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Indice
Opere teatrali
Musica sacra
Sinfonie
Sonate da Chiesa
Opere teatrali
https://youtu.be/turpKltUvfk
Genesi e autori
La paternità del libretto è stata accertata solo nella seconda metà del
Novecento. L'originale porta soltanto la sigla J.A.W., e si è discusso a lungo se
gli autori fossero Johann Adam Wieland oppure Jakob Anton Marianus Wimmer,
all'epoca autori in voga per questo genere di testi. Soltanto nel 1957 fu
scoperto un diario del padre benedettino salisburghese, Bede Hübner, in cui si
a"erma che il testo di questa composizione fu scritto da "Herr Weiser", dunque
Ignaz Anton Weiser, all'epoca consigliere a Salisburgo.
Organico e articolazione
La prima parte dell'opera – quella mozartiana, giunta fino a noi – è scritta per
orchestra (il cui organico prevede archi, flauti, oboi, fagotti, corni, trombone
contralto e basso continuo), tre soprani e due tenori. La sua durata è di circa
novanta minuti. Consiste di una sinfonia di apertura, sette arie corredate da
cadenza e colorature, diversi recitativi ed un terzetto finale. Da segnalare in
particolare l'aria Ein ergrimmter Löwe brüllt e l'assolo di trombone contralto
nel numero Jener Donnerworte Kraft. Un'altra aria - Manches Übel will zuweilen
- verrà poi ripresa da Mozart per un'altra sua opera, La finta semplice.
La prima parte fu rappresentata per la prima volta il 12 marzo 1767 nella Sala
dei Cavalieri del Palazzo dell'Arcivescovado di Salisburgo, la seconda il 19
marzo, la terza il 26. Gli interpreti furono Joseph Meisner (il Cristiano), Anton
Franz Spitzeder (lo Spirito cristiano), Maria Anna Fesemayr (lo Spirito
mondano), Maria Magdalena Lipp in Haydn (la Misericordia), Maria Anna
Braunhofer (la Giustizia). Nel repertorio corrente è entrata a partire dagli anni
cinquanta del XX secolo. Dopo il debutto salisburghese alla presenza del
giovanissimo Mozart, le rappresentazioni di cui si ha notizia sono avvenute a
Londra nel 1952 (alla Royal Festival Hall, in forma di concerto) e nel 1968 (al
Camden Festival, in forma di rappresentazione teatrale). Tutt'oggi è
rappresentata con una certa regolarità registrando un notevole aumento di
allestimenti nel 2006, in occasione del 250º anniversario della nascita di
Mozart, anno in cui è stata inserita nel cartellone dell'edizione 2006 del Rossini
Opera Festival che ha inteso così gemellare i precoci talenti compositivi sia del
grande salisburghese sia di Gioachino Rossini.
https://youtu.be/-g7-7zPZDr0
Ruoli:
Struttura musicale
Scena prima
Scena seconda
Laetari jocari fruique divinis honoribus stat - Aria (Melia) - Allegro (re
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Rex! de salute filii est actum - Recitativo (Zephyrus, Oebalus, Melia)
En! duos conspicis - Aria (Zephyrus) - Un poco allegro (la maggiore)
Heu! Numen! ecce! - Recitativo (Zephyrus, Melia, Apollo)
Discede crudelis! - Duetto (Melia, Apollo) - Allegro (fa maggiore). Moderato.
Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi
Scena terza
Zephyrus, per mettere fuori gioco Apollo, suo avversario in amore per la mano
di Melia, decide di uccidere Hyacinthus e di incolpare del delitto il rivale.
Questa versione dei fatti viene però ben presto smentita da Hyacinthus stesso
che, morente, rivela l’identità del suo assassino. Zephyrus verrà esiliato, Melia
e Apollo potranno sposarsi e Hyacinthus sarà trasformato nel fiore cui darà il
nome.
https://youtu.be/TT82bNz0PmY
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Bastien-testo.html
Ruoli:
L’amore tra Bastien e Bastienne si sta incrinando per le lusinghe che il mondo
esterno esercita sul ragazzo, strappandolo all’idilliaca felicità campestre. Per
riconquistarlo, Bastienne si rivolge al mago Colas che, esperto di malizie
mondane, le suggerisce di ostentare indi"erenza; pentito, il ragazzo ritornerà
infatti dalla fedele compagna.
Struttura musicale
Scena prima:
Scena seconda:
Scena terza:
Scena quarta:
Scena quinta:
Scena sesta:
Er war mir sonst treu und ergeben - Aria (Bastienne) - Andante (fa
maggiore). Un poco Allegro. Adagio - 2 corni, archi
Geh' hin! dein Trotz soll mich nicht schrecken - Aria (Bastien, Bastienne) -
Adagio maestoso (mi bemolle maggiore). Allegro. Grazioso un poco Allegretto.
Adagio. Allegro - archi
Dein Trotz vermehrt sich durch mein heiden? - Recitativo (Bastien) - ... (sol
minore) - archi
Wohlan! den Augenblick hol'ich - Recitativo (Bastien, Bastienne) - Arioso (sol
minore) - archi
Geh'! Herz von Flandern! - Duetto (Bastienne, Bastien) - Allegro moderato (si
bemolle maggiore). Adagio. Andantino - 2 corni, archi
Kinder! seht nach Sturm und Regen - Trio (Bastienne, Bastien, Colas) -
Allegro moderato (re maggiore). Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi
https://youtu.be/CJAlU-jNpDo
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Fintasemplice-testo.html
Ruoli:
Organico: 2 flauti, 2 oboi (anche corno inglese), 2 fagotti, 2 corni (anche corni
da caccia), archi
Per i recitativi: clavicembalo e violoncello
Composizione: Vienna, aprile - luglio 1768
Prima rappresentazione: Salisburgo, Rittersaal del Residenz-Theater, 1 maggio
1769
Sinossi
ATTO SECONDO
Salone di Don Cassandro, con sedie e lumi perché è notte. - Cassandro ha
invitato tutti a cena. Polidoro cerca di convincere Rosina a sposarlo, mentre
Cassandro richiede villanamente alla ragazza un anello che malvolentieri le
aveva regalato. Interviene allora Fracasso, che lo sfida a duello. Dopo la farsa
del duello, viene escogitato un nuovo stratagemma: Giacinta e Ninetta
fuggiranno di casa e si farà credere a Cassandro e Polidoro che siano scappate
con tutto il denaro. A quel punto i due nobili stabiliscono di dare Giacinta in
sposa a chi recupererà denaro e cameriera.
ATTO TERZO
Strada di campagna. - Finalmente anche Cassandro ha ceduto alle grazie di
Rosina: la ragazza lo preferisce infatti a Polidoro, che monta su tutte le furie.
Intanto Fracasso e Simone riportano le due donne e chiedono il premio
pattuito. La 'finta semplice' ha trionfato e si può celebrare un triplo
matrimonio. Solo il povero Polidoro resterà scapolo.
Guida all’ascolto
Atto primo. La vita dei nobili Cassandro e Polidoro viene turbata dall’arrivo del
capitan Fracasso e del suo attendente Simone. I due militari ungheresi si
innamorano rispettivamente della bella sorella dei due nobili, Giacinta, e della
cameriera Ninetta. A complicare la vicenda giunge inaspettata anche la sorella
di Fracasso, l’astuta e intraprendente Rosina (la ‘finta semplice’). La ragazza
cerca di far innamorare di sé entrambi i titolati: se Polidoro è cedevole,
Cassandro, di cui è noto l’odio per le donne, resta irremovibile.
Atto secondo. Cassandro ha invitato tutti a cena. Polidoro cerca di convincere
Rosina a sposarlo, mentre Cassandro richiede villanamente alla ragazza un
anello che malvolentieri le aveva regalato. Interviene allora Fracasso, che lo
sfida a duello. Dopo la farsa del duello, viene escogitato un nuovo
stratagemma: Giacinta e Ninetta fuggiranno di casa e si farà credere a
Cassandro e Polidoro che siano scappate con tutto il denaro. A quel punto i
due nobili stabiliscono di dare Giacinta in sposa a chi recupererà denaro e
cameriera.
Struttura musicale
Atto I:
Scena I:
Scena II:
L'un de' patroni è alzato - Recitativo (Giacinta, Ninetta, Fracasso)
Scena III:
Non c'è al mondo altro che donne - Aria (Cassandro) - Allegro non molto (re
maggiore) - archi
Con chi l'ha Don Cassandro? - Recitativo (Fracasso, Cassandro)
Guarda la Donna in viso - Aria (Fracasso) - Allegro moderato (sol maggiore)
- 2 corni, archi
Guarda la Donna in viso - Aria (Fracasso) - Adagio maestoso (sol maggiore).
Andante. Allegro - 2 corni, archi [versione alternativa]
Eh! ben, ben! ei vedremo - Recitativo (Cassandro)
Scena IV:
Colla bocca e non col core - Aria (Rosina) - Andante (la maggiore) - 2 flauti,
archi
Sicchè m'avete inteso? - Recitativo (Ninetta, Rosina, Polidoro)
Scena V:
Cosa ha mai la donna in dosso che mi piace tanto - Aria (Polidoro) - Allegro
(si bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VI:
Scena VII:
Scena VIII:
Chi mi vuol bene presto mel dica - Aria (Ninetta) - Tempo di Minuetto (si
bemolle maggiore) - archi
Scena IX:
Atto II:
Scena I:
Scena II:
Con certe persone vuol esser bastone - Aria (Simone) - Allegro (re
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Scena III:
Scena IV:
Amoretti che ascosi qui siete - Aria (Rosina) - Andante (mi maggiore) - 2
fagotti, archi
Scena VI:
Ubriaco non son io - Aria (Cassandro) - Allegro con brio (do maggiore) -
archi
L'ha coll'anello ancora - Recitativo (Rosina, Cassandro, Polidoro)
Sposa cara, sposa bella - Aria (Polidoro) - Adagio (sol maggiore). Moderato.
Adagio. Moderato - 2 oboi, 2 corni, archi
Scena VII:
Ho sentito a dir di tutte le piu belle - Aria (Rosina) - Allegro grazioso (fa
maggiore). Allegretto - 2 oboi, 2 corni, archi
Scena VIII:
Scena IX:
Scena X:
Scena XI:
Scena XIII:
Atto III:
Scena I:
Vieni, vieni, oh mia Ninetta - Aria (Simone) - Un poco Adagio (fa maggiore)
- 2 corni, archi
Io non ho gran paura - Recitativo (Ninetta, Simone)
Sono in amore, voglio marito - Aria (Ninetta) - Tempo di Minuetto (do
maggiore). Allegro. Tempo di Minuetto. Allegro - 2 flauti, archi
Sono in amore, voglio marito - Aria (Ninetta) - Tempo di Minuetto (do
maggiore) - 2 flauti, archi [versione alternativa]
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
https://youtu.be/eKytF98dmtA
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Mitridate-testo.html
Ruoli:
Guida all’ascolto
Atto primo. Nella città di Ninfea il governatore Arbate accoglie uno dei due figli
di Mitridate, Sifare. Questi è irritato dalla presenza in città di suo fratello
Farnace, suo avversario politico e rivale per l’amore di Aspasia, già promessa
sposa di Mitridate. Arbate si dichiara fedele a Sifare, che viene intanto
raggiunto da Aspasia. La ragazza lo prega di proteggerla da Farnace. Il
principe le risponde dichiarandole il suo amore, ma si dice pronto anche a
rinunciarvi se sarà necessario. Nel tempio di Venere, Farnace tenta di sedurre
Aspasia, ma accorre prontamente il fratello. A sventare l’imminente duello
giunge Arbate con la notizia del ritorno di Mitridate dalla guerra. L’evento
getta tutti nello scompiglio: solo Farnace mantiene la calma e decide di a!dare
al nemico esercito romano le sue fortune, nella persona del tribuno Marzio.
Mitridate, tornato sconfitto in patria, o"re la principessa Ismene in sposa a
Farnace, del cui tradimento viene informato da Arbate. Il figlio fedifrago va
dunque punito.
Atto terzo. Mitridate, ancora furibondo, viene a"rontato dalle due infelici
donne che cercano invano di riportarlo alla ragione. Mentre una flotta romana
vincitrice è già approdata al porto, Aspasia decide di ottenere con la morte la
pace sperata: liberato da Ismene, Sifare fa appena in tempo a sottrarle la tazza
con il veleno e o"re al padre di combattere al suo fianco per riscattarsi con una
morte gloriosa. Mitridate, ferito gravemente nel combattimento, decide di
togliersi la vita. Prima di morire a!da Aspasia a Sifare, perdonandoli entrambi;
quindi abbraccia anche Farnace, che nel frattempo ha dimostrato la sua
rinnovata fedeltà alla patria appiccando il fuoco alla flotta nemica e
rinunciando così anche al trono promessogli dai Romani. Un coro inneggiante
alla libertà conclude l’opera.
Al centro della vicenda è il conflitto tra Mitridate e i suoi due figli per la mano
di Aspasia, conflitto risolto con l’irrealistica conciliazione dei due fratelli e la
‘redenzione’ finale del crudele tiranno. La musica del giovane Mozart
conferisce insolita intensità emotiva alla rappresentazione degli a"etti tipici
dell’opera seria (l’ira del re, la disperazione delle vittime, l’infelicità degli
amanti). L’energia e la violenza che il compositore profonde in questi momenti
è esaltata dall’impiego frequentissimo del recitativo accompagnato (per ben
sette volte), voce dell’inquietudine perenne dei personaggi, che si risolve in
arie di varia struttura: incalzanti e convulse, come quella di Aspasia “Nel sen mi
palpita”, o ambigue e tormentate nella loro stesura, come l’aria di sortita di
Mitridate “Se di lauri il crine adorno”, passata attraverso almeno quattro
rielaborazioni successive. Un ben diverso clima di serenità estatica è
riscontrabile nelle arie del secondo atto degli amanti Sifare (l’ampia “Lungi da
te mio bene”, con un’evocativa parte di corno obbligato) e Aspasia (“Nel grave
tormento”); a quest’ultima spetta anche la topica, drammatica cavatina
“Pallid’ombre” nella scena del veleno, mentre l’orchestra riceve il debito tributo
in pagine importanti, come l’elaborata marcia che accompagna lo sbarco di
Mitridate nel primo atto.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi
Struttura musicale
Atto I:
Scena I:
Scena II:
Scena III:
So"re il mio cor con pace - Aria (Sifare) - Allegro (si bemolle maggiore) - 2
oboi, 2 corni, archi
Scena IV:
Scena VI:
L'odio nel cor frenate - Aria (Arbate) - Allegro comodo (sol maggiore) -
archi
Scena VII:
Nel sen mi palpita dolente in core - Aria (Aspasia) - Allegro agitato (sol
minore) - 2 oboi, archi
Scena VIII:
Parto: nel gran cimento - Aria (Sifare) - Andante (la maggiore). Allegro.
Andante. Allegro - archi
Scena IX:
Venga pur, minacci e frema - Aria (Farnace) - Allegro. Andante. Allegro (fa
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Scena X:
Scena XI:
Su la temuta destra - Recitativo (Sifare, Mitridate, Farnace, Ismene)
Scena XII:
Scena XIII:
Atto II:
Sena I:
Va, l'error mio palesa - Aria (Farnace) - Allegro (sol maggiore) - 2 corni,
archi
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Tu, che fedel mi sei - Aria (Mitridate) - Adagio (si bemolle maggiore).
Allegro. Adagio. Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi
Scena V:
Scena VII:
Lungi da te, mio bene - Aria (Sifare) - Adagio cantabile (re maggiore).
Allegretto. Adagio - corno solo, 2 oboi, 2 corni, archi
Lungi da te, mio bene - Aria (Sifare) - Adagio (re maggiore) - corno solo, 2
oboi, 2 corni, archi [versione alternativa]
Scena VIII:
Nel grave tormento - Aria (Aspasia) - Adagio (fa maggiore). Allegro. Adagio.
Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, archi
Nel grave tormento - Aria (Aspasia) - Adagio (fa maggiore) - 2 flauti, 2 oboi,
2 corni, archi [versione alternativa]
Scena IX:
Scena X:
Scena XI:
Scena XII:
Scena XIII:
Ah, giacche son tradito - Recitativo (Farnace)
Son reo, l'error confesso - Aria (Farnace) - Adagio maestoso (re maggiore).
Allegro. Adagio maestoso. Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi
Son reo, l'error confesso - Aria (Farnace) - Adagio maestoso (re maggiore) -
2 oboi, 2 corni, archi [versione alternativa]
Scena XIV:
Scena XV:
Atto III:
Scena I:
Tu sai per chi m'accese - Aria (Ismene) - Allegro (sol maggiore) - archi
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Scena V:
Scena VI:
Scena VII:
Scena VIII:
Scena IX:
Già dagli occhi il velo è tolto - Aria (Farnace) - Andante (mi bemolle
maggiore). Allegretto. Andante - 2 oboi, 2 corni, archi
Scena X:
Scena XII:
Ascanio in Alba K111 - (17 ottobre 1771, Teatro Regio Ducale, Milano)
https://youtu.be/AyjEQ1uRtvU
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Ascanio-testo.html
Ruoli:
Venere (soprano)
Ascanio, (mezzosoprano)
Silvia, Ninfa del Sangue d'Ercole (soprano)
Aceste, sacerdote (tenore)
Fauno, uno dei principali pastori (soprano)
Coro di geni, pastori e pastorelle
La dea Venere mostra a suo figlio Ascanio il paesaggio ameno dove sorgerà la
città di Alba, in uno scenario bucolico popolato da Ninfe e Pastori, dove ella è
venerata e su cui Ascanio dovrà regnare dopo aver sposato Silvia, la Ninfa della
stirpe di Ercole, che gli è stata promessa.
Ascanio è preoccupato perché Silvia non lo conosce; la madre gli rivela che da
quattro anni Amore appare in sogno alla Ninfa con le fattezze dello stesso
Ascanio e ne ha conquistato il cuore. Ascanio potrà parlare alla Ninfa senza
però rivelarsi.
Dal momento che Ascanio ancora non può rivelarsi, Silvia si convince di essere
stata ingannata. Ascanio cerca di parlarle ma lei fugge via.
Guida all’ascolto
Struttura musicale
Parte I:
Scena I:
Scena II:
Cara, cara lontano ancora - Aria (Ascanio) - Allegro (si bemolle maggiore) -
2 oboi, 2 corni, archi
Scena III:
Venga venga de' sommi eroi - Coro (pastorelle) - Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso
Ma qual canto risona? - Recitativo (Ascanio, Fauno)
Venga, venga de' sommi eroi - Coro (pastori) - Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso
Ma tu chi sei che ignoto - Recitativo (Fauno, Ascanio)
Se il labbro piu non dice - Aria (Fauno) - Tempo grazioso (la maggiore) -
archi
Quanto soavi al core - Recitativo (Ascanio, Fauno)
Scena IV:
Hai di Diana il core - Coro (pastori, pastorelle, ninfe) - Allegro comodo (fa
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Oh generosa Diva - Recitativo (Aceste)
Venga venga de' sommi eroi - Coro (pastori) -Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso
Di propria man la Dea - Recitativo (Aceste)
Venga venga de' sommi eroi - Coro (pastori) - Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso
Oh mia gloria - Recitativo (Aceste)
Per la gioja in questo seno - Aria (Aceste) - Allegro aperto (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Misera! che farò? - Recitativo (Silvia, Aceste)
Si, si, si, ma d'un altro amore - Cavatina (Silvia) Andante (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Ah no, Silvia t'inganni - Recitativo (Aceste, Silvia)
Come e felice stato quello d'un alma fida - Aria (Silvia) - Allegro (do
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi
Silvia, mira che il sole omai s'avanza oltre il meriggio - Recitativo (Aceste)
Venga venga de' sommi eroi - Coro (pastori) - Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso
Scena V:
Ah, di si nobil alma quanto parlar vorrei - Aria (Ascanio) - Adagio (re
maggiore). Allegro. Andante grazioso. Adagio. Allegro - 2 oboi, 2 corni, 2
trombe. archi
Un' altra prova a te mirar - Recitativo (Venere, Ascanio)
Al chiaror di que' bei rai - Aria (Venere) - Allegro (la maggiore) - archi
Di te più amabile - Coro (Geni e Grazie) - Allegro (re maggiore) - 2 flauti o
oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Parte II:
Scena I:
Scena II:
Scena III:
Dal tuo gentil sembiante risplende un' alma grande - Aria (Fauno) - Allegro
moderato (si bemolle maggiore). Andante ma adagio (mi bemolle maggiore)
per archi. Allegro moderato (si bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Scena IV:
Scena V:
Torna mio bene ascolta - Aria (Ascanio) - Andante grazioso (fa maggiore) -
2 flauti, 2 serpenti o corni inglesi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VI:
Venga venga de' sommi eroi - Coro (pastori) - Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso
Che strana meraviglia del tuo cor mi narrasti - Recitativo (Aceste)
Sento che il cor mi dice che paventar non dei - Aria (Aceste) - Allegro (la
maggiore) - archi
Si, padre - Recitativo (Silvia, Aceste)
Scendi, celeste Venere - Coro (pastori, pastorelle, ninfe) - Andante (do
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
https://youtu.be/qklOgye7yl8
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Scipione-testo.html
Ruoli:
La Costanza gli presenta i suoi avi tra gli abitanti dei Campi Elisi: Publio e suo
padre Emilio. Scipione vorrebbe restare con loro ma questo non è possibile.
Scipione chiede se non ci sia una forza che possa contrastare i capricci della
sorte: Costanza paragona la costanza con lo scoglio del mare che resiste alla
tempesta (Biancheggia in mar lo scoglio). Scipione decide a favore di Costanza
e resiste alle minacce di Fortuna e infine si sveglia riconoscendo nel sogno un
messaggio degli dei.
Guida all’ascolto
Non è chiara l’occasione per cui Mozart ebbe a mettere in musica questa
serenata (forse l’anniversario dell’ordinazione dell’arcivescovo Schrattenbach,
che però morì nel dicembre del 1771 e, quindi, cancellata tale festa,
l’insediamento dell’arcivescovo Colloredo nella primavera successiva). Di
conseguenza sono incerte sia le circostanze della prima rappresentazione, sia
il periodo di composizione, che oscilla tra il 1771 e il 1772. Il testo di questa
azione teatrale, scritta a Vienna da Metastasio nel 1735 per la musica di Luca
Antonio Predieri, si configura come una festa edificante tipica della tradizione
cortese umanistico-illuminata, proposta artisticamente elaborata di un
modello di umanità virtuosa.
Gli interessi del compositore adolescente per l’orchestra sono evidenti già dalla
sinfonia d’apertura (in due soli tempi: aggiunto ilFinaleKV 163, diverrà
autonoma come SinfoniaKV 161). Anche nelle nove arie la brillantezza e
l’eleganza della scrittura sinfonica sono palpabili; dei due cori, “Germe di cento
eroi” è notevole per l’impatto espressivo, mentre il magistero di Johann
Christian Bach agisce nella densità espressiva del recitativo accompagnato
conclusivo.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi
Struttura musicale
Lucio Silla K135 - (26 dicembre 1772, Teatro Regio Ducale, Milano)
https://youtu.be/WoLuDhuHZ_Q
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Silla-testo.html
Ruoli:
Guida all’ascolto
Con questa terza e più ambiziosa opera (dopo Ascanio in Alba e Mitridate, re
di Ponto) il sedicenne Mozart concluse con successo la sua attività nei teatri
italiani, sebbene senza sviluppi per la sua carriera professionale. Il lavoro gli
era stato commissionato dal Regio Ducal Teatro di Milano, dove erano andate
in scena anche le altre due opere, durante il precedente viaggio italiano,
conclusosi il 5 dicembre 1771. Il testo da intonare era un dramma per musica
del letterato livornese Giovanni De Gamerra, autore nella stessa stagione, per
la musica di Paisiello, del Sismano nel Mogol(Mozart ne intonerà il recitativo e
l’aria “A questo seno, deh vieni”, “Or che il cielo a me ti rende”, KV 374); futuro
poeta dei teatri imperiali a Vienna, De Gamerra sarebbe stato in seguito
responsabile di una traduzione italiana della Zauberflöteper Dresda (1794). Il
librettista consegnò ilLucio Silla alle cure dell’autorevolissimo Metastasio, che
lo lesse con attenzione e diede la sua «pienissima approvazione»; nondimeno,
lo modificò in più luoghi e vi inserì un’intera scena di suo pugno, provocando
così indirettamente l’irritazione di Mozart, che si vide costretto a rifare alcuni
recitativi già composti. Scritta tra ottobre e dicembre, tra Salisburgo e Milano,
l’opera – la prima forse che annunci compiutamente l’avvento di un genio del
teatro musicale – restò in cartellone per ben venticinque rappresentazioni;
splendido interprete della parte di ‘primo uomo’ (Cecilio) era il castrato
Venanzio Rauzzini, per il quale Mozart avrebbe scritto il mottetto Exsultate,
jubilateKV 165. Il libretto venne in seguito intonato da Johann Christian Bach
(1773), da Pasquale Anfossi (1774) e da Michele Mortellari (1778).
Atto primo. Il dittatore Lucio Silla è innamorato di Giunia, figlia del defunto
avversario Mario; al fine di avere per sé la ragazza, ha dovuto però liberarsi
dell’amante di lei, il senatore Cecilio, che è stato mandato in esilio. Per
completare l’opera, Silla ha sparso la voce che Cecilio sia morto, e Giunia lo
piange per tale. Cecilio, però, ritorna a Roma di nascosto e viene informato
dell’accaduto dall’amico Cinna. Lucio Silla cerca intanto di convincere sua
sorella Celia a piegare l’ostinazione di Giunia, che il tiranno giunge anche a
minacciare. Quest’ultima però, mentre si trova al sepolcreto degli eroi per
piangere il padre, viene raggiunta da Cecilio, che si è nascosto tra le tombe; i
due si abbracciano, commossi e felici.
Atto secondo. Lucio Silla, pur tormentato dai problemi di coscienza causati dal
continuo uso della forza, decide di procedere a doppie nozze: le sue con
Giunia, e quelle di Celia con Cinna. Giunia è intanto al centro di molte trame:
invano Cinna le chiede di sposare il dittatore e poi di ucciderlo, invano Lucio
Silla la minaccia; di fronte all’insostenibilità della situazione, Giunia si dichiara
pronta piuttosto alla morte. Cecilio intanto ha messo in atto un piano per
uccidere Silla; ma l’attentato fallisce e il senatore viene condotto in prigione,
non prima di aver commosso il dittatore con la sua esemplare fedeltà
all’amata.
Atto terzo. Cinna cerca di convincere Celia a far pressione sul fratello,
promettendole in cambio la sua mano; quindi si reca a confortare Cecilio in
prigione. Qui arriva anche Giunia, decisa a seguire l’amato nella tomba se
questi venisse condannato a morte. Infine, sul Campidoglio, avviene la svolta
inaspettata: portato Cecilio in catene, Silla annuncia il suo perdono; perdono
che viene concesso anche a Cinna, quando questi confessa i suoi piani.
Potranno dunque aver luogo le nozze di questi ultimi con le loro amate; per
completare l’opera, il dittatore si dimette anche dal suo ruolo di governo,
restituendo a Roma la libertà.
Al centro del dramma si trovano due coppie di amanti, le cui vicissitudini sono
determinate dal comportamento del tiranno cui è intitolata l’opera (il ‘primo
tenore’, secondo le consuetudini dell’epoca, che a!davano a questo ruolo
vocale la parte del sovrano). Lucio Silla è il detentore del potere, un potere
utilizzato, almeno nel finale, in termini di clemenza: non a caso infatti l’abate
Metastasio avrà potuto notare, nel perdono generale che conclude il testo di
De Gamerra, una marcata somiglianza con l’esito dellaClemenza di Tito, suo
titolo celeberrimo che anche Mozart avrebbe tardivamente messo in musica.
Dalla partitura emerge chiarissima una cifra espressiva inequivocabilmente
personale, legata alla rappresentazione di a"etti tormentati, combattuti e
lacerati, sempre in presenza della prospettiva della morte: una scelta
certamente in pieno accordo con le situazioni proposte dal libretto, ma che
forza i limiti dell’opera seria metastasiana, verso una tragicità appassionata
che ha perso ogni traccia dello stile galante. Né mancano, a onor del vero,
luoghi di serena, contemplativa dolcezza, come l’aria di Celia “Se lusinghiera
speme”; ma appunto, subito dopo questo brano, compare l’ampia e complessa
aria di Giunia “Dalla sponda tenebrosa”, in cui la ragazza esprime il suo fermo
desiderio di «sempre Silla aborrir,/ sempre adorar lo sposo, e poi morire»:
esordisce come un’aria ‘d’ombra’ (invocando appunto il fantasma del padre
ucciso) con un solenne ‘Andante ma adagio’ nell’eroica tonalità di mi bemolle
maggiore, per proseguire, rivolgendosi a Lucio Silla che le è di fronte (in
Allegro) e animandosi progressivamente sino alla conclusione. Al di là
dell’evidente e!cacia del brano, anche il solo aspetto formale si dimostra
interessante: Mozart si è lasciato alle spalle la tradizionale aria colda capoe ha
invece messo in campo un anomalo testo di tre strofe, integrando la categoria
dell’aria ‘d’ombra’ con quella d’azione (e sembra che alla ‘prima’ i gesti
compiuti dai cantanti furono tanto esagerati da provocare le risa del pubblico).
L’ambizione del compositore adolescente, volto a esplorare nuove vie
nell’invenzione formale, emerge continuamente nella partitura (basti ricordare
il numero straordinario di ben nove recitativi accompagnati), ma forse mai in
termini così convincenti come nella scena conclusiva del primo atto, la tipica
scena d’ombra presso il cimitero degli eroi; l’anelito all’unità drammatico-
musicale porta Mozart a concepire una grande scena, in cui diversi pezzi si
concatenano con avvincente e!cacia scenica: introdotti da un Andante
orchestrale, si succedono il grandioso recitativo accompagnato di Cecilio, un
coro dolente e vibrante, l’intenso arioso di Giunia, nuovamente il coro ancora
più energico e risoluto, l’accompagnato di Giunia e quindi il duetto tra gli
innamorati, “D’elisio in sen m’attendi”, che conclude l’atto nella beatitudine di
un metafisico la maggiore. Non è possibile tacere altri luoghi fondamentali,
come l’ultima aria di Giunia, “Fra i pensier più funesti di morte”, in cui il
presentimento del trapasso viene reso con incalzante drammaticità dalla
musica. Subito prima Cecilio aveva cantato l’aria “Pupille amate”, su un
delicato, cameristico accompagnamento di soli archi: una soluzione
esattamente agli antipodi di “Fra i pensier”, ma egualmente profonda e
autentica nel rappresentare la reazione dei protagonisti di fronte all’incombere
della morte. Da ricordare infine la complessa aria di Giunia “Parto, m’a"retto”,
con le sue e!caci colorature.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi
Struttura musicale
Atto I:
Scena I:
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Signor, duolmi vederti - Recitativo (Silla, Aufidio)
Scena V:
Scena VI:
Scena VII:
Morte, morte fatal - Recitativo (Cecilio) - Andante (la minore). Allegro assai.
Andante. Presto. Adagio - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, archi
Scena VIII:
Fuor di queste urne - Coro (Senatori, popolo) - Andante mosso (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, archi
O del Padre ombra - Recitativo (Giunia) - Molto Adagio (do minore) - 2 oboi,
2 fagotti, archi
Scena IX:
Atto II:
Scena I:
Guerrier, che d'un' acciaro - Aria (Aufidio) - Allegro (do maggiore) - 2 oboi,
2 corni, 2 trombe, archi
Scena II:
Scena III:
Ah corri, vola - Recitativo (Cecilio) - Allegro assai (re minore). Presto - archi
Scena IV:
Scena V:
Scena VI:
Ah si, scuotasi omai l'indegno giogo - Recitativo (Cinna) - Vivace (re
maggiore) - archi
Nel fortunato istante - Aria (Cinna) - Molto Allegro (fa maggiore) - archi
Scena VII:
Scena VIII:
D'ogni pieta mi spoglio - Aria (Silla) - Allegro assai (do maggiore) - 2 oboi,
2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Scena IX:
Chi sa, che non sia questa - Recitativo (Cecilio, Giunia) - Allegro (mi bemolle
maggiore) - archi
Scena X:
Scena XI:
Scena XII:
Scena XIII:
Scena XIV:
Quell' orgoglioso sdegno - Trio (Giunia, Cecilio, Silla) - Allegro (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi
Atto III:
Scena I:
Scena II:
De' più superbi il core - Aria (Cinna) - Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2
corni, 2 trombe, archi
Scena III:
Scena IV:
Scena V:
Sposo ... mia vita ... - Recitativo (Giunia) - Allegro (do maggiore). Andante.
Allegro. Adagio. Presto - 2 flauti, 2 trombe,archi
Fra i pensier più funesti - Aria (Giunia) - Andante (do minore). Allegro - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti, archi
Scena VI:
Scena VII:
Scena VIII:
https://youtu.be/XAXYCp84Qno
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Giardiniera-testo.html
Ruoli:
Mozart ottenne dal Teatro di corte di Monaco la scrittura per un’opera bu"a,
che venne rappresentata con grande successo nel teatro vicino alla
Salvatorkirche. Il compositore, tuttavia, non ricavò da questo evento alcuna
conseguenza di rilievo per la propria attività. Per l’occasione aveva utilizzato
un libretto, dalla qualità molto modesta, di autore ignoto (la paternità di
Petrosellini non è per nulla sicura), che era stato già intonato da Pasquale
Anfossi nel carnevale del 1774 a Roma. Sono senz’altro imputabili al testo
alcuni difetti nella tenuta complessiva dell’opera, come ad esempio il numero
limitato dei concertati.
Atto primo. Nello scenario idillico del giardino del podestà, l’amore regna nel
cuore di tutti i personaggi, che tuttavia vi reagiscono in modi diversi. Il podestà
è innamorato della ‘finta giardiniera’ (Violante, sotto il falso nome di Sandrina);
Ramiro ama invece invano Arminda, mentre Violante-Sandrina sta cercando in
incognito, insieme al servitore Roberto (noto come Nardo), il contino Belfiore
che un anno prima l’aveva pugnalata e abbandonata, credendola morta. Anche
Nardo è innamorato (di Serpetta, che però mira alla mano del podestà).
Completa il quadro l’amante di Arminda, che si rivela essere proprio il contino
Belfiore. Sconvolta dalla notizia, Violante-Sandrina sviene: Belfiore, che pure
l’ha riconosciuta, nega di averla mai incontrata e l’atto finisce nella confusione
totale.
Atto secondo. Nella casa del podestà, Arminda esprime il suo amore per
Belfiore, mentre Nardo corteggia Serpetta. Sandrina e Belfiore si incontrano, e
la ragazza racconta al contino la sua finta morte. Giunge allora Ramiro, con un
ordine d’arresto a carico di Belfiore per l’assassinio di Violante: il cavaliere
spera infatti di rendere disponibile Arminda eliminando il rivale. Sandrina lo
difende, svelando la sua vera identità nello stupore generale. Poco dopo la
ragazza viene però abbandonata dalla gelosa Arminda in un bosco oscuro:
appena appresa la notizia, gli uomini si precipitano al soccorso. Solo grazie
alla lampada portata da Ramiro sarà possibile rintracciarla, mentre la presenza
di un gran numero di personaggi in una buia caverna genera equivoci a non
finire.
Struttura musicale
Atto I:
Scena I:
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Scena V:
Scena VI:
Scena VII:
Che beltà, che leggiadria - Aria (Contino) - Andante maestoso (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Scena VIII:
Scena IX:
Appena mi vedon Chi cade, chi sviene - Aria (Serpetta) - Allegro (la
maggiore). Andante - archi
Scena X:
Scena XI:
Atto II:
Scena I:
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Scena V:
Scena VI:
Una voce sento al core - Aria (Sandrina) - Grazioso (la maggiore). Andante
con moto - archi
Scena VII:
Una Damina, una nipote, - Aria (Podestà) - Allegro (sol maggiore) - 2 oboi,
2 corni, archi
Scena VIII:
Scena IX:
Scena X:
Scena XI:
Scena XII:
Scena XIII:
Scena XIV:
Scena XVI:
Atto III:
Scena I:
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Mio Padrone. Io dir volevo - Aria (Podestà) - Allegro (do maggiore). Presto -
2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi
Scena V:
Ramiro, orsù, alle corte - Recitativo (Arminda, Ramiro)
Scena VI:
Scena VII:
Scena VIII:
https://youtu.be/npvNJj_CWpE
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Repastore-testo.html
Ruoli:
Sinossi
Atto secondo. Il secondo atto si apre con Elisa che vorrebbe rivedere Aminta,
ma ne è impedita da Agenore, anche il giovane ha lo stesso desiderio, ma
Alessandro ricordandogli i suoi futuri doveri, lo trattiene e cerca di convincerlo
in ogni modo sulle sue doti di grande nobiltà. Agenore si reca da Alessandro a
perorare la causa di Tamiri e il re manifesta la sua intenzione di destinarla in
moglie ad Aminta a!nché la città di Sidone sia finalmente del tutto
riappacificata. Questa notizia provoca nell'amico del re una profonda
disperazione. Aminta, invece, è convinto di sposare Elisa, quest'ultima è
preoccupata sulle voci riguardanti il matrimonio del suo amato pastorello e ne
chiede conferma ad Agenore, Tamiri è scontenta. Il giorno all'incoronazione ,
nel tempio dedicato ad Ercole, giungono prima Tamiri e poi Elisa entrambe
confessano ad Alessandro i loro veri sentimenti. Da ultimo si presenta Aminta,
vestito dei suoi panni di pastore, confessa di preferire la sua precedente vita
che gli permetterebbe di sposare Elisa. Alessandro ricompone le due coppie e
promette un nuovo regno per Tamiri ed Agenore.
Guida all’ascolto
Nel XVIII secolo la visita di un componente di una famiglia reale presso un’altra
corte era l’occasione di numerosi festeggiamenti, all’interno dei quali la musica
aveva spesso un ruolo di primo piano. Quando fu annunciato il passaggio a
Salisburgo dell’arciduca Massimiliano, ultimogenito dell’imperatrice Maria
Teresa, l’arcivescovo Colloredo incaricò il Kapellmeister Domenico Fischietti e
il giovane Mozart, allora secondo Konzertmeister, di preparare gli
intrattenimenti musicali. I compositori misero in musica due testi di
Metastasio, sia pure di epoche diverse: il 22 aprile l’illustre ospite poté
ascoltareGli orti esperidi, una serenata per cinque voci di Fischietti su un
libretto del 1721, e il giorno seguenteIl re pastoredi Mozart; probabilmente le
due composizioni furono presentate senza allestimento scenico (a ciò allude la
definizione «serenata» che compare nel diario del consigliere municipale di
Salisburgo, Scheidenhofen, ripresa dallo stesso Mozart in una lettera al padre)
e vennero interpretate dai medesimi cantanti, ma non si conosce ilcastper
intero. Per l’occasione giunsero da Monaco il castrato Tommaso Consoli, cui fu
a!dato il ruolo di Aminta, e il flautista Johann Baptist Becke, che suonò alcuni
brani molto brillanti nelle arie; gli altri interpreti erano quasi sicuramente
membri della cappella di corte di Salisburgo. Non si sa con certezza se fu
Mozart o lo stesso Colloredo a scegliereIl re pastore, né si conosce il nome del
poeta che rielaborò il testo metastasiano; punto di riferimento era la versione
presentata nel 1774 a Monaco con musiche tratte dalRe pastoredi Pietro
Alessandro Guglielmi (Venezia 1767), in cui Tommaso Consoli aveva
interpretato il ruolo di Elisa: qui l’originale in tre atti è ridotto a due, con
l’eliminazione di cinque arie e di parte dei dialoghi, e vi è un nuovo e più
ampio coro finale (“Viva l’invitto duce”). Rispetto a questo libretto la
composizione di Mozart contiene poi ulteriori aggiunte e modifiche, che
potrebbero essere attribuite al futuro autore del testo dell’Idomeneo, l’abate
Varesco. Mentre Bonno e ancora Gluck avevano previsto quattro soprani e un
tenore, Mozart riequilibrò l’ensembledestinando a un secondo tenore la parte
di Agenore; comune a Hasse e a Gluck è invece la scelta di far seguire
direttamente la prima scena all’ouverture.
Struttura musicale
Atto I:
Scena I:
Alla selva, al prato - Aria (Elisa) - Allegro (sol maggiore) - 2 oboi, 2 corni,
archi
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Scena V:
Di tante sue procelle - Aria (Tamiri) - Allegro aperto (mi bemolle maggiore)
- 2 oboi, 2 corni, archi
Scena VI:
Scena VII:
Scena VIII:
Atto II:
Scena I:
Questo del campo greco - Recitativo (Elisa, Agenore)
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Scena V:
Scena VI:
Scena VII:
Scena VIII:
Scena IX:
Scena X:
Sol può dir, come si trova - Aria (Agenore) - Allegro (do minore) - 2 oboi, 2
fagotti, 4 corni, archi
Scena XI:
Voi che fausti ognor donate - Aria (Alessandro) - Allegro (do maggiore) - 2
oboi, 2 corni, 2 trombe, archi
Scena XII:
Scena XIII:
Viva! Viva l'invitto duce! - Finale. Quintetto (Elisa, Tamiri, Aminta, Agenore,
Alessandro) - Molto Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
https://youtu.be/HZkl-07vhbo
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Zaide-testo.html
Ruoli:
Gomatz (tenore)
Zaide (soprano)
Allazim (basso)
Sultano Soliman (tenore)
Osmin (basso)
Zaram (voce recitante)
quattro schiavi (tenori)
Guardie (tenori e bassi)
Sinossi
Atto primo.
Gomatz, schiavo cristiano, e Zaide, la preferita del sultano Soliman, si
innamorano e progettano di fuggire insieme; il sorvegliante Allazim decide di
aiutarli e di scappare con loro.
Atto secondo.
Il sultano dà sfogo al suo furore: la bella Zaide, da lui invano corteggiata, gli ha
preferito uno schiavo cristiano. Zaram, capo delle guardie, cattura i fuggitivi e
li conduce davanti al sultano ancora in collera; Zaide lo supplica perché
risparmi almeno Gomatz. L'autografo mozartiano si interrompe a questo punto
e, in mancanza del libretto originale, restano aperti alcuni interrogativi
riguardo il numero di atti previsto (due o tre) e la conclusione della vicenda
(lieto fine con il perdono del sultano o condanna degli amanti).
Struttura musicale
Atto I:
Scena I:
Brüder, lasst uns lustig sein - Coro (Schiavi) - Allegro (re maggiore) - archi
Scena II:
Scena III:
Ruhe sanft, mein holdes Leben - Aria (Zaide) - Tempo di Minuetto grazioso
(sol maggiore). Andante. Moderato (do maggiore) . Tempo di Minuetto
grazioso (sol maggiore) - oboe, fagotto, archi
Rase, Schicksal, wüthe immer - Aria (Gomatz) - Allegro assai (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Meine Seele hüpft vor Freuden - Duetto (Zaide, Gomatz) - Allegro ma
moderato (mi bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena IV:
Herr und Freund! wie dank' ich dir - Aria (Gomatz) - Allegretto (do
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Scena V:
Nur mutig, mein Herze, versuche dein Glück - Aria (Allazim) - Allegro
maestoso (fa maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VI:
Atto II:
Scena I:
Scena III:
Wer hungrig bei der Tafel sitzt - Aria (Osmin) - Allegro assai (fa maggiore) -
archi
Scena IV:
Ich bin so bös' als gut - Aria (Soliman) - Allegro moderato (mi bemolle
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena V:
Trostlos schluchzet Philomele - Aria (Zaide) - Andantino (la maggiore) -
archi
Scena VI:
Tiger! wetze nur die Klauen - Aria (Zaide) - Allegro assai (sol minore).
Larghetto. Allegro assai - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VII:
Ihr Mächtigen seht ungerührt - Aria (Allazim) - Un poco Adagio (si bemolle
maggiore). Allegretto. Moderato. Allegretto - 2 oboi, 2 corni, archi
Freudin! stille deine Thränen - Quartetto (Zaide, Gomatz, Soliman, Allazim)
- Allegro assai (si bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Guida all’ascolto
Dopo la morte del marito, Constanze Mozart trovò tra le sue carte il
manoscritto autografo di quindici numeri musicali di una «operetta tedesca»
incompleta e senza titolo, e lo vendette all’editore di O"enbach, Johann Anton
André; questi terminò la partitura scrivendo il finale e la pubblicò in seguito
(nel 1838) con il titolo Zaide, dal nome della protagonista. Nell’epistolario di
Mozart si possono rintracciare alcune notizie su questa composizione: il
musicista la iniziò nel 1779, probabilmente senza una commissione precisa,
ma con la speranza di farla rappresentare da una delle compagnie teatrali –
quella di Böhm o di Schikaneder – che in quegli anni si erano a"ermate
presentando in tedesco Singspiele originali, o traduzioni di opere bu"e italiane
e diopéras-comiquesfrancesi. Per il libretto venne interpellato Andreas
Schachtner, trombettista nell’orchestra di corte di Salisburgo e amico della
famiglia Mozart; fonte d’ispirazione era Das Serail di F. J. Sebastiani, un
Singspiel rappresentato forse a Erlangen nel 1778 e poi a Bolzano nel 1779
con le musiche di Joseph von Frieberth. Il testo dei dialoghi di Schachtner è
andato perduto, e ci resta soltanto la versione rimaneggiata da Carl Gollmick
per André. Il soggetto riprende l’ambientazione ‘turca’ divenuta popolare
grazie agli scritti di Voltaire e Montesquieu, e più in generale legata a una
moda – musicale e no – che tanto successo aveva in quegli anni.
Atto primo. Gomatz, schiavo cristiano, e Zaide, la preferita del sultano Soliman,
si innamorano e progettano di fuggire insieme; il sorvegliante Allazim decide
di aiutarli e di scappare con loro.
Atto secondo. Il sultano dà sfogo al suo furore: la bella Zaide, da lui invano
corteggiata, gli ha preferito uno schiavo cristiano. Zaram, capo delle guardie,
cattura i fuggitivi e li conduce davanti al sultano ancora in collera; Zaide lo
supplica perché risparmi almeno Gomatz. L’autografo mozartiano si
interrompe a questo punto e, in mancanza del libretto originale, restano aperti
alcuni interrogativi riguardo il numero di atti previsto (due o tre) e la
conclusione della vicenda (lieto fine con il perdono del sultano o condanna
degli amanti).
https://youtu.be/npPetYO2siE
Testo: Tobias Philipp, baron von Gebler ed Andreas Schachtner il n. 8
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Thamos345-testo.html
Trama
La figlia Tharsis, rapita durante la rivolta contro il padre, viene a!data con il
nome di Sais alla sacerdotessa Mirza. Alla morte di Ramesses, Sethos, ovvero
Menès, rinuncia al trono in favore di Thamos (figlio di Ramesses) che è
innamorato di Sais, ovvero Tharsis. Segue il complotto ordito da Pheron,
consigliere di Thamos e da Mirza per strappare Sais a Thamos e per
detronizzare quest'ultimo.
Note
Al ritorno da Parigi nel gennaio del 1779 Mozart si avvicinò al mondo del
teatro tedesco minore attraverso una bizzarra miscellanea di Singspiel,
tragedie e balletti. In questo clima di fervore teatrale Mozart riprese due cori
composti nel 1773, originariamente destinati al dramma eroico "Thamos, re
d'Egitto" di Tobias Philipp von Gebler; aggiunse inoltre un terzo coro ex novo e
arricchì il tutto con quattro intermezzi sinfonici.
Questa partitura non ebbe successo in nessuna delle due stesure: fu solo
utilizzata da Bohm, impresario teatrale di una compagnia ambulante, per
arricchire il dramma "Lanassa". Posteriormente Mozart tentò di dare nuova luce
ai due cori principali trasformandoli in inni spirituali con testi latini
("Splendente Te Deum","Ne pulvis et cinis") e con testi tedeschi ("Preis dir!
Gottheit","Ob furchterlicht tobend").
Organico orchestrale
Soli (soprano, contralto, tenore, basso), coro e orchestra (archi, flauti, oboi,
corni, trombe, tromboni, timpani).
Nell'estate del 1773 Mozart mise in musica due cori del dramma eroico
Thamos Konig in Agypten di Tobias Gebler (1726 - 1786), consigliere
austriaco alla corte boema e fra i principali fautori del rilancio del teatro
viennese. All'epoca Mozart aveva appena sedici anni e si trovava a Vienna in
compagnia del padre Leopold che, ansioso di far conoscere al mondo il
prodigioso talento del figlio, vide in questa commissione una preziosa
opportunità per la sua fortuna. Il dramma però non ebbe successo: esso fu
rappresentato solo una volta a Pressburg nel 1773 e venne replicato a Vienna
nel 1774 e a Salisburgo nel 1776, ma probabilmente senza le musiche
mozartiane. Sei anni più tardi, consapevole dell'assoluto valore della sua
musica, Wolfgang rimaneggiò i due cori già musicati, compose un terzo coro
(quello conclusivo, su testi di Schachtner) e arricchì il dramma con cinque
intermezzi sinfonici. Tuttavia anche questa seconda versione non ebbe sorte
migliore della prima e fu ben presto dimenticata. Se ne duole lo stesso Mozart
in una lettera del 15 febbraio 1783: "Mi dispiace molto di non poter utilizzare
la musica del Thamos! Il dramma non è piaciuto e rimarrà uno dei tanti
scartati, destinato a non essere più eseguito. Dovrebbero rappresentarlo, il
Thamos, esclusivamente per la mia musica, ma sarà di!cile che lo facciano.
Peccato!".
L'atipicità del genere (musiche di scena con cori) rendono tutt'oggi questa
partitura di di!cile esecuzione, e così si conferma l'infausto destino del K 345,
che raramente trova posto nei cartelloni delle sale da concerto. Ciò
nonostante, il Thamos è considerato, per la suggestiva imponenza delle pagine
corali e la "modernità del linguaggio sinfonico", come "il precedente di gran
lunga più importante e decisivo dell'"Idomeneo" (Carli Ballola). Ma è l'intima
corrispondenza con il Flauto magico ad aver destato l'attenzione degli studiosi
mozartiani. Le analogie con l'ultimo capolavoro teatrale di Mozart sono da
ricercarsi innanzitutto nella comune matrice massonica: il testo di Thamos è
infatti opera di un massone, Gebler, ed è disseminato di simbologie e
riferimenti alla massoneria. Inoltre entrambi i libretti sono derivati dal romanzo
Sethos dell'Abate Jean Terasson.
Fiero delle musiche composte, Mozart cercò infine di recuperare almeno i cori,
adattandovi testi tedeschi e latini di carattere sacro e trasformandoli quindi in
"Inni spirituali".
Con le musiche di scena per il "dramma eroico" Thamos, König in Agypten del
barone Tobias Philipp von Gebler, Mozart si accosta per la prima e unica volta
al genere della "musica di scena"; genere saturo di intellettualismo che aveva
avuto il suo centro di irradiazione nella Francia del Settecento, e di qui era
penetrato nei paesi di lingua tedesca attraverso le teorie di J. A. Scheibe,
l'operato del direttore di scena Ernst Ackermann e le discussioni di Lessing
nella Drammaturgia di Amburgo.
Anche di questa nuova fatica Mozart non raccolse frutti immediati; la musica di
Thamos circolò adattata da Böhm per il dramma Lanassa di Plümicke (di
ambiente indiano, derivato da una tragedia francese) e a Mozart capitò di
sentirla ancora a Francoforte nel 1790, quando si trovava nella città per le
feste dell'incoronazione di Leopoldo II a sacro romano Imperatore germanico;
ma non ebbe mai la soddisfazione di vederla accoppiata al dramma per cui era
nata, restandogliene un sincero rimpianto: in una lettera al padre del 1783 da
Vienna si dispiace ancora che quel lavoro teatrale, degno di essere ripreso "a
causa della sola musica", fosse ormai caduto nel dimenticatoio.
Giorgio Pestelli
https://youtu.be/Ba9K_T5ivTQ
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Idomeneo-testo.html
Ruoli:
Idomeneo fu composto tra l’autunno del 1780 e i primi giorni del 1781 su
libretto di Gianbattista Varesco, cappellano di corte dell’arcivescovo di
Salisburgo. Del libretto esistono due versioni: la prima presenta il testo
integrale; la seconda non riporta, invece, i numerosi passi tagliati o non
musicati da Mozart, altri espunti dopo esser stati composti e altri ancora
esclusi all’ultimo momento per esigenze di durata. A partitura ultimata, il
compositore e"ettuò ulteriori tagli per snellire la lunghezza dello spettacolo.
Questa complessa vicenda testuale nasconde un travaglio creativo,
documentato dalla quarantina di fondamentali lettere che Mozart e suo padre
si scambiarono tra l’8 dicembre 1780 e il 22 gennaio 1781. In esse il
compositore discute con Varesco, per interposta persona, le soluzioni da
adottare in molte parti del dramma. Non conosciamo l’esito della prima
rappresentazione, ma dai pareri dei membri della corte di Monaco riportati
nell’epistolario, si deduce che l’impressione destata dal lavoro del compositore
venticinquenne fu enorme: «Vi assicuro che mi aspettavo molto da voi»
confessò a Mozart il conte Seinsheim in una lettera del 1º dicembre 1780, «ma
veramente non mi aspettavo questo!».
Atto primo. Dopo la caduta di Troia, Idomeneo, re di Creta, torna in patria dal
figlio Idamante, ma la sua flotta è colta dalla tempesta (“Pietà! Numi pietà”). La
figlia di Agamennone, Elettra, dopo l’uccisione della madre Clitennestra, si è
rifugiata a Creta dove si è innamorata di Idamante, che ama invece Ilia, figlia di
Priamo re di Troia, inviata da Idomeneo a Creta come prigioniera. La
incontriamo lacerata tra l’inclinazione amorosa per un nemico e il suo onore di
principessa troiana: ella respinge Idamante, facendo violenza a se stessa.
Idamante, che ha saputo del prossimo arrivo del padre, libera tutti i prigionieri
troiani e dichiara a Ilia il suo amore. I troiani liberati esprimono la loro gioia:
ma questo gesto di magnanimità indispone Elettra, che accusa Idamante di
proteggere il nemico e di oltraggiare tutta la Grecia. Nel frattempo giunge il
confidente Arbace a portare la falsa notizia secondo cui Idomeneo sarebbe
annegato dopo un naufragio. Idamante allora si ritira in preda a profondo
dolore, mentre Elettra dà libero corso alla sua disperata gelosia, pensando che
Idamante, ormai re, sposerà certamente Ilia (“Tutte nel cor vi sento”). Cambia
la scena: dalla spiaggia si vede la flotta di Idomeneo sul mare in burrasca e si
odono le grida dell’equipaggio in preda al terrore. Per placare la collera di
Nettuno, Idomeneo ha fatto voto di sacrificare al dio del mare il primo essere
umano che incontrerà sulla terraferma, se mai riuscirà a sbarcarvi. Giunto in
salvo, egli pensa con angoscia e dolore alla terribilità del suo voto (“Vedrommi
intorno”), e inorridisce ulteriormente quando scopre che il giovane appena
incontrato è suo figlio Idamante: preso dal terrore, fugge e gli vieta di seguirlo.
Idamante esprime profondo stupore per il comportamento del padre.
L’intermezzo introduce una marcia e un coro di guerrieri che si uniscono alle
donne cretesi, inneggiante a Nettuno che li ha ricondotti salvi in patria
(“Nettuno s’onori”).
Atto secondo. Per sfuggire al suo terribile dovere, Idomeneo decide di inviare
Idamante con Elettra ad Argo, dove quest’ultima deve salire al trono. Arbace,
incaricato di annunciare al principe la decisione paterna, fa professione di
ubbidienza. Ilia si congratula con Idomeneo per il suo ritorno, vanta la bontà di
Idamante, che le ha ridato la libertà, e manifesta al re la sua devozione (“Se il
padre perdei”). Questi sospetta l’amore dei due e si sente ancora più oppresso
(“Fuor del mar, ho un mar in seno”). Anche Elettra ringrazia il re per la sua
decisione: rimasta sola, canta la sua gioia nel vedere prossimo a realizzarsi il
suo desiderio più ardente (“Idol mio, se ritroso”). La partenza dei guerrieri e
dei marinai viene annunciata da una marcia e da un coro (“Placido è il mar,
andiamo”): un terzetto dà quindi modo a Elettra, Idomeneo e al sempre a#itto
Idamante di esprimere i propri sentimenti (“Pria di partir, o Dio”). Ma ecco
scatenarsi una nuova, terribile tempesta: un mostro marino sorge dalle acque
(“Qual nuovo terrore”). Il re comprende il suo peccato e vuole sacrificarsi al
posto del figlio, mentre il coro dei cretesi si disperde terrorizzato.
Atto terzo. Ilia a!da ai venti il suo messaggio d’amore per Idamante (“Ze!retti
lusinghieri”); questi le dichiara di essere deciso a cercare la morte
combattendo il mostro marino, dacché suo padre lo odia e lei lo disdegna. Ma
Ilia, commossa, gli confida il suo amore e ambedue si uniscono in un duetto
(“S’io non moro a questi accenti”). Giungono Idomeneo ed Elettra e, di nuovo, il
re ordina al figlio di lasciare Creta per sottrarsi alla morte: è il momento del
favoloso quartetto (“Andrò, ramingo e solo”). Arbace allora annuncia che il
gran Sacerdote si avvicina seguito dal popolo: quest’ultimo domanda al re di
liberare i cretesi dal mostro, lo sollecita a compiere il voto e domanda il nome
della vittima. Quando Idomeneo pronuncia quello del figlio, il popolo esprime
il suo sgomento (“O voto tremendo”). Il sacrificio inizia con una marcia, seguita
da una preghiera del re; ma ecco una fanfara che echeggia di lontano: Arbace
annuncia che Idamante, vincitore, ha ucciso il mostro. Il principe, incoronato di
fiori, viene quindi condotto al sacrificio: ora sa tutto e si dichiara pronto a
morire. Ma, nel momento in cui Idomeneo sta per colpirlo, Ilia cade tra le sue
braccia e si o"re come vittima al posto di colui che ama. Dopo una lunga
discussione, piena dei più nobili sentimenti, si sente improvvisamente la voce
dell’oracolo di Nettuno: Idomeneo deve rinunciare al trono in favore di
Idamante che regnerà, dopo essersi sposato con Ilia. Elettra scoppia in
furibonde imprecazioni e fugge (“D’Oreste e d’Aiace/ Ho in seno i tormenti”).
Idomeneo ringrazia gli dèi ed esprime la sua gioia (“Torna la pace al core”);
Idamante è incoronato tra cori e danze (“Scenda amor, scenda Imeneo”).
I due pezzi d’assieme, il terzetto del secondo atto e il quartetto del terzo,
rappresentano situazioni statiche. Ma quest’ultimo è un capolavoro di finezza
psicologica nella resa dei quattro personaggi con i loro sentimenti contrastanti:
lo smarrimento inquieto di Idamante che si appresta a partire, la dedizione
eroica di Ilia disposta a seguirlo anche nella morte, la rabbia blasfema di
Idomeneo che impreca contro gli dèi e la gelosia di Elettra, che le corrode
l’animo. Il senso fatalistico del limite, che blocca la volontà dell’uomo dinnanzi
al destino, è resa da Mozart con un vero colpo di genio, paragonabile a quelli
che fanno dei cori drammatici esempi supremi di musica teatrale. Ricordiamo
l’intensità del coro dei naufraghi nel primo atto, diviso in una sezione vicina e
in una lontana, mentre l’orchestra riempie gli spazi vastissimi della natura in
tempesta con l’imitazione del vento e delle onde; il blocco finale dell’atto
secondo, con i due cori divisi dal recitativo di Idomeneo; la potenza evocativa
con cui, dopo il recitativo del gran Sacerdote, la folla accoglie nel terzo atto la
notizia che Idomeneo dovrà uccidere Idamante: tutti momenti musicali e
drammatici che si pongono tra le più alte realizzazioni teatrali di Mozart.
Accanto a questi pezzi, i cori decorativi nel primo atto (“Godiam la pace”,
“Nettuno s’onori”) e nel terzo (“Scenda amor”) rappresentano momenti di
distensione, che il compositore risolve con squisita eleganza di gusto francese.
Idomeneo anticipa molti aspetti dei capolavori futuri, ma rimane un’opera seria
italiana fondata sull’alternanza di aria e recitativo, con l’esclusione di veri
concertati d’azione. Mozart comprese gli ostacoli che le convenzioni del
genere mestastasiano opponevano a quell’esigenza di naturalezza, di realismo
psicologico e di continuità temporale nella rappresentazione del dramma che
egli sentiva prepotentemente sorgere nella sua coscienza di uomo di teatro.
Cercò allora di stabilire una continuità tra un pezzo e l’altro, facendo ampio
ricorso al recitativo accompagnato; ma quando, poco prima dell’esecuzione, si
accorse della inaccettabile lentezza del terzo atto, non esitò a tagliare tre arie
di Idamante, Elettra e Idomeneo per non interrompere l’azione nell’ultima
parte della tragedia. Tutta l’opera mostra quindi, insieme al supremo valore
dell’invenzione musicale e a una scrittura orchestrale che non ha paragoni per
sontuosità di e"etti nella restante produzione mozartiana, anche un
drammatico contrasto tra il testo, che additava al musicista un certo genere di
drammaturgia musicale, e la sensibilità di Mozart, che tenta in ogni modo di
piegare gli schemi rigidi dell’opera seria alla sua nuova idea di teatro musicale.
Nella sua polivalenza espressiva e stilistica – tragédie lyrique, dramma
gluckiano ed elementi di realismo psicologico innestati sul tronco dell’opera
seria metastasiana – Idomeneo rimane dunque un’opera sperimentale, priva di
unità stilistica ma cementata dalla maestria compositiva di Mozart che ci
meraviglia per la ricchezza, la profondità, l’audacia delle soluzioni stilistiche,
tecniche ed espressive. Tutto è ad altissimo livello, ma l’invenzione del
compositore letteralmente fiammeggia dove il testo, specie nei cori drammatici
e nelle arie di Ilia, gli o"riva la possibilità di rispecchiare gli intrecci della
psicologia umana. La via che guarda al futuro è quindi saldamente tracciata e
dopo Idomeneo, senza più indugiare, Mozart potrà imboccarla, aprendo
all’opera in musica la rappresentazione della vita nella sua immediatezza,
dando al teatro musicale una complessità estetica degna del grande teatro di
prosa: un’impresa che il Settecento razionalista riteneva francamente
impossibile.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi
Dopo numerosi rinvii e ritardi, il dramma per musica Idomeneo andò in scena il
29 gennaio 1781 al Residenztheater di Monaco ottenendo un buon successo.
Oltre che all'Elettore, presente la sera del debutto, quest'opera così "nuova e
insolita" piacque enormemente agli intenditori e ai musicisti, ma non conquistò
emotivamente il grande pubblico dei profani, abituato a ben altre esibizioni (lo
spettacolo, le cui scene erano opera del celebre architetto teatrale Lorenzo
Quaglio, fu invece unanimemente apprezzato). Benché si dichiarasse non del
tutto soddisfatto del risultato raggiunto a causa della ambiguità di fondo
(avrebbe preferito che l'opera fosse impostata alla maniera francese, nello
spirito dei modelli di Gluck), Mozart aveva osato molto e ne era pienamente
consapevole. Seppure costrette nelle regole dell'opera seria tradizionale, le
novità drammaturgiche e musicali erano tante e sotto molti aspetti
rivoluzionarie. Anzitutto Mozart dette un rilievo straordinario agli strumenti a
fiato, facendo dell'orchestra nel suo complesso l'elemento più importante della
trama compositiva, sia negli accompagnamenti delle parti cantate sia in quelle
non cantate: ne è esempio la grandiosa e patetica Ouverture in re maggiore,
che si dissolve senza soluzione di continuità nella prima scena dell'opera. In
secondo luogo trasformò i recitativi accompagnati in un vero, ininterrotto
dialogo tra voci e strumenti, conferendo all'azione una tensione montante nel
segno della continuità e sfociante in poderosi insiemi sovente sorretti dal coro,
cui venne attribuita una forza speciale, penetrante. Soprattutto però riuscì a
corredare un testo sfilacciato di una musica densa, luminosa, ricca, esuberante
nell'invenzione e nell'espressione, la cui ambizione estetica andava ben al di là
del consueto commento musicale a un soggetto celebrativo. Nonostante la sua
non perfetta riuscita come progetto globale di teatro, non almeno al livello
delle successive opere su libretti di Da Ponte, Idomeneo presenta puntate
ardite, cime sfolgoranti di compiuta e assoluta bellezza, apici quali non
sarebbero mai stati più toccati neppure dal più grande drammaturgo musicale
che la storia abbia avuto prima di Wagner.
Ciò si può spiegare proprio con il posto occupato da Idomeneo nella sua
carriera. Non per nulla Mozart non smise mai di amare quest'opera, che lo
toccava anche sul piano personale. Aveva venticinque anni quando la compose
ed essa significò per lui la prima, vera scoperta del grande teatro, del teatro
inteso non soltanto come confronto con una fulgida, doviziosa tradizione ma
anche come luogo di identificazione, di vita e di verità. Ed era stata la
convinzione di potersi esprimere nel modo più compiuto proprio in questo
ambito a spingerlo ineluttabilmente, quasi ossessivamente verso il teatro.
Naturalmente non era la prima volta che scriveva un'opera seria: aveva già dato
prova di sé nell'opera seria attraverso Lucio Silla e Il re pastore. Era però la
prima volta che si trovava di fronte alla commissione di un grande teatro, a
una grande orchestra e a cantanti di grido, di cui avrebbe presto imparato a
riconoscere croci e delizie. Ed era la prima volta che si sentiva maturo per
uscire dal suo guscio e pensare, creare finalmente in grande. Inevitabile che
questa prova del fuoco avvenisse sotto il segno del rapporto problematico di
acerbità-maturità, fase che poi Mozart avrebbe superato nella felicità della
forma perfetta; essa era però anche nutrita da tutto l'entusiasmo, la vitalità, la
determinazione, la spregiudicatezza, l'euforia tipiche della prima volta, quella
nella quale, pur fra molti dubbi e autocritiche, si viene spalancando un mondo
di sogno, a lungo desiderato e vagheggiato, per diventare realtà.
Alla notevole varietà di elementi stilistici o"erti dal testo e messi dalla musica
in fertile contrasto, senza che ciò producesse buchi o fratture, si venne
aggiungendo un altro tratto del tutto nuovo e personale, destinato a divenire il
cardine del futuro teatro di Mozart: il realismo psicologico che investe non
soltanto i singoli personaggi ma anche l'ordito generale della composizione. Si
è già detto che il musicista superò gli ostacoli frapposti dalle convenzioni del
genere metastasiano esigendo con naturalezza continuità e compattezza nella
rappresentazione del dramma: continuità e compattezza non soltanto tra un
pezzo e l'altro, e massimamente negli insiemi culminanti del terzetto del
secondo atto e del già ricordato quartetto del terzo, nonché nei cori ora
drammatici ora sospensivi, ma anche all'interno di una singola scena, facendo
ampio ricorso al recitativo accompagnato e allo stile concertante per non
interrompere l'azione. Di ciò beneficiarono in larga misura anche le arie,
concepite in modo da stabilire uno stretto rapporto tra personaggio e
situazione: di fatto, quello viene definito da questa. Ne è un esempio l'aria
centrale di Idomeneo "Fuor del mar ho un mar in seno"; nella quale il re
vincolato a un terribile giuramento paragona il tumulto del proprio animo a
quello di una violenta tempesta marina: dove la scrittura riesce a fissare
mirabilmente, nelle catene di vocalizzi, l'immagine della burrasca come
metafora del lacerante conflitto scatenatosi nell'animo del protagonista.
Idomeneo anticipa molti aspetti dei capolavori futuri ma rimane un unicum che
non avrebbe avuto, nella sua ineguaglianza, eguali: non si può rivivere due
volte la stessa esperienza, rifare la stessa scoperta. Traboccante di originalità e
invenzione, sperimentale, audace, fremente di contrasti e di opposti a"etti,
questa partitura è scolpita come un bassorilievo palpitante di chiaroscuri,
emblema insieme della classicità e di un'ambiguità di segno addirittura
preromantico. Tutto è in essa di altissimo livello, persino nei fitti, eleganti
numeri di danza, nati controvoglia per assecondare il gusto della corte e
rivelatisi figli adulti e maturi, svezzati dalle danze francesi di Gluck. Ma è là
dove il testo o"riva la possibilità di accendere i fuochi della psicologia umana
rispecchiando gli stati d'animo che l'invenzione del compositore letteralmente
esplode, sontuosamente e magistralmente: tanto nelle arie quanto nei cori
portentosi, mai scissi dal caldo dell'azione. A Mozart, dopo Idomeneo, non
restava che organizzare e completare il suo genio, compiendo quel che restava
da compiere: fondare l'opera nazionale tedesca e realizzare una nuova idea di
teatro musicale basata sulla fusione dei generi, in grado di rappresentare fino
in fondo la vita nella sua immediatezza, molteplicità e polivalenza.
Sergio Sablich
Struttura musicale
Ouverture - Allegro (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
corni, 2 trombe, timpani, archi
Atto I:
Scena I
Padre, germani, addio! - Aria (Ilia) - Andante con moto (sol minore) - 2
oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena II:
Scena III:
Godiam la pace, trionfi Amore - Coro (Troiani e Cretesi) - Allegro con brio
(sol maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena IV:
Scena V:
Scena VI:
Estinto è Idomeneo? - Recitativo (Elettra) - Allegro assai. Larghetto. Allegro
assai - archi
Tutte nel cor vi sento - Aria (Elettra) - Allegro assai (re minore) - 2 flauti, 2
oboi, 2 fagotti, 4 corni, archi
Scena VII:
Pietà! Numi pietà! - Coro (Popolo e marinai cretesi) - Allegro assai (do
minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, archi
Scena VIII:
Scena IX:
Scena X:
Scena XI:
Atto II:
Scena I:
Non più, Tutto ascoltai - Recitativo (Ilia, Idamante) - Allegro (do maggiore).
Andante. Allegro assai. Andante - archi
Scena II:
Scena III:
Fuor del mar ho un mar in seno - Aria (Idomeneo) - Allegro maestoso (re
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Scena IV:
Sire, da Arbace intesi - Recitativo (Elettra, Idomeneo)
Scena V:
Scena VI:
Scena VII:
Qual nuovo terrore! - Coro (Coro) - Piu Allegro (fa minore - do minore) -
ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, archi
Corriamo, fuggiamo, quel mostro spietato - Coro (Coro) - Allegro assai (ré
minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi
Atto III:
Scena I:
Scena II:
a. S'io non moro a questi accenti - Duetto (Ilia, Idamante) - Un poco piu
Andante (la
maggiore). Allegretto - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
b. Spiegarti non poss'io - Duetto (Ilia, Idamante) - Larghetto (la maggiore) -
2 oboi, 2 fagotti,
archi [versione alternativa - utilizza il Duetto K 489 (Vedi nota posta
all'inizio del secondo atto)]
Scena III:
Scena IV:
Sire, alla reggia tua immensa turba - Recitativo (Arbace, Ilia, Idomeneo,
Elettra)
Scena V:
Se colà ne' fati è scritto - Aria (Arbace) - Andante (la maggiore) - archi
Scena VI:
Scena VIII:
Scena IX:
Scena X:
Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio) K384 - (16 luglio
1782, Burgtheater, Vienna)
https://youtu.be/q7cPp8jrzcw
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Serraglio-testo.html
Ruoli:
Atto secondo. Nel giardino del palazzo, la cameriera Blonde lamenta il rozzo
corteggiamento dei turchi, ai quali si sente in grado di dettare alcune norme di
galateo amoroso (“Durch Zärtlichkeit und Schmeicheln”). Davanti alle proteste
di Osmin, Blonde si dichiara inglese e perciò «nata per la libertà»; il turco,
geloso, le consiglia di evitare Pedrillo, ma la ragazza lo a"ronta con minacciosa
determinazione, provocando la rapida fuga dell’uomo (duetto “Ich gehe, doch
rate ich dir”). Sopraggiunge Konstanze, oppressa senza tregua dall’angoscia
per la perdita dell’amato (recitativo “Welcher Wechsel herrscht in meiner Seele”
e aria “Traurigkeit ward mir zum Lose”); mentre Blonde cerca invano di
consolarla, il pascià torna alla carica con le sue pressanti pro"erte amorose.
All’ennesimo diniego della donna, il tiranno minaccia i supplizi più atroci. La
risposta di Konstanze è sprezzante: sopporterà senza batter ciglio ogni
tortura; se il pascià non vorrà desistere dai suoi intenti persecutori, allora sarà
la morte una gradita liberazione (“Martern aller Arten”). Mentre il pascià medita
sullo straordinario coraggio della donna, Blonde incontra Pedrillo, che la
aggiorna sull’arrivo di Belmonte e le annuncia che la fuga è stata predisposta
per quella notte stessa, quando Osmin verrà addormentato da Blonde con un
sonnifero. La ragazza gioisce per le inaspettate buone notizie e si avvia a
comunicarle all’infelice Konstanze (“Welche Wonne, welche Lust”); Pedrillo,
intanto, dapprima si prepara al rischioso evento (“Frisch zum Kampfe! Frisch
zum Streite!”), quindi riesce con molta arte a convincere Osmin a bere il vino
drogato, infrangendo il divieto islamico al riguardo (duetto “Vivat Bacchus!
Bacchus lebe!”). Mentre Osmin, barcollante e assonnato, esce di scena, giunge
Belmonte per mettere in atto il piano di fuga: finalmente i due amanti,
commossi, si possono ricongiungere (“Wenn der Freude Tränen fließen”); fugati
i dubbi dei due uomini sulla fedeltà delle loro amate, entrambe le coppie si
preparano alla fuga (quartetto “Ach Belmonte, ach mein Leben”).
Atto terzo. Pedrillo sta ultimando, nella piazza antistante il palazzo del pascià,
i preparativi per la fuga; per simulare la più completa normalità, invita
Belmonte a cantare, come Pedrillo stesso è solito fare tutte le sere: nella sua
canzone Belmonte invoca il potere invincibile dell’amore (“Ich baue ganz auf
deine Stärke”). Con una serenata ‘autobiografica’, accompagnandosi al
mandolino, Pedrillo dà il segnale convenuto alle ragazze, che si trovano nelle
loro stanze (“In Mohrenland gefangen war”). Quando Konstanze si a"accia, i
due uomini appoggiano una scala al muro, e Belmonte può così introdursi nel
suo appartamento attraverso la finestra; mentre la coppia, uscita dal palazzo,
si dirige verso la nave, Pedrillo entra a sua volta nella camera di Blonde. In quel
mentre, però, esce Osmin, che si accorge della scala: Pedrillo e Blonde
vengono così catturati da una guardia; anche l’altra coppia è stata intanto
catturata e Osmin, fuori di sé dalla gioia per l’imminente fine dei seccatori,
ordina che siano condotti tutti davanti al pascià (“O, wie will ich triumphieren”).
Nel dichiarare la propria identità, Belmonte rivela di essere figlio del
comandante di Orano, il «peggior nemico» del pascià, colui che ne ha
annientato ogni gioia; di fronte a questa terribile sorpresa, Konstanze e
Belmonte si preparano alla morte atroce che certo sta per toccare loro,
piangendo ciascuno per l’amato, ma felici che un unico destino li accomuni
(recitativo “Welch ein Geschick, o Quaal der Seele” e duetto “Meinetwegen sollst
du sterben”). Mentre anche Pedrillo e Blonde fanno i conti con la loro sorte, il
pascià sorprende tutti con una sentenza inattesa: decide di liberare i
prigionieri, perché testimonino al padre di Belmonte che «è un piacere ben
superiore ricambiare con opere di bene un’ingiustizia subita, piuttosto che
rendere male per male». Nonostante le proteste di Osmin, anche Blonde e
Pedrillo vengono rilasciati, nel tripudio generale – Osmin a parte (vaudeville
“Nie werd’ich deine Huld verkennen” e coro di giannizzeri “Bassa Selim lebe
lange”).
Il lavoro sull’opera iniziò già nell’estate del 1781, quando Mozart prese a
mettere in musica la riduzione del testo di Bretzner confezionata dall’abile
Stephanie junior (1741-1800), commediografo celebre a Vienna per i suoi
adattamenti teatrali. La prima rappresentazione si concretizzò, a quasi un anno
di distanza, nel teatro deputato al progetto del ‘National-Singspiel’, un nuovo
genere drammatico-musicale in lingua tedesca promosso dall’imperatore
Giuseppe II. Il Ratto dal serraglio si inserisce in modo del tutto originale nei
tentativi di far nascere una specifica drammaturgia nazionale, come fu notato
già all’epoca da Goethe. In verità Mozart persegue la definizione di un proprio
linguaggio musicale adatto al teatro in musica: un tono caratteristico e
individuale, che permei di sé l’intera partitura attraverso un progetto
drammatico personale, una cifra ‘classica’ che, attraverso l’influsso dell’opéra-
comique francese e soprattutto dell’opera bu"a italiana, trova nell’Entführung
la sua formulazione compiuta. Nel tempo comodo e inconsueto di un intero
anno, Mozart poté perfezionare senza alcuna fretta la partitura, nonché
intervenire sistematicamente sul piano drammaturgico, trovando in Stephanie
un collaboratore ideale, al di là dei dubbi altrui sull’individuo: «Tutti arricciano
il naso su Stephanie. Può darsi che anche con me si comporti da amico solo
quando gli sono di fronte. Però mi sta rimaneggiando il libretto, e proprio
come voglio io, a pennello, e, per Dio, altro da lui non pretendo». Non a caso
buona parte delle rare dichiarazioni di poetica del compositore riguardo al
teatro d’opera nascono proprio nei mesi del lavoro al Ratto. Si veda ad
esempio la celebre lettera in cui si scrive, ribaltando la teoria classicistica
metastasiana, che la poesia «deve essere assolutamente figlia devota della
musica», consegnando ai posteri l’impegnativa ricetta dell’opera di successo:
«L’ideale è quando s’incontrano un buon compositore, che si intende di teatro
ed è in grado di dare un suo contributo, e un poeta intelligente, una vera araba
fenice». Oppure l’altrettanto importante passo in cui, a proposito dell’aria di
Osmin (“Solche hergelauf’ne La"en”), Mozart a"erma che «le passioni, violente
o no, non devono essere mai espresse al punto da suscitare disgusto e la
musica, anche nella situazione più terribile, non deve mai o"endere l’orecchio,
ma piuttosto dilettarlo e restare pur sempre musica». L’intervento di Mozart
sul piano drammatico è talmente radicale da giungere alla modifica di taluni
aspetti dell’intreccio. Il finale, in particolare, attrasse l’attenzione del
compositore, che ottenne la rimozione del patetico originale di Bretzner, in cui
Belmonte veniva scoperto figlio del pascià; in sua vece venne introdotta la
nuova figura del comandante spagnolo di Orano, acerrimo nemico di Selim,
con un doppio vantaggio. Da un lato, infatti, la tensione drammatica risulta
accresciuta: Belmonte e Konstanze, che si credono ormai votati alla morte,
confessano la loro incrollabile fede nell’amore col duetto “Meinetwegen sollst
du sterben”; dall’altro Selim si rivela, in modo totalmente originale rispetto alla
pièce di Bretzner, un moderno sovrano illuminato, capace della virtù somma
del perdono. Un sovrano simile poteva trovare un degno corrispettivo, in sala,
proprio in Giuseppe II, mentre sulle scene aveva un modello autorevole nel Tito
metastasiano: la clemenza del pascià sembra anticipare La clemenza di Tito,
che terminerà infatti con un analogo perdono generale; e in fondo anche Le
nozze di Figaro si a!dano all’esito di un generoso perdono conclusivo,
concesso da un personaggio, la Contessa, nobile d’animo quanto di sangue. Le
caratteristiche – e la riuscita – della partitura dipendono anche dalle voci a
disposizione per la prima rappresentazione: erano in particolare Caterina
Cavalieri (Konstanze), splendido soprano di coloratura, dalle straordinarie doti
virtuosistiche, in seguito interprete di grandi ruoli mozartiani quali Donna
Anna e Donna Elvira nel Don Giovanni e la Contessa nelle Nozze di Figaro; il
tenore Johann Valentin Adamberger (Belmonte); il basso Johann Ignaz Ludwig
Fischer (Osmin), beniamino locale e allievo del celeberrimo Raaf. Se le qualità
della Cavalieri vengono rispecchiate dall’impervia parte di Konstanze, la figura
di Osmin fu ritagliata su misura per la «eccellente voce di basso» di Fischer
(come si espresse il compositore in una lettera al padre). La partitura
comprende un numero molto alto di arie solistiche rispetto ai concertati,
com’era nella tradizione del Singspiel, che a!dava ad attori-cantanti esibizioni
individuali di di!coltà non eccessiva (normalmente nel genere del Lied, che
Osmin esemplifica nella placida serenità di “Wer ein Liebchen hat gefunden”);
nelle mani di Mozart questa propensione per gli interventi solistici porta alla
nascita di una mirabolante galleria di personaggi, caratterizzati in modo
pregnante attraverso arie di grande vivacità drammatica. Se Osmin merita un
discorso a parte, le due coppie di occidentali, pur mosse da un’identico
‘motore’ erotico, conservano al loro interno le rispettive e ben precise
individualità. Belmonte, erede del ruolo di ‘amoroso’ nella coeva opera bu"a,
esordisce con una mobilissima aria tripartita (“Hier soll ich dich denn sehen”)
tipica della tradizione italiana, chiamata ‘arietta’ da Mozart, in cui la
condizione psicologica del personaggio, espressa in termini di originaria
freschezza, è tutta risolta in gesti musicali: lo scompenso fisico
dell’innamorato, turbato dall’imminente incontro con Konstanze, viene
descritto con una ricchezza di linguaggio sinfonico che preannuncia, già dal
primo numero, la peculiarità di tutta l’opera. Dopo aver forzato, con la sua
violenta irruzione, la struttura del Lied di Osmin, trasformandolo in duetto,
Belmonte si aggiudica un altro intervento importante: a un aurorale recitativo,
che sembra preannunciare l’assorta contemplazione di Tamino nel Flauto
magico, segue l’aria “O wie ängstlich, o wie feurig”, attenta nella cura del
dettaglio come nella struttura complessiva; e inoltre, l’instabile susseguirsi dei
diversi stati d’animo trova un puntuale corrispettivo musicale, ora nei violini
all’ottava che mimano il «cuore palpitante d’amore» (da una lettera del
compositore), ora nel crescendo chiamato a ra!gurare il sollevarsi del «petto
rigonfio». Completata così la propria presentazione come ‘amoroso’, Belmonte
usufruisce della sua ultima grande esibizione solistica nel terzo atto (“Ich baue
ganz auf deine Stärhe”): un’aria concertante dal tono più oggettivo, scritta, sin
dalla notevole introduzione orchestrale, in uno stile misurato, di seducente
a"abilità. Rimarchevole ed estremo intervento del personaggio è il recitativo e
duetto “Meinetwegen sollst du sterben”. Prima che la vicenda venga sciolta
dall’imprevisto lieto fine, i due giovani si trovano a scambiarsi la parola
definitiva sul loro amore: la morte per amore rivela tutto lo spessore metafisico
del sentimento e conduce direttamente alla beatitudine («Seligkeit»: in
corrispondenza di questa parola, è messo in risalto il timbro ‘caldo’ dei fiati);
l’ampio respiro sinfonico del duetto si anima in particolare nell’entusiastica
chiusa a due, che segna la perfetta intesa raggiunta dagli innamorati in punto
di morte. La grandezza tragica, eroica e da ‘opera seria’ del personaggio di
Konstanze è a!data soprattutto alle due arie – arditamente consecutive (un
unicum nel teatro mozartiano) – del secondo atto. Se la prima (“Traurigheit
ward mir zum Lose”) restituisce l’immagine topica della fanciulla perseguitata
attraverso la lugubre tinta di sol minore, la seconda, “Martern aller Arten”, è
nientemeno che eccezionale. Organizzata, in modo già stravagante, su un
testo di tre strofe, si presenta dal suo esordio l’anomala configurazione di un
movimento di concerto; e in verità ciò che l’orchestra – a pieno organico, con
trombe e timpani – si trova a fronteggiare non è il solo soprano, ma un gruppo
di cinque strumenti solisti: flauto, oboe, violino e violoncello, ai quali
Konstanze si aggiunge, come quinta parte, a un livello di virtuosismo eccelso,
dando così origine a un imprevedibile tempo da ‘sinfonia concertante’ per voce
e strumenti. Notevoli anche gli interventi dell’altra coppia di innamorati,
determinante nel sofisticato quartetto posto a conclusione del secondo atto. A
Blonde, l’inglesina indipendente, è riservata un’aria bruciata tutta d’un fiato,
aderente alla natura travolgente del ‘piacere’ che la ragazza sta esaltando. Al
suo innamorato Pedrillo compete invece la romanza del terzo atto, in
apparenza semplice e immediata, ma in verità alquanto elaborata; Pedrillo
aveva già avuto modo di esibirsi in quel duetto del secondo atto con Osmin
che è un vero e proprio ‘delirio bu"o’, animato da un’orchestrazione
imperniata sul timbro argentino dei fiati acuti. Una strumentazione altrettanto
brillante e un’analoga vitalità ritmica competono anche all’ultima aria di
Osmin, in cui la sua parte di basso bu"o ottiene l’ennesima esaltazione
(ancora nel vaudeville finale il personaggio usufruirà di un’estrema
apparizione). L’orchestrazione gioca un ruolo particolare in tutta la partitura,
responsabile di quello stile ‘alla turca’ che conferisce all’opera un
inconfondibile colore locale: fu proprio utilizzando questa strumentazione,
derivata dalle bande di giannizzeri tanto alla moda nel secondo Settecento, che
Mozart scrisse l’ouverture, il coro del primo atto e quello finale (i primi pezzi a
venire composti); al di là dell’impiego di alcuni strumenti particolari
(grancassa, piatti, triangolo, tamburino), si trattava di applicare una serie di
procedimenti che imitassero un linguaggio esotico (Mozart stesso li aveva
impiegati nei movimenti finali della Sonata per pianoforte KV 331 e del
Concerto per violino KV 219, e anche Gluck se n’era servito nella Rencontre
imprévue e nell’Iphigénie en Tauride). Popolare a Vienna per le esecuzioni al
parco del Prater, la musica turca ottempera qui a una serie di funzioni:
introduce un elemento folcloristico e decorativo, accentua la caratterizzazione
comica di Osmin, simboleggia il carattere dispotico ed estraneo alle vicende
amorose dei personaggi musulmani. La sua frenesia dirompente cattura
l’ascoltatore sin dalla mirabile ouverture, in do maggiore, che prefigura in
rapida sintesi il vortice dell’azione; un’azione talmente incalzante che, a detta
di Mozart, «sarebbe impossibile addormentarcisi sopra anche avendo trascorso
tutta una notte in bianco».
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi
Struttura musicale
Atto I:
Scena I:
Hier soll ich dich denn sehen, Konstanze! - Aria (Belmonte) - Andante (do
maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Aber wie soll ich in den Palast kommen - Testo parlato - (Belmonte)
Scena II:
a. Wer ein Liebchen hat gefunden - Lied (Osmin) - Andante (sol minore).
Allego. Andante
flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
b. Verwünscht seist du - Duetto (Belmonte, Osmin) - Allegro (sol minore).
Presto (re maggiore)
2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena III:
a. Solche hergelauf'ne La"en - Aria (Osmin) - Allegro con brio (fa maggiore).
Adagio. Allegro
2 oboi, 2 corni, archi
Scena IV:
Geh nur, vermünschter Aufpasser - Testo parlato (Pedrillo, Belmonte)
Scena V:
Scena VI:
Singt dem grossen Bassa Lieder - Coro (Giannizzeri) - Allegro (do maggiore)
- ottavino, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, triangolo,
grancassa, archi
Scena VII:
Ach ich liebte, war so glücklich - Aria (Konstanze) - Adagio (si bemolle
maggiore). Allegro - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VIII:
Scena IX:
Scena X:
Marsch! trollt euch fort! - Terzetto (Belmonte, Pedrillo, Osmin) - Allegro (do
minore). Allegro assai (do maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi
Atto II:
Scena I:
Ich gehe, doch rathe ich dir - Duetto (Blonde, Osmin) - Allegro (mi bemolle
maggiore). Andante (do minore). Allegro assai (mi bemolle maggiore) - 2 oboi,
2 fagotti, 2 corni, archi
Scena II:
Scena III:
Martern aller Arten - Aria (Konstanze) - Allegro (do maggiore). Allegro assai.
Allegro. Allegro assai - flauto, oboe, violino, violoncello, 2 clarinetti, 2 fagotti,
2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Scena IV:
Scena V:
Scena VII:
Frisch zum Kampfe! - Aria (Pedrillo) - Allegro con spirito (re maggiore) - 2
oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Scena VIII:
Scena IX:
Wenn der Freude Thränen fliessen - Aria (Belmonte) - Adagio (si bemolle
maggiore). Allegretto - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Ich hab' hier ein Schi" - Recitativo (Belmonte, Konstanze, Pedrillo, Blonde)
Atto III:
Scena I:
Scena III:
Ich baue ganz auf deine Stärke - Aria (Belmonte) - Andante (mi bemolle
maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena IV:
Scena V:
O! wie will ich triumphieren - Aria (Osmin) - Allegro vivace (re maggiore) -
ottavino, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VI:
Scena VII:
Scena VIII:
L'oca del Cairo K422 - (opera incompiuta) (1784, aprile 1860, Francoforte)
https://youtu.be/LUWLaOHaf2A
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Cairo-testo.html
Ruoli:
Opera incompiuta
Guida all'ascolto (nota 1)
Lo sposo deluso, ossia La rivalità di tre donne per un solo amante K430
(opera incompiuta) (1784)
https://youtu.be/aHPvw8tsWPY
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Sposodeluso-testo.html
Ruoli:
Opera incompiuta
Sinossi
Il vecchio Bocconio, prossimo alle nozze con la nobile Eugenia, viene deriso da
Pulcherio, Don Asdrubale e dalla nipote Bettina per i suoi progetti
matrimoniali. Giunta a Livorno dal promesso sposo, Eugenia riconosce l'amato
Don Asdrubale, che credeva morto, ma presto si rende conto che questi gli è
conteso da altre due spasimanti, Bettina e Metilde. Dopo mille intrighi Eugenia
e Don Asdrubale si ricongiungono e Bocconio resta solo, assistendo anche
all'unione di Bettina con Pulcherio e di Metilde con Gervasio.
Clelia Parvopassu
Parti rimaste
Atto I:
Scena I:
Scena III:
Scena IV:
Dove mai trovar quel ciglio? - Aria e coda (Pulcherio) - Più Allegro (sol
maggiore) [frammento]
Scena IX:
https://youtu.be/cbquTQ17Z0k
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Sposodeluso-testo.html
Ruoli:
Stephanie, che già aveva collaborato con Mozart per la Entführung aus dem
Serail, descrive le disavventure dell’impresario Frank (ruolo da lui stesso
interpretato), che deve mettere insieme una compagnia di attori e cantanti
scontrandosi con capricci, rivalità e pretese di compensi esorbitanti. I problemi
economici vengono risolti grazie all’intervento del banchiere Eiler che, in
compenso, pretende che sia scritturata la sua amante, Madame Pfeil. I brani
musicali sono collocati nella seconda parte del lavoro, quando Frank dà inizio
alle audizioni dei cantanti: Madame Herz (‘cuore’), interpretata alla ‘prima’ da
Aloysia Weber Lange (sorella di Constanze e grande amore di Mozart) intona
“Da schlägt des Abschieds Stunde”, un’aria che dall’iniziale carattere patetico e
sentimentale passa a una conclusione brillante, ricca di virtuosismi. L’aria
successiva (“Bester Jüngling”) è il banco di prova di Mlle Silberklang (‘timbro
argentino’), interpretata da Catarina Cavalieri, la prima Constanze della
Entführunge rivale anche nella vita della Lange. Nel terzetto “Ich bin die erste
Sängerin” le due ambiziose cantanti si scontrano su chi sarà la prima donna,
mentre il tenore della compagnia, Monsieur Vogelsang (‘canto d’uccello’),
cerca di farle rappacificare. Il brano costituisce il punto culminante dell’opera e
comporta aspre di!coltà quando le due interpreti si rincorrono nel registro
acuto, cercando di togliersi la parola di bocca. Nel finale, unvaudevillecui
partecipa anche Bu", viene presentata la morale: gli artisti devono mirare
all’eccellenza, senza però rendersi meschini con le proprie ambizioni. Al di là
del valore dei brani musicali, in questo lavoro di occasione pesa la mancanza
di sviluppo drammatico; proprio per questo Der Schauspieldirektorfu
‘sconfitto’ dall’opera di Salieri di fronte al pubblico viennese e in seguito fu
oggetto di diverse rielaborazioni. La più celebre porta la firma di Goethe, che
nel 1791 aveva presentato a Weimar Die theatralischen Abenteuer, riprendendo
L’impresario in angustie di Cimarosa, e sei anni dopo lo ripropose inserendovi
i numeri musicali dello Schauspieldirektor mozartiano (la ‘prima’ ebbe luogo il
14 ottobre 1797). La versione di Louis Schneider,Mozart und
Schikaneder(1845), che mette in scena lo stesso Mozart all’epoca della
composizione della Zauberflöte, fu avversata dalla critica ma riscosse un
grande successo di pubblico.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi
Struttura musicale
https://youtu.be/Mo129QTp4ls
https://youtu.be/_OYtlGpApc0
https://youtu.be/ZNKrxniH_Qo
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Figaro-testo.html
Ruoli:
Guida all’ascolto
Atto secondo. Sola nella sua camera da letto, la contessa lamenta la sua
condizione di sposa negletta (“Porgi amor”). Entra Susanna e le racconta dei
tentativi di seduzione del conte nei suoi confronti. Giunto nella stanza, Figaro
comincia a ordire la trama per smascherare il padrone: decide insieme alle due
donne d’inviare al conte un biglietto anonimo che lo faccia ingelosire riguardo
alla contessa, e nel contempo d’inviare nottetempo Cherubino travestito da
donna in giardino all’appuntamento che Susanna avrà dato al conte, onde la
contessa possa sorprendere il marito infedele davanti a tutti. Figaro invia
quindi nella camera Cherubino – non ancora partito per Siviglia – in modo che
provi gli abiti femminili. Coperto di rossore, il paggio viene poi obbligato dalla
contessa a cantarle la canzonetta che ha scritto (“Voi che sapete”), e quindi
Susanna comincia a vestirlo, notando fra l’altro la premura con cui era stato
redatto il suo brevetto d’u!ciale, al quale manca il necessario sigillo. Mentre la
cameriera è andata a prendere un nastro in una camera contigua, il conte
bussa alla porta, gettando la contessa e Cherubino nella più grande agitazione.
Cherubino si rifugia allora nel guardaroba, chiudendovisi a chiave. La contessa
apre al marito, visibilmente imbarazzata, e mentre cerca di giustificare la
chiusura della porta s’ode dal guardaroba uno strepito d’oggetti caduti. Il
conte, già allarmato per il biglietto anonimo ricevuto, s’insospettisce vieppiù, e
la moglie è costretta allora a mentire dicendogli che in guardaroba c’è Susanna
che sta provandosi l’abito di nozze (terzetto “Susanna, or via sortite”). Costei è
nel frattempo rientrata nella stanza e osserva la scena nascosta dietro il letto.
Il conte decide di sfondare la porta e invita allora la consorte a uscir con lui per
prendere gli attrezzi necessari. Rimasta sola e chiusa in stanza, Susanna bussa
al guardaroba, donde esce Cherubino spaventatissimo. Non c’è per lui altra via
di scampo che gettarsi dalla finestra in giardino, mentre Susanna prenderà il
suo posto nel guardaroba. Rientra il conte, e la moglie decide di svelargli
l’arcano: nel guardaroba non c’è Susanna, ma il paggio seminudo, là convocato
per una burla innocente. L’ira del conte perde allora ogni controllo, tanto che
questi s’avventa alla porta del guardaroba per uccidere il paggio (“Esci ormai,
garzon malnato”). Invece, con sbigottimento d’entrambi, dallo stanzino ecco
uscire Susanna. Il conte chiede perdono alla sposa per i sospetti manifestati e
le parole grosse che son corse, e tenera di cuore – oltre che non poco sollevata
– la contessa lo perdona. Giunge però Figaro, che chiama tutti alla festa. Il
conte gli sottopone allora il biglietto anonimo, che le due donne gli hanno
rivelato esser stato scritto dal cameriere. Figaro prima nega, poi deve
arrendersi all’evidenza e confessa. Le sorprese non sono però finite: sul più
bello entra il giardiniere Antonio con un vaso di garofani in pezzi, denunciando
la mala creanza di qualcuno che si è buttato dalla finestra sui suoi fiori. Tutta
l’architettura d’imbrogli e menzogne sta per crollare: Figaro si autoaccusa
allora d’esser saltato egli stesso per paura del conte, e Antonio fa allora per
dargli un foglio caduto al saltatore, ma il conte lo intercetta e chiede a Figaro
cosa sia quel pezzo di carta che ha perduto. Figaro, disperato, cerca
d’inventarsi qualcosa: gli vengono in soccorso le due donne, che riconoscono
in quel foglio il brevetto d’u!ciale di Cherubino. Il conte chiede allora perché
proprio Figaro ne sia stato in possesso, e di nuovo Susanna e la contessa lo
traggono d’imbarazzo suggerendogli che il paggio glielo avrebbe dato perché
mancante dell’indispensabile sigillo. Scornato per l’ennesima volta, il conte si
vede infine assistito dalla sorte: entrano infatti Marcellina, Bartolo e Basilio a
reclamar giustizia per la vecchia governante, che pretende, cambiale alla
mano, di sposare Figaro. Il conte gongola soddisfatto e promette una sentenza
che lo compensi degli imbrogli subiti.
Atto terzo. Nella sala preparata per la festa nuziale di Figaro e Susanna, il
conte medita sugli avvenimenti cui ha assistito, senza riuscire a trovarne il
bandolo. Entra Susanna che, d’accordo con la contessa, ma ad insaputa di
Figaro, dà un appuntamento al conte per quella sera, riaccendendo le sue
voglie (“Crudel! Perché finora farmi languir così?”). In realtà, la contessa ha
deliberato di recarsi ella stessa all’appuntamento, con gli abiti di Susanna.
Uscendo dalla stanza, Susanna incontra Figaro e l’avverte che ha già vinto la
causa con Marcellina. Il conte coglie però quest’ultima frase, e giura di
vendicarsi (“Vedrò mentr’io sospiro”). Segue quindi la scena del giudizio, nella
quale il magistrato Don Curzio intima a Figaro di pagare Marcellina o di
sposarla. Figaro tenta allorain extremisdi bloccare la sentenza adducendo
l’assenza dei suoi genitori per il consenso. Racconta d’esser stato raccolto
infante abbandonato, ma d’essere di nascita illustre come testimoniano i panni
ricamati trovati nella culla e soprattutto il tatuaggio impresso al braccio destro.
Marcellina a quel punto trasalisce e riconosce in Figaro il suo Ra"aello, figlio
avuto in segreto da Don Bartolo e quindi esposto. Nello sbigottimento
generale, Don Curzio sentenzia che il matrimonio non può aver luogo, mentre
il conte abbandona la scena scornato per l’ennesima volta (sestetto “Riconosci
in questo amplesso”). Sopraggiunge Susanna, pronta a pagare Marcellina con
la dote ricevuta dalla contessa, ma con sua gran meraviglia vede Figaro
abbracciato teneramente alla vecchia. La promessa sposa ha un moto d’ira e
schia"eggia Figaro, ma Marcellina l’informa dei nuovi sviluppi e dell’insperato
riconoscimento. Anch’ella e Bartolo decidono di regolarizzare l’unione, e di
rendere così doppia la festa di nozze. Frattanto, Cherubino non è ancor partito
per il suo reggimento e viene condotto da Barbarina a travestirsi da donna per
confondersi con l’altre contadine. La contessa, sola in attesa di notizie da
Susanna, rievoca le dolcezze perdute del suo matrimonio e spera di
riconquistare il cuore del marito (“Dove sono i bei momenti”). Raggiunta poi da
Susanna, le detta un biglietto da consegnare al conte durante la festa, nel
quale si conferma il luogo dell’appuntamento per quella sera (duettino “Che
soave ze!retto”); inoltre, fa scrivere a Susanna sul rovescio del foglio di
restituire la spilla che serverà di sigillo, in segno d’accettazione. Arrivano le
ragazze del contado, e fra queste c’è anche Cherubino travestito. In breve,
però, costui vien smascherato da Antonio che lo denuncia al conte. Figaro
arriva per chiamar tutti alla cerimonia e si scontra col conte, che può
finalmente accusarlo per tutte le menzogne inventate in camera della contessa.
La tensione è al massimo, ma è tempo di celebrare le nozze: entra il corteo dei
doppi sposi, al quale segue la danza del fandango. Durante questa, Susanna
lascia scivolare in mano al conte il bigliettino. Costui si punge con la spilla e
poi si mette a cercarla go"amente per terra. Figaro lo scorge, e crede che sia
un biglietto amoroso di qualche contadina. Ritrovato il sigillo, il conte congeda
tutti i presenti e li invita alla gran cena di quella sera.
Atto quarto. Di notte, nel giardino del castello, Barbarina cerca la spilla che il
conte le ha dato da recare a Susanna (“L’ho perduta”). S’incontra con Figaro,
che dalle sue labbra viene così a sapere che la mittente del biglietto altri non
era che la sua sposa. Annientato dalla gelosia, chiede conforto alla madre
Marcellina, che cerca di placarne i bollenti spiriti (“Il capro e la capretta”);
Figaro tuttavia s’allontana per organizzare lo scoprimento dei due fedifraghi.
Basilio e Bartolo, convocati da Figaro, riflettono sui pericoli di scontrarsi coi
potenti. Rimasto solo, Figaro si lascia andare a considerazioni amare sul suo
stato di marito tradito nel giorno stesso delle nozze e accusa le donne d’essere
la rovina dell’umanità (“Aprite un po’ quegli occhi”). Giunge in giardino
Susanna con la contessa, e comincia la recita degli inganni. Fingendo di restar
sola «a prendere il fresco», Susanna eccita la gelosia di Figaro (“Deh vieni non
tardar”). In realtà, è la contessa che si appresta a ricevere leavancesdel conte,
ma mentre lo sta aspettando sopraggiunge Cherubino, che scorgendo colei
che egli crede esser Susanna decide di importunarla a sua volta con piccanti
proposte (“Pian pianin le andrò più presso”). Figaro osserva tutto nascosto
dietro una siepe e commenta velenosamente, senza accorgersi che anche
Susanna è lì a due passi in sentinella. Arriva il conte, che s’adira nel vedere il
suo oggetto del desiderio in compagnia d’un altro uomo. Tira allora un ce"one
a Cherubino, ma questi si scosta ed è Figaro a buscarsi la sberla. Rimasto
finalmente solo con la finta Susanna, il conte le regala un brillante e l’invita ad
appartarsi con lui in un luogo buio. Figaro non si regge più e passa facendo
baccano: la contessa allora si ritira in un padiglione a destra, mentre il conte
perlustra il giardino per non trovarsi tra i piedi ulteriori scocciatori.
Amareggiatissimo, Figaro s’imbatte allora in Susanna, che è vestita col
mantello della contessa e simula la sua voce. La sposa lo mette alla prova e
o"re a Figaro l’occasione di vendicarsi seduta stante dei due consorti infedeli.
