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Lista delle composizioni di Wolfgang Amadeus Mozart

(1756-1791), ordinate per genere.

Indice

Opere teatrali

Arie, scene e cori con orchestra

Musica sacra

Sinfonie

Ouvertures, Cassazioni, Serenate, Divertimenti per orchestra

Marce, Danze, Tempi di sinfonia per orchestra

Concerti per pianoforte

Concerti per uno o più strumenti solisti

Composizioni per fiati

Composizioni per archi e fiati

Sonate per pianoforte

Altre composizioni per pianoforte

Sonate per pianoforte e violino

Sonate da Chiesa

Duetti, Trii, Quartetti e Quintetti

Composizioni per insiemi di archi

Composizioni per pianoforte e archi

Composizioni per pianoforte a quattro mani


Variazioni per pianoforte

Composizioni isolate per pianoforte

Composizioni per organo

Danze per pianoforte

Opere teatrali

Die Schuldigkeit des ersten Gebotes (L'obbligo del primo comandamento)


K35 - (12 marzo 1767, Residenza Arcivescovile, Salisburgo)

https://youtu.be/turpKltUvfk

Die Schuldigkeit des ersten Gebots, in italiano L'obbligo del primo


comandamento (K 35) è un singspiel sacro, ovvero una sorta di oratorio in
lingua tedesca scritto fra il 1766 e il 1767 da Wolfgang Amadeus Mozart,
Johann Michael Haydn, Anton Cajetan Adlgasser.

Genesi e autori

Fu commissionato dall'allora Arcivescovo di Salisburgo. È diviso in tre parti: la


prima di esse – giunta fino a noi – fu composta da Wolfgang Amadeus Mozart
che all'epoca aveva poco più di dieci anni, le altre – perdute – da Johann
Michael Haydn (la seconda) e da Anton Cajetan Adlgasser (la terza). La
leggenda vuole che l'alto prelato, incuriosito ma di!dente in merito alle doti
fuori del comune del piccolo Mozart, abbia preteso che il bambino scrivesse la
parte a lui a!data sotto la sua sorveglianza, senza aiuto o interferenze da
parte di altre persone. In realtà tutti i recitativi appartengono alla mano di
Leopold Mozart, padre di Wolfgang, ma si ignora se il suo aiuto si sia spinto
oltre.

La paternità del libretto è stata accertata solo nella seconda metà del
Novecento. L'originale porta soltanto la sigla J.A.W., e si è discusso a lungo se
gli autori fossero Johann Adam Wieland oppure Jakob Anton Marianus Wimmer,
all'epoca autori in voga per questo genere di testi. Soltanto nel 1957 fu
scoperto un diario del padre benedettino salisburghese, Bede Hübner, in cui si
a"erma che il testo di questa composizione fu scritto da "Herr Weiser", dunque
Ignaz Anton Weiser, all'epoca consigliere a Salisburgo.

Organico e articolazione
La prima parte dell'opera – quella mozartiana, giunta fino a noi – è scritta per
orchestra (il cui organico prevede archi, flauti, oboi, fagotti, corni, trombone
contralto e basso continuo), tre soprani e due tenori. La sua durata è di circa
novanta minuti. Consiste di una sinfonia di apertura, sette arie corredate da
cadenza e colorature, diversi recitativi ed un terzetto finale. Da segnalare in
particolare l'aria Ein ergrimmter Löwe brüllt e l'assolo di trombone contralto
nel numero Jener Donnerworte Kraft. Un'altra aria - Manches Übel will zuweilen
- verrà poi ripresa da Mozart per un'altra sua opera, La finta semplice.

Prima esecuzione e riprese moderne

La prima parte fu rappresentata per la prima volta il 12 marzo 1767 nella Sala
dei Cavalieri del Palazzo dell'Arcivescovado di Salisburgo, la seconda il 19
marzo, la terza il 26. Gli interpreti furono Joseph Meisner (il Cristiano), Anton
Franz Spitzeder (lo Spirito cristiano), Maria Anna Fesemayr (lo Spirito
mondano), Maria Magdalena Lipp in Haydn (la Misericordia), Maria Anna
Braunhofer (la Giustizia). Nel repertorio corrente è entrata a partire dagli anni
cinquanta del XX secolo. Dopo il debutto salisburghese alla presenza del
giovanissimo Mozart, le rappresentazioni di cui si ha notizia sono avvenute a
Londra nel 1952 (alla Royal Festival Hall, in forma di concerto) e nel 1968 (al
Camden Festival, in forma di rappresentazione teatrale). Tutt'oggi è
rappresentata con una certa regolarità registrando un notevole aumento di
allestimenti nel 2006, in occasione del 250º anniversario della nascita di
Mozart, anno in cui è stata inserita nel cartellone dell'edizione 2006 del Rossini
Opera Festival che ha inteso così gemellare i precoci talenti compositivi sia del
grande salisburghese sia di Gioachino Rossini.

Apollo et Hyacinthus (Apollo e Giacinto) K38 - (13 maggio 1767, Università


di Salisburgo)

https://youtu.be/-g7-7zPZDr0

Intermezzo in latino per il dramma scolastico Clementia Croesi (La clemenza di


Creso), K 38

Libretto: padre Rufinus Widl

Ruoli:

Oebalus, re di Sparta (tenore)


Melia, sua figlia (soprano)
Hyacinthus, suo figlio (soprano)
Apollo, suo ospite (contralto)
Zephyrus, amico di Hyacinthus (contralto)
due sacerdoti di Apollo (bassi)
coro

Organico: 2 soprani, 2 contralti, tenore, 2 bassi, coro misto, 2 oboi, 2 corni,


archi
Composizione: Salisburgo, primavera 1767
Prima esecuzione: Salisburgo, Università dei Benedettini, 13 Maggio 1767

Struttura musicale

Scena prima

Ouverture - Intrada - Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi


Amice! jam parata sunt omnia - Recitativo (Hyacinthus, Zephyrus, Oebalus)
Numen o Latonium! - coro - Andante alla breve (re maggiore) - 2 oboi, 2
corni, archi
Heu me! periimus! - Recitativo (Melia, Oebalus, Hyacinthus, Zephyrus)
Saepe terrent Numina - Aria (Hyacinthus) - Allegro moderato (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, archi
Ah nate! vera loqueris - Recitativo (Oebalus, Apollo, Hyacinthus, Melia,
Zephyrus)
Jam pastor Apollo custudio greges nixus - Aria (Apollo) - Andantino (mi
maggiore) - 2 corni, archi

Scena seconda

Amare nun quid filia - Recitativo (Oebalus, Melia)

Laetari jocari fruique divinis honoribus stat - Aria (Melia) - Allegro (re
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Rex! de salute filii est actum - Recitativo (Zephyrus, Oebalus, Melia)
En! duos conspicis - Aria (Zephyrus) - Un poco allegro (la maggiore)
Heu! Numen! ecce! - Recitativo (Zephyrus, Melia, Apollo)
Discede crudelis! - Duetto (Melia, Apollo) - Allegro (fa maggiore). Moderato.
Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena terza

Non est. Quis ergo nate! - Recitativo (Hyacinthus, Oebalus) - archi

Ut navis in aequore luxuriante per montes - Aria (Oebalus) - Allegro agitato


(mi bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Quocumque me converto - Recitativo (Melia, Oebalus)
Natus cadit atque Deus me nolente - Duetto (Melia, Oebalus) - Andante (do
maggiore) - 2 corni, archi
Rex! ne redige cogit in Hyacinthum amor - Recitativo(Apollo)
Hyacinthe surge! - Recitativo (Apollo) - Andantino (sol maggiore) - 2 corni,
archi
Quid video? - Recitativo (Oebalus, Melia, Apollo)
Tandem post turbida fulmina - Trio (Melia, Apollo, Oebalus) - Allegro (sol
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Primo lavoro scenico dell’undicenne Wolfgang, questo intermedio latino gli


venne commissionato dall’università di Salisburgo per lo spettacolo conclusivo
dell’anno accademico 1766/67. Scritto dal benedettino Rufinus Widl, locale
professore di retorica, fu rappresentato nelle sue tre parti (unprologuse
duechori) tra gli atti della tragedia Clementia Croesi, dello stesso padre Widl.
Appartenente a un genere di teatro scolastico di lunga tradizione barocca, il
dramma venne interpretato da cantori della Cappella arcivescovile nella sala
del grande teatro universitario; dopo la rappresentazione l’adulescentulus
Mozart terminò la serata con una prodigiosa esibizione al clavicembalo.
Il dramma mette in scena il mito derivato da Ovidio (Metamorfosi, libro X),
reinterpretandolo alla luce della drammaturgia settecentesca. I canoni, le
strutture e l’impianto narrativo del teatro barocco determinano infatti i
caratteri della vicenda, riconducendo ogni inquietudine paganeggiante
dell’antica materia narrativa nell’alveo collaudato dei melodrammi e degli
oratori metastasiani. La traccia più evidente di questo accomodamento è
l’introduzione del personaggio femminile di Melia, futura sposa di Apollo.

Zephyrus, per mettere fuori gioco Apollo, suo avversario in amore per la mano
di Melia, decide di uccidere Hyacinthus e di incolpare del delitto il rivale.
Questa versione dei fatti viene però ben presto smentita da Hyacinthus stesso
che, morente, rivela l’identità del suo assassino. Zephyrus verrà esiliato, Melia
e Apollo potranno sposarsi e Hyacinthus sarà trasformato nel fiore cui darà il
nome.

Il gruppo di adolescenti (tutti rigorosamente maschi) che eseguì l’operina


mozartiana venne chiamato ad a"rontare una partitura di 11 numeri musicali:
un’aria per ciascuno, due duetti, un terzetto e un coro, cui vanno aggiunti i
recitativi, alcuni dei quali accompagnati. Il giovane compositore vi assume con
estrema naturalezza i modelli stilistici frequentati nella tappa londinese
(1764-65) del suo recente viaggio di formazione (soprattutto le opere di
Johann Christian Bach); si notino in particolare la freschezza espressiva
dell’aria “Iam pastor Apollo”, l’originale orchestrazione del duetto “Natus
cadit”, la drammaticità semplice ed e!cace del recitativo che accompagna la
morte di Hyacinthus e la giocosa aria di Melia “Laetari, iocari”.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Bastien und Bastienne (Bastiano e Bastiana) K50 - (2 ottobre 1890,


Architektenhaus, Berlino)

https://youtu.be/TT82bNz0PmY

Libretto: Friedrich Wilhelm Weiskern, Johann Andreas Schachtner, Johann


Heinrich Friedrich Muller

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Bastien-testo.html

Ruoli:

Bastienne, una pastorella innamorata di Bastien (soprano)


Bastien, un pastore (tenore)
Colas, pastore e mago del villaggio (basso)
Pastori e pastorelle

Organico: soprano, 2 tenori, basso, 2 oboi (anche flauti), 2 corni, archi


Per i recitativi: clavicembalo e violoncello
Composizione: Vienna, Estate 1768
Prima rappresentazione: Vienna, Gartentheater, 1 Ottobre 1768

La gestazione di questo breve spettacolo coinvolse a metà Settecento una


piccola folla di personaggi tra Parigi e Vienna. Nato come parodia del famoso ?
Devin du village di Rousseau (1752) ad opera della coppia Guerville-Favart,
venne importato a Vienna nel 1764 da due attori, Weiskern e Müller, che
prepararono, su commissione del conte Durazzo, il testo tedesco di cui si servì
il dodicenne Mozart: non prima però che il salisburghese Johann Andreas
Schachtner apponesse gli ultimi ritocchi al libretto dell’operina. La quale, a
ulteriore complicazione della vicenda, fu forse rappresentata in casa (o nel
giardino) di Anton Mesmer, il medico studioso del magnetismo citato inCosì
fan tutte: non è dato tuttavia saperlo con certezza, mancando ogni
documentazione al riguardo. Nel testo definitivo il tema dell’autentica,
innocente vita pastorale di roussoviana memoria, ultima moda tra i soggetti
teatrali dell’epoca, si coniuga con scoperti, maliziosi riferimenti alla corruzione
e al degrado morale in cui l’amore può incorrere, se attratto nell’orbita del
danaro.

L’amore tra Bastien e Bastienne si sta incrinando per le lusinghe che il mondo
esterno esercita sul ragazzo, strappandolo all’idilliaca felicità campestre. Per
riconquistarlo, Bastienne si rivolge al mago Colas che, esperto di malizie
mondane, le suggerisce di ostentare indi"erenza; pentito, il ragazzo ritornerà
infatti dalla fedele compagna.

L’ideale di semplicità naturale, propugnato dagli illuministi in musica, viene


assunto dal giovane Mozart nell’apparente immediatezza dei sedici numeri di
questa partitura. Melodie di incantevole dolcezza e trasparenza si susseguono,
nascondendo una maturità di scrittura già notevole, capace di coniugare
magistralmente l’arte con la natura; raggiunti a dodici anni, senza apparente
sforzo, questi risultati corrispondono al progetto estetico dell’Illuminismo
maturo, cui Mozart terrà fede sino alle ultime opere. Tra gli aspetti più rilevanti
della partitura si considerino l’invenzione melodica originale e pregnante,
l’economia tematica già notevole, la vivacità ritmica e l’eufonia nella scrittura
orchestrale (prossima alle sinfonie giovanili), la costruzione di arie ‘in
miniatura’ perfettamente chiaroscurate, tramite l’inserimento di una sezione
contrastante. Globalmente questo Singspiel rappresenta quanto di più
originale il giovane compositore andasse componendo per il teatro in quegli
anni, attingendo – nonostante l’apparente semplicità e immediatezza
dell’espressione – a un grado di complessità di scrittura già del tutto
personale; vi si trovano gesti vocali di carattere bu"o degni dei capolavori della
maturità, come quello che segnala lo scatto d’orgoglio di Bastienne, quando
Colas osa supporre che anche lei possa essere infedele (“Würd’ich auch wie
manche Buhlerinnen”). A un altro luogo della maturità mozartiana, alFlauto
magico, rimanda invece la decisione di Bastien di uccidersi, se non potrà avere
l’amore di Bastienne: sembra di sentire i propositi di Papageno, e infatti anche
in questo caso il suicidio è solo annunciato. Viene quindi descritto l’incedere
un po’ vacuo dell’incostante Bastien, mentre poco dopo il mago Colas esibisce
i suoi poteri tra le formule esoteriche di un’aria memorabile (“Diggi, Daggi,
schurry, murry”), ambientata, in perfetta manieraSturm und Drang,
nell’atmosfera cupa del do minore, e felicemente controbilanciata dal brano
seguente, l’intenso, sereno minuetto di Bastien “Meiner Liebsten schöne
Wangen”, creando così un dittico inferi/campi elisi omologo all’Orfeo ed
Euridicegluckiano.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Struttura musicale

Ouverture - Allegro (sol maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena prima:

Mein liebster Freund hat mich verlassen - Aria (Bastienne) - Andante un


poco Adagio (do maggiore) - 2 oboi, archi
Bastien, du fliehst von mir - Recitativo (Bastienne)
Ich geh' jetzt auf die Weide - Aria (Bastienne) - Andante (fa maggiore) - 2
corni, archi

Scena seconda:

Pastorale - Allegretto (re maggiore) - archi


Befraget mich ein zartes Kind - Aria (Colas) - Allegro (re maggiore) - 2 oboi,
archi
Willkommen, Herr Colas! - Recitativo (Bastienne, Colas)
Wenn mein Bastien im Scherze - Aria (Bastienne) - Tempo grazioso (sol
maggiore) - 2 corni, archi
O, deine Wohlthat ist zwar gross - Recitativo (Colas, Bastienne)
Wurd' ich auch, wie manche Buhlerinnen - Aria (Bastienne) - Allegro
moderato (si bemolle maggiore) - 2 oboi, archi
Nun gib dich nur zufrieden - Recitativo (Colas, Bastienne)
Auf den Rath, den ich gegeben - Duetto (Colas, Bastienne) - Allegro (fa
maggiore) - 2 corni, archi

Scena terza:

Ein wunderlich verliebtes Paar - Testo parlato (Colas)

Scena quarta:

Grossen Dank dir abzustatten - Aria (Bastien) - Allegro (do maggiore) -


archi
Geh'! du sangst mir eine Fabel - Aria (Bastien) - Moderato (sol maggiore) - 2
corni, archi
Diggi, daggi, schurry, murry - Aria (Colas) - Andante maestoso (do minore)
- 2 oboi, archi

Scena quinta:

Meiner Liebsten schone Wangen - Aria (Bastien) - Tempo di Minuetto (la


maggiore) - 2 flauti, archi

Scena sesta:

Hier ist sie wirklich schon - Recitativo (Bastien, Bastienne)

Er war mir sonst treu und ergeben - Aria (Bastienne) - Andante (fa
maggiore). Un poco Allegro. Adagio - 2 corni, archi
Geh' hin! dein Trotz soll mich nicht schrecken - Aria (Bastien, Bastienne) -
Adagio maestoso (mi bemolle maggiore). Allegro. Grazioso un poco Allegretto.
Adagio. Allegro - archi
Dein Trotz vermehrt sich durch mein heiden? - Recitativo (Bastien) - ... (sol
minore) - archi
Wohlan! den Augenblick hol'ich - Recitativo (Bastien, Bastienne) - Arioso (sol
minore) - archi
Geh'! Herz von Flandern! - Duetto (Bastienne, Bastien) - Allegro moderato (si
bemolle maggiore). Adagio. Andantino - 2 corni, archi
Kinder! seht nach Sturm und Regen - Trio (Bastienne, Bastien, Colas) -
Allegro moderato (re maggiore). Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi

La finta semplice K51 - (1º maggio 1769, Residenza Arcivescovile,


Salisburgo)

https://youtu.be/CJAlU-jNpDo

Libretto: Marco Coltellini, da Goldoni

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Fintasemplice-testo.html

Ruoli:

Fracasso, capitano nelle truppe ungheresi acquartierate sul Cremonese, e


fratello di Rosina (tenore)
Rosina, Baronessa ungherese, sorella di Fracasso, la quale si finge semplice
(soprano)
Cassandro, ricco proprietario cremonese, gentiluomo sciocco ed avaro
(basso)
Polidoro, suo fratello minore, gentiluomo sciocco (tenore)
Giacinta, loro sorella (soprano)
Simone, sergente di Fracasso ed innamorato di Ninetta (basso)
Ninetta, loro cameriera (soprano)

Organico: 2 flauti, 2 oboi (anche corno inglese), 2 fagotti, 2 corni (anche corni
da caccia), archi
Per i recitativi: clavicembalo e violoncello
Composizione: Vienna, aprile - luglio 1768
Prima rappresentazione: Salisburgo, Rittersaal del Residenz-Theater, 1 maggio
1769
Sinossi

Luogo dell'azione: Nella campagna cremonese


ATTO PRIMO
Giardino di un palazzetto di campagna. - La vita dei nobili Cassandro e
Polidoro viene turbata dall'arrivo del capitan Fracasso e del suo attendente
Simone. I due militari ungheresi si innamorano rispettivamente della bella
sorella dei due nobili, Giacinta, e della cameriera Ninetta. A complicare la
vicenda giunge inaspettata anche la sorella di Fracasso, l'astuta e
intraprendente Rosina (la 'finta semplice'). La ragazza cerca di far innamorare
di sé entrambi i titolati: se Polidoro è cedevole, Cassandro, di cui è noto l'odio
per le donne, resta irremovibile.

ATTO SECONDO
Salone di Don Cassandro, con sedie e lumi perché è notte. - Cassandro ha
invitato tutti a cena. Polidoro cerca di convincere Rosina a sposarlo, mentre
Cassandro richiede villanamente alla ragazza un anello che malvolentieri le
aveva regalato. Interviene allora Fracasso, che lo sfida a duello. Dopo la farsa
del duello, viene escogitato un nuovo stratagemma: Giacinta e Ninetta
fuggiranno di casa e si farà credere a Cassandro e Polidoro che siano scappate
con tutto il denaro. A quel punto i due nobili stabiliscono di dare Giacinta in
sposa a chi recupererà denaro e cameriera.

ATTO TERZO
Strada di campagna. - Finalmente anche Cassandro ha ceduto alle grazie di
Rosina: la ragazza lo preferisce infatti a Polidoro, che monta su tutte le furie.
Intanto Fracasso e Simone riportano le due donne e chiedono il premio
pattuito. La 'finta semplice' ha trionfato e si può celebrare un triplo
matrimonio. Solo il povero Polidoro resterà scapolo.

Guida all’ascolto

La prima opera italiana di Mozart mette in musica il dramma giocoso omonimo


scritto da Goldoni nel 1764, utilizzando come modello la commedia di Philippe
Destouches La fausse Agnès, ou le Poète campagnard (1734). Sul testo
goldoniano intervenne Marco Coltellini, sostituendo due numeri nei primi due
atti e rivoluzionando l’impianto del terzo.

Atto primo. La vita dei nobili Cassandro e Polidoro viene turbata dall’arrivo del
capitan Fracasso e del suo attendente Simone. I due militari ungheresi si
innamorano rispettivamente della bella sorella dei due nobili, Giacinta, e della
cameriera Ninetta. A complicare la vicenda giunge inaspettata anche la sorella
di Fracasso, l’astuta e intraprendente Rosina (la ‘finta semplice’). La ragazza
cerca di far innamorare di sé entrambi i titolati: se Polidoro è cedevole,
Cassandro, di cui è noto l’odio per le donne, resta irremovibile.
Atto secondo. Cassandro ha invitato tutti a cena. Polidoro cerca di convincere
Rosina a sposarlo, mentre Cassandro richiede villanamente alla ragazza un
anello che malvolentieri le aveva regalato. Interviene allora Fracasso, che lo
sfida a duello. Dopo la farsa del duello, viene escogitato un nuovo
stratagemma: Giacinta e Ninetta fuggiranno di casa e si farà credere a
Cassandro e Polidoro che siano scappate con tutto il denaro. A quel punto i
due nobili stabiliscono di dare Giacinta in sposa a chi recupererà denaro e
cameriera.

Atto terzo. Finalmente anche Cassandro ha ceduto alle grazie di Rosina: la


ragazza lo preferisce infatti a Polidoro, che monta su tutte le furie. Intanto
Fracasso e Simone riportano le due donne e chiedono il premio pattuito. La
‘finta semplice’ ha trionfato e si può celebrare un triplo matrimonio. Solo il
povero Polidoro resterà scapolo.

Il testo comprende in tutto cinque concertati (ben tre finali, l’introduzione e un


duetto) e alcune delle situazioni più ricorrenti nell’opera bu"a, tra le quali il
duello farsesco del secondo atto. In generale tutto il tono dell’opera rientra
nell’ambito comico, come prova una serie di arie caratterizzate da alcune
ra!nate soluzioni compositive. Ad esempio l’aria della protagonista, Rosina,
“Senti l’eco ove t’aggiri”, in cui la melodia elegiaca dell’oboe obbligato viene
accompagnata da corni inglesi e corni da caccia, a simboleggiare
l’ambientazione arcadica della scena; oppure le pregevoli arie di Giacinta
“Marito io vorrei” e “Sento l’alma che sen va”, di Polidoro “Cosa ha mai la donna
indosso” (la cui musica proviene dalSingspielsacro KV 35), o di Fracasso “In voi
belle è leggiadria”.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Struttura musicale

Ouverture - Sinfonia - Molto allegro (re maggiore). Andante (sol maggiore)


per 2 flauti e archi. Molto Allegro (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti,
archi

Atto I:
Scena I:

Bella cosa è far l'amore - Coro (Ninetta, Giacinta, Fracasso, Simone) -


Allegro (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, archi
Ritiriamoci amici - Recitativo (Giacinta, Ninetta, Fracasso, Simone)
Troppa briga a prender moglie - Aria (Simone) - Allegro (do maggiore) -
archi

Scena II:
L'un de' patroni è alzato - Recitativo (Giacinta, Ninetta, Fracasso)

Marito io vorrei, ma senza fatica - Aria (Giacinta) - Allegro grazioso (fa


maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena III:

Oh starem male insieme - Recitativo (Fracasso)

Non c'è al mondo altro che donne - Aria (Cassandro) - Allegro non molto (re
maggiore) - archi
Con chi l'ha Don Cassandro? - Recitativo (Fracasso, Cassandro)
Guarda la Donna in viso - Aria (Fracasso) - Allegro moderato (sol maggiore)
- 2 corni, archi
Guarda la Donna in viso - Aria (Fracasso) - Adagio maestoso (sol maggiore).
Andante. Allegro - 2 corni, archi [versione alternativa]
Eh! ben, ben! ei vedremo - Recitativo (Cassandro)

Scena IV:

Colla bocca e non col core - Aria (Rosina) - Andante (la maggiore) - 2 flauti,
archi
Sicchè m'avete inteso? - Recitativo (Ninetta, Rosina, Polidoro)

Scena V:

Oh la prendo da vero - Recitativo (Cassandro, Polidoro)

Cosa ha mai la donna in dosso che mi piace tanto - Aria (Polidoro) - Allegro
(si bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VI:

Grand'uomo che son io - Recitativo (Cassandro, Rosina)

Ella vuole ed io vorrei convenire non si può - Aria (Cassandro) - Moderato e


maestoso (fa maggiore). Adagio. Moderato e maestoso - archi

Scena VII:

Eh ben, sorella mia? - Recitativo (Fracasso, Rosina, Ninetta)


Senti l'eco ove t'aggiri sussurar tra fiori e fronde - Aria (Rosina) - Andante
un poco Adagio (mi bemolle maggiore). Allegro grazioso. Andante un poco
Adagio - oboe, 2 corni inglesi, 2 corni da caccia, archi

Scena VIII:

Ninetta, Che volete? - Recitativo (Polidoro, Ninetta, Fracasso)

Chi mi vuol bene presto mel dica - Aria (Ninetta) - Tempo di Minuetto (si
bemolle maggiore) - archi

Scena IX:

Adesso è fatto tutto - Recitativo (Polidoro)

Dove avete la creanza? - Finale (Rosina, Ninetta, Giacinta, Polidoro,


Fracasso, Simone, Cassandro) - Un poco Adagio (re maggiore). Andante.
Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Atto II:
Scena I:

Sono i padroni miei a pranzo ancor - Recitativo (Ninetta, Simone)

Un marito, donne care, ci bisogna ritrovare - Aria (Ninetta) - Andante (sol


maggiore) - archi

Scena II:

Eh quando sia mia sposa la ridurrò - Recitativo (Giacinta, Simone)

Con certe persone vuol esser bastone - Aria (Simone) - Allegro (re
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena III:

Non mi marito piu se al capitano - Recitativo (Giacinta, Polidoro)

Se a maritarmi arrivo - Aria (Giacinta) - Allegro comodo (la maggiore) - 2


flauti, 2 corni, archi

Scena IV:

Quando avrò moglie anch' io esser - Recitativo (Polidoro, Ninetta)


Scena V:

Amoretti che ascosi qui siete - Aria (Rosina) - Andante (mi maggiore) - 2
fagotti, archi

Madama, e fatto tutto la visita - Recitativo (Polidoro, Rosina, Ninetta)

Scena VI:

Ubriaco non son io - Aria (Cassandro) - Allegro con brio (do maggiore) -
archi
L'ha coll'anello ancora - Recitativo (Rosina, Cassandro, Polidoro)
Sposa cara, sposa bella - Aria (Polidoro) - Adagio (sol maggiore). Moderato.
Adagio. Moderato - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena VII:

L'ho fatta grossa assai - Recitativo (Cassandro, Rosina) - continuo ed archi

Ho sentito a dir di tutte le piu belle - Aria (Rosina) - Allegro grazioso (fa
maggiore). Allegretto - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena VIII:

Sciocca è la Baronessa - Recitativo (Cassandro, Fracasso)

Cospetton, cospettonaccio - Duetto (Fracasso, Cassandro) - Allegro (re


maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena IX:

Dove andate, signore? - Recitativo (Rosina, Cassandro)

Scena X:

Siam quasi in porta adesso - Recitativo (Rosina, Fracasso)

Scena XI:

Vieni a tempo, Simone! - Recitativo (Fracasso, Simone, Ninetta)

In voi belle e leggiadria se talor prega vi fate - Aria (Fracasso) - Andante


grazioso (si bemolle maggiore). Allegro - 2 corni, archi
Scena XII:

Come andera, Simone - Recitativo (Ninetta, Simone)

Scena XIII:

T'ho detto, bu"one - Finale (Ninetta, Polidoro, Cassandro, Rosina, Fracasso,


Simone) - Allegro molto (sol maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni,
archi

Atto III:
Scena I:

Vieni, vieni, oh mia Ninetta - Aria (Simone) - Un poco Adagio (fa maggiore)
- 2 corni, archi
Io non ho gran paura - Recitativo (Ninetta, Simone)
Sono in amore, voglio marito - Aria (Ninetta) - Tempo di Minuetto (do
maggiore). Allegro. Tempo di Minuetto. Allegro - 2 flauti, archi
Sono in amore, voglio marito - Aria (Ninetta) - Tempo di Minuetto (do
maggiore) - 2 flauti, archi [versione alternativa]

Scena II:

Che scompiglio, che flagello - Aria (Giacinta) - Allegro (do minore) - 2


fagotti, 2 corni, archi
Che smorfie, che paura! - Recitativo (Fracasso, Giacinta)
Nelle guerre d'amore non val sempre il valore - Aria (Fracasso) - Andante
maestoso (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, archi
Nelle guerre d'amore non val sempre il valore - Aria (Fracasso) - Andante
maestoso (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, archi [versione alternativa
del movimento centrale: Chi stanca ed a"atica]

Scena III:

E cosi Baronessa? - Recitativo (Rosina, Cassandro)

Scena IV:

Eh ben, quando facciamo questo nozze, signora? - Recitativo (Polidoro,


Rosina)

Se le pupille io giro amorosette - Finale (Ninetta, Giacinta, Rosina, Polidoro,


Fracasso, Cassandro, Simone) - Andante (sol maggiore). Andante grazioso.
Andante. Allegro. Allegro non presto. Un poco Adagio. Allegro. Andantino.
Allegretto. Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Mitridate, re di Ponto K87 (K.74a) - (26 dicembre 1770, Teatro Regio


Ducale, Milano)

https://youtu.be/eKytF98dmtA

Libretto: Vittorio Amadeo Cigna-Santi

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Mitridate-testo.html

Ruoli:

Mitridate, Re di Ponto e d'altri regni, amante d'Aspasia (tenore)


Aspasia, promessa sposa di Mitridate, e già dichiarata Regina (soprano)
Sifare, figliuolo di Mitridate e di Stratonica, amante d'Aspasia (soprano)
Farnace, primo figliuolo di Mitridate, amante della medesima (contralto)
Ismene, figlia del Re de' Parti, amante di Farnace (soprano)
Marzio, tribuno romano, amico di Farnace (tenore)
Arbate, governatore di Ninfea (soprano)

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, 2 tromboni, timpani, archi


Per i recitativi: clavicembalo e violoncello
Composizione: Bologna, 29 Settembre 1770 - Milano, Dicembre 1770
Prima esecuzione: Milano, Teatro Regio Ducale, 26 Dicembre 1770

Guida all’ascolto

L’occasione per comporre la sua prima opera seria (e dunque la prima di


notevole impegno) venne a Mozart dal Regio Ducal Teatro di Milano, in seguito
ai contatti che il compositore, accompagnato dal padre, ebbe nel febbraio
1770 con una serie di influenti personaggi, tra cui il conte Firmian e Giovanni
Battista Sammartini. Il quattordicenne salisburghese iniziò la partitura a
Bologna il 29 settembre 1770, per concluderla a Milano in tempo perché
venisse allestita per l’inaugurazione della stagione di carnevale, il 26 dicembre
dello stesso anno. Il libretto, scritto originariamente da Vittorio Amedeo
Cigna-Santi per la musica di Quirino Gasparini (al Regio di Torino, nel 1767:
per l’opera mozartiana venne nuovamente scritturato proprio ilcastdi
quell’allestimento), era stato tratto con inappuntabile abilità e competenza, in
base ai canoni del melodramma metastasiano, dalla tragediaMithridate(1673)
di Racine, disponibile attraverso la traduzione italiana di Giuseppe Parini.
L’opera ottenne, come scrisse lo stesso Parini su ‘La Gazzetta di Milano’, un
caloroso successo, sancito da venti repliche.

Atto primo. Nella città di Ninfea il governatore Arbate accoglie uno dei due figli
di Mitridate, Sifare. Questi è irritato dalla presenza in città di suo fratello
Farnace, suo avversario politico e rivale per l’amore di Aspasia, già promessa
sposa di Mitridate. Arbate si dichiara fedele a Sifare, che viene intanto
raggiunto da Aspasia. La ragazza lo prega di proteggerla da Farnace. Il
principe le risponde dichiarandole il suo amore, ma si dice pronto anche a
rinunciarvi se sarà necessario. Nel tempio di Venere, Farnace tenta di sedurre
Aspasia, ma accorre prontamente il fratello. A sventare l’imminente duello
giunge Arbate con la notizia del ritorno di Mitridate dalla guerra. L’evento
getta tutti nello scompiglio: solo Farnace mantiene la calma e decide di a!dare
al nemico esercito romano le sue fortune, nella persona del tribuno Marzio.
Mitridate, tornato sconfitto in patria, o"re la principessa Ismene in sposa a
Farnace, del cui tradimento viene informato da Arbate. Il figlio fedifrago va
dunque punito.

Atto secondo. Ismene, rifiutata da Farnace, decide di vendicarsi. Mitridate le


propone come marito Sifare, mentre interpreta la titubanza di Aspasia a
sposarlo come segno di infedeltà. Sifare e Aspasia si confessano reciproco
amore. All’accampamento militare, Farnace, arrestato come traditore, accusa il
fratello di amare Aspasia. Mitridate tende allora un tranello alla donna, che
viene portata a confessare il suo segreto amore. Di fronte ai propositi di
vendetta del re, i due amanti si dichiarano pronti ad a"rontare la morte.

Atto terzo. Mitridate, ancora furibondo, viene a"rontato dalle due infelici
donne che cercano invano di riportarlo alla ragione. Mentre una flotta romana
vincitrice è già approdata al porto, Aspasia decide di ottenere con la morte la
pace sperata: liberato da Ismene, Sifare fa appena in tempo a sottrarle la tazza
con il veleno e o"re al padre di combattere al suo fianco per riscattarsi con una
morte gloriosa. Mitridate, ferito gravemente nel combattimento, decide di
togliersi la vita. Prima di morire a!da Aspasia a Sifare, perdonandoli entrambi;
quindi abbraccia anche Farnace, che nel frattempo ha dimostrato la sua
rinnovata fedeltà alla patria appiccando il fuoco alla flotta nemica e
rinunciando così anche al trono promessogli dai Romani. Un coro inneggiante
alla libertà conclude l’opera.

Al centro della vicenda è il conflitto tra Mitridate e i suoi due figli per la mano
di Aspasia, conflitto risolto con l’irrealistica conciliazione dei due fratelli e la
‘redenzione’ finale del crudele tiranno. La musica del giovane Mozart
conferisce insolita intensità emotiva alla rappresentazione degli a"etti tipici
dell’opera seria (l’ira del re, la disperazione delle vittime, l’infelicità degli
amanti). L’energia e la violenza che il compositore profonde in questi momenti
è esaltata dall’impiego frequentissimo del recitativo accompagnato (per ben
sette volte), voce dell’inquietudine perenne dei personaggi, che si risolve in
arie di varia struttura: incalzanti e convulse, come quella di Aspasia “Nel sen mi
palpita”, o ambigue e tormentate nella loro stesura, come l’aria di sortita di
Mitridate “Se di lauri il crine adorno”, passata attraverso almeno quattro
rielaborazioni successive. Un ben diverso clima di serenità estatica è
riscontrabile nelle arie del secondo atto degli amanti Sifare (l’ampia “Lungi da
te mio bene”, con un’evocativa parte di corno obbligato) e Aspasia (“Nel grave
tormento”); a quest’ultima spetta anche la topica, drammatica cavatina
“Pallid’ombre” nella scena del veleno, mentre l’orchestra riceve il debito tributo
in pagine importanti, come l’elaborata marcia che accompagna lo sbarco di
Mitridate nel primo atto.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Struttura musicale

Ouverture - Allegro (re maggiore). Andante grazioso (la maggiore) per 2


flauti ed archi. Presto (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, archi

Atto I:
Scena I:

Vieni, Signor - Recitativo (Arbate, Sifare)

Scena II:

Se a me s'unisce Arbate - Recitativo (Sifare, Aspasia)

Al destin, che la minaccia - Aria (Aspasia) - Allegro (do maggiore) - 2 oboi,


2 corni, 2 trombe, archi
Al destin, che la minaccia - Aria (Aspasia) - Allegro (sol maggiore) - 2 oboi,
2 corni, 2 trombe, archi [versione alternativa]

Scena III:

Qual tumulto nell'alma - Recitativo (Sifare) - Andante - archi

So"re il mio cor con pace - Aria (Sifare) - Allegro (si bemolle maggiore) - 2
oboi, 2 corni, archi

Scena IV:

Sin a quando, o Regina - Recitativo (Farnace, Aspasia)


Scena V:

Ferma, o germano - Recitativo (Sifare, Farnace, Aspasia)

Scena VI:

All'ire freno - Recitativo (Arbate, Sifare, Farnace)

L'odio nel cor frenate - Aria (Arbate) - Allegro comodo (sol maggiore) -
archi

Scena VII:

Principe, che facemmo! - Recitativo (Farnace, Sifare, Aspasia)

Nel sen mi palpita dolente in core - Aria (Aspasia) - Allegro agitato (sol
minore) - 2 oboi, archi

Scena VIII:

Un tale addio - Recitativo (Farnace, Sifare)

Parto: nel gran cimento - Aria (Sifare) - Andante (la maggiore). Allegro.
Andante. Allegro - archi

Scena IX:

Eccovi in un momento - Recitativo (Farnace, Marzio)

Venga pur, minacci e frema - Aria (Farnace) - Allegro. Andante. Allegro (fa
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena X:

Marcia - Maestoso (re maggiore) - 2 oboi, 2 trombe, timpani, archi [tratta


dalla Serenata, K1 100 (K6 62a)]

Se di lauri il crine adorno - Aria (Mitridate) - Andante (sol maggiore) - 2


oboi, 2 corni, archi

Tu mi rivedi, Arbate - Recitativo (Mitridate, Ismène, Arbate)

Scena XI:
Su la temuta destra - Recitativo (Sifare, Mitridate, Farnace, Ismene)

In faccia all'oggetto - Aria (Ismene) - Allegro (si bemolle maggiore) - archi


In faccia all'oggetto - Aria (Ismene) - Allegro (si bemolle maggiore) - archi
[versione alternativa]

Scena XII:

Teme Ismene a ragion - Recitativo (Mitridate, Arbate)

Scena XIII:

Respira alfin, respira - Recitativo (Mitridate) - archi

Quel ribelle e quell'ingrato - Aria (Mitridate) - Allegro (re maggiore) - 2


oboi, 2 corni, archi

Atto II:
Sena I:

Questo è l'amor, Farnace - Recitativo (Ismene, Farnace)

Va, l'error mio palesa - Aria (Farnace) - Allegro (sol maggiore) - 2 corni,
archi

Scena II:

Perfido, ascolta - Recitativo (Ismene, Mitridate)

Scena III:

Eccomi a' cenni tuoi - Recitativo (Aspasia, Mitridate)

Scena IV:

Respiro, oh Dei! - Recitativo (Aspasia, Sifare, Mitridate)

Tu, che fedel mi sei - Aria (Mitridate) - Adagio (si bemolle maggiore).
Allegro. Adagio. Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena V:

Che dirò? Che ascoltai? - Recitativo (Sifare, Aspasia)


Scena VI:

Alla tua fede il padre - Recitativo (Arbate)

Scena VII:

Oh giorno di dolore! - Recitativo (Aspasia, Sifare)

Non piu, Regina - Recitativo (Sifare, Aspasia) - archi

Lungi da te, mio bene - Aria (Sifare) - Adagio cantabile (re maggiore).
Allegretto. Adagio - corno solo, 2 oboi, 2 corni, archi
Lungi da te, mio bene - Aria (Sifare) - Adagio (re maggiore) - corno solo, 2
oboi, 2 corni, archi [versione alternativa]

Scena VIII:

Grazie ai numi parti - Recitativo (Aspasia) - archi

Nel grave tormento - Aria (Aspasia) - Adagio (fa maggiore). Allegro. Adagio.
Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, archi
Nel grave tormento - Aria (Aspasia) - Adagio (fa maggiore) - 2 flauti, 2 oboi,
2 corni, archi [versione alternativa]

Scena IX:

Qui, dove la vendetta - Recitativo (Mitridate, Ismene, Arbate)

Scena X:

Sedete, o Prenci, e m'ascoltate - Recitativo (Mitridate, Sifare, Farnace)

Scena XI:

Signor, son io - Recitativo (Marzio, Mitridate, Sifare)

Scena XII:

Inclita Ismene - Recitativo (Mitridate, Ismene)

So quanto a te dispiace - Aria (Ismene) - Allegro (la maggiore). Andante.


Allegro - archi

Scena XIII:
Ah, giacche son tradito - Recitativo (Farnace)

Son reo, l'error confesso - Aria (Farnace) - Adagio maestoso (re maggiore).
Allegro. Adagio maestoso. Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi
Son reo, l'error confesso - Aria (Farnace) - Adagio maestoso (re maggiore) -
2 oboi, 2 corni, archi [versione alternativa]

Scena XIV:

E crederai, Signor - Recitativo (Sifare, Mitridate, Aspasia)

Già di pietà mi spoglio - Aria (Mitridate) - Allegro (do maggiore) - 2 oboi, 2


corni, archi

Scena XV:

Sifare, per pieta stringi l'acciaro - Recitativo (Aspasia, Sifare)

Io sposa di quel mostro - Recitativo (Aspasia, Sifare) - archi

Se viver non degg'io - Duetto (Aspasia, Sifare) - Adagio (la maggiore).


Allegro - 2 oboi, 4 corni, archi
Se viver non degg'io - Duetto (Aspasia, Sifare) - Adagio (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 4 corni, archi [versione alternativa]

Atto III:
Scena I:

Pera omai chi m'oltraggia - Recitativo (Mitridate, Aspasia, Ismene)

Tu sai per chi m'accese - Aria (Ismene) - Allegro (sol maggiore) - archi

Scena II:

Re crudel, Re spietato - Recitativo (Aspasia, Mitridate)

Scena III:

Mio Re, t'a"retta o a salvarti - Recitativo (Arbate, Mitridate)

Vado incontro al fato estremo - Aria (Mitridate) - Allegro (fa maggiore) - 2


oboi, 2 corni, archi
Vado incontro al fato estremo - Aria (Mitridate) - Allegro (fa maggiore) - 2
oboi, 2 corni, archi [versione alternativa]

Scena IV:

Lagrime intempestive - Recitativo (Aspasia)

Ah ben ne fui presaga! - Recitativo (Aspasia) - Allegro - basso continuo

Pallid'ombre - Cavatina (Aspasia) - Andante (mi bemolle maggiore). Allegro


- archi

Scena V:

Che fai, Regina? - Recitativo (Sifare, Aspasia)

Scena VI:

Che mi val questa vita - Recitativo (Sifare)

Se il rigor d'ingrata sorte - Aria (Sifare) - Allegro agitato (do minore) - 2


oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VII:

Sorte crudel, stelle inimiche - Recitativo (Farnace)

Scena VIII:

Teco i patri - Recitativo (Marzio, Farnace)

Se di regnar sei vago - Aria (Marzio) - Allegro (sol maggiore) - archi

Scena IX:

Vadasi, oh ciel - Recitativo (Farnace) - Allegro. Andante. Allegro

Già dagli occhi il velo è tolto - Aria (Farnace) - Andante (mi bemolle
maggiore). Allegretto. Andante - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena X:

Figlio, amico, non più - Recitativo (Mitridate, Sifare)


Scena XI:

Ah vieni, o dolce, dell'amor mio tenero oggetto - Recitativo (Mitridate,


Aspasia, Sifare)

Scena XII:

Reo non si chiami, o Sire - Recitativo (Ismene, Mitridate)

Non si ceda al Campidoglio - Quintetto (Aspasia, Ismène, Sifare, Arbate,


Farnace) - Allegro (re maggiore) - 2 corni, archi

Ascanio in Alba K111 - (17 ottobre 1771, Teatro Regio Ducale, Milano)

https://youtu.be/AyjEQ1uRtvU

Libretto: Giuseppe Parini

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Ascanio-testo.html

Ruoli:

Venere (soprano)
Ascanio, (mezzosoprano)
Silvia, Ninfa del Sangue d'Ercole (soprano)
Aceste, sacerdote (tenore)
Fauno, uno dei principali pastori (soprano)
Coro di geni, pastori e pastorelle

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 serpenti, 2 corni, 2 trombe, timpani,


archi
Per i recitativi: clavicembalo e violoncello
Composizione: Milano, 30 Agosto - 23 Settembre 1771
Prima rappresentazione: Milano, Teatro Regio Ducale, 17 Ottobre 1771, in
occasione delle nozze dell'arciduca Ferdinando
Sinossi

La dea Venere mostra a suo figlio Ascanio il paesaggio ameno dove sorgerà la
città di Alba, in uno scenario bucolico popolato da Ninfe e Pastori, dove ella è
venerata e su cui Ascanio dovrà regnare dopo aver sposato Silvia, la Ninfa della
stirpe di Ercole, che gli è stata promessa.

Ascanio è preoccupato perché Silvia non lo conosce; la madre gli rivela che da
quattro anni Amore appare in sogno alla Ninfa con le fattezze dello stesso
Ascanio e ne ha conquistato il cuore. Ascanio potrà parlare alla Ninfa senza
però rivelarsi.

Il sacerdote Aceste intanto sta facendo i preparativi per le nozze; Fauno e i


Pastori cantano le lodi a Venere. Silvia vede Ascanio e rimane profondamente
turbata: lo desidera ma pensa di essere promessa ad un altro. Aceste la
tranquillizza.

Silvia e i Pastori si preparano ad accogliere la dea con cori e ghirlande di fiori.


Venere compie un miracolo: tramuta gli alberi in colonne. Silvia viene condotta
da Fauno al Sacro Monte.

Dal momento che Ascanio ancora non può rivelarsi, Silvia si convince di essere
stata ingannata. Ascanio cerca di parlarle ma lei fugge via.

Pastori, Ninfe e Pastorelle, e in seguito anche Aceste e Silvia, intonano


magnifici cori in onore della dea. Le nubi si squarciano e la dea appare in tutto
il suo splendore accompagnata da Grazie e Geni. Ascanio rivela la sua identità
e con Silvia e Aceste espongono i loro sentimenti e ringraziano Venere. Al loro
si aggiunge il coro solenne di Grazie, Geni, Pastori e Ninfe.

Guida all’ascolto

Sull’onda del recente successo (dicembre 1770) di Mitridate re di Ponto, al


figlio quindicenne di Leopold Mozart veniva o"erta un’occasione da non
rifiutare: la composizione di un’opera celebrativa, nel quadro dei
festeggiamenti di un matrimonio imperiale. Gli sposi erano Maria Ricciarda
Berenice d’Este, erede del Ducato di Modena, e l’arciduca Ferdinando,
terzogenito di Maria Teresa e nuovo governatore della Lombardia austriaca. La
festa teatrale a!data al giovane Wolfgang andò in scena due giorni dopo le
nozze, ottenendo un successo straordinario: la coppia arciducale ne fu
entusiasta, Mozart ricevette dalle mani di Maria Teresa un orologio d’oro
ornato di diamanti, mentre Ferdinando propose alla madre, purtroppo invano,
l’assunzione del giovane talento. Questi era riuscito anche nell’intento
insperato di sbaragliare la temibile concorrenza: l’opera seria commissionata
all’illustre coppia Hasse-Metastasio (Ruggiero, ovvero L’eroica gratitudine,
ultima fatica teatrale per entrambi), battuta in modo «indescrivibile», come
scrive con orgoglio papà Leopold alla moglie. Parini, all’epoca poeta del Regio
Ducal Teatro, aveva confezionato una vicenda pastorale-allegorica allusiva a
tutti i protagonisti delle «felicissime nozze»: sotto i panni di Venere si
nascondeva Maria Teresa, sotto quelli di Ascanio Ferdinando, mentre Silvia – in
quanto discendente di Ercole – rappresentava la casata d’Este. In uno scenario
idillico-pastorale Venere promuove le nozze tra Ascanio e Silvia; quest’ultima
però non deve conoscere l’identità del ragazzo, che gli appare in un sogno
premonitore. Nella seconda parte, lungo un impervio percorso psicologico di
paure e inquietudini, viene saggiata la virtù della giovane coppia: virtù che,
contrapposta all’irrazionale inclinazione dell’eros, viene programmaticamente
additata all’alma grandedei nobili sposi, attraverso un gioco di riferimenti
impliciti tra la vicenda sul palcoscenico e gli augusti spettatori in sala. La
fantasia del giovane compositore prende il volo proprio lungo questo percorso,
nel superamento del segreto che impedisce ai ragazzi di seguire l’attrazione
reciproca, descritto nella trepida palpitazione dei recitativi accompagnati e
delle arie destinate ai due innamorati; tra queste, l’aria di Silvia “Infelici a"etti
miei” è una delle pagine più notevoli di questa fortunata prova giovanile di
Mozart, arricchita anche da un apparato di cori festivi.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Struttura musicale

Ouverture - Allegro assai (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe,


timpani, archi
[Alla Sinfonia d'ouverture è aggiunto il Finale K1 120 (K6 111a)]

Parte I:
Scena I:

Balletto - Andante grazioso (sol maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, archi


Di te piu amabile - Coro (Geni e Grazie) - Allegro (re maggiore) - 2 flauti o
oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Geni, Grazie, ed Amori - Recitativo (Venere, Ascanio)
L'ombra de' rami tuoi l'amico suolo aspetta - Aria (Venere) - Allegro (sol
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Ma la ninfa gentil - Recitativo (Ascanio, Venere)
Di te piu amabile - Coro (Geni e Grazie) - Allegro (re maggiore) - 2 flauti o
oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena II:

Perchè tacer degg'io? - Recitativo (Ascanio) - Andante. Allegro. Andante.


Andante un poco Adagio. Più Andante. Un poco Adagio. Un poco Allegro.
Andante - archi

Cara, cara lontano ancora - Aria (Ascanio) - Allegro (si bemolle maggiore) -
2 oboi, 2 corni, archi

Scena III:
Venga venga de' sommi eroi - Coro (pastorelle) - Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso
Ma qual canto risona? - Recitativo (Ascanio, Fauno)
Venga, venga de' sommi eroi - Coro (pastori) - Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso
Ma tu chi sei che ignoto - Recitativo (Fauno, Ascanio)
Se il labbro piu non dice - Aria (Fauno) - Tempo grazioso (la maggiore) -
archi
Quanto soavi al core - Recitativo (Ascanio, Fauno)

Scena IV:

Hai di Diana il core - Coro (pastori, pastorelle, ninfe) - Allegro comodo (fa
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Oh generosa Diva - Recitativo (Aceste)
Venga venga de' sommi eroi - Coro (pastori) -Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso
Di propria man la Dea - Recitativo (Aceste)
Venga venga de' sommi eroi - Coro (pastori) - Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso
Oh mia gloria - Recitativo (Aceste)
Per la gioja in questo seno - Aria (Aceste) - Allegro aperto (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Misera! che farò? - Recitativo (Silvia, Aceste)
Si, si, si, ma d'un altro amore - Cavatina (Silvia) Andante (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Ah no, Silvia t'inganni - Recitativo (Aceste, Silvia)
Come e felice stato quello d'un alma fida - Aria (Silvia) - Allegro (do
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi
Silvia, mira che il sole omai s'avanza oltre il meriggio - Recitativo (Aceste)
Venga venga de' sommi eroi - Coro (pastori) - Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso

Scena V:

Cielo! che vidi mai! - Recitativo (Ascanio, Venere)

Ah, di si nobil alma quanto parlar vorrei - Aria (Ascanio) - Adagio (re
maggiore). Allegro. Andante grazioso. Adagio. Allegro - 2 oboi, 2 corni, 2
trombe. archi
Un' altra prova a te mirar - Recitativo (Venere, Ascanio)
Al chiaror di que' bei rai - Aria (Venere) - Allegro (la maggiore) - archi
Di te più amabile - Coro (Geni e Grazie) - Allegro (re maggiore) - 2 flauti o
oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Parte II:
Scena I:

Star lontana non so - Recitativo (Silvia)

Spiega il desio le piume - Aria (Silvia) - Allegro (sol maggiore). Andante


grazioso. Allegro - 2 oboi, 4 corni, archi
Già l'ore sen volano - Coro (pastorelle) - Un poco Allegro (do maggiore) -
archi

Scena II:

Cerco di loco in loco la mia Silvia fedele - Recitativo (Ascanio)


Numi! che fo m'appresso? - Recitativo (Silvia, Ascanio) - 2 oboi, 2 fagotti, 2
corni, archi

Scena III:

Silvia, Silvia ove sei? - Recitativo (Fauno, Silvia, Ascanio)

Dal tuo gentil sembiante risplende un' alma grande - Aria (Fauno) - Allegro
moderato (si bemolle maggiore). Andante ma adagio (mi bemolle maggiore)
per archi. Allegro moderato (si bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena IV:

Ahime! Che veggio mai? - Recitativo (Ascanio)

Al mio ben mi veggio avanti - Aria (Ascanio) - Un poco Adagio (mi


maggiore). Allegro. Adagio. Allegro - archi
Ferma, aspetta, ove vai? - Recitativo (Silvia) - archi
Infelici a"etti miei - Aria (Silvia) - Un poco Adagio (mi bemolle maggiore).
Allegro. Un poco Adagio - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Anima grande - Recitativo (Ascanio, Silvia)
Che strano evento turba la vergine in questo di! - Coro (pastorelle) - Allegro
(si bemolle maggiore) - archi

Scena V:

Ah! la crudel - Recitativo (Ascanio)

Torna mio bene ascolta - Aria (Ascanio) - Andante grazioso (fa maggiore) -
2 flauti, 2 serpenti o corni inglesi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena VI:

Venga venga de' sommi eroi - Coro (pastori) - Allegro (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti o violoncelli, 2 corni, basso
Che strana meraviglia del tuo cor mi narrasti - Recitativo (Aceste)
Sento che il cor mi dice che paventar non dei - Aria (Aceste) - Allegro (la
maggiore) - archi
Si, padre - Recitativo (Silvia, Aceste)
Scendi, celeste Venere - Coro (pastori, pastorelle, ninfe) - Andante (do
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Ma s'allontani al men da gli occhi miei - Recitativo (Silvia, Aceste, Ascanio)


No, non possiamo vivere - Coro (pastori, pastorelle, ninfe) - Andante (do
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Ecco, ingombran l'altare le fauste nubi intorno - Recitativo (Aceste)
Scendi, celeste Venere - Coro (pastori, pastorelle, ninfe) - Andante (do
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Invoca, o figlia - Recitativo (Aceste, Silvia, Ascanio, Venere)
Ah caro sposo, oh Dio! - Trio (Silvia, Ascanio, Aceste) - Andante (si bemolle
maggiore). Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi
Eccovi al fin di vostre pene - Recitativo (Venere)
Che bel piacere io sento - Trio (Silvia, Ascanio, Aceste) - Allegro (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Ah! chi nodi piu forti - Recitativo (Venere, Silvia, Ascanio, Aceste)
Alma Dea, tutto il mondo - Coro finale (Geni, grazie, pastori, ninfe) - Allegro
molto (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Il sogno di Scipione K126 - (1º maggio 1772, Residenza Arcivescovile,


Salisburgo)

https://youtu.be/qklOgye7yl8

Libretto: Pietro Metastasio

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Scipione-testo.html

Ruoli:

Scipione, condottiero romano (Tenore)


Costanza, dea della costanza (Soprano)
Fortuna, dea della fortuna (Soprano)
Publio, avo adottivo di Scipione (Tenore)
Emilio, padre di Scipione (Tenore)
Soprano per il Recitativo ed Aria della Licenza I o II
Coro d'Eroi

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi


Per i recitativi: clavicembalo e violoncello
Composizione: Salisburgo, Marzo 1772
Prima rappresentazione: Salisburgo, Rittersaal del Residenz-Theater, 29 Aprile
1772
Sinossi

Luogo dell'azione: in Africa nella Reggia di Massinissa:

Scipione, condottiero romano vincitore di Annibale a Zama, riposa nella reggia


di Massinissa e, in sogno, gli appaiono due divinità, Costanza e Fortuna, che lo
esortano a diventare adepto di una di loro.

La Costanza gli presenta i suoi avi tra gli abitanti dei Campi Elisi: Publio e suo
padre Emilio. Scipione vorrebbe restare con loro ma questo non è possibile.

Scipione chiede se non ci sia una forza che possa contrastare i capricci della
sorte: Costanza paragona la costanza con lo scoglio del mare che resiste alla
tempesta (Biancheggia in mar lo scoglio). Scipione decide a favore di Costanza
e resiste alle minacce di Fortuna e infine si sveglia riconoscendo nel sogno un
messaggio degli dei.

Entra in scena Licenza, l'omaggio personificato, ed espone la morale: il vero


protagonista non è Scipione, ma il virtuoso mecenate Sigismondo
(Hieronymus).

Guida all’ascolto

Non è chiara l’occasione per cui Mozart ebbe a mettere in musica questa
serenata (forse l’anniversario dell’ordinazione dell’arcivescovo Schrattenbach,
che però morì nel dicembre del 1771 e, quindi, cancellata tale festa,
l’insediamento dell’arcivescovo Colloredo nella primavera successiva). Di
conseguenza sono incerte sia le circostanze della prima rappresentazione, sia
il periodo di composizione, che oscilla tra il 1771 e il 1772. Il testo di questa
azione teatrale, scritta a Vienna da Metastasio nel 1735 per la musica di Luca
Antonio Predieri, si configura come una festa edificante tipica della tradizione
cortese umanistico-illuminata, proposta artisticamente elaborata di un
modello di umanità virtuosa.

Addormentatosi nella reggia di Massinissa, Scipione l’Africano è trasportato in


sogno nel cielo degli eroi, dove incontra la Costanza e la Fortuna, che lo
attirano con reciproche promesse. In mezzo a un gruppo di spiriti magni gli
appaiono il nonno adottivo Publio Cornelio e il padre Emilio Paolo, con i quali
discute del mondo, dei desideri e delle passioni degli uomini. Chiamato a
scegliere tra Fortuna e Costanza, Scipione si lascia convincere dalle esortazioni
di quest’ultima. La scelta è compiuta e il sogno è terminato.

Gli interessi del compositore adolescente per l’orchestra sono evidenti già dalla
sinfonia d’apertura (in due soli tempi: aggiunto ilFinaleKV 163, diverrà
autonoma come SinfoniaKV 161). Anche nelle nove arie la brillantezza e
l’eleganza della scrittura sinfonica sono palpabili; dei due cori, “Germe di cento
eroi” è notevole per l’impatto espressivo, mentre il magistero di Johann
Christian Bach agisce nella densità espressiva del recitativo accompagnato
conclusivo.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Struttura musicale

Ouverture - Allegro moderato (re maggiore). Andantino. Presto - 2 flauti, 2


oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Vieni, e siegui i miei passi - Recitativo (Scipione, Costanza, Fortuna)
Risolver non osa - Aria (Scipione) - Andante (fa maggiore) - 2 oboi, 2 corni
archi
Giusta è la tua richiesta - Recitativo (Costanza, Fortuna)
Lieve sono al par del vento - Aria (Fortuna) - Allegro (do maggiore) - 2 oboi,
2 corni, 2 trombe, archi
Dunque ove son? - Recitativo - (Scipione, Costanza, Fortuna)
Ciglio, che al sol si gira - Aria (Costanza) - Andantino * (la maggiore) - archi
E quali abitatori - Recitativo (Scipione, Fortuna, Costanza)
Germe di cento Eroi - Coro (Coro) - Allegro maestoso * (re maggiore) - 2
oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Numi, è vero, o m'inganno? - Recitativo (Scipione, Publio)
Se vuoi che te raccolgano - Aria (Publio) - Un poco Allegro * (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Se qui vivon gli Eroi - Recitativo (Scipione, Fortuna, Costanza, Publio, Emilio)
Voi colaggiù ridete - Aria (Emilio) - Allegro moderato (sol maggiore).
Allegretto. Allegro moderato * - 2 flauti, 2 fagotti, archi
Publio, padre, ah lasciate - Recitativo (Scipione, Fortuna, Costanza, Publio,
Emilio)
Quercia annosa - Aria (Publio) - Allegro * (fa maggiore) - 2 corni, archi
Giacchè al voler de' Fati - Recitativo (Scipione, Costanza, Fortuna, Publio,
Emilio)
A chi serena io miro - Aria (Fortuna) - Andantino (la maggiore). Allegro (re
maggiore). Andantino * (la maggiore) - archi
E a si enorme possanza - Recitativo (Scipione, Costanza)
Biancheggia in mar lo scoglio - Aria (Costanza) - Allegro maestoso * (mi
bemolle maggiore - si bemolle maggiore - mi bemolle maggiore) - 2 oboi, 2
corni, archi
Non più, Bella Costanza - Recitativo (Scipione, Fortuna)
Di che sei l'arbitra - Aria (Scipione) - Un poco Adagio e Maestoso (si bemolle
maggiore - fa maggiore - si bemolle maggiore). Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi
E v'e mortal che ardisca - Recitativo (Fortuna, Scipione)
E ben, provami avversa - Recitativo (Fortuna, Scipione) - Allegro - 2 oboi, 2
corni, 2 trombe, timpani, archi
Non è Scipio - Recitativo (Licenza)
Ah perchè cercar degg'io - Aria (Licenza) - Allegro aperto * (sol maggiore) -
2 flauti, 2 corni, archi
Ah perchè cercar degg'io - Aria (Licenza) - Adagio (sol maggiore). Allegro -
2 oboi, 2 corni, archi
[versione sostitutiva]
Cento volte con lieto sembiante - Coro (Coro) - Allegro * (re maggiore) - 2
oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Lucio Silla K135 - (26 dicembre 1772, Teatro Regio Ducale, Milano)

https://youtu.be/WoLuDhuHZ_Q

Libretto: Giovanni de Gamerra, con modifiche di Pietro Metastasio

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Silla-testo.html

Ruoli:

Lucio Silla, dittatore romano (tenore)


Celia, sua sorella (contralto)
Cecilio, senatore proscritto da Silla (soprano)
Giunia, sua amata, figlia di Mario (soprano)
Lucio Cinna, patrizio, amico di Cecilio (soprano)
Audifio, tribuno, amico di Silla (tenore)
senatori, u!ciali, soldati, guardie, popolo

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi


Per i recitativi: clavicembalo e violoncello
Composizione: Salisburgo e Milano, Ottobre e Dicembre 1772
Prima rappresentazione: Milano, Teatro Regio Ducale, 26 Dicembre 1772

Guida all’ascolto
Con questa terza e più ambiziosa opera (dopo Ascanio in Alba e Mitridate, re
di Ponto) il sedicenne Mozart concluse con successo la sua attività nei teatri
italiani, sebbene senza sviluppi per la sua carriera professionale. Il lavoro gli
era stato commissionato dal Regio Ducal Teatro di Milano, dove erano andate
in scena anche le altre due opere, durante il precedente viaggio italiano,
conclusosi il 5 dicembre 1771. Il testo da intonare era un dramma per musica
del letterato livornese Giovanni De Gamerra, autore nella stessa stagione, per
la musica di Paisiello, del Sismano nel Mogol(Mozart ne intonerà il recitativo e
l’aria “A questo seno, deh vieni”, “Or che il cielo a me ti rende”, KV 374); futuro
poeta dei teatri imperiali a Vienna, De Gamerra sarebbe stato in seguito
responsabile di una traduzione italiana della Zauberflöteper Dresda (1794). Il
librettista consegnò ilLucio Silla alle cure dell’autorevolissimo Metastasio, che
lo lesse con attenzione e diede la sua «pienissima approvazione»; nondimeno,
lo modificò in più luoghi e vi inserì un’intera scena di suo pugno, provocando
così indirettamente l’irritazione di Mozart, che si vide costretto a rifare alcuni
recitativi già composti. Scritta tra ottobre e dicembre, tra Salisburgo e Milano,
l’opera – la prima forse che annunci compiutamente l’avvento di un genio del
teatro musicale – restò in cartellone per ben venticinque rappresentazioni;
splendido interprete della parte di ‘primo uomo’ (Cecilio) era il castrato
Venanzio Rauzzini, per il quale Mozart avrebbe scritto il mottetto Exsultate,
jubilateKV 165. Il libretto venne in seguito intonato da Johann Christian Bach
(1773), da Pasquale Anfossi (1774) e da Michele Mortellari (1778).

Atto primo. Il dittatore Lucio Silla è innamorato di Giunia, figlia del defunto
avversario Mario; al fine di avere per sé la ragazza, ha dovuto però liberarsi
dell’amante di lei, il senatore Cecilio, che è stato mandato in esilio. Per
completare l’opera, Silla ha sparso la voce che Cecilio sia morto, e Giunia lo
piange per tale. Cecilio, però, ritorna a Roma di nascosto e viene informato
dell’accaduto dall’amico Cinna. Lucio Silla cerca intanto di convincere sua
sorella Celia a piegare l’ostinazione di Giunia, che il tiranno giunge anche a
minacciare. Quest’ultima però, mentre si trova al sepolcreto degli eroi per
piangere il padre, viene raggiunta da Cecilio, che si è nascosto tra le tombe; i
due si abbracciano, commossi e felici.

Atto secondo. Lucio Silla, pur tormentato dai problemi di coscienza causati dal
continuo uso della forza, decide di procedere a doppie nozze: le sue con
Giunia, e quelle di Celia con Cinna. Giunia è intanto al centro di molte trame:
invano Cinna le chiede di sposare il dittatore e poi di ucciderlo, invano Lucio
Silla la minaccia; di fronte all’insostenibilità della situazione, Giunia si dichiara
pronta piuttosto alla morte. Cecilio intanto ha messo in atto un piano per
uccidere Silla; ma l’attentato fallisce e il senatore viene condotto in prigione,
non prima di aver commosso il dittatore con la sua esemplare fedeltà
all’amata.
Atto terzo. Cinna cerca di convincere Celia a far pressione sul fratello,
promettendole in cambio la sua mano; quindi si reca a confortare Cecilio in
prigione. Qui arriva anche Giunia, decisa a seguire l’amato nella tomba se
questi venisse condannato a morte. Infine, sul Campidoglio, avviene la svolta
inaspettata: portato Cecilio in catene, Silla annuncia il suo perdono; perdono
che viene concesso anche a Cinna, quando questi confessa i suoi piani.
Potranno dunque aver luogo le nozze di questi ultimi con le loro amate; per
completare l’opera, il dittatore si dimette anche dal suo ruolo di governo,
restituendo a Roma la libertà.

Al centro del dramma si trovano due coppie di amanti, le cui vicissitudini sono
determinate dal comportamento del tiranno cui è intitolata l’opera (il ‘primo
tenore’, secondo le consuetudini dell’epoca, che a!davano a questo ruolo
vocale la parte del sovrano). Lucio Silla è il detentore del potere, un potere
utilizzato, almeno nel finale, in termini di clemenza: non a caso infatti l’abate
Metastasio avrà potuto notare, nel perdono generale che conclude il testo di
De Gamerra, una marcata somiglianza con l’esito dellaClemenza di Tito, suo
titolo celeberrimo che anche Mozart avrebbe tardivamente messo in musica.
Dalla partitura emerge chiarissima una cifra espressiva inequivocabilmente
personale, legata alla rappresentazione di a"etti tormentati, combattuti e
lacerati, sempre in presenza della prospettiva della morte: una scelta
certamente in pieno accordo con le situazioni proposte dal libretto, ma che
forza i limiti dell’opera seria metastasiana, verso una tragicità appassionata
che ha perso ogni traccia dello stile galante. Né mancano, a onor del vero,
luoghi di serena, contemplativa dolcezza, come l’aria di Celia “Se lusinghiera
speme”; ma appunto, subito dopo questo brano, compare l’ampia e complessa
aria di Giunia “Dalla sponda tenebrosa”, in cui la ragazza esprime il suo fermo
desiderio di «sempre Silla aborrir,/ sempre adorar lo sposo, e poi morire»:
esordisce come un’aria ‘d’ombra’ (invocando appunto il fantasma del padre
ucciso) con un solenne ‘Andante ma adagio’ nell’eroica tonalità di mi bemolle
maggiore, per proseguire, rivolgendosi a Lucio Silla che le è di fronte (in
Allegro) e animandosi progressivamente sino alla conclusione. Al di là
dell’evidente e!cacia del brano, anche il solo aspetto formale si dimostra
interessante: Mozart si è lasciato alle spalle la tradizionale aria colda capoe ha
invece messo in campo un anomalo testo di tre strofe, integrando la categoria
dell’aria ‘d’ombra’ con quella d’azione (e sembra che alla ‘prima’ i gesti
compiuti dai cantanti furono tanto esagerati da provocare le risa del pubblico).
L’ambizione del compositore adolescente, volto a esplorare nuove vie
nell’invenzione formale, emerge continuamente nella partitura (basti ricordare
il numero straordinario di ben nove recitativi accompagnati), ma forse mai in
termini così convincenti come nella scena conclusiva del primo atto, la tipica
scena d’ombra presso il cimitero degli eroi; l’anelito all’unità drammatico-
musicale porta Mozart a concepire una grande scena, in cui diversi pezzi si
concatenano con avvincente e!cacia scenica: introdotti da un Andante
orchestrale, si succedono il grandioso recitativo accompagnato di Cecilio, un
coro dolente e vibrante, l’intenso arioso di Giunia, nuovamente il coro ancora
più energico e risoluto, l’accompagnato di Giunia e quindi il duetto tra gli
innamorati, “D’elisio in sen m’attendi”, che conclude l’atto nella beatitudine di
un metafisico la maggiore. Non è possibile tacere altri luoghi fondamentali,
come l’ultima aria di Giunia, “Fra i pensier più funesti di morte”, in cui il
presentimento del trapasso viene reso con incalzante drammaticità dalla
musica. Subito prima Cecilio aveva cantato l’aria “Pupille amate”, su un
delicato, cameristico accompagnamento di soli archi: una soluzione
esattamente agli antipodi di “Fra i pensier”, ma egualmente profonda e
autentica nel rappresentare la reazione dei protagonisti di fronte all’incombere
della morte. Da ricordare infine la complessa aria di Giunia “Parto, m’a"retto”,
con le sue e!caci colorature.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Struttura musicale

Ouverture - Molto Allegro (re maggiore). Andante (la maggiore) pe 2 oboi e


archi. Molto Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

Atto I:
Scena I:

Oh ciel, l'amico Cinna qui attendo invan - Recitativo (Cecilio, Cinna)

Vieni, ov'amor t'invita - Aria (Cinna) - Allegro (si bemolle maggiore) - 2


oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

Scena II:

Dunque sperar poss'io - Recitativo (Cecilio) - Andante (sol maggiore).


Allegro. Andantino. Allegro. Adagio - archi

Il tenero momento - Aria (Cecilio) - Allegro aperto (fa maggiore) - 2 oboi, 2


corni, archi

Scena III:

A te dell' amor mio - Recitativo (Silla, Celia, Aufidio)

Se lusinghiera speme - Aria (Celia) - Grazioso (do maggiore). Allegretto.


Grazioso - archi

Scena IV:
Signor, duolmi vederti - Recitativo (Silla, Aufidio)

Scena V:

Sempre dovrò vederti lagrimosa - Recitativo (Silla, Giunia)

Dalla sponda tenebrosa - Aria (Giunia) - Andante ma Adagio (mi bemolle


maggiore). Allegro. Adagio. Allegro - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

Scena VI:

E tollerare io posso - Recitativo (Silla)

Mi piace? E il cor di Silla - (Silla) - Allegretto (do maggiore). Allegro assai -


archi

Il desio di vendetta - Aria (Silla) - Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, 2


trombe, timpani, archi

Scena VII:

Andante - (fa maggiore - la minore) - 2 oboi, archi

Morte, morte fatal - Recitativo (Cecilio) - Andante (la minore). Allegro assai.
Andante. Presto. Adagio - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, archi

Scena VIII:

Fuor di queste urne - Coro (Senatori, popolo) - Andante mosso (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, archi

O del Padre ombra - Recitativo (Giunia) - Molto Adagio (do minore) - 2 oboi,
2 fagotti, archi

Il superbo, che di Roma - Coro (Senatori, popolo) - Allegro (mi bemolle


maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, archi

Se l'empio Silla - Recitativo (Giunia) - ... (mi bemolle maggiore) - archi

Scena IX:

Eccomi o cara - Recitativo (Cecilio, Giunia)


D'Eliso in sen m'attendi - Duetto (Giunia, Cecilio) - Andante (la maggiore).
Molto Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi

Atto II:
Scena I:

Tel predissi, o Signor - Recitativo (Silla, Aufidio)

Guerrier, che d'un' acciaro - Aria (Aufidio) - Allegro (do maggiore) - 2 oboi,
2 corni, 2 trombe, archi

Scena II:

Ah non, mai non credea - Recitativo (Silla, Celia)

Scena III:

Qual furor ti trasporta? - Recitativo (Cecilio, Cinna)

Ah corri, vola - Recitativo (Cecilio) - Allegro assai (re minore). Presto - archi

Quest'improviso tremito - Aria (Cecilio) - Allegro assai (re maggiore) - 2


oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena IV:

Ah si, s'a"retti il colpo - Recitativo (Cinna, Celia)

Se il labbro timido - Aria (Celia) - Tempo grazioso (sol maggiore) 2 flauti,


archi

Scena V:

Di piegarsi capace - Recitativo (Cinna, Giunia)

Vanne, t'a"retta - Recitativo (Giunia) - Allegro (si bemolle maggiore).


Andante - archi

Ah se il crudel periglio - Aria (Giunia) - Allegro (si bemolle maggiore) - 2


oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

Scena VI:
Ah si, scuotasi omai l'indegno giogo - Recitativo (Cinna) - Vivace (re
maggiore) - archi

Nel fortunato istante - Aria (Cinna) - Molto Allegro (fa maggiore) - archi

Scena VII:

Signor, ai cenni tuoi il Senato fia pronto - Recitativo (Silla, Aufidio)

Scena VIII:

Silla? L'odiato aspetto destami orror - Recitativo (Giunia, Silla)

D'ogni pieta mi spoglio - Aria (Silla) - Allegro assai (do maggiore) - 2 oboi,
2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena IX:

Che intesi eterni Dei? - Recitativo (Giunia, Cecilio)

Chi sa, che non sia questa - Recitativo (Cecilio, Giunia) - Allegro (mi bemolle
maggiore) - archi

Ah se a morir mi chiama - Aria (Cecilio) - Adagio (mi bemolle maggiore).


Andante (do minore). Adagio (mi bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena X:

Perchè mi balzi in seno - Recitativo (Giunia, Celia)

Quando sugl'arsi campi - Aria (Celia) - Allegro (la maggiore) - archi

Scena XI:

In un istante - Recitativo (Giunia) - Andante (re minore). Molto Allegro -


archi

Parto, m'a"retto - Aria (Giunia) - Allegro assai (do maggiore) - archi

Scena XII:

Se gloria il crin ti cinse - Coro (Senatori, soldati, popolo) - Allegro (fa


maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Padri coscritti - Recitativo (Silla, Giunia, Aufidio)

Scena XIII:

Sposa ah no, non temer - Recitativo (Cecilio, Silla, Giunia, Aufidio)

Scena XIV:

Come? D'un ferro armato - Recitativo (Silla, Cinna, Giunia, Cecilio)

Quell' orgoglioso sdegno - Trio (Giunia, Cecilio, Silla) - Allegro (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

Atto III:
Scena I:

Ah si tu solo, amico - Recitativo (Cecilio, Cinna, Celia)

Strider sento la procella - Aria (Celia) - Allegro (si bemolle maggiore) - 2


oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

Scena II:

Forse tu credi - Recitativo (Cecilio, Cinna)

De' più superbi il core - Aria (Cinna) - Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2
corni, 2 trombe, archi

Scena III:

Ah no, che'l fato estremo - Recitativo (Cecilio, Giunia)

Scena IV:

Tosto seguir tu dei - Recitativo (Aufidio, Giunia, Cecilio)

Pupille amate - Aria (Cecilio) - Tempo di Menuetto (la maggiore) - archi

Scena V:

Sposo ... mia vita ... - Recitativo (Giunia) - Allegro (do maggiore). Andante.
Allegro. Adagio. Presto - 2 flauti, 2 trombe,archi
Fra i pensier più funesti - Aria (Giunia) - Andante (do minore). Allegro - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti, archi

Scena VI:

Celia, Cinna non più - Recitativo (Silla, Cinna, Cecilio)

Scena VII:

Anima vil - Recitativo (Giunia, Silla)

Scena VIII:

Lo sposo mio? - Recitativo (Giunia, Cinna, Celia, Cecilio, Silla, Aufidio)

Il gran Silla - Finale (Tutti i personaggi, coro) - Allegro (re maggiore) - 2


oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

La finta giardiniera K196 - (13 gennaio 1775, Salvatortheater, Monaco)

https://youtu.be/XAXYCp84Qno

Libretto: Giuseppe Petrosellini (su un soggetto di Ranieri de' Calzabigi)

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Giardiniera-testo.html

Ruoli:

Arminda, gentildonna milanese, amante del cavalier Ramiro e ora promessa


sposa al contino Belfiore (soprano)
il cavalier Ramiro, amante di Arminda e da lei abbandonato (soprano)
la marchesa Violante, amante del contino Belfiore, creduta morta, sotto le
finte spoglie di Sandrina a servizio nel giardino del podestà (soprano)
il contino Belfiore, amante prima di Violante e ora di Arminda (tenore)
Serpetta, cameriera del podestà e di lui innamorata (soprano)
Don Anchise, podestà di Lagonero, innamorato di Sandrina (tenore)
Roberto, servitore della marchesa, sotto le finte spoglie di un suo cugino
giardiniere di nome Nardo, innamorato non corrisposto di Serpetta (basso)

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, archi


Per i recitativi: clavicembalo e violoncello
Composizione: Salisburgo - Monaco, Settembre 1774 - Gennaio 1775
Prima rappresentazione: Monaco, Teatro di Corte, 13 Gennaio 1775
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1795
Guida all’ascolto

Mozart ottenne dal Teatro di corte di Monaco la scrittura per un’opera bu"a,
che venne rappresentata con grande successo nel teatro vicino alla
Salvatorkirche. Il compositore, tuttavia, non ricavò da questo evento alcuna
conseguenza di rilievo per la propria attività. Per l’occasione aveva utilizzato
un libretto, dalla qualità molto modesta, di autore ignoto (la paternità di
Petrosellini non è per nulla sicura), che era stato già intonato da Pasquale
Anfossi nel carnevale del 1774 a Roma. Sono senz’altro imputabili al testo
alcuni difetti nella tenuta complessiva dell’opera, come ad esempio il numero
limitato dei concertati.

Atto primo. Nello scenario idillico del giardino del podestà, l’amore regna nel
cuore di tutti i personaggi, che tuttavia vi reagiscono in modi diversi. Il podestà
è innamorato della ‘finta giardiniera’ (Violante, sotto il falso nome di Sandrina);
Ramiro ama invece invano Arminda, mentre Violante-Sandrina sta cercando in
incognito, insieme al servitore Roberto (noto come Nardo), il contino Belfiore
che un anno prima l’aveva pugnalata e abbandonata, credendola morta. Anche
Nardo è innamorato (di Serpetta, che però mira alla mano del podestà).
Completa il quadro l’amante di Arminda, che si rivela essere proprio il contino
Belfiore. Sconvolta dalla notizia, Violante-Sandrina sviene: Belfiore, che pure
l’ha riconosciuta, nega di averla mai incontrata e l’atto finisce nella confusione
totale.

Atto secondo. Nella casa del podestà, Arminda esprime il suo amore per
Belfiore, mentre Nardo corteggia Serpetta. Sandrina e Belfiore si incontrano, e
la ragazza racconta al contino la sua finta morte. Giunge allora Ramiro, con un
ordine d’arresto a carico di Belfiore per l’assassinio di Violante: il cavaliere
spera infatti di rendere disponibile Arminda eliminando il rivale. Sandrina lo
difende, svelando la sua vera identità nello stupore generale. Poco dopo la
ragazza viene però abbandonata dalla gelosa Arminda in un bosco oscuro:
appena appresa la notizia, gli uomini si precipitano al soccorso. Solo grazie
alla lampada portata da Ramiro sarà possibile rintracciarla, mentre la presenza
di un gran numero di personaggi in una buia caverna genera equivoci a non
finire.

Atto terzo. Il podestà è ormai incredulo davanti all’accaduto, mentre Arminda


insiste nei suoi propositi matrimoniali. La scena ritorna nel giardino, dove
Belfiore e Sandrina, risvegliatisi dal sonno, giurano di non lasciarsi mai più. A
quel punto Ramiro e Arminda rinnovano il loro legame, mentre Serpetta si
consolerà con Nardo.
I pregi della partitura risiedono in particolare in alcuni momenti del dramma,
specialmente in quei luoghi in cui il compositore intravvede l’occasione per
utilizzare il registro dell’opera seria. Caso emblematico è la scena del secondo
atto ambientata in una grotta («luogo deserto ed alpestre, con grotta oscura»),
in cui Sandrina, portata a forza in questo luogo dalle sembianze infernali,
esprime tutta la sua angoscia. L’aria “Crudeli, fermate”, in do minore e in
Allegro agitato, condivide l’intensità drammatica delle ‘scene d’ombra’ comuni
nell’opera seria. Anche la cavatina che segue di lì a poco, accompagnata da
oboe e fagotto obbligati (e sempre in Allegro agitato), contribuisce a
confermare nell’ascoltatore questa sensazione, e proprio in un momento
chiave dell’intreccio: in quel confuso finale d’atto in cui le tenebre provocano
una complessa commedia degli equivoci. Di fronte a un libretto estremamente
convenzionale, Mozart gioca dunque la carta dello sconfinamento nell’ambito
serio, specie a proposito dei personaggi di più alto livello sociale (Arminda e il
cavaliere Ramiro, già in origine parti serie, Sandrina e il contino Belfiore, dette
all’epoca parti ‘di mezzo carattere’). Significative a questo riguardo l’intensità
emotiva dell’aria di Arminda “Vorrei punirti indegno” (in tonalità minore e in
Allegro agitato) e il suo corrispettivo presso Ramiro, “Va’ pure ad altri in
braccio” (do minore e ancora Allegro agitato). Altrove è un sentimento di
stupore incantato a prevalere, come nell’aria del contino Belfiore “Care pupille”,
dall’e!cace orchestrazione, o nel duetto dell’ultimo atto tra questi e Sandrina,
al loro risveglio in quello che credono essere il giardino dell’Eden: la musica
segue docile e suggestiva l’evoluzione dei sentimenti verso la definitiva
riconciliazione dei due bizzarri innamorati. Debito spazio è riservato anche alle
parti comiche, come può provare la tronfia aria ‘da catalogo’ del contino
Belfiore, “Da Scirocco a Tramontana”.

Struttura musicale

Ouverture - Allegro (re maggiore). Andantino grazioso (la maggiore) per


archi. Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Atto I:
Scena I:

Che lieto giorno, Che contentezza - Quintetto (Sandrina, Serpetta, Ramiro,


Podestà, Nardo - Allegro moderato (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Viva il buon gusto - Recitativo (Podestà, Ramiro, Serpetta, Nardo, Sandrina)
De l'augellin sen fugge - Aria (Ramiro) - Allegro (fa maggiore) - archi

Scena II:

Presto, Nardo, Serpetta andate - Recitativo (Podestà, Serpetta, Nardo,


Sandrina)
a. Dentro il mio petto - Aria (Podestà) - Allegro maestoso (re maggiore) -
flauto, 2 oboi, 2 fagotti,
2 corni, 2 trombe, timpani, archi
b. Ma oh Dio, che all'improviso - Aria (Podestà) - Presto (re maggiore) - 2
oboi, 2 fagotti, 2 corni,
2 trombe, timpani, archi

Scena III:

Della nemica sorte - Recitativo (Sandrina, Nardo)

Scena IV:

Gl'uomini s'han d'amar - Recitativo (Ramiro, Nardo, Sandrina)

Noi donne poverine - Aria (Sandrina) - Grazioso (si bemolle maggiore).


Allegro - archi

Sarei felice appieno - Recitativo (Ramiro)

Scena V:

Io per me non capisco - Recitativo (Nardo)

A forza di martelli, di martelli - Aria (Nardo) - Allegro (sol maggiore) - 2


corni, archi

Scena VI:

Mia cara nipotina - Recitativo (Podestà, Arminda, Serpetta)

Scena VII:

Che beltà, che leggiadria - Aria (Contino) - Andante maestoso (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Sposa, Arminda, moi sole - Recitativo (Contino, Arminda, Podestà, Serpetta)

Si promette facilmente - Aria (Arminda) - Allegro (la maggiore) - archi

Scena VIII:

Che dite, signor Conte - Recitativo (Podestà, Contino)


Da scirocco a Tramontana - Aria (Contino) - Andante maestoso (do
maggiore). Allegro - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

Evviva i consoli Romani Scipione - Recitativo (Podestà)

Scena IX:

In questa casa non si può più stare - Recitativo (Serpetta)

a. Un marito oh Dio! vorrei - Cavatina (Serpetta) - Grazioso (fa maggiore) -


archi

Come in questa canzone - Recitativo (Nardo)

b. Un marito oh Dio! vorrei - Cavatina (Nardo) - Grazioso (fa maggiore) -


archi

Bravo, signor bu"one - Recitativo (Serpetta, Nardo)

Appena mi vedon Chi cade, chi sviene - Aria (Serpetta) - Allegro (la
maggiore). Andante - archi

Scena X:

Geme la tortorella - Cavatina (Sandrina) - Andantino (do maggiore) - archi

Io son la tortorella - Recitativo (Sandrina, Arminda)

Scena XI:

Vi son io - Recitativo (Contino, Arminda)

a. Numi! Che incanto è questo - Finale (Contino, Sandrina) - Allegro (do


maggiore). Andante - archi
b. Ecco il liquor, prendete - Finale (Arminda, Ramiro, Sandrina, Contino) -
Allegro (do maggiore)
2 oboi, 2 corni, archi
c. Che silenzio! - Finale (Podestà, Sandrina, Ramino, Contino, Arminda) -
Adagio ma non molto
(mi bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
d. Che tratto è questo - Finale (Podestà, Serpetta, Nardo) - Allegro (re
maggiore). Maestoso
(sol maggiore). Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi
e Ma voi che pretendete - Finale. Settimino (Sandrina, Contino, Serpetta,
Podestà, Nardo,
Arminda, Ramiro) - Allegro (sol mamaggiore - la maggiore) - 2 oboi, 2
corni, archi

Atto II:
Scena I:

Non fuggirmi spietata - Recitativo (Ramiro, Arminda)

Scena II:

Ah che son disperato! - Recitativo (Contino, Arminda)

Vorrei punirti indegno - Aria (Arminda) - Allegro agitato (sol minore) - 2


oboi, 2 fagotti, 4 corni, archi

Scena III:

Ah costei non è donna - Recitativo (Contino, Serpetta)

Scena IV:

Quanto lo compatisco - Recitativo (Serpetta, Nardo)

Con un vezzo all'Italiana - Aria (Nardo) - Andantino grazioso (la maggiore).


Andante. Allegretto - archi

Costui mi dà piacere - Recitativo (Serpetta)

Scena V:

Che strano caso è il mio! - Recitativo (Sandrina, Contino)

Care pupille belle - Aria (Contino) - Andante (fa maggiore). Allegro - 2


flauti, 2 corni, archi

Scena VI:

Va Conte disgraziato - Recitativo (Podestà, Sandrina)

Una voce sento al core - Aria (Sandrina) - Grazioso (la maggiore). Andante
con moto - archi
Scena VII:

Ah che son stato un sciocco - Recitativo (Podestà, Arminda, Ramiro)

Una Damina, una nipote, - Aria (Podestà) - Allegro (sol maggiore) - 2 oboi,
2 corni, archi

Scena VIII:

Sappi Arminda ben mio - Recitativo (Arminda, Ramiro)

Scena IX:

Eppur dalla costanza - Recitativo (Ramiro)

Dolce d'amor compagna speranza - Aria (Ramiro) - Larghetto (si bemolle


maggiore) - 2 fagotti, archi

Scena X:

Credimi nipotina - Recitativo (Podestà, Arminda, Serpetta, Contino)

Scena XI:

Io lo difendo - Recitativo (Sandrina, Contino, Arminda, Podestà)

Scena XII:

a. Ah non partir... m'ascolta - Recitativo (Contino) - Andante. Allegro.


Adagio. Allegro risoluto. Adagio
2 oboi, 2 corni, archi
b. Già divento freddo - Aria (Contino) - Adagio (mi bemolle maggiore).
Tempo di Menuetto - archi

Scena XIII:

Oh poveretto me! - Recitativo (Nardo, Podestà, Ramiro, Serpetta)

Scena XIV:

Va pur, ma questa volta - Recitativo (Serpetta, Nardo)

Chi vuol godere il mondo - Aria (Serpetta) - Andantino grazioso (sol


maggiore). Allegro - archi
Scena XV:

Crudeli, oh Dio, fermate - Aria (Sandrina) - Allegro agitato (do minore) - 2


oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Ah dal pianto - Cavatina (Sandrina) - Allegro agitato (la minore). Andante.


Allegro. Presto - oboe, fagotto, archi

Scena XVI:

Fra quest' ombre - Settimino (Sandrina, Serpetta, Arminda, Ramito, Contino,


Podestà, Nardo) - Andante sostenuto (mi bemolle maggiore). Allegretto (sol
maggiore). Allegro (do maggiore). Andantino (sol maggiore). Allegro (do
maggiore) - 2 flauti, 2 corni, archi

Atto III:
Scena I:

Sentimi Nardo mio - Recitativo (Serpetta, Nardo)

Scena II:

Dovrò dunque languire - Recitativo (Nardo, Contino, Sandrina)

a. Mirate, che contrasto - Aria (Nardo) - Allegro (mi bemolle maggiore) - 2


oboi, 2 corni, archi
b. Da bravi seguitate - Duetto (Sandrina, Contino) - Allegro (mi bemolle
maggiore). Più Presto
2 oboi, 2 corni, archi

Scena III:

Oh l'ho pensata bene - Recitativo (Podestà, Serpetta)

Scena IV:

Vedete, che sfacciata - Recitativo (Podestà, Arminda, Ramiro)

Mio Padrone. Io dir volevo - Aria (Podestà) - Allegro (do maggiore). Presto -
2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

Scena V:
Ramiro, orsù, alle corte - Recitativo (Arminda, Ramiro)

Scena VI:

E giunge a questo segno - Recitativo (Ramiro)

Va pure ad altri in braccio - Aria (Ramiro) - Allegro agitato (do minore) - 2


oboi, 2 fagotti, 4 corni, archi

Scena VII:

a. Dove mai son! - Recitativo (Sandrina, Contino) - Adagio (mi bemolle


maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
b. Tu mi lasci? - Duetto (Sandrina, Contino) - Adagio (si bemolle maggiore).
Andantino (do minore).
Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena VIII:

Ma nipote mia cara - Recitativo (Podestà, Arminda, Ramiro, Serpetta, Nardo,


Sandrina, Contino)

Viva pur la Giardiniera - Coro finale (Sandrina, Serpetta, Arminda, Ramiro,


Podestà, Contino, Nardo) - Molto Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Il re pastore K208 - (23 aprile 1775, Residenza Arcivescovile, Salisburgo)

https://youtu.be/npvNJj_CWpE

Libretto: Pietro Metastasio

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Repastore-testo.html

Ruoli:

Alessandro, Re di Macedonia (tenore)


Aminta, pastorello, amante di Elisa, erede del regno di Sidone (soprano)
Elisa, ninfa fenicia della stirpe di Cadmo (soprano)
Tamiri, figlia del tiranno Stratone, amante di Agenore (soprano)
Agenore, nobile di Sidone (tenore)

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 corni inglesi, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, archi


Per i recitativi: clavicembalo e violoncello
Composizione: Salisburgo, Marzo - Aprile 1775
Prima rappresentazione: Salisburgo, Rittersaal del Residenz-Theater, 23 Aprile
1775

Sinossi

Atto primo. Alessandro ha appena espugnato Sidone, ucciso il tiranno Stratone


e ora intende rimettere sul trono il legittimo erede, cresciuto da un pastore e
ignaro dei suoi nobili natali. Infatti Aminta vive felice e soddisfatto della sua
condizione, con l'unico sogno di sposare Elisa, anch'essa di sangue nobile, ma
ben disposta a rinunciare ai suoi privilegi pur di essere amata dal pastore.
Alessandro e il suo confidente Agenore si recano alla capanna di Aminta per
appurarne la sua identità e verificare la purezza del suo cuore. Agenore ama
Tamiri, figlia del tiranno ucciso ed è a sua volta riamato dalla giovane
principessa. Tamiri, si nasconde presso Elisa e non osa costituirsi ad
Alessandro. Agenore rivela ad Aminta la sua vera identità, il pastore è
sconcertato da questa notizia inattesa, Elisa lo sprona a presentarsi ad
Alessandro a!nché lo incoroni quale legittimo re di Sidone.

Atto secondo. Il secondo atto si apre con Elisa che vorrebbe rivedere Aminta,
ma ne è impedita da Agenore, anche il giovane ha lo stesso desiderio, ma
Alessandro ricordandogli i suoi futuri doveri, lo trattiene e cerca di convincerlo
in ogni modo sulle sue doti di grande nobiltà. Agenore si reca da Alessandro a
perorare la causa di Tamiri e il re manifesta la sua intenzione di destinarla in
moglie ad Aminta a!nché la città di Sidone sia finalmente del tutto
riappacificata. Questa notizia provoca nell'amico del re una profonda
disperazione. Aminta, invece, è convinto di sposare Elisa, quest'ultima è
preoccupata sulle voci riguardanti il matrimonio del suo amato pastorello e ne
chiede conferma ad Agenore, Tamiri è scontenta. Il giorno all'incoronazione ,
nel tempio dedicato ad Ercole, giungono prima Tamiri e poi Elisa entrambe
confessano ad Alessandro i loro veri sentimenti. Da ultimo si presenta Aminta,
vestito dei suoi panni di pastore, confessa di preferire la sua precedente vita
che gli permetterebbe di sposare Elisa. Alessandro ricompone le due coppie e
promette un nuovo regno per Tamiri ed Agenore.

Guida all’ascolto

Nel XVIII secolo la visita di un componente di una famiglia reale presso un’altra
corte era l’occasione di numerosi festeggiamenti, all’interno dei quali la musica
aveva spesso un ruolo di primo piano. Quando fu annunciato il passaggio a
Salisburgo dell’arciduca Massimiliano, ultimogenito dell’imperatrice Maria
Teresa, l’arcivescovo Colloredo incaricò il Kapellmeister Domenico Fischietti e
il giovane Mozart, allora secondo Konzertmeister, di preparare gli
intrattenimenti musicali. I compositori misero in musica due testi di
Metastasio, sia pure di epoche diverse: il 22 aprile l’illustre ospite poté
ascoltareGli orti esperidi, una serenata per cinque voci di Fischietti su un
libretto del 1721, e il giorno seguenteIl re pastoredi Mozart; probabilmente le
due composizioni furono presentate senza allestimento scenico (a ciò allude la
definizione «serenata» che compare nel diario del consigliere municipale di
Salisburgo, Scheidenhofen, ripresa dallo stesso Mozart in una lettera al padre)
e vennero interpretate dai medesimi cantanti, ma non si conosce ilcastper
intero. Per l’occasione giunsero da Monaco il castrato Tommaso Consoli, cui fu
a!dato il ruolo di Aminta, e il flautista Johann Baptist Becke, che suonò alcuni
brani molto brillanti nelle arie; gli altri interpreti erano quasi sicuramente
membri della cappella di corte di Salisburgo. Non si sa con certezza se fu
Mozart o lo stesso Colloredo a scegliereIl re pastore, né si conosce il nome del
poeta che rielaborò il testo metastasiano; punto di riferimento era la versione
presentata nel 1774 a Monaco con musiche tratte dalRe pastoredi Pietro
Alessandro Guglielmi (Venezia 1767), in cui Tommaso Consoli aveva
interpretato il ruolo di Elisa: qui l’originale in tre atti è ridotto a due, con
l’eliminazione di cinque arie e di parte dei dialoghi, e vi è un nuovo e più
ampio coro finale (“Viva l’invitto duce”). Rispetto a questo libretto la
composizione di Mozart contiene poi ulteriori aggiunte e modifiche, che
potrebbero essere attribuite al futuro autore del testo dell’Idomeneo, l’abate
Varesco. Mentre Bonno e ancora Gluck avevano previsto quattro soprani e un
tenore, Mozart riequilibrò l’ensembledestinando a un secondo tenore la parte
di Agenore; comune a Hasse e a Gluck è invece la scelta di far seguire
direttamente la prima scena all’ouverture.

In passato, i maggiori studiosi di Mozart hanno giudicatoIl re pastore con


severità, ritenendolo privo di intensità drammatica e incapace di raggiungere
un’e!cace definizione dei personaggi; tali limiti venivano ricondotti al
carattere d’occasione e al libretto di Metastasio, che non sarebbe stato capace
di toccare le corde personali del compositore. In tal modo questo lavoro veniva
accomunato alle altre opere giovanili, considerate come fase preliminare in cui
si delineano gli elementi che troveranno piena realizzazione nei capolavori
della maturità. Reinhard Strohm è stato tra i primi a rendere giustizia alla
composizione, dimostrando come in Mozart l’opera metastasiana, sia pure
giunta quasi ad esaurimento, avesse ancora una sua validità. Questa linea
interpretativa mette in luce la chiara articolazione formale e l’impianto
equilibrato del Re pastore e sottolinea come la mancanza di apparato scenico
sia compensata da una grande varietà della musica. Tra le dodici arie presenti
in partitura non se ne possono individuare due dalla struttura identica: a fianco
delle tradizionali arie colda capo, ne compaiono di articolate in quattro parti e
rondò; inoltre, in taluni luoghi, fanno capolino principi organizzativi di origine
strumentale, in primo luogo desunti dalla forma-sonata. Una delle cifre
dell’opera è proprio costituita dall’intreccio fra la tradizione vocale e quella
strumentale: non è casuale, ad esempio, che la prima sezione dell’aria di
Aminta “Aer tranquillo e dì sereni” sia stata ripresa di lì a poco da Mozart per il
tema iniziale del Concerto per violino KV 216. L’adozione di forme diverse
contribuisce in modo determinante alla caratterizzazione dei personaggi: ad
Alessandro sono assegnate ben tre arie, che ricordano nella linea melodica e
nell’accompagnamento orchestrale lo stile eroico dell’opera seria; l’importanza
del personaggio regale è sottolineata nel primo atto dall’adozione delle
trombe, mentre altrove (“Se vincendo vi rendo felici”) il flauto solista dialoga
con la voce, entrando in competizione con le sue colorature. La dimensione
bucolica emerge invece nei brani a!dati ad Aminta (come la sua semplice
canzone di esordio “Intendo amico rio”, in un 6/8 pastorale) o nel testo
descrittivo della prima aria di Elisa (“Alla selva, al prato, al fonte”), che canta le
gioie della vita a contatto con la natura.

Mozart diresse la prima esecuzione; probabilmente fu lui a eseguire la parte di


violino solista nella celebre aria di Aminta “L’amerò, sarò costante”, un rondò
in mi bemolle maggiore articolato in cinque sezioni, che divenne un brano
prediletto dai cantanti. Quest’aria ha un ruolo importante anche nell’intreccio,
poiché Agenore fraintende le parole di Aminta credendo che la sua
dichiarazione di fedeltà riguardi Tamiri. Il dolore e i tormenti di Agenore
trovano espressione poco dopo in “Sol può dir come si trova”, l’unica aria in
tonalità minore dell’opera: il veemente accompagnamento degli archi, il
colorito cupo e le numerose modulazioni generano un’intensità drammatica
che preannuncia alcune pagine dell’Idomeneo.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Struttura musicale

Ouverture - Molto Allegro (do maggiore) - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

Atto I:
Scena I:

Intendo, amico rio - Aria (Aminta) - Andantino (do maggiore) - 2 flauti, 2


corni, archi

Bella Elisa, idol mio - Recitativo (Aminta, Elisa)

Alla selva, al prato - Aria (Elisa) - Allegro (sol maggiore) - 2 oboi, 2 corni,
archi

Scena II:

Perdono, amici Dei - Recitativo (Aminta, Agenore, Alessandro)

Campagne amene - Recitativo (Aminta) - Andante (fa maggiore) - archi


Aer tranquillo e di sereni - Aria (Aminta) - Allegro aperto (si bemolle
maggiore). Grazioso - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena III:

O che dici, Alessandro? - Recitativo (Agenore, Alessandro)

Si spande al sole - Aria (Alessandro) - Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2


corni, 2 trombe, archi

Scena IV:

Agenore? T'arresta, odi... - Recitativo (Tamiri, Agenore)

Per me rispondete - Aria (Agenore) - Grazioso (sol maggiore) - archi

Scena V:

No, voi non siete, o Dei - Recitativo (Tamiri)

Di tante sue procelle - Aria (Tamiri) - Allegro aperto (mi bemolle maggiore)
- 2 oboi, 2 corni, archi

Scena VI:

Oh lieto giorno! - Recitativo (Elisa, Aminta, Agenore)

Scena VII:

Dal piu fedel vassallo - Recitativo (Agenore, Elisa, Aminta)

Scena VIII:

Elisa? Aminta? È sogno? - Recitativo (Aminta, Elisa)

Che! m'a"retti a lasciarti? - Recitativo (Aminta, Elisa) - Andante. Allegro -


archi

Vanne, vanne a regnar - Duetto (Elisa, Aminta) - Andante (la maggiore).


Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi

Atto II:
Scena I:
Questo del campo greco - Recitativo (Elisa, Agenore)

Barbaro, oh Dio! - Aria (Elisa) - Andante (si bemolle maggiore). Allegro - 2


oboi, 2 corni, archi

Scena II:

Nel gran cor d'Alessandro - Recitativo (Agenore, Aminta)

Scena III:

Per qual ragione - Recitativo (Alessandro, Aminta)

Scena IV:

O per la mia Tamari - Recitativo (Agenore, Alessandro)

Se vincendo vi rendo felici - Aria (Alessandro) - Allegro moderato (fa


maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni

Scena V:

Oimè! declina il sol - Recitativo (Aminta)

Scena VI:

E irresoluto ancora ti ritrovo - Recitativo (Agenore, Aminta)

L'amerò, sarò costante - Aria. Rondò (Aminta) - Andantino (mi bemolle


maggiore) - violino solo, 2 flauti, 2 corni inglesi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VII:

Uscite, al fine, uscite - Recitativo (Agenore)

Scena VIII:

Ma senti, Agenore - Recitativo (Elisa, Agenore)

Scena IX:

Povera Ninfa! - Recitativo (Agenore, Tamiri)


Se tu di me fai dono - Aria (Tamiri) - Andantino grazioso (la maggiore) -
archi

Scena X:

Misero cor! - Recitativo (Agenore)

Sol può dir, come si trova - Aria (Agenore) - Allegro (do minore) - 2 oboi, 2
fagotti, 4 corni, archi

Scena XI:

Voi che fausti ognor donate - Aria (Alessandro) - Allegro (do maggiore) - 2
oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

Olà, che piu si tarda? - Recitativo (Alessandro, Tamiti, Agenore)

Scena XII:

Ah giustizia, Signor - Recitativo (Elisa, Alessandro)

Scena XIII:

Signore, io sono Aminta - Recitativo (Aminta, Alessandro, Agenore, Elisa)

Viva! Viva l'invitto duce! - Finale. Quintetto (Elisa, Tamiri, Aminta, Agenore,
Alessandro) - Molto Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Zaide K344 - (opera incompiuta) (27 gennaio 1866, Francoforte)

https://youtu.be/HZkl-07vhbo

Testo: Johann Andreas Schachtner

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Zaide-testo.html

Ruoli:

Gomatz (tenore)
Zaide (soprano)
Allazim (basso)
Sultano Soliman (tenore)
Osmin (basso)
Zaram (voce recitante)
quattro schiavi (tenori)
Guardie (tenori e bassi)

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi


Composizione: Salisburgo, Aprile, 1779 - Novembre 1780
Edizione: Andrè, O"enbach 1838

L'opera è rimasta incompiuta al termine del secondo atto

Sinossi

Atto primo.
Gomatz, schiavo cristiano, e Zaide, la preferita del sultano Soliman, si
innamorano e progettano di fuggire insieme; il sorvegliante Allazim decide di
aiutarli e di scappare con loro.

Atto secondo.
Il sultano dà sfogo al suo furore: la bella Zaide, da lui invano corteggiata, gli ha
preferito uno schiavo cristiano. Zaram, capo delle guardie, cattura i fuggitivi e
li conduce davanti al sultano ancora in collera; Zaide lo supplica perché
risparmi almeno Gomatz. L'autografo mozartiano si interrompe a questo punto
e, in mancanza del libretto originale, restano aperti alcuni interrogativi
riguardo il numero di atti previsto (due o tre) e la conclusione della vicenda
(lieto fine con il perdono del sultano o condanna degli amanti).

Struttura musicale

Atto I:
Scena I:

Brüder, lasst uns lustig sein - Coro (Schiavi) - Allegro (re maggiore) - archi

Scena II:

Unerforschliche Fügung - Melologo (Gomatz) - Adagio (re minore). Allegro.


Allegretto. Con più di moto. Adagio (si bemolle maggiore). Andantino. Allegro.
Andantino. Allegro. Andantino. Allegro (sol maggiore) - oboe solo, 2 oboi, 2
fagotti, archi

Scena III:
Ruhe sanft, mein holdes Leben - Aria (Zaide) - Tempo di Minuetto grazioso
(sol maggiore). Andante. Moderato (do maggiore) . Tempo di Minuetto
grazioso (sol maggiore) - oboe, fagotto, archi
Rase, Schicksal, wüthe immer - Aria (Gomatz) - Allegro assai (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Meine Seele hüpft vor Freuden - Duetto (Zaide, Gomatz) - Allegro ma
moderato (mi bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IV:

Herr und Freund! wie dank' ich dir - Aria (Gomatz) - Allegretto (do
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Scena V:

Nur mutig, mein Herze, versuche dein Glück - Aria (Allazim) - Allegro
maestoso (fa maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VI:

O selige Wonne - Trio (Zaide, Gomatz, Allazim) - Andantino (mi maggiore).


Allegro - 2 flauti, 2 corni, archi

Atto II:
Scena I:

a. Zaide entflohen! - Melologo (Soliman, Zaram, Oberster der Leibwache) -


Allegro con brio
(re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
b. Der stolze Löw' lasst sich zwar zähmen - Aria (Soliman) - Allegro
maestoso (re maggiore).
Allegro con brio. Presto - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi

Scena III:

Wer hungrig bei der Tafel sitzt - Aria (Osmin) - Allegro assai (fa maggiore) -
archi

Scena IV:

Ich bin so bös' als gut - Aria (Soliman) - Allegro moderato (mi bemolle
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena V:
Trostlos schluchzet Philomele - Aria (Zaide) - Andantino (la maggiore) -
archi

Scena VI:

Tiger! wetze nur die Klauen - Aria (Zaide) - Allegro assai (sol minore).
Larghetto. Allegro assai - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VII:

Ihr Mächtigen seht ungerührt - Aria (Allazim) - Un poco Adagio (si bemolle
maggiore). Allegretto. Moderato. Allegretto - 2 oboi, 2 corni, archi
Freudin! stille deine Thränen - Quartetto (Zaide, Gomatz, Soliman, Allazim)
- Allegro assai (si bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Guida all’ascolto

Dopo la morte del marito, Constanze Mozart trovò tra le sue carte il
manoscritto autografo di quindici numeri musicali di una «operetta tedesca»
incompleta e senza titolo, e lo vendette all’editore di O"enbach, Johann Anton
André; questi terminò la partitura scrivendo il finale e la pubblicò in seguito
(nel 1838) con il titolo Zaide, dal nome della protagonista. Nell’epistolario di
Mozart si possono rintracciare alcune notizie su questa composizione: il
musicista la iniziò nel 1779, probabilmente senza una commissione precisa,
ma con la speranza di farla rappresentare da una delle compagnie teatrali –
quella di Böhm o di Schikaneder – che in quegli anni si erano a"ermate
presentando in tedesco Singspiele originali, o traduzioni di opere bu"e italiane
e diopéras-comiquesfrancesi. Per il libretto venne interpellato Andreas
Schachtner, trombettista nell’orchestra di corte di Salisburgo e amico della
famiglia Mozart; fonte d’ispirazione era Das Serail di F. J. Sebastiani, un
Singspiel rappresentato forse a Erlangen nel 1778 e poi a Bolzano nel 1779
con le musiche di Joseph von Frieberth. Il testo dei dialoghi di Schachtner è
andato perduto, e ci resta soltanto la versione rimaneggiata da Carl Gollmick
per André. Il soggetto riprende l’ambientazione ‘turca’ divenuta popolare
grazie agli scritti di Voltaire e Montesquieu, e più in generale legata a una
moda – musicale e no – che tanto successo aveva in quegli anni.

Atto primo. Gomatz, schiavo cristiano, e Zaide, la preferita del sultano Soliman,
si innamorano e progettano di fuggire insieme; il sorvegliante Allazim decide
di aiutarli e di scappare con loro.

Atto secondo. Il sultano dà sfogo al suo furore: la bella Zaide, da lui invano
corteggiata, gli ha preferito uno schiavo cristiano. Zaram, capo delle guardie,
cattura i fuggitivi e li conduce davanti al sultano ancora in collera; Zaide lo
supplica perché risparmi almeno Gomatz. L’autografo mozartiano si
interrompe a questo punto e, in mancanza del libretto originale, restano aperti
alcuni interrogativi riguardo il numero di atti previsto (due o tre) e la
conclusione della vicenda (lieto fine con il perdono del sultano o condanna
degli amanti).

L’impegno per la composizione dell’Idomeneo per Monaco e la morte di Maria


Teresa (novembre 1780), cui seguì la chiusura dei teatri, impedirono
probabilmente a Mozart di completare la partitura. Più tardi, come risulta dal
carteggio con il padre, il musicista comprese che la sua nuova opera non era
adatta al gusto del pubblico viennese, che preferiva lavori di carattere comico,
e si consolò con la promessa di Gottlieb Stephanie di a!dargli un buon libretto
di argomento analogo (e sarebbe statoDie Entführung aus dem Serail,
rappresentato con successo nel 1782).Zaide– mai eseguita all’epoca di Mozart
– ebbe dunque il merito di familiarizzare il compositore con l’argomento
esotico, anche se mancano ancora riferimenti ai topoi della ‘musica turca’.
Mentre le due arie di Soliman presentano gli stilemi dell’opera seria italiana,
negli altri brani prevalgono naturalezza e semplicità, legate al Lied e alla
leggerezza dell’opéra-comique; particolare cura è riservata alla protagonista
Zaide, che nelle sue arie espressive anticipa qualche tratto di personaggi
femminili (Susanna o Fiordiligi) delle opere della maturità. Il tono prevalente
dei numeri musicali conservatisi è piuttosto serio, con l’unica eccezione
dell’aria bu"a di Osmin, “Wer hungrig bei der Tafel sitzt”, costellata di allegre
risate. Due brani – l’esordio di Gomatz nel primo atto e lo sfogo rabbioso di
Soliman all’inizio del secondo – sono in forma di melologo, cioè con il testo
recitato nelle pause dell’accompagnamento orchestrale: è evidente l’influenza
della vita musicale di Mannheim, dove Mozart aveva soggiornato nel 1778 e
ascoltato con vivo interesse i melologhi di Jiri Antonín Benda. La prima
esecuzione diZaidenella versione André risale al 1866, e a essa seguirono altre
rappresentazioni, spesso con ulteriori rielaborazioni; benché non sia certo che
fosse destinata a questoSingspiel, è invalsa l’abitudine di eseguire come
ouverture laSinfoniain sol maggiore KV 318. Nell’agosto 1981 Italo Calvino ha
proposto una ricostruzione del libretto di Zaide al festival Musica nel chiostro
di Batignano (Grosseto), mentre nel 1995 il Maggio musicale fiorentino ha
presentato il Singspiel insieme a Avant, pendant et après Zaïde, con musica di
Luciano Berio e un nuovo libretto a cura di Lorenzo Arruga.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Thamos, König in Ägypten (Thamos, re d'Egitto) K345 (cori e intermezzi


musicali)

https://youtu.be/npPetYO2siE
Testo: Tobias Philipp, baron von Gebler ed Andreas Schachtner il n. 8

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Thamos345-testo.html

Schon weichet dir, Sonne! - coro - Maestoso (do maggiore)


Intermezzo del 1° atto - Maestoso (do minore). Allegro
Intermezzo del 2° atto - Andante (mi bemolle maggiore)
Intermezzo del 3° atto - Allegro (sol minore). Allegretto. Andante. Più
Andante. Più Adagio. Allegretto. Adagio
Intermezzo del 4° atto - Allegro vivace (re minore - re maggiore)
Gottheit, Gottheit, über Alle mächtig! - coro - Adagio maestoso (re
maggiore). Allegro vivace. Allegretto (la maggiore). Allegro vivace (re
maggiore). Moderato
Intermezzo del 5° atto - Allegro (re minore)
Ihr Kinder des Staubes, erzittert - aria del gran sacerdote (basso) - Andante
moderato (re minore)
Wir Kinder des Staubes, erzittert - coro - Andante moderato (re maggiore).
Allegro

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2


fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Salisburgo, 1779

Thamos, re d'Egitto (titolo originale Thamos, König in Ägypten) è un dramma


di Tobias Philipp von Gebler, noto per le musiche di scena di Wolfgang
Amadeus Mozart. La prima rappresentazione ebbe luogo l'11 dicembre 1773 a
Bratislava, il 4 aprile 1774 al Theater am Kärntnertor di Vienna seguita poi il 3
gennaio 1776 a Salisburgo e nel 1779 nella residenza arcivescovile di
Salisburgo.

Trama

Il re d'Egitto Menes, detronizzato dal ribelle Ramesses e creduto morto, vive in


realtà ad Helipolis con il falso nome di Sethos.

La figlia Tharsis, rapita durante la rivolta contro il padre, viene a!data con il
nome di Sais alla sacerdotessa Mirza. Alla morte di Ramesses, Sethos, ovvero
Menès, rinuncia al trono in favore di Thamos (figlio di Ramesses) che è
innamorato di Sais, ovvero Tharsis. Segue il complotto ordito da Pheron,
consigliere di Thamos e da Mirza per strappare Sais a Thamos e per
detronizzare quest'ultimo.

Fra intricate confessioni e colpi di scena, Sethos svela il complotto; si assiste


quindi alla fine dei due traditori (Mirza si suicida e Pheron viene colpito da un
fulmine) e al ricongiungimento di Thamos e Tharsis finalmente liberi di vivere
il loro amore.

Note

Al ritorno da Parigi nel gennaio del 1779 Mozart si avvicinò al mondo del
teatro tedesco minore attraverso una bizzarra miscellanea di Singspiel,
tragedie e balletti. In questo clima di fervore teatrale Mozart riprese due cori
composti nel 1773, originariamente destinati al dramma eroico "Thamos, re
d'Egitto" di Tobias Philipp von Gebler; aggiunse inoltre un terzo coro ex novo e
arricchì il tutto con quattro intermezzi sinfonici.

Questa partitura non ebbe successo in nessuna delle due stesure: fu solo
utilizzata da Bohm, impresario teatrale di una compagnia ambulante, per
arricchire il dramma "Lanassa". Posteriormente Mozart tentò di dare nuova luce
ai due cori principali trasformandoli in inni spirituali con testi latini
("Splendente Te Deum","Ne pulvis et cinis") e con testi tedeschi ("Preis dir!
Gottheit","Ob furchterlicht tobend").

Questi inni, nonostante lo scarso successo, furono eseguiti a Praga per


l'incoronazione di Leopoldo II a re di Boemia sotto la direzione di Antonio
Salieri.

Organico orchestrale

La partitura di Mozart prevede:

Soli (soprano, contralto, tenore, basso), coro e orchestra (archi, flauti, oboi,
corni, trombe, tromboni, timpani).

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nell'estate del 1773 Mozart mise in musica due cori del dramma eroico
Thamos Konig in Agypten di Tobias Gebler (1726 - 1786), consigliere
austriaco alla corte boema e fra i principali fautori del rilancio del teatro
viennese. All'epoca Mozart aveva appena sedici anni e si trovava a Vienna in
compagnia del padre Leopold che, ansioso di far conoscere al mondo il
prodigioso talento del figlio, vide in questa commissione una preziosa
opportunità per la sua fortuna. Il dramma però non ebbe successo: esso fu
rappresentato solo una volta a Pressburg nel 1773 e venne replicato a Vienna
nel 1774 e a Salisburgo nel 1776, ma probabilmente senza le musiche
mozartiane. Sei anni più tardi, consapevole dell'assoluto valore della sua
musica, Wolfgang rimaneggiò i due cori già musicati, compose un terzo coro
(quello conclusivo, su testi di Schachtner) e arricchì il dramma con cinque
intermezzi sinfonici. Tuttavia anche questa seconda versione non ebbe sorte
migliore della prima e fu ben presto dimenticata. Se ne duole lo stesso Mozart
in una lettera del 15 febbraio 1783: "Mi dispiace molto di non poter utilizzare
la musica del Thamos! Il dramma non è piaciuto e rimarrà uno dei tanti
scartati, destinato a non essere più eseguito. Dovrebbero rappresentarlo, il
Thamos, esclusivamente per la mia musica, ma sarà di!cile che lo facciano.
Peccato!".

L'atipicità del genere (musiche di scena con cori) rendono tutt'oggi questa
partitura di di!cile esecuzione, e così si conferma l'infausto destino del K 345,
che raramente trova posto nei cartelloni delle sale da concerto. Ciò
nonostante, il Thamos è considerato, per la suggestiva imponenza delle pagine
corali e la "modernità del linguaggio sinfonico", come "il precedente di gran
lunga più importante e decisivo dell'"Idomeneo" (Carli Ballola). Ma è l'intima
corrispondenza con il Flauto magico ad aver destato l'attenzione degli studiosi
mozartiani. Le analogie con l'ultimo capolavoro teatrale di Mozart sono da
ricercarsi innanzitutto nella comune matrice massonica: il testo di Thamos è
infatti opera di un massone, Gebler, ed è disseminato di simbologie e
riferimenti alla massoneria. Inoltre entrambi i libretti sono derivati dal romanzo
Sethos dell'Abate Jean Terasson.

La vicenda è tutta incentrata sulla bontà di Thamos, figlio dell'usurpatore


Rameses. Morto il padre, Thamos è il legittimo erede al trono d'Egitto, egli non
sa però che il vecchio re Menes, deposto con la forza da Rameses, è ancora
vivo e si nasconde col nome di Sethos, sommo sacerdote del tempio del sole.
Sotto mentite spoglie è pure la figlia di Menes, Sais, che è innamorata e
corrisposta da Thamos. Intanto Pheron, confidente di Thamos, complotta con
la sacerdotessa Mirza per detronizzare Thamos e sposare Sais. Tra intricate
confessioni e colpi di scena si arriva finalmente all'agnizione finale: Sethos si
rivela come Menes e, rifiutata la corona, unisce la coppia di innamorati
a!dando loro il trono, mentre si assiste alla fine dei due traditori (Mirza
suicida e Pheron colpito da un fulmine per volere degli dei).

La musica composta da Mozart consta di tre cori e cinque brani strumentali. Il


coro di apertura, con il suo carattere solenne, stabilisce immediatamente il
tono del dramma e anticipa vistosamente il modo di parlare dei seguaci di
Sarastro nel Flauto magico. La grandiosità caratterizza anche i successivi due
cori, che alternano assolo e ritornelli corali. Gli intermezzi strumentali sono
concepiti da Mozart come il riassunto musicale dell'atto precedente e sono
preceduti, in partitura, da brevi annotazioni di pugno del compositore che
descrive l'idea o il tema che egli aveva cercato di ritrarre con la musica. È così
che il primo interludio esprime, secondo le parole di Mozart, "la decisione a cui
Pheron e Mirza sono giunti di portare Pheron sul trono", questo spiega
l'Allegro agitato che illustra l'azione a cui Pheron viene incitato. Il secondo
intermezzo è teso a spiegare "il bel carattere di Thamos" cui segue "il carattere
falso di Pheron". Il terzo intermezzo descrive "il colloquio traditore tra Mirza e
Pheron". Infine l'ultimo intermezzo descrive la "generale confusione con cui
termina il quarto atto".

Fiero delle musiche composte, Mozart cercò infine di recuperare almeno i cori,
adattandovi testi tedeschi e latini di carattere sacro e trasformandoli quindi in
"Inni spirituali".

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Con le musiche di scena per il "dramma eroico" Thamos, König in Agypten del
barone Tobias Philipp von Gebler, Mozart si accosta per la prima e unica volta
al genere della "musica di scena"; genere saturo di intellettualismo che aveva
avuto il suo centro di irradiazione nella Francia del Settecento, e di qui era
penetrato nei paesi di lingua tedesca attraverso le teorie di J. A. Scheibe,
l'operato del direttore di scena Ernst Ackermann e le discussioni di Lessing
nella Drammaturgia di Amburgo.

Il dramma di Gebler, stampato nel 1773 a Praga e a Dresda, lodato da Wieland


e da altri letterati illustri, subito tradotto in francese e poi anche in italiano,
interessa oggi soltanto come tappa di avvicinamento al Flauto magico, a cui si
a!anca per la comune dipendenza dal romanzo Séthos di Terrasson, apparso
in Francia nel 1731, probabile fonte del Dschinnistan di Wieland dal quale
deriva anche il capolavoro di Mozart e Schikaneder. Comune, oltre
l'ambientazione egiziaca e il generale clima massonico, velato di oscurità e
segretezze, è la costruzione della vicenda, per prove successive da superare
prima di raggiungere il trionfo finale: re Thamos, figlio di un usurpatore, ama
la figlia del detronizzato Menes che vive a corte sotto i panni e il nome del
grande sacerdote Sethos; anche Tharsis, la figlia di Menes amata da Thamos,
all'insaputa di tutti si nasconde sotto le vesti di sacerdotessa del Sole con il
nome di Sais: la scoperta delle singole identità procede di pari passo con il
trionfo di bontà, giustizia e costanza amorosa, superati gli ostacoli frapposti
dal generale Pheron e da sua zia Mirza, fulminati infine dagli dei per la loro
malvagità.

Gebler aveva incaricato un musicista, certo Johann Tobias Sattler, di scriverne


le musiche; ma non essendone soddisfatto si rivolse al diciassettenne Mozart,
allora reduce dall'ultimo viaggio in Italia, il quale nell'estate del 1773 scrisse i
due cori "Schon weichet dir, Sonne" e "Gottheit, über alle mächtig", unendovi i
brani musicali da eseguire come intermezzi fra gli atti: in questa forma il
Thamos andò in scena a Vienna al Teatro di Porta Carinzia nell'aprile del 1774,
senza tuttavia lasciare echi di sorta nell'ambiente musicale viennese. Alcune
riprese registrate nel 1775 e '76 da fogli e avvisi teatrali in città tedesche non
riportano il nome di Mozart; l'occasione per riprendere in mano il lavoro si
presentò invece nella primavera del 1779 quando la troupe teatrale di Johann
Böhm stazionò per vari mesi a Salisburgo allestendovi numerosi singspiel.
Mozart era da poco rientrato dal viaggio a Mannheim e Parigi, e la
rielaborazione è profonda; ai due cori scritti nel '73 si aggiunge il coro finale
"Ihr Kinder des Staubes" con intervento di basso solo (su un testo assente in
Gebler, forse di Johannes Andreas Schachtner) e probabilmente anche i cinque
intermezzi vengono riassestati in una strumentazione più ricca; inoltre,
nell'intermezzo terzo, è introdotta quella forma di Melodram, di parlato
intercalato o sovrapposto sulla musica, che nel 1778 Mozart aveva conosciuto
a Mannheim nella Medea di Benda e per la quale si era molto scaldato.

Anche di questa nuova fatica Mozart non raccolse frutti immediati; la musica di
Thamos circolò adattata da Böhm per il dramma Lanassa di Plümicke (di
ambiente indiano, derivato da una tragedia francese) e a Mozart capitò di
sentirla ancora a Francoforte nel 1790, quando si trovava nella città per le
feste dell'incoronazione di Leopoldo II a sacro romano Imperatore germanico;
ma non ebbe mai la soddisfazione di vederla accoppiata al dramma per cui era
nata, restandogliene un sincero rimpianto: in una lettera al padre del 1783 da
Vienna si dispiace ancora che quel lavoro teatrale, degno di essere ripreso "a
causa della sola musica", fosse ormai caduto nel dimenticatoio.

Malgrado l'episodicità dell'incontro con la "musica di scena" (il suo ibridismo


non era fatto per trattenere a fondo un compositore per il quale la musica era
un universo linguistico autonomo e concluso), quanto scritto per il Thamos
merita un posto tra i più alti nell'opera di Mozart; esso segna il momento in cui
una materia nuova, legata alla riscoperta della nobiltà classica e al mistero
iniziatico degli ideali massonici, gli allarga il campo creativo e gli tende le linee
oltre la sensibilità percepita sino allora: con il Thamos entra in scena l'anti-
rococò, l'anti-Watteau, cioè la categoria del grandioso assorbita da Mozart con
la sua leggendaria capacità di assumere qualunque contenuto non appena
gliene fosse data l'occasione.

Lungi dall'essere una semplice tappa di avvicinamento al Flauto magico, le


musiche del Thamos sostengono un arco che va dalla solennità programmatica
delle Messe e dalla impetuosa severità della Sinfonia K. 183 alle scene corali
dell'Idomeneo e della Clemenza di Tito. La grandiosità dei tre cori è
generalmente riconosciuta, ma non si è posta su!ciente attenzione al
carattere drammatico dell"Andante moderato" che apre il terzo coro ("Ihr
Kinder des Staubes"), già imbevuto dell'a"anno sovrannaturale caro a certi
momenti del Don Giovanni; nel primo intermezzo, in do minore, nella prima
parte del terzo, in sol minore, nel principio del quarto, in re minore, e nel
quinto, sempre in re minore, tutte pagine legate al polo negativo incarnato da
Pheron, si assiste alla nascita di un lessico "patetico" nel più puro significato
schilleriano: la fierezza degli unisono, la contrapposizione immediata di "forte"
e "piano", gli sforzato in sincope, l'arditezza delle modulazioni, i segmenti
cromatici marchiati a fuoco, sono tutti elementi che proprio dalle gracili
dimensioni imposte dalla trama scenica ricevono una emersione improvvisa.
Analogo discorso meritano le pagine in tonalità maggiore, per lo più ispirate
alla bontà di Thamos, alla calma che il suo apparire impone alla concitazione:
con quel senso di modellazione scultorea, di classica medaglia che sarà una
delle doti supreme del Tito. Insomma, il dramma massiccio e indolente di
Gebler, quasi a sua insaputa, ha gettato una luce traversa in zone della
coscienza dove il giovane Mozart non aveva ancora guardato in modo così
fermo.

Giorgio Pestelli

Idomeneo, ossia Ilia ed Idamante, K366 - (29 gennaio 1781, Teatro


Cuvilliés di Monaco)

https://youtu.be/Ba9K_T5ivTQ

Libretto: Gianbattista Varesco

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Idomeneo-testo.html

Ruoli:

Idomeneo, re di Creta (tenore)


Idamante, suo figlio (sopranista/tenore)
Ilia, principessa troiana, figlia di Priamo (soprano)
Elettra, principessa; figlia d'Agamennone, re d'Argo (soprano)
Arbace, confidente del re (tenore)
Gran Sacerdote di Nettuno (tenore/baritono)
La Voce (basso)
Comparse e cori Sacerdoti, troiani prigionieri, uomini e donne cretesi,
marinai argivi

Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3


tromboni, timpani, archi
Composizione: Salisburgo - Monaco, Ottobre 1780 - Gennaio 1781
Prima rappresentazione: Monaco, Teatro di Corte, 29 gennaio 1781
Edizione: Simrock, Bonn 1805

Idomeneo fu composto tra l’autunno del 1780 e i primi giorni del 1781 su
libretto di Gianbattista Varesco, cappellano di corte dell’arcivescovo di
Salisburgo. Del libretto esistono due versioni: la prima presenta il testo
integrale; la seconda non riporta, invece, i numerosi passi tagliati o non
musicati da Mozart, altri espunti dopo esser stati composti e altri ancora
esclusi all’ultimo momento per esigenze di durata. A partitura ultimata, il
compositore e"ettuò ulteriori tagli per snellire la lunghezza dello spettacolo.
Questa complessa vicenda testuale nasconde un travaglio creativo,
documentato dalla quarantina di fondamentali lettere che Mozart e suo padre
si scambiarono tra l’8 dicembre 1780 e il 22 gennaio 1781. In esse il
compositore discute con Varesco, per interposta persona, le soluzioni da
adottare in molte parti del dramma. Non conosciamo l’esito della prima
rappresentazione, ma dai pareri dei membri della corte di Monaco riportati
nell’epistolario, si deduce che l’impressione destata dal lavoro del compositore
venticinquenne fu enorme: «Vi assicuro che mi aspettavo molto da voi»
confessò a Mozart il conte Seinsheim in una lettera del 1º dicembre 1780, «ma
veramente non mi aspettavo questo!».

Idomeneo venne ripreso a Vienna nel 1786, in un’esecuzione concertistica nel


palazzo del principe Karl Auersperg: in questa occasione Mozart trascrisse la
parte di Idamante per voce di tenore. L’opera ebbe una notevole fortuna a
cavallo tra i due secoli, poi uscì dal repertorio per essere ripresa nel Novecento
in versioni variamente rielaborate. Solo a partire dal secondo dopoguerra, con
la riscoperta dell’opera seria settecentesca,Idomeneo è stato rappresentato con
frequenza sempre maggiore nei principali teatri del mondo, in edizioni fedeli
agli originali di Monaco e di Vienna.

Atto primo. Dopo la caduta di Troia, Idomeneo, re di Creta, torna in patria dal
figlio Idamante, ma la sua flotta è colta dalla tempesta (“Pietà! Numi pietà”). La
figlia di Agamennone, Elettra, dopo l’uccisione della madre Clitennestra, si è
rifugiata a Creta dove si è innamorata di Idamante, che ama invece Ilia, figlia di
Priamo re di Troia, inviata da Idomeneo a Creta come prigioniera. La
incontriamo lacerata tra l’inclinazione amorosa per un nemico e il suo onore di
principessa troiana: ella respinge Idamante, facendo violenza a se stessa.
Idamante, che ha saputo del prossimo arrivo del padre, libera tutti i prigionieri
troiani e dichiara a Ilia il suo amore. I troiani liberati esprimono la loro gioia:
ma questo gesto di magnanimità indispone Elettra, che accusa Idamante di
proteggere il nemico e di oltraggiare tutta la Grecia. Nel frattempo giunge il
confidente Arbace a portare la falsa notizia secondo cui Idomeneo sarebbe
annegato dopo un naufragio. Idamante allora si ritira in preda a profondo
dolore, mentre Elettra dà libero corso alla sua disperata gelosia, pensando che
Idamante, ormai re, sposerà certamente Ilia (“Tutte nel cor vi sento”). Cambia
la scena: dalla spiaggia si vede la flotta di Idomeneo sul mare in burrasca e si
odono le grida dell’equipaggio in preda al terrore. Per placare la collera di
Nettuno, Idomeneo ha fatto voto di sacrificare al dio del mare il primo essere
umano che incontrerà sulla terraferma, se mai riuscirà a sbarcarvi. Giunto in
salvo, egli pensa con angoscia e dolore alla terribilità del suo voto (“Vedrommi
intorno”), e inorridisce ulteriormente quando scopre che il giovane appena
incontrato è suo figlio Idamante: preso dal terrore, fugge e gli vieta di seguirlo.
Idamante esprime profondo stupore per il comportamento del padre.
L’intermezzo introduce una marcia e un coro di guerrieri che si uniscono alle
donne cretesi, inneggiante a Nettuno che li ha ricondotti salvi in patria
(“Nettuno s’onori”).

Atto secondo. Per sfuggire al suo terribile dovere, Idomeneo decide di inviare
Idamante con Elettra ad Argo, dove quest’ultima deve salire al trono. Arbace,
incaricato di annunciare al principe la decisione paterna, fa professione di
ubbidienza. Ilia si congratula con Idomeneo per il suo ritorno, vanta la bontà di
Idamante, che le ha ridato la libertà, e manifesta al re la sua devozione (“Se il
padre perdei”). Questi sospetta l’amore dei due e si sente ancora più oppresso
(“Fuor del mar, ho un mar in seno”). Anche Elettra ringrazia il re per la sua
decisione: rimasta sola, canta la sua gioia nel vedere prossimo a realizzarsi il
suo desiderio più ardente (“Idol mio, se ritroso”). La partenza dei guerrieri e
dei marinai viene annunciata da una marcia e da un coro (“Placido è il mar,
andiamo”): un terzetto dà quindi modo a Elettra, Idomeneo e al sempre a#itto
Idamante di esprimere i propri sentimenti (“Pria di partir, o Dio”). Ma ecco
scatenarsi una nuova, terribile tempesta: un mostro marino sorge dalle acque
(“Qual nuovo terrore”). Il re comprende il suo peccato e vuole sacrificarsi al
posto del figlio, mentre il coro dei cretesi si disperde terrorizzato.

Atto terzo. Ilia a!da ai venti il suo messaggio d’amore per Idamante (“Ze!retti
lusinghieri”); questi le dichiara di essere deciso a cercare la morte
combattendo il mostro marino, dacché suo padre lo odia e lei lo disdegna. Ma
Ilia, commossa, gli confida il suo amore e ambedue si uniscono in un duetto
(“S’io non moro a questi accenti”). Giungono Idomeneo ed Elettra e, di nuovo, il
re ordina al figlio di lasciare Creta per sottrarsi alla morte: è il momento del
favoloso quartetto (“Andrò, ramingo e solo”). Arbace allora annuncia che il
gran Sacerdote si avvicina seguito dal popolo: quest’ultimo domanda al re di
liberare i cretesi dal mostro, lo sollecita a compiere il voto e domanda il nome
della vittima. Quando Idomeneo pronuncia quello del figlio, il popolo esprime
il suo sgomento (“O voto tremendo”). Il sacrificio inizia con una marcia, seguita
da una preghiera del re; ma ecco una fanfara che echeggia di lontano: Arbace
annuncia che Idamante, vincitore, ha ucciso il mostro. Il principe, incoronato di
fiori, viene quindi condotto al sacrificio: ora sa tutto e si dichiara pronto a
morire. Ma, nel momento in cui Idomeneo sta per colpirlo, Ilia cade tra le sue
braccia e si o"re come vittima al posto di colui che ama. Dopo una lunga
discussione, piena dei più nobili sentimenti, si sente improvvisamente la voce
dell’oracolo di Nettuno: Idomeneo deve rinunciare al trono in favore di
Idamante che regnerà, dopo essersi sposato con Ilia. Elettra scoppia in
furibonde imprecazioni e fugge (“D’Oreste e d’Aiace/ Ho in seno i tormenti”).
Idomeneo ringrazia gli dèi ed esprime la sua gioia (“Torna la pace al core”);
Idamante è incoronato tra cori e danze (“Scenda amor, scenda Imeneo”).

Per il libretto di Idomeneo,Varesco si basò sulla tragédie lyrique Idomenée di


Antoine Danchet, musicata da André Campra (Parigi 1712), riscrivendola in
forma di opera metastasiana con elementi a essa estranei: danze, scene
coreografiche, cori decorativi e drammatici. Il finale tragico fu eliminato a
favore di quello lieto, mentre il blocco delle scene del terzo atto (6-10),
introdotto ex novo, è chiaramente ispirato ad Alceste di Gluck. Il testo o"riva
dunque a Mozart una notevole varietà di prospettive stilistiche, che lo
indussero a esaltarle nel reciproco contrasto, aggiungendovene un’altra, del
tutto personale e audacemente innovatrice: quella del realismo psicologico,
estranea alle abitudini dell’opera seria metastasiana e destinato a diventare il
cardine del futuro teatro di Mozart. Allo stile dell’opera seria appartengono
invece le parti di Idomeneo, Arbace e, parzialmente, quella di Idamante. Tre
cantanti di vecchia scuola, rispettivamente i tenori Anton Raa" e Domenico de’
Panzacchi e il castrato Vincenzo dal Prato, oltre, naturalmente, alla natura delle
situazioni, suggerirono a Mozart una soluzione in tal senso. Nella ‘aria
d’ombra’ di Idomeneo “Vedrommi intorno / L’ombra dolente” la musica
rappresenta il lamento doloroso degli spiriti dell’oltretomba; nell’aria “Fuor del
mar ho un mar in seno” il re paragona il tumulto del proprio animo a quello di
una tempesta marina e la scrittura di Mozart riesce a fissare mirabilmente,
nelle catene di vocalizzi, l’immagine della burrasca come metafora del dramma
scatenatosi nell’animo del protagonista. La regalità solenne di Idomeneo, non
priva di un intimo senso di malinconia, contrasta con la reattività nervosa di
Idamante. Nelle due arie del primo atto questi esprime il suo dolore per essere
stato respinto dall’amata e dal padre; Mozart conferisce al personaggio una
sorta di impaziente, nervosa agitazione, insieme a una dolce, talora efebica
malinconia: il tutto espresso con un’eleganza di tratto che caratterizza
fedelmente la nobiltà del principe.

Ilia, impersonata da una cantante di gusto aggiornato come Dorothea


Wendling, è il personaggio più riuscito dell’opera, nonché il primo
completamente risolto dal compositore in chiave di realismo psicologico. Le
sue arie, in specie la mirabile “Se il padre perdei”, si caratterizzano per un
lirismo nostalgico che non esclude, tuttavia, forti componenti del carattere: in
particolare un’energia morale temprata dalle dure prove subite e in grado di
sorreggerla sino al sacrificio della vita. Qui Mozart intreccia alla voce quattro
strumenti concertanti (flauto, oboe, fagotto e corno) che dialogano con il
canto. Le a"annate frammentazioni del ritmo, l’accorta alternanza di canto
sillabico e melismatico, di declamazione e di melodia, il trattamento
dell’armonia, con le sue dissonanze piazzate dove meglio non si potrebbe in
rapporto alle esigenze espressive del testo, il cangiare dei timbri, tutto
concorre ad attingere un’ambiguità di segno persino romantica, ricca di
implicazioni espressive e di valenze psicologiche.

Le tendenze introspettive riservate al personaggio di Ilia contrastano con la


passionalità di Elettra, la cui interprete, Elisabeth Wendling era, come la
cognata Dorothea, un’ottima cantante. L’espressione dell’istintualità
incontrollata, che pervade la prima e l’ultima aria di Elettra, si realizza in una
vocalità ‘martellata’, rigorosamente sillabica, mentre l’orchestra si frantuma in
una inesausta varietà dinamica e timbrica. C’è tuttavia in queste arie di Elettra
qualcosa di eccessivo e di violento che brucia, per così dire, la melodia e
documenta il travaglio creativo di Mozart, ancora incapace di dominare in
pieno, come sarà in Don Giovanni, l’espressione delle passioni più violente.

I due pezzi d’assieme, il terzetto del secondo atto e il quartetto del terzo,
rappresentano situazioni statiche. Ma quest’ultimo è un capolavoro di finezza
psicologica nella resa dei quattro personaggi con i loro sentimenti contrastanti:
lo smarrimento inquieto di Idamante che si appresta a partire, la dedizione
eroica di Ilia disposta a seguirlo anche nella morte, la rabbia blasfema di
Idomeneo che impreca contro gli dèi e la gelosia di Elettra, che le corrode
l’animo. Il senso fatalistico del limite, che blocca la volontà dell’uomo dinnanzi
al destino, è resa da Mozart con un vero colpo di genio, paragonabile a quelli
che fanno dei cori drammatici esempi supremi di musica teatrale. Ricordiamo
l’intensità del coro dei naufraghi nel primo atto, diviso in una sezione vicina e
in una lontana, mentre l’orchestra riempie gli spazi vastissimi della natura in
tempesta con l’imitazione del vento e delle onde; il blocco finale dell’atto
secondo, con i due cori divisi dal recitativo di Idomeneo; la potenza evocativa
con cui, dopo il recitativo del gran Sacerdote, la folla accoglie nel terzo atto la
notizia che Idomeneo dovrà uccidere Idamante: tutti momenti musicali e
drammatici che si pongono tra le più alte realizzazioni teatrali di Mozart.
Accanto a questi pezzi, i cori decorativi nel primo atto (“Godiam la pace”,
“Nettuno s’onori”) e nel terzo (“Scenda amor”) rappresentano momenti di
distensione, che il compositore risolve con squisita eleganza di gusto francese.

Idomeneo anticipa molti aspetti dei capolavori futuri, ma rimane un’opera seria
italiana fondata sull’alternanza di aria e recitativo, con l’esclusione di veri
concertati d’azione. Mozart comprese gli ostacoli che le convenzioni del
genere mestastasiano opponevano a quell’esigenza di naturalezza, di realismo
psicologico e di continuità temporale nella rappresentazione del dramma che
egli sentiva prepotentemente sorgere nella sua coscienza di uomo di teatro.
Cercò allora di stabilire una continuità tra un pezzo e l’altro, facendo ampio
ricorso al recitativo accompagnato; ma quando, poco prima dell’esecuzione, si
accorse della inaccettabile lentezza del terzo atto, non esitò a tagliare tre arie
di Idamante, Elettra e Idomeneo per non interrompere l’azione nell’ultima
parte della tragedia. Tutta l’opera mostra quindi, insieme al supremo valore
dell’invenzione musicale e a una scrittura orchestrale che non ha paragoni per
sontuosità di e"etti nella restante produzione mozartiana, anche un
drammatico contrasto tra il testo, che additava al musicista un certo genere di
drammaturgia musicale, e la sensibilità di Mozart, che tenta in ogni modo di
piegare gli schemi rigidi dell’opera seria alla sua nuova idea di teatro musicale.
Nella sua polivalenza espressiva e stilistica – tragédie lyrique, dramma
gluckiano ed elementi di realismo psicologico innestati sul tronco dell’opera
seria metastasiana – Idomeneo rimane dunque un’opera sperimentale, priva di
unità stilistica ma cementata dalla maestria compositiva di Mozart che ci
meraviglia per la ricchezza, la profondità, l’audacia delle soluzioni stilistiche,
tecniche ed espressive. Tutto è ad altissimo livello, ma l’invenzione del
compositore letteralmente fiammeggia dove il testo, specie nei cori drammatici
e nelle arie di Ilia, gli o"riva la possibilità di rispecchiare gli intrecci della
psicologia umana. La via che guarda al futuro è quindi saldamente tracciata e
dopo Idomeneo, senza più indugiare, Mozart potrà imboccarla, aprendo
all’opera in musica la rappresentazione della vita nella sua immediatezza,
dando al teatro musicale una complessità estetica degna del grande teatro di
prosa: un’impresa che il Settecento razionalista riteneva francamente
impossibile.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Per comprendere Idomeneo, opera ineguale ma contenente alcune delle pagine


musicalmente più ricche di tutto Mozart, bisogna anzitutto riferirsi all'epoca in
cui esso venne composto. Mozart da tempo sognava di comporre musica per
una grande opera seria e sentiva come un ostacolo insormontabile al suo pieno
sviluppo la permanenza nella natia Salisburgo, città dalle prospettive anguste
nella quale i compiti e i ruoli che gli venivano via via assegnati gli andavano
ormai stretti. Si sentiva predestinato al cimento teatrale, pronto al confronto
con la tradizione italiana, francese e soprattutto gluckiana che tanto ammirava;
ma per comporre un'opera come lui l'intendeva occorreva che si presentasse
un'occasione al di fuori di Salisburgo. E l'occasione, prestigiosissima, si
realizzò nell'estate del 1780 quando gli giunse attraverso il conte Seeau,
intendente teatrale del Principe Elettore Karl Theodor, la commissione di un
lavoro per il Carnevale di Monaco dell'anno successivo. Monaco dunque, una
capitale della musica che poteva vantare una storia illustre, che nel Nuovo
Teatro di Corte disponeva di un luogo celebrato da molti successi nel campo
dell'opera italiana, che gli avrebbe messo a disposizione un'orchestra favolosa
- la famosa "compagine di Mannheim" diretta da Christian Cannabich,
trasferita a Monaco in blocco - e una compagnia di canto non meno all'altezza.
C'erano quindi tutte le premesse perché il sogno di Mozart finalmente si
avverasse e prosperasse nelle migliori condizioni.
Il libretto, su un soggetto suggerito dal Principe stesso e già trattato in
precedenza dal francese Antoine Danchet a Parigi nel 1712 per la musica di
André Campra, fu a!dato all'abate Gianbattista Varesco, cappellano di corte
dell'arcivescovo di Salisburgo e poeta accademico poco esperto di teatro
nonché incline a una certa magniloquenza. Vi si narravano vicende successive
alla guerra di Troia. Idomeneo, re di Creta, durante il viaggio di ritorno è
assalito in mare da una violenta tempesta. Il pericolo è mortale e Idomeneo,
per aver salva la vita, o"re in sacrificio a Nettuno, dio del mare, la prima
persona che incontrerà giungendo sull'isola. Sbarcato a Creta, Idomeneo
incontra per primo il proprio figlio Idamante. Lacerato dal conflitto fra la
promessa al dio e il sacrificio del proprio figlio, il re sceglie di non adempiere
al voto. Nettuno, o"eso dal tradimento, invia sull'isola un terrificante mostro
marino, portatore di morte e distruzione. Quando Idomeneo confessa l'atroce
segreto, Idamante, che nel frattempo ha sconfitto il mostro, si o"re
spontaneamente quale vittima; a sua volta Ilia, figlia di Priamo, prigioniera di
guerra e innamorata di Idamante, si o"re in olocausto a Nettuno. La prova
d'amore commuove il dio che impone a Idomeneo di abdicare in favore del
figlio, che regnerà su Creta accanto alla sposa Ilia.

Il librettista di Mozart, oltre a tradurre il testo in italiano, sfrondò il numero dei


personaggi, portò a tre i cinque atti della tragedia e soprattutto modificò il
finale, che nell'originale si concludeva con la morte di Idamante. Il nucleo della
vicenda rimase sì lo strazio di Idomeneo, costretto a tener fede al suo voto
insano, ma alla storia mitologica si a!ancarono umanissime e toccanti storie
di a"etti incrociati: l'amore della prigioniera Ilia per Idamante, figlio di
Idomeneo, e la rivalità con la vendicativa Elettra, anch'ella innamorata di
Idamante. Nonostante il modello della tragédie lyrique francese e la presenza
di danze, marce guerriere e grandi cori, Varesco si attenne ai principi
dell'opera italiana metastasiana, fondata sull'alternanza di recitativi e arie,
ridusse considerevolmente lo sfondo mitologico-allegorico del dramma,
impoverendone i risvolti fiabeschi, e dettò una conclusione di carattere
celebrativo imperniata sul lieto fine: in altri termini, si mosse seguendo una
strada convenzionale, ricorrendo ampiamente all'emporio melodrammatico
tradizionale. Non era esattamente quello che Mozart, genio paziente e assai
più avanti di lui nella concezione dell'opera, desiderava; ma il compositore
sapeva che la musica avrebbe potuto correggere gli squilibri drammatici e le
rigidezze del testo in favore di una maggiore omogeneità.

Insomma, toccava a lui intervenire per correggere le imperfezioni e riscrivere la


storia.

La gestazione dell'Idomeneo si rivelò comunque alquanto complessa e so"erta.


Alla riottosità del librettista nell'apportare al testo le continue modifiche
desiderate da Mozart si aggiunsero le di!coltà create dai cantanti, tiranni
tanto illustri quanto capricciosi nell'opera settecentesca. Se la primadonna
Dorothea Wendling e la cognata Elisabeth Wendling, ottime voci e care amiche
dei tempi di Mannheim, si dimostrarono subito pronte a recepire
rispettivamente le delicatezze introspettive riservate al personaggio di Ilia e
l'intensa passionalità di Elettra, Vincenzo dal Prato (Idamante) possedeva una
voce di castrato ormai logora, usurata da mille battaglie e di scuola ormai
sorpassata (forse anche in seguito a questa esperienza Mozart pensò di
a!dare nella ripresa dell'opera a Vienna del 1786 la parte a un tenore), mentre
l'anziano Anton Raa" (il tenore tedesco protagonista quale Idomeneo,
sessantasei anni compiuti) era un divo in declino, legato a una routine di
vecchio stampo, suscettibile e vanitoso al punto da pretendere dal compositore
un trattamento di riguardo per le sue arie e i suoi interventi nei concertati.
Mozart incontrò insospettate di!coltà soprattutto nella stesura del terzo atto
("La mia testa e le mie mani sono così piene del terzo atto che non mi
meraviglierei se mi trasformassi io stesso in un terzo atto!", 3 gennaio 1781) e
ancor più nel famosissimo quartetto "Andrò ramingo e solo", uno dei più bei
quadri d'insieme mai composti per il palcoscenico. "Col quartetto ho avuto
delle seccature - scriveva al padre Leopold il 27 dicembre 1780 -. E' piaciuto a
tutti quelli che l'hanno sentito al pianoforte; soltanto Raa" è del parere che
non sarà d'alcun e"etto. Ha detto: 'Non c'è da spianar la voce, lo sento troppo
stretto' . Come se in un quartetto le parole non dovessero essere molto più
pronunciate che cantate. Tal genere di cose lui non le comprende a"atto.
Allora gli ho risposto: 'Carissimo! Se fossi convinto che in questo quartetto vi è
una sola nota da cambiare, lo farei subito. Solo che di nessun altro momento
dell'opera sono soddisfatto come di questo brano; e quando l'avrete sentito
cantare una sola volta in concerto parlerete diversamente. Mi sono dato tutta la
pena possibile per servirvi a dovere con le vostre due arie: lo stesso farò per la
terza, e spero di riuscirci. Ma quando si parla di terzetti e quartetti, il
compositore deve avere la mano libera".

Mozart aveva iniziato a comporre l'Idomeneo in ottobre a Salisburgo e lo


condusse a termine a Monaco, dove era giunto il 5 novembre (1780) per
poterlo completare a contatto dei cantanti e dell'orchestra. Questa circostanza
fece sì che egli intrattenesse un fitto epistolario con il padre, incaricato, data la
sua diplomazia, di tenere i rapporti con il librettista di stanza a Salisburgo. Da
questo carteggio è possibile seguire passo dopo passo la nascita dell'opera: è
un viaggio a"ascinante e completo nella vulcanica o!cina del compositore,
che ci ragguaglia su minimi fatti quotidiani, sui progressi della gestazione
teatrale, sui comportamenti dei cantanti, fino a pregnanti riflessioni di estetica
teatrale; il tutto tenuto sempre sul filo dell'ironia scherzosa e di una pensosa,
concentrata serietà. Mozart riservò estrema attenzione all'impianto
drammaturgico generale più che agli episodi isolati, ribadendo più volte la
necessità di operare tagli nella partitura a vantaggio di un'economia superiore,
anche in presenza di pezzi singolarmente belli. Un significativo esempio è
nella lettera del 18 gennaio 1791: "La prova del terzo atto si è svolta in modo
splendido. Dicono che sia decisamente superiore ai primi due atti. Ma il
libretto è troppo lungo, e di conseguenza anche la musica, come non ho mai
smesso di ripetere; cosicché occorre tagliare l'aria di Idamante "No, la morte io
non pavento": in ogni caso qui è fuori di posto. Chi ha ascoltato l'opera è
dispiaciuto di questa soppressione e dell'eliminazione dell'ultima aria di Raa".
Ma occorre fare di necessità virtù". Folgorante il paragone, che dimostra
quanto Mozart guardasse agli esempi sommi del teatro di prosa per trarre
insegnamento dalla forza delle parole: "Se, in Amleto, il discorso dello spettro
non fosse così lungo, l'e"etto non potrebbe che essere migliore".

Dopo numerosi rinvii e ritardi, il dramma per musica Idomeneo andò in scena il
29 gennaio 1781 al Residenztheater di Monaco ottenendo un buon successo.
Oltre che all'Elettore, presente la sera del debutto, quest'opera così "nuova e
insolita" piacque enormemente agli intenditori e ai musicisti, ma non conquistò
emotivamente il grande pubblico dei profani, abituato a ben altre esibizioni (lo
spettacolo, le cui scene erano opera del celebre architetto teatrale Lorenzo
Quaglio, fu invece unanimemente apprezzato). Benché si dichiarasse non del
tutto soddisfatto del risultato raggiunto a causa della ambiguità di fondo
(avrebbe preferito che l'opera fosse impostata alla maniera francese, nello
spirito dei modelli di Gluck), Mozart aveva osato molto e ne era pienamente
consapevole. Seppure costrette nelle regole dell'opera seria tradizionale, le
novità drammaturgiche e musicali erano tante e sotto molti aspetti
rivoluzionarie. Anzitutto Mozart dette un rilievo straordinario agli strumenti a
fiato, facendo dell'orchestra nel suo complesso l'elemento più importante della
trama compositiva, sia negli accompagnamenti delle parti cantate sia in quelle
non cantate: ne è esempio la grandiosa e patetica Ouverture in re maggiore,
che si dissolve senza soluzione di continuità nella prima scena dell'opera. In
secondo luogo trasformò i recitativi accompagnati in un vero, ininterrotto
dialogo tra voci e strumenti, conferendo all'azione una tensione montante nel
segno della continuità e sfociante in poderosi insiemi sovente sorretti dal coro,
cui venne attribuita una forza speciale, penetrante. Soprattutto però riuscì a
corredare un testo sfilacciato di una musica densa, luminosa, ricca, esuberante
nell'invenzione e nell'espressione, la cui ambizione estetica andava ben al di là
del consueto commento musicale a un soggetto celebrativo. Nonostante la sua
non perfetta riuscita come progetto globale di teatro, non almeno al livello
delle successive opere su libretti di Da Ponte, Idomeneo presenta puntate
ardite, cime sfolgoranti di compiuta e assoluta bellezza, apici quali non
sarebbero mai stati più toccati neppure dal più grande drammaturgo musicale
che la storia abbia avuto prima di Wagner.

Ciò si può spiegare proprio con il posto occupato da Idomeneo nella sua
carriera. Non per nulla Mozart non smise mai di amare quest'opera, che lo
toccava anche sul piano personale. Aveva venticinque anni quando la compose
ed essa significò per lui la prima, vera scoperta del grande teatro, del teatro
inteso non soltanto come confronto con una fulgida, doviziosa tradizione ma
anche come luogo di identificazione, di vita e di verità. Ed era stata la
convinzione di potersi esprimere nel modo più compiuto proprio in questo
ambito a spingerlo ineluttabilmente, quasi ossessivamente verso il teatro.
Naturalmente non era la prima volta che scriveva un'opera seria: aveva già dato
prova di sé nell'opera seria attraverso Lucio Silla e Il re pastore. Era però la
prima volta che si trovava di fronte alla commissione di un grande teatro, a
una grande orchestra e a cantanti di grido, di cui avrebbe presto imparato a
riconoscere croci e delizie. Ed era la prima volta che si sentiva maturo per
uscire dal suo guscio e pensare, creare finalmente in grande. Inevitabile che
questa prova del fuoco avvenisse sotto il segno del rapporto problematico di
acerbità-maturità, fase che poi Mozart avrebbe superato nella felicità della
forma perfetta; essa era però anche nutrita da tutto l'entusiasmo, la vitalità, la
determinazione, la spregiudicatezza, l'euforia tipiche della prima volta, quella
nella quale, pur fra molti dubbi e autocritiche, si viene spalancando un mondo
di sogno, a lungo desiderato e vagheggiato, per diventare realtà.

Di questi caratteri la partitura di Idomeneo è letteralmente intrisa e come tale


va ascoltata in prospettiva.

Alla notevole varietà di elementi stilistici o"erti dal testo e messi dalla musica
in fertile contrasto, senza che ciò producesse buchi o fratture, si venne
aggiungendo un altro tratto del tutto nuovo e personale, destinato a divenire il
cardine del futuro teatro di Mozart: il realismo psicologico che investe non
soltanto i singoli personaggi ma anche l'ordito generale della composizione. Si
è già detto che il musicista superò gli ostacoli frapposti dalle convenzioni del
genere metastasiano esigendo con naturalezza continuità e compattezza nella
rappresentazione del dramma: continuità e compattezza non soltanto tra un
pezzo e l'altro, e massimamente negli insiemi culminanti del terzetto del
secondo atto e del già ricordato quartetto del terzo, nonché nei cori ora
drammatici ora sospensivi, ma anche all'interno di una singola scena, facendo
ampio ricorso al recitativo accompagnato e allo stile concertante per non
interrompere l'azione. Di ciò beneficiarono in larga misura anche le arie,
concepite in modo da stabilire uno stretto rapporto tra personaggio e
situazione: di fatto, quello viene definito da questa. Ne è un esempio l'aria
centrale di Idomeneo "Fuor del mar ho un mar in seno"; nella quale il re
vincolato a un terribile giuramento paragona il tumulto del proprio animo a
quello di una violenta tempesta marina: dove la scrittura riesce a fissare
mirabilmente, nelle catene di vocalizzi, l'immagine della burrasca come
metafora del lacerante conflitto scatenatosi nell'animo del protagonista.

Altro elemento distintivo della partitura è la di"erenziazione dei personaggi,


cui corrisponde una di"erenziazione di stili vocali e di atteggiamenti musicali.
La regalità solenne, so"erta e malinconica di Idomeneo contrasta con la
dolorosa solitudine di Idamante, la vittima sacrificale pronta ad a"rontare
nobilmente il proprio destino e animata da una impaziente, trepida e tuttavia
dolce generosità. Austero e severo è il canto tenorile del confidente del re
Arbace, modellato sullo stile dell'opera seria. Ma è soprattutto nei personaggi
femminili che Mozart eccelle in finezza psicologica e plasticità di
rappresentazione. La tenera Ilia, che per prima si presenta in scena con una
commovente aria in sol minore, è forse il personaggio più riuscito dell'opera,
certamente quello più amato e rifinito. Le sue arie, specialmente la mirabile "Se
il padre perdei" nel secondo atto e l'a"ettuosa "Ze!retti lusinghieri" all'inizio
del terzo, si caratterizzano per un candore nostalgico che non esclude,
tuttavia, forti sentimenti ricchi di implicazioni espressive e di valenze
psicologiche: un'energia morale temprata dalle dure prove sopportate si
intreccia nella declamazione e nella melodia, nel cangiare dei timbri, ai fremiti
innocenti e passionali della fanciulla innamorata e pronta al sacrificio della vita.
All'estremo opposto la rabbia tagliente di Elettra, la rivale smaniosa, enunciata
da una vocalità "martellata", frantumata e incandescente, scandita
dall'orchestra con nervosa varietà dinamica e timbrica: antecedenti neppur
troppo lontani, le sue arie, dei tremendi, ultimativi furori della Regina della
Notte nel Flauto magico.

Idomeneo anticipa molti aspetti dei capolavori futuri ma rimane un unicum che
non avrebbe avuto, nella sua ineguaglianza, eguali: non si può rivivere due
volte la stessa esperienza, rifare la stessa scoperta. Traboccante di originalità e
invenzione, sperimentale, audace, fremente di contrasti e di opposti a"etti,
questa partitura è scolpita come un bassorilievo palpitante di chiaroscuri,
emblema insieme della classicità e di un'ambiguità di segno addirittura
preromantico. Tutto è in essa di altissimo livello, persino nei fitti, eleganti
numeri di danza, nati controvoglia per assecondare il gusto della corte e
rivelatisi figli adulti e maturi, svezzati dalle danze francesi di Gluck. Ma è là
dove il testo o"riva la possibilità di accendere i fuochi della psicologia umana
rispecchiando gli stati d'animo che l'invenzione del compositore letteralmente
esplode, sontuosamente e magistralmente: tanto nelle arie quanto nei cori
portentosi, mai scissi dal caldo dell'azione. A Mozart, dopo Idomeneo, non
restava che organizzare e completare il suo genio, compiendo quel che restava
da compiere: fondare l'opera nazionale tedesca e realizzare una nuova idea di
teatro musicale basata sulla fusione dei generi, in grado di rappresentare fino
in fondo la vita nella sua immediatezza, molteplicità e polivalenza.

Sergio Sablich

Struttura musicale
Ouverture - Allegro (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto I:
Scena I

Quando avran fine omai - Recitativo (Ilia) - Andantino. Allegro. Andante


agitato. Adagio - archi

Padre, germani, addio! - Aria (Ilia) - Andante con moto (sol minore) - 2
oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Ecco, Idamante, ahimè! - Recitativo (Ilia)

Scena II:

Radunate i Troiani - Recitativo (Idamante, Ilia)

Non ho colpa, e mi condanni - Aria (Idamante) - Adagio maestoso (si


bemolle maggiore). Allegro con spirito. Larghetto. Allegro - 2 oboi, 2 clarinetti,
2 fagotti, 2 corni, archi

Ecco il misero resto de'Troiani - Recitativo (Ilia, Idamante)

Scena III:

Scingete le catene - Recitativo (Idamante)

Godiam la pace, trionfi Amore - Coro (Troiani e Cretesi) - Allegro con brio
(sol maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IV:

Prence, signor - Recitativo (Elettra, Idamante)

Scena V:

Ma quel pianto ch'annunzia? - Recitativo (Idamante, Arbace)

Or sì dal cielo - Recitativo (Idamante, Ilia) - Allegro assai - archi

Scena VI:
Estinto è Idomeneo? - Recitativo (Elettra) - Allegro assai. Larghetto. Allegro
assai - archi

Tutte nel cor vi sento - Aria (Elettra) - Allegro assai (re minore) - 2 flauti, 2
oboi, 2 fagotti, 4 corni, archi

Scena VII:

Pietà! Numi pietà! - Coro (Popolo e marinai cretesi) - Allegro assai (do
minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, archi

Scena VIII:

Eccovi salvi alfin - Recitativo (Idomeneo) - archi

O voi, di Marte, e di Nettuno all'ire - Recitativo (Idomeneo) - archi

Vedrommi intorno l'ombra dolente - Aria (Idomeneo) - Andantino sostenuto


(do maggiore). Allegro di molto - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
corni, archi

Cieli! che veggo! - Recitativo (Idomeneo)

Scena IX:

Spiagge romite, e voi scoscese rupi - Recitativo (Idamante, Idomeneo)

Spietatissimi Dei! - Recitativo (Idamante, Idomeneo) - Presto (re maggiore).


Allegro. Andante - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena X:

Ah qual gelido orror - Recitativo (Idamante) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti,


archi

Il padre adorato - Aria (Idamante) - Allegro (fa maggiore) - flauto, oboe,


fagotto, 2 corni, archi

Scena XI:

Marcia - Marcia (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe,


timpani, archi
Nettuno s'onori! quel nome risuoni - Coro. Ciaccona (Popolo cretese) -
Allegro (re maggiore). Allegretto (sol maggiore). Allegro (re maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto II:
Scena I:

Siam soli, odimi Arbace - Recitativo (Idomeneo, Arbace)

Se il tuo duol, se il mio desio - Aria (Arbace) - Allegro (do maggiore) - 2


oboi, 2 corni, archi

(In occasione di una rappresentazione privata nel palazzo del principe


Auersperg e"ettuata il 10 Marzo 1816, Mozart avendo a disposizione un cast
di dilettanti, ha sostituito questa scena con i seguenti testi catalogati con il
numero K490:)

Tutto m'e noto - Recitativo (Idomeneo, Arbace)

Non più, Tutto ascoltai - Recitativo (Ilia, Idamante) - Allegro (do maggiore).
Andante. Allegro assai. Andante - archi

Non temer, amato bene - Rondò (Idamante) - Andante (si bemolle


maggiore). Allegro moderato - violino solo, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena II:

Se mai pomposo apparse - Recitativo (Ilia, Idomeneo)

Se il padre perdei, la patria, il riposo - Aria (Ilia) - Andante ma sostenuto (mi


bemolle maggiore) - flauto, oboe, fagotto, corno, archi

Scena III:

Qual mi conturba i sensi equivoca favella? - Recitativo (Idomeneo) - In


tempo dell'Aria - archi

Fuor del mar ho un mar in seno - Aria (Idomeneo) - Allegro maestoso (re
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Frettolosa e giuliva Elettra vien - Recitativo (Idomeneo)

Scena IV:
Sire, da Arbace intesi - Recitativo (Elettra, Idomeneo)

Scena V:

Parto, e l'unico oggetto, ch'amo ed adoro - Recitativo (Elettra) - ... (do


maggiore) - archi

Idol mio, se ritroso - Aria (Elettra) - Andante (sol maggiore) - archi

Odo da lunge armonioso suono - Marcia e recitativo (Elettra) - Marcia (do


maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,
archi

Scena VI:

Sidonie sponde, o voi per me di pianto - Reciativo (Elettra)

Placido è il mar, andiamo - Coro (Elettra, soldati, marinai e popolo cretese) -


Andantino (mi maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 corni, archi

Scena VII:

Vattene prence - recitativo (Idomeneo, Idamante)

Pria di partir, oh Dio! - Terzetto (Elettra, Idamante, Idomeneo) - Andante (fa


maggiore). Allegro con brio - 2 oboi, 2 corni, archi

Qual nuovo terrore! - Coro (Coro) - Piu Allegro (fa minore - do minore) -
ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, archi

Eccoti in me, barbaro Nume! - Recitativo (Idomeneo) - Allegro (re maggiore).


Adagio, Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Corriamo, fuggiamo, quel mostro spietato - Coro (Coro) - Allegro assai (ré
minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto III:
Scena I:

Solitudini amiche - Recitativo (Ilia) - archi

Ze!retti lusinghieri - Aria (Ilia) - Grazioso (mi maggiore) - 2 flauti, 2


clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Ei stesso vien... - Recitativo (Ilia) archi

Scena II:

Principessa, a tuoi sguardi se o"rir - Recitativo (Idamante, Ilia)

Odo? o sol quel - Recitativo (Idamante, Ilia) - Andante. Molto Andante.


Larghetto - archi

a. S'io non moro a questi accenti - Duetto (Ilia, Idamante) - Un poco piu
Andante (la
maggiore). Allegretto - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
b. Spiegarti non poss'io - Duetto (Ilia, Idamante) - Larghetto (la maggiore) -
2 oboi, 2 fagotti,
archi [versione alternativa - utilizza il Duetto K 489 (Vedi nota posta
all'inizio del secondo atto)]

Scena III:

Cieli! che vedo? - Recitativo (Idomeneo, Ilia, Idamante, Elettra) - archi

Andrò ramingo e solo - Quartetto (Ilia, Elettra, Idamante, Idomeneo) -


Allegro (mi bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IV:

Sire, alla reggia tua immensa turba - Recitativo (Arbace, Ilia, Idomeneo,
Elettra)

Scena V:

Sventurata Sidon! - Recitativo (Arbace) - Adagio. Allegro - archi

Se colà ne' fati è scritto - Aria (Arbace) - Andante (la maggiore) - archi

Scena VI:

Volgi intorno la sguardo, o Sire! - Recitativo (Gran Sacerdote, Idomeneo) -


Maestoso (do maggiore). Largo. Allegro. Andante. Adagio. Andante - 2 oboi, 2
corni, 2 trombe, timpani, archi

O voto tremendo! - Coro (Gran Sacerdote e popolo) - Adagio (do minore) -


2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Scena VII:

Marcia - Marcia (fa maggiore) - 2 oboi, archi

Accogli, o re del mar, i nostri voti - Aria (Idomeneo, Sacerdoti) - Adagio ma


non troppo (fa maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Stupenda vittoria - Coro (Popolo) - Allegro vivace (re maggiore) - 2 trombe,


timpani

Qual risuona qui intorno - Recitativo (Idomeneo)

Scena VIII:

Sire, il prence, Idamante, l'eroe - Recitativo (Arbace, Idomeneo)

Scena IX:

Padre, mio caro Padre! - Recitativo (Idamante, Idomeneo) - Largo. Allegro


assai. Andantino. Allegro risoluto. Andante. Largo - archi

No, la morte io non pavento - Aria (Idamante) - Allegro (re maggiore).


Larghetto. Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi

Ma che più tardi? - Recitativo (Idamante, Idomeneo) - Allegro. Largo. Presto


- archi

Scena X:

Ferma, o Sire, che fai? - Recitativo (Ilia, Idomeneo, Idamante, Gran


Sacerdote, Elettra) - Molto Andante. Andante maestoso. Allegro. Andante.
Allegretto. Allegro assai - 2 flauti, 2 oboi, archi

Ha vinto amore - Voce - Adagio (do minore) - 3 tromboni, 2 corni

O ciel pietoso! - Recitativo (Idomeneo, Idamante, Ilia, Arbace) - 2 flauti, 2


oboi, 2 fagotti

Oh smania! oh furie! - Recitativo (Elettra) - Allegro. Allegro assai. Allegro.


Andante - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

D'Oreste, d'Ajace ho in seno i tormenti - Aria (Elettra) - Allegro assai (fa


minore - do minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani,
archi
Scena XI:

Popoli! o voi l'ultima legge - Recitativo (Idomeneo) - Adagio (mi bemolle


maggiore) - 2 clarinetti, 2 corni, archi

Torna la pace al core - Aria (Idomeneo) - Adagio (si bemolle maggiore).


Allegretto. Adagio - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scenda Amor, scenda Imeneo - Coro (Coro) - Allegro vivace (re maggiore) -
2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Die Entführung aus dem Serail (Il ratto dal serraglio) K384 - (16 luglio
1782, Burgtheater, Vienna)

https://youtu.be/q7cPp8jrzcw

Libretto: Johann Gottlieb Stephanie jr.

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Serraglio-testo.html

Ruoli:

Selim, Pascià (Ruolo parlato)


Konstanze, amante di Belmonte (Soprano)
Belmonte, il suo innamorato (Tenore)
Blonde, ancella di Konstanze (Soprano)
Pedrillo, servitore di Belmonte e guardiano dei giardini del Pascià (Tenore)
Osmin, sorvegliante del palazzo del Pascià (Basso profondo)
Klaas, un marinaio (Ruolo parlato)
Un muto, Guardie, Coro di giannizzeri

Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti (anche corni di bassetto), 2


fagotti, 2 corni di bassetto, 2 corni, 2 trombe, timpani, triangolo, piatti,
grancassa, archi
Composizione: Vienna, 30 Luglio 1781 - 29 Maggio 1782
Prima rappresentazione: Vienna, Burgtheater 16 Luglio 1782
Edizione: Stege, Augsburg 1785

L’opera venne scritta nel biennio 1781-82, fondamentale nelle vicende


biografiche e nell’evoluzione stilistica del compositore. Se il 1781 era stato
l’anno del definitivo trasferimento a Vienna, la composizione dell’Entführung
interviene a stabilire un orientamento preciso nell’interesse di Mozart per il
teatro, che il futuro si incaricherà di confermare con le opere della piena
maturità.
Atto primo. Il nobile spagnolo Belmonte ha scoperto, dopo molte ricerche, che
l’amata Konstanze è prigioniera nell’harem del pascià Selim. Il giovane, che ne
aveva perso le tracce da quando la ragazza era stata rapita insieme alla
cameriera Blonde e al servitore Pedrillo, attende con impazienza il momento di
rivedere la fidanzata (“Hier soll ich dich denn sehen”). Mentre s’interroga sul
modo in cui penetrare nel palazzo, incontra il guardiano turco Osmin, intento a
cogliere fichi da una pianta. Belmonte cerca invano di interrogarlo ma, per
tutta risposta, viene scacciato in malo modo (“Wer ein Liebchen hat gefunden”).
Partito Belmonte, sopraggiunge Pedrillo, cui Osmin trova il tempo di
manifestare tutto l’odio che nutre per lui (“Solche hergelauf’ne La"en”). La
partenza del guardiano permette al servitore, ora impiegato in qualità di
giardiniere presso il pascià, di incontrare Belmonte, suo antico padrone.
Pedrillo lo aggiorna sull’accaduto: la notizia più preoccupante è che Konstanze
è diventata «l’amante favorita» del pascià; ma per fortuna quest’ultimo è un
uomo estremamente gentile, non uso a costringere le donne ad amarlo. Per
mettere in atto il piano di fuga che Belmonte ha in mente (ha già predisposto
una nave), Pedrillo consiglia al suo padrone di presentarsi al pascià in veste di
architetto; impaziente, Belmonte anela a rivedere l’amata (recitativo
“Konstanze, dich wiederzusehen – dich” e aria “O wie ängstlich, o wie feurig”).
In quel mentre giungono su una barca il pascià e Konstanze, accompagnati dal
loro seguito (marcia e coro di giannizzeri “Singt dem großen Bassa Lieder”);
mentre Belmonte si nasconde, Konstanze rievoca di fronte al pascià la figura
dell’amato, lamentando la sua nuova condizione (“Ach, ich liebte, war so
glücklich”). Il pascià insiste nell’esigere dalla ragazza una decisione in suo
favore, ma ella gli chiede una dilazione di un giorno, per riflettere sulla
terribile questione, e si congeda. Allora Pedrillo presenta Belmonte al pascià,
che accetta di metterne alla prova l’abilità di architetto; mentre i due amici
stanno per introdursi nel palazzo, Osmin cerca invano di opporsi alla sgradita
presenza di questi intrusi (terzetto “Marsch, marsch, marsch! trollt euch fort”).

Atto secondo. Nel giardino del palazzo, la cameriera Blonde lamenta il rozzo
corteggiamento dei turchi, ai quali si sente in grado di dettare alcune norme di
galateo amoroso (“Durch Zärtlichkeit und Schmeicheln”). Davanti alle proteste
di Osmin, Blonde si dichiara inglese e perciò «nata per la libertà»; il turco,
geloso, le consiglia di evitare Pedrillo, ma la ragazza lo a"ronta con minacciosa
determinazione, provocando la rapida fuga dell’uomo (duetto “Ich gehe, doch
rate ich dir”). Sopraggiunge Konstanze, oppressa senza tregua dall’angoscia
per la perdita dell’amato (recitativo “Welcher Wechsel herrscht in meiner Seele”
e aria “Traurigkeit ward mir zum Lose”); mentre Blonde cerca invano di
consolarla, il pascià torna alla carica con le sue pressanti pro"erte amorose.
All’ennesimo diniego della donna, il tiranno minaccia i supplizi più atroci. La
risposta di Konstanze è sprezzante: sopporterà senza batter ciglio ogni
tortura; se il pascià non vorrà desistere dai suoi intenti persecutori, allora sarà
la morte una gradita liberazione (“Martern aller Arten”). Mentre il pascià medita
sullo straordinario coraggio della donna, Blonde incontra Pedrillo, che la
aggiorna sull’arrivo di Belmonte e le annuncia che la fuga è stata predisposta
per quella notte stessa, quando Osmin verrà addormentato da Blonde con un
sonnifero. La ragazza gioisce per le inaspettate buone notizie e si avvia a
comunicarle all’infelice Konstanze (“Welche Wonne, welche Lust”); Pedrillo,
intanto, dapprima si prepara al rischioso evento (“Frisch zum Kampfe! Frisch
zum Streite!”), quindi riesce con molta arte a convincere Osmin a bere il vino
drogato, infrangendo il divieto islamico al riguardo (duetto “Vivat Bacchus!
Bacchus lebe!”). Mentre Osmin, barcollante e assonnato, esce di scena, giunge
Belmonte per mettere in atto il piano di fuga: finalmente i due amanti,
commossi, si possono ricongiungere (“Wenn der Freude Tränen fließen”); fugati
i dubbi dei due uomini sulla fedeltà delle loro amate, entrambe le coppie si
preparano alla fuga (quartetto “Ach Belmonte, ach mein Leben”).

Atto terzo. Pedrillo sta ultimando, nella piazza antistante il palazzo del pascià,
i preparativi per la fuga; per simulare la più completa normalità, invita
Belmonte a cantare, come Pedrillo stesso è solito fare tutte le sere: nella sua
canzone Belmonte invoca il potere invincibile dell’amore (“Ich baue ganz auf
deine Stärke”). Con una serenata ‘autobiografica’, accompagnandosi al
mandolino, Pedrillo dà il segnale convenuto alle ragazze, che si trovano nelle
loro stanze (“In Mohrenland gefangen war”). Quando Konstanze si a"accia, i
due uomini appoggiano una scala al muro, e Belmonte può così introdursi nel
suo appartamento attraverso la finestra; mentre la coppia, uscita dal palazzo,
si dirige verso la nave, Pedrillo entra a sua volta nella camera di Blonde. In quel
mentre, però, esce Osmin, che si accorge della scala: Pedrillo e Blonde
vengono così catturati da una guardia; anche l’altra coppia è stata intanto
catturata e Osmin, fuori di sé dalla gioia per l’imminente fine dei seccatori,
ordina che siano condotti tutti davanti al pascià (“O, wie will ich triumphieren”).
Nel dichiarare la propria identità, Belmonte rivela di essere figlio del
comandante di Orano, il «peggior nemico» del pascià, colui che ne ha
annientato ogni gioia; di fronte a questa terribile sorpresa, Konstanze e
Belmonte si preparano alla morte atroce che certo sta per toccare loro,
piangendo ciascuno per l’amato, ma felici che un unico destino li accomuni
(recitativo “Welch ein Geschick, o Quaal der Seele” e duetto “Meinetwegen sollst
du sterben”). Mentre anche Pedrillo e Blonde fanno i conti con la loro sorte, il
pascià sorprende tutti con una sentenza inattesa: decide di liberare i
prigionieri, perché testimonino al padre di Belmonte che «è un piacere ben
superiore ricambiare con opere di bene un’ingiustizia subita, piuttosto che
rendere male per male». Nonostante le proteste di Osmin, anche Blonde e
Pedrillo vengono rilasciati, nel tripudio generale – Osmin a parte (vaudeville
“Nie werd’ich deine Huld verkennen” e coro di giannizzeri “Bassa Selim lebe
lange”).
Il lavoro sull’opera iniziò già nell’estate del 1781, quando Mozart prese a
mettere in musica la riduzione del testo di Bretzner confezionata dall’abile
Stephanie junior (1741-1800), commediografo celebre a Vienna per i suoi
adattamenti teatrali. La prima rappresentazione si concretizzò, a quasi un anno
di distanza, nel teatro deputato al progetto del ‘National-Singspiel’, un nuovo
genere drammatico-musicale in lingua tedesca promosso dall’imperatore
Giuseppe II. Il Ratto dal serraglio si inserisce in modo del tutto originale nei
tentativi di far nascere una specifica drammaturgia nazionale, come fu notato
già all’epoca da Goethe. In verità Mozart persegue la definizione di un proprio
linguaggio musicale adatto al teatro in musica: un tono caratteristico e
individuale, che permei di sé l’intera partitura attraverso un progetto
drammatico personale, una cifra ‘classica’ che, attraverso l’influsso dell’opéra-
comique francese e soprattutto dell’opera bu"a italiana, trova nell’Entführung
la sua formulazione compiuta. Nel tempo comodo e inconsueto di un intero
anno, Mozart poté perfezionare senza alcuna fretta la partitura, nonché
intervenire sistematicamente sul piano drammaturgico, trovando in Stephanie
un collaboratore ideale, al di là dei dubbi altrui sull’individuo: «Tutti arricciano
il naso su Stephanie. Può darsi che anche con me si comporti da amico solo
quando gli sono di fronte. Però mi sta rimaneggiando il libretto, e proprio
come voglio io, a pennello, e, per Dio, altro da lui non pretendo». Non a caso
buona parte delle rare dichiarazioni di poetica del compositore riguardo al
teatro d’opera nascono proprio nei mesi del lavoro al Ratto. Si veda ad
esempio la celebre lettera in cui si scrive, ribaltando la teoria classicistica
metastasiana, che la poesia «deve essere assolutamente figlia devota della
musica», consegnando ai posteri l’impegnativa ricetta dell’opera di successo:
«L’ideale è quando s’incontrano un buon compositore, che si intende di teatro
ed è in grado di dare un suo contributo, e un poeta intelligente, una vera araba
fenice». Oppure l’altrettanto importante passo in cui, a proposito dell’aria di
Osmin (“Solche hergelauf’ne La"en”), Mozart a"erma che «le passioni, violente
o no, non devono essere mai espresse al punto da suscitare disgusto e la
musica, anche nella situazione più terribile, non deve mai o"endere l’orecchio,
ma piuttosto dilettarlo e restare pur sempre musica». L’intervento di Mozart
sul piano drammatico è talmente radicale da giungere alla modifica di taluni
aspetti dell’intreccio. Il finale, in particolare, attrasse l’attenzione del
compositore, che ottenne la rimozione del patetico originale di Bretzner, in cui
Belmonte veniva scoperto figlio del pascià; in sua vece venne introdotta la
nuova figura del comandante spagnolo di Orano, acerrimo nemico di Selim,
con un doppio vantaggio. Da un lato, infatti, la tensione drammatica risulta
accresciuta: Belmonte e Konstanze, che si credono ormai votati alla morte,
confessano la loro incrollabile fede nell’amore col duetto “Meinetwegen sollst
du sterben”; dall’altro Selim si rivela, in modo totalmente originale rispetto alla
pièce di Bretzner, un moderno sovrano illuminato, capace della virtù somma
del perdono. Un sovrano simile poteva trovare un degno corrispettivo, in sala,
proprio in Giuseppe II, mentre sulle scene aveva un modello autorevole nel Tito
metastasiano: la clemenza del pascià sembra anticipare La clemenza di Tito,
che terminerà infatti con un analogo perdono generale; e in fondo anche Le
nozze di Figaro si a!dano all’esito di un generoso perdono conclusivo,
concesso da un personaggio, la Contessa, nobile d’animo quanto di sangue. Le
caratteristiche – e la riuscita – della partitura dipendono anche dalle voci a
disposizione per la prima rappresentazione: erano in particolare Caterina
Cavalieri (Konstanze), splendido soprano di coloratura, dalle straordinarie doti
virtuosistiche, in seguito interprete di grandi ruoli mozartiani quali Donna
Anna e Donna Elvira nel Don Giovanni e la Contessa nelle Nozze di Figaro; il
tenore Johann Valentin Adamberger (Belmonte); il basso Johann Ignaz Ludwig
Fischer (Osmin), beniamino locale e allievo del celeberrimo Raaf. Se le qualità
della Cavalieri vengono rispecchiate dall’impervia parte di Konstanze, la figura
di Osmin fu ritagliata su misura per la «eccellente voce di basso» di Fischer
(come si espresse il compositore in una lettera al padre). La partitura
comprende un numero molto alto di arie solistiche rispetto ai concertati,
com’era nella tradizione del Singspiel, che a!dava ad attori-cantanti esibizioni
individuali di di!coltà non eccessiva (normalmente nel genere del Lied, che
Osmin esemplifica nella placida serenità di “Wer ein Liebchen hat gefunden”);
nelle mani di Mozart questa propensione per gli interventi solistici porta alla
nascita di una mirabolante galleria di personaggi, caratterizzati in modo
pregnante attraverso arie di grande vivacità drammatica. Se Osmin merita un
discorso a parte, le due coppie di occidentali, pur mosse da un’identico
‘motore’ erotico, conservano al loro interno le rispettive e ben precise
individualità. Belmonte, erede del ruolo di ‘amoroso’ nella coeva opera bu"a,
esordisce con una mobilissima aria tripartita (“Hier soll ich dich denn sehen”)
tipica della tradizione italiana, chiamata ‘arietta’ da Mozart, in cui la
condizione psicologica del personaggio, espressa in termini di originaria
freschezza, è tutta risolta in gesti musicali: lo scompenso fisico
dell’innamorato, turbato dall’imminente incontro con Konstanze, viene
descritto con una ricchezza di linguaggio sinfonico che preannuncia, già dal
primo numero, la peculiarità di tutta l’opera. Dopo aver forzato, con la sua
violenta irruzione, la struttura del Lied di Osmin, trasformandolo in duetto,
Belmonte si aggiudica un altro intervento importante: a un aurorale recitativo,
che sembra preannunciare l’assorta contemplazione di Tamino nel Flauto
magico, segue l’aria “O wie ängstlich, o wie feurig”, attenta nella cura del
dettaglio come nella struttura complessiva; e inoltre, l’instabile susseguirsi dei
diversi stati d’animo trova un puntuale corrispettivo musicale, ora nei violini
all’ottava che mimano il «cuore palpitante d’amore» (da una lettera del
compositore), ora nel crescendo chiamato a ra!gurare il sollevarsi del «petto
rigonfio». Completata così la propria presentazione come ‘amoroso’, Belmonte
usufruisce della sua ultima grande esibizione solistica nel terzo atto (“Ich baue
ganz auf deine Stärhe”): un’aria concertante dal tono più oggettivo, scritta, sin
dalla notevole introduzione orchestrale, in uno stile misurato, di seducente
a"abilità. Rimarchevole ed estremo intervento del personaggio è il recitativo e
duetto “Meinetwegen sollst du sterben”. Prima che la vicenda venga sciolta
dall’imprevisto lieto fine, i due giovani si trovano a scambiarsi la parola
definitiva sul loro amore: la morte per amore rivela tutto lo spessore metafisico
del sentimento e conduce direttamente alla beatitudine («Seligkeit»: in
corrispondenza di questa parola, è messo in risalto il timbro ‘caldo’ dei fiati);
l’ampio respiro sinfonico del duetto si anima in particolare nell’entusiastica
chiusa a due, che segna la perfetta intesa raggiunta dagli innamorati in punto
di morte. La grandezza tragica, eroica e da ‘opera seria’ del personaggio di
Konstanze è a!data soprattutto alle due arie – arditamente consecutive (un
unicum nel teatro mozartiano) – del secondo atto. Se la prima (“Traurigheit
ward mir zum Lose”) restituisce l’immagine topica della fanciulla perseguitata
attraverso la lugubre tinta di sol minore, la seconda, “Martern aller Arten”, è
nientemeno che eccezionale. Organizzata, in modo già stravagante, su un
testo di tre strofe, si presenta dal suo esordio l’anomala configurazione di un
movimento di concerto; e in verità ciò che l’orchestra – a pieno organico, con
trombe e timpani – si trova a fronteggiare non è il solo soprano, ma un gruppo
di cinque strumenti solisti: flauto, oboe, violino e violoncello, ai quali
Konstanze si aggiunge, come quinta parte, a un livello di virtuosismo eccelso,
dando così origine a un imprevedibile tempo da ‘sinfonia concertante’ per voce
e strumenti. Notevoli anche gli interventi dell’altra coppia di innamorati,
determinante nel sofisticato quartetto posto a conclusione del secondo atto. A
Blonde, l’inglesina indipendente, è riservata un’aria bruciata tutta d’un fiato,
aderente alla natura travolgente del ‘piacere’ che la ragazza sta esaltando. Al
suo innamorato Pedrillo compete invece la romanza del terzo atto, in
apparenza semplice e immediata, ma in verità alquanto elaborata; Pedrillo
aveva già avuto modo di esibirsi in quel duetto del secondo atto con Osmin
che è un vero e proprio ‘delirio bu"o’, animato da un’orchestrazione
imperniata sul timbro argentino dei fiati acuti. Una strumentazione altrettanto
brillante e un’analoga vitalità ritmica competono anche all’ultima aria di
Osmin, in cui la sua parte di basso bu"o ottiene l’ennesima esaltazione
(ancora nel vaudeville finale il personaggio usufruirà di un’estrema
apparizione). L’orchestrazione gioca un ruolo particolare in tutta la partitura,
responsabile di quello stile ‘alla turca’ che conferisce all’opera un
inconfondibile colore locale: fu proprio utilizzando questa strumentazione,
derivata dalle bande di giannizzeri tanto alla moda nel secondo Settecento, che
Mozart scrisse l’ouverture, il coro del primo atto e quello finale (i primi pezzi a
venire composti); al di là dell’impiego di alcuni strumenti particolari
(grancassa, piatti, triangolo, tamburino), si trattava di applicare una serie di
procedimenti che imitassero un linguaggio esotico (Mozart stesso li aveva
impiegati nei movimenti finali della Sonata per pianoforte KV 331 e del
Concerto per violino KV 219, e anche Gluck se n’era servito nella Rencontre
imprévue e nell’Iphigénie en Tauride). Popolare a Vienna per le esecuzioni al
parco del Prater, la musica turca ottempera qui a una serie di funzioni:
introduce un elemento folcloristico e decorativo, accentua la caratterizzazione
comica di Osmin, simboleggia il carattere dispotico ed estraneo alle vicende
amorose dei personaggi musulmani. La sua frenesia dirompente cattura
l’ascoltatore sin dalla mirabile ouverture, in do maggiore, che prefigura in
rapida sintesi il vortice dell’azione; un’azione talmente incalzante che, a detta
di Mozart, «sarebbe impossibile addormentarcisi sopra anche avendo trascorso
tutta una notte in bianco».
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Struttura musicale

Ouverture - Presto (do maggiore). Andante (do minore). Presto (do


maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,
triangolo, grancassa, piatti, archi

Atto I:
Scena I:

Hier soll ich dich denn sehen, Konstanze! - Aria (Belmonte) - Andante (do
maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Aber wie soll ich in den Palast kommen - Testo parlato - (Belmonte)

Scena II:

a. Wer ein Liebchen hat gefunden - Lied (Osmin) - Andante (sol minore).
Allego. Andante
flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
b. Verwünscht seist du - Duetto (Belmonte, Osmin) - Allegro (sol minore).
Presto (re maggiore)
2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena III:

Könnt' ich mir doch noch - Testo parlato (Osmin, Pedrillo)

a. Solche hergelauf'ne La"en - Aria (Osmin) - Allegro con brio (fa maggiore).
Adagio. Allegro
2 oboi, 2 corni, archi

Was bist du für ein grausamer Kerl - Testo parlato (Pedrillo)

b. Erst geköpft, danngehangen - Aria (Osmin) - Allegro assai (la minore)


ottavino, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, piatti, grancassa, archi

Scena IV:
Geh nur, vermünschter Aufpasser - Testo parlato (Pedrillo, Belmonte)

Scena V:

Konstanze, Konstanze! - Recitativo (Belmonte) - ... (la maggiore) - oboe,


fagotto, archi

O wie ängstlich - Aria (Belmonte) - Andante (la maggiore) - flauto, oboe,


fagotto, 2 corni, archi

Scena VI:

Marcia - ... (do majeur) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe,


grancassa, archi

Singt dem grossen Bassa Lieder - Coro (Giannizzeri) - Allegro (do maggiore)
- ottavino, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, triangolo,
grancassa, archi

Scena VII:

Immer noch traurig, geliebte Konstanze? - Testo parlato (Salim, Konstanze)

Ach ich liebte, war so glücklich - Aria (Konstanze) - Adagio (si bemolle
maggiore). Allegro - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Ach, ich sagt' es wohl - Testo parlato (Selim, Konstanze)

Scena VIII:

Ihr Schmerz, ihre Tränen - Testo parlato (Selim, Pedrillo, Belmonte)

Scena IX:

Ha. Triumph, Triumph, Herr! - Testo parlato (Belmonte, Pedrillo)

Scena X:

Wohin? Hinein! - Testo parlato (Belmonte, Pedrillo, Osmin)

Marsch! trollt euch fort! - Terzetto (Belmonte, Pedrillo, Osmin) - Allegro (do
minore). Allegro assai (do maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi
Atto II:
Scena I:

O des Zankens - Testo parlato (Blonde)

Durch Zärtlichkeit und Schmeicheln - Aria (Blonde) - Andante grazioso (la


maggiore) - archi

Ei seht doch mal - Testo parlato (Osmin, Blonde)

Ich gehe, doch rathe ich dir - Duetto (Blonde, Osmin) - Allegro (mi bemolle
maggiore). Andante (do minore). Allegro assai (mi bemolle maggiore) - 2 oboi,
2 fagotti, 2 corni, archi

Scena II:

Wie taurig das gute Mädchen - Testo parlato (Blonde)

a. Welcher Wechsel herrscht in meiner Seele - Recitativo (Konstanze) -


Adagio (mi bemolle
maggiore) - archi
b. Traurigkeit ward mir zum Lose - Aria (Konstanze) - Andante con moto
(sol minore) - 2 flauti,
2 oboi, 2 corni di bassetto, 2 fagotti, 2 corni, archi

Ach, mein bestes Fraülein! - Testo parlato (Blonde, Konstanze)

Scena III:

Nun, Konstanze, denkst du meinem Begehren nach? - Testo parlato (Selin,


Konstanze)

Martern aller Arten - Aria (Konstanze) - Allegro (do maggiore). Allegro assai.
Allegro. Allegro assai - flauto, oboe, violino, violoncello, 2 clarinetti, 2 fagotti,
2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena IV:

Ist des ein Traum? - Testo parlato (Selim)

Scena V:

Kein Bassa, kein Konstanze mehr da? - Testo parlato (Blonde)


Scena VI:

Bst! Bst! Blondchen! - Testo parlato (Pedrillo, Blonde)

Welche Wonne, welche Lust - Aria (Blonde) - Allegro (sol maggiore) - 2


flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VII:

Ah, dass es schon vorbei wäre - Testo parlato (Pedrillo)

Frisch zum Kampfe! - Aria (Pedrillo) - Allegro con spirito (re maggiore) - 2
oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena VIII:

Ha! Geht's hier so lustig zu? - Testo parlato (Osmin, Pedrillo)

Vivat Bacchus! Bacchus lebe! - Duetto (Pedrillo, Osmin) - ottavino, 2 flauti, 2


oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 trombe, triangolo, grancassa, piatti, archi

Wahrhaftig, das muss ich gestchen - Testo parlato (Pedrillo, Osmin)

Scena IX:

Gute Nacht... Brüderchen - Testo parlato (Pedrillo, Belmonte, Konstanze,


Blonde)

Wenn der Freude Thränen fliessen - Aria (Belmonte) - Adagio (si bemolle
maggiore). Allegretto - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Ich hab' hier ein Schi" - Recitativo (Belmonte, Konstanze, Pedrillo, Blonde)

Ach Belmonte! ach mein Leben! - Quartetto (Konstanze, Blonde, Belmonte,


Pedrillo) - Allegro (re maggiore). Andante (sol minore). Allegro assai (si
bemolle maggiore). Adagio. Andantino (la minore). Allegretto. Allegro (re
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani

Atto III:
Scena I:

Hier, lieber Klaas - Testo parlato (Pedrillo, Klaas)


Scena II:

Ach! Ich muss Atem holen - Testo parlato (Pedrillo, Belmonte)

Scena III:

O Konstanze, Konstanze! - Testo parlato (Belmonte)

Ich baue ganz auf deine Stärke - Aria (Belmonte) - Andante (mi bemolle
maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IV:

Alles liegt auf dem Ohr - Testo parlato (Pedrillo, Belmonte)

In Mohrenland gefangen war ein Mädel - Romanza (Pedrillo) - Andantino (si


minore) - archi

Sie nach auf, Herr! - Testo parlato (Pedrillo, Belmonte, Konstanze)

Scena V:

Lärmen hörtest du? - Testo parlato (Osmin, Blonde, Pedrillo, O!cier,


Belmonte)

O! wie will ich triumphieren - Aria (Osmin) - Allegro vivace (re maggiore) -
ottavino, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VI:

Geht, unterrichtet Euch - Testo parlato (Selim, Osmin)

Scena VII:

a. Welch' ein Geschick! - Recitativo (Belmonte) - Adagio (fa maggiore) -


archi
b. Meinetwegen sollst du sterben - Duetto (Konstanze, Belmonte ) -
Andante (si bemolle
maggiore). Allegro - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VIII:

Ach, Herr! Wir sind hin! - Testo parlato (Pedrillo, Blonde)


Scena IX:

Nun, sklave! Elender sklave! - Testo parlato (Selim, Belmonte, Pedrillo,


Osmin)

a. Nie werd' ich deine Huld verkennen - Vaudeville (Konstanze, Blonde,


Belmonte, Pedrillo, Osmin)
Andante (fa maggiore). Allegro assai (la minore). Andante sostenuto.
Andante (fa maggiore)
ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, triangolo, piatti,
grancassa, archi
b. Bassa Selim lebe lange - Coro (Giannizzeri) - Allegro vivace (do maggiore)
ottavino, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, triangolo, piatti,
grancassa, archi

L'oca del Cairo K422 - (opera incompiuta) (1784, aprile 1860, Francoforte)

https://youtu.be/LUWLaOHaf2A

Libretto: Giovanni Battista Varesco

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Cairo-testo.html

Ruoli:

Don Pippo, marchese di Ripasecca, innamorato di Lavina (basso)


Donna Pantea, moglie di Don Pippo, considerata morta, conosciuta con il
nome di Sandra, vive dall'altro lato della baia (soprano ?)
Celidora, figlia di Don Pippo, promessa sposa del Conte Lionetto di
Casavuota, innamorata di Biondello (soprano)
Biondello, ricco gentiluomo di Ripasecca (tenore)
Calandrino, nipote di Donna Pantea, amico di Biondello ed innamorato
contraccambiato di Lavina (tenore)
Lavina, amica di Celidora ed innamorata di Calandrino (soprano)
Chichibio, maggiordomo di Don Pippo ed innamorato di Auretta (basso)
Auretta, cameriera di Donna Pantea (soprano)
Perrucchieri, sarto, calzolaio, marinai, scaricatori, vetturini, popolo, sensali,
servitori e serve di Biondello e di Calandrino, soldati di guardia alla rocca (coro)

Organico: 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Vienna, luglio - ottobre 1783

Opera incompiuta
Guida all'ascolto (nota 1)

La genesi de L'oca del Cairo, opera rimasta incompiuta, è ben documentata


nelle lettere di Wolfgang Amadeus Mozart al padre Leopold. Dopo il successo
della Entführung aus dem Serail il conte Orsini-Rosenberg, intendente dei
teatri di Vienna, aveva invitato il musicista a scrivere un'opera italiana;
procurarsi un libretto valido non doveva essere facile, se di lì a qualche mese
Mozart lamentava di averne esaminati almeno cento senza trovare nulla di
soddisfacente. Lorenzo da Ponte, conosciuto all'inizio del 1783, era già
impegnato con Salieri; quindi, nel maggio dello stesso anno, Mozart chiese al
padre di interpellare Varesco, il librettista dell'Idomeneo, anche se la
precedente collaborazione era stata piuttosto tempestosa. In giugno Varesco
inviò a Vienna la traccia de L'oca del Cairo, e a dicembre Mozart aveva quasi
terminato di scrivere il primo atto; all'inizio dell'anno seguente, tuttavia,
abbandonò l'opera, esprimendo le sue riserve in una lettera al padre datata 10
febbraio: «Al momento non ho la minima intenzione di andare avanti... Il
libretto del Sig. Varesco tradisce la fretta con cui è stato scritto. Spero che col
tempo se ne renda conto egli stesso. Questo è il motivo per cui voglio ancora
vedere il suo libretto per intero... Poi possiamo fare drastici cambiamenti».
L'opera non venne mai completata; si conserva la partitura abbozzata del
primo atto, comprendente due duetti, due arie, un quartetto e un finale.

