallo steccato disponendosi ad osservare.
— La benda da mettergli sugli occhi! Presto! — chiese Vercin-
getorige, pensando che se il cavallo, non vedendolo, lo scambiava,
grazie al suo peso, per il bambino morto, era salvo.
— Anche la benda, ci vuole, ora... — incominciò a criticare
Sam Pott.
Ma Sir Barrymoore tagliò corto seccamente: — Portategliela!
Dategli tutto quel che vuole, non m'interessa ciò che chiede,
m'interessa che mantenga quello che ha osato dirmi: di poter montare
Perfetto! Così imparerà che con me non si parla a vanvera, che con me
le promesse sì mantengono : che « non mi si prende in giro » !
— Non dubitate, — gli rispose Verci, altrettanto secco,
voltandogli le spalle per entrar nei box, — io le promesse le
mantengo! E non ho mai pensato di « prendervi in giro » !
Sam Pott lo raggiunse nel corridoio recandogli la benda, di corsa
: — Sono curioso di vedere, — gli soffiò negli orecchi, — che finale
da farsa andate preparando, da quel pagliaccio che siete!
Verci gli strappò la benda dalle mani: — Tiratevi in là che ora
slego Perfetto, se non volete che esso vi spiaccichi come meritereste!
Siete voi che avete sobillato il padrone contro di me, ma vi farò veder
io chi sono... a costo di schiattare! — Abbrancò l'inferriata del box e,
risoluto, incominciò a farla scorrere sulla guida.

***

II sole volgeva all'occidente e Tad s'avvicinava lungo la strada


bianca verso Villa Flora, per chiedere a Vercingetorige qualcosa che
gli premeva.

***

117
Perfetto era legato direttamente all'anello perché non si
spaccasse il cranio contro le pareti; il nano entrò cauto nel box e studiò
il modo di annodargli la benda sugli occhi, schivando i suoi zoccoli e i
suoi denti.
Guardò in alto : un'asta terminata da due bràcci che nel passato
reggevano i becchi del gas, pendeva dal soffitto dietro Perfetto.
Si arrampicò sulla cima del cancello che aveva rinchiuso dietro
di sé e di là, grazie alla sua antica professione, balzò facilmente a
cavalcioni dei bràcci.
Il cavallo, immobile sotto di lui, tendeva gli orecchi per rendersi
conto con l'udito delle mosse del nano che, legato corto com'era, non
poteva voltarsi a guardare. Ebbe l'impressione, nel silenzio teso, che
qualcosa si snodasse silenziosamente nell'aria, e rabbrividì come certo
i suoi arabi antenati del deserto rabbrividivano al sentor del serpe.
Vercingetorige, infatti, capovolto, attaccato ai bràcci del gas con
la sola punta dei piedi, abbassandosi lentamente era giunto sopra la
sua testa quasi inavvertito... Fulmineamente, allungandosi di scatto, gli
applicò la benda sugli occhi, quindi, approfittando dell'attimo di
stordimento del cavallo, ebbe l'ardire di saltargli sul collo e di
annodargliela strettamente dietro gli orecchi.
Rapido retrocedette sulla schiena snella, saltò a terra, slegò l'ani-
male, scavalcò il cancello, l'aperse dall'esterno incitando con la frusta
Perfetto, divenuto tutto un tremito, ma immobile per la novità della
benda, ad uscire.
Dopo un poco il cavallo scoperse che, abbassando lo sguardo,
per le scanalature orbitali a cui la benda non poteva aderire, vedeva la
paglia del pavimento. Vi camminò sopra, picchierellando con gli
zoccoli sull'ammattonato, imboccò il corridoio avvertendo sui rossi
rettangoli una luce via via più viva, finché fu sulla soglia che
confinava col prato : quando sentì l'erba sotto i piedi e l'aria libera
intorno, si slanciò come un razzo nitrendo pazzamente, alla ricerca di
un dio che gli togliesse l'ignobile straccio che lo accecava e lo
vendicasse, infine, degli uomini.

***

118
Sir Barrymoore e Sam Pott, appoggiati allo steccato,
osservavano. Fuori dalla porta delle scuderie, al cavallo sbucato rapido
come una freccia, era seguito il nano che nella stretta del box e quindi
del corridoio, non aveva giudicato prudente montare, benché
l'attonitaggine di Perfetto rendesse propizio il momento.
Si trovò sulla vasta pista erbosa come nell'arena dell'ultima lotta.
Concentrando l'intelletto nello sguardo, studiò il cammino che il
cavallo, simile a un turbine di crini e di zampe che s'avanzava
dall'estremo limite del prato, avrebbe percorso; rannicchiato come una
molla, vi si portò... Il terreno rabbrividiva all'avvicinarsi degli
scalpitanti zoccoli, le zolle si sollevavano sotto i loro colpi... Ventre a
terra Perfetto giungeva, era lì, Verci ne sentì la vampa del fiato sul
viso... Si distese slanciandosi, d'un balzo fu sulla nuda groppa — e
ancora non l'aveva toccata che il pronto istinto lo faceva girare sotto la
pancia del cavallo gettatosi con la schiena a terra per schiacciarvi
contro l'audace... Uno zoccolo gli sfiorò il viso : si rotolò lontano :
indomito si alzò, scelse un nuovo punto di agguato, concentrò ancora
lo slancio, fu per la seconda volta sulla sudata groppa.
Perfetto, ruggendo, si drizzò scotendosi disperatamente per stac-
carsi dalla criniera ciò che vi stava aggrappato. Vi riuscì, riprese la
corsa, ma non fuggendo, bensì cacciando, stavolta, con l'agilità di una
pantera, l'uomo il quale, convalescente, a un tratto, con terrore, avvertì
un capogiro...
Mordendosi il labbro a sangue riebbe la conoscenza, scartò in
tempo per non essere investito, ma ormai, ovunque fosse, il cavallo lo
sentiva e galoppava su di lui.

***

Tad, frattanto, era giunto davanti al cancello di Villa Flora. Stava


per suonare il campanello, quando un pazzo volteggiare bianco nell'ip-
podromo attrasse la sua attenzione. S'arrampicò sulle sbarre e,
facendosi schermo contro i raggi del sole al tramonto, scorse una
specie di fagotto che si salvava dalle furie di Perfetto.
Ma, evidentemente, il fagotto appariva stanco. La distanza fra sé
e il cavallo diminuiva, pochi metri li separavano, era quasi a tiro delle
sue zampe, del muso infuriato... era Vercingetorige!

119
Con un urlo Tad si lasciò piombare sulla ghiaia del giardino,
volò allo steccato, lo superò, tese le braccia, spalancò convulso la
bocca...
***

La stalla era lontana, Verci non aveva dove rifugiarsi nel vasto,
nudo prato, e il cavallo era ormai sopra di lui. In quel frangente l'unico
scampo era la groppa di Perfetto : egli vi balzò sopra a stento, con il
cuore divenuto pesante e le membra intorpidite. Nitrendo
selvaggiamente, Perfetto, ormai simile a una belva, s'inclinò per
sfracellarlo al suolo sotto il suo peso... Quando avvenne il miracolo.
Una voce di bimbo chiamò terrorizzata: — Perfetto! Perfetto!
Ah, come non aveva riconosciuto prima il suo diletto al peso ?
Aveva rischiato di uccidere il bambino! In che mare di livore era
caduto? Che brutto sogno aveva sognato? Di essere solo al mondo,
senza il suo piccolo amico, in balìa di uomini estranei e crudeli. Ma
ora il bambino era tornato, il brutto sogno svaniva, ecco: il mare dalle
scottanti onde si apriva ed esso ne emergeva col suo diletto in groppa.
- Perfetto! Perfetto! Perfetto! — Chi ispirava Tad, tremante
accanto al cavallo, di continuare a chiamarlo?
La squillante voce infantile non si taceva, ed esso si sentiva
leggero come se avesse le ali, come se camminasse non sulla terra, ma
su morbide nuvole sospese nello spazio. Dimentico della benda che
l'accecava, intento solo al dolce peso che identificava con la voce,
riguardoso, beato, Perfetto incominciò un galoppo piano, simile al
dondolio di una zana contenente un dormiente prezioso.
Contro il ciclo fulgente da cui il sole gloriosamente partiva, la
criniera illuminata dai riflessi ardenti, sfioccando spume di bava dalla
bocca, ergendo la coda come un pavese, il cavallo passò e ripassò
portando in groppa il pagliaccio trionfante, davanti a un uomo senza
collo ammirato e a un fantino panciuto verde di bile.
— Mio Tad, — anelò Vercingetorige, lasciandosi cadere a terra
sfinito e abbracciandogli le ginocchia quando furono soli, lontani dagli
sguardi indiscreti, — non ne potevo proprio più! Con la tua voce mi
hai salvato la vita! Che posso darti, in cambio?
— I miei gessetti, — rispose Tad. — Ero venuto apposta per
chiederteli.

120
***

II mattino seguente il signor Pitt andò a cercar Verci in scuderia:


— Seguitemi. Sir Barrymoore vuole parlarvi subito.
— Non devo lavarmi, stavolta?
— Per carità! Così v'inondate ancora di profumo! Presto,
muove-tevi! Attenzione, siamo arrivati! — lo ammonì quando furono
giunti davanti alla pesante porta di quercia dello studio di Sir
Barrymoore.
— E cercate di rispondere a tono a tutte le domande di Sua
Grazia! — Bussò.
— Avanti! — risuonò la gelida voce. Forse un po' meno gelida
del solito, però.
Il segretario spinse il battente scolpito : — II signor Sansoni,
signore. Avanti! Passate! Sbrigatevi! — incitò Verci a bassa voce.
— Eh, quanta premura! — non mancò di borbottare di rimando
questi. — Buon giorno, signor Siri — augurò forte.
— Volete guadagnare tre milioni? — gli chiese Sir Barrymoore,
ritto in mezzo alla stanza.
— Trrr... tre... trr... — tentò di ripetere, incredulo d'aver ben
capito, Vercingetorige.
— Rispondete!
— U... u... u... u... un po' di cognac!
Il signore suonò il campanello e glielo fece portare. Verci bevve
non trascurando di far schioccare la lingua.
— Rispondete, allora: volete guadagnare tre milioni?
Vercingetorige si nettò la bocca col rovescio della manica: —
So... sono domande da fare a un povero diavolo che vede biglietti di
banca solo gli anni bisestili? A momenti mi prendeva un colpo!
— Rispondete! — gridò Sir Barrymoore sferrando il pugno
sulla scrivania mentre il nano, il signor Pitt che origliava dietro un
uscio, il signor Pott che origliava dietro un altro uscio, spiccavano
simultaneamente un salto. — Basta con le vostre sciocche divagazioni,
i vostri cognac... il diavolo che vi porti! Volete o no guadagnare tre
milioni?

121
— Sì, sì, signor Sir! — gli assicurò Verci, spaurito e precipi-
toso. — Ma come vi arrabbiate presto! — non potè fare a meno di
osservare.
— Risparmiatemi i vostri commenti! Ed ora ascoltate senza sve-
nire e senza interrompermi. — Prese a passeggiare su e giù sul vasto
tappeto, con le mani dietro la schiena, senza guardare il nano, a capo
chino come se seguisse un suo pensiero fisso : — Si tratta di questo : è
in palio per il prossimo autunno, a San Siro, un premio alle condizioni
più difficili che siano mai state prospettate. Per questo si chiama
Eccezionale. Ed è di dieci milioni. Lo vincerà il cavallo che arriverà
primo per tre corse successive, alla distanza di quindici giorni fra l'una
e l'altra. Nessuno dei concorrenti spera di vincere, tranne il
proprietario del famoso Pik Nik, l'americano Thompson Harris. Egli si
ritiene sicuro della vittoria perché, e non a torto, il suo cavallo è detto
l'Imbattibile. E infatti lo sarà... fino a che non si misurerà con Perfetto!
Se voi riuscite a domare Perfetto in modo che in settembre possa
correre, avrete tutta la mia gratitudine perché, — si fermò, decretò con
acredine, — Thompson Harris è il mio peggior rivale sui campi di
corse! Orbene, se voi mi metterete in grado di schiacciarlo sotto la mia
vittoria, tre milioni saranno vostri. Riflettete fino a stasera e poi venite
a firmare il contratto che è qui pronto. Una delle clausole dice : — e lo
fissò — « Nessun compenso sarà dovuto al fantino allenatore
Vercingetorige Sansoni, qualora manchi una sola delle tre vittorie per
sua imperizia o per qualsiasi altra causa di cui lo si possa ritenere
responsabile ». Riflettete.
Verci parlò lento e pensoso : — Non ho bisogno di una giornata
per decidere, lo posso far subito : siamo ai primi di giugno, secondo le
mie previsioni riuscirò a togliere, per il settembre, tutti i capricci a
Perfetto, meno quello di sopportare un peso maggiore al peso del suo
padroncino morto, che corrisponde al mio. È il suo difetto capitale e
occorrerebbero più di sei mesi a levarglielo.
— Non importa, poiché alle corse lo monterete voi. Sono corse
a peso libero.
— Ma io posso ammalarmi... morire...
— In tal caso, — replicò freddamente Sir Barrymoore, —
perdereste il premio di tre milioni. Mi pare che vi convenga di
rimanere in buona salute e in vita.
« Come se dipendesse da me! Un bel tipo » pensò il nano.

122
— Allora decidete di condurre Perfetto a correre il Gran Premio
Eccezionale?
— Se son vivo, sì.
Sir Barrymoore lo precedette alla scrivania, Verci lo seguì : —
Firmate qui, — gli disse indicando uno spazio bianco su cui
Vercingetorige grattò il suo nome e cognome. Quando ebbe terminato,
Sir Barrymoore aggiunse autorevole e solenne : — S'intende che
qualunque cosa chiediate per domare Perfetto, vi sarà concessa.
— Alloradesiderounragazzopermioaiutoparticolareinstalla! —
mise fuori immediatamente Vercingetorige, tutto d'un fiato.
— Ve lo farò cercar subito. — Sir Barrymoore tese la mano al
campanello.
— No! No! — lo frenò il nano. — L'ho già trovato io!
— Come? L'avete trovato prima di cercarlo?
— Sissignore, signor Sir!
***

Un istante dopo, egli correva come glielo permettevano le sue


corte gambe, lungo la strada del Fonale avendo a destra i monti, alti,
incombenti, coi pini a ombrello abbarbicati alla roccia, e a sinistra il
lago azzurro, rutilante sotto i vivi raggi del sole mattutino, in cerca
dell'albergo bruciato in cui Tad gli aveva detto di abitare l'unica stanza
superstite. Lo riconobbe in un grosso edificio mezzo crollato e
annerito dal fumo, che si specchiava, ai piedi della scarpata della
strada, nell'acqua. Su tutta la lunghezza della sua fronte correva una
scritta : « Grande Albergo Salute ». Verci si lasciò scivolar giù per il
pendìo erboso, fino all'ingresso quasi ostruito dai rovi invadenti, dalle
rovine cadute dall'alto.
Cercò la traccia del passaggio di Tad, la scoperse in un punto
dove i rovi erano stati tagliati e le macerie ammucchiate ai due lati;
entrò trovandosi subito in ciò che doveva essere stato un vasto atrio,
dal pavimento coperto di calcinacci. Passando attraverso porte
sfondate e camere senza soffitto, giunse in quella, abbastanza riparata,
in cui, in piedi davanti la finestra aperta, disegnava Tad.
Era tanto assorto nel suo lavoro che nemmeno si accorse del
nano giuntogli alle spalle; dal canto suo questi, pur col gozzo pieno di

123
buone notizie, ammutolì vedendo ciò che stava facendo Tad. - Be'...
accidenti, Tad! — borbottò infine.
Tad si voltò di scatto: — Oh, Verci! Come hai fatto a trovarmi?
Come mai sei qui? E perché sei venuto a quest'ora, l'ora in cui, di
solito, sei tutto di Perfetto? Ti han licenziato?
— Licenziato? Me??? Dovrei offendermi, Tad, ma per ora non
posso; voglio domandarti: li hai fatti tu quei quadri appoggiati alla
parete? L'hai fatto tu quello che stai facendo?
— Se lo sto .facendo è segno che lo faccio io, no? Ma che ti
piglia, Verci, sei tutto stralunato!
— È che... che son molto diverse le pitture su carta da quelle su
marciapiede. — Verci frugava fra i cartoni, li voltava, dava un passo
indietro, li contemplava. — Hai proprio fatto dei quadri veri, Tad!
— Ti pare, Verci ? — Tad era molto lusingato.
— Ma certo! — gli assicurò il nano, calorosamente. — Hai
dipinto quel che si vede dalla finestra, si capisce subito : questo monte
è quel monte, questa pianta è quella pianta, questa casa è quella casa :
naturali, somiglianti, parlanti. La casa specialmente è parlante... —
giudicò confrontandola su un cartone raccolto contro la parete, col
panorama largamente visibile attraverso la finestra le cui persiane
erano bruciate e i vetri caduti. — Di' su, Tad, — mise fuori con
sospetto, — non sarai mica, per caso, un grande pittore?
— Mah! — dubitò, immodesto, Tad.
— Ad ogni modo, — sospirò Verci, deponendo il cartone, —-
anche se lo fossi te ne dovresti dimenticare perché bisogna pure che tu
ti faccia una posizione, no? Che guadagni dei soldi.
— Perché, i pittori non ne guadagnano?
— Ma che dici!
— E allora come vivono?
— Morendo di fame. Ma tu sei fortunato, Tad, — lo rincuorò
Verci, — tu non morirai di fame anche se sei pittore!
— Mi manterrai agli studi all'Accademia? — Gli occhi di Tad
sfavillarono di speranza.
- Acca... cosa? Non so che sia, ma certamente ti ho trovato di
meglio. Ti ho trovato, — gli annunciò solenne, — un posto di stalliere
presso di me!

124
— Stalliere? E me lo dici come se mi avessi trovato un posto da
principe... E inoltre dimostri di credere che uno stalliere valga più di
un pittore! — si scandalizzò e si offese.
—• Ti ho detto «stalliere presso di me»!
— E che c'entra? Sarò sempre uno stalliere, no?
— Ma io, con vicino qualcuno di fidato, che mi aiuti a governar
bene il cavallo, che tenga d'occhio eventuali tiri da parte di Sam Pott,
sarò certo di poter guadagnare fior di biglietti da mille, i quali, natu-
ralmente, saranno miei come tuoi, anzi di Reginella!
— Che vuoi che m'importino, — Tad si strinse sdegnoso nelle
spalle, con le mani in tasca, ripiegandosi presso i suoi quadri, — pochi
biglietti da mille, di fronte alla gioia di dipingere! — Erano otto giorni
che viveva per la pittura ed erano stati gli otto giorni più felici della
sua vita. Non si sentiva di smettere di dipingere, proprio non si
sentiva.
— Pochi biglietti da mille? Dice: pochi! — II nano rise al sole,
al lago, ai monti fuori dalla finestra quasi chiamandoli a testimoni
degli spropositi di Tad.
— Be', anche se fossero qualche diecina... Meglio la gioia di
dipingere, che... — Tad esitò la frazione di un secondo, — diecine di
biglietti da mille, che...
— Centinaia, — corresse Verci, tranquillo.
— Che hai detto? — chiese Tad interrotto nel suo lirico slancio.
— Ho detto centinaia.
— Di che?
- Di biglietti da mille. Hai detto che non t'importerebbe di dieci-
ne di biglietti da mille pur di dipingere. Ma, forse, se ti dico che son
centinaia...
Tad riflette un istante quindi riprese crollando le spalle : — E
che vuoi che siano centinaia di biglietti da mille davanti alla gioia di
dipingere, davanti a...
— Diecine di centinaia.
— Macché diecine di centinaia, davanti alla gioia di dip...
— Un milione! — incalzò Verci.
— Ma che milione, — tirò via Tad, — davanti alla gioia di...
— Un milione e mezzo!
— Mi fai ridere! — Tad levò gli occhi al ciclo : — Per un artista
un milione e mezzo è nulla davanti alla gio...