Figaro dopo poche battute l’ha riconosciuta, ma continua a stare al gioco,
finché la situazione si chiarisce e i due si riconciliano felici. Si tratta allora di
concludere la commedia ai danni del conte: vedendolo arrivare, Figaro e
Susanna continuano perciò la loro scena di seduzione. Il conte, furibondo,
vedendo quella ch’egli crede sua moglie corteggiata da Figaro in giardino,
chiama tutti a smascherare i due reprobi; frattanto, Susanna si nasconde nel
padiglione a sinistra. Davanti ad Antonio, Basilio e Bartolo, il conte accusa
Figaro e comincia a trar fuori dal padiglione una vera processione di
personaggi: Cherubino, Barbarina, Marcellina e infine Susanna, che tutti
credono la contessa e che si copre il volto per la vergogna. L’ira del conte è
implacabile e oppone un diniego dopo l’altro ad ogni supplica di perdono da
parte di Figaro e della falsa contessa. A questo punto, dall’altro padiglione
esce la vera contessa e tutti si rendono conto dell’imbroglio. Ella si scambia il
mantello con Susanna e si rivolge al marito dicendogli: «Almeno io per loro
perdono otterrò». Il conte s’inginocchia umiliato e consapevole d’aver fatto la
corte a sua moglie. Le chiede perdono e l’ottiene, mentre tutti commentano
soddisfatti la fine di quel giorno «di capricci e di follia», e invitano a recarsi ai
festeggiamenti per quel matrimonio tanto sospirato.
LE NOZZE DI SUSANNA
Se, se e in quale misura, Mozart sia responsabile della scelta dei soggetti delle
proprie opere è questione che conviene sempre assumere caso per caso con
atteggiamento molto problematico. È vero che, giunto alla piena
consapevolezza dei propri mezzi compositivi, Mozart ebbe sempre più
di!coltà ad accogliere le tipologie librettistiche circolanti nel suo secolo.
Eppure si sentiva ancora spinto dal desiderio di scrivere un'"Opera italiana".
Basta leggere Beaumarchais, comunque, per capire che un conto era fare
un'opera sul Barbiere, ben altro concepirla sul Matrimonio. Che la trama fosse
finalmente buona per Wolfgang lo pensava anche Leopold benché, non senza
motivo, fosse preoccupato dalla sua tenuta librettistica. In e"etti, quanto il
Barbiere sembra già disposto, nell'ordine molto formale della sua semplice
drammaturgia, al trasferimento in melodramma, così, invece, l'intrigo del
Matrimonio è talmente complesso e imprevedibile da non poter che apparire,
oggi come allora, davvero di!cile da destinare alla parola cantata. Né, d'altra
parte, la soverchia quantità di motivi e di sfacettature del contenuto poteva
essere risolta con un eccesso di recitativo (e le intenzioni di Mozart andavano
infatti in senso opposto). Da Ponte e Mozart, non solo decisero di correre il
rischio, ma erano ben consci dell'e"etto di novità che avrebbero voluto
ottenere. Attraverso «la varietà delle fila onde è intessuta l'azione di questo
dramma» e «la molteplicità de' pezzi musicali», scrissero al pubblico viennese
che intendevano «o"rire un quasi nuovo genere di spettacolo».
È notte quando s'apre l'atto quarto. Nella tonalità oscura di Fa minore, il canto
di Barbarina - «L'ho perduta! me meschina!» - ci fa capire che vi si svolgerà un
viaggio interiore, sentimentale, dall'esito incerto. Figaro attende nell'ombra in
preda a cieca gelosia: sa dell'appuntamento «sotto i pini del boschetto» (non
che vi andrà la Contessa travestita da Susanna), vuole sorprendere Susanna
nelle braccia del Conte.
Mozart ha destinato a Figaro ben tre Arie, più che a tutti gli altri personaggi.
Dalla celebre Cavatina «Se vuol ballare signor Contino» apprendiamo che il
coraggio è una schietta qualità che lo anima. Essa è in Fa maggiore come la
successiva Aria "delle rose" di Susanna. Figaro è anche, ovviamente, spirito
mordace quando "canzona" Cherubino mimandone le gesta future al campo di
battaglia («Non più andrai farfallone amoroso» nella franca tonalità di Do
maggiore). Fa maggiore e Do maggiore sono tonalità vicine, meno lo è,
rispetto a Fa, il Mi bemolle maggiore dell'ultima Aria, «Aprite un po' quegli
occhi», che sarebbe la grande Aria del personaggio (monologica, ma
contemporaneamente rivolta al pubblico all'uso tipico della commedia). Certo
questa appare un annacquamento della celebre tirata "politica" contro i
privilegi dei nobili che si trova in Beaumarchais nel quinto atto, ma limitarsi a
notarlo non mi pare una prospettiva esegetica intellettualmente generosa. Ci
sarà, forse, magari, negli scopi pratici di quest'Aria, un mero tentativo di
soddisfazione della risaputa misogenia dell'imperatore e del pubblico
viennese. Ma a me pare che drammaturgicamente abbia una funzione
esattamente contraria. A Mozart, è vero, interessa lo stato d'animo di Figaro.
Cedendo alla gelosia egli ha perso la sua iniziale determinazione positiva, ha
perso se stesso nella misura in cui ha perso la fiducia in Susanna. Cercando
una riparazione ai suoi tenebrosi sentimenti nella pubblica rivalsa, Figaro ha
mutato completamente atteggiamento e, per un momento, si è posto in
antagonismo a Susanna (che però avrà la capacità di perdonarlo, come fa
continuamente la Contessa con il Conte, come non vuol mai fare il Conte, il cui
corpo psichico è rigido, poco provato dalla necessità di gesti umani, poco
illuminato in e"etti).
Vorrei ancora richiamare l'attenzione solo sul punto del Finale del secondo
atto, come si è detto, elaboratissimo, il più lungo delle opere di Mozart. Vi si
sviluppano molte diverse e contrastanti situazioni. Il diverbio tra il Conte e la
Contessa che porta infine all'apertura del camerino in cui si è rifugiato
Cherubino, sorpreso dal Conte nelle stanze della moglie, ne costituisce l'avvio.
Ma Cherubino è fuggito lanciandosi da una finestra e la sortita di Susanna
coglie a sua volta di sorpresa il Conte. Quindi la sortita di Figaro conduce, al
centro del Finale, al quartetto dei protagonisti (Susanna, Contessa, Conte,
Figaro) in Do maggiore, equilibratissimo. Si attende la conferma di una
riconciliazione che sembra già data: il Conte sta per essere convinto a
concedere il suo permesso al matrimonio del valletto. Ma la sortita di Antonio
e le sortite, ancora, di Marcellina, Bartolo, Basilio complicano le cose, aprendo
a incerti sviluppi. Il progetto matrimoniale giunge a un passo dalla catastrofe
e, diciamo, alla conclusione del Finale dell'atto secondo sprofonda talmente in
basso da sembrare ormai irrealizzabile. Fa maggiore è una tonalità importante
sia nell'impasto dei colori dell'opera, sia come fondamento di una struttura
meno superficiale e appariscente del dramma della cui costruzione è
interamente responsabile Mozart. Nel Finale secondo, la tonalità di Fa
maggiore viene attraversata, subito dopo il quartetto in Do maggiore, ma poi
svanisce come un miraggio sotto l'incalzare degli eventi. Rapidamente sul suo
e!mero rischiaro si allungano le ombre di Re minore e Sol minore. La nuova
situazione, sfavorevole alla coppia degli sposi promessi, si conferma in due
tonalità diverse: di Quinta in Quinta, da Si bemolle maggiore a Mi bemolle
maggiore.
Tra le tonalità ricorrenti nel corso dell'opera Fa maggiore viene impiegata con
molta parsimonia, in modo del tutto speciale e il suo colore acquista un
significato francamente simbolico. Viene unicamente associata a Figaro e a
Susanna, dove questi personaggi cantano un'Aria, oppure dove sono coinvolti
in Concertati in cui espicitamente si tratta della loro unione tanto
ardentemente desiderata, quanto contrastatissima. Fa maggiore, ancora,
compare un'unica volta per ogni atto. Nel corso dei quattro atti, quattro volte,
dunque, e mai di più. È interessante ancora notare come il Finale del quarto
atto contenga in realtà tutte le tonalità che si presentano anche nel Finale del
secondo, con esclusione proprio di Fa maggiore (e della "vicina" Do maggiore).
Infatti, nell'ultimo Finale le vicissitudini di Figaro e Susanna giungono a
definitiva soluzione in anticipo rispetto alla conclusione dell'opera (in cui si
svolge l'ultima be"a delle donne ai danni del Conte e infine il suo
ravvedimento). In tutto il Finale dell'atto quarto, dunque, Fa maggiore resta
solo come una "chiazza di colore" (già protesa verso Si bemolle), benché molto
allusiva e significativa, allorché Figaro attacca: «Pace, pace, mio dolce tesoro/
riconobbi la voce che adoro [...]». Come sappiamo però, Fa maggiore ha
grande rilievo proprio a ridosso dell'ultimo Finale, e quasi come avvio dello
stesso, perché Mozart l'impiega per l'Aria di Susanna (l'Aria suddetta "delle
rose"). Sappiamo anche che questa tonalità venne decisa da Mozart solo in un
secondo momento (una prima stesura dell'Aria era infatti un Rondò in Mi
bemolle maggiore) e che l'Aria - nell'insieme di una prima versione del tutto
diversa e di numerosi pentimenti nella composizione della seconda versione -
costituisce un raro caso in cui Mozart ha ritenuto di dover tornare più volte sui
suoi passi per precisare meglio l'e"etto complessivo della scrittura. Tutto
concorre, insomma, a indicarci che siamo a un punto dell'opera ch'egli
considerava cruciale. Anche la scelta della tonalità va compresa in questa luce.
Con l'aggiunta di qualche spunto esegetico, riepilogo i luoghi delle Nozze di
Figaro in cui compare la tonalità di Fa maggiore, in tutto sono quattro, come si
è già detto:
1. Atto primo. Cavatina di Figaro «Se vuol ballare signor contino». Grazie a
Susanna, Figaro è pronto ad a"rontare con coraggio i progetti del suo potente
antagonista negativo, il Conte.
2. Atto secondo. Fa maggiore compare transitoriamente nella seconda parte
del Finale in Mi bemolle maggiore. Figaro e Susanna, proprio nel momento in
cui invocano il consenso del Conte al loro matrimonio, sembrano precipitare
verso la catastrofe. Le sortite di Antonio, poi di Marcellina, Bartolo, Basilio,
evolvono a loro svantaggio i rapporti di forza (Fa maggiore cede a Si bemolle e
Mi bemolle maggiore).
3. Atto terzo. Sestetto. Davanti alla prova di giustizia, Figaro viene
improvvisamente riconosciuto da Marcellina e da Bartolo. Egli è in realtà
Ra"aello, loro figlio legittimo rapito in tenera età. Dall'agnizione Figaro riceve
nuova forza e Susanna viene subito accolta dalla famiglia ricostituita: la
situazione è volta ormai a loro vantaggio in modo decisivo di fronte al mondo.
4. Atto quarto. Aria di Susanna «Deh vieni non tardar». Travestita da Contessa,
Susanna canta, non vista, una Serenata amorosa a Figaro che di lì a poco,
riconoscendone la voce, supera anche l'ultima prova che lo pone a confronto
con se stesso: la prova della gelosia.
Nel Finale dell'atto quarto Mozart può disporre in perfetto equilibrio le cinque
voci femminili e le cinque maschili. Questa totale ricomposizione musicale
sarebbe impossibile senza la presenza di Cherubino. Nella commedia di
Beaumarchais, Cherubino era forse il personaggio più originale, benché il ruolo
dell'adolescente interpretato da una donna si esponga, nel teatro di parola, a
una facile denegazione.
Si pensi ancora a Figaro, che, per evitare di cadere nei suoi rigori,
trasgredendo il rispetto della risoluzione di legge nel corso del processo che il
Conte presiede giunge a dichiarasi figlio illegittimo. E, in tal senso, per
salvarsi, sconfessa il legame con quella figura paterna che lo giudica, oltreché,
in parte anche se stesso (significativamente Figaro, prima di sapere di chi è
figlio, fantasticava sulle sue origini nobili). Dunque le Nozze, come il
Matrimonio, sono anche il dramma della trasgressione dell'autorità paterna e
della ricerca del padre. E di un figlio costretto a dichiararsi illegittimo per
scampare alla minaccia della deprivazione della propria vita sentimentale:
come sappiamo questa ricerca culmina positivamente, nell'opera, nel Sestetto
del secondo atto.
La Sig.ra perla ricona la riverisce tanto, come anche tutte le altre perle, e li
assicuro che tutte sono innamorate di lei, e che sperano che lei prenderà per
moglie tutte, come i turchi per contentar tute sei [...] quando sto dal sig. Wider
e quardando fuori dalla finestra la casa dove lei abitò quando lei fu in Venezia
di nuovo non so niente.
La posa è caotica, cherubinesca. Rieccheggia per noi «Non so più cosa son
cosa faccio», da un interno - una casa - popolata prevalentemente da donne.
Chi scrive, da Venezia, è Wolfgang quindicenne.
Guardando fuori da quella finestra si proietta nel desiderio di una vita adulta.
Si rivolge e si identifica con un amico, poco più anziano, che quella vita sta per
cominciarla. Un po' come Cherubino con Figaro: un po' ludicamente e con un
po' di smarrimento come di chi non può, sa di non poter più, contenere le
proprie emozioni. Siamo dunque a Venezia nel 1771.
La critica è stata spesso tentata di vedere nelle tre opere frutto della
collaborazione con Da Ponte una trilogia (che concilierebbe con il pensiero, la
forma mentis settecentesca si pensi alla stessa trilogia di Figaro scritta da
Beaumarchais) dedicata, ad esempio, alle età, all'epopea di Don Giovanni,
"cuore romantico" del teatro musicale mozartiano. Don Giovanni come
adolescente (Cherubino), Don Giovanni come adulto (Don Giovanni), come
vecchio cinico intellettuale (Don Alfonso).
Avanzando più genericamente il tema del conflitto famigliare, è chiaro che nel
Don Giovanni questo assume, parimenti alla figura del protagonista, tutta la
dimensione tragica della Storia, portandola su di un piano di rappresentazione
mitica. Il parricidio, in questa luce, assume il significato della distruzione degli
antichi legami sociali e contemporaneamente quello dell'impossibilità di
trovare un'alternativa, che non sia distruttiva. Anche in Così fan tutte il tema è
proposto nella sfera del pensiero negativo. Vi succede la disillusione
sull'infrangibilità del legame d'amore di fronte a una azione esterna, razionale,
ma ancora una volta distruttiva, che smaschera la fragilità del sentimento non
sostenuto da una forte componente di credenza ideologica.
Nelle Nozze, nel quadro certo più ottimistico e vitalistico dell'opera, questa
coscienza negativa era già emersa insieme a quella di una necessaria
preparazione, di una iniziazione umana e ideologica che cinga e difenda la
libertà della scelta sentimentale in modo che le due "metà" possano provarsi e
completarsi quindi più armonicamente. Le Nozze colgono Mozart ad un
momento particolarmente felice della sua vita con Constanze. Insieme avevano
a"rontato la grande prova del conflitto con Leopold che, come ben si sa, nel
1782 non si era nemmeno presentato al loro matrimonio (e perfino il suo
assenso con la paterna benedizione giunse in ritardo rispetto alla cerimonia).
Di fronte a una realtà che dimostrava di non potersi modificare a misura della
sua volontà di essere uomo, Mozart, forse, cominciò a rifurgiarsi
nell'immaginario, là dove, come nella commedia di Beaumarchais, l'istinto, la
determinazione, l'amore di Susanna e delle altre donne vincono tutti gli
intrighi, ogni interesse.
Sembra che, nel 1789, dopo i tiepidi acco glimenti di Così fan tutte, Mozart
fosse talmente preoccupato per le sue economie e la sua carriera da risolvere
di mettersi ancora una volta in viaggio, lontano da Vienna e dalla sua famiglia.
Girò in Germania: Lipsia, Dresda per raggiungere Berlino e Postdam. Ma il
viaggio non lo avvantaggiò di molto. Maynard Solomon scrive di una fuga da
un sentimento di fallimento e insinua il sospetto che in quel viaggio Mozart si
fosse abbandonato all'adulterio.
Paolo Cattellan
Struttura musicale
Ouverture - Presto (re maggiore). Andante con moto (re minore) - 2 flauti, 2
oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Atto I:
Scena I:
Cinque... dieci... venti... - Duetto (Susanna, Figaro) - Allegro (sol maggiore)
- 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Scena V:
Non so piu cosa son, cosa faccio - Aria (Cherubino) - Allegro vivace (mi
bemolle maggiore). Adagio. Allegro vivace - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni,
archi
Scena VI:
Cosa sento! - Trio (Susanna, Basilio, Conte) - Allegro assai (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VIII:
Non più andrai farfallone amoroso - Aria (Figaro) - Vivace (do maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Atto II:
Scena I:
Scena II:
Voi, che sapete che cosa è amor - Arietta (Cherubino) - Andante con moto
(si bemolle maggiore) - flauto, oboe, clarinetto, fagotto, 2 corni, archi
Bravo, che bella voce - Recitativo (Contessa, Susanna, Cherubino) - continuo
Scena III:
Scena IV:
Scena V:
Scena VI:
Esci omai, garzon malnato - Finale (Contessa, Conte) - Allegro (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VII:
Scena VIII:
b. Susanna, son morta - Finale (Susanna, Contessa, Conte) - Allegro (si
bemolle maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena IX:
Scena X:
Scena XI:
Atto III:
Scena I:
Scena II:
Crudel! perchè finora farmi - Duetto (Susanna, Conte) - Andante (la minore
- la maggiore) - 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena IV:
Scena V:
Scena VI:
Scena VII:
Scena VIII:
Scena IX:
Sull' aria ... Che soave ze!retto - Duetto (Susanna, Contessa) - Allegretto (si
bemolle maggiore) - oboe, fagotto, archi
Scena XI:
Scena XII:
Scena XIII:
Scena XIV:
Atto IV:
Scena I:
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Scena V:
Scena VI:
Scena VII:
In quegl' anni, in cui val poco - Aria (Basilio) - Andante (si bemolle
maggiore). Tempo di Minuetto. Allegro - flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni,
archi
Scena VIII:
Scena IX:
Scena X:
b. Deh vieni non tardar - Aria (Susanna) - Andante (fa maggiore) - flauto,
oboe, fagotto, archi
Scena XI:
Scena XII:
Scena XIII:
c. Tutto è tranquillo e placido - Finale (Susanna, Figaro)
Larghetto (mi bemolle maggiore). Allegro di molto - 2 flauti, 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena XIV:
d. Pace, mio dolce tesoro - Finale (Susanna, Conte, Figaro) - Andante (si
bemolle maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena XV:
e. Gente, gente, all' armi, all' armi! - Finale (Susanna, Contessa, Barbarina,
Cherubino, Marcellina,
Basilio, Don Curzio, Conte, Antonio, Bartolo, Figaro) - Allegro assai (sol
maggiore). Andante. Allegro
assai (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Don Giovanni, ossia Il dissoluto punito K527 - (29 ottobre 1787, Teatro
degli Stati, Praga)
https://youtu.be/dUW_lFGXti4
https://youtu.be/wGo_faB5bOQ
https://youtu.be/f2GumUO9Lbk
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Dongiovanni-testo.html
Ruoli:
Don Giovanni: nobile cavaliere molto licenzioso che passa la vita a sedurre
le donne (baritono).
Leporello: servitore di Don Giovanni. Trascrive le conquiste amorose del suo
padrone su un catalogo (basso-baritono o basso bu"o).
Commendatore: il Signore di Siviglia e padre di Donna Anna; all'inizio
dell'opera sarà ucciso da Don Giovanni poi tornerà sotto forma di statua per
punirlo (basso o basso profondo).
Donna Anna: figlia del Commendatore e promessa sposa di Don Ottavio
(soprano).
Don Ottavio: promesso sposo di Donna Anna (tenore).
Donna Elvira: nobile dama di Burgos abbandonata da Don Giovanni. Donna
Elvira lo cerca a!nché si penta delle sue malefatte (soprano o mezzosoprano).
Zerlina: contadina corteggiata da Don Giovanni (soprano o mezzosoprano).
Masetto: promesso sposo, molto geloso, di Zerlina (baritono, basso-
baritono o basso).
Contadini e Contadine: amici di Masetto e Zerlina (coro).
Servi: servitori e gendarmi di Donna Anna e Don Ottavio (coro).
Suonatori: suonatori di Don Giovanni (coro).
Demoni e Diavoli: entità infernali richamate dalla statua del Commendatore
per trascinare Don Giovanni all'inferno (coro).
Guida all’ascolto
Una leggenda, nata dai non sempre a!dabili ricordi della moglie Konstanze,
tramanda che l’ouverture delDon Giovannivenne scritta da Mozart in fretta e
furia, la notte che precedeva la prova generale dello spettacolo. Su questo
racconto è legittimo avanzare più d’un dubbio, benché sia ben noto il fatto che
Mozart, quando scriveva, di solito non faceva che a!dare alla carta una
composizione già perfettamente compiuta nella mente: la quasi totale assenza
di correzioni sugli autografi sta a provarlo. Al di là delle vicende concernenti la
singola ouverture, l’opera ebbe invece una gestazione nei limiti della norma,
niente a"atto a"rettata. Mozart ne ricevette infatti la commissione subito dopo
il momento di grande popolarità seguito al successo praghese dalleNozze di
Figaro(dicembre 1786), a otto mesi di distanza dalla ‘prima’ di Vienna. Era
quindi naturale che dopo un esito tanto felice l’impresario Domenico
Guardasoni impegnasse Mozart anche per la stagione successiva, in un’opera
destinata ancora una volta alla compagnia di cartello a Praga, quella del
capocomico Pasquale Bondini. Il soggetto della nuova opera pare sia stato
suggerito da Lorenzo Da Ponte, che dopo il successo delFigarovenne
naturalmente richiamato a collaborare con Mozart. Nelle sueMemorie, il poeta
dice semplicemente: «Scelsi per lui ilDon Giovanni, soggetto che infinitamente
gli piacque», e possiamo credergli sulla parola, perché il ruolo dell’irresistibile
cavaliere si adattava a pennello alla presenza scenica e vocale del nuovo idolo
delle signore praghesi, il baritono Luigi Bassi, un baldo pesarese di ventidue
anni, e Mozart sapeva bene quanto su uno spettacolo potesse incidere la bontà
degli interpreti. Nella scelta di Da Ponte dovette contare anche l’opportunità di
attingere a piene mani a un libretto di Giovanni Bertati,Il convitato di pietra,
rappresentato a Venezia nel gennaio 1787 con musica di Giuseppe Gazzaniga,
dunque proprio nello stesso mese in cui Mozart cominciava a pensare ai futuri
impegni col teatro di Praga. È molto probabile cheIl convitato di pietrasia stato
rappresentato anche a Vienna nei mesi successivi, ma è comunque fuori
discussione che Da Ponte ne conoscesse, e bene, il testo. Al poeta e letterato
di Ceneda si presentava così l’occasione di giovarsi delle fatiche altrui, nel
momento in cui doveva allestire ben tre libretti per altrettanti musicisti: oltre
che con Mozart, era impegnato con Salieri perTarare(divenuto poiAxur, re
d’Ormus) e con Martín y Soler perL’arbore di Diana. All’imperatore Giuseppe II,
che dubitava della sua capacità di far fronte a tanta mole di lavoro, Da Ponte
dice d’aver risposto: «Scriverò la notte per Mozzart (sic) e farò conto di leggere
l’Infernodi Dante. Scriverò la mattina per Martini e mi parrà di studiare il
Petrarca. La sera per Salieri e sarà il mio Tasso». La sicumera della risposta, tra
i suoi aulici pavoneggiamenti, contiene tuttavia una grande verità,
un’illuminazione critica che la dice lunga sulla consapevolezza stilistica di Da
Ponte. L’accostamento fra ilDon Giovannie l’Infernodantesco non è infatti così
peregrino e presuntuoso come potrebbe sembrare, perché in entrambi si
compie quella fusione di registri poetici diversissimi che, nel caso di Dante, è
conosciuta col termine continiano di ‘pluristilismo’; e una delle principali
caratteristiche del dramma giocoso di Mozart è appunto quella di essere
pluristilistica, ovvero di fondere il linguaggio del teatro bu"o con quello serio.
Il libretto fu completato attorno al giugno 1787, ma Mozart doveva aver
cominciato a lavorarci già da tempo, via via che le varie scene lasciavano la
scrivania di Da Ponte per passare sul leggio del suo pianoforte. Il compositore
ebbe così tutto il tempo di delineare l’architettura dell’opera e, con molta
probabilità, di intervenire anche nella stesura del testo, chiedendo modifiche e
miglioramenti. Dopo qualche rinvio, ilDon Giovanniandò in scena il 29 ottobre,
«accolto con il più vivo entusiasmo», come scrisse Mozart all’amico Gottfried
von Jacquin. L’opera restò in cartellone per molte settimane, e ottenne sul
‘Prager Oberpostamtzeitung’ una recensione più che lusinghiera. L’anno dopo,
il 7 maggio 1788, ilDon Giovannifu rappresentato al Burgtheater di Vienna, su
espresso desiderio dell’imperatore Giuseppe II. Per la rappresentazione
viennese, Mozart aggiunse tre numeri alla già corposa partitura, cedendo alle
richieste dei celebri cantanti di quella compagnia: al tenore Morella assegnò
una nuova aria, “Dalla sua pace”, al soprano Caterina Cavalieri, interprete di
Donna Elvira, l’aria “Mi tradì quell’alma ingrata”, mentre per Francesco Benucci
(il primo Figaro) e Luisa Mombelli, rispettivamente Leporello e Zerlina, scrisse
un nuovo duetto, “Per queste tue manine” che, a di"erenza dei due pezzi
precedenti, non è mai riuscito a entrare nella tradizione esecutiva dell’opera.
La maggior parte della critica rileva, a buon diritto, come anche le due
inserzioni viennesi per Don Ottavio e Donna Elvira rappresentino delle
ingiustificate battute d’arresto nel ritmo drammatico; più d’un commentatore è
arrivato a suggerirne l’eliminazione, restituendo al dramma la sua struttura
originale. A torto o a ragione, comunque, tanto “Dalla sua pace” quanto “Mi
tradì quell’alma ingrata” sono oggi considerate parti integranti della partitura:
pochi sarebbero disposti a rinunciare, in nome della sacrosanta teatralità, a
due pagine di così elevato pregio. Un mistero aleggia poi intorno al sestetto
finale, quello che porta la cosiddetta morale (“Questo è il fin di chi fa mal”).
Alcuni storici sostengono che per la rappresentazione viennese Mozart
l’avrebbe soppresso, facendo terminare ilDon Giovannicon lo sprofondamento
all’inferno del protagonista; secondo altri, questo taglio sarebbe stato già
praticato in occasione della prima praghese; altri infine negano che Mozart
abbia mai accordato una simile amputazione. Dal dibattito storico la questione
è scivolata facilmente sul piano estetico, laddove l’indirizzo romantico
vorrebbe a tutti i costi un finale tragico con la scena del Commendatore (con
partigiani illustri quali Mahler e Adorno), mentre il partito filologico e
neoclassico punta a salvare lo spirito settecentesco della ‘scena ultima’. Sia che
si voglia espungere o conservare il sestetto, troppo spesso su entrambi i fronti
si sente ripetere che comunque quella musica non reggerebbe i confronto con
l’audacia sconvolgente della scena precedente, e che quindi comporta una
brusca caduta di tono. Un tal giudizio postulerebbe che ogni opera debba
avere il vertice d’un ideale climax espressivo proprio in coincidenza con la fine,
cosa spesso falsa; niente vieta, inoltre, che l’ultraterreno turbamento
provocato dal convitato di pietra sia deliberatamente compensato da Mozart
con un ritorno fra gli umani e con una conclusione, almeno in apparenza,
rassicurante. Certo è che in Mozart una totale prevalenza del pathos non è
concepibile, e ogni uscita dai ranghi, anche la più straordinaria come avviene
appunto nelDon Giovanni, deve essere ricondotta a quel superiore dominio
delle passioni che è uno dei segreti dell’inalterabile fascino di questa musica.
Resti dunque quel finale birbone là dov’è, vicino «a Proserpina e Pluton»:
l’astrazione polifonica dell’estremoPresto, alla brevenasconde l’ironico sorriso
di chi ha sconvolto per noi la fissità eterna di Cielo e Inferno.
Don Giovanni gode, fra tutti i titoli mozartiani, del privilegio piuttosto raro di
aver avuto una vita scenica ininterrotta: l’Ottocento romantico la ebbe a
considerare addirittura l’opera per eccellenza, e la mitizzò a!ancandola
alFaustdi Goethe fra le sue bibbie. Se Stendhal le preferìLe nozze di Figaroe
Beethoven la giudicò immorale per il suo argomento, viceversa fu adorata da
Ho"mann e da Kierkegaard (che la prese a spunto per uno dei suoi più noti
scritti sull’eros), da Goethe stesso e da Byron; un gran numero di compositori
scrissero variazioni o rielaborazioni sulle principali melodie dell’opera (e in
particolare su “Là ci darem la mano”): fra questi Beethoven, Chopin, Liszt,
mentre Rossini – che giudicava ilDon Giovannila propria Bibbia – ricalcò
ironicamente l’arrivo del Commendatore per l’entrata di Selim pascià nelTurco
in Italia.Dopo le interpretazioni storiche dirette da Liszt (Weimar 1849), Mahler
e Richard Strauss,Don Giovanniha incontrato nel nostro secolo un’attenzione
specialissima da parte di tutti i maggiori interpreti. In particolare, si ricordano
gli allestimenti salisburghesi diretti da Bruno Walter (1934-37, protagonista
Ezio Pinza, forse l’interprete più mitizzato del ruolo mozartiano), Clemens
Krauss (1939) e Wilhelm Furtwängler (1950, ’53 e ’54, sempre con Cesare Siepi
nei panni del libertino), e poi da Dimitri Mitropoulos (1956), Karl Böhm (1958 e
’77) e Herbert von Karajan (1960, ’68 e ’87, in quest’ultima versione con
Samuel Ramey protagonista), Riccardo Muti (1991) e Daniel Barenboim (1994,
regia di Patrice Chéreau). Al festival di Glyndebourne (1936), Fritz Busch fece
risorgere con moderna attenzione lo stile mozartiano, consegnando con la sua
interpretazione dell’opera (documentata in disco) un esempio perfetto e un
modello ideale alle successive generazioni d’interpreti. Di grande prestigio è
stata anche la lettura data da Hans Rosbaud negli anni Cinquanta al festival di
Aix-en-Provence. In Italia, si deve ricordare il celebre allestimento diretto da
Thomas Schippers a Spoleto con le scene di Henry Moore, l’esecuzione
radiofonica di Carlo Maria Giulini del 1970 (protagonista Nicolai Ghiaurov),
l’inaugurazione scaligera del 1987 a!data a Riccardo Muti e Giorgio Strehler
(protagonista Thomas Allen), nonché l’allestimento al Maggio musicale
fiorentino del ’90, con l’accoppiata Zubin Mehta direttore e Jonathan Miller
regista. Grande successo ha infine avuto una versione cinematografica
dell’opera, realizzata da Joseph Losey nel 1978, interamente girata nella
cornice sontuosa delle ville palladiane sul Brenta. La parte musicale del film è
stata diretta da Lorin Maazel, con un ottimocastvocale formato da Ruggero
Raimondi, José van Dam, Edda Moser, Kiri Te Kanawa e Teresa Berganza.
Atto primo. È notte, nel giardino antistante la casa di Donna Anna. Leporello
passeggia annoiato in attesa del padrone, che si è introdotto mascherato in
casa di Donna Anna per farla sua (introduzione “Notte e giorno faticar”). La
tentata violenza però non riesce: Anna insegue il cavaliere cercando di
scoprirne l’identità e viene poi soccorsa dal padre, il Commendatore, che sfida
Don Giovanni a duello rimanendone mortalmente ferito. Compiuto il misfatto,
Don Giovanni e Leporello fuggono. Rientra Donna Anna con un manipolo di
servitori e scopre il cadavere del padre. Assistita da Don Ottavio, Anna fa
giurare a quest’ultimo di compiere le sue vendette (duetto “Fuggi, crudele,
fuggi”). Frattanto Don Giovanni s’appresta a nuove conquiste: scorge di
lontano una fanciulla tutta sola e le si avvicina, ma scopre con raccapriccio che
è Donna Elvira, una nobile dama da lui sedotta e abbandonata pochi giorni
prima (aria “Ah chi mi dice mai”). Ella va cercando disperata d’amore il
libertino, e nello scorgerlo chiede ragione del suo comportamento:
imbarazzato, Don Giovanni lascia al confuso Leporello il compito di
giustificarlo, e quindi fugge. Il servo non può far altro che spiegare a Donna
Elvira la natura del suo padrone, e le dà un significativo cenno del catalogo
delle sue conquiste (“Madamina, il catalogo è questo”). Elvira non si dà
comunque per vinta. Poco oltre, un gruppo di contadini festeggiano le nozze di
Zerlina e Masetto. Don Giovanni immediatamente si accinge alla seduzione
della sposina, e spedisce il recalcitrante Masetto a casa sua in compagnia di
Leporello (“Ho capito, signor sì”): restato solo con Zerlina, la invita a seguirlo e
le promette di sposarla (“Là ci darem la mano”). La giovane contadina sembra
acconsentire quando sopraggiunge Donna Elvira, che la mette in guardia dalle
arti malefiche di Don Giovanni e la porta via con sé. Sopraggiungono poi
Donna Anna e Don Ottavio, che chiedono a Don Giovanni di assisterli nella
ricerca dell’empio uccisore del Commendatore. Ancora una volta, però, Donna
Elvira esorta la nobile coppia a di!dare del cavaliere (quartetto “Non ti fidar, o
misera”), che per contro accusa la donna di pazzia. Rimasta sola con Don
Ottavio, Anna trasalisce: dalla voce ha riconosciuto in Don Giovanni l’assassino
di suo padre, e spinge quindi Ottavio a far giustizia (“Or sai chi l’onore” e aria
di Don Ottavio per l’edizione viennese “Dalla sua pace”). Leporello racconta a
Don Giovanni come abbia allontanato Donna Elvira e condotto con sé Zerlina
alla festa che il padrone gli ha comandato d’organizzare. Compiaciuto, Don
Giovanni esprime la sua volontà d’allungare in quella notte la lista delle sue
conquiste (“Fin ch’han dal vino”). Nel giardino del palazzo di Don Giovanni,
Zerlina cerca di far pace con Masetto (“Batti, batti bel Masetto”). Al giungere del
cavaliere, Masetto si nasconde per verificare la fedeltà della moglie, ma è
subito scoperto; Don Giovanni li invita allora al ballo. Dal balcone, intanto,
Leporello scorge tre persone in maschera e invita anche costoro alla festa a
nome del padrone. Si tratta in realtà di Donna Elvira, Donna Anna e Don
Ottavio, accorsi per sorprendere il reprobo. Don Giovanni li accoglie
inneggiando alla libertà, mentre iniziano le danze. Il cavaliere balla una
contraddanza con Zerlina e cerca di trarla i disparte per approfittarne. Zerlina
però urla fuori scena e tutti si precipitano in suo soccorso. Don Giovanni cerca
allora di scaricare la colpa della tentata violenza su Leporello, ma le tre
maschere, rivelando la propria identità lo accusano apertamente di tutti i suoi
delitti e si fanno avanti per arrestarlo: il dissoluto riesce tuttavia a fuggire
(finale “Presto presto, pria ch’ei venga”).
Atto secondo. Sul far della sera, in una strada vicino a casa di Donna Elvira,
Leporello cerca di prendere le distanze dal padrone accusandolo d’empietà
(duetto “Eh via bu"one”); Don Giovanni lo tacita con un’o"erta di danaro, e
impone poi al servo di scambiare con lui gli abiti, in modo da permettergli di
far la corte alla cameriera di Donna Elvira, mentre Leporello, con gli abiti del
cavaliere dovrà tenere occupata la dama. Elvira s’a"accia al balcone e cade nel
tranello, pensando che Don Giovanni si sia ravveduto. S’allontana allora con
Leporello travestito, mentre Don Giovanni si pone sotto la finestra a far al
serenata al suo nuovo oggetto di desiderio (canzonetta “Deh vieni alla
finestra”). Sopraggiunge però Masetto che, in compagnia d’altri villici, dà la
caccia a Don Giovanni per trucidarlo. Il cavaliere, approfittando del suo
travestimento da Leporello, non si fa riconoscere e riesce abilmente a
disperdere il gruppo. Rimasto solo con Masetto, lo copre di botte. I lamenti del
contadino attirano allora l’attenzione di Zerlina, che soccorre il marito (“Vedrai
carino”). Frattanto, Leporello non sa più come reggere il confronto con Donna
Elvira e cerca di fuggire: in breve si trova però circondato da Donna Anna, Don
Ottavio, Zerlina e Masetto, i quali, credendolo Don Giovanni, vorrebbero
giustiziarlo (sestetto “Sola sola in buio loco”). Allora Leporello svela la propria
identità e riesce a dileguarsi. Don Ottavio comunica a tutti la sua intenzione di
consegnare Don Giovanni alla giustizia, e prega gli amici di prendersi cura
della sua fidanzata (“Il mio tesoro intanto”). Elvira rimane sola ed esprime
l’amarezza e la confusione del suo animo, oscillante fra amore e desiderio di
vendetta (aria per l’edizione di Vienna “Mi tradì quell’alma ingrata”). È ormai
notte fonda, e Don Giovanni s’è rifugiato nel cimitero, dove attende Leporello.
Quando quest’ultimo arriva, Don Giovanni ride sonoramente al racconto delle
sue disavventure. La risata è però interrotta da una voce minacciosa: «Di rider
finirai pria dell’aurora». Essa proviene dalla statua funebre del Commendatore.
Resosi conto del’evento miracoloso, Don Giovanni non si fa intimorire, e sfida
le potenze dell’al di là imponendo a Leporello, terrorizzato, d’invitare a cena la
statua parlante (duetto “O statua gentilissima”): l’invito è accettato. In casa di
Donna Anna, Don Ottavio cerca di convincerla ad a"rettare le nozze, ma ella lo
prega d’aspettare che la vendetta su Don Giovanni sia compiuta. Tutto è
pronto per la cena nel palazzo di Don Giovanni (finale secondo “Già la mensa è
preparata”). Il cavaliere, desinando, si fa intrattenere da un’orchestra di fiati
che gli suona un pezzo dell’opera ?Una cosa raradi Martín y Soler, quindi l’aria
“Come un agnello” da ?Fra i due litiganti il terzo godedi Giuseppe Sarti, e infine
l’aria del ‘farfallone amoroso’ dalleNozze di Figaro: Leporello commenta
«Questa poi la conosco purtroppo...». Irrompe Donna Elvira, e tenta
disperatamente d’ottenere il pentimento di Don Giovanni, ma viene solo
derisa. Nell’allontanarsi, grida terrorizzata fuori scena. Il libertino ordina allora
al servo d’andare a veder cosa è stato. Leporello grida a sua volta e rientra
pallido come un morto: alla porta del palazzo c’è la statua del Commendatore.
Don Giovanni intima allora d’aprire e fronteggia a testa alta lo straordinario
convitato. È la statua che questa volta invita Don Giovanni a cena, e chiede la
sua mano in pegno; senza lasciarsi intimorire, il cavaliere gliela porge
impavido. La stretta è fatale: pur prigioniero di quella mano gelida, Don
Giovanni rifiuta di pentirsi e sprofonda quindi in un abisso di fiamme infernali.
Troppo tardi giungono gli altri personaggi: Leporello li informa che il Cielo ha
già fatto giustizia; loro non resta che cantare la morale del dramma.
Accanto alla maestà tragica di Donna Anna, il suo promesso sposo Don Ottavio
ha sempre fatto la figura dell’inetto, giungendo a sembrare a Giovanni Macchia
«la figura più femminile di tutta l’opera». In realtà sul personaggio si è
incrostata una cattiva tradizione esecutiva, che ha trasformato un ruolo di
tenore nobile (non si dimentichi che il primo interprete Morella quattro anni
dopo avrebbe vestito i panni davidiani dell’imperatore Tito) in un tenorino di
grazia, complice l’inserimento in partitura della della nuova aria “Dalla sua
pace” per la ripresa viennese. Inoltre sul povero Don Ottavio non cesseranno
mai di pesare quei quasi comici interventi nello straordinario recitativo
accompagnato con cui Donna Anna gli narra della tentata violenza da parte di
Don Giovanni (in particolare, è la sua reazione «Ohimè respiro» a scatenare
giuste ironie). Invece, Don Ottavio è lo strumento della vendetta di Donna
Anna, e la sua unica colpa consiste nella pretesa di fermare Don Giovanni per
via legale («un ricorso vo’ fare a chi si deve»), ignorando che con le carte
bollate non si punisce laybrisdegli eroi. Il duca Ottavio appartiene insomma
alla stessa razza dei Commendatori, ma senza poter esibire un mandato
celeste di fronte al suo antagonista, ed è quindi costretto a rappresentare i
limiti della legge razionale, come l’abate Sieyès di fronte al generale Bonaparte.
A fronte della composta nobiltà di Donna Anna e Don Ottavio, Donna Elvira
incarna l’inestinguibile fuoco dei sentimenti. È disposta a ogni umiliazione pur
di ritrovare quegli attimi di passione che Don Giovanni le ha distrattamente
concesso: la sua onnipresenza nell’opera, la sua funzione di scalmanata
guastafeste, porta in scena il vero amore a reclamare i suoi diritti contro il
libertinaggio. A lei è a!dato il compito ingrato dell’estremo tentativo, ed è suo
l’urlo che segna il precipitare degli eventi. Donna Elvira, rappresentando i
diritti delle duemilasessantacinque (salvo errori di registrazione da parte del
ragionier Leporello) sedotte e abbandonate da Don Giovanni, difende l’amore
fedele e monogamo della donna contro l’incontenibile appetito carnale
dell’uomo: è Mozart stesso, tuttavia, a mettere in dubbio l’antico assioma, o
luogo comune, quando inCosì fan tuttedimostrerà come in ogni aspirante
moglie si celi un’aspirante adultera, di cui Zerlina sembra essere una
prefigurazione. La vittoria dell’eterno mascolino dongiovannesco troverà
comunque un bel ridimensionamento nell’opera successiva, dove sono le
duemilasessantacinque a predersi una crudele rivincita.
Con un tale libretto fra le mani, Mozart realizzò una delle più sconcertanti
sintesi di generi musicali che mai compositore abbia azzardato. Sistemati i
conti con la riforma gluckiana nell’Idomeneo, dove la fissità tragica cedeva alle
superiori ragioni della musica; trasfigurata l’opera bu"a in una vera commedia
per musica conLe nozze di Figaro, egli si trova di fronte a un soggetto per
metà comico e per metà tragico, con personaggi che continuamente incrociano
ora l’uno ora l’altro genere. La doppia natura del dramma lo portò a far
dialogare anche gli stili musicali, ma senza mai giungere a una fusione diretta
e frontale. Il luogo d’incontro fra la commedia e la tragedia sono le scene
d’insieme, laddove la verità drammatica trascende ogni modello precedente.
Nessuno era giunto, prima di Mozart, a far convivere tante diverse realtà
psicologiche in uno stesso tessuto musicale: già nelleNozze di Figaro, e
particolarmente nei due grandi finali del secondo e del quarto atto, il
trascolorare drammatico porta a una continua rigenerazione dell’idea
musicale, con progressive caratterizzazioni dei personaggi secondo il dipanarsi
dell’intreccio. Si prenda la prima scena delDon Giovanni: subito dopo aver
presentato Leporello in sentinella, una fiammata brucia il nucleo di tutta
l’azione successiva, cioè la tentata violenza di Donna Anna e l’assassinio del
Commendatore. Nel viluppo delle voci, la musica riesce a far vivere in uno
stesso punto l’odio, l’ira, lo scorno, la paura e la sfrontatezza. In un breve
volgere la scena si svuota, e rimane in terra solo il corpo esanime del
Commendatore. Mai opera aveva conosciuto un inizio più folgorante, unex
abruptocapace di soggiogare il pubblico in modo così possente. La conclusione
riproduce quell’incipitcome in uno specchio: l’entrata del Commendatore e lo
sprofondamento all’inferno di Don Giovanni (con la solenne cooptazione in
orchestra dei tromboni, perenne sigillo sonoro dell’aldilà) sono seguiti dal
ritorno alla tranquillità terrena, dopo che la tragedia ha conosciuto la febbre
della catastrofe. Tutto è permesso a Mozart, perfino di far convivere, come
nell’Infernodantesco, il gesto più nobile e alato accanto al prosaico linguaggio
di Leporello: Francesca da Rimini accanto a Vanni Fucci, Farinata degli Uberti a
fianco di Filippo Argenti. Lo strumento prezioso di queste metamorfosi di tono
è l’orchestra, il cui ruolo concertante alimenta la scena con un commento
esaustivo, rivelando a ogni tratto le diverse sfumature del gioco. Il linguaggio
di Mozart, rispetto a tutti gli altri compositori del suo tempo, trovava la chiave
di una indiscutibile superiorità nell’ampiezza dei suoi interessi e della sua
formazione musicale. Fu l’operista più grande proprio perché nel teatro riversò
la scienza acquisita nel campo strumentale, nel contrappunto e nella musica
sacra. Quella convivenza di tragico e comico, quel far vivere in scena gli a"etti
più disparati, altro non è che una sorta di sublime dialettica drammatica, dove
ogni voce riesce, pur nell’insieme, a mantenere la propria squisita individualità,
dominata da un occhio superiore che ne guida sapientemente le mosse. Altro
inedito concetto di contrappunto – nella sua accezione di conciliazione dei
diversi – è quella che riguarda l’unione fra musica e parola, che in Mozart si
fanno guida l’una dell’altra. Sul significato della parola nasce il suo
rivestimento sonoro, ma per contro il decorso musicale finisce per attribuire al
testo ulteriori e più profondi significati, governando col suo ritmo l’intera
successione degli accadimenti. La perfezione di questo contrappunto fra
musica e parola, fra a"etti diversi, fra tragedia e commedia, fra mito e realtà,
rendeDon Giovanniun’opera ina"errabile, come avviene in tutte le grandi
costruzioni polifoniche, dove l’orecchio non arriva a seguire al tempo stesso e
in ugual modo tutte le linee intrecciate dall’architetto creatore di quei suoni. La
sua posizione storica, alle soglie della più radicale trasformazione sociale
dell’era moderna, l’ha resa leggibile dall’uno o dall’altro di quei mondi
inconciliabili: a tutt’oggi, ogni volta che il «cavaliere estremamente licenzioso»
torna a calcare le scene, la sua fisionomia può mutare sino a renderlo
irriconoscibile, tanta è l’ambiguità della musica di Mozart. Ogni periodo, ogni
interprete continuerà sempre a leggere nelDon Giovannise stesso, così come
accade per tutte le grandi creazioni dell’ingegno umano, in cui le ragioni della
vita e della morte giocano la loro eterna partita a scacchi.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi
Era del tutto naturale che per il libretto egli si rivolgesse all'autore di quello del
Figaro, ossia al poeta dei Teatri Imperiali di Vienna, Lorenzo Da Ponte, e che gli
a!dasse in prima battuta la scelta del soggetto. L'esperto e navigato Da Ponte,
che a quel tempo era oberato di lavoro, pensò di appoggiarsi su un soggetto di
lunga tradizione e di sicuro e"etto, che era appena riapparso a Venezia (per la
stagione di carnevale, il 5 febbraio 1787) sotto forma di opera in un atto
composta da Giuseppe Gazzaniga su libretto di Giovanni Bertati: Don Giovanni
o sia il Convitato di pietra. Seguendone la traccia (fatto del tutto normale nella
prassi teatrale, e di cui si poteva in certa misura mantenere il segreto,
addirittura tacendo) si mise all'opera, sdoppiandosi nientemeno che in tre. Le
Memorie del poeta ci informano infatti su come Da Ponte lavorasse
contemporaneamente a ben tre libretti, che si era impegnato a consegnare
nella primavera del 1787: una riduzione in italiano dell'opera francese Tarare
con il nuovo titolo Assur Re d'Ormus per Antonio Salieri, il libretto appunto del
Don Giovanni, che a Mozart "piacque infinitamente", e un altro ancora, L'arbore
di Diana, per il compositore di origine spagnola Vicente Martin y Soler. "Trovati
questi tre soggetti" - ricorda Da Ponte - "andai dall'imperatore [Giuseppe II],
gli esposi il mio pensiero e l'informai che mia intenzione era di far queste tre
opere contemporaneamente. 'Non ci riuscirete!' mi rispose egli. 'Forse che no',
replicai, 'ma mi proverò. Scriverò la notte per Mozzart [sic] e farò conto di
legger l'Inferno di Dante. Scriverò la mattina per Martini e mi parrà di studiar il
Petrarca. La sera per Salieri e sarà il mio Tasso'. Trovò assai bello il mio
parallelo; e, appena tornato a casa, mi posi a scrivere". In sessantatré giorni le
due prime opere erano finite del tutto, e dell'ultima quasi due terzi.
L'edizione viennese si segnala nella storia dell'opera per una serie di modifiche
apportate per venire incontro alle diverse personalità dei cantanti, fattori a cui
Mozart era attentissimo, e forse al gusto del pubblico di corte. La parte più
toccata da queste modifiche fu il secondo atto, con l'espunzione dalla scena X
dell'aria di Don Ottavio Il mio tesoro intanto, ingrata all'interprete viennese,
che venne sostituita con quella, di carattere simile ma vocalmente meno
esposta, Dalla sua pace, collocata però nella scena XIV del primo atto.
L'intervento successivo riguardò Donna Elvira. Sollecitato anche qui, pare, da
una richiesta della cantante, che era la celebre Caterina Cavalieri, Mozart
compose l'aria di bravura Mi tradì quell'alma ingrata, facendola introdurre dal
recitativo accompagnato "In quali eccessi, o Numi" e situandola nel secondo
atto subito prima della scena del cimitero (scena Xe). Essa è preceduta da una
serie di nuove scene, più che comiche, smaccatamente farsesche (Xb-d), che
vedono impegnati in lazzi funambolici Leporello, Zerlina e un contadino. Di
queste scene non è rimasta pressoché traccia nella tradizione esecutiva,
mentre è ormai consuetudine accettata conservare entrambe le arie di Don
Ottavio e quella aggiunta di Donna Elvira.
Prima del Don Giovanni di Mozart e Da Ponte, l'opera in musica non aveva
o"erto al tema grandi capolavori, neppure in presenza di letterati di vaglia,
come per esempio Carlo Goldoni, autore di un Don Giovanni Tenorio o sia Il
dissoluto (1736) da lui stesso giudicato poco riuscito. Il tema era rimasto per
così dire in apnea, in equilibrio incerto tra un'interpretazione marcatamente
comica, dove semmai a contare era l'e"ervescenza teatrale allo stato puro, e
una indirizzata verso la commedia moraleggiante a sfondo allegorico, con toni
edificanti. Tutti questi prodotti di sicuro successo popolare servivano però a
tenere desta la fiamma della leggenda, alimentandola ogni volta con le
inesauribili invenzioni della fantasia sbizzarrita. Sicché essi formarono il
terreno fertile sul quale fiorì l'operazione dapontiana, che mise le ali alla
musica di Mozart. Ne è riprova il già citato atto unico di Bertati e Gazzaniga, da
cui Da Ponte prese lo spunto per seguirne la prima e la seconda metà,
rispettivamente all'inizio e alla fine del suo libretto, e sviluppare liberamente la
trama, sfruttando motivi tradizionali e altri inventandoli di sana pianta, nella
seconda metà del primo atto e nella prima del secondo. Così facendo da un
lato si riallacciò a una tradizione consolidata, dall'altro la arricchì di un
significato nuovo, creando un'opera che nel momento stesso in cui si
agganciava a un genere se ne distaccava verso altre ambizioni e mete.
All'inizio, spinto dalla sua audacia erotica, Don Giovanni penetra furtivamente
(è il suo costume preferito), di notte (è la sua ora), dopo aver studiatamente
organizzato la spedizione (difatti ha lasciato fuori Leporello a far da "palo":
così inizia l'opera, con l'aria della sentinella stufa di aspettare), in casa di
Donna Anna, per "possederla carnalmente" (ogni altro termine sarebbe
eufemismo). Respinto (ma qui le cose già si complicano: a missione compiuta o
prima? Donna Anna lo respinge prima di aver subito l'a"ondo vincente o dopo,
quando vuol sapere chi sia quello che l'ha attaccata e che non vuol farsi
riconoscere?), viene a"rontato dal padre di lei accorso allo strepito, il
Commendatore; e benché il duello con un vecchio quasi inerme sia
chiaramente impari, lo uccide (non basterebbe disarmarlo? O tutt'al più
ferirlo?). Certo, anche se Don Giovanni ancora non lo sa (mentre noi
ascoltatori, come vedremo, già lo sappiamo), quel gesto vile mette in moto il
corso del destino che gli si ritorcerà contro; ma tutto, fin dall'inizio,
contribuisce a definire un personaggio impulsivo e sfrenato, se non odioso,
come perfino il servo Leporello è costretto a riconoscere con sarcasmo: "Bravo:
due imprese leggiadre! Sforzar la figlia ed ammazzar il padre". E non è che
dopo le cose cambino. Con Donna Elvira egli si comporta con feroce crudeltà
(ripetutamente, fra l'altro: e senza apparenti giustificazioni); con la giovane
contadina Zerlina punta cinicamente al sodo, anche in presenza del suo
fidanzato Masetto ("ma passion predominante / è la giovin principiante "; e
allora "voi sapete quel che fa": è ancora Leporello a ricordarcelo); perfino con
Donna Anna, quando la incontra di nuovo dopo il misfatto, finge ipocritamente
interesse e comprensione, con suprema a"ettazione e arte del trasformismo
(ecco un altro tratto che lo contraddistingue: la natura camaleontica). E non è
ancor tutto. Benché nel finale del primo atto si sia sfiorata la catastrofe,
all'inizio del secondo lo troviamo di nuovo pronto all'azione, donnesca
s'intende. Per sedurre la cameriera di Donna Elvira (altro spregio alla donna che
l'ama), vuol presentarsi a lei con il vestito del servo e impone a Leporello lo
scambio di persona: ingiungendogli di distrarre intanto la stessa Elvira,
facendo le sue veci dopo averla illusa. l'impresa, nonostante l'avvio
promettente, non va a buon fine per l'improvviso arrivo di Masetto e del suo
seguito; circostanza che o"re a Don Giovanni la possibilità di convertire la sua
libidine in violenza e di sfogarla sul povero malcapitato, ancora una volta con
assoluta indi"erenza. Come rinfrancato, egli incontra poi una spasimante di
Leporello e, approfittando dell'inganno degli abiti, la seduce (termine che
implica sempre un'unica cosa: l'atto sessuale istantaneo) e, non contento di
ciò, racconta a Leporello il caso fortunato. Sarà però l'ultima volta che potrà
farlo.
A questo punto si situa infatti la peripezia del dramma, che avviene nella scena
del cimitero. Ma anche qui osserviamo attentamente la condotta di Don
Giovanni. Nessun presentimento o timore, nessuno scrupolo morale, ma
soltanto incredulità e fastidio, anzi divertimento e semmai sfida al terribile
monito scolpito nell'iscrizione: "Dell'empio che mi trasse al passo estremo qui
attendo la vendetta". Con totale noncuranza e sprezzo del pericolo, Don
Giovanni partecipa l'invito a cena alla statua del Commendatore, limitandosi
poi a giudicare la risposta a"ermativa, come tutta la scena, "bizzarra inver". Si
potrebbe arguire che la curiosità inesausta ch'egli mostra per le donne si
estende anche a ogni altra reazione di fronte all'ignoto. Solo nella scena finale
Don Giovanni assurge potentemente, quasi suo malgrado, a un rango quasi
eroico; non prima di aver però dichiarato per l'ennesima volta il suo unico e
vero credo filosofico tutto mondano: "Vivan le femmine, / viva il buon vino, /
sostegno e gloria / d'umanità! ". Pur irrigidendosi un poco all'evento
imperscrutabile dell'arrivo della statua del Commendatore, si dispone
immediatamente a far fronte all'inattesa situazione ("Leporello! Un'altra cena /
fa' che subito si porti") ed è oltremodo sorpreso che non di questo si tratti. Ma
anche qui: il suo diniego a pentirsi non è dettato dalla saldezza ideologica di
un intellettuale libertino ma dall'ostinazione di colui che non vuol piegarsi e
cedere, per orgoglio e superbia. La durezza dello scontro, con quei "No, Sì"
ossessivamente rimbalzati, è estrema, ma Don Giovanni non fa in tempo a
rendersi conto che le fiamme dell'inferno lo stanno inghiottendo:
semplicemente sprofonda con un "Ah!" che suona prima di tutto di meraviglia.
Per questo Don Giovanni non è un eroe dell'ideale, né uno spirito libero, bensì
un emblema. La frenesia che lo pervade - il demonismo dei sensi, o per citare
Kierkegaard la "genialità erotico-sensuale" che è tutt'uno con la musica, e con
la musica di Mozart in particolare - non gli consente di vedere le cose del
mondo con altra ottica, né di interessarsi a misure spirituali. Ma anche il
giudizio morale che alla fine sembra inchiodarlo alle sue responsabilità
("Questo è il fin di chi fa mal: / e de' perfidi la morte / alla vita è sempre
ugual") lo riguarda solo in parte, rappresentando invece il punto di vista di
coloro che sono stati testimoni delle sue "nere imprese" e che possono dirsi,
ma a cuore non leggero, "vendicati dal cielo". E la parte che semmai lo riguarda
è quella imperitura oltre la morte, che farà rinascere, se non opere simili, altri
uomini con il suo carattere; insieme con la consapevolezza che anche gli altri
personaggi apertamente avranno, al di là del "lieto fine", di essere esistiti
soltanto come creature del "mostro", e di non poter forse più esistere senza di
lui. Si spiega così come questa "scena ultima", che protrae oltre la catastrofe
l'eco incancellabile della tragedia, sia necessaria all'economia globale per
ragioni assai più profonde di quelle di una semplice convenzione di genere.
Essa è lo specchio post mortem dell'eroismo di Don Giovanni: sopravvivere alla
sua stessa punizione, così com'era vissuto senza temere punizioni. Una scelta
dunque tutt'altro che convenzionale, ma anzi audace e sofisticata, degna di un
grande psicologo. Se per qualche attimo Mozart pensò di sopprimere il
sestetto conclusivo, lo fece soltanto perché posto fuori strada dalle attese del
pubblico viennese, ritenendo, non a torto, che il finale tragico nudo e crudo
avrebbe sortito un e"etto più immediato e clamoroso. Ossia per ragioni
esattamente opposte a quelle che la "cultura", con i suoi sottili distinguo, ha
creduto per anni di sostenere in favore della sua espunzione. Infine si
ricredette, e lo risistemò al suo posto.
Resta comunque il mistero di un'opera il cui protagonista è un personaggio
"negativo", che da capo a fondo compie azioni che non soltanto appaiono ma
ci vengono anche presentate come riprovevoli, e al quale tuttavia la musica
conferisce un'aura irresistibile, come d'un "eroe positivo". Questa duplicità, o
forse addirittura molteplicità, si riflette anche nella problematica definizione
del genere al quale far appartenere l'opera. Don Giovanni non s'intitola così,
bensì Il dissoluto punito o sia il Don Giovanni, e u!cialmente è un "dramma
giocoso" in due atti, ossia un'opera bu"a. Da un punto di vista meramente
tecnico questa definizione indica l'appartenenza a un genere nel quale la
musica, accortamente sostenuta dal testo sia nelle arie sia nei pezzi d'insieme,
porta continuamente avanti l'azione, facendosi essa stessa azione, senza
arrestarsi in pose statuarie nelle espressioni liriche: seguendo quindi una
dinamica realistica e non epica, nel tono della commedia più che della
tragedia. Ma posto che il Don Giovanni sia, come in parte è, un'opera di
carattere bu"o, come intendere l'evidente salto di livello dell'apparizione
soprannaturale della statua e ciò che ne consegue, ovvero la dannazione
eterna di Don Giovanni? Si potrebbe rispondere che, giusta la prima parte del
titolo, l'assunto principale sia Il dissoluto punito e che tutta la sequenza degli
eventi che vedono il protagonista commettere azioni indegne agli occhi altrui
(ma non ai nostri di spettatori e ascoltatori) sia una esasperazione comica
tendente progressivamente al punto nel quale, colmato ogni limite, la giusta
punizione si abbatte specularmente su di lui. Questa sorta di caricatura degli
"eccessi sì enormi" di Don Giovanni non renderebbe però conto del "come" si
compia la catastrofe, ossia lo sconfinamento in un evento quanto mai "serio",
che istintivamente ci porta a stare più che mai dalla parte del "dissoluto
punito" e a riconoscergli appunto di conseguenza un rango eroico. La tesi che
ribalta questa prospettiva presenta falle ancora più evidenti. Prendere tutto sul
"serio" il comportamento di Don Giovanni nelle sue avventure erotiche (che
sono, non dimentichiamolo, la violenza su una nobile fidanzata con un nobile,
una reiterata crudeltà verso la donna che l'ama, la seduzione di una contadina
sprovveduta, oltre a numerose scappatelle con chi capiti a tiro) e vederne una
vittima innocente delle sue stesse inclinazioni significherebbe non solo
imbattersi negli ostacoli degli episodi comici ma anche dover render conto
della sprezzante violazione di un codice morale, stridente con la stessa
convenzione etica del genere serio.
L'unico personaggio a ergersi di fronte a Don Giovanni con una sua inflessibile
fisionomia anche musicale è quello del Commendatore. Ma il Commendatore
non è, fatta eccezione per la breve scena iniziale, una figura umana in carne ed
ossa, bensì un simbolo: lo statuario messaggero d'una giustizia divina che si
abbatte sul protagonista con forza inappellabile.
Se è dunque vero che, salvo il Commendatore, tutti gli altri personaggi sono
per così dire creati da Don Giovanni e si definiscono nel loro misurarsi con lui
(perfino musicalmente, assimilandone o contrastandone i diversi stilemi), è
altrettanto vero che ciascuno di essi è proiettato in una propria sfera, e in essa
vive di un riflesso di abbagliante autonomia. Ribaltando la prospettiva, si
potrebbe leggere tutta l'opera nelle reazioni chimiche prodotte dal contatto
con Don Giovanni e vederne gli e"etti nella loro progressiva espansione
temporale. All'inizio del primo atto, che si svolge con ritmo serrato
nell'oscurità della notte, è esposta la vicenda di Donna Anna (scene I-III),
culminante nel duetto del giuramento di vendetta di Donna Anna e Don
Ottavio. Segue poi la presentazione di Donna Elvira (scene IV-VI), ambientata al
sorgere del sole ("alba chiara" nella didascalia scenica) e disposta in una forma
simmetrica: aria di sortita Ah chi mi dice mai inframmezzata dagli interventi di
Don Giovanni e Leporello, aria del catalogo di Leporello, recitativo di Elvira
sola. Un cambiamento di scena (nel frattempo si è fatto giorno) ci introduce in
una nuova atmosfera, quella del mondo contadino di Zerlina, che ora diviene il
centro dell'intreccio (scene VII-IX): coro di contadini e contadine che suonano,
ballano e cantano, fulminea entrata in azione di Don Giovanni finalizzata a
restar solo con Zerlina e, quando ciò avviene, seduzione. A questo punto, con
l'irruzione di Donna Elvira, che come una furia "ferma con atti disperatissimi
Don Giovanni", le tre vicende fin qui tenute distinte si intersecano in un rapido
alternarsi di accelerazioni e distensioni (scene X-XIV). Tornano in scena Donna
Anna e Don Ottavio, prima per dar vita con Donna Elvira e Don Giovanni al
quartetto Non ti fidar, o misera, nel quale Don Giovanni viene smascherato, poi
per trarre dall'accaduto la rivelazione del suo misfatto (con la versione di parte
dell'"infame attentato" fornita da Donna Anna nel recitativo e aria Or sai chi
l'onore) e un nuovo giuramento di vendetta. Si può dire che un primo ciclo sia
terminato. Il giorno volge al termine. La nuova fase dell'azione (scene XV-XVI)
ha inizio alla luce del tramonto e si conclude in piena notte con il finale: Don
Giovanni torna padrone del segmento temporale che più gli si confà. E lui ora a
prendere in mano le fila dell'intreccio, non prima però di aver annunciato gli
eventi con l'aria Fin ch'han dal vino, nella quale per la prima volta il seduttore
balza in primo piano con un pezzo solistico, dopo esser stato a lungo vigile
sullo sfondo dell'azione. Quest'aria spumeggiante, oltre che espressione
d'intenti inequivocabili ("Ah la mia lista / doman mattina / d'una decina / devi
aumentar"), è anche una dichiarazione di poetica: l'eros si scatena nel puro
impulso vitalistico di una "gran festa" nella quale la danza sia non solo "senza
alcun ordine" ma anche aperta alle maschere, e dunque improntata allo spirito
carnevalesco del travestimento e alla più completa libertà. L'entrata delle
maschere, sotto le quali si celano Don Ottavio, Donna Anna e Donna Elvira
(scena XIX), crea un'atmosfera arcana, un brivido musicalmente sospeso su una
assorta astrazione lirica, forse già un presagio inquietante, del quale tuttavia
Don Giovanni non si cura.
Questo finale, nel quale per la prima volta tutti i personaggi sono riuniti in un
unico spazio scenico, richiede un discorso sé stante. Lo si potrebbe definire un
caos organizzato, che poco a poco monta ed esplode. E lecito presumere che
Da Ponte, ormai abbandonato del tutto il modello di Bertati predisponesse un
piano che solo la musica di Mozart avrebbe potuto realizzare (e lo sapeva per
esperienza: non siamo i fondo troppo distanti dai precipizi dei finali d'atto
delle Nozze di Figaro). Mozart tuttavia superò se stesso, creando un vortice
ininterrotto di sorprese e di colpi di scena. La riconciliazione tra Zerlina e
Masetto, che lo precede (scena XVI, Batti batti; o bel Masetto), serve a creare
una parentesi di apparente serenità, che verrà poi fagocitata dal ritmo
turbinoso della follia più completa. E' però, come si è detto, una follia
organizzata, quasi pianificata, che dal libretto trasmigra direttamente in
partitura. Tre orchestre sopra il Teatro (cioè in palcoscenico) attaccano una
dopo l'altra tre danze distinte, secondo il costume e le convenzioni del
Settecento. La prima, il Minuetto, è riservata a Don Ottavio, Donna Anna e
Donn Elvira mascherati e corrisponde al loro ceto aristocratico: è in 3/4 e viene
suonata da un'orchestra più ricca (2 oboi, 2 corni, violini I e II, viola e bassi). La
seconda (in 2/4, violini e bassi) è una contraddanza (danza originariamente
contadina) e viene ballata da Don Giovanni e Zerlina (Don Giovanni si abbassa
galantemente, pur di raggiungere il suo scopo, al livello della popolana). La
terza, un valzer in 3/8 assegnato sempre ai soli archi (Mozart lo definisce
"Teitsch": è il nome dialettale del Ländler, ossia del valzer campagnolo
tedesco), serve per la accorta diversione con la quale Leporello cerca di
distrarre Masetto, ballando con lui la villica danza. La poliritmia che si viene a
creare quando le tre danze risuonano insieme sortisce appunto l'e"etto di una
strana concitazione, tuttavia inquadrata in un preciso ordine sociale.
L'improvviso scoppio delle invocazioni di aiuto di Zerlina "di
dentro" (approfittando della confusione Don Giovanni è infatti riuscito ad
appartarsi con lei) trancia di netto questa atmosfera quasi surreale e riporta
bruscamente alla realtà con una violenta esplosione dell'intera orchestra, che
lascia a mezzo, come per aria, le danze. Non si potrebbe immaginare ora un
contrasto più drastico: la convulsione raggiunge l'acme quando Don Ottavio,
Donna Anna e Donna Elvira, soccorrendo Zerlina, si tolgono le maschere e
svelandosi accusano Don Giovanni. Il quale, con un ultimo colpo d'ala, riesce a
mettersi in salvo grazie a un espediente di cui è maestro, la fuga precipitosa e
repentina.
Con la scena del cimitero (XI), di cui sappiamo anche l'esatta collocazione
oraria - poco prima delle due della notte -, entra in azione l'elemento
soprannaturale, sotto la forma del demoniaco luciferino: ed è del tutto ovvio
che l'ambientazione cambi rispetto a quanto finora accaduto. E' un
cambiamento improvviso, inopinato, prima di tutto di timbri e di atmosfere: la
lugubre voce sepolcrale scandisce le parole fatali "Di rider finirai pria
dell'aurora" accompagnata da due oboi, due clarinetti, due fagotti e tre
tromboni. E un po' come se una sequenza di immagini a colori vivaci si
mutasse repentinamente in un livido bianco e nero. La rigida fissità della
statua del Commendatore dà alla scena movenze spettrali, quasi bloccate in
una misteriosa attesa: per la prima volta la vitalità di Don Giovanni sembra
arrestarsi e tacere. Si percepisce in lui una dose di inso"erenza, di sorpresa
stupefatta mista a curiosità, quando a!da a Leporello il compito di comunicare
con il morto. L'invito a cena è una reazione quasi istintiva ("Parlate, se
potete..."), un modo per uscire da una situazione non solo bizzarra ma anche
grottesca.
L'atmosfera oppressiva si protrae nella "camera tetra" in cui Donna Anna e Don
Ottavio, ormai essi stessi quasi simulacri di morte, meditano ancora sulla
vendetta e sull'illusione del loro triste amore (scena XII): la grande aria di
Donna Anna Non mi dir, bell'idol mio, preceduta da un recitativo
accompagnato non meno che scultoreo, ha il sapore di un definitivo congedo
dalle speranze di questo mondo. Nient'a"atto esiziale per la costruzione
architettonica complessiva, essa ha la funzione di separare la scena del
cimitero dalla scena ultima non solo per motivi di banale verosimiglianza
drammatica (permettere a Don Giovanni di rincasare) ma anche per accrescere
l'attesa della inevitabile resa dei conti, incrementando la tensione con un
episodio apparentemente estraneo, se non straniante: curioso che molti
commentatori illustri, a cominciare da Hector Berlioz, l'abbiano giudicata
addirittura con indignazione. E siamo così all'epilogo (finale secondo, scena
XIII). Qui si pone subito un problema non secondario: in che rapporto di tempo
sta questa scena con quella del cimitero? L'invito a cena fatto alle due della
notte è per quella notte stessa, se Don Giovanni dovrà finir di ridere "pria
dell'aurora"? Il libretto non ce lo dice. Ma la risposta è semplice: con l'atto
sacrilego commesso da Don Giovanni il tempo, il suo tempo, si è fermato, e la
scena finale, che può essere anche vista come un'allucinazione, si svolge in un
tempo non più reale, ma mitico, il tempo eterno del giudizio universale. Nella
sala preparata per mangiare ("Già la mensa è preparata"), Don Giovanni crede
di vivere ancora nel presente (infatti i musici suonano alla sua tavola, per
allietare la sua ultima cena, tre estratti di opere contemporanee, la terza delle
quali è una citazione dell'ultimo successo di Mozart stesso), ma in realtà è già
catapultato, senza ch'egli lo sappia, in una dimensione sovratemporale, o
meglio atemporale. Ed è proprio questa proiezione a conferire alla scena, dopo
l'estremo, vano appello di Donna Elvira - "cangiar vita"! - un carattere insieme
irreale, eroico e mitico, avvolgendo il cavaliere in un'aura metafisica che lo
estranea dalla sua più propria facoltà: quella di bruciare il tempo senza farlo
mai arrestare.
Luigi Dallapiccola, nel saggio Considerazioni in margine alla scena della statua
nel "Don Giovanni", ha osservato come il Commendatore, che rappresenta non
un semplice individuo ma lo spirito, la coscienza, cada ferito a morte "sullo
stesso accordo di settima diminuita" che riudiremo nell'istante in cui la statua
entra in scena nel finale. E precisa: "Da un punto di vista musicale [il
Commendatore] è il protagonista perché - apparendo nell'Introduzione e nel
Finale - fissa i punti sui quali potrà essere rizzato quel grande arco che è la
costruzione del Don Giovanni [...] Ciò che avviene nel grande arco sostenuto
dalle due colonne, cioè l'azione principale, è condizionato dalla invisibile
presenza del Commendatore". Si potrebbe anche rovesciare quest'osservazione
e notare come Don Giovanni permei talmente di sé l'azione, perfino di fronte
all'epifania dello spirito, da esserne non soltanto il protagonista, ma il
protagonista assoluto. Nella disputa ormai bisecolare sulle interpretazioni del
Don Giovanni, costellata di voci assai autorevoli, assistiamo a una continua
oscillazione di punti di vista anche opposti che cercano di venire a capo
dell'enigma di un'opera insieme limpida e sfuggente. Accettarne con animo
grato l'ambiguità è forse l'unico modo di scioglierne i nodi altrimenti
irresolubili. Come ha scritto Fedele d'Amico, "lo scontro non dà vincitori né
vinti: Don Giovanni viene veramente dannato, ma il suo fascino 'positivo'
rimane intatto: privilegiare la sua condanna rispetto alla sua apoteosi o
viceversa non è possibile, la musica di Mozart contempla dall'alto così
l'indeterminazione come la determinazione etica imparzialmente, nell'atto
stesso in cui, con pari lealtà, le fa vivere". Per questo ci gettiamo ogni volta con
immutata passione, fors'anche la milionesima, nella folle nottata del Don
Giovanni.
Segio Sablich
1. Praga e Vienna.
Le origini di Don Giovanni risiedono nel travolgente trionfo che il pubblico di
Praga tributò, alla fine del 1786, a Le nozze di Figaro, l'opera su libretto di
Lorenzo Da Ponte che era andata in scena sette mesi prima, il 1° maggio 1786,
al Burgtheater di Vienna. Invitato a constatare di persona l'entusiasmo che la
sua partitura aveva destato, Mozart giunse a Praga l'11 gennaio 1787. Quattro
giorni più tardi poteva scrivere all'amico Gottfried von Jacquin: "[...] d'altro non
si parla se non di Figaro, altro non si suona, intona, canta e fischietta se non
Figaro. Non si assiste ad altra opera se non a Figaro e sempre Figaro. È certo
un grande onore per me". Praga, città di grandi tradizioni musicali, dotata di
un pubblico di gusti ra!nati e progressisti, garantì dunque al compositore un
successo autentico e duraturo; mentre a Vienna, città di gusti più conformisti e
"italianisti", Le nozze di Figaro avevano avuto una accoglienza buona ma non
univoca. Nella capitale dell'impero Mozart era considerato come un
compositore geniale sì, ma stravagante e complesso, di ostica comprensione.
Dal trionfo praghese ebbe origine dunque la commissione per una nuova
opera, destinata al medesimo Teatro Nazionale, diretto da Pasquale Bondini, e
alla medesima compagnia dell'impresario Domenico Guardasoni.
Sulla genesi del futuro Don Giovanni non abbiamo molte informazioni. È del
tutto ovvio che, riguardo alla scelta del librettista, Mozart si rivolgesse a
Lorenzo Da Ponte, che aveva redatto magistralmente il libretto delle Nozze di
Figaro e ricopriva a Vienna il posto di poeta imperiale. Allo stesso Da Ponte
dobbiamo una testimonianza diretta, conservata però nelle sue Memorie,
pubblicate a oltre trent'anni dai fatti. Vi si legge di come il poeta scrivesse
contemporaneamente tre libretti diversi, per i compositori Antonio Salieri,
Vicente Martin y Soler e appunto Mozart.
"Pensai se non fosse possibile di contentarli tutti e tre e di far tre opere a un
tratto. Salieri non mi domandava un dramma originale. Aveva scritto a Parigi la
musica all'opera del Tarar [...] e me ne domandava quindi una libe¬ra
traduzione. Mozzart e Martini lasciavano a me interamente la scelta [del
soggetto]. Scelsi per lui il Don Giovanni, soggetto che infinitamente gli
piacque, e L'arbore di Diana pel Martini [...]. Trovati questi tre soggetti, andai
dall'imperadore, gli esposi il mio pensiero e l'informai che mia intenzione era
di far queste tre opere contemporaneamente. - Non ci riuscirete! - mi rispose
egli. - Forse che no - replicai; - ma mi proverò. Scriverò la notte per Mozzart,
e farò conto di leggere l'Inferno di Dante. Scriverò la mattina per Martini, e mi
parrà di studiar il Petrarca. La sera per Salieri, e sarà il mio Tasso".
A Praga Mozart arrivò il 4 ottobre, con una partitura ancora incompleta (era
consuetudine il rifinire l'opera a stretto contatto con gli interpreti); mancavano
almeno l'aria di Masetto (n. 6: "Ho capito, signor sì"), il duetto iniziale del
secondo atto (n. 14: "Eh via bu"one") e l'intero Finale del secondo atto; nonché
l'ouverture, che una testimonianza riconducibile alla vedova del compositore
a"erma essere stata scritta appena due notti prima della rappresentazione.
Anche Da Ponte - subito dopo la prima dell'Arbore di Diana di Martin y Soler -
si recò a Praga, giungendovi il 7 ottobre, ma dovette far ritorno a Vienna senza
aver assistito all'opera, richiamato dall'imperatore per curare il debutto
dell'opera di Salieri, Axur, Re d'Ormus. Possiamo immaginare, secondo l'uso
del tempo, un breve e serratissimo periodo di prove nel quale Mozart fu
impegnato ad insegnare una partitura nuova e di!cilissima alla compagnia di
canto. Così, il 15 ottobre Mozart poteva scrivere a von Jacquin:
"Probabilmente lei crederà che a quest'ora la mia opera sia già stata
rappresentata, e invece sbaglia, sia pur di poco. In primo luogo il Personale
teatrale di qui non è abile come quello di Vienna, al punto da imparare in così
poco tempo un'opera del genere. In secondo luogo, al mio arrivo ho verificato
che le disposizioni e i preparativi erano a uno stadio così poco avanzato che
sarebbe stato assolutamente impossibile rappresentarla il 14, cioè ieri. Ieri
dunque, con tutto il teatro illuminato, è stato rappresentato il mio Figaro, che
ho diretto io stesso". '
Su una quarta modifica, attestata da fonti autorevoli, sono stati avanzati molti
dubbi. Secondo il libretto stampato per le rappresentazioni viennesi la "Scena
Ultima" dell'opera fu soppressa, e l'opera venne fatta terminare alla morte di
Don Giovanni con la seguente didascalia: "il foco cresce D. Gio. si profonda; nel
momento stesso escon tutti gli altri; guardano, metton un alto grido, fuggono,
e cala il sipario". Questo nuovo finale sembra confermato dall'aggiunta,
sull'autografo, di un accordo di re maggiore sull'esclamazione "Ah!", a!dato a
tutti i personaggi in coincidenza del "grido" di Leporello (sembra oggi
tramontata l'ipotesi di uno studioso che l'aggiunta dell'accordo non sia di
mano di Mozart). Ma questo accordo risulta poi cancellato sull'autografo.
Mozart potrebbe aver reintegrato la "Scena Ultima" (o parte di essa, senza il
duettino Anna-Ottavio) nel corso delle repliche. Purtuttavia non è possibile,
allo stato attuale delle conoscenze, giungere a conclusioni definitive su questo
punto.
2. Un'opera di consumo.
Ci si è so"ermati tanto a lungo sulla storia delle due versioni del Don Giovanni
e sulle loro di"erenze, perché esiste, per il pubblico moderno, la di!coltà di
accostarsi al capolavoro di Mozart prescindendo dalle molteplici e talvolta
fuorvianti interpretazioni che si sono stratificate sull'opera dalla fine del XVIII
secolo fin quasi ai nostri giorni. Come tutti i capolavori, anche Don Giovanni
doveva occupare un ruolo sempre di primissimo piano nella storia della
cultura, e tuttavia non sempre identico a sé stesso, ma anzi in continua
trasformazione. Nel passare dei decenni e dei secoli l'opera è stata riletta
secondo prospettive di"erenti, che guardavano con disagio a tutti quegli
aspetti che più saldavano la partitura alla cultura del suo tempo; il risultato è
stato quello di una eccezionale profondità interpretativa, ma anche di una
lunga serie di equivoci e fraintendimenti.
Ma, se procedure di questo tipo erano del tutto consuete, anzi scontate, nel
mondo teatrale dell'epoca, un legame ancora più profondo si stabilisce fra la
partitura e la specifica occasione per cui essa fu concepita. È noto come nel
Finale del secondo atto - scritto, come si è visto, in loco, nei giorni precedenti
la prima - Mozart abbia fatto intonare al piccolo complesso di strumenti a fiato
che rallegra la cena di Don Giovanni, melodie tratte da opere allora celeberrime
e ben presenti al pubblico del teatro praghese. Le melodie vengono annunciate
dal servo Leporello con parole che non si trovano nel libretto a stampa, ma
nella sola partitura, e che sono fuori dalla metrica di versi ottonari pensata da
Da Ponte (dunque probabilmente sono state aggiunte dallo stesso Mozart).
"Bravi! Cosa rara", dice Leporello, riferendosi a Una cosa rara, o sia Bellezza ed
onestà di Martin y Soler (Vienna 1786); poi "Evvivano i litiganti!", e si tratta de I
pretendenti delusi o I due litiganti di Giuseppe Sarti (Venezia 1782); infine
"Questa poi la conosco pur troppo!", e possiamo immaginare come la
autocitazione di "Non più andrai farfallone amoroso" - intonata da Felice
Ponziani, Leporello ma già interprete di Figaro - abbia deliziato il pubblico di
una città dove, come aveva scritto Mozart a von Jacquin, "altro non si suona,
intona, canta e fischietta se non Figaro".
Dunque Don Giovanni come opera di consumo, pensata per una occasione
unica e irripetibile. A questo aspetto, tuttavia, se ne a!anca un altro, in
apparenza contrastante, in realtà complementare; quello dell'opera di altissima
complessità concettuale, tale da giustificare la straordinaria pluralità di letture
che ne sono state o"erte.
Arrigo Quattrocchi
Struttura musicale
Atto I:
Scena I:
Scena II:
Scena III:
Ah del padre in periglio - Recitativo (Donna Anna, Don Ottavio) - continuo
b. Fuggi, crudele - Duetto (Donna Anna, Don Ottavio) - Allegro (re minore).
Recitativo. Maestoso.
Adagio in tempo. Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena IV:
Scena V:
Ah! chi mi dice mai - Aria (Donna Elvira, Don Giovanni, Leporello) - Allegro
(mi bemolle maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VI:
Scena VII:
Giovinette che fate all'amore - Coro (Zerlina, Masetto, Coro) - Allegro (sol
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VIII:
Scena IX:
Alfin siam liberati - Recitativo (Don Giovanni, Zerlina) - continuo
Scena X:
Ah, fuggì il traditor - Aria (Donna Elvira) - Allegro (re maggiore) - archi
Scena XI:
Scena XII:
Non ti fidar, o misera - Quartetto (Donna Anna, Donna Elvira, Don Ottavio,
Don Giovanni) - Andante (si bemolle maggiore) - flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti,
2 corni, archi
Scena XIII:
a. Don Ottavio, son morta! - recitativo (Donna Anna, Don Ottavio) - Allegro
assai. Andante.
Allegro assai. Andante. Allegro assai - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni,
2 trombe, archi
b. Or sai chi l'onore - Aria (Donna Anna) - Andante (re maggiore) - 2 oboi, 2
fagotti, 2 corni, archi
Scena XIV:
c. Dalla sua pace la mia dipende - Aria (Don Ottavio) - Andantino sostenuto
(sol maggiore)
flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi [Aria sostitutiva K6 540a]
Scena XV:
Fin ch'han dal vino calda la testa - Aria (Don Giovanni) - Presto (si bemolle
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena XVI:
Batti, batti, o bel Masetto - Aria (Zerlina) - Andante grazioso (fa maggiore) -
violoncello obbligato, flauto, oboe, fagotto, 2 corni, archi
Presto, presto, pria ch' ei venga - Finale (Zerlina, Masetto) - Allegro assai
(do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, archi
Scena XVII:
Scena XVIII:
Scena XIX:
c. Bisogna aver coraggio - Finale (Donna Anna, Donna Elvira, Don Ottavio,
Don Giovanni, Leporello)
Allegretto (fa maggiore). Menuetto. Adagio (si bemolle maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena XX:
e. Venite pur avanti - Finale (Donna Anna, Donna Elvira, Don Ottavio, Don
Giovanni)
Maestoso (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi
f. Da bravi, via ballate! - Finale (Donna Anna, Donna Elvira, Don Ottavio,
Don Giovanni, Leporello)
Menuetto (sol maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
g. Gente aiuto, aiuto gente! - Finale (Donna Anna, Donna Elvira, Zerlina, Don
Ottavio, Don Giovanni,
Leporello, Masetto) - Allegro assai (do maggiore). Andante maestoso.
Allegro. Piu stretto
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Atto II:
Scena I:
Scena II:
Ah, taci, ingiusto core - Terzetto (Donna Elvira, Don Giovanni, Leporello) -
Andantino (la maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena III:
Scena IV:
Non ci stanchiamo - Recitativo (Don Giovanni, Masetto) - continuo
Metà di voi qua vadano - Aria (Don Giovanni) - Andante con moto (fa
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena V:
Scena VI:
Scena VII:
Sola, sola in buio loco - Sestetto (Donna Anna, Donna Elvira, Don Ottavio,
Leporello) - Andante (mi bemolle maggiore - re maggiore - mi bemolle
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, timpani, archi
Scena VIII:
a. Ferma, briccone, dove ten vai? - Sestetto (Donna Anna, Zerlina, Donna
Elvira, Don Ottavio,
Leporello, Masetto) - Andante (mi bemolle maggiore). Molto Allegro
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena IX:
Ah, pieta, Signori miei - Aria (Leporello) - Allegro assai (sol maggiore) - 2
flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena X:
b. Mi tradì quell' alma ingrata - Aria (Donna Elvira) - Allegretto (mi bemolle
maggiore)
flauto, clarinetto, fagotto, 2 corni, archi [Aria sostitutiva K6 540c]
Scena XI:
Ah, ah, ah, ah, questa è buona - Recitativo (Don Giovanni, Leporello,
Commendatore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 3 tromboni, archi - continuo
Scena XII:
b. Non mi dir, bell' idol mio - Rondò (Donna Anna) - Larghetto (fa
maggiore). Allegretto moderato
flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena XIII:
Già la mensa è preparata - Finale (Don Giovanni, Leporello) - Allegro vivace
(re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe,
timpani, archi
a. Bravi! Cosa rara! - Finale (Don Giovanni, Leporello) - Allegro vivace (re
maggiore - fa maggiore)
2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, violoncello
Scena XIV:
Scena XV:
Scena XVI:
f. Questo è il fin di chi fa mal - Finale (Donna Anna, Donna Elvira, Zerlina,
Don Ottavio, Masetto,
Leporello) - Presto (re maggiore) - 2 flauti, 2 obi, 2 clarinetti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi
Così fan tutte, ossia La Scuola degli Amanti K588 - (26 gennaio 1790,
Burgtheater, Vienna)
https://www.youtube.com/watch?v=fM5MBjviK68
https://www.youtube.com/watch?v=Egi7fxTEUCQ
https://youtu.be/k-HIFoDzRko
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Fantutte-testo.html
Ruoli:
Guida all’ascolto
Le ritroviamo meglio disposte nel secondo atto, quando nella loro camera
vengono convinte da Despina (aria “Una donna a quindici anni”) e decidono di
«divertirsi un poco, e non morire/ dalla malinconia», senza mancare di fede
agli amanti, s’intende. Giocheranno, nessuno saprà niente, la gente penserà
che gli albanesi che girano per casa siano spasimanti della cameriera. Resta
solo da scegliere (duetto “Prenderò quel brunettino”): Dorabella, che decide per
prima, vuole Guglielmo, e Fiordiligi apprezza il fatto che le spetti il biondo
Ferrando. Nel giardino sul mare si ascolta musica di scena (all’aria aperta,
quindi per soli fiati): i due albanesi o"rono uno spettacolo alle dame, i
suonatori e i cantanti arrivano in barca (duetto con coro “Secondate, aurette
amiche”). Don Alfonso e Despina incoraggiano gli amanti e le donne a parlarsi
e li lasciano soli (quartetto “La mano a me date”). «Oh, che bella giornata!»,
«Caldetta anziché no»...: la conversazione è impacciata. Poi Fiordiligi e
Ferrando si allontanano, suscitando la gelosia di Guglielmo, che o"re un regalo
a Dorabella e riesce a conquistarla (duetto “Il core vi dono”). Fiordiligi è
sconvolta, capisce che il gioco si è mutato in realtà. Quando Ferrando si
accomiata (aria “Ah, lo veggio: quell’anima bella”) ella ha un attimo di
debolezza e vorrebbe richiamarlo, poi intona un grande rondò (“Per pietà, ben
mio, perdona”): ha conosciuto la passione, il suo amore non è più quello
virtuoso che serbava al fidanzato u!ciale, è un nuovo sentimento: «è smania,
a"anno,/ rimorso, pentimento,/ leggerezza, perfidia e tradimento!»;
spaventata, rivolge il pensiero al promesso sposo Guglielmo e si proclama a lui
fedele. Questi è impacciato nel comunicare a Ferrando che Dorabella ha ceduto
facilmente, ma è felice del fatto che Fiordiligi si sia dimostrata «la modestia in
carne»; commentando l’infedeltà di Dorabella trova accenti (aria “Donne mie, la
fate a tanti”) degni di Don Alfonso, o di Figaro nell’aria del quarto atto
delleNozze. Ferrando replica, in una breve cavatina (“Tradito, schernito”), di
amare ancora l’infedele fidanzata. In casa, Dorabella esorta Fiordiligi a
divertirsi; il tono scherzoso e lo stile disinvolto della sua aria (“È amore un
ladroncello”) indicano che Dorabella parla il linguaggio di Despina, si è
‘abbassata’ alla sua morale. Fiordiligi decide di travestirsi da u!ciale e
raggiungere il promesso sposo sul campo di battaglia: si fa portare delle vesti
maschili, si guarda allo specchio, constata il fatto che cambiare abito significa
perdere la propria identità; immagina di trovarsi già sul posto e che Guglielmo
la riconosca (duetto “Tra gli amplessi in pochi istanti”), ma Ferrando la
interrompe, minacciando di uccidersi. «Taci, ahimè! Son abbastanza/
tormentata ed infelice!» implora Fiordiligi, e Ferrando chiede la sua mano,
rivolgendosi a lei con parole che probabilmente Guglielmo non le ha mai detto.
«Crudel, hai vinto», mormora la donna; e aggiunge, su una frase dell’oboe: «fa’
di me quel che ti par». Guglielmo ha assistito al dialogo, è furente, e anche
Ferrando odia la sua ex fidanzata, ma Don Alfonso, che ha dimostrato quanto
voleva, li esorta a finire la commedia con doppie nozze: una donna vale l’altra,
meglio tenersi queste «cornacchie spennacchiate»; in un’ottava egli spiega di
non voler accusare le donne, anzi le scusa, è colpa della natura se «così fan
tutte». Nella sala illuminata, con la tavola imbandita per gli sposi, Despina
organizza i preparativi (finale “Fate presto, o cari amici”) e il coro di servi e
suonatori inneggia alle nuove coppie. Al momento del brindisi Fiordiligi,
Dorabella e Ferrando cantano un breve canone, su un tema a"ettuoso, da
musica da camera, mentre Guglielmo si mostra incapace di unirsi a loro e
commenta: «Ah, bevessero del tossico/ queste volpi senza onor!». Il notaio
(Despina travestita) fa firmare il finto contratto nuziale; un coro interno intona
“Bella vita militar!” e le sorelle rimangono impietrite: tornano i fidanzati.
Nascosti gli albanesi in una stanza, esse si preparano ad accogliere Ferrando e
Guglielmo, che fingono di insospettirsi quando scoprono il notaio e il
contratto; poi si presentano vestiti da albanesi, ma senza cappello, senza
mantelli e senza «mustacchi», in modo da essere riconosciuti. Don Alfonso si
giustifica: ha agito a fin di bene, per rendere più saggi gli sposi. Le coppie si
ricompongono (non si sa quali), tutti cantano la morale: «Fortunato l’uom che
prende/ ogni cosa pel buon verso,/ e tra i casi e le vicende/ da ragion guidar si
fa».
Commento 2 (nota 2)
Così fan tutte, o La scola degli amanti, "dramma giocoso" in due atti, venne
composto tra l'ottobre 1789 e il gennaio 1790; ma alla fine di dicembre lo
spartito doveva ritenersi completato almeno nelle sue parti essenziali, se
Mozart, la sera di San Silvestro, ne tenne in casa propria una esecuzione
privata al pianoforte, presenti, tra gli altri, Haydn, Da Ponte e quel Michael
Puchberg, commerciante e confratello di loggia massonica, che tante volte in
quei mesi aveva soccorso con prestiti di denaro il compositore, le cui fortune
professionali avevano toccato il fondo. La prima rappresentazione al
Burgtheater di Vienna avvenne la sera del 26 gennaio 1790, con la seguente
distribuzione scenica: Adriana Gabrielli del Bene (Fiordiligi) e la sorella Luisa
Gabrielli Villeheuve (Dorabella); Vincenzo Calvesi (Ferrando); Francesco Benucci
(Guglielmo); Francesco Bussani (Don Alfonso) e la moglie Dorotea (Despina).
Discreto il successo di pubblico; ottimi i resoconti della stampa. Ma, dopo la
quarta replica, la morte di Giuseppe II (20 febbraio) e la conseguente chiusura
per lutto dei teatri viennesi determinarono il rinvio dello spettacolo, con poche
altre riprese, all'estate entrante.
Stroncato dall'etisia aggravatasi durante la sua permanenza sul fronte della
guerra austro-turca, all'imperiale committente non sarà dato di assaporare
l'ultimo frutto della sua spregiudicata politica teatrale. Tra tutte le ipotetiche
fonti letterarie del libretto, variamente chiamate in causa (dal mito di Cefalo e
Procri all'Ariosto, da Cervantes a Boccaccio), la sola a presentarsi con i caratteri
di un'incontestabile plausibilità, è tutta dapontiana: si tratta del dramma
giocoso L'arbore di Diana, posto in musica da Vicente Martin y Soler e
rappresentato con grande successo al Burgtheater nel 1787. Evidente è il
rapporto di filiazione sotteso tra questo libretto e quello di Così fan tutte.
Entrambi si delineano come drammi a tesi, e la posta in gioco è la virtù
femminile, in cambio della quale viene o"erta non tanto una generica libertà
sessuale, quanto una disincantata disponibilità a cogliere senza remore
sentimentali né scrupoli morali l'occasione d'amore o"erta nei casi del
quotidiano, all'insegna di un possibilismo relativistico e liberatorio: quanto,
insomma, viene teorizzato da Despina nella lezione di ars amandi impartita
alle sorelle ferraresi nella prima scena del secondo atto.
In realtà Così fan tutte è anche altro. È un esperimento che porta ad esiti
sconvolgenti; è, sull'impulso dell'Arbore di Diana, la grande opera della
tentazione. La natura umana vi viene messa alla prova e rivela, alla verifica
sperimentale, un insospettabile codice genetico del tutto soggiogato dalla
volubilità dei sensi e non comandato da un sistema di idee. Fiordiligi ama
Guglielmo, Dorabella ama Ferrando. Vediamo di metterle alla prova, di
collocarle in una situazione del tutto inedita; scopriremo che Dorabella è
pronta ad amare Guglielmo e a dimenticare Ferrando, e lo stesso avverrà,
anche se in un lasso di tempo e con resistenze maggiori, per Fiordiligi nei
confronti di Ferrando e del fidanzato. Tale lezione, dal contenuto ideologico
estremamente serio, riversato negli arcaici recipienti della commedia dell'Arte
e della più tipica opera bu"a convenzionale, ci porta in realtà ad apprendere
che l'animo dell'uomo non è che un fascio di sensazioni, proprio come aveva
sostenuto Hume nel Trattato sull'intelletto umano.
Sulla strada dell'empirismo settecentesco, Don Alfonso, che non per nulla è un
"vecchio filosofo", compie un'operazione riduttiva sullo Spirito e sui suoi grandi
epifenomeni: l'Amore, la Fedeltà, la Costanza, l'Immutabilità. Alla fine
dell'opera, nulla di tutto questo rimane in piedi. Si vanifica l'antica teodicea
preilluministica e leibniziana, già presa di mira dai sarcasmi voltairiani e
secondo la quale "tutto va bene" e noi vivremmo nell'"ottimo dei mondi
possibili"; dietro la conclusione del gioco c'è un sapore risentito, amaro, di
fondamentale disillusione. Si direbbe che Mozart abbia percorso, all'interno
degli sviluppi del suo teatro musicale, l'intero iter evolutivo della cultura dei
Lumi: dall'iniziale convinzione nella bontà naturale dell'uomo e nei nuovi valori
morali e civili (Ratto dal serraglio, Figaro), a una più autunnale crisi del tardo
Illuminismo (Don Giovanni, Così fan tutte) in cui, scomparsi Voltaire e
Rousseau, domina il tormentato, drammatico mondo di Diderot e già si
profilano il nero nichilismo di Sade e il crudo scetticismo di Laclos. Se Figaro
era stato l'apogeo del classicismo mozartiano, Così è già, in tutto e per tutto,
un'opera postclassica. La natura umana viene tentata e cade, come nell'Eden.
Ed è il tentatore che vince la partita, distruggendo il Paradiso terrestre.
Atto I:
Scena I:
Scena II:
Scena III:
Vorrei dir, e cor non ho - Aria (Don Alfonso) - Allegro agitato (la bemolle
maggiore) - archi
Scena IV:
Scena V:
Non v'è più tempo, amici - Recitativo (Don Alfonso, Fiordiligi, Dorabella,
Ferrando, Guglielmo) - continuo
Scena VI:
Scena VII:
Scena VIII:
Scena IX:
Scena X:
Scena XI:
Scena XII:
Scena XIII:
Scena XIV:
Scena XV:
Scena XVI:
Atto II:
Scena I:
Scena II:
Scena IV:
Scena V:
Scena VI:
Ah! lo veggio, quell' anima bella - Aria (Ferrando) -Allegretto (si bemolle
maggiore). Allegro - 2 clarinetti, fagotto, 2 trombe, archi
Scena VII:
Per pietà, ben mio - Rondò (Fiordiligi) - Adagio (mi maggiore). Allegro
moderato - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VIII:
Scena IX:
Scena X:
Scena XI:
Scena XII:
Fra gli amplessi in pochi istanti - Duetto (Fiordiligi, Ferrando) - Adagio (la
maggiore). Allegro (la maggiore - la minore - la maggiore). Larghetto. Andante
- 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena XIII:
Scena XIV:
Vittoria, padroncini - Recitativo (Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
- continuo
Scena XV:
Fate presto, o cari amici - Finale (Despina, Don Alfonso, coro) - Allegro
assai (do maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi
Scena XVI:
Scena XVII:
Scena XVIII:
Die Zauberflöte (Il flauto magico) K620 - (30 settembre 1791, Theater auf
der Wieden, Vienna)
https://youtu.be/Z7BCF1a3uks
https://youtu.be/4G1HZwMBfBs
https://youtu.be/GEA3Ko3ugWs
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Flautomagico-testo.html
Ruoli:
Sulla genesi del Flauto magico sono fiorite molte leggende: più che la scarsità,
è l’elusività dei documenti in nostro possesso a renderle, se non legittime,
almeno in parte giustificate. Che si parta da una ricostruzione delle circostanze
esterne alla sua nascita, o che invece si a"rontino direttamente il testo e la
musica interrogandosi sulla loro sostanza e il loro significato,Il flauto magicoè
un’opera pervasa di mistero, avvolta in un’aura favolosa: e accettare questa
condizione, senza specularci troppo sopra, è l’unica via per entrare dentro il
suo mondo. Tutti gli accadimenti scenici e musicali che si svolgono nelFlauto
magico seguono una dinamica eminentemente teatrale, sganciata però da una
logica drammatica coesa, stringente e unitaria per principio. Se nelle opere
‘italiane’ Mozart aveva potuto abbattere le barriere dei generi fino al loro
intreccio e alla fusione, facendo dei pezzi d’insieme il culmine dell’azione e
della sintesi drammatica il mezzo per raggiungere la massima tensione
musicale, nelFlauto magico non esistevano un terreno già coltivato su cui
innestarsi né una tradizione su cui intervenire. Semmai c’era un nuovo genere
da fondare: quello della «Teutsche Oper», ossia opera tedesca, titolo col quale
Mozart registròDie Zauberflöte nel catalogo delle sue opere alla data del luglio
1791, quando ne cominciò la strumentazione. Opera tedesca non significava
automaticamente fondazione di un genere bensì semplicemente scelta, oltre
che di una lingua, di una forma e di uno stile. La forma era quella del Singspiel,
ossia di un’azione non interamente musicale ma comprensiva di parti parlate e
di canto, lo stile quello della Zauberoper, l’opera di argomento tragico,
mescolanza di tragico e di comico, di ‘meraviglioso’ e di bonariamente triviale,
dove elementi fiabeschi intercalati a caratteri allegorici di più svariata natura si
esprimevano in un tono ora popolare ora alto, non di commedia realistica ma
di racconto fantastico, senza spazio né tempi reali.
Die Zauberflóte fu creata a Vienna, con straordinario successo, nel Theater auf
der Wieden, il 30 settembre 1791, due mesi prima della morte di Mozart e la
sua fortuna s'impose, ben presto, nei paesi tedeschi, come quella di una
rivelazione. Dopo Il ratto dal serraglio (1782) la Germania aveva trovato il
modello definitivo della sua opera nazionale, un esempio imprescindibile cui
guarderanno i compositori delle generazioni future, sia nel campo dell'opera
(Beethoven, Weber, Wagner) che in quello del Singspiel fantastico e fiabesco
(Ludwig Spohr, E.T.A. Ho"mann, Schubert, il Weber di Oberon, Heinrich
Marschner, Konradin Kreutzer, Gustav Albert Lortzing, Otto Nicolai, Peter
Cornelius). Impregnato di allegoria massonica a forte contenuto ideologico;
ambientato, secondo la moda dei romanzi allegorici, in un pittoresco Egitto di
fantasia, il libretto del Flauto magico, uscito dalla penna di Emanuel
Schikaneder, riversava i contenuti morali e allegorici della trama
nell'immediatezza teatrale della Zauberoper, opera magica composta per un
viennese teatro di macchine, e aperta all'immediatezza del gusto popolare con
le sue scene bu"e, le gags burlesche, le inattese peripezie.
Si trattava, quindi, per Mozart di un genere nuovo, del tutto diverso da quello
delle tre opere italiane su libretti di Da Ponte, che avevano realizzato, per la
prima volta, in musica, un equivalente della commedia in prosa, con
personaggi realistici, continuamente cangianti nella loro complessità
psicologica e sentimentale. A di"erenza di quanto avviene in Don Giovanni, Le
nozze dì Figaro e Così fan tutte, nel Flauto magico un giudizio morale divide i
personaggi in buoni e cattivi, entro una gerarchla che, dal livello di un'umanità
elementare (Papageno, Monostatos), preda del puro istinto, sale sino ai confini
del trascendente (Sarastro e il suo seguito, i tre fanciulli, la Regina) attraverso
l'emancipazione dei due protagonisti, Tamino e Pamina che, da uomini,
diventano iniziati. Ognuno di essi rappresenta un'idea che la musica esalta, in
una variopinta contrapposizione di stili, riferibili con precisione a vari generi di
musica teatrale, sacra e strumentale in uso nel Settecento. Ma non si tratta di
eclettismo. Il compositore riplasmò quel materiale nel segno della sua
inconfondibile personalità; stabilì sottili relazioni tematiche tra punti lontani
della partitura; fu in grado, così, di rifondere il tutto nella celebrazione mistica
di un'idea illuministica: quella della natura umana che accomuna gli uomini e
fonda la dignità dell'individuo, sia esso il principe Tamino, il Sacerdote Sarastro
o l'umile, "prosaico", Papageno. Lo stile adottato da Mozart nel Flauto magico
non reca traccia del fìtto tessuto di motivi orchestrali cangianti, pervasivi,
talvolta brevissimi e in continua trasformazione che, nella trilogia italiana,
pullulano sotto le voci e servono a una rappresentazione della vita basata sul
realismo psicologico e sulla presenza di personaggi analizzati nei più segreti
risvolti dell'animo e nelle pieghe riposte della psicologia.