II libretto è incentrato su un intrigo amoroso: Don Pippo, marchese di


Ripasecca, ha rinchiuso in una torre Lavina - che intende sposare, anche se lei
spasima per Calandrino - e la figlia Celidora, innamorata di Biondello ma
promessa al conte Lionetto; Biondello ha un anno di tempo per liberare la sua
amata. Allo scadere del tempo fissato, il giorno delle nozze, dopo diverse
peripezie Biondello riesce a entrare nella torre, nascondendosi in una grande
oca meccanica condotta da Pantea, la moglie di Don Pippo che era creduta
morta. Pantea rivela la sua identità, e al vecchio marchese non resta che
tornare con lei e accettare l'unione delle altre due coppie.

Tra i brani conservati è interessante il primo duetto tra Chichibio e Auretta, in


cui il tema consueto della servetta maliziosa, che stuzzica la gelosia del suo
innamorato, viene animato da una incisiva caratterizzazione musicale dei due
personaggi. L'ampio finale del primo atto, in cui Biondello e Calandrino fanno
un primo tentativo di salvare le amate costruendo un ponte, riesce a esprimere
nelle sue sezioni contrastanti una grande varietà di situazioni e stati d'animo -
dalla gioia per la riuscita dell'inganno al timore per l'arrivo del marchese e
all'entrata delle guardie - e costituisce un importante esempio di finale
d'azione. Dal 1867 a oggi sono stati compiuti alcuni tentativi dì ricostruire i
frammenti della partitura, e l'opera è stata messa in scena in diversi teatri.
Clelia Parvopassu

Lo sposo deluso, ossia La rivalità di tre donne per un solo amante K430
(opera incompiuta) (1784)

https://youtu.be/aHPvw8tsWPY

Libretto: autore ignoto

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Sposodeluso-testo.html

Ruoli:

Bocconio Papparelli, uomo ricco e stupido, promesso sposo di Eugenia


(basso)
Eugenia, giovane nobile e capricciosa di Roma, fedele innamorata di Don
Asdrubale (soprano)
Don Asdrubale, u!ciale toscano, innamorato di Eugenia e amato da Bettina
(tenore)
Bettina, nipote di Bocconio, giovane vanesia innmorata di Asdrubale
(soprano)
Pulcherio, misogeno amico di Bocconio (tenore)
Gervasio, tutore di Eugenia, innamorato di Metilde (basso)
Metilde, cantante e ballerina innamorata di Asdrubale e pretesa amica di
Bettina (soprano)
Servitori, serve, ecc. (coro)

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi


Composizione: Salisburgo - Vienna, Luglio - Novembre 1783

Opera incompiuta

Sinossi

Il vecchio Bocconio, prossimo alle nozze con la nobile Eugenia, viene deriso da
Pulcherio, Don Asdrubale e dalla nipote Bettina per i suoi progetti
matrimoniali. Giunta a Livorno dal promesso sposo, Eugenia riconosce l'amato
Don Asdrubale, che credeva morto, ma presto si rende conto che questi gli è
conteso da altre due spasimanti, Bettina e Metilde. Dopo mille intrighi Eugenia
e Don Asdrubale si ricongiungono e Bocconio resta solo, assistendo anche
all'unione di Bettina con Pulcherio e di Metilde con Gervasio.

Guida all'ascolto (nota 1)


Poco dopo aver abbandonato la composizione de L'oca del Cairo, nel 1783 o
nel 1784 Mozart iniziò a scrivere un'altra opera bu"a, dal titolo Lo sposo
deluso ossia La rivalità di tre donne per un solo amante. Il libretto, per lungo
tempo attribuito erroneamente a Lorenzo Da Ponte, era basato su quello
dell'intermezzo Le donne rivali, probabilmente scritto da Giuseppe Petrosellini
e messo in musica con successo da Cimarosa (Roma 1780).

Mozart aveva già in mente la distribuzione delle parti in riferimento alla


compagnia italiana attiva a Vienna, ma l'opera non fu mai portata a termine,
forse perchè non era legata a un incarico preciso. Si conservano, abbozzati,
l'ouverture e il quartetto a essa collegato all'inizio del primo atto, un'aria di
Eugenia e una di Pulcherio e un terzetto con Eugenia, Asdrubale e Bocconio,
l'unico pezzo scritto per esteso in tutte le parti. Dopo la morte di Mozart, un
suo allievo completò l'orchestrazione dell'ouverture e del quartetto per la
vedova Constanze, che presentò il quartetto e il terzetto in un concerto a Praga
nel 1797. Nonostante il manoscritto sia molto lacunoso, i frammenti hanno
certa rilevanza anche perché testimoniano il desiderio di Mozart di confrontarsi
con le problematiche dell'opera italiana, che a"ronterà con successo pochi
anni dopo nelle Nozze di Figaro.

Clelia Parvopassu

Parti rimaste

Ouverture - Allegro (re magiore). Andante. Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2


fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto I:
Scena I:

Ah, che ridere - Quartetto (Bettina, Don Asdrubale, Pulcherio, Bocconio) -


Allegro (re maggiore). Più Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi

Scena III:

Nacqui all'aura - Aria (Eugenia) - ... (mi bemolle maggiore) [frammento]

Scena IV:

Dove mai trovar quel ciglio? - Aria e coda (Pulcherio) - Più Allegro (sol
maggiore) [frammento]
Scena IX:

Che accidenti! - Trio (Eugenia, Don Asdrubale, Bocconio) - Andantino (mi


bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Der Schauspieldirektor (L'impresario teatrale) K486 - (7 febbraio 1786,


Castello di Schönbrunn, Vienna)

https://youtu.be/cbquTQ17Z0k

Libretto: Johann Gottlieb Stephanie jr.

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Sposodeluso-testo.html

Ruoli:

Frank, impresario (ruolo parlato)


Eiler, banchiere (ruolo parlato)
Bu", attore (basso)
Herz, attore (ruolo parlato)
Mme Pfeil, attrice (ruolo parlato)
Mme Krone, attrice (ruolo parlato)
Mme Vogelsang, attrice (ruolo parlato)
Madame Herz, cantante (soprano)
Mademoiselle Silberklang, cantante (soprano)
Monsieur Vogelsang, cantante (tenore)

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,


archi
Composizione: Vienna, 30 Luglio 1781 - 29 Maggio 1782
Prima rappresentazione privata: Vienna, Orangerie dello Schlöß Schönbrunn, 7
Febbraio 1786
Prima rappresentazione pubblica: Kärtntnertor Theater, 11 Febbraio 1786
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1792

Dopo la pubblicazione deIl teatro alla moda di Benedetto Marcello, gra!ante


satira del mondo dell’opera seria, la parodia del teatro musicale divenne
soggetto di intermezzi e opere qualiL’impresario delle Canarie di Metastasio,
musicato per la prima volta da Sarro (1724) e poi ripreso da altri
compositori,La bella verità di Piccinni, su libretto di Goldoni (Bologna 1762),La
critica di Jommelli (1766),La canterina di Haydn (1767) e L’opera seria di
Gassmann (Vienna 1769). Alla stessa tipologia possono essere ricondotti anche
Der Schauspieldirektor di Mozart e Prima la musica, poi le parole di Salieri
(libretto di G.B. Casti), rappresentati a Vienna durante i festeggiamenti o"erti
dall’imperatore Giuseppe II per la visita della sorella, arciduchessa Maria
Cristina, e del marito, duca Alberto di Sachsen-Teschen, governatore generale
dei Paesi Bassi. Molto probabilmente l’argomento venne scelto dallo stesso
Giuseppe II, il quale intendeva mettere a confronto opera tedesca e opera
italiana sullo stesso tema del ‘teatro nel teatro’; questi brevi lavori furono
allestiti su due palcoscenici costruiti ai lati opposti dell’Orangerie di
Schönbrunn, e vennero poi replicati per il grande pubblico al Teatro di Porta
Carinzia. Quando giunse l’incarico imperiale, Mozart stava vivendo una fase di
intensa attività compositiva (a questo periodo risalgono i Concertiper
pianoforte KV 482 e 491, musica da camera e pianistica, arie da concerto e
soprattutto leNozze di Figaro, presentate nell’aprile 1786). Anche per questo,
probabilmente, il suo contributo al Gelegenheitsstück– opera di occasione,
come è definito Der Schauspieldirektornel libretto a stampa – fu limitato
all’ouverture e a quattro brani musicali, scritti in poco più di due settimane.

Stephanie, che già aveva collaborato con Mozart per la Entführung aus dem
Serail, descrive le disavventure dell’impresario Frank (ruolo da lui stesso
interpretato), che deve mettere insieme una compagnia di attori e cantanti
scontrandosi con capricci, rivalità e pretese di compensi esorbitanti. I problemi
economici vengono risolti grazie all’intervento del banchiere Eiler che, in
compenso, pretende che sia scritturata la sua amante, Madame Pfeil. I brani
musicali sono collocati nella seconda parte del lavoro, quando Frank dà inizio
alle audizioni dei cantanti: Madame Herz (‘cuore’), interpretata alla ‘prima’ da
Aloysia Weber Lange (sorella di Constanze e grande amore di Mozart) intona
“Da schlägt des Abschieds Stunde”, un’aria che dall’iniziale carattere patetico e
sentimentale passa a una conclusione brillante, ricca di virtuosismi. L’aria
successiva (“Bester Jüngling”) è il banco di prova di Mlle Silberklang (‘timbro
argentino’), interpretata da Catarina Cavalieri, la prima Constanze della
Entführunge rivale anche nella vita della Lange. Nel terzetto “Ich bin die erste
Sängerin” le due ambiziose cantanti si scontrano su chi sarà la prima donna,
mentre il tenore della compagnia, Monsieur Vogelsang (‘canto d’uccello’),
cerca di farle rappacificare. Il brano costituisce il punto culminante dell’opera e
comporta aspre di!coltà quando le due interpreti si rincorrono nel registro
acuto, cercando di togliersi la parola di bocca. Nel finale, unvaudevillecui
partecipa anche Bu", viene presentata la morale: gli artisti devono mirare
all’eccellenza, senza però rendersi meschini con le proprie ambizioni. Al di là
del valore dei brani musicali, in questo lavoro di occasione pesa la mancanza
di sviluppo drammatico; proprio per questo Der Schauspieldirektorfu
‘sconfitto’ dall’opera di Salieri di fronte al pubblico viennese e in seguito fu
oggetto di diverse rielaborazioni. La più celebre porta la firma di Goethe, che
nel 1791 aveva presentato a Weimar Die theatralischen Abenteuer, riprendendo
L’impresario in angustie di Cimarosa, e sei anni dopo lo ripropose inserendovi
i numeri musicali dello Schauspieldirektor mozartiano (la ‘prima’ ebbe luogo il
14 ottobre 1797). La versione di Louis Schneider,Mozart und
Schikaneder(1845), che mette in scena lo stesso Mozart all’epoca della
composizione della Zauberflöte, fu avversata dalla critica ma riscosse un
grande successo di pubblico.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Struttura musicale

Ouverture - Presto (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2


corni, 2 trombe, timpani, archi
Da schlägt die Abschiedsstunde - Arietta (Madame Herz) - Larghetto (sol
minore). Allegro moderato (sol maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Bester Jüngling! mit Entzücken - Rondò (Mademoiselle Silberklang) -
Andante (mi bemolle maggiore). Allegretto - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni,
archi
Ich bin die erste Sängerin - Trio (Madame Herz, Mademoiselle Silberklang,
Monsieur Vogelsang) - Allegro assai (si bemolle maggiore). Adagio. Allegro
assai. Andante. Allegro assai - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Jeder Künstler strebt nach Ehre - Finale (Madame Herz, Mademoiselle
Silberklang, Monsieur Vogelsang) - Allegro (do maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti,
2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Ich bin hier under diesen Sängern - Recitativo (Bu") - 2 oboi, 2 clarinetti, 2
fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Künstler mussen freilich - Finale (Madame Herz, Mademoiselle Silberklang,
Monsieur Vogelsang) - Allegro (do maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
corni, 2 trombe, timpani, archi

Le nozze di Figaro K492 - (1º maggio 1786, Burgtheater, Vienna)

https://youtu.be/Mo129QTp4ls

https://youtu.be/_OYtlGpApc0

https://youtu.be/ZNKrxniH_Qo

Libretto: Lorenzo da Ponte

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Figaro-testo.html

Ruoli:

Il Conte di Almaviva, grande di Spagna (basso)


La Contessa di Almaviva, sua moglie (soprano)
Susanna, cameriera della contessa e promessa sposa di Figaro (soprano)
Figaro, cameriere del conte (basso)
Cherubino, paggio del Conte (soprano)
Marcellina, governante (mezzosoprano)
Bartolo, medico di Siviglia (basso)
Basilio, maestro di musica (tenore)
Don Curzio, giudice (tenore)
Barbarina, figlia di Antonio (soprano)
Antonio, giardiniere del Conte e zio di Susanna (basso)
Coro di paesani, di villanelle e di vari ordini di persone

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,


archi
Il basso continuo nei recitativi secchi è a!dato al clavicembalo ed al
violoncello
Composizione: Vienna, 29 Ottobre 1785 - 29 Aprile 1786
Prima rappresentazione: Vienna, BurgTheater, 1 Maggio 1786
Edizione: Imbault, Parigi 1795 ca.

Guida all’ascolto

Unanimemente considerato uno degli esempi più perfetti di drammaturgia


musicale, il primo frutto della collaborazione fra Mozart e Lorenzo Da Ponte
vide la luce fra non poche di!coltà, legate ai problemi di censura che la
commedia di Beaumarchais si portava dietro e alle tipiche cabale dell’ambiente
teatrale viennese, dominato dalla figura del direttore dei Teatri imperiali, conte
Rosemberg Orsini. Tutta la genesi del lavoro (per il quale manca, purtroppo, un
carteggio fra i due autori) è descritta con discreta attendibilità nelleMemoriedi
Lorenzo Da Ponte: l’idea sarebbe nata da una conversazione con Mozart
(«L’immensità del suo genio domandava un soggetto esteso, multiforme,
sublime»), ma si scontrò col divieto imperiale di rappresentare la commedia di
Beaumarchais, «scritta troppo liberamente per un costumato uditorio». Si può
legittimamente dubitare che sia stato l’Abate – come egli stesso sostiene – a
convincere Giuseppe II a dare il suonulla ostaalla rappresentazione della nuova
opera: ultimamente, buona parte della storiografia musicale inclina invece a
ritenere che l’imperatore abbia avuto un ruolo di primissimo piano nel
progetto, e che abbia ottenuto dal Da Ponte l’omissione delle tirate più
squisitamente politiche senza per questo intaccare la sostanza della trama,
perfettamente adeguata alle sue idee di monarca illuminato e alla sua opera
fustigatrice del malcostume aristocratico. Anche l’aneddoto concernente il
problema della presenza di un ballo nell’opera (Giuseppe II aveva proibito le
danze negli spettacoli di corte), opportunamente stigmatizzato dai rivali di Da
Ponte, conferma l’interesse privilegiato che il monarca ebbe per tutta
l’operazione, se è vero, come racconta il librettista, che egli stesso si sarebbe
recato alle prove e, vedendo l’azione deturpata dalla mancanza del ballo di
matrimonio, l’avrebbe fatta reinserire sul momento. In e"etti è perlomeno
singolare che un testo come quello di Beaumarchais, disseminato di veleni
satirici e politici contro la classe aristocratica, potesse proprio in quegli anni
giungere alle scene senza un fortissimo sostegno dall’alto. Evidentemente, i
progetti dell’imperatore, che aspirava a farsi garante d’una nuova alleanza con
la vera forza sociale dello stato, la borghesia, saltando a pie’ pari l’antica
struttura feudale, passavano anche attraverso una politica culturale – e
segnatamente teatrale – di natura deliberatamente provocatoria, alla quale due
spiriti libertini come Da Ponte e Mozart sembravano servire alla perfezione.
Comunque, per la sua bruciante attualità e per la perfezione del suo febbrile
ritmo teatrale,Le nozze di Figarofinì per essere il più grande successo
dell’intera carriera artistica di Mozart, e trovò immediata e duratura
rispondenza nei teatri di tutta Europa. Da allora, l’opera non ha mai cessato
d’essere ammirata e prodotta, neppure nel XIX secolo, che si dimostrò per altri
versi sordo e crudele nei confronti di larga parte del teatro mozartiano (si
pensi alla totale cancellazione dal repertorio ottocentesco d’un capolavoro
comeCosì fan tutte, senza dire delle due grandi opere serie,IdomeneoeLa
clemenza di Tito). La rinascita della fortuna di Mozart appartiene però
prevalentemente al nostro secolo, cominciando con l’appassionata dedizione
che al Salisburghese consacrarono personaggi come Gustav Mahler (nel
periodo della sua direzione dell’Opera di Stato di Vienna) e Richard Strauss.
Quest’ultimo, fondatore insieme a Hugo von Hofmannsthal dei Salzburger
Festspiele, dette all’autore delleNozzeun tempio imperituro nella sua città
natale e un esempio al mondo intero nella sistematica riscoperta di tutto il
catalogo di Mozart. A Salisburgo sono legate produzioni leggendarie
dell’opera, nei nomi di Franz Schalk (che fu il direttore del primo allestimento
prodotto al Festival nel 1922), di Clemens Krauss, Felix Weingartner, Bruno
Walter, Karl Böhm, Josef Krips, Herbert von Karajan, Wilhelm Furtwängler. Nella
direzione aperta dai Salzburger Festspiele, si moltiplicarono in altre nazioni
iniziative a!ni, come a Glyndebourne in Gran Bretagna, dove ebbe un
fondamentale ruolo d’apostolo mozartiano il direttore Fritz Busch, o a Aix-en-
Provence, che ebbe in Hans Rosbaud il suo animatore nel secondo
dopoguerra.Le nozze di Figarohanno naturalmente attirato anche l’attenzione
dei maggiori registi d’opera, fin dai mitici allestimenti di Walter Felsenstein e di
Lothar Wallerstein (con le scene di Alfred Roller); in tempi più vicini a noi,
hanno raggiunto grandi risultati artistici Luchino Visconti (a Roma, con Carlo
Maria Giulini), Jean-Pierre Ponnelle (a Salisburgo con Herbert von Karajan),
Giorgio Strehler (prima a Versailles con Georg Solti e quindi alla Scala con
Riccardo Muti), Antoine Vitez (Teatro Comunale di Firenze, ancora con Muti),
Gian Carlo Menotti a Spoleto, Jonathan Miller (Vienna, con Claudio Abbado,
Firenze con Zubin Mehta).
Atto primo. In una camera ancor non ammobiliata, Figaro sta prendendo le
misure per il letto, mentre la sua promessa sposa Susanna si prova allo
specchio un cappello per la festa di nozze, prevista in quel giorno medesimo
(“Cinque, dieci, venti”). Quando Susanna viene a sapere che quella è per
l’appunto la camera che il conte d’Almaviva ha loro destinato, ha un moto
improvviso di disappunto. Meravigliatissimo, Figaro le spiega invece i vantaggi
d’essere a due passi dalle camere dell’aristocratica coppia (“Se a caso
Madama”). Susanna spiega allora al fidanzato quale sia il rischio cui stanno
andando incontro: il conte, stanco ormai delle grazie della consorte, ha preso a
far la corte proprio a Susanna e tenta – con l’aiuto di Basilio che gli fa da
mezzano – di recuperare in segreto quelloius primae noctisal quale
magnanimamente ha rinunciato con illuminato senso di giustizia. La scelta di
quella camera sembra allora opportunissima ai progetti del conte, che cercherà
in ogni modo di di"erire le nozze, onde goder per primo delle grazie virginali
della sposina. Suona il campanello e Susanna deve correre al servizio. Rimasto
solo, Figaro medita sul da farsi e promette di dar battaglia al conte con tutta la
sua arguzia (cavatina “Se vuol ballare, signor contino”). Uscito Figaro, entra in
scena la vecchia Marcellina, governante a palazzo: è in compagnia del dottor
Bartolo al quale espone le sue rivendicazioni di nozze nei confronti di Figaro.
Costui le ha infatti firmato, in cambio di denaro, una cambiale di matrimonio,
ed ella pretende ora di e"ettuare il contratto rivolgendosi al conte per aver
giustizia. Bartolo la rassicura e si o"re di farle da avvocato: avrà infatti il
massimo gusto nel vendicarsi di Figaro (“La vendetta, oh, la vendetta”).
Rimasta sola, Marcellina s’imbatte proprio in Susanna e la provoca a distanza.
Fra le due nasce un comicissimo scambio d’insinuazioni, ma Marcellina,
stizzita, è costretta infine ad abbandonare la stanza (“Via resti servita, Madama
brillante”). Entra quindi in scena, agitatissimo, il paggio Cherubino, che si
querela con Susanna perché il conte ha deliberato di cacciarlo dal castello,
avendolo sorpreso in atteggiamento inequivocabile con Barbarina, cugina di
Figaro. Preso in giro da Susanna per le sue follie d’adolescente sempre a caccia
di fanciulle, Cherubino confessa il suo smarrimento di fronte al sentimento
d’amore (“Non so più cosa son, cosa faccio”). Si sente rumore fuor dell’uscio e
Cherubino, udendo la voce del conte, si nasconde dietro un seggiolone per
non esser sorpresoen tête à têtecon Susanna. Entra quindi il conte che, ignaro
della presenza del paggio, rinnova a Susanna le sue pro"erte d’amore,
chiedendole un appuntamento in giardino. Si ode ancora fuor della porta la
voce di Basilio, ed è allora il conte a rimpiattarsi dietro il seggiolone, mentre
Cherubino scivola dal lato opposto e vi si pone sopra, coperto da un lenzuolo.
Agitatissima, Susanna deve ascoltare le raccomandazioni di Basilio, che la
invita a cedere al conte, rimproverandola di dar troppo spago al giovane
paggio, che peraltro si sarebbe fatto troppo notare nelle sue attenzioni
addirittura verso la contessa. Infuriato per la maligna insinuazione, il conte si
alza dal suo nascondiglio e promette un’immediata punizione per Cherubino,
invano difeso da Susanna. Il conte racconta allora di come proprio il giorno
prima abbia sorpreso il paggio sotto un tavolo in casa di Barbarina: nel mimare
la scena dello scoprimento, solleva distrattamente il lenzuolo dal seggiolone, e
si trova così davanti, ancora una volta, lo spaurito Cherubino. Il conte poi è
costretto a trattenere la propria ira perché in quel mentre giunge Figaro con
una brigata di paesani a pregarlo di porre il velo candido sul capo della
sposina, simbolo della sua rinunzia all’ingrato diritto feudale. La provocazione
viene incassata da Almaviva, che però ordina segretamente a Basilio di
rintracciare Marcellina al fine di bloccare le nozze. Quindi, implorato da Figaro
e Susanna di perdonare il paggio, il conte muta l’espulsione dal castello in una
promozione militare, e lo nomina u!ciale. Figaro si congeda allora da
Cherubino canzonandolo: è finita la sua vita di cicisbeo, comincia la dura
carriera di soldato (“Non più andrai, farfallone amoroso”).

Atto secondo. Sola nella sua camera da letto, la contessa lamenta la sua
condizione di sposa negletta (“Porgi amor”). Entra Susanna e le racconta dei
tentativi di seduzione del conte nei suoi confronti. Giunto nella stanza, Figaro
comincia a ordire la trama per smascherare il padrone: decide insieme alle due
donne d’inviare al conte un biglietto anonimo che lo faccia ingelosire riguardo
alla contessa, e nel contempo d’inviare nottetempo Cherubino travestito da
donna in giardino all’appuntamento che Susanna avrà dato al conte, onde la
contessa possa sorprendere il marito infedele davanti a tutti. Figaro invia
quindi nella camera Cherubino – non ancora partito per Siviglia – in modo che
provi gli abiti femminili. Coperto di rossore, il paggio viene poi obbligato dalla
contessa a cantarle la canzonetta che ha scritto (“Voi che sapete”), e quindi
Susanna comincia a vestirlo, notando fra l’altro la premura con cui era stato
redatto il suo brevetto d’u!ciale, al quale manca il necessario sigillo. Mentre la
cameriera è andata a prendere un nastro in una camera contigua, il conte
bussa alla porta, gettando la contessa e Cherubino nella più grande agitazione.
Cherubino si rifugia allora nel guardaroba, chiudendovisi a chiave. La contessa
apre al marito, visibilmente imbarazzata, e mentre cerca di giustificare la
chiusura della porta s’ode dal guardaroba uno strepito d’oggetti caduti. Il
conte, già allarmato per il biglietto anonimo ricevuto, s’insospettisce vieppiù, e
la moglie è costretta allora a mentire dicendogli che in guardaroba c’è Susanna
che sta provandosi l’abito di nozze (terzetto “Susanna, or via sortite”). Costei è
nel frattempo rientrata nella stanza e osserva la scena nascosta dietro il letto.
Il conte decide di sfondare la porta e invita allora la consorte a uscir con lui per
prendere gli attrezzi necessari. Rimasta sola e chiusa in stanza, Susanna bussa
al guardaroba, donde esce Cherubino spaventatissimo. Non c’è per lui altra via
di scampo che gettarsi dalla finestra in giardino, mentre Susanna prenderà il
suo posto nel guardaroba. Rientra il conte, e la moglie decide di svelargli
l’arcano: nel guardaroba non c’è Susanna, ma il paggio seminudo, là convocato
per una burla innocente. L’ira del conte perde allora ogni controllo, tanto che
questi s’avventa alla porta del guardaroba per uccidere il paggio (“Esci ormai,
garzon malnato”). Invece, con sbigottimento d’entrambi, dallo stanzino ecco
uscire Susanna. Il conte chiede perdono alla sposa per i sospetti manifestati e
le parole grosse che son corse, e tenera di cuore – oltre che non poco sollevata
– la contessa lo perdona. Giunge però Figaro, che chiama tutti alla festa. Il
conte gli sottopone allora il biglietto anonimo, che le due donne gli hanno
rivelato esser stato scritto dal cameriere. Figaro prima nega, poi deve
arrendersi all’evidenza e confessa. Le sorprese non sono però finite: sul più
bello entra il giardiniere Antonio con un vaso di garofani in pezzi, denunciando
la mala creanza di qualcuno che si è buttato dalla finestra sui suoi fiori. Tutta
l’architettura d’imbrogli e menzogne sta per crollare: Figaro si autoaccusa
allora d’esser saltato egli stesso per paura del conte, e Antonio fa allora per
dargli un foglio caduto al saltatore, ma il conte lo intercetta e chiede a Figaro
cosa sia quel pezzo di carta che ha perduto. Figaro, disperato, cerca
d’inventarsi qualcosa: gli vengono in soccorso le due donne, che riconoscono
in quel foglio il brevetto d’u!ciale di Cherubino. Il conte chiede allora perché
proprio Figaro ne sia stato in possesso, e di nuovo Susanna e la contessa lo
traggono d’imbarazzo suggerendogli che il paggio glielo avrebbe dato perché
mancante dell’indispensabile sigillo. Scornato per l’ennesima volta, il conte si
vede infine assistito dalla sorte: entrano infatti Marcellina, Bartolo e Basilio a
reclamar giustizia per la vecchia governante, che pretende, cambiale alla
mano, di sposare Figaro. Il conte gongola soddisfatto e promette una sentenza
che lo compensi degli imbrogli subiti.

Atto terzo. Nella sala preparata per la festa nuziale di Figaro e Susanna, il
conte medita sugli avvenimenti cui ha assistito, senza riuscire a trovarne il
bandolo. Entra Susanna che, d’accordo con la contessa, ma ad insaputa di
Figaro, dà un appuntamento al conte per quella sera, riaccendendo le sue
voglie (“Crudel! Perché finora farmi languir così?”). In realtà, la contessa ha
deliberato di recarsi ella stessa all’appuntamento, con gli abiti di Susanna.
Uscendo dalla stanza, Susanna incontra Figaro e l’avverte che ha già vinto la
causa con Marcellina. Il conte coglie però quest’ultima frase, e giura di
vendicarsi (“Vedrò mentr’io sospiro”). Segue quindi la scena del giudizio, nella
quale il magistrato Don Curzio intima a Figaro di pagare Marcellina o di
sposarla. Figaro tenta allorain extremisdi bloccare la sentenza adducendo
l’assenza dei suoi genitori per il consenso. Racconta d’esser stato raccolto
infante abbandonato, ma d’essere di nascita illustre come testimoniano i panni
ricamati trovati nella culla e soprattutto il tatuaggio impresso al braccio destro.
Marcellina a quel punto trasalisce e riconosce in Figaro il suo Ra"aello, figlio
avuto in segreto da Don Bartolo e quindi esposto. Nello sbigottimento
generale, Don Curzio sentenzia che il matrimonio non può aver luogo, mentre
il conte abbandona la scena scornato per l’ennesima volta (sestetto “Riconosci
in questo amplesso”). Sopraggiunge Susanna, pronta a pagare Marcellina con
la dote ricevuta dalla contessa, ma con sua gran meraviglia vede Figaro
abbracciato teneramente alla vecchia. La promessa sposa ha un moto d’ira e
schia"eggia Figaro, ma Marcellina l’informa dei nuovi sviluppi e dell’insperato
riconoscimento. Anch’ella e Bartolo decidono di regolarizzare l’unione, e di
rendere così doppia la festa di nozze. Frattanto, Cherubino non è ancor partito
per il suo reggimento e viene condotto da Barbarina a travestirsi da donna per
confondersi con l’altre contadine. La contessa, sola in attesa di notizie da
Susanna, rievoca le dolcezze perdute del suo matrimonio e spera di
riconquistare il cuore del marito (“Dove sono i bei momenti”). Raggiunta poi da
Susanna, le detta un biglietto da consegnare al conte durante la festa, nel
quale si conferma il luogo dell’appuntamento per quella sera (duettino “Che
soave ze!retto”); inoltre, fa scrivere a Susanna sul rovescio del foglio di
restituire la spilla che serverà di sigillo, in segno d’accettazione. Arrivano le
ragazze del contado, e fra queste c’è anche Cherubino travestito. In breve,
però, costui vien smascherato da Antonio che lo denuncia al conte. Figaro
arriva per chiamar tutti alla cerimonia e si scontra col conte, che può
finalmente accusarlo per tutte le menzogne inventate in camera della contessa.
La tensione è al massimo, ma è tempo di celebrare le nozze: entra il corteo dei
doppi sposi, al quale segue la danza del fandango. Durante questa, Susanna
lascia scivolare in mano al conte il bigliettino. Costui si punge con la spilla e
poi si mette a cercarla go"amente per terra. Figaro lo scorge, e crede che sia
un biglietto amoroso di qualche contadina. Ritrovato il sigillo, il conte congeda
tutti i presenti e li invita alla gran cena di quella sera.

Atto quarto. Di notte, nel giardino del castello, Barbarina cerca la spilla che il
conte le ha dato da recare a Susanna (“L’ho perduta”). S’incontra con Figaro,
che dalle sue labbra viene così a sapere che la mittente del biglietto altri non
era che la sua sposa. Annientato dalla gelosia, chiede conforto alla madre
Marcellina, che cerca di placarne i bollenti spiriti (“Il capro e la capretta”);
Figaro tuttavia s’allontana per organizzare lo scoprimento dei due fedifraghi.
Basilio e Bartolo, convocati da Figaro, riflettono sui pericoli di scontrarsi coi
potenti. Rimasto solo, Figaro si lascia andare a considerazioni amare sul suo
stato di marito tradito nel giorno stesso delle nozze e accusa le donne d’essere
la rovina dell’umanità (“Aprite un po’ quegli occhi”). Giunge in giardino
Susanna con la contessa, e comincia la recita degli inganni. Fingendo di restar
sola «a prendere il fresco», Susanna eccita la gelosia di Figaro (“Deh vieni non
tardar”). In realtà, è la contessa che si appresta a ricevere leavancesdel conte,
ma mentre lo sta aspettando sopraggiunge Cherubino, che scorgendo colei
che egli crede esser Susanna decide di importunarla a sua volta con piccanti
proposte (“Pian pianin le andrò più presso”). Figaro osserva tutto nascosto
dietro una siepe e commenta velenosamente, senza accorgersi che anche
Susanna è lì a due passi in sentinella. Arriva il conte, che s’adira nel vedere il
suo oggetto del desiderio in compagnia d’un altro uomo. Tira allora un ce"one
a Cherubino, ma questi si scosta ed è Figaro a buscarsi la sberla. Rimasto
finalmente solo con la finta Susanna, il conte le regala un brillante e l’invita ad
appartarsi con lui in un luogo buio. Figaro non si regge più e passa facendo
baccano: la contessa allora si ritira in un padiglione a destra, mentre il conte
perlustra il giardino per non trovarsi tra i piedi ulteriori scocciatori.
Amareggiatissimo, Figaro s’imbatte allora in Susanna, che è vestita col
mantello della contessa e simula la sua voce. La sposa lo mette alla prova e
o"re a Figaro l’occasione di vendicarsi seduta stante dei due consorti infedeli.
Figaro dopo poche battute l’ha riconosciuta, ma continua a stare al gioco,
finché la situazione si chiarisce e i due si riconciliano felici. Si tratta allora di
concludere la commedia ai danni del conte: vedendolo arrivare, Figaro e
Susanna continuano perciò la loro scena di seduzione. Il conte, furibondo,
vedendo quella ch’egli crede sua moglie corteggiata da Figaro in giardino,
chiama tutti a smascherare i due reprobi; frattanto, Susanna si nasconde nel
padiglione a sinistra. Davanti ad Antonio, Basilio e Bartolo, il conte accusa
Figaro e comincia a trar fuori dal padiglione una vera processione di
personaggi: Cherubino, Barbarina, Marcellina e infine Susanna, che tutti
credono la contessa e che si copre il volto per la vergogna. L’ira del conte è
implacabile e oppone un diniego dopo l’altro ad ogni supplica di perdono da
parte di Figaro e della falsa contessa. A questo punto, dall’altro padiglione
esce la vera contessa e tutti si rendono conto dell’imbroglio. Ella si scambia il
mantello con Susanna e si rivolge al marito dicendogli: «Almeno io per loro
perdono otterrò». Il conte s’inginocchia umiliato e consapevole d’aver fatto la
corte a sua moglie. Le chiede perdono e l’ottiene, mentre tutti commentano
soddisfatti la fine di quel giorno «di capricci e di follia», e invitano a recarsi ai
festeggiamenti per quel matrimonio tanto sospirato.

Al di là degli innegabili accenti prerivoluzionari che lafolle journéedi


Beaumarchais si portava dietro, l’‘estratto’ realizzato da Mozart e Da Ponte ha
caratteristiche che superano di gran lunga l’attualità del tema sociale e lo
pongono in una dimensione superiore, quella della commedia umana.Le nozze
di Figaroè infatti prima di tutto un dramma dei sentimenti, ove tutto si
confonde – amore, sesso, gelosia, ira, riscatto di classe, orgoglio aristocratico,
malinconia, gioco e,last but not least, leggerezza – ma al fine di mostrare, nel
carosello dei personaggi, un panorama di emozioni, mai sottoposto a giudizio
morale. Nessuno, neppure lo stesso Almaviva, viene infatti seriamente
giudicato, benché messo alla berlina: tutti i protagonisti della vicenda (che in
e"etti non ha poi figure davvero egemoni) sono mossi da un medesimo
motore, che è il bisogno d’amore, sia esso considerato semplicemente come
desiderio sessuale – per esempio nel conte o nel meraviglioso ritratto di
Cherubino, adolescente alla scoperta dei piaceri – oppure come nostalgia d’una
felicità perduta (la contessa), o ancora come puro a"etto familiare e borghese
(la coppia di Figaro e Susanna), benché già minato sul nascere dai sospetti e
dalle civetterie. Come ha splendidamente intuito Massimo Mila nella sua
esemplareLettura delle Nozze di Figaro, l’eros dell’opera è in realtà una
formidabile metafora della ricerca della felicità, il grande mito dell’Illuminismo
che qui s’incrina sullo scetticismo mozartiano, in un primo capitolo di quello
che è forse considerabile come il più grande trattato sull’amore mai scritto: il
seguito, nella dimensione epica d’un vero eroe tragicamente proiettato
sull’impossibilità d’amare, sarà ilDon Giovanni,e la conclusione, amara fino al
prezzo del cinismo, si chiamerà non a casoCosì fan tutte, prendendo il titolo
da una battuta crudele di Don Basilio nel primo atto delleNozze.

La riprova di questa rappresentazione disincantata di una umanità


febbrilmente persa nel suo sogno d’appagamento giunge proprio alle ultime
battute dell’opera, laddove ormai è avvenuto lo scoprimento di ogni imbroglio:
quando Il conte s’inginocchia alla consorte e le chiede perdono col candore di
una palingenesi sentimentale; quando quel perdono giunge con evangelica
catarsi, esso intride la musica di una malinconia fino a quel momento mai così
intensa e vera; quando tutti in coro dovrebbero intonare gioiosamente “Or tutti
contenti saremo così”, là Mozart ha consegnato alla musica, in aperta
contraddizione col significato delle parole, il senso della vanità d’ogni umana
speranza, il miraggio solo momentaneamente consolatorio, ma perfettamente
inattingibile, della felicità su questa terra.

L’esperimento di Mozart e Da Ponte è riuscito, per la prima e forse ultima volta


nella storia della musica, a superare i confini dei generi, sia nel teatro che nello
stile musicale. Seguendo la traccia appena abbozzata da Paisiello nel
suoBarbiere di Siviglia(egualmente tratto da Beaumarchais), musicista e
librettista hanno liberato l’opera bu"a dai suoi stereotipi ancora indebitati con
la commedia dell’arte. NelleNozze, i personaggi hanno un rilievo psicologico
a"atto nuovo, uno sbalzo drammatico mai incontrato in precedenza, e per
questo si trasformano in figure indelebili dalla memoria dello spettatore. Oltre
che alla perfezione assoluta della drammaturgia e del testo, la folgorante
capacità di ritrarre i diversi tipi umani risiede soprattutto nella musica, che
allarga il territorio dell’opera bu"a con frequenti e sapienti prestiti dallo stile
serio. Ad esempio nelle due grandi arie della contessa, intrise di una
malinconia che non ha proprio nulla a che vedere con la tradizione comica; o
anche l’unica aria del conte, il cui piglio fiero e virtuosistico ne fa una perfetta
contaminazione di un genere nell’altro. La grande novità nella costruzione
drammatica sono tuttavia i pezzi d’insieme, vero punto di forza del ritmo
travolgente di questa che, giustamente, Da Ponte volle definire «commedia per
musica» e non ‘opera bu"a’. Come già era in parte avvenuto nell’Idomeneoe
nellaEntführung aus dem Serail, nei pezzi d’insieme (duetti, terzetti, sestetti, e
particolarmente i due smisurati finali del secondo e quarto atto), le psicologie
trovano il luogo deputato al conflitto e al confronto, e si fanno assai più sottili
e intelligibili di quanto non avvenga nei pur mirabili recitativi secchi. Il luogo
eccelso della maestria di Mozart nel costruire in musica ilcoup de théâtre, è
pertanto il finale del secondo atto, dove in un crescendo di tensione
drammatica irresistibile gli attori in scena passano da due a sette, in
venticinque minuti di musica ininterrotta e fluviale.
Un cenno merita anche il trattamento dell’orchestra, che non è certo il meno
rivoluzionario degli elementi che concorrono alla sublime fisionomia
dell’opera. Tra il Ratto dal serraglioe le Nozze di Figaropassano quattro anni,
un periodo nel quale Mozart a!nò in misura inaudita le sue doti di
orchestratore, grazie in particolare ai concerti per pianoforte e orchestra, che
in molti casi appaiono come cartoni preparatori di immaginarie scene di teatro,
nei diversi registri stilistici del patetico, del bu"o, del lirico, e via dicendo. La
nuova ricchezza degli strumenti a fiato, con le loro morbidezze e
un’impagabile sottigliezza espressiva, entra a far parte a pieno titolo della
scrittura delleNozze di Figaro, tanto che si potrebbe a buon diritto sostenere
che il fitto dialogo fra voci e strumenti sia il più autentico e acutissimo
scandaglio delle emozioni e dei sentimenti che percorrono la commedia.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

LE NOZZE DI SUSANNA

«Un quasi nuovo genere di spettacolo»

Se, se e in quale misura, Mozart sia responsabile della scelta dei soggetti delle
proprie opere è questione che conviene sempre assumere caso per caso con
atteggiamento molto problematico. È vero che, giunto alla piena
consapevolezza dei propri mezzi compositivi, Mozart ebbe sempre più
di!coltà ad accogliere le tipologie librettistiche circolanti nel suo secolo.
Eppure si sentiva ancora spinto dal desiderio di scrivere un'"Opera italiana".

Così a Vienna, nel 1783, cominciò la ricerca di un soggetto, con grande


intensità, nella consueta dimensione misteriosamente qualitativa del tempo a
sua disposizione. Dopo aver letto più di cento libretti senza trovarne uno che
gli sembrasse adeguato alla sua musica, se non con molte modifiche, e alcuni
progetti lasciati incompiuti, aveva maturato una convinzione molto radicale: «Il
nuovo è sempre la cosa migliore».

Sempre nel 1783 conobbe il letterato Lorenzo Da Ponte, ma per un primo


frutto della loro collaborazione - Le nozze di Figaro - passeranno altri tre anni.
Nelle sue lettere Mozart non dice mai come andarono le cose tra lui e il poeta,
ma non dovettero necessariamente essere rapporti facili. Leopold Mozart, ben
conoscendo suo figlio, prevedeva che nel caso delle Nozze il raggiungimento
di un libretto soddisfacente gli sarebbe costato «parecchie corse avanti e
indietro e discussioni prima che venga organizzato in modo tale che vi si possa
mettere a lavorare sopra». Da Ponte ci ha tramandato che Mozart scelse il
soggetto delle Nozze di Figaro, mentre lui stesso quello del Don Giovanni. Ma
è incorso in palesi contraddizioni, e sulle questioni di metodo, sulle richieste
che Mozart gli faceva, non soddisfa certo i nostri legittimi quesiti.

Le scelte librettistiche di Mozart sono sempre fortemente ambivalenti, vale a


dire che vi si concentrano, su più livelli, molte ragioni diverse e contrarie. Nel
caso delle Nozze di Figaro, come in quello del Don Giovanni, Mozart cercava
innanzitutto il successo immediato. Un «incontro universale» - come si diceva
allora -, ma dilatato ben oltre l'idea di compiacere meramente il gusto della
corte imperiale, per quanto questo fosse un punto di riferimento
imprescindibile.

Il matrimonio di Figaro di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais era stato


tradotto e divulgato in tedesco appunto nel 1785 e Mozart s'era procurato
copia della prima edizione stampata in Austria. Nello stesso anno, la
compagnia di Emanuel Schikaneder - vecchia conoscenza bavarese dei Mozart
- portò per la prima volta la pièce sulla scena viennese, dopo un breve rinvio
dovuto al fatto che Giuseppe II vi aveva ravvisato «molta indecenza».
Beaumarchais era in realtà tra gli autori preferiti dell'imperatore, già grande
sostenitore del Barbiere di Siviglia di Giovanni Paisiello che nella capitale
imperiale, con sessanta rappresentazioni nel solo 1783, divenne l'opera più
dotata di "popolarità" di tutto il Settecento.

Alcune scelte drammaturgiche di Mozart sono impensabili prescindendo dal


successo di Paisiello. Nel Barbiere, ad esempio, la Contessa Rosina, per
figurare subito in un'aura di tenero patetismo, compare in scena da sola (alla
fine del primo atto) cantando una celebre Cavatina («Giusto ciel che
conoscete») in Mi bemolle maggiore, mentre dall'orchestra le fanno eco le
morbide sonorità dei clarinetti, esattamente come nelle Nozze di Figaro.
Viceversa, se Mozart si fosse attenuto a Beaumarchais, Rosina non verrebbe
alla ribalta da sola, ma con altri personaggi nel corso dell'intreccio del primo
atto. Tuttavia, questa soluzione, pensata in contrasto con il Matrimonio e in
accordo con il Barbiere, risulta di grande e!cacia perché permette un'apertura
d'atto del tutto diversa, su di un «un nuovo piano d'azione che si interseca sia
con l'azione Susanna/Figaro sia con la controazione del Conte e dei suoi
complici». Inoltre, i languori paisielliani non sono replicati nella Cavatina di
Mozart («Porgi amor qualche ristoro», anch'essa in Mi bemolle maggiore
poggiata sulle armonie dei clarinetti) dove la Contessa ha un registro
espressivo diverso: disperazione e sentimento tragicom costituiscono la
grandezza di un personaggio a"atto nuovo.

Basta leggere Beaumarchais, comunque, per capire che un conto era fare
un'opera sul Barbiere, ben altro concepirla sul Matrimonio. Che la trama fosse
finalmente buona per Wolfgang lo pensava anche Leopold benché, non senza
motivo, fosse preoccupato dalla sua tenuta librettistica. In e"etti, quanto il
Barbiere sembra già disposto, nell'ordine molto formale della sua semplice
drammaturgia, al trasferimento in melodramma, così, invece, l'intrigo del
Matrimonio è talmente complesso e imprevedibile da non poter che apparire,
oggi come allora, davvero di!cile da destinare alla parola cantata. Né, d'altra
parte, la soverchia quantità di motivi e di sfacettature del contenuto poteva
essere risolta con un eccesso di recitativo (e le intenzioni di Mozart andavano
infatti in senso opposto). Da Ponte e Mozart, non solo decisero di correre il
rischio, ma erano ben consci dell'e"etto di novità che avrebbero voluto
ottenere. Attraverso «la varietà delle fila onde è intessuta l'azione di questo
dramma» e «la molteplicità de' pezzi musicali», scrissero al pubblico viennese
che intendevano «o"rire un quasi nuovo genere di spettacolo».

Il Matrimonio recava in sé un tale potenziamento dell'azione da apparire come


un testo ideale per disporre in musica una drammaturgia del tutto rinnovata
rispetto a quel genere, pur così recente e dinamico, del «dramma giocoso».

La riduzione da sedici a undici personaggi non deve in tal senso indurci a


credere che Da Ponte e Mozart, lavorando sull'originale, si siano attenuti alle
convenzioni del "genere bu"o", rispetto al quale, anzi, il numero dei
personaggi costituisce senz'altro un'espansione. Tutti i ruoli secondari
soppressi erano in Beaumarchais ruoli maschili: nelle Nozze di Figaro, per
altro, la stessa distribuzione dei ruoli è molto ambigua: perfettamente
equilibrata o del tutto squilibrata a seconda di come la si guardi, la si ascolti,
la si consideri. Sei uomini (il Conte d'Almaviva, Figaro, Basilio, Bartolo, Don
Curzio e Antonio) a fronte di quattro donne (la Contessa Rosina, Susanna,
Marcellina e Barbarina). Ma se si ragiona in termini di voci maschili e femminili,
i numeri si riequilibrano perché, negli "schieramenti", bisogna collocare anche
Cherubino. (Il ruolo, già in Beaumarchais, era sostenuto da un'attrice en
travesti; Mozart lo a!dò al mezzosoprano). Con il senno di poi possiamo
innanzitutto vedere Mozart andare controtendenza rispetto all'epoca sua in cui
si avvia il predominio numerico dei ruoli maschili (che culminerà nel
melodramma ottocentesco). E, da dentro la partitura, questa prospettiva
appare molto più evidentemente. Le Arie per le voci femminili su un totale di
quattordici, sono otto; tre dei sei Duetti dell'opera sono scritti per le donne e
dei tre restanti nemmeno uno è concepito, invece, per i soli uomini. In tutti i
Duetti, invariabilmente, è presente Susanna: un fatto non da poco se si tiene
conto ch'essa canta anche nei due Terzetti, nel Sestetto, oltre che ovviamente
nei Finali d'atto. Insomma Susanna c'è sempre, più di tutti gli altri personaggi.

Se il timbro dominante delle Nozze è femminile, in parte lo si deve alla stessa


«Folle giornata» di Beaumarchais, da cui l'opera mozartiana, è bene dirlo
subito, non si distingue per semplificazioni o banalizzazioni.
Nella drammaturgia originale, tutto quanto consegue a una prima situazione -
che vede la volontà di una donna (Susanna) e quella di un uomo (Figaro)
opposte antagonisticamente a quella di un altro uomo che detiene su di loro
un certo potere (il Conte) - è frutto delle mosse dei personaggi femminili. In
realtà spesso le donne sanno reagire prontamente al caso che, per molti
aspetti, è un continuo fattore perturbante delle loro aspirazioni. È un loro ben
studiato disegno, però, che ha successo alla fine dell'opera e porta
all'universale riconciliazione delle parti. C'è da notare ancora che "l'emisfero
femminile", superato un provvisorio sfrangiamento che vede inopinatamente
Marcellina contendere Figaro a Susanna, rinsalda continuamente le proprie
complicità, credenze, valori. La "metà" maschile invece non condivide mai
niente che non sia imposto dal potere di una legalità da tutti, per altro,
considerata obsoleta e detestata.

L'azione primaria appare in Beaumarchais compendiarsi di un'altra che ha


tuttavia una funzione determinante sulla peripezia. Anche questa azione è
avviata da una donna nei confronti di Figaro. Infatti la pretesa di sposare l'ex-
barbiere, da parte dell'attempata Marcellina, lo porta in realtà a compiere, del
tutto imprevedibilmente, l'agnizione delle proprie origini. Diciamo - con
leggera allusione al vocabolario kleiniano - ch'egli coglie positivamente la sua
propria visione dei «genitori combinati» (la stessa Marcellina e l'antico nemico
Bartolo). Come figlio finalmente legittimo, Figaro si trova inaspettatamente in
una posizione di forza, di maggior legittimazione appunto, nel rivendicare
autonomia dal «Contino» suo padre-padrone.

È senz'altro miracoloso come Da Ponte e Mozart siano riusciti a conservare nel


libretto entrambi le strutture del dramma originale (quella del matrimonio
contrastato e l'altra del riconoscimento delle origini che s'avvia discreto e
imprevisto da Marcellina). Per quanto riguarda la partitura, non si è mai notato
a dovere che il grande Sestetto in Fa maggiore dell'atto terzo costituisce
proprio il culmine, il punto di scioglimento, di quest'ultima struttura
dell'azione come in una sorta di Finale anticipato interno.

Le nozze di Figaro sono una riduzione del Matrimonio solo in termini


quantitativi. Diminuisce la quantità di parole, ovviamente. Gli atti sono ridotti
da cinque a quattro. Ma la profondità dei conflitti in gioco - la qualità tematica
del dramma - è rimasta intatta e forse anzi è aumentata precisandosi. Dunque:
è con veridica autodefinizione che Mozart e Da Ponte diedero conto al pubblico
viennese del lavoro compiuto su Beaumarchais: non riduzione, non
adattamento, ma «imitazione», assunzione di un modello di testo da rispettare
integralmente con i mezzi propri del linguaggio drammaticomusicale.
Figaro apprendista ovvero relazioni iniziatiche di coppia
La mirabolante complessità delle situazioni della drammaturgia originale poté
in primo luogo interessare Mozart, motivandolo entusiasticamente alla
composizione. Su questo il materiale critico è talmente abbondante che non
vale ricominciare. Senza dubbio egli pensava di risolvere il tourbillon del
canovaccio con un minimo ricorso al recitativo e il più grande sviluppo
immaginabile di una musica d'azione. Senza dubbio sapeva che il nesso
musica-azione, sospinto ad un inaudito grado di progressività, non avrebbe
comunque condotto all'approfondimento psicologico dei caratteri individuali
dei personaggi, ma a una dinamica correlazione di situazioni, ad una
concatenazione di eventi scenici e di rappresentazioni di stati sentimentali, alla
messa a confronto di una vasta gamma di linguaggi associati
inconfondibilmente ai personaggi. Ovviamente dove l'arte di Mozart regna
assoluta sovrana è nella simultaneità della resa dell'intreccio, sono i Concertati.
Nel Finale del secondo atto - il più esteso di tutte le opere di Mozart - perfino
in ogni passaggio omoritmico od omofonico, quando diverse voci procedono
ad aggregarsi in linee comuni, perfino nelle Strette, sembra vigere il principio
della necessità rispetto alla situazione drammatica. Infine è nella misura in cui
le voci conducono lo sviluppo musicale o vi vengono trascinate, da altre voci o
dall'orchestra, che si stabilisce sia quell'e"etto per cui i personaggi ci appaiono
dominare o subire il dramma sia i momentanei e cangianti assetti di
interdipendenza attiva e passiva dei ruoli.

Le Arie costituiscono un arresto, una pausa nel vasto sviluppo


durchkomponiert del dramma, benché in alcune seguiti l'azione (si pensi alla
deliziosa Aria, «Venite inginocchiatevi», in cui Susanna traveste Cherubino da
donna). Un buon numero equilibrato di Arie era una necessità melodrammatica
- oltre che una convenzione - a cui Mozart, per mille buoni motivi, non aveva
nessuna intenzione di sottrarsi. Vi si mette in gioco il rapporto tra azione e
sentimento (passione, sfogo lirico). Gli sfoghi sentimentali che giustificano le
Arie dei personaggi maschili principali sono in qualche modo tutti contemplati
nel testo di Beaumarchais. Ne deriva ancora, ad esempio, l'Aria di Marcellina
nell'atto quarto. Sono invece aggiunte le Arie di Bartolo e di Basilio. Poi ci sono
alcune eccezioni che riguardano i due principali personaggi femminili. Nulla
giustifica nel testo originale della commedia la Cavatina della Contessa «Porgi
amor qualche ristoro». Un pallido accenno giustifica l'altra grande Aria di
questo personaggio, «Dove sono i bei momenti». Ma soprattutto, notevolissima
e del tutto ingiustificata alla luce del Matrimonio, è la decisione di Mozart di
aggiungere per Susanna una specialissima Aria, detta Aria "delle rose", «Deh
vieni, non tardar» in Fa maggiore, subito prima del Finale ultimo dell'opera.

Susanna, un po' come il protagonista del Don Giovanni, è un personaggio che


doveva interessare moltissimo Mozart. Vi prende corpo - corpo vocale e
scenico - l'idea fondamentale del rapporto azione/musica. E non è casuale che
il suo canto abbia spesso una funzione trainante anche rispetto all'orchestra.
Susanna, sia come oggetto del desiderio, sia come soggetto desiderante,
muove il dramma, domina l'intrigo e, come vedremo subito, ha una funzione
del tutto speciale anche di fronte alla peripezia.

«Perché Susanna, la cameriera [...], ha il diritto di interessarci?», Beaumarchais


ha rimarcato il fatto che questo personaggio non è il tipo classico della
soubrettina scaltra e ammiccante, la sua più schietta qualità è soprattutto la
sincerità delle intenzioni, la coerenza. Una sola volta Susanna mente al Conte,
ma è per solidarietà con l'o"esa Rosina. Mozart non l'ha riportata indietro, non
ne ha fatto un personaggio da opera bu"a, non una solita primadonna
(ovviamente anche per questioni di rango). Ma ne ha ricavato di più: un
personaggio completamente nuovo che realizza molto radicalmente le
indicazioni del commediografo. Susanna nell'opera acquista di molto. Non solo
è perno della giostra lungo tre atti: nel quarto l'ascoltiamo appropriarsi di una
profondità sentimentale inattesa, di una genuina proiezione verso l'oggetto
amato che a nessun altro personaggio Mozart consente a tal punto.

È notte quando s'apre l'atto quarto. Nella tonalità oscura di Fa minore, il canto
di Barbarina - «L'ho perduta! me meschina!» - ci fa capire che vi si svolgerà un
viaggio interiore, sentimentale, dall'esito incerto. Figaro attende nell'ombra in
preda a cieca gelosia: sa dell'appuntamento «sotto i pini del boschetto» (non
che vi andrà la Contessa travestita da Susanna), vuole sorprendere Susanna
nelle braccia del Conte.

Nell'Aria "delle rose", nella tonalità di Fa maggiore, si ribalta questa situazione.


La notte diventa il luogo simbolico dell'avvento spirituale dell'amore tra l'uomo
e la donna: una notte radiosa. Fa maggiore non per caso: è stata una tonalità
importante già per l'Orfeo di Gluck (1762). Quando l'eroe, che tenta di
riconquistare Euridice dalla morte alla armonia della vita e dell'amore, passa
nell'Eliso, Fa maggiore è come una luce che squarcia l'eterna tenebra infernale.
E Fa maggiore sarà ancora, ad esempio, la tonalità dell'Eden pastorale
romantico di Beethoven, rendendo l'immagine del Poeta che conversa con i
Beati Eroi vicino al ruscello della grande ispirazione (nella Sesta Sinfonia del
1807-8).

Anche Susanna ha il suo passaggio in Eliso, il ruscello che mormora e ispira,


l'aura ristauratrice: vi richiama Figaro, gli esibisce così la prova della propria
amorosa umanità femminile. Susanna non è un'eroina, è una donna: si dichiara
su di un livello linguistico e retorico per nulla enfatico, ma anzi essenziale. Gli
ingredienti usati da Mozart sono quelli di una serenata all'imbrunire fin dal
caratteristico ritmo di Siciliana. Ma, come ha persuasivamente dimostrato
Stefan Kunze, il suo canto si libera nella forma, è una pura presenza musicale e
perciò astratta, spirituale. Possiamo star certi della deteminante responsabilità
mozartiana su questa lieve parodia che tanto rende diversa l'opera dalla
commedia. Infatti egli ne ha ripetutamente abbozzato i passaggi conclusivi (le
esortazioni, i ripetuti «vieni»), cercando il giusto e"etto di un canto sospeso. E,
inizialmente, ne aveva addirittura scritta una prima versione, un Rondò in altra
tonalità (Mi bemolle maggiore). Infine con il poeta ha concordato un verso
molto libero - l'endecasillabo di derivazione popolareggiante - inusuale per la
letteratura lirica settecentesca.

«Nessuna delle cose che tu avevi preparato, e che ci aspettavamo, è tuttavia


accaduta, amico mio!»: già nell'originale Figaro ha dovuto cedere la
professione di grande costruttore di "macchine" alle donne. In Beaumarchais
non ha dismesso per questo l'abitudine a proclamare il proprio orgoglio
intellettuale e, nel grande monologo "politico" del quinto atto della pièce, egli
rivendica la propria dignità, il proprio merito, nonché la propria statura di
protagonista; inoltre, come sappiamo, grazie all'agnizione imprevista delle
origini, la storia del personaggio si arricchisce e Figaro stesso giunge a
superare nuove prove. In Mozart, Figaro è forse ancor più evidentemente un
personaggio positivo nello schieramento dei ruoli maschili. Ma non lo sarebbe
in realtà senza Susanna, che svelandogli subito le brame del Conte, lo mette in
condizione di lottare "da uomo a uomo", su di un piano di parità, poi ra"orzato
anche da Marcellina e Bartolo (gli insperati genitori). Lo scontro avviene in una
logica in verità molto ampiamente politica: sono a confronto i bisogni di
individuo e individuo, ma anche i rapporti dell'individuo con le strutture e le
regole della società e anche i valori fondanti di un nuovo nucleo famigliare su
cui poggia la possibilità di una società del futuro. Nell'opera tuttavia, più
evidentemente, la partecipazione di Figaro all'azione, non è mai risolutiva.
Implode nella volontà d'azione, nel pensiero e nella fantasia del personaggio.
Le sue motivazioni, le sue scelte, sono buone, ma poi anche si sbaglia e per un
momento - l'unico in cui Susanna lo lascia solo a decidere - si smarrisce e sta
per commettere un grave errore.

Mozart ha destinato a Figaro ben tre Arie, più che a tutti gli altri personaggi.
Dalla celebre Cavatina «Se vuol ballare signor Contino» apprendiamo che il
coraggio è una schietta qualità che lo anima. Essa è in Fa maggiore come la
successiva Aria "delle rose" di Susanna. Figaro è anche, ovviamente, spirito
mordace quando "canzona" Cherubino mimandone le gesta future al campo di
battaglia («Non più andrai farfallone amoroso» nella franca tonalità di Do
maggiore). Fa maggiore e Do maggiore sono tonalità vicine, meno lo è,
rispetto a Fa, il Mi bemolle maggiore dell'ultima Aria, «Aprite un po' quegli
occhi», che sarebbe la grande Aria del personaggio (monologica, ma
contemporaneamente rivolta al pubblico all'uso tipico della commedia). Certo
questa appare un annacquamento della celebre tirata "politica" contro i
privilegi dei nobili che si trova in Beaumarchais nel quinto atto, ma limitarsi a
notarlo non mi pare una prospettiva esegetica intellettualmente generosa. Ci
sarà, forse, magari, negli scopi pratici di quest'Aria, un mero tentativo di
soddisfazione della risaputa misogenia dell'imperatore e del pubblico
viennese. Ma a me pare che drammaturgicamente abbia una funzione
esattamente contraria. A Mozart, è vero, interessa lo stato d'animo di Figaro.
Cedendo alla gelosia egli ha perso la sua iniziale determinazione positiva, ha
perso se stesso nella misura in cui ha perso la fiducia in Susanna. Cercando
una riparazione ai suoi tenebrosi sentimenti nella pubblica rivalsa, Figaro ha
mutato completamente atteggiamento e, per un momento, si è posto in
antagonismo a Susanna (che però avrà la capacità di perdonarlo, come fa
continuamente la Contessa con il Conte, come non vuol mai fare il Conte, il cui
corpo psichico è rigido, poco provato dalla necessità di gesti umani, poco
illuminato in e"etti).

La superiorità di Figaro, in quanto personaggio maschile positivo, deriva


proprio dalla sensibilità con cui cede alla ragione femminile, con una
prontezza che non è mai consentita ad Almaviva. Così, quando nella scena del
giardino Susanna si dimentica di camu"are la sua voce, tutto si rischiara per
Figaro. Egli la riconosce quantunque porti ancora gli abiti della Contessa (i
quali, forse, significano, nel passaggio dal registro comico a quello
sentimentale, il rispetto che le è dovuto). Non c'è contraddizione, in questo
delicato frangente dell'opera Figaro capisce retrospettivamente che il canto di
Susanna che porgeva la visione di una «dolce lusinghiera armonia» erotica -
udito poco prima - era rivolto a lui, non al Conte. Lui è l'eletto al paradiso
terrestre dell'anima amata: Mozart ci illude di vedere già in Figaro e Susanna
«Un uomo e una donna che ascendono alla divinità» e risolve così ciò che in
Beaumarchais rischierebbe di essere una gag battuta a tempo di ce"oni.

Vorrei ancora richiamare l'attenzione solo sul punto del Finale del secondo
atto, come si è detto, elaboratissimo, il più lungo delle opere di Mozart. Vi si
sviluppano molte diverse e contrastanti situazioni. Il diverbio tra il Conte e la
Contessa che porta infine all'apertura del camerino in cui si è rifugiato
Cherubino, sorpreso dal Conte nelle stanze della moglie, ne costituisce l'avvio.
Ma Cherubino è fuggito lanciandosi da una finestra e la sortita di Susanna
coglie a sua volta di sorpresa il Conte. Quindi la sortita di Figaro conduce, al
centro del Finale, al quartetto dei protagonisti (Susanna, Contessa, Conte,
Figaro) in Do maggiore, equilibratissimo. Si attende la conferma di una
riconciliazione che sembra già data: il Conte sta per essere convinto a
concedere il suo permesso al matrimonio del valletto. Ma la sortita di Antonio
e le sortite, ancora, di Marcellina, Bartolo, Basilio complicano le cose, aprendo
a incerti sviluppi. Il progetto matrimoniale giunge a un passo dalla catastrofe
e, diciamo, alla conclusione del Finale dell'atto secondo sprofonda talmente in
basso da sembrare ormai irrealizzabile. Fa maggiore è una tonalità importante
sia nell'impasto dei colori dell'opera, sia come fondamento di una struttura
meno superficiale e appariscente del dramma della cui costruzione è
interamente responsabile Mozart. Nel Finale secondo, la tonalità di Fa
maggiore viene attraversata, subito dopo il quartetto in Do maggiore, ma poi
svanisce come un miraggio sotto l'incalzare degli eventi. Rapidamente sul suo
e!mero rischiaro si allungano le ombre di Re minore e Sol minore. La nuova
situazione, sfavorevole alla coppia degli sposi promessi, si conferma in due
tonalità diverse: di Quinta in Quinta, da Si bemolle maggiore a Mi bemolle
maggiore.

Tra le tonalità ricorrenti nel corso dell'opera Fa maggiore viene impiegata con
molta parsimonia, in modo del tutto speciale e il suo colore acquista un
significato francamente simbolico. Viene unicamente associata a Figaro e a
Susanna, dove questi personaggi cantano un'Aria, oppure dove sono coinvolti
in Concertati in cui espicitamente si tratta della loro unione tanto
ardentemente desiderata, quanto contrastatissima. Fa maggiore, ancora,
compare un'unica volta per ogni atto. Nel corso dei quattro atti, quattro volte,
dunque, e mai di più. È interessante ancora notare come il Finale del quarto
atto contenga in realtà tutte le tonalità che si presentano anche nel Finale del
secondo, con esclusione proprio di Fa maggiore (e della "vicina" Do maggiore).
Infatti, nell'ultimo Finale le vicissitudini di Figaro e Susanna giungono a
definitiva soluzione in anticipo rispetto alla conclusione dell'opera (in cui si
svolge l'ultima be"a delle donne ai danni del Conte e infine il suo
ravvedimento). In tutto il Finale dell'atto quarto, dunque, Fa maggiore resta
solo come una "chiazza di colore" (già protesa verso Si bemolle), benché molto
allusiva e significativa, allorché Figaro attacca: «Pace, pace, mio dolce tesoro/
riconobbi la voce che adoro [...]». Come sappiamo però, Fa maggiore ha
grande rilievo proprio a ridosso dell'ultimo Finale, e quasi come avvio dello
stesso, perché Mozart l'impiega per l'Aria di Susanna (l'Aria suddetta "delle
rose"). Sappiamo anche che questa tonalità venne decisa da Mozart solo in un
secondo momento (una prima stesura dell'Aria era infatti un Rondò in Mi
bemolle maggiore) e che l'Aria - nell'insieme di una prima versione del tutto
diversa e di numerosi pentimenti nella composizione della seconda versione -
costituisce un raro caso in cui Mozart ha ritenuto di dover tornare più volte sui
suoi passi per precisare meglio l'e"etto complessivo della scrittura. Tutto
concorre, insomma, a indicarci che siamo a un punto dell'opera ch'egli
considerava cruciale. Anche la scelta della tonalità va compresa in questa luce.
Con l'aggiunta di qualche spunto esegetico, riepilogo i luoghi delle Nozze di
Figaro in cui compare la tonalità di Fa maggiore, in tutto sono quattro, come si
è già detto:
1. Atto primo. Cavatina di Figaro «Se vuol ballare signor contino». Grazie a
Susanna, Figaro è pronto ad a"rontare con coraggio i progetti del suo potente
antagonista negativo, il Conte.
2. Atto secondo. Fa maggiore compare transitoriamente nella seconda parte
del Finale in Mi bemolle maggiore. Figaro e Susanna, proprio nel momento in
cui invocano il consenso del Conte al loro matrimonio, sembrano precipitare
verso la catastrofe. Le sortite di Antonio, poi di Marcellina, Bartolo, Basilio,
evolvono a loro svantaggio i rapporti di forza (Fa maggiore cede a Si bemolle e
Mi bemolle maggiore).
3. Atto terzo. Sestetto. Davanti alla prova di giustizia, Figaro viene
improvvisamente riconosciuto da Marcellina e da Bartolo. Egli è in realtà
Ra"aello, loro figlio legittimo rapito in tenera età. Dall'agnizione Figaro riceve
nuova forza e Susanna viene subito accolta dalla famiglia ricostituita: la
situazione è volta ormai a loro vantaggio in modo decisivo di fronte al mondo.
4. Atto quarto. Aria di Susanna «Deh vieni non tardar». Travestita da Contessa,
Susanna canta, non vista, una Serenata amorosa a Figaro che di lì a poco,
riconoscendone la voce, supera anche l'ultima prova che lo pone a confronto
con se stesso: la prova della gelosia.

Le nozze di Figaro non sono solo la straordinaria invenzione musicale di una


drammaturgia in cui la musica trascina la commedia avvolgendola come un
vortice che ne rinnova le situazioni, le disposizioni ludiche e i principi realistici:
nelle mani del musicista anche la storia della coppia comitale cambia di segno
ed essa, per giungere alla propria definitiva legittimazione, compie un
percorso iniziatico mettendo alla prova tanto la propria capacità di relazionarsi
con il mondo, quanto, sul piano delle relazione interne, il controllo dei propri
sentimenti ed emozioni. I due personaggi però non sono propriamente sullo
stesso piano: è l'iniziazione di Figaro a cui Susanna partecipa come maestra di
sincerità e, per dirla con parole sue, di «cervello».

Non più di quattro anni intercorrono tra le Nozze e il Flauto magico, ma


Mozart, nel 1786 aveva già coronato ideologicamente l'assetto del proprio
pensiero entrando nella Massoneria. Dimenticarlo equivarrebbe a privare
l'opera di una parte molto importante: dell'intimo contesto di idee che in fondo
la produce per come essa è e per come la conosciamo. È in quegli ideali di
umanità, di partecipazione responsabile alle scelte sentimentali, in quegli
ideali di merito e di onestà - di libertà come valore primario nella costruzione
di una nuova struttura famigliare - che ritroviamo anche il significato
dell'adesione "politica" di Mozart alla pièce di Beaumarchais. D'altra parte non
si può escludere che il Matrimonio di Beaumarchais fosse al centro di molte
discussioni anche nella cerchia dei massoni più vicini a Mozart e che di lì siano
giunti stimoli. A Vienna fu recitata per la prima volta nel 1785 da Emanuel
Schikaneder, l'amico capocomico che sarà destinatario e coautore del Flauto
magico.

Rappresentazioni del conflitto familiare

Nel Finale dell'atto quarto Mozart può disporre in perfetto equilibrio le cinque
voci femminili e le cinque maschili. Questa totale ricomposizione musicale
sarebbe impossibile senza la presenza di Cherubino. Nella commedia di
Beaumarchais, Cherubino era forse il personaggio più originale, benché il ruolo
dell'adolescente interpretato da una donna si esponga, nel teatro di parola, a
una facile denegazione.

Nel teatro musicale, invece, la volontà ideologica di partecipazione o


identificazione da parte dello spettatore deve sempre neutralizzare un
incredibile complesso di circostanze disvelanti la falsità della
rappresentazione. Ad esempio che i fatti avvengano a tempo di musica e che i
personaggi, ben lungi dalla realtà, vi partecipino cantando. Il principio di realtà
si ricostituisce a tutt'altri livelli, nel teatro musicale, ad esempio nel rapporto
tra una musica che si motiva dall'interno della scena e un'altra su cui la scena
si costruisce senza alcuna giustificazione sincronica. Nel teatro cantato,
pertanto, che una voce femminile venga a sostenere la parte di un ragazzo non
è meno credibile del fatto che il Conte impartisca i suoi ordini o faccia le sue
pro"erte amorose nella curvatura melodica. Non è un caso che Cherubino canti
nelle Nozze di Figaro non solo perché è un personaggio che appartiene al
gioco dei ruoli operistici, ma anche, almeno in un caso, perché la trama gli
richiede di esibirsi come improvvisato cantore (mentre Susanna l'accompagna
alla chitarra). Nel traslocare dal Matrimonio, Cherubino ha perso un po' del suo
bagaglio (della sua microstoria d'amore con Barbarina, che nell'originale è
Ceschina), ma intatto rimane il suo slancio sentimentale per la Contessa, sua
madrina. Il personaggio dell'adolescente è facilmente riconducibile al disegno
di un conflitto edipico, dove, all'attrazione per Rosina, fa da pendant la paura
tremenda che gli incute il Conte (il quale sembra sempre sul punto di
infliggergli una punizione ben più grave di quanto non sia l'invio al reggimento
in qualità di u!ciale). Con Cherubino si completa una doppia parallela
relazione triangolare che congiunge personaggi di rango omogeneo:
finalmente da una parte Figaro, Bartolo e Marcellina, e, su di un altro piano, il
Conte, la Contessa e Cherubino appunto. È uno schema, questo, di arrivo,
dotato di un alto grado di specularità, anche rispetto al tema, non poco
esplicitamente avanzato, dell'incesto. Possiamo ricavarne alcune
considerazioni, ma non che Cherubino sia il Don Giovanni del futuro come si
vuole nella famosa esegesi romatica e esistenzialistica di Søren Kierkegaard.
Cherubino, in realtà, è tutt'altro: un doppio di Figaro.

Se la dote migliore di Cherubino è la sensibilità e quella sincerità per cui non


riesce a nascondere le proprie emozioni né a controllarle, se invece desidera
ardentemente smarrircivisi, è perché egli è l'alter ego di una vita adulta che
ancora non gli appartiene, a cui appena si a"accia. Chi vi si appresta invece
pienamente è Figaro. Nel caos dell'"età della metamorfosi", il rispecchiamento
narcisistico avviene in quell'alternanza di stati di euforia e depressione, che
troviamo perfettamente descritto nell'opera di Mozart. Ma in realtà di fronte a
Cherubino anche gli altri personaggi - in una sorta di regressione collettiva -
scaricano le proprie tensioni narcisistiche: gli uomini per un conto, le donne
per un altro. Soprattutto, le donne, nella forma del rispecchiamento (si pensi,
tra i molti esempi possibili, a quando Susanna, dopo averlo travestito da
donna, esclama: «Se l'amano le femmine ha certo il lor perché»). Inoltre, grazie
alle donne, chi solidarizza in qualche modo con Cherubino, assumendo con
ironia atteggiamenti protettivi - un po' come un fratello maggiore - è proprio
Figaro. In un complesso sistema di rifrazioni, l'uno e l'altro completano il
quadro di un'azione di opposizione al Conte e, più in generale, assicurano
all'opera la rappresentazione di quell'istituzione totale sociale - la famiglia
patriarcale - entro cui si giustificano tutti i conflitti drammatici inscenati.

A di"erenza del Barbiere, il Matrimonio non a"onda apparentemente il tema


del conflitto famigliare nello stereotipo classico del conflitto generazionale (si
pensi all'altro triangolo Bartolo - Rosina - Almaviva nel Barbiere). I protagonisti
(Susanna, Figaro, il Conte e la Contessa) sono su di un piano di parità, ma il
Conte, benché giovane come Figaro, appare da lui distantissimo e non solo per
via del privilegio di classe. La sua determinazione a recedere dalla posizione
libertaria assunta nei confronti dell'antico diritto feudale, che lo rende padrone
della vita sentimentale dei suoi sudditi, è in realtà ben poco credibile. Lo Jus
primae noctis, in fondo, è un pretesto e il comportamento del Conte ha una
velata radice ben più attuale nella società di allora che lo giustifica. La trama
stessa della commedia, del resto, ce la svela, questa radice, riproponendola
continuamente.

Opponendosi al matrimonio d'amore di Susanna con Figaro e volendo nel


contempo destinare quest'ultimo a un "orrendo" matrimonio d'interesse per
compiacere la sua patria potestà (il matrimonio con Marcellina), il Conte si
comporta supplendo scopertamente alle valenze del ruolo paterno in una
famiglia di certo "specialissima", a dismisura allargata, ma patriarcale,
saldamente patriarcale. Almaviva è, come è stato avanzato in acute esegesi
delle strutture ideologiche del Matrimonio, un antagonista di Figaro del tutto
particolare. Di fatto ne è anche - vigorosamente, disperatamente - il "padre".

Si pensi ancora a Figaro, che, per evitare di cadere nei suoi rigori,
trasgredendo il rispetto della risoluzione di legge nel corso del processo che il
Conte presiede giunge a dichiarasi figlio illegittimo. E, in tal senso, per
salvarsi, sconfessa il legame con quella figura paterna che lo giudica, oltreché,
in parte anche se stesso (significativamente Figaro, prima di sapere di chi è
figlio, fantasticava sulle sue origini nobili). Dunque le Nozze, come il
Matrimonio, sono anche il dramma della trasgressione dell'autorità paterna e
della ricerca del padre. E di un figlio costretto a dichiararsi illegittimo per
scampare alla minaccia della deprivazione della propria vita sentimentale:
come sappiamo questa ricerca culmina positivamente, nell'opera, nel Sestetto
del secondo atto.
La Sig.ra perla ricona la riverisce tanto, come anche tutte le altre perle, e li
assicuro che tutte sono innamorate di lei, e che sperano che lei prenderà per
moglie tutte, come i turchi per contentar tute sei [...] quando sto dal sig. Wider
e quardando fuori dalla finestra la casa dove lei abitò quando lei fu in Venezia
di nuovo non so niente.

La posa è caotica, cherubinesca. Rieccheggia per noi «Non so più cosa son
cosa faccio», da un interno - una casa - popolata prevalentemente da donne.
Chi scrive, da Venezia, è Wolfgang quindicenne.

Guardando fuori da quella finestra si proietta nel desiderio di una vita adulta.
Si rivolge e si identifica con un amico, poco più anziano, che quella vita sta per
cominciarla. Un po' come Cherubino con Figaro: un po' ludicamente e con un
po' di smarrimento come di chi non può, sa di non poter più, contenere le
proprie emozioni. Siamo dunque a Venezia nel 1771.

Fin dall'adolescenza, Mozart si era dimostrato irresistibilmente attratto da


quelle famiglie in cui, vuoi per la composizione dei nuclei, vuoi per gli equilibri
dei caratteri degli individui e il loro modo di pensare la vita, la predominanza
paterna gli appariva decisamente stemperata. I Wider, per esempio, di cui parla
nella lettera del 1771, sono bavaresi-veneziani, sono sette donne nella casa di
un uomo estroverso, schietto: un mercante realizzato e illuminato. In quella
casa il giovinetto si è scatenato in atteggiamenti ludici. Si sentiva come a casa,
anzi forse anche meglio, a Venezia, che a casa a Salisburgo.

L'entusiasmo che dimostrava in queste situazioni era probabilmente il suo


modo di reagire alle fobie di Leopold che dalle donne temeva sempre lo scacco
irrimediabile, la separazione da suo figlio. È noto che la deprivazione del
riferimento al ruolo materno è particolarmente importante nella adolescenza di
Wolfgang, passata a viaggiare per anni solo con il padre. Per ciò, forse, il tipo
di famiglia che vagheggiava Mozart si nutriva di una utopia alternativa alla sua
famiglia di origine. Una diversa famiglia, onesta, protetta dal lavoro di un
uomo, ma non dominata da una figura fortemente proiettiva delle proprie
ambizioni.

Anche la famiglia della moglie di Mozart, Constanze Weber, aveva in apparenza


queste caratteristiche. Quattro donne, un padre modesto che non poteva
manifestare pesantemente le proprie ambizioni nell'identificazione con
quell'alterità femminile. Poiché Mozart si era innamorato prima di Aloysia, la
sorella di Constanze, si è ipotizzato che non tanto da una persona, ma
piuttosto da una famiglia, o meglio da un ambiente famigliare, egli si sentisse
attratto. Ma è una tesi molto estrema che non condivido del tutto.

Sarebbe, analogamente, fin troppo facile rintracciare Constanze in Susanna


dalle tante volte in cui Wolfgang ripete al padre perché l'ama. Non è nobile, è
disinteressata, vitale, franca, ha fiducia in lui come uomo e artista libero e
indipendente. Tuttavia, non è solo una questione di autobiografismo, ma di
situazioni che di qell'epoca rappresentano l'universale: il conflitto vissuto da
Mozart per la propia unione coniugale, per l'autonomia propria e della propria
famiglia rispecchia la globalità della crisi di un'epoca. La stessa biografia di
Mozart si ripropone come sintesi di un'epoca intera e della sua crisi, cioè
contemporaneamente come sintesi e de-sintesi, almeno quanto la sua musica.

Tutte le opere di Mozart del periodo ultimo viennese gravitano intorno a un


tema la cui portata è autobiografica e contemporaneamente epocale. Questo
tema è il conflitto famigliare e, per un usare un termine di pretta derivazione
teatrale, la catastrofe della famiglia patriarcale.

La critica è stata spesso tentata di vedere nelle tre opere frutto della
collaborazione con Da Ponte una trilogia (che concilierebbe con il pensiero, la
forma mentis settecentesca si pensi alla stessa trilogia di Figaro scritta da
Beaumarchais) dedicata, ad esempio, alle età, all'epopea di Don Giovanni,
"cuore romantico" del teatro musicale mozartiano. Don Giovanni come
adolescente (Cherubino), Don Giovanni come adulto (Don Giovanni), come
vecchio cinico intellettuale (Don Alfonso).

Avanzando più genericamente il tema del conflitto famigliare, è chiaro che nel
Don Giovanni questo assume, parimenti alla figura del protagonista, tutta la
dimensione tragica della Storia, portandola su di un piano di rappresentazione
mitica. Il parricidio, in questa luce, assume il significato della distruzione degli
antichi legami sociali e contemporaneamente quello dell'impossibilità di
trovare un'alternativa, che non sia distruttiva. Anche in Così fan tutte il tema è
proposto nella sfera del pensiero negativo. Vi succede la disillusione
sull'infrangibilità del legame d'amore di fronte a una azione esterna, razionale,
ma ancora una volta distruttiva, che smaschera la fragilità del sentimento non
sostenuto da una forte componente di credenza ideologica.

Nelle Nozze, nel quadro certo più ottimistico e vitalistico dell'opera, questa
coscienza negativa era già emersa insieme a quella di una necessaria
preparazione, di una iniziazione umana e ideologica che cinga e difenda la
libertà della scelta sentimentale in modo che le due "metà" possano provarsi e
completarsi quindi più armonicamente. Le Nozze colgono Mozart ad un
momento particolarmente felice della sua vita con Constanze. Insieme avevano
a"rontato la grande prova del conflitto con Leopold che, come ben si sa, nel
1782 non si era nemmeno presentato al loro matrimonio (e perfino il suo
assenso con la paterna benedizione giunse in ritardo rispetto alla cerimonia).

Wolfgang si era dovuto assumere le proprie responsabilità in una condizione di


completo isolamento, quasi di illegittimità. Negli anni successivi insieme
avevano cercato ostinatamente una riconciliazione. Si recarono a Salisburgo nel
1783 (Wolfgang portò con sé la Messa in Do minore, un capolavoro assoluto,
benché incompiuto, scritto per Constanze). Invitarono poi Leopold a recarsi a
Vienna nel 1785. Wolfgang condusse suo padre dagli amici massoni e fu in
occasione di quel soggiorno che Haydn espresse a Leopold la propria
convinzione della superiorità di Mozart su tutti i musicisti della sua epoca.
Tutto ciò, però, non portò l'e"etto sperato di un cambiamento nel severo
giudizio di Leopold sulle scelte del figlio.

Di fronte a una realtà che dimostrava di non potersi modificare a misura della
sua volontà di essere uomo, Mozart, forse, cominciò a rifurgiarsi
nell'immaginario, là dove, come nella commedia di Beaumarchais, l'istinto, la
determinazione, l'amore di Susanna e delle altre donne vincono tutti gli
intrighi, ogni interesse.

La morte di Leopold (1787) esibiva a Wolfgang l'ultima be"a di un testamento


ingiusto: il padre aveva voluto rendere definitivo il copione con cui lo accusava
di averlo tradito. Ma non fu l'unica vicissitudine a cui Mozart dovette far fronte
negli ultimi anni. Egli voleva il successo e il successo certo veniva, sebbene
alterno. Esitava infatti nelle sedi di maggior prestigio istituzionale, quelle che
avrebbero potuto garantirgli una maggior stabilità e sicurezza economica. Il
successo rimaneva ancora sempre ancorato alla sua capacità di lavoro, forse il
confine tra libertà e insicurezza veniva assottigliandosi. Venne il momento in
cui anche il genio di Mozart fece pausa. E nello scarto di produttività, forse, un
sentimento drammatico di sconfitta della propria grande ambizione (che viveva
in modo angosciante proprio per l'incancellabile retaggio paterno) prese il
sopravvento. Forse.

Sembra che, nel 1789, dopo i tiepidi acco glimenti di Così fan tutte, Mozart
fosse talmente preoccupato per le sue economie e la sua carriera da risolvere
di mettersi ancora una volta in viaggio, lontano da Vienna e dalla sua famiglia.
Girò in Germania: Lipsia, Dresda per raggiungere Berlino e Postdam. Ma il
viaggio non lo avvantaggiò di molto. Maynard Solomon scrive di una fuga da
un sentimento di fallimento e insinua il sospetto che in quel viaggio Mozart si
fosse abbandonato all'adulterio.

Ma l'enigma biografico mozartiano non si lascia districare facilmente e,


purtroppo o per fortuna, sfugge anche all'indagine psicoanalitica, e, in tal
senso, la biografia resta specchio fedele dell'immagine della inesauribile
profondità musicale mozartiana. Non solo l'ultimo anno registra una febbrile
ripresa dell'attività creativa, ma ci o"re numerosissime e tenere testimonianze
delle attenzioni nei riguardi di Constanze che è sempre in cima ai pensieri e
alle cure di Mozart. Egli, tuttavia, sembra ora provare una grande nostalgia,
idealizzare quell'incontro così fondamentale per la sua vita di uomo.
Con il Flauto magico, Mozart lancia un messaggio di grande speranza nella
forza di un amore nutrito di simboli e di ideologia, oltre che di una fortissima
motivazione istintiva. Il registro emotivo è cambiato: trascende la stessa
dimensione strutturale sociale della realizzazione della coppia, per celebrare la
pura dimensione dello scambio tra due esseri.
Nichts Edlers sein, als Weib und Mann.
Mann und Weib, und Weib und Mann,
Reichen an die Gottheit an.

[Niente è più nobile di un uomo e una donna.


L'uomo e la donna, la donna e l'uomo
Ascendono alla divinità.]

È il canto di Pamina che avverte l'uomo dei boschi, l'uccellatore Papageno,


disperatamente bisognoso di una sua compagna. È il nocciolo ideologico delle
opere di Mozart sprofondato nei segni della fiaba e della ratio massonica.

Pamina è un personaggio la cui nobiltà è nuova. Sebbene la sfiori un inquieto


vagabondare tra diversi stati d'animo e, in una sorta di psicosi autolesionista,
tenti perfino il suicidio, ha una forza straordinaria. Una straordinaria sintetica
violenza sentimentale caratterizzza il suo canto, nell' unica celeberrima Aria
«Ach, ich fühl's, es ist verschwunden!» («Ah, lo sento, è svanita!») che nella
commovente tonalità di Sol minore ci parla di un addio alla vita, di un
abbandono dell'amore. Pamina e Susanna sono forse i personaggi più speciali,
originali dell'intero teatro di Mozart. Forse anche Mozart li ha sentiti così. È
sorprendente che Pamina includa e"ettivamente una memoria letterale di
Susanna in una situazione di segno rovesciato, tragico, non edenico. Penso a
un breve passaggio che forse è "scappato" al compositore, quasi come il
condensato di una reminiscenza, ma non ha per questo, mi pare, meno valore.
Anzi sarebbe, in tal senso, qualcosa di più, forse, di una semplice
autocitazione. Uno strano, enigmatico nesso risulta, al punto,
dall'accostamento delle parole nelle due lingue di Mozart, l'italiano e il tedesco.
Piace ricordarlo come un ultimo riflesso della impareggiabile risorsa d'umanità
del mondo poetico mozartiano.

Paolo Cattellan

Struttura musicale

Ouverture - Presto (re maggiore). Andante con moto (re minore) - 2 flauti, 2
oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto I:
Scena I:
Cinque... dieci... venti... - Duetto (Susanna, Figaro) - Allegro (sol maggiore)
- 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Cosa stai misurando caro il mio - Recitativo (Susanna, Figaro) - continuo

Se a caso Madama la notte - Duetto (Susanna, Figaro) - Allegro (si bemolle


maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Or bene; ascolta, e taci - Recitativo (Susanna, Figaro) - continuo

Scena II:

Bravo signor padrone! - Recitativo (Figaro) - continuo

Se vuol ballare, signor Contino - Cavatina (Figaro) - Allegretto (fa maggiore).


Presto. Allegretto. Presto - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena III:

Ed aspettaste il giorno - Recitativo (Bartolo, Marcellina) - continuo

La vendetta, oh, la vendetta - Aria (Bartolo) - Allegro (re maggiore) - 2


flauti., 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena IV:

Tutto ancor non ho perso - Recitativo (Marcellina, Susanna) - continuo

Via resti servita - Duetto (Susanna, Marcellina) - Allegro (la maggiore) - 2


flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena V:

Va la, vecchia pedante - Recitativo (Susanna, Cherubino) - continuo

Non so piu cosa son, cosa faccio - Aria (Cherubino) - Allegro vivace (mi
bemolle maggiore). Adagio. Allegro vivace - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni,
archi

Scena VI:

Ah son perduto! - Recitativo (Cherubino, Susanna, Conte) - continuo


Scena VII:

Susanna, il ciel vi salvi - Recitativo (Basilio, Susanna, Conte) - continuo

Cosa sento! - Trio (Susanna, Basilio, Conte) - Allegro assai (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Basilio, in traccia tosto - Recitativo (Conte, Susanna, Cherubino, Basilio) -


continuo

Scena VIII:

Giovani liete, fiori spargete - Coro (Paesani, paesane) - Allegro (sol


maggiore) - 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Cos'e questa commedia? - Recitativo (Conte, Figaro, Susanna) - continuo

Giovani liete, fiori spargete - Coro (paesani, paesane) - Allegro (sol


maggiore) - 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Evviva! - Recitativo (Figaro, Susanna, Basilio, Cherubino, Conte) - continuo

Non più andrai farfallone amoroso - Aria (Figaro) - Vivace (do maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto II:
Scena I:

Porgi amor qualche ristoro - Cavatina (Contessa) - Larghetto (mi bemolle


maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Vieni, cara Susanna - Recitativo (Contessa, Susanna, Figaro) - continuo

Se vuol ballare signor Contino - Recitativo (Figaro) - Allegretto - 2 corni,


archi

Scena II:

Quanto duolmi, Susanna - Recitativo (Contessa, Susanna, Cherubino) -


continuo

Voi, che sapete che cosa è amor - Arietta (Cherubino) - Andante con moto
(si bemolle maggiore) - flauto, oboe, clarinetto, fagotto, 2 corni, archi
Bravo, che bella voce - Recitativo (Contessa, Susanna, Cherubino) - continuo

Venite, inginocchiatevi - Aria (Susanna) - Allegretto (sol maggiore) - 2 flauti,


2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Quante bu"onerie! - Recitativo (Contessa, Susanna, Cherubino) - continuo

Chi picchia alla mia porta? - Recitativo (Contessa, Conte, Cherubino) -


continuo

Scena III:

Che novità! - Recitativo (Conte, Contessa) - continuo

Susanna or via sortite - Trio (Susanna, Contessa, Conte) - Allegro spiritoso


(do maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Dunque voi non aprite? - Recitativo (Conte, Contessa) - continuo

Scena IV:

Aprite presto, aprite - Duetto (Susanna, Cherubino) - Allegro assai (sol


maggiore) - archi

Oh guarda il demonietto - Recitativo (Susanna) - continuo

Scena V:

Tutto è come il lasciai - Recitativo (Conte, Contessa) - continuo

Scena VI:

Esci omai, garzon malnato - Finale (Contessa, Conte) - Allegro (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VII:

a. Signore, cos'e quel stupore? - Finale (Susanna, Contessa, Conte) - Molto


Andante (si bemolle
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VIII:
b. Susanna, son morta - Finale (Susanna, Contessa, Conte) - Allegro (si
bemolle maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IX:

c. Signori, di fuori son già i suonatori - Finale (Susanna, Contessa, Conte,


Figaro) - Allegro
(sol maggiore). Andante (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2
corni, archi

Scena X:

d. Ah signor ... signor! - Finale (Susanna, Contessa, Conte, Antonio, Figaro)


- Allegro molto
(fa maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

e. Vostre dunque saran queste carte - Finale (Susanna, Contessa, Conte,


Antonio, Figaro)
Andante (si bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
corni

Scena XI:

f. Voi signor, che giusto siete - Finale (Susanna, Contessa, Marcellina,


Basilio, Conte, Bartolo, Figaro)
Allegro assai (mi bemolle maggiore). Più Allegro. Prestissimo - 2 flauti, 2
oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti,
2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto III:
Scena I:

Che imbarazzo è mai questo! - Recitativo (Conte) - continuo

Scena II:

Via, fatti core - Recitativo (Contessa, Conte, Susanna) - continuo

Crudel! perchè finora farmi - Duetto (Susanna, Conte) - Andante (la minore
- la maggiore) - 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi

E perchè fosti meco - Recitativo (Conte, Susanna) - continuo


Scena III:

Ehi, Susanna, ove vai? - Recitativo (Figaro, Susanna) - continuo

Scena IV:

a. Hai già vinta la causa! - Recitativo (Conte) - Maestoso (do maggiore).


Presto. Andante. Maestoso
2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

b. Vedrò, mentre io sospiro - Aria (Conte) - Allegro maestoso (re maggiore).


Allegro assai
2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena V:

È decisa la lite - Recitativo (Don Curzio, Marcellina, Figaro, Conte, Bartolo) -


continuo

Riconosci in questo amplesso - Sestetto (Susanna, Marcellina, Don Curzio,


Conte, Bartolo, Figaro) - Andante (fa maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2
corni, archi

Scena VI:

Eccovi, o caro amico - Recitativo (Marcellina, Bartolo, Susanna, Figaro) -


continuo

Scena VII:

Andiam, andiam, bel paggio - Recitativo (Barbarina, Cherubino) - continuo

Scena VIII:

a. E Susanna non vien! - Recitativo (Contessa) - Andante. Allegretto.


Andante - archi

b. Dove sono i bei momenti - Aria (Contessa) - Andante (do maggiore).


Allegro
2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IX:

Io vi dico signor - Recitativo (Antonio, Conte) - continuo


Scena X:

Cosa mi narri - Recitativo (Contessa, Susanna) - continuo

Sull' aria ... Che soave ze!retto - Duetto (Susanna, Contessa) - Allegretto (si
bemolle maggiore) - oboe, fagotto, archi

Ecco ... prendi una spilla - Recitativo (Contessa, Susanna) - continuo

Scena XI:

Ricevete, o padroncina - Coro (Paesane) - Grazioso (sol maggiore) - flauto,


2 obi, fagotto, 2 corni, archi

Queste sono, Madama - Recitativo (Barbarina, Contessa, Susanna) -


continuo

Scena XII:

Eh, cospettaccio - Recitativo (Antonio, Contessa, Susanna, Conte,


Cherubino) - continuo

Scena XIII:

Signor ... se trattenete - Recitativo (Figaro, Conte, Contessa, Susanna,


Antonio) - continuo

Ecco la marcia, andiamo! - Finale (Figaro) - Marcia (do maggiore) - 2 flauti,


2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena XIV:

a. Marcia - Marcia (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2


corni, 2 trombe, timpani, archi

b. Amanti costanti seguaci d'onor - Duetto e coro (2 paesane, coro) -


Allegretto (do maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Eh già la solita usanza - Recitativo (Conte, Figaro) - Andante (do


maggiore). Maestoso. Recitativo
2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi
c. Amanti costanti seguaci d'onor - Coro (Paesani, paesane) - Allegretto (do
maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto IV:
Scena I:

L'ho perduta, me meschina! - Cavatina (Barbarina) - Andante (fa minore) -


archi

Scena II:

Barbarina, cos' hai? - Recitativo (Figaro, Barbarina, Marcellina) - continuo

Scena III:

Madre!... Figlio! - Recitativo (Figaro, Marcellina) - continuo

Scena IV:

Presto avvertiam Susanna - Recitativo (Marcellina) - continuo

Il capro, e la capretta - Aria (Marcellina) - Tempo di Menuetto (sol


maggiore). Allegro - archi

Scena V:

Nel padiglione a manca - Recitativo (Barbarina) - continuo

Scena VI:

È Barbarina... Chi va là? - Recitativo (Figaro, Basilio, Bartolo) - continuo

Scena VII:

Ha i diavoli nel corpo - Recitativo (Basilio, Bartolo) - continuo

In quegl' anni, in cui val poco - Aria (Basilio) - Andante (si bemolle
maggiore). Tempo di Minuetto. Allegro - flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni,
archi

Scena VIII:

a. Tutto è disposto - Recitativo (Figaro) - Recitativo (fa maggiore) - archi


b. Aprite un po' quegl' occhi - Aria (Figaro) - Moderato (mi bemolle
maggiore)
2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IX:

Signora, ella mi disse - Recitativo (Susanna, Marcellina) - continuo

Scena X:

Madama voi tremate - Recitativo (Susanna, Contessa, Figaro) - continuo

a. Giunse alfin il momento - Recitativo (Susanna) - Allegro vivace assai (do


maggiore) - archi

b. Deh vieni non tardar - Aria (Susanna) - Andante (fa maggiore) - flauto,
oboe, fagotto, archi

Ah desio, di chi t'adora - Rondò (Susanna) - Rondò (fa maggiore)


2 fagotti, 2 corni di bassetto, 2 fagotti, 2 corni, archi [Aria sostitutiva - K
577]

Un moto di gioia mi sento - Aria (Susanna) - (sol maggiore)


flauto, oboe, 2 corni inglesi, fagotto, archi [Aria sostitutiva - K 579]

Scena XI:

Perfida, e in quella forma - Recitativo (Figaro, Cherubino, Contessa) -


continuo

Pian, pianin le andrò più presso - Finale (Contessa, Cherubino) - Andante


(re maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XII:

a. Ecco qui la mia Susanna! - Finale (Susanna, Contessa, Cherubino, Conte,


Figaro)
Andante (re maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

b. Partito è alfin l'audace - Finale (Susanna, Contessa, Conte, Figaro)


Con un poco più di moto (sol maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XIII:
c. Tutto è tranquillo e placido - Finale (Susanna, Figaro)
Larghetto (mi bemolle maggiore). Allegro di molto - 2 flauti, 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XIV:

d. Pace, mio dolce tesoro - Finale (Susanna, Conte, Figaro) - Andante (si
bemolle maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XV:

e. Gente, gente, all' armi, all' armi! - Finale (Susanna, Contessa, Barbarina,
Cherubino, Marcellina,
Basilio, Don Curzio, Conte, Antonio, Bartolo, Figaro) - Allegro assai (sol
maggiore). Andante. Allegro
assai (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Don Giovanni, ossia Il dissoluto punito K527 - (29 ottobre 1787, Teatro
degli Stati, Praga)

https://youtu.be/dUW_lFGXti4

https://youtu.be/wGo_faB5bOQ

https://youtu.be/f2GumUO9Lbk

Libretto: Lorenzo da Ponte

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Dongiovanni-testo.html

Ruoli:

Don Giovanni: nobile cavaliere molto licenzioso che passa la vita a sedurre
le donne (baritono).
Leporello: servitore di Don Giovanni. Trascrive le conquiste amorose del suo
padrone su un catalogo (basso-baritono o basso bu"o).
Commendatore: il Signore di Siviglia e padre di Donna Anna; all'inizio
dell'opera sarà ucciso da Don Giovanni poi tornerà sotto forma di statua per
punirlo (basso o basso profondo).
Donna Anna: figlia del Commendatore e promessa sposa di Don Ottavio
(soprano).
Don Ottavio: promesso sposo di Donna Anna (tenore).
Donna Elvira: nobile dama di Burgos abbandonata da Don Giovanni. Donna
Elvira lo cerca a!nché si penta delle sue malefatte (soprano o mezzosoprano).
Zerlina: contadina corteggiata da Don Giovanni (soprano o mezzosoprano).
Masetto: promesso sposo, molto geloso, di Zerlina (baritono, basso-
baritono o basso).
Contadini e Contadine: amici di Masetto e Zerlina (coro).
Servi: servitori e gendarmi di Donna Anna e Don Ottavio (coro).
Suonatori: suonatori di Don Giovanni (coro).
Demoni e Diavoli: entità infernali richamate dalla statua del Commendatore
per trascinare Don Giovanni all'inferno (coro).

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni,


timpani, mandolino, archi
Il basso continuo nei recitativi secchi è a!dato al clavicembalo ed al
violoncello
Composizione: Praga, Marzo - 28 Ottobre 1787
Prima rappresentazione: Praga, Nationaltheater, 29 Ottobre 1787
Edizione: Schott, Magonza 1793

Guida all’ascolto

Una leggenda, nata dai non sempre a!dabili ricordi della moglie Konstanze,
tramanda che l’ouverture delDon Giovannivenne scritta da Mozart in fretta e
furia, la notte che precedeva la prova generale dello spettacolo. Su questo
racconto è legittimo avanzare più d’un dubbio, benché sia ben noto il fatto che
Mozart, quando scriveva, di solito non faceva che a!dare alla carta una
composizione già perfettamente compiuta nella mente: la quasi totale assenza
di correzioni sugli autografi sta a provarlo. Al di là delle vicende concernenti la
singola ouverture, l’opera ebbe invece una gestazione nei limiti della norma,
niente a"atto a"rettata. Mozart ne ricevette infatti la commissione subito dopo
il momento di grande popolarità seguito al successo praghese dalleNozze di
Figaro(dicembre 1786), a otto mesi di distanza dalla ‘prima’ di Vienna. Era
quindi naturale che dopo un esito tanto felice l’impresario Domenico
Guardasoni impegnasse Mozart anche per la stagione successiva, in un’opera
destinata ancora una volta alla compagnia di cartello a Praga, quella del
capocomico Pasquale Bondini. Il soggetto della nuova opera pare sia stato
suggerito da Lorenzo Da Ponte, che dopo il successo delFigarovenne
naturalmente richiamato a collaborare con Mozart. Nelle sueMemorie, il poeta
dice semplicemente: «Scelsi per lui ilDon Giovanni, soggetto che infinitamente
gli piacque», e possiamo credergli sulla parola, perché il ruolo dell’irresistibile
cavaliere si adattava a pennello alla presenza scenica e vocale del nuovo idolo
delle signore praghesi, il baritono Luigi Bassi, un baldo pesarese di ventidue
anni, e Mozart sapeva bene quanto su uno spettacolo potesse incidere la bontà
degli interpreti. Nella scelta di Da Ponte dovette contare anche l’opportunità di
attingere a piene mani a un libretto di Giovanni Bertati,Il convitato di pietra,
rappresentato a Venezia nel gennaio 1787 con musica di Giuseppe Gazzaniga,
dunque proprio nello stesso mese in cui Mozart cominciava a pensare ai futuri
impegni col teatro di Praga. È molto probabile cheIl convitato di pietrasia stato
rappresentato anche a Vienna nei mesi successivi, ma è comunque fuori
discussione che Da Ponte ne conoscesse, e bene, il testo. Al poeta e letterato
di Ceneda si presentava così l’occasione di giovarsi delle fatiche altrui, nel
momento in cui doveva allestire ben tre libretti per altrettanti musicisti: oltre
che con Mozart, era impegnato con Salieri perTarare(divenuto poiAxur, re
d’Ormus) e con Martín y Soler perL’arbore di Diana. All’imperatore Giuseppe II,
che dubitava della sua capacità di far fronte a tanta mole di lavoro, Da Ponte
dice d’aver risposto: «Scriverò la notte per Mozzart (sic) e farò conto di leggere
l’Infernodi Dante. Scriverò la mattina per Martini e mi parrà di studiare il
Petrarca. La sera per Salieri e sarà il mio Tasso». La sicumera della risposta, tra
i suoi aulici pavoneggiamenti, contiene tuttavia una grande verità,
un’illuminazione critica che la dice lunga sulla consapevolezza stilistica di Da
Ponte. L’accostamento fra ilDon Giovannie l’Infernodantesco non è infatti così
peregrino e presuntuoso come potrebbe sembrare, perché in entrambi si
compie quella fusione di registri poetici diversissimi che, nel caso di Dante, è
conosciuta col termine continiano di ‘pluristilismo’; e una delle principali
caratteristiche del dramma giocoso di Mozart è appunto quella di essere
pluristilistica, ovvero di fondere il linguaggio del teatro bu"o con quello serio.
Il libretto fu completato attorno al giugno 1787, ma Mozart doveva aver
cominciato a lavorarci già da tempo, via via che le varie scene lasciavano la
scrivania di Da Ponte per passare sul leggio del suo pianoforte. Il compositore
ebbe così tutto il tempo di delineare l’architettura dell’opera e, con molta
probabilità, di intervenire anche nella stesura del testo, chiedendo modifiche e
miglioramenti. Dopo qualche rinvio, ilDon Giovanniandò in scena il 29 ottobre,
«accolto con il più vivo entusiasmo», come scrisse Mozart all’amico Gottfried
von Jacquin. L’opera restò in cartellone per molte settimane, e ottenne sul
‘Prager Oberpostamtzeitung’ una recensione più che lusinghiera. L’anno dopo,
il 7 maggio 1788, ilDon Giovannifu rappresentato al Burgtheater di Vienna, su
espresso desiderio dell’imperatore Giuseppe II. Per la rappresentazione
viennese, Mozart aggiunse tre numeri alla già corposa partitura, cedendo alle
richieste dei celebri cantanti di quella compagnia: al tenore Morella assegnò
una nuova aria, “Dalla sua pace”, al soprano Caterina Cavalieri, interprete di
Donna Elvira, l’aria “Mi tradì quell’alma ingrata”, mentre per Francesco Benucci
(il primo Figaro) e Luisa Mombelli, rispettivamente Leporello e Zerlina, scrisse
un nuovo duetto, “Per queste tue manine” che, a di"erenza dei due pezzi
precedenti, non è mai riuscito a entrare nella tradizione esecutiva dell’opera.
La maggior parte della critica rileva, a buon diritto, come anche le due
inserzioni viennesi per Don Ottavio e Donna Elvira rappresentino delle
ingiustificate battute d’arresto nel ritmo drammatico; più d’un commentatore è
arrivato a suggerirne l’eliminazione, restituendo al dramma la sua struttura
originale. A torto o a ragione, comunque, tanto “Dalla sua pace” quanto “Mi
tradì quell’alma ingrata” sono oggi considerate parti integranti della partitura:
pochi sarebbero disposti a rinunciare, in nome della sacrosanta teatralità, a
due pagine di così elevato pregio. Un mistero aleggia poi intorno al sestetto
finale, quello che porta la cosiddetta morale (“Questo è il fin di chi fa mal”).
Alcuni storici sostengono che per la rappresentazione viennese Mozart
l’avrebbe soppresso, facendo terminare ilDon Giovannicon lo sprofondamento
all’inferno del protagonista; secondo altri, questo taglio sarebbe stato già
praticato in occasione della prima praghese; altri infine negano che Mozart
abbia mai accordato una simile amputazione. Dal dibattito storico la questione
è scivolata facilmente sul piano estetico, laddove l’indirizzo romantico
vorrebbe a tutti i costi un finale tragico con la scena del Commendatore (con
partigiani illustri quali Mahler e Adorno), mentre il partito filologico e
neoclassico punta a salvare lo spirito settecentesco della ‘scena ultima’. Sia che
si voglia espungere o conservare il sestetto, troppo spesso su entrambi i fronti
si sente ripetere che comunque quella musica non reggerebbe i confronto con
l’audacia sconvolgente della scena precedente, e che quindi comporta una
brusca caduta di tono. Un tal giudizio postulerebbe che ogni opera debba
avere il vertice d’un ideale climax espressivo proprio in coincidenza con la fine,
cosa spesso falsa; niente vieta, inoltre, che l’ultraterreno turbamento
provocato dal convitato di pietra sia deliberatamente compensato da Mozart
con un ritorno fra gli umani e con una conclusione, almeno in apparenza,
rassicurante. Certo è che in Mozart una totale prevalenza del pathos non è
concepibile, e ogni uscita dai ranghi, anche la più straordinaria come avviene
appunto nelDon Giovanni, deve essere ricondotta a quel superiore dominio
delle passioni che è uno dei segreti dell’inalterabile fascino di questa musica.
Resti dunque quel finale birbone là dov’è, vicino «a Proserpina e Pluton»:
l’astrazione polifonica dell’estremoPresto, alla brevenasconde l’ironico sorriso
di chi ha sconvolto per noi la fissità eterna di Cielo e Inferno.

Don Giovanni gode, fra tutti i titoli mozartiani, del privilegio piuttosto raro di
aver avuto una vita scenica ininterrotta: l’Ottocento romantico la ebbe a
considerare addirittura l’opera per eccellenza, e la mitizzò a!ancandola
alFaustdi Goethe fra le sue bibbie. Se Stendhal le preferìLe nozze di Figaroe
Beethoven la giudicò immorale per il suo argomento, viceversa fu adorata da
Ho"mann e da Kierkegaard (che la prese a spunto per uno dei suoi più noti
scritti sull’eros), da Goethe stesso e da Byron; un gran numero di compositori
scrissero variazioni o rielaborazioni sulle principali melodie dell’opera (e in
particolare su “Là ci darem la mano”): fra questi Beethoven, Chopin, Liszt,
mentre Rossini – che giudicava ilDon Giovannila propria Bibbia – ricalcò
ironicamente l’arrivo del Commendatore per l’entrata di Selim pascià nelTurco
in Italia.Dopo le interpretazioni storiche dirette da Liszt (Weimar 1849), Mahler
e Richard Strauss,Don Giovanniha incontrato nel nostro secolo un’attenzione
specialissima da parte di tutti i maggiori interpreti. In particolare, si ricordano
gli allestimenti salisburghesi diretti da Bruno Walter (1934-37, protagonista
Ezio Pinza, forse l’interprete più mitizzato del ruolo mozartiano), Clemens
Krauss (1939) e Wilhelm Furtwängler (1950, ’53 e ’54, sempre con Cesare Siepi
nei panni del libertino), e poi da Dimitri Mitropoulos (1956), Karl Böhm (1958 e
’77) e Herbert von Karajan (1960, ’68 e ’87, in quest’ultima versione con
Samuel Ramey protagonista), Riccardo Muti (1991) e Daniel Barenboim (1994,
regia di Patrice Chéreau). Al festival di Glyndebourne (1936), Fritz Busch fece
risorgere con moderna attenzione lo stile mozartiano, consegnando con la sua
interpretazione dell’opera (documentata in disco) un esempio perfetto e un
modello ideale alle successive generazioni d’interpreti. Di grande prestigio è
stata anche la lettura data da Hans Rosbaud negli anni Cinquanta al festival di
Aix-en-Provence. In Italia, si deve ricordare il celebre allestimento diretto da
Thomas Schippers a Spoleto con le scene di Henry Moore, l’esecuzione
radiofonica di Carlo Maria Giulini del 1970 (protagonista Nicolai Ghiaurov),
l’inaugurazione scaligera del 1987 a!data a Riccardo Muti e Giorgio Strehler
(protagonista Thomas Allen), nonché l’allestimento al Maggio musicale
fiorentino del ’90, con l’accoppiata Zubin Mehta direttore e Jonathan Miller
regista. Grande successo ha infine avuto una versione cinematografica
dell’opera, realizzata da Joseph Losey nel 1978, interamente girata nella
cornice sontuosa delle ville palladiane sul Brenta. La parte musicale del film è
stata diretta da Lorin Maazel, con un ottimocastvocale formato da Ruggero
Raimondi, José van Dam, Edda Moser, Kiri Te Kanawa e Teresa Berganza.

Atto primo. È notte, nel giardino antistante la casa di Donna Anna. Leporello
passeggia annoiato in attesa del padrone, che si è introdotto mascherato in
casa di Donna Anna per farla sua (introduzione “Notte e giorno faticar”). La
tentata violenza però non riesce: Anna insegue il cavaliere cercando di
scoprirne l’identità e viene poi soccorsa dal padre, il Commendatore, che sfida
Don Giovanni a duello rimanendone mortalmente ferito. Compiuto il misfatto,
Don Giovanni e Leporello fuggono. Rientra Donna Anna con un manipolo di
servitori e scopre il cadavere del padre. Assistita da Don Ottavio, Anna fa
giurare a quest’ultimo di compiere le sue vendette (duetto “Fuggi, crudele,
fuggi”). Frattanto Don Giovanni s’appresta a nuove conquiste: scorge di
lontano una fanciulla tutta sola e le si avvicina, ma scopre con raccapriccio che
è Donna Elvira, una nobile dama da lui sedotta e abbandonata pochi giorni
prima (aria “Ah chi mi dice mai”). Ella va cercando disperata d’amore il
libertino, e nello scorgerlo chiede ragione del suo comportamento:
imbarazzato, Don Giovanni lascia al confuso Leporello il compito di
giustificarlo, e quindi fugge. Il servo non può far altro che spiegare a Donna
Elvira la natura del suo padrone, e le dà un significativo cenno del catalogo
delle sue conquiste (“Madamina, il catalogo è questo”). Elvira non si dà
comunque per vinta. Poco oltre, un gruppo di contadini festeggiano le nozze di
Zerlina e Masetto. Don Giovanni immediatamente si accinge alla seduzione
della sposina, e spedisce il recalcitrante Masetto a casa sua in compagnia di
Leporello (“Ho capito, signor sì”): restato solo con Zerlina, la invita a seguirlo e
le promette di sposarla (“Là ci darem la mano”). La giovane contadina sembra
acconsentire quando sopraggiunge Donna Elvira, che la mette in guardia dalle
arti malefiche di Don Giovanni e la porta via con sé. Sopraggiungono poi
Donna Anna e Don Ottavio, che chiedono a Don Giovanni di assisterli nella
ricerca dell’empio uccisore del Commendatore. Ancora una volta, però, Donna
Elvira esorta la nobile coppia a di!dare del cavaliere (quartetto “Non ti fidar, o
misera”), che per contro accusa la donna di pazzia. Rimasta sola con Don
Ottavio, Anna trasalisce: dalla voce ha riconosciuto in Don Giovanni l’assassino
di suo padre, e spinge quindi Ottavio a far giustizia (“Or sai chi l’onore” e aria
di Don Ottavio per l’edizione viennese “Dalla sua pace”). Leporello racconta a
Don Giovanni come abbia allontanato Donna Elvira e condotto con sé Zerlina
alla festa che il padrone gli ha comandato d’organizzare. Compiaciuto, Don
Giovanni esprime la sua volontà d’allungare in quella notte la lista delle sue
conquiste (“Fin ch’han dal vino”). Nel giardino del palazzo di Don Giovanni,
Zerlina cerca di far pace con Masetto (“Batti, batti bel Masetto”). Al giungere del
cavaliere, Masetto si nasconde per verificare la fedeltà della moglie, ma è
subito scoperto; Don Giovanni li invita allora al ballo. Dal balcone, intanto,
Leporello scorge tre persone in maschera e invita anche costoro alla festa a
nome del padrone. Si tratta in realtà di Donna Elvira, Donna Anna e Don
Ottavio, accorsi per sorprendere il reprobo. Don Giovanni li accoglie
inneggiando alla libertà, mentre iniziano le danze. Il cavaliere balla una
contraddanza con Zerlina e cerca di trarla i disparte per approfittarne. Zerlina
però urla fuori scena e tutti si precipitano in suo soccorso. Don Giovanni cerca
allora di scaricare la colpa della tentata violenza su Leporello, ma le tre
maschere, rivelando la propria identità lo accusano apertamente di tutti i suoi
delitti e si fanno avanti per arrestarlo: il dissoluto riesce tuttavia a fuggire
(finale “Presto presto, pria ch’ei venga”).

Atto secondo. Sul far della sera, in una strada vicino a casa di Donna Elvira,
Leporello cerca di prendere le distanze dal padrone accusandolo d’empietà
(duetto “Eh via bu"one”); Don Giovanni lo tacita con un’o"erta di danaro, e
impone poi al servo di scambiare con lui gli abiti, in modo da permettergli di
far la corte alla cameriera di Donna Elvira, mentre Leporello, con gli abiti del
cavaliere dovrà tenere occupata la dama. Elvira s’a"accia al balcone e cade nel
tranello, pensando che Don Giovanni si sia ravveduto. S’allontana allora con
Leporello travestito, mentre Don Giovanni si pone sotto la finestra a far al
serenata al suo nuovo oggetto di desiderio (canzonetta “Deh vieni alla
finestra”). Sopraggiunge però Masetto che, in compagnia d’altri villici, dà la
caccia a Don Giovanni per trucidarlo. Il cavaliere, approfittando del suo
travestimento da Leporello, non si fa riconoscere e riesce abilmente a
disperdere il gruppo. Rimasto solo con Masetto, lo copre di botte. I lamenti del
contadino attirano allora l’attenzione di Zerlina, che soccorre il marito (“Vedrai
carino”). Frattanto, Leporello non sa più come reggere il confronto con Donna
Elvira e cerca di fuggire: in breve si trova però circondato da Donna Anna, Don
Ottavio, Zerlina e Masetto, i quali, credendolo Don Giovanni, vorrebbero
giustiziarlo (sestetto “Sola sola in buio loco”). Allora Leporello svela la propria
identità e riesce a dileguarsi. Don Ottavio comunica a tutti la sua intenzione di
consegnare Don Giovanni alla giustizia, e prega gli amici di prendersi cura
della sua fidanzata (“Il mio tesoro intanto”). Elvira rimane sola ed esprime
l’amarezza e la confusione del suo animo, oscillante fra amore e desiderio di
vendetta (aria per l’edizione di Vienna “Mi tradì quell’alma ingrata”). È ormai
notte fonda, e Don Giovanni s’è rifugiato nel cimitero, dove attende Leporello.
Quando quest’ultimo arriva, Don Giovanni ride sonoramente al racconto delle
sue disavventure. La risata è però interrotta da una voce minacciosa: «Di rider
finirai pria dell’aurora». Essa proviene dalla statua funebre del Commendatore.
Resosi conto del’evento miracoloso, Don Giovanni non si fa intimorire, e sfida
le potenze dell’al di là imponendo a Leporello, terrorizzato, d’invitare a cena la
statua parlante (duetto “O statua gentilissima”): l’invito è accettato. In casa di
Donna Anna, Don Ottavio cerca di convincerla ad a"rettare le nozze, ma ella lo
prega d’aspettare che la vendetta su Don Giovanni sia compiuta. Tutto è
pronto per la cena nel palazzo di Don Giovanni (finale secondo “Già la mensa è
preparata”). Il cavaliere, desinando, si fa intrattenere da un’orchestra di fiati
che gli suona un pezzo dell’opera ?Una cosa raradi Martín y Soler, quindi l’aria
“Come un agnello” da ?Fra i due litiganti il terzo godedi Giuseppe Sarti, e infine
l’aria del ‘farfallone amoroso’ dalleNozze di Figaro: Leporello commenta
«Questa poi la conosco purtroppo...». Irrompe Donna Elvira, e tenta
disperatamente d’ottenere il pentimento di Don Giovanni, ma viene solo
derisa. Nell’allontanarsi, grida terrorizzata fuori scena. Il libertino ordina allora
al servo d’andare a veder cosa è stato. Leporello grida a sua volta e rientra
pallido come un morto: alla porta del palazzo c’è la statua del Commendatore.
Don Giovanni intima allora d’aprire e fronteggia a testa alta lo straordinario
convitato. È la statua che questa volta invita Don Giovanni a cena, e chiede la
sua mano in pegno; senza lasciarsi intimorire, il cavaliere gliela porge
impavido. La stretta è fatale: pur prigioniero di quella mano gelida, Don
Giovanni rifiuta di pentirsi e sprofonda quindi in un abisso di fiamme infernali.
Troppo tardi giungono gli altri personaggi: Leporello li informa che il Cielo ha
già fatto giustizia; loro non resta che cantare la morale del dramma.

Saccheggiando il libretto che Giuseppe Bertati aveva scritto perIl convitato di


pietradi Gazzaniga, Da Ponte si inseriva in un’illustre schiera di letterati attratti
dalla storia esemplare di Don giovanni. Le prime avventure teatrali della
leggenda si fanno risalire a un’anonimaRappresentazione del dramma del
conte Leonzio, messa in scena a Ingolstadt nel 1615 e descritta dal teologo
Paolo Zehentner nel suoPromontorium Malae Speidel 1643. Il conte Leonzio,
che ha la sciagurata idea di invitare a cena un teschio nel quale s’era
casualmente imbattuto il suo piede (con conseguenze facilmente
immaginabili), è un seguace delle dottrine di Machiavelli, quindi un corrotto
materialista: sarà qui il caso di ricordare che il nomignolo con cui gli inglesi
chiamano il diavolo, Nick, deriva proprio da quel Nicolò segretario fiorentino.
L’immagine luciferina di Machiavelli, così come quella di Don Giovanni, sono
creazioni della morale controriformistica, e la di"usione seicentesca del nostro
libertino si deve proprio all’ambiente gesuitico, che ne fece abbondante uso
come storia d’edificazione. Non a caso, il vero creatore della figura letteraria di
Don Giovanni fu un religioso, Tirso de Molina, che sembra abbia tratto il suo
celebreBurlador de Sevilladagli atti processuali dell’inquisizione. Vera o falsa
che sia la derivazione del personaggio, con Tirso l’empia grandezza di Don
Giovanni è già forgiata, e passerà di mano in mano per tutto il Seicento e tutto
il Settecento, in un cammino glorioso le cui tappe più importanti sono
rappresentate dalDom Juan ou Le festin de pierredi Molière (1665), dalDon
Giovanni Tenorio o sia Il dissolutodi Goldoni (1736) e infine dalDissoluto
punito o sia Il Don Giovannidi Mozart e Da Ponte. Quando finalmente arriva
nelle mani di questi ultimi, la figura di Don Giovanni ha subìto non poche
trasformazioni, che ne hanno in certo qual modo stravolto l’immagine: partito
come esempio d’immonda iniquità, in un’aura diauto sacramentalse non
addirittura di auto da fé, il dissoluto acquista progressivamente una sua carica
di simpatia che lo porta a divenire, negli anni di Mozart, un vero e proprio
eroe. Sotto un’ormai logora maschera moralistica è però chiaro che l’interesse
si è concentrato sull’insostenibile fascino del cavaliere, sui suoi invidiabili
trionfi libertini, assai più che sul castigo finale. In quest’ultimo scorcio del
Settecento, del resto, la trasgressione alla morale comune è divenuta un
fenomeno sociale, incarnato nel ‘fiore nero’ del libertinaggio. Di dissoluti
trabocca la letteratura del periodo, e sono tutti Don Giovanni sotto mentite
spoglie, accomunati dal cinismo più materialistico e da un identico piacere per
la crudeltà. Un doppio capolavoro di questo simbolo del Settecento sono i due
protagonisti delleLiaisons dangereusesdi Laclos, il visconte de Valmont e la
marchesa de Merteuil, che si contendono in punta di fioretto, con diabolica
abilità, il piacere di portare alla rovina le prede giovani e virtuose.

Da oggetto di riprovazione, il libertino, l’ateista irriducibile, l’epicureo


incurante di ogni legge e di ogni morale, diventa quasi suo malgrado un eroe
positivo, il difensore dell’appagamento dei sensi, il vincitore di quelle strategie
dell’alcova che riempiono la vita degli ultimi protagonisti dell’ancien régime, i
modelli reali delle Merteuil e dei Valmont disposti a tutto pur di vincere e loro
piccanti battaglie. Dunque, nelDon Giovannidi Mozart e Da Ponte l’antitesi fra il
male e il bene è solo apparente: il confronto che oppone il dissoluto alla legge
morale, rappresentata dal convitato di pietra come emissario celeste, va ben al
di là del tradizionale meccanismo di delitto e castigo. In quella terribile scena
finale, laddove si scatenano forze musicali mai udite prima d’allora in teatro, il
Commendatore non intende certo assumere i toni positivi e distaccati del
riparatore, ché in fin dei conti pochi troveranno consolatoria l’apparizione di
quella statua roboante e tremenda. Piuttosto, l’intervento soprannaturale priva
tutti, spettatori e personaggi, dell’unico vero eroe, non prima però d’averlo
costretto a giganteggiare nella più impavida fedeltà verso se stesso, col gran
rifiuto di rinnegare le proprie gesta, persino alle soglie dell’inferno. Don
Giovanni assurge qui a simbolo eterno di quella disperata ricerca dell’eros,
simulacro dell’umana felicitàhic et nunc, la stessa che già nellafolle
journéeaveva messo a soqquadro il castello del conte d’Almaviva. La ricerca,
vana, di quella felicità terrena porta il protagonista a violare tutte le leggi della
morale comune, e in quel sacrilego libertinaggio è racchiuso il ritratto di
un’intera epoca, ormaiin articulo mortis: il sogno d’una felicità tutta mondana,
proiettata nell’attaccamento ai piaceri materiali, è figlio d’una concezione
illuministica della vita, che di fronte alla razionalità dei comportamenti, perfino
di quello amoroso, giunge a piegare anche il rispetto dei sentimenti. Il
protagonista dell’opera gioca una disperata partita contro la storia, perché la
sua classe sociale e il suo anarchico modello di vita stanno per scomparire
nelle evoluzioni morali di questo crepuscolo del Settecento. Lorenzo Da Ponte,
emulo e amico di Casanova, e più modestamente lo stesso Mozart,
conoscevano bene quelle ra!nate strategie dei sensi, e da uomini del loro
tempo sapevano altrettanto bene che i giochi stavano per finire, che il libertino
Almaviva avrebbe dovuto ben presto cedere il passo al buon padre di famiglia
Figaro: l’epoca di Don Giovanni stava per tramontare, l’avvenire sarebbe stato
appannaggio dei Commendatori. Così, nella scena finale del ‘dramma giocoso’,
col dissoluto sprofonda all’inferno tutta la filosofia del libertino – che in un
certo senso è l’ultimo colpo di coda dell’ancien régime– cancellata dalla nuova
morale borghese e rivoluzionaria, quella degli Incorruttibili, che non a caso
avrebbero tagliato la testa al libertino Danton, tardo ectoplasma della gloriosa
tipologia dongiovannesca. Non c’è da stupirsi allora che Beethoven giudicasse
negativamente, perché immorale, l’inquietante opera di Mozart; per un uomo
abbeveratosi all’imperativo categorico kantiano e agli ideali della rivoluzione
borghese, l’eroica ostinazione di Don Giovanni nel proclamare fin sulle soglie
dell’abisso il suo credo («Vivan le femmine, viva il buon vino, sostegno e gloria
d’umanità») non poteva che suonare estranea e riprovevole. Come il
Commendatore, di fronte a tanto empio materialismo anche Beethoven
avrebbe potuto ammonire «Non si pasce di cibo mortale chi si pasce di cibo
celeste». Per uno di quei curiosi casi del destino, la sera del 29 ottobre 1787,
quando ilDon Giovannivide la luce a Praga, in sala c’era anche l’uomo che del
mito erotico settecentesco era stata l’incarnazione più ammirata e
straordinaria, Giacomo Casanova, sceso dal suo oscuro ritiro nel castello di
Dux in Boemia per assistere all’ultima fatica dell’amico Da Ponte (che era «una
specie di Casanova in sedicesimo», come lo definì Massimo Mila).

Il primo problema che si pose Da Ponte nel riscrivereIl convitato di pietradi


Bertati fu quello di trasformare un atto unico in un’opera in due atti. Fu
costretto, perciò, ad allungare non poco la semplice trama del modello
prinicpale, e ciononostante ebbe l’accortezza d’eliminare ben due personaggi:
Donna Ximena (altra vittima del libertino) e Lanterna, secondo servo di Don
Giovanni, rendendo così il dramma meno dispersivo. Inoltre Da Ponte ebbe la
felice idea di ampliare la parte di Donna Anna, che in Bertati usciva di scena
subito dopo l’uccisione del padre, rendendola in certo qual modo la vera guida
del partito avverso al protagonista. La caccia a Don Giovanni prende infatti le
mosse dal momento in cui Donna Anna riconosce in lui l’assassino del padre;
da lì in poi, gli altri personaggi si stringeranno intorno a lei nella vana impresa
di porre fine alle scorrerie del cavaliere. Quest’ultimo, tuttavia, come s’addice
ai veri eroi, non può essere fermato da una mano umana, imbelle di fronte a
tanto empia grandezza, ma solo da un intervento sovrannaturale. Nel
confronto fra tali massimi sistemi, Donna Anna fa le veci del padre, divenendo
la principale interlocutrice di Don Giovanni, finché questo non avrà chiamato in
causa direttamente l’oltretomba, facendosene be"e nella scena del cimitero
(«O vecchio bu"onissimo»).

Accanto alla maestà tragica di Donna Anna, il suo promesso sposo Don Ottavio
ha sempre fatto la figura dell’inetto, giungendo a sembrare a Giovanni Macchia
«la figura più femminile di tutta l’opera». In realtà sul personaggio si è
incrostata una cattiva tradizione esecutiva, che ha trasformato un ruolo di
tenore nobile (non si dimentichi che il primo interprete Morella quattro anni
dopo avrebbe vestito i panni davidiani dell’imperatore Tito) in un tenorino di
grazia, complice l’inserimento in partitura della della nuova aria “Dalla sua
pace” per la ripresa viennese. Inoltre sul povero Don Ottavio non cesseranno
mai di pesare quei quasi comici interventi nello straordinario recitativo
accompagnato con cui Donna Anna gli narra della tentata violenza da parte di
Don Giovanni (in particolare, è la sua reazione «Ohimè respiro» a scatenare
giuste ironie). Invece, Don Ottavio è lo strumento della vendetta di Donna
Anna, e la sua unica colpa consiste nella pretesa di fermare Don Giovanni per
via legale («un ricorso vo’ fare a chi si deve»), ignorando che con le carte
bollate non si punisce laybrisdegli eroi. Il duca Ottavio appartiene insomma
alla stessa razza dei Commendatori, ma senza poter esibire un mandato
celeste di fronte al suo antagonista, ed è quindi costretto a rappresentare i
limiti della legge razionale, come l’abate Sieyès di fronte al generale Bonaparte.
A fronte della composta nobiltà di Donna Anna e Don Ottavio, Donna Elvira
incarna l’inestinguibile fuoco dei sentimenti. È disposta a ogni umiliazione pur
di ritrovare quegli attimi di passione che Don Giovanni le ha distrattamente
concesso: la sua onnipresenza nell’opera, la sua funzione di scalmanata
guastafeste, porta in scena il vero amore a reclamare i suoi diritti contro il
libertinaggio. A lei è a!dato il compito ingrato dell’estremo tentativo, ed è suo
l’urlo che segna il precipitare degli eventi. Donna Elvira, rappresentando i
diritti delle duemilasessantacinque (salvo errori di registrazione da parte del
ragionier Leporello) sedotte e abbandonate da Don Giovanni, difende l’amore
fedele e monogamo della donna contro l’incontenibile appetito carnale
dell’uomo: è Mozart stesso, tuttavia, a mettere in dubbio l’antico assioma, o
luogo comune, quando inCosì fan tuttedimostrerà come in ogni aspirante
moglie si celi un’aspirante adultera, di cui Zerlina sembra essere una
prefigurazione. La vittoria dell’eterno mascolino dongiovannesco troverà
comunque un bel ridimensionamento nell’opera successiva, dove sono le
duemilasessantacinque a predersi una crudele rivincita.

Anche Leporello, come Don Ottavio, è vittima d’una cattiva tradizione


interpretativa, segnatamente salisburghese, che ne ha fatto lo zimbello babbeo
del padrone, sempre impegnato a far ridere un pubblico ignaro dell’idioma
dapontiano, ricorrendo a caricati ammiccamenti. Il Leporello di Mozart è assai
più di quella macchietta che di solito ci viene presentata; è l’alter egodel
padrone, il suo complice nel gioco iniquo ma appagante, non solo la sua
vittima. Anch’egli emana odor di zolfo: le sue battute di spirito non sono poi
così dissimili da quelle di un Mefistofele – salariato – che abbia a che fare non
con un professore ringiovanito, ma con un’irresistibile forza della natura. A
di"erenza del suo infernale collega, non dovendo fare soverchio sforzo per
spedire il suo padrone nel fuoco eterno, Leporello cerca piuttosto di coltivare
ancora i suoi modesti agi terreni, esortando Don Giovanni a non accettare
pericolosi inviti a cena, e arrivando al punto di sovrapporsi al padrone stesso
(«Oibò, oibò, tempo non ha, scusate»). Come il suo padrone, è privo di senso
morale, non per empietà ma per bisogno, pronto a raccattare le briciole che
cadono dal desco di Don Giovanni, che si tratti d’un pezzo di fagiano oppure
di qualche procace contadinotta («Anch’io, padrone, esibisco la mia
protezione»).

Dovendo allungare il dramma da un atto a due, Da Ponte si inventò tutta la


scena dello scambio degli abiti fra Leporello e Don Giovanni, con gli equivoci
che ne derivano: dal corteggiamento di Donna Elvira alla bastonatura di
Masetto, fino allo scoprimento di Leporello camu"ato. Per molti commentatori
tutta questa prima parte del secondo atto rivela una debolezza drammatica da
parte del librettista, costretto a ricorrere «a vecchi trucchi dell’opera
bu"a» (Mila) e salvato soltanto dalla suprema musica di Mozart. In e"etti la
fluidità del primo atto subisce qui una battuta d’arresto, soprattutto a causa
d’una presenza solo iniziale del protagonista. Eppure, queste scene ci
sembrano nondimeno insostituibili e anzi essenziali a dar risalto proprio a Don
Giovanni: quel vagare nel buio dei personaggi, quella caccia senza sosta, non
fanno che accrescere la tensione per una nuova epifania dell’eroe, questa volta
nel luogo più tenebroso, il cimitero, dove si consumerà la sfida del nostro
Prometeo alla divinità. Infatti, come Prometeo, è proprio Don Giovanni che
dona agli altri personaggi, simboli delle diverse forme dell’umano, il fuoco
delle passioni, siano quelle dei sensi, dell’amore, della vendetta oppure
dell’onore. Lo dimostra splendidamente la scena ultima, importantissima
nell’economia del dramma: quando il protagonista è ormai sprofondato, tutti
accorrono in scena a reclamare una punizione, un ultimo confronto, che è già
avvenuto, e rimangono come ‘vuoti’, spogliati d’ogni energia vitale, costretti a
dire pubblicamente quel che faranno da quel giorno in poi; hanno perduto la
loro ragione d’esistere teatrale, e infatti il teatro si smonta nel rito astratto
della morale conclusiva.

Con un tale libretto fra le mani, Mozart realizzò una delle più sconcertanti
sintesi di generi musicali che mai compositore abbia azzardato. Sistemati i
conti con la riforma gluckiana nell’Idomeneo, dove la fissità tragica cedeva alle
superiori ragioni della musica; trasfigurata l’opera bu"a in una vera commedia
per musica conLe nozze di Figaro, egli si trova di fronte a un soggetto per
metà comico e per metà tragico, con personaggi che continuamente incrociano
ora l’uno ora l’altro genere. La doppia natura del dramma lo portò a far
dialogare anche gli stili musicali, ma senza mai giungere a una fusione diretta
e frontale. Il luogo d’incontro fra la commedia e la tragedia sono le scene
d’insieme, laddove la verità drammatica trascende ogni modello precedente.
Nessuno era giunto, prima di Mozart, a far convivere tante diverse realtà
psicologiche in uno stesso tessuto musicale: già nelleNozze di Figaro, e
particolarmente nei due grandi finali del secondo e del quarto atto, il
trascolorare drammatico porta a una continua rigenerazione dell’idea
musicale, con progressive caratterizzazioni dei personaggi secondo il dipanarsi
dell’intreccio. Si prenda la prima scena delDon Giovanni: subito dopo aver
presentato Leporello in sentinella, una fiammata brucia il nucleo di tutta
l’azione successiva, cioè la tentata violenza di Donna Anna e l’assassinio del
Commendatore. Nel viluppo delle voci, la musica riesce a far vivere in uno
stesso punto l’odio, l’ira, lo scorno, la paura e la sfrontatezza. In un breve
volgere la scena si svuota, e rimane in terra solo il corpo esanime del
Commendatore. Mai opera aveva conosciuto un inizio più folgorante, unex
abruptocapace di soggiogare il pubblico in modo così possente. La conclusione
riproduce quell’incipitcome in uno specchio: l’entrata del Commendatore e lo
sprofondamento all’inferno di Don Giovanni (con la solenne cooptazione in
orchestra dei tromboni, perenne sigillo sonoro dell’aldilà) sono seguiti dal
ritorno alla tranquillità terrena, dopo che la tragedia ha conosciuto la febbre
della catastrofe. Tutto è permesso a Mozart, perfino di far convivere, come
nell’Infernodantesco, il gesto più nobile e alato accanto al prosaico linguaggio
di Leporello: Francesca da Rimini accanto a Vanni Fucci, Farinata degli Uberti a
fianco di Filippo Argenti. Lo strumento prezioso di queste metamorfosi di tono
è l’orchestra, il cui ruolo concertante alimenta la scena con un commento
esaustivo, rivelando a ogni tratto le diverse sfumature del gioco. Il linguaggio
di Mozart, rispetto a tutti gli altri compositori del suo tempo, trovava la chiave
di una indiscutibile superiorità nell’ampiezza dei suoi interessi e della sua
formazione musicale. Fu l’operista più grande proprio perché nel teatro riversò
la scienza acquisita nel campo strumentale, nel contrappunto e nella musica
sacra. Quella convivenza di tragico e comico, quel far vivere in scena gli a"etti
più disparati, altro non è che una sorta di sublime dialettica drammatica, dove
ogni voce riesce, pur nell’insieme, a mantenere la propria squisita individualità,
dominata da un occhio superiore che ne guida sapientemente le mosse. Altro
inedito concetto di contrappunto – nella sua accezione di conciliazione dei
diversi – è quella che riguarda l’unione fra musica e parola, che in Mozart si
fanno guida l’una dell’altra. Sul significato della parola nasce il suo
rivestimento sonoro, ma per contro il decorso musicale finisce per attribuire al
testo ulteriori e più profondi significati, governando col suo ritmo l’intera
successione degli accadimenti. La perfezione di questo contrappunto fra
musica e parola, fra a"etti diversi, fra tragedia e commedia, fra mito e realtà,
rendeDon Giovanniun’opera ina"errabile, come avviene in tutte le grandi
costruzioni polifoniche, dove l’orecchio non arriva a seguire al tempo stesso e
in ugual modo tutte le linee intrecciate dall’architetto creatore di quei suoni. La
sua posizione storica, alle soglie della più radicale trasformazione sociale
dell’era moderna, l’ha resa leggibile dall’uno o dall’altro di quei mondi
inconciliabili: a tutt’oggi, ogni volta che il «cavaliere estremamente licenzioso»
torna a calcare le scene, la sua fisionomia può mutare sino a renderlo
irriconoscibile, tanta è l’ambiguità della musica di Mozart. Ogni periodo, ogni
interprete continuerà sempre a leggere nelDon Giovannise stesso, così come
accade per tutte le grandi creazioni dell’ingegno umano, in cui le ragioni della
vita e della morte giocano la loro eterna partita a scacchi.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Che bella notte! E più chiara del giorno;


sembra fatta per gir a zonzo
a caccia di ragazze.

(Don Giovanni, scena del cimitero, II, XI)

Don Giovanni nacque sull'onda dell'entusiasmo suscitato a Praga, nel dicembre


del 1786, dalle Nozze di Figaro: entusiasmo del quale Mozart si poté render
conto di persona quando nel gennaio seguente fu invitato da Pasquale Bondini,
impresario del Teatro Nazionale di Praga, e da Domenico Guardasoni,
vicedirettore e regista della compagnia, ad assistere ad alcune repliche
dell'opera. Con la consueta eccitazione ne riferì in una lettera del 15 gennaio
1787 al barone Gottfried von Jacquin: "Qui non si parla che del Figaro, non si
suona, non si strombetta, non si fischia, non si canta che Figaro; non si sente
altra opera che Figaro. E sempre Figaro! ". Era il tipo di successo spontaneo e
caloroso che a Mozart piaceva e di cui aveva bisogno, e non per vanità, ma
semplicemente perché scriveva per la felicità del pubblico, e sotto questo
aspetto il pubblico di Praga aveva capito la sua opera più di quello viennese,
troppo distaccato e sussiegoso. Ma Bondini e Guardasoni avevano invitato
Mozart a Praga anche per un altro fine: proporgli di comporre una nuova opera
da rappresentarsi a Praga nella stagione successiva. E fu con questa scrittura
che il compositore fece ritorno a Vienna in febbraio, mettendosi subito a
pensare al progetto.

Era del tutto naturale che per il libretto egli si rivolgesse all'autore di quello del
Figaro, ossia al poeta dei Teatri Imperiali di Vienna, Lorenzo Da Ponte, e che gli
a!dasse in prima battuta la scelta del soggetto. L'esperto e navigato Da Ponte,
che a quel tempo era oberato di lavoro, pensò di appoggiarsi su un soggetto di
lunga tradizione e di sicuro e"etto, che era appena riapparso a Venezia (per la
stagione di carnevale, il 5 febbraio 1787) sotto forma di opera in un atto
composta da Giuseppe Gazzaniga su libretto di Giovanni Bertati: Don Giovanni
o sia il Convitato di pietra. Seguendone la traccia (fatto del tutto normale nella
prassi teatrale, e di cui si poteva in certa misura mantenere il segreto,
addirittura tacendo) si mise all'opera, sdoppiandosi nientemeno che in tre. Le
Memorie del poeta ci informano infatti su come Da Ponte lavorasse
contemporaneamente a ben tre libretti, che si era impegnato a consegnare
nella primavera del 1787: una riduzione in italiano dell'opera francese Tarare
con il nuovo titolo Assur Re d'Ormus per Antonio Salieri, il libretto appunto del
Don Giovanni, che a Mozart "piacque infinitamente", e un altro ancora, L'arbore
di Diana, per il compositore di origine spagnola Vicente Martin y Soler. "Trovati
questi tre soggetti" - ricorda Da Ponte - "andai dall'imperatore [Giuseppe II],
gli esposi il mio pensiero e l'informai che mia intenzione era di far queste tre
opere contemporaneamente. 'Non ci riuscirete!' mi rispose egli. 'Forse che no',
replicai, 'ma mi proverò. Scriverò la notte per Mozzart [sic] e farò conto di
legger l'Inferno di Dante. Scriverò la mattina per Martini e mi parrà di studiar il
Petrarca. La sera per Salieri e sarà il mio Tasso'. Trovò assai bello il mio
parallelo; e, appena tornato a casa, mi posi a scrivere". In sessantatré giorni le
due prime opere erano finite del tutto, e dell'ultima quasi due terzi.

Stando a questa ricostruzione, il libretto del Don Giovanni sarebbe stato


dunque ultimato al più tardi alla fine di aprile. Probabilmente Mozart cominciò
la composizione già in marzo, via via che da Ponte gli passava le scene, e la
mandò avanti nei mesi successivi, anch'egli parallelamente a innumerevoli altri
lavori, per terminarla poi a Praga, dove giunse il 4 ottobre, raggiunto quattro
giorni dopo dal Da Ponte. Prevista in un primo momento per il 14 ottobre per
una serata di gala in onore dell'arciduchessa Maria Teresa, sorella di Giuseppe
II, di passaggio a Praga (in sua vece venne data una ripresa delle Nozze di
Figaro), l'opera andò in scena per la prima volta il 29 ottobre 1787 con una
compagnia interamente italiana (quasi la stessa dell'edizione praghese del
Figaro) e con enorme successo, ribadito alle repliche e tale da farla resistere in
cartellone per anni: sicché quest'opera rimase per sempre legata con orgoglio,
come un vanto, alla città boema. Anche perché quando giunse a Vienna, al
Burgtheater il 7 maggio 1788, il Don Giovanni fu accolto con entusiasmo
limitato ("troppo forte per i nostri viennesi", avrebbe sentenziato l'imperatore)
o, secondo Da Ponte, addirittura "non piacque": di fatto ebbe soltanto quindici
recite (l'ultima il 15 dicembre) e non riapparve più a Vienna che dopo la morte
del suo autore (precisamente nel 1792, ma in tedesco e in un teatro minore) e
all'Opera di corte non prima del 1798.

L'edizione viennese si segnala nella storia dell'opera per una serie di modifiche
apportate per venire incontro alle diverse personalità dei cantanti, fattori a cui
Mozart era attentissimo, e forse al gusto del pubblico di corte. La parte più
toccata da queste modifiche fu il secondo atto, con l'espunzione dalla scena X
dell'aria di Don Ottavio Il mio tesoro intanto, ingrata all'interprete viennese,
che venne sostituita con quella, di carattere simile ma vocalmente meno
esposta, Dalla sua pace, collocata però nella scena XIV del primo atto.
L'intervento successivo riguardò Donna Elvira. Sollecitato anche qui, pare, da
una richiesta della cantante, che era la celebre Caterina Cavalieri, Mozart
compose l'aria di bravura Mi tradì quell'alma ingrata, facendola introdurre dal
recitativo accompagnato "In quali eccessi, o Numi" e situandola nel secondo
atto subito prima della scena del cimitero (scena Xe). Essa è preceduta da una
serie di nuove scene, più che comiche, smaccatamente farsesche (Xb-d), che
vedono impegnati in lazzi funambolici Leporello, Zerlina e un contadino. Di
queste scene non è rimasta pressoché traccia nella tradizione esecutiva,
mentre è ormai consuetudine accettata conservare entrambe le arie di Don
Ottavio e quella aggiunta di Donna Elvira.

La versione viennese è importante anche perché pone indirettamente una


questione nodale, che tanti dibattiti avrebbe innescato, relativa al finale
dell'opera: il taglio di ciò che segue allo sprofondamento di Don Giovanni
nell'inferno. Sembra che Mozart pensasse, e forse in alcune recite anche
praticasse, di sopprimere la "scena ultima", nella quale tutti i personaggi, salvo
Don Giovanni e il Commendatore, ritornano in scena per commentare
l'accaduto e trarre la morale dell'"antichissima canzon" Questo è il fin di chi fa
mal; e in questo senso parla anche il secondo libretto viennese pubblicato nel
maggio del 1788, dove l'opera si conclude con "il foto che cresce" e Don
Giovanni che "si sprofonda nel momento stesso in cui escon tutti gli altri,
guardano, metton un alto grido, fuggono, e cala il sipario". Fatto sta che nella
partitura questo taglio fu prima apportato e poi riaperto, con il ripristino del
sestetto conclusivo; che dunque - sia musicalmente sia architettonicamente -
corrisponde tanto alle prime quanto alle ultime intenzioni dell'autore. La
questione, come si è detto, non è senza importanza: giacché, a tacer del fatto
che nella prassi esecutiva soprattutto viennese e tedesca dell'Ottocento e del
primo Novecento questo taglio fu mantenuto, mentre oggi lo si ritiene
impraticabile al punto da portare al fraintendimento radicale dell'opera tutta,
essa riguarda da vicino un problema sostanziale legato al significato del Don
Giovanni: ossia il suo essere un'opera ina"errabilmente sospesa fra tragedia e
commedia, o più precisamente un ripensamento globale, a tutto tondo,
dell'opera bu"a, alla cui tradizione si riferisce, e dell'opera seria, di cui proprio
il finale, anche esteriormente, è lo specchio sommamente ma necessariamente
ambiguo.

Il mito di Don Giovanni, prima che Mozart e Da Ponte lo rivisitassero, aveva


attraversato quasi due secoli di letteratura, parlando lingue diverse (spagnolo,
francese, inglese e naturalmente italiano, dell'italiano comprendendo anche i
dialetti, dal veneziano al napoletano) e calandosi in molti stili di"erenti
(dall'aulico al triviale, con infinite gradazioni intermedie). In teatro, che era il
luogo deputato a ospitarlo, per i quale anzi era nato, aveva dato vita alle forme
più opposte di drammi: tragedie, ma anche commedie, e commedie dell'arte
farse, operine di edificazione morale, balletti, pantomime melodrammi. Il
motivo che lo caratterizzava era quello del be"ardo invito a cena rivolto da un
libertino alle spoglie o a simulacro di un trapassato; il quale trapassato, con
stupore di lui, accetta l'invito, chiede di essere ricambiato e alla sua venuta lo
trascina all'inferno, punendolo per la sua empietà. E appunto i titoli di questi
drammi ne rendevano a usura la sostanza: Il Convitato di pietra, L'Ateista
fulminato, L'Empio punito, La Pravità castigata o, per dirla con Mozart e Da
Ponte Il Dissoluto punito. In molti casi restava però aperta per così dire la
qualità di Don Giovanni: Don in quanto gentiluomo, perciò sempre
accompagnato da un servitore (che peraltro porta i nomi più diversi), Giovanni
o meglio Juan in quanto spagnolo (l'azione si finge in una città della Spagna,
per lo più Siviglia), ma libertino in che senso? Nel significato originale del
termine, libertino è il libero pensatore che non accetta dogmi di sorta e
proclama la sua assoluta indipendenza religiosa, filosofica e intellettuale, e
dunque anche, ma solo secondariamente, morale. Come tale lo ritroviamo nel
primo dramma "letterario" di una certa importanza, El burlador de Sevilla y
convidado de piedra di Tirso de Molina (1630), dove il protagonista (l'altro è
pur sempre il Convitato di pietra) appare come il tipo dell'ingannatore, del
be"atore ("burlador" appunto), più che del seduttore erotico. Egli prova un
piacere indescrivibile nel mascherarsi, nel fingere, nel sostituirsi a un altro, e
questo gusto perverso della metamorfosi, teatrale per eccellenza, lo appaga
più della stessa conquista e del possesso. Nell'altra pietra miliare del modello
"alto" di Don Giovanni, la commedia in prosa Dom Juan ou le festin de pierre di
Molière (1665), il libertinismo è inteso come sfida alla morale e all'ipocrisia,
gioco dell'intelletto ancor prima che dei sensi, portato all'eccesso sia nella
blasfema irrisione dei valori della religione e della famiglia, sia nel fiero rifiuto
di pentirsi giunto al passo estremo, quando Don Juan non smentisce tutto il
suo modo di essere e per coerenza si consegna alla punizione. Resta semmai
da notare, in questa grande pièce già in bilico tra realismo e metafisica, come
almeno una delle donne gravitanti attorno a Don Giovanni, Elvira, la sposa
tradita e tuttavia di lui perdutamente innamorata, assurga a contraltare di
statura morale, inaugurando la galleria di figure femminili non solo oggetti di
concupiscenza fisica ma anche portatrici di un messaggio umano, alternativo
alla drastica contrapposizione tra sfera terrena e ultraterrena.

Prima del Don Giovanni di Mozart e Da Ponte, l'opera in musica non aveva
o"erto al tema grandi capolavori, neppure in presenza di letterati di vaglia,
come per esempio Carlo Goldoni, autore di un Don Giovanni Tenorio o sia Il
dissoluto (1736) da lui stesso giudicato poco riuscito. Il tema era rimasto per
così dire in apnea, in equilibrio incerto tra un'interpretazione marcatamente
comica, dove semmai a contare era l'e"ervescenza teatrale allo stato puro, e
una indirizzata verso la commedia moraleggiante a sfondo allegorico, con toni
edificanti. Tutti questi prodotti di sicuro successo popolare servivano però a
tenere desta la fiamma della leggenda, alimentandola ogni volta con le
inesauribili invenzioni della fantasia sbizzarrita. Sicché essi formarono il
terreno fertile sul quale fiorì l'operazione dapontiana, che mise le ali alla
musica di Mozart. Ne è riprova il già citato atto unico di Bertati e Gazzaniga, da
cui Da Ponte prese lo spunto per seguirne la prima e la seconda metà,
rispettivamente all'inizio e alla fine del suo libretto, e sviluppare liberamente la
trama, sfruttando motivi tradizionali e altri inventandoli di sana pianta, nella
seconda metà del primo atto e nella prima del secondo. Così facendo da un
lato si riallacciò a una tradizione consolidata, dall'altro la arricchì di un
significato nuovo, creando un'opera che nel momento stesso in cui si
agganciava a un genere se ne distaccava verso altre ambizioni e mete.

La prima di"erenza sta nel personaggio del protagonista. Il quale in Da Ponte e


Mozart non è più un libertino maturo in senso rinascimentale o illuminista,
bensì un vero e proprio seduttore: un "giovane cavaliere estremamente
licenzioso", come lo definisce l'indice, lanciato in continue avventure erotiche
(non necessariamente amorose e men che mai a"ettive) e conquistatore, per il
puro "piacer di porle in lista", di donne "d'ogni grado, d'ogni forma, d'ogni età".
Di questo Don Giovanni (che si potrebbe anche scrivere "dongiovanni" in
minuscolo e tra virgolette, proprio nel senso comune di tipo) noi non sappiamo
che cosa pensi, in che cosa creda, a che cosa aspiri: semplicemente lo vediamo
in azione, e sempre dominato da una incontrollabile pulsione sessuale. E' vero
che a un certo punto egli inneggia alla libertà ("E aperto a tutti quanti, / viva la
libertà!", finale primo), ma questa libertà va intesa come incitamento a una
festa nella quale, fatte salve le apparenze delle buone maniere, non vi sono
divieti né barriere sociali: tutti vi possono partecipare a loro piacimento, basta
che sia assicurata la cupidigia di "gonnelle" del padron di casa, al quale spetta
comunque la regia e la prima mossa.

All'inizio, spinto dalla sua audacia erotica, Don Giovanni penetra furtivamente
(è il suo costume preferito), di notte (è la sua ora), dopo aver studiatamente
organizzato la spedizione (difatti ha lasciato fuori Leporello a far da "palo":
così inizia l'opera, con l'aria della sentinella stufa di aspettare), in casa di
Donna Anna, per "possederla carnalmente" (ogni altro termine sarebbe
eufemismo). Respinto (ma qui le cose già si complicano: a missione compiuta o
prima? Donna Anna lo respinge prima di aver subito l'a"ondo vincente o dopo,
quando vuol sapere chi sia quello che l'ha attaccata e che non vuol farsi
riconoscere?), viene a"rontato dal padre di lei accorso allo strepito, il
Commendatore; e benché il duello con un vecchio quasi inerme sia
chiaramente impari, lo uccide (non basterebbe disarmarlo? O tutt'al più
ferirlo?). Certo, anche se Don Giovanni ancora non lo sa (mentre noi
ascoltatori, come vedremo, già lo sappiamo), quel gesto vile mette in moto il
corso del destino che gli si ritorcerà contro; ma tutto, fin dall'inizio,
contribuisce a definire un personaggio impulsivo e sfrenato, se non odioso,
come perfino il servo Leporello è costretto a riconoscere con sarcasmo: "Bravo:
due imprese leggiadre! Sforzar la figlia ed ammazzar il padre". E non è che
dopo le cose cambino. Con Donna Elvira egli si comporta con feroce crudeltà
(ripetutamente, fra l'altro: e senza apparenti giustificazioni); con la giovane
contadina Zerlina punta cinicamente al sodo, anche in presenza del suo
fidanzato Masetto ("ma passion predominante / è la giovin principiante "; e
allora "voi sapete quel che fa": è ancora Leporello a ricordarcelo); perfino con
Donna Anna, quando la incontra di nuovo dopo il misfatto, finge ipocritamente
interesse e comprensione, con suprema a"ettazione e arte del trasformismo
(ecco un altro tratto che lo contraddistingue: la natura camaleontica). E non è
ancor tutto. Benché nel finale del primo atto si sia sfiorata la catastrofe,
all'inizio del secondo lo troviamo di nuovo pronto all'azione, donnesca
s'intende. Per sedurre la cameriera di Donna Elvira (altro spregio alla donna che
l'ama), vuol presentarsi a lei con il vestito del servo e impone a Leporello lo
scambio di persona: ingiungendogli di distrarre intanto la stessa Elvira,
facendo le sue veci dopo averla illusa. l'impresa, nonostante l'avvio
promettente, non va a buon fine per l'improvviso arrivo di Masetto e del suo
seguito; circostanza che o"re a Don Giovanni la possibilità di convertire la sua
libidine in violenza e di sfogarla sul povero malcapitato, ancora una volta con
assoluta indi"erenza. Come rinfrancato, egli incontra poi una spasimante di
Leporello e, approfittando dell'inganno degli abiti, la seduce (termine che
implica sempre un'unica cosa: l'atto sessuale istantaneo) e, non contento di
ciò, racconta a Leporello il caso fortunato. Sarà però l'ultima volta che potrà
farlo.

A questo punto si situa infatti la peripezia del dramma, che avviene nella scena
del cimitero. Ma anche qui osserviamo attentamente la condotta di Don
Giovanni. Nessun presentimento o timore, nessuno scrupolo morale, ma
soltanto incredulità e fastidio, anzi divertimento e semmai sfida al terribile
monito scolpito nell'iscrizione: "Dell'empio che mi trasse al passo estremo qui
attendo la vendetta". Con totale noncuranza e sprezzo del pericolo, Don
Giovanni partecipa l'invito a cena alla statua del Commendatore, limitandosi
poi a giudicare la risposta a"ermativa, come tutta la scena, "bizzarra inver". Si
potrebbe arguire che la curiosità inesausta ch'egli mostra per le donne si
estende anche a ogni altra reazione di fronte all'ignoto. Solo nella scena finale
Don Giovanni assurge potentemente, quasi suo malgrado, a un rango quasi
eroico; non prima di aver però dichiarato per l'ennesima volta il suo unico e
vero credo filosofico tutto mondano: "Vivan le femmine, / viva il buon vino, /
sostegno e gloria / d'umanità! ". Pur irrigidendosi un poco all'evento
imperscrutabile dell'arrivo della statua del Commendatore, si dispone
immediatamente a far fronte all'inattesa situazione ("Leporello! Un'altra cena /
fa' che subito si porti") ed è oltremodo sorpreso che non di questo si tratti. Ma
anche qui: il suo diniego a pentirsi non è dettato dalla saldezza ideologica di
un intellettuale libertino ma dall'ostinazione di colui che non vuol piegarsi e
cedere, per orgoglio e superbia. La durezza dello scontro, con quei "No, Sì"
ossessivamente rimbalzati, è estrema, ma Don Giovanni non fa in tempo a
rendersi conto che le fiamme dell'inferno lo stanno inghiottendo:
semplicemente sprofonda con un "Ah!" che suona prima di tutto di meraviglia.

Per questo Don Giovanni non è un eroe dell'ideale, né uno spirito libero, bensì
un emblema. La frenesia che lo pervade - il demonismo dei sensi, o per citare
Kierkegaard la "genialità erotico-sensuale" che è tutt'uno con la musica, e con
la musica di Mozart in particolare - non gli consente di vedere le cose del
mondo con altra ottica, né di interessarsi a misure spirituali. Ma anche il
giudizio morale che alla fine sembra inchiodarlo alle sue responsabilità
("Questo è il fin di chi fa mal: / e de' perfidi la morte / alla vita è sempre
ugual") lo riguarda solo in parte, rappresentando invece il punto di vista di
coloro che sono stati testimoni delle sue "nere imprese" e che possono dirsi,
ma a cuore non leggero, "vendicati dal cielo". E la parte che semmai lo riguarda
è quella imperitura oltre la morte, che farà rinascere, se non opere simili, altri
uomini con il suo carattere; insieme con la consapevolezza che anche gli altri
personaggi apertamente avranno, al di là del "lieto fine", di essere esistiti
soltanto come creature del "mostro", e di non poter forse più esistere senza di
lui. Si spiega così come questa "scena ultima", che protrae oltre la catastrofe
l'eco incancellabile della tragedia, sia necessaria all'economia globale per
ragioni assai più profonde di quelle di una semplice convenzione di genere.
Essa è lo specchio post mortem dell'eroismo di Don Giovanni: sopravvivere alla
sua stessa punizione, così com'era vissuto senza temere punizioni. Una scelta
dunque tutt'altro che convenzionale, ma anzi audace e sofisticata, degna di un
grande psicologo. Se per qualche attimo Mozart pensò di sopprimere il
sestetto conclusivo, lo fece soltanto perché posto fuori strada dalle attese del
pubblico viennese, ritenendo, non a torto, che il finale tragico nudo e crudo
avrebbe sortito un e"etto più immediato e clamoroso. Ossia per ragioni
esattamente opposte a quelle che la "cultura", con i suoi sottili distinguo, ha
creduto per anni di sostenere in favore della sua espunzione. Infine si
ricredette, e lo risistemò al suo posto.
Resta comunque il mistero di un'opera il cui protagonista è un personaggio
"negativo", che da capo a fondo compie azioni che non soltanto appaiono ma
ci vengono anche presentate come riprovevoli, e al quale tuttavia la musica
conferisce un'aura irresistibile, come d'un "eroe positivo". Questa duplicità, o
forse addirittura molteplicità, si riflette anche nella problematica definizione
del genere al quale far appartenere l'opera. Don Giovanni non s'intitola così,
bensì Il dissoluto punito o sia il Don Giovanni, e u!cialmente è un "dramma
giocoso" in due atti, ossia un'opera bu"a. Da un punto di vista meramente
tecnico questa definizione indica l'appartenenza a un genere nel quale la
musica, accortamente sostenuta dal testo sia nelle arie sia nei pezzi d'insieme,
porta continuamente avanti l'azione, facendosi essa stessa azione, senza
arrestarsi in pose statuarie nelle espressioni liriche: seguendo quindi una
dinamica realistica e non epica, nel tono della commedia più che della
tragedia. Ma posto che il Don Giovanni sia, come in parte è, un'opera di
carattere bu"o, come intendere l'evidente salto di livello dell'apparizione
soprannaturale della statua e ciò che ne consegue, ovvero la dannazione
eterna di Don Giovanni? Si potrebbe rispondere che, giusta la prima parte del
titolo, l'assunto principale sia Il dissoluto punito e che tutta la sequenza degli
eventi che vedono il protagonista commettere azioni indegne agli occhi altrui
(ma non ai nostri di spettatori e ascoltatori) sia una esasperazione comica
tendente progressivamente al punto nel quale, colmato ogni limite, la giusta
punizione si abbatte specularmente su di lui. Questa sorta di caricatura degli
"eccessi sì enormi" di Don Giovanni non renderebbe però conto del "come" si
compia la catastrofe, ossia lo sconfinamento in un evento quanto mai "serio",
che istintivamente ci porta a stare più che mai dalla parte del "dissoluto
punito" e a riconoscergli appunto di conseguenza un rango eroico. La tesi che
ribalta questa prospettiva presenta falle ancora più evidenti. Prendere tutto sul
"serio" il comportamento di Don Giovanni nelle sue avventure erotiche (che
sono, non dimentichiamolo, la violenza su una nobile fidanzata con un nobile,
una reiterata crudeltà verso la donna che l'ama, la seduzione di una contadina
sprovveduta, oltre a numerose scappatelle con chi capiti a tiro) e vederne una
vittima innocente delle sue stesse inclinazioni significherebbe non solo
imbattersi negli ostacoli degli episodi comici ma anche dover render conto
della sprezzante violazione di un codice morale, stridente con la stessa
convenzione etica del genere serio.

Il paradosso di un'opera bu"a che sconfina nel tragico e di un tragico (anche


nell'accezione più moderna di ironia tragica) che continuamente assorbe e
rilancia gli elementi bu!, cessa di essere un paradosso qualora si accetti come
data non soltanto la coesistenza dei generi serio e comico ma anche la loro
fusione in un'entità superiore in dinamica trasformazione: come se i due
aspetti svelassero i volti di una medesima realtà, e l'uno fosse lo specchio
dell'altro, senza reciprocamente confondersi o annullarsi. Questa coesistenza
di livelli che ora diviene fusione, ora si mantiene distinta, è la vera natura
dell'opera e trova in essa molteplici rispondenze immanenti e trasversali. Se ne
potrebbero citare innumerevoli esempi, quasi a ogni numero. L'aria di
Leporello "Madamina, il catalogo è questo" è senza dubbio una pagina comica,
che contrasta singolarmente, già nell'epiteto iniziale riservato alla
interlocutrice, con la situazione di estrema drammaticità in cui si trova Donna
Elvira, abbandonata e disperata. Il sadismo con cui Leporello espone la lista
delle donne conquistate dal padrone (duemila e sessantacinque, se la lista è
esatta), di ognuna fornendo le caratteristiche, non distrugge però ma anzi
accentua questa drammaticità, ammantandola di una crudele ironia di tipo
appunto bu"o e tragico insieme. Il sublime incanto del duetto con Zerlina "Là
ci darem la mano" è finalizzato a un bieco tentativo di stupro (come poi si
apprenderà), ma ciò non toglie che l'estasi da esso creata innalzi davvero la
contadinotta a un olimpo a lei sconosciuto, e per un attimo la consegni a una
beatitudine immortale, del suo alone circonfondendo anche lo stesso Don
Giovanni. E ancora. Il bu"onesco tremare di Leporello nella scena finale della
statua non squilibra l'asse verso il farsesco, per quanto l'interprete possa
esagerare nella mimica, ma innalza ancor più la temperatura già incandescente
del momento tragico, facendocelo vedere contemporaneamente con occhi
diversi.

Tutti i personaggi si dispongono in questa dimensione trasversale, giungendo


però ad accostarsi e interagire. Le due figure nobili di Donna Anna e Don
Ottavio, retaggio, almeno nelle loro arie, del clima aulico dell'opera seria, sono
costruiti in antitesi a Don Giovanni. Isolate in un proprio mondo di a"etti e di
ideali gentili, sono depositari di squisiti sentimenti ma non certo di sensualità,
di vitalità, di risoluzioni energiche: difatti sono indecisi, trasognati,
teneramente appassionati sì, ma riservati e frenati da un concetto rigido del
dovere. Ferita dalle esperienze della vita è invece Donna Elvira, che non sa
darsi pace del tradimento di Don Giovanni e vaga senza identità tra amore,
volontà di vendetta, gelosia, desiderio di riscatto, illusione, supplica, da ultimo
rassegnandosi, dopo l'ennesimo insulto, a disperare della sua conversione e
della sua salvezza. Anch'ella proviene dai piedistalli dell'opera seria, ma con un
linguaggio reso dalle sue stesse esperienze più sfaccettato, più acuminato, più
incisivo nell'espressione di accenti capaci di guardare in faccia la sfinge e di
reggere coraggiosamente al fallimento.

Al mondo del genere bu"o appartengono invece Zerlina e Masetto, oltre


chiaramente a Leporello, la controfigura in piccolo di Don Giovanni. Sono
personaggi anch'essi in grado di sostenere forti oscillazioni dialettiche, nonché
accesi dal faro del protagonista. Zerlina ne è talmente investita da assorbire
all'istante da lui, per una specie di involontario transfert, le arti sottili della
seduzione, e usarle poi, aggiungendoci di suo la civetteria femminile, per
ammansire il furibondo Masetto. Il quale, a sua volta, subisce il fascino di quel
gentiluomo che non sarà mai in uno scontro impari, ma a suo modo fieramente
intrepido. Ancora più stretto, naturalmente, il legame con Leporello, dominato
da un rapporto conflittuale nel quale l'apparente critica continuamente cede
all'ammirazione, se non all'imitazione. Leporello perde del tutto quei tratti da
bu"one che ristagnavano nella tradizione del personaggio del servo rinfocolata
soprattutto dagli scenari della commedia dell'arte e diviene molti caratteri in
uno: spettatore e attore al tempo stesso di avvenimenti che lo coinvolgono suo
malgrado, ma nei quali finisce quasi per identificarsi. Se nei confronti del suo
padrone osa qualche volta ribellarsi, lo fa solo per riconoscere poi la sua
superiorità e uniformarsi al suo volere: provando una specie di ebbrezza
quando gli viene chiesto di assumerne l'identità. Si direbbe che nell'arte del
travestimento egli sia un allievo quanto mai ricettivo. Anche quando gli eventi
precipitano e vorrebbe tirarsene fuori, non può fare a meno di commentarli in
una sorta di stralunato a parte.

L'unico personaggio a ergersi di fronte a Don Giovanni con una sua inflessibile
fisionomia anche musicale è quello del Commendatore. Ma il Commendatore
non è, fatta eccezione per la breve scena iniziale, una figura umana in carne ed
ossa, bensì un simbolo: lo statuario messaggero d'una giustizia divina che si
abbatte sul protagonista con forza inappellabile.

Don Giovanni è condannato nell'istante stesso in cui uccide il Commendatore.


Ma benché il cerchio si stringa sempre più attorno a lui, predatore e preda al
tempo stesso, egli resiste fino in fondo, non riconoscendo la voce della
coscienza.

Se è dunque vero che, salvo il Commendatore, tutti gli altri personaggi sono
per così dire creati da Don Giovanni e si definiscono nel loro misurarsi con lui
(perfino musicalmente, assimilandone o contrastandone i diversi stilemi), è
altrettanto vero che ciascuno di essi è proiettato in una propria sfera, e in essa
vive di un riflesso di abbagliante autonomia. Ribaltando la prospettiva, si
potrebbe leggere tutta l'opera nelle reazioni chimiche prodotte dal contatto
con Don Giovanni e vederne gli e"etti nella loro progressiva espansione
temporale. All'inizio del primo atto, che si svolge con ritmo serrato
nell'oscurità della notte, è esposta la vicenda di Donna Anna (scene I-III),
culminante nel duetto del giuramento di vendetta di Donna Anna e Don
Ottavio. Segue poi la presentazione di Donna Elvira (scene IV-VI), ambientata al
sorgere del sole ("alba chiara" nella didascalia scenica) e disposta in una forma
simmetrica: aria di sortita Ah chi mi dice mai inframmezzata dagli interventi di
Don Giovanni e Leporello, aria del catalogo di Leporello, recitativo di Elvira
sola. Un cambiamento di scena (nel frattempo si è fatto giorno) ci introduce in
una nuova atmosfera, quella del mondo contadino di Zerlina, che ora diviene il
centro dell'intreccio (scene VII-IX): coro di contadini e contadine che suonano,
ballano e cantano, fulminea entrata in azione di Don Giovanni finalizzata a
restar solo con Zerlina e, quando ciò avviene, seduzione. A questo punto, con
l'irruzione di Donna Elvira, che come una furia "ferma con atti disperatissimi
Don Giovanni", le tre vicende fin qui tenute distinte si intersecano in un rapido
alternarsi di accelerazioni e distensioni (scene X-XIV). Tornano in scena Donna
Anna e Don Ottavio, prima per dar vita con Donna Elvira e Don Giovanni al
quartetto Non ti fidar, o misera, nel quale Don Giovanni viene smascherato, poi
per trarre dall'accaduto la rivelazione del suo misfatto (con la versione di parte
dell'"infame attentato" fornita da Donna Anna nel recitativo e aria Or sai chi
l'onore) e un nuovo giuramento di vendetta. Si può dire che un primo ciclo sia
terminato. Il giorno volge al termine. La nuova fase dell'azione (scene XV-XVI)
ha inizio alla luce del tramonto e si conclude in piena notte con il finale: Don
Giovanni torna padrone del segmento temporale che più gli si confà. E lui ora a
prendere in mano le fila dell'intreccio, non prima però di aver annunciato gli
eventi con l'aria Fin ch'han dal vino, nella quale per la prima volta il seduttore
balza in primo piano con un pezzo solistico, dopo esser stato a lungo vigile
sullo sfondo dell'azione. Quest'aria spumeggiante, oltre che espressione
d'intenti inequivocabili ("Ah la mia lista / doman mattina / d'una decina / devi
aumentar"), è anche una dichiarazione di poetica: l'eros si scatena nel puro
impulso vitalistico di una "gran festa" nella quale la danza sia non solo "senza
alcun ordine" ma anche aperta alle maschere, e dunque improntata allo spirito
carnevalesco del travestimento e alla più completa libertà. L'entrata delle
maschere, sotto le quali si celano Don Ottavio, Donna Anna e Donna Elvira
(scena XIX), crea un'atmosfera arcana, un brivido musicalmente sospeso su una
assorta astrazione lirica, forse già un presagio inquietante, del quale tuttavia
Don Giovanni non si cura.

Questo finale, nel quale per la prima volta tutti i personaggi sono riuniti in un
unico spazio scenico, richiede un discorso sé stante. Lo si potrebbe definire un
caos organizzato, che poco a poco monta ed esplode. E lecito presumere che
Da Ponte, ormai abbandonato del tutto il modello di Bertati predisponesse un
piano che solo la musica di Mozart avrebbe potuto realizzare (e lo sapeva per
esperienza: non siamo i fondo troppo distanti dai precipizi dei finali d'atto
delle Nozze di Figaro). Mozart tuttavia superò se stesso, creando un vortice
ininterrotto di sorprese e di colpi di scena. La riconciliazione tra Zerlina e
Masetto, che lo precede (scena XVI, Batti batti; o bel Masetto), serve a creare
una parentesi di apparente serenità, che verrà poi fagocitata dal ritmo
turbinoso della follia più completa. E' però, come si è detto, una follia
organizzata, quasi pianificata, che dal libretto trasmigra direttamente in
partitura. Tre orchestre sopra il Teatro (cioè in palcoscenico) attaccano una
dopo l'altra tre danze distinte, secondo il costume e le convenzioni del
Settecento. La prima, il Minuetto, è riservata a Don Ottavio, Donna Anna e
Donn Elvira mascherati e corrisponde al loro ceto aristocratico: è in 3/4 e viene
suonata da un'orchestra più ricca (2 oboi, 2 corni, violini I e II, viola e bassi). La
seconda (in 2/4, violini e bassi) è una contraddanza (danza originariamente
contadina) e viene ballata da Don Giovanni e Zerlina (Don Giovanni si abbassa
galantemente, pur di raggiungere il suo scopo, al livello della popolana). La
terza, un valzer in 3/8 assegnato sempre ai soli archi (Mozart lo definisce
"Teitsch": è il nome dialettale del Ländler, ossia del valzer campagnolo
tedesco), serve per la accorta diversione con la quale Leporello cerca di
distrarre Masetto, ballando con lui la villica danza. La poliritmia che si viene a
creare quando le tre danze risuonano insieme sortisce appunto l'e"etto di una
strana concitazione, tuttavia inquadrata in un preciso ordine sociale.
L'improvviso scoppio delle invocazioni di aiuto di Zerlina "di
dentro" (approfittando della confusione Don Giovanni è infatti riuscito ad
appartarsi con lei) trancia di netto questa atmosfera quasi surreale e riporta
bruscamente alla realtà con una violenta esplosione dell'intera orchestra, che
lascia a mezzo, come per aria, le danze. Non si potrebbe immaginare ora un
contrasto più drastico: la convulsione raggiunge l'acme quando Don Ottavio,
Donna Anna e Donna Elvira, soccorrendo Zerlina, si tolgono le maschere e
svelandosi accusano Don Giovanni. Il quale, con un ultimo colpo d'ala, riesce a
mettersi in salvo grazie a un espediente di cui è maestro, la fuga precipitosa e
repentina.

Non stupisce, anche se è stato stigmatizzato come una debolezza strutturale,


che dopo gli incroci di questo finale la prima parte del secondo atto sia
concepito come un diversivo burlesco che allenta la tensione del dramma in
attesa che esso raggiunga un nuovo culmine a partire dalla scena del cimitero:
al contrario, un intreccio che avesse puntato risolutamente verso l'esito finale
sarebbe stato un errore drammaturgico. Lo scatenato gioco di travestimenti, di
inganni, di casi sorprendenti che vi si dipana appartiene in tutto e per tutto
agli schemi tipici della commedia, ma serve anche ad allungare la serie dei
capricci e delle intemperanze di Don Giovanni, motivando così la peripezia.
L'idea portante dell'episodio iniziale (scena I) è lo scambio delle parti tra Don
Giovanni e Leporello, con il conseguente travestimento. Ne è vittima
inconsapevole Donna Elvira, verso cui il nodo dell'azione (dal terzetto Ah taci
ingiusto cuore) sembra convergere con speciale accanimento (scene II-III).
Intanto si è fatta notte un'altra volta. Don Giovanni intona la sua languida
serenata Deh vieni alla finestra, o mio tesoro, tutto preso dalla nuova
infatuazione per la cameriera di Donna Elvira. Ciò che segue è un incalzante
susseguirsi di mascherate, qui pro quo, stravaganze, tiri mancini e schermaglie
amorose (scene IV-IX), che sfociano nel grande sestetto aperto da Donna Elvira
("Sola sola in buio loco") e a cui partecipano, oltre a Leporello, Zerlina e
Masetto, anche Donna Anna e Don Ottavio "vestiti a lutto": richiamati sul posto,
giusto in tempo per essere inglobati nell'imbroglio, da una trepidazione
inconsolabile o forse da una premonizione. Questa pagina, che ha quasi lo
spessore di un finale d'atto, segna il punto di massima espansione
dell'intreccio in assenza di Don Giovanni, che tuttavia ne è quasi l'artefice
occulto: egli si riverbera come un'ombra invisibile sugli atti e perfino sui motivi
degli altri personaggi vaganti nell'oscurità. La cristallizzazione di questa scena
assai movimentata avviene nel recitativo e aria di Don Ottavio Il mio tesoro
intanto (scena X), pervasa di accenti eroici e cavallereschi un tantino compunti,
ma riscattata da un'idea melodica non meno che sublime nella sua astrazione.
La decisione di eliminare quest'aria nelle rappresentazioni viennesi e di
sostituirla con una serie di brani farseschi tra Zerlina e Leporello suona stonata
e del tutto pleonastica: essa fa precipitare il tono dall'alto della più nobile
compostezza al basso di una corda quasi triviale, che non trova riscontro in
nessun altro passo dell'opera. L'introduzione del recitativo e aria di Donna
Elvira Mi tradì quell'alma ingrata è invece anche psicologicamente e!cace: essa
permette al personaggio letteralmente massacrato nel suo amor proprio di
ritrovare il suo grado di umanità e la sua dignità.

Con la scena del cimitero (XI), di cui sappiamo anche l'esatta collocazione
oraria - poco prima delle due della notte -, entra in azione l'elemento
soprannaturale, sotto la forma del demoniaco luciferino: ed è del tutto ovvio
che l'ambientazione cambi rispetto a quanto finora accaduto. E' un
cambiamento improvviso, inopinato, prima di tutto di timbri e di atmosfere: la
lugubre voce sepolcrale scandisce le parole fatali "Di rider finirai pria
dell'aurora" accompagnata da due oboi, due clarinetti, due fagotti e tre
tromboni. E un po' come se una sequenza di immagini a colori vivaci si
mutasse repentinamente in un livido bianco e nero. La rigida fissità della
statua del Commendatore dà alla scena movenze spettrali, quasi bloccate in
una misteriosa attesa: per la prima volta la vitalità di Don Giovanni sembra
arrestarsi e tacere. Si percepisce in lui una dose di inso"erenza, di sorpresa
stupefatta mista a curiosità, quando a!da a Leporello il compito di comunicare
con il morto. L'invito a cena è una reazione quasi istintiva ("Parlate, se
potete..."), un modo per uscire da una situazione non solo bizzarra ma anche
grottesca.

L'atmosfera oppressiva si protrae nella "camera tetra" in cui Donna Anna e Don
Ottavio, ormai essi stessi quasi simulacri di morte, meditano ancora sulla
vendetta e sull'illusione del loro triste amore (scena XII): la grande aria di
Donna Anna Non mi dir, bell'idol mio, preceduta da un recitativo
accompagnato non meno che scultoreo, ha il sapore di un definitivo congedo
dalle speranze di questo mondo. Nient'a"atto esiziale per la costruzione
architettonica complessiva, essa ha la funzione di separare la scena del
cimitero dalla scena ultima non solo per motivi di banale verosimiglianza
drammatica (permettere a Don Giovanni di rincasare) ma anche per accrescere
l'attesa della inevitabile resa dei conti, incrementando la tensione con un
episodio apparentemente estraneo, se non straniante: curioso che molti
commentatori illustri, a cominciare da Hector Berlioz, l'abbiano giudicata
addirittura con indignazione. E siamo così all'epilogo (finale secondo, scena
XIII). Qui si pone subito un problema non secondario: in che rapporto di tempo
sta questa scena con quella del cimitero? L'invito a cena fatto alle due della
notte è per quella notte stessa, se Don Giovanni dovrà finir di ridere "pria
dell'aurora"? Il libretto non ce lo dice. Ma la risposta è semplice: con l'atto
sacrilego commesso da Don Giovanni il tempo, il suo tempo, si è fermato, e la
scena finale, che può essere anche vista come un'allucinazione, si svolge in un
tempo non più reale, ma mitico, il tempo eterno del giudizio universale. Nella
sala preparata per mangiare ("Già la mensa è preparata"), Don Giovanni crede
di vivere ancora nel presente (infatti i musici suonano alla sua tavola, per
allietare la sua ultima cena, tre estratti di opere contemporanee, la terza delle
quali è una citazione dell'ultimo successo di Mozart stesso), ma in realtà è già
catapultato, senza ch'egli lo sappia, in una dimensione sovratemporale, o
meglio atemporale. Ed è proprio questa proiezione a conferire alla scena, dopo
l'estremo, vano appello di Donna Elvira - "cangiar vita"! - un carattere insieme
irreale, eroico e mitico, avvolgendo il cavaliere in un'aura metafisica che lo
estranea dalla sua più propria facoltà: quella di bruciare il tempo senza farlo
mai arrestare.