125
— Due milioni!
— Cosa vuoi mai che siano, Verci, due mi... — Ma
incominciava a sentirsi scosso. Fin lì, soprattutto per le cifre che Verci
sparava, aveva creduto che egli scherzasse.
— Due e mezzo! — rincarò questi, imperterrito.
— Dici sul serio, Verci?
— Tre milioni! — fu la trionfale risposta.
— Verci, — Tad si staccò dai quadri, venne avanti afono, — te
li hanno offerti davvero?
— Sissignore! — confermò il nano, con importanza, — ho
appena firmato il contratto. Ma già, per te che sei un artista, — si
divertì a ignorare la faccia sconvolta di Tad, — tre milioni non
varranno certo la gioia di dipingere!
— All'anima! — sbottò Tad, rinvenendo dallo sbigottimento in
cui la notizia l'aveva fatto cadere, e spiccando per la stanza vuota salti
d'alta scuola. — I milioni non valgono davanti alla gioia di dipingere,
solo se non ci sono! Credevo che tu scherzassi! Avanti, sputa l'osso,
racconta! — L'afferrò per il bavero della giacca. — Come 'mai ti è
stato offerto di guadagnare una somma così grossa? Tre milioni! Un
capitale! Altro che le cinquantamila lire di Avio!
— Oh, Tad! — Verci lo abbracciò commosso. — Ora sì che ti
ritrovo! Mi avevi spaventato quando parlavi di pittura e di
disinteresse. Credevo d'averti perduto! Invece, — respirò sollevato, —
sei sempre quello che ad Avio contava le mance con me!
— Quello che parla di disinteresse e di pittura è il Tad di Riva,
— gli spiegò il ragazzo, sfuggendo con lo sguardo il dolce panorama
fuori dalla finestra e i baldanzosi cartoni che lo ritraevano, — ma
quando si tratta di milioni divento il Tad di Avio. Avanti, che debbo
fare ?
— Te l'ho detto : venir con me per aiutarmi a guadagnarli.
— Eccomi, son pronto. Bagagli non ne ho perché la mia roba è
nel tuo fagotto. Capirai : se la portavo qui al mio albergo... non c'è
portiere... i camerieri son distratti... me la potevano rubare... quando
ero fuori... in giro per Riva... a dipingere...
— Tre milioni, Tad! — l'ammonì Verci, vedendo che si com-
moveva.
— Andiamo, Verci! — si rinfrancò infatti Tad, a quel
sostanzioso ammonimento, per ricascarci subito rammentando: • - Ho

126
solo da prendere i quadri, con me! — Si chinò a raccoglierli col nano
che gli sussurrava sulla schiena, incoraggiante :
— Tre milioni più il tuo stipendio di stalliere che sarà di
millecin-quecento lire al giorno vitto e alloggio compresi, Tad!
Tad si drizzò di scatto a quella cifra, con i cartoni sotto il braccio
: — Millecin... Muoviamoci, Verci, presto! — lo incitò. Ma, sulla
soglia della diroccata stanza, si fermò suo malgrado abbracciandola
con lo sguardo più intensamente che se stesse per lasciare una reggia :
— Eppure qui, fra queste... — accennò le pareti annerite, — e questi...
— accennò i calcinacci, — son stato felice... con i miei gessetti, i miei
cartoni, ciò che si vede dalla finestra... Oh, Verci! — Si premette una
mano sugli occhi e così stette, immobile.
-— Millecinquecento lire al giorno fanno quarantacinquemila
lire al mese, Tad! — scandì Verci nel silenzio rotto solo dal debole
sciacquio delle onde ai piedi del muro del giardino inselvatichito.
— Quarantacinquemila lire! — sussultò Tad, colpito dal conto
globale che lo riguardava. Si assicurò i cartoni sotto il braccio, i
gessetti in tasca : — Corriamo, Verci! — Sulla soglia si volse con un
ampio gesto di definitivo rimpianto : — Mio primo ed ultimo studio
di pittore, addio!
***
Giunti che furono in Riva, Vercingetorige spinse con
disinvoltura la porta del più lussuoso negozio di articoli sportivi,
mentre Tad lo tirava per la giacca soffiandogli: — Ehi! Verci! Che
fai? Dove entri?
— Entro, — rispose Verci con importanza, voltando appena il
capo di sulla soglia, verso di lui, — dove la mia futura condizione di
milionario me lo permette. Non vorrai che ci occupiamo del cavallo
senza un adeguato costume per cavalcare!
— Un costume da cavalcare! Anche per me?
— Non intenderai — Verci lo percorse da capo a piedi con
un'occhiata di disgusto, — avvicinarti a un cavallo aristocratico come
Perfetto, sbrindellato come sei!
— Ah, tutto mi sembra un sogno! — esalò Tad, guardandosi
attorno nell'ambiente rilucente di vetrine e di specchi.

127
— Invece è proprio tutta realtà, caro piccino. Ma che fanno qui,
che nessuno si muove? — si chiese il nano vedendo che i commessi
dietro il lungo banco di mogano li ignoravano. — Ehi, bottega! —
chiamò forte. — Oh, meno male che la cassiera si degna di farci
cenno! Ma perché poi la cassiera ? — Comunque le si avvicinò mentre
la donna, con un sospiro condiscendente, estraeva dalla sua macchina
due foglietti porgendoli a Tad :
— Tieni, ragazzo, — lo ammonì, — e non riprovatevi più ad
entrar qui! Il padrone non vuole. Siete fortunati che in questo
momento non c'è.
Si fece avanti il nano, parando con la sua persona la mano tesa
verso Tad: — E che sarebbe questo che ci date?
— Dieci lire per ciascuno, non vedete? Vi paion poche che vi
scandalizzate tanto?
Verci le prese, le insinuò nella fessura della cassetta Pro
Missioni in Cina (e la statuetta automatica del sovrapposto cinesino in
preghiera, ringraziò chinando il viso giallo) spiegando con freddo
sussiego : — Buona donna, qui c'è un equivoco.
— Buona donna « a me » ? -— si sdegnò la sofisticata cassiera
dai capelli lillà e un nastrino di seta nera intorno al collo, squadrando
le toppe che ornavano le ginocchia dei due.
—- E venti lire « a noi » ? — si sdegnò non meno
Vercingetorige.
— Quante ne vorreste? Cento? Han delle belle pretese,
oggigiorno, i mendicanti!
— Mendicanti? — Verci s'infuriò come un gatto. —'Ah, è
questa la vostra opinione su di noi? È la carità che credete che
vogliamo?
— E cos'altro potete volere? qui?
Vercingetorige fece graziosamente mulinare il bastoncino da
siepe col quale sostituiva la canna d'India degli eleganti: — Un
costume da cavalcare per me e per il ragazzo, posto che li vendete!
— Volete prendermi in giro? — l'ammonì severa la donna dal
nastrino.
— Volete farmi perdere la pazienza? — ribattè il nano,
severissimo. Ella scandì le parole : — Questo è uno dei migliori
negozi di artìcoli sportivi d'Europa; dipendiamo da una famosa Ditta
Inglese.

128
Il nano scandì le sillabe, indicando sé e Tad : — E questi sono il
primo fantino e lo stalliere di Sir Barrymoore, anch'egli Inglese e
importante quanto e più del vostro negozio.
Avvenne una rivoluzione nei lineamenti della cassiera, per cui
ella si trasformò completamente : — Come ? Voi, signore, — scese
persine deferente, dall'alto della cassa, — siete il primo fantino del
nostro ottimo cliente Sir Barrymoore? E il signorino è il vostro
stalliere?
— Infatti, — confermò Vercingetorige, la bazza sollevata,
sostenuto e distinto.
— Oh! Ma allora! — si agitò lei volgendosi verso i commessi
sempre fermi, in fila come mummie, dietro il banco. — Piero! Gianni!
Domenico! Giuseppe! Presto! Servite i signori che hanno aspettato
anche troppo! Due costumi da cavalcare! Il signore, — accennò
l'impettito nano, — è il primo fantino di Sir Barrymoore. Servitelo
bene, mi raccomando! E lei deve scusarmi, signore, ma conoscevo
solo il signor Pott come primo fantino di Sir Barrymoore. Che ne è di
lui? È andato via?
— chiese dopotutto curiosa come ogni donna, nonostante il suo
nastrino e i suoi capelli lillà.
— Non son tenuto a dar conto dei miei inferiori. — Accennò i
commessi col bastoncello: — Quale di quei santi del calendario è
disposto a servirmi, infine?
— Ma... tutti, tutti, signore! Giuseppe! Domenico! Piero!
Gianni! Scegliete voi, prego.
Verci puntò il bastoncino verso una qualsiasi delle sorridenti
facce :
— Allora... Domenico! Scelgo Domenico. Domenico?
— Sì, signore.
— Mostratemi quanto avete di meglio.
— Sì, signore, certo, signore, di qua, signore. Per il ragazzo c'è
la misura già pronta, per Lei invece, che è un po'... sì... un po'...
piccolo, diciamo, di statura...
— Ehm, ehm, — borbottò Vercingetorige, — un poco piccolo,
sì, ma niente di straordinario.
— No, certamente, signore! Se vuoi favorire in uno dei nostri
salottini per le misure, e il signorino per la prova... Da questa parte,
grazie. — Fece un cenno ad altri due commessi così che un codazzo di

129
tre persone seguiva ora Verci e Tad. Il nano venne invitato in un salot-
tino tappezzato in seta grigio perla, col tappeto della stessa tinta
spesso un dito in cui egli affondò gli scarponi scalcagnati, piazzandosi
davanti allo specchio fortemente illuminato dalla sovrastante lampada
schermata, mentre Tad spariva nel salottino attiguo.
— Incominciamo le misure. Spalle quaranta, — dettò il signor
Domenico al commesso che li aveva seguiti — altezza... — esitò, mise
fuori frettolosamente: — un metro scarso... Maniche, fianchi, — tolse
matita e taccuino dalle mani del collega, preferendo scrivere da sé, in
silenzio, le misure di quel singolare cliente, — benissimo...
Benissimo, signore. — S'inchinò a Verci : — Fatto.
Frattanto apparve Tad raggiante nel nuovo costume che lo
faceva sembrar più alto, più uomo e, inoltre, lo rivelava per uno
splendido ragazzo: — Sto bene, nevvero, Verci? — chiese avendo già
fatto quella scoperta per conto suo.
— Naturalmente che stai bene, — lo frenò il nano a significargli
che ormai più nulla doveva stupirli e che il lusso e la bellezza diven-
tavano da quel momento una loro seconda natura, un loro diritto di
futuri ricconi. Lui sapeva vivere.
Precedette tutti nel negozio, assestandosi indosso a piccoli colpi
la sua vecchia giacca larga e lunga.
— I panni del signorino, — mormorò Domenico, aprendogli
con un inchino la porta, — li mandiamo a Villa Flora? — Non
volendo buttarli di sua iniziativa nella spazzatura, desiderava l'ordine
di Verci.
—- Oh, no! — lasciò cadere questi con noncuranza. —
Regalateli al figlio di uno degli altri commessi, se credete, o al vostro
se ne avete.
E uscì meravigliandosi di non venir ringraziato, mentre la
cassiera, nonostante la sua apparenza fragile, esplicava una forza
erculea per impedire all'offeso Domenico di rincorrerlo e picchiarlo.
Ma già Tad nella sala di scrittura della Posta e Verci curvo sopra
di lui per impedirgli di dimenticare le regole grammaticali, scrivevano
alla signora Paola volendo metterla subito a parte delle loro fortune :
— Bene, — giudicò Verci, infine, — hai scritto tutto
chiaramente. Aggrottò le ciglia: — Ma che fai, adesso?
Tad ristette interdetto col foglio in una mano e la busta già
leccata nell'altra: — Metto la lettera nella busta, no?

130
— Ti sei dimenticato di fare lo svolazzo sotto la firma.
— Uno svolazzo? E perché?
— Perché tutte le persone della nostra condizione firmano con
svolazzi. Bisogna saper vivere, figliolo! E tu, invece, nonostante il co-
stume da cavalcare ti sia stato subito bene, mentre il mio bisogna farlo
apposta, sei un po' rozzo, lasciatelo dire!

***

Ma non fu certo lo svolazzo che impressionò tanto la signora


Paola al ricevere quella lettera. Si lasciò cadere il foglio in grembo,
girò gli occhi commossi sulle culle che la circondavano e in cui i pic-
cini affidati alle sue cure facevano il sonnellino pomeridiano, mormo-
rando ardentemente:
— Dio voglia che a ciascuno di voi la vita riserbi le buone
sorprese che riserba a Reginella!
Si levò in fretta, indossò il soprabito blu sopra la bianca
uniforme, e corse al collegio dove Reginella compiva i suoi studi.
Era l'ora della ricreazione, Reginella saltava la corda in giardino
e la gonnellina a quadretti le rimbalzava oltre le ginocchia. Vedendo la
signora Paola le corse incontro :
— Come mai è venuta a trovarmi, mammina Paola? Non è do-
menica, — osservò.
— Vieni con me, — le disse per tutta risposta la signora Paola,
fervida e intensa, prendendola per mano. Lungo ampi corridoi
luminosi la trasse fino alla cappella del collegio, la fece inginocchiare
davanti all'immagine di Gesù contornato di bambini, le suggerì : —•
Prega così, Reginella : « Signore, veglia su Vercingetorige che
rischierà la vita correndo su di un cavallo selvaggio, per farmi ricca e
felice ».
— ... che rischierà la vita correndo su di un cavallo selvaggio
per farmi ricca e felice, — ripetè docile Reginella, col volto levato al
quadro. Ma, avendo finito, si volse sgomenta : — È proprio vero,
mammina Paola?
La risposta suonò preoccupata e commossa. — Verissimo,
bimba mia.

131
IX.

UN UOMO CON LA SCIARPA UNA DONNA


CON GLI OCCHIALI

CHI FOSSE entrato, una di quelle mattine, nella sala d'aspetto


della stazione di Riva sul Carda, dieci minuti avanti la partenza del
tram delle quattro, avrebbe creduto di esser solo : invece, quando il
tram sbuffante sotto l'acquerugiola che cadeva, fischiò, qualcuno si
mosse dall'angolo più in ombra, salì in uno scompartimento di
seconda classe, si tirò giù il cappello di paglia fin sul naso, si tirò su la
sciarpa di lana fin sugli occhi e rimase immobile.
Era un signore grasso, piccolo, dall'apparenza campagnola; non
gli mancava la grossa catena d'argento sul panciotto, né l'anello al
mignolo della sinistra. Poteva essere un mercante di bestiame o di
foraggi. Benché sembrasse profondamente addormentato, non dimen-
ticò di scendere a Rovereto dove salì sul treno proveniente da Verona,
diretto a Bolzano : trovò uno scompartimento vuoto e ne prese
possesso con evidente soddisfazione liberandosi il volto dalla sciarpa e
gli occhi dalla tesa del cappello : però quando sentì avvicinarsi il
controllore si affrettò a ravvolgersi nell'una e a celarsi sotto l'ala
dell'altro. Discese a Trento. Sembrava che nessuno potesse
riconoscerlo, invece qualcuno fermo presso il monumento a Dante che
la pioggia lustrava, si avanzò ad incontrarlo chiedendogli sotto voce :
— Siete voi, Sam?
— Sì, — fu la risposta pronunciata nello spessore della sciarpa.
S'incamminarono sotto lo stesso ombrello per le vie poco popolate
a quell'ora e con quel tempo; la vita ferveva soltanto dietro il
Duomo, al mercato della verdura a cui traevano somarelli carichi di
legumi e di mazzi di fiori. I due entrarono in un caffeuccio illuminato :
— Che volete prendere? — chiese la persona staccatasi dal
monumento a Dante, una donna con gli occhiali. — Io prendo un
cappuccino bollente: col temporale di stanotte l'aria si è raffrescata.
Prendetene uno anche voi.
— Come volete, borbottò l'uomo, — per me è indifferente. Ho
altro in mente, io, che cappuccini bollenti!

132
La donna levò le spalle chiamando il cameriere tra il frastuono
dei negozianti che contrattavano partite di legumi con le tazze fumanti
brandite: — Bisogna pur ordinar qualcosa, in un bar! Tanto vale
prenderne una che faccia bene.
— Una sola cosa mi farebbe bene, — ribattè amaramente il suo
compagno — riavere il mio posto di allenatore nelle scuderie di Sir
Barrymoore, e non sentir mai più parlare di quell'odioso nano!
— Due cappuccini, — ordinò essa al cameriere che si era
presentato in grembiale col tovagliolo sul braccio. — Ditemi, dunque,
Sam, come mai avete voluto incontrarvi con me a rischio di farvi
licenziare da Sir Barrymoore? Siete certo che nessuno vi abbia veduto,
spiato, mentre venivate qui?
— Veduto! Spiato! — ripetè sogghignando nella sciarpa, Sam
Pott. — Tranquillizzatevi da questo lato, miss Cunegonda, nessuno si
occupa più di me a Villa Flora... Tutti mi crederanno ancora a letto,
non vedendomi... e nessuno si recherà a bussare alla mia porta per
accertarsene. Non si ha più bisogno di me, laggiù. Nelle scuderie
regna quel maledetto nano il quale sta domando alacremente Perfetto
perché batta il cavallo del vostro padrone, Pik Nik, a San Siro, e vinca
il Premio Eccezionale!
Miss Cunegonda alzò di scatto il capo: — II signor Thompson
Harris aveva sentito parlare di Perfetto come di un cavallo quasi sel-
vaggio. Ed ora voi mi dite che fra pochi mesi sarà in grado di vincere
una corsa!
— Temo di sì, — confermò Sam Pott. — Però, — aggiunse
sottilmente, — se nulla interviene.
— Spiegatevi.
Egli si spiegò secco e brusco : — Sentite, parliamoci chiaro : per
due motivi diversi, io per odio verso il nano, il vostro padrone per
odio verso Sir Barrymoore che l'ha sconfitto troppe volte sui campi di
corse, vogliamo che Perfetto non vinca il Premio Eccezionale, vero?
— Senza dubbio. Ma come?
— Ho un'idea, ma da solo non riuscirei a metterla in pratica: ci
vogliono dei soldi, molti soldi, ed io non li ho. Il vostro padrone ne ha,
per questo ho pensato di rivolgermi a lui attraverso di voi. Se io ci
metto l'idea e lui il danaro per attuarla, Perfetto non vincerà, ve lo
assicuro!
— Dite.

133
— Badate che la somma che sto per chiedervi è forte. Il vostro
padrone è disposto a spendere parecchio danaro perché Perfetto non
vinca?
— Senza dubbio. Come voi avete detto, già troppe volte i
cavalli di Sir Barrymoore hanno sconfitto quelli pur famosi del signor
Thompson Harris. Acquistando Pik Nik, egli si riteneva certo di
vincere il Premio Eccezionale, ed ora mi dite che ancora un cavallo di
Sir Barrymoore ne minaccia la vittoria. Il signor Harris non si
consolerebbe mai se Pik Nik fosse sconfitto.
— Non lo sarà, sconfitto, — promise Sam Pott con livore. —
Voglio punire Sir Barrymoore dell'oltraggio che mi ha fatto
preferendo a me un pagliaccio! Voglio che il cavallo di Thompson
Harris vinca il Premio Eccezionale! Lo voglio con tutte le mie forze!
— Stringeva i pugni sopra il marmo del tavolo, fino a farsi diventar
bianche le nocche.
— Che avete in mente di fare?
— Di corrompere il nano... — proferì egli con voce sorda. —
Cioè di offrirgli, se perde, il doppio di quanto gli ha offerto Sir
Barrymoore perché vinca! Se vince, Sir Barrymoore gli ha promesso
tre milioni, noi gliene offriremo sei purché si lasci sconfiggere!
Siccome egli lavora per mantenere una mocciosa, sorella di un
moccioso che gli fa da stalliere, non gli sembrerà vero di poter
guadagnare tre milioni in più, inaspettati. È un ciarlatano, dopo tutto, e
la sua coscienza dev'essere parecchio elastica. Proponete il mio piano
al vostro padrone e riferitemi la risposta.
— Posso assicurarvi fin da ora che egli metterà i sei milioni a
vostra disposizione. Mi ha dato carta bianca in questo senso, quando
sono partita per incontrarmi con voi, immaginando che aveste qualche
trappola da proporrai ai danni di Sir Barrymoore. Non sarebbe la
prima volta... — aggiunse guardandolo con intenzione.
— Già... ehm... — dovette convenire, imbarazzato, Sam Pott.
Miss Cunegonda si alzò battendo il cucchiaino contro la tazza vuota :
— Perciò, — concluse, — vi autorizzo a spiegare al ciarlatano
ciò che si vuoi da lui, e fra otto giorni trovatevi qui per dirmi se ha
accettato. Telegrafatemi come stavolta.
— Sta bene, miss Cunegonda, — si levò anche Sam Pott,
traendo il portafogli perché il cameriere accorreva, — fra otto giorni,
qui.