Mozart aveva seguito questo modello nell'Idomeneo: nel terzo atto del
capolavoro giovanile, la figura del Gran Sacerdote celebrava i suoi riti con
gluckiano distacco e oggettiva lontananza rispetto al mondo umano degli
a"etti. Nel Flauto magico, invece, la visione del sacro si trasforma. Basta
paragonare la Marcia dei sacerdoti, che apre il secondo atto, con quella
analoga di Alceste (I,III), condotta da Gluck con incorruttibile regolarità
ritmico-fraseologica, in un andamento rigorosamente accordale, privo di
controcanti che possano creare elementi di varietà. Nella marcia di Mozart,
invece, il moto propulsivo segue un andamento irregolare, fatto di piccoli incisi
e una fraseologia del tutto imprevedibile. Ciò che in Gluck è un atto rituale,
liturgicamente previsto, diventa in Mozart un atto di vita, che nega l'isolamento
della liturgia e ne fa qualche cosa di intimamente commosso, animato da una
struggente nostalgia per il soprannaturale: i sacerdoti non abitano più un
paesaggio spirituale distaccato, e l'invito a entrare nel tempio della saggezza si
fa estremamente più seducente per l'uomo.
Questa umanizzazione del sacro raggiunge il culmine nelle due arie di
Sarastro. Invece di ricorrere a stilemi gluckiani, Mozart attinge nuovamente allo
stile del Lied popolare, e conferisce al gran sacerdote un'estrema a"abilità
melodica: il suo canto non esprime la certezza di conoscere il mondo del
trascendente, ma la nostalgia di chi vi aspira con una romantica tensione di
tutto l'animo. Il ritmo di valzer lento su cui si snoda la preghiera a Iside e
Osiride ne è una componente significativa; l'espressione di amore, perdono,
tolleranza, assume, nelle morbide volute melodiche della seconda aria, «In
diesen heil'gen Hallen», il carattere di una oggettiva proclamazione dogmatica
e il calore che l'etica dell'amore produce nel cuore di chi la professa.
Fondamentale, per la definizione dei personaggi in chiave mitica e simbolica, è
la scelta, imprevedibile e geniale, dei registri vocali. Il regno di Sarastro è
quello della luce. La sua figura s'identifica con quella del sole, che illumina con
i suoi raggi la notte delle tenebre dove si annidano l'ignoranza, l'intrigo, la
superstizione. Nell'ultima scena tutto il teatro, come indica la didascalia, "si
trasforma in un sole". È sorprendente come Mozart riesca a produrre un senso
di sfolgorante luminosità attraverso la voce del basso profondo che, più
scende a pescare le note nelle regioni oscure del pentagramma, più irradia il
calore dell'a"etto, della tranquillità, della calma interiore. Viceversa, la Regina
della notte appartiene al regno gelido delle tenebre e, quando compare per la
prima volta, «siede su un trono ornato di stelle trasparenti». A lei Mozart a!da
il registro acutissimo del soprano di coloratura, gorgheggiante come un
usignolo meccanico in vocalizzi aguzzi come gelide ramificazioni di ghiaccio.
La voce più alta della gamma vocale, di solito luminosa e scintillante, produce,
qui, un senso di astrale freddezza nella misura in cui quel canto brilla, come
una lama tagliente, nel firmamento notturno che lo incornicia. Lo stile della
Regina della notte è quello dell'opera seria italiana: niente di nuovo, quindi, sul
piano strettamente linguistico. Ma nuova è la facoltà di caricare il belcanto di
tale intensità espressiva, dando alla Regina un aspetto che nessun altro
personaggio potrebbe usurpare, tanto è specifico, personalizzato, preciso.
L'opera bu"a italiana è pure presente nella rosa degli stili impiegati da Mozart.
Lo mostrano, oltre alla vivacità, scorrevolezza, e agilità di passi che
caratterizzano i concertati, la parte del moro Monostatos, temperamento
notturno e violento visto con divertita ironia, e quella delle tre dame che,
all'inizio dell'opera, ammirano la bellezza di Tamino, svenuto per la paura
dell'enorme serpente che lo stava inseguendo: emissario del regno malefico
della Regina della notte, formano, come i tre fanciulli, un solo organismo a tre
teste, divertenti espressioni della frivolezza muliebre, che gli austeri sacerdoti
di Sarastro bolleranno di indegna superficialità.
Lied tedesco, opera seria e opera bu"a non esauriscono la rosa degli stili cui
Mozart fa ricorso per la definizione di personaggi e situazioni. Troviamo, ad
esempio, il corale luterano. I due armati, che fanno la guardia alle porte, dietro
cui si vedranno la cascata d'acque e il muro di fuoco, cantano il corale
protestante «Ach Gott, vom Himmel sieh' darein», tratto da un manuale di
composizione di Johann Philipp Kirnberger (1774) mentre in orchestra risuona
il tema del terzo Kyrie di una Messa cattolica di San Enrìco (1701) di Heinrich
von Biber: sorprendente apertura su di uno stile arcaico, qui adottato, nella
sovrapposizione dei rigidi contrappunti, per connotare la durezza, la di!coltà,
la severa austerità delle prove che attendono Tamino e Pamina.
Resta da dire del flauto, lo strumento che dà il titolo all'opera. Poche sono le
sue uscite solistiche: nella scena in cui Tamino incanta gli animali e in quella
che vede la nobile coppia attraversare, grazie al potere magico dello
strumento, la cascata d'acqua e il muro di fuoco. In queste due occasioni, il
flauto solista abbandona ogni frivolezza galante, cui la musica settecentesca
l'aveva per lo più destinato, e assume una funzione magico-incantatoria. Gli
animali escono dai loro nascondigli e circondano Tamino, novello Orfeo,
attratti dal motivo roteante e cantabile che, impregnato di umori popolari,
riprende e completa la melodia del tenore, mentre evoca il potere magico dello
strumento. Un clima di candore infantile investe l'episodio, che si conclude con
i richiami tra il flauto di Tamino e lo zufolo, suonato, fuori scena, da Papageno.
La scena delle prove vede, invece, la voce del flauto levarsi pura e arcana nel
silenzio, pausato solo da sommessi colpi di timpano: melodia fragile e
semplicissima, condotta sull'orlo dell'abisso, immagine di una leggerezza
estrema, ma anche figura ben riconoscibile del tragitto rettilineo e sicuro che
la nobile coppia percorre per uscire dalla notte del pericolo all'apoteosi finale.
Ma qui, il flauto non è più solamente uno strumento: Mozart lo ha trasformato
nel simbolico demiurgo dell'azione, sottraendolo alla frivolezza
dell'intrattenimento mondano per conferirgli quel potere di ra!gurare la
solitudine e l'attesa che attraverserà tutto l'Ottocento.
Nella Zauberflöte le comparse del flauto sono talmente importanti, per il loro
valore iconico, simbolico e drammatico, che Mozart le riserva ai momenti
supremi. Significativo è il fatto che il quintetto del primo atto (n. 5), durante il
quale le tre dame consegnano a Tamino il flauto magico, non contempli in
orchestra la partecipazione dei flauti: troppo aneddotico e banale sarebbe
stato far risuonare in orchestra la voce dello strumento mentre esso compare
in scena, come sicuro talismano. Ma il timbro chiaro, la voce argentea, la
luminosità dorata del flauto è comunque riprodotta, metaforicamente, dal
mirabolante gioco di colori che Mozart ottiene unendo agli archi,
particolarmente argentini, la voce di due oboi, clarinetti, fagotti e corni.
Paolo Gallarati
Struttura musicale
Ouverture - Adagio (mi bemolle maggiore). Allegro. Adagio. Allegro - 2
flauti, 2oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Atto I:
Scena I:
Scena II:
Scena III:
Papageno!... Aha, des geht mich an! - Testo parlato (Papageno, Tamino, 3
damigelle)
Scena IV:
Dies Bildnis ist bezaubernd schön - Aria (Tamino) - Larghetto (mi bemolle
maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena V:
Scena VI:
Hm! hm! hm! hm! - Duetto (Tamino, Papageno) - Allegro (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VIII:
Scena IX:
Scena X:
Scena XI:
Scena XII:
Scena XIII:
Scena XIV:
Scena XV:
Zum Ziele führt dich diese Bahn - Finale (3 fanciulli, Tamino) - Larghetto (do
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3
tromboni, timpani, archi
a. Bald, Jüngling, oder nie! - Coro (Tamino, coro) - Andante (do maggiore) -
3 tromboni, archi
b. Wie stark ist nicht dein Zauberton - Aria (Tamino) - Andante (do
maggiore). Presto. Adagio. Presto
flauto, 2 oboi, archi
Scena XVI:
Scena XVII:
Scena XVIII:
f. Es lebe Sarastro, Sarastro soll leben! - Coro (coro) - Allegro maestoso (do
maggiore)
2 oboi, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi
g. Herr! Ich bin zwar Verbrecherin! - Finale (Pamina, Sarastro) - Larghetto (fa
maggiore)
2 oboi, 2 corni di bassetto, 2 fagotti, archi
Scena XIX:
h. Nun stolzer Jüngling, nur hieher! - Finale (Pamina, Tamino, Monostatos,
coro)
Allegro (fa maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni di bassetto, 2 fagotti,
archi
Atto II:
Scena I:
O Isis und Osiris - Aria e coro (Sarastro, Sacerdoti) - Adagio (fa maggiore) -
2 corni di bassetto, 2 fagotti, 3 tromboni, 2 viole, violoncello
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Scena VI:
Scena VII:
Alles fühl der Liebe Freuden - Aria (Monostatos) - Allegro (do maggiore) -
ottavino, flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, archi
Scena VIII:
Der Hölle Rache kocht - Aria (Regina della notte) - Allegro assai (re minore)
- 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Scena IX:
Scena X:
Scena XI:
Scena XII:
Hier seid ihr euch beide allein überlassen - Testo parlato (Oratore, secondo
sacerdote)
Scena XIV:
Scena XV:
Scena XVI:
Scena XVII:
Scena XVIII:
Ach, ich fühl's, es ist verschwunden - Aria (Pamina) - Andante (sol minore) -
flauto, oboe, fagotto
Scena XIX:
Nicht wahr, Tamino, ich kann auch schweigen - Testo parlato (Papageno,
Tamino)
Scena XX:
Scena XXI:
Scena XXII:
Scena XXIII:
Scena XXIV:
Da bin ich schon, mein Engel! - Testo parlato (una vecchia, Papageno)
Scena XXV:
Scena XXVI:
Scena XXVII:
Scena XXVIII:
Scena XXIX:
Scena XXX:
k. Heil sei euch Geweihten! - Coro (coro) - Andante (mi bemolle maggiore).
Allegro
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni,
timpani, archi
Supplemento:
https://youtu.be/FljQtsgIgQY
Testo: Caterino Mazzolà, da Metastasio
https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Tito-testo.html
Ruoli:
Atto secondo. L’imperatore però non è morto. Sesto ha colpito un altro al suo
posto. Ad Annio, che gli porta questa notizia, Sesto rivela di essere l’autore
della congiura. L’amico lo esorta a non confessare, ma piuttosto a espiare il
delitto con «replicate prove di fedeltà» all’imperatore (“Torna di Tito a lato”).
Ma Sesto è stato ugualmente scoperto come autore della congiura: Publio
giunge con la scorta armata per arrestarlo e condurlo davanti al senato.
Nell’addio a Vitellia si agitano i presentimenti di morte di lui e la paura di lei di
venire coinvolta nel giudizio (“Se al volto mai ti senti”). L’imperatore fa il suo
ingresso nella sala delle pubbliche udienze, attorniato dai patrizi, dai
pretoriani e dal popolo (“Ah, grazie si rendano”). A Tito, impaziente di sapere
quale fato il senato abbia riservato a Sesto e incredulo di fronte alle accuse
mosse all’amico, Publio fa presente come qualche dubbio sull’infedeltà umana
possa essere ragionevole (“Tardi s’avvede”). Il senato ha accertato la
colpevolezza di Sesto e l’ha condannato «alle fiere». Al decreto manca solo la
firma dell’imperatore. Annio chiede pietà per il futuro cognato (“Tu fosti
tradito”), mentre Tito è dibattuto fra atroci dubbi sul da farsi (“Che orror, che
tradimento”). Decide allora di convocare Sesto (“Quello di Tito è il volto”) e, con
grande dolcezza amicale, cerca di farsi rivelare i motivi del suo gesto. Non ne
ottiene tuttavia che un desolato silenzio cui Sesto è costretto suo malgrado per
difendere Vitellia: prima di avviarsi al supplizio manifesta a Tito tutta
l’angoscia del rimorso (“Deh, per questo istante solo”). L’imperatore, tuttavia,
ha deciso di non firmare la condanna, tenendo così fede al suo ideale di
sempre, la clemenza (“Se all’impero, amici dèi”). Publio crede che Sesto sia
destinato alle fiere, mentre Vitellia teme di essere stata scoperta.
Nell’incertezza di questa situazione giunge Servilia a chiedere a Vitellia di
intercedere per il fratello (“S’altro che lagrime”). Sconvolta dagli eventi, Vitellia
prende una decisione imprevista: confesserà la sua colpevolezza, tentando così
di salvare Sesto, benché il gesto le costi la rinuncia al trono imperiale (“Ecco il
punto, o Vitellia... Non più di fiori”). Mentre si sta preparando il supplizio, Tito
entra in scena accompagnato dal consueto corteo (“Che del Ciel, che degli
dèi”). Sta per rivelare il destino scelto per Sesto quando Vitellia s’inginocchia ai
suoi piedi confessando la propria colpa. Pur turbato dalla continua scoperta di
nuovi nemici della sua persona, ancora una volta Tito decide di elargire a tutti
il proprio generoso perdono (“Tu, è ver, m’assolvi Augusto”).
Concluso dunque con questo taglio moderno il primo atto, l’opera riprende
con un recitativo secco, che già dal secondo verso rivela come Tito sia ancora
in vita. Scelta drammatica di indubbia e!cacia per chi, come i personaggi e gli
spettatori con loro, aveva terminato l’atto precedente con la convinzione di
una tragedia già consumata. Tito è ancora una volta assente e appare solo alla
quarta scena, che lo presenta attorniato da patrizi, pretoriani e popolo nella
sala delle udienze. L’ingresso dell’imperatore è salutato da un singolare coro,
la cui dolcezza pare intrisa di semplicità popolaresca e come di intenso
sentimento religioso. Il secondo atto riserva al personaggio di Sesto molte
occasioni di splendore drammatico/musicale. In particolare in due numeri
successivi: il terzetto “Quello di Tito è il volto” e l’aria-rondò “Deh, per questo
istante solo”. In essi rifulge al meglio l’inventiva melodica di Mozart: così
avviene nella seconda sezione (Allegro) del terzetto, nonché per tutta la durata
dell’aria. In entrambi i testi viene trattato un unico tema, quello di un’angoscia
profonda come la morte: il desiderio di Sesto di morire piuttosto di continuare
a dibattersi in tanto turbamento morale. Se però la frase del terzetto «chi
more / Non può di più penar» ottiene una prevedibile, intensa intonazione del
tutto consona al suo significato, un’a"ermazione analoga nell’aria, «Tanto
a"anno so"re un core, / Né si more di dolor?» riceve una veste musicale
sconcertante. La melodia da rondò di Sesto fa la sua comparsa da un ‘altrove’
di siderale lontananza, come una voce di quasi metafisica gratuità, estranea a
ogni dolore, che pare risolto in un gioco di innocenza primigenia. Un ritorno
alle origini vicinissimo a certe atmosfere delFlauto magicoe ad altre melodie
del Mozart estremo. La cifra dell’ultimo Mozart si insinua anche nel fascino di
altre melodie: come quelle del duetto “Ah, perdona al primo a"etto”, che
paiono concepite per il timbro vellutato del clarinetto, rappresentazioni
evanescenti eppure così intense della nostalgia di un tempo dell’innocenza,
fantasma edenico di una felicità umana carissimo alla poetica del compositore.
Si noti en passant come i ruoli di Annio e Servilia siano certamente secondari
nell’economia del dramma: nella musica di Mozart assurgono invece a una
dignità inedita a causa della sincerità dei loro a"etti. Annio in particolare vive
un momento di gloria anche nel duettino con Sesto “Deh, prendi un dolce
amplesso” analogo nel carattere al duetto con Servilia. Una peculiarità del
Mozart dell’ultima maniera è rintracciabile pure nella predilezione per alcuni
strumenti in auge da un capo all’altro della partitura, ed emergenti soprattutto
in taluni momenti-chiave. Il clarinetto solista compare nel momento in cui il
piano per uccidere Tito entra in azione, cioè nell’addio di Sesto a Vitellia, l’aria
“Parto: ma tu, ben mio”. Qui rappresenta la voce più profonda dell’io del
personaggio, totalmente dominato dal fascino fatale della bellezza, il suo
desiderio inappagato e illusorio dell’amore di Vitellia. Il corno di bassetto,
questo ‘fratello’ inquietante del clarinetto, si a"erma invece al termine della
vicenda, quando Vitellia prende la decisione suprema di sacrificare la sua
ambizione: nel rondò “Non più di fiori” lo strumento è immagine dirompente e
ossessiva della morte che la protagonista considera ormai il suo destino
imminente. In queste pagine, come ha scritto Giovanni Carli Ballola, il corno di
bassetto muggisce cupo come il Minotauro del labirinto di Borges, facendo
eco, con la sua voce sinistra, all’indugiare continuo della voce nel registro
basso (utilizzando tra l’altro una melodia del tutto analoga a quella segnalata
dell’aria-rondò di Sesto, spia del pensiero fisso della morte, destino ultimo). Il
pezzo si era aperto ben diversamente, in un idillico fa maggiore chiamato a
rappresentare la visione beata delle catene di fiori intrecciate da Imene disceso
dal cielo. Ma l’Allegro successivo disperde in un baleno ogni traccia della
serenità del Larghetto, per lasciar spazio a un’estrema e tremenda icona del
clima di tragedia incombente, che ha gravato sull’azione dall’inizio dell’opera.
Emergendo da questi abissi, la marcia e coro “Che del Ciel, che degli dèi” (II,
24), collegate senza soluzione di continuità con il rondò di Vitellia, si rivelano
come una folgorazione. L’incubo della morte, la solitudine e l’angoscia della
protagonista, il tetro lamento del corno di bassetto si infrangono contro lo
splendore sonoro di un’orchestra addobbata a festa. Lo sfarzo e la grandiosità
di quei ritmi puntati, in un’atmosfera da trionfo händeliano, costituiscono la
cornice finalmente solenne – ma non vacua – della celebrazione del potere
sovrano. Le lodi di Tito, ora intonate dal coro sugli splendidi, ra!nati versi
metastasiani, occupano questo ultimo squarcio dell’opera, ambientato non a
caso in un «luogo magnifico», manifestazione anche spaziale dello splendore
imperiale. Il trionfo che ci si appresta a celebrare non è tanto quello di un
uomo, ma della sua clemenza, che tutti i complotti del dramma non sono
bastati a piegare e che giunge ‘costante’ e vittoriosa all’ultimo traguardo.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi
Per quanto rigurda l'impegno di Mozart è noto che la partitura della Clemenza
di Tito fu completata in soli diciotto giorni; il compositore fu costretto a recarsi
subito a Praga, accompagnato dalla moglie Costanza e dall'allievo Süssmayr
(forse anche dal clarinettista Anton Stadler, del quale era prevista una parte di
rilievo in orchestra), prendendo appunti perfino in carrozza e nei brevi
momenti di sosta. La rappresentazione si svolse a Praga il 6 settembre 1791
con tutta la magnificenza possibile, dopo il banchetto dell'incoronazione. Gli
interpreti principali nei ruoli di Tito e di Vitellia furono il tenore Antonio
Baglioni, che era stato il primo Ottavio nel Don Giovanni, e il giovane soprano
Maria Marchetti, mentre le parti maschili di Sesto e di Annio furono a!date al
castrato Bedini e alla cantante Perini. L'opera fu accolta freddamente e nessuno
rimase soddisfatto dalla musica così asciutta e classicamente lineare scritta da
Mozart. Addirittura le cronache raccontano che l'imperatrice Maria Luisa, figlia
del re di Napoli, abbia esclamato, senza molta finezza di linguaggio, che si era
trattato «di una porcheria tedesca in stile italiano». La situazione, però, cambiò
subito e nelle recite successive il pubblico manifestò un'adesione più aperta e
cordiale nei confronti della musica di questo lavoro, come attesta lo stesso
Mozart in una lettera inviata alla moglie in data 7 ottobre 1791 e basata sul
resoconto di qualche amico spettatore. «Tito - scrive Mozart - venne
rappresentato a Praga per l'ultima volta (30 settembre) con un enorme
successo. Bedini cantò ancor meglio del solito. Il breve duetto in la maggiore
delle due fanciulle dovette essere ripetuto e se il pubblico non avesse temuto
di stancare madame Marchetti avrebbe richiesto anche il bis del rondò. Grida di
bravo vennero lanciate all'indirizzo del clarinettista Stadler per le arie n. 9 e n.
23 dalla platea e perfino dall'orchestra...». Il successo dell'opera andò
crescendo con il passare del tempo, anche se, ad onor del vero, essa ha
sempre suscitato pareri discordi da parte di musicologi di diversa formazione e
indirizzo culturale. Il De Saint-Foix, nella sua fondamentale biografia
mozartiana, sostiene che La clemenza di Tito può essere definita «il capolavoro
latino di Mozart: dalla sua concisione, dalla sua elevatezza tutta romana
nell'espressione, noi ricaviamo l'idea nettissima (non avendola purtroppo mai
vista sulla scena) che l'opera contenga, sotto forma di arie e di cori così come
di pezzi d'insieme, dei brani che sembrano scolpiti nel bronzo, tanto sono
nette, solide e pure le linee espressive»; Secondo un altro fedele mozartiano,
Paumgartner, «La clemenza di Tito, pur condizionata da una teatralità
convenzionale, ha qualcosa di imponderabile, di commovente, di umano...
tanto da non dover scomparire dalle scene, ad onta dei suoi a"ossatori». A
detta di Alfred Einstein, Mozart non potè scrivere un capolavoro, come Le
nozze di Figaro o Il flauto magico, perché «il libretto di Metastasio è troppo
artificioso e i protagonisti del dramma sono più marionette che veri
personaggi. Ma nell'opera non mancano pagine di indubbio valore, come, ad
esempio, le due arie lunghe, quella di Sesto (n. 19) - la più celebre della
partiturta - e quella di Vitellia (n. 23), che conduce con molta e!cacia alla
fatale "marche de supplice" finale. Senza contare le parti decorative - marce e
cori - tutte assai vive». Per Edward J. Dent ("Il teatro di Mozart") «La clemenza
di Tito venne composta da un uomo dalla salute compromessa dall'eccessivo
lavoro, costretto a scrivere in fretta e controvoglia. Mozart sapeva anche a che
pubblico si sarebbe rivolto. Ricordandosi dell'osservazione di Giuseppe II:
"Troppe note, mio caro Mozart", egli adottò uno stile sobrio e facile, con
semplici melodie di stampo antiquato, le più semplici armonie e la più
trasparente orchestrazione. Le arie vennero ridotte di proporzione quanto più
possibile; egli inventò per esse una forma nuova desunta dalle opere francesi
di Gluck, con una introduzione lenta seguita da un tempo rapido». Giorgio
Vigolo, ammiratore da sempre della Clemenza di Tito, ritiene questa partitura
mozartiana un «classico, se mai ve ne fu uno, da rileggere spesso, al riparo da
ogni routine e da ogni fretta, per gustarne e approfondirne la splendida
perfezione... Si aggiunga che Mozart nel Tito è stringatissimo, traccia le sue
arie, i suoi pezzi, con la più rapida concisione, non si ripete e passa subito ad
una nuova idea». A completamento di questa breve rassegna di giudizi critici
su questa opera mozartiana vale la pena di riferire quanto scrisse Luigi
Magnani nel febbraio 1966 su "Lo spettatore musicale". «Come sempre Mozart,
guidato dal suo infallibile istinto - a"erma Magnani - procede tranquillo e
sicuro tra i generi e le forme più disparate, senza rimanere mai impigliato nei
lacci della moda e del gusto. Neppure ora che dal modernismo romantico,
prettamente tedesco, del Flauto magico, è caduto nelle pastoie classicheggianti
della vecchia opera seria italiana, qual'è La clemenza di Tito: due mondi
profondamente diversi, anzi opposti, ma che il suo genio, come già avvenne
per l'Idomeneo e il Ratto dal serraglio, sa comprendere in sé senza uscire dal
suo vasto regno. E sarà per ragioni opposte a quelle addotte non senza ironia
da Wagner che noi ammiriamo Mozart anche per avere egli trovato per il Tito
una musica come quella del Don Giovanni e di Così fan tutte, una musica come
quella del Figaro, bensì una musica diversa, adeguata al genere e al testo che
gli furono imposti, ispirata all'ideale di classicità, che riviveva in lui per
rispondere ad una sua nuova esigenza di un'arte più semplice, spoglia e
severa, espressione diretta del suo animo distaccato dalla terra, contristato e
deluso».
Questo spirito classico - è la chiave con cui bisogna entrare nel mondo della
Clemenza di Tito - si manifesta sin dall'ouverture, aperta da solenni unisoni
intervallati da lunghe pause, per poi svilupparsi attraverso un concitato primo
tema, un secondo tema di dolce cantabilità e un terzo tema in tempo fugato. Il
brano riflette il clima nobilmente eroico tipico dell'opera seria di stampo
settecentesco. Il primo atto composto da dodici brani alterna, così come il
secondo atto, costituito invece da quattordici pezzi, recitativi a parti cantate; è
caratterizzato subito dal duetto fra Sesto e Vitellia ("Come ti piace, imponi"),
articolato in un Andante, in cui i due personaggi cantano in forma alternativa,
e in un Allegro a due voci, ora insieme e ora con brillanti imitazioni. L'aria di
Vitellia ("Deh! se piacer mi vuoi") ha un andamento lirico di delicata
morbidezza musicale: anche qui, come in diverse arie della Clemenza di Tito,
ad un tempo lento subentra un tempo vivace. Segue il duettino
a"ettuosamente sentimentale fra Sesto e Annio ("Deh! prendi un dolce
amplesso") e poi viene la marcia militare ben ritmata con il coro ("Serbate, o
Dei custodi") dal tono sostenuto e classicheggiante. Nel sesto brano Tito canta
la sua prima aria ("Del più sublime soglio"), che è un Andante con moto di
malinconica finezza espressiva. Il duetto tra Annio e Servilia ("Ah! perdona al
primo a"etto") è una pagina di straordinaria purezza cantabile, che non per
niente piacque tanto a Beethoven anche per le eleganti punteggiature
strumentali. La seconda aria di Tito ("Ah! se fosse intorno al trono") ha una
impronta abbastanza marcata nel ritmo. Più ricca e varia è la successiva aria di
Sesto ("Parto, parto, ma tu ben mio meco ritorna in pace") contrassegnata da
un Adagio e da un Allegro, magnificamente sorretti dal pastoso timbro del
clarinetto concertante. Di tono concitato e drammatico è il terzetto tra Vitellia,
Annio e Publio ("Vengo, aspettate!") in cui il rimorso del primo personaggio
esplode con accenti impetuosi quando sa che Tito, contro cui aveva
organizzato un complotto, si accingeva a sposarla. Dopo il lungo recitativo di
Sesto ("Oh Dei, che smania è questa") ecco il quintetto finale del primo atto con
l'intervento del coro ("Deh! conservate o Dei") che è tra le pagine più esaltate di
questa opera mozartiana. La scena del tentato assassinio di Tito e dell'incendio
del Campidoglio inizia in tempo Allegro con l'incalzante declamato dei
personaggi, intercalato dalle uscite del coro, per poi sfociare in un Andante di
assorta e angosciosa espressività.
La prima aria del secondo atto è quella di Annio ("Torna di Tito a lato") su una
linea melodica quanto mai tenera e a"ettuosa. Il successivo terzetto fra Sesto,
Vitellia e Publio ("Se al volto mai ti senti") comincia con un Andantino su un
accurato accompagnamento orchestrale e termina in tempo Allegretto sulle
parole di rimorso di Vitellia. Un canto semplice e misurato sottolinea
l'intervento del coro ("Ah! grazie si rendano") e quello di Tito che si alterna
all'altro. Ecco poi due arie a!date a due personaggi secondari: l'aria per basso
di Publio ("Tardi s'avvede") e l'aria di Annio ("Tu fosti tradito"), più variegata
musicalmente rispetto all'altra. Un Larghetto e un Allegro sottolineano il
terzetto fra Sesto, Tito e Publio ("Quello di Tito è il volto?") in cui il discorso
sonoro diventa più denso e aderente ai vari stati d'animo dei personaggi. L'aria
patetica di Sesto ("Deh, per questo istante") comincia con un Adagio, prosegue
con un Allegro e termina con un Più allegro; in partitura Mozart la definisce un
Rondò per la circolarità del movimento musicale sullo stesso tema. Tito canta
la sua terza aria ("Se all'impero, amici Dei") costruita su un Allegro, un
Andantino e una ripresa dell'Allegro: il tono è abbastanza imperioso nella sua
aulica compostezza. Graziosa e in tempo di minuetto è la breve aria di Servilia
("S'altro che lacrime") e ad essa fa seguito l'intervento di Vitellia, prima con un
recitativo accompagnato ("Ecco il punto, o Vitellia") e poi il rondò ("Non più di
fiori vaghe catene"), dove da un clima liederistico si passa ad una intensa
articolazione vocale, adeguatamente contrappuntata dal timbro scuro del
corno di bassetto, che è un clarinetto in fa. A questo punto la scena si illumina
per il canto del coro ("Che del ciel, che degli Dei") che accoglie Tito con
solennità al suo ingresso nell'anfiteatro. L'imperatore esprime con un recitativo
accompagnato ("Ma che giorno è mai questo?") il suo perdono e la sua
magnanimità di animo. Dopo di che si giunge al maestoso finale, avviato dal
canto di Sesto ("Tu, è ver, m'assolvi Augusto?") continuato e sviluppato da Tito,
dagli altri personaggi e dal coro in una progressione orchestrale di festosa
atmosfera celebrativa che si richiama al ritmo marziale dell'ouverture. E con il
trionfo della ragione, intesa come superiore categoria dello spirito, si conclude
La clemenza di Tito, in cui sembra riflettersi e delinearsi con chiarezza di
contorni quell'ideale di armonia auspicato ed esaltato dal pensiero
illuministico, visto soprattutto sotto il profilo estetico della caratterizzazione e
del valore del linguaggio musicale.
Struttura musicale
Atto I:
Scena I:
Scena III:
Scena IV:
Del più sublime soglio - Aria (Tito) - Andante (sol maggiore) - 2 flauti, 2
fagotti, 2 corni, archi
Scena V:
Scena VII:
Ah, se fosse intorno al trono - Aria (Tito) - Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2
fagotti, 2 corni, archi
Scena VIII:
Scena IX:
Parto, parto, ma tu ben mio - Aria (Sesto) - Adagio (si bemolle maggiore).
Allegro - 2 oboi, clarinetto, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena X:
Vedrai, Tito, vedrai che alfin - Recitativo (Vitellia, Publio, Annio) - continuo
Scena XI:
Deh conservate, o Dei! - Quintetto con coro (Sesto, Annio, Servilia, Vitellia,
Publio, coro) - Allegro (mi bemolle maggiore). Andante - 2 flauti, 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
a. Io Sesto non intendo - Quintetto con coro (Sesto, Annio, Servilia, Vitellia,
Publio, coro)
Allegro (mi bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
corni, 2 trombe, timpani, archi
Scena XII:
b. Chi per pietate oh Dio! - Quintetto con coro (Sesto, Annio, Servilia,
Vitellia, Publio, coro)
Allegro (do minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi
Scena XII:
Atto II:
Scena I:
Sesto, come tu credi, Augusto non perì - Recitativo (Annio, Sesto) - continuo
Scena II:
Scena III:
Scena IV:
Scena V:
Scena VI:
Scena VII:
Scena VIII:
Scena IX:
Ma, Publio, ancora Sesto non viene? - Recitativo (Tito, Publio) - continuo
Scena X:
Deh per questo istante solo - Rondò (Sesto) - Adagio (la maggiore). Allegro.
Più Allegro - flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena XI:
Scena XII:
Scena XIII:
Scena XIV:
Scena XV:
Scena XVI:
Che del ciel, che degli Dei - Coro (coro) - Andante maestoso (sol maggiore)
- 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Scena XVII:
Sesto, de' tuoi delitti - Recitativo (Tito, Vitellia, Sesto, Servilia) - continuo
Ma, che giorno è mai questo? - Recitativo (Tito) - Allegro (re minore) - archi
Tu, è ver, m'assolvi Augusto? - Finale (Vitellia, Servilia, Sesto, Annio, Tito,
Publio, coro) - Allegretto (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti,
2 corni, 2 trombe, timpani, archi
https://www.youtube.com/watch?v=rWXF5xtk0-s
Cesare Fertonani
Testo
https://www.youtube.com/watch?v=Csz9g_ZZ8VE
Cesare Fertonani
Testo
Misero pargoletto,
il tuo destin non sai.
Ah, non gli dite mai,
qual era il genitor.
Come in un punto, oh Dio,
tutto cambiò d'aspetto!
Voi foste il mio diletto,
voi siete il mio terror.
https://www.youtube.com/watch?v=opI-r-Ux0bs
Insieme con l'aria «Se ardire e speranza» KV 82 (73o), «Se tutti i mali miei»
KV83 (73p) risale al soggiorno romano di Mozart, nella primavera del 1770. Il
testo è ancora tratto da Demofoonte (II, 6): condannata a morte per essersi
sposata in segreto con Timante, Dircea si rivolge a Creusa, destinata dal re
Demofoonte a sposare lo stesso Timante, cercando di suscitare in lei
compassione e proclamando la propria innocenza. Si tratta, in sostanza, di una
aria patetica. L'interpretazione mozartiana appare ispirata e di ammaliante
amorevolezza nella parte principale: una vellutata e malinconica morbidezza
connota le quattro successive intonazioni del testo, nelle quali il semplice
canto sillabico si avvicenda a una condotta poco più fiorita e ad alcuni
espressivi passaggi vocalizzati in prossimità delle cadenze. Assai più
convenzionale e perfino antiquata risulta invece la parte secondaria.
Cesare Fertonani
Testo
https://www.youtube.com/watch?v=9DUhiHscixQ
L'aria «Fra cento a"anni» KV 88 (73c) viene composta a Milano nel 1770. Il
testo è tratto da Artaserse (I, 2): Arbace, destinato ad attirare su di sé il
sospetto del regicidio commesso dal padre Artabano, è sul punto di ruggire, e
nel suo animo si agitano disperazione, timore, angoscia, dolore. Situazione
drammaturgica e testo richiedono un'«aria di smanie», il cui codice retorico
Mozart dimostra di padroneggiare con assoluta precisione scrivendo una
grande aria eroica, di altissimo coe!ciente virtuosistico. L'attacco
dell'introduzione-ritornello orchestrale, derivato dalla prima e della terza
intonazione del testo («Fra cento a"anni e cento»), costituisce in certo senso la
sigla dell'intera aria: la frase s'interrompe subito, resta sospesa nell'aria,
separata com'è dal prosieguo del periodo da una fermata, a rappresentare la
piena emotiva del personaggio, quasi incapace di dare un seguito
all'esclamazione iniziale. Ed è inoltre significativo che il periodo orchestrale
denominato «x», dall'incedere a"annoso e circospetto, sia sotteso non soltanto
a tutte e quattro le intonazioni del testo della parte principale, ma ricompaia
anche nel corso di quella secondaria, uniformata nell'individuazione a"ettiva
come nella qualità di scrittura alla parte principale. L'altro periodo
dell'introduzione, qui definito «y», viene invece impiegato per i soli ritornelli
orchestrali. Lo stile vocale si divide tra un robusto declamato, ricco di ampi
salti melodici e la di"usa coloratura dei passaggi vocalizzati, presenti in ogni
sezione della parte principale.
Cesare Fertonani
Testo
Voi avete un cor fedele, aria in sol maggiore per soprano ed orchestra, K
217
https://www.youtube.com/watch?v=F6B_E8uED5A
"Voi avete un cor fedele", non è preceduto dal recitativo e si svolge secondo
una precisa linea melodica, prima delicatamente a"ettuosa e poi più rapida e
vivace, in perfetta aderenza allo spirito del testo. "Voi avete un cor fedele" fu
scritta nell'ottobre del 1775, servendosi di versi goldoniani: Dorina riconosce
l'ardore appassionato del suo pretendente, ma non crede molto alla costanza e
alla continuità del suo amore. Il linguaggio dapprima dolce e suadente diventa
più vivace e pungente, caratterizzato da una cascata di vocalizzi, tale da
riconoscere in filigrana il profilo musicale della Despina di Così fan tutte.
Ennio Melchiorre
Testo
https://www.youtube.com/watch?v=SIMxWicXn7s
Testo (nota 1)
Di maggiore consistenza lirica, sotto il profilo della qualità espressiva, è l'aria
da concerto "Ah, lo previdi! Ah. t'invola agl'occhi miei'', composta nell'agosto
1777 per il giovanissimo soprano Josepha Duschek. Vi si sente il Mozart delle
grandi opere future, in cui quello che conta maggiormente è l'aderenza della
frase musicale alla fisionomia del personaggio da rappresentare. Non per nulla
lo stesso Mozart, in una lettera inviata al soprano Aloysia Weber, che canterà
l'anno successivo lo stesso pezzo in concerto, le raccomanda «l'espressione, di
riflettere bene al senso e alla forza delle parole, di mettersi con serietà nello
stato e nella situazione di Andromeda e di figurarsi di essere quella stessa
persona». Dopo un recitativo dagli accenti vigorosi e ben marcati nel ritmo,
specie nel verso "Va, crudele! Va, spieiato!" subentra all'inizio timidamente e
poi in tutto il suo splendore e profumo melodico una finissima aria di
inconfondibile sapore mozartiano (Deh, non varcar quell'onda) accompagnata
dalle armonie pastosamente morbide dell'oboe.
Ennio Melchiorre
Testo
ANDROMEDA
Ah, lo previdi!
Povero Prence, con quel ferro istesso
che me salvò, ti lacerasti il petto.
(ad Eristeo)
Ma tu sì fiero scempio perché non impedir?
https://www.youtube.com/watch?v=JIHOzklwR2s
Carissima Amica!
La prego di pardonarmi che manco questa volta d'inviare le variazioni per l'aria
mandatami [...] ma lei le avrà sicuramente colla prossima lettera; Adesso spero
che ben Presto saranno Stampate le mie sonate - e con quella occasione avrà
anche il Popolo di Tessaglia, ch'è già mezzo Terminato - se lei ne sarà si
contenta - comme lo son io - potrò chiamarmi felice; - intanto, sinché avrò la
sodisfattone di sapere di lei stessa l'incontro che avrà avuta questa scena
appresso di lei, si intende, perché siccome l'ho fatta solamente per lei - così
non desidero altra Lode che la sua; - intanto dunque non posso dir altro, che,
Tra le mie composizioni di questo genere - devo confessare che questa scena
è la megliore ch'ho fatto in vita mia [...]"
Nonostante la giovane età, Aloysia era già una cantante promettente e Mozart,
a"ascinato dalla persona quanto dal suo talento, si prodigò in consigli e
insegnamenti, da mettere a frutto su musica scritta espressamente per lei. La
dettagliatissima conoscenza della voce da parte di Mozart si fondava, oltre che
sull'ineguagliabile talento di musicista, anche sulla pratica come voce bianca a
Salisburgo e sulle esperienze raccolte nel viaggio in Italia, dove aveva anche
udito la celebre Lucrezia Agujari "la Bastardella", dalla strabiliante estensione
vocale di tre ottave e mezzo. La passione amorosa per Aloysia portò Mozart a
vagheggiare di sostituire l'imminente viaggio per Parigi con una serie di
concerti in Italia insieme al giovane soprano; ma venne rimesso in riga dal
padre Leopold, che in una lettera ci restituisce anche un profilo critico delle
qualità di Aloysia, considerata già assai dotata nel registro acuto, abilissima
nel cantabile ma non ancora in grado di calibrare l'uniformità dei registri.
Andrea Penna
Testo
Alcandro, lo confesso
Recitativo
Alcandro, lo confesso
Stupisco di me stesso. Il volto, il ciglio,
La voce di costui nel cor mi desta
Un palpito improvviso,
Che le risente in ogni fibra il sangue.
Fra tuttui miei pensieri
La cagion ne ricerco, e non la trovo.
Che sarà, giusti Dei, questo ch'io provo?
Aria
Non so d'onde viene
Quel tenero a"etto,
Quel moto che ignoto
Mi nasce nel petto,
Quel gel, che le vene
Scorrendo mi va.
Nel seno a destarmi
Sì fieri contrasti
Non parmi che basti
La sola pietà.
https://www.youtube.com/watch?v=6S-EpeUHXUA
Testo: Pietro Metastasio dalla "Didone abbandonata"
Testo
https://www.youtube.com/watch?v=tng_wpKD5UI
Da qui nasceva la prassi - considerata all'epoca del tutto legittima, con buona
pace dei sempre vigili cultori dell'unità dell'opera d'arte - di inserire all'interno
di un'opera vecchia un'aria nuova, confezionata su misura per il virtuoso
disponibile sulla piazza. Lo stesso Mozart si adeguò in più occasioni
disciplinatamente a tale prassi, ad esempio per il Don Giovanni, opera che,
nata a Praga nel 1787, venne arricchita l'anno seguente a Vienna di nuove
pagine: l'aria «Dalla sua pace» e il duetto «Per quelle tue manine» che
compensavano gli interpreti di Don Ottavio e Leporello della soppressione
delle arie «Il mio tesoro» e «Ah pietà signori miei» (venne aggiunta inoltre l'aria
«Mi tradì quell'alma ingrata» per Elvira).
In mancanza dell'autore della vecchia opera nella nuova città, a operare gli
indispensabili aggiustamenti provvedeva qualche compositore locale; il quale
era ovviamente tenuto in primo luogo a venire incontro a tutte le esigenze ed i
capricci dei nuovi virtuosi. Mozart non disdegnò in più occasioni di fornire
nuova musica per opere di compositori di moda, allora più rinomati di lui,
come Cimarosa, Paisiello, Pasquale Anfossi, Vicente Martin y Soler. Di!cile
valutare se il compositore si sia sforzato in queste occasioni di rientrare
appieno nel contesto drammatico dell'opera; certamente le pagine pensate
come "sostitutive" non di"eriscono molto nell'impostazione dalle arie da
concerto; in entrambi i casi l'obiettivo era quello di valorizzare al massimo i
mezzi vocali, il gusto, le propensioni del cantante destinatario.
Delle tre arie in programma nel concerto odierno le prime due - «Popoli di
Tessaglia», - «Io non chiedo eterni Dei» K. 316/300b; e «Mia speranza
adorata», «Ah non sai qual pena» K. 416 - nacquero come arie da concerto,
mentre la terza - «Vorrei spiegarvi, oh Dio» K. 418 - nacque invece come aria
sostitutiva. Tutti e tre i brani furono pensati però "su misura" per i mezzi
straordinari di una virtuosa che giocò un ruolo non episodico nella vita
personale e professionale del compositore, Aloysia Weber, poi maritata Lange.
Mozart conobbe Aloysia sul finire del 1777 a Mannheim, prima importante
tappa del lungo viaggio che avrebbe portato il compositore ventiduenne a
Parigi. Figlia di un copista di musica, Aloysia aveva sedici anni ed era già una
cantante perfettamente formata. Fra i due sbocciò una passione, sembra,
ricambiata; Mozart decise di portare Aloysia in Italia per farla diventare una
prima donna e scrisse questa sua intenzione al padre, rimasto a Salisburgo,
causandone le ire. L'autorità paterna ebbe la meglio e il giovane parti per Parigi
sotto il controllo della madre. Di ritorno dalla deludente - per i risultati
professionali - e dolorosa - per la morte della madre - esperienza parigina,
Mozart si fermò a Monaco nel dicembre 1778, per ritrovare Aloysia; ma la
virtuosa aveva ormai altre ambizioni, e trattò con sostanziale freddezza quello
spasimante che non era in grado di garantirle una adeguata carriera. Aloysia
sposò nel 1780 un attore della corte viennese, Joseph Lange, e i divenne una
autentica star della capitale dell'impero; Mozart sposò invece la sorella di
Aloysia, Constanze; logico che i rapporti con quella che era nel frattempo
divenuta sua cognata avessero frequenti risvolti professionali.
L'aria «Popoli di Tessaglia», «Io non chiedo», scritta sul testo che Ranieri de'
Calzabigi aveva steso per l'Alceste di Gluck (la situazione è quella dell'eroina
che aggiorna il popolo sulle disperate condizioni dello sposo Admeto), fu
scritta da Mozart a Parigi, nel periodo intercorso fra l'incontro con Aloysia e la
disillusione; sebbene l'autografo rechi la data dell'8 gennaio 1779, è verosimile
che l'aria fosse pressoché definita nelle sue linee generali quando Mozart
giunse a Monaco, un paio di settimane prima. Si trattava infatti di un vero e
proprio dono di fidanzamento ad Aloysia, preannunciato in una lettera del 30
luglio 1778 in cui il compositore si rivolge alla virtuosa in lingua italiana, la
lingua che usava per le occasioni più elette e preziose: «[...] e con quella
occasione avrà anche il Popolo di Tessaglia, ch'è già mezzo Terminato - se lei
ne sarà si contenta - comme lo son io - potrò chiamarmi felice. - intanto,
sinché avrò la soddisfazione di sapere di lei stessa l'incontro che avrà avuta
questa scena appresso di lei s'intende, perché siccome l'ho fatta solamente per
lei - così non desidero altra Lode che la sua; intanto dunque non posso dir
altro, che, Tra le mie composizioni di questo genere - devo confessare che
questa scena è la migliore ch'ho fatto in vita mia».
Giudizio impegnativo, questo, ma nell'insieme condivisibile anche tenendo
presenti le successive arie da concerto del compositore. Già l'introduzione
strumentale, un Andantino sostenuto e languido, crea una ambientazione
concentrata e dolorosa con pochissimi dettagli; e tutto il recitativo procede
attraverso so"erte trascolorazioni. Segue un Andantino sostenuto e cantabile
impreziosito dal rilievo di oboe e fagotto, che presto intrecciano le loro linee
con i teneri gorgheggi del soprano, in uno scambio continuo di ruoli. Si arriva
così all'Allegro assai, dove il virtuosismo diventa espressione della
disperazione dell'eroina; la voce del soprano viene impegnata in lunghe tenute
di fiato e rapidissime terzine, e viene spinta fino all'altezza del sol sovracuto.
Ciò che rende davvero magistrale questa scena e aria nel suo insieme è la
perfetta valorizzazione di tutti i diversi aspetti dell'arte della cantante, da
quello elegiaco a quello virtuosistico, ma in assoluta coincidenza con le diverse
situazioni drammatiche proposte dal testo poetico, in modo che l'intera scena
si sviluppi attraverso una lievitazione espressiva.
Testo
ALCESTE
Misera dove son! Ah, non son' io che parlo, recitativo ed aria per
soprano ed orchestra, K 369
https://www.youtube.com/watch?v=8NU6YXbSULY
La pagina mozartiana "Misera, dove soni Ah! non son io che parlo" si serve dei
versi del dramma Ezio di Metastasio ed è scritta per soprano, due flauti, due
corni e archi (risale come data di nascita all'8 marzo 1781). La caratteristica
musicale della composizione è data dalla freschezza e dalla semplicità
dell'invenzione melodica, come espressione di un sentimento a"ettuoso
amoroso, in linea con il neo-classicismo della poesia metastasiana. La scena e
aria K. 369 è formata da un Andante sostenuto (recitativo e aria) e da un
Allegro dalla vivace punteggiatura ritmica.
Ennio Melchiorre
Testo
Mia speranza adorata... Ah, non sai, qual pena, recitativo ed aria in si
bemolle maggiore per soprano, K 416
https://www.youtube.com/watch?v=orhXw8uXn4I
Da qui nasceva la prassi - considerata all'epoca del tutto legittima, con buona
pace dei sempre vigili cultori dell'unità dell'opera d'arte - di inserire all'interno
di un'opera vecchia un'aria nuova, confezionata su misura per il virtuoso
disponibile sulla piazza. Lo stesso Mozart si adeguò in più occasioni
disciplinatamente a tale prassi, ad esempio per il Don Giovanni, opera che,
nata a Praga nel 1787, venne arricchita l'anno seguente a Vienna di nuove
pagine: l'aria «Dalla sua pace» e il duetto «Per quelle tue manine» che
compensavano gli interpreti di Don Ottavio e Leporello della soppressione
delle arie «Il mio tesoro» e «Ah pietà signori miei» (venne aggiunta inoltre l'aria
«Mi tradì quell'alma ingrata» per Elvira).
In mancanza dell'autore della vecchia opera nella nuova città, a operare gli
indispensabili aggiustamenti provvedeva qualche compositore locale; il quale
era ovviamente tenuto in primo luogo a venire incontro a tutte le esigenze ed i
capricci dei nuovi virtuosi. Mozart non disdegnò in più occasioni di fornire
nuova musica per opere di compositori di moda, allora più rinomati di lui,
come Cimarosa, Paisiello, Pasquale Anfossi, Vicente Martin y Soler. Di!cile
valutare se il compositore si sia sforzato in queste occasioni di rientrare
appieno nel contesto drammatico dell'opera; certamente le pagine pensate
come "sostitutive" non di"eriscono molto nell'impostazione dalle arie da
concerto; in entrambi i casi l'obiettivo era quello di valorizzare al massimo i
mezzi vocali, il gusto, le propensioni del cantante destinatario.
Delle tre arie in programma nel concerto odierno le prime due - «Popoli di
Tessaglia», - «Io non chiedo eterni Dei» K. 316/300b; e «Mia speranza
adorata», «Ah non sai qual pena» K. 416 - nacquero come arie da concerto,
mentre la terza - «Vorrei spiegarvi, oh Dio» K. 418 - nacque invece come aria
sostitutiva. Tutti e tre i brani furono pensati però "su misura" per i mezzi
straordinari di una virtuosa che giocò un ruolo non episodico nella vita
personale e professionale del compositore, Aloysia Weber, poi maritata Lange.
Mozart conobbe Aloysia sul finire del 1777 a Mannheim, prima importante
tappa del lungo viaggio che avrebbe portato il compositore ventiduenne a
Parigi. Figlia di un copista di musica, Aloysia aveva sedici anni ed era già una
cantante perfettamente formata. Fra i due sbocciò una passione, sembra,
ricambiata; Mozart decise di portare Aloysia in Italia per farla diventare una
prima donna e scrisse questa sua intenzione al padre, rimasto a Salisburgo,
causandone le ire. L'autorità paterna ebbe la meglio e il giovane parti per Parigi
sotto il controllo della madre. Di ritorno dalla deludente - per i risultati
professionali - e dolorosa - per la morte della madre - esperienza parigina,
Mozart si fermò a Monaco nel dicembre 1778, per ritrovare Aloysia; ma la
virtuosa aveva ormai altre ambizioni, e trattò con sostanziale freddezza quello
spasimante che non era in grado di garantirle una adeguata carriera. Aloysia
sposò nel 1780 un attore della corte viennese, Joseph Lange, e i divenne una
autentica star della capitale dell'impero; Mozart sposò invece la sorella di
Aloysia, Constanze; logico che i rapporti con quella che era nel frattempo
divenuta sua cognata avessero frequenti risvolti professionali.
La scena e aria «Mia speranza adorata - Ah non sai qual pena sia» - è su testo
di Gaetano Sertor, scritto in origine per la Zemira di Anfiossi; la situazione è
quella dell'eroe Gandarte che si separa dalla sua sposa. Mozart terminò
quest'aria il 19 gennaio 1783 perché Aloysia la potesse cantare, tre giorni più
tardi, in una grande accademia presso il Mehlmarkt, il nuovo mercato. Aloysia
la cantò ancora il 23 marzo in una accademia organizzata da Mozart al
Burgtheater, e poi l'11 novembre 1795, in un concerto organizzato dalla
sorella Constanze, ormai vedova, per raccogliere fondi. Dopo un variato
recitativo, formalmente ci troviamo di fronte a un rondò, in cui il tenero motivo
iniziale - che funge da refrain - viene riproposto ogni volta con crescenti
di!coltà tecniche (fino a toccare il fa sovracuto), ed alternato a diverse
situazioni espressive; l'Allegro assai che conclude l'aria viene ancora interrotto
dal motivo del refrain; è qui soprattutto che troviamo la voce del soprano
impegnata nel cimento virtuosistico, ma l'aria finisce poi con semplicità e in
pianissimo, rifuggendo da troppo facili concessioni plateali.
Testo
GENDARTE
https://www.youtube.com/watch?v=IrUku79cBYk
Mozart conobbe Aloysia sul finire del 1777 a Mannheim, prima importante
tappa del lungo viaggio che avrebbe portato il compositore ventiduenne a
Parigi. Figlia di un copista di musica, Aloysia aveva sedici anni ed era già una
cantante perfettamente formata. Fra i due sbocciò una passione, ma Mozart fu
costretto dal padre a partire alla volta di Parigi. Di ritorno dalla deludente - per
i risultati professionali - e dolorosa - per la morte della madre - esperienza
parigina, Mozart si fermò a Monaco nel dicembre 1778, per ritrovare Aloysia;
ma la virtuosa aveva ormai altre ambizioni, e trattò con sostanziale freddezza
quello spasimante che non era in grado di garantirle una adeguata carriera.
Aloysia sposò nel 1780 un attore della corte viennese, Joseph Lange, e divenne
una autentica star della capitale dell'impero; Mozart sposò invece la sorella di
Aloysia, Constanze; logico che i rapporti con quella che era nel frattempo
divenuta sua cognata avessero frequenti risvolti professionali.
Arrigo Quattrocchi
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
Per l'allestimento viennese del dramma giocoso per musica Il curioso indiscreto
di Pasquale Anfossi, Mozart rimusicò alcune Arie per il tenore Valentin
Adamberger e per la cognata Aloysia. È noto quale particolare, intimo rapporto
avesse Mozart con Aloysia, conosciuta a Mannheim nel 1778, e quanto ne
apprezzasse le non comuni doti di interprete: per lei aveva scritto Arie da
concerto quali Non so donde viene K. 294 e Popoli di Tessaglia K. 316, con il
proposito di insegnarle lo stile di canto della scuola italiana. Riguardo l'esito
della première dell'opera di Anfossi al Burgtheater (30 giugno 1783) è lo stesso
Mozart a riferire al padre nella lettera del 2 luglio:
"nulla è piaciuto, al di fuori delle mie due Arie, la seconda delle quali, un'Aria
di bravura, dovette essere ripetuta. Deve ora sapere che i miei nemici sono
stati così maligni da di"ondere già in anticipo la voce: Mozart vuol correggere
l'opera di Anfossi. Io son venuto a saperlo. Ho fatto dire allora al conte
Rosenberg [sovrintendente del teatro] che non avrei consegnato le Arie, se sul
libretto non si fosse stampato in tedesco e in italiano il seguente
Avertimento
Le due arie a carta 36 e carta 102 sono state messe in musica dal Sig.r Maestro
Mozart, per compiacere la Sig.ra Lange, non essendo quelle state scritte dal
Sig. Maestro Anfossi secondo la di lei abilità, ma per altro soggetto. Questo si
vuole far noto perché ne vada l'onore a chi conviene, senza che rimanga in
alcuna parte pregiudicata la riputazione e la fama del già molto cognito
Napoletano".
Nel giugno del 1783 Mozart aveva posto in musica in forma di Lied per canto e
pianoforte (Ah, spiegarti o Dio vorrei K. 178) le prime due quartine del testo
originale dell'Aria di Clorinda, quello utilizzato da Anfossi. Il Lied rappresenta
probabilmente un primo tentativo, abbandonato poi per la nuova versione del
tutto di"erente, la bellissima Aria Vorrei spiegarvi o Dio! K. 418, cui sono state
apportate significative modifiche testuali. L'Aria conclude la scena in cui
Clorinda, soggiogata dalle avances del Contino, è intimamente combattuta tra
il trasporto che prova per lui e il senso del dovere che l'induce a respingerlo.
Mozart ha ritenuto il testo originale non adeguato a rendere la situazione che
si intendeva esprimere: un amore che si vorrebbe dichiarare ma che si è
costretti a tacere. Le modifiche apportate al testo sono infatti di ordine
linguistico-lessicale, oltre che metrico, e comportano un cambiamento a livello
drammatico attraverso un'intensificazione dei sentimenti espressi: il generico
"Quel desio che il cor m'a"anna" diviene "Qual è l'a"anno mio", una più intima
pena d'amore; "Del suo barbaro rigore/ Conte mio non ti lagnar", dal tono
colloquiale, è mutato in "E fa che cruda io sembri/ Un barbaro dover", in cui
l'accento cade sul conflitto interiore della protagonista. Non si tratta dunque di
una semplice parafrasi: si è qui in presenza di un'operazione qualitativamente
più complessa, in cui si avverte distintamente la presenza dietro le quinte di un
Mozart grande uomo di teatro.
Federico Pirani
Testo
Clorinda
Vorrei spiegarvi, oh Dio!
qual è l'a"anno mio;
ma mi condanna il fato
a piangere e tacer.
Ah conte, partite,
correte, fuggite,
lontano da me.
La vostra diletta
Emilia v'aspetta;
languir non la fate,
è degna d'amor.
Ah stelle spietate!
Nemiche mi siete.
Mi perdo s'ei resta.
Partite, correte,
D'amor non parlate,
è vostro il suo cor.
Misero! o sogno!... Aura, che intorno spiri, recitativo ed aria per tenore ed
orchestra, K 431 (K 425b)
https://www.youtube.com/watch?v=NpFtUSQAvGc
Non è noto se Misero! O sogno o son desto? composta verso la fine del 1783,
sia stata creata per essere inserita in un'opera: Einstein avanza, senza troppa
convinzione, l'ipotesi che essa fosse destinata a una delle moltissime versioni
musicali del Temistocle di Metastasio, per il quale nello stesso periodo Mozart
aveva scritto il recitativo e aria per basso Aspri rimorsi atroci K. 432. Sta di
fatto che questo pezzo, che fu eseguito nel dicembre dell'83 dal tenore
tedesco Valentin Adamberger, il primo interprete del ruolo di Belmonte nel
Ratto dal Serraglio, resta fra le arie più belle della maturità mozartiana. Esso
consiste di un recitativo abbastanza esteso seguito dall'aria vera e propria,
«Aura che intorno spiri»; la partitura orchestrale prevede oltre agli archi, flauti
fagotti e corni a coppie. Se questa scena, osserva Einstein, fosse un monologo
di Temistocle imprigionato, il suo tono sarebbe «un po' troppo lirico e troppo
poco eroico. Sembra piuttosto l'esclamazione di un Florestano o di un Manrico
[anche Bernhard Paumgartner parla acutamente di 'una bella melodia alla
Verdi'], che alternino espressioni di terrore con dolci pensieri all'amata,
terminando con una potente invettiva al destino».
Daniele Spini
Testo
https://www.youtube.com/watch?v=a4h5IIGOsOk
Abbozzo incompiuto
Testo (nota 1)
WARNUNG
AMMONIMENTO
E questo vi meraviglia?
Le fanciulle hanno sangue ardente
e il piluccare è assai gradevole.
Non più, tutto ascoltai... Non temer, amato bene, recitativo ed aria per
tenore ed orchestra, K 490
https://www.youtube.com/watch?v=n7LQg"fmiQ
Testo: G. Varesco
L'aria per soprano e orchestra "Non temer, amato bene" K. 490, è tratta dalla
prima scena del secondo atto dell'Idomeneo e composta il 10 marzo 1786 a
Vienna. La dizione esatta di questo pezzo recita così: "Non temer, amato ben,
Rondò per soprano, violino solo e orchestra", destinato originariamente alla
voce del tenore, barone Pulini e poi adattato al soprano Nancy Storace, famosa
interprete del ruolo di Susanna nelle Nozze di Figaro, prima che lasciasse
Vienna per recarsi a Londra. È il violino ad esporre il tema sul quale la cantante
dispiega una serie di modulazioni particolarmente espressive nell'indicare il
sentimento di amore di Ilia per Idamante, figlio di Idomeneo, re di Creta. Il
violino svolge un ruolo primario anche quando il soprano canta sulle parole
"Alme belle che vedete le mie pene". Per la terza volta, infine, viene ripetuto il
tema principale con una cadenza del soprano di gusto schiettamente
mozartiano nell'eleganza del fraseggio.
Testo
Ilia:
Non più. Tutto ascoltai, tutto compresi.
D'Elettra e d'Idamante noti sono gli amori,
al caro imegno omai mancar non dei,
va, scordati di me, donati a lei.
Idamante:
Ch'io mi scordi di te? Che a lei mi doni
Puoi consigliarmi? E puoi voler ch'io viva?
Ilia:
Non congiurar, mia vita,
Contro la mia costanza!
Il colpo atroce mi distrugge abbastanza!
Idamante:
Ah no, sarebbe il viver mio di morte
Assai peggior! Fosti il mio primo amore,
E l'ultimo sarai. Venga la morte!
Intrepido l'attendo, ma ch'io possa
Struggermi ad altra face, ad altr'oggetto
Donar gl'a"etti miei,
Come tentarlo? Ah! di dolor morrei!
https://www.youtube.com/watch?v=HZ3RRTCLkFc
Testo: G. Varesco
Testo
https://www.youtube.com/watch?v=NNo8Hd2itSM
Testo
https://www.youtube.com/watch?v=VSj4rgrSSRc
Testo
https://www.youtube.com/watch?v=dsXP5SFYjXE
Testo: Johann Wilhelm Ludwig Gleim
Testo (nota 1)
https://www.youtube.com/watch?v=s_q5hKBkgQQ
Testo: G. A. Palomba
Aria sostitutiva per l'opera "I due baroni di Rocca Azzurra" di Domenico
Cimarosa
L'aria «Alma grande e nobil core» K. 578, è in si bemolle e risale all'agosto del
1789: Mozart la scrisse per Louise Villeneuve, la Dorabella di Così fan tutte,
che l'avrebbe cantata, inserita nel testo, nel corso della rappresentazione a
Vienna dell'opera I due baroni di Rocca Azzurra, secondo l'usanza teatrale del
tempo. Il tema si snoda dapprima piano e poi più sostenuto e forte, così da
permettere al personaggio di madame Laura (è la protagonista dell'aria) di
sfoggiare le sue qualità belcantistiche. Ritorna quindi la frase iniziale e si
snoda questa volta secondo lo stile imitativo, svolgendo un nuovo discorso
sulle parole: «E so farmi rispettar». L'orchestra fa da contrappunto con
modulazioni molto misurate, mentre il canto assume il tono di invettiva («Va,
favella a quell'ingrato») per poi addolcirsi. Sopravviene un Allegro assai e
successivamente madame Laura accentua la propria eccitazione («Ma non
merita perdono, sì mi voglio vendicar»). Su un accompagnamento dì crome
degli archi la donna apostrofa l'ingrato amante, mentre l'aria assume un tono
più incisivamente espressìvo, per concludersi con la frase dei violini sul tema
dell'Allegro assai.
Testo
Un moto di gioia mi sento nel petto, arietta in sol maggiore per soprano
ed orchestra, K 579
https://www.youtube.com/watch?v=o-3AqbWmvZM
Testo (nota 1)
Un moto di gioia
Chi sa, chi sa, qual sia, aria in do maggiore per soprano ed orchestra, K
582
https://www.youtube.com/watch?v=jv_RQPgPNlE
Aria sostitutiva per l'opera "Il burbero di buon cuore" di Vincente Martin y Soler
Guida all'ascolto (nota 1)
L'aria di Mozart "Chi sa, chi sa qual sia" K. 582 non fu in realtà concepita
dall'autore come aria "da concerto" - ossia destinata già in origine ad essere
cantata da qualche virtuoso committente all'interno di una "accademia", nome
che veniva dato ai lunghissimi trattenimenti musicali che, secondo l'uso
dell'epoca, alternavano diversi esecutori e diversi generi compositivi. Ebbe
invece la prima esecuzione all'interno di un'opera teatrale, che era invece un
lavoro di un altro compositore, Il burbero di buon cuore di Vicente Martin y
Soler.
Che Mozart abbia aderito senza sdegnarsi, in questa come in molteplici altre
occasioni, alla prassi di aggiungere propria musica ad opere di altri autori -
allora più rinomati di lui, come Cimarosa, Paisiello, Pasquale Anfossi, e lo
stesso Martin y Soler - è cosa che non deve stupire. La prassi delle arie
"sostitutive" si inserisce infatti compiutamente in un sistema produttivo, quale
quello dell'opera del Settecento, incentrato principalmente sulla figura del
cantante. Il passaggio di un'opera da una piazza teatrale a un'altra, o anche la
ripresa a distanza di tempo nella stessa città comportava il suo adattamento
alla situazione contingente, alle nuove esigenze di una di"erente compagnia di
canto. Da qui nasceva la prassi - considerata all'epoca del tutto legittima, con
buona pace dei sempre vigili cultori dell'unità dell'opera d'arte - di inserire
all'interno di un'opera vecchia un'aria nuova, confezionata su misura per il
virtuoso disponibile sulla piazza.
Nella sua brevità "Chi sa, chi sa qual sia", sviluppa nel modo migliore queste
caratteristiche vocali. L'aria viene intonata dal personaggio di Madama Lucilla,
moglie sfortunata di Giocondo, assillato dai debiti ma ben deciso ad imporre
alla moglie di non immischiarsi dei suoi a"ari familiari; e la sposa si domanda
così quale sia la causa della collera del marito. Si tratta di un Andante che
dipinge mirabilmente l'agitazione del personaggio, con il suo fraseggio
spezzato, le improvvise colorature, le ombreggiature armoniche, nonché il fitto
ordito dei fiati che si intrecciano con il soprano. In definitiva una patina che,
all'interno del Burbero, non deve aver mancato di fare il suo e"etto e di
garantire i meritati applausi alla solista.
Arrigo Quattrocchi
Testo
MADAMA LUCILLA
Attribuzione incerta
Testo (nota 1)
Ridente la calma
https://www.youtube.com/watch?v=3jYrR6EuQwY
Testo (nota 1)
https://www.youtube.com/watch?v=vZPMXksAMDY
Testo (nota 1)
In un bosco solitario
https://www.youtube.com/watch?v=mA4IUgihLio
Testo (nota 1)
Komm, liebe Zither (Vieni, cara cetra), lied per soprano o tenore e
mandolino, K 351 (K 367b)
https://www.youtube.com/watch?v=CxC6F_ZNEXI
Testo (nota 1)
https://www.youtube.com/watch?v=VhUOg-7nTmA
Das Veilchen (La violetta), lied in sol maggiore per soprano e pianoforte, K
476
https://www.youtube.com/watch?v=aUCUtbVx53U
Roman Vlad
Testo
Das Veilchen
Ein Veilchen auf der Wiese stand
Gebückt in sich und unbekannt;
Es war en herzigs Veilchen!
Da kam ein' junge Schäferin
Mit leichtem Schritt und munterm Sinn
Daher, die Wiese her, und sang.
Ach! denkt das Veilchen, war ich nur
Die schönste Blume der Natur,
Ach! nur ein kleines weilchen,
Bis mich das Liebchen abgepflückt
Und an dem Busen matt gedrückt,
Ach nur, ein Viertelstündchen lang!
Ach, aber ach! das Mädchen kam
Und nicht in acht das Veilchen nahm,
Zrtrat das arme Veilchen.
Es sank und starb und freut sich noch:
Und sterb ich denn; so sterb ich doch
Durch sie, zu ihren Füssen doch!
Das arme Veilchen!
Es war ein herzigs Veilchen.
https://www.youtube.com/watch?v=yv1Rd0h_7eo
Benché rechi la denominazione "Lied" Als Luise die Briefe ihres ungetreuen
Liebhabers verbrannte, scritta a Vienna nel 1787, è una piccola scena in cui si
racconta in terza persona dell'ira di una donna che brucia le lettere del
fidanzato che l'ha tradita: se in luogo del pianoforte vi fosse l'orchestra, si
parlerebbe di recitativo accompagnato tendente all'Arioso, considerata la
varietà dell'espressione e la mossa parte strumentale, che in veloci figurazioni
mima il bagliore e il crepitare della fiamma. Il bruciare, ahimè, non è soltanto
quello della fiamma, ma pure quello dell'anima di Luisa tradita.
Giangiorgio Satragni
Testo (nota 2)
https://www.youtube.com/watch?v=r9-GesedW-c
https://www.youtube.com/watch?v=L5jVYHQy_L4
https://www.youtube.com/watch?v=16NLZ0dauaM
ABENDEMPFINDUNG
https://www.youtube.com/watch?v=OlO0D-Z74rk
An Chloe, K. 524, su testo di J.G. Jacobi, è una lirica d'amore nella forma di
piccolo rondò, mosso e sbarazzino, leggiadramente all'italiana. La passione si
stempera, grazie alla musica, in tenerezza e gioiosità, riportandoci ad un
Mozart fanciullo, spensierato, al compositore che si diverte divertendo.
Salvatore Caprì
Testo
An Chloe
A Cloe
https://www.youtube.com/watch?v=umw-8J-O14o
Musica Sacra
Messe
Dominicus-Messe K 66
https://youtu.be/raUzXH6DnLI
Stile
Struttura
Kyrie
Gloria
Credo
Sanctus
Benedictus
Agnus Dei
https://youtu.be/oHfl2JCTSN4
Struttura
Kyrie eleison
Christe eleison
Kyrie eleison
Gloria
Credo
Sanctus
Benedictus
Agnus Dei
Agnus Dei
Dona nobis pacem
https://youtu.be/Vni6el71cMA
Questo Te Deum è il lavoro d'un musicista che deve ancora crescere, ma quale
musicista! L'attacco è un allegro che comunica una letizia serena e spirituale,
senza la magniloquenza formale che spesso era connessa a questo testo sacro
usato per occasioni solenni. La semplice e brillante sezione iniziale in do
maggiore si oscura un attimo sulle armonie che corrispondono alle parole
"mortis aculeo". Segue un breve adagio in minore per il supplice "Te ergo
quaesumus". Ma ad "Aeterna fac cum sanctis tuis" riprende l'allegro, che
prosegue anche con l'ultima sezione, "in Te Domine speravi": qui lo stile e il
trattamento del testo cambiano nettamente, perché mentre finora le parole
erano state intonate insieme da tutte le voci, per lo più sillabicamente e senza
ripetizioni, da qui in avanti Mozart mette in campo un contrappunto
relativamente complesso. I modelli di questo finale erano probabilmente le
grandi fughe a due soggetti che chiudevano i Te Deum sia di Michael che di
Joseph Haydn, però il giovanissimo Mozart scrive non tanto una fuga regolare
quanto un più semplice e libero fugato a due soggetti: sicuramente è una
rinuncia suggerita dalla consapevolezza che le sue forze non gli consentivano
ancora tour de force contrappuntistici. Ma Mozart riesce a trasformare questa
rinuncia in una scelta a favore della cantabilità, della serenità e della
semplicità.
Mauro Mariani
Trinitatis-Messe K 167
https://youtu.be/xf8NUTKmn-s
Stile
Et incarnatus est
Et in Spiritum Sanctum
Et unam sanctam catholicam
Et vitam venturi saeculi
Sanctus
Benedictus
Agnus Dei
https://youtu.be/8ktojUQevn4
L'attività ili Mozart come compositore di musica sacra è soprattutto legala alla
Corte del principe-arcivescovo di Salisburgo, al cui servizio rimase insieme al
padre sino al trasferimento a Vienna. Al gusto liturgico dell'arcivescovo
Hieronyimus Colloredo sembra doversi il gioiello noto come
«Spatznmesse» («Messa dei passeri», per via delle onomatopeiche acciaccature
che risuonano ai violini nel Sanctus. Proprio nel 1776, anno in cui forse la
composizione vide la luce, scriveva infatti Mozart a Padre Martini, l'autorità
dell'antico contrappunto osservato al quale il giovanissimo Wolfgang aveva
pagato i suoi omaggi a Bologna: «La nostra Musica di chiesa è assai di"erente
di quella d'Italia, e sempre più, che una Messa con tutto il Kyrie, Gloria, Credo,
la Sonata all'Epistola, l'o"ertorio ò sia Mottetto, Sanctus e Agnus Dei e anche la
più Solenne, quando dice La Messa il Principe stesso non ha da durare che al
più longo 3 quarti d'ora. Ci vuole uno Studio particolare per questa Sorte di
Composizione, et che deve però essere una Messa con tutti Sarmenti - Trombe
di guerra, timpani etc.». La descrizione, sospesa tra la giustificazione per
l'abbandono dei sani principi compositivi appresi al di qua delle Alpi e
l'orgoglio per l'impresa non da poco richiesta al maestro di cappella,
corrisponde esattamente alla tipologia di questa messa, il primo ibrido di tal
genere a uscire dalla penna ili Mozart. Benché impropriamente la si definisca
«brevis», si tratla in realtà di una «Missa brevis solemnitatis» (altrimenti detta
«Missa brevis con trombe» o «Missa II classis»), ovvero di una composizione
che della versione «brevis» distinata alle domeniche e alle chiese minori
presenta l'essenzialità dell'impianto, l'impiego della politestualità (la
compresenza simultanea di due testi in origine consecutivi), la riduzione al
minimo delle ripetizioni. Della «missa longa», riservala alle feste principali,
propone invece il solenne apparato di trombe e timpani. Poco più di un quarto
d'ora è su!ciente al compositore ventenne per restituire il testo integrale
dell'Ordinarium Missae in una cifra di classico nitore. Ogni sezione è
organizzala secondo architetture sonore in miniatura (forma-sonata
compresa), la cui perfetta simmetria è retta da un progetto squisitamente
strumentale, che poggia sul ruolo dell'orchestra (il cui nucleo è il Kirchentrio,
la formazione violino l-ll e basso, che esclude dagli archi il timbro della viola,
mentre ai tre tromboni viene richiesta l'incombenza barocca di raddoppiare le
voci del coro, soprano escluso), mentre dal coro emergono solo
episodicamente le voci dei solisti. Al più puro linguaggio classico appartiene
anche la rinuncia assoluta al contrappunto, persino nelle chiuse canoniche di
Gloria e Credo, mentre sinfonica è la conclusione della messa, che riprende
simmetricamente il Kyrie d'apertura. La precoce popolarità della messa è
testimoniata dal riutilizzo come parodia di Kyrie, Gloria e Benedictus all'interno
ili alcune cantate pubblicate con testo tedesco da Breitkopf & Härteli e Simrock
nel primo Ottocento.
Nel segno di una cordialità luminosa attacca dopo il versetto in canto piano del
celebrante, il Gloria. alla cui unità interna presiedono mezzi squisitamente
musicali (la ripresa della sezione d'esordio in coda, l'impiego pressoché
ininterrotto di un brillante ostinato strumentale ai violini all'unisono), mentre
diversi interventi solistici perforano, rendendola variopinta, l'area trama corale,
che ospita nel centrale «Qui tollis» un tormentato contraltare in modo minore.
Ra"aele Mellace
Credo-Messe K 257
https://youtu.be/Idyi6cAo2Wg
Stile
Haydn utilizzò molte volte questo genere di messa, spesso (come nel caso
della Misa solenus à 3 voci) come parodia della cattiva musica sacra, in altri
casi eleva questo genere a veri e propri capolavori, ben al di là delle capacità
dei Landschulmeister, che penetreranno con forza nell'immaginazione non
solo del compositore salisbrughese, ma risalendo il fiume del tempo fino a
compositori come Anton Bruckner.
L'altissima qualità di questo particolare punto non ha nulla a che spartire con
la rozzezza della Landmesse: si tratta di un'invenzione di grande musica, così
come quella che domina il Credo della Missa solemnis beethoveniana.
Troviamo nell'"Es incarnatus erat"-"Crucifixus" un movimento di siciliana,
caratterizzato da un disegno di seste napoletane, nel festoso Sanctus e nel
solistico Benedictus i costanti echi di accese nostalgie melodrammatiche e che
presentano analogie con molte opere successive. Addirittura, l'apparato
tematico dell'Agnus Dei richiama fortemente l'incipit dell'Andante del Concerto
K 467 per pianoforte. Gli orizzonti mozartiani puntavano bel al di là della
semplice Landmesse.
Struttura
Kyrie
Gloria
Credo in unum Deum
Et incarnatus est
Sanctus
Benedictus
Agnus Dei
https://youtu.be/bBnXCqCdvvI
Spaur-Messe è il titolo con cui veniva fino a poco tempo fa chiamata la "Missa
brevis "in Do maggiore KV 258 composta da Wolfgang Amadeus Mozart nel
1776. Il ritrovamento della partitura originale della Messa appartenuta al
Conte-Vescovo von Spaur ha definitivamente confermato i dubbi che, invece, si
trattasse della Missa "Credo" KV 257.
Storia
Già nel 1987 il musicologo britannico Alan Tyson era arrivato alla conclusione
che dovesse trattarsi della KV 257 e di recente, nel 2007 questa teoria ha
trovato conferma col ritrovamento della partitura autografa della Missa KV 257
nell'Archivio del Duomo di Bressanone. Spaur, infatti, prima di essere
consacrato vescovo, era stato canonico del Duomo di Salisburgo dal 1755 e, a
partire dal 1763, anche canonico del Duomo di Bressanone, dove morì, poi, nel
1779.
https://youtu.be/KobLLMrkY4s
Stile
Questa messa si iscrive in un trittico di messe in do maggiore (la Credo-Messe
K 257, la Spaur-Messe K 258 e quest'ultima), tutte e tre composte tra il
novembre ed il dicembre del medesimo anno, il 1776, per il Principe
Arcivescovo di Salisburgo. Questa messa presenta il medesimo festoso
organico della precedente Messa K 258, benché nella messa in questione sia
possibile notare un più ampio respiro compositivo e la presenza di vivaci figure
orchestrali che la percorrono per intero, ma, nonostante la presenza di questi
continui rimandi al mondo sinfonico, la Orgelsolo-Messe non riesce a scrollarsi
di dosso "la livrea gallonata di una certa devota u!cialità da cappella cortese".
https://youtu.be/1hv5sJe-Fr0
Ed ora un passo indietro di dodici anni nella vita di Wolfgang Amadeus Mozart.
E' il quattro settembre del 1776 ed egli scrive al suo maestro italiano Padre
Martini: «Vivo in un paese dove la musica ha pochissima fortuna». Si riferiva,
come si sa, alla natìa Salisburgo dove risiedeva in quegli anni dopo i viaggi
giovanili e la prima rappresentazione a Monaco della Finta giardiniera.
Quell'anno 1776 ed il successivo 1777 furono tutti presi dai ripetuti tentativi di
abbandonare Salisburgo e di andare a far musica in una città meno provinciale
e più al passo coi tempi. Infine riuscì a partire il 23 settembre 1777 per un
lungo viaggio che lo avrebbe portato successivamente a Monaco, Augusta,
Mannheim e Parigi. Un viaggio che fu tutt'altro che fortunato; non portò infatti
al musicista gli sperati successi e la sperata sistemazione e segnò duramente
la sua vita privata, che a Parigi gli morì l'adorata madre dopo che a Mannheim
aveva conosciuto la prima grave disillusione amorosa che aveva il nome di
Aloysia Weber. Un viaggio, insomma, che segna all'attivo di Mozart - a parte
qualche nuova amicizia - solo la diretta conoscenza - così importante,
peraltro, per la sua formazione - della musica innovatrice di Gluck - era in
corso a Parigi durante il suo soggiorno la lunga diatriba tra «gluckisti» e
«piccinisti» - e della straordinaria (per quei tempi) orchestra di Mannheim.
Sicché dopo qualche ingenuo tentativo per convincere il padre di consentirgli
un prolungamento del viaggio non restò altra scelta a Wolfgang che rientrare -
era la metà del gennaio del 1779 e il musicista aveva 23 anni - a Salisburgo;
specie dopo che il padre gli comunicò come, grazie alle pressioni sue e di altri
amici salisburghesi, l'arcivescovo Gerolamo Colloredo, feudatario della città,
aveva deciso di riassumerlo al suo servizio con il salario di 500 fiorini l'anno, in
qualità di organista e «Konzertmeister» di corte. Una soluzione che Wolfgang
accettò con riluttanza come il solo mezzo possibile, in quel momento, per
guadagnare l'«eterno pane», non mancando di notare in una lettera all'amico
Bullinger: « ... voi sapete quanto mi sia odiosa Salisburgo! E non soltanto per le
ingiustizie che mio padre ed io vi abbiamo subite, motivo più che su!ciente a
cancellar dalla mente il pensiero di ritornare in simile luogo. Ma ora sia come
Dio vuole: purché le cose vadano in modo da consentirci di vivere tranquilli...
».
Ma i frutti di questa «molta fatica» furono assai numerosi in quei due anni di
soggiorno salisburghese che dovevano concludersi con la rappresentazione a
Monaco dell'Idomeneo. E compose in quegli anni la Serenata K. 320, il
Divertimento K. 334, il Concerto per due pianoforti e orchestra K. 365, la
Sinfonia concertante per violino e viola K. 364, le tre Sinfonie K. 318, 319 e
338; per non ricordare che le composizioni più importanti. E poi - per far
fronte ai suoi impegni professionali verso la corte arcivescovile - numerose
pagine di carattere religioso: la Messa in do maggiore (dell'Incoronazione) -
che si esegue stasera - la Messa K. 337, i due Vespri K. 321 e 339, il Regina
Coeli K. 276, due «lieder» religiosi K. 343 ed una serie di Sonate da chiesa per
organo e orchestra.
Infine l'Agnus Dei dopo un preludio strumentale a!da il tema al soprano solo,
ed è il tema che ricorda l'aria delle Nozze; il tema è poi ripreso anche dal
tenore che si alterna con il coro finché sulle parole «Dona nobis pacem» ritorna
con le stesse armonie ed imitazioni strumentali ma anche con una ripresa in
tempo «Allegro con spirito» il tema del Kyrie iniziale.
E' quest'«Allegro con spirito» che conclude l'opera con una estensione geniale
dell'idea primitiva - nota il De Saint-Foix - il quale aggiunge pure come la
ripresa dell'idea iniziale dimostra il profondo bisogno di unità formale sentito
da Mozart in questa occasione. Una unità formale realizzata non solo
attraverso la scelta di precise forme strumentali all'interno di ogni brano della
Messa ma ria"ermata quasi serrando l'intero edificio sonoro all'interno dello
stesso tema che quindi dà l'avvio al discorso e lo conclude.
Gianfilippo De'Rossi
https://youtu.be/yvcOGdTAfDs
La Messa in do minore (in tedesco Große Messe in c-Moll) K1 427 (K6 417a),
nota anche come Grande Messa, è una messa composta da Wolfgang Amadeus
Mozart a Vienna negli anni 1782-1783. L'opera è incompiuta.
Storia
Mozart si impegnò a comporre una Messa come voto, a!nché la futura sposa
Constanze allora ammalata guarisse e una volta divenuta sua moglie potesse
condurla a Salisburgo per farla conoscere al padre Leopold che si opponeva al
matrimonio.
A Salisburgo Mozart arrivò con la partitura della messa composta per oltre la
metà: Kyrie e Gloria erano completi, Sanctus e Benedictus erano composti "in
particella" (parte vocale, primo e secondo violino, basso e parti principali
dell'orchestrazione), il Credo in forma di abbozzo e non completo, l'Agnus Dei
nemmeno iniziato.
Mozart non lavorò più all'opera. Tra i motivi dell'interruzione si può citare un
editto imperiale del 1783 che limitava l'esecuzione di musica sacra con
orchestra nelle chiese. Inoltre, l'incipiente carriera di Mozart come musicista
indipendente non riusciva ancora a svincolarsi dal sistema delle committenze,
e la messa, intrapresa senza una specifica commissione, fu accantonata.
Stile
L'opera rappresenta il ritorno di Mozart alla musica sacra dopo gli anni
salisburghesi. Per la prima volta nella sua vita egli compone una messa senza i
vincoli stilistici impostigli dall'arcivescovo Colloredo; non deve quindi
sorprendere se nello spartito troviamo uno sfoggio di fantasia e ispirazione
inusuale rispetto alla sua produzione precedente.
Il Kyrie inizia con una breve introduzione orchestrale la cui drammaticità è resa
più acuta dagli strumenti a fiato prima e dall'ingresso del coro di impostazione
arcaica. Sull'introduzione del Kyrie non è molto chiara, su alcune partiture, la
presenza di un quarto trombone, il trombone soprano, strumento pochissimo
usato anche a quei tempi, presente solo nel kyrie, e nelle edizioni di oggi
eliminato dal brano. Con il Christe eleison la musica si addolcisce e l'assolo del
soprano viene accompagnato dal coro e dai fiati. La ripresa del Kyrie ci riporta
alla drammaticità di partenza.
Il Sanctus che culmina con la doppia fuga nell'Osanna è composto per doppio
coro.
Fortuna
Nella storia della musica la messa in Do minore di Mozart rappresenta uno dei
maggiori lasciti della musica sacra del secondo '700 ed idealmente si può
considerare come il tratto d'unione fra la Messa in Si minore di Johann
Sebastian Bach e la Missa solemnis in Re maggiore di Ludwig van Beethoven
che intraprenderà strade diverse.
Il giorno dopo il compositore ripartì per Vienna e non avrebbe più visto la sua
città natale, né avrebbe più portato a termine questa Messa, di cui aveva scritto
per intero il Kyrie, il Gloria e il Sanctus-Benedictus, mentre il Credo era
interrotto all'lncarnatus est e per di più era lacunoso nell'orchestrazione e
l'Agnus Dei mancava totalmente. Due anni dopo, a Vienna, avrebbe riutilizzato
il Kyrie e il Gloria nell'oratorio Davide penitente K. 469.
Il Gloria si apre con una chiara reminiscenza dello stile di Händel, evidente
nella stretta alternanza di possenti e gloriosi accordi e di dinamici ed esultanti
passaggi contrappuntistici, con una citazione quasi letterale dell'Alleluja del
Messiah. Tutto il Gloria è concepito su scala monumentale ed è diviso in otto
numeri. Un'aria tripartita col "da capo" (Laudamus Te), un duetto per due
soprani (Domine Deus) e un terzetto per due soprani e tenore (Quoniam tu
solus sanctus) si alternano a due possenti episodi corali a cinque voci (Gratias
agimus) e a doppio coro (Qui tollis). È suggellato dalla grandiosa fuga del Cum
Sancto Spiritu, che fornisce una conclusione adeguatamente solenne, che però
Mozart sottrae a ogni manierata magniloquenza con l'inserzione di elementi
del moderno linguaggio sinfonico, apportatore di un'emozione più viva e
drammatica.
L'Et incarnatus est è un altro solo o"erto alla voce dell'amata Konstanze: una
pagina nel cullante ritmo di siciliana, raccolta, tenera, delicata, che trasfigura il
virtuosismo vocale in estatico lirismo, come nel lunghissimo vocalizzo della
cadenza che unisce al soprano tre strumenti obbligati (flauto, oboe e fagotto).
È stato più volte sottolineato lo stile italianeggiante di questo brano.
Dopo questa melodiosa aria Mozart ritorna alla grandiosità tiel doppio coro col
Sanctus, questa volta senza reminiscenze barocche ma con sintetico e audace
stile moderno, culminante nel possente "pieni sunt coeli et terra gloria tua",
che sembra ra!gurare musicalmente tutta la magnificenza divina. Qui
s'innesta la fuga dell'Osanna, nel cui serrato contrappunto si scorge
chiaramente Bach.
Mauro Mariani
https://youtu.be/j8RXHA1M-f8
https://youtu.be/L4PPol9IQzs
https://youtu.be/sPlhKP0nZII
L'opera è legata alla controversa vicenda della morte del suo autore, avvenuta
il giorno successivo alla stesura delle prime battute delle parti vocali del
Lacrimosa. Stendhal, in Vite di Haydn, Mozart e Metastasio (1815), parla di un
anonimo committente (che si presentò alla sua porta nel cuore della notte con
una maschera come quelle di carnevale, un mantello scuro, aria lugubre e una
sacca contenente danari) che incarica Mozart, malato e caduto in miseria, di
comporre in quattro settimane una messa di requiem, dietro compenso di
cinquanta ducati.
Una leggenda molto famosa ma totalmente infondata vuole che sia stato il
musicista italiano Antonio Salieri - invidioso del talento di Mozart - a forzare il
deperimento del già malato collega. Tale leggenda è stata alimentata da
Aleksander Puškin nella sua opera teatrale Mozart e Salieri (1830), e ripresa
negli anni settanta dal drammaturgo Peter Sha"er nell'opera teatrale Amadeus
(1978). Da Sha"er il regista Miloš Forman ha tratto il suo Amadeus (1984), film
nel quale tale leggenda è, appunto, narrata.
Ciò non bastò dal momento che nel 1825 il compositore e teorico della musica
tedesco Gottfried Weber pubblicò un articolo intitolato Sull'autenticità del
Requiem mozartiano, nel quale sollevava enormi dubbi sulla quantità di musica
e"ettivamente composta da Mozart e presente nella messa. La polemica
continuò per vari anni costituendo varie fazioni (Beethoven, che possedeva una
copia dell'articolo, riferendosi al Weber, annotò su un fianco: "o tu
Arcisomaro", e ancora "o tu doppio somaro").
Fu probabilmente solo con l'edizione a stampa di Andrè del 1827 che parte dei
dubbi vennero fugati: forse per la prima volta nella storia della musica, una
partitura venne pubblicata con un commento critico nel quale si tentava di
stabilire con certezza ciò che è certamente di Mozart e ciò che è di pugno
d'altri; l'edizione Breitkopf indicò poi con una M il materiale sicuramente
mozartiano e con una S quello attribuito a Süssmayr.
Come ha dimostrato il musicologo Christoph Wol" nel suo importante testo sul
requiem, è certo che qualche giorno dopo la morte di Mozart (il 10 dicembre),
venne organizzata una funzione commemorativa durante la quale vennero
eseguiti almeno l'Introitus ed il Kyrie, con coro organo e i soli archi. Questo
u!cio funebre fu organizzato, a proprie spese, da Emanuel Schikaneder ed
ebbe luogo nella chiesa di san Michele a Vienna.
Per contrasto la rigorosissima fuga del Kyrie pone non pochi problemi di
precisione ritmica e intonazione al coro, senza per altro cedere di un passo
dalla drammaticità che impregna l'intera partitura mozartiana. Infine un pezzo
ricorrente fra i repertori sacri di molti cantanti lirici solisti è il Tuba Mirum nel
quale la teatralità del compositore si fonde con la sacralità del testo, descritto
attraverso un sapientissimo utilizzo, prima separato poi unito, delle quattro
voci soliste.
Struttura dell'opera
I. Introitus
II. Sequentia
III. O"ertorium
Rivisitazioni moderne
Come già accennato, nel corso degli anni sessanta fu scoperto un manoscritto
inedito dell'autore che recava scritto l'abbozzo per una fuga: la fuga che
sarebbe andata sull'Amen finale del Lacrimosa. Ciò si capiva dal fatto che lo
stesso manoscritto recava un altro abbozzo, che viene ricondotto al Rex
tremendae (Sequentia). Purtroppo ciò che è scritto è solo uno schizzo, molto
probabilmente il soggetto della fuga. Ad elaborare questo manoscritto ci
hanno pensato alcuni musicologi (si ricorda in particolare la versione di Levin,
Maunder e London). Negli anni 2000 l'opera di Mozart ha ispirato uno
spettacolo di musica e danza per coro: Rockquiem - based on W. A. Mozart,
che reinterpreta il requiem in chiave rock. Lo spettacolo è stato rappresentato
in diversi paesi europei.
La struttura
II Requiem è una composizione dal carattere suo proprio, per natura e qualità
sonora dell'insieme. Possiede un colore particolare, scuro e patetico, che lo
di"erenzia dal clima generale dell'opera di Mozart. Bisogna però dire che al
momento in cui il compositore si accinse a scrivere il Requiem, erano trascorsi
più di dieci anni dall'ultima sua messa, in gran parte a causa dei provvedimenti
anticlericali promossi dall'imperatore Giuseppe II. Si deve poi sottolineare che
gli esempi rimastici della poca musica sacra del periodo viennese, mostrano
come Mozart andasse recuperando un senso del sacro ricco di profondità e
magnetismo; per di più nuovo per la società del Settecento, che lo aveva in
gran parte perduto. Il discorso rientra però in una problematica più generale.
Negli ultimi anni della sua vita egli sentì il bisogno di condurre una personale
ricerca spirituale, che innestasse il suo genio espressivo e il suo ruolo di
musicista nelle forze intellettuali della società, in quella sorta di sacralità della
ragione e del progresso sociale che l'illuminismo aveva individuato. Era
un'esigenza interiore che si concretizzò nell'avvicinamento alla massoneria e a
quel senso del magico e dell'occulto positivo che propagandava. È possibile
che tale avvicinamento sia stato dettato anche da interesse pratico; ma è pur
vero che i risultati ottenuti in ambito lavorativo Mozart li raggiunse solo grazie
alle sue capacità. Non si può dubitare che la sua profondità lo condusse a una
ricerca laica del sacro, che sentì ben incarnata dai principi massonici,
genericamente orientati al progresso civile, alla fratellanza umana e alla virtù.
Era anche un modo per sottrarre al tempo e alla caducità la propria interiorità
facendola parte di un ideale condiviso da altri, un modo per sacralizzare la
propria sensibilità, ritenuta a ragione fonte di civiltà. Questo a#ato
all'elevazione morale e alla trascendenza è alla base, oltre che delle opere
cosiddette "massoniche", anche della poca produzione religiosa degli ultimi
anni. Tuttavia la sfumatura espressiva tra la produzione vicina all'ambito
massonico e quella religiosa si nota ampiamente, soprattutto nel Requiem. La
fiducia nel magico e nel meraviglioso che caratterizza, ad esempio, Il flauto
magico, è qui sostituita dal momento della morte e del giudizio, paure che
forse la Massoneria non aveva interpretato appieno e che rimanevano dominio
della religione istituzionale e del suo messaggio. Inoltre, se nella produzione
massonica il percorso iniziatico sembra risolversi sul piano umano, tema
latente proprio della creazione religiosa è invece il celebrare una trascendenza
grandiosa e sovrumana con la quale sembra impossibile comunicare; e la
musica sacra di Mozart si colora della tragicità derivante da questo bisogno
irrisolto.
La musica
A volte Mozart adotta, con finalità drammatiche, uno stile considerato già fuori
moda nella sua epoca: nel Rex Tremendae, che descrive l'apparizione del
sommo giudice, il ritmo puntato che compare subito all'inizio e caratterizza il
brano (per chiarire, è come se i suoni si muovessero a scatti) evoca, tramite
l'arcaicità del procedimento musicale, la dignità e la tragica solennità del
momento.
Dal Sanctus in poi non esistono schizzi guida di Mozart, ma non è facile essere
certi che questa parte sia farina del sacco di Süssmayr, le cui opere successive,
pur di buona qualità, sembrano inferiori a quello che è stato prodotto qui.
Come al termine del Domine Jesu o nella Communio finale in cui rielabora
Introitus e Kyrie, Süssmayr ha probabilmente deciso di riproporre materiale
originariamente di Mozart per conservare al meglio la paternità del tutto. In
ogni modo, il Requiem, sorprendentemente, risulta all'ascolto opera unitaria
nella fattura come nell'ispirazione. Nella bellezza della musica, che possiamo
ben dire di Mozart, si ritrova quella condivisione per la so"erenza, quella
magica capacità di saper muovere e dipingere l'emozione che ce la fa amica e
compagna di vita.
Simone Ciolfi
Mozart compose la quasi totalità della propria musica sacra per i servizi
liturgici della corte arcivescovile di Salisburgo. Le tredici Messe nate a
Salisburgo, in un periodo compreso tra il 1769 e il 1780, non furono pensate
dall'autore seguendo la traccia dettata dalla propria libera fantasia, ma nel
rispetto dei precisi canoni imposti dal gusto corrente dell'epoca, dalla
tradizione locale e dalle predilezioni dell'arcivescovo in carica.
Le circostanze della nascita del Requiem sono avvolte nella leggenda. O, per
meglio dire, sono state avvolte nella leggenda dalle innumerevoli fantasticherie
inventate nel periodo romantico legate, ovviamente, all'aura del tutto
particolare che attribuisce a questa partitura mortuaria il fatto di essere
rimasta incompiuta in seguito alla morte dell'autore. Spogliate delle tante
fantasticherie, le vicende della genesi appaiono piuttosto semplici. Nel luglio
1791 Mozart ricevette la commissione per la stesura di un Requiem da parte di
un anonimo che, corrispondendogli un lauto anticipo, metteva quale unica
condizione quella di non ricercare l'identità del committente; si trattava di un
nobile prematuramente vedovo, il conte Walsegg, che intendeva eseguire
l'opera nella ricorrenza della scomparsa della consorte, attribuendosene
disinvoltamente la paternità.
Basterebbe ascoltare l'Introitus e Kyrie, unica sezione del tutto autografa. C'è
innanzitutto una atmosfera sonora, livida e desolata, attribuibile in gran parte
alla particolarissima strumentazione, dove gli unici legni presenti sono corni di
bassetto (della famiglia dei clarinetti) e fagotti; di qui un timbro opaco e
spettrale, che intreccia polifonie opponendosi ai pizzicati degli archi. Si staglia
come contrasto il purissimo a solo di soprano «Te decet Hymnus». Segue poi la
doppia fuga del Kyrie, serratissima e stringata, di carattere arcaico.
Arrigo Quattrocchi
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
n. 3. Dies Irae
Si tratta del numero musicale più vasto della partitura, diviso in sei sezioni
di"erenti (la cosiddetta "sequenza"). Le prime cinque sezioni sono state
composte da Mozart in forma abbreviata, ovvero con le parti corali e solistiche
complete, la linea del basso e alcune indicazioni di orchestrazione, più o meno
precise a seconda dei vari momenti. L'orchestrazione venne completata in un
primo momento da Joseph Eybler, quindi nuovamente realizzata da Süssmayer
sulla base del completamento di Eybler. Quanto alla sesta sezione,
"Lacrymosa", Mozart ne scrisse solamente le prime otto battute; il rimanente
venne completato da Süssmayer. Un appunto di un tema di fuga su un foglio
staccato suggerisce che Mozart aveva pensato di concludere tutta la sequenza
con una settima sezione, una fuga sull"'Amen"; una soluzione che venne però
scartata da Sussmayer, forse per la sua eccessiva di!coltà.
n. 4 O"ertorium
n. 8 Communio
Ancor più che nei primi due numeri, si palesa nel terzo, Dies Irae, una delle
caratteristiche più distintive del Requiem: il fatto che il contrappunto non sia
riservato a determinate sezioni della partitura, ma innervi nella sostanza gran
parte di essa; non a caso il ruolo dei solisti di canto è nettamente subordinato
rispetto al coro, e, pur nell'incompiutezza, la parte corale è su!ciente a
restituire la potenza della concezione. C'è poi, da parte dell'autore, la capacità
di avvicendare i vari momenti della partitura secondo una logica di contrasti
che segue un preciso percorso interno di evoluzione. Così la sequenza si
divide in sei sezioni, fra loro plasticamente contrapposte in quanto a scelte di
organico e contenuto espressivo; il Dies irae, interamente corale, è di impatto
massiccio; sintetico, drammatico, ricco di e"etti figurati ("tremor"). Il Tuba
mirum vede alternarsi i quattro solisti (basso, tenore, contralto e soprano), che
si uniscono solo al termine; ma l'e"etto folgorante è quello iniziale del
trombone solista, che dialoga con il basso evocando il giorno del giudizio. Il
Rex tremendae majestatis reca nettissima l'impronta di Händel, nell'alternanza
- poi sovrapposizione - dei ritmi puntati degli archi e della massa corale. Il
Recordare, nuovamente a!dato ai solisti, costruito secondo lo schema
ABA'CA", è innervato da imitazioni di carattere arcaico, cui conferiscono
fascino peculiare le scelte timbriche - non a caso l'introduzione strumentale è
tutta di mano di Mozart. Il Confutatis contrappone coro maschile e femminile
nelle immagini dei dannati e dei redenti. Le otto battute superstiti del
Lacrimosa si interrompono al vertice del "crescendo": la conclusione funzionale
di Süssmayer non compromette l'incanto so"erto della pagina.
Arrigo Quattrocchi
Fu nel luglio del 1791, quando cioè le sue condizioni materiali cominciavano a
diventar disperate e la salute stava già declmnndo, che Mozart ricevette
l'incarico di comporre il Requiem in circostanze che gli apparirono misteriose.
Un curioso signore vestito di nero, gli recò un giorno una lettera senza, firma,
in cui l'anonimo scrivente dopo aver tessuto le lodi del musicista gli chiedeva
se, e per quale prezzo, egli sarebbe stato disposto a scrivere una Messa
funebre. Mozart consentì per 50 ducati, senza accettare però una scadenza
fissa per la consegna. Qualche giorno dopo il misterioso messaggero tornò con
la somma richiesta, promise una maggiore a lavoro finito, assicurò il
compositore che aveva piena libertà di seguire il proprio gusto, ponendo come,
unica condizione che egli non cercasse mai di scoprire il nome del
committente. Lo strano modo in cui gii fu commissionato il Requiem
impressionò profondamente il musicista già ammalato e acuì tutti i
presentimenti di morte, che da tempo ormai soleva esprimere, fino al punto da
assumere l'aspetto d'una ossessionante idea fissa: per Mozart lo sconosciuto
non poteva essere che un inviato dall'al di là che gli ordinava di scrivere la sua
stessa Messa da Requiem. Il fatto che proprio nel momento in cui Mozart saliva
in carrozza per recarsi a Praga (dove lo chiamava, l'incarico di comporre La
clemenza di Tito) l'inquietante messaggero riapparve inaspettatamente per
sollecitare la composizione, del Requiem, non fece che ra"orzarlo nella sua
credenza.
Per rendersi conto della disposizione d'animo in cui lavorava, basta del resto,
leggere questo passo di una lettera indirizzata presumibilmente a Lorenzo da
Ponte: «A".mo.-Signore. Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi?
Ho il capo frastornato, conto a forza, e non posso levarmi dagli occhi
l'immagine di questo sconosciuto! Lo vedo di continuo, esso mi prega, mi
sollecita ed impaziente mi chiede il lavoro. Continuo perché il comporre mi
stanca meno del riposo. Altronde non ho più da temere. Lo sento a quel che
provo che l'ora suona; sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver
goduto del mio talento. La vita era pur sì bella, la carriera s'apriva sotto auspici
tanto fortunati, ma non si può cangiare il proprio destino. Nessuno misura i
propri giorni, bisogna rassegnarsi, ma sarà quel che piacerà alla provvidenza..
Termino ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto».
Comunque è da tener presente che il Süssmayer era stato uno dei più fedeli
allievi di Mozart e gli fu accanto, giorno per giorno, fino al momento della
morte. Pare che quando Mozart sentì che non sarebbe riuscito ormai a portare
a termine il Requiem, abbia dato a Süssmayer istruzioni orali su come
completare il lavoro, lasciandogli anche numerosi appunti, volanti. Süssmayer
conosceva perfettamente le intenzioni del Maestro e godeva la piena fiducia di
quest'ultimo tan'è vero che già in precedenza Mozart s'era fatto aiutare da lui
nella composizione della Clemenza di Tito: molte arie di quest'opera furono
orchestrate dal Süssmayer, il quale compose anche i recitativi secchi. La sua
elaborazione del Requiem presta certo il fianco a taluni dubbi e riserve, ma in
nessun caso essi arrivano a intaccare la solidità, del complessivo impianto
mozartiano e a compromettere la validità di quello che resta uno dei più grandi
capolavori della musica. Al Süssmayer va riconosciuto in ogni caso il merito di
aver reso possibile l'inserimento del Requiem nella vita musicale.