Testo e musica sono eloquenti su questo punto. La parola chiave è scandita


come in una liturgia: "Parlo, ascolta, più tempo non ho" (il Commendatore);
"Tempo non ha, scusate" (Leporello); "Ah tempo più non v'è" (il
Commendatore). L'arresto del tempo equivale alla condanna di Don Giovanni.
Non solo. L'arrivo della statua del Commendatore, che giunge inatteso e a cui
tuttavia Don Giovanni reagisce prontamente ("Non l'avrei giammai creduto, ma
farò quel che potrò!"), blocca definitivamente il tempo ("Ferma un po"') e
segna, musicalmente, la disgregazione del linguaggio tonale, ossia del
linguaggio del presente di Don Giovanni, in una ruvida catena di accordi
dissonanti sorretta da un ritmo inesorabile, martellante di marcia: la celebre
sequenza di scrittura espressionista sulle parole "Non si pasce di cibo
mortale / chi si pasce di cibo celeste", nella quale si è soliti ravvisare il primo
esempio di serie dodecafonica della storia, sottrae a Don Giovanni ogni
possibilità sia di opposizione sia di fuga e lo inchioda alle sue colpe. Egli
tuttavia in un moto d'orgoglio risponde ("A torto di viltate / tacciato mai sarò")
e risolve: "Ho fermo il core in petto: / non ho timor, verrò!". Sembra quasi che
Don Giovanni, in quel turbinio di pensieri e di sentimenti che lo assalgono in
quel momento, vacilli e se ne vergogni, ma non sia disposto ad ammettere
neppure in punto di morte la propria scelleratezza. Scellerato, vile con le
donne? A Leporello, che una volta gli aveva fatto notare i suoi presunti inganni
(II, scena I), egli aveva replicato, senza ironia: "E' tutto amore. Chi a una sola è
fedele, verso l'altre è crudele; e io che in me sento sì esteso sentimento vo'
bene a tutte quante". Ma quelli in fondo erano a"ari suoi, se non della sua
coscienza. Vile per imposizione o per paura, però, giammai, men che mai nella
decisione suprema.

Le scorribande di Don Giovanni, disseminate in tante folli nottate della sua


carriera di libertino, trovano dunque compimento nella nottata più folle di tutte
(lucifugo pendant della folle journée delle Nozze di Figaro), quando
l'apparizione di un morto risorto gli toglie l'elemento di vita essenziale, il
tempo, e con esso il linguaggio della seduzione, altrettanto fondamentale per
il suo sentirsi un dominatore onnipotente ed eterno. Fuori di quegli egli, uomo
impastato di terra, estraneo alla voce dello spirito, cessa di esistere. E non v'è
altra eternità in cui credere, o che lo riguardi al di là della morte.

L'impressione di capolavoro perfetto che il Don Giovanni ci fa (secondo Goethe


nessun'altra opera in musica avrebbe mai più raggiunto l'altezza di questa)
riposa anzitutto sull'inventiva traboccante della musica, capace di tessere in
unità un sistema quanto mai complesso di tradizioni, stili, piani, ambivalenze,
ma è anche il risultato di una visione d'insieme e di un calcolo. In quest'opera
nella quale sembra che tutto possa accadere, che qualsiasi evento possa
entrare in gioco da un momento all'altro per smentire il precedente (da cui il
miracolo di una discontinuità che non distrugge però la continuità), si ricava la
sensazione che tutto sia già accaduto, stabilito per sempre. A dare questa
sensazione contribuisce sommamente l'Ouverture, che Mozart compose a
opera ultimata, secondo una leggenda addirittura solo nella notte precedente
la prima praghese (fosse quella notte, o all'antivigilia della prima esecuzione,
importa poco). Anziché assegnarle, com'era nella prassi comune dell'epoca e
come anche Mozart aveva fatto per esempio nelle Nozze di Figaro, una mera
funzione introduttiva, ossia di preparazione al clima generale dell'opera, egli
l'investì di un compito più specifico, quello di riassumere anticipatamente lo
svolgimento drammatico. Ma in che modo? Fissando distintamente e
invertendo i cardini di questo stesso svolgimento. Nell'opera esso si articola in
due fasi principali. La prima è interamente percorsa dallo scatenamento dello
slancio vitale virtualmente inarrestabile del protagonista, alieno a qualunque
forza e legge umana o divina che non sia quella dell'eros; la seconda è
caratterizzata dall'intervento di un'entità soprannaturale che, arrestando il
tempo, interrompe il corso delle avventure di Don Giovanni e ne demarca il
confine oltre il quale si a"accia l'abisso. Nell'Ouverture queste due fasi sono
non solo annunciate bensì a loro volta svolte, ma a termini, come si è detto,
invertiti: prima viene presentata la densa "tematica", costituzionalmente
statica, del Commendatore (Andante in re minore: imperiosi accordi a piena
orchestra sincopati nel forte, implacabile ritmo di marcia, fatidici inerpicamenti
cromatici degli archi ancora in sincope, fredde ottave di corni e trombe, gelide
sventagliate di scale ascendenti e discendenti), poi quella dinamica, spigliata di
Don Giovanni (Allegro molto in re maggiore: un tempo di sonata così
incisivamente profilato da rappresentare l'esaltazione sfrenata di Don Giovanni
nelle sue diverse manifestazioni: la sensualità demoniaca, l'energia nell'agire,
la leggerezza frizzante, la nobile natura cavalleresca). Non si tratta di semplici
allusioni ma di vere e proprie proposizioni. Se la ra!gurazione di Don
Giovanni già contiene gli incisi e i motivi tematici che concorrono idealmente
alla costituzione dei diversi personaggi scenici che nell'opera formeranno la
sua individualità, la musica dell'Andante iniziale ritorna con tutta la sua forza
rappresentativa nel finale, per accompagnare il terrificante ingresso della
statua del Commendatore nella sala da pranzo di Don Giovanni e dettarne gli
accenti perentori su ritmi ormai simbolicamente fatali. Ma ciò che qui ora
avviene scenicamente, là era già avvenuto in sintesi: ed è come se l'azione
venisse contemplata a posteriori, e ritornasse vivida nel ricordo per ribadire le
fasi del suo svolgimento. L'e"etto complessivo assomiglia alla di"erenza che
intercorre tra sogno e realtà: la visione intuitiva, istantanea, sommaria del
sogno (Ouverture) diviene, nella realtà concreta dell'azione, concatenazione
logica di eventi teatrali.

Luigi Dallapiccola, nel saggio Considerazioni in margine alla scena della statua
nel "Don Giovanni", ha osservato come il Commendatore, che rappresenta non
un semplice individuo ma lo spirito, la coscienza, cada ferito a morte "sullo
stesso accordo di settima diminuita" che riudiremo nell'istante in cui la statua
entra in scena nel finale. E precisa: "Da un punto di vista musicale [il
Commendatore] è il protagonista perché - apparendo nell'Introduzione e nel
Finale - fissa i punti sui quali potrà essere rizzato quel grande arco che è la
costruzione del Don Giovanni [...] Ciò che avviene nel grande arco sostenuto
dalle due colonne, cioè l'azione principale, è condizionato dalla invisibile
presenza del Commendatore". Si potrebbe anche rovesciare quest'osservazione
e notare come Don Giovanni permei talmente di sé l'azione, perfino di fronte
all'epifania dello spirito, da esserne non soltanto il protagonista, ma il
protagonista assoluto. Nella disputa ormai bisecolare sulle interpretazioni del
Don Giovanni, costellata di voci assai autorevoli, assistiamo a una continua
oscillazione di punti di vista anche opposti che cercano di venire a capo
dell'enigma di un'opera insieme limpida e sfuggente. Accettarne con animo
grato l'ambiguità è forse l'unico modo di scioglierne i nodi altrimenti
irresolubili. Come ha scritto Fedele d'Amico, "lo scontro non dà vincitori né
vinti: Don Giovanni viene veramente dannato, ma il suo fascino 'positivo'
rimane intatto: privilegiare la sua condanna rispetto alla sua apoteosi o
viceversa non è possibile, la musica di Mozart contempla dall'alto così
l'indeterminazione come la determinazione etica imparzialmente, nell'atto
stesso in cui, con pari lealtà, le fa vivere". Per questo ci gettiamo ogni volta con
immutata passione, fors'anche la milionesima, nella folle nottata del Don
Giovanni.

Segio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

1. Praga e Vienna.
Le origini di Don Giovanni risiedono nel travolgente trionfo che il pubblico di
Praga tributò, alla fine del 1786, a Le nozze di Figaro, l'opera su libretto di
Lorenzo Da Ponte che era andata in scena sette mesi prima, il 1° maggio 1786,
al Burgtheater di Vienna. Invitato a constatare di persona l'entusiasmo che la
sua partitura aveva destato, Mozart giunse a Praga l'11 gennaio 1787. Quattro
giorni più tardi poteva scrivere all'amico Gottfried von Jacquin: "[...] d'altro non
si parla se non di Figaro, altro non si suona, intona, canta e fischietta se non
Figaro. Non si assiste ad altra opera se non a Figaro e sempre Figaro. È certo
un grande onore per me". Praga, città di grandi tradizioni musicali, dotata di
un pubblico di gusti ra!nati e progressisti, garantì dunque al compositore un
successo autentico e duraturo; mentre a Vienna, città di gusti più conformisti e
"italianisti", Le nozze di Figaro avevano avuto una accoglienza buona ma non
univoca. Nella capitale dell'impero Mozart era considerato come un
compositore geniale sì, ma stravagante e complesso, di ostica comprensione.
Dal trionfo praghese ebbe origine dunque la commissione per una nuova
opera, destinata al medesimo Teatro Nazionale, diretto da Pasquale Bondini, e
alla medesima compagnia dell'impresario Domenico Guardasoni.

Sulla genesi del futuro Don Giovanni non abbiamo molte informazioni. È del
tutto ovvio che, riguardo alla scelta del librettista, Mozart si rivolgesse a
Lorenzo Da Ponte, che aveva redatto magistralmente il libretto delle Nozze di
Figaro e ricopriva a Vienna il posto di poeta imperiale. Allo stesso Da Ponte
dobbiamo una testimonianza diretta, conservata però nelle sue Memorie,
pubblicate a oltre trent'anni dai fatti. Vi si legge di come il poeta scrivesse
contemporaneamente tre libretti diversi, per i compositori Antonio Salieri,
Vicente Martin y Soler e appunto Mozart.
"Pensai se non fosse possibile di contentarli tutti e tre e di far tre opere a un
tratto. Salieri non mi domandava un dramma originale. Aveva scritto a Parigi la
musica all'opera del Tarar [...] e me ne domandava quindi una libe¬ra
traduzione. Mozzart e Martini lasciavano a me interamente la scelta [del
soggetto]. Scelsi per lui il Don Giovanni, soggetto che infinitamente gli
piacque, e L'arbore di Diana pel Martini [...]. Trovati questi tre soggetti, andai
dall'imperadore, gli esposi il mio pensiero e l'informai che mia intenzione era
di far queste tre opere contemporaneamente. - Non ci riuscirete! - mi rispose
egli. - Forse che no - replicai; - ma mi proverò. Scriverò la notte per Mozzart,
e farò conto di leggere l'Inferno di Dante. Scriverò la mattina per Martini, e mi
parrà di studiar il Petrarca. La sera per Salieri, e sarà il mio Tasso".

Autoelogiative e, in sostanza, poco utili sono le osservazioni di Da Ponte, da


prendersi con cautela. Nessuna notizia diretta della collaborazione fra
librettista e compositore. E nella corrispondenza di Mozart nessun accenno vi è
alla stesura della partitura, che si stima sia stata iniziata nel mese di marzo. Al
più tardi nel mese di agosto fu fissata la data della prima esecuzione, il 14
ottobre, per celebrare il passaggio a Praga dell'arciduchessa Maria Teresa,
destinata in sposa al principe Antonio Clemente di Sassonia.

A Praga Mozart arrivò il 4 ottobre, con una partitura ancora incompleta (era
consuetudine il rifinire l'opera a stretto contatto con gli interpreti); mancavano
almeno l'aria di Masetto (n. 6: "Ho capito, signor sì"), il duetto iniziale del
secondo atto (n. 14: "Eh via bu"one") e l'intero Finale del secondo atto; nonché
l'ouverture, che una testimonianza riconducibile alla vedova del compositore
a"erma essere stata scritta appena due notti prima della rappresentazione.
Anche Da Ponte - subito dopo la prima dell'Arbore di Diana di Martin y Soler -
si recò a Praga, giungendovi il 7 ottobre, ma dovette far ritorno a Vienna senza
aver assistito all'opera, richiamato dall'imperatore per curare il debutto
dell'opera di Salieri, Axur, Re d'Ormus. Possiamo immaginare, secondo l'uso
del tempo, un breve e serratissimo periodo di prove nel quale Mozart fu
impegnato ad insegnare una partitura nuova e di!cilissima alla compagnia di
canto. Così, il 15 ottobre Mozart poteva scrivere a von Jacquin:
"Probabilmente lei crederà che a quest'ora la mia opera sia già stata
rappresentata, e invece sbaglia, sia pur di poco. In primo luogo il Personale
teatrale di qui non è abile come quello di Vienna, al punto da imparare in così
poco tempo un'opera del genere. In secondo luogo, al mio arrivo ho verificato
che le disposizioni e i preparativi erano a uno stadio così poco avanzato che
sarebbe stato assolutamente impossibile rappresentarla il 14, cioè ieri. Ieri
dunque, con tutto il teatro illuminato, è stato rappresentato il mio Figaro, che
ho diretto io stesso". '

Dunque l'arciduchessa dovette rinunciare alla nuova opera, e contentarsi di


una ripresa delle Nozze di Figaro; fissata per il 24, la prima subì un ulteriore
rinvio per la malattia di una cantante. Finalmente, il 29 l'opera andò in scena,
"accolta con il più vivo entusiasmo", come scrisse Mozart a von Jacquin. La
Oberpostamszeitung di Praga del 3 novembre riferì dell'esito: "Intenditori e
musicisti a"ermano che a Praga non si è mai sentito niente di simile. Herr
Mozard [sic] in persona ha diretto: quando fece il suo ingresso nell'orchestra fu
salutato con una triplice acclamazione, e lo stesso accadde quando la lasciò.
Per di più l'opera è estremamente di!cile da eseguire e tutti ammirarono la
buona esecuzione che ne è stata fatta nonostante la di!coltà e dopo un
periodo di studio così breve. Sul palcoscenico e in orchestra, tutti hanno fatto
il massimo sforzo per ringraziare Mozard, ricompensandolo con una buona
esecuzione. [...] Il pubblico insolitamente numeroso dimostra la unanime
approvazione". Secondo Franz Niemetschek - musicografo boemo, autore, nel
1798, di una importante Vita di Mozart - "Quando, per la prima
rappresentazione, Mozart apparve in orchestra, dove suonava la parte del
clavicembalo, il teatro pieno da scoppiare l'accolse con un tuono di applausi";
testimonianze, queste, eloquenti del particolare legame fra il compositore e la
città, dove Don Giovanni rimase stabilmente in repertorio per i decenni
successivi.

Ben diversa la sorte che attendeva l'opera di Mozart a Vienna. Significative a


questo proposito, anche se in parte fuorvianti, le parole di Da Ponte:
"Io non avea veduto a Praga la rappresentazione del Don Giovanni; ma Mozzart
m'informò subito del suo incontro maraviglioso, e Guardassoni mi scrisse
queste parole: 'Evviva Da Ponte, evviva Mozzart. Tutti gli impresari, tutti i
virtuosi devono benedirli. Finché essi vivranno, non si saprà mai che sia
miseria teatrale'. L'imperadore mi fece chiamare e [...] mi disse che bramava
molto di vedere il Don Giovanni. Mozzart tornò, diede subito lo spartito al
copista, che si a"rettò a cavare le parti, perché Giuseppe doveva partire. Andò
in scena, e... deggio dirlo? il Don Giovanni non piacque! Tutti, salvo Mozzart,
credettero che vi mancasse qualche cosa. Vi si fecero delle aggiunte, vi si
cangiarono delle arie, si espose di nuovo sulle scene; e il Don Giovanni non
piacque. E che ne disse l'imperadore? - L'opera è divina; è forse forse più bella
del Figaro, ma non è cibo pei denti de' miei viennesi -. Raccontai la cosa a
Mozzart, il quale rispose senza turbarsi: - Lasciam loro tempo da masticarlo -.
Non s'ingannò. Procurai, per suo avviso, che l'opera si ripetesse sovente; ad
ogni rappresentazione l'applauso cresceva, e a poco a poco anche i signori
viennesi da' mali denti ne gustaron il sapore e ne intesero la bellezza, e posero
il Don Giovanni tra le più belle opere che su alcun teatro drammatico si
rappresentassero".

In realtà a Vienna Don Giovanni, andato in scena non immediatamente, ma il 7


maggio 1788, ebbe in tutto appena quindici recite, l'ultima delle quali il 15
dicembre; tutte le fonti sono concordi sulla sostanziale freddezza
dell'accoglienza. E questo nonostante la presenza di una compagnia di canto di
sicuro rilievo, nella quale, accanto a cantanti italiani, agivano anche due star
tedesche come Caterina Cavalieri (in realtà Franziska Kavalier) e Aloysia Lange.
Le scarne testimonianze dei contemporanei ("M.me de la Lippe trouve la
musique savante, peu propre au chant"; "La Musique de Mozard est bien trop
di!cile pour le chant", scrivono spettatori dell'epoca) suggeriscono che la
ricchezza dell'orchestra mozartiana risultasse sgradita ai viennesi, che
prediligevano, secondo le tendenze italianiste, il predominio della vocalità.
Fatto sta che proprio con l'insuccesso del Don Giovanni doveva cominciare la
parabola discendente delle fortune del compositore nella capitale.

La testimonianza di Da Ponte introduce ad un'altra questione, quella delle


modifiche apportate da compositore e librettista all'opera per le
rappresentazioni viennesi (prima delle recite, comunque, e non nel corso di
esse, come vorrebbe Da Ponte). Quella di adattare l'opera alle esigenze della
nuova compagnia di canto era una prassi del tutto comune, e si comprende
come Mozart ritenesse di dover gratificare con una pagina adeguata una
virtuosa come la Cavalieri, e, forse, di dover semplificare i compiti del tenore
Francesco Morella. Tuttavia Mozart e Da Ponte intervennero con modifiche più
incisive e tali da influire sulla drammaturgia, relative a una complessiva
ristrutturazione delle scene successive al grande Sestetto del secondo atto (n.
19, "Sola sola in buio loco"). Queste modifiche possono essere riassunte in tre
punti:
1) L'aria di Don Ottavio (n. 21, "Il mio tesoro intanto"), probabilmente sgradita
al tenore Morella per le di!cili colorature, fu soppressa. Il cantante fu
compensato con una nuova aria, (n. 10a, "Dalla sua pace"), collocata però in un
altro punto dell'opera (al termine del recitativo "Come mai creder deggio", atto
I, scena XIV).
2) L'aria di Leporello (n. 20, "Ah pietà signori miei") fu soppressa e sostituita
con un breve recitativo. Di seguito - poche battute di recitativo più oltre - gli
autori inventarono una nuova scena bu"a, un duetto fra Leporello e Zerlina, (n.
21a, "Per queste tue manine"), incorniciato fra due nuovi recitativi.
3) Di seguito al duetto Leporello-Zerlina gli autori aggiunsero una grande
scena e aria per Donna Elvira (n. 21b, "In quali eccessi, o Numi - Mi tradì
quell'alma ingrata"), una pagina drammatica pensata su misura per la
disinvolta coloratura di Caterina Cavalieri.

Su una quarta modifica, attestata da fonti autorevoli, sono stati avanzati molti
dubbi. Secondo il libretto stampato per le rappresentazioni viennesi la "Scena
Ultima" dell'opera fu soppressa, e l'opera venne fatta terminare alla morte di
Don Giovanni con la seguente didascalia: "il foco cresce D. Gio. si profonda; nel
momento stesso escon tutti gli altri; guardano, metton un alto grido, fuggono,
e cala il sipario". Questo nuovo finale sembra confermato dall'aggiunta,
sull'autografo, di un accordo di re maggiore sull'esclamazione "Ah!", a!dato a
tutti i personaggi in coincidenza del "grido" di Leporello (sembra oggi
tramontata l'ipotesi di uno studioso che l'aggiunta dell'accordo non sia di
mano di Mozart). Ma questo accordo risulta poi cancellato sull'autografo.
Mozart potrebbe aver reintegrato la "Scena Ultima" (o parte di essa, senza il
duettino Anna-Ottavio) nel corso delle repliche. Purtuttavia non è possibile,
allo stato attuale delle conoscenze, giungere a conclusioni definitive su questo
punto.

2. Un'opera di consumo.

Ci si è so"ermati tanto a lungo sulla storia delle due versioni del Don Giovanni
e sulle loro di"erenze, perché esiste, per il pubblico moderno, la di!coltà di
accostarsi al capolavoro di Mozart prescindendo dalle molteplici e talvolta
fuorvianti interpretazioni che si sono stratificate sull'opera dalla fine del XVIII
secolo fin quasi ai nostri giorni. Come tutti i capolavori, anche Don Giovanni
doveva occupare un ruolo sempre di primissimo piano nella storia della
cultura, e tuttavia non sempre identico a sé stesso, ma anzi in continua
trasformazione. Nel passare dei decenni e dei secoli l'opera è stata riletta
secondo prospettive di"erenti, che guardavano con disagio a tutti quegli
aspetti che più saldavano la partitura alla cultura del suo tempo; il risultato è
stato quello di una eccezionale profondità interpretativa, ma anche di una
lunga serie di equivoci e fraintendimenti.

A questo proposito basterà osservare - senza addentrarsi in questa sede nella


complessa disamina della "ricezione" dell'opera - come le interpretazioni
letterarie e filosofiche che vedevano nel protagonista una delle incarnazioni del
demoniaco romantico trovarono una puntuale corrispondenza nella prassi
esecutiva che, per tutto l'Ottocento, fece terminare l'opera con lo
sprofondamento del malvagio, ignorando la Scena Ultima, che pure
probabilmente venne eseguita a Vienna, e che risulta essenziale per l'equilibrio
dell'opera. I personaggi di Anna e Ottavio, legati più di tutti gli altri al mondo
di valori dell'opera seria metastasiana, furono sostanzialmente incompresi,
nella loro fisionomia drammatica come nel loro linguaggio musicale -
basterebbe pensare agli strali lanciati da Berlioz contro i vocalizzi della
seconda aria di Anna. Si aggiungano gli innumerevoli altri arbitrii compiuti sul
testo nel corso del tempo. Così, nel corso del Novecento, si è
progressivamente imposta una partitura che consiste in un ibrido fra le due
versioni lasciateci dall'autore, ibrido che inserisce sulla versione di Praga le arie
di Ottavio ed Elvira aggiunte per Vienna.

Ancora oggi - in tempi di filologia imperante - esiste una sostanziale di!coltà


a guardare a Don Giovanni prescindendo dall'eredità di questa storia esecutiva.
Ne è indiretta conferma la normale adozione, da parte dei teatri moderni, della
versione ibrida novecentesca, e l'esitazione a scegliere, per l'esecuzione, una
delle due versioni approntate dal compositore; rifiuto in parte anche
comprensibile, spiegabile con la necessità, in caso di scelta dell'una o
dell'altra, di rinunciare ad alcuni brani dell'opera ben noti e graditi al pubblico
("Dalla sua pace" e "Mi tradì quell'alma ingrata", qualora si preferisca la
versione praghese; "Il mio tesoro intanto", qualora si preferisca la versione
viennese). Il risultato è quello di un modello drammaturgico a cui Mozart non
aveva mai pensato. Unico numero musicale, fra quelli scritti da Mozart, a
rimanere escluso dalle scene moderne, è il duetto Leporello-Zerlina aggiunto a
Vienna, giudicato in genere come esteticamente non all'altezza del rimanente
dell'opera. Ma forse - si vuole qui suggerire - il motivo di tale esclusione deve
piuttosto essere ricercato assai più che nella qualità della musica - di fattura
finissima - nella situazione apertamente farsesca del duetto (il fuggiasco
Leporello viene raggiunto da Zerlina e legato a una sedia), che contrasta
nettamente con le premonizioni romantiche sviscerate da una cospicua
letteratura.
È opportuno compiere dunque una sorta di "ritorno alle origini", per cercare di
comprendere quali fossero le intenzioni degli autori nel definire la partitura, e
quale sia il rapporto di questa con la cultura e la pratica teatrale del suo
tempo. Niente di meglio, in questa prospettiva, che sottolineare come Don
Giovanni nasca come opera di consumo, pensata cioè non per i posteri, ma per
una determinata situazione, per un determinato pubblico. In questo Don
Giovanni non si discosta beninteso dalla prassi del suo tempo, che voleva
un'opera adeguata o rielaborata per i cantanti che la eseguivano. Così, tutte le
parti vocali furono "cucite" su misura per la compagnia di canto dell'impresario
Bondini, compagnia che Mozart ben conosceva per averla vista alla prova nelle
Nozze di Figaro nel corso del suo primo viaggio praghese; e in particolare il
fisico prestante, l'età giovanile (21 anni) e il timbro baritonale di Luigi Bassi
furono certamente tenuti presenti nel delineare il carattere del protagonista.
Per scrivere l'aria di Masetto, destinata a un cantante che era una nuova
acquisizione della compagnia, Giuseppe Lolli, Mozart attese di essere arrivato
a Praga, in modo da saggiare le caratteristiche vocali del nuovo arrivato. E due
delle modifiche della versione viennese consistono appunto nell'aggiunta di
arie pensate su misura per i nuovi cantanti.

Ma, se procedure di questo tipo erano del tutto consuete, anzi scontate, nel
mondo teatrale dell'epoca, un legame ancora più profondo si stabilisce fra la
partitura e la specifica occasione per cui essa fu concepita. È noto come nel
Finale del secondo atto - scritto, come si è visto, in loco, nei giorni precedenti
la prima - Mozart abbia fatto intonare al piccolo complesso di strumenti a fiato
che rallegra la cena di Don Giovanni, melodie tratte da opere allora celeberrime
e ben presenti al pubblico del teatro praghese. Le melodie vengono annunciate
dal servo Leporello con parole che non si trovano nel libretto a stampa, ma
nella sola partitura, e che sono fuori dalla metrica di versi ottonari pensata da
Da Ponte (dunque probabilmente sono state aggiunte dallo stesso Mozart).
"Bravi! Cosa rara", dice Leporello, riferendosi a Una cosa rara, o sia Bellezza ed
onestà di Martin y Soler (Vienna 1786); poi "Evvivano i litiganti!", e si tratta de I
pretendenti delusi o I due litiganti di Giuseppe Sarti (Venezia 1782); infine
"Questa poi la conosco pur troppo!", e possiamo immaginare come la
autocitazione di "Non più andrai farfallone amoroso" - intonata da Felice
Ponziani, Leporello ma già interprete di Figaro - abbia deliziato il pubblico di
una città dove, come aveva scritto Mozart a von Jacquin, "altro non si suona,
intona, canta e fischietta se non Figaro".

Meno noto è che scherzose allusioni a membri della compagnia di Bondini si


trovano già nel libretto; "Ah che piatto saporito!" canta Don Giovanni, e il
riferimento è a Teresa Saporiti, la prima Donn'Anna, o a Caterina Bondini
Saporiti, la prima Zerlina. E più oltre Leporello: "Sì è eccellente il vostro cuoco/
Che lo volli anch'io provar", e in questo caso l'ammiccamento è al secondo
maestro al cembalo Cucak, che in boemo significa appunto "cuoco". Allusioni
perdute per sempre. E, d'altra parte, non deve essere di!cile immaginare che
l'aggiunta, a Vienna, del duetto Leporello-Zerlina fu immaginata per
compiacere i gusti meno ra!nati e più indulgenti alla farsa del pubblico
viennese.

3. La sfida all'ordine costituito.

Dunque Don Giovanni come opera di consumo, pensata per una occasione
unica e irripetibile. A questo aspetto, tuttavia, se ne a!anca un altro, in
apparenza contrastante, in realtà complementare; quello dell'opera di altissima
complessità concettuale, tale da giustificare la straordinaria pluralità di letture
che ne sono state o"erte.

Il soggetto stesso dell'opera era di ambizioni potenzialmente altissime. Sarà


appena il caso di ricordare come il mito del libertino che schernisce le spoglie
o il sepolcro di una sua vittima, con un invito a cena, al quale la vittima stessa
aderisce, trascinando il libertino all'inferno, era partito all'inizio del XVII secolo
con la commedia dell'arte e Tirso Da Molina per di"ondersi in innumerevoli
versioni fino al teatro d'opera del tardo Settecento. E tuttavia questo percorso
aveva implicato sovente anche una sorta di semplificazione dei contenuti
originari del mito, in cui il libertinaggio morale del protagonista, cioè
l'insaziabilità erotica, era in realtà la traduzione in atti del libertinaggio
filosofico, cioè l'autodeterminazione, il rifiuto di leggi a cui obbedire.

Reduci da un testo, come Le nozze dì Figaro, che attraverso i ritmi della


commedia metteva in scena in realtà un conflitto sociale, Mozart e Da Ponte
guardarono probabilmente a Don Giovanni come a un soggetto che, proprio
per la sovrapposizione di libertinaggio morale e filosofico, consentiva di
trattare nuovamente il tema del conflitto fra l'individuo e le regole
dell'organizzazione sociale. Tutto questo, beninteso, non rimane a livello di
pura intenzione, ma si traduce in precisi termini drammaturgici e musicali,
attraverso una pluralità di registri stilistici.

Proprio questa pluralità di stili ha provocato un notevole sconcerto nel


pubblico dei teatri come nella storiografia musicale. Basterà pensare a uno
degli argomenti centrali del dibattito interpretativo sull'opera, se si tratti di una
tragedia o di un'opera comica; la stessa definizione di "dramma giocoso"
apposta sul libretto è stata fantasiosamente interpretata per sottolineare la
natura drammatica del contenuto; laddove, invece, il termine "dramma" era
usato anche per definire opere apertamente comiche, e indicava
semplicemente che si trattava di un lavoro teatrale. Ci si trova di fronte
insomma a un cosiddetto "falso problema", estraneo alla logica degli autori,
logica che ammetteva, all'interno del genere dell'opera bu"a, la compresenza
dei diversi registri stilistici senza che per questo il contenuto fosse
unitariamente comico.

Occorre dunque richiamarsi al fatto che i personaggi dell'opera, che assumono


spesso una fisionomia umana così vicina alla sensibilità del pubblico moderno,
pur tuttavia si richiamano a delle precise "tipologie", che è opportuno tentare
di individuare per intendere il mondo di valori a cui l'opera stessa si riferisce.
C'è, in queste tipologie, un rapporto stretto fra lo status sociale del
personaggio e il registro stilistico nel quale il personaggio si esprime.

I personaggi "nobili", innanzitutto. Donn'Anna e Don Ottavio sono stati spesso


giudicati come i personaggi meno "vivi" dell'opera. In realtà essi vivono
interamente nel mondo dell'opera seria metastasiana, che implica una sfera di
alti valori etici; essi sono i custodi di tali valori, tradotti musicalmente in arie
fortemente statiche, che creano oasi contemplative nell'incalzare dell'azione, e
nelle quali la coloratura propria dei "virtuosi" dell'opera seria compie larghe
incursioni. Il Commendatore è più che nobile, poiché canta anche da morto e
rappresenta la mano della giustizia divina. Così il suo canto ieratico, per grandi
intervalli, è ispirato a certe parti sacerdotali delle opere di Gluck,
accompagnate dal timbro peculiare degli ottoni gravi.

Più complesso il personaggio di Elvira, per intendere il quale occorre


accantonare la grande aria tragica "Mi tradì quell'alma ingrata", che, al di là
della sua mirabile qualità musicale, fu aggiunta in un secondo momento come
concessione a una cantante, e di fatto si allontana dall'impostazione prevalente
del personaggio. Attraverso Elvira il mondo di valori dell'opera seria è stato
defiorato; non a caso la fanciulla sedotta si esprime sì in versi metastasiani, ma
in toni esasperati ("Ah! se ritrovo l'empio,/E a me non torna ancor,/Vo' farne
orrendo scempio/Gli vo' cavar il cor"), che suonano parodistici, e quasi tutte le
sue apparizioni - dal suo primo ingresso fino alla irruzione all'ultima cena del
libertino - sono commentate a parte o derise da Don Giovanni e Leporello,
quando non suonano apertamente comiche, come nello scambio di abiti e ruoli
fra padrone e servo all'inizio del secondo atto. Parodistica dovette sembrare, al
pubblico dell'epoca, anche la mini-aria händeliana "Ah, fuggi il traditor", con il
suo stile "antico", fatto di imitazioni e ritmi puntati "alla francese". Elvira è
inoltre l'unica, fra i personaggi di ceto alto - nel suo caso probabilmente
borghese più che nobiliare - ad avere frequenti e numerosi contatti con i
personaggi di ceto inferiore. Insomma un ruolo che, più che di grande eroina
tragica - come spesso pure si è ritenuto - è invece tragicomico.

I personaggi "plebei", Zerlina, Masetto, Leporello. A loro è ignoto il registro


stilistico dell'opera seria, ma questo non vuol dire che siano tutti e tre
appiattiti su quello dell'opera bu"a. Zerlina, infatti, non è a"atto un
personaggio bu"o, quanto un personaggio che si richiama a stilemi del "terzo
genere", il genere semiserio, la cui grande di"usione risale ai decenni a cavallo
fra vecchio e nuovo secolo. Caratterizza il genere semiserio il tentativo di un
"potente" di forzare una indifesa fanciulla di ceto inferiore, la quale si esprime
musicalmente attraverso stilemi "patetici". E sono questi infatti quelli impiegati
da Zerlina, che del resto non viene mai coinvolta in situazioni apertamente
"bu"e" - eccetto che nel duetto con Leporello aggiunto per Vienna. Solo a
Masetto e Leporello, dunque, appartiene il registro comico, espressione non
solo di "comicità", ma anche di uno stato sociale.

Che il delineare le gerarchie sociali, l'ordine costituito, fosse una delle


principali preoccupazioni dell'autore appare evidente da uno dei momenti più
celebri dell'opera, il finale del primo atto, laddove Mozart mette in scena tre
orchestre, che suonano contemporaneamente tre diverse danze, per "allietare"
la festa in casa di Don Giovanni. Dal punto di vista tecnico-musicale la
soprapposizione di tre diverse danze, ciascuna con un proprio tempo,
rappresenta un risultato avveniristico, senza paragoni, da ammirare in sé e per
sé. Ma l'ambizione dell'esperimento non si ferma al livello tecnico-musicale, e
allude invece proprio alle gerarchie sociali; ciascuna delle danze viene ballata
infatti solamente da alcuni dei personaggi in scena. La prima danza è un
minuetto, danza tipica delle corti settecentesche ed esclusiva dei ceti alti; e
non a caso viene ballata da Anna, Elvira e Ottavio. La seconda danza è una
"contradanza", ossia una country dance, la danza che, nella liberale Inghilterra,
signori e contadini a"rontavano contemporaneamente; e infatti a danzare la
"contradanza" sono insieme Zerlina e Don Giovanni. La terza danza, infine, è
una "teitsch", o danza "alla tedesca", riservata ai ceti bassi; e qui a ballare
insieme sono Masetto e Leporello. Come dire che questa scena del ballo
rappresenta una sorta di fotografia musicale e scenica dei ruoli sociali dei
personaggi.

In cosa consiste dunque la violazione dell'ordine costituito da parte di Don


Giovanni? O, per meglio dire, come si traduce in termini musicali tale
violazione? La caratteristica del protagonista è appunto quella di non aderire
ad un unico e preciso stilema, bensì di essere attratto di volta in volta nella
sfera stilistica del personaggio che gli si trova di fronte. Così egli si mantiene
su un registro "alto" di fronte ad Anna e Ottavio, sfrutta un linguaggio
insinuante e "patetico" per sedurre Zerlina, si concede allo stile bu"o nello
schernire il suo servo, come per deridere Elvira, adotta un fraseggio ieratico di
fronte al Commendatore, vivo o morto.

Dopo il suo sprofondamento negli abissi, ad opera della giustizia divina,


giungono tutti gli altri personaggi per dar corso alla giustizia terrena; o meglio
per ribadire quell'ordine che il dissoluto aveva violato. Così Anna e Ottavio
tornano a esprimersi in una forma chiusa con dei vocalizzi, gli altri,
nell'esprimere le proprie intenzioni per l'immediato futuro, ribadiscono il loro
ruolo sociale (Elvira in convento, Masetto e Zerlina a cena con gli amici
contadini, Leporello a cercarsi un nuovo padrone). Era, quella di una conclusiva
ricomposizione dell'equilibrio iniziale già turbato da elementi e personaggi
negativi, una soluzione che rientrava in pieno nel modello del teatro
illuministico, e a cui si sposava perfettamente l'intonazione di una morale
conclusiva: "Questo è il fin di chi fa mal".

E tuttavia, è veramente moralistica la conclusione dell'opera, ed è credibile in


essa la ricomposizione illuministica? O non è piuttosto vera funzione della
"Scena Ultima" quella di sollevare il vuoto lasciato dal libertino e il suo
rimpianto? Lo sviluppo del genere dell'opera bu"a dopo Don Giovanni, in una
direzione che rendeva amara e illusoria la logica della riconciliazione, getta
un'ombra retrospettiva dubbia e inquietante anche sul capolavoro di Mozart.
Non si vuole qui o"rire una soluzione a questo quesito, se non avanzando una
osservazione di carattere musicale e drammaturgico. Quale che sia
l'interpretazione che si voglia dare di questa "Scena ultima" - se di riequilibrio,
o, come alcuni sostengono, di scompenso, di sconvolgimento, per la
scomparsa del protagonista - essa risulta comunque essenziale ed
imprescindibile nell'economia dell'opera. E, d'altra parte, i dubbi e le
divergenze interpretative sono impliciti in quei capolavori che, come il Don
Giovanni di Mozart e Da Ponte, a causa della loro complessità concettuale,
trascendono l'originaria destinazione di consumo e si o"rono dialetticamente
ai posteri rivelandosi di volta in volta secondo prospettive inedite e inesplorate.

Arrigo Quattrocchi

Struttura musicale

Ouverture - Andante (re minore). Allegro (re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2


clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto I:
Scena I:

Notte e giorno faticar - Introduzione (Donna Anna, Don Giovanni,


Commendatore, Leporello) - Molto Allegro (fa maggiore). Andante - 2 flauti, 2
oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena II:

Leporello, ove sei? - Recitativo (Don Giovanni, Leporello) - continuo

Scena III:
Ah del padre in periglio - Recitativo (Donna Anna, Don Ottavio) - continuo

a. Ma qual mai s'o"re - Recitativo (Donna Anna, Don Ottavio) - Allegro


assai. Maestoso. Andante
2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi

b. Fuggi, crudele - Duetto (Donna Anna, Don Ottavio) - Allegro (re minore).
Recitativo. Maestoso.
Adagio in tempo. Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IV:

Orsù, spicciati presto - Recitativo (Don Giovanni, Leporello) - continuo

Scena V:

Ah! chi mi dice mai - Aria (Donna Elvira, Don Giovanni, Leporello) - Allegro
(mi bemolle maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Stelle, che vedo! - Recitativo (Don Giovanni, Leporello, Donna Elvira) -


continuo

Madamina, il catalogo è questo - Aria (Leporello) - Allegro (re maggiore).


Andante con moto - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VI:

In questa forma dunque - Recitativo (Donna Elvira) - continuo

Scena VII:

Giovinette che fate all'amore - Coro (Zerlina, Masetto, Coro) - Allegro (sol
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VIII:

Manco male è partita - Recitativo (Don Giovanni, Leporello, Zerlina, Masetto)


- continuo

Ho capito, Signorsì - Aria (Masetto) - Allegro di molto (fa maggiore) - 2


flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IX:
Alfin siam liberati - Recitativo (Don Giovanni, Zerlina) - continuo

Là ci darem la mano - Duetto (Zerlina, Don Giovanni) - Andante (la


maggiore) - flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena X:

Fermati scellerato - Recitativo (Donna Elvira, Zerlina, Don Giovanni) -


continuo

Ah, fuggì il traditor - Aria (Donna Elvira) - Allegro (re maggiore) - archi

Scena XI:

Mi par ch'oggi il demonio - Recitativo (Don Giovanni, Don Ottavio, Donna


Anna) - continuo

Scena XII:

Ah ti ritrovo ancor - Recitativo (Donna Anna) - continuo

Non ti fidar, o misera - Quartetto (Donna Anna, Donna Elvira, Don Ottavio,
Don Giovanni) - Andante (si bemolle maggiore) - flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti,
2 corni, archi

Povera sventurata - Recitativo (Don Giovanni) - continuo

Scena XIII:

a. Don Ottavio, son morta! - recitativo (Donna Anna, Don Ottavio) - Allegro
assai. Andante.
Allegro assai. Andante. Allegro assai - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni,
2 trombe, archi

b. Or sai chi l'onore - Aria (Donna Anna) - Andante (re maggiore) - 2 oboi, 2
fagotti, 2 corni, archi

Scena XIV:

Come mai creder deggio - Recitativo (Don Ottavio) - continuo

c. Dalla sua pace la mia dipende - Aria (Don Ottavio) - Andantino sostenuto
(sol maggiore)
flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi [Aria sostitutiva K6 540a]
Scena XV:

Io deggio ad ogni patto - Recitativo (Leporello, Don Giovanni) - continuo

Fin ch'han dal vino calda la testa - Aria (Don Giovanni) - Presto (si bemolle
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XVI:

Masetto, senti un po' - Recitativo (Zerlina, Masetto) - continuo

Batti, batti, o bel Masetto - Aria (Zerlina) - Andante grazioso (fa maggiore) -
violoncello obbligato, flauto, oboe, fagotto, 2 corni, archi

Guarda un po' come seppe - Recitativo (Masetto, Don Giovanni, Zerlina) -


continuo

Presto, presto, pria ch' ei venga - Finale (Zerlina, Masetto) - Allegro assai
(do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, archi

Scena XVII:

a. Su, svegliatevi da bravi - Finale (Don Giovanni, Coro maschile) - Allegro


assai (do maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe timpani, archi

Scena XVIII:

b. Tra quest' arbori celata - Finale (Zerlina, Don Giovanni, Masetto) -


Andante (fa maggiore). Allegretto
2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XIX:

c. Bisogna aver coraggio - Finale (Donna Anna, Donna Elvira, Don Ottavio,
Don Giovanni, Leporello)
Allegretto (fa maggiore). Menuetto. Adagio (si bemolle maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XX:

d. Riposate, vezzose ragazze! - Finale (Zerlina, Don Giovanni, Leporello,


Masetto)
Allegro (mi bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni,
archi

e. Venite pur avanti - Finale (Donna Anna, Donna Elvira, Don Ottavio, Don
Giovanni)
Maestoso (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi

f. Da bravi, via ballate! - Finale (Donna Anna, Donna Elvira, Don Ottavio,
Don Giovanni, Leporello)
Menuetto (sol maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

g. Gente aiuto, aiuto gente! - Finale (Donna Anna, Donna Elvira, Zerlina, Don
Ottavio, Don Giovanni,
Leporello, Masetto) - Allegro assai (do maggiore). Andante maestoso.
Allegro. Piu stretto
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto II:
Scena I:

Eh via, bu"one - Duetto (Don Giovanni, Leporello) - Allegro assai (sol


maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

Leporello ... Signore. / Leporello! ... - Recitativo (Don Giovanni, Leporello) -


continuo

Scena II:

Ah, taci, ingiusto core - Terzetto (Donna Elvira, Don Giovanni, Leporello) -
Andantino (la maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Amico, che ti par? - Recitativo (Don Giovanni, Leporello) - continuo

Scena III:

Eccomi a voi - Recitativo (Donna Elvira, Don Giovanni, Leporello) - continuo

Deh, vieni alla finestra - Canzonetta (Don Giovanni) - Allegretto (re


maggiore) - mandolino, archi

V'e gente alla finestra - Recitativo (Don Giovanni) - continuo

Scena IV:
Non ci stanchiamo - Recitativo (Don Giovanni, Masetto) - continuo

Metà di voi qua vadano - Aria (Don Giovanni) - Andante con moto (fa
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena V:

Zitto! lascia ch'io senta - Recitativo (Don Giovanni, Masetto) - continuo

Scena VI:

Ahi, ahi! la testa mia - Recitativo (Masetto, Zerlina) - continuo

Vedrai, carino - Aria (Zerlina) - Grazioso (do maggiore) - 2 flauti, 2


clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VII:

Di molte faci il lume - Recitativo (Leporello, Donna Elvira) - continuo

Sola, sola in buio loco - Sestetto (Donna Anna, Donna Elvira, Don Ottavio,
Leporello) - Andante (mi bemolle maggiore - re maggiore - mi bemolle
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, timpani, archi

Scena VIII:

a. Ferma, briccone, dove ten vai? - Sestetto (Donna Anna, Zerlina, Donna
Elvira, Don Ottavio,
Leporello, Masetto) - Andante (mi bemolle maggiore). Molto Allegro
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IX:

Dunque quello sei tu - Recitativo (Zerlina, Donna Elvira, Don Ottavio,


Masetto) - continuo

Ah, pieta, Signori miei - Aria (Leporello) - Allegro assai (sol maggiore) - 2
flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena X:

Ferma, perfido, ferma... - Recitativo (Donna Elvira, Masetto, Zerlina, Don


Ottavio) - continuo
Il mio tesoro intanto - Aria (Don Ottavio) - Andante grazioso (si bemolle
maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Restati qua! - Recitativo (Zerlina, Leporello) - continuo

a. Per queste tue manine - Duetto (Zerlina, Leporello) - Allegro moderato


(do maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi [Aria sostitutiva K6 540b]

Amico, per pietà - Recitativo (Leporello) - continuo

Andiam, andiam Signora - Recitativo (Zerlina, Donna Elvira, Masetto) -


continuo

In quali eccessi, o Numi - Recitativo (Donna Elvira) - Allegro assai - archi


[Recitativo sostitutivo K6 540c]

b. Mi tradì quell' alma ingrata - Aria (Donna Elvira) - Allegretto (mi bemolle
maggiore)
flauto, clarinetto, fagotto, 2 corni, archi [Aria sostitutiva K6 540c]

Scena XI:

Ah, ah, ah, ah, questa è buona - Recitativo (Don Giovanni, Leporello,
Commendatore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 3 tromboni, archi - continuo

O statua gentilissima - Duetto (Don Giovanni, Leporello, Commendatore) -


Allegro (mi maggiore) - 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XII:

Calmatevi, idol mio - Recitativo (Don Ottavio, Donna Anna) - continuo

a. Crudele! Ah non, mio bene! - Recitativo (Donna Anna) - Risoluto.


Larghetto - archi

b. Non mi dir, bell' idol mio - Rondò (Donna Anna) - Larghetto (fa
maggiore). Allegretto moderato
flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Ah, si segua il suo passo - Recitativo (Don Ottavio) - continuo

Scena XIII:
Già la mensa è preparata - Finale (Don Giovanni, Leporello) - Allegro vivace
(re maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe,
timpani, archi

a. Bravi! Cosa rara! - Finale (Don Giovanni, Leporello) - Allegro vivace (re
maggiore - fa maggiore)
2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, violoncello

b. Questa poi la conosco pur troppo! - Finale (Don Giovanni, Leporello)


Moderato (si bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni,
violoncello

Scena XIV:

c. L'ultima prova dell'amor mio - Finale (Donna Elvira, Don Giovanni,


Leporello) Allegro assai (si bemolle
maggiore). Molto Allegro (fa maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2
corni, archi

Scena XV:

d. Don Giovanni, a cenar teco - Finale (Don Giovanni; Commandatore,


Leporello, Coro maschile)
Andante (fa maggiore). Più stretto. Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2
fagotti, 2 corni, 2 trombe,
2 tromboni, timpani, archi

Scena XVI:

e. Ah dove è il perfido - Finale (Donna Anna, Donna Elvira, Zerlina, Don


Ottavio, Masetto, Leporello)
Allegro assai (sol maggiore). Larghetto - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2
corbi, archi

f. Questo è il fin di chi fa mal - Finale (Donna Anna, Donna Elvira, Zerlina,
Don Ottavio, Masetto,
Leporello) - Presto (re maggiore) - 2 flauti, 2 obi, 2 clarinetti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi

Così fan tutte, ossia La Scuola degli Amanti K588 - (26 gennaio 1790,
Burgtheater, Vienna)

https://www.youtube.com/watch?v=fM5MBjviK68
https://www.youtube.com/watch?v=Egi7fxTEUCQ

https://youtu.be/k-HIFoDzRko

Libretto: Lorenzo da Ponte

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Fantutte-testo.html

Ruoli:

Fiordiligi, dama ferrarese abitante in Napoli (soprano)


Dorabella, dama ferrarese e sorella di Fiordiligi (soprano)
Guglielmo, u!ciale, amante di Fiordiligi (basso)
Ferrando, u!ciale, amante di Dorabella (tenore)
Despina, cameriera (soprano)
Don Alfonso, vecchio filosofo (basso)
Coro di soldati, servi e marinai

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,


archi
Il basso continuo nei recitativi secchi è a!dato al clavicembalo ed al
violoncello
Composizione: Vienna, Ottobre 1789 - Gennaio 1790
Prima rappresentazione: Vienna, Burgtheater, 26 Gennaio 1790
Edizione: Schott, Magonza 1793

Guida all’ascolto

Ultima delle opere su libretto di Lorenzo Da Ponte, dopoLe nozze di Figaro


(1786) e Don Giovanni (1787), Così fan tutte è anche l’ultima opera bu"a
mozartiana: seguiranno il Singspiel Die Zauberflötee l’opera seriaLa clemenza
di Tito. Fu commissionata dall’imperatore Giuseppe II in seguito al successo
delle riprese viennesi diDon Giovanni(maggio 1788) e delleNozze di
Figaro(agosto-novembre 1789). Alla ‘prima’ parteciparono Adriana Ferrarese
del Bene, Louise Villeneuve, Vincenzo Calvesi, Dorotea Bussani (il primo
Cherubino nelleNozze di Figaro), Francesco Benucci (il primo Figaro) e
Francesco Bussani (il primo Bartolo). Nel libretto sono fuse varie fonti: la
vicenda sembra originale, ma un fitto intreccio di citazioni chiama in causa
Ovidio, Boccaccio, Ariosto, Marivaux e Goldoni. Riguardo all’Orlando furioso,
pensiamo alle novelle misogine del nappo (canti XLII-XLIII) e di Astolfo e
Iocondo (XXVII-XXVIII); i nomi dei personaggi derivano dal poema: Despina da
Fiordispina, Dorabella da una crasi fra Doralice e Isabella, Fiordiligi dalla sposa
fedele per antonomasia. I libretti goldoniani o"rono numerosi spunti, entrati
nella tradizione del repertorio bu"o: ad esempio, neLe pescatricidue pescatori
si mascherano «con ba!, e vestiti da Cavalieri» per mettere alla prova le
amanti.

Nell’ouverture, dopo due frasi dell’oboe, l’orchestra cadenza per accordi, la


prima volta piano(cadenza d’inganno), la seconda forte(cadenza perfetta); è il
motto dell’opera, poiché nel recitativo accompagnato che precede il finale i
personaggi maschili, sopra lo stesso giro cadenzante, canteranno: «così fan
tutte». La frase di recitativo, il titolo e il motto che fa capolino nell’ouverture
sono i primi richiami interni in un’opera che ne è ricchissima. «Così fan tutte le
belle/ non c’è alcuna novità», commentava Don Basilio nel terzetto del primo
atto delleNozze di Figaro; una citazione della sua cantilena si trova, accelerata,
nel primo tema dell’episodio centrale dell’ouverture, il Presto in forma-sonata,
composto da microsequenze che si ripetono geometricamente: un tappeto di
figure a note ribattute, sempre agli archi; una fanfaretta a piena orchestra; un
primo tema scorrevole, in crome, le cui semifrasi si rincorrono fra vari gruppi
di strumenti, in modo da esaurire le possibilità di combinazione; un secondo
più scuro e avvolto su se stesso, sempre in una successione di crome, ma
a!data di volta in volta a un solo gruppo timbrico. Dopo la ripresa abbreviata,
ritorna il motto. In una bottega di ca"è, a Napoli, siedono due u!ciali e un
vecchio filosofo, Don Alfonso. «La mia Dorabella/ capace non è» di essere
infedele, esclama Ferrando, come a proseguire un discorso già iniziato; e con
lui Guglielmo, l’altro u!ciale: «la mia Fiordiligi/ tradirmi non sa». Don Alfonso,
che ha provocato la disputa sostenendo il contrario, cerca di farsi indietro, ma i
due intendono sfidarlo a duello, per difendere l’onore delle future spose. Tre
brevi terzetti ritmano la scena, fra di essi incalza il recitativo semplice. «È la
fede delle femmine/ come l’araba fenice:/ che vi sia, ciascun lo dice;/ dove sia,
nessun lo sa»: così inizia il secondo terzetto, e a parlare è naturalmente Don
Alfonso, che calma i bollori dei giovani citando la quartina di Metastasio (il
quale, meno maschilista, diceva «la fede degli amanti»), accolta nella
tradizione comica attraverso Goldoni (La scuola modernaI,8). Il filosofo
scommette cento zecchini, per provare ai due amici che le fidanzate non sono
diverse dalle altre donne; per un giorno, Ferrando e Guglielmo dovranno
attenersi ai suoi ordini. «E de’ cento zecchini, che faremo?» si chiede
Guglielmo, sicuro di vincere. «Una bella serenata/ far io voglio alla mia dea»,
canta a melodia spiegata Ferrando, avviando l’ultimo terzetto del prologo. Nel
giardino della casa sul golfo, le sorelle Fiordiligi e Dorabella contemplano
sognanti i ritratti dei fidanzati e intrecciano il primo dei loro duetti (“Ah guarda
sorella”). A un languido Andante segue un Allegro in cui clarinetti e fagotti si
alternano o raddoppiano le voci, le quali procedono spesso per terze e seste
parallele o ad imitazione incrociata (una voce fissa su una nota e l’altra che
arpeggia, e viceversa): sono stilemi ricorrenti nella partitura; anche nei
concertati le sorelle canteranno così, inseparabili. Don Alfonso reca una notizia
terribile, ma prima crea il panico cantando un frammento di aria concisa e
agitata, poche battute ansimanti: il suo unico numero da solista (“Vorrei dir, e
cor non ho”). Spiega che i fidanzati sono richiamati al fronte e devono partire
all’istante. Arrivano Ferrando e Guglielmo, compunti e tristissimi: disperazione
delle sorelle (quintetto “Sento, o Dio, che questo piede”), confortate dagli
amanti (duettino “Al fato dàn legge”), coro di soldati che annuncia il passaggio
della barca del reggimento (“Bella vita militar!”), promessa di scriversi spesso
(altro quintetto). All’inizio dell’ultimo numero (“Di scrivermi ogni giorno”) le
voci entrano una per volta, sillabando; ogni nota è seguita da una pausa,
secondo una direzione precisa, dalla prima voce (Fiordiligi) all’ultima (Don
Alfonso): la prima rimane inchiodata sulla stessa nota, anche gli altri non
riescono ad articolare un’intera frase; solo Don Alfonso ripete fra sé,
cadenzando compiutamente, «Io crepo, se non rido!». Poi una lunga,
commossa melodia passa fra le varie voci, mentre in orchestra spiccano le viole
ad avvolgere e unificare la compagine vocale e strumentale. I soldati si
allontanano e «le amanti restano immobili sulla sponda del mare». “Soave sia il
vento”, si augurano nel terzetto seguente: i violini creano un tessuto di
semicrome, su cui si distende la melodia; nella prima parte le voci procedono
omoritmicamente, unite come in un corale, poi si sciolgono indipendenti in
alcune battute polifoniche e, nella coda, si fermano per due volte su un
accordo interrogativo, amplificato dai fiati, che getta un’ombra sulla
leggerezza sognante di quanto si è ascoltato. Don Alfonso si compiace per
aver recitato bene; le frasi che i soldati scambiavano a mezza voce con l’amico
ci avevano insospettito, ma adesso siamo sicuri: la partenza è una farsa. Non
conosciamo ancora il piano di Don Alfonso, che declama una terzina ripresa da
Sannazaro: «Nel mare solca e nell’arena semina/ e il vago vento spera in rete
accogliere/ chi fonda sue speranze in cor di femina». Alla presenza della
cameriera Despina, Dorabella intona un recitativo da opera seria, seguito da
un’aria drammatica e concitata, “Smanie implacabili”, con accompagnamento
spiritato di violini e fiati (fagotti, corni, clarinetti) a note tenute, come nelle
opere serie quando si parla di aldilà (e infatti sono citate le Eumenidi, nel testo
ricco di versi sdruccioli tradizionalmente ‘infernali’). Informata dell’accaduto,
Despina espone le proprie idee circa la fedeltà maschile ed esorta Fiordiligi e
Dorabella a «far all’amor come assassine»: i fidanzati al fronte faranno
altrettanto (aria “In uomini, in soldati”). Don Alfonso cerca l’aiuto di Despina,
promettendole venti scudi se insieme riusciranno a far entrare nelle grazie
delle sorelle due nuovi pretendenti. Travestiti da u!ciali albanesi, si avanzano
Ferrando e Guglielmo, e Despina non li riconosce, ridendo poiché «hanno un
muso fuor dell’uso,/ vero antidoto d’amor». Irrompono le padrone, furenti per
la presenza degli sconosciuti; i finti albanesi si dichiarano spasimanti delle
sorelle, che esplodono in una cascata di irati vocalizzi (sestetto “Alla bella
Despinetta”). Don Alfonso presenta gli u!ciali come suoi cari amici; alle loro
rinnovate e caricaturali o"erte d’amore, Fiordiligi risponde – anche a nome
della sorella – in un vigoroso recitativo: esse serberanno fedeltà agli amanti,
fino alla morte. A questo punto è naturale che ella concluda la dichiarazione
con un’aria seria, ‘di paragone’ (“Come scoglio immoto resta”), lunga e
virtuosistica, nella quale la voce procede per grandi intervalli (alla fine della
prima frase copre oltre due ottave di estensione, in due sole battute, sulle
parole «e la tempesta»); dopo la frase in Andante maestoso, l’aria si compone
di un Allegro e di una seconda sezione più mossa. Guglielmo replica con
un’arietta bu"a (“Non siate ritrosi”) in cui implora le sorelle, assicurando:
«siam forti e ben fatti,/ siam due cari matti» e vantando sguaiatamente la
propria virilità («e questi mustacchi/ chiamare si possono/ trionfi degli
uomini,/ pennacchi d’amor»). Fiordiligi e Dorabella si ritirano senza parole; i
due pretendenti scoppiano a ridere, mentre Don Alfonso li esorta a tacere, in
un terzetto veloce e come in punta di piedi (“E voi ridete?”). Ferrando,
innamorato dell’amore, invece di preoccuparsi come Guglielmo per aver saltato
il pranzo, pensa che a fine giornata sarà nutrito dall’«aura» del suo tesoro:
Mozart sorvola sul testo grottesco e disegna una melodia distesa, un momento
di pausa nella spietata geometria drammaturgica dell’opera (“Un’aura
amorosa”). In giardino, Fiordiligi e Dorabella intonano un duettino di sconforto
(“Ah, che tutta in un momento”), ricamato spiritosamente dall’eco di flauti e
fagotti: è l’introduzione al finale d’atto. Don Alfonso insegue gli albanesi, che
fingono di bere un veleno e stramazzano al suolo; l’amico va in cerca di un
medico e lascia i due agonizzanti davanti alle esterrefatte sorelle, che iniziano
a provare compassione. Arriva Despina travestita da medico, declamando frasi
in un latino strampalato, su un tempo di pomposo minuetto. «Ah, questo
medico/ vale un Perù», esclamano le sorelle e Alfonso quando Despina fa
rinvenire gli albanesi, toccandoli con una calamita. Ferrando e Guglielmo
rinnovano le dichiarazioni e abbracciano le donne; in una lunga sezione
(andante “Dove son? che loco è questo?”) il tempo drammatico si arresta, le
frasi si ripetono sospese in un meccanismo ‘a pendolo’, fra i personaggi divisi
a gruppi: le sorelle, gli amanti, Despina e Don Alfonso, che guidano il gioco ed
esortano le donne ad assecondare i primi desideri dei resuscitati, i quali si
comportano in modo molto passionale solo perché questi sono gli «e"etti
ancor del tosco». Quando i due pretendono un bacio, Fiordiligi e Dorabella si
infiammano indignate e rifiutano, dichiarando: «Disperati, attossicati,/ ite al
diavol quanti siete!».

Le ritroviamo meglio disposte nel secondo atto, quando nella loro camera
vengono convinte da Despina (aria “Una donna a quindici anni”) e decidono di
«divertirsi un poco, e non morire/ dalla malinconia», senza mancare di fede
agli amanti, s’intende. Giocheranno, nessuno saprà niente, la gente penserà
che gli albanesi che girano per casa siano spasimanti della cameriera. Resta
solo da scegliere (duetto “Prenderò quel brunettino”): Dorabella, che decide per
prima, vuole Guglielmo, e Fiordiligi apprezza il fatto che le spetti il biondo
Ferrando. Nel giardino sul mare si ascolta musica di scena (all’aria aperta,
quindi per soli fiati): i due albanesi o"rono uno spettacolo alle dame, i
suonatori e i cantanti arrivano in barca (duetto con coro “Secondate, aurette
amiche”). Don Alfonso e Despina incoraggiano gli amanti e le donne a parlarsi
e li lasciano soli (quartetto “La mano a me date”). «Oh, che bella giornata!»,
«Caldetta anziché no»...: la conversazione è impacciata. Poi Fiordiligi e
Ferrando si allontanano, suscitando la gelosia di Guglielmo, che o"re un regalo
a Dorabella e riesce a conquistarla (duetto “Il core vi dono”). Fiordiligi è
sconvolta, capisce che il gioco si è mutato in realtà. Quando Ferrando si
accomiata (aria “Ah, lo veggio: quell’anima bella”) ella ha un attimo di
debolezza e vorrebbe richiamarlo, poi intona un grande rondò (“Per pietà, ben
mio, perdona”): ha conosciuto la passione, il suo amore non è più quello
virtuoso che serbava al fidanzato u!ciale, è un nuovo sentimento: «è smania,
a"anno,/ rimorso, pentimento,/ leggerezza, perfidia e tradimento!»;
spaventata, rivolge il pensiero al promesso sposo Guglielmo e si proclama a lui
fedele. Questi è impacciato nel comunicare a Ferrando che Dorabella ha ceduto
facilmente, ma è felice del fatto che Fiordiligi si sia dimostrata «la modestia in
carne»; commentando l’infedeltà di Dorabella trova accenti (aria “Donne mie, la
fate a tanti”) degni di Don Alfonso, o di Figaro nell’aria del quarto atto
delleNozze. Ferrando replica, in una breve cavatina (“Tradito, schernito”), di
amare ancora l’infedele fidanzata. In casa, Dorabella esorta Fiordiligi a
divertirsi; il tono scherzoso e lo stile disinvolto della sua aria (“È amore un
ladroncello”) indicano che Dorabella parla il linguaggio di Despina, si è
‘abbassata’ alla sua morale. Fiordiligi decide di travestirsi da u!ciale e
raggiungere il promesso sposo sul campo di battaglia: si fa portare delle vesti
maschili, si guarda allo specchio, constata il fatto che cambiare abito significa
perdere la propria identità; immagina di trovarsi già sul posto e che Guglielmo
la riconosca (duetto “Tra gli amplessi in pochi istanti”), ma Ferrando la
interrompe, minacciando di uccidersi. «Taci, ahimè! Son abbastanza/
tormentata ed infelice!» implora Fiordiligi, e Ferrando chiede la sua mano,
rivolgendosi a lei con parole che probabilmente Guglielmo non le ha mai detto.
«Crudel, hai vinto», mormora la donna; e aggiunge, su una frase dell’oboe: «fa’
di me quel che ti par». Guglielmo ha assistito al dialogo, è furente, e anche
Ferrando odia la sua ex fidanzata, ma Don Alfonso, che ha dimostrato quanto
voleva, li esorta a finire la commedia con doppie nozze: una donna vale l’altra,
meglio tenersi queste «cornacchie spennacchiate»; in un’ottava egli spiega di
non voler accusare le donne, anzi le scusa, è colpa della natura se «così fan
tutte». Nella sala illuminata, con la tavola imbandita per gli sposi, Despina
organizza i preparativi (finale “Fate presto, o cari amici”) e il coro di servi e
suonatori inneggia alle nuove coppie. Al momento del brindisi Fiordiligi,
Dorabella e Ferrando cantano un breve canone, su un tema a"ettuoso, da
musica da camera, mentre Guglielmo si mostra incapace di unirsi a loro e
commenta: «Ah, bevessero del tossico/ queste volpi senza onor!». Il notaio
(Despina travestita) fa firmare il finto contratto nuziale; un coro interno intona
“Bella vita militar!” e le sorelle rimangono impietrite: tornano i fidanzati.
Nascosti gli albanesi in una stanza, esse si preparano ad accogliere Ferrando e
Guglielmo, che fingono di insospettirsi quando scoprono il notaio e il
contratto; poi si presentano vestiti da albanesi, ma senza cappello, senza
mantelli e senza «mustacchi», in modo da essere riconosciuti. Don Alfonso si
giustifica: ha agito a fin di bene, per rendere più saggi gli sposi. Le coppie si
ricompongono (non si sa quali), tutti cantano la morale: «Fortunato l’uom che
prende/ ogni cosa pel buon verso,/ e tra i casi e le vicende/ da ragion guidar si
fa».

Il libretto mette in scena la crudeltà dei rapporti fra i sessi e la pretesa


maschile del dominio fisico esclusivo su una persona. Il tema dell’infedeltà è
spesso presente nella librettistica comica, ma qui ha un sapore diverso: alla
prova sono messe due donne di condizione sociale elevata. Per convenzione,
nell’opera bu"a solo serve, contadine e popolane potevano esprimersi in modo
più libero e comportarsi in modo disinibito, in quanto lo schermo della
di"erenza sociale implicava il giudizio negativo da parte dello spettatore. In
ottica maschilista, l’infedeltà dell’uomo è stata sempre considerata più
‘naturale’: Don Giovanni e il conte delleNozze di Figarodestano minori
preoccupazioni di Fiordiligi e Dorabella, dame «ferraresi» (un omaggio alla
civiltà rinascimentale dell’Ariosto). Queste eroine di un nuovo mondo cortese,
se si mostrano infedeli vengono bollate dai fidanzati come donne «che non
valgono due soldi» e «cagne», o semplicemente «femmine» da Don Alfonso.
Immaginiamo il contrario, la stessa vicenda rovesciata: Ferrando e Guglielmo
messi alla prova da Fiordiligi e Dorabella travestite, con scambio di coppie
(anche la contessa delleNozze, suo malgrado, mette alla prova il marito
fedifrago e, travestita da Susanna, ne subisce le pesanti attenzioni; ma subito
lo perdona, benedicendolo con una melodia dolcissima che cade dal cielo: «Più
docile io sono...»). Proprio una frase di Fiordiligi, nel suo primo recitativo,
insinua la prospettiva potenzialmente rovesciata: «Mi par che stamattina
volentieri/ farei la pazzarella (...)/ Quando Guglielmo viene, se sapessi/ che
burla gli vo’ far!», ma poi sono le donne a subire la burla da parte degli amanti:
forse Da Ponte vuole suggerire che tutto è relativo, ogni cosa è il contrario di
se stessa, e che il libretto prevede il suo negativo... Allora, cosa succederebbe
se a travestirsi fossero le sorelle? Nulla di interessante, nessuna presa in giro
crudele, puntualeroutinedrammaturgica: Ferrando e Guglielmo cederebbero
subito (altro che finti avvelenamenti), perché «così fan tutti». La prospettiva
musicale rovesciata funzionerebbe ancor meno; pensiamo a un Ferrando che
canti le arie di Fiordiligi, retoricamente belcantistiche, da opera seria: non
sarebbe possibile. La drammaturgia musicale dell’opera di Mozart funziona
perché a essere ingannate sono le donne, e perché alle protagoniste femminili
è concesso di adottare un registro stilistico che agli uomini non compete: lo
stile alto, tragico. Per cantare “Come scoglio”, o anche “Per pietà, ben mio,
perdona”, Ferrando dovrebbe diventare un castrato. Ai rappresentanti del
‘maschile’, quasi per contrappasso, è dato esprimersi solamente in una gamma
di registri molto ridotta: dal languore delle brevi arie di Ferrando, alla rabbia
bu"a, in stile comico, di Guglielmo. A Don Alfonso poi non è nemmeno
concessa un’aria vera e propria: egli ragiona soltanto, adottando i recitativi
accompagnati da opera francese razionalista. Invece la stessa Despina si
muove con disinvoltura fra le ampie possibilità retoriche del ‘femminile’: il suo
ambito naturale è il ritmo ternario, è la corta melodia facile facile, da
cameriera. Ma non è inchiodata lì: può assumere il linguaggio delle sue
padrone, quando è chiamata a parlare al loro posto (nel quartetto del secondo
atto: «Quello ch’è stato è stato»); nei travestimenti può cambiare sesso,
condizione sociale, linguaggio. E Dorabella intona un’aria di furia, ma scivola
disinvoltamente nella facilità melodica della cameriera (“È amore un
ladroncello”). Scarto di registri, parodia e ironia sono chiavi interpretative
spesso adottate nell’esegesi di un’opera che vive di situazioni artificiali e
parossistiche, con un libretto che si basa sulla finzione, sulla recita: una sorta
di riflessione sulla storia dell’opera bu"a. Letta anche musicalmente nella
prospettiva sfuggente dell’ambiguità,Così fan tuttesembra diventare un frutto
del Novecento, un omaggio allo Stravinskij della musica ‘al quadrato’, tutta
citazione... Ma la musica teatrale è sempre parodia: l’opera bu"a di fine
Settecento, intreccio di parole e gesti vocali-strumentali codificati dalla
tradizione, o"re a ogni battuta un atteggiamento parodico facile da decifrare.
Talmente facile che diventa un abito, ed è quasi impossibile distinguere
l’intento ironico, soggettivo, da quel che è il risultato dell’adesione spontanea
ai canoni di un genere altamente codificato. Quando Mozart intona le parole
«sospir», «sospiretti» e simili, ricorrendo alla tecnica dell’hoquetus, della
parola spezzata da frequenti pause a singhiozzo, fa la parodia di una formula
abusata, cita consapevolmente quei luoghi in cui egli stesso l’ha impiegata in
precedenza, prende in giro le svampitissime sorelle, o semplicemente aderisce
al codice musicale che gli impone quello stilema linguistico? Quando richiama
più volte una formula melodica precisa, ad esempio quella che prevede una
nota tenuta, seguita da una di volta e una rapida scala discendente (nel terzo
terzetto, nella prima frase di Ferrando, sulla parola «serenata»; nel primo
quintetto, sulle parole «il destin [così defrauda]»; etc.), o"re una serie di
autocitazioni che significano qualcosa, o propone una formula che traduce lo
sfogo di una passione, senza istituire un rapporto diretto fra le varie
occorrenze? Tutta la melodia di Ferrando, nel terzetto “Una bella serenata”,
sembra citata al culmine drammatico dell’opera, nel duetto del secondo atto
(“Tra gli amplessi in pochi istanti”), tra lo stesso Ferrando e Fiordiligi, alle
parole «Deh, partite!», «Ah, no, mia vita!»: è una coincidenza o una traccia
allusiva? E così via. Più che un intento ironico, sembra sia una volontà di
analisi, un’attenzione serissima, tragica, a collegare gli esempi. È una
riflessione sul linguaggio musicale, sulla retorica dell’opera bu"a: Mozart
sembra prendere tutto molto seriamente, assume l’artificiosità e la
convenzionalità delle formule espressive di un genere che ha decenni di storia
alle spalle, riconosce e sfrutta scopertamente la possibilità di scarti stilistici
improvvisi, le risorse di un codice di per sé impregnato di parodia e
autocitazione. Così, può illuminare ogni piega dei versi del libretto, può
rendere anche una finezza come tradurre musicalmente le figure retoriche: ad
esempio nel primo duetto femminile, ai versi «Si vede un sembiante/ guerriero
ed amante», «Si vede una faccia/ che alletta e minaccia», i ritmi puntati
contrapposti ai languori di appoggiature e arabeschi vocali traducono il
chiasmo verbale (guerriero, amante, alletta, minaccia), ma il compositore
aggiunge di suo l’amplificazione della seconda frase, con le triplici ripetizioni
(«che alletta, che alletta, che alletta...»). Il «suono orribile», nella prima aria di
Dorabella, è puntualmente tradotto con una ‘fermata barocca’; la corsa
palpitante degli archi si blocca e si sentono solo i fiati, a note tenute, nella loro
fissità ‘oracolare’, gluckiana: un altro artificio retorico. Per la frase «Mille volte
il brando presi», nella seconda aria di Guglielmo, Mozart introduce lo scoppio
orchestrale di trombe e timpani, che hanno unicamente la funzione di segnale
linguistico: la strumentazione militaresca non è prevista nella struttura di
quell’aria, che procede e conclude come aveva iniziato, con gli archi a rotta di
collo e le fanfarette dei fiati (flauti, oboi, fagotti, corni). Nella consapevole
traduzione ‘letterale’ del testo in figure musicali, l’orchestrazione ha sempre
una grande importanza. Clarinetti, fagotti, flauti, oboi, spesso associati a due a
due, punteggiano i sospiri degli amanti; i corni sono usati a volte in funzione
concertante, non solo come sostegno timbrico; le trombe sono frequentemente
impiegate al posto dei corni, senza i timpani: in quest’ultimo caso (prima aria
di Fiordiligi, Andante del finale primo, quartetto del secondo atto e “Ah, lo
veggio: quell’anima bella”) Mozart si inventa un impasto orchestrale inedito.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Commento 2 (nota 2)

Così fan tutte, o La scola degli amanti, "dramma giocoso" in due atti, venne
composto tra l'ottobre 1789 e il gennaio 1790; ma alla fine di dicembre lo
spartito doveva ritenersi completato almeno nelle sue parti essenziali, se
Mozart, la sera di San Silvestro, ne tenne in casa propria una esecuzione
privata al pianoforte, presenti, tra gli altri, Haydn, Da Ponte e quel Michael
Puchberg, commerciante e confratello di loggia massonica, che tante volte in
quei mesi aveva soccorso con prestiti di denaro il compositore, le cui fortune
professionali avevano toccato il fondo. La prima rappresentazione al
Burgtheater di Vienna avvenne la sera del 26 gennaio 1790, con la seguente
distribuzione scenica: Adriana Gabrielli del Bene (Fiordiligi) e la sorella Luisa
Gabrielli Villeheuve (Dorabella); Vincenzo Calvesi (Ferrando); Francesco Benucci
(Guglielmo); Francesco Bussani (Don Alfonso) e la moglie Dorotea (Despina).
Discreto il successo di pubblico; ottimi i resoconti della stampa. Ma, dopo la
quarta replica, la morte di Giuseppe II (20 febbraio) e la conseguente chiusura
per lutto dei teatri viennesi determinarono il rinvio dello spettacolo, con poche
altre riprese, all'estate entrante.
Stroncato dall'etisia aggravatasi durante la sua permanenza sul fronte della
guerra austro-turca, all'imperiale committente non sarà dato di assaporare
l'ultimo frutto della sua spregiudicata politica teatrale. Tra tutte le ipotetiche
fonti letterarie del libretto, variamente chiamate in causa (dal mito di Cefalo e
Procri all'Ariosto, da Cervantes a Boccaccio), la sola a presentarsi con i caratteri
di un'incontestabile plausibilità, è tutta dapontiana: si tratta del dramma
giocoso L'arbore di Diana, posto in musica da Vicente Martin y Soler e
rappresentato con grande successo al Burgtheater nel 1787. Evidente è il
rapporto di filiazione sotteso tra questo libretto e quello di Così fan tutte.
Entrambi si delineano come drammi a tesi, e la posta in gioco è la virtù
femminile, in cambio della quale viene o"erta non tanto una generica libertà
sessuale, quanto una disincantata disponibilità a cogliere senza remore
sentimentali né scrupoli morali l'occasione d'amore o"erta nei casi del
quotidiano, all'insegna di un possibilismo relativistico e liberatorio: quanto,
insomma, viene teorizzato da Despina nella lezione di ars amandi impartita
alle sorelle ferraresi nella prima scena del secondo atto.

Trasportando l'azione da un surrettizio, ironizzato mondo mitologico, alla


quotidianità del tempo presente, nel suo nuovo libretto per Mozart Da Ponte
rompeva del tutto con la struttura drammatica della grande "commedia
umana", inaugurata con il Figaro e fondata sullo studio psicologico dei
personaggi e sul loro divenire nel procedere dell'azione drammatica.
L'intreccio, fondato sulla scomposizione e ricomposizione di una sequenza di
diverse situazioni, quasi tutte giocate sul piano del travestimento, ci riporta
piuttosto alla vecchia commedia di maschere in cui, più che di caratteri, è
lecito parlare di tipologie esemplari. L'intreccio inoltre prescinde totalmente
dalla credibilità realistica e chiede allo spettatore un'adesione di tipo
intellettuale - il gusto per il puro gioco, per la simmetria, per l'e"ervescenza
delle battute di un testo delizioso, per il capriccioso avvicendarsi delle
situazioni - piuttosto che di tipo a"ettivo e sentimentale. Di qui la di!coltà di
ricezione, ben presto incontrata dall'opera e che non manca di illustri esempi
di rifiuto, nascenti da obiezioni di carattere morale (Beethoven) oppure
drammatico (Wagner).

In realtà Così fan tutte è anche altro. È un esperimento che porta ad esiti
sconvolgenti; è, sull'impulso dell'Arbore di Diana, la grande opera della
tentazione. La natura umana vi viene messa alla prova e rivela, alla verifica
sperimentale, un insospettabile codice genetico del tutto soggiogato dalla
volubilità dei sensi e non comandato da un sistema di idee. Fiordiligi ama
Guglielmo, Dorabella ama Ferrando. Vediamo di metterle alla prova, di
collocarle in una situazione del tutto inedita; scopriremo che Dorabella è
pronta ad amare Guglielmo e a dimenticare Ferrando, e lo stesso avverrà,
anche se in un lasso di tempo e con resistenze maggiori, per Fiordiligi nei
confronti di Ferrando e del fidanzato. Tale lezione, dal contenuto ideologico
estremamente serio, riversato negli arcaici recipienti della commedia dell'Arte
e della più tipica opera bu"a convenzionale, ci porta in realtà ad apprendere
che l'animo dell'uomo non è che un fascio di sensazioni, proprio come aveva
sostenuto Hume nel Trattato sull'intelletto umano.

Sulla strada dell'empirismo settecentesco, Don Alfonso, che non per nulla è un
"vecchio filosofo", compie un'operazione riduttiva sullo Spirito e sui suoi grandi
epifenomeni: l'Amore, la Fedeltà, la Costanza, l'Immutabilità. Alla fine
dell'opera, nulla di tutto questo rimane in piedi. Si vanifica l'antica teodicea
preilluministica e leibniziana, già presa di mira dai sarcasmi voltairiani e
secondo la quale "tutto va bene" e noi vivremmo nell'"ottimo dei mondi
possibili"; dietro la conclusione del gioco c'è un sapore risentito, amaro, di
fondamentale disillusione. Si direbbe che Mozart abbia percorso, all'interno
degli sviluppi del suo teatro musicale, l'intero iter evolutivo della cultura dei
Lumi: dall'iniziale convinzione nella bontà naturale dell'uomo e nei nuovi valori
morali e civili (Ratto dal serraglio, Figaro), a una più autunnale crisi del tardo
Illuminismo (Don Giovanni, Così fan tutte) in cui, scomparsi Voltaire e
Rousseau, domina il tormentato, drammatico mondo di Diderot e già si
profilano il nero nichilismo di Sade e il crudo scetticismo di Laclos. Se Figaro
era stato l'apogeo del classicismo mozartiano, Così è già, in tutto e per tutto,
un'opera postclassica. La natura umana viene tentata e cade, come nell'Eden.
Ed è il tentatore che vince la partita, distruggendo il Paradiso terrestre.

La pienezza sferica della melodia mozartiana, quale si manifesta in Così fan


tutte, non possiede ancora la disadorna, ideale purezza ottenuta per
sottrazione e decantazione, che presto rifulgerà negli estremi capolavori. È
ancora una bellezza florida e incantata, solamente liberata dal fervore
comunicativo degli anni dei grandi concerti pianistici, del Figaro, dalla Sinfonia
di Praga, del Don Giovanni, e assai vicina a quella di opere coeve, quali il
Quintetto col clarinetto, il Divertimento K. 563, gli ultimi Trii per pianoforte e
archi. Tale peculiarità (in cui non è tutto l'ultimo stile mozartiano, anche se di
esso sono stati eretti i muri maestri) si realizza in primo luogo, in una
generalizzata contrazione delle forme, già presente del resto nelle ultime tre
sinfonie: opere grandi, ma non monumentali, come erano state la "Praga" o i
due Quintetti per archi del-l'87. L'età dell'entusiastica sperimentazione, della
conquista di nuovi spazi sonori sembra conclusa al pari di quella dell'ansia di
comunicazione espressiva e di una impetuosa e quasi fisiologica emotività.
Espressione, pathos, emozione sussistono certo in Così fan tutte, ma al
quadrato e come provvisorio travestimento, del tutto consono a quelli scenici
dei due u!ziali e di Despina.

Soccorrono mirabilmente, a codesto stile gratuito che celebra la liturgia della


caduta della fede nella commedia umana, alcuni preziosi antidoti forniti dal
passato musicale, il cui recupero critico, da tempo già in atto nella musica di
Mozart, fa ora la sua temeraria irruzione nei recinti, da sempre riservati al
quotidiano, dell'opera bu"a, attuandovi un'operazione stilistica di
sconvolgente modernità. Il contrappunto, quindi, usato come elemento
straniante, ma anche l'esprit de geometrie bachiano; e persino taluni
capricciosi preziosismi arcaicizzanti, recuperati a titolo ironico in coincidenza
con atipiche inflessioni "barocche" del testo. Si pensi al burlesco recitativo con
il quale Guglielmo e Ferrando muovono il primo assalto alla virtuosa costanza
delle due ragazze ("Amor, il nume / sì possente, per voi qui ci conduce" - atto
I, scena 11), posto in musica da Mozart in uno stile à la manière dei duetti da
camera di Ste"ani o di Alessandro Scarlatti e Francesco Durante.

Tali elementi coesistono in miracolosa naturalezza con l'amabilità melodica di


una galanteria italiana assunta anch'essa non come mero dato e"ettuale, ma
come principio, categoria estetica di un melodizzare votato alla sensuale
vaghezza dei contorni, a una simmetria basata non sulla schematizzazione
fraseologica (anche qui, come quasi sempre, in Mozart, evitata con somma
cura) ma su un superiore sistema di equilibri e rimandi armonico-motivici
distribuiti in studiata successione. Di tali dolci naufragi nel mare di una soavità
nonostante tutto e sopra ogni teatrale verisimiglianza (addio plastici realismi,
studi di carattere, drammatiche tensioni di Figaro e di Don Giovanni!), sublimi
noncuranze di una mente che dà l'impressione di muoversi sempre in una
sfera troppo alta, Così è un vero regesto. L'invenzione vi viene trascinata come
in un gorgo irresistibile, irretita da una scrittura che è intimamente idonea
assai più all'astrazione lirica che alla mutevole, vibratile malleabilità
drammaturgica: ciò che spiega il paradosso dell'utilizzo di tale musica, durante
l'Ottocento nei paesi tedeschi di area cattolica, come cava di materiali per
arrangiamenti di genere chiesastico.

Non occorre pervenire all'acme catastrofica della tragedia bu"a, quando


Fiordiligi intona la testa del canone fatale sulle parole: "E nel tuo, nel mio
bicchiere / si sommerga ogni pensiero, / e non resti più memoria / del
passato, ai nostri cor" (Finale secondo), per avvertire tutto questo urgere di
sottintesi e richiami ad altro. Non una realtà diversa da quella rappresentata,
della quale è esplicitamente sancita l'infinita vanità; ma davvero un'altra
dimensione conoscitiva trascendente quella fenomenica e che potremmo, con
la debita restrizione mentale, definire metafisica, la sola cui ora sembra
tendere il compositore e che abbia il potere di suscitare in lui emozioni (e ciò
varrà anche per la La clemenza di Tito, l'ultima e la più categorica tra le
evasioni mozartiane): in attesa che la rinnovata humanitas della Zauberflöte,
con i suoi rimandi utopici e salvifici, batta alla porta il suo triplice tocco.

Giovanni Carli Ballola


Struttura musicale

Ouverture - Andante (do maggiore). Presto - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2


fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto I:
Scena I:

La mia Dorabella capace non è - Terzetto (Ferrando, Don Alfonso,


Guglielmo) - Allegro (sol maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Fuor la spada - Recitativo (Guglielmo, Don Alfonso, Ferrando) - continuo

È la fede delle femmine - Terzetto (Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo) -


Allegro (mi maggiore) - flauto, fagotto, archi

Scioccherie di poeti! - Recitativo (Ferrando, Guglielmo, Don Alfonso) -


continuo

Una bella serenata - Terzetto (Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo) - Allegro


(do maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi

Scena II:

Ah guarda, sorella - Duetto (Fiordiligi, Dorabella) - Andante (la maggiore).


Allegro - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Mi par, che stamattina - Recitativo (Fiordiligi, Dorabella) - continuo

Scena III:

Eccoli. Non son essi - Recitativo (Fiordiligi, Dorabella, Don Alfonso) -


continuo

Vorrei dir, e cor non ho - Aria (Don Alfonso) - Allegro agitato (la bemolle
maggiore) - archi

Stelle! per carità - Recitativo (Fiordiligi, Don Alfonso, Dorabella) - continuo

Scena IV:

Sento, oddio, che questo piede - Quintetto (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando,


Don Alfonso, Guglielmo) - Andante (mi bemolle maggiore) - 2 clarinetti, 2
fagotti, 2 corni, archi
Non piangere, idol mio! - Recitativo (Guglielmo, Ferrando, Don Alfonso,
Fiordiligi, Dorabella) - continuo

Al fato dan legge - Duetto (Ferrando, Guglielmo) - Andante (si bemolle


maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

La commedia è graziosa - Recitativo (Don Alfonso, Ferrando, Fiordiligi,


Dorabella) - continuo

Scena V:

Bella vita militar! - Coro (Soldati, popolani) - Maestoso (re maggiore) - 2


flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi

Non v'è più tempo, amici - Recitativo (Don Alfonso, Fiordiligi, Dorabella,
Ferrando, Guglielmo) - continuo

Di scrivermi ogni giorno - Quintetto (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando,


Guglielmo, Don Alfonso) - Andante (fa maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, archi

Scena VI:

Dove son? - Recitativo (Dorabella, Don Alfonso, Fiordiligi) - continuo

Soave sia il vento - Terzetto (Fiordiligi, Dorabella, Don Alfonso) - Andante


(mi maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VII:

Non son cattivo comico - Recitativo (Don Alfonso) - Recitativo. Allegro


moderato - continuo, archi

Scena VIII:

Che vita maledetta - Recitativo (Despina) - continuo

Scena IX:

Madame, ecco la vostra colazione - Recitativo (Despina, Fiordiligi, Dorabella)


- continuo

Ah scostati! Paventa il tristo e"eto - Recitativo (Dorabella) - Allegro assai.


Maestoso - archi
Smanie implacabili - Aria (Dorabella) - Allegro agitato (mi bemolle
maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Signora Dorabella - Recitativo (Despina, Dorabella, Fiordiligi) - continuo

In uomini, in soldati - Aria (Despina) - Allegretto (fa maggiore) - flauto,


oboe, fagotto, archi

Scena X:

Che silenzio! - Recitativo (Don Alfonso, Despina) - continuo

Scena XI:

Alla bellla Despinetta - Sestetto (Fiordiligi, Dorabella, Despina, Ferrando,


Don Alfonso, Guglielmo) - Allegro (do maggiore). Molto Allegro - 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi

Che susurro! Che strepito! - Recitativo (Don Alfonso, Dorabella, Fiordiligi,


Ferrando, Guglielmo, Despina) - Allegretto. Allegro - continuo, archi

Come scoglio immoto resta - Aria (Fiordiligi) - Andante maestoso (si


bemolle maggiore). Allegro. Più Allegro - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
trombe, archi

Ah, non partite! - Recitativo (Ferrando, Guglielmo, Don Alfonso, Dorabella,


Fiordiligi) - continuo

Non siate ritrosi - Aria (Guglielmo) - Andantino (sol maggiore) - flauto,


fagotto, archi

a. Rivolgete a lui lo sguardo - Aria (Guglielmo) - Allegro (re maggiore).


Allegro molto
2 oboi, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi
[Aria scartata, catalogata come K 584, e sostituita dall'attuale n. 15]

Scena XII:

E voi ridete? - Terzetto (Ferrando, Guglielmo, Don Alfonso) - Molto Allegro


(sol maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Si puo sapere un poco - Recitativo (Don Alfonso, Guglielmo, Ferrando) -


continuo
Un' aura amorosa - Aria (Ferrando) - Andante cantabile (la maggiore) - 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XIII:

Oh, la saria da ridere! - Recitativo (Don Alfonso, Despina) - continuo

Scena XIV:

Ah, che tutta in un momento - Finale (Fiordiligi, Dorabella) - Andante (re


maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,
archi

Scena XV:

a. Si mora, si, si mora - Finale (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Don Alfonso,


Guglielmo)
Allegro (sol maggiore - mi bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti,
2 trombe, archi

Scena XVI:

b. Eccovi il medico - Finale (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Don Alfonso,


Guglielmo)
Allegro (sol maggiore). Andante (si bemolle maggiore). Allegro (re
maggiore). Presto
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto II:
Scena I:

Andate là - Recitativo (Despina, Fiordiligi, Dorabella) - continuo

Una Donna a quindici anni - Aria (Despina) - Andante (sol maggiore).


Allegretto - flauto, fagotto, 2 corni, archi

Scena II:

Sorella, cosa dici? - Recitativo (Fiordiligi, Dorabella) - continuo

Prenderò quel brunettino - Duetto (Fiordiligi, Dorabella) - Andante (si


bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena III:

Ah, correte al giardino - Recitativo (Don Alfonso) - continuo

Scena IV:

Secondate, aurette amiche - Duetto e coro (Ferrando, Guglielmo, coro di


servitori e musici) - Andante (mi bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2
fagotti, 2 corni, archi

Il tutto deponete - Recitativo (Don Alfonso, Fiordiligi, Dorabella, Despina,


Ferrando, Guglielmo) - continuo

La mano a me date - Quartetto (Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)


- Allegretto grazioso (re maggiore). Allegro. Allegretto grazioso. Presto - 2
flauti, 2 fagotti, 2 trombe, archi

Scena V:

Oh che bella giornata! - Recitativo (Fiordiligi, Ferrando, Dorabella,


Guglielmo) - continuo

Il core vi dono, bell' idolo mio - Duetto (Dorabella, Guglielmo) - Andante


grazioso (fa maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VI:

Barbara, perche fuggi? - Recitativo (Ferrando, Fiordiligi) - Allegro. Adagio -


archi

Ah! lo veggio, quell' anima bella - Aria (Ferrando) -Allegretto (si bemolle
maggiore). Allegro - 2 clarinetti, fagotto, 2 trombe, archi

Scena VII:

Ei parte... senti... ah no! - Recitativo (Fiordiligi) - Allegretto - archi

Per pietà, ben mio - Rondò (Fiordiligi) - Adagio (mi maggiore). Allegro
moderato - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VIII:

Amico, abbiamo vinto! - Recitativo (Ferrando, Guglielmo) - Recitativo.


Allegro a tempo. Andante. Allegro - continuo, archi
Donne mie, la fate a tanti - Aria (Guglielmo) - Allegretto (sol maggiore) - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena IX:

In qual fiero contrasto - Recitativo (Ferrando) - Allegro - archi

Tradito, schernito - Cavatina (Ferrando) - Allegro (do minore) - 2 oboi, 2


clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Bravo, questa è costanza - Recitativo (Don Alfonso, Ferrando, Guglielmo) -


continuo

Scena X:

Ora vedo che siete - Reciativo (Despina, Dorabella, Fiordiligi) - continuo

È amore un ladroncello - Aria (Dorabella) - Allegretto vivace (si bemolle


maggiore) - flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XI:

Come tutto congiura - Recitativo (Fiordiligi, Guglielmo, Despina, Don


Alfonso) - continuo

Scena XII:

L'abito di Ferrando - Recitativo (Fiordiligi, Guglielmo) - continuo

Fra gli amplessi in pochi istanti - Duetto (Fiordiligi, Ferrando) - Adagio (la
maggiore). Allegro (la maggiore - la minore - la maggiore). Larghetto. Andante
- 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XIII:

Ah poveretto me - Recitativo (Guglielmo, Don Alfonso, Ferrando) - continuo

Tutti accusan le donne - Andante (Don Alfonso, Ferrando, Guglielmo) -


Andante (do maggiore) - archi

Scena XIV:
Vittoria, padroncini - Recitativo (Despina, Ferrando, Don Alfonso, Guglielmo)
- continuo

Scena XV:

Fate presto, o cari amici - Finale (Despina, Don Alfonso, coro) - Allegro
assai (do maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi

Scena XVI:

a. Benedetti i doppi conjugi - Finale (coro) - Andante (mi bemolle maggiore)


2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

b. Come par che qui prometta - Finale (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando,


Guglielmo) - Andante (mi bemolle
maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

c. E nel tuo, nel mio bicchiero - Finale (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando,


Guglielmo) - Larghetto (mi bemolle
maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XVII:

d. Miei Signori, tutto è fatto - Finale (Fiordiligi, Dorabella, Ferrando, Don


Alfonso, Guglielmo, coro)
Allegro (mi maggiore). Maestoso (re maggiore). Allegro (mi bemolle
maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena XVIII:

e. Sani e salvi, agli amplessi amorosi - Finale (Fiordiligi, Dorabella, Despina,


Ferrando, Don Alfonso,
Guglielmo) - Andante (si bemolle maggiore). Con piu moto. Allegro.
Andante. Allegretto. Andante con
moto (do maggiore). Allegro molto - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2
fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,
archi

Die Zauberflöte (Il flauto magico) K620 - (30 settembre 1791, Theater auf
der Wieden, Vienna)

https://youtu.be/Z7BCF1a3uks
https://youtu.be/4G1HZwMBfBs

https://youtu.be/GEA3Ko3ugWs

Libretto: Emanuel Schikaneder

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Flautomagico-testo.html

Ruoli:

Sarastro - Gran sacerdote del Regno della Saggezza (basso profondo)


Tamino - Giovane principe (tenore)
Pamina - Giovane amata da Tamino (soprano)
Astrifiammante, Regina della notte - Madre di Pamina (soprano)
Papageno - Uccellatore (baritono)
Papagena - (soprano)
Monostatos - Moro, carceriere di Pamina e servo di Sarastro (tenore/
baritono)
Prima dama (soprano)
Seconda dama (soprano)
Terza dama (contralto)
Tre genietti
L'oratore degli iniziati (basso)

Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti (anche corni di bassetto), 2


fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboini, timpani, gong, archi
Composizione: Vienna, Marzo - 28 Settembre 1791
Prima rappresentazione: Vienna, Theater auf der Wieden, 30 Settembre 1791
Edizione: Musicalisches Magazin, Vienna 1791 - 92

Sulla genesi del Flauto magico sono fiorite molte leggende: più che la scarsità,
è l’elusività dei documenti in nostro possesso a renderle, se non legittime,
almeno in parte giustificate. Che si parta da una ricostruzione delle circostanze
esterne alla sua nascita, o che invece si a"rontino direttamente il testo e la
musica interrogandosi sulla loro sostanza e il loro significato,Il flauto magicoè
un’opera pervasa di mistero, avvolta in un’aura favolosa: e accettare questa
condizione, senza specularci troppo sopra, è l’unica via per entrare dentro il
suo mondo. Tutti gli accadimenti scenici e musicali che si svolgono nelFlauto
magico seguono una dinamica eminentemente teatrale, sganciata però da una
logica drammatica coesa, stringente e unitaria per principio. Se nelle opere
‘italiane’ Mozart aveva potuto abbattere le barriere dei generi fino al loro
intreccio e alla fusione, facendo dei pezzi d’insieme il culmine dell’azione e
della sintesi drammatica il mezzo per raggiungere la massima tensione
musicale, nelFlauto magico non esistevano un terreno già coltivato su cui
innestarsi né una tradizione su cui intervenire. Semmai c’era un nuovo genere
da fondare: quello della «Teutsche Oper», ossia opera tedesca, titolo col quale
Mozart registròDie Zauberflöte nel catalogo delle sue opere alla data del luglio
1791, quando ne cominciò la strumentazione. Opera tedesca non significava
automaticamente fondazione di un genere bensì semplicemente scelta, oltre
che di una lingua, di una forma e di uno stile. La forma era quella del Singspiel,
ossia di un’azione non interamente musicale ma comprensiva di parti parlate e
di canto, lo stile quello della Zauberoper, l’opera di argomento tragico,
mescolanza di tragico e di comico, di ‘meraviglioso’ e di bonariamente triviale,
dove elementi fiabeschi intercalati a caratteri allegorici di più svariata natura si
esprimevano in un tono ora popolare ora alto, non di commedia realistica ma
di racconto fantastico, senza spazio né tempi reali.

Atto primo. In un antico Egitto immaginario. Un paesaggio montuoso, con un


tempio sullo sfondo. Il principe Tamino, disarmato, è inseguito da un serpente;
sfinito e quasi sopra"atto, cade svenuto (“Zu Hülfe, zu Hülfe”). Dal tempio
escono tre dame velate che uccidono il serpente e, dopo aver ammirato la
bellezza del volto del giovane principe, si allontanano per informare della sua
presenza la loro signora, Astrifiammante, Regina della notte. Tamino, ripresi i
sensi, crede di dovere la propria salvezza a un curioso personaggio comparso
nel frattempo: è Papageno, un uccellatore vagabondo vestito di piume, che
canta accompagnandosi con un piccolo flauto di Pan (aria “Der Vogelfänger bin
ich ja”). Papageno conferma le supposizioni di Tamino, ma è subito
smascherato e punito per la sua menzogna dalle tre dame, che gli chiudono la
bocca con un lucchetto d’oro; poi le fanciulle mostrano al principe il ritratto di
Pamina, figlia della Regina della notte: il giovane se ne innamora all’istante
(aria “Dies Bildnis ist bezaubernd schön”). Con fragore di tuono appare nel
cielo Astrifiammante: ella spiega a Tamino che la figlia le è stata rapita dal
malvagio Sarastro e gli chiede di liberarla, promettendogliela in sposa
(recitativo e aria “O zitt’re nicht... Zum Leiden bin ich auserkoren”). Le dame
donano al giovane, che si è o"erto di salvare Pamina, un flauto d’oro dai poteri
magici; liberato Papageno dal lucchetto, consegnano anche a lui in dono un
carillon fatato e gli ingiungono di accompagnare Pamino nell’impresa. Sala nel
palazzo di Sarastro. Pamina, che ha tentato di fuggire per sottrarsi alle insidie
del moro Monostatos, viene ricondotta indietro da costui con la forza.
Sopraggiunge Papageno, e Monostatos, spaventato dal suo strano aspetto,
fugge. Papageno rivela alla fanciulla di essere stato inviato dalla Regina della
notte, insieme con un giovane principe che l’ama, per liberarla. I due, pieni di
speranza, esprimono la loro fede nella forza dell’amore (duetto “Bei Männern,
welche Liebe fühlen”). Poi si allontanano. La scena si muta in un boschetto.
Guidato da tre fanciulli, Tamino giunge dinanzi a tre templi: mentre l’accesso a
quelli della Ragione e della Natura gli viene impedito, la porta del tempio della
Sapienza arcanamente si apre. Un sacerdote spiega a Tamino che Sarastro non
è un essere malvagio e che Pamina è stata da lui sottratta all’influenza materna
per superiori, giusti motivi. Rimasto solo, Tamino rivolge il suo pensiero a
Pamina: dunque ella vive? Sì, ella vive, gli risponde magicamente un coro
invisibile. Confortato, trae fuori il suo flauto e suona: subito sbucano fuori
animali selvaggi d’ogni specie per ascoltarlo con gioia. Papageno risponde
dall’interno col suo piccolo flauto: seguendo i suoni dei rispettivi strumenti
Tamino e Papageno, che scorta Pamina, si cercano a vicenda senza tuttavia
riuscire a incontrarsi. Il carillon magico di Papageno costringe Monostatos e
alcuni servi, che stavano per catturarlo insieme con la fanciulla, a danzare e
marciare come automi. Compare Sarastro con il suo seguito: la giovane gli
chiede perdono per la fuga, spiegandone i motivi; Sarastro glielo concede di
buon grado, ma rifiuta di lasciarla tornare presso la madre. Tamino viene
trascinato da Monostatos davanti a Sarastro: il principe e Pamina si
riconoscono al primo sguardo e si gettano l’uno nelle braccia dell’altra.
Sarastro inopinatamente ordina che Monostatos venga punito per avere
insidiato la fanciulla e fa condurre Tamino e Papageno al tempio
dell’iniziazione. Il coro ineggia alla divina saggezza di Sarastro.

Atto secondo. Bosco di palme. Sarastro chiede ai sacerdoti degli iniziati di


accogliere Tamino nel tempio, dove verrà sottoposto alle prove che gli
consentiranno di appartenere alla schiera degli eletti e di sposare Pamina: la
richiesta viene accolta e tutti invocano Iside e Osiride a!nché donino alla
nuova coppia spirito di saggezza (aria con coro “O Isis und Osiris”). Tamino
viene condotto nell’atrio del tempio per essere sottoposto alla prima prova:
mantenere il silenzio qualunque cosa accada. Con lui è anche Papageno,
spaventato e alquanto recalcitrante: solo la velata promessa di ottenere
finalmente una compagna riesce in parte a convicerlo. Alla saldezza d’animo di
Tamino si oppone lo scetticismo di Papageno: i tentativi delle tre dame, inviate
dalla Regina della notte per costringerli a parlare, sono tuttavia respinti e alla
prima prova superata Monostatos si avvicina furtivamente a Pamina
addormentata: vorrebbe baciarla (aria “Alles fühlt der Liebe Freuden”), ma è
cacciato da Astrifiammante che, porgendo un pugnale alla figlia, le ordina di
vendicarla uccidendo Sarastro (aria “Der Hölle Rache”). Monostatos, non visto,
ha ascoltato tutto e minaccia di rivelare l’intrigo se Pamina non l’amerà.
Sopraggiunge Sarastro: dopo aver scacciato Monostatos, si rivolge
paternamente a Pamina e le spiega che solo l’amore, non la vendetta, conduce
alla felicità (aria “In diesen heil’gen Hallen”). Sala nel tempio. Tamino e
Papageno vengono invitati dai sacerdoti a rimanere ancora in silenzio.
Papageno però inizia a conversare con una vecchia che scompare, con fragore
di tuono, non appena egli le domanda quale sia il suo nome. Ricompaiono i tre
fanciulli, che recano, insieme con gli strumenti di Tamino e Papageno, una
tavola imbandita alla quale i due giovani potranno rifocillarsi prima di
continuare la prova. Mentre Papageno è felice di mangiare e bere, Tamino,
triste, suona il suo flauto. Sopraggiunge Pamina: alla sua gioia di rivedere
l’amato, Tamino non può rispondere, e tace. Disperata, Pamina crede di non
essere più amata e desidera la morte (aria “Ach, ich fühl’s, es ist
verschwunden”). Antro delle piramidi. Sarastro esorta i due innamorati a
pazientare, giacché altre prove li attendono (terzetto “Soll ich dich, Teurer,
nicht mehr sehn”). Al suono del suo carillon, Papageno medita sulla sua
solitudine: cosa darebbe per incontrare una ragazza a cui piacere (aria “Ein
Mädchen oder Weibchen”)! Riappare la vecchia, che si rivela essere una bella e
giovane Papagena, scomparendo però non appena egli cerca di abbracciarla.
Un giardino. Pamina, credendosi abbandonata da Tamino, tenta di uccidersi,
ma è salvata dai tre fanciulli, che la rassicurano sui sentimenti dell’amato.
Paesaggio montuoso. Tamino, scortato da due armigeri, giunge davanti a un
cancello al di là del quale si scorgono alte fiamme e una cascata; lo attendono
ora le prove supreme del fuoco e dell’acqua. A Pamina, sopraggiunta nel
frattempo, è consentito di accompagnarlo. Al suono del flauto magico, le prove
vengono superate. Nel giardino, Papageno si dispera perché Papagena è
scomparsa. I tre fanciulli gli suggeriscono di suonare il carillon magico: la
fanciulla riappare e lo abbraccia. Felici, i due già progettano una stirpe di
Papageni. Minacciosi, recando in mano nere fiaccole, Monostatos, la Regina
della notte e le tre dame tentano di avvicinarsi al tempio per uccidere Sarastro
e i suoi accoliti, ma vengono inghiottiti da un terremoto. Subito tutta la scena
viene avvolta dalla luce del sole. Sarastro e i sacerdoti celebrano la vittoria
della luce sulle tenebre («Die Strahlen der Sonne»), mentre Tamino e Pamina
vengono accolti nel regno della bellezza e della saggezza.

Fonte primaria delFlauto magicoè la raccoltaJinnistan ovvero Raccolta di fiabe


di fate e di spiritiedita da Christoph Martin Wieland tra il 1786 e il 1789: in
particolare la fiabaLulu ovvero Il flauto magicodi August Jakob Liebeskind.
Fonti secondarie del repertorio fiabesco sono inveceOberon, re degli elfidi Karl
Ludwig Giesecke e ilSingspiel Hûon e Amanda(1789) di Friederike Sophie
Seyler. Per la tessitura morale dei misteri iniziatici e per l’ethosilluministico del
libretto, nonché per l’ambientazione orientaleggiante ed egizia, alcuni motivi
provengono dal dramma eroicoThamos, re d’Egittodi Tobias Philipp von Gebler
(già musicato da Mozart anni addietro) e dal romanzoSéthosdell’abate
Terrasson; mentre il libroMisteri dell’Egittodel naturalista e massone Ignaz von
Born suggerì probabilmente qualche tratto della figura di Sarastro. La
consuetudine nata nell’Ottocento di considerare l’opera come una successione
di scene costruite sulla progressione verso un unico culmine drammatico, e
dunque sulla continuità dell’azione più che su coppie di contrasti, ha pesato a
lungo, e pesa tuttora, sul giudizio del libretto delFlauto magico: perfino un
uomo di teatro come Richard Strauss lo considerava confuso e strampalato,
riscattato solo dalla musica sublime di Mozart. Molti, fin dall’inizio, ne hanno
sottolineato l’incoerenza, come se l’opera avesse cambiato linea strada
facendo. Questa tesi non soltanto risulta insostenibile da un punto di vista
storico, ma è anche fuorviante rispetto alle premesse e ai valori drammaturgici
che ne stanno alla base.

Il ribaltamento delle situazioni, che poi avrebbe raggiunto una logica


drammatica più stringente nelFideliodi Beethoven e nelFranco cacciatoredi
Weber, era uno degli elementi fondamentali delSingspiele in particolare
dellaZauberoper; ne garantiva per così dire l’e"etto di sorpresa, in modo
spesso repentino e inverosimile ma proprio perciò teatralmente e!cace. Gli
ingredienti dell’intreccio fantastico, con inserti comici e simbolismi talvolta
oscuri, tali però da colpire l’attenzione in modo diretto, trovavano la loro più
attraente realizzazione negli e"etti spettacolari con cui si moltiplicavano le
sorprese, poco curandosi della verosimiglianza: improvvisi capovolgimenti di
scena con conseguente spiegamento di macchinari, travestimenti e salvataggi
spericolati, oggetti magici, interventi di animali e di mostri, di fate e di spiriti,
ora malvagi ora benigni, spesso in ambigua relazione. Era questo
l’armamentario dellaMaschinen-Komödie, che nella Vienna della fiabe del
Settecento godeva di grande popolarità, forte di un linguaggio figurativo
elementare, prossimo alla tipologia della fiaba: la cornice cui appartiene
ancheIl flauto magicoed entro cui sarebbe nata la nuova ‘opera tedesca’. A
spingere verso l’alto e a dare sostanza più profonda a queste trasformazioni,
che per risultare e!caci e avvincenti dal lato teatrale dovevano essere
improvvise e inattese, provvede la tematica ‘morale’ che si innesta sul
canovaccio della fiaba: il rogo illuminato di Sarastro e dei suoi sacerdoti
coincide con un cammino di iniziazione. Non c’è dubbio che Mozart e
Schikaneder abbiano riversato qui le loro idee massoniche di fratellanza e di
solidarietà, facendo però dell’iniziazione un percorso teatralmente articolato.
Se già il tono solenne della presentazione di Sarastro si identifica, anche
nell’ascoltatore più ignaro dei riti massonici, con l’a"ermazione di valori
superiori, quasi sacri, il bene non è ancora un valore acquisito: sarà il risultato
di una conquista. Gli elementi di questa conquista portano in primo piano
alcune convinzioni di Mozart, collegate alle ragioni più sostanziali e rituali
della sua adesione agli ideali della massoneria; l’idea che accanto alla sfera
terrena dei sensi, rappresentata nell’opera da Papageno, esista una sfera
spirituale, di più completa bellezza: ed è lì che si realizza, nell’aspirazione alla
trascendenza, la conquista dell’amore. Questo messaggio, non univoco ma
piuttosto realizzato nella compresenza di più piani, non avrebbe tuttavia valore
se accanto alla sfera superiore della coppia ‘nobile’ di Tamino e Pamina non
continuasse a esistere anche quella inferiore, ‘plebea’, di Papageno e
Papagena: umana l’una quanto l’altra. Nel contemperare e collegare questi
valori l’opera ha una progressione tutt’altro che astrusa e inverosimile. Le
simmetrie molto evidenti di cui l’opera è costellata, dal numero tre simbolo
massonico al sette della figura piramidale retta dalla specularità di luce e
tenebre, ricostruiscono un’unità formale interna all’opera, che fa della
coerenza di piani il perno attorno a cui ruota il divenire delle trasformazioni.
Di solito si annette scarsa attenzione, in sede sia critica sia esecutiva, alla
funzione dei dialoghi parlati nell’economia dell’opera. In teatro le parti parlate
vengono abbondantemente tagliate, alterando così il rapporto con la musica.
Se tutto ciò è ormai probabimente irreversibile, bisogna tuttavia tenerne conto
quando si giudichi la tenuta drammatica del testo nel suo complesso. È in
quegli spazi che si creano i presupposti e gli svolgimenti dell’azione,
lavorando perché essi avvengano. Il clima di attesa che si produce quando la
musica tace è la premessa a!nché la tensione drammatica si intensifichi,
sfociando poi nel canto. Punto culminante di tutto questo intreccio di motivi
diversi è il finale del primo atto, che se da un lato riassume tutto ciò che fino a
quel momento era stato posto in campo, dall’altro introduce verso altri
significati. A mutar direzione non è solo il paesaggio esterno, ma soprattutto
quello interiore, psicologico. La musica con cui i tre fanciulli, accompagnando
Tamino davanti alle porte dei tre templi, richiamano alla fermezza, alla
temperanza e al silenzio, ha il tono eloquente di un invito rassicurante, che
prefigura il clima caldo, umano del regno luminoso di Sarastro, e nello stesso
tempo contiene un’emozione arcana, un dubbio angoscioso che reca l’eco
oscura della severità, della magnificenza e perfino del dolore della Regina della
notte. Di colpo siamo introdotti in un’altra dimensione. L’intensificazione
drammatica è ottenuta proprio abolendo l’alternanza fra parlato e canto,
dando alla scena della rivelazione la forma di un recitativo accompagnato
incalzante, che si fa dialogo serrato nell’incontro di Tamino con il sacerdote
venuto a istruirlo sulla missione che l’attende. E che qui stia per accadere
qualcosa di decisivo lo dice proprio la scelta di una forma aperta continua,
intensamente drammatica, che innalza la sorpresa a e"etto puramente
musicale, al posto delle forme chiuse – arie, duetti e insiemi – usate in
precedenza. Il fatto musicale diviene così individuazione di una dimensione
formale e spirituale nuova anche sotto il profilo teatrale.

Se il finale del primo atto rappresenta la rivelazione dell’esistenza dell’amore


nella coscienza individuale, le prove del fuoco e dell’acqua costituiscono
l’a"ermazione di una legge universale, trascendente, che riguarda tutta
l’umanità in tutto ciò che vi è in essa di divinamente sacro: il compimento
dell’amore come bellezza e saggezza nel mondo degli uomini. È ciò che
chiaramente esprime, al vertice di tutta l’opera, la scena degli armigeri. Qui
Mozart utilizza un procedimento simmetrico rispetto al finale del primo atto:
non un canto interiorizzato dell’eroe, che si spoglia delle sue certezze per
prepararsi esitante a una nuova rivelazione, ma una verità che si rivela con la
forza di un imperativo categorico, la cui certezza consentirà alla coppia eletta
di superare le prove supreme. Il fatto che Mozart abbia introdotto in questa
scena un corale di Bach nel duetto degli armigeri che leggono l’iscrizione
misteriosa, e ne abbia poi elaborato la citazione su accompagnamento
contrappuntistico nella marcia della purificazione, costituisce un superamento
e allo stesso tempo un inveramento della convenzione teatrale in legge
musicale assoluta: qui è la musica stessa a diventare protagonista della scena,
con gesto che addita la meta del divino. Quando il fugato si arresta
bruscamente, comprendiamo di essere giunti, dopo un cammino di lunga
attesa, alle soglie dell’eterno. Componendo l’ouverture per ultima, due giorni
prima che la partitura iniziata sei mesi avanti venisse rappresentata per la
prima volta con straordinario successo, Mozart ribadì i diversi piani dell’opera
e ne indicò musicalmente gli sviluppi. Il triplice accordo che risuona all’inizio
annuncia solennemente il regno di Sarastro, ma è anche il simbolo di un’attesa
e di una trasformazione che l’Adagio misteriosamente scandisce; la dinamica
in cui si svolgerà l’azione è prefigurata dal fugato in cui si slancia l’Allegro, un
segnale che riassume in sé l’altezza di pensiero dei motivi morali e insieme la
vivace, spensierata immediatezza teatrale della favola: da ultimo, la spinta
verso una rotazione completa si placa e si compie nel corale degli armigeri
sulla soglia del tempio, rivelandosi musica senza tempo né spazio, governata
da leggi assolute.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Die Zauberflóte fu creata a Vienna, con straordinario successo, nel Theater auf
der Wieden, il 30 settembre 1791, due mesi prima della morte di Mozart e la
sua fortuna s'impose, ben presto, nei paesi tedeschi, come quella di una
rivelazione. Dopo Il ratto dal serraglio (1782) la Germania aveva trovato il
modello definitivo della sua opera nazionale, un esempio imprescindibile cui
guarderanno i compositori delle generazioni future, sia nel campo dell'opera
(Beethoven, Weber, Wagner) che in quello del Singspiel fantastico e fiabesco
(Ludwig Spohr, E.T.A. Ho"mann, Schubert, il Weber di Oberon, Heinrich
Marschner, Konradin Kreutzer, Gustav Albert Lortzing, Otto Nicolai, Peter
Cornelius). Impregnato di allegoria massonica a forte contenuto ideologico;
ambientato, secondo la moda dei romanzi allegorici, in un pittoresco Egitto di
fantasia, il libretto del Flauto magico, uscito dalla penna di Emanuel
Schikaneder, riversava i contenuti morali e allegorici della trama
nell'immediatezza teatrale della Zauberoper, opera magica composta per un
viennese teatro di macchine, e aperta all'immediatezza del gusto popolare con
le sue scene bu"e, le gags burlesche, le inattese peripezie.

Si trattava, quindi, per Mozart di un genere nuovo, del tutto diverso da quello
delle tre opere italiane su libretti di Da Ponte, che avevano realizzato, per la
prima volta, in musica, un equivalente della commedia in prosa, con
personaggi realistici, continuamente cangianti nella loro complessità
psicologica e sentimentale. A di"erenza di quanto avviene in Don Giovanni, Le
nozze dì Figaro e Così fan tutte, nel Flauto magico un giudizio morale divide i
personaggi in buoni e cattivi, entro una gerarchla che, dal livello di un'umanità
elementare (Papageno, Monostatos), preda del puro istinto, sale sino ai confini
del trascendente (Sarastro e il suo seguito, i tre fanciulli, la Regina) attraverso
l'emancipazione dei due protagonisti, Tamino e Pamina che, da uomini,
diventano iniziati. Ognuno di essi rappresenta un'idea che la musica esalta, in
una variopinta contrapposizione di stili, riferibili con precisione a vari generi di
musica teatrale, sacra e strumentale in uso nel Settecento. Ma non si tratta di
eclettismo. Il compositore riplasmò quel materiale nel segno della sua
inconfondibile personalità; stabilì sottili relazioni tematiche tra punti lontani
della partitura; fu in grado, così, di rifondere il tutto nella celebrazione mistica
di un'idea illuministica: quella della natura umana che accomuna gli uomini e
fonda la dignità dell'individuo, sia esso il principe Tamino, il Sacerdote Sarastro
o l'umile, "prosaico", Papageno. Lo stile adottato da Mozart nel Flauto magico
non reca traccia del fìtto tessuto di motivi orchestrali cangianti, pervasivi,
talvolta brevissimi e in continua trasformazione che, nella trilogia italiana,
pullulano sotto le voci e servono a una rappresentazione della vita basata sul
realismo psicologico e sulla presenza di personaggi analizzati nei più segreti
risvolti dell'animo e nelle pieghe riposte della psicologia.

Nel Flauto magico il compositore adotta una tecnica diversa, fondata su un


sistema di proposte e risposte motiviche articolate in armoniose
corrispondenze e simmetrie: l'orchestra è raccolta in ranghi più compatti, e fa
da accompagnamento al canto, molto melodico, con rare proposte di materiale
autonomo, il divario tra cosciente e subcosciente viene, così, superato: la vita
interiore dei personaggi, che non appartengono al mondo reale ma a quello
fantastico e ideale del mito, si svolge in perfetta sintonia con se stessa, senza
ambiguità o doppi sensi.

Al carattere fiabesco contribuisce, inoltre, il suono strumentale: un suono


so!ce, liquido, una vera fantasmagoria di timbri trasparenti, che distinguono
nettamente l'orchestrazione del Flauto magico da quella corposa e plastica del
Don Giovanni: voci di corni che si dischiudono come bolle iridescenti,
cascatene di flauti che scrosciano come sprazzi di luce, il tintinnare dei
campanelli che nasce improvviso, come da un tocco di bacchetta magica, il
pulsare dei bassi, carico di mistero e di presagio, i violoncelli che dispensano
carezze vellutate nelle pagine religiose, e così via. Questo suono, gonfio d'aria,
caratterizza l'Allegro dell'Ouverture che, dopo la solenne introduzione, Adagio,
s'invola nei cieli della più aerea leggerezza fiabesca.

A di"erenza dei due protagonisti, la Regina della notte e Sarastro, Papageno,


Papagena e Monostatos, insieme ai personaggi minori - le tre dame, i tre
fanciulli, i due armati - s'identificano in una caratteristica simbolica che ne
determina la fisionomia. Essi non si evolvono nel corso dell'azione: il volto con
cui si presentano nella prima scena resta il medesimo col quale si congedano
da noi, in un'assoluta identità di connotazioni.
Tale, ad esempio, Papageno, l'uccellatore al servizio della Regina della notte: il
Lied che canta nel primo atto, accompagnato dal fischio dello zufolo, è la
sublimazione artistica della canzone infantile, espressione di quell'età
dell'uomo che Papageno rappresenta, auspicando la compagnia di una donna
"da cullare come una bambina". Papageno è il rappresentante del russoviano
stato di natura: non sa nulla di nulla, conosce solo il ristretto territorio in cui
vive, con l'unico scopo di soddisfare i propri bisogni materiali e i propri piaceri
sensuali, catturando gli uccelli da portare alla Regina della notte. La musica ne
coglie tutta l'ingenuità, come trasfigurandola in una promessa di felicità
accessibile alle anime semplici, la cui bontà e freschezza istintiva non è ancora
stata intaccata dalla corruzione della civiltà. Lo stile messo in atto da Mozart
per caratterizzare questo straordinario personaggio, che possiede anch'egli
uno strumento dalla virtù magica come il Glockenspiel, tintinnante gioco di
campanelli, è quello del Lied strofico di origine popolare: la semplicità dei
mezzi, l'immediatezza delle melodie, l'assoluta linearità della forma sono esse
stesse espressione di uno stato di natura che la musica sublima nella più
elevata forma d'arte.

Al polo opposto dell'ingenuo Papageno, sta la saggezza di Sarastro e dei


sacerdoti che accolgono Tamino e Pamina nel loro regno (simboleggiato dal
"triplice accordo" di stampo massonico che risuona anche nell'Ouverture), dopo
averli sottoposti alle prove tremende dell'acqua e del fuoco, esercizio di
coraggio, fermezza, pazienza e vittoria sulla paura. Per la caratterizzazione
della figura del Gran Sacerdote, solitamente catafratto in una rigidezza sacrale,
esisteva un modello illustre: quello di Gluck che aveva fornito esempi di uno
stile ieratico e solenne, severo e arcaicizzante, capace di conferire a queste
figure una plasticità inedita nell'opera italiana e francese del Settecento.

Mozart aveva seguito questo modello nell'Idomeneo: nel terzo atto del
capolavoro giovanile, la figura del Gran Sacerdote celebrava i suoi riti con
gluckiano distacco e oggettiva lontananza rispetto al mondo umano degli
a"etti. Nel Flauto magico, invece, la visione del sacro si trasforma. Basta
paragonare la Marcia dei sacerdoti, che apre il secondo atto, con quella
analoga di Alceste (I,III), condotta da Gluck con incorruttibile regolarità
ritmico-fraseologica, in un andamento rigorosamente accordale, privo di
controcanti che possano creare elementi di varietà. Nella marcia di Mozart,
invece, il moto propulsivo segue un andamento irregolare, fatto di piccoli incisi
e una fraseologia del tutto imprevedibile. Ciò che in Gluck è un atto rituale,
liturgicamente previsto, diventa in Mozart un atto di vita, che nega l'isolamento
della liturgia e ne fa qualche cosa di intimamente commosso, animato da una
struggente nostalgia per il soprannaturale: i sacerdoti non abitano più un
paesaggio spirituale distaccato, e l'invito a entrare nel tempio della saggezza si
fa estremamente più seducente per l'uomo.
Questa umanizzazione del sacro raggiunge il culmine nelle due arie di
Sarastro. Invece di ricorrere a stilemi gluckiani, Mozart attinge nuovamente allo
stile del Lied popolare, e conferisce al gran sacerdote un'estrema a"abilità
melodica: il suo canto non esprime la certezza di conoscere il mondo del
trascendente, ma la nostalgia di chi vi aspira con una romantica tensione di
tutto l'animo. Il ritmo di valzer lento su cui si snoda la preghiera a Iside e
Osiride ne è una componente significativa; l'espressione di amore, perdono,
tolleranza, assume, nelle morbide volute melodiche della seconda aria, «In
diesen heil'gen Hallen», il carattere di una oggettiva proclamazione dogmatica
e il calore che l'etica dell'amore produce nel cuore di chi la professa.
Fondamentale, per la definizione dei personaggi in chiave mitica e simbolica, è
la scelta, imprevedibile e geniale, dei registri vocali. Il regno di Sarastro è
quello della luce. La sua figura s'identifica con quella del sole, che illumina con
i suoi raggi la notte delle tenebre dove si annidano l'ignoranza, l'intrigo, la
superstizione. Nell'ultima scena tutto il teatro, come indica la didascalia, "si
trasforma in un sole". È sorprendente come Mozart riesca a produrre un senso
di sfolgorante luminosità attraverso la voce del basso profondo che, più
scende a pescare le note nelle regioni oscure del pentagramma, più irradia il
calore dell'a"etto, della tranquillità, della calma interiore. Viceversa, la Regina
della notte appartiene al regno gelido delle tenebre e, quando compare per la
prima volta, «siede su un trono ornato di stelle trasparenti». A lei Mozart a!da
il registro acutissimo del soprano di coloratura, gorgheggiante come un
usignolo meccanico in vocalizzi aguzzi come gelide ramificazioni di ghiaccio.
La voce più alta della gamma vocale, di solito luminosa e scintillante, produce,
qui, un senso di astrale freddezza nella misura in cui quel canto brilla, come
una lama tagliente, nel firmamento notturno che lo incornicia. Lo stile della
Regina della notte è quello dell'opera seria italiana: niente di nuovo, quindi, sul
piano strettamente linguistico. Ma nuova è la facoltà di caricare il belcanto di
tale intensità espressiva, dando alla Regina un aspetto che nessun altro
personaggio potrebbe usurpare, tanto è specifico, personalizzato, preciso.

L'opera bu"a italiana è pure presente nella rosa degli stili impiegati da Mozart.
Lo mostrano, oltre alla vivacità, scorrevolezza, e agilità di passi che
caratterizzano i concertati, la parte del moro Monostatos, temperamento
notturno e violento visto con divertita ironia, e quella delle tre dame che,
all'inizio dell'opera, ammirano la bellezza di Tamino, svenuto per la paura
dell'enorme serpente che lo stava inseguendo: emissario del regno malefico
della Regina della notte, formano, come i tre fanciulli, un solo organismo a tre
teste, divertenti espressioni della frivolezza muliebre, che gli austeri sacerdoti
di Sarastro bolleranno di indegna superficialità.

Lied tedesco, opera seria e opera bu"a non esauriscono la rosa degli stili cui
Mozart fa ricorso per la definizione di personaggi e situazioni. Troviamo, ad
esempio, il corale luterano. I due armati, che fanno la guardia alle porte, dietro
cui si vedranno la cascata d'acque e il muro di fuoco, cantano il corale
protestante «Ach Gott, vom Himmel sieh' darein», tratto da un manuale di
composizione di Johann Philipp Kirnberger (1774) mentre in orchestra risuona
il tema del terzo Kyrie di una Messa cattolica di San Enrìco (1701) di Heinrich
von Biber: sorprendente apertura su di uno stile arcaico, qui adottato, nella
sovrapposizione dei rigidi contrappunti, per connotare la durezza, la di!coltà,
la severa austerità delle prove che attendono Tamino e Pamina.

Accanto al contrappunto severo, altri elementi collegano il Flauto magico alla


tradizione della musica tedesca. Se il riferimento a Gluck è evitato nella parte
di Sarastro, Mozart ne tiene conto, invece, nella scena dell'Oratore, quando, nel
Finale del primo atto, Tamino prende il primo contatto con il mondo degli
iniziati e intreccia un dialogo in recitativo con lo Sprecher che gli spiega i
princìpi morali del regno di Sarastro: il quale non è malvagio, come Tamino
crede, ma custodisce Pamina dopo averla rapita per sottrarla al malefico
influsso della madre, la Regina della notte. Questo dialogo solenne applica alla
lingua tedesca lo stile che Gluck aveva adottato nelle sue opere francesi,
esaltando la parola nella sua duplice natura fonetica e semantica, attraverso
uno studio sulla musicalità della lingua che escludeva il ricorso a giri di frase e
cadenze convenzionali. Da questo stile, l'opera tedesca trarrà spunto per la
maturazione di un declamato la cui discendenza arriverà sino a Wagner. Come,
irresistibilmente, a Parsìfal fa pensare il coro dei sacerdoti "O Isis und Osiris",
con i suoi echi interni, l'andamento, scandito su un ritmo puntato che
contraddistingue, nell'opera, la sfera sacrale, il suono organistico dei
tromboni, l'altissima trasfigurazione della solennità ieratica nell'intimità di un
dolce misticismo.

E poi c'è lo stile fiabesco, la leggerezza aerea di situazioni musicali che ci


trasportano nel mondo immateriale dei puri spiriti dell'aria. È il caso dei tre
geni, personaggio uno e trino come le tre dame che, con voci infantili,
svolazzano ad annunciare la sacralità, la bellezza, l'armonia del mondo
superiore cui Tamino e Pamina dovranno accedere. Che quest'annuncio sia
a!dato alle voci bianche di tre fanciulli dimostra che, tra nobile e popolare,
saggezza e innocenza, rigore morale e stato di natura non c'è antitesi ma una
sostanziale identità, garantita dalla sacralità intrinseca che la visione
mozartiana del mondo connette con la natura umana.

Attraverso questa pluralità degli stili, l'opera trascolora in una fantasmagorica


varietà di tinte: in tal modo, la «festa» ideale e fiabesca si apre a una ricchezza
di forme e di contenuti del tutto inedita. Diversamente dai personaggi citati, i
due protagonisti, Tamino e Pamina, non sono fissi, ma subiscono
un'evoluzione, vivono le contraddizioni, le scoperte, le paure, le apprensioni, le
gioie che possono accompagnare due esseri umani nella loro progressiva
maturazione interiore, nel passaggio da un mondo in cui dominano le tenebre
del male, della superstizione e della violenza, alla luce sfolgorante del sole che
si a"erma nell'ultima scena. In tal modo, conquistando la bellezza (morale) e la
saggezza, come a"erma l'ultimo coro, Tamino potrà, insieme a Pamina, non
solo raggiungere la pienezza dell'essere perché «l'uomo con la donna e la
donna con l'uomo s'innalzano fino alla divinità», ma anche «governare in
futuro come saggio principe», esercitando «sapienza, ragione e virtù»: le tre
doti programmatiche incise sui frontoni dei templi che lo accolgono, alla fine
del primo atto, nel regno degli iniziati, e garantiscono insieme la felicità
personale e quella dei sudditi soggetti a un buon governante, come cantano i
sacerdoti, alla fine del primo atto:
Se la giustizia e la virtù si spargono
Sul grande sentiero della gloria
La terra sarà il regno dei cieli
E i mortali simili agli dei.

Sul piano teatrale questo itinerario di emancipazione e maturazione umana,


inteso come educazione del principe all'esercizio onesto e benefico del potere,
postula, evidentemente, una caratterizzazione in divenire che illumini il
susseguirsi delle tappe: il Tamino dell'Aria del ritratto (n. 3), la Pamina del
terzetto (n. 6) o dell'aria in sol minore (n. 17), palpitanti e inquieti, sono ben
diversi dagli intrepidi sfidanti che, saldi nella loro fermezza interiore, protetti
dal talismano del flauto magico, attraversano indenni le muraglie di acqua e di
fuoco. Durante tutta l'opera, i due componenti della "nobile coppia" vivono di
sfumature, contrasti, mirabili ombreggiature del sentimento e della psiche.
Tuttavia, in quanto soggetti alla medesima legge morale che divide in buoni e
cattivi coloro che li attorniano, non sono del tutto identifìcabili con i
personaggi delle opere italiane. Qui, se possibile, il compito per Mozart era
ancora più arduo: bisognava sposare psicologia e mito, giocando d'equilibrio
tra le esigenze allegoriche della fìaba e lo svariare continuo degli stati d'animo.
Nella Bildnisarie (n. 3) Tamino ammira il ritratto di Pamina e, folgorato dalla
bellezza di quel volto, sente il suo cuore riempirsi di una strana agitazione,
che brucia come una fiamma. «Devo chiamarla amore? ... Cosa farei? Tutto
estasiato la stringerei a questo petto infuocato, e così sarebbe eternamente
mia». La linea musicale fluisce libera, sfrangiandosi, quasi come un arioso,
attraverso giochi elastici di tensione e distensione melodica. La stessa
regolarità metrica del testo è lasciata cadere, il canto, dapprima sillabico, si
abbandona progressivamente a dolci melismi, tutte le volte che Tamino,
espresso un pensiero, s'attarda a considerarlo e quasi a ricamarci su. Ebbrezza
contemplativa, auscultazione di sé, certezza, incertezza, romantica tensione,
lieve demenza d'amore e appagamento nella vagheggiata felicità futura si
susseguono, sino ad un'apoteosi di intima estasi, in un poetico caleidoscopio
di stati d'animo. Ma, nonostante il realistico divenire dei suoi sentimenti,
Tamino è diverso dai personaggi delle opere italiane; egli abita regioni di fìaba
e l'orchestra ce lo conferma, nella sua stretta parentela con la linea del canto:
non propone, infatti, materiale autonomo, ma raccoglie o anticipa la linea
vocale in un gioco di echi e pre-echi che accompagnano, con commossa
dolcezza, le fluttuazioni dell'animo. Quanto basta per conferire al personaggio
una qualità psicologica, senza tradirne, però, il carattere fiabesco, sottratto alla
tensione lacerante delle forze che attraversano la vita reale.

Analoga ricchezza di sfumature caratterizza l'aria in sol minore di Pamina, che


incontra Tannino, il quale, sottoposto alla prova del silenzio, non può
rivolgerle la parola. La ragazza, che interpreta questo atteggiamento come il
segno di un rifiuto, sprofonda, allora, in uno stato di profonda tristezza,
esibisce le proprie lacrime e, nella sua spossatezza interiore, si abbandona a
un desiderio di morte. L'aria ha caratteri singolarmente oscuri. Scavando nella
rappresentazione del dolore, mostra l'aspetto più tipicamente tedesco
dell'ispirazione mozartiana, con un'evidenza che non ha riscontro nelle opere
precedenti se non nell'aria di Constanze «Traurigkeit ward mir zum Lose» del
Ratto dal serraglio. Alcuni giri di frase ricordano irresistibilmente il
melodizzare di Bach, in particolare quei percorsi un po' labirintici nello scavo
del dolore che il compositore traccia nelle arie delle Passioni. Anche nell'aria di
Pamina, come in quella di Tamino, assistiamo a un progressivo slittare entro le
zone più segrete dell'animo, alla ricerca di ciò che la parola non è in grado di
esprimere, e solo la musica può rendere, attraverso il libero volo del vocalizzo
e lo strisciare melodico dei cromatismi.

Ma non meno decisiva è la funzione dell'orchestra, che si limita a una


pulsazione ritmica, screziata da timide comparse di flauto, oboe e fagotto:
ambigue striature timbriche in forma di eco e pre-eco, lievissimi arabeschi che
tramano, intorno alla voce, una vicenda strumentale ad alto potenziale
introspettivo. La vita subcosciente del personaggio traluce rarefatta sotto
questi lamenti che sembrano specchiare, in orchestra, le dolorose torsioni del
canto e, nella loro spossatezza, colgono, con pungente realismo psicologico,
l'esperienza di un amore morente; il tutto velato attraverso le continue
modulazioni, e il fitto pullulare di appoggiature dissonanti. Come quella di
Tamino, anche la caratterizzazione psicologica di Pamina non si cristallizza nei
profili taglienti del realismo dapontiano, ma fluttua e vapora, fascinosamente,
nella nebbia del mito.

Resta da dire del flauto, lo strumento che dà il titolo all'opera. Poche sono le
sue uscite solistiche: nella scena in cui Tamino incanta gli animali e in quella
che vede la nobile coppia attraversare, grazie al potere magico dello
strumento, la cascata d'acqua e il muro di fuoco. In queste due occasioni, il
flauto solista abbandona ogni frivolezza galante, cui la musica settecentesca
l'aveva per lo più destinato, e assume una funzione magico-incantatoria. Gli
animali escono dai loro nascondigli e circondano Tamino, novello Orfeo,
attratti dal motivo roteante e cantabile che, impregnato di umori popolari,
riprende e completa la melodia del tenore, mentre evoca il potere magico dello
strumento. Un clima di candore infantile investe l'episodio, che si conclude con
i richiami tra il flauto di Tamino e lo zufolo, suonato, fuori scena, da Papageno.

La scena delle prove vede, invece, la voce del flauto levarsi pura e arcana nel
silenzio, pausato solo da sommessi colpi di timpano: melodia fragile e
semplicissima, condotta sull'orlo dell'abisso, immagine di una leggerezza
estrema, ma anche figura ben riconoscibile del tragitto rettilineo e sicuro che
la nobile coppia percorre per uscire dalla notte del pericolo all'apoteosi finale.
Ma qui, il flauto non è più solamente uno strumento: Mozart lo ha trasformato
nel simbolico demiurgo dell'azione, sottraendolo alla frivolezza
dell'intrattenimento mondano per conferirgli quel potere di ra!gurare la
solitudine e l'attesa che attraverserà tutto l'Ottocento.

Nella Zauberflöte le comparse del flauto sono talmente importanti, per il loro
valore iconico, simbolico e drammatico, che Mozart le riserva ai momenti
supremi. Significativo è il fatto che il quintetto del primo atto (n. 5), durante il
quale le tre dame consegnano a Tamino il flauto magico, non contempli in
orchestra la partecipazione dei flauti: troppo aneddotico e banale sarebbe
stato far risuonare in orchestra la voce dello strumento mentre esso compare
in scena, come sicuro talismano. Ma il timbro chiaro, la voce argentea, la
luminosità dorata del flauto è comunque riprodotta, metaforicamente, dal
mirabolante gioco di colori che Mozart ottiene unendo agli archi,
particolarmente argentini, la voce di due oboi, clarinetti, fagotti e corni.

Attraverso la combinazione di tutti questi fattori stilistici e tecnici, simbolici ed


estetici, e di altri ancora che è impossibile, qui, descrivere, Mozart conferisce
abbagliante rilievo alla vicenda della coppia protagonista, attorno a cui gli altri
personaggi si dispongono in un sistema di quinte teatrali orientate con mano
maestra, e mosse dal musicista con infallibile sapienza "registica". Il miracolo
sta nel complesso gioco di relazioni e di cerniere che saldano, potentemente, il
tutto; nell'impiego degli scarti stilistici in funzione drammatica; infine, nella
sintesi operata dall'arte di Mozart tra allegoria e vita, tra le componenti
didascaliche ed allegoriche del libretto e quelle esigenze di scioltezza teatrale
che il musicista perseguì come essenza vitale di tutta la sua produzione
drammatica e che gli permise di conferire il marchio dell'eternità ad una fiaba
che, in virtù della musica, riesce ancora a toccarci da vicino, in quella
struggente aspirazione alla luce della giustizia, della bontà, della felicità che
l'uomo porta dentro di sé e che, nonostante tutto, non riesce a far tacere.

Paolo Gallarati

Struttura musicale
Ouverture - Adagio (mi bemolle maggiore). Allegro. Adagio. Allegro - 2
flauti, 2oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi

Atto I:
Scena I:

Zu Hilfe! zu Hilfe! - Introduzione (Tamino, 3 damigelle) - Allegro (do


minore). Allegretto (sol maggiore). Allegro (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi

Wo bin ich! - Testo parlato (Tamino)

Scena II:

Der Vogelfanger bin ich ja - Aria (Papageno) - Andante (sol maggiore) - 2


oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

He da!... Was da? - Testo parlato (Tamino, Papageno)

Scena III:

Papageno!... Aha, des geht mich an! - Testo parlato (Papageno, Tamino, 3
damigelle)

Scena IV:

Dies Bildnis ist bezaubernd schön - Aria (Tamino) - Larghetto (mi bemolle
maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena V:

Rüste dich mit Mut und Standhaftigkeit - Testo parlato (3 damigelle,


Tamino)

Scena VI:

a. O zittre nicht, mein lieber Sohn! - Recitativo (Regina della notte)


Allegro maestoso (si bemolle maggiore) - archi

b. Zum Leiden bin ich auserkoren - Aria (Regina della notte)


Larghetto (si bemolle maggiore) .Allegro moderato - 2 oboi, 2 fagotti, 2
corni, archi
Scena VII:

Ist's denn auch Wirlichkeit - Testo parlato (Tamino)

Hm! hm! hm! hm! - Duetto (Tamino, Papageno) - Allegro (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena VIII:

a. Die Königin begnadigt dich - Quintetto (3 damigelle, Tamino, Papageno)


Allegro (si bemolle maggiore). Andante - 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
corni, archi

Scena IX:

Hahahahaha!... Pst! Pst! - Testo parlato (3 schiavi)

Scena X:

He, Sklaven! - Testo parlato (Monostatos, 3 schiavi)

Scena XI:

Du feines Täubchen, nur herein! - Terzetto (Pamina, Monostatos, Papageno)


- Allegro molto (sol maggiore) - flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XII:

a. Wo bin ich wohl? - Duetto (Monostatos, Papageno) - Allegro molto (sol


maggiore)
flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XIII:

Mutter! Mutter! Mutter! Wie? - Testo parlato (Pamina)

Scena XIV:

Bin ich nicht ein Narr - Testo parlato (Papageno, Pamina)

Bei Männern, welche Liebe fühlen - Duetto (Pamina, Papageno) - Andantino


(mi bemolle maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XV:
Zum Ziele führt dich diese Bahn - Finale (3 fanciulli, Tamino) - Larghetto (do
maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3
tromboni, timpani, archi

Die Weisheitslehre dieser Knaben - Recitativo (Tamino, una voce, Sacerdote)


- Recitativo. Allegro. Allegro assai. Adagio. Andante a tempo. Andante - 2
flauti, 2 oboi, 2 fagotti, archi

a. Bald, Jüngling, oder nie! - Coro (Tamino, coro) - Andante (do maggiore) -
3 tromboni, archi

b. Wie stark ist nicht dein Zauberton - Aria (Tamino) - Andante (do
maggiore). Presto. Adagio. Presto
flauto, 2 oboi, archi

Scena XVI:

c. Schnelle Füsse, rascher Mut - Finale (Pamina, Papageno) - Andante (sol


maggiore)
2 flauti, 2 oboi, 2 corni, archi

Scena XVII:

d. Nur geschwinde, nur geschwinde! - Finale (Pamina, Monostatos,


Papageno, coro degli schiavi)
Allegro (sol maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

e. Es lebe Sarastro, Sarastro lebe! - Finale (Pamina, Papageno, coro)


Allegro maestoso (do maggiore) - 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi

Scena XVIII:

f. Es lebe Sarastro, Sarastro soll leben! - Coro (coro) - Allegro maestoso (do
maggiore)
2 oboi, 2 fagotti, 2 trombe, timpani, archi

g. Herr! Ich bin zwar Verbrecherin! - Finale (Pamina, Sarastro) - Larghetto (fa
maggiore)
2 oboi, 2 corni di bassetto, 2 fagotti, archi

Scena XIX:
h. Nun stolzer Jüngling, nur hieher! - Finale (Pamina, Tamino, Monostatos,
coro)
Allegro (fa maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni di bassetto, 2 fagotti,
archi

Führt diese beiden Fremdlinge - Recitativo (Sarastro) - 2 flauti, 2 oboi, archi

i. Wenn Tugend und Gerechtigkeit - Coro (coro) - Presto (do maggiore)


2 flauti, 2 oboi, 2 corni di bassetto, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3
tromboni, timpani, archi

Atto II:
Scena I:

Entrata dei sacerdoti - Marcia (fa maggiore) - flauto, 2 corni di bassetto, 2


fagotti, 2 corni, 3 tromboni, archi

Ihr, in dem Weisheitstempel - Testo parlato (Sarastro, 3 sacerdoti)

Triplice accordo - Adagio (fa maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 corni di


bassetto, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni

Gerührt uber die Einigkeit - Testo parlato (Sarastro, 3 sacerdoti, Oratore)

O Isis und Osiris - Aria e coro (Sarastro, Sacerdoti) - Adagio (fa maggiore) -
2 corni di bassetto, 2 fagotti, 3 tromboni, 2 viole, violoncello

Scena II:

Eine schreckliche Nacht! - Testo parlato (Tamino, Papageno)

Scena III:

Ihr Fremdlinge - Testo parlato (Oratore, Tamino, secondo sacerdote,


Papageno)

Bewahret euch vor Weibertücken - Duetto (secondo sacerdote, Oratore) -


Allegretto (do maggiore) - 2 fauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, 3 tromboni, timpani, archi

Scena IV:

He Lichter her! - Testo parlato (Papageno, Tamino)


Scena V:

Wie? wie? wie? Ihr an diesem Schreckensort? - Quintetto (3 damigelle,


Tamino, Papageno, coro maschile) - Allegro (sol maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2
fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi

Scena VI:

Heil dir, Jüngling! - Testo parlato (Oratore, secondo sacerdote, Papageno)

Scena VII:

Ha, da find' ich ja die spröde Schöne! - Testo parlato (Monostatos)

Alles fühl der Liebe Freuden - Aria (Monostatos) - Allegro (do maggiore) -
ottavino, flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, archi

Scena VIII:

Zürucke!... Ihr Götter! - Testo parlato (Regina della notte, Pamina,


Monostatos)

Der Hölle Rache kocht - Aria (Regina della notte) - Allegro assai (re minore)
- 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena IX:

Morden soll ich? Götter! - Testo parlato (Pamina)

Scena X:

Sarastros Sonnenkreis - Testo parlato (Monostatos, Pamina)

Scena XI:

So fahr denn hin! - Testo parlato (Monostatos, Sarastro)

Scena XII:

Herr, strafe meine Mutter nicht - Testo parlato (Pamina, Sarastro)

In diesen heil'gen Hallen - Aria (Sarastro) - Larghetto (mi maggiore) - 2


flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena XIII:

Hier seid ihr euch beide allein überlassen - Testo parlato (Oratore, secondo
sacerdote)

Scena XIV:

Tamino!... St! - Testo parlato (Papageno, Tamino)

Scena XV:

Ist das für mich? - Testo parlato (Papageno, una vecchia)

Scena XVI:

Seid uns zum zweiten Mal willkommen - Terzetto ( 3 genietti) - Allegretto


(la maggiore) - 2 flauti, 2 fagotti, archi

Scena XVII:

Tamino, wollen wir nicht speisen? - Testo parlato (Papageno, Tamino)

Scena XVIII:

Du hier? Gütige Götter! - Testo parlato (Pamina, Tamino, Papageno)

Ach, ich fühl's, es ist verschwunden - Aria (Pamina) - Andante (sol minore) -
flauto, oboe, fagotto

Scena XIX:

Nicht wahr, Tamino, ich kann auch schweigen - Testo parlato (Papageno,
Tamino)

Scena XX:

O Isis und Osiris - Coro (sacerdoti ) - Adagio (re maggiore) - 2 flauti, 2


oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, archi

Scena XXI:

Prinz, dein Betragen - Testo parlato (Sarastro, Pamina, Tamino)


Soll ich dich, Treuer, nicht mehr sehn? - Terzetto (Pamina, Tamino, Sarastro)
- Andante moderato (si bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, archi

Scena XXII:

Tamino! Tamino! Willst du mich denn - Testo parlato (Papageno, Oratore)

Scena XXIII:

Mensch! Du hättest verdient - Testo parlato (Oratore, Papageno)

Ein Mädchen oder Weibchen - Aria (Papageno) - Andante (fa maggiore).


Allegro - flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, campanelle, archi

Scena XXIV:

Da bin ich schon, mein Engel! - Testo parlato (una vecchia, Papageno)

Scena XXV:

For mit dir, junges Weib - Testo parlato (Oratore, Papageno)

Scena XXVI:

Bald prangt, den Morgen zu verkünden - Finale (3 genietti) - Andante (mi


bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XXVII:

a. Du also bist mein Bräutigam? - Finale (Pamina, 3 genietti) - Andante (mi


bemolle maggiore). Allegro
2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XXVIII:

b. Der, welcher wanderl diese Strasse - Finale (Pamino, Tamino, 2 guerrieri)


Adagio (mi bemolle maggiore). Allegretto - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2
fagotti, 3 tromboni, archi

c. Tamino mein! - Finale (Pamina, Tamino, 2 guerrieri)


Andante (fa maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

d. Wir wandelten durch Feuergluten - Marcia (Pamina, Tamino)


Adagio (do maggiore) - 2 flauti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani,
archi

e. Triumph, Triumph, Triumph! - Coro (coro)


Allegro (do maggiore) - 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena XXIX:

f. Papagena! Papagena! - Finale (Papageno)


Allegro (sol maggiore). Andante - flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

g. Halt ein, halt ein, o Papageno! - Finale (Papageno, 3 genietti)


Allegretto (do maggiore) - flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

h. Klinget, Glöckchen, klinget! - Finale (Papageno, 3 genietti)


Allegro (do maggiore) - flauto, fagotto, archi

i. Pa pa pa pa! - Finale (Papagena, Papageno)


Allegro (sol maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XXX:

j. Nur stille! - Finale (Regina della notte, 3 fanciulle, Monostatos) - Più


moderato (do minore)
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni,
timpani, archi

Die Strahlen der Sonne - Recitativo (Sarastro) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti,


2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi

k. Heil sei euch Geweihten! - Coro (coro) - Andante (mi bemolle maggiore).
Allegro
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni,
timpani, archi

Supplemento:

Pamina, wo bist du? - Duetto (Tamino, Papageno) - Andante (si bemolle


maggiore). Allegro - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

La clemenza di Tito K621 - (6 settembre 1791, Teatro degli Stati, Praga)

https://youtu.be/FljQtsgIgQY
Testo: Caterino Mazzolà, da Metastasio

https://www.flaminioonline.it/Guide/Mozart/Mozart-Tito-testo.html

Ruoli:

Tito Vespasiano, Imperatore di Roma (tenore)


Vitellia, figlia dell'Imperatore Vitellio (soprano)
Servilia, sorella di Sesto, innamorata di Annio (soprano)
Sesto, amico di Tito, innamorato di Vitellia (mezzosoprano)
Annio, amico di Sesto, innamorato di Servilia (mezzosoprano)
Publio, prefetto del pretorio (basso)
Coro

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 corni inglesi, 2 clarinetti (2 anche corno di


bassetto), 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Vienna - 19 Agosto - Praga, 5 Settembre 1791
Prima rappresentazione: Praga, Nationaltheater, 6 Settembre 1791
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1795

Nell’ultimo anno della sua vita, Mozart ricevette un’importante commissione


originariamente destinata a Salieri. In occasione dei festeggiamenti per
l’incoronazione a re di Boemia dell’imperatore Leopoldo II, il 20 luglio 1791, i
rappresentanti degli stati boemi firmarono con l’impresario Guardasoni un
contratto per un’opera celebrativa dell’avvenimento. Sulla base di questa data,
sappiamo che Mozart, all’epoca a buon punto della composizione del Flauto
magico, poté cominciare il lavoro quasi a ridosso della prima
rappresentazione, prevista per il 6 settembre. Per il titolo del dramma la scelta
cadde su uno dei più celebrati testi mestastasiani, scritto nel 1734 sempre per
una festività della corte di Vienna (all’epoca il sovrano cui si alludeva con il
personaggio di Tito era l’imperatore Carlo VI, padre di Maria Teresa).

Atto primo. Vitellia, figlia del deposto predecessore di Tito Vespasiano,


progetta di vendicarsi contro l’imperatore (che pure l’a"ascina) armando
contro di lui la mano del proprio spasimante Sesto che, se l’ama veramente,
dovrà dimostrarlo uccidendo il monarca (“Come ti piace, imponi”). Giunge
Annio, annunciando che le progettate nozze tra Tito e Berenice sono
rimandate. Vitellia, rincuorata, chiede a Sesto di sospendere il piano omicida
(“Deh, se piacer mi vuoi”). Sesto promette intanto all’amico Annio la mano di
sua sorella Servilia (“Deh, prendi un dolce amplesso”). Nel Foro romano si
raduna il popolo con il senato e i legati delle province dell’impero (marcia e
coro “Serbate, oh dèi custodi”). Tito, congedato il popolo, rivela a Sesto che
intende sposare Servilia, elevando così l’amico alla più alta dignità (“Del più
sublime soglio”). Ad Annio non resta che avvisare Servilia del triste destino del
loro amore (“Ah, perdona al primo a"etto”). Nella dimora imperiale sul colle
Palatino, Tito riceve la visita di Servilia, che gli rivela il proprio legame con
Annio: senza esitazione, l’imperatore decide di non imporre la propria volontà
alla ragazza, e ne loda la sincerità (“Ah, se fosse intorno al trono”). Vitellia,
ignara dell’ultima decisione di Tito, convince Sesto a eseguire finalmente la
vendetta (“Parto: ma tu, ben mio”). Questi ha appena lasciato la scena, quando
Publio annuncia a Vitellia che Tito l’ha chiesta in sposa (“Vengo... aspettate...
Sesto”). Intanto, presso il Campidoglio, Sesto è lacerato dal rimorso per
l’azione intrapresa. Ma è troppo tardi ormai: il Campidoglio è già avvolto dalle
fiamme e infuria un tumulto armato, secondo gli ordini da lui impartiti (“Oh
dèi, che smania è questa”, “Deh conservate, oh dèi”). Quando Vitellia, che lo
cerca disperata, riuscirà a trovare Sesto, questi avrà già accoltellato Tito.

Atto secondo. L’imperatore però non è morto. Sesto ha colpito un altro al suo
posto. Ad Annio, che gli porta questa notizia, Sesto rivela di essere l’autore
della congiura. L’amico lo esorta a non confessare, ma piuttosto a espiare il
delitto con «replicate prove di fedeltà» all’imperatore (“Torna di Tito a lato”).
Ma Sesto è stato ugualmente scoperto come autore della congiura: Publio
giunge con la scorta armata per arrestarlo e condurlo davanti al senato.
Nell’addio a Vitellia si agitano i presentimenti di morte di lui e la paura di lei di
venire coinvolta nel giudizio (“Se al volto mai ti senti”). L’imperatore fa il suo
ingresso nella sala delle pubbliche udienze, attorniato dai patrizi, dai
pretoriani e dal popolo (“Ah, grazie si rendano”). A Tito, impaziente di sapere
quale fato il senato abbia riservato a Sesto e incredulo di fronte alle accuse
mosse all’amico, Publio fa presente come qualche dubbio sull’infedeltà umana
possa essere ragionevole (“Tardi s’avvede”). Il senato ha accertato la
colpevolezza di Sesto e l’ha condannato «alle fiere». Al decreto manca solo la
firma dell’imperatore. Annio chiede pietà per il futuro cognato (“Tu fosti
tradito”), mentre Tito è dibattuto fra atroci dubbi sul da farsi (“Che orror, che
tradimento”). Decide allora di convocare Sesto (“Quello di Tito è il volto”) e, con
grande dolcezza amicale, cerca di farsi rivelare i motivi del suo gesto. Non ne
ottiene tuttavia che un desolato silenzio cui Sesto è costretto suo malgrado per
difendere Vitellia: prima di avviarsi al supplizio manifesta a Tito tutta
l’angoscia del rimorso (“Deh, per questo istante solo”). L’imperatore, tuttavia,
ha deciso di non firmare la condanna, tenendo così fede al suo ideale di
sempre, la clemenza (“Se all’impero, amici dèi”). Publio crede che Sesto sia
destinato alle fiere, mentre Vitellia teme di essere stata scoperta.
Nell’incertezza di questa situazione giunge Servilia a chiedere a Vitellia di
intercedere per il fratello (“S’altro che lagrime”). Sconvolta dagli eventi, Vitellia
prende una decisione imprevista: confesserà la sua colpevolezza, tentando così
di salvare Sesto, benché il gesto le costi la rinuncia al trono imperiale (“Ecco il
punto, o Vitellia... Non più di fiori”). Mentre si sta preparando il supplizio, Tito
entra in scena accompagnato dal consueto corteo (“Che del Ciel, che degli
dèi”). Sta per rivelare il destino scelto per Sesto quando Vitellia s’inginocchia ai
suoi piedi confessando la propria colpa. Pur turbato dalla continua scoperta di
nuovi nemici della sua persona, ancora una volta Tito decide di elargire a tutti
il proprio generoso perdono (“Tu, è ver, m’assolvi Augusto”).

A quasi sessant’anni dalla sua nascita, il libretto di Metastasio non venne


assunto sic et simpliciter, ma fu a!dato alle cura di Caterino Mazzolà, poeta di
corte dell’Elettore di Sassonia. Questi operò, senza dubbio d’intesa con il
compositore, in modo che il dramma venisse «ridotto a vera opera», come
recita l’annotazione che Mozart appose sul catalogo delle sue opere in data 5
settembre 1791, alla vigilia dell’importante allestimento: sia Mozart, sia il
Gluck della riforma, professavano un classicismo in teatro e in musica ben
diverso da quello a suo tempo divulgato in tutta Europa da Metastasio. I tempi
gloriosi dell’opera seria erano inequivocabilmente trascorsi, e un testo
appartenente a quel genere, per quanto splendido, necessitava di radicali
‘restauri’ per poter venire ancora presentato al pubblico. Anche a costo di
smarrire, nella riscrittura, l’e!cacia di luoghi giustamente famosi, come il
recitativo di Tito (III,7) già elogiato da Voltaire, qui ampiamente mutilato,
oppure dell’aria “Se mai senti spirarti sul volto”, tanto importante
nellaClemenza di Titodi Gluck, ridotta a un terzetto che assicura più fluidità
all’azione scenica, ma attenua il valore poetico e drammatico dei versi e
l’intensità della situazione. Buona parte del congegno drammatico della
Clemenza mozartiana si basa sugli ensembles, assenti in Metastasio e
introdotti da Mazzolà come un mezzo occorrente a farne un testo per musica
più confacente ai tempi. In particolare nel terzetto “Vengo... aspettate... Sesto”,
dal sofisticato e"etto di ‘straniamento’ ottenuto facendo commentare lo
smarrimento di Vitellia dagli altri due personaggi, Publio e Annio, che si
esprimono in perfetto linguaggio da opera bu"a, esaltando per contrasto
l’angoscia della situazione, dipinta dagli archi, lanciati in disegni e tremoli di
grande concitazione (Vitellia ha appena saputo di essere stata designata
imperatrice, ma Sesto è già partito per uccidere Tito). Estremamente e!cace,
nella presentazione di sentimenti diversi in corrispondenza di una congiuntura
eccezionale, è anche il finale primo, significativamente denominato «quintetto
con coro». Comprendendo le ultime quattro scene del primo atto, il concertato
viene costruito attraverso il progressivo convenire di tutti i personaggi tranne
Tito (del quale, proprio a questo punto del dramma, viene annunziato
l’assassinio). L’evento viene così commentato da tutto il cast, da ciascuno
secondo il proprio punto di vista, mentre l’orchestra assicura il collegamento
tra le diverse entrate dei personaggi e, con un motivo in ‘ostinato’, sottolinea
l’atmosfera di terrore in cui si svolgono i drammatici eventi. La situazione si
presenta distinta musicalmente su due piani: da un lato i cinque solisti sul
proscenio, in balìa del disorientamento più totale, sullo sfondo invece il coro
con le sue inquietanti esclamazioni, ulteriore turbamento per i personaggi che
le odono indistintamente («Le grida, ahimè! ch’io sento / Mi fan gelar d’orror»),
mentre si scorge in lontananza il Campidoglio devastato dalle fiamme. La
natura corale di tutto il quintetto emerge soprattutto dopo l’unica reale cesura
del brano, all’altezza di quell’Andante in cui culmina tutto il pezzo, in
corrispondenza della notizia della morte dell’imperatore. Il ritmo drammatico
rallenta improvvisamente in contrasto con la concitazione dell’Allegro
precedente, per mantenersi sospeso sino al calare del sipario, quando l’atto si
spegne in un’aura di inquietante mistero.

Concluso dunque con questo taglio moderno il primo atto, l’opera riprende
con un recitativo secco, che già dal secondo verso rivela come Tito sia ancora
in vita. Scelta drammatica di indubbia e!cacia per chi, come i personaggi e gli
spettatori con loro, aveva terminato l’atto precedente con la convinzione di
una tragedia già consumata. Tito è ancora una volta assente e appare solo alla
quarta scena, che lo presenta attorniato da patrizi, pretoriani e popolo nella
sala delle udienze. L’ingresso dell’imperatore è salutato da un singolare coro,
la cui dolcezza pare intrisa di semplicità popolaresca e come di intenso
sentimento religioso. Il secondo atto riserva al personaggio di Sesto molte
occasioni di splendore drammatico/musicale. In particolare in due numeri
successivi: il terzetto “Quello di Tito è il volto” e l’aria-rondò “Deh, per questo
istante solo”. In essi rifulge al meglio l’inventiva melodica di Mozart: così
avviene nella seconda sezione (Allegro) del terzetto, nonché per tutta la durata
dell’aria. In entrambi i testi viene trattato un unico tema, quello di un’angoscia
profonda come la morte: il desiderio di Sesto di morire piuttosto di continuare
a dibattersi in tanto turbamento morale. Se però la frase del terzetto «chi
more / Non può di più penar» ottiene una prevedibile, intensa intonazione del
tutto consona al suo significato, un’a"ermazione analoga nell’aria, «Tanto
a"anno so"re un core, / Né si more di dolor?» riceve una veste musicale
sconcertante. La melodia da rondò di Sesto fa la sua comparsa da un ‘altrove’
di siderale lontananza, come una voce di quasi metafisica gratuità, estranea a
ogni dolore, che pare risolto in un gioco di innocenza primigenia. Un ritorno
alle origini vicinissimo a certe atmosfere delFlauto magicoe ad altre melodie
del Mozart estremo. La cifra dell’ultimo Mozart si insinua anche nel fascino di
altre melodie: come quelle del duetto “Ah, perdona al primo a"etto”, che
paiono concepite per il timbro vellutato del clarinetto, rappresentazioni
evanescenti eppure così intense della nostalgia di un tempo dell’innocenza,
fantasma edenico di una felicità umana carissimo alla poetica del compositore.
Si noti en passant come i ruoli di Annio e Servilia siano certamente secondari
nell’economia del dramma: nella musica di Mozart assurgono invece a una
dignità inedita a causa della sincerità dei loro a"etti. Annio in particolare vive
un momento di gloria anche nel duettino con Sesto “Deh, prendi un dolce
amplesso” analogo nel carattere al duetto con Servilia. Una peculiarità del
Mozart dell’ultima maniera è rintracciabile pure nella predilezione per alcuni
strumenti in auge da un capo all’altro della partitura, ed emergenti soprattutto
in taluni momenti-chiave. Il clarinetto solista compare nel momento in cui il
piano per uccidere Tito entra in azione, cioè nell’addio di Sesto a Vitellia, l’aria
“Parto: ma tu, ben mio”. Qui rappresenta la voce più profonda dell’io del
personaggio, totalmente dominato dal fascino fatale della bellezza, il suo
desiderio inappagato e illusorio dell’amore di Vitellia. Il corno di bassetto,
questo ‘fratello’ inquietante del clarinetto, si a"erma invece al termine della
vicenda, quando Vitellia prende la decisione suprema di sacrificare la sua
ambizione: nel rondò “Non più di fiori” lo strumento è immagine dirompente e
ossessiva della morte che la protagonista considera ormai il suo destino
imminente. In queste pagine, come ha scritto Giovanni Carli Ballola, il corno di
bassetto muggisce cupo come il Minotauro del labirinto di Borges, facendo
eco, con la sua voce sinistra, all’indugiare continuo della voce nel registro
basso (utilizzando tra l’altro una melodia del tutto analoga a quella segnalata
dell’aria-rondò di Sesto, spia del pensiero fisso della morte, destino ultimo). Il
pezzo si era aperto ben diversamente, in un idillico fa maggiore chiamato a
rappresentare la visione beata delle catene di fiori intrecciate da Imene disceso
dal cielo. Ma l’Allegro successivo disperde in un baleno ogni traccia della
serenità del Larghetto, per lasciar spazio a un’estrema e tremenda icona del
clima di tragedia incombente, che ha gravato sull’azione dall’inizio dell’opera.
Emergendo da questi abissi, la marcia e coro “Che del Ciel, che degli dèi” (II,
24), collegate senza soluzione di continuità con il rondò di Vitellia, si rivelano
come una folgorazione. L’incubo della morte, la solitudine e l’angoscia della
protagonista, il tetro lamento del corno di bassetto si infrangono contro lo
splendore sonoro di un’orchestra addobbata a festa. Lo sfarzo e la grandiosità
di quei ritmi puntati, in un’atmosfera da trionfo händeliano, costituiscono la
cornice finalmente solenne – ma non vacua – della celebrazione del potere
sovrano. Le lodi di Tito, ora intonate dal coro sugli splendidi, ra!nati versi
metastasiani, occupano questo ultimo squarcio dell’opera, ambientato non a
caso in un «luogo magnifico», manifestazione anche spaziale dello splendore
imperiale. Il trionfo che ci si appresta a celebrare non è tanto quello di un
uomo, ma della sua clemenza, che tutti i complotti del dramma non sono
bastati a piegare e che giunge ‘costante’ e vittoriosa all’ultimo traguardo.
Fonte: Dizionario dell'Opera Baldini&Castoldi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nell'ultimo anno della sua vita Mozart fu sollecitato a comporre su


commissione tre partiture, diverse per stile e qualità musicale, ma ugualmente
interessanti e significative nel contesto della vasta produzione dell'autore. La
prima proposta gli venne fatta a maggio del 1791 dal celebre impresario
Emanuel Schikaneder, che Mozart aveva conosciuto undici anni prima a
Salisburgo e che dirigeva un importante teatro a Vienna. Schikaneder
sottopose all'attenzione di Mozart il suo libretto sul Flauto magico (Die
Zauberflöte), improntato agli ideali umanitari e di ricerca della verità, della
bontà e della bellezza, secondo i canoni della originaria e antica concezione
massonica. Mozart si mise subito al lavoro, ma dovette interromperlo a luglio
quando gli si presentò il maggiordomo di un certo conte Franz Walsegg, che lo
invitava a comporre una Messa di requiem dietro pagamento di una somma
stabilita dallo stesso musicista. Il conte Walsegg era un musicista dilettante e
di scarso talento, che si rivolgeva a compositori di rango per avere in modo
anonimo le loro partiture. Li pagava generosamente e faceva eseguire le loro
opere come se si trattasse delle proprie. Si sa che egli ordinò il Requiem in
memoria della defunta moglie e ne diresse l'esecuzione nella chiesa dei
Cistercensi a Vienna il 14 dicembre 1793: poco dopo l'imbroglio fu chiarito.
Nel mese di agosto venne il terzo invito, più urgente e pressante degli altri:
l'imperatore Leopoldo II doveva essere incoronato re di Boemia a Praga il 6
settembre e le autorità locali incaricarono il direttore del teatro della città,
Guardasoni, di rivolgersi a Mozart perché scrivesse un'opera per quella
occasione. Mancavano solo quattro settimane alla data prevista e la scelta del
libretto fu in un certo senso obbligata e cadde su un testo scritto da
Metastasio nel 1734: La clemenza di Tito, dramma nobile e solenne di
argomento romano, già utilizzato in precedenza da altri musicisti, fra cui
Antonio Caldara, Leonardo Leo, Johann Adolf Hasse, Christoph Willibald Gluck,
Baldassare Galuppi, Nicolò Jommelli, Ignaz Holzbauer, Giuseppe Scarlatti,
Pasquale Anfossi, Johann Gottlieb Naumann e Pier Alessandro Guglielmi.

Il dramma metastasiano venne adattato e rimaneggiato per l'opera mozartiana


da Caterino Mazzola, poeta alla corte di Sassonia e vecchio amico del ben più
famoso Lorenzo Da Ponte. I tre atti dell'originale vennero condensati in due, i
lunghissimi recitativi secchi furono abbreviati, molte vecchie arie vennero
sostiute da arie nuove, composte appositamente e che o"rivano maggiori
possibilità inventive al compositore. Inoltre furono aggiunti diversi pezzi
d'insieme: tre duetti, due terzetti, il quintetto finale del primo atto e il sestetto
finale del secondo. In fondo lo scopo principale al quale teneva l'ambiente
della corte di Leopoldo II, da cui l'opera era stata ispirata indirettamente, era
quello di esaltare l'ideale di una monarchia saggià e illuminata in un di!cile
momento storico in cui la Rivoluzione francese tentava di far saltare in aria le
basi dello Stato assolutista. Non per nulla il soggetto tratta della generosa
clemenza dell'imperatore romano Tito, vissuto fra il 39 e F81 dopo Cristo e
riconosciuto dai contemporanei per il suo carattere docile e accomodante con
la qualifica di "amore e delizia del genere umano". Ed ecco il sunto del libretto:
Vitellia, figlia dell'imperatore precedente Vitellio, o"esa dal rifiuto di Tito di
sposarla, persuade l'amico più stretto dell'imperatore, Sesto, innamorato di lei
e ubbidiente ai suoi voleri, a fomentare una cospirazione. Tito, che dal canto
suo vorrebbe sposare Servilia, sorella di Sesto, scopre che costei ama Annio,
un amico del fratello, e compie il suo primo atto di clemenza, abbandonandola
per lui. Tito decide allora di sposare Vitellia e incarica il generale Publio di
informarla delle sue intenzioni. Ma Publio giunge troppo tardi: Vitellia ha ormai
convinto Sesto a dar fuoco al Campidoglio e uccidere Tito. Sesto riesce a
portare a termine soltanto la prima parte della missione, ma è incapace di
uccidere l'imperatore e ritorna da Vitellia. Il primo atto si conclude con
l'incendio del Campidoglio, tra l'orrore e l'angoscia dei principali personaggi
del dramma. Nel secondo atto Tito scopre la congiura, dopo essere sfuggito
alla morte. Sesto confessa la sua colpa ad Annio, che lo esorta a fuggire.
Vitellia cerca di allontanare il suo protetto, perché sa che Tito non è una
persona vendicativa. Publio arresta l'autore dell'incendio del Campidoglio, il
quale viene giudicato dal Senato e condannato a morte. Tito si incontra con
Sesto, che rifiuta di coinvolgere Vitellia nel complotto contro l'imperatore. Tito
strappa il foglio su cui aveva firmato la condanna a morte dei cospiratori.
Vitellia confessa alla fine la sua partecipazione al complotto, proprio quando
Sesto sta per essere gettato in pasto alle belve feroci. Tito compie ancora un
atto di clemenza e perdona tutti, in un clima di festosa riconciliazione. «Sia
noto a Roma - egli dice - ch'io son lo stesso, e ch'io tutto so, tutti assolvo e
tutto oblio».

Per quanto rigurda l'impegno di Mozart è noto che la partitura della Clemenza
di Tito fu completata in soli diciotto giorni; il compositore fu costretto a recarsi
subito a Praga, accompagnato dalla moglie Costanza e dall'allievo Süssmayr
(forse anche dal clarinettista Anton Stadler, del quale era prevista una parte di
rilievo in orchestra), prendendo appunti perfino in carrozza e nei brevi
momenti di sosta. La rappresentazione si svolse a Praga il 6 settembre 1791
con tutta la magnificenza possibile, dopo il banchetto dell'incoronazione. Gli
interpreti principali nei ruoli di Tito e di Vitellia furono il tenore Antonio
Baglioni, che era stato il primo Ottavio nel Don Giovanni, e il giovane soprano
Maria Marchetti, mentre le parti maschili di Sesto e di Annio furono a!date al
castrato Bedini e alla cantante Perini. L'opera fu accolta freddamente e nessuno
rimase soddisfatto dalla musica così asciutta e classicamente lineare scritta da
Mozart. Addirittura le cronache raccontano che l'imperatrice Maria Luisa, figlia
del re di Napoli, abbia esclamato, senza molta finezza di linguaggio, che si era
trattato «di una porcheria tedesca in stile italiano». La situazione, però, cambiò
subito e nelle recite successive il pubblico manifestò un'adesione più aperta e
cordiale nei confronti della musica di questo lavoro, come attesta lo stesso
Mozart in una lettera inviata alla moglie in data 7 ottobre 1791 e basata sul
resoconto di qualche amico spettatore. «Tito - scrive Mozart - venne
rappresentato a Praga per l'ultima volta (30 settembre) con un enorme
successo. Bedini cantò ancor meglio del solito. Il breve duetto in la maggiore
delle due fanciulle dovette essere ripetuto e se il pubblico non avesse temuto
di stancare madame Marchetti avrebbe richiesto anche il bis del rondò. Grida di
bravo vennero lanciate all'indirizzo del clarinettista Stadler per le arie n. 9 e n.
23 dalla platea e perfino dall'orchestra...». Il successo dell'opera andò
crescendo con il passare del tempo, anche se, ad onor del vero, essa ha
sempre suscitato pareri discordi da parte di musicologi di diversa formazione e
indirizzo culturale. Il De Saint-Foix, nella sua fondamentale biografia
mozartiana, sostiene che La clemenza di Tito può essere definita «il capolavoro
latino di Mozart: dalla sua concisione, dalla sua elevatezza tutta romana
nell'espressione, noi ricaviamo l'idea nettissima (non avendola purtroppo mai
vista sulla scena) che l'opera contenga, sotto forma di arie e di cori così come
di pezzi d'insieme, dei brani che sembrano scolpiti nel bronzo, tanto sono
nette, solide e pure le linee espressive»; Secondo un altro fedele mozartiano,
Paumgartner, «La clemenza di Tito, pur condizionata da una teatralità
convenzionale, ha qualcosa di imponderabile, di commovente, di umano...
tanto da non dover scomparire dalle scene, ad onta dei suoi a"ossatori». A
detta di Alfred Einstein, Mozart non potè scrivere un capolavoro, come Le
nozze di Figaro o Il flauto magico, perché «il libretto di Metastasio è troppo
artificioso e i protagonisti del dramma sono più marionette che veri
personaggi. Ma nell'opera non mancano pagine di indubbio valore, come, ad
esempio, le due arie lunghe, quella di Sesto (n. 19) - la più celebre della
partiturta - e quella di Vitellia (n. 23), che conduce con molta e!cacia alla
fatale "marche de supplice" finale. Senza contare le parti decorative - marce e
cori - tutte assai vive». Per Edward J. Dent ("Il teatro di Mozart") «La clemenza
di Tito venne composta da un uomo dalla salute compromessa dall'eccessivo
lavoro, costretto a scrivere in fretta e controvoglia. Mozart sapeva anche a che
pubblico si sarebbe rivolto. Ricordandosi dell'osservazione di Giuseppe II:
"Troppe note, mio caro Mozart", egli adottò uno stile sobrio e facile, con
semplici melodie di stampo antiquato, le più semplici armonie e la più
trasparente orchestrazione. Le arie vennero ridotte di proporzione quanto più
possibile; egli inventò per esse una forma nuova desunta dalle opere francesi
di Gluck, con una introduzione lenta seguita da un tempo rapido». Giorgio
Vigolo, ammiratore da sempre della Clemenza di Tito, ritiene questa partitura
mozartiana un «classico, se mai ve ne fu uno, da rileggere spesso, al riparo da
ogni routine e da ogni fretta, per gustarne e approfondirne la splendida
perfezione... Si aggiunga che Mozart nel Tito è stringatissimo, traccia le sue
arie, i suoi pezzi, con la più rapida concisione, non si ripete e passa subito ad
una nuova idea». A completamento di questa breve rassegna di giudizi critici
su questa opera mozartiana vale la pena di riferire quanto scrisse Luigi
Magnani nel febbraio 1966 su "Lo spettatore musicale". «Come sempre Mozart,
guidato dal suo infallibile istinto - a"erma Magnani - procede tranquillo e
sicuro tra i generi e le forme più disparate, senza rimanere mai impigliato nei
lacci della moda e del gusto. Neppure ora che dal modernismo romantico,
prettamente tedesco, del Flauto magico, è caduto nelle pastoie classicheggianti
della vecchia opera seria italiana, qual'è La clemenza di Tito: due mondi
profondamente diversi, anzi opposti, ma che il suo genio, come già avvenne
per l'Idomeneo e il Ratto dal serraglio, sa comprendere in sé senza uscire dal
suo vasto regno. E sarà per ragioni opposte a quelle addotte non senza ironia
da Wagner che noi ammiriamo Mozart anche per avere egli trovato per il Tito
una musica come quella del Don Giovanni e di Così fan tutte, una musica come
quella del Figaro, bensì una musica diversa, adeguata al genere e al testo che
gli furono imposti, ispirata all'ideale di classicità, che riviveva in lui per
rispondere ad una sua nuova esigenza di un'arte più semplice, spoglia e
severa, espressione diretta del suo animo distaccato dalla terra, contristato e
deluso».

Questo spirito classico - è la chiave con cui bisogna entrare nel mondo della
Clemenza di Tito - si manifesta sin dall'ouverture, aperta da solenni unisoni
intervallati da lunghe pause, per poi svilupparsi attraverso un concitato primo
tema, un secondo tema di dolce cantabilità e un terzo tema in tempo fugato. Il
brano riflette il clima nobilmente eroico tipico dell'opera seria di stampo
settecentesco. Il primo atto composto da dodici brani alterna, così come il
secondo atto, costituito invece da quattordici pezzi, recitativi a parti cantate; è
caratterizzato subito dal duetto fra Sesto e Vitellia ("Come ti piace, imponi"),
articolato in un Andante, in cui i due personaggi cantano in forma alternativa,
e in un Allegro a due voci, ora insieme e ora con brillanti imitazioni. L'aria di
Vitellia ("Deh! se piacer mi vuoi") ha un andamento lirico di delicata
morbidezza musicale: anche qui, come in diverse arie della Clemenza di Tito,
ad un tempo lento subentra un tempo vivace. Segue il duettino
a"ettuosamente sentimentale fra Sesto e Annio ("Deh! prendi un dolce
amplesso") e poi viene la marcia militare ben ritmata con il coro ("Serbate, o
Dei custodi") dal tono sostenuto e classicheggiante. Nel sesto brano Tito canta
la sua prima aria ("Del più sublime soglio"), che è un Andante con moto di
malinconica finezza espressiva. Il duetto tra Annio e Servilia ("Ah! perdona al
primo a"etto") è una pagina di straordinaria purezza cantabile, che non per
niente piacque tanto a Beethoven anche per le eleganti punteggiature
strumentali. La seconda aria di Tito ("Ah! se fosse intorno al trono") ha una
impronta abbastanza marcata nel ritmo. Più ricca e varia è la successiva aria di
Sesto ("Parto, parto, ma tu ben mio meco ritorna in pace") contrassegnata da
un Adagio e da un Allegro, magnificamente sorretti dal pastoso timbro del
clarinetto concertante. Di tono concitato e drammatico è il terzetto tra Vitellia,
Annio e Publio ("Vengo, aspettate!") in cui il rimorso del primo personaggio
esplode con accenti impetuosi quando sa che Tito, contro cui aveva
organizzato un complotto, si accingeva a sposarla. Dopo il lungo recitativo di
Sesto ("Oh Dei, che smania è questa") ecco il quintetto finale del primo atto con
l'intervento del coro ("Deh! conservate o Dei") che è tra le pagine più esaltate di
questa opera mozartiana. La scena del tentato assassinio di Tito e dell'incendio
del Campidoglio inizia in tempo Allegro con l'incalzante declamato dei
personaggi, intercalato dalle uscite del coro, per poi sfociare in un Andante di
assorta e angosciosa espressività.

La prima aria del secondo atto è quella di Annio ("Torna di Tito a lato") su una
linea melodica quanto mai tenera e a"ettuosa. Il successivo terzetto fra Sesto,
Vitellia e Publio ("Se al volto mai ti senti") comincia con un Andantino su un
accurato accompagnamento orchestrale e termina in tempo Allegretto sulle
parole di rimorso di Vitellia. Un canto semplice e misurato sottolinea
l'intervento del coro ("Ah! grazie si rendano") e quello di Tito che si alterna
all'altro. Ecco poi due arie a!date a due personaggi secondari: l'aria per basso
di Publio ("Tardi s'avvede") e l'aria di Annio ("Tu fosti tradito"), più variegata
musicalmente rispetto all'altra. Un Larghetto e un Allegro sottolineano il
terzetto fra Sesto, Tito e Publio ("Quello di Tito è il volto?") in cui il discorso
sonoro diventa più denso e aderente ai vari stati d'animo dei personaggi. L'aria
patetica di Sesto ("Deh, per questo istante") comincia con un Adagio, prosegue
con un Allegro e termina con un Più allegro; in partitura Mozart la definisce un
Rondò per la circolarità del movimento musicale sullo stesso tema. Tito canta
la sua terza aria ("Se all'impero, amici Dei") costruita su un Allegro, un
Andantino e una ripresa dell'Allegro: il tono è abbastanza imperioso nella sua
aulica compostezza. Graziosa e in tempo di minuetto è la breve aria di Servilia
("S'altro che lacrime") e ad essa fa seguito l'intervento di Vitellia, prima con un
recitativo accompagnato ("Ecco il punto, o Vitellia") e poi il rondò ("Non più di
fiori vaghe catene"), dove da un clima liederistico si passa ad una intensa
articolazione vocale, adeguatamente contrappuntata dal timbro scuro del
corno di bassetto, che è un clarinetto in fa. A questo punto la scena si illumina
per il canto del coro ("Che del ciel, che degli Dei") che accoglie Tito con
solennità al suo ingresso nell'anfiteatro. L'imperatore esprime con un recitativo
accompagnato ("Ma che giorno è mai questo?") il suo perdono e la sua
magnanimità di animo. Dopo di che si giunge al maestoso finale, avviato dal
canto di Sesto ("Tu, è ver, m'assolvi Augusto?") continuato e sviluppato da Tito,
dagli altri personaggi e dal coro in una progressione orchestrale di festosa
atmosfera celebrativa che si richiama al ritmo marziale dell'ouverture. E con il
trionfo della ragione, intesa come superiore categoria dello spirito, si conclude
La clemenza di Tito, in cui sembra riflettersi e delinearsi con chiarezza di
contorni quell'ideale di armonia auspicato ed esaltato dal pensiero
illuministico, visto soprattutto sotto il profilo estetico della caratterizzazione e
del valore del linguaggio musicale.

Struttura musicale

Ouverture - Allegro (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2


corni, 2 trombe, timpani, archi

Atto I:
Scena I:

Ma che! Sempre l'istesso, Sesto, a dirmi verrai? - Recitativo (Vitellia, Sesto) -


continuo

Come ti piace, imponi - Duetto (Vitellia, Sesto) - Andante (fa maggiore).


Allegro - flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Scena II:

Amico, il passo a"retta - Recitativo (Annio, Vitellia, Sesto) - continuo

Deh se piacer mi vuoi - Aria (Vitellia) - Larghetto (sol maggiore). Allegro - 2


flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena III:

Amico, ecco il momento - Recitativo (Annio, Sesto) - continuo

Deh prendi un dolce amplesso - Duetto (Sesto, Annio) - Andante (do


maggiore) - 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena IV:

Marcia - Maestoso (mi bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2


fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Serbate, o Dei custodi - Coro (coro) - Allegro (mi bemolle maggiore) - 2


flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Te della patria il Padre - Recitativo (Publio, Annio, Tito) - continuo

Serbate, O Dei custodi - Coro (coro) - Allegro (mi bemolle maggiore) - 2


flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Basta, basta o miei fidi - Recitativo (Tito) - continuo

Marcia - Maestoso (mi bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2


fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Adesso, o Sesto, parla per me - Recitativo (Annio, Sesto, Tito) - continuo

Del più sublime soglio - Aria (Tito) - Andante (sol maggiore) - 2 flauti, 2
fagotti, 2 corni, archi

Scena V:

Non ci pentiam - Recitativo (Annio, Servilia) - continuo

Ah, perdona al primo a"etto - Duetto (Servilia, Annio) - Andante (la


maggiore) - flauto, 2 oboi, 2 fagotti, archi
Scena VI:

Che mi rechi in quel foglio? - Recitativo (Tito, Publio, Servilia) - continuo

Scena VII:

Di Tito al piè - Recitativo (Servilia, Tito) - continuo

Ah, se fosse intorno al trono - Aria (Tito) - Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2
fagotti, 2 corni, archi

Scena VIII:

Felice me! - Recitativo (Servilia, Vitellia) - continuo

Scena IX:

Ancora mi schernisce? - Recitativo (Vitellia, Sesto) - continuo

Parto, parto, ma tu ben mio - Aria (Sesto) - Adagio (si bemolle maggiore).
Allegro - 2 oboi, clarinetto, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena X:

Vedrai, Tito, vedrai che alfin - Recitativo (Vitellia, Publio, Annio) - continuo

Vengo! aspettate! - Terzetto (Vitellia, Annio, Publio) - Allegro (sol maggiore)


- 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XI:

Oh Dei, che smania è questa - Recitativo (Sesto) - Allegro assai (do


maggiore). Andante. Allegro assai - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Deh conservate, o Dei! - Quintetto con coro (Sesto, Annio, Servilia, Vitellia,
Publio, coro) - Allegro (mi bemolle maggiore). Andante - 2 flauti, 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

a. Io Sesto non intendo - Quintetto con coro (Sesto, Annio, Servilia, Vitellia,
Publio, coro)
Allegro (mi bemolle maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2
corni, 2 trombe, timpani, archi

Scena XII:
b. Chi per pietate oh Dio! - Quintetto con coro (Sesto, Annio, Servilia,
Vitellia, Publio, coro)
Allegro (do minore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi

Scena XII:

c. Ah, dove mai m'ascondo? - Recitativo (Sesto)


2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

d. Sesto!... Da me che vuoi? - Recitativo (Vitellia, Sesto, Servilia, Annio,


Publio)
2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

e. Ah dunque l'astro è spento - Finale con coro (Vitellia, Servilia, Annio,


Sesto, Publio, coro)
Andante (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi

Atto II:
Scena I:

Sesto, come tu credi, Augusto non perì - Recitativo (Annio, Sesto) - continuo

Torna di Tito a lato - Aria (Annio) - Allegretto (sol maggiore) - archi

Scena II:

Partir deggio, o restar? - Recitativo (Sesto, Vitellia) - continuo

Scena III:

Sesto!... Che chiedi? - Recitativo (Publio, Sesto, Vitellia) - continuo

Scena IV:

Se al volto mai ti senti - Terzetto (Vitellia, Sesto, Publio) - Andantino (si


bemolle maggiore). Allegretto - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena V:

Ah grazie si rendano al sommo fattor - Coro (coro) - Andante (fa maggiore)


- 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Già de' pubblici giuochi - Recitativo (Publio, Tito) - continuo

Tardi s'avvede d'un tradimento - Aria (Publio) - Allegretto (do maggiore) - 2


oboi, 2 corni, archi

Scena VI:

No, così scellerato - Recitativo (Tito) - continuo

Signor! pietà per lui - Recitativo (Annio, Publio, Tito) - continuo

Scena VII:

Cesare, nol diss'io? - Recitativo (Publio, Tito) - continuo

Tu fosti tradito - Aria (Annio) - Andante (fa maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2


corni, archi

Scena VIII:

Che orror! che tradimento! - Recitativo (Tito) - Allegro - archi

Scena IX:

Ma, Publio, ancora Sesto non viene? - Recitativo (Tito, Publio) - continuo

Scena X:

Quello di Tito è il volto - Terzetto (Sesto, Tito, Publio) - Larghetto (mi


bemolle maggiore). Allegro - 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi

Eppur mi fa pietà - Recitativo (Tito, Sesto) - continuo

Deh per questo istante solo - Rondò (Sesto) - Adagio (la maggiore). Allegro.
Più Allegro - flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XI:

Dove s'intese mai - Recitativo (Tito) - continuo

Scena XII:

Publio. Cesare - Recitativo (Publio, Tito) - continuo


Se all'impero, amici Dei! - Aria (Tito) - Allegro (si bemolle maggiore).
Andantino. Allegro - 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi

Scena XIII:

Publio, ascolta! - Recitativo (Vitellia, Publio) - continuo

Scena XIV:

Non giova lusingarsi - Recitativo (Vitellia, Servilia, Annio) - continuo

S'altro che lacrime - Aria (Servilia) - Tempo di Menuetto (re maggiore) -


flauto, oboe, fagotto, corno, archi

Scena XV:

Ecco il punto, o Vitellia - Recitativo (Vitellia) - Allegro (re maggiore) - archi

Non più di fiori - Rondò (Vitellia) - Larghetto (fa maggiore). Allegro.


Andante maestoso - flauto, 2 oboi, corno di bassetto, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi

Scena XVI:

Che del ciel, che degli Dei - Coro (coro) - Andante maestoso (sol maggiore)
- 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Pria che principio - Recitativo (Tito, Annio, Servilia) - continuo

Scena XVII:

Sesto, de' tuoi delitti - Recitativo (Tito, Vitellia, Sesto, Servilia) - continuo

Ma, che giorno è mai questo? - Recitativo (Tito) - Allegro (re minore) - archi

Tu, è ver, m'assolvi Augusto? - Finale (Vitellia, Servilia, Sesto, Annio, Tito,
Publio, coro) - Allegretto (do maggiore) - 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti,
2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Arie, scene e cori con orchestra


https://youtu.be/LfY3koXpuvM

Non curo l'a!etto, aria per soprano e orchestra, K 74b

https://www.youtube.com/watch?v=rWXF5xtk0-s

Testo: Pietro Metastasio dal "Demofonte"

Allegro (mi maggiore)

Organico: soprano, 2 oboi, 2 corni, archi


Composizione: Milano, inizio 1771

Guida all'ascolto (nota 1)

Da Demofoonte (I, 7) è tratto il testo dell'aria «Non curo l'a"etto» KV 74b


presumibilmente scritta a Milano all'inizio del 1771 e destinata a un'accademia
nel teatro di Pavia. È un'«aria di sdegno» con la quale Creusa, respinta da
Timante, rinfaccia a Cherinto, che la ama, l'indecisione nel correre a vendicare
l'o"esa subita. In linea con le convenzioni e i codici retorici dell'opera seria
settecentesca, che assegnano all'«aria di sdegno» una interpretazione musicale
di impronta virtuoslstica, «Non curo l'a"etto» comporta una scrittura vocale
assai impegnativa. Nella parte principale, la disinvolta cantabilità della prima e
della terza intonazione del testo traduce il tono di scherno con cui Creusa si
rivolge a Cherinto; l'espressione dello sdegno in sé trova piuttosto sfogo nei
lunghi ; vocalizzi della seconda e nella quarta intonazione. Nella parte
secondaria, in minore e accompagnata dai soli archi, l'incedere franto degli
incisi e delle frasi sembra invece mirato a rappresentare con derisione un terzo
aspetto a"ettivo: l'indecisione e il timore di Cherinto, «timido amante [...] che
trema se deve / far uso del brando».