134
***

Prima di partire per Trento, nell'incerto barlume dell'alba, fra


campi molli di pioggia, egli aveva raggiunto una piccola stalla isolata
abbandonata dal padrone salito agli alti pascoli estivi. Là aveva
cambiato i panni consueti con quelli che dovevano trasformarlo in un
pacifico negoziante ed ora, di ritorno dal suo viaggio, badando di non
farsi scorgere, si recò a compiere l'operazione inversa.
Vestito al modo solito, atteggiato il viso a un insolito sorriso bo-
nario, andò ad appoggiarsi al recinto del prato su cui Vercingetorige
faceva passare Perfetto dal trotto al galoppo e dal galoppo al trotto.
Cogliendo il momento in cui il nano gli passava rasente, levò una
mano agitandola in segno di amichevole saluto. A quella vista Perfetto
scartò tanto bruscamente da sbalzare Vercingetorige di sella.
Questi si alzò furente e corse, facendo luccicare i suoi
nuovissimi gambali al sole, verso l'inglese: — Quante volte vi debbo
dire di non mostrarvi al cavallo? Esso vi riconosce e ricorda i mezzi di
tortura che impiegaste per tentar di domarlo! Scegliete un altro posto
per le vostre passeggiate! Filate!
— Bel cavallo! — esclamò Sani Pott, mentre il nano si
scuoteva' di dosso con cura i seccumi del prato che avevano aderito,
nel capitombolo, al costume nuovo, fingendo di estasiarsi nella
contemplazione di Perfetto che galoppava facendo saltare le staffe
vuote. Vercingetorige, sensibile alle lodi tributate a Perfetto, spianò il
cipiglio. — E voi siete abile quanto esso è bello. — Vercingetorige,
sensibilissimo alle lodi tributate a lui stesso, abbozzò un mezzo
sorriso. Sam Pott se ne accorse e rincarò con raddoppiato fervore: —
Sono fantino anch'io, Vercingetorige, e dovete comprendermi se non
ho potuto resistere alla tentazione di soffermarmi a guardare con
quanta eleganza, con quanta misura, con quanta elasticità galoppa
Perfetto! Bel cavallo! — ripetè.
— Eh... ehm... eh... Sicuro : bel cavallo! E così, vi pare che
galoppi bene, allora?
— Bene? — si scandalizzò Sam Pott. — Benissimo! Ma che
dico? Arcibenissimo! Del resto tutto merito vostro! — dichiarò
alzando la destra.

135
Verci si contorse in atti di finta modestia: — Oh, che dite mai:
merito del cavallo che è Perfetto di nome e di fatto. Io... caso mai... —
ammise, — avrò qualche meritino... qualche merituccio...
•— «Merituccio??? ». Ah, lasciate che vi dica, Vercingetorige,
che siete troppo, troppo modesto! Voi siete il re dei fantini, —
dichiarò Sam Pott drizzandosi solenne, — ed è leale riconoscerlo! —
terminò con fiera umiltà.
— Oh... oh... il re dei... -— Verci si contorse tanto da sembrare
un cavatappi. — Mio caro Sam, che dite mai?
— Dico quello che è giusto dire, né più né meno: siete il re dei
fantini e basta! — tagliò corto l'altro, deciso. Crollò il capo sospirando
patetico: — Una sola cosa mi turba, Vercingetorige...
Il nano sporse premuroso la bazza dallo steccato : — Che cosa,
che cosa, caro Pott? Dite! Dite!
— Volete proprio che ve lo dica? Ebbene, ve lo dico. Sono
giorni che soffro e che voglio aprirvi l'animo mio: io soffro, —
confermò abbassando il capo dolente, — per la poca amicizia che mi
dimostrate.
— Ma io... — si confuse Vercingetorige, poiché nulla era più
vero,
— credete...
— Oh, non cercate scuse! — crollò triste il capo, il grosso
allenatore. — La verità è quella che vi ho detto. Ma perché mi siete
ostile, mister Vercingetorige? — chiese appassionatamente. —
Credete forse,
— dubitò amaro, — che io sia invidioso perché Sir Barrymoore
vi ha affidata l'educazione di Perfetto? Ma se ne sono, al contrario,
felice! Senza di voi sarei stato obbligato a rischiar la vita in vani
tentativi di domarlo, mentre invece trascorro le giornate senza far
nulla, passeggiando per Riva come un miliardario! — proclamò
allegramente. Mutò tono : — A proposito, — prese Verci per un
bottone della giubba, — a proposito di miliardari : stamani ho fatto un
incontro interessante e vorrei parlarvene.
— Ma... — Verci si voltò a guardare Perfetto che, ozioso,
brucava l'erba il più lontano possibile da Sam Pott.
— Capisco, capisco... — lo rassicurò Sam Pott, — ora avete da
fare. Ma perché, — fece come se gli balenasse allora una così bella
idea, — non andremo, insieme, stasera, alla Birreria Moderna? Là vi

136
racconterei cosa mi è capitato stamani e brinderemmo alla nostra
amicizia!
— Ma... — esitò Verci che solo un quarto d'ora prima sarebbe
andato alla Birreria con un pitone, e mai con Sam Pott.
— Come? — indietreggiò questi, offeso: — Non volete brindare
alla nostra amicizia? — Lanciò un'occhiata dietro le spalle di Verci,
soffiò: — In guardia! Viene il padrone! Io vi lascio. Allora, —
aggiunse perentorio, — dopo cena vi aspetterò qui! Non mancate!
— Ma... — tentò di nuovo di opporsi Verci. Inutile, Sam Pott
era già lontano.
Sopraggiunse Tad tenendo per il manico un secchio di smalto
turchino di fuori e bianco di dentro, pieno di biada: — Ehi! Verci! Che
fai lì imbambolato? Che ti diceva, Sam Pott?
- Oh, apprezzamenti da fantino a fantino, caro Tad, — si
riscosse Verci, elargendogli con superiorità: — Mi diceva che è
contento che
io domi Perfetto, e mi ha invitato, per stasera, a brindare alla
nostra amicizia alla Birreria Moderna... Un buon uomo, in fondo, quel
Pott, — si decise ad ammettere senza più esitazioni. - - Non
trattenermi!
Il padrone ci guarda! — avvertì dirigendosi senz'aitro verso
Perfetto, non prima di aver udito Tad brontolargli dietro:
- Bada che Pott non ti attiri in un tranello! La sua faccia non mi
piace... e non lo ritengo affatto un buon uomo!
La sera calò su Riva, Verci uscì dalla villa avviandosi al recinto
del prato dove Sam Pott lo aspettava fumando. Il punto rosso del suo
sigaro acceso brillava vivido nelle prime ombre invadenti. Il vento tie-
pido correva sull'erba corta. -- Son qui, — disse il nano.
— Oh, caro, caro Vercingetorige! - - gli andò incontro Sam Pott
con le mani tese, chiudendovi dentro le sue e scotendole. — Non
potete immaginare quanto sia felice che abbiate accettato il mio invito,
e come mi senta onorato di poter brindare con il fantino che sta
felicemente domando il primo cavallo del mondo. Ma perché,
Vercingetorige, ditemi, vi mostravate così sprezzante verso di me,
prima di ora? — gli chiese accorato.
— Perché ero convinto di essere disprezzato da voi.
— Ed io da voi! — II faccione di Sani Pott s'illuminò come un
ciclo all'alba: — Era dunque un malinteso che ci divideva!

137
— Infatti! — scoperse non meno allegro, Vercingetorige.
— La birra ci riunirà, venite! — concluse Sam Pott,
prendendolo a braccetto.
La Birreria Moderna sorgeva in riva al lago e si vedevano da
lontano i palloncini multicolori alla veneziana che la illuminavano
specchiandosi nell'acqua. Attiguo le sorgeva il chiosco della banda
disposta a semicerchio con i suoi ottoni sfavillanti davanti al maestro
gallonato. Un ragazzetto, anch'esso in uniforme, issò sul sostegno
apposito il cartello che annunciava al pubblico il pezzo imminente : «
Verdi. -La Forza del Destino ». Attorno ai tavolini sedevano intiere
famiglie, palpitavano ventagli, balenavano cucchiaini che facevano la
spola dalle bocche ai gelati variopinti nelle coppe argentee,
spumeggiavano tazze di birra servite da ragazze in abito di satin nero e
grembiulino di pizzo largo quanto un fazzoletto, con grandi nastri di
seta nera nei capelli. Una di esse ne portò due tazze a Verci e a Sam
Pott, che subito si alzò esclamando :
— Bevo alla fortuna del re dei fantini!
— Alla vostra! — rispose Verci, grato.
Gli spessi vetri si urtarono, buona parte delle due facce
s'immersero nella schiuma, e i livelli della birra si abbassarono.
— Ed ora bevo alla mia propria salute, — annunciò equo, Sani
Pott.
— Evviva! — gridò Vercingetorige con entusiasmo. Era proprio
un brav'uomo, quell'inglese, sotto la sua scorza ruvida.
I livelli della birra diminuirono ancora. Sam Pott scolò la
bottiglia che era da un litro, concludendo : — Bevo alla nostra
amicizia che sarà sincera e duratura!
— Sincerissima e duraturissima, — si associò Vercingetorige
con la massima solennità, bevendo, attraverso la superficie canuta, il
liquido biondo fino all'ultima stilla. Quando deposero i bicchieri
sembravano due Babbi Natali per la schiuma che ornava loro il mento.
Se la detersero col dorso della mano. — Sono commosso, — di-
chiarò Verci. Il maestro gallonato levò la bacchetta e, dolcemente, le
trombe squillarono.
- Verci, — Sam Pott si protese insinuante sopra il tavolo, la sua
voce suonò sommessa fra l'onda melodiosa della musica, quasi fusa
con essa, — amate molto quella piccina per cui lavorate?

138
— Ed ora bevo alla mia propria salute — annunciò Sam Pott. (Capitolo IX)

139
— Oh, — il nano levò gli occhi verso i palloncini palpitanti
contro l'oscuro ciclo stellato, — se la conosceste non me lo
chiedereste! È un angioletto biondo, è la prima della classe... è tutta la
mia vita!
— Vi piacerebbe di guadagnare molto danaro per lei? — La
voce si fece intensa.
— Voi sapete che se Perfetto vincerà il Gran Premio
Eccezionale, io guadagnerò tre milioni.
— Se Perfetto non vincerà, però, voi li perderete i tre milioni,
non è vero?
— Certo, se la sua sconfitta dipenderà da me.
— Così sta scritto nel contratto?
— Così sta scritto.
Ora un lieve valzer viennese ondeggiava per l'aria.
— Ebbene, — scandì lentamente Sam Pott, su quelle gaie note,
— io conosco un altro contratto che dice : se il cavallo Perfetto « non
» vincerà il Gran Premio Eccezionale, per causa del fantino Vercinge-
torige Sansoni, il quale potrà simulare una caduta, un arresto, a suo
piacimento, il suddetto fantino percepirà un compenso di sei milioni.
Vi fu una pausa in cui si udì solo la leggera musica, sul loro
silenzio, sul brusìo della gente seduta ai tavoli, sul tremolar del
riflesso dei lumi nell'acqua.
— Che dite? - - balbettò Vercingetorige. — Sei milioni... se
Perfetto perde... per causa mia? Io non capisco. — Non capiva
davvero, incominciava a sospettare di star sognando le improvvise
proteste di amicizia di Sam Pott, e di esser lì, con lui, in quell'insolito
luogo fra musiche "e luci colorate.
Ma la voce che gli rispose chiara, sembrava ben reale, invece :
— Ripeto che se voi impedirete a Perfetto di vincere il Gran Premio
Eccezionale, vi verranno pagati sei milioncini: là: zac! Zac! Zac! Uno
sull'altro! — Fece con le mani come se li contasse e glieli
consegnasse. — Pensate: tre milioni di più per la vostra
marmocchietta!
— Ma chi è che me li offre? —chiese il nano strabiliato, perché,
evidentemente, non si trattava di un sogno.
— Questo non vi riguarda. — Sam Pott si ritrasse in se stesso,
misterioso.
— E Sir Barrymoore che dirà?

140
— Non saprà mai nulla.
— Ma io mi sono impegnato con lui a far vincere Perfetto!
— Ebbene? — oppose Sam Pott, con indifferenza. — Vi siete
impegnato con Sir Barrymoore a far vincere Perfetto per tre milioni,
ed ora v'impegnate con me a farlo perdere per sei. Gli affari sono
affari, mio caro collega, e sarebbe inconcepibile da parte vostra
lasciarvi sfuggire questo vantaggiosissimo che vi propongo, tanto più
che avete una ragazzina da mantenere. Una ragazzina che amate più di
Sir Barrymoore, suppongo.
— Oh, sì!
— E allora perché esitate fra il suo interesse e quello di un
riccone che vi è estraneo, non ha bisogno di nulla, mentre lei ha
bisogno di tutto?
Vercingetorige si concentrò a riflettere, e mentre rifletteva sentì
qualcosa snodarglisi nel cuore come se fino allora vi fosse stato forza-
tamente rattrappito, drizzarsi, fargli una bella riverenza, sghignazzare :
era l'altro se stesso, il Vercingetorige ladro di qualche anno avanti,
quello che stimava una originalità inesplicabile l'onestà di Intrepido
Alicante e inventava bugie presso Tad per fargli ingoiare cibi rubac-
chiati qua e là. Con uno dei suoi balzi da clown s'impossessò di lui, si
dilatò nella sua persona aderendovi perfettamente come la mano
aderisce a un vecchio guanto, scacciando il nuovo Vercingetorige
onesto e le sue ultime esitazioni:
— Eh... già, in fondo... avete ragione : perché esitare fra un
riccone che mi è estraneo... e una ragazzina che adoro e che è povera?
— Gli lampeggiarono gli occhi, brandì il bicchiere per il manico e lo
sbattè con forza contro il vassoio. Alla ragazza accorsa, ordinò: —
Un'altra bottiglia di birra! — Quando la bottiglia arrivò, decise
mescendo i flotti turbolenti a sé e a Sam Pott: — Alla salute di chi mi
paga meglio!
— Alla salute! — gli fece eco l'allenatore, esultante. Bevettero
tutta la birra di un fiato. Sam Pott sogghignò deponendo il bicchiere,
chinandosi confidenziale verso il nano: — Immaginavo... ho sempre
immaginato, — non gli riusciva troppo facile, ormai, trovare le parole
per esprimere il proprio pensiero. Erano alla seconda bottiglia di birra
in due e ogni bicchiere ne conteneva un quarto. Pure, vi riuscì compia-
ciuto : — ... che sotto la vostra aria onesta si nascondesse un famoso

141
briccone! Bravo! — lo approvò incondizionatamente. - - Bravo. Qua
la mano! — aggiunse da pari a pari.
Il nano gliela tese lunga e magra, vantandosi : — Sì, sì, ma lo
ero anche di più. È stato un tale a guastarmi dicendomi che se non si è
belli di fuori si può esserlo di dentro, mantenendo la parola con tutti, e
non rubando mai!
Sam Pott si rovesciò sulla spalliera della sedia, in una lunga
risata : —• Ed è per queste sciocchezze che esitavate ad accettare la
mia proposta, vecchio delinquente?
Vercingetorige, arrossì abbassando gli occhi: — Sì, — confessò
vergognandosi d'aver preso sul serio qualcosa di cui Sam Pott rideva
così di gusto.
— Vedete, — si riprese questi, grave ed ammonitore, agitando
un dito verso il nano, — come possono traviare le cattive compagnie ?
Spero che non frequenterete più quel tale!
— Oh, no! No, certo! — mentì Vercingetorige sentendosi
l'anima di un Giuda. — E, dite, — cambiò discorso in fretta, — non
volete raccontarmi l'incontro che avete fatto stamani e per cui mi avete
invitato ad uscire con voi stasera?
Sam Pott si levò, si frugò in tasca, trasse uno dei suoi corti e
panciuti sigari, l'accese : — Era l'ordine di proporvi l'affare che vi ho
proposto, — dichiarò avvolgendosi nelle prime boccate di fumo. — E
ora andate a casa. Io vi seguirò più tardi. Non è bene che, d'ora
innanzi, ci vedano troppo assieme.

***

Vercingetorige rincasò solo e in lontananza scorse quel tale da


evitarsi che lo aspettava sul cancello, sotto la lampada accesa tutta la
notte che ne rischiarava l'ingresso.
Prima che Tad lo vedesse, Verci s'infilò attraverso un buco della
siepe e di lì entrò in giardino, cacciandosi quindi subito in casa e a
letto. Ma benché la birra bevuta gli offuscasse i pensieri, non riusciva
ad addormentarsi. Sul limitare del sonno, la figuretta di Tad a cui
credeva di essere sfuggito, vegliava come sul limitare del cancello.
— Ha ragione il signor Pott, — sospirava il nano voltandosi e
rivoltandosi. - - Le compagnie traviano. Io che in passato sarei stato
felice di truffare un riccone senza collo, dal carattere prepotente, in fa-

142
vore di una fanciulletta gentile come un passerotto, ora sono
tormentato dagli scrupoli. Sembra incredibile, ciò che mi assilla è una
stupida frase che dissi su quel treno: coltiverò il mio cuore come un
fiore in un vaso. In questi anni il fiore era cresciuto bello. Dio mi
perdoni, stasera mi sembra di averlo spezzato sullo stelo.
Alla figura di Tad ferma a precludergli il sonno, si aggiunse il
vasetto dal fiore reclino.
Invano Vercingetorige cercava di cancellarli lanciandovi contro,
con la mente, un nugolo di fogli da mille, da diecimila: lo sguardo
sdegnoso e schietto di Tad li allontanava da sé, e il fiore si piegava
vieppiù sotto il disonesto peso: — Almeno potessi addormentarmi,
uscirei da questo tormento! Ma che! Ho tanto sonno quanto se ne ha al
mattino appena svegli! Basta! Qui è meglio alzarsi e andare a parlare
con Tad... raccontargli tutto, persuaderlo a darmi ragione o se no non
riuscirò a dormire! Certo è ancora sul cancello che mi aspetta, e, fra
l'altro, non posso lasciarlo là tutta la notte!
Sbuffando infilò i calzoni e discese in giardino. Tad era in mezzo
alla strada, ora, e guardava inquieto verso Riva.
— Tad!
— Verci! Hai la camicia da notte sotto i pantaloni... eri a letto,
dunque! E da dove sei rientrato se dalle nove sono qui ad aspettarti e
non ti ho visto?
— Ho da parlarti.
Sedettero sotto un pino, sugli aghi secchi che rendevano nella
notte un più acuto odore. Il nano sbirciò il volto bruno di Tad che con
l'andar degli anni rassomigliava sempre più a suo padre, crollò
rabbiosamente il capo quasi ad allontanare quella somiglianzà. — Tad,
— chiese, — sei sempre del parere di essere onesti?
Il fanciullo gli si volse meravigliato: — Che domanda, Ver ci!
— Ma non si tratta di rubare, stavolta! Si tratta solo di non aver
scrupoli esagerati rispetto a... a Sir Barrymoore. Insomma, ecco qui:
egli mi offre tre milioni se faccio vincere Perfetto, qualcun altro me ne
offre sei, dico se-i, se lo faccio perdere. Non è per me che desidero il
danaro, ma per Reginella e... per te! — Gli balenò un'idea che giudicò
infallibile per conquistare Tad: — Tad! Con parte di quel danaro
potrei farti studiar pittura! — Vide Tad sussultare. Gli si chinò ap-
presso, gli afferrò un braccio: — Tad! La fortuna si presenta: co-
gliamola!

143
— Studiar pittura! — ripetè Tad, estatico, guardando il pino, il
paesaggio notturno con altri occhi, pensando di poterli copiare. — Di-
pingere tutto il giorno!
— Sicuro! — incalzò Verci, col fiato contro il suo orecchio,
contro la sua gota. — E anche all'ora dei pasti, anche la notte, se
vorrai, perché non dovrai più lavorare per guadagnarti da vivere!
Tad chinò il capo sulla palma, riflettendo. Non osava pensare di
avere del tempo e un maestro per dedicarsi alla pittura, senza provare
le vertigini. Infine la vittoria di Perfetto rappresentava per Sir Barry-
moore la realizzazione del capriccio di un ricco, mentre la sconfitta di
Perfetto rappresentava l'agiatezza per tre persone povere. Dopo il tra-
dimento si sarebbero allontanati da Sir Barrymoore, non l'avrebbero
più visto... Già, perché, rivedendolo, come si sarebbero comportati?
Tad lo immaginò con un brivido : si sarebbero comportati da
colpevoli, arrossendo, confondendosi, cercando di non farsi
riconoscere. Che umiliazione! Era meglio studiar pittura o poter
gridare francamente, a fronte alta, ogni qual volta si fosse imbattuto in
Sir Barrymoore: «Buon giorno, Sir Barrymoore! »?
Espose il suo dubbio a Verci. — Ricordi, — gli chiese, — cosa
diceva mio padre? «L'uomo onesto non china gli occhi nemmeno
davanti al Re » !
— Ebbene? E con ciò?
— E con ciò immaginiamo di decidere, ora, di tradire Sir Barry-
moore. Domani, incontrandolo, credi che riusciremmo a guardarlo in
faccia?
— Mio Dio, credo di no! — esclamò Verci, rattrappendosi
all'idea di quegli occhi chiarissimi che parevano leggere i pensieri.
— Allora, — concluse Tad, — si capisce che non solo tradire i
poveri come ha fatto Pompeo, è una cattiva azione, ma anche tradire i
ricchi.
— Come fai a saperlo? — si stizzì il nano a tanta sicurezza.
— Mi regolo con gli occhi. Se l'uomo onesto non li china nem-
meno davanti al Re, ed io, accettando la tua proposta, mi sentirei co-
stretto a chinarli davanti a Sir Barrymoore, è segno che sarei
disonesto. Perciò non studierò pittura col prezzo di un tradimento, né
permetterò che esso serva ad arricchire la mia sorellina.
Vercingetorige si levò esasperato : — Tad, sei un somaro, ecco
quel che sei, a rifiutare sei milioni certi, uno sull'altro: zac! Zac! Zac!