Questo inserimento avvenne presto nella Germania dei Nord e si verificò nel
resto del continente dopo una memorabile esecuzione che il Cherubini
promosse a Parigi nel 1804. Da allora il Requiem si confermò come uno dei
capolavori di maggior presa emotiva sugli ascoltatori. In cospetto del supremo
momento della morte il diretto rapporto espressivo tra la dolorosa esperienza
umana e la realtà sonora che nelle opere precedenti di Mozart era sovente
messo come tra parentesi, acquista una tragica, immediata evidenza. Non era
la prima volta che la meditazione sulla morte cui Mozart si abbandonava
spesso fin dall'adolescenza, trovava un riflesso nella sua musica. Già nella
Maurerìsche Trauermusik, scritta nel 1785 in occasione della morte di due
fratelli massoni, un tale riflesso si concreta nel modo più diretto. Ma in quel
lavoro lo sgomento della morte è attutito, se non dalla fede assoluta, da un
senso di sublime, solenne, rassegnazione. Nel Requiem, invece, fin
dell'«Exaudi » dell'Introito, la preghiera tende spesso a tramutarsi in ribellione
assumendo così accenti di profonda drammaticità. Una drammaticità che
risulta tanto più impressionante se la si proietta contro la sovrumana serenità
che il genio trasfiguratore di Mozart era riuscito a realizzare in quasi tutte le
sue musiche.
Non è che nel momento di comporre il Requiem, fosse venuta meno in Mozart
l'istanza trasfiguratrice, la necessità di superare nella sua arte le contingenze
della vita, di trovarvi oblìo e rifugio. Al contrario: questa necessità di evasione
era tanto fote nel composito moribondo, che nello stesso anno in cui scriveva
il proprio, lacerante canto funebre, egli dava voce ai moti d'animo,
candidamente fanciulleschi, che si estrinsecano per esempio nel «Valzerino
delle slitte» o in quello «del canarino». Nel Requiem stesso non mancano
momenti di rassegnata accettazione e di trasfigurata calma: Ma essi non
bastano a modificare il tragico significato di questo ultimo, dolente canto di
Mozart.
Roman Vlad
Grabmusik K 42
https://youtu.be/bFND5bGUYxM
https://youtu.be/9mNhtndKo44
https://youtu.be/sBHvp8wN8R0
Personaggi
L'opera
Parte prima
Ouverture
Recitativo: Popoli di Betulia (Ozia)
Aria #1: D'ogni colpa la colpa maggiore (Ozia)
Recitativo: E in che sperar? (Cabri, Amital)
Aria #2: Ma qual virtù non cede (Cabri)
Recitativo: Già le memorie antiche (Ozia, Cabri, Amital)
Aria #3: Non hai cor (Amital)
Recitativo: E qual pace sperate (Ozia, Amital, Coro)
Aria con il Coro #4: Pietà, se irato sei (Ozia, Coro)
Recitativo: Chi è costei che qual sorgente aurora (Cabri, Amital, Ozia,
Giuditta)
Aria #5: Del pari infeconda (Giuditta)
Recitativo: Oh saggia, oh santa (Ozia, Cabri, Giuditta)
Aria con il Coro #6: Pietà, se irato sei (Ozia, Coro)
Recitativo: Signor, Carmi a te viene (Cabri, Amital, Carmi, Ozia, Achior)
Aria #7: Terribile d'aspetto (Achior)
Recitativo: Ti consola, Achior (Ozia, Cabri, Achior, Giuditta)
Aria #8: Parto inerme, e non pavento (Giuditta)
Coro #9: Oh prodigio! Oh stupor! (Coro)
Parte seconda
https://youtu.be/Oncl2RU__5Y
https://youtu.be/tyB1zU0U9r0
https://youtu.be/lDeMcBAyquo
https://youtu.be/Idk5semjcco
Storia
Grazie ad un post scriptum che Mozart scrisse alla sorella in calce ad una
lettera del padre del 16 gennaio 1773, si sa che questo mottetto venne
eseguito per la prima volta il 17 gennaio 1773 nel convento dei Teatini a
Milano, che aveva sede presso la chiesa di Sant'Antonio Abate con Venanzio
Rauzzini.
Descrizione
Sebbene non sia una composizione di grandi proporzioni, essa è ritenuta fra i
massimi esempi di musica vocale del giovane Mozart, appena diciassettenne.
Testo
«Exsultate, jubilate,
o vos animae beatae,
dulcia cantica canendo;
cantui vestro respondendo,
psallant aethera cum me.
Tu virginum corona,
tu nobis pacem dona,
tu consolare a"ectus,
unde suspirat cor.
Alleluja!»
«Esultate, giubilate,
o voi anime beate,
cantando dolci canti;
rispondendo al vostro canto
i cieli risuonino con me.
Alleluia!»
https://youtu.be/5-3oXwEN570
Attribuzione incerta
Fabrizio Scipioni
https://youtu.be/KAOpg_CCgpM
https://youtu.be/jPOHTkX8qzU
https://youtu.be/r0fjpIwk55M
I Vesperae K. 339, scritti nel 1780 in occasione della solennità liturgica di non
si sa bene quale Santo confessore (ossia, in altri termini, di un martire della
Fede) sono l'ultimo lavoro chiesastico composto da Mozart al servizio
dell'Arcivescovo di Salisburgo. Ciò non significa solamente che, con tale opera,
viene praticamente a cessare ogni rapporto, diremo così, u!ciale di Mozart
con la Chiesa cattolica e la sua liturgia: le rare, ma grandissime musiche sacre
che seguiranno durante il decennio viennese - la Grande Messa in do minore,
l'Ave Verum, il Requiem - nasceranno infatti come adempimento di un voto,
come omaggio amichevole o per discreto incarico di un committente privato;
non mai dietro richiesta dell'u!cialità chiesastica facente capo alla Cappella di
Corte o a Santo Stefano. La fine della servitù salisburghese significò per Mozart
l'inizio di un nuovo modo di concepire la musica religiosa, strettamente
connesso con l'emancipazione dell'uomo, da musico salariato a libero artista.
Pur prendendo forma nell'ambito di una tradizione storica assai chiaramente
determinabile, quella della musica da chiesa concertata di tipo post-barocco,
di"usa nell'Europa cattolica centro-meridionale, la nuova musica sacra
mozartiana reca un'impronta tanto indipendente e personale, un'aspirazione
tanto soggettiva da sradicarla definitivamente dai tranquilli filari della
produzione chiesastica di consumo, tipica dei Michael Haydn, degli Eberlin, dei
Salieri e dello stesso Mozart degli anni salisburghesi.
Il decennio 1770 è anche quello che vede nascere la quasi totalità della
produzione sacra di Mozart, rivolta al servizio liturgico della corte
salisburghese. Fra il 1769 e il 1780 videro la luce a Salisburgo ben tredici
Messe oltre a quattro Litanie, due Vespri e altri lavori minori. Un gruppo di
opere che, pur nella diversità delle singole partiture, appare nel complesso
estremamente omogeneo, segnato cioè da caratteristiche costanti, e non senza
motivo. La musica sacra era infatti, fra tutti i generi musicali, quello più
rigidamente condizionato da una serie di regole e convenzioni non scritte, ma
imposte dai valori "eterni" della religione, e dunque sostanzialmente
"conservatrici". Ecco quindi che la libera fantasia dell'autore era tenuta a
confrontarsi, nel genere sacro più che in altri generi, da fattori eterogenei e
talvolta anche conflittuali fra loro; il gusto corrente dell'epoca, la tradizione
locale, le precise indicazioni dell'arcivescovo in carica.
Nel secolo XVIII Salisburgo era, con Vienna, il principale centro della musica
sacra austriaca, come del resto si conveniva alla sede di una corte
arcivescovile. Naturalmente anche la cittadina sulla Salzach si era adeguata in
campo "sacro" a quel particolarissimo stile che, nato a Napoli, si era ben presto
di"uso in tutta Europa, arrivando a dettar legge anche in tradizioni
lontanissime: il cosiddetto "stilus mixtus", che ammetteva la compresenza,
all'interno della stessa composizione sacra, di pagine apertamente profane ed
edonistiche e di pagine improntate al severo stile contrappuntistico di matrice
palestriniana. Da una parte l'opera sacra veniva divisa, come un libretto
d'opera, in arie, concertati e brani corali, in cui era ben presente il gusto del
contemporaneo teatro musicale; era questo il modo per far sentire ben viva e
attuale la religione. Dall'altra parte in particolari punti del testo liturgico era
obbligatorio l'impiego del rigoroso intreccio contrappuntistico fra le parti
vocali, ispirato ai modelli della polifonia controriformistica, di cui Giovanni
Pierluigi da Paestrina fu il massimo esponente; come dire che il sacro si
richiamava anche a valori eterni e immutabili.
Mozart era tornato nel gennaio 1779 a Salisburgo dal lungo e avvilente viaggio
a Mannheim e Parigi; l'obiettivo di trovare una prestigiosa collocazione al di
fuori della città natale era andato deluso. Subito era stato riassunto da
Colloredo con l'incarico di organista di corte, che gli imponeva di suonare nella
cattedrale, a corte e nella cappella, di comporre quanto gli veniva richiesto e di
istruire i fanciulli cantori.
Nel contesto di tali incarichi nascono dunque due importanti Messe - la Messa
cosiddetta "dell'incoronazione" K. 317 e la Missa solemnis K. 337 - e, come
contraltare, due complete intonazioni dei Vespri, le Vesperae de Dominica K.
321 e le Vesperae Solemnes de Confessore K. 339. Tutti questi lavori si
ispirano ai medesimi precetti di stringatezza e cordialità espressiva imposti da
Colloredo, ma le Messe mostrano una intonazione meno seria e chiesastica,
più apertamente operistica e con un uso meno severo del contrappunto.
Non sono note le occasioni per cui furono scritti i due cicli dei Vespri (il
secondo nasce per celebrare un santo non vescovo, confessore della fede), che
avevano ovviamente destinazione liturgica e si basavano sugli stessi sei testi:
cinque Salmi della Vulgata, dal carattere laudativo e propiziatorio (più
precisamente Dixit Dominus, n. 109; Confitebor, n. 110; Beatus Vir, n. 11;
Laudate Pueri, n. 112; Laudate Dominum, n. 116); più il testo del Magnificat
(Luca, I: 46-56).
Tutto ciò potrebbe o"rire l'impressione di una certa aridità creativa di questo
Mozart sacro, in cui ben arduo deve essere stato per il compositore il
districarsi in questo letto di Procuste imposto dalla tradizione. Nulla di più
fallace, perché è proprio nella libertà creativa nata dal rispetto delle regole
consacrate che possiamo cogliere l'altezza dell'ingegno dell'autore
ventiquattrenne. Come ha scritto Alfred Einstein "Chi non conosce queste
composizioni non può asserire di conoscere Mozart".
Non a caso ben di"erenti sono i due cicli; le Vesperae Solemnes de Confessore
si sviluppano in direzione di un maggiore decorativismo rispetto alle Vesperae
de Dominica (peculiare è anche il percorso tonale: Do maggiore, Mi bemolle
maggiore, Sol Maggiore, Re Minore, Fa Maggiore, Do Maggiore). In K. 339 i
primi tre Salmi, nella loro atmosfera festosa e solenne, sono improntati a una
polifonia di facile scrittura, nella quale si inseriscono agevolmente gli interventi
solistici; la forma è, per ciascuna pagina, quella di un libero rondò, in cui idee
principali si alternano con idee secondarie, secondo una libera combinazione,
nell'assenza di una vera e propria elaborazione tematica. Il Dixit ha attacco
perentorio e una conduzione quasi esclusivamente corale; i solisti entrano solo
al "Gloria Patri". Il Confitebor (dove tacciono trombe e timpani, come nei due
brani seguenti) vede invece aerei dialoghi e intrecci fra i solisti. Il Beatus vir
accoglie anche un lungo vocalizzo in terzine del soprano, e un uso misurato
dell'elemento contrappuntistico.
Fortissimo il trapasso imposto dal Laudate Pueri; abbiamo qui in tutto e per
tutto un brano in stile severo, dove le voci corali si inseguono in un serrato
contrappunto, salvo un piccolo passaggio omofonico. La tonalità minore,
l'assenza dei solisti e la scelta di un antico soggetto di fuga (con il salto di
settima diminuita, che Mozart reimpiegherà nel Kyrie del Requiem)
attribuiscono alla pagina il suo fascino arcaicizzante. Nuovo trapasso è quello
del Laudate Dominum; ci troviamo di fronte qui a una vera e propria aria per
soprano, nel ritmo cullante di 6/8 e con una strumentazione peculiare (archi,
organo e fagotto ad libitum). La melodia del soprano, calata in una incantevole
ambientazione espressiva, viene ripresa poi dal coro, e la voce solista ritorna
infine nella coda. Il Magnificat si riallaccia all'impostazione dei tre salmi iniziali;
a una breve introduzione in Adagio del coro succede un Allegro in cui il
gruppo dei solisti si contrappone al coro, e il soprano ha spesso la funzione di
corifea. Assistiamo, in qualche modo, a un esito tipico della religiosità
cattolica, per cui il gusto fastoso e decorativo celebra, secondo "a"etti"
paradigmatici, il trionfo dell'apparato liturgico.
Arrigo Quattrocchi
https://youtu.be/CvVjJDc4x2c
Val la pena riportare il commento come sempre attento e puntuale di uno dei
massimi studiosi mozartiani, Paumgartner, che a"ermava: "Il tono grave e
solenne, le sonorità da una 'unica' emozione artistica, danno a quest'opera un
posto eminente nella produzione liturgica del Maestro, collocandola non
lontano dal Requiem".
https://youtu.be/6KUDs8KJc_c
https://youtu.be/9ROefJj7i5I
Pëtr Il'ič Čajkovskij rielaborò questo celebre mottetto nella preghiera che
costituisce il terzo movimento della Suite n. 4, op. 61, nota - non a caso -
come Mozartiana.
L'Ave Verum Corpus K. 618 è un breve mottetto per coro e strumenti (archi e
organo) scritto da Mozart nell'estate del 1791 - per l'esattezza l'autografo reca
la data del 17 giugno - a Baden, dove aveva raggiunto la moglie Constanze
impegnata nelle cure termali. All'origine della composizione si pone un debito
contratto con l'amico Anton Stoll, che dirigeva il coro locale; per sdebitarsi
Mozart dedicò l'Ave Verum a Stoll, perché fosse eseguito nella chiesa
parrocchiale di Baden nel corso delle cerimonie celebrative dalla festa del
Corpus Domini. Certamente l'importanza del brano si spinge molto oltre quello
che le esigue dimensioni lascerebbero supporre; infatti l'Ave Verum è una delle
pochissime composizioni di musica sacra che Mozart abbia scritto negli ultimi
anni di vita, insieme alla Messa in do minore K. 427/417a e al Requiem K. 626
(partiture, queste rimaste entrambe incompiute).
Arrigo Quattrocchi
Testo
Sinfonie
https://youtu.be/7Tx5HsmNEpQ
https://youtu.be/-cmdtGUtVhs
https://youtu.be/sjTLIW-qx_A
https://youtu.be/x8F1ThI9KSg
https://youtu.be/rFY6Y9BChgY
Storia
La sinfonia venne scritta a Londra durante il Grand Tour della famiglia Mozart.
Durante l'estate del 1764, la famiglia dovette trasferirsi a Chelsea a causa di
un'infezione alla gola che aveva colpito il padre Leopold Mozart. Sull'edificio al
numero 180 di Ebury Street (attualmente inglobato nel borough di
Westminster), dove la sinfonia fu scritta, è stata posta una targa
commemorativa.
La sinfonia mostra chiaramente gli influssi di due autori molto noti a Londra in
quel tempo: Johann Christian Bach e Karl Friedrich Abel. Soprattutto Bach può
essere considerato il secondo maestro di Mozart e certamente un musicista
capace di apportare alla formazione del giovane quei contenuti che Leopold
Mozart, il padre del bambino, non possedeva.
Il primo movimento, un allegro molto, parte con tre battute frizzanti che sono
basate sulla tonalità di impianto della sinfonia. Dopo una pausa segue una
risposta che si concluderà nella stessa tonalità. Uno sviluppo quindi già molto
personale.
Mozart compose la sua prima Sinfonia K. 16 tra la fine del 1764 e l'inizio del
1765 a Londra, dove il piccolo Wolfgang - ha solo nove anni - stringe amicizia
con il figlio di Bach, Johann Christian, stimato come direttore d'opera e
sinfonista. Soprannominato "il milanese" per il lungo soggiorno nella città
lombarda, Johann Christian prese a modello il tipo di sinfonia all'italiana e
specie quella di Sammartini, che era concepita come una forma strumentale in
tre brevi movimenti: un adagio racchiuso fra due movimenti, il primo dei quali
di respiro abbastanza ampio e l'ultimo modellato su una danza. Questo genere
di composizione era una filiazione diretta dell'introduzione strumentale
operistica, molto di"usa in Italia sin dal principio del Settecento, e continuò a
chiamarsi sinfonia anche durante l'Ottocento, mentre altrove assunse il nome
anche di ouverture. Non va dimenticato inoltre che la derivazione operistica
aveva conferito alla sinfonia alcuni caratteri tipici: scorrevolezza ritmica e
invenzione melodica di scintillante vivacità. Quest'ultimo era forse l'aspetto più
rilevante della sinfonia, in quanto per la prima volta veniva trasferita nel campo
strumentale la freschezza melodica dell'opera bu"a napoletana, ritenuta una
esperienza di portata storica nel campo della musica. C'è poi una seconda
osservazione da fare, relativa alla destinazione di queste prime sinfonie: esse
venivano eseguite in apertura e chiusura di concerti i cui pezzi forti erano
costituiti dalla esibizione di solisti, cantanti o strumentisti, conservando così la
fisionomia originaria di musica d'introduzione.
Il primo gruppo delle sinfonie di Mozart, così come le prime sinfonie di Haydn
- che iniziò a scriverne intorno al 1759, soltanto 5 o 6 anni prima di Mozart -
sono concepite secondo questo schema d'impostazione generalmente definito
italiano. Ma ben presto in terra tedesca tale modello italiano subisce delle
trasformazioni, dettate da una diversa struttura dell'organismo orchestrale. Sia
Haydn ad Esterhàzy che Mozart a Mannheim si trovarono di fronte a orchestre
di dimensioni più ampie di quelle italiane, fornite di una più evoluta tecnica
individuale e di una più severa disciplina di gruppo. Queste orchestre erano
quindi in grado di produrre un volume di suono più robusto, di creare contrasti
di sonorità più evidenti e un fraseggio più espressivo. Il discorso sinfonico
diventava in tal modo più complesso e non era a!dato soltanto ad una
successione di brillanti trovate melodiche, ma ad una tematica più elaborata e
giocata sulla diversità delle modulazioni. In tal modo la forma sinfonica
risultava ampliata, sia allungando sensibilmente i singoli movimenti, specie il
primo, e sia aggiungendo un quarto tempo, cioè un Minuetto o uno Scherzo,
fra l'Adagio e il Finale. Così la Sinfonia non è più semplice introduzione ad una
esibizione di solisti, ma diventa il corpus centrale di un programma.
Ennio Melchiorre
https://youtu.be/61v2N-LMC5w
Struttura
https://youtu.be/ukImpxbXm78
Storia
Struttura
Allegro
Andante
Presto
Sinfonia n. 4 in Re maggiore K 19
https://youtu.be/FcP2xiMTUQc
Storia
Struttura
Allegro, 4/4
Andante, 2/4
Presto, ⅜
https://youtu.be/lzicvVsKrRk
Struttura
Allegro, 4/4
Andante, 2/4
Allegro molto, 3/8
Mozart compose la sua prima Sinfonia K. 16 tra la fine del 1764 e l'inizio del
1765 a Londra, dove il piccolo Wolfgang - ha solo nove anni - stringe amicizia
con un figlio di Bach, Johann Christian, stimato come direttore d'opera e
sinfonista. Soprannominato «il milanese» per il lungo soggiorno nella cita
lombarda, Johann Christian prese a modello il tipo di sinfonia all'italiana e
specie quella di Sammartini, che era concepita come una forma strumentale in
tre brevi movimenti: un adagio racchiuso fra due movimenti, il primo dei quali
di respiro abbastanza ampio e l'ultimo modellato su una danza. Questo genere
di composizione era una filiazione diretta dell'introduzione strumentale
operistica, molto di"usa in Italia sin dal principio del Settecento, e continuò a
chiamarsi sinfonia anche durante l'Ottocento, mentre altrove assunse il nome
di ouverture. Non va dimenticato inoltre che la derivazione operistica aveva
conferito alla sinfonia alcuni caratteri tipici: scorrevolezza ritmica e invenzione
melodica di scintillante vivacità. Quest'ultimo era forse l'aspetto più rilevante
della sinfonia, in quanto per la prima volta veniva trasferita nel campo
strumentale la freschezza melodica dell'opera bu"a napoletana, ritenuta una
esperienza di portata storica nel campo della musica. C'è poi una seconda
osservazione da fare, relativa alla destinazione di queste prime sinfonie: esse
venivano eseguite in apertura e chiusura di concerti, i cui pezzi forti erano
costituiti dalla esibizione di solisti, cantanti o strumentisti, conservando così la
fisionomia originaria di musica d'introduzione.
Il primo gruppo delle sinfonie di Mozart, così come le prime sinfonie di Haydn
- che iniziò a scriverne intorno al 1759, soltanto 5 o 6 anni prima di Mozart -
sono concepite secondo questo schema d'impostazione generalmente definito
italiano. Ma ben presto in terra tedesca tale modello italiano subisce delle
trasformazioni, dettate da una diversa struttura dell'organismo orchestrale. Sia
Haydn ad Esterhàz che Mozart a Mannheim si trovarono di fronte a orchestre di
dimensioni più ampie di quelle italiane, fornite di una più evoluta tecnica
individuale e di una più severa disciplina di gruppo. Queste orchestre erano
quindi in grado di produrre un volume di suono più robusto, di creare contrasti
di sonorità più evidenti e un fraseggio più espressivo. Il discorso sinfonico
diventava in tal modo più complesso e non era a!dato soltanto ad una
successione di brillanti trovate melodiche, ma ad una tematica più elaborata e
giocata sulla diversità delle modulazioni. In tal modo la forma sinfonica
risultava ampliata, sia allungando sensibilmente i singoli movimenti, specie il
primo, e sia aggiungendo un quarto tempo, cioè un Minuetto o uno Scherzo,
fra l'Adagio e il Finale. Così la sinfonia non è più semplice introduzione ad una
esibizione di solisti, ma diventa il corpus centrale di un programma.
https://youtu.be/wGb0j-xUd-Q
Struttura
Allegro, 4/4
Andante, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4
Allegro, 6/8
I modelli galanti di Johann Christian Bach, seguiti per i primi esperimenti nel
genere sinfonico, dovettero già apparire insoddisfacenti all'undicenne Mozart il
quale, scrivendo a Vienna, verso la fine del 1767, la sua ottava Sinfonia nella
tonalità di fa maggiore, si rivela decisamente suggestionato dalle «novità» che
proprio in quegli anni Esterhàza rivelava all'Europa musicale, per mezzo degli
editori parigini Bailleux e Bérault o le copie manoscritte circolanti negli archivi.
Relegato nella piccola Versailles magiara a produrre quartetti, sonate e sinfonie
che avrebbero mutato volto e cammino alla musica, Haydn ignorava che un
ragazzo stava già seguendo le sue orme in modo coerente e insieme
improntato alla più grande autonomia. La Sinfonia K. 43 è tra le prime di
Mozart ad adottare i quattro movimenti che saranno tipici dell'architettura
classica, abbandonando il vecchio trittico (un Adagio o Andante incorniciato fra
due Allegri) caro al sinfonismo galante italiano, e in seguito sporadicamente
ripreso dal giovane musicista. Più densa e robusta vi appare la scrittura
orchestrale, che adotta il sistematico sdoppiamento della parte delle viole:
procedimento, questo, in verità, più che haydniano, napoletano, di una
«napoletanità» dall'aulica e dotta impronta barocca alla Jommelli, l'autore per il
quale il ragazzo di Salisburgo più tardi manifesterà sensi di annoiata
ammirazione. Italiani rimangono ancora il tema marziale del primo tempo e
quello di giga del finale, anche se entrambi forzati a insoliti e punto italiani
processi elaborativi. Palese è infine l'aspirazione complessiva all'impegnativo,
che ha come rovescio della medaglia il provvisorio appannarsi dell'angelica
freschezza infantile; seriosità cui Mozart tenta di ovviare dettando un Andante
dalle movenze addirittura frivole, quasi un tempo di divertimento o di
serenata.
Giorgio Graziosi
Sinfonia n. 7 in Re maggiore K 45
https://youtu.be/ABOle_eSq9c
Storia
Struttura
Nella versione originale (K. 45) l'organico previsto era costituito da due oboi,
due corni, fagotto, due trombe, timpani, archi e basso continuo. Nell'ouverture
sinfonica (K. 46a), invece, le trombe sono sostituite con i flauti, viene aggiunta
un'altra parte per fagotto e la parte per timpani è soppressa.
Allegro, 4/4
Andante, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4 (Questo movimento non è presente nella versione a
"ouverture")
Molto allegro, 2/4
Rappresentazioni
Sinfonia n. 8 in Re maggiore K 48
https://youtu.be/LauR02k8YcY
Struttura
L'organico prevede due oboi, due corni, due trombe, timpani e archi. La
presenza delle trombe e dei timpani è inusuale per le sinfonie giovanili di
Mozart. La sinfonia è stata descritta come "opera cerimoniale".
Allegro, 3/4
Andante, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4
Molto allegro, 12/8
Il primo movimento inizia con note discendenti dei violini, seguite da rapide
scale. Queste figure sono alternativamente create dagli archi e dai fiati.
L'Andante è suonato solo dagli archi e inizia con uno stretto intervallo
melodico che si espande verso la fine.
Il movimento finale è una giga, il cui tema principale non termina la sinfonia
come invece sarebbe usuale.
Sinfonia n. 9 in Do maggiore K 73
https://youtu.be/IOM-z0n6WqQ
Storia
Struttura
La sinfonia è stata scritta per un organico composto da due oboi, due corni,
due flauti, fagotto, due trombe, timpani, clavicembalo e archi.
https://youtu.be/6e0n1TA69_M
Struttura
La sinfonia è stata composta per due oboi, due corni e archi. Il tempo medio di
esecuzione è di circa 9 minuti.
Cesare Fertonani
Sinfonia n. 11 in Re maggiore K 84
https://youtu.be/8wMBRkvQQqE
Struttura
I movimenti sono:
Allegro, 4/4
Andante, 3/8
Allegro, 2/4
Cesare Fertonani
https://youtu.be/QVefx24UHSM
La strumentazione consiste in: due oboi, due corni, due fagotto, due flauti,
archi e basso continuo.
1. Allegro, 3/4
2. Andante, 2/2
3. Minuetto e Trio, 3/4
4. Allegro, 2/4
Il Minuetto presenta un canone tra gli archi, con intervallo di una singola
battuta. È abbastanza probabile che Mozart avesse attinto questa tecnica dalla
sinfonia n. 23 di Joseph Haydn del 1764 (anch'essa in Sol maggiore).
https://youtu.be/mfVWOcOWn84
Struttura
L'organico prevede: due oboi, due corni, due fagotto, archi, basso continuo
Allegro, 3/4
Andante, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4
Molto Allegro, 3/8
Prima esecuzione
È probabile che la prima esecuzione si sia tenuta durante un concerto in cui si
esibirono Leopold e Wolfgang Amadeus nella residenza di Albert Michael von
Mayr, il 22 o 23 settembre 1771. Lo stesso concerto potrebbe aver visto la
prima della sinfonia n. 12. Altre fonti danno la prima assoluta l'8 novembre
nella residenza del conte Carlo Giuseppe di Firmian alla presenza di Johann
Adolf Hasse.
Cesare Fertonani
https://youtu.be/eIBO-QB-a8s
Struttura
L'organico previsto è composto da due flauti, due oboi, due corni e archi.
Una nota apposta sulla partitura autografa fa supporre che tale opera sia stata
scritta per un evento religioso, organizzato probabilmente per il nuovo
arcivescovo, Hieronymus von Colloredo.
Struttura
Allegro, 3/4
Andante (in Do maggiore), 2/4
Minuetto e Trio (trio in Re maggiore), 3/4
Presto, 2/4
https://youtu.be/usgl_hq5ezM
La Sinfonia n. 16 in Do maggiore K 128 è la prima delle tre sinfonie composte
da Wolfgang Amadeus Mozart nel maggio 1772, a cavallo tra il secondo e il
terzo viaggio del compositore in Italia.
Struttura
L'organico previsto è composto da due parti per oboi, due per corni, e quelle
per gli archi.
Gli oboi e i corni sono totalmente assenti nel secondo movimento, che risulta
ancora una volta scritto nella forma sonata, stavolta solo per archi. Gli aerofoni
tornano tuttavia nel terzo movimento, in Do maggiore, costituito da una
gioiosa danza in una forma alterata di rondò che presenta una coda finale.
https://youtu.be/f5p-4sKO-0I
Allegro, 4/4
Andante, 2/4
Allegro, 3/8
Da notare nel primo movimento l'uso del crescendo di Mannheim, mentre nel
secondo è presente una sola parte per violino al posto delle canoniche due.
https://youtu.be/-8rDmCyq9ko
Struttura
La sinfonia prevede una strumentazione per due flauti, quattro corni e archi.
Non sono presenti parti per oboi in quest'opera, essendo stati rimpiazzati dai
flauti per la prima volta in una sinfonia di Mozart. È presente invece un
secondo paio di corni nel primo e nel secondo movimento: ciò rappresenta una
rarità nel repertorio del compositore.
Allegro, 4/4
Andantino grazioso, 3/8
Minuetto e Trio, 3/4
Allegro molto, 4/4
https://youtu.be/47-YsXEUE_s
Struttura
La sinfonia prevede un organico di due oboi, quattro corni (due dei quali
suonano unicamente in Mi bemolle maggiore), e archi.
Allegro, 4/4
Andante, 3/8
Minuetto e Trio, 3/4
Allegro, 2/2
Il primo movimento si apre con un tema che Mozart userà in seguito all'inizio
del Concerto per pianoforte e orchestra n. 22, scritto nella stessa tonalità.
L'esposizione è breve e non presenta ripetizioni. Lo sviluppo, d'altra parte, si
concentra su temi diversi.
https://youtu.be/peUtaeCbmcg
La Sinfonia n. 20 in Re maggiore K 133 fu composta dal sedicenne Wolfgang
Amadeus Mozart nel luglio del 1772. La sinfonia è una delle tante scritte
durante la permanenza di Mozart a Salisburgo, a cavallo tra il secondo e terzo
viaggio in Italia.
Struttura
Rispetto alle altre sinfonie dello stesso periodo, la partitura risulta essere
stravagante, prevedendo l'utilizzo di due trombe e un flauto in aggiunta ai
canonici oboi, corni e archi. La tonalità in Re maggiore, spesso usata per
composizioni cerimoniali, si adatta bene alla presenza degli ottoni.
Allegro
Andante
Nel secondo movimento, in La maggiore e metro 2/4, sono attivi solo gli
archi e un solo flauto, che generalmente raddoppia il suono del primo violino,
un'ottava sopra. I violini suonano in sordina per tutta la durata del movimento,
mentre il basso adopera uno stile pizzicato. Queste caratteristiche, nel loro
complesso, forniscono al brano un'aria delicata.
Minuetto e Trio
https://youtu.be/RoDNg3nFnn4
Struttura
Allegro, 3/4
Andante, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4
Allegro, 2/2
La Sinfonia n. 21 K. 134 fu composta nell'agosto del 1772, alla vigilia del terzo
e ultimo viaggio di Mozart in Italia. Dopo aver percorso da bambino l'Europa
centrale, la Francia, l'Olanda e l'Inghilterra, Mozart era stato scritturato nel
1770 dal Teatro Ducale di Milano per comporre l'opera Mitridate, re di Ponto.
Era ritornato a Milano nel 1771 con la commissione della serenata teatrale
Ascanio in Alba su testo di Giuseppe Parini e avrebbe valicato nuovamente le
Alpi nell'ottobre del 1772 per mettere in scena al Teatro Ducale il Lucio Silla.
Essendo nato nel gennaio del 1756, nell'autunno del 1772 Mozart stava per
compiere i sedici anni e il suo ambiziosissimo padre Leopold, che lo seguiva
ovunque facendogli da non disinteressato manager, riteneva che dopo essere
stato universalmente ammirato come fanciullo-prodigio il suo prodigioso
figliolo fosse pronto per assumere un incarico u!ciale in una corte,
sistemando in tal modo e se stesso e la sua famiglia. Un incarico u!ciale,
dicevo, cioè la titolarità di una cappella: maestro di cappella. Ed essendo
austriaco e godendo di amicizie - o supposte tali - anche alla corte di Vienna,
Leopold Mozart giocò le sue carte sui due tavoli, sulla roulette di Milano dove
governava un figlio dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, e sulla roulette di
Firenze, dove un altro figlio dell'imperatrice occupava il trono granducale.
Nel corso di due anni l'orizzonte radioso era dunque diventato plumbeo. Ma
nelle tre Sinfonie dell'estate 1772 si respira a pieni polmoni la gioia dell'attesa,
la fiducia nell'avvenire. Le prime due Sinfonie recano l'annotazione autografa
"Sinfonia del Sgr. Cavaliere Amadeo Wolfgango Mozart nel luglio 1772 a
Salisburgo", nella terza l'annotazione diventa "Sinfonia del Sgr. Caval. Amadeo
Wolfg. Mozart in Salisburgo nel Agosto 1772". Già, Mozart era cavaliere,
Cavaliere dello Speron d'oro. L'onorificenza gli era stata concessa dal Papa
durante il primo viaggio in Italia, e Mozart ci teneva, al titolo, anche se gli
autografi delle sue Sinfonie non erano destinati alla stampa e sarebbero rimasti
a dormire fra le sue carte per molti e molti anni. La strumentazione della Prima
Sinfonia prevede due oboi, quattro corni, primi e secondi violini, prime e
seconde viole, violoncelli e contrabbassi, quella della Seconda due oboi, due
corni, due trombe, flauto solista nel secondo movimento, violini primi e
secondi, viole, violoncelli e contrabbassi, quella della Terza due flauti, due
corni, violini primi e secondi, viole, violoncelli e contrabbassi.
Piero Rattalino
Sinfonia n. 22 in Do maggiore K 162
https://youtu.be/NMoeeW0iafY
L'organico previsto è composto da due oboi, due corni, due trombe e archi.
https://youtu.be/IZzJihF2TOE
Struttura
Rientrato dal terzo e ultimo viaggio in Italia nel marzo 1773, Mozart si
trattenne a Salisburgo fino all'inizio dell'estate, quando partì alla volta di
Vienna. Le esperienze internazionali, che tanto avevano giovato alla
formazione del ragazzo, ponendolo in contatto con tutte le principali realtà
europee, avevano anche sortito l'e"etto di rendere il giovane Mozart
inso"erente verso la vita musicale salisburghese, che gli appariva provinciale.
Di qui gli attriti con l'arcivescovo Colloredo e i ripetuti tentativi di evasione
dalla città natale. Logico comunque che i periodi trascorsi a Salisburgo fra
un'esperienza di viaggio e l'altra fossero impiegati prevalentemente nel
tentativo di mettere a frutto le acquisizioni del viaggio appena concluso,
riplasmate, ovviamente, in uno stile personale.
Questo avviene ancora con le quattro Sinfonie scritte nei mesi primaverili del
1773, partiture in cui per l'ultima volta Mozart si mostra sostanzialmente
incline al gusto italiano e quindi a uno stile sinfonico elegante ma risolto nel
segno di una brillante sintesi. A partire dall'inverno seguente un nuovo ciclo
sinfonico - che annovera capolavori come le Sinfonie K. 201 e K. 183 - doveva
segnare una svolta, in direzione di una finezza di scrittura e di un contenuto
sentimentale, spesso interpretati come una autentica crisi Sturm und Drang.
Eppure le Sinfonie della primavera 1773 - K. 184, K. 199, K. 162 e K. 181 -
sono ancora lontane da questa svolta, e mostrano invece un carattere ancora
apertamente "italianista", che si esplica anche nella articolazione in tre nitidi e
brillanti movimenti. Tanto che si è ipotizzato che la loro stesura sia ascrivibile
a una commissione di qualche mecenate italiano.
Arrigo Quattrocchi
Ritornato a Salisburgo nella primavera del 1773 dal suo terzo e ultimo viaggio
in Italia, Mozart scrive su ordinazione la Sinfonia in re K. 181, e altre tre
sinfonie-ouvertures, così dagli studiosi generalmente indicate per il loro
carattere stilistico e formale. Ossia sinfonie disposte su tre movimenti che però
si susseguono senza interruzione e dove lo sviluppo non è che una breve
transizione ripresa anche dopo la seconda parte; ed erano non di rado
impiegate come vere e proprie ouvertures teatrali. A di"erenza della
precedente Sinfonia in mi bemolle K. 184 di tono romantico, la Sinfonia in re è
tutta animata di sentimenti quanto mai semplici e ingenui, «senz'altra
intenzione che di elaborare ingegnosamente idee musicali più o meno
improntate al repertorio drammatico italiano», aggiungono Wyzewa e Saint-
Foix. Vi si riscontra in più un vivace gusto strumentale riattinto all'ambiente
salisburghese e del quale sono esempi il dialogo fiati-archi dell'Allegro
spiritoso (con il ruolo di primo piano a!dato ai due oboi) e la
contrapposizione, nell'Andantino grazioso, tra melodia, variata, dell'oboe e la
stessa, invariata, degli archi.
Il Presto assai è un rondò il cui tema suona come una di quelle marce tedesche
che Mozart introdurrà volentieri nelle sue opere comiche.
Giorgio Graziosi
https://youtu.be/qVLwwhd3aU8
La Sinfonia n. 24 in Si bemolle maggiore K 182 è una composizione di
Wolfgang Amadeus Mozart, ultimata a Salisburgo il 3 ottobre 1773.
In Italia per la terza volta dal 24 ottobre 1772 al 13 marzo 1773 (dopo i due
primi soggiorni tra il 1769 ed il 1771), Leopold e Wolfgang erano per la prima
volta sfuggiti al dominio del nuovo arcivescovo di Salisburgo, Hieronymus
conte di Colloredo, il quale dopo la morte del precedente arcivescovo, il mite
Sigismund von Schrattenbach, aveva posto sotto un tallone di ferro i suoi
"dipendenti" (Mozart era il Konzertmeister della corte), e speravano in un
possibile trasferimento della loro famiglia nel paese della musica, in lidi a loro
più favorevoli come Milano o forse Firenze. Nulla di tutto ciò avvenne, ed il
ritorno in patria non fu semplice. Ecco quindi, tra il maggio e l'ottobre dello
stesso anno, una nuova ed immediata fuga dei due Mozart da Salisburgo con
destinazione Vienna, città in cui il diciassettenne Wolfgang ebbe modo di
ascoltare con attenzione gli ultimi esiti haydniani. Al ritorno da Vienna Mozart
attese immediatamente alla composizione delle sinfonie K. 182 (3 ottobre) e K.
183 (5 ottobre), due lavori che si distinguono fortemente fra loro sia per
struttura che per contenuti, e dimostrano con evidenza quella capacità di
Mozart di far crescere e trasformare il proprio genio assorbendo e
rielaborando quanto conosciuto ed appreso nel corso dei suoi viaggi fuori dai
confini musicalmente sonnacchiosi di Salisburgo. La Sinfonia K. 182 propone
infatti gli ultimi echi di uno stile galante fortemente italianizzato, mentre nella
K. 183 si avvertono i primi accenni del prossimo sinfonismo mozartiano, in cui
l'autore depura il suo linguaggio dagli stilemi italiani per mantenere della
Componente italiana la fondamentale lezione melodica, coniugandola
all'interno di una sintassi tedesca fatta di ricchezza del tessuto
contrappuntistico, robustezza strumentale nell'orchestrazione e personalità
nell'invenzione tematica.
***
Forse scritta per un committente italiano, la Sinfonia in si bemolle maggiore K.
182 è suddivisa in tre movimenti: Allegro spiritoso, Andantino grazioso,
Allegro. Di breve respiro nel suo complesso, la struttura tripartita, mutuata
dallo stile italiano dell'ouverture d'opera, rivela all'ascoltatore una disposizione
asimmetrica nelle durate dei singoli movimenti, con un'accorciamento dei
tempi dal primo all'ultimo (l'Allegro dura un terzo dell'Allegro spiritoso, mentre
l'Andantino è lungo un terzo dell'Allegro iniziale ed il doppio di quello finale)
che dà all'ascoltatore un senso di vertiginosa accellerazione verso la
conclusione dell'intera composizione a cui si giunge quasi d'un fiato, trascinati
senza pensieri dalla brillantezza spensierata del terzo movimento.
https://youtu.be/rNeirjA65Dk
https://youtu.be/6Btlp3T7IIk
La Sinfonia n. 25 in Sol minore K 183 (K6 173 dB), chiamata anche la Piccola
sinfonia in Sol minore, è una sinfonia di Wolfgang Amadeus Mozart, composta
a Salisburgo nell'ottobre 1773, poco tempo dopo aver terminato l'opera seria
Lucio Silla.
Alcuni studiosi suppongono che sia stata completata il 5 ottobre, solo due
giorni dopo il completamento della Sinfonia n. 24, ma tale a"ermazione non è
supportata da alcuna fonte.
Struttura
Il Minuetto non ha più nulla della danza galante e rivela, in modo sintetico
e senza cedere ad abbellimenti, la propria drammaticità. Il trio è suonato
unicamente dai fiati: oboi, corni e fagotti.
Allegro, 4/4
Stile e influenze
Con le sue linee melodiche ad ampi balzi e i suoi vivaci soggetti musicali,
questa sinfonia è caratteristica dello stile Sturm und Drang. Essa condivide
alcune caratteristiche con altre sinfonie Sturm und Drang di questa epoca, ed è
probabilmente ispirata dalla Sinfonia n. 39 di Joseph Haydn, anch'essa in Sol
minore.
Quella che per tutti i biografi di Mozart è la Sinfonia della svolta, il primo vero
capolavoro del genere, un miracolo di compiuta bellezza, venne giudicata
molto severamente dal padre Leopold, che in una lettera del 1778 scriveva:
"Ciò che non ti fa onore è meglio che non venga conosciuto. Perciò io non ho
dato a nessuno le tue Sinfonie, sapendo fin d'ora che tu stesso, per quanto
potessi esserne soddisfatto quando le scrivesti, col passar degli anni, quando
ti sarai maturato e avrai acquistato discernimento, sarai ben lieto che nessuno
le abbia vedute. Si diventa sempre più esigenti". Ma quali erano gli elementi
che turbavano tanto il padre di Wolfgang?
Perennemente in apprensione per la carriera artistica del figlio che non riusciva
ancora a decollare, nonostante il suo portentoso talento, Leopold temeva che il
carattere focoso di questa Sinfonia potesse infastidire l'animo compassato
dell'Arcivescovo Colloredo, l'unico potente che ancora si degnasse, seppur
stentatamente, di mantenere a corte il genio incontenibile di Mozart.
Per fortuna l'autore, che pure sulle prime sembrò rivolgersi a più miti consigli,
tornando ad uno stile compositivo più ordinario, non rinnegò le vette artistiche
raggiunte con questa Sinfonia, quando quindici anni dopo ebbe a misurarsi,
per la seconda e ultima volta, con la espressiva tonalità di sol minore,
componendo la celeberrima Sinfonia n. 40 K. 550, strutturalmente a!ne alla
giovanile K. 183.
La Sinfonia in sol minore K. 183, nota anche come la "Piccola", per distinguerla
dalla "Grande" K. 550 nella stessa tonalità, reca la data del 5 ottobre 1773: la
leggenda tramanda ch'essa fu scritta in soli due giorni, ma è più plausibile che
Mozart attendesse alla composizione di più opere contemporaneamente e
questo spiega la distanza di soli due giorni dalla data posta in calce alla
precedente Sinfonia K. 182.
Le Sinfonie composte da Mozart in quegli anni sono per lo più ascrivibili allo
stile dell'Ouverture italiana: tre movimenti con temi dal carattere leggero e
frivolo, e con scarsa incidenza dello sviluppo tematico. La K. 183 si stacca
nettamente dal complesso delle Sinfonie coeve e mostra sin dalle prime battute
un carattere impetuoso. Ma lo stupore che quest'opera è capace di suscitare
ancora ad ogni ascolto sta soprattutto nella profonda unità formale, nella
complessità degli sviluppi tematici che percorrono l'intera partitura collegando
fra loro, in un costante gioco di rimandi melodici, ritmici e armonici, i suoi
quattro movimenti (tutti nella stessa tonalità di sol minore), nella felicità
dell'invenzione melodica che arriva a pervadere persino le secondarie sezioni
di passaggio, nel mirabile equilibrio di tonalità minore e passaggi in maggiore,
nella naturalezza del respiro melodico e ritmico.
Già il primo tema dell'Allegro con brio, esposto dall'oboe e dagli archi, con i
suoi ampi salti melodici, lo struggente intervallo di settima diminuita, le
caratteristiche sincopi e le rapide scalette discendenti, ci trascina in un clima di
grande drammaticità, clic non viene alleggerito neanche dall'esposizione delle
altre due idee musicali, meno significative. In particolare il tema con
acciaccature di gusto tipicamente italiano perde il suo carattere leggero e
mondano perché accompagnato dall'inquieto pulsare dei bassi, che risulta
assai più incisivo. La linea ferma dell'oboe viene talvolta isolata dando luogo a
bruschi contrasti dinamici dal piano al forte. Anche gli episodi intermedi sono
particolarmente geniali nell'invenzione melodica e densi di un'espressività
personale e appassionata.
L'Andante, ancora nella stessa tonalità di sol minore, non si configura come
l'abituale momento di rasserenamento; è infatti animato da un ritmo
singhiozzante e da melodie cariche di sospensione. Il Minuetto non ha nulla
dell'atteggiamento galante della danza da cui trae spunto; per contrasto il Trio
in sol maggiore, a!dato ai soli fiati come nelle Serenate, è l'unico brano
capace di evocare un'atmosfera di gioia e di pace. Si torna dunque all'energia
rabbiosa del Finale, che mostra numerose a!nità con il primo tempo (i
drammatici unisoni, le concitate sincopi, i forti contrasti dinamici) chiudendo il
cerchio di una eccezionale unità formale.
Emanuela Floridia
È dopo un viaggio a Vienna compiuto nell'estate 1773 che lo stile sinfonico del
diciassettenne Mozart - fino allora vincolato al semplice modello in tre
movimenti e agli agili contrasti propri del gusto italiano, appresi attraverso lo
studio delle partiture di Christian Bach, e poi sostanzialmente seguiti fino
allora, sia pure con progressivi arricchimenti e con personali contaminazioni
stilistiche - subisce un autentico rinnovamento. A Vienna, dove si trattenne
due mesi e mezzo, Mozart era andato con il padre nella speranza di ottenere
qualche incarico stabile che lo sottraesse al soggiorno salisburghese. Sotto
questo profilo il viaggio fu deludente, ma il compositore trasse enormi stimoli
dallo studio delle opere strumentali di Franz Joseph Haydn. L'influenza di
quest'ultimo era già avvertibile in alcune delle sinfonie degli anni precedenti.
Al servizio dei nobili Esterhàzy, splendidi mecenati che avevano al loro servizio
una orchestra, una compagnia d'opera e una di teatro di prosa, Haydn lavorava
in condizioni di splendido isolamento, attentissimo però a quanto avveniva
sulla scena europea, e soprattutto impegnato a portare a definizione un
"proprio" stile sinfonico basato su sperimentalismi formali e su una ricchissima
scrittura, animata da risorse ingegnose e sempre rinnovate. Che Mozart
potesse trovare in questa straordinaria esperienza compositiva una pietra di
paragone ineludibile è cosa che non può stupire.
Arrigo Quattrocchi
Daniele Spini
https://youtu.be/UkO-k6Zn47Y
La Sinfonia n. 26 in Mi bemolle maggiore K 184/161a di Wolfgang Amadeus
Mozart fu completata a Salisburgo il 30 marzo 1773, un mese dopo il ritorno
del compositore dal suo terzo viaggio in Italia.
La strumentazione prevede due flauti, due oboi, due corni, due fagotti, due
trombe e archi.
Sono presenti tre movimenti, di cui il secondo sfocia nel terzo senza alcuna
interruzione:
Ciò che fa pensare all'autenticità della data proposta è sopratutto il fatto che
questa sinfonia (come le tre che seguono), più che una vera «sinfonia» nel
significato che allora si cominciava a dare a questa parola, è un'ouverture da
teatro all'italiana poiché si compone di tre brevi movimenti, senza ritornello; di
più, i tre movimenti sono incatenati l'uno all'altro senza soluzione di continuità
- proprio come nell'antica sinfonia d'opera - invece di essere tempi chiusi da
una solida «cadenza» nel tono principale. Più ancora: Mozart qui segue
l'abitudine italiana di dividere ogni tempo in due parti eguali, senza l'ombra di
uno sviluppo fra le due parti. Si potrebbe quasi pensare che a Milano il giovane
musicista avesse ricevuto la commissione di comporre i lavori in questione. E
l'ipotesi è tanto più valida in quanto la Sinfonia in mi bemolle è la sola opera
strumentale di quel tempo, la cui ispirazione drammatica e appassionata
richiami quella delle Sonate e dei Quartetti composti quando Mozart attendeva
alla sua opera italiana Lucio Siila.
https://youtu.be/W2xkCNK2Il4
Struttura
https://youtu.be/UKX504gRgzg
La strumentazione prevede parti per due oboi, due corni, due trombe e archi.
Oltre tali caratteristiche, la Sinfonia K. 200 rivela una evidente cura per l'unità
tematica: i motivi, all'interno di ciascun tempo, non sono semplicemente
allineati, ma posseggono delle a!nità strutturali, per cui sembrano sorgere
l'uno dall'altro; parentele tematiche, inoltre, legano tra loro i vari movimenti:
così, ad esempio, la testa del tema del primo tempo è la stessa - trasportata in
fa maggiore - e volta in direzione ascendente - dell'inizio del secondo
movimento; e si riode, a valori ritmici raddoppiati, a guisa di appello sulle
rapide crome degli archi nel Finale; il tema trillato di quest'ultimo, poi, prende
lo spunto dalla terza battuta del primo tempo e segue la linea ohe soggiace al
disegno ornato della codetta del primo tema dell'Andante; ed altre interessanti
relazioni si potrebbero citare: ma basti aver rilevato una salda coerenza
strutturale che è certo il risultato dell'esempio di Haydn.
Col che, nulla si vuoi togliere all'intima originalità di questa Sinfonia, dove tale
esempio fruttifica in termini assolutamente mozartiani e non privi, peraltro, di
suggestioni anticipatrici: quali si trovano nel Minuetto che, con l'estrosa
spezzatura del fraseggio, con di ritmo nervoso di alcuni passaggi e certi
bruschi trapassi tonali, preannuncia dei tratti che saranno propri dello Scherzo
beethoveniano; e nel Finale, la cui aerea leggerezza e fantasmagorica vivacità
fanno pensare al Mendelssohn shakespeariano.
https://youtu.be/X3j5f9ggN-4
Il musicologo Stanley Sadie la considera "una pietra miliare, personale nel tono
e ancor di più nella sua combinazione di intima musica da camera con una
tempra ardente e impulsiva".
Struttura
Il primo movimento si apre con una frase molto elegante che è poi
sottoposta ad elaborazioni molto accurate, in cui Mozart non usa un vero
contrappunto ma giochi di imitazione che, uniti ad espedienti timbrici,
forniscono al movimento caratteristiche di moderata drammaticità.
Andante, 2/4
Arrigo Quattrocchi
Anche nel campo della sinfonia, decisivi appaiono gli anni tra il '73 e il '75 che
vedono l'esaurirsi graduale, nella sua realtà strutturale non meno che in quella
estetica, di quel modello italiano (più spesso italianeggiante, nella mediazione
di J. Ch. Bach) che aveva fatto le spese del sinfonista bambino e adolescente.
Ma della produzione sinfonica haydniana coeva o precedente (nota in Europa
attraverso le edizioni via via apparse a Parigi) Mozart assume solo quei tratti
che convengono al suo già inconfondibile mondo poetico, riservandosi, quanto
al resto, la più ampia libertà di scelte linguistiche. Da Haydn, e non da altri,
egli poteva mutuare la solidità d'impianto, il vigore dialettico dello sviluppo
tematico, la vitalità polifonica, la densità di spessore sonoro che
contraddistinguono la triade sinfonica costituita dalle opere K. 183, 200 e 201,
l'ultima delle quali, terminata il 6 aprile 1774, costituisce qualcosa di
assolutamente nuovo ed originale perfino rispetto alle due che la precedono.
Rientrato dall'Italia nel marzo 1773, Mozart attraversa per qualche tempo un
periodo di raccoglimento, conseguito alla decantazione di due opposte e
parimenti avvertite tendenze: quella dell'esperienza italiana e l'altra di
accensione a"ettiva scaturita dagli spiriti dello «Sturm und Drang». Una serie
di nove «Sinfonie» mette in luce il superamento di questa dualità, ovvero
l'interpretazione personale (e per la prima volta riflessiva) delle correnti
artistiche e delle poetiche più vive dei due paesi. In giovinezza, si sa, i tempi
assimilativi sono sempre corti: più lente, invece, sono le scelte. Cosi, in quella
produzione sinfonica Mozart estrinseca una sintomatica combinazione dello
stile italiano e di quello austriaco. Sono infatti presenti ancora le ripetizioni
tematiche, le opposizioni dinamiche di piano e forte, la proposizione breve dei
motivi musicali e l'episodicità degli sviluppi: che sono tutti fattori tipici della
maniera di Sammartini, ma che nondimeno già tendono a coordinarsi secondo
una logica coerenza di discorso, dietro una rivalsa dell'elemento formale
austriaco, desunto da una ventata di memorie di Joseph Haydn, il già a"ermato
maestro della forma-sonata. Tuttavia, qualcosa del robusto e nobile
contrappuntismo praticato dalla scuola di padre Martini, qualcosa del pathos
tardo-barocco appreso soprattutto dalla produzione sacra italiana, resta in lui,
collegandosi a certa appassionata inquietudine espressa dal clima wertheriano
dello «Sturm und Drang». Insomma, in questa felicissima e geniale osmosi, si
decanta e cade ciò che è superfluo, mentre si evidenziano assimilazioni più
decisive e partecipate. Il vigore giovanile, il brio gioioso all'italiana, il
riecheggiamento anche di locuzioni operistiche, perdono certa nitidezza
d'accento in ragione di un più chiaro quadro formale, di un melodismo più
plastico: e ricompare il gusto del contrappunto (eredità anche della vecchia
scuola salisburghese di Eberlin e Michael Haydn), nonché l'individuazione
timbricamente più spiccata, dietro l'impiego articolato degli strumenti a fiato,
sperimentato in opere stilisticamente di"ormi, quali «Divertimenti» e «Messe».
Ed allora si fa luce, in questo fecondo dualismo, l'atteggiamento tipico del
futuro Mozart maggiore: ossia l'accento semplice, graziosamente leggero,
teneramente espressivo e qua e là austeramente pensoso.
Brioso e vivacissimo l'«Allegro con spirito» conclusivo, certo la pagina più alta
della «Sinfonia» anche per la maestria tecnica e strumentale. Un cicaleccio
continuo e vario si comunica a tutta l'orchestra, presagendo i grandi Finali
sinfonici, dalla «Ha"ner» in poi; mentre certo tono agreste alla Watteau si
coglie nel secondo tema, umoristicamente popolaresco, che conclude con
accenti operistici. Sul contesto fremente, la scala conclusiva degli archi è
davvero sigla di felicità; ma prima, nella sezione centrale, un'improvvisa
concitazione dà la misura anche di cadenze drammatiche inattese, le più ricche
(ha notato l'Einstein) che Mozart abbia scritto fino a quel momento. Per tali
fattori, questo grande «Finale» mozartiano preserva l'intera «Sinfonia» dalle
sirene del gusto galante: piuttosto, è presentito vicino il mondo neo-classico,
quel clima «viennese» che sarà del primo Beethoven e del primo Schubert.
Sergio Martinotti
https://youtu.be/uVecMqIiQAQ
La strumentazione prevede due oboi, due corni, due trombe, fagotto, timpani e
archi, ma la parte per timpani è andata perduta. C'è stato più di un tentativo di
ricostruirla.
Presto, 2/4
Il finale parte con un motivo da fanfara simile a quello con cui parte il
primo movimento. Le frasi di risposta e il secondo tema del movimento hanno
invece uno stile da Contraddanza.
https://youtu.be/lQHEZ3x4Cf8
https://youtu.be/P7ZOy4hAAHg
«I Concert Spirituel del giorno del Corpus Domini sono iniziati con una sinfonia
del signor Mozart. Codesto artista, che fin dalla più tenera età si è fatto un
nome tra i più grandi clavicembalisti, può oggi essere considerato uno dei
migliori compositori esistenti.»
La sinfonia fu nuovamente suonata durante i Concert Spirituel il 15 agosto. Per
questa occasione, Mozart sostituì il secondo movimento (originariamente un
Andantino in 6/8) con un Andante. Secondo il musicologo Otto Erich Deutsch
l'Andantino "non era riuscito a piacere abbastanza".
Struttura
La strumentazione prevede due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, due
corni, due trombe, timpani e archi. L'organico è particolarmente ampio, in
quanto Mozart a Parigi aveva a disposizione orchestre piuttosto grandi. Inoltre
questa è la prima sinfonia di Mozart che preveda l'uso di clarinetti.
La Sinfonia K. 297 viene detta "Paris" dalla città nella quale fu scritta, ed alla
cui prassi musicale era indiscutibilmente legata. L'inso"erenza verso il
provincialismo della città natale, la ricerca di una a"ermazione internazionale e
di un impiego prestigioso spinsero Mozart, nel 1777, ad abbandonare
Salisburgo per compiere un lungo viaggio che lo avrebbe portato ad Augsburg,
Mannheim e Parigi. Nella capitale francese il compositore era già stato da
bambino, nel 1763-64 e nel 1766, accolto allora con grande ammirazione.
Assai più amaro fu il soggiorno del 1778; l'ambiente parigino mostrò una
sostanziale indi"erenza verso il compositore ventiduenne, che stentò ad
inserirsi anche per la sua scarsa propensione verso il gusto francese.
L'occasione di scrivere una Sinfonia per la società del Concert Spirituel fu
comunque estremamente preziosa. Abituato al ridotto organico strumentale
della corte salisburghese e a uno stile segnato dall'esperienza di Haydn,
Mozart si trovò a scrivere per un grande complesso orchestrale e a rispettare i
canoni riconosciuti del sinfonismo parigino; ma anche a cercare di colpire il
pubblico con particolari e"etti eclatanti.
"Ho dovuto comporre una Sinfonia per aprire il Concert Spirituel. È stata
eseguita il giorno del Corpus Domini fra il plauso generale. [...] Alla prova ero
molto preoccupato, non avendo mai sentito in vita mia nulla di peggio; non si
può immaginare come abbiano stravolto e straziato la mia Sinfonia per due
volte consecutive. [...] la Sinfonia è cominciata, [il tenore] Raaf stava accanto a
me e proprio a metà del primo Allegro c'era un passaggio che sapevo bene che
doveva piacere: tutti gli ascoltatori ne sono stati rapiti ed è scoppiato un
grande applauso. Poiché nel comporlo ero ben conscio dell'e"etto che avrebbe
prodotto, l'avevo nuovamente inserito alla fine... e così stessa accoglienza Da
capo. È piaciuto anche l'Andante, ma soprattutto l'Allegro finale. Poiché avevo
sentito che qui tutti gli Allegri finali cominciano come quelli iniziali, con tutti
gli strumenti insieme e per lo più all'unisono, io ho cominciato solo con due
violini, piano per otto battute, e immediatamente dopo con un forte. In questo
modo gli ascoltatori, come previsto, al momento del piano hanno fatto sst, poi
è venuto immediatamente il forte; e sentire il forte e battere le mani per loro è
stato tutt'uno. Così per la felicità subito dopo la Sinfonia sono andato al Palais
Royal a gustarmi un buon gelato [...] ".
Arrigo Quattrocchi
https://youtu.be/-wtztb2UQsg
Struttura
La strumentazione prevede due flauti, due oboi, due fagotti, quattro corni, due
trombe, timpani e archi. Il brano è ricco di crescendi e diminuendi e sono
presenti parecchi interrelazioni tra i fiati e gli archi.
Andante, 3/8
https://youtu.be/oxSCzzyij78
Partitura svolta con ampiezza, ricca di idee e di sviluppi, che va crescendo via
via d'importanza. L'Allegro assai comincia con un accordo deciso e con un
tema ascendente, battute che dimostrano chiaramente come Mozart desideri
applicarsi con fervore alla partitura, concedendole una speciale attenzione. Il
tempo procede sempre con la stessa gioiosità, tenendo ben compatti tutti gli
strumenti. E quando, qua o là, sembra risolvere, le riprese tornano con tutto il
fervore, impegnando tanto gli archi quanto i fiati in un succedersi senza soste,
riprendendo il primo tema, insistendo sugli sviluppi e preferendo sempre le
sonorità più decise, tanto che gli strumenti sembrano moltipllcarsi.
Indubbiamente Mozart si impegna a fondo, in questo Allegro, dando l'avvio
alla partitura nel modo più deciso.
Il Minuetto, una delle pagine più squisite di Mozart, palesa gentilezze e inchini
senza soste, con speciali animazioni nei primi violini, con risposte ben
equilibrate dei fiati. Il «Trio» è estremamente scorrevole, assai fine, come
l'iniziale tempo di minuetto. Poi, ecco la ripresa del tema principale d'obbligo:
tutto è estremamente elegante e impeccabile.
Il tempo finale, Allegro assai, ha una vitalità che fa pensare alla futura
animazione dei quartetti beethoveniani. Anche questo tempo non presenta
soste: tutto procede in modo vivo, specialmente là dove archi e fiati si fondono
insieme in una gioiosità e rapidità di schietto carattere strumentale. Un Mozart
che vuol farsi notare per importanza di sviluppi, come del resto aveva bene
annunciato nel primo tempo. Non è facile seguire il compositore in tutte le sue
successioni di idee. In questo finale c'è qualche cosa che trascina, così come
accade in certe creazioni sinfoniche di autori posteriori che, certamente, non
mancarono di studiare a fondo questa smagliante pagina, tipica rispetto allo
stile mozartiano.
Mario Rinaldi
Nascono in questo periodo tre sinfonie - K. 318, 319, 338 - che sono lavori
segnati da una parte dalla ricerca di una stile sinfonico personale e sofisticato,
dall'altra da una concezione formale che è volta invece al passato, soprattutto
per il trattamento degli sviluppi.
Nella Sinfonia K. 319, il primo movimento, in forma sonata, evita una forte
contrapposizione fra i due temi principali, mantenendosi prevalentemente
nella medesima ambientazione idilliaca, non turbata neanche dall'apparizione,
al principio dello sviluppo, di un motivo (si bemolle, do, mi bemolle, re)
derivato dalla liturgia cattolica e presente a più riprese nella produzione di
Mozart (dalla prima Sinfonia K. 16 al finale della "Jupiter"). L'Andante
moderato, governato dalla preziosa scrittura dei Mannheimer, non crea un
contrasto con il primo movimento, ma ne privilegia i caratteri arcadici. Una
certa frattura si ha con il Minuetto che, con la sua configurazione essenziale, i
calibratissimi giochi strumentali, il Trio di carattere villereccio, si accosta alle
danze dell'ultimo periodo viennese. Il Finale è una pagina spigliata e divertita,
in cui elementi stilistici di di"erente suggestione (come il giocoso motivo
iniziale in terzine e il tema cantabile che gli si contrappone) vengono fusi da
una propulsiva energia ritmica.
Arrigo Quattrocchi
https://youtu.be/zMA9FU9meFc
Sembra che sia stato proprio il grande successo della prima del 3 aprile 1781
nel Kärntnertortheater che questa ottenne alla sua esecuzione ad aver indotto
Mozart ad abbandonare la città, diventata troppo inadatta alle sue ambizioni,
per trasferirsi a Vienna. Il 26 maggio 1782 venne eseguita ancora a Vienna.
Struttura
La strumentazione prevede due oboi, due fagotti, due corni, due trombe,
timpani e archi.
Il finale ha un ritmo rapido che richiama una tarantella con solo qualche
momento di velata tristezza.
Il musicologo Alfred Einstein ha avanzato una teoria, nella terza edizione del
catalogo Köchel, secondo cui il Minuetto in Do maggiore K 409, scritto a
Vienna da Mozart nel maggio 1782, sarebbe stato composto per questa
sinfonia. Tuttavia, non esiste alcuna prova a supporto di questa tesi. Inoltre, il
minuetto richiede due flauti nell'organico, cosa che non è invece prevista nel
resto della sinfonia.
Il minuetto in questione è raramente eseguito nelle esecuzioni, e si avvale della
sonorità dei fiati in particolare nel trio.
Nel 1777-78 Mozart aveva fatto uno dei suoi giri europei, durante il quale
aveva abitato e lavorato in tre capitali della musica: Parigi, Mannheim, Monaco.
Tornato a Salisburgo all'inizio del 1779 aveva ripreso di malanimo il servizio
nella corte dell'arcivescovo Colloredo, con il quale ricominciarono subito i
contrasti: Mozart era oppresso dalla ristrettezza mentale dei concittadini e
esasperato dalla sgarbata autorità dell'arcivescovo. Aveva bisogno, insomma,
di libertà e di vivere in un mondo degno di lui (era un mondo che non esisteva,
ma col suo inguaribile ottimismo egli voleva che esistesse). Si che per la
miracolosa collaborazione del suo genio e del destino con i casi quotidiani e le
necessità della vita ci sembra che Mozart abbia allestito, diciamo così, gli
imprevisti vivendoli anche in anticipo. Oltre alla Sinfonia in do maggiore nel
1780 egli scrive due dei suoi capolavori, l'ldomeneo (Monaco, 29 gennaio
1781) e le Vesperae solemnes de confessore, non altro, il che basterebbe a
chiunque sia, ma è poco per lui che a"ollò di lavori ogni anno della sua
esistenza. Mozart tirava il fiato e preparava la sua libertà.
Mozart era libero, aveva venticinque anni, lasciò l'odiata-amata Salisburgo per
sempre (ci tornò solo occasionalmente e per pochi giorni) e visse a Vienna i
dieci anni che gli restavano da vivere. La vigorosa serenità che nutre tutta la
Sinfonia in do maggiore, è il riflesso di uno stato d'animo teso al futuro.
Mozart scrisse 41 Sinfonie, la prima quando aveva otto anni, l'ultima quando
ne aveva trentadue, nel 1788 (ed è l'altra in do maggiore, lo Jupiter delle
sinfonie, un vertice "finale", oltre il quale Mozart non volle andare: anche in
questo caso fu lui che fissò il corso delle cose). I capolavori del suo sinfonismo
sono sette, scritti tra il 1780 (quattro fino al 1786) e il 1788 che vide nascere
gli ultimi tre (K. 543, K. 550, la celeberrima Sinfonia in sol minore, e K. 551).
La Sinfonia in do maggiore K. 338 del 1780 apre non indegnamente il grande
ciclo.
Franco Serpa
Giorgio Graziosi
Nella produzione sinfonica mozartiana avviene una svolta decisiva tra il 1773 e
il 74, con la «Sinfonia in sol minore» che, ricca di un nuovo contenuto,
rappresenta una rottura con le precedenti pagine: rottura che si delinea anche
nello stile delle nuove opere, più equilibrate e tematicamente ricche, elaborate
in stilemi e sviluppi sempre più personali. Nel 1777, il soggiorno di Mannheim
allargò gli orizzonti alla Sinfonia mozartiana, sia per i contatti che l'autore
ebbe con lo Stamitz, come per la conoscenza di nuove esecuzioni orchestrali
che gli porgevano immagini di combinazioni sonore e di nuovi colori. Il
cammino continua, nel 78 a Parigi, ove la «Sinfonia n. 31 in re maggiore»,
a"erma lo sviluppo dei passi a!dati ai fiati, l'uso di bruschi alternamenti di
«forte» e «piano», e di una più larga e intensa cantabilità.
Questa «Sinfonia» fu eseguita per la prima volta a Parigi, diretta dallo stesso
Mozart, che in una lettera al padre, dell'11 aprile 1781, scrive: «L'esecuzione è
stata magnifica. Hanno sonato quaranta violini». L'opera segna quindi l'inizio
della grande orchestra: l'orchestra in senso moderno, che mano a mano
aumenterà il numero dei suoi componenti e le possibilità delle sue risorse.
Sinfonia n. 35 in Re maggiore K 385 "Ha!ner"
https://youtu.be/uRCa52Jj30g
https://youtu.be/KqTaCsfbIGE
https://youtu.be/noHjMIsIepk
Storia
Nel 1776 Sigmund Ha"ner figlio commissionò a Mozart una serenata per il
matrimonio di Marie Elizabeth Ha"ner con Franz Xavier Spath. Questa
composizione, conosciuta come Serenata Ha"ner, ebbe un tale successo che
Ha"ner, sei anni dopo, in occasione della sua nobilitazione, volle
commissionare un'ulteriore opera per l'occasione presso il compositore
salisburghese. Tale commissione, in realtà, arrivò a Mozart tramite il padre
Leopold il 20 luglio 1782, in un periodo di grande lavoro per il compositore.
Non solo, infatti, si dedicava all'insegnamento, ma doveva revisionare la sua
opera Il ratto dal serraglio prima del 28 luglio. In più, la sua proposta di
matrimonio a Constanze Weber aveva portato a una serie di complicazioni
aggiuntive tra cui un trasloco in un nuovo appartamento a Hohe Brücke,
sempre a Vienna.
Alla fine del dicembre del 1782, Mozart decise di rappresentare la serenata a
un concerto. Dopo aver chiesto al padre Leopold di spedirgli lo spartito da
Salisburgo, Mozart si rivelò entusiasta del suo stesso lavoro, considerando
anche il poco tempo che aveva impiegato per comporla. Lavorò ad una serie di
alterazioni all'opera in modo da convertire la serenata in una sinfonia. Tra
queste modifiche era inclusa l'eliminazione della marcia introduttiva (ora
catalogata col numero d'opera K 385a) e uno dei minuetti. In più fu rimossa la
ripetizione dell'esposizione del primo movimento. Mozart inoltre ampliò
l'organico aggiungendo due flauti e due clarinetti nel primo e nell'ultimo
movimento. Tali nuove parti per fiati non costituiscono nuovo materiale
melodico, ma semplicemente un raddoppio delle già esistenti voci per fiati.
Prima esecuzione
Struttura
Organico
La strumentazione prevista è costituita da due oboi, due flauti, due fagotti, due
clarinetti, due corni, due trombe in Do, timpani e archi.
Tonalità
Nelle lettere che Mozart scambiava con il padre Leopold, Mozart dichiarava che
il primo movimento andava suonato con fuoco. Il movimento è in forma-
sonata con un breve sviluppo. L'esposizione inizia senza introduzione e con
tutti gli strumenti all'unisono; il motivo d'apertura risulta piuttosto energico -
risultato di un attento uso di ritmi staccati con l'intento di fermare l'attenzione
dell'ascoltatore. Il secondo tema è simile al primo in quanto a ritmo e materiale
melodico, e richiama i movimenti monotematici in forma-sonata di Joseph
Haydn.
Andante
Minuetto
Nel "trio" come nel "minuetto" è presente lo stesso tipo di suspense. Infatti,
Mozart fa un passo avanti nel trio aggiungendo un pedale in dominante. Tale
dominante subito si riversa nella tonica per mezzo di un Si diesis cromatico.
Nel comparare il carattere del minuetto con quello del trio. Per riassumere, il
minuetto presenta un carattere più luminoso, mentre il trio crea un'atmosfera
più fluente.
Presto
L'ultimo movimento, in forma-sonata e con indicazione agogica Presto,
riprende i concitati ritmi del primo, nonché la stessa tonalità (Re maggiore).
Secondo Steinberg e Ledbetter, non solo condivide la stessa atmosfera
dell'ouverture dell'opera Le Nozze di Figaro, ma rimanda anche all'aria di
Osmin "O wie will ich triumphieren" da Il ratto dal serraglio. È interessante
notare che quest'ultima opera fu terminata solo due settimane prima della
composizione di questo finale.
Il brano è chiuso da un'ampia coda, che rielabora gli elementi del primo
gruppo tematico in un brillante crescendo.
Paolo Rossini
Dopo aver composto circa quaranta Sinfonie fra il 1764 e il 1780, negli ultimi
dieci anni della sua vita Mozart ebbe un rapporto estremamente saltuario con
questo genere musicale. Stabilitosi definitivamente a Vienna nel 1781, per
imporsi al pubblico della capitale dovette concentrarsi soprattutto sulle forme
allora più in voga, il concerto per pianoforte e l'opera, e dedicare le sue residue
energie a brani cameristici e vocali di facile vendibilità presso gli editori. Del
resto per le sue molte accademie del periodo 1782-1786 non aveva necessità
di scrivere nuove Sinfonie, visto che poteva ricorrere tranquillamente a quelle
scritte negli anni precedenti, apportando all'occorrenza piccoli cambiamenti
nell'orchestrazione e aggiungendo eventualmente un minuetto a quelle in tre
soli movimenti per andare incontro alle abitudini del pubblico viennese.
Così, in quell'ultimo decennio, videro la luce solo sei lavori nel genere
sinfonico - uno nel 1782 (K. 385 "Ha"ner"), uno nel 1783 (K. 425 "Linz"), uno
nel 1786 (K. 504 "Praga") e tre nel 1788 (K. 543, K. 550, K. 551) - ma ciascuno
di essi costituisce senz'altro un capolavoro.
Carlo Cavalietti
Giunto a Vienna nel maggio 1782, dopo la brusca rottura con l'arcivescovo di
Salisburgo, Mozart è subito all'opera: organizza concerti all'Augarten Saal,
indice accademie, compone, e dà lezioni private.
Fiamma Nicolodi
https://youtu.be/4TBa0Ml4xqs
https://youtu.be/vgDd15DBY74
https://youtu.be/grD6uIu5JIM
Storia
Mozart e sua moglie trovarono ospitalità presso il conte Joseph Anton Thun.
Costui, conoscendo la bravura e la fama del compositore, aveva organizzato un
concerto e Mozart, che non aveva portato con sé nulla, scrisse di getto la
sinfonia in quei pochi giorni a disposizione.
Struttura
La strumentazione prevede due oboi, due fagotti, due corni, due trombe,
timpani e archi.
Che la sinfonia fosse scritta per una occasione festosa può anche essere
dedotto dalla tonalità di Do maggiore nonché dall'uso nell'orchestrazione delle
trombe e dei timpani. Mozart tuttavia utilizza questi strumenti per dare alla
sinfonia un carattere imponente e non galante; sono inoltre presenti più
episodi di natura piuttosto introspettiva che saranno pienamente sviluppati
nelle tre grandi sinfonie n. 39, n. 40 e n. 41.
Per la prima volta in una sinfonia di Mozart si ha una apertura con un tempo
lento, alla maniera di Haydn, anzi, l'intero tessuto della sinfonia è permeato
dall'influsso haydniano: il tono austero dell'andante, il trattamento del tema
del minuetto e del suo trio (in forma di Ländler) e gli e"etti presenti nel presto
che chiude la sinfonia.
La Sinfonia di Linz K. 425 formula a pagine alterne il debito del suo autore nei
confronti dell'arte di Joseph Haydn. Fuori dettaglio, lo spirito del collega
suggestiona il concepimento di un'introduzione lenta all'Allegro iniziale, una
strategia che, fra il 1780 e il 1782, Haydn aveva praticato in una dozzina di
occasioni. Quello della Linz non è ancora il complesso ed esteso corpo che
prelude la Sinfonia di Praga, ma ne è l'esplicito presupposto. Si tratta di un'idea
che darà frutti anche sui biniari paralleli della musica da camera: si consideri
l'introduzione alla Sonata in fa maggiore K. 497 per pianoforte a quattro mani
(di rumorosa scrittura sinfonica) e quella del Quartetto in do maggiore K. 465.
Nondimeno, la concezione haydniana e quella mozartiana di"eriscono nella
sostanza. Se, infatti, per il primo l'accumulo della tensione sortisce dal sottile
incunearsi di stralci melodici che acquisteranno piena voce solo nell'Allegro,
nel salisburghese la porta per trattenere l'esondazione del materiale tematico è
chiusa dal giro di chiave dell'armonia, dal progressivo intricarsi della
dimensione verticale della musica. Nella Linz il digradare del basso è la guida
meno ovvia per un rapido disorientameto della percezione auditiva.
Alessandro Macchia
Questa Sinfonia deve il titolo alla città austriaca dove Mozart, che vi si trovava
di passaggio, la compose in gran fretta, su richiesta del vecchio amico e
protettore conte Thun, per eseguirla il 4 ottobre 1783. Certe caratteristiche
esterne potrebbero tradire l'origine occasionale del lavoro: l'impianto in do
maggiore e la presenza di trombe e timpani (perfino nel tempo lento, di solito
riservato agli archi) erano infatti tipici delle musiche festose e celebrative. In
realtà Mozart, sull'esempio di Haydn, per la prima volta premise all'Allegro
iniziale un'imponente introduzione lenta; sempre schemi haydniani condusse il
Poco adagio, sperimentandovi però un contenuto pathos armonico, e anche i
due movimenti ultimi, a loro volta di carattere haydniano e in certo senso più
convenzionali, portano tuttavia il segno di una scrittura sinfonica complessa e
ormai superbamente sicura di sé.
Negli ultimi dieci anni di vita, trascorsi a Vienna, Mozart ebbe occasione di
scrivere sei sinfonie (K. 385, 425, 504, 543, 550, 551); un numero
decisamente scarso rispetto alla intensa produzione sinfonica degli anni
salisburghesi. Le sei sinfonie composte a Vienna si configurano come opere
isolate e dalle dimensioni più ampie, espressioni meditate della matura
individualità dell'autore. E' opinione corrente della critica che l'influenza di
Haydn sia stata determinante nei nuovi orientamenti del compositore; Mozart
comunque tardò ad a"rancarsi dalla maniera salisburghese; ancora la prima
sinfonia viennese, K. 385 detta "Ha"ner", è in realtà un adattamento di una
Serenata commissionata da una eminente famiglia della città natale.
Arrigo Quattrocchi
Il secondo movimento. Poco adagio, in 6/8 si apre con delicato e cullante tema
esposto dagli archi in fa maggiore. Una modulazione a do maggiore conduce al
secondo tema, caratterizzato dalle note ribattute di corni e timpani,
curiosamente presenti anche nel movimento lento. Un breve episodio in do
minore sembra oscurare la serenità della pagina, ma è solo un attimo che
subito svanisce nella cadenza che conclude l'esposizione. La sezione di
sviluppo viene giocata da Mozart sulle note ribattute dei corni e su
enigmatiche scalette ascendenti dei violini. La ripresa dei due temi principali
conclude il movimento.
Il Minuetto ha un andamento piuttosto rustico, cadenzato dalle note ribattute
dei corni e dal marziale ritmo dei timpani. Nel Trio invece si respira un'aria più
salottiera e galante, a partire dal sinuoso tema principale esposto da oboe e
violini e delicatamente punteggiato dai bassi.
Il Presto finale ci trascina nel pieno vortice della musica operistica: il primo
tema, ancora una volta esposto dagli archi e poi ripreso da tutta l'orchestra
(come nell'Allegro spiritoso), ha una vitalità trascinante tipica proprio delle
opere italiane del salisburghese. Il secondo tema, formato da tre crome
precedute da una pausa, è originale e ricco di spunti contrappuntistici. Lo
sviluppo si basa su un frammento motivico (una sorta di arpeggio tonale ben
scandito ritmicamente) che avevamo udito fra il primo ed il secondo tema.
Regolare la ripresa, seguita da una trascinante coda finale.
Alessandro De Bei
https://youtu.be/FDLlF6wz34U
L'introduzione di Mozart
La strumentazione originale prevede parti per due oboi, flauto, due fagotti, 2
corni e archi. Il flauto suona solo nella prima parte del secondo movimento.
Di questa sinfonia Mozart scrisse solo il primo tempo, mentre gli altri due sono
di Michael Haydn, fratello del più famoso Franz Joseph. Costui aveva composto
una sinfonia incompleta nella primavera del 1783, in occasione della cerimonia
di insediamento del nuovo abate del monastero di Michaelbeurn e si era rivolto
a Mozart perché scrivesse un Andante sostenuto come preludio della stessa
sinfonia: Mozart accolse l'invito ed elaborò un Adagio maestoso nell'autunno
del 1783, ma non si sa con precisione se a Linz o a Vienna. Il tempo si apre
con un e!cace unisono dell'orchestra, dominata in gran parte dagli archi;
segue una risposta dei primi violini, che, dopo una brusca modulazione,
ripropongono il tema su accompagnamento dei secondi violini e delle viole. Il
discorso si infittisce e si sviluppa in una serie di imitazioni, fino ad arrestarsi
su un accordo di settina diminuita, tra sonorità sfumate che sfociano
nell'Allegro con spirito, appartenente ad Haydn. Un clima di delicata
sospensione psicologica si avverte nell'Andante sostenuto, cui fa da contrasto
un vivace e brillante tempo Allegro, secondo le norme della più consolidata
tradizione. È chiaro che senza la firma di Mozart, almeno nel tempo iniziale,
questa sinfonia improntata ad elegante musicalità non avrebbe richiamato
l'interesse e la curiosità dei musicologi e dei direttori d'orchestra.
https://youtu.be/Q5nQiZkXG4A
https://youtu.be/fG72VYO3Q_s
https://youtu.be/wvouW4v8AII
Struttura
Caratteristiche
Organico
La strumentazione prevista è costituita da due flauti, due oboi, due fagotti, due
corni, due trombe in Re, timpani e archi.
Movimenti
Adagio - Allegro
Il primo movimento inizia con una lenta introduzione (solo in altre due sinfonie
mozartiane è presente questa caratteristica: n. 36 (Linz) e la n. 39.
L'introduzione conduce alla parte principale del movimento, in Allegro, in cui
sei linee melodiche sono sviluppate e riprese in un esempio contrappuntistico
di forma-sonata. Alcune frasi sono simili a ucei melodici utilizzati
nell'ouverture de Il flauto magico, con cui il movimento condivide anche la
forma Adagio-Allegro.
L'Allegro è scritto nello stile di una fuga, e anche in questo caso il materiale
musicale che costituisce il climax della fuga è simile a quello del climax della
fuga dell'ouverture de Il flauto magico. Inoltre alcune linee melodiche
sembrano essere state riprese da Gioachino Rossini nell'ouverture della sua
opera Il barbiere di Siviglia. I motivi della prima sezione in tonalità minore
sono simili a quelli dell'ouverture dell'opera di Mozart Don Giovanni.
Andante
Il secondo movimento andante ha una carattere più cantabile ma è anche
questo composto di poche cellule di base in qualche misura a!ni a quelle già
usate nell'allegro che chiudeva il primo movimento.
La struttura del secondo movimento non è molto diversa da quelle dei
movimenti lenti delle sinfonie di Mozart composte in quel periodo. Durante il
movimento è presente un senso di tensione, mantenuto alto grazie
all'alternanza di elementi sereni e momenti oscuri (in tonalità minore).
Finale: Presto
Non meno complessa è la successiva sezione, il cui inizio è segnato dal forte
dell'intera orchestra, costituita da tre motivi che torneranno più volte, quasi a
mo' di ritornello. La transizione verso la tonalità della dominante non è altro
che una zona di elaborazione di alcuni dei motivi che aprivano l'esposizione. Il
secondo tema, di pacato lirismo, viene subito ripetuto nel modo minore,
ricollegandosi così idealmente all'introduzione. L'episodio che conclude
l'esposizione è basato sui tre motivi a piena orchestra che chiudevano, posti in
diverso ordine e inframmezzati da un'ultima apparizione del tema principale.
Paolo Rossini
Detta «di Praga» dalla città dove venne trionfalmente eseguita nel gennaio
1787, la Sinfonia fu composta a Vienna nello scorcio finale del 1786.
Terminata il 6 dicembre, è immediatamente seguita dal Rondò K. 505, per
soprano e strumenti, «Ch'io mi scordi di te» (27 dicembre) e immediatamente
preceduta dal Concerto per pianoforte e orchestra K. 503, che reca la data del
4 dicembre. Sono questi i lavori con i quali Mozart conclude il suo trentesimo
anno, fitto d'una sorprendente quantità di musica, a"atto corrispondente
all'alta qualità.
Dopo aver cercato - ma invano - dal padre l'aiuto per un viaggio in Inghilterra
(il padre avrebbe potuto tenergli i bambini), Mozart accettò, sul finire del 1786,
un invito a Praga in coincidenza con le rappresentazioni dell'opera Le nozze di
Figaro che, proprio dai successi di Praga, dilagò poi in una infinità di
«arrangiamenti» e trascrizioni. Il successo dell'opera portò Mozart ad
organizzare un concerto, nel corso del quale presentò la Sinfonia K. 504.
Ben scandito dai timpani, l''Adagio svolge attraverso le linee melodiche dei
violini un impeto ascensionale profondamente inciso. Tale anelito verso l'alto
(nella Sinfonia K. 543, l'Adagio svolge, invece, un disegno discendente) si
realizza in un perfetto impianto fonico, vicino anche ad una Augenmusik
preziosamente disegnata. Dalla intcriore solennità di questo Adagio,
dissolvente in una timida scansione ritmica, si stacca, con agilissima levità,
l'Allegro sviluppantesi in una sorta di ebbrezza fonica (quasi il preannuncio
della «dionisiaca» Settima beethoveniana), controllata, peraltro, da una
prodigiosa costruzione contrappuntistica. Emergono a volte risonanze delle
Nozze di Figaro o presentimenti del Flauto magico e atteggiamenti melodici
recuperati da Beethoven anche nelle Sonate per pianoforte (Allegretto, ad es.,
della Sonata op. 31, n. 2).
Il Presto finale alterna a momenti più vigorosi (c'è già il furore beethoveniano
della Quinta) altri più esili e sottili, quasi cameristici. Così proiettata, verso il
futuro e oltre il suo tempo - ed è per questo che al Mozart «di!cile» i viennesi
preferirono le piacevolezze di altri - la Sinfonia dà compiutamente il segno
della ricchezza musicale di Mozart, della sua appartata tristezza e della sua
gioia che a volte erompe, ironica e irraggiungibile, in quei «trilli» dei violini
(una vera «sigla» mozartiana) alla fine della prima sezione di questo tempo e
sul finire del Presto.
Essa respira infatti costantemente il clima delle più grandi creazioni dell'ultimo
periodo di Mozart: quello delle opere teatrali «italiane», anzitutto (il 1786 è
l'anno delle «Nozze di Figaro»; e proprio durante il viaggio di Mozart a Praga,
che vide anche la prima esecuzione della Sinfonia K. 504, nel gennaio dell''87,
prese forma il progetto del «Don Giovanni»); quello degli ultimi stupendi
Concerti per pianoforte; quello dello stesso «Flauto magico» (il primo tema
dell'Allegro anticipa quasi alla lettera quello dell'Ouverture dell'opera). È un
orizzonte a"ettivo dove è ben presente un'intenzione espressiva che forse è
esagerato chiamare preromantica, e storicamente non corretto riferire
all'esperienza dello Sturm und Drang; ma che certo è profetica se non altro di
alcuni modi linguistici dell'Ottocento tedesco. Basterebbe pensare a come
l'impasto timbrico dei gruppi strumentali sa sottolineare l'oscuro, tortuoso
cammino delle armonie di certi squarci in modo minore; alla capacità di creare
zone di condensazione espressiva in attesa di dar sfogo all'energia del flusso
ritmico.
Daniele Spini
https://youtu.be/WhjOgw-99gU
https://youtu.be/hkns8dhgL3c
https://youtu.be/k16t0zdgeuI
Storia
La strumentazione prevede parti per flauto, due clarinetti, due fagotti, due
corni, due trombe, timpani e archi. La presenza dei clarinetti non era comune
nelle orchestre del tempo: in questa sinfonia sono utilizzati in luogo degli oboi
ottenendo come risultato un timbro più morbido.
Movimenti
Adagio - Allegro
Il finale che chiude l'opera è un allegro basato su due temi prima contrapposti
poi sempre più somiglianti tra loro sino a che non si fondono in un finale che
termina in modo spiritoso e determinato. Anch'esso è in forma-sonata e, in
somiglianza al finale del Quartetto per archi n. 5, presenta scale in maggiore
ascendenti e discendenti. Lo sviluppo ha un tono drammatico; non esiste
alcuna coda, ma sia l'esposizione che lo sviluppo, fino alla fine della ripresa,
sono spesso ripetute.
Prima esecuzione
Sembra che sia impossibile determinare la data esatta della première della
Sinfonia n. 39 sulla base delle sole fonti attualmente disponibili; non è
nemmeno possibile stabilire se la sinfonia sia mai stata eseguita prima della
morte del compositore. Secondo Deutsch, nel periodo di composizione di
quest'opera, Mozart si stava preparando ad eseguire i cosiddetti "Concerti nel
Casino", in occasione dell'inaugurazione di un nuovo casino nella Spiegelgasse
a Vienna, il cui proprietario era Philipp Otto. Mozart aveva anche mandato
alcuni inviti per questa serie di concerti al suo amico Michael von Puchberg. È
però impossibile stabilire se i concerti si siano e"ettivamente tenuti, o se siano
stati cancellati per mancanza di interesse.
Della situazione di Mozart verso la metà del 1788 sono eloquente e tragica
testimonianza alcune lettere scritte dal compositore all'amico Puchberg, un
ricco mercante, per chiedergli aiuti finanziari; eccone alcuni passi: «A forza di
stenti e di preoccupazioni le cose si sono messe così male da ridurmi a dover
elemosinare un pò ' di denaro con queste due bollette del monte dei pegni»;
«La mia situazione è tale da costringermi a chiedere denaro in prestito. Ma,
Dio, a chi potrei rivolgermi? [...] Se non mi aiuterete in questa situazione
perderò l'onore e il credito, le uniche cose che speravo di salvare».
L'ultimo stralcio è preso da una lettera datata 7 giugno 1788; pochi giorni
dopo, il 26 giugno, Mozart completava la partitura della Sinfonia in mi
bemolle. È certo sorprendente, per chi è solito cercare legami diretti tra la vita
e l'opera di un artista, il fatto che questa composizione non rispecchi nulla
delle circostanze in cui vide la luce: la sua energia vitale, la sua solarità sono
invece testimonianza, per citare ancora una volta Hermann Abert, di «quanto
poco il mondo fantastico di Mozart, il suo vero mondo, avesse a che fare con le
miserie quotidiane».
Tutt'altro carattere per il Trio, nel quale Mozart fa a meno degli ottoni e dei
timpani per ottenere una sonorità più so"usa. Sono i clarinetti gli assoluti
protagonisti: al primo è a!data la popolareggiante melodia principale, con
un'eco nel flauto, mentre il secondo lo sostiene con un morbido andamento
arpeggiato; ridotto al minimo l'accompagnamento degli archi. L'insieme
sembra anticipare alcune caratteristiche di una danza destinata a grandi
fortune nell'Ottocento: il valzer. Anche in questo caso, come già nella Ha"ner,
il grande contrasto espressivo tra minuetto e trio fa sì che quando il minuetto
viene ripreso determini quasi un e"etto di maggiore energia rispetto alla sua
prima apparizione.
***
Non erano anni facili quelli per Mozart che, perduta ormai la popolarità che
aveva reso sereni i primi anni del suo soggiorno viennese dopo la clamorosa
rottura con l'Arcivescovo di Salisburgo, non era riuscito a risalire la china della
fortuna neppure dopo il successo che aveva salutato la rappresentazione delle
Nozze di Figaro, e il trionfo con il quale lo aveva accolto la città di Praga in
occasione della rappresentazione del Don Giovanni: che anzi la ripresa
viennese di quest'ultima opera si era risolta in un mezzo insuccesso.
L'Adagio iniziale di cui l'Albert nota il «profondo pessimismo» con il suo ritmo
persistente segnato dalle scale ascendenti e discendenti dei violini e dei bassi
sembra voler introdurre l'ascoltatore in un mondo assolutamente romantico. E
sono queste scale degli archi a preparare l'idea principale del successivo
Allegro che si distende in una melodia tranquilla e contenuta che passa dagli
archi ai fiati finché nella seconda parte dell'esposizione i passaggi degli archi
pieni, vigorosi e scanditi ci riportano per un istante all'atmosfera gaia del
sinfonismo viennese. Presto però quest'atmosfera viene cancellata dal secondo
tema pensoso e raccolto che dà l'avvio ad uno sviluppo breve e serrato carico
di contrasti drammatici e troncato netto al punto culminante da una pausa
generale dopo di che la breve "ripresa" si conclude con una luminosa fanfara
degli ottoni.
Il Minuetto è uno dei più celebri di Mozart; in esso si ritrovano i ritmi che
figurano nel primo Allegro. Ritmi energici che si mantengono sino alla fine e
creano un evidente contrasto con il "Trio" caratterizzato dalla tenera dolcezza
del canto del clarinetto che dialoga con il flauto in un gioco di commovente
semplicità ed eleganza evocante - come nota ancora De Saint-Foix - la
candida semplicità schubertiana dei valzer e dei Laendler. Il Finale, sviluppato
secondo lo schema della forma-sonata, è caratterizzato dalle contrapposizioni
dei due temi principali che si assomigliano fino a confondersi in un impetuoso
sviluppo. E con esso si chiude l'opera definita dal Moser «la dolce sorella del
Don Giovanni».
Fino ad allora la sinfonia non aveva avuto un ruolo di particolare spicco nel
catalogo di Mozart. Eppure quarantuno sinfonie non sono poche per un
compositore vissuto appena trentacinque anni. Ma la maggior parte di esse
risalgono al periodo dell'infanzia e dell'adolescenza, tra i nove e i diciotto anni
d'età, e sono quindi una delle tante stupefacenti dimostrazioni della sua
precocità, senza però apportare nulla di determinante alla storia di questo
genere musicale. Invece dai ventanni in poi Mozart compose solo nove
sinfonie, che sotto l'aspetto puramente quantitativo sono quasi trascurabili in
mezzo ai circa trecentocinquanta numeri del suo catalogo risalenti a quegli
stessi anni. Anche la trasformazione di serenate in sinfonie mediante la
semplice soppressione di qualche movimento, come nel caso della Sinfonia n.
35 "Ha"ner", è indicativa della scarsa attenzione del giovane Mozart al
carattere specifico della sinfonia. Ma le nuove sinfonie di Haydn vennero a
risvegliare il suo moderato interesse per questo genere musicale.
La sinfonia, che fino a pochi anni prima era ancora gracile e incerta, era infatti
diventata grazie a Haydn la massima espressione della musica strumentale, un
organismo possente dalla strattura perfettamente definita ma anche duttile,
che si articolava con razionale chiarezza attraverso sviluppi rigorosi ma allo
stesso tempo accoglieva un'inesauribile varietà d'idee, spesso sorprendenti e
giocose, presentando tutto con la massima ricchezza di colori e sfumature
orchestrali. Mozart a"errò pienamente queste nuove possibilità e, come se
avesse voluto riguadagnare il tempo perduto e dimostrare che aveva da dire
una sua parola di fondamentale importanza anche in questo campo, compose
rapidamente le tre grandi sinfonie del 1788, facendo tesoro delle prospettive
aperte dalle recenti sinfonie di Haydn, ma andando anche oltre, tanto che
Haydn avrebbe a sua volta tenuto presente l'esempio di Mozart nelle sue
ultime sinfonie, le dodici "londinesi" del 1791-1795.
L'aspetto più nuovo di queste tre sinfonie mozartiane sta non tanto nelle
splendide soluzioni puramente musicali ma soprattutto nel fatto che ogni
sinfonia esibisce un proprio carattere, di!cilmente definibile ma
inconfondibile: sotto questo riguardo Mozart anticipa la concezione
beethoveniana della sinfonia come possente creatura musicale, dotata di una
sua personalità unica e inconfondibile, che la rende diversa da tutte le altre.
L'Andante con moto, in la bemolle maggiore, è uno dei tempi lenti più ampi e
intensi mai scritti da Mozart, che mescola qui le forme del tema con variazioni,
del rondò e della romanza, facendo passare un tema semplice e sereno
attraverso una serie di sottili e suggestive modulazioni armoniche e
trasformazioni melodiche, che gli conferiscono accenti di volta in volta
disperati o eroici, commossi o energici, spingendosi nella ricerca d'espressività
fino ad un drammatico episodio in fa minore, che ricorda un recitativo vocale.
Il battito metronomico d'una sola nota ripetuta dai fiati scandisce il Menuetto,
che nella sezione principale ha un'allegria e una robustezza memori ancora
una volta di Haydn, ma che s'ammorbidisce nel leggero dialogo tra il flauto e i
due clarinetti del Trio, dal languore tipicamente viennese.
Mauro Mariani
Guida all'ascolto 4 (nota 4)
Aperto nel 1782 con la Ha"ner e proseguito con la Linz (1783) e la Praghese
(1786), il ciclo delle Sinfonie viennesi di Mozart fu coronato splendidamente
dalla triade composta nell'estate del 1788: in meno dì due mesi, nella quiete
campestre del sobborgo di Vienna dove si era trasferito il 17 giugno, Mozart,
che in quel periodo attraversava penose di!coltà finanziarie, creò i suoi tre
massimi capolavori sinfonici. La prima a esser terminata fu appunto la Sinfonia
in mi bemolle K. 543 (26 giugno); seguirono la Sinfonia in sol minore K. 550
(25 luglio) e finalmente (10 agosto), la Jupiter. Un «superbo trittico», dice
Bernhard Paumgartner, nato «quasi in un unico poderoso respiro»: e che difatti
ben si presta a esser considerato unitariamente, come la massima e la più
avanzata espressione del sinfonismo mozartiano, profondamente autonoma
ormai dalla stessa civiltà viennese, che negli anni immediatamente successivi
avrebbe toccato, con le dodici Sinfonie «di Londra» di Haydn, un magistero
tecnico ed espressivo di inarrivabile perfezione. Le tre Sinfonie del 1788 ci
mostrano un Mozart giunto all'apice delle proprie possibilità artistiche, in ogni
senso: intanto per la maestria somma della scrittura orchestrale, ra!natissima
nelle definizioni timbriche e nell'intuizione delle possibilità dinamiche; ma
anche, e in primo luogo, nella caratterizzazione espressiva» pervenuta a una
profondità mai toccata nemmeno nei capolavori precedenti, e ormai ampliata a
contenere le più diverse e possenti risonanze emotive, di pari passo con una
padronanza dell'atto compositivo che pur dissimulando nella polita
realizzazione formale ogni traccia di sforzo, non sembra mai improntata alla
semplice «facilità» di una vena feconda e felice, ma respira una consapevolezza
costruttiva di altissima tensione etica. Nell'ambito di questa triade, seguendo
la bella immagine del Paumgartner che le paragona idealmente alla
«successione degli stati d'animo delle ultime Sonate per pianoforte», la
Sinfonia K. 543 starebbe a rappresentare la «vigorosa energia» del primo
tempo, di contro alla «massima intensità emotiva» del secondo (la Sinfonia in
sol minore) e alla «vittoriosa a"ermazione» di vita del terzo (la Jupiter): sicché
la Sinfonia in sol minore, «appassionata e cupa», si porrebbe come «centro
ideale della trilogia», la Jupiter come il momento dell'«attesa liberazione»,
sovrastato dalla «guglia eccelsa» del Finale. L'immagine calza perfettamente;
solo dispiace accorgersi che in questo quadro la Sinfonia K. 543 finisce sempre
per apparire come l'elemento meno importante, meno luminoso se non più
sbiadito: del resto, nel consumo come nella fortuna interpretativa, questa
pagina è forse la meno popolare delle tre Sinfonie del 1788, non ultimo poiché
è quella che ha o"erto minor occasione a esercizi retorici di carattere
biografico-esistenziale-contenutistico, o alle immancabili divinazioni di
fermenti anticipatori del Romanticismo, che con stucchevole fissazione
teleologica vengono regolarmente sovrapposti un po' a tutto l'ultimo Mozart.
Di fatto, in essa non si ravvisano se non in misura piuttosto contenuta i
caratteri che rendono anche esteriormente eccezionali le due Sinfonie
successive: l'inquietudine dolorosa della Sinfonia in sol minore, le gigantesche
intuizioni costruttive e il trionfante vitalismo della Jupiter. Ma certo niente
appare più assurdo che il porre la Sinfonia in mi bemolle su un piano anche di
poco inferiore alle due meravigliose sorelle, sol perché in essa la drammaticità
dei conflitti espressivi è costantemente celata dietro un sublime equilibrio
emotivo, o perché la densità della costruzione riesce con incredibile felicità a
contenersi nella pacifica levità di un periodare di quattro in quattro battute,
secondo le regole accettate di un comporre che non disdegna di essere anche
piacevole, e che comunque rifugge da ogni violenza esteriore. Del resto, in
questa Sinfonia non mancano connotati tali da richiedere una profonda
attenzione anche all'analisi: basterebbe la strumentazione, che
significativamente sostituisce all'abituale coppia degli oboi due clarinetti,
consentendo a Mozart di dispiegare, con una libertà che non ha termini di
confronto neanche nelle poche altre sue Sinfonie che accolgano il clarinetto nel
proprio organico, la particolare e non casuale predilezione che sempre tributò
al timbro pastoso e nostalgico — non necessariamente romantico, anche se
certo quanto mai capace di esprimere turbamenti e ripiegamenti dell'animo —
dello strumento che Brahms avrebbe avuto tanto caro nella sua estrema
stagione creativa. Basterebbe, soprattutto, la grande e severa ricchezza
espressiva della lunga introduzione lenta al primo movimento (formula
abbastanza inconsueta in Mozart, contrariamente alla tradizione viennese, e da
lui impiegata solo in due altre occasioni, nella Linz e nella Praghese), a dar la
misura del profondo impegno compositivo e spirituale profuso da Mozart in
questo suo capolavoro perfettamente tornito, con tutto che esso sia nato, a
quanto pare, in quattro o cinque giorni; e la cui suggestione, per essere meno
immediata e bruciante che nelle altre due Sinfonie del 1788, non risulta a conti
fatti certo minore.
Il moto ampio e solenne dell'Adagio che apre il primo movimento, scandito dai
colpi del timpano e dagli accordi dei fiati, e percorso dalle scalette degli archi,
sottolinea la tensione drammatica — la si direbbe teatrale, se non suonasse
diminutivo: ma non è un caso che le ultime Sinfonie di Mozart cadano giusto in
mezzo al periodo dei grandi capolavori teatrali, e specialmente che siano vicine
nel tempo al Don Giovanni e alle altre opere italiane — che questo episodio
trae dai suoi moti armonici densi di significato. La quiete che segna la
conclusione dell'Adagio prepara la partenza lieve, carezzevole del primo tema;
la trasparenza timbrica della sua prima esposizione, a!data per lo più agli
archi, cede il passo a episodi più incisivi ritmicamente e fonicamente, finché il
lungo episodio di transizione non si placa bruscamente per dar luogo alla
presentazione del secondo gruppo tematico, ancora una volta aereo e
scorrevole, anche se di tinta più riflessiva. Lo sviluppo è molto breve, ma
intenso: la ripresa si svolge regolarmente, e sfocia in una coda sintetica e
incisiva nelle sue lucenti fanfare di corni e trombe. Il tema del secondo
movimento, nel suo miracoloso equilibrio espressivo, ci porta a tutti gli e"etti
nelle stesse regioni emotive dei tempi analoghi delle due Sinfonie successive.
La regolare coniugazione strofica dell'esposizione, limitata ai soli archi, si
dissolve nelle più tormentate elaborazioni dello sviluppo, dove il discorso
strumentale si fa timbricamente più denso e tagliente, e le linee melodiche si
frammentano in incisivi spunti ritmici, ampliando l'orizzonte emotivo della
Sinfonia ad accogliere ancora una volta intense suggestioni drammatiche. Il
Minuetto è tra i più meravigliosamente tersi e scorrevoli composti da Mozart, e
giuoca sull'alternanza del ripieno orchestrale, discretamente rinforzato dai
timpani, con le più trasparenti fasce sonore degli archi e dei legni. II Trio
centrale vede protagonisti i clarinetti (quasi un'eco delle Serenate per strumenti
a fiato degli anni salisburghesi) cui tocca dipanare un motivo a tratti di
villereccia giocondità. Smagliante coronamento della Sinfonia, un Finale avviato
dallo scintillante disegno proposto dai soli violini, e presto ripreso dal «tutti»
orchestrale con nuovo vigore; di!cile distinguere il secondo tema dal primo,
per la sostanziale a!nità che li lega nell'inarrestabile fluire del discorso
musicale: la dignità della forma sonata è salva, ma non le viene consentito di
interporre le sue esigenze dialettiche o drammatiche nella felicità di questo
tripudiantc moto perpetuo, raramente interrotto da pause, quasi a prender
fiato per il tempo che basti ad accennare un sorriso.