Cesare Fertonani

Testo

«Non curo l'a"etto


d'un timido amante,
che serba nel petto
sì poco valor;
che trema se deve
far uso del brando;
che audace è sol quando
si parla d'amor».
Misero me ... Misero pargoletto, aria per soprano ed orchestra, K 77 (K
73e)

https://www.youtube.com/watch?v=Csz9g_ZZ8VE

Testo: Pietro Metastasio dal "Demofonte"

Misero me - recitativo - Andante. Allegro


Misero pargoletto - aria - Adagio (mi bemolle maggiore). Un poco Allegro
(do minore). Allegro (mi bemolle maggiore)

Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Milano, marzo 1770
Prima esecuzione: Milano, Palazzo Melzi, 12 marzo 1770

Guida all'ascolto (nota 1)

Come si accennava, la scena, su testo dal Demofoonte (III, 4 e 5) di Metastasio,


viene, composta a Milano nel marzo 1770. E forse la pagina vocale più
ambiziosa tra le arie singole scritte in Italia, anche perché vi compare il primo
grande recitativo accompagnato di Mozart. Assai curato nella plastica
intonazione testuale come nella flessibilità della condotta musicale (prova ne
siano i frequenti cambi di tempo), dominata dalla scansione di un ritmo
sincopato, il recitativo traduce con un diagramma emotivo di progressiva
intensità, articolato in tre parti, il monologo di disperazione di Timante: questi
crede infatti di aver scoperto che Dircea. con la quale e segretamente sposato,
è sua sorella. La progressione drammatica sfocia nell'aria, dove il personaggio
si rivolge, con diversa disposizione d'animo, al figlioletto, quindi alla moglie e
al padre. Qui il contrasto a"ettivo si rispecchia puntualmente nella
realizzazione musicale: alla morbida tenerezza cantabile della parte principale
fa riscontro la franta e convulsa drammaticità della parte secondaria,
accentuata da un radicale cambiamento di tempo (da Adagio a Un poco
allegro).

Cesare Fertonani

Testo

Misero me! Qual gelido torrente


mi mina sul cor! Qual nero aspetto
prende la sorte mia! Tante sventure
comprendo al fin. Perseguitava il cielo
un vietato imeneo. Le chiome in fronte
mi sento sollevar. Suocero, e padre
m'è dunque il re? Figlio, e nipote Olinto?
Dircea moglie, e germana? Ah qual funesta
confusion d'opposti nomi è questa!
Fuggi, fuggi Timante: agli occhi altrui
non esporti mai più. Ciascuno a dito
ti mostrerà. Del genitor cadente
tu sarai la vergogna: e quanto, oh Dio,
si parlerà di te! Tracia infelice,
ecco l'Edipo tuo. D'Argo, e di Tebe
le furie in me tu rinnovar vedrai.
Ah non t'avessi mai
conosciuta, Dircea! Moti del sangue
eran quei ch'io credevo
violenze d'amor. Che infausto giorno
fu quel che pria ti vidi! I nostri a"etti
che orribili memorie
saran per noi! Che mostruoso oggetto
a me stesso io divengo! Odio la luce;
ogni aura mi spaventa; al piè tremante
parmi che manchi il suol; strider mi sento
cento folgori intorno; e leggo, oh Dio,
scolpito in ogni sasso il fallo mio.

Misero pargoletto,
il tuo destin non sai.
Ah, non gli dite mai,
qual era il genitor.
Come in un punto, oh Dio,
tutto cambiò d'aspetto!
Voi foste il mio diletto,
voi siete il mio terror.

Se tutti i mali miei, aria per soprano e orchestra, K 83 (k 73p)

https://www.youtube.com/watch?v=opI-r-Ux0bs

Testo: Pietro Metastasio dal "Demofonte"

Adagio (mi bemolle maggiore).Allegretto (do minore).Adagio (mi bemolle


maggiore)

Organico: soprano, 2 oboi, 2 trombe, archi


Composizione: Roma, 25 Aprile 1770
Guida all'ascolto (nota 1)

Insieme con l'aria «Se ardire e speranza» KV 82 (73o), «Se tutti i mali miei»
KV83 (73p) risale al soggiorno romano di Mozart, nella primavera del 1770. Il
testo è ancora tratto da Demofoonte (II, 6): condannata a morte per essersi
sposata in segreto con Timante, Dircea si rivolge a Creusa, destinata dal re
Demofoonte a sposare lo stesso Timante, cercando di suscitare in lei
compassione e proclamando la propria innocenza. Si tratta, in sostanza, di una
aria patetica. L'interpretazione mozartiana appare ispirata e di ammaliante
amorevolezza nella parte principale: una vellutata e malinconica morbidezza
connota le quattro successive intonazioni del testo, nelle quali il semplice
canto sillabico si avvicenda a una condotta poco più fiorita e ad alcuni
espressivi passaggi vocalizzati in prossimità delle cadenze. Assai più
convenzionale e perfino antiquata risulta invece la parte secondaria.

Cesare Fertonani

Testo

Se tutti i mali miei


io ti potessi dir,
divider ti farei
per tenerezza il cor.
In questo amaro passo
sì giusto è il mio martir,
che, se tu fossi un sasso,
ne piangeresti ancor.

Fra cento a!anni, aria per soprano ed orchestra, K 88 (K 73c)

https://www.youtube.com/watch?v=9DUhiHscixQ

Testo: Pietro Metastasio dall'Artaserse

Allegro maestoso (do maggiore - la minore - do maggiore)

Organico: soprano, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi


Composizione: Milano, febbraio 1770
Prima esecuzione: Milano, palazzo del conte Firmian, 12 marzo 1770

Guida all'ascolto (nota 1)

L'aria «Fra cento a"anni» KV 88 (73c) viene composta a Milano nel 1770. Il
testo è tratto da Artaserse (I, 2): Arbace, destinato ad attirare su di sé il
sospetto del regicidio commesso dal padre Artabano, è sul punto di ruggire, e
nel suo animo si agitano disperazione, timore, angoscia, dolore. Situazione
drammaturgica e testo richiedono un'«aria di smanie», il cui codice retorico
Mozart dimostra di padroneggiare con assoluta precisione scrivendo una
grande aria eroica, di altissimo coe!ciente virtuosistico. L'attacco
dell'introduzione-ritornello orchestrale, derivato dalla prima e della terza
intonazione del testo («Fra cento a"anni e cento»), costituisce in certo senso la
sigla dell'intera aria: la frase s'interrompe subito, resta sospesa nell'aria,
separata com'è dal prosieguo del periodo da una fermata, a rappresentare la
piena emotiva del personaggio, quasi incapace di dare un seguito
all'esclamazione iniziale. Ed è inoltre significativo che il periodo orchestrale
denominato «x», dall'incedere a"annoso e circospetto, sia sotteso non soltanto
a tutte e quattro le intonazioni del testo della parte principale, ma ricompaia
anche nel corso di quella secondaria, uniformata nell'individuazione a"ettiva
come nella qualità di scrittura alla parte principale. L'altro periodo
dell'introduzione, qui definito «y», viene invece impiegato per i soli ritornelli
orchestrali. Lo stile vocale si divide tra un robusto declamato, ricco di ampi
salti melodici e la di"usa coloratura dei passaggi vocalizzati, presenti in ogni
sezione della parte principale.

Cesare Fertonani

Testo

«Fra cento a"anni e cento


palpito, tremo e sento
che freddo dalle vene
fugge il mio sangue al cor.
Prevedo del mio bene
il barbaro martiro,
e la virtù sospiro,
che perde il genitor».

Voi avete un cor fedele, aria in sol maggiore per soprano ed orchestra, K
217

https://www.youtube.com/watch?v=F6B_E8uED5A

Testo: Carlo Goldoni

Andantino grazioso (sol maggiore). Allegro (re maggiore). Andantino


grazioso (sol maggiore). Allegro

Organico: soprano, 2 oboi, 2 corni, archi


Composizione: Salisburgo, 26 ottobre 1775
Guida all'ascolto (nota 1)

"Voi avete un cor fedele", non è preceduto dal recitativo e si svolge secondo
una precisa linea melodica, prima delicatamente a"ettuosa e poi più rapida e
vivace, in perfetta aderenza allo spirito del testo. "Voi avete un cor fedele" fu
scritta nell'ottobre del 1775, servendosi di versi goldoniani: Dorina riconosce
l'ardore appassionato del suo pretendente, ma non crede molto alla costanza e
alla continuità del suo amore. Il linguaggio dapprima dolce e suadente diventa
più vivace e pungente, caratterizzato da una cascata di vocalizzi, tale da
riconoscere in filigrana il profilo musicale della Despina di Così fan tutte.

Ennio Melchiorre

Testo

Voi avete un cor fedele


come amante appassionato,
ma mio sposo dichiarato,
che farete? Cangerete?
Dite, allora, che sarà?
Mantenete fedeltà?
Ah, non credo! Già prevedo,
mi potreste corbellar,
non ancora, non per ora,
non mi vuò di voi fidar.

Ah, lo previdi! Ah, t'invola agl'occhi miei, recitativo, aria e cavatina in


do minore per soprano ed orchestra, K 272

https://www.youtube.com/watch?v=SIMxWicXn7s

Testo: Vittorio Amedeo Cigna-Santi

Ah, lo previdi! - recitativo - Allego risoluto (la minore)


Ah, t'invola agl' occhi miei - aria - Allegro (do minore). Adagio
Deh, non varcar - cavatina - Andantino (si bemolle maggiore). Allegro

Organico: soprano, 2 oboi, 2 corni, archi


Composizione: Salisburgo, agosto 1777
Prima esecuzione: Salisburgo, Tanzmeistersaal, 15 agosto 1777

Testo (nota 1)
Di maggiore consistenza lirica, sotto il profilo della qualità espressiva, è l'aria
da concerto "Ah, lo previdi! Ah. t'invola agl'occhi miei'', composta nell'agosto
1777 per il giovanissimo soprano Josepha Duschek. Vi si sente il Mozart delle
grandi opere future, in cui quello che conta maggiormente è l'aderenza della
frase musicale alla fisionomia del personaggio da rappresentare. Non per nulla
lo stesso Mozart, in una lettera inviata al soprano Aloysia Weber, che canterà
l'anno successivo lo stesso pezzo in concerto, le raccomanda «l'espressione, di
riflettere bene al senso e alla forza delle parole, di mettersi con serietà nello
stato e nella situazione di Andromeda e di figurarsi di essere quella stessa
persona». Dopo un recitativo dagli accenti vigorosi e ben marcati nel ritmo,
specie nel verso "Va, crudele! Va, spieiato!" subentra all'inizio timidamente e
poi in tutto il suo splendore e profumo melodico una finissima aria di
inconfondibile sapore mozartiano (Deh, non varcar quell'onda) accompagnata
dalle armonie pastosamente morbide dell'oboe.

Ennio Melchiorre

Testo

ANDROMEDA

Ah, lo previdi!
Povero Prence, con quel ferro istesso
che me salvò, ti lacerasti il petto.

(ad Eristeo)
Ma tu sì fiero scempio perché non impedir?

Come, o crudele, d'un misero a pietà non


ti movesti?
Qual tigre, qual tigre ti nodrì?
Dove, dove, dove nascesti?
Ah, t'invola agli occhi miei!

Ah, t'invola agl'occhi miei,


alma vile, ingrato cor!
La cagione, oh Dio, tu sei
del mio barbaro, barbaro dolor.
Va, crudele! Va, spietato!
Va, tra le fiere ad abitar.
(Eristeo parte)

Misera! Misera! Invan m'adiro,


e nel suo sangue intanto
nuota già l'idol mio.
Con quell'acciaio, ah Perseo, che facesti?
Mi salvasti poc'anzi, or m'uccidesti.

Col sangue, ahi, la bell'alma,


ecco, già uscì dallo squarciato seno.
Me infelice!
Si oscura il giorno agli occhi miei,
e nel barbaro a"anno il cor vien meno.
Ah, non partir, ombra diletta,
io voglio unirmi a te.
Sul grado estremo,
intanto che m'uccide il dolor,
intanto fermati, fermati alquanto!

Deh, non varcar quell'onda,


anima del cor mio.
Di Lete all'altra sponda,
ombra, compagna anch'io
voglio venir, venir con te!

Alcandro, lo confesso Non so, d'onde viene, recitativo ed aria in mi


bemolle maggiore per soprano ed orchestra, K 294

https://www.youtube.com/watch?v=JIHOzklwR2s

Testo: Pietro Metastasio dall’Olimpiade

Alcandro, lo confesso - recitativo - Andantino (si bemolle maggiore).


Andante. Andantino
Non so d'onde viene - aria - Andante sostenuto (mi bemolle maggiore).
Allegro agitato (do minore). Andante sostenuto (mi bemolle maggiore)

Organico: soprano, 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Mannheim, 24 febbraio 1778
Scritto per il soprano Aloysia Weber-Lange

Guida all'ascolto (nota 1)

Carissima Amica!
La prego di pardonarmi che manco questa volta d'inviare le variazioni per l'aria
mandatami [...] ma lei le avrà sicuramente colla prossima lettera; Adesso spero
che ben Presto saranno Stampate le mie sonate - e con quella occasione avrà
anche il Popolo di Tessaglia, ch'è già mezzo Terminato - se lei ne sarà si
contenta - comme lo son io - potrò chiamarmi felice; - intanto, sinché avrò la
sodisfattone di sapere di lei stessa l'incontro che avrà avuta questa scena
appresso di lei, si intende, perché siccome l'ho fatta solamente per lei - così
non desidero altra Lode che la sua; - intanto dunque non posso dir altro, che,
Tra le mie composizioni di questo genere - devo confessare che questa scena
è la megliore ch'ho fatto in vita mia [...]"

Il ventunenne Wolfgang Amadeus Mozart scrive da Parigi il 30 luglio (indicato


giuglio) 1778 al soprano Aloysia Weber una lettera colma di attenzioni ed
espressioni a"ettuose, in cui accanto ai ripetuti apprezzamenti per le qualità
musicali della ragazza traspare un palpabile coinvolgimento sentimentale.
Mozart aveva conosciuto la famiglia Weber nell'ottobre del 1777 a Mannheim,
città dalla vivace tradizione musicale, dove si era recato alla ricerca di un
possibile impiego. Fridolin Weber, dopo una sfortunata carriera come basso, si
era contentato di tirare avanti come copista e suggeritore; sua moglie, Cäcilia
Stamm era una donna avida e di modi poco gradevoli, che aveva investito le
speranze per l'avvenire nelle doti canore delle figlie: Josepha - prima interprete
della Regina della notte nel Flauto magico - Constanze, Sophie e soprattutto
Aloysia. Constanze Weber diverrà moglie di Mozart ma all'epoca dell'incontro
con la famiglia Weber fu la diciasettenne Aloysia, maggiore di Constanze di
due anni, a provocare un forte turbamento amoroso nel compositore.

Nonostante la giovane età, Aloysia era già una cantante promettente e Mozart,
a"ascinato dalla persona quanto dal suo talento, si prodigò in consigli e
insegnamenti, da mettere a frutto su musica scritta espressamente per lei. La
dettagliatissima conoscenza della voce da parte di Mozart si fondava, oltre che
sull'ineguagliabile talento di musicista, anche sulla pratica come voce bianca a
Salisburgo e sulle esperienze raccolte nel viaggio in Italia, dove aveva anche
udito la celebre Lucrezia Agujari "la Bastardella", dalla strabiliante estensione
vocale di tre ottave e mezzo. La passione amorosa per Aloysia portò Mozart a
vagheggiare di sostituire l'imminente viaggio per Parigi con una serie di
concerti in Italia insieme al giovane soprano; ma venne rimesso in riga dal
padre Leopold, che in una lettera ci restituisce anche un profilo critico delle
qualità di Aloysia, considerata già assai dotata nel registro acuto, abilissima
nel cantabile ma non ancora in grado di calibrare l'uniformità dei registri.

Le variazioni cui Mozart fa riferimento nella lettera riguardano l'aria "Non so


d'onde viene", preceduta dal breve, animato recitativo "Alcandro lo confesso",
tratti dall'Olimpiade di Metastasio, il libretto più frequentemente messo in
musica dell'intero XVIII secolo. Ispirandosi in parte a un'aria di Johann Christian
Bach, Mozart ne aveva già composta una versione da o"rire al celebre Anton
Raaf, il maturo tenore cui dedicò anche l'aria "Il cor dolente e a#itto" e che
ritroverà poi come capriccioso protagonista dell'Idomeneo. L'aria venne
modificata appositamente per Aloysia, trasformando i sentimenti paterni del re
Clistene in una palpitante pagina amorosa, percorsa da un succedersi di
sentimenti contrastanti. Strutturata in forma ABA', si avvale di una ricca
strumentazione, con flauti, fagotti, corni e l'aggiunta dei clarinetti. La prima
sezione è un ampio cantabile in cui il fervore dei sentimenti monta fino al
verbo 'scorrendo', attraversato più volte da melismi che ascendono all'acuto.
Nella concitata sezione centrale, voce e orchestra si impegnano a rendere i
'fieri contrasti' di Clistene. La ripresa della prima sezione, finemente variata,
fitta di legature, viene chiusa da un nuovo vocalizzo che porta la voce al re e
poi al mi sopracuto.

Andrea Penna

Testo

Alcandro, lo confesso

Recitativo
Alcandro, lo confesso
Stupisco di me stesso. Il volto, il ciglio,
La voce di costui nel cor mi desta
Un palpito improvviso,
Che le risente in ogni fibra il sangue.
Fra tuttui miei pensieri
La cagion ne ricerco, e non la trovo.
Che sarà, giusti Dei, questo ch'io provo?

Aria
Non so d'onde viene
Quel tenero a"etto,
Quel moto che ignoto
Mi nasce nel petto,
Quel gel, che le vene
Scorrendo mi va.
Nel seno a destarmi
Sì fieri contrasti
Non parmi che basti
La sola pietà.

(testo di Pietro Metastasio)

Basta, vincesti... Ah! non lasciarmi, no, recitativo ed aria in mi bemolle


maggiore per soprano ed orchestra, K 295a

https://www.youtube.com/watch?v=6S-EpeUHXUA
Testo: Pietro Metastasio dalla "Didone abbandonata"

Basta, vincesti; eccoti il foglio - recitativo - Andantino (mi bemolle


maggiore). Allegretto
Ah non lasciarmi, no bell' idol mio - aria - Andantino espressivo (mi bemolle
maggiore)

Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Mannheim, 27 febbraio 1778

Scritta per il soprano Dorothea Spurni Wendling

Guida all'ascolto (nota 1)

Mozart ha lasciato un cospicuo patrimonio in tutti i generi musicali e un posto


importante occupa la sua produzione di musica vocale, comprendente arie da
concerto, Lieder di gusto popolaresco, duetti, terzetti, quartetti, cori, pezzi
sacri e opere. Egli non ha mai violentato in senso strumentale la voce umana,
neppure nelle più audaci coloriture, dimostrando in tal modo il suo rispetto per
le regole del canto. E' vero che in alcune pagine vocali non mancano di!coltà
tecniche, ma esse sono strettamente collegate alla bravura del cantante o della
cantante per cui erano scritte. Delle sue 57 Arie in stile concertante 33 sono
per soprano, una per soprano e tenore, 12 per tenore, una per due tenori, una
per contralto e 5 per basso. I brani utilizzano in gran parte testi italiani,
eccetto 2 arie per soprano (K. 383 e K. 580), una per basso (K. 433), una per
tenore (K. 435) e l'aria per due tenori (K. 389). Da ciò si deduce che Mozart
aveva una predilezione per la voce di soprano, tanto è vero che molti pezzi di
questo tipo furono scritti per cantanti, quali Aloysia Weber, Josepha Duschek,
Nancy Storace ed Henriette Baranius. Nella stessa musica vocale sacra a!ora
questa preferenza; anche quando contralto, tenore e basso sono aggiunti
come voci solistiche, la parte del soprano è più ricca, se non raddoppiata,
come ad esempio nella Messa in do minore K. 427.

Esempio del gusto vocalistico mozartiano è la pagina contenuta nel


programma odierno e scritta su testo di Metastasio, il poeta più
rappresentativo del melodramma settecentesco. Si compone di recitativo e
aria: «Basta vincesti, eccoti il foglio» (recitativo) «...Ah, non lasciarmi, no» (aria)
utilizza versi della Didone abbandonata ed è scritta per soprano, due flauti,
due fagotti, due corni e archi (reca la data del 27 febbraio 1778, Mannheim).
La caratteristica musicale della due composizione è data dalla freschezza e
dalla semplicità dell'invenzione melodica, come espressione di un sentimento
a"ettuosamente amoroso, in linea con il neo-classicismo della poesia
metastasiana. Il Recitativo e Aria K. 486a è articolato in un Andantino, un
Allegretto e un Andantino espressivo, con ritorno al primo tempo (Allegretto).

Testo

Basta, vincesti, eccoti il foglio.


Vedi quanto t'adoro ancora ingrato.
Con un tuo sguardo solo mi togli ogni difesa
e mi disarmi, ed hai cor di tradirmi e poi lasciarmi?

Ah non lasciarmi, no, bell'idol mio,


di chi mi fiderò, se tu m'inganni?
Ah non lasciarmi, no, ah no, non lasciarmi,
di chi mi fiderò se tu m'inganni?
Di vita mancherei nel dirti addio,
che viver non potrei fra tanti a"anni!

Popoli di Tessaglia... Io non chiedo, eterni Dei, recitativo ed aria


soprano ed orchestra, K 316 (K 300b)

https://www.youtube.com/watch?v=tng_wpKD5UI

Testo: Ranieri de'Calzabighi

Popoli di Tessaglia - recitativo - Andantino sostenuto e languido (do


minore)
Io non chiedo, eterni Dei - aria - Andantino sostenuto e cantabile (do
maggiore). Allegro assai

Organico: soprano, oboe, fagotto, 2 corni, archi


Composizione: Parigi - Monaco, marzo - giugno 1778 e 8 gennaio 1779
Scritto per il soprano Aloysia Weber-Lange

Aria sostitutiva per l'opera Alceste di Christoph Willibald Gluck

Guida all'ascolto (nota 1)

Il catalogo di Mozart comprende un numero singolarmente alto di arie isolate:


oltre cinquanta, in un arco temporale che abbraccia tutta la vita del
compositore. Quasi tutte sono su testo italiano e rispondono
fondamentalmente a due tipi: l'aria da concerto e l'aria sostitutiva. Non che
questi due tipi di aria sortissero, nell'insieme, dei risultati radicalmente
di"erenti sotto il profilo musicale; diversi erano però i contesti produttivi entro
cui si sviluppavano le di"erenti tipologie.
L'aria da concerto veniva scritta in genere dietro commissione diretta di
qualche cantante, per essere eseguita all'interno di una "accademia", nome che
veniva dato ai lunghissimi concerti che, secondo l'uso dell'epoca, alternavano
diversi esecutori e diversi generi compositivi. La presenza di qualche
importante solista di canto vi era frequente, ed è ovvio che il virtuoso dovesse
figurare al meglio delle sue possibilità, mettendo in mostra tutte le risorse
della propria tecnica.

Più complessa la nascita delle arie sostitutive, di origine teatrale, legate a un


sistema produttivo incentrato principalmente sulla figura del cantante. Il
passaggio di un'opera da una piazza teatrale a un'altra comportava il suo
adattamento alla situazione contingente, alle nuove esigenze di una di"erente
compagnia di canto. Senza la piena a"ermazione dei cantanti disponibili nella
compagnia il successo dell'opera non era assicurato, con disdoro degli artisti e
dell'impresario che lautamente li remunerava.

Da qui nasceva la prassi - considerata all'epoca del tutto legittima, con buona
pace dei sempre vigili cultori dell'unità dell'opera d'arte - di inserire all'interno
di un'opera vecchia un'aria nuova, confezionata su misura per il virtuoso
disponibile sulla piazza. Lo stesso Mozart si adeguò in più occasioni
disciplinatamente a tale prassi, ad esempio per il Don Giovanni, opera che,
nata a Praga nel 1787, venne arricchita l'anno seguente a Vienna di nuove
pagine: l'aria «Dalla sua pace» e il duetto «Per quelle tue manine» che
compensavano gli interpreti di Don Ottavio e Leporello della soppressione
delle arie «Il mio tesoro» e «Ah pietà signori miei» (venne aggiunta inoltre l'aria
«Mi tradì quell'alma ingrata» per Elvira).

In mancanza dell'autore della vecchia opera nella nuova città, a operare gli
indispensabili aggiustamenti provvedeva qualche compositore locale; il quale
era ovviamente tenuto in primo luogo a venire incontro a tutte le esigenze ed i
capricci dei nuovi virtuosi. Mozart non disdegnò in più occasioni di fornire
nuova musica per opere di compositori di moda, allora più rinomati di lui,
come Cimarosa, Paisiello, Pasquale Anfossi, Vicente Martin y Soler. Di!cile
valutare se il compositore si sia sforzato in queste occasioni di rientrare
appieno nel contesto drammatico dell'opera; certamente le pagine pensate
come "sostitutive" non di"eriscono molto nell'impostazione dalle arie da
concerto; in entrambi i casi l'obiettivo era quello di valorizzare al massimo i
mezzi vocali, il gusto, le propensioni del cantante destinatario.

Delle tre arie in programma nel concerto odierno le prime due - «Popoli di
Tessaglia», - «Io non chiedo eterni Dei» K. 316/300b; e «Mia speranza
adorata», «Ah non sai qual pena» K. 416 - nacquero come arie da concerto,
mentre la terza - «Vorrei spiegarvi, oh Dio» K. 418 - nacque invece come aria
sostitutiva. Tutti e tre i brani furono pensati però "su misura" per i mezzi
straordinari di una virtuosa che giocò un ruolo non episodico nella vita
personale e professionale del compositore, Aloysia Weber, poi maritata Lange.

Mozart conobbe Aloysia sul finire del 1777 a Mannheim, prima importante
tappa del lungo viaggio che avrebbe portato il compositore ventiduenne a
Parigi. Figlia di un copista di musica, Aloysia aveva sedici anni ed era già una
cantante perfettamente formata. Fra i due sbocciò una passione, sembra,
ricambiata; Mozart decise di portare Aloysia in Italia per farla diventare una
prima donna e scrisse questa sua intenzione al padre, rimasto a Salisburgo,
causandone le ire. L'autorità paterna ebbe la meglio e il giovane parti per Parigi
sotto il controllo della madre. Di ritorno dalla deludente - per i risultati
professionali - e dolorosa - per la morte della madre - esperienza parigina,
Mozart si fermò a Monaco nel dicembre 1778, per ritrovare Aloysia; ma la
virtuosa aveva ormai altre ambizioni, e trattò con sostanziale freddezza quello
spasimante che non era in grado di garantirle una adeguata carriera. Aloysia
sposò nel 1780 un attore della corte viennese, Joseph Lange, e i divenne una
autentica star della capitale dell'impero; Mozart sposò invece la sorella di
Aloysia, Constanze; logico che i rapporti con quella che era nel frattempo
divenuta sua cognata avessero frequenti risvolti professionali.

Tutte queste vicende sono, d'altronde, notissime; e non varrebbe la pena di


ricordarle se non aiutassero a spiegare la nascita delle tre arie K. 316, 416 e
418.

L'aria «Popoli di Tessaglia», «Io non chiedo», scritta sul testo che Ranieri de'
Calzabigi aveva steso per l'Alceste di Gluck (la situazione è quella dell'eroina
che aggiorna il popolo sulle disperate condizioni dello sposo Admeto), fu
scritta da Mozart a Parigi, nel periodo intercorso fra l'incontro con Aloysia e la
disillusione; sebbene l'autografo rechi la data dell'8 gennaio 1779, è verosimile
che l'aria fosse pressoché definita nelle sue linee generali quando Mozart
giunse a Monaco, un paio di settimane prima. Si trattava infatti di un vero e
proprio dono di fidanzamento ad Aloysia, preannunciato in una lettera del 30
luglio 1778 in cui il compositore si rivolge alla virtuosa in lingua italiana, la
lingua che usava per le occasioni più elette e preziose: «[...] e con quella
occasione avrà anche il Popolo di Tessaglia, ch'è già mezzo Terminato - se lei
ne sarà si contenta - comme lo son io - potrò chiamarmi felice. - intanto,
sinché avrò la soddisfazione di sapere di lei stessa l'incontro che avrà avuta
questa scena appresso di lei s'intende, perché siccome l'ho fatta solamente per
lei - così non desidero altra Lode che la sua; intanto dunque non posso dir
altro, che, Tra le mie composizioni di questo genere - devo confessare che
questa scena è la migliore ch'ho fatto in vita mia».
Giudizio impegnativo, questo, ma nell'insieme condivisibile anche tenendo
presenti le successive arie da concerto del compositore. Già l'introduzione
strumentale, un Andantino sostenuto e languido, crea una ambientazione
concentrata e dolorosa con pochissimi dettagli; e tutto il recitativo procede
attraverso so"erte trascolorazioni. Segue un Andantino sostenuto e cantabile
impreziosito dal rilievo di oboe e fagotto, che presto intrecciano le loro linee
con i teneri gorgheggi del soprano, in uno scambio continuo di ruoli. Si arriva
così all'Allegro assai, dove il virtuosismo diventa espressione della
disperazione dell'eroina; la voce del soprano viene impegnata in lunghe tenute
di fiato e rapidissime terzine, e viene spinta fino all'altezza del sol sovracuto.
Ciò che rende davvero magistrale questa scena e aria nel suo insieme è la
perfetta valorizzazione di tutti i diversi aspetti dell'arte della cantante, da
quello elegiaco a quello virtuosistico, ma in assoluta coincidenza con le diverse
situazioni drammatiche proposte dal testo poetico, in modo che l'intera scena
si sviluppi attraverso una lievitazione espressiva.

Testo

ALCESTE

Popoli di Tessaglia! Ah, mai più giusto


fu il vostro pianto, a voi non men che a questi
innocenti fanciulli
Admeto è padre. Io perdo
l'amato sposo, e voi l'amato re; la nostra
sola speranza il nostro amor c'invola
questo fato crudel.

Né so chi prima in sì grave sciagura


a compianger m'appigli
del regno, di me stessa, o de' miei figli.
La pietà degli Dei sola ci resta
a implorare, a ottener.
Verrò compagna alle vostre preghiere,
ai vostri sacrifizi; avanti all'ara
una misera madre,
due bambini infelici,
tutto un popolo in pianto
presenterò così. Forse con questo
spettacolo funesto, in cui dolente
gli a"etti, i voti suoi dichiara un regno,
placato alfin sarà del ciel lo sdegno.

Io non chiedo, eterni Dei,


tutto il ciel per me sereno,
ma il mio duol consoli almeno
qualche raggio di pietà.

Non comprende i mali miei,


né il terror che m'empie il petto,
chi di moglie il vivo a"etto,
chi di madre il cor non ha.

Misera dove son! Ah, non son' io che parlo, recitativo ed aria per
soprano ed orchestra, K 369

https://www.youtube.com/watch?v=8NU6YXbSULY

Testo: Pietro Metastasio dall'"Ezio"

Misera, dove son! - récitativo - Andante sostenuto (mi bemolle maggiore)


Ah! non son' io che parlo - aria - Andante sostenuto (mi bemolle maggiore).
Allegro (si bemolle maggiore - mi bemolle maggiore)

Organico: soprano, 2 flauti, 2 corni, archi


Composizione: Monaco, 8 marzo 1781
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia

Scritta per il soprano Josepha Baumgarten von Lerchenfeld


Guida all'ascolto (nota 1)

La pagina mozartiana "Misera, dove soni Ah! non son io che parlo" si serve dei
versi del dramma Ezio di Metastasio ed è scritta per soprano, due flauti, due
corni e archi (risale come data di nascita all'8 marzo 1781). La caratteristica
musicale della composizione è data dalla freschezza e dalla semplicità
dell'invenzione melodica, come espressione di un sentimento a"ettuoso
amoroso, in linea con il neo-classicismo della poesia metastasiana. La scena e
aria K. 369 è formata da un Andante sostenuto (recitativo e aria) e da un
Allegro dalla vivace punteggiatura ritmica.

Ennio Melchiorre
Testo

Misera, dove son! L'aure del Tebro son queste


ch'io respiro? Per le strade m'aggiro
di Tebe e d'Argo? O dalle greche sponde,
di tragedie feconde, le domestiche furie
vennero a questi lidi della prole
di Cadmo e degli Atridi?
Là d'un monarca ingiusto l'ingrata
crudeltà m'empie d'orrore;
d'un padre traditore qua
la colpa m'agghiaccia e
lo sposo innocente ha sempre in faccia.
Oh immagini funeste! Oh memorie! Oh martiro!
Ed io parlo, infelice, ed io respiro? Ah no!

Ah! non son io che parlo, è il barbaro


dolore che mi divide il core, che delirar mi fa.
Non cura il ciel tiranno l'a"anno
in cui mi vedo; un fulmine gli chiedo e
un fulmine non ha.

Mia speranza adorata... Ah, non sai, qual pena, recitativo ed aria in si
bemolle maggiore per soprano, K 416

https://www.youtube.com/watch?v=orhXw8uXn4I

Testo: Abate Gaetano Sertor

Mia speranza adorata - recitativo - Andante (sol minore). Adagio. Allegretto.


Andante. Allegro assai. Adagio
Ah, non sai, qual pena - rondò - Andante sostenuto (si bemolle maggiore).
Allegro assai

Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Vienna, 8 gennaio 1783
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 11 gennaio 1783
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1805

Scritta per il soprano Aloysia Weber-Lange

Aria sostitutiva per l'opera Zemira di Pasquale Anfossi

Guida all'ascolto (nota 1)

Il catalogo di Mozart comprende un numero singolarmente alto di arie isolate:


oltre cinquanta, in un arco temporale che abbraccia tutta la vita del
compositore. Quasi tutte sono su testo italiano e rispondono
fondamentalmente a due tipi: l'aria da concerto e l'aria sostitutiva. Non che
questi due tipi di aria sortissero, nell'insieme, dei risultati radicalmente
di"erenti sotto il profilo musicale; diversi erano però i contesti produttivi entro
cui si sviluppavano le di"erenti tipologie.

L'aria da concerto veniva scritta in genere dietro commissione diretta di


qualche cantante, per essere eseguita all'interno di una "accademia", nome che
veniva dato ai lunghissimi concerti che, secondo l'uso dell'epoca, alternavano
diversi esecutori e diversi generi compositivi. La presenza di qualche
importante solista di canto vi era frequente, ed è ovvio che il virtuoso dovesse
figurare al meglio delle sue possibilità, mettendo in mostra tutte le risorse
della propria tecnica.

Più complessa la nascita delle arie sostitutive, di origine teatrale, legate a un


sistema produttivo incentrato principalmente sulla figura del cantante. Il
passaggio di un'opera da una piazza teatrale a un'altra comportava il suo
adattamento alla situazione contingente, alle nuove esigenze di una di"erente
compagnia di canto. Senza la piena a"ermazione dei cantanti disponibili nella
compagnia il successo dell'opera non era assicurato, con disdoro degli artisti e
dell'impresario che lautamente li remunerava.

Da qui nasceva la prassi - considerata all'epoca del tutto legittima, con buona
pace dei sempre vigili cultori dell'unità dell'opera d'arte - di inserire all'interno
di un'opera vecchia un'aria nuova, confezionata su misura per il virtuoso
disponibile sulla piazza. Lo stesso Mozart si adeguò in più occasioni
disciplinatamente a tale prassi, ad esempio per il Don Giovanni, opera che,
nata a Praga nel 1787, venne arricchita l'anno seguente a Vienna di nuove
pagine: l'aria «Dalla sua pace» e il duetto «Per quelle tue manine» che
compensavano gli interpreti di Don Ottavio e Leporello della soppressione
delle arie «Il mio tesoro» e «Ah pietà signori miei» (venne aggiunta inoltre l'aria
«Mi tradì quell'alma ingrata» per Elvira).

In mancanza dell'autore della vecchia opera nella nuova città, a operare gli
indispensabili aggiustamenti provvedeva qualche compositore locale; il quale
era ovviamente tenuto in primo luogo a venire incontro a tutte le esigenze ed i
capricci dei nuovi virtuosi. Mozart non disdegnò in più occasioni di fornire
nuova musica per opere di compositori di moda, allora più rinomati di lui,
come Cimarosa, Paisiello, Pasquale Anfossi, Vicente Martin y Soler. Di!cile
valutare se il compositore si sia sforzato in queste occasioni di rientrare
appieno nel contesto drammatico dell'opera; certamente le pagine pensate
come "sostitutive" non di"eriscono molto nell'impostazione dalle arie da
concerto; in entrambi i casi l'obiettivo era quello di valorizzare al massimo i
mezzi vocali, il gusto, le propensioni del cantante destinatario.

Delle tre arie in programma nel concerto odierno le prime due - «Popoli di
Tessaglia», - «Io non chiedo eterni Dei» K. 316/300b; e «Mia speranza
adorata», «Ah non sai qual pena» K. 416 - nacquero come arie da concerto,
mentre la terza - «Vorrei spiegarvi, oh Dio» K. 418 - nacque invece come aria
sostitutiva. Tutti e tre i brani furono pensati però "su misura" per i mezzi
straordinari di una virtuosa che giocò un ruolo non episodico nella vita
personale e professionale del compositore, Aloysia Weber, poi maritata Lange.

Mozart conobbe Aloysia sul finire del 1777 a Mannheim, prima importante
tappa del lungo viaggio che avrebbe portato il compositore ventiduenne a
Parigi. Figlia di un copista di musica, Aloysia aveva sedici anni ed era già una
cantante perfettamente formata. Fra i due sbocciò una passione, sembra,
ricambiata; Mozart decise di portare Aloysia in Italia per farla diventare una
prima donna e scrisse questa sua intenzione al padre, rimasto a Salisburgo,
causandone le ire. L'autorità paterna ebbe la meglio e il giovane parti per Parigi
sotto il controllo della madre. Di ritorno dalla deludente - per i risultati
professionali - e dolorosa - per la morte della madre - esperienza parigina,
Mozart si fermò a Monaco nel dicembre 1778, per ritrovare Aloysia; ma la
virtuosa aveva ormai altre ambizioni, e trattò con sostanziale freddezza quello
spasimante che non era in grado di garantirle una adeguata carriera. Aloysia
sposò nel 1780 un attore della corte viennese, Joseph Lange, e i divenne una
autentica star della capitale dell'impero; Mozart sposò invece la sorella di
Aloysia, Constanze; logico che i rapporti con quella che era nel frattempo
divenuta sua cognata avessero frequenti risvolti professionali.

Tutte queste vicende sono, d'altronde, notissime; e non varrebbe la pena di


ricordarle se non aiutassero a spiegare la nascita delle tre arie K. 316, 416 e
418.

La scena e aria «Mia speranza adorata - Ah non sai qual pena sia» - è su testo
di Gaetano Sertor, scritto in origine per la Zemira di Anfiossi; la situazione è
quella dell'eroe Gandarte che si separa dalla sua sposa. Mozart terminò
quest'aria il 19 gennaio 1783 perché Aloysia la potesse cantare, tre giorni più
tardi, in una grande accademia presso il Mehlmarkt, il nuovo mercato. Aloysia
la cantò ancora il 23 marzo in una accademia organizzata da Mozart al
Burgtheater, e poi l'11 novembre 1795, in un concerto organizzato dalla
sorella Constanze, ormai vedova, per raccogliere fondi. Dopo un variato
recitativo, formalmente ci troviamo di fronte a un rondò, in cui il tenero motivo
iniziale - che funge da refrain - viene riproposto ogni volta con crescenti
di!coltà tecniche (fino a toccare il fa sovracuto), ed alternato a diverse
situazioni espressive; l'Allegro assai che conclude l'aria viene ancora interrotto
dal motivo del refrain; è qui soprattutto che troviamo la voce del soprano
impegnata nel cimento virtuosistico, ma l'aria finisce poi con semplicità e in
pianissimo, rifuggendo da troppo facili concessioni plateali.
Testo
GENDARTE

Mia speranza adorata!


Ah troppo è a noi l'ira del ciel funesta!
L'ultima volta è questa
ch'io ti stringo al mio seno! Anima mia,
io più non ti vedrò. Deh tu l'assisti,
tu per me la consoli. Addio Zemira,
ricordati di me! Senti... che vedo,
tu piangi, o mio tesoro! Oh, quanto accresce
quel pianto il mio martiri
Chi provò mai stato peggior del mio!
Addio per sempre, amata sposa, addio!

Ah, non sai qual pena sia


il doverti, oh Dio, lasciar;
ma quel pianto, anima mia,
fa più grave il mio penar.

Deh, mi lascia! Oh fier momento!


Cara sposa! Ah, ch'io mi sento
per l'a"anno il cor mancar.

A quai barbare vicende


mi serbaste, avversi Dei
Dite voi, se i casi miei
non son degni di pietà!

Vorrei spiegarvi, oh Dio, aria per soprano e orchestra, K 418

https://www.youtube.com/watch?v=IrUku79cBYk

Testo: autore ignoto

Vorrei spiegarvi, oh Dio - aria - Adagio (la maggiore)


Ah conte, partite - aria - Allegro (la maggiore)

Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Vienna, 20 Giugno 1783
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 30 Giugno 1783

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


L'aria di Mozart presente nel concerto odierno - pagina fra le più significative
di un catalogo che comprende oltre cinquanta composizioni di questo genere,
lungo un arco che abbraccia tutta la vita del compositore - fu pensata "su
misura" per i mezzi straordinari di una virtuosa che giocò un ruolo non
episodico nella vita personale e professionale del musicista, Aloysia Weber, poi
maritata Lange.

Mozart conobbe Aloysia sul finire del 1777 a Mannheim, prima importante
tappa del lungo viaggio che avrebbe portato il compositore ventiduenne a
Parigi. Figlia di un copista di musica, Aloysia aveva sedici anni ed era già una
cantante perfettamente formata. Fra i due sbocciò una passione, ma Mozart fu
costretto dal padre a partire alla volta di Parigi. Di ritorno dalla deludente - per
i risultati professionali - e dolorosa - per la morte della madre - esperienza
parigina, Mozart si fermò a Monaco nel dicembre 1778, per ritrovare Aloysia;
ma la virtuosa aveva ormai altre ambizioni, e trattò con sostanziale freddezza
quello spasimante che non era in grado di garantirle una adeguata carriera.
Aloysia sposò nel 1780 un attore della corte viennese, Joseph Lange, e divenne
una autentica star della capitale dell'impero; Mozart sposò invece la sorella di
Aloysia, Constanze; logico che i rapporti con quella che era nel frattempo
divenuta sua cognata avessero frequenti risvolti professionali.

Tutte queste vicende sono, d'altronde, notissime; e non varrebbe la pena di


ricordarle se non aiutassero a spiegare la nascita dell'aria K. 418, pensata
appunto per valorizzare al massimo una virtuosa i cui mezzi Mozart conosceva
perfettamente e ammirava in sommo grado. "Vorrei spiegarvi, oh Dio", K. 418
(la data è quella del 20 giugno 1783), è un'aria "sostitutiva" su testo di
anonimo pensata per essere introdotta nell'opera Il curioso indiscreto di
Pasquale Anfossi, in scena a Vienna in quel periodo (era costume che un'opera
venisse sempre adattata alle esigenze della locale compagnia di canto, talvolta
anche con l'apposita composizione di nuove arie realizzata da qualche
compositore locale). L'aria è a!data al personaggio di Clorinda, agitata da un
segreto che non può palesare. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un
risultato fra i più alti del genere; l'aria si divide in due sezioni, una
contemplativa ed una dinamica. La prima sezione è magistrale nella
definizione di un'atmosfera peculiare: sugli archi in pizzicato i violini primi
suonano con sordina, e si alternano al canto purissimo dell'oboe; su questa
introduzione si inserisce il soprano, che intreccia con l'oboe un dialogo
suadente - ma impegnativo: la cantante ribatte un mi sovracuto - quasi lo
strumento fosse l'unico confidente possibile per il personaggio. Il seguente
Allegro si avvale di un accompagnamento incalzante e dei salti di registro della
cantante; una conclusione breve ed e!cace per la mirabile pagina.

Arrigo Quattrocchi
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Per l'allestimento viennese del dramma giocoso per musica Il curioso indiscreto
di Pasquale Anfossi, Mozart rimusicò alcune Arie per il tenore Valentin
Adamberger e per la cognata Aloysia. È noto quale particolare, intimo rapporto
avesse Mozart con Aloysia, conosciuta a Mannheim nel 1778, e quanto ne
apprezzasse le non comuni doti di interprete: per lei aveva scritto Arie da
concerto quali Non so donde viene K. 294 e Popoli di Tessaglia K. 316, con il
proposito di insegnarle lo stile di canto della scuola italiana. Riguardo l'esito
della première dell'opera di Anfossi al Burgtheater (30 giugno 1783) è lo stesso
Mozart a riferire al padre nella lettera del 2 luglio:
"nulla è piaciuto, al di fuori delle mie due Arie, la seconda delle quali, un'Aria
di bravura, dovette essere ripetuta. Deve ora sapere che i miei nemici sono
stati così maligni da di"ondere già in anticipo la voce: Mozart vuol correggere
l'opera di Anfossi. Io son venuto a saperlo. Ho fatto dire allora al conte
Rosenberg [sovrintendente del teatro] che non avrei consegnato le Arie, se sul
libretto non si fosse stampato in tedesco e in italiano il seguente

Avertimento

Le due arie a carta 36 e carta 102 sono state messe in musica dal Sig.r Maestro
Mozart, per compiacere la Sig.ra Lange, non essendo quelle state scritte dal
Sig. Maestro Anfossi secondo la di lei abilità, ma per altro soggetto. Questo si
vuole far noto perché ne vada l'onore a chi conviene, senza che rimanga in
alcuna parte pregiudicata la riputazione e la fama del già molto cognito
Napoletano".

La vicenda e il suo epilogo - l'inganno perpetrato da Salieri ai danni di


Adamberger per convincerlo a non eseguire l'Aria per lui composta -
testimoniano le di!coltà incontrate da Mozart nel proporsi a Vienna come
autore d'opera, obiettivo perseguito con tenacia fino all'incontro con Da Ponte
- quasi tre anni più tardi -, attraverso una serie di tentativi rappresentati da
opere mai portate a termine quali L'oca del Cairo K. 422, Lo sposo deluso K.
430, o rimaste allo stato di abbozzo, come il Terzetto Del gran regno delle
Amazzoni K. 434, e infine dagli interventi in opere di altri compositori quali il
Quartetto K. 479 e il Terzetto K. 480 per La villanetta rapita di Francesco
Bianchi o le Arie K. 418, K. 419 e K. 420 per Il curioso indiscreto di Anfossi:
preziose occasioni per mettersi in luce in un repertorio considerato
appannaggio esclusivo degli italiani. Questi interventi mozartiani,
generalmente inclusi tra le Arie da concerto - quindi decontestualizzati -,
vanno invece necessariamente rapportati all'opera cui erano originariamente
destinati.
Il curioso indiscreto era stata rappresentata con successo nell'agosto 1778
all'Académie Royale de Musique di Parigi: è l'unico lavoro di Anfossi cui Mozart
sicuramente assistette nei mesi del suo soggiorno nella capitale francese, e
che l'argomento su cui è imperniata l'opera avesse colpito l'immaginazione di
Mozart trova conferma nella corrispondenza di situazioni che accomunano
questo dramma giocoso a Così fan tutte. Le due Arie sostituite con più
frequenza nei numerosi allestimenti in città italiane che precedono quello
viennese sono quelle di Clorinda nella sesta scena del primo atto e quella del
Contino di Ripaverde nella quarta scena del secondo atto: si tratta di Ah
spiegarti o Dio vorrei e Per pietà non ricercate, cioè proprio le Arie che Mozart
rimusicherà a Vienna per la cognata Aloysia e per Adamberger; questi
interventi mozartiani si collocano dunque nei "punti deboli" dell'opera di
Anfossi, già evidenziati dalle sostituzioni avvenute nei precedenti allestimenti.

Nel giugno del 1783 Mozart aveva posto in musica in forma di Lied per canto e
pianoforte (Ah, spiegarti o Dio vorrei K. 178) le prime due quartine del testo
originale dell'Aria di Clorinda, quello utilizzato da Anfossi. Il Lied rappresenta
probabilmente un primo tentativo, abbandonato poi per la nuova versione del
tutto di"erente, la bellissima Aria Vorrei spiegarvi o Dio! K. 418, cui sono state
apportate significative modifiche testuali. L'Aria conclude la scena in cui
Clorinda, soggiogata dalle avances del Contino, è intimamente combattuta tra
il trasporto che prova per lui e il senso del dovere che l'induce a respingerlo.
Mozart ha ritenuto il testo originale non adeguato a rendere la situazione che
si intendeva esprimere: un amore che si vorrebbe dichiarare ma che si è
costretti a tacere. Le modifiche apportate al testo sono infatti di ordine
linguistico-lessicale, oltre che metrico, e comportano un cambiamento a livello
drammatico attraverso un'intensificazione dei sentimenti espressi: il generico
"Quel desio che il cor m'a"anna" diviene "Qual è l'a"anno mio", una più intima
pena d'amore; "Del suo barbaro rigore/ Conte mio non ti lagnar", dal tono
colloquiale, è mutato in "E fa che cruda io sembri/ Un barbaro dover", in cui
l'accento cade sul conflitto interiore della protagonista. Non si tratta dunque di
una semplice parafrasi: si è qui in presenza di un'operazione qualitativamente
più complessa, in cui si avverte distintamente la presenza dietro le quinte di un
Mozart grande uomo di teatro.

Apre il brano l'Adagio, con un'introduzione orchestrale di undici battute, in cui


sul pizzicato "con sordino" degli archi e i lunghi accordi tenuti dei fagotti e dei
corni, si distendono i nostalgici accenti dell'oboe primo, che espone la
melodia, di limpida bellezza, ripresa dall'entrata del soprano. È sulla parola
"a"anno", ripetuta per tre volte, che si ha il primo crescendo emotivo; l'acme
espressivo giunge sulla parola "piangere", dove si fa più serrato il dialogo
imitativo tra la voce umana e quella dell'oboe, quasi quest'ultimo esprimesse la
voce più intima, non legata alla parola, dell'animo diviso della protagonista.
Conclusasi l'esposizione sulla dominante inizia una sezione modulante
costruita sulla seconda quartina di versi, caratterizzata da salti più arditi quali
la decima discendente sull'aggettivo "cruda". Segue la ripresa variata della
prima parte, dove una diversa armonizzazione degli archi dà una sfumatura
più tenera a questo inciso. Quando si arriva nuovamente alla parola "piangere",
vero nucleo emotivo di tutto il brano, ci sorprende un lungo do naturale,
improvvisa virata nel modo minore, da cui parte quasi un lamento straziante -
ripreso dall'oboe - che ascende per piccoli incisi fino a tramutarsi in un grido
disumano sul mi sovracuto, dall'e"etto quasi strumentale, per poi precipitare,
risalire, discendere ancora fino alla sospensione sulla dominante: qui, con un
repentino cambio di carattere, attacca l'Allegro, costruito sulla seconda parte
del testo, per brevi incisi, sul palpitante fremito in crome degli archi. Segue
l'indicazione più allegro: comincia la scintillante coda conclusiva, con le uniche
concessioni al virtuosismo vocale, di grande e"etto specialmente negli
arditissimi cambi improvvisi di registro dovuti agli ampi salti melodici.

Federico Pirani
Testo

Vorrei spiegarvi, oh Dio

Clorinda
Vorrei spiegarvi, oh Dio!
qual è l'a"anno mio;
ma mi condanna il fato
a piangere e tacer.

Arder non può il mio core


per chi vorrebbe amore,
e fa che cruda io sembri
un barbaro dover.

Ah conte, partite,
correte, fuggite,
lontano da me.
La vostra diletta
Emilia v'aspetta;
languir non la fate,
è degna d'amor.
Ah stelle spietate!
Nemiche mi siete.
Mi perdo s'ei resta.
Partite, correte,
D'amor non parlate,
è vostro il suo cor.
Misero! o sogno!... Aura, che intorno spiri, recitativo ed aria per tenore ed
orchestra, K 431 (K 425b)

https://www.youtube.com/watch?v=NpFtUSQAvGc

Testo: Pietro Metastasio dal "Temistocle"

Misero! o sogno! - recitativo - Adagio (mi bemolle maggiore). Andante con


moto. Allegro risoluto. Andante sostenuto
Aura, che intorno - aria - Andante sostenuto (mi bemolle maggiore). Allegro
assai

Organico: tenore, 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Vienna, dicembre 1783
Prima esecuzione: Vienna, Pensiongesellschaft der Tonkünstler, 22 dicembre
1783

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel catalogo mozartiano figura un numero assai grande di arie e pezzi


d'insieme con accompagnamento d'orchestra, composte per essere introdotte
in opere altrui, secondo un costume allora di"uso, o per assecondare le
esigenze di un cantante in occasione della ripresa di un'opera di Mozart stesso
(come avvenne perfino per Le nozze di Figaro), ma spesso anche come
autonomi pezzi da concerto, inserendosi in un genere frequentatissimo, cui
avrebbe pagato qualche tributo ancora lo stesso Beethoven. Si tratta per lo più
di arie su testi italiani e di stile italiano, o meglio riconducibile a quello
dell'opera italiana, almeno nei tratti esteriori: dalla loro collocazione
cronologica nell'ambito della creatività di Mozart discende, in misura più o
meno vistosa, la maggiore o minore presenza in esse di quella dignità
drammatica che innalza, pur fatte salve tutte le più nobili esigenze del canto in
sé, le arie che arricchiscono le maggiori opere teatrali di Mozart; mentre resta
quasi sempre valido il concetto dell'aria come Concerto in miniatura, con la
voce ad assolvere il ruolo dello strumento solista, anche quando la
composizione, sia essa o meno destinata a figurare in un'opera, si attesta nelle
forme e nello spirito di una scena, come nel caso di Popoli di Tessaglia, il
brano grandioso che Mozart compose nel 1778 per Aloysia Weber.

Non è noto se Misero! O sogno o son desto? composta verso la fine del 1783,
sia stata creata per essere inserita in un'opera: Einstein avanza, senza troppa
convinzione, l'ipotesi che essa fosse destinata a una delle moltissime versioni
musicali del Temistocle di Metastasio, per il quale nello stesso periodo Mozart
aveva scritto il recitativo e aria per basso Aspri rimorsi atroci K. 432. Sta di
fatto che questo pezzo, che fu eseguito nel dicembre dell'83 dal tenore
tedesco Valentin Adamberger, il primo interprete del ruolo di Belmonte nel
Ratto dal Serraglio, resta fra le arie più belle della maturità mozartiana. Esso
consiste di un recitativo abbastanza esteso seguito dall'aria vera e propria,
«Aura che intorno spiri»; la partitura orchestrale prevede oltre agli archi, flauti
fagotti e corni a coppie. Se questa scena, osserva Einstein, fosse un monologo
di Temistocle imprigionato, il suo tono sarebbe «un po' troppo lirico e troppo
poco eroico. Sembra piuttosto l'esclamazione di un Florestano o di un Manrico
[anche Bernhard Paumgartner parla acutamente di 'una bella melodia alla
Verdi'], che alternino espressioni di terrore con dolci pensieri all'amata,
terminando con una potente invettiva al destino».

Daniele Spini

Testo

Misero! O sogno, o son desto?

Misero! O sogno, o son desto?


Chiuso è il varco all'uscita.
Io dunque, oh stelle!
solo in questa rinchiusa abitata dall'ombre,
luogo tacito e mesto,
ove non s'ode nell'orror della notte
che de' notturni augelli la lamentabil voce,
i giorni miei dovrò qui terminar?
Aprite, indegne, questa porta infernale,
spietate, aprite, aprite!
Alcun non m'ode,
e solo, ne' cavi sassi ascoso,
risponde a' mesti accenti pietosi.
E dovrò qui morir?
Ah! Negli estremi amari sospiri
almen potessi, oh Dio!
dar al caro mio ben l'ultimo addio!

Aura che intorni spiri,


sull'ali a lei che adoro,
deh! porta i miei sospiri
di che per essa moro, che più non mi vedrà.
Ho mille larve intorno,
di varie voci il suono!
Che orribile soggiorno, che nuova crudeltà!
Che barbara sorte! Che stato dolente!
Mi lagno, sospiro, nessuno mi sente,
nel grave periglio nessuno non miro,
non spero consiglio, non trovo pietà!

Männer suchen stets zu naschen, aria in fa maggiore per basso ed


orchestra, K 433 (K 416c)

https://www.youtube.com/watch?v=a4h5IIGOsOk

Testo: Carlo Goldoni


Organico: soprano, pianoforte
Composizione: Vienna 26 maggio 1787
Edizione: basso, 2 oboi, 2 corni, archi

Abbozzo incompiuto

Testo (nota 1)

WARNUNG

Männer suchen stets zu naschen


lässt man sie allein;
leicht sind Mädchen zu erhaschen
weiss mann sie zu überraschen.

Soll das zu verwundern sein?


Mädchen haben frisches Blut
und das Naschen schmeckt so gut.

Doch das Naschen vor dem Essen


nimmt den Appetit.
Manche kam, die das vergessen
um den Schatz, den sie besessen
und um ihren Liebsten mit.

Väter, lasst euch's Warnung sein,


sperrt die Zuckerplätzchen ein,
sperrt die jungen Mädchen,
die Zuckerplätzchen ein,
sperrt sie ein.

AMMONIMENTO

Gli uomini cercano sempre di piluccare


se si lasciano soli;
le fanciulle sono facili da conquistare
se sì è capaci di sorprenderle.

E questo vi meraviglia?
Le fanciulle hanno sangue ardente
e il piluccare è assai gradevole.

Tuttavìa mangiucchiare prima del pasto


toglie l'appetito.
Taluna che se ne era dimenticata
perdette il tesoro che aveva posseduto,
fra tutti il più caro.

Padri, ascoltate l'ammonimento,


rinchiudete i vostri zuccherini,
rinchiudete le giovanette,
i vostri zuccherini,
rinchiudeteli!

Non più, tutto ascoltai... Non temer, amato bene, recitativo ed aria per
tenore ed orchestra, K 490

https://www.youtube.com/watch?v=n7LQg"fmiQ

Testo: G. Varesco

Non più, tutto ascoltai - scena - Allegro assai (do maggiore)


Non temer, amato bene - rondò - Andante (si bemolle maggiore)

Organico: tenore (o soprano), 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Vienna, 10 marzo 1786
Edizione: Simrock, Bonn 1805

Guida all'ascolto (nota 1)

L'aria per soprano e orchestra "Non temer, amato bene" K. 490, è tratta dalla
prima scena del secondo atto dell'Idomeneo e composta il 10 marzo 1786 a
Vienna. La dizione esatta di questo pezzo recita così: "Non temer, amato ben,
Rondò per soprano, violino solo e orchestra", destinato originariamente alla
voce del tenore, barone Pulini e poi adattato al soprano Nancy Storace, famosa
interprete del ruolo di Susanna nelle Nozze di Figaro, prima che lasciasse
Vienna per recarsi a Londra. È il violino ad esporre il tema sul quale la cantante
dispiega una serie di modulazioni particolarmente espressive nell'indicare il
sentimento di amore di Ilia per Idamante, figlio di Idomeneo, re di Creta. Il
violino svolge un ruolo primario anche quando il soprano canta sulle parole
"Alme belle che vedete le mie pene". Per la terza volta, infine, viene ripetuto il
tema principale con una cadenza del soprano di gusto schiettamente
mozartiano nell'eleganza del fraseggio.

Testo

Ilia:
Non più. Tutto ascoltai, tutto compresi.
D'Elettra e d'Idamante noti sono gli amori,
al caro imegno omai mancar non dei,
va, scordati di me, donati a lei.

Idamante:
Ch'io mi scordi di te? Che a lei mi doni
Puoi consigliarmi? E puoi voler ch'io viva?

Ilia:
Non congiurar, mia vita,
Contro la mia costanza!
Il colpo atroce mi distrugge abbastanza!

Idamante:
Ah no, sarebbe il viver mio di morte
Assai peggior! Fosti il mio primo amore,
E l'ultimo sarai. Venga la morte!
Intrepido l'attendo, ma ch'io possa
Struggermi ad altra face, ad altr'oggetto
Donar gl'a"etti miei,
Come tentarlo? Ah! di dolor morrei!

Non temer, amato bene,


Per te sempre il cor sarà.
Più non reggo a tante pene,
L'alma mia mancando va.
Tu sospiri? o duol funesto!
Pensa almen, che istante è questo!
Non mi posso, oh Dio! spiegar.
Stelle barbare, stelle spieiate,
Perché mai tanto rigor?
Alme belle, che vedete
Le mie pene in tal momento,
Dite voi, s'egual tormento
Può so"rir un fido cor!

Ch'io mi scordi di te?, Recitativo ed aria per soprano ed orchestra, K


505

https://www.youtube.com/watch?v=HZ3RRTCLkFc

Testo: G. Varesco

Ch'io mi scordi di te? - recitativo - Andantino (la bemolle maggiore)


Non temer, amato bene - rondò - Andante (mi bemolle maggiore)

Organico: soprano, pianoforte obbligato, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Vienna, 26 - 27 Dicembre 1786
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 23 Febbraio
1787
Dedica: Anna Selina Storace

Guida all'ascolto (nota 1)

L'aria «Ch'io mi scordi di te» K. 505 Mozart la compose il 26 dicembre 1786


per la cantante Nancy Storace, la creatrice del ruolo dì Susanna delle Nozze di
Figaro. Il testo è ricavato dall'Idomeneo e la musica si articola in un Recitativo-
Andantino, cui subentra un Allegro assai che sfocia in un Rondò. E' un'aria di
opera seria e ricca di pathos, particolarmente adatta a mettere in evidenza le
doti espressive del soprano, in un dialogo brillante e serrato con le figurazioni
e le modulazioni melodiche di un'orchestra di respiro cameristico.

Testo

Ch'io mi scordi di te?


Che a lui mi doni puoi consigliarmi?
E puoi voler che in vita? Ah no.
Sarebbe il viver mio di morte assai peggior.
Venga la morte, intrepida l'attendo.
Ma, ch'io possa struggermi ad altra face,
ad altr'oggetto donar gli a"etti miei,
come tentarlo? Ah, di dolor morrei!

Non temer, amato bene,


In te sempre il cuor sarà.
Più non reggo a tante pene,
l'alma mia mancando va.
Tu sospiri? o duol funesto!
Pensa almen che istante è questo.
Non mi posso, oh Dia! spiegar.
Non temer, amato bene,
Per te sempre il cuor sarà.
Stelle barbare, stelle spietate!
perché mai tanto rigor?
Alme belle che vedete
le mie pene in tal momento,
dite voi, s'egual tormento
può so"rir un fido cuor?

Mentre ti lascio, o figlia, aria in mi bemolle maggiore per basso ed


orchestra, K 513

https://www.youtube.com/watch?v=NNo8Hd2itSM

Testo: Sant'Angioli-Morbilli da La disfatta di Dario di Giovanni Paisiello

Larghetto (mi bemolle maggiore). Allegro. Più Allegro

Organico: basso, flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Vienna, 23 marzo 1787
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1805

Guida all'ascolto (nota 1)

Quest'aria, che ha il numero di catalogo K. 513 e la cui pubblicazione risale al


23 marzo 1787, fu scritta da Mozart in omaggio ad un suo carissimo amico,
Gottfried von Jacquin, che aveva una buona voce di baritono e una solida
cultura musicale. Non si sa, però, per quale ragione Mozart abbia ricavato il
testo di quest'aria dall'opera di Paisiello «La disfatta di Dario», un
procedimento adottato altre volte dal compositore. Il brano, che si serve di
un'orchestra d'archi ridotta con in più un flauto, due clarinetti, due fagotti e
due corni, si apre con una dolce e cantabile introduzione strumentale prima
che il baritono esprima la sua tristezza e la sua desolazione per l'addio di un
padre alla figlia. Al Larghetto iniziale caratterizzato dal canto malinconico del
solista sulle parole «Provo nel mio dolore le smanie e il terror» succede un
tempo Allegro che è un dialogo tra gli strumenti a fiato e la voce, la quale
raggiunge un ritmo più ansioso alla frase «Ahi! che partenza amara! Figlia, ti
lascio».

Il punto culminante dell'aria, che è contrassegnata da molte corone della voce,


è quando Dario pronuncia le parole «Parto, addio, tu piangi» di notevole forza
espressiva. Nel Più Allegro finale sulle parole «Ah! mi si spezza il cor!» il
sentimento diventa robusto e appassionato e conferma come Mozart sentisse
anche il senso drammatico della vita.

Testo

Mentre ti lascio, oh figlia!


In sen mi trema il core!
Ahi! che partenza amara!
Provo nel mio dolore
Le smanie ed il terror!
Parto, tu piangi! oh Dio!
Ti chiedo un sol momento!
Figlia, ti lascio! oh Dio!
Che fìer tormento!
Ah! mi spezza il cor!
Parto! addio! tu piangi?

Bella mia fiamma, addio!, recitativo ed aria per soprano ed orchestra, K


528

https://www.youtube.com/watch?v=VSj4rgrSSRc

Testo: Michele Sarcone

Bella mia fiamma, addio - recitativo - Andante (mi minore)


Resta, o cara - aria - Andante (do maggiore). Allegro

Organico: soprano, flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Praga, 3 novembre 1787
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1805

Il testo è stato attinto dall'opera "Cerere placata" di Niccolo Jommelli

Guida all'ascolto (nota 1)

L'aria «Bella mia fiamma» K. 528 fu composta da Mozart il 3 novembre 1787 a


Praga per la cantante Duschek, alla quale l'artista era riconoscente per averlo
ospitato nella sua villa durante la preparazione e la rappresentazione del Don
Giovanni. Non per nulla il brano risente di alcune reminiscenze di quest'opera,
anche se possiede una sua linea espressiva autonoma. Il recitativo iniziale è un
Andante in mi minore a!dato agli archi. Subentra poi l'aria Bella mia fiamma,
addio! accompagnata dal flauto, dagli oboi, dai contrabbassi e dai corni e
improntata ad un sentimento dì serenità, sino alla frase «Acerba morte», in cui
si spezza il clima di assorta contemplazione attraverso una serie di accordi
cromatici. Si ritorna al primo tema con nuove modulazioni e la tensione si fa
più vìva nell'Allegro e sulle parole «Vieni, a"retta la vendetta», in cui si
richiama l'atmosfera un pò concitata del Don Giovanni, tra stati d'animo
contrastanti e alternati fra di loro. E' una grande aria non soltanto di bravura,
ma puntata sulla schiettezza e la passionalità dei sentimenti umani.

Testo

Bella mia fiamma, addio!


Non piacque al cielo di renderci felici.
Ecco reciso, prima d'esser compito,
quel purissimo nodo che strinsero fra lor
gli animi nostri con il sol voler.
Vivi! Cedi al destin! Cedi al dovere!
Della giurata fede la mia morte t'assolve;
a più degno consorte... o pene!
unita vivi più lieta e più felice vita.
Ricordati di me, ma non mai turbi
d'un infelice sposo la rimembranza
il tuo riposo!
Regina, io vado ad ubbidirti.
Ah, tutto finisca il mio furor
col morir mio.
Cerere, Alfeo, diletta sposa, addio!

Resta, oh cara! Acerba morte


mi separa, oh Dio, da te.
Prendi cura di sua sorte,
consolarla almen procura.
Vado... ahi lasso!
addio per sempre!
Quest'a"anno, questo passo
è terribile per me.
Ah, dov'è il tempio? dov'è l'ara?
Vieni a"retta la vendetta!
Questa vita così amara
più so"ribile non è.
Oh cara, addio per sempre!

Ein deutsches Kriegslied (Un canto tedesco di guerra), canto in la


maggiore per basso ed orchestra, K 539

https://www.youtube.com/watch?v=dsXP5SFYjXE
Testo: Johann Wilhelm Ludwig Gleim

Allegro (la maggiore)

Organico: basso, ottavino, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, timpani, piatti, archi


Composizione: Vienna, 5 marzo 1788
Prima esecuzione: Vienna, Leopoldstädter Theater, 7 marzo 1788
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1799

Testo (nota 1)

MEINE WÜNSCHE I MIEI DESIDERI


Ich möchte wohl den Kaiser sein.
Den Orient wollt' ich erschüttern,
die Muselmänner müssten zittern,
Constantinopel wäre mein.
Ich möchte wohl den Kaiser sein.
Vorrei essere l'imperatore.
L'oriente scuoterei,
i musulmani farei tremare,
Costantinopoli sarebbe mia.
Vorrei essere l'imperatore.
Wie mit innigstem Behagen,
Ich möchte wohl den Kaiser sein.
Athen und Sparta sollten werden
wie Rom die Königin der Erden,
das Alte sollte sich erneu'n.
Ich möchte wohl den Kaiser sein.
Vorrei essere l'imperatore.
Atene e Sparta diventerebbero
come Roma regine del mondo,
il passato tornerebbe in vita.
Vorrei essere l'imperatore.
Ich möchte wohl den Kaiser sein.
Die besten Dichter wollt' ich dingen
der Helden Taten zu besingen,
die goldnen Zeiten führt' ich ein.
Ich möchte wohl den Kaiser sein.
Vorrei essere l'imperatore.
I migliori poeti impiegherei
per cantare le gesta degli eroi,
un'era d'oro farei fiorire.
Vorrei essere l'imperatore.
Ich möchte wohl den Kaiser sein.
Weil aber Joseph meinen Willen
bei seinem Leben will erfüllen
und sich darauf die Weisen freu'n,
so mag er immer Kaiser sein.
Vorrei essere l'imperatore.
Ma poiché Giuseppe vorrà ad ogni costo
esaudire i miei desideri
e ciò sarà gradito ai savi,
sia sempre lui l'imperatore.

Alma grande e nobil cuore, aria per soprano ed orchestra, K 578

https://www.youtube.com/watch?v=s_q5hKBkgQQ

Testo: G. A. Palomba

Allegro (si bemolle maggiore). Allegro assai

Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Vienna, Agosto 1789
Prima esecuzione: Vienna, Kärntnertor Theater, 19 agosto 1791
Edizione: Vienna, Burgtheater, 6 settembre 1789

Aria sostitutiva per l'opera "I due baroni di Rocca Azzurra" di Domenico
Cimarosa

Guida all'ascolto (nota 1)

L'aria «Alma grande e nobil core» K. 578, è in si bemolle e risale all'agosto del
1789: Mozart la scrisse per Louise Villeneuve, la Dorabella di Così fan tutte,
che l'avrebbe cantata, inserita nel testo, nel corso della rappresentazione a
Vienna dell'opera I due baroni di Rocca Azzurra, secondo l'usanza teatrale del
tempo. Il tema si snoda dapprima piano e poi più sostenuto e forte, così da
permettere al personaggio di madame Laura (è la protagonista dell'aria) di
sfoggiare le sue qualità belcantistiche. Ritorna quindi la frase iniziale e si
snoda questa volta secondo lo stile imitativo, svolgendo un nuovo discorso
sulle parole: «E so farmi rispettar». L'orchestra fa da contrappunto con
modulazioni molto misurate, mentre il canto assume il tono di invettiva («Va,
favella a quell'ingrato») per poi addolcirsi. Sopravviene un Allegro assai e
successivamente madame Laura accentua la propria eccitazione («Ma non
merita perdono, sì mi voglio vendicar»). Su un accompagnamento dì crome
degli archi la donna apostrofa l'ingrato amante, mentre l'aria assume un tono
più incisivamente espressìvo, per concludersi con la frase dei violini sul tema
dell'Allegro assai.
Testo

Alma grande e nobil core


le tue pari ognor disprezza.
Sono dama al fasto avvezza
e so farmi rispettar.
Va, favella a quell'ingrato,
gli dirai che fida io sono.
Ma non merita perdono,
si, mi voglio vendicar.

Un moto di gioia mi sento nel petto, arietta in sol maggiore per soprano
ed orchestra, K 579

https://www.youtube.com/watch?v=o-3AqbWmvZM

Testo: Lorenzo da Ponte

Allegretto moderato (sol maggiore)

Organico: soprano, flauto, oboe, 2 corni, archi


Composizione: Vienna, agosto 1789
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1789

Aria sostitutiva per l'opera "Le nozze di Figaro" K 492

Testo (nota 1)

Un moto di gioia

Un moto di gioia mi sento nel petto,


che annunzia diletto in mezzo il timor!
Speriam che in contento finisca l'a"anno,
non sempre è tiranno il fato ed amor.

Chi sa, chi sa, qual sia, aria in do maggiore per soprano ed orchestra, K
582

https://www.youtube.com/watch?v=jv_RQPgPNlE

Testo: Lorenzo da Ponte

Andante (do maggiore)


Organico: 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, ottobre 1789

Aria sostitutiva per l'opera "Il burbero di buon cuore" di Vincente Martin y Soler
Guida all'ascolto (nota 1)

L'aria di Mozart "Chi sa, chi sa qual sia" K. 582 non fu in realtà concepita
dall'autore come aria "da concerto" - ossia destinata già in origine ad essere
cantata da qualche virtuoso committente all'interno di una "accademia", nome
che veniva dato ai lunghissimi trattenimenti musicali che, secondo l'uso
dell'epoca, alternavano diversi esecutori e diversi generi compositivi. Ebbe
invece la prima esecuzione all'interno di un'opera teatrale, che era invece un
lavoro di un altro compositore, Il burbero di buon cuore di Vicente Martin y
Soler.

Che Mozart abbia aderito senza sdegnarsi, in questa come in molteplici altre
occasioni, alla prassi di aggiungere propria musica ad opere di altri autori -
allora più rinomati di lui, come Cimarosa, Paisiello, Pasquale Anfossi, e lo
stesso Martin y Soler - è cosa che non deve stupire. La prassi delle arie
"sostitutive" si inserisce infatti compiutamente in un sistema produttivo, quale
quello dell'opera del Settecento, incentrato principalmente sulla figura del
cantante. Il passaggio di un'opera da una piazza teatrale a un'altra, o anche la
ripresa a distanza di tempo nella stessa città comportava il suo adattamento
alla situazione contingente, alle nuove esigenze di una di"erente compagnia di
canto. Da qui nasceva la prassi - considerata all'epoca del tutto legittima, con
buona pace dei sempre vigili cultori dell'unità dell'opera d'arte - di inserire
all'interno di un'opera vecchia un'aria nuova, confezionata su misura per il
virtuoso disponibile sulla piazza.

In mancanza dell'autore della vecchia opera nella nuova città o in occasione


della ripresa, a operare gli indispensabili aggiustamenti provvedeva qualche
compositore locale; il quale era ovviamente tenuto in primo luogo a venire
incontro a tutte le esigenze ed i capricci dei nuovi virtuosi.

Quando Il burbero di buon cuore di Martin y Soler, che aveva debuttato a


Vienna nel gennaio 1786, venne ripreso nella stessa città, il 9 novembre 1789,
toccò dunque a Mozart fare i cambiamenti del caso, con il probabile sostegno
di Lorenzo da Ponte per i nuovi testi poetici. Ecco insomma che "Chi sa, chi sa
qual sia" K. 582 venne espressamente pensata (insieme a un'altra pagina
destinata sempre al Burbero, "Vado, ma dove?" K. 583) per i mezzi di Louise
Villeneuve, una cantante appena entrata nella compagnia viennese e passata
alla storia per essere stata, nel gennaio 1790, la prima interprete del ruolo di
Dorabella in Così fan tutte (per lei Mozart aveva già scritto un'altra aria
sostitutiva, "Alma grande e nobil core" K. 578, da inserirsi, nell'agosto 1789,
ne I due baroni di Rocca azzurra di Cimarosa). Ben poche sono le notizie
biografiche accertate intorno a questa interprete. Si è ipotizzato - senza in
realtà grande fondamento - che fosse la sorella di Adriana Ferrarese del Bene
(pseudonimo di Francesca Gabrieli; una grande virtuosa nativa di Ferrara, che
fu la prima Fiordiligi in Così fan tutte). E noto come, prima di entrare a far
parte, nel 1789, della compagnia del Burgtheater di Vienna, la Villeneuve
avesse cantato nel 1787-88 a Venezia presso il Teatro San Moisè. Si può
aggiungere ora - come dato inedito - che, con altri membri del Burgtheather -
i coniugi Bussani, interpreti di Alfonso e Despina in Così fan tutte - si trasferì
in seguito a Roma, dove fu attiva al Teatro Valle negli anni Novanta del secolo.
Non arrivò comunque mai ad essere una grande virtuosa, e la scrittura vocale
della parte di Dorabella mostra come potesse vantare buona tecnica e sicuro
carattere, anche se non una grande estensione vocale.

Nella sua brevità "Chi sa, chi sa qual sia", sviluppa nel modo migliore queste
caratteristiche vocali. L'aria viene intonata dal personaggio di Madama Lucilla,
moglie sfortunata di Giocondo, assillato dai debiti ma ben deciso ad imporre
alla moglie di non immischiarsi dei suoi a"ari familiari; e la sposa si domanda
così quale sia la causa della collera del marito. Si tratta di un Andante che
dipinge mirabilmente l'agitazione del personaggio, con il suo fraseggio
spezzato, le improvvise colorature, le ombreggiature armoniche, nonché il fitto
ordito dei fiati che si intrecciano con il soprano. In definitiva una patina che,
all'interno del Burbero, non deve aver mancato di fare il suo e"etto e di
garantire i meritati applausi alla solista.

Arrigo Quattrocchi
Testo

MADAMA LUCILLA

Chi sa, chi sa qual sia


L'a"anno del mio bene?
Se sdegno, gelosia,
Timor, sospetto, amor.

Voi che sapete, oh Dei!


I puri a"etti miei,
Voi questo dubbio amaro
Toglietemi dal cor.

Lieder con accompagnamento di pianoforte

Ridente la calma, aria in fa maggiore per voce e pianoforte, K 152 (K 210a)


https://www.youtube.com/watch?v=9XMWMgVD4lY

Testo: autore italiano sconosciuto

Larghetto (fa maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: Salisburgo ?, 1775

Attribuzione incerta
Testo (nota 1)
Ridente la calma

Ridente la calma nell'alma si desti


Né resti più segno di sdegno e timor.
Tu vieni frattanto a stringer mio bene
Le dolci catene sì grate al mio cor.

Oiseaux, si tous les ans, aria in do maggiore per soprano e pianoforte, K


307 (K 284d)

https://www.youtube.com/watch?v=3jYrR6EuQwY

Testo: Antoine Ferrand

Allegretto (do maggiore)

Organico: soprano, pianoforte


Composizione: Mannheim, 8 novembre 1777

Testo (nota 1)

Oiseaux, si tous les ans

Oiseaux, si tous les ans


Vous changez de climats,
Dès que le triste hiver
Dépouille nos bocages;
Ce n'est pas seulement
Pour changer de feuillages,
Ni pour éviter nos frimats;
Mais votre destinée
Ne vous permet d'aimer,
Qu'à la saison des fleurs.
Et quand elle est passée,
Vous la cherchez ailleurs,
Afin d'aimer toute l'année.

O uccelli, se tutti gli anni

O uccelli, se tutti gli anni


Cambiate clima,
Non appena il triste inverno
Spoglia i nostri boschi;
Non è soltanto
Per cambiar fronde,
O per sfuggire alla brina dell'inverno;
Ma il vostro destino
Non vi permette di amare,
Che nella stagione dei fori.
E una volta trascorsa,
la cercate altrove,
per poter amare tutto l'anno.

(traduzione di Sara Lambiase)

Dans un bois solitaire (In un bosco solitario), aria in la bemolle maggiore


per soprano e pianoforte, K 308 (K 295b)

https://www.youtube.com/watch?v=vZPMXksAMDY

Testo: Antoine Houdart de la Motte

Adagio (la bemolle maggiore). Allegro. Presto. Adagio

Organico: soprano, pianoforte


Composizione: Mannheim, 28 febbraio - 2 marzo 1778

Testo (nota 1)

Dans un bois solitaire

Dans un bois solitaire et sombre


Je me promenais l'autr' jour,
Un enfant y dormait à l'ombre,
C'était le redoutable Amour.
J'approche, sa beauté me flatte,
Mais je devais m'en défier;
Il avait les traits d'une ingrate,
Que j'avais juré d'oublier.

Il avait la bouche vermeille,


Le teint aussi frais que le sien,
Un soupir m'échappe, il s'éveille;
L'Amour se réveille de rien.

Aussitôt déployant ses aîles


Et saisissant son arc vengeur,
L'une de ses flêches, cruelles
En partant, il me blesse au coeur.

Va! va, dit-il, aux pieds de Sylvie,


De nouveau languir et brûler!
Tu l'aimeras toute la vie,
Pour avoir osé m'éveiller.

In un bosco solitario

In un bosco oscuro e solitario


l'altro giorno stavo a passeggiare:
un bambino riposava all'ombra,
era il temibile Amore.

Mi faccio vicino, la sua bellezza mi attira,


ma avrei dovuto di!dare,
perché vi ravvisai i tratti di un'ingrata
che avevo giurato di dimenticare.

Aveva la bocca d'un rosso vermiglio,


e come il suo era fresco il colorito,
un sospiro mi sfugge, lui si desta;
per un nonnulla Amore viene destato.

E tosto dispiegando le sue ali,


e agguantando il suo arco vendicatore,
va via e, con una freccia crudele,
mi ferisce dritto nel cuore.

Vai! Mi dice, va' ai piedi di Silvia,


e ritorna a languire e a bruciare,
per tutta la vita tu l'amerai,
perché Amore hai osato destare.

(traduzione di Ferdinando Albeggiani)

Wiegenlied (Ninnananna), lied per voce e pianoforte, K 350

https://www.youtube.com/watch?v=mA4IUgihLio

Testo: Friedrich Wilhelm Gotter

Andante (fa maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: data sconosciuta

Attribuzione incerta; scritta da Bernhard Flies

Testo (nota 1)

Wiegenlied Ninna nanna


Schlafe mein Prinzchen, schlaf ein
So ruhen nun Schäfchen und Vögelein
Garten und Wiese verstummt
Auch nicht ein Bienchen mehr summt
Luna mit silbernem Schein
Guckt zum Fenster herein
Schlaf beim silbernen Schein
Schlafe, mein Prinzchen, schlaf ein.
Alles im Schlosse schon liegt
Alles in Schlummer gewiegt
Regt kein Mäuschen sich mehr
Keller und Küche sind leer
Nur in der Zofe Gemach
Tönet ein schmachtendes Ach
Schlafe, mein Prinzchen, schlaf ein.
Wer ist Beglückter als Du
Nichts als Vergnügen und Ruh
Spielwerk und Zucker vollauf
Und noch Karrossen im Lauf
Alles besorgt und bereit
Dass nur mein Prinzchen nicht schreit.
Was wird da künftig erst sein?
Schlafe, mein Prinzchen, schlaf ein.
Dormi, dormi, principino,
ora dormono uccellini e pecorelle
tacciono prati e giardini
e non ronza neppure un'ape.
La luna col raggio d'argento
fa capolino dalla finestra
dormi nel raggio d'argento
dormi, dormi, principino.
Tutto è quieto nel castello
tutto si culla nel sonno
non si muove neppure un topino
cantina e cucina sono deserte
solo nella stanza della cameriera
risuona un languido ah'
dormi, dormi, principino,
Chi è più felice di te
solo quiete e diletto
giocattoli e dolci a piacere
e ancora carrozze in cammino
tutto curato e apprestato
perché il principino non gridi.
Che sarà mai in futuro?
dormi, dormi, principino.

Komm, liebe Zither (Vieni, cara cetra), lied per soprano o tenore e
mandolino, K 351 (K 367b)

https://www.youtube.com/watch?v=CxC6F_ZNEXI

Testo: autore ignoto

Allegro (do maggiore)

Organico: soprano o tenore, mandolino


Composizione: Monaco, 8 novembre 1780 - 15 marzo 1781
Dedica: Martin Lang e Marianne Bondet

Testo (nota 1)

Komm, Liebe Zither


Komm, liebe Zither, komm, du Freundin stiller Liebe,
du sollst auch meine Freundin sein.
Komm, dir vertrau ich die geheimsten meiner Triebe,
nur dir vertrau ich meine Pein.
Sag ihr an meiner Statt, ich darf's ihr noch nicht sagen,
wie ihr so ganz mein Herz gehört.
Sag ihr an meiner Statt, ich darf's ihr noch nicht klagen,
wie sich für sie mein Herz verzehrt.

Vieni mia cetra


Vieni mia cetra, vieni, amica di tacito amore,
tu devi essere anche mia amica.
Vieni, ti confido i miei più segreti desideri,
solo a te io confido la mia pena.
Dille, in vece mia, poiché io non oso ancora parlarle,
come tutto a lei il mio cuore appartiene.
Dille, in vece mia, poiché io non oso ancora piangere con lei,
come per lei il mio cuore si strugge)

An die Einsamkeit (Alla solitudine), lied in si bemolle maggiore per voce e


pianoforte, K 391 (K 340b)

https://www.youtube.com/watch?v=VhUOg-7nTmA

Testo: Johann Timotheus Hermes

Taurig, doch gelassen (si bemolle maggiore)

Organico: voce, pianoforte


Composizione: Salisburgo, gennaio - agosto 1780
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1799
Testo (nota 1)

SEI DU MEIN TROST


Sei Du mein Trost, verschwiegene Traurigkeit.
Ich flehe zu Dir mit so viel Wunden,
Nie klag ich Glücklichen mein Leid
So schweigt ein Kranker bei Gesunden.
Oh Einsamkeit, wie sanft erquickst Du mich
Wenn meine Kräfte früh ermatten
Mit heisser Sehnsucht such ich Dich
So sucht ein Wanderer matt den Schatten.
O dass Dein Reiz, gelichte Einsamkeit,
Mir oft das Bild des Grabes brächte,
So lockt des Abends Dunkelheit
Zur tiefen Ruhe schöner Nächte.
SII LA MIA CONSOLAZIONE
Sii la mia consolazione, segreta tristezza
t'imploro coperto di ferite
mai confesserò il mio dolore a chi è flelice;
così tace un malato con chi è sano,
Oh, solitudine, come dolcemente mi ristori,
quando le mie forze vengon meno
ti cerco con ardente nostalgia
come uno stanco viandante cerca l'ombra.
Oh, se il tuo fascino, amata solitudine,
mi evocasse l'immagine della tomba:
come il buio della sera invita
al profondo riposo di belle notti.

Das Veilchen (La violetta), lied in sol maggiore per soprano e pianoforte, K
476

https://www.youtube.com/watch?v=aUCUtbVx53U

Testo: Johann Wolfgang von Goethe

Allegretto (sol maggiore)

Organico: soprano, pianoforte


Composizione: Vienna, 8 giugno 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1789
Guida all'ascolto (nota 1)

Il primo Lied in senso moderno lo compose (nonostante quel che pensi


l'Einstein) proprio Mozart, musicando nel 1785 Das Veilchen (La Violetta), una
poesia tratta dal primo Singspiel di Goethe Erwin und Elmire. Particolare
curioso: componendo questa lirica, Mozart ignorava che fosse di Goethe,
perché l'aveva trovato in una raccolta di J. A. Ste"an che l'attribuiva a Johann
W. L. Gleim. Comunque, nel modo in cui la musica di Mozart assume il testo
poetico, si preannuncia per la prima volta quello che, attraverso l'Adelaide di
Beethoven, diventerà il Lied schubertiano. Infatti, nella Violetta mozartiana, la
musica non si limita a chiarire o a sottolineare la poesia: essa se ne
impossessa, la ricrea. Infrangendo con ciò «il predominio del poeta nel
Lied» (H. Abert), Mozart apre la strada ai futuri sviluppi di questa forma
musicale. E ciò in senso contrario a quello che avrebbe voluto Goethe, il quale
esigeva che il compositore si sottomettesse al poeta, mantenendo la musica
nei limiti della massima semplicità. Ed è per questo che ai capolavori di
Beethoven e di Schubert egli doveva preferire le modeste composizioni del suo
amico Zelter. Nella Violetta di Mozart invece, tutta la ricchezza dei mezzi
espressivi del compositore è messa in atto per dar vita a questa prima «scena
romantica» della musica. Non più la semplice forma strofica che abbina varie
peripezie poetiche ad una medesima, invariata frase musicale: il Lied viene
«durchkpmponiert». Passo per passo, ogni sfumatura del testo trova nella
musica la sua espressione trasfiguratrice. La spontanea naturalezza, la
proverbiale, ma solo apparente, semplicità dello stile di Mozart, si sostanziano
miracolosamente di una capillare sottigliezza del discorso musicale che investe
le più riposte pieghe del testo. La tenera grazia delle battute introduttive, le
appoggiature digradanti e le timide pause della frase che presenta la piccola
Violetta reclina e racchiusa su se stessa; le staccate semicrome che segnano il
passo lieve e gaio della pastorella, l'a solo pianistico che riecheggia il suo
canto (la parte del pianoforte è già riscattata dalla funzione d'un mero
accompagnamento e partecipa in maniera autonoma alla vicenda sonora); la
parentesi in minore che traduce il nostalgico desiderio del fiorellino; il conciso,
ma drammatico recitativo che racconta come la fanciulla invece di stringersi al
petto la violetta, la calpesti sbadatamente; il romantico silenzio che precede i
sincopati sorrisi che ne annunciano, la morte; l'improvviso illuminarsi e la
ripresa dello slancio melodico in cui si riflette il tramutarsi del dolore nella
gioia che il fiore prova nel ricevere la morte dalla mano amata; il trapasso
finale da questa situazione soggettiva nell'«obiettivo» commento: «povera
Violetta!... era una graziosa violetta» (commento aggiunto da Mozart stesso): la
sfaccettatura e la penetrazione di cui dà prova questa breve pagina non
saranno superate neanche dai più ra!nati Lieder ottocenteschi. Per quanto
riguarda il resto della produzione liederistica dello sfesso Mozart anche se
essa non raggiunge l'altezza della Violetta, non bisogna tuttavia sottovalutarla
come tendono a fare taluni esegeti. E' vero che Mozart stesso qualificava i suoi
Lieder come «Freundstücke» («pezzi per amici»), ma il fatto che egli
possedesse diversi quaderni in cui notava dei testi poetici che lo interessavano
per eventuali composizioni, sta a dimostrare che egli non considerava il genere
del Lied come meramente occasionale.

Roman Vlad

Testo

Das Veilchen
Ein Veilchen auf der Wiese stand
Gebückt in sich und unbekannt;
Es war en herzigs Veilchen!
Da kam ein' junge Schäferin
Mit leichtem Schritt und munterm Sinn
Daher, die Wiese her, und sang.
Ach! denkt das Veilchen, war ich nur
Die schönste Blume der Natur,
Ach! nur ein kleines weilchen,
Bis mich das Liebchen abgepflückt
Und an dem Busen matt gedrückt,
Ach nur, ein Viertelstündchen lang!
Ach, aber ach! das Mädchen kam
Und nicht in acht das Veilchen nahm,
Zrtrat das arme Veilchen.
Es sank und starb und freut sich noch:
Und sterb ich denn; so sterb ich doch
Durch sie, zu ihren Füssen doch!
Das arme Veilchen!
Es war ein herzigs Veilchen.

Sul prato c'era una violetta,


china e sconosciuta:
era un'incantevole violetta.
Ed ecco arrivare una pastorella
dal passo lieve e di buon umore
e cantava su e giù per il prato.
Ah, pensò la violetta, se solo fossi
il più bel fiore della natura,
ah, solo per un attimo,
finché questo tesoro mi colga
e mi prema sul suo petto;
ah, solo per un quarto d'ora.
Ma ahimé, la ragazza arrivò
e non si accorse della violetta
e calpestò la poverella.
Essa cadde e morì e ancora si rallegrava:
e muoio infine, muoio
per causa sua, ai suoi piedi.
La povera violetta!
era una incantevole violetta.

Als Luise die Briefe eines ungetreuen Liebhabers verbrannte, lied in do


minore per soprano e pianoforte, K 520

https://www.youtube.com/watch?v=yv1Rd0h_7eo

Testo: G. von Baumberg

Andante (do minore)

Organico: soprano, pianoforte


Composizione: Vienna 26 maggio 1787
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1799
Guida all'ascolto (nota 1)

Benché rechi la denominazione "Lied" Als Luise die Briefe ihres ungetreuen
Liebhabers verbrannte, scritta a Vienna nel 1787, è una piccola scena in cui si
racconta in terza persona dell'ira di una donna che brucia le lettere del
fidanzato che l'ha tradita: se in luogo del pianoforte vi fosse l'orchestra, si
parlerebbe di recitativo accompagnato tendente all'Arioso, considerata la
varietà dell'espressione e la mossa parte strumentale, che in veloci figurazioni
mima il bagliore e il crepitare della fiamma. Il bruciare, ahimè, non è soltanto
quello della fiamma, ma pure quello dell'anima di Luisa tradita.

Giangiorgio Satragni

Testo (nota 2)

Als Luise die Briefe ihres ungetreuen


Liebhabers verbrannte

Erzeugt von heisser Phantasie,


In einer schwärmerischen Stunde
Zur Welt Gebrachte, geht zugrunde,
Ihr Kinder der Melancholie!

Ihr danket Flammen euer Sein,


Ich geb euch nun den Flammen wieder,
Und all die schwärmerischen Lieder,
Denn ach! er sang nicht mir allein!

Ihr brennet nun, und bald, ihr Lieben,


Ist keine Spur von euch mehr hier.
Doch ach! der Mann, der euch geschrieben,
Brennt lange noch vielleicht in mir.

Quando Luisa bruciö le lettere del suo


amante infedele

Nate da una accesa fantasia


in un momento inebriante
siete venute alla luce, ora sparite
o figlie della malinconia!

Alle fiamme dovete la vostra esistenza


io vi restituisco alle fiamme;
e tutte quelle canzoni estasiate
ahime, egli non le cantö a me sola!

Ora bruciate, e presto, o care


qui non rimarrä piü traccia di voi
ma l'uomo ehe vi ha scritte
a lungo continuerä a bruciare in me!

Abendempfindung (Sentimento della sera), lied in fa maggiore per soprano


e pianoforte, K 523

https://www.youtube.com/watch?v=r9-GesedW-c

https://www.youtube.com/watch?v=L5jVYHQy_L4

https://www.youtube.com/watch?v=16NLZ0dauaM

Testo: Johann Heinrich Campe

Andante (fa maggiore)

Organico: soprano, pianoforte


Composizione: Vienna, 24 giugno 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1789
Testo (nota 1)

ABENDEMPFINDUNG

Abend ist's, die Sonne ist verschwunden,


und der Mond strahlt Silberglanz;
so entfliehn des Lebens schönste Stunden,
fliehn vorüber wie in Tanz.
Bald entflieht des Lebens bunte Szene.
und der Vorhang rollt herab.
Aus ist unser Spiel! des Freundes Träne
fliesset schon auf unser Grab.
Bald vielleicht mir weht, wie Westwind leise,
eine stille Ahnung zu,
schliess ich dieses Lebens Pilgerreise
fliege in das Land der Ruh.
Werd't ihr dann an meinem Grabe weinen,
trauernd meine Asche sehn,
dann, o Freunde, will ich euch erscheinen
und will Himmel auf euch wehn.
Schenk auch du ein Tränchen mir und pflücke
mir ein Veilchen auf mein Grab,
und mit deinem seelenvollen Blicke
sieh dann sanft auf mich herab.
Weih mir eine Träne, und ach! Schäme
dich nur nicht sie mir zu weihn,
o sie wird in meinem Diademe
dann die schönste Perle sein!

SENTIMENTO DELLA SERA

E' sera, il sole è tramontato


e la luna irradia il suo argenteo splendore.
Così passano le più belle ore della vita,
svaniscono come nella danza.
Presto trapassa la variopinta scena della vita
e cala il sipario.
E' finita la nostra rappresentazione! Le lacrime dell'amico
scorrono già sulla nostra tomba.
Come il leggero vento dell'ovest
mi sfiora il presentimento che forse presto
io debba chiudere il pellegrinaggio di questa vita
e volare nella, contrada della pace.
Voi piangerete presso la mia tomba,
mirerete a#itti le mie ceneri;
allora, o amici, io vi apparirò
e aliterò su voi aria celeste.
Abbi anche tu una lacrimetta per me,
cogli una viola sulla mia tomba,
e abbassa poi il tuo sguardo pieno di sentimento
dolcemente verso di me.
Dedicami una lacrima,
ah! non ti vergognare di dedicarmela.
Ah! essa sarà la più bella
fra le perle nel mio diadema.

An Chloe, lied in mi bemolle maggiore per soprano e pianoforte, K 524

https://www.youtube.com/watch?v=OlO0D-Z74rk

Testo: Johann Georg Jacobi


Allegretto (mi bemolle maggiore)

Organico: soprano, pianoforte


Composizione: Vienna, 24 giugno 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1789

Guida all'ascolto (nota 1)

An Chloe, K. 524, su testo di J.G. Jacobi, è una lirica d'amore nella forma di
piccolo rondò, mosso e sbarazzino, leggiadramente all'italiana. La passione si
stempera, grazie alla musica, in tenerezza e gioiosità, riportandoci ad un
Mozart fanciullo, spensierato, al compositore che si diverte divertendo.

Salvatore Caprì
Testo

An Chloe

Wenn die Lieb aus deinen blauen,


Hellen, o"nen Augen sieht,
Und vor Lust hineinzuschauen
Mir's im Herzen klopft und glüht;
Und ich halte dich und küsse
Deine Rosenwangen warm,
Liebes Mädchen, und ich schliesse
Zitternd dich in meinen Arm!

Mädchen, Mädchen, und ich drücke


Dich an meinen Busen fest,
Der im letzen Augenblicke
Sterbend nur dich von sich lässt;
Den berauschten Blick umschattet
Eine düstre Wolke mir,
Und ich sitze dann ermattet,
Aber selig neben dir.

A Cloe

Quando l'amore brilla nei tuoi azzurri


chiari occhi sinceri
e per la gioia di guardarvi dentro
il mio cuore batte e arde
e ti stringo, e bacio
con passione le tue rosee gote,
cara fanciulla, ti tengo
tremante fra le mie braccia!

O fanciulla, fanciulla, ti premo


forte al mio cuore
che infine,
consunto, ti allontana da sé;
una tetra nuvola vela
lo sguardo inebriato
e mi abbandono poi sfinito,
ma felice accanto a te.

Sehnsucht nach dem Frühling (Desiderio di primavera), lied in fa maggiore


per soprano e pianoforte, K 596

https://www.youtube.com/watch?v=umw-8J-O14o

Testo: Christian Adolf Overbeck

Fröhlich (fa maggiore)

Organico: soprano, pianoforte


Composizione: Vienna, 14 gennaio 1791
Edizione: Alberti, Vienna 1791
Testo (nota 1)

SEHNSUCHT NACH DEM FRÜHLING


Komm lieber Mai, und mache
die Bäume wieder grün,
und lass mir an dem Bache
die kleinen Veilchen blühn!
Wie möcht ich doch so gerne
ein Veilchen wieder sehn
ach, lieber Mai, wie gerne
einmal spazieren gehn!

NOSTALGIA DELLA PRIMAVERA


Vieni, dolce maggio,
e rinverdisci gli alberi,
e fammi fiorire le violette
lungo il ruscello!
O come vorrei vedere
ancora una violetta!
O, dolce maggio,
come vorrei tornare a passeggio!

Musica Sacra

Messe

Dominicus-Messe K 66

https://youtu.be/raUzXH6DnLI

La Messa in do maggiore K 66, detta Dominicus-Messe, è una composizione


sacra scritta da Wolfgang Amadeus Mozart nell'ottobre 1769 in occasione della
prima messa celebrata da Kajetan Rupert Hagenauer, figlio del padrone di casa
dei Mozart, entrato nel monastero benedettino di San Pietro in Salisburgo col
nome di "pater Dominicus". La celebrazione avvenne il 15 ottobre nella chiesa
conventuale. Per l'occasione, Wolfgang inserì tra il Gloria ed il Credo un
o"ertorio nella stessa tonalità, il Benedictus sit Deus K 66a (117), scritto negli
ultimi giorni del soggiorno viennese. La prima viennese avvenne l'8 agosto
1773 diretta da Leopold Mozart.

Stile

In questa messa, Mozart si allontana dallo stile chiesiastico salisburghese,


dettato principalmente da Johann Ernst Eberlin, massima autorità locale in
materia nonché maestro di Leopold, per avvicinarsi ad uno stile internazionale,
più marcatamente italiano. Da questo stile Wolfgang desume, oltre
all'andamento formale e melodico dei brani solistici (la famosa "arietta da
chiesa", sonatistica e bipartita), anche alcuni procedimenti in modo da
conferire unità a taluni episodi, quelli più vasti, che solitamente la tradizione
evitava di dividere in numeri, come ad esempio, nel "Credo", la parte compresa
tra l'inizio ed il "Et incarnatus est - Crucifixus", parte che ha messo a dura
prova il talento dei compositori per quasi due secoli. Così come avvenne nella
Waisenhausmesse, l'orchestra è bilanciata tra interventi di mero supporto ai
cantanti ed altri di pura vivacità sinfonica (questi ultimi destinati soprattutto a
ravvivare i brani solistici o a sottolineare la drammaticità di episodi quali il "Qui
tollis" ed il "Crucifixus"). I valori strumentali emergono in tutto il loro splendore
nel "Sanctus" e soprattutto nel "Benedictus", ove il rigore contrappuntistico non
esclude a"atto un ra!nato trattamento orchestrale, dominato da una luminosa
figurazione in biscrome.

L'O"ertorio K 66a (117) merita un cenno particolare, ritenuto da alcuni scritto


durante il successivo periodo milanese, quanto la sua tripartizione
metasinfonica presenta delle analogie col famoso Exsultate, jubilate K 158a
(165) (ma simile solo in questo). Qui ci viene presentata un'aria incorniciata da
due cori, il secondo dei quali presenta la salmodia in ottavo tono "Psalmum
dicite nomini eius" (ripetuto dalle singole parti corali), mentre il tutti ripete
"Jubilate!". Questi due elementi appaiono inseriti come parti contrastanti in un
assetto formale di concezione sonatistica.

Struttura

Kyrie
Gloria

Gloria in excelsis Deo


Laudamus te
Gratias agimus tibi
Domine Deus
Qui tollis
Quoniam tu solus sanctus
Cum Sancto Spiritu

Credo

Credo in unun Deum


Et incarnatus est
Crucifixus
Et resurrexit
Et in Spiritum Sanctum
Et unam sanctam catholicam
Et vitam venturi saeculi

Sanctus
Benedictus
Agnus Dei

Weisenhaus-Messe Missa solemnis K 139

https://youtu.be/oHfl2JCTSN4

La Missa solemnis in do minore K 139 (detta in tedesco Waisenhausmesse) è


una messa composta da Wolfgang Amadeus Mozart in occasione della
consacrazione della chiesa dell'orfanotrofio di via Renn a Vienna.

Benché sia una composizione precoce, è molto interessante in quanto la si può


immaginare come manifesto programmatico dell'attività compositiva
mozartiana per quanto concerne la musica sacra. Infatti è altamente
significativa la concezione di Mozart della musica da chiesa: formale ed
istituzionale, concezione che si evince anche dal fatto che tanto più
rigidamente si attiene a questo sistema formale, tanto più si sente libero da
costrizioni pratiche, dovute spesso alle consuetudini liturgiche o alle direttive
espresse dalla gerarchia ecclesiastica (nella fattispecie quelle emanate
dall'arcivescovo di Salisburgo.

Struttura

La struttura della messa è di normale costituzione (Kyrie, Gloria, Credo,


Sanctus, Benedictus e Agnus Dei), ma i tempi appaiono dilatati, in quanto
Mozart opera un'azione di sezionamento su ciascun elemento:
Kyrie

Kyrie eleison
Christe eleison
Kyrie eleison

Gloria

Gloria in excelsis Deo


Laudamus te
Gratias agimus tibi
Domine Deus
Qui tollis
Quoniam tu solus sanctus
Cum Sancto Spiritu

Credo

Credo in unun Deum


Et incarnatus est
Crucifixus
Et resurrexit
Et in Spiritum Sanctum
Et unam sanctam catholicam
Et vitam venturi saeculi

Sanctus

Benedictus

Agnus Dei
Agnus Dei
Dona nobis pacem

Te Deum in do maggiore per coro ed orchestra, K1 141 (K6 66b)

https://youtu.be/Vni6el71cMA

Te Deum laudamus - coro - Allegro (do maggiore), Adagio


Aeterna fac - coro - Allegro (do maggiore)
In te, Domine, speravi - coro - ... (do maggiore)

Organico: coro misto, organo, archi


Composizione: Salisburgo, 1 Dicembre 1769

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Manoscritto di questo Te Deum è perduto e non resta alcun documento sulla


data e il luogo di composizione, ma tutto lascia credere che sia stato scritto a
Salisburgo verso la fine del 1769, subito dopo la nomina del tredicenne
compositore a Konzertmeister della corte arcivescovile di Salisburgo e subito
prima della partenza per il primo viaggio in Italia. Rispetto alle altre
composizioni sacre scritte nel 1768 e 1769 il Te Deum rivela infatti un più
scorrevole e felice taglio delle melodie e una maggiore maestria delle
modulazioni, mentre successivamente a quella data, durante il viaggio in Italia,
lo stile sacro di Mozart sarebbe cambiato (per esempio, cominciando sempre
con un'ampia introduzione orchestrale invece di far entrare subito le voci,
come avviene in questo Te Deum).

Riguardo alla destinazione, si dice che sia stato scritto su richiesta


dell'imperatrice Maria Teresa, ma questa è una leggenda senza alcun
fondamento storico. La sua brevità e l'organico ridotto lasciano piuttosto
pensare a un destinatario meno importante, forse la chiesa d'uno dei numerosi
conventi salisburghesi. L'orchestra prevede infatti quattro trombe, violini primi
e secondi, basso (un termine che lascia sempre agli interpreti un margine di
discrezionalità: in genere lo si realizza con i violoncelli raddoppiati dai
contrabbassi, ma possono essere aggiunti anche strumenti a fiato, come il
fagotto) e organo. Inoltre il curatore dell'edizione moderna ha riscritto la parte
dei timpani, che non è giunta fino a noi ma che doveva senza dubbio esistere
nell'originale.

Questo Te Deum è il lavoro d'un musicista che deve ancora crescere, ma quale
musicista! L'attacco è un allegro che comunica una letizia serena e spirituale,
senza la magniloquenza formale che spesso era connessa a questo testo sacro
usato per occasioni solenni. La semplice e brillante sezione iniziale in do
maggiore si oscura un attimo sulle armonie che corrispondono alle parole
"mortis aculeo". Segue un breve adagio in minore per il supplice "Te ergo
quaesumus". Ma ad "Aeterna fac cum sanctis tuis" riprende l'allegro, che
prosegue anche con l'ultima sezione, "in Te Domine speravi": qui lo stile e il
trattamento del testo cambiano nettamente, perché mentre finora le parole
erano state intonate insieme da tutte le voci, per lo più sillabicamente e senza
ripetizioni, da qui in avanti Mozart mette in campo un contrappunto
relativamente complesso. I modelli di questo finale erano probabilmente le
grandi fughe a due soggetti che chiudevano i Te Deum sia di Michael che di
Joseph Haydn, però il giovanissimo Mozart scrive non tanto una fuga regolare
quanto un più semplice e libero fugato a due soggetti: sicuramente è una
rinuncia suggerita dalla consapevolezza che le sue forze non gli consentivano
ancora tour de force contrappuntistici. Ma Mozart riesce a trasformare questa
rinuncia in una scelta a favore della cantabilità, della serenità e della
semplicità.

Mauro Mariani

Trinitatis-Messe K 167

https://youtu.be/xf8NUTKmn-s

La Missa in honorem Sanctissimae Trinitatis o Messa per la Santissima Trinità


(K 167) è una messa per coro e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart,
composta nel giugno del 1773, quando il compositore si trovava al servizio
dell'arcivescovo di Salisburgo.

Stile

Questa messa, dotata di una pomposa orchestra (non dissimilmente dalla


Waisenhausmesse o dalla Dominicus-Messe), non costituisce una particolare
svolta stilistica, né risulta dotata di un particolare fascino, tuttavia è un punto
di riferimento per tutta la successiva produzione musicale mozartiana. Il
particolare studio richiesto da essa, infatti, apre un "corridoio" di
sperimentazione tra le strutture della messa concertata e della brevis,
determinando così un compromesso tra grandiosità d'impianto e concisione.

Tale compromesso viene realizzato, in primo luogo, eliminando tutte le sortite


solistiche, garantendo in questo modo la continuità del discorso corale,
l'intensificazione della rete di raccordi ritmici e motivici, distribuiti soprattutto
nell'arco (tradizionalmente più lungo) che dal Gloria conduce al Credo. Dunque
vediamo che Mozart tenta di "aggiornare" il suo stile compositivo per quanto
concerne la scrittura di messe, e lo fa come può, soprattutto studiando e
ricopiando lo stile di Michael Haydn, di cui, in questa messa, si sente il forte
influsso.
Struttura
Kyrie
Gloria
Credo in unum Deum

Et incarnatus est
Et in Spiritum Sanctum
Et unam sanctam catholicam
Et vitam venturi saeculi

Sanctus
Benedictus
Agnus Dei

Spatzen-Messali Missa brevis K 220

https://youtu.be/8ktojUQevn4

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)

Kyrie - coro - Allegro (do maggiore)


Gloria - soli e coro - Allegro (do maggiore)
Credo - soli e coro - Allegro (do maggiore)
Et incarnatus est - soli e coro - Andante (do minore)
Et resurrexit - soli e coro - Allegro (do maggiore)
Sanctus - coro - Andante (do maggiore)
Pleni sunt coeli - coro - Allegro (do maggiore)
Benedictus - soli - Andante (sol maggiore)
Osanna - coro - Allegro (fa maggiore)
Agnus Dei - soli e coro - Adagio (do maggiore)
Dona nobis - coro - Allegro (do maggiore)

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 trombe, timpani,


organo, archi
Composizione: Monaco, gennaio 1775

Guida all'ascolto (nota 1)

L'attività ili Mozart come compositore di musica sacra è soprattutto legala alla
Corte del principe-arcivescovo di Salisburgo, al cui servizio rimase insieme al
padre sino al trasferimento a Vienna. Al gusto liturgico dell'arcivescovo
Hieronyimus Colloredo sembra doversi il gioiello noto come
«Spatznmesse» («Messa dei passeri», per via delle onomatopeiche acciaccature
che risuonano ai violini nel Sanctus. Proprio nel 1776, anno in cui forse la
composizione vide la luce, scriveva infatti Mozart a Padre Martini, l'autorità
dell'antico contrappunto osservato al quale il giovanissimo Wolfgang aveva
pagato i suoi omaggi a Bologna: «La nostra Musica di chiesa è assai di"erente
di quella d'Italia, e sempre più, che una Messa con tutto il Kyrie, Gloria, Credo,
la Sonata all'Epistola, l'o"ertorio ò sia Mottetto, Sanctus e Agnus Dei e anche la
più Solenne, quando dice La Messa il Principe stesso non ha da durare che al
più longo 3 quarti d'ora. Ci vuole uno Studio particolare per questa Sorte di
Composizione, et che deve però essere una Messa con tutti Sarmenti - Trombe
di guerra, timpani etc.». La descrizione, sospesa tra la giustificazione per
l'abbandono dei sani principi compositivi appresi al di qua delle Alpi e
l'orgoglio per l'impresa non da poco richiesta al maestro di cappella,
corrisponde esattamente alla tipologia di questa messa, il primo ibrido di tal
genere a uscire dalla penna ili Mozart. Benché impropriamente la si definisca
«brevis», si tratla in realtà di una «Missa brevis solemnitatis» (altrimenti detta
«Missa brevis con trombe» o «Missa II classis»), ovvero di una composizione
che della versione «brevis» distinata alle domeniche e alle chiese minori
presenta l'essenzialità dell'impianto, l'impiego della politestualità (la
compresenza simultanea di due testi in origine consecutivi), la riduzione al
minimo delle ripetizioni. Della «missa longa», riservala alle feste principali,
propone invece il solenne apparato di trombe e timpani. Poco più di un quarto
d'ora è su!ciente al compositore ventenne per restituire il testo integrale
dell'Ordinarium Missae in una cifra di classico nitore. Ogni sezione è
organizzala secondo architetture sonore in miniatura (forma-sonata
compresa), la cui perfetta simmetria è retta da un progetto squisitamente
strumentale, che poggia sul ruolo dell'orchestra (il cui nucleo è il Kirchentrio,
la formazione violino l-ll e basso, che esclude dagli archi il timbro della viola,
mentre ai tre tromboni viene richiesta l'incombenza barocca di raddoppiare le
voci del coro, soprano escluso), mentre dal coro emergono solo
episodicamente le voci dei solisti. Al più puro linguaggio classico appartiene
anche la rinuncia assoluta al contrappunto, persino nelle chiuse canoniche di
Gloria e Credo, mentre sinfonica è la conclusione della messa, che riprende
simmetricamente il Kyrie d'apertura. La precoce popolarità della messa è
testimoniata dal riutilizzo come parodia di Kyrie, Gloria e Benedictus all'interno
ili alcune cantate pubblicate con testo tedesco da Breitkopf & Härteli e Simrock
nel primo Ottocento.

La celebrazione - che s'immaginerà legittimamente sullo sfondo dell'interno


candido del Duomo di Salisburgo - è inaugurala dalla freschezza immediata
del festivo Kyrie. Appena un paio di minuti scarsi, in cui la breve invocazione
liturgica è organizzata attraverso una struttura musicale compatta e
saldissima: la forma-sonata, sigla stessa del classicismo viennese. E classica è
anche l'impressione di spontanea semplicità, asseverata dal ritorno della prima
sezione in chiusura, che la composizione ingenera nell'ascoltatore,
dissimulando la studiata simmetria delle forme nel decorso fluido del canto,
esaltato dal colore brillante dell'orchestra.

Nel segno di una cordialità luminosa attacca dopo il versetto in canto piano del
celebrante, il Gloria. alla cui unità interna presiedono mezzi squisitamente
musicali (la ripresa della sezione d'esordio in coda, l'impiego pressoché
ininterrotto di un brillante ostinato strumentale ai violini all'unisono), mentre
diversi interventi solistici perforano, rendendola variopinta, l'area trama corale,
che ospita nel centrale «Qui tollis» un tormentato contraltare in modo minore.

Un'analoga, e!cace sintesi tra compattezza organica e di"erenziazione interna


si riproduce nel caso del Credo, in cui più marcato risulta il contrasto con il
pannello centrale dell'«Et incarnatus est», in cui lo stupore ammirato per
l'Incarnazione si tramuta nei toni tragici della contemplazione del Crocefisso,
prima di rivestire i panni festosi dell'esordio con l'«Et resurrexit». Anche in
questo caso è l'orchestra a farsi carico dell'unitarietà della composizione,
attraverso l'ostinato del basso e il molivo d'accompagnamento dei violini, sul
cui sfondo sono proiettati gli ammiccanti tocchi di pittura sonora (la
reiterazione di «non» davanti a «erit finis», o l'indugio cupo a «mortuorum»).
Anche il brevissimo Sanctus è gratificato da una miniaturistica ma cristallina
articolazione interna, che dopo il paludato avvio in Andante si accende delle
acciaccature violinistiche (il famigerato verso del passerotto) del «Pieni sunt
coeli», per innescare senza soluzione di continuità, e sul medesimo
accompagnamento umorale, l'«Osanna in excelsis». Sul filo di contrasti gestiti
con straordinaria souplesse è costruito anche il lirismo del Benedictus, che
mette in campo il quartetto solistico, del quale isola sin dall'attacco la voce di
soprano, in dialogo continuo con i colleghi, sotto l'ala protettrice
dell'unificante cellula di terzina (alla voce come ai violini), prima che il rientro
del coro completo sostenuto da trombe e timpani non riproponga l'«Osanna in
excelsis».

Coro e solisti vengono contrapposti nel vasto a"resco conclusivo: l'appello


all'Agnus Dei è gridato a gran voce dall'intera compagine, ma si scioglie nella
tenera invocazione «Miserere nobis» pronunciata dai solisti su
accompagnamento ridotto, per riacquistare il vigore drammatico
dell'implorazione corale. Riproposto una seconda volta questo schema, il
«Dona nobis paecm» spezza la simmetria, erompendo in un festoso Allegro
che introdurrà, con un procedimento caro anche a Haydn, una simmetria più
alta, riportando alle orecchie dell'ascoltatore l'esalto tema del Kyrie con cui la
Messa si era aperta.

Ra"aele Mellace
Credo-Messe K 257

https://youtu.be/Idyi6cAo2Wg

La Messa in do maggiore K 257, detta Credo-Messe è una messa del


compositore austriaco Wolfgang Amadeus Mozart, scritta nel novembre 1776,
su committenza del Principe-Arcivescovo di Salisburgo.

Stile

Questa messa si inscrive in un circolo di tre messe, tutte in do maggiore,


scritte tra il novembre ed il dicembre 1776, la prima delle quali rappresenta
l'ultimo tributo al genere della Credo-Messe (da qui il sottotitolo). Ciò
nondimeno, non è questo il grande merito della Messa K 257, bensì quello di
ricollegarsi alla tradizione del melos confidenziale e liederistico della
Landmesse, genere conosciuto da Mozart attraverso gli studi delle opere di
Michael Haydn. La Landmesse era una composizione semplice, che si basava
su materiale "povero" e ricco di elementi popolari e per ciò non godeva di alta
stima presso i "compositori colti".

Haydn utilizzò molte volte questo genere di messa, spesso (come nel caso
della Misa solenus à 3 voci) come parodia della cattiva musica sacra, in altri
casi eleva questo genere a veri e propri capolavori, ben al di là delle capacità
dei Landschulmeister, che penetreranno con forza nell'immaginazione non
solo del compositore salisbrughese, ma risalendo il fiume del tempo fino a
compositori come Anton Bruckner.

La messa K 257, con il suo delicatissimo gusto liederistico, la rende il pezzo


sacro mozartiana più vicino a quelli di Schubert, presenta un accantonamento
del contrappunto in favore di una costruzione verticale permeata di una forte
cantabilità, ma sempre pronta a scivolare nuovamente verso lo stile italiano-
galante. La qualità dell'invenzione, molto alta nel Kyrie, col suo carattere di
esitante recitativo, presenta, col procedere dell'opera, elementi sempre più
eterogenei, fino a toccare l'apice nel motto tematico delle prime quattro
battute del Credo, elemento portante di tutta l'opera (in quanto Credo-Messe).

L'altissima qualità di questo particolare punto non ha nulla a che spartire con
la rozzezza della Landmesse: si tratta di un'invenzione di grande musica, così
come quella che domina il Credo della Missa solemnis beethoveniana.
Troviamo nell'"Es incarnatus erat"-"Crucifixus" un movimento di siciliana,
caratterizzato da un disegno di seste napoletane, nel festoso Sanctus e nel
solistico Benedictus i costanti echi di accese nostalgie melodrammatiche e che
presentano analogie con molte opere successive. Addirittura, l'apparato
tematico dell'Agnus Dei richiama fortemente l'incipit dell'Andante del Concerto
K 467 per pianoforte. Gli orizzonti mozartiani puntavano bel al di là della
semplice Landmesse.

Struttura

Kyrie
Gloria
Credo in unum Deum

Et incarnatus est

Sanctus
Benedictus
Agnus Dei

Spaur-Messe Missa brevis K 258

https://youtu.be/bBnXCqCdvvI

Spaur-Messe è il titolo con cui veniva fino a poco tempo fa chiamata la "Missa
brevis "in Do maggiore KV 258 composta da Wolfgang Amadeus Mozart nel
1776. Il ritrovamento della partitura originale della Messa appartenuta al
Conte-Vescovo von Spaur ha definitivamente confermato i dubbi che, invece, si
trattasse della Missa "Credo" KV 257.

Storia

La messa fu scritta da Mozart nel 1776 in occasione della consacrazione di


Ignaz von Spaur (da cui il nome dell'opera) al titolo di vescovo di Bressanone.
Successivamente, il musicista e compositore della corte Antonio Salieri la
diresse il 28 agosto del 1791, alla presenza dello stesso Mozart, come parte
del programma musicale per i festeggiamenti per l'incoronazione
dell'imperatore Leopoldo II, avvenuta a Praga.

Restava qualche incertezza se l'appellativo "Spaur-Messe" fosse da attribuire,


come finora, alla Missa brevis in do maggiore KV 258, e non piuttosto la Missa
"Credo" KV 257 o la "Missa longa" KV 262, essendo state composte tutte e tre
nello stesso anno e nella tonalità Do maggiore.

Già nel 1987 il musicologo britannico Alan Tyson era arrivato alla conclusione
che dovesse trattarsi della KV 257 e di recente, nel 2007 questa teoria ha
trovato conferma col ritrovamento della partitura autografa della Missa KV 257
nell'Archivio del Duomo di Bressanone. Spaur, infatti, prima di essere
consacrato vescovo, era stato canonico del Duomo di Salisburgo dal 1755 e, a
partire dal 1763, anche canonico del Duomo di Bressanone, dove morì, poi, nel
1779.

«Quando decise di rientrare a Bressanone dopo gli anni salisburghesi Ignaz


von Spaur portò con sé la "sua" messa confidando in una possibile
esecuzione». Quindi proprio il ritrovamento a Bressanone della "sua" partitura
originale, «consente di dedurre con certezza che la Spaur-Messe è la Messa KV
257», che fu cioè questa, e non la KV 258, ad essere eseguita in
quell'occasione.

Orgelsolo-Messe Missa brevis K 259

https://youtu.be/KobLLMrkY4s

La Missa brevis in do maggiore K 259, detta anche Orgelsolo-Messe, è una


messa del compositore austriaco Wolfgang Amadeus Mozart, scritta nel
dicembre 1776. La prima esecuzione assoluta è stata il 17 maggio 1778 nella
Cattedrale di Salisburgo.

Stile
Questa messa si iscrive in un trittico di messe in do maggiore (la Credo-Messe
K 257, la Spaur-Messe K 258 e quest'ultima), tutte e tre composte tra il
novembre ed il dicembre del medesimo anno, il 1776, per il Principe
Arcivescovo di Salisburgo. Questa messa presenta il medesimo festoso
organico della precedente Messa K 258, benché nella messa in questione sia
possibile notare un più ampio respiro compositivo e la presenza di vivaci figure
orchestrali che la percorrono per intero, ma, nonostante la presenza di questi
continui rimandi al mondo sinfonico, la Orgelsolo-Messe non riesce a scrollarsi
di dosso "la livrea gallonata di una certa devota u!cialità da cappella cortese".

Krönungsmesse Missa solemnis K 317

https://youtu.be/1hv5sJe-Fr0

La Messa dell'incoronazione per organo, coro, soli e orchestra in Do maggiore


(in tedesco: Krönungsmesse Für Orgel, Chor, Solisten Und Orchester C-Dur ;
abbreviazione nel catalogo Köchel: K317) è una messa composta da Wolfgang
Amadeus Mozart nel 1779 all'età di 23 anni quando si trovava a Salisburgo.

Composizione dell'opera e rappresentazioni

L'opera fu composta nel periodo direttamente successivo al ritorno del


compositore a Salisburgo, nel gennaio 1779, dopo 18 mesi infruttuosi a Parigi
e Mannheim. Mozart dovette riprendere servizio presso l'arcivescovo
Hieronymus von Colloredo con l'incarico di organista di corte che prevedeva
uno stipendio annuale di 450 fiorini in cambio di nuove composizioni.

Il titolo - secondo tradizione - è dovuto al fatto che questa messa sarebbe


stata composta ed eseguita il 20 giugno per la commemorazione
dell'incoronazione dell'immagine sacra di Maria conservata nel santuario di
Maria Plain a Bergheim (Austria) nei pressi di Salisburgo.

Tesi più recenti respingono questa tradizione basandosi sulla distanza


cronologica fra il termine del lavoro di composizione (23 marzo) e l'inizio dei
festeggiamenti (27 giugno) e l'importanza dell'organico, troppo grande per la
piccola chiesa di Maria Plain.
Alcuni documenti, comunque, richiamano come Krönungsmesse altre due
composizioni: la Missa brevis n° 6 in Fa maggiore K 192 e Dixit Dominus e
Magnificat in Do maggiore K193, entrambe del 1774; inoltre, dai documenti
del santuario risulta che la composizione musicale successiva utilizzata per i
festeggiamenti fu la Missa aulica K 337 cronologicamente posteriore (fu
composta nel marzo 1780).

Nel 1842 avviene la prima al Duomo di Salisburgo; il 29 giugno 1985 il brano


musicale fu eseguito nella Basilica di San Pietro in Vaticano diretta da Herbert
von Karajan con Kathleen Battle e Ferruccio Furlanetto nel corso di una
funzione liturgica celebrata da Giovanni Paolo II.
Analisi musicale

La messa destinata - si pensa - alla liturgia pasquale, inaugura la nuova


generazione di composizioni sacre del periodo salisburghese che comprende 2
messe (K 317 e K 337) e varie pagine liturgiche (vespri, mottetti, etc...).
Nonostante l'impianto imponente dal punto di vista orchestrale, la forma
musicale della Krönungsmesse è quella della messa breve (Missa brevis in
latino).

L'opera, prevalentemente corale, presenta episodi solisti rilevanti, come


l'assolo del soprano nel Kyrie, che annunciano temi musicali di opere liriche
successive: l'assolo solista dell'Agnus Dei è molto simile all'aria per soprano
"Dove sono i bei momenti" de Le nozze di Figaro.

Guida all'ascolto (nota 1)

Ed ora un passo indietro di dodici anni nella vita di Wolfgang Amadeus Mozart.
E' il quattro settembre del 1776 ed egli scrive al suo maestro italiano Padre
Martini: «Vivo in un paese dove la musica ha pochissima fortuna». Si riferiva,
come si sa, alla natìa Salisburgo dove risiedeva in quegli anni dopo i viaggi
giovanili e la prima rappresentazione a Monaco della Finta giardiniera.
Quell'anno 1776 ed il successivo 1777 furono tutti presi dai ripetuti tentativi di
abbandonare Salisburgo e di andare a far musica in una città meno provinciale
e più al passo coi tempi. Infine riuscì a partire il 23 settembre 1777 per un
lungo viaggio che lo avrebbe portato successivamente a Monaco, Augusta,
Mannheim e Parigi. Un viaggio che fu tutt'altro che fortunato; non portò infatti
al musicista gli sperati successi e la sperata sistemazione e segnò duramente
la sua vita privata, che a Parigi gli morì l'adorata madre dopo che a Mannheim
aveva conosciuto la prima grave disillusione amorosa che aveva il nome di
Aloysia Weber. Un viaggio, insomma, che segna all'attivo di Mozart - a parte
qualche nuova amicizia - solo la diretta conoscenza - così importante,
peraltro, per la sua formazione - della musica innovatrice di Gluck - era in
corso a Parigi durante il suo soggiorno la lunga diatriba tra «gluckisti» e
«piccinisti» - e della straordinaria (per quei tempi) orchestra di Mannheim.
Sicché dopo qualche ingenuo tentativo per convincere il padre di consentirgli
un prolungamento del viaggio non restò altra scelta a Wolfgang che rientrare -
era la metà del gennaio del 1779 e il musicista aveva 23 anni - a Salisburgo;
specie dopo che il padre gli comunicò come, grazie alle pressioni sue e di altri
amici salisburghesi, l'arcivescovo Gerolamo Colloredo, feudatario della città,
aveva deciso di riassumerlo al suo servizio con il salario di 500 fiorini l'anno, in
qualità di organista e «Konzertmeister» di corte. Una soluzione che Wolfgang
accettò con riluttanza come il solo mezzo possibile, in quel momento, per
guadagnare l'«eterno pane», non mancando di notare in una lettera all'amico
Bullinger: « ... voi sapete quanto mi sia odiosa Salisburgo! E non soltanto per le
ingiustizie che mio padre ed io vi abbiamo subite, motivo più che su!ciente a
cancellar dalla mente il pensiero di ritornare in simile luogo. Ma ora sia come
Dio vuole: purché le cose vadano in modo da consentirci di vivere tranquilli...
».

Tornò quindi a Salisburgo come un estraneo; deluso ma più maturo, andando


sempre col pensiero ben oltre gli angusti confini della corte salisburghese, e
ritrovando sia pur a fatica nella musica una alternativa alla ancora impossibile
fuga. «Credetemi - scriveva al padre da Vienna qualche anno dopo - non amo
poltrire ma lavorare. A Salisburgo è vero ciò mi è costato molta fatica e a
stento sono riuscito a decidermi. Perché? Perché il mio spirito non era
soddisfatto».

Ma i frutti di questa «molta fatica» furono assai numerosi in quei due anni di
soggiorno salisburghese che dovevano concludersi con la rappresentazione a
Monaco dell'Idomeneo. E compose in quegli anni la Serenata K. 320, il
Divertimento K. 334, il Concerto per due pianoforti e orchestra K. 365, la
Sinfonia concertante per violino e viola K. 364, le tre Sinfonie K. 318, 319 e
338; per non ricordare che le composizioni più importanti. E poi - per far
fronte ai suoi impegni professionali verso la corte arcivescovile - numerose
pagine di carattere religioso: la Messa in do maggiore (dell'Incoronazione) -
che si esegue stasera - la Messa K. 337, i due Vespri K. 321 e 339, il Regina
Coeli K. 276, due «lieder» religiosi K. 343 ed una serie di Sonate da chiesa per
organo e orchestra.

Ma il quadro della vita e dell'attività salisburghese di Mozart in quegli anni non


sarebbe completo se non ricordassimo la presenza nella città di una
compagnia di commedianti diretta prima dall'impresario austriaco Bohm e poi
da Emanuele Schikaneder, il futuro librettista del Flauto-magico. Una presenza
che portò insieme all'acuirsi del vecchio amore di Mozart per il teatro ed al
primo accostarsi del musicista a quella ideologia massonica che avrebbe poi
definitivamente abbracciato durante il soggiorno viennese. Frutto di questo
contatto con Schikaneder furono appunto le musiche di scena per il Thamos re
d'Egitto, che permisero al musicista di riaccostarsi al teatro, appunto, e di
a"rontare un soggetto nel quale - come accadrà più tardi col Flauto magico -
non mancano i simboli della ideologia massonica.

Al centro di questo contrastato periodo - fu eseguita il 23 marzo 1779 - si


pone la composizione della Messa dell'Incoronazione K. 317 in do maggiore.
Non molto chiara è l'occasione che determinò la creazione di questa partitura
anche se la maggior parte dei biografi mozartiani concordano nel ritenere che
il titolo «dell'Incoronazione» ricordi le tradizionali feste per l'anniversario
dell'Incoronazione avvenuta per disposizione del Pontefice nel 1751, di una
immagine della Vergine, ritenuta miracolosa, che si venerava a Maria Plain nei
pressi di Salisburgo e che secondo la tradizione aveva salvato nel 1744 la città
dagli orrori della guerra.

Ma a parte l'occasione religiosa che ne aveva determinato la composizione, la


struttura di questa Messa riporta la nostra attenzione su tutti gli elementi che
caratterizzarono la vita di Mozart in quegli anni salisburghesi. Giustamente
nota il De Saint-Foix che con questa Messa, Mozart dà inizio ad un nuovo tipo
di musica religiosa: per la misura anche se non per i mezzi usati che sono
quelli tradizionali (archi, due oboi, due corni, due trombe, timpani ed un basso
costituito da violoncelli, contrabassi, fagotti e organo, oltre al coro e ai solisti
di canto). La musica mozartiana - nota ancora il De Saint-Foix - ha forse
perduto qualche po' di quel profumo di simpatia e di cordiale semplicità, ma
ha guadagnato in scatto, in forza, in vigore persuasivo: essa dà nettamente
l'impressione che l'orizzonte del musicista si sia allargato, che egli non si senta
più confinato nella sua provincia e che stia gustando qualcosa di più vasto e di
più profondo. Considerazioni queste che ci riportano a quei due fondamentali
incontri occorsi al musicista prima del ritorno a Salisburgo; ove la osservazione
più volte fatta a proposito di questa Messa sulla sua maggiore espressività ci
ricorda il nome di Gluck, e l'essenza della sua «riforma», mentre il carattere
strumentale dei temi - anche di quelli a!dati alle voci del coro o a quella dei
solisti - ed ancora di più la forma propria della musica strumentale della gran
parte dei brani di questa Messa, non può non riportare il pensiero ai contatti
avuti da Mozart a Mannheim con gli strumentisti di quell'orchestra di corte. E'
possibile anche ritrovare in questa Messa dell'Incoronazione perfino l'eco
dell'amore di Mozart per il teatro; che se non è di!cile rendersi conto anche
ad orecchio della parentela tra l'aria «Dove sono i bei momenti» delle Nozze di
Figaro e l'Agnus Dei di questa partitura, non sfuggirà neppure il carattere di
rappresentazione, di «fatto teatrale» che circola nell'intero lavoro mozartiano.
E, per concludere, non si può non notare l'osservazione avanzata recentemente
che vuol riportare la struttura fondamentalmente omofona delle parti di canto
di questa Messa - l'aver cioè respinto la tradizionale struttura delle messe
barocche a un tentativo - al di là delle esigenze espressive del musicista - di
fornire musica «popolare», scritta cioè sul metro di una destinazione ad
esecutori ed ascoltatori assai più larga - assai più «democratica» - di quanto
non avvenisse in passato. E di qui a ricordare i primi legami tra Mozart e la
Massoneria con il suo carattere di rinnovamento illuministico il passo, come si
capisce, è assai breve.

Del resto queste diverse componenti espressive e strutturali si riconoscono


anche da un'analisi superficiale. La Messa si suddivide nelle tradizionali sei
parti Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Benedicttis ed Agnus Dei.

Il Kyrie è composto di due sezioni: un «Andante maestoso» a!dato


direttamente alle voci del coro con il triplo appello cui risponde con ritmo
solenne l'accompagnamento dei violini, ed un «Più andante» esposto dal
soprano solo leggermente accompagnato dagli archi e ripreso in imitazione
dagli oboi. Lo stesso tema viene ripetuto al «Christe eleison» anche dal tenore
solo ma trasportato in modo minore cosa che conferisce all'intero brano un
carattere di alta poesia. Il Kyrie si conclude con la ripresa del tema del coro
«Andante maestoso» e con una «coda» che ripresenta contemporaneamente il
materiale tematico delle due sezioni.

Il Gloria è una forma tripartita al modo di un tempo di Sonata o di Sinfonia


dove il primo soggetto si conclude con le parole «bonae voluntatis» ed il
secondo sulle parole «gloriam tuam»; si apre qui una seconda sezione dove i
due soggetti sono ripresi a lungo sia dai solisti, che dal coro e dall'orchestra, il
tutto si conclude con una «ricapitolazione» ed una «coda» in imitazione sulla
parola «Amen», mentre gli archi riespongono la melodia e il ritmo della prima
parte.

Anche il Credo ha una struttura strumentale assai precisa. Qui al contrario di


quello che avviene nei brani precedenti le voci non appaiono che dopo la
quinta battuta quasi che Mozart abbia voluto ria"ermare una sorta di primato
della componente orchestrale della partitura. Il brano è costituito in forma
tripartita nella quale è possibile distinguere una prima sezione «Allegro molto»
che contiene a sua volta il tema principale fino alle parole «et invisibilium», un
soggetto sussidiario fino a «deo vero» e un ritorno del soggetto principale con
variazioni che si conclude con il «descendit de coelis» che si trasforma poi in
un breve fugato che introduce la seconda sezione - un adagio in fa minore -
che apre una parentesi di grande bellezza poetica sulle parole «Et incarnatus».
La terza sezione ripropone l'«Allegro molto» iniziale sulle parole «et resurrexit»
ancora basato sul soggetto principale fino all'«Amen» esposto in imitazione
sullo stesso tema su cui erano state cantate le parole «descendit de coelis».
Tutto si conclude poi omofonicamente sull'«Amen», che è preceduto però da
una breve ripresa delle parole «Credo in unum Deum» che si ripetono come
una a"ermazione reiterata nella stessa tonalità di fa maggiore con cui si era
aperto il brano.

Lo stesso tono grandioso caratterizza l'«Andante maestoso» con il quale inizia


il successivo Sanctus, che è un coro solenne sostenuto dagli archi all'unisono e
dai bassi fino all'«Allegro assai» dell'«Osanna» che conclude rapidamente il
brano.

Anche il Benedictus è una forma tripartita: «Allegretto» la prima sezione con un


tema leggero esposto dal violino solista che dà all'intero brano il carattere di
un rondò strumentale. Lo stesso tema viene infatti ripreso nella terza sezione,
mentre la seconda sezione altro non è che la ripresa dell'«Osanna» che serve
anche da «coda» all'intero brano.

Infine l'Agnus Dei dopo un preludio strumentale a!da il tema al soprano solo,
ed è il tema che ricorda l'aria delle Nozze; il tema è poi ripreso anche dal
tenore che si alterna con il coro finché sulle parole «Dona nobis pacem» ritorna
con le stesse armonie ed imitazioni strumentali ma anche con una ripresa in
tempo «Allegro con spirito» il tema del Kyrie iniziale.

E' quest'«Allegro con spirito» che conclude l'opera con una estensione geniale
dell'idea primitiva - nota il De Saint-Foix - il quale aggiunge pure come la
ripresa dell'idea iniziale dimostra il profondo bisogno di unità formale sentito
da Mozart in questa occasione. Una unità formale realizzata non solo
attraverso la scelta di precise forme strumentali all'interno di ogni brano della
Messa ma ria"ermata quasi serrando l'intero edificio sonoro all'interno dello
stesso tema che quindi dà l'avvio al discorso e lo conclude.

Gianfilippo De'Rossi

Missa aulica Missa solemnis K 337


https://youtu.be/yZQikFmGXvE

Prima versione incompiuta del Credo e suo completamento


L'autografo della messa presenta un'altra versione del Credo. Questo schizzo
ha una lunghezza di 136 battute e s'interrompe bruscamente dopo le parole
"cuius regni non erit finis". Non è chiaro perché Mozart abbia smesso di
lavorare su quest'impostazione e iniziò a comporre la seconda e completa
versione del Credo, utilizzando la pagina successiva dell'autografo. Questo può
essere dovuto al fatto che Mozart dimenticò di impostare le parole "sub Pontio
Pilato" alla musica nella prima bozza. Negli anni 1989 e 2003 il dottor Murl
Sickbert completò il frammento; nel 2006 fu eseguito presso la Hardin-
Simmons University, in Texas.

Messa in Do minore Missa solemnis K 427 (incompiuta)

https://youtu.be/yvcOGdTAfDs

La Messa in do minore (in tedesco Große Messe in c-Moll) K1 427 (K6 417a),
nota anche come Grande Messa, è una messa composta da Wolfgang Amadeus
Mozart a Vienna negli anni 1782-1783. L'opera è incompiuta.

Storia

Mozart si impegnò a comporre una Messa come voto, a!nché la futura sposa
Constanze allora ammalata guarisse e una volta divenuta sua moglie potesse
condurla a Salisburgo per farla conoscere al padre Leopold che si opponeva al
matrimonio.

Il 4 agosto 1782 il matrimonio ebbe luogo a Vienna, nel duomo di Santo


Stefano, e il giorno seguente giunse anche il sospirato consenso del padre. Il
viaggio a Salisburgo dovette attendere sino a luglio del 1783 sia per gli
impegni di Mozart sia per la gravidanza di Constanze, che il 17 giugno 1783
diede alla luce il primo figlio, il quale vivrà appena due mesi.

A Salisburgo Mozart arrivò con la partitura della messa composta per oltre la
metà: Kyrie e Gloria erano completi, Sanctus e Benedictus erano composti "in
particella" (parte vocale, primo e secondo violino, basso e parti principali
dell'orchestrazione), il Credo in forma di abbozzo e non completo, l'Agnus Dei
nemmeno iniziato.

La celebrazione votiva ebbe luogo il 25 agosto 1783 nella chiesa arciabbaziale


benedettina di San Pietro con brani tratti da altre composizioni sacre, e non
nella cattedrale di Salisburgo che dipendeva da Colloredo, il quale non aveva
dimenticato la repentina interruzione del rapporto di lavoro.
Il 25 ottobre successivo vennero rappresentati nella stessa chiesa il Kyrie e
Gloria con Constanze Weber, e il 26 l'intera Grande Messa sempre con
Constanze.

Mozart non lavorò più all'opera. Tra i motivi dell'interruzione si può citare un
editto imperiale del 1783 che limitava l'esecuzione di musica sacra con
orchestra nelle chiese. Inoltre, l'incipiente carriera di Mozart come musicista
indipendente non riusciva ancora a svincolarsi dal sistema delle committenze,
e la messa, intrapresa senza una specifica commissione, fu accantonata.
Stile

L'opera rappresenta il ritorno di Mozart alla musica sacra dopo gli anni
salisburghesi. Per la prima volta nella sua vita egli compone una messa senza i
vincoli stilistici impostigli dall'arcivescovo Colloredo; non deve quindi
sorprendere se nello spartito troviamo uno sfoggio di fantasia e ispirazione
inusuale rispetto alla sua produzione precedente.

Il Kyrie inizia con una breve introduzione orchestrale la cui drammaticità è resa
più acuta dagli strumenti a fiato prima e dall'ingresso del coro di impostazione
arcaica. Sull'introduzione del Kyrie non è molto chiara, su alcune partiture, la
presenza di un quarto trombone, il trombone soprano, strumento pochissimo
usato anche a quei tempi, presente solo nel kyrie, e nelle edizioni di oggi
eliminato dal brano. Con il Christe eleison la musica si addolcisce e l'assolo del
soprano viene accompagnato dal coro e dai fiati. La ripresa del Kyrie ci riporta
alla drammaticità di partenza.

Il Gloria, molto ampio, si compone di sette episodi tra cui Laudamus te


(cantabile), lo struggente pezzo per soprano Domine Deus (con
accompagnamento contrappuntistico degli archi), Quoniam (nella forma di
terzetto), Jesu Christe (un adagio), Cum Sancto Spiritu (una fuga di ra!nata
composizione), il suggestivo Qui tollis (in Sol minore con doppio coro ad otto
voci e basso ostinato).

Il Credo pur solamente abbozzato conteneva tuttavia abbastanza informazioni


per un suo completamento ragionevolmente fedele.

Il Sanctus che culmina con la doppia fuga nell'Osanna è composto per doppio
coro.

Il Benedictus è un pezzo che unisce complessità formale ad una estrema


ra!natezza.
Kyrie e Gloria sono stati riutilizzati da Mozart nella cantata oratoriale del 1785
Davidde penitente (K 469).

Fortuna
Nella storia della musica la messa in Do minore di Mozart rappresenta uno dei
maggiori lasciti della musica sacra del secondo '700 ed idealmente si può
considerare come il tratto d'unione fra la Messa in Si minore di Johann
Sebastian Bach e la Missa solemnis in Re maggiore di Ludwig van Beethoven
che intraprenderà strade diverse.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

I due massimi capolavori di Wolfgang Amadeus Mozart nell'ambito della


musica sacra, la Messa in do minore K. 427 (K. 417 a) e il Requiem in re
minore K. 626, rimasero entrambi incompiuti. Fu la morte a fermare per
sempre la mano di Mozart mentre vergava il Lacrimosa del Requiem, mentre
l'incompiutezza della Messa deve essere attribuita a cause meno tragiche.
Mozart aveva infatti iniziato a comporla per una sua autonoma decisione,
uscendo per una volta dal sistema della committenza che regolava la
produzione musicale dell'epoca; ma i tempi non erano maturi perché un
musicista potesse liberamente dedicare il suo tempo a una composizione priva
d'una precisa destinazione e quindi la Messa in do minore fu messa da parte a
favore di lavori più urgenti. Invece Mozart non lasciò mai a metà le musiche
sacre connesse ai suoi impegni salisburghesi. Non dipendere per una volta da
una precisa committenza permise però a Mozart di concepire liberamente
questa Messa su una scala più ampia e complessa, mentre fino allora aveva
dovuto ottemperare alle imposizioni del suo "padrone", il principe-arcivescovo
di Salisburgo, che dalla musica sacra pretendeva semplicità e brevità.

La Messa in do minore non obbediva dunque a una committenza, ma fu


concepita da Mozart come un'o"erta votiva per il superamento delle di!coltà
che si frapponevano al suo matrimonio e allo stesso tempo come un dono
all'amata Konstanze. In una lettera inviata al padre da Vienna il 4 gennaio
1783, il ventisettenne Wolfgang rivela di aver fatto "una promessa nel [suo]
cuore" e che "la migliore prova di questa promessa è la partitura d'una Messa
che ancora aspetta d'essere completata". Da questa stessa lettera si deduce
che fin dall'inizio Mozart pensava di far eseguire la sua Messa a Salisburgo.
E"ettivamente la prima volta che si recò da Vienna a Salisburgo dopo il suo
matrimonio portò con sé la partitura e continuò a lavorarvi, ma il giorno
previsto per l'esecuzione, il 26 ottobre 1783, la Messa era ancora incompiuta e
probabilmente venne integrata con pezzi di altre messe di Mozart.

Il giorno dopo il compositore ripartì per Vienna e non avrebbe più visto la sua
città natale, né avrebbe più portato a termine questa Messa, di cui aveva scritto
per intero il Kyrie, il Gloria e il Sanctus-Benedictus, mentre il Credo era
interrotto all'lncarnatus est e per di più era lacunoso nell'orchestrazione e
l'Agnus Dei mancava totalmente. Due anni dopo, a Vienna, avrebbe riutilizzato
il Kyrie e il Gloria nell'oratorio Davide penitente K. 469.

Nonostante l'incompiutezza, la Messa in do minore è la più vasta, complessa e


impegnativa composizione sacra di Mozart. Come Bach nella Messa in si
minore e Beethoven nella Missa solemnis, anche Mozart riprende qui gli stili
della musica sacra delle epoche precedenti, quasi a voler ancorare saldamente
la sua Messa alla tradizione. Attinge a Bach e Händel, da lui scoperti e studiati
proprio in quegli anni, e anche agli italiani, come Caldara, Porpora e Pergolesi,
scrivendo una "personale summa theologica del sacro in musica, i cui principi
vengono desunti da una sterminata eredità artistica dagli orizzonti europei,
sviluppata più in estensione geografica che in profondità storica, non
rimontando oltre i limiti del XVIII secolo, il solo che il compositore ritenesse
attingibile e spiritualmente frequentabile" (Giovanni Carli Ballola).

Subito il Kyrie rivela la compenetrazione dell'elemento oggettivo dello stile


sacro con quello soggettivo dell'espressione individuale, quando la severa
polifonia corale e la voce grave e maestosa dei tromboni vengono amalgamate
nell'intima e so"erta tonalità di do minore, o quando il dolente cromatismo del
motivo dei soprani e dei contralti viene sviluppato in rigoroso stile imitato. Al
centro del Kyrie s'inserisce il luminoso solo per soprano del Christe, a"ettuoso
omaggio alla moglie Konstanze, che cantò questa parte nella prima esecuzione
della Messa.

Il Gloria si apre con una chiara reminiscenza dello stile di Händel, evidente
nella stretta alternanza di possenti e gloriosi accordi e di dinamici ed esultanti
passaggi contrappuntistici, con una citazione quasi letterale dell'Alleluja del
Messiah. Tutto il Gloria è concepito su scala monumentale ed è diviso in otto
numeri. Un'aria tripartita col "da capo" (Laudamus Te), un duetto per due
soprani (Domine Deus) e un terzetto per due soprani e tenore (Quoniam tu
solus sanctus) si alternano a due possenti episodi corali a cinque voci (Gratias
agimus) e a doppio coro (Qui tollis). È suggellato dalla grandiosa fuga del Cum
Sancto Spiritu, che fornisce una conclusione adeguatamente solenne, che però
Mozart sottrae a ogni manierata magniloquenza con l'inserzione di elementi
del moderno linguaggio sinfonico, apportatore di un'emozione più viva e
drammatica.

L'incompiuto Credo consta di due sole parti, entrambe lacunose


nell'orchestrazione, che può tuttavia essere completata senza problemi
insormontabili. Il primo pezzo è un maestoso coro a cinque voci, fitto di
riferimenti alla musica tardobarocca, a cominciare dall'ampia introduzione
orchestrale, memore ancora una volta di Händel, in particolare delle sue
Ouvertures.

L'Et incarnatus est è un altro solo o"erto alla voce dell'amata Konstanze: una
pagina nel cullante ritmo di siciliana, raccolta, tenera, delicata, che trasfigura il
virtuosismo vocale in estatico lirismo, come nel lunghissimo vocalizzo della
cadenza che unisce al soprano tre strumenti obbligati (flauto, oboe e fagotto).
È stato più volte sottolineato lo stile italianeggiante di questo brano.

Dopo questa melodiosa aria Mozart ritorna alla grandiosità tiel doppio coro col
Sanctus, questa volta senza reminiscenze barocche ma con sintetico e audace
stile moderno, culminante nel possente "pieni sunt coeli et terra gloria tua",
che sembra ra!gurare musicalmente tutta la magnificenza divina. Qui
s'innesta la fuga dell'Osanna, nel cui serrato contrappunto si scorge
chiaramente Bach.

Il Benedictus è riservato alle quattro voci soliste ma non concede nulla a


dolcezze melodiche d'ascendenza operistica e procede con un aspro e
spigoloso contrappunto, mentre modulazioni tipicamente mozartiane a
tonalità minori immergono il brano in un'atmosfera inquieta e ansiosa, prima
della trionfale ripresa della fuga dell'Osanna.

Mauro Mariani

Messa di Requiem K 626 (incompiuta da Mozart, ma finita dall'amico e


allievo Franz Xaver Süssmayr)

https://youtu.be/j8RXHA1M-f8

https://youtu.be/L4PPol9IQzs

https://youtu.be/sPlhKP0nZII

La Messa di requiem in Re minore K 626 è l'ultima composizione di Wolfgang


Amadeus Mozart. Rimasta incompiuta per la morte dell'autore, avvenuta il 5
dicembre 1791, fu completata successivamente dall'amico e allievo Franz
Xaver Süssmayr.

La composizione del requiem

L'opera è legata alla controversa vicenda della morte del suo autore, avvenuta
il giorno successivo alla stesura delle prime battute delle parti vocali del
Lacrimosa. Stendhal, in Vite di Haydn, Mozart e Metastasio (1815), parla di un
anonimo committente (che si presentò alla sua porta nel cuore della notte con
una maschera come quelle di carnevale, un mantello scuro, aria lugubre e una
sacca contenente danari) che incarica Mozart, malato e caduto in miseria, di
comporre in quattro settimane una messa di requiem, dietro compenso di
cinquanta ducati.

Secondo l'ipotesi avanzata da Stendhal, Mozart tentò di scoprire chi fosse il


misterioso committente. Quando le forze cominciarono a mancargli per il duro
lavoro e si rese conto di non riuscire ad identificare l'uomo, il compositore
austriaco si convinse che il committente fosse un emissario dell'aldilà che lo
avesse incaricato in realtà di scrivere la messa di requiem per se stesso.
Inoltre, allo scadere delle quattro settimane l'uomo si presentò per ritirare la
composizione, che però Mozart non aveva ancora completato. Così,
nonostante i sospetti del musicista, gli o"rì altri cinquanta ducati e altre
quattro settimane di tempo: inutili, poiché Mozart morirà lasciando l'opera
incompiuta.

Una leggenda molto famosa ma totalmente infondata vuole che sia stato il
musicista italiano Antonio Salieri - invidioso del talento di Mozart - a forzare il
deperimento del già malato collega. Tale leggenda è stata alimentata da
Aleksander Puškin nella sua opera teatrale Mozart e Salieri (1830), e ripresa
negli anni settanta dal drammaturgo Peter Sha"er nell'opera teatrale Amadeus
(1978). Da Sha"er il regista Miloš Forman ha tratto il suo Amadeus (1984), film
nel quale tale leggenda è, appunto, narrata.

La vedova di Mozart, Constanze, delegò il completamento del requiem (furono


rinvenute decine di spartiti alla rinfusa sulla scrivania del compositore) a tre
allievi del marito, per meglio avvicinarsi agli intenti originari: Joseph Eybler,
Franz Freistädler e, infine, Franz Xaver Süssmayr; quest'ultimo era
probabilmente stato il più vicino a Mozart negli ultimi tempi, e (come egli
stesso ebbe modo di dire anni dopo, interrogato in merito all'autenticità
dell'opera) ebbe probabilmente la possibilità di suonare insieme al Maestro
alcuni brani del requiem. Il suo apporto fu quello di riordinare in modo
omogeneo il lavoro dei collaboratori precedenti, e di completare i brani
totalmente mancanti del manoscritto. I tre allievi riuscirono a completare il
requiem, anche se si può notare la grande di"erenza tra il loro modo di
comporre e quello di Mozart.

Conclusa quasi certamente entro la quaresima del 1792, il requiem venne


ritenuta per un certo periodo opera del solo Mozart, anche per il fatto che la
calligrafia di Süssmayr risulta essere molto simile a quella del maestro: fino
agli inizi degli anni novanta del XX secolo si riteneva infatti che l'indicazione,
posta in testa alla prima pagina, recitante "di me W.A Mozart mppa. 1792"
fosse stata apposta da Mozart stesso. Si è poi stabilito con certezza che la
firma è stata posta da Süssmayr, probabilmente per tentare di dare maggiore
credibilità al lavoro nella sua globalità: va fatto notare come nessuno dei
personaggi coinvolti in questa vicenda tentò mai di accampare diritti di
qualsivoglia genere sul Requiem, e nessuno figurò neppure nelle prime
edizioni a stampa[senza fonte].

Ciò non bastò dal momento che nel 1825 il compositore e teorico della musica
tedesco Gottfried Weber pubblicò un articolo intitolato Sull'autenticità del
Requiem mozartiano, nel quale sollevava enormi dubbi sulla quantità di musica
e"ettivamente composta da Mozart e presente nella messa. La polemica
continuò per vari anni costituendo varie fazioni (Beethoven, che possedeva una
copia dell'articolo, riferendosi al Weber, annotò su un fianco: "o tu
Arcisomaro", e ancora "o tu doppio somaro").

Fu probabilmente solo con l'edizione a stampa di Andrè del 1827 che parte dei
dubbi vennero fugati: forse per la prima volta nella storia della musica, una
partitura venne pubblicata con un commento critico nel quale si tentava di
stabilire con certezza ciò che è certamente di Mozart e ciò che è di pugno
d'altri; l'edizione Breitkopf indicò poi con una M il materiale sicuramente
mozartiano e con una S quello attribuito a Süssmayr.

Come ha dimostrato il musicologo Christoph Wol" nel suo importante testo sul
requiem, è certo che qualche giorno dopo la morte di Mozart (il 10 dicembre),
venne organizzata una funzione commemorativa durante la quale vennero
eseguiti almeno l'Introitus ed il Kyrie, con coro organo e i soli archi. Questo
u!cio funebre fu organizzato, a proprie spese, da Emanuel Schikaneder ed
ebbe luogo nella chiesa di san Michele a Vienna.

Sulla questione dello stato di compimento della composizione non si hanno


dati certi: la versione più quotata è quella descritta all'inizio di questa sezione,
ma è possibile che Mozart avesse già completato anche l'Hostias almeno nelle
parti vocali, mentre avesse solo delineato una struttura superficiale del resto
dell'opera, struttura sulla quale si basarono poi gli allievi che la completarono.
Infine esiste una versione, non accettata dalla maggior parte dei critici,
secondo cui Mozart non aveva nemmeno cominciato a comporre il Lacrimosa e
che avesse a malapena definito le parti vocali del Confutatis.[senza fonte]

Importante poi aggiungere la tesi formulata dal musicologo Piero Buscaroli,


che ha avanzato l'ipotesi che il requiem sia rimasto incompiuto non, come
vuole la tradizione, a causa della morte del suo autore, bensì per una scelta
deliberata di Mozart stesso: cioè per la sua ripugnanza ad adempiere alla
clausola contrattuale, impostagli dal committente, che gl’impediva di
rivendicare la paternità della sua opera. Secondo la congettura di Buscaroli,
Mozart avrebbe ritenuto tale clausola talmente vessatoria da indurlo a non
completare la partitura, e forse addirittura a meditarne la distruzione.
Analisi dell'opera

Mozart lasciò la partitura incompiuta: ebbe la possibilità di portare totalmente


a termine solo il primo numero dell'opera (Introitus: Requiem aeternam); portò
comunque come di consueto avanti la stesura dell'opera scrivendo solo le parti
principali (le quattro voci del coro e dei soli - se presenti - e la linea del basso
con la numerica per la realizzazione del continuo all'organo), ed indicando di
tanto in tanto il motivo melodico dell'accompagnamento ove questo non fosse
deducibile dalle altre parti.

In questo stadio primordiale sono pervenuti Kyrie, Sequentia (con il Lacrimosa


che si ferma dopo le prime otto battute sulle parole "homo reus"), e
l'O"ertorium. Tutto ciò è verificabile dal manoscritto originale conservato
presso la Biblioteca di Stato di Vienna, ricomposto verso la metà del XIX secolo
o per donazioni o per acquisizioni dopo la morte dei proprietari.

Esiste tuttavia la possibilità che Süssmayr abbia avuto accesso ad appunti ed


abbozzi mozartiani non pervenutici. Constanze ebbe a dire anni dopo che, in
mezzo al noto disordine in cui il marito lavorava, Süssmayr trovò vari "foglietti"
con degli appunti: a testimonianza della veridicità di tale asserzione è nota
l'esistenza di un inizio di fuga sull'amen alla fine del Lacrimosa, abbozzata su
un foglio contenente anche appunti riferiti ad altri lavori (possibilità scartata da
Süssmayr probabilmente per l'eccessiva di!coltà che un tale lavoro
richiedeva).

In questa partitura si fondono momenti di straordinario senso teatrale


melodrammatico ad altri brani rigorosamente classicheggianti. Fra i momenti
di maggiore ispirazione drammatica spicca sicuramente il Lacrimosa. Il
compositore riesce, attraverso l'utilizzo di brevi frasi di crome ascendenti e
discendenti assegnate ai violini contornate da una scrittura corale di ampio
respiro, a creare un e"etto di pianto a stento trattenuto. Il Lacrimosa è per
questi motivi da sempre considerato un banco di prova importante per
direttori d'orchestra.

Per contrasto la rigorosissima fuga del Kyrie pone non pochi problemi di
precisione ritmica e intonazione al coro, senza per altro cedere di un passo
dalla drammaticità che impregna l'intera partitura mozartiana. Infine un pezzo
ricorrente fra i repertori sacri di molti cantanti lirici solisti è il Tuba Mirum nel
quale la teatralità del compositore si fonde con la sacralità del testo, descritto
attraverso un sapientissimo utilizzo, prima separato poi unito, delle quattro
voci soliste.

Struttura dell'opera
I. Introitus

Requiem aeternam (coro e soprano solo)


Kyrie (coro)

II. Sequentia

Dies irae (coro)


Tuba mirum (soli)
Rex tremendae (coro)
Recordare (soli)
Confutatis (coro)
Lacrimosa (coro)

III. O"ertorium

Domine Jesu (soli e coro)


Hostias (coro)

IV. Sanctus (coro)

V. Benedictus (soli e coro)

VI. Agnus Dei (coro)

VII. Communio (chiamato anche Lux aeterna) (soprano e coro)

Solamente il Requiem aeternam è stato interamente scritto da Mozart; per ciò


che riguarda le sezioni dal Kyrie all'Hostias è di Mozart soltanto la parte vocale,
l'intero basso numerato e talvolta vengono accennati i temi suonati
dall'orchestra, mentre il resto della strumentazione si deve all'allievo Süssmayr.
Del Lacrimosa Mozart scrisse solo le prime 8 battute.

Rivisitazioni moderne
Come già accennato, nel corso degli anni sessanta fu scoperto un manoscritto
inedito dell'autore che recava scritto l'abbozzo per una fuga: la fuga che
sarebbe andata sull'Amen finale del Lacrimosa. Ciò si capiva dal fatto che lo
stesso manoscritto recava un altro abbozzo, che viene ricondotto al Rex
tremendae (Sequentia). Purtroppo ciò che è scritto è solo uno schizzo, molto
probabilmente il soggetto della fuga. Ad elaborare questo manoscritto ci
hanno pensato alcuni musicologi (si ricorda in particolare la versione di Levin,
Maunder e London). Negli anni 2000 l'opera di Mozart ha ispirato uno
spettacolo di musica e danza per coro: Rockquiem - based on W. A. Mozart,
che reinterpreta il requiem in chiave rock. Lo spettacolo è stato rappresentato
in diversi paesi europei.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Quando il Conte Franz von Walsegg zu Stuppach, aspirante compositore,


decise di celebrare l'anniversario della morte della moglie avvenuta il 14
febbraio 1791, scelse di commissionare a Mozart un Requiem che poi avrebbe
voluto far passare per suo. La proposta economica era buona e il compositore,
che in quel periodo aveva bisogno di denaro per finanziare le sue corpose
uscite, accettò. Il 1791 fu però per Mozart un anno pieno di impegni a cui far
fronte rapidamente. Così il Requiem fu completato fino al secondo brano, in
gran parte abbozzato, e poi lasciato molti mesi fra le carte che furono
ereditate, dopo la morte del marito nel dicembre del 1791, dalla moglie
Constanze. Fra quelle carte furono rinvenute prove che il compositore
conoscesse il committente. È probabile che Mozart non avesse detto nulla alla
moglie di quella strana commissione. Era bene, infatti, che a Vienna non se ne
avesse sentore; ma che non lo sapesse lui, il cui segreto era stato comprato, e
che gli venisse commissionata un'opera da un uomo misterioso, è francamente
improbabile.

Tornando al Requiem, il motivo di tanta trascuratezza nel terminarlo è da


additare dunque ai pressanti impegni, ma non è da tralasciare il fastidio che
Mozart, uomo giustamente orgoglioso e con grande senso della dignità
personale, provasse per il gesto di Walsegg e per il Requiem stesso. Eppure
quest'opera, anche grazie all'ottimo lavoro di propaganda di Constanze, è
diventata uno dei maggiori veicoli della fama di Mozart subito dopo la sua
morte. Negli ultimi anni del Settecento ebbe innumerevoli esecuzioni in varie
città, prima tedesche poi europee, e fu scelto spesso per commemorare la
morte di personalità più o meno importanti. In questa composizione sacra il
romanticismo ritrovò subito il suo clima e il Requiem, che alimentava
l'aneddotica, anch'essa tutta romantica, della morte tragica e della sua colonna
sonora, è divenuta fino ai nostri tempi una della creazioni più famose ed
eseguite di Mozart. L'opera fu completata da Franz Xaver Süssmayr, allievo del
compositore e amico di famiglia, con l'aiuto di altri e su commissione di
Constanze, che consegnò all'incaricato del conte, circa due mesi dopo la morte
del marito, la partitura, spacciandola per autentica. In ogni modo Constanze,
che aveva fiutato l'a"are in termini di immagine e di denaro, ne tenne copia
anche per sé e tentò all'inizio di far credere che il Requiem fosse autentico
davvero. Mozart invece aveva completato solo i primi due pezzi (Introitus,
Kyrie e parte del Dies irae) e aveva lasciato appunti, più o meno nutriti fino
all'Hostias, con i quali sviluppare le parti seguenti.
Walsegg diresse la partitura a sua disposizione il 14 dicembre 1793, poi la
diresse ancora, utilizzandola con la destinazione per cui l'aveva
commissionata, il 14 febbraio 1794, nella chiesa di Neukloster a Wiener
Neustadt, località di cui era conte. Ma quando seppe che Constanze aveva fatto
eseguire a proprio beneficio la sua partitura già il 2 gennaio 1793 a Vienna,
decise bene per il futuro di lasciar perdere. Tuttavia, qualche anno più tardi,
quando seppe che il Requiem stava per essere pubblicato, tentò di chiedere un
cospicuo rimborso per la frode che era stata ordita ai suoi danni. Lui, che col
denaro aveva fatto la stessa cosa, ma in modo più subdolo.
Struttura e natura del Requiem

La struttura

II Requiem è una composizione su testo latino, chiamata con locuzione poco


cordiale "messa da morto"; è una messa composta da un insieme di brani
finalizzati a celebrare la memoria di un defunto. Nel tardo Settecento la
struttura della Missa pro defunctis era stabilita da una lunga tradizione, ma la
scelta dei testi era in alcune occasioni lasciata alla discrezione del compositore
che poteva adattarsi all'usanza locale.

Il Requiem di Mozart è così ordinato: Introitus (cioè introduzione) costituito


dall'invocazione all'eterno riposo contenuta nel Requiem aeternam e seguito
dall'invocazione al Cristo salvalore nel Kyrie eleison. Segue la sezione della
Sequentia composta da alcuni brani. Il primo è il Dies irae, in cui si descrive il
cataclisma del giudizio universale e la fine del mondo. Poi, nel Tuba Mirum è
cantato come, al suono della tromba, i morti si risveglieranno. Segue
l'apparizione di Cristo giudicante nel Rex Tremendae e la rievocazione salvifica
del calvario nel brano successivo, il Recordare. L'attuazione del giudizio divino
avviene nel Confutatis, nel quale si dipinge il momento in cui i dannati saranno
puniti e i beati saranno salvati. Il Lacrimosa è un'addolorata riflessione sul
dramma del giudizio finale e un'ulteriore sottolineatura del ruolo centrale di
Cristo come figura salvifica, elemento che caratterizza anche la successiva
sezione dell'O"ertorium costituita dal Domine Jesu Christe, appassionata
richiesta di salvezza, e dal seguente Hostias, in cui si invita il peccatore alla
preghiera. Segue il Sanctus, evocazione della grandezza di Dio che termina con
il canto dell'Osanna, e il Bendictus, ulteriore omaggio alla figura di Cristo,
chiuso ancora dall'Osanna. Nell'Agnus Dei il figlio di Dio compare come agnello
sacrificale che dona pace e salvezza. Segue poi la sezione finale della
Communio, aperta e chiusa dal Lux aeterna in cui si invoca per i beati la luce
eterna della salvazione e si canta la gioia dell'assunzione tra i santi.
La musica religiosa e il misticismo massonico

II Requiem è una composizione dal carattere suo proprio, per natura e qualità
sonora dell'insieme. Possiede un colore particolare, scuro e patetico, che lo
di"erenzia dal clima generale dell'opera di Mozart. Bisogna però dire che al
momento in cui il compositore si accinse a scrivere il Requiem, erano trascorsi
più di dieci anni dall'ultima sua messa, in gran parte a causa dei provvedimenti
anticlericali promossi dall'imperatore Giuseppe II. Si deve poi sottolineare che
gli esempi rimastici della poca musica sacra del periodo viennese, mostrano
come Mozart andasse recuperando un senso del sacro ricco di profondità e
magnetismo; per di più nuovo per la società del Settecento, che lo aveva in
gran parte perduto. Il discorso rientra però in una problematica più generale.
Negli ultimi anni della sua vita egli sentì il bisogno di condurre una personale
ricerca spirituale, che innestasse il suo genio espressivo e il suo ruolo di
musicista nelle forze intellettuali della società, in quella sorta di sacralità della
ragione e del progresso sociale che l'illuminismo aveva individuato. Era
un'esigenza interiore che si concretizzò nell'avvicinamento alla massoneria e a
quel senso del magico e dell'occulto positivo che propagandava. È possibile
che tale avvicinamento sia stato dettato anche da interesse pratico; ma è pur
vero che i risultati ottenuti in ambito lavorativo Mozart li raggiunse solo grazie
alle sue capacità. Non si può dubitare che la sua profondità lo condusse a una
ricerca laica del sacro, che sentì ben incarnata dai principi massonici,
genericamente orientati al progresso civile, alla fratellanza umana e alla virtù.
Era anche un modo per sottrarre al tempo e alla caducità la propria interiorità
facendola parte di un ideale condiviso da altri, un modo per sacralizzare la
propria sensibilità, ritenuta a ragione fonte di civiltà. Questo a#ato
all'elevazione morale e alla trascendenza è alla base, oltre che delle opere
cosiddette "massoniche", anche della poca produzione religiosa degli ultimi
anni. Tuttavia la sfumatura espressiva tra la produzione vicina all'ambito
massonico e quella religiosa si nota ampiamente, soprattutto nel Requiem. La
fiducia nel magico e nel meraviglioso che caratterizza, ad esempio, Il flauto
magico, è qui sostituita dal momento della morte e del giudizio, paure che
forse la Massoneria non aveva interpretato appieno e che rimanevano dominio
della religione istituzionale e del suo messaggio. Inoltre, se nella produzione
massonica il percorso iniziatico sembra risolversi sul piano umano, tema
latente proprio della creazione religiosa è invece il celebrare una trascendenza
grandiosa e sovrumana con la quale sembra impossibile comunicare; e la
musica sacra di Mozart si colora della tragicità derivante da questo bisogno
irrisolto.

La musica

La commissione del Requiem o"rì dunque a Mozart l'occasione di soddisfare la


pulsione mistica dettatagli dalla sua potente sensibilità anche nel campo della
tradizione musicale religiosa e in special modo in un genere da lui mai
frequentato, quello della "missa pro defunctis". Seguiamone le caratteristiche
salienti. Nel Requiem aeternam iniziale la musica si veste subito di un carattere
solenne e liturgico che le apparterrà fino alla fine; l'intervento del solista, al
centro del brano, acquista il valore di una solitaria invocazione che sposta
poeticamente l'attenzione dalla massa al singolo. Molti degli interventi solistici
si pongono, infatti, in fruttuoso contrasto con l'uso frequente del coro, e
concentrano l'interesse sull'individuale e sull'umano, non scivolando mai in
situazioni che ricordano il teatro d'opera. Lo stesso discorso vale anche per i
brani successivi in cui compaiono solo le linee vocali dei quattro solisti, che si
combinano spesso come se volessero incrementare l'a#ato della loro
implorazione.

Già nella propria conclusione il Requiem aeternam aveva anticipato il


grandioso fugato del Kyrie, nel quale la geometria del contrappunto viene
utilizzata per miniare l'imperscrutabilità del disegno divino. Tale scelta
stilistica, comune a quasi tutta la musica sacra (anche a Job), si ritrova alla fine
del Requiem, precisamente nel Lux aeterna. Inoltre, la struttura
contrappuntistica, con le sue entrate a catena, è adatta a rappresentare
l'esaltazione delle anime nel canto dell'Osanna, nella sezione finale del Sanctus
e del Benedictus, oppure a caldeggiare la realizzazione della promessa che Dio
fece ad Abramo, che torna alla fine del Domine Jesu e dell'Hostias. Ma
l'orchestrazione del Requiem può procedere anche con intento descrittivo sia
psicologico che pittorico, come nel Domine Jesu, in cui l'implorazione del coro
sembra all'improvviso turbata dal terrore in corrispondenza delle parole «libera
eas de ore leonis» (cioè «liberali dalle fauci del leone», ovvero dalla
dannazione), o nell'andamento saltellato delle voci che riproducono il
precipitare negli inferi sulle parole «ne absorbeat eas tartarus ne cadant in
obscurum». Si pensi poi al Confutatis col suo procedere ostinato degli archi
che da una parte evoca le fiamme infernali, dall'altro con la sua ripetitività,
crea un clima ossessivo e terrifico. Nell'Agnus Dei, invece, l'elemento
espressivo dominante è una scala discendente degli archi, simbologia
dell'abbattimento e del dolore.

A volte Mozart adotta, con finalità drammatiche, uno stile considerato già fuori
moda nella sua epoca: nel Rex Tremendae, che descrive l'apparizione del
sommo giudice, il ritmo puntato che compare subito all'inizio e caratterizza il
brano (per chiarire, è come se i suoni si muovessero a scatti) evoca, tramite
l'arcaicità del procedimento musicale, la dignità e la tragica solennità del
momento.

Non mancano poi oasi di riflessione in cui la preghiera e il desiderio di


salvezza si fanno alta poesia, come nel magnifico Recordare, nel Lacrimosa o
nell'inizio dell'Hostias, brani dalla natura ritmica più distesa e regolare. Un
momento di rilassamento che potremmo definire lirico si trova nel Tuba Mirum
in cui la tromba che annuncia la resurrezione dei corpi, interpretata all'inizio
dal trombone, dipinge, con tenere movenze, il sorprendente risveglio dei
morti. Il brano raggiunge un risultato particolare: abbiamo la sensazione che i
morti, aperti gli occhi per risorgere, rimangano essi stessi meravigliati dal
prodigio.

Dal Sanctus in poi non esistono schizzi guida di Mozart, ma non è facile essere
certi che questa parte sia farina del sacco di Süssmayr, le cui opere successive,
pur di buona qualità, sembrano inferiori a quello che è stato prodotto qui.
Come al termine del Domine Jesu o nella Communio finale in cui rielabora
Introitus e Kyrie, Süssmayr ha probabilmente deciso di riproporre materiale
originariamente di Mozart per conservare al meglio la paternità del tutto. In
ogni modo, il Requiem, sorprendentemente, risulta all'ascolto opera unitaria
nella fattura come nell'ispirazione. Nella bellezza della musica, che possiamo
ben dire di Mozart, si ritrova quella condivisione per la so"erenza, quella
magica capacità di saper muovere e dipingere l'emozione che ce la fa amica e
compagna di vita.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Mozart compose la quasi totalità della propria musica sacra per i servizi
liturgici della corte arcivescovile di Salisburgo. Le tredici Messe nate a
Salisburgo, in un periodo compreso tra il 1769 e il 1780, non furono pensate
dall'autore seguendo la traccia dettata dalla propria libera fantasia, ma nel
rispetto dei precisi canoni imposti dal gusto corrente dell'epoca, dalla
tradizione locale e dalle predilezioni dell'arcivescovo in carica.

Il trasferimento del 1781 a Vienna comportò per il compositore, con


l'emancipazione da cortigiano a libero professionista, anche l'interruzione dei
rapporti "obbligati" con la liturgia cattolica. Non è un caso che siano appena
due i grandi lavori sacri degli anni viennesi - la Messa in do minore K.
427/417a e il Requiem K. 626, composti rispettivamente per iniziativa propria
e dietro commissione privata, rimasti entrambi incompiuti per motivi diversi (il
diminuito interesse dell'autore e la sua prematura scomparsa). Inoltre queste
opere, per le imponenti dimensioni e per l'influenza del severo stile
contrappuntistico di Bach e Hàndel (con le cui composizioni Mozart era venuto
a contatto dal 1782) rappresentano una svolta rispetto alla concisione e alla
cordialità delle messe del periodo salisburghese.

Le circostanze della nascita del Requiem sono avvolte nella leggenda. O, per
meglio dire, sono state avvolte nella leggenda dalle innumerevoli fantasticherie
inventate nel periodo romantico legate, ovviamente, all'aura del tutto
particolare che attribuisce a questa partitura mortuaria il fatto di essere
rimasta incompiuta in seguito alla morte dell'autore. Spogliate delle tante
fantasticherie, le vicende della genesi appaiono piuttosto semplici. Nel luglio
1791 Mozart ricevette la commissione per la stesura di un Requiem da parte di
un anonimo che, corrispondendogli un lauto anticipo, metteva quale unica
condizione quella di non ricercare l'identità del committente; si trattava di un
nobile prematuramente vedovo, il conte Walsegg, che intendeva eseguire
l'opera nella ricorrenza della scomparsa della consorte, attribuendosene
disinvoltamente la paternità.

Certamente Mozart, di ritorno da Praga, dove aveva curato l'esecuzione della


Clemenza di Tito, attese alla partitura nei mesi di ottobre e novembre; non
senza che il declinante stato di salute avesse influenza sulle sue condizioni
nervose e lo portasse, secondo attendibili testimonianze, ad a"ermare di
comporre l'opera per se stesso. Alla morte del compositore, il 5 dicembre, la
vedova Constanze, in di!cili condizioni economiche, decise di far ultimare la
partitura in modo da consegnarla al committente e ricevere il giusto
compenso; senza beninteso rivelare l'apporto di mani diverse da quelle del
marito.

Proprio a causa di questo completamento, pur se spogliato della sua macabra


aneddotica, il Requiem rimane avvolto ai nostri occhi da un certo alone di
mistero. A colmare le lacune fu principalmente Franz Xaver Süssmayr, allievo
del compositore, coadiuvato da altri due allievi, Joseph Eybler e Franz Jakob
Freystädtler. La situazione complessiva, pazientemente ricostruita dalla ricerca
musicologica, si presenta come segue. Dei dodici numeri musicali solo il primo
(Introitus e Kyrie) è interamente autografo di Mozart, mentre i numeri 2-9
recano di pugno del maestro solamente la linea del basso, quelle delle voci e
qualche più o meno cospicua indicazione di strumentazione (il n. 7, Lacrimosa,
è poi drammaticamente interrotto). Gli ultimi tre numeri invece furono
composti ex novo da Süssmayr (forse anche sulla base di indicazioni o appunti
di Mozart) che, per il conclusivo Lux aeterna, riprese il brano iniziale.

Di!cile dunque sfuggire all'impressione che la coerenza del Requiem appaia


irrimediabilmente compromessa dagli interventi degli allievi, di non sempre
adeguata fantasia inventiva né tecnicamente sagaci. E tuttavia è indiscutibile
che, anche in questa veste, il Requiem appaia un capolavoro. Vi è innanzitutto
da parte dell'autore la ricerca di una via nuova per lo stile chiesastico,
rispettosa dei precetti dettati dall'imperatore Giuseppe II (cui nel frattempo era
succeduto Leopoldo II), per una musica sacra disadorna e di facile
comprensione. Via nuova ma basata sull'antico, cioè su un uso della polifonia e
del contrappunto ispirato ai modelli barocchi; calibratissimo e antivirtuosistico
è l'uso dei solisti, opache - come si vedrà meglio - le scelte strumentali. Il
tutto congiunto a una gestualità plastica, di tipo teatrale.

Basterebbe ascoltare l'Introitus e Kyrie, unica sezione del tutto autografa. C'è
innanzitutto una atmosfera sonora, livida e desolata, attribuibile in gran parte
alla particolarissima strumentazione, dove gli unici legni presenti sono corni di
bassetto (della famiglia dei clarinetti) e fagotti; di qui un timbro opaco e
spettrale, che intreccia polifonie opponendosi ai pizzicati degli archi. Si staglia
come contrasto il purissimo a solo di soprano «Te decet Hymnus». Segue poi la
doppia fuga del Kyrie, serratissima e stringata, di carattere arcaico.

La sequenza si divide in sei sezioni, fra loro plasticamente contrapposte in


quanto a scelte di organico e contenuto espressivo; il Dies irae, interamente
corale, è di impatto massiccio; sintetico, drammatico, ricco di e"etti figurati
(«tremor»). Il Tuba mirum vede alternarsi i quattro solisti (basso, tenore,
contralto e soprano), che si uniscono solo al termine; ma l'e"etto folgorante è
quello iniziale del trombone solista, che dialoga con il basso. Il Rex tremendae
majestatis reca nettissima l'impronta di Händel, nell'alternanza (e poi
sovrapposizione) dei ritmi puntati degli archi e della massa corale. Il
Recordare, nuovamente a!dato ai solisti e costruito secondo lo schema
ABA'CA", è innervato da imitazioni di carattere arcaico, cui conferiscono
fascino peculiare le scelte timbriche (l'introduzione strumentale è tutta di
mano di Mozart). Il Confutatis contrappone coro maschile e femminile nelle
immagini dei dannati e dei redenti. Le otto battute superstiti del Lacrimosa si
interrompono al vertice del crescendo: la conclusione funzionale di Süssmayr
non compromette l'incanto so"erto della pagina.

L'O"ertorio si articola, come di consueto, in due parti, entrambe concluse dalla


fuga «Quam olim Abrahae». Il Domine Jesu Christe ha una condotta corale
incalzante e agitata, di derivazione mottettistica; l'episodio «Sed signifer
sanctus Michael» passa ai solisti, e scivola direttamente nella fuga; nettamente
contrastante lo squarcio sereno dell'Hostias, dove la scrittura corale omofonica
è accompagnata dal fraseggio in sincopi degli archi.

Impossibile stabilire gli eventuali spunti di Mozart nei rimanenti pezzi,


pervenuti interamente nella grafia dell'allievo. L'incedere solenne e corale del
Sanctus è nel solco della tradizione, la fuga dell'«Hosanna» scolastica e
sommaria. Il Benedictus, a!dato ai solisti e perciò intimistico, è singolarmente
esteso e rifinito. L'Agnus Dei si basa sul contrasto fra la triplice invocazione e
la supplica «dona nobis pacem». Quanto al Lux aeterna, Süssmayr si limitò a
riprendere la musica dell'Introitus e Kyrie; una soluzione che può apparire
semplicistica, ma che alcuni commentatori hanno fatto risalire alla volontà
dello stesso Mozart, orientato anche in altri lavori religiosi a rispettare quella
logica circolare, così propria dell'epoca, intesa a ribadire principi eterni. Ma
anche questa osservazione è destinata a rimanere nel campo delle ipotesi e
degli interrogativi che da sempre si sono sollevati intorno all'ultimo capolavoro
di Mozart.

Arrigo Quattrocchi
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

II fascino del tutto peculiare che viene da sempre riconosciuto al Requiem in re


minore K. 626, è certamente legato al fatto che questa partitura è l'ultima del
catalogo di Mozart, a causa della prematura scomparsa del compositore.
Dunque un lavoro funebre che è intrecciato alle vicende della morte
dell'autore; non sappiamo se sia vero che, come a"ermarono a distanza di anni
varie testimonianze riconducibili alla vedova, Mozart avesse detto di comporre
questo Requiem per se stesso; di fatto è significativo che un frammento del
Requiem venisse eseguito a una cerimonia funebre svoltasi a Vienna a distanza
di pochi giorni dalla scomparsa del compositore.

Il formarsi di una mitologia intorno al Requiem nasce dunque da questa


coincidenza fra lavoro funebre e morte prematura, per lungo tempo avvertita
come misterioso segno del destino. Molti altri misteri hanno però interessato
fin dalle origini il Requiem, e tuttora non appaiono del tutto chiariti. Singolari
sono certamente le circostanze della nascita della partitura. Nel luglio 1791
Mozart ricevette la commissione per la stesura di un Requiem da parte di un
intermediario del conte Walsegg, un aristocratico prematuramente vedovo che
intendeva eseguire l'opera nella ricorrenza della scomparsa della consorte,
attribuendosene disinvoltamente la paternità. Tuttavia, secondo testimonianze
sempre riconducibili a Constanze Mozart, l'intermediario non avrebbe rivelato
a Mozart l'identità del committente, invitando anzi il musicista a non ricercarla;
vero o non vero, questo presunto anonimato del committente contribuì
indubbiamente all'alone di mistero sulla nascita del lavoro. Mozart poi, di
ritorno da Praga dove aveva curato l'esecuzione della Clemenza di Tito, attese
alla partitura nei mesi di ottobre e novembre, rallentando la composizione solo
con il declinare delle sue condizioni di salute.

Il 5 dicembre Mozart muore, lasciando incompiuta la partitura del Requiem; e


questa incompiutezza è all'origine di tutta un'altra serie di misteri. La vedova
Constanze, comprensibilmente desiderosa di riscuotere il saldo della partitura
incompiuta, a!dò il completamento dell'autografo a musicisti legati
all'entourage del marito. Ad occuparsi di colmare le lacune fu principalmente
Franz Xaver Süssmayer, allievo del compositore, ma prima di lui erano stati
coinvolti altri due allievi, Franz jakob Freystädtler e Joseph Eybler, sotto il
probabile coordinamento di un altro musicista vicino alla famiglia Mozart,
l'abate Maximilian Stadler. Tutti costoro furono legati da un vincolo di
segretezza; nessuno doveva sospettare che Mozart non fosse l'unico autore del
Requiem. È solo nel 1825, quando ormai da molto tempo il Requiem era stato
eseguito e pubblicato, che vennero avanzati i primi reali sospetti sul contributo
di altre mani nel completamento della partitura, dando luogo a una
controversia che sarebbe durata per parecchi anni.
In che misura la composizione, che è ammirata e venerata come una delle più
alte del suo autore, è e"ettivamente di Mozart? Questa domanda è riecheggiata
nei secoli, dal 1825 ad oggi, e si pone in modo inquietante ai posteri. Ad essa
ha cercato di rispondere in modo il più possibile esauriente la ricerca
musicologica, fino all'edizione critica curata nel 1965 da Leopold Nowak, e poi
al più recente studio di Christoph Wol" (Il Requiem di Mozart. La storia, i
documenti, la partitura, Astrolabio, Roma, 2006), imprescindibile punto di
riferimento anche per queste note. Converrà dunque riassumere la situazione
oggettiva del Requiem, nella versione completata da Sussmayer e altri, e
consegnata dalla vedova al committente. Essa si articola in otto di"erenti
grandi numeri musicali.

nn. 1-2. Introitus e Kyrie

L'Introitus è l'unica sezione della partitura interamente di mano di Mozart. Il


Kyrie invece è autografo per le parti corali, mentre i raddoppi strumentali sono
stati realizzati nei giorni immediatamente seguenti alla morte dell'autore da
Franz Jakob Freystädtler, per una esecuzione di tutto questo numero musicale
alla cerimonia funebre svoltasi nella chiesa di San Michele il 10 dicembre. In
seguito Süssmayer aggiunse le parti di trombe e timpani.

n. 3. Dies Irae

Si tratta del numero musicale più vasto della partitura, diviso in sei sezioni
di"erenti (la cosiddetta "sequenza"). Le prime cinque sezioni sono state
composte da Mozart in forma abbreviata, ovvero con le parti corali e solistiche
complete, la linea del basso e alcune indicazioni di orchestrazione, più o meno
precise a seconda dei vari momenti. L'orchestrazione venne completata in un
primo momento da Joseph Eybler, quindi nuovamente realizzata da Süssmayer
sulla base del completamento di Eybler. Quanto alla sesta sezione,
"Lacrymosa", Mozart ne scrisse solamente le prime otto battute; il rimanente
venne completato da Süssmayer. Un appunto di un tema di fuga su un foglio
staccato suggerisce che Mozart aveva pensato di concludere tutta la sequenza
con una settima sezione, una fuga sull"'Amen"; una soluzione che venne però
scartata da Sussmayer, forse per la sua eccessiva di!coltà.

n. 4 O"ertorium

La situazione è la medesima dei primi sei numeri del Dies Irae. Il


completamento è stato iniziato dall'abate Maximilian Stadler e portato a
termine da Süssmayer.

n. 5 Sanctus - n. 6 Benedictus - n. 7 Agnus Dei


Mozart non compose questi numeri musicali, che vennero scritti da Süssmayer.
Una analisi dei materiali melodici di base di queste sezioni - nonché
dell'"Osanna" che chiude il Sanctus e il Benedictus - mostra delle
corrispondenze che suggeriscono come Süssmayer avesse a disposizione
alcuni appunti che non ci sono pervenuti.

n. 8 Communio

Mozart non compose questo numero musicale. Süssmayer riprese testualmente


la musica dei nn. 1-2. Introitus e Kyrie.

È di!cile sfuggire all'impressione che il Requiem così come è arrivato ai


posteri si allontani considerevolmente nel risultato da quelle che erano le
intenzioni del compositore. C'è, in primo luogo, un problema di architettura
complessiva. Non sappiamo se l'idea di riprendere, nella Communio, la musica
di Introitus e Kyrie sia ascrivibile al compositore; certamente la progettata fuga
conclusiva del "Lacrymosa" doveva assumere nella partitura un ruolo di grande
rilievo, anche perché il soggetto di questa fuga può essere considerato una
trasformazione del motivo iniziale del Requiem. Ma anche i temi di Sanctus e
Benedictus presentano corrispondenze di questo tipo, dando l'impressione di
una ferrea coerenza e unità concettuale nella partitura. Proprio questi fattori -
in secondo luogo - risultano fortemente compromessi dalla realizzazione di
Süssmayer, che semplicemente non aveva gli strumenti tecnici, oltre che la
fantasia inventiva, per elaborare gli appunti che aveva a disposizione. La
gratitudine dovuta dai posteri a questo onesto artigiano non cancella
purtroppo i suoi limiti.

E tuttavia è indiscutibile che, anche in questa veste compromessa, il Requiem


appaia come un capolavoro, a cui incompiutezza e ipotesi attribuiscono un
fascino ulteriore. Vi troviamo innanzitutto da parte dell'autore la ricerca di una
via nuova per lo stile chiesastico. Nelle numerose composizioni sacre degli
anni salisburghesi Mozart si era applicato soprattutto a rispettare i precetti
dell'arcivescovo Colloredo, che imponevano una grande stringatezza e
cordialità nella musica scritta per il culto. Nei pochissimi lavori sacri degli anni
viennesi, al contrario, egli tenne certamente presenti i precetti dettati
dall'imperatore Giuseppe II - cui nel frattempo era succeduto Leopoldo II - per
una musica sacra disadorna e di facile comprensione. La nuova via di Mozart
nel Requiem si basa però sull'antico, ossia su un uso della polifonia e del
contrappunto ispirato ai modelli barocchi. Lo studio delle partiture di Bach e di
Händel, la cui grandiosità nella scrittura corale e orchestrale penetra fin nella
Zauberflote e nella Clemenza di Tito, si palesa a maggior ragione nel Requiem.
Non a caso nei primi due numeri della partitura, Introitus e Kyrie, l'influenza di
Händel non è generica, ma riferita a due precisi modelli. L'attacco dell'Introitus
è infatti ricalcato sul Funeral Anthem for Queen Caroline HWV264; c'è però
nella partitura di Mozart, una atmosfera sonora peculiare, legata in gran parte
alle scelte di strumentazione, dove gli unici legni presenti sono corni di
bassetto (della famiglia dei clarinetti) e fagotti; di qui il timbro opaco e
spettrale, che intreccia polifonie opponendosi ai pizzicati degli archi. Si staglia
come contrasto, poco dopo, il purissimo a solo di soprano "Te decet Hymnus".
Ancora Händel, con il Dettingen Anthem HWV 265, è il modello di uno dei
momenti più impressionanti della partitura di Mozart, la doppia fuga del Kyrie,
dove il carattere arcaico della scrittura è significativamente sottolineato.

Ancor più che nei primi due numeri, si palesa nel terzo, Dies Irae, una delle
caratteristiche più distintive del Requiem: il fatto che il contrappunto non sia
riservato a determinate sezioni della partitura, ma innervi nella sostanza gran
parte di essa; non a caso il ruolo dei solisti di canto è nettamente subordinato
rispetto al coro, e, pur nell'incompiutezza, la parte corale è su!ciente a
restituire la potenza della concezione. C'è poi, da parte dell'autore, la capacità
di avvicendare i vari momenti della partitura secondo una logica di contrasti
che segue un preciso percorso interno di evoluzione. Così la sequenza si
divide in sei sezioni, fra loro plasticamente contrapposte in quanto a scelte di
organico e contenuto espressivo; il Dies irae, interamente corale, è di impatto
massiccio; sintetico, drammatico, ricco di e"etti figurati ("tremor"). Il Tuba
mirum vede alternarsi i quattro solisti (basso, tenore, contralto e soprano), che
si uniscono solo al termine; ma l'e"etto folgorante è quello iniziale del
trombone solista, che dialoga con il basso evocando il giorno del giudizio. Il
Rex tremendae majestatis reca nettissima l'impronta di Händel, nell'alternanza
- poi sovrapposizione - dei ritmi puntati degli archi e della massa corale. Il
Recordare, nuovamente a!dato ai solisti, costruito secondo lo schema
ABA'CA", è innervato da imitazioni di carattere arcaico, cui conferiscono
fascino peculiare le scelte timbriche - non a caso l'introduzione strumentale è
tutta di mano di Mozart. Il Confutatis contrappone coro maschile e femminile
nelle immagini dei dannati e dei redenti. Le otto battute superstiti del
Lacrimosa si interrompono al vertice del "crescendo": la conclusione funzionale
di Süssmayer non compromette l'incanto so"erto della pagina.