144
Ma dimmi, almeno, che soddisfazione proverai essendo onesto
riguardo a una persona che quasi non sa se sei al mondo?
— La soddisfazione di guardarla in faccia.
— Sei irritante con questa stupida storia! Vuoi pagare sei
milioni la soddisfazione di guardare in faccia un brutto tizio che
conosciamo solo da due mesi! Vado via per non darti uno schiaffo!
E, al colmo dell'irritazione, scappò con la camicia da notte che
gli si gonfiava sulla schiena nella corsa. Sbattè le pantofole contro la
parete svestendosi, si gettò sul letto come su un nemico acerrimo,
mordicchiando il cuscino:
— È pieno di ubbie come suo padre il quale, una volta,
essendosi accorto di aver ricevuto dieci lire d'argento al posto di una
lira, e non riuscendo a rintracciare lo spettatore distratto che gliele
aveva date, si fece in-mezzo all'arena prima dello spettacolo, pregando
il proprietario di presentarsi a ritirarle. È vero che se ne presentarono
dieci... ma egli riconobbe l'autentico.
«Mah! Era>un gran brav'uomo e il figlio gli somiglia... per
questo ha certe idee. Naturalmente, — convenne più calmo, — è
piacevole parlare tranquillamente con la gente senza sfuggirne lo
sguardo... addormentarsi senza il timore che qualcuno ci possa mai
chiamare traditore incontrandoci. Che pace! Varrà più di sei milioni la
pace della coscienza? Forse... sì, — giudicò dal suo cuore dianzi così
turbolento e che ora s'andava acquietando senza più problemi, nella
fede di una semplice linea di vita, — anzi : certamente. Tad è un
saggio ed io sono un mascalzone! Ho trentatrè anni, lui ne ha
quattordici: ebbene, sono io che gli propongo il male ed è lui che
m'insegna il bene. — Scostò le travagliate coperte d'impeto,
abbrancando di sul pavimento i pantaloni per le bretelle : — Oh, Tad,
bambino! — scoppiò in un risolutivo respiro di redenzione. —
Bisogna che corra da te a chiederti perdono di averti chiamato somaro!
Tornando dallo sgabuzzino sotto il tetto delle stalle, dove si era
umiliato sulle mani di Tad, trovò il sonno del giusto che lo aspettava
accanto al guanciale. Si addormentò spossato da tanti sentimenti con-
trastanti provati in così breve spazio di tempo, sorridendo alla vittoria
dei buoni. Sul limitare dell'assopimento, gli lampeggiò nella fantasia
un vasetto il cui fiore, poco prima reclino, si ergeva vigoroso.
— Ehi, voi! — gridò il mattino seguente a Sam Pott che lo
salutava sornione, con aria complice. — Sia per non concluso, il patto

145
di ieri sera! Fatele ai vostri pari, certe proposte! Dovevo essere
ubriaco di birra per avervi detto di sì!
Spronò il cavallo verso Sir Barrymoore che si avanzava impres-
sionante, lungo com'era, in un vestito tutto bianco, chiedendogli : —
Avete preso i necessari accordi con le ferrovie, per far trasportare
Perfetto nelle mie scuderie di Lambrate?
— Sì, signor Sir! — rispose il nano fissandolo insistentemente,
immobile in arcioni.
— Che diavolo avete, — si risentì l'irascibile Sir, — stamani,
per fissarmi a quel modo?
— L'uomo onesto, - - decretò Vercingetorige, — non china gli
occhi nemmeno davanti al Re! — E partì al galoppo.

***

— E così, — concluse Sam Pott, recatosi di nuovo a Trento, —


quell'idiota di un nano si è rifiutato di tradire Sir Barrymoore, e do-
mani partiremo tutti per le grandi scuderie di Lambrate, dove Perfetto
trascorrerà il mese che ci separa dalle corse.
Come la volta precedente erano le prime luci del giorno, gli
spaz-zini scopavano con larghi gesti le deserte strade che i due
prendevano a caso, assorti nel loro problema. Dalle finestrine ancora
chiuse, traboccavano cascate vivide di gerani, allegre scene di bevitori
erano dipinte sulle facciate delle case ancora addormentate. Infilarono
una viottola in salita che conduceva all'incombente, grigia, merlata
mole del Castello del Buon Consiglio, sedettero su una panchina di
pietra umida di rugiada. Miss Cunegonda si accomodò gli occhiali sul
naso :
— Credete allora che la vittoria di Perfetto su Pik Nik, sia una
cosa certa?
— Certissima, al punto di allenamento a cui l'ha portato quel
dannato nano! Nessun cavallo può competere con l'arabo bianco, se
corre!
— Sentite, — proruppe ella, — tutto questo non conta nulla.
Perfetto non deve vincere anche se è il cavallo che voi dite!
Ricorreremo ai mezzi estremi: una iniezione prima della corsa!

146
Alla fine del terzo giro, Perfetto si fermò bruscamente, fumante, a zampe
larghe... (Capitolo XI).

147
— Voi sapete, miss Cunegonda, che i cavalli prima della corsa
sono sorvegliatissimi.
— Un milione, due milioni saranno vostri se riuscirete ad
eludere la sorveglianza. È Pik Nik che deve vincere : questo è l'ordine
del mio padrone il quale non bada a spese purché venga eseguito!
Sam Pott crollò il capo : — Due milioni sono una bella somma,
ma io, ve lo confesso, non mi sento tanto coraggioso da guadagnarla
facendo una iniezione debilitante a un cavallo prima della corsa.
Rendetevi conto che, se venissi scoperto, non troverei più impiego
presso nessuna scuderia, per tutta la vita, senza contare il disonore.
Thompson Harris rischia solo due o tre milioni, ma io rischio molto di
più: la reputazione!
— La reputazione! — ripetè con freddo sarcasmo miss
Cunegonda.
— Non sarebbe questo il primo pasticcio che combinate, dietro
compenso, ai danni di Sir Barrymoore...
— Non ho difficoltà ad ammetterlo... posto che nessuno ci
sente. Ma ciò che ora mi chiedete sorpassa le mie forze. — Successe
un silenzio perplesso rotto solo dallo stormir degli alberi frondosi che
li sovrastavano. Sam Pott si scosse come se un'idea l'avesse rianimato:
— Piuttosto ascoltate! — proruppe battendole una mano sulle
ossute ginocchia. — Forse esiste un mezzo perché Perfetto sia
sconfitto senza che io rischi nulla!
— Un mezzo? — si rianimò anche miss Cunegonda. —Dite!
Dite!
— Ecco. Benché Vercingetorige abbia tolto molti difetti a Per-
fetto, non è ancora riuscito a fargli tollerare un peso maggiore del suo.
Per quanto il cavallo gli sia affezionato, non appena egli si appende
due sacchetti di sabbia alle spalle, brividi d'insofferenza gli percorrono
la schiena, sbava per il nervoso e, infine, lo rovescia. Ho udito con
queste mie orecchie il nano mentre confidava a quell'antipatico di Pitt
che lo protegge : « Se avessi davanti a me sei mesi di tempo, condurrei
Perfetto alle corse mondo anche di questo difetto ». Fortunatamente ha
soltanto un mese davanti a sé.
— Perché dite: fortunatamente?
— Il nano, — sogghignò Sani Pott, — pesa pochissimo perché
esce da una violenta malattia. Ora che è guarito tende ad aumentare di
qualche chilogrammo, cioè a raggiungere quello che dev'essere stato

148
un tempo il suo peso normale. Egli lo sa e soffoca l'appetito ben sa-
pendo che soddisfacendolo ingrasserebbe facendosi rovesciare da Per-
fetto. « Dopo la vittoria », ha detto a Toni Pitt, « mangerò per un
giorno intiero! ». Ah, — desiderò con tutto se stesso, stringendo i
pugni, — se potessimo trovar qualcuno capace d'indurlo a saziarsi
prima!
Calò di nuovo il silenzio fra di loro : ma stavolta era un silenzio
attivo: tutti e due riflettevano febbrilmente. Infine miss Cunegonda
aperse la gran borsa di pelle che portava al braccio, ne trasse una foto-
grafia : — Ecco colei che persuaderà il nano a saziarsi e, di
conseguenza, a perdere il suo peso prezioso: mia sorella, miss
Margherita. Nessuno ha mai resistito alla sua volontà!
Passò il cartoncino a Sani Pott: questi vide un volto d'angelo che,
fra biondi riccioli, gli sorrideva.

149
X.

CUOR PERFIDO E VOLTO ANGELICO

A verona, scendendo dal treno proveniente da Bolzano e


aspettando la coincidenza per Milano, Vercingetorige in un soprabito
a scacchi, il berretto di cuoio calcato sulla fronte, vide quello stesso
viso, smarrito, sotto un modesto berrettino a maglia blu.
— Signore, — gli si rivolse ella timida e ansiosa, — scusi : non
sono abituata a viaggiar sola e... mi sento sperduta. Vorrebbe
indicarmi il treno per Milano, per favore?
Vercingetorige si tolse deferentemente il sigaro di bocca,
spegnendolo contro la suola della scarpa: — Ma certamente,
signorina, certamente. Deve arrivare e lo aspettiamo noi pure; non
solo ve lo indicheremo, ma vi troveremo un posto accanto a noi, così
non vi sentirete più sperduta.
Il treno arrivava in quel momento e gli esercizi praticati nel
Circo Alleante, gli servirono per sfoggiare la propria cavalleria. Fra la
ressa che lo prendeva d'assalto, egli, pur di procurare un buon posto
alla timida giovinetta, con un salto bene aggiustato, infilò uno
sportello aperto e cadde, senza rispettar troppo le teste e le spalle
sottostanti, avanti a tutti in una vettura semivuota in cui ebbe agio di
scegliere quattro posti fra i migliori che occupò con quanto aveva in
tasca: un giornale, un pettine, una spazzola, il quarto con se stesso,
sporgendosi dal finestrino a chiamare :
— Qui! Qui! Qui!
— Siete stato magnifico! — lo gratificò la ragazza, apparendo
nello scompartimento guidata per mano da Tad.
— Eh! Eh! — Egli scosse modestamente il capo, quanto la sua
immodestia, invisibile, esultava per il complimento. -- Sedete,
sedetevi vicino al finestrino, al posto del pettine; tu, Tad, siedi dov'è la
spazzola; il signor Pitt, quando riuscirà a spuntare, si siederà dov'è il
giornale. E così, signorina... signorina... Come vi chiamate?
— Margherita, signore.
— Bel nome! — lo apprezzò Vercingetorige come del resto,
evidentemente, apprezzava tutto di lei dal primo istante in cui l'aveva

150
vista. — II nome di un fiore : e voi stessa lo siete, un fiore... sì, voglio
dire... Cos'hai da guardarmi, Tad? — s'infastidì poiché Tad lo fissava
con gli occhi tondi di meraviglia. Mai l'aveva sentito parlar così. —
Non parlo con te, parlo col fiore... sì, con lei... Qui, dove c'è il
giornale, signor Pitt — inserì in fretta e distratto all'apparso signor
Pitt. — E così, andate a Milano, signorina? — gli rinacquero interesse
e calore, rivolgendosi alla ragazza.
— A Milano... sì, signore, — fu la triste ed esitante risposta.
— A far che? Non mi sembrate allegra.
L'educatissimo signor Pitt, gli premette il gomito contro il fianco
per fargli notare la sconvenienza della sua curiosità. Fu come urtare il
nulla.
— Infatti, vado a cercare un impiego, — rispondeva intanto la
signorina.
— Eh... ehm... — credette di doverla rimproverare lievemente
Vercingetorige, — questo non dovrebbe essere un motivo di tristezza.
Il lavoro... ehm... ehm, nobilita. Chi non lavora non mangia, eccetera.
— Oh, no, signore! — la ragazza gli pose in atto di appassionata
difesa una manina inverosimilmente sottile, bianca, sul ginocchio co-
perto dai nuovi calzoni a quadretti, accendendogli con ciò il viso di
fiamma come se avesse premuto un interruttore. — Non è questo!
Sono inglese e mi spiego male in italiano. Io amo il lavoro il quale
nobilita, ne sono convinta. Ma è che vado a cercar lavoro... alla
ventura... si dice così? Cioè non so se, a Milano, troverò un lavoro che
mi permetta di vivere. — La voce le si ruppe, tacque a capo chino con
le lunghe ciocche bionde che le ombreggiavano le delicate gote.
— Oh, ma allora il caso è diverso! — fu felice di poterle
restituire la sua stima Vercingetorige. — Sfido che siete triste,
poverina! Ma perché andate in giro così sola, — riprese a interrogarla
senza ritegno, facendo rabbrividire il signor Pitt, — a cercar lavoro
affidandovi al caso, in una città come Milano, piena di confusione, di
fretta, per nulla adatta ai fiorellini come voi? Perché non siete rimasta
in Inghilterra con i vostri genitori?
— Sono sola al mondo, — mormorò ella, — senza genitori,
senza amici, senza nessuno... — Due lente lagrime le rigarono il volto
chino, le piovvero sulla gonna.
— Per tutto l'oro del mondo! — gridò Vercingetorige. - - Ella
piange! Il fiorellino piange! Signor Pitt, -- si rivolse senz'aitro verso il

151
suo contegnoso vicino, scuotendogli un braccio, — ieri vi lagnavate
dell'artrite che v'impedisce di scrivere agilmente a macchina :
assumete la signorina perché scriva al posto vostro!
Il signor Pitt strinse le labbra fino a sembrarne privo : non gli
piaceva che la sua artrite fosse resa pubblica: — Uhm! Uhm! Non so
cosa c'entrino i miei mali con i vostri discorsi, e poi non è vero che mi
son lagnato.
— Se mugolavate come un cane!
— Come un cane? Oh! — si sdegnò il signor Pitt stringendosi in
se stesso, in modo da non toccare nemmeno un filo dell'inqualificabile
nano il quale non poneva nessun limite al suo linguaggio.
— Insomma, — riprendeva intanto questi, spiccio, — se avete
le dita arrugginite perché non assumete questa povera miss sola al
mondo e vostra connazionale per giunta, come dattilografa?
Connazionale. Fra le tante parole sbagliate che il nano aveva
detto, questa era la sola giusta. Poteva il signor Pitt permettere, in
coscienza, che una sua connazionale, una mite, biondissima ragazzina
appartenente come lui al fiero impero inglese, scendesse alla stazione
di Milano, diretta alla ventura? E che un pagliaccio ne avesse più
compassione di lui stesso, gli indicasse il suo dovere? Inoltre
assomigliava a una sua amata nipotina dimorante a King's Lynn.
— Se mi presentate così la cosa... Infatti, — si rivolse alla
ragazza, — essendo un poco sofferente alle giunture, per quanto solo
nei giorni umidi, sarebbe forse opportuno che io assumessi un... un
aiuto...
— La faccenda incomincia a funzionare, miss! — II nano si
tolse di bocca il sigaro acceso, lo lanciò contro il tetto della vettura
riprendendolo fra le labbra dalla parte giusta. — II signor Pitt è un
brontolone ma un cuor d'oro e...
Il signor Pitt gli si rivolse apertamente seccato : — Brontolone...
ehm... Sono proprio costretto a dirvi, Vercingetorige, quello che
fin'ora ho soltanto pensato : che non avete il dono di misurare le
espressioni.
Verci, certo di avergli fatto un complimento, si disorientò : —
Misurare le... — Ma era altro che gli premeva e non voleva divagare.
— Insemina, l'assumete sì o no?
— Non siate così impaziente. Dopo tutto si tratta di una « mia »
decisione, e la debbo prendere con calma.

152
— Altro che calma! Sincerità per sincerità, signor Pitt: anch'io
vi dirò cosa penso di voi : ci mettete un anno a decidervi!
La giovinetta s'intromise soave fra i due corrucciati : — Non vi
spazientite, signor Verci, capisco l'ansia che avete di farmi felice, ma
il signor Pitt ha ragione: egli ha il diritto di riflettere.
— Dio, come parla bene! — esalò Verci in un sospiro estasiato,
rovesciandosi contro lo schienale. — Suvvia, Pitt, — stavolta lo urtò
in una gamba, — sbrigatevi a riflettere come lei dice, e assumetela,
corpo di bacco! Dove volete trovare una ragazza più cara? Mi ha per-
sino chiamato per nome! — rammentò lirico, ad occhi socchiusi. Li
riaperse aggressivi in faccia al signor Pitt: — E dove la volete trovare
una dattilografa che mi chiami per nome?
— Questo non ha nulla a che fare, convenitene, con i doveri di
una mia eventuale segretaria. Ad ogni modo, sentiamo: sapete datti-
lografare, miss?
— Sì, signore! — fu la premurosa risposta.
— Uhm! Uhm!
— Non badategli, miss, — le spiegò vivamente Verci, — lui
dice sempre : uhm. È un vizio che ha. Ma ciò non significa che sia mal
disposto verso di voi. Direbbe uhm anche se gli annunciassero che ha
vinto cento milioni, se con ciò riesco a rendere l'idea del tipo.
— Uhm! Uhm! Scusate, miss: le vostre carte?
— In regola, signore, — la risposta suonò tranquilla, sicura.
Verci, invece, si sdegnò : — Ma piantatela, Pitt, con tante domande...
persine offensive come quella delle carte, che dovreste
vergognarvene.
È dattilografa, è bella, gentile, sola al mondo, m'ha già chiamato
per nome, cosa volete di più? Assumetela e che sia finita! Tom Pitt, a
volte esagerate con la vostra dannata lentezza, francamente! — Si
cacciò le mani in tasca, allungò le gambe, si piantò la bazza, sul petto:
era in collera.
— Uhm! Uhm! Allora, ecco qui, miss... — accettò di accelerare
il signor Pitt, — si tratterebbe di vivere in una grande scuderia alla
periferia di Milano, senza svaghi, fra noi tre, un certo signor Pott che
ci precede, una falange di fantini e di stallieri, e il padrone, Sir Barry-
moore, persona molto austera.
— Allora l'assumete! — gridò Vercingetorige buttando all'aria il
suo duro atteggiamento. — Tom Pitt, siete un asso!

153
— Oh, mio buon signore, — tubava intanto la miss per conto
suo, scostandosi le lunghe seriche ciocche luminose dal viso radioso,
fissando il nano e il signor Pitt con i grati occhi brillanti di un velo di
lagrime di gioia, — tutto ciò va benissimo per me, ed io non ho
parole...
— Basta, — borbottò il signor Pitt che detestava le scene
commoventi non meno di quelle violente del nano, — voi viaggiate
con noi.
— Con noi, con me, miss! Suvvia, non piangete, adesso ridete...
così! Oh, — esclamò il nano colpito più di quanto già non lo fosse, se
era possibile, — ma siete una bellezza quando ridete! Santo ciclo, —
scandì, — siete bella quasi quanto il mio cavallo!
Sulla stupefacente ammissione da parte di Verci, regnò un
silenzio rotto solo dal ritmico rumore del treno in corsa già oltre
Brescia.
— Avete un cavallo, signore? — risuonò infine l'ignara voce
della nuova compagna.
— Sicuro, — confermò solenne il nano. — Esso è un grande
cavallo come io sono un grande fantino, miss, — aggiunse non
volendo nemmeno per sogno che altri, fosse pure un cavallo,
emergesse agli occhi della dolce fanciulla, sopra di lui. — Vi stupisce,
eh? Non credevate di viaggiare con un personaggio!
Il signor Pitt si agitava in silenzio; il suo senso di ritrosia, di
riservatezza, erano su una gratella ardente al posto di quelli incalliti di
Verci.
— Oh, è meraviglioso! Avete un grande cavallo, siete un grande
fantino... E avete vinto molte corse?
— Fin'ora no, ma fra un mese vincerò la più importante che mai
sia stata bandita.
— E quale sarà?
Il Gran Premio Eccezionale, miss.
Ella scosse il capo come se mai l'avesse sentito nominare,
augurando però dolcemente: — La fortuna sia con voi, signor Verci!
— Se voi me l'augurate non potrà essere che così! — Egli
sporse galantemente il capo, col sigaro in mano, in un inchino dalla
sua parte.
— Oh, ve lo auguro di tutto cuore, credetelo! — Pareva che lo
fissasse, in così dire, estasiata, mentre invece lo valutava freddamente:

154
« A occhio e croce peserà trenta chili o poco più. Ma ora sono nella
piazzaforte e sulla via di diventare la sua migliore amica. Potrò fargli
ingoiare anche un bue. Dovrà aumentare », giudicò, « di una diecina di
chili per lo meno, in due mesi. Perfetto non porterà mai al traguardo un simile
peso! ».