Daniele Spini
https://youtu.be/wErcNcZWsiM
https://youtu.be/JTc1mDieQI8
https://youtu.be/p8bZ7vm4_6M
Struttura
Organico musicale
La strumentazione prevede parti per flauto, due oboi, due clarinetti (aggiunti
nella seconda versione), due fagotti, due corni e archi. Da notare è l'assenza di
timpani e trombe, strumenti invece generalmente presenti nelle ultime sinfonie
di Mozart.
Movimenti
Molto allegro
Il primo movimento inizia in tono oscuro, non con il primo tema ma con
l'accompagnamento, eseguito dalle viole, violoncelli e contrabbassi. La tecnica
di iniziare l'opera con l'accompagnamento anziché con la proposizione diretta
del tema sarà usata da Mozart anche nel suo Concerto per pianoforte e
orchestra n. 27 K 595 e diventerà comune nella musica del romanticismo (per
esempio nell'apertura del Concerto per violino e orchestra di Felix
Mendelssohn e il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 di Sergei
Rachmanino").
Andante
Minuetto e Trio
Il quarto e ultimo movimento si apre con una rapida serie di note ascendenti,
delineando una triade di toniche. Questo e"etto è anche noto come razzo di
Mannheim, dal nome dell'omonima scuola musicale che l'ha inventato. Il
movimento è prevalentemente costituito da frasi di otto battute. All'inizio dello
sviluppo vi è un passaggio modulante che destabilizza l'intera tonalità: in
questa sezione viene suonata ogni nota della scala cromatica eccetto una, il Sol
bequadro (la tonica).
Analisi e commenti
Prima esecuzione
Molti studiosi di Mozart sostenevano che fosse altamente probabile che Mozart
non avesse mai ascoltato la sua sinfonia dal vivo. Alcuni musicologi andavano
anche oltre, sostenendo che Mozart avesse composto la Sinfonia n. 40 (nonché
la n. 39 e la n. 41) senza nemmeno l'intenzione che fosse eseguita durante il
suo periodo di vita, ma piuttosto che fosse un "lascito ai posteri"; o (per usare
le parole di Alfred Einstein), un "appello all'eternità".
Studi più recenti suggeriscono che queste supposizioni non siano esatte. Per
esempio, è stata ritrovata una lettera del musicista Johann Wenzel (1762 -
1831), datata 10 luglio 1802 e indirizzata all'editore Ambrosius Kühnel,
residente a Lipsia: in tale scritto, Wenzel si riferisce a una esecuzione della
Sinfonia n. 40 presso l'abitazione del barone Gottfried van Swieten in presenza
di Mozart. Tuttavia, la sinfonia fu eseguita talmente male che il compositore
decise di lasciare la sala.
Per questo delle ultime tre Sinfonie (K. 543, K. 550, K. 551) si parla
solitamente come di un testamento spirituale del genere Sinfonia che, pur
salvaguardando le specifiche peculiarità di ciascuna, le presenta come un unico
grande a"resco creativo. Esse nacquero infatti tutte nel giro di pochi mesi
estivi del 1788 (in realtà 45 giorni, dal 26 giugno al 10 agosto!), uno dei
periodi più tormentati dell'esistenza del compositore, deluso per il debole
successo viennese del Don Giovanni, e trasferitosi in una casa alla periferia di
Vienna pochi giorni prima in seguilo a ristrettezze economiche alle quali
sopperiva il sostegno di un confratello, il commerciante Puchberg. Mozart
probabilmente contava di poter fare eseguire le Sinfonie, e forse anche per
questo fu così veloce nello scriverle, ma il desiderio non si realizzò mai
durante la sua vita, circondando questa estrema produzione di un'aura di
mistero sulla esplosione del suo genio creativo. Nello schema analogo dei
movimenti delle Sinfonie (Allegro-Andante-Menuetto-Finale) vi fu chi, come
Paumgartner (che le avvicinava alle ultime Sonate per pianoforte), ravvisava un
disegno quasi programmatico di successione di stati d'animo: una "vigorosa
energia nel primo tempo, massima intensità emotiva nel secondo, vittoriosa
a"ermazione di vita nel Finale".
Letta nell'ottica degli ideali massonici si direbbe una sorta di via verso la luce
fondata sulla fiducia nel Bene. Un "sottotesto" non impossibile da leggervi dato
che, a ben vedere, oltre al numero delle Sinfonie - "tre" per l'appunto - esso si
potrebbe ravvisare anche nella scelta delle tonalità di impianto: mi bemolle, sol
minore, do maggiore, le tre fondamentali della Zauberflöte, cioè proprio il
percorso dalla "verità" dei tre accordi "massonici", all'inganno della Regina della
Notte, alla luminosa apparizione di Sarastro nel Primo Atto.
Quindici anni dopo, Mozart, che pure aveva conosciuto e sperimentato l'uso
dei clarinetti, li elimina dall'organico (li aggiungerà nel 1791 forse per
un'Accademia) tornando a quel colore dominante, aggiungendo il flauto ed
eliminando anche le trombe, presenti nella K. 543.
Tuttavia ciò che nella K. 183 era programmatico e proteso alla ricerca di una
più originale veste formale, nella K. 550 si eleva ad un livello universale,
tonalità e organico costituendo nient'altro che lo scheletro all'interno del quale
si depositano, senza sforzo alcuno, contenuti più profondi, che lasciano in
ombra il problema delle compresenze e della fusione degli stili "dotto" e
"galante". Mozart qui non si lascia andare all'originalità dell'invenzione, non
usa gesti retorici per comunicare contenuti "drammatici"; al contrario,
sintetizza e asciuga il suo materiale, o"erto in una luce nuova; l'economia dei
mezzi appresa da Haydn si fa quasi ascetica, tanto da far dire a Giovanni Carli
Ballola che la Sinfonia è "reticente", anche se così profondamente pervasa di
una forza esplosiva che sembra trattenuta.
E la conclusione in piano prepara ancora l'attesa per l'attacco del Finale Allegro
assai, in tempo tagliato. Il tema - una figura ascendente, in minime dal
carattere vilain - è in stretta relazione con quello del Menuetto e dà l'avvio
all'alternarsi di domande e risposte tra forte e piano - un'eco dello stile "a
terrazze" di ascendenza barocca. Solo nella seconda parte si scioglie in una
corsa disperata di tutti gli archi, mentre i fiati martellano omoritmicamente in
forte. Il secondo tema, in si bemolle concede una brevissima pausa poiché,
proprio come nel primo movimento, è ancora il primo tema ad a"ermarsi con
prepotenza. È così anche nello sviluppo, la cui linea melodica Abert vede, non
a torto,"corrosa fino all'osso nel fuoco della passione". Tutto si scarnifica infatti
nel passaggio dei frammenti tematici ai singoli strumenti: anche il secondo
tema, variato nella ripresa e "sporcato" con salti nella linea melodica e
cromatismi, è appena un ritorno prima delle pesanti e disperate arcate
ascendenti che concludono con violenza il movimento.
Marco Spada
Fino ad allora la sinfonia non aveva avuto un ruolo di particolare spicco nel
catalogo di Mozart. Eppure quarantuno sinfonie non sono poche per un
compositore vissuto appena trentacinque anni. Ma la maggior parte di esse
risalgono al periodo dell'infanzia e dell'adolescenza, tra i nove e i diciotto anni
d'età, e sono quindi una delle tante stupefacenti dimostrazioni della sua
precocità, senza però apportare nulla di determinante alla storia di questo
genere musicale. Invece dai ventanni in poi Mozart compose solo nove
sinfonie, che sotto l'aspetto puramente quantitativo sono quasi trascurabili in
mezzo ai circa trecentocinquanta numeri del suo catalogo risalenti a quegli
stessi anni. Anche la trasformazione di serenate in sinfonie mediante la
semplice soppressione di qualche movimento, come nel caso della Sinfonia n.
35 "Ha"ner", è indicativa della scarsa attenzione del giovane Mozart al
carattere specifico della sinfonia. Ma le nuove sinfonie di Haydn vennero a
risvegliare il suo moderato interesse per questo genere musicale.
La sinfonia, che fino a pochi anni prima era ancora gracile e incerta, era infatti
diventata grazie a Haydn la massima espressione della musica strumentale, un
organismo possente dalla strattura perfettamente definita ma anche duttile,
che si articolava con razionale chiarezza attraverso sviluppi rigorosi ma allo
stesso tempo accoglieva un'inesauribile varietà d'idee, spesso sorprendenti e
giocose, presentando tutto con la massima ricchezza di colori e sfumature
orchestrali. Mozart a"errò pienamente queste nuove possibilità e, come se
avesse voluto riguadagnare il tempo perduto e dimostrare che aveva da dire
una sua parola di fondamentale importanza anche in questo campo, compose
rapidamente le tre grandi sinfonie del 1788, facendo tesoro delle prospettive
aperte dalle recenti sinfonie di Haydn, ma andando anche oltre, tanto che
Haydn avrebbe a sua volta tenuto presente l'esempio di Mozart nelle sue
ultime sinfonie, le dodici "londinesi" del 1791-1795.
L'aspetto più nuovo di queste tre sinfonie mozartiane sta non tanto nelle
splendide soluzioni puramente musicali ma soprattutto nel fatto che ogni
sinfonia esibisce un proprio carattere, di!cilmente definibile ma
inconfondibile: sotto questo riguardo Mozart anticipa la concezione
beethoveniana della sinfonia come possente creatura musicale, dotata di una
sua personalità unica e inconfondibile, che la rende diversa da tutte le altre.
Due sole volte Mozart scrisse sinfonie in tonalità minore e in entrambi i casi si
tratta del sol minore, che evocava in lui colori cupi e ad atmosfere patetiche e
violentemente agitate. Quindi le due sinfonie in questione rivelano un
particolare impegno espressivo, che viene a incrinare l'olimpica serenità della
maggior parte delle sinfonie mozartiane. La prima (K. 183, del 1773) è infatti
vicina allo spirito corrusco e tempestoso dello Sturm und Drang, il movimento
letterario considerato un preannuncio del romanticismo. L'altra è la Sinfonia n.
40 K. 550, non per caso la prediletta nell'età romantica e ancora oggi la più
popolare tra tutte le sinfonie di Mozart. Questa sinfonia è ammantata di colori
quasi lividi, percorsa da un'agitazione oscura, angosciata da una tensione
senza sbocco, come una tragedia interiore che si svolga sotto la minaccia
d'una forza trascendente e fatale. La concezione illuministica del mondo,
rischiarata dalla solare luce della ragione, si è incrinata e vediamo qui il volto
problematico e ambiguo di Mozart, che lascia intuire mondi misteriosi,
inaccessibili e incomprensibili con i mezzi della sola razionalità.
Subito, nel Molto allegro, il primo tema dei violini, che sorge sul brusio delle
viole, introduce un'atmosfera inquieta e febbrile, che non svanisce
completamente nemmeno con la brusca modulazione a si bemolle maggiore e
col secondo tema, esposto dagli archi, cui rispondono oboi e clarinetti (è da
notare che quest'ultimi, inizialmente non previsti nell'organico della sinfonia,
furono aggiunti in una seconda versione). Nel successivo sviluppo l'a"annoso
primo tema viene portato a un punto di massima incandescenza attraverso
tormentate modulazioni a tonalità distanti e alterazioni melodiche, con uno
spirito agitato e ribelle che va ben oltre un semplice sviluppo tematico. Un
passaggio scoperto degli strumenti a fiato porta alla ripresa, che riserva delle
sorprese: la seconda parte del primo tema infatti diventa il teatro d'un nuovo
scontro tra violini e bassi e il secondo tema è ora molto più sviluppato. Ormai
ossessionante, il tema iniziale ritoma anche nella coda.
Mauro Mariani
È in questo clima che nacque la Sinfonia in sol minore, alla quale fu dato ben
presto il titolo di Schwanengesang (canto del cigno), a sottolineare
l'emozionante senso di turbamento che la pervade, la sua impalpabile e
«ultima» malinconia, la disperata passione che si racchiude nel suo discorso
musicale, per quanto dissimulate da innumerevoli e commoventi discrezioni.
Di fatto, in queste pagine sublimi, Mozart a"ronta un discorso musicale che ha
aspetti del tutto nuovi rispetto alle sue opere precedenti: il distacco dal clima
olimpico di Haydn è ormai definitivo, il discorso musicale è reso più morbido e
ombroso dalla mancanza di trombe e di timpani; le sortite dei due corni hanno
una emergenza solistica, più che servire da appoggio armonico in un fraseggio
diventato sottilmente cromatico e inquieto nei più minuziosi particolari. E tutti
gli svolgimenti tematici «sono come tu! negli abissi dell'anima, simbolizzati in
modulazioni tanto audaci che i contemporanei di Mozart non devono essere
stati in grado di seguirli e tanto sublimi che soltanto Mozart stesso potè
riportarli su di un livello terreno» (Einstein).
Insomma, un «canto amaro e sublime» (G. Manzoni), aperto ancora alle più
diverse sottolineature interpretative, a seconda che s'intenda mettere in primo
piano la sua perfezione formale, la sua divina levigatezza di tratti, o l'intimo
fervore - come di confessione - dei suoi dolorosi abbandoni.
Leonardo Pinzauti
https://youtu.be/9Psr7qr5Lx8
https://youtu.be/SONlDLgx0Gw
https://youtu.be/-DS7OLeSjBg
https://youtu.be/I36Wz5Ow-aY
La Sinfonia n. 41 in Do maggiore K 551, anche nota come Jupiter, è l'ultima
sinfonia di Wolfgang Amadeus Mozart. Fu completata a Vienna il 10 agosto
1788. Essa è l'ultima di un ciclo di tre sinfonie (le altre sono la n. 39 e la n. 40)
composte in rapida successione durante l'estate del 1788.
Il titolo, col suo rimando mitologico a Giove, non fu assegnato dal compositore
ma probabilmente dall'impresario tedesco Johann Peter Salomon, allo scopo di
evidenziare il carattere grandioso e divino che caratterizza quest'ultima
composizione strumentale di Mozart.
Storia
Non è possibile stabilire se la sinfonia sia mai stata eseguita prima della morte
del compositore. Secondo Deutsch, nel periodo di composizione di
quest'opera, Mozart si stava preparando ad eseguire i cosiddetti "Concerti nel
Casino", in occasione dell'inaugurazione di un nuovo casino nella Spiegelgasse
a Vienna, il cui proprietario era Philipp Otto. Mozart aveva anche mandato
alcuni inviti per questa serie di concerti al suo amico Michael von Puchberg. È
però impossibile stabilire se i concerti si siano e"ettivamente tenuti, o se siano
stati cancellati per mancanza di interesse.
Struttura
La strumentazione prevede parti per un flauto, due oboi, due trombe, due
fagotti, due corni, timpani e archi.
Anche la forma binaria del Minuetto è dilatata dalle dimensioni che vi assume
la seconda parte, impreziosita da un sinuoso disegno cromatico discendente,
in contrappunto con se stesso, che dà inopinatamente origine a una sezione di
sviluppo di stampo sonatistico. Ricollegandosi a questa figura, le prime quattro
note della sezione mediana del Trio anticipano il tema-soggetto, quasi
"motto", con cui si apre, sottovoce e in tono di mistero, il Finale, Molto allegro.
Per quanto Mozart avesse già utilizzato questo incipit in almeno una decina di
composizioni precedenti, a cominciare dall'Andante della sua prima Sinfonia K.
16, esso si presenta ora come una emblematica sintesi del pensiero sonatistico
e di quello della fuga, quasi a creare un innesto del monotemarismo
contrappuntistico barocco nei principi dialettici del linguaggio classico.
Nel breve spazio di tre mesi, durante l'estate del 1788, in un momento della
sua vita rattristato dallo scarso successo del Don Giovanni a Vienna, dalla
povertà, dalla morte della piccolissima figlia Theresia, Mozart scrisse, forse in
vista di qualche progettata "accademia", le tre Sinfonie che sarebbero state le
sue ultime, nate fra le amarezze ma anche attingendo a un misterioso e
inesauribile fondo di gioia musicale. Dopo la calda luminosità della Sinfonia in
mi bemolle maggiore K. 543, a cui la solennità di certi "segnali" massonici non
toglie niente dello smalto festoso, e la drammaticità raccolta e nondimeno
tormentata della Sinfonia in sol minore K. 550, la Sinfonia in do maggiore K.
551 (terminata in partitura il 10 agosto 1788) celebra il trionfo di un magistero
tecnico ed espressivo tanto spontaneamente dissimulato quanto
pazientemente costruito nel confronto con il presente (Haydn) e con il passato
(lo studio del contrappunto bachiano e händeliano), fino a creare una sintesi
emblematica del pensiero sonatistico classico e della fuga barocca. Dopo la
scelta di un organico più concentrato per la Sinfonia in sol minore, Mozart
ritorna al fasto timbrico di quella in mi bemolle, reintegrando trombe e
timpani, ma rinunciando ai clarinetti: una tavolozza timbrica tesa a valorizzare
il carattere vittoriosamente, solennemente a"ermativo di un lavoro che, con la
lucentezza abbagliante delle sue snelle geometrie formali, si allontana, per
superarli, non solo dalla robusta opulenza della Sinfonia K. 543 ma anche dal
cupo patetismo della Sinfonia K. 550.
Segio Sablich
È intorno alla metà del 1788, tre anni prima della morte, che Mozart scrive le
sue ultime tre Sinfonie, K. 543, 550, 551, completate rispettivamente, secondo
il catalogo personale dell'autore, il 26 giugno, il 25 luglio e il 10 agosto. Nei
giovanili anni salisburgesi la creazione di lavori sinfonici, destinati a una
funzione di intrattenimento, era stata una prassi piuttosto consueta per il
compositore, legata a commissioni nobiliari o a specifiche occasioni
celebrative, e Mozart vi si era dedicato con regolarità. Dopo il trasferimento a
Vienna del 1781, venuti meno i rapporti con la corte salisburghese e con gli
ambienti nobiliari della cittadina, le Sinfonie si diradano nel catalogo del
compositore, e non è un caso che la nascita di lavori di questo tipo appaia
legata spesso a città diverse da Vienna. La Sinfonia K. 385 è detta "Ha"ner"
perché riprende la musica di una precedente Serenata scritta per la rinomata
famiglia salisburghese degli Ha"ner; le Sinfonie K. 425 e K. 504 sono dette
rispettivamente "Linz" e "Praga" perché legate a visite in queste due città.
Le ultime tre Sinfonie portano al più alto grado quel processo di maturazione
che si riscontra nella tarda produzione strumentale di Mozart. La loro
straordinaria ricchezza musicale deriva dalla stratificazione di numerosi stili, di
diversa origine e provenienza. Soprattutto, si manifesta la straordinaria abilità
raggiunta dall'autore nelle elaborazioni tematiche, nella padronanza delle
forme, negli e"etti strumentali, sulla base dell'esempio di Franz Joseph Haydn.
I confini della costruzione sinfonica si dilatano così fino ad assumere delle
dimensioni assai più vaste rispetto alle Sinfonie scritte da Mozart appena un
decennio prima; e, parallelamente, anche i contenuti della Sinfonia divengono
più ambiziosi, trasformando lo stile di intrattenimento in una speculazione di
alta complessità, destinata a un pubblico di intenditori.
Il grande Allegro vivace che apre la Sinfonia si basa su elementi tematici assai
diversi fra loro: una marcia festosa, un tema cantabile di gusto galante,
esposto dai violini e, verso la fine della esposizione, un terzo tema di opera
italiana (tratto dall'Arietta bu"a "Un bacio di mano" K. 541, scritta poco tempo
prima per essere inserita in un'opera di Pasquale Anfossi). Il percorso che
allinea questi temi è, tuttavia, piuttosto frastagliato, fatto di ripetizioni che
illuminano diversamente i medesimi temi, di improvvise pause e apparenti
divagazioni; eppure si impone la perfetta consequenzialità di tutto questo
discorso musicale, per cui le tensioni accumulate lungo l'esposizione vengono
stemperate dal più leggero tema di opera bu"a.
È proprio da questo tema che parte la sezione dello sviluppo, che riserva quasi
subito una sorpresa; il tema "bu"o" diventa protagonista infatti di una
elaborazione "dotta", contrappuntistica, in stile antico; è questo un elemento
tipico dell'ultimo Mozart, derivato dallo studio della musica di Händel e Bach,
che il compositore aveva imparato a conoscere frequentando la casa viennese
di un facoltoso appassionato con una passione "antiquaria", il barone Gottfried
van Swieten. Lo sviluppo approda poi a una finta ripresa - espediente
tipicamente haydniano - e quindi alla vera riesposizione; non si è inteso, nello
sviluppo, il tema di marcia, che quindi si ripresenta con rinnovata energia,
proponendosi come il carattere più autentico del movimento, che i vari temi e
procedimenti secondari non fanno che sottolineare, fino alla sua chiara
a"ermazione nella coda.
Arrigo Quattrocchi
Fino ad allora la sinfonia non aveva avuto un ruolo di particolare spicco nel
catalogo di Mozart. Eppure quarantuno sinfonie non sono poche per un
compositore vissuto appena trentacinque anni. Ma la maggior parte di esse
risalgono al periodo dell'infanzia e dell'adolescenza, tra i nove e i diciotto anni
d'età, e sono quindi una delle tante stupefacenti dimostrazioni della sua
precocità, senza però apportare nulla di determinante alla storia di questo
genere musicale. Invece dai ventanni in poi Mozart compose solo nove
sinfonie, che sotto l'aspetto puramente quantitativo sono quasi trascurabili in
mezzo ai circa trecentocinquanta numeri del suo catalogo risalenti a quegli
stessi anni. Anche la trasformazione di serenate in sinfonie mediante la
semplice soppressione di qualche movimento, come nel caso della Sinfonia n.
35 "Ha"ner", è indicativa della scarsa attenzione del giovane Mozart al
carattere specifico della sinfonia. Ma le nuove sinfonie di Haydn vennero a
risvegliare il suo moderato interesse per questo genere musicale.
La sinfonia, che fino a pochi anni prima era ancora gracile e incerta, era infatti
diventata grazie a Haydn la massima espressione della musica strumentale, un
organismo possente dalla strattura perfettamente definita ma anche duttile,
che si articolava con razionale chiarezza attraverso sviluppi rigorosi ma allo
stesso tempo accoglieva un'inesauribile varietà d'idee, spesso sorprendenti e
giocose, presentando tutto con la massima ricchezza di colori e sfumature
orchestrali. Mozart a"errò pienamente queste nuove possibilità e, come se
avesse voluto riguadagnare il tempo perduto e dimostrare che aveva da dire
una sua parola di fondamentale importanza anche in questo campo, compose
rapidamente le tre grandi sinfonie del 1788, facendo tesoro delle prospettive
aperte dalle recenti sinfonie di Haydn, ma andando anche oltre, tanto che
Haydn avrebbe a sua volta tenuto presente l'esempio di Mozart nelle sue
ultime sinfonie, le dodici "londinesi" del 1791-1795.
L'aspetto più nuovo di queste tre sinfonie mozartiane sta non tanto nelle
splendide soluzioni puramente musicali ma soprattutto nel fatto che ogni
sinfonia esibisce un proprio carattere, di!cilmente definibile ma
inconfondibile: sotto questo riguardo Mozart anticipa la concezione
beethoveniana della sinfonia come possente creatura musicale, dotata di una
sua personalità unica e inconfondibile, che la rende diversa da tutte le altre.
Per l'ultima sua sinfonia Mozart scelse il do maggiore, la tonalità della luce
zenitale, solare e incontaminata. Questo luminoso splendore, unito all'olimpica
serenità, alla maestà delle dimensioni e al tono solenne e grandioso, hanno
guadagnato alla Sinfonia n. 41 K. 550 il titolo di "Jupiter". L'oggettività non
alterata da passioni umane si manifesta anche nell'impiego intensivo del
contrappunto, soprattutto nel finale: rifulgono qui le doti contrappuntistiche
dell'allievo di Padre Martini e dell'ammiratore e trascrittore di Bach e Haendel,
ma è un contrappunto di nuova concezione, libero da ogni residuo di
scolasticismo, da ogni compiacimento per l'esibizione di abilità fine a se
stessa, da ogni barocca volontà di maraviglia.
Un tema nient'a"atto danzante, anzi simile alla formula che nella musica
barocca era il simbolo del dolore, conferisce un carattere piuttosto severo e
solenne al Menuetto, ra"orzato dal fitto trattamento contrappuntistico. Nel
Trio è da segnalare la seconda sezione, che enuncia a piena orchestra il motivo
che aprirà il movimento finale.
Mauro Mariani
https://www.youtube.com/watch?v=YQvLGlJt10Y
Cesare Fertonani
Sinfonia n. 45 in Re maggiore K 95
https://youtu.be/R1RVD7bYayE
1) Allegro
2) Andante
3) Minuetto
4) Allegro
Cesare Fertonan
https://youtu.be/_0hTDZ0whpU
https://youtu.be/If5fjJaCh6s
https://youtu.be/szMu8si_YYQ
Per tornare alla sinfonia concertante, va rilevato che Mozart non concepisce
una struttura nella quale ai solisti vengano riservate ampie possibilità
individuali ma piuttosto di creare un dialogo violino e viola e tra questi e
l'orchestra. La logica è quella cameristica post haydniana, dove non esiste
prevalenza tra i componenti e il cui antagonismo Hermann Abert ben
caratterizzerà con le parole "amichevole rivalità".
Una curiosità è il fatto che la parte della viola solista sia scritta in Re maggiore
con l'indicazione "accordata un mezzo tono più alto"; questo accorgimento ha
lo scopo di rendere la viola più brillante grazie alla maggiore tensione delle
corde e all'utilizzo delle corde vuote mentre il violino nella tonalità di mi
bemolle, a causa dell'impossibilità di utilizzare frequentemente le corde vuote,
assume una sonorità più velata. In questo modo si eviterebbe che il violino
sovrasti la viola.
Normalmente però oggi i violisti preferiscono suonare con lo strumento
accordato normalmente. Mozart ha avuto inoltre cura di scrivere egli stesso le
cadenze, di cui quella del secondo movimento è di incredibile bellezza.
Dati sull'opera
Catalogo Köchel
Durata
32 minuti
Movimenti
Organico
Autografo
Il 1779 fu uno degli anni più di!cili e penosi della vita di Mozart. L'ex-
fanciullo prodigio aveva ormai ventitre anni e era dovuto tornare a testa bassa
a Salisburgo, dopo un viaggio di sedici mesi che aveva avuto come tappe
intermedie Mannheim e Monaco e come meta finale Parigi. Profondamente
provato dalla morte della madre, che era avvenuta mentre si trovava solo con
lei a Parigi e che aveva segnato il suo definitivo passaggio all'età adulta,
rifiutato da Aloysa Weber, di cui s'era invaghito a Mannheim, amaramente
deluso nella speranza di trovare una collocazione professionale più
rispondente alle sue aspirazioni, si era dovuto rassegnare al so"ocante
ambiente salisburghese, riassumendo il suo ruolo di servitore del principe-
arcivescovo.
Mauro Mariani
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
Lavoro forse più ambizioso fra tutti questi, la Sinfonia Concertante per violino
e viola risale al 1779 e segue dunque di pochi mesi l'esperienza del grande
viaggio a Mannheim e Parigi, infruttuoso sotto il profilo professionale, e
preziosissimo per le acquisizioni stilistiche. Peculiare del brano è innanzitutto
il rapporto fra i due solisti, conflittuale (nella loro serrata contrapposizione) e
insieme solidale (nella cantabilità belcantistica per terze e seste); proprio per
ottenere una maggiore penetrazione del suono della viola Mozart prescrive che
lo strumento sia accordato un semitono più alto. Altro elemento
imprescindibile della partitura è l'importanza dell'orchestra; grazie
all'eloquenza dello stile orchestrale di Mannheim e al dominio di una
concezione formale più articolata, ci troviamo di fronte a una composizione
veramente "sinfonica", caratteristica che si impone fin dalle prime battute
dell'Allegro maestoso, che a"ermano prepotentemente la tonalità passionale di
mi bemolle.
Arrigo Quattrocchi
Ben si spiega, in questo quadro, come Mozart abbia rinunciato - altro fatto
quanto mai insolito - a dare alla Sinfonia un primo tempo di carattere brillante,
condizionando invece il movimento iniziale con la stessa indicazione agogica,
Allegro maestoso. Del resto, tutto il materiale tematico che è riversato nella
Sinfonia concertante appare tipico del Mozart maturo, non meno che l'impiego
che di esso materiale viene fatto nel corso dell'opera, Di piena dignità
sinfonica, infatti, magari anche a parziale scapito dell'evidenza delle parti
solistiche, che pure risultano quanto mai impegnative, ambedue, sono infatti i
temi che reggono il primo movimento; e di piena dignità sinfonica è la
costruzione di esso, non ultimo nella stesura del tessuto orchestrale,
notevolmente ricco di colori non tanto per l'abbondanza degli strumenti
impiegati - che la partitura si limita ad aggiungere agli archi una coppia di
oboi e una di corni - quanto per l'attenzione con cui essi vengono impiegati al
massimo delle loro possibilità espressive (e non è privo d'importanza il fatto
che anche le parti degli archi manifestino una simile profondità d'intervento,
con la prescrizione di due parti di viola, accanto a quelle dei violini primi e
secondi e del basso). Così le escursioni, quasi costantemente attestate in
forma di dialogo serrato, dei due solisti, non hanno mai niente di gratuito o di
superfluo, ma trovano una coerente e precisa collocazione in un quadro
unitario e di robusta architettura formale. Come galanteria e stilemi di opera
bu"a sono totalmente banditi dall'Allegro maestoso, così insolitamente intenso
e «serioso» è l'Andante centrale, impiantato in do minore, per Mozart la
tonalità della commozione. Il Finale scioglie la serietà e la relativa severità dei
due movimenti precedenti in un clima giocoso, e per una volta aperto anche a
evasioni brillanti. Sostenuto, però, dal costante controllo di una fantasia
destissima, che rifugge dall'ossequio a soluzioni scontate, e percorso da
un'inarrestabile vitalità ritmica.
Daniele Spini
https://youtu.be/LQ6C80R71Nc
https://youtu.be/XSrOwiuJ0jg
E' evidente che «la luce mozartiana» non è fatta soltanto di quantità di opere
scritte in un arco di vita di appena 34 anni (lo studioso Ludwig von Koechel ne
ha annoverate nel suo catalogo ben seicentoventisei, cui vanno aggiunte altre
cento, incompiute o di incerta attribuzione), ma piuttosto va considerata per la
varietà dei generi musicali praticati e la perfetta riuscita in ognuno di essi.
Nella musica profana e sacra, strumentale e vocale, teatrale e da concerto,
sinfonica e da camera, seria o bu"a egli è riuscito a lasciare il segno della sua
genialità. Non a caso Massimo Mila ritiene che l'arte di Mozart è «un mare dove
confluiscono e convivono pacificamente le più disparate tendenze del suo
secolo. Anche in questo egli rassomiglia a Ra"aello, cui viene sempre
paragonato per la levigata perfezione esteriore e per l'assoluta finitezza
formale. Artisti compendiatori e coronatori di un'epoca, artisti la cui forza è
forza di civiltà, non di primitiva barbarie: e civiltà è prima di tutto
conservazione, religiosa pietà di ciò che è stato prima di noi e che ha
contribuito a crescerci quali siamo. Vi sono artisti ribelli ed essenzialmente
rivoluzionari che nelle epoche di lotta e di trasformazione svolgono un lavoro
prezioso di demolizione delle vecchie sovrastrutture, dei pregiudizi ritardatori,
e sbarazzano il terreno per la manifestazione di un ordine nuovo. E vi sono
artisti, invece, i quali edificano la casa dell'uomo, cioè la civiltà, sopra quanto
rimane dei vecchi edifici, utilizzando tutti i mattoni salvabili dalle rovine,
trovando con naturale spontaneità la conciliazione e la continuità fra le
testimonianze del passato e le esigenze del presente».
***
L'Adagio si apre con un preludio di quattro misure, con l'orchestra che disegna
una frase cantabile ripresa poi dal violino. Nel gioco tra il solista e il tutti si
inserisce un altro tema che ha la funzione di sviluppare l'intero discorso
musicale, arricchito da una serie incessante di modulazioni strumentali. Il
violino solista si abbandona alla cadenza virtuosistica prima che si giunga alla
coda in cui si riascolta il tema del preludio. Il brano è esemplare nella sua
semplicità e non si può negare alla piccola orchestra una tessitura timbrica di
toccante poesia.
Claudio Toscani
L'Adagio K. 261 fu pensato come movimento sostitutivo del tempo centrale del
Concerto K. 219, forse troppo impegnativo per Brunetti. Sebbene pochi mesi
separino il Concerto K. 219 dall'Adagio K. 261, l'Adagio mostra una sensibile
evoluzione stilistica, ed è inoltre una delle pagine più felici destinate dal
compositore allo strumento ad arco. Già la breve introduzione orchestrale
(organico: archi e coppie di flauti e corni) definisce l'ambientazione intima,
lirica e so"usa dell'intera pagina; la linea del solista è levigatissima e
continuamente rinnovata nelle curvature melodiche; da notare, nella sezione
centrale, il giro continuo di modulazioni che porta il solista alla riesposizione;
questa poi non è pedissequamente testuale, ma piuttosto libera.
Arrigo Quattrocchi
https://youtu.be/jUWsbWEPpyI
Arrigo Quattrocchi
https://youtu.be/n2HerUNc5XY
Organico: 2 clarinetti, 2 corni, archi; nel 1777 sono stati aggiunti 2 oboi, 2
corni inglesi, 2 fagotti
Composizione: Milano, 22 novembre 1771
Prima esecuzione: Milano, residenza di Albert Michael von Mayr, 23 novembre
1771
Ennio Melchiorre
Cesare Fertonani
https://youtu.be/uJtfqrv03iQ
https://youtu.be/RR9CrTAR9RU
Una prova abbastanza indicativa dello stile di queste composizioni viene data
dal Divertimento K. 251, scritto da Mozart nel luglio 1776 per il compleanno
della sorella Nannerl. Non per nulla il brano è punteggiato da ritmi brillanti,
arguti e leggeri di intonazione parigina, sicuramente per assecondare i gusti
della sorella, che, da brava claviccmbalista, si era specializzata nella
esecuzione della musica francese. Tutto scorre con leggerezza ed eleganza
galante, specie nel dialogo tra il suòno caldo e leggermente metallico dell'oboe
e le fioriture del primo violino. Il Divertìmento si apre con un tempo in forma di
sonata dal ritmo vivace ed allegro; segue un Minuetto in cui il musicista
introduce ornamenti e variazioni al tema principale. L'Andantino è un delicato
e delizioso rondò con una serie di intermezzi che sembrano tanti siparietti di
un'unica scena. Il secondo Minuetto è un tema con sei variazioni, di cui l'ultima
si richiama ciclicamente all'inizio del movimento. Anche il quinto tempo
(Allegro assai) ha l'andamento di un rondò, sviluppato ampiamente e con
ricchezza di invenzione timbrica. Il Divertimento si chiude con una Marcia alla
Francese, detta in tal modo per il particolare carattere del ritmo, molto marcato
e meno cantabile della maggior parte dei temi di marcia composti in
precedenza da Mozart.
Si ritiene, secondo alcuni studiosi mozartiani, tra cui Alfred Einstein, che il
musicista abbia anticipato in questo Divertimento in re maggiore i temi per il
balletto parigino Les Petits riens composto nell'estate del 1778 e andato in
scena senza il nome dell'autore sul manifesto, insieme all'opera bu"a di
Piccinni Le due gemelle, tanto che il successo andò al coreografo Noverre e
nessuno seppe in quella occasione chi fosse l'autore dell'ouverture e delle
quattordici danze distribuite in tre quadri.
https://youtu.be/Idfqc-N6soA
Dopo aver dato negli anni 1773 e '74 i suoi primi grandi capolavori nel campo
della Sinfonia (con le K. 183, 200, 201 e 202), Mozart, quasi avesse coscienza
del risultato conseguito, lascia riposare questa forma per circa quattro anni
(una durata che nella breve vita di Mozart conta assai). In questo periodo
trascorso a Salisburgo si intensificano le richieste di musiche d'occasione e
Mozart compone una quantità di Divertimenti, Cassazioni e Serenate prima che
il viaggio a Parigi (1777-1778) lo riporti al genere sinfonico più impegnativo.
Prima di questa svolta tuttavia Mozart, come era sua abitudine, porta a
perfezione il genere adottato, in questo caso quello della musica di
intrattenimento, muovendo dall'interno stesso del genere, accettandolo nei
suoi limiti ma entro questi limiti trasfigurandolo in valori d'arte assoluti. Così
con quattro lavori (K. 247, 251, 287, 334), pur concepiti come Divertimenti,
Mozart tocca una vetta che supera nella bellezza dei risultati non poche
Sinfonie precedenti. Nell'angusto e inviso soggiorno di Salisburgo era bastato il
passaggio di una celebre concertista di pianoforte, M.lle Jeunehomme, perchè
Mozart, onde o"rirle un omaggio adeguato, accendesse la sua fantasia sino a
creare nel gennaio 1777 quel capolavoro che è il Concerto per pianoforte e
orchestra K. 271, contenente al centro un Andantino in do minore che è una
delle parole più cariche di pathos dette fino allora dal compositore. Qualcosa
dell'ampiezza di concezione del famoso Concerto passa nel Divertimento K.
287 che gli storici assegnano senza certezza, ma con buoni argomenti di
probabilità, al febbraio dello stesso anno.
L'ampiezza di gesto propria del Concerto K. 271 trova ancora applicazione nel
primo movimento del Divertimento, sia nel portale introduttivo di 8 battute,
dopo le quali soltanto vengono enunciati i due temi principali, sia nella
eccezionale ampiezza dello sviluppo. Segue, come nel Divertimento di Michael
Haydn, il Tema con sei variazioni; la prima è quasi un a solo del primo violino
che nella seconda viene scortato da secondo violino e viola; la terza ha per
protagonisti i corni, mentre la quarta contempla un gioco imitativo dei due
violini con la viola; nella quinta il tema è sottoposto a una trasformazione
melodica dopo di che, nell'ultima, il primo violino riprende l'iniziativa. Il primo
Minuetto, secondo le parole di Wyzewa e Saint-Foix, «è forse la parte più
perfetta di tutta quest'opera perfetta. L'incanto leggero e sottile del ritmo di
danza tedesca, nel minuetto, l'introduzione, nel trio, di modulazioni in sol
minore, con la misteriosa espressione d'inquietudine nervosa e appassionata
che questo tono ha in Mozart», pongono quest'opera al livello dei minuetti dei
capolavori sinfonici del 1774.
Giorgio Pestelli
https://youtu.be/Yj5ie1vU5GM
Mozart scrisse il Musikalischer Spass, per due violini, viola, contrabbasso e due
corni K. 522, noto anche come «Scherzo musicale» o con il titolo «I musicanti
del villaggio», verso la metà di giugno del 1787, un paio di mesi prima della
Kleine Nachtmusik K. 525. Non si conosce l'occasione e il destinatario di
questo divertimento musicale in quattro tempi, ma è facile immaginare che si
tratti di una scherzosa parodia di un piccolo e modesto complesso orchestrale,
senza pretese sul piano dell'esecuzione. E' una deliziosa caricatura delle
composizioni artigiane in uso al tempo di Mozart, il quale mette a nudo con
bonomia i lati deboli e le banalità più dei compositori che degli esecutori da
strapazzo, riservando all'ascoltatore smaliziato una piacevole sorpresa a ogni
battuta. Tra l'altro questa composizione, unica nel suo genere, segna un
ritorno di Mozart alla forma del Divertimento e della Serenata, che in quel
tempo egli aveva abbandonato per dedicarsi alla sinfonia e al quartetto d'archi.
Il primo Allegro già mostra certe discontinuità di intervento dei vari strumenti,
che mirano a sottolineare il tono scherzoso della composizione, nata
probabilmente come una battuta di spirito durante una allegra chiacchierata
tra amici. Il Menuetto maestoso non si discosta da altri analoghi componimenti
con le parti solistiche concertanti. Il Trio in si bemolle è più lungo del
necessario e o"re al primo violino l'occasione per fare sfoggio di virtuosismo.
Alla fine ritorna il tema del minuetto. L'Adagio cantabile è sottolineato da
trovate curiose e banali e presenta una serie di accordi armonici che
appartengono al peggiore sentimentalismo di ogni compositore. Dopo essersi
divertito abbastanza, Mozart o"re nel Presto conclusivo un saggio della sua
disinvolta bravura armonica e contrappuntistica, tra fugati, trilli e rondò in un
incalzante rapido di note di indubbio e"etto estetico, quasi a riconciliarsi, con
un abbraccio amichevole, con i valori eterni della musica.
Ma v'è di meglio e di più sottile. Quel magniloquente motivo del primo violino,
che nell'Adagio cantabile spicca il suo volo da gallinaceo, starnazzando in go!
virtuosismi e ornamentazioni, per finire sul filo di una cadenza scolastica,
stiracchiata fino all'estenuatezza e conclusa da un trillo "da
pecora" (l'espressione è mozartiana). Quel Trio, nel Minuetto, impelagato in
figurazioni insignificanti, librate sopra paurosi vuoti armonici. Capolavoro di
cattiveria e di abilità nello scriver bene della musica mal scritta e peggio
pensata è il Finale, con l'asma cronica di quel suo temino miserabile, la
confusione mentale di quelle armonie, la dichiarata incapacità di sviluppare
un'idea, i già ricordati conati polifonici. La voglia irresistibile di ravvisare il
positivo mozartiano, dietro la smorfia di questo negativo, si appaga
facilmente, se si pensa che poco dopo "Ein musikalischer Spass" (giugno 1787)
nasceva l'angelica "Kleine Nachtmusik" K. 525: scritta come Mozart, ossia come
Dio comanda.
Giovanni Carli Ballola
https://youtu.be/E8Je07AWMhc
Ad aprire negli anni viennesi nuove prospettive a Mozart, come uomo e come
artista, contribuì indubbiamente la massoneria, che allora attraversava un
periodo d'oro nella capitale dell'impero asburgico, anche per la protezione
accordatale da Giuseppe II. Quest'associazione non era allora tanto segreta,
anzi svolgeva la propria azione con una certa ostentazione: i distintivi massoni
venivano esibiti appesi alla catena dell'orologio, molti articoli di moda venivano
chiamati à la fanc-macon e ovunque erano stampate ed eseguite le musiche
massoniche. Molti vi aderirono per moda o per avere l'appoggio e la
protezione dei "fratelli" o magari per la speranza di avere la rivelazione di
grandi segreti esoterici, come la pietra filosofale o la comunicazione con gli
spiriti dei defunti. Ma gli ideali alla base della massoneria erano ben più alti: il
forte senso etico, l'amicizia e la fratellanza tra gli uomini, la liberazione
dell'umanità dall'oscurantismo e dalla superstizione.
Fu tra la fine del 1784 e l'inizio del 1785 che Mozart si iscrisse alla loggia "Alla
speranza incoronata nell'Oriente di Vienna", ritrovandosi in compagnia di
aristocratici, eruditi e artisti. La loggia richiese a Mozart varie musiche per i
propri riti, tra cui la più importante è la Maurerische Trauermusik (Musica
funebre massonica), probabilmente composta già nel luglio del 1785 ma
eseguita il 17 novembre nel corso di una cerimonia in memoria del conte Franz
Esterhàzy von Galantha, Gran Maestro della loggia, e di un altro fratello, il duca
Georg August von Mecklenburg-Strelitz. È un pezzo assai breve ma
estremamente significativo, sia per il suo intrinseco valore musicale sia per il
suo profondo significato spirituale.
Mauro Mariani
https://youtu.be/cNJKeBEzWC0
L'opera, infatti, nel giro di pochi anni fu "digerita" in ogni angolo d'Europa e le
sue melodie erano conosciute e cantate in ogni ambiente, dal più ricco al più
povero. Senza contare poi che tutti i più importanti musicisti, da Haydn a
Beethoven, da Rossini a Gounod, da Wagner a Richard Strauss, ebbero una
particolare predilezione per questa partitura, concordando sostanzialmente
con le parole che Goethe scrisse a Schiller nel 1797: «Il Don Giovanni è opera
unica e meravigliosa nel suo genere; la morte di Mozart ci ha distrutto ogni
speranza di udire mai più qualcosa di simile».
L'ouverture del Don Giovanni fu scritta all'ultimo momento e poche ore prima
che l'opera andasse in scena. La stessa moglie Costanza narrò nel libro di
memorie mozartiane elaborato dal suo secondo marito, Georg Nissen, come il
musicista aveva composto la sinfonia. «L'antivigilia della prima (cioè il 27
ottobre), ultimata la prova generale - scrive Costanza - Mozart disse a sua
moglie che quella stessa notte avrebbe scritto l'ouverture; preparasse quindi
un punch, restando poi accanto a lui per tenerlo sveglio. Costanza per
assecondarlo cominciò a rievocare delle fiabe, come la lampada di Aladino,
Cenerentola e Ali Babà, il che fece ridere molto il maestro. Ma il punch gli
aveva aumentato il sonno ed egli si assopiva appena lei cessava di raccontare,
tornando invece alle sue carte quando Costanza riprendeva a parlare. Ad un
certo punto, però, visto che il lavoro non procedeva, lei gli disse di fare un
sonnellino, promettendogli di svegliarlo dopo un'ora. Senonché Mozart si
addormentò così profondamente che Costanza non ebbe il coraggio di
chiamarlo prima di due ore. Erano le cinque del mattino e il copista era
convocato per le sette. Alle sette l'ouverture era pronta».
https://youtu.be/TLJfw3GA7vg
Allegro (si bemolle maggiore)
Come finale alternativo per il Concerto K. 207 Mozart scrisse, alla fine del
1776, il Rondò in si bemolle maggiore K. 269 (Allegro). Vi fu probabilmente
indotto da Brunetti, che non dovette trovare di suo gusto il finale originario
(forse perché non concede molto al virtuosismo strumentale). Mozart abbozzò
dunque un nuovo brano, nella forma più «disimpegnata» e meno problematica
del rondò: un tema sciolto ed elegante, dalla natura quartettistica, si alterna a
una serie di episodi ora virili, ora ombrosi, ora drammatici. Con una spiritosa
trovata, l'orchestra e il violino ingannano l'orecchio, da ultimo, con un «falso»
attacco del ritornello, prima che la consueta cadenza solistica sfoci nel vero
ritornello conclusivo.
Claudio Toscani
https://youtu.be/CYM6PzuhSBc
Leonardo Pinzauti
https://youtu.be/5ecohLqG70A
Mozart ci ha lasciato in tutto tredici Serenate, di cui ben otto nella tonalità di re
maggiore. Mozarl non discriminò con molta esattezza i termini di Cassazione,
Divertimento e Serenata nell'intitolare le sue composizioni. Del primo termine
fece anzi uso soltanto in due composizioni giovanili del 1769. Ma anche la
prima Serenata, che è dello stesso anno, può essere considerata una
Cassazione. In genere i Divertimenti, comunque, si richiamano più da vicino
alla musica da camera e richiedono complessi di solisti per la loro esecuzione,
laddove le Serenate mostrano una maggiore a!nità con la musica orchestrale
(sinfonia e concerto per strumento solista). Ciò non toglie che, ad esempio, le
ultime Serenate, le tre per strumenti a fiato del 1781-82 e quella per archi del
1787 (la celebre «Eine kleine Nachtmusik») siano chiaramente concepite per
complessi solistici. Alla tipologia propria della Serenata (cinque movimenti di
carattere sinfonico con l'interpolazione di due o tre movimenti di concerto
solista) si richiama in realtà soltanto un gruppo di 5 Serenate, scritte tra il
1773 e il 1779, tutte in re maggiore: K. 185 (E. 167a) del 1773, K. 203 (E.
189b) del 1774, K. 204 (E. 213a) del 1775, K. 250 (E. 248b) del 1776, K. 320
(E. 320) del 1779. Si tratta di composizioni che nascono da occasioni di
celebrazioni festive e risentono di questa loro destinazione nel tono gioioso e
vivace, nella ricchezza ornamentale della scrittura, nella conversatività
lietamente dialogante che ne caratterizza il discorso strumentale. Le
interpolazieni in forma di concerto per strumento solista e orchestra sono
ricche di virtuosismo.
Nella loro pubblica o privata esecuzione per la festività cui erano destinate le
Serenate erano in genere precedute e seguite da una Marcia. Le Marcie delle
Serenate di Mozart ci sono pervenute staccate dalla composizione principale
cui erano destinate. Alla Serenata del 1774 era connessa la Marcia in re
maggiore K. 237 (E. 189c), scritta per un organico pressocchè uguale: 2 oboi,
2 fagotti, 2 corni, 2 trombe e archi senza viole la Marcia, 2 oboi (sostituibili
con 2 flauti), fagotto, 2 corni, 2 trombe e archi la Serenata. Tra la Marcia K.
237 e l'andante maestoso che apre la Serenata K. 203 è tra l'altro
evidentissima la connessione tematica. L'allegro che segue ha tratti di nobile,
maestosa solennità, è riccamente sviluppato ed ha caratteristiche che lo
avvicinano di molto alle contemporanee Sinfonie. I movimenti dal secondo al
quarto (andante - minuetto e trio - allegro) costituiscono il Concerto per
violino e orchestra interpolato nella Serenata, «pienamente sviluppato, una
vera e propria composizione inserita in un'altra e non un semplice episodio»,
come scrive l'Einstein, il quale sottolinea tra l'altro la parentela che lega «il
contrasto tra la melodia principale e l'intercalare chiacchierino degli oboi e
delle viole» nell'andante e quello «che si riscontra nel quartetto in si bemolle
del Don Giovanni fra Donna Anna e Don Ottavio da una parte e Donna Elvira e
Don Giovanni dall'altra». Il Concerto è anch'esso nella tonalità di si bemolle,
con il movimento centrale (minuetto e trio) in fa maggiore. Il quinto
movimento della Serenata e di nuovo un minuetto e trio che riporta alla
tonalità fondamentale di re maggiore (col trio in la maggiore). Il successivo
andante, in sol maggiore, è di una tenera riflessività ed è essenzialmente
a!dato ai violini e agli oboi. Il terzo minuetto e trio (settimo movimento, col
trio in re minore) riporta nuovamente alla tonalità fondamentale, che trionfa
nel finale prestissimo. La più articolata varietà di colorazioni e di espressioni si
congiunge nella Serenata in re maggiore all'unitarietà della concezione
tematica, alla perfetta simmetria delle strutture, alla omogeneità dei toni
a"ettivi, nella totale pienezza creativa che contraddistingue tutta l'opera di
Mozart.
Carlo Marinelli
https://youtu.be/yIc8JK-aSZw
Composta nell'agosto del 1775, la Serenata infila uno dopo l'altro sette tempi
contrassegnati da un vivo piacere per l'esibizione brillante di un virtuosismo
compositivo tuttavia mantenuto in una gradevole pacatezza di gesto
adornativo. Ciò che colpisce e a"ascina, è dìfatti l'equilibrio con cui Mozart
sembra aggirare le formule consuete, cui pure fa riferimento, per dare proprio
attraverso esse l'immagine di una musica legata ai riti di un ambiente, di un
consumo, di una moda perfino, e che però non soggiace a queste sue
obbligate determinazioni, bensì le assume per darci con stilizzato e
disincantato fervore fantastico, il quadro vivacissimo d'un aspetto particolare
del suo mondo musicale.
Luigi Pestalozza
https://youtu.be/gIrO_d3uJjg
Marcia. Maestoso (re maggiore)
Minuetto (re maggiore)
Rondò. Allegretto (re maggiore)
È nel corso degli anni Settanta del Settecento, che il catalogo strumentale di
Mozart si arricchisce di numerosi brani ascrivibili a generi "minori", che sono
fra loro piuttosto assimilabili, nonostante le terminologie divergenti:
Divertimento, Cassazione, Serenata, Notturno. Con questi nomi, nella civiltà
musicale del secondo Settecento, si intendeva un genere compositivo di
di!cile definizione; non legato a precise regole costruttive e al rispetto di un
determinato organico strumentale, poteva essere un brano di dimensioni
impegnative o contenute, a!dato a un solo esecutore o a un cospicuo
ensemble da camera. Una distinzione più precisa separava il Divertimento -
termine impiegato in genere per composizioni che mantenevano un organico
cameristico, con un numero di esecutori piuttosto ridotto e con esecuzioni "in
parti reali" - dalla Serenata, che implicava in genere maggiori ambizioni di
organico e durata. In definitiva ciò che accomunava sotto uno stesso nome
composizioni tanto dissimili era la loro particolare destinazione di
intrattenimento; in una cittadina di provincia, come la Salisburgo dei Mozart,
ogni famiglia aristocratica o alto borghese esercitava una piccola azione di
mecenatismo - finalizzata a dare lustro alla propria casata - commissionando
ai musicisti locali delle Serenate, appunto - o dei Divertimenti, Cassazioni, ecc,
- che celebrassero particolari occasioni o ricorrenze, o anche semplicemente
allietassero la vita di tutti i giorni.
Arrigo Quattrocchi
Roman Vlad
«Un canto semplice e fluente, armonizzato nel modo più consonante»: questa
la raccomandazione del teorico Johann Georg Sulzer, nel suo trattato di
estetica (1774), a chi voglia scrivere una serenata. La musica che appartiene a
questo genere, dunque, deve essere in primo luogo piacevole, eufonica e
accattivante; e infatti si serve spesso, a questo scopo, di motivi popolari come
danze, lieder, melodie alla moda provenienti dal teatro musicale. All'epoca di
Mozart, la serenata - o Nachtmusik, che è il termine tedesco equivalente - è
nella fase della sua massima fortuna e incontra il favore di diversi ceti sociali e
diverse culture. «Nelle belle notti d'estate ci si può imbattere in serenate nelle
strade a tutte le ore. [...] Appena viene intonata una serenata, tutte le finestre
si riempiono e in pochi minuti i musicisti sono sovrastati da una corona
plaudente», scriveva nel 1794 un foglio viennese, il Wiener Theater-Almanach,
parlando di un genere in gran voga nella capitale asburgica. Le musiche da
suonare all'aria aperta - cassazioni, divertimenti, notturni, serenate -
composte dai musicisti viennesi, e la loro popolarità, sono la testimonianza
tangibile di un fenomeno lentamente verificatosi nel corso del Settecento: il
riavvicinamento tra musica di strada e musica colta. A Vienna s'era avviato un
proficuo processo di contaminazione, o meglio di osmosi: da una parte la
musica d'arte accoglieva temi di lieder e canzoni popolari, dall'altra melodie
«colte» - provenienti soprattutto dal teatro musicale - conoscevano
adattamenti d'ogni sorta per i complessi che si esibivano nelle strade, nei
cortili, nelle case private.
La prassi era di"usa anche altrove, nei paesi di lingua tedesca. Ogni città aveva
le proprie tradizioni. A Salisburgo, per esempio, l'evento annuale che forniva
l'occasione per eseguire serenate notturne all'aperto era la fine degli esami
all'università, nel mese di agosto, quando gli studenti attraversavano la
Salzach, accompagnati da un complesso che suonava una marcia, per recarsi
nei giardini di Palazzo Miraceli, residenza estiva dell'arcivescovo. Qui venivano
eseguiti in suo onore vari brani musicali; poi tutti facevano ritorno al collegio
universitario, dove si suonava una serenata in onore dei professori (anche
Mozart scrisse tre cassazioni a questo scopo, nell'estate del 1769).
Anche se la tradizione è molto più antica, è negli ultimi decenni del Settecento
che il genere della serenata strumentale si codifica, nei paesi danubiani, in una
forma determinata. Indossa allora una veste autonoma, articolata in diversi
movimenti, alcuni dei quali possono assumere dimensioni ampie e un grado
maggiore di elaborazione, altri possono ispirarsi a semplici schemi di danza.
Tutti, in ogni caso, sono contraddistinti da un carattere di facile comunicativa,
di piacevole colloquialità.
Claudio Toscani
In questa gioiosa dedizione alla realtà mondana che non prevede cesure e dalla
quale anzi emerge una caratteristica coincidenza fra sensibilità e ragione, fra
natura e civiltà, Mozart seppe creare degli autentici gioielli, com'è il caso della
serenata «Ha"ner» o della coeva K. 239. Composta a Salisburgo nel gennaio
del 1776 — il titolo di «Serenata notturna» fu apposto sul manoscritto dal
padre Leopold —, l'opera contrappone secondo uno schema a!ne a quello del
concerto grosso barocco, un concertino (due violini, viola, contrabbasso] al
«ripieno» di archi e timpani.
Ricco di humour nei felici e"etti timbrici di luce e ombra che «soli» e «tutti»
determinano, ritmicamente estroso, il lavoro scorre con serena fluidità nella
dimensione ideale di un tempo che è insieme scherzoso e serio, ammiccante e
compassato.
La serenata si apre con una «Marcia» ben scandita dai timpani e incisivamente
decisa (ritmi puntati, staccato, pause), all'interno della quale si isolano dieci
battute, elaborate sullo stesso materiale tematico, ma diverse nello spirito.
Delicato e leggero, infatti, il disegno dei due violini principali si stempera sul
rarefatto pizzicato del ripieno.
Dopo un «Minuetto» con «Trio» nel quale Mozart utilizza il caratteristico ritmo
lombardo, assai in voga fin dal '600, il «Rondò» finale lascia largo spazio agli
interventi solistici del concertino, in un variato succedersi di episodi:
«Allegretto», «Adagio», «Allegro». Nel primo e nell'ultimo fa capolino con le
ironiche movenze dei suoi trilli e delle sue scalette un tema militare viennese
assai noto al pubblico di Salisburgo, mentre il breve inciso dell'«Adagio»
indulge verso una pensosa seriosità, volutamente contrastante.
Fiamma Nicolodi
https://youtu.be/3O1G2IV9kHg
Elementi assai tipici della serenata, quali una cantabilità espansiva e facilmente
comunicativa, emergono nell'Andante. Il brano prevede un «violino principale»
ed è strutturato come un tempo di concerto solistico, nel quale al tutti
orchestrale si alternano episodi condotti dal violino solo; la musica è dolce e
intima, mai o"uscata da increspature di sorta.
Un radicale rovesciamento d'atmosfera avviene con il primo Menuetto della
Serenata. Il modo minore, le tensioni ritmiche e armoniche introducono un
elemento di e!cace contrasto - quasi un ospite che, indesiderato, si intrufola
tra i convitati - nel clima festoso del lavoro mozartiano. Spicca ancor più, in un
contesto così scuro, l'atmosfera distesa del Trio, nel quale il violino solista
resta in compagnia unicamente di flauti, fagotti e corni.
Claudio Toscani
https://youtu.be/RZPQjXiu8xQ
https://youtu.be/gUQy2PtNiek
Adagio maestoso (re maggiore)
Allegro con spirito (re maggiore)
Minuetto e Trio. Allegretto (re maggiore)
Concertante. Andante grazioso (sol maggiore)
Rondò. Allegro ma non troppo (sol maggiore)
Andantino (re minore)
Minuetto e 2 trii (re maggiore)
Presto (re maggiore)
Un esempio tra i più tipici di questa forma musicale è o"erto dalla Serenata in
re maggiore K. 320 scritta nell'agosto del 1779 a Salisburgo e articolata in
cinque movimenti (l'orchestra comprende due violini, due viole, contrabbasso,
due flauti, due oboi, due fagotti, due corni, due trombe e timpani). Non si sa a
chi fosse destinata questa Serenata, ma certamente era stata composta per
allietare qualche ricorrenza festiva. Del resto l'Allegro con spirito, introdotto da
poche misure in tempo adagio, si snoda con spigliatezza di e"etti strumentali
e rivela un carattere festoso e ritmicamente vivace nel gioco tra pianissimo e
crescendo, in una successione di imitazioni e di richiami al ritornello del primo
tema. In fondo più che la linea melodica è il ritmo brillante a prevalere in
questo movimento giustamente allegro. Piacevolmente e!cace è il Minuetto.
Allegretto con il Trio in la, evidenziato dalle uscite del flauto e del fagotto.
Delicatamente espressiva è la frase caratterizzante l'Andantino in re minore
nella esposizione dei violini, ripresa dal tutti dell'orchestra. Ancora ai violini è
a!dato un nuovo tema in fa maggiore e su di esso si sviluppa una trama
strumentale di particolare piacevolezza melodica. Segue un altro Menuetto con
due Trii, di cui il primo è riservato al flautino, mentre il secondo è scritto per
due oboi, il corno da postiglione o Posthorn, due violini, viola e contrabbasso.
Il tempo finale ha un tono saldo e vigoroso, marcatamente sinfonico e
vagamente evocativo dell'atmosfera un po' esotica che troverà maggiore
compiutezza e realizzazione musicale nell'opera Il ratto dal serraglio.
L'intelaiatura strumentale è molto varia e presenta una gamma sonora di
entrate e di uscite, nelle tonalità più diverse, di tutti i protagonisti
dell'orchestra, sino ad una coda di esaltante brillantezza espressiva, che
conclude degnamente il ciclo delle Serenate salisburghesi di Mozart.
«Un canto semplice e fluente, armonizzato nel modo più consonante»: questa
la raccomandazione del teorico Johann Georg Sulzer, nel suo trattato di
estetica (1774), a chi voglia scrivere una serenata. La musica che appartiene a
questo genere, dunque, deve essere in primo luogo piacevole, eufonica e
accattivante; e infatti si serve spesso, a questo scopo, di motivi popolari come
danze, lieder, melodie alla moda provenienti dal teatro musicale. All'epoca di
Mozart, la serenata - o Nachtmusik, che è il termine tedesco equivalente - è
nella fase della sua massima fortuna e incontra il favore di diversi ceti sociali e
diverse culture. «Nelle belle notti d'estate ci si può imbattere in serenate nelle
strade a tutte le ore. [...] Appena viene intonata una serenata, tutte le finestre
si riempiono e in pochi minuti i musicisti sono sovrastati da una corona
plaudente», scriveva nel 1794 un foglio viennese, il Wiener Theater-Almanach,
parlando di un genere in gran voga nella capitale asburgica. Le musiche da
suonare all'aria aperta - cassazioni, divertimenti, notturni, serenate -
composte dai musicisti viennesi, e la loro popolarità, sono la testimonianza
tangibile di un fenomeno lentamente verificatosi nel corso del Settecento: il
riavvicinamento tra musica di strada e musica colta. A Vienna s'era avviato un
proficuo processo di contaminazione, o meglio di osmosi: da una parte la
musica d'arte accoglieva temi di lieder e canzoni popolari, dall'altra melodie
«colte» - provenienti soprattutto dal teatro musicale - conoscevano
adattamenti d'ogni sorta per i complessi che si esibivano nelle strade, nei
cortili, nelle case private.
La prassi era di"usa anche altrove, nei paesi di lingua tedesca. Ogni città aveva
le proprie tradizioni. A Salisburgo, per esempio, l'evento annuale che forniva
l'occasione per eseguire serenate notturne all'aperto era la fine degli esami
all'università, nel mese di agosto, quando gli studenti attraversavano la
Salzach, accompagnati da un complesso che suonava una marcia, per recarsi
nei giardini di Palazzo Miraceli, residenza estiva dell'arcivescovo. Qui venivano
eseguiti in suo onore vari brani musicali; poi tutti facevano ritorno al collegio
universitario, dove si suonava una serenata in onore dei professori (anche
Mozart scrisse tre cassazioni a questo scopo, nell'estate del 1769).
Anche se la tradizione è molto più antica, è negli ultimi decenni del Settecento
che il genere della serenata strumentale si codifica, nei paesi danubiani, in una
forma determinata. Indossa allora una veste autonoma, articolata in diversi
movimenti, alcuni dei quali possono assumere dimensioni ampie e un grado
maggiore di elaborazione, altri possono ispirarsi a semplici schemi di danza.
Tutti, in ogni caso, sono contraddistinti da un carattere di facile comunicativa,
di piacevole colloquialità.
L'ultimo movimento (Finale: Presto) riporta alla ricca scrittura e alle ampie
dimensioni del primo, ed è improntato a una festosità orchestrale ancora
maggiore. In forma sonata, è guidato da un tema principale propulsivo,
alternato a un grazioso tema secondario. Ed è con le briose scariche di energia
di questo movimento che Mozart prende definitivamente commiato, nell'agosto
del 1779, dal tipo salisburghese della serenata.
Claudio Toscani
https://youtu.be/7mBwP72F2zo
E' vero che nelle sinfonie è indicato il cammino ascensionale di Mozart verso la
conquista di una forma musicale in cui sono racchiuse compiutamente le
immagini più alte e più pure della fantasia poetica, ma non bisogna
dimenticare che il compositore salisburghese fu un abilissimo artigiano di
suoni e come tale si mostrò sempre pronto a ogni comando e commissione di
musiche per intrattenimento di cui la società viennese, aristocratica e
borghese, era addirittura a"amata. Di qui le Danze, le Marce, le Serenate, le
Cassazioni, i Divertimenti, i Notturni che sono prodotti di una freschezza
avvincente e di una invenzione lieta e serena, anche se a volte mondana. In
questo ambito va collocata la Marcia in re maggiore K. 249, che fu scritta il 20
luglio del 1776 per festeggiare le nozze di un certo signor Spath con Elisabetta
Ha"ner, figlia del borgomastro di Salisburgo, come risulta dall'autografo della
partitura vergato dallo stesso Mozart. Anzi questa marcia è stata composta per
essere eseguita o prima o in appendice alla Serenata «Ha"ner» in re maggiore
K. 250. Non per nulla essa si apre con un ritmo maestoso che si richiama
all'Allegro maestoso del primo movimento della suddetta Serenata, quasi a
sottolineare il legame e l'interdipendenza fra le due musiche.
https://youtu.be/MW0ZH5KEybI
https://youtu.be/1lqGX-gaJyI
si bemolle maggiore
fa maggiore
do maggiore
la maggiore
https://youtu.be/BdpEch2hyYQ
re maggiore
sol maggiore
mi bemolle maggiore
fa maggiore
la maggiore
do maggiore
Mozart aveva la danza nel sangue: si dice che fosse un ottimo ballerino ed era
- senza "si dice" - uno straordinario compositore di Danze, capace d'inserire in
questa musica leggera e priva di grandi ambizioni degli squarci che, quasi
inavvertitamente e senza calcare la mano, aprono prospettive su mondi ben
più profondi dei futili intrattenimenti cui le composizioni di questo genere
erano destinate. Proprio la musica di danza diede un contributo importante
alle sue travagliate finanze negli ultimi anni di vita, perché nel 1787 fu
nominato "compositore di corte", un titolo altisonante che in realtà si limitava
alla composizione della musica per i balli nel palazzo imperiale. Con questa
nomina la corte dimostrava di sapere scegliere con acutezza un compositore
che aveva un dono particolarissimo per la danza, ma d'altra parte rivelava una
forte miopia, perché disconosceva che le capacità di Mozart andavano ben
oltre. Certamente non era quel cui aspirava il trentunenne compositore, che
osservò che era pagato anche troppo per quel che gli facevano fare, ma troppo
poco rispetto a quel che avrebbe potuto fare.
Le Sei danze tedesche K. 509 precedettero di qualche mese l'incarico a corte e
furono scritte nel febbraio del 1787 a Praga, dove Mozart si era recato per una
felicissima ripresa delle Nozze di Figaro, il cui entusiastico successo fece di lui
un protagonista degli avvenimenti mondani di quel carnevale, oltre a
procurargli la commissione di una nuova Opera da rappresentarsi nella capitale
boema nell'autunno di quello stesso anno, il Don Giovanni. Non si conosce la
destinazione precisa di questo gruppo di Danze, ma una leggenda (perché tale
la si deve considerare, sebbene al suo fondo possa esserci qualche elemento di
verità) racconta che siano state scritte nel palazzo del conte Pachta, il cui
proprietario aveva invitato a pranzo Mozart ma al suo arrivo lo rinchiuse in una
stanza, dicendogli che non l'avrebbe fatto uscire finché non avesse composto
le Danze che da lungo tempo gli aveva promesse: dopo un'ora le danze erano
pronte!
Sapendo bene quale fosse la destinazione delle Sei danze tedesche K. 509,
Mozart scrisse una musica di divina leggerezza, in modo che la si potesse
godere spensieratamente durante un intrattenimento mondano. Ma tutto lascia
intendere che non fosse a"atto convinto che questa è musica di genere
inferiore. L'organico orchestrale è infatti simile a quello d'una Sinfonia
(mancano soltanto le viole, com'è tipico delle Danze dell'epoca), le dimensioni
sono relativamente ampie e ad un ascolto attento si apprezzano i numerosi
ra!nati dettagli, l'interrotta serie d'idee originali e le magistrali modulazioni,
che sfumano con qualche ombreggiatura l'atmosfera fondamentalmente serena
e gioiosa (notare la tonalità minore dell'Alternativo della quinta Danza). Una
particolarità di queste Sei Danze è che sono congiunte da brevi transizioni e
quindi si svolgono senza soluzione di continuità. Un'altra particolarità è
l'imprevista e relativamente ampia coda, che si avvia con la brillante sonorità
delle trombe e culmina in un festoso crescendo e in una serie di rutilanti
accordi fortissimo, su cui si libra il trillo dell'ottavino.
Mauro Mariani
Tre Danze tedesche per orchestra, K 605
https://youtu.be/CaZ_k41v91c
re maggiore
sol maggiore
do maggiore
Datate 12 febbraio 1791, le Tre Danze tedesche K. 605 furono composte per i
balli di carnevale del teatro di corte, come imponeva la carica di
"Kammermusikus" rivestita da Mozart. Non manca, anche in queste una nota di
carattere: la garbata allusione a una corsa in slitta contenuta nella terza di
queste danze, intitolata appunto Die Schlittenfahrt (Il viaggio in slitta); sonagli
e cornette da postiglione schizzano una pittura vivacissima, forse memore di
un'altra Corsa in slitta descritta in musica tanto tempo prima da Leopold
Mozart. L'intenzione illustrativa non separa troppo questa danza in do
maggiore dalle altre due, in re maggiore e in sol maggiore, ancora una volta
elegantissime e ricche di humour.
Concerti
https://youtu.be/FHwmL8Md22w
https://youtu.be/ZntL9Y7vcDM
https://youtu.be/jvRhkZLM__E
https://youtu.be/gFbeWL-e-6A?list=TLPQMDIwOTIwMjBWbIJdH65cTQ
Assieme ai concerti K 37, K 39, K 40 e K 41, il K 107 nasce da arrangiamenti di
opere di altri autori. I tre concerti K 107 risentono dell'influenza di Johann
Christian Bach che Mozart incontrò durante il suo soggiorno a Londra. Infatti
non sono altro che riduzioni in forma di concerto di tre sonate per
clavicembalo dello stesso J. C. Bach, che Köchel cataloga come K 107, ponendo
come data più probabile di composizione il 1770, ma che in virtù di questa
influenza potrebbero coincidere col periodo del soggiorno londinese (1765).
Le tre sonate per cembalo, corrispondenti all'Op. 5 No. 2-4 di J. C. Bach, sono
semplicemente trascritte da Mozart per un organico più ampio,
contrapponendo al solista un tutti formato da due violini e un basso numerato.
Si basano sulla modifica del primo tempo, in cui Mozart sfrutta la ripetizione
dell'esposizione per poter ottenere il dualismo solo-tutti, ed inserisce prima
della fine la fermata per la cadenza. Con l'uso di questo accorgimento
strutturale, gli altri tempi delle sonate non presentano problemi di rilievo
nell'essere plasmati secondo i canoni del concerto. Sono da considerarsi,
perciò, una sorta di "esperimento" con finalità didattica per il giovane Mozart,
che con quest'opera si cimenta per la prima volta nel genere del concerto.
Del primo dei tre concerti sono pervenute due cadenze, realizzate
probabilmente in una fase successiva, a testimoniare il fatto che l'autore,
durante le sue tournée, amava rieseguire tutte le sue composizioni, senza
distinzione alcuna.
Dati sull'opera
Catalogo Köchel
K 107
Durata
14 minuti (K 107-1)
9 minuti (K 107-2)
10 minuti (K 107-3)
Movimenti
allegro
andante
tempo di minuetto
K 107-2 in Sol maggiore (da J. C. Bach Op. 5 No. 3)
allegro
allegretto (con 4 variazioni)
allegro
rondeau - allegretto
Organico
solista clavicembalo
2 violini
basso continuo
https://youtu.be/aS9bfZA5PrE
Il tutti iniziale è ricavato dai due soggetti del tempo di sonata, ma non in
maniera del tutto imitativa, in quanto si intravedono degli spunti che
raggiungono il culmine nel tutti situato tra l'esposizione e lo sviluppo e in
quello conclusivo del movimento.
Se nel primo movimento il ruolo della cadenza ancora non è esplicito, nel
terzo, la preparazione ad essa è realizzata in maniera compiuta, attraverso una
nuova figurazione introdotta dal solista accompagnato dall'orchestra.
https://youtu.be/ZgvjzBcu5JU
Il passo successivo a quello della trascrizione per un organico più "ampio" delle
tre sonate di Johann Christian Bach, compiuto dal piccolo Mozart è
rappresentato dai quattro concerti K 37, K 39, K 40 e K 41, composti tra
l'aprile e il luglio 1767, a Salisburgo.
https://youtu.be/87j4_lYRKAI
Il passo successivo a quello della trascrizione per un organico più "ampio" delle
tre sonate di Johann Christian Bach, compiuto dal piccolo Mozart è
rappresentato dai quattro concerti K 37, K 39, K 40 e K 41, composti tra
l'aprile e il luglio 1767, a Salisburgo.
Il presto del terzo movimento, si basa sulla scansione binaria della sonata
italiana, e presenta, nell'ambito dei primi quattro concerti di Wolfgang
Amadeus Mozart, un carattere più vario che si identifica nell'alternanza di
figurazioni ritmiche.
L'orchestra ha lo stesso organico dei primi due concerti, con l'aggiunta di due
trombe che contribuiscono ad arricchire le sonorità e ad attribuire a
quest'opera una maggiore identificazione col genere musicale del concerto, nel
tentativo di uscire dalle convenzioni della musica rococò.
https://youtu.be/RPcLU0gG1s8
Il passo successivo a quello della trascrizione per un organico più "ampio" delle
tre sonate di Johann Christian Bach, compiuto dal piccolo Mozart è
rappresentato dai quattro concerti K 37, K 39, K 40 e K 41, composti tra
l'aprile e il luglio 1767, a Salisburgo.
l'Allegro iniziale e il Molto allegro finale sono tratti dalla Sonata op. 1 n. 1 di
Honauer
l'Andante centrale dall'Andantino della Sonata n. 1 di Raupach
https://youtu.be/t_Mq7pddQJA
Il Concerto per pianoforte ed orchestra n. 5 in Re maggiore (K 175) fu scritto
da Wolfgang Amadeus Mozart nel 1773, ossia a 17 anni, subito dopo il rientro
a Salisburgo dal suo terzo e ultimo viaggio in Italia.
Allegro
Andante un poco adagio
Allegro
https://youtu.be/bSDNX9kRI7s
Composto nel 1776, assieme al K 242, al K 246 e al K 271 (legati però ad una
committenza), risente dell'influenza del gusto francese e salisburghese, e forse
anche dei Sei Concerti Op. 13 di Johann Christian Bach.
https://youtu.be/zBZRplVpNIM
Il concerto per tre pianoforti e orchestra (Lodron-Konzert) fu composto da
Mozart per la contessa Antonia Lodron, sorella del conte Georg Anton Felix
von Arco, primo camerlengo di Salisburgo, e le sue figlie Aloisia e Giuseppina.
Questo concerto a tre cembali è stato concepito per tre musicisti con di"erenti
capacità musicali: se infatti al primo ed al secondo solista appartiene una
scrittura più complessa, lo stesso non si può dire per il terzo che ha una parte
di minore di!coltà. Risale invece ad una fase successiva l'accomodamento a
due, che Mozart preparò forse per ragioni di praticità, in cui la parte del terzo
solista viene assorbita dalle altre due.
Il risultato è quello di un'opera dalle sonorità scorrevoli, non troppo spinta nel
virtuosismo:
Nel primo movimento dopo un preludio dell'orchestra dove sono esposti i due
temi principali i tre pianisti attaccano all'unisono il primo tema mentre
l'orchestra tace del tutto. E sono i tre solisti che monopolizzano poi l'intera
prima parte dello sviluppo fino a un lungo ritornello dell'orchestra il cui canto è
a!dato ai secondi violini su un ritmo sincopato dei primi e con piccoli
movimenti degli oboi e degli altri archi. Lo sviluppo riprende poi a!dato ai tre
solisti e caratterizzato da un lungo dialogo in imitazione tra i due primi
pianoforti gli oboi e i violini. Una cadenza la cui caratteristica omofona viene
appena messa in forse dalle successive entrate in imitazione dei tre strumenti
solisti fa presto giungere alla ripresa orchestrale del tema che conclude il
movimento. L'Adagio è il movimento dominante del concerto; si tratta di una
sorta di sognante notturno caratterizzato da un canto di grande dolcezza e
intimità che ricorda le più grandi creazioni della maturità mozartiana, tanto
che nella serenata di Così fan tutte il musicista riprese il ritmo del primo tema
di questo Adagio, esposto qui in un ammirevole preludio orchestrale, sul quale
entrano i tre pianoforti scambiandosi tra loro il materiale tematico finché
l'orchestra rientra in scena con leggere figure che mantengono viva una
atmosfera armonica discreta e accattivante. Un piccolo tema esposto dai primi
due pianoforti dà inizio allo sviluppo che precipita poi in una grande cadenza
nel corso della quale, mentre il primo solista ripresenta i temi del movimento,
il secondo ripete infaticabilmente un ritmo di triple crome mentre il terzo fa
eco ai temi del primo.
Il tema del Rondò finale, assai breve, è un vero e proprio tema di minuetto
esposto dai solisti, e ripreso poi dall'orchestra. Esso è caratterizzato da due
intermezzi, uno in minore di ritmo energico e appassionato con frequenti
imitazioni tra i due primi pianoforti ed un accompagnamento a!dato agli oboi
e agli archi, l'altro in si bemolle maggiore che apre la strada alla cadenza e al
finale con una ennesima ripresa del tema sempre più variato ed accompagnato
dal quartetto d'archi in «pizzicato».
Gianfilippo De Rossi
Mozart dovette tenere conto dei diversi livelli di abilità esecutiva nello scrivere
le parti destinate ai tre pianisti dilettanti: giacché, nella sua versione originale,
il Concerto fu concepito per tre pianoforti, anche se ne esiste una
rielaborazione coeva (probabilmente approntata dallo stesso autore per sé e la
sorella) per due tastiere. La garbata, a"ettuosa maniera del Bach milanese è il
limite entro il quale l'inso"erente genialità di Mozart mette in opera un
potenziamento inusitato delle strutture e un'Intensificazione espressiva del
pari estranea al codice di comportamento galante.
https://youtu.be/sM5rhhxbK6U
Allegro aperto
Andante
Rondeau: Tempo di minuetto
https://youtu.be/URQJ4kqVdNA
https://youtu.be/VB-bw7WodLY
https://youtu.be/OWFM3K8jOco
Questo concerto è considerato una delle pietre miliari nella produzione del
compositore salisburghese e presenta numerose innovazioni stilistiche che
verranno riprese in seguito, anticipando di molti anni le atmosfere e le
poetiche del periodo viennese. Le sue stesse dimensioni indicano subito la
distanza col passato: a fronte dei 18-20 minuti della durata dei Concerti
precedenti, K. 271 supera la mezz'ora. Il lavoro cade nel mezzo del secondo
dei periodi in cui è abitualmente suddivisa l'attività compositiva di Mozart,
quello della "prigionia salisburghese"; è preceduto da pagine come la Sinfonia
in sol minore K 183 e i cinque Concerti per violino, nei quali la inedita
profondità espressiva e la ricerca stilistica chiudono i conti con la musica
precedente e contemporanea e aprono nuove stagioni. Anche questo Concerto
guarda al futuro e salta a piè pari i cinque anni che lo seguiranno, per
collocarsi a fianco dei grandi capolavori dell'ultimo periodo, composti a Vienna
dal 1782 in poi.
I tre movimenti
I Allegro
L'Allegro iniziale dichiara subito gli intenti del compositore. L'attacco è quello
marziale e solenne caratteristico dei Concerti scritti per le grandi occasioni: un
primo tema a frasi brevi, molto marcate e segnate da interventi corali dei fiati.
Già dalle prime battute assistiamo all'inserimento del primo elemento di
rottura: il pianoforte interviene subito fin dall'esposizione della seconda parte
del primo tema.
Il rapporto con i fiati è più complesso. Mozart per primo intuisce le enormi
possibilità cromatiche dei fiati ora in relazione dialettica col solista, ora come
strumento di collegamento tra l'orchestra e questo. Proprio nel "Jeunehomme"
Mozart incomincia ad usare i fiati in questo modo, anche se confrontandone
l'ascolto con i Concerti più tardi si può cogliere come la tecnica sia ancora in
evoluzione.
I caratteri del primo movimento, per quanto innovativi sul piano tecnico e
stilistico, per quanto schiudano orizzonti vasti nelle dinamiche e nello sviluppo
della forma concertistica, sono ancora abbastanza in linea con l'estetica e i
migliori lavori del suo tempo.
II Andante
III Rondò
Ventuno concerti per pianoforte e orchestra, più uno per tre pianoforti e
orchestra, un altro per due pianoforti e orchestra e un rondò per pianoforte e
orchestra, rispettivamente K. 242, 365 e 382, rappresentano la summa della
produzione strumentale e pianistica di Mozart e in essi avverte l'evoluzione
dello stile da concerto del salisburghese, che passa da una libera forma
sinfonica, dove lo strumento solista svolge un ruolo brillante e virtuosistico, ad
un linguaggio sonoro più intimo e raccolto nell'ambito di un rapporto più
misurato ed equilibrato tra il pianoforte e l'accompagnamento orchestrale. Del
resto lo stesso Mozart espresse in una lettera che porta la data del 28
dicembre 1782 le sue idee sul modo di concepire i concerti per pianoforte e
orchestra della prima maniera. «I concerti - egli scrive a suo padre - sono una
via di mezzo fra il troppo di!cile e il troppo facile, sono molto brillanti e
piacevoli all'udito, naturalmente senza cadere nello stravagante e nella
vuotaggine. Qua e là anche gli intenditori possono ricevere una soddisfazione,
ma in modo che i non intenditori devono rimanere soddisfatti, senza sapere
perché». Negli anni successivi egli approfondì e arricchì la struttura tecnica del
concerto, conferendo all'orchestra una personalità timbrica più spiccata, pur
lasciando intatte allo strumento solista le fioriture, le variazioni e le cadenze
tipiche della parte pianistica. Questa trasformazione si può cogliere nell'intero
arco della produzione concertistica viennese: nel 1782-83 Mozart scrisse tre
concerti per pianoforte (K. 413, 414, 415); nel 1784 ne scrisse sei (K. 449,
450, 451, 453, 456, 459); nel 1785-86 compose tre concerti per anno (K. 466,
467, 482, 488, 491 e 503). Negli ultimi cinque anni Mozart scrisse solo due
concerti; nel 1788 il Concerto in re K. 537 per l'incoronazione di Leopoldo II a
Francoforte e nel 1791, anno della sua morte, l'ultimo Concerto in si bemolle
K. 595, con il quale il musicista prese congedo come pianista dal pubblico di
Vienna (4 marzo 1791).
L'esposizione dell'Allegro (per il quale Mozart lasciò anche due versioni di una
sua propria cadenza) avviene eccezionalmente a botta e risposta fra orchestra
e pianoforte. A questo primo movimento ricco di proposte tematiche e di
robusta tessitura sinfonica succede un tempo lento eccezionalmente esteso,
che alterna un patetismo intenso e quasi tragico (è la prima volta che Mozart
scriv un tempo di concerto in minore) a zone cantabili e a"ettuose, ed apre al
concerto per pianoforte le strade di un pronunciato protagonismo espressivo.
Istanze brillanti tornano a comparire nel Rondò conclusivo, dove il tema
principale sembra anticipare l'aria di Monostato del Flauto magico. Fra gli
episodi che vi si alternano c'è però un tempo di minuetto con quattro
variazioni, che viene a sconvolgere la fisionomia disimpegnata che
tradizionalmente contraddistingue i finali di concerto.
Pur nascendo circa sette anni prima dell'inizio dell'incredibile fioritura degli
anni viennesi, molto probabilmente alla fine del 1776 o al principio del 1777, il
Concerto in mi bemolle maggiore K.271 è tuttavia un lavoro di grande
importanza. Stimolato dalla momentanea presenza a Salisburgo di una giovane
francese virtuosa della tastiera della quale conosciamo solo il cognome,
Mademoiselle Jeunehomme (o Jenomy, come si legge nella corrispondenza
mozartiana), il ventunenne Mozart diede vita a un lavoro che, pur senza
scollamenti violenti rispetto ai tre lavori dell'anno precedente, viene
universalmente considerato un'opera chiave. Secondo uno studioso autorevole
come Stanley Sadie, si tratta addirittura di una «tra le composizioni più sottili e
più elaborate di tutti i periodi creativi di Mozart per quanto concerne le
relazioni tematiche, il trattamento della lunghezza delle frasi e delle cadenze,
al fine di accrescere il senso di tensione e rinforzarne la risoluzione, e
soprattutto nell'ampio sviluppo dei rapporti tra solista e orchestra».
Rapporti tra solista e orchestra che fin dalle prime battute dell'incantevole
Allegro d'apertura sono improntati chiaramente all'integrazione piuttosto che
al predominio o alla contrapposizione; mentre la ricchezza del materiale
tematico e della scrittura sinfonica e l'impegno assegnato al solista, tutti tratti
destinati presto a esplodere compiutamente nei concerti viennesi, collocano
già questo lavoro ben più avanti del pur più tardo Concerto in re di Haydn.
Momento assolutamente eccezionale è l'Andantino in do minore, primo
esempio di movimento in minore nell'intera produzione concertistica
mozartiana: si tratta di un'ampia pagina cantabile dai toni intensamente
patetici, corredata per di più da una lunga cadenza originale di Mozart. Non
meno straordinario è il brillante e virtuosistico Rondò conclusivo, il cui scorrere
irresistibile (Presto), partendo da un tema principale che sembra anticipare
quello dell'aria di Monostatos nel Flauto magico, viene momentaneamente
interrotto dall'improvvisa comparsa di un calmo Menuetto (Cantabile).
Carlo Cavalletti
Nell'Allegro iniziale il pianoforte dialoga sin dalla prima battuta, facendo subito
intendere all'orchestra con chi dovrà competere e misurarsi, in una stesura che
si presenta quanto mai stringata ed espressiva. Più avanti, un trillo del solista
si sovrappone all'esposizione orchestrale, attenuandone l'interruzione e
riproponendo il tema vero e proprio. L'originalità più autentica va tuttavia
ricercata nella sintesi di un materiale di singolare ricchezza, in cui la struttura
fortemente tematica che coinvolge i vari episodi non appare mài rigida e
uniforme. Di qui il carattere deciso e brillante, insito nella tonalità di mi
bemolle maggiore, favorisce i toni di una fisionomia marcata che,
progressivamente, risolve l'andamento dell'Allegro in una equilibrata
dimensione di solennità fastosa ed elevata.
Il Rondò ribadisce il ruolo primario dello strumento solista, che con un rapido
avvio conduce l'iniziale Presto, per poi inoltrarsi, dopo la ripetizione del tema,
in una parentesi intermedia di riflessione: un Minuetto in quattro variazioni,
assai diverso da altri esempi del genere, per il suo ambito un po' aulico, quasi
intimo, apertamente lontano da preziosismi e retorica. La ripresa, nitida e
dinamica, non rinuncia alle usuali formule del virtuosismo, ma le trascende
immettendosi decisamente in un contesto dove una libera forma sinfonica e
un'autonomia strumentale sempre più netta risaltano nell'e!cacia del
contrasto tra pianoforte e orchestra.
Piero Gargiulo
https://youtu.be/SGPKbCufgOw
L'organico in origine era ridotto, limitandosi a due oboi, due fagotti e due corni
(oltre agli archi). In occasione della prima esecuzione l'autore vi aggiunse
anche due clarinetti, due trombe e timpani, introducendo sonorità nuove.
Questo concerto venne concepito, infatti, in un periodo in cui Mozart prestava
molta attenzione alle problematiche e alle particolarità che potevano scaturire
dal confronto di due strumenti solisti con l'orchestra. Nascono, infatti, in
questo periodo: il concerto per flauto e arpa K 299 (aprile 1778); il concerto
per pianoforte e violino (incompiuto) e la Sinfonia concertante per violino, viola
e orchestra K 364 (estate 1779).
È solo nel terzo movimento che l'orchestra riprende il suo ruolo primario:
infatti, si esprime al meglio nel rondo finale, che si sviluppa attraverso un
motivo tematico che permea l'intero concerto.
Con quest'opera, si conclude una sorta di ciclo formato dai sei concerti
composti a Salisburgo, che mette in evidenza il percorso di maturazione
compositiva del giovane Mozart.
Dopo la prima del 23 novembre 1781 a Vienna viene eseguita il 26 maggio
1782 sempre a Vienna.
Questi giudizi non proprio amorevoli sulla sua partner pianistica viennese
avvalorano l'ipotesi che Mozart avesse in realtà scritto questo Concerto per
l'amatissima sorella, perché i due pianisti intessono un dialogo che implica una
grande complicità: "Dividono ogni loro melodia, variano uno la musica
dell'altro, si interrompono vicendevolmente, all'occasione discutono
gentilmente; il loro fraterno dialogo non è turbato da nessuna seria divergenza
di opinione", come ha scritto Hermann Abert nella sua classica monografia su
Mozart.
All'inizio del primo movimento compaiono quei toni di fanfara militare tipico di
tanti Concerti di quegli anni, ma quest'introduzione orchestrale è breve e
presto Mozart annuncia l'arrivo dei due ospiti d'onore con l'abilità e la
spudoratezza di un presentatore televisivo che conosca i modi e i tempi giusti:
le ultime battute dell'orchestra infatti lasciano intuire chiarissimamente che sta
per succedere qualcosa ma non dicono esattamente cosa e ci lasciano in
sospeso. I due solisti fanno la loro entrata con un trillo all'unisono, tanto per
farci capire che sono molto a!atati, e proseguono riprendendo il tema
dell'orchestra, arricchendolo. Avendo così preso possesso della scena, i due
pianoforti relegano l'orchestra al ruolo di spalla e dimostrano di essere
perfettamente in grado di catturare il pubblico da soli e di tenere saldamente
in pugno la sua attenzione fino in fondo, inanellando sempre nuove idee e
nuovi motivi. Anche qui svetta l'insuperabile senso del teatro del più
straordinario compositore di opere liriche di ogni tempo. Dopo Vivaldi, che
allora era totalmente dimenticato, Mozart è stato il primo a mettere in parallelo
l'opera e il Concerto: naturalmente si tratta di un teatro senza parole, un teatro
più sofisticato, che non ha bisogno di scene e di trucchi e in cui tutto si svolge
nella musica.
Mauro Mariani
Fu composto nel marzo 1779 a Salisburgo, poco dopo il rientro dal lungo
viaggio che aveva portato Mozart a Mannheim, a Parigi e a Monaco. Destinatari
del concerto la sorella Nannerl e l'autore stesso che lo eseguirono spesso
insieme. Mozart tornò a suonarlo anche dopo il trasferimento a Vienna
aggiungendovi clarinetti, trombe e timpani (la partitura riveduta è oggi
perduta). Opera di notevole freschezza, ma anche profondamente matura, è di
grande interesse per il rapporto che stabilisce fra i due solisti e fra questi e
l'orchestra. È un problema che Mozart a"rontò una seconda volta subito dopo,
con la Sinfonia concertante K. 364 per violino e viola, scritta in estate. Forse
nel Concerto per due pianoforti non si giunge ancora alla approfondita
distinzione di ruoli della Sinfonia concertante, ma il dialogo fra i due pianoforti
è vivacissimo e ricco di fantasia, portando su un piano assai elevato lo stile
piacevolmente mondano proprio delle composizioni del periodo salisburghese.
L'Andante è simile a un duetto operistico delicatamente ornato col da capo. Il
Rondò include un drammatico passaggio nei modi minori, uno sviluppo
sinfonicamente impegnato del tema principale e una elaborata cadenza.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
https://youtu.be/1x1KEphfpDE
https://youtu.be/Crc1K6dPrHM
https://youtu.be/PIvLUo3NaPc
In una lettera al padre del 28 dicembre 1782, il compositore rivela le sue idee
su questi tre concerti, concepiti appositamente per il vario pubblico viennese:
«Questi concerti sono una via di mezzo tra il troppo facile e il troppo di!cile;
sono molto brillanti, piacevoli all'orecchio, e naturali senza essere insipidi. Ci
sono qua e là passaggi da cui i conoscitori possono cavare la loro
soddisfazione; ma questi passaggi sono scritti in modo che i meno colti non
possono non essere contenti, senza sapere il perché.»
A testimonianza della calorosa accoglienza che il pubblico viennese riservò a
questo gruppo di concerti, il «Cramers Magazin» riportava questa recensione,
datata 22 marzo 1783:
Movimenti
L'ingresso del solista non ha nulla di clamoroso, anzi il pianoforte entra quasi
in punta di piedi, riprendendo con poca convinzione il motivo poco prima
esposto dall'orchestra. Balza subito evidente la scrittura quasi cameristica di
questa pagina, nella quale la mano sinistra del pianista ha un ruolo
prevalentemente di accompagnamento armonico, quasi si trattasse di una
sonata e non di un concerto. Nello sviluppo il pianoforte preferisce presentarci
una nuova idea tematica piuttosto che elaborare, come di regola avviene, i temi
dell'esposizione: la modulazione verso le aree tonali di do minore e sol minore
rendono questa sezione la più interessante del movimento. La ripresa corre
regolare e culmina nella cadenza del solista, scritta dallo stesso Mozart.
Il Larghetto è una di quelle oasi di pace e serenità cui Mozart ci abituerà nella
sua produzione successiva; qui ce ne o"re un'intensa anticipazione, col motivo
principale a!dato ai violini primi, col sostegno del basso albertino ai violini
secondi e del suggestivo pizzicato di viole e bassi. Il tema, tratto
dall'Alessandro nelle Indie di Johann Christian Bach, rappresenta un omaggio
alla memoria dell'amico da poco scomparso. Il solista è protagonista assoluto:
riprende il tema principale, lo varia e lo abbellisce con delicatezza dominando
la scena musicale. La sezione contrastante del Larghetto si apre poi con un
nuovo esitante motivo cromatico dei violini sopra il lungo pedale di corni e
viole: sembra davvero qui di avvertire i dubbi e i sospetti del Conte nelle future
Nozze di Figaro!. La ripresa del tema principale, variato dal solista, avviene in
si bemolle maggiore e precede una specie di coda orchestrale, nella quale
Mozart ripropone il motivo cromatico precedente. La consueta cadenza del
solista porta alla chiusa del movimento.
Alessandro De Bei
https://youtu.be/PiHra1MBhtE
https://youtu.be/8rN7P0VL6b8
https://youtu.be/Wqq_1GJwtBY
Il clima intimo creato dall'Andante, trova sfogo nel terzo movimento, concepito
nella forma del rondo bipartito. Questo tempo si basa sul diretto confronto
solista-orchestra, ricavato su un frammento del ritornello, abbandonato poi
nella seconda parte del rondo, in cui il pianoforte sviluppa un nuovo soggetto.
Al solista è a!dato molto spazio all'interno della partitura: ognuno dei tre
movimenti, infatti, termina con una lunga cadenza, che diventa quasi "doppia"
nel rondo finale, per poi essere conclusa dal finale dell'orchestra.
Si ritiene che il Rondò K 386 fosse destinato a costituire un finale alternativo di
questo concerto, anche se fu poi catalogato a sé come opera incompleta. Nel
1839 ne fu pubblicata una versione ridotta per due pianoforti.
Dati sull'opera
Movimenti
Alessandro De Bei
https://youtu.be/SmOh1PYp45A
https://youtu.be/H1kTEv5MnJM
https://youtu.be/GTkqZDJ3COU
Nel Concerto K 415 in do maggiore, che chiude la mini serie del 1882, Mozart
introduce due novità rilevanti: un organico più solenne (con trombe e timpani)
e quella scrittura contrappuntistica, frutto di uno studio attento delle partiture
di Bach e Händel, che, innestata sullo "stile galante" settecentesco, ha
determinato la nascita dello stile classico viennese. Già nell'esposizione
orchestrale dell'Allegro iniziale è avvertibile il nuovo stile: nel primo tema,
dall'andamento quasi marziale, presentato in imitazione fra violini primi,
secondi e viole con bassi (do maggiore) e nel secondo, tessuto in contrappunto
da violini e viole sopra un lungo pedale tenuto da fagotti, corni e bassi. La
coda dell'esposizione riserva ancora una sorpresa: un motivo tambureggiante
esposto da archi, oboi e fagotti, sorta di irriverente battere di piedi in stile di
opera bu"a al quale Mozart riserverà grande spazio all'interno del movimento.
Il solista, come spesso avviene nei concerti mozartiani, fa il suo ingresso con
un nuovo motivo cui subito si uniscono gli archi che riprendono il primo tema.
Da qui in poi il solista sembra quasi "estraniarsi" dal materiale musicale
presentato precedentemente dall'orchestra, in cerca di vie musicali originali,
come nel secondo tema, che presenta una malinconia propria della maturità
mozartiana. Un lungo episodio solistico di impronta virtuosistica (ottave
spezzate, arpeggi, veloci scale), che culmina con la riproposizione del motivo
tambureggiante, porta alla coda dell'esposizione basata sul primo tema. Lo
sviluppo è articolato in due episodi, il primo dei quali vede il solista presentare
un perentorio motivo discendente a note lunghe seguito da un veloce gioco di
scalette in imitazione; il secondo è invece basato sul primo tema orchestrale
(ora in la minore) arricchito dai suggestivi arabeschi del pianoforte. La ripresa,
regolare, porta alla consueta cadenza del solista e alla chiusa orchestrale.
Alessandro De Bei
«Questi concerti sono un giusto mezzo fra il troppo facile e il troppo di!cile;
sono assai brillanti, piacevoli a udirsi e naturali, senza essere banali. Qua e là
vi sono spunti apprezzabili soltanto dai conoscitori, ma questi passaggi sono
scritti in modo che anche i meno colti non possono fare a meno di essere
soddisfatti, senza sapere il perché ». Con queste parole, in una lettera del 28
dicembre 1782, Mozart illustrava al padre la terna dei concerti per pianoforte
(in la maggiore, K. 414, fa maggiore, K. 413 e do maggiore, K. 415) con i quali
avveniva il suo esordio come virtuoso nelle «accademie» viennesi. Parole nelle
quali la probità artigiana, o per meglio dire, quel gusto per la non-originalità o
vocazione alla convenzionalità che s'intrecciano in modo indissolubile con le
provocazioni del viandante solitario e inaudito, si agghindano di un'ingenua
scaltrezza da uomo di mondo mancato. Agl'inizi dell'avventura di libero
professionista, che in un breve volger d'anni lo porterà alla miseria e
all'isolamento, Mozart è pieno di fiducia nel pubblico e si studia di lusingarne i
gusti, conciliando convenzione e arditezza stilistica in vista di un successo non
meno popolare che di élite. Abbandonate le aggressive novazioni profuse in
lavori precedenti, quali il K. 271 o il K. 365 per due pianoforti, detta tre
prodotti di pronto consumo, agili e levigati, il più civettuolo dei quali è proprio
questo in do maggiore, col suo chiassoso apparato di trombe e timpani
assolutamente decorativi, il suo repertorio di brillantezze pianistiche, la
strizzata d'occhi a Paisìello nella tenera cavatina del secondo movimento,
l'intermezzo Adagio in do minore, che interrompe per due volte l'ingenua
allegria del Finale con le ombre del suo ambiguo sentimentalismo larmoyant. Il
successo ci fu, ed «entusiastico», come recita testualmente la recensione
apparsa il 22 marzo 1783 sul Cramers Magazine; Mozart poteva davvero
compiacersi della propria abilità, che invece doveva ben presto abbandonarlo:
il Concerto in re minore K. 466, dove il demone mozartiano ridda scatenato
senza troppi riguardi per il colto e l'inclita, è già alle porte.
https://youtu.be/4EHtVWvGIBU
https://youtu.be/qCumUJtgAq0
https://youtu.be/CK_fEsVpMnc
Storia
Nello stesso anno scrisse diversi concerti in successione e in una lettera a suo
padre quel maggio, scrisse a proposito dei concerti n. 15 e 16 (K. 450 e 451)
che "non poteva scegliere tra loro" ma che "quello in Mi bemolle [n. 14] non
appartiene a"atto alla stessa categoria. È uno di un tipo abbastanza
singolare...". Il n. 14 è considerato il primo della serie matura di concerti che
Mozart ha scritto e, in e"etti, commentatori come Cuthbert Girdlestone e
Arthur Hutchings lo hanno valutato come uno dei migliori, in particolare
perché tutti e tre i movimenti sono di altissimo livello.
Movimenti
I. Allegro vivace
Costanze, il cui nome è dato alla protagonista del Ratto del Serraglio, è «la mia
buona, la mia cara Costanze,... la martire della situazione e forse proprio per
questo è la più buona, la più brava e, in una parola la migliore». Con i suoi
"occhietti neri" e la sua "bella figura" conquistò Mozart, anche se non sarà mai
accettata da Leopold e da Nannerl.
Vienna significava anche per Mozart l'incontro tanto atteso con Haydn, cui
dedicò con autentica devozione filiale i sei magistrali Quartetti «frutto di una
lunga e laboriosa fatica». E ancora il vorticoso mondo del teatro: i librettisti
geniali e libertini, le primedonne a"ascinanti e capricciose, gli impresari, i
comprimari, le "cabale" dei musicisti rivali.
Nella capitale dell'Impero vi erano allora due teatri di alto livello, il Burgtheater
e il Teatro di Porta Carinzia, entrambi protetti dall'Imperatore e con un
repertorio di opere italiane, francesi e tedesche. Fra il 1778 e il 1782 il
Burgtheater venne rinnovato su impulso di Giuseppe II e assunse il nuovo
nome di Teatro Nazionale Tedesco. L'intenzione era quella di creare un'opera
in lingua nazionale che, nei programmi riformistici dell'imperatore, doveva
rappresentare più adeguatamente dell'aristocratica opera italiana i gusti e la
sensibilità delle classi emergenti. Con Die Entfuhrung aus dem Serail (Il Ratto
del Serraglio) Mozart avrebbe segnato il punto più alto di questa breve
stagione creando un capolavoro che, mescolando abilmente esotismi e principi
morali di ispirazione illuminista e massonica, esprimeva anche tutto il fervore e
l'eccitazione vitale di quei primi anni viennesi.
Accanto alle feste mascherate nelle sale del Ridotto o nella nuova spaziosa
casa, per cui chiede al padre di inviargli al più presto da Salisburgo un costume
di Arlecchino, Mozart coltiva a Vienna nuovi ideali umanistici in sintonia con il
governo illuminato di Giuseppe II. Il 4 dicembre 1784 è u!cialmente iniziato
alla massoneria i cui ideali di tolleranza e fratellanza lo attraevano da tempo e
avranno, come si sa, una grande influenza su tutta l'ultima fase della sua
attività. Giuseppe II aveva messo in pratica le idee massoniche concedendo la
libertà di culto e abolendo la servitù dei contadini. I privilegi aristocratici ed
ecclesiastici erano stati limitati e, al contrario, le aspirazioni della nuova classe
borghese erano sostenute. In questo clima si di"onde, in una capitale a"amata
di musica come Vienna, il sistema dei concerti per sottoscrizione, garantiti da
un gruppo di abbonati appartenenti per lo più alla borghesia e alla piccola
nobiltà.