L'O"ertorium si articola, come di consueto, in due parti, entrambe concluse


dalla fuga "Quam olim Abrahae". Il Domine Jesu Christe ha una condotta corale
incalzante e agitata, di derivazione mottettistica; l'episodio "Sed signifer
sanctus Michael" passa ai solisti, e scivola direttamente nella fuga; nettamente
contrastante lo squarcio sereno dell'Hostias, dove la scrittura corale omofonica
è accompagnata dal fraseggio in sincopi degli archi.
Rispetto ai primi quattro numeri della partitura, la tensione si stempera
fatalmente nei tre composti da Süssmayer. L'incedere solenne e corale del
Sanctus è nel solco della tradizione, il fugato dell"'Osanna" scolastico e
sommario. Il Benedictus, a!dato ai solisti e perciò intimistico, è singolarmente
esteso e rifinito. L'Agnus Dei si basa sul contrasto fra la duplice invocazione e
la supplica "dona eis requiem".

Quanto alla Communio, Süssmayer si limitò, come si è detto, a riprendere la


musica di Introitus e Kyrie; una soluzione che può apparire semplicistica, ma
che lo stesso Mozart aveva adottato in altri lavori sacri, come la Messa
dell'Incoronazione K. 317, rispettando in tal modo, con il ritorno della stessa
musica iniziale, quella logica circolare, così propria dell'epoca, intesa a ribadire
i principi eterni della religione. Forse, più che a questioni teologiche, la scelta
di Süssmayer deve essere stata legata alla fretta e alla consapevolezza della
propria inadeguatezza. Tuttavia questo riapparire della musica dei numeri
iniziali ha il merito di far riassaporare all'ascoltatore consapevole di tutte le
complesse vicende del Requiem di Mozart, dell'ambizione e della novità del
suo progetto, dei problemi legati all'incompiutezza, proprio quelle pagine che
più strettamente manifestano il pensiero del compositore e ne prospettano la
forza concettuale ed espressiva. Quale conclusione migliore, per il capolavoro
incompiuto?

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Fu nel luglio del 1791, quando cioè le sue condizioni materiali cominciavano a
diventar disperate e la salute stava già declmnndo, che Mozart ricevette
l'incarico di comporre il Requiem in circostanze che gli apparirono misteriose.
Un curioso signore vestito di nero, gli recò un giorno una lettera senza, firma,
in cui l'anonimo scrivente dopo aver tessuto le lodi del musicista gli chiedeva
se, e per quale prezzo, egli sarebbe stato disposto a scrivere una Messa
funebre. Mozart consentì per 50 ducati, senza accettare però una scadenza
fissa per la consegna. Qualche giorno dopo il misterioso messaggero tornò con
la somma richiesta, promise una maggiore a lavoro finito, assicurò il
compositore che aveva piena libertà di seguire il proprio gusto, ponendo come,
unica condizione che egli non cercasse mai di scoprire il nome del
committente. Lo strano modo in cui gii fu commissionato il Requiem
impressionò profondamente il musicista già ammalato e acuì tutti i
presentimenti di morte, che da tempo ormai soleva esprimere, fino al punto da
assumere l'aspetto d'una ossessionante idea fissa: per Mozart lo sconosciuto
non poteva essere che un inviato dall'al di là che gli ordinava di scrivere la sua
stessa Messa da Requiem. Il fatto che proprio nel momento in cui Mozart saliva
in carrozza per recarsi a Praga (dove lo chiamava, l'incarico di comporre La
clemenza di Tito) l'inquietante messaggero riapparve inaspettatamente per
sollecitare la composizione, del Requiem, non fece che ra"orzarlo nella sua
credenza.

Solo dopo la morte di Mozart si doveva chiarire il mistero della strana


commissione: il committente era il conte Franz Walsegg zu Stuppach, un
dilettante che possedeva una Cappella privata nella quale soleva eseguire
musiche che spacciava per sue, ma che in realtà erano composte da altri. Il
Requiem era destinato a servire per le annuali funzioni in su"ragio della sua
defunta moglie. Egli stesso l'avrebbe poi copiato di proprio pugno, scrivendoci
«composto dal Conte Walsegg». Nel dicembre del 1793 Walsegg diresse il
Requiem nella chiesa cistercense dì Wiener Neustadt. Ma di tutto questo
retroscena il povero Mozart era ignaro. Appena tornato da Praga si accinse
febbrilmente alla composizione, interrompendola poi solo per finire Il Flauto
magico. Ma le sue condizioni fisiche non gli dovevano permettere di condurlo a
termine. Lo stato d'animo in cui egli lavorava al Requiem era tale che la moglie
cercò di sottrargliene ia partitura ed anche i suoi amici tentarono di
consigliargli il riposo per liberarsi dall'ìncubo che lo attanagliava.

Per rendersi conto della disposizione d'animo in cui lavorava, basta del resto,
leggere questo passo di una lettera indirizzata presumibilmente a Lorenzo da
Ponte: «A".mo.-Signore. Vorrei seguire il vostro consiglio, ma come riuscirvi?
Ho il capo frastornato, conto a forza, e non posso levarmi dagli occhi
l'immagine di questo sconosciuto! Lo vedo di continuo, esso mi prega, mi
sollecita ed impaziente mi chiede il lavoro. Continuo perché il comporre mi
stanca meno del riposo. Altronde non ho più da temere. Lo sento a quel che
provo che l'ora suona; sono in procinto di spirare; ho finito prima di aver
goduto del mio talento. La vita era pur sì bella, la carriera s'apriva sotto auspici
tanto fortunati, ma non si può cangiare il proprio destino. Nessuno misura i
propri giorni, bisogna rassegnarsi, ma sarà quel che piacerà alla provvidenza..
Termino ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto».

Purtroppo, come dicevamo, questo canto era destinato a restare imperfetto.


Fino all'ultimo Mozart lottò per strappare qualche giorno di vita che gli
permettesse di portare, al termine il Requiem. Fino all'ultimo si faceva passare
al pianoforte e cantare da allievi e amici le parti compiute. Non gli fu possibile
che stendere la partitura, completa del Requiem iniziale e del Kyrie. Delle sette
parti dal Dies Irae fino al Hostias sono scritte in partitura solo le parti vocali e il
basso, mentre le parti strumentali sono, indicate sommariamente. Delle ultime
tre parti non esiste nemmeno l'abbozzo autografo, né si sa se Mozart arrivò a
tracciarle. Temendo che il committente non accettasse il manoscritto
incompleto e pretendesse la restituzione degli anticipi ricevuti, la vedova di
Mozart chiese ad altri musicisti (tra i quali J. Eybler) di finire il lavoro. Fu
l'allievo di Mozart, Francesco Saverio Süssmayer, ad accettare l'incarico. La
partitura ultimata fu consegnata al committente e la vedova di Mozart
sostenne per molti anni che era stato Mozart a condurre a termine tutta
l'opera.

Nel 1800 il Süssmayer scrisse una lettera all'editore Breitkopf coll'intento di


«chiarire» la faccenda e asserendo di avere non solo completato la partitura
delle sette sezioni dal Dies Irae al Hostias, ma di aver composto per intero la
chiusa del Lacrymosa, il Sanctus, il Benedictus e l'Agnus Dei e d'aver ripreso il
fugato del Kyrie sulle parole Cum Sanctis.

La maggioranza degli esegeti dell'ottocento non gli prestò fede, ed interpretò il


suo atteggiamento come un disonesto tentativo di accrescere il proprio
prestigio di compositore. In tempi più vicini a noi, invece, critici autorevoli
quali l'Einstein si dimostrarono inclini a interpretare le asserzioni del
Süssmayer come un atto, di «onestà» e di credergli sulla parola. In realtà ci
sembra che non sarà mai possibile tracciare un netto confine tra le parti che
sono sicuramente della mano di Mozart e quelle integrate dal Süssmayer: qui
c'è realmente un velo di mistero che non potrà mai essere del tutto sollevato.

Comunque è da tener presente che il Süssmayer era stato uno dei più fedeli
allievi di Mozart e gli fu accanto, giorno per giorno, fino al momento della
morte. Pare che quando Mozart sentì che non sarebbe riuscito ormai a portare
a termine il Requiem, abbia dato a Süssmayer istruzioni orali su come
completare il lavoro, lasciandogli anche numerosi appunti, volanti. Süssmayer
conosceva perfettamente le intenzioni del Maestro e godeva la piena fiducia di
quest'ultimo tan'è vero che già in precedenza Mozart s'era fatto aiutare da lui
nella composizione della Clemenza di Tito: molte arie di quest'opera furono
orchestrate dal Süssmayer, il quale compose anche i recitativi secchi. La sua
elaborazione del Requiem presta certo il fianco a taluni dubbi e riserve, ma in
nessun caso essi arrivano a intaccare la solidità, del complessivo impianto
mozartiano e a compromettere la validità di quello che resta uno dei più grandi
capolavori della musica. Al Süssmayer va riconosciuto in ogni caso il merito di
aver reso possibile l'inserimento del Requiem nella vita musicale.

Questo inserimento avvenne presto nella Germania dei Nord e si verificò nel
resto del continente dopo una memorabile esecuzione che il Cherubini
promosse a Parigi nel 1804. Da allora il Requiem si confermò come uno dei
capolavori di maggior presa emotiva sugli ascoltatori. In cospetto del supremo
momento della morte il diretto rapporto espressivo tra la dolorosa esperienza
umana e la realtà sonora che nelle opere precedenti di Mozart era sovente
messo come tra parentesi, acquista una tragica, immediata evidenza. Non era
la prima volta che la meditazione sulla morte cui Mozart si abbandonava
spesso fin dall'adolescenza, trovava un riflesso nella sua musica. Già nella
Maurerìsche Trauermusik, scritta nel 1785 in occasione della morte di due
fratelli massoni, un tale riflesso si concreta nel modo più diretto. Ma in quel
lavoro lo sgomento della morte è attutito, se non dalla fede assoluta, da un
senso di sublime, solenne, rassegnazione. Nel Requiem, invece, fin
dell'«Exaudi » dell'Introito, la preghiera tende spesso a tramutarsi in ribellione
assumendo così accenti di profonda drammaticità. Una drammaticità che
risulta tanto più impressionante se la si proietta contro la sovrumana serenità
che il genio trasfiguratore di Mozart era riuscito a realizzare in quasi tutte le
sue musiche.

Non è che nel momento di comporre il Requiem, fosse venuta meno in Mozart
l'istanza trasfiguratrice, la necessità di superare nella sua arte le contingenze
della vita, di trovarvi oblìo e rifugio. Al contrario: questa necessità di evasione
era tanto fote nel composito moribondo, che nello stesso anno in cui scriveva
il proprio, lacerante canto funebre, egli dava voce ai moti d'animo,
candidamente fanciulleschi, che si estrinsecano per esempio nel «Valzerino
delle slitte» o in quello «del canarino». Nel Requiem stesso non mancano
momenti di rassegnata accettazione e di trasfigurata calma: Ma essi non
bastano a modificare il tragico significato di questo ultimo, dolente canto di
Mozart.

Roman Vlad

Litanie, Vespri ed altre composizioni sacre

Grabmusik K 42

https://youtu.be/bFND5bGUYxM

Litaniae Lauretanae K 109

https://youtu.be/9mNhtndKo44

La Betulia liberata K 118

https://youtu.be/sBHvp8wN8R0

Epoca di composizione 1771

La Betulia Liberata (K 118) è un oratorio in due parti per solisti, coro e


orchestra, composto nel 1771 (perciò a 15 anni) da Wolfgang Amadeus Mozart
su testo di Pietro Metastasio e ispirato al biblico Libro di Giuditta. È l'unica
composizione di questo genere realizzata dal grande maestro austriaco, in
occasione di un suo soggiorno a Padova. Stilisticamente prende a modello
Josef Mysliveček, Leonardo Leo e Johann Adolph Hasse. È composta di sedici
arie con parti per solisti o coro, recitativi accompagnati con l'orchestra e
recitativi secchi con il clavicembalo.

Non fu rappresentata durante la vita di Mozart.

Personaggi

Ozia, governatore di Betulia (tenore)


Giuditta, vedova di Manasse (contralto)
Amital, nobildonna di Israele (soprano)
Achior, principe degli ammoniti (basso)
Cabri e Carmi, capi popolo (soprani)
Betuliani (coro)

L'opera

Parte prima

Ouverture
Recitativo: Popoli di Betulia (Ozia)
Aria #1: D'ogni colpa la colpa maggiore (Ozia)
Recitativo: E in che sperar? (Cabri, Amital)
Aria #2: Ma qual virtù non cede (Cabri)
Recitativo: Già le memorie antiche (Ozia, Cabri, Amital)
Aria #3: Non hai cor (Amital)
Recitativo: E qual pace sperate (Ozia, Amital, Coro)
Aria con il Coro #4: Pietà, se irato sei (Ozia, Coro)
Recitativo: Chi è costei che qual sorgente aurora (Cabri, Amital, Ozia,
Giuditta)
Aria #5: Del pari infeconda (Giuditta)
Recitativo: Oh saggia, oh santa (Ozia, Cabri, Giuditta)
Aria con il Coro #6: Pietà, se irato sei (Ozia, Coro)
Recitativo: Signor, Carmi a te viene (Cabri, Amital, Carmi, Ozia, Achior)
Aria #7: Terribile d'aspetto (Achior)
Recitativo: Ti consola, Achior (Ozia, Cabri, Achior, Giuditta)
Aria #8: Parto inerme, e non pavento (Giuditta)
Coro #9: Oh prodigio! Oh stupor! (Coro)

Parte seconda

Recitativo: Troppo mal corrisponde (Achior, Ozia)


Aria #10: Se Dio veder tu vuoi (Ozia)
Recitativo: Confuso io son (Achior, Ozia, Amital)
Aria #11: Quel nocchier che in gran procella (Amital)
Recitativo: Lungamente non dura (Ozia, Amital, Coro, Cabri, Giuditta,
Achior)
Aria #12: Prigionier che fa ritorno (Giuditta)
Recitativo: Giuditta, Ozia, popoli, amici (Achior)
Aria #13: Te solo adoro (Achior)
Recitativo: Di tua vittoria (Ozia, Amital)
Aria #14: Con troppa rea viltà (Amital)
Recitativo: Quanta cura hai di noi (Cabri, Carmi, Ozia, Amital)
Aria #15: Quei moti che senti (Carmi)
Recitativo: Seguansi, o Carmi (Ozia, Amital, Cabri, Achior, Giuditta)
Aria con il Coro #16: Lodi al gran Dio (Giuditta, Coro)

Litaniae de venerabili altaris Sacramento K 125

https://youtu.be/Oncl2RU__5Y

Dixit Dominus et Magnificat K 193

https://youtu.be/tyB1zU0U9r0

Litaniae Lauretanae K 195

https://youtu.be/lDeMcBAyquo

Exultate Jubilate K 165 (158a) in Fa maggiore

https://youtu.be/Idk5semjcco

Exsultate, jubilate (K 165 - K6 158a), in latino Esultate, giubilate, è un


mottetto composto da Wolfgang Amadeus Mozart a Milano nel 1773.

Storia

Il mottetto venne composto da Mozart per il castrato Venanzio Rauzzini, che


interpretava il ruolo di Cecilio nella messa in scena dell'opera Lucio Silla al
Teatro Regio Ducale di Milano.

Grazie ad un post scriptum che Mozart scrisse alla sorella in calce ad una
lettera del padre del 16 gennaio 1773, si sa che questo mottetto venne
eseguito per la prima volta il 17 gennaio 1773 nel convento dei Teatini a
Milano, che aveva sede presso la chiesa di Sant'Antonio Abate con Venanzio
Rauzzini.

Descrizione
Sebbene non sia una composizione di grandi proporzioni, essa è ritenuta fra i
massimi esempi di musica vocale del giovane Mozart, appena diciassettenne.

Dal punto di vista strutturale, la composizione risulta suddivisa in quattro


episodi:

un Allegro (4/4 in Fa maggiore) di 129 battute (Exsultate, jubilate);


un Recitativo secco di 12 battute (Fulget amica dies);
un Andante (3/4 in La maggiore) di 115 battute (Tu virginum corona): alcuni
critici lo descrivono come «uno tra i più a"ascinanti cantabili della produzione
mozartiana di quegli anni»;
un Allegro (2/4 in Fa maggiore) di 159 battute (Alleluja): talvolta eseguito
come brano a sé, esso rappresenta la parte più celebre della composizione,
ricco di agilità e culminante in un do acuto (opzionale).

La parte solista, oggi normalmente a!data ad un soprano, è talvolta


interpretata anche da mezzosoprani, come ad esempio Cecilia Bartoli, che ha
eseguito il brano l'11 agosto 2006 nel concerto di apertura del Festival di
Lucerna, sotto la direzione di Claudio Abbado.

Il mottetto è anche eseguito nella riduzione per voce e pianoforte o organo.

Testo

«Exsultate, jubilate,
o vos animae beatae,
dulcia cantica canendo;
cantui vestro respondendo,
psallant aethera cum me.

Fulget amica dies,


iam fugere et nubila et procellae;
exorta est justis inexpectata quies.
Undique obscura regnabat nox;
surgite tandem laeti,
qui timuistis adhuc,
et jucundi aurorae fortunatae
frondes dextera plena et lilia date.

Tu virginum corona,
tu nobis pacem dona,
tu consolare a"ectus,
unde suspirat cor.
Alleluja!»

«Esultate, giubilate,
o voi anime beate,
cantando dolci canti;
rispondendo al vostro canto
i cieli risuonino con me.

Splende benigno il giorno,


son già fuggite sia le nuvole che le tempeste;
un'inattesa calma è sorta per i giusti.
Ovunque regnava oscura la notte;
svegliatevi invece felici,
voi che fino ad ora avete temuto,
e gioiosi alla felice aurora
date a piene mani corone di fiori e gigli.

Tu, corona delle vergini,


dona a noi la pace,
consola le a#izioni,
per cui il cuore sospira.

Alleluia!»

Sub tuum praesidium, K 198


O"ertorio in fa maggiore per soprano, tenore ed archi

https://youtu.be/5-3oXwEN570

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart (1756 - 1791)

Andante (fa maggiore)

Organico: soprano, tenore, archi


Composizione: 1773

Attribuzione incerta

Guida all'ascolto (nota 1)

Molto simile, nello stile, alle composizioni sacre di Michael Haydn, ma


certamente più ricercato dal punto di vista armonico, è l'O"ertorio Sub tuum
praesidium attribuito a Wolfgang Amadeus Mozart e situato cronologicamente
tra il 1773 e il 1774. Il compositore, allora diciottenne, risiedeva a Salisburgo e
si dedicava per lo più alla musica sacra; di quel periodo ci rimangono pagine
"minori" come la Missa brevis K. 192 o Litaniae Lauretanae K. 195 che si
segnalano però per la forte unità tematica e l'uso disinvolto dei principi del
contrappunto. Non si hanno notizie certe che l'O"ertorio sia stato composto
e"ettivamente da Mozart, anche se il trattamento delle voci ed alcune
modulazioni inusuali hanno fatto pensare al suo stile. I due solisti, dopo
l'usuale esposizione del tema, danno vita ad un frequente scambio di domanda
e risposta che avvicina il brano più ad un duetto d'opera che non ad una
pagina sacra.

Fabrizio Scipioni

Litaniae de venerabili altaris Sacramento K 243

https://youtu.be/KAOpg_CCgpM

Vesperae de Dominica K 321

https://youtu.be/jPOHTkX8qzU

Vesperae solemnes de confessore K 339

Vespri in do maggiore per soli, coro ed orchestra

https://youtu.be/r0fjpIwk55M

Dixit Dominus - soli e coro - Allegro vivace (do maggiore)


Confitebor tibi Domine - soli e coro - Allegro (mi bemolle maggiore)
Beatus vir - soli e coro - Allegro vivace (sol maggiore)
Laudate pueri Dominum - coro - (re minore)
Laudate Dominum - soli e coro - Andante ma un poco sostenuto (fa
maggiore)
Magnificat - soli e coro - Adagio (do maggiore). Allegro

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, fagotto, 2 trombe, 3


tromboni, timpani, organo, archi
Composizione: Salisburgo 1780

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

I Vesperae K. 339, scritti nel 1780 in occasione della solennità liturgica di non
si sa bene quale Santo confessore (ossia, in altri termini, di un martire della
Fede) sono l'ultimo lavoro chiesastico composto da Mozart al servizio
dell'Arcivescovo di Salisburgo. Ciò non significa solamente che, con tale opera,
viene praticamente a cessare ogni rapporto, diremo così, u!ciale di Mozart
con la Chiesa cattolica e la sua liturgia: le rare, ma grandissime musiche sacre
che seguiranno durante il decennio viennese - la Grande Messa in do minore,
l'Ave Verum, il Requiem - nasceranno infatti come adempimento di un voto,
come omaggio amichevole o per discreto incarico di un committente privato;
non mai dietro richiesta dell'u!cialità chiesastica facente capo alla Cappella di
Corte o a Santo Stefano. La fine della servitù salisburghese significò per Mozart
l'inizio di un nuovo modo di concepire la musica religiosa, strettamente
connesso con l'emancipazione dell'uomo, da musico salariato a libero artista.
Pur prendendo forma nell'ambito di una tradizione storica assai chiaramente
determinabile, quella della musica da chiesa concertata di tipo post-barocco,
di"usa nell'Europa cattolica centro-meridionale, la nuova musica sacra
mozartiana reca un'impronta tanto indipendente e personale, un'aspirazione
tanto soggettiva da sradicarla definitivamente dai tranquilli filari della
produzione chiesastica di consumo, tipica dei Michael Haydn, degli Eberlin, dei
Salieri e dello stesso Mozart degli anni salisburghesi.

I Vesperae solemnes de confessore, estremo frutto di codesto lieto


ecumenismo mozartiano, pago della formula catechistica e della festosa
gestualità di una prassi musicale nata all'insegna del più pacifico dei
compromessi - quello tra lo stile «dotto» del contrappunto scolasticamente
inteso, e lo stile «moderno» della galanteria rococò - per le future libertà
invididualistiche non rivelano che un anelito ben mimetizzato tra le maglie di
un linguaggio ancora preoccupato di apparire il più possibile chiesastico e
«religioso». La scrittura contrappuntistica delle parti vocali - soli o coro -
oscilla così tra episodi improntati a una facile polifonia a imitazioni od
omoritmica (Dixit, Confitebor, Beatus Vir) dove gl'interventi dei solisti non si
discostano di molto dalla tradizione, sobria economia propria del mottetto
concertato; e pagine di un sin troppo austero rigore scolastico, come il
«Laudate pueri», una vasta fuga tonale a quattro, con vanitose ostentazioni di
dottrina (gli appariscenti contrappunti a specchio dello 'stretto') tanto lontane
dalla sublime nonchalance dissimulatrice del Mozart maturo. Cuore dell'intera
composizione e rifugio di un'intimità soggettiva già superbamente libera dagli
orpelli della rettorica ritualistica è il celebrato «Laudate Dominum», un'aria per
soprano che sfuma delicatamente il proprio arco lirico entro un suggestivo
alone corale, su un molle accompagnamento di sestine. Giustamente di tale
passo è stato scritto che «non si preoccupa a"atto di essere 'religioso' ed è di
tale incanto sonoro e di tale espressione poetica che di!cilmente, e forse
soltanto nella Serenata di Schubert op. 135 per contralto e coro femminile si
potrà trovare l'eguale» (Einstein). La grandeur liturgica riappare quindi, in tutto
il suo splendore nel luminoso «Magnificat» conclusivo, caratterizzato fin
dall'inizio dagli imperiosi intervalli di ottava, quinta e quarta delle voci.
Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il decennio 1770 è anche quello che vede nascere la quasi totalità della
produzione sacra di Mozart, rivolta al servizio liturgico della corte
salisburghese. Fra il 1769 e il 1780 videro la luce a Salisburgo ben tredici
Messe oltre a quattro Litanie, due Vespri e altri lavori minori. Un gruppo di
opere che, pur nella diversità delle singole partiture, appare nel complesso
estremamente omogeneo, segnato cioè da caratteristiche costanti, e non senza
motivo. La musica sacra era infatti, fra tutti i generi musicali, quello più
rigidamente condizionato da una serie di regole e convenzioni non scritte, ma
imposte dai valori "eterni" della religione, e dunque sostanzialmente
"conservatrici". Ecco quindi che la libera fantasia dell'autore era tenuta a
confrontarsi, nel genere sacro più che in altri generi, da fattori eterogenei e
talvolta anche conflittuali fra loro; il gusto corrente dell'epoca, la tradizione
locale, le precise indicazioni dell'arcivescovo in carica.

Nel secolo XVIII Salisburgo era, con Vienna, il principale centro della musica
sacra austriaca, come del resto si conveniva alla sede di una corte
arcivescovile. Naturalmente anche la cittadina sulla Salzach si era adeguata in
campo "sacro" a quel particolarissimo stile che, nato a Napoli, si era ben presto
di"uso in tutta Europa, arrivando a dettar legge anche in tradizioni
lontanissime: il cosiddetto "stilus mixtus", che ammetteva la compresenza,
all'interno della stessa composizione sacra, di pagine apertamente profane ed
edonistiche e di pagine improntate al severo stile contrappuntistico di matrice
palestriniana. Da una parte l'opera sacra veniva divisa, come un libretto
d'opera, in arie, concertati e brani corali, in cui era ben presente il gusto del
contemporaneo teatro musicale; era questo il modo per far sentire ben viva e
attuale la religione. Dall'altra parte in particolari punti del testo liturgico era
obbligatorio l'impiego del rigoroso intreccio contrappuntistico fra le parti
vocali, ispirato ai modelli della polifonia controriformistica, di cui Giovanni
Pierluigi da Paestrina fu il massimo esponente; come dire che il sacro si
richiamava anche a valori eterni e immutabili.

Rispetto alla "messa cantata" napoletana, a Salisburgo però, la scuola sacra


salisburghese si di"erenziava per il permanere di una forte tradizione corale e
contrappuntistica e per il ruolo non secondario dell'elemento sinfonico. Si
aggiunga la precisa impronta personale dell'arcivescovo Hieronymus von
Colloredo. Eletto nel 1772, Colloredo contrastò, con le sue idee illuministiche e
la sua predilezione per i modelli italiani, la prolissità barocca dello stile
salisburghese, pronunciandosi a favore di una estrema stringatezza formale
del brano religioso, suddiviso - senza ulteriori frazionamenti interni - solo
nelle grandi sezioni dell'"ordinarium missae" (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus,
Agnus Dei), evitando ulteriori frazionamenti interni. Come scrisse Mozart (o
meglio il padre Leopold, come è stato riconosciuto recentemente) al suo
maestro bolognese Padre Martini, il 4 settembre 1776 "la nostra Musica di
chiesa è assai di"erente di quella d'italia, e sempre più, che una Messa con
tutto - il Kyrie, Gloria, Credo, la Sonata all'Epistola, l'o"ertorio ò sia Mottetto,
Sanctus ed agnus Dei ed anche la più Solenne, quando dice la Messa il Principe
stesso non ha da durare che al più longo 3 quarti d'ora, ci vuole uno Studio
particolare per questa Sorte di Compositione, e che deve però essere una
Messa con tutti Strumenti - Trombe di guerra, Tym-pani etc".

A tali caratteristiche rispondono tutte le composizioni sacre successive


all'elezione di Colloredo, e dunque anche le Vesperae Solemnes de Confessore,
che, scritte nel 1780, chiudono tutto il lungo ciclo salisburghese.

Mozart era tornato nel gennaio 1779 a Salisburgo dal lungo e avvilente viaggio
a Mannheim e Parigi; l'obiettivo di trovare una prestigiosa collocazione al di
fuori della città natale era andato deluso. Subito era stato riassunto da
Colloredo con l'incarico di organista di corte, che gli imponeva di suonare nella
cattedrale, a corte e nella cappella, di comporre quanto gli veniva richiesto e di
istruire i fanciulli cantori.

Nel contesto di tali incarichi nascono dunque due importanti Messe - la Messa
cosiddetta "dell'incoronazione" K. 317 e la Missa solemnis K. 337 - e, come
contraltare, due complete intonazioni dei Vespri, le Vesperae de Dominica K.
321 e le Vesperae Solemnes de Confessore K. 339. Tutti questi lavori si
ispirano ai medesimi precetti di stringatezza e cordialità espressiva imposti da
Colloredo, ma le Messe mostrano una intonazione meno seria e chiesastica,
più apertamente operistica e con un uso meno severo del contrappunto.

Non sono note le occasioni per cui furono scritti i due cicli dei Vespri (il
secondo nasce per celebrare un santo non vescovo, confessore della fede), che
avevano ovviamente destinazione liturgica e si basavano sugli stessi sei testi:
cinque Salmi della Vulgata, dal carattere laudativo e propiziatorio (più
precisamente Dixit Dominus, n. 109; Confitebor, n. 110; Beatus Vir, n. 11;
Laudate Pueri, n. 112; Laudate Dominum, n. 116); più il testo del Magnificat
(Luca, I: 46-56).

Un confronto sommario fra le due Vesperae è illuminante nel rilevare i tratti in


comune, e dunque quegli aspetti delle partiture che sono da ascriversi a quelle
regole e convenzioni non scritte cui ci si riferiva all'inizio di queste pagine.
Innanzitutto la tonalità di do maggiore, "u!ciale" per la musica sacra
salisburghese. Poi la strumentazione, selettiva e fastosa; trombe, tromboni,
timpani, organo e archi, escluse però le viole, in omaggio all'antica tradizione
salisburghese; in K. 339 si aggiunge un fagotto ad libitum (il ruolo dei tre
tromboni è sempre quello di raddoppiare le voci corali). Poi il fatto che
ciascuno dei sei brani che compongono il ciclo dei Vespri sia sostanzialmente
indipendente dagli altri; ne dà conferma il fatto che, nonostante tutti i brani
terminino con la stessa frase testuale ("Gloria Patri et Filio, et Spiritui Sancto,
sicut erat in principio et nunc et semper, et in saecula saeculorum. Amen") le
conclusioni musicali di ciascuno di essi non presentano fra loro richiami
tematici, ma si basano su un materiale autonomo e si riallacciano al clima
espressivo del singolo brano. Inoltre le tipologie dei singoli salmi, per le quali
il Laudate Pueri doveva avere una impostazione contrappuntistica, e il Laudate
Dominum quella di un'aria profana; le altre pagine quella del mottetto
concertato.

Tutto ciò potrebbe o"rire l'impressione di una certa aridità creativa di questo
Mozart sacro, in cui ben arduo deve essere stato per il compositore il
districarsi in questo letto di Procuste imposto dalla tradizione. Nulla di più
fallace, perché è proprio nella libertà creativa nata dal rispetto delle regole
consacrate che possiamo cogliere l'altezza dell'ingegno dell'autore
ventiquattrenne. Come ha scritto Alfred Einstein "Chi non conosce queste
composizioni non può asserire di conoscere Mozart".

Non a caso ben di"erenti sono i due cicli; le Vesperae Solemnes de Confessore
si sviluppano in direzione di un maggiore decorativismo rispetto alle Vesperae
de Dominica (peculiare è anche il percorso tonale: Do maggiore, Mi bemolle
maggiore, Sol Maggiore, Re Minore, Fa Maggiore, Do Maggiore). In K. 339 i
primi tre Salmi, nella loro atmosfera festosa e solenne, sono improntati a una
polifonia di facile scrittura, nella quale si inseriscono agevolmente gli interventi
solistici; la forma è, per ciascuna pagina, quella di un libero rondò, in cui idee
principali si alternano con idee secondarie, secondo una libera combinazione,
nell'assenza di una vera e propria elaborazione tematica. Il Dixit ha attacco
perentorio e una conduzione quasi esclusivamente corale; i solisti entrano solo
al "Gloria Patri". Il Confitebor (dove tacciono trombe e timpani, come nei due
brani seguenti) vede invece aerei dialoghi e intrecci fra i solisti. Il Beatus vir
accoglie anche un lungo vocalizzo in terzine del soprano, e un uso misurato
dell'elemento contrappuntistico.

Fortissimo il trapasso imposto dal Laudate Pueri; abbiamo qui in tutto e per
tutto un brano in stile severo, dove le voci corali si inseguono in un serrato
contrappunto, salvo un piccolo passaggio omofonico. La tonalità minore,
l'assenza dei solisti e la scelta di un antico soggetto di fuga (con il salto di
settima diminuita, che Mozart reimpiegherà nel Kyrie del Requiem)
attribuiscono alla pagina il suo fascino arcaicizzante. Nuovo trapasso è quello
del Laudate Dominum; ci troviamo di fronte qui a una vera e propria aria per
soprano, nel ritmo cullante di 6/8 e con una strumentazione peculiare (archi,
organo e fagotto ad libitum). La melodia del soprano, calata in una incantevole
ambientazione espressiva, viene ripresa poi dal coro, e la voce solista ritorna
infine nella coda. Il Magnificat si riallaccia all'impostazione dei tre salmi iniziali;
a una breve introduzione in Adagio del coro succede un Allegro in cui il
gruppo dei solisti si contrappone al coro, e il soprano ha spesso la funzione di
corifea. Assistiamo, in qualche modo, a un esito tipico della religiosità
cattolica, per cui il gusto fastoso e decorativo celebra, secondo "a"etti"
paradigmatici, il trionfo dell'apparato liturgico.

Arrigo Quattrocchi

Kyrie in re minore per coro ed orchestra, K1 341 (K6 368a)

https://youtu.be/CvVjJDc4x2c

Andante maestoso (re maggiore)

Organico: coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe,


timpani, organo, archi
Composizione: Monaco, Novembre 1780 - Marzo 1781
Edizione: Andrè, O"enbach 1825

Guida all'ascolto (nota 1)

Non sappiamo in quale occasione Mozart compose il Kyrie in re minore K. 341,


ma la sua ampia struttura e la ricca strumentazione fa pensare che il
compositore avesse in mente una grande Messa rimasta incompiuta. In
mancanza di notizie certe e considerando proprio le caratteristiche strumentali
e l'architettura formale, possiamo ipotizzare che questo Kyrie sia stato
composto tra la fine del 1780 e l'inizio del 1781 durante il soggiorno a
Monaco. Mozart si trovava nella città tedesca per l'allestimento dell'opera
Idomeneo ed è per questo che il brano prende il nome di "Kyrie di Monaco". In
una lettera del 13 novembre 1780 da Monaco, Mozart chiede al padre "Sia
tanto gentile da inviarmi le partiture delle due Messe che portai via con me e
anche della Messa in si bemolle. Fra breve il conte Seeau ne parlerà all'elettore.
Vorrei farmi conoscere anche in questo genere[...]". Il compositore voleva
dunque mostrare al pubblico monacense anche la sua abilità nel campo della
musica sacra e il Kyrie K. 341 riesce pienamente nel suo intento. La scrittura
sinfonica rinuncia a qualsiasi "rigore" chiesastico, la polifonia degli "antichi"
lascia spazio ad una solenne scrittura accordale e la tonalità di re minore pone
un sigillo metafisico che avvicina la composizione al Requiem. Coro e orchestra
(archi, flauti, oboi, clarinetti, corni, fagotti, trombe, timpani e organo) sono
due entità ben distinte, l'uno con un andamento omofonico che lo rende
rigoroso e robusto, l'altra con una scrittura ricca e piena di sfumature
cromatiche. Il tema, a!dato ai violini, ha un carattere assai malinconico,
dovuto anche alle appoggiature cromatiche ascendenti che, dalle prime
battute, dilagano in ogni angolo della partitura insinuandosi anche nella
compatta scrittura corale. Pur essendo rimasta una pagina isolata, il Kyrie K.
341 ha sempre a"ascinato il pubblico e gli studiosi.

Val la pena riportare il commento come sempre attento e puntuale di uno dei
massimi studiosi mozartiani, Paumgartner, che a"ermava: "Il tono grave e
solenne, le sonorità da una 'unica' emozione artistica, danno a quest'opera un
posto eminente nella produzione liturgica del Maestro, collocandola non
lontano dal Requiem".

Davidde penitente K 469

Ave verum Corpus K 618

https://youtu.be/6KUDs8KJc_c

https://youtu.be/9ROefJj7i5I

L'opera Ave Verum Corpus K 618 di Wolfgang Amadeus Mozart, scritta in Re


maggiore, è basata sul testo eucaristico omonimo del XIV secolo. Quella di
Mozart è di gran lunga la composizione più celebre basata su questo testo. Si
tratta di un mottetto per coro misto, orchestra e organo, composto dall'autore
salisburghese a Baden, nei pressi di Vienna, fra il 17 e il 18 giugno del 1791,
pochi mesi prima della prematura morte.

L'opera è dedicata all'amico Anton Stoll, Kapellmeister della chiesa parrocchiale


di Baden. Nata per l'occasione della solennità del Corpus Domini, viene
considerata uno dei momenti più alti del genio mozartiano.

Pëtr Il'ič Čajkovskij rielaborò questo celebre mottetto nella preghiera che
costituisce il terzo movimento della Suite n. 4, op. 61, nota - non a caso -
come Mozartiana.

Guida all'ascolto (nota 1)

L'Ave Verum Corpus K. 618 è un breve mottetto per coro e strumenti (archi e
organo) scritto da Mozart nell'estate del 1791 - per l'esattezza l'autografo reca
la data del 17 giugno - a Baden, dove aveva raggiunto la moglie Constanze
impegnata nelle cure termali. All'origine della composizione si pone un debito
contratto con l'amico Anton Stoll, che dirigeva il coro locale; per sdebitarsi
Mozart dedicò l'Ave Verum a Stoll, perché fosse eseguito nella chiesa
parrocchiale di Baden nel corso delle cerimonie celebrative dalla festa del
Corpus Domini. Certamente l'importanza del brano si spinge molto oltre quello
che le esigue dimensioni lascerebbero supporre; infatti l'Ave Verum è una delle
pochissime composizioni di musica sacra che Mozart abbia scritto negli ultimi
anni di vita, insieme alla Messa in do minore K. 427/417a e al Requiem K. 626
(partiture, queste rimaste entrambe incompiute).

Lo stile sacro dell'ultimo Mozart è ispirato alle riforme imposte dall'imperatore


Giuseppe II, per le quali la musica sacra doveva essere sobria e di facile
comprensione. Così il mottetto K. 618 si riallaccia alla grande tradizione
italiana del mottetto polifonico, ma con una disadorna semplicità espressiva.
Troviamo nelle appena 46 battute di questo piccolo e preziosissimo gioiello,
una scrittura corale omofonica e attentissima al significato della parola, una
ricerca di timbri tersi e delicatamente sommessi. Non mancano i tratti più
complessi dell'arte del maestro, come la modulazione al tono lontano di fa
maggiore, o le entrate a canone nel finale; ma questi tratti "dotti" sono quasi
dissimulati e non contraddicono l'assunto di immediatezza e semplicità che ha
sempre incantato studiosi e ascoltatori dalla prima pubblicazione dell'Ave
Verum nel 1808, fino ai giorni nostri.

Arrigo Quattrocchi

Testo

Ave verum Corpus


natum de Maria Virgine,
vere passum, immolatum
in cruce pro homine.

Cujus latus perforatum


unda fluxit et sanguine,
esto nobis praegustatum
in mortis examine.

Ave, o vero corpo,


nato da Maria Vergine,
che veramente patì e fu immolato
sulla croce per l'uomo,

dal cui fianco squarciato


sgorgarono acqua e sangue:
fa' che noi possiamo gustarti
nella prova suprema della morte.
Composizioni strumentali

Sinfonie

https://youtu.be/7Tx5HsmNEpQ

https://youtu.be/-cmdtGUtVhs

https://youtu.be/sjTLIW-qx_A

https://youtu.be/x8F1ThI9KSg

Sinfonia n. 1 in Mi bemolle maggiore K 16

https://youtu.be/rFY6Y9BChgY

La Sinfonia n. 1 in mi bemolle maggiore K 16 è la prima sinfonia di Wolfgang


Amadeus Mozart, composta nel 1764 quando il musicista aveva appena otto
anni.

Storia

La sinfonia venne scritta a Londra durante il Grand Tour della famiglia Mozart.
Durante l'estate del 1764, la famiglia dovette trasferirsi a Chelsea a causa di
un'infezione alla gola che aveva colpito il padre Leopold Mozart. Sull'edificio al
numero 180 di Ebury Street (attualmente inglobato nel borough di
Westminster), dove la sinfonia fu scritta, è stata posta una targa
commemorativa.

L'opera fu eseguita per la prima volta il 21 febbraio 1765.


Struttura

L'organico prevede due oboi, due corni e archi.

La sinfonia è divisa in tre movimenti:

Molto allegro, 4/4


Andante, in Do minore, 2/4
Presto, 3/8

La sinfonia mostra chiaramente gli influssi di due autori molto noti a Londra in
quel tempo: Johann Christian Bach e Karl Friedrich Abel. Soprattutto Bach può
essere considerato il secondo maestro di Mozart e certamente un musicista
capace di apportare alla formazione del giovane quei contenuti che Leopold
Mozart, il padre del bambino, non possedeva.

Il primo movimento, un allegro molto, parte con tre battute frizzanti che sono
basate sulla tonalità di impianto della sinfonia. Dopo una pausa segue una
risposta che si concluderà nella stessa tonalità. Uno sviluppo quindi già molto
personale.

L'andante, a di"erenza delle sinfonie di Johann Christian Bach che utilizzano


due distinti temi, è costituito da un solo tema, in cui più volte verrà utilizzata
la sequenza I-II-IV-III (che comparirà anche nel finale della Jupiter). Mozart
tuttavia lo esporrà prima in tonalità maggiore e quindi in minore, creando con
questo meccanismo la funzione di secondo tema.

Guida all'ascolto (nota 1)

Mozart compose la sua prima Sinfonia K. 16 tra la fine del 1764 e l'inizio del
1765 a Londra, dove il piccolo Wolfgang - ha solo nove anni - stringe amicizia
con il figlio di Bach, Johann Christian, stimato come direttore d'opera e
sinfonista. Soprannominato "il milanese" per il lungo soggiorno nella città
lombarda, Johann Christian prese a modello il tipo di sinfonia all'italiana e
specie quella di Sammartini, che era concepita come una forma strumentale in
tre brevi movimenti: un adagio racchiuso fra due movimenti, il primo dei quali
di respiro abbastanza ampio e l'ultimo modellato su una danza. Questo genere
di composizione era una filiazione diretta dell'introduzione strumentale
operistica, molto di"usa in Italia sin dal principio del Settecento, e continuò a
chiamarsi sinfonia anche durante l'Ottocento, mentre altrove assunse il nome
anche di ouverture. Non va dimenticato inoltre che la derivazione operistica
aveva conferito alla sinfonia alcuni caratteri tipici: scorrevolezza ritmica e
invenzione melodica di scintillante vivacità. Quest'ultimo era forse l'aspetto più
rilevante della sinfonia, in quanto per la prima volta veniva trasferita nel campo
strumentale la freschezza melodica dell'opera bu"a napoletana, ritenuta una
esperienza di portata storica nel campo della musica. C'è poi una seconda
osservazione da fare, relativa alla destinazione di queste prime sinfonie: esse
venivano eseguite in apertura e chiusura di concerti i cui pezzi forti erano
costituiti dalla esibizione di solisti, cantanti o strumentisti, conservando così la
fisionomia originaria di musica d'introduzione.

Il primo gruppo delle sinfonie di Mozart, così come le prime sinfonie di Haydn
- che iniziò a scriverne intorno al 1759, soltanto 5 o 6 anni prima di Mozart -
sono concepite secondo questo schema d'impostazione generalmente definito
italiano. Ma ben presto in terra tedesca tale modello italiano subisce delle
trasformazioni, dettate da una diversa struttura dell'organismo orchestrale. Sia
Haydn ad Esterhàzy che Mozart a Mannheim si trovarono di fronte a orchestre
di dimensioni più ampie di quelle italiane, fornite di una più evoluta tecnica
individuale e di una più severa disciplina di gruppo. Queste orchestre erano
quindi in grado di produrre un volume di suono più robusto, di creare contrasti
di sonorità più evidenti e un fraseggio più espressivo. Il discorso sinfonico
diventava in tal modo più complesso e non era a!dato soltanto ad una
successione di brillanti trovate melodiche, ma ad una tematica più elaborata e
giocata sulla diversità delle modulazioni. In tal modo la forma sinfonica
risultava ampliata, sia allungando sensibilmente i singoli movimenti, specie il
primo, e sia aggiungendo un quarto tempo, cioè un Minuetto o uno Scherzo,
fra l'Adagio e il Finale. Così la Sinfonia non è più semplice introduzione ad una
esibizione di solisti, ma diventa il corpus centrale di un programma.

L'autografo della Sinfonia in mi bemolle maggiore K. 16 reca sul frontespizio la


seguente scritta: "Sinfonia del signor Wolfgang Mozart a Londra", il che fa
immaginare che sia stata composta prima della fine del gennaio del 1765. Essa
ha una struttura molto semplice e sin dall'Allegro iniziale, formato da due
temi, tutto si svolge con estrema chiarezza nel rapporto tra invenzione e
modulazione delle melodie, secondo il gusto strumentale italiano. L'Andante in
do minore contiene un solo soggetto, variato dal maggiore al minore,
nell'ambito dello stile patetico, ispirato probabilmente ai modelli di Schobert.
Va sottolineato, inoltre, il piacevole e"etto provocato dalla precisa
diversificazione ritmica tra i primi violini e i violoncelli. Il Rondò finale ha un
piglio fresco e brillante e non si discosta sostanzialmente dal tipo di scrittura,
nel gioco fra piano e forte, usato da Christian Bach, un autore al quale Mozart
bambino guardò con particolare ammirazione e devozione.

Ennio Melchiorre

Sinfonia n. 2 in Si bemolle maggiore K 17

https://youtu.be/61v2N-LMC5w

La composizione nota come Sinfonia n. 2 in si bemolle maggiore, attribuita a


Wolfgang Amadeus Mozart, è stata probabilmente scritta dal padre, Leopold.

Nella prima edizione del catalogo Köchel le è stata assegnato il numero K 17


mentre, nella sesta edizione, la sinfonia è indicata come "Supplemento C
11.02" ed è anche catalogata come Eisen BFlat.svg 6 nel catalogo di Cli" Eisen
delle sinfonie di Leopold Mozart.

Struttura

La sinfonia è composta da quattro movimenti:


Allegro
(Andante)
Minuetto I & II
Presto

La pubblicazione della sinfonia nella Alte Mozart-Ausgabe, la prima edizione


completa delle opere di Mozart, mostra diversi punti in cui sono indicate
piccole note fornite dall'editore, facendo pensare che questa fosse una
composizione incompiuta. A supporto di ciò, nella partitura del "Minuetto I"
solo la parte del primo violino e quella del violoncello/contrabbasso sono
complete; le parti del secondo violino e della viola sono state invece totalmente
scritte ex-novo dall'editore.

Poiché K 17 non è più considerata un'opera di W.A.Mozart, la Neue Mozart-


Ausgabe non la include nella sua edizione.

Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore K 18

https://youtu.be/ukImpxbXm78

La composizione nota come Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore K 18, un


tempo attribuita a Wolfgang Amadeus Mozart, è oggi considerata dagli studiosi
un'opera di Karl Friedrich Abel, importante compositore del primo Classicismo.

Storia

È stata erroneamente attribuita a Mozart in quanto fu ritrovato un manoscritto


autografo che apparteneva allo stesso Mozart, manoscritto poi categorizzato
come Sinfonia n.3 K 18, e come tale pubblicato nella prima edizione completa
delle opere di Mozart da parte dell'editore Breitkopf & Härtel. Successivamente
si scoprì che la sinfonia era stata in realtà composta da Abel, e poi copiata a
mano da Mozart all'età di otto anni (evidentemente per motivi di studio)
durante il suo viaggio a Londra nel 1764.

La sinfonia fu originariamente pubblicata come l'ultima delle Sei Sinfonie di


Abel, Op. 7. Tuttavia, la copia di Mozart di"erisce dalla sinfonia originale in
quanto il bambino "sostituì gli oboi con i clarinetti."

Struttura

La sinfonia è composta di tre movimenti:

Allegro
Andante
Presto

Così come fu per la Sinfonia n.2 e, anni dopo, per la n. 37 (anch'esse


erroneamente attribuite a Mozart), la K 18 non è inclusa nella Neue Mozart-
Ausgabe.

Sinfonia n. 4 in Re maggiore K 19

https://youtu.be/FcP2xiMTUQc

La Sinfonia n. 4 in re maggiore K 19 di Wolfgang Amadeus Mozart fu composta


a Londra durante il Grand Tour della sua famiglia nel 1765, quando il
compositore aveva appena 9 anni.

Storia

Nonostante la partitura autografa sia andata perduta, le varie parti trascritte


dal padre Leopold Mozart sono invece conservate alla Bayerische
Staatsbibliothek di Monaco di Baviera. Si sa oggi che le prime sinfonie del
giovane Mozart furono rappresentate in concerti pubblici all'Haymarket
Theatre di Londra. È quindi possibile che queste parti fossero state scritte per
una di queste rappresentazioni pubbliche, anche se Neal Zaslaw sostiene che
la sinfonia fu composta, o almeno completata, a L'Aia.

Struttura

L'opera prevede parti per due oboi, due corni in Re e archi.

Sono presenti 3 movimenti, secondo le consuetudini del primo Classicismo:

Allegro, 4/4
Andante, 2/4
Presto, ⅜

Guida all'ascolto (nota 1)

Insieme alla K 16, questa Sinfonia è composta durante il soggiorno a Londra


del 1765, e, come tutte le opere di questo periodo, risente dell'influenza dei
musicisti che dominavano l'ambiente musicale londinese, soprattutto di C. F.
Abel e J. Ch. Bach. Nei concerti di quell'anno a Londra, le loro opere erano
eseguite molto frequentemente (i «Bach-Abel's Concerts», quasi si trattasse di
una società...); per di più, pare che Mozart - data l'amicizia con i due musicisti
- avesse avuto in visione, e studiato direttamente, i loro manoscritti.
Un estroverso richiamo «di caccia» - con l'insistita presenza dei corni - è l'idea
forte che caratterizza questa Sinfonia, corretta ma alquanto tradizionale. La
sorella ricorderà, anni dopo, che il piccolo era a"ascinato dai corni inglesi e
che ripeteva ossessivamente di voler scrivere, prima di lasciare l'Inghilterra,
«qualcosa d'importante» per questi strumenti.

Sinfonia n. 5 in Si bemolle maggiore K 22

https://youtu.be/lzicvVsKrRk

La Sinfonia n. 5 in Si bemolle maggiore K 22 di Wolfgang Amadeus Mozart fu


composta a L'Aia durante il Grand Tour della sua famiglia nel 1765, quando il
compositore aveva appena 9 anni. Mozart si ammalò gravemente durante il
suo soggiorno nei Paesi Bassi, e probabilmente scrisse questa composizione
durante la convalescenza.

Struttura

La sinfonia è stata scritta per due oboi, due corni in Si e archi.

Sono previsti tre movimenti, secondo la forma dell'ouverture italiana:

Allegro, 4/4
Andante, 2/4
Allegro molto, 3/8

Tutti i tre movimenti sono vivacizzati specialmente dai corni. La sinfonia è


aperta da un crescente primo movimento in Si bemolle maggiore, seguito da
un movimento solenne e lamentoso in Sol minore. L'opera si chiude con un
finale turbolento. Il tema di apertura del movimento finale è preso in prestito
dal concerto per clavicembalo di Johann Christian Bach, che Mozart aveva
incontrato l'anno prima a Londra. Lo stesso tema apparirà nel finale del
secondo atto dell'opera bu"a del 1786, Le nozze di Figaro, K 492.

Guida all'ascolto (nota 1)

Mozart compose la sua prima Sinfonia K. 16 tra la fine del 1764 e l'inizio del
1765 a Londra, dove il piccolo Wolfgang - ha solo nove anni - stringe amicizia
con un figlio di Bach, Johann Christian, stimato come direttore d'opera e
sinfonista. Soprannominato «il milanese» per il lungo soggiorno nella cita
lombarda, Johann Christian prese a modello il tipo di sinfonia all'italiana e
specie quella di Sammartini, che era concepita come una forma strumentale in
tre brevi movimenti: un adagio racchiuso fra due movimenti, il primo dei quali
di respiro abbastanza ampio e l'ultimo modellato su una danza. Questo genere
di composizione era una filiazione diretta dell'introduzione strumentale
operistica, molto di"usa in Italia sin dal principio del Settecento, e continuò a
chiamarsi sinfonia anche durante l'Ottocento, mentre altrove assunse il nome
di ouverture. Non va dimenticato inoltre che la derivazione operistica aveva
conferito alla sinfonia alcuni caratteri tipici: scorrevolezza ritmica e invenzione
melodica di scintillante vivacità. Quest'ultimo era forse l'aspetto più rilevante
della sinfonia, in quanto per la prima volta veniva trasferita nel campo
strumentale la freschezza melodica dell'opera bu"a napoletana, ritenuta una
esperienza di portata storica nel campo della musica. C'è poi una seconda
osservazione da fare, relativa alla destinazione di queste prime sinfonie: esse
venivano eseguite in apertura e chiusura di concerti, i cui pezzi forti erano
costituiti dalla esibizione di solisti, cantanti o strumentisti, conservando così la
fisionomia originaria di musica d'introduzione.

Il primo gruppo delle sinfonie di Mozart, così come le prime sinfonie di Haydn
- che iniziò a scriverne intorno al 1759, soltanto 5 o 6 anni prima di Mozart -
sono concepite secondo questo schema d'impostazione generalmente definito
italiano. Ma ben presto in terra tedesca tale modello italiano subisce delle
trasformazioni, dettate da una diversa struttura dell'organismo orchestrale. Sia
Haydn ad Esterhàz che Mozart a Mannheim si trovarono di fronte a orchestre di
dimensioni più ampie di quelle italiane, fornite di una più evoluta tecnica
individuale e di una più severa disciplina di gruppo. Queste orchestre erano
quindi in grado di produrre un volume di suono più robusto, di creare contrasti
di sonorità più evidenti e un fraseggio più espressivo. Il discorso sinfonico
diventava in tal modo più complesso e non era a!dato soltanto ad una
successione di brillanti trovate melodiche, ma ad una tematica più elaborata e
giocata sulla diversità delle modulazioni. In tal modo la forma sinfonica
risultava ampliata, sia allungando sensibilmente i singoli movimenti, specie il
primo, e sia aggiungendo un quarto tempo, cioè un Minuetto o uno Scherzo,
fra l'Adagio e il Finale. Così la sinfonia non è più semplice introduzione ad una
esibizione di solisti, ma diventa il corpus centrale di un programma.

Un esempio del primo Mozart sinfonico si può cogliere nella Sinfonia in si


bemolle scritta nel dicembre 1765 e articolata in tre tempi, fra i quali è
incastonato un prezioso Andante in sol minore, dalla sinuosa e toccante
melodia d'ispirazione certamente francese. I due Allegri, iniziale e finale, non
rivelano particolarità notevoli sotto il profilo formale e sprizzano quel senso di
cordialità e buon umore che appartiene alla scrittura di questi movimenti,
specialmente al rondò conclusivo, gioviale e piacevole sul filo espressivo del
pot-pourri di derivazione francese.
Sinfonia n. 6 in Fa maggiore K 43

https://youtu.be/wGb0j-xUd-Q

La Sinfonia n. 6 in Fa maggiore K 43 fu composta da Wolfgang Amadeus


Mozart nel 1767. Il musicologo Alfred Einstein, nella sua revisione del catalogo
Köchel del 1937, sostiene che la sinfonia sia stata iniziata a Vienna e
successivamente completata a Olomouc, città della Moravia in cui la famiglia
Mozart si rifugiò per scampare a un'epidemia di vaiolo.

Struttura

La strumentazione per la prima rappresentazione fu la seguente: due flauti,


due oboi, due corni, fagotto, archi e basso continuo. I flauti sono utilizzati nel
secondo movimento al posto degli oboi. Per la prima volta in una sinfonia,
Mozart usa due parti distinte per le viole.

Questa è la prima sinfonia scritta da Mozart in quattro movimenti,


introducendo per la prima volta il Minuetto e il Trio, caratteristica presente in
molte delle sinfonie successive. I movimenti previsti sono:

Allegro, 4/4
Andante, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4
Allegro, 6/8

Il secondo movimento prende in prestito un tema dall'opera in latino Apollo et


Hyacinthus, K. 38, scritta da Mozart nel 1767, dove "i violini in sordina cantano
sopra il pizzicato dei secondi violini e sopra le viole divise, un e"etto
incantevole".
Prima Esecuzione
La sinfonia fu inclusa in un concerto organizzato dal Conte di Schrattenbach,
fratello dell'Arcivescovo di Salisburgo, e eseguito dalla famiglia Mozart il 30
dicembre 1767 alla taverna di Brno. Un religioso locale racconta: "Assistetti a
un concerto musicale in una casa in città nota come Taverna, in cui l'undicenne
di Salisburgo e la sua sorella di quindici anni, accompagnati da vari strumenti
suonati dagli abitanti di Brno, hanno suscitato l'ammirazione di tutti".
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

I modelli galanti di Johann Christian Bach, seguiti per i primi esperimenti nel
genere sinfonico, dovettero già apparire insoddisfacenti all'undicenne Mozart il
quale, scrivendo a Vienna, verso la fine del 1767, la sua ottava Sinfonia nella
tonalità di fa maggiore, si rivela decisamente suggestionato dalle «novità» che
proprio in quegli anni Esterhàza rivelava all'Europa musicale, per mezzo degli
editori parigini Bailleux e Bérault o le copie manoscritte circolanti negli archivi.
Relegato nella piccola Versailles magiara a produrre quartetti, sonate e sinfonie
che avrebbero mutato volto e cammino alla musica, Haydn ignorava che un
ragazzo stava già seguendo le sue orme in modo coerente e insieme
improntato alla più grande autonomia. La Sinfonia K. 43 è tra le prime di
Mozart ad adottare i quattro movimenti che saranno tipici dell'architettura
classica, abbandonando il vecchio trittico (un Adagio o Andante incorniciato fra
due Allegri) caro al sinfonismo galante italiano, e in seguito sporadicamente
ripreso dal giovane musicista. Più densa e robusta vi appare la scrittura
orchestrale, che adotta il sistematico sdoppiamento della parte delle viole:
procedimento, questo, in verità, più che haydniano, napoletano, di una
«napoletanità» dall'aulica e dotta impronta barocca alla Jommelli, l'autore per il
quale il ragazzo di Salisburgo più tardi manifesterà sensi di annoiata
ammirazione. Italiani rimangono ancora il tema marziale del primo tempo e
quello di giga del finale, anche se entrambi forzati a insoliti e punto italiani
processi elaborativi. Palese è infine l'aspirazione complessiva all'impegnativo,
che ha come rovescio della medaglia il provvisorio appannarsi dell'angelica
freschezza infantile; seriosità cui Mozart tenta di ovviare dettando un Andante
dalle movenze addirittura frivole, quasi un tempo di divertimento o di
serenata.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sinfonia in fa K. 43, scritta a Olmutz nel 1767, puntualizza il momento in


cui, dallo stile italianeggiante di Johann Christian Bach (che il fanciullo Mozart
aveva frequentato intimamente nel recente viaggio a Londra) si passa
all'influsso dello stile haydniano e in genere dell'ambiente viennese. Se infatti
la Sinfonia si articola in quattro movimenti con il suo bravo Minuetto - per
citare i caratteri più appariscenti - resta tuttavia il rilievo, alla maniera italiana,
conferito ai violini «sui quali riposa essenzialmente l'edificio musicale» (Saint-
Foix), lasciando ai fiati per lo più funzioni di rassodamento melodico-armonico
e di tinteggiatura timbrica. Si può ancora osservare in proposito che le tre
coppie di strumenti a fiato - Flauti, Oboi, Corni - non agiscono, mai tutte
insieme ma si alternano nel corso della Sinfonia; così che nell'Allegro iniziale
agiscono Oboi e Corni, nell'Andante (in do, archi con sordina) gli Oboi sono
sostituiti dai Flauti, ritornando poi nel Minuetto, che ha il suo Trio riservato ai
soli archi. Egualmente con Oboi e Corni è l'Allegro finale.

Giorgio Graziosi

Sinfonia n. 7 in Re maggiore K 45

https://youtu.be/ABOle_eSq9c

La Sinfonia n. 7 in Re maggiore K 45 di Wolfgang Amadeus Mozart, fu


completata a Vienna nel gennaio del 1768 dopo il ritorno della famiglia Mozart
dal soggiorno a Olomouc e Brno in Moravia.

Storia

La prima esecuzione probabilmente fu in un concerto privato. La sinfonia fu


rivista e adattata per costituire l'ouverture dell'opera di Mozart La finta
semplice, K. 51, composta e rappresentata più tardi quello stesso anno.
L'ouverture stessa fu ulteriormente adattata in seguito con il risultato di creare
una nuova sinfonia, conosciuta col numero K. 46a nella sesta edizione del
catalogo Köchel del 1964. La partitura autografa è conservata a Berlino nella
Biblioteca di Stato.

Struttura

Nella versione originale (K. 45) l'organico previsto era costituito da due oboi,
due corni, fagotto, due trombe, timpani, archi e basso continuo. Nell'ouverture
sinfonica (K. 46a), invece, le trombe sono sostituite con i flauti, viene aggiunta
un'altra parte per fagotto e la parte per timpani è soppressa.

I movimenti previsti sono:

Allegro, 4/4
Andante, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4 (Questo movimento non è presente nella versione a
"ouverture")
Molto allegro, 2/4
Rappresentazioni

Secondo il musicologo Neal Zaslaw, la prima esecuzione della sinfonia K. 45


potrebbe essere stata durante un concerto organizzato dal Principe di Galitzin,
ambasciatore della Russia, nella sua residenza viennese alla fine del marzo del
1768. La versione K. 46b invece fu eseguita per la prima volta alla première de
La finta semplice, a Salisburgo, il 1º maggio 1769.

Sinfonia n. 8 in Re maggiore K 48

https://youtu.be/LauR02k8YcY

La Sinfonia n. 8 in Re maggiore K 48 di Wolfgang Amadeus Mozart è datata 13


dicembre 1768.

Fu composta a Vienna, in un momento in cui la famiglia Mozart sarebbe già


dovuta essere di ritorno a Salisburgo. In una lettera a un suo amico di
Salisburgo, Lorenz Hagenauer, Leopold Mozart spiega il ritardo con queste
parole: "non abbiamo potuto concludere i nostri a"ari prima, anche se ho
tentato strenuamente di farcela."

La partitura autografa della Sinfonia n. 8 è oggi conservata a Berlino nella


Biblioteca di Stato.

Struttura

L'organico prevede due oboi, due corni, due trombe, timpani e archi. La
presenza delle trombe e dei timpani è inusuale per le sinfonie giovanili di
Mozart. La sinfonia è stata descritta come "opera cerimoniale".

È composta da quattro movimenti:

Allegro, 3/4
Andante, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4
Molto allegro, 12/8

Il primo movimento inizia con note discendenti dei violini, seguite da rapide
scale. Queste figure sono alternativamente create dagli archi e dai fiati.
L'Andante è suonato solo dagli archi e inizia con uno stretto intervallo
melodico che si espande verso la fine.

Il Minuetto è un movimento caratterizzato da rapidi passaggi degli archi, e


include la presenza di trombe e timpani, ad esclusione del Trio.

Il movimento finale è una giga, il cui tema principale non termina la sinfonia
come invece sarebbe usuale.

Sinfonia n. 9 in Do maggiore K 73

https://youtu.be/IOM-z0n6WqQ

La Sinfonia n. 9 in Do maggiore K 73/75a fu composta da Wolfgang Amadeus


Mozart e le sue origini sono incerte.

Storia

La data più probabile di composizione sembra essere il tardo 1769 o 1770,


durante il primo viaggio di Mozart in Italia; tuttavia alcuni studiosi fanno
risalire la sinfonia a "non prima del giugno 1772". La composizione potrebbe
essere iniziata a Salisburgo prima che Mozart partisse per l'Italia, e poi
completata durante il viaggio.

La sinfonia è la prima di Mozart nella tonalità di Do maggiore. Non esiste


alcuna informazione su quale dei tanti concerti di Mozart in Italia abbia visto la
prima esecuzione di quest'opera.

La partitura autografa è oggi conservata a Cracovia, nella Biblioteca Jagellonica.

Struttura

La sinfonia è stata scritta per un organico composto da due oboi, due corni,
due flauti, fagotto, due trombe, timpani, clavicembalo e archi.

È composta da quattro movimenti:


Allegro, 4/4
Andante, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4
Molto allegro, 2/4

Sinfonia n. 10 in Sol maggiore K 74

https://youtu.be/6e0n1TA69_M

La Sinfonia n. 10 in Sol maggiore K 74 è una composizione di Wolfgang


Amadeus Mozart, probabilmente scritta a Milano nel 1770, durante il suo
primo viaggio in Italia.

Struttura

La sinfonia è stata composta per due oboi, due corni e archi. Il tempo medio di
esecuzione è di circa 9 minuti.

La sinfonia è nella forma di ouverture italiana ed è costituita dai seguenti


movimenti:

(Allegro – Andante), 4/4 – 3/8


(Allegro), 2/4

Nel manoscritto autografo non è presente alcuna indicazione agogica.

L'andante non è un movimento separato, ma costituisce parte integrante del


primo movimento, seguendo l'Allegro senza separazioni.

La partitura autografa, che non contiene indicazioni aggiuntive di Mozart, è


contrassegnata dalla scritta "Ouverture zur Oper Mitridate" (Ouverture per
l'opera Mitridate) fatta da Johann Anton André. Tale scritta è depennata eccetto
per la parola "Ouverture". Evidentemente André supponeva che questo
componimento fosse stato pensato in origine come ouverture dell'opera di
Mozart Mitridate, re di Ponto (che invece ha una propria ouverture, diversa da
questa sinfonia).

Guida all'ascolto (nota 1)


Risale al 1770, non è certo se all'epoca del soggiorno romano, tra aprile e
maggio, o all'autunno trascorso a Milano, la Sinfonia KV 74, forse in origine
pensata come ouverture per il Mitridate. Il primo movimento, in forma di
sonata senza ritornelli, propone un secondo gruppo tematico di a"ettuosa
espressività e ha come sezione centrale una semplice riconduzione su pedale:
si collega senza soluzione di continuità al tempo centrale, dove la dolce
cantilena iniziale cede presto il passo a un tema secondario di capricciosa
leggerezza. Nel finale, un arguto rondò di gusto francese, il secondo episodio
presenta forse il primo accenno mozartiano al cosiddetto stile «alla turca» -
esemplificato negli anni Settanta e Ottanta dai finali del Concerto KV 219 per
violino e della Sonata KV 331 (300i) per pianoforte e da vari passi
dell'Entführung aus dem Serail - con bruschi salti melodici, ritmi puntati, un
accompagnamento statico e percussivo alle viole e ai bassi.

Cesare Fertonani

Sinfonia n. 11 in Re maggiore K 84

https://youtu.be/8wMBRkvQQqE

La Sinfonia n. 11 in Re maggiore K 84/73q un tempo era indiscutibilmente


considerata un'opera di Wolfgang Amadeus Mozart. Tuttavia, a partire dal
2008, la sua attribuzione rimane incerta.

Storia e dubbi di attribuzione

La composizione probabilmente risale al 1770 e, nel caso sia stata scritta da


Mozart, potrebbe essere stata completata a Milano o a Bologna. Un antico
manoscritto proveniente da Vienna attribuisce l'opera a Wolfgang, ma alcune
partiture risalenti al XIX secolo considerano invece come autori rispettivamente
Leopold Mozart e Carl Dittersdorf. Il musicologo Neal Zaslaw scrive: "Se
compariamo i risultati di due analisi stilistiche del primo movimento della
sinfonia con analisi di primi movimenti sicuramente composti dai tre
personaggi nella stessa epoca, risulta che Wolfgang è il più probabile dei tre ad
aver composto la sinfonia 73q".

Struttura

La sinfonia è composta da tre movimenti: manca infatti il Minuetto e Trio.


Kenyon a"erma che esiste "qualcosa di speciale" in quest'opera, mentre Zaslaw
trova un'"atmosfera Gluckiana" e qualche a!nità con l'opera bu"a nelle
ripetute triplette del finale.
La strumentazione prevede due oboi, due corni, fagotto, archi e basso
continuo.

I movimenti sono:

Allegro, 4/4
Andante, 3/8
Allegro, 2/4

Guida all'ascolto (nota 1)

Anche per la Sinfonia KV 84 (73q) l'attribuzione a Mozart deve essere


considerata incerta, sebbene Wolfgang sia, rispetto al padre Leopold, il più
probabile autore della composizione. È ipotizzatale che la partitura, abbozzata
a Milano durante il carnevale del 1770 sia stata poi completata a Bologna nel
mese di luglio. L'Allegro d'apertura prospetta un ben articolato schema di
sonata senza ritornelli: l'esposizione allinea il primo gruppo tematico, un
secondo gruppo tematico avviato dai soli archi e di piglio giocoso, quindi il
gruppo cadenzale conclusivo; seguono una sezione divagante intermedia e una
completa ripresa. Una struttura analoga, ma priva di sezione centrale, o"re
l'Andante, intriso di elegiaca grazia. L'Allegro finale, percorso da un
irrefrenabile impeto che ricorda il clima dell'opera bu"a, si fonda su un motivo
di fanfara desunto dallo stacco del primo movimento: ed è interamente sul
primo gruppo tematico che si basa lo sviluppo, di tipo riespositivo, del
movimento. Tanto che la ripresa si profila incompleta, iniziando dal secondo
gruppo tematico: il motivo di fanfara torna però a suggellare il movimento, in
coda al ritorno del gruppo cadenzale conclusivo.

Cesare Fertonani

Sinfonia n. 12 in Sol maggiore K 110

https://youtu.be/QVefx24UHSM

La Sinfonia n. 12 in Sol maggiore K 110/75b di Wolfgang Amadeus Mozart, fu


composta a Salisburgo nell'estate del 1771. Fu quindi completata subito prima
del secondo viaggio di Mozart in Italia, che si sarebbe svolto tra agosto e
dicembre 1771.
Struttura

La sinfonia prevede quattro movimenti, il primo dei quali (Allegro) è il più


lungo che Mozart avesse mai scritto fino a quel momento. L'opera costituisce
la prima di una serie di composizioni "dipinte su una tela più grande,
raggiungendo una maggiore ricerca individuale rispetto agli esuberanti brani
precedenti".

La strumentazione consiste in: due oboi, due corni, due fagotto, due flauti,
archi e basso continuo.

I movimenti sono i seguenti:

1. Allegro, 3/4
2. Andante, 2/2
3. Minuetto e Trio, 3/4
4. Allegro, 2/4

Il Minuetto presenta un canone tra gli archi, con intervallo di una singola
battuta. È abbastanza probabile che Mozart avesse attinto questa tecnica dalla
sinfonia n. 23 di Joseph Haydn del 1764 (anch'essa in Sol maggiore).

Sinfonia n. 13 in Fa maggiore K 112

https://youtu.be/mfVWOcOWn84

La Sinfonia n. 13 in Fa maggiore K 112 è una composizione di Wolfgang


Amadeus Mozart, scritta a Milano durante l'autunno del 1771.

Struttura

La sinfonia è strutturata in quattro movimenti, il secondo dei quali (Andante)


composto per soli archi. Vista la strumentazione ridotta, questo movimento
assume toni toccanti e patetici. Il Minuetto del terzo movimento potrebbe
essere stato scritto prima del 1771, e solo successivamente incorporato nella
sinfonia; la partitura autografa infatti mostra il minuetto nella calligrafia di
Leopold Mozart. Nicholas Kenyon a"erma che la sinfonia n. 13 è l'ultima scritta
in "modo convenzionale"; da quella successiva in poi "inizia un mondo
completamente diverso".

L'organico prevede: due oboi, due corni, due fagotto, archi, basso continuo

I quattro movimenti sono:

Allegro, 3/4
Andante, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4
Molto Allegro, 3/8

Prima esecuzione
È probabile che la prima esecuzione si sia tenuta durante un concerto in cui si
esibirono Leopold e Wolfgang Amadeus nella residenza di Albert Michael von
Mayr, il 22 o 23 settembre 1771. Lo stesso concerto potrebbe aver visto la
prima della sinfonia n. 12. Altre fonti danno la prima assoluta l'8 novembre
nella residenza del conte Carlo Giuseppe di Firmian alla presenza di Johann
Adolf Hasse.

Guida all'ascolto (nota 1)

Datata Milano 2 novembre 1771, la Sinfonia KV 112 è un piccolo gioiello che


nel progetto come nelle proporzioni dimostra una crescita significativa rispetto
alle sinfonie precedenti. Già il formato in quattro movimenti, con ritornelli per
tutte le sezioni tranne l'ultima ripresa del tema nel finale, connotano la
partitura come autentico pezzo da concerto, indipendente da destinazioni
funzionali: con ogni probabilità, la sinfonia viene eseguita, insieme col
Divertimento KV 113, in occasione dell'accademia tenutasi il 22 o 23 novembre
1771 nel palazzo del tesoriere arciducale Albert Michael von Mayr. Pur
condividendo alcuni tratti delle altre sinfonie «italiane», come il frequente
raddoppio dei violini o delle viole da parte degli oboi, il lavoro sfoggia un
equilibrio di felicità inventiva e controllo artigianale ancora inedito in questo
ambito. La scrittura mozartiana traspira qui un liberatorio ed entusiasta senso
di fiducia nella propria qualità. Nell'esposizione dell'Allegro iniziale, il
coordinamento di smalto e cantabilità strumentale, riscontrabili
rispettivamente nel primo e nel secondo gruppo tematico avviato da un
grazioso dialogo tra violini e oboi, segna e!cacemente l'articolazione formale,
mentre lo sviluppo alterna con finezza frasi all'unissono e spunti imitativi
basati sulla testa del gruppo cadenzale conclusivo. L'Andante è un delizioso
carillon per i soli archi cesellato con mano cameristica, in cui la configurazione
delle singole parti appare attentamente di"erenziata: melodia dei violini I e
basso albertino di violini II e viole nel gruppo tematico, dialogo tra violini I e
violini II con viole nella transizione, quindi violini e viole in condotta parallela
nel gruppo cadenzale. Dopo l'elegante Menuetto, il Molto allegro finale è un
rondò ricco di spirito, il cui tema è costituito da motivi di caccia.

Cesare Fertonani

Sinfonia n. 14 in La maggiore K 114

https://youtu.be/eIBO-QB-a8s

La Sinfonia n. 14 in La maggiore K 114 di Wolfgang Amadeus Mozart, fu


composta a Salisburgo dopo il secondo viaggio di Mozart in Italia. L'opera è
datata 30 dicembre 1771.

Il musicologo Nicholas Kenyon a"erma che, a partire da quest'opera, si apre


"un mondo completamente diverso" nello stile sinfonico del compositore.

Struttura

La particolarità di questa sinfonia è l'assenza di un tema principale,


compensata dalla presenza di episodi dal carattere giocoso. Ciò fa supporre
che l'opera sia stata scritta per le celebrazioni del Carnevale di Salisburgo: i
festeggianti improvvisavano melodie sopra la musica della sinfonia.

L'organico previsto è composto da due flauti, due oboi, due corni e archi.

I quattro movimenti sono:

Allegro moderato, 2/2


Andante, 3/4
Minuetto e Trio, 3/4
Molto Allegro, 2/4

Sinfonia n. 15 in Sol maggiore K 124


https://youtu.be/cB_-8K0vyhI

La Sinfonia n. 15 in Sol maggiore K 124 di Wolfgang Amadeus Mozart fu


composta a Salisburgo durante le prime settimane del 1772.

Una nota apposta sulla partitura autografa fa supporre che tale opera sia stata
scritta per un evento religioso, organizzato probabilmente per il nuovo
arcivescovo, Hieronymus von Colloredo.

Struttura

La sinfonia è composta da quattro movimenti, il primo dei quali è stato definito


innovativo e "ardito" viste le repentine variazioni di tempo. L'ultimo movimento
è caratterizzato da un temperamento allegro e da frivolezza, con "un numero
su!ciente di episodi giocosi tale da suscitare grande soddisfazione nel
pubblico".

La strumentazione prevede due oboi, due corni, fagotto, archi e basso


continuo.

I quattro movimenti sono:

Allegro, 3/4
Andante (in Do maggiore), 2/4
Minuetto e Trio (trio in Re maggiore), 3/4
Presto, 2/4

Guida all'ascolto (nota 1)

Secondo le più recenti indagini musicologiche di Hans Hegel ed Erich Schenk,


Mozart ha scritto 53 sinfonie complete in un arco di tempo di 24 anni che va
dalla fine del 1764 all'agosto del 1788. Una produzione certamente inferiore a
quella di Haydn che compose almeno 104 sinfonie in un periodo di circa
quarant'anni, ma nettamente rilevante se si confronta, sotto il profilo
numerico, con le nove sinfonie di Beethoven e con le quattro di Brahms. Il fatto
è che originariamente la sinfonia non aveva qualla struttura strumentale
dialetticamente articolata e complessa alla quale ci riferiamo oggi quando
parliamo di questa forma orchestrale, ma era intesa come un brano da
concerto destinato ad aprire o a chiudere un programma musicale, il cui pezzo
forte era costituito dalla esibizione dei solisti, sia cantanti e sia virtuosi di un
determinato strumento, specie il pianoforte. Era imperante, intorno alla prima
metà del Settecento, l'influenza della cosiddetta sinfonia all'italiana o meglio
dell'ouverture in stile italiano e secondo lo spirito dell'opera bu"a che era
articolata in tre tempi (Presto - Adagio - Presto) distinti fra di loro soltanto
esteriormente ma che in sostanza era in un tempo solo. Si sa che Mozart, pur
partendo dall'esempio italiano filtrato attraverso l'insegnamento prima di
Johann Christian Bach e poi di Haydn, riuscì a modificare e a sviluppare la
sinfonia a tal punto da cambiarle i connotati, nell'ambito di quel processo di
trasformazione e di approfondimento del discorso strumentale che, secondo
Alfred Einstein, passò dal decorativo all'espressivo, dal superficiale all'intimo,
dalla pura esteriorità alla confessione spirituale. Basti pensare alla armonica
compiutezza dei risultati raggiunti con le sinfonie di Linz (K. 425) e di Praga (K.
504) e con la famosa trilogia delle ultime sinfonie in mi bemolle, sol maggiore
e do maggiore (K. 543, 550, 551).

I primi segni di distacco dallo stile sinfonico giovanile si avvertono in Mozart


con le sinfonie salisburghesi composte tra il 1772 e il 1774, fra le quali è
compresa la K. 124, scritta negli ultimi giorni di febbraio del 1772 e il cui
manoscritto è conservato nella biblioteca di Berlino. È vero che in questi
componimenti permangono influssi stilistici italiani, specie per l'insistenza
ripetitiva di alcuni temi, secondo un gusto derivante dalla pratica teatrale, ma
si avverte con evidenza uno studio più attento dello sviluppo strumentale
inserito in un gioco contrappuntistico di maggiore elaborazione della forma
sinfonica, nel rispetto di certe caratteristiche di linguaggio presenti nella
scuola viennese. Sin dall'Allegro iniziale della Sinfonia K. 124 è possibile
cogliere questa impostazione con i due temi brevi e ben distinti, seguiti da un
ritornello sfociante in una brillante cadenza da concerto. Nel successivo
sviluppo a!ora una nuova idea con il dialogo in contrappunto tra i violini e la
viola, che si riallaccia al primo soggetto. Ugualmente nella cadenza finale c'è
un richiamo all'accordo all'unisono con cui si era aperta la sinfonia. Anche
l'Andante è costruito su due temi e un lungo ritornello, al quale si aggiunge
uno sviluppo molto rapido e sommario. I violini hanno un ruolo predominante,
ma il secondo tema viene esposto dagli oboi e dai corni con una chiara
caratterizzazione armonica molto italiana. Ritmicamente vivace, specie nella
seconda parte, si presenta il Minuetto basato sulla contrapposizione tra archi e
fiati. Il Trio pone in evidenza le sonorità dei violini, ma non è tra le pagine più
significative dell'intera composizione. Il Presto finale è un rondò di spigliata e
spumeggiante leggerezza nel gioco delle imitazioni, nel quale sembra
riflettersi il concetto shakespeariano dell'arte espresso nell'Amleto, secondo
cui il suono penetra meglio nell'angolo più nascosto dell'animo umano quanto
più si avvale di una delicata morbidezza (smoothness) di tono e di accento
musicale.

Sinfonia n. 16 in Do maggiore K 128

https://youtu.be/usgl_hq5ezM
La Sinfonia n. 16 in Do maggiore K 128 è la prima delle tre sinfonie composte
da Wolfgang Amadeus Mozart nel maggio 1772, a cavallo tra il secondo e il
terzo viaggio del compositore in Italia.

La partitura autografa è conservata alla Staatsbibliothek Unter den Linden di


Berlino.

Struttura

L'organico previsto è composto da due parti per oboi, due per corni, e quelle
per gli archi.

Sono previsti tre movimenti, secondo la forma dell'ouverture italiana:

Allegro maestoso, 3/4


Andante grazioso, 2/4
Allegro, 6/8

Il primo movimento, che presenta un tema in Do maggiore in forma di sonata,


all'inizio sembra essere in 9/8, per via della presenza di terzine. Tuttavia, già
dall'inizio della seconda metà dell'esposizione del tema diventa chiaro che il
metro usato è 3/4. Lo sviluppo successivo è breve, ma denso di intense
modulazioni.

Gli oboi e i corni sono totalmente assenti nel secondo movimento, che risulta
ancora una volta scritto nella forma sonata, stavolta solo per archi. Gli aerofoni
tornano tuttavia nel terzo movimento, in Do maggiore, costituito da una
gioiosa danza in una forma alterata di rondò che presenta una coda finale.

Sinfonia n. 17 in Sol maggiore K 129

https://youtu.be/f5p-4sKO-0I

La Sinfonia n. 17 in Sol maggiore K 129 è la seconda di tre sinfonie completate


dal sedicenne Wolfgang Amadeus Mozart a Salisburgo nel maggio del 1772.
Tuttavia alcune sezioni potrebbero essere state scritte prima di questo
periodo.
Struttura

La sinfonia prevede un organico composto da due oboi, due corni e archi.

Sono presenti tre movimenti, secondo la forma dell'ouverture italiana:

Allegro, 4/4
Andante, 2/4
Allegro, 3/8

Da notare nel primo movimento l'uso del crescendo di Mannheim, mentre nel
secondo è presente una sola parte per violino al posto delle canoniche due.

Sinfonia n. 18 in Fa maggiore K 130

https://youtu.be/-8rDmCyq9ko

La Sinfonia n. 18 in Fa maggiore K 130 è l'ultima di tre sinfonie completate dal


sedicenne Wolfgang Amadeus Mozart a Salisburgo nel maggio del 1772.

Struttura

La sinfonia prevede una strumentazione per due flauti, quattro corni e archi.
Non sono presenti parti per oboi in quest'opera, essendo stati rimpiazzati dai
flauti per la prima volta in una sinfonia di Mozart. È presente invece un
secondo paio di corni nel primo e nel secondo movimento: ciò rappresenta una
rarità nel repertorio del compositore.

I quattro movimenti sono:

Allegro, 4/4
Andantino grazioso, 3/8
Minuetto e Trio, 3/4
Allegro molto, 4/4

Sinfonia n. 19 in Mi bemolle maggiore K 132

https://youtu.be/47-YsXEUE_s

La Sinfonia n. 19 in Mi bemolle maggiore K 132 fu composta da Wolfgang


Amadeus Mozart a Salisburgo nel luglio 1772.

Struttura

La sinfonia prevede un organico di due oboi, quattro corni (due dei quali
suonano unicamente in Mi bemolle maggiore), e archi.

Sono presenti quattro movimenti:

Allegro, 4/4
Andante, 3/8
Minuetto e Trio, 3/4
Allegro, 2/2

Il primo movimento si apre con un tema che Mozart userà in seguito all'inizio
del Concerto per pianoforte e orchestra n. 22, scritto nella stessa tonalità.
L'esposizione è breve e non presenta ripetizioni. Lo sviluppo, d'altra parte, si
concentra su temi diversi.

Esiste anche un secondo movimento "alternativo", indicato come Andantino


grazioso. Nella partitura autografa, le indicazioni agogiche del primo, secondo
e quarto movimento sono segnate con la calligrafia di Leopold Mozart.

Il finale è un rondò francese nella forma in sette sezioni (ABACADA). Ogni


sezione del rondò è ripetuta, con l'eccezione dell'ultima (A).

Sinfonia n. 20 in Re maggiore K 133

https://youtu.be/peUtaeCbmcg
La Sinfonia n. 20 in Re maggiore K 133 fu composta dal sedicenne Wolfgang
Amadeus Mozart nel luglio del 1772. La sinfonia è una delle tante scritte
durante la permanenza di Mozart a Salisburgo, a cavallo tra il secondo e terzo
viaggio in Italia.

Struttura

Rispetto alle altre sinfonie dello stesso periodo, la partitura risulta essere
stravagante, prevedendo l'utilizzo di due trombe e un flauto in aggiunta ai
canonici oboi, corni e archi. La tonalità in Re maggiore, spesso usata per
composizioni cerimoniali, si adatta bene alla presenza degli ottoni.

La sinfonia è strutturata in quattro movimenti:

Allegro

Il primo movimento, in Re maggiore e metro 4/4, è scritto in forma


sonata, con una notevole deviazione rispetto ai canoni di questa forma, che
prevedono che la ripresa proponga lo stesso tema dell'esposizione. Infatti, in
questo caso, la ripresa inizia con un secondo tema, e Mozart attende solo la
fine del movimento per far ritornare il tema iniziale. Ciò è realizzato
inizialmente riproponendo il tema in modo delicato, facendolo suonare ai soli
archi, quindi viene ripetuto dagli stessi archi accompagnati questa volta dalle
trombe.

Andante

Nel secondo movimento, in La maggiore e metro 2/4, sono attivi solo gli
archi e un solo flauto, che generalmente raddoppia il suono del primo violino,
un'ottava sopra. I violini suonano in sordina per tutta la durata del movimento,
mentre il basso adopera uno stile pizzicato. Queste caratteristiche, nel loro
complesso, forniscono al brano un'aria delicata.

Minuetto e Trio

Il minuetto, in Re maggiore, inizia in modo ardito. Il trio invece ha un


tono più sottomesso, ed è stato composto per soli archi (accompagnati talvolta
dagli oboi).
[Allegro]

Il quarto movimento, anch'esso in Re maggiore, è una lunga danza in


12/8 in forma sonata. Nonostante Mozart, nella partitura autografa, non abbia
annotato alcuna indicazione agogica, le caratteristiche del brano e i canoni
sinfonici del Classicismo fanno pensare che il movimento sia un Allegro.

Sinfonia n. 21 in La maggiore K 134

https://youtu.be/RoDNg3nFnn4

La Sinfonia n. 21 in La maggiore K 134 fu composta da Wolfgang Amadeus


Mozart a Salisburgo nell'agosto del 1772.

Struttura

La sinfonia prevede strumentazione per due flauti, due corni e archi.

Sono presenti quattro movimenti:

Allegro, 3/4
Andante, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4
Allegro, 2/2

Guida all'ascolto (nota 1)

La Sinfonia n. 21 K. 134 fu composta nell'agosto del 1772, alla vigilia del terzo
e ultimo viaggio di Mozart in Italia. Dopo aver percorso da bambino l'Europa
centrale, la Francia, l'Olanda e l'Inghilterra, Mozart era stato scritturato nel
1770 dal Teatro Ducale di Milano per comporre l'opera Mitridate, re di Ponto.
Era ritornato a Milano nel 1771 con la commissione della serenata teatrale
Ascanio in Alba su testo di Giuseppe Parini e avrebbe valicato nuovamente le
Alpi nell'ottobre del 1772 per mettere in scena al Teatro Ducale il Lucio Silla.
Essendo nato nel gennaio del 1756, nell'autunno del 1772 Mozart stava per
compiere i sedici anni e il suo ambiziosissimo padre Leopold, che lo seguiva
ovunque facendogli da non disinteressato manager, riteneva che dopo essere
stato universalmente ammirato come fanciullo-prodigio il suo prodigioso
figliolo fosse pronto per assumere un incarico u!ciale in una corte,
sistemando in tal modo e se stesso e la sua famiglia. Un incarico u!ciale,
dicevo, cioè la titolarità di una cappella: maestro di cappella. Ed essendo
austriaco e godendo di amicizie - o supposte tali - anche alla corte di Vienna,
Leopold Mozart giocò le sue carte sui due tavoli, sulla roulette di Milano dove
governava un figlio dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, e sulla roulette di
Firenze, dove un altro figlio dell'imperatrice occupava il trono granducale.

Un maestro di cappella doveva avere pronto un dovizioso repertorio di


musiche sue da esibire, da far ascoltare al padrone che avesse avuto in animo
di assumerlo. Il catalogo Köchel delle opere di Mozart elenca, fino al giugno
del 1772, 131 numeri, distribuiti fra tutti i generi musicali allora in uso. Per un
aspirante maestro di cappella c'era di che stare tranquillissimo. Ma Mozart
pensò di dover ulteriormente arricchire il suo già ricco patrimonio e fra luglio e
agosto compose tre Sinfonie, la K. 132 in mi bemolle maggiore, la K. 133 in re
maggiore e la K. 134 in la maggiore. Durante il viaggio, un po' a Bolzano e un
po' a Verona, compose il Quartetto K. 155, a cui fece seguire a Milano il
Quartetto K. 156. Fra ottobre e dicembre compose il Lucio Silla, ventitre pezzi
distribuiti in tre atti, più il balletto inserito nell'opera, Le gelosie del Serraglio,
altri trentadue, e sia pur più brevi pezzi. Questo strepitoso tasso di
produttività ci dice quanto dovessero sembrar fondate le speranze di Leopold
Mozart, che aveva però fatto i conti senza l'oste. E l'oste si chiamava Maria
Teresa, imperatrice d'Austria. Quando il figlio che governava la Lombardia le
scrisse per sapere se avrebbe approvato l'a!damento di una carica di corte al
giovanissimo Mozart l'augusta genitrice rispose sconsigliando
sprezzantemente di caricarsi il peso di gente inutile che badava a girare il
mondo più che a curare il servizio. Durante l'ultima spedizione in Italia tutti gli
sforzi di Leopold, tutte le sue... astute mosse tattiche si risolsero così in
altrettanti fiaschi. E anche quando il padre e il figlio furono ricevuti in udienza
da Maria Teresa, nel luglio del 1774 a Vienna, il resoconto dell'incontro che
Leopold diede alla moglie dovette essere sconsolato: "L'imperatrice è stata
molto cortese con noi. Ma questo è tutto".

Nel corso di due anni l'orizzonte radioso era dunque diventato plumbeo. Ma
nelle tre Sinfonie dell'estate 1772 si respira a pieni polmoni la gioia dell'attesa,
la fiducia nell'avvenire. Le prime due Sinfonie recano l'annotazione autografa
"Sinfonia del Sgr. Cavaliere Amadeo Wolfgango Mozart nel luglio 1772 a
Salisburgo", nella terza l'annotazione diventa "Sinfonia del Sgr. Caval. Amadeo
Wolfg. Mozart in Salisburgo nel Agosto 1772". Già, Mozart era cavaliere,
Cavaliere dello Speron d'oro. L'onorificenza gli era stata concessa dal Papa
durante il primo viaggio in Italia, e Mozart ci teneva, al titolo, anche se gli
autografi delle sue Sinfonie non erano destinati alla stampa e sarebbero rimasti
a dormire fra le sue carte per molti e molti anni. La strumentazione della Prima
Sinfonia prevede due oboi, quattro corni, primi e secondi violini, prime e
seconde viole, violoncelli e contrabbassi, quella della Seconda due oboi, due
corni, due trombe, flauto solista nel secondo movimento, violini primi e
secondi, viole, violoncelli e contrabbassi, quella della Terza due flauti, due
corni, violini primi e secondi, viole, violoncelli e contrabbassi.

La strumentazione delle Sinfonie più largamente praticata verso il 1770 era


quella con due oboi, due corni e quintetto d'archi. Mozart cerca invece un
particolare colore timbrico per ciascuna Sinfonia. La diversità della
strumentazione dipende dal diverso carattere, e il diverso carattere è secondo
me da mettere in relazione con le diverse tonalità. Già un grande studioso di
Mozart, Bernhard Paumgartner, aveva osservato molti anni or sono che i flauti
sono "più aerei, più adatti al suo [della Sinfonia n. 21] carattere tenero". E
sull'ethos delle tonalità si è ripreso a discutere di recente. Qui notiamo
soltanto che il secondo movimento della Sinfonia K. 133, con flauto solista e
archi, è in la maggiore, e che nella Sinfonia in la maggiore K. 114 ritroviamo i
due flauti (accanto a due oboi). Il la maggiore richiama, non stilisticamente ma
poeticamente, il rococò, il rococò rappresentato emblematicamente dal
celeberrimo Minuetto di Boccherini, che è in la maggiore.

Il commento del Paumgartner sulla Sinfonia K. 134 è così bello, e così


profondo nel suo apparente candore che mi sento in dovere di citarlo per
intero: "La testa del tema, la triade arpeggiata ascendente, riapparirà con
funzione di clausola cadenzale conclusiva nel Concerto per violino in la
maggiore K. 219; qui essa domina tutto il primo movimento con scattante
energia. Il movimento lento può collocarsi fra quei deliziosi notturni
mozartiani, tutti in un'atmosfera di "giardini e fontane"; tenero melodizzare dei
primi violini sul fitto mormorio dei secondi, un lieve alito di vento, un episodio
in minore, discreto echeggiare dei corni nella ripresa, il tutto contenuto in una
cornice estremamente sobria, e concluso sorridendo, senza sentimentalismo,
da una coda preziosa. Il finale inizia di nuovo con un duetto di violini
sottovoce; ma spiritosamente rinunzia alla ripetizione forte del tema per
riallacciarsi, mediante un nuovo elemento, a una seconda idea cantabile e
capricciosa. Lo sviluppo è stringato, non rigorosamente tematico, quasi un
eccentrico tutti modulante che porta alla ripresa; quindi una fragorosa
conferma della cadenza finale, alla maniera haydniana" (trad. di C. Pinelli). Il
Paumgartner non parla del Menuetto, terzo movimento. Che in e"etti è il meno
personale, ma che nel Trio ci presenta un delicatissimo, delizioso impasto di
flauti e corni alternati con il pizzicato degli archi.

Piero Rattalino
Sinfonia n. 22 in Do maggiore K 162

https://youtu.be/NMoeeW0iafY

La Sinfonia n. 22 in Do maggiore K 162 fu composta da Wolfgang Amadeus


Mozart a Salisburgo nell'aprile del 1773.

È la prima delle cosiddette Sinfonie Salisburghesi, chiamate così da Alfred


Einstein, il quale ipotizzò che fossero tutte state commissionate da uno
sconosciuto mecenate italiano. Le altre sono la n. 23, n. 24, n. 26 e n. 27.
Struttura

L'organico previsto è composto da due oboi, due corni, due trombe e archi.

Sono presenti tre movimenti, secondo la forma dell'ouverture italiana:

Allegro assai, 4/4


Andantino grazioso, 2/4
Presto assai , 6/8

Sinfonia n. 23 in Re maggiore K 181

https://youtu.be/IZzJihF2TOE

La Sinfonia n. 23 in Re maggiore K 181 è una composizione di Wolfgang


Amadeus Mozart, completata a Salisburgo il 19 maggio 1773.

È una delle cosiddette Sinfonie Salisburghesi, chiamate così da Alfred Einstein,


il quale ipotizzò che fossero tutte state commissionate da uno sconosciuto
mecenate italiano. Le altre sono la n. 22, n. 24 e n. 26.

Struttura

La strumentazione prevede due oboi, due corni, due trombe e archi.

La sinfonia n. 23 è talvolta chiamata "Overture", anche se la partitura autografa


segna come titolo "Sinfonia". Ciò è dovuto al fatto che la sinfonia è composta
da un unico movimento ininterrotto costituito da 3 tempi diversi:
Allegro spiritoso, 4/4
Andantino grazioso, 3/8
Presto assai, 2/4

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Rientrato dal terzo e ultimo viaggio in Italia nel marzo 1773, Mozart si
trattenne a Salisburgo fino all'inizio dell'estate, quando partì alla volta di
Vienna. Le esperienze internazionali, che tanto avevano giovato alla
formazione del ragazzo, ponendolo in contatto con tutte le principali realtà
europee, avevano anche sortito l'e"etto di rendere il giovane Mozart
inso"erente verso la vita musicale salisburghese, che gli appariva provinciale.
Di qui gli attriti con l'arcivescovo Colloredo e i ripetuti tentativi di evasione
dalla città natale. Logico comunque che i periodi trascorsi a Salisburgo fra
un'esperienza di viaggio e l'altra fossero impiegati prevalentemente nel
tentativo di mettere a frutto le acquisizioni del viaggio appena concluso,
riplasmate, ovviamente, in uno stile personale.

Questo avviene ancora con le quattro Sinfonie scritte nei mesi primaverili del
1773, partiture in cui per l'ultima volta Mozart si mostra sostanzialmente
incline al gusto italiano e quindi a uno stile sinfonico elegante ma risolto nel
segno di una brillante sintesi. A partire dall'inverno seguente un nuovo ciclo
sinfonico - che annovera capolavori come le Sinfonie K. 201 e K. 183 - doveva
segnare una svolta, in direzione di una finezza di scrittura e di un contenuto
sentimentale, spesso interpretati come una autentica crisi Sturm und Drang.
Eppure le Sinfonie della primavera 1773 - K. 184, K. 199, K. 162 e K. 181 -
sono ancora lontane da questa svolta, e mostrano invece un carattere ancora
apertamente "italianista", che si esplica anche nella articolazione in tre nitidi e
brillanti movimenti. Tanto che si è ipotizzato che la loro stesura sia ascrivibile
a una commissione di qualche mecenate italiano.

In particolare la Sinfonia n. 23 in do maggiore K. 181/162b (organico: archi e


coppie di oboi, corni e trombe) ha come caratteristica quella che i tre
movimenti sono fra loro collegati, scivolano direttamente l'uno nell'altro, come
nelle ouvertures italiane. Il contenuto è comunque più complesso di quello di
altre sinfonie dello stesso periodo, per una scrittura più "sapiente", secondo il
gusto tedesco; nell'Allegro spiritoso iniziale, dopo quattro battute
d'introduzione, troviamo un primo tema severo e oscuro, seguito da ripetute
modulazioni in minore e da frequenti giochi strumentali, mentre il secondo
tema, più melodico, è solo una breve parentesi. Significativo che, in questo
periodo giovanile, Mozart non scriva una vera e propria sezione di sviluppo,
basata su materiali dell'esposizione, ma piuttosto una succinta sezione di
transizione, dopo la quale la ripresa è testuale.
Si giunge così all'Andantino grazioso, in cui gli archi introducono a un canto
tenero dell'oboe, su cui si basa essenzialmente il movimento; e questo canto si
mostra estremamente variato, mentre gli archi formano due gruppi distinti
(violini contro viole e bassi), mostrando ancora la prassi tedesca. E tedesco, nel
suo ritmo incessante di marcia, è il Rondò, che pure segue la forma italiana di
alternanza fra un tema ricorrente e idee secondarie, ma non ha più la
spensieratezza dei rondò delle sinfonie milanesi. Come dire che, anche in
quest'opera giovanile, possiamo apprezzare quel sincretismo culturale, quella
capacità di assorbimento e rielaborazione di stilemi appartenenti a di"erenti
tradizioni, che costituisce una costante peculiare di tutta la produzione di
Mozart.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Ritornato a Salisburgo nella primavera del 1773 dal suo terzo e ultimo viaggio
in Italia, Mozart scrive su ordinazione la Sinfonia in re K. 181, e altre tre
sinfonie-ouvertures, così dagli studiosi generalmente indicate per il loro
carattere stilistico e formale. Ossia sinfonie disposte su tre movimenti che però
si susseguono senza interruzione e dove lo sviluppo non è che una breve
transizione ripresa anche dopo la seconda parte; ed erano non di rado
impiegate come vere e proprie ouvertures teatrali. A di"erenza della
precedente Sinfonia in mi bemolle K. 184 di tono romantico, la Sinfonia in re è
tutta animata di sentimenti quanto mai semplici e ingenui, «senz'altra
intenzione che di elaborare ingegnosamente idee musicali più o meno
improntate al repertorio drammatico italiano», aggiungono Wyzewa e Saint-
Foix. Vi si riscontra in più un vivace gusto strumentale riattinto all'ambiente
salisburghese e del quale sono esempi il dialogo fiati-archi dell'Allegro
spiritoso (con il ruolo di primo piano a!dato ai due oboi) e la
contrapposizione, nell'Andantino grazioso, tra melodia, variata, dell'oboe e la
stessa, invariata, degli archi.

Il Presto assai è un rondò il cui tema suona come una di quelle marce tedesche
che Mozart introdurrà volentieri nelle sue opere comiche.

Giorgio Graziosi

Sinfonia n. 24 in Si bemolle maggiore K 182

https://youtu.be/qVLwwhd3aU8
La Sinfonia n. 24 in Si bemolle maggiore K 182 è una composizione di
Wolfgang Amadeus Mozart, ultimata a Salisburgo il 3 ottobre 1773.

È una delle cosiddette Sinfonie Salisburghesi, chiamate così da Alfred Einstein,


il quale ipotizzò che fossero tutte state commissionate da uno sconosciuto
mecenate italiano. Le altre sono le n. 22, n. 23, n. 26 e n. 27.

La partitura autografa è conservata alla Biblioteca di Stato di Berlino.


Struttura

La strumentazione prevede parti per due oboi, due corni e archi.

Sono presenti tre movimenti, secondo la forma dell'ouverture italiana:

Allegro spiritoso, 4/4


Andantino grazioso, 2/4
Allegro, 2/4

Guida all'ascolto (nota 1)

L'adolescenza di Wolfgang Amadeus Mozart fu segnata nel bene e nel male da


una lunga serie di viaggi in giro per l'Europa che il musicista intraprese sempre
insieme al padre Leopold, e talvolta in compagnia della sorella Marianne. Nel
bene, in quanto tra il 1762 ed il 1773 le lunghe tournées organizzate da
Leopold per esibire i talenti naturali dei due figli diedero modo al giovane
Wolfgang di conoscere una varietà di culture musicali e di ascoltare i più
grandi esecutori e compositori della metà del XVIII secolo come forse
nessun'altro dei suoi contemporanei ebbe modo di fare in un'età in cui tutto è
facilmente trattenuto nella mente e nella coscienza. Nel male, secondo alcuni,
perché gli sforzi a cui Mozart fu sottoposto da adolescente nel corso di questi
lunghi e continui viaggi, influirono sulla salute del compositore, determinando
quella cagionevolezza che, probabilmente, lo condusse prematuramente alla
morte.

Comunque sia, da una parte il genio di cui era depositario, dall'altra la


consuetudine con espressioni musicali tra loro diverse (tedesca, italiana,
francese, tanto strumentale quanto operistica) si ritrovano riflessi nelle
composizioni giovanili, coniugati grazie ad una freschezza e semplicità
espressiva che ne caratterizzarono anche in seguito le peculiarità dello stile.

La Sinfonia in si bemolle maggiore n. 24 K. 182 fa parte di un gruppo di nove


sinfonie scritte dal maestro salisburghese nella sua città natale tra il marzo
1773 ed il novembre 1774, le K. 184, 199, 162, 181, 182, 183, 201, 202, 200;
sinfonie che vennero ritrovate manoscritte riunite in un volume unico
nell'ordine sopra citato in quanto le prime cinque sono in tre tempi, mentre le
successive quattro sono quadripartite. La consequenzialità indica pertanto un
passaggio all'interno di questo corpus dalla forma sinfonica derivante dalla
ouverture tripartita operistica, a quella classica in quattro movimenti;
evoluzione dovuta forse alla elaborazione delle suggestioni italiane e viennesi
che Mozart ebbe tra il finire del 1772 e l'autunno del 1773.

In Italia per la terza volta dal 24 ottobre 1772 al 13 marzo 1773 (dopo i due
primi soggiorni tra il 1769 ed il 1771), Leopold e Wolfgang erano per la prima
volta sfuggiti al dominio del nuovo arcivescovo di Salisburgo, Hieronymus
conte di Colloredo, il quale dopo la morte del precedente arcivescovo, il mite
Sigismund von Schrattenbach, aveva posto sotto un tallone di ferro i suoi
"dipendenti" (Mozart era il Konzertmeister della corte), e speravano in un
possibile trasferimento della loro famiglia nel paese della musica, in lidi a loro
più favorevoli come Milano o forse Firenze. Nulla di tutto ciò avvenne, ed il
ritorno in patria non fu semplice. Ecco quindi, tra il maggio e l'ottobre dello
stesso anno, una nuova ed immediata fuga dei due Mozart da Salisburgo con
destinazione Vienna, città in cui il diciassettenne Wolfgang ebbe modo di
ascoltare con attenzione gli ultimi esiti haydniani. Al ritorno da Vienna Mozart
attese immediatamente alla composizione delle sinfonie K. 182 (3 ottobre) e K.
183 (5 ottobre), due lavori che si distinguono fortemente fra loro sia per
struttura che per contenuti, e dimostrano con evidenza quella capacità di
Mozart di far crescere e trasformare il proprio genio assorbendo e
rielaborando quanto conosciuto ed appreso nel corso dei suoi viaggi fuori dai
confini musicalmente sonnacchiosi di Salisburgo. La Sinfonia K. 182 propone
infatti gli ultimi echi di uno stile galante fortemente italianizzato, mentre nella
K. 183 si avvertono i primi accenni del prossimo sinfonismo mozartiano, in cui
l'autore depura il suo linguaggio dagli stilemi italiani per mantenere della
Componente italiana la fondamentale lezione melodica, coniugandola
all'interno di una sintassi tedesca fatta di ricchezza del tessuto
contrappuntistico, robustezza strumentale nell'orchestrazione e personalità
nell'invenzione tematica.
***
Forse scritta per un committente italiano, la Sinfonia in si bemolle maggiore K.
182 è suddivisa in tre movimenti: Allegro spiritoso, Andantino grazioso,
Allegro. Di breve respiro nel suo complesso, la struttura tripartita, mutuata
dallo stile italiano dell'ouverture d'opera, rivela all'ascoltatore una disposizione
asimmetrica nelle durate dei singoli movimenti, con un'accorciamento dei
tempi dal primo all'ultimo (l'Allegro dura un terzo dell'Allegro spiritoso, mentre
l'Andantino è lungo un terzo dell'Allegro iniziale ed il doppio di quello finale)
che dà all'ascoltatore un senso di vertiginosa accellerazione verso la
conclusione dell'intera composizione a cui si giunge quasi d'un fiato, trascinati
senza pensieri dalla brillantezza spensierata del terzo movimento.

Sicuramente ascrivibile alle convenzioni di una società che viveva le creazioni


dell'arte come un momento di intrattenimento e svago, la Sinfonia K. 182 rivela
queste sue origini, per esempio, nelle indicazioni agogiche del primo e
secondo tempo, dove Mozart a!anca spiritoso ad Allegro, e grazioso ad
Andantino, piccoli segni questi di una sensiblerie galante che ritorna nel
discorso musicale di una composizione che fa dell'agilità, del fraseggio
leggero, della transitorietà degli spunti drammatici, della graziosa ed elegante
cantabilità le sue principali componenti. Il giovane Mozart a!da forse a questa
Sinfonia alcune delle sue ultime divagazioni adolescenziali mentre vede aprirsi
dinanzi a sé la strada di una complessa maturità in cui sarebbero presto finiti i
bei viaggi in giro per le capitali d'Europa tra feste ed onorificenze, e il
problema di un lavoro stabile ed adeguato sarebbe divenuto forse il tormento
principale della sua vita.

Da qui il senso giovialmente ardito del primo tema dell'Allegro spiritoso,


a!ancato poi da un secondo tema morbido e a tratti dolcemente malinconico,
grazie ai quali Mozart crea un'atmosfera galante e disimpegnata, ed in cui, in
lontananza, gli squilli dei corni sembrano richiamare dame e cavalieri di una
gentile brigata ai piaceri di una caccia. L'Andantino grazioso è segnato dal
tratteggio dei fiati e degli archi in sordina di un breve tema, più volte
ritornellato, in cui il compositore sembra interpretare quello spirito bucolico
proprio delle più ra!nate corti settecentesche, per il quale dame e cavalieri,
quali nuovi bergers e bergeres, si davano piacevole convegno nei giardini
all'italiana delle loro eleganti residenze. Il terzo movimento, Allegro, è
caratterizzato da una tagliente dinamica in cui si avvertono nette le influenze
del gusto melodrammatico italiano fatto di contrasti e velocità tematica come
per caratterizzare, con la rapidità di pochi tocchi di pennello, volto, carattere e
gesti d'un immaginario personaggio. Negli echi di una giga appena accennata,
e della quale praticamente manca lo sviluppo del tema (in cui il mozartiano
perfetto potrà trovare un qualche presentimento del tema della festa
organizzata da Don Giovanni nella sua villa nella scena XV del primo atto
dell'omonima opera mozartiana), gli archi danno prova del possesso da parte
del giovane «De Mozartini» (così si definiva spiritosamente lo stesso Wolfgang
parlando della sua italianizzazione) di quelle caratteristiche dello stile
all'italiana nel comporre e nell'orchestrare di cui l'Allegro in particolare, e la
Sinfonia K. 182 nella sua globalità, è un sintetico ma significativo esempio.
Giancarlo Moretti

Sinfonia n. 25 in Sol minore K 183

https://youtu.be/rNeirjA65Dk

https://youtu.be/6Btlp3T7IIk

La Sinfonia n. 25 in Sol minore K 183 (K6 173 dB), chiamata anche la Piccola
sinfonia in Sol minore, è una sinfonia di Wolfgang Amadeus Mozart, composta
a Salisburgo nell'ottobre 1773, poco tempo dopo aver terminato l'opera seria
Lucio Silla.

Alcuni studiosi suppongono che sia stata completata il 5 ottobre, solo due
giorni dopo il completamento della Sinfonia n. 24, ma tale a"ermazione non è
supportata da alcuna fonte.

Struttura

La strumentazione prevede due oboi, due fagotti, quattro corni e archi.

Sono presenti quattro movimenti, secondo i canoni della sinfonia del


Classicismo:

Allegro con brio, 4/4

L'apertura a "razzo di Mannheim" (un passaggio melodico rapidamente


ascendente che tipicamente ha una linea crescente arpeggiata) è stata citata da
Beethoven nella sua prima sonata per pianoforte, come soggetto principale del
primo movimento. L'Allegro con brio sostituisce l'Allegro spiritoso delle
precedenti sinfonie. Si inizia con un ritmo sincopato caratterizzato da un tema
breve ripetuto più volte ed infine ripreso dall'oboe in forma malinconica e
delicata. In tutto il movimento il ritmo rimane serrato.

Andante (in Mi bemolle maggiore), 2/4

L'Andante ha un fraseggio cromatico continuamente spezzato ed i fagotti


sono sempre in eco con i violini.
Minuetto e Trio (in Sol maggiore), 3/4

Il Minuetto non ha più nulla della danza galante e rivela, in modo sintetico
e senza cedere ad abbellimenti, la propria drammaticità. Il trio è suonato
unicamente dai fiati: oboi, corni e fagotti.

Allegro, 4/4

Il finale in tempo Allegro riprende l'andamento sincopato del primo


movimento ed il tema del minuetto (in forma variata) mantenendo il tono
drammatico sino alla conclusione del pezzo.

Stile e influenze

Con le sue linee melodiche ad ampi balzi e i suoi vivaci soggetti musicali,
questa sinfonia è caratteristica dello stile Sturm und Drang. Essa condivide
alcune caratteristiche con altre sinfonie Sturm und Drang di questa epoca, ed è
probabilmente ispirata dalla Sinfonia n. 39 di Joseph Haydn, anch'essa in Sol
minore.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Quella che per tutti i biografi di Mozart è la Sinfonia della svolta, il primo vero
capolavoro del genere, un miracolo di compiuta bellezza, venne giudicata
molto severamente dal padre Leopold, che in una lettera del 1778 scriveva:
"Ciò che non ti fa onore è meglio che non venga conosciuto. Perciò io non ho
dato a nessuno le tue Sinfonie, sapendo fin d'ora che tu stesso, per quanto
potessi esserne soddisfatto quando le scrivesti, col passar degli anni, quando
ti sarai maturato e avrai acquistato discernimento, sarai ben lieto che nessuno
le abbia vedute. Si diventa sempre più esigenti". Ma quali erano gli elementi
che turbavano tanto il padre di Wolfgang?

Perennemente in apprensione per la carriera artistica del figlio che non riusciva
ancora a decollare, nonostante il suo portentoso talento, Leopold temeva che il
carattere focoso di questa Sinfonia potesse infastidire l'animo compassato
dell'Arcivescovo Colloredo, l'unico potente che ancora si degnasse, seppur
stentatamente, di mantenere a corte il genio incontenibile di Mozart.

Per fortuna l'autore, che pure sulle prime sembrò rivolgersi a più miti consigli,
tornando ad uno stile compositivo più ordinario, non rinnegò le vette artistiche
raggiunte con questa Sinfonia, quando quindici anni dopo ebbe a misurarsi,
per la seconda e ultima volta, con la espressiva tonalità di sol minore,
componendo la celeberrima Sinfonia n. 40 K. 550, strutturalmente a!ne alla
giovanile K. 183.
La Sinfonia in sol minore K. 183, nota anche come la "Piccola", per distinguerla
dalla "Grande" K. 550 nella stessa tonalità, reca la data del 5 ottobre 1773: la
leggenda tramanda ch'essa fu scritta in soli due giorni, ma è più plausibile che
Mozart attendesse alla composizione di più opere contemporaneamente e
questo spiega la distanza di soli due giorni dalla data posta in calce alla
precedente Sinfonia K. 182.

L'autore, diciassettenne, era rientrato a Salisburgo dopo un'estate passata a


Vienna; nei disegni del padre il soggiorno nella capitale austriaca, durato da
luglio a settembre, avrebbe dovuto assicurare a Wolfgang un posto presso la
corte di Maria Teresa, ma, ancora una volta, i Mozart tornarono a mani vuote
nella provinciale Salisburgo, e con la sola prospettiva di continuare a proporre i
loro servigi all'ottuso Arcivescovo. Tuttavia l'occasione era stata propizia per la
crescita creativa di Mozart che ebbe modo di conoscere alcune Sinfonie
Stürmisch di Haydn, Vanhall e von Dittersdorf. Il contatto con queste
composizioni (tutte in tonalità minore) aveva suggestionato profondamente il
giovane Mozart che, tornato a casa, dopo aver espletato l'obbligo della
composizione di Sinfonie consone al gusto salisburghese, decise di mettere a
frutto le sue nuove "conquiste". Questa Sinfonia è infatti comunemente
associata all'atmosfera impulsiva e passionale dello Sturm una Drang, la
corrente artistico letteraria che cominciava a di"ondersi prepotentemente in
Europa nella seconda metà del Settecento esaltando spontaneità, bellezza e
forza della natura e ribaltando le convenzioni del classicismo razionalista.
Tuttavia, per dirla con Carli Ballola, "questi riferimenti appaiono pedanteschi e
inadeguati", se si pensa all'immediatezza comunicativa di certe idee
melodiche, al perfetto equilibrio formale che rende quest'opera l'unica pagina
giovanile degna di un ra"ronto con le ultime grandi Sinfonie mozartiane.

Le Sinfonie composte da Mozart in quegli anni sono per lo più ascrivibili allo
stile dell'Ouverture italiana: tre movimenti con temi dal carattere leggero e
frivolo, e con scarsa incidenza dello sviluppo tematico. La K. 183 si stacca
nettamente dal complesso delle Sinfonie coeve e mostra sin dalle prime battute
un carattere impetuoso. Ma lo stupore che quest'opera è capace di suscitare
ancora ad ogni ascolto sta soprattutto nella profonda unità formale, nella
complessità degli sviluppi tematici che percorrono l'intera partitura collegando
fra loro, in un costante gioco di rimandi melodici, ritmici e armonici, i suoi
quattro movimenti (tutti nella stessa tonalità di sol minore), nella felicità
dell'invenzione melodica che arriva a pervadere persino le secondarie sezioni
di passaggio, nel mirabile equilibrio di tonalità minore e passaggi in maggiore,
nella naturalezza del respiro melodico e ritmico.

Il carattere tormentato di questa Sinfonia ha indotto molti biografi a


immaginare che essa sia legata ad una personale crisi romantica dell'autore,
ma quest'ipotesi non trova alcuna conferma nelle vicende biografiche
mozartiane; tuttavia la scelta della tonalità e dell'atmosfera espressiva è
indicativa dell'avvenuta crescita spirituale di Mozart, non a caso dunque questa
partitura segna il passaggio dagli anni giovanili di apprendistato a quelli della
compiuta maturità artistica dell'autore. Il sol minore, sarà d'ora in poi la
tonalità ideale per l'espressione del proprio tormento interiore: "Non è
ingiustificato definire il sol minore la tonalità della tragica passionalità
mozartiana. La sua scelta provoca sempre una colorazione fortemente
soggettiva dell'eloquio, una discesa nelle profondità spirituali, una particolare
intensità espressiva e talvolta una malinconia che si scioglie in cantabilità
fervida e sognante... Tutte queste caratteristiche ardono, genuine e immediate,
nella prima Sinfonia in sol minore K. 183". (Paumgartner)

Già il primo tema dell'Allegro con brio, esposto dall'oboe e dagli archi, con i
suoi ampi salti melodici, lo struggente intervallo di settima diminuita, le
caratteristiche sincopi e le rapide scalette discendenti, ci trascina in un clima di
grande drammaticità, clic non viene alleggerito neanche dall'esposizione delle
altre due idee musicali, meno significative. In particolare il tema con
acciaccature di gusto tipicamente italiano perde il suo carattere leggero e
mondano perché accompagnato dall'inquieto pulsare dei bassi, che risulta
assai più incisivo. La linea ferma dell'oboe viene talvolta isolata dando luogo a
bruschi contrasti dinamici dal piano al forte. Anche gli episodi intermedi sono
particolarmente geniali nell'invenzione melodica e densi di un'espressività
personale e appassionata.

L'Andante, ancora nella stessa tonalità di sol minore, non si configura come
l'abituale momento di rasserenamento; è infatti animato da un ritmo
singhiozzante e da melodie cariche di sospensione. Il Minuetto non ha nulla
dell'atteggiamento galante della danza da cui trae spunto; per contrasto il Trio
in sol maggiore, a!dato ai soli fiati come nelle Serenate, è l'unico brano
capace di evocare un'atmosfera di gioia e di pace. Si torna dunque all'energia
rabbiosa del Finale, che mostra numerose a!nità con il primo tempo (i
drammatici unisoni, le concitate sincopi, i forti contrasti dinamici) chiudendo il
cerchio di una eccezionale unità formale.

Emanuela Floridia

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

È dopo un viaggio a Vienna compiuto nell'estate 1773 che lo stile sinfonico del
diciassettenne Mozart - fino allora vincolato al semplice modello in tre
movimenti e agli agili contrasti propri del gusto italiano, appresi attraverso lo
studio delle partiture di Christian Bach, e poi sostanzialmente seguiti fino
allora, sia pure con progressivi arricchimenti e con personali contaminazioni
stilistiche - subisce un autentico rinnovamento. A Vienna, dove si trattenne
due mesi e mezzo, Mozart era andato con il padre nella speranza di ottenere
qualche incarico stabile che lo sottraesse al soggiorno salisburghese. Sotto
questo profilo il viaggio fu deludente, ma il compositore trasse enormi stimoli
dallo studio delle opere strumentali di Franz Joseph Haydn. L'influenza di
quest'ultimo era già avvertibile in alcune delle sinfonie degli anni precedenti.
Al servizio dei nobili Esterhàzy, splendidi mecenati che avevano al loro servizio
una orchestra, una compagnia d'opera e una di teatro di prosa, Haydn lavorava
in condizioni di splendido isolamento, attentissimo però a quanto avveniva
sulla scena europea, e soprattutto impegnato a portare a definizione un
"proprio" stile sinfonico basato su sperimentalismi formali e su una ricchissima
scrittura, animata da risorse ingegnose e sempre rinnovate. Che Mozart
potesse trovare in questa straordinaria esperienza compositiva una pietra di
paragone ineludibile è cosa che non può stupire.

Soprattutto al carattere dialettico del bitematismo haydniano, alla solida


costruzione e ai ra!nati impasti timbrici del maestro più anziano si ispirò
Mozart nella ricerca di nuovi riferimenti stilistici. I risultati espressivi, tuttavia,
mostrano una personalissima rielaborazione del modello, un'impronta
soggettivistica che ha fatto spesso parlare - anche se in termini decisamente
eccessivi - di una "crisi romantica" del compositore, di una sua adesione alla
nascente poetica dello Sturm und Drang; comunque di un netto distacco dagli
obiettivi decorativi e puramente intrattenitivi del genere sinfonico. Va
osservato, d'altronde, che lo stesso Haydn nei primi anni Settanta attraversò un
periodo Sturm und Drang, con la stesura di numerose sinfonie in minore, la
più celebre delle quali è la n. 44 detta "Musica funebre".

Tornato dunque da Vienna a Salisburgo all'inizio dell'ottobre 1773, Mozart


scrisse cinque nuove partiture sinfoniche - le Sinfonie K. 182, K. 183, K. 201,
K. 202 e K. 200 - che, nella quasi totalità, costituiscono il passo avanti decisivo
nell'a"rancamento dal gusto italiano. Forse la partitura più avveniristica del
gruppo è proprio la Sinfonia n. 25 in sol minore K. 183, dell'ottobre 1773. Nel
catalogo mozartiano le Sinfonie impostate nel modo minore sono appena due
su quarantuno, le Sinfonie K. 183 e 550, entrambe nella medesima tonalità di
sol minore, impiegata da Mozart sempre con alte ambizioni drammatiche. Già
questa circostanza è emblematica della trasformazione che il genere sinfonico
subisce ad opera del maestro salisburghese, da una destinazione cordiale e
disimpegnata, di puro intrattenimento, a veicolo di complesse strutture ed
elaborazioni che rispecchiano le riflessioni più profonde dell'autore.

La precisa scelta della tonalità minore implica in sé un coacervo di inconsuete


soluzioni espressive, che allontanano la composizione dalla funzione
intrattenitiva e decorativa di cui si è detto. Con l'aggiunta del Minuetto, i
movimenti sono ampliati da tre a quattro; i bruschi contrasti dinamici, le
settime diminuite, i frequenti sincopati, il rilievo espressivo dei fiati
caratterizzano la pregnante drammaticità dell'iniziale Allegro con brio.
L'Andante, nonostante la sua semplicità di struttura e il modo maggiore, non
crea una frattura espressiva con il resto della partitura. A un severo Minuetto
all'unisono (con la serena pausa del Trio, a!dato ai soli fiati), succede il finale,
Allegro, che riprende ed esalta la drammaticità iniziale, conferendo all'intera
composizione una interna coerenza: non ultimo dei motivi che attribuiscono a
questa Sinfonia la statura del capolavoro giovanile.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il 13 marzo 1773 Mozart, poco più che diciassettenne, rientrava a Salisburgo


insieme con il padre, dopo un soggiorno di quattro mesi a Milano. Per i due
Mozart era stato il terzo viaggio in Italia: e sarebbe stato l'ultimo. Il successo
del Lucio Silla, l'opera nuova la cui commissione era valsa a Wolfgang il
permesso di lasciare un'altra volta il servizio dell'Arcivescovo di Salisburgo,
non era bastato a fruttare quegli incarichi, possibilmente stabili, nei quali
Leopold l'aveva portato a sperare: il ragazzo prodigio che tanto rumore aveva
destato in Italia a tredici e poi a quindici anni, era divenuto ormai soltanto un
giovane, magari di grande talento, in cerca di lavoro; invece dei diplomi
accademici e degli ordini papali, stavolta per Mozart ci furono solo attestazioni
di stima, e vaghi accenni alla possibilità di un impiego a Firenze, presso la
corte granducale (regnava allora Pietro Leopoldo, il futuro Leopoldo II
imperatore), di cui non si fece poi nulla. Leopold aveva rimandato il più
possibile la partenza: evidentemente comprendeva che per suo figlio quella era
l'ultima occasione per sfondare in Italia, e che di!cilmente al ritorno in patria
avrebbe potuto sperare, almeno per molto tempo, di liberarsi dal grigiore del
servizio sotto l'Arcivescovo (ma l'impiego, per il vice Kapellmeister, era tutto:
se poteva essere buono, tanto meglio, in mancanza d'altro bisognava
accontentarsi; e quando nell'81 Wolfgang non potè più sopportare le
umiliazioni della corte salisburghese, e la piantò portandosi via il ricordo di
una bella pedata nel sedere a!bbiatagli dall'intendente, dovè a"rontare le
severe reprimende di Leopold, indignato all'idea che suo figlio si riducesse a
essere un musicante senza arte né parte, e privo di uno stipendio fisso). Ma
non c'era stato niente da fare, ed era stato necessario risolversi al ritorno.

I mesi seguenti passarono in modo abbastanza tranquillo, con la parentesi di


un viaggio a Vienna in luglio, dove Mozart portò a termine sei nuovi Quartetti:
nacque in questo periodo, oltre a varie composizioni sacre, una serie di cinque
Sinfonie, quelle oggi numerate come K. 184, K. 199, K. 162, K. 181 e K. 182.
In esse la Sinfonia di stile italiano veniva condotta dal compositore ancora
adolescente a una definizione nel suo genere perfetta: lavori scritti in pochi
giorni, con felicissima levità; contrassegnati da una grazia di cui Mozart
dimostra di padroneggiare appieno il segreto, grazie a una bravura artigianale
da tempo conseguita. Con la K. 182, terminata ai primi di ottobre, Mozart si
trovava ad avere al suo attivo oltre trenta Sinfonie (il corpus comunemente
accettato delle Sinfonie mozartiane, che ne conta in tutto quarantuna, le
assegna il ventiquattresimo posto): un bel numero, per un giovane di quell'età.
E subito dopo, «il grande cambiamento», come lo definisce Einstein. È appunto
dagli ultimi mesi del 1773 che la produzione sinfonica di Mozart si fa più
meditata, diradandosi sensibilmente in modo complementare alla sempre
crescente intensità dei significati e alla sempre maggiore consapevolezza
formale: il primo, importante capitolo di questa svolta è proprio la Sinfonia in
sol minore K. 183 oggi in programma, tradizionalmente nota come n. 25, nata
anch'essa ai primi di ottobre. Con essa Mozart inaugurò una triade di Sinfonie
che Einstein, fatte le debite proporzioni, non esita a paragonare all'altra, quella
che avrebbe concluso nel 1788 l'esperienza sinfonica di Mozart (le sublimi
Sinfonie in mi bemolle K. 543, in sol minore K. 550 e in do maggiore K. 551
Jupiter): alla K. 183 sarebbero seguite nel 1774 la Sinfonia in la maggiore K.
201 e nel '75 quella in do K. 200 (nel '74 nacque anche una Sinfonia in re, la K.
202, rimasta ai margini della produzione di Mozart, che a di"erenza delle altre
tre non la volle eseguita negli anni della maturità a Vienna). Poi più niente, in
fatto di Sinfonie, fino al 1778, l'anno del viaggio a Parigi: da allora in poi, il
sinfonismo mozartiano avrebbe prodotto solo i grandi capolavori, vere «opere
uniche» in senso quasi ottocentesco, da tutti conosciuti e celebrati.

La Sinfonia in sol minore K. 183 si pone dunque come il cardine intorno al


quale ruota tutta la parabola stilistica ed etica del sinfonismo mozartiano,
quasi un bagno di dolente e irrequieta introspezione, prima che la Sinfonia di
Mozart sappia recuperare modi più sereni, con l'olimpica globalità di significati
di un capolavoro leggiadro come la K. 201. Non sembrerebbero implicarlo le
circostanze esterne della sua creazione: Mozart si trovava in un momento
abbastanza grigio della sua evoluzione artistica, relegato nell'uggioso
provincialismo di Salisburgo, che per lui significava essenzialmente la ricaduta
nelle pastoie di una professione di compositore di musica da intrattenimento o
da chiesa, scritta su commissione; i viaggi più recenti erano stati assai meno
fecondi di stimoli e di conoscenze di quanto non lo fossero stati quelli della
fanciullezza e dell'adolescenza, e l'immediato futuro, allo stato, pareva
promettere poco. A render ragione della nascita di questo primo capolavoro
sinfonico di Mozart soccorre l'anagrafe, troppo spesso posta in non cale
dall'eccezionale precocità con cui lo stile e la tecnica di Mozart erano giunti a
maturazione: preparatissimo e ricco di esperienze come compositore, Mozart
era tuttavia un diciassettenne, in pieno trapasso fra l'adolescenza e la
giovinezza. Non è facile resistere alla tentazione di scorgere un rapporto più o
meno diretto fra la delicata situazione emotiva che Mozart dovè attraversare in
questi mesi (già in atto, a quanto pare, durante quell'ultimo viaggio in Italia
poco tempo prima), con quella «inquietudine selvaggia e dolorosa» che
Bernhard Paumgartner vi ravvisa apparentandola all'altra Sinfonia in sol
minore, quella in ogni senso tanto più grande cui Mozart avrebbe a!dato di lì
a quindici anni uno dei suoi messaggi più alti e so"erti (proprio per
distinguerla da questa, di solito, la K. 183 è detta «la piccola»). La comune
tonalità, del resto, non è solo un dato esteriore: in tutta la produzione di
Mozart la K. 550 e la K. 183 sono le sole sinfonie impiantate in minore; e
anche prescindendo da quello che è un dato che non ha più bisogno di
conferme, ossia che la scelta della tonalità da parte di Mozart rispondeva a
precise intenzioni stilistiche, è inevitabile so"ermarsi su una tale coincidenza.
Tanto più che nella tradizione del secondo Settecento il modo minore era
abbastanza poco usato nella Sinfonia, limitandosi per lo più a caratterizzare
lavori ispirati alla Passione, come la stupenda Sinfonia n. 49 di Haydn; «ma in
questa Sinfonia in sol minore di Mozart», annota ancora Einstein, «l'agitazione
interna dell'orchestra con l'inquieto sincopato all'inizio, il forte contrasto della
dinamica, lo scoppio del fortissimo dopo un pianissimo morente e i selvaggi
contrattempi, gli accenti aspri, i tremoli dei violini, tutto questo non si riferisce
certo a pie meditazioni sul Monte Oliveto e la Crocifissione, bensì a una
so"erenza decisamente personale».

Il diciassettenne di Salisburgo traduce dunque in musica, e nei termini ormai


impegnativi e seriosi di una Sinfonia, la sua prima esperienza di Sturm und
Drang. Sceglie un organico privo di trombe e timpani, veicoli consueti di gaia
marzialità, ma reso più denso ed espressivo dall'ampio uso dei corni, accanto
alle coppie consuete degli oboi e dei fagotti. Articola il suo lavoro nei quattro
movimenti classici, con un Allegro iniziale particolarmente ampio, che a"erma
in modo quanto mai deciso il clima emotivo di tutta l'opera, caratterizzandosi
come uno dei primi importanti esempi della drammatica interiorità di cui sarà
tante volte capace negli anni successivi; e a questo fa seguire un secondo
tempo breve perché estremamente concentrato nell'espressione, e un Minuetto
che nella sua tinta oscura, venata di intima agitazione, ha tutto fuorché la
grazia leggera dell'intermezzo danzato, di cui si ravvisa il ricordo solo nel Trio,
a!dato ai soli fiati secondo l'uso antico, quasi un frammento di serenata. Nel
Finale, legato in solida unitarietà tematica sia con il primo movimento che con
il Minuetto, l'assunto espressivo di tutta la Sinfonia trova pieno e consapevole
coronamento, a ribadirne il carattere so"erto e colmo di turbamenti.

Daniele Spini

Sinfonia n. 26 in Mi bemolle maggiore K 184

https://youtu.be/UkO-k6Zn47Y
La Sinfonia n. 26 in Mi bemolle maggiore K 184/161a di Wolfgang Amadeus
Mozart fu completata a Salisburgo il 30 marzo 1773, un mese dopo il ritorno
del compositore dal suo terzo viaggio in Italia.

È una delle cosiddette Sinfonie Salisburghesi, chiamate così da Alfred Einstein,


il quale ipotizzò che fossero tutte state commissionate da uno sconosciuto
mecenate italiano. Le altre sono le n. 22, n. 23, n. 24 e n. 27.
Struttura

La strumentazione prevede due flauti, due oboi, due corni, due fagotti, due
trombe e archi.

Sono presenti tre movimenti, di cui il secondo sfocia nel terzo senza alcuna
interruzione:

Molto presto, 4/4


Andante (in Do minore), 2/4
Allegro, ⅜

Guida all'ascolto (nota 1)

La sinfonia in mi bemolle maggiore di Mozart (K. 184) fa parte di un gruppo di


autografi sui quali qualche possessore ha raschiato, non si sa bene per quali
ragioni, le date, in modo da rendere impossibile decifrare qualcosa oggi, dalle
cancellature in questione. Però quasi tutti i critici sono d'accordo nell'attribuire
loro la data del 1773. E lo stile di questa sinfonia, prova chiaramente che
Mozart dovette comporla subito dopo il ritorno dall'Italia: senza poter
escludere però, che essa sia stata composta a Milano nello ultime settimane
del soggiorno italiano del musicista.

Ciò che fa pensare all'autenticità della data proposta è sopratutto il fatto che
questa sinfonia (come le tre che seguono), più che una vera «sinfonia» nel
significato che allora si cominciava a dare a questa parola, è un'ouverture da
teatro all'italiana poiché si compone di tre brevi movimenti, senza ritornello; di
più, i tre movimenti sono incatenati l'uno all'altro senza soluzione di continuità
- proprio come nell'antica sinfonia d'opera - invece di essere tempi chiusi da
una solida «cadenza» nel tono principale. Più ancora: Mozart qui segue
l'abitudine italiana di dividere ogni tempo in due parti eguali, senza l'ombra di
uno sviluppo fra le due parti. Si potrebbe quasi pensare che a Milano il giovane
musicista avesse ricevuto la commissione di comporre i lavori in questione. E
l'ipotesi è tanto più valida in quanto la Sinfonia in mi bemolle è la sola opera
strumentale di quel tempo, la cui ispirazione drammatica e appassionata
richiami quella delle Sonate e dei Quartetti composti quando Mozart attendeva
alla sua opera italiana Lucio Siila.

L'Allegro iniziale ha un movimento di uno slancio giovanile e intenso,


l'Andante, in do minore, mostra una scrittura dialogata così delicata e preziosa
da farlo mettere fra i capolavori giovanili del Salisburghese; il Finale gaio e
brioso è forse un po' troppo leggero, per reggere il confronto con i due
movimenti precedenti, ma conclude brillantemente (proprio all'uso teatrale)
questo lavoro.

Domenico De' Paoli

Sinfonia n. 27 in Sol maggiore KV 199

https://youtu.be/W2xkCNK2Il4

La Sinfonia n. 27 in Sol Maggiore K199/161b di Wolfgang Amadeus Mozart fu


composta a Salisburgo nell'aprile del 1773.

È una delle cosiddette Sinfonie Salisburghesi, chiamate così da Alfred Einstein,


il quale ipotizzò che fossero tutte state commissionate da uno sconosciuto
mecenate italiano. Le altre sono le n. 22, n. 23, n. 24 e n. 26.

Struttura

La sinfonia, secondo Bernhard Paumgartner, possiede un carattere


prevalentemente tenero, la cui sonorità potrebbe essere paragonata a quella di
un'ouverture per un'opera lirica dal carattere giocoso.

La strumentazione prevede due flauti, due corni e archi.

Sono presenti tre movimenti:


Allegro, 3/4
Andantino grazioso, 2/4
Presto, 3/8

La composizione quindi si apre con un allegro, giocoso e gioioso, "pieno di


trovate spiritose". Segue un andantino grazioso con sordini che richiama le
serenate che Mozart aveva frequentemente composto nella sua giovinezza ed è
costruito attorno ad un tema popolaresco esposto da violini e flauti. L'ultimo
movimento, che riprende la gaiezza del primo, è un presto in 3/4, costituito da
un tema fugato e da suoni che richiamano una fanfara.

Sinfonia n. 28 in Do maggiore K 200

https://youtu.be/UKX504gRgzg

La Sinfonia n. 28 in Do maggiore K 200/189k è una sinfonia di Wolfgang


Amadeus Mozart. Fu composta a Salisburgo, ma la datazione è incerta. È
verosimile che sia sta scritta il 12 o 17 novembre del 1773 o del 1774.
Struttura

La strumentazione prevede parti per due oboi, due corni, due trombe e archi.

Sono presenti quattro movimenti:

Allegro spiritoso, 3/4


Andante (in Fa maggiore), 2/4
Minuetto e Trio, 3/4
Presto, 2/2

Nel primo movimento risalta il tono rigoroso dell'introduzione. Nei successivi,


invece, le melodie e i temi sono sviluppati nella semplice tonalità del Do
maggiore in modo più leggero, contrastando quindi con gli arpeggi del primo
movimento. Nel finale, Mozart fa suonare gli ottoni in modo più prominente
del solito, o"rendo un primo indizio di quello che sarà lo sviluppo della
sinfonia n. 41, detta Jupiter.

Guida all'ascolto (nota 1)


«Vienna è cosi ricca di compositori, e cela fra le sue mura tanti musicisti, che a
buon diritto può dirsi la capitale della musica tedesca. Lo dimostrano i nomi di
Hasse, Gluck, Wagetnseil, Ho"mann, Giuseppe Haydn, Ditters, Vanhall e Huber,
che han dato prova d'essere tutti dei grandi compositori. Le sinfonie e i
quartetti degli ultimi cinque son capolavori del genere». Così il Burney nel
«Giornale di viaggio» del 1773. Ed è proprio in quella musicalissima Vienna,
dove nello stesso 1773 il diciassettenne Mozart soggiornò per sei settimane,
che il contatto con le opere di quei compositori - specialmente di Haydn -
dischiuse nuovi orizzonti artistici al Salisburghese e promosse quel
rinnovamento stilistico i cui frutti maturi sono le quattro ampie Sinfonie
composte durante tale periodo (K. 183, 200, 201, 202): opere, peraltro, nelle
quali egli raggiunse pienamente quella maestria professionale che avrebbe
conservato fino al termine della sua esistenza. Dietro l'esempio di Haydn, in
queste Sinfonie «noi vedremo accrescersi - nota il Saint-Foix - la lunghezza
degli sviluppi, le code divenire possenti ricapitolazioni dei tempi estremi, i
Finali rivestire una importanza pari a quella dei movimenti iniziali ed assumere
la forma-sonata: in una parola, una elaborazione condotta più a fondo, un
linguaggio più nettamente sinfonico ed una concezione architettonica più
ampia». Ed inoltre, un profumo viennese, un gusto italiano, una grazia
adolescente, che non ritroveremo più.

Oltre tali caratteristiche, la Sinfonia K. 200 rivela una evidente cura per l'unità
tematica: i motivi, all'interno di ciascun tempo, non sono semplicemente
allineati, ma posseggono delle a!nità strutturali, per cui sembrano sorgere
l'uno dall'altro; parentele tematiche, inoltre, legano tra loro i vari movimenti:
così, ad esempio, la testa del tema del primo tempo è la stessa - trasportata in
fa maggiore - e volta in direzione ascendente - dell'inizio del secondo
movimento; e si riode, a valori ritmici raddoppiati, a guisa di appello sulle
rapide crome degli archi nel Finale; il tema trillato di quest'ultimo, poi, prende
lo spunto dalla terza battuta del primo tempo e segue la linea ohe soggiace al
disegno ornato della codetta del primo tema dell'Andante; ed altre interessanti
relazioni si potrebbero citare: ma basti aver rilevato una salda coerenza
strutturale che è certo il risultato dell'esempio di Haydn.

Col che, nulla si vuoi togliere all'intima originalità di questa Sinfonia, dove tale
esempio fruttifica in termini assolutamente mozartiani e non privi, peraltro, di
suggestioni anticipatrici: quali si trovano nel Minuetto che, con l'estrosa
spezzatura del fraseggio, con di ritmo nervoso di alcuni passaggi e certi
bruschi trapassi tonali, preannuncia dei tratti che saranno propri dello Scherzo
beethoveniano; e nel Finale, la cui aerea leggerezza e fantasmagorica vivacità
fanno pensare al Mendelssohn shakespeariano.

Sinfonia n. 29 in La maggiore K 201


https://youtu.be/9U3tja1CmCw

https://youtu.be/X3j5f9ggN-4

La Sinfonia n. 29 in La Maggiore K 201 (K6 186a) di Wolfgang Amadeus Mozart


fu completata a Salisburgo il 6 aprile 1774. Insieme alla n. 25 (scritta pochi
mesi prima) costituisce una delle sue più famose sinfonie giovanili.

Il musicologo Stanley Sadie la considera "una pietra miliare, personale nel tono
e ancor di più nella sua combinazione di intima musica da camera con una
tempra ardente e impulsiva".

Struttura

La strumentazione è abbastanza contenuta, come la maggior parte delle


sinfonie giovanili, ed è costituita da due oboi, due corni, archi. L'intera sinfonia
è pervasa da uno spirito leggiadro che non trascura di mettere in evidenza i
singoli strumenti.

Sono presenti quattro movimenti, coerentemente con i canoni della sinfonia


del Classicismo:

Allegro moderato, 2/2

Il primo movimento si apre con una frase molto elegante che è poi
sottoposta ad elaborazioni molto accurate, in cui Mozart non usa un vero
contrappunto ma giochi di imitazione che, uniti ad espedienti timbrici,
forniscono al movimento caratteristiche di moderata drammaticità.

Andante, 2/4

Il secondo movimento è caratterizzato da una grazia particolare. Il gioco


delle imitazioni continua ma è l'uso degli archi con la sordina che conferisce al
movimento una sonorità del tutto speciale. In ogni caso è rilevante come
Mozart riesca a sviluppare un movimento di una certa ampiezza con un
materiale tematico piuttosto succinto.

Minuetto e Trio, 3/4


Il minuetto inizia, contrariamente alla consuetudine, con un piano
sostenuto dai soli violini per mostrare nel prosieguo tutto il suo vigore.

Allegro con spirito, 6/8

Movimento di scrittura molto complessa dove Mozart dimostra di aver


pienamente raggiunto la maturità artistica sia dal punto di vista tecnico che
strumentale. Il musicologo Alfred Einstein dirà di questa partitura "contiene lo
svolgimento più ricco e drammatico che Mozart avesse scritto fino a quel
momento".

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Terminata il 6 aprile 1774, la Sinfonia K. 201/186a rappresenta - insieme alle


Sinfonie in do maggiore K. 200/189k e in sol minore K. 183/173dB - una
autentica svolta all'interno della produzione sinfonica mozartiana; le tre
composizioni segnano infatti l'ultima tappa di un lento processo di
a"rancamento dall'influenza dominante del gusto italiano. Questo
orientamento, avviato già all'indomani del terzo viaggio in Italia e del trionfo
milanese del Lucio Silla (inverno 1772-73), potè trovare esiti adeguati
solamente dopo il viaggio a Vienna della successiva estate 1773. I frequenti e
proficui contatti avviati nella capitale imperiale con le più significative
tendenze contemporanee (prima fra tutte quella di Joseph Haydn), spinsero
Mozart ad abbandonare quella struttura in tre concisi movimenti e quei limpidi
contrasti di matrice italiana che, appresi fin da bambino tramite la decisiva
influenza di Christian Bach, erano rimasti, in seguito, costanti punti di
riferimento.

Soprattutto al carattere dialettico del bitematismo haydniano, alla solida


costruzione e ai ra!nati impasti timbrici del maestro più anziano si ispirò
Mozart nella ricerca di nuovi riferimenti stilistici. I risultati espressivi, tuttavia,
mostrano una personalissima rielaborazione del modello, un'impronta
soggettivistica che ha fatto spesso parlare - anche se in termini decisamente
eccessivi - di una "crisi romantica" del compositore, di una sua adesione alla
nascente poetica dello Sturm und Drang; comunque di un netto distacco dagli
obiettivi decorativi e puramente intrattenitivi del genere sinfonico.

A questo proposito l'Allegro moderato che apre la Sinfonia K. 201/186a


mostra caratteri quasi programmatici, con una conciliazione inedita dello stile
"dotto" (contrappuntistico) con quello "galante". L'ambientazione del
movimento non si distanzia sostanzialmente dall'atmosfera tenera ed esitante
della prima idea; la particolare tornitura della frase, con il salto di ottava e le
appoggiature, le imitazioni al basso, la veste timbrica intimistica
(l'orchestrazione prevede appena archi, oboi e corni), la preziosità cameristica
della cura del dettaglio, rappresentano certo una nuova conquista espressiva
per il compositore. Anche l'Andante, che prescrive gli archi in sordina, e il
Minuetto, segnato da netti contrasti dinamici, mostrano una partecipazione
che esorbita dai limiti degli stilemi consueti per questi movimenti. Il Finale
presenta un chiassoso tema da Sinfonia italiana; ma la sezione di sviluppo è di
una estensione insolita, e viene condotta attraverso implicazioni quasi
drammatiche, secondo un tratto peculiare dello stile dell'autore maturo.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Anche nel campo della sinfonia, decisivi appaiono gli anni tra il '73 e il '75 che
vedono l'esaurirsi graduale, nella sua realtà strutturale non meno che in quella
estetica, di quel modello italiano (più spesso italianeggiante, nella mediazione
di J. Ch. Bach) che aveva fatto le spese del sinfonista bambino e adolescente.
Ma della produzione sinfonica haydniana coeva o precedente (nota in Europa
attraverso le edizioni via via apparse a Parigi) Mozart assume solo quei tratti
che convengono al suo già inconfondibile mondo poetico, riservandosi, quanto
al resto, la più ampia libertà di scelte linguistiche. Da Haydn, e non da altri,
egli poteva mutuare la solidità d'impianto, il vigore dialettico dello sviluppo
tematico, la vitalità polifonica, la densità di spessore sonoro che
contraddistinguono la triade sinfonica costituita dalle opere K. 183, 200 e 201,
l'ultima delle quali, terminata il 6 aprile 1774, costituisce qualcosa di
assolutamente nuovo ed originale perfino rispetto alle due che la precedono.

Il primo movimento è un miracolo di equilibrio tra freschezza lirica e ricchezza


di elaborazione: il tema principale, con il suo incedere come esitante e
stupefatto e col suo tenero palpitare in note ribattute e appoggiature
semitonali, è quanto di più lontano si possa dare dalla chiara e perentoria
definizione motivica, cara al sinfonismo haydniano: segno esemplare che la
chiave di volta dell'architettura sonatistica mozartiana non s'identifica tanto
nell'elaborazione tematica, quanto nell'avventurosa e"usione dell'invenzione
melodica e nella sua intrinseca pregnanza espressiva. Non per questo il
bellissimo motivo nel corso del brano si sottrae a un vigoroso lavorìo basato
sull'imitazione e sulla modulazione, che conferisce al discorso finezze
cameristiche e insieme robustezza sinfonica. Più raccolto e conciso, l'Andante
fa tesoro della maestrìa nel trattare la scrittura a quattro parti (qui arricchita
dalla presenza tutt'altro che complementare delle coppie dei fiati) dimostrata
da Mozart nella produzione quartettistica immediatamente precedente; mentre
il ritmo puntato evoca, nel Minuetto, come un'eco di serenate en plein air, a
ravvivare d'un tocco spregiudicato l'andamento compassato ed aulico della
danza haydniana. Nell'ultimo tempo, l'emancipazione dalle servitù italiane è
posta in evidenza proprio dall'adozione di un ritmo e di un'allure tipici di un
finale all'italiana: senonchè, ciò che un tempo era modello d'obbligo, ora è
divenuta libera scelta di materiali, trattati con una complessità di scrittura e un
impeto vitalistico non immune da esuberanze drammatiche, denotanti
l'irreversibilità di una conquista stilistica.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Rientrato dall'Italia nel marzo 1773, Mozart attraversa per qualche tempo un
periodo di raccoglimento, conseguito alla decantazione di due opposte e
parimenti avvertite tendenze: quella dell'esperienza italiana e l'altra di
accensione a"ettiva scaturita dagli spiriti dello «Sturm und Drang». Una serie
di nove «Sinfonie» mette in luce il superamento di questa dualità, ovvero
l'interpretazione personale (e per la prima volta riflessiva) delle correnti
artistiche e delle poetiche più vive dei due paesi. In giovinezza, si sa, i tempi
assimilativi sono sempre corti: più lente, invece, sono le scelte. Cosi, in quella
produzione sinfonica Mozart estrinseca una sintomatica combinazione dello
stile italiano e di quello austriaco. Sono infatti presenti ancora le ripetizioni
tematiche, le opposizioni dinamiche di piano e forte, la proposizione breve dei
motivi musicali e l'episodicità degli sviluppi: che sono tutti fattori tipici della
maniera di Sammartini, ma che nondimeno già tendono a coordinarsi secondo
una logica coerenza di discorso, dietro una rivalsa dell'elemento formale
austriaco, desunto da una ventata di memorie di Joseph Haydn, il già a"ermato
maestro della forma-sonata. Tuttavia, qualcosa del robusto e nobile
contrappuntismo praticato dalla scuola di padre Martini, qualcosa del pathos
tardo-barocco appreso soprattutto dalla produzione sacra italiana, resta in lui,
collegandosi a certa appassionata inquietudine espressa dal clima wertheriano
dello «Sturm und Drang». Insomma, in questa felicissima e geniale osmosi, si
decanta e cade ciò che è superfluo, mentre si evidenziano assimilazioni più
decisive e partecipate. Il vigore giovanile, il brio gioioso all'italiana, il
riecheggiamento anche di locuzioni operistiche, perdono certa nitidezza
d'accento in ragione di un più chiaro quadro formale, di un melodismo più
plastico: e ricompare il gusto del contrappunto (eredità anche della vecchia
scuola salisburghese di Eberlin e Michael Haydn), nonché l'individuazione
timbricamente più spiccata, dietro l'impiego articolato degli strumenti a fiato,
sperimentato in opere stilisticamente di"ormi, quali «Divertimenti» e «Messe».
Ed allora si fa luce, in questo fecondo dualismo, l'atteggiamento tipico del
futuro Mozart maggiore: ossia l'accento semplice, graziosamente leggero,
teneramente espressivo e qua e là austeramente pensoso.

Durante il viaggio compiuto a Vienna nell'estate 1773, questi elementi si


precisano sul modello già illustre di Joseph Haydn, fatto di solidità di mestiere
ed altresì di serio ideale musicale. E comincia di qui lo scambio — per ora ad
una sola direzione — tra Haydn ed il giovane Mozart, che più tardi genererà
fruttuose influenze reciproche. Tutti gli artifici tecnici di Haydn (ma anche di
suo fratello Michael nonché di Gassmann, il maestro della cappella di corte)
vengono presi a prestito, vagliati e piegati ad una personale interpretazione: la
forma ora si amplia, l'intensità espressiva cresce e con essa l'individuazione
stilistica, gli sviluppi tendono ad accentuarsi per l'uso ripristinato del
contrappunto, i finali ricuperano la forma-sonata sostituendola al tradizionale
Rondò. Cosi nascono, nella fusione della melodiosità italiana e del solido
formalismo austriaco, i primi capolavori mozartiani, soprattutto incentrati in
un gruppo di «Sinfonie» che suggeriscono egregiamente i futuri sviluppi del
suo genio: e cosi, accanto alla triade delle brillanti «Sinfonie» in do, la e re
maggiore (K. 200-02), si situa quella «Sinfonia» in sol minore K. 183 che con
la sua trepida inquietudine anticipa la sorella maggiore K. 550 nella stessa
tonalità. Delle altre tre, la migliore è certo la seconda (K. 201), ove il gioco
ornamentale trapassa ad espressione di sentimenti, mentre le altre due
riflettono il passaggio già allo stile galante di puro divertimento che prende a
contagiare, sullo scorcio del 1773-74, anche l'ambiente viennese.

Ma Mozart vigila questa moda europea che dilaga rapidamente, quasi


preoccupata dalla nuova tensione pre-romantica dello «Sturm und Drang»,
moda che interessa Haydn ma soprattutto il più predisposto suo fratello
Michael. Ed avviene infatti che Mozart smetta di comporre «Sinfonie» per
qualche anno: occorrerà il viaggio a Parigi successivo all'incontro con la famosa
orchestra di Mannheim (1778), per rassicurargli l'ideale formale. Il gusto dello
stile galante intacca indubbiamente anche questa «Sinfonia in la» K. 201,
composta nei primi mesi del 1774, ma ancora non la coinvolge del tutto,
seppure le proporzioni formali siano qui assai ridotte e lo sviluppo risulti come
atrofizzato (e sono proprio queste le caratteristiche salienti del cosiddetto stile
galante). In seguito, Mozart si dedica a «Serenate» e «Divertimenti», cioè ad un
genere più brillante ed attraente, ove la sua fantasia brilla, ma l'eleganza si fa
esteriore e l'espressione perfino convenzionale, generica. Una restrizione di
ideali, un arresto evolutivo? Quand'anche, ciò non manca di un aspetto
salutare, hanno ben osservato il Wyzewa ed il Saint-Foix, se nello stile galante
il musicista si rende più padrone dei propri mezzi, riducendo l'elemento
virtuoslstico, eliminando e"etti facili ed insomma raggiungendo l'epurazione
più radicale delle sue idee, delle sue ascendenze.

La «Sinfonia in la maggiore» K. 201 costituisce un test esemplare in questo


senso, perché valorizza, con una strumentazione particolarmente accurata,
ancorché a!data ad una compagine ridotta, la timbrica dei singoli strumenti
ben rilevati nel gioco imitativo, e perché raduna gli atteggiamenti più
elementari e sostanziali del suo stile, da verificare ed elaborare più tardi. Essa
è un'ipoteca sicura, una sanzione importante della virtuale grandezza di
Mozart. Ove basta vedere come, dietro frequenti scoppi di schietta allegria,
certi momenti di ispirata estaticità (come nello splendido «Andante») diventano
per cosi dire il cantuccio privato che il musicista riserva per la migliore parte di
sé: atteggiamento pronto ad iniziare l'ascesa verso la potenziale e possibile
bellezza ideale della maturità.

Il distacco dallo stile galante si manifesta, nell'«Allegro moderato», fin


dall'iniziale e sottile gioco di imitazioni ed aggregazioni tematiche, in virtù
d'un ricercato gioco contrappuntistico. La maestria di Mozart sta proprio in
questa commistione di contesto rigoroso e di risvolti quasi in chiave operistica,
più espliciti nel secondo tema, che con assoluta fantasia dispone di materiali
usati. Da notare anche il piacevolissimo sincretismo stilistico nell'ancor
embrionale sezione dello «sviluppo», con la novità di idee tematiche che si
rigenerano con magnifico agio.

A"ettuoso ed e"usivo l'«Andante», immerso nella sonorità morbida degli archi


in sordina, a realizzare un clima autenticamente viennese, anticipatore di certo
tono amoroso del «Don Giovanni». Il gusto crittografico della citazione e della
variante di un materiale musicale duttilissimo, si coglie perfettamente nel
secondo tema, intimo e cantabile, ove i primi violini delineano un motivo che
ritroveremo nell'«Andante cantabile con espressione» della celebre «Sonata in
la minore» (K. 310), composta a Parigi nel '78: a dire come Mozart in questa
«Sinfonia» mostri uno stile personale ormai delineato. Inoltre, certo breve
gioco di pause che intimizzano il discorso, prefigura già il Mozart della
maturità.

Il «Minuetto», contrariamente all'uso, inizia sommesso per raggiungere


scansioni ritmicamente incisive e poi pieghe più espressive, ove i due oboi ed i
due corni suggeriscono modulazioni pastorali: un chiaroscuro che si fa più
disteso e lirico nel «Trio» atteggiato a danza, vero esempio di Minuetto
viennese.

Brioso e vivacissimo l'«Allegro con spirito» conclusivo, certo la pagina più alta
della «Sinfonia» anche per la maestria tecnica e strumentale. Un cicaleccio
continuo e vario si comunica a tutta l'orchestra, presagendo i grandi Finali
sinfonici, dalla «Ha"ner» in poi; mentre certo tono agreste alla Watteau si
coglie nel secondo tema, umoristicamente popolaresco, che conclude con
accenti operistici. Sul contesto fremente, la scala conclusiva degli archi è
davvero sigla di felicità; ma prima, nella sezione centrale, un'improvvisa
concitazione dà la misura anche di cadenze drammatiche inattese, le più ricche
(ha notato l'Einstein) che Mozart abbia scritto fino a quel momento. Per tali
fattori, questo grande «Finale» mozartiano preserva l'intera «Sinfonia» dalle
sirene del gusto galante: piuttosto, è presentito vicino il mondo neo-classico,
quel clima «viennese» che sarà del primo Beethoven e del primo Schubert.
Sergio Martinotti

Sinfonia n. 30 in Re maggiore K 202

https://youtu.be/uVecMqIiQAQ

La Sinfonia n. 30 in Re maggiore K 202 (K6 186b) è una sinfonia di Wolfgang


Amadeus Mozart, composta a Salisburgo e completata il 5 maggio del 1774.
Struttura

La strumentazione prevede due oboi, due corni, due trombe, fagotto, timpani e
archi, ma la parte per timpani è andata perduta. C'è stato più di un tentativo di
ricostruirla.

Sono presenti quattro movimenti, coerentemente con i canoni della sinfonia


del Classicismo:

Molto allegro, 3/4

Il primo movimento (vedi sotto) è in forma-sonata e si apre con un


motivo da fanfara. Segue una sezione di transizione che contiene un dialogo
tra violini e bassi, con l'alternanza di suoni forti e leggeri. Tale dialogo termina
con un trillo. Il secondo gruppo di temi della forma sonata conta due sezioni.
La prima è una ländler suonata da due violini e un violoncello, mentre la
seconda è un minuetto per tutti gli strumenti, caratterizzata da trilli presenti in
ogni battuta. La coda ritorna allo stile della ländler. Lo sviluppo si concentra su
uno stile da minuetto con le frasi allungate. Dopo la ripresa, la coda torna a
questo minuetto e regolarizza nuovamente la lunghezza delle frasi prima della
cadenza finale.

Andantino con moto, 2/4

Questo movimento è scritto nella tonalità di La maggiore.

Minuetto e Trio, 3/4

Nel trio, in Sol maggiore, il primo violino è sincopato di un'ottava sopra


l'accompagnamento.

Presto, 2/4
Il finale parte con un motivo da fanfara simile a quello con cui parte il
primo movimento. Le frasi di risposta e il secondo tema del movimento hanno
invece uno stile da Contraddanza.

Sinfonia n. 31 in Re maggiore K 297 "Pariser"

https://youtu.be/lQHEZ3x4Cf8

https://youtu.be/P7ZOy4hAAHg

La Sinfonia n. 31 in Re maggiore K 297 (K6 300a), nota anche come Pariser


Sinfonie (Sinfonia Parigi), fu composta da Wolfgang Amadeus Mozart a Parigi
nel 1778. Essa rappresenta la carta di presentazione di Mozart nel mondo
musicale parigino.

Storia e prima rappresentazione

L'opera fu composta durante l'infruttuoso viaggio di Mozart a Parigi, nel


tentativo di cercare un'occupazione migliore di quella che aveva a Salisburgo
(musicista di corte presso il principe arcivescovo Hieronymus von Colloredo). Il
compositore all'epoca aveva 22 anni.

La sinfonia fu commissionata a Mozart da Joseph Le Gros, direttore dei Concert


Spirituel. La première ebbe luogo il 12 giugno 1778 in un concerto privato
presso l'abitazione del conte Karl Heinrich Joseph von Sickingen, ambasciatore
dell'Elettorato del Palatinato. La prima rappresentazione pubblica, invece, si
ebbe sei giorni dopo durante i Concert Spirituel.

La sinfonia ricevette critiche positive in un articolo del 26 giugno del Courier


de l'Europe, pubblicato a Londra:

«I Concert Spirituel del giorno del Corpus Domini sono iniziati con una sinfonia
del signor Mozart. Codesto artista, che fin dalla più tenera età si è fatto un
nome tra i più grandi clavicembalisti, può oggi essere considerato uno dei
migliori compositori esistenti.»
La sinfonia fu nuovamente suonata durante i Concert Spirituel il 15 agosto. Per
questa occasione, Mozart sostituì il secondo movimento (originariamente un
Andantino in 6/8) con un Andante. Secondo il musicologo Otto Erich Deutsch
l'Andantino "non era riuscito a piacere abbastanza".

La Sinfonia n. 31 divenne in breve tempo popolare. Deutsch elenca numerose


ulteriori rappresentazioni durante i Concert Spirituel del 1779, precisamente il
18 e 23 marzo, 23 maggio, 3 giugno, e ancora il 14 maggio 1780. L'opera fu
pubblicata a Parigi da Sieber e pronta per le vendite il 20 febbraio 1779. Dal
1782 al 1788, il catalogo di Sieber la descrive come "una sinfonia ormai
facente parte del repertorio dei Concert Spirituel".

L'11 marzo 1783 venne eseguita al Burgtheater di Vienna.

Struttura

La strumentazione prevede due flauti, due oboi, due clarinetti, due fagotti, due
corni, due trombe, timpani e archi. L'organico è particolarmente ampio, in
quanto Mozart a Parigi aveva a disposizione orchestre piuttosto grandi. Inoltre
questa è la prima sinfonia di Mozart che preveda l'uso di clarinetti.

Sono presenti tre movimenti:

Allegro assai, 4/4


Andante, 3/4
Allegro, 2/2

Il primo movimento si apre con una rapida e crescente scala in Re maggiore,


e"etto noto come razzo di Mannheim e presente anche nell'apertura della
Sinfonia n. 25. La prima versione del secondo movimento (Andantino, in 6/8)
non è andata perduta.

Guida all'ascolto (nota 1)

La Sinfonia K. 297 viene detta "Paris" dalla città nella quale fu scritta, ed alla
cui prassi musicale era indiscutibilmente legata. L'inso"erenza verso il
provincialismo della città natale, la ricerca di una a"ermazione internazionale e
di un impiego prestigioso spinsero Mozart, nel 1777, ad abbandonare
Salisburgo per compiere un lungo viaggio che lo avrebbe portato ad Augsburg,
Mannheim e Parigi. Nella capitale francese il compositore era già stato da
bambino, nel 1763-64 e nel 1766, accolto allora con grande ammirazione.
Assai più amaro fu il soggiorno del 1778; l'ambiente parigino mostrò una
sostanziale indi"erenza verso il compositore ventiduenne, che stentò ad
inserirsi anche per la sua scarsa propensione verso il gusto francese.
L'occasione di scrivere una Sinfonia per la società del Concert Spirituel fu
comunque estremamente preziosa. Abituato al ridotto organico strumentale
della corte salisburghese e a uno stile segnato dall'esperienza di Haydn,
Mozart si trovò a scrivere per un grande complesso orchestrale e a rispettare i
canoni riconosciuti del sinfonismo parigino; ma anche a cercare di colpire il
pubblico con particolari e"etti eclatanti.

Emblematica a questo proposito la lettera inviata da Parigi al padre, rimasto a


Salisburgo, il 3 luglio 1778, lettera da cui traspare anche l'antipatia del
compositore verso la prassi musicale parigina.

"Ho dovuto comporre una Sinfonia per aprire il Concert Spirituel. È stata
eseguita il giorno del Corpus Domini fra il plauso generale. [...] Alla prova ero
molto preoccupato, non avendo mai sentito in vita mia nulla di peggio; non si
può immaginare come abbiano stravolto e straziato la mia Sinfonia per due
volte consecutive. [...] la Sinfonia è cominciata, [il tenore] Raaf stava accanto a
me e proprio a metà del primo Allegro c'era un passaggio che sapevo bene che
doveva piacere: tutti gli ascoltatori ne sono stati rapiti ed è scoppiato un
grande applauso. Poiché nel comporlo ero ben conscio dell'e"etto che avrebbe
prodotto, l'avevo nuovamente inserito alla fine... e così stessa accoglienza Da
capo. È piaciuto anche l'Andante, ma soprattutto l'Allegro finale. Poiché avevo
sentito che qui tutti gli Allegri finali cominciano come quelli iniziali, con tutti
gli strumenti insieme e per lo più all'unisono, io ho cominciato solo con due
violini, piano per otto battute, e immediatamente dopo con un forte. In questo
modo gli ascoltatori, come previsto, al momento del piano hanno fatto sst, poi
è venuto immediatamente il forte; e sentire il forte e battere le mani per loro è
stato tutt'uno. Così per la felicità subito dopo la Sinfonia sono andato al Palais
Royal a gustarmi un buon gelato [...] ".

Ecco dunque che la Sinfonia K. 297 costituisce un unicum nel catalogo


mozartiano, e tuttavia, nonostante il distacco del compositore dal gusto
francese, contiene una varietà di e"etti di cui Mozart saprà fare tesoro negli
anni seguenti. L'Allegro assai si apre con il rituale "premier coup d'archet", con
un potente e"etto di unisono; e tutto questo primo movimento si svolge
secondo una logica di grandi contrasti, con due temi di carattere opposto,
momenti aulici alternati a passaggi delicati, sempre secondo una grande
fluidità espressiva. Il tempo centrale, un semplice Andante in 3/4, non piacque
al direttore del Concert Spirituel, Legros, e Mozart lo sostituì con un Andantino
in 6/8, di grande eleganza melodica, che poi si è imposto nell'uso. E questo
movimento presenta una fluidità nel fraseggio che viene appena turbata da
qualche screziatura espressiva. Il Finale, così bene descritto da Mozart nella
sua lettera, è una sorta di moto perpetuo brillantissimo, aperto da quel brusco
scarto dinamico (da piano a forte) che sollevò gli applausi del pubblico alla sua
prima esecuzione; non mancano però quegli intrecci contrappuntistici e quelle
implicazioni drammatiche nello sviluppo che rappresentano il marchio
inconfondibile dell'autore; né una conduzione complessa e variata, che garantì
alla partitura la permanenza nel repertorio della società concertistica che lo
aveva commissionato.

Arrigo Quattrocchi

Sinfonia n. 32 in Sol maggiore K 318

https://youtu.be/-wtztb2UQsg

La Sinfonia n. 32 in Sol maggiore K 318 di Wolfgang Amadeus Mozart fu


composta a Salisburgo nell'aprile del 1779, pochi mesi dopo il ritorno del
compositore da Parigi.

La partitura autografa è conservata alla New York Public Library.

Struttura

La strumentazione prevede due flauti, due oboi, due fagotti, quattro corni, due
trombe, timpani e archi. Il brano è ricco di crescendi e diminuendi e sono
presenti parecchi interrelazioni tra i fiati e gli archi.

La sinfonia è costruita nella forma dell'ouverture italiana, anche se non si può


definire tale. Consta perciò di tre movimenti, che si susseguono senza
interruzione tra l'uno e l'altro:

Allegro spiritoso, 4/4

Il primo movimento si rivela essere in forma-sonata, senza però


ripetizione dell'esposizione. I due temi principali si articolano in mezzo a temi
di transizione. Lo sviluppo inizia riproponendo il primo tema in molteplici
tonalità di"erenti. Nel momento in cui la musica è in dominante e sembra
pronta per spostare la tonica nella ripresa, il movimento sfocia invece
nell'Andante.

Andante, 3/8

Il secondo movimento è in forma di rondo (ABACAB).

Tempo primo, 4/4

Di nuovo, nel momento in cui l'ascoltatore si aspetterebbe l'inizio della


ripresa, la musica sfocia nel terzo movimento, che continua lo sviluppo del
primo tema del primo movimento. Segue una "ripresa all'inverso" dove i due
temi sono riproposti, appunto, in ordine inverso rispetto all'Allegro spiritoso.

La sinfonia come ouverture

In passato l'opera è stata identificata come ouverture del dramma Thamos, re


d'Egitto o di Zaide., ma ciò è improbabile in quanto le date di quelle opere non
coincidono con quella del manoscritto autografo della sinfonia. Inoltre,
generalmente, l'ouverture era l'ultimo brano di un'opera ad essere composto.

Nel 1785 Mozart utilizzò la Sinfonia n. 32 come ouverture dell'opera di


Francesco Bianchi La villanella rapita nella sua rappresentazione a Vienna.

Guida all'ascolto (nota 1)

Secondo le più recenti indagini musicologiche di Hans Hegel ed Erich Schenk,


Mozart ha scritto 53 sinfonie complete in un arco di tempo di 24 anni che va
dalla fine del 1764 all'agosto del 1788. Una produzione certamente inferiore a
quella di Haydn che compose almeno 104 sinfonie in un periodo di circa
quarant'anni, ma nettamente rilevante se si confronta, sotto il profilo
numerico, con le nove sinfonie di Beethoven e con le quattro di Brahms. Il fatto
è che originariamente la sinfonia non aveva quella struttura strumentale
dialetticamente articolata e complessa alla quale ci riferiamo oggi quando
parliamo di questa forma orchestrale, ma era intesa come un brano da
concerto destinato ad aprire o a chiudere un programma musicale, il cui pezzo
forte era costituito dalla esibizione dei solisti, sia cantanti e sia virtuosi di un
determinato strumento, specie il pianoforte. Era imperante, intorno alla prima
metà del Settecento, l'influenza della cosiddetta sinfonia all'italiana o meglio
dell'ouverture in stile italiano e secondo lo spirito dell'opera bu"a che era
articolata in tre tempi (Presto - Adagio - Presto) distinti fra di loro soltanto
esteriormente ma che in sostanza era in un tempo solo. Si sa che Mozart, pur
partendo dall'esempio italiano filtrato attraverso l'insegnamento prima di
Johann Christian Bach e poi di Haydn, riuscì a modificare e a sviluppare la
sinfonia a tal punto da cambiarle i connotati, nell'ambito di quel processo di
trasformazione e di approfondimento del discorso strumentale che, secondo
Alfred Einstein, passò dal decorativo all'espressivo, dal superficiale all'intimo,
dalla pura esteriorità alla confessione spirituale. Basti pensare alla armonica
compiutezza dei risultati raggiunti con le sinfonie di Linz (K. 425) e di Praga (K.
504) e con la famosa trilogia delle ultime sinfonie in mi bemolle, sol maggiore
e do maggiore (K. 543, 550, 551).

La Sinfonia in sol maggiore K. 318, in programma stasera, è stata scritta


nell'aprile del 1779 a Salisburgo e, secondo alcune fonti critiche, sarebbe
servita come introduzione all'opera Zaide, Singspiel musicale composto in
quello stesso periodo di tempo. Questa opinione è avvalorata dal fatto che
nell'attacco della sinfonia si avverte un gioco di imitazioni tra violini, violoncelli
e viole tipico dello stile dell'ouverture. Ad un certo punto il ritornello si arresta
sulla dominante di re e apre la strada alla seconda frase, più brillante e vivace.
Le imitazioni si infittiscono, finché nella tonalità di si minore le viole e i
secondi violini ripropongono il tema ritmico con cui si era aperta la
composizione. L'Andante in tempo 3/8 si presenta con un accento
delicatamente morbido e persuasivo, in linea con la migliore tradizione
mozartiana. Intervengono flauti, oboi e corni e l'orchestra assume un tono più
robusto e marcato, prima di sfociare nel Tempo primo, in cui soggetto e
ritornello si snodano con varietà di sonorità, tra fortissimo e piano, conferendo
un rilievo preponderante agli strumenti a fiato. Certo, non una grande sinfonia,
ma piacevole e scorrevole e soprattutto un tassello prezioso del magnifico
mosaico della creatività mozartiana.

Sinfonia n. 33 in Si bemolle maggiore K 319

https://youtu.be/oxSCzzyij78

La Sinfonia n. 33 in Si bemolle maggiore K 319 di Wolfgang Amadeus Mozart


fu composta a Salisburgo e porta la data del 9 luglio 1779.
Struttura

La strumentazione prevede due oboi, due fagotti, due corni e archi.


Sono presenti quattro movimenti, coerentemente con i canoni della sinfonia
del Classicismo:

Allegro assai, 3/4


Andante moderato, 2/4
Minuetto, 3/4
Allegro assai, 2/4

La partitura autografa è conservata alla Biblioteca Jagellonica di Cracovia.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'organico di questa partitura, presentata a Salisburgo il 9 luglio 1779 ed edita


nel 1785, comprende due oboi, due corni e archi. Il 1779 è un anno
particolarmente ricco in fatto di produzione mozartiana: infatti raccoglie la
«Messa in do», tre sinfonie, una serenata, due marce, sonate, canti religiosi
tedeschi, arie, vari pezzi sacri e il dimenticato Singspiel «Zaide», che venne
rappresentato a Salisburgo e non più ripreso forse perché la partitura manca,
presentemente, della chiusa e, si dice, dell'intero terzo atto.

Partitura svolta con ampiezza, ricca di idee e di sviluppi, che va crescendo via
via d'importanza. L'Allegro assai comincia con un accordo deciso e con un
tema ascendente, battute che dimostrano chiaramente come Mozart desideri
applicarsi con fervore alla partitura, concedendole una speciale attenzione. Il
tempo procede sempre con la stessa gioiosità, tenendo ben compatti tutti gli
strumenti. E quando, qua o là, sembra risolvere, le riprese tornano con tutto il
fervore, impegnando tanto gli archi quanto i fiati in un succedersi senza soste,
riprendendo il primo tema, insistendo sugli sviluppi e preferendo sempre le
sonorità più decise, tanto che gli strumenti sembrano moltipllcarsi.
Indubbiamente Mozart si impegna a fondo, in questo Allegro, dando l'avvio
alla partitura nel modo più deciso.

Il secondo tempo è un Andante moderato dove le sonorità risultano più


analizzate che non nel primo tempo, ma che, nascostamente, non tradiscono
la iniziale animazione. Il tema a!dato ai violini è assai dolce ed elegante, con
qualche nota puntata che anima al giusto punto l'idea musicale e il suo
sviluppo. Tutto è a!dato ai violini, ma poco più avanti anche i fiati si fanno
sentire. Il colloquio continua con nobiltà e senza perdere quelle caratteristiche
note puntate che lo avevano animato subito dopo la prima idea. Poi tutto si
a!evolisce, anche se i violini tengono a mostrarsi sempre in primo piano, fino
ad assumere nuovi contatti con i fiati.

Il Minuetto, una delle pagine più squisite di Mozart, palesa gentilezze e inchini
senza soste, con speciali animazioni nei primi violini, con risposte ben
equilibrate dei fiati. Il «Trio» è estremamente scorrevole, assai fine, come
l'iniziale tempo di minuetto. Poi, ecco la ripresa del tema principale d'obbligo:
tutto è estremamente elegante e impeccabile.

Il tempo finale, Allegro assai, ha una vitalità che fa pensare alla futura
animazione dei quartetti beethoveniani. Anche questo tempo non presenta
soste: tutto procede in modo vivo, specialmente là dove archi e fiati si fondono
insieme in una gioiosità e rapidità di schietto carattere strumentale. Un Mozart
che vuol farsi notare per importanza di sviluppi, come del resto aveva bene
annunciato nel primo tempo. Non è facile seguire il compositore in tutte le sue
successioni di idee. In questo finale c'è qualche cosa che trascina, così come
accade in certe creazioni sinfoniche di autori posteriori che, certamente, non
mancarono di studiare a fondo questa smagliante pagina, tipica rispetto allo
stile mozartiano.

Mario Rinaldi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sinfonia K. 319 è considerata coronamento del sinfonismo giovanile di


Mozart.

Composta a Salisburgo il 9 luglio 1779, comprendeva in origine tre soli menti,


all'uso italiano. Nel 1782, dopo il trasferimento a Vienna, Mozart vi aggiunse il
Minuetto trasformandola in una vera sinfonia moderna in quattro tempi. Ma già
al suo nascere quest'opea annunciava, in tutto, il Mozart della maturità
viennese: l'impianto formale è saldo e ricco di elaborazione, il linguaggio
imbriglia in una nuova compostezza l'estroversione ritmica e melodica dello
stile italiano, l'organico (ove i fagotti si confermano ormai indipendenti dalla
linea del basso) ritorna terso, deponendo i colori fastosi, alla francese, delle
sinfonie precedenti.

Alla robusta maturità della scrittura corrisponde la bella pienezza delle


intenzioni espressive e un clima sereno e positivo che devono avere influito
nella creazione dell'Ottava Sinfonia di Beethoven, la quale rivela singolari
assonanze col primo e l'ultimo tempo della K. 319. Al principio della sezione di
sviluppo l'Allegro assai appare, interpolato, il soggetto di quattro note
destinato a conoscere la sua apoteosi nella Sinfonia "Jupiter". L'Andante
moderato aderisce a un sentimento d'intimo raccoglimento. Limpido e
concentrato è pure il Minuetto, col suo Trio dall'andatura di Ländler. Il Finale
mescola, con grande fantasia, caratteri di marcia e di pastorale all'elemento
bu"o.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)


Il lungo viaggio a Mannheim e Parigi si doveva rivelare fondamentale nella
formazione di Mozart, per le preziose acquisizioni stilistiche; doveva costituire
tuttavia una esperienza dolorosa per l'indi"erenza incontrata sul piano
professionale e, sul piano privato, per la perdita della madre e la disillusione
amorosa per Aloysia Weber. Mozart fu costretto a far ritorno a Salisburgo, dove
venne riassunto dall'arcivescovo in qualità di organista di corte. Privi di grandi
eventi, i due anni successivi furono ovviamente anni di insoddisfazione per il
giovane Mozart, costretto a prestare servizio nella rigida corte salisburghese;
ma furono, contemporaneamente, anni di intenso lavoro, nella ricerca di quello
stile maturo che doveva trovare la prima abbagliante manifestazione
nell'Idomeneo.

Nascono in questo periodo tre sinfonie - K. 318, 319, 338 - che sono lavori
segnati da una parte dalla ricerca di una stile sinfonico personale e sofisticato,
dall'altra da una concezione formale che è volta invece al passato, soprattutto
per il trattamento degli sviluppi.

Ecco dunque che la Sinfonia n. 33 in si bemolle maggiore K. 319, datata 9


luglio 1779, pur mantenendo un organico forzatamente ridotto, secondo la
prassi esecutiva della corte di Salisburgo (2 oboi, 2 fagotti, 2 corni e archi), ha,
nei suoi tre movimenti, delle dimensioni nettamente più ambiziose delle
precedenti. Non a caso, facendola eseguire a Vienna nel 1785, Mozart riterrà
opportuno aggiungervi un Minuetto, che verrà ad integrare adeguatamente la
robusta struttura di questa partitura. Maturata è anche la scrittura orchestrale,
arricchita di tutte le sfumature espressive apprese a Mannheim (come i piccoli
"crescendo" che hanno la funzione di mediare gli scarti fra il "Tutti" e il
Concertino) e dall'emancipazione del fagotto dalla linea del basso.

Nella Sinfonia K. 319, il primo movimento, in forma sonata, evita una forte
contrapposizione fra i due temi principali, mantenendosi prevalentemente
nella medesima ambientazione idilliaca, non turbata neanche dall'apparizione,
al principio dello sviluppo, di un motivo (si bemolle, do, mi bemolle, re)
derivato dalla liturgia cattolica e presente a più riprese nella produzione di
Mozart (dalla prima Sinfonia K. 16 al finale della "Jupiter"). L'Andante
moderato, governato dalla preziosa scrittura dei Mannheimer, non crea un
contrasto con il primo movimento, ma ne privilegia i caratteri arcadici. Una
certa frattura si ha con il Minuetto che, con la sua configurazione essenziale, i
calibratissimi giochi strumentali, il Trio di carattere villereccio, si accosta alle
danze dell'ultimo periodo viennese. Il Finale è una pagina spigliata e divertita,
in cui elementi stilistici di di"erente suggestione (come il giocoso motivo
iniziale in terzine e il tema cantabile che gli si contrappone) vengono fusi da
una propulsiva energia ritmica.
Arrigo Quattrocchi

Sinfonia n. 34 in Do maggiore K 338

https://youtu.be/zMA9FU9meFc

La Sinfonia n. 34 in Do maggiore K 338 di Wolfgang Amadeus Mozart è l'ultima


delle sinfonie composte a Salisburgo prima della rottura con il principe
arcivescovo Hieronymus von Colloredo. Fu completata il 29 agosto 1780.

Sembra che sia stato proprio il grande successo della prima del 3 aprile 1781
nel Kärntnertortheater che questa ottenne alla sua esecuzione ad aver indotto
Mozart ad abbandonare la città, diventata troppo inadatta alle sue ambizioni,
per trasferirsi a Vienna. Il 26 maggio 1782 venne eseguita ancora a Vienna.

Struttura

La strumentazione prevede due oboi, due fagotti, due corni, due trombe,
timpani e archi.

Nonostante la maggior parte delle sinfonie prevedano quattro movimenti, nella


Sinfonia n. 34 ne sono presenti tre. Ciò era ancora comune nel periodo del
primo Classicismo.

Allegro vivace, 4/4

Il primo movimento, scritto in forma-sonata, viene introdotto da una


fanfara a tempo di marcia tipica delle sinfonie festive, come era d'uso in
Austria nelle scritture sinfoniche in Do maggiore. Questa è la prima delle
sinfonie di Mozart a presentare questo carattere, ma lo stile verrà ripreso nelle
due sinfonie successive nella stessa tonalità, la Sinfonia n. 36 e la n. 41.
Alla fanfara segue un secondo tema pervaso da lirismo.
L'esposizione contiene un crescendo tipico delle ouverture, crescendo che
poi non è incluso nella ripresa. Lo sviluppo si concentra su materiale
completamente nuovo. La ripresa è abbreviata e interrotta da un rapido
sviluppo del tema. La fine del movimento contiene tutto il primo tema creando
così l'impressione di una "ripresa all'inverso" tipica delle ouverture italiane.
Andante di molto (più tosto Allegretto), 2/4

Il secondo movimento è scritto nella tonalità di Fa maggiore e prevede


l'uso di soli archi (che suonano "sottovoce", con due parti distinte per le viole)
con l'eccezione della presenza di un fagotto che raddoppia le voci del
violoncello e del contrabbasso.

Allegro vivace, 6/8

Il finale ha un ritmo rapido che richiama una tarantella con solo qualche
momento di velata tristezza.

La questione del minuetto K 409

Il musicologo Alfred Einstein ha avanzato una teoria, nella terza edizione del
catalogo Köchel, secondo cui il Minuetto in Do maggiore K 409, scritto a
Vienna da Mozart nel maggio 1782, sarebbe stato composto per questa
sinfonia. Tuttavia, non esiste alcuna prova a supporto di questa tesi. Inoltre, il
minuetto richiede due flauti nell'organico, cosa che non è invece prevista nel
resto della sinfonia.
Il minuetto in questione è raramente eseguito nelle esecuzioni, e si avvale della
sonorità dei fiati in particolare nel trio.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sinfonia n. 34 in do maggiore K. 338 fu pubblicata postuma nel 1797, sei


anni dopo la morte del compositore. Mozart la terminò a Salisburgo nell'estate
del 1780. L'anno successivo si trasferirà a Vienna, desideroso di costruire una
propria vita, annoiato e scontento dell'ambiente salisburghese, stufo di
ricoprire il ruolo, in parte umiliante, di musicista dedito al servizio della corte
arcivescovile.

La Sinfonia n. 34 è dunque uno degli ultimi omaggi a un mondo che Mozart


presto lascerà, a uno stile che subirà in breve evoluzioni dal respiro più ampio
e dal linguaggio più gravido di futuro. Il fatto che i tempi della Sinfonia siano
tre e non quattro rientra, ad esempio, nella convenzione italiana che era di
norma utilizzata a Salisburgo. Non a caso, una volta a Vienna, Mozart vi
aggiungerà un Minuetto. Sempre collegato alla convenzione sopraccitata è il
tono fastoso da Ouverture con cui attacca il primo tempo e, soprattutto,
l'Allegro vivace finale che, nel suo correre gioioso, ricorda talvolta i tempi in
'presto' della vecchia Sinfonia italiana.

Solo uno sguardo superficiale però potrebbe fermarsi a queste osservazioni.


Nel fastoso tono iniziale del primo tempo c'è infatti in nuce un piglio eroico e
drammatico che sembra possedere sfumature quasi beethoveniane. È
un'energia che va oltre il celebrativo, si carica di un'a"ermazione volitiva,
lontanamente romantica. Lo stesso dicasi di quei ritmi e colori marziali di cui
questo tempo è pervaso, i quali sembrano appartenere al linguaggio comune
del Settecento ma che in realtà procedono fra ombreggiature cupe,
oscuramenti incerti, che paiono negare il percorso apparentemente solare del
brano. Lo si vede già nelle prime battute: lo squillante motto tematico iniziale
viene seguito subito dalla ripetizione della sua appendice ritmica in piano;
compare poi un breve moto marziale cui segue in piano un'ombrosa risposta in
fa minore. Si potrà dire che qui si gioca solo con i colori della tonalità; ma è
pur vero che uno scarto in negativo c'è stato. Sembra si ritorni poi al clima
arcadico con un motivo di caccia ai corni e alle trombe: ma la successiva
reiterazione agli archi dell'accordo di do maggiore per tre battute ha perduto la
sua serenità in favore di un'energia volitiva non più solo decorativa o
convenzionale. Sotto le braci del navigato linguaggio italianizzante cova il
fuoco di una nuova forza espressiva che si può definire, esagerando,
romantica. Si ha la sensazione che fra le maglie di questa musica diventi
possibile percepire il bisogno di andare oltre, una certa insoddisfazione che
necessita un progresso. Nelle prime opere di Beethoven questa sensazione è
onnipresente. Si farebbe però un errore ad a!ancare Mozart al Romanticismo.
Questo compositore esprime, anche nelle opere giovanili, una vis tragica che
ha sfumature talmente personali, intense e delicate, da rendere impossibile il
farle rientrare nel linguaggio, in gran parte condiviso e riconoscibile, del
periodo romantico. La trasparenza dell'Andante di molto centrale, accentuata
dall'orchestra che prevede i soli archi, è di una purezza arcadica più volte
citata come culmine del nitore sonoro settecentesco. A ben guardare però
anche qui abita una tensione verso la bellezza, corredata da una certa
eccentricità nello sposare ritmi e andamenti melodici, che non si può far
risalire, al di là della sua veste 'classica' e per i suoi aspetti più profondi, a
nessuna tradizione. Tutti gli strumenti parlano una voce comune, elegante nei
respiri e nelle pause, nel contempo sommamente intensa e profonda. Si noti,
per esempio, la struggente nostalgia delle ultime battute che chiudono il
brano. Anche qui di Romanticismo non si può parlare, come non si può parlare
di razionalismo illuminista, di 'a"etto' codificato. È la coscienza di qualcosa
che si allontana e si perde.

Stesso discorso si può fare per la conclamata fastosità italiana dell'ultimo


brano. Sembra qui far capolino lo stile di Sammartini fuso con la fluente
ritmica barocca di una Giga, il tutto guidato da un istinto ritmico che alterna
dinamismo giocoso e stasi irresistibile, che fa apparire e scomparire la meta
del suo procedere con grande maestria. Anche in questo brano c'è molto di
'unico', di irripetibile, di non circoscrivibile. La verità è che Mozart è sempre
profondamente anticonvenzionale, anche quando sembra portare a vertici
sommi l'apparato espressivo di una tradizione accettata, celebrata e di"usa.
Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sinfonia in do maggiore ha la data del 29 agosto 1780, fu creata, dunque,


in un giro di mesi, quelli tra il 1780 e l'81, fondamentali nella vita di Mozart.
Certo, i concetti di svolta e mutamento sono solo generici per una vita che fu
sempre evoluzione e scoperta, ma in questo caso non sono del tutto
inappropriati.

Nel 1777-78 Mozart aveva fatto uno dei suoi giri europei, durante il quale
aveva abitato e lavorato in tre capitali della musica: Parigi, Mannheim, Monaco.
Tornato a Salisburgo all'inizio del 1779 aveva ripreso di malanimo il servizio
nella corte dell'arcivescovo Colloredo, con il quale ricominciarono subito i
contrasti: Mozart era oppresso dalla ristrettezza mentale dei concittadini e
esasperato dalla sgarbata autorità dell'arcivescovo. Aveva bisogno, insomma,
di libertà e di vivere in un mondo degno di lui (era un mondo che non esisteva,
ma col suo inguaribile ottimismo egli voleva che esistesse). Si che per la
miracolosa collaborazione del suo genio e del destino con i casi quotidiani e le
necessità della vita ci sembra che Mozart abbia allestito, diciamo così, gli
imprevisti vivendoli anche in anticipo. Oltre alla Sinfonia in do maggiore nel
1780 egli scrive due dei suoi capolavori, l'ldomeneo (Monaco, 29 gennaio
1781) e le Vesperae solemnes de confessore, non altro, il che basterebbe a
chiunque sia, ma è poco per lui che a"ollò di lavori ogni anno della sua
esistenza. Mozart tirava il fiato e preparava la sua libertà.

I lunghi congedi che si prese di sua iniziativa, da Salisburgo, prima a Monaco e


poi a Vienna, o"esero a tal punto Colloredo che lo cacciò una volta per tutte (9
maggio 1781) e in modo drammatico (infatti due mesi dopo il suo segretario, il
conte Arco, coprì Mozart di improperi e gli assestò il leggendario calcio nel
sedere: per mesi Mozart sognò di restituirlo).

Mozart era libero, aveva venticinque anni, lasciò l'odiata-amata Salisburgo per
sempre (ci tornò solo occasionalmente e per pochi giorni) e visse a Vienna i
dieci anni che gli restavano da vivere. La vigorosa serenità che nutre tutta la
Sinfonia in do maggiore, è il riflesso di uno stato d'animo teso al futuro.