***
Le maggiori scuderie di Sir Barrymoore, in Italia, si stendevano,
lunghe e basse, fra i campi oltre Lambrate; interminabili corridoi in
cui si aprivano i box dei puledri, degli stalloni, delle fattrici, dei corri-
dori, le solcavano; in mezzo al prato centrale sorgeva un maneggio
coperto, sormontato da una cupola rotonda, per l'inverno, e c'era un
vasto maneggio scoperto in cui i puledri venivano domati. Sulla soglia
di quest'ultimo, facendo schioccare la frusta dal lungo manico, ponti-
ficava Sam Pott quando Vercingetorige non si avanzava sul candido
Perfetto.
Allora miss Margherita sfuggiva dall'ufficio del signor Pitt,
schiudeva a fatica con le piccole mani sottili l'immenso cancello di
legno, insinuava fra i battenti il volto roseo intorno al quale
grondavano i boccoli d'oro e sorrideva al cavaliere con ammirazione.
Se Tad sopraggiungeva, gli sussurrava : — Com'è bravo, il
nostro Verci!— invitandolo ad ammirare insieme con lei il nano il
quale, con fermezza da cui non escludeva mai la dolcezza, induceva il
cavallo a passare dal galoppo al trotto, dal trotto al passo.
Per Vercingetorige il miglior premio alle sue fatiche era quello
d'incontrare con lo sguardo gli occhi neri e gli occhi azzurri che lo
seguivano. « È pur bello », pensava considerando i lineamenti distesi,
tranquilli, di miss Margherita, « far del bene. Grazie a me quella
povera ragazza ha trovato un nido sicuro ».
Quando a sera inoltrata dalla finestra della propria camera
vedeva la luce spegnersi in quella di miss Margherita, fantasticava : «
Ora ella affonderà il nasetto nel cuscino e si addormenterà in pace
come un angelo ».
Invece, raccolti i capelli in una reticella azzurra, avvolta in una
lunga vestaglia di lana rossa, la giovane miss nella sua camera in cui
aveva spento il lume per farsi credere addormentata, vegliava
aspettando il richiamo quasi impercettibile di un fischio convenuto :

155
risuonava confuso nel coro dei grilli; con la leggerezza di un gatto
scendeva le scale, raggiungeva il suo complice, Sam Pott, nel
maneggio coperto, e là, con i piedi affondati nella rena, si
scambiavano rapide parole:
— Ebbene? Come va con lo sgorbio?
—Ho ottenuto la sua piena fiducia, professandomi cento volte al
giorno grata per l'impiego che mi ha procurato. Egli prende sul serio la
sua parte di protettore ed ha per me le stesse premure che ha per quel
suo antipatico Tad.
— Sta'bene attenta: domani ti maltratterò davanti a lui e tu fìn-
gerai, dopo l'accaduto, di odiarmi, così gli diventerai più cara e potrai
presto fargli fare ciò che vorrai, perché il tempo stringe!
Il mattino seguente Verci persuadeva pazientemente Perfetto a
saltare un fossato : — Ooooop! Ooooop! Su... su... non impressionarti
solo perché vedi qualcosa che luccica. È acqua, ti ripeto, come quella
che bevi... nulla di terribile. Oooop! Oooop! Salta! Su! Su! Sai... —
Quando risuonò un acuto strillo :
— No! Lasciatemi!
Si volse rapido: — Ehi! Che diavolo! Oh!
Sam Pott, dietro lo steccato del maneggio, stringeva per il polso
miss Margherita che si divincolava. Vercingetorige toccò con gli
speroni i fianchi di Perfetto dirigendolo al galoppo a quella volta,
mentre da lontano accorreva Tad: — Dai, Perfetto! Precipitati! Ah,
mascalzone, guarda come maltratta quella povera ragazza, e tutto per
invidia, tutto perché stava lì ad ammirarmi! Ma gli farò veder io! Ehi!
Ehi! Pott! Che fate? Lasciatela!
— Il vostro posto è vicino alla macchina da scrivere, intesi? -—
gridava frattanto il grosso fantino, senza badargli. — E che vi colga
ancora qui, dannata lucertola! — Con un'ultima scossa e una spinta
lasciò la ragazza che traballò sull'erba nascondendosi il viso fra le
mani.
— L'avete chiamata dannata lucertola? — si scandalizzarono
Verci e Tad, giunti da due parti opposte, piantandosi ai fianchi della
giovinetta che tremava come una canna. — Provatevi a ripeterlo!
Sam Pott gettò a terra il sigaro, lo calpestò irosamente : — Di
che v'immischiate, voi due?
— C'immischiamo tutte le volte che c'è da difendere un
innocente dalle furie di un brutale!

156
— Bene, ma benone! E allora, siccome chi comanda, qui, a
quanto pare, non sono più io, mi lavo le mani di questa faccenda. La
signorina, — s'inchinò ironicamente — vuoi stare in scuderia invece
che in ufficio? Si accomodi! La responsabilità della sua indisciplina se
il signor Pitt o, peggio, Sir Barrymoore, la sorprendessero a oziare,
sarà dei suoi protettori! In quanto a Sam Pott, miss, guardatelo bene in
faccia e ricordatevi: meno v'incontrerà sui suoi passi e più sarà
contento! Non può soffrire le smorfiose, lui!
— Ah! Ah! Ah! - - piangeva miss Margherita. — Che spavento,
che modi! Oh, egli d'ora innanzi mi farà tanta paura!
— Ssst! Ssst! — la consolavano il fanciullo e il nano,
asciugandole il viso con tenerezza di fratelli. — Sam Pott è un essere
ignobile...
— Oh, sì!
— Senza cuore...
— Oh, sì!
— Ma non dovete temerlo. Noi veglieremo su di voi.
— Grazie! Grazie! Come potrò ricompensarvi?
— Solo volendoci un po' di bene, miss.
— Oh, — proferì lei, con slancio, — io di bene ve ne voglio
tanto! Tanto! Ma... — Scosse il capo rattristata.
- Che c'è, ora? Pensate ancora a Sam Pott?
— No. — Era Verci che le aveva fatto quella domanda, lei gli
alzò gli occhi azzurri in faccia : — È a voi che penso.
— Non è un pensiero che vi deve rattristare, miss.
— E invece mi rattrista. Da un po' di giorni vi osservo, signor
Verci, ed ho l'impressione, scusate, che siate malato.
Il nano sobbalzò consultandosi la lingua in uno specchio
rotondo:
— Ohe! Che cosa ve lo fa supporre?
— Siete pallido, avete le occhiaie.
— Oh, per questo, — le spiegò Verci tranquillamente, — non è
nulla: è effetto della fame.
— Fame? — inorridì miss Margherita. — Che dite mai, Verci
caro! Forse che Sir Barrymoore, nonostante tutta la fatica che fate per
lui, non vi da da mangiare a sufficienza?
— Oh, no! — rise il nano. — Sir Barrymoore, per quel che lo
riguarda, mi lascerebbe mangiare anche il cuoco!

157
— E allora?
— E allora, — si pavoneggiò Verci, — mangio poco per non
aumentare di peso, per conservare la linea come le signore eleganti.
— Parlate sul serio: perché non volete aumentare di peso?
— Perché Perfetto non mi sopporterebbe più in groppa e, in tal
caso, chi lo guiderebbe alla vittoria?
— Mio buon Verci, quello che fate è eroico, semplicemente. Vi
ammiro, ma quanto soffrirò d'ora innanzi sapendo che, mentre io sono
sazia, voi avete fame!
— Oli, cara, non dite così : è una necessità di tutti i fantini
quella di aver sempre fame per non aumentare di peso... Nel mio caso,
poi, è una necessità doppia perché Perfetto sopporta solo il peso di un
bambino di dieci anni.
— Sam Pott è un fantino grasso!
— Perché da anni non corre più ed è diventato caporazza ed
allenatore. Su, su, non pensate più a queste cose e tornate alla vostra
macchina da scrivere se non volete che si arrabbi anche il signor Pitt!
Il personale dirigente delle scuderie Barrymoore, per volere del
padrone, prendeva i pasti in camera. Quella sera Sam Pott incontrò
miss Margherita che usciva dalla propria reggendo una coppa di
cristallo colma di fragole alla panna.
— Incomincio la cura al nano, — gli sussurrò passandogli
accanto, — la cura per farlo ingrassare.
— Brava! E che scoppi, infine!
— Che scoppi!
Il volto duramente malefico che aveva in quel momento, era
molto diverso da quello con cui si presentò, rossa e titubante, sulla
soglia della camera di Verci.
— Che sorpresa! — esclamò lietamente questi, dall'alto
dell'apposito seggiolone sul quale arrivava alla tavola apparecchiata
dove campeggiava melanconico e solitario un uovo sodo : la sua cena.
— Verci... io... sono venuta per... — balbettò la ragazza,
nascondendo la coppa con le fragole dietro la schiena. — Oh! —
esclamò inorridita, accennando l'uovo : — È tutta lì la vostra cena ?
— Ma no, ma no, — cercò di tranquillizzarla Verci, — c'era
anche una tazza di té e un pezzetta di pane abbrustolito... Ma
cambiamo discorso, ve ne prego: la fame mi divora e preferisco non
parlar di cibo. Ditemi: che cosa desiderate, piuttosto?

158
— Ma... debbo proprio parlar di cibo, per rispondervi. — Si
fece avanti ardente e impetuosa, deponendo la coppa di cristallo sulla
tavola, sotto la lampada che la fece scintillare come il ghiaccio intorno
ai teneri colori delle fragole e della panna: — Perdonate, Verci, non
sapevo resistere all'idea di quel che m'avete detto oggi! Accettate, vi
prego, queste poche fragole! Sono un cibo leggero e non vi faranno
certo aumentare di peso! Mangiate o io non dormirò tranquilla!
— Lasciatele qui, —• rispose il nano, decidendo che, nonostante
l'acquolina che il fragrante cumoletto gli suscitava, ne avrebbe fatto un
presente a Tad.
— No, no: chi mi assicura che non le passiate a Tad? —
azzeccò giusto, lei. — Rimarrò fino a che non abbiate inghiottito
l'ultima fragola.
Così Verci fu costretto a ubbidire, pensando : non saranno certo
queste poche fragole a farmi aumentare di due o tre chilogrammi. —
Però, — aggiunse dopo aver coscienziosamente ripulito fin l'ultima
vestigia di panna nella coppa, col dito, — vi prego di non tentarmi più
perché se lo stomaco si abitua ad essere soddisfatto sono guai.
Era quel che Margherita voleva. — Oh, non temete, Verci caro,
-promise giuliva, — non vi porterò più fragole.
Infatti mantenne la promessa, perché, quando due sere dopo
ricomparve davanti a Vercingetorige durante la sua magra cena, sul
piatto che reggeva fra le mani c'era una fetta di dolce delicatissimo, a
strati rosei e vermigli.
— Che? Ancora? — farfugliò Verci fra l'acquolina che gli
aveva istantaneamente invaso la bocca. — E venite nel momento
peggiore, quando ho più fame, quando so che « tutti » cenano
veramente, tranne io! Insomma, volete perdermi?
I singhiozzi che suscitò con quella domanda piuttosto cruda, lo
colmarono di rimorsi, e si rimproverava mentre cercava di calmare
l'afflitta: —Dio mio, cos'ho fatto! Come mai ho potuto parlare così?
Lei non sa il male che può farmi... lei è solo buona, premurosa, ed io,
bestia, l'ho spaventata. Perdonatemi, miss, sono una bestia.
— Avete detto che voglio perdervi. Io... io che darei chi sa cosa
perché vinceste il Gran Premio e la vostra Reginella diventasse ricca!
Ma vi porto da mangiare perché mi accorgo che, senza rendervene
conto, vi avviate al deperimento... alla morte!
— Alla morte?

159
— Sì : ho studiato medicina e so per certo che la denutrizione
conduce alla morte. Togliete l'olio alla lampada, la fiammella si
spegne.
— Corpo d'un cane! — urlò Vercingetorige, inghiottendo la
fetta di dolce in un boccone. — Non voglio far la fine della lampada
senza olio !
Mancava un mese all'apertura delle corse, era notte fonda, l'ura-
gano s'avanzava da ponente annunciandosi con sordi rotolii di tuono e
lampi che illuminavano sgarbatamente la terra. Raffiche di vento
scarmigliavano le lunghe ciocche di miss Margherita, sollevando la
sabbia del maneggio coperto in cui ella affondava i piedi nascosti nelle
babbucce di raso azzurro, davanti a Sani Pott. Quand'egli le chiese: —
Ebbene? Siete a buon punto? — ne ebbe piena la bocca.
— Ormai non dubito più del mio successo, — rispose miss
Margherita, stringendosi sul petto la vestaglia rossa, — ho in Tad un
alleato formidabile!
— Tad è vostro alleato? E come mai?
Ella rise sul rotolar del tuono : — Propinandogli la storiella dei
miei studi in medicina, l'ho persuaso che Verci, limitandosi il cibo,
s'avvia a morte certa... Dovreste vederci quando, alle cinque del
pomeriggio, con le lagrime agli occhi lo supplichiamo di accettare il té
con il panino imbottito!
— Siete grande, Margherita! — riconobbe Sam Pott, ammirato.
— Vostra sorella aveva ragione : nessuno può resistervi. E, dite, —
chiese ansioso, — è già aumentato di peso?
— Un po' sì, ma non tanto da imbizzire Perfetto. Da domani
incomincerò a rimpinzarlo di cibi sostanziosi : durante questo mese
deve diventare una palla!
— Bene... e che scoppi, infine! — concluse come di consueto
Sam Pott. La pioggia incominciò a cadere scrosciando : essi corsero
nella notte attraverso il prato in casa.
***
Gazaleh, la gentile gazzella che, secondo la richiesta di
Vercingetorige, divideva la stalla con Perfetto, notò che il suo fiero
compagno tornando dal maneggio si mostrava irascibile. Sudava,
raspava la paglia con l'unghia... Un giorno, credendo di fargli cosa
grata, gli si avvicinò porgendogli con la bocca un po' di fieno, ma

160
esso, rabbiosamente, glielo strappò con i denti sputandolo lontano.
Dopo qualche ora di riposo si calmava, ma guardava ostinatamente gli
angoli bui con l'occhio fisso.
Gazaleh, intuendo che Perfetto soffriva, era preoccupata e ben
più lo diventò il giorno in cui esso rientrò fumigante e bavoso, col
pelame che gli si arricciava a onde sulla schiena.
Il peso di Vercingetorige giorno per giorno lo infastidiva sempre
più; benché per l'affezione che portava al piccolo uomo dalla voce
dolce cercasse di vincersi, sentiva che avrebbe potuto contenersi
ancora per poco: forse domani l'avrebbe rovesciato.
E così fece.
E non una volta sola, ma ogniqualvolta Vercingetorige cercò di
montarlo, quindi, spossato, rientrò nella stalla dove dormì di un sonno
profondo, vegliato da Gazaleh.
Mancavano quindici giorni all'apertura delle corse: Vercingeto-
rige, per cui la cattiva condotta di Perfetto aveva un chiaro significato,
corse alla bilancia negli ultimi tempi sornionamente evitata: la lancetta
girò segnando un aumento di due chilogrammi.
- Ah! — proruppe egli mordendosi il polso che incominciava a
tondeggiare.
Erano giusto le cinque, nella saletta a pianterreno della villa lo
aspettava il consueto té; non appena egli entrò Tad e miss Margherita,
abilissima a sottrarsi alla macchina da scrivere, gli corsero davanti ten-
dendogli due panini abbondantemente imbottiti di arrosto, che il
cameriere non aveva deposto sulla tavola.
— Avete giurato di farmi perdere alle corse, stupidi ragazzi? —•
ruggì Vercingetorige strappando loro i panini e scagliandoli sotto la
tavola. E alla sera, nonostante lo tentassero con un quarto di pollo,
tornò al regime dell'uovo sodo. Dopo il magro pasto si cacciò subito a
letto per ingannare col sonno la fame, ma lo stomaco, abituato a una
maggior quantità di cibo, lo tormentava. Tentò di pensare a Reginella
per cui compiva tanti sacrifici, ma gli appariva con una cotoletta in
mano e un cappelline di budino in testa... oppure gli indicava il pavi4
mento sotto il tavolo della saletta... Cosa c'era sul pavimento? Ah, i
due panini che alle cinque vi aveva gettato!
Balzò dal letto: animato solo dall'istinto della sua rabbiosa fame,
corse sbattendo in qua e in là il fiocco della berretta da notte, nella
saletta, s'insinuò sotto il tavolo, trovò con un bramito di gioia i panini,

161
vi affondò i denti e li mangiò accovacciato sull'impiantito come un
cane.
I giorni seguenti furono di alternative terribili : riusciva quasi a
digiunare durante tutta la giornata, ma di notte doveva alzarsi e
scendere in dispensa « a sottrarre un tozzo di pane per poter dormire »
come si riprometteva.
Ma nella credenza trovava sempre, accanto al pane, qualcosa di
meglio : vitello tonnato punteggiato di capperi, fette di prosciutto
roseo contornato da rotelline di burro biondo, pezzi di pasticcio con
dentro le rigaglie, cacio bavarese dal delicato odore sulla carta
trinata... Vercin-getorige, famelico e stravolto, guardava
quell'abbondanza, mormorando : — Potrei scegliere fra queste buone
cose, ma mi accontenterò di un pezzette di pane...
Lo toglieva dal cestino disponendosi ad andarsene, ma lo tratte-
neva un desiderio: — Perché non vi aggiungerei un cappero, un solo
cappero? — lo aggiungeva, lo assaporava: — Buono! Ma i capperi
stuzzicano l'appetito: perché non assaggerei anche una fettina di pro-
sciutto, la più piccola? E un po' di vitello... un po' di vitello tonnato...
Ah! E il dolce, ora...
Mangiava, mangiava. — Questa è l'ultima scorpacciata, — si
diceva per far tacere gli scrupoli. — Domani il cuoco si accorgerà che
i suoi avanzi vengono manomessi e li chiuderà a chiave.
Invece ogni notte nuovi appetitosi resti della tavola di Sir Barry-
moore, lo aspettavano accanto al cesto del pane, a cui qualcuno ben
immaginava che nella notte sarebbe venuto dopo aver quasi digiunato
per tutto il giorno.
— Ho l'impressione, — borbottava Verci, ben lungi
daU'immagi-nare un calcolo così sottile ai suoi danni, — di trovarmi
in uno di quei Castelli Incantati dove la tavola è sempre apparecchiata.
Mi piacerebbe d'incontrare il Mago o la Fata, to'!
Se fosse tornato sui suoi passi dopo essere salito in camera (dove
i rimorsi e il proposito di non lasciarsi più vincere dall'ingordigia, lo
aspettavano), avrebbe scorto la cattiva Fata che ogni notte gli appron-
tava le vivande, mentre, in vestaglia rossa e babbucce azzurre, riuniva
cautamente gli avanzi in un cesto, al fioco lume che Sani Pott pro-
iettava da una lampadina cieca, per riporli nel frigorifero da cui li
aveva sottratti.
— Ha mangiato molto? — le chiedeva l'uomo in un soffio.

162
— Sì, — rispondeva lei.
— Mancano dieci giorni alle corse, tutti i giorni egli impegna
delle vere lotte con Perfetto per essere sopportato in groppa. Ma il
cavallo, inesorabilmente, lo rovescia. Di quanto sarà aumentato?
— Non so. Ma non di poco, credo.
***
Era aumentato di quattro chilogrammi.
Fu dietro tale constatazione che, ottenuto da Sir Barrymoore il
permesso di recarsi con Tad a visitare Reginella a Piacenza, Vercinge-
torige compì oppresso da pensieri malinconici un viaggio che avrebbe
dovuto essere il suo più lieto.
— Verci, — sospirò miss Margherita che li aveva accompagnati
alla stazione di Lambrate, — siete di cattivo umore. Eppure mangiate
un uovo sodo a tutti i pasti e noi non vi tentiamo più... Che cosa vi
tormenta ancora?
Il nano considerò l'ingenuo volto affacciato fra il collcttino di
pelliccia e il tocco di velluto marrone, il viso ugualmente ansioso di
Tad : — È vero, voi non mi tentate più... — ripetè pensando che essi
certo non immaginavano come egli, ogni notte, si concedesse furtive
scorpacciate mettendo a repentaglio la fortuna di Reginella.
La quale benché sapesse che Verci e Tad, di cui conservava un
vago ricordo materiale, sarebbero arrivati a Piacenza alle undici, si
teneva pronta nell'uniforme festiva a quadretti bianchi e neri, fin dalle
otto, in attesa della signora Paola che doveva condurla alla stazione.
Aveva nove anni, il cappello di paglia trattenuto dall'elastico
sotto il mento, il volto acceso per l'energica lavatura a cui l'aveva
sottoposto. Sfoggiava per la prima volta una borsettina di plastica
rossa, regalatale dalla signora Paola. Che comparve finalmente alle
dieci e mezzo, commossa e ridente: — Andiamo.
— Riconoscerò benissimo Vercingetorige, — chiacchierava la
bambina, percorrendo lesta le tranquille vie di Piacenza, — ha i
pantaloni bianchi e verdi...
— E tu pensi che li abbia ancora, dopo tanti anni?
— Riconoscerò il mio fratellino al berretto rosso...
— A quest'ora ne avrà un altro!
— E allora come li riconosceremo?