A partire dal 1872, cioè dai tre Concerti K. 413, K. 414 e K. 415, Mozart
a"ronta sistematicamente la forma del Concerto per pianoforte e orchestra. In
una lettera al padre così si esprime: «I Concerti sono in e"etti qualcosa di
mezzo fra troppo di!cile e troppo facile: sono molto brillanti, blandiscono
piacevolmente l'orecchio, senza ovviamente diventare superficiali. Qua e là ci
sono dei pezzi da cui solo i conoscitori possono trarre soddisfazione ma in
modo tale da risultare gradevoli anche al profano, senza che questo si renda
conto del perché».
Pur riferendosi ai primi tre Concerti viennesi questa puntuale definizione dei
propri lavori può essere estesa a gran parte dei Concerti successivi. Dopo la
forte impressione avuta a Londra dall'ascolto dei Concerti di Johann Christian
Bach, Mozart aveva avuto fino ad allora pochissime occasioni di confrontarsi
con il Concerto pianistico; a Salisburgo nel 1777 la pianista francese
Jeunehomme gli aveva ispirato il Concerto in mi bemolle maggiore K. 271,
capolavoro di pura e precoce genialità che anticipa di alcuni anni la splendida
serie della maturità. A Vienna è lui a stabilire il successo del Concerto
pianistico assommando la brillantissima tecnica di virtuoso della tastiera alla
piena padronanza della scrittura orchestrale. Mozart a"ronta i problemi
compositivi del Concerto con grande determinazione, in un'avventura artistica
e sperimentale che non si accontenta mai dei risultati raggiunti. Ogni elemento
del gioco, dal rapporto fra tema principale e temi secondari a quello della
distribuzione del materiale fra il solo e il tutti e, più in dettaglio, fra il solista e
alcuni strumenti dell'orchestra, è trattato con fantasia inventiva costante,
inserita in un impianto formale di riferimento ma non costrittivo.
Giulio d'Amore
Concerto per pianoforte n. 15 in si bemolle magg. - K 450
https://youtu.be/_1dIkP3tLVg
https://www.youtube.com/watch?v=cpcsB0pEK4w
https://www.youtube.com/watch?v=PQF379ZRfS0
Orchestrazione
Flauto
2 oboi
2 fagotti
2 corni
pianoforte
archi (nell'originale bassi e violoncelli uniti in unico rigo)
Composizione
Mozart stesso era del parere di avere composto una pagina di ardua
esecuzione, come scrisse al padre in questa lettera, riferendosi al k.450, al k.
451 e al k.449:
«... con questi concerti mi sono conquistato grande credito, tra cui il successo
più grande è stato il concerto che ho dato in teatro; Ho composto due grandi
concerti (k. 450/451)[...] che hanno suscitato un grandissimo applauso. Io
stesso li considero i lavori migliori che abbia mai composto. Quello in si
bemolle è più di!cile[...]»
Struttura
Allegro
Il primo movimento è un'ampia pagina che segue con rigore la struttura
classica formale; inizia con i fiati in note doppie, sostenute dai bassi con
funzione di continuo, ma l'entrata degli archi porta la sezione in un ampio e
vitale passaggio, di scrittura palesemente mozartiana.
L'entrata del pianoforte non è subito sul prima tema, bensì su una sezione
virtuosistica a carattere introduttivo, seguita poi dai passaggi in terze che
erano stati riservati ai fiati all'inizio del concerto.
Il movimento porta, dopo l'ampio dialogo tra pianoforte e orchestra, alla prima
cadenza, della quale l'originale, (Mozart era solito improvvisarla), non è
pervenuto.
Andante
Allegro
L'Allegro iniziale si apre con un tema assai cromatico presentato dai fiati, ai
quali rispondono lievemente i primi violini; dopo un tutti orchestrale, appare,
presentato dagli archi, il secondo tema, caratterizzato da sincopi di un e"etto
tenero e cattivante; si ha quindi un altro tutti. Il pianoforte entra con un ampio
passaggio libero, che porta a un punto coronato, e riprende poi da solo il
materiale tematico precedentemente esposto, introducendo anche nuovi temi e
approdando ad una chiusa orchestrale rifacentesi al primo tutti. Nello
svolgimento si hanno passaggi modulantì del solista, imitazioni fra gli
strumenti dell'orchestra, la riapparizione del tema iniziale in orchestra sotto il
trillo del pianoforte. La ripresa ha numerose varianti rispetto all'esposizione e
perviene alla conclusione attraverso una grande cadenza.
Alberto Pironti
Questo stile, per il pubblico viennese dell'epoca, era nuovo. Già l'impiego del
pianoforte come strumento concertante, da contrapporre all'orchestra, era
inconsueto; ma ancor più lo erano le sonorità preziose che Mozart sa cavare da
questa contrapposizione. Certi impasti ra!nati tra il pianoforte e i legni, ad
esempio, e la fine scrittura concertante - di natura cameristica - tra fiati e
archi o tra fiati e strumento solista, sono invenzione tutta sua. Altrettanto
originale è l'impostazione generale dei concerti per pianoforte: che si
presentano come un dialogo tra interlocutori paritari; orchestra e solista
mantengono ciascuno la propria individualità, in un rapporto dialettico che può
anche sfociare in un conflitto vero e proprio. Mozart si allontana
definitivamente, qui, dai modi del concerto barocco (che fanno ancora sentire
la loro presenza nei concerti per violino) e concepisce il nuovo genere del
concerto per pianoforte e orchestra come una «moderna» forma sinfonica.
Mozart scrive il Concerto K. 450, come la maggior parte dei concerti per
pianoforte degli anni viennesi, per se stesso: da solista lo esegue infatti il 24
marzo 1784 al Trattnerhof, presso il Graben. Con la destinazione si spiegano
sia il virtuosismo della parte solistica, sia il ruolo centrale assunto dal
pianoforte in tutti e tre i movimenti. La tecnica pianistica si basa soprattutto su
scale e arpeggi, su ottave, terze e seste spezzate o divise tra le due mani;
anche l'incrocio delle mani (sfruttato nel movimento finale) vi gioca qualche
ruolo. Ciò che manca del tutto sono le doppie terze del pianismo alla Clementi
(nei confronti del quale, com'è noto, Mozart emette un giudizio piuttosto
severo), e gli e"etti appariscenti, improntati a un virtuosismo puramente
esteriore: i passi tecnici, qui, sono sempre sottomessi alle ragioni della
cantabilità, vale a dire alle ragioni della musica. Più che dalla tensione
drammatica, del resto, il Concerto è dominato da un'invenzione melodica
continua e fluente.
Dal punto di vista formale, il primo movimento dei concerti mozartiani è aperto
da un grande Tutti di natura sinfonica, un'ampia sezione orchestrale dai temi
incisivi e dalla scrittura brillante. Si tratta di una prima Esposizione, svolta tutta
in tonica, nel corso della quale vengono esibiti i materiali tematici che saranno
poi ripresentati dalla seconda Esposizione, quella condotta dal solista.
L'Allegro del Concerto K. 450 non fa eccezione: già dall'enunciazione del tema
principale il carattere brillante si annuncia nella contrapposizione timbrica di
fiati e archi; il secondo tema, cantabile e disteso, svolge una funzione di
contrasto rispetto al primo. Al termine dell'Esposizione orchestrale è singolare
il fatto che il solista non entri col tema principale, ma abbia bisogno di una
preparazione, una sorta di prologo - a carattere improvvisatorio - che gli serve
per entrare in argomento. Ed è pure singolare che il solista ignori il secondo
tema orchestrale, sostituendolo con un nuovo tema, alla dominante. Il secondo
tema del Tutti, però, viene recuperato al termine della Ripresa, assieme agli
altri materiali dell'Esposizione orchestrale che il solista aveva tralasciato.
Degno di nota è lo Sviluppo: si svolge quasi nello stile di una fantasia,
assumendo uno spunto motivico e conducendolo, con minime variazioni,
attraverso un ampio giro di modulazioni armoniche. L'ascoltatore ne ricava
l'impressione di un vagare senza una meta precisa, dal sapore già quasi
romantico. La sezione, in e"etti, non è pensata in chiave tensiva: tanto che la
Ripresa interviene, alla fine, quasi inavvertita; tutto ciò conferma ancora una
volta il carattere liberamente cantabile, più che drammatico, di questo
Concerto mozartiano.
L'Allegro conclusivo è nella forma che Mozart predilige per i movimenti finali
dei suoi concerti: si tratta di un rondò-sonata, ossia di quella forma ibrida
nella quale un ritornello si alterna - come in qualunque rondò - a degli
episodi, e uno degli episodi è presentato una prima volta alla dominante e una
seconda alla tonica, come il secondo tema di una forma-sonata. L'episodio
centrale, inoltre, è caratterizzato dagli stessi processi di elaborazione tematica
che si riscontrano in uno sviluppo di forma sonata. La di"erenza tematica tra il
ritornello e gli episodi, in questo finale mozartiano, non è molto pronunciata:
l'atteggiamento generale è brillante e disimpegnato, e in ogni sezione si
avvertono incessantemente vitalità ed energia motoria. Le due cadenze
solistiche di questo movimento e quella che precede la Coda del primo
movimento sono tra le poche cadenze originali (Mozart, di norma, le
improvvisava) che ci sono pervenute: il materiale tematico vi è ripreso, ma in
modo estroso e imprevedibile, con grande varietà di figurazioni e di
atteggiamenti espressivi.
Claudio Toscani
https://www.youtube.com/watch?v=_nwF5uOqZJA
https://www.youtube.com/watch?v=5K3RjhZltCM
https://www.youtube.com/watch?v=3s5WyKa8j3g
Allegro assai
Andante in sol maggiore
Allegro di molto.
https://www.youtube.com/watch?v=uj-Empvp-zM
https://www.youtube.com/watch?v=B_tt2SLGQwM
https://www.youtube.com/watch?v=DLmmhOjKV5s
Storia
La data della prima è incerta. Da un certo punto di vista, si dice che l'opera sia
stata presentata in anteprima dalla studentessa di Mozart Barbara Ployer il 13
giugno 1784, in un concerto in cui Mozart aveva invitato Giovanni Paisiello a
ascoltare sia lei che le sue nuove composizioni, incluso anche il suo Quintetto
in Mi bemolle per pianoforte e fiati scritto di recente. Successivamente la Ployer
fu a!ancata da Mozart in una esibizione della Sonata per due pianoforti, K.
448. Un'altra possibilità, avanzata da Lorenz (2006, 314), è che Mozart non
abbia aspettato più di due mesi per presentare il lavoro, ma l'abbia eseguita
nel suo concerto con Regina Strinasacchi il 29 aprile 1784 al
Kärntnertortheater. Per mettere d'accordo tutti i ricercatori si può a"ermare
con relativa certezza che il lavoro fu presentato durante la metà e la fine della
primavera del 1784, dopo il suo completamento.
Struttura
L'opera è orchestrata per pianoforte solista, flauto, due oboi, due fagotti, due
corni e archi. Come è tipico dei concerti, è in tre movimenti:
Allegro, 4⁄4
Andante, 3⁄4 in do maggiore
Allegretto – Presto, 2⁄2
Il finale è un movimento di variazione il cui tema era stato cantato dallo storno
di Mozart.
Questo lavoro fa parte del gruppo degli stupendi quattordici Concerti per
pianoforte e orchestra composti da Mozart nella viva, stimolante e cordiale
atmosfera artistica viennese. Essi, pur nella loro tradizionale forma in tre
movimenti, si di"erenziano dai precedenti, prevalentemente virtuosistici, oltre
che per un maggiore approfondimento inventivo, anche per un più ampio
sfruttamento ai fini poetici delle possibilità di dialogo fra solista e orchestra,
nell'ambito di una concezione sinfonica dell'insieme. Il pianoforte conserva il
suo ruolo preponderante, ma nello stesso tempo collabora ad edificare
l'architettura generale. E quando non si stacca dalla compagine strumentale
per riecheggiarne, secondo i modi che gli son propri, il messaggio poetico - o
per pronunciare una parola che l'orchestra riprenderà per immetterla nello
svolgimento del contesto sinfonico - compie la funzione di esaltare con la sua
vicinanza i colori timbrici circostanti, conferendo alla partitura una luminosità
nuova, altrimenti inottenibile, e ricca di gradazioni.
https://www.youtube.com/watch?v=qBKjmZ0Q_J4
https://www.youtube.com/watch?v=n62i56yJRcM
https://www.youtube.com/watch?v=LsAu0DMaShc
https://www.youtube.com/watch?v=H607acFriuI
Storia
Per anni la speculazione storica fu che Mozart avesse scritto questo concerto
per Maria Teresa von Paradis, basata su una lettera scritta in quel periodo da
Leopold Mozart a sua figlia Nannerl. Tuttavia Hermann Ullrich ha scartato
questa teoria, in base alla data di inserimento nel catalogo di Mozart e al fatto
che la von Paradis aveva lasciato Parigi all'inizio dell'ottobre 1784, il che
indicava che non c'era tempo su!ciente per inviare alla von Paradis il concerto
per l'esecuzione. Richard Maunder ha ribadito l'idea che Mozart avrebbe potuto
ancora inviare il concerto a Parigi che sarebbe poi stato inoltrato alla von
Paradis a Londra, dove era possibile che avesse eseguito il lavoro nel marzo
del 1785.
Struttura
L'opera è orchestrata per pianoforte solista, flauto, due oboi, due fagotti, due
corni e archi. Il concerto è in tre movimenti:
M.S. Cole ha notato l'uso da parte di Mozart dei cambi di metro nel finale, a
partire dalla misura 171, da 6⁄8 a 2⁄4 nei fiati, con il piano che segue alla misura
179. Questo cambiamento di tempo nei rondò finali era contrario alla pratica
comune a quel tempo. Joel Galand ha eseguito un'analisi schenkeriana del
finale del rondò ed ha notato caratteristiche come il suo nuovo uso del ♭ di II
grado come chiave strettamente correlata.
Mozart ha scritto due diverse cadenze per il primo movimento. Joseph Swain
ha eseguito un'analisi schenkeriana di ogni cadenza del primo movimento.
Il tema principale del primo movimento del concerto, mostrato qui attraverso
le otto misure iniziali della prima parte per violino.
I Concerti per pianoforte possono servire anche come preciso barometro del
successo di Mozart a Vienna, perché costituivano il momento più atteso delle
sue "accademie", i concerti pubblici da lui stesso organizzati a proprio
beneficio: fino al 1786 questi appuntamenti furono accolti con enorme favore e
quindi Mozart compose tre e anche quattro Concerti per pianoforte all'anno,
poi il successo calò rapidamente, il pubblico non fu più su!ciente a riempire
la sala, le accademie si diradarono e di conseguenza la composizione di nuovi
Concerti rallentò.
Mauro Mariani
Concerto per pianoforte n. 19 in fa magg. - K 459 "I.Krönungs-Konzert"
https://www.youtube.com/watch?v=KKpawyR0GzQ
https://www.youtube.com/watch?v=BeemIt-u23w
https://www.youtube.com/watch?v=uWsARuTLR-k
https://www.youtube.com/watch?v=k9zgbGmHahs
Un carattere pastorale, esposto con il tema iniziale e più volte ripreso nel corso
del movimento, apre l'allegretto; si tratta di un tema sereno e cantabile ricco di
toni patetici quando si esprime in tonalità minore.
Si trovano accenti haydniani nell'allegro assai finale che espone un tema nitido,
con un ritmo molto marcato e il cui tema riporta a quello con cui inizia il
concerto.
Del concerto ci sono rimaste le cadenze originali di Mozart per il primo e terzo
movimento.
Ferruccio Busoni ha trascritto il finale del concerto per 2 pianoforti con il titolo
Duettino concertante nach Mozart
Guida all'ascolto (nota 1)
Il terzo tempo era di solito un Rondò, qui però Mozart ha scritto un finale che è
qualcosa di più: una sintesi di fuga, rondò-sonata e, addirittura, stilemi
operistici. Il primo, semplice piccolo tema presentato dal pianoforte è
bilanciato da un secondo che è di carattere fugato, e troveremo poi i due
combinati in una sorta di doppia fuga; tutto è suggellato, dopo la cadenza, da
una conclusione che, per il ritmo estremamente vivace (le linee melodiche e gli
strumenti si inseguono freneticamente), ricorda l'ouverture dell'opera bu"a. È
interessante come Mozart presenti materiali in modo nettamente distinto e poi
li fonda nel modo più naturale. Il tema della fuga, ad esempio, è
completamente nuovo, con uno sviluppo lungo e autonomo che però finisce
per diventare il logico contrappeso (nel Tutti in re minore) del tema iniziale del
Rondò. Il pianoforte è assente in questo grande episodio contrappuntistico ma
a lui spetta il delicato ruolo di ripristinare una forma meno severa e riportare il
movimento verso atmosfere più consuete. «La forma di questo movimento, ad
un tempo concisa ed estesa, rappresenta la sintesi dell'esperienza e dell'ideale
formale mozartiani. Tutto ha qui il proprio ruolo: lo stile operistico, il
virtuosismo pianistico, la conoscenza mozartiana del contrappunto barocco, e
di quello di Bach in particolare, e l'equilibrio simmetrico e le tensioni
drammatiche dello stile sonatistico. Il primo movimento, militare sì, ma
tranquillamente dominato da calme progressioni, e l'inesauribile e lirico
Allegretto mostrano una uguale sensibilità. L'intero concerto è, in conclusione,
uno dei più originali che Mozart abbia scritto» (Rosen).
Fabrizio Scipioni
https://www.youtube.com/watch?v=ddVQqzOEz8c
https://youtu.be/eF74h_WhLiI
https://www.youtube.com/watch?v=UGldgW6mDnY
https://www.youtube.com/watch?v=z1WVYFVDf4E
https://www.youtube.com/watch?v=YaZxgGs8cwg
Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 20, KV 466 è uno dei più noti concerti
solistici di Wolfgang Amadeus Mozart.
Storia
Struttura
Analisi
Allegro
Andante
L'Andante del secondo tempo è una romanza in 2/2 in forma ABACA. Come fa
spesso, qui Mozart gioca di contrasti, espliciti e mascherati. Il primo contrasto
è con il carattere del movimento che lo ha preceduto. Nell'inizio del secondo
movimento il tema è sereno, apparentemente idilliaco e la tonalità solare (Si
bemolle maggiore) lo conferma. È il tempo scelto (2/2) che ci fornisce il primo
indizio sulle intenzioni dell'autore. A di"erenza di altri pezzi di grande lirismo
il tempo non è un morbido ternario (3/4, 6/8), né un 4/4 con il suo respiro
ampio ed il suo alternarsi di “battere” forti e smussati, ma un marziale 2/2. Il
tema principale viene esposto dal solista, ripreso poco dopo dall'orchestra,
passa dall'una all'altro con la solita maestria orchestrale mozartiana. Il secondo
tema si presenta immediatamente con un salto di ottava ed intervalli ampi si
ritrovano in tutto il suo svolgimento. È questo espediente più volte iterato che
Mozart usa per costruire tensioni armoniche in crescendo che portano al
minore e ad atmosfere già distanti dal primo tema. Con grazia sorprendente
Mozart torna quindi sul primo tema per la seconda sezione. La terza sezione
tematica precipita in minore, e questa volta con una serie di scale forsennate
che richiamano alcuni passaggi dello sviluppo del primo movimento. Gli
accordi verticali in “forte” (bisognerà aspettare Beethoven per i primi
fortissimo) marcano di brusche fermate e riprese il rincorrersi delle scale. Un
arpeggio rallentato e un arabesco riportano al tema principale che chiude
questa pagina in un finto clima di riconciliazione, aprendo al frenetico finale.
Rondò. Allegro assai
Influenze
L'importanza nella storia della musica del Concerto KV 466 è notevole. La sua
influenza, evidente in alcune opere (come nel Concerto per pianoforte e
orchestra n. 1 di Brahms), attraversa tutto l'Ottocento e si estende sino al XX
secolo. Il KV 466 è tutt'oggi uno dei concerti per pianoforte di Mozart più
eseguiti e amati, assieme al KV 488. Fu il concerto preferito da Beethoven,
autore di una cadenza per questo concerto che viene a tutt'oggi eseguita dalla
maggior parte degli interpreti.
I concerti successivi
Dopo il Concerto K 466 Mozart comporrà altri sette concerti per pianoforte e
orchestra. Nel K 467, nel K 482, nel K 488 e nel K 491 Mozart prosegue sulla
strada della sperimentazione, trovando combinazioni ed approcci sempre
originali. Tra il K 491 e l'ultimo dei concerti mozartiani, il K 595, passano
cinque anni, nei quali Mozart comporrà due soli altri concerti per pianoforte: il
K 503 e il K 537. Entrambi questi concerti hanno un carattere più brillante ed
estroverso dei cinque precedenti: sono scritti infatti per le celebrazioni di due
occasioni mondane (il secondo fu composto per i festeggiamenti in onore
dell'incoronazione dell'imperatore Leopoldo II d'Asburgo-Lorena). L'ultimo
concerto per pianoforte, il K 595, composto l'anno precedente alla morte, è
invece un capolavoro scritto nello stile intimo e diafano tipico delle migliori
pagine degli ultimi anni del compositore.
Non deve stupire dunque che nei primi Concerti viennesi preoccupazione
prioritaria dell'autore fosse quella di confezionare dei prodotti in cui egli
stesso potesse figurare, come solista, nel modo più accattivante possibile; ma
poi, progressivamente, Mozart trasformò il genere del Concerto in un vero e
proprio laboratorio di sperimentazioni formali, linguistiche, contenutistiche.
L'esito fu quello di una nuova concezione del rapporto fra pianoforte e
compagine orchestrale come confronto di diverse individualità, in una ottica
che precorre quella del Concerto beethoveniano e poi romantico.
Arrigo Quattrocchi
Travolta ogni corrente tipologia galante o militare, Mozart opta qui per un
marcato dualismo fra pianoforte e orchestra, fino a investire di significati
drammatici la stessa struttura formale.
Dominante in tutto il primo tempo, fin dalle sincopi inquiete che sostengono il
primo tema, questo carattere cede nella Romanza (iniziata dal pianoforte solo)
a una cantabilità di estrema carica espressiva, incorniciando la nuova
esplosione drammatica della sezione centrale ancora in minore (questo
Concerto rappresenta in modo esemplare l'ethos delle tonalità in Mozart). Nel
finale lo schematismo consueto alla forma del rondò è superato da un
itinerario tonale che alterna maggiore e minore con sottile drammaturgia, fino
alla chiusa, che sembra quasi accogliere un ruvido accenno umoristico.
Ventuno concerti per pianoforte e orchestra, più uno per tre pianoforti e
orchestra e un rondò per pianoforte e orchestra, rispettivamente K. 242, 365, e
382, rappresentano la somma della produzione strumentale e pianistica di
Mozart e in essi si avverte l'evoluzione dello stile da concerto del
salisburghese, che passa da una libera forma sinfonica, dove lo strumento
solista svolge un ruolo brillante e virtuosistico, ad un linguaggio sonoro più
intimo e raccolto nell'ambito di un rapporto più misurato ed equilibrato tra il
pianoforte e l'accompagnamento orchestrale. Del resto lo stesso Mozart
espresse in una lettera che porta la data del 28 dicembre 1782 le sue idee sul
modo di concepire i concerti per pianoforte e orchestra della prima maniera. «I
concerti - egli scrive a suo padre - sono una via di mezzo tra il troppo di!cile
e il troppo facile, sono molto brillanti e piacevoli all'udito, naturalmente senza
cadere nello stravagante e nella vuotaggine. Qua e là anche gli intenditori
possono ricevere una soddisfazione, ma in modo che i non intenditori devono
rimanere soddisfatti, senza sapere perché». Negli anni successivi egli
approfondì e arricchì la struttura tecnica del concerto, conferendo all'orchestra
una personalità timbrica più spiccata, pur lasciando intatte allo strumento
solista le fioriture, le variazioni e le cadenze tipiche della parte pianistica. In tal
modo l'antico concerto da salotto cambia non tanto nella forma, quanto nello
spirito della musica in esso racchiuso. A questa linea espressiva si attengono i
Concerti in la maggiore K. 488, in do minore K. 491 e in do maggiore K. 503,
scritti tutti e tre nel 1786, nello stesso periodo in cui l'autore era alle prese con
la composizione delle Nozze di Figaro (non per nulla il Concerto in do minore,
completato il 24 marzo 1786 ed eseguito per la prima volta a Vienna dallo
stesso Mozart il 7 aprile successivo reca il numero Kòchel immediatamente
precedente a quello delle "Nozze").
Ma l'impronta dello stile mozartiano, quanto mai vario e ricco per la fantasia
inventiva delle idee, è presente anche nel Concerto per pianoforte e orchestra
in re minore K. 466, che fu composto a Vienna e reca sul manoscritto la data
del 10 febbraio 1785. Esso appartiene a quel gruppo di componimenti
classificati come "sinfonie dialoganti" per lo stretto rapporto contrappuntistico
esistente tra l'orchestra e la voce solista, non confinata soltanto nel ruolo
virtuosistico e brillante di questo strumento a tastiera. Tale considerazione
emerge sin dall'Allegro del primo tempo aperto da un ritmo sincopato in tono
grave dell'orchestra sfociante in un forte su cui, dopo una piacevole trama
strumentale, si innesta il secondo tema esposto dagli oboi e dai fagotti e ai
quali risponde il flauto, prima di passare ai violini in un clima di energica
tensione espressiva. Interviene il pianoforte con, una frase in risposta all'ultima
idea proposta dai primi violini e si appropria di un inciso del ritornello iniziale;
ritorna il secondo tema e di nuovo il pianoforte sviluppa un elegante discorso
melodico tra suoni arpeggiati e delicate modulazioni strumentali. Non manca
la rituale cadenza solistica, che apparterrebbe a Beethoven (e si sente) e non a
Mozart, il quale durante le esecuzioni dei suoi concerti improvvisava e a volte,
come in questo caso, non lasciava alcuna traccia scritta.
Giorgio Graziosi
https://www.youtube.com/watch?v=i2uYb6bMKyI
https://www.youtube.com/watch?v=jsUap5vXGDk
https://www.youtube.com/watch?v=54Okn4-GWHM
https://www.youtube.com/watch?v=m5FGjbXS284
Storia
Wolfgang Amadeus Mozart, che aveva messo alla prova il suo pubblico
viennese con il cupo ed innovativo Concerto per pianoforte e orchestra n. 20
composto appena un mese prima, ritornò con il concerto per pianoforte e
orchestra n. 21 in Do maggiore K 467 a toni più consueti e rassicuranti.
Questo, per sommi capi, il pensiero di Piero Rattalino riferito al concerto con il
quale il compositore salisburghese faceva il suo ritorno "alla commedia degli
equivoci, congegnata con tutte le sorprese, le trovate, i colpi di scena"
necessari.
Movimenti
Allegro maestoso
Andante
Allegro vivace assai
Nel primo (allegro maestoso, in 4/4) Mozart amplia l'orizzonte espressivo del
concerto per pianoforte coinvolgendo lo strumento solista in una orchestra di
grande ambizione e facendo interagire gli episodi melodici con la struttura
armonica dell'opera.
E' in questo periodo che Mozart scrive una serie di quattordici Concerti per
pianoforte e orchestra - dal 1783 al 1787 - che hanno in comune numerosi
caratteri espressivi e formali così caratterizzati dallo stesso Mozart in una
lettera di quegli anni: « ... sono esattamente una via di mezzo tra il troppo
di!cile e il troppo facile; brillanti, gradevoli all'orecchio, naturali senza cadere
nel vuoto. Qua e là potranno soddisfare gli intenditori ma sempre in modo tale
che anche gli incompetenti ne provino piacere senza sapere perchè ». E il
Paumgartener nota come questo gruppo di concerti «... pur senza scostarsi
dall'antica struttura formale in tre tempi sostanzialmente evolvano i precedenti
saggi del genere... Uno degli obiettivi principali quello di conseguire l'«e"etto»
- non si dimentichi che Mozart li scriveva per eseguirli personalmente in
pubblico - risulta ingentilito dalla profondità e dalla nobiltà dell'invenzione e
portato con sublime maestria al di sopra di ogni contingenza di tempo e di
moda... ». E lo stesso Paumgartner così prosegue: « ... il concerto mozartiano
si di"erenzia dagli antichi modelli essenzialmente per la concezione fonica e
psicologica moderna della forma intesa come spigliata contrapposizione di due
individualità - la massa orchestrale e il pianoforte a martelli dalle enormi
risorse timbriche e dinamiche - e potenziata da un'inesauribile varietà di
atteggiamenti... Pur essendo riservata al virtuosismo del pianista una parte
preminente, protagonistica, anche l'orchestra si muove con indipendenza. Allo
strumentatore geniale agguerrito alle scuole di Vienna e di Mannheim... queste
partiture furono magnifiche occasioni di mettere in luce così ricche esperienze.
Nelle parti pianistiche profuse i tesori della propria originalissima tecnica, le
magistrali figurazioni fiorite di interessanti abbellimenti, gli squisiti levissimi
passaggi, i cambiamenti di posizione timbricamente così suggestivi, la dolce
cantabilità della mano destra sui canovacci trasparenti e morbidi degli
accompagnamenti; ma non meno si preoccupò di dare all'orchestra lo stesso
grado di interesse timbrico e musicale... ».
Gianfilippo De'Rossi
Il padre, recatosi nella primavera del 1785 a Vienna ospite di Wolfgang e della
giovane nuora, annunciava con visibile soddisfazione a Nannerl un positivo
bilancio finanziario: «se mio figlio non ha debiti da pagare, è in condizione di
depositare duemila fiorini in banca. Certamente il denaro non gli manca». Il
tono ottimistico di Leopold - come tutti sanno - sarà purtroppo smentito dalla
realtà. Certo che soprattutto nei primi anni viennesi Mozart era l'artista «up to
date», conteso e vezzeggiato dalla influente società del tempo: il cancelliere di
stato conte Coblenz, i principi Kaunitz e Galitzyn, il barone van Swieten,
fervido animatore di domenicali «rendez-vous» bachiani, l'imperatore
Giuseppe II in persona che — come racconta Leopold — dopo l'esecuzione di
un concerto pianistico, si alzò sventolando il cappello al grido di «bravo
Mozart».
L'«Allegro vivace assai», scritto nella forma del rondò, porta indiscussa la firma
dell'autore, che si diverte a mescolare le carte di un brillante gioco timbrico,
esplorandolo con curiosa e divertita ironia.
Fiamma Nicolodi
https://www.youtube.com/watch?v=RySPgN59X98
https://www.youtube.com/watch?v=OWFM3K8jOco
https://www.youtube.com/watch?v=2gikfODqVHs
Nel primo tempo (allegro) non ci scostiamo da una coloritura brillante che non
porta nulla di nuovo rispetto ai precedenti concerti.
Nell'andante, una serie di stupende variazioni su un tema in Do minore, dà
luogo ad un intimo colloquio tra il pianoforte e i singoli strumenti.
Nella parte centrale del tema conclusivo (allegro) troviamo un andantino
cantabile che interrompe le rapide e brillanti evoluzioni dello strumento solista
presenti all'inizio e nella ripresa del tema iniziale.
Tra i due tempi così segnati da questo ricordo della non lontana ma ormai
conclusa giovinezza si pone l'Andante nella tonalità di do minore che è di certo
tra le pagine esistenzialmente più sconvolgenti lasciateci dal maestro
salisburghese per la sua immediatezza espressiva così facilmente leggibile
nella chiave di un arco di sentimenti che porta dal dolore e la disperazione fino
alla rassegnazione: una prefigurazione dei drammatici temi che saranno al
centro delle opere degli ultimi anni mozartiani.
Uno sguardo sul futuro tanto più intenso in quanto legato sembra al rimpianto
di un non lontano passato che si esprime anche sul piano del linguaggio sia
con la decisione di sostituire gli oboi dei precedenti Concerti con i clarinetti - è
il primo caso nella produzione mozartiana - sia per il contrasto nuovissimo e
già romantico che si realizza tra i modi maggiore e minore.
Mozart, seguendo una prassi molto di"usa nel Settecento, amava improvvisare
la parte pianistica nel corso dell'esecuzione pubblica; in alcuni punti della
partitura del Concerto K. 482 è ancora evidente una scrittura pianistica appena
abbozzata, decisamente insu!ciente, che deve essere riempita dal solista con
arpeggi, scale, passaggi virtuosistici.
Dal punto di vista formale il primo movimento del concerto per strumento
solista e orchestra è frutto di un compromesso fra le esigenze della moderna
forma-sonata, che richiedeva l'opposizione dialettica fra i temi e fra le aree
tonali, e quelle del concerto di ascendenza barocca, che voleva l'alternanza fra
gli interventi del solista e quelli del «tutti» orchestrale. Mozart nei concerti per
pianoforte risolve il problema facendo rimanere l'orchestra, nel corso della sua
esposizione tematica, nella tonalità d'impianto e riservando al solista la
modulazione alla dominante. Con questo grande «tutti» iniziale in genere
l'orchestra esaurisce, dal punto di vista tematico, il suo contributo; essa
ritornerà, senza presentare nuove idee tematiche, nei punti chiave del primo
movimento per ra"orzare il discorso musicale: alla fine dell'esposizione,
all'inizio della ripresa e in conclusione di movimento. Nella ripresa invece
«tutti» e solista vengono fusi assieme, per assicurare al concerto la necessaria
concisione formale. Al solista vengono naturalmente riservate nuove idee
tematiche e nuovi spunti motivici: è lui il vero motore dell'azione musicale, alla
sua parte si devono le intuizioni più straordinarie, le invenzioni più belle del
genio mozartiano.
Alessandro De Bei
https://www.youtube.com/watch?v=Qll0vK3uTHA
https://www.youtube.com/watch?v=DXeBFhqViYg
https://www.youtube.com/watch?v=6FvprAc5ZeI
https://www.youtube.com/watch?v=I6OjCv5lG6s
Contende al Concerto K 466 la palma del più eseguito tra i concerti di Mozart.
Messo al mondo con un certo travaglio all'inizio del 1786 (la data di
registrazione nel catalogo delle sue opere è quella del 2 marzo 1786: siamo
nel pieno del lavoro alle Nozze di Figaro), il K. 488 è caratterizzato da una
speciale brillantezza e vivacità strumentale, ma presenta anche tratti
intimamente poetici e preziosi, distribuiti in modo equilibrato, con rara
fusione, tra solista e orchestra. A proposito di quest'ultima va notato che
l'organico rinuncia ai timbri marziali ed eroici di trombe e timpani, mentre
impiega i clarinetti in luogo degli oboi per creare un colore di fondo più dolce
e pastoso, insieme morbido ed evocativo. Anche la tonalità di la maggiore ad
essi collegata (in la sono tagliati appunto i clarinetti) contribuisce a conferire al
Concerto una trasparenza luminosa e velata, e apre orizzonti espressivi inediti
nel movimento centrale, impiantato nel relativo di la, fa diesis minore.
L'Adagio, aperto da un tema in ritmo di siciliana del pianoforte solo, oscilla tra
una pensosità accorata che tende a farsi quasi dolorosa e una serenità
trasfigurante, a"ermata decisamente dalla inattesa sezione centrale in la
maggiore. La ripresa vede il pianoforte ergersi a protagonista di un dialogo con
l'orchestra di profondo lirismo e di assoluta eleganza formale.
Al versante brillante e virtuoslstico appartiene invece l'Allegro assai conclusivo,
basato su un continuo rincorrersi e sovrapporsi di frasi tra pianoforte e
strumenti, ora spinti anch'essi quasi al rango concertante di solisti: da un tono
appassionatamente concitato nasce la fluidità di un discorso lieto e
rasserenato, che verso la conclusione tocca anche le sponde dell'umorismo,
avvicinandosi allo spirito esilarante della commedia.
Sergio Sablich
Fin dal primo movimento si annuncia come un concerto fra i più preziosi e
intimisti, estraneo sia alla tipologia militare che a quella genericamente
galante. Mancano i colori marziali e decorativi di trombe e timpani, mentre è
presente il timbro morbido ed evocativo dei clarinetti, recente scoperta di
Mozart. L'invenzione tematica è fertile, semplice e intensamente espressiva. La
grande cadenza alla conclusione del primo Allegro è scritta da Mozart stesso,
nella partitura autografa, contrariamente all'uso di lasciarne l'improvvisazione
al solista. La chiarezza delle linee si a!na ulteriormente nell'Adagio, un ritmo
di siciliana nell'insolita tonalità di fa diesis minore. Il clima di mestizia
delicatissima imposto dall'esposizione, a!data come di consueto al solo
pianoforte, sta in equilibrio, più che in contrasto, con la breve parentesi aperta
da un più luminoso tema in la maggiore. Quanto contenuto è il pur profondo
lirismo di questo Adagio, tanta è la vivacità del finale, brillantissimo, eppur
sempre straordinariamente misurato.
Nato nel corso della composizione de «Le nozze di Figaro» (la sua partitura
venne ultimata il 2 marzo 1786, due mesi dopo di quella dell'opera), il
Concerto K. 488 sembra riverberare nelle proprie strutture la sensualità e
l'appassionato impeto vitalistico della «folle giornata», e insieme le sue ombre
inquietanti. La tonalità, l'incipit tematico del primo tempo, il prevaricante
lirismo dell'invenzione motivica nonché l'impiego (non abituale nei concerti per
pianoforte) del timbro dei clarinetti apparentano strettamente almeno il primo
movimento di quest'opera con quello del futuro Quintetto K. 581 per clarinetto
ed archi: in entrambi il la maggiore, tonalità da Mozart cautamente impiegata,
vi risplende di una calda luce crepuscolare. La semplicità della scrittura densa
e raccolta, più che mai contraddistinta dal colore dei fiati (che Mozart, con
impressionante intuizione in anticipo di oltre un secolo, sente, al pari di
Strawinsky, a!ne a quello del pianoforte), accentua i caratteri cameristici del
Concerto, che nel tempo di mezzo, una sorta di Siciliana in fa diesis minore,
s'apre a visioni di una cupa desolazione che neppure l'imminente Concerto in
do minore K. 491 riuscirà a superare. Tanta tensione patetica, quasi
inavvertitamente accumulata sull'esile filo di un nudo canto del pianoforte,
precipita nell'esaltata corsa del Finale, anch'esso paragonabile a quello di un
altro capolavoro nella tonalità di la maggiore, la Sonata K. 526 per violino e
pianoforte. In entrambi i casi, una gaiezza del tutto ipotetica si colora strada
facendo di tinte violente e quel senso di non definitivo e di dialetticamente
irrisolto che costituisce la grandezza drammatica del Finale mozartiano, vi
emerge nel modo più struggente.
Mozart, seguendo una prassi molto di"usa nel Settecento, amava improvvisare
la parte pianistica nel corso dell'esecuzione pubblica; in alcuni punti della
partitura del Concerto K. 482 è ancora evidente una scrittura pianistica appena
abbozzata, decisamente insu!ciente, che deve essere riempita dal solista con
arpeggi, scale, passaggi virtuosistici.
Dal punto di vista formale il primo movimento del concerto per strumento
solista e orchestra è frutto di un compromesso fra le esigenze della moderna
forma-sonata, che richiedeva l'opposizione dialettica fra i temi e fra le aree
tonali, e quelle del concerto di ascendenza barocca, che voleva l'alternanza fra
gli interventi del solista e quelli del «tutti» orchestrale. Mozart nei concerti per
pianoforte risolve il problema facendo rimanere l'orchestra, nel corso della sua
esposizione tematica, nella tonalità d'impianto e riservando al solista la
modulazione alla dominante. Con questo grande «tutti» iniziale in genere
l'orchestra esaurisce, dal punto di vista tematico, il suo contributo; essa
ritornerà, senza presentare nuove idee tematiche, nei punti chiave del primo
movimento per ra"orzare il discorso musicale: alla fine dell'esposizione,
all'inizio della ripresa e in conclusione di movimento. Nella ripresa invece
«tutti» e solista vengono fusi assieme, per assicurare al concerto la necessaria
concisione formale. Al solista vengono naturalmente riservate nuove idee
tematiche e nuovi spunti motivici: è lui il vero motore dell'azione musicale, alla
sua parte si devono le intuizioni più straordinarie, le invenzioni più belle del
genio mozartiano.
Alessandro De Bei
https://www.youtube.com/watch?v=JhSQjeilFyU
https://www.youtube.com/watch?v=7rXsLmj6D-o
https://www.youtube.com/watch?v=_JRC_d17cLg
https://www.youtube.com/watch?v=nsj_vCRv_VI
https://www.youtube.com/watch?v=s8j-1u2ndZo
L'orchestra risulta essere la più ampia che Mozart abbia mai impiegato in un
concerto, con l'impiego di oboi e clarinetti assieme. Inoltre, un'altra
caratteristica che lo di"erenzia dal resto della produzione concertistica di
Mozart è che dopo la cadenza del primo movimento, il pianoforte non
scompare, e il finale è pervaso da un'ultima divagazione tematica del solista.
--
Orchestra virtuale del Flaminio
«Questi concerti sono una via di mezzo tra il troppo facile e il troppo di!cile:
sono molto brillanti, gradevoli all'orecchio pur senza cadere nella vuotaggine,
qua e là anche gli intenditori avranno di che esserne soddisfatti, ma in modo
che anche coloro che non lo sono proveranno piacere, senza sapere il perché»:
in questi termini, in una lettera al padre del 28 dicembre 1782, Mozart parlava
dei tre Concerti per pianoforte e orchestra cui stava lavorando in quei giorni.
Leggendo quelle poche righe, potrebbe sembrare che Mozart metta l'accento
sulla brillantezza, la piacevolezza e la naturalezza che voleva dare a questo
tipo di composizione, ma indubbiamente a colpire l'attenzione di suo padre
Leopold fu soprattutto la volontà di tenersi a giusta distanza non solo dal
"troppo di!cile" ma anche dal "troppo facile" e di inserire passaggi che
soltanto gl'intenditori avrebbero potuto comprendere pienamente. Infatti allora
si considerava il Concerto nient'altro che facile musica d'intrattenimento, che,
per andare incontro alle attese d'un pubblico di "non intenditori", doveva
basarsi sul virtuosismo brillante del solista, sulla sua vivace alternanza con
l'orchestra e su idee musicali colorite ma superficiali e poco sviluppate:
appunto di tal genere erano i Concerti scritti da Leopold Mozart e dagli altri
musicisti della sua generazione, non escluso Joseph Haydn, i cui Concerti non
sono paragonabili alle Sinfonie e ai Quartetti né per la ricchezza d'idee, né per
la novità quasi sperimentale di certe soluzioni formali. Dunque, se come autore
di Sinfonie, di Quartetti, di Trii e di Sonate per pianoforte Haydn non gli è
certamente inferiore, Mozart è incomparabile nel campo del Concerto.
Mauro Mariani
Mozart scrisse soltanto due Concerti per pianoforte in tonalità minore, quello
in re minore K. 466 e quello in do minore K. 491. Il primo risale al febbraio del
1785 e costituisce l'opera forse più drammatica composta da Mozart per il suo
strumento. Poco più d'un anno dopo, il 24 marzo 1786, il Concerto in do
minore veniva aggiunto al catalogo dei lavori dell'autore. Sebbene il ritorno al
modo minore crei una certa a!nità di sentire tra i due lavori, il loro carattere
diverge in maniera netta.
Per il finale del Concerto Mozart adotta la forma del tema con variazioni.
L'Allegretto infatti si articola in otto variazioni, su un tema generato in maniera
ben riconoscibile dal soggetto iniziale grazie alla presenza dell'intervallo di
settima minore. Il pianoforte s'appropria subito della prima variazione,
fornendo la chiave di lettura del movimento. Diviene evidente in breve tempo
come il contrasto tra il mondo della natura, evocato dalle sonorità pastorali dei
fiati, e il carattere cromatico del virtuosismo solistico costituisca la forza
espressiva di questo finale. La musica, nei momenti più intensi, si copre d'un
rumore di ferraglia e procede a ritmi marziali, mentre la scrittura pianistica si
addensa fino a toccare in alcuni punti un contrappunto a quattro voci.
Oreste Bossini
https://www.youtube.com/watch?v=p_ofmtSO38w
https://www.youtube.com/watch?v=OsUeKnqWf50
https://www.youtube.com/watch?v=hken2u8HidE
Nel campo concertistico, a partire dal 1784, a Vienna la moda cambia e prende
piede il concerto virtuosistico. Ruolo di spicco rivestono i pianisti compositori
il cui scopo era quello di esaltare le proprie doti solistiche che si appoggiavano
a musiche di facile comprensione. Mozart non tralasciava mai di inserire nella
propria musica passaggi complessi, non seguiva regole fisse e tutto ciò
rendeva la propria musica meno accessibile.
Nel concerto K 503 sono presenti più momenti virtuosistici ma non a scapito
delle esigenze espressive che cominciavano ad emergere anche nelle opere e
nelle pagine cameristiche; ci troviamo di fronte ad un concerto sinfonico e non
ad un concerto "brillante". La contrapposizione tra solista ed orchestra è
dialettica e non si risolve a favore dello strumento solista. Ci troviamo di fronte
ad un gioco di rimandi che fanno emergere ora l'orchestra ora il pianoforte.
Non ci troviamo di fronte alla lotta che troveremo nei concerti della maturità
beethoveniana ma ad una interazione ed a una collaborazione tra le parti.
Nei primi anni viennesi, infatti, Mozart si era valso del Concerto pianistico
come del "grimaldello" per a"ermarsi presso la società cittadina. Nelle
interminabili serate concertistiche per sottoscrizione ("Accademie"),
frequentate da un ristretto circolo di aristocratici e facoltosi borghesi, accanto
alle Sinfonie, alle Arie per voce e orchestra, alle brevi improvvisazioni e
composizioni pianistiche, il Concerto per pianoforte era atteso come
l'appuntamento immancabile e prediletto. Tutta la musica per pianoforte era
peraltro considerata come genere di intrattenimento e di svago, ed era
destinata agli esecutori dilettanti, che si dedicavano al pianoforte in quanto
strumento di rapide soddisfazioni. Le Accademie viennesi, non a caso, avevano
non solo una funzione ricreativa ma anche commerciale: l'ascoltatore infatti, se
aveva ritenuto di suo gradimento le composizioni udite nel corso del Concerto,
poteva acquistare, perle proprie private esibizioni, una copia degli spartiti,
fatta appositamente incidere dall'autore a proprie spese.
Non a caso il Concerto K. 503 nacque come opera isolata in circostanze poco
chiare; potrebbe essere stato destinato a un ciclo di Accademie nel periodo
dell'Avvento; o eseguito nel viaggio a Praga nel gennaio 1787. La partitura ha
una orchestrazione estremamente ricca (flauto e coppie di oboi, fagotti, corni,
trombe, più timpani; anche se mancano i clarinetti) e infatti è fra quelle che
mostrano in modo più pronunciato la tendenza "sinfonica" della maturità
mozartiana. Già la tonalità di do maggiore viene impiegata spesso da Mozart
per lavori di contenuto aulico; il lavoro si richiama sotto questo aspetto ai
Concerti K. 415 (in do) e K. 459 (in re), ma secondo una complessità ben
maggiore di quella mostrata dai modelli.
Arrigo Quattrocchi
E' tra il 1786 e il 1787 ch'ebbe inizio quel rapido declino della voga, tra la
società viennese, del Mozart virtuoso di pianoforte. Ciò spiega perché il
Concerto in do maggiore K. 503, pur essendo stato composto soltanto nel
dicembre del 1786, ossia a cinque anni dalla morte e al seguito della splendida
fioritura dei venti e più concerti scritti fin qui, si pone come una delle
ultimissime testimonianze del concertismo pianistico mozartiano, insieme al
«Concerto dell'Incoronazione» (1788) e al Concerto in re del 1791. Da precisi
indizi, riferisce il Paumgartner, si può stabilire con quasi assoluta certezza che
negli anni seguenti al 1786 Mozart non riuscì più ad organizzare alcun
concerto per conto proprio ma si limitò a prodursi occasionalmente in
audizioni private e nelle riunioni musicali del sabato mattina in casa propria,
alle quali intervenivano, pagando una tenue somma, amici e protettori.
Nell'estate del 1786 le sue condizioni finanziarie erano assai peggiorate: dopo
essersi dato d'attorno per due settimane, nella speranza di riorganizzare
qualche concerto a sottoscrizione, dovette constatare con amarezza di non
esser riuscito a trovare che un solo abbonato, il suo fedele protettore van
Swieten.
Donald Tovey ha ricollegato il Concerto in do alla Sinfonia «Jupiter» e non
soltanto per il fatto, estrinseco, della identica tonalità, ma per la imponenza
delle dimensioni (il primo movimento del Concerto, Allegro maestoso, di ben
432 battute, è il più lungo che Mozart abbia scritto) e per lo spirito apollineo
che pervade tutta l'opera, dando vita, nello strumentale e nel piglio pianistico,
a passi di particolare brillantezza di tono. D'altronde già un contemporaneo di
Mozart lo ebbe a definire «olimpico».
Giorgio Graziosi
https://www.youtube.com/watch?v=jkKmlip4gA4
https://www.youtube.com/watch?v=4kT6iP6Jkt8
https://www.youtube.com/watch?v=xUhIHXlFNxQ
https://www.youtube.com/watch?v=9720R8IStzo
Ventuno concerti per pianoforte e orchestra, più uno per tre pianoforti e
orchestra, un altro per due pianoforti e orchestra e un rondò per pianoforte e
orchestra, rispettivamente K. 242, 365 e 352, rappresentano la summa della
produzione strumentale e pianistica di Mozart e in essi si avverte l'evoluzione
dello stile da concerto del salisburghese, che passa da una libera forma
sinfonica, dove lo strumento solista svolge un ruolo brillante e virtuosistico, ad
un linguaggio sonoro più intimo e raccolto nell'ambito di un rapporto più
misurato ed equilibrato tra il pianoforte e l'accompagnamento orchestrale. Del
resto lo stesso Mozart espresse in una lettera che porta la data del 28
dicembre 1782 le sue idee sul modo di concepire i concerti per pianoforte e
orchestra della prima maniera. «I concerti - egli scrive a suo padre - sono una
via di mezzo fra il troppo di!cile e il troppo facile, sono molto brillanti e
piacevoli all'udito, naturalmente senza cadere nello stravagante e nella
vuotaggine! Qua e là anche gli intenditori possono ricevere una soddisfazione,
ma in modo che i non intenditori devono rimanere soddisfatti, senza sapere
perché». Negli anni successivi egli approfondì e arricchì la struttura tecnica del
concerto, conferendo all'orchestra una personalità timbrica più spiccata, pur
lasciando intatte allo strumento solista le fioriture, le variazioni e le cadenze
tipiche della parte pianistica. In tal modo l'antico concerto da salotto cambia
non tanto nella forma, quanto nello spirito della musica in esso racchiuso. A
questa linea espressiva si attengono i Concerti in la maggiore K. 488, in do
minore K. 491 e in do maggiore K. 503, scritti tutti e tre nel 1786, nello stesso
periodo in cui l'autore era alle prese con la composizione delle Nozze di Figaro
(non per nulla il Concerto in do minore, completato il 24 marzo 1786 ed
eseguito per la prima volta a Vienna dallo stesso Mozart il 7 aprile successivo
reca il numero Kòchel immediatamente precedente a quello delle "Nozze").
Non meno indicativi dello stile mozartiano sono i due concerti per pianoforte e
orchestra scritti dal musicista negli ultimi cinque anni di vita: il Concerto in re
maggiore K. 537, composto nel 1788 per l'incoronazione di Leopoldo II a
Francoforte e il Concerto in si bemolle maggiore K. 595, eseguito in pubblico a
Vienna il 4 marzo 1791, con lo stesso autore al pianoforte, in una
inconsapevole serata di addio come virtuoso del suo strumento prediletto. Il
Concerto K. 537, conosciuto anche come "Concerto dell'incoronazione", è tra i
più brillanti e imprevedibili per la varietà delle invenzioni tematiche. Ad
esempio, il primo movimento (Allegro) è costituito da tre temi ben distinti,
enunciati dai violini: il primo spigliato, il secondo spiritoso e il terzo molto
cantabile. Con l'entrata del solista, che ripropone il primo tema, ci si aspetta di
riascoltare gli altri temi; invece il pianoforte indica una nuova frase, fertile di
cromatismi in un gioco di modulazioni. È interessante osservare come nello
sviluppo Mozart punti la sua attenzione su un piccolo inciso secondario,
ritmicamente vivace, con cui si era chiusa l'esposizione orchestrale. Solo nella
successiva riesposizione si avrà l'allineamento ordinato dei vari temi.
https://www.youtube.com/watch?v=Yaa2lxvUGfs
https://www.youtube.com/watch?v=6A8iXOiFkHw
https://www.youtube.com/watch?v=zcE_7adLdEo
https://www.youtube.com/watch?v=TCy_qHRNYZI
Mozart riporta nel catalogo manoscritto delle sue opere di avere terminato la
composizione del concerto per pianoforte e orchestra n. 27 in Si bemolle
maggiore K 595 il 5 gennaio 1791.
L'opera fu eseguita a Vienna, il 4 marzo dello stesso anno, e quindi ben due
mesi dopo averla terminata. Ciò non era nello stile di Mozart, il cui lavoro
veniva di solito terminato poco prima di essere eseguito in pubblico. Questo
fatto ha dato adito a due possibili interpretazioni: la prima: che non avesse
alcun committente e che il concerto fosse stato scritto per poterlo usare in una
accademia (concerti a sottoscrizione); la seconda: che il concerto fosse stato
commissionato da un allievo.
Del concerto, infatti, ci sono rimaste le cadenze originali di Mozart per il primo
e terzo movimento.
Caratteristica di questa, così come delle altre opere scritte durante l'ultimo
anno di vita del compositore viennese, è la presenza di elementi stilistici
peculiari quali, ad esempio, il carattere interiore dei motivi melodici,
l'organizzazione dei temi e dei movimenti molto complessa, l'uso di temi
"pastorali" nel finale.
Quando l'impresario Johann Peter Salomon giunse a Vienna per trattare con
Haydn il suo soggiorno inglese, contattò anche Mozart per fargli un'o"erta alle
stesse condizioni. Sembra però che Mozart non abbia dato alcun seguito a
questa proposta, così come non aveva preso in considerazione la lettera che
l'amministratore dell'Opera italiana a Londra, Robert Bray O'Reilly, gli aveva
fatto recapitare nell'ottobre 1790. O'Reilly gli o"riva di rimanere in Inghilterra
per alcuni mesi, al massimo fino a giugno 1791, con l'obbligo di scrivere due
opere teatrali per un cachet di 300 sterline, corrispondenti alla cospicua cifra
di 3000 fiorini austriaci. Probabilmente Mozart non se la sentì di lasciare sola
la moglie, all'epoca in condizioni incerte di salute. Era inoltre impegnato in
"casa" su vari fronti: si era attivato, dopo la morte di Giuseppe II e l'elezione di
Leopoldo I, per il mantenimento e magari il miglioramento delle proprie
condizioni a corte; si era anche mosso perché il suo valore di compositore
nell'ambito della musica sacra venisse riconosciuto a corte e presso le più
importanti istituzioni religiose viennesi; il teatro musicale lo impegnava anche
nel continente, con riprese dei suoi drammi giocosi e con nuove composizioni.
In più c'era l'attività di interprete, alla quale Mozart destinava, non
dimentichiamolo, parte delle sue energie creative, attività che lo impegnava in
manifestazioni di variegata importanza.
Parole valide anche per il finale, Allegro, nell'esordio del quale Mozart utilizza
una melodia tratta da un Lied che stava scrivendo in quei giorni, Sehnsucht
nach dem Frühling (Nostalgia di primavera, K. 596). Ed è in e"etti un vago
senso di nostalgia, come una rimembranza di primigenia felicità, che il
movimento, e tutto il concerto, sembra evocare. Sconfinamenti nel modo
minore, brioso andamento ritmico, tratti di elaborazione contrappuntistica,
inaspettata suggestione timbrica; la speranza è che il Concerto non concluda
mai.
Di quel 1791 Mozart vide poi la primavera e l'estate che seguì; l'ultima della
sua vita: morì il 5 dicembre di quello stesso anno. Le sue stagioni erano finite;
quelle della sua musica, per nostra grande fortuna, erano appena iniziate.
Simone Ciolfi
Con il Concerto per pianoforte K. 595, dai primi anni del soggiorno viennese di
Mozart ci trasferiamo agli ultimi: il Concerto, infatti, è portato a termine nei
primi giorni di gennaio del 1791, l'anno che si concluderà con la morte del
compositore. Il K. 595 è l'ultimo dei concerti per pianoforte e orchestra
composti da Mozart, il quale lo esegue il 4 marzo 1791, nel corso di
un'accademia che coincide con una delle sue ultime apparizioni pubbliche a
Vienna. A quel concerto, Mozart non interviene da protagonista: la sua
esibizione fa da contorno a quella del clarinettista Josef Beer. Segno,
probabilmente, che la fortuna di Mozart presso il volubile pubblico viennese è
ormai in declino. Ma Mozart, a quell'epoca, parla un linguaggio che non è fatto
per solleticare orecchie amanti della socievolezza scorrevole o dei facili e"etti
appariscenti.
Sin dall'Allegro iniziale è subito chiaro che il tono socievole di molti concerti
viennesi, con ciò che resta dello stile galante, è abbandonato in favore di
inflessioni personali, di impennate espressive, di divagazioni meditabonde. Il
tema principale nasce sommesso, quasi in sordina, da una tranquilla battuta
d'accompagnamento: lontano quindi dal modo chiassoso con cui inizia
solitamente un concerto. Nell'Esposizione, le melodie fioriscono: al primo tema
ne seguono un secondo, morbido e disteso, e un terzo, increspato da
acciaccature. Il discorso riserva la sorpresa di frequenti inflessioni inattese,
come l'episodio in modo minore alla fine del Tutti orchestrale o quello che
nell'Esposizione solistica introduce un nuovo motivo e divaga toccando tonalità
lontane. Ma la sorpresa è creata, in molti altri luoghi, anche dai cromatismi,
dagli sforzato e dai crescendo, dagli unisoni che increspano l'eloquio e vi
introducono tensioni. Un linguaggio complesso, che tuttavia non disturba la
cantabilità pervasiva del movimento né la grazia delle sue linee melodiche.
Nel rondò conclusivo (Allegro, impostato nella consueta forma del rondò-
sonata) un'atmosfera di spensierata gaiezza sembra prevalere su tutto: il tono
generale è dato dal tema principale, giocoso, quasi infantile nella sua
semplicità. Mozart impiega un tema strettamente a!ne nel Lied K. 596
«Sehnsucht nach dem Frühling» (Nostalgia di primavera), composto pochi
giorni dopo il Concerto K. 595 e ispirato alla gioia per il ritorno della bella
stagione. Nel rondò, come nel Lied, risuonano gli accenti di quella esuberanza
eufonica, di quel tono semplice e popolare che è una costante nelle opere
dell'ultimo Mozart e che troverà espressione, di li a poco, nelle arie di
Papageno e in tante altre pagine del Flauto magico.
Claudio Toscani
Uno dei luoghi comuni della letteratura dedicata ad un qualsiasi grande artista
è quello, irresistibile, di conciliare nell'ultimo suo anno di vita il vertice più alto
della produzione col presagio tormentoso della morte imminente. Anche
Mozart ne è stato ovviamente contagiato: anzi, nessun musicista più di lui ha
autorizzato una vasta letteratura romantica a rinvenire, nella parte liminare
della sua esistenza, inquietanti ed angosciose premonizioni; ma per converso,
nessun compositore, si incarica, quanto lui, a smentire questa pronta quanto
indiscreta agiografia umana. Niente di più parziale, di più romanzato ed
aleatorio è infatti il definire il 1791 essenzialmente come l'anno del conclusivo
«Requiem»; opera struggente ed enigmatica, per di più rimasta in-compiuta:
almeno per Mozart (ma anche per uno Schubert) il disordine esistenziale della
vita quotidiana si incarica di scompigliare salutarmente questo appuntamento
con la morte, la quale è un caso, così come la vita è una continua occasione.
Ad esse è sottomessa ogni pretesa «logica» interiore della creazione.
Si vuol dire che se il 1790 era stato per Mozart l'anno nero degli insuccessi,
delle incertezze, perfino dei turbamenti spirituali più funerei (espressi ad
Haydn in partenza per Londra, contrattuato dall'impresario Salomon, che
pensava di scritturare anche lo stesso Volfango, ma non fece a tempo), ecco
che invece il 1791, l'anno di addio al mondo, si apriva sereno, così nelle
circostanze creative come in quelle economiche. Gli vengono infatti
commissionate le opere «Il Flauto magico» e «La clemenza di Tito» (la prima,
aperta alla futura fantasia romantica, l'altra ancora consegnata al vecchio cliché
dell'opera italiana), gli viene chiesta una vera inflazione di danze orchestrali e
pezzi per organo meccanico, che dispiegano un clima di allegria carnevalesca,
futile ed un po' disperata. Ma proprio lui, Mozart, è sereno: l'ultimo suo
«Quintetto» per archi (K. 614) è pieno di gioia fanciullesca, il sublime mottetto
«Ave Verum» è tutto beatitudine pacata ed anche il celebre «Concerto» per
clarinetto è ricco di luminosa dolcezza. La nascita dell'ultimo figlio Franz è
accompagnata da alcuni briosi «Lieder» per bambini e vari pezzetti per
pianoforte. Il passaporto a questa creazione intensa e fluida era stato proprio il
suo ultimo «Concerto» per pianoforte, questo in si bemolle maggiore K. 595,
terminato il 5 gennaio, con quel «Finale» così raramente allegro, fondato su un
motivetto popolaresco che gli ronzava sbarazzino in testa e che torna nella
canzoncina «Komm, lieber Mai» (K. 596), composta pochi giorni appresso. Lo
schianto vero, l'unica modulazione tragica di quell'esistenza avviata a
ricuperare un alacre ottimismo perduto negli anni precedenti, è il solo
«Requiem», con l'ossessione del misterioso committente che scatena ad una
tratto l'angoscia, il sospetto di veleno, la malattia finale di Mozart. È come la
comparsa improvvisa del convitato di pietra, il Commendatore, che venga a
riscuotere il pegno più grande allo spensierato ed irresponsabile Don Giovanni.
Che tosto esce di scena.
Sergio Martinotti
https://www.youtube.com/watch?v=nheif2BuFz0
https://www.youtube.com/watch?v=cIUHkfwMZE4
https://www.youtube.com/watch?v=4oj_2Lmb23A
Questo concerto venne scritto per il duca di Guines, già ambasciatore francese
a Londra e grande appassionato di musica e suonatore di flauto egli stesso, e
per sua figlia, suonatrice di arpa e allieva in composizione di Mozart («non ha
idee, non viene fuori nulla», «è sinceramente stupida e pigra» furono i
commenti di Wolfgang al padre Leopold).
Alessandro De Bei
A Parigi, ultima tappa del suo ultimo grande viaggio, Mozart sperava di
ottenere la consacrazione a compositore di fama europea e invece incontrò
soltanto indi"erenza. L'accoglienza che Parigi gli aveva riservato quattordici
anni prima lo aveva illuso: allora - nel 1763-1764 - era un fanciullo prodigio
conteso e vezzeggiato nei salotti dell'aristocrazia, adesso - nel 1778 - è un
giovane di ventidue anni e non costituisce più un'attrazione, una curiosità, ma
deve imporsi sulla concorrenza dei tanti musicisti di grido che da tutta l'Europa
convergono a Parigi. Certamente non mancavano a Mozart le qualità per lottare
ad armi pari con i suoi "colleghi" e per a"ermarsi, ma - come il barone Grimm
scrisse a Leopold Mozart - avrebbe ottenuto migliori risultati con metà del
talento e il doppio di abilità. Per di più i parigini erano distratti dalla querelle
fra i sostenitori di Gluck e quelli di Piccinni e non avevano tempo per quel
giovane venuto da una piccola città austriaca. Mozart ripagò i parigini con
eguale moneta: considerava con un senso di malcelata superiorità la musica e
il gusto francesi e si disinteressò ostentatamente di quella querelle, che invece
gli ambienti parigini consideravano di capitale importanza.
Ecco dunque che nacque, nell'aprile 1778, il Concerto per flauto ed arpa,
destinato ad una coppia di aristocratici. «Penso di averle già detto» scrisse
Mozart al padre il 14 maggio «che il Duca di Guines [in realtà conte, già
ambasciatore a Londra] suona assai bene il flauto, e che la figlia, alla quale
insegno composizione, suona magnificamente l'arpa». La partitura che Mozart
confezionò su misura per questi esecutori - piuttosto ampia nelle dimensioni
anche se non trascendentale tecnicamente - è del tutto improntata allo spirito
concettualmente disimpegnato e brillante della moda parigina (sottolineato
dalla tonalità di do maggiore e dal carattere decorativo degli strumenti solisti);
ma la preziosissima fattura e il superiore ingegno fanno di questo pezzo "da
salotto" un piccolo capolavoro nel suo genere; soprattutto è mirabile
l'equilibrio che sovrintende al rapporto di solidarietà fra i due dissimili
strumenti (il flauto incline alla funzione solistica, l'arpa a quella di
accompagnamento) e alla contrapposizione fra questi e l'orchestra (smarrite
sono purtroppo le cadenze originarie). Dei tre movimenti l'Allegro iniziale,
aperto da un perentorio arpeggio di do maggiore, presenta una vivace
abbondanza di idee e uno sviluppo armonicamente assai suggestivo; i due
solisti vi hanno uno spazio predominante, e si alternano anche nel ruolo di
guida melodica nella sezione dello sviluppo. L'Andantino è animato da una
grazia sensuale - vi si notano le viole divise - e arricchito da una fitta
ornamentazione; mentre il Rondeau finale segue un elegante andamento di
gavotta, in perfetta aderenza al gusto francese.
Arrigo Quattrocchi
Autoconsapevolezza dei propri numeri, non c'è dubbio, ma anche fastidio per
la superficialità, la mancanza di idee, la banalità. Tutte uguali dall'inizio alla
fine, riferirà disgustato, quelle sinfonie concertanti ascoltate ai «Concerts
spirituels», con il loro ovvio «premier coup d'archet» (su Gluck e Piccinni, allora
attivi a Parigi, no comment del musicista: ma ciò riguarda la storia del teatro
d'opera).
Fiamma Nicolodi
https://www.youtube.com/watch?v=71CugOCzcrQ
https://www.youtube.com/watch?v=0ExqsbrOPN4
https://www.youtube.com/watch?v=1dx2fr3p2aU
l concerto per flauto e orchestra n. 1 in Sol maggiore K 313, scritto da
Wolfgang Amadeus Mozart tra il gennaio e il febbraio del 1778 a Mannheim, è
un classico esempio di musica mozartiana.
Caratteristiche
Mozart scrisse questo concerto per flauto, come del resto il concerto K 314 e i
quartetti con flauto K 285, K 285a e K 285b per il committente olandese De
Jean, un musicofilo assai appassionato di questo strumento. L'organico di
quest'opera è il classico dei concerti mozartiani: due oboi, due corni in sol, gli
archi (violini primi e secondi, viole, violoncelli e contrabbassi) e naturalmente
lo strumento principe di questo concerto: il flauto traverso.
Sembra che l'Adagio ma non troppo non venne apprezzato dal committente De
Jean, al punto che Mozart fu costretto a sostituirlo con l'Andante in do
maggiore K. 315, pagina meno impegnativa e problematica. In realtà, come nel
caso del Concerto precedente, è proprio nel movimento centrale che Mozart
profuse i gioielli più luminosi della sua arte. Il tono sereno e disteso del primo
tema al quale contribuiscono violini e viole con sordino, viene confermato
dall'ingresso del solista che ne varia solo lievemente il profilo, e soprattutto dal
secondo spunto tematico esposto dal flauto con una semplicità quasi
fanciullesca. A un episodio di dialogo fra solista e orchestra segue una breve
sezione di Sviluppo, basata su elementi motivici del primo tema, e la Ripresa
integrale della prima parte.
Alessandro De Bei
https://www.youtube.com/watch?v=eDrVtXPpuRI
https://www.youtube.com/watch?v=iWpjCJy2VMU
https://www.youtube.com/watch?v=j3xbS4rjzFI
https://www.youtube.com/watch?v=ecjIfFjk_ew
https://www.youtube.com/watch?v=kPUYn_wpHeI
Il concerto per flauto e orchestra in Re maggiore K 314 (K6 285d) venne scritto
da W. A. Mozart, probabilmente a Mannheim, per adempiere alla commissione
avuta dal gentiluomo olandese di origine indiana De Jean (o Dejean).
Tre erano le composizioni per flauto ordinate ma Mozart, che pare non
lavorasse a questi brani con grande entusiasmo, ne completò solo due il K 313
e il K 314. Il concerto in esame non è nuovo ma il risultato di una pura e
semplice trascrizione per flauto di un concerto per oboe scritto l'anno prima a
Salisburgo operando una trasposizione di tonalità dal Do maggiore a Re
maggiore e variandone alcune parti solistiche per meglio aderire alle
peculiarità tipiche (tecniche e timbriche) del flauto.
Questi fatti fecero sì che il committente riconoscesse a Mozart solo la metà di
quanto pattuito.
Il primo movimento (allegro aperto) si apre con un tema composto di due parti
la seconda delle quali invece di avere una funzione predominante non sarà più
ripresa.
L'andante ma non troppo ha un'andatura pastorale. Nel rondò (allegro) con cui
il concerto termina si sfruttano le possibilità tecniche del flauto con una
maestria intuitiva proprie del genio mozartiano. Un refrain particolarmente
brillante viene esposto più volte con una serie di variazioni e trovate sempre
diverse e sorprendenti.
Tutt'altra atmosfera nel Rondò finale, il cui refrain verrà in seguito utilizzato da
Mozart nell'aria di Blondchen Welche Wonne, welche Lust dell'opera Il ratto dal
serraglio. Gli episodi brillanti (come il «richiamo» dei corni, le cadenze
orchestrali in stile di opera bu"a e i passi di virtuosismo solistico si alternano
brillantemente alle riprese del refrain, sempre frizzante e festoso e spesso
preceduto da vivaci cadenzine ad libitum del flauto.
Alessandro De Bei
Il Concerto è totalmente ligio alle norme formali della tradizione con i suoi tre
tempi e con i due soggetti tematici che caratterizzano il primo movimento. Il
tema del terzo tempo sarà poi utilizzato da Mozart nel Ratto dal Serraglio ed
esattamente nell'aria di Blondine «Welche Wonne, welche Lust». Questo
rapporto con l'opera ha fatto scrivere ancora al De Saint Foix: «Il tutto forma
un insieme che fa pensare alle più pungenti invenzioni sceniche di Mozart:
questo flautista è davvero un personaggio da opera bu"a, il più spirituale, il
più ra!nato e noi lo perdoniamo facilmente dal fatto di non proferir parola».
Arrigo Quattrocchi
https://www.youtube.com/watch?v=xRHsEJty4G0
https://www.youtube.com/watch?v=MnVkXTqPgAY
Arrigo Quattrocchi
Questo lavoro venne composto nel dicembre 1777, pochi mesi prima della
partenza per Parigi.
Della durata di appena 7 minuti questa pagina, assai celebre, segue un flusso
melodico ininterrotto che rimbalza dallo strumento solista all'orchestra (dopo i
cinque accordi in pizzicato dei «tutti»}. In nuce si può già cogliere l'idea
tematica dell'«Andante» per flauto solo nel finale atto I del «Flauto magico». In
forma ternaria, con la sezione centrale che modula in punta di piedi verso la
tonalità di sol minore, questo «Adagio» non o"re particolari di!coltà
all'interprete, salvo l'omogeneità di intonazione (frequenti le note ribattute) e
soprattutto la messa a fuoco di una suadente e raccolta «Empfindsamkeit».
Fiamma Nicolodi
https://www.youtube.com/watch?v=LVgdHjL4a-4
https://www.youtube.com/watch?v=RRDuTpRD204
https://www.youtube.com/watch?v=YT_63UntRJE
1 Descrizione
2 Curiosità
3 Note
4 Altri progetti
5 Collegamenti esterni
Descrizione
II 7 ottobre 1791, alle dieci e mezzo di sera, Mozart scriveva alla moglie, in
quei giorni a Baden per le cure termali, narrandole il duplice successo della
prima rappresentazione a Vienna del Flauto magico e dell'ultima replica della
Clemenza di Tito a Praga, entrambe svoltesi qualche giorno prima, il 30
settembre. A informarlo del buon esito di questa ultima opera, inizialmente
accolta con una certa freddezza, era stato l'amico clarinettista Anton Stadler, la
cui permanenza a Praga si protrasse sicuramente oltre il 16 ottobre, giorno in
cui eseguì, nello stesso teatro del Tito e per finalità benefiche, il Concerto per
clarinetto e orchestra K. 622. Mozart ne aveva appena terminata la stesura,
visto che proprio il 7 ottobre era ancora intento a dare gli ultimi ritocchi al
Rondò finale.
Il recupero di alcuni colori timbrici vicini all'originale esalta ancor più il fascino
crepuscolare di una partitura che possiede rare potenzialità espressive.
Rispetto alle strutture formali audaci e sperimentali dei Concerti per pianoforte
scritti tra il 1784 e il 1786, il Concerto K. 622 sembra aspirare a una
dimensione più classica e bilanciata. Tale senso di equilibrio deriva da una
suggestione timbrica: la divisione dei violoncelli dal corpus dei contrabbassi,
l'eliminazione dall'organico di strumenti a fiato che sarebbero potuti entrare in
conflitto con il solista (come gli oboi, le trombe e i tromboni), la presenza di
flauti, fagotti e corni, la saltuaria riduzione dell'accompagnamento orchestrale
ai soli violini (con o senza viole) nei momenti lirici, sono tutti fattori che
rendono la partitura eccezionalmente leggera e delicata. A questa osservazione
va ad aggiungersi il fatto che Mozart, all'interno del Concerto per clarinetto,
porta alle estreme conseguenze un principio di diluizione della fraseologia (già
sperimentato in composizioni precedenti come il Concerto per pianoforte e
orchestra K. 595) grazie al quale temi e linee melodiche si incatenano
dolcemente come sgorgassero l'una dall'altra.
Un ammiccante e scherzoso tema apre il Rondò finale, nelle quattro sezioni del
quale Mozart ama sviluppare, più che frammenti, intere riconoscibili gemme
tematiche. Tale materiale, con una maestria che ispirerà Schubert, viaggia nelle
distese smisurate della malinconia, oscillando tra modo maggiore e minore,
mutando fattezze grazie a un cromatismo che plasma ogni motivo secondario
rendendolo carezzevole e convincente. Fra giochi d'eco, imitazioni troncate a
favore di morbide discese, intervalli insoliti e ampi del solista, ci si avvia verso
l'ultimo episodio che anticipa la ripresa e la chiusura. Più di un momento del
coevo Flauto magico echeggia in questo Rondò: si pensi al vagheggiamento di
Tamino, privo di sensi, da parte delle Dame nell'introduzione del primo atto,
oppure alla disperazione di Papageno alla ricerca di Papagena nel finale del
secondo atto dell'opera.
Mozart torna con questo Concerto alla ricchezza tematica che caratterizzava le
creazioni della sua giovinezza, al piacere di far parlare ogni momento
strumentale come fosse una scena, come avesse a disposizione personaggi. Ne
risulta una composizione di incredibile freschezza e vitalità, nonostante il
momento esistenziale, per Mozart, non fosse tra i migliori. Ombre di una
strana cupezza, quasi fosse l'interiorizzazione di una minaccia,
caratterizzarono i suoi ultimi mesi; un disagio tra l'altro provato non solo dal
compositore, ma anche dalla moglie, continuamente a#itta da problemi non
meglio identificati ai quali tentava di porre rimedio con lunghi soggiorni
termali. Ma di questi momenti la storia ha cancellato i tristi e"etti, lasciandoci
tra le tante meraviglie mozartiane, questo splendido Concerto per clarinetto.
Simone Ciolfi
Nella capitale boema, due giorni dopo la lettera citata, il 16 ottobre veniva
eseguito il Concerto per clarinetto K 622 in un concerto di beneficenza tenuto
da Anton Stadler (1753-1812), l'esecutore amico di Mozart a cui fu dedicata la
composizione. Stadler era uno dei più rinomati clarinettisti del momento ed è
per lui che Mozart scrisse le sue composizioni più importanti per clarinetto, dal
Quintetto K 581 alle arie accompagnate della Clemenza di Tito. Il concerto fu
originariamente concepito per corno di bassetto, strumento prediletto da
Stadler, a!ne al clarinetto, ma con un'estensione più ampia di una terza al
basso. Il manoscritto autografo è andato perduto: resta la versione pubblicata
nel 1801 a Parigi in una copia manoscritta, che probabilmente dovette servire a
preparare l'edizione. Entrambe, per adattare l'opera ad uno strumento più
largamente utilizzato, hanno parzialmente modificato la parte solistica e non
sono completamente autentiche. Oltre ai numerosi dettagli modificati a causa
della minore estensione, la deviazione dall'originale di maggior rilievo consiste
nella sovrapposizione del clarinetto solista ai violini primi nei tutti orchestrali
secondo un'indicazione che è sicuramente non autentica.
Andrea Rossi-Espagnet
Guida all'ascolto 3 (nota 3)
Oltre a quello per clarinetto Mozart ci ha lasciato altri sette concerti per
strumenti a fiato (uno per fagotto, due per flauto, quattro per corno), cui se ne
devono aggiungere un paio perduti, nonché alcuni rimasti allo stato di
frammento, senza contare quello per flauto ed arpa. La «gerarchia» degli
strumenti stabilita dal costume musicale del settecento si riflette in qualche
misura su quasi tutte queste composizioni, facendone qualcosa di abbastanza
vicino al genere della musica d'intrattenimento: potrebbe contribuirci la
naturale predisposizione degli strumenti a fiato al far musica all'aria aperta,
che dette vita per tutto il secolo a tante Serenate, Divertimenti e composizioni
a!ni; lo stesso Mozart, in una pagina come la «Gran partita» per tredici
strumenti, ha mostrato di sentire l'influsso di un uso del genere.
Badando solo alla cronaca, certo, anche il «Concerto per clarinetto» è un pezzo
d'occasione, una delle tante pagine scritte su misura per un virtuoso. Il
destinatario del concerto, il clarinettista Anton Stadler (1753-1812), ha un suo
posto nell'aneddotica mozartiana per essere stato uno dei più intimi amici del
maestro, che lo ebbe fratello in massoneria e compagno di serate piacevoli
(partecipò spesso alle baldorie con cui Schikaneder distraeva Mozart durante la
composizione del «Flauto magico»), ed è passato alla storia per essere riuscito
(e dev'esser stato senz'altro il solo), a farsi prestare del denaro — una bella
sommerta, per di più, cinquecento fiorini — dal compositore più indebitato che
la storia della musica ricordi; e Mozart mori senza aver rivisto i suoi soldi. Ma
ben più importante è la traccia che Stadler (che era indubbiamente un curioso
personaggio, ma evidentemente anche un artista di eccezionali qualità) ha
lasciato nella produzione musicale di Mozart. Per lui vennero composti il
«Quintetto in la maggiore», il «Trio» che fu detto «dei birilli», nonché due
«obbligati» (uno per clarinetto e uno per «corno di bassetto», il clarinetto
contralto oggi in disuso) nella «Clemenza di Tito».
E questo concerto, come si diceva. Per la verità, Mozart aveva già steso circa
duecento battute del primo movimento nel 1789, pensando però a un corno di
bassetto; riprese in mano il lavoro su richiesta di Stadler mentre si trovavano
tutti e due a Praga, per le rappresentazioni della «Clemenza». Tornato a
Vienna, completò rapidamente il lavoro e lo spedi a Stadler, rimasto nella
capitale boema per le repliche dell'opera, che lo esegui durante un suo recital.
Nel 1796 Stadler, che si trovava di nuovo in di!coltà finanziarie (era tornato
dalla sua licenza con quattro anni buoni di ritardo, e aveva logicamente trovato
il suo posto già occupato da altri), pensò di far soldi pubblicando il concerto
(vendendolo, ovviamente, a due editori diversi). Ma Mozart lo aveva a suo
tempo scritto destinandolo ad uno strumento inventato da Stadler stesso, che
aveva una estensione, verso il grave, di una terza in più rispetto al clarinetto
normale; ragion per cui Stadler dovette farne un arrangiamento, che è poi
entrato stabilmente in repertorio.
E questo gusto dei suoni gravi, dal timbro «umano» del clarinetto, che ci
ricorda l'uso, frequente nell'ultimo Mozart, del corno di bassetto, trova una sua
precisa rispondenza nella stessa scrittura musicale del concerto, che introduce
nel luminoso la maggiore della tonalità d'impianto ampie zone in minore che
non costituiscono un puro e semplice arricchimento della tavolozza armonica.
L'impianto formale non presenta sorprese, articolato com'è sui classici tre
tempi. Il primo è particolarmente sviluppato, e vede il clarinetto impegnato fin
dall'inizio assieme al «tutti» orchestrale; di preferenza, lo strumento solista
emerge sulle linee degli archi, staccandosi dalle parti dei fiati (due flauti, due
fagotti, due corni). Il materiale musicale presenta, in questo primo tempo come
nello stupendo «Adagio», una certa parentela con quello del «Quintetto per
clarinetto». Il virtuosismo, tenuto fuori della porta nel secondo tempo per dar
campo ad una cantabilità purissima e pensosa, ricompare nelle uscite
solistiche che punteggiano il «Rondò» finale, di incessante vivacità ritmica.
Daniele Spini
https://www.youtube.com/watch?v=AI-sCX_cLWQ
https://www.youtube.com/watch?v=csOqo78PpFk
Struttura
https://www.youtube.com/watch?v=mZAFo23zpZE
https://www.youtube.com/watch?v=-8SpI7b7ESI
Struttura
Allegro moderato;
Andante (in sol maggiore);
Rondeau: Allegro.
https://www.youtube.com/watch?v=-mXvMM0OawY
https://www.youtube.com/watch?v=ko8SAArorsw
https://www.youtube.com/watch?v=yhXLr3OET1c
Si tratta di un'opera che appartiene ancora allo spirito galante in cui le idee
tematiche vengono giustapposte ma non sviluppate.
Il compositore si distacca con la sua genialità dai modelli del tardo-rococò
a"ermando la propria personalità con l'inserimento di venature di malinconia,
momenti emotivi.
Struttura
L'Allegro iniziale è pieno di inventiva e di energia ed assembla vari spunti
tematici. Il primo tema riprende il ritornello orchestrale dell'aria di Aminta "Aer
tranquillo e dì sereni" dall'opera Il re pastore. Seguono altri due temi, il primo
a!dato ai fiati ed il secondo ai violini, che completano l'introduzione
orchestrale. Solo a questo punto entra il solista che ripete il primo tema per
poi introdurre materiale nuovo, impegnarsi in pezzi di bravura e reintrodurre il
finale orchestrale.
https://www.youtube.com/watch?v=txDq6Zf7tNw
https://www.youtube.com/watch?v=7Vx024wov60
https://www.youtube.com/watch?v=ZXr2DFU8wGU
https://www.youtube.com/watch?v=ETXPKHPPov8
https://www.youtube.com/watch?v=4mNJ43S1RIQ
https://www.youtube.com/watch?v=ByFaU3RRIzk
È certamente il più eseguito dei concerti per violino del compositore ed in esso
lo strumento solista è trattato con maestria (non si dimentichi che Mozart era
un valente violinista). La bellezza melodica, la forte contrapposizione dei
singoli movimenti, l'uso sicuro delle possibilità espressive dello strumento
tutte presenti non sono portate ai massimi livelli. Si deve in ogni caso tener
conto che quest'opera esce dalla mente di un Mozart diciannovenne e che
questi non si cimenterà più in questo tipo di composizioni.
L'Allegro aperto inizia con orchestra e violino che suonano insieme. Il tema
iniziale viene esposto due volte in modo stilizzato a cui segue una melodia più
estesa. Fa capolino un adagio di poche battute dove fa il suo ingresso lo
strumento solista. Riprende poi l'allegro iniziale che porta alla conclusione
dopo una libera cadenza del violino.
L'adagio apparve troppo ricercato ad Antonio Brunetti, primo violino
dell'orchestra di Salisburgo. Mozart andando incontro ai desideri di Brunetti lo
modificò con la stesura di un altro adagio (K 261) di e"etto più sicuro ed
immediato e dove, come nella stesura del concerto K 216, sostituirà gli oboi
con i flauti e prescriverà agli archi l'uso della sordina.
https://www.youtube.com/watch?v=QfhxZMUy9DU
https://www.youtube.com/watch?v=D_opKFbEIB0
I. Allegro
II. Andante ma Adagio
https://www.youtube.com/watch?v=SEtsnSWgcZ8
https://www.youtube.com/watch?v=otkovXD1HBQ
Il concerto venne scritto per Joseph Ignaz Leutgeb uno degli amici che starà
vicino a Mozart sino alla sua morte e che era già stato elemento dell'orchestra
di corte di Salisburgo.
La prima parte è un allegro dove il primo episodio del corno appare dopo una
introduzione orchestrale. Il corno e l'orchestra si accompagnano
scambievolmente interrompendosi più volte ed in modo via via più energico.
La seconda parte è nuovamente un allegro che sul finire si tramuta in rondò
sullo "stile di caccia" al quale il corno era legato prima delle innovazioni
apportate allo strumento nel XIX secolo.
https://www.youtube.com/watch?v=V4djv0wIisM
https://www.youtube.com/watch?v=xzCiVyWx-Tk
Dati sull'opera
Catalogo Köchel
K 417
Durata
14 minuti
Movimenti
Organico
solista (corno)
2 oboi
2 corni
archi (violini primi e secondi; viole; violoncelli; contrabbassi)
https://www.youtube.com/watch?v=R93hIpLgkjQ
https://www.youtube.com/watch?v=-yoQcjrLGy0
Questo come gli altri concerti furono scritti da Mozart per il suo grande amico
Leutgeb che evidentemente era ben più di un dilettante se poteva suonare una
partitura così impegnativa.
Struttura
Il primo movimento si apre con cinque frasi che verranno riprese più volte con
modalità via via diverse. In alcune parti del primo e secondo movimento
emergono anticipazioni della melodia che verrà sviluppata nel Concerto per
clarinetto.
Con un rondò pieno di brio inizia il terzo ed ultimo movimento che si conclude
con il corno che richiama il tema principale già esposto nella romanza con una
soluzione tecnica di martello (note brevi e staccate) piuttosto che utilizzandone
gli aspetti cantabili.
https://www.youtube.com/watch?v=gtOkOYTM_5E
https://www.youtube.com/watch?v=OEBCyQCGiPk
https://www.youtube.com/watch?v=uQ9Y7fvXwcM
https://www.youtube.com/watch?v=_thhqQuvLOc
Il corno di bassetto è uno strumento che appartiene alla famiglia dei clarinetti
composto da 5 parti che si incastrano con dei sugheri: il bocchino (con ancia e
legatura), il collo (l'equivalente del barilotto), il pezzo superiore, il pezzo
inferiore e la campana, che ha la caratteristica forma rivolta verso l'alto, simile
a quella del clarinetto basso. La sua estensione normalmente va dal fa sotto al
primo rigo della chiave di basso al do sopra il rigo in chiave di violino.
Il corno di bassetto compare per la prima volta in Mozart nella Serenata per
fiati in si bemolle maggiore K 370a del 1781, poi nell'aria di Constanze dal
Ratto dal serraglio e nella Musica funebre massonica K 479a del 1785. Nel
frattempo, grazie all'amicizia con Anton Stadler (1753-1812), clarinettista e
compagno di musica e di divertimenti conosciuto nel 1783, si vanno
intensificando le prove, gli esperimenti timbrici, le composizioni scritte più per
personale divertimento che per commissione.
Alessandro De Bei
https://www.youtube.com/watch?v=uJWhcSlMIf4
Il corno di bassetto è uno strumento che appartiene alla famiglia dei clarinetti
composto da 5 parti che si incastrano con dei sugheri: il bocchino (con ancia e
legatura), il collo (l'equivalente del barilotto), il pezzo superiore, il pezzo
inferiore e la campana, che ha la caratteristica forma rivolta verso l'alto, simile
a quella del clarinetto basso. La sua estensione normalmente va dal fa sotto al
primo rigo della chiave di basso al do sopra il rigo in chiave di violino.
Il corno di bassetto compare per la prima volta in Mozart nella Serenata per
fiati in si bemolle maggiore K 370a del 1781, poi nell'aria di Constanze dal
Ratto dal serraglio e nella Musica funebre massonica K 479a del 1785. Nel
frattempo, grazie all'amicizia con Anton Stadler (1753-1812), clarinettista e
compagno di musica e di divertimenti conosciuto nel 1783, si vanno
intensificando le prove, gli esperimenti timbrici, le composizioni scritte più per
personale divertimento che per commissione.
Alessandro De Bei
https://www.youtube.com/watch?v=7LY8W9OgSEg
https://www.youtube.com/watch?v=efhI5sdV75U
Nel 1773 i clarinetti e i corni inglesi, strumenti «moderni» che proprio allora
stavano facendo il loro timido apprendistato tra i legni delle compagini
orchestrali accanto ai veterani oboi e fagotti, erano ancora sconosciuti alla
piccola orchestra provinciale del principe arcivescovo di Salisburgo. E' quindi
da escludere che il Divertimento K. 166, composto per un complesso di fiati
comprendente coppie di oboi, clarinetti in si bemolle, comi inglesi, corni da
caccia e fagotti, sia stato destinato da Mozart agli svaghi musicali arcivescovili
o d'altri committenti salisburghesi. Più verosimile sembra l'ipotesi che il
Divertimento in questione sia stato scritto per Milano, da dove il diciassettenne
musicista era appena ritornato, dopo avervi dato il Lucio Silla, la più
importante tra le sue opere serie della prematurità. L'esiguità dello schema
formale prescelto, se impedì a Mozart di adottare, per il primo Allegro, la
forma-sonata propriamente detta, non lo distolse dall'impiegare due temi ben
distinti nel breve arco del discorso musicale, dove spicca la precoce sensibilità
timbrica nella sagace distribuzione del materiale tematico tra i vari gruppi
strumentali. Nel brevissimo Minuetto che segue, il Trio (secondo una prassi
che trae le proprie origini dal cuore del Barocco) è letteralmente a!dato a solo
tre parti strumentali, quelle dei due corni inglesi divisi e dei due fagotti
all'unissono. Italiano fin nella melodia, presa in prestito da una sinfonia di
Paisiello, è l'Andante grazioso, seguito da un breve Adagio dal carattere più
«serio». Conclude il Divertimento un chiassoso Rondò, nel più schietto spirito
dell'opera bu"a.
https://www.youtube.com/watch?v=jHbF0z7k_m0
https://www.youtube.com/watch?v=gLR4Jov98TM
https://www.youtube.com/watch?v=MbUf6_LITZw
https://www.youtube.com/watch?v=ObnJG2Tvsfo
https://www.youtube.com/watch?v=WC9Qp6wKWsg
https://www.youtube.com/watch?v=AU9R4DGGbYY
Nei suoi primi anni viennesi, e specialmente a partire dal 1784, Mozart dedicò
gran parte dei suoi sforzi ad a"ermarsi come virtuoso di pianoforte, sia
partecipando a numerose Accademie, ove oltre a presentare le proprie
creazioni era chiamato a improvvisare, sia componendo appositamente
Concerti per pianoforte e orchestra. Si ha notizia che solo nei primi tre mesi di
quell'anno Mozart si esibì in una ventina di serate pubbliche e private; tra il
febbraio e il dicembre di quello stesso 1784 nacquero ben sei Concerti per
pianoforte e orchestra (K. 449, K. 450, K. 451, K. 453, K. 456, K. 459), tutti
eseguiti ripetutamente con grande successo e divenuti subito popolari. Sia
pure con frequenza meno ossessiva, questa attività si protrasse fino al
dicembre 1786, periodo durante il quale la serie dei grandi Concerti viennesi si
arricchì di altri sei titoli, e tutti di grande spicco: il regale terzetto del 1785 (K.
466, K. 467, K. 482) e quello non meno elevato (K. 488, K. 491 e K. 503) del
1786.
Il fiorire di brani cameristici con pianoforte - i sette Trii e i due Quartetti per
pianoforte e archi, il Trio con clarinetto K. 498, oltre al Quintetto per
pianoforte e fiati K. 452 - nell'ultimo decennio di vita di Wolfgang Amadeus
Mozart è un fenomeno che va posto in relazione con la particolare
destinazione di questi brani alla prassi della musica "familiare"', pensata per gli
esecutori dilettanti, appartenenti ai ceti alti della società - non solo alla
componente gentilizia ma anche a quella alto-borghese. In tutta Europa lo
studio di uno o più strumenti era parte integrante dell'educazione dell'alta
società, e la pratica della Hausmusik, della musica domestica, suonata dai
volenterosi componenti del circolo familiare, era del pari estremamente
di"usa. Direttamente in funzione del fiorentissimo mercato editoriale rivolto ai
dilettanti veniva dunque composta la musica da camera con pianoforte; non a
caso quasi tutti i Trii e i Quartetti con pianoforte di Mozart giunsero alla
pubblicazione vivente l'autore, e con maggiore facilità rispetto ad altre
composizioni di più alte ambizioni.
Arrigo Quattrocchi
https://www.youtube.com/watch?v=k0ig72-rj0s
https://www.youtube.com/watch?v=gLadqS2bk54
Anche Mozart ebbe numerose occasioni per cimentarsi con questo genere, ma,
come di consueto per un genio della sua statura, il suo contributo fu
determinante. Egli scrisse infatti Divertimenti e Serenate che sfruttano al
massimo i colori delle diverse coppie strumentali, e mostrano una freschezza
inventiva che va al di là di qualsiasi ragione di circostanza, richiedendo agli
strumentisti eccezionali abilità virtuosistiche, espressive e dinamiche che
appartengono al più ra!nato stile cameristico.
Nel Largo iniziale tutto scorre con semplicità e naturalezza, con una
introduzione lenta tipicamente haydniana. Il tema Molto Allegro dà origine alle
più svariate combinazioni, che mostrano chiaramente la ricchezza e la grande
sensibilità timbrica del Salisburghese. I due Minuetti che incorniciano l'Adagio
sono pezzi ra!nati, e i corrispondenti Trii sembrano evocare musiche
popolari. Ma "la vetta culminante" della composizione è proprio il terzo tempo
Adagio, pagina notturna e appassionata, caratterizzata da un canto di grande
dolcezza e profonda melanconia, introdotto da una coppia di corni. Proprio
quest'Adagio viene citato in uno dei momenti più toccanti del celeberrimo film
Amadeus di Milos Forman, dove è Salieri a descriverne la straordinaria
bellezza: "Sulla pagina non sembrava niente, un inizio semplice, quasi comico,
appena un palpito, con fagotti, corni di bassetto, come uno schiudersi di un
vecchio cofano. Dopodiché, ad un tratto, ecco emergere un oboe, una sola
nota, sospesa, immobile, finché un clarinetto ne prende il posto, addolcendola
con una frase di una delizia... Era una musica che non avevo mai sentito,
espressione di irrefrenabili desideri. Sembrava di ascoltare la voce di Dio".
Arrigo Quattrocchi
Nel corso della seconda metà del Settecento nelle piccole corti e nelle case
patrizie dell'Europa centrale si di"use enormemente l'abitudine di a!dare
l'intrattenimento musicale durante feste e cerimonie a un piccolo complesso di
fiati che veniva indicato con il termine tedesco di Harmonie. Il nucleo standard
di una Harmonie era un ottetto formato da due oboi, due clarinetti, due corni e
due fagotti e il suo repertorio era costituito principalmente da arrangiamenti e
trascrizioni delle opere più in voga o da lavori originali nelle forme
disimpegnate della serenata, del divertimento, della cassazione. A questo
complesso musicale, destinato a scomparire del tutto nel giro di pochi
decenni, diedero il loro contributo praticamente tutti i compositori dell'epoca,
sia con arrangiamenti che con lavori originali.
Le tre Serenate per fiati composte da Mozart al principio degli anni Ottanta
costituiscono senza dubbio il vertice sommo di questa produzione. Se però la
Serenata in mi bemolle maggiore K. 375 pur elevandosi di molto al di sopra
della media delle composizioni coeve a livello qualitativo, non se ne discosta
radicalmente a livello formale, la Serenata in do minore K. 388 (384a) ne
stravolge completamente le convenzioni: già la scelta di una tonalità minore -
cosa all'epoca ancora rarissima perfino nelle composizioni più "impegnate"
come i quartetti, le sonate e le sinfonie - costituisce una sorta di
contraddizione in termini in un brano che dovrebbe essere di piacevole
intrattenimento; poi il numero dei movimenti, ridotto a quattro, e la loro
struttura formale sembrano guardare più al modello della sinfonia che a quello
della serenata, così come la temperatura espressiva del brano e la complessità
di esecuzione.
Per quanto possa sembrare impossibile, le notizie che abbiamo sulla genesi di
questo straordinario capolavoro e sulle sue esecuzioni pubbliche durante la
vita di Mozart sono alquanto vaghe, per non dire nulle. Un tempo la sua
nascita veniva collocata dagli studiosi in modo pressoché unanime nel periodo
compreso tra la fine del 1780 e l'inizio del 1781, quando Mozart si trovava a
Monaco per curare la prima esecuzione di Idomeneo. A confortare questa
ipotesi c'era la presenza degli ottimi strumentisti a fiato dell'orchestra di corte
e del principe Karl Theodor del Palatinato che Mozart aveva già avuto modo di
conoscere qualche anno prima a Mannheim: la Serenata avrebbe potuto essere
composta, dunque, sia come segno di amicizia per gli strumentisti provenienti
dalla leggendaria orchestra di Mannheim (che si era sciolta nel 1778 quando
Karl Theodor era stato chiamato a Monaco come principe elettore di Baviera),
sia come omaggio al principe nella speranza di ottenere un incarico a corte.
Sia come sia, nulla ci è dato sapere su una qualsiasi esecuzione pubblica del
brano durante la vita di Mozart. Anche in questo caso possiamo solo supporre
che «il grande pezzo per strumenti a fiato di un tipo molto speciale composto
da Herr Mozart» di cui parlava l'annuncio pubblicitario per il concerto dato al
Burgtheater di Vienna dal clarinettista Anton Stadler il 23 marzo del 1784 fosse
proprio la Serenata in si bemolle maggiore, o almeno una sua parte.
Quanto poi all'Adagio che segue, siamo forse di fronte a una delle pagine di
più ine"abile bellezza di tutta la letteratura musicale; e non è andato troppo
lontano dal vero Peter Sha"er, che nella prima scena della sua commedia
Amadeus, poi portata sul grande schermo da Milos Forman, fa dire a Salieri
all'ascolto di questo Adagio: «Mi sembrò di aver sentito la voce di Dio!». Segue
un giocoso Menuetto che, se rimane sereno e cantabile anche nel secondo
Trio, dal tono rassicurantemente popolareggiante, nasconde nel suo cuore un
primo Trio in minore dai toni misteriosi e inquietanti. Perfino la Romanze, altro
momento di sospensione lirica, contiene al suo interno un agitato Allegretto in
minore, mentre lo spensierato Tema con variazioni che segue o"re a turno a
tutti gli strumentisti la possibilità di salire alla ribalta; ma anche qui la quarta
variazione sembra anticipare voci e colori di alcune pagine della Zauberflöte.
Questo capolavoro davvero straordinario, in cui Mozart usa con inarrivabile
maestria la tavolozza o"ertagli da un ensemble di strumenti a fiato, si chiude
gioiosamente con un brevissimo e festoso Rondò di sapore turco, forse la
pagina più in sintonia con le esigenze di una normale serenata per Harmonie.
Carlo Cavalletti
https://www.youtube.com/watch?v=anOHvauXQXU
https://www.youtube.com/watch?v=XmKjNMOleCg
Negli anni viennesi Mozart compose alcune Serenate per strumenti a fiato,
destinate ad esecuzioni all'aperto, come era consuetudine per le musiche con
questo tipo di organico: nel febbraio del 1781 scrisse ad esempio la Serenata
in si bemolle maggiore K. 361 (il titolo Gran Partita che compare sull'autografo
non è di mano di Mozart) per dodici fiati - due corni, due clarinetti, due corni
di bassetto, due fagotti, quattro corni più un contrabbasso -, che esplora tutti i
possibili amalgami e combinazioni timbriche tra i diversi strumenti, giocando
anche su diversi registri stilistici e espressivi. Nell'ottobre dello stesso anno
diede alla luce la Serenata K. 375, originariamente scritta per sei fiati (due
clarinetti, due corni e due fagotti) e poi rielaborata per otto, con l'aggiunta di
due oboi che riprendono parte delle linee dei clarinetti (anche se la sonorità dei
clarinetti resta dominante). Mozart fece questa rielaborazione nel luglio del
1782, proprio mentre componeva la Serenata in do minore K. 388, scritta
direttamente per otto fiati, ed è verosimile che il titolo Nacht Musique, che
menziona in una lettera dello stesso mese, non si riferisse a quest'ultimo
lavoro ma piuttosto alla versione per ottetto della Serenata K. 375.
Se la K. 388 appare già assai lontana dai modelli tradizionali, per la tonalità
minore, per l'articolazione in quattro movimenti (come una Sinfonia), per lo
stile insolitamente grave, anche la Serenata K. 375, in cinque movimenti,
mostra molti aspetti originali, giocando in maniera ambivalente su elementi
convenzionali e soluzioni innovative, rinunciando per esempio al tono
estroverso e chiassoso tipico del genere, e introducendo squarci quasi
romantici.
Gianluigi Mattietti
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
In questo repertorio, gli strumenti a fiato - che verso la fine del Settecento
potevano ormai competere con gli archi, grazie ai progressi tecnici, per agilità
e intonazione - ebbero un ruolo di rilievo. L'organico poteva variare molto, ma
si stabilizzò quando l'imperatore Giuseppe II, nell'aprile del 1782, promosse la
formazione di un ottetto di fiati (costituito da due oboi, due clarinetti, due
corni e due fagotti: il complesso era chiamato, in Austria, Harmoniemusik), da
impiegare sia per l'intrattenimento della corte sia per esecuzioni pubbliche.
Seguirono l'esempio dell'imperatore altri esponenti dell'aristocrazia, cosicché
già a metà degli anni Ottanta si esibivano complessi di fiati nei principali
palazzi nobiliari viennesi. Ciò fece lievitare la richiesta di composizioni per
questa formazione, che vennero prodotte a centinaia adattando soprattutto le
arie delle opere teatrali di successo. Mozart diede anch'egli un contributo al
genere, componendo tre serenate per strumenti a fiato negli anni del
soggiorno a Vienna.
Un'identica alternanza espressiva si ritrova nel primo dei due Minuetti. Qui
infatti alla sonorità piacevole, al carattere disteso e aggraziato del Minuetto si
contrappone l'enfasi espressiva del Trio, nel quale il modo minore, gli sforzati
ravvicinati, le contrapposizioni foniche e dinamiche richiamano l'altro lato della
personalità mozartiana.
Claudio Toscani
https://www.youtube.com/watch?v=8xX6IyjxY40
Già la sola scelta del tragico do minore per questo genere di composizioni, che
di norma dovevano avere la leggerezza, l'eleganza e la disinvoltura dello stile
"galante", era un fatto eccezionale e annunciava un particolare impegno
espressivo. Come il sol minore, anche il do minore è una tonalità emblematica
del mondo spirituale di Mozart: se il sol minore è angoscioso, tenebroso e
agitato, il do minore è immerso in un'atmosfera più tragica ma più oggettiva, è
più cupo ma più composto, come se Mozart vedesse in questa tonalità la
manifestazione d'un potere trascendente e fatale.
Mauro Mariani
Il Menuetto in canone con Trio toma alle striature più scure del do minore però
tendenti nel prosieguo verso il più gentile mi bemolle, presentando una prima
linea motivica in canone tra la coppia di oboi e quella dei fagotti, mentre
clarinetti e corni servono un ripieno ricco di colori; un secondo elemento di
Minuetto mantiene spunti imitativi passando con particolare naturalezza dal mi
bemolle maggiore al sol minore per infine tornare al do minore di partenza:
davvero un saggio mozartiano di capacità alchemica di combinare la severità di
uno stile con il gusto del colore. Nel Trio la tessitura si dirada e Mozart unisce
questa scelta a un ulteriore schiarimento tonale che conferisce serenità di
fondo, passando al do maggiore in alternanza al sol: tutto questo è però
scritto con una tecnica prodigiosa e autorevole in canone rovesciato tra le voci
che vengono trattate come singoli solisti in contrappunto imitativo.