Mozart scrisse 41 Sinfonie, la prima quando aveva otto anni, l'ultima quando
ne aveva trentadue, nel 1788 (ed è l'altra in do maggiore, lo Jupiter delle
sinfonie, un vertice "finale", oltre il quale Mozart non volle andare: anche in
questo caso fu lui che fissò il corso delle cose). I capolavori del suo sinfonismo
sono sette, scritti tra il 1780 (quattro fino al 1786) e il 1788 che vide nascere
gli ultimi tre (K. 543, K. 550, la celeberrima Sinfonia in sol minore, e K. 551).
La Sinfonia in do maggiore K. 338 del 1780 apre non indegnamente il grande
ciclo.

Haydn aveva fissato l'architettura della sinfonia in quattro tempi (Allegro,


Adagio, Minuetto, Allegro), realizzando un ideale dinamismo di valori
espressivi e di mediazioni (la funzione della forma di danza, che sta a metà fra
il movimento e la sosta) - dinamismo e mediazioni che mancavano sia allo
strumentalismo tedesco del nord sia a quello di tradizione napoletana, in cui lo
schema era tripartito (Allegro, Adagio, Allegro). Azione e riflessione sono
principi dell'umanesimo illuministico che il tranquillo ma attivissimo Haydn
condivideva e che rese fondamentali per il classicismo musicale, principi di cui
anche Mozart, genio attivissimo e non tranquillo, era persuaso. Ma l'antica
architettura in tre tempi non fu abbandonata in ogni caso e per sempre,
almeno fino a Beethoven.

Infatti la Sinfonia K. 338 è in tre tempi. Nella costruzione essa è insolitamente


simmetrica ed equilibrata (i tre tempi hanno durate quasi uguali, anzi l'ultimo
è, contro l'uso, un poco più breve), tuttavia esprime, come ho detto, una forte
vitalità. In una lettera del 1781 da Vienna al padre Mozart scrive che una sua
sinfonia, eseguita con organico molto allargato (40 violini, 6 fagotti, tutti i fiati
raddoppiati), è andata magnificamente ed è stata un grande successo. Otto
Jahn identificò questa sinfonia nella nostra, K. 338, ma poi la sua tesi è stata
messa in dubbio. Tuttavia la possibilità che in un'occasione speciale Mozart
abbia ampliato l'organico di questo suo lavoro non è da escludere (allora i
musicisti praticavano interventi ad hoc sulle loro musiche), dato anche il
carattere esplicito e fastoso della musica. La tonalità d'impianto, luminosa e
a"ermativa, do maggiore, conferma che Mozart concepì la pagina con animo
entusiasta. Un tema marziale, deciso e ben scandito (tempo in 4/4), mette in
moto l'Allegro vivace: l'intenzione è quella dello stile grandioso. Ma un
"grandioso" non creato per e"etto e per imporre l'attenzione (come accade
nella sinfonia scritta da Mozart due anni prima per Parigi, la K. 297), bensì
come espressione immediata di idee forti e della volontà di agire. Non è un
caso il fatto che questa animazione già anticipi lo spirito operistico dei
capolavori maggiori: qui l'Ouverture e il concertato del II atto del Figaro e
nell'ultimo tempo il ballo del Don Giovanni. Al gesto del primo tema si
contrappone la melodia, interiore, riflessiva, discendente e ascendente per
contrappunto a specchio (eppure semplice!), di un mirabile secondo tema (gli
elementi costruttivi dell'Allegro sono almeno quattro, ma i significativi sono
questi due). Il passaggio senza ripetizioni dall'esposizione dei temi allo
sviluppo conferma l'impressione di una volontà creativa risoluta ed energica.
Lo sviluppo ha passaggi arditamente modulanti nei quali avvertiamo l'ansiosa
malinconia sempre nascosta in Mozart, ma la ricapitolazione dei temi e la
"coda" ci riportano alla vitalità vittoriosa dell'inizio.
L'Andante, che è una netta espressione di stile a"ettivo, qui realizzato in un
intimo colloquio tra gli archi e i due fagotti, ha la quieta concentrazione della
musica da camera. Con il tema iniziale, in fa maggiore, si confronta un
secondo tema, in do, più luminoso e sereno. L'elaborazione tematica sviluppa
il senso di malinconico raccoglimento verso una conclusione rasserenante. Il
finale, infatti, riespone il primo tema con un più appagato lirismo. C'è da
notare, infine, che Mozart ha indicato il movimento con "Andante di molto", in
un suo italiano impreciso che vuol escludere uno stacco troppo riposato,
eccessivamente raccolto (nel senso che si dà oggi ad "Andante"): quasi
certamente l'indicazione significa Andante con moto.

Lo spirito festoso del primo tempo è pienamente confermato dall'Allegro


vivace, tutto percorso dal ritmo di una danza popolare: all'ascolto viene
spontaneo evocare una tarantella. La spinta, in certi passi perfino a"annosa, al
movimento, all'azione, all'esplicita allegria, è molto più marcata che nel primo
tempo. È l'immagine sonora di una festa all'aperto, di foga gioiosa, di voci e di
luci.

D. F. Tovey ha scritto con finezza che pochi avvertirebbero una sostituzione se


questo brano, trasportato in mi bemolle maggiore, diventasse la musica del
ballo nel Don Giovanni.

Franco Serpa

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Tra la Sinfonia K. 43 che ha aperto il programma odierno e la Sinfonia in do K.


338 intercorrono tredici anni, essendo quest'ultima del 1780. Mozart era di
nuovo al servizio della corte salisburghese a guadagnarsi «l'eterno pane» come
organista e Konzertmeister. Quel poco e spesso umiliante pane ch'egli
ripagava con una imbandigione di musiche immortali, come le tre Sinfonie in
sol, in si bemolle, e do (K. 318, 319, 338). La partitura della Sinfonia in do, a
di"erenza dello strumentale della Sinfonia K. 43, prevede anche fagotti,
trombe e timpani; manca invece dei flauti che là intervenivano nell'Andante.
Questa maggior ricchezza dell'orchestra è elemento esteriore, ma va pur
connesso in qualche modo con la più ampia concezione sinfonica e la molto
maggiore vigoria spirituale e originalità che brilla in questo Sinfonia in do:
insomma, il confronto tra le due Sinfonie può servire a misurare il cammino
percorso dalla miracolosa precocità del ragazzo undicenne alla altrettanto
precoce maturità del giovane di ventiquattr'anni.

La Sinfonia, per la mancanza del Minuetto (lasciato incompleto), è in tre soli


movimenti. Tra la fierezza romanticamente ombreggiata di «minori»
dell'Allegro vivace iniziale e il piglio brillante, quasi di tarantella dell'Allegro
vivace di chiusa, un quintetto d'archi a viole divise, da solo, canta il suo
Andante di molto, quasi creatura umile, casta, che Mozart ha immaginata tra il
guizzare di quei due fuochi vivissimi dei movimenti estremi della Sinfonia.

Giorgio Graziosi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Nella produzione sinfonica mozartiana avviene una svolta decisiva tra il 1773 e
il 74, con la «Sinfonia in sol minore» che, ricca di un nuovo contenuto,
rappresenta una rottura con le precedenti pagine: rottura che si delinea anche
nello stile delle nuove opere, più equilibrate e tematicamente ricche, elaborate
in stilemi e sviluppi sempre più personali. Nel 1777, il soggiorno di Mannheim
allargò gli orizzonti alla Sinfonia mozartiana, sia per i contatti che l'autore
ebbe con lo Stamitz, come per la conoscenza di nuove esecuzioni orchestrali
che gli porgevano immagini di combinazioni sonore e di nuovi colori. Il
cammino continua, nel 78 a Parigi, ove la «Sinfonia n. 31 in re maggiore»,
a"erma lo sviluppo dei passi a!dati ai fiati, l'uso di bruschi alternamenti di
«forte» e «piano», e di una più larga e intensa cantabilità.

Le ultime Sinfonie mozartiane, tra le quali si può includere anche la presente,


raggiungono una profondità di pensiero prima sconosciuta, abbandonando,
l'autore, ogni piacevolezza e ogni svago atto a stimolare la sensibilità del
pubblico: sempre più personali, quelle pagine rivelano una complessità, una
potenza e una passione assolutamente nuove.

Già all'inizio, questa «Sinfonia in do maggiore» emerge per il vigore


dell'attacco, subito attenuato da sfumature romantiche che, primaverilmente,
colorano e variano il grande quadro. L'insieme è eroico e brillante, ma ricco di
contrasti e di improvvise modulazioni, nelle quali qualche critico ha intravisto
presentimenti schumanniani. L'«Andante di molto » presenta la particolarità di
essere scritto per quartetto a corda con l'aggiunta di un flauto. Per la sua
grazia esso ha un carattere unico, e nella «Sinfonia» costituisce una pagina
raccolta e commossa, modellata con indicibile finezza.

Slanciato e mosso si sviluppa il «Finale», vario ed appassionato nel suo moto di


tarantella, reso sempre più vivo dalle dinamiche entrate dei temi.

Questa «Sinfonia» fu eseguita per la prima volta a Parigi, diretta dallo stesso
Mozart, che in una lettera al padre, dell'11 aprile 1781, scrive: «L'esecuzione è
stata magnifica. Hanno sonato quaranta violini». L'opera segna quindi l'inizio
della grande orchestra: l'orchestra in senso moderno, che mano a mano
aumenterà il numero dei suoi componenti e le possibilità delle sue risorse.
Sinfonia n. 35 in Re maggiore K 385 "Ha!ner"

https://youtu.be/uRCa52Jj30g

https://youtu.be/KqTaCsfbIGE

https://youtu.be/noHjMIsIepk

La Sinfonia n. 35 in Re maggiore K 385, nota come Sinfonia Ha"ner, fu


composta da Wolfgang Amadeus Mozart a Vienna nel luglio del 1782. Fu
commissionata dagli Ha"ner, un'importante famiglia di Salisburgo, in
occasione del conferimento del titolo nobiliare "von Imbachhausen" a Sigmund
Ha"ner.

La sinfonia non va confusa con la Serenata Ha"ner, altra composizione di


Mozart commissionata dalla stessa famiglia nel 1776.

Storia

La sinfonia Ha"ner non fu inizialmente concepita come sinfonia, ma come


serenata, da eseguirsi durante la cerimonia di nobilitazione di Sigmund
Ha"ner. I Mozart conoscevano bene la famiglia Ha"ner attraverso il padre di
Sigmund, chiamato anch'esso Sigmund, che era stato sindaco di Salisburgo e
aveva aiutato la famiglia di musicisti ad organizzare i primi tour in Europa.
Ha"ner senior morì nel 1772, ma le famiglie rimasero comunque in contatto
tra loro.

Nel 1776 Sigmund Ha"ner figlio commissionò a Mozart una serenata per il
matrimonio di Marie Elizabeth Ha"ner con Franz Xavier Spath. Questa
composizione, conosciuta come Serenata Ha"ner, ebbe un tale successo che
Ha"ner, sei anni dopo, in occasione della sua nobilitazione, volle
commissionare un'ulteriore opera per l'occasione presso il compositore
salisburghese. Tale commissione, in realtà, arrivò a Mozart tramite il padre
Leopold il 20 luglio 1782, in un periodo di grande lavoro per il compositore.
Non solo, infatti, si dedicava all'insegnamento, ma doveva revisionare la sua
opera Il ratto dal serraglio prima del 28 luglio. In più, la sua proposta di
matrimonio a Constanze Weber aveva portato a una serie di complicazioni
aggiuntive tra cui un trasloco in un nuovo appartamento a Hohe Brücke,
sempre a Vienna.

Nonostante tutti i suoi impegni, Mozart lavorò assiduamente anche a quella


commissione, inviandola sezione per sezione al padre. Ciò che aveva composto
era però una serenata (completamente diversa da quella del 1776) con una
marcia introduttiva e due minuetti. Secondo le prove storiche, Mozart non ce
l'avrebbe fatta a completare l'opera entro il termine stabilito, ovvero il giorno
della nobilitazione di Sigmund Ha"ner.

Alla fine del dicembre del 1782, Mozart decise di rappresentare la serenata a
un concerto. Dopo aver chiesto al padre Leopold di spedirgli lo spartito da
Salisburgo, Mozart si rivelò entusiasta del suo stesso lavoro, considerando
anche il poco tempo che aveva impiegato per comporla. Lavorò ad una serie di
alterazioni all'opera in modo da convertire la serenata in una sinfonia. Tra
queste modifiche era inclusa l'eliminazione della marcia introduttiva (ora
catalogata col numero d'opera K 385a) e uno dei minuetti. In più fu rimossa la
ripetizione dell'esposizione del primo movimento. Mozart inoltre ampliò
l'organico aggiungendo due flauti e due clarinetti nel primo e nell'ultimo
movimento. Tali nuove parti per fiati non costituiscono nuovo materiale
melodico, ma semplicemente un raddoppio delle già esistenti voci per fiati.

Prima esecuzione

La Sinfonia Ha"ner, così come è conosciuta oggi, fu rappresentata per la prima


volta il 23 marzo 1783 al Burgtheater di Vienna.

Al concerto Mozart eseguì i primi tre movimenti della sinfonia, un'aria


dall'opera Idomeneo, re di Creta, un concerto per pianoforte, una scena
(genere simile all'aria di un concerto), il movimento concertante di una delle
sue ultime serenate, il suo Concerto per pianoforte e orchestra n. 5, K 175 (con
un nuovo finale) e un'altra scena (da una sua opera composta a Milano); arrivati
a quel punto, improvvisò una fuga "perché l'imperatore era
presente" (Giuseppe II d'Asburgo-Lorena) e due serie di variazioni (K 398 su
un'aria di Paisiello e K 455 su un'aria di Christoph Willibald Gluck). Dopo tutto
ciò, il soprano Aloysia Weber cantò un rondò (forse K 416) e infine, per
terminare il concerto, fu suonato l'ultimo movimento della sinfonia Ha"ner.

Durante il concerto, la sinfonia riscosse un grande successo tra il pubblico. La


Sinfonia Ha"ner, la Linz (n. 36) e la Praga (n. 38) sono considerate opere che
trascendono dal resto del repertorio sinfonico di Mozart.[10]

La partitura autografa è attualmente conservata alla Pierpont Morgan Library a


New York.

Struttura

Organico

La strumentazione prevista è costituita da due oboi, due flauti, due fagotti, due
clarinetti, due corni, due trombe in Do, timpani e archi.
Tonalità

La tonalità scelta da Mozart per questa sinfonia è Re maggiore, che dà


particolare gaiezza al suono dei fiati, e che fu la più utilizzata da Mozart nelle
sue sinfonie. La tonalità è anche indicativa della provenienza della sinfonia da
una serenata, dato che tutte le serenate per orchestra sono state scritte dal
compositore salisburghese in Re maggiore.
Movimenti

Sono presenti quattro movimenti, coerentemente con i canoni della sinfonia


del Classicismo.

Allegro con spirito, 4/4


Andante, 2/4
Minuetto, 3/4
Presto, 2/2

Allegro con spirito

Nelle lettere che Mozart scambiava con il padre Leopold, Mozart dichiarava che
il primo movimento andava suonato con fuoco. Il movimento è in forma-
sonata con un breve sviluppo. L'esposizione inizia senza introduzione e con
tutti gli strumenti all'unisono; il motivo d'apertura risulta piuttosto energico -
risultato di un attento uso di ritmi staccati con l'intento di fermare l'attenzione
dell'ascoltatore. Il secondo tema è simile al primo in quanto a ritmo e materiale
melodico, e richiama i movimenti monotematici in forma-sonata di Joseph
Haydn.

È interessante notare che non è presente alcuna ripetizione alla fine


dell'esposizione. Ciò viola le convenzioni della forma-sonata, ma tale artificio è
presente anche nelle tre sinfonie che precedono la Ha"ner ovvero la n. 31, n.
33 e la n. 34.

Lo sviluppo inizia con un La all'unisono come transizione dalla tonalità di La


maggiore a quella di Re minore (battute 95-104). Dopo tre battiti di silenzio,
Mozart passa dalla dominante di Re minore a un accordo di Fa diesis 7,
dopodiché inizia una serie di rapidi accordi: Fa diesis 7 (battuta 106), Si
(battuta 109), Si minore (battuta 110), Do diesis 7 (battuta 110). Infine,
mediante l'uso del Do diesis 7 come dominante per il Fa diesis minore, Mozart
approfondisce brevemente questa chiave (battute 111-120) prima di adoperare
una serie di settime di dominante (battute 120-129) per riportare la linea
melodica indietro alla settima dominante di Re maggiore in vista della ripresa.
La ripresa è simile all'esposizione, con l'eccezione di qualche di"erenza nella
transizione. Il movimento si chiude con una breve coda di quattro battute.

Andante

Il secondo movimento, in Sol maggiore presenta lente e graziose melodie


annunciate dai fiati. Il movimento è scritto in una forma-sonata ridotta. Al
posto dello sviluppo, i fiati suonano un breve passaggio simile a un corale. Le
strutture ritmiche del primo e del secondo tema creano un contrasto fine ma
e!cace. Nonostante i due temi si assomiglino molto, il primo possiede un
lento accompagnamento basate su due ottave, mentre il secondo ha un
accompagnamento più impegnato e basato su quattro ottave. Il passaggio
simile un corale, è scandito dai violini e dalle viole tramite un
accompagnamento sincopato. Riassumendo, l'Andante si presenta come un
movimento delicato ed elaborato, nonché rilassante.

Minuetto

Il minuetto, in Re maggiore, porta a un brillante cambio di atmosfera rispetto


al lento e serio Andante. Durante il terzo movimento vi è un costante alternarsi
di due accordi diversi - la tonica e la dominante. Solo per tre volte sono
presenti accordi che non siano in tonica o dominante.

Il "trio" porta a compimento il carattere del "minuetto". Come indicato da


Mozart nello spartito autografo, il "trio" segue il "minuetto" senza pause. Vi è
quindi un repentino salto nella tonalità di La maggiore, e diventa subito chiaro
che il trio sia in forma ternaria, come il minuetto. Il trio presenta una dinamica
piano, con l'eccezione delle battute 33 - 36 e 43 - 44, dove Mozart ha indicato
un leggero crescendo. Nel trio sono inoltre disseminati degli sforzando.

Nel "trio" come nel "minuetto" è presente lo stesso tipo di suspense. Infatti,
Mozart fa un passo avanti nel trio aggiungendo un pedale in dominante. Tale
dominante subito si riversa nella tonica per mezzo di un Si diesis cromatico.
Nel comparare il carattere del minuetto con quello del trio. Per riassumere, il
minuetto presenta un carattere più luminoso, mentre il trio crea un'atmosfera
più fluente.

Presto
L'ultimo movimento, in forma-sonata e con indicazione agogica Presto,
riprende i concitati ritmi del primo, nonché la stessa tonalità (Re maggiore).
Secondo Steinberg e Ledbetter, non solo condivide la stessa atmosfera
dell'ouverture dell'opera Le Nozze di Figaro, ma rimanda anche all'aria di
Osmin "O wie will ich triumphieren" da Il ratto dal serraglio. È interessante
notare che quest'ultima opera fu terminata solo due settimane prima della
composizione di questo finale.

In una lettera al padre Leopold, contenente istruzioni sulle modalità di


esecuzione del finale, Mozart asserì che il modo migliore di suonarlo era "il più
velocemente possibile". Nonostante il Presto inizi con un ritmo tranquillo e
serrato, seguono tre spiazzanti battute di silenzio, seguite da un forte alla
battuta 9 eseguito dall'intera orchestra. "Sorprese" musicali di questo tipo sono
frequenti durante l'intero movimento.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il titolo aggiunto a questa sinfonia deriva dalle circostanze che ne videro la


nascita. Nell'estate del 1782 Mozart, impegnato con l'allestimento
dell'Entführung aus dem Serail (II ratto dal serraglio), fu interpellato da
Salisburgo per la composizione di una serenata. La commissione, o meglio
l'invito, arrivava da Sigmund Ha"ner, un ricco commerciante, che in passato,
quando ricopriva l'incarico di borgomastro della città, aveva già commissionato
a Mozart una serenata (la K. 250) in occasione delle nozze della figlia. I
rapporti cordiali fra le due famiglie indussero il compositore, nonostante i suoi
impegni, a scrivere questa nuova serenata: fu costretto peraltro a lavorare
anche di notte e a spedire uno alla volta i pezzi a suo padre immediatamente
dopo averli completati. In seguito Mozart si fece rimandare la serenata a
Vienna per eseguirla come sinfonia; per questo scopo eliminò dalla partitura
una marcia (poi catalogata come K. 385a) e uno dei due minuetti (in seguito
andato perduto). In questa nuova forma questa composizione è stata ed è
tuttora una delle sinfonie mozartiane più popolari.

Sarebbe di!cile immaginare un inizio più imperioso di quello del primo


movimento (Allegro): i salti di una o due ottave e l'energico ritmo puntato del
tema principale non tradiscono certo l'originaria destinazione a serenata della
partitura. Si è detto degli influssi di Haydn sul sinfonismo mozartiano; in
questa sinfonia, il più evidente è la costruzione monotematica del primo
movimento: il tema principale lo percorre infatti da capo a fondo, dominandolo
con la sua forte presenza; i contrasti sono solo quelli determinati dalle diverse
aree tonali e dai procedimenti di variazione. Va notato che già dalla prima
riapparizione il tema dà origine a un canone, cui segue una transizione basata
su ripide figurazioni scalari, che conduce verso la tonalità della dominante.
Una volta raggiunta la dominante, il materiale tematico non è altro che una
serie di variazioni del tema principale; la prima vede il tema a!dato ai violini
primi e accompagnato da un perpetuum di crome di fagotti, violoncelli e
contrabbassi; nella seconda, il cui inizio è marcato da un forte improvviso,
sono gli archi gravi e i fagotti a presentare il tema, con un brillante controtema
dei violini; il tema passa alle viole nella terza variazione, contrappuntato da
primi e secondi violini in imitazione tra loro; infine, nella quarta variazione, del
tema principale rimane soltanto il ritmo, marcato dal forte dell'intera orchestra.
Solo verso la fine dell'esposizione si ode l'unico vero motivo contrastante,
a!dato a fagotti, corni, viole, celli e bassi; ma l'episodio conclusivo è ancora
basato sui grandi salti del tema principale. Questo autentico tour de force
compositivo prosegue nel pur breve sviluppo, costruito su tre elaborazioni in
canone del tema principale. La ripresa è simmetrica all'esposizione, con
l'aggiunta di un brevissimo prolungamento cadenzale di fastosa sonorità.

Il secondo movimento (Andante) è, secondo tradizione, una sorta di oasi lirica,


in questo caso arricchita di un che dì sbarazzino: il tema di apertura dei violini
primi è infatti accompagnato da una pulsazione di semicrome in arpeggio dei
violini secondi, che sembra anticipare lo scherzoso atteggiamento di Haydn
nella sinfonia detta appunto L'orologio o di Beethoven nell'Allegretto
scherzando della Sinfonia n. 8. Nella transizione verso il secondo tema la
pulsazione arpeggiata passa ai fagotti; poco prima che il vero e proprio
secondo tema entri, sono i violini primi a impadronirsi di questo continuum,
ritmico, la cui fissità è qui acuita dall'essere ribattuto su di un'unica nota, che
fa da sfondo al divertente spunto tematico di violini secondi e viole, cui
risponde un frammento più lirico, segnato da un forte improvviso, a!dato ai
violini primi. La semplicità formale di questo brano, conforme all'originaria
destinazione di serenata, è confermata dall'assenza di un vero e proprio
sviluppo, sostituito da una zona di raccordo verso la ripresa, caratterizzata
inizialmente dall'arpeggio di violoncelli e contrabbassi e dall'andamento
sincopato degli altri archi e poi, poco prima della ripresa, da civettuoli trilli dei
violini primi in contrattempo.

La ripresa non presenta varianti rispetto all'esposizione, se non quelle dovute


alla riconduzione alla tonalità d'impianto del secondo gruppo tematico.

Molto semplificata, rispetto alle sinfonie successive, anche la struttura del


Menuetto, dal tematismo di sapore popolareggiante: la prima frase
contrappone una figurazione arpeggiata ascendente in forte a una scalare
discendente in piano, con un e"etto dinamico quasi tardo barocco. La frase
contrastante è dominata dagli ampi sbalzi melodici dei violini primi, seguiti da
un ripiegamento che conduce alla ripresa della prima frase.
Nel Trio lo strumentale è alleggerito, secondo tradizione — sono ovviamente
gli strumenti più fastosi, trombe e timpani, a tacere — e i toni si mantengono
sommessi, cosicché la ripresa del Menuetto sembra ancora più sonora di
quanto non fosse l'inizio.

L'ultimo movimento (Presto) si rifà chiaramente allo spirito della serenata,


come evidenziano le dimensioni relativamente ridotte del brano, la semplicità
della sua struttura e il carattere giocoso e brillante. L'atmosfera richiama quella
dei momenti più spumeggianti dell'Entführung: il tema iniziale, esposto dagli
archi all'unisono, è addirittura derivato da quello della celebre aria di Osmin
«Ha, wie will ich triumphieren». Il successivo, rapido disegno in crome dei
violini anticipa il motivo che, annunciato da un forte improvviso, informa di sé
tutta la sezione successiva, accompagnato da squilli di fanfara dei fiati, e
conduce verso il secondo tema di spensierata cantabilità. L'episodio che
conclude l'esposizione è aperto ancora dal motivo in crome di mentre la chiusa
è a!data a un arpeggio discendente all'unisono su un ritmo sincopato.

La già accennata semplicità formale del brano è particolarmente evidente nello


sviluppo. Niente elaborazioni contrappuntistiche o complesse derivazioni
motivico-tematiche: dopo una breve frase di collegamento, riappare infatti il
primo tema, nella tonalità originale, che da il via a una sostanziale
ripresentazione del materiale dell'esposizione, con l'unica variante del secondo
tema al relativo minore, che dà al brano l'unica sfumatura malinconica. È
ancora il vorticoso disegno in crome già apparso più volte a fungere da
raccordo con la ripresa, simmetrica all'esposizione.

Il brano è chiuso da un'ampia coda, che rielabora gli elementi del primo
gruppo tematico in un brillante crescendo.

Paolo Rossini

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dopo aver composto circa quaranta Sinfonie fra il 1764 e il 1780, negli ultimi
dieci anni della sua vita Mozart ebbe un rapporto estremamente saltuario con
questo genere musicale. Stabilitosi definitivamente a Vienna nel 1781, per
imporsi al pubblico della capitale dovette concentrarsi soprattutto sulle forme
allora più in voga, il concerto per pianoforte e l'opera, e dedicare le sue residue
energie a brani cameristici e vocali di facile vendibilità presso gli editori. Del
resto per le sue molte accademie del periodo 1782-1786 non aveva necessità
di scrivere nuove Sinfonie, visto che poteva ricorrere tranquillamente a quelle
scritte negli anni precedenti, apportando all'occorrenza piccoli cambiamenti
nell'orchestrazione e aggiungendo eventualmente un minuetto a quelle in tre
soli movimenti per andare incontro alle abitudini del pubblico viennese.
Così, in quell'ultimo decennio, videro la luce solo sei lavori nel genere
sinfonico - uno nel 1782 (K. 385 "Ha"ner"), uno nel 1783 (K. 425 "Linz"), uno
nel 1786 (K. 504 "Praga") e tre nel 1788 (K. 543, K. 550, K. 551) - ma ciascuno
di essi costituisce senz'altro un capolavoro.

Il primo lavoro di questa straordinaria serie, la scintillante ed euforica Sinfonia


in re maggiore "Ha"ner" K. 385, nacque in realtà come arrangiamento di un
lavoro precedente, ma non di una Sinfonia, bensì di una Serenata. Nel luglio
del 1782, infatti, mentre era alle prese con le prove della Entführung aus dem
Serail (che sarebbe andata in scena il 16 di quello stesso mese al
Nationaltheater di Vienna), con i duri contrasti epistolari con suo padre
Leopold a proposito dei suoi progetti nuziali e, nonostante quelli, con i
preparativi per il suo matrimonio con Konstanze Weber (celebrato poi il 4
agosto nel duomo di Santo Stefano a Vienna), aveva ricevuto dal padre l'invito
di comporre al più presto una Serenata per conto di Sigmund Ha"ner, figlio del
defunto borgomastro di Salisburgo che sei anni prima gli aveva già
commissionato la celebre Serenata K. 250/248b.

La nuova Serenata per la famiglia Ha"ner nacque dunque in grandissima fretta,


in un periodo di attività febbrile, senza che Mozart potesse dedicarle una
particolare attenzione; lo dimostra anche il fatto che quando pochi mesi dopo,
nel febbraio del 1783, ebbe bisogno di una nuova Sinfonia per un accademia
da tenersi a Vienna in marzo e si fece spedire dal padre la partitura della
Serenata per poterla «rimodernare» trasformandola in una Sinfonia, scrisse con
meraviglia: «La mia nuova sinfonia Ha"ner mi ha positivamente sorpreso, dato
che non me ne ricordavo nemmeno una nota».

Gli interventi apportati da Mozart al brano composto per Salisburgo furono


molto semplici: sopprimere due degli originari sei movimenti che costituivano
la Serenata (la Marcia iniziale e il secondo Minuetto), aggiungere flauti e
clarinetti nei movimenti estremi e altri piccoli ritocchi all'orchestrazione.

La Sinfonia K. 385 deve probabilmente il suo brio spensierato e il suo


smagliante colore orchestrale con trombe e timpani proprio al fatto di essere
stata concepita inizialmente come Serenata, genere leggero e di
intrattenimento, brillante e disimpegnato per antonomasia. Ma in realtà
proprio la maturità espressiva e la sapienza di scrittura raggiunte in questo
lavoro (tutti i movimenti, tranne il Menuetto, come è ovvio, guardano al
modello della forma sonata), nato con pochissime modifiche dalla costola di
una Serenata, la dice lunga sulla straordinaria evoluzione compiutasi nello stile
compositivo di Mozart.
L'Allegro con spirito si impone fin dal perentorio e trascinante salto d'ottava
iniziale, da cui trae vita l'intero movimento, come una pagina solare e dai
colori sfavillanti, ricca di energia e buonumore. Dopo un Andante delicato e
poetico e un breve e vigoroso Menuetto, si giunge al finale (Presto), un
movimento di irresistibile vivacità ritmica e coloristica, costruito fondendo la
forma sonata con quella di rondò e basato su contìnui contrasti tra forte e
piano, il cui tema d'apertura cita quasi letteralmente l'aria di Osmin nel terzo
atto della coeva Entführung, «Ha! Wie will ich triumphieren».

Carlo Cavalietti

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Giunto a Vienna nel maggio 1782, dopo la brusca rottura con l'arcivescovo di
Salisburgo, Mozart è subito all'opera: organizza concerti all'Augarten Saal,
indice accademie, compone, e dà lezioni private.

Col tono di un inda"arato «business man» risponde al padre-impresario che «il


tempo di scrivere una nuova sinfonia per la famiglia Ha"ner non sa proprio
dove trovarlo» (20 luglio 1782): deve consegnare in tutta fretta la trascrizione
per strumenti a fiato del recentissimo «Ratto» e comporre la «Serenata in do
minore» K. 388. Ma siccome la parte del «poseur» non si addice a Wolfgang e
l'a"etto che nutre per Leopold è troppo grande, nella stessa lettera, con
disarmata arrendevolezza, conclude: «l'unica soluzione è che ci lavori di notte,
ma per Voi, amato padre, è un sacrificio che faccio volentieri ».

Per il matrimonio di Elise Ha"ner, figlia del mercante e borgomastro di


Salisburgo, Sigmund, Mozart aveva composto qualche anno prima (1776) la
marcia K. 249 e la «Serenata in re maggiore» K. 250. La sinfonia che ora gli
viene commissionata avrebbe dovuto allietare i festeggiamenti di Ha"ner
padre, in occasione del conferimento di un titolo nobiliare. La composizione
non procede questa volta con l'usuale frenetico ritmo, che la frenesia è rivolta
altrove, a un sentimento che Mozart ben conosce, l'amore: «il mio cuore è
inquieto e la testa confusa» annota nella lettera del 27 luglio, e, in una sorta di
«captatio benevolentiae», quasi per riparare alla scelta, biasimatissima, delle
futura moglie (sposerà Costanza di Iì a pochi giorni), annuncia al severo
genitore: «la sinfonia è in re maggiore, nella tua tonalità preferita».

Il 7 agosto l'opera dedicata al gentiluomo salisburghese è ultimata, ma la


forma è quella della serenata: Marcia, allegro con spirito, andante, due
minuetti e finale. In occasione di una ripresa all'Accademia viennese (febbraio e
marzo 1783), Mozart omise la marcia (ora identificabile con la seconda delle 3
Marce K. 408), un minuetto (perduto) e, ampliando l'organico nel primo
movimento e nell'ultimo di flauti e clarinetti, le dette quella struttura formale
che giustifica appunto il nome di sinfonia.

Fra le pagine più celebri del repertorio classico, la «Ha"ner» esibisce i


connotati di un puro e ra!nato equilibrio compositivo, dispiegantesi
attraverso un'omogenea e calibrata riduzione dei mezzi espressivi, similmente
dunque alla «Quinta» di Schubert e alla «Sinfonia n. 8» di Beethoven, che con
questa infatti dividono la sorte di un felicissimo triumvirato per brevità sintesi
e concisione.

Il primo movimento («Allegro con spirito») posa tutto su un unico tema


annunciato all'unisono dall'orchestra: svetta con energica baldanza coprendo
l'intervallo di due ottave, per poi ripiegarsi su se stesso in aeree scalette e
preziosi trilli.

Dopo l'«Andante» che lascia intravedere il carattere idillico dell'originaria


serenata nell'intimo e sognante dialogo fra archi e fiati (oboi, fagotti, corni), il
«Minuetto» e il conseguente «Trio» si appropriano di un gioioso e delicato
«Lied» viennese.

Per il finale («Presto»), in forma di rondò, Mozart si raccomandava dovesse


essere «eseguito il più veloce possibile»: un turbinare impaziente di vita che
presenta non poche somiglianze con l'aria di Osmino «Ha wie will ich
triumphiren» del contemporaneo «Ratto dal serraglio».

Fiamma Nicolodi

Sinfonia n. 36 in Do maggiore K 425 "Linzer"

https://youtu.be/4TBa0Ml4xqs

https://youtu.be/vgDd15DBY74

https://youtu.be/grD6uIu5JIM

La Sinfonia n. 36 in Do maggiore K 425, anche conosciuta come Sinfonia Linz,


fu composta da Wolfgang Amadeus Mozart alla fine del 1783, durante una
breve permanenza di passaggio a Linz, dove Mozart e sua moglie Constanze
sostarono durante il viaggio di ritorno a Vienna da Salisburgo.

Storia
Mozart e sua moglie trovarono ospitalità presso il conte Joseph Anton Thun.
Costui, conoscendo la bravura e la fama del compositore, aveva organizzato un
concerto e Mozart, che non aveva portato con sé nulla, scrisse di getto la
sinfonia in quei pochi giorni a disposizione.

La prima rappresentazione ebbe luogo appunto a Linz il 4 novembre 1783,


quattro giorni dopo l'arrivo di Mozart in città. La première viennese ebbe
invece luogo il 1º aprile 1784.

La partitura autografa è andata perduta.

Struttura

La strumentazione prevede due oboi, due fagotti, due corni, due trombe,
timpani e archi.

Sono presenti quattro movimenti, coerentemente con i canoni della sinfonia


del Classicismo:

Adagio, 3/4 e Allegro spiritoso, 4/4


Poco adagio, 6/8
Minuetto, 3/4
Presto, 2/4

Che la sinfonia fosse scritta per una occasione festosa può anche essere
dedotto dalla tonalità di Do maggiore nonché dall'uso nell'orchestrazione delle
trombe e dei timpani. Mozart tuttavia utilizza questi strumenti per dare alla
sinfonia un carattere imponente e non galante; sono inoltre presenti più
episodi di natura piuttosto introspettiva che saranno pienamente sviluppati
nelle tre grandi sinfonie n. 39, n. 40 e n. 41.

Il secondo movimento ha un ritmo e metro alla siciliana, cosa rara nelle


sinfonie giovanili di Mozart (usati soltanto nella n. 31 "Parigi") ma frequenti in
opere sinfoniche successive come la Sinfonia n. 38 e la n. 40.

Per la prima volta in una sinfonia di Mozart si ha una apertura con un tempo
lento, alla maniera di Haydn, anzi, l'intero tessuto della sinfonia è permeato
dall'influsso haydniano: il tono austero dell'andante, il trattamento del tema
del minuetto e del suo trio (in forma di Ländler) e gli e"etti presenti nel presto
che chiude la sinfonia.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

In una lettera del 31 ottobre 1783 Mozart scriveva al padre: "Martedì 4


novembre darò un concerto in teatro, ma, non avendo portato con me nessuna
Sinfonia, ne sto componendo una a gran velocità, perché devo terminarla per
questa data". Il concerto era fissato nella città di Linz, dove egli si trovava di
passaggio durante il viaggio che da Salisburgo lo avrebbe portato a Vienna. Per
completare un programma di musiche già stilato mancava solo un pezzo
d'apertura, sicché ci si rivolse a lui. Mozart lo scrisse frettolosamente, in poco
meno d'una settimana, aggiungendo al suo catalogo una pagina bifronte,
un'opera che, mentre si congeda dal sinfonismo della Ha"ner, si a"accia sul
misterioso silenzio di tre anni in cui matura la stagione delle ultime quattro
Sinfonie.

La Sinfonia di Linz K. 425 formula a pagine alterne il debito del suo autore nei
confronti dell'arte di Joseph Haydn. Fuori dettaglio, lo spirito del collega
suggestiona il concepimento di un'introduzione lenta all'Allegro iniziale, una
strategia che, fra il 1780 e il 1782, Haydn aveva praticato in una dozzina di
occasioni. Quello della Linz non è ancora il complesso ed esteso corpo che
prelude la Sinfonia di Praga, ma ne è l'esplicito presupposto. Si tratta di un'idea
che darà frutti anche sui biniari paralleli della musica da camera: si consideri
l'introduzione alla Sonata in fa maggiore K. 497 per pianoforte a quattro mani
(di rumorosa scrittura sinfonica) e quella del Quartetto in do maggiore K. 465.
Nondimeno, la concezione haydniana e quella mozartiana di"eriscono nella
sostanza. Se, infatti, per il primo l'accumulo della tensione sortisce dal sottile
incunearsi di stralci melodici che acquisteranno piena voce solo nell'Allegro,
nel salisburghese la porta per trattenere l'esondazione del materiale tematico è
chiusa dal giro di chiave dell'armonia, dal progressivo intricarsi della
dimensione verticale della musica. Nella Linz il digradare del basso è la guida
meno ovvia per un rapido disorientameto della percezione auditiva.

Con ciò, l'introduzione di Mozart (Adagio) avanza promesse d'una temperie


emotiva che nel seguito dell'opera saranno con puntualità mantenute. Gli
unisoni che inaugurano la pagina paiono l'obbligata concessione a un'opera
che, come si è detto, era d'apertura ad un'accademia musicale. Le trombe e i
timpani ne rappresentano il giusto corredo. Ma l'altro volto è quello del
ripiegamento su sonorità intime quali sono preannunciate dal delicato motivo
lanciato dai fagotti e dall'oboe. In conclusione, è fra questi due poli,
l'appariscente e il preziosismo fuggevole, che la Linz divarica le sue maniere.
Il gesto monumentale è ribadito poco dopo nell'Allegro, dove il tema principe,
a!dato inizialmente al quartetto degli archi su una sonorità tenue, è replicato
dal clangore della piena orchestra: si tratta di un'esplosione che poi giustifica il
seguente passo marziale sui bassi passeggiati di viole e violoncelli, nonché
l'episodio di musica turca in minore che fonda il secondo tema. Ma l'elemento
tematico decisivo della Sinfonia in do maggiore si leva nelle misure conclusive
dell'esposizione, sulle corde dei violini primi. Sembra un e!mero tessuto
connettivo, materiale anodino, ed invece nello sviluppo acquista un ruolo
prioritario, degno d'un ancor più vasto credito al termine della ripresa, in
corrispondenza della nobile coda.

Il secondo movimento, Poco adagio, in fa maggiore, mantiene curiosamente i


timpani, ma fa anche un uso dei fiati assolutamente estraneo alla prassi del
puro rivestimento coloristico, consentendogli invece di interagire con gli archi.
È specialmente l'episodio centrale che avanza i momenti di maggiore bellezza.
In realtà, si tratta di una sezione di sviluppo, ma sono le scale ascendenti
seguite da un doppio salto d'ottava che fendono drammaticamente la pagina.

Il Minuetto si muove ancora al passo di Haydn, tradito da un andamento


rustico e pesante, scandito ritmicamente dal battito cadenzato delle
percussioni. Col Trio l'atmosfera cambia, in grazia di un decisivo
alleggerimento.

Il Presto finale possiede un primo tema di piglio operistico, drammatizzato di


nuovo dalla contrapposizione del quartetto degli archi con l'orchestra nella sua
interezza. Talvolta l'invenzione indugia in passi di routine, ma, l'a!orare del
secondo terna segna l'episodio più originale dell'intera Sinfonia: nella tonalità
della dominante si leva un disegno di tre crome che ripiega puntualmente su
se stesso. Si tratta di lievi singulti che, come ha acutamente osservato.
Giovanni Carli Ballola, spingono infine la Linz molte miglia lontano dal pur
ammiratissimo modello di Haydn.

Alessandro Macchia

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Questa Sinfonia deve il titolo alla città austriaca dove Mozart, che vi si trovava
di passaggio, la compose in gran fretta, su richiesta del vecchio amico e
protettore conte Thun, per eseguirla il 4 ottobre 1783. Certe caratteristiche
esterne potrebbero tradire l'origine occasionale del lavoro: l'impianto in do
maggiore e la presenza di trombe e timpani (perfino nel tempo lento, di solito
riservato agli archi) erano infatti tipici delle musiche festose e celebrative. In
realtà Mozart, sull'esempio di Haydn, per la prima volta premise all'Allegro
iniziale un'imponente introduzione lenta; sempre schemi haydniani condusse il
Poco adagio, sperimentandovi però un contenuto pathos armonico, e anche i
due movimenti ultimi, a loro volta di carattere haydniano e in certo senso più
convenzionali, portano tuttavia il segno di una scrittura sinfonica complessa e
ormai superbamente sicura di sé.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Negli ultimi dieci anni di vita, trascorsi a Vienna, Mozart ebbe occasione di
scrivere sei sinfonie (K. 385, 425, 504, 543, 550, 551); un numero
decisamente scarso rispetto alla intensa produzione sinfonica degli anni
salisburghesi. Le sei sinfonie composte a Vienna si configurano come opere
isolate e dalle dimensioni più ampie, espressioni meditate della matura
individualità dell'autore. E' opinione corrente della critica che l'influenza di
Haydn sia stata determinante nei nuovi orientamenti del compositore; Mozart
comunque tardò ad a"rancarsi dalla maniera salisburghese; ancora la prima
sinfonia viennese, K. 385 detta "Ha"ner", è in realtà un adattamento di una
Serenata commissionata da una eminente famiglia della città natale.

Il vero distacco dalle esperienze salisburghesi verso il modello haydniano


avviene, alla fine del 1783, con la Sinfonia K. 425, composta in quattro giorni a
Linz, dove Mozart si era fermato tornando a Vienna da un viaggio a Salisburgo.
"Martedì 4 novembre darò qui un concerto, al teatro, e non avendo con me
neppure una delle mie sinfonie ne scrivo a precipizio una nuova, che deve
essere eseguita" scrisse al padre il 31 ottobre 1783. Tutte le principali scelte
stilistiche della partitura rimandano a Haydn, nella brillante strumentazione
(un organico corposo: coppie di oboi, fagotti, corni, clarinetti, oltre ai timpani e
agli archi) come nell'impostazione strutturale; ma i frequenti cromatismi e i
chiaroscuri espressivi mostrano palesemente la mano dell'autore.

Per la prima volta nel sinfonismo mozartiano un Adagio introduce il primo


movimento, sull'esempio di Haydn; ma il gioco delle voci interne e delle
armonie cangianti è del tutto mozartiano. Segue, senza soluzione di
continuità, un Allegro spiritoso festoso ed estroverso; al tema iniziale,
sussurrato e ripreso con trasformazioni, fanno riscontro incisivi motivi di
marcia; si impone comunque il carattere "sinfonico" della scrittura, ossia il
continuo intreccio fra i diversi gruppi strumentali, il carattere plastico del
fraseggio. E' il tema iniziale a porsi alla base dello sviluppo, che si segnala per
i lunghi e arditi giri armonici, per l'uso espressivo dell'armonia. Dopo la
ripresa, è una coda breve ed energica a chiudere il movimento. Il secondo
tempo è una siciliana (danza assai frequente negli Adagi di Haydn) dal tema
ingenuo, impreziosita dalle malinconiche sezioni in minore, in cui Mozart fa
uso del completo organico strumentale. Dopo un Minuetto dal carattere
popolare, con un Trio in forma di Ländler, troviamo il Presto conclusivo.
Mozart si avvale di tutte le tecniche in suo possesso per donare varietà al
movimento: improvvisi contrasti dinamici, una lunga sezione dal carattere
contrappuntistico, una sorta di moto perpetuo da opera bu"a, i consueti giri
armonici dello sviluppo, che prende l'avvio da un frammento secondario. In
definitiva una pagina di trascinante vitalità, che chiude con coerenza la
composizione e mostra la raggiunta maturità e indipendenza dell'autore nel
genere sinfonico.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

In viaggio da Salisburgo a Vienna, Wolfgang Amadeus Mozart e sua moglie


Constanze sono ospiti a Linz del conte Joseph Anton Thun, il quale organizza
un concerto per omaggiare l'amico musicista. «Martedì 4 novembre darò un
concerto in teatro, ma, non avendo portato con me nessuna Sinfonia, ne sto
componendo una a gran velocità, perché devo terminarla per questa data»:
così Mozart scrive al padre il 31 ottobre 1783. Sono queste le origini della
Sinfonia K 425 in do maggiore "Linz", per la quale Mozart utilizzò un corposo
organico orchestrale: oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, timpani e archi.

Il primo movimento 13 si apre, per la prima volta nella produzione sinfonica di


Mozart, con un'introduzione lenta; l'Adagio in la minore, di ispirazione
haydniana, prende le mosse da solenni unisoni a tutta orchestra seguiti da un
sinuoso e quasi misterioso motivo che prima passa dai fagotti agli oboi, poi
appare ai bassi per approdare infine ai violini che lo conducono a una cadenza
sospesa. L'Allegro spiritoso, nella solare tonalità di do maggiore, ha un primo
tema che viene presentato dagli archi per poi "esplodere" gioiosamente in tutta
l'orchestra. Il secondo tema, in mi minore, è un evidente omaggio alla "musica
turca", mentre il finale dell'esposizione ha il carattere fresco e trascinante
dell'opera bu"a italiana. Lo sviluppo è basato su un motivo ascendente che si
era udito alla fine dell'esposizione; dopo la ripresa regolare, col secondo tema
in la minore, la sinfonia si conclude con una breve ed energica coda.

Il secondo movimento. Poco adagio, in 6/8 si apre con delicato e cullante tema
esposto dagli archi in fa maggiore. Una modulazione a do maggiore conduce al
secondo tema, caratterizzato dalle note ribattute di corni e timpani,
curiosamente presenti anche nel movimento lento. Un breve episodio in do
minore sembra oscurare la serenità della pagina, ma è solo un attimo che
subito svanisce nella cadenza che conclude l'esposizione. La sezione di
sviluppo viene giocata da Mozart sulle note ribattute dei corni e su
enigmatiche scalette ascendenti dei violini. La ripresa dei due temi principali
conclude il movimento.
Il Minuetto ha un andamento piuttosto rustico, cadenzato dalle note ribattute
dei corni e dal marziale ritmo dei timpani. Nel Trio invece si respira un'aria più
salottiera e galante, a partire dal sinuoso tema principale esposto da oboe e
violini e delicatamente punteggiato dai bassi.

Il Presto finale ci trascina nel pieno vortice della musica operistica: il primo
tema, ancora una volta esposto dagli archi e poi ripreso da tutta l'orchestra
(come nell'Allegro spiritoso), ha una vitalità trascinante tipica proprio delle
opere italiane del salisburghese. Il secondo tema, formato da tre crome
precedute da una pausa, è originale e ricco di spunti contrappuntistici. Lo
sviluppo si basa su un frammento motivico (una sorta di arpeggio tonale ben
scandito ritmicamente) che avevamo udito fra il primo ed il secondo tema.
Regolare la ripresa, seguita da una trascinante coda finale.

Alessandro De Bei

Introduzione per una sinfonia (n. 37) di Michael Haydn

https://youtu.be/FDLlF6wz34U

La Sinfonia n. 25 in Sol maggiore MH 334 (Perger 16, Sherman 25) è una


composizione di Michael Haydn, ultimata il 23 maggio 1783.

L'opera è stata per lungo tempo attribuita a Wolfgang Amadeus Mozart e


conosciuta quindi come Sinfonia n. 37 in Sol maggiore K 444, ma è stato
scoperto che opera di Mozart sono soltanto l'introduzione in Adagio maestoso
e alcuni aggiustamenti nella partitura.

L'introduzione di Mozart

La vera paternità dell'opera fu scoperta da Lothar Perger nel 1907. I musicologi


contemporanei trovano "di!cile comprendere come gli autori dell'edizione
Breitkopf delle opere di Mozart possano aver attribuito a Wolfgang Amadeus la
sinfonia, considerandola come immediatamente successiva alla Sinfonia Linz;
lo stile infinitamente più semplice e arcaico del maestro salisburghese [Michael
Haydn] o"re un tale contrasto che qualcuno avrebbe potuto addirittura pensare
che l'opera fosse stata scritta molto prima del 1783 se Mozart ne fosse stato
l'autore."

L'introduzione fu probabilmente composta alla fine del 1783 per essere


rappresentata a Linz allo stesso concerto che vide la première della Sinfonia n.
36.
È probabile che Mozart avesse ricopiato lo spartito della sinfonia per poterla
studiare, ma invece scrisse un'introduzione con indicazione agogica Adagio
maestoso (poche delle sinfonie di Michael Haydn possiedono un'introduzione
lenta). Essa termina con una corona su un accordo di settima dominante, che
conduce a una tonica con cui inizia l'opera di Haydn. Saint-Foix considera
l'introduzione "un preludio molto espressivo che, peraltro, non è a"atto in
armonia con il movimento a cui vuole preparare l'ascolto."

Mozart ricopiò la partitura apponendo però alcuni aggiustamenti: rimosse la


parte solista del fagotto dal secondo movimento (Andante sostenuto) e
"sembra che abbia ridotto le sezioni colla parte per i fiati".
Struttura

La strumentazione originale prevede parti per due oboi, flauto, due fagotti, 2
corni e archi. Il flauto suona solo nella prima parte del secondo movimento.

La revisione di Mozart taglia le parti per fagotti (sempre all'unisono con i


violoncelli eccetto per alcuni passaggi nell'Adagio). In generale, però, le
moderne esecuzioni della sinfonia tendono comunque ad includere le parti
tagliate e ad aggiungere un basso continuo.

Oltre all'introduzione successiva di Mozart, sono presenti tre movimenti:

Allegro con spirito


Andante sostenuto
Allegro molto

Guida all'ascolto (nota 1)

Di questa sinfonia Mozart scrisse solo il primo tempo, mentre gli altri due sono
di Michael Haydn, fratello del più famoso Franz Joseph. Costui aveva composto
una sinfonia incompleta nella primavera del 1783, in occasione della cerimonia
di insediamento del nuovo abate del monastero di Michaelbeurn e si era rivolto
a Mozart perché scrivesse un Andante sostenuto come preludio della stessa
sinfonia: Mozart accolse l'invito ed elaborò un Adagio maestoso nell'autunno
del 1783, ma non si sa con precisione se a Linz o a Vienna. Il tempo si apre
con un e!cace unisono dell'orchestra, dominata in gran parte dagli archi;
segue una risposta dei primi violini, che, dopo una brusca modulazione,
ripropongono il tema su accompagnamento dei secondi violini e delle viole. Il
discorso si infittisce e si sviluppa in una serie di imitazioni, fino ad arrestarsi
su un accordo di settina diminuita, tra sonorità sfumate che sfociano
nell'Allegro con spirito, appartenente ad Haydn. Un clima di delicata
sospensione psicologica si avverte nell'Andante sostenuto, cui fa da contrasto
un vivace e brillante tempo Allegro, secondo le norme della più consolidata
tradizione. È chiaro che senza la firma di Mozart, almeno nel tempo iniziale,
questa sinfonia improntata ad elegante musicalità non avrebbe richiamato
l'interesse e la curiosità dei musicologi e dei direttori d'orchestra.

Sinfonia n. 38 in Re maggiore K 504 "Prager"

https://youtu.be/Q5nQiZkXG4A

https://youtu.be/fG72VYO3Q_s

https://youtu.be/wvouW4v8AII

La Sinfonia n. 38 in Re maggiore K 504, anche conosciuta come Sinfonia di


Praga, fu composta da Wolfgang Amadeus Mozart a Vienna e ultimata il 6
dicembre 1786. La prima esecuzione dell'opera avvenne al Teatro degli Stati di
Praga il 19 gennaio 1787, poche settimane dopo la prima assoluta de Le nozze
di Figaro.

Storia del nome

L'appellativo “di Praga” è stato assegnato in quanto, per molto tempo, si è


ritenuto che Mozart avesse composto la sinfonia per il suo primo soggiorno a
Praga nel gennaio 1787. Un'altra ipotesi lascia credere che la composizione
avvenisse indipendentemente da tale impegno, poiché la sinfonia è datata al 6
dicembre 1786, mentre l'invito a recarsi a Praga a dirigere una ripresa delle
Nozze di Figaro arrivò in seguito.

Struttura

Caratteristiche

Si tratta di una sinfonia spumeggiante, di ritmo incalzante, la cui composizione


strumentale è colma di sorprendenti modulazioni. Con questa sinfonia Mozart
chiude l'epoca dei grandi lavori ispirati al modello haydniano, pone i
presupposti alle sue ultime composizioni e determina il modello a cui farà
riferimento Beethoven all'inizio del suo sviluppo sinfonico.
Una caratteristica della sinfonia è la mancanza del minuetto, la quale viene
attribuita da molti al fatto che a Praga, al contrario di Vienna, venisse preferita
ancora la vecchia forma in tre movimenti e quindi il fatto non può essere
interpretato come scelta estetica né come un ritorno a vecchi modelli.

Organico

La strumentazione prevista è costituita da due flauti, due oboi, due fagotti, due
corni, due trombe in Re, timpani e archi.

Movimenti

Sono previsti tre movimenti:

Adagio - Allegro, 4/4


Andante (in Sol maggiore), 6/8
Presto, 2/4

Adagio - Allegro

Il primo movimento inizia con una lenta introduzione (solo in altre due sinfonie
mozartiane è presente questa caratteristica: n. 36 (Linz) e la n. 39.
L'introduzione conduce alla parte principale del movimento, in Allegro, in cui
sei linee melodiche sono sviluppate e riprese in un esempio contrappuntistico
di forma-sonata. Alcune frasi sono simili a ucei melodici utilizzati
nell'ouverture de Il flauto magico, con cui il movimento condivide anche la
forma Adagio-Allegro.

L'Allegro è scritto nello stile di una fuga, e anche in questo caso il materiale
musicale che costituisce il climax della fuga è simile a quello del climax della
fuga dell'ouverture de Il flauto magico. Inoltre alcune linee melodiche
sembrano essere state riprese da Gioachino Rossini nell'ouverture della sua
opera Il barbiere di Siviglia. I motivi della prima sezione in tonalità minore
sono simili a quelli dell'ouverture dell'opera di Mozart Don Giovanni.
Andante
Il secondo movimento andante ha una carattere più cantabile ma è anche
questo composto di poche cellule di base in qualche misura a!ni a quelle già
usate nell'allegro che chiudeva il primo movimento.
La struttura del secondo movimento non è molto diversa da quelle dei
movimenti lenti delle sinfonie di Mozart composte in quel periodo. Durante il
movimento è presente un senso di tensione, mantenuto alto grazie
all'alternanza di elementi sereni e momenti oscuri (in tonalità minore).
Finale: Presto

Nel finale (un movimentato Presto) Mozart riprende, in forma melodica,


l'elemento sincopato presente nell'Allegro iniziale; non si creano tuttavia
contrasti irrisolti ed il movimento termina con l'intera orchestra che esprime la
propria esultanza. Il flauto gioca un ruolo prominente, specialmente
contrappuntando la linea melodica principale nello sviluppo. Questo
movimento "mostra Mozart in un umore inusuale, più vicino all'esuberanza
beethoveniana che ai gusti esigenti che di solito caratterizzano le sue opere".

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sinfonia «Praga» fu completata da Mozart il 6 dicembre del 1786 e deve il


suo nome alla città nella quale fu eseguita per la prima volta, il 19 gennaio
dell'anno successivo. Mozart aveva trovato a Praga la considerazione e il
successo di pubblico che non riusciva a ottenere a Vienna, dove il suo
sostentamento continuava a basarsi essenzialmente sulle lezioni private e sulle
accademie; in una lettera all'amico Gyrowetz che partiva per l'Italia troviamo
queste parole eloquenti: «Oh uomo fortunato! Come sarei felice di viaggiare
con Lei! Guardi, devo ancora dare una lezione per guadagnare qualcosa!».
Questa situazione determinò, per reazione, una profondità di pensiero creativo
ancora maggiore; come scrisse il biografo mozartiano, Hermann Abert: «La sua
concezione del mondo si allontanò poco a poco da quanto lo circondava e la
sua arte divenne sempre più soggettiva; il lato passionale, "demoniaco" della
sua natura prese il sopravvento, come dimostra Ira l'altro l'arricchimento
armonico e contrappuntistico della sua scrittura».

Il monumentale movimento di apertura della, Praga (Adagio - Allegro), il più


ampio brano sinfonico composto da Mozart, rappresenta una delle più
eloquenti dimostrazioni delle a"ermazioni di Abert. La maestosa introduzione,
con la sua complessità armonica e la densità del discorso tematico, richiama
alcune atmosfere del Don Giovanni, l'opera che Mozart avrebbe composto
proprio per il Teatro Nazionale di Praga in quello stesso 1787 che vide la prima
esecuzione della Praga: la seconda parte dell'introduzione, in particolare, con il
colore cupo del modo minore e l'alternanza tra piano e forte, sembra
anticipare la musica legata al Commendatore. L'orizzonte si rasserena di colpo
all'inizio dell'esposizione con il ritorno al modo maggiore.
Il tema principale è formato da diversi motivi: la sincope dei violini primi, il
cantabile dei secondi, viole, celli e bassi, anch'esso sincopato, un motivo in
crome ribattute dei violini primi e un elemento discendente dì flauti e oboi che
non riapparirà più nell'esposizione, ma costituirà il materiale principale dello
sviluppo.

Non meno complessa è la successiva sezione, il cui inizio è segnato dal forte
dell'intera orchestra, costituita da tre motivi che torneranno più volte, quasi a
mo' di ritornello. La transizione verso la tonalità della dominante non è altro
che una zona di elaborazione di alcuni dei motivi che aprivano l'esposizione. Il
secondo tema, di pacato lirismo, viene subito ripetuto nel modo minore,
ricollegandosi così idealmente all'introduzione. L'episodio che conclude
l'esposizione è basato sui tre motivi a piena orchestra che chiudevano, posti in
diverso ordine e inframmezzati da un'ultima apparizione del tema principale.

Lo sviluppo si basa inizialmente sulla combinazione e l'elaborazione di due


motivi: quello discendente visto all'inizio dell'esposizione, poi mai più
riapparso, e il ribattuto di crome del quale si è sottolineata la parentela con la
Zauberflöte. Allorché ricompaiono i tre motivi «ritornello» sembra che ci si
avvii verso la ripresa, ma la ricomparsa del tema principale è soltanto una falsa
ripresa, come evidenzia il repentino passaggio al modo minore: si tratta in
sostanza di una rìtransizione tra lo sviluppo e la vera ripresa, che è
leggermente modificata e abbreviata rispetto all'esposizione. Al termine, non
troviamo una vera e propria coda, ma soltanto la ripetizione dell'ultima
riapparizione del tema principale, ripetizione che ra"orza il senso di
conclusione.

Il primo elemento tematico del secondo movimento (Andante) ha evidenti


rapporti di parentela con uno dei motivi principali del movimento di apertura e
nella sua prosecuzione si caratterizza per un ricco cromatismo che informerà
di sé gran parte del brano. Il secondo elemento del primo gruppo tematico, un
motivo balzante esposto dagli archi all'unisono, viene poi brevemente
elaborato. La transizione verso la dominante inizia con un brusco passaggio al
relativo minore; è poi l'elemento cromatico a condurre verso il secondo tema,
del quale Abert rileva la parentela con la seconda parte del celeberrimo duetto
Don Giovanni-Zerlina («Andiam, andiam mio bene»). Anche l'ultimo episodio
dell'esposizione è derivato da questo motivo. Le tensioni armoniche giungono
al loro apice nello sviluppo, nel quale sono i motivi del primo gruppo a venire
riccamente elaborati in un discorso sempre più teso e drammatico, prima che
la ripresa riporti alla serenità iniziale.

La Praga è priva di minuetto. Molte congetture sono state fatte al riguardo,


nessuna delle quali appare del tutto soddisfacente. Ci si limiterà qui a
sottolineare come Mozart avesse già operato altre volte una scelta di questo
genere, ad esempio nella Sinfonia in sol maggiore K. 318 e in quella in do
maggiore K. 338. Nel Finale (Presto) ritroviamo per alcuni aspetti la
complessità formale del movimento di apertura: la transizione verso il secondo
tema è infatti ottenuta con una complessa elaborazione del tema di apertura; e
dopo che il secondo tema è stato presentato e quindi ripetuto, ci troviamo di
fronte a una nuova zona di elaborazione del primo tema, che domina anche la
codetta, accompagnato da un nuovo elemento in terzine dei violini primi.
L'elemento dell'intera orchestra in forte che apre lo sviluppo, e verrà utilizzato
anche per variare la ripresa, comparendo subito dopo il primo tema.

A partire dal secondo tema il succedersi degli episodi ricalca l'esposizione e


porta alla sonora e festosa conclusione.

Paolo Rossini

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Tra le Sinfonie di (Mozart, riconoscibili per appellativi vari (la «Parigina», K.


297; la «Ha"ner», K. 385; «Linz», K. 425; la «Jupiter», K. 551), quella detta «di
Praga» (Prager Symphonie), K. 504, è nota non soltanto per essere articolata in
tre tempi (è priva, cioè, del Minuetto), ma anche per la capacità dì racchiudere
e di svelare, pur nel suo più ristretto ambito, il Mozart grandissimo delle
ultime tre Sinfonie (K. 543, K. 550, K. 551).

Per la ricchezza del tessuto fonico, aperto a, un altissimo magistero


contrappuntistico, la Prager Symphonie si accosta, anzi, alla Jupiter della quale,
del resto, anticipa l'organico orchestrale che esclude i clarinetti e comprende,
con gli archi, due flauti, due oboi, due fagotti, due corni, due trombe e
timpani.

Detta «di Praga» dalla città dove venne trionfalmente eseguita nel gennaio
1787, la Sinfonia fu composta a Vienna nello scorcio finale del 1786.
Terminata il 6 dicembre, è immediatamente seguita dal Rondò K. 505, per
soprano e strumenti, «Ch'io mi scordi di te» (27 dicembre) e immediatamente
preceduta dal Concerto per pianoforte e orchestra K. 503, che reca la data del
4 dicembre. Sono questi i lavori con i quali Mozart conclude il suo trentesimo
anno, fitto d'una sorprendente quantità di musica, a"atto corrispondente
all'alta qualità.

Risalgono al 1786 anche i Concerti per pianoforte K. 488 e K. 491; il Quartetto


K. 499; tre Trii tra i quali il K. 498, detto «del gioco dei birilli»; importanti
pagine pianistiche e vocali e Le Nozze di Figaro. A fine anno, la Sinfonia in re
maggiore trasforma in una luminosa perfezione creativa le ansie drammatiche
e proprio tragiche del musicista che sprofondava nei debiti, incappato nella
riluttanza dei sottoscrittori e nel venir meno d'una popolarità che - al contrario
- specialmente dopo Le nozze di Figaro, sembrava essersi più durevolmente
stabilita. E del resto, proprio con la Prager Symphonie Mozart perviene a quella
scrittura «di!cile» la quale va «oltre la comprensione dei normali dilettanti,
quantunque sia maestosa ed estrosa nei dettagli e piena di potente armonia...
E' insomma, più per l'intenditore che ne sappia scorgere le finezze, che non
per il dilettante che si lasci guidare dall'istinto e giudichi dalla prima
impressione».

Dopo aver cercato - ma invano - dal padre l'aiuto per un viaggio in Inghilterra
(il padre avrebbe potuto tenergli i bambini), Mozart accettò, sul finire del 1786,
un invito a Praga in coincidenza con le rappresentazioni dell'opera Le nozze di
Figaro che, proprio dai successi di Praga, dilagò poi in una infinità di
«arrangiamenti» e trascrizioni. Il successo dell'opera portò Mozart ad
organizzare un concerto, nel corso del quale presentò la Sinfonia K. 504.

La Prager Symphonie fa precedere l'Allegro iniziale da un Adagio che,


riprendendo - e anche ampliando - una tradizione haydniana, costituisce
l'esempio più vicino non soltanto alla Sinfonia in mi bemolle K. 543 dello
stesso Mozart, ma anche alle Sinfonie di Beethoven (la Seconda, la Quarta, la
Settima soprattutto).

Ben scandito dai timpani, l''Adagio svolge attraverso le linee melodiche dei
violini un impeto ascensionale profondamente inciso. Tale anelito verso l'alto
(nella Sinfonia K. 543, l'Adagio svolge, invece, un disegno discendente) si
realizza in un perfetto impianto fonico, vicino anche ad una Augenmusik
preziosamente disegnata. Dalla intcriore solennità di questo Adagio,
dissolvente in una timida scansione ritmica, si stacca, con agilissima levità,
l'Allegro sviluppantesi in una sorta di ebbrezza fonica (quasi il preannuncio
della «dionisiaca» Settima beethoveniana), controllata, peraltro, da una
prodigiosa costruzione contrappuntistica. Emergono a volte risonanze delle
Nozze di Figaro o presentimenti del Flauto magico e atteggiamenti melodici
recuperati da Beethoven anche nelle Sonate per pianoforte (Allegretto, ad es.,
della Sonata op. 31, n. 2).

La pienezza contrappuntistica trova un luminoso riscontro nello smalto


timbrico della partitura, spesso traversata dall'abbagliante squillo delle trombe
e dei corni.

L'Andante si svolge in linee cromaticamente tormentate, dischiudenti soluzioni


che saranno poi di Rossini e anche di Schubert, oltre che di Beethoven il quale,
più di tutti, raccoglie certo fervore mozartiano. C'è qui, anzi, un piglio
«pastorale» del Beethoven della Sesta, e sono anche qui quegli scorci più
severamente contrappuntistici che, nel bel mezzo di un tempo lento,
interrompono il discorso melodico. Si pensi agli episodi «fugati» che Beethoven
introduce nella Marcia funebre dell'Eroica o nell'Allegretto della Settima; essi
hanno un'anticipazione in questo Andante.

Il Presto finale alterna a momenti più vigorosi (c'è già il furore beethoveniano
della Quinta) altri più esili e sottili, quasi cameristici. Così proiettata, verso il
futuro e oltre il suo tempo - ed è per questo che al Mozart «di!cile» i viennesi
preferirono le piacevolezze di altri - la Sinfonia dà compiutamente il segno
della ricchezza musicale di Mozart, della sua appartata tristezza e della sua
gioia che a volte erompe, ironica e irraggiungibile, in quei «trilli» dei violini
(una vera «sigla» mozartiana) alla fine della prima sezione di questo tempo e
sul finire del Presto.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il numero delle sinfonie composte da Mozart è molto alto, come si conviene ad


un musicista del Settecento: dalle quaranta alle cinquanta, a seconda che vi si
contino o meno le opere dubbie, o quelle che hanno soprattutto carattere e
dimensioni di Ouverture. La composizione della maggior parte di esse si
condensa negli anni giovanili di Mozart: soltanto sei sinfonie risalgono al
periodo più importante della sua vita, quello trascorso a Vienna dal 1781 al
1791. Al rarefarsi della produzione sinfonica corrisponde puntualmente una
regolare crescita dell'importanza assunta dalla stessa forma della Sinfonia: che
sempre meno è semplice voce nell'ordinaria amministrazione di un artigianato
altissimo, e sempre più è prova massimamente impegnativa, tanto
tecnicamente che spiritualmente. Nella propria opera Mozart riassume la
transizione fra due concezioni della sinfonia alquanto diverse fra loro: fra
quella che caratterizza la produzione, mettiamo, di un Haydn, e quella che
informa le «opere uniche» di Beethoven.

Nel decennio viennese vediamo le sinfonie di Mozart assumere proporzioni


ampie, attestandosi definitivamente sulla struttura in quattro tempi. L'organico
strumentale è ormai quasi sempre ampio: vi si a"accia il timbro sommamente
espressivo dei clarinetti; corni trombe e timpani concorrono a caratterizzare un
ripieno orchestrale che contiene già in potenza la grande compagine
strumentale del sinfonismo romantico. Soprattutto, è la stessa scrittura che
respira una dimensione «sinfonica» nel senso ottocentesco del termine: alla
facilità decorativa del discorso melodico tipica del periodo galante subentra
un'elaborazione tematica conscia delle possibilità strutturali del contrappunto;
il principio della sonata acquista importanza, e nel Finale si sostituisce al
Rondò; il giuoco delle modulazioni conferisce all'itinerario armonico alta
valenza espressiva.
Tale processo evolutivo tocca il punto più alto con la grande triade del 1788,
ultima prova di Mozart in campo sinfonico: la Sinfonia in mi bemolle K. 543,
quella in sol minore K. 550, la «Jupiter». Ma su un piano non certo inferiore si
pone l'opera che precede direttamente quel grande sforzo creativo: la Sinfonia
in re maggiore K. 504, composta a Vienna e datata 6 dicembre 1786. In misura
senz'altro maggiore delle sinfonie che la precedono (la «Ha"ner», che è
dell'agosto 1782 e la «Linz», finita il 3 novembre 1783), questa pagina reca i
connotati della maturità sinfonica mozartiana. In apparenza, le manca una
delle caratteristiche principali dell'arte sinfonica viennese, la struttura in
quattro tempi. Ma niente potrebbe essere più agli antipodi dello sbrigativo
modello italiano Allegro-Adagio-Allegro di questa opera tanto felice e
scorrevole quanto complessa, composta con una profondità ed un impegno
formale senz'altro eccezionali.

Essa respira infatti costantemente il clima delle più grandi creazioni dell'ultimo
periodo di Mozart: quello delle opere teatrali «italiane», anzitutto (il 1786 è
l'anno delle «Nozze di Figaro»; e proprio durante il viaggio di Mozart a Praga,
che vide anche la prima esecuzione della Sinfonia K. 504, nel gennaio dell''87,
prese forma il progetto del «Don Giovanni»); quello degli ultimi stupendi
Concerti per pianoforte; quello dello stesso «Flauto magico» (il primo tema
dell'Allegro anticipa quasi alla lettera quello dell'Ouverture dell'opera). È un
orizzonte a"ettivo dove è ben presente un'intenzione espressiva che forse è
esagerato chiamare preromantica, e storicamente non corretto riferire
all'esperienza dello Sturm und Drang; ma che certo è profetica se non altro di
alcuni modi linguistici dell'Ottocento tedesco. Basterebbe pensare a come
l'impasto timbrico dei gruppi strumentali sa sottolineare l'oscuro, tortuoso
cammino delle armonie di certi squarci in modo minore; alla capacità di creare
zone di condensazione espressiva in attesa di dar sfogo all'energia del flusso
ritmico.

Il primo movimento della Sinfonia si apre con un'introduzione in tempo lento:


caso abbastanza raro in Mozart, che impiegò questa formula, oltre a qui,
soltanto nella «Linz» e nella Sinfonia K. 543. È un Adagio ampio e
profondamente sviluppato: il re maggiore della tonalità d'impianto sembra
a"ermarsi sin dall'inizio, ma la cadenza che conclude il primo episodio
conduce bruscamente ad un cupo re minore da cui prende le mosse un
discorso armonico inquieto, sottolineato dai gruppetti «alla napoletana» dei
violini e dal severo ritmo del timpano. Una corona sull'accordo di dominante
prepara lo slancio liberatorio del primo tema, in uno scorrevole Allegro. Questo
gruppo.tematico, ricchissimo di spunti motivici, viene ampiamente sviluppato
in un lungo episodio di transizione, già prima del secondo tema, più cantabile,
esposto dai violini. Gli sviluppi ricorrono quasi esclusivamente al materiale del
primo gruppo tematico. Per quanto concisa, rispetto all'ampiezza
dell'introduzione, questa sezione assume un rilievo di primo piano per la
miracolosa agilità del densissimo ordito contrappuntistico che la informa: gli
incisi tematici si combinano l'un con l'altro e, in canone, con se stessi; la
leggerezza della scrittura, l'inarrestabile scorrere del ritmo, la chiarezza del
discorso tonale dissimulano una sapienza contrappuntistica non inferiore,
nell'apparente disimpegno di un disegno costruttivo assai meno monumentale,
a quella che giganteggia nel Finale della «Jupiter». La ripresa giunge con
naturalezza dopo un ben dosato placarsi dell'incalzante spinta
contrappuntistica, e sfocia in una coda breve e festosa.

Il tempo centrale è un Andante in forma di sonata. Fra i due temi principali,


strettamente legati fra di loro, non si stabilisce contrasto. La continuità
percepibile fra esposizione sviluppo e ripresa trova un suo compenso nella
estrema mobilità del fatto espressivo: una cantabilità distesa si alterna con
movenze più ritmate, quasi nello spirito del Minuetto (l'assenza di questo
movimento non si fa certo sentire nella Sinfonia «di Praga»); mentre brusche
impennate del «tutti» orchestrale sull'addensarsi delle armonie riportano a
tratti l'atmosfera inquieta dell'introduzione, interrompendo la serenità
pastorale del sol maggiore d'impianto. Il movimento si conclude come in punta
di piedi, in un esitante pianissimo.

Nel Finale ricompare il principio della forma sonata elaborata


contrappuntisticamente. Già nell'esposizione, il primo tema, presentato dai
primi violini, è subito contrappuntato, quasi di rincorsa, dai secondi e dalle
viole. La spinta ritmica data dalle tre crome in levare, seguite dalle sincopi di
una progressione discendente, impone a questo leggerissimo Presto
un'andatura aerea, da vero pezzo di bravura, che non si inceppa nemmeno nel
breve ma densissimo sviluppo. La tecnica usata è ancora quella del canone: il
susseguirsi del giuoco imitativo, applicato esclusivamente al primo tema,
consente nuovamente un collegamento quasi inavvertibile con la ripresa. Il
vorticoso, luminosissimo disegno di terzine dei violini che già aveva concluso
l'esposizione introduce una brevissima coda terminata su un pedale di tonica.

Daniele Spini

Sinfonia n. 39 in Mi bemolle maggiore K 543

https://youtu.be/WhjOgw-99gU

https://youtu.be/hkns8dhgL3c

https://youtu.be/k16t0zdgeuI

La Sinfonia n. 39 in Mi bemolle maggiore K 543 è una composizione di


Wolfgang Amadeus Mozart, ultimata a Vienna il 26 giugno 1788. Essa è la
prima di tre sinfonie (le altre sono la n. 40 e la n. 41 "Jupiter") composte in
rapida successione durante l'estate del 1788.

Storia

L'estate del 1788 fu una stagione particolarmente prolifica per Mozart. La


Sinfonia n. 39 fu completata il 26 giugno, seguita dalla celebre n. 40, ultimata
il 25 luglio, e dalla n. 41, terminata invece il 10 agosto.. Nello stesso periodo
Mozart era impegnato a comporre i Trii per pianoforte in Mi maggiore e Do
maggiore (K. 542 e K. 548), la Sonata per pianoforte n. 16, K. 545, e la Sonata
per violino K. 547. Il musicologo e studioso mozartiano Alfred Einstein ritiene
che, nel comporre la sinfonia, Mozart abbia preso come modello la Sinfonia n.
26 di Michael Haydn, scritta nella stessa tonalità.
Struttura

La strumentazione prevede parti per flauto, due clarinetti, due fagotti, due
corni, due trombe, timpani e archi. La presenza dei clarinetti non era comune
nelle orchestre del tempo: in questa sinfonia sono utilizzati in luogo degli oboi
ottenendo come risultato un timbro più morbido.

Movimenti

Sono presenti quattro movimenti, coerentemente con i canoni della sinfonia


del Classicismo:

Adagio, 4/4 e Allegro, 3/4


Andante con moto, 2/4
Minuetto e Trio, 3/4
Allegro, 2/4

Adagio - Allegro

Il primo movimento si apre con una maestosa introduzione con fanfare


eseguite dagli ottoni. L'introduzione è seguita da un Allegro in forma-sonata,
anche se molte delle sue caratteristiche – per esempio la forte esplosione che
segue l'inizio molto tranquillo – rimanda allo stile galante caratteristico delle
sinfonie giovanili di Mozart. Nell'Allegro sono presenti due temi, il primo
cantabile ed il secondo molto più incisivo (l'esatto contrario di quanto
prescritto in quel periodo a dimostrazione che in Mozart prima di ogni altra
cosa contava l'invenzione).
Andante con moto

Nell'Andante con moto si trovano i momenti più espressivi. La struttura del


secondo movimento è in forma-sonata abbreviata, ovvero priva dello sviluppo:
il movimento inizia dolcemente con i soli archi, per poi espandere il suono al
resto dell'orchestra. Il materiale melodico principale è tranquillo, mentre
agitate sono alcune transizioni all'interno del movimento.
Minuetto e Trio

Segue un minuetto molto aggraziato e di carattere rude che viene però


arricchito dal trio, dove flauto e clarinetto conducono un gioco semplice e di
assoluta eleganza. Il trio, invece, è una danza popolare austriaca chiamata
"ländler" ed è caratterizzata da una sezione solista per clarinetto.
Finale: Allegro

Il finale che chiude l'opera è un allegro basato su due temi prima contrapposti
poi sempre più somiglianti tra loro sino a che non si fondono in un finale che
termina in modo spiritoso e determinato. Anch'esso è in forma-sonata e, in
somiglianza al finale del Quartetto per archi n. 5, presenta scale in maggiore
ascendenti e discendenti. Lo sviluppo ha un tono drammatico; non esiste
alcuna coda, ma sia l'esposizione che lo sviluppo, fino alla fine della ripresa,
sono spesso ripetute.
Prima esecuzione

Sembra che sia impossibile determinare la data esatta della première della
Sinfonia n. 39 sulla base delle sole fonti attualmente disponibili; non è
nemmeno possibile stabilire se la sinfonia sia mai stata eseguita prima della
morte del compositore. Secondo Deutsch, nel periodo di composizione di
quest'opera, Mozart si stava preparando ad eseguire i cosiddetti "Concerti nel
Casino", in occasione dell'inaugurazione di un nuovo casino nella Spiegelgasse
a Vienna, il cui proprietario era Philipp Otto. Mozart aveva anche mandato
alcuni inviti per questa serie di concerti al suo amico Michael von Puchberg. È
però impossibile stabilire se i concerti si siano e"ettivamente tenuti, o se siano
stati cancellati per mancanza di interesse.

In aggiunta, nell'ultimo periodo della sua vita, Mozart partecipò a numerosi


altri concerti il cui programma prevedeva una sinfonia non identificata:
potrebbe essere stato in una di queste occasioni che la Sinfonia sia stata
eseguita in pubblico per la prima volta.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


La Sinfonia in mi bemolle maggiore è la prima delle tre grandi sinfonie scritte
da Mozart nell'estate del 1788, concepite in origine per essere inserite nel
programma di una serie di concerti per sottoscrizione - allora chiamati
«accademie» - concerti che però, a quanto si sa, non ebbero mai luogo. Era
questo l'ennesimo tentativo di Mozart di risollevarsi da una situazione
economica disastrosa, determinata principalmente dalla scarsa comprensione
di cui godevano a Vienna i suoi ultimi capolavori teatrali.

Il Don Giovanni, ad esempio, che aveva avuto la sua prima, trionfale


rappresentazione il 29 ottobre del 1787 a Praga, andò in scena al Burghtheater
di Vienna soltanto il 7 maggio del 1788, segnando un clamoroso insuccesso; le
modifiche operate successivamente da Mozart e Da Ponte non servirono a
modificare in misura sostanziale la situazione, favorendo al massimo ciò che
oggi definiremmo un successo di stima. Da Ponte stesso, nelle sue memorie,
riportò l'opinione dell'imperatore Giuseppe II su quest'opera: «L'opera è divina,
forse ancora più bella del Figaro, ma non è pane per i denti dei miei viennesi».

Nulla si sa, ovviamente, sulla veridicità di quanto a"ermato dal geniale


librettista italiano; ma se anche non fosse vera, la frase sarebbe comunque
indicativa dell'atteggiamento dei viennesi verso il teatro musicale di Mozart.

Della situazione di Mozart verso la metà del 1788 sono eloquente e tragica
testimonianza alcune lettere scritte dal compositore all'amico Puchberg, un
ricco mercante, per chiedergli aiuti finanziari; eccone alcuni passi: «A forza di
stenti e di preoccupazioni le cose si sono messe così male da ridurmi a dover
elemosinare un pò ' di denaro con queste due bollette del monte dei pegni»;
«La mia situazione è tale da costringermi a chiedere denaro in prestito. Ma,
Dio, a chi potrei rivolgermi? [...] Se non mi aiuterete in questa situazione
perderò l'onore e il credito, le uniche cose che speravo di salvare».

L'ultimo stralcio è preso da una lettera datata 7 giugno 1788; pochi giorni
dopo, il 26 giugno, Mozart completava la partitura della Sinfonia in mi
bemolle. È certo sorprendente, per chi è solito cercare legami diretti tra la vita
e l'opera di un artista, il fatto che questa composizione non rispecchi nulla
delle circostanze in cui vide la luce: la sua energia vitale, la sua solarità sono
invece testimonianza, per citare ancora una volta Hermann Abert, di «quanto
poco il mondo fantastico di Mozart, il suo vero mondo, avesse a che fare con le
miserie quotidiane».

La Sinfonia in mi bemolle maggiore, spesso definita «l'Eroica di Mozart» - su


questa definizione influiscono ovviamente alcuni rapporti con l'Eroica di
Beethoven: la comune tonalità di mi bemolle maggiore, il metro ternario del
movimento di apertura, il vigore complessivo della partitura - è l'ultima del
catalogo mozartiano a essere aperta (Adagio) da un'introduzione lenta,
introduzione che con i suoi vigorosi ritmi puntati e le rapide figurazioni scalari
discendenti si rifà al modello storico dell'ouverture alla francese.

Il primo tema dell'esposizione (Allegro), la cui cantabilità di stampo vocale è


a!data agli archi, con morbidi echi nei fiati, è fondamentalmente basato
sul!'arpeggio; e su figurazioni arpeggiate è costruito anche l'episodio
successivo, pur fortemente di"erenziato per la dinamica (forte) e per gli
energici ribattuti dei fiati degli archi gravi. La transizione è dominata dalle
scale discendenti dei violini - evidente il richiamo all'introduzione, il che
ra"orza la coesione strutturale tra le due parti del brano - cui si alternano
massicci accordi dei fiati, sottolineati dai timpani; poco prima del secondo
tema, le scale lasciano il posto a una nuova cellula motivica, basata su note di
volta e sul ritmo croma-due semicrome, più volte reiterata ad altezza
decrescente con una progressione di sapore tardo-barocco. Il secondo tema
sembra ricondurre, con i suoi colori so"usi e con il dialogo archi-fiati,
all'atmosfera espressiva dell'inizio dell'esposizione, così come l'episodio che
conclude la parte espositiva si ricollega alla transizione: si noti che la chiusa è
a!data alla stessa cellula che aveva annunziato il secondo tema, cellula cui è
a!dato anche il compito di aprire lo sviluppo e che riappare dopo una breve
elaborazione di elementi del secondo tema. Compare quindi il materiale
dell'ultimo episodio dell'esposizione, che porta anche lo sviluppo verso la
conclusione; la definitiva riconduzione, dopo una pausa generale che
interrompe bruscamente il discorso, è a!data a un motivo morbidamente
cromatico dei legni. La ripresa è simmetrica all'esposizione, con l'unica
variante di un prolungamento cadenzale nel quale trombe e corni declamano
un ritmo puntato che richiama, una volta di più, l'introduzione.

I ritmi puntati dominano anche il tema principale del secondo movimento


(Andante), la cui struttura richiama quella di un minuetto (A-A'-A). Un
brevissimo collegamento di legni e corni conduce alla zona modulante che
segna un'improvvisa e drammatica virata verso il modo minore, con ampi gesti
melodici dei violini verso la zona acuta; l'energico tematismo di questa sezione
ne fa un vero e proprio secondo gruppo tematico (come vedremo, con elementi
del primo) e non una semplice transizione. Si tratta fra l'altro di uno dei
pochissimi punti nei quali la serenità di questa sinfonia viene sia pure
momentaneamente turbata. E la riproduzione della sezione A' del tema
principale, in dialogo tra legni e archi gravi, a cercare di riportare al clima
dell'inizio; ma prima che quest'ultimo venga definitivamente ristabilito, c'è
ancora spazio per un momento di tensione, segnato dal forte dell'intera
orchestra, escluse trombe e timpani, non utilizzati in questo movimento.
Quando finalmente appare il tema che conclude l'esposizione, dialogato tra
clarinetti e fagotti, ci sentiamo trasportati in un clima fiabesco, che ricorda
quello dell'aria di Susanna nell'ultimo atto delle Nozze di Figaro. La
reiterazione dell'elemento motivico più importante di questo tema conduce
direttamente alla ripresa: l'assenza di una sezione di sviluppo, peraltro
abbastanza normale nei movimenti lenti, può essere vista in questo caso come
conseguenza dell'elaborazione già contenuta nella sezione intermedia
dell'esposizione. La coda vede ancora assoluto protagonista il tema principale.

Il Menuetto (Allegretto) ha la semplicità e la rustica vigoria del Ländler, una


danza popolare austriaca molto in voga ai tempi di Mozart; al motivo
principale dei violini, sostenuto dell'energico ribattuto dei fiati, risponde una
frase più cantabile degli archi soli; la frase contrastante rielabora elementi del
motivo principale e ne prepara il ritorno.

Tutt'altro carattere per il Trio, nel quale Mozart fa a meno degli ottoni e dei
timpani per ottenere una sonorità più so"usa. Sono i clarinetti gli assoluti
protagonisti: al primo è a!data la popolareggiante melodia principale, con
un'eco nel flauto, mentre il secondo lo sostiene con un morbido andamento
arpeggiato; ridotto al minimo l'accompagnamento degli archi. L'insieme
sembra anticipare alcune caratteristiche di una danza destinata a grandi
fortune nell'Ottocento: il valzer. Anche in questo caso, come già nella Ha"ner,
il grande contrasto espressivo tra minuetto e trio fa sì che quando il minuetto
viene ripreso determini quasi un e"etto di maggiore energia rispetto alla sua
prima apparizione.

Con il Finale (Allegro) torniamo, in un certo senso, al punto da cui eravamo


partiti con il movimento di apertura della Ha"ner: siamo infatti di nuovo in
presenza di una forma sonata monotematica. Il tema principale percorre il
brano da cima a fondo, improntando della sua scanzonata vitalità ritmica tutta
la struttura formale. Solo la transizione verso la dominante sembra fare a
meno della sua personalità tematica, ma ne richiama il carattere con il
continuum ritmico di semicrome dei violini, sostenuto dal ribattuto acefalo dei
fiati e dal ritmo anapestico di viole, celli e bassi. Una volta raggiunta la
dominante, ecco rispuntare il tema principale, questa volta diviso tra violini e
legni e poi subito sottoposto a una prima elaborazione in uno scherzoso
dialogo tra fagotto e flauto. Il forte dell'intera orchestra porta all'unico vero
motivo contrastante, una figurazione sincopata di legni e archi, che conduce
verso l'episodio conclusivo dell'esposizione, una volta di più dominato dal
tema principale, prima rimbalzante fra i legni e poi esposto all'unisono,
ironicamente, da violini e viole.

Anche lo sviluppo è interamente costruito su ricche e complesse elaborazioni


del tema iniziale, con frequenti incursioni nel modo minore.

La ripresa non porta sostanziali novità rispetto all'esposizione, se non per il


fatto che la conclusione è a!data a un'ultima, divertita e quasi sbe"eggiante
doppia apparizione del tema principale.
Paolo Rossini

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il pianista Edwin Fischer, che fu un fervente mozartiano anche come interprete,


fece una osservazione molto giusta quando disse che alla comprensione
dell'arte di Mozart ci si arriva con la maturità e dopo aver amato musicisti dallo
stile più corposo e drammatico. «Il naturale sviluppo musicale - ha scritto
Fischer - ci porta da principio molto vicini a Mozart a causa del carattere
popolare delle sue melodie, della facile intelligibilità della sua struttura
armonica e agogica. Poi segue quasi sempre un periodo d'inclinazione verso
un grande apparato di forza, l'amore del pathos; non esiste nessuna
espressione esteriormente troppo forte, niente di abbastanza grandioso,
virtuoso, travolgente. Siamo così lontani dall'insegnamento di Mozart, in quel
momento, come lo siamo nel periodo che segue, dominato dalla ricerca di
tutto quello che è assolutamente nuovo ra!nato, surriscaldato, rivoluzionario
o formalmente problematico. Fino a che un giorno si fa per noi la luce. Qui c'è
tutto: contenuto, forma, espressione, fantasia, e"etto strumentale, e tutto ciò
è ottenuto con mezzi più semplici».

È evidente che la "luce mozartiana" non è fatta soltanto di quantità di opere


scritte in un arco di vita di appena 34 anni (lo studioso Ludwig von Koechel ne
ha annoverate nel suo catalogo ben seicentoventisei, cui vanno aggiunte altre
cento, incompiute o di incerta attribuzione), ma piuttosto va considerata per la
varietà dei generi musicali praticati e la perfetta riuscita di ognuno di essi.
Nella musica profana e sacra, strumentale e vocale, teatrale e da concerto,
sinfonica e da camera, seria o bu"a egli è riuscito a lasciare il segno della sua
genialità. Non a caso Massimo Mila ritiene che l'arte di Mozart è «un mare dove
confluiscono e convivono pacificamente le più disparate tendenze del suo
secolo. Anche in questo egli rassomiglia a Ra"aello, cui viene sempre
paragonato per la levigata perfezione esteriore e per l'assoluta finitezza
formale. Artisti compendiatori e coronatori di un'epoca, artisti la cui forza è
forza di civiltà, non primitiva barbarie: e civiltà è prima di tutto conservazione,
religiosa pietà di ciò che è stato prima di noi e che ha contribuito a crescerci
quali siamo. Vi sono artisti ribelli ed essenzialmente rivoluzionari che nelle
epoche di lotta e di trasformazione svolgono un lavoro prezioso di
demolizione delle vecchie sovrastrutture, dei pregiudizi ritardatori, e
sbarazzano il terreno per la manifestazione di un ordine nuovo. E vi sono
artisti, invece, i quali edificano la casa dell'uomo, cioè la civiltà, sopra quanto
rimane dei vecchi edifici, utilizzando tutti i mattoni salvabili dalle rovine,
trovando con naturale spontaneità la conciliazione e la continuità fra le
testimonianze del passato e le esigenze del presente».
Mozart appartiene certamente a questa seconda categoria di compositori e la
sua immensa produzione si distende idealmente fra i due estremi della facilità
galante e dello stile severo dettato dalla polifonia strumentale, inglobando le
posizioni intermedie comprese tra il linguaggio brillante ed eclettico delle
opere teatrali e delle composizioni vocali e l'impegno rigoroso della scrittura
quartettistica. Ma, al di là di queste classificazioni tecniche, ciò che conta è la
sigla espressiva della musica di Mozart, dove l'allegrezza si sposa alla
malinconia, il sorriso spunta tra le lacrime e il senso di ilarità e di umorismo fa
capolino tra le pieghe della tristezza. Un'arte semplice e lineare in apparenza,
ma dai risvolti complessi e profondi, dove l'animo umano si specchia e si
osserva alla ricerca della propria misteriosa identità.

***

La Sinfonia in mi bemolle maggiore K. 543 appartiene all'ultima stagione


creativa di Mozart. Infatti fu composta nell'estate del 1788, ed è la prima di
una ideale trilogia composta dalle ultime tre sinfonie mozartiane: nell'ordine
questa K. 543 - datata per l'esattezza 26 giugno - quella in sol minore K. 550
terminata il 25 luglio e quella in do maggiore K. 551 del 10 agosto, conosciuta
come la "Jupiter".

Non erano anni facili quelli per Mozart che, perduta ormai la popolarità che
aveva reso sereni i primi anni del suo soggiorno viennese dopo la clamorosa
rottura con l'Arcivescovo di Salisburgo, non era riuscito a risalire la china della
fortuna neppure dopo il successo che aveva salutato la rappresentazione delle
Nozze di Figaro, e il trionfo con il quale lo aveva accolto la città di Praga in
occasione della rappresentazione del Don Giovanni: che anzi la ripresa
viennese di quest'ultima opera si era risolta in un mezzo insuccesso.

Una situazione penosa dunque e tanto economicamente di!cile da costringere


il Maestro ad abbandonare la sua casa in città trasferendosi - era il 17 giugno
1788 - in una casa rustica nei sobborghi di Vienna. È in questa nuova casa che
egli trasse dalla serenità campestre dei luoghi nuove energie e che, pur tra le
penose di!coltà finanziarie e le reiterate ed angosciose richieste di aiuto
all'amico Puchberg, egli si accinse alla composizione di questo gruppo di tre
sinfonie quasi in un unico poderoso respiro. Di esse il Paumgartner nota come
«riproducano perfettamente la successione degli stati d'animo delle ultime
Sonate per pianoforte: vigorosa energia nel primo tempo, massima intensità
emotiva nel secondo, vittoriosa a"ermazione di vita nel finale» sia pure -
aggiunge lo stesso Paumgartner -nell'ambito di caratteristiche espressive
diverse; che sarebbe «viennese e romantica» la K. 543, «appassionata e cupa»
la K. 550 e «volo di suprema liberazione» la "Jupiter".
Queste sinfonie di cui non ci è nota l'occasione compositiva, rimasero però nel
cassetto e Mozart non avrebbe mai conosciuto la gioia di dirigerle, o almeno di
ascoltarle. Forse le scrisse per sfuggire alla solitudine e alla miseria anche se
probabilmente egli sognava di poter con esse riconquistare un pubblico ed un
posto di rilievo nella società viennese, un posto che gli fu peraltro negato.
Sicché - come scrive Massimo Mila - esse ci restano soprattutto come
testimonianza genuina del «mondo interiore di Mozart che qui ci appare
svelato per intero».

Nella Sinfonia in mi bemolle K. 543 che si esegue stasera c'è da osservare


innanzitutto come lo strumentale preveda per la prima volta in una sinfonia
mozartiana - i soli precedenti nella produzione del Maestro si riferiscono ai
Concerti per pianoforte e orchestra K. 482 e 488 - l'uso dei clarinetti al posto
degli oboi. E c'è ancora da aggiungere che il linguaggio del musicista si è in
questa occasione arricchito di nuovi colori nei quali non è di!cile scorgere
l'influenza di Joseph Haydn.

L'Adagio iniziale di cui l'Albert nota il «profondo pessimismo» con il suo ritmo
persistente segnato dalle scale ascendenti e discendenti dei violini e dei bassi
sembra voler introdurre l'ascoltatore in un mondo assolutamente romantico. E
sono queste scale degli archi a preparare l'idea principale del successivo
Allegro che si distende in una melodia tranquilla e contenuta che passa dagli
archi ai fiati finché nella seconda parte dell'esposizione i passaggi degli archi
pieni, vigorosi e scanditi ci riportano per un istante all'atmosfera gaia del
sinfonismo viennese. Presto però quest'atmosfera viene cancellata dal secondo
tema pensoso e raccolto che dà l'avvio ad uno sviluppo breve e serrato carico
di contrasti drammatici e troncato netto al punto culminante da una pausa
generale dopo di che la breve "ripresa" si conclude con una luminosa fanfara
degli ottoni.

L'Andante, anch'esso come l'Allegro costruito secondo lo schema della forma-


sonata, è quasi un movimento di marcia idealizzata, che apparenterebbe
questo movimento ai Divertimenti mozartiani se l'appassionato fervore della
parte centrale non lo riconducesse subito alla sfera espressiva del resto della
Sinfonia. «C'è in questo Andante -scrive il De Saint-Foix - una atmosfera di
rimpianto infinitamente poetica dove si incontrano le modulazioni più rischiose
e sapienti con dei bruschi risvegli».

Il Minuetto è uno dei più celebri di Mozart; in esso si ritrovano i ritmi che
figurano nel primo Allegro. Ritmi energici che si mantengono sino alla fine e
creano un evidente contrasto con il "Trio" caratterizzato dalla tenera dolcezza
del canto del clarinetto che dialoga con il flauto in un gioco di commovente
semplicità ed eleganza evocante - come nota ancora De Saint-Foix - la
candida semplicità schubertiana dei valzer e dei Laendler. Il Finale, sviluppato
secondo lo schema della forma-sonata, è caratterizzato dalle contrapposizioni
dei due temi principali che si assomigliano fino a confondersi in un impetuoso
sviluppo. E con esso si chiude l'opera definita dal Moser «la dolce sorella del
Don Giovanni».

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Le ultime tre sinfonie di Mozart recano le date rispettivamente del 26 giugno,


del 25 luglio e del 10 agosto 1788: dunque questi tre capisaldi della storia
della sinfonia furono composti con una rapidità e una facilità stupefacenti,
perfino inquietanti! Ma questa era la prassi, prima dei tormenti creativi del
romanticismo. Piuttosto - poiché queste sinfonie non furono mai eseguite
durante i tre anni di vita che restavano a Mozart - dovrebbe stupire che il
compositore abbia dedicato tanto (!) tempo a lavori che non avevano una
precisa destinazione, contravvenendo alla regola universale di lavorare solo su
commissione o comunque in vista d'una esecuzione garantita e immediata. Si
può avanzare l'ipotesi che Mozart le abbia scritte con la speranza d'inserirle
nei concerti a sottoscrizione da lui organizzati periodicamente a Vienna e che
poi il progetto non sia andato in porto, a causa della sua declinante fortuna
presso il pubblico e del conseguente diradamento delle sue esibizioni. In tal
caso sarebbe stata soltanto una previsione sbagliata ad assicurare alla
posterità questo splendido dono!

Se non si conosce con certezza l'occasione esteriore della nascita di queste


sinfonie, si può almeno cercare di capire quali furono le ragioni profonde che
indussero Mozart a comporle. Dobbiamo risalire indietro di qualche anno. Nel
1782 Haydn aveva pubblicato i Quartetti op. 33, "scritti in una maniera nuova e
particolare", che reinventavano radicalmente il genere del quartetto: l'attento
studio di quei sei straordinari capolavori e il desiderio di inoltrarsi lungo la
strada da essi indicata sono evidenti nei sei quartetti che Mozart iniziò a
comporre subito dopo e che dedicò a Haydn. Nel 1787 questi pubblicò le sei
Sinfonie n. 82-87 note come "Parigine", che impressero nuovi grandi sviluppi
al genere sinfonico: pochi mesi dopo Mozart scrisse le tre sinfonie, ancora una
volta seguendo l'esempio del più anziano amico e maestro, e forse anche
superandolo. Sarebbe stato questo il suo testamento nel campo della sinfonia,
ma lui, a soli trentadue anni, non poteva saperlo.

Fino ad allora la sinfonia non aveva avuto un ruolo di particolare spicco nel
catalogo di Mozart. Eppure quarantuno sinfonie non sono poche per un
compositore vissuto appena trentacinque anni. Ma la maggior parte di esse
risalgono al periodo dell'infanzia e dell'adolescenza, tra i nove e i diciotto anni
d'età, e sono quindi una delle tante stupefacenti dimostrazioni della sua
precocità, senza però apportare nulla di determinante alla storia di questo
genere musicale. Invece dai ventanni in poi Mozart compose solo nove
sinfonie, che sotto l'aspetto puramente quantitativo sono quasi trascurabili in
mezzo ai circa trecentocinquanta numeri del suo catalogo risalenti a quegli
stessi anni. Anche la trasformazione di serenate in sinfonie mediante la
semplice soppressione di qualche movimento, come nel caso della Sinfonia n.
35 "Ha"ner", è indicativa della scarsa attenzione del giovane Mozart al
carattere specifico della sinfonia. Ma le nuove sinfonie di Haydn vennero a
risvegliare il suo moderato interesse per questo genere musicale.

La sinfonia, che fino a pochi anni prima era ancora gracile e incerta, era infatti
diventata grazie a Haydn la massima espressione della musica strumentale, un
organismo possente dalla strattura perfettamente definita ma anche duttile,
che si articolava con razionale chiarezza attraverso sviluppi rigorosi ma allo
stesso tempo accoglieva un'inesauribile varietà d'idee, spesso sorprendenti e
giocose, presentando tutto con la massima ricchezza di colori e sfumature
orchestrali. Mozart a"errò pienamente queste nuove possibilità e, come se
avesse voluto riguadagnare il tempo perduto e dimostrare che aveva da dire
una sua parola di fondamentale importanza anche in questo campo, compose
rapidamente le tre grandi sinfonie del 1788, facendo tesoro delle prospettive
aperte dalle recenti sinfonie di Haydn, ma andando anche oltre, tanto che
Haydn avrebbe a sua volta tenuto presente l'esempio di Mozart nelle sue
ultime sinfonie, le dodici "londinesi" del 1791-1795.

L'aspetto più nuovo di queste tre sinfonie mozartiane sta non tanto nelle
splendide soluzioni puramente musicali ma soprattutto nel fatto che ogni
sinfonia esibisce un proprio carattere, di!cilmente definibile ma
inconfondibile: sotto questo riguardo Mozart anticipa la concezione
beethoveniana della sinfonia come possente creatura musicale, dotata di una
sua personalità unica e inconfondibile, che la rende diversa da tutte le altre.

Già nell'organico la Sinfonia n. 39 in mi bemolle maggiore K. 543 presenta una


particolarità, perché non sono presenti gli oboi, sostituiti da due clarinetti,
strumenti nuovi e ancora rari nelle orchestre sinfoniche: dieci anni prima,
ascoltandoli nell'orchestra di Mannheim, allora all'avanguardia, Mozart era
rimasto a"ascinato dal loro timbro e si era rammaricato che non fossero
disponibili a Salisburgo e a Vienna. Finalmente gli si presentò la possibilità di
usarli in questa sinfonia, che è uno dei primi esempi di un'orchestrazione
moderna, per come esplora le risorse d'ogni strumento e sfrutta le diverse
combinazioni di timbri. Ai clarinetti è dato notevole rilievo fin dall'Adagio
iniziale: quest'introduzione lenta, tipica di Haydn ma rara in Mozart, inizia con
alcuni potenti e solenni accordi, che da un lato possono ricordare il tanto
venerato Haendel, e d'altro lato celano probabili riferimenti massonici, perché
la tonalità di mi bemolle maggiore, e accordi simili a colpi vigorosi
caratterizzeranno anche l'ouverture del Flauto magico, del 1791, in cui la
simbologia massonica è indubitabile. Ma la tensione drammatica generata
dalle scale ascendenti e discendenti e dalla formula ritmica
d'accompagnamento richiama piuttosto l'ouverture del Don Giovanni, andato in
scena pochi mesi prima. Il primo tema dell'Allegro s'innesta tanto
delicatamente sull'Adagio che si potrebbe quasi prenderlo per un'estensione di
quest'ampia introduzione, almeno finché trombe e timpani non vengono a
stabilire quel tono vigoroso e anche solenne, ma percorso sotterraneamente da
ansie beethoveniane, che prevarrà per la restante parte del movimento,
cedendo momentaneamente il passo soltanto all'apparire del secondo tema,
una frase in "legato" elegantemente bilanciata tra strumenti ad arco e a fiato,
subito seguita da un ulteriore motivo, sempre "piano" ma più asciutto e deciso.
Proprio il ritorno di questo secondo elemento del secondo tema segnerà
l'inizio dello sviluppo, che darà poi grande spazio a una figura ritmica di
carattere quasi militaresco: il predominio dell'elemento ritmico su quello
melodico e l'essenzialità del materiale musicale da cui si sviluppa l'intero
movimento riconducono all'insegnamento di Haydn, che però avrebbe
introdotto qualche elemento di sorpresa nella parte finale, mentre Mozart,
dopo essersi inaspettatamente fermato nel pieno dello sviluppo su un accordo
carico di tensione, ripete quasi alla lettera tutta la prima parte del movimento.

L'Andante con moto, in la bemolle maggiore, è uno dei tempi lenti più ampi e
intensi mai scritti da Mozart, che mescola qui le forme del tema con variazioni,
del rondò e della romanza, facendo passare un tema semplice e sereno
attraverso una serie di sottili e suggestive modulazioni armoniche e
trasformazioni melodiche, che gli conferiscono accenti di volta in volta
disperati o eroici, commossi o energici, spingendosi nella ricerca d'espressività
fino ad un drammatico episodio in fa minore, che ricorda un recitativo vocale.

Il battito metronomico d'una sola nota ripetuta dai fiati scandisce il Menuetto,
che nella sezione principale ha un'allegria e una robustezza memori ancora
una volta di Haydn, ma che s'ammorbidisce nel leggero dialogo tra il flauto e i
due clarinetti del Trio, dal languore tipicamente viennese.

Il movimento finale, Allegro, è ancora un omaggio a Haydn, per la sua forma-


sonata basata su un unico tema, che passa precipitosamente tra vari strumenti,
quasi come se se lo contendessero l'un l'altro, e attraversa modulazioni di
stupefacente audacia: lo slancio inarrestabile di questo finale veloce e serrato,
senza un attimo di respiro, è stato paragonato da Richard Wagner all'ultimo
movimento della Settima sinfonia di Beethoven. Una volta tanto, il paragone
con Beethoven non è forzato, anzi si può a"emiare che bisognerà attendere
l'Eroica per trovare un altro capolavoro che faccia compiere alla sinfonia un
passo altrettanto grande.

Mauro Mariani
Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Il numero delle Sinfonie composte da Mozart è molto alto, come si conviene a


un musicista del Settecento: dalle quaranta alle cinquanta, a seconda che vi si
contino o meno le opere dubbie, o quelle che hanno dimensioni e carattere di
Ouverture. La composizione della maggior parte di esse si concentra negli anni
della gioventù di Mozart: soltanto sei Sinfonie nacquero nel periodo più
importante della sua creatività, i dieci anni trascorsi a Vienna, dal 1781 alla
morte. A questo rarefarsi della produzione sinfonica corrisponde puntualmente
una regolare crescita dell'importanza che la stessa forma della Sinfonia viene
ad assumere: sempre meno semplice voce nell'ordinaria amministrazione di un
artigianato magari altissimo, e sempre più prova massimamente impegnativa,
tanto tecnicamente che spiritualmente. Nella sua opera sinfonica Mozart
riassume la transizione fra due concezioni della Sinfonia in molte cose diverse
tra loro: fra quella che caratterizza, mettiamo, la produzione di Haydn con i
suoi oltre cento lavori sinfonici, e le nove «opere uniche» di Beethoven. Nel
decennio viennese vediamo le Sinfonie di Mozart assumere proporzioni ampie,
attestandosi definitivamente sulla struttura in quattro tempi. L'organico
strumentale è ormai quasi sempre nutrito: vi si a"accia il timbro sommamente
espressivo dei clarinetti, piuttosto inconsueto nel Settecento, che limitava per
lo più la compagine dei legni alle coppie di flauti oboi e fagotti; trombe e
timpani si a!ancano ai corni, concorrendo a caratterizzare un ripieno
orchestrale che contiene già in potenza il peso fonico dei grandi organici del
sinfonismo romantico. Ma soprattutto è la stessa scrittura a respirare una
dimensione «sinfonica» nel senso che questo termine potrà avere
nell'Ottocento: alla regolarità di sviluppi del discorso melodico tipica del
periodo galante subentra un'elaborazione tematica conscia delle possibilità
strutturali del contrappunto; il principio della forma sonata acquista sempre
maggiore importanza e complessità di significati, tanto nel primo movimento
che nel finale; il giuoco delle modulazioni, sempre più ricco, accresce la
portata espressiva e la densità formale del fatto compositivo.

Aperto nel 1782 con la Ha"ner e proseguito con la Linz (1783) e la Praghese
(1786), il ciclo delle Sinfonie viennesi di Mozart fu coronato splendidamente
dalla triade composta nell'estate del 1788: in meno dì due mesi, nella quiete
campestre del sobborgo di Vienna dove si era trasferito il 17 giugno, Mozart,
che in quel periodo attraversava penose di!coltà finanziarie, creò i suoi tre
massimi capolavori sinfonici. La prima a esser terminata fu appunto la Sinfonia
in mi bemolle K. 543 (26 giugno); seguirono la Sinfonia in sol minore K. 550
(25 luglio) e finalmente (10 agosto), la Jupiter. Un «superbo trittico», dice
Bernhard Paumgartner, nato «quasi in un unico poderoso respiro»: e che difatti
ben si presta a esser considerato unitariamente, come la massima e la più
avanzata espressione del sinfonismo mozartiano, profondamente autonoma
ormai dalla stessa civiltà viennese, che negli anni immediatamente successivi
avrebbe toccato, con le dodici Sinfonie «di Londra» di Haydn, un magistero
tecnico ed espressivo di inarrivabile perfezione. Le tre Sinfonie del 1788 ci
mostrano un Mozart giunto all'apice delle proprie possibilità artistiche, in ogni
senso: intanto per la maestria somma della scrittura orchestrale, ra!natissima
nelle definizioni timbriche e nell'intuizione delle possibilità dinamiche; ma
anche, e in primo luogo, nella caratterizzazione espressiva» pervenuta a una
profondità mai toccata nemmeno nei capolavori precedenti, e ormai ampliata a
contenere le più diverse e possenti risonanze emotive, di pari passo con una
padronanza dell'atto compositivo che pur dissimulando nella polita
realizzazione formale ogni traccia di sforzo, non sembra mai improntata alla
semplice «facilità» di una vena feconda e felice, ma respira una consapevolezza
costruttiva di altissima tensione etica. Nell'ambito di questa triade, seguendo
la bella immagine del Paumgartner che le paragona idealmente alla
«successione degli stati d'animo delle ultime Sonate per pianoforte», la
Sinfonia K. 543 starebbe a rappresentare la «vigorosa energia» del primo
tempo, di contro alla «massima intensità emotiva» del secondo (la Sinfonia in
sol minore) e alla «vittoriosa a"ermazione» di vita del terzo (la Jupiter): sicché
la Sinfonia in sol minore, «appassionata e cupa», si porrebbe come «centro
ideale della trilogia», la Jupiter come il momento dell'«attesa liberazione»,
sovrastato dalla «guglia eccelsa» del Finale. L'immagine calza perfettamente;
solo dispiace accorgersi che in questo quadro la Sinfonia K. 543 finisce sempre
per apparire come l'elemento meno importante, meno luminoso se non più
sbiadito: del resto, nel consumo come nella fortuna interpretativa, questa
pagina è forse la meno popolare delle tre Sinfonie del 1788, non ultimo poiché
è quella che ha o"erto minor occasione a esercizi retorici di carattere
biografico-esistenziale-contenutistico, o alle immancabili divinazioni di
fermenti anticipatori del Romanticismo, che con stucchevole fissazione
teleologica vengono regolarmente sovrapposti un po' a tutto l'ultimo Mozart.
Di fatto, in essa non si ravvisano se non in misura piuttosto contenuta i
caratteri che rendono anche esteriormente eccezionali le due Sinfonie
successive: l'inquietudine dolorosa della Sinfonia in sol minore, le gigantesche
intuizioni costruttive e il trionfante vitalismo della Jupiter. Ma certo niente
appare più assurdo che il porre la Sinfonia in mi bemolle su un piano anche di
poco inferiore alle due meravigliose sorelle, sol perché in essa la drammaticità
dei conflitti espressivi è costantemente celata dietro un sublime equilibrio
emotivo, o perché la densità della costruzione riesce con incredibile felicità a
contenersi nella pacifica levità di un periodare di quattro in quattro battute,
secondo le regole accettate di un comporre che non disdegna di essere anche
piacevole, e che comunque rifugge da ogni violenza esteriore. Del resto, in
questa Sinfonia non mancano connotati tali da richiedere una profonda
attenzione anche all'analisi: basterebbe la strumentazione, che
significativamente sostituisce all'abituale coppia degli oboi due clarinetti,
consentendo a Mozart di dispiegare, con una libertà che non ha termini di
confronto neanche nelle poche altre sue Sinfonie che accolgano il clarinetto nel
proprio organico, la particolare e non casuale predilezione che sempre tributò
al timbro pastoso e nostalgico — non necessariamente romantico, anche se
certo quanto mai capace di esprimere turbamenti e ripiegamenti dell'animo —
dello strumento che Brahms avrebbe avuto tanto caro nella sua estrema
stagione creativa. Basterebbe, soprattutto, la grande e severa ricchezza
espressiva della lunga introduzione lenta al primo movimento (formula
abbastanza inconsueta in Mozart, contrariamente alla tradizione viennese, e da
lui impiegata solo in due altre occasioni, nella Linz e nella Praghese), a dar la
misura del profondo impegno compositivo e spirituale profuso da Mozart in
questo suo capolavoro perfettamente tornito, con tutto che esso sia nato, a
quanto pare, in quattro o cinque giorni; e la cui suggestione, per essere meno
immediata e bruciante che nelle altre due Sinfonie del 1788, non risulta a conti
fatti certo minore.

Il moto ampio e solenne dell'Adagio che apre il primo movimento, scandito dai
colpi del timpano e dagli accordi dei fiati, e percorso dalle scalette degli archi,
sottolinea la tensione drammatica — la si direbbe teatrale, se non suonasse
diminutivo: ma non è un caso che le ultime Sinfonie di Mozart cadano giusto in
mezzo al periodo dei grandi capolavori teatrali, e specialmente che siano vicine
nel tempo al Don Giovanni e alle altre opere italiane — che questo episodio
trae dai suoi moti armonici densi di significato. La quiete che segna la
conclusione dell'Adagio prepara la partenza lieve, carezzevole del primo tema;
la trasparenza timbrica della sua prima esposizione, a!data per lo più agli
archi, cede il passo a episodi più incisivi ritmicamente e fonicamente, finché il
lungo episodio di transizione non si placa bruscamente per dar luogo alla
presentazione del secondo gruppo tematico, ancora una volta aereo e
scorrevole, anche se di tinta più riflessiva. Lo sviluppo è molto breve, ma
intenso: la ripresa si svolge regolarmente, e sfocia in una coda sintetica e
incisiva nelle sue lucenti fanfare di corni e trombe. Il tema del secondo
movimento, nel suo miracoloso equilibrio espressivo, ci porta a tutti gli e"etti
nelle stesse regioni emotive dei tempi analoghi delle due Sinfonie successive.
La regolare coniugazione strofica dell'esposizione, limitata ai soli archi, si
dissolve nelle più tormentate elaborazioni dello sviluppo, dove il discorso
strumentale si fa timbricamente più denso e tagliente, e le linee melodiche si
frammentano in incisivi spunti ritmici, ampliando l'orizzonte emotivo della
Sinfonia ad accogliere ancora una volta intense suggestioni drammatiche. Il
Minuetto è tra i più meravigliosamente tersi e scorrevoli composti da Mozart, e
giuoca sull'alternanza del ripieno orchestrale, discretamente rinforzato dai
timpani, con le più trasparenti fasce sonore degli archi e dei legni. II Trio
centrale vede protagonisti i clarinetti (quasi un'eco delle Serenate per strumenti
a fiato degli anni salisburghesi) cui tocca dipanare un motivo a tratti di
villereccia giocondità. Smagliante coronamento della Sinfonia, un Finale avviato
dallo scintillante disegno proposto dai soli violini, e presto ripreso dal «tutti»
orchestrale con nuovo vigore; di!cile distinguere il secondo tema dal primo,
per la sostanziale a!nità che li lega nell'inarrestabile fluire del discorso
musicale: la dignità della forma sonata è salva, ma non le viene consentito di
interporre le sue esigenze dialettiche o drammatiche nella felicità di questo
tripudiantc moto perpetuo, raramente interrotto da pause, quasi a prender
fiato per il tempo che basti ad accennare un sorriso.

Daniele Spini

Sinfonia n. 40 in Sol minore K 550

https://youtu.be/wErcNcZWsiM

https://youtu.be/JTc1mDieQI8

https://youtu.be/p8bZ7vm4_6M

La Sinfonia n. 40 in Sol minore K 550 fu composta da Wolfgang Amadeus


Mozart a Vienna durante il mese di luglio (mese molto produttivo per lui) del
1788.

Essa è la seconda di tre sinfonie (le altre sono la n. 39 e la n. 41 "Jupiter")


composte in rapida successione durante l'estate del 1788.

La sinfonia è una delle più ammirate e conosciute composizioni di Mozart, ed è


frequentemente eseguita e registrata in tutto il mondo.

Struttura

Organico musicale

La strumentazione prevede parti per flauto, due oboi, due clarinetti (aggiunti
nella seconda versione), due fagotti, due corni e archi. Da notare è l'assenza di
timpani e trombe, strumenti invece generalmente presenti nelle ultime sinfonie
di Mozart.

Movimenti

Sono presenti quattro movimenti, coerentemente con i canoni della sinfonia


del Classicismo:

Molto allegro, 2/2


Andante, 6/8
Minuetto e Trio: Allegretto, 3/4
Finale: Allegro assai, 2/4

Tutti i movimenti, con l'eccezione del terzo, sono in forma-sonata.

Molto allegro

Il primo movimento inizia in tono oscuro, non con il primo tema ma con
l'accompagnamento, eseguito dalle viole, violoncelli e contrabbassi. La tecnica
di iniziare l'opera con l'accompagnamento anziché con la proposizione diretta
del tema sarà usata da Mozart anche nel suo Concerto per pianoforte e
orchestra n. 27 K 595 e diventerà comune nella musica del romanticismo (per
esempio nell'apertura del Concerto per violino e orchestra di Felix
Mendelssohn e il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 di Sergei
Rachmanino").

Il tema geografico, di cui si mostrano le prime otto battute strategiche, è in


forma di sentence, o frase, in accordo con la terminologia di William Caplin.
Nell'esempio è riportata la cosiddetta presentazione (presentation) della frase:
le prime quattro misure costituiscono l'idea base (basic idea), le seconde
quattro la ripetizione dell'idea base. Sempre seguendo Caplin, la ripetizione
dell'idea base è del tipo statement-response, ossia domanda-risposta: infatti,
le prime quattro battute muovono dalla tonica all'accordo di ii grado in terzo
rivolto, le seconde quattro dalla dominante (V grado, in primo rivolto, poi allo
stato fondamentale) alla tonica. Soggiacente a tale struttura è il ben noto
chiasmo armonico I - V - V - I, che caratterizza una molteplicità di temi della
musica del periodo classico. Mozart ripropone tale configurazione, in qualche
maniera convenzionale (uno schema, secondo Robert Gjerdingen), per il tema
principale della sinfonia, ma sottilmente reinterpretandola in senso
"barocco" (la struttura armonica è I - ii - V - I, simile a quella dell'inizio del
primo Preludio del primo volume del Clavicembalo ben Temperato di J. S.
Bach), mentre Beethoven userà il chiasmo armonico nella sua forma più cruda,
ad esempio nel tema principale della sonata per pianoforte op. 2 n. 3, in Do
maggiore (la terza delle prime tre sonate per pianoforte, dedicate a Joseph
Haydn, del 1795).

Andante

Il secondo movimento ha un metro di 6/8 ed è in tonalità di Mi bemolle


maggiore, che è la sopradominante maggiore della tonalità di Sol minore, con
cui è composto il resto della sinfonia. Questo movimento è eseguito
velocemente e piano, con degli sforzati.

Minuetto e Trio

Il minuetto inizia in tono severo, con un'emiolia e un paio di frasi di tre


battute; diversi musicologi hanno asserito che, nonostante si tratti di un
"minuetto", il suo particolare ritmo non consentirebbe di essere ballato
facilmente. Il trio, che contrasta con il minuetto per via del suo carattere più
leggero, è in Sol maggiore e vede l'alternarsi di sezioni per soli archi e sezioni
per soli fiati.
Finale: Allegro assai

Il quarto e ultimo movimento si apre con una rapida serie di note ascendenti,
delineando una triade di toniche. Questo e"etto è anche noto come razzo di
Mannheim, dal nome dell'omonima scuola musicale che l'ha inventato. Il
movimento è prevalentemente costituito da frasi di otto battute. All'inizio dello
sviluppo vi è un passaggio modulante che destabilizza l'intera tonalità: in
questa sezione viene suonata ogni nota della scala cromatica eccetto una, il Sol
bequadro (la tonica).

Analisi e commenti

Si tratta della sinfonia più nota di Mozart. Robert Schumann arriverà ad


accostarla ai criteri ideali della bellezza greca.

Originariamente considerata come esempio di grazia e leggerezza, forse


confondendo la semplicità con cui vi si sviluppano e susseguono le varie
melodie, appare oggi come fortemente introspettiva e di alto contenuto
drammatico. Charles Rosen definisce la sinfonia "un'opera di passione,
violenza e dolore". Il minuetto è un esempio di questa drammaticità e anticipa
quelle atmosfere romantiche che si ritroveranno in Beethoven e che qui
appaiono trattenute, quasi nascoste.
Il musicologo tedesco Alfred Einstein la definisce "eroicamente tragica".
Descrivendo gli svolgimenti armonici della sinfonia, usa queste parole: "sono
come dei tu! negli abissi dell'anima, simbolizzati in modulazioni tanto audaci
che i contemporanei di Mozart non devono essere stati in grado di seguirli e
tanto sublimi che soltanto Mozart stesso poté riportarli su di un livello
terreno".

Commenti negativi sono invece stati espressi da Glenn Gould: il pianista


a"erma che nella sinfonia ci sono "otto battute memorabili - la serie di seste
discendenti non accompagnate che viene subito dopo la sbarra del finale, il
punto in cui Mozart tende la mano allo spirito di Anton Webern - isolate in una
mezz'ora di banalità".

Prima esecuzione

Molti studiosi di Mozart sostenevano che fosse altamente probabile che Mozart
non avesse mai ascoltato la sua sinfonia dal vivo. Alcuni musicologi andavano
anche oltre, sostenendo che Mozart avesse composto la Sinfonia n. 40 (nonché
la n. 39 e la n. 41) senza nemmeno l'intenzione che fosse eseguita durante il
suo periodo di vita, ma piuttosto che fosse un "lascito ai posteri"; o (per usare
le parole di Alfred Einstein), un "appello all'eternità".

Studi più recenti suggeriscono che queste supposizioni non siano esatte. Per
esempio, è stata ritrovata una lettera del musicista Johann Wenzel (1762 -
1831), datata 10 luglio 1802 e indirizzata all'editore Ambrosius Kühnel,
residente a Lipsia: in tale scritto, Wenzel si riferisce a una esecuzione della
Sinfonia n. 40 presso l'abitazione del barone Gottfried van Swieten in presenza
di Mozart. Tuttavia, la sinfonia fu eseguita talmente male che il compositore
decise di lasciare la sala.

Esistono anche prove di altre esecuzioni. Tra la data di composizione della


sinfonia e la morte del compositore, furono dati numerosi concerti sinfonici in
cui era inclusa la musica di Mozart. In alcuni casi i programmi di tali concerti
sono sopravvissuti, e talvolta era inclusa una sinfonia non ben identificata, di
cui non si specificava data di composizione o tonalità. Ecco alcuni concerti di
cui si ha notizia:[10]

Dresda, 14 aprile 1789, durante il viaggio di Mozart a Berlino;


Lipsia, 12 maggio 1789, durante lo stesso viaggio;
Francoforte sul Meno, 12 ottobre 1790;
Sono sopravvissute copie di una locandina di un concerto dato dalla
Tonkünstlersocietät ("Società dei Musicisti") il 17 aprile 1791 al Burgtheater di
Vienna, condotto da Antonio Salieri. La prima composizione in programma è
indicata come "Una Grande Sinfonia composta dal Signor Mozart".

È rilevante il fatto che Mozart abbia rivisto e leggermente modificato la sua


sinfonia: sono infatti tuttora conservati i manoscritti di entrambe le versioni
negli archivi della Gesellschaft der Musikfreunde a Vienna, donati a tale società
da Johannes Brahms. L'esistenza di due versioni "dimostra che [la sinfonia] fu
eseguita in pubblico, in quanto Mozart di!cilmente avrebbe perso tempo ad
aggiungere i clarinetti e a riscrivere le parti per flauti e oboi se non ci fosse
stato uno specifico concerto in programma." L'orchestra del concerto del 1791
a Vienna include i fratelli clarinettisti Anton e Johann Stadler; la presenza dei
clarinetti nell'orchestra implica quindi che solo la Sinfonia n. 39 e la n. 40
potevano essere in programma", in quanto sono le uniche due a prevedere tale
strumento nella loro partitura.

Anche la versione senza clarinetti fu sicuramente eseguita in pubblico, in


quanto Mozart potrebbe avere sentito la necessità di rivedere la sinfonia e
modificarne alcune parti dopo averne e"ettivamente ascoltato dal vivo
l'esecuzione e aver constatato che esistevano aspetti da migliorare.

Si hanno anche prove di altri concerti: Mozart si stava preparando ad eseguire i


cosiddetti "Concerti nel Casino", in occasione dell'inaugurazione di un nuovo
casino nella Spiegelgasse a Vienna, il cui proprietario era Philipp Otto. Mozart
aveva anche mandato alcuni inviti per questa serie di concerti al suo amico
Michael von Puchberg. È però impossibile stabilire se i concerti si siano
e"ettivamente tenuti, o se siano stati cancellati per mancanza di interesse.
Secondo Zaslaw, si tenne solo il primo dei tre concerti previsti.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La nostalgia quasi dolorosa che Cajkovskij nutriva verso il passato musicale


classico aveva le sue radici nell'amore sconfinato per Mozart. Musicista del suo
tempo, viveva nell'"estasi agonizzante" dei romantici coevi, ma l'"estasi
estetica", la gioia della pura bellezza la traeva interamente dal salisburghese:
"La musica di Don Giovanni è stata la prima ad avere su di me un e"etto
sconvolgente... a Mozart sono debitore della mia vita dedicata alla musica".
Parole definitive che riallacciano anche corrispondenze segrete. Nel Don
Giovanni e nell'ultima produzione sinfonica sta anche il Mozart più privato e
visionario, ancora un musicista che scrive per se stesso, per privatissime
raisons du coeur e senza una specifica commissione.

Per questo delle ultime tre Sinfonie (K. 543, K. 550, K. 551) si parla
solitamente come di un testamento spirituale del genere Sinfonia che, pur
salvaguardando le specifiche peculiarità di ciascuna, le presenta come un unico
grande a"resco creativo. Esse nacquero infatti tutte nel giro di pochi mesi
estivi del 1788 (in realtà 45 giorni, dal 26 giugno al 10 agosto!), uno dei
periodi più tormentati dell'esistenza del compositore, deluso per il debole
successo viennese del Don Giovanni, e trasferitosi in una casa alla periferia di
Vienna pochi giorni prima in seguilo a ristrettezze economiche alle quali
sopperiva il sostegno di un confratello, il commerciante Puchberg. Mozart
probabilmente contava di poter fare eseguire le Sinfonie, e forse anche per
questo fu così veloce nello scriverle, ma il desiderio non si realizzò mai
durante la sua vita, circondando questa estrema produzione di un'aura di
mistero sulla esplosione del suo genio creativo. Nello schema analogo dei
movimenti delle Sinfonie (Allegro-Andante-Menuetto-Finale) vi fu chi, come
Paumgartner (che le avvicinava alle ultime Sonate per pianoforte), ravvisava un
disegno quasi programmatico di successione di stati d'animo: una "vigorosa
energia nel primo tempo, massima intensità emotiva nel secondo, vittoriosa
a"ermazione di vita nel Finale".

Letta nell'ottica degli ideali massonici si direbbe una sorta di via verso la luce
fondata sulla fiducia nel Bene. Un "sottotesto" non impossibile da leggervi dato
che, a ben vedere, oltre al numero delle Sinfonie - "tre" per l'appunto - esso si
potrebbe ravvisare anche nella scelta delle tonalità di impianto: mi bemolle, sol
minore, do maggiore, le tre fondamentali della Zauberflöte, cioè proprio il
percorso dalla "verità" dei tre accordi "massonici", all'inganno della Regina della
Notte, alla luminosa apparizione di Sarastro nel Primo Atto.

In questa triade alla K. 550 in sol minore spetterebbe dunque la funzione di


Sinfonia notturna, o romantica, o sturmisch. La tonalità e l'organico la
collegano infatti al passato Mannheimer di Mozart, che di altre Sinfonie in sol
minore scrisse solamente la K. 183 nel 1773. In questa opera giovanile, il tono
inquieto e il colore "sombre" sono ascrivibili ad una catalogazione a"ettiva
preromantica rispecchiata anche nell'organico - oboi, fagotti e quattro corni.

Quindici anni dopo, Mozart, che pure aveva conosciuto e sperimentato l'uso
dei clarinetti, li elimina dall'organico (li aggiungerà nel 1791 forse per
un'Accademia) tornando a quel colore dominante, aggiungendo il flauto ed
eliminando anche le trombe, presenti nella K. 543.

Tuttavia ciò che nella K. 183 era programmatico e proteso alla ricerca di una
più originale veste formale, nella K. 550 si eleva ad un livello universale,
tonalità e organico costituendo nient'altro che lo scheletro all'interno del quale
si depositano, senza sforzo alcuno, contenuti più profondi, che lasciano in
ombra il problema delle compresenze e della fusione degli stili "dotto" e
"galante". Mozart qui non si lascia andare all'originalità dell'invenzione, non
usa gesti retorici per comunicare contenuti "drammatici"; al contrario,
sintetizza e asciuga il suo materiale, o"erto in una luce nuova; l'economia dei
mezzi appresa da Haydn si fa quasi ascetica, tanto da far dire a Giovanni Carli
Ballola che la Sinfonia è "reticente", anche se così profondamente pervasa di
una forza esplosiva che sembra trattenuta.

Esempio massimo di questa winkelmanniana "inquieta serenità" - se ci si passa


l'ossimoro - è proprio il tema iniziale dell'Allegro molto, poche note
carezzevoli sostenute dai soli archi in piano che immette in medias res, grazie
all'anacrusi che sposta l'accento sul tempo debole, dando l'impressione di un
rassegnato inesorabile cammino già da tempo intrapreso. La dialettica del
conflitto si innesca però subito dopo la ripetizione del tema, in una figura
formale di "ponte" assai a"ermativa e in forte che, dopo una pausa di
straordinario e"etto sospensivo, introduce il secondo tema, una figura
discendente in sequenza cromatica, dal carattere sospiroso e vinto. Con questi
pochi elementi Mozart costruisce l'edificio della sua forma-sonata, mirando
alla trasparenza delle sezioni strumentali e alla dialettica tra archi e fiati. Il
primo tema assurge a Leitmotiv ostinato di tutto il movimento, specie nello
sviluppo, quando frammenti dello stesso vengono passati nelle diverse sezioni
e gli archi acquistano forte impulso ritmico e dinamico.

Anche l'Andante in mi bemolle maggiore è scritto in forma-sonata. L'attacco


presenta un classico "sipario" che passa il tema di note ribattute ad imitazione
dalle viole ai violini, mentre gli archi gravi hanno un andamento cromatico. I
fiati si inseriscono rispondendo ad una figura sospirosa di biscrome che
fungerà in seguito da elemento di dialogo tra le sezioni. Anche nello sviluppo
di questo movimento si intensifica il contrappunto, ma in direzione della
rarefazione, sia dei temi frammentati che delle dinamiche che si stabilizzano,
nella ripresa, nel piano.

Il Menuetto in sol maggiore presenta un tema dall'accento spostato sulla


sincope del tempo debole che gli conferisce un andamento assertivo e pesante
di Ländler viennese. Anche qui Mozart gioca sulle asimmetrie e sul fitto gioco
dei contrappunti e del cromalismo. Solo il Trio scioglie il tono severo della
danza in una nostalgia che emerge dalla trasparenza del gusto concertante tra
le sezioni archi-fiati.

E la conclusione in piano prepara ancora l'attesa per l'attacco del Finale Allegro
assai, in tempo tagliato. Il tema - una figura ascendente, in minime dal
carattere vilain - è in stretta relazione con quello del Menuetto e dà l'avvio
all'alternarsi di domande e risposte tra forte e piano - un'eco dello stile "a
terrazze" di ascendenza barocca. Solo nella seconda parte si scioglie in una
corsa disperata di tutti gli archi, mentre i fiati martellano omoritmicamente in
forte. Il secondo tema, in si bemolle concede una brevissima pausa poiché,
proprio come nel primo movimento, è ancora il primo tema ad a"ermarsi con
prepotenza. È così anche nello sviluppo, la cui linea melodica Abert vede, non
a torto,"corrosa fino all'osso nel fuoco della passione". Tutto si scarnifica infatti
nel passaggio dei frammenti tematici ai singoli strumenti: anche il secondo
tema, variato nella ripresa e "sporcato" con salti nella linea melodica e
cromatismi, è appena un ritorno prima delle pesanti e disperate arcate
ascendenti che concludono con violenza il movimento.

È in questa urgenza espressiva che trova spazio l'emozione dell'ascolto sempre


rinnovato di quest'opera celeberrima. La straordinaria coerenza strutturale,
l'unità tematica e la sapienza compositiva - come accade solo nei vertici
dell'arte -, non si avvertono più; si fondono nel puro suono che si tramuta in
noi nel segno di una bellezza commovente e imprescindibile.

Marco Spada

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le ultime tre sinfonie di Mozart recano le date rispettivamente del 26 giugno,


del 25 luglio e del 10 agosto 1788: dunque questi tre capisaldi della storia
della sinfonia furono composti con una rapidità e una facilità stupefacenti,
perfino inquietanti! Ma questa era la prassi, prima dei tormenti creativi del
romanticismo. Piuttosto - poiché queste sinfonie non furono mai eseguite
durante i tre anni di vita che restavano a Mozart - dovrebbe stupire che il
compositore abbia dedicato tanto (!) tempo a lavori che non avevano una
precisa destinazione, contravvenendo alla regola universale di lavorare solo su
commissione o comunque in vista d'una esecuzione garantita e immediata. Si
può avanzare l'ipotesi che Mozart le abbia scritte con la speranza d'inserirle
nei concerti a sottoscrizione da lui organizzati periodicamente a Vienna e che
poi il progetto non sia andato in porto, a causa della sua declinante fortuna
presso il pubblico e del conseguente diradamento delle sue esibizioni. In tal
caso sarebbe stata soltanto una previsione sbagliata ad assicurare alla
posterità questo splendido dono!

Se non si conosce con certezza l'occasione esteriore della nascita di queste


sinfonie, si può almeno cercare di capire quali furono le ragioni profonde che
indussero Mozart a comporle. Dobbiamo risalire indietro di qualche anno. Nel
1782 Haydn aveva pubblicato i Quartetti op. 33, "scritti in una maniera nuova e
particolare", che reinventavano radicalmente il genere del quartetto: l'attento
studio di quei sei straordinari capolavori e il desiderio di inoltrarsi lungo la
strada da essi indicata sono evidenti nei sei quartetti che Mozart iniziò a
comporre subito dopo e che dedicò a Haydn. Nel 1787 questi pubblicò le sei
Sinfonie n. 82-87 note come "Parigine", che impressero nuovi grandi sviluppi
al genere sinfonico: pochi mesi dopo Mozart scrisse le tre sinfonie, ancora una
volta seguendo l'esempio del più anziano amico e maestro, e forse anche
superandolo. Sarebbe stato questo il suo testamento nel campo della sinfonia,
ma lui, a soli trentadue anni, non poteva saperlo.

Fino ad allora la sinfonia non aveva avuto un ruolo di particolare spicco nel
catalogo di Mozart. Eppure quarantuno sinfonie non sono poche per un
compositore vissuto appena trentacinque anni. Ma la maggior parte di esse
risalgono al periodo dell'infanzia e dell'adolescenza, tra i nove e i diciotto anni
d'età, e sono quindi una delle tante stupefacenti dimostrazioni della sua
precocità, senza però apportare nulla di determinante alla storia di questo
genere musicale. Invece dai ventanni in poi Mozart compose solo nove
sinfonie, che sotto l'aspetto puramente quantitativo sono quasi trascurabili in
mezzo ai circa trecentocinquanta numeri del suo catalogo risalenti a quegli
stessi anni. Anche la trasformazione di serenate in sinfonie mediante la
semplice soppressione di qualche movimento, come nel caso della Sinfonia n.
35 "Ha"ner", è indicativa della scarsa attenzione del giovane Mozart al
carattere specifico della sinfonia. Ma le nuove sinfonie di Haydn vennero a
risvegliare il suo moderato interesse per questo genere musicale.

La sinfonia, che fino a pochi anni prima era ancora gracile e incerta, era infatti
diventata grazie a Haydn la massima espressione della musica strumentale, un
organismo possente dalla strattura perfettamente definita ma anche duttile,
che si articolava con razionale chiarezza attraverso sviluppi rigorosi ma allo
stesso tempo accoglieva un'inesauribile varietà d'idee, spesso sorprendenti e
giocose, presentando tutto con la massima ricchezza di colori e sfumature
orchestrali. Mozart a"errò pienamente queste nuove possibilità e, come se
avesse voluto riguadagnare il tempo perduto e dimostrare che aveva da dire
una sua parola di fondamentale importanza anche in questo campo, compose
rapidamente le tre grandi sinfonie del 1788, facendo tesoro delle prospettive
aperte dalle recenti sinfonie di Haydn, ma andando anche oltre, tanto che
Haydn avrebbe a sua volta tenuto presente l'esempio di Mozart nelle sue
ultime sinfonie, le dodici "londinesi" del 1791-1795.

L'aspetto più nuovo di queste tre sinfonie mozartiane sta non tanto nelle
splendide soluzioni puramente musicali ma soprattutto nel fatto che ogni
sinfonia esibisce un proprio carattere, di!cilmente definibile ma
inconfondibile: sotto questo riguardo Mozart anticipa la concezione
beethoveniana della sinfonia come possente creatura musicale, dotata di una
sua personalità unica e inconfondibile, che la rende diversa da tutte le altre.

Due sole volte Mozart scrisse sinfonie in tonalità minore e in entrambi i casi si
tratta del sol minore, che evocava in lui colori cupi e ad atmosfere patetiche e
violentemente agitate. Quindi le due sinfonie in questione rivelano un
particolare impegno espressivo, che viene a incrinare l'olimpica serenità della
maggior parte delle sinfonie mozartiane. La prima (K. 183, del 1773) è infatti
vicina allo spirito corrusco e tempestoso dello Sturm und Drang, il movimento
letterario considerato un preannuncio del romanticismo. L'altra è la Sinfonia n.
40 K. 550, non per caso la prediletta nell'età romantica e ancora oggi la più
popolare tra tutte le sinfonie di Mozart. Questa sinfonia è ammantata di colori
quasi lividi, percorsa da un'agitazione oscura, angosciata da una tensione
senza sbocco, come una tragedia interiore che si svolga sotto la minaccia
d'una forza trascendente e fatale. La concezione illuministica del mondo,
rischiarata dalla solare luce della ragione, si è incrinata e vediamo qui il volto
problematico e ambiguo di Mozart, che lascia intuire mondi misteriosi,
inaccessibili e incomprensibili con i mezzi della sola razionalità.

Subito, nel Molto allegro, il primo tema dei violini, che sorge sul brusio delle
viole, introduce un'atmosfera inquieta e febbrile, che non svanisce
completamente nemmeno con la brusca modulazione a si bemolle maggiore e
col secondo tema, esposto dagli archi, cui rispondono oboi e clarinetti (è da
notare che quest'ultimi, inizialmente non previsti nell'organico della sinfonia,
furono aggiunti in una seconda versione). Nel successivo sviluppo l'a"annoso
primo tema viene portato a un punto di massima incandescenza attraverso
tormentate modulazioni a tonalità distanti e alterazioni melodiche, con uno
spirito agitato e ribelle che va ben oltre un semplice sviluppo tematico. Un
passaggio scoperto degli strumenti a fiato porta alla ripresa, che riserva delle
sorprese: la seconda parte del primo tema infatti diventa il teatro d'un nuovo
scontro tra violini e bassi e il secondo tema è ora molto più sviluppato. Ormai
ossessionante, il tema iniziale ritoma anche nella coda.

L'Andante - l'unico movimento della sinfonia in una tonalità maggiore, mi


bemolle - ha un andamento cullante alla "siciliana" ed è arricchito da
ornamentazioni violinistiche di gusto "galante", ma sotto quest'atmosfera
luminosa s'insinuano inflessioni che sembrano una dolente confessione intima.
Anche qui sono le viole a introdurre, mormorando, il lancinante primo tema, su
cui, quando viene ripetuto, si stende una delicata melodia cantabile dei violini;
lo riprendono i bassi, che v'innestano un motivo d'impalpabile leggerezza. Una
frase dolcemente malinconica dei legni conclude la prima parte. Improvviso e
forte entra il secondo tema, che prosegue con un delicato motivo di flauto e
oboi. Inizia così un episodio sereno ma transitorio, perché l'atmosfera
s'incupisce e il primo tema ricompare tormentato da cromatismi, in un tragico
do minore. La ripresa riporta al mi bemolle maggiore, senza che però il clima
si rischiari veramente.

Il Menuetto ha ben poco del carattere proprio di questa danza settecentesca:


non solo è rude e quasi aggressivo, ma fa anche ampio uso d'un severo stile
contrappuntistico. Al centro si apre un Trio dal carattere contrastante, lieve,
idilliaco e un po' rococò.
L'Allegro assai finale si riallaccia per spirito, struttura e dimensioni al
movimento iniziale. A stabilirne il tono espressivo è la focosa irruenza del
primo tema, che, dopo la parentesi d'un secondo tema più lirico e malinconico,
domina interamente lo sviluppo, passando attraverso contrasti tonali e
dissonanze, con una tensione straordinaria, che tocca punti di violenza quasi
insostenibile. Lo sviluppo culmina in un fugato potente e a"annoso: anche
questa tecnica dotta e severa assume qui tratti di parossistica veemenza.
Questo fugato si blocca su un accordo di settima diminuita, carico di tensione
e d'attesa: ricompare allora il primo tema, che dà inizio alla ripresa,
interamente in sol minore, in cui non è luce di speranza ma solo una tragica
angoscia, senza rassegnazione. Mai prima di allora una sinfonia aveva dato
prova di tale energia e violenza.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Fra le più alte composizioni di Mozart, la Sinfonia in sol minore ha costituito


fin dai primi dell'Ottocento un simbolo e un enigma: composta nell'estate del
1788 (porta la data 25 luglio), seconda di un ciclo costituito dalla Sinfonia in
mi bemolle maggiore e dalla Jupiter, non si sa se abbia avuto un committente o
se sia nata, come le altre - le ultime da lui composte prima della morte - come
una sorta di confessione, in un momento di terribili avversità nella vita
quotidiana. Quel che è quasi certo è che Mozart non potè mai ascoltarla, anche
se una correzione nella parte originaria dell'oboe, passata parzialmente al
clarinetto (dapprima escluso nell'organico strumentale di questa sinfonia),
potrebbe far pensare ad un adattamento dell'opera in vista di una sua
imminente esecuzione. È probabile, comunque, che i primi ascoltatori siano
rimasti sconcertati dal singolare clima espressivo di questa sinfonia, dal suo
cromatismo e dalle sue arditezze, pur in quel suo sfondo di «classica e
inalterata bellezza» (Mila) che costituì un modello per tutti i sinfonisti del
primo Ottocento, a partire da Beethoven. Ma mentre i musicisti del
romanticismo guardarono alla Sinfonia in sol minore quasi come ad un
irraggiungibile ideale di purezza (basta pensare ai giudizi di Berlioz in
proposito), in tempi a noi più vicini la critica ha sottolineato piuttosto, di
quest'opera, l'immediatezza espressiva, il languore, il sottile e sotterraneo
turbamento che la pervadono, quasi appunto si tratti di un profetico e
drammatico annuncio di tempi nuovi, a"rontati in prima persona e senza
reticenze, con tutto il peso ossessivo di tristissime esperienze quotidiane.

In realtà, i mesi dell'estate 1788 furono per Mozart particolarmente umilianti: è


del 27 giugno la lettera al commerciante Puchberg - protettore, amico e
«fratello» nell'osservanza massonica - nella quale Mozart accenna
fuggevolmente ai suoi presentimenti di morte: «Venga a trovarmi; sono sempre
in casa; nei dieci giorni che sono qui ho lavorato più che in due mesi nell'altro
alloggio, e se non mi venissero così spesso pensieri neri (che devo scacciare
con violenza) starei molto meglio». I «pensieri neri» sono proprio un
inconfessato desiderio di morte, una volontà di arrendersi alle avversità della
vita, forse un persistente ed inspiegabile languore di fronte alle avversità di
tutti i giorni, quando il musicista doveva ricorrere a prestiti per sopperire alle
più elementari esigenze della vita e andar di qua e di là in cerca di autorevoli
aiuti, con la speranza che potessero esser davvero definitivi e degni del proprio
prestigio.

È in questo clima che nacque la Sinfonia in sol minore, alla quale fu dato ben
presto il titolo di Schwanengesang (canto del cigno), a sottolineare
l'emozionante senso di turbamento che la pervade, la sua impalpabile e
«ultima» malinconia, la disperata passione che si racchiude nel suo discorso
musicale, per quanto dissimulate da innumerevoli e commoventi discrezioni.
Di fatto, in queste pagine sublimi, Mozart a"ronta un discorso musicale che ha
aspetti del tutto nuovi rispetto alle sue opere precedenti: il distacco dal clima
olimpico di Haydn è ormai definitivo, il discorso musicale è reso più morbido e
ombroso dalla mancanza di trombe e di timpani; le sortite dei due corni hanno
una emergenza solistica, più che servire da appoggio armonico in un fraseggio
diventato sottilmente cromatico e inquieto nei più minuziosi particolari. E tutti
gli svolgimenti tematici «sono come tu! negli abissi dell'anima, simbolizzati in
modulazioni tanto audaci che i contemporanei di Mozart non devono essere
stati in grado di seguirli e tanto sublimi che soltanto Mozart stesso potè
riportarli su di un livello terreno» (Einstein).

Insomma, un «canto amaro e sublime» (G. Manzoni), aperto ancora alle più
diverse sottolineature interpretative, a seconda che s'intenda mettere in primo
piano la sua perfezione formale, la sua divina levigatezza di tratti, o l'intimo
fervore - come di confessione - dei suoi dolorosi abbandoni.

Leonardo Pinzauti

Sinfonia n. 41 in Do maggiore K 551 "Jupiter"

https://youtu.be/9Psr7qr5Lx8

https://youtu.be/SONlDLgx0Gw

https://youtu.be/-DS7OLeSjBg

https://youtu.be/I36Wz5Ow-aY
La Sinfonia n. 41 in Do maggiore K 551, anche nota come Jupiter, è l'ultima
sinfonia di Wolfgang Amadeus Mozart. Fu completata a Vienna il 10 agosto
1788. Essa è l'ultima di un ciclo di tre sinfonie (le altre sono la n. 39 e la n. 40)
composte in rapida successione durante l'estate del 1788.

Il titolo, col suo rimando mitologico a Giove, non fu assegnato dal compositore
ma probabilmente dall'impresario tedesco Johann Peter Salomon, allo scopo di
evidenziare il carattere grandioso e divino che caratterizza quest'ultima
composizione strumentale di Mozart.

Storia

L'estate del 1788 fu una stagione particolarmente prolifica per Mozart. La


Sinfonia n. 39 fu completata il 26 giugno, seguita dalla celebre n. 40, ultimata
il 25 luglio, e infine dalla n. 41, terminata invece il 10 agosto.. Nello stesso
periodo Mozart era impegnato a comporre i Trii per pianoforte in Mi maggiore
e Do maggiore, la Sonata per pianoforte n. 16, e una sonatina per violino.

Non è possibile stabilire se la sinfonia sia mai stata eseguita prima della morte
del compositore. Secondo Deutsch, nel periodo di composizione di
quest'opera, Mozart si stava preparando ad eseguire i cosiddetti "Concerti nel
Casino", in occasione dell'inaugurazione di un nuovo casino nella Spiegelgasse
a Vienna, il cui proprietario era Philipp Otto. Mozart aveva anche mandato
alcuni inviti per questa serie di concerti al suo amico Michael von Puchberg. È
però impossibile stabilire se i concerti si siano e"ettivamente tenuti, o se siano
stati cancellati per mancanza di interesse.

Struttura

La strumentazione prevede parti per un flauto, due oboi, due trombe, due
fagotti, due corni, timpani e archi.

Come nella sinfonia n. 40, anche qui non è presente un'introduzione. Un


attacco iniziale deciso definisce l'atmosfera dell'allegro vivace irruente, ma con
più interposizioni di temi lasciati quasi interamente ai violini.
L'andante inizia sommessamente e solo successivamente si sviluppa temi
drammatici che nel finale si trasformano in toni di rassegnazione.
Il minuetto è costituito da una serie di temi semplici che ci riportano ad una
certa tranquillità.
Il finale attacca con un tema di fuga che sarà ripreso più volte con modifiche
contrappuntistiche e si arricchisce di espressione nel suo ripetersi.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Mozart compose le sue tre ultime Sinfonie - in mi bemolle maggiore K. 543, in
sol minore K. 550 e in do maggiore K. 551 - in tre soli mesi, tra il giugno e il
10 agosto 1788. La ripresa in maggio del Don Giovanni a Vienna, dopo il
trionfo della prima a Praga, non aveva sortito il successo sperato e la
situazione finanziaria del musicista si era fatta preoccupante. Ne fanno fede,
amaramente, le incalzanti richieste di denaro rivolte all'amico e compagno di
loggia massonica Michael Puchberg, e la conseguente necessità di cambiare
alloggio, spostandosi dal pieno centro di Vienna alla meno costosa periferia. Il
27 giugno la morte ad appena sei mesi di età della figlioletta Theresia pesò
ulteriormente su equilibri psichici e familiari già precari. Tutto ciò concorre a
fare di quell'estate del 1788 uno dei periodi più infelici della vita di Mozart. La
liberazione avvenne ancora una volta col lavoro creativo, come in una lotta
incessante tra l'ombra e la luce: sicché può sorprendere ma non meravigliare la
straordinaria piena creativa di quel periodo, con la composizione febbrile dei
tre capolavori sinfonici accanto ad altre pagine importanti di musica da
camera. Al culmine della triade dell'88, e quasi suggello luminoso di tutto il
sinfonismo mozartiano, la Jupiter celebra il trionfo di un magistero tecnico ed
espressivo tanto spontaneamente esibito quanto pazientemente costruito sul
confronto con i grandi modelli del presente (Haydn) e del passato (il
contrappunto bachiano e hàndeliano). Dopo la scelta di un organico più
raccolto per la Sinfonia in sol minore, Mozart ritorna al fasto timbrico di quella
in mi bemolle, con trombe e timpani, ma senza i clarinetti: una tavolozza
timbrica tesa a valorizzare il carattere vittoriosamente a"ermativo di un lavoro
che, con la lucentezza abbagliante delle sue astratte geometrie formali, si
allontana non solo dalla robusta opulenza della Sinfonia K. 543 ma anche dal
cupo patetismo della Sinfonia in sol minore K. 550. La Sinfonia K. 551, nella
sua maestà solare intonata a olimpica grandezza (da cui il nome di Giove,
probabilmente attribuitole dall'impresario londinese Johann Peter Salomon,
l'alfiere di Haydn), coniuga la solidità comunicativa di un do maggiore
dimostrativamente epico e monumentale con la sottigliezza a tratti perfino
inquietante della ricerca contrappunstica: come a voler mettere alla prova la
coscienza in una conquista professionale perseguita e goduta in orgogliosa
solitudine con la sfida a un altro da sé, di natura tanto rigorosamente
impegnata quanto libera, leggera e ironicamente ambigua.

La Jupiter è una sorta di apoteosi della forma sonata, estesa eccezionalmente a


ciascuno dei quattro movimenti, e tuttavia rivitalizzata da un così organico uso
del contrappunto da conquistare nuovi spazi espressivi, arcate e tessiture
sinfoniche fino ad allora mai esperite.

Nell'esposizione del primo movimento, Allegro vivace in do maggiore e senza


introduzione, la geometria sonatistica, benché disegnata sulla trama abituale
dei due temi, tende ad allargarsi nella complessità di profondi contrasti
psicologici. Prima ancora che venga presentata la seconda idea tematica, gli
elementi del primo tema entrano a far parte di un capillare processo di
elaborazione, dilatatosi in un'ampia transizione di ben cinquantacinque
misure. Una pausa teatrale separa questa sezione dall'atmosfera del secondo
tema, che dall'iniziale grazia quasi a"ettuosa precipita fuggevolmente in un
tono tragico e pensoso. Né è ancor tutto. Prima di chiudere la parte espositiva
Mozart introduce un terzo tema nella coda, ancora isolato da una pausa
d'e"etto. Si tratta della citazione scherzosa di un'arietta bu"a (Un bacio di
mano K. 541) composta tre mesi prima per il basso Francesco Albertarelli,
l'interprete viennese del Don Giovanni: un tema all'apparenza innocente e
leggero, pronto tuttavia a lasciarsi frammentare nella prima parte dello
sviluppo in un denso gioco contrappuntistico. L'altra metà dello sviluppo si
richiama invece imperiosamente al tema principale d'esordio, introdotto da una
falsa ripresa del tono della sottodominante. La vera ripresa alla tonica si
presenta ulteriormente ampliata e arricchita nella strumentazione.

Anche nell'Andante cantabile in fa maggiore è rinvenibile una struttura


sonatistica basata sull'opposizione di una serena melodia enunciata dai violini
e dalle viole con sordina con una seconda idea in do minore di carattere
agitato e drammatico. Un terzo tema di fluente e"usione melodica riporta di
nuovo nel modo maggiore; ma sarà la seconda idea tematica in do minore, con
le sue a"annose sincopi e le increspature delle coppie di biscrome, a dominare
interamente lo sviluppo. La ripresa è variata e viene preparata dalla
riapparizione del terzo tema con funzione cadenzante, per lasciare spazio alla
melodia iniziale solo nella coda, in un sottile gioco di incastri e di ricreazioni
del materiale espositivo.

Anche la forma binaria del Minuetto è dilatata dalle dimensioni che vi assume
la seconda parte, impreziosita da un sinuoso disegno cromatico discendente,
in contrappunto con se stesso, che dà inopinatamente origine a una sezione di
sviluppo di stampo sonatistico. Ricollegandosi a questa figura, le prime quattro
note della sezione mediana del Trio anticipano il tema-soggetto, quasi
"motto", con cui si apre, sottovoce e in tono di mistero, il Finale, Molto allegro.
Per quanto Mozart avesse già utilizzato questo incipit in almeno una decina di
composizioni precedenti, a cominciare dall'Andante della sua prima Sinfonia K.
16, esso si presenta ora come una emblematica sintesi del pensiero sonatistico
e di quello della fuga, quasi a creare un innesto del monotemarismo
contrappuntistico barocco nei principi dialettici del linguaggio classico.

Cinque idee tematiche (tre appartenenti al primo tema, due riservate al


secondo) si succedono nella imponente esposizione, rivelando nessi intimi e
strette parentele. Dopo il ritornello, un breve sviluppo fugato combina ed
elabora materiale proveniente dalla prima sezione tematica. Ma questo
processo non si esaurisce nello sviluppo, prolungandosi direttamente nella
ripresa, dove raggiunge punte di tensione armonica sorprendenti e quasi
estreme. Infine tutti e cinque gli incisi tematici ricorrono nel grandioso edificio
polifonico della famosa coda: essa si distende ancora per quasi cento battute,
prima nella calma di una solenne dilatazione in valori larghi, poi nella stretta
festosa e incisiva. Tale limpido furore contrappuntistico si placa solo nella
fanfara gioiosa del congedo, come in un gesto teatrale definitivo che racchiuda
un appello all'eternità.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel breve spazio di tre mesi, durante l'estate del 1788, in un momento della
sua vita rattristato dallo scarso successo del Don Giovanni a Vienna, dalla
povertà, dalla morte della piccolissima figlia Theresia, Mozart scrisse, forse in
vista di qualche progettata "accademia", le tre Sinfonie che sarebbero state le
sue ultime, nate fra le amarezze ma anche attingendo a un misterioso e
inesauribile fondo di gioia musicale. Dopo la calda luminosità della Sinfonia in
mi bemolle maggiore K. 543, a cui la solennità di certi "segnali" massonici non
toglie niente dello smalto festoso, e la drammaticità raccolta e nondimeno
tormentata della Sinfonia in sol minore K. 550, la Sinfonia in do maggiore K.
551 (terminata in partitura il 10 agosto 1788) celebra il trionfo di un magistero
tecnico ed espressivo tanto spontaneamente dissimulato quanto
pazientemente costruito nel confronto con il presente (Haydn) e con il passato
(lo studio del contrappunto bachiano e händeliano), fino a creare una sintesi
emblematica del pensiero sonatistico classico e della fuga barocca. Dopo la
scelta di un organico più concentrato per la Sinfonia in sol minore, Mozart
ritorna al fasto timbrico di quella in mi bemolle, reintegrando trombe e
timpani, ma rinunciando ai clarinetti: una tavolozza timbrica tesa a valorizzare
il carattere vittoriosamente, solennemente a"ermativo di un lavoro che, con la
lucentezza abbagliante delle sue snelle geometrie formali, si allontana, per
superarli, non solo dalla robusta opulenza della Sinfonia K. 543 ma anche dal
cupo patetismo della Sinfonia K. 550.

La Sinfonia K. 551, nella sua maestà solare intonata a olimpica grandezza


(donde il soprannome di Jupiter, postumamente attribuitole dagli editori, forse
su suggerimento dell'impresario londinese Salomon), coniuga la solidità
comunicativa di un do maggiore dimostrativamente epico e monumentale con
la forza inquietante della ricerca contrappuntistica: come a voler mettere alla
prova una conquista, artistica non meno che professionale, perseguita in
orgogliosa solitudine, oltrepassando le stesse delimitazioni temporali e
spaziali della forma sinfonica. La Jupiter è una sorta di apoteosi dei principi
dialettici della forma-sonata, estesi prodigiosamente a ciascuno dei quattro
movimenti e tuttavia innervati da un uso del contrappunto così organico da
aprire nuovi orizzonti espressivi: di cui il grandioso edificio polifonico della
fuga finale si pone al vertice come il capolavoro dello stile classico nella sua
stagione più matura.
Il movimento iniziale (Allegro vivace), privo di introduzione lenta quasi a voler
entrare subito autorevolmente in mediar res, si apre con un incipit tra i più
famosi, la proposta delle notine "in levare" dell'orchestra che piomba
assertivamente sull'accordo di do maggiore d'impianto, cui segue il più flebile
inciso degli archi. E' quasi una commediola a due motti musicali che si
prolunga in un fine tessuto di elaborazione prima che subentri con la sua
grazia il secondo tema, e poi un tema ulteriore, apparentato a un'arietta che
Mozart aveva scritto qualche mese addietro per l'edizione viennese di un
dramma giocoso di Pasquale Anfossi. Anche quest'idea sorridente si incorpora
a fondo nella ricca trama contrappuntistica che caratterizza lo sviluppo,
rivelando un tratto peculiare, supremamente gestito, sotteso alle sue olimpiche
certezze: l'incrocio di "alto" e "basso", facile e di!cile, severo e popolare.

L'assorto Andante cantabile in fa maggiore ha anch'esso una latente struttura


sonatistica nell'interazione ra!nata delle due idee principali: quella iniziale dei
violini con la sua inconfondibile movenza di candore (prolungata e incrociata
con la sua prosecuzione, in un respiro più ampio e drammatico che sale dai
suoni gravi dell'orchestra), seguita da una seconda sezione espositiva
dominata da una nuova idea, a!ne alla prima nel profilo ma di tutt'altra
intonazione. Essa prende slancio e dà all'Andante quell'improvvisa,
emozionante apertura sul sublime che in Mozart è una porta sempre aperta a
spalancarsi. Porta che, come in questo caso, gira sui cardini delle straordinarie
caleidoscopie armoniche in modo minore, animate da sincopi e dissonanze che
drammatizzano stilemi arcaici e chiesastici. Il Minuetto è una pausa di grazia
volteggiante, nelle cui pieghe l'orchestra lascia intendere il plastico tema-
soggetto del colossale Finale, già usato da Mozart in vari lavori, soprattutto a
destinazione sacra: le famose quattro note da cui il tema-soggetto prende
avvio hanno infatti un tono di oggettività atemporale che ne rivela l'origine
ecclesiastica e al tempo stesso la trasfigura in materiale di costruzione
sinfonica. E' un Finale in cui la fuga e la forma-sonata, il passato e il presente,
si fondano in una struttura perfettamente compiuta: il principio dell'imitazione
e della lavorazione del soggetto fra le varie voci, e quello dialettico della
contrapposizione fra aree tematiche e armoniche, vi hanno pari peso: di fatto
tutto il materiale tematico deriva da quel tema-soggetto per via di
procedimenti squisitamente contrappuntistici come l'inversione ed elaborativi
come la variazione. Questi procedimenti si prolungano fin nella ripresa e nello
stretto conclusivo, dove i temi sono presentati insieme, sovrapposti e
trionfanti. Mozart si impegna e si diverte a rendere il più possibile ampia, tesa,
articolata, sorprendente la conciliazione tra i principi della fuga e della forma-
sonata, combinando con estrema naturalezza elementi "gioviali" ed "ermetici".
Viene così realizzato il sentimento della Sinfonia come estesa geometria e
costruzione salda, oggettiva campitura formale che è il risultato di un pensare
in grande, senza che venga abbandonata la ricerca di un carattere e di un
colore dell'espressione, la conquista più evidente del tardo stile mozartiano.

Segio Sablich

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

È intorno alla metà del 1788, tre anni prima della morte, che Mozart scrive le
sue ultime tre Sinfonie, K. 543, 550, 551, completate rispettivamente, secondo
il catalogo personale dell'autore, il 26 giugno, il 25 luglio e il 10 agosto. Nei
giovanili anni salisburgesi la creazione di lavori sinfonici, destinati a una
funzione di intrattenimento, era stata una prassi piuttosto consueta per il
compositore, legata a commissioni nobiliari o a specifiche occasioni
celebrative, e Mozart vi si era dedicato con regolarità. Dopo il trasferimento a
Vienna del 1781, venuti meno i rapporti con la corte salisburghese e con gli
ambienti nobiliari della cittadina, le Sinfonie si diradano nel catalogo del
compositore, e non è un caso che la nascita di lavori di questo tipo appaia
legata spesso a città diverse da Vienna. La Sinfonia K. 385 è detta "Ha"ner"
perché riprende la musica di una precedente Serenata scritta per la rinomata
famiglia salisburghese degli Ha"ner; le Sinfonie K. 425 e K. 504 sono dette
rispettivamente "Linz" e "Praga" perché legate a visite in queste due città.

Piuttosto oscure sono, invece, le circostanze della nascita e la destinazione


delle ultime tre partiture sinfoniche. È possibile che l'autore pensasse alla loro
pubblicazione, o anche a un impiego per un viaggio a Londra che non si
concretizzò mai; o ancora che le tre Sinfonie siano state concepite in funzione
di una serie di "accademie" - ovvero concerti per sottoscrizione - destinate a
raccogliere fondi, accademie delle quali sembra si sia e"ettivamente tenuta
solo la prima, per mancanza di sottoscrittori. È assai probabile comunque che
le partiture siano state eseguite nel corso di alcuni viaggi del 1789 e del 1790
in diverse città tedesche. Come è anche verosimile che le due di"erenti
versioni della Sinfonìa K. 550 - con e senza clarinetti - siano state approntate
in occasione di due diverse esecuzioni; quasi certamente la versione con
clarinetti venne eseguita in un concerto dell'aprile 1791 sotto la direzione di
Antonio Salieri.

Le ultime tre Sinfonie portano al più alto grado quel processo di maturazione
che si riscontra nella tarda produzione strumentale di Mozart. La loro
straordinaria ricchezza musicale deriva dalla stratificazione di numerosi stili, di
diversa origine e provenienza. Soprattutto, si manifesta la straordinaria abilità
raggiunta dall'autore nelle elaborazioni tematiche, nella padronanza delle
forme, negli e"etti strumentali, sulla base dell'esempio di Franz Joseph Haydn.
I confini della costruzione sinfonica si dilatano così fino ad assumere delle
dimensioni assai più vaste rispetto alle Sinfonie scritte da Mozart appena un
decennio prima; e, parallelamente, anche i contenuti della Sinfonia divengono
più ambiziosi, trasformando lo stile di intrattenimento in una speculazione di
alta complessità, destinata a un pubblico di intenditori.

Questo stile sinfonico è sviluppato in ciascuna delle tre ultime partiture


secondo categorie a"ettive di"erenti, fortemente connesse alla scelta della
tonalità di base: il mi bemolle maggiore (K. 543) era la tonalità legata a nobiltà
e profondità espressiva, il sol minore (K. 550) quella del patetismo, il do
maggiore (K. 551) quella di dinamismo, positività, eroismo marziale. Ogni
Sinfonia, dunque, possiede una propria luce che illumina diversamente, e per
contrasto, le altre due. È appunto in direzione delle categorie espressive legate
al do maggiore che si sviluppa la Sinfonia "Jupiter", che deve il suo nomignolo,
postumo, editoriale ed apocrifo, all'equilibrfo interno, olimpico, dei due grandi
movimenti estremi, animati da una dialettica interna che si risolve nella
conciliazione degli opposti.

Il grande Allegro vivace che apre la Sinfonia si basa su elementi tematici assai
diversi fra loro: una marcia festosa, un tema cantabile di gusto galante,
esposto dai violini e, verso la fine della esposizione, un terzo tema di opera
italiana (tratto dall'Arietta bu"a "Un bacio di mano" K. 541, scritta poco tempo
prima per essere inserita in un'opera di Pasquale Anfossi). Il percorso che
allinea questi temi è, tuttavia, piuttosto frastagliato, fatto di ripetizioni che
illuminano diversamente i medesimi temi, di improvvise pause e apparenti
divagazioni; eppure si impone la perfetta consequenzialità di tutto questo
discorso musicale, per cui le tensioni accumulate lungo l'esposizione vengono
stemperate dal più leggero tema di opera bu"a.

È proprio da questo tema che parte la sezione dello sviluppo, che riserva quasi
subito una sorpresa; il tema "bu"o" diventa protagonista infatti di una
elaborazione "dotta", contrappuntistica, in stile antico; è questo un elemento
tipico dell'ultimo Mozart, derivato dallo studio della musica di Händel e Bach,
che il compositore aveva imparato a conoscere frequentando la casa viennese
di un facoltoso appassionato con una passione "antiquaria", il barone Gottfried
van Swieten. Lo sviluppo approda poi a una finta ripresa - espediente
tipicamente haydniano - e quindi alla vera riesposizione; non si è inteso, nello
sviluppo, il tema di marcia, che quindi si ripresenta con rinnovata energia,
proponendosi come il carattere più autentico del movimento, che i vari temi e
procedimenti secondari non fanno che sottolineare, fino alla sua chiara
a"ermazione nella coda.

Rispetto a questo complesso tempo iniziale, il seguente Andante cantabile - in


cui significativamente tacciono trombe e timpani - segna un forte trapasso
espressivo; si impone subito la melodia appunto cantabile dei violini, a tratti
raddoppiata da altri strumenti; essa ritorna più volte con varie sembianze e
intrecci che la impreziosiscono, interrotta da improvvisi drammatici chiaroscuri
(mirabile il rilievo lirico e coloristico dei fiati), da un nuovo tema ascendente, e
condotta attraverso peregrinazioni sempre consequenziali ma spesso non
prevedibili; la forma della canzone viene qui dilatata fino ad assumere
altissime ambizioni concettuali.

Il Minuetto, in terza posizione, non ha solo sembianze di danza, ma con le


trombe e i timpani ritrova accenti marziali che riconducono la Sinfonia verso gli
stilemi del do maggiore. Si tratta quasi di una introduzione verso ciò che
seguirà.

L'intera Sinfonia, infatti, gravita verso il finale; un movimento che ha un rilievo


unico in tutto il sinfonismo di Mozart, per il peso predominante che vi ha la
tecnica contrappuntistica, tanto che spesso si è impropriamente parlato di
"fuga conclusiva". In realtà questo finale rimane saldamente ancorato alla
forma-sonata; esso si apre con un tema già molte volte usato da Mozart (due
precoci Sinfonie, la Sinfonia K. 319, il Credo della Messa K. 192), e noto anche
a Haydn (Sinfonia n. 13, del 1763); in definitiva un tema dal carattere neutro,
utile per impieghi molto diversi. Si aggiungono nella esposizione del
movimento, altri quattro frammenti tematici, ascoltati di seguito e anche
combinati fra loro. Mozart riesce dunque a fondere due principi di scrittura
contrastanti, quello di un sinfonismo "moderno" e dialettico e quello dell'antico
contrappunto, ossia dell'intreccio serrato di più melodie parallele ed
autonome. Così i cinque di"erenti temi del movimento - protagonisti anche di
uno sviluppo non lungo ma molto complesso - vengono nella coda ripresi
contemporaneamente e sovrapposti, con un intreccio di linee musicali di
straordinario virtuosismo compositivo. L'esultanza di trombe e timpani
conclude la Sinfonia: una a"ermazione di fede nell'ordine e nel razionale,
condotta attraverso la limpida, programmatica trasparenza del do maggiore.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Le ultime tre sinfonie di Mozart recano le date rispettivamente del 26 giugno,


del 25 luglio e del 10 agosto 1788: dunque questi tre capisaldi della storia
della sinfonia furono composti con una rapidità e una facilità stupefacenti,
perfino inquietanti! Ma questa era la prassi, prima dei tormenti creativi del
romanticismo. Piuttosto - poiché queste sinfonie non furono mai eseguite
durante i tre anni di vita che restavano a Mozart - dovrebbe stupire che il
compositore abbia dedicato tanto (!) tempo a lavori che non avevano una
precisa destinazione, contravvenendo alla regola universale di lavorare solo su
commissione o comunque in vista d'una esecuzione garantita e immediata. Si
può avanzare l'ipotesi che Mozart le abbia scritte con la speranza d'inserirle
nei concerti a sottoscrizione da lui organizzati periodicamente a Vienna e che
poi il progetto non sia andato in porto, a causa della sua declinante fortuna
presso il pubblico e del conseguente diradamento delle sue esibizioni. In tal
caso sarebbe stata soltanto una previsione sbagliata ad assicurare alla
posterità questo splendido dono!

Se non si conosce con certezza l'occasione esteriore della nascita di queste


sinfonie, si può almeno cercare di capire quali furono le ragioni profonde che
indussero Mozart a comporle. Dobbiamo risalire indietro di qualche anno. Nel
1782 Haydn aveva pubblicato i Quartetti op. 33, "scritti in una maniera nuova e
particolare", che reinventavano radicalmente il genere del quartetto: l'attento
studio di quei sei straordinari capolavori e il desiderio di inoltrarsi lungo la
strada da essi indicata sono evidenti nei sei quartetti che Mozart iniziò a
comporre subito dopo e che dedicò a Haydn. Nel 1787 questi pubblicò le sei
Sinfonie n. 82-87 note come "Parigine", che impressero nuovi grandi sviluppi
al genere sinfonico: pochi mesi dopo Mozart scrisse le tre sinfonie, ancora una
volta seguendo l'esempio del più anziano amico e maestro, e forse anche
superandolo. Sarebbe stato questo il suo testamento nel campo della sinfonia,
ma lui, a soli trentadue anni, non poteva saperlo.

Fino ad allora la sinfonia non aveva avuto un ruolo di particolare spicco nel
catalogo di Mozart. Eppure quarantuno sinfonie non sono poche per un
compositore vissuto appena trentacinque anni. Ma la maggior parte di esse
risalgono al periodo dell'infanzia e dell'adolescenza, tra i nove e i diciotto anni
d'età, e sono quindi una delle tante stupefacenti dimostrazioni della sua
precocità, senza però apportare nulla di determinante alla storia di questo
genere musicale. Invece dai ventanni in poi Mozart compose solo nove
sinfonie, che sotto l'aspetto puramente quantitativo sono quasi trascurabili in
mezzo ai circa trecentocinquanta numeri del suo catalogo risalenti a quegli
stessi anni. Anche la trasformazione di serenate in sinfonie mediante la
semplice soppressione di qualche movimento, come nel caso della Sinfonia n.
35 "Ha"ner", è indicativa della scarsa attenzione del giovane Mozart al
carattere specifico della sinfonia. Ma le nuove sinfonie di Haydn vennero a
risvegliare il suo moderato interesse per questo genere musicale.

La sinfonia, che fino a pochi anni prima era ancora gracile e incerta, era infatti
diventata grazie a Haydn la massima espressione della musica strumentale, un
organismo possente dalla strattura perfettamente definita ma anche duttile,
che si articolava con razionale chiarezza attraverso sviluppi rigorosi ma allo
stesso tempo accoglieva un'inesauribile varietà d'idee, spesso sorprendenti e
giocose, presentando tutto con la massima ricchezza di colori e sfumature
orchestrali. Mozart a"errò pienamente queste nuove possibilità e, come se
avesse voluto riguadagnare il tempo perduto e dimostrare che aveva da dire
una sua parola di fondamentale importanza anche in questo campo, compose
rapidamente le tre grandi sinfonie del 1788, facendo tesoro delle prospettive
aperte dalle recenti sinfonie di Haydn, ma andando anche oltre, tanto che
Haydn avrebbe a sua volta tenuto presente l'esempio di Mozart nelle sue
ultime sinfonie, le dodici "londinesi" del 1791-1795.

L'aspetto più nuovo di queste tre sinfonie mozartiane sta non tanto nelle
splendide soluzioni puramente musicali ma soprattutto nel fatto che ogni
sinfonia esibisce un proprio carattere, di!cilmente definibile ma
inconfondibile: sotto questo riguardo Mozart anticipa la concezione
beethoveniana della sinfonia come possente creatura musicale, dotata di una
sua personalità unica e inconfondibile, che la rende diversa da tutte le altre.

Per l'ultima sua sinfonia Mozart scelse il do maggiore, la tonalità della luce
zenitale, solare e incontaminata. Questo luminoso splendore, unito all'olimpica
serenità, alla maestà delle dimensioni e al tono solenne e grandioso, hanno
guadagnato alla Sinfonia n. 41 K. 550 il titolo di "Jupiter". L'oggettività non
alterata da passioni umane si manifesta anche nell'impiego intensivo del
contrappunto, soprattutto nel finale: rifulgono qui le doti contrappuntistiche
dell'allievo di Padre Martini e dell'ammiratore e trascrittore di Bach e Haendel,
ma è un contrappunto di nuova concezione, libero da ogni residuo di
scolasticismo, da ogni compiacimento per l'esibizione di abilità fine a se
stessa, da ogni barocca volontà di maraviglia.

Nell'Allegro vivace iniziale i temi - veri gruppi tematici, enormemente più


complessi dei temi di Haydn - danno vita già al loro interno a tutto un mondo
di contrasti musicali ed espressivi. Il movimento si apre con due energiche
terzine ascendenti e con una risposta vaga e fluttuante, in ritmo puntato.
Segue un episodio simile a una fanfara trionfale, che si arresta in un unisono
sulla dominante: con alcune varianti viene allora ripetuta questa prima parte e
il tema iniziale è adesso completato da flauto e oboi con un terzo motivo, una
scala discendente. Viene quindi esposto, prima dai soli archi e poi anche da
fagotto e flauto, il secondo tema, scorrevole e sicuro; una lunga pausa precede
lo scoppio di un episodio tragico, dove ricompare, trasformata ed energica,
l'indecisa risposta del primo tema. L'esposizione sembrerebbe conclusa, ma
contro ogni regola appare un terzo tema, una vivace melodia da opera bu"a
utilizzata da Mozart alcuni mesi prima nell'aria "Un bacio di mano", sulle parole
"Voi siete un po' tonto, Mio caro Pompeo, L'usanze del mondo, Andate a
studiar". Proprio quest'arietta, completamente trasformata, trattata
contrappuntisticamente e modulante a lontane tonalità, è alla base di gran
parte dello sviluppo, fino alla ricomparsa del primo tema; ma si tratta d'una
"falsa ripresa", che dà il via a un ulteriore sviluppo, basato sul contrasto tra la
terzina ascendente di apertura e una quartina discendente già comparsa nella
pomposa fanfara dell'esposizione. La ripresa vera e propria di tutta la prima
parte e una sintetica coda concludono il movimento.
Nell'Andante cantabile, dopo una breve introduzione degli archi con sordina,
costituita da un calmo inciso cui risponde un forte unisono di tutta l'orchestra,
si dispiega un'e"usa melodia dall'ampio respiro, prima ai violini, poi agli oboi,
al flauto e al fagotto. Alla comparsa del secondo tema, questa calma atmosfera
cede il passo a frementi e dolorosi sincopati degli archi, che si placano in una
melodia dei primi violini, accompagnata da arpeggi dei secondi violini e da
note tenute dei fiati. L'agitato andamento singhiozzante ricompare nel breve
sviluppo, mentre la ripresa, liberissima, introduce un episodio dalle sonorità
quasi eroiche e si conclude con il ritomo della calma melodia che costituiva il
secondo episodio del secondo tema. La breve e suggestiva coda fu
probabilmente aggiunta in un secondo momento.

Un tema nient'a"atto danzante, anzi simile alla formula che nella musica
barocca era il simbolo del dolore, conferisce un carattere piuttosto severo e
solenne al Menuetto, ra"orzato dal fitto trattamento contrappuntistico. Nel
Trio è da segnalare la seconda sezione, che enuncia a piena orchestra il motivo
che aprirà il movimento finale.

Nonostante lo straordinario sviluppo dei precedenti movimenti, il culmine di


questa sinfonia è proprio il finale, Molto allegro, modificando così i rapporti
consueti, che sbilanciavano tutto il peso della composizione verso la prima
metà. Questo finale non è in forma-sonata e non è nemmeno una fuga, ma
allude liberamente ad entrambi i generi, tanto che - con un orrido termine
desunto con un po' di fantasia dalla fisica - lo si potrebbe definire un "fugoide
sinfonico". Aperto da un motto di quattro note, ricavato da un Magnificat
gregoriano già utilizzato da altri compositori e dallo stesso Mozart, questo
movimento è basato su cinque soggetti, riuniti in due complessi gruppi
tematici, che danno vita ad uno sviluppo straordinariamente elaborato. Con
gioiosa disinvoltura Mozart gioca qui con tutti gli artifici del contrappunto,
raggiungendo il culmine nelle trenta battute di vera e propria fuga che,
introdotta dall'enunciazione misteriosa e sommessa delle quattro note del
motto iniziale, presentate ora per moto contrario e nella forma inversa,
esplode poi in un groviglio armonioso in cui s'intrecciano tutti e cinque i
soggetti.

Mauro Mariani

Sinfonia n. 44 in re maggiore, K1 81 (K6 73l)

https://www.youtube.com/watch?v=YQvLGlJt10Y

Allegro (re maggiore)


Andante (sol maggiore)
Allegro molto (re maggiore)

Organico: 2 oboi, 2 corni, archi


Composizione: Roma, 25 Aprile 1770

Guida all'ascolto (nota 1)

Sebbene generalmente accettata tra le opere autentiche di Mozart anche in


virtù del livello qualitativo, la Sinfonia KV 81 (73l) lascia comunque margini di
incertezza riguardo la sua paternità: non è del tutto escluso che il vero autore
della composizione possa essere il padre di Mozart, Leopold. Se è
e"ettivamente opera di Wolfgang, la sinfonia è stata terminata a Roma il 25
aprile 1770. L'Allegro iniziale declina lo schema formale senza ritornelli che
prevede a chiusa dell'esposizione un pomposo gruppo cadenzale e come parte
centrale, in luogo di un vero sviluppo, una sezione divagante, qui
armonicamente statica (si svolge interamente su note di pedale) e segnata da
contrasti di piano e di forte. Il movimento più avvincente è certo l'Andante, con
i delicati giochi d'eco tra violini I e II nel gruppo tematico principale, tra violini
e oboi in quello secondario; la sezione centrale si identifica con una breve
riconduzione, basata sulla testa del tema principale. Nel finale, Allegro molto,
il primo gruppo tematico si fonda su motivi e richiami di caccia mentre il
secondo introduce un tocco di magica lievità; nella ripresa, il primo gruppo
tematico ritorna drasticamente abbreviato, il secondo un poco variato.

Cesare Fertonani

Sinfonia n. 45 in Re maggiore K 95

https://youtu.be/R1RVD7bYayE

La Sinfonia in Re maggiore n. 45 k 95 (73n) di Wolfgang Amadeus Mozart


venne scritta, molto probabilmente, nel 1770 a Roma durante il penultimo
viaggio in Italia.

Consiste dei seguenti movimenti:

1) Allegro
2) Andante
3) Minuetto
4) Allegro

Il primo catalogo delle composizioni di Mozart (pubblicato per la prima volta


nel 1862 e più volte riveduto e ristampato) non comprendeva in origine questa
sinfonia, che fu dunque inserita e numerata in seguito nel supplemento del
1910 col numero 45, nonostante sia stata composta molti anni prima
dell'ultima sinfonia "u!ciale" n. 41.

Guida all'ascolto (nota 1)

Con ogni probabilità risalente al 1770, la Sinfonia KV 95 (73n) allinea quattro


movimenti; in luogo del suono scuro e pastoso dei corni, la partitura richiede
lo squillo brillante delle trombe. Nell'Allegro iniziale, in forma di sonata senza
ritornelli, il secondo gruppo tematico è a!dato ai soli violini e viole; la sezione
di sviluppo, di carattere riespositivo e consistente in una serie di progressioni,
si fonda interamente sul primo gruppo tematico, che perciò non ricompare in
occasione della ripresa: l'attacco della ricapitolazione coincide con la coda
della transizione tra il primo e il secondo tema. Dopo il ritorno del secondo
gruppo tematico, la chiusa cadenzale si arresta inopinatamente su una
cadenza sospesa e su una fermata che non chiudono il movimento ma ne
incatenano l'epilogo all'attacco dell'Andante successivo. Qui i due oboi sono
sostituiti da altrettanti flauti (all'epoca era prassi normale la versatilità degli
strumentisti, in particolare nell'ambito dei fiati), a conferire una vaporosa
sfumatura timbrica all'innocente e"usione lirica del movimento. Dopo il
vigoroso Menuetto, l'Allegro finale prospetta uno schema formale analogo a
quello del tempo d'apertura, con sviluppo riespositivo basato sul primo gruppo
tematico e conseguente ripresa incompleta, avviata dalla coda della transizione
tra il primo e il secondo tema.

Cesare Fertonan

Sinfonia concertante per violino, viola e orchestra in Mi bemolle


maggiore K 364

https://youtu.be/_0hTDZ0whpU

https://youtu.be/If5fjJaCh6s

https://youtu.be/szMu8si_YYQ

La sinfonia concertante per violino, viola e orchestra in Mi bemolle maggiore K


364 (K6 320d) di Wolfgang Amadeus Mozart può a pieno diritto essere
considerata un doppio concerto.

Essa viene composta a Salisburgo nel 1779 immediatamente dopo il concerto


per due pianoforti e orchestra K 365, anch'esso nella tonalità Mi bemolle
maggiore, al ritorno dal viaggio che lo aveva portato da Mannheim e a Parigi.
Il genere concertante era di gran moda in quelle città, soprattutto Mannheim,
che potevano vantare il primato in Europa, con orchestre di prima qualità sia
per la presenza di virtuosi eccelsi che per ampiezza e a!atamento
dell'organico. La complessa dinamica orchestrale della composizione riflette la
crescente competenza tecnica dell'orchestra europea di quel periodo ed è stata
fortemente influenzata dal cavalier di Saint-George che aveva incontrato a
Parigi e il cui Concerto per violino e orchestra n 5 Mozart cita nel movimento
finale.

Per tornare alla sinfonia concertante, va rilevato che Mozart non concepisce
una struttura nella quale ai solisti vengano riservate ampie possibilità
individuali ma piuttosto di creare un dialogo violino e viola e tra questi e
l'orchestra. La logica è quella cameristica post haydniana, dove non esiste
prevalenza tra i componenti e il cui antagonismo Hermann Abert ben
caratterizzerà con le parole "amichevole rivalità".

Il primo tempo allegro maestoso è una pagina sinfonica. L'andante è invece


una pagina lirica in cui l'orchestra ha funzione di accompagnamento dei due
strumenti solisti che senza soluzione di continuità alternano e compenetrano
temi di soave bellezza e irresistibile poesia. Il presto che conclude la sinfonia
concertante è un rondò dal ritmo instancabile e luminoso.

Una curiosità è il fatto che la parte della viola solista sia scritta in Re maggiore
con l'indicazione "accordata un mezzo tono più alto"; questo accorgimento ha
lo scopo di rendere la viola più brillante grazie alla maggiore tensione delle
corde e all'utilizzo delle corde vuote mentre il violino nella tonalità di mi
bemolle, a causa dell'impossibilità di utilizzare frequentemente le corde vuote,
assume una sonorità più velata. In questo modo si eviterebbe che il violino
sovrasti la viola.
Normalmente però oggi i violisti preferiscono suonare con lo strumento
accordato normalmente. Mozart ha avuto inoltre cura di scrivere egli stesso le
cadenze, di cui quella del secondo movimento è di incredibile bellezza.

Dati sull'opera

Catalogo Köchel

K 364 (K6 320d)

Durata

32 minuti

Movimenti

Allegro maestoso (4/4, Mi bemolle maggiore)


Andante (3/4, do minore)
Presto (2/4, Mi bemolle maggiore)

Organico

solisti (violino, viola)


2 oboi
2 corni
archi

Luogo e data di composizione

Salisburgo. estate 1779

Prime edizioni a stampa

André, O"enbach, 1802

Autografo

collezione privata: finale del primo movimento e parte dell'andante


persa la restante parte

Guida all'ascolto (nota 1)

Il 1779 fu uno degli anni più di!cili e penosi della vita di Mozart. L'ex-
fanciullo prodigio aveva ormai ventitre anni e era dovuto tornare a testa bassa
a Salisburgo, dopo un viaggio di sedici mesi che aveva avuto come tappe
intermedie Mannheim e Monaco e come meta finale Parigi. Profondamente
provato dalla morte della madre, che era avvenuta mentre si trovava solo con
lei a Parigi e che aveva segnato il suo definitivo passaggio all'età adulta,
rifiutato da Aloysa Weber, di cui s'era invaghito a Mannheim, amaramente
deluso nella speranza di trovare una collocazione professionale più
rispondente alle sue aspirazioni, si era dovuto rassegnare al so"ocante
ambiente salisburghese, riassumendo il suo ruolo di servitore del principe-
arcivescovo.

L'insoddisfazione e la rabbia non spensero ma anzi stimolarono la sua voglia di


comporre. Tra le musiche scritte in quei mesi spiccano la Messa
dell'Incoronazione K.317 (23 marzo), la Sinfonia n. 33 in si bemolle maggiore
K. 319 (9 luglio), la Serenata "Posthorn" K. 320 (3 agosto) e, subito dopo, la
Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per violino, viola e orchestra K.
364 (K. 320 d), la più ambiziosa e perfetta di tutte le sue creazioni di quel
periodo, destinata alla straordinaria orchestra di Mannheim, da poco
trasferitasi a Monaco al seguito del duca Karl Theodor: se non lo rivelassero i
documenti, ne sarebbero un chiaro indizio lo stile serio ed elevato, l'ampia
architettura e la profondità d'espressione, che la distinguono dalla musica
scritta per Salisburgo, dove aveva l'impressione di scrivere "solo per le sedie",
come egli stesso ebbe a dire. Per gli eccellenti musicisti di quell'orchestra,
molti dei quali erano suoi amici personali, si sentiva invece stimolato a dare il
meglio di sé, libero di scrivere senza costrizioni, sicuro di essere capito e
apprezzato. Nell'epoca dello stile galante, quando la musica doveva essere
soprattutto piacevole, leggera ed elegante, la Sinfonia concertante consentiva
di incrociare Sinfonia e Concerto, alleggerendo il serioso stile sinfonico con le
divagazioni brillanti e virtuosistiche dello stile concertante. Generalmente il
tono di questo genere di composizioni era piuttosto vivace e leggero, ma
Mozart preferì dare a questa sua seconda Sinfonia concertante (ne aveva già
composta una a Parigi, nell'aprile 1778) un carattere serio e severo: il timbro
scuro della viola attenua il brillio del violino, il primo movimento si tiene
lontano dai vivaci temi da opera bu"a presenti nei tempi veloci di molte
sinfonie mozartiane di quegli anni, il meditativo tempo lento centrale ha una
dimensione e un ruolo ben superiori al consueto.

In Mozart la tonalità di mi bemolle maggiore corrisponde spesso a


un'aspirazione alla felicità e alla pienezza interiore: ne è una conferma il primo
movimento Allegro maestoso. È pieno di vita e di speranza e presenta una
grande ricchezza tematica: il tema esposto nell'introduzione orchestrale da
oboi, corni e archi s'a"ermerà come il tema principale, ma ha un bel rilievo
anche il tema immediatamente successivo, disseminato di trilli, che con un
crescendo prepara l'entrata dei due solisti. Modulazioni a tonalità minori
velano quest'atmosfera luminosa nello sviluppo, che culmina in un nuovo tema
ricco di pathos introdotto dal violino, in sol minore. La ripresa della parte
iniziale porta alla cadenza, che solitamente era lasciata all'improvvisazione dei
solisti ma in questo caso scritta da Mozart di suo pugno, sfruttando
principalmente il gioco d'eco tra violino e viola.