163
— Verci è un nano e non sarà difficile distinguerlo fra i viag-
giatori.
— È un nano come il portinaio del mio collegio?
— Più piccolo, secondo la descrizione che Tad me ne fece per
lettera.
— Più nano del portinaio, allora! -- concluse Reginella,
orgogliosamente. Passeggiarono in su e in giù sotto la tettoia della
stazione, finché il treno comparve sbucando dal ponte sul Po, facendo
scintillare gli occhi al sole che ne dorava il fumo candido saliente a
fiotti verso il ciclo. Ancora fremevano a Reginella i capelli presso gli
orecchi per il rapido passare della locomotiva, quando quattro braccia
la strinsero e i baci piovvero fitti su di lei, così che il cappello le cadde
e la gente frettolosa vi passò sopra.
— Reginella! Reginella!
Si sentiva chiamare senza poter veder da chi, perché aveva il
viso premuto contro la spalla di uno dei due arrivati. — Chi sei? —•
chiese al proprietario.
— Io! — rispose Tad, scostandosi. La bambina potè appena
scorgere una svelta figura di adolescente dal capo ricciuto e i denti
candidi, che due baci le chiusero gli occhi e una voce in falsetto che il
cuore con un sobbalzo riconobbe per quella delle ninne nanne e delle
fiabe della prima infanzia, esclamò: — Reginella! Reginella! -- E fin
qui niente di straordinario. Ma poi che diceva? — Perdono! Perdono!
:— Perdono di che? — chiesero Tad e la signora Paola,
sciogliendosi dal loro abbraccio.
— Perdono d'aver mangiato, — rispose il nano, a capo chino.
— Verci! — scattò Tad. — È una mania, la tua! Non è possibile
mangiar meno di tre uova al giorno!
Verci, senza udirlo, considerava teneramente Reginella
sbigottita, le raccolse uno dei guanti bianchi che le era caduto, il
cappello gualcito: tentò di riassettarlo, non vi riuscì, trasse dal
borsellino mille lire: — ...Per comprartene un altro... — disse
insinuandole il foglietto nel taschino dell'uniforme alla marinara. —
Mio agnellino, — si disperò — ti ho rovinata!
Allora sentì una mano leggera posarglisi sulla spalla: — Signor
Verci, confidate a me ciò che vi angustia...
— La signora Paola? La signora Paola che, nelle lettere, diceva
di stimarmi tanto?

164
— Vi stimo ancora.
— Non lo merito, perché io, — confessò, — in queste due
settimane facevo l'eroe di giorno rifiutando i panini che Tad e la buona
miss Margherita mi offrivano, per scendere di notte a rubacchiare in
dispensa, pur sapendo che sarei aumentato di peso e che Perfetto si
sarebbe rifiutato di portarmi. Infatti da due giorni mi rovescia
inesorabilmente. Fra dieci giorni avranno inizio le corse, ed io che
avrei potuto condurlo alla vittoria, non sarò in grado di farlo avanzare
di un passo! Agnellino mio, — si rivolse a Reginella, — ricordati che
per l'ingordigia di questo sciocco nano, tu non sarai una signora... Vi
fu un silenzio.
Tad, sorpreso dalla confessione di Vercingetorige, ma disposto a
confortarlo dicendogli che avrebbero lavorato in altro modo per
procurar da vivere a Reginella, si meravigliò che la signora Paola
tacesse. Forse disapprovava il povero Verci? — Signora, — le spiegò,
— Verci era convalescente; se si lasciava indebolire moriva, me lo
disse miss Margherita; lei ha studiato medicina...
Le locomotive facevano manovra, i campanelli trillavano annun-
ciando treni in arrivo, i viaggiatori si addensavano sulla banchina. —
Usciamo e parleremo, — propose la signora Paola.
La sottile figura nel soprabito blu su cui risaltavano i brevi
capelli biondi, li precedette fino ai giardini pubblici che si aprivano
poco distante, dove sedette su di una panca invitando il nano a
imitarla. — Voi due, — disse a Tad e a Reginella, — fate un giretto.
— I due fratelli si allontanarono lungo un viale ombroso; il sole,
filtrando tra il fogliame, li crivellava di macchie d'oro che mutavano
con i loro passi.
— Verci, — prese a dire la signora Paola, — se io avessi l'età di
Tad, l'età divina che le belle illusioni accecano, vi direi : non importa
se vi siete messo nella condizione di perdere il Premio Eccezionale,
importante è che abbiate curato la vostra salute. Con l'aiuto di Dio non
vi mancherà dell'altro lavoro e... chi sa, un'altra fortuna per voi e per
Reginella... Ma io so, e voi, che avrete press'a poco la mia età, saprete
che gli impieghi non sono molto redditizi e le fortune... rare assai ad
incontrarsi.
— Oh, sì! — sospirò il nano, convinto.
— Dunque, ritengo che sia necessario far di tutto perché la
fortuna che Sir Barrymoore vi offre, non vi sfugga. Confesso che

165
anch'io come voi lo desidero soprattutto per Reginella. Se fosse una
ragazzina, me-diocre non vi farei la proposta... spieiata che sto per
farvi : ma invece è intelligentissima, sono certa che riuscirà nella vita,
se potrà studiare senza preoccupazioni materiali.
- Anche Tad è intelligente, e so che riuscirebbe un buon pittore
solo che io potessi mandarlo all'Accademia!
— E allora Verci, sforzatevi di vincere il Premio per quei due
bambini che il destino vi ha affidato, per quei bimbi che sono come
vostri e che anch'io amo come li amate voi, ormai.
— Avete ragione, — consentì il nano, disperato. — Ma come
diminuire di quattro chilogrammi in dieci giorni?
La signora Paola chinò il viso : in procinto di proporre un nuovo
tormento al povero essere già tormentato dalla deformità, esitò... Il
nano se ne accorse: — Avanti! Dica! Fuori l'idea!
— I bagni turchi. Ogni giorno un'ora. Quindi lunghe passeggiate
coperto di un pesante soprabito.
— E dice che dimagrirò?
— Certamente. Ma, dato la pleurite che avete avuto questa
primavera, e gli strapazzi della convalescenza, temo...
— Non temo niente, io! La vittoria sarà mia! Viva Perfetto!
Morte a Pik Niki
***
Fuori dai giardini passava un tram con sopra scritto: Cimitero.
Non ebbero bisogno di consultarsi per spiccare contemporaneamente
la corsa e balzare sulla piattaforma.
—All'arrivo, — chiese il nano, — troveremo dei fiori e dei ceri
da comperare?
— Sì, — lo tranquillizzò la signora Paola, ritta fra Tad e
Reginella. A un certo punto osservando il ragazzo che le sorpassava
con la fronte il capo, sorrise d'orgoglio mormorando : — Come si è
fatto alto il mio figliolo!
Tad sentì un brivido scuoterlo dalla testa ai piedi : — Ha detto il
mio figliolo?
— Sì, caro.
— Mi è sembrato che la mia mamma mi parlasse. Anche lei, fra
poco, se potesse vedermi attraverso la terra, mi direbbe così.

166
— Ma ti vede! Ti vede! — protestò Reginella, scandalizzata che
lo mettesse in dubbio. — Non sai che, stando là sotto, lei vede tutto e
sente tutto, anche i pensieri? E che se si commette una cattiva azione o
si ha un pensiero cattivo, che è quasi lo stesso, piange? Me l'ha detto
la signora Paola.
Tad ringraziò la signora Paola perché aveva educato Reginella al
bene, mentre Verci gli sussurrava: — Pensa, Tad, come mi troverei
male fra voi tre se avessi continuato a commettere le brutte azioni che
mi proibisti! Ho coltivato davvero, — riconobbe sorridendo, — il mio
cuore come un fiore. E se la tua mamma lo vedrà non avrò da
arrossire.
Vide davvero la morta mamma Graziella, i suoi due figli e il
nano che, raggnippati, mescolavano sulla sua tomba le lagrime? E si
compiacque dei loro cuori puri che le offrivano da esaminare?
— Non dico bugie e studio le lezioni, mamma, — diceva
Reginella.
— Credo di essere stato onesto e ti prometto di esserlo sempre,
mamma, — diceva Tad.
— Signora Graziella, non rubo più, — diceva Verci.
Ma insieme a questi pensieri c'era quello, affannoso, della
signora Paola che, inginocchiata in disparte, accendeva nella
lampadetta di vetro, con dita tremanti, il lume: — Voi che siete
accanto a Dio, illuminatemi : sono crudele spingendo per amore di
questi due bambini, Ver-cingetorige alla vittoria, incurante di minare
la sua vita con bagni deprimenti e strapazzi? — Ascoltò, ascoltò sopra
la terra bruna ravvivata dai fiori e dalle fiammelle, sperando nel
miracolo di una risposta. A un tratto un passerotto tondo e vispo, si
posò sul cippo, per nulla spaventato dalla presenza di quattro persone :
al contrario le guardò a una a una, muovendo a scatti la testolina, poi
spiccò il volo, frullò insistentemente intorno a Vercingetorige stupito,
allargò le ali, s'innalzò nel ciclo, diventò un punto, si confuse con
l'azzurro.
« Ho capito », pensò fiduciosa la signora Paola, rivolgendosi a
colei che col nastro nei capelli stava distesa sotto le zolle : « Tu lo
proteggerai. Grazie! ».
La giornata passò veloce. Presto la sera calò verdolina e
trasparente sulla vecchia città dai palazzi turriti, ed essi si ritrovarono

167
alla stazione in attesa del treno che doveva riportare Verci e Tad a
Milano.
Giunse superbo, sbuffante, e si fermò gemendo da tutti i freni.
Verci e Tad salirono. — Per l'ultima corsa verremo a San Siro! —
promise la signora Paola. — Coraggio, Verci: Dio e la vittoria siano
con voi! Scrivetemi!
— Sì! Sì! Addio, Reginella! Quando mi rivedrai sarò davanti a
sei cavalli in corsa, su di un cavallo bianco!
— Sarai bellissimo! — rispose profondamente convinta
Reginella. Il treno si mosse. I due partenti si sporsero a salutare finché
la svolta del ponte e un'ondata di fumo basso non li cancellò.
***
Verci aveva mantenuto la promessa di scrivere. Seduta sui
gradini dell'ingresso all'Asilo, fra i suoi piccini in grembiule bianco e
azzurro, che si rincorrevano trillando o cantavano nel girotondo, la
signora Paola leggeva:
« il rimedio da lei suggeritomi è efficacissimo. Sono già
diminuito di due chilogrammi e Perfetto incomincia a tollerarmi in
groppa. Ieri, durante il giro di prova sulla pista di San Siro, mi ha
rovesciato soltanto una volta. Ho veduto in questa occasione Pi\
Niì{ nero quanto Perfetto e bianco, ma non magnifico quanto Perfetto
e magnifico. Le corse per il Gran Premio Eccezionale, sono tre : il
cavallo che per tre volte arriverà primo al traguardo, sarà il vincitore.
Prima di domenica avrò perduto, grazie ai bagni turchi, i due
chilogrammi di peso superflui e superstiti, e il Premio Eccezionale
sarà di Sir Earrymoore che sembra pazzo per l'ansia. Ma qui, per un
motivo o per l'altro, tutti sembrano pazzi. Miss Margherita, incurante
delle rimostranze del signor Più che non la trova mai al suo posto, mi
segue fin sulla soglia dello stabilimento dove prendo i bagni, mi
scongiura di non entrare: mio benefattore, mi dice, volete morire? Ho
studiato medicina e so che mangiando poco e sudando molto, morirete
prima di domenica. Al diavolo i suoi studi di medicina! Cioè no. Cara
miss Margherita! La gratitudine la rende timorosa per me... E, sa? Per
sino quel malarnese di Sam Poti si unisce a lei scongiurandomi di aver
riguardo... »

168
— « ...Sam Pott si unisce a miss Margherita scongiurandomi
d'aver riguardo... » ripetè perplessa la signora Paola. — Come mai?
Sam Pott odia Verci. Perché allora si unisce a chi dice di amarlo?
Ma... questa miss, — dubitò, — ama poi davvero Verci? — Un
sospetto, correndo sul ricordo di altre lettere ricevute, si avvicinava
rapidamente a lei, ingrandiva, si faceva intuizione, certezza : — In
fondo è stata lei a toglierlo dal suo regime di fantino, costringendolo
ora, di conseguenza, allo strapazzo dei bagni turchi a cui cerca di
opporsi e che sono la condizione della sua vittoria. Strano, le premure
di questa ragazza portano tutte alla sconfitta di Verci : la sua
insistenza perché mangiasse nel passato... le sue suppliche per
impedirgli di dimagrire ora « a cui si unisce anche Sam Pott». Che
siano compiici? Possibile? Sarebbe enorme! Comunque questa miss
non mi piace, e voglio mandar subito un telegramma a Verci perché
stia in guardia!
Corse al telegrafo, trasmise : « Diffidate di miss Margherita. Vi
tradisce d'accordo con Sam Pott».
La risposta giunse prima di sera : « Miss Margherita è un angelo
Stop Insospettabile Stop Odia Sam Pott Stop Verci e Tad ».

169
XI.

LA PRIMA CORSA

piovigginava su Milano. L'asfalto delle vie rispecchiava i vivaci


colori dei tram, delle macchine e dei manifesti fra cui molti di essi,
gialli, ripetevano : « Domenica, 2 settembre, prima corsa a San Siro
dei partecipanti al Gran Premio Eccezionale ». Era il primo di
settembre, la vigilia. Gli appassionati di corse leggevano, scrutavano il
ciclo : — Se smette di piovere, domani a San Siro vi sarà una gran
folla.
Smise. Calò una lieve nebbia fra la quale una figuretta in imper-
meabile blu col cappuccio rialzato, sgusciò dalla villa periferica di Sir
Barrymoore, rasentò a passo svelto la cancellata stillante d'acqua fino
all'angolo dove si avvicinò a una grande automobile nera, ferma, il cui
sportello si aperse silenziosamente ad accoglierla. Con una breve
occhiata intorno, ella salì. Lo sportello si richiuse, la macchina filò
verso la città.
Due lenti scintillarono nella penembra della vettura:
— Buona sera, Margherita.
— Buona sera, Cunegonda.
— Che nuove ci porti?
- Orribili.
— Credi che Perfetto arriverà primo, domani?
— Ne sono certa.
Non scambiarono altre parole fino a che l'automobile non si fermò
davanti a un imponente palazzo prospiciente il Parco. Era il palazzo
che Thompson Harris abitava a Milano.
— Egli sarà furente, — disse la sua segretaria, mentre salivano lo
scalone dalla rossa guida di panno al centro dei gradini di pietra,
-quando gli riferirai ciò che mi hai detto.
— È la verità, Cunegonda, e non la posso cambiare... se pure non
ho lasciato nulla d'intentato per accontentarlo.
— Vai avanti. È in salotto che ti aspetta.

170
Il rivale di Sir Barrymoore era grasso quant'egli era magro. Le
poltrone di casa sua erano state costruite apposta per contenerlo. Le
due sorelle lo trovarono seduto sotto una lampada che rifletteva la luce
nella tersità del suo cranio calvo. Sam Pótt gli era ritto accanto. Tutti e
due apparivano preoccupati.
- Dunque, — apostrofò amaramente il ricco americano, miss
Margherita che gli stava davanti, — domani Perfetto giungerà primo
al traguardo. Me lo assicura qui Sani Pott.
— Ho assistito a San Siro alle corse di prova — confermò l'alle-
natore sordamente, — Perfetto galoppava come se avesse avuto le ali!
— E così, sentite? - - chiese Thompson Harris, tagliente. — Voi
mi avevate garantita la vittoria, bella miss!
— Eccellenza, — si permise di ribattere rispettosamente la
ragazza, chi poteva pensare che quel pazzo di un nano rischiasse la
pelle perdendo in dieci giorni i quattro chilogrammi che ero riuscita a
fargli acquistare in due mesi?
— È inutile, — tagliò corto il voluminoso personaggio, con voce
irritata, — perdere ora del tempo in discussioni e parlar del passato : al
contrario vi ho riuniti qui per vedere che cosa si può fare, oggi, ai
danni di Barrymoore. Se è certo, come Pott dice, che Perfetto vincerà
la corsa di domani, è altrettanto certo che, per Pik Nik, cioè per me, il
Premio Eccezionale è perduto. Si tratta perciò, ormai, non di far
vincere Pik Nik, ma di far perdere a Perfetto almeno una delle tre
corse, in modo che se il premio non toccherà a me, non tocchi
nemmeno a quella vecchia giraffa di Barrymoore. Capito? Ed ora
andatevene, — ordinò senz'altro, — e: ricordatevi Sani Pott, miss
Cunegonda, miss Margherita, — scandì le sillabe, — se non riuscirete
ad impedire la vittoria completa di Perfetto, non comparitemi mai più
davanti!
Tre tacite riverenze gli risposero, e subito i passi riguardosi dei tre
congedati si perdettero nella lontananza delle altre sale.
La nebbia era aumentata. Nella gran macchina nera che guardinga
si faceva strada fra i veicoli, per riportare Sam Pott e miss Margherita
nei pressi delle Scuderie Barrymoore, miss Cunegonda si lamentava
piano: — L'hai sentito, Margherita? Se Perfetto vince, non ci vuoi più
vedere, io stessa perderei il mio posto di segretaria, un posto che ho da
vent'anni e con uno stipendio che solo Thompson Harris può dare! E
voi stessi : non vi darebbe nemmeno un soldo per quel che avete fati-

171
cato finora nel tentativo di rovinare quel maledetto nano! Oh, povera
me, poveri noi! Sam Pott soccorreteci col vostro consiglio! Margherita
trova tu un'idea che ci cavi d'impiccio!
Margherita si drizzò sui cuscini, si scostò i capelli dal viso, proferì
fredda e sicura: — L'ho trovata: seconderò Vercingetorige nei suoi
sforzi per mantenersi magro, lo indurrò ad esagerare con i bagni e il
digiuno così si ammalerà... e il resto è chiaro. Perfetto verrà ritirato
dalle corse perché non si lascerà montare da nessun altro fantino!

***

La prima domenica di settembre sorse limpida. Gazaleh, solitària


nel box di Lambrate, vide brillar l'aurora attraverso l'inferriata della
finestra senza sapere che era l'aurora della prima vittoria di Perfetto. Il
quale, nel suo box a San Siro, fiutava al pari dei cavalli generosi chiusi
nei box vicini, odor di battaglia e raspava la paglia nell'impazienza di
misurarsi.
Giunse il pomeriggio. Il terreno intorno fremeva per l'incessante
arrivare delle automobili, il clamore della folla che si riversava nell'Ip-
podromo, giungeva ai sensibili orecchi di Perfetto pari al ruggito di
una bestia grande come il mondo.
Il fremito e il clamore lo irritarono e, prevedendo che l'avrebbero
condotto ad affrontarli, decise di concedere un simile favore soltanto
al suo amico nano. Perciò quando un'ora prima della corsa, Sir Barry-
moore apparve sulla soglia del box, Perfetto fece un risolino alzando il
labbro superiore sui denti giovani, mentre pensava : « Non sarà costui,
per caso, che pretenderà di condurmi fuori? ». E, a buon conto, per
togliergli ogni illusione, gli misurò un calcio.
— Oh! Oh! — borbottò Sir Barrymoore. •— Mi sembra assai
nervoso, il cavallo: brutto segno. Che ne dite, Vercingetorige? —
chiese preoccupato al nano che gli veniva dietro.
— Oh, è solo perché non gli piacete! — lo tranquillizzò costui.
— Come vi permettete? — sussultò Sir Barrymoore volgendogli
sdegnato.
— Oggi mi permetto tutto, — spiegò Vercingetorige, noncurante,
— perché sono indispensabile, come lo sarò per due settimane ancora.
Non potete mandarmi via e così dico quel che voglio. Sicuro, voi non
gli piacete ed io gli piaccio. Vero, Perfetto?