Marino Mora
https://www.youtube.com/watch?v=Y1SSAVAdj0Q
https://www.youtube.com/watch?v=zcZdqAF-hM8
Carlo Marinelli
Johann Streicher
Gian-Luca Petrucci
https://www.youtube.com/watch?v=fXiWOmGdj8o
Gian-Luca Petrucci
https://www.youtube.com/watch?v=JGQc3udgQeQ
Il Quartetto in do maggiore per flauto e archi K. 171, così come viene indicato
nell'appendice (Anhang) del catalogo Koechel, è un Allegro con un Andantino
per flauto violino, viola e violoncello scritto da Mozart a Mannheim tra gennaio
e febbraio del 1778 e improntato ad un gusto classico che mira ad inserire in
un giusto dosaggio il timbro del flauto nel gioco degli archi. La composizione è
avviata dal canto del flauto, ripreso all'ottava inferiore dal violino e seguito da
un ritornello dei quattro strumenti. Ancora il flauto espone il secondo tema,
sviluppato dal violino e contrappuntato dai vari strumenti come un tema con
variazioni su cambiamento di tonalità, da sol minore a re minore. L'attenzione
dell'ascoltatore è richiamata dalla linearità e dalla espressività delle
modulazioni, indicative anche in questo caso della genialità inventiva
mozartiana.
Questo Quartetto, noto anche nella numerazione K. 285b, si collega agli altri
due Quartetti, in re maggiore K. 285 e in sol maggiore K. 285a, perché
composti per lo stesso organico strumentale (flauto e archi). In fondo i
Quartetti K. 285a e K. 285b si richiamano maggiormente allo stile di Johann
Christian Bach, quanto mai elegante e misurato negli e"etti, e secondo Einstein
si ritrova nel finale del K. 285b la versione originale del tema con variazioni
della Serenata per strumenti a fiato K. 361
.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
Gian-Luca Petrucci
https://www.youtube.com/watch?v=UB3A6yJH42Y
Mozart dapprima si mostrò entusiasta della proposta e nel giro di otto giorni
annunciò al padre che «un quartetto per l'indo-olandese, per quel vero amico
del genere umano è quasi pronto». In un secondo tempo il compositore lavorò
a rilento, distratto anche da altri motivi, fra cui l'amore per la bella Aloysia
Weber (cinque anni dopo avrebbe sposato la sorella Costanza), figlia di Fridolin
Weber, cantante, copista e suggeritore al teatro di corte di Mannheim. Anche
se in ritardo sugli impegni presi, Mozart scrisse di nuovo al padre il 14
febbraio 1788, dicendo di aver terminato due Concerti per flauto e orchestra
(sono quelli indicati con il K. 313 e K. 314) e tre Quartetti per fiati e archi. Il De
Jean non rimase del tutto soddisfatto, tanto da consegnare al compositore
soltanto 96 fiorini al posto dei 200 promessi. Sembra che Mozart protestasse
per l'atteggiamento poco corretto di De Jean e si giustificasse per non aver
potuto lavorare serenamente, anche per la scarsa considerazione che aveva
verso il flauto (le parole esatte riferite da Mozart suonano così: «Mi sento del
tutto impotente quando sono obbligato a scrivere per uno strumento che non
sopporto»).
Certo, è risaputo che Mozart prediligeva il clarinetto e il corno fra gli strumenti
a fiato, ma questo non toglie che sapesse scrivere bene anche una parte di
flauto, come dimostrano i quartetti già citati e in particolar modo il Quartetto
K. 298, il cui manoscritto è conservato nella Biblioteca nazionale di Vienna. La
data di composizione di questo lavoro è controversa: qualcuno tra i musicologi
parla del 1778, altri ritengono che sia più logico spostarne la data di nascita
alla fine del 1786 o agli inizi del 1787, in quanto nel rondò si ascolta un'aria
dell'opera bu"a Le gare generose di Giovanni Paisiello, rappresentata a Vienna
nel settembre del 1786 e poi a Praga l'anno successivo (ad una di queste recite
assistette Mozart, secondo una lettera da lui inviata con la data del 15 gennaio
1787 al barone Gottfried von Jacquin). Nell'opera K. 298 sarebbero stati
utilizzati anche temi altrui, come un Lied di Franz Anton Ho"meister
rielaborato nel primo movimento e un antico e popolare rondò francese nel
trio del minuetto. La composizione si snoda con tono piacevole e brillante, sin
dall'Andante cantabile e di delicato lirismo all'italiana, arricchito da una serie di
spigliate variazioni, a!date volta per volta ai vari strumenti, prima di ritornare
al bel tema del flauto. Da sottolineare l'eleganza melodica e armonica del
Rondò e la fosforescente leggerezza dell'Allegretto conclusivo.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
Gian-Luca Petrucci
https://www.youtube.com/watch?v=SwTmzmi4AkQ
Allegro (fa maggiore)
Adagio (re minore)
Rondò. Allegro (fa maggiore)
Il primo movimento (Allegro) è aperto dall'oboe con un tema dal sicuro passo
ascendente; lo strumento a fiato predomina in tutta la pagina, costruita su un
solo tema principale (come spesso in Haydn), sottoposto tuttavia a varie
trasformazioni. L'Adagio è in re minore, breve ma assai concentrato nel potere
espressivo (la «pienezza del sentimento» nell'esecuzione degli Adagio era fra
le virtù di Ramm più elogiate dai contemporanei). Il finale combina la forma del
rondò con la tecnica della variazione; l'avvicendarsi degli episodi, gli incastri
ritmici fra l'oboe e gli archi, un'eleganza memore del gusto francese ne fanno
un capolavoro di scrittura cameristica.
Giorgio Pestelli
Come ogni musicista della sua epoca, Mozart era un grande estimatore
dell'orchestra di Mannheim formata da musicisti di primissima qualità come
Jan Vaclav Antonìn e Karel Filip Stamitz, Christian Cannabich, i violoncellisti
Innozenz e poi Franz Danzi, il flautista Johann Baptist Wendling, il fagottista
Georg Wenzel Ritter, gli oboisti Ludwig August Lebrun e Friedrich Ramm. Nel
1778 morì l'elettore Maximilian di Baviera, e Karl Philipp Theodor, suo erede
nonché illuminatissimo signore di Mannheim e promotore dell'orchestra, si
trasferì con tutta la corte palatina a Monaco: fu la fine della famosa orchestra
che venne fusa con quella di Monaco. Mozart, divenuto amico dei musicisti
durante la sua permanenza a Mannheim nel 1777/1778 (poco prima che
l'orchestra si trasferisse) quando aveva anche composto una Sinfonia
concertante per quattro fiati, li frequentò nuovamente a Monaco nel 1781, in
occasione dell'Idomeneo. Fu in quel periodo che vide la luce il Quartetto per
oboe e archi K. 370, scritto per Friedrich Ramm la cui bravura strumentale
dissipò i dubbi di Mozart circa la sonorità troppo nasale del suo strumento al
quale il salisburghese preferì comunque sempre il clarinetto. Lo stile
dell'Allegro del Quartetto con oboe è più cameristico e più equilibrato tra le
parti rispetto al movimento analogo del Quartetto 'concertante' con flauto K.
285; si segnala l'Adagio in re minore di insolita mestizia al quale segue il
tradizionale Allegro in forma di Rondò, quanto mai adatto col suo 6/8,
interrotto solo brevemente da un episodio alla breve, a mettere in evidenza le
doti virtuosistiche dell'oboista.
Johannes Streicher
https://www.youtube.com/watch?v=xTNbclgU3h4
https://www.youtube.com/watch?v=_8fX1LmqG8s
https://www.youtube.com/watch?v=q1JR0gpTZDs
Rispetto ai vari Quartetti e Quintetti per strumento a fiato, non v'è dubbio che
l'ultimo lavoro lasciato da Mozart in questo campo, il Quintetto per clarinetto
in la maggiore K. 581, non solo costituisca un autentico vertice, ma anche una
pietra miliare del repertorio clarinettistico, e, più in generale, uno degli
autentici capolavori di tutta la letteratura cameristica del compositore.
I primi contatti con il clarinetto il piccolo Mozart li ebbe all'età di otto anni, nel
corso della sua lunga permanenza londinese; a quel tempo il clarinetto era uno
strumento di costruzione recente, che non si era ancora conquistato un posto
stabile in orchestra. Di fatto Mozart dovette attendere oltre un decennio perché
l'orchestra di Mannheim gli mostrasse il perfetto impiego sinfonico dello
strumento rispetto agli altri fiati.
Tuttavia solo negli ultimi due anni di vita il compositore potè scrivere dei brani
che vedessero il clarinetto in un ruolo solistico. L'occasione gli fu fornita dalla
conoscenza dello strumentista Anton Stadler, un virtuoso di straordinaria
abilità che del clarinetto svelò a Mozart le inesplorate potenzialità espressive;
senza dimenticare che lo strumentista suonava su uno strumento detto
"clarinetto di bassetto" che si di"erenziava dal modello moderno per una
maggiore estensione nel registro grave. Per le capacità tecniche e
interpretative di Stadler (oltretutto suo fratello massone, nonché compagno di
a"ari, sembra, non sempre limpidissimi) Mozart confezionò su misura il
Quintetto K. 581, il cosiddetto "Trio dei birilli" e il crepuscolare Concerto K.
622, oltre ai mirabili interventi concertanti di due arie della Clemenza di Tito
("Parto ma tu ben mio" cantata da Sesto, e "Non più di fiori", da Vitellia;
quest'ultima in verità concepita per corno di bassetto, che del clarinetto è
stretto parente).
Arrigo Quattrocchi
Marino Mora
https://www.youtube.com/watch?v=dFw4YWJ-pIc
https://www.youtube.com/watch?v=enQC3pPOCYw
Come i quattro Concerti per corno e orchestra, dedicati allo stesso Leitgeb, il
Quintetto, a quanto osserva Alfred Einstein, ha un tono un po' umoristico, che
nell'Andante cede il campo ad un amoroso dialogare fra il corno e il violino.
L'aspetto del pezzo è quello di un concerto per strumento solista con
accompagnamento di una piccola orchestra d'archi. Nel primo e soprattutto nel
terzo movimento, sempre secondo l'Einstein, Mozart sembra farsi gioco dei
limiti dello strumento a fiato. Secondo il Saint-Foix, invece, «è una meraviglia
ascoltare come si attua felicemente la fusione del corno, sempre nostalgico,
con un quartetto d'archi, nel quale figurano, in luogo del secondo violino e
della viola, due viole che accentuano il carattere poetico e sognante dell'intera
opera».
Nel Quintetto di Mozart per corno e archi K. 407 troviamo due viole al posto
degli usuali due violini, per cui abbiamo a che fare con una composizione un
po' ai margini delle normali stagioni concertistiche spesso legate alle
formazioni classiche del Trio o del Quartetto. Tutte le opere per corno di
Mozart si devono alla felice circostanza che Joseph (o Ignaz) Leutgeb, cornista
nell'orchestra del Fürsterzbischof Colloredo di Salisburgo, abbia deciso di
trasferirsi a Vienna dove poi chiese a Mozart di comporgli dei concerti onde
a"ermarsi nella capitale. Sembra che Leutgeb non sia stato un lume di scienza
o"rendo più di una occasione di bonario scherno a Mozart che si permise di
apporre questa 'dedica' al Concerto K. 417: "Wolfgang Amadeus Mozart ha
avuto pietà di quest'asino, di questo pazzo di Leitgeb, a Vienna il 27 maggio
1783", per tacere delle chiose saporite del Concerto K. 412. Quale cornista
invece doveva aver raggiunto un livello di tutto rispetto se si considerano le
di!coltà tecniche dei concerti mozartiani. Il Quintetto K. 407, composto a
Vienna alla fine del 1782, edito postumo da Schmid & Rau a Lipsia, mette in
risalto tutte le possibilità dello strumento (tranne gli accordi) pur non
sfruttandone l'estensione completa nel primo e nel secondo tempo; solo nel
Finale, prima del terzo ritornello, il corno scende nelle regioni più gravi. Nelle
prime battute introduttive la prima viola assume il ruolo solitamente ricoperto
dal secondo violino, cioè di sostegno del primo alla terza bassa, ma a partire
dall'esposizione del tema principale sarà il corno a condurre il discorso. Solo
occasionalmente gli altri strumenti vanno al di Là della funzione di sostegno,
come per esempio nel brevissimo sviluppo, o alla fine dell'esposizione quando
il primo violino ripete ironicamente i quattro fa staccati del corno, episodio
ripetuto ed ampliato con l'intervento degli altri archi alla fine della ripresa.
L'Andante, nella tonalità della dominante, lascia spazio maggiore alla
cantabilità del primo violino che si alterna col corno mentre sulla base
armonica del violoncello le viole procedono per lo più parallelamente. Come
anche nel Rondò finale le due viole danno solo un colore lievemente più scuro
senza creare atmosfere più adombrate come la loro presenza potrebbe invece
suggerire (basti pensare ad alcuni dei quintetti per archi mozartiani). Di
impianto formale semplice, il Quintetto K. 407 è vicino al mondo
dell'Entführung coeva, e anche l'accenno di fugato nelle sue ultime battute è
solamente una scherzosa allusione a forme più severe da Mozart sì
magistralmente padroneggiate ma qui non ostentate.
Johannec Streicher
https://www.youtube.com/watch?v=DaO_SL3j3Pk
https://www.youtube.com/watch?v=rk1i69F94x4
https://www.youtube.com/watch?v=QkTUL7DjTow
https://www.youtube.com/watch?v=f-gzuG6PJmY
Organico: glassharmonika
Composizione: Vienna, gennaio - maggio 1791
Dedica: Marianne Kirchgässer
Carlo Marinelli
https://www.youtube.com/watch?v=3UvgqXHK_HI
https://www.youtube.com/watch?v=Wcgd1oCbW4g
https://youtu.be/WUvop5RsCGg
Sonata per pianoforte n. 1 in Do maggiore K 279
https://www.youtube.com/watch?v=WR2hUcMHA0g
Questa composizione è la prima della serie di sei sonate che Mozart scrisse
prima del suo viaggio a Monaco (fine 1774), delle quali 5 furono specificate per
il clavicembalo e la sesta per il fortepiano.
Il matematico John Putz (Alma College), in seguito a studi sulle sonate per
pianoforte, ha riscontrato in questa composizione una forte presenza di
utilizzo del rapporto aureo phi.
https://www.youtube.com/watch?v=zl5R9ZTfdo0
https://www.youtube.com/watch?v=Vtlt_Vc9A3U
Caratteristiche
https://www.youtube.com/watch?v=NButT_C1cCI
https://www.youtube.com/watch?v=_eOGMiaf51A
"Esposizione", con le presentazioni del primo e del secondo tema (le prime
tre battute, più due quarti della quarta battuta, costituiscono l'introduzione; il
primo tema si apre sul terzo tempo della quarta battuta e prosegue fino alla
nona battuta 9; segue il secondo tema fino alla battuta 15. Il primo tema è
costruito in tonalità d'impianto (Mi bemolle maggiore), il secondo in Si bemolle
maggiore, vale a dire la scala costruita sulla dominante.
"Svolgimento": dalla battuta 16 alla 21 gli elementi dell'esposizione sono
rielaborati per chiudere con una codetta. *"Ripresa", in cui il primo tema è
arricchito e variato ritmicamente. Il secondo tema, a di"erenza della parte
espositiva si presenta alla tonica.
"Coda" finale, la ripresa dell'introduzione.
https://www.youtube.com/watch?v=0rnJu1rlm90
Caratteristiche
L'opera si suddivide in tre tempi: Allegro, Andante, e Presto e risente molto
l'influenza musicale haydniana, specialmente nell'importante sviluppo finale.
Comunque non mancano caratteristiche dell'autore stesso come il dolce e
tenero principio del primo tempo e lo stacco di quattro note ripetute all'inizio
dell'Andante, che sono già quelle che ritroveremo 14 anni più tardi nel
"Larghetto" del Concerto per Pianoforte e Orchestra N. 26 (il cosiddetto
Krönungs-Konzert).
https://www.youtube.com/watch?v=pw7izXch19M
https://www.youtube.com/watch?v=eVglnE4eHrg
1 Struttura
1.1 I movimento: Allegro con spirito
1.2 II movimento: Andante un poco adagio
1.3 III movimento: Rondò, allegretto grazioso
2 Durata
3 Altri progetti
4 Collegamenti esterni
Struttura
Il primo movimento apre con una frase incisiva battuta all'unisono da entrambe
le mani. Il primo tema è tracciato secondo un'alternanza tra "piani" e "forti",
con la presentazione di tre diverse parti discorsive; il ponte modulante porta
quindi al secondo tema, al quale segue una codetta che porta alla fine
dell'esposizione.
Lo sviluppo si apre con l'incipit del primo tema, riproposto nelle tonalità vicine.
Le battute 79/80/81, dal carattere modulatorio, assumono l'aspetto di una
cadenza, che portando il brano nella tonalità relativa minore della tonica,
quindi sul settimo grado, e infine nuovamente sul primo, portano alla ripresa.
Viene riproposto il primo tema, con una frase modulata in do minore, poi
nuovamente il ponte modulante che però riporta sul primo grado. Gli elementi
già portati nell'esposizione riappaiono modulati, e la codetta conclusiva porta
alla fine del movimento.
Durata
https://www.youtube.com/watch?v=bZZqSZqJz4Y
https://www.youtube.com/watch?v=fbad05EVT74
https://www.youtube.com/watch?v=ZKs1WpMJ0X8
Allegro maestoso
Andante cantabile con espressione
Presto
La Sonata in la minore K. 310 - insieme a K. 309 e 311 - è una delle tre Sonate
scritte nel corso del lungo e sventurato viaggio compiuto a Mannheim e Parigi
nel 1777-1778, alla ricerca di fortuna e, possibilmente, di un impiego nella
capitale francese. In particolare, sulla nascita della Sonata in la minore non
abbiamo alcuna indicazione, al di fuori della datazione sull'autografo "Paris
1778"; il brano venne però pubblicato già a Parigi, ad opera dell'editore Heina,
primo caso di una Sonata pianistica di Mozart a trovare la strada della
pubblicazione a immediata distanza dalla nascita.
Nella prima tappa del viaggio verso Parigi - Augusta, città da cui proveniva la
famiglia del padre - Mozart aveva potuto suonare i pianoforti di Johann
Andreas Stein, apprezzandone, tutte le qualità che rendevano questi prototipi
fra i più avanzati in Europa. Le tre Sonate scritte nei mesi seguenti vedono
dunque l'autore ormai consapevole delle potenzialità dello strumento a
martelli, e proiettato a definire una scrittura tastieristica e"ettivamente
studiata per sfruttare queste potenzialità
https://www.youtube.com/watch?v=P8gjuTgC2-4
https://www.youtube.com/watch?v=B3PMGF9VTEE
Storia
Nella prima edizione del Catalogo Köchel le venne attribuito il numero 311,
corretto in 284c nella sesta edizione.
Caratteristiche
https://www.youtube.com/watch?v=-V4bGocFwnE
https://www.youtube.com/watch?v=kpDkOuZPktc
https://www.youtube.com/watch?v=9O2VxbQQkFE
https://www.youtube.com/watch?v=AHS33DHJQFU
https://www.youtube.com/watch?v=FZ1mj9IaczQ
https://www.youtube.com/watch?v=8aTdpcPA7S8
La sonata per pianoforte n. 11 (Klaviersonate Nummer 11) in La maggiore K
331 (K6 300i) è una composizione di Wolfgang Amadeus Mozart. È molto
conosciuta per il suo terzo movimento, il rondò "alla turca".
Non è noto dove sia stata scritta: si ipotizzano come possibili località
Salisburgo, Monaco, Vienna o Parigi. Anche la data della sua composizione è
incerta; datata da Köchel e da Alfred Einstein (assieme alle sonate K 330, K 332
e K 333) al 1778, in seguito il musicologo Alan Tyson, mediante un'analisi
della carta dei manoscritti, ha proposto la datazione di tutte queste quattro
sonate al periodo 1783 o 1784.
Il manoscritto
Le prime otto pagine erano raccolte in due fogli: il primo foglio, contenente le
pagine 1-2 e 7-8, è al momento da considerarsi perduto; il secondo foglio (da
pagina 3 a pagina 6 del manoscritto), contenente la conclusione del primo
movimento (dalla variazione n.3 alla fine) e la parte iniziale del secondo
movimento (ossia l'intero menuetto e la parte iniziale del trio), è stato ritrovato
nel settembre del 2014 presso la collezione musicale della Biblioteca Nazionale
Széchényi di Budapest durante una ricognizione di materiale non catalogato.
Una nuova edizione critica della sonata curata da Wolf-Dieter Sei"ert è stata
pubblicata nel 2015 da G. Henle Verlag; la nuova edizione, basata
principalmente sul confronto fra i due autografi parziali di Budapest e
Salisburgo e la prima edizione a stampa pubblicata da Artaria nel 1784,
introduce numerose correzioni nello spartito.
La nuova versione della sonata, basata sul ritrovamento di Budapest, è stata
eseguita in pubblico per la prima volta dal pianista ungherese Zoltán Kocsis nel
settembre del 2014.
Struttura
Andante grazioso
Menuetto
Rondò
Il rondò finale (noto anche come Rondò alla Turca o Marcia alla turca) è un
pezzo pieno di brio il cui carattere "turco" viene reso attraverso l'imitazione
pianistica, con le acciaccature e gli accordi rapidamente arpeggiati, della
musica suonata dalle bande dei giannizzeri, ricche di strumentini e piccole
percussioni (la cosiddetta musica turca, appunto). All'epoca di Mozart tale
e"etto veniva reso anche con il pedale delle turcherie del fortepiano, che
forniva e"etti simili alle percussioni. Lo stile turco è ripreso da Mozart anche in
altre opere, come Il ratto dal serraglio.
https://www.youtube.com/watch?v=wZRIATHp4fI
https://www.youtube.com/watch?v=_1EUn8IQfKI
https://www.youtube.com/watch?v=uBs_xq5viJE
https://www.youtube.com/watch?v=oTS1fohQNec
https://www.youtube.com/watch?v=D_1pJ9sptk8
https://www.youtube.com/watch?v=b2aQjyDvfCw
https://www.youtube.com/watch?v=2-43nExQ3xc
Datazione
Tali datazioni sono state invalidate dalle scoperte di Wolfgang Plath e Alan
Tyson. Sulla base dell'autografo mozartiano, Plath data la composizione del
brano al periodo 1783/84, «probabilmente non molto precedentemente alla
prima pubblicazione». Inoltre Tyson dimostra, mediante l'esame della carta del
manoscritto, che l'opera è stata composta alla fine del 1783, probabilmente a
novembre, più o meno nello stesso periodo della Sinfonia Linz, K. 425. Questa
nuova datazione appare più plausibile anche secondo criteri di tipo stilistico.
Movimenti
Allegro
Andante cantabile
Allegretto grazioso
I. Allegro
III. Allegretto
Il terzo movimento è in forma di rondò, di carattere quasi concertistico: in esso
sembrano infatti alternarsi "soli" e "tutti", e alla fine vi è persino una sorta di
cadenza, che conclude in modo brillante la sonata.
https://www.youtube.com/watch?v=JPHj-PhnA9s
https://www.youtube.com/watch?v=e-ndNUaSXgI
https://www.youtube.com/watch?v=oyX4qeVS-7Y
Il frontespizio reca una dedica a Therese von Trattner, una dei pupilli di Mozart
a Vienna. Il marito era un importante editore e padrone di casa di Mozart al
tempo. I Trattner diventeranno poi i padrini di battesimo dei quattro figli di
Mozart. La sonata fu composta durante il periodo di circa dieci anni della vita
di Mozart in cui si sottrasse al patrocinio dell'Arciduca di Salisburgo nel 1781.
Movimenti
allegro
adagio
molto allegro
https://www.youtube.com/watch?v=TAcdm8D_40w
https://www.youtube.com/watch?v=_1dIkP3tLVg
https://www.youtube.com/watch?v=4KsPmQ7KkWU
Storia
Il compositore inserì i primi due movimenti della sonata nel proprio catalogo
tematico autografo, alla data del 3 gennaio 1788, come «Allegro e Andante per
pianoforte solo». Successivamente egli aggiunse, come terzo movimento, una
propria revisione di un Rondò da lui composto nel 1786. L'opera fu pubblicata
come Sonata per pianoforte in tre movimenti dall'editore Ho"meister di
Vienna. Secondo Hildesheimer la versione originaria del Rondò, datata 10
giugno 1786, era forse stata composta da Mozart per la sua allieva Franziska
von Jacquin. Secondo Alfred Einstein, all'epoca della prima pubblicazione della
Sonata il compositore doveva del denaro all'editore Ho"meister e «senza
dubbio estinse in parte il debito con questa Sonata».
Caratteristiche
Fortuna critica
Cristoph Wol", dopo aver rilevato che, secondo il biografo ottocentesco Otto
Jahn, l'aggiunta del Rondò ai primi due movimenti per formare una sonata non
sarebbe da attribuire a Mozart, scrive che questo «aspro giudizio, aggravato
dall'assegnazione di due numeri diversi nel catalogo Köchel (1862) e in tutte le
edizioni successive della Sonata, è responsabile dell'accoglienza generalmente
sfavorevole che l'opera ha avuto e della sporadicità con cui è stata eseguita
fino ai giorni nostri».
https://www.youtube.com/watch?v=kUnYGUwatpo
https://youtu.be/XXIu0MRuIQU?list=RDXXIu0MRuIQU
La sonata per pianoforte n. 16 in Do maggiore (KV 545) fu composta da
Wolfgang Amadeus Mozart, che la terminò il 26 giugno 1788 a Vienna.
Mozart la definì "A l'usage des commençants" (trad: ad uso dei principianti); si
tratta infatti di una sonata (o sonatina) che presenta diverse strutture
didattiche come ad esempio le scale e gli arpeggi presenti nel primo tempo, e
presenta per lo più un'armonia semplice che rappresenta appieno lo stile della
forma sonata. È talvolta definita, in maniera informale, la più classica delle
sonate di Mozart.
Movimenti
Allegro
Andante
Rondò
https://www.youtube.com/watch?v=kVwEkgQ3dPs
https://www.youtube.com/watch?v=qNB8xWO4e0c
Storia
Mozart inserì la sonata nel proprio catalogo autografo nel febbraio 1789, con
l'indicazione «Eine Sonate auf Klavier allein» ("Una sonata per pianoforte solo").
La partitura fu pubblicata postuma dall'editore Artaria di Vienna, nel 1796, con
il titolo in italiano «Sonata per il Clavicembalo o Piano-Forte con
l'accompagnamento d'un Violino»; tuttavia la parte per violino (che appare
anche in varie altre edizioni pubblicate nel corso del XIX secolo) è oggi
considerata apocrifa.
Caratteristiche
https://www.youtube.com/watch?v=TfCzqcW0LqE
https://www.youtube.com/watch?v=FAETAMTWTGM
Datazione
In una lettera al suo amico Michael von Puchberg, datata 12 luglio 1789,
Mozart a"ermava: «Nel frattempo sto scrivendo sei sonate facili per pianoforte
per la principessa Friederike e sei quartetti per il re». Mentre l'identificazione di
tali quartetti all'interno del corpus mozartiano è certa (si tratta dei cosiddetti
Quartetti prussiani, di cui Mozart completò solo i tre quartetti K. 575, K. 589 e
K. 590), l'identificazione delle «sonate facili» menzionate nella lettera è più
controversa. Si ritiene generalmente che Mozart abbia in realtà scritto una sola
sonata delle sei progettate, appunto la K. 576. Tuttavia Wolfgang Plath e
Wolfgang Rehm, curatori della moderna edizione critica delle opere di Mozart
(la Neue Mozart-Ausgabe) hanno escluso che la K. 576 facesse parte del
progettato gruppo di «sonate facili». In realtà la sua esecuzione è piuttosto
impegnativa, trattandosi anzi di una delle sonate di Mozart più di!cili da
eseguire, a causa - fra l'altro - dei suoi passaggi contrappuntistici. Charles
Rosen ha suggerito che Mozart possa aver considerato facili tali passaggi (in
quanto a due sole parti, ciascuna per ogni mano), benché in pratica non lo
siano.
Analisi
I. Allegro
II. Adagio
III. Allegretto
La forma dell'ultimo movimento, di carattere giocoso, è un misto tra forma-
sonata e rondò. Subito dopo il primo tema viene presentato il secondo, in
terzine. Esso appare, invertito, contemporaneamente al tema principale,
creando un ingegnoso esempio di contrappunto doppio.
https://www.youtube.com/watch?v=9bK9h12Qdvs
Titolo
La musica
Data di composizione
A lungo si è ritenuto che queste variazioni fossero state composte nel 1778,
durante la permanenza di Mozart a Parigi fra l'aprile e il settembre di tale
anno; si supponeva infatti che Mozart dovesse aver udito tale melodia francese
(e che ne fosse stato ispirato) proprio durante il suo soggiorno in Francia. Per
questa ragione, nelle edizioni moderne del catalogo Köchel, all'opera è stato
assegnato il numero di catalogo K. 300e, in luogo del precedente K. 265.
L'analisi dei manoscritti di Mozart eseguita in seguito da Wolfgang Plath,
tuttavia, sembra indicare come probabile data di composizione il 1781 o il
1782. La prima pubblicazione si ebbe a Vienna nel 1785.
Fantasia in re min K 397
https://www.youtube.com/watch?v=_Ki1EQHuE6I
https://www.youtube.com/watch?v=Kvk-X5TrCDw
https://www.youtube.com/watch?v=eNOhBE20zsI
https://www.youtube.com/watch?v=ESRwx36lvOM
https://www.youtube.com/watch?v=cXWCeLc9QDQ
https://www.youtube.com/watch?v=wu5ivRKjpls
https://www.youtube.com/watch?v=Sr9QZCVKFZ8
https://www.youtube.com/watch?v=ry1LO1_Nufw
La fantasia in Do minore K 475 fu completata da Wolfgang Amadeus Mozart
nel maggio del 1785 e viene di norma proposta come introduzione alla sonata
per pianoforte K 457.
https://www.youtube.com/watch?v=mPoibloHm_s
https://www.youtube.com/watch?v=v8Jo3a0evvA
Sonata per pianoforte e violino in do mag K 296
https://www.youtube.com/watch?v=7Kxr3X4i56I
Scritta nel marzo del 1778 e dedicata alla quindicenne allieva Therese Pierron,
la Sonata K. 296 è inserita in un gruppo di lavori - le cosiddette Sonate di
Mannheim (K. 301-306) - che Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
definisce Duetti di pianoforte e violino. La stessa denominazione chiarisce la
precisa finalità delle composizioni, posteriori alle giovanili Sonate per
pianoforte con violino ad libitum (K. 6-7) e ideate nell'intento di a!dare ai due
strumenti una funzione più decisamente concertante. Tale era infatti la
caratteristica primaria di alcuni «duetti» di quel Joseph Schuster (1784-1812)
nominato Kapellmeister presso la corte di Dresda nel 1772, che quasi
sicuramente servirono a Mozart da modello, in base a quanto si riporta in una
sua lettera del 1777, ove egli a"erma di averli «spesso eseguiti» ritenendoli
«non cattivi» e dichiarandosi pronto a scriverne «nel medesimo stile». Ciò che
in particolare dovette influenzare il musicista salisburghese fu senza dubbio la
nuova e dinamica concezione che si ascrive al violino, non più limitato a
interventi imitativi o relegato a passivo subordine, ma a!ancato con misura al
pianoforte, in un calibrato alternarsi di entrate di taglio tipicamente solistico.
Piero Gargiulo
https://www.youtube.com/watch?v=x7xPIyePmNk
https://youtu.be/szu13HgqGZk?list=RDszu13HgqGZk
Nella primavera del 1778 Mozart giunse per la terza volta a Parigi alla ricerca
di un adeguato lavoro e di successo come pianista e compositore, seguendo i
consigli del padre Leopoldo e del barone von Grimm, un personaggio influente
dell'ancien regime di Luigi XVI e un tempo ammiratore del bambino prodigio
salisburghese. Ma il soggiorno parigino non ebbe risultati lusinghieri e una
lista di eventuali amici e protettori, su cui Mozart aveva riposto una certa
fiducia, si dimostrò ben presto fondata su illusone speranze. Egli stesso, in
una lettera inviata al padre il 1° maggio del 1778, espresse chiaramente la sua
disillusione con queste parole: «La gente si profonde in complimenti e tutto
finisce lì. Mi si prenota per questo o quel giorno; io suono e mi sento dire: oh!
c'est un prodige, c'est inconcevable, c'est étonnant! - e buona notte! Chi non è
presente non ci crede, com'è fatale che avvenga ».
Così come altre quattro dello stesso gruppo, denominate anche Palatine
perché dedicate alla moglie dell'elettore del Palatinato, Karl Theodor,la Sonata
in sol maggiore ha due soli tempi, nel pieno rispetto di una tradizione
esistente prima di Mozart e che considerava queste composizioni come dei
duetti stringati ed essenziali fra il pianoforte e il violino, quest'ultimo
strumento a volte sostituito da un flauto. Nel primo tempo (Allegro con spirito)
il violino svolge un ruolo predominante e soltanto in un secondo momento il
pianoforte ria"erma i suoi diritti e sviluppa il tema principale in un dialogo
vivace e ricco di trovate melodiche. L'Allegro è un rondò di gusto francese che
fa pensare però allo stile di Haydn per quella freschezza e naturalezza dì idee
musicali, che sembrano scaturire con facile spontaneità dall'interno stesso del
discorso sonoro.
Ennio Melchiorre
https://www.youtube.com/watch?v=4noy3KlE7Bs
https://www.youtube.com/watch?v=Nq5DaLi9NKM
https://www.youtube.com/watch?v=0UhnfWzOCMo
Questa proporzione era destinata a cambiare alla metà del secolo, cioè
all'inizio di quella che viene definita l'età classica, quando il ruolo portante del
violino nello sviluppo del linguaggio storico della musica venne sostituito dal
protagonismo dei nuovi strumenti a tastiera, fortepiano e, subito dopo,
pianoforte. Nel campo della Sonata per violino e strumento a tastiera, questo
ribaltamento si rispecchiò dapprima nel di"ondersi di un tipo di "sonata per
pianoforte con accompagnamento", come si chiamava allora, nella quale il
violino si limitava a raddoppiare la melodia pronunciata dallo strumento a
tastiera e limitava drasticamente tutto il corredo tecnico e virtuosistico
dell'esecuzione. Subito dopo venne a"ermandosi un tipo più equilibrato di
composizione sonatistica, nella quale entrambi gli strumenti venivano trattati
con pari dignità, ovvero ripartendo equamente il materiale melodico,
integrando maggiormente la scrittura e dando vita a veri e propri dialoghi
strumentali, non più a monologhi con l'assistenza di un partner.
Stefano Catucci
Nella primavera del 1778 (Mozart giunse per la terza volta a Parigi alla ricerca
di lavoro e di successo come pianista e compositore, secondo i consigli del
padre Leopoldo e del barone von Grimm, un personaggio molto influente
dell'ancien régime di Luigi XVI e un tempo ammiratore del bambino prodigio
salisburghese. Ma il soggiorno parigino non ebbe risultati lusinghieri e una
lista di eventuali amici e protettori, su cui Mozart aveva riposto una certa
fiducia, si dimostrò ben presto fondata su illusone speranze. Egli stesso, in
una lettera inviata al padre il 1° maggio del 1778, espresse chiaramente la sua
disillusione con queste parole: «La gente si profonde in complimenti e tutto
finisce lì. Mi si prenota per questo o quel giorno; io suono e mi sento dire: oh!
c'est un prodige, c'est inconcevable, c'est étonnant! - e buona notte! Chi non è
presente non ci crede, com'è fatale che avvenga». Dapprima Grimm si interessò
a Wolfgang e lo introdusse nei salotti della duchessa Chabot e del duca De
Guines, ambasciatore francese in Inghilterra, procurandogli qualche noiosa
lezione a fanciulle dell'alta società. Poi il barone von Grimm, inda"arato in altre
questioni più politico-mondane, fra cui la «grande guerra» tra piccinisti e
gluckiani, abbandonò al suo destino Mozart, che si mise in relazione con il
direttore dei «Concerts spirituels», Jean Le Gros. Questi commissionò al
musicista alcuni lavori, di cui il più noto è la Sinfonia in re maggiore K. 297,
detta «Parigina», che procurò al compositore l'unica soddisfazione in quel
periodo che trascorse nella capitale francese.
Ennio Melchiorre
https://www.youtube.com/watch?v=ddRbX8Q6YT8
https://www.youtube.com/watch?v=Wepq4qRBmU8
La Sonata K. 305 per violino e pianoforte è inclusa nel gruppo delle sei Sonate
composte nel 1778 "pour clavecin ou forte-piano avec accompagnement d'un
violon" in cui si rivela la particolare freschezza inventiva del compositore,
ormai perfettamente padrone di questa forma musicale dedicata all'incontro e
alla fusione fra due strumenti così ricchi ed espressivi nel loro linguaggio
armonico. Durante il soggiorno a Mannheim Mozart prese conoscenza dei
duetti per violino e pianoforte del maestro alla corte di Dresda, Johann
Schuster (1748-1812) e li trovò interessanti, tanto da scrivere alla sorella
Nannerl di avere intenzione di comporre un tipo di musica adatta a valorizzare
le qualità del violino e del pianoforte, nel rispetto delle caratteristiche tecniche
dell'uno e dell'altro strumento. Nacque così tra l'altro la Sonata K. 305
costituita di soli due tempi e improntata ad una festosa allegrezza giovanile,
che, a detta di alcuni esegeti mozartiani, rispecchierebbe il nascente idillio
amoroso tra il giovane Mozart e Aloysia Weber.
L'Allegro di molto si apre con un tema brillante e gioioso, ripetuto due volte;
subentra poi un secondo tema esposto dal pianoforte e poi ripreso
alternativamente dai due strumenti in una combinazione ritmica in tempo di
6/8. Sia il violino che il pianoforte hanno la stessa importanza e non manca
qualche breve sortita solistica sia del primo che del secondo strumento.
Nell''Andante grazioso, comprendente sei variazioni di purissima eleganza
inventiva, Mozart riesce a toccare e"etti di piacevole gusto musicale,
nell'ambito di quello stile concertante che gli era congeniale. La prima
variazione è indicata dal pianoforte, mentre la seconda tocca al violino; quindi
il disegno tematico viene a!dato ai due esecutori che si alternano nella
esposizione della quarta e della quinta variazione. Un rapido movimento
allegro conclude felicemente e con leggerezza la Sonata K. 305, dove il violino
e il pianoforte hanno un ruolo uguale e distinto, secondo quell'unità di
concezione artistica che appartiene alla versatilità creatrice di Mozart.
https://www.youtube.com/watch?v=gGpOhRt6PAA
https://www.youtube.com/watch?v=Nq5DaLi9NKM
Sette sono le Sonate per violino che Mozart compose in parte a Mannheim, in
parte a Parigi; tra queste ultime figura la Sonata in re maggiore K. 306. Non
entrando nei dettagli strutturali e formali che dimostrerebbero ora il prevalere
dello stile tedesco ora di quello parigino, qua la geniale fusione dell'uno e
dell'altro, altrove le soluzioni del tutto originali, basti accennare che l'Andante
cantabile, assai vicino a quello della Sinfonia detta «la parigina», presenta una
condotta più libera e uno sviluppo più ampio delle sonate di Mannheim, non
senza accenti drammatici che ci richiamano alla caratterizzazione espressiva,
quasi teatrale, di gusto francese. Come pure, nel Finale, si fanno risalire
all'influsso del soggiorno parigino l'elegante rifinitura delle idee e il brioso
scintillio ch'esse producono nel vivace congiungersi e disgiungersi dei due
strumenti,
https://www.youtube.com/watch?v=q9RWnhScRw0
https://www.youtube.com/watch?v=1vY9iv48P2A
Nel novembre 1781 l'editore Artaria pubblicò per sottoscrizione sei Sonate per
violino e pianoforte di Mozart, due delle quali erano state composte a
Mannheim (K. 298 e K. 378) e le altre a Vienna (K. 376, K. 377, K. 379 e K.
380). Esse apparvero sotto l'unico titolo «Six Sonates pour le Clavecin ou
Pianoforte, avec l'aceompagnement d'un Violon» e il loro valore non sfuggì
all'ambiente musicale, tanto è vero che sull'autorevole periodico «Magazin der
Musik» di quel periodo apparve il seguente commento: «Queste Sonate sono
uniche nel loro genere. Sono ricche di nuove idee e mettono in evidenza il
grande genio musicale del suo autore. Sono assai brillanti e adatte al
pianoforte e nello stesso tempo l'accompagnamento del violino è così
abilmente combinato con la parte pianistica, che entrambi gli strumenti
mantengono viva la nostra attenzione. Queste Sonate richiedono un violinista
esperto quanto il pianista. Non è possibile in questa occasione compiere una
descrizione dettagliata di queste composizioni originali. Gli amatori e i
conoscitori di musica potranno eseguirle per il proprio piacere e si renderanno
conto che il nostro giudizio non è esagerato».
Sin dall'Allegro iniziale si avverte come la Sonata K. 376 rifletta lo stile brillante
e ingegnoso del musicista salisburghese, che mirava a dare una buona
reputazione di sé presso i circoli artistici viennesi. Il pianoforte espone per due
volte il tema, cui risponde il violino, accompagnato dalle biscrome dello
strumento a tastiera. Subentra un secondo tema in chiave di sol maggiore del
pianoforte, seguito da un ritornello coinvolgente i due strumenti e sfociante in
un terzo tema, ripreso dal violino. Lo sviluppo segue una linea melodica del
tutto nuova, annunciata dal pianoforte nella tonalità di do maggiore e ampliata
da una serie di imitazioni cui partecipano sia il pianoforte che il violino. Il
discorso musicale scorre con molta naturalezza e morbidezza di fraseggio.
L'Andante in si bemolle maggiore ha un andamento cantabile nel dialogo fra i
due strumenti, fino a quando il tema sul tono della dominante viene rilanciato
dal violino su un trillo persistente del pianoforte. Non manca la cadenza
violinistica, ma tutto procede sino alla fine senza novità particolari e con la
consueta abilità espositiva, tipica dell'invenzione mozartiana. Il tema del Rondò
si richiama ad una di quelle marce tanto care al Settecento e utilizzate in più di
un'occasione da Mozart. Il tema è annunciato prima dal pianoforte e passa poi
al violino con un ritornello ricco di trilli e su armonie di segno contrastante. C'è
una interruzione brusca in re minore, cui segue una frase più distesa in do
maggiore, che, secondo il De Foix, riproduce testualmente il frammento di una
Sonata per pianoforte in fa maggiore scritta da Mozart a Milano nel 1773. Il
violino, quindi, sviluppa una cadenza sul tema del Rondò e si apre il sipario su
un intermezzo in si bemolle maggiore, che si snoda con accenti variamente
espressivi. La Sonata si conclude inaspettatamente, dopo tanta brillantezza di
e"etti, in un'atmosfera di delicata tenerezza poetica, nella linea della catarsi di
derivazione aristotelica.
Mozart aveva iniziato a dedicarsi al violino all'età di sette anni, scrivendo la sua
prima Sonata in do maggiore K. 6 e ritornerà a questo genere, che è fra i più
importanti della sua produzione, fino agli ultimi anni, con la Sonata in fa
maggiore K. 547 nel 1788. Il periodo viennese che abbiamo preso in
considerazione è però fra i più intensi e nell'insieme le sonate scritte in questi
anni, a partire dal 1781, possono considerarsi non solo tra le più belle di
Mozart, ma tra le più significative di tutto il repertorio violinistico, per
l'equilibrio raggiunto fra i due strumenti fra essenza musicale e virtuosismo,
felicemente compenetrati con eccezionale fantasia.
Renato Chiesa
Forse in misura maggiore delle Sonate per pianoforte, solo quelle con violino
permettono di rendersi conto della profonda evoluzione attraversata dallo stile
mozartiano. Il maestro salisburghese si formò sotto la guida del padre Leopold
(1719-1787), autore di una Violinschule che fu a lungo giustamente famosa.
Era dunque inevitabile che egli fosse avviato prestissimo a comporre lavori
violinistici: le prime Sonate per violino e pianoforte risalgono, infatti, al 1763,
quando Mozart aveva appena sette anni. Ma sarebbe più giusto chiamarle,
come del resto fece l'autore, Sonate per pianoforte con accompagnamento di
violino: tanto la parte dello strumento ad arco è modesta e quasi priva
d'interesse. In questa direzione Mozart proseguì per molti anni, finché non
venne a conoscenza delle Sonate di Joseph Schuster (1748-1812) e di Johann
Christian Bach (1735-1782), dove si a"ermava il principio dell'alternanza -
non ancora della parità - fra i due strumenti. I frutti non si fecero attendere, e
anche in questo genere Mozart superò di gran lunga i suoi modelli. Anzi, a
partire dalla Sonata K. 306, i tempi divennero tre, non più due com'era
tradizione.
L'Andante è una pagina di serena cantabilità, che Mozart imposta nel tono di si
bemolle maggiore. Il tema principale è enunciato dal pianoforte e subito
arricchito dal fluire delle semicrome al violino, che poi lo riprende
integralmente. Un bell'intermezzo dialogato, dove Mozart sfrutta con suprema
eleganza elementi ritmico-melodici semplicissimi, separa la ripresa del tema
alla dominante, cioè in fa maggiore: questa volta i ruoli sono però invertiti:
spetta al violino esporre la melodia, mentre il pianoforte la commenta con il
disegno in semicrome e un lungo trillo che passa poi al violino e segna l'ultima
ripresa del tema, finalmente in si bemolle maggiore. Il Rondò ha un innegabile
andamento di marcia, una di quelle marce che il Settecento predilesse: non
militaresche, ma quasi scherzose e un poco frivole... Il tema è esposto dal
pianoforte e ripreso dal violino, arricchito poi da un bel disegno pianistico in
cui le parti procedono per moto contrario. Ma tutto ciò s'interrompe con due
bruschi accordi di re minore, che danno luogo a un motivo implorante. Qui
Mozart utilizza un frammento di Sonata scritta a Milano nel 1773. Alla ripresa
del tema di rondò segue il secondo intermezzo, molto corto. Infine il ritornello
e il primo intermezzo vengono ripetuti e Mozart conclude con poche battute in
piano, primo esempio delle meravigliose code sottovoce con le quali egli
amerà siglare molte delle sue composizioni più mature.
Giuseppe Lozza
https://www.youtube.com/watch?v=ixk0MVVOyDA
https://www.youtube.com/watch?v=W0JIK6BeRgI
Nell'allegro grazioso Mozart introduce un unico tema che sarà più volte
rielaborato tanto da non richiedere nuovo materiale. Il secondo movimento
presenta un tema con variazioni sviluppate in Re minore e che lo
caratterizzano da una certa ombrosità contrastante con l'impostazione vivace
del brano nella sua interezza. Il minuetto finale parte in modo brillante quasi a
sanare le amarezze espresse nel secondo movimento per mutarsi
repentinamente in caratteri malinconici; perde la sua caratteristica di danza
mantenendone solo l'indicazione ritmica. La parte finale riprende il tema del
movimento facendolo a poco a poco esaurire per scomparire del tutto in
chiusura della composizione.
Dati sull'opera
Catalogo Köchel
Durata
22 minuti circa
Movimenti
Allegro grazioso
Tema (andante) con variazioni
Tempo di minuetto
Organico
pianoforte
violino
https://www.youtube.com/watch?v=7XoB72n4JB0
https://www.youtube.com/watch?v=q-BpMoWkUa8
Dopo una serie di exploit infantili, Wolfgang iniziò a studiare il violino sotto la
severa e attenta guida del padre, prese ad esibirsi in pubblico anche come
violinista e ben presto entrò a far parte dell'orchestra di corte a Salisburgo. Ma
tra i dieci e i ventidue anni, proprio mentre sistematizzava lo studio dello
strumento, dunque, non scrisse nemmeno una sonata, dedicando al violino
solamente i suoi unici cinque Concerti, composti nel 1775. In compenso la sua
abilità strumentale fece progressi straordinari, visto che il violinista napoletano
Antonio Brunetti, Konzertmeister a Salisburgo dal 1776, si scandalizzò nel
sentire Leopold a"ermare che Wolfgang suonava «passabilmente» («Cosa?
Cazzo, ma se suonava tutto!») e che perfino il severo Leopold nell'ottobre del
1777 gli scrisse: «Non sai neppure tu come suoni bene il violino. Se soltanto
volessi metterti di puntiglio per suonarlo con eleganza, con sentimento, con
spirito, saresti certo il primo violinista d'Europa». Ma proprio le parole di
Leopold dimostrano che a quel tempo Wolfgang aveva già cominciato ad
allontanarsi dal violino; in e"etti nel giro di qualche anno avrebbe iniziato a
preferire la viola anche nelle occasioni in cui gli capitava di fare musica fra
amici.
Tuttavia all'inizio del 1778, a Mannheim e poi a Parigi, Mozart compose ben 7
Sonate, di cui le prime sei furono pubblicate a Parigi nello stesso 1778.
Naturalmente lo stile del Mozart ventiduenne è assai più maturo di quello del
«possentissimo Wolfgangus» di dodici anni prima, e mostra in particolare i
segni del recente incontro con i musicisti di Mannheim. Arrivando poi a Vienna
nel marzo del 1781, Mozart, esattamente come a Parigi, si rivolse ancora una
volta a questo genere tanto caro ai dilettanti per farsi conoscere dal grande
pubblico. La sua prima opera pubblicata nella capitale fu infatti una raccolta di
sei Sonate per strumento a tastiera e violino: la K. 296 scritta a Parigi, più la K.
378/317d, 379/373a, 376/374d, 377/374e, 380/374f. Pur non staccandosi
definitivamente dalle caratteristiche costitutive del genere «sonata con
accompagnamento», questi brani - attribuendo maggiore importanza al ruolo
del violino, che da accessorio marginale del pianoforte si va gradualmente
trasformando in secondo protagonista dell'azione musicale - spingono ancora
più avanti il cammino già intrapreso nelle sei Sonate parigine e insieme a
quelle si pongono al di sopra di tutta la produzione contemporanea del
genere. Se ne ha subito un esempio nell'Allegro moderato che apre la Sonata in
si bemolle maggiore K. 378/317d: un movimento ampio e complesso,
caratterizzato da una notevole ricchezza di idee tematiche che o"re lo spunto
a un intenso dialogo tra i due strumenti.
Come mai il giovane e dotatissimo Mozart non volle mai mettersi «di puntiglio»
per diventare «il primo violinista d'Europa», ma anzi finì per abbandonare il
violino? E vero che era un eccellente pianista e che il genere del concerto per
pianoforte stava incontrando un favore straordinario presso il pubblico del
tempo, ma forse non è del tutto avventato mettere in relazione il suo distacco
dal violino - accentuatosi fortemente dopo la separazione dal padre e il
trasferimento a Vienna nel 1781 - con il distacco da ciò che quello strumento
rappresentava per lui. Si può ipotizzare, allora, una strana sorta di sineddoche
avvenuta nel suo inconscio, in cui il violino (la parte), aveva finito per
sovrapporsi e identificarsi con suo padre Leopold (il tutto): suonare il violino
significava per lui suonare lo stesso strumento di Leopold, essere come lui,
vivere la sua stessa vita. Probabilmente l'ultima cosa al mondo che Wolfgang
desiderava per sé.
Carlo Cavalletti
https://www.youtube.com/watch?v=VLod_2Sszhk
https://www.youtube.com/watch?v=qWsJgmPBEyU
Nel novembre del 1781 l'editore Artaria pubblicò per sottoscrizione sei Sonate
per violino e pianoforte di Mozart, due delle quali erano state composte a
Mannheim e Salisburgo (K. 296 e K. 378) e le altre appena terminate in
quell'anno, e cioè K. 376, 377, 379, 380. L'annuncio apparve sul "Magazin der
Musik" di Vienna, in cui era scritto il seguente giudizio: «Queste Sonate, uniche
nel loro genere e ricche di nuove idee, recanti il segno del genio musicale
dell'autore si adattano molto al violino. L'accompagnamento del violino è così
artisticamente intrecciato con la parte pianistica che entrambi gli strumenti
attrarranno continuamente l'attenzione dell'uditorio. Queste Sonate richiedono
dunque pari grado di abilità dai due esecutori».
https://www.youtube.com/watch?v=x4GwvROsMB8
https://www.youtube.com/watch?v=cn6rbdP0T6M
https://www.youtube.com/watch?v=UBVcMzv_P0w
Scritto nel 1782 o 1783, il lavoro rivela l'entusiasmo con cui in quegli anni
Mozart si andava familiarizzando fino in fondo con lo stile severo tedesco.
Suonava a tutt'andata Händel e Bach e si formava, a forza di prestiti da amici e
musicomani viennesi, «una collezione di fughe di Sebastiano, Emanuele e
Friedmann Bach». Riferiva che anche Costanza, sposata allora allora, «non vuol
sentire che fughe. Avendomene spesso sentito improvvisare, mi domandò se
non ne avessi ancora scritta nessuna. Avendole risposto di no mi rimproverò
moltissimo di non aver voluto scrivere proprio ciò che di più artistico e di più
bello vi sia nella musica; e non smise di pregarmi finché non ne ebbi stesa una
nella carta». Si allude qui alla Fuga a tre voci in do maggiore per pianoforte la
quale, insieme ad altri lavori incompiuti ed alla odierna Sonata, segna nel
Mozart già maturo e autore di tanti capolavori, l'inizio di quell'accostamento
deliberato e approfondito verso gli «antichi» valori contrappuntistici ch'egli ben
presto porterà a un completo ringiovanimento.
Giorgio Graziosi
https://www.youtube.com/watch?v=zM6p0I2KTdU
https://www.youtube.com/watch?v=AFwd2BqW08E
Tra le non molte Sonate per violino e pianoforte composte da Mozart nel
decennio viennese (1781-1791) se ne distinguono tre che vanno senz'altro
annoverate fra i suoi massimi capolavori: questa in si bemolle K. 454,
composta per la violinista italiana Regina Strinasacchi e datata 21 aprile 1784,
la Sonata in mi bemolle maggiore K. 481 del 1785 e, infine, la Sonata in la
maggiore K. 526 risalente all'estate 1787.
Regina Strinasacchi, nata a Ostiglia presso Mantova nel 1761, era stata allieva
del Conservatorio della Pietà a Venezia e aveva intrapreso ancor giovane una
brillante carriera concertistica. Mozart la conobbe a Vienna nel 1784 e così ne
riferisce in una lettera al padre: «Abbiamo qui la celebre violinista mantovana
Strinasacchi; suona con molta sensibilità e molto gusto. Sto per l'appunto
lavorando a una Sonata che eseguiremo insieme giovedì in teatro durante la
sua accademia».
Per la serata viennese che, alla presenza dell'imperatore Giuseppe II, vide la
prima esecuzione della Sonata in si bemolle pare che Mozart si sedesse al
pianoforte con un manoscritto non ancora completo e che la parte della
Strinasacchi fosse pronta solo poche ore prima del concerto; l'autografo
conservato a Stoccolma conferma la curiosa circostanza.
Nell'aprile del 1784, Mozart scrisse al padre: «Abbiamo qui a Vienna la celebre
mantovana Strinasacchi, una buonissima violinista; ha molto gusto e
sentimento nelle sue interpretazioni. Sto scrivendo ora una Sonata che
eseguiremo insieme». Senza neppure aver avuto il tempo di scriverla, Mozart
eseguì però a memoria la parte pianistica alla presenza dell'Imperatore
Giuseppe II. Qui la parte violinistica è ancor più emancipata dal pianoforte che
nella Sonata K. 376. Nel Largo introduttivo, di carattere molto solenne, potenti
accordi oppongono l'uno all'altro i due strumenti. Sorprendente anche la
sicurezza con la quale Mozart pare precorrere il dualismo beethoveniano fra
l'elemento «maschile» e quello «femminile», dolce e tenero. Il canto spetta
ormai al violino e il pianoforte si limita a inquadrarlo armonicamente. L'Allegro
esordisce in piano e all'unisono: la fisionomia del primo tema è slanciata e
robusta; un breve passaggio permette a Mozart di riprendere integralmente il
tema, ma egli lo a!da ora soltanto al violino, al quale è concesso di brillare
forse più che in qualsiasi altra Sonata mozartiana (non per nulla questa
composizione gode di particolare favore da parte dei violinisti). Il secondo
tema, in fa maggiore, è a!dato nella prima metà al pianoforte e nella seconda
al violino. Come nella Sonata K. 376, ma in modo ancora più netto, Mozart
introduce prima della fine dell'esposizione un terzo soggetto, a!dato al
violino, dagli accenti marziali. Dagli accordi conclusivi intervallati da pause
Mozart trae il primo elemento dello sviluppo, grazie a una inattesa
modulazione a do minore; e proprio la modulazione garantisce l'interesse
musicale di questa sezione, del resto molto breve. La ripresa non è ora in tutto
simile all'esposizione, perché nella seconda parte Mozart lo arricchisce con
procedimenti contrappuntistici: ci accorgiamo allora che solo un passo separa
il tema principale, apparentemente così leggero e brillante, da un soggetto di
fuga. Dopo il terzo motivo, il movimento si conclude con una coda in cui i due
strumenti dialogano con la massima libertà e nello stesso tempo con assoluto
rispetto dello stile cameristico.
Giuseppe Lozza
https://www.youtube.com/watch?v=Tji4OS5Uqxg
https://www.youtube.com/watch?v=h0UFBxYZ9r8
Mozart scrisse negli ultimi anni della sua vita tre importanti e significative
Sonate per violino e pianoforte: la Sonata in mi bemolle K. 454 composta
nell'aprile del 1784, la Sonata in mi bemolle maggiore apparsa nel dicembre
del 1785 e la Sonata in la maggiore K. 526 che reca la data del 24 agosto 1787
ed è la più brillante e geniale opera del gruppo. Egli stesso parlò della prima di
queste Sonate in una lettera al padre del 24 aprile 1784, in cui diceva:
«Abbiamo ora con noi la famosa Strinasacchi di Mantova, ottima violinista.
Suona con molto gusto e sentimento. Al momento sto componendo una Sonata
che eseguiremo insieme giovedì al concerto che la violinista darà a teatro (29
aprile)». Ma il giorno prima del concerto Mozart aveva scritto soltanto la parte
del violino, tanto che al momento della esecuzione in pubblico egli suonò a
memoria, con un foglio di carta bianca davanti agli occhi: una curiosità che
non sfuggì allo stesso imperatore Giuseppe II, conquistato dalle eleganti
fioriture del rondò finale in questa serata musicale viennese. La Sonata in mi
bemolle maggiore apparve un anno e mezzo dopo (dicembre 1785) e il
pubblico rimase conquistato dal fervore lirico dell'Adagio e dal tempo finale
articolato in sei variazioni, in cui il compositore rivelò tra l'altro, la sua
straordinaria abilità nel fondere e amalgamare il suono del violino con quello
del pianoforte. Nell'ultima delle tre Sonate, quella in la maggiore K. 526, gli
studiosi dell'opera mozartiana hanno voluto cogliere un preannuncio e
un'anticipazione della Sonata «a Kreutzer» di Beethoven, più per la vivacità
dello stile dialettico che non per il sentimento drammatico che la pervade.
Probabilmente la ragione di questa osservazione va spiegata nel senso che tale
Sonata fu elaborata durante la composizione del Don Giovanni e risente quindi
di una spigliata scrittura contrappuntistica.
https://www.youtube.com/watch?v=jF8gJCXgoEo
https://www.youtube.com/watch?v=95RqDkbyQ7k
Danilo Profumo
https://www.youtube.com/watch?v=fgtVCHG_3qo
https://www.youtube.com/watch?v=5dhjA59PRPE
Il tema, per questo genere di composizioni, spesso era tratto dai «morceaux
favoris» dell'epoca; nel caso particolare, alle Dodici variazioni K. 359 lo spunto
è stato o"erto dal Lied «La bergère Celimene» (indicata anche come
«Silimène»), formato da sedici battute in sol maggiore, una melodia per gradi
congiunti, con due fuggevoli inflessioni modulanti a do maggiore e al
passaggio obbligato del re maggiore (la dominante); le ultime quattro battute
riproducono le quattro iniziali, con qualche abbellimento pianistico: uno
schema consueto, che annuncia la preminenza del pianoforte, abituale nella
letteratura cameristica del tardo Settecento. La melodia è piana, ovvia, a
di"erenza dì quella delle gemelle Sei variazioni K. 360, più suggestiva se non
altro grazie alla tonalità di sol minore.
Quasi tutte le variazioni sono ligie alla tonalità (salvo la settima, in sol minore),
alla melodia e alla concatenazione armonica esposte nel tema; le mutazioni
hanno carattere ritmico, benché il passaggio dal ritmo binario al ternario
avvenga soltanto nelle variazioni quarta e dodicesima. Per il resto, il
trattamento è improntato allo stile «galante», imperniato soprattutto sugli
abbellimenti, ed illustrato dalle composizioni di un maestro riconosciuto come
Johann Christian Bach.
La pubblicità sul «Magazin der Musik» delle sonate per pianoforte e violino di
Mozart edite nel novembre 1781, avvertiva: «l'accompagnamento del violino è
così artisticamente intrecciato con la parte pianistica che entrambi gli
strumenti attrarranno continuamente l'attenzione dell'uditorio». L'annunzio è
opportuna epigrafe anche per queste variazioni.
Claudio Casini
Sonate da Chiesa
https://www.youtube.com/watch?v=bo1pmEx6azY
https://www.youtube.com/watch?v=VvKzeseg7DY
https://www.youtube.com/watch?v=J8TOn6s_XB4
https://www.youtube.com/watch?v=5ZMtn1Y1t00
(124b)
https://www.youtube.com/watch?v=piw1dZkNy68
https://www.youtube.com/watch?v=Nz0zUsAqPM0
Sonata in sol mag per due violini, organo, violoncello e basso K 241
https://www.youtube.com/watch?v=lVL9OqfwRcU
https://www.youtube.com/watch?v=d47Y0D_dZ6k
Allegro (fa maggiore)
https://www.youtube.com/watch?v=U5kH6KhQnk4
https://www.youtube.com/watch?v=owT6QjkJ-hw
https://www.youtube.com/watch?v=pfK1qxB6t5w
Sonata in do mag per due violini, due trombe, organo, violoncello e
basso K 263
https://www.youtube.com/watch?v=dn_OOVV9GHc
Sonata in sol mag per due violini, organo, violoncello e basso K 274
(271d)
https://www.youtube.com/watch?v=9sFEav7PTno
Sonata in do mag per due violini, violoncello, basso, due oboi, due
trombe, timpani e organo K 278 (271e)
https://www.youtube.com/watch?v=aOSZh-xBcig
Dati sull'opera
Catalogo Köchel
KV 278
Durata
circa 4 minuti
Organico
2 oboi
2 corni
2 trombe
Timpani
2 violini
Basso continuo
organo obbligato
Sonata in do mag per due violini, violoncello, basso, due oboi, due corni,
due trombe, timpani e organo K 329 (317ª)
https://www.youtube.com/watch?v=QSelZQvheNs
https://www.youtube.com/watch?v=vJtUFE8oV2s
https://www.youtube.com/watch?v=IbCG6jsKD9o
https://www.youtube.com/watch?v=9RuyM6c4G3M
Divertimento (trio) per violino, viola e violoncello in mi bemolle
maggiore K 563
https://www.youtube.com/watch?v=ckdyoSIBUxw
https://youtu.be/E8c83bpOVXo
Composizione
Critica
https://www.youtube.com/watch?v=jSZJjTeP0mU
Trascrizione per quartetto d'archi dalla Fuga per due pianoforti, K 426
Mozart sì applicò a più riprese e con passione allo studio del contrappunto. Fu
soprattutto negli anni del soggiorno viennese che ebbe modo di conoscere e
approfondire i grandi lavori contrappuntistici del passato; fu a Vienna che
venne in contatto con la cerchia del barone Gottfried van Swieten, mecenate e
colto dilettante dì musica che nella sua abitazione organizzava regolari
esecuzioni della musica di Bach e Händel. E fu ancora negli anni viennesi che
Mozart sì entusiasmò per le fughe di Bach, che fece oggetto di uno studio
attento e appassionato. Non doveva essere estranea a questo interesse
neppure la frequentazione degli ambienti massonici, cui lo stesso van Swieten
apparteneva. La fuga e la scrittura contrappuntistica assumevano, in quella
cerchia, il valore di una trasparente metafora: nell'edifìcio contrappuntistico, e
nella fuga che ne è la più complessa espressione, gli adepti coglievano di
riflesso l'operato del Grande Architetto dell'Universo. Di qui l'attivismo con il
quale le logge massoniche si adoperarono, nelle principali città europee, per
riportare in vita capolavori del passato come gli oratori di Händel e le fughe di
Bach, nei quali la scienza contrappuntistica raggiunge vertici ineguagliati.
Claudio Toscani
Tra gli aspetti più a"ascinanti della riflessione storica sulla musica vi è senza
dubbio l'indagine su come sia mutato nei secoli il concetto di tradizione che
spettatori, dilettanti, compositori ed esecutori hanno fatto proprio nei secoli.
Qualche particola dell'infinito caleidoscopio di opinioni che animò tale
problematica, ancora oggi attuale, ci giunge dalle testimonianze scritte di chi
la musica la visse come lavoro e come impegno critico e intellettuale.
L'amore per il contrappunto non era dunque più una faccenda per soli esperti:
dalle appendici solenni del genere sacro e dal silenzioso lavoro del privato
esercizio, lo stile contrappuntistico aumentava il suo indice di gradimento fra
gli ascoltatori. E Mozart si mise a lavoro: il 29 dicembre 1783 completò la
stesura della Fuga in do minore K. 426, opera preceduta da diversi frammenti
di fughe per tastiera lasciate incomplete. Si trattava di una severa e maestosa
fuga a quattro voci per due fortepiani, alla quale Mozart voleva far precedere
un Preludio: un progetto iniziato ma portato a compimento più tardi.
Nel giugno del 1788, infatti, egli riprese in mano la vecchia fuga e la riadattò
per quartetto od orchestra d'archi aggiungendo, come ebbe a scrivere lui
stesso, anche un «Adagio a due violini, viola e basso per una fuga che scrissi
tempo fa». Si trattava dell'Adagio e Fuga in do minore K. 546, un'opera che
trasfondeva nel colorismo degli archi il carattere serio e impegnato della
composizione precedente. Rispetto alla prima versione, l'Adagio ha qui la
funzione di accentuare l'e"etto meccanico e sublime della fuga tramite
un'introduzione patetica ad hoc: la tensione tra l'elemento fiero ed energico
che apre il brano e un secondo segmento dal tono dolente e sommesso
costruito su respiri di semitono, costituisce una sorta di rifugio intimistico
dalla natura interrogativa.
Mozart intercettava con l'Adagio e Fuga K. 546 l'evoluzione del gusto europeo
tendente a far evolvere il classicismo verso lo spiritualismo romantico ancora
di là da venire. Ma non è da escludere che la sua natura fortemente
trasgressiva, sempre e comunque attenta a dare il meglio della sua maestria
creativa in ogni campo, donasse al solenne portamento della fuga anche un
tocco segretamente ironico.
Simone Ciolfi
Alla fine del 1781 troviamo Mozart, stabilitosi a Vienna, fra gli assidui del
barone Gottfried van Swieten. Questo signore olandese si era ritirato a Vienna
dopo una fortunata carriera nella diplomazia asburgica. Durante la sua
missione a Berlino aveva avuto modo di avvicinare i figli di J.S. Bach. Essi lo
avevano iniziato ai maestri della polifonia barocca, e di ritorno a Vienna van
Swieten esortava con le sue «esercitazioni musicali della domenica» i musicisti
al culto di Bach e di Haendel. Mozart rimase addirittura scosso dall'incontro
con lo stile rigoroso, copiò varie fughe di suo pugno, e si immerse nello studio
del contrappunto. Fra queste esercitazioni va annoverata la Fuga per due
pianoforti in do minore K. 426. Essa è a quattro voci, ricca di artifici
contrappuntistici, stretti ed inversioni del tema. Il do minore, secondo la
tradizione viennese, è una tonalità drammatica. Il tema ha difatti carattere di
a"ermazione contrastata, carattere sottolineato dall'esordio volitivo e dalla
conclusione cromatica. Questi due principi, e il controsoggetto aperto da tre
crome ribattute e concluso da un trillo, dominano l'intero pezzo, sottolineano
la supremazia dell'emotività sulla scrittura rigorosa, e inducono Mozart ad un
contrappunto selvaggio. L'immagine è quella di un turbine che travolga, in
nome della passione, i generi e la loro codificazione storica. Nel 1788 Mozart
trascrisse la Fuga per quartetto d'archi, e vi premise una Introduzione. Il
pathos della Fuga risulta accresciuto nella più sentita cantabilità degli archi, e
la Introduzione prelude alla temperie esasperata della versione quartettistica
con uno studio sulla potenzialità drammatica dell'armonia modulante. E' una
pagina che leva il sipario sulla disperazione romantica, e con quel senso della
disfatta, dell'irredimibile, che Mozart trasmetterà a Schubert, Mahler, Berg, i
musicisti della città maledetta.
All'epoca in cui porta a termine il Quartetto K. 387, nei suoi primi mesi a
Vienna il venticinquenne Mozart ha già fatto un altro incontro molto
significativo: quello con la musica di Bach e Haendel che ha l'opportunità di
conoscere meglio frequentando un appassionato intenditore, il barone
Gottfried van Swieten che ogni domenica alle 12 organizzava in casa propria
delle riunioni musicali "dove non si suonava che Haendel e Bach".
Carlo Cavalletti
https://www.youtube.com/watch?v=2I9LyiGrclc
Mozart compone il suo primo quartetto per archi in una locanda di Lodi, il 15
marzo 1770, «alle 7 di sera» si legge sull'autografo, durante una sosta sulla via
per Bologna. A Milano, il compositore aveva avuto modo di ascoltare quartetti
di Sammartini e di cogliere la lezione di un linguaggio strumentale inteso
anzitutto come trattamento lineare e smalizialo delle strutture formali,
eleganza melodica e capacità artigianale dì confezionare una composizione
sulla base di un materiale quanto mai elementare. Il Quartetto KV 80 (73f), cui
Mozart resterà a"ezionato, tanto da da includerlo otto anni dopo fra le
musiche portate con sé nel viaggio a Parigi (vedi la lettera dalla capitale
francese del 24 marzo 1778), allinea nella configurazione originaria due
movimenti in forma di sonata e un Minuetto. L'architettura in tre brevi tempi
tutti nella stessa tonalità, la qualità cantabile impressa nell'a"ettuoso e
carezzevole Adagio iniziale come nel successivo Allegro e nel Menuetto, la
netta prevalenza nella condotta melodica dei violini rispetto alle due parti
inferiori, viola e violoncello, indicano con chiarezza il modello nello stile
preclassico italiano. Il quarto movimento, un Rondò, sarà aggiunto soltanto tre
o quattro anni più tardi.
Cesare Fertonani
Mozart scrisse ben 26 Quartetti completi per archi, in cui sono racchiuse le
caratteristiche tecniche e stilistiche del compositore e soprattutto la sua
evoluzione nel fissare le regole di una forma tra le più di!cili di tutti i generi
musicali. Si sa che Mozart mosse inizialmente i primi passi nel dialogo a
quattro per archi tenendo presenti i modelli analoghi conosciuti durante il
viaggio in Italia tra il 1770 e il 1773, a cominciare dalla produzione di
Sammartini. Infatti il primo Quartetto in sol maggiore K. 80 fu composto la
sera del 15 marzo 1770 in una locanda di Lodi e risente nella struttura di due
elementi tipici dello strumentalismo da camera italiano: la divisione in tre
tempi (si ritiene in questo caso che il rondò finale sia stato aggiunto
posteriormente) e la preponderanza data ai due violini rispetto alle parti del
violoncello e della viola. Non per nulla i quartetti immediatamente successivi,
K. 136, 137 e 138, composti a Salisburgo nei primi mesi del 1772 e chiamati
Divertimenti sul manoscritto, e i sei quartetti K 155-160, che recano il titolo dì
Milanesi, perché finiti di scrivere nell'autunno dello stesso anno nella capitale
lombarda, si articolano in tre tempi, come nella sinfonia d'opera italiana: un
allegro introduttivo o presto, un andante o adagio e un minuetto o presto.
Per tornare al Quartetto K. 80 vi si nota, è vero, un italianismo violinistico
nell'Adagio introduttivo, così puro e lineare nella sua cantabilità melodica,
leggermente increspata di malinconia e nell'Allegro del secondo tempo,
sprizzante una vivacità ritmica di gusto vivaldiano nel suo bitematismo
contrappuntistico. Forse nel Minuetto con il Trio e nel Rondò conclusivo
emerge con maggiore chiarezza la presenza inventiva mozartiana, improntata
a varietà e brillantezza di spunti tematici.
Proprio come è avvenuto con la sinfonia, anche nel campo del quartetto per
archi Haydn ha svolto un ruolo fondamentale nel contribuire a fissare il
modello formale del genere, scegliendo fra le varie strutture e caratteristiche
stilistiche ereditate dai suoi predecessori. La quantità e soprattutto la qualità
della sua produzione hanno fatto sì che ben presto le sue scelte si
trasformassero tacitamente in un modello normativo. Quando poi sulla scena
musicale apparve l'astro del giovane Mozart, fra i due musicisti si innescò un
complesso rapporto di reciproche influenze, particolarmente avvertibile in
campo quartettistico: non bisogna dimenticare che la grande amicizia sorta
all'inizio degli anni Ottanta fra il cinquantenne Haydn e il venticinquenne
Mozart nacque proprio intorno al quartetto, poiché fu cementata dalle riunioni
musicali in cui i due suonarono insieme. Al punto che si può dire che un rapido
sguardo alla loro produzione - sessantotto Quartetti in quasi mezzo secolo,
fra il 1757 e il 1803, Haydn; ventisei Quartetti nell'arco di un ventennio, tra il
1770 e il 1790, Mozart - consenta di fotografare perfettamente la profonda
trasformazione verificatasi in quegli anni nel genere del quartetto per archi.
Intorno alla metà del Settecento, i quartetti, che venivano più frequentemente
chiamati "divertimenti", erano ancora brani di intrattenimento estremamente
disimpegnati che potevano essere in un numero variabile di movimenti (tre,
quattro, cinque), e non attribuivano a"atto la stessa importanza ai quattro
strumenti, "guidati" nettamente dal primo violino. Anche i primi dieci Quartetti
di Haydn, scritti intorno al 1757 per le serate del principe Karl Joseph von
Fürnberg nel castello di Weinzierl, si rifanno a questo modello e sono tutti in
cinque movimenti con due minuetti.
Dopo una pausa durata oltre dieci anni, Haydn tornò al quartetto nel 1768 e
fino al 1772 portò a termine ben diciotto lavori (sei op. 9, sei op. 17 e sei op.
20) che, pur essendo ancora indicati col titolo di "divertimenti", delineano
chiaramente il modello di un brano più serio e impegnativo in quattro
movimenti, in cui gradualmente gli altri tre strumenti acquistano importanza a
fianco del primo violino. Se in alcuni movimenti lenti dell'op. 9 l'antico
protagonismo del primo violino ria!ora, l'op. 17 appare ancora più
equilibrata, con i quattro strumenti su un piano di quasi assoluta parità, fino a
giungere nell'op. 20 a un ulteriore inspessimento della scrittura
contrappuntistica: ben tre Quartetti hanno il movimento finale in forma di
fuga. A tutto questo si aggiunge, sotto l'influenza del cosiddetto periodo
Sturm und Drang, un più frequente utilizzo delle tonalità minori. Dopo l'op.
20, però, Haydn abbandona ancora una volta per quasi dieci anni il genere del
quartetto, proprio mentre il giovane Mozart vi compie i suoi primi passi.
Carlo Cavalletti
L'Allegro iniziale del Quartetto KV 155 (134a) delinea una ben organizzata
forma di sonata senza ritornelli. Nell'esposizione si distinguono il brillante
primo gruppo tematico, la transizione, il secondo gruppo tematico, più
cantabile, il gruppo cadenzale conclusivo con un passaggio virtuosistico per il
violino I; lo sviluppo, di sostanza tematica indipendente rispetto
all'esposizione è avviato da una serie di entrate in canone. L'Andante è invece
in forma di sonata con ripresa incompleta: elementi del tema principale sono
riutilizzati nello sviluppo, e la ripresa coincide con il tema secondario,
costruito con incisi distribuiti tra i violini; soltanto per la chiusa ricompare la
frase iniziale del tema principale. Il Molto allegro finale è un vivace rondò con
due episodi.
Cesare Fertonani
Emilia Zanetti
https://www.youtube.com/watch?v=Oec1VrgBYEM
Pensati per essere eseguiti nelle "accademie" date in onore del giovane
compositore dalla nobiltà milanese, i sei Quartetti K. 155-160 recano la traccia
evidente del gusto italiano; eppure non è di!cile trovarvi una impronta
autenticamente personale e anche il segno dell'influenza salisburghese. Le sei
partiture si articolano ciascuna in tre movimenti, ma una sola di esse (il
Quartetto K. 159) segue lo schema più antico che era tipico di Sammartini:
lento-veloce-veloce; gli altri cinque lavori, invece, presentano il più moderno
schema allegro-lento-allegro, con un minuetto finale.
Il movimento più interessante è però quello centrale, per cui Mozart scartò un
abbozzo scritto in un primo momento, rimpiazzandolo con un tempo del tutto
nuovo; circostanza che indica come il compositore fosse insoddisfatto del
contenuto espressivo della pagina. E in e"etti la nuova stesura rivela una
autentica crisi espressiva nel giovane Mozart, interessato a caricare i suoi
tempi lenti di un pathos sentimentale e irrazionale che è stato spesso
ricollegato all'atmosfera Sturm und Drang di quegli anni, e che segna una netta
rottura rispetto al gusto italiano. Non a caso questo Adagio presenta una
tonalità minore (mi minore) e una cantilena continua del primo violino,
accompagnata intensamente dagli altri strumenti, con la definizione di
un'atmosfera che - come osservarono Wyzewa e Saint-Foix - rimanda a un
importante arioso di Giunia, la protagonista femminile del Lucio Siila.
Arrigo Quattrocchi
Cesare Fertonani
https://www.youtube.com/watch?v=1Do3vAJGuJ8
https://www.youtube.com/watch?v=7N9K6qLqcro
https://www.youtube.com/watch?v=_blOVCRdSpM
https://www.youtube.com/watch?v=TjZxzc8xmrg
Cesare Fertonani
https://www.youtube.com/watch?v=kTYJf4jm0UY
https://www.youtube.com/watch?v=KUtXaewf9-A
Cesare Fertonani
https://www.youtube.com/watch?v=DdJmjqCI1Og
Andante (si bemolle maggiore)
Allegro (sol minore)
Rondò. Allegro grazioso (si bemolle maggiore)
https://www.youtube.com/watch?v=h-L7_XHSnKs
https://www.youtube.com/watch?v=eZnaEQXbxTM
Sandro Cappelletto
https://www.youtube.com/watch?v=rlTFVuTRseA
https://www.youtube.com/watch?v=_Tyntym91D0
Il rapporto tra esempio da imitare e ricerca di una via propria appare evidente
nell'«Andante» del K 169.
Una risorsa usata una prima e una seconda volta, senza però che si apra, dopo
la seconda, un nuovo scenario, o che il precedente venga approfondito. Inizia
invece un episodio incerto, prima che ritorni il tema d'avvio, così marcato e
ricco di potenzialità, così scandito, tuttavia, da quelle terzine insistite,
esageratamente eguali, che precedono una codetta non drammatica, come il
carattere del movimento consentirebbe, ma neppure sognante, e che
lentamente si avvia verso un finale anche troppo preparato, distante dallo
spirito iniziale del movimento.
Sandro Cappelletto
https://www.youtube.com/watch?v=kmxrzWa4o2E
https://www.youtube.com/watch?v=_Tyntym91D0
Il canto del primo violino nel terzo movimento, «Un poco adagio» (il più ampio
del quartetto), si innalza su un accompagnamento ostinato e piano, scandito
dall'alternanza di pieno e di vuoto - una nota, una pausa, una nota, una pausa
-, nella grazia perfetta di una sobria melodia mozartiana, che chiede soltanto
di distendersi nel tempo dell'esecuzione e in quello interiore dell'ascolto. Forse
per evitare il rischio (ma chi lo avverte?) della monotonia, stacca improvviso un
ghiribizzo di semicrome del primo, al quale risponde, all'eufonica distanza di
una terza, il secondo violino. Un'accelerazione, resa umbratile dai passaggi
della viola, in un movimento che trova la ragion d'essere nella costanza del
proprio andare, del proprio tempo sospeso. E la ritrova nelle battute finali, in
un pianissimo che dissolve, semplicemente, sulla corona conclusiva, da tenere
il più a lungo possibile. Ma le due ultime battute sono troppo poche e
frettolose per poter ricreare il clima dell'inizio.
Il rondò fila via in un veloce allegro in tempo di 2/4, con quella frase
discendente, tre volte ripetuta, netta come un motto, che subito entra
nell'orecchio e nella memoria e fa venire voglia di canticchiarla: i compositori,
allora, pensavano anche a questo, a scrivere un tema, una melodia che
restassero bene impressi, come ancora si usa nelle canzoni. Il rondò si
prestava benissimo alla scopo e la sua fortuna durerà a lungo, nella musica
strumentale come in quella vocale:
[...] il rondò, pezzo originariamente basato sul periodico ritorno dello stesso
tema, ogni volta più o meno variato, poi volto a designare semplicemente un
pezzo d'esibizione virtuosistica, segnatamente quello a!dato alla prima donna
a conclusione dell'opera. Ma s'incontrano anche forme estremamente libere,
capricciose, nelle quali anche senza mutare il tempo sono adoperati una
mezza dozzina di temi diversi, disposti secondo un sistema di ritorni quanto
mai fantasioso (esempio tipico la cavatina di Figaro nel Barbiere, «Largo al
factotum»). (Fedele D'Amico)
Nel «Rondeaux» del K 170 la serie delle quattro riprese del motivo iniziale,
collegate da brevi episodi di raccordo, inizia in un'alternanza dell'intensità del
suono e dei valori di durata - più veloci, più misurati -, in un complice gioco di
sguardi tra i quattro strumenti, mentre il primo violino è sempre pronto a
imboccare la strada per conto suo, a precedere il gruppo, che lo riprende, per
arrivare tutti assieme, sorridendo, alla conclusione.
Sandro Cappelletto
https://www.youtube.com/watch?v=ZzA27-pjQoY
https://www.youtube.com/watch?v=a5XbC1iIJiE
Sandro Cappelletto
https://www.youtube.com/watch?v=6c-bF6qhsQ0
https://www.youtube.com/watch?v=ROtJKnX00C4
Mozart fu, per così dire, disorientato. Non riuscì mai nemmeno lontanamente a
raggiungere l'originalità, l'indipendenza da ogni convenzione, la condotta
discorsiva delle voci e l'insieme popolaresco e intellettuale del suo modello
[Haydn]. Si è quasi tentati di dire che questi sei quartetti debbano la loro
esistenza a un comando di Leopold. Allorché l'editore Torricella li pubblicò in
copie manoscritte alla fine del 1785 dopo la pubblicazione dei sei grandi
quartetti dedicati a Haydn, essi destarono molta sorpresa fra gli amatori.
(Alfred Einstein)
Perché il K 172, più di tutti gli altri Viennesi, pone davanti a un bivio, quello
che, in tutte le arti, separa un autore di genere e un creatore. È la percezione di
questo rischio che imporrà a Mozart di non scrivere più quartetti per un lungo
periodo e di non dare alle stampe questi suoi lavori giovanili? Così che quando
lo saranno, dopo la pubblicazione nel 1785 della serie dedicata a Haydn, gli
«amatori» saranno sorpresi e si chiederanno se davvero è lo stesso
compositore ad aver scritto gli uni e gli altri?
Sandro Cappelletto
https://www.youtube.com/watch?v=NnHMQbAMwEM
https://www.youtube.com/watch?v=_Tyntym91D0
Dopo il Minuetto, con relativo Trio, si entra nel Finale che già dall'inizio
prospetta perentoriamente una forma fugata che verrà mantenuta con rigida
coerenza e altrettanta concisione fino alla fine. Il particolare sapore di questa
pagina è dovuto al marcato profilo cromatico discendente del tema, che con
divertente e divertita pedanteria, sembra costringere gli strumenti a un
continuo «da capo».
Giorgio Graziosi
https://www.youtube.com/watch?v=L9HlwFVU7D0
https://www.youtube.com/watch?v=Gix_p3Pw1gg
Haydn, dal canto suo, proprio dopo l'esecuzione di alcuni Quartetti di Mozart a
Vienna (episodio riferito nella lettera sopra citata), aveva pronunciato parole di
elogio per il suo amico, definito come una persona «che ha gusto e possiede la
più profonda scienza di comporre». Naturalmente Mozart, nonostante la
suggestione del modello haydniano, è riuscito a dare una impronta personale
ai suoi Quartetti, sia per la qualità delle idee che per le innovazioni di
linguaggio, nell'ambito di una esposizione rigorosamente tematica. Per questo
carattere originale, così diversificato dalla pratica quartettistica del tempo, non
c'è da meravigliarsi di alcuni giudizi poco favorevoli apparsi nella stampa
dell'epoca, come ad esempio quello della "Gazzetta Viennese" del 1787, dove
si dice: «Peccato che Mozart, nel lodevolissimo intento di diventare un
innovatore, si sia spinto troppo lontano, e non certo a vantaggio del
sentimento e del cuore. I suoi nuovi Quartetti sono troppo drogati e, a lungo
andare, nessun palato riesce a tollerarli». In realtà questi Quartetti, al di là
della densità del discorso sonoro e di alcune arditezze grammaticali, che
fecero arricciare il naso a qualche maestro contemporaneo (il compositore
Giuseppe Sarti arrivò persino a deplorare che «barbari assolutamente privi di
orecchio s'ostinassero a scrivere la musica»), racchiudono una gioiosità, una
spontaneità e una freschezza di espressione che sono i tratti tipici del genio
mozartiano.
Ennio Melchiorre
Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran mondo, stimò doverli
a!dare alla protezione, e condotta d'un uomo molto celebre in allora, il quale,
per buona sorte, era di più il suo miglior amico. Eccoti dunque del pari, uom
celebre, ed amico carissimo, i sei miei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una
lunga e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno
in parte compensata, m'incoraggisce, mi lusinga, che questi parti siano per
essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso amico carissimo,
nell'ultimo soggiorno in questa capitale, me ne dimostrasti la tua
soddisfazione. Questo tuo su"ragio mi anima sopra tutto, perché io te li
raccomandi, e mi fa sperare, che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo
favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente; ed esser loro padre, guida
ed amico! Da questo momento, io ti cedo i miei diritti sopra di essi: ti supplico
però di guardare con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi può
aver celati, e di continuar loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto
l'apprezza, mentre sono di tutto cuore.
Amico carissimo sincerissimo amico W.A. Mozart
Vienna, il primo settembre 1785
Una tale realtà si rivela in tutta la sua pienezza fin dalle prime battute del
Quartetto in sol maggiore K.387, primo della serie, dove l'a!nità e insieme
l'autonomia di Mozart nei confronti dell'illustre amico e mentore si coniugano
in esiti di assoluta autorità stilistica. In altre parole, prendendo le mosse da
modelli e stimoli haydniani (provenienti dalle serie più recenti dei Quartetti
editi dal maestro di Esterhàza, in particolare le op. 20 e 33, ossia gli splendidi
Sonnen e Russische Quartette) Mozart se ne discosta creando una dimensione
quartettistica tutta sua, vibrante di pathos e di tensioni drammatiche, in
un'articolazione armonica e polifonica senza precedenti e in una concezione
sonatistica profondamente diversa da quella espressa da Haydn. Ecco quindi la
densità e la rotondita della scrittura mozartiana prendere le distanze dal gusto
haydniano per il suono asciutto e puntuto, capricciosamente chiaroscurato.
Inoltre il lavorìo sul dato motivico, lungi dall'essere pervicace e totalizzante, si
concede le evasioni di un plastico bitematismo e di quelle esuberanti formule
cadenzali cui Mozart non rinuncerà neppure nelle opere della avanzata
maturità comprese le grandi Sinfonie, e che sussisteranno tra i gesti più
spiccati del suo stile strumentale. Sempre nell'Allegro vivace assai, la di"erente
armonizzazione cui viene sottoposta la replica testuale del secondo tema si
qualifica come tratto squisitamente personale, e altrettanto si dica della
spettacolarità (così antitetica alla discreta sobrietà haydniana) con cui viene
introdotta la ripresa mediante una sorta di arco trionfale, fabbricato con
frammenti dei materiali tematici utilizzati.
Correva l'anno 1781 quando Franz Joseph Haydn licenziava i sei quartetti per
archi dell'op. 33, che dichiarava di aver scritto «in una maniera speciale e del
tutto nuova». Queste composizioni, conosciute in seguito col nome di Quartetti
russi (dalla dedica al granduca Pavel Petrovic), si di"erenziavano notevolmente
dai quartetti d'archi che Haydn aveva scritto in precedenza. Non solo: l'op. 33
segnava a tal punto una pietra miliare - se non una vera rivoluzione - nel
genere del quartetto e nella storia della tecnica compositiva, che molti oggi la
fanno coincidere con l'inizio dello stile classico viennese vero e proprio. La
lezione di Haydn diede frutti immediati. A partire dall'anno successivo, quando
completò il Quartetto in sol maggiore K 387, Mozart compose sei quartetti per
archi, con un lungo processo di elaborazione che mostrò quanto aveva saputo
cogliere tutti i preziosi insegnamenti contenuti nei modelli haydniani. E fu
proprio ad Haydn che Mozart dedicò, al termine del lavoro nel 1785, la raccolta
dei suoi nuovi quartetti.
Per questi aspetti, Mozart aveva ben ragione di sostenere «da Haydn ho
imparato come si fanno i quartetti d'archi». Mozart, tuttavia, si spinge anche
oltre la lezione del maestro. La maggiore complessità di pensiero spinge verso
la dilatazione formale, ma anche verso scelte di struttura del tutto anomale. Si
ascolti il Menuetto, secondo tempo del Quartetto K 387. Nel suo tema
d'esordio e nelle idee secondarie si fa fatica a rintracciare lo spirito della danza
rococò. La complessità metrica sfugge alle facili simmetrie; gli sfasamenti
armonici, le dinamiche bizzarre (piano e forte si alternano a ogni singola nota)
contraddicono il decorso regolare degli accenti; il cromatismo si insinua in
tutte le parti. Ma ancora più notevoli sono l'ampiezza di concezione e la
complessità formale del movimento, che opera una commistione tra l'usuale
schema ternario del Minuetto (con un Trio in posizione centrale) e la forma
sonata: oltre a una sorta di esposizione con più idee tematiche, sono presenti
un embrionale sviluppo e una ripresa, con la riconduzione alla tonica delle idee
secondarie.
Claudio Toscani
Pur non seguendo Haydn nella sua profetica simpatia per lo Scherzo, il
Minuetto avanzato da Mozart in questo Quartetto non ha più nulla della
convenzionale danza settecentesca trapiantata dalla Suite per allietare la forma
della Sonata. Il cromatismo del tema principale e gli accenti dinamici richiesti
(note «piano» alternate a note «forte») testimoniano una estrosità
insolitamente irregolare; il Trio intermedio si presenta con drammatici trilli
all'unisono, poi riassorbiti in quel clima di malinconia che Schubert amerà
radunare nei Trii dei suoi Scherzi. Più di ogni altro tempo, l'Andante cantabile è
di una ampiezza di respiro inusitata, come confermano i tre temi impiegati in
esso. Il primo e il terzo sono di grande serenità e o"rono il pretesto a una fitta
rete di trasformazioni; ma la punta espressiva più a!lata è data dal secondo
tema, formato da una nota quattro volte ripetuta dal primo violino e poi sciolta
in una catena di sestine; come ha scritto Massimo Mila «è un momento di
assorta malinconia, di stanca solitudine dell'anima, dove il genio di Mozart si
stacca con un colpo d'ala dalle consuetudini del suo tempo e anticipa
favolosamente il crepuscolare intimismo brahmsiano, il suo senso di
autocompassione».
Giorgio Pestelli
Quartetto per archi n. 15 in re minore, K 421 (K 417b)
https://www.youtube.com/watch?v=yIli9mrMFSo
https://www.youtube.com/watch?v=bk-SfRPsKFE
Federico Pirani
In conformità alla tonalità di re minore (la tonalità del Concerto K. 466 e del
«Requiem»), il Quartetto K. 421 è percorso quasi interamente da una vena
tragica e patetica; il racconto della moglie Costanza, secondo cui l'opera
sarebbe nata nella notte dal 17 al 18 marzo 1783 mentr'essa metteva al
mondo il primo figlio di Mozart, e l'idea di Momigny di sovrapporre ad alcune
frasi del primo movimento le parole di un lamento di Didone, contribuiscono a
creare un «pathos» espressivo preromantico attorno a questa celebre opera. È
soprattutto nel primo Allegro che fiammeggiano i toni tragici, spinti secondo
Abert a tratti di «demoniaca espressione»; e il primo tema, nella sua nobile
ampiezza, col suo salto di ottava discendente e il fremito del trillo, sembra
quasi uscire da un'opera seria. Un carattere timidamente consolatorio si fa
strada nell'«Andante» successivo in fa maggiore, con caratteri di semplicità
quasi unici nel complesso così altamente formalizzato dei Quartetti dedicati ad
Haydn.
Giorgio Pestelli
https://www.youtube.com/watch?v=bkNWCx-2AbU
https://www.youtube.com/watch?v=LeKCvxB7GA8
Il Quartetto K. 428 è il terzo del gruppo di sei quartetti composti da Mozart tra
il 1782 e il 1785 e dedicati a Franz Joseph Haydn, che nel 1781 aveva scritto i
sei "Quartetti russi", cioè quelle composizioni alle quali l'artista salisburghese
si richiamò esplicitamente per elaborare e perfezionare questa di!cile e
complessa forma di musica da camera, che sarebbe stata portata ad un
altissimo livello da Beethoven. Del resto lo stesso Mozart, nella lettera di
dedica scritta in italiano e con la quale inviava umilmente in data 1° settembre
1785 i suoi quartetti a Haydn, lascia chiaramente intendere quale fosse il
rapporto di grande rispetto e di amicizia che lo legava al musicista austriaco.
«Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel grande mondo - scrive
Mozart - stimò di doverli a!dare alla protezione di un uomo molto celebre in
allora, il quale per buona sorte era di più il suo migliore amico. Eccoti del pari,
celebre uomo ed amico mio carissimo, i miei sei figli. Essi sono, è vero, il frutto
di una lunga e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più amici di vederla
almeno in parte compensata m'incoraggia e mi lusinga che questi lavori siano
per essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso, amico carissimo,
nell'ultimo tuo soggiorno in questa capitale me ne dimostrasti la tua
soddisfazione. Questo tuo su"ragio mi anima soprattutto, perché io te li
raccomandi e mi fa sperare che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo
favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente ed esser loro padre, guida
ed amico. Da questo momento io ti cedo i miei diritti sopra di essi, ti supplico
però di guardarne con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi
può aver celati, e di continuare, loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi
tanto l'apprezza, mentre son di cuore il tuo sincerissimo amico».
Haydn, dal canto suo, proprio dopo l'esecuzione di alcuni quartetti di Mozart a
Vienna (episodio riferito nella lettera sopra citata), aveva pronunciato parole di
elogio per il suo amico, definito come una persona «che ha gusto e possiede la
più profonda scienza di comporre». Naturalmente Mozart, nonostante la
suggestione del modello haydniano, è riuscito a dare una impronta personale
ai suoi quartetti, sia per la qualità delle idee che per le innovazioni di
linguaggio, nell'ambito di una esposizione rigorosamente tematica. Per questo
carattere originale, così diversificato dalla pratica quartettistica del tempo, non
c'è da meravigliarsi di alcuni giudizi poco favorevoli apparsi nella stampa
dell'epoca, come ad esempio quello della "Gazzetta Viennese" del 1787, dove
si dice: «Peccato che Mozart, nel lodevolissimo intento di diventare un
innovatore, si sia spinto troppo lontano, e non certo a vantaggio del
sentimento e del cuore. I suoi nuovi Quartetti sono troppo drogati e, a lungo
andare, nessun palato riesce a tollerarli». In realtà questi quartetti, al di là della
densità del discorso sonoro e di alcune arditezze grammaticali, che fecero
arricciare il naso a qualche maestro contemporaneo (il compositore Giuseppe
Sarti arrivò persine a deplorare che «barbari assolutamente privi di orecchio
s'ostinassero a scrivere la musica»), racchiudono una gioiosità, una
spontaneità e una freschezza di espressione che sono i tratti tipici del genio
mozartiano.
Generato, come s'è detto, da uno stimolo haydniano, l'Andante con moto si
sarebbe compiutamente configurato come la più ardita e avveniristica tra le
esplorazioni mozartiane sinora realizzate nell'ambito del suono quartettistico.
Il senso melodico del brano, in forma-sonata, non è a!dato a questo o a
quello strumento, ma scaturisce da un sapientissimo intreccio delle parti
costantemente immerse in una sonorità densa, so!ce e profonda: immediato e
impressionante, il richiamo all'opalescenza timbrica del Lento assai, cantabile e
tranquillo dell'op. 135 beethoveniana. All'estatica "melodia infinita",
profondamente venata di estenuatezze cromatiche, di questo secondo
movimento, segue con vivace contrasto un grandioso Minuetto d'impianto
chiaramente diatonico e d'invenzione tematica plastica e vigorosa, il cui Trio in
do minore non dovrà passare inosservato allo Schubert del Quartetto in la
minore D. 804. Anche nel conclusivo omaggio haydniano, un Allegro vivace in
forma di rondò-sonata, l'elaborazione tematica cede il posto all'esuberanza
motivica che invade con nuovi materiali le sezioni di sviluppo: ma la fusione
equilibratrice tra i due elementi avverrà soltanto nelle opere strumentali della
tarda maturità, toccando la perfezione negli ultimi due quintetti e nei tre
quartetti "prussiani".
Giorgio Pestelli
https://www.youtube.com/watch?v=LH2_0q5UnLw
https://www.youtube.com/watch?v=pYTuXWxNhxo
Mozart compose il primo dei suoi trenta Quartetti per archi a Lodi il 15 marzo
1770: aveva quattordici anni ed era al suo primo viaggio in Italia. Allora il
quartetto per archi era legato alle vecchie consuetudini e la musica da camera
non aveva una fisionomia strumentale ben precisa e adeguatamente
caratterizzata dal dialogo e nel rapporto fra i due violini, la viola e il
violoncello. Fu Haydn che diede impulso e sistemazione formale a questo
genere musicale, poi arricchito e reso più armonico e organico da Mozart, il
quale compose sei quartetti tra il 1782 e il 1785 e li dedicò ad Haydn con una
lettera divenuta famosa e scritta in italiano, che allora era la lingua dei
musicisti. I sei Quartetti, definiti da Mozart figli, sono: quello in sol maggiore
K. 387, quello in re minore K. 421, quello in mi bemolle maggiore K. 428,
quello in si bemolle maggiore K. 458, quello in la maggiore K. 464, e infine
quello in do maggiore K. 465, definito "Quartetto delle dissonanze" per alcune
arditezze armoniche insolite per quel tempo (siamo al 1785, ma Mozart
preannuncia soluzioni tecniche che diverranno usuali molto tempo dopo).
Il Quartetto in si bemolle maggiore K. 458 fu scritto a Vienna il 9 novembre
1784 e reca il sottotitolo "La caccia", attribuito forse dall'editore Artaria, per il
gusto un pò rustico del primo tema dell'Allegro assai vivace. Il discorso
musicale s'impone subito per varietà di passaggi strumentali sino ad una
cadenza su toni sfumati, indicata in partitura "calando, pianissimo". Il primo
violino espone un nuovo tema, molto cantabile e di carattere pastorale: viene
ripreso all'ottava superiore, su accompagnamento del secondo violino e con
l'appoggio della viola e del violoncello. Tra i quattro strumenti s'intreccia un
interessante gioco di imitazioni, con domande e risposte di squisita eleganza e
festosità espressiva. Viene proposta quindi una coda di tono brillante, iniziata
dai due violini e rilanciata dagli strumenti bassi. Segue un Minuetto moderato
dalla linea delicatamente melodica, così da far pensare ad un Andante. Il tema
del primo violino passa al secondo violino e alla viola nella tonalità di do
minore, mentre il violoncello disegna una modulazione in si bemolle minore,
così da creare un clima espressivo di misteriosa purezza musicale. Il gruppo
delle quattro note ascendenti si arresta sul re bemolle e apre la strada al
successivo Adagio in mi bemolle, dove tutto si svolge con semplicità di
straordinaria finezza estetica.
L'Allegro assai in 2/4 del finale è un rondò, annunciato dal primo violino e
rilanciato poi dagli altri strumenti in un gioco ritmico a più soggetti. Lo
sviluppo del dialogo a imitazioni è ben calcolato negli e"etti e termina con un
ritornello nella coda: ritornello analogo a quello terminale del primo
movimento, ma più lungo di due misure.
Tra i primi tre (in ordine di tempo) e i successivi Quartetti destinati a costituire
l'op. X, corre un intervallo di una quindicina di mesi, riempiti dalla
composizione, tacendo d'altro, dei primi grandi concerti viennesi per
pianoforte e di alcuni mirabili saggi di musica da camera con pianoforte. Il
Quartetto in si bemolle maggiore K.458 - quarto nell'ordine della
composizione, terzo in quello editoriale - deve lo spurio nomignolo "La caccia"
al ritmo binario composto, assegnato al primo tempo, ritmo che il codice
retorico della figuralità strumentale settecentesca collega a immagini
venatorie. Ma l'andamento e il carattere di questo brano fanno piuttosto
pensare alla distesa, fiorente amabilità "pastorale" di un suo futuro omologo
spirituale, il primo tempo del Trio in mi bemolle op, 70 n. 2 di Beethoven. La
sua unitarietà tematica è più apparente che reale, giacché, a di"erenza di
quanto avviene in Haydn, il tema iniziale e le sue figure complementari nel
corso del movimento si articolano in derivati provvisti di evidente autonomia
motivica. La novità, in questo sviluppatissimo primo tempo, è bensì costituita
dalla poderosa "coda", tra le più lunghe ed elaborate mai composte da Mozart,
aperta nei modi di uno "stretto", o piuttosto cadenza in tempo, mediante un
vigoroso canone alla quinta tra i due violini su pedale di dominante e conclusa
con una festosa apoteosi.
Giorgio Pestelli
https://www.youtube.com/watch?v=QM4ypK3SZHw
https://www.youtube.com/watch?v=7dPeChZbva0
https://www.youtube.com/watch?v=90iiADPzjcs
Mozart scrisse ben 26 Quartetti completi per archi, in cui sono racchiuse le
caratteristiche tecniche e stilistiche del compositore e soprattutto la sua
evoluzione nel fissare le regole di una forma tra le più di!cili di tutti i generi
musicali. Si sa che Mozart mosse inizialmente i primi passi nel dialogo a
quattro per archi tenendo presenti i modelli analoghi conosciuti durante il
viaggio in Italia tra il 1770 e il 1773, a cominciare dalla produzione di
Sammartini. Infatti il primo Quartetto in sol maggiore K. 80 fu composto la
sera del 15 marzo 1770 in una locanda di Lodi e risente dello strumentalismo
da camera italiano: la divisione in tre tempi (si ritiene in questo caso che il
rondò finale sia stato aggiunto posteriormente) e la preponderanza data ai due
violini rispetto alle parti del violoncello e della viola. Non per nulla i quartetti
immediatamente successivi K. 136, 137 e 138, composti a Salisburgo nei primi
mesi del 1772 e chiamati Divertimenti sul manoscritto, e i sei Quartetti K.
155-160, che recano il titolo di Milanesi, perché finiti di scrivere nell'autunno
dello stesso anno nella capitale lombarda, si articolano in tre tempi, come nella
sinfonia d'opera italiana: un allegro introduttivo o presto, un andante o adagio
e un minuetto o presto.