L'ampio Andante, nella cupa tonalità di do minore, è un canto emozionante e


patetico, mormorato inzialmente dai violini e ripreso dai due solisti, che
ingaggiano un dialogo intenso e serrato. Il mi bemolle maggiore viene
nuovamente raggiunto nella parte centrale, ma ben presto violino e viola
riprendono il loro canto sempre più privo di speranza, punteggiato da pause
inquietanti. Si apre in tempo di contraddanza il Presto conclusivo, la cui
allegria traboccante spazza via d'un colpo solo il tono raccolto e intenso
dell'Andante: è un Rondò pieno di vita, di gioia, di slancio, che ha qualcosa
della verve indiavolata dell'opera bu"a.

Mauro Mariani
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Composta a Salisburgo nell'estate del 1779, è il massimo risultato raggiunto


da Mozart nella composizione con più strumenti solisti e orchestra. È un
concerto doppio in piena regola: il nome di "sinfonia" qui sembra alludere
soprattutto alla matura e intensa scrittura sinfonica dell'opera, sempre al di
sopra di un banale concetto di accompagnamento, non a una qualche
riduzione del ruolo degli strumenti solisti, impegnati in sortite di notevole
rilievo ciascuno per suo conto e in un dialogo costantemente teso e articolato.
Proprio a questo, nel primo movimento, più che al contrasto fra i temi,
stemperato dalla loro appartenenza alla stessa tonalità e dalla presenza di
numerose idee secondarie, si a!da la dialettica formale. Assente qualsiasi
tentazione brillante, qualsiasi tributo ai modi bu! o galanti consueti a questo
genere di musica, l'opera dimostra fin dall'inizio il suo carattere serio e severo,
del tutto propizio alla presenza di uno strumento come la viola, di voce assai
più scura e velata che non il violino, con il quale tuttavia essa è in grado di
convivere in piena pariteticità. L'attenzione che Mozart prestò alla viola - è del
tutto probabile che abbia pensato per sé la parte dello strumento in questa
sinfonia - è testimoniata anche dalla cura che le è riservata nella partitura
orchestrale, dove la suddivisione della fila delle viole porta a cinque il numero
delle parti d'arco. In questo clima l'alternarsi di proposte solenni e imponenti,
come lo stacco del primo tema dell'Allegro maestoso, o distesamente cantabili,
trova unità in un'approfondita elaborazione contrappuntistica, costantemente
stimolata dall'ininterrotto scambio di idee fra i due solisti e fra questi e
l'orchestra.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Con la Sinfonia Concertante per violino e viola in mi bemolle maggiore K.


364/320d, ritroviamo Mozart a distanza di sette anni impegnato in un genere
compositivo che, per molti versi, appare ancora legato al passato, alla prassi
barocca e pre-classica dei Concerti per più strumenti. La costruzione nitida ed
essenziale del Concerto barocco si prestava infatti in modo eccellente al
dialogo e alla collaborazione fra più strumenti; non così il "nuovo" Concerto
galante, animato sotto il profilo formale da una dialettica tematica che rendeva
più problematico l'equilibrio fra più solisti. Tuttavia proprio verso il Concerto
polistrumentale, destinato a un rapido declino, Mozart mostrò un pronunciato
interesse nel decennio 1770, come testimoniano il Concertone per due violini,
la Sinfonia Concertante per fiati, il Concerto per flauto ed arpa, un incompiuto
progetto di Concerto per violino e pianoforte, i Concerti per tre e due
pianoforti.

Lavoro forse più ambizioso fra tutti questi, la Sinfonia Concertante per violino
e viola risale al 1779 e segue dunque di pochi mesi l'esperienza del grande
viaggio a Mannheim e Parigi, infruttuoso sotto il profilo professionale, e
preziosissimo per le acquisizioni stilistiche. Peculiare del brano è innanzitutto
il rapporto fra i due solisti, conflittuale (nella loro serrata contrapposizione) e
insieme solidale (nella cantabilità belcantistica per terze e seste); proprio per
ottenere una maggiore penetrazione del suono della viola Mozart prescrive che
lo strumento sia accordato un semitono più alto. Altro elemento
imprescindibile della partitura è l'importanza dell'orchestra; grazie
all'eloquenza dello stile orchestrale di Mannheim e al dominio di una
concezione formale più articolata, ci troviamo di fronte a una composizione
veramente "sinfonica", caratteristica che si impone fin dalle prime battute
dell'Allegro maestoso, che a"ermano prepotentemente la tonalità passionale di
mi bemolle.

Dopo la massiccia introduzione orchestrale, animata da un sorprendente


"crescendo", i due solisti si impongono all'attenzione, scambiandosi il
materiale tematico, consistente in ampie melodie cantabili che acquistano un
carattere variegato a seconda siano intonate dall'uno o dall'altro solista; non
manca, all'inizio della sezione dello sviluppo, un episodio in minore che
preannuncia la profonda evoluzione subita poi dall'autore nei suoi anni
viennesi; decisamente più snella è la ripresa, chiusa da una cadenza originale.

Quanto all'Andante, si tratta di una pagina densa di pathos, con un serrato


dialogo solistico - che si converte luminosamente dall'iniziale do minore al mi
bemolle - che trae rilievo dai colori ombrosi della scrittura orchestrale.
Brillante e più disimpegnato - secondo il gusto dell'epoca - il Finale, un Rondò
ricco di sorprese nei colori strumentali, e nella successione degli eventi
musicali (come la lunga attesa prima della comparsa dei solisti). In definitiva la
Sinfonia Concertante segna l'abbandono da parte di Mozart del puro stile
galante, e la tendenza verso implicazioni fortemente soggettive, che
troveranno, nei lavori degli anni viennesi, esiti più maturi ma non più coinvolti.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

La Sinfonia concertante K. 364 risale agli anni salisburghesi di Mozart. Ma


sarebbe pazzesco ricondurre, nemmeno lontanamente, un'opera di tanto
profondo impegno e di tanto alti risultati a quella stessa dimensione
artigianale e piacevole che informa il Divertimento K. 137 e i suoi «fratelli». Il
Mozart della Sinfonia concertante è tutt'altra persona dal sedicenne geniale dei
«Quartetti orchestrali». Perché la Sinfonìa concertante reca una data
sensibilmente più tarda, risalendo all'estate del 1779, quando dunque Mozart
aveva già più di ventitre anni: un divario anagrafico tutt'altro che irrilevante, e
sottolineato, oltre che dalla cifra degli anni di Mozart, dagli sviluppi della sua
storia personale e di musicista; fattisi particolarmente intensi giusto nei mesi
precedenti alla composizione della Sinfonia K. 364. Infatti il periodo compreso
fra il settembre del 1777, quando Mozart ventunenne era partito da Salisburgo
in compagnia della madre Anna Maria Pertl, diretto a Parigi, e il gennaio del
'79, quando Wolfgang era rientrato nella città natale, è senz'altro il più
importante e ricco di eventi della giovinezza del musicista. Alla partenza,
Mozart era ancora un ragazzo: in barba all'età, e secondo una curiosa legge di
contrappasso che fa sovente degli ex bambini prodigio degli immaturi cronici,
Mozart scontava con un'adolescenza assurdamente protratta, dal punto di vista
dell'autonomia dalla famiglia, la pazzesca precocità con cui si era sviluppata la
sua personalità di musicista. Tant'è vero che il viaggio verso Parigi era un po' la
continuazione delle avventure dell'infanzia, quando Leopold Mozart aveva
corso l'Europa esibendo orgoglioso il suo miracoloso rampollo; e per quanto
maggiorenne, Mozart era partito con la scorta della mamma, in sostituzione
del padre trattenuto a Salisburgo dagli impegni del suo impiego a corte. Ma al
ritorno Wolfgang sarebbe stato solo: né la morte della madre a Parigi, nel
luglio del 1778, fu la sola bruciante esperienza di quei sedici mesi di viaggio;
perché al fallimento delle illusioni di far carriera altrove - gli ambienti che
erano stati prontissimi a far festa al bimbo prodigio si rivelarono alquanto
tepidi nei confronti del musicista già quasi adulto - si erano uniti contatti con
società diverse, con musicisti diversi, specialmente nelle soste a Mannheim e a
Monaco, che gli avevano consentito di prendere conoscenza diretta degli
sviluppi più recenti della civiltà musicale tedesca. E inoltre le vicende personali:
la morte della madre nella città straniera e in fondo ostile, il grande amore con
Aloysia Weber, conosciuta a Mannheim e ritrovata sulla via del ritorno, a
Monaco.

Al rientro a Salisburgo, Mozart è dunque profondamente cambiato. D'ora


innanzi, la cittadina natale gli starà stretta, fino a so"ocarlo: umanamente, per
le umiliazioni di un impiego che gli chiederà quasi sempre soltanto la bassa
cucina della musica d'uso, e per la presenza del padre che gli impone
un'autorità ormai per lui insopportabile; ma anche musicalmente, perché le
esperienze di questo viaggio hanno aperto a Mozart gli orizzonti del grande
teatro - che a Salisburgo gli è impraticabile - e del moderno sinfonismo, quale
ha potuto conoscere a Mannheim dalla frequentazione della celebre orchestra
di corte. In ogni senso il Mozart dei due anni compresi fra il ritorno da Parigi e
il trasferimento a Vienna appare come un cavallo di razza costretto a mordere
il freno: ma senza che le condizioni avverse gli impediscano del tutto di
spiccare il galoppo. Infatti, della straordinaria maturazione che già rivelano le
pagine nate durante il viaggio del 1777-79, a Parigi e altrove, non pochi dei
lavori del rinnovato confino salisburghese recano proficuamente le tracce. In
particolare quelli scritti, credibilmente, per proprio uso: come è da considerare
la Sinfonia concertante K. 364, che prevede l'intervento solistico di due
strumenti che a Mozart furono cari non meno del pianoforte, e dei quali
dovette essere esecutore provetto: del violino al punto da sentirsi dire dal
padre (a sua volta violinista di grande valore) che avrebbe potuto esserne uno
dei primi virtuosi in Europa; della viola al punto da tradire l'altro, e più brillante
strumento, per farsene cultore abituale negli anni di Vienna. In quest'opera
Mozart seppe far tesoro delle esperienze di Mannheim, piegando ai propri fini
le risorse dello stile sinfonico e concertante che in quella importantissima
fucina della pratica orchestrale moderna si era andato elaborando da decenni;
ma anche seppe segnare una tappa significativa nella stessa storia del suo
sinfonismo. Perché tutto sommato è più alla via maestra delle Sinfonie di
Mozart, e cioè all'approccio con un genere compositivo piazzato ai primi posti
nella gerarchia delle forme musicali tacitamente accettata all'epoca, che
bisogna ricondurre quest'opera, più che non a quello, considerato in fondo
minore, del Concerto con strumenti solisti: ponendosi infatti la fisionomia
espressiva della Sinfonia concertante su un piano di ben maggiore impegno
che non fosse consueto al Concerto solistico; e dunque in certo qual modo ma
a"atto inconsapevolmente, risuscitando l'antica severità del Concerto grosso
(con più solisti raccolti nel «concertino»), presto disciolta nel protagonismo del
Concerto con un unico solista.

Che la Sinfonia concertante sia pagina di tutt'altro che superficiali o generiche


intenzioni espressive, appare manifesto dalla stessa scelta della coppia degli
strumenti solisti; o meglio dalla presenza in essa di una voce come quella della
viola: agli antipodi della brillantezza e dell'esibizionismo virtuosistico, sia per
la qualità specifica del suo timbro che per la natura tecnica di per sé negata al
funambolismo e alla velocità. In quel medesimo torno di tempo, Mozart aveva
addirittura abbozzato un concerto con tre solisti, violino, viola e violoncello: è
probabile che questo lavoro, rimasto interrotto dopo 134 battute, sia stato
frutto di una medesima intenzione da parte di Mozart, forse immediatamente
precedente alla Sinfonia concertante che poi fu invece portata a termine; e che
cioè Mozart abbia ripiegato sul più maneggevole ed equilibrato concertino di
due soli strumenti. Il che potrebbe anche significare il desiderio, da parte di
Mozart, di salvaguardare il più possibile il ruolo della viola, che stretta fra la
voce brillante del violino e quella robusta del violoncello sarebbe rimasta come
schiacciata, mentre nella Sinfonia in mi bemolle lo strumento più grave si pone
come assolutamente paritetico partner dell'altro; e anzi, forse anche perché più
inusitata come strumento solista, è proprio la viola a determinare la tinta
espressiva della Sinfonia. Se da un lato, dunque, dietro la Sinfonia concertante
c'è il lascito delle esperienze mannheimiane di Mozart, dall'altro è indubitabile
la presenza di una spontanea, autonoma, e considerevolmente medita
aspirazione a fondere quel tanto di artigianale, di parzialmente disimpegnato,
che sempre contraddistingue - e non solo al tempo di Mozart - la
composizione sinfonica con strumenti solisti, con un profondo coinvolgimento
espressivo, strettamente legato alle valenze specifiche dei timbri chiamati in
causa (qualcosa di non molto diverso si potrà ravvisare in uno degli ultimi
capolavori di Mozart, il Concerto per clarinetto K. 622, del 1791).

Ben si spiega, in questo quadro, come Mozart abbia rinunciato - altro fatto
quanto mai insolito - a dare alla Sinfonia un primo tempo di carattere brillante,
condizionando invece il movimento iniziale con la stessa indicazione agogica,
Allegro maestoso. Del resto, tutto il materiale tematico che è riversato nella
Sinfonia concertante appare tipico del Mozart maturo, non meno che l'impiego
che di esso materiale viene fatto nel corso dell'opera, Di piena dignità
sinfonica, infatti, magari anche a parziale scapito dell'evidenza delle parti
solistiche, che pure risultano quanto mai impegnative, ambedue, sono infatti i
temi che reggono il primo movimento; e di piena dignità sinfonica è la
costruzione di esso, non ultimo nella stesura del tessuto orchestrale,
notevolmente ricco di colori non tanto per l'abbondanza degli strumenti
impiegati - che la partitura si limita ad aggiungere agli archi una coppia di
oboi e una di corni - quanto per l'attenzione con cui essi vengono impiegati al
massimo delle loro possibilità espressive (e non è privo d'importanza il fatto
che anche le parti degli archi manifestino una simile profondità d'intervento,
con la prescrizione di due parti di viola, accanto a quelle dei violini primi e
secondi e del basso). Così le escursioni, quasi costantemente attestate in
forma di dialogo serrato, dei due solisti, non hanno mai niente di gratuito o di
superfluo, ma trovano una coerente e precisa collocazione in un quadro
unitario e di robusta architettura formale. Come galanteria e stilemi di opera
bu"a sono totalmente banditi dall'Allegro maestoso, così insolitamente intenso
e «serioso» è l'Andante centrale, impiantato in do minore, per Mozart la
tonalità della commozione. Il Finale scioglie la serietà e la relativa severità dei
due movimenti precedenti in un clima giocoso, e per una volta aperto anche a
evasioni brillanti. Sostenuto, però, dal costante controllo di una fantasia
destissima, che rifugge dall'ossequio a soluzioni scontate, e percorso da
un'inarrestabile vitalità ritmica.

Daniele Spini

Sinfonia concertante per oboe, clarinetto, corno e fagotto in Mi bemolle


maggiore K 297b

https://youtu.be/LQ6C80R71Nc

La sinfonia concertante per oboe, clarinetto, corno, fagotto e orchestra K 297b


in mi bemolle maggiore è una composizione che viene falsamente attribuita a
Wolfgang Amadeus Mozart. L'autore della composizione in realtà è anonimo.
L'autografo è perduto e la fonte attraverso cui è pervenuta consiste in diverse
copie manoscritte spurie e apocrife.
Storia

Una lettera indirizzata al padre Leopold e datata 1º maggio 1778 contiene


l'informazione che il compositore aveva terminato un brano commissionatogli
dall'impresario parigino Jean Le Gros, che da meno di un anno era direttore dei
Concert Spirituel del Palais des Tuileries e consegnato il 27 aprile a Le Gros. Si
trattava di una sinfonia concertante per flauto, oboe, fagotto e corno, con
un'orchestra composta da due oboi, due corni e archi. I quattro solisti
provenivano dalla celebre orchestra di Mannheim.

Lo stile concertante stava imponendosi in Europa partendo proprio da


Mannheim, mediato dall'influsso parigino. La sinfonia concertante era un tipo
di sinfonia nella quale un gruppo di strumenti solisti ("concertino") dialogava in
alcuni passaggi con il resto dell'orchestra.

La circostanza che la sinfonia nell'occasione non fu eseguita e che a noi sia


giunta attraverso un manoscritto non autografo, scoperto quasi un secolo
dopo e che reca un organico diverso, con il clarinetto solista anziché il flauto,
ha fatto nascere alcuni dubbi sull'attribuzione della sinfonia a Mozart. L'analisi
stilistica sembra però rivelare la mano del compositore, benché sia stato
avanzata l'ipotesi, anche sulla base della di"erenza tra l'organico descritto da
Mozart nella lettera al padre e quello del manoscritto, che alcune parti siano
state riscritte, ma tuttavia l'ipotesi non è mai stata provata in quanto gli unici
testimoni manoscritti, per altro tutti apocrifi e maneggiati più volte, sono
soltanto riemersi alla luce verso la fine del diciannovesimo secolo. Non è
a"atto escluso che la sinfonia possa essere opera anche di un imitatore
mozartiano, circostanza molto comune già all'epoca di vita del compositore
Movimenti

Il primo movimento («allegro») vede uno svolgimento brillante dove l'orchestra,


quando emergono i solisti, si limita a un mero accompagnamento.

L'«adagio», maestoso e dolce, vede i solisti e l'orchestra intessere un dialogo


contrappuntistico.

Per l'ultimo movimento, «andantino con variazioni», Mozart adotta la forma,


cara al pubblico parigino, del tema con variazioni. Le dieci variazioni, separate
dai ritornelli dell'orchestra, consentono ai singoli strumenti di mettersi in luce.
L'ultima variazione è seguita da un solenne «adagio» di sei battute e la sinfonia
termina con una brillante coda in «allegro».

Ouvertures, Cassazioni, Serenate, Divertimenti per orchestra


Adagio in mi maggiore per violino ed orchestra, K 261

https://youtu.be/XSrOwiuJ0jg

Organico: violino solista, 2 flauti, 2 corni, archi


Composizione: Salisburgo, autunno - Inverno 1776
Edizione: Andrè, O"enbach 1801

Movimento sostitutivo per il Concerto K 219

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il pianista Edwin Fischer, che fu un fervente mozartiano anche come interprete,


fece una osservazione molto giusta quando disse che alla comprensione
dell'arte di Mozart ci si arriva con la maturità e dopo aver amato musicisti dallo
stile più corposo e drammatico. «Il naturale sviluppo musicale - ha scritto
Fischer - ci porta da principio molto vicini a Mozart a causa del carattere
popolare delle sue melodie, della facile intelligibilità della sua struttura
armonica e agogica. Poi segue quasi sempre un periodo d'inclinazione verso
un grande apparato di forza, l'amore del pathos; non esiste nessuna
espressione esteriormente troppo forte, niente di abbastanza grandioso,
virtuoso, travolgente. Siamo così lontani dall'insegnamento di Mozart, in quel
momento, come lo siamo nel periodo che segue, dominato dalla ricerca di
tutto quello che è assolutamente nuovo, ra!nato, surriscaldato, rivoluzionario
o formalmente problematico. Fino a che un giorno si fa per noi la luce. Qui c'è
tutto: contenuto, forma, espressione, fantasia, e"etto strumentale, e tutto è
ottenuto con i mezzi più semplici».

E' evidente che «la luce mozartiana» non è fatta soltanto di quantità di opere
scritte in un arco di vita di appena 34 anni (lo studioso Ludwig von Koechel ne
ha annoverate nel suo catalogo ben seicentoventisei, cui vanno aggiunte altre
cento, incompiute o di incerta attribuzione), ma piuttosto va considerata per la
varietà dei generi musicali praticati e la perfetta riuscita in ognuno di essi.
Nella musica profana e sacra, strumentale e vocale, teatrale e da concerto,
sinfonica e da camera, seria o bu"a egli è riuscito a lasciare il segno della sua
genialità. Non a caso Massimo Mila ritiene che l'arte di Mozart è «un mare dove
confluiscono e convivono pacificamente le più disparate tendenze del suo
secolo. Anche in questo egli rassomiglia a Ra"aello, cui viene sempre
paragonato per la levigata perfezione esteriore e per l'assoluta finitezza
formale. Artisti compendiatori e coronatori di un'epoca, artisti la cui forza è
forza di civiltà, non di primitiva barbarie: e civiltà è prima di tutto
conservazione, religiosa pietà di ciò che è stato prima di noi e che ha
contribuito a crescerci quali siamo. Vi sono artisti ribelli ed essenzialmente
rivoluzionari che nelle epoche di lotta e di trasformazione svolgono un lavoro
prezioso di demolizione delle vecchie sovrastrutture, dei pregiudizi ritardatori,
e sbarazzano il terreno per la manifestazione di un ordine nuovo. E vi sono
artisti, invece, i quali edificano la casa dell'uomo, cioè la civiltà, sopra quanto
rimane dei vecchi edifici, utilizzando tutti i mattoni salvabili dalle rovine,
trovando con naturale spontaneità la conciliazione e la continuità fra le
testimonianze del passato e le esigenze del presente».

Mozart appartiene certamente a questa seconda categoria di compositori e la


sua immensa produzione si distende idealmente fra i due estremi della facilità
galante e dello stile severo dettato dalla polifonia strumentale, inglobando le
posizioni intermedie comprese tra il linguaggio brillante ed eclettico delle
opere teatrali e delle composizioni vocali e l'impegno rigoroso della scrittura
quartettistica. Ma, al di là di queste classificazioni tecniche, ciò che conta è la
sigla espressiva della musica di Mozart, dove l'allegrezza si sposa alla
malinconia, il sorriso spunta tra le lacrime e il senso «di ilarità e di umorismo
fa capolino tra le pieghe della tristezza. Un'arte semplice e lineare in
apparenza, ma dai risvolti complessi e profondi, dove l'animo umano si
specchia e si osserva alla ricerca dela propria misteriosa identità.

***

L'autografo dell'Adagio in mi maggiore K. 261 reca semplicemente questa


indicazione: «Adagio di A. W. Mozart, 1776», ma si ritiene che questo brano sia
stato composto nell'estate del 1776, in quanto c'è una lettera scritta da
Leopold Mozart in questo periodo al figlio per ricordargli l'impegno a scrìvere
un Adagio e un Rondò per Brunetti, violinista della corte di Salisburgo. Dal
canto suo Brunetti si era lamentato delle di!coltà incontrate nel suonare certi
adagi mozartiani e aveva sollecitato il musicista a comporre altri pezzi più
facili. Naturalmente Mozart volle soddisfare tale desiderio e compose questo
Adagio per violino con accompagnamento di due flauti, due corni e archi, che è
tra le opere più caratteristiche dell'inventiva del salisburghese. Infatti tutto
scorre con una purezza di canto e una freschezza melodica di penetrante
e"etto, su un accompagnamento molto discreto dell'orchestra.

L'Adagio si apre con un preludio di quattro misure, con l'orchestra che disegna
una frase cantabile ripresa poi dal violino. Nel gioco tra il solista e il tutti si
inserisce un altro tema che ha la funzione di sviluppare l'intero discorso
musicale, arricchito da una serie incessante di modulazioni strumentali. Il
violino solista si abbandona alla cadenza virtuosistica prima che si giunga alla
coda in cui si riascolta il tema del preludio. Il brano è esemplare nella sua
semplicità e non si può negare alla piccola orchestra una tessitura timbrica di
toccante poesia.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)


Alla fine del 1776, come si ricava da due lettere di Leopold Mozart, Wolfgang
scrisse per Brunetti l'Adagio in mi maggiore K. 261: anche in questo caso si
tratta, con tutta probabilità, di un brano alternativo, destinato a prendere il
posto del movimento lento nel Concerto K. 219. Pare infatti che Brunetti
trovasse quest'ultimo troppo «studiato», cioè troppo complesso: Mozart,
allora, sostituì all'alta concentrazione espressiva di quell'Adagio un brano dalle
minori pretese, più solare e immediato, che si adattava meglio al gusto
dominante a Salisburgo. Il nuovo Adagio è anch'esso in forma-sonata e utilizza
due flauti al posto degli oboi; i violini dell'orchestra, inoltre, suonano dall'inizio
alla fine con la sordina.

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Mozart in diverse circostanze si applicò alla composizione di singoli movimenti


di concerto, per compiacere un determinato solista: l'italiano Antonio Brunetti,
attivo a Salisburgo dal 1776 in qualità di Konzertmeister. Per Brunetti Mozart
scrisse tre movimenti di concerto, un Adagio K. 261, un Rondò K. 269/261a e
un altro Rondò K. 373. All'origine dei brani si pongono diverse motivazioni.

L'Adagio K. 261 fu pensato come movimento sostitutivo del tempo centrale del
Concerto K. 219, forse troppo impegnativo per Brunetti. Sebbene pochi mesi
separino il Concerto K. 219 dall'Adagio K. 261, l'Adagio mostra una sensibile
evoluzione stilistica, ed è inoltre una delle pagine più felici destinate dal
compositore allo strumento ad arco. Già la breve introduzione orchestrale
(organico: archi e coppie di flauti e corni) definisce l'ambientazione intima,
lirica e so"usa dell'intera pagina; la linea del solista è levigatissima e
continuamente rinnovata nelle curvature melodiche; da notare, nella sezione
centrale, il giro continuo di modulazioni che porta il solista alla riesposizione;
questa poi non è pedissequamente testuale, ma piuttosto libera.

Arrigo Quattrocchi

Cassazione n. 2 in si bemolle maggiore, K 99 (K 63a)

https://youtu.be/jUWsbWEPpyI

Marcia (si bemolle maggiore)


Allegro molto (si bemolle maggiore)
Andante (mi bemolle maggiore)
Minuetto e Trio (si bemolle maggiore)
Andante (sol minore)
Minuetto e Trio (si bemolle maggiore)
Allegro - Andante - Allegro (si bemolle maggiore)

Organico: 2 oboi, 2 corni, archi


Composizione: Salisburgo, estate 1769

Guida all'ascolto (nota 1)

Sotto il nome di Cassazione o di Serenata Wolfgang Amadeus Mozart scrisse,


fra il 1769 e il 1779, nove grandi composizioni per orchestra, opere che
appaiono fra di loro piuttosto diversificate. Non a caso il nome di Cassazione o
di Serenata o anche di Divertimento veniva riferito, nella civiltà musicale del
secondo Settecento, ad un genere compositivo di di!cile definizione; non
legato a precise regole costruttive e al rispetto di un determinato organico
strumentale, di dimensioni impegnative o contenute. In definitiva ciò che
accomunava sotto uno stesso nome composizioni tanto dissimili era la loro
particolare destinazione di intrattenimento. Le Cassazioni e Serenate cui ci si
riferisce erano concepite infatti per essere eseguite a Salisburgo all'aria aperta
e nei mesi estivi, e per celebrare particolari occasioni o ricorrenze, secondo la
committenza di rinomate famiglie cittadine, che esercitavano una piccola opera
di mecenatismo; oppure per scandire la fine dell'anno universitario.

In particolare, è estremamente probabile che le tre Cassazioni K. 100/62a, 63


e 99/63a, siano state composte dal piccolo Mozart, tredicenne, nell'estate del
1769, per essere eseguite il 6 o 1'8 agosto, appunto alla fine dei corsi
preliminari degli studenti di logica e scienze naturali. Secondo una attendibile
ricostruzione del cerimoniale dei festeggiamenti gli studenti, riuniti al
crepuscolo presso la residenza arcivescovile, il castello Mirabell, eseguivano
una prima volta la serenata, sfilavano poi fino alla sede universitaria, dove
replicavano l'esecuzione di fronte a professori e studenti.

Occorre dunque figurarsi un simile contesto per collocare la Cassazione K.


99/63a e per spiegare l'intonazione lieta e disimpegnata del suo contenuto,
svolto da Mozart non solo con l'ineccepibile artigianato che contraddistingue
comunque le sue opere giovanili, ma con la cura minuziosa del dettaglio,
l'invenzione preziosa del materiale. L'organico prevede coppie di oboi e corni
più due violini, viola e basso (realizzato all'epoca da contrabbassi e fagotti,
senza violoncelli).

La Cassazione comprende sette movimenti e, secondo la prassi, si apre con


una Marcia ("Marche", alla francese) introduttiva, destinata ad essere replicata
al termine dell'ultimo tempo. Seguono un brillante Allegro molto in forma
sonata, poi un Andante di finissima fattura, a!dato agli archi soli con sordina;
poi ancora il primo Menuet (alla francese, con un Trio per archi soli), un
secondo Andante (archi e oboi) dalla scrittura fittissima, il secondo Menuet (più
incisivo), e il finale, che contrappone una vivace sezione in 2/4 a un idilliaco
Andante in 6/8.

Arrigo Quattrocchi

Divertimento "Concerto" n. 1 per orchestra in mi bemolle maggiore, K 113

https://youtu.be/n2HerUNc5XY

Allegro (mi bemolle maggiore)


Andante (si bemolle maggiore)
Minuetto (mi bemolle maggiore)
Allegro (mi bemolle maggiore)

Organico: 2 clarinetti, 2 corni, archi; nel 1777 sono stati aggiunti 2 oboi, 2
corni inglesi, 2 fagotti
Composizione: Milano, 22 novembre 1771
Prima esecuzione: Milano, residenza di Albert Michael von Mayr, 23 novembre
1771

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Concerto o sia Divertimento (così è indicato sul manoscritto conservato a


Berlino) in mi bemolle maggiore K. 113 si richiama allo stile italiano e non per
nulla la sua data di composizione risale al novembre del 1771, data di ritorno
del musicista da un soggiorno a Milano. Il primo movimento poggia su tre idee
appartenenti ai violini, integrati dall'intervento dei clarinetti e dei corni.
Nell'Andante i clarinetti espongono il primo tema e gli strumenti ad arco,
sorretti dai corni, rispondono con il secondo tema. Lo sviluppo è puntato sul
dialogo tra archi e fiati. Il Minuetto è particolarmente gradevole e il Trio in sol
minore riprende un passaggio della prima parte della fase già ascoltata. Il
Finale è brillante e si basa su due temi esposti in dialogo tra fiati e archi.
Interessante sotto il profilo inventivo è la coda, in cui i violini lasciano la parola
ai clarinetti in un festoso squarcio sonoro.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Scritto a Milano nel novembre 1771, e dunque contemporaneo alla Sinfonia KV


112, il Concerto o sia Divertimento KV 113 indica già nel doppio titolo
originale la propria natura: un divertimento con fiati e archi di carattere
concertante, in quattro movimenti, assai più prossimo alla sinfonia che non
alla serenata. Di una grazia squisita, la composizione (che esiste anche in una
posteriore versione con l'aggiunta di corni inglesi e fagotti: 1773) segna il
primo impiego da parte di Mozart dei clarinetti: strumento all'epoca non
ancora entrato nell'uso comune ma evidentemente conosciuto a Milano, il
clarinetto diventerà in futuro uno degli strumenti prediletti da Mozart.
L'elemento concertante è insito nel rapporto tra le due coppie di fiati e gli
archi: con questi ultimi, clarinetti e corni intessono un amichevole gioco
dialettico fondato ora sulla di"erenziazione e contrapposizione solistica ora
sull'integrazione. Nel corso dell'Allegro iniziale, i fiati emergono negli
interventi di risposta all'interno del primo e del secondo gruppo tematico e nel
ben organizzato sviluppo; l'Andante a!da al suadente timbro dei clarinetti il
ruolo del protagonista, mentre nel Menuetto i fiati tendono piuttosto a una
fusione con il corpo degli archi. Il dialogo concertante trova infine accenti di
cordiale umorismo nell'Allegro conclusivo, in particolare nell'articolazione Soli-
Tutti del primo tema, poi utilizzato anche nello sviluppo, e nella chiusa
cadenzale dell'esposizione.

Cesare Fertonani

Divertimento n. 7 in re maggiore per orchestra, K 205 (K 167A)

https://youtu.be/uJtfqrv03iQ

Largo (re maggiore)


Allegro (re maggiore)
Minuetto (re maggiore)
Adagio (la maggiore)
Minuetto (re maggiore)
Presto (re maggiore)

Organico: 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Salisburgo, luglio 1773

Guida all'ascolto (nota 1)

Sotto il nome di Divertimento, nella civiltà musicale del secondo Settecento, si


intendeva un genere compositivo di di!cile definizione; non legato a precise
regole costruttive e al rispetto di un determinato organico strumentale, il
Divertimento poteva essere un brano di dimensioni impegnative o contenute,
a!dato a un solo esecutore o a un cospicuo ensemble da camera. In definitiva
ciò che accomunava sotto uno stesso nome composizioni tanto dissimili era la
loro particolare destinazione di intrattenimento; in una cittadina di provincia,
come la Salisburgo dei Mozart, ogni famiglia aristocratica o alto borghese
esercitava una piccola azione di mecenatismo - finalizzata a dare lustro alla
propria casata - commissionando ai musicisti locali dei Divertimenti, appunto
- o delle Serenate, Cassazioni, ecc. - che celebrassero particolari occasioni o
ricorrenze; o anche semplicemente allietassero la vita di tutti i giorni.

Per una simile funzione fu verosimilmente creato il Divertimento K. 205/167A;


ma la precisa occasione non ci è nota, e anche la datazione della composizione
è stata oggetto di lunghe disquisizioni fra gli studiosi; sulla base di
considerazioni stilistiche Wyzewa e Saint-Foix attribuirebbero K. 205 al viaggio
compiuto da Mozart a Vienna nel corso dell'estate 1773 (14 luglio - 26
settembre). E' più probabile invece che il brano sia stato composto alla vigilia
immediata di quel viaggio, per celebrare, il 26 luglio, l'onomastico di Maria
Anna Elisabeth von Antretter, esponente di una eminente famiglia
salisburghese. Mozart potrebbe avere premesso alla composizione,
rispettando la consuetudine, una Marcia K. 290/167 AB, già impiegata l'anno
precedente in una occasione consimile e dunque qui "riutilizzata", secondo la
normale prassi dell'epoca.

L'organico del Divertimento è estremamente sobrio, e comprende appena sei


strumenti solisti: due corni, violino, viola, fagotto e violoncello (nelle
esecuzioni moderne le parti degli archi vengono spesso a!date all'intera
sezione strumentale, non senza che si corra il rischio di compromettere i
delicati equilibri fonici della partitura). Senza la Marcia iniziale - spesso
espunta nelle esecuzioni moderne, come nel caso odierno - i movimenti sono
in numero di cinque, tutti improntati allo spirito cordiale e disimpegnato che è
proprio del genere del Divertimento.

Il movimento iniziale si apre con un Largo introduttivo di otto battute, senza


alcun rapporto tematico con il seguente Allegro; questo è in forma sonata
bitematica, con un breve sviluppo e una riesposizione pressoché testuale; al
violino è a!dato prevalentemente il ruolo di brillante guida melodica. Segue
un Menuetto dal carattere popolare e dal ritmo scandito, con un Trio nel quale
i corni e il fagotto tacciono; dunque realmente a tre voci. L'Adagio che si
colloca al centro della partitura vede anch'esso il concorso dei soli archi;
violino e viola si impegnano in uno scambio di ruoli (melodico e di
accompagnamento) con un levigato fraseggio. Il secondo Menuetto è piuttosto
dissimile dal primo; di impostazione più elegante, impiega nel Trio
alternativamente i due corni e la coppia violino/viola. Chiude la composizione
un brillante rondò di impronta italiana, in cui i motivi dei vari episodi sono
delle variazioni del tema principale; procedimento insolito per Mozart, che da
solo qualifica l'invenzione preziosa e non manieristica della partitura.
Arrigo Quattrocchi

Divertimento per orchestra n. 11 in re maggiore, K 251

https://youtu.be/RR9CrTAR9RU

Allegro molto (re maggiore)


Minuetto I (re maggiore)
Andantino (la maggiore)
Minuetto II. Tema con Variazioni (re maggiore)
Rondò. Allegro assai (re maggiore)
Marcia alla francese (re maggiore)

Organico: oboe, 2 corni, archi


Composizione: Salisburgo, 26 - 30 Luglio 1776
Prima esecuzione: Salisburgo, Residenz-Theater, 21 Novembre 1778

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le Serenate, i Divertimenti, le Cassazioni e i pezzi che prendono il nome di


musiche notturne sono legati al gusto settecentesco di far musica insieme e
riflettono una identica struttura formale in cui si alternano movimenti di danza
e passaggi solistici o virtuosistici, riservati ad esecutori bravi e di talento, ma
non necessariamente eccezionali. Per questa ragione le Serenate e i
Divertimenti per archi e per strumenti a fiato sono musiche di gradevole
ascolto, dalla scrittura semplice e lineare e dai segni armonici chiari e precisi,
che denotano un classicismo equilibrato e sereno. Si avverte certamente la
presenza di uno stile cameristico di solida fattura e di illuministica intelligenza,
ma si è ancora lontani dal grande Mozart caratterizzato da una inesauribile
forza creativa e da una profonda personalità espressiva. Il dato rilevante delle
Serenate e dei Divertimenti è la limpidezza e la trasparenza quartettistica del
suono e l'omogeneità e la fusione degli impasti strumentali, in ubbidienza alle
regole di un discorso musicale accessibile a tutti e senza quei risvolti tragici e
quei tormenti spirituali che pur esistono nell'arte mozartiana.

I Divertimenti mozartiani prevedono una struttura piuttosto varia e sono scritti


o per archi e singoli strumenti a fiato oppure per soli fiati, il cui numero non è
rigidamente fisso. La formazione più frequente contempla la presenza di due
oboi, due corni e due fagotti (K. 213, 240, 252, 253, 270, 289); a volte si
aggiungono due clarinetti (K. 196e e 196f, 375, 388), oppure anche due corni
inglesi (K. 166 e 186). Non mancano accoppiamenti strumentali molto arditi
con due flauti, cinque trombe e timpani (K. 187 e 188). Da ciò si deduce come
il timbro strumentale rivesta un ruolo importante in queste composizioni, dove
si rivela l'abilità del compositore nel contrapporre, ad esempio, il timbro chiaro
dell'oboe alla voce malinconica e leggermente nasale del corno inglese, il
suono stridente e metallico del corno di bassetto a quello dolce e pastoso del
clarinetto.

Una prova abbastanza indicativa dello stile di queste composizioni viene data
dal Divertimento K. 251, scritto da Mozart nel luglio 1776 per il compleanno
della sorella Nannerl. Non per nulla il brano è punteggiato da ritmi brillanti,
arguti e leggeri di intonazione parigina, sicuramente per assecondare i gusti
della sorella, che, da brava claviccmbalista, si era specializzata nella
esecuzione della musica francese. Tutto scorre con leggerezza ed eleganza
galante, specie nel dialogo tra il suòno caldo e leggermente metallico dell'oboe
e le fioriture del primo violino. Il Divertìmento si apre con un tempo in forma di
sonata dal ritmo vivace ed allegro; segue un Minuetto in cui il musicista
introduce ornamenti e variazioni al tema principale. L'Andantino è un delicato
e delizioso rondò con una serie di intermezzi che sembrano tanti siparietti di
un'unica scena. Il secondo Minuetto è un tema con sei variazioni, di cui l'ultima
si richiama ciclicamente all'inizio del movimento. Anche il quinto tempo
(Allegro assai) ha l'andamento di un rondò, sviluppato ampiamente e con
ricchezza di invenzione timbrica. Il Divertimento si chiude con una Marcia alla
Francese, detta in tal modo per il particolare carattere del ritmo, molto marcato
e meno cantabile della maggior parte dei temi di marcia composti in
precedenza da Mozart.

Si ritiene, secondo alcuni studiosi mozartiani, tra cui Alfred Einstein, che il
musicista abbia anticipato in questo Divertimento in re maggiore i temi per il
balletto parigino Les Petits riens composto nell'estate del 1778 e andato in
scena senza il nome dell'autore sul manifesto, insieme all'opera bu"a di
Piccinni Le due gemelle, tanto che il successo andò al coreografo Noverre e
nessuno seppe in quella occasione chi fosse l'autore dell'ouverture e delle
quattordici danze distribuite in tre quadri.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Non si conoscono esattamente le circostanze che hanno portato alla


composizione del Divertimento à 7 Stromenti, ma la data "luglio 1776"
annotata sulla partitura autografa da Mozart stesso ha originato una serie di
congetture rimaste ormai tradizionalmente associate alla composizione. La
vicinanza di quella data all'onomastico e al compleanno della sorella di Mozart,
Nannerl, hanno portato alla ipotesi, peraltro non su"ragata da alcun elemento
esterno, che la composizione possa essere stata una sorta di regalo di
compleanno o di onomastico. Questo è il motivo per cui il brano è noto anche
come Nannerl-Serenade. Solo in tempi più recenti, un'attenta lettura
dell'epistolario ha consentito di individuare questa composizione come
Finalmusik, ossia tra quelle composizioni che tradizionalmente venivano
eseguite alla Facoltà di Filosofia di Salisburgo per celebrare gli esami finali, per
l'anno 1777. L'esecuzione ritardata di un anno rispetto alla data di
composizione è probabilmente dovuta ai nascenti dissapori con l'arcivescovo
Colloredo che possono aver spinto il compositore ad utilizzare un brano
vecchio di un anno. Il che, se impedisce che vi sia potuta essere un'esecuzione
pubblica precedente, non esclude la possibilità di un'esecuzione privata,
magari per la sorella del compositore. È l'unico lavoro di Mozart scritto per
quest'organico e segue immediatamente la stesura della Ha"ner-Serenade che
rappresenta il massimo sforzo compositivo in campo orchestrale di Mozart fino
a quel periodo. Come di consueto in queste forme destinate all'intrattenimento
(Divertimenti, Serenate e Cassazioni), il brano presenta un'articolazione in
numerosi movimenti con due minuetti in seconda e quarta posizione, il primo
con un trio a!dato solo agli archi ed il secondo inframezzato da tre variazioni,
per oboe ed archi e solo per gli archi, di gusto francese. L'Andantino centrale è
forse il brano meno riuscito mentre la Marcia alla francese che chiude la
composizione - ma non è escluso che potesse costituirne anche il pezzo di
apertura - è un unicum nel campo delle Serenate mozartiane.

Andrea Rossi Espagnet

Divertimento per orchestra n. 15 in si bemolle maggiore "Lodronnische


Nachtmusik n. 2", K 287 (K 271H)

https://youtu.be/Idfqc-N6soA

Allegro (si bemolle maggiore)


Tema con 6 Variazioni. Andante grazioso (fa maggiore)
Minuetto (si bemolle maggiore)
Adagio (mi bemolle maggiore)
Minuetto (si bemolle maggiore)
Andante (si bemolle maggiore). Molto allegro (si bemolle maggiore)

Organico: 2 corni, 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Salisburgo, 1 febbraio 1777
Prima esecuzione: Salisburgo, Palazzo del conte Czernin, 1 febbraio 1777
Edizione: Gombart, Ausburg 1799
Dedica: contessa Lodron

Guida all'ascolto (nota 1)

Dopo aver dato negli anni 1773 e '74 i suoi primi grandi capolavori nel campo
della Sinfonia (con le K. 183, 200, 201 e 202), Mozart, quasi avesse coscienza
del risultato conseguito, lascia riposare questa forma per circa quattro anni
(una durata che nella breve vita di Mozart conta assai). In questo periodo
trascorso a Salisburgo si intensificano le richieste di musiche d'occasione e
Mozart compone una quantità di Divertimenti, Cassazioni e Serenate prima che
il viaggio a Parigi (1777-1778) lo riporti al genere sinfonico più impegnativo.

Prima di questa svolta tuttavia Mozart, come era sua abitudine, porta a
perfezione il genere adottato, in questo caso quello della musica di
intrattenimento, muovendo dall'interno stesso del genere, accettandolo nei
suoi limiti ma entro questi limiti trasfigurandolo in valori d'arte assoluti. Così
con quattro lavori (K. 247, 251, 287, 334), pur concepiti come Divertimenti,
Mozart tocca una vetta che supera nella bellezza dei risultati non poche
Sinfonie precedenti. Nell'angusto e inviso soggiorno di Salisburgo era bastato il
passaggio di una celebre concertista di pianoforte, M.lle Jeunehomme, perchè
Mozart, onde o"rirle un omaggio adeguato, accendesse la sua fantasia sino a
creare nel gennaio 1777 quel capolavoro che è il Concerto per pianoforte e
orchestra K. 271, contenente al centro un Andantino in do minore che è una
delle parole più cariche di pathos dette fino allora dal compositore. Qualcosa
dell'ampiezza di concezione del famoso Concerto passa nel Divertimento K.
287 che gli storici assegnano senza certezza, ma con buoni argomenti di
probabilità, al febbraio dello stesso anno.

Il manoscritto del lavoro, conservato a Berlino, reca l'indicazione Divertimento


a 6 Stromenti; si tratta in pratica di un quartetto d'archi (violini primi e secondi,
viole, bassi) e una coppia di corni, i quali ultimi non sono in soggezione ma si
integrano agli archi con necessità. Wyzewa e Saint-Foix nella loro
fondamentale monografia mozartiana indicano per quest'opera una fonte
precisa: un Divertimento in si bemolle per quintetto d'archi di Michael Haydn
(fratello del grande Joseph, e il maggior musicista che Mozart potesse vedere a
Salisburgo), composto intorno al 1776. Il confronto minuzioso che i due
studiosi francesi sviluppano tra i due Divertimenti è illuminante per constatare
quella prodigiosa facoltà di assorbimento di cui si diceva sopra a proposito del
carattere di Mozart; infatti, pur nella rispondenza puntuale di innumeri
particolari formali non sussistono dubbi sulla vitalità autonoma e sullo stile
inconfondibile del lavoro mozartiano.

L'ampiezza di gesto propria del Concerto K. 271 trova ancora applicazione nel
primo movimento del Divertimento, sia nel portale introduttivo di 8 battute,
dopo le quali soltanto vengono enunciati i due temi principali, sia nella
eccezionale ampiezza dello sviluppo. Segue, come nel Divertimento di Michael
Haydn, il Tema con sei variazioni; la prima è quasi un a solo del primo violino
che nella seconda viene scortato da secondo violino e viola; la terza ha per
protagonisti i corni, mentre la quarta contempla un gioco imitativo dei due
violini con la viola; nella quinta il tema è sottoposto a una trasformazione
melodica dopo di che, nell'ultima, il primo violino riprende l'iniziativa. Il primo
Minuetto, secondo le parole di Wyzewa e Saint-Foix, «è forse la parte più
perfetta di tutta quest'opera perfetta. L'incanto leggero e sottile del ritmo di
danza tedesca, nel minuetto, l'introduzione, nel trio, di modulazioni in sol
minore, con la misteriosa espressione d'inquietudine nervosa e appassionata
che questo tono ha in Mozart», pongono quest'opera al livello dei minuetti dei
capolavori sinfonici del 1774.

Nell'Adagio seguente i corni escono dall'organico perchè l'uniformità di timbro


accentui l'interesse sul canto che il primo violino sviluppa indisturbato. Il
secondo Minuetto fa ampio ricorso alla tecnica dell'eco, gioco che qui ha la
funzione rilassante di diversivo prima dell'intenso impegno del finale. Questo è
introdotto da un recitativo strumentale (presente nel quintetto dell'Haydn, ma
anche nell'Andantino del Concerto K. 271), i cui accenti tragici si scaricano
nell'Allegro molto che segue, formato di due temi principali, di uno sviluppo
che supera per estensione persino quello del primo tempo, e di una festosa
coda.

Giorgio Pestelli

Divertimento per sestetto n. 17 in re maggiore, K 334 (K 320b)

https://youtu.be/Yj5ie1vU5GM

Allegro (re maggiore)


Tema e 6 variazioni. Andante (re minore)
Minuetto (re maggiore)
Adagio (la maggiore)
Minuetto e 2 trii (re maggiore)
Rondò. Allegro (re maggiore)

Organico: 2 corni, 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Salisburgo, primavera - estate 1779
Edizione: Gombart, Ausburg 1799

Guida all'ascolto (nota 1)

I Divertimenti, come del resto le Cassazioni, le Serenate e le cosiddette


musiche notturne, sono legati al gusto settecentesco di far musica insieme e
riflettono una identica struttura formale, in cui si alternano movimenti di danza
e passaggi solistici e virtuosistici, riservati ad esecutori di talento, ma non
necessariamente eccezionali. Per questa ragione i Divertimenti per archi di
Mozart (quelli per strumenti a fiato meriterebbero un discorso a parte per una
più libera invenzione e maggiore varietà di e"etti sonori) sono musiche di
piacevole ascolto, dalla scrittura semplice e lineare e dai giochi armonici chiari
e precisi, che denotano un classicismo equilibrato e sereno. Si avverte, è vero,
la presenza di uno stile cameristico di solida fattura e di luminosa civiltà, ma si
è ancora distanti dal grande Mozart caratterizzato da una inesauribile capacità
creativa e da una profonda e personale forza espressiva. Il dato rilevante di
questi Divertimenti è la limpidezza e la trasparenza quartettistica del suono e
l'omogeneità e la fusione del gruppo strumentale, in ubbidienza alle regole di
un discorso musicale accessibile a tutti senza quei tormenti spirituali e quei
risvolti tragici che pur esistono nell'arte mozartiana

Il Divertimento in re maggiore K. 334, detto anche Sestetto (due violini, viola,


contrabbasso e due corni), fu composto a Salisburgo tra l'estate e l'autunno del
1779 e dedicato alle contesse Lodron, così come gli altri due Divertimenti
scritti nel 1776 e nel 1777. Il pezzo contiene molteplici motivi di interesse, sia
sotto il profilo tecnico (la parte del primo violino è impegnativa e richiede la
presenza di uno strumentista di valore) e sia per quello che riguarda il
linguaggio espressivo, ricco di trovate e di umori di brillante musicalità, a
cominciare dall'Allegro iniziale, articolato in due temi strettamente connessi fra
di loro in un dialogo concertante, dopo l'esposizione annunciata
rispettivamente dal primo e dal secondo violino. Il discorso si amplia e si
sviluppa attraverso una serie di eleganti modulazioni e non mancano sortite
virtuosistiche del primo violino, finché il movimento termina sulle prime tre
misure del tema di attacco. L'Andante in re minore è un tema con sei variazioni
di carattere patetico e leggermente esotico; le prime due variazioni sono
esposte dal primo violino, che insieme alle armonie del secondo violino e della
viola accenna ad una frase identica a quella dell'Andante in re minore della
Serenata K. 320. La terza variazione si svolge nello stile imitativo tra il primo
violino e il contrabbasso, sorretto dal suono dei corni, protagonisti della quarta
variazione. La quinta variazione viene indicata dal secondo violino ed ha un
tono a"ettuosamente melodico, mentre la sesta variazione vede il primo
violino impegnato in tutta la sua estensione degli armonici e gli altri strumenti,
tranne i corni, accompagnano con un leggero pizzicato su un ritmo di
profonda malinconia. Il Minuetto che segue non è meno famoso di quello
celeberrimo di Boccherini: un unisono all'ottava del primo violino e della viola è
sorretto dai pizzicati del secondo violino e del contrabbasso. Il trio è un
siparietto dai colori delicatamente sfumati. Il discorso musicale acquista brio e
lucentezza nel Rondò finale, punteggiato da un ritmo vivacemente
contrappuntato nel gioco di domande e risposte e ad incastro tra i vari
strumenti, come Mozart era solito fare con estrema naturalezza e cordiale
schiettezza d'animo.

Divertimento in fa maggiore "Ein musikalischer Spass" (I musicanti del


villaggio), K 522
https://youtu.be/nGC7BWt9XFU

Allegro (fa maggiore)


Minuetto e Trio. Maestoso (fa maggiore)
Adagio cantabile (sol maggiore)
Presto (fa maggiore)

Organico: 2 violini, viola, basso, 2 corni


Composizione: Vienna, 14 giugno 1787
Edizione: Andrè, O"enbach 1801

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart scrisse il Musikalischer Spass, per due violini, viola, contrabbasso e due
corni K. 522, noto anche come «Scherzo musicale» o con il titolo «I musicanti
del villaggio», verso la metà di giugno del 1787, un paio di mesi prima della
Kleine Nachtmusik K. 525. Non si conosce l'occasione e il destinatario di
questo divertimento musicale in quattro tempi, ma è facile immaginare che si
tratti di una scherzosa parodia di un piccolo e modesto complesso orchestrale,
senza pretese sul piano dell'esecuzione. E' una deliziosa caricatura delle
composizioni artigiane in uso al tempo di Mozart, il quale mette a nudo con
bonomia i lati deboli e le banalità più dei compositori che degli esecutori da
strapazzo, riservando all'ascoltatore smaliziato una piacevole sorpresa a ogni
battuta. Tra l'altro questa composizione, unica nel suo genere, segna un
ritorno di Mozart alla forma del Divertimento e della Serenata, che in quel
tempo egli aveva abbandonato per dedicarsi alla sinfonia e al quartetto d'archi.

Il primo Allegro già mostra certe discontinuità di intervento dei vari strumenti,
che mirano a sottolineare il tono scherzoso della composizione, nata
probabilmente come una battuta di spirito durante una allegra chiacchierata
tra amici. Il Menuetto maestoso non si discosta da altri analoghi componimenti
con le parti solistiche concertanti. Il Trio in si bemolle è più lungo del
necessario e o"re al primo violino l'occasione per fare sfoggio di virtuosismo.
Alla fine ritorna il tema del minuetto. L'Adagio cantabile è sottolineato da
trovate curiose e banali e presenta una serie di accordi armonici che
appartengono al peggiore sentimentalismo di ogni compositore. Dopo essersi
divertito abbastanza, Mozart o"re nel Presto conclusivo un saggio della sua
disinvolta bravura armonica e contrappuntistica, tra fugati, trilli e rondò in un
incalzante rapido di note di indubbio e"etto estetico, quasi a riconciliarsi, con
un abbraccio amichevole, con i valori eterni della musica.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)


Il titolo apocrifo "Die Dorfmusikanten", ("I musicanti del villaggio") appiccicato
ad un'edizione ottocentesca di questa celebre partitura mozartiana, ne tradisce
alquanto il significato, ponendo a fin troppo facile bersaglio satirico l'imperizia
di un gruppo di poveri strimpellatori paesani, alle prese con un brano musicale
di qualche pretesa. Indulgente con i poveri diavoli (tutt'al più gratificati di
bonarie facezie: si vedano gli autografi dei Concerti per corno, dedicati ad un
esecutore non eccelso) Mozart sfoderava tutta la sua a!lata cattiveria
professionale quando aveva a che fare con presuntuose mediocrità: pianisti
cialtroni, italianucci rampanti, cantanti impettiti e ignoranti, compositori da
strapazzo. Proprio contro questi ultimi è diretta questa perfida satira in note
"Ein musikalischer Spass", una be"a in musica: sorta di saggio di composizione
al negativo, ossia quello che un buon musicista non deve fare.

"Corruptio optimi pessima", dice San Paolo, e da un arcangelo come Mozart,


impegnato a scimmiottare un brutto diavolo, c'è da aspettarsi di tutto. Tranne
qualche plateale sberle"o (come le finte "stecche" dei corni, nel Minuetto, o il
"cluster" politonale - fa maggiore, più sol maggiore, più la maggiore, più mi
bemolle maggiore, il tutto sopra il si bemolle del basso - che conclude
sarcasticamente il lavoro) la be"a in musica è molto fine, pensata per divertire
soprattutto il musicista con le carte in regola: e meglio conosce il suo
mestiere, questo musicista, più si diverte. Innanzitutto, la complessiva
go"aggine formale dei quattro regolamentari movimenti del divertimento; lo
squilibrio dei piani tonali; i giri armonici sgangherati che vanificano la
dinamica sonatistica arenando il discorso in sacche ripetitive. Poi le "quinte" e
le "ottave" per moto retto; le "false relazioni"; l'aborto di un'esposizione di fuga
che si perde per strada soggetto e controsoggetto (nel Finale); e quei
rudimentali bassi albertini che girano comicamente a vuoto, privi di melodia.

Ma v'è di meglio e di più sottile. Quel magniloquente motivo del primo violino,
che nell'Adagio cantabile spicca il suo volo da gallinaceo, starnazzando in go!
virtuosismi e ornamentazioni, per finire sul filo di una cadenza scolastica,
stiracchiata fino all'estenuatezza e conclusa da un trillo "da
pecora" (l'espressione è mozartiana). Quel Trio, nel Minuetto, impelagato in
figurazioni insignificanti, librate sopra paurosi vuoti armonici. Capolavoro di
cattiveria e di abilità nello scriver bene della musica mal scritta e peggio
pensata è il Finale, con l'asma cronica di quel suo temino miserabile, la
confusione mentale di quelle armonie, la dichiarata incapacità di sviluppare
un'idea, i già ricordati conati polifonici. La voglia irresistibile di ravvisare il
positivo mozartiano, dietro la smorfia di questo negativo, si appaga
facilmente, se si pensa che poco dopo "Ein musikalischer Spass" (giugno 1787)
nasceva l'angelica "Kleine Nachtmusik" K. 525: scritta come Mozart, ossia come
Dio comanda.
Giovanni Carli Ballola

Musica funebre massonica, K 477 (K 479a) "Maurerische Trauermusik"

https://youtu.be/E8Je07AWMhc

Adagio (do minore)

Organico: 2 oboi, clarinetto, corno di bassetto, controfagotto, 2 corni da


caccia, archi
Composizione: Vienna, 10 novembre 1785
Prima esecuzione: Vienna, Loggia "Zur wahren Eintracht", 17 novembre 1785
Edizione: Andrè, O"enbach 1805

Guida all'ascolto (nota 1)

Ad aprire negli anni viennesi nuove prospettive a Mozart, come uomo e come
artista, contribuì indubbiamente la massoneria, che allora attraversava un
periodo d'oro nella capitale dell'impero asburgico, anche per la protezione
accordatale da Giuseppe II. Quest'associazione non era allora tanto segreta,
anzi svolgeva la propria azione con una certa ostentazione: i distintivi massoni
venivano esibiti appesi alla catena dell'orologio, molti articoli di moda venivano
chiamati à la fanc-macon e ovunque erano stampate ed eseguite le musiche
massoniche. Molti vi aderirono per moda o per avere l'appoggio e la
protezione dei "fratelli" o magari per la speranza di avere la rivelazione di
grandi segreti esoterici, come la pietra filosofale o la comunicazione con gli
spiriti dei defunti. Ma gli ideali alla base della massoneria erano ben più alti: il
forte senso etico, l'amicizia e la fratellanza tra gli uomini, la liberazione
dell'umanità dall'oscurantismo e dalla superstizione.

Fu tra la fine del 1784 e l'inizio del 1785 che Mozart si iscrisse alla loggia "Alla
speranza incoronata nell'Oriente di Vienna", ritrovandosi in compagnia di
aristocratici, eruditi e artisti. La loggia richiese a Mozart varie musiche per i
propri riti, tra cui la più importante è la Maurerische Trauermusik (Musica
funebre massonica), probabilmente composta già nel luglio del 1785 ma
eseguita il 17 novembre nel corso di una cerimonia in memoria del conte Franz
Esterhàzy von Galantha, Gran Maestro della loggia, e di un altro fratello, il duca
Georg August von Mecklenburg-Strelitz. È un pezzo assai breve ma
estremamente significativo, sia per il suo intrinseco valore musicale sia per il
suo profondo significato spirituale.

Spicca nell'organico orchestrale della Musica funebre massonica la presenza di


tre corni di bassetto e un controfagotto, che le conferiscono un
particolarissimo colore velato e funereo. Ma ciò che ne fa qualcosa di unico nel
catalogo mozartiano è il modo con cui l'arcaismo di un tema scritto negli
antichi modi liturgici gregoriani viene incastonato in elementi audacemente
moderni. Inizia come una sorta di deplorazione, con lunghi accordi dei fiati
simili a profondi sospiri, intervallati da lunghe pause, su cui s'innesta una
dolente frase dei violini primi, punteggiata dai cupi interventi di corni e
controfagotto. Presto a!ora agli archi un ritmo che allude a
una marcia funebre, mentre oboi e clarinetti accompagnano con una sorta di
cantus frmus: è un dolore acuto e profondo, ma rattenuto e dignitoso, che non
cede alla disperazione. Tornano, ancora più so"erenti, i singhiozzi degli
strumenti a fiato, accompagnati ora dalle sincopi dei violini, e presto si è già
alla coda, conclusa da un accordo in do maggiore, che lascia intravedere un
raggio di speranza anche in questo momento di profondo abbattimento e
sconforto.

Mauro Mariani

Ouverture per l'opera "Don Giovanni", K 527

https://youtu.be/cNJKeBEzWC0

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni,


timpani, mandolino, archi
Composizione: Praga, marzo - 28 ottobre 1787
Prima esecuzione: Praga, Nationaltheater, 29 ottobre 1787
Edizione: Schott, Magonza 1793

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Don Giovanni, insieme al Flauto magico, rappresenta il punto più alto e


profondo del genio creativo di Mozart che con queste due opere in due atti
gettò le basi del melodramma romantico, la più popolare e spettacolare forma
di teatro musicale che tanto sviluppo ebbe non solo in Germania, ma in tutta
l'Europa. Il Don Giovanni fu scritto su commissione dell'impresario italiano
Pasquale Bondini, che compensò il musicista con cento scudi e fu
rappresentato all'Opera italiana di Praga il 29 ottobre 1787 con i seguenti
interpreti: Teresa Saporiti, Caterina Micelli, Teresina Bondini, Luigi Bassi,
Antonio Baghoni e Felice Ponziani. Il successo fu notevole (anche Casanova
sedeva fra il pubblico) e almeno pari a quello con cui erano state accolte l'anno
precedente Le nozze di Figaro al "Burgtheater" di Vienna. In questa città,
invece, il Don Giovanni allestito nel maggio del 1788 trovò scarsi e piuttosto
tiepidi consensi, anche se Mozart per questa seconda edizione aveva aggiunto
alcuni brani di notevole valore musicale, come la purissima aria del tenore
"Dalla sua pace la mia dipende" e la drammatica esplosione vocalistica di
Donna Elvira «Mi tradì quell'alma ingrata». Ma Mozart non si preoccupò
eccessivamente delle fredde reazioni dei viennesi e sembra che abbia
pronunciato il seguente commento: «Lasciate loro il tempo di digerirla».

L'opera, infatti, nel giro di pochi anni fu "digerita" in ogni angolo d'Europa e le
sue melodie erano conosciute e cantate in ogni ambiente, dal più ricco al più
povero. Senza contare poi che tutti i più importanti musicisti, da Haydn a
Beethoven, da Rossini a Gounod, da Wagner a Richard Strauss, ebbero una
particolare predilezione per questa partitura, concordando sostanzialmente
con le parole che Goethe scrisse a Schiller nel 1797: «Il Don Giovanni è opera
unica e meravigliosa nel suo genere; la morte di Mozart ci ha distrutto ogni
speranza di udire mai più qualcosa di simile».

L'ouverture del Don Giovanni fu scritta all'ultimo momento e poche ore prima
che l'opera andasse in scena. La stessa moglie Costanza narrò nel libro di
memorie mozartiane elaborato dal suo secondo marito, Georg Nissen, come il
musicista aveva composto la sinfonia. «L'antivigilia della prima (cioè il 27
ottobre), ultimata la prova generale - scrive Costanza - Mozart disse a sua
moglie che quella stessa notte avrebbe scritto l'ouverture; preparasse quindi
un punch, restando poi accanto a lui per tenerlo sveglio. Costanza per
assecondarlo cominciò a rievocare delle fiabe, come la lampada di Aladino,
Cenerentola e Ali Babà, il che fece ridere molto il maestro. Ma il punch gli
aveva aumentato il sonno ed egli si assopiva appena lei cessava di raccontare,
tornando invece alle sue carte quando Costanza riprendeva a parlare. Ad un
certo punto, però, visto che il lavoro non procedeva, lei gli disse di fare un
sonnellino, promettendogli di svegliarlo dopo un'ora. Senonché Mozart si
addormentò così profondamente che Costanza non ebbe il coraggio di
chiamarlo prima di due ore. Erano le cinque del mattino e il copista era
convocato per le sette. Alle sette l'ouverture era pronta».

L'ouverture è in forma bipartita e racchiude due temi che rappresentano una


sintesi sinfonica dell'opera. Il primo è un Andante in crescendo annunciato da
accordi gravi degli archi che richiamano la scena finale del Commendatore e
simboleggiano il destino vendicatore, mentre il secondo tema in tempo Molto
allegro vuole essere un ritratto strumentale del «giovane cavaliere
estremamente licenzioso». Questa vigorosa pagina, che anticipa le ouvertures
di Beethoven e Cherubini, segue di qualche mese l'Eine kleine Nachtmusik e
precede di poco le ultime tre sinfonie: la K. 543 in mi bemolle maggiore
(giugno 1788), la K. 550 in sol minore (luglio 1788) e la K. 55] "Jupiter" in do
maggiore (agosto 1788).

Rondò per violino e orchestra in si bemolle maggiore, K 269 (K 261a)

https://youtu.be/TLJfw3GA7vg
Allegro (si bemolle maggiore)

Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi


Composizione: Salisburgo, fine 1776

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Come finale alternativo per il Concerto K. 207 Mozart scrisse, alla fine del
1776, il Rondò in si bemolle maggiore K. 269 (Allegro). Vi fu probabilmente
indotto da Brunetti, che non dovette trovare di suo gusto il finale originario
(forse perché non concede molto al virtuosismo strumentale). Mozart abbozzò
dunque un nuovo brano, nella forma più «disimpegnata» e meno problematica
del rondò: un tema sciolto ed elegante, dalla natura quartettistica, si alterna a
una serie di episodi ora virili, ora ombrosi, ora drammatici. Con una spiritosa
trovata, l'orchestra e il violino ingannano l'orecchio, da ultimo, con un «falso»
attacco del ritornello, prima che la consueta cadenza solistica sfoci nel vero
ritornello conclusivo.

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Forse destinata al violinista della corte salisburghese Antonio Brunetti, questa


composizione è databile intorno alla fine del 1776 in un periodo dedicato in
realtà alla composizione di musica sacra. Il Rondò K 269, pur appartenendo
indubbiamente allo stile galante, è esente da manierismi fini a se stessi; prova
ne è il delicato cromatismo che segna alcuni dei temi melodici e il gusto
cameristico che lo avvicina più alla forma di un Quartetto che a quella di un
semplice Divertimento.

Serenata n. 1 in re maggiore per orchestra "Final-musik", K 100 (K 62a)

https://youtu.be/CYM6PzuhSBc

Allegro (re maggiore)


Andante (re maggiore)
Minuetto (sol maggiore)
Allegro (re maggiore)
Minuetto (re maggiore)
Andante (la maggiore)
Minuetto (re maggiore)
Allegro (re maggiore)

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi


Composizione: Salisburgo, estate 1769

Guida all'ascolto (nota 1)

Il 1769 fu per Mozart ragazzo un anno di intenso studio, dopo le lunghe


tournées che il padre Leopoldo gli aveva fatto fare attraverso alcuni dei
principali centri musicali di Europa, presentandolo come «enfant prodige» nel
virtuosismo strumentale e nell'arte della composizione: a tredici anni,
insomma, Mozart poteva dire di aver fissato nella sua prodigiosa sensibilità un
cumulo enorme di esperienze e di aver conosciuto quasi tutti gli «stili» della
musica europea del suo tempo. Non aveva ancora realizzato il suo sogno di un
viaggio in Italia (partì alla fine del 1769, quando la Serenata oggi in
programma era già stata composta), ma certo conosceva già le composizioni di
molti maestri italiani, attraverso la di"usione capillare che la musica italiana si
era assicurata nei paesi tedeschi come a Parigi.

La Serenata in re maggiore K. 100 fu composta nel 1769; forse si trattò di un


lavoro su commissione, ordinato al ragazzo per qualche festa all'aperto. E'
certo però che si tratta di un'opera singolare per l'accuratezza formale e per il
candore con cui gli otto tempi si di"erenziano l'uno dall'altro sulla falsariga di
modelli consueti: il tono generale è piacevole e brillante, il colore degli
strumenti a fiato è valorizzato con sapienza (insieme con gli archi l'organico
dell'orchestra prevede due flauti, due oboi, due trombe e due corni); e se il
ricordo della musica francese e di quella di Michael Haydn guidano le scelte del
giovanissimo maestro, una personale vigoria di segno caratterizza gli sviluppi
tematici.

Leonardo Pinzauti

Serenata n. 4 in re maggiore per piccola orchestra, K 203 (K 189b)

https://youtu.be/5ecohLqG70A

Andante maestoso (re maggiore). Allegro assai (re maggiore)


Andante (si bemolle maggiore)
Minuetto (fa maggiore). Trio
Allegro (si bemolle maggiore)
Minuetto (re maggiore). Trio (la maggiore)
Andante (sol maggiore)
Minuetto (re maggiore). Trio (re minore)
Prestissimo (re maggiore)

Organico: 2 oboi o flauti, fagotto, 2 corni, 2 trombe, archi


Composizione: Salisburgo, Agosto 1774

Va eseguita con la Marcia introduttiva K 237 (K 189c)

Guida all'ascolto (nota 1)

Mozart ci ha lasciato in tutto tredici Serenate, di cui ben otto nella tonalità di re
maggiore. Mozarl non discriminò con molta esattezza i termini di Cassazione,
Divertimento e Serenata nell'intitolare le sue composizioni. Del primo termine
fece anzi uso soltanto in due composizioni giovanili del 1769. Ma anche la
prima Serenata, che è dello stesso anno, può essere considerata una
Cassazione. In genere i Divertimenti, comunque, si richiamano più da vicino
alla musica da camera e richiedono complessi di solisti per la loro esecuzione,
laddove le Serenate mostrano una maggiore a!nità con la musica orchestrale
(sinfonia e concerto per strumento solista). Ciò non toglie che, ad esempio, le
ultime Serenate, le tre per strumenti a fiato del 1781-82 e quella per archi del
1787 (la celebre «Eine kleine Nachtmusik») siano chiaramente concepite per
complessi solistici. Alla tipologia propria della Serenata (cinque movimenti di
carattere sinfonico con l'interpolazione di due o tre movimenti di concerto
solista) si richiama in realtà soltanto un gruppo di 5 Serenate, scritte tra il
1773 e il 1779, tutte in re maggiore: K. 185 (E. 167a) del 1773, K. 203 (E.
189b) del 1774, K. 204 (E. 213a) del 1775, K. 250 (E. 248b) del 1776, K. 320
(E. 320) del 1779. Si tratta di composizioni che nascono da occasioni di
celebrazioni festive e risentono di questa loro destinazione nel tono gioioso e
vivace, nella ricchezza ornamentale della scrittura, nella conversatività
lietamente dialogante che ne caratterizza il discorso strumentale. Le
interpolazieni in forma di concerto per strumento solista e orchestra sono
ricche di virtuosismo.

Non si conosce l'occasione per la quale Mozart scrisse la Serenata in re


maggiore K. 203 (E. 189b) nell'agosto 1774. Il Niemtschek suppone che essa
fosse destinata a celebrare l'onomastico dell'arcivescovo di Salisburgo,
Jeronymus Colloredo, che cadeva il 30 settembre. L'Einstein esprime i suoi
dubbi su questa supposizione, peraltro non su"ragata da alcun documento.

Nella loro pubblica o privata esecuzione per la festività cui erano destinate le
Serenate erano in genere precedute e seguite da una Marcia. Le Marcie delle
Serenate di Mozart ci sono pervenute staccate dalla composizione principale
cui erano destinate. Alla Serenata del 1774 era connessa la Marcia in re
maggiore K. 237 (E. 189c), scritta per un organico pressocchè uguale: 2 oboi,
2 fagotti, 2 corni, 2 trombe e archi senza viole la Marcia, 2 oboi (sostituibili
con 2 flauti), fagotto, 2 corni, 2 trombe e archi la Serenata. Tra la Marcia K.
237 e l'andante maestoso che apre la Serenata K. 203 è tra l'altro
evidentissima la connessione tematica. L'allegro che segue ha tratti di nobile,
maestosa solennità, è riccamente sviluppato ed ha caratteristiche che lo
avvicinano di molto alle contemporanee Sinfonie. I movimenti dal secondo al
quarto (andante - minuetto e trio - allegro) costituiscono il Concerto per
violino e orchestra interpolato nella Serenata, «pienamente sviluppato, una
vera e propria composizione inserita in un'altra e non un semplice episodio»,
come scrive l'Einstein, il quale sottolinea tra l'altro la parentela che lega «il
contrasto tra la melodia principale e l'intercalare chiacchierino degli oboi e
delle viole» nell'andante e quello «che si riscontra nel quartetto in si bemolle
del Don Giovanni fra Donna Anna e Don Ottavio da una parte e Donna Elvira e
Don Giovanni dall'altra». Il Concerto è anch'esso nella tonalità di si bemolle,
con il movimento centrale (minuetto e trio) in fa maggiore. Il quinto
movimento della Serenata e di nuovo un minuetto e trio che riporta alla
tonalità fondamentale di re maggiore (col trio in la maggiore). Il successivo
andante, in sol maggiore, è di una tenera riflessività ed è essenzialmente
a!dato ai violini e agli oboi. Il terzo minuetto e trio (settimo movimento, col
trio in re minore) riporta nuovamente alla tonalità fondamentale, che trionfa
nel finale prestissimo. La più articolata varietà di colorazioni e di espressioni si
congiunge nella Serenata in re maggiore all'unitarietà della concezione
tematica, alla perfetta simmetria delle strutture, alla omogeneità dei toni
a"ettivi, nella totale pienezza creativa che contraddistingue tutta l'opera di
Mozart.

Carlo Marinelli

Serenata n. 5 in re maggiore per orchestra, K 204 (K 213a)

https://youtu.be/yIc8JK-aSZw

Allegro assai (re maggiore)


Andante moderato (la maggiore)
Allegro (la maggiore)
Minuetto I (re maggiore)
Trio (la maggiore)
Andante (sol maggiore)
Minuetto II (re maggiore)
Trio (sol maggiore)
Andantino grazioso (re maggiore)
Allegro (re maggiore)

Organico: 2 oboi (anche flauti), fagotto, 2 corni, 2 trombe, archi


Composizione: Salisburgo, 5 agosto 1773
Prima esecuzione: Salisburgo, Logiker-Universität, 9 agosto 1773

Guida all'ascolto (nota 1)

Delle tredici Serenate composte da Mozart, questa in re maggiore K. 204 non è


certo all'altezza delle più mature e celebri, la Notturna per due orchestre, la
Ha"ner, l'eccelsa Eine Kleine Nachtmusik. Si iscrive tuttavia nella serie che
conosce non rari brani di maniera, con una sua fresca e brillante originalità,
una ricchezza di estro e d'inventiva, che ribadiscono il talento mozartiano nel
piegare alla propria rigenerante fantasia, ogni genere per quanto
convenzionale. In realtà è con l'imporsi e il mettersi a fuoco della Sinfonia, con
la sua struttura formale nella quale si riconosce un ben definito schema di
pensiero (o il modo di sentire e di riflettere sui moti della vita da parte della
cultura dominante), che la forma della Serenata tende a dirottare l'antica Suite
strumentale da cui deriva in direzioni meno impegnative, inclini al piacevole
intrattenimento, alla musica financo decorativa di società. Vero è che il numero
non prestabilito dei tempi, quasi a preservare una libertà di movimento e cioè
di durata e configurazione del pezzo in rapporto alle occasioni cui veniva
destinato, o"re anche la possibilità di un divagare più autonomo dai moduli
prefigurati, talché spesso è qui che si ritrova anche in Mozart un preferenziale
ricorso alle danze e alle melodie popolari, quasi un anticipo dei romantici
approdi alla musica nazionale; e tuttavia come i Divertimenti o le Cassazioni,
generi a!ni, anche le Serenate restano per Mozart stesso ai margini delle sue
più impegnative prove, illuminate semmai dalla sua sensibile capacità di
trasformare il gusto dell'intrattenimento musicale, in musica contrassegnata da
una sublime creatività.

Composta nell'agosto del 1775, la Serenata infila uno dopo l'altro sette tempi
contrassegnati da un vivo piacere per l'esibizione brillante di un virtuosismo
compositivo tuttavia mantenuto in una gradevole pacatezza di gesto
adornativo. Ciò che colpisce e a"ascina, è dìfatti l'equilibrio con cui Mozart
sembra aggirare le formule consuete, cui pure fa riferimento, per dare proprio
attraverso esse l'immagine di una musica legata ai riti di un ambiente, di un
consumo, di una moda perfino, e che però non soggiace a queste sue
obbligate determinazioni, bensì le assume per darci con stilizzato e
disincantato fervore fantastico, il quadro vivacissimo d'un aspetto particolare
del suo mondo musicale.

Luigi Pestalozza

Serenata notturna n. 6 in re maggiore per due piccole orchestre, K 239

https://youtu.be/gIrO_d3uJjg
Marcia. Maestoso (re maggiore)
Minuetto (re maggiore)
Rondò. Allegretto (re maggiore)

Organico: Orchestra A: archi; Orchestra B: archi, timpani


Composizione: gennaio 1776

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

È nel corso degli anni Settanta del Settecento, che il catalogo strumentale di
Mozart si arricchisce di numerosi brani ascrivibili a generi "minori", che sono
fra loro piuttosto assimilabili, nonostante le terminologie divergenti:
Divertimento, Cassazione, Serenata, Notturno. Con questi nomi, nella civiltà
musicale del secondo Settecento, si intendeva un genere compositivo di
di!cile definizione; non legato a precise regole costruttive e al rispetto di un
determinato organico strumentale, poteva essere un brano di dimensioni
impegnative o contenute, a!dato a un solo esecutore o a un cospicuo
ensemble da camera. Una distinzione più precisa separava il Divertimento -
termine impiegato in genere per composizioni che mantenevano un organico
cameristico, con un numero di esecutori piuttosto ridotto e con esecuzioni "in
parti reali" - dalla Serenata, che implicava in genere maggiori ambizioni di
organico e durata. In definitiva ciò che accomunava sotto uno stesso nome
composizioni tanto dissimili era la loro particolare destinazione di
intrattenimento; in una cittadina di provincia, come la Salisburgo dei Mozart,
ogni famiglia aristocratica o alto borghese esercitava una piccola azione di
mecenatismo - finalizzata a dare lustro alla propria casata - commissionando
ai musicisti locali delle Serenate, appunto - o dei Divertimenti, Cassazioni, ecc,
- che celebrassero particolari occasioni o ricorrenze, o anche semplicemente
allietassero la vita di tutti i giorni.

Tutte nella tonalità di re maggiore, le numerose Serenate create, fra il 1773 e il


1779, per specifiche occasioni mondane e celebrative salisburghesi, di cui non
sempre abbiamo notizia precisa, si delineano come lavori generalmente in
sette o otto movimenti, preceduti da una Marcia introduttiva, che ha un
numero di catalogo a parte.

Caso a sé stante è quello della Serenata notturna in re maggiore K. 239 -


l'aggettivo "notturna" può essere correlato con l'orario dell'esecuzione, ma
anche con il contenuto musicale. È possibile che il clima festoso della partitura
sia da mettersi in relazione con il Capodanno 1776; ma la caratteristica che più
contraddistingue la Serenata è quella di essere pensata per due gruppi
strumentali contrapposti, che verosimilmente dovevano essere collocati a una
certa distanza per sfruttare i calibrati e"etti d'eco fra l'uno e l'altro gruppo. Ci
troviamo così di fronte a un quartetto d'archi solista che si contrappone a una
piccola orchestra d'archi con timpani. In questo caso la Marcia entra a far parte
integrante della Serenata, come primo tempo; la pagina appare solenne e
briosa, e sfrutta, con e"etti d'eco sorprendenti, la contrapposizione fra i due
gruppi strumentali, soprattutto nella sezione dello sviluppo. Segue un grazioso
Menuetto e Trio; nel Menuetto le due orchestre si alternano in modo più
marcato, mentre il Trio è a!dato al solo quartetto d'archi. Infine il Rondò è
caratterizzato da episodi diversificati, con un forte gusto del contrasto, che
vede anche un episodio in minore e una nuova marcia viennese.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Serenata notturna in re maggiore K. 239 è stata composta da Mozart nel


1776. A giudizio dei più autorevoli esegeti dell'opera, si tratta di uno dei più
squisiti lavori del periodo della prima maturità del compositore. La Serenata
notturna è scritta per un complesso piuttosto insolito, o meglio per due
complessi strumentali. L'uno si presenta come un «concertino» composto di
due violini, viola e contrabasso. L'altro include il «ripieno» dato dalla massa
degli archi con in più i timpani. Il lavoro si suddivide in tre parti: una Marcia
che incede in tempo Maestoso; un Minuetto con un Trio a!dato al solo
«concertino»; un Rondò finale (Allegretto) in cui s'intrecciano come,
«intermezzi» un espressivo Adagio e un motivo da Marcia viennese.

Roman Vlad

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

«Un canto semplice e fluente, armonizzato nel modo più consonante»: questa
la raccomandazione del teorico Johann Georg Sulzer, nel suo trattato di
estetica (1774), a chi voglia scrivere una serenata. La musica che appartiene a
questo genere, dunque, deve essere in primo luogo piacevole, eufonica e
accattivante; e infatti si serve spesso, a questo scopo, di motivi popolari come
danze, lieder, melodie alla moda provenienti dal teatro musicale. All'epoca di
Mozart, la serenata - o Nachtmusik, che è il termine tedesco equivalente - è
nella fase della sua massima fortuna e incontra il favore di diversi ceti sociali e
diverse culture. «Nelle belle notti d'estate ci si può imbattere in serenate nelle
strade a tutte le ore. [...] Appena viene intonata una serenata, tutte le finestre
si riempiono e in pochi minuti i musicisti sono sovrastati da una corona
plaudente», scriveva nel 1794 un foglio viennese, il Wiener Theater-Almanach,
parlando di un genere in gran voga nella capitale asburgica. Le musiche da
suonare all'aria aperta - cassazioni, divertimenti, notturni, serenate -
composte dai musicisti viennesi, e la loro popolarità, sono la testimonianza
tangibile di un fenomeno lentamente verificatosi nel corso del Settecento: il
riavvicinamento tra musica di strada e musica colta. A Vienna s'era avviato un
proficuo processo di contaminazione, o meglio di osmosi: da una parte la
musica d'arte accoglieva temi di lieder e canzoni popolari, dall'altra melodie
«colte» - provenienti soprattutto dal teatro musicale - conoscevano
adattamenti d'ogni sorta per i complessi che si esibivano nelle strade, nei
cortili, nelle case private.

La prassi era di"usa anche altrove, nei paesi di lingua tedesca. Ogni città aveva
le proprie tradizioni. A Salisburgo, per esempio, l'evento annuale che forniva
l'occasione per eseguire serenate notturne all'aperto era la fine degli esami
all'università, nel mese di agosto, quando gli studenti attraversavano la
Salzach, accompagnati da un complesso che suonava una marcia, per recarsi
nei giardini di Palazzo Miraceli, residenza estiva dell'arcivescovo. Qui venivano
eseguiti in suo onore vari brani musicali; poi tutti facevano ritorno al collegio
universitario, dove si suonava una serenata in onore dei professori (anche
Mozart scrisse tre cassazioni a questo scopo, nell'estate del 1769).

Anche se la tradizione è molto più antica, è negli ultimi decenni del Settecento
che il genere della serenata strumentale si codifica, nei paesi danubiani, in una
forma determinata. Indossa allora una veste autonoma, articolata in diversi
movimenti, alcuni dei quali possono assumere dimensioni ampie e un grado
maggiore di elaborazione, altri possono ispirarsi a semplici schemi di danza.
Tutti, in ogni caso, sono contraddistinti da un carattere di facile comunicativa,
di piacevole colloquialità.

La Serenata in re maggiore K 239, detta «Serenata notturna», fu scritta nel


gennaio 1776 a Salisburgo, per un'occasione che ci è ignota. Presenta almeno
due vistose anomalie per il genere cui appartiene: in primo luogo non è
costituita dalla consueta, ampia successione di brani, poiché si esaurisce in tre
soli movimenti. In secondo luogo prevede due distinti gruppi di archi (che
durante l'esecuzione erano probabilmente collocati in luoghi diversi), con
l'aggiunta di una coppia di timpani. Non conosciamo il motivo di una scelta
così insolita. Ci limitiamo a osservare che essa ricorda la tecnica barocca del
concerto grosso e attesta la sopravvivenza, in un'età forse inattesa, di una
prassi ben più antica. Le parti del primo gruppo strumentale vengono
realizzate da quattro archi solisti, quelle della seconda orchestra da un gruppo
più nutrito: come in un concerto barocco, il concertino si oppone al tutti di
ripieno. I due gruppi si di"erenziano anche per il tipo di scrittura, che per i
solisti è più galante e ra!nata.

La Serenata inizia con la Marcia di prammatica (Maestoso); segue poi un


Menuetto, nel quale la sonorità piena ed enfatica del minuetto si contrappone
a quella più sottile del Trio, a!dato agli archi solisti. In chiusura è collocato un
Rondeau (Allegretto) dalle ampie dimensioni. Il tema principale è articolato in
quattro sezioni distinte e ritornellate; anche qui imperversa il gioco
dell'alternanza sonora, con l'orchestra di ripieno che interviene a sottolineare
ogni volta la conclusione delle sezioni con una fanfara ironica e inaspettata.
Un'altra singolarità è costituita dal primo episodio, in tempo Allegro: Mozart
introduce a questo punto, a sorpresa, un tema dal carattere molto spiccato e
dalle inflessioni vagamente popolaresche. Ma è tutto il movimento, in generale,
a essere dominato da quella giocosa ironia che sappiamo essere un tratto fra i
più caratteristici della personalità mozartiana.

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Mimesi di un omaggio celebrativo durante determinate ricorrenze festive, la


serenata strumentale del Settecento in Austria si identifica nelle eleganti
piacevolezze del ra!nato milieu dei committenti che queste composizioni
amavano per lo più godersi in giardino, di sera, — ma anche nelle sale dei
palazzi —, allietati dalla festosa presenza dei loro ospiti.

Al suono di una marcia cavalleresca si annuncia l'arrivo e la dipartita dei musici


e, appunto, una marcia suggella il primo movimento e l'ultimo della serenata,
mentre uno o più minuetti — mutuati dalla «suite» barocca — alludono con
perfetta stilizzazione alle danze della serata.

In questa gioiosa dedizione alla realtà mondana che non prevede cesure e dalla
quale anzi emerge una caratteristica coincidenza fra sensibilità e ragione, fra
natura e civiltà, Mozart seppe creare degli autentici gioielli, com'è il caso della
serenata «Ha"ner» o della coeva K. 239. Composta a Salisburgo nel gennaio
del 1776 — il titolo di «Serenata notturna» fu apposto sul manoscritto dal
padre Leopold —, l'opera contrappone secondo uno schema a!ne a quello del
concerto grosso barocco, un concertino (due violini, viola, contrabbasso] al
«ripieno» di archi e timpani.

Ricco di humour nei felici e"etti timbrici di luce e ombra che «soli» e «tutti»
determinano, ritmicamente estroso, il lavoro scorre con serena fluidità nella
dimensione ideale di un tempo che è insieme scherzoso e serio, ammiccante e
compassato.

La serenata si apre con una «Marcia» ben scandita dai timpani e incisivamente
decisa (ritmi puntati, staccato, pause), all'interno della quale si isolano dieci
battute, elaborate sullo stesso materiale tematico, ma diverse nello spirito.
Delicato e leggero, infatti, il disegno dei due violini principali si stempera sul
rarefatto pizzicato del ripieno.

Dopo un «Minuetto» con «Trio» nel quale Mozart utilizza il caratteristico ritmo
lombardo, assai in voga fin dal '600, il «Rondò» finale lascia largo spazio agli
interventi solistici del concertino, in un variato succedersi di episodi:
«Allegretto», «Adagio», «Allegro». Nel primo e nell'ultimo fa capolino con le
ironiche movenze dei suoi trilli e delle sue scalette un tema militare viennese
assai noto al pubblico di Salisburgo, mentre il breve inciso dell'«Adagio»
indulge verso una pensosa seriosità, volutamente contrastante.

Fiamma Nicolodi

Serenata n. 7 in re maggiore per orchestra "Ha!ner", K 250 (K 248b)

https://youtu.be/3O1G2IV9kHg

Allegro maestoso (re maggiore)


Andante (sol maggiore)
Minuetto I (sol minore) - Trio (sol maggiore)
Rondò. Allegro (sol maggiore)
Minuetto II galante (re maggiore) - Trio (re minore)
Andante (la maggiore)
Minuetto III (re maggiore) - Trio I (sol maggiore) - Trio II (re maggiore)
Adagio (re maggiore). Allegro assai (re maggiore)

Organico: 2 oboi o flauti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, archi


Composizione: Salisburgo, luglio 1776
Prima esecuzione: Salisburgo, Residenz-Theater, 21 luglio 1776
Edizione: Andrè, O"enbach 1792

Contiene un piccolo concerto in sol maggiore per violino ed orchestra

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le Serenate, i Divertimenti, le Cassazioni e i pezzi che prendono il nome di


musiche notturne sono legati al gusto settecentesco di far musica insieme e
riflettono una identica struttura formale in cui si alternano movimenti di danza
e passaggi solistici e virtuosistici, riservati ad esecutori bravi e di talento, ma
non necessariamente eccezionali. Per questa ragione le Serenate e i
Divertimenti per archi e per strumenti a fiato sono musiche di gradevole
ascolto, dalla scrittura semplice e lineare e dai segni armonici chiari e precisi,
che denotano un classicismo equilibrato e sereno. Si avverte certamente la
presenza di uno stile cameristico di solida fattura e di illuministica intelligenza,
ma si è ancora lontani dal grande Mozart caratterizzato da una inesauribile
forza creativa e da una profonda personalità espressiva. Il dato rilevante delle
Serenate e dei Divertmrenti è la limpidezza e la trasparenza quartettistica del
suono e l'omogeneità e la fusione degli impasti strumentali, in ubbidienza alle
regole di un discorso musicale accessibile a tutti e senza quei risvolti tragici e
quei tormenti spirituali che pur esistono nell'arte mozartiana.

Un esempio tra i più riusciti e brillanti di Serenate mozartiane è la cosiddetta


«Ha"ner» in re maggiore composta per le nozze della figlia del borgomastro di
Salisburgo, Sigmund Ha"ner, ricco e munifico commerciante, al quale Mozart
dedicherà anche la Sinfonia in re maggiore K. 385 per festeggiare l'ingresso
nel circolo della nobiltà di tale personaggio. Questo delizioso carme nuziale
venne eseguito per la prima volta il 21 luglio 1776 a Salisburgo, in occasione
di una festa notturna che precedette il matrimonio. E' probabile, come scrive il
Saint-Foix, che alla esecuzione partecipasse lo stesso Mozart nel ruolo di
violinista, rendendo ancora più indimenticabile la serata.

La Serenata è articolata in otto tempi che si succedono con gustosa varietà


melodica e tematica. Il primo tempo è un Allegro maestoso dal ritmo sostenuto
e ben marcato, cui segue un Allegro molto a!dato alla frase brillante degli
archi, sostenuti dal colorito cadenzare dei corni e delle trombe. Non mancano
momenti di più distesa cantabilità disegnata dai violini, ma si ritorna presto ad
una figurazione ritmica vivace. Il secondo tempo è un Andante di straordinaria
delicatezza espressiva nella tonalità di sol maggiore; protagonista è il violino
solista, sorretto dagli accordi sincopati degli altri archi e a volte impegnato in
passi virtuosistici. Ecco quindi il primo Minuetto in sol minore infiorato di
eleganti modulazioni, in antitesi con il tono del Trio, dove ricompare la voce
del violino solista. Il quarto tempo è un Rondò in sol maggiore, dal moto
perpetuo scorrevole e scintillante e particolarmente vario nelle armonie e nei
ritmi. Nel quinto tempo ritorna un Minuetto dalle garbate galanterie, cui segue
un Trio segnato dal tema dei violini. Nel sesto tempo si ascolta un Andante in
la maggiore increspato di dolci sonorità, senza troppo sentimentalismo. Il
settimo tempo è di nuovo un Minuetto dal tema più frizzante che galante,
integrato da due Trii, in cui si mettono in evidenza il flauto, il fagotto e i
violini. Dopo un Adagio in re maggiore, la Serenata si conclude con un
elegante e fosforescente Allegro assai, che sembra rievocare l'atmosfera
danzante della festa nuziale, magari in giardino o sotto un pergolato
illuminato dalle candele.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Della Serenata in re maggiore K 250 «Ha"ner» conosciamo, a di"erenza di altri


lavori mozartiani dello stesso tipo, l'occasione per la quale fu composta. Per il
matrimonio di Marie Elisabeth Ha"ner - figlia del facoltoso borgomastro
salisburghese Siegmund Ha"ner - con Franz Xaver Spath, il fratello della sposa
commissionò a Mozart una composizione musicale da eseguire, la sera prima
delle nozze (il 21 luglio 1776) e in segno di omaggio, nel giardino di casa
Ha"ner. Mozart o"rì ai suoi committenti, per l'occasione, un prodotto molto
particolare: un lavoro orchestrale ampio, articolato in molti movimenti e con
un organico straordinario (che prevede, oltre agli archi, due flauti, due oboi,
due fagotti, due corni, due trombe e un violino con funzione concertante); gli
applicò inoltre un inconsueto livello di elaborazione tecnica e sfruttò una rosa
molto ampia di registri espressivi, che vanno dal grazioso al patetico,
all'umoristico, al confidenziale, senza escludere occasionali incursioni in quel
lato tenebroso e pessimista che era altrettanto caratteristico della sua
personalità. Con questo lavoro, insomma, Mozart innalzò il genere della
serenata in una sfera artistica molto superiore a quella consueta.

La Serenata K 250 rientra nella tipologia delle serenate salisburghesi, che


contano da sette a nove brani musicali, fra i quali figurano sino a tre minuetti,
ciascuno dotato di un trio fortemente contrastante; il genere prevede anche
due-tre pezzi concertanti, una scrittura prevalentemente cameristica, arricchita
da preziosi contrasti timbrici. Non poteva mancare, inoltre, una marcia, un
brano indipendente che i musicisti salisburghesi eseguivano camminando,
mentre si recavano sul luogo in cui avrebbero eseguito la serenata. La Marcia K
249, che Mozart compose espressamente per quell'occasione e che terminò di
scrivere solo il giorno prima, venne suonata all'inizio e alla fine della Serenata
«Ha"ner». È caratterizzata da una gestualità imperiosa e solenne, da ritmi
puntati che richiamano un'ouverture francese; la forma acquista una certa
ampiezza grazie alla ripresa (seppur incompleta) della prima parte.

Il primo movimento della Serenata in re maggiore K 250 «Ha"ner» inizia con


un'introduzione in tempo Allegro maestoso, ampia e ricca di contrasti; vi
compaiono anticipazioni tematiche dell'Allegro molto successivo (in
particolare, il tema della transizione), oltre che del Rondò. L'Allegro molto
segue il consueto schema della forma sonata. Il tema principale, scattante,
propaga la sua energia a tutto il movimento; ma è anche lo sfarzo sonoro che
dà a questa pagina un'impronta tipicamente sinfonica, accresciuta anche dalla
teatralizzazione del contrasto tematico pronunciato (il secondo tema è
fortemente antitetico al primo).

Elementi assai tipici della serenata, quali una cantabilità espansiva e facilmente
comunicativa, emergono nell'Andante. Il brano prevede un «violino principale»
ed è strutturato come un tempo di concerto solistico, nel quale al tutti
orchestrale si alternano episodi condotti dal violino solo; la musica è dolce e
intima, mai o"uscata da increspature di sorta.
Un radicale rovesciamento d'atmosfera avviene con il primo Menuetto della
Serenata. Il modo minore, le tensioni ritmiche e armoniche introducono un
elemento di e!cace contrasto - quasi un ospite che, indesiderato, si intrufola
tra i convitati - nel clima festoso del lavoro mozartiano. Spicca ancor più, in un
contesto così scuro, l'atmosfera distesa del Trio, nel quale il violino solista
resta in compagnia unicamente di flauti, fagotti e corni.

Il Rondeau (Allegro), dal tema giocoso, è caratterizzato anch'esso da una


scrittura concertante: passi solistici del violino si alternano al tutti orchestrale.
Mozart vi applica lo schema formale, prediletto, del cosiddetto «rondò-
sonata»: un tema principale funge da ritornello e si alterna ad alcuni episodi;
ma il primo di essi, nella tonalità della dominante, è ripreso poco prima della
conclusione e ricondotto alla tonica.

Il secondo minuetto della Serenata porta il titolo di Menuetto galante:


probabilmente per di"erenziarsi dal primo minuetto, così cupo e patetico. Il
brano assume, infatti, un tono piacevole e grazioso. Anche in questo caso, il
Trio porta con sé un cambiamento di atmosfera: il modo muta in minore, la
sonorità si riduce, mantenendosi nel piano, l'orchestra si limita ai soli archi.

L'Andante, un brano ricco di grazia e amabilità, dalla scrittura cameristica,


mostra una soluzione formale fantasiosa e finemente ra!nata. Lo schema
utilizzato è, sostanzialmente, quello del rondò, con un tema principale
costituito da tre distinti motivi che vengono variamente ricombinati nei
successivi ritornelli. Mozart applica, al tempo stesso, il principio sonatistico,
dal momento che imposta il primo episodio nel tono della dominante e lo
riprende, riconducendolo alla tonica, prima dei ritornelli conclusivi. Ma non è
tutto: un terzo principio formale, qui messo in opera, è quello della variazione.
Il motivo A, infatti, non si ripresenta mai uguale a se stesso; i ritornelli, che lo
riprendono, sottopongono il motivo a una variazione vera e propria. L'Andante
è dunque ispirato a un gioco formale estremamente sofisticato, nel quale
princìpi diversi e apparentemente incompatibili vengono sottilmente
intrecciati.

La successione dei brani prevede ancora un terzo Menuetto, dall'atmosfera


festosa, più ampio dei precedenti perché presenta un doppio Trio. Nel primo di
essi la sonorità si riduce, a!dando il gioco delicatamente concertante al flauto
e al fagotto con il discreto sostegno degli archi. Al secondo Trio, nel quale la
melodia principale è condotta dai flauti, dà la sua impronta particolare il
timbro degli ottoni, con i corni e un caratteristico profilo ritmico della tromba.

Il movimento conclusivo della Serenata segna il ritorno alla scrittura sinfonica


del primo movimento, del quale riprende anche l'impianto formale:
un'introduzione in tempo lento (Adagio) seguita da un movimento in forma
sonata (Allegro assai). L'Adagio attacca piano, con una melodia trasognata,
quasi nostalgica; l'Allegro assai porta invece a un mutamento radicale
d'atmosfera. Già a partire dal tema principale, ridotto ai minimi termini
melodici, mobile e nervosamente ritmico, il movimento si sviluppa nel segno di
una straordinaria, festosa irruenza.

Claudio Toscani

Serenata n. 8 in re maggiore per quattro orchestre "Notturno", K 286 (K


269a)

https://youtu.be/RZPQjXiu8xQ

Andante (re maggiore)


Allegretto grazioso (re maggiore)
Minuetto (re maggiore)

Organico: 4 orchestre composte da 2 corni, archi


Composizione: Salisburgo, dicembre 1776

Guida all'ascolto (nota 1)

La Serenata K. 286 risale all'inverno 1776-77, ed è senz'altro una della più


originali fra le moltissime pagine da intrattenimento composte da Mozart negli
anni di Salisburgo. Rispetto allo svolgimento tradizionale delle composizioni
nel genere della serenata, il numero dei tempi è assai ridotto, così come è
insolita la loro stessa scelta e successione. Ma ancora più anomala è la
moltiplicazione in quattro gruppi del consueto organico strumentale, sì da
ottenere un triplo e"etto d'eco. Una particolarità questa che naturalmente
conta numerosi precedenti, ma che in Mozart ventunenne non rimane ristretta
all'ambito di una gratuita bizzarria, ma piega lo humour e la compiaciuta
abilità tecnica (anche nel collocare la musica nello spazio) a proposte
espressive di speciale ed elegantissima suggestione. I tre tempi sono basati su
e"etti d'eco che si propagano da un'orchestra all'altra in misura via via
raccorciata e ravvicinata fino a sovrapporsi o persino a moltiplicarsi per
imitazione all'interno di ogni singola compagine. Soltanto il Trio del Minuetto
finale è intonato senza tale e"etto dagli archi, tutti o di una delle orchestre,
con esclusione dei corni.

Serenata n. 9 in re maggiore per orchestra "Posthorn", K 320

https://youtu.be/gUQy2PtNiek
Adagio maestoso (re maggiore)
Allegro con spirito (re maggiore)
Minuetto e Trio. Allegretto (re maggiore)
Concertante. Andante grazioso (sol maggiore)
Rondò. Allegro ma non troppo (sol maggiore)
Andantino (re minore)
Minuetto e 2 trii (re maggiore)
Presto (re maggiore)

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, corno da postiglione, 2 trombe,


timpani, archi
Composizione: Salisburgo, 3 agosto 1779
Edizione: Andrè, O"enbach 1792

Guida all'ascolto (nota 1)

Le Serenate, i Divertimenti, le Cassazioni e i pezzi che prendono il nome di


musiche notturne sono legati al gusto settecentesco di far musica insieme e
riflettono una identica struttura formale in cui si alternano movimenti di danza
e passaggi solistici e virtuosistici, riservati ad esecutori bravi e di talento, ma
non necessariamente eccezionali. Per questa ragione le Serenate e i
Divertimenti per archi e per strumenti a fiato sono musiche di gradevole
ascolto, dalla scrittura semplice e lineare e dai segni armonici chiari e precisi,
che denotano un classicismo equilibrato e sereno. Si avverte certamente la
presenza di uno stile cameristico di solida fattura e di illuministica intelligenza,
ma si è ancora lontani dal grande Mozart caratterizzato da una inesauribile
forza creativa e da una profonda personalità espressiva. Il dato rilevante delle
Serenate e dei Divertimenti è la limpidezza e la trasparenza quartettistica del
suono e l'omogeneità e la fusione degli impasti strumentali, in ubbidienza alle
regole di un discorso musicale accessibile a tutti e senza quei risvolti tragici e
quei tormenti spirituali che pur esistono nell'arte mozartiana.

Un esempio tra i più tipici di questa forma musicale è o"erto dalla Serenata in
re maggiore K. 320 scritta nell'agosto del 1779 a Salisburgo e articolata in
cinque movimenti (l'orchestra comprende due violini, due viole, contrabbasso,
due flauti, due oboi, due fagotti, due corni, due trombe e timpani). Non si sa a
chi fosse destinata questa Serenata, ma certamente era stata composta per
allietare qualche ricorrenza festiva. Del resto l'Allegro con spirito, introdotto da
poche misure in tempo adagio, si snoda con spigliatezza di e"etti strumentali
e rivela un carattere festoso e ritmicamente vivace nel gioco tra pianissimo e
crescendo, in una successione di imitazioni e di richiami al ritornello del primo
tema. In fondo più che la linea melodica è il ritmo brillante a prevalere in
questo movimento giustamente allegro. Piacevolmente e!cace è il Minuetto.
Allegretto con il Trio in la, evidenziato dalle uscite del flauto e del fagotto.
Delicatamente espressiva è la frase caratterizzante l'Andantino in re minore
nella esposizione dei violini, ripresa dal tutti dell'orchestra. Ancora ai violini è
a!dato un nuovo tema in fa maggiore e su di esso si sviluppa una trama
strumentale di particolare piacevolezza melodica. Segue un altro Menuetto con
due Trii, di cui il primo è riservato al flautino, mentre il secondo è scritto per
due oboi, il corno da postiglione o Posthorn, due violini, viola e contrabbasso.
Il tempo finale ha un tono saldo e vigoroso, marcatamente sinfonico e
vagamente evocativo dell'atmosfera un po' esotica che troverà maggiore
compiutezza e realizzazione musicale nell'opera Il ratto dal serraglio.
L'intelaiatura strumentale è molto varia e presenta una gamma sonora di
entrate e di uscite, nelle tonalità più diverse, di tutti i protagonisti
dell'orchestra, sino ad una coda di esaltante brillantezza espressiva, che
conclude degnamente il ciclo delle Serenate salisburghesi di Mozart.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

«Un canto semplice e fluente, armonizzato nel modo più consonante»: questa
la raccomandazione del teorico Johann Georg Sulzer, nel suo trattato di
estetica (1774), a chi voglia scrivere una serenata. La musica che appartiene a
questo genere, dunque, deve essere in primo luogo piacevole, eufonica e
accattivante; e infatti si serve spesso, a questo scopo, di motivi popolari come
danze, lieder, melodie alla moda provenienti dal teatro musicale. All'epoca di
Mozart, la serenata - o Nachtmusik, che è il termine tedesco equivalente - è
nella fase della sua massima fortuna e incontra il favore di diversi ceti sociali e
diverse culture. «Nelle belle notti d'estate ci si può imbattere in serenate nelle
strade a tutte le ore. [...] Appena viene intonata una serenata, tutte le finestre
si riempiono e in pochi minuti i musicisti sono sovrastati da una corona
plaudente», scriveva nel 1794 un foglio viennese, il Wiener Theater-Almanach,
parlando di un genere in gran voga nella capitale asburgica. Le musiche da
suonare all'aria aperta - cassazioni, divertimenti, notturni, serenate -
composte dai musicisti viennesi, e la loro popolarità, sono la testimonianza
tangibile di un fenomeno lentamente verificatosi nel corso del Settecento: il
riavvicinamento tra musica di strada e musica colta. A Vienna s'era avviato un
proficuo processo di contaminazione, o meglio di osmosi: da una parte la
musica d'arte accoglieva temi di lieder e canzoni popolari, dall'altra melodie
«colte» - provenienti soprattutto dal teatro musicale - conoscevano
adattamenti d'ogni sorta per i complessi che si esibivano nelle strade, nei
cortili, nelle case private.

La prassi era di"usa anche altrove, nei paesi di lingua tedesca. Ogni città aveva
le proprie tradizioni. A Salisburgo, per esempio, l'evento annuale che forniva
l'occasione per eseguire serenate notturne all'aperto era la fine degli esami
all'università, nel mese di agosto, quando gli studenti attraversavano la
Salzach, accompagnati da un complesso che suonava una marcia, per recarsi
nei giardini di Palazzo Miraceli, residenza estiva dell'arcivescovo. Qui venivano
eseguiti in suo onore vari brani musicali; poi tutti facevano ritorno al collegio
universitario, dove si suonava una serenata in onore dei professori (anche
Mozart scrisse tre cassazioni a questo scopo, nell'estate del 1769).

Anche se la tradizione è molto più antica, è negli ultimi decenni del Settecento
che il genere della serenata strumentale si codifica, nei paesi danubiani, in una
forma determinata. Indossa allora una veste autonoma, articolata in diversi
movimenti, alcuni dei quali possono assumere dimensioni ampie e un grado
maggiore di elaborazione, altri possono ispirarsi a semplici schemi di danza.
Tutti, in ogni caso, sono contraddistinti da un carattere di facile comunicativa,
di piacevole colloquialità.

Scritta a Salisburgo per un'occasione festiva particolare (probabilmente la


conclusione dei corsi della locale università), la Serenata in re maggiore K 320
è in più movimenti e sfrutta un organico strumentale insolitamente ricco.
Colpisce, in questo lavoro, l'ampiezza sinfonica dei due movimenti estremi. Il
primo di essi attacca con una introduzione lenta ed enfatica (Allegro maestoso)
che viene ripetuta, con un procedimento inconsueto, alla fine dello sviluppo
subito prima della ripresa. È un procedimento formale che dà grande enfasi
alla ricomparsa dei temi principali. Ma il respiro decisamente sinfonico del
movimento è dato anche dalla straordinaria vitalità, dal dinamismo propulsivo
del tema principale (Allegro con spirito), e dal contrasto netto che o"re il tema
secondario: caratteristiche adatte alle grandi campate drammatiche di una
sinfonia, più che a musica d'evasione da eseguire all'aperto.

A un Menuetto dal piglio deciso fa seguito un movimento, intitolato


Concertante, nel più puro stile della serenata (Andante grazioso). Qui Mozart
utilizza il gruppo dei legni (due flauti, due oboi, due fagotti) in funzione
concertante, opponendoli agli archi e facendoli emergere a volte con funzione
solistica, a volte in impasti sempre variati; ne risulta un gioco dalla
straordinaria ra!natezza timbrica, un caleidoscopio di trame leggere che
procedono con fioriture melodiche sempre nuove. La scrittura concertante
caratterizza ance il successivo Rondeau (Allegro ma non troppo), a cominciare
dal tema principale che è suddiviso tra il primo flauto e il primo oboe
accompagnati dagli archi; qui, tuttavia, Mozart preferisce la funzione solistica
dei legni agli impasti sempre cangianti del movimento precedente.

L'Andantino ribalta la spensieratezza della serenata in un atteggiamento più


ombroso e meditativo, che introduce un e!cace momento di contrasto nella
successione dei movimenti. Viene poi un secondo Menuetto, dall'esordio
ancora più energico del primo. Dei due Trii, il primo utilizza un flautino per
raddoppiare la parte melodica dei primi violini; il secondo è dominato
dall'allegra fanfara di un «corno di posta». Si tratta di un piccolo corno
naturale, all'epoca strumento professionale del postiglione, che emetteva i suoi
segnali alla partenza, all'arrivo e ogni volta che incrociava un'altra vettura
postale. È da questo Trio che trae origine il titolo della Serenata (che tuttavia
non è originale: la denominazione «Posthorn-Serenade» le fu applicata in
seguito).

L'ultimo movimento (Finale: Presto) riporta alla ricca scrittura e alle ampie
dimensioni del primo, ed è improntato a una festosità orchestrale ancora
maggiore. In forma sonata, è guidato da un tema principale propulsivo,
alternato a un grazioso tema secondario. Ed è con le briose scariche di energia
di questo movimento che Mozart prende definitivamente commiato, nell'agosto
del 1779, dal tipo salisburghese della serenata.

Claudio Toscani

Marce, Danze, Tempi di sinfonie per orchestra

Contraddanza in do maggiore per orchestra "La Bataille" (La battaglia), K


535

https://youtu.be/7mBwP72F2zo

Organico: ottavino, 2 clarinetti, clarino, fagotto, tamburo, archi


Composizione: Vienna, 23 gennaio 1788
Edizione: Artaria, Vienna 1789

Guida all'ascolto (nota 1)

Il nome di Controdanza (anche Contraddanza) è derivato dall'inglese Country-


dance e indica una forma di vivace danza di gruppo, in ritmo binario, di"usa in
tutta Europa fra il Seicento e il primo Ottocento. Mozart ne scrisse parecchie,
soprattutto dopo aver ricevuto la nomina a "Kammermusikus" imperiale, che lo
impegnava a fornire di musica i balli di Carnevale al teatro di corte. La
Controdanza K. 535 risale al 23 gennaio 1788 e la battaglia cui il titolo fa
riferimento è l'assedio di Belgrado, riconquistata ai turchi dalle truppe imperiali
del principe Eugenio nel 1717. Simili intenzioni descrittive (più che
programmatiche) non erano infrequenti nelle musiche di danza dell'epoca, e
Mozart stesso le praticò abbastanza spesso: qui sono aflidate soprattutto alla
vivacità degli e"etti ottenuti dal clarino (che è una tromba piccola) e dal
tamburo militare, in un contesto scherzoso ma sempre di estremo controllo
stilistico.

Marcia in re maggiore per orchestra, K 249


https://youtu.be/LiWCJaVNrHg

Organico: 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 2 violini, viola, contrabbasso


Composizione: Salisburgo, 20 luglio 1776
Prima esecuzione: Salisburgo, Residenz-Theater, 21 luglio 1776

Come accompagnamento della Serenata K 250

Guida all'ascolto (nota 1)

E' vero che nelle sinfonie è indicato il cammino ascensionale di Mozart verso la
conquista di una forma musicale in cui sono racchiuse compiutamente le
immagini più alte e più pure della fantasia poetica, ma non bisogna
dimenticare che il compositore salisburghese fu un abilissimo artigiano di
suoni e come tale si mostrò sempre pronto a ogni comando e commissione di
musiche per intrattenimento di cui la società viennese, aristocratica e
borghese, era addirittura a"amata. Di qui le Danze, le Marce, le Serenate, le
Cassazioni, i Divertimenti, i Notturni che sono prodotti di una freschezza
avvincente e di una invenzione lieta e serena, anche se a volte mondana. In
questo ambito va collocata la Marcia in re maggiore K. 249, che fu scritta il 20
luglio del 1776 per festeggiare le nozze di un certo signor Spath con Elisabetta
Ha"ner, figlia del borgomastro di Salisburgo, come risulta dall'autografo della
partitura vergato dallo stesso Mozart. Anzi questa marcia è stata composta per
essere eseguita o prima o in appendice alla Serenata «Ha"ner» in re maggiore
K. 250. Non per nulla essa si apre con un ritmo maestoso che si richiama
all'Allegro maestoso del primo movimento della suddetta Serenata, quasi a
sottolineare il legame e l'interdipendenza fra le due musiche.

La Marcia è costituita da due temi distinti e opposti, ai quali se ne aggiunge un


terzo con funzione di sviluppo; il discorso ha uno svolgimento melodico e
ritmico molto composto e misurato, sorretto da una orchestra vivace e brillante
negli e"etti strumentali e comprendente due violini, viola, due oboi, due
fagotti, due trombe, due corni e contrabbasso. La musica scorre piacevolmente
e in un'atmosfera gioiosa di suoni che rimbalza dagli archi ai fiati.

Marcia in re maggiore per orchestra, K 335 n. 1 (K 320a n. 1)

https://youtu.be/MW0ZH5KEybI

Organico: 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi


Composizione: Salisburgo, 1 - 3 agosto 1779
Edizione: Andrè, O"enbach 1801

Guida all'ascolto (nota 1)


E' giunta sino a noi una dozzina delle marce che Mozart compose in epoche
diverse (quella K. 544 è andata perduta, mentre le marce K. 206 e K. 362 sono
dell'opera «Idomeneo») ed elaborò per le più varie formazioni strumentali. Ad
esempio le marce K. 246, 290 e 445 sono scritte per gli archi e due corni; la K.
384 comprende solo i fiati e nella maggior parte dei casi, tra cui le due marce
in re maggiore K. 335, sono impiegate le trombe con i flauti, oppure con gli
oboi e i corni. L'elemento caratteristico di queste marce è la corposità e la
compostezza del suono, in cui predomina l'aspetto dolcemente cantabile, in
quanto le trombe non assumono mai un tono eccitante e marziale. A Mozart
interessava soprattutto mettere in evidenza le sfumature timbriche dei vari
strumenti, secondo quel gusto classico dell'orchestrazione settecentesca, che il
musicista aveva ereditato dalle sinfonie di Haydn.

La Marcia in re maggiore K. 335 porta la data dell'agosto 1779 e fu scritta a


Salisburgo; è molto semplice e scorrevole nella sua struttura, con qualche
accenno umoristico, che appartiene alla vena più autenticamente musicale di
Mozart, sempre interessante e mai noioso, anche nei pezzi della sua
produzione «minore».

Quattro danze tedesche per orchestra "Der Werkelmann" (Il suonatore


d'organetto), K 602

https://youtu.be/1lqGX-gaJyI

si bemolle maggiore
fa maggiore
do maggiore
la maggiore

Organico: ottavino, 2 flauti, ghironda, 2 oboi o clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2


trombe, timpani, archi
Composizione: Vienna, 5 febbraio 1791
Edizione: Artaria, Vienna 1791

Guida all'ascolto (nota 1)

Il 7 dicembre 1787 Mozart ebbe dall'imperatore Giuseppe II la nomina a


imperial-regio "Kammermusikus" in sostituzione di Gluck morto da poco; ciò
lo impegnava a fornire la musica per i balli mascherati di Carnevale nel ridotto
del teatro di corte, contro uno stipendio annuo di 800 fiorini d'oro («Troppo
per quel che faccio, troppo poco per quel che potrei fare»). Attese al suo
compito con diligenza, sfornando da allora in poi un gran numero di minuetti,
controdanze, Ländler e, appunto, danze tedesche o Allemandes). Le quattro in
la maggiore, K. 602, sono del 5 febbraio 1791: fra esse è specialmente nota la
terza, intitolata Der Liermann (Il suonatore d'organetto), caratterizzata dalla
presenza in orchestra di questo insolito strumento. Al di là di questo tocco
caratteristico, le quattro danze sono piccoli capolavori, ricchi di idee e trattati
con molto spirito.

Sei danze tedesche per orchestra, K 509

https://youtu.be/BdpEch2hyYQ

re maggiore
sol maggiore
mi bemolle maggiore
fa maggiore
la maggiore
do maggiore

Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe,


timpani, archi
Composizione: Praga, 6 febbraio 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1790
Dedica: barone Pachta

Guida all'ascolto (nota 1)

Mozart aveva la danza nel sangue: si dice che fosse un ottimo ballerino ed era
- senza "si dice" - uno straordinario compositore di Danze, capace d'inserire in
questa musica leggera e priva di grandi ambizioni degli squarci che, quasi
inavvertitamente e senza calcare la mano, aprono prospettive su mondi ben
più profondi dei futili intrattenimenti cui le composizioni di questo genere
erano destinate. Proprio la musica di danza diede un contributo importante
alle sue travagliate finanze negli ultimi anni di vita, perché nel 1787 fu
nominato "compositore di corte", un titolo altisonante che in realtà si limitava
alla composizione della musica per i balli nel palazzo imperiale. Con questa
nomina la corte dimostrava di sapere scegliere con acutezza un compositore
che aveva un dono particolarissimo per la danza, ma d'altra parte rivelava una
forte miopia, perché disconosceva che le capacità di Mozart andavano ben
oltre. Certamente non era quel cui aspirava il trentunenne compositore, che
osservò che era pagato anche troppo per quel che gli facevano fare, ma troppo
poco rispetto a quel che avrebbe potuto fare.
Le Sei danze tedesche K. 509 precedettero di qualche mese l'incarico a corte e
furono scritte nel febbraio del 1787 a Praga, dove Mozart si era recato per una
felicissima ripresa delle Nozze di Figaro, il cui entusiastico successo fece di lui
un protagonista degli avvenimenti mondani di quel carnevale, oltre a
procurargli la commissione di una nuova Opera da rappresentarsi nella capitale
boema nell'autunno di quello stesso anno, il Don Giovanni. Non si conosce la
destinazione precisa di questo gruppo di Danze, ma una leggenda (perché tale
la si deve considerare, sebbene al suo fondo possa esserci qualche elemento di
verità) racconta che siano state scritte nel palazzo del conte Pachta, il cui
proprietario aveva invitato a pranzo Mozart ma al suo arrivo lo rinchiuse in una
stanza, dicendogli che non l'avrebbe fatto uscire finché non avesse composto
le Danze che da lungo tempo gli aveva promesse: dopo un'ora le danze erano
pronte!

La Danza tedesca o Teutscher (modernamente Deutscher) stava in quegli anni


rimpiazzando l'antiquato Minuetto, destinato a sopravvivere ancora alcuni anni
soltanto all'interno delle Sinfonie e dei Quartetti. Ebbe una rapida esplosione -
Haydn ne compose trentacinque, Mozart cinquanta, Beethoven ventiquattro,
Schubert un centinaio - e poi fu a sua volta sostituita dal Walzer. Come il
Minuetto, la Danza tedesca era in ritmo ternario, ma era meno formale e più
spigliata, conservando il ricordo delle sue origini popolari. Del Minuetto aveva
anche lo schema: ad una prima Danza divisa in due sezioni, ognuna delle quali
viene ripetuta, segue una seconda Danza (il Trio nel Minuetto, l'Alternativo
nella Danza tedesca) anch'essa in due sezioni ripetute; alla fine dell'Alternativo
è indicato il da capo, che alcuni intendono riferito all'intera Danza e altri alla
sola parte iniziale.

Sapendo bene quale fosse la destinazione delle Sei danze tedesche K. 509,
Mozart scrisse una musica di divina leggerezza, in modo che la si potesse
godere spensieratamente durante un intrattenimento mondano. Ma tutto lascia
intendere che non fosse a"atto convinto che questa è musica di genere
inferiore. L'organico orchestrale è infatti simile a quello d'una Sinfonia
(mancano soltanto le viole, com'è tipico delle Danze dell'epoca), le dimensioni
sono relativamente ampie e ad un ascolto attento si apprezzano i numerosi
ra!nati dettagli, l'interrotta serie d'idee originali e le magistrali modulazioni,
che sfumano con qualche ombreggiatura l'atmosfera fondamentalmente serena
e gioiosa (notare la tonalità minore dell'Alternativo della quinta Danza). Una
particolarità di queste Sei Danze è che sono congiunte da brevi transizioni e
quindi si svolgono senza soluzione di continuità. Un'altra particolarità è
l'imprevista e relativamente ampia coda, che si avvia con la brillante sonorità
delle trombe e culmina in un festoso crescendo e in una serie di rutilanti
accordi fortissimo, su cui si libra il trillo dell'ottavino.

Mauro Mariani
Tre Danze tedesche per orchestra, K 605

https://youtu.be/CaZ_k41v91c

re maggiore
sol maggiore
do maggiore

Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani,


sonagli, archi
Composizione: Vienna, 12 febbraio 1791
Edizione: Artaria, Vienna 1791

Guida all'ascolto (nota 1)

Datate 12 febbraio 1791, le Tre Danze tedesche K. 605 furono composte per i
balli di carnevale del teatro di corte, come imponeva la carica di
"Kammermusikus" rivestita da Mozart. Non manca, anche in queste una nota di
carattere: la garbata allusione a una corsa in slitta contenuta nella terza di
queste danze, intitolata appunto Die Schlittenfahrt (Il viaggio in slitta); sonagli
e cornette da postiglione schizzano una pittura vivacissima, forse memore di
un'altra Corsa in slitta descritta in musica tanto tempo prima da Leopold
Mozart. L'intenzione illustrativa non separa troppo questa danza in do
maggiore dalle altre due, in re maggiore e in sol maggiore, ancora una volta
elegantissime e ricche di humour.

Concerti

Concerti per pianoforte e orchestra

https://youtu.be/FHwmL8Md22w

https://youtu.be/ZntL9Y7vcDM

https://youtu.be/jvRhkZLM__E

Concerto per pianoforte o clavicembalo - K 107

https://youtu.be/gFbeWL-e-6A?list=TLPQMDIwOTIwMjBWbIJdH65cTQ
Assieme ai concerti K 37, K 39, K 40 e K 41, il K 107 nasce da arrangiamenti di
opere di altri autori. I tre concerti K 107 risentono dell'influenza di Johann
Christian Bach che Mozart incontrò durante il suo soggiorno a Londra. Infatti
non sono altro che riduzioni in forma di concerto di tre sonate per
clavicembalo dello stesso J. C. Bach, che Köchel cataloga come K 107, ponendo
come data più probabile di composizione il 1770, ma che in virtù di questa
influenza potrebbero coincidere col periodo del soggiorno londinese (1765).

Le tre sonate per cembalo, corrispondenti all'Op. 5 No. 2-4 di J. C. Bach, sono
semplicemente trascritte da Mozart per un organico più ampio,
contrapponendo al solista un tutti formato da due violini e un basso numerato.
Si basano sulla modifica del primo tempo, in cui Mozart sfrutta la ripetizione
dell'esposizione per poter ottenere il dualismo solo-tutti, ed inserisce prima
della fine la fermata per la cadenza. Con l'uso di questo accorgimento
strutturale, gli altri tempi delle sonate non presentano problemi di rilievo
nell'essere plasmati secondo i canoni del concerto. Sono da considerarsi,
perciò, una sorta di "esperimento" con finalità didattica per il giovane Mozart,
che con quest'opera si cimenta per la prima volta nel genere del concerto.

Del primo dei tre concerti sono pervenute due cadenze, realizzate
probabilmente in una fase successiva, a testimoniare il fatto che l'autore,
durante le sue tournée, amava rieseguire tutte le sue composizioni, senza
distinzione alcuna.

Dati sull'opera

Catalogo Köchel

K 107

Durata

14 minuti (K 107-1)
9 minuti (K 107-2)
10 minuti (K 107-3)

Movimenti

K 107-1 in Re maggiore (da J. C. Bach Op. 5 No. 2)

allegro
andante
tempo di minuetto
K 107-2 in Sol maggiore (da J. C. Bach Op. 5 No. 3)

allegro
allegretto (con 4 variazioni)

K107-3 in Mi bemolle maggiore (da J. C. Bach Op. 5 No. 4)

allegro
rondeau - allegretto

Organico

solista clavicembalo
2 violini
basso continuo

Luogo e data di composizione

Salisburgo 1772 (anche se si pensa nel 1775, a Londra)

Concerto per pianoforte n. 1 in fa magg. (Rielaborazione di Sonate di


F.Raupach, Schobart e L.Honauer) - K 37

https://youtu.be/aS9bfZA5PrE

Il concerto per pianoforte e orchestra n. 1 è una composizione di Wolfgang


Amadeus Mozart, ultimata nel 1767.
L'opera segna il passo successivo a quello della trascrizione per un organico
più "ampio" delle tre sonate di Johann Christian Bach, compiuto dal piccolo
Mozart, rappresentato dai quattro concerti per pianoforte e orchestra K 37, K
39, K 40 e K 41, composti tra l'aprile e il luglio 1767, a Salisburgo.

I quattro concerti sono lavori basati su materiale (per clavicembalo) di altri


compositori, tanto che lo stesso Leopold non li inserì nel catalogo delle opere
del figlio, redatto nel 1768, in quanto forse rappresentavano parte di quel
repertorio che il giovane Mozart avrebbe dovuto eseguire nel giro dei suoi
successivi concerti a Vienna. Al contrario, Köchel li classificò come opere
originali, e perciò occupano ancora i primi quattro posti nella serie da 1 a 27
dei concerti per pianoforte e orchestra (che perciò sarebbero in realtà 23).

Per quanto riguarda il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in Fa maggiore


K 37, il passaggio dal tempo di sonata al concerto si basa soprattutto
sull'aggiunta del tutti orchestrale: ai due violini ed al basso si aggiunge la
viola, due oboi e due corni. La struttura rimane quella della sonata sia dal
punto di vista strutturale che da quello tematico.

Il concerto è così strutturato:

il primo movimento è tratto dall'Allegro della Sonata n. 5 di Hermann


Friedrich Raupach, op. 1;
l'andante centrale, secondo l'ipotesi non confermata di de Wyzewa-de Saint
Foiz da un Andante di Johann Schobert;
il finale dal primo tempo della Sonata op. 2 n. 3 di Leontzi Honauer.

Il tutti iniziale è ricavato dai due soggetti del tempo di sonata, ma non in
maniera del tutto imitativa, in quanto si intravedono degli spunti che
raggiungono il culmine nel tutti situato tra l'esposizione e lo sviluppo e in
quello conclusivo del movimento.

Se nel primo movimento il ruolo della cadenza ancora non è esplicito, nel
terzo, la preparazione ad essa è realizzata in maniera compiuta, attraverso una
nuova figurazione introdotta dal solista accompagnato dall'orchestra.

Concerto per pianoforte n. 2 in si bemolle magg.(Rielaborazione di Sonate


di F.Raupach, Schobart) - K 39

https://youtu.be/ZgvjzBcu5JU

Il passo successivo a quello della trascrizione per un organico più "ampio" delle
tre sonate di Johann Christian Bach, compiuto dal piccolo Mozart è
rappresentato dai quattro concerti K 37, K 39, K 40 e K 41, composti tra
l'aprile e il luglio 1767, a Salisburgo.

I quattro concerti sono lavori basati su materiale (per clavicembalo) di altri


compositori, tanto che lo stesso Leopold non li inserì nel catalogo delle opere
del figlio, redatto nel 1768, in quanto forse rappresentavano parte di quel
repertorio che il giovane Mozart avrebbe dovuto eseguire nel giro dei suoi
successivi concerti a Vienna. Al contrario, Köchel li classificò come opere
originali, e perciò occupano ancora i primi quattro posti nella serie da 1 a 27
dei concerti per pianoforte e orchestra (che perciò sarebbero in realtà 23).

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 in Si bemolle maggiore K 39, risale


al giugno 1767 ed è così strutturato:

il primo e il terzo movimento sono tratti dalla Sonata n. 1 di Hermann


Friedrich Raupach op. 1;
l'andante centrale è modellato sul primo movimento della Sonata n. 2 di
Johann Schobert op. 17.

L'orchestra ha lo stesso organico del concerto n. 1.

Nonostante il principio operativo sia identico a quello impiegato nel Concerto


K 37, qui Mozart rielabora i temi con uno spirito drammatico più evidente,
anche se comunque lontano dalla naturalezza che contraddistinguerà le opere
della maturità artistica del compositore. Appaiono, soprattutto nell'Andante,
delle piccole modifiche alla scrittura del solista, quella mutuata dalla Sonata di
Schobert.

Concerto per pianoforte n. 3 in re magg.(Rielaborazione di Sonate di


L.Honauer, Eckhard e C.P.E. Bach) - K 40

https://youtu.be/87j4_lYRKAI

Il passo successivo a quello della trascrizione per un organico più "ampio" delle
tre sonate di Johann Christian Bach, compiuto dal piccolo Mozart è
rappresentato dai quattro concerti K 37, K 39, K 40 e K 41, composti tra
l'aprile e il luglio 1767, a Salisburgo.

I quattro concerti sono lavori basati su materiale (per clavicembalo) di altri


compositori, tanto che lo stesso Leopold non li inserì nel catalogo delle opere
del figlio, redatto nel 1768, in quanto forse rappresentavano parte di quel
repertorio che il giovane Mozart avrebbe dovuto eseguire nel giro dei suoi
successivi concerti a Vienna. Al contrario, Köchel li classificò come opere
originali, e perciò occupano ancora i primi quattro posti nella serie da 1 a 27
dei concerti per pianoforte e orchestra (che perciò sarebbero in realtà 23).

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in Re maggiore K 40 è così


strutturato:

il primo movimento è tratto dal primo tempo della Sonata op. 2 n. 1 di


Honauer
l'andante centrale è modellato sull'omonimo movimento della Sonata op. 1
n. 4 di Johann Gottfried Eckard
il terzo movimento forse si basa su un pezzo di Carl Philipp Emanuel Bach

Il presto del terzo movimento, si basa sulla scansione binaria della sonata
italiana, e presenta, nell'ambito dei primi quattro concerti di Wolfgang
Amadeus Mozart, un carattere più vario che si identifica nell'alternanza di
figurazioni ritmiche.
L'orchestra ha lo stesso organico dei primi due concerti, con l'aggiunta di due
trombe che contribuiscono ad arricchire le sonorità e ad attribuire a
quest'opera una maggiore identificazione col genere musicale del concerto, nel
tentativo di uscire dalle convenzioni della musica rococò.

Concerto per pianoforte n. 4 in sol magg.(Rielaborazione di Sonate di


L.Honauer und F.Raupach) - K 41

https://youtu.be/RPcLU0gG1s8

Il passo successivo a quello della trascrizione per un organico più "ampio" delle
tre sonate di Johann Christian Bach, compiuto dal piccolo Mozart è
rappresentato dai quattro concerti K 37, K 39, K 40 e K 41, composti tra
l'aprile e il luglio 1767, a Salisburgo.

I quattro concerti sono lavori basati su materiale (per clavicembalo) di altri


compositori, tanto che lo stesso Leopold non li inserì nel catalogo delle opere
del figlio, redatto nel 1768, in quanto forse rappresentavano parte di quel
repertorio che il giovane Mozart avrebbe dovuto eseguire nel giro dei suoi
successivi concerti a Vienna. Al contrario, Köchel li classificò come opere
originali, e perciò occupano ancora i primi quattro posti nella serie da 1 a 27
dei concerti per pianoforte e orchestra (che sarebbero in realtà 23).

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 4 in Sol maggiore K 41 è così


strutturato:

l'Allegro iniziale e il Molto allegro finale sono tratti dalla Sonata op. 1 n. 1 di
Honauer
l'Andante centrale dall'Andantino della Sonata n. 1 di Raupach

Con questo concerto, è evidente come Mozart, nonostante non si sia


discostato di molto dai modelli presi come riferimento, abbia compiuto,
nell'arco di composizione di 4 opere, un notevole miglioramento nel genere
concertistico, attribuendo all'orchestra una capacità di dialogo con lo
strumento solista che mai si era raggiunta prima. I tutti si presentano molto
completi sia dal punto di vista dell'estensione che per quanto riguarda la
notevole elaborazione, che finisce col rinnovare le caratteristiche delle
composizioni cui Mozart si ispirava.

Concerto per pianoforte n. 5 in re magg. - K 175

https://youtu.be/t_Mq7pddQJA
Il Concerto per pianoforte ed orchestra n. 5 in Re maggiore (K 175) fu scritto
da Wolfgang Amadeus Mozart nel 1773, ossia a 17 anni, subito dopo il rientro
a Salisburgo dal suo terzo e ultimo viaggio in Italia.

La prima assoluta è stata il 23 marzo 1783 al Burgtheater di Vienna alla


presenza dell'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena.

Viene considerato la sua prima composizione originale del genere, in quanto i


precedenti quattro concerti (K 37, K 39, K 40 e K 41) sono in realtà dei
pastiches scritti arrangiando temi e movimenti di diversi altri compositori suoi
contemporanei. Tuttavia nel primo movimento di questo concerto, che
costituisce un apprezzabile passo avanti verso la maturità, si notano evidenti
influssi da parte del quasi coevo Concerto per clavicembalo in Fa maggiore
dell'italiano Andrea Luchesi, che Mozart aveva ricevuto in dono dallo stesso
autore, e che fino al 1777 farà parte del proprio repertorio personale.

Il K 175 rappresenta il superamento del concerto barocco e l'inizio del periodo


classico.

In questo pezzo, inoltre, Mozart racconta sicuramente molto di se stesso: lo


dimostra il fatto che egli lo riterrà la sua composizione per pianoforte più
riuscita, e la eseguirà più volte in pubblico, riscuotendo tanti successi nelle sue
tournée europee, fino a pochi mesi dalla morte. Addirittura, per adattarlo alle
esigenze del pubblico viennese (musicalmente di"erente da quello della città
di Mannheim per il quale, probabilmente, il concerto era destinato), scriverà un
nuovo Rondeau per il finale (il K 382), che però come finale risulta comunque
discordante con gli altri movimenti del concerto, e la sua costruzione appare
piuttosto elementare (e per questo oggetto di critica da parte di alcuni
studiosi).

La struttura del concerto segue i canoni tradizionali; infatti è suddivisa in tre


movimenti:

Allegro
Andante un poco adagio
Allegro

Esso si distingue da altre composizioni per la musica straordinaria, che


secondo critici ed esegeti è considerata il segno tangibile della genialità di
Mozart, in particolar modo nella parte finale del concerto.

Guida all'ascolto (nota 1)


È il primo concerto con strumento solista di Mozart, che lo compose nel
dicembre 1773. Non ancora diciottenne, fin dal primo esperimento, Mozart
dimostra una vocazione particolare per questo genere: la maturità della
scrittura rompe con la tradizione galante e inaugura un'immagine del concerto
giocata sul virtuosismo protagonístico dello strumento solista in dialogo con il
sinfonismo robusto della partitura orchestrale (non a caso risalgono proprio a
questo stesso periodo le prime sinfonie importanti). Mozart ebbe sempre cara
quest'opera di gioventù: continuò a eseguirla spesso, e la riprese anche nel
1782 Vienna, al tempo della sua celebrità come pianista. In questa occasione
sostituì il finale con un Rondò, Allegretto grazioso (K. 382), dove alla severità e
alla complessità dell'Allegro originale subentra una decisa connotazione
brillante.

Concerto per pianoforte n. 6 in si bemolle magg. - K 238

https://youtu.be/bSDNX9kRI7s

Il concerto per pianoforte e orchestra n. 6 K 238, non risulta essere stato


commissionato, ma probabilmente lo stesso Mozart lo compose per se stesso
o lo destinò a qualche allieva o alla sorella.

Composto nel 1776, assieme al K 242, al K 246 e al K 271 (legati però ad una
committenza), risente dell'influenza del gusto francese e salisburghese, e forse
anche dei Sei Concerti Op. 13 di Johann Christian Bach.

Sin dalle prime battute, il concerto K 238 dimostra un carattere tranquillo, in


cui prevale l'andamento cantabile sulla ricerca del virtuosismo. L’andante un
poco adagio si rifà alla struttura della sonata bipartita, attraverso la presenza
di due parti bilanciate tra loro ma allo stesso tempo contrapposte. Il terzo
tempo, invece è nello stile francese del rondeau, e vede il succedersi del tema,
di tre episodi intermedi e delle riprese, con l'orchestra che finalmente assume
un ruolo più importante nei confronti del solista. La mancata ricerca di
virtuosismo si ripercuote anche nella conclusione del concerto, che termina
con un piano, dopo l'ultima esposizione del tema eseguita dall'orchestra,
privata dell'apporto del solista.

Dopo la prima esecuzione del compositore il 4 ottobre 1777 a Monaco di


Baviera, il 13 febbraio 1778 viene eseguita da Wolfgang nella casa di Christian
Cannabich a Mannheim.

Concerto per tre pianoforti n. 7 in fa magg. "Lodron-Konzert" - K 242

https://youtu.be/zBZRplVpNIM
Il concerto per tre pianoforti e orchestra (Lodron-Konzert) fu composto da
Mozart per la contessa Antonia Lodron, sorella del conte Georg Anton Felix
von Arco, primo camerlengo di Salisburgo, e le sue figlie Aloisia e Giuseppina.
Questo concerto a tre cembali è stato concepito per tre musicisti con di"erenti
capacità musicali: se infatti al primo ed al secondo solista appartiene una
scrittura più complessa, lo stesso non si può dire per il terzo che ha una parte
di minore di!coltà. Risale invece ad una fase successiva l'accomodamento a
due, che Mozart preparò forse per ragioni di praticità, in cui la parte del terzo
solista viene assorbita dalle altre due.

La presenza di tre strumenti solisti ha influito molto sulla struttura del


concerto: l'orchestra è impiegata in maniera minima, come sostegno sonoro ad
una già potente capacità sonora, che nasce dalla sovrapposizione di più
strumenti a tastiera. Non si conosce, tuttavia, l'originario intento di Mozart
nella disposizione degli strumenti solisti, cosa che avrebbe permesso di
approfondire le sonorità o"erte da questo tipo di soluzione.

Il risultato è quello di un'opera dalle sonorità scorrevoli, non troppo spinta nel
virtuosismo:

il primo movimento presenta una struttura molto semplice, l'orchestra


mantiene sempre un ruolo dimesso e la vivacità è ottenuta attraverso
l'intreccio dei tre strumenti solisti;
più interessante sicuramente l'adagio, in forma sonata, con sviluppo dai toni
molto drammatici;
il rondò finale, nella forma del minuetto, ricalca motivi francesi, la cui resa è
facilitata dalla presenza dei tre pianoforti; inoltre è presente in esso una
ricerca di unità della composizione realizzata per mezzo di ricercate a!nità
con il primo movimento, non solo dal punto di vista tematico, ma anche
ritmico.

Importanti sono le due cadenze, del primo e secondo movimento, che


rappresentano il modello cui Mozart si ispirerà sempre, anche nei concerti più
"maturi": il ricorrere alla rievocazione di alcuni spunti tematici dell'esposizione
e dello sviluppo, e il loro intreccio libero, privo di tecnicismo.

Dopo la prima esecuzione del compositore del 22 ottobre 1777 ad Augusta


viene eseguito da Wolfgang il 12 marzo 1778 nella residenza di Christian
Cannabich a Mannheim.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Concerto per tre pianoforti e orchestra K 242 fu composto da Mozart nel


1776 durante il soggiorno salisburghese che coincideva con il suo ventesimo
anno di età. Un periodo che il biografo mozartiano De Saint Foix caratterizza
così: « ...il giovane ha venti anni La natura parla in lui più forte che ogni altra
circostanza esteriore: coscientemente o no Mozart si abbandona
completamente a questa influenza irresistibile dei vent'anni e la deliziosa
primavera che da tempo si preparava nel suo cuore di poeta si espande
liberamente... Quando si considera la produzione di questo 1776 essa ci
appare come una continuazione di quella dell'anno precedente...: ci si ritrova
lo stesso gusto ad accettare passivamente le regole antiche senza neanche
provare a farle fruttificare... la musica di Mozart resta sempre di genere
«galante»... sentiamo inoltre che salvo nei movimenti lenti il giovane continua
ad evitare le espressioni approfondite e non mira che ad essere elegante,
leggero, divertente o brillante... » Che sono appunto le caratteristiche del
Concerto per tre pianoforti che fu composto da Mozart per una dama
dell'aristocrazia di Salisburgo, la contessa Lodron, e per le sue due figlie. Una
occasione compositiva che ci dice come Mozart, in questo periodo
particolarmente felice della sua vita, avesse preso a frequentare il bel mondo
salisburghese e che spiega anche il carattere elegante e grazioso di un'opera
destinata ai più brillanti salotti della città.

« Il Concerto è in questo senso - nota ancora il De Saint Foix - un perfetto


«specimen» di questa «maniera» mozartiana. Tutto vi è infinitamente chiaro,
semplice ed elegante senza eccessi di passioni e di virtuosismi. I tre temi
hanno lo stesso carattere generale... Lo stile è generalmente omofono,
malgrado le possibilità contrappuntistiche che avrebbe potuto o"rire l'impiego
simultaneo di tre pianoforti... Quanto alla strumentazione si deve notare che il
ruolo dei tre pianoforti è tutt'altro che uguale; in realtà solo i primi due si
dividono il canto e le parti fondamentali dell'accompagnamento: il terzo ha
invece poche cose da fare, la sua parte essendo stata scritta per un allievo
ancora assai giovane e alle prime armi... Ma ciò che colpisce maggiormente
nella strumentazione del concerto è l'assoluta insignificanza del ruolo
assegnato all'orchestra, salvo che nelle introduzioni e nei finali dei tre
movimenti... ».

Nel primo movimento dopo un preludio dell'orchestra dove sono esposti i due
temi principali i tre pianisti attaccano all'unisono il primo tema mentre
l'orchestra tace del tutto. E sono i tre solisti che monopolizzano poi l'intera
prima parte dello sviluppo fino a un lungo ritornello dell'orchestra il cui canto è
a!dato ai secondi violini su un ritmo sincopato dei primi e con piccoli
movimenti degli oboi e degli altri archi. Lo sviluppo riprende poi a!dato ai tre
solisti e caratterizzato da un lungo dialogo in imitazione tra i due primi
pianoforti gli oboi e i violini. Una cadenza la cui caratteristica omofona viene
appena messa in forse dalle successive entrate in imitazione dei tre strumenti
solisti fa presto giungere alla ripresa orchestrale del tema che conclude il
movimento. L'Adagio è il movimento dominante del concerto; si tratta di una
sorta di sognante notturno caratterizzato da un canto di grande dolcezza e
intimità che ricorda le più grandi creazioni della maturità mozartiana, tanto
che nella serenata di Così fan tutte il musicista riprese il ritmo del primo tema
di questo Adagio, esposto qui in un ammirevole preludio orchestrale, sul quale
entrano i tre pianoforti scambiandosi tra loro il materiale tematico finché
l'orchestra rientra in scena con leggere figure che mantengono viva una
atmosfera armonica discreta e accattivante. Un piccolo tema esposto dai primi
due pianoforti dà inizio allo sviluppo che precipita poi in una grande cadenza
nel corso della quale, mentre il primo solista ripresenta i temi del movimento,
il secondo ripete infaticabilmente un ritmo di triple crome mentre il terzo fa
eco ai temi del primo.

Il tema del Rondò finale, assai breve, è un vero e proprio tema di minuetto
esposto dai solisti, e ripreso poi dall'orchestra. Esso è caratterizzato da due
intermezzi, uno in minore di ritmo energico e appassionato con frequenti
imitazioni tra i due primi pianoforti ed un accompagnamento a!dato agli oboi
e agli archi, l'altro in si bemolle maggiore che apre la strada alla cadenza e al
finale con una ennesima ripresa del tema sempre più variato ed accompagnato
dal quartetto d'archi in «pizzicato».

Gianfilippo De Rossi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La letteratura per due o più strumenti a tastiera (cembalo, organo e infine


pianoforte) con o senza accompagnamento orchestrale, fiorisce in tutt'Europa
in coincidenza con la stagione alta dello stile galante, che fa esplodere la
vecchia struttura del concerto grosso utilizzandone gli elementi concertanti in
un nuovo spirito di amabile e piana "conversazione" contenente in sé i germi
dell'imminente antagonismo drammatico, proprio allo "stile classico" di Vienna.
Intorno agli anni 70, compositori e cembalisti alla moda come J. Ch. Bach,
Wagenseil, Schubert, Schröter e altri erano a"accendati a produrre concerti per
due o più strumenti, richiestissimi dagli editori e dai dilettanti. A questo
genere "facile" in ogni senso e piacevole si attiene il primo dei due concerti
mozartiani per più tastiere, quello in fa maggiore K. 242, composto a
Salisburgo nel 1776 dietro commissione della famiglia Lodron, dei nobili
"parvenu" molto amanti della musica, che già in varie altre circostanze avevano
contribuito ad arricchire il catalogo mozartiano.

Mozart dovette tenere conto dei diversi livelli di abilità esecutiva nello scrivere
le parti destinate ai tre pianisti dilettanti: giacché, nella sua versione originale,
il Concerto fu concepito per tre pianoforti, anche se ne esiste una
rielaborazione coeva (probabilmente approntata dallo stesso autore per sé e la
sorella) per due tastiere. La garbata, a"ettuosa maniera del Bach milanese è il
limite entro il quale l'inso"erente genialità di Mozart mette in opera un
potenziamento inusitato delle strutture e un'Intensificazione espressiva del
pari estranea al codice di comportamento galante.

Giovanni Carli Ballola

Concerto per pianoforte n. 8 in do magg. "Lützow-Konzert" - K 246

https://youtu.be/sM5rhhxbK6U

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 8 in Do (K 246) fu composto da


Wolfgang Amadeus Mozart nell'Aprile del 1776, per la Contessa Antonia
Lützow.

Fu eseguito dallo stesso Wolfgang il 4 ottobre del 1777 a Monaco di Baviera ed


il 23 febbraio 1778 a Mannheim da Therese Pierron.
Struttura

Si compone di tre movimenti:

Allegro aperto
Andante
Rondeau: Tempo di minuetto

Concerto per pianoforte n. 9 in mi bemolle magg. "Jeunehomme-


Konzert" - K 271

https://youtu.be/URQJ4kqVdNA

https://youtu.be/VB-bw7WodLY

https://youtu.be/OWFM3K8jOco

Il Concerto per pianoforte in Mi bemolle maggiore, K 271 fu composto da


Wolfgang Amadeus Mozart tra il 1776 e il 1777 a Salisburgo (Austria), ed è il
nono dei suoi ventisette concerti per pianoforte e orchestra. È ancora oggi
spesso chiamato Jeunehomme, in riferimento al nome di una pianista francese
che si sarebbe recata nella cittadina austriaca per una tournée e per la quale
Mozart lo avrebbe scritto. Di essa non si è mai saputo alcun particolare,
mentre le recenti ricerche del musicologo austriaco Michael Lorenz hanno
chiarito che l'opera fu con ogni probabilità destinata alla figlia maggiore del
coreografo Jean-Georges Noverre, Louise Victoire, sposata a Vienna con il
mercante Joseph Jenamy, abile pianista probabilmente incontrata dal
compositore nella capitale viennese nel 1773 e sicuramente a Parigi nel 1778. I
pochi riferimenti epistolari mozartiani non sarebbero quindi la trascrizione
sbagliata del nome Jeunehomme, come è stato sostenuto per la prima volta
dagli storici Wyzewa e Saint Foix nella loro monumentale biografia
mozartiana , e poi è stato a lungo accettato dalla tradizione musicologica, ma
una trascrizione piuttosto fedele del nome da sposata della figlia di Noverre,
cioè "mad:me jenomé", mentre in un'altra lettera il Concerto K. 271 era stato
definito "il concerto per la jenomy".

Non si hanno cronache della prima esecuzione a Salisburgo; si ha invece un


preciso resoconto di una sua esecuzione nel 1777 a Monaco, con lo stesso
Mozart al fortepiano.

Questo concerto è considerato una delle pietre miliari nella produzione del
compositore salisburghese e presenta numerose innovazioni stilistiche che
verranno riprese in seguito, anticipando di molti anni le atmosfere e le
poetiche del periodo viennese. Le sue stesse dimensioni indicano subito la
distanza col passato: a fronte dei 18-20 minuti della durata dei Concerti
precedenti, K. 271 supera la mezz'ora. Il lavoro cade nel mezzo del secondo
dei periodi in cui è abitualmente suddivisa l'attività compositiva di Mozart,
quello della "prigionia salisburghese"; è preceduto da pagine come la Sinfonia
in sol minore K 183 e i cinque Concerti per violino, nei quali la inedita
profondità espressiva e la ricerca stilistica chiudono i conti con la musica
precedente e contemporanea e aprono nuove stagioni. Anche questo Concerto
guarda al futuro e salta a piè pari i cinque anni che lo seguiranno, per
collocarsi a fianco dei grandi capolavori dell'ultimo periodo, composti a Vienna
dal 1782 in poi.

Alfred Einstein, uno dei maggiori storici mozartiani, ha definito il concerto


"Jeunehomme" come "l'Eroica mozartiana"; un parallelo con la terza Sinfonia di
Beethoven, tradizionalmente il punto di svolta della produzione del
compositore di Bonn, non senza riferimento all'identica tonalità di Mi bemolle
maggiore.

I tre movimenti

Il Concerto è organizzato nei tre tempi classici: un primo movimento Allegro in


forma di sonata, seguito da un Andante in forma di romanza e da un Allegro
finale in forma di rondò.

I Allegro

L'Allegro iniziale dichiara subito gli intenti del compositore. L'attacco è quello
marziale e solenne caratteristico dei Concerti scritti per le grandi occasioni: un
primo tema a frasi brevi, molto marcate e segnate da interventi corali dei fiati.
Già dalle prime battute assistiamo all'inserimento del primo elemento di
rottura: il pianoforte interviene subito fin dall'esposizione della seconda parte
del primo tema.

La forma classica ormai consolidata prevedeva una prima sezione puramente


orchestrale dell'"esposizione" e l'ingresso dello strumento solista solo nel "da
capo". Mozart, anticipando le rivoluzioni tardo Beethoveniane e romantiche (o
per meglio dire o"rendo ad esse un modello), presenta immediatamente il
solista per quello che è: un interlocutore paritetico dell'orchestra. Si parla
spesso di concezione "operistica" per questo concerto, ed il parallelo teatrale è
corretto e non stupirebbe se non fosse che dovranno passare altri
cinquant'anni perché questa concezione "teatrale" della musica strumentale
trovi le sue formulazioni teoriche, dopo che ormai vi erano stati Mozart,
Beethoven e Franz Schubert.

Il pianoforte è dunque in questo concerto un "personaggio"; il protagonista di


un dramma (inteso nell'etimo greco di movimento) che si contrappone e
dialoga con altri personaggi. Questa concezione teatrale della musica
strumentale, non abbandonerà più Mozart in tutta la sua produzione
successiva. L'orchestra non interagisce come una voce unica; in essa vanno
distinti almeno due gruppi: gli archi e i fiati. Gli archi costituiscono qui, come
spesso nei lavori futuri, il personaggio antagonista.

Il rapporto con i fiati è più complesso. Mozart per primo intuisce le enormi
possibilità cromatiche dei fiati ora in relazione dialettica col solista, ora come
strumento di collegamento tra l'orchestra e questo. Proprio nel "Jeunehomme"
Mozart incomincia ad usare i fiati in questo modo, anche se confrontandone
l'ascolto con i Concerti più tardi si può cogliere come la tecnica sia ancora in
evoluzione.

I caratteri del primo movimento, per quanto innovativi sul piano tecnico e
stilistico, per quanto schiudano orizzonti vasti nelle dinamiche e nello sviluppo
della forma concertistica, sono ancora abbastanza in linea con l'estetica e i
migliori lavori del suo tempo.

II Andante

L'autentica rivoluzione arriva con l'Andante centrale. Un tempo quasi congelato


in una lunga sezione orchestrale in do minore ci introduce ad una pagina di
incredibile bellezza. Un salto estetico di decenni avvicinabile forse solo
all'incipit del primo tempo del Concerto in re minore. Qui archi e fiati si
alternano alla conduzione della linea tematica con quella ricerca cromatica che
sarà tipica dell'ultimo Mozart e porta a tensioni assolutamente inedite sino a
questo momento. L'uso di note ribattute e tenute ora dei corni, ora degli oboi;
quasi dei tenor bachiani, per anticipare e poi ra"orzare i momenti di maggior
tensione emotiva ed armonica. Il dialogo, qui perfetto, tra le diverse parti
orchestrali. Lo sviluppo tematico lunghissimo in un brano che dura più di
dodici minuti (un tempo pari solo a certi corali bachiani di cinquanta anni
prima). L'ambiguità tonale: il continuo oscillare tra tonalità minori e maggiori e
la ricerca di accordi aperti.

III Rondò

Il passaggio senza soluzione di continuità al Rondò finale, che a"erma la


concezione unitaria dell'opera e ancora una volta anticipa concetti romantici.
Uno solo di questi elementi nuovi avrebbe consegnato questo brano alla storia
della musica: trovarli tutti assieme è quasi incredibile: una finestra aperta a ciò
che di profondo stava maturando nella mente di Mozart ed aprirà le porte al
"periodo viennese". Fin dal suo attacco il terzo movimento è un'esplosione di
virtuosismo. Scuote l'ascoltatore dalle atmosfere diradate dell'Andante e allo
stesso tempo lo proietta in un mondo di luci vorticanti. Galante, mondano e
grandioso allo stesso tempo fa assaporare un pizzico della grande città alla
provinciale nobiltà salisburghese. Anch'esso nasconde una sorpresa, perché lo
stupore del pubblico è ciò che Mozart persegue in tutta la sua opera, e la
sezione centrale è occupata da un lungo e lirico tema del pianoforte; per poi
chiudere pirotecnicamente tornando al tema iniziale.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Ventuno concerti per pianoforte e orchestra, più uno per tre pianoforti e
orchestra, un altro per due pianoforti e orchestra e un rondò per pianoforte e
orchestra, rispettivamente K. 242, 365 e 382, rappresentano la summa della
produzione strumentale e pianistica di Mozart e in essi avverte l'evoluzione
dello stile da concerto del salisburghese, che passa da una libera forma
sinfonica, dove lo strumento solista svolge un ruolo brillante e virtuosistico, ad
un linguaggio sonoro più intimo e raccolto nell'ambito di un rapporto più
misurato ed equilibrato tra il pianoforte e l'accompagnamento orchestrale. Del
resto lo stesso Mozart espresse in una lettera che porta la data del 28
dicembre 1782 le sue idee sul modo di concepire i concerti per pianoforte e
orchestra della prima maniera. «I concerti - egli scrive a suo padre - sono una
via di mezzo fra il troppo di!cile e il troppo facile, sono molto brillanti e
piacevoli all'udito, naturalmente senza cadere nello stravagante e nella
vuotaggine. Qua e là anche gli intenditori possono ricevere una soddisfazione,
ma in modo che i non intenditori devono rimanere soddisfatti, senza sapere
perché». Negli anni successivi egli approfondì e arricchì la struttura tecnica del
concerto, conferendo all'orchestra una personalità timbrica più spiccata, pur
lasciando intatte allo strumento solista le fioriture, le variazioni e le cadenze
tipiche della parte pianistica. Questa trasformazione si può cogliere nell'intero
arco della produzione concertistica viennese: nel 1782-83 Mozart scrisse tre
concerti per pianoforte (K. 413, 414, 415); nel 1784 ne scrisse sei (K. 449,
450, 451, 453, 456, 459); nel 1785-86 compose tre concerti per anno (K. 466,
467, 482, 488, 491 e 503). Negli ultimi cinque anni Mozart scrisse solo due
concerti; nel 1788 il Concerto in re K. 537 per l'incoronazione di Leopoldo II a
Francoforte e nel 1791, anno della sua morte, l'ultimo Concerto in si bemolle
K. 595, con il quale il musicista prese congedo come pianista dal pubblico di
Vienna (4 marzo 1791).

Bisogna dire però che anche il Concerto in mi bemolle maggiore K. 271,


composto nel gennaio 1777 da un Mozart ventunenne, è un lavoro di notevole
valore per la freschezza e la varietà dell'invenzione melodica e per l'armonica
fusione espressiva tra solista e orchestra, come attestano nei loro libri su
Mozart sia Bernhard Paumgartner che Alfred Einstein. Scritta per la pianista
francese mademoiselle Jeunehomme, conosciuta dal musicista a Salisburgo e
poi incontrata di nuovo a Parigi, questa composizione presenta una
straordinaria ricchezza tematica sin dal primo movimento, un Allegro
caratterizzato da un senso ampio e possente della costruzione tematica nel
rapporto dialogante tra il pianoforte e l'orchestra, formata da due violini, viola,
due oboi, due corni, violoncello e contrabbasso. Il momento di maggiore
purezza lirica è l'Andantino in do minore, considerato come un grande arioso
teatrale, sullo stesso piano estetico di analoghe pagine composte da Rameau e
da Gluck. La melodia è carica di nobile eloquenza nel suo stile cantabile e la
malinconia mozartiana sembra proiettare intorno a sé un'ombra piena di triste
presagio. Nel Rondò finale, improntato ad una misurata gaiezza spirituale, si
inserisce quanto mai elegante ed espressivo un minuetto in la bemolle con
quattro variazioni che serve a spegnere gli umori virtuosistici del pianoforte, la
cui parte presenta un impegno tecnico di indubbia di!coltà in tutti e tre i
movimenti, dove non mancano uscite solistiche ornamentali.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

È noto con il nome di una pianista francese, di passaggio a Salisburgo nel


gennaio 1777, per la quale Mozart scrisse un'opera di intensità e di impegno
formale considerevoli. Anche le dimensioni insolitamente ampie concorrono a
farne il primo grande concerto per pianoforte di Mozart, degno in tutto e per
tutto di figurare accanto ai capolavori del periodo viennese.

L'esposizione dell'Allegro (per il quale Mozart lasciò anche due versioni di una
sua propria cadenza) avviene eccezionalmente a botta e risposta fra orchestra
e pianoforte. A questo primo movimento ricco di proposte tematiche e di
robusta tessitura sinfonica succede un tempo lento eccezionalmente esteso,
che alterna un patetismo intenso e quasi tragico (è la prima volta che Mozart
scriv un tempo di concerto in minore) a zone cantabili e a"ettuose, ed apre al
concerto per pianoforte le strade di un pronunciato protagonismo espressivo.
Istanze brillanti tornano a comparire nel Rondò conclusivo, dove il tema
principale sembra anticipare l'aria di Monostato del Flauto magico. Fra gli
episodi che vi si alternano c'è però un tempo di minuetto con quattro
variazioni, che viene a sconvolgere la fisionomia disimpegnata che
tradizionalmente contraddistingue i finali di concerto.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Mozart nella storia del concerto per pianoforte e orchestra giganteggia


maestosamente. Si può infatti a"ermare che la sua produzione in questo
campo, massime gli ultimi quattordici Concerti composti a Vienna fra il 1784 e
il 1791, fa compiere al genere un salto qualitativo straordinario tale da creare
un nuovo modello da lasciare in eredità alla generazione seguente. Inoltre essa
costituisce in assoluto uno dei più alti raggiungimenti della sua opera
compositiva e quindi dell'intera storia della musica.

Pur nascendo circa sette anni prima dell'inizio dell'incredibile fioritura degli
anni viennesi, molto probabilmente alla fine del 1776 o al principio del 1777, il
Concerto in mi bemolle maggiore K.271 è tuttavia un lavoro di grande
importanza. Stimolato dalla momentanea presenza a Salisburgo di una giovane
francese virtuosa della tastiera della quale conosciamo solo il cognome,
Mademoiselle Jeunehomme (o Jenomy, come si legge nella corrispondenza
mozartiana), il ventunenne Mozart diede vita a un lavoro che, pur senza
scollamenti violenti rispetto ai tre lavori dell'anno precedente, viene
universalmente considerato un'opera chiave. Secondo uno studioso autorevole
come Stanley Sadie, si tratta addirittura di una «tra le composizioni più sottili e
più elaborate di tutti i periodi creativi di Mozart per quanto concerne le
relazioni tematiche, il trattamento della lunghezza delle frasi e delle cadenze,
al fine di accrescere il senso di tensione e rinforzarne la risoluzione, e
soprattutto nell'ampio sviluppo dei rapporti tra solista e orchestra».

Rapporti tra solista e orchestra che fin dalle prime battute dell'incantevole
Allegro d'apertura sono improntati chiaramente all'integrazione piuttosto che
al predominio o alla contrapposizione; mentre la ricchezza del materiale
tematico e della scrittura sinfonica e l'impegno assegnato al solista, tutti tratti
destinati presto a esplodere compiutamente nei concerti viennesi, collocano
già questo lavoro ben più avanti del pur più tardo Concerto in re di Haydn.
Momento assolutamente eccezionale è l'Andantino in do minore, primo
esempio di movimento in minore nell'intera produzione concertistica
mozartiana: si tratta di un'ampia pagina cantabile dai toni intensamente
patetici, corredata per di più da una lunga cadenza originale di Mozart. Non
meno straordinario è il brillante e virtuosistico Rondò conclusivo, il cui scorrere
irresistibile (Presto), partendo da un tema principale che sembra anticipare
quello dell'aria di Monostatos nel Flauto magico, viene momentaneamente
interrotto dall'improvvisa comparsa di un calmo Menuetto (Cantabile).

Non sappiamo se Mademoiselle Jeunehomme eseguì mai in pubblico il


Concerto scritto per lei e grazie al quale si ritrova, almeno parzialmente,
consegnata all'immortalità. Sappiamo però per certo che, quando nel
settembre del 1777 Mozart lasciò Salisburgo diretto a Parigi, portò con sé tutti
i suoi Concerti più recenti, suonandoli con successo già ad Augusta, Monaco e
Mannheim. La prima esecuzione a noi nota del Concerto K. 271 ebbe infatti
luogo a Monaco il 4 ottobre di quello stesso anno.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Nel dicembre del 1772, mentre Leopold e Wolfgang Mozart si trovavano a


Milano, l'austero e intransigente Geronimo di Colloredo, Arcivescovo di
Salisburgo, li sollecita a fare ritorno nella cittadina austriaca, richiamandoli ad
assolvere i loro doveri di musicisti 'ai servigi' dell'autorità ecclesiastica. Padre e
figlio devono quindi rinunciare al progetto di un'eventuale sistemazione nel
capoluogo lombardo, dopo che per ben tre volte vi avevano soggiornato, e al
proposito di ra"orzare esperienze e rapporti col mondo musicale italiano.
Inizia cosf un periodo di quasi ininterrotta permanenza a Salisburgo. Vissuti in
un raccolto ambito di serenità 'provinciale', tra l'a"etto della famiglia e di
alcuni amici devoti, gli anni dal 1773 al 1777 consentono a Mozart di elaborare
alcune felici composizioni che rispecchiano la sua poliedrica ispirazione: i
primi Quartetti, numerosi Divertimenti e Serenate, tre Messe, tutta la serie dei
Concerti per violino e orchestra. Opere che se da un lato non sfuggono
all'influsso dello stile galante - per altro comune all'Europa musicale del '700 -
d'altro canto possono inquadrarsi in una fase di prima maturità, per il loro
carattere dì transizione e a un tempo anticipatorio dei futuri e ben più
complessi traguardi della produzione mozartiana. In questa prospettiva
s'inserisce il Concerto K 271, composto nel gennaio 1777 e ultimo dei quattro
appartenenti al ciclo salisburghese per pianoforte e orchestra. Scritto
pensando già a Parigi, che di li a poco accoglierà un Mozart desideroso di
operare liberamente in una area assai più vasta e prestigiosa del ristretto
ambiente natio, il concerto è dedicato a M.lle Jeunehomme, giovane pianista
francese di passaggio a Salisburgo. Non molto si sa ancora su di lei, ma
sicuramente era un'artista capace e stimata, a tal punto da ispirare al musicista
uno dei suoi autentici capolavori. Le novità non sono tanto importanti in se
stesse, ma rivelano In ciascun movimento una padronanza della forma così
personale da convincere l'ascoltatore sulla disinvoltura con cui Mozart sa
esprimersi in qualsiasi procedimento e tecnica. Il Concerto a"ronta e o"re una
prima, importante soluzione al problema dei rapporti tra lo strumento solista e
l'orchestra, segnando un vertice tra le opere mozartiane del genere.

Nell'Allegro iniziale il pianoforte dialoga sin dalla prima battuta, facendo subito
intendere all'orchestra con chi dovrà competere e misurarsi, in una stesura che
si presenta quanto mai stringata ed espressiva. Più avanti, un trillo del solista
si sovrappone all'esposizione orchestrale, attenuandone l'interruzione e
riproponendo il tema vero e proprio. L'originalità più autentica va tuttavia
ricercata nella sintesi di un materiale di singolare ricchezza, in cui la struttura
fortemente tematica che coinvolge i vari episodi non appare mài rigida e
uniforme. Di qui il carattere deciso e brillante, insito nella tonalità di mi
bemolle maggiore, favorisce i toni di una fisionomia marcata che,
progressivamente, risolve l'andamento dell'Allegro in una equilibrata
dimensione di solennità fastosa ed elevata.

L'Andantino in do minore si svolge seguendo le linee di una profonda intensità


drammatica, quasi teatrale. I primi e i secondi violini (con sordina) cantano in
cànone, come due personaggi in un'opera tragica; il pianoforte, sfruttando
opportunamente l'atmosfera di un sobrio e misurato accompagnamento
orchestrale, che solo a tratti 'esplode' in momenti di eccezionale «pathos»
espressivo, si abbandona nell'ultima fase a recitativi sempre più solitari,
interrotti da suggestive pause nel corso della cadenza conclusiva.

Il Rondò ribadisce il ruolo primario dello strumento solista, che con un rapido
avvio conduce l'iniziale Presto, per poi inoltrarsi, dopo la ripetizione del tema,
in una parentesi intermedia di riflessione: un Minuetto in quattro variazioni,
assai diverso da altri esempi del genere, per il suo ambito un po' aulico, quasi
intimo, apertamente lontano da preziosismi e retorica. La ripresa, nitida e
dinamica, non rinuncia alle usuali formule del virtuosismo, ma le trascende
immettendosi decisamente in un contesto dove una libera forma sinfonica e
un'autonomia strumentale sempre più netta risaltano nell'e!cacia del
contrasto tra pianoforte e orchestra.

Piero Gargiulo

Concerto per due pianoforti n. 10 in mi bemolle magg. - K 365


https://youtu.be/jSRcu7yGVPw

https://youtu.be/SGPKbCufgOw

Il concerto per due pianoforti e orchestra in Mi bemolle maggiore K 365 (K6


316a) fu composto da W. A. Mozart a Salisburgo nei mesi di gennaio-marzo
del 1779, forse per essere eseguito assieme alla sorella Nannerl.
Il carattere intimistico e felice di questo concerto, così come il gioco tra di due
strumenti solisti, forniscono un'ulteriore conferma alla sua destinazione
familiare. È, infatti, ritenuto il più bel concerto per due pianoforti e orchestra,
escludendo quelli di J.S. Bach e di C.P.E. Bach che in realtà erano stati pensati
per due clavicembali.

L'organico in origine era ridotto, limitandosi a due oboi, due fagotti e due corni
(oltre agli archi). In occasione della prima esecuzione l'autore vi aggiunse
anche due clarinetti, due trombe e timpani, introducendo sonorità nuove.
Questo concerto venne concepito, infatti, in un periodo in cui Mozart prestava
molta attenzione alle problematiche e alle particolarità che potevano scaturire
dal confronto di due strumenti solisti con l'orchestra. Nascono, infatti, in
questo periodo: il concerto per flauto e arpa K 299 (aprile 1778); il concerto
per pianoforte e violino (incompiuto) e la Sinfonia concertante per violino, viola
e orchestra K 364 (estate 1779).

Il concerto per due pianoforti, non ha caratteristiche sinfoniche, ma


contrappone direttamente i solisti, con un leggero sostegno da parte
dell'orchestra.

ll primo movimento è caratterizzato dall'esposizione di una notevole quantità


di idee tematiche e di novità tecniche. I due solisti entrano in gioco attraverso
un trillo all'unisono, ed espongono un nuovo soggetto (che non si ripeterà poi
negli altri tempi), attraverso il primo pianoforte, subito seguito dal secondo. In
questo movimento, l'orchestra è presente solo nelle parti introduttive e di
collegamento, non emergendo, quasi relegata ad un ruolo di coordinamento
tra i solisti.

Il secondo movimento ha un carattere un po' più malinconico ed è


caratterizzato da una ricchezza tematica non comune agli altri concerti di
Mozart.

È solo nel terzo movimento che l'orchestra riprende il suo ruolo primario:
infatti, si esprime al meglio nel rondo finale, che si sviluppa attraverso un
motivo tematico che permea l'intero concerto.

È evidente, nel K 365, come la scrittura pianistica di Mozart si sia evoluta: le


di!coltà tecniche maggiori si denotano nell'impiego di ottave (anche in
velocità) e di seste.

Con quest'opera, si conclude una sorta di ciclo formato dai sei concerti
composti a Salisburgo, che mette in evidenza il percorso di maturazione
compositiva del giovane Mozart.
Dopo la prima del 23 novembre 1781 a Vienna viene eseguita il 26 maggio
1782 sempre a Vienna.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Un ascoltatore moderno potrebbe avere l'impressione che un Concerto per due


pianoforti e orchestra sia una rarità, perché soltanto quello composto da
Wolfgang Amadé Mozart ritorna ancora oggi con relativa frequenza nelle sale
da concerto. Ma intorno alla metà del Diciottesimo secolo la situazione era
diversa e i Concerti per due strumenti a tastiera non erano infrequenti: c'erano
i tre di Johann Sebastian Bach, ma erano ormai lontani dal gusto e dimenticati,
e c'erano soprattutto quelli più recenti di Carl Philipp Emanuel Bach - il più
grande compositore per clavicembalo / clavicordo / fortepiano della
generazione prima di Mozart, il cui influsso si avverte perfino nel primo
Beethoven - e di vari compositori minori. Tuttavia Mozart non prese esempio
da quei suoi predecessori, perché, sebbene al momento di comporre il
Concerto in mi bemolle maggiore per due pianoforti e orchestra K 365 avesse
poco più di vent'anni, aveva già creato un nuovo tipo di Concerto, tagliando i
ponti con l'alternanza barocca tra soli e tutti, che era alla base dei Concerti
degli altri compositori ma che con lui divenne soltanto uno degli elementi di
un'entità musicale molto più articolata, varia e flessibile.

Con i suoi Concerti pianistici Mozart ha praticamente "inventato" il Concerto


classico, ma non allo stesso modo in cui Haydn ha creato la Sinfonia,
lavorandovi per decenni e passando attraverso una serie di tentativi,
ripensamenti e soluzioni provvisorie. Mozart non era così, non era un artista
"sperimentale", come diremmo oggi, e si accomodava senza problemi nelle
forme usate dagli altri, che però nelle sue mani si trasformavano in qualcosa di
sostanzialmente diverso, non per la volontà precisa di creare qualcosa di
nuovo ma quasi inavvertitamente per dare spazio a idee più varie e sostanziose
di quelle dei Concerti piuttosto gracili dei compositori più o meno coetanei.
Questo atteggiamento è chiaro in una lettera al padre, in cui Mozart definisce i
suoi Concerti: "una giusta via tra il troppo facile e il troppo di!cile... molto
brillanti, piacevoli all'ascolto e naturali, senza essere insignificanti. Ci sono qua
e là passaggi da cui solo gli intenditori possono trarre soddisfazione, ma
questi passaggi sono scritti in modo tale che anche i meno eruditi non
possono mancare di dilettarsene, pur senza capire il perché". Si riferiva ai primi
Concerti per pianoforte composti a Vienna ma le sue parole si adattano
perfettamente anche al Concerto K365, l'ultimo composto a Salisburgo.

I Concerti per due (o tre o anche quattro) pianoforti o clavicembali erano


generalmente destinati ai dilettanti - i bravi dilettanti dell'epoca! - ma si ritiene
che questo sia stato invece scritto da Mozart per se stesso e per sua sorella
Nannerl, anch'ella acclamata concertista. Ma questa è soltanto un'ipotesi,
perché non ci sono documenti che testimonino con sicurezza a chi fosse
realmente destinato. Anche la datazione è incerta: in genere è assegnato al
1779, ma alcuni lo posticipano di un anno e altri lo anticipano al 1777 o al
1775. Non si può escludere che sia stato eseguito a Salisburgo prima del
trasferimento di Mozart nella capitale dell'impero, ma la prima esecuzione nota
è quella del 23 novembre 1781 in un concerto privato a Vienna. Fu in
quell'occasione che Mozart ampliò l'orchestra con l'aggiunta di clarinetti,
trombe e timpani. I solisti erano egli stesso e la sua allieva Josepha
Auernhammer, che nelle sue lettere Wolfgang definì "una grassa signorina" e
"un orrore", riconoscendo però che suonava "in modo incantevole", con
quest'unica limitazione: "la sola cosa che non conosce è il reale, sottile gusto
del cantabile".

Questi giudizi non proprio amorevoli sulla sua partner pianistica viennese
avvalorano l'ipotesi che Mozart avesse in realtà scritto questo Concerto per
l'amatissima sorella, perché i due pianisti intessono un dialogo che implica una
grande complicità: "Dividono ogni loro melodia, variano uno la musica
dell'altro, si interrompono vicendevolmente, all'occasione discutono
gentilmente; il loro fraterno dialogo non è turbato da nessuna seria divergenza
di opinione", come ha scritto Hermann Abert nella sua classica monografia su
Mozart.

All'inizio del primo movimento compaiono quei toni di fanfara militare tipico di
tanti Concerti di quegli anni, ma quest'introduzione orchestrale è breve e
presto Mozart annuncia l'arrivo dei due ospiti d'onore con l'abilità e la
spudoratezza di un presentatore televisivo che conosca i modi e i tempi giusti:
le ultime battute dell'orchestra infatti lasciano intuire chiarissimamente che sta
per succedere qualcosa ma non dicono esattamente cosa e ci lasciano in
sospeso. I due solisti fanno la loro entrata con un trillo all'unisono, tanto per
farci capire che sono molto a!atati, e proseguono riprendendo il tema
dell'orchestra, arricchendolo. Avendo così preso possesso della scena, i due
pianoforti relegano l'orchestra al ruolo di spalla e dimostrano di essere
perfettamente in grado di catturare il pubblico da soli e di tenere saldamente
in pugno la sua attenzione fino in fondo, inanellando sempre nuove idee e
nuovi motivi. Anche qui svetta l'insuperabile senso del teatro del più
straordinario compositore di opere liriche di ogni tempo. Dopo Vivaldi, che
allora era totalmente dimenticato, Mozart è stato il primo a mettere in parallelo
l'opera e il Concerto: naturalmente si tratta di un teatro senza parole, un teatro
più sofisticato, che non ha bisogno di scene e di trucchi e in cui tutto si svolge
nella musica.

Il secondo movimento, un Andante in si bemolle maggiore, mantiene la stessa


atmosfera serena e gioiosa dell'Allegro, ma con un'inflessione meno vivace e
più meditativa. Per un momento i due pianoforti dialogano finalmente anche
con gli strumenti dell'orchestra e in particolare con gli oboi. Poco dopo una
breve sezione in do minore introduce un'ombra malinconica, ma si resta
lontani dai colori tragici collegati generalmente a questa tonalità.

Nel Rondò finale l'orchestra rivendica il suo ruolo e di conseguenza questo


movimento ha un carattere più sinfonico dei precedenti e anche un maggiore
sviluppo dei temi, che finora si erano succeduti rapidamente, apparendo e
scomparendo uno dopo l'altro. Il tema principale di questo Allegro ricordava ad
Abert una canzone popolare austriaca e il tono di fondo è quello gioioso tipico
di tutti i rondò, ma meno esteriormente festoso del consueto. C'è anche qui un
passaggio nella tonalità di do minore e poi, quando ritorna il sereno, su questo
movimento si è ormai stesa l'aura lievemente malinconica di un congedo.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Fu composto nel marzo 1779 a Salisburgo, poco dopo il rientro dal lungo
viaggio che aveva portato Mozart a Mannheim, a Parigi e a Monaco. Destinatari
del concerto la sorella Nannerl e l'autore stesso che lo eseguirono spesso
insieme. Mozart tornò a suonarlo anche dopo il trasferimento a Vienna
aggiungendovi clarinetti, trombe e timpani (la partitura riveduta è oggi
perduta). Opera di notevole freschezza, ma anche profondamente matura, è di
grande interesse per il rapporto che stabilisce fra i due solisti e fra questi e
l'orchestra. È un problema che Mozart a"rontò una seconda volta subito dopo,
con la Sinfonia concertante K. 364 per violino e viola, scritta in estate. Forse
nel Concerto per due pianoforti non si giunge ancora alla approfondita
distinzione di ruoli della Sinfonia concertante, ma il dialogo fra i due pianoforti
è vivacissimo e ricco di fantasia, portando su un piano assai elevato lo stile
piacevolmente mondano proprio delle composizioni del periodo salisburghese.
L'Andante è simile a un duetto operistico delicatamente ornato col da capo. Il
Rondò include un drammatico passaggio nei modi minori, uno sviluppo
sinfonicamente impegnato del tema principale e una elaborata cadenza.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La letteratura per due o più strumenti a tastiera (cembalo, organo e infine


pianoforte) con o senza accompagnamento orchestrale, fiorisce in tutt'Europa
in coincidenza con la stagione alta dello stile galante, che fa esplodere la
vecchia struttura del concerto grosso utilizzandone gli elementi concertanti in
un nuovo spirito di amabile e piana "conversazione" contenente in sé i germi
dell'imminente antagonismo drammatico, proprio allo "stile classico" di Vienna.
Intorno agli anni 70, compositori e cembalisti alla moda come J. Ch. Bach,
Wagenseil, Schubert, Schröter e altri erano a"accendati a produrre concerti per
due o più strumenti, richiestissimi dagli editori e dai dilettanti.
Il passo decisivo in questo senso verrà compiuto da Mozart col secondo
concerto in mi bemolle. Nessuna remora di natura tecnica intralciò il
compositore, che destinò espressamente il lavoro alla propria attività di
concertista virtuoso in duo con la sorella Nannerl, che non gli era da meno.
Invero il K. 365 sta al precedente fratello K. 242, come la sgargiante corolla sta
al fiore in boccio: i limiti spirituali e strutturali determinati da un genere
musicale di "consumo" vengono qui travolti da una grandiosità di concezione,
da una ricchezza inventiva, da una serietà d'impegno creativo che apparentano
il concerto alle ancora più grandi Sinfonie concertanti per violino e viola (K.
364) e per quattro fiati (K. Ann. 9) entro le quali cronologicamente è situato.
L'assoluta parità di trattamento di cui beneficiano i due pianisti, dopo il
brillante "exploit" del primo tempo s'intensifica con l'Andante nel fine cesello di
un colloquio tanto intimo e delicato da postulare quella profonda a!nità di
attitudine interpretativa che in e"etti sussisteva tra Wolfgang e Nannerl. Anche
nel Finale la festevolezza suona tutta interiorizzata in virtù della sottile
malinconia che s'insinua nel motivo principale facendone un tipico "tema di
congedo" mozartiano, nonché della drammatica concitazione dell'episodio
centrale in do minore.

Giovanni Carli Ballola

Concerto per pianoforte n. 11 in fa magg. - K 413

https://youtu.be/1x1KEphfpDE

https://youtu.be/Crc1K6dPrHM

https://youtu.be/PIvLUo3NaPc

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 11 in Fa maggiore K 413 fu composto


da Mozart insieme ai compagni K 414 e K 415, tra il 1782 e il 1783,
all'indomani del suo trasferimento da Salisburgo a Vienna.

In una lettera al padre del 28 dicembre 1782, il compositore rivela le sue idee
su questi tre concerti, concepiti appositamente per il vario pubblico viennese:

«Questi concerti sono una via di mezzo tra il troppo facile e il troppo di!cile;
sono molto brillanti, piacevoli all'orecchio, e naturali senza essere insipidi. Ci
sono qua e là passaggi da cui i conoscitori possono cavare la loro
soddisfazione; ma questi passaggi sono scritti in modo che i meno colti non
possono non essere contenti, senza sapere il perché.»
A testimonianza della calorosa accoglienza che il pubblico viennese riservò a
questo gruppo di concerti, il «Cramers Magazin» riportava questa recensione,
datata 22 marzo 1783:

«Oggi il famoso Cavalier Mozart ha dato un'Accademia musicale in suo favore


al Teatro Nazionale, eseguendo pezzi assai popolari. L'Accademia fu onorata
dalla presenza di un foltissimo pubblico e i due nuovi concerti K 413 e K 415
che Mozart eseguì al fortepiano ottennero entusiastica approvazione. Il nostro
Monarca che, contrariamente al solito, volle onorare l'Accademia, si unì
all'applauso del pubblico con entusiasmo senza precedenti.»

Il concerto K 413 è strutturato in tre movimenti: un esuberante Allegro iniziale,


un Larghetto tipicamente rococò e un Tempo di Menuetto conclusivo.

Il primo tempo è caratterizzato dalla presenza di temi molto semplici, con


struttura armonica lineare, senza di!coltà tecniche, in cui evidente è
l'adesione allo spirito musicale di J.C. Bach o ad opere di Johann Samuel
Schroeter. Unico rilievo è dato alla prima entrata del solista, per la quale
Mozart riserva una struttura che si inserisce in una sorta di canone degli archi,
concludendo così l'esposizione dell'orchestra.

Il secondo movimento rievoca motivi di carattere rococò, per la presenza di


una melodia sviluppata su un basso continuo, e presenta sonorità a!ni allo
stesso movimento della Sonata K 322.

All'ultimo movimento è a!dato l'inserimento di nuovi episodi tematici: se


generalmente nei concerti di Mozart il minuetto finale si evolve in un rondò, in
questo caso questa forma musicale è sviluppata per 32 battute (con alternanza
tra pianoforte e orchestra) che nella riesposizione diventano 84, attraverso
l'inserimento di motivi diversi.
Dati sull'opera

Movimenti

Allegro (3/4, Fa maggiore)


Larghetto (4/4, Si bemolle maggiore)
Tempo di Menuetto (3/4, Fa maggiore)

Luogo e data di composizione

Vienna, dicembre 1782 - gennaio 1783

Luogo e data della prima esecuzione


Burgtheater di Vienna, 22 marzo 1783, pianista e direttore Wolfgang
Amadeus Mozart alla presenza dell'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena

Prime edizioni a stampa

Artaria, Vienna 1785

Guida all'ascolto (nota 1)

L'Allegro del Concerto in fa maggiore K 413 si apre con l'esposizione


orchestrale, nella quale Mozart profonde idee musicali semplici e dirette: un
primo tema esuberante e gioioso seguito da un secondo motivo sereno e
delicato.

L'ingresso del solista non ha nulla di clamoroso, anzi il pianoforte entra quasi
in punta di piedi, riprendendo con poca convinzione il motivo poco prima
esposto dall'orchestra. Balza subito evidente la scrittura quasi cameristica di
questa pagina, nella quale la mano sinistra del pianista ha un ruolo
prevalentemente di accompagnamento armonico, quasi si trattasse di una
sonata e non di un concerto. Nello sviluppo il pianoforte preferisce presentarci
una nuova idea tematica piuttosto che elaborare, come di regola avviene, i temi
dell'esposizione: la modulazione verso le aree tonali di do minore e sol minore
rendono questa sezione la più interessante del movimento. La ripresa corre
regolare e culmina nella cadenza del solista, scritta dallo stesso Mozart.

Il Larghetto è una di quelle oasi di pace e serenità cui Mozart ci abituerà nella
sua produzione successiva; qui ce ne o"re un'intensa anticipazione, col motivo
principale a!dato ai violini primi, col sostegno del basso albertino ai violini
secondi e del suggestivo pizzicato di viole e bassi. Il tema, tratto
dall'Alessandro nelle Indie di Johann Christian Bach, rappresenta un omaggio
alla memoria dell'amico da poco scomparso. Il solista è protagonista assoluto:
riprende il tema principale, lo varia e lo abbellisce con delicatezza dominando
la scena musicale. La sezione contrastante del Larghetto si apre poi con un
nuovo esitante motivo cromatico dei violini sopra il lungo pedale di corni e
viole: sembra davvero qui di avvertire i dubbi e i sospetti del Conte nelle future
Nozze di Figaro!. La ripresa del tema principale, variato dal solista, avviene in
si bemolle maggiore e precede una specie di coda orchestrale, nella quale
Mozart ripropone il motivo cromatico precedente. La consueta cadenza del
solista porta alla chiusa del movimento.

Il Concerto si chiude con un delizioso Tempo di Menuetto, una specie di


caleidoscopio di idee musicali che si alternano felicemente senza oscurare la
forma rondeau del movimento. Il tema principale, serioso ma ammiccante al
tempo stesso, presentato dai violini secondi e subito ripetuto all'ottava alta dai
violini primi, separa con le sue ripetizioni i quattro episodi solistici: il primo, in
fa maggiore esalta la cantabilità del pianoforte, il secondo ha invece carattere
più virtuosistico; il terzo episodio, in si bemolle maggiore, prende le mosse
dalla chiusa orchestrale che lo precede e conduce alla ripresa del motivo
principale. Il quarto episodio, caratterizzato da intense progressioni modulanti,
conduce a una nuova ripresa del tema principale, a!dato prima al solista poi
all'orchestra sopra i vivaci arpeggi del pianoforte. L'ultimo episodio solistico
prende le mosse dall'incipit del motivo secondario e riconduce al tema
principale, udito per l'ultima volta in garbato dialogo fra solista e oboi.

Alessandro De Bei

Concerto per pianoforte n. 12 in la magg. - K 414

https://youtu.be/PiHra1MBhtE

https://youtu.be/8rN7P0VL6b8

https://youtu.be/Wqq_1GJwtBY

In generale, riprende lo stile del concerto in fa maggiore, ma lo ripropone


attraverso una qualità melodica non raggiunta prima ed una ricchezza tematica
mai ripetitiva. Venne anche pensato per essere eseguito da un'orchestra di soli
archi, anche per favorirne la di"usione fra i musicisti dilettanti: questa idea è
evidente anche nel primo movimento, dove il primo tema è esposto dagli archi,
secondo schemi che fanno pensare all'intimità di una musica da quartetto. Lo
stesso schema è poi applicato anche per l'esposizione del secondo e terzo
tema, cui segue l'entrata del solista, che a di"erenza dell'aspetto innovativo
introdotto nel K 413, riprende semplicemente il primo tema. Lo sviluppo è
tutto a!dato al pianoforte, con momenti virtuosistici, ma mai insoliti.

Il secondo movimento, il cui tema è esposto dagli archi, riecheggia motivi di


J.C. Bach, cui molto probabilmente Mozart voleva rendere omaggio con questo
ciclo di concerti viennesi.

Il clima intimo creato dall'Andante, trova sfogo nel terzo movimento, concepito
nella forma del rondo bipartito. Questo tempo si basa sul diretto confronto
solista-orchestra, ricavato su un frammento del ritornello, abbandonato poi
nella seconda parte del rondo, in cui il pianoforte sviluppa un nuovo soggetto.

Al solista è a!dato molto spazio all'interno della partitura: ognuno dei tre
movimenti, infatti, termina con una lunga cadenza, che diventa quasi "doppia"
nel rondo finale, per poi essere conclusa dal finale dell'orchestra.
Si ritiene che il Rondò K 386 fosse destinato a costituire un finale alternativo di
questo concerto, anche se fu poi catalogato a sé come opera incompleta. Nel
1839 ne fu pubblicata una versione ridotta per due pianoforti.
Dati sull'opera

Movimenti

Allegro (4/4, La maggiore)


Andante (3/4, Re maggiore)
Rondeau. Allegretto (2/4, La maggiore)

Luogo e data di composizione

Vienna, autunno 1782

Luogo e data della prima esecuzione

Burgtheater di Vienna, 22 marzo 1783, pianista e direttore Wolfgang


Amadeus Mozart alla presenza dell'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Secondo la tesi di Alfred Einstein, che ha trovato riscontro in altri illustri


studiosi mozartiani, il Concerto in la maggiore K 414 venne scritto in realtà
prima degli altri due: lo testimoniano tanto l'edizione di Artaria del 1785, che
pubblicò il concerto come «primo dell'op. IV», quanto la data di composizione
del Rondò K 386 (19 ottobre 1782), scritto da Mozart proprio per il Concerto
K414 e poi sostituito dall'Allegretto. Si tratta in ogni caso di una delle pagine
per le quali lo stesso Mozart nutriva particolare predilezione.

L'Allegro iniziale ha una ricca esposizione orchestrale della quale ricordiamo


almeno tre motivi: il tema principale, un delicato "sorriso musicale" esposto dai
violini, il tema secondario, reso marziale dal ritmo puntato in oboi e corni, e il
secondo tema vero e proprio, timido ed esitante nei violini, sostenuti dal
pizzicato di celli e bassi. Il solista conduce la sua esposizione con regolarità,
senza strafare e senza particolari virtuosismi; la di!coltà tecnica di questa
pagina infatti non va oltre quella richiesta a un ottimo dilettante (dell'epoca,
naturalmente). Interessante invece è la sezione di sviluppo che si apre con un
nuovo motivo, in note ribattute, elaborato dal pianoforte, culminante in un
intenso episodio in fa diesis minore. La ripresa è regolare e culmina nella
cadenza del solista.