172
Perfetto scosse il capo in su e in giù nitrendo. Per caso, natural-
mente, ma l'effetto fu come se assentisse.
— Anche il cavallo, adesso? — s'inalberò il vecchio signore. •—
Come osa...
— Osa perché anche lui si sente indispensabile. Ma andiamo,
Perfetto, non perdiamo altro tempo: esci, su via... — Lo trascinò per la
briglia, sulla soglia Perfetto s'impuntò investito dal clamore che da lì
si udiva più forte. — No, no, non far così, bello : è soltanto gente che
grida e più griderà quando avrai vinto la corsa. Ti devi abituare...
avanti, su, bello.
Gli scommettitori si agitavano davanti agli sportelli, il nome di
Pik Nik risuonava alto. Sir Barrytnoore si addossò a Vercingetorige
come un bambino spaurito. Evidentemente sui campi di corse
diventava tutto un altro dal freddo signore che era di solito. — Li
sentite, Vercingetorige? Guardate come tutti si affollano intorno ai
bookmakers, scommettendo su Pik Nik!
— L'importante è che perdano. — Verci chiamò con un cenno
Tad che appariva allora: — Vieni qui tu, tieni il cavallo, che vado a
vestirmi. E voi, signor Pitt, con rispetto parlando, - - lo rimproverò
seriamente, — piantatela di far l'uccello di malaugurio.
Un barlume della consueta dignità fece scattare Sir Barrymoore :
— L'uccell... Incredibile! — Ma subito si curvò mite, remissivo verso
il nano: — Però se credete che, davvero, con il mio nervosismo vi
porti sfortuna... io mi allontano.
— Ecco, bravo, andate un po' a spasso. E tu aspettami, Perfetto:
mi rivedrai fra un attimo, bello come il sole. — Ricomparve in una
morbida giubba di lucente seta rossa e verde, pantaloni candidi a
sbuffo, gambali neri: i colori di Sir Barrymoore: — Eccomi, che ne
dite? -chiese indiscriminatamente a Tad e al cavallo.
— Stai proprio bene, Verci, — rispose Tad con una voce afona
che non gli ubbidiva.
- Perfetto non dice nulla e chi tace conferma, — tentò un ultimo
scherzo il nano. Ma subito si fece serio, accostò il volto al fine muso
del cavallo, gli parlò contro il morbido naso rosa : — Ora basta,
Perfetto, adesso c'è la corsa che ci attende e bisogna pensare solo ad
essa: alla corsa da vincere, Perfetto. « Tu » la devi vincere... per « me
» ! Devi dimostrarmi la tua amicizia vincendo, — gli parlava ad occhi
chiusi, intensamente, convinto che il cavallo capisse; e Perfetto,

173
immobile, ad occhi socchiusi, con un fremito che lo attraversava di
tanto in tanto quasi il nano gli trasmettesse il suo pensiero come una
corrente, pareva che capisse, — devi ricambiare il mio affetto
vincendo, devi compensare... — si guardò le lunghe mani scarne per i
digiuni, diafane per i bagni, — gli innumerevoli sacrifici che ho fatto e
che faccio per secondare il tuo capriccio del peso, vincendo! Vero che
vincerai, Perfetto? Dimmelo!
Il silenzio rimase intatto fra lui e il cavallo. Verci crollò le spalle
senza che la sua aria fiduciosa venisse meno : — Non hai compreso
quel che ti chiedo, anche se hai capito che ti chiedo qualcosa. Non
importa : lo capirai sul campo, quando ti sentirai in gara con gli altri
cavalli, quando mi vedrai in lotta con gli altri fantini. Ho fede in te,
Perfetto. Non ti dico altro, non perdiamo altro tempo : io vado al peso,
dammi sella e briglia, Tad.
— Sei pallido, Verci... — notò il ragazzo, ansioso.
— Sciocchezze! Bada al cavallo.
Tornò, gli mise la sella e la briglia, gli montò in groppa : — Op,
Perfetto, — comandò brevemente. - - Una passeggiatina prima che si
aprano i cancelli, per distenderti i nervi. Avanti: calmo... Calmo...
Sospinti da due inservienti, i grandi cancelli della pista si spalancarono
: con un lieve tocco di sprone, Verci vi diresse il cavallo : -Op.
— Verci! Ti senti male, Verci? — gli chiese Tad, correndogli
accanto.
— Taci, — gli ingiunse seccamente il nano, stringendo i denti
sull'onda di debolezza che gli era salita al capo e parandolo via col
frustino senza guardarlo. Tirò le redini: Perfetto voltò superbo ed entrò
nella pista erbosa in faccia all'immenso pubblico che orlava lo
steccato, gremiva le tribune, punteggiato da giornali, ventagli, cappelli
in movimento contro il caldo, come da alette.

L'impressione che ne ricevette fu enorme. Benché Vercingetorige


lo avesse già messo in contatto col pubblico con corsette d'infima
importanza, non ne aveva mai visto uno così imponente e,
impressionato, si levò sugli zoccoli posteriori tentando di retrocedere.
Tad, appoggiato febbrilmente allo steccato accanto a miss Margherita,
represse a stento un grido. Ma il nano, cui l'importanza del momento
dava un sangue freddo straordinario, parlò curvo fra i crini setosi, e il
cavallo, scartando solo di tanto in tanto a un richiamo, al colore vivace

174
di un vestito, raggiunse la linea di partenza. E quando fu allineato
insieme a cinque cavalli di cui avvertiva benissimo l'impazienza di
slanciarsi, di misurarsi, di vincere, le anime eroiche dei suoi nobili
antenati gli tumultuarono nel sangue e non pensò più a nulla, fuorché
alla decisione di non tollerare la sola punta di un naso davanti al suo.
Nitrì ad avvertire i compagni della decisione presa, ed essi tremarono
riconoscendo al nitrito selvaggio il competitore imbattibile, raccolsero
disperatamente le forze per provarle contro di lui, sia pure senza
speranza, ma nessuno osò rispondergli... se non, dopo un istante di
sbigottimento, un cavallo nero dal grande occhio infiammato.
Perfetto squadrò l'audace; in quel momento il nastro che li tratte-
neva si alzò e il cavallo nero, più pratico di lui, prese lo slancio, si
distaccò dal gruppo radendo la terra.
— Pik Nik! Pik Nik! — urlava la folla in lontananza, guardando
nei cannocchiali.
E Perfetto? Era rimasto immobile, inebetito che cinque cavalli da
esso reputati fango, avessero osato di sorpassarlo.
Flettendo le ginocchia nervose, prese lo slancio; Vercingetorige,
prevedendo la raffica che lo avrebbe portato via, si appiattì su di esso :
lo steccato, la folla, le nubi del ciclo, le bandiere alte sui pennoni, ben
distinti ai suoi occhi un momento prima, si trasformarono a un tratto in
sgorbi orizzontali, mobili, vertiginosi; le groppe dei cavalli che lo pre-
cedevano, le giubbe vivaci dei fantini curvi su di essi, ingrandirono, si
dileguarono; il nero Pik Nik in testa a tutti, non fu che una freccia che
si perdette dietro di loro, le tribune una gran nube che, appena apparsa,
dileguò, il traguardo la traccia di un attimo subito sorpassata...
Alla fine del terzo giro Perfetto si fermò bruscamente voltandosi
ad aspettare, fumante, a zampe larghe, gli altri. E quando arrivarono
mostrò loro i denti, specie a Pik Nik che, incredibile, lo ricambiò!

Gli applausi scrosciarono, le domande s'incrociarono: — Chi è?


Chi è? È Perfetto, delle scuderie Barrymoore... È la prima volta che
corre! Urrah! Viva! Accidenti a Pik Nik! Per causa sua, oggi si son
perdute centinaia di migliaia di lire... Perfetto? Quale Perfetto? Quanti
anni ha? È un diavolo!
Allora fu visto un dignitosissimo inglese senza collo perdere la
dignità, lanciare in aria il serio cappello grigio, mentre miss

175
Margherita, solitària presso lo steccato, concludeva così le proprie
riflessioni:
— È indubbio che quell'accidente vincerà tutte e tre le corse... se
corre! Qui c'è da incominciare subito a lavorare il nano senza perder
tempo, o se no non becco un soldo da Thompson Harris... — Si
slanciò, sottile figuretta azzurra dall'aspetto gentile, mettendo un
dolcissimo sorriso negli occhi pur dianzi biechi e sulle labbra
contratte, verso l'uscita dei fantini; facendosi largo fra la ressa che
attorniava Vercingetorige, lo raggiunse, gli appoggiò il capo luminoso
sulla spalla dove il sudore incollava la giubba:
— Perfetto è stato splendido! E voi siete stato meraviglioso! Oh,
Verci, ora capisco perché non escludete nessun sacrificio pur di
conservare il vostro peso! Ero veramente sciocca portandovi da
mangiare! Ma d'ora innanzi, invece, vi aiuterò a dimagrire, purché il
premio sia vostro!

***

Ma già ai primi tentativi dovette convincersi che le sarebbe stato


impossibile raggiungere lo scopo d'indebolire il nano fino a
costringerlo a letto, perché alla sua proposta di un bagno turco
supplementare, Verci le tirò indulgentemente il ganascino :
— Grazie della vostra premura, miss, ma io, pur non avendo stu-
diato medicina, capisco che continuando a sudare perderei col peso la
salute... La quale mi è ora più che mai necessaria. E così ho deciso
non solo di sospendere i bagni, ma di aggiungere una leggera merenda
ai miei magri pasti!
— Oh, vi prego...! — Ma mentre tentava d'impedirgli di
rafforzarsi, balenò a miss Margherita un mezzo più sicuro per
perderlo, e si adattò remissiva : — Sì, forse, Verci, avete ragione voi.
— Ma certo, bambina che siete: so come regolarmi, non temete.
La vittoria sarà mia.
— Non ne dubito, Verci, ed io sono proprio una bambina volendo
cacciare il naso nel vostro regime che voi sapete dosare tanto bene.
Però se sono una bambina, — vezzeggiò capricciosa, — sabato sera
dovete condurmi al cinematografo!
— Vi dimostrate nuovamente una bambina, — osservò Vercinge-
torige, indulgente e affettuoso, — chiedendomi questo : dimenticate

176
che sabato è la vigilia della seconda corsa, e la vigilia delle corse i
fantini debbono andare a nanna presto. Vi condurrò al cinematografo
venerdì, se volete.
Lei parve riflettere un attimo: — Sì... sì... naturalmente... è lo
stesso... — Si riprese sorridendo, con i suoi azzurri occhi fissi nei
grandi occhi scuri e fiduciosi del nano: — Voglio dire: d'accordo!
— D'accordo.
Il giorno seguente la ragazza saliva, leggera, frettolosa, la rossa
guida del grigio scalone di casa Thompson Harris. — Miss
Cunegonda ? — chiese al cameriere che aperse al suo impaziente trillo
di campanello.
— Nel suo ufficio, miss, prego. — Egli la precedette negli uffici
amministrativi della casa, dove miss Cunegonda sedeva depressa
davanti a lettere da evadere, fatture e registri.
— Sei tu, Margherita? — chiese alla sorella che le stava davanti
con le mani puntate sul piano della scrivania. — Hai visto che vittoria,
ieri, quel maledetto cavallo? Thompson Harris è furente. Che cosa
vuoi?
— Ho un'idea!
— Purché sia la buona! — sospirò miss Cunegjanda. — Ma non
avevi già in programma di ridurre a letto il nano consigliandolo di
esagerare con i bagni?
— Nulla da fare. Non ne vuoi sapere.
La sorella scattò su spaventata, tenendosi gli occhiali: — E allora?
— Stai tranquilla, — sorrise maliziosamente Margherita. — Gli
ho strappato la promessa di condurrai al cinematografo venerdì,
l'antivigilia della seconda corsa!
— Ebbene? E con questo?
— E con questo, — spiegò Margherita il cui sorriso divenne
freddo, crudele, — Bill, l'autista di Thompson Harris, si camufEerà da
teppista, ci aspetterà allo svolto di una viuzza quasi sempre deserta da
cui dobbiamo passare : appena ci scorgerà si precipiterà sul nano
scaricandogli addosso una dose di pugni tale da costringerlo a letto per
un mese, bagni turchi o non bagni turchi... poi gli ruberà il portafogli,
l'orologio, per dargli l'illusione di essere stato aggredito a scopo di
furto.
— Magnifico! — approvò febbrilmente miss Cunegonda per cui
ora non si trattava più della vittoria di Pik Nik o di Perfetto, ma di

177
conservarsi un buon impiego che stava per sfuggirle. Suonò il campa-
nello : — Chiamo Bill per prospettargli la sua parte.
Bill arrivò enorme con gli occhi sporgenti, il collo taurino, il
torace potente: — Cosa desiderate, miss Cunegonda? Buona sera, miss
Margherita.
— È mia sorella che ha qualcosa da dirvi.
Bill le volse stupito la sua gran persona : — Voi mi dovete
parlare, miss Margherita?
— Infatti — confermò questa. E proseguì chiara, precisa. —
Ascoltatemi bene, Bill...

***

Bill ascoltò bene e la sera del venerdì seguente, irriconoscibile in


un abito malandato, col berretto floscio calato sugli occhi e una
sudicia maglia a righe, si appostò nella solitària via periferica che gli
era stata indicata, in attesa che miss Margherita e Vercingetorige vi
comparissero verso le undici come erano rimasti d'accordo.
Infatti alle undici, miss Margherita e il nano uscirono dal cinema-
tografo nella prima lieve nebbiolina notturna. Verci rideva ancora :
aveva assistito a una comica in cui il piccolo Charlot lottava con un
gigante, e si era divertito un mondo.
— Un capolavoro di scena quella di Charlot e il lottatore! —
riandava col pensiero ammirato, essendo anch'egli un clown ed
apprezzando perciò le scene comiche fin nei più sottili particolari.
- Veramente comica! — finse di ridere Margherita in realtà tutta
tesa a ciò che fra poco sarebbe accaduto.
— È piaciuta anche a voi, vedo. Io ve lo saprei rifare, perché son
stato pagliaccio e non dei peggiori: il bastoncello di bambù come
quello di Charlot ce l'ho, — levò il bastoncello da cui mai andava
diviso, — ma mi manca il lottatore. — Infilavano in quel punto la
viuzza. prestabilita per l'aggressione. Il nano sussurrò colpito : — Oh,
guardate! Quel tipo laggiù, grosso come un bue, con la maglia a righe!
È l'uomo adatto. Se mi provocasse, vi combinerei una scenetta...

178
.Vercingetorige lanciò il suo bastoncino fra le gambe di Bill... (Capitolo XI).

179
Effettivamente un uomo grande e grosso che faceva scoppiare la
sua maglia a righe, si avvicinava fischiettando e dondolando le spalle.
Il nano, quando la distanza fra di loro fu poca, girò comicamente e
improvvisamente al largo, alla maniera di Charlot, così che Bill, il
quale contava di aggredirlo proprio in quel momento, si vide sfuggire
il bersaglio.
Con un balzo di fianco tentò di ghermirlo, ma non riuscì ad
afferrare l'agilissimo saltimbanco.
— Oh! Oh! — Avvertì questi, felice: — Attenta, miss! L'omac-
cione si presta alla commedia... Vi ricordate la scena del secondo atto?
Ve la rifarò tale e quale! Venite avanti, voi, se ne avete il coraggio,
mingherlino!
— Non hai bisogno d'invitarmi a farlo, scarabocchio! — ruggì
l'altro. — Ora ti spiaccico!
Si slanciò e, nonostante il suo cuore di ghiaccio, la crudele
ragazza che aveva combinato la scena da Verci ritenuta improvvisata,
chiuse gli occhi al cieco avventarsi del gigante furente sul nano, così
non vide la destrezza con cui Vercingetorige lanciò il suo bastoncino
fra le gambe di Bill il quale cadde tanto malamente da storcersi una
caviglia.
— Ohi! — le giunse un urlo disumano insieme a un tonfo. Strinse
più forte le palpebre per non vedere Vercingetorige a terra, pesto e
sanguinante. — Bill... — mormorò sentendosi scuotere per un braccio.
— Che dite, miss? — chiese la voce del nano.
- Come? — Ella sbarrò immediatamente le palpebre: — Siete «
voi » ? ? ?
— E chi doveva essere? — si pavoneggiò Verci, spaccone. —
Quello là, forse? Ce ne vorrà prima che si rialzi! Avete visto? Faceva
sul serio, il mascalzone. Chi lo avrebbe immaginato?
— La mia caviglia... aiuto... ah! — gemeva Bill, impotente ad
alzarsi per la sua mole.
— Ben vi sta, pigmeo, — non seppe reprimersi Verci dal fargli
un sermoncino. — L'avventura di stasera vi serva di lezione a cercar
di attaccar briga con i vostri pari, un'altra volta!
Col tallone gli raspò sopra, all'usanza di Charlot, un po' di polvere
della strada, quindi si allontanò camminando con le punte delle scarpe

180
in fuori, mulinando con una mano il bastoncino, trascinando con l'altra
la miss che il furore rendeva muta.

***

Due giorni dopo la vittoria fu ancora di Perfetto : soltanto due


settimane e una vittoria ancora, lo dividevano dalla conquista del Gran
Premio Eccezionale.
Riuniti in un caffeuccio dove nessuno li conosceva, Sam Pott,
miss Cunegonda e miss Margherita, conclusero un lungo complotto
fatto a bassa voce : — Immaginatevi, data la fama che Perfetto si è
acquistata, quale onore si farà il cavallo che riuscirà a batterlo! Quel
cavallo sarà Pik Nik! A domenica.
Per domenica, miss Margherita si era impegnata a giocare l'ultima
carta.

181
XII.

L'ULTIMA CARTA

LA DOMENICA del Gran Premio Eccezionale sorse serena, ma


nessun viso tra l'enorme folla che stipando i tram e le automobili
aveva invaso San Siro, era sereno. Somme pazze erano state puntate
sulla vittoria finale di Perfetto: e se il cavallo, per un incidente
qualsiasi, fosse rimasto sconfitto? Molta gente era radunata intorno al
recinto della passeggiata per vederlo quando, fra poco, vi sarebbe stato
condotto. La signora Paola, Reginella e Tad, smorti, muti, aspettavano
Vercinge-torige fuori dal peso. Sir Barrymoore, insieme al fedele
signor Pitt, si era rifugiato sul terrazzo sovrastante le tribune e là,
noncurante del sole che lo dardeggiava e del ridicolo fazzoletto
spiegatogli sul cappello dal suo segretario per difenderlo da esso, si
contava e ricontava le dita, segno in lui della massima agitazione.
Frattanto al posteggio delle macchine, nel segreto di una grossa
automobile gialla dalle tendine calate, una meravigliosa ragazza ve-
stita di bianco, con una leggera cuffietta di pizzo sui riccioli biondi,
riceveva dalle mani di un signore mastodontico una sottile cartina ri-
piegata: — Mancano venti minuti alla corsa. È tempo che cerchiate il
nano, miss Margherita, e che lo invitiate a bere... col pretesto di pro-
piziargli la vittoria. Non appena, nella confusione del bar, vi conse-
gneranno la bibita, vi scioglierete dentro, di nascosto, questa polverina
che lo farà dormire in sella... — Sogghignò malignamente : — È certo
che Perfetto non potrà proseguire con quel peso ciondolante sulla
groppa, e Pik Nik arriverà primo al traguardo, oggi, finalmente,
impedendogli di coronare le due vittorie precedenti!
— Non dubitate, — annuì rapidamente la ragazza, stringendo la
cartina nel pugno, mettendosela in tasca, — tutto andrà secondo il vo-
stro desiderio.
Uscì come un'apparizione dalla grande macchina, guardò l'ora:
era tempo. Corse attraverso la folla alla ricerca del nano.
— Perfetto! — Perfetto! — gridavano gli scommettitori affollati
intorno ai bookmakers. Non si era mai vista una giornata simile a San
Siro. L'aria era piena di elettricità come all'inizio di un temporale. La

182
signora Paola, stretta al braccio di Tad, tremava : e se Perfetto, per una
causa qualsiasi, avesse deluso tante speranze ? Improvvisamente, qua-
si il presagio del tradimento che si appressava le avesse attraversato il
cuore, chiese: — E quella miss Margherita? Come mai non si vede?
- È sensibilissima. Si è rifiutata di uscir con me, ha voluto rima-
nere a casa temendo di non sopportar l'ansia di veder vincere Perfetto.
Ma... eccola! Si è decisa, viene! — esclamò Tad indicando una chiara
figuretta che emergeva affannosa dalla ressa.
— Tad! — chiamò la ragazza, senza badare alla signora Paola e
a Reginella che non conosceva. — Dov'è Vercì?
— È lì! — rispose Tad, additandole il fantino che usciva allora
dal peso.
— Ali right! — gridò la fanciulla agitando le mani alzate verso
di lui, con un sorriso tripudiante. — Andiamo a bere alla vostra vitto-
ria, Ver ci!
Tanto suadenti e scintillanti erano gli occhi della sua giovane
amica, che a Vercingetorige parvero l'immagine stessa della fortuna.
Per quanto il tempo stringesse, superstiziosamente non volle rifiutarsi
al brindisi propiziatore, e in fretta, insieme alla fanciulla, si diresse
verso il bar il cui tendone a righe rosse e gialle, teso ad ombreggiarne
l'ingresso, si vedeva da lontano.
Impulsivamente, traendo la bambina per mano, la signora Paola
li seguì.
— La vuoi conoscere? — le chiese Tad che le correva al fianco.
— Com'è bella, vero? Ed è buona quanto è bella. Non è vero che, ora
che l'ha vista, non la sospetta più cattiva?
— Zitto! — gli ingiunse la signora Paola, tutta posseduta dai
suoi cattivi presagi sul conto della ragazza dai capelli d'oro che, a
pochi passi da lei, riceveva dal barman, tendendo le braccia candide e
gentili sopra le spalle della gente che le stava davanti, un bicchiere
stillante frescura, colmo di una rossa bibita. Di scatto si fece piccina
dietro un giovanotto che la divideva da Verci, dal pugno socchiuso
lasciò scivolare qualcosa nel bicchiere in cui rimestò rapidamente col
dito, vigilando la breve operazione con un viso duro, intento, in cui si
sarebbe stentato riconoscerla.
Si drizzò mutata, porse sorridendo il bicchiere al nano, che da-
vanti a lei, insieme con Tad, non aveva visto nulla:
— A voi!