Più tardi, a partire dal 1773 e con i sei Quartetti dal K. 168 al K. 173, Mozart
comincia a subire il fascino della lezione di Haydn, considerato senza alcuna
riserva il suo maestro ideale. Dal 1782 in poi e con la pubblicazione nel 1785,
egli scrive la collana dei sei quartetti, che il catalogo del Koechel fa
corrispondere ai numeri 387, 421, 428, 458, 464 e 465, con quella famosa
dedica datata Vienna e rivolta ad Haydn, dove con estrema umiltà e sincero
rispetto è detto testualmente in italiano: «Al mio caro amico Haydn. Un padre,
avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran mondo, stimò doverli a!dare
alla protezione e condotta di un uomo molto celebre in allora, il quale per
buona sorte era per di più il suo migliore amico. Eccoti del pari, celebre uomo
ed amico mio carissimo, i miei sei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga
e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno in
parte compensata m'incoraggisce e mi lusinga che questi parti siano per
essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso, amico carissimo,
nell'ultimo tuo soggiorno in questa capitale me ne dimostrasti la tua
soddisfazione. Questo tuo su"ragio mi anima soprattutto, perché io te lo
raccomandi e mi fa sperare, che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo
favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente ed esser loro padre, guida
ed amico. Da questo momento io ti cedo i miei diritti sopra di essi, ti supplico
però di guardare con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi può
aver celati, e di continuar, loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto
l'apprezza, mentre son di cuore il tuo sincerissimo amico».
Per rendersi conto di come Mozart sia andato più lontano di Haydn nella
invenzione e nella costruzione quartettistica è opportuno ascoltare il Quartetto
in mi bemolle maggiore K. 428, composto durante l'estate del 1783 e ritenuto
tra i più indicativi del nuovo stile del musicista, contrassegnato da una
straordinaria eleganza e fluidità di scrittura, specie nel primo e nell'ultimo
tempo, in cui l'artista sembra superare certi schematismi formali e avventurarsi
in un gioco sonoro più libero e disincantato.
Per quanto riguarda il Quartetto in la maggiore K. 464 si può dire che esso
unisce rigore costruttivo a charme melodico di elegante fattura sin dal primo
Allegro, costruito su un solo tema, proposto dal primo violino e ripreso ed
elaborato dagli altri strumenti secondo un gioco di imitazioni. Il discorso si
allarga e passa dal tono maggiore a quello minore, assumendo una notevole
varietà di accenti e di atteggiamenti sonori, sino a giungere ad una coda
contrassegnata da un ritorno al tema fondamentale, che si conclude con un
ritornello in tempo forte di tre misure. Il Minuetto si svolge secondo le regole
delle antiche Cassazioni e Serenate e formalmente non presenta elementi di
rilievo nella intelaiatura a!data alle imitazioni. L'Andante può definirsi uno dei
migliori esempi dell'arte della variazione praticata da Mozart. Si tratta di cinque
variazioni sviluppate con stile contrappuntistico e in stretto rapporto tra
invenzione melodica e struttura armonica, così da valorizzare al massimo il
dialogo fra i diversi strumenti. L'Allegro finale inizia piano con la voce del
primo violino e poi man mano acquista brillantezza e spigliatezza di suono in
una successione di modulazioni e di cambiamenti di tonalità. Una forma fugata
si avverte nella chiusa, dove l'arte mozartiana scorre fluida e leggera, senza
dimenticare la quadratura e il rigore della forma quartettistica.
«Non v'è più alcuna parte che valga od esista per sé, ma ognuna rientra nel
tutto, da esso ricevendo significato, rango ed esistenza. Ma se si ritiene che il
tratto fondamentale della teoria della conoscenza kantiana stia nel fatto che in
luogo della natura subentra la norma, in luogo della sostanza la funzione,
allora si può con qualche diritto a"ermare che questo Quartetto in la maggiore
costituisce la «Critica della ragion pura» di Mozart. Togliendo ai temi la loro
conchiusa forma melodica, trasformando il singolo particolare in una coesione,
il limitato in una consecuzione ininterrotta, il sostanziale in funzionale, esso ha
fatto per la musica lo stesso che aveva fatto per la logica quell'opera terminata
quattro anni prima».
Giorgio Pestelli
https://www.youtube.com/watch?v=-n3XuT3hlXo
https://www.youtube.com/watch?v=Nwa7Di-NiiE
Ora, tutto ciò cade opportuno ricordare specie a proposito del sesto della
serie, tante furono invece le perplessità e lo scandalo che il suo Adagio
introduttivo suscitò dall'uscita alle stampe e ancora a lungo nell'Ottocento
persino presso i più fanatici mozartiani, guadagnando all'intero Quartetto il
denominativo di «Quartetto delle dissonanze».
L'arditezza dei rapporti armonici, istituiti dalla frase che il primo violino ripete
al principio, sussiste innegabile: tale anzi da considerarla oggi tra le prove
della modernità di Mozart. Senonchè una lettura orizzontale, ossia
contrappuntistica della pagina oltre a fornire la chiave del brano, permette
altresì di intravedere l'intento di un altro omaggio. Quello all'antica dottrina
tedesca simbolizzata da Bach, che a Mozart quanto a Haydn era stata rivelata
in Vienna dalle predilezioni del barone van Swieten appena pochi anni prima
del 1785. Infatti proporre al dedicatario l'intelligenza di «segreti sensi»
ermetici ad altri, non si limita nell'introduzione al sesto Quartetto all'introdurre
per il moto delle parti intervalli allora proibiti dalla sintassi armonica. Mentre il
brano si orienta gradualmente nei binari delle relazioni ammesse, l'incurvatura
ascendente della frase incriminata ha pure anticipato il profilo del primo tema
dell'Allegro. A sua volta un primo tempo brioso e limpido come pochi altri, e
nondimeno volto a testimoniare l'attualità del contrappunto nei termini del
«gusto» settecentesco, largamente alimentandosi del gioco delle imitazioni cui
da luogo quel primo tema.
Segue l'Andante cantabile che lo Jahn giudicherà il migliore dei movimenti lenti
quartettistici di Mozart per «bellezza e finezza di forma, profondità e intensità
d'espressione», e dove il canto permea il discorso dei quattro strumenti avanti
di espandersi con la nuova frase a!data al primo violino poco innanzi
l'epìlogo. Ma anche gli altri due tempi rivelano un impegno particolare.
Emilia Zanetti
Non è certo casuale che, per testimoniare stima ed amicizia ad Haydn, Mozart
abbia deciso di dedicargli proprio i sei nuovi Quartetti nati fra il dicembre 1782
e il gennaio 1785, con una celebre lettera redatta in lingua italiana (la lingua a
cui Mozart ricorreva per le dichiarazioni più solenni, sincere e confidenziali):
«Al mio caro amico Haydn, un Padre, avendo risòlto di mandare i suoi figlj nel
gran Mondo, stimo [sic] doverli a!dare alla protezione, e condotta d'un Uomo
molto celebre in allora, il quale per buona sorte, era di più il suo migliore
Amico. Eccoti dunque del pari, Uom celebre, ed Amico mio carissimo i sei miei
figlj - Essi sono, e [sic] vero il frutto di una lunga, e laboriosa fatica, pur la
speranza fattami da più Amici di vederla almeno in parte compensata,
m'incoraggisce, e mi lusinga, che questi parti siano per essermi un giorno di
qualche consolazione. Tu stesso Amico carissimo, nell'ultimo tuo Soggiorno in
questa Capitale, me ne dimostrasti la tua soddisfazione. Questo tuo su"ragio
mi anima sopra tutto, perché Jo te li raccomandi, e mi fa sperare, che non ti
sembreranno del tutto indegni del tuo favore. Piacciati dunque accoglierli
benignamente; ed esser loro Padre, Guida ed Amico! Da questo momento, Jo ti
cedo i miei diritti sopra di essi: ti supplico pero [sic] di guardare con
indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di Padre mi può aver celati, e di
continuar loro malgrado, la generosa tua Amicizia a chi tanto l'apprezza,
mentre sono di tutto Cuore, Amico Carissimo Il tuo Sincerissimo Amico W. A.
Mozart. Vienna il p.mo Settembre 1785».
Arrigo Quattrocchi
Giorgio Pestelli
https://www.youtube.com/watch?v=w6YQM87WgR8
https://www.youtube.com/watch?v=ywejv4rxGqw
Nel trattato sull'Estetica dell'arte musicale scritto negli anni Ottanta del
Settecento, ma pubblicato solo nel 1806, il teorico e musicista Christian
Friedrich Daniel Schubart ordinava le diverse tonalità in un sistema di
associazioni emotive. Seguendo gli esempi di una trattatistica preesistente,
Schubart procedeva da alcuni principi generali in base ai quali egli distingueva
tonalità "neutre", adeguate alla ra!gurazione dell'innocenza e della semplicità,
e tonalità "colorate". Queste ultime potevano adattarsi all'espressione di
sentimenti di forza e di fierezza, se prevedevano diesis in chiave, oppure alla
rappresentazione di stati d'animo particolarmente malinconici, se invece erano
contrassegnate dai bemolle. Procedendo dal generale verso il particolare,
Schubart trattava poi ogni singola tonalità e suggeriva associazioni di idee che,
se non possono certo guadagnare la dignità di una regola, sono comunque
ispirate dall'osservazione della letteratura musicale della sua epoca e
rispecchiano un modo di pensare allora molto radicato. Le associazioni
indicate da Schubart possono essere di aiuto per la comprensione e
l'interpretazione dei brani dai quali furono motivate, possono renderne più
accessibile il senso.
Con i suoi due unici Quartetti per archi composti nella tonalità di re maggiore,
Mozart percorre entrambe le strade associate a quella tonalità, in momenti che
corrispondono in parallelo all'evolversi del suo linguaggio. Il primo dei due
Quartetti risale al 1786, ovvero al periodo delle Nozze di Figaro e del massimo
successo raccolto da Mozart a Vienna. E' il Quartetto K. 499, indicato di solito
con il titolo di Quartetto Ho"meister, dal nome dell'editore che lo pubblicò a
Vienna sempre nel 1786. E' un brano dal tessuto compatto, non privo di
passaggi inquieti o di e!caci sospensioni (individuate dall'uso molto intenso
delle cosiddette cadenze "evitate"), ma sempre ispirato a una atmosfera di
serenità e di concordia "eterea e fiabesca", come ha sostenuto lo storico
Hermann Abert. Il Quartetto K. 575 è stato invece realizzato da Mozart nel
1789 e fa parte di un gruppo di tre lavori commissionati da Federico Guglielmo
II di Prussia (di qui il titolo di Quartetti Prussiani). Il brano è dominato dal
carattere particolarmente curato del materiale melodico, basato su idee ricche
di pathos e ancora riferibili a un contesto sentimentale influenzato dalla
ravvicinata composizione dell'opera Così fan tutte. Più frequente però è
L'emergere di una tinta malinconica, di un'ombra tanto più insinuante ed
e!cace, perché ottenuta con i medesimi e"etti sonori con i quali di solito si
dipingevano la festa e la gaiezza. La gravitazione intorno alll'impianto del re
maggiore ripropone costantemente il riflesso della propria luce e non consente
mai al Quartetto K. 575 di rabbuiarsi del tutto. L'e"etto malinconico deriva
piuttosto dalla promessa di una bellezza che non si rivela, dalla prefigurazione
di una felicità che non si ottiene, dalla tensione verso uno stato di risoluzione
sempre rimesso in questione dal carattere della melodia.
Partendo dunque da una base associativa analoga, i due Quartetti ricevono dal
loro autore una caratterizzazione profondamente diversa, ogni volta
emblematica di un passaggio attraversato da Mozart nello svolgimento del
proprio cammino artistico.
https://www.youtube.com/watch?v=SSMYgZiu518
https://www.youtube.com/watch?v=fNnDBKiEt5M
Mozart scrisse ben 26 Quartetti completi per archi, in cui sono racchiuse le
caratteristiche tecniche e stilistiche del compositore e soprattutto la sua
evoluzione nel fissare le regole di una forma tra le più di!cili di tutti i generi
musicali. Si sa che Mozart mosse inizialmente i primi passi nel dialogo a
quattro per archi tenendo presenti i modelli analoghi conosciuti durante il
viaggio in Italia tra il 1770 e il 1773, a cominciare dalla produzione di
Sammartini. Infatti il primo Quartetto in sol maggiore K. 80 fu composto la
sera del 15 marzo 1770 in una locanda di Lodi e risente dello strumentalismo
da camera italiano: la divisione in tre tempi (si ritiene in questo caso che il
rondò finale sia stato aggiunto posteriormente) e la preponderanza data ai due
violini rispetto alle parti del violoncello e della viola. Non per nulla i quartetti
immediatamente successivi K. 136, 137 e 138, composti a Salisburgo nei primi
mesi del 1772 e chiamati Divertimenti sul manoscritto, e i sei Quartetti K. 155
- 160, che recano il titolo di Milanesi, perché finiti di scrivere nell'autunno
dello stesso anno nella capitale lombarda, si articolano in tre tempi, come nella
sinfonia d'opera italiana: un allegro introduttivo o presto, un andante o adagio
e un minuetto o presto.
Più tardi, a partire dal 1773 e con i sei Quartetti dal K. 168 al K. 173, Mozart
comincia a subire il fascino della lezione di Haydn, considerato senza alcuna
riserva il suo maestro ideale. Dal 1782 in poi e con la pubblicazione nel 1785,
egli scrive la collana dei sei quartetti, che il catalogo del Koechel fa
corrispondere ai. numeri 387, 421, 428, 458, 464 e 465, con quella famosa
dedica datata Vienna e rivolta ad Haydn, dove con estrema umiltà e sincero
rispetto è detto testualmente in italiano: «Al mio caro amico Haydn. Un padre,
avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran mondo, stimò doverli a!dare
alla protezione e condotta di un uomo molto celebre in allora, il quale per
buona sorte era per di più il suo migliore amico. Eccoti del pari, celebre uomo
ed amico mio carissimo, i miei sei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga
e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno in
parte compensata m'incoraggisce e mi lusinga che questi parti siano per
essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso, amico carissimo,
nell'ultimo tuo soggiorno in questa capitale me ne dimostrasti la tua
soddisfazione. Questo tuo su"ragio mi anima soprattutto, perché io te li
raccomandi e mi fa sperare, che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo
favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente ed esser loro padre, guida
ed amico. Da questo momento io ti cedo i miei diritti sopra di essi, ti supplico
però di guardare con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi può
aver celati, e di continuar, loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto
l'apprezza, mentre son di cuore il tuo sincerissimo amico ».
Per rendersi conto di come Mozart sia andato più lontano di Haydn nella
invenzione e nella costruzione quartettistica è opportuno ascoltare il Quartetto
in mi bemolle maggiore K. 428, composto durante l'estate del 1783 e ritenuto
tra i più indicativi del nuovo stile del musicista, contrassegnato da una
straordinaria eleganza e fluidità di scrittura, specie nel primo e nell'ultimo
tempo, in cui l'artista sembra superare certi schematismi formali e avventurarsi
in un gioco sonoro più libero e disincantato.
Un senso di felicità creativa si sprigiona sin dal primo movimento del Quartetto
K. 575, il cui tema principale così cordialmente espansivo si sviluppa tra
molteplici risvolti armonici di piacevole e"etto musicale. L'Andante è costruito
su una frase dolcemente cantabile, sul tipo della romanza; la tessitura
melodica presenta una certa analogia con i Lied per canto e pianoforte K. 476
«Das Veilchen» (La violetta), su testo di Goethe. Il Minuetto sorprende per la
singolarità degli accenti ritmici, così frizzanti nella loro mutevolezza sonora. Il
Trio è contrassegnato da una tenera melodia nella tessitura alta del violoncello.
Il finale è un rondò il cui tema viene ampliato e variato ad ogni ripresa secondo
il gusto inventivo autenticamente mozartiano. E pensare che i Quartetti
prussiani erano costati tanta fatica a Mozart: lo scrisse lo stesso compositore
al fedele amico Puchberg, quando, costretto dalla necessità e tormentato dalla
cattiva salute, si vide costretto a cederli per una somma irrisoria di denaro
all'editore Artaria di Vienna.
Nel trattato sull'Estetica dell'arte musicale scritto negli anni Ottanta del
Settecento, ma pubblicato solo nel 1806, il teorico e musicista Christian
Friedrich Daniel Schubart ordinava le diverse tonalità in un sistema di
associazioni emotive. Seguendo gli esempi di una trattatistica preesistente,
Schubart procedeva da alcuni principi generali in base ai quali egli distingueva
tonalità "neutre", adeguate alla ra!gurazione dell'innocenza e della semplicità,
e tonalità "colorate". Queste ultime potevano adattarsi all'espressione di
sentimenti di forza e di fierezza, se prevedevano diesis in chiave, oppure alla
rappresentazione di stati d'animo particolarmente malinconici, se invece erano
contrassegnate dai bemolle. Procedendo dal generale verso il particolare,
Schubart trattava poi ogni singola tonalità e suggeriva associazioni di idee che,
se non possono certo guadagnare la dignità di una regola, sono comunque
ispirate dall'osservazione della letteratura musicale della sua epoca e
rispecchiano un modo di pensare allora molto radicato. Le associazioni
indicate da Schubart possono essere di aiuto per la comprensione e
l'interpretazione dei brani dai quali furono motivate, possono renderne più
accessibile il senso.
Nel contesto individuato da Schubart, la tonalità di re maggiore era la più
brillante, ma anche quella con la quale potevano più facilmente trovar voce
l'adulazione, l'inganno o la volontà di mascherare i propri sentimenti. In
ambito orchestrale l'uso del re maggiore dava luogo a una particolare vivacità e
si prestava all'impiego degli strumenti "da fanfara", ovvero dei corni, delle
trombe e delle percussioni. Per questo era indicata per le occasioni di festa,
per le cerimonie, come lo stesso Leopold Mozart scrisse al figlio Wolfgang nel
1782, con la raccomandazione di scrivere proprio in re maggiore una Serenata
per la famiglia Ha"ner, di Salisburgo, brano che in seguito sarebbe stato
trasformato nella Sinfonia K. 385. Congeniale agli strumenti ad arco a causa
della posizione delle mani, la tonalità di re maggiore acquistava in ambito
cameristico un tratto più ambiguo, meno unilateralmente festoso. La superficie
brillante del timbro sonoro poteva lasciarsi increspare da un diverso modo di
elaborazione della melodia, da un fraseggio più sinuoso e meno a"ermativo,
portando verso la dimensione di un'espressione più intima e raccolta, più
frequentemente percorsa da dubbi e ripensamenti.
Con i suoi due unici Quartetti per archi composti nella tonalità di re maggiore,
Mozart percorre entrambe le strade associate a quella tonalità, in momenti che
corrispondono in parallelo all'evolversi del suo linguaggio. Il primo dei due
Quartetti risale al 1786, ovvero al periodo delle Nozze di Figaro e del massimo
successo raccolto da Mozart a Vienna. E' il Quartetto K. 499, indicato di solito
con il titolo di Quartetto Ho"meister, dal nome dell'editore che lo pubblicò a
Vienna sempre nel 1786. E' un brano dal tessuto compatto, non privo di
passaggi inquieti o di e!caci sospensioni (individuate dall'uso molto intenso
delle cosiddette cadenze "evitate"), ma sempre ispirato a una atmosfera di
serenità e di concordia "eterea e fiabesca", come ha sostenuto lo storico
Hermann Abert. Il Quartetto K. 575 è stato invece realizzato da Mozart nel
1789 e fa parte di un gruppo di tre lavori commissionati da Federico Guglielmo
II di Prussia (di qui il titolo di Quartetti Prussiani). Il brano è dominato dal
carattere particolarmente curato del materiale melodico, basato su idee ricche
di pathos e ancora riferibili a un contesto sentimentale influenzato dalla
ravvicinata composizione dell'opera Così fan tutte. Più frequente però è
L'emergere di una tinta malinconica, di un'ombra tanto più insinuante ed
e!cace, perché ottenuta con i medesimi e"etti sonori con i quali di solito si
dipingevano la festa e la gaiezza. La gravitazione intorno alll'impianto del re
maggiore ripropone costantemente il riflesso della propria luce e non consente
mai al Quartetto K. 575 di rabbuiarsi del tutto. L'e"etto malinconico deriva
piuttosto dalla promessa di una bellezza che non si rivela, dalla prefigurazione
di una felicità che non si ottiene, dalla tensione verso uno stato di risoluzione
sempre rimesso in questione dal carattere della melodia.
Partendo dunque da una base associativa analoga, i due Quartetti ricevono dal
loro autore una caratterizzazione profondamente diversa, ogni volta
emblematica di un passaggio attraversato da Mozart nello svolgimento del
proprio cammino artistico.
Stefano Catucci
https://www.youtube.com/watch?v=hW6YZ_AZX80
https://www.youtube.com/watch?v=kk89E0jkXE4
Gli ultimi anni del grande salisburghese hanno attirato spesso l'attenzione dei
biografi, per una somma di vicende esterne ed interne, contrassegnate
dall'assillante mancanza di denaro e da una intensa attività creatrice tra opere
teatrali, oratoriali, musiche di "consumo" (Minuetti, Controdanze, Ländler ecc.)
e cameristica. Appartengono a questa estrema stagione creativa gli ultimi
Quartetti per archi, K. 575, 589 e 590, detti "prussiani" per essere nati su
commissione di Federico Guglielmo II, re di Prussia, che in verità ottenne solo
tre dei sei Quartetti desiderati. Wolfgang a sua volta ne ottenne vantaggi
sociali e finanziari minori di quelli su cui contava: un cofanetto con 100
monete d'oro e un "regale" biglietto di ringraziamento.
Nel caso precipuo del Quartetto in programma questa sera c'è da rilevare
l'arricchimento della scrittura polifonico-contrappuntistica, conseguente alla
riscoperta della lezione bachiana - sulla scorta della missione restauratrice del
barone Gottfried van Swieten - insieme a una più intensa tramatura del gioco
tematico. Tra l'altro è significativo che l'incipit tematico che apre questo
Quartetto assurge a nucleo tematico del Rondò Finale, seppur ritmicamente
variato, e altrettanto si riscontra nei movimenti estremi degli altri due Quartetti
Prussiani. Un ulteriore elemento distintivo che accomuna questo ciclo di
Quartetti è d'indole per così dire "somatica": il tema è in tutti enunciato dal
violoncello, con una stesura virtuoslstica, e la presenza di questo strumento è
quasi paritetica rispetto a quella degli altri archi - un cortese, per non dire
doveroso, atto di riconoscimento a favore del regale committente e del suo
hobby di dilettante violoncellista, secondo il costume culturale settecentesco.
Guido Turchi
Gli ultimi quartetti composti da Mozart sono i tre detti "Prussiani" (K. 575, K.
589, K. 590) del 1789-90. La genesi di questi tre ultimi lavori (e quindi il loro
soprannome) va fatta risalire al viaggio di un paio di mesi intrapreso nell'aprile
1789 insieme al principe Karl Lichnowsky, suo amico, allievo e confratello
massone, alla volta di Berlino, con puntate a Praga, Dresda e Lipsia. Mettendosi
in viaggio Mozart sperava soprattutto di riuscire a ottenere qualche incarico
dal re di Prussia Friedrich Wilhelm II, amante della musica e buon violoncellista
dilettante; ma non fu così.
Come detto, il Quartetto K. 589, presenta due volti distinti: al rilievo assunto
dal violoncello nei primi due movimenti si contrappone la maggiore
omogeneità di scrittura degli ultimi due tempi: curiosa è la struttura
asimmetrica del Menuetto (Moderato) fagocitato da un Trio di dimensioni quasi
doppie; ricco di fascino è l'Allegro assai conclusivo che nella sua folgorante
brevità attinge di nuovo alla sapienza contrappuntistica dei lavori dedicati ad
Haydn.
Carlo Cavalletti
https://www.youtube.com/watch?v=NN0ZKZ274t4
https://www.youtube.com/watch?v=ntZ8i4ZhfAE
Arrigo Quattrocchi
https://www.youtube.com/watch?v=j-68BMs2c1c
https://www.youtube.com/watch?v=MGLBlHOwbww
Mozart diede mano al suo primo Quintetto, in si bemolle maggiore (K. 174) a
Salisburgo, nella primavera del 1773 in un momento cruciale della propria
esperienza di autore di musica cameristica; non appena, cioè, dopo avere
concluso la prima serie dei suoi Quartetti, concepiti nell'ambito stilistico e
spirituale di una galanteria italiana già più immaginaria che puntuale, e poco
prima di dare inizio alla seconda, quella sollecitata dalla rivelazione haydniana.
Con tutto ciò, la composizione di un Quintetto dovette rappresentare per il
diciassettenne «Konzertmeister» dell'arcivescovo Colloredo, un impegno meno
gravoso o, come oggi si direbbe, un «problema» facile a risolvere. Mozart
sapeva troppo bene, infatti, che, nel casellario dei «generi» alla cui devozione
era cresciuto non meno che a quella delle Madonne e dei Santi vestiti come
eroi da opera seria e collocati sui rispettivi altari del suo bel Duomo barocco, il
Quintetto occupava una posizione che potremmo definire confidenziale, a
metà strada tra il divertimento, la serenata, la sinfonia; con in più, a solleticare
il suo estro già precocemente votato al sublime gioco del concerto, una certa
quale smanicatura solistica, tipica del primo violino e della prima viola. Già
Boccherini, amabile imperatore d'occidente nel dominio europeo della musica
da camera per archi, (laddove Haydn occupava l'altro e ben più duraturo trono)
aveva coltivato da par suo, accanto al più «dotto» e impegnato Quartetto, sorta
di tesi di laurea per ogni compositore che volesse prodursi con le carte in
regola, il più lieve e svagato Quintetto, scapricciandosi nei galanti conversari
concertanti tra il primo violino e il primo violoncello (suonato dallo stesso
compositore) o la prima viola. Anziché al perfetto equilibrio cameristico
boccheriniano, Mozart preferì adeguarsi al (se così possiamo chiamarlo)
ibridismo stilistico del concittadino Michael Haydn, il minor fratello di Franz
Joseph e il solo che potesse in quel momento o"rire al giovanissimo
competitore dei modelli da imitare. Il primo Quintetto nasce così in un clima di
tranquillo compromesso con la serenata e il divertimento, «generi» nei quali
Mozart già si era fatta la mano, e la sinfonia di tipo «milanese», anch'essa
ampiamente sperimentata. Ma neppure BoCcherini viene trascurato:
boccheriniani, nel primo tempo, sono i sistematici scambi tematici tra primo
violino e prima viola, mentre gli altri strumenti fanno da sfondo. Senonchè
l'intimità e la delicatezza squisitamente cameristiche dei Quartetti «milanesi»
ed anche le loro occasionali ma siritomatiche incidenze «dotte» sono
accantonate per una scrittura più brillante e chiassosa, più che tollerante di
un'eventuale dilatazione «ad libitum» dell'organico strumentale. Anche lo
squisito Adagio con sordini, nonostante una maggior animazione del dialogo
tra i cinque archi, e più il Minuetto, con i suoi e"etti d'eco, tipici della serenata,
risentono di codesta atmosfera en plein air; mentre alla sinfonia fanno più
pensare la vastità d'impianto, e l'ambiziosa elaborazione del Finale in forma
sonata, alle cui architetture concorrono tre fondamentali elementi tematici. Si
tratta della parte più importante del giovanile Quintetto: consapevole di ciò,
Mozart volle in seguito rielaborarla profondamente e arricchirla di una vigorosa
coda, ciò che avvenne dopo l'esperienza haydniana dei Quartetti K. 168 - 173.
https://www.youtube.com/watch?v=qk0MV_cJfvQ
https://www.youtube.com/watch?v=pGe4o2jk2-E
Allegro (do minore)
Andante (mi bemolle maggiore)
Minuetto in canone e trio (do minore)
Trio in canone al rovescio (do maggiore)
Allegro (do minore)
https://www.youtube.com/watch?v=VI7WBFPqTWg
https://www.youtube.com/watch?v=wlF_6XhAzBQ
https://www.youtube.com/watch?v=9C2pxoUc3Ls
Sembra che Franz Joseph Haydn - personaggio fondamentale nella storia del
quartetto per archi e autore, più in generale, di una sterminata produzione
cameristica - a chi gli chiedeva perché non avesse mai scritto quintetti per
archi rispondesse candidamente: «Nessuno me li ha mai chiesti». Questa
semplice giustificazione, che alcuni portano ad esempio lampante del modus
operandi del compositore di corte settecentesco, in realtà è valida fino a un
certo punto. Neanche a Mozart - per quanto ne sappiamo - fu mai chiesto
espressamente di scrivere quintetti, eppure compose cinque lavori originali del
genere e adattò per questo particolare organico una sua Serenata per fiati.
In e"etti al tempo di Haydn e Mozart anche il quintetto per archi era un genere
nuovo che faticava non poco a ritagliarsi un suo spazio a fianco del quartetto,
che invece proprio in quegli anni si andava imponendo come la forma principe
della musica da camera. Al compositore in procinto di scrivere un quintetto si
presentavano due alternative per integrare la formazione del quartetto:
aggiungere una seconda viola o aggiungere un secondo violoncello.
Tralasciando Myslivecek - i cui Quintetti, pubblicati a Parigi nel 1768, erano in
realtà trascrizioni delle sue Sinfonie concertanti op. 2 - i primi autori a
dedicarsi al quintetto per archi, al principio degli anni Settanta, furono Michael
Haydn a Salisburgo e - sorpresa - Luigi Boccherini in Spagna. Boccherini,
violoncellista, fra il 1771 e il 1795 compose ben 113 Quintetti con due
violoncelli (e proprio uno di questi, il Quintetto in mi maggiore op. 13 n. 5,
contiene il famigerato Minuetto), quindi, tra il 1797 e il 1802, scrisse i suoi soli
24 Quintetti con due viole. Invece Michael Haydn e poi Mozart preferirono
decisamente la forma con due viole.
L'interesse di Mozart per questa singolare formazione cameristica era dovuto
probabilmente proprio al rilievo assunto dal timbro della viola, strumento a lui
particolarmente caro, e ai possibili giochi simmetrici tra le due coppie di violini
e di viole, unite o contrapposte al violoncello. Proprio grazie a queste possibili
simmetrie la scrittura a cinque parti gli si presentava assai più agevole e
naturale di quella a quattro, nella quale per sua stessa ammissione - per
quanto ci possa sembrare inimmaginabile l'idea di un Mozart "in di!coltà" nel
comporre - riuscì a conquistare la piena maturità solo attraverso «una lunga e
laboriosa fatica». Tuttavia i sette frammenti per quintetto d'archi a noi
pervenuti, risalenti tutti al periodo 1787-1791, testimoniano la cura e lo studio
dedicati da Mozart anche a questo genere.
Caratteristiche che nel Quintetto K. 515 risultano evidenti non solo nelle
dimensioni complessive del brano (si tratta del più lungo brano cameristico
mozartiano in quattro movimenti), ma, nell'Allegro iniziale, nell'estensione
irregolare del primo tema (cinque battute invece delle tradizionali quattro) che
viene ripetuto tre volte, nelle modulazioni a cui viene sottoposto fino ad
approdare al remoto do minore, e nella densa scrittura contrappuntistica.
Anche se il manoscritto mozartiano prosegue con un Andante, l'edizione a
stampa lo fa precedere da un Minuetto caratterizzato anch'esso da complesse
strutture ritmiche (frasi di dieci battute) e da un notevole cromatismo, mentre
l'Andante è incentrato su un intenso dialogo dal tono doloroso tra il violino e la
viola. Il Quintetto si chiude con un ampio Allegro contrappuntistico, nella
forma mista di rondò e forma-sonata tante volte utilizzata da Mozart nei
movimenti conclusivi.
Per quanto ci è dato sapere, né il Quintetto in do maggiore né il suo gemello in
sol minore, che noi oggi consideriamo tra i massimi capolavori in campo
cameristico, furono scritti su commissione. Nell'aprile del 1787, mentre
lavorava al Don Giovanni, Mozart si trovò in gravi di!coltà economiche e per
trarsi d'impaccio decise di mettere momentaneamente da parte l'opera per
scrivere rapidamente «un paio di cose da pubblicare». Il fatto che la sua scelta
sia caduta sull'insolito genere del quintetto per archi (piuttosto che su quelli,
assai più graditi ai dilettanti - e quindi vendibili - della sonata e delle
variazioni per pianoforte o per violino e pianoforte) e che il livello di
complessità tecnica e artistica dei due straordinari Quintetti che ne nacquero
trascenda completamente le possibilità e le aspettative del più volenteroso dei
dilettanti fornisce un'ulteriore conferma dell'incapacità di Mozart di adeguarsi
alle richieste di quella che Boccherini chiamava la «speculazione mercantile».
Un'incapacità che negli ultimi anni della sua vita produsse un tragico
scollamento tra lui e il pubblico, che non riusciva a perdonargli - per dirla con
il corrispondente viennese del «Cramers Magazin der Musik» di Amburgo - la
sua «spiccata tendenza per il di!cile e l'insolito». Tanto è vero che, pur
essendo o"erti in sottoscrizione a 4 ducati «corretti e ben scritti» per quasi
due anni nel negozio dell'amico Michael Puchberg, i due Quintetti K. 515 e K.
516 non furono acquistati da nessuno.
Mozart però sembrò non dare troppa importanza a questo insuccesso e poco
dopo riprese la più atipica e sconvolgente delle sue Serenate per fiati - quella
in do minore K. 388/384a - e la trascrisse per quintetto d'archi, dando vita al
Quintetto in do minore K. 406/516b. Quindi concluse la serie dei suoi Quintetti
con il Quintetto in re maggiore K. 593, del 1790, e il Quintetto in mi bemolle
maggiore K. 614, del 1791. Ma la perseveranza di Mozart nel cercare di
promuovere il quintetto per archi non fu ripagata: se il K. 515 e il K. 516
restarono invenduti nel negozio di Puchberg, il K. 406/516b, il K. 593 e il K.
614 - come pure il giovanile K. 174 - furono pubblicati solo dopo la sua
morte. Evidentemente Haydn aveva ragione: nessuno, nella Vienna di quel
periodo, chiedeva quintetti per archi. L'unico che sembrava non saperlo era
Mozart.
Carlo Cavalletti
Il capitolo dei grandi Quintetti mozartiani s'apre infine tra l'aprile e il maggio
del 1787 con due capolavori profondamente a!ni, nella loro diversità di
struttura e di temperie a"ettiva: li accomuna il prodigioso fiotto d'ispirazione
da cui paiono essere sgorgati in uno stato di grazia artistico e di pienezza
espressiva eccezionale per lo stesso Mozart - ed è tutto detto - e non
altrimenti paragonabile se non a quello che guidò la mano del compositore
nella creazione del coevo Don Giovanni. La totalità dell'humanitas mozartiana
si identifica, quindi, nei due volti dell'unica divinità che ha nome fato. Neppur
l'ombra della certezza volontaristica beethoveniana, nell'ampia, quasi gestuale
a"ermazione tonale che apre il primo dei due Quintetti gemelli, quello in do
maggiore K. 515; di già ogni sicurezza viene smentita nell'immediata e
imprevedibile riproposta in do minore del tema, che progressivamente
sprofonda in un remoto re bemolle maggiore per riemergere, poco dopo, in re
maggiore, aprendo la strada alla seconda idea, sinuosa e scorrevole, la cui
forza d'espansione melodica risiede più nel respiro e nel movimento che nella
configurazione intervallare. Primo e secondo tema si suddividono la
responsabilità dello sviluppo, e la ripresa ha termine con un'imponente ed
elaborata coda in forma e con caratteri di «stretto»: non c'era motivo alcuno
perché tali cose, tradizionalmente riservate all'aulico Quartetto secondo l'alto
esempio Haydn, fossero escluse al Quintetto. Il quale, di tutto suo, conserva in
Mozart la caratteristica degli elementi concertanti. Se, infatti, primo violino e
violoncello erano stati i protagonisti del dialogo tematico nel primo tempo,
primo violino e prima viola - dopo l'intermezzo costituito da un Minuetto
intriso di ambigua mestizia - intrecciano le loro voci nell'Andante aperto alle
più soavi lusinghe consolatorie. La letizia liberatrice e"usa dai gruppetti e dalle
volate belcantistiche dei due strumenti in amoroso colloquio non passerà
inascoltata al Beethoven degli ultimi Quartetti, il quale donerà a#ato
trascendentale al tutto umano di Mozart. Ambiguità e mistero stringono da
ogni lato le gioie illusorie del Finale, pullulante di mirabili melodie la cui quasi
provocatoria innocenza è vanificata dalla profondità degli orizzonti elaborativi
che dischiudono immediatamente dietro di sé: come avverrà per la «Jupiter», la
neutra superficie del do maggiore mozartiano non promette facili certezze, ma
cela grandiose incognite.
https://www.youtube.com/watch?v=-RWsgnZZrZQ
https://www.youtube.com/watch?v=vmPou8cPLjY
https://www.youtube.com/watch?v=AuTietdX1cM
Alla formazione del quintetto d'archi Mozart dedicò sei lavori, che per molti
aspetti costituiscono uno dei vertici della sua produzione cameristica, nonché
della intera letteratura strumentale per archi soli. La complessità del contenuto
musicale di questi Quintetti è dovuta al fatto che essi videro la luce in un'epoca
nella quale la musica per soli archi era destinata alla pratica strumentale e
all'ascolto dei cosiddetti "intenditori"; era, insomma, una musica alla quale
veniva "naturalmente" attribuito un contenuto musicale più "alto" ed elaborato
rispetto alla musica da camera con pianoforte o con strumenti a fiato.
Ha osservato Charles Rosen che Mozart si dedicò alla formazione del quintetto
«sempre subito dopo avere composto una serie di Quartetti, come se
l'esperienza fatta con quattro strumenti lo avesse messo in grado di accostarsi
a un organico più ricco». La scrittura impiegata nei Quintetti è infatti
essenzialmente simile a quella dei Quartetti; in particolare, nelle opere mature,
Mozart fece uso della scrittura peculiare e quintessenziale dello stile classico,
che presuppone un ruolo egualitario di ogni strumento, ottenuto però non
secondo la totale indipendenza melodica delle voci l'una dall'altra - propria del
vecchio stile contrappuntistico - ma secondo un calibrato dialogo degli
strumenti, che alternano ciascuno reciprocamente la funzione melodica a
quella di accompagnamento, muovendo dall'elaborazione dello stesso
materiale tematico.
Conquistato dopo complesse sperimentazioni, e impiegato per la prima volta
nei sei Quartetti dedicati a Haydn, questo tipo di scrittura rispondeva in modo
eccelso al problema proprio della formazione cameristica per archi: quello di
ricercare una varietà coloristica all'interno di un timbro monocromo. In questa
prospettiva l'organico a cinque strumenti consentiva al compositore una
ricchezza di soluzioni sensibilmente maggiore rispetto a quella del quartetto
(ad esempio due strumenti "melodici" contro tre di "accompagnamento", o
viceversa, nelle più varie combinazioni strumentali). L'uso di un numero
maggiore di strumenti si ripercuoteva anche sulla costruzione interna delle
composizioni, più nitida e articolata. In gran parte al magistrale impiego di
queste caratteristiche "tecniche" spetta il posto occupato dai Quintetti nella
produzione mozartiana: quello dei risultati più compiuti all'interno dello stile
più complesso e ra!nato di una intera civiltà musicale.
Nel gruppo dei Quintetti di Mozart le due partiture che portano al grado di
maggiore complessità le peculiarità della scrittura quintettistica sono i due
Quintetti K. 515 e 516. Nate nel 1787 in vista di una vendita per
sottoscrizione, le due composizioni videro la luce, quando Mozart aveva già
compiuto piena esperienza (con i sei Quartetti dedicati a Haydn e con il
Quartetto "Ho"meister" K. 499) del nuovo stile quartettistico, del quale i nuovi
Quintetti sono - come si è osservato - una applicazione più articolata sotto il
profilo dell'equilibrio strumentale e formale. I due lavori devono essere
considerati come gemelli, dal momento che esplorano, con due risultati distinti
e fra loro complementari, gli stessi principi di grandi ambizioni strutturali e
profondità di contenuti.
Arrigo Quattrocchi
Il Quintetto in sol minore K 516 rappresenta senza dubbio uno dei vertici
assoluti della produzione cameristica mozartiana. Scritto nella palpitante
tonalità di sol minore raccoglie un coacervo di drammaticità e inquietudini
uniti a un'aspirazione alta. I materiali sono raccolti in una scrittura densa,
ra!nata che esalta le potenzialità espressive e tecniche degli archi. Nell'Allegro
spicca il tema principale dal profilo cromatico e discendente, talvolta
"tinteggiato" con il colore della struggente sesta napoletana di Paisiello e
Piccinni, lasciato al violino-viola e sostenuto dialogicamente dal gruppo. Ma
proprio il procedimento di passaggio da esso agli altri elementi tipico della
forma sonata, straordinariamente progressivi, molto ci dicono sulla temperie
che Mozart vuole imprimere alla partitura. Concluso il primo tema esso, infatti,
si trasforma in modo continuo e trapassa prima a una frase conclusiva, poi alla
frase-ponte modulante; gli elementi di quest'ultimo, a loro volta, proseguono e
coincidono con il secondo tema, che viene come "mascherato" dal
mantenimento del tono di sol minore e poi si riverbera, come un'ombra, su
altre tinte; solo lentamente il secondo tema si profila e inizia a distinguersi più
netto, tanto che dopo questo percorso meraviglioso e so"erto si staglia al
caratteristico si bemolle maggiore, il tono relativo maggiore, concluso da un
dardeggianti epilogo e da belle codette. Queste modalità di scrittura molto ci
dicono sulla volontà di allineare i tratti tematici che indicano probabilmente
l'idea di mantenere un parametro comune unico: quello della drammaticità
persino in elementi solitamente antitetici. Dopo che nello sviluppo sono
sfruttati gli elementi motivici sia del primo che del secondo tema attraverso
serrate imitazioni, passi discendenti e in genere una ricerca di ombreggiature
scure (timbri gravi, giochi di dissonanze, dinamiche sferzanti) ecco la libera
ripresa del materiale, ancora ricca di inquietudine e contrasti sonori.
Marino Mora
https://www.youtube.com/watch?v=aDt11KRpKBE
https://www.youtube.com/watch?v=7tXKFycIpsI
https://www.youtube.com/watch?v=Z6PFbWPkos0
Nel catalogo delle opere di Mozart la formazione del Quintetto d'archi, con
l'aggiunta di una seconda viola al gruppo classico del Quartetto, è presente
con sei lavori. Quello in re maggiore K. 593 - composto nel dicembre 1790 - è
il penultimo della serie e apre la strada ai capolavori dell'ultimo anno di vita di
Mozart, mettendo a frutto le recenti conquiste cameristiche in una sorta di
"tardo stile" insieme decantato e ricco di nuove implicazioni formali. Rispetto
alla coppia dei Quintetti K. 515 in do maggiore e K. 516 in sol minore, il primo
luminoso e festoso, il secondo drammatico e inquieto, il Quintetto K. 593 si
segnala per una maggiore pensosità, soprattutto negli episodi lenti, nei quali
Mozart sembra voler dar voce ad accorati messaggi dell'anima, e per un uso
tanto severo quanto spontaneo del contrappunto: come se, in una giocosa
astrazione virtuoslstica, ne venissero profusi e insieme cristallizzati senza
artificio i principi costruttivi più naturali.
Fin dalla prima pubblicazione - apparsa nel 1793, dunque dopo la morte di
Mozart, dall'editore viennese Artaria - il Quintetto in re maggiore recava una
misteriosa indicazione: «composto per un Amatore Ongarese». Si trattava di un
ricco commerciante di nome Tost, appassionato melomane e suonatore per
diletto di violino, che Mozart aveva conosciuto nell'ambito della Massoneria.
Questa circostanza esterna aiuta a capire la virata che si compie nel Finale del
Quintetto verso un tono più leggero e d'impronta popolare, "all'ungherese",
secondo la moda del tempo. Una figurazione danzante in 6/8 costituisce lo
spunto del primo tema, elaborato nella forma di un piccolo rondò; una breve
transizione conduce al secondo tema, esposto a canone fra le cinque voci,
dall'acuto al grave; e ancora una volta la forma-sonata si fonde con la tecnica
del contrappunto imitativo. Solo che ora la tensione è scomparsa, e la
combinazione fra primo e secondo tema nella Ripresa palesa una grazia quasi
compiaciuta, che unisce alla sicurezza del mestiere la baldanza di una
giovinezza serenamente ritrovata. Essa non annulla la profondità del sentire: la
rende semplicemente più calda e gioiosa, nell'abbandono del movimento a una
festosa partecipazione.
Sergio Sablich
Alla formazione del quintetto d'archi Mozart dedicò sei lavori, che per molti
aspetti costituiscono uno dei vertici della sua produzione cameristica, nonché
della intera letteratura struhientale per archi soli. La complessità del contenuto
musicale di questi Quintetti è dovuta al fatto che essi videro la luce in un'epoca
nella quale la musica per soli archi era destinata alla pratica strumentale e
all'ascolto dei cosiddetti "intenditori"; era, insomma, una musica alla quale
veniva "naturalmente" attribuito un contenuto musicale più "alto" ed elaborato
rispetto alla musica da camera con pianoforte o con strumenti a fiato.
Ha osservato Charles Rosen che Mozart si dedicò alla formazione del quintetto
«sempre subito dopo avere composto una serie di Quartetti, come se
l'esperienza fatta con quattro strumenti lo avesse messo in grado di accostarsi
a un organico più ricco». Lo scrittura impiegata nei Quintetti è infatti
essenzialmente simile a quella dei Quartetti; in particolare, nelle opere mature,
Mozart fece uso della scrittura peculiare e quintessenziale dello stile classico,
che presuppone un ruolo egualitario di ogni strumento, ottenuto però non
secondo la totale indipendenza melodica delle voci l'una dall'altra - propria del
vecchio stile contrappuntistico - ma secondo un calibrato dialogo degli
strumenti, che alternano ciascuno reciprocamente la funzione melodica a
quella di accompagnamento, muovendo dall'elaborazione dello stesso
materiale tematico.
Arrigo Quattrocchi
https://www.youtube.com/watch?v=Wk-z4k0a0YE
https://www.youtube.com/watch?v=eQupWpcapr8
https://www.youtube.com/watch?v=rXH7HXw3rUs
Lorenzo Tozzi
https://www.youtube.com/watch?v=OHAMmyqQupU
https://www.youtube.com/watch?v=k2JHxWqVarc
L'Adagio e fuga in re minore per trio d'archi K. 404a è una delle poche
trascrizioni composte nel 1782 da Mozart a Vienna da brani di Johann
Sebastian Bach. Per essere più precisi, il lavoro è formato da 6 fughe a tre voci,
precedute da 6 adagi, 4 di Mozart e 2 di Bach, trascritte per violino, viola e
violoncello. Le fughe sono ben 5 di Bach, di cui 3 dal Clavicembalo ben
temperato (N. 8, parte I, n. 13 e n. 14, parte II; una dalla Sonata per organo n.
2 e una dall'Arte della fuga, Contrapunctus 8) ,e una di Wilhelm Friedmann
Bach. È una composizione in cui una volta tanto Mozart si diverte ad elaborare
temi altrui in una tessitura armonica e strumentale di elegante fattura, secondo
un classicismo di equilibrata fusione tra le parti.
https://www.youtube.com/watch?v=7FRYoBy7iT8
https://www.youtube.com/watch?v=1UfylU-Jc00
Organico: archi
Composizione: Salisburgo, Febbraio 1772
Guida all'ascolto 1 (nota 1)
Il Divertimento K. 136 per soli archi, così come gli altri due Divertimenti che
recano i numeri 137 e 138 del catalogo Koechel, fu scritto tra gennaio e marzo
del 1772 a Salisburgo (cinque mesi prima della nomina del musicista a
Konzertmeister, con 50 fiorini annui di stipendio, alla corte dell'arcivescovo
Geronimo di Colloredo) e appartiene quindi alla produzione strumentale di un
Mozart sedicenne, che assorbe e assimila esperienze e stili altrui, specialmente
della scuola barocca e della sinfonia d'opera italiana. Si tratta di composizioni
articolate in tre tempi con Allegri e Andanti alternati, molto vicine al quartetto
e alle sinfonie per archi, senza oboi e corni, e destinate ad una esecuzione da
tenersi sia all'aria aperta, in un elegante cortile o in un giardino di un palazzo
principesco, secondo le abitudini della società feudale e mecenatistica del
tempo, e sia in una sala da concerto vera e propria.
Per una simile funzione (anche se l'occasione precisa non ci è nota) furono
verosimilmente creati i tre Divertimenti K. 136/137/138 che Mozart scrisse a
Salisburgo nel corso del 1772, nel breve lasso di tempo (fra gennaio e ottobre)
intercorso fra il ritorno dei Mozart padre e figlio dal secondo dei tre viaggi in
Italia e la loro partenza per l'ultimo di questi viaggi. Si tratta di tre partiture
articolate ciascuna in appena tre movimenti e a!date a un organico che
comprende due parti per violino, una per viola e una per violoncello; con il K.
136 ci troviamo di fronte, in definitiva, a uno dei primi esperimenti tentati da
Mozart nel campo del quartetto per archi (l'unico precedente è il Quartetto K.
80 scritto a Lodi nel 1770), celato sotto il nome di Divertimento per quella
ambiguità terminologica alla quale abbiamo sopra accennato e che era comune
nella prassi musicale settecentesca. D'altra parte tale ambiguità si riflette
anche sull'organico al quale è e"ettivamente destinata la partitura; la scrittura
a quattro parti infatti non si riferisce necessariamente al semplice quartetto
d'archi, ma può implicare il ricorso a un'orchestra da camera. La stessa
definizione di Quartetto per archi veniva impiegata per un tipo di
composizione che, in quel momento, era ancora lontana da quella scrittura
obbligata e concertante che avrebbe fatto del Quartetto il genere nobile per
eccellenza dell'età classica; piuttosto si trattava di un genere derivato dalla
antica Sonata a tre e ad essa ancora legato nel predominio assoluto delle voci
superiori (melodiche) su quelle inferiori (confinate in una funzione di ripieno e
sostegno armonico).
Arrigo Quattrocchi
Daniele Spini
https://www.youtube.com/watch?v=j6aCPKQ2KRc
https://www.youtube.com/watch?v=hkYkFvfEVx0
Organico: archi
Composizione: Salisburgo, Febbraio 1772
Guida all'ascolto 1 (nota 1)
Il Divertimento K. 137 per soli archi, così come gli altri due Divertimenti che
recano i numeri 136 e 138 del catalogo Koechel, fu scritto tra gennaio e marzo
del 1772 a Salisburgo (cinque mesi prima della nomina del musicista a
Konzertmeister, con 50 fiorini annui di stipendio, alla corte dell'arcivescovo
Geronimo di Colloredo) e appartiene quindi alla produzione strumentale di un
Mozart sedicenne, che assorbe e assimila esperienze e stili altrui, specialmente
della scuola barocca e della sinfonia d'opera italiana. Si tratta di composizioni
articolate in tre tempi con Allegri e Andanti alternati, molto vicine al quartetto
e alle sinfonie per archi, senza oboi e corni, e destinate ad una esecuzione da
tenersi sia all'aria aperta, in un elegante cortile o in un giardino di un palazzo
principesco, secondo le abitudini della società feudale e mecenatistica del
tempo, e sia in una sala da concerto vera e propria.
I Divertimenti, come del resto le Cassazioni, le Serenate e le cosiddette
musiche notturne, sono legati al gusto settecentesco di far musica insieme e
riflettono una identica struttura formale, in cui si alternano movimenti di danza
e passaggi solistici e virtuosistici, riservati ad esecutori di talento, ma non
necessariamente eccezionali. Per questa ragione i Divertimenti per archi,
almeno quelli composti nel 1772, (i Divertimenti mozartiani per strumenti a
fiato meriterebbero un discorso a parte per una più libera invenzione e varietà
di e"etti sonori) sono musiche di piacevole ascolto, dalla scrittura semplice e
lineare e dai giochi armonici chiari e precisi, improntati ad un classicismo
sereno e molto equilibrato. Si avverte, è vero, la presenza di uno stile
cameristico di solida fattura e di luminosa civiltà, ma si è ancora lontani dai
modelli del grande Mozart caratterizzato da una inesauribile capacità inventiva
e da una incisiva e personale forza espressiva. Il dato rilevante di questi
Divertimenti è la limpidezza e la trasparenza quartettistica del suono e
l'omogeneità e la fusione del gruppo strumentale, in ubbidienza alle regole di
un discorso musicale accessibile a tutti e senza quei tormenti spirituali e quei
risvolti drammatici che pur esistono nell'arte mozartiana.
Nel catalogo delle opere di Mozart, come in quello di ogni altro compositore
del Settecento, figura un buon numero di pagine riconducibili al campo della
musica d'intrattenimento: lavori che si potrebbero definire d'occasione, se
questa parola non avesse oggi per noi un significato riduttivo quando non
addirittura spregiativo; mentre il suo giusto senso è quello che designa una
musica composta su commissione e con una destinazione e un uso ben precisi,
in genere legati a circostanze festive o celebrative, di natura tanto pubblica che
privata. Non per caso, le date di nascita degli oltre trenta fra Divertimenti,
Serenate e Cassazioni scritti da Mozart, si situano quasi tutte negli anni
precedenti quel fatidico 1781 che vide il compositore venticinquenne
a"rancarsi al tempo stesso dalla tutela del padre e dalla condizione semiservile
del musicista di corte alle dipendenze dell'Arcivescovo di Salisburgo per farsi,
modernamente, libero artista, e toccare, negli ultimi intensissimi dieci anni
della sua esistenza, trascorsi a Vienna, i vertici della sua creatività. Il Mozart
dei Divertimenti e delle Serenate è viceversa un musicista ancora calato in una
concezione professionale della propria arte, pronto a soddisfare le
commissioni di corti o di privati dando sempre il meglio di sé, pur nella scala
ben più ridotta, quanto ad ambizioni formali e a impegno stilistico, di un
genere di musica composta più come arredo sonoro che come creazione ideale
e assoluta; senza, dunque, che ciò comporti un qualche degrado di qualità
musicale o di sostanza compositiva, ma solo una prevalenza dei lati più
mondani e leggeri.
Daniele Spini
https://www.youtube.com/watch?v=CijVnFzw4H0
https://www.youtube.com/watch?v=Fhf9RUYSVCs
Organico: archi
Composizione: Salisburgo, febbraio 1772
Guida all'ascolto (nota 1)
https://www.youtube.com/watch?v=ckdyoSIBUxw
https://www.youtube.com/watch?v=AqWaW0-5wYA
Il primo Allegro inizia sotto voce su un unisono dei tre strumenti; alla terza
misura si apre un gioco di imitazioni, prima tra violino e violoncello e poi tra
viola e violino, con un brillante ritornello ccncertante, al quale prendono parte
tutti e tre gli strumenti. L'intero movimento, quindi, si snoda con ampiezza di
sviluppo e tra modulazioni armonicamente e ritmicamente ardite, con
cambiamento di tonalità e inserimento anche di un tempo fugato, in attesa che
l'Allegro si concluda con delicatezza di accenti, su disegni melodici del violino.
Segue l'Adagio in la bemolle, contrappuntato da passaggi ornamentali di
sorprendente gusto armonico, in una visione di equilibrata concertazione tra
violino, viola e violoncello e improntato ad un sentimento meditativo, quasi
religioso. Il primo Minuetto è un allegro motivo di danza di derivazione
popolaresca e contadina; non manca il trio indicato tematicamente dal violino e
ripreso dal violoncello, su una scala discendente della viola. Ed eccoci
all'Andante in si bemolle, considerato il movimento più originale del
Divertimento K. 563 e costruito su un tema con variazioni di magistrale
inventiva e di penetrante forza espressiva, tale da aprire la strada all'arte della
variazione beethoveniana. Tutta la genialità creatrice di Mozart si rivela
pienamente nell'ultima variazione, intesa come un possente cantus firmus
della viola; il senso di fiducia che da essa promana è come un saldo
promontorio nella risacca dei passaggi del violino e del violoncello. Il secondo
Minuetto è in tempo Allegretto e inizia piano nella tonalità di mi bemolle,
secondo uno stile delicatamente cameristico. Ci sono poi due Trii in la
bemolle, un vero e proprio Laendler di carezzevole fattura, e in si bemolle, più
semplice e lineare, anche se non privo di eleganza cantabile. L'Allegro finale
somiglia ad un rondò e il tema, indicato dal violino e ripreso dalla viola e dal
violoncello, è seguito da un refrain o ritornello a mò di soneria di carillon. Non
manca il gioco delle imitazioni in una varietà di tonalità e di passaggi di
sonorità di pungente e divertente e"etto strumentale, a conferma dell'abilità
tecnica e della inesauribile fantasia creatrice del compositore anche in questa
di!cile specializzazione della musica da camera, sia per trio che per quartetto,
con gli archi e con i fiati.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
Oltre che per la trascrizione di alcune Fughe di Johann Sebastian Bach (talvolta
fatte precedere da Adagi di sua composizione), Mozart utilizzò il Trio d'archi in
una sola opera originale, il Divertimento in mi bemolle maggiore K. 563.
Questo lavoro, portato a termine il 27 settembre 1788, fu dedicato al "fratello
massone" Michael Puchberg, il ben noto destinatario di tante lettere
mozartiane che si concludevano invariabilmente con la richiesta di un prestito
o di una dilazione. Mozart, probabilmente, scrisse questo Divertimento per
riconoscenza verso il suo comprensivo protettore o forse, più probabilmente
ancora, per estinguere un debito che non avrebbe potuto onorare in altro
modo.
Articolato nei caratteristici sei tempi, con due minuetti e due movimenti lenti, il
Divertimento K. 563 è però opera insolitamente seria; si può anzi dire che il
suo fascino irripetibile stia proprio nella felice, straordinaria fusione di serietà
e leggerezza, ricchezza di sviluppi e sovrana semplicità di eloquio. In e"etti, se
si fa eccezione per i due Minuetti, dalle inflessioni popolareggianti, i restanti
movimenti rivelano una struttura assai complessa: l' "Alle¬gro" iniziale
contiene uno sviluppo particolarmente elaborato, l' "Andante" è un tema con
variazioni che si susseguono senza apparente soluzione di continuità, il
"Finale" è un Rondò-Sonata in piena regola. Il trattamento dei tre strumenti è
ovunque assolutamente paritetico e, insieme, squisitamente cameristico, senza
concessioni allo stile concertante; che anzi un'intensa, sublime spiritualità
pervade l'intera composizione, toccando forse il suo vertice nell'estatico
"Adagio" in la bemolle maggiore, una pagina che sembra riecheggiare il
commosso sentimento di umana partecipazione delle opere massoniche.
Danilo Profumo
https://youtu.be/o1FSN8_pp_o
https://www.youtube.com/watch?v=2QBuRAWGNDk
https://www.youtube.com/watch?v=xMxBfBk44ZA
Le vicende della genesi del brano sono del tutto ignote. Si tratta comunque - a
parte Ein musikalisches Spass K 522, una serenata satirica pressoché
contemporanea - dell'unica serenata per archi o con archi che Mozart abbia
avuto occasione di comporre negli anni viennesi. Il genere della serenata
comprendeva composizioni a!date ad un organico variabile di solisti e con un
numero pure variabile di movimenti; fine unificatore di brani anche molto
dissimili era quello intrattenitivo, per circostanze festive o ricorrenze o ancora
per allietare la vita di tutti i giorni. Nel corso dei suoi anni salisburghesi Mozart
aveva scritto un alto numero di composizioni per simili circostanze, ma il
piccolo mecenatismo frequente nell'ambiente provinciale di Salisburgo cedeva
il passo a Vienna a rapporti più sofisticati fra committenti e compositori.
Possiamo comunque immaginare che anche Eine kleine Nachtmusik sia stata
pensata per una simile circostanza, di cui ci sfugge il contesto.
Arrigo Quattrocchi
In questo repertorio, gli strumenti a fiato - che verso la fine del Settecento
potevano ormai competere con gli archi, grazie ai progressi tecnici, per agilità
e intonazione - ebbero un ruolo di rilievo. L'organico poteva variare molto, ma
si stabilizzò quando l'imperatore Giuseppe II, nell'aprile del 1782, promosse la
formazione di un ottetto di fiati (costituito da due oboi, due clarinetti, due
corni e due fagotti: il complesso era chiamato, in Austria, Harmoniemusik), da
impiegare sia per l'intrattenimento della corte sia per esecuzioni pubbliche.
Seguirono l'esempio dell'imperatore altri esponenti dell'aristocrazia, cosicché
già a metà degli anni Ottanta si esibivano complessi di fiati nei principali
palazzi nobiliari viennesi. Ciò fece lievitare la richiesta di composizioni per
questa formazione, che vennero prodotte a centinaia adattando soprattutto le
arie delle opere teatrali di successo. Mozart diede anch'egli un contributo al
genere, componendo tre serenate per strumenti a fiato negli anni del
soggiorno a Vienna.
Claudio Toscani
https://www.youtube.com/watch?v=FpK1tjbeeA0
https://www.youtube.com/watch?v=QRfkUWxqba0
La musica da camera con pianoforte, nella seconda metà del XVIII secolo, non
era destinata - come invece quella per archi soli, più impegnativa sia sotto il
profilo strumentale che sotto quello del contenuto - agli esecutori
professionisti, ma agli esecutori dilettanti, appartenenti ai ceti alti della
società. In tutta Europa lo studio di uno o più strumenti era parte integrante
dell'educazione dell'alta società, e la pratica della Hausmusik, della musica
domestica, suonata dai volenterosi componenti del circolo familiare, era del
pari estremamente di"usa. Direttamente in funzione del fiorentissimo mercato
editoriale rivolto ai dilettanti vennero dunque composti quasi tutti i Trii e i
Quartetti con pianoforte di Mozart, brani che, non a caso, giunsero alla
pubblicazione vivente l'autore, e con maggiore facilità rispetto ad altre
composizioni di più alte ambizioni.
Eppure già le vicende della pubblicazione del Quartetto in sol minore rivelano
come, per l'organico di questo brano, Mozart nutrisse ambizioni più alte.
Secondo Nissen - primo biografo del compositore e sposo in seconde nozze di
Constanze Mozart - il Quartetto (la data sull'autografo è quella del 16 ottobre
1785) sarebbe stato scritto come primo di una serie di tre, dietro commissione
dell'editore Ho"meister; ma, dopo la pubblicazione di questo primo brano,
nell'inverno 1785-86, il contratto fu rescisso in piena concordia fra le due
parti, poiché il K. 478 appariva troppo "di!cile" al pubblico. Una cronaca
dell'epoca, riportata da Hermann Abert (W A. Mozart. Zweiter Teil, Leipzig
1919-21; ed. it. Milano 1985, p. 173), definisce il Quartetto «una
composizione che, anche se perfettamente eseguita, può [...] e deve soddisfare
in una "musica da camera" solo il limitato gruppo degli intenditori. Altri pezzi
reggono anche se mediocremente eseguiti; questa composizione mozartiana
però non si può proprio ascoltare suonata da superficiali dilettanti».
Il Quartetto in sol minore, invece, propone un rapporto assai più dialettico fra
pianoforte ed archi. Il modello non è quello della sonata pianistica o per violino
e pianoforte, ma quello del Concerto per pianoforte, il genere compositivo al
quale Mozart si dedicò con maggiore insistenza nei primi anni viennesi. Per
comprendere l'a!nità fra il Quartetto e il Concerto occorre tenere presente che
lo stesso Mozart aveva espressamente previsto per i suoi primi tre Concerti
viennesi (K. 413-415) la possibilità di omettere dall'orchestra le parti dei fiati,
onde rendere possibile l'esecuzione delle partiture anche in un salotto, con
l'accompagnamento di un semplice quartetto d'archi. Il Quartetto in sol minore
è dunque un concerto in miniatura, con un ruolo "solistico" e virtuosistico dello
strumento a tastiera; il gruppo degli archi (violino, viola, violoncello) tuttavia
non si limita ad accompagnare il solista, ma entra invece in un rapporto
concertante e dialettico.
Una sorte analoga è toccata al Quartetto in sol minore per pianoforte e archi K
478, terminato il 16 ottobre 1785, scritto su richiesta dell'editore Franz Anton
Ho"meister, che lo pubblicò immediatamente come primo di una serie di tre
lavori del genere. Ben presto però Ho"meister si rese conto che il Quartetto in
sol minore era qualcosa di «troppo di!cile» e quindi invendibile al pubblico
del tempo e sciolse Mozart dal suo impegno, senza neanche farsi restituire il
denaro datogli come anticipo. Nel frattempo il compositore aveva portato a
termine un nuovo Quartetto per pianoforte e archi (K 493, in mi bemolle
maggiore, datato 3 giugno del 1786 e destinato a rimanere il suo secondo e
ultimo lavoro del genere), che fu dato alle stampe da Artaria.
Non è tanto la quantità a fare paura - almeno fino a Beethoven la storia della
musica è piena di autori assai più prolifici - quanto la qualità spesso eccelsa di
questi lavori, nati quasi a getto continuo. A molti non è bastata un'intera vita
per scrivere un solo lavoro paragonabile al Concerto in re minore, agli ultimi
Quartetti dedicati a Haydn, alla Musica funebre massonica, alle Nozze.
Perfino Mozart deve essersi reso conto di avere osato troppo e non ha avuto il
coraggio di mantenere il Quartetto in sol minore a una simile temperatura
espressiva: il dramma si stempera nel sereno e pacificato Andante in si
bemolle maggiore che segue e poi nel conclusivo Rondò (Allegro moderato) in
sol maggiore, pagina serena - tranne che per un breve, pensoso episodio in
minore - brillante e virtuosistica come il finale di un Concerto per pianoforte.
Ma se i toni espressivi si alleggeriscono, la di!coltà esecutiva rimane molto
alta, massime per il pianoforte, allontanando inesorabilmente questo
splendido Quartetto dai leggii dei dilettanti del suo tempo e inducendo così
l'editore Ho"meister a sospendere saggiamente un progetto che a lui avrebbe
certamente procurato solo danni a livello economico, ma che avrebbe reso noi
eredi di enormi ricchezze.
Carlo Cavalletti
https://www.youtube.com/watch?v=8KdkGctFHq8
https://www.youtube.com/watch?v=KrCjASGHEQo
Tra gli organici di musica da camera, quello per pianoforte e archi (violino,
viola e violoncello) non è tra i più frequenti neppure nella piena espansione
dell'Ottocento, dove si contano pochi pezzi isolati, e ancor meno lo era ai
tempi di Mozart, allorché il pianoforte veniva per lo più abbinato all'orchestra
(anche da camera) nel genere del Concerto, e gli archi si disponevano in
formazioni omogenee, come il Quartetto e il Quintetto, l'una e l'altra
variamente ma di"usamente impiegate da Mozart stesso, o tutt'al più al
pianoforte si aggiungevano uno (Sonata) o due archi (Trio). Tant'è che nel suo
catalogo figurano soltanto due lavori per questa compagine insolita: il primo,
in sol minore, reca il numero K. 478 e la data del 16 ottobre 1785; il secondo,
il nostro, in mi bemolle maggiore K. 493, è conseguente di poco meno di un
anno (Vienna, 3 giugno 1786) e occupa, nel catalogo mozartiano, la posizione
successiva alle Nozze di Figaro (K. 492). Alla loro origine vi fu una
commissione risalente all'estate del 1785 da parte dell'editore Franz Anton
Ho"meister per la composizione di una serie di tre Quartetti con pianoforte da
destinare al pubblico viennese dei più colti amatori e dilettanti: evidentemente,
nell'intenzione dell'editore, vi era quella di tentare nuove strade. Ma dopo
l'insuccesso commerciale del primo, pubblicato alla fine del 1785, Ho"meister
pregò Mozart di non comporre più gli altri due Quartetti e di considerare
annullato il contratto, dichiarandosi però pronto a lasciargli l'acconto versato.
In realtà il secondo Quartetto (K. 493) era già in fase di lavorazione e per
questo Mozart si rivolse a un altro editore, Artaria, già editore dei Sei Quartetti
op. X dedicati a Haydn, o"rendoglielo in alternativa. E Artaria, più audace e
disponibile del collega, lo acquistò, per pubblicarlo poi nel luglio 1787. Ma
evidentemente a questo punto di un terzo Quartetto non si parlò più.
Sergio Sablich
Il secondo dei due Quartetti mozartiani, K. 493, venne completato nel giugno
1786 e dovette trovare un editore diverso da Ho"meister, preoccupato dal
fatto che la pubblicazione della precedente composizione gemella in sol
minore era risultata fallimentare, giacché gli acquirenti avevano trovato il
lavoro troppo nuovo e di!cile e si erano rifiutati di comperarlo. Non per
questo il K. 493, nato nove mesi dopo il K. 478, risultò opera più facile o
conciliante, la «facilità» essendo forse la sola cosa impossibile all'autore. Il
nuovo Quartetto presenta a!nità strutturali ed espressive con un precedente
capolavoro cui sembra intimamente collegarsi, il mirabile Quintetto K. 452 per
pianoforte e fiati. La stessa tersa cantabilità dei temi, lo stesso clima
intensamente lirico e pacato nel primo tempo, con in più un'acuta animazione
drammatica nello sviluppo. Lo stesso ritmo ternario, la stessa concentrazione
di idee e quasi la medesima tensione armonica nell'intenso «Larghetto». Ed
anche qui, nell'«Allegretto» finale, la latente voglia concertante (altrove ben
dissimulata nel perfetto equilìbrio dei quattro strumenti) passa il segno nel
gioioso scatenarsi del gioco pianistico, che arriva, verso la fine, a simulare
«quasi una cadenza» (come avrebbe scritto Beethoven) sul filo argenteo di un
lunghissimo trillo liberatorio.
https://www.youtube.com/watch?v=jH-mgLLnSQ4
https://www.youtube.com/watch?v=LQimX9oUk0o
Arrigo Quattrocchi
https://www.youtube.com/watch?v=UKDrpJjN8qQ
https://www.youtube.com/watch?v=eOcbPSl4NJI
Il tema del primo Allegro viene esposto dal pianoforte e poi ripreso dai due
strumenti a corda in una visione concertante di elegante e misurata musicalità.
Il dialogo sonoro diventa quindi più fitto e articolato con la ripresa variata della
prima misura del tema iniziale, a!data prima al canto del violino,
accompagnato dal pianoforte, e poi al violoncello con modulazioni armoniche
di piacevole e"etto. Il successivo Larghetto in mi bemolle è un tempo lento di
nobile e profonda espressività, che si richiama in gran parte, nel materiale
tematico, al Concerto per pianoforte K. 450. La costruzione ubbidisce allo
stesso schema del primo tempo: il pianoforte espone la frase, il violino e il
violoncello la riprendono e l'arricchiscono con figurazioni e ornamenti
contrappuntistici. Il Larghetto si conclude in un'atmosfera teneramente poetica
e suggestiva, dettata dalla tonalità di mi bemolle. L'Allegretto finale svolge un
ritmo di gavotta e somiglia al rondò di un concerto da camera, nel gioco tra il
«solo» del pianoforte e il «tutti» degli altri strumenti, realizzati con brillantezza
e vivacità di colori contrastanti. Certo, la componente virtuosistica ha il suo
peso rilevante e specialmente il pianoforte assolve un ruolo di primaria
importanza, ma non si può negare a questo rondò e all'intero Trio K. 502 una
solidità di impianto e di costruzione e una eccellente trasparenza di suoni,
secondo le regole di un discorso musicale accessibile a tutti e senza quei
tormenti spirituali e quei risvolti tragici che pur esistono nell'arte mozartiana.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
Nessun altro settore della produzione cameristica mozartiana, più di quello dei
Trii per pianoforte, violino e violoncello, è atto a dimostrare il profondo
rispetto formale dell'autore per il «genere» praticato, le sue caratteristiche di
struttura, la sua funzione sociale. A di"erenza di Haydn, che nei quindici
stupendi quanto malnoti Trii composti tra il 1794 e il 1797 realizzò una serie
di lavori contrassegnati da un audace sperimentalismo e da uno sfrenato
spirito di libertà formale, gli esiti altissimi sortiti da Mozart nello stesso ambito
cameristico non escono mai dai limiti tracciati dalla tradizione della sonata
galante pour amateurs, dove la parte del leone viene assegnata al pianoforte
cui si aggiungono un violino complementare e un violoncello con funzioni
ancora più subordinate. Nel Trio K. 502, composto nel novembre 1786, un'eco
della mirabile, recente fioritura dei concerti per pianoforte che aveva
contribuito alle e!mere fortune viennesi di Mozart e che proprio in quel torno
di tempo si sarebbe conclusa in bellezza con il famoso K. 503 in do maggiore,
è avvertibile nello slancio concertante del primo tempo, eccezionalmente
monotematico secondo i criteri strutturali suggeriti dalle coeve produzioni di
Haydn e di Clementi; per tacere che quest'unico motivo, procedente per terze e
poi per seste parallele (quasi un arguto passo di oboi o clarinetti di una
sinfonia da opera bu"a), presenta tratti di forte rassomiglianza con quello di
un famoso concerto per pianoforte, il K. 450 nella stessa tonalità. Nel
Larghetto, tanto sfoggio di brillantezza mondana si tramuta in assoluta
concentrazione lirica, della temperie più intensa. L'intima matrice vocalistica
del meraviglioso motivo cantabile viene evidenziata dalle sistematiche risposte
del violino al pianoforte; mentre lunghissimi 'pedali' del violoncello,
circonfondono tanta beatitudine di un caldo alone timbrico. Al prediletto
concerto per pianoforte e orchestra si richiama ancora e più che mai il Finale
con il suo materiale tematico eminentemente pianistico e il suo repertorio di
brillanti figurazioni virtuosistiche e di piccanti trovate polifoniche.
https://www.youtube.com/watch?v=l0KJ1yAGtVg
https://www.youtube.com/watch?v=9bVjMjAj3S8
https://www.youtube.com/watch?v=KFLJO2qDZj4
https://www.youtube.com/watch?v=MTrHDNU6lpg
Mozart scrisse otto Trii con il pianoforte: in sette di essi vi unì il violino e il
violoncello, e precisamente in quello in si bemolle maggiore K. 254 del 1776,
in quello in re minore K. 442 del 1783, in quelli in sol maggiore K. 496 e in si
bemolle maggiore K. 502 del 1786, in quello in mi maggiore K. 542 e negli
altri, in do maggiore K. 548 e in sol maggiore K. 564, recante in partitura la
data del 27 ottobre 1788. Solo nel Trio in mi bemolle maggiore K. 498, che è
del 1786, il pianoforte è accompagnato dal clarinetto e dalla viola; esso
assunse il nome di "Kegelstatt-Trio" (Trio del gioco dei birilli), perché fu
composto per gli amici Jaquin tra la chiassósa allegria di una partita a birilli.
Il Trio in sol maggiore è articolato in tre tempi caratterizzati da una freschezza
inventiva e da una abilità nell'arte della variazione, specie nel secondo
movimento. Il primo tema dell'Allegro iniziale viene esposto dal pianoforte e
sorretto da un disegno melodico degli archi. Ecco quindi un tema più leggero e
festoso, a!dato al violino con un ritornello del pianoforte e poi ripreso dal
primo strumento. A questo punto si snoda lo sviluppo del discorso musicale,
condotto elegantemente dal violino su un accompagnamento di biscrome del
pianoforte. C'è molta varietà nel gioco armonico, con il passaggio dalla tonalità
di mi maggiore al do maggiore, secondo un procedimento spesso utilizzato da
Mozart; al pianoforte e al violino si aggiunge con molta evidenza, nelle battute
finali del movimento, la voce del violoncello.
L'Allegretto finale in 6/8 comincia con un ritmo di siciliana del pianoforte, cui
risponde il violino, sostenuto dal violoncello. Si crea quindi una piacevole
tessitura di armonie con un ritorno al tema, che viene ripreso dal violino su
accompagnamento del pianoforte e con l'intervento del violoncello. Il tema del
rondò si allarga e si intensifica e coinvolge tutti e tre gli strumenti in una
inarrestabile cascata di invenzioni armoniche, realizzata con brillantezza e
vivacità di colori contrastanti. Il Trio K. 564 sembra rispettare le regole di un
discorso musicale accessibile a tutti e senza particolari tensioni e tormenti che
pure esistono nell'arte mozartiana.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
Il Trio in sol maggiore K. 564 è, degli otto Trii con pianoforte composti da
Mozart, forse il più leggiadro, il più intriso di quella luminosa poeticità, di
quella ineguagliabile felicità inventiva, di quella apparente, beata,
spensieratezza, che così spesso fanno dimenticare al pubblico e ai critici le
profondissime tragiche dimensioni del suo mondo interiore e della sua arte. Il
primo Allegro esordisce con un tema d'una gaiezza, al cui vivacissimo brio una
infinita dolcezza di accenti toglie quel senso di nervoso dinamismo che
caratterizza tutti i tempi veloci di Mozart.
Gli archi, dapprima accompagnano solo con note tenute il tema proposto dal
pianoforte, dopodiché i ruoli vengono invertiti nel senso che la parte
accompagnatrice passa al piano, il quale sfaccetta però quelle note tenute in
un agile e brillante giuoco di figurazioni. Il secondo tema (in re maggiore),
imparentato invece di essere dialetticamente opposto al primo, compare al
violino, mentre il pianoforte introduce un ulteriore motivo che vale ad
arricchire il materiale tematico dell'esposizione, che si chiude con un breve
accenno al tema iniziale. Lo sviluppo, prima di investire i temi principali fin qui
esposti, indugia in una lunga parentesi in minore, il cui significato non può
essere chiarito meglio se non mettendo in rilievo che l'idea musicale che vi si
elabora coincide letteralmente col dolente motivo che, nella Scena del
commendatore del Don Giovanni segue alle parole del protagonista: «Non
l'avrei giammai creduto». La ripresa presenta rispetto all'esposizione solo la
variante che il secondo tema è a!dato (nel tono della tonica) al cello invece
che al violino.
https://www.youtube.com/watch?v=xdrjMX0sA3Y
https://www.youtube.com/watch?v=_g0ywOUQKTw
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 4 novembre 1786
Edizione: Ho"meister, Vienna 1787
L'arte della variazione fu per circa due secoli il cavallo di battaglia del virtuoso
improvvisatore. E fra i grandi successi pubblici di Mozart si contano alcune
improvvisazioni su temi propri e altrui davanti ai pubblici di Praga e di Vienna.
Le Variazioni in sol maggiore su un tema originale sono datate 4 novembre
1786. Esse fissano l'estro di Mozart improvvisatore di variazioni ornamentali,
dove il tema torna avvolto in figurazioni sempre più fitte, e del pari sono un
capolavoro di grazia concertante nel succedersi e rincorrersi dei canti fra i due
pianoforti.
https://www.youtube.com/watch?v=oNrM37AYxfc
https://www.youtube.com/watch?v=cgtkES54oxo
Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, 29 dicembre 1783
Edizione: Ho"meister, Vienna 1788
https://www.youtube.com/watch?v=9iePyP2HOr8
https://www.youtube.com/watch?v=PQQgHpMBHbo
Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, Novembre 1781
Prima esecuzione privata: Vienna, casa Auernhammer, 23 Novembre 1781
Edizione: Artaria, Vienna 1795
Mozart, eccellente pianista sin da bambino, suonò spesso a quattro mani con
sua sorella Nannerl (Maria Anna) in ricevimenti e serate musicali in cui
dominavano la bravura e il virtuosismo dei due giovanissimi interpreti. Egli
comunque ha arricchito questa specifica pratica concertistica a quattro mani
ed ha lasciato diverse composizioni che si distinguono per freschezza
inventiva e brillantezza espressiva, sul piano certamente più del divertimento
che di una profonda necessità intellettuale. Il suo esempio in questo campo
non è rimasto isolato, visto che anche Beethoven, Schubert, Schumann, fino a
Debussy, Ravel e Stravinsky scrissero pezzi per pianoforte a quattro mani,
riproposti nei programmi delle varie Istituzioni musicali. Ci limitiamo a
ricordare alcune delle Sonate mozartiane per pianoforte a quattro mani: quella
in do maggiore K. 19d, composta nel maggio del 1765 ed eseguita con la
sorella Nannerl durante una tournée in Europa, le altre in re maggiore K. 381,
in si bemolle maggiore K. 358, in fa maggiore K. 497 e in do maggiore K. 521,
scritta nel maggio 1787 per la sorella del suo amico Gottfried von Jacquin. C'è
poi l'Andante con cinque variazioni in sol maggiore K. 501, collocato nel 1786
e apprezzato per il suo elegante charme melodico e con esso il pezzo
riproposto nel concerto di stasera, cioè la Sonata per due pianoforti in re
maggiore K. 448, articolata in tre tempi e improntata ad un clima di festosa
piacevolezza sonora. In una lettera del 24 novembre 1781 scritta da Mozart a
Vìenna e indirizzata a Salisburgo è detto: «Ieri sono stato invitato dalla famiglia
Aurnhammer... Abbiamo suonato un concerto per due pianoforti che ho
composto per l'occasione ed ha ottenuto un vivo successo». Si tratta della
Sonata in re maggiore K. 448 composta per Joséphine Aurnhammer, una delle
prime allieve viennesi del musicista e molto stimata per la sua bravura tecnica
e il suo virtuosismo. Infatti la Sonata in re maggiore richiede sin dal primo
movimento (Allegro con spinto) un perfetto equilibrio nel dialogo e nella
funzione dei giochi sonori, sottolineando lo spigliato e cordiale pianismo a
quattro mani. Tale carattere si accentua nel Rondò finale, dove l'atmosfera
assume un tono di scoppiettante divertimento, mentre l'Andante centrale in sol
maggiore, diviso in tre parti, mostra tinte delicate e sfumate sul piano
armonico ed espressivo. Insomma, lo stile della Sonata è galante e inserito in
un classicismo di pura fantasia creatrice.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)
«Presso gli Aurnhammer abbiamo suonato il Concerto a due [K. 365] e anche
una sonata a due [pianoforti] [K. 448] che avevo composto espressamente per
la circostanza e che riportò un vivo successo». È questo il testo dì una lettera
di Wolfgang Amadeus Mozart sull'accademia del 24 novembre 1781 a casa
Aurnhammer: in repertorio il concerto che aveva appena scritto per Fraulein
Josephine Aurnhammer, una delle sue prime allieve viennesi e, secondo il
compositore stesso, ottima pianista. La scelta dei due pianoforti usciva dalla
normale amministrazione. E permetteva a Mozart di giocare al meglio le sue
carte per ricavare maggiore pienezza sonora, ma soprattutto per sviluppare un
dialogo concertante; colpisce, infatti, l'arte con cui ha saputo equilibrare le due
parti pianistiche, nell'alternanza o nella simultaneità dei due esecutori che
intrecciano le sezioni, nella capacità di sfruttare appieno le sonorità e le varie
regioni della tastiera, garantendo equilibrio anche nelle sezioni virtuosistiche.
E questo, naturalmente, salvaguardando la «buona forma» dal punto di vista
architettonico. È l'ambiente di festa a fare da sfondo dominante alla Sonata,
ispirata inizialmente a un concerto di Johann Christian Bach: sin dal primo
movimento, un di"uso sentimento di gaia leggerezza accoglie l'ascoltatore.
Levità, brillantezza, sono i caratteri precipui dell'Allegro con spirito iniziale, già
dal primo gruppo tematico, tutto concentrato su energiche asserzioni, volate,
mulinanti arpeggi su figure di semicrome. Per un attimo il secondo tema
allenta la presa ritmica, con il suo arco confidenziale di tipico gusto galante,
ma già sopraggiunge il travolgente Epilogo e un agile Sviluppo che, con
l'inaspettato apparire di un nuovo tema, mette in mostra la sublime maestria
mozartiana nell'ordire la trama complessa delle parti, ma senza sforzo
apparente. L'Andante è un tipico tempo di mezzo mozartiano, ra!nato e
discreto, con un primo tema di serenata e un secondo tema in continuità di
carattere con il primo. Articolato in tre parti, spicca per quel suo stile cantabile
e commuove per i delicati colori armonici ed espressivi. Un senso generale di
pace si impadronisce della scena, inducendo a un momento di calma e di
meditazione dopo tanto spensierato correre. Ma per poco: con il Molto Allegro,
infatti, riprendono i giochi spensierati. Formalmente si tratta di un assai esteso
rondò, che richiama, almeno nel carattere, alcuni passi del Ratto dal serraglio
(risalente alla stessa epoca) o persino, nel profilo tematico del refrain
principale, il rivolto del tema della Marcia alla turca K. 331. Lo domina, anche
nella sequenza degli episodi, degli interludi, delle frasi di collegamento che
Mozart, con la tipica perizia, accosta e giustappone come segmenti a incastro,
una sorta di mobilità ritmica continua senza requie, fatta di corse impetuose, e
di volate brillanti di carattere virtuoslstico. Tempus fugit, così in un baleno, la
Ripresa del refrain principale per la terza volta giunge a spazzare ogni indugio,
concludendo in modo smagliante l'intero movimento.
Marino Mora
https://www.youtube.com/watch?v=0JOkx7p576o
https://www.youtube.com/watch?v=l1D5jTPKVL8
Organico: pianoforte
Composizione: Monaco, 28 febbraio - marzo 1775
Prima esecuzione: Augsburg, Konzertsaal, 22 ottobre 1777
Edizione: Torricella, Vienna 1784
Gli studi più recenti dicono che Mozart compose questa Sonata a Salisburgo,
nel gennaio 1772, dopo il ritorno dal secondo viaggio in Italia, che si era svolto
tra l'agosto e il dicembre dell'anno precedente. Aveva dunque in testa gli
esempi di Niccolò Jommelli, oltre a quelli, già ascoltati, di Johann Christian
Bach, nel mettersi a scrivere una Sonata per pianoforte a quattro mani, un
genere, che, per l'epoca, era sostanzialmente inedito, moderno. E infatti un
musicologo attento come Abert ha subito notato che si tratta
dell'avvicinamento a un campo nuovo e che "la distribuzione delle idee
musicali tra i due esecutori è ancora piuttosto semplicistica, limitandosi per lo
più a e"etti d'eco o alla pura e semplice divisione tra melodia e
accompagnamento".
Nicola Campogrande
https://www.youtube.com/watch?v=GBaJgOYm4Xw
https://www.youtube.com/watch?v=Lsk5-zTcKK0
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 29 maggio 1787
Dedica: Babette e Nanette Natrop
Guida all'ascolto
«A Londra Wolfgangerl ha fatto il suo primo pezzo per 4 mani. Fino ad oggi
non era ancora stata fatta in nessun luogo una sonata a quattro mani»
Wolfgang scrisse sonate a quattro mani nel decennio 1765-1774 e nel biennio
1786-1787 raggiungendo anche in questo ambito risultati assolutamente
senza precedenti, capolavori che ammettono ben pochi confronti in tutta la
letteratura pianistica e che definiscono con perfetta compitezza una scrittura
capace di valorizzare pienamente le peculiarità del duo. Il forte dislivello
qualitativo tra le prime sonate e il gruppo delle composizioni successive non
dipende solo dalla distanza cronologica; tra il 1772 e il 1774 Mozart aveva
scritto pagine ricche di un pensiero musicale assai più profondo di quello
rivelato dalla pur scorrevole eleganza delle sue sonate di quegli anni. Il
dislivello rivela proprio un atteggiamento diverso nei confronti del genere
(forse grazie anche a qualche suggestione di Clementi), una volontà di
a"rontarlo con un impegno nuovo, prima evidentemente ritenuto non
necessario: come se il gusto della "novità", il piacere delle alternanze, dei
giochi d'eco tra i due esecutori fosse di per se su!ciente nel clima di piacevole
"divertimento" mondano cui prevalentemente le prime sonate si attengono,
come se esse risentissero proprio della loro posizione di genere ancora
"minore" e poco definito. Queste considerazioni però non devono a"atto
indurre ad una frettolosa liquidazione delle sonate giovanili, che rivelano pur
sempre la mano di Mozart (soprattutto la notevole sonata del 1774); ma sono
inevitabilmente suggerite dal confronto con un capolavoro come la sonata in fa
maggiore k 497, che si colloca davvero molto più in alto.
Alla fine di maggio 1787 Mozart scrisse a Gottfried von Jacquin:
Le comunico che oggi appena giunto a casa ho appreso la triste notizia della
morte del mio ottimo padre. - Si può immaginare il mio stato! -»
Di!cile immaginarsi lo stato di Mozart ma che la morte del padre appaia solo
come un post scriptum, dopo una serie di notizie spicciole, è forse dovuto al
fatto che Mozart non si era ancora reso veramente conto del significato di ciò
che aveva appreso; ad ogni modo la banale routine non viene trascurata. La
sonata per la «signorina sua sorella» era la sonata in do maggiore per
pianoforte a quattro mani (K 521) scritta il 29 maggio e cioè un giorno dopo la
morte del padre.
La dedica e la lettera citata fanno pensare che tra gli scopi della sonata fosse
preminente quello di fornire ad una cerchia di amici "dilettanti" di notevoli
capacità un pezzo brillante, che ne mettesse bene in luce le capacità e in e"etti
Mozart nella sua lettera a Gottfried von Jacquin raccomanda "di applicarvisi
subito perché è un po' di!cile".
Rispetto alla Sonata k 497, o al mirabile Quintetto in sol minore k 516 (finito
un paio di settimane prima), o al Don Giovanni (che andò in scena il 29 ottobre
1787) la Sonata in do maggiore si colloca in una sfera più serena e "leggera",
sembra segnare un ritorno al gusto dell'intrattenimento, del "divertimento"
delle sonate giovanili, ma con ben altra consapevolezza ed eleganza: basta
osservare in quale nuovo contesto si inseriscano i giochi d'eco e di alternanza
tra i due esecutori.
Ad a!ancare questa realtà musicale, per poi fondersi con essa, troviamo
quella che è la letteratura per gruppi strumentali che invece non privilegia la
linea melodica di un solo strumento, ma che si sviluppa nelle cosiddette parti
reali, quindi parti con una precisa identità musicale e non solo di
accompagnamento. Stiamo parlando della Kammermusik o musica da camera,
che nel Settecento segue due tendenze diverse. Da una parte quella
d'intrattenimento, mirata ad una scrittura prettamente "dialogata": i diversi
strumenti sostengono a turno la parte melodica o d'abilità; dall'altra compie
una ricerca più ardita e profonda rivolta ad un pubblico maggiormente colto. I
risultati musicali sono caratterizzati da una maggiore libertà nelle forme
musicali utilizzate e nell'uso meno convenzionale dell'armonia.
L'Andante
La terza sezione conclude il movimento con il ritorno alla parte A, alla quale
segue una piccola coda conclusiva e chiaramente a"ermativa.
L'Allegretto
Stupisce la calma assoluta (ma anche in questo caso apparente) del Finale
(allegretto), il cui tema innocuo non lascia presagire la metamorfosi seguente,
non improntata a una svolta demoniaca, o almeno non subito, ma che di certo
é molto più vivace. Così abbiamo una serie di episodi caleidoscopici come
nell'ultimo tempo della K 448, illustre precedente di questo lavoro.
Le ombre del secondo tempo, o meglio di quella zona centrale, tornano man
mano che il tempo si sviluppa, con foschi arpeggi in minore che intervengono
di colpo, o vengono di colpo interrotti dal ritorno del tema iniziale molto
tranquillo.
https://www.youtube.com/watch?v=4oY3lP_i9iA
Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, inizio 1782
Frammento incompiuto
https://www.youtube.com/watch?v=xyhxeo6zLAM
https://youtu.be/xyhxeo6zLAM?list=RDxyhxeo6zLAM
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, estate 1778
Edizione: Torricella, Vienna 1785
Semplicissima, e dunque ideale per essere variata, era la canzone infantile "Ah,
vous dirai-je Maman", posta alla base delle Dodici variazioni in do maggiore K.
265 (300e). È questo uno dei quattro cicli di variazioni scritti nel 1778 nel
corso dello sfortunato soggiorno parigino; troviamo, in questi lavori, un'ormai
raggiunta consapevolezza della scrittura pianistica, come nelle parallele sonate
del viaggio a Mannheim e Parigi di quegli anni; inoltre Parigi era un grande
centro del concertismo, che aveva sviluppato un particolare gradimento per il
genere del tema con variazioni, considerato un giusto banco di prova per ogni
virtuoso. Ecco dunque che Mozart scelse per le sue variazioni parigine dei temi
tutti francesi e molto noti, come la romanza "Je suis Lindor" tratta dalle
musiche di scena di Antoine-Laurent Baudron per Le Barbier de Séville di
Beaumarchais (Variazioni K. 354), la canzone francese "La belle Françoise" (K.
353), l'arietta "Lison dormait" dal Singspiel Julie di Nicolas Dezède (K. 264) e
appunto la canzone infantile "Ah, vous dirai-je Maman". Le variazioni costruite
su questo incantevole tema - che hanno fatto pensare, per il loro carattere
tecnicistico, a una destinazione didattica - costituiscono una sorta di corollario
dell'arte puramente tastieristica di Mozart. Gemelle (cioè alternanti gli stessi
principi tecnici fra le due mani) sono le sezioni I-II e III-IV; singolare la quinta,
che spezza una unica linea fra le due mani; non mancano quelle in minore
(VIII), a mani incrociate (X), in tempo lento (XI), pausa studiata prima della
brillantissima conclusione, l'unica che adotta umoristicamente il ritmo ternario.
Arrigo Quattrocchi
Otto variazioni in fa maggiore per pianoforte, sul tema "Ein Weib ist das
herrlichste Ding", K 613
https://www.youtube.com/watch?v=2b6uBOVUK58
https://www.youtube.com/watch?v=12Fvyb8U71w
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 8 marzo - 12 aprile 1791
Con le Otto variazioni sul Lied "Ein Weib ist das herrlichste Ding" K. 613 dal
Singspiel Der dumme Gärtner attribuito a Benedikt Schack ci spostiamo agli
ultimi mesi della vita di Mozart; questo, che è l'ultimo ciclo di variazioni del
catalogo dell'autore, venne scritto nel marzo 1791, all'interno del circolo di
amici che avrebbe dato vita, nel corso di quell'anno, a Die Zauberflöte, e infatti
queste variazioni si basano assai probabilmente su un tema del primo
interprete del ruolo di Tamino, Schack appunto. Proprio questo lungo tema ha
la caratteristica di "bruciare" nelle prime otto battute una breve idea melodica
che non viene più sfruttata nel corso del tema; ecco dunque che nel
susseguirsi delle variazioni Mozart ripropone quasi immutate queste prime
otto battute, facendo cominciare il vero e proprio lavoro di variazione a partire
dalla nona; questo procedimento conferisce una grande unità al ciclo, che si
sviluppa per il resto secondo i soliti stilemi. Nella settima variazione il
cambiamento di tempo in Adagio avviene alla nona battuta, e dà luogo ad una
fantasia estremamente libera; mentre l'ottava e ultima variazione parte
direttamente dalla nona battuta, ed ha come epilogo il ritorno dell'idea
melodica iniziale.
Arrigo Quattrocchi
https://www.youtube.com/watch?v=z-Uc3I9PcM4
https://www.youtube.com/watch?v=Lm3tTXEvRjo
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, marzo 1783
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 23 marzo 1783
Edizione: Artaria, Vienna 1786
https://www.youtube.com/watch?v=S0SzXLj80jY
https://www.youtube.com/watch?v=uQ-t5Bwqk9c
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 25 Agosto 1784
Edizione: Torricella, Vienna 1785
Le dieci Variazioni in sol maggiore sull'Arietta "Unser dummer Pöbel meint" dal
Singspiel Die Pilger von Mekka di Gluck K. 455 costituiscono uno degli esempi
più perfetti e assiomatici di Variazioni pianistiche scritte da Mozart. Una lettera
al padre del 29 marzo 1783 testimonia che questo ciclo (come anche un altro
ciclo, su un tema da I filosofi immaginarii di Paisiello K. 398) nacque come
improvvisazione, nel corso di un concerto tenuto di fronte all'imperatore
Giuseppe II. È possibile che in sala fosse presente il compositore di corte
Christoph Willibald Cluck e che Mozart, come omaggio al grande autore di
Orfeo ed Euridice e Alceste, scegliesse, per le sue Variazioni, un tema da una
sua Opera di grande successo: La rencontre ìmprévue o Les Pèlerins de la
Mecque, opéra-comique del 1764, tornata in scena a Vienna in versione
tedesca nel luglio 1780 con accoglienza trionfale. Mozart si accinse in seguito
a stendere su carta le Variazioni sul tema di Gluck, come testimonia un
abbozzo incompiuto di una primitiva versione. Tuttavia è solo alla data del 25
agosto 1784, oltre un anno più tardi, che inserì la composizione nel suo
catalogo personale.
Gemelle sono le prime due Variazioni, con le semicrome della mano destra che
si contrappongono agli accordi della sinistra, e viceversa. Seguono poi la terza
Variazione in terzine, la quarta con le "domande" della mano sinistra e le
"risposte" della destra, la quinta che propone il tema variato nel modo minore,
con una transizione espressiva. La sesta Variazione o"re i trilli alternati fra le
due mani, con un suggestivo e"etto coloristico; la settima delle imitazioni;
l'ottava l'incrocio fra le due mani. Una lunga cadenza conduce alla nona
Variazione, un tempo lento, con un arioso fraseggiare della destra, che ha un
carattere di Fantasia. Si giunge così alla decima e ultima Variazione, più lunga
e complessa, avviata col cambio del metro di base, da binario a ternario (3/8),
e dunque più capriccioso e brillante; questa Variazione virtuosistica è anche
interrotta da una lunga cadenza, gioca poi col passaggio della mano destra
sulla sinistra, infine approda a una coda che riespone il tema originario di
Gluck, e conclude con estro e grazia tutto il percorso delle Variazioni, che per
il loro arco elaborato e impegnativo sono un vero pezzo da concerto.
Arrigo Quattrocchi
https://www.youtube.com/watch?v=Z6USF9sm2pw
https://www.youtube.com/watch?v=UFWneb1jrUo
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 12 Settembre 1786
Edizione: Ho"meister, Vienna 1786
Guida all'ascolto (nota 1)
Le dodici Variazioni in si bemolle su un Allegretto K. 500 sono il terzultimo
ciclo di Variazioni di Mozart, risalente al 12 settembre 1786. La raccolta venne
scritta, secondo la testimonianza della vedova Constanze, dietro sollecitazione
dell'editore Franz Anton Ho"meister, per una destinazione editoriale che poi
non ebbe luogo, ma che certamente condizionò il carattere estremamente
semplice della raccolta; è questo peraltro l'unico ciclo di cui non si conosca
l'autore del tema; forse lo stesso Mozart, anche se in genere questi cicli
pianistici prendevano spunto da una melodia celebre. La brevità del tema viene
rispettata in tutte le Variazioni, che seguono schemi consolidati.
Arrigo Quattrocchi
https://www.youtube.com/watch?v=kMifceMiM34
https://www.youtube.com/watch?v=gOGB6RDHbAw
Organico: pianoforte
Composizione: Potsdam, 29 Aprile 1789
Edizione: Artaria, Vienna 1792
Arrigo Quattrocchi
Nell'aprile 1789 Mozart si mise in viaggio per Berlino con il suo allievo, il
principe Carlo Lichnowsky. Il musicista sperava in una commissione da parte
del re di Prussia, Federico Guglielmo II, buon violoncellista e musicofilo.
L'ingresso a corte avvenne attraverso il maestro del re, il francese Jean-Pierre
Duport, e per ingraziarselo Mozart compose il 29 aprile 9 variazioni su un suo
minuetto. Favore improduttivo, perché la visita non sortì l'e"etto sperato, e
Mozart attribuì l'insuccesso ai raggiri del «brutto ce"o celtico».
https://www.youtube.com/watch?v=0e7zpw-B_FE
https://www.youtube.com/watch?v=82eT3_FCoeM
https://www.youtube.com/watch?v=8ClK6waNHd4
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 19 Marzo 1788
Edizione: Ho"meister, Vienna 1788
Questo breve movimento lento rimasto isolato per ragioni ignote, pubblicato
da Ho"meister senza alcuna ulteriore indicazione, reca la data del 19 marzo
1788 e appartiene dunque al periodo dell'ultimo Mozart (cronologicamente si
situa a cavallo delle due versioni, praghese e viennese, del Don Giovanni). E del
Mozart maturo ha tutta l'ine"abile, poetica ina"errabilità, la valenza espressiva
tragica e la tendenza a risolvere la musica, quasi nella sua essenza, in termini
metafisici. Il carattere libero e rapsodico del suo andamento riposa su un
equilibrio instabile ma perfettamente disegnato, nel quale l'accesa passionalità,
con tratti quasi disperati, si placa in una progressiva decantazione che trova il
suo punto di destinazione finale nella trasfigurante coda in maggiore.
Sergio Sablich
https://www.youtube.com/watch?v=BJZ1gdvPnQg
https://www.youtube.com/watch?v=TKV9n36kppE
Ruggero Laganà
https://www.youtube.com/watch?v=qreS-wdAAdg
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, marzo - maggio 1784
Mauro Mariani
https://www.youtube.com/watch?v=mPoibloHm_s
Allegro (sol maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Lipsia, 16 Maggio 1789
Edizione: Artaria, Vienna 1792
Di gran lunga più importante, nella sua brevità, la Piccola Giga in sol maggiore
K. 574, pagina che si riallaccia al grande interesse di Mozart, nei suoi ultimi
anni, verso lo stile "antico" di Sebastian Bach e di Händel. Mozart aveva
imparato a conoscere e ad ammirare la musica di questi autori grazie alla
frequentazione del salotto del barone Gottfried van Swieten che, come
diplomatico, aveva risieduto lungamente a Berlino, dove la musica di Bach era
conosciuta e di"usa nei circoli legati al figlio Carl Philipp Emanuel. Al suo
ritorno a Vienna, nel 1777, van Swieten doveva diventare un autentico
mecenate, volto al culto di quella che era considerata la "musica antica",
attraverso un circolo intellettuale che promuoveva molte esecuzioni. È per i
concerti promossi da van Swieten che a Mozart venne richiesto di trascrivere
quattro Oratori di Händel. All'ombra degli studi di questo stile "antico" nascono
anche parecchi lavori pianistici segnati dal gusto arcaicizzante per il
contrappunto.
La Piccola Giga K. 574 venne scritta a Lipsia, tappa del già citato viaggio
compiuto a Berlino nella primavera 1789 insieme al principe Karl Lichnowsky.
La composizione rappresenta un piccolo dono vergato da Mozart, con la data
del 16 maggio 1789, insieme a una sincera dedica, sul quaderno personale
dell'organista della corte lipsiense, Karl Immanuel Engel. Insomma un omaggio
musicale a uno stimato collega. Nonostante Lipsia fosse la città nella quale
aveva svolto il proprio magistero Sebastian Bach, la Piccola Giga ha un modello
diverso, quello di Händel, e precisamente della Suite n. 8 in fa minore, tratta
dalla raccolta del 1722. Il contrappunto impeccabile delle tre voci della Giga
ricalca da vicino quello händeliano, seguendo però un percorso armonico non
prevedibile, che rivela molto nitidamente la mano di Mozart.
Arrigo Quattrocchi
https://www.youtube.com/watch?v=IMRWMhIOYuc
https://www.youtube.com/watch?v=76EL79G13n8
Adagio (fa maggiore)
Allegro (fa maggiore)
Definita da Mozart come "Adagio pour l'horloger" la Fantasia K. 594 inizia con
un tempo in tre quarti di tono meditativo e di stile severo in un gioco di
armonie e di modulazioni man mano sempre più audaci. Il successivo Allegro
in fa maggiore ha l'andamento di un fugato dal ritmo nervoso e spigliato, di
impianto sonatistico, che apre poi la strada al clima espressivo già ascoltato
nel discorso sonoro introduttivo. Esiste anche una trascrizione per orchestra di
questa Fantasia ma non c'è dubbio che l'edizione per organo sia
particolarmente e!cace e riesca a comunicare meglio il carattere di
improvvisazione impresso dalla fantasia di Mozart.
https://www.youtube.com/watch?v=O6l_0BQnBsU
Carlo Marinelli
https://www.youtube.com/watch?v=W20E_-S6U0c
https://www.youtube.com/watch?v=dH4Pbxr0HLY
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 1789
Edizione: Mollo, Vienna 1801
Guida all'ascolto (nota 1)
Arrigo Quattrocchi