Il tema principale dell'Andante è un ulteriore omaggio a Johann Christian Bach,


del quale Mozart cita l'incipit dell'ouverture La calamità dei Cuori: il motivo,
raccolto e solenne, viene esposto «sottovoce» dagli archi, in un clima musicale
di ispirazione quasi religiosa. La seconda idea melodica viene presentata dai
violini primi e sostenuta dalle note ribattute dei violini secondi e delle viole e
dalle lunghe note dei fiati. Preceduto da una pausa generale, il pianoforte si
appropria del tema e lo varia con sapienza e con gusto, prima di esporre un
nuovo tema, dolcissimo e sognante, che ci sembra un'anticipazione di
atmosfere musicali incantate proprie della maturità mozartiana. Dopo la
ripresa della seconda idea melodica, un breve episodio di sviluppo motivico
precede la ripresa del tema principale a!data al pianoforte e la consueta
cadenza del solista.

Il carattere spensierato dell'Allegretto conclusivo è dovuto alla sua ricchezza


tematica; il refrain è formato da tre idee melodiche distinte: uno spunto
sbarazzino dei violini, una sinuosa linea degli archi all'ottava e una melodia
cadenzante dei violini sopra il ribattuto dei bassi. Gli episodi solistici si
alternano alle ripetizioni (parziali) del refrain con naturale scorrevolezza: il
primo è brillante e ritmico, il secondo è interamente basato sull'elaborazione
della seconda idea del tema principale, il terzo è costruito su un nuovo motivo
presentato dal pianoforte e subito ripreso con gioia dai violini in re maggiore,
il quarto, analogamente al secondo, prende spunto dalla seconda idea del
tema principale.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il vertice della produzione pianistica mozartiana degli anni di Vienna


(1781-1791) è concentrato nei 17 concerti per pianoforte che restano uno dei
momenti più significativi della personalità creatrice di questo straordinario
compositore. Nei primi concerti per pianoforte Mozart tende ad evidenziare
maggiormente il ruolo dello strumento solista, pur non trascurando la
funzione dell'orchestra sotto il profilo timbrico e ritmico. Lo stesso musicista,
in una lettera al padre del 28 dicembre 1782, scrisse in questi termini a
proposito dei primi concerti viennesi: «I concerti sono una via di mezzo tra il
troppo di!cile e il troppo facile; sono molto brillanti e piacevoli all'udito,
naturalmente senza cadere nella vuotaggine. Qua e là anche i conoscitori
possono ricevere una soddisfazione, ma in modo che i non conoscitori devono
essere soddisfatti, senza sapere perché». Negli anni successivi il linguaggio dei
concerti per pianoforte si fa più intimo e riflessivo e il rapporto tra strumento
solista e orchestra assume toni più elaborati e ra!nati. Tale evoluzione si può
cogliere nelle diverse fasi della produzione concertistica: nel 1782-'83 Mozart
scrisse tre concerti per pianoforte (K. 413, K. 414, K. 415), nel 1784 ne
compose sei (K. 449, K. 450, K. 453, K. 456, K. 459) nel 1785-'86 apparvero
tre concerti per ciascun anno (K. 466, K. 467, K. 482, K. 488, K. 491 e K. 503).
Negli ultimi cinque anni della sua vita Mozart scrisse soltanto due concerti per
pianoforte, il K. 537, e K. 595, con cui il 4 marzo 1791 si congedò come
pianista dal pubblico di Vienna.

Il Concerto in la maggiore K. 414 è articolato in tre tempi e per ognuno di essi


Mozart scrisse la cadenza, improntata ad uno stile di misurato virtuosismo.
L'Allegro iniziale viene esposto da un tema piacevolmente discorsivo degli
archi, in preparazione dell'intervento del pianoforte in un ruolo elegantemente
dialogante. Dopo lo sviluppo del primo tema e il ritornello si delinea una
seconda frase e successivamente una variante di essa, nel contesto di un
equilibrato accompagnamento orchestrale. L'Andante, delicato ed espressivo
nella sua linea melodica, vuole essere un omaggio a Christian Bach, un autore
molto stimato da Mozart: infatti sembra che il tema dell'Andante si richiami ad
una figurazione musicale contenuta in una ouverture londinese del figlio di
Bach. Anche in questo movimento c'è la cadenza solistica prima della ripresa
del "tutti". L'Allegretto finale, o più esattamente rondò, è punteggiato da un
discorso fresco e spigliato tra il pianoforte e il gruppo strumentale, sino a
toccare quell'allure leggera e tonificante, tipica dell'inventiva mozartiana.

Prime edizioni a stampa

Artaria, Vienna 1785

Concerto per pianoforte n. 13 in do magg. - K 415

https://youtu.be/SmOh1PYp45A

https://youtu.be/H1kTEv5MnJM

https://youtu.be/GTkqZDJ3COU

Il concerto per pianoforte e orchestra n. 13 in Do maggiore K 415 (K6 387b) fa


parte, con i concerti K 413 e K 414, delle opere scritte da Wolfgang Amadeus
Mozart tra il 1782 e 1783 per una sottoscrizione.

La prima assoluta avvenne il 22 marzo 1783 nel Burgtheater di Vienna alla


presenza dell'imperatore Giuseppe II d'Asburgo-Lorena.

In questo concerto è palese il desiderio di aderire alla moda dei "concerti


militari" che rimarranno in voga sino ai primi decenni dell'Ottocento e
troveranno espressione ancora in compositori quali Ludwig van Beethoven e
Carl Maria von Weber.
Il carattere pomposo che caratterizza questo concerto trova già riscontro
oggettivo nell'organico in cui sono presenti trombe e timpani. La struttura del
brano, pur trattandosi di concerto per strumento solista, vede uno
sbilanciamento della scrittura a favore dell'orchestra. L'esecuzione necessita di
conseguenza di un solista in grado di far emergere la propria parte. Non ci
troviamo di fronte ad uno scambio tra solista e orchestra ma è invece
quest'ultima che elabora temi ed idee mentre il pianoforte prende spunto dal
disegno sinfonico e lo sviluppa ma senza apportare novità.
Va inoltre considerato che la cadenza presente nel primo movimento, laddove
il solista esegue un assolo, è stata inserita in un secondo momento e non trova
ripetizione in altra parte del concerto. Il rapporto che si instaura tra solista e
orchestra non è né di antagonismo né di collaborazione ma piuttosto timbrico.
L'adagio inserito nel primo movimento ha un andamento malinconico e serve a
bilanciare l'atmosfera disimpegnata.
L'andante non ha particolare caratteristiche formali e la cadenza trae spunto
dalle precedenti fantasie che Mozart aveva già composto per pianoforte.
Il rondò-allegro che chiude il concerto espone un tema che solista e orchestra
varieranno più volte. Il brano termina con la ripetizione del tema iniziale del
movimento che sarà fatto svanire con un pianissimo per nulla canonico nei
menzionati "concerti militari".

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel Concerto K 415 in do maggiore, che chiude la mini serie del 1882, Mozart
introduce due novità rilevanti: un organico più solenne (con trombe e timpani)
e quella scrittura contrappuntistica, frutto di uno studio attento delle partiture
di Bach e Händel, che, innestata sullo "stile galante" settecentesco, ha
determinato la nascita dello stile classico viennese. Già nell'esposizione
orchestrale dell'Allegro iniziale è avvertibile il nuovo stile: nel primo tema,
dall'andamento quasi marziale, presentato in imitazione fra violini primi,
secondi e viole con bassi (do maggiore) e nel secondo, tessuto in contrappunto
da violini e viole sopra un lungo pedale tenuto da fagotti, corni e bassi. La
coda dell'esposizione riserva ancora una sorpresa: un motivo tambureggiante
esposto da archi, oboi e fagotti, sorta di irriverente battere di piedi in stile di
opera bu"a al quale Mozart riserverà grande spazio all'interno del movimento.
Il solista, come spesso avviene nei concerti mozartiani, fa il suo ingresso con
un nuovo motivo cui subito si uniscono gli archi che riprendono il primo tema.
Da qui in poi il solista sembra quasi "estraniarsi" dal materiale musicale
presentato precedentemente dall'orchestra, in cerca di vie musicali originali,
come nel secondo tema, che presenta una malinconia propria della maturità
mozartiana. Un lungo episodio solistico di impronta virtuosistica (ottave
spezzate, arpeggi, veloci scale), che culmina con la riproposizione del motivo
tambureggiante, porta alla coda dell'esposizione basata sul primo tema. Lo
sviluppo è articolato in due episodi, il primo dei quali vede il solista presentare
un perentorio motivo discendente a note lunghe seguito da un veloce gioco di
scalette in imitazione; il secondo è invece basato sul primo tema orchestrale
(ora in la minore) arricchito dai suggestivi arabeschi del pianoforte. La ripresa,
regolare, porta alla consueta cadenza del solista e alla chiusa orchestrale.

L'Andante scorre fluido in un sereno e limpido fa maggiore, condotto per mano


dal pianoforte che domina incontrastato tanto l'esposizione del tema
principale, quanto le sue variazioni. L'Allegro conclusivo, ricco nell'invenzione
melodica e capriccioso nella forma, si apre con un tema articolato in tre
momenti: un primo motivo esposto dal solista e ripreso subito dagli archi, un
secondo motivo, giocoso e danzante, a!dato ai violini e una terza idea dal
carattere pastorale. Il primo episodio solistico è costituito da un improvviso
Adagio in do minore, dominato da tinte dolenti e quasi misteriose. Il secondo
episodio, ancora in tonalità minore, è basato sull'incipit del primo motivo; il
terzo, vivace e virtuoslstico, contrasta con il quarto e ultimo, un Adagio che è
di fatto una ripresa variata dell'Adagio precedente. Una gioiosa ripetizione del
primo motivo seguita da una coda orchestrale conclude la pagina.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

«Questi concerti sono un giusto mezzo fra il troppo facile e il troppo di!cile;
sono assai brillanti, piacevoli a udirsi e naturali, senza essere banali. Qua e là
vi sono spunti apprezzabili soltanto dai conoscitori, ma questi passaggi sono
scritti in modo che anche i meno colti non possono fare a meno di essere
soddisfatti, senza sapere il perché ». Con queste parole, in una lettera del 28
dicembre 1782, Mozart illustrava al padre la terna dei concerti per pianoforte
(in la maggiore, K. 414, fa maggiore, K. 413 e do maggiore, K. 415) con i quali
avveniva il suo esordio come virtuoso nelle «accademie» viennesi. Parole nelle
quali la probità artigiana, o per meglio dire, quel gusto per la non-originalità o
vocazione alla convenzionalità che s'intrecciano in modo indissolubile con le
provocazioni del viandante solitario e inaudito, si agghindano di un'ingenua
scaltrezza da uomo di mondo mancato. Agl'inizi dell'avventura di libero
professionista, che in un breve volger d'anni lo porterà alla miseria e
all'isolamento, Mozart è pieno di fiducia nel pubblico e si studia di lusingarne i
gusti, conciliando convenzione e arditezza stilistica in vista di un successo non
meno popolare che di élite. Abbandonate le aggressive novazioni profuse in
lavori precedenti, quali il K. 271 o il K. 365 per due pianoforti, detta tre
prodotti di pronto consumo, agili e levigati, il più civettuolo dei quali è proprio
questo in do maggiore, col suo chiassoso apparato di trombe e timpani
assolutamente decorativi, il suo repertorio di brillantezze pianistiche, la
strizzata d'occhi a Paisìello nella tenera cavatina del secondo movimento,
l'intermezzo Adagio in do minore, che interrompe per due volte l'ingenua
allegria del Finale con le ombre del suo ambiguo sentimentalismo larmoyant. Il
successo ci fu, ed «entusiastico», come recita testualmente la recensione
apparsa il 22 marzo 1783 sul Cramers Magazine; Mozart poteva davvero
compiacersi della propria abilità, che invece doveva ben presto abbandonarlo:
il Concerto in re minore K. 466, dove il demone mozartiano ridda scatenato
senza troppi riguardi per il colto e l'inclita, è già alle porte.

Giovanni Carli Ballola

Concerto per pianoforte n. 14 in mi bemolle magg. - K 449

https://youtu.be/4EHtVWvGIBU

https://youtu.be/qCumUJtgAq0

https://youtu.be/CK_fEsVpMnc

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 14, K. 449, in mi bemolle maggiore di


Wolfgang Amadeus Mozart è un concerto per pianoforte scritto nel 1784.

Storia

È la prima composizione che ha inserito in un taccuino della sua musica che ha


poi conservato per i successivi sette anni, segnando temi principali, date di
completamento e altre informazioni importanti. Da questo taccuino abbiamo
l'informazione che ha completato il concerto il 9 febbraio 1784.

Nello stesso anno scrisse diversi concerti in successione e in una lettera a suo
padre quel maggio, scrisse a proposito dei concerti n. 15 e 16 (K. 450 e 451)
che "non poteva scegliere tra loro" ma che "quello in Mi bemolle [n. 14] non
appartiene a"atto alla stessa categoria. È uno di un tipo abbastanza
singolare...". Il n. 14 è considerato il primo della serie matura di concerti che
Mozart ha scritto e, in e"etti, commentatori come Cuthbert Girdlestone e
Arthur Hutchings lo hanno valutato come uno dei migliori, in particolare
perché tutti e tre i movimenti sono di altissimo livello.

Movimenti

Questo concerto ha tre movimenti:

Allegro vivace (3⁄4)


Andantino (Si bemolle maggiore, 2⁄4)
Allegro ma non troppo (2⁄2 – 6⁄8)
Tra le opere scritte nel 1784 vi sono, oltre a questo concerto, i sei concerti per
pianoforte 14–19, il Quintetto per pianoforte e fiati, insieme a diverse opere
per pianoforte: la notevole Sonata in do minore, un quartetto d'archi n. 17
(detto "Hunt") ed anche diverse serie di danze orchestrali. Tra le opere di altri
compositori conosciuti da Mozart proprio in questo periodo figurano la
Sinfonia n. 80 (in Re minore) e il secondo concerto per violoncello di Joseph
Haydn; Michael Haydn aveva pubblicato due serie di quartetti l'anno prima
(anche l'anno dei due duetti violino-viola di Mozart, per i quali la leggenda
narra che fossero stati creati per aiutare quel compositore a portare a termine
una commissione, che Alfred Einstein considera una storia discutibile) e Carl
Stamitz e Ignaz Pleyel a vicenda una serie di sei (Pleyel ne pubblicò un'altra
serie nel 1784.) Un concerto per violoncello di Pleyel (in Do) fu rilasciato
sempre tra il 1782 e il 1784 (Pleyel era un compositore i cui quartetti, almeno,
Mozart valutava moltissimo.)

I. Allegro vivace

Il primo movimento inizia con un'indicazione del tempo di 3⁄4, una


caratteristica insolita tra i 27 concerti per pianoforte di Mozart. Tra questi solo
questo, il quarto, l'undicesimo e il ventiquattresimo si aprono con un
movimento in 3⁄4. È anche tradizionale, nel tutti di un concerto classico, che ci
sia poca chiave avventurosa. Ci sono diverse ragioni per questo, ma il risultato
è che, meno questo è vero e più diventa di!cile distinguere il tutti
dall'apertura di una sinfonia dell'era classica.

La prima frase di questo concerto inizia in modo ambiguo. Un Mi♭ all'unisono


seguito da un Do, quindi da un Sol, è seguito dall'accordo di dominante (La )
trillato fino alla dominante, Si♭. È interessante notare che questa progressione
sembra suggerire una cadenza dominante nella chiave dominante di Si♭. In
altre parole, Domin da Fa a Si♭ (ii - V - I in Si♭). C'è una modulazione
immediata, attraverso un focoso passaggio del Do minore in Si♭ maggiore.
Qui si sente un possibile secondo tema, interpretato dagli archi, con i fiati che
non arrivano fino al suo successivo motivo (vicino alla modulazione di nuovo in
Mi♭).

Interessante anche questo concerto è che il primo movimento si avventura


fuori dalla normale concezione del concerto. Di solito, quando arriva il
momento della cadenza al termine della ricapitolazione, i solisti eseguono un
trillo cadenzale sulla tonica dopo il quale l'orchestra suonerà parte del
ritornello che porta all'I 6/4 ed a quel punto i solisti eseguono la cadenza.
Tuttavia, invece che il trillo venga accompagnato dagli archi, viene interrotto
da loro alla seconda battuta e finisce per risolversi in Do minore. Poco dopo,
tuttavia, arriva l'I64 e inizia la cadenza e tutto continua normalmente.
III. Allegro ma non troppo
Girdlestone (p 187, Mozart and his Piano Concertos) scrive che l'andatura di
questo finale non è "né quella di un galop, né di una corsa e nemmeno di una
danza, ma solo di una camminata oscillante, rapida e regolare e la virtù del suo
ritornello, con il suo contorno abbozzato e la sua dizione "sillabata" ... risiede
nel suo ritmo piuttosto che nella sua melodia". Osserva inoltre che mentre
questo rondò può essere diviso in sezioni contrastanti, l'aspetto sulla pagina è
molto diverso da quello che percepisce l'orecchio, che è quasi monotematico:
"Quando, con la partitura in mano, si nota ogni ritorno del primo argomento...
è possibile identificare le quattro esposizioni del ritornello [rondò] e le tre
coppie... ma ascoltando, l'impressione è che il ritornello non lasci mai la
scena".

Guida all'ascolto (nota 1)

Il 16 marzo 1781, richiamato dall'Arcivescovo Colloredo che vi si trovava per


rendere omaggio al neo Imperatore Giuseppe II, Mozart giungeva a Vienna. Si
trattava di obbedire - ma per l'ultima volta - al detestato e dispotico Princeps
di Salisburgo: «Il signor Arcivescovo ha la bontà di farsi bello col suo
personale; di rubargli il merito e di non pagarlo. Ieri alle quattro abbiamo già
fatto musica. Oggi andremo dall'ambasciatore di Russia, principe Golicyn.
Voglio un pò vedere se mi pagheranno o no». Vienna era «il miglior luogo del
mondo» per il mestiere di musicista e Mozart tremava all'idea di tornare a
Salisburgo. Il 9 maggio 1781 avviene il distacco definitivo: «Non voglio più
saperne di Salisburgo! Odio l'Arcivescovo alla follia!» E nonostante la pressante
disapprovazione del padre si trasferisce in Petersplatz, nella accogliente casa
delle sorelle Weber. Qui nasce l'amore per Constanze, sorella della più di!cile
Aloysia sposatasi nel frattempo con l'attore Josef Lange.

Costanze, il cui nome è dato alla protagonista del Ratto del Serraglio, è «la mia
buona, la mia cara Costanze,... la martire della situazione e forse proprio per
questo è la più buona, la più brava e, in una parola la migliore». Con i suoi
"occhietti neri" e la sua "bella figura" conquistò Mozart, anche se non sarà mai
accettata da Leopold e da Nannerl.

Vienna significava anche per Mozart l'incontro tanto atteso con Haydn, cui
dedicò con autentica devozione filiale i sei magistrali Quartetti «frutto di una
lunga e laboriosa fatica». E ancora il vorticoso mondo del teatro: i librettisti
geniali e libertini, le primedonne a"ascinanti e capricciose, gli impresari, i
comprimari, le "cabale" dei musicisti rivali.
Nella capitale dell'Impero vi erano allora due teatri di alto livello, il Burgtheater
e il Teatro di Porta Carinzia, entrambi protetti dall'Imperatore e con un
repertorio di opere italiane, francesi e tedesche. Fra il 1778 e il 1782 il
Burgtheater venne rinnovato su impulso di Giuseppe II e assunse il nuovo
nome di Teatro Nazionale Tedesco. L'intenzione era quella di creare un'opera
in lingua nazionale che, nei programmi riformistici dell'imperatore, doveva
rappresentare più adeguatamente dell'aristocratica opera italiana i gusti e la
sensibilità delle classi emergenti. Con Die Entfuhrung aus dem Serail (Il Ratto
del Serraglio) Mozart avrebbe segnato il punto più alto di questa breve
stagione creando un capolavoro che, mescolando abilmente esotismi e principi
morali di ispirazione illuminista e massonica, esprimeva anche tutto il fervore e
l'eccitazione vitale di quei primi anni viennesi.

Accanto alle feste mascherate nelle sale del Ridotto o nella nuova spaziosa
casa, per cui chiede al padre di inviargli al più presto da Salisburgo un costume
di Arlecchino, Mozart coltiva a Vienna nuovi ideali umanistici in sintonia con il
governo illuminato di Giuseppe II. Il 4 dicembre 1784 è u!cialmente iniziato
alla massoneria i cui ideali di tolleranza e fratellanza lo attraevano da tempo e
avranno, come si sa, una grande influenza su tutta l'ultima fase della sua
attività. Giuseppe II aveva messo in pratica le idee massoniche concedendo la
libertà di culto e abolendo la servitù dei contadini. I privilegi aristocratici ed
ecclesiastici erano stati limitati e, al contrario, le aspirazioni della nuova classe
borghese erano sostenute. In questo clima si di"onde, in una capitale a"amata
di musica come Vienna, il sistema dei concerti per sottoscrizione, garantiti da
un gruppo di abbonati appartenenti per lo più alla borghesia e alla piccola
nobiltà.

Il primo concerto da libero professionista tenuto da Mozart a Vienna ebbe


luogo il 3 aprile 1781 in una delle tradizionali Accademie della Società dei
Musicisti, fondata nel 1771 per aiutare le vedove e gli orfani dei musicisti. Per
Mozart era molto importante presentarsi al pubblico viennese in un concerto a
cui avrebbe presenziato anche l'Imperatore e che poteva contare su
un'orchestra di oltre cento elementi. Il programma comprendeva «una Sinfonia
[probabilmente la parigina K. 297]... Poi Herr Bitter Mozart suonerà da solo al
pianoforte. Egli fu qui già quando era un bambino di sette anni e già allora
ricevette l'applauso generale del pubblico, in parte grazie alle sue capacità di
compositore, ma anche in considerazione dell'arte in generale e della
eccellenza e delicatezza delle sue interpretazioni alla tastiera». Si apriva così
una felice stagione che vide Mozart comporre ben quindici Concerti per
pianoforte e orchestra spesso presenti insieme a Sinfonie e Arie da concerto in
serate musicali di inusitata lunghezza.

Dapprima Mozart fece riferimento ai Concerti dei Dilettanti creati


dall'impresario di Regensburg Philip Jakob Martin cui Giuseppe II concesse una
sala nei giardini dell'Augarten all'entrata dei quali aveva fatto porre la scritta
Allen Menschen durch ihren Schutzer (Per tutti gli uomini dal loro protettore).
Poi, durante la quaresima del 1784 si lanciò da solo nell'impresa organizzando
un grande concerto al Burgtheater che segnò l'apice della sua carriera e della
sua fama. In quell'anno l'elenco dei sottoscrittori dei suoi concerti
comprendeva tutta la grande aristocrazia di Vienna, dagli Esterhàzy ai
Lichnowsky, dal principe Galitzin al barone van Swieten. Quest'ultimo, cultore
di Bach e Händel, organizzava nel suo palazzo esecuzioni private di oratori e
cantate dei grandi maestri dimenticati ed ebbe il merito di far conoscere a
Mozart, anche commissionandogli trascrizioni e adattamenti, gli oratori di
Händel e le fughe di Bach. Al centro dell'attività mozartiana negli anni d'oro
viennesi si impone, insieme alle voci e al teatro, il pianoforte. Nel 1777 ad
Augusta Mozart si era entusiasmato per i pianoforti del costruttore Stein,
dotati del meccanismo dello scappamento che permetteva di far cessare le
vibrazioni subito dopo la percussione del tasto. Il pianoforte usato da Mozart a
Vienna era invece opera del celebre costruttore Anton Walter - si conserva
tuttora al Mozarteum di Salisburgo - ed era dotato di pedaliera e di un suono
leggero e cristallino senz'altro meno potente di quello dei contemporanei
pianoforti inglesi prediletti da Clementi e poi da Beethoven. Il pianoforte Walter
di Mozart valorizzava la tecnica dello staccato e permetteva una grande
fusione con gli strumenti a fiato.

A partire dal 1872, cioè dai tre Concerti K. 413, K. 414 e K. 415, Mozart
a"ronta sistematicamente la forma del Concerto per pianoforte e orchestra. In
una lettera al padre così si esprime: «I Concerti sono in e"etti qualcosa di
mezzo fra troppo di!cile e troppo facile: sono molto brillanti, blandiscono
piacevolmente l'orecchio, senza ovviamente diventare superficiali. Qua e là ci
sono dei pezzi da cui solo i conoscitori possono trarre soddisfazione ma in
modo tale da risultare gradevoli anche al profano, senza che questo si renda
conto del perché».

Pur riferendosi ai primi tre Concerti viennesi questa puntuale definizione dei
propri lavori può essere estesa a gran parte dei Concerti successivi. Dopo la
forte impressione avuta a Londra dall'ascolto dei Concerti di Johann Christian
Bach, Mozart aveva avuto fino ad allora pochissime occasioni di confrontarsi
con il Concerto pianistico; a Salisburgo nel 1777 la pianista francese
Jeunehomme gli aveva ispirato il Concerto in mi bemolle maggiore K. 271,
capolavoro di pura e precoce genialità che anticipa di alcuni anni la splendida
serie della maturità. A Vienna è lui a stabilire il successo del Concerto
pianistico assommando la brillantissima tecnica di virtuoso della tastiera alla
piena padronanza della scrittura orchestrale. Mozart a"ronta i problemi
compositivi del Concerto con grande determinazione, in un'avventura artistica
e sperimentale che non si accontenta mai dei risultati raggiunti. Ogni elemento
del gioco, dal rapporto fra tema principale e temi secondari a quello della
distribuzione del materiale fra il solo e il tutti e, più in dettaglio, fra il solista e
alcuni strumenti dell'orchestra, è trattato con fantasia inventiva costante,
inserita in un impianto formale di riferimento ma non costrittivo.

Il Concerto in mi bemolle maggiore K. 449 è il primo di una serie di sei


Concerti scritti nel 1784. Mozart ne parla in una lettera del 26 maggio come di
«un Concerto di tipo particolare, più indicato per una piccola orchestra che per
una grande». L'organico orchestrale non prevede infatti strumenti a fiato
obbligati ma solo due oboi e due corni ad libitum.

Mozart cominciò a scrivere il Concerto - gran parte del primo movimento -


nell'estate 1782, forse prima del Concerto in la maggiore K. 414, per poi
riprenderlo in mano un anno e mezzo dopo. Il Concerto fu eseguito dall'autore
in una Accademia il 17 marzo, mentre pochi giorni dopo vi si cimentò una
delle sue migliori allieve, Barbara von Ployer detta Babette, sorella del
consigliere di corte Gottfried Ignaz von Ployer. Secondo testimonianze coeve
pare che la signorina Ployer suonasse meravigliosamente il pianoforte tanto
che Mozart scrisse per lei anche il grande Concerto in sol maggiore K. 453. Il
Concerto in mi bemolle ebbe anche l'onore di figurare come primo numero nel
catalogo tematico di tutte le proprie composizioni che Mozart cominciò a
stilare all'inizio del 1784.

Il carattere intimo di Concerto da camera non esclude la ricca elaborazione


tematica e contrappuntistica, soprattutto nel finale, e gli accenti di maestosità,
così strettamente legati al tono di mi bemolle maggiore (si pensi al Concerto K.
482).

Nell'Allegro vivace iniziale ai due temi principali contrastanti, presentati


dall'orchestra in un'ampia ed elaborata esposizione, il pianoforte risponde con
ra!nate variazioni ornamentali e con un nuovo tema cantabile. Nello sviluppo
piccoli frammenti del primo tema vengono elaborati in contrappunto doppio
senza però compromettere la trama leggerissima del discorso.

Il magnifico Andantino si dipana morbidamente su un tema di grande


espressività e attraverso modulazioni inattese.

Nel finale, Allegro ma non troppo, Mozart utilizza il contrappunto osservato


con tanto di moduli melodici arcaizzati adattandolo ai criteri di leggerezza e
brillantezza del finale di Concerto. La forma è quella del Rondò Sonata con un
solo episodio di contrasto; la varietà è però assicurata dalla ricchezza delle
modulazioni - nella ripresa si tocca l'insolita tonalità di re bemolle minore - e
dalla elaborazione ritmica e motivica del tema principale.

Giulio d'Amore
Concerto per pianoforte n. 15 in si bemolle magg. - K 450

https://youtu.be/_1dIkP3tLVg

https://www.youtube.com/watch?v=cpcsB0pEK4w

https://www.youtube.com/watch?v=PQF379ZRfS0

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 15 (K450) è un'opera di Mozart del


1784 che ha avuto la prima assoluta a Vienna il 15 marzo 1784 con il
compositore al pianoforte e replicata il 24 marzo successivo.

Orchestrazione

Il concerto in Si bemolle maggiore è scritto per un'orchestra di:

Flauto
2 oboi
2 fagotti
2 corni
pianoforte
archi (nell'originale bassi e violoncelli uniti in unico rigo)

Composizione

Il concerto fu scritto nel marzo del 1784. Nonostante la chiarezza formale e la


ricorrenza ad un'orchestra di piccole dimensioni, questo concerto è tra i più
di!cili del Maestro.

Mozart stesso era del parere di avere composto una pagina di ardua
esecuzione, come scrisse al padre in questa lettera, riferendosi al k.450, al k.
451 e al k.449:

«... con questi concerti mi sono conquistato grande credito, tra cui il successo
più grande è stato il concerto che ho dato in teatro; Ho composto due grandi
concerti (k. 450/451)[...] che hanno suscitato un grandissimo applauso. Io
stesso li considero i lavori migliori che abbia mai composto. Quello in si
bemolle è più di!cile[...]»

Struttura

Allegro
Il primo movimento è un'ampia pagina che segue con rigore la struttura
classica formale; inizia con i fiati in note doppie, sostenute dai bassi con
funzione di continuo, ma l'entrata degli archi porta la sezione in un ampio e
vitale passaggio, di scrittura palesemente mozartiana.

L'entrata del pianoforte non è subito sul prima tema, bensì su una sezione
virtuosistica a carattere introduttivo, seguita poi dai passaggi in terze che
erano stati riservati ai fiati all'inizio del concerto.

Il movimento porta, dopo l'ampio dialogo tra pianoforte e orchestra, alla prima
cadenza, della quale l'originale, (Mozart era solito improvvisarla), non è
pervenuto.

Il tutto si conclude con un forte a piena orchestra, pianoforte escluso.

Andante

L'andante pone l'ascoltatore in una sezione di calma e di tranquillità; è


l'orchestra ad attaccare il movimento, ma è subito seguita dal pianoforte in una
serie di splendide variazioni su un tema in 3/8.

Allegro

Il finale è scritto sotto la forma di un vivace rondò in tempo composto,


tecnicamente di esecuzione ardua. Per la sua coloritura vivace e per il tema
principale è stato definito "della caccia".
Durata
Circa venticinque minuti.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Due Concerti per pianoforte e orchestra Mozart condusse a termine a Vienna


nel marzo 1784: quello in si bemolle K. 450 e quello in re maggiore K. 451,
undicesimo e dodicesimo dei ventitré compresi nel catalogo delle sue opere.
«Fra questi due concerti - egli scriveva al padre - non saprei quale scegliere. Li
ritengo entrambi tali da far sudare; e in fatto di di!coltà quello in si bemolle
supera ancora quello in re». Il Concerto K. 450 è invero una composizione
eminentemente brillante, nella quale il virtuosismo del solista ha ampio modo
di emergere, mentre l'orchestra, formata da archi, oboi, fagotti e corni, con
l'aggiunta di un flauto nell'ultimo tempo, ha un elaborato trattamento
sinfonico. Creato in un periodo in cui Mozart godeva il massimo favore della
società viennese, il Concerto è uno di quelli ohe, a quanto osserva l'Abert, il
musicista scrisse parte per sé e parte per il pubblico: «E' come se Mozart
volesse testimoniare a che punto lo spirito della musica di società poteva
essere unito con il sentimento personale dell'artista».

L'Allegro iniziale si apre con un tema assai cromatico presentato dai fiati, ai
quali rispondono lievemente i primi violini; dopo un tutti orchestrale, appare,
presentato dagli archi, il secondo tema, caratterizzato da sincopi di un e"etto
tenero e cattivante; si ha quindi un altro tutti. Il pianoforte entra con un ampio
passaggio libero, che porta a un punto coronato, e riprende poi da solo il
materiale tematico precedentemente esposto, introducendo anche nuovi temi e
approdando ad una chiusa orchestrale rifacentesi al primo tutti. Nello
svolgimento si hanno passaggi modulantì del solista, imitazioni fra gli
strumenti dell'orchestra, la riapparizione del tema iniziale in orchestra sotto il
trillo del pianoforte. La ripresa ha numerose varianti rispetto all'esposizione e
perviene alla conclusione attraverso una grande cadenza.

L'Andante, in mi bemolle, è concepito nello spirito della variazione. Un tema


semplice e cantabile, con ripetizioni distribuite fra il solista e l'orchestra, è
seguito da due variazioni e da una libera coda. Accenti da cantico religioso
sono stati rimarcati da alcuni studiosi nello svolgimento del discorso musicale.

L'Allegro finale è un rondò con una intonazione di caccia (e il Saint-Foix vi


sottolinea anzi una certa atmosfera francese che lo avvicina al Quartetto
soprannominato appunto La caccia). Il ritornello, spigliato e grazioso, è
introdotto dal pianoforte ed è immesso in uno svolgimento originale per
varietà di episodi e modulazioni inaspettate. Anche qui una cadenza precede la
conclusione: va segnalato al riguardo che di questo, come di parecchi Concerti
mozartiani, ci sono pervenute le cadenze composte dall'autore per uso proprio
o di altri esecutori.

Alberto Pironti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Le esibizioni pubbliche, per un musicista che eserciti la libera professione a


Vienna sul finire del Settecento, sono un mezzo essenziale per assicurarsi la
popolarità e un'importante fonte di guadagno: per questo Mozart si trova a
«inventare» un genere, quello del concerto per pianoforte e orchestra, che
almeno inizialmente gli assicura un certo successo presso il pubblico viennese.
Incontrare il gradimento di orecchie non particolarmente ra!nate, senza per
questo deludere gli ascoltatori più colti, è una sfida di!cile, che Mozart
accetta e supera brillantemente. Il 28 dicembre 1782, nei primi tempi del
soggiorno viennese, così descrive al padre il risultato dei suoi sforzi: «I
concerti [per pianoforte] sono una via di mezzo tra il troppo facile e il troppo
di!cile, sono molto brillanti, gradevoli all'orecchio pur senza cadere nella
vuotaggine; qua e là anche gli intenditori avranno di che essere soddisfatti, ma
in modo che anche coloro che non lo sono proveranno piacere, senza sapere
perché». All'epoca i modelli su cui contare, nel genere del concerto solistico,
venivano soprattutto dalla Francia. I primi concerti pianistici di Mozart sono
condizionati dal vecchio stile aristocratico della musica di società, incline alla
comunicazione immediata, alla variazione di gusto rococò, al gioco socievole e
poco impegnativo. Ma nella Vienna degli anni Ottanta il vecchio stile galante,
tanto apprezzato dall'aristocrazia di Salisburgo, sapeva ormai di mu"a. Per
questo Mozart coniuga le esigenze di una facile trasmissibilità con un
atteggiamento molto più soggettivo, nel quale si avvertono più profonde
esperienze artistiche individuali. È così che in alcuni concerti la
contrapposizione drammatica, con gli sbalzi umorali e certe ombrosità
accigliate alla Sturm und Drang, prevalgono sulla socievolezza scorrevole; è
così che la scrittura orchestrale e quella solistica si ispessiscono, grazie
all'apporto del contrappunto, delle tecniche di elaborazione motivica e delle
incursioni in aree armoniche lontane.

Questo stile, per il pubblico viennese dell'epoca, era nuovo. Già l'impiego del
pianoforte come strumento concertante, da contrapporre all'orchestra, era
inconsueto; ma ancor più lo erano le sonorità preziose che Mozart sa cavare da
questa contrapposizione. Certi impasti ra!nati tra il pianoforte e i legni, ad
esempio, e la fine scrittura concertante - di natura cameristica - tra fiati e
archi o tra fiati e strumento solista, sono invenzione tutta sua. Altrettanto
originale è l'impostazione generale dei concerti per pianoforte: che si
presentano come un dialogo tra interlocutori paritari; orchestra e solista
mantengono ciascuno la propria individualità, in un rapporto dialettico che può
anche sfociare in un conflitto vero e proprio. Mozart si allontana
definitivamente, qui, dai modi del concerto barocco (che fanno ancora sentire
la loro presenza nei concerti per violino) e concepisce il nuovo genere del
concerto per pianoforte e orchestra come una «moderna» forma sinfonica.

Mozart scrive il Concerto K. 450, come la maggior parte dei concerti per
pianoforte degli anni viennesi, per se stesso: da solista lo esegue infatti il 24
marzo 1784 al Trattnerhof, presso il Graben. Con la destinazione si spiegano
sia il virtuosismo della parte solistica, sia il ruolo centrale assunto dal
pianoforte in tutti e tre i movimenti. La tecnica pianistica si basa soprattutto su
scale e arpeggi, su ottave, terze e seste spezzate o divise tra le due mani;
anche l'incrocio delle mani (sfruttato nel movimento finale) vi gioca qualche
ruolo. Ciò che manca del tutto sono le doppie terze del pianismo alla Clementi
(nei confronti del quale, com'è noto, Mozart emette un giudizio piuttosto
severo), e gli e"etti appariscenti, improntati a un virtuosismo puramente
esteriore: i passi tecnici, qui, sono sempre sottomessi alle ragioni della
cantabilità, vale a dire alle ragioni della musica. Più che dalla tensione
drammatica, del resto, il Concerto è dominato da un'invenzione melodica
continua e fluente.

Dal punto di vista formale, il primo movimento dei concerti mozartiani è aperto
da un grande Tutti di natura sinfonica, un'ampia sezione orchestrale dai temi
incisivi e dalla scrittura brillante. Si tratta di una prima Esposizione, svolta tutta
in tonica, nel corso della quale vengono esibiti i materiali tematici che saranno
poi ripresentati dalla seconda Esposizione, quella condotta dal solista.
L'Allegro del Concerto K. 450 non fa eccezione: già dall'enunciazione del tema
principale il carattere brillante si annuncia nella contrapposizione timbrica di
fiati e archi; il secondo tema, cantabile e disteso, svolge una funzione di
contrasto rispetto al primo. Al termine dell'Esposizione orchestrale è singolare
il fatto che il solista non entri col tema principale, ma abbia bisogno di una
preparazione, una sorta di prologo - a carattere improvvisatorio - che gli serve
per entrare in argomento. Ed è pure singolare che il solista ignori il secondo
tema orchestrale, sostituendolo con un nuovo tema, alla dominante. Il secondo
tema del Tutti, però, viene recuperato al termine della Ripresa, assieme agli
altri materiali dell'Esposizione orchestrale che il solista aveva tralasciato.
Degno di nota è lo Sviluppo: si svolge quasi nello stile di una fantasia,
assumendo uno spunto motivico e conducendolo, con minime variazioni,
attraverso un ampio giro di modulazioni armoniche. L'ascoltatore ne ricava
l'impressione di un vagare senza una meta precisa, dal sapore già quasi
romantico. La sezione, in e"etti, non è pensata in chiave tensiva: tanto che la
Ripresa interviene, alla fine, quasi inavvertita; tutto ciò conferma ancora una
volta il carattere liberamente cantabile, più che drammatico, di questo
Concerto mozartiano.

Tratti fortemente personali emergono nell'Andante, un movimento


lontanissimo dalle convenzioni dello stile galante come da ogni
sentimentalismo di maniera. Il movimento, che secondo le indicazioni di
Mozart va suonato «sempre piano», pare scritto per mettere alla prova le
capacità cantabili del solista. Già dal tema - diviso in due parti perfettamente
simmetriche, ciascuna delle quali è presentata prima dagli archi e poi dal
solista, che la fiorisce - si annuncia il carattere generale del movimento: le
armonie piene, la scrittura quasi da corale religioso, il pathos intenso
instaurano un'atmosfera austera. Formalmente, il movimento consiste in due
variazioni sul tema principale, la seconda delle quali conosce qualche accento
drammatico.

L'Allegro conclusivo è nella forma che Mozart predilige per i movimenti finali
dei suoi concerti: si tratta di un rondò-sonata, ossia di quella forma ibrida
nella quale un ritornello si alterna - come in qualunque rondò - a degli
episodi, e uno degli episodi è presentato una prima volta alla dominante e una
seconda alla tonica, come il secondo tema di una forma-sonata. L'episodio
centrale, inoltre, è caratterizzato dagli stessi processi di elaborazione tematica
che si riscontrano in uno sviluppo di forma sonata. La di"erenza tematica tra il
ritornello e gli episodi, in questo finale mozartiano, non è molto pronunciata:
l'atteggiamento generale è brillante e disimpegnato, e in ogni sezione si
avvertono incessantemente vitalità ed energia motoria. Le due cadenze
solistiche di questo movimento e quella che precede la Coda del primo
movimento sono tra le poche cadenze originali (Mozart, di norma, le
improvvisava) che ci sono pervenute: il materiale tematico vi è ripreso, ma in
modo estroso e imprevedibile, con grande varietà di figurazioni e di
atteggiamenti espressivi.

Claudio Toscani

Concerto per pianoforte n. 16 in re magg. - K 451

https://www.youtube.com/watch?v=_nwF5uOqZJA

https://www.youtube.com/watch?v=5K3RjhZltCM

https://www.youtube.com/watch?v=3s5WyKa8j3g

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 16 in re maggiore (K 451) di Wolfgang


Amadeus Mozart fu composto a Vienna nel 1784, a una sola settimana di
distanza dal precedente Concerto n. 15, e fu destinato insieme a questo
all'esecuzione da parte dello stesso compositore in veste di pianista solista.
Oltre ai due concerti Mozart eseguì il Quintetto per pianoforte e fiati.

Questo concerto in re maggiore sfrutta il più ampio organico mai impiegato da


Mozart fino a quel momento. Mozart attraversava un periodo di grande fervore
creativo e fu particolarmente soddisfatto dell'esito dello spettacolo al
Burgtheater. In una lettera al padre, descrisse i due concerti come «di quelli
che fanno sudare», giudicando più di!cile il primo in si♭ maggiore.

Il concerto consta di tre movimenti:

Allegro assai
Andante in sol maggiore
Allegro di molto.

Dal primo movimento, che ha un attacco a ritmo di marcia, è parsa derivare la


successiva Piccola marcia funebre del Signor Maestro Contrappunto,
considerata da alcuni una sorta di autoparodia (ma il punto è in realtà molto
controverso).
Guida all'ascolto (nota 1)

Terminato il 22 ed eseguito il 31 marzo 1784, segue di pochi giorni il


Concerto K. 450, rispetto al quale si presenta più esuberante e fastoso.
L'organico strumentale, arricchito di trombe e timpani, sottolinea
l'appartenenza del concerto al genere marziale allora in gran voga.

Il primo tema dell'Allegro è infatti una marcia brillante e spedita, mentre il


secondo si apre con una fanfara accordale. Nel tempo lento centrale Mozart
recupera una profonda serietà, che da ultimo sfocia in un passaggio
contrappuntistico (di un breve episodio di questo Andante Mozart redasse una
versione alternativa, su consiglio della sorella Nannerl). L'Allegro di molto
finale è un rondò alla Haydn veloce e scorrevole, ma anche molto elaborato e
di vigorosa costruzione sinfonica.

Concerto per pianoforte n. 17 in sol magg. - K 453

https://www.youtube.com/watch?v=uj-Empvp-zM

https://www.youtube.com/watch?v=B_tt2SLGQwM

https://www.youtube.com/watch?v=DLmmhOjKV5s

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 17 in sol maggiore, K. 453, di


Wolfgang Amadeus Mozart, fu scritto nel 1784.

Storia

Secondo la data indicata dallo stesso compositore nella partitura, il concerto fu


completato il 12 aprile 1784.

La data della prima è incerta. Da un certo punto di vista, si dice che l'opera sia
stata presentata in anteprima dalla studentessa di Mozart Barbara Ployer il 13
giugno 1784, in un concerto in cui Mozart aveva invitato Giovanni Paisiello a
ascoltare sia lei che le sue nuove composizioni, incluso anche il suo Quintetto
in Mi bemolle per pianoforte e fiati scritto di recente. Successivamente la Ployer
fu a!ancata da Mozart in una esibizione della Sonata per due pianoforti, K.
448. Un'altra possibilità, avanzata da Lorenz (2006, 314), è che Mozart non
abbia aspettato più di due mesi per presentare il lavoro, ma l'abbia eseguita
nel suo concerto con Regina Strinasacchi il 29 aprile 1784 al
Kärntnertortheater. Per mettere d'accordo tutti i ricercatori si può a"ermare
con relativa certezza che il lavoro fu presentato durante la metà e la fine della
primavera del 1784, dopo il suo completamento.
Struttura

L'opera è orchestrata per pianoforte solista, flauto, due oboi, due fagotti, due
corni e archi. Come è tipico dei concerti, è in tre movimenti:

Allegro, 4⁄4
Andante, 3⁄4 in do maggiore
Allegretto – Presto, 2⁄2

Il finale è un movimento di variazione il cui tema era stato cantato dallo storno
di Mozart.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questo lavoro fa parte del gruppo degli stupendi quattordici Concerti per
pianoforte e orchestra composti da Mozart nella viva, stimolante e cordiale
atmosfera artistica viennese. Essi, pur nella loro tradizionale forma in tre
movimenti, si di"erenziano dai precedenti, prevalentemente virtuosistici, oltre
che per un maggiore approfondimento inventivo, anche per un più ampio
sfruttamento ai fini poetici delle possibilità di dialogo fra solista e orchestra,
nell'ambito di una concezione sinfonica dell'insieme. Il pianoforte conserva il
suo ruolo preponderante, ma nello stesso tempo collabora ad edificare
l'architettura generale. E quando non si stacca dalla compagine strumentale
per riecheggiarne, secondo i modi che gli son propri, il messaggio poetico - o
per pronunciare una parola che l'orchestra riprenderà per immetterla nello
svolgimento del contesto sinfonico - compie la funzione di esaltare con la sua
vicinanza i colori timbrici circostanti, conferendo alla partitura una luminosità
nuova, altrimenti inottenibile, e ricca di gradazioni.

Nel Concerto K. 453 risulta notevolmente curata e interessante la parte del


dialogo a!data agli strumenti a fiato, sì da far assumere all'opera un carattere
«concertante». Scritto nell'aprile del 1784, per l'allieva Babette Ployer (che lo
eseguì per gli amici nella sua villa di campagna a Döbling presso Vienna), il
lavoro inizia con un brano che per il suo carattere familiare e il suo ritmo di
marcia è più vicino allo spirito cordiale di un brano d'apertura d'una Serenata
che non a quello pomposo di un primo tempo di Concerto. Del resto, l'intera
composizione è condotta con libertà ed originalità: così nell'espressivo ed
elegiaco Andante si trovano delle audaci modulazioni; e l'ultimo tempo,
terminante con un briosissimo ed irresistibile finale da opera bu"a, ha la
forma, insolita per la conclusione di un Concerto, del Tema variato.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)


La serie dei concerti per pianoforte scritti nella prima metà del 1784 si
conclude con un lavoro (datato 12 aprile) che Mozart non scrisse per sé, ma
destinò all'allieva Barbara von Ployer, che lo eseguì il 10 giugno nella sua
residenza estiva di Döbling. La parte del pianoforte è di notevole impegno
virtuoslstico, e l'impianto dell'opera è eccezionalmente ampio. D'altro canto,
gran parte del concerto sembra svolgersi su un piano abbastanza intimo e
contenuto, appoggiandosi a una condotta armonica ra!nata e ricca di
modulazioni e assumendo una preziosa fisionomia timbrica, giocata su un
approfondito trattamento dei fiati. Nel primo movimento, all'abbondanza delle
proposte tematiche, elaborate in uno stile di carattere improvvisatorio, quasi di
libera fantasia, nella sezione centrale di sviluppo, corrisponde la varietà delle
sfumature espressive; nell'Andante una cantabilità semplice e pensosa si
sviluppa in un patetismo intenso; l'Allegretto è, insolitamente, un tema con
variazioni, e culmina in una stretta travolgente, di grande e"etto (Presto), che
richiama certi finali di opera bu"a.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Durante i suoi primi anni viennesi, parallelamente ai Concerti per pianoforte,


Mozart stava a"rontando i medesimi problemi trasferiti in campo
quartettistico. È di questi anni infatti la composizione dei Quartetti dedicati a
Haydn che rappresentano uno dei punti culminanti, per complessità ed
elaborazione, della sua produzione cameristica. Non è un caso quindi che i
Concerti degli anni 1782-'86 costituiscano il definitivo abbandono di un tipo di
composizione quale era stata delineata da Johann Christian Bach e che il
compositore fosse impegnato in un grande sforzo nell'elaborazione di una
forma che trasferisse le caratteristiche dello stile sinfonico in ambito
concertistico, perseguendo l'ampliamento delle possibilità espressive di
quest'ultimo attraverso la più ampia gamma o"erta dalla forma-sonata.
L'autografo del Concerto è datato 12 aprile 1784 e l'opera è dedicata, come il
precedente K 449, alla pianista viennese Barbara von Ployer che lo tenne a
battesimo durante un'accademia nella casa di campagna di Doebling.

Oltre a quella pianistica estremamente curata è anche la scrittura orchestrale,


molto elaborata specie quanto riguarda la sezione dei legni, sovente in dialogo
con il solista, che conferiscono al Concerto un colore caratteristico. Il tono non
drammatico della composizione ed i chiaroscuri determinati dal frequente
ricorso al tono minore sono peculiari per una composizione che conserva tratti
sostanzialmente intimi. Il primo tempo presenta un'organizzazione in forma-
sonata ancora non del tutto emancipata dalle consuetudini pre-classiche,
come l'entrata del solista che riprende il materiale melodico del primo tutti
orchestrale. Nondimeno sono presenti anche caratteristiche decisamente
innovative, come l'esposizione di numerose idee a!date al tutti di apertura e
la tecnica della doppia esposizione con i due temi principali esposti
dall'orchestra e poi ripresi dal solista, che diventeranno tipici del Concerto
mozartiano. Il solista inoltre espone, tra il primo ed il secondo tema, un terzo
elemento tematico che presenta già una certa propensione alle modulazioni
verso tonalità lontane, una propensione che viene coerentemente ampliata
nello sviluppo. L'Andante è in forma di variazione libera, con un'idea iniziale
dai toni sommessi e quasi esitanti esposta dall'orchestra che ritorna nei punti
cruciali del movimento. Un secondo elemento tematico è diviso tra i legni
mentre il lungo episodio in minore del pianoforte successivo non lascia al
solista la minima possibilità virtuosistica: tutto è calcolato in funzione
dell'espressione e della forma. Chiude la composizione un tempo in forma di
rondò con variazioni che culmina con una stretta finale di sicuro e"etto. Il
Concerto è uno dei pochi ad essere stato stampato ancora vivente Mozart.

Andrea Rossi Espagnet

Concerto per pianoforte n. 18 in si bemolle magg. - K 456

https://www.youtube.com/watch?v=qBKjmZ0Q_J4

https://www.youtube.com/watch?v=n62i56yJRcM

https://www.youtube.com/watch?v=LsAu0DMaShc

https://www.youtube.com/watch?v=H607acFriuI

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 18 in Si bemolle maggiore, K. 456 è


un'opera concertante per pianoforte e orchestra di Wolfgang Amadeus Mozart.
Nel catalogo di Mozart delle proprie opere, questo concerto è datato 30
settembre 1784.

Storia

Per anni la speculazione storica fu che Mozart avesse scritto questo concerto
per Maria Teresa von Paradis, basata su una lettera scritta in quel periodo da
Leopold Mozart a sua figlia Nannerl. Tuttavia Hermann Ullrich ha scartato
questa teoria, in base alla data di inserimento nel catalogo di Mozart e al fatto
che la von Paradis aveva lasciato Parigi all'inizio dell'ottobre 1784, il che
indicava che non c'era tempo su!ciente per inviare alla von Paradis il concerto
per l'esecuzione. Richard Maunder ha ribadito l'idea che Mozart avrebbe potuto
ancora inviare il concerto a Parigi che sarebbe poi stato inoltrato alla von
Paradis a Londra, dove era possibile che avesse eseguito il lavoro nel marzo
del 1785.

Struttura
L'opera è orchestrata per pianoforte solista, flauto, due oboi, due fagotti, due
corni e archi. Il concerto è in tre movimenti:

Allegro vivace, 4⁄4


Andante, sol minore, 2⁄4
Allegro vivace, 6⁄8

Il movimento lento è un tema e variazioni. Martha Kingdon Ward ha


commentato che il movimento lento di questo concerto contiene uno dei "più
tranquilli" di tutti gli assoli di flauto di Mozart, in particolare nella variazione in
sol maggiore.

M.S. Cole ha notato l'uso da parte di Mozart dei cambi di metro nel finale, a
partire dalla misura 171, da 6⁄8 a 2⁄4 nei fiati, con il piano che segue alla misura
179. Questo cambiamento di tempo nei rondò finali era contrario alla pratica
comune a quel tempo. Joel Galand ha eseguito un'analisi schenkeriana del
finale del rondò ed ha notato caratteristiche come il suo nuovo uso del ♭ di II
grado come chiave strettamente correlata.

Mozart ha scritto due diverse cadenze per il primo movimento. Joseph Swain
ha eseguito un'analisi schenkeriana di ogni cadenza del primo movimento.

Il tema principale del primo movimento del concerto, mostrato qui attraverso
le otto misure iniziali della prima parte per violino.

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Concerto per pianoforte e orchestra ebbe più importanza nell'opera di


Mozart che in quella di qualsiasi altro compositore della seconda metà del
Settecento. Se nel campo del Quartetto e della Sinfonia Haydn è alla pari di
Mozart e forse perfino superiore, nel campo del Concerto Mozart è
impareggiabile. I suoi Concerti, pur tenendo presente il modello formale di
Johann Christian Bach, da cui aveva preso alcune lezioni nell'ormai lontano
1765, vanno ben oltre lo stile galante del "Bach londinese" e trasformano
totalmente questo genere di musica, allora ritenuto gradevole ma gracile e
superficiale. Questa trasformazione è attestata da una lettera di Mozart, che
nel 1782 spiegava al padre che i suoi Concerti per pianoforte erano "una giusta
via di mezzo tra il troppo facile e il troppo di!cile [...], molto brillanti,
piacevoli all'ascolto e naturali, senza essere insignificanti. Ci sono qua e là
passaggi da cui solo gli intenditori possono trarre soddisfazione, ma questi
passaggi sono scritti in modo tale che anche i meno esperti non possono
mancare di dilettarsene, pur senza capire il perché. Vendo i biglietti per 6
ducati, in contanti". Al di sotto della totale nonchalance con cui parla di tali
capolavori, Mozart tiene in modo particolare a mettere in rilievo che i suoi
Concerti non sono "troppo facili" e "insignificanti", a di"erenza - è sottinteso -
di quelli dei suoi contemporanei.

I Concerti per pianoforte possono servire anche come preciso barometro del
successo di Mozart a Vienna, perché costituivano il momento più atteso delle
sue "accademie", i concerti pubblici da lui stesso organizzati a proprio
beneficio: fino al 1786 questi appuntamenti furono accolti con enorme favore e
quindi Mozart compose tre e anche quattro Concerti per pianoforte all'anno,
poi il successo calò rapidamente, il pubblico non fu più su!ciente a riempire
la sala, le accademie si diradarono e di conseguenza la composizione di nuovi
Concerti rallentò.

Datato 30 settembre 1784, il Concerto n. 18 in si bemolle maggiore K. 456 si


colloca al culmine di questa parabola. Sembra che sia stato scritto per la
giovane virtuosa cieca Maria Theresia Paradies, che l'avrebbe presentato a
Parigi nell'autunno del 1784; ma è soltanto un'ipotesi, mentre è certo che
Mozart lo eseguì personalmente a Vienna, domenica 13 febbraio 1785.
Leopold Mozart, che era appena giunto in visita dal figlio, assistette inorgoglito
e commosso a quell'accademia e in una lettera alla figlia Nannerl, rimasta a
Salisburgo, scrisse: "un concerto magistrale", "il così grande piacere di
ascoltare il dialogo tra gli strumenti con tale chiarezza che per la totale felicità
mi vennero le lacrime agli occhi", "una grande quantità di applausi". Ed ecco il
culmine della lettera: "Quando tuo fratello lasciò la scena, l'imperatore
[Giuseppe II] si tolse il cappello e gridò 'Bravo Mozart!'". Nei giorni seguenti
Leopold ebbe altre conferme del successo del figlio a Vienna: "Dal giorno del
mio arrivo, il pianoforte di tuo fratello è stato prelevato almeno una dozzina di
volte per essere trasportato in teatro o in qualche altra casa". E riferisce che
Joseph Haydn gli dichiarò: "Davanti a Dio, e io sono una persona retta, a"ermo
che vostro figlio è il più grande musicista che io abbia conosciuto per fama o
di persona".

Il ritmo di marcia che apre il Concerto K. 456 è un inequivocabile omaggio al


gusto francese, con un preciso riferimento ai Concerti per violino con cui
l'italiano Giovanni Battista Viotti aveva conquistato il pubblico parigino negli
anni immediatamente precedenti. Ma Mozart smorza il tono pomposamente
militaresco di Viotti, a!dando questo tema prima ai soli archi e piano e subito
dopo agli strumenti a fiato. Un lungo tutti, dal carattere brillante e festoso ma
anche energico, conduce tra cromatismi e modulazioni impreviste al secondo
tema, esposto dagli oboi, cui rispondono gli altri fiati, sul semplice
accompagnamento degli archi. Tutta quest'introduzione orchestrale viene
ripresa - ma anche arricchita e variata - dal pianoforte al momento in cui fa il
suo ingresso in scena e assume il ruolo di protagonista, senza però disdegnare
a"atto di tessere con l'orchestra un fitto dialogo dal sapore cameristico: si
riferiva sicuramente a questo Leopold Mozart, quando raccontava il "piacere di
ascoltare il dialogo tra gli strumenti con tale chiarezza". La parte centrale
dell'Allegro vivace non inizia sviluppando i temi già presentati ma, con uno
strappo alla regola, a!da al solista un nuovo motivo: tale abbondanza di idee
è tipica dei Concerti di Mozart, che in tal modo tende a catturare l'interesse
degli ascoltatori "meno esperti", diversamente dalla Sinfonia classica, che si
basa sul rigoroso sviluppo di pochi temi. In questo caso Mozart pospone solo
di poco il vero e proprio sviluppo tematico, ma non fa mancare all'ascoltatore
altri momenti sorprendenti, come un'espressiva frase del pianoforte solo che
nelle edizioni ottocentesche era indicata con dolore: una sottolineatura
superflua, perché è già nella musica. Il ritorno identico del ritmo di marcia
iniziale da il segnale della ricapitolazione, che dapprima segue molto da vicino
la parte iniziale, poi introduce dei cambiamenti che contribuiscono a tenere
sempre viva l'attenzione.

L'Andante un poco sostenuto è un tema con variazioni in sol minore, tonalità


in Mozart spesso collegata ad atmosfere di forte patetismo; ma in questo caso
domina piuttosto un tono di malinconia e disillusione, introdotto dall'intima ed
espressiva melodia, simile ad una Ariette francese, che viene esposta all'inizio
dagli strumenti ad arco. Questa melodia timida e innocente si trasforma e
diventa potente e trionfale nella variazione in si bemolle maggiore a!data
all'orchestra, poi assume un tono pastorale quand'è dolcemente cantata da
oboi e flauto. Quando ritorna il sol minore, il carattere di quest'Andante
diventa e"ettivamente patetico e raggiunge momenti di cupa e ineluttabile
fatalità, per poi rarefarsi e spegnersi in un desolato e penetrante pianissimo.

L'Allegro vivace è nella forma di rondò-sonata ricorrente in molti finali di


Haydn e di Mozart stesso. È il pianoforte ad aprire questo movimento veloce ed
esuberante, presentando il primo dei due temi principali. Un episodio centrale
- caratterizzato dalla modulazione alla cupa tonalità di si minore e dal
sorprendente passaggio del pianoforte e dei fiati al ritmo di 2/4 contro il 6/8
degli archi - introduce un momento di contrasto e di tensione, che interrompe
ma non cancella la vivacità del movimento e anzi mette in maggior risalto il
ritorno della sua irrefrenabile e spumeggiante vivacità.

Mauro Mariani
Concerto per pianoforte n. 19 in fa magg. - K 459 "I.Krönungs-Konzert"

https://www.youtube.com/watch?v=KKpawyR0GzQ

https://www.youtube.com/watch?v=BeemIt-u23w

https://www.youtube.com/watch?v=uWsARuTLR-k

https://www.youtube.com/watch?v=k9zgbGmHahs

Il concerto per pianoforte e orchestra n. 19 in Fa maggiore K 459 di Wolfgang


Amadeus Mozart inizia con un tempo di marcia e per questa ragione viene a
volte catalogato tra i concerti militari. Tuttavia di militare questa composizione
non ha nulla se non una grande limpidezza nella parte solistica.

Il concerto è anche noto come Concerto dell'incoronazione in quanto il


compositore lo eseguì e diresse in occasione dei festeggiamenti per
l'incoronazione dell'imperatore Leopoldo II a Francoforte sul Meno, assieme al
concerto dell'Incoronazione n. 26 K 537, il quale era stato composto proprio
per l'occasione; per tale importante esecuzione, Mozart ampliò l'organico,
aggiungendo 2 trombe e timpani, in modo da aumentarne l'aspetto più
marziale e celebrativo. ma queste parti sono andate perdute.

L'allegro inizia con un tema molto semplice, privo di impennate e di


improvvisi, che Mozart ripropone per tutto il movimento quasi a dimostrare
che l'intero pezzo possa essere risolto con un unico tema. Mozart introduce
nel corso dell'allegro altri due temi, ma quello iniziale si presenta con una
insistenza quasi ossessiva e lo caratterizza.

Un carattere pastorale, esposto con il tema iniziale e più volte ripreso nel corso
del movimento, apre l'allegretto; si tratta di un tema sereno e cantabile ricco di
toni patetici quando si esprime in tonalità minore.

Si trovano accenti haydniani nell'allegro assai finale che espone un tema nitido,
con un ritmo molto marcato e il cui tema riporta a quello con cui inizia il
concerto.

Del concerto ci sono rimaste le cadenze originali di Mozart per il primo e terzo
movimento.

Ferruccio Busoni ha trascritto il finale del concerto per 2 pianoforti con il titolo
Duettino concertante nach Mozart
Guida all'ascolto (nota 1)

Durante il Settecento i concerti per strumento solista e orchestra divennero un


veicolo privilegiato per i compositori-esecutori; erano stati i figli di Bach (in
particolare Cari Philipp Emanuel e Johann Christian) a dare a questa forma una
felice sintesi tra la parte solistica e l'orchestra. Fu proprio il Bach
"inglese" (Johann Christian) ad esercitare un'influenza diretta su Mozart negli
anni decisivi della sua formazione: il piccolo compositore era a Londra
nell'aprile del 1764, e tutte le sue prime composizioni, sinfonie e musica da
camera, rivelano tracce di quel tipo di scrittura che si trova a metà fra lo "stile
galante" e quello "sentimentale" (empfindsamer). Le caratteristiche del primo
(frasi brevi e simmetriche, ritmi uniformi, armonia semplice, incisivi temi
d'apertura con specifiche caratteristiche ritmiche) si arricchiscono di più forti
tensioni emotive che vanno dall'espressione della malinconia all'eccesso eroico
(e musicalmente si traducono in uno stile più rapsodico dei temi, frequenti
passaggi dal fortissimo al pianissimo, scatti ritmici e improvvise modulazioni).
La produzione dei Concerti per pianoforte di Mozart, 23 lavori completi,
mostra, oltre all'evoluzione personale del compositore, anche quella di questo
genere musicale verso gli esiti beethoveniani.

I Concerti della maturità mozartiana sono esemplari per la straordinaria


fusione della forma sinfonica e del Concerto, mentre è bandito ogni
virtuosismo solistico fine a se stesso (ad eccezione delle cadenze scritte di
proprio pugno, come nel caso del Concerto in programma, dove si nota
un'attenzione privilegiata al solista). Anche per ciò che riguarda
l'orchestrazione, tanta è la naturalezza delle soluzioni e degli impasti, che
spesso non ci rendiamo conto che Mozart ha emancipato l'orchestra dal
semplice ruolo di accompagnamento, trasformandola in un fattore melodico,
coloristico e formale determinante, in cui gli strumenti a fiato (specie in
combinazione col pianoforte) giocano la parte principale. In questi lavori degli
ultimi dieci anni di produzione musicale, colpisce anche la libertà formale, una
libertà non casuale o sperimentale ma frutto di un lavorìo continuo in grado di
conferire ad ogni Concerto un contenuto emozionale diverso (anche per quelli
nella stessa tonalità). Se il pianoforte non è "solista" nel senso tradizionale, è
comunque lui a segnare il momento di maggior evoluzione: si stabilisce infatti
la tecnica del nuovo strumento e si vanno esaurendo le tracce del
clavicembalo. Sono proprio questi, infatti, gli anni dello sviluppo del pianoforte
e, se è vero che i ritratti giovanili del compositore ce lo presentano sempre al
cembalo (strumento dunque della formazione), il compositore venne senz'altro
influenzato dal pianoforte come si evince dalle sue composizioni più mature
che presentano passi decisamente pianistici. Fino al 1777, quando incontrò il
costruttore di organi e pianoforti Johann Andreas Stein, la tastiera del cembalo
era l'unico punto di riferimento (anche se in una lettera del 20 agosto 1763, il
padre Leopold dice di aver acquistato un "piccolo, delizioso clavier da Stein"),
medium perfetto per una musica chiara ed elegante, grazie alla nettezza dei
suoni. Il pianoforte si dimostrerà più adatto agli accordi e a tutti gli e"etti
dinamici dei piano e forte dello stile "sentimentale", uno strumento flessibile e
in grado di riempire di suono una sala da concerto.

Con la permanenza stabile di Mozart a Vienna inizia la serie di diciassette


Concerti nei quali il compositore raggiunge la piena maturità: ne scrisse tre fra
il 1782-3, sei nel 1784 (tra cui il K. 459), tre nel 1785, tre nel 1786, e gli
ultimi due nel 1788 e nel 1791). Non deve tanto sorprendere l'alto numero di
lavori in un periodo così breve (era cosa abituale per l'epoca) quanto, come si è
detto, l'estrema varietà di forme e stili in uno stesso genere. Il Concerto in fa
maggiore K. 459 (diciannovesimo della serie), venne composto nel 1784 (prima
edizione, 1794) ed eseguito, secondo quanto ci dice il primo editore, insieme
al K. 537 il 15 ottobre 1790 nel concerto per la celebrazione dell'incoronazione
dell'Imperatore Leopoldo II a Francoforte.

Il primo movimento si apre con un tema semplice nel disegno melodico e


ritmico; nonostante la somiglianzà con molti altri temi di sinfonie e concerti
dell'epoca, questo si imprime nella memoria dell'ascoltatore per l'originale
fusione tra le caratteristiche marziali (tempo 4/4, note ribattute e ritmo
puntato) e quelle più intime (attacco in piano, accattivante combinazione di
archi e flauto solo). Anche all'ingresso del solista, Mozart sottolinea l'unione
dei due elementi facendo leva sulla strumentazione che prevede oboe e fagotto
(sempre in piano) come accompagnamento del pianoforte. Il ritmo puntato
segna lo sviluppo passando dagli archi ai fiati, mentre il pianoforte percorre la
tastiera dall'acuto al grave con veloci terzine. Un'incursione nella tonalità di la
minore spezza la simmetricità del meccanismo formale e la ripetitività
dell'incipit tematico, colorando la partitura di una piccola nota drammatica
prima della ripresa solenne del tema.

Il secondo tempo, come in molte altre composizioni, è caratterizzato da una


grande fantasia formale e armonica, ed è soprattutto qui che si coglie il
carattere sinfonico del Concerto mozartiano. Il tema, brevi incisi esposti
dall'orchestra al completo, ha un qualcosa di frammentario anche per certi
cromatismi che movimentano il disegno melodico. Il solista non primeggia ma
partecipa alla forma generale, e con le sue possibilità tecniche (ad esempio
quella di suonare accordi che non svaniscono in un attimo come nel cembalo)
contribuisce ad arricchire le sfumature armonico-tonali che sono l'elemento
portante di questo movimento.

Il terzo tempo era di solito un Rondò, qui però Mozart ha scritto un finale che è
qualcosa di più: una sintesi di fuga, rondò-sonata e, addirittura, stilemi
operistici. Il primo, semplice piccolo tema presentato dal pianoforte è
bilanciato da un secondo che è di carattere fugato, e troveremo poi i due
combinati in una sorta di doppia fuga; tutto è suggellato, dopo la cadenza, da
una conclusione che, per il ritmo estremamente vivace (le linee melodiche e gli
strumenti si inseguono freneticamente), ricorda l'ouverture dell'opera bu"a. È
interessante come Mozart presenti materiali in modo nettamente distinto e poi
li fonda nel modo più naturale. Il tema della fuga, ad esempio, è
completamente nuovo, con uno sviluppo lungo e autonomo che però finisce
per diventare il logico contrappeso (nel Tutti in re minore) del tema iniziale del
Rondò. Il pianoforte è assente in questo grande episodio contrappuntistico ma
a lui spetta il delicato ruolo di ripristinare una forma meno severa e riportare il
movimento verso atmosfere più consuete. «La forma di questo movimento, ad
un tempo concisa ed estesa, rappresenta la sintesi dell'esperienza e dell'ideale
formale mozartiani. Tutto ha qui il proprio ruolo: lo stile operistico, il
virtuosismo pianistico, la conoscenza mozartiana del contrappunto barocco, e
di quello di Bach in particolare, e l'equilibrio simmetrico e le tensioni
drammatiche dello stile sonatistico. Il primo movimento, militare sì, ma
tranquillamente dominato da calme progressioni, e l'inesauribile e lirico
Allegretto mostrano una uguale sensibilità. L'intero concerto è, in conclusione,
uno dei più originali che Mozart abbia scritto» (Rosen).

Fabrizio Scipioni

Concerto per pianoforte n. 20 in re min. - K 466

https://www.youtube.com/watch?v=ddVQqzOEz8c

https://youtu.be/eF74h_WhLiI

https://www.youtube.com/watch?v=UGldgW6mDnY

https://www.youtube.com/watch?v=z1WVYFVDf4E

https://www.youtube.com/watch?v=YaZxgGs8cwg

Il Concerto per pianoforte e orchestra n. 20, KV 466 è uno dei più noti concerti
solistici di Wolfgang Amadeus Mozart.

Storia

Mozart terminò la stesura del concerto il 10 febbraio 1785. Il giorno


successivo lo eseguì come solista a Vienna in uno dei suoi concerti per
abbonamento in Sala Mehlgrube che, a quel tempo, avevano molto successo.
La tradizione vuole che Mozart distribuì agli orchestrali le copie appena
trascritte dell'ultimo movimento nel momento stesso di andare in scena. Al
concerto prese parte anche il padre di Mozart, Leopold, appositamente venuto
da Salisburgo.

Struttura

Il concerto è composto da tre movimenti:

Allegro (4/4, Re minore)


Romanza (2/2, Si bemolle maggiore)
Rondò. Allegro assai (2/2, Re minore)

La tonalità di impianto, re minore, è una delle predilette dal compositore per le


sue composizioni più drammatiche. Mozart utilizza infatti ampiamente la
tonalità in re minore nella Messa di Requiem e nel Don Giovanni. Altre
importanti composizioni di Mozart nella stessa tonalità sono i due quartetti per
archi KV 173 e KV 421.

Non sono pervenute cadenze autografe. Le cadenze di più frequente ascolto


sono quelle di Beethoven e Brahms.

Analisi

Allegro

L'Allegro iniziale è un 4/4 in re minore. Mozart rinuncia qui alla facile


identificabilità dei temi, sia di quelli principali che quelli secondari, per
ricavarne del materiale musicale quasi essenziale, meglio utilizzabile in una
costruzione di concezione architettonica. Mozart rispetta la tradizionale Forma
sonata, ma non manca di giocarci e tenderne l'articolazione fino ai limiti. Il
primo tema è costituito per la prima metà dalla ribattitura di una singola nota
che comincia in levare (ossia in sincope), per poi discostarsene assai poco nella
seconda metà, ed è a!dato alla tessitura media degli archi e trattato alla
stregua di un tenor bachiano. Su questo si innesta con ossessione da "pedale"
l'arpeggio degli archi bassi che costituisce la cellula più immediatamente
riconoscibile di questo movimento. Mozart sa perfettamente quello che otterrà
sul pubblico. La tonalità cupa, la dissimulazione del tema principale e
l'accentrare l'attenzione sull'arpeggio dei bassi immerge immediatamente in un
clima cupo e ossessivo che inchioda l'ascoltatore fin dai primi secondi. Il
profilo basso del primo tema, e di contro la facilità con cui si imprime
l'arpeggio dei bassi, consentono a Mozart di utilizzare questo secondo spunto
tematico come elemento chiave per i passaggi da una sezione all'altra del
movimento. Mozart forza i rapporti di peso tra le parti tematiche della sonata.
Le due sezioni di passaggio: il "ponte modulante" fra il primo e il secondo
tema e le "codette" successive a questo, acquistano importanza e spazio quasi
come autonome sezioni di "sviluppo", con l'utilizzo di iterazioni di materiale
tematico già proposto e di spunti tematici nuovi. Il secondo tema, soprattutto
viene sacrificato nell'"esposizione" e diventa un breve e disperato interludio
lirico in un quadro di grande drammaticità. La "codetta" più ancora del "ponte
modulante" giunge a tensioni inaudite sino a questo momento. Qui una
dinamica feroce fatta di scale ascendenti e discendenti, di note tenute e note
ribattute di crescendo a forte che sono seguiti da silenzi che danno le vertigini
in un gioco di iterazioni, contrapposizioni e sovrapposizioni, porta al momento
di maggior tensione dell'"esposizione". Mozart risolve le tensioni con una
sorprendente smorzatura, richiudendosi in un lirismo intimo che permette al
pianoforte di introdursi con una melodia all'apparenza del tutto nuova ma (e
qui sta la forzatura formale più sorprendente e geniale) che si scoprirà nel "da
capo" come la conclusione del secondo tema, ritrovando la sua collocazione
naturale. Le peculiarità della Forma sonata applicata al concerto gli permettono
di trasformare il "da capo" dell'"esposizione" lo "sviluppo" e la "ripresa" come
occasioni per elaborare variazioni sul principale materiale tematico
dell'"esposizione". Dramma, "movimento" nell'etimo originale greco. Mozart
costruisce questo primo tempo del concerto su tensioni drammatiche e di
contrapposizione tra pieni e vuoti, tenebra e luce. I temi si susseguono
rincorrendosi, incastrandosi, sovrapponendosi. A scale ed arpeggi ascendenti
si contrappongono e sovrappongono precipitosi movimenti discendenti. A
"tutti" orchestrali in "forte" (il "fortissimo" verrà introdotto solo da Beethoven),
si contrappongono attimi di silenzio abissale, come all'apice della "codetta", o
a momenti lirici struggenti come nel passaggio tra questa e l'introduzione
solistica al "da capo" o tra il "passaggio modulante" e il secondo tema. In altri
momenti linee melodiche appena accennate in una sezione precedente
assumono rilievo e vengono definite nella loro autentica importanza nel gioco
delle variazioni nelle sezioni successive, come la linea melodica discendente
a!data ai contrabbassi che chiude l'esposizione del primo tema, che viene
ripresa con una violenza inaudita dalla mano sinistra del pianoforte nella
ripresa. La coda interrompe la ripresa del momento di tensione più alta già
ascoltato nella "codetta" dell'esposizione, e con un'improvvisa smorzata, si
chiude in un'atmosfera di cupa meditazione sull'arpeggio ossessivo degli archi
bassi che apre il concerto, imprimendo un impianto circolare alla
composizione, un moto perpetuo, il fluire ed il tornare eterno di un pensiero
ossessivo.

Andante

L'Andante del secondo tempo è una romanza in 2/2 in forma ABACA. Come fa
spesso, qui Mozart gioca di contrasti, espliciti e mascherati. Il primo contrasto
è con il carattere del movimento che lo ha preceduto. Nell'inizio del secondo
movimento il tema è sereno, apparentemente idilliaco e la tonalità solare (Si
bemolle maggiore) lo conferma. È il tempo scelto (2/2) che ci fornisce il primo
indizio sulle intenzioni dell'autore. A di"erenza di altri pezzi di grande lirismo
il tempo non è un morbido ternario (3/4, 6/8), né un 4/4 con il suo respiro
ampio ed il suo alternarsi di “battere” forti e smussati, ma un marziale 2/2. Il
tema principale viene esposto dal solista, ripreso poco dopo dall'orchestra,
passa dall'una all'altro con la solita maestria orchestrale mozartiana. Il secondo
tema si presenta immediatamente con un salto di ottava ed intervalli ampi si
ritrovano in tutto il suo svolgimento. È questo espediente più volte iterato che
Mozart usa per costruire tensioni armoniche in crescendo che portano al
minore e ad atmosfere già distanti dal primo tema. Con grazia sorprendente
Mozart torna quindi sul primo tema per la seconda sezione. La terza sezione
tematica precipita in minore, e questa volta con una serie di scale forsennate
che richiamano alcuni passaggi dello sviluppo del primo movimento. Gli
accordi verticali in “forte” (bisognerà aspettare Beethoven per i primi
fortissimo) marcano di brusche fermate e riprese il rincorrersi delle scale. Un
arpeggio rallentato e un arabesco riportano al tema principale che chiude
questa pagina in un finto clima di riconciliazione, aprendo al frenetico finale.
Rondò. Allegro assai

Il Rondò conclusivo, in forma ABACABA, è caratterizzato da vivaci contrasti.


Mozart usa ancora il 2/2 del secondo movimento, ma in tempo di Allegro
assai. Per l'incipit usa il cosiddetto razzo di Mannheim: una sequenza di note
veloci in crescendo che culminano su una nota lunga con un passaggio di
basso ostinato molto forte. L'esposizione a!data al pianoforte è seguita
immediatamente dall'orchestra che anziché limitarsi ad un accapo, si getta
immediatamente in uno dei più precipitosi fugati della letteratura mozartiana.
Quando ricompare il pianoforte con la seconda sezione del tema, introduce un
primo ingannevole accenno di respiro per ricadere immediatamente nella
frenesia del primo tema questa volta con una scrittura d'assieme. Il secondo
tema in Fa maggiore pur mantenendo la frenesia delle continue scale
ascendenti e discendenti ci porta in un clima sereno, quasi scherzoso, che si
chiude con una prima cadenza solistica (non autografa) che ci riporta alla
ripresa del primo tema. Qui Mozart precorre ancora una volta i tempi, dopo
un'esposizione magistralmente abbreviata che bypassa il fugato orchestrale,
utilizza la seconda sezione del primo tema per lanciarsi un'autentica sezione di
sviluppo, la piccola "turcheria" costituita dal 3° tema è incastonata in questo
ampio sviluppo del primo e con esso costituisce in sostanza in una unica
sezione senza soluzione di continuità, che culmina con una più ampia cadenza
solistica (anche questa non lasciataci da Mozart, ma a!data
all'improvvisazione dell'interprete come prassi per i concerti più elaborati).
L'utilizzo delle tre sezioni centrali del Rondo' "ACA" come corpus unico di
sviluppo ci porta direttamente alla forma romantica del Rondò-sonata. Finita la
cadenza ricompare il secondo tema, caratterizzato quasi burlescamente
dall'accompagnamento a!dato ai fiati a partire dai fagotti. Il pianoforte ora
dialoga, scherza con l'orchestra e porta ad una sfolgorante chiusura del
concerto in un inatteso Re maggiore.

Influenze

"Opera ponte", "opera preromantica": così viene sovente definito questo


concerto. In realtà queste definizioni partono da un punto di vista falsato che è
quello “a posteriori” tipico di una visione storiografica che tende a classificare
opere ed eventi in riferimento a periodi o movimenti spesso più definiti nella
visione di chi scrive da critico o da storico che agli occhi del compositore o dei
suoi contemporanei. Mozart non fu compositore Romantico, eppure fu un
modello a cui il romanticismo musicale spesso guardò. Movimenti di poco
precedenti al Romanticismo ma che non ebbero simili dimensioni vengono
definiti comunemente “preromantici”. Così fu per lo Sturm und Drang tedesco
di cui Mozart non è ricordato come un esponente di rilievo in ambito musicale
perché sopravvisse 18 anni alle sue opere ascrivibili a questo genere (la
Sinfonia K 183 in sol minore, i concerti per fagotto, per flauto, per violino ecc.
ecc), e in quei 18 anni rivoluzionò completamente il panorama musicale. Lo
Sturm und Drang non nacque in “previsione” del Romanticismo, ma in
relazione alle istanze sociali politiche e culturali della seconda metà del
Settecento.

L'importanza nella storia della musica del Concerto KV 466 è notevole. La sua
influenza, evidente in alcune opere (come nel Concerto per pianoforte e
orchestra n. 1 di Brahms), attraversa tutto l'Ottocento e si estende sino al XX
secolo. Il KV 466 è tutt'oggi uno dei concerti per pianoforte di Mozart più
eseguiti e amati, assieme al KV 488. Fu il concerto preferito da Beethoven,
autore di una cadenza per questo concerto che viene a tutt'oggi eseguita dalla
maggior parte degli interpreti.
I concerti successivi

Nei Concerti di Mozart assistiamo ad una sconvolgente evoluzione non solo


delle dimensioni dell'orchestra, ma anche nei timbri, nel rapporto tra le varie
parti dell'orchestra e nel carattere dell'opera, che da intrattenimento
virtuosistico si teatralizza divenendo discorso, narrazione, azione drammatica.
Il K 466 è esemplare nel presentare questi aspetti, a partire dall'organico che è
il più vasto nella sua produzione, un'orchestra di natura pubblica e borghese,
emancipata dalle corti principesche o dalle cappelle vescovili.

Dopo il Concerto K 466 Mozart comporrà altri sette concerti per pianoforte e
orchestra. Nel K 467, nel K 482, nel K 488 e nel K 491 Mozart prosegue sulla
strada della sperimentazione, trovando combinazioni ed approcci sempre
originali. Tra il K 491 e l'ultimo dei concerti mozartiani, il K 595, passano
cinque anni, nei quali Mozart comporrà due soli altri concerti per pianoforte: il
K 503 e il K 537. Entrambi questi concerti hanno un carattere più brillante ed
estroverso dei cinque precedenti: sono scritti infatti per le celebrazioni di due
occasioni mondane (il secondo fu composto per i festeggiamenti in onore
dell'incoronazione dell'imperatore Leopoldo II d'Asburgo-Lorena). L'ultimo
concerto per pianoforte, il K 595, composto l'anno precedente alla morte, è
invece un capolavoro scritto nello stile intimo e diafano tipico delle migliori
pagine degli ultimi anni del compositore.

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Concerto per pianoforte K.466 fu composto da Mozart nel 1785, ed è il


decimo dei Concerti scritti dopo il trasferimento a Vienna, avvenuto nel 1781.
Nei quattro anni successivi alla rottura con la corte salisburghese Mozart si era
a"ermato rapidamente presso il pubblico della capitale dell'impero, nella veste
però non tanto di compositore quanto di pianista, come virtuoso alla moda. Il
ristretto circolo di aristocratici e facoltosi borghesi che onorava della sua
presenza le "accademie" organizzate dal giovane salisburghese veniva
irresistibilmente attratto dagli aspetti di novità del pianismo mozartiano, dalla
scorrevolezza brillante e non cembalistica, dalle inedite escursioni dinamiche,
dai controllati e"etti percussivi del tocco. Tali caratteristiche infatti
rispondevano perfettamente al gusto e!mero e disimpegnato della maggior
parte degli ascoltatori; e il Concerto per pianoforte e orchestra era considerato
come genere di intrattenimento e svago per eccellenza.

Non deve stupire dunque che nei primi Concerti viennesi preoccupazione
prioritaria dell'autore fosse quella di confezionare dei prodotti in cui egli
stesso potesse figurare, come solista, nel modo più accattivante possibile; ma
poi, progressivamente, Mozart trasformò il genere del Concerto in un vero e
proprio laboratorio di sperimentazioni formali, linguistiche, contenutistiche.
L'esito fu quello di una nuova concezione del rapporto fra pianoforte e
compagine orchestrale come confronto di diverse individualità, in una ottica
che precorre quella del Concerto beethoveniano e poi romantico.

Proprio in questa prospettiva il Concerto K. 466, eseguito e diretto dall'autore


l'11 febbraio 1785, apre nuove frontiere, forzando il virtuosismo verso una
"drammatizzazione" che tende a un coinvolgimento emotivo dell'ascoltatore (e
non è certo un caso se questo Concerto fu l'unico fra quelli di Mozart a
rimanere in repertorio durante il secolo scorso). La stessa tonalità minore
esclude a priori la componente più facilmente brillante ed esteriore del
virtuosismo. L'intero brano è improntato ad una tragicità quasi teatrale,
splendidamente calibrata su una dialettica di contrasti interni, formali, tonali,
fra "solo" e "tutti". Nel primo movimento la drammaticità del primo tema,
subito evidenziata dal ritmo sincopato che agita l'introduzione orchestrale,
viene attenuata da un secondo tema cantabile; l'ingresso del pianoforte
avviene però con un terzo tema che, nel corso del tempo, verrà ripreso solo
dallo strumento solista; il conflitto fra quest'ultimo e l'orchestra assume
insomma una veste anche tematica (la cadenza che, come di consueto, precede
la coda del movimento, non ci è stata lasciata dall'autore; per tradizione si usa
eseguire quella appositamente, scritta da Beethoven per le proprie esecuzioni
della partitura). Forte è il contrasto con il secondo tempo, una Romance basata
su una melodia semplicissima, intonata dal pianoforte e ripresa dall'orchestra;
e un nuovo contrasto viene a crearsi con la sezione centrale del movimento
che, ricca di esiti drammatici e complessi equilibri strumentali, ottiene l'e"etto
di evidenziare il carattere del tema principale quando questo si ripresenta. Con
il Finale, in forma di Rondò, torniamo all'ambientazione iniziale, accentuata
dall'incalzare del ritmo e dalla frequente oscillazione fra minore e maggiore;
questo clima si converte però nella coda, che suggella il Concerto con un
sorprendente re maggiore. Si tratta di una conclusione che è stata variamente
interpretata, ed anche aspramente criticata come concessione al pubblico; ma
essa costituisce in realtà, con coerenza estrema, l'ultima risposta a quella
logica di contrapposizioni che anima la drammaticità dell'intera partitura.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 10 febbraio 1785 (l'esecuzione, preparata in gran fretta, ebbe luogo l'11)


Mozart concluse la composizione di un capolavoro radicalmente antitetico al
marziale e vivace Concerto K. 459, terminato due mesi prima. Per la prima
volta il genere del concerto per pianoforte, che si presume brillante e festoso,
vedeva Mozart scegliere una tonalità minore e muovere decisamente verso un
drammatico patetismo. In tal senso va letta, capovolgendo il significato
abituale di questi strumenti "di gala", la stessa presenza in orchestra di trombe
e timpani. Amatissimo da Beethoven, che compose per esso le cadenze lasciate
in bianco da Mozart, il Concerto in re minore ebbe grande fortuna per tutto
l'Ottocento, come simbolo di un Mozart precursore del romanticismo in
musica.

Travolta ogni corrente tipologia galante o militare, Mozart opta qui per un
marcato dualismo fra pianoforte e orchestra, fino a investire di significati
drammatici la stessa struttura formale.

Dominante in tutto il primo tempo, fin dalle sincopi inquiete che sostengono il
primo tema, questo carattere cede nella Romanza (iniziata dal pianoforte solo)
a una cantabilità di estrema carica espressiva, incorniciando la nuova
esplosione drammatica della sezione centrale ancora in minore (questo
Concerto rappresenta in modo esemplare l'ethos delle tonalità in Mozart). Nel
finale lo schematismo consueto alla forma del rondò è superato da un
itinerario tonale che alterna maggiore e minore con sottile drammaturgia, fino
alla chiusa, che sembra quasi accogliere un ruvido accenno umoristico.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Ventuno concerti per pianoforte e orchestra, più uno per tre pianoforti e
orchestra e un rondò per pianoforte e orchestra, rispettivamente K. 242, 365, e
382, rappresentano la somma della produzione strumentale e pianistica di
Mozart e in essi si avverte l'evoluzione dello stile da concerto del
salisburghese, che passa da una libera forma sinfonica, dove lo strumento
solista svolge un ruolo brillante e virtuosistico, ad un linguaggio sonoro più
intimo e raccolto nell'ambito di un rapporto più misurato ed equilibrato tra il
pianoforte e l'accompagnamento orchestrale. Del resto lo stesso Mozart
espresse in una lettera che porta la data del 28 dicembre 1782 le sue idee sul
modo di concepire i concerti per pianoforte e orchestra della prima maniera. «I
concerti - egli scrive a suo padre - sono una via di mezzo tra il troppo di!cile
e il troppo facile, sono molto brillanti e piacevoli all'udito, naturalmente senza
cadere nello stravagante e nella vuotaggine. Qua e là anche gli intenditori
possono ricevere una soddisfazione, ma in modo che i non intenditori devono
rimanere soddisfatti, senza sapere perché». Negli anni successivi egli
approfondì e arricchì la struttura tecnica del concerto, conferendo all'orchestra
una personalità timbrica più spiccata, pur lasciando intatte allo strumento
solista le fioriture, le variazioni e le cadenze tipiche della parte pianistica. In tal
modo l'antico concerto da salotto cambia non tanto nella forma, quanto nello
spirito della musica in esso racchiuso. A questa linea espressiva si attengono i
Concerti in la maggiore K. 488, in do minore K. 491 e in do maggiore K. 503,
scritti tutti e tre nel 1786, nello stesso periodo in cui l'autore era alle prese con
la composizione delle Nozze di Figaro (non per nulla il Concerto in do minore,
completato il 24 marzo 1786 ed eseguito per la prima volta a Vienna dallo
stesso Mozart il 7 aprile successivo reca il numero Kòchel immediatamente
precedente a quello delle "Nozze").

Ma l'impronta dello stile mozartiano, quanto mai vario e ricco per la fantasia
inventiva delle idee, è presente anche nel Concerto per pianoforte e orchestra
in re minore K. 466, che fu composto a Vienna e reca sul manoscritto la data
del 10 febbraio 1785. Esso appartiene a quel gruppo di componimenti
classificati come "sinfonie dialoganti" per lo stretto rapporto contrappuntistico
esistente tra l'orchestra e la voce solista, non confinata soltanto nel ruolo
virtuosistico e brillante di questo strumento a tastiera. Tale considerazione
emerge sin dall'Allegro del primo tempo aperto da un ritmo sincopato in tono
grave dell'orchestra sfociante in un forte su cui, dopo una piacevole trama
strumentale, si innesta il secondo tema esposto dagli oboi e dai fagotti e ai
quali risponde il flauto, prima di passare ai violini in un clima di energica
tensione espressiva. Interviene il pianoforte con, una frase in risposta all'ultima
idea proposta dai primi violini e si appropria di un inciso del ritornello iniziale;
ritorna il secondo tema e di nuovo il pianoforte sviluppa un elegante discorso
melodico tra suoni arpeggiati e delicate modulazioni strumentali. Non manca
la rituale cadenza solistica, che apparterrebbe a Beethoven (e si sente) e non a
Mozart, il quale durante le esecuzioni dei suoi concerti improvvisava e a volte,
come in questo caso, non lasciava alcuna traccia scritta.

Di straordinaria purezza e morbidezza lirica è la Romance, in cui il pianoforte


espone una melodia dolce e riposante, accompagnata con discrezione
dall'orchestra. Al primo tema cantabile ne subentra un altro più mosso e
vivace, su armonie più marcate e scorrevoli. A conclusione si ritorna allo stesso
tema poetico d'inizio, in un'atmosfera di sognante estraneità dalla realtà. Il
pianoforte attacca quindi con impeto e vigore il tema del Rondò, leggero e
spigliato nel dialogo con l'orchestra e nel gioco delle imitazioni con il
passaggio dalla tonalità minore a quella maggiore: una vera e propria festa di
suoni gioiosi e allegri.

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Tranne poche, pochissime eccezioni i "venticinque concerti per pianoforte e


orchestra sono al livello del capolavoro, ed è perciò impossibile segnare
qualche gerarchia in fatto di valori estetici.

Si potrà parlare, tutt'al più, di predilezioni o preferenze; tale il caso di questo


Concerto in re minore K. 466, che risulta uno dei più frequentemente eseguiti
dai grandi concertisti, e che d'altronde Beethoven stesso sembra amasse sopra
gli altri e per il quale scrisse le cadenze. Nella ricchezza di motivi critici cui
Mozart ha dato luogo nel corso ormai di quasi due secoli tra quelli
relativamente più recenti si è avuta la scoperta dell'elemento demonico (o
riscoperta, se si tiene presente certe intuizioni goethiane). Comunque, lo
Heuss, il musicologo che per primo precisò e trattò questo tema, richiamava
l'attenzione su alcune composizioni strumentali o movimenti di esse dove il
tono minore è accentuato nell'intensità espressiva e quello maggiore
rigidamente evitato (nel che, oltre tutto, lo stile mozartiano si di"erenzia da
quello beethoveniano), dove inoltre il rapporto tra la melodia e l'armonia
assume delicate, mutevoli prospettive, dove, infine, il cromatismo, il giro
melodico, il ritmo, gli antagonismi espressivi, tutto denuncia un'inquietudine
di spiriti e di sentimenti oscuri; tra quelle composizioni lo Heuss pone proprio
il nostro Concerto in re minore.

Di quanto sopraccennato basterebbe a dare la più ampia conferma l'inizio del


primo movimento Allegro, con quel tema ai bassi che, quasi reiterata minaccia,
ascende e lampeggia tra l'orgasmo del sincopato degli archi; tutto irrorato di
sereni spiriti, invece, e come inconsapevole, entra in scena il pianoforte. Da
questo momento ha inizio quella ch'è forse la più grande sinfonia dialogante
tra pianoforte e orchestra che sia mai stata scritta; un pianoforte che nella
Romanza si presenta sul principio di nuovo innocente, modesto; non
sospetteresti che di lì a poco si scatena nella gioia voluttuosa del suono,
ricomponendosi di nuovo, alla fine, entro un fare tutto tenerezza e candore.

La complessità e libertà formale di questi due movimenti si prolungano anche


nel Rondò (Allegro assai); tra l'altro, al termine della cadenza del solista non si
ha, com'è di prammatica, la ripresa dell'orchestra ma è lo stesso pianoforte che
ripresenta il tema conducendolo nel breve giro di otto battute al grande
evento: il re maggiore (oboe, cui risponde subito il pianoforte). Così si
conclude in pensieri giocosi, esaltanti ciò che s'era iniziato sotto il segno
tragico.

Aveva ragione Busoni nel dire «spaventosa» la imprevedibilità di Mozart, e ben


si comprende Rossini quando sotto un ritratto di Mozart dedicato a un giovane
amico scrisse: «Egli fu l'ammirazione della mia giovinezza, la disperazione
della mia maturità, e la consolazione della mia vecchiaia».

Giorgio Graziosi

Concerto per pianoforte n. 21 in do magg. - K 467

https://www.youtube.com/watch?v=i2uYb6bMKyI

https://www.youtube.com/watch?v=jsUap5vXGDk

https://www.youtube.com/watch?v=54Okn4-GWHM

https://www.youtube.com/watch?v=m5FGjbXS284

Il concerto per pianoforte e orchestra n. 21, in Do maggiore, KV 467, fu


completato da Wolfgang Amadeus Mozart il 9 marzo 1785 a Vienna.

Storia

Wolfgang Amadeus Mozart, che aveva messo alla prova il suo pubblico
viennese con il cupo ed innovativo Concerto per pianoforte e orchestra n. 20
composto appena un mese prima, ritornò con il concerto per pianoforte e
orchestra n. 21 in Do maggiore K 467 a toni più consueti e rassicuranti.
Questo, per sommi capi, il pensiero di Piero Rattalino riferito al concerto con il
quale il compositore salisburghese faceva il suo ritorno "alla commedia degli
equivoci, congegnata con tutte le sorprese, le trovate, i colpi di scena"
necessari.

La tonalità di Do maggiore e una corposa orchestra creano i presupposti di un


sicuro successo in quella felice stagione in cui si colloca l'esecuzione di questo
concerto.

Dopo la prima assoluta viennese del 10 marzo il 12 marzo il compositore la


esegue anche al Burgtheater.

Movimenti

È diviso in tre movimenti:

Allegro maestoso
Andante
Allegro vivace assai

Nel primo (allegro maestoso, in 4/4) Mozart amplia l'orizzonte espressivo del
concerto per pianoforte coinvolgendo lo strumento solista in una orchestra di
grande ambizione e facendo interagire gli episodi melodici con la struttura
armonica dell'opera.

Il secondo movimento (Fa maggiore, in 4/4) è il celebre andante, la cui


cantabilità non viene mai o"uscata da cambiamenti di ritmo ed il volume è
mantenuto a livelli di placida calma.

Il terzo movimento del concerto (allegro vivace assai, in 2/4) permette di


chiudere brillantemente l'opera. Si noti come al solista vengono dedicate solo
due brevi cadenze per esibire il proprio virtuosismo a dimostrazione che per
Mozart è la struttura dell'intera opera a prevalere sul protagonismo del solista.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Concerto in do maggiore K. 467 fu pubblicato da Mozart nel 1785 ma era


stato presentato al pubblico durante la quaresima dell'anno precedente. Erano
passati appena cinque anni dal soggiorno salisburghese di cui abbiamo parlato
a proposito della Messa dell'Incoronazione ma la vita di Mozart era
definitivamente e radicalmente mutata. Licenziato dal servizio dell'Arcivescovo
Colloredo, aveva scelto la vita del libero artista a Vienna e l'anno della
composizione del concerto lo trova sulla cresta dell'onda dopo il recente
successo del Ratto al Serraglio, intimo dell'ambiente di corte, in relazioni di
fraterna amicizia con il grande Joseph Haydn - cui aveva in quel periodo
dedicato anche una serie di Quartetti - e felicemente sposato con la sorella di
Aloysia, Costanza. Una lunga anche se rapida strada che lo aveva portato al
centro della vita musicale viennese facendolo diventare - ma sarà per poco -
un musicista alla moda. E' in questo contesto che egli decise allora di
organizzare di propria iniziativa una serie di concerti per sottoscrizione che
avrebbero dovuto insieme ra"orzare la sua fama ed il suo benessere. Ma ecco
come Mozart descrive il suo successo in quegli anni in una lettera al padre:
« ... eccovi l'elenco di tutti i miei abbonati. Io da solo ne ho circa trenta di più
che Richter e Fischer insieme. Il primo concerto il 17 scorso è andato
benissimo. La sala era piena zeppa e il nuovo concerto da me eseguito è
piaciuto straordinariamente. Ovunque si sente lodare questa accademia... ». E
il padre Leopoldo, recatosi a Vienna proprio in occasione della prima
esecuzione di questo Concerto in do maggiore che si esegue stasera scrive alla
figlia Nannerl « ... tuo fratello ha incassato 559 fiorini e cioè assai di più di
quanto immaginassimo poiché ha ancora 150 abbonati - ognuno dei quali
paga una sterlina - per altri sei concerti alla «Mehlgrube». Ha poi suonato
moltissime altre volte in teatro per pura cortesia. Finissero soltanto questi
concerti! Non posso descriverti le seccature, le agitazioni... ».

E' in questo periodo che Mozart scrive una serie di quattordici Concerti per
pianoforte e orchestra - dal 1783 al 1787 - che hanno in comune numerosi
caratteri espressivi e formali così caratterizzati dallo stesso Mozart in una
lettera di quegli anni: « ... sono esattamente una via di mezzo tra il troppo
di!cile e il troppo facile; brillanti, gradevoli all'orecchio, naturali senza cadere
nel vuoto. Qua e là potranno soddisfare gli intenditori ma sempre in modo tale
che anche gli incompetenti ne provino piacere senza sapere perchè ». E il
Paumgartener nota come questo gruppo di concerti «... pur senza scostarsi
dall'antica struttura formale in tre tempi sostanzialmente evolvano i precedenti
saggi del genere... Uno degli obiettivi principali quello di conseguire l'«e"etto»
- non si dimentichi che Mozart li scriveva per eseguirli personalmente in
pubblico - risulta ingentilito dalla profondità e dalla nobiltà dell'invenzione e
portato con sublime maestria al di sopra di ogni contingenza di tempo e di
moda... ». E lo stesso Paumgartner così prosegue: « ... il concerto mozartiano
si di"erenzia dagli antichi modelli essenzialmente per la concezione fonica e
psicologica moderna della forma intesa come spigliata contrapposizione di due
individualità - la massa orchestrale e il pianoforte a martelli dalle enormi
risorse timbriche e dinamiche - e potenziata da un'inesauribile varietà di
atteggiamenti... Pur essendo riservata al virtuosismo del pianista una parte
preminente, protagonistica, anche l'orchestra si muove con indipendenza. Allo
strumentatore geniale agguerrito alle scuole di Vienna e di Mannheim... queste
partiture furono magnifiche occasioni di mettere in luce così ricche esperienze.
Nelle parti pianistiche profuse i tesori della propria originalissima tecnica, le
magistrali figurazioni fiorite di interessanti abbellimenti, gli squisiti levissimi
passaggi, i cambiamenti di posizione timbricamente così suggestivi, la dolce
cantabilità della mano destra sui canovacci trasparenti e morbidi degli
accompagnamenti; ma non meno si preoccupò di dare all'orchestra lo stesso
grado di interesse timbrico e musicale... ».

Ed è un giudizio che pienamente si attaglia al Concerto in programma stasera.


Il primo tempo «Allegro maestoso» si presenta come una sorta di marcia
solenne, intervallata da silenzi, che presto concede ai priimi violini il privilegio
di presentare il primo tema; poi, dopo un dialogo tra archi e fiati, spetta ai
legni di presentare un secondo tema finchè, dopo una drammatica
modulazione in minore, si apre la strada all'intervento del «solo» il quale, su
una tonalità di sol maggiore, più che presentare un tema si lancia in un
tentativo di «cadenza» che dà l'avvio al lungo dialogo tra solista e orchestra. E'
abbastanza interessante notare a proposito di questo primo tempo l'assoluto
parallelismo che si viene a creare tra il «solo» e i «tutti», dove al primo è
negato ogni intervento sul materiale tematico a!dato all'orchestra e viceversa.
Al punto che Mozart volendo a!dare il secondo soggetto del tempo al solista
ha inventato una specie di secondo soggetto fittizio per completare
l'introduzione orchestrale. Sicchè il rapporto dialettico tra il pianoforte e
l'orchestra è soprattutto un rapporto espressivo per il quale «solo» e «tutti»
sono chiamati nelle loro rispettive sfere ad esprimere sì lo stesso pensiero ma
con parole programmaticamente diverse.

Il secondo tempo «Andante» è scritto nella tonalità di fa maggiore ed è certo


tra i più alti movimenti lenti composti da Mozart. Il De Saint-Foix ne mette in,
risalto l'atmosfera di «alta poesia», a proposito della quale qualche critico ha
fatto addirittura il paragone con i Notturni di Chopin. Una cantilena del
pianoforte preceduta da un preludio dei «tutti» è la caratteristica fondamentale
di questo movimento nel quale sembrano addensarsi e risolversi uno nell'altro
numerosi stati d'animo ora tristi, ora angosciati, ora sereni. Ma i temi si
distinguono appena; quasi si trattasse di un fiume sonoro lento e costante. Ma
non si tratta di una «fantasia», anche se una gran parte del fascino di questo
movimento si basa sul suo colorito sempre cangiante e sulle straordinarie
sonorità frutto di una ricchissima e sapiente strumentazione. Ma se l'orecchio
non riesce a distinguere i diversi temi, pure riconosce accenti che ritornano,
strade già percorse.

Strutturalmente si riconoscono in questo movimento tre parti distinte: un


preludio orchestrale, una parte centrale nella quale è il solista a prevalere ed
una «coda». Nè sarà inutile notare che questa magica atmosfera è costruita da
Mozart cambiando continuamente la tonalità del pezzo che comincia in fa
maggiore e conclude, naturalmente, nella stessa tonalità ma che contiene in
102 battute ben 20 modulazioni verso tonalità diverse.

Il terzo tempo «Allegro vivace assai» è da un punto di vista espressivo un


rondò caratterizzato dal dialogo costante tra «solo» e «tutti» basato sulla
utilizzazione sapiente di frammenti del tema principale che passa
continuamente da una famiglia all'altra dell'orchestra per preparare parentesi
di carattere dichiaratamente virtuosistico al pianoforte, nello spirito generale
del movimento che sembra essere quello di una gioiosa atmosfera che cancella
definitivamente la intima e triste meditazione dell'«Andante».

Gianfilippo De'Rossi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

In conseguenza della brusca rottura con l'arcivescovo di Colloredo presso il


quale aveva prestato servizio in qualità di organista del duomo e della corte,
Mozart decise di rimanere a Vienna (1781), città che lo aveva sempre
a"ascinato per il vivace fermento culturale di stampo europeistico, ra"orzatosi
negli anni dell'illuminismo giuseppino.

Perfettamente a suo agio nei panni dell'artista «indipendente» e accettando le


conseguenze della nuova situazione che Io privava di uno stipendio annuo
fisso, il musicista fu costretto ad aguzzare il suo scarso ingegno economico:
organizzò concerti a proprie spese, ma anche a suo personale beneficio (le
cosiddette «accademie»), cominciò a dare lezioni private di pianoforte e
composizione e infine pubblicò un consistente gruppo di lavori.

Il padre, recatosi nella primavera del 1785 a Vienna ospite di Wolfgang e della
giovane nuora, annunciava con visibile soddisfazione a Nannerl un positivo
bilancio finanziario: «se mio figlio non ha debiti da pagare, è in condizione di
depositare duemila fiorini in banca. Certamente il denaro non gli manca». Il
tono ottimistico di Leopold - come tutti sanno - sarà purtroppo smentito dalla
realtà. Certo che soprattutto nei primi anni viennesi Mozart era l'artista «up to
date», conteso e vezzeggiato dalla influente società del tempo: il cancelliere di
stato conte Coblenz, i principi Kaunitz e Galitzyn, il barone van Swieten,
fervido animatore di domenicali «rendez-vous» bachiani, l'imperatore
Giuseppe II in persona che — come racconta Leopold — dopo l'esecuzione di
un concerto pianistico, si alzò sventolando il cappello al grido di «bravo
Mozart».

Accanto a questi gratificanti attestati e, di conseguenza, a molte gelosie —


presunta quella di Gluck, certa invece quella di Salieri —, il compositore
continuava a lavorare col suo costante e frenetico ritmo.

Il «Concerto in do maggiore», composto nel marzo 1785 ed eseguito il 9 dello


stesso mese dall'autore durante il ciclo di «accademie» al «Mehlgrube», ebbe
luogo di fronte a un pubblico di 150 abbonati.
Come tutti i diciassette concerti pianistici scritti a Vienna — tranne l'ultimo K.
595 — anche questo lavoro non fece gemere i torchi della stampa, durante la
vita del musicista; nel 1801 l'editore André pubblicò l'opera sulla base del
manoscritto autografo. Sintesi magistrale di preclassica grandiosità e di intima
«sensiblerie» settecentesca, questo concerto anticipa per magnificenza
orchestrale, struttura sinfonica, ricchezza inventiva, la stagione radiosa
dell'ultimo e metafisico Mozart.

Caratteristica principale del primo movimento («Allegro maestoso»), in una


originale forma-sonata, è il modo di procedere per blocchi sonori di
aggettante nitore timbrico, tale che il tema iniziale di marcia si presenta,
simmetricamente disposto fra l'ala degli archi all'unisono e la squillante fanfara
dei fiati. L'apollineo ne è la cifra distintiva. Nella misura in cui Mozart
raggiunge una cosciente chiarificazione della propria problematica umana e
artistica, conquista, disancorandole da un improbabile retaggio illuminista, le
categorie della semplicità e della lucida razionalità, elevandole a presupposti di
polivalente semanticità, oggettiva e soggettiva a un tempo.

Il dialogo fra pianoforte e orchestra si dispiega, pur nel rispetto delle


tradizionali «entrées», con mirabile varietà di accenti e mutue incidenze
espressive, in un tessuto armonicamente omogeneo che non rifiuta gli
ornamentali virtuosismi dello stile clavicembalistico.

L'«Andante», in tempo binario, segna il momento della riflessione lirica,


dell'abbandono intimistico. Si apre con il pizzicato dei violoncelli e dei
contrabbassi, su un mosso disegno di terzine e sestine a!dato a violini
secondi e viole, mentre i violini primi, con sordina, intonano un canto di
suggestiva e rarefatta bellezza, ripreso e sviluppato dal pianoforte.

L'«Allegro vivace assai», scritto nella forma del rondò, porta indiscussa la firma
dell'autore, che si diverte a mescolare le carte di un brillante gioco timbrico,
esplorandolo con curiosa e divertita ironia.

L'organico comprende oltre allo strumento solista: flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2


corni in do, 2 trombe in do, timpani e archi.

Fiamma Nicolodi

Concerto per pianoforte n. 22 in mi bemolle magg. - K 482

https://www.youtube.com/watch?v=RySPgN59X98

https://www.youtube.com/watch?v=OWFM3K8jOco
https://www.youtube.com/watch?v=2gikfODqVHs

Il concerto per pianoforte e orchestra n. 22 in Mi bemolle maggiore K 482 fu


composto da W. A. Mozart a Vienna sul finire del 1785 destinato ad un
organico di tutto rilievo.

Nel primo tempo (allegro) non ci scostiamo da una coloritura brillante che non
porta nulla di nuovo rispetto ai precedenti concerti.
Nell'andante, una serie di stupende variazioni su un tema in Do minore, dà
luogo ad un intimo colloquio tra il pianoforte e i singoli strumenti.
Nella parte centrale del tema conclusivo (allegro) troviamo un andantino
cantabile che interrompe le rapide e brillanti evoluzioni dello strumento solista
presenti all'inizio e nella ripresa del tema iniziale.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questo concerto porta la data del 16 dicembre 1785 e fu eseguito a Vienna la


prima volta il 23 dicembre dello stesso anno ottenendo un grande successo da
parte del pubblico che volle la replica dell'Andante. Si trattava del resto di un
periodo - forse il solo periodo - fortunato nella vita viennese del musicista. Le
poche lettere di quegli anni giunte fino a noi rispecchiano uno stato d'animo
sollevato ed euforico, vivaci istantanee dell'ambiente musicale viennese in
quell'epoca in cui gli artisti lavoravano personalmente a contatto col pubblico.
«Ora come potete immaginare - scrive Mozart al padre - devo necessariamente
suonare - e quindi scrivere cose nuove. L'intera mattinata la dedico agli allievi
e quasi tutte le sere ho da suonare». E in un'altra lettera a Leopoldo dice:
«Eccovi l'elenco di tutti i miei abbonati. Io da solo ne ho trenta di più che
Richter e Fischer insieme. Il primo concerto è andato benissimo. La sala era
piena zeppa e il nuovo concerto da me eseguito è piaciuto straordinariamente.
Ovunque si sente lodare questa accademia...».

Ed è per queste accademie - concerti a sottoscrizione - che Mozart scrisse


quattordici Concerti per pianoforte e orchestra, tra i quali quello in mi bemolle
che si esegue stasera.

A proposito di questi Concerti scrive il Paumgartner nella sua biografia


mozartiana: «Concerti stupendi, vari per agogica, linguaggio espressivo e
livello tecnico. Pur senza scostarsi dalla antica struttura formale in tre tempi
essi sostanzialmente evolvono i precedenti saggi del genere. Da questo
momento il Concerto per pianoforte prenderà il posto predominante nella
produzione del Maestro. Uno degli obbiettivi principali, quello di "conseguire
l'e"etto" (non si dimentichi che Mozart li scriveva per eseguirli personalmente
in pubblico) risulta ingentilito dalla profondità e dalla nobiltà dell'invenzione e
portato con sublime maestria al di sopra di ogni contingenza di tempo e di
moda. La mano dell'autore degli Haydn Quartetto e della Sonata in do minore
risulta spessissimo; talvolta è il fosco demone dell'artista che parla incurante
delle superficiali pretese del pubblico; tanto è grande il numero di questi
concerti, tanto geniali e varie le soluzioni dei problemi formali per mezzo del
dialogismo sinfonico tra solista e orchestra nell'ambito di quella più vasta
forma sonatistica. L'artistica struttura del primo tempo così ricca di possibili
ripartizioni del materiale tematico tra il "Tutti" e il "Solo" o"rì al Maestro un
campo illimitato per lo spiegamento della sua formidabile potenza. Il concerto
mozartiano si di"erenzia dagli antichi modelli essenzialmente per la
concezione fonica e psicologica moderna della forma, intesa come spigliata
contrapposizione di due individualità - la massa orchestrale e il pianoforte a
martelli, dalle enormi risorse timbriche e dinamiche - e potenziata da
un'inesauribile varietà di atteggiamenti. E' la stessa vivezza individuale della
nuova era quartettistica che si ripresenta in altro, campo e con altri valori
espressivi ».

Queste caratteristiche sono comuni anche al Concerto in mi bemolle maggiore


con in più che esso sembra concepito sotto il segno di un malinconico
«ritorno» alla giovinezza espressa con il «ritorno» alla maniera dei primi
concerti specialmente quello per due pianoforti e orchestra e l'altro nella
stessa tonalità che porta il numero di catalogo K. 271, che è del 1777; un
«ritorno» soprattutto evidente nel motivo dei corni dell'Allegro iniziale e
nell'episodio centrale (Andantino cantabile) del Rondò che si richiama al finale
di quel concerto più giovanile ed insieme prefigura il canone con cui si
concluderà l'opera Così fan tutte.

Tra i due tempi così segnati da questo ricordo della non lontana ma ormai
conclusa giovinezza si pone l'Andante nella tonalità di do minore che è di certo
tra le pagine esistenzialmente più sconvolgenti lasciateci dal maestro
salisburghese per la sua immediatezza espressiva così facilmente leggibile
nella chiave di un arco di sentimenti che porta dal dolore e la disperazione fino
alla rassegnazione: una prefigurazione dei drammatici temi che saranno al
centro delle opere degli ultimi anni mozartiani.

Uno sguardo sul futuro tanto più intenso in quanto legato sembra al rimpianto
di un non lontano passato che si esprime anche sul piano del linguaggio sia
con la decisione di sostituire gli oboi dei precedenti Concerti con i clarinetti - è
il primo caso nella produzione mozartiana - sia per il contrasto nuovissimo e
già romantico che si realizza tra i modi maggiore e minore.

Gianfilippo De' Rossi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)


I concerti per pianoforte e orchestra di Mozart occupano una posizione
speciale all'interno della sua produzione, perché si collocano quasi tutti nel
periodo viennese (1781-1791) e perché, in larga parte, vennero scritti dal
salisburghese per se stesso. I concerti venivano presentati al pubblico
viennese, con lo stesso Mozart in veste di pianista, nel corso di «accademie»
per sottoscrizione che gli garantivano un'entrata sicura durante i di!cili anni
della libera professione. In tal modo inoltre veniva meno la preoccupazione di
conformare il proprio discorso musicale alle doti e alle caratteristiche di un
altro pianista, come era avvenuto per i concerti scritti a Salisburgo: ora la
scrittura pianistica e la struttura formale del concerto riflettono fedelmente il
pensiero musicale del suo autore, senza alcun vincolo.

Mozart, seguendo una prassi molto di"usa nel Settecento, amava improvvisare
la parte pianistica nel corso dell'esecuzione pubblica; in alcuni punti della
partitura del Concerto K. 482 è ancora evidente una scrittura pianistica appena
abbozzata, decisamente insu!ciente, che deve essere riempita dal solista con
arpeggi, scale, passaggi virtuosistici.

Dal punto di vista formale il primo movimento del concerto per strumento
solista e orchestra è frutto di un compromesso fra le esigenze della moderna
forma-sonata, che richiedeva l'opposizione dialettica fra i temi e fra le aree
tonali, e quelle del concerto di ascendenza barocca, che voleva l'alternanza fra
gli interventi del solista e quelli del «tutti» orchestrale. Mozart nei concerti per
pianoforte risolve il problema facendo rimanere l'orchestra, nel corso della sua
esposizione tematica, nella tonalità d'impianto e riservando al solista la
modulazione alla dominante. Con questo grande «tutti» iniziale in genere
l'orchestra esaurisce, dal punto di vista tematico, il suo contributo; essa
ritornerà, senza presentare nuove idee tematiche, nei punti chiave del primo
movimento per ra"orzare il discorso musicale: alla fine dell'esposizione,
all'inizio della ripresa e in conclusione di movimento. Nella ripresa invece
«tutti» e solista vengono fusi assieme, per assicurare al concerto la necessaria
concisione formale. Al solista vengono naturalmente riservate nuove idee
tematiche e nuovi spunti motivici: è lui il vero motore dell'azione musicale, alla
sua parte si devono le intuizioni più straordinarie, le invenzioni più belle del
genio mozartiano.

Il Concerto in mi bemolle maggiore n. 22 K. 482 ebbe la sua prima esecuzione


nel corso dell'accademia del 16 dicembre 1785. Il suo organico orchestrale
(flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi) prevede, per la
prima volta nei concerti di Mozart, l'utilizzo dei clarinetti al posto degli oboi;
questo favorisce l'impiego concertante dell'intera sezione dei fiati,
permettendo a Mozart di ottenere a"ascinanti impasti timbrici.
Il primo movimento Allegro è ricchissimo di idee tematiche, a partire dal
caratteristico «motto» iniziale al quale risponde per due volte una fluida
melodia discendente esposta dai legni prima, dai violini poi. Senza soluzione di
continuità appaiono poi una seconda idea, che circola in imitazione fra le
diverse famiglie orchestrali, e un terzo spunto tematico dolce e cantabile
a!dato a flauto, corni e violini. L'ingresso del solista avviene su un tema nuovo
dal carattere galante e dalla ricca ornamentazione: la lunga e"usione lirica del
pianoforte, interrotta solo sporadicamente dai brevi interventi dell'orchestra,
presenta un carattere quasi «toccatistico», traccia sbiadita delle straordinarie
improvvisazioni che Mozart amava fare nel corso dell'esecuzione pubblica dei
suoi concerti.

Il clima emotivo si surriscalda con l'apparizione di un teso motivo ad accordi


ascendenti in tonalità minore, che ricorda un analogo passaggio del Concerto
in do maggiore K. 467. Il nuovo impiego dei fiati inaugurato da questo
concerto è testimoniato dall'episodio che precede l'ultima semplice e delicata
melodia di questa ricca esposizione, episodio animato dalle voci intrecciate di
flauto e fagotti.

Lo sviluppo si apre, come spesso avviene in Mozart, con la ripresa in tonalità


minore delle ultime battute dell'esposizione, ma non presenta particolari
elementi di originalità essendo dominato dalle vivaci e virtuosistiche
figurazioni del pianoforte. La ripresa corre parallela all'esposizione, con la sola
di"erenza che il solista vi acquista un'importanza maggiore arricchendo,
ornando e sviluppando i temi uditi in precedenza.

L'Andante presenta una originalissima forma di Tema con variazioni: al tema


principale Mozart giustappone cinque quadri contrastanti per colore armonico,
orchestrazione, tonalità e melodia che conservano solo qualche riferimento, a
volte molto labile, col motivo principale. Quest'ultimo, nella tonalità di do
minore, non presenta quelle qualità di intensa cantabilità tipiche dei movimenti
lenti, ma ha un andamento esitante e dolente che lo fa assomigliare piuttosto a
un drammatico recitativo. Nella prima variazione è assoluto protagonista il
pianoforte, che si distacca però dal tema in una sorta di romantico preludiare.
La seconda variazione, in tonalità maggiore, è a!data ai legni e rappresenta
un'oasi di serenità e di quiete, subito interrotta dal ritorno del solista che, nella
terza variazione, riprende i toni fantastici e un poco sognanti del tema
principale. Con la quarta variazione Mozart ci introduce nella solare tonalità di
do maggiore: il disteso dialogo fra flauto e fagotto ricorda il clima spirituale
del futuro Flauto magico. La quinta variazione riunisce solista e orchestra in un
serrato e intenso dialogo, quasi beethoveniano nel pathos espressivo; lo stesso
clima, quasi rassegnato, troviamo nella coda conclusiva, nella quale Mozart
inserisce anche un nuovo nostalgico motivo in tonalità minore, esposto a
dialogo fra legni e solista. La straordinaria intensità emotiva e il respiro quasi
romantico di questa pagina non sfuggirono ai primi ascoltatori che, cosa assai
rara per quei tempi, ne chiesero la ripetizione. Lo apprendiamo da una lettera
che il padre Leopold scrisse alla figlia informandola che Wolfgang nel Concerto
in mi bemolle «aveva dovuto (cosa davvero straordinaria) ripetere l'Andante».

L'Allegro conclusivo è scritto in forma di rondò-sonata. Il tema principale del


rondò, in ritmo di giga, ha la semplicità e lo spirito dell'ultimo Mozart: nelle
note ribattute, prima dal solista poi dall'orchestra, e negli spunti tematici
ripetuti a turno dai legni sembra veramente di sentire l'eco di una gioiosa
«scena di caccia trasfigurata in un girotondo» (Einstein). Dopo il primo
episodio, che presenta due nuovi brillanti motivi, e la ripresa del rondò, Mozart
ci riserva una sorpresa degna del suo amico e maestro Haydn: il secondo
episodio è un Andantino cantabile in la bemolle maggiore, nel quale emerge
caldo ed espressivo il timbro dei clarinetti. Probabilmente è stato il desiderio di
mettere in evidenza questo nuovo strumento e di riservargli un ruolo da
protagonista a spingere Mozart a incastonare questo estatico minuetto
all'interno del rondò. Il ritorno al clima spensierato del tema principale avviene
con un episodio di straordinario fascino timbrico: sopra le morbide armonie
dei legni, si levano gli eterei arpeggi del pianoforte, «spezzati» fra mano destra
e mano sinistra e sostenuti dal pizzicato degli archi uniti. Ma le sorprese non
sono finite: poco prima della cadenza conclusiva, il solista si ricorda dell'unico
tema che avevamo udito una sola volta all'inizio del movimento e lo ripete
prima della travolgente coda finale.

Alessandro De Bei

Concerto per pianoforte n. 23 in la magg. - K 488

https://www.youtube.com/watch?v=Qll0vK3uTHA

https://www.youtube.com/watch?v=DXeBFhqViYg

https://www.youtube.com/watch?v=6FvprAc5ZeI

https://www.youtube.com/watch?v=I6OjCv5lG6s

l Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in La maggiore K 488 di Wolfgang


Amadeus Mozart fu composto per le Accademie Viennesi della Quaresima del
1786, assieme al Concerto n. 24 in Do minore K 491.

Contende al Concerto K 466 la palma del più eseguito tra i concerti di Mozart.

A di"erenza dei concerti immediatamente precedenti, si contraddistingue per il


carattere più contenuto, sia dal punto di vista dell'espressione virtuosistica
(meno spinta rispetto ai concerti precedenti), che da quello della ricchezza
strumentale: l'organico, infatti, si limita solamente agli archi, flauti, clarinetti,
fagotti e corni.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Tra il 1773 e il 1791 Mozart compose la bellezza di ventiquattro grandi


Concerti per pianoforte e orchestra, buon numero dei quali, oltre a fondare la
sua fama di virtuoso della tastiera, sono entrati a far parte stabile del
repertorio classico. Fra questi alcuni spiccano però in modo particolare e
godono di un favore straordinariamente esteso: è il caso del Concerto in la
maggiore K. 488, che contende a quello in re minore K. 466, prediletto da
Beethoven, la palma del Concerto di Mozart più universalmente noto ed
eseguito.

Messo al mondo con un certo travaglio all'inizio del 1786 (la data di
registrazione nel catalogo delle sue opere è quella del 2 marzo 1786: siamo
nel pieno del lavoro alle Nozze di Figaro), il K. 488 è caratterizzato da una
speciale brillantezza e vivacità strumentale, ma presenta anche tratti
intimamente poetici e preziosi, distribuiti in modo equilibrato, con rara
fusione, tra solista e orchestra. A proposito di quest'ultima va notato che
l'organico rinuncia ai timbri marziali ed eroici di trombe e timpani, mentre
impiega i clarinetti in luogo degli oboi per creare un colore di fondo più dolce
e pastoso, insieme morbido ed evocativo. Anche la tonalità di la maggiore ad
essi collegata (in la sono tagliati appunto i clarinetti) contribuisce a conferire al
Concerto una trasparenza luminosa e velata, e apre orizzonti espressivi inediti
nel movimento centrale, impiantato nel relativo di la, fa diesis minore.

Il primo movimento, preceduto da una lunga ed elaborata introduzione


orchestrale, è giocato dapprima sull'esposizione dei due temi assai a!ni tra
loro e poi sul loro sviluppo, con vertici di straordinaria potenza
rappresentativa. Con un materiale elementare, anche se individualmente
definito soprattutto dal punto di vista melodico, Mozart intesse un Allegro che
ha un respiro sinfonico intenso e una forte tensione drammatica sfociante nella
grande cadenza interamente scritta, e non lasciata all'improvvisazione del
solista.

L'Adagio, aperto da un tema in ritmo di siciliana del pianoforte solo, oscilla tra
una pensosità accorata che tende a farsi quasi dolorosa e una serenità
trasfigurante, a"ermata decisamente dalla inattesa sezione centrale in la
maggiore. La ripresa vede il pianoforte ergersi a protagonista di un dialogo con
l'orchestra di profondo lirismo e di assoluta eleganza formale.
Al versante brillante e virtuoslstico appartiene invece l'Allegro assai conclusivo,
basato su un continuo rincorrersi e sovrapporsi di frasi tra pianoforte e
strumenti, ora spinti anch'essi quasi al rango concertante di solisti: da un tono
appassionatamente concitato nasce la fluidità di un discorso lieto e
rasserenato, che verso la conclusione tocca anche le sponde dell'umorismo,
avvicinandosi allo spirito esilarante della commedia.

Il Concerto in la maggiore K. 488 fu eseguito per la prima volta a Vienna il 7


aprile 1786 in una delle consuete Accademie che vedevano Mozart acclamato
protagonista nella duplice veste di autore e interprete: fu quella la sua ultima
apparizione come solista sul palcoscenico del Burgtheater.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Terminato il 2 marzo 1786, il Concerto K. 488 fu eseguito pochi giorni dopo in


una delle "accademie" settimanali di Mozart.

Fin dal primo movimento si annuncia come un concerto fra i più preziosi e
intimisti, estraneo sia alla tipologia militare che a quella genericamente
galante. Mancano i colori marziali e decorativi di trombe e timpani, mentre è
presente il timbro morbido ed evocativo dei clarinetti, recente scoperta di
Mozart. L'invenzione tematica è fertile, semplice e intensamente espressiva. La
grande cadenza alla conclusione del primo Allegro è scritta da Mozart stesso,
nella partitura autografa, contrariamente all'uso di lasciarne l'improvvisazione
al solista. La chiarezza delle linee si a!na ulteriormente nell'Adagio, un ritmo
di siciliana nell'insolita tonalità di fa diesis minore. Il clima di mestizia
delicatissima imposto dall'esposizione, a!data come di consueto al solo
pianoforte, sta in equilibrio, più che in contrasto, con la breve parentesi aperta
da un più luminoso tema in la maggiore. Quanto contenuto è il pur profondo
lirismo di questo Adagio, tanta è la vivacità del finale, brillantissimo, eppur
sempre straordinariamente misurato.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nato nel corso della composizione de «Le nozze di Figaro» (la sua partitura
venne ultimata il 2 marzo 1786, due mesi dopo di quella dell'opera), il
Concerto K. 488 sembra riverberare nelle proprie strutture la sensualità e
l'appassionato impeto vitalistico della «folle giornata», e insieme le sue ombre
inquietanti. La tonalità, l'incipit tematico del primo tempo, il prevaricante
lirismo dell'invenzione motivica nonché l'impiego (non abituale nei concerti per
pianoforte) del timbro dei clarinetti apparentano strettamente almeno il primo
movimento di quest'opera con quello del futuro Quintetto K. 581 per clarinetto
ed archi: in entrambi il la maggiore, tonalità da Mozart cautamente impiegata,
vi risplende di una calda luce crepuscolare. La semplicità della scrittura densa
e raccolta, più che mai contraddistinta dal colore dei fiati (che Mozart, con
impressionante intuizione in anticipo di oltre un secolo, sente, al pari di
Strawinsky, a!ne a quello del pianoforte), accentua i caratteri cameristici del
Concerto, che nel tempo di mezzo, una sorta di Siciliana in fa diesis minore,
s'apre a visioni di una cupa desolazione che neppure l'imminente Concerto in
do minore K. 491 riuscirà a superare. Tanta tensione patetica, quasi
inavvertitamente accumulata sull'esile filo di un nudo canto del pianoforte,
precipita nell'esaltata corsa del Finale, anch'esso paragonabile a quello di un
altro capolavoro nella tonalità di la maggiore, la Sonata K. 526 per violino e
pianoforte. In entrambi i casi, una gaiezza del tutto ipotetica si colora strada
facendo di tinte violente e quel senso di non definitivo e di dialetticamente
irrisolto che costituisce la grandezza drammatica del Finale mozartiano, vi
emerge nel modo più struggente.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

I concerti per pianoforte e orchestra di Mozart occupano una posizione


speciale all'interno della sua produzione, perché si collocano quasi tutti nel
periodo viennese (1781-1791) e perché, in larga parte, vennero scritti dal
salisburghese per se stesso. I concerti venivano presentati al pubblico
viennese, con lo stesso Mozart in veste di pianista, nel corso di «accademie»
per sottoscrizione che gli garantivano un'entrata sicura durante i di!cili anni
della libera professione. In tal modo inoltre veniva meno la preoccupazione di
conformare il proprio discorso musicale alle doti e alle caratteristiche di un
altro pianista, come era avvenuto per i concerti scritti a Salisburgo: ora la
scrittura pianistica e la struttura formale del concerto riflettono fedelmente il
pensiero musicale del suo autore, senza alcun vincolo.

Mozart, seguendo una prassi molto di"usa nel Settecento, amava improvvisare
la parte pianistica nel corso dell'esecuzione pubblica; in alcuni punti della
partitura del Concerto K. 482 è ancora evidente una scrittura pianistica appena
abbozzata, decisamente insu!ciente, che deve essere riempita dal solista con
arpeggi, scale, passaggi virtuosistici.

Dal punto di vista formale il primo movimento del concerto per strumento
solista e orchestra è frutto di un compromesso fra le esigenze della moderna
forma-sonata, che richiedeva l'opposizione dialettica fra i temi e fra le aree
tonali, e quelle del concerto di ascendenza barocca, che voleva l'alternanza fra
gli interventi del solista e quelli del «tutti» orchestrale. Mozart nei concerti per
pianoforte risolve il problema facendo rimanere l'orchestra, nel corso della sua
esposizione tematica, nella tonalità d'impianto e riservando al solista la
modulazione alla dominante. Con questo grande «tutti» iniziale in genere
l'orchestra esaurisce, dal punto di vista tematico, il suo contributo; essa
ritornerà, senza presentare nuove idee tematiche, nei punti chiave del primo
movimento per ra"orzare il discorso musicale: alla fine dell'esposizione,
all'inizio della ripresa e in conclusione di movimento. Nella ripresa invece
«tutti» e solista vengono fusi assieme, per assicurare al concerto la necessaria
concisione formale. Al solista vengono naturalmente riservate nuove idee
tematiche e nuovi spunti motivici: è lui il vero motore dell'azione musicale, alla
sua parte si devono le intuizioni più straordinarie, le invenzioni più belle del
genio mozartiano.

Al periodo viennese appartiene il Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in


la maggiore K. 488, eseguito la prima volta nel corso dell'accademia del 2
marzo 1786. La dimensione intima e raccolta di questa pagina, sia riguardo
alla scrittura che all'organico orchestrale, confermano la sua appartenenza alle
composizioni che Mozart riservava per sé o per un piccolo circolo di
intenditori. Il suo colore timbrico, so"uso e delicato, è anche dovuto all'uso dei
clarinetti (che, in mancanza di suonatori di clarinetto, potevano essere
rimpiazzati da un violino e da una viola, secondo la testimonianza dello stesso
Mozart) e alla tonalità di la maggiore, che verrà utilizzata ancora per il
Quintetto con clarinetto K. 581 e per il Concerto K. 622 per clarinetto e
orchestra.

La struttura del primo movimento Allegro è assai lineare: l'esposizione


orchestrale si limita ai due canonici temi, il primo, delicato e sereno, ricorda il
tema d'apertura del Quintetto K. 581, il secondo, più insinuante, introduce nel
movimento una sorta di cromatismo gentile. Il solista riprende poi
regolarmente i due temi precedenti e conclude l'esposizione. Lo sviluppo
presenta un tema nuovo, secondo una prassi antica che risaliva a Johann
Christian Bach. E proprio questo nuovo motivo, a cui la tecnica imitativa
conferisce un aspetto dotto e serioso, diventa il protagonista assoluto
dell'intera sezione elaborativa. La ripresa, condotta congiuntamente da solista
e orchestra, è regolare ma viene interrotta da una pausa sospensiva, la stessa
che aveva preceduto lo sviluppo: ecco riapparirne infatti il tema principale che
viene ora utilizzato in un breve sviluppo secondario dal carattere nostalgico,
reso ancor più struggente dal timbro dei due clarinetti che dialogano col
solista.

L'Adagio centrale è breve ma molto intenso: al tema principale del solista in fa


diesis minore (tonalità abbastanza inconsueta per Mozart), dominato quasi da
un senso di dolorosa rassegnazione, fa seguito la triste e desolata risposta
dell'orchestra, con una melodia che si può senz'altro definire romantica. Il
sorriso ritorna col dolce intermezzo rappresentato dalla sezione centrale in
tonalità maggiore, nel quale ancora una volta Mozart si a!da al timbro dei
clarinetti. La ripresa della sezione iniziale, lievemente variata soprattutto nella
scrittura pianistica, conduce alla coda in cui gli ampi intervalli nella linea
melodica del solista, ricordo dello stile operistico italiano, vengono
contrappuntati dal pizzicato espressivo degli archi: sarà proprio l'infinita
malinconia di questo momento che, ad ascolto ultimato, ricorderemo più a
lungo.

L'Allegro assai, in forma di rondò-sonata, immerge l'ascoltatore in un clima


espressivo totalmente contrastante: il bruciante avvio del pianoforte che
espone il tema principale del rondò sembra spazzare via d'un colpo la tristezza
del movimento precedente. La pagina è ricca di temi e di spunti semplici e
briosi, ma anche di momentanei ripiegamenti alla tonalità minore o di veri e
propri ritorni al clima espressivo dell'Andante. L'apparizione improvvisa e
isolata di un tema quasi da opera bu"a proposto dai clarinetti e ripreso dal
pianoforte, ricorda l'atmosfera brillante e spensierata delle Nozze di Figaro,
opera alla quale Mozart stava lavorando proprio in quel periodo.

Alessandro De Bei

Concerto per pianoforte n. 24 in do min. - K 491

https://www.youtube.com/watch?v=JhSQjeilFyU

https://www.youtube.com/watch?v=7rXsLmj6D-o

https://www.youtube.com/watch?v=_JRC_d17cLg

https://www.youtube.com/watch?v=nsj_vCRv_VI

https://www.youtube.com/watch?v=s8j-1u2ndZo

Il concerto per pianoforte e orchestra n. 24 in Do minore K 491 è il secondo


dei due concerti per pianoforte composti da Wolfgang Amadeus Mozart in
tonalità minore (l'altro è il n. 20 in Re minore K 466, composto un anno prima).
Nonostante l'uso del modo minore crei una sorta di a!nità tra i due concerti, il
loro carattere è diverso, in quanto il tono del K 491 è più tragico che
drammatico.

L'orchestra risulta essere la più ampia che Mozart abbia mai impiegato in un
concerto, con l'impiego di oboi e clarinetti assieme. Inoltre, un'altra
caratteristica che lo di"erenzia dal resto della produzione concertistica di
Mozart è che dopo la cadenza del primo movimento, il pianoforte non
scompare, e il finale è pervaso da un'ultima divagazione tematica del solista.

La ricchezza di suono dell'orchestra è sfruttata da Mozart soprattutto nella


parte finale, nella quale è adottata una forma diversa dall'usuale rondò: quella
del tema con (otto) variazioni.

--
Orchestra virtuale del Flaminio

Allegro (do minore)


Larghetto (mi bemolle maggiore)
Allegretto (do minore)

Organico: pianoforte, flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe,


timpani, archi
Composizione: Vienna, 24 Marzo 1786
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 3 Aprile 1786
Edizione: Andrè, O"enbach 1800

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

«Questi concerti sono una via di mezzo tra il troppo facile e il troppo di!cile:
sono molto brillanti, gradevoli all'orecchio pur senza cadere nella vuotaggine,
qua e là anche gli intenditori avranno di che esserne soddisfatti, ma in modo
che anche coloro che non lo sono proveranno piacere, senza sapere il perché»:
in questi termini, in una lettera al padre del 28 dicembre 1782, Mozart parlava
dei tre Concerti per pianoforte e orchestra cui stava lavorando in quei giorni.
Leggendo quelle poche righe, potrebbe sembrare che Mozart metta l'accento
sulla brillantezza, la piacevolezza e la naturalezza che voleva dare a questo
tipo di composizione, ma indubbiamente a colpire l'attenzione di suo padre
Leopold fu soprattutto la volontà di tenersi a giusta distanza non solo dal
"troppo di!cile" ma anche dal "troppo facile" e di inserire passaggi che
soltanto gl'intenditori avrebbero potuto comprendere pienamente. Infatti allora
si considerava il Concerto nient'altro che facile musica d'intrattenimento, che,
per andare incontro alle attese d'un pubblico di "non intenditori", doveva
basarsi sul virtuosismo brillante del solista, sulla sua vivace alternanza con
l'orchestra e su idee musicali colorite ma superficiali e poco sviluppate:
appunto di tal genere erano i Concerti scritti da Leopold Mozart e dagli altri
musicisti della sua generazione, non escluso Joseph Haydn, i cui Concerti non
sono paragonabili alle Sinfonie e ai Quartetti né per la ricchezza d'idee, né per
la novità quasi sperimentale di certe soluzioni formali. Dunque, se come autore
di Sinfonie, di Quartetti, di Trii e di Sonate per pianoforte Haydn non gli è
certamente inferiore, Mozart è incomparabile nel campo del Concerto.

Se si volessero assolutamente istituire dei confronti, bisognerebbe allora


guardare a Carl Philipp Emanuel Bach e a Johann Christian Bach,
rispettivamente secondogenito e ultimogenito di Johann Sebastian, che
avevano portato il Concerto per pianoforte e orchestra (ma sarebbe più
corretto parlare di strumento a tastiera e orchestra, perché era ancora prevista,
almeno teoricamente, l'intercambiabilità tra pianoforte e clavicembalo) ai
vertici della musica strumentale del loro tempo, sviluppandolo in direzione di
un più equilibrato rapporto tra solista e orchestra, di un contenuto tematico
più vario e articolato e di un'architettura più ampia e solida. Dei due fratelli,
Emanuel inclinava decisamente alla Empfindsamkeit, quello stile della
"sensibilità" che introduceva atmosfere intensamente patetiche e percorsi
imprevedibili e asimmetrici, mentre il più giovane era un seguace dello stile
"galante" e prediligeva inflessioni limpidamente cantabili, strutture chiare e
regolari, delicate preziosità timbriche e un dialogo spigliato tra solista e
orchestra. L'influsso di Emanuel e ancor più di Christian Bach è ravvisabile nei
Concerti di Mozart, che però operò una sintesi dei diversi e contrapposti
caratteri della loro musica, trasfigurandoli e portandoli a un livello di
perfezione che fa dei diciassette Concerti da lui scritti a Vienna dal 1782 al
1791 un esempio ideale di quello che poi è stalo considerato lo stile classico.

A scrivere questa serie di capolavori Mozart fu indotto - come avveniva


normalmente prima che il romanticismo ponesse la creazione artistica sotto il
segno dell'ispirazione - da una ragione molto semplice e concreta, che viene
chiaramente rivelata da un inciso della stessa lettera citata prima: «Vendo i
biglietti per 6 ducati, in contanti». Questi Concerti erano insomma
un'importante fonte di reddito per Mozart, in quanto costituivano la maggiore
attrazione delle "accademie" da lui organizzate in veste d'impresario di se
stesso, durante le quali si presentava al pubblico come pianista e come
compositore. Nei primi anni del suo soggiorno a Vienna queste serate
incontrarono il favore del pubblico e gli procurarono ottimi incassi, ma poi il
successo diminuì e parallelamente le "accademie" si diradarono e la
produzione di Concerti rallentò: dunque il numero dei Concerti per pianoforte
scritti ogni anno da Mozart può essere considerato un indicatore abbastanza
preciso dell'ascesa e del successivo declino della sua popolarità presso i
viennesi.

Il periodo di più intensa produzione di Concerti pianistici da parte di Mozart


finì con la stagione 1785-1786, quando licenziò tre nuovi lavori in appena tre
mesi (ne scrisse soltanto altri tre nei cinque anni di vita che gli restavano):
l'ultimo dei tre è proprio il Concerto in do minore K. 491, completato il 24
marzo 1786 e presentato al pubblico pochi giorni dopo, il 3 aprile. Ma non è
soltanto la sua datazione strategica a collocare al culmine della produzione
mozartiana questo Concerto, la cui eccezionalità si rivela subito nell'ampio
organico orchestrale e nella tonalità di do minore. Mozart utilizzò qui per la
prima volta in un'orchestra sinfonica sia gli oboi che i clarinetti, che insieme
provvedono ad arricchire il gruppo degli strumenti a fiato con sonorità più
so"use, intermedie tra i toni scuri dei fagotti e quelli squillanti delle trombe.
Ancor più significativa è la scelta del modo minore: per un compositore della
fine del diciottesimo secolo, che aveva lasciato alle spalle la leggerezza,
l'eleganza e la disinvoltura dello stile "galante" ma le conservava tuttavia
impresse nel proprio patrimonio genetico, era un fatto eccezionale e
annunciava un particolare impegno espressivo. L'unico altro Concerto
mozartiano in modo minore è quello in re, K. 466, spesso definito
beethoveniano o anche romantico per l'energia che lo spinge fino a tratti di
vera violenza, per la tensione che lo agita, per l'angoscia che lo rende cupo e
tenebroso, per l'atteggiamento "demoniaco" che gli da il carattere d'un
dramma personale; il Concerto in do minore invece, pur simile al precedente
per molti aspetti e anzi immerso in atmosfere ancor più tragiche, ha un tono
più oggettivo, come se Mozart vedesse nel do minore la manifestazione d'un
potere trascendentale e fatale.

L'inizio è molto lontano dall'andamento di marcia con cui si avviano


generalmente i Concerti mozartiani. In un ritmo di 3/4 gli archi e i fagotti
espongono "piano" un tema instabile e cromatico, senza una tonalità e una
direzione ben definite, che viene presto ripetuto "forte" da tutta l'orchestra,
con un'energia che non ne attenua ma anzi ne sottolinea l'instabilità. Questo
tema passa in seguito al flauto, agli oboi e ai fagotti, senza perdere il suo
carattere cupo neanche in questa veste timbrica più limpida, e percorre tutta
l'esposizione orchestrale, prima che l'entrata del pianoforte introduca un
secondo tema più elegiaco e poi anche un terzo e un quarto motivo; ma quello
che Hermann Abert definisce «un selvaggio intervento dell'orchestra» ci riporta
immediatamente alla sfera espressiva del primo tema, che, ora con un profilo
melodico modificato, ora con una diversa veste strumentale, ora in primo
piano, ora seminascosto tra le voci secondarie, si ria"accia continuamente,
come una presenza inquietante e ostinata. Per quanto il pianoforte cerchi
ripetutamente di superare quest'atmosfera angosciosa, le ombre tornano
sempre ad a"ermarsi e alla fine anche gli altri temi vengono assorbiti dal fosco
do minore del tema principale.

Il Larghetto, in mi bemolle maggiore, costituisce un netto stacco dalle


atmosfere del primo movimento. Quanto quello era complesso e tragico, tanto
questo è semplice e sereno: si tratta d'un Rondò, in cui un refrain dalla
melodia purissima, tersa e raccolta si ripete tre volte, intercalato da due diversi
couplet, il primo dei quali insinua per un istante anche in questo movimento le
istanze oscure e inquiete del do minore.
La conclusione con un movimento in forma di tema e variazioni è eccezionale e
compare in un solo altro Concerto mozartiano (quello in sol maggiore, K. 453,
del 1784), dove però conserva il tono d'evasione tipico di questa tecnica
compositiva di facile fruizione, mentre il carattere tenebroso e sconsolato del
tema e il suo approfondimento in ogni variazione successiva fanno di questo
Allegretto un organismo unitario e potente, che supera la schematica divisione
tra le singole variazioni e si immerge sempre più in un'ombra intrisa di
pessimismo e fatalismo: rinunciando alla tradizionale conclusione brillante e
virtuosistica, Mozart ha dato a questo Concerto un finale che è un degno
pendant del tragico e tenebroso primo movimento. Solo la sesta delle otto
variazioni è in modo maggiore, ma anche qui la serenità sembra essere una
speranza appena intravista, e la conclusione riporta a uno sconsolato do
minore.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Mozart scrisse soltanto due Concerti per pianoforte in tonalità minore, quello
in re minore K. 466 e quello in do minore K. 491. Il primo risale al febbraio del
1785 e costituisce l'opera forse più drammatica composta da Mozart per il suo
strumento. Poco più d'un anno dopo, il 24 marzo 1786, il Concerto in do
minore veniva aggiunto al catalogo dei lavori dell'autore. Sebbene il ritorno al
modo minore crei una certa a!nità di sentire tra i due lavori, il loro carattere
diverge in maniera netta.

Il secondo Concerto infatti ha un carattere più tragico che drammatico, rispetto


al precedente. Il calore della lotta sembra ormai ra"reddato e lo sguardo si
distende con compassione sul campo di battaglia intcriore. Fino all'ingresso
del solista, l'orchestra brancola in mezzo a una selva di domande senza
risposta. L'organico, più ampio del solito, impiega contemporaneamente una
coppia di oboi e una di clarinetti, rendendo più sostanziosa la presenza
dell'orchestra. Il tema principale, esposto prima dagli archi e poi dilatato nel
forte dall'intera orchestra, si ritorce in maniera cromatica su se stesso, come
un serpente. Il Mozart maturo s'allontana dalle forme squadrate dello stile
galante e aspira a uno stile più organico. La forma trova espressione compiuta
soltanto nella dialettica unitaria tra solista e orchestra. Il pianoforte, per
esempio, manifesta il desiderio di trasformare in maniera significativa i temi
musicali proposti dall'orchestra. L'intervallo di settima minore conferisce al
soggetto principale, di stampo contrappuntistico, una tensione espressiva, che
il solista s'incarica poi d'amplificare allargando il raggio del salto fino a
raddoppiare la misura dell'intervallo (da settima a quattordicesima).
L'interrogativo drammatico formulato all'inizio diventa nelle mani del pianista
una sorta di dubbio esistenziale. Alla stessa maniera, l'area del secondo tema
acquista nella parte solistica una complessità ancora ignota all'orchestra. La
tonalità di mi bemolle maggiore si arricchisce infatti di nuove idee musicali,
articolate in un percorso armonico più ampio e fantasioso. Il breve sviluppo è
condotto dal pianoforte con identico e inquieto attivismo, traendo dal
materiale tematico i succhi vitali con potente virtuosismo. Dopo aver toccato il
culmine dell'intensa espressione drammatica, la ripresa suona fresca e
originale come un nuovo inizio. Il secondo soggetto viene trasformato in
maniera nostalgica dalla nuova luce della tonalità di do minore. Il tema dei fiati
scivola verso le profondità di suono dell'orchestra, mentre il solista, dopo la
cadenza, si concede il lusso di un'ultima divagazione.

Il Larghetto in mi bemolle costituisce un momento di ricreazione spirituale, ma


non è del tutto innocente. Il tema proposto dal pianoforte si rispecchia
nell'orchestra, che ripartisce la frase tra gli strumenti ad arco e quelli a fiato. La
parte centrale del movimento scaturisce da un'elegante Serenata, strumentata
in maniera splendida e ripresa con molta espressione dal solista. La ricchezza
di suono procurata all'orchestra dalla presenza dei clarinetti viene sfruttata da
Mozart soprattutto nella parte conclusiva del Larghetto.

Per il finale del Concerto Mozart adotta la forma del tema con variazioni.
L'Allegretto infatti si articola in otto variazioni, su un tema generato in maniera
ben riconoscibile dal soggetto iniziale grazie alla presenza dell'intervallo di
settima minore. Il pianoforte s'appropria subito della prima variazione,
fornendo la chiave di lettura del movimento. Diviene evidente in breve tempo
come il contrasto tra il mondo della natura, evocato dalle sonorità pastorali dei
fiati, e il carattere cromatico del virtuosismo solistico costituisca la forza
espressiva di questo finale. La musica, nei momenti più intensi, si copre d'un
rumore di ferraglia e procede a ritmi marziali, mentre la scrittura pianistica si
addensa fino a toccare in alcuni punti un contrappunto a quattro voci.

A di"erenza del Concerto in re minore, questo lavoro non schiude le porte a un


futuro luminoso e di speranza. Il pianoforte indugia a liberarsi del cromatismo
che ne aveva ossessionato l'espressione fin dall'inizio, mentre l'orchestra mette
la parola fine al Concerto nella maniera più scarna, con una brusca e violenta
fiammata spenta con tre accordi secchi.

Oreste Bossini

Concerto per pianoforte n. 25 in do magg. - K 503

https://www.youtube.com/watch?v=p_ofmtSO38w

https://www.youtube.com/watch?v=OsUeKnqWf50
https://www.youtube.com/watch?v=hken2u8HidE

Il concerto per pianoforte e orchestra n. 25 in Do maggiore K 503 fu composto


da Mozart alla fine del 1786.

Il concerto si colloca alla fine di un periodo nel quale Mozart si era


assiduamente occupato di questo tipo di composizione. Il musicista aveva
composto ben quattordici concerti per pianoforte dal 1782 alla fine del 1786,
mentre ne comporrà solo altri due (K 537 e K 595) nei cinque anni che
precederanno la sua morte. In qualche modo questo corrisponde anche al
declino dell'interesse del pubblico per le opere del musicista. Mozart tuttavia
vedeva nei concerti il tramite per farsi conoscere e imporsi nel campo
dell'opera lirica ed è proprio in questo periodo Mozart scrive alcune delle sue
opere più importanti.

Nel campo concertistico, a partire dal 1784, a Vienna la moda cambia e prende
piede il concerto virtuosistico. Ruolo di spicco rivestono i pianisti compositori
il cui scopo era quello di esaltare le proprie doti solistiche che si appoggiavano
a musiche di facile comprensione. Mozart non tralasciava mai di inserire nella
propria musica passaggi complessi, non seguiva regole fisse e tutto ciò
rendeva la propria musica meno accessibile.

Nel concerto K 503 sono presenti più momenti virtuosistici ma non a scapito
delle esigenze espressive che cominciavano ad emergere anche nelle opere e
nelle pagine cameristiche; ci troviamo di fronte ad un concerto sinfonico e non
ad un concerto "brillante". La contrapposizione tra solista ed orchestra è
dialettica e non si risolve a favore dello strumento solista. Ci troviamo di fronte
ad un gioco di rimandi che fanno emergere ora l'orchestra ora il pianoforte.
Non ci troviamo di fronte alla lotta che troveremo nei concerti della maturità
beethoveniana ma ad una interazione ed a una collaborazione tra le parti.

Il primo movimento (allegro maestoso) si apre con un piccolo frammento


melodico che ria!orerà più volte in tono vivace ed energico. Il secondo tema
presenta forti analogie con la Marsigliese ma ciò è del tutto casuale
considerato che la Marsigliese è con ogni probabilità nata attorno al 1792 (al
contrario, è stata avanzata l'ipotesi che sia stata la musica della Marsigliese a
essere stata ispirata da questo concerto). Il secondo movimento andante è
scritto secondo i criteri della forma-sonata sebbene le melodie possano
considerarsi aperte a sviluppi non prevedibili. L'allegretto del terzo movimento
è costruito in forma di rondò ed il tema iniziale che sembra riprendere una
gavotta (e quindi di una danza popolare) presente nell'Idomeneo, verrà
elaborato da Mozart in modo colto con un uso del contrappunto e di
cromatismi innovativi.
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Concerto in do maggiore K. 503 per pianoforte è il terz'ultimo dei Concerti


pianistici di Mozart terminato, secondo l'autografo, il 4 dicembre 1786, nel
periodo di intervallo fra la prima esecuzione delle Nozze di Figaro (1 maggio
1786) e la commissione del Don Giovanni (gennaio 1787). Proprio Le nozze di
Figaro segnano una sorta di spartiacque nella produzione pianistica
mozartiana. Dopo l'abbandono del servizio presso la corte arcivescovile di
Salisburgo e il trasferimento a Vienna del 1781, Mozart aveva scritto
quattordici Concerti per pianoforte fra la fine del 1782 e la primavera del
1786; appena tre Concerti (K 503, 537, 595) vedono invece la luce fra la fine
del 1786 e l'inizio del 1791. Questa netta diminuzione di Concerti pianistici
negli ultimi anni di vita del compositore non può essere spiegata
semplicemente con una intrinseca diminuizione di interesse verso questo
genere compositivo: né con le opportunità di dedicarsi finalmente al prediletto
genere operistico (a Don Giovanni seguiranno, com'è noto, Così fan tutte, La
clemenza di Tito e Die Zauberflöte). Si tratta piuttosto del segno più tangibile
della crisi del rapporto fra Mozart e il pubblico viennese, crisi che si manifesta
appunto nel periodo successivo alle Nozze di Figaro.

Nei primi anni viennesi, infatti, Mozart si era valso del Concerto pianistico
come del "grimaldello" per a"ermarsi presso la società cittadina. Nelle
interminabili serate concertistiche per sottoscrizione ("Accademie"),
frequentate da un ristretto circolo di aristocratici e facoltosi borghesi, accanto
alle Sinfonie, alle Arie per voce e orchestra, alle brevi improvvisazioni e
composizioni pianistiche, il Concerto per pianoforte era atteso come
l'appuntamento immancabile e prediletto. Tutta la musica per pianoforte era
peraltro considerata come genere di intrattenimento e di svago, ed era
destinata agli esecutori dilettanti, che si dedicavano al pianoforte in quanto
strumento di rapide soddisfazioni. Le Accademie viennesi, non a caso, avevano
non solo una funzione ricreativa ma anche commerciale: l'ascoltatore infatti, se
aveva ritenuto di suo gradimento le composizioni udite nel corso del Concerto,
poteva acquistare, perle proprie private esibizioni, una copia degli spartiti,
fatta appositamente incidere dall'autore a proprie spese.

Appunto come pianista Mozart si conquistò rapidamente la considerazione di


virtuoso "alla moda". Il pianoforte, strumento di recente di"usione, aveva
potenzialità in gran parte ancora da scoprire e la scrittura pianistica
mozartiana, con le sueinedite escursioni dinamiche, i controllati e"etti
percussivi del tocco, la scorrevolezza brillante, presentava degli aspetti di
eclatante novità. I primi Concerti viennesi ( K. 413/415) sono scritti
appositamente per mettere in luce queste qualità, come testimonia una celebre
lettera al padre del 28 dicembre 1782: "che anche i non intenditori restino
contenti, pur senza sapere il perché".

Dunque un contenuto musicale disinvolto e disimpegnato, improntato a un


concetto semplicemente decorativo della scrittura pianistica, un ruolo
accessorio della compagine strumentale (nei primi Concerti viennesi gli
strumenti a fiato sono considerati ad libitum), una estrema nitidezza
nell'impianto strutturale. Negli interessi del compositore non tardò tuttavia ad
imporsi una nuova tendenza; la scrittura solistica esorbita dai margini
decorativi, l'orchestra riveste un ruolo "integrato" e non subalterno rispetto al
solista, la concezione formale acquista una più vasta articolazione interna.
Insomma il Concerto per pianoforte diviene progressivamente nelle mani di
Mozart un vero e proprio laboratorio di sperimentazioni formali e linguistiche.
E questa complessità è senz'altro uno dei motivi che portarono al declino della
fortuna di Mozart presso il pubblico viennese.

Non a caso il Concerto K. 503 nacque come opera isolata in circostanze poco
chiare; potrebbe essere stato destinato a un ciclo di Accademie nel periodo
dell'Avvento; o eseguito nel viaggio a Praga nel gennaio 1787. La partitura ha
una orchestrazione estremamente ricca (flauto e coppie di oboi, fagotti, corni,
trombe, più timpani; anche se mancano i clarinetti) e infatti è fra quelle che
mostrano in modo più pronunciato la tendenza "sinfonica" della maturità
mozartiana. Già la tonalità di do maggiore viene impiegata spesso da Mozart
per lavori di contenuto aulico; il lavoro si richiama sotto questo aspetto ai
Concerti K. 415 (in do) e K. 459 (in re), ma secondo una complessità ben
maggiore di quella mostrata dai modelli.

Così il primo tempo, Allegro maestoso, si apre con una imponente


introduzione orchestrale; il materiale tematico mostra però una certa
"neutralità" espressiva: troviamo degli accordi spezzati, delle note ribattute
(alle quali è stato talvolta attribuito un significato massonico) e delle scale,
nonché qualche elemento contrappuntistico; come dire che il materiale trae
interesse, più che dalla sua fisionomia, dal trattamento rigoroso e
consequenziale che riceve. Il secondo tema si presenta, inconsuetamente, nel
modo minore e presenta un inciso ritmico che percorrerà internamente tutto il
tempo. Il pianoforte fa il suo ingresso con un tema del tutto diverso, dal
carattere decorativo; e appare solo in un secondo momento il primo tema
dell'esposizione orchestrale. Poi viene introdotta un'altra idea tematica
diversiva per il pianoforte, di carattere ingenuo, in mi bemolle; e quando il
pianoforte arriva al secondo tema, questo è del tutto nuovo rispetto a quello in
minore dell'esposizione orchestrale (che invece viene ampiamente sfruttato
nella sezione dello sviluppo). Queste indicazioni o"rono da sole un'idea della
eccezionale complessità del movimento, che è segnato anche dalla perfetta
integrazione fra la scrittura orchestrale e quella pianistica.
Rispetto al tempo iniziale, quasi dimesso appare l'Andante, aperto da una
introduzione orchestrale che presenta due temi, il primo di carattere
"a"ettuoso", il secondo più galante; e questa esposizione viene ripresa ed
ampliata dal pianoforte. La sezione centrale non si pone in contrasto ma in
perfetta continuità espressiva, e lascia ampio spazio all'elegante virtuosismo
del solista, prima della ripresa. Il finale segue la forma del Rondò e viene
aperto dall'orchestra piuttosto che dal pianoforte (come avviene più di
consueto); il refrain è di carattere popolaresco, formato da due elementi
distinti, infantile (archi) e contadino (fiati); si alterna poi con episodi ben
distinti che non conservano un carattere così ingenuo ma sono estremamente
sofisticati, sia nell'invenzione melodica che nell'elaborazione; così avviene, ad
esempio, nello sviluppo, in minore, che accoglie un complesso intreccio dei
fiati sull'accompagnamento del pianoforte. Il solista trova modo soprattutto in
questo tempo di impegnarsi in un brillante cimento tecnico, ma questo
impegno non è così accattivante e appariscente come in altri concerti. Il gusto
"popolare", dunque, cede al "sofisticato" e viene assorbito in un movimento che
contraddice fortemente ogni concessione al pubblico. Una distanza incolmabile
rispetto a quella "via di mezzo fra il troppo di!cile e il troppo facile" che aveva
segnato i primi Concerti viennesi.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

E' tra il 1786 e il 1787 ch'ebbe inizio quel rapido declino della voga, tra la
società viennese, del Mozart virtuoso di pianoforte. Ciò spiega perché il
Concerto in do maggiore K. 503, pur essendo stato composto soltanto nel
dicembre del 1786, ossia a cinque anni dalla morte e al seguito della splendida
fioritura dei venti e più concerti scritti fin qui, si pone come una delle
ultimissime testimonianze del concertismo pianistico mozartiano, insieme al
«Concerto dell'Incoronazione» (1788) e al Concerto in re del 1791. Da precisi
indizi, riferisce il Paumgartner, si può stabilire con quasi assoluta certezza che
negli anni seguenti al 1786 Mozart non riuscì più ad organizzare alcun
concerto per conto proprio ma si limitò a prodursi occasionalmente in
audizioni private e nelle riunioni musicali del sabato mattina in casa propria,
alle quali intervenivano, pagando una tenue somma, amici e protettori.
Nell'estate del 1786 le sue condizioni finanziarie erano assai peggiorate: dopo
essersi dato d'attorno per due settimane, nella speranza di riorganizzare
qualche concerto a sottoscrizione, dovette constatare con amarezza di non
esser riuscito a trovare che un solo abbonato, il suo fedele protettore van
Swieten.
Donald Tovey ha ricollegato il Concerto in do alla Sinfonia «Jupiter» e non
soltanto per il fatto, estrinseco, della identica tonalità, ma per la imponenza
delle dimensioni (il primo movimento del Concerto, Allegro maestoso, di ben
432 battute, è il più lungo che Mozart abbia scritto) e per lo spirito apollineo
che pervade tutta l'opera, dando vita, nello strumentale e nel piglio pianistico,
a passi di particolare brillantezza di tono. D'altronde già un contemporaneo di
Mozart lo ebbe a definire «olimpico».

Solo in un tratto centrale dell'Allegretto finale il Concerto si vela di un'ombra


patetica che ben lo fa riconoscere fiorito sullo stesso albero che aveva prodotto
il meraviglioso Concerto in re minore K. 466.

Giorgio Graziosi

Concerto per pianoforte n. 26 in re magg. - K 537 "II.Krönungs-


Konzert"

https://www.youtube.com/watch?v=jkKmlip4gA4

https://www.youtube.com/watch?v=4kT6iP6Jkt8

https://www.youtube.com/watch?v=xUhIHXlFNxQ

https://www.youtube.com/watch?v=9720R8IStzo

Il concerto per pianoforte e orchestra n. 26 in Re maggiore K 537 è conosciuto


più correntemente come il Concerto dell'Incoronazione, denominazione che
trae origine dal fatto che probabilmente venne eseguito dallo stesso Mozart, in
occasione dei festeggiamenti per l'incoronazione di Leopoldo II.

In realtà fu terminato da Mozart nel febbraio del 1788, forse in previsione di


un'esecuzione che poi non avvenne. La "prima" ebbe infatti luogo solo nel
1789 a Dresda, durante un giro concertistico che lo portò anche a Berlino,
Lipsia, Potsdam e che gli garantì un notevole successo.

Questo concerto non sembra apportare significative migliorie al genere, dopo i


notevoli progressi del Concerto n. 25 K 503. Nonostante ciò, ha mantenuto nel
tempo una relativa popolarità, insieme al Concerto in re minore K 466, molto
probabilmente per la linearità che ne pervade tutta la struttura:ad esempio
l'Allegro iniziale (dopo quello del Concerto in do maggiore K 503) è il più
esteso degli Allegri mozartiani.

L'organico si allontana notevolmente da quello dei concerti "sinfonici", in


quanto, nonostante sia su!cientemente articolato e con l'organico standard
più ampio dei concerti mozartiani (un flauto, due oboi, due fagotti, due corni,
due trombe, timpani e archi), a di"erenza dei concerti successivi al K 450
esclude completamente gli interventi solistici dei fiati nel dialogo con il solista,
tornando quindi all'accompagnamento esclusivo degli archi proprio dei lavori
precedenti, e relegando l'orchestra a un semplice ruolo di ripieno nei ritornelli.

Il secondo movimento (Larghetto) in la maggiore probabilmente non è stato


frutto di un'invenzione estemporanea: di esso, infatti, esiste un abbozzo
risalente al 1787.

Il concerto si conclude con un Allegretto in forma di rondò.

Guida all'ascolto (nota 1)

Ventuno concerti per pianoforte e orchestra, più uno per tre pianoforti e
orchestra, un altro per due pianoforti e orchestra e un rondò per pianoforte e
orchestra, rispettivamente K. 242, 365 e 352, rappresentano la summa della
produzione strumentale e pianistica di Mozart e in essi si avverte l'evoluzione
dello stile da concerto del salisburghese, che passa da una libera forma
sinfonica, dove lo strumento solista svolge un ruolo brillante e virtuosistico, ad
un linguaggio sonoro più intimo e raccolto nell'ambito di un rapporto più
misurato ed equilibrato tra il pianoforte e l'accompagnamento orchestrale. Del
resto lo stesso Mozart espresse in una lettera che porta la data del 28
dicembre 1782 le sue idee sul modo di concepire i concerti per pianoforte e
orchestra della prima maniera. «I concerti - egli scrive a suo padre - sono una
via di mezzo fra il troppo di!cile e il troppo facile, sono molto brillanti e
piacevoli all'udito, naturalmente senza cadere nello stravagante e nella
vuotaggine! Qua e là anche gli intenditori possono ricevere una soddisfazione,
ma in modo che i non intenditori devono rimanere soddisfatti, senza sapere
perché». Negli anni successivi egli approfondì e arricchì la struttura tecnica del
concerto, conferendo all'orchestra una personalità timbrica più spiccata, pur
lasciando intatte allo strumento solista le fioriture, le variazioni e le cadenze
tipiche della parte pianistica. In tal modo l'antico concerto da salotto cambia
non tanto nella forma, quanto nello spirito della musica in esso racchiuso. A
questa linea espressiva si attengono i Concerti in la maggiore K. 488, in do
minore K. 491 e in do maggiore K. 503, scritti tutti e tre nel 1786, nello stesso
periodo in cui l'autore era alle prese con la composizione delle Nozze di Figaro
(non per nulla il Concerto in do minore, completato il 24 marzo 1786 ed
eseguito per la prima volta a Vienna dallo stesso Mozart il 7 aprile successivo
reca il numero Kòchel immediatamente precedente a quello delle "Nozze").

Non meno indicativi dello stile mozartiano sono i due concerti per pianoforte e
orchestra scritti dal musicista negli ultimi cinque anni di vita: il Concerto in re
maggiore K. 537, composto nel 1788 per l'incoronazione di Leopoldo II a
Francoforte e il Concerto in si bemolle maggiore K. 595, eseguito in pubblico a
Vienna il 4 marzo 1791, con lo stesso autore al pianoforte, in una
inconsapevole serata di addio come virtuoso del suo strumento prediletto. Il
Concerto K. 537, conosciuto anche come "Concerto dell'incoronazione", è tra i
più brillanti e imprevedibili per la varietà delle invenzioni tematiche. Ad
esempio, il primo movimento (Allegro) è costituito da tre temi ben distinti,
enunciati dai violini: il primo spigliato, il secondo spiritoso e il terzo molto
cantabile. Con l'entrata del solista, che ripropone il primo tema, ci si aspetta di
riascoltare gli altri temi; invece il pianoforte indica una nuova frase, fertile di
cromatismi in un gioco di modulazioni. È interessante osservare come nello
sviluppo Mozart punti la sua attenzione su un piccolo inciso secondario,
ritmicamente vivace, con cui si era chiusa l'esposizione orchestrale. Solo nella
successiva riesposizione si avrà l'allineamento ordinato dei vari temi.

Regolare nella sua impostazione classicistica è il Larghetto in la maggiore,


diviso in tre parti: una prima esposta in prevalenza dal pianoforte; una seconda
intrisa di lirismo sulle tranquille punteggiature dei soli archi, ai quali si
aggiunge alla fine il fagotto; una terza parte intesa come ripetizione della
prima. L'Allegretto finale raggruppa tre temi (i primi due enunciati dal
pianoforte), collegati fra di loro secondo la tecnica dei rondò e dell'allegro di
sonata. L'Allegretto si distingue per lo stile e per la scrittura tendente ad
evidenziare le qualità del solista, lontano da ogni ombra preromantica e da
certi slanci passionali, pur presenti in altri Concerti per pianoforte e orchestra
e nella coeva Sinfonia in sol minore.

Concerto per pianoforte n. 27 in si bemolle magg. - K 595

https://www.youtube.com/watch?v=Yaa2lxvUGfs

https://www.youtube.com/watch?v=6A8iXOiFkHw

https://www.youtube.com/watch?v=zcE_7adLdEo

https://www.youtube.com/watch?v=TCy_qHRNYZI

Mozart riporta nel catalogo manoscritto delle sue opere di avere terminato la
composizione del concerto per pianoforte e orchestra n. 27 in Si bemolle
maggiore K 595 il 5 gennaio 1791.

L'opera fu eseguita a Vienna, il 4 marzo dello stesso anno, e quindi ben due
mesi dopo averla terminata. Ciò non era nello stile di Mozart, il cui lavoro
veniva di solito terminato poco prima di essere eseguito in pubblico. Questo
fatto ha dato adito a due possibili interpretazioni: la prima: che non avesse
alcun committente e che il concerto fosse stato scritto per poterlo usare in una
accademia (concerti a sottoscrizione); la seconda: che il concerto fosse stato
commissionato da un allievo.

Ad avvalorare questa teoria anche la di!coltà tecnica limitata, in quanto i


concerti di Mozart scritti per "uso personale" sono di!cili, e la presenza di
cadenze scritte (cosa strana perché era uso improvvisarle).

Del concerto, infatti, ci sono rimaste le cadenze originali di Mozart per il primo
e terzo movimento.

Caratteristica di questa, così come delle altre opere scritte durante l'ultimo
anno di vita del compositore viennese, è la presenza di elementi stilistici
peculiari quali, ad esempio, il carattere interiore dei motivi melodici,
l'organizzazione dei temi e dei movimenti molto complessa, l'uso di temi
"pastorali" nel finale.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Quando l'impresario Johann Peter Salomon giunse a Vienna per trattare con
Haydn il suo soggiorno inglese, contattò anche Mozart per fargli un'o"erta alle
stesse condizioni. Sembra però che Mozart non abbia dato alcun seguito a
questa proposta, così come non aveva preso in considerazione la lettera che
l'amministratore dell'Opera italiana a Londra, Robert Bray O'Reilly, gli aveva
fatto recapitare nell'ottobre 1790. O'Reilly gli o"riva di rimanere in Inghilterra
per alcuni mesi, al massimo fino a giugno 1791, con l'obbligo di scrivere due
opere teatrali per un cachet di 300 sterline, corrispondenti alla cospicua cifra
di 3000 fiorini austriaci. Probabilmente Mozart non se la sentì di lasciare sola
la moglie, all'epoca in condizioni incerte di salute. Era inoltre impegnato in
"casa" su vari fronti: si era attivato, dopo la morte di Giuseppe II e l'elezione di
Leopoldo I, per il mantenimento e magari il miglioramento delle proprie
condizioni a corte; si era anche mosso perché il suo valore di compositore
nell'ambito della musica sacra venisse riconosciuto a corte e presso le più
importanti istituzioni religiose viennesi; il teatro musicale lo impegnava anche
nel continente, con riprese dei suoi drammi giocosi e con nuove composizioni.
In più c'era l'attività di interprete, alla quale Mozart destinava, non
dimentichiamolo, parte delle sue energie creative, attività che lo impegnava in
manifestazioni di variegata importanza.

Proprio in una di queste occasioni, il 4 marzo 1791, egli presentò il Concerto


per pianoforte e orchestra K. 595, iniziato nel 1788, messo da parte e poi
terminato nel gennaio del 1791, ultima sua composizione del genere.
L'esecuzione avvenne nei locali (era forse un ristorante) di un certo signor Jahn,
durante un'"accademia" (cioè un'esibizione musicale con più autori ed
esecutori) a beneficio del clarinettista Joseph Bähr. Ecco un "avviso" dell'epoca
che da notizia di quella serata: «II signor Bähr, compositore di corte presso sua
maestà l'imperatore di Russia, venerdì prossimo 4 marzo avrà l'onore di
esibirsi più volte al clarinetto nei locali del signor Jahn in una grande
accademia musicale. Nel corso della stessa serata canterà la signora Lange e il
maestro di cappella Mozart suonerà un concerto sul fortepiano». La
disponibilità di un'orchestra ridotta per via del limitato spazio dei locali, la
necessità di calibrare i tempi in base alle esigenze degli altri solisti, furono
aspetti che, oltre agli ovvi bisogni espressivi, spinsero forse Mozart ad
approntare un Concerto più contenuto per lunghezza ed organico rispetto alle
precedenti produzioni per pianoforte e orchestra. Il Concerto K. 595 è infatti
un ibrido tra un Concerto vero e proprio e una creazione cameristica. Possiede
dunque la brillante fluidità dialogica del Concerto e la ricercatezza di certe
scelte cameristiche. Di mediare fra questi aspetti si incarica una scrittura
pianistica composta e scorrevole.

Il primo movimento, Allegro, ha natura enigmatica avvertibile già dall'inizio:


sembra viaggiare su binari galanti e nello stesso tempo introduce reiterate
interruzioni; porta in campo una magica leggerezza e al contempo una
recondita complessità espressiva. Durante gli interventi solistici,
l'accompagnamento orchestrale interviene in modo molto parco, dando quasi
una sfumatura di mistero all'eloquio del pianoforte. La rapida oscillazione tra
modo maggiore e modo minore conferisce alla musica un mobilissimo
chiaroscuro. La scrittura contrappuntistica, sempre dosata con sapienza
comunicativa, è un tratto notevole dello sviluppo (la parte centrale del brano
nel quale si elaborano i temi precedentemente uditi) alla fine del quale ci parrà
quasi di levitare per la morbidezza dell'e"etto con cui torna il tema d'apertura
del brano. Il trattamento generale del ritmo ha qualcosa di ipnotico per la
regolarità delle scelte.

Ipnotico è anche il secondo tempo, Larghetto, che si caratterizza per il


morbido fascino melodico della Romanza, a!data dapprima al pianoforte e poi
all'orchestra: è la citazione di una melodia tratta dall'opera La fedeltà premiata
di Haydn. Tutto sembra estremamente semplice eppure ina"errabile. Sono
poche note ma non desideriamo di più.

Parole valide anche per il finale, Allegro, nell'esordio del quale Mozart utilizza
una melodia tratta da un Lied che stava scrivendo in quei giorni, Sehnsucht
nach dem Frühling (Nostalgia di primavera, K. 596). Ed è in e"etti un vago
senso di nostalgia, come una rimembranza di primigenia felicità, che il
movimento, e tutto il concerto, sembra evocare. Sconfinamenti nel modo
minore, brioso andamento ritmico, tratti di elaborazione contrappuntistica,
inaspettata suggestione timbrica; la speranza è che il Concerto non concluda
mai.
Di quel 1791 Mozart vide poi la primavera e l'estate che seguì; l'ultima della
sua vita: morì il 5 dicembre di quello stesso anno. Le sue stagioni erano finite;
quelle della sua musica, per nostra grande fortuna, erano appena iniziate.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

È l'ultimo Concerto di Mozart ed uno dei più fortunati dell'intera sua


produzione. Una composizione che, sebbene annotata sul catalogo delle
composizioni che Mozart stesso redigeva, il 5 gennaio 1791, risale
probabilmente agli ultimi anni Ottanta. Il ritardo dell'annotazione sul proprio
catalogo è spiegabile con la stesura completa della composizione realizzata
solo in vista dell'esecuzione del 4 marzo di quell'anno nel corso di
un'accademia tenuta dal clarinettista Josef Beer. Analogamente a quanto
succede per altre composizioni dell'ultimo anno di vita anche il Concerto in Si
bemolle presenta quelle caratteristiche stilistiche, come l'attenuarsi dei
contrasti, l'estrema fluidità delle idee, la padronanza dell'uso delle più
complesse tecniche compositive, che hanno fatto parlare più di un critico di un
"tardo stile" cui la prematura scomparsa del compositore non ha concesso
ulteriori esiti. D'altro canto il carattere introspettivo della composizione, che
presenta un'orchestra senza trombe né timpani, l'elaborato dialogo tra solista
ed orchestra, che si intrecciano in un fittissimo gioco di motivi e di
modulazioni, pongono questo Concerto in una posizione isolata rispetto al
grosso della sua produzione concertistica. Nel primo movimento l'abbondanza
di idee tematiche che si svolgono senza apparenti contrasti e con grande
naturalezza non scardina la calcolata strutturazione in forma-sonata. Pur nella
varietà del materiale utilizzato, Mozart riesce infatti nell'intento di conferire al
movimento una grande unitarietà, uno scopo perseguito senza alcuno sforzo
apparente, anzi tramite una notevole eleganza e fluidità del discorso musicale.
L'esposizione, a!data al tutti orchestrale, viene ripresa e sviluppata dal solista,
solo lunghi accordi tenuti dei fiati indicano che ci si sta avviando verso la sua
conclusione e verso l'inizio dello sviluppo. Questo inizia nella tonalità di si
minore, lontanissima dal si bemolle maggiore di impianto, tonalità che viene
raggiunta in modo del tutto naturale. Il discorso prosegue con dialoghi sempre
più serrati tra il solista e l'orchestra, anche con elaborazioni contrappuntistiche
di elementi tematici. Il secondo movimento, organizzato in forma di Lied con
una sezione centrale contrastante, inizia con l'esposizione del tema principale
a!data al pianoforte senza alcun accompagnamento in un momento di
assoluta magia. Chiude la composizione un finale, introdotto dal solista, in
forma di rondò il cui tema principale, di una semplicità e bellezza disarmante,
è stato utilizzato da Mozart anche per il Lied Komm, lieber Mai.

Andrea Rossi Espagnet


Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Con il Concerto per pianoforte K. 595, dai primi anni del soggiorno viennese di
Mozart ci trasferiamo agli ultimi: il Concerto, infatti, è portato a termine nei
primi giorni di gennaio del 1791, l'anno che si concluderà con la morte del
compositore. Il K. 595 è l'ultimo dei concerti per pianoforte e orchestra
composti da Mozart, il quale lo esegue il 4 marzo 1791, nel corso di
un'accademia che coincide con una delle sue ultime apparizioni pubbliche a
Vienna. A quel concerto, Mozart non interviene da protagonista: la sua
esibizione fa da contorno a quella del clarinettista Josef Beer. Segno,
probabilmente, che la fortuna di Mozart presso il volubile pubblico viennese è
ormai in declino. Ma Mozart, a quell'epoca, parla un linguaggio che non è fatto
per solleticare orecchie amanti della socievolezza scorrevole o dei facili e"etti
appariscenti.

Con le ultime opere composte da Mozart, il Concerto K. 595 condivide


l'introspezione, l'intimismo di un atteggiamento più cameristico che
concertistico. Non è diverso dagli altri concerti mozartiani per rimpianto
formale, lo è invece per l'atteggiamento espressivo: sembra rivolto meno al
pubblico che a un ascoltatore ideale. Manca degli slanci appassionati o della
vivacità trascinante che permeano altri lavori, ed è ricco invece di idee
melodiche, semplici come quelle di un Lied popolare; vi si ritrova il tono dei
Quartetti K. 589 e K. 590, del Concerto per clarinetto K. 622, di tante pagine
del Flauto magico. Il lirismo prevale sul dramma e sul pathos; ma si tratta di un
lirismo intimista e decantato, di un linguaggio rassegnato sino alla
sublimazione. La tecnica esibita dal solista è poco appariscente, il virtuosismo
è strettamente subordinato all'idea musicale; tra pianoforte e orchestra si dà
un equilibrio perfetto, che sceglie la via dell'intreccio strettissimo anziché
quella dell'opposizione dialettica. Con questo capolavoro, Mozart prendeva
commiato da un genere che lui stesso aveva creato, e al quale aveva
consegnato alcune delle sue composizioni più sublimi.

Sin dall'Allegro iniziale è subito chiaro che il tono socievole di molti concerti
viennesi, con ciò che resta dello stile galante, è abbandonato in favore di
inflessioni personali, di impennate espressive, di divagazioni meditabonde. Il
tema principale nasce sommesso, quasi in sordina, da una tranquilla battuta
d'accompagnamento: lontano quindi dal modo chiassoso con cui inizia
solitamente un concerto. Nell'Esposizione, le melodie fioriscono: al primo tema
ne seguono un secondo, morbido e disteso, e un terzo, increspato da
acciaccature. Il discorso riserva la sorpresa di frequenti inflessioni inattese,
come l'episodio in modo minore alla fine del Tutti orchestrale o quello che
nell'Esposizione solistica introduce un nuovo motivo e divaga toccando tonalità
lontane. Ma la sorpresa è creata, in molti altri luoghi, anche dai cromatismi,
dagli sforzato e dai crescendo, dagli unisoni che increspano l'eloquio e vi
introducono tensioni. Un linguaggio complesso, che tuttavia non disturba la
cantabilità pervasiva del movimento né la grazia delle sue linee melodiche.

Il Larghetto, in semplice forma di Lied tripartito, assume i toni di una romanza:


il pianoforte espone il tema sottovoce, con dolcezza; il movimento conserva
sino alla fine l'espansività melodica della romanza, che qui tuttavia è più
contenuta, temperata da una cantabilità più dolorosa. Il tema principale
impiegato da Mozart proviene da un dramma pastorale di Haydn, La fedeltà
premiata: si tratta del tema che introduce il recitativo di Fileno «Bastano i
pianti... è tempo di morire»; il movimento mozartiano sembra sviluppare sino
in fondo l'atteggiamento emotivo implicito nelle parole del personaggio
haydniano.

Nel rondò conclusivo (Allegro, impostato nella consueta forma del rondò-
sonata) un'atmosfera di spensierata gaiezza sembra prevalere su tutto: il tono
generale è dato dal tema principale, giocoso, quasi infantile nella sua
semplicità. Mozart impiega un tema strettamente a!ne nel Lied K. 596
«Sehnsucht nach dem Frühling» (Nostalgia di primavera), composto pochi
giorni dopo il Concerto K. 595 e ispirato alla gioia per il ritorno della bella
stagione. Nel rondò, come nel Lied, risuonano gli accenti di quella esuberanza
eufonica, di quel tono semplice e popolare che è una costante nelle opere
dell'ultimo Mozart e che troverà espressione, di li a poco, nelle arie di
Papageno e in tante altre pagine del Flauto magico.

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

Uno dei luoghi comuni della letteratura dedicata ad un qualsiasi grande artista
è quello, irresistibile, di conciliare nell'ultimo suo anno di vita il vertice più alto
della produzione col presagio tormentoso della morte imminente. Anche
Mozart ne è stato ovviamente contagiato: anzi, nessun musicista più di lui ha
autorizzato una vasta letteratura romantica a rinvenire, nella parte liminare
della sua esistenza, inquietanti ed angosciose premonizioni; ma per converso,
nessun compositore, si incarica, quanto lui, a smentire questa pronta quanto
indiscreta agiografia umana. Niente di più parziale, di più romanzato ed
aleatorio è infatti il definire il 1791 essenzialmente come l'anno del conclusivo
«Requiem»; opera struggente ed enigmatica, per di più rimasta in-compiuta:
almeno per Mozart (ma anche per uno Schubert) il disordine esistenziale della
vita quotidiana si incarica di scompigliare salutarmente questo appuntamento
con la morte, la quale è un caso, così come la vita è una continua occasione.
Ad esse è sottomessa ogni pretesa «logica» interiore della creazione.
Si vuol dire che se il 1790 era stato per Mozart l'anno nero degli insuccessi,
delle incertezze, perfino dei turbamenti spirituali più funerei (espressi ad
Haydn in partenza per Londra, contrattuato dall'impresario Salomon, che
pensava di scritturare anche lo stesso Volfango, ma non fece a tempo), ecco
che invece il 1791, l'anno di addio al mondo, si apriva sereno, così nelle
circostanze creative come in quelle economiche. Gli vengono infatti
commissionate le opere «Il Flauto magico» e «La clemenza di Tito» (la prima,
aperta alla futura fantasia romantica, l'altra ancora consegnata al vecchio cliché
dell'opera italiana), gli viene chiesta una vera inflazione di danze orchestrali e
pezzi per organo meccanico, che dispiegano un clima di allegria carnevalesca,
futile ed un po' disperata. Ma proprio lui, Mozart, è sereno: l'ultimo suo
«Quintetto» per archi (K. 614) è pieno di gioia fanciullesca, il sublime mottetto
«Ave Verum» è tutto beatitudine pacata ed anche il celebre «Concerto» per
clarinetto è ricco di luminosa dolcezza. La nascita dell'ultimo figlio Franz è
accompagnata da alcuni briosi «Lieder» per bambini e vari pezzetti per
pianoforte. Il passaporto a questa creazione intensa e fluida era stato proprio il
suo ultimo «Concerto» per pianoforte, questo in si bemolle maggiore K. 595,
terminato il 5 gennaio, con quel «Finale» così raramente allegro, fondato su un
motivetto popolaresco che gli ronzava sbarazzino in testa e che torna nella
canzoncina «Komm, lieber Mai» (K. 596), composta pochi giorni appresso. Lo
schianto vero, l'unica modulazione tragica di quell'esistenza avviata a
ricuperare un alacre ottimismo perduto negli anni precedenti, è il solo
«Requiem», con l'ossessione del misterioso committente che scatena ad una
tratto l'angoscia, il sospetto di veleno, la malattia finale di Mozart. È come la
comparsa improvvisa del convitato di pietra, il Commendatore, che venga a
riscuotere il pegno più grande allo spensierato ed irresponsabile Don Giovanni.
Che tosto esce di scena.

Dunque, pressoché nulla della produzione rigogliosa e felice dell'ultimo anno


di Mozart, ne fa presagire la prossima fine. Nulla, o tutto? Certo, vedendo
controluce quella serenità quasi irresponsabile, certa improvvisa saggezza di
vita (anche nei migliorati rapporti con la moglie Costanza), quella letizia
inconsulta che; di proposito rinuncia al lamento ed al dramma, anche certa
voluta ingenuità che avvertiamo nel «Larghetto» ed in non pochi altri passi di
quest'ultimo «Concerto» per pianoforte, tutto ciò può anche apparire
consapevolezza di congedo, disimpegno giovanile e fin sfrontato nei confronti
di una fine che si avverte infallibilmente vicina. C'è chi scherza con la morte,
appunto come Don Giovanni, e c'è chi licenzia, davanti alla morte, il dato
troppo umano, preparandosi a salpare in assoluta quiete, in un gioco di
finzioni abilissime anche con se medesimo. Ed allora, proprio la mancanza di
quella tensione e di tragedia che sempre aveva insidiato la felicità del Mozart
passato, ecco che ora può costituirsi a controprova di dramma: e cosi il
musicista, rasserenato, compone alacremente, fin ottimisticamente, oppure
leva invece tanti ormeggi?
La grandezza sterminata di Mozart sta proprio in questa sua alternativa ovvero
ambivalenza spirituale, in questo suo continuo gioco di maschera che lo fa
imprendibile, sfuggente, divinamente ambiguo: cosa che non sapranno più
fare gli artisti romantici (escluso Schubert, ripetiamo), con quel loro ineludibile
peso esistenziale che ha finito di in-oraggiare proprio la letteratura agiografica
cui innanzi s'accennava: pronta a preparargli, nel 1791, solo corone di feretro,
come per un personaggio d'opera od eroe ottocentesco. Proprio per questo,
l'incompiuto di Mozart (il «Requiem», ma altresì il ritratto che solo gli iniziò
Joseph Lang) riesce più inquietante di ogni analoga situazione romantica,
sempre cosi umana, cosi cronologicamente invadente, cosi fisiologicamente
indiscreta: altro di lui non sappiamo che della «febbre miliare» che gli aveva
enfiate le mani e la povera grossa testa; ma poi, orgogliosamente, Mozart si
sottraeva ad ogni verità di autopsia, ad ogni verifica di malattia o di veleno,
confinando il suo esile corpo in una fossa comune. Assicurandosi cosi una
delle ultime leggende dei tempi moderni.

Ma tutto questo discorso si conforta anche con una precisa considerazione


storica. Quando il musicista si era stabilito a Vienna, nel 1781, si era a"ermato
soprattutto come pianista; ed in poco più di tre anni (dalla fine dell'82 all'inizio
dell'86} erano infatti nati ben quindici «Concerti» per pianoforte ed orchestra,
coi quali aveva conquistato stabilmente i favori del volubile pubblico viennese,
riuscendo altresì ad assicurarsi parecchi allievi che gli consentivano una certa
tranquillità economica. A questo punto, allettanti prospettive teatrali («Le
Nozze di Figaro» e «Don Giovanni») nonché la successione a Gluck come
compositore di corte, gli fecero trascurare questa clientela, pronta subito a
concedere i suoi favori ad alcuni pianisti virtuosi quali Kozeluch e Gelinek.
Rivelatosi non più che temporaneo il successo teatrale e limitandosi l'impiego a
corte alla composizione di futili pezzi di circostanza, ecco Mozart far marcia
indietro, tentando senza esito di ricuperare il vecchio pubblico o di farsene
uno nuovo. In questa tragica situazione di fallimento professionale, Mozart
limitò la sua produzione concertistica a due opere, create per circostanze
occasionali: il «Concerto» K. 537 fu infatti scritto per l'incoronazione di
Leopoldo II e questo K. 595 per un concerto del clarinettista Joseph Beer. Che
quest'ultima opera in si bemolle sia stata composta per un qualche dilettante si
può anche arguire da alcuni suoi caratteri: le limitate di!coltà tecniche
rispetto ài precedenti Concerti, la stesura rapida (fu scritto in meno di due
mesi, tra il novembre 1790 ed il 5 gennaio 1791), e l'immediata pubblicazione
da parte dell'editore Artaria, come già altre opere destinate ad amatori.

L'ambiguità stilistica che si diceva prima, si coglie in questo che è l'ultimo ma


non certo il maggiore dei «Concerti» pianistici della maturità, ove non
ritroviamo gli scatti impetuosi cosi di allegria come di drammaticità: piuttosto,
questa è opera retrospettiva, priva di ardori come di tensioni, ove solo certa
intima stanchezza insidia qua e là la tranquilla compostezza, ove il quasi
compiaciuto ritrovar la facilità dei primi modelli consente a Mozart rarefazioni
assorte, presagi di grande futuro. Caratteri