183
Verci lo prese, l'appressò alla larga bocca sorridente, trangugiò
un lungo sorso... Ma che succedeva, a un tratto? Cos'era quello
scompiglio? Il bicchiere gli era stato strappato di mano, vedeva
accanto a lui gli occhi sbarrati della signora Paola che prima non c'era,
la sua bocca aperta che gli gridava qualcosa disperatamente, la
cuffietta di miss Margherita che cadeva, i suoi capelli di seta che si
scioglievano alle scosse furiose di Tad, e, soprattutto, sentiva un gran
male al cuore, come per un colpo ricevuto, eppure nessuno, nonostante
il trambusto che gli cresceva intorno, l'aveva colpito, urtato.
— Che succede? Che c'è? — si chiedeva la gente.
— È il fantino di Perfetto che sta litigando.
— Litigando? È il suo stalliere che litiga. Lui mi par che stia
male, invece! Non vede che vacilla?
— Un bel guaio, se sta male! Milioni, oggi, si perderebbero, per
causa sua, con tanta gente che ha scommesso su Perfetto!
— Che avete detto? Sta male il fantino di Perfetto?
— Pare di sì, maledizione!
— Ehi, tenetevi su, Sansoni! Coraggio, Vercingetorige!
Tad abbandonò con una spinta miss Margherita : — Con te
faremo i conti dopo, vipera! Su, su, Verci... — Corse al nano
addossato al banco del bar, cingendolo col braccio.
— Bada come parli... — tentò di ribattere miss Margherita,
sfrontata. Poi, siccome tutta quella gente eccitata dal timore di una
prossima perdita, la guardava, preferì sgusciar via nella tema che Tad
la indicasse chiaramente per la causa di ciò che stava accadendo.
Ma Tad, ormai, non badava più a lei, scrutava gli occhi di Verci
che si stravolgevano mostrando il bianco: — Che ti senti, Verci?
— Ho son...no... — spiccicò il nano.
— Ah, era un sonnifero, dunque! — esclamò la signora Paola
che gli teneva il polso, mentre un tale in giubba di pelle e gambali si
avvicinava facendosi largo d'autorità:
— Sansoni! Siete qui! Finalmente vi trovo! Mancate solo voi! È
l'ora! Presto sul campo con gli altri!
— Vengo... — si sforzò di rispondere Verci, scotendosi dal tor-
pore che pian piano lo invadeva.
— Cammina, — gli sussurrò Tad, mentre la ressa si fendeva
premurosamente davanti a loro come davanti alla speranza, —
t'accompagno io, fin che posso...

184
E via verso il box Verci si lasciò condurre, mentre nel primo
grossolano ristabilirsi dell'ordine nelle sue idee lievemente ravvivate
dall'aria aperta, gli risuonava nel cuore ciò che l'aveva percosso e fatto
dolere, il grido con cui la signora Paola gli aveva strappato il
bicchiere: — Non bevete! Miss Margherita vi ha tradito! Vi ha
disciolto qualcosa...!
Infatti la testa gli girava sempre più e fu con passo legato che
giunse al box. Posta con difficoltà la sella, con uno sforzo ritrovò
l'agilità di salire a cavallo: l'ultima cosa che vide chiaramente fu la
macchia scura lasciatagli sulla giubba dal liquido versato: il segno del
tradimento.
— Quella ragazza... — mormorò. — Le volevo bene... come... a
te...
— Non pensare a queste cose, Verci! — lo supplicò Tad. —
Stai diritto! No... non così... Non ce la fai! — si disperò il ragazzo
infilandogli nella staffa un piede che ne sfuggiva. — Tu dormi!
Sopraggiunge, frettoloso, un signore tutto vestito di grigio, col
binocolo a tracolla: — Qualcosa che non va, qui? State male, Sansoni,
ho sentito dire. Volete ritirarvi?
— No! No! No! — gli rispose Tad. — Non si ritira! Corre! Non
ti ritirare, Verci!
— Zitto tu. È lui che deve rispondere. Che decidete, Sansoni?
— No, ispettore, corro, — rispose Verci che l'aveva
riconosciuto, frustato dalla sua autorevole presenza e dalla sua
richiesta.
— Come volete. Ma andate, allora. È tempo. La folla è
impaziente e si aspetta solo voi.
— Op, Perfetto, — obbedì Vercingetorige.
L'ispettore acciuffò Tad per il colletto: — Sta' qui, dove corri?
Non vedi che entra in pista?

***

E Vercingetorige fu, col cuore sanguinante per il disinganno, la


mente ottenebrata dai fumi del sonnifero, schierato per l'ultima corsa.
La campana suonò, Perfetto partì.
« Se m'addormento è la rovina... Se m'addormento è la rovina»,
pensava incessantemente il nano cercando di tener sollevate le

185
palpebre grevi. Non avvertì il via, né lo scatto di Perfetto, né la corsa
veloce. Solo, a un certo punto, s'accorse con terrore di essere reclino
in sella come su di un letto, che fra poco sarebbe caduto.
Perfetto, disturbato da quel peso morto, rallentò.
La folla urlò in lontananza, l'ansito di Pik Nik si fece udire, il
suo muso nero grondante bava e sudore, comparve a fianco di Perfetto
che nitrì per il furore di non poter correre a suo agio.
Passavano allora davanti alle tribune. Dallo steccato Verci udì
distintamente in un grido deluso: — Pik Nik! Pik Nik! Forza, Perfetto!
Forza! — E poi, disperatamente: — Perfetto perde terreno! Perde
terreno!
— No... che non lo deve perdere... non lo perderà... — rispose
Verci senza parole, nello sforzo di sollevare con tutta la sua volontà le
membra di piombo.
Udiva il breve, secco incitamento del fantino di Pik Nik, appena
dietro di sé, il suo incalzante galoppo: — Op, Pik Nik! Dai! Dai! Dai!
Verci riuscì a rizzarsi: il cavallo, ristorato, volò distanziando Pik
Nik.
— Forza, Perfetto! Forza! — supplicava il nano, con parole che
erano un ansito, tradotte in un boato dalla folla trepidante:
— Perfetto! Perfetto! Riprende! Riprende! Forza, Perfetto!
— Op, Pik Nik! Op! — si udì ancora, furiosamente, ma il risuo-
nar della voce e il rumore degli zoccoli commisto ad essa, si
perdevano.
— Perfetto! Perfetto! — II grido della folla si alzava ormai
sicuro. In quel mentre le tribune che apparivano nel giro per la
seconda
volta, divennero agli allucinati occhi del nano un immenso
mulino roteante, e lo steccato simile a un ubriaco vacillante in qua e in
là, che ora si metteva di traverso sulla pista. Bisognava far scartare
Perfetto perché non vi urtasse contro! Tirò d'impeto le redini, il
cavallo voltò verso di lui la testa, furioso; le rallentò... Forse il
sonnifero gli dava quelle visioni strambe?
E cos'è la macchia nera, enorme, che lo sopravanza? Ma no, non
è enorme: è Pik Nik. Li ha raggiunti senza che lo sentisse, li ha
sorpassati ed egli è coricato sul collo di Perfetto.
Perfetto che si scrolla rabbioso, perde il galoppo.

186
Verci s'irrigidì, sbarrò gli occhi lottando col sonno come il nau-
frago con le onde: ancora una volta gli riuscì di drizzarsi: immedia-
tamente sentì il cavallo scattare sotto di sé.
— Dobbiamo raggiungere Pik Nik! Via! Via! Perfetto! Perfetto
volava.
— Così! Così! Avanti! Av... — D'improvviso non vide più
nulla, si riattaccò istintivamente alla criniera del cavallo che reagì con
un nitrito di selvaggia ribellione, a cui Verci rispose addentandosi
altrettanto selvaggiamente il labbro per vincere il sonno col dolore. Lo
vinse : aveva trovato il rimedio buono. Esultò. No, non avrebbe più
dormito, ormai, e il traguardo non era lontano: — Ce la faccio,
Perfetto! Non temere! Dai! Dai! Dai! Ecco Pik Nik! Dai, dai,
sorpassalo, sorpassalo! Così!
Il cavallo tutto bianco e il cavallo tutto nero, procedevano ora
strettamente affiancati, il battere dei loro zoccoli era sincrono, gli
affannosi incitamenti dei fantini si mescolavano:
— Op! Op! Op! Pik Nik! Via! Via! Via! — La secca voce si
ruppe esasperata: — Di più... di più... di più, bestiaccia! Via! Via!
Via! Op! Op! Op! - - Ma già il galoppo di Perfetto emergeva
sull'altro come la voce fievole, stridula, ma animata da una volontà
disumana del suo fantino:
— Via! Via! Perfetto! Op! Op! Op! Così... sì... così... No, non ti
peso più, stai tranquillo! — Si riafferrava il labbro fra i denti tra una
parola e l'altra. — Corri, corri con fiducia, mi drizzo in sella, se vuoi,
— erano davanti alle tribune, il nano si drizzò furente e tragico nella
sua volontà disperata di vincere la corsa e la sorte, — ma passa, passa,
passa...
Erano passati, l'ansito di Pik Nik li incalzava sempre: — Dai, Pik
Nik! Dai! Più in fretta! Più...
Ma Perfetto aumentava di continuo la velocità, così che non si
udì altro.
Verci si voltò: — Pik Nik è indietro! — annunciò esultante a
Perfetto. — Sbanda! — II suo fantino, esasperato, aveva fatto una
mossa falsa da cui avrebbe perso tempo a riprendersi. — Corri! Corri!
Corri! Tu ce la fai e io ce la faccio! — proclamò sputando qualcosa di
acre e di caldo che si mescolava alle parole.
— Perfetto! Perfetto! Perfetto! — urlò la folla apparendo con le
tribune in una nube scura subito sorpassata.

187
Il traguardo è lì. Dal labbro che Verci continua a mordersi
forsennatamente, il sangue cola.
Il traguardo è sorpassato!
Il clamore della folla felice lo avvolge come un turbine, mentre
scivola svenuto dalla sella sul prato.

***

La signora Paola, Reginella e Tad, seduti intorno al letto in cui


Vercingetorige trasportato in fretta da San Siro alla villa, da più ore
dormiva, si alzarono rispettosamente all'entrare di Sir Barrymoore se-
guito dal signor Pitt.
— Dite, Pitt, che Sarti Pott e miss Margherita lo tormentarono
in mille modi per fargli perdere le corse?
— Sì, Vostra Grazia. Me lo ha riferito il ragazzo Tad il quale,
come Vercingetorige, si era illuso fino ad oggi sul conto di miss Mar-
gherita.
Allora il signor Pitt assistette al fatto più singolare della propria
vita : il compassato signore inglese si curvò sulla fronte sudata del
nano e vi depose un bacio. Quindi, rivolto ai circostanti, disse:
— Rendete noto al valoroso signor Sansoni, quando si
sveglierà, che la radio ha divulgato la grande vittoria sua e di Perfetto
fin nelle più lontane terre. Ditegli che un medico illustre verrà prima
di sera a visitarlo e che io mi assumo l'impegno di eseguire le sue
ordinazioni. Buona sera.
Benché l'Asilo Infantile attendesse la signora Paola a Piacenza,
ella rimase presso il nano finché il medico non fu venuto e non ne
ebbe saputo il responso.
A Vercingetorige, il cui magrissimo torace messo a nudo faceva
pietà, gli strapazzi, l'umidore e il calore dei bagni turchi, il vitto insuf-
ficiente, avevano riacutizzato la pleurite, ed egli aveva bisogno di
riposo, di cure e di riviera.
Seduto sul letto, interrotto dalla tosse, egli scorreva sulla carta
della Liguria procuratagli dal signor Pitt, i vari paesi della costa.
— Scegli un bel posto che ti piaccia proprio! — lo incitava Tad.
— Scegli Nervi dove sono nato io; mi piacerebbe tanto di vederlo!
— Allora sei tu che scegli, non io. Ma sì, vada per Nervi, il vec-
chio Verci è solo felice di accontentarti, lo sai...

188
— Domani, — disse il signor Pitt levandosi nella sua lunga,
corretta giacca nera, ripiegando la carta della Liguria, — mi recherò a
Nervi ad affittare il villino che abiterete insieme con Tad.
Il crepuscolo cenerino e giallo scendeva sulla città oltre i vetri
dalle tendine scostate, scioglieva veli d'ombra nella cameretta; solo le
coltri brillavano bianche e i volti emergevano teneramente chiari
intorno al letto.
— Mi pare un sogno, — sussurrò Verci, — che il signor Barry-
moore mi abbia baciato, che la radio abbia trasmesso il mio nome in-
sieme a quello di Perfetto, che un grande medico mi abbia visitato,
ordinato la Riviera, e che il signor Pitt mi abbia invitato a scegliere il
paese sulla costa.
— È proprio vero, invece.
— Ah, Iddio è troppo buono, con me! Che cos'ho fatto per meri-
tarmi tanto?
Tad esitò poi disse il suo pensiero : — Caro, io credo che il
Signore ti dimostri com'egli sappia premiare l'onestà. Se tu avessi
accettato di tradire Sir Barrymoore, ora gireresti per le vie senza amici
e senza stima, come Sam Pott, miss Margherita e una sua sorella con
gli occhiali : Toni Pitt li vide.
Il nano arrossì violentemente sotto la berretta da notte : — Tu sai
che avrei tradito Sir Barrymoore per amor tuo. Per aver tanto danaro
da fard studiar pittura.
— Mio buon amico, — l'ammonì la signora Paola, — il
tradimento non trova scuse nemmeno nell'amore.
Verci arrossì ancora di più sotto la berretta.
— A proposito di pittura! — esclamò Tad. — A Nervi, mentre
tu sarai occupato a guarire, io uscirò a copiare il mare... con i colori a
olio e su tela, stavolta!
— Ho capito: sarò costretto a scucire delle belle sommette per i
tuoi scarabocchi... Poh! Ora posso permettermelo! — Verci ostentava
molta superiore noncuranza appoggiato ai cuscini.
— A proposito di mare! — strillò Reginella. — Io non l'ho mai
visto! Invitatemi a Nervi per le vacanze di Natale!
— Ma sicuro! E la signora Paola ti accompagnerà!
— Non potrò trattenermi a lungo, ma verrò.

189
Accesero la lampada velata di rosa sul tavolino da notte, e, rac-
colti intorno alla sua blanda luce, dipanarono a lungo i progetti per
l'avvenire...

XIII.

190
...IL QUALE FU IL SEGUENTE

nervi, paese di sogno, profumato d'aranci, stormiente di palme e


di ulivi, sulle rive del turchino nìar Ligure, restituì a Sir Barrymoore e
a Perfetto, Verci guarito — ma si tenne Tad.
Tad che durante i suoi studi all'aperto aveva stretto amicizia con
un vecchio pittore abitante in una vecchia torre sul mare, il quale,
riconosciutogli dell'ingegno, l'aveva istruito nel disegno e nella pro-
spettiva, ottenendo dei risultati così soddisfacenti ed affezionandoglisi
tanto da opporsi a Vercingetorige quando questi, guarito e un po' ge-
loso, pretese di portarsi Tad a Milano con sé.
— Scusa, Verci, — si oppose il ragazzo, — ma io voglio
rimaner qui. Tu stesso hai sempre detto che volevi farmi studiar
pittura. E qui cosa studio?
— Sì, sì, lo so, — borbottò Verci, — ma la puoi studiare anche
a Milano! Di maestri ce ne saranno anche là!
— A me piace questo! — dichiarò Tad, stringendosi al suo
maestro che fumava silenzioso la pipa ascoltandoli.
— E a me no! — ribattè Verci, gettando in terra il sigaro. Parlò
il pittore : — È perché siete geloso che non vi piaccio. Verci lo
squadrò dal basso all'alto, ma con tanto disprezzo come
se lo squadrasse dall'alto in basso: — Geloso «io» di «voi»! Poh!
Non capisco nemmeno cosa ci trovi, in voi, Tad per esservi tanto at-
taccato... — Si rivolse al ragazzo : — Insomma, Tad, per l'ultima volta
scegli : o lui o me!
Tad gli si appressò, gli cinse le spalle dolcemente: — Né lui né
te, Verci, ma la pittura. Con lui imparo bene, e...
Intervenne il pittore, umano : — Sì, con me impara bene, non è
questione che sia più affezionato a me che a voi che lo avete allevato :
questo è impossibile. Ama il mio metodo d'insegnamento, non me.
Verci apparve rabbonito: -- Quand'è così... se ama il vostro me-
todo e non voi... — Si rivolse a Tad minacciosamente: — Ami lui o il
suo metodo?
— Tutti e due, Verci, confessò Tad, sincero.

191
— È inevitabile, — riconobbe il pittore, — che l'allievo ami il
suo maestro. Siate ragionevole, Vercingetorige!
Il nano, comprendendo che Tad gli sfuggiva, voltò via il viso,
mise fuori soffocatamente: — È che finora aveva amato soltanto me,
dopo la sua sorellina. Ero il suo solo amico al mondo. Bene, — si ar-
rese, — se tu sei felice qui con lui, sarò ragionevole, Tad: rimani.
Tad rimase e Verci partì solo verso Perfetto a cui doveva, con
pazienza e abilità, far perdere l'insofferenza alla variabilità del peso,
per condurlo a nuove vittorie. Il difetto scomparve e le vittorie gli
arrisero innumerevoli sui più famosi ippodromi del mondo: il nano si
arricchì e lo dimostrò inaugurando una enorme catena d'oro sul
panciotto e un brillante al mignolo scintillante come un fanale.
Il maestro di Tad salpò per l'America a raggiungere i suoi figli
piantatori e Tad, ormai diventato un giovane dalle spalle quadrate, gli
occhi gravi e sereni, il sorriso schietto, prese il suo posto nella torre,
ne fece il suo studio di pittore.
Vercingetorige comprò per Reginella una villetta in riva al mare,
dal cui cancello, passando, si potevano scorgere, spesso riuniti sotto la
pergola del giardino, una signora dai capelli più bianchi che biondi,
ormai, e dal dolce sguardo infantile, quasi i tanti occhi di bimbi su cui
si erano posati vi avessero lasciato il loro riverbero; una giovinetta
dalle trecce castane raccolte a corona intorno alla fronte che giocava
con una piccola gazzella, figlia di Gazaleh; un nano rigorosamente ve-
stito all'inglese: berretto a quadri, pullower, avana enorme fra le labbra
sottili e un paio di occhiali verdi contro il sole che lo impacciavano ma
che, secondo lui, gli conferivano autorità. Di rado Tad si univa a loro
perché era occupato a dipingere.
In compenso la signora Paola, Verci e Reginella, si recavano a
visitarlo nella sua torre parecchie volte in una giornata.
La torre, fiera e antica, sorgeva a picco sul mare, abbarbicata alle
rocce, a mezzo della Passeggiata. Le bambinaie che spingevano le car-
rozzine spumose di trine, gli uomini d'affari che riposavano sulle pan-
chine, i vecchi lupi di mare dai volti cotti, le signore con il libro o il
lavoro a maglia sulle ginocchia, quando Reginella vestita di rosa,
coronata dalle sue trecce, seguita dalla gazzella dalle zampe sottili e
gli occhi umidi, entrava o usciva dalla vecchia porta della torre cor-
rosa, s'illudevano che l'epoca delle fate e dei castelli fosse ritornata.

192
Invece ella era una ragazza come le altre e, come molte altre
fanno, si divertiva a prendere in giro il fratello : — Ciao, illustre
pittore! — lo salutava.
Ma Verci si offendeva della sua allegra ironia: — C'è poco da
scherzare: lo è davvero, e i suoi quadri sono... sono... i migliori del
mondo!
— Naturale, — conveniva Reginella, proseguendo come se
recitasse una lezione nota : — Ed io sono la ragazza migliore del
mondo...
— Uhm! Ehm! — dubitava Verci, ancora sulle sue.
— Eh... eh... — dubitava la signora Paola, senza, entro di sé,
dubitarne, solo perché riteneva antieducativo lusingare le giovani
ragazzine.
— Ehm! Uhm! — dubitava Tad, che si divertiva anch'egli a
prendere in giro la sorella.
La quale continuava imperterrita: — La signora Paola è la più
buona donna del mondo...
— Su questo non esiste dubbio, — s'inchinava Verci togliendosi
deferentemente il sigaro di bocca.
— Senz'altro, — faceva eco Tad.
— E Verci, « naturalmente » — concludeva pomposa Reginella,
gonfiandosi tutta, allargando la gonna, — è il fantino più grande del
mondo!!
— Puoi dirlo, pettegolina! — consentiva il nano arciconvinto,
rimettendosi in bocca il sigaro con la punta tanto fieramente rivolta in
su da bruciarsi il naso.
Gli altri risero, ma a poco a poco si fecero seri pensando quello
che Tad riuscì a dire per tutti, tirandosi accanto il nano che gli arrivava
ormai soltanto col capo al petto : — E soprattutto, — pronunciò grato,
intenso — è l'uomo migliore del mondo, il nostro Verci che raccolse
soli, piccoli, sperduti, i giovani eredi del Circo Alicante, fino a dar
loro una vita fortunata e felice!

193

Potrebbero piacerti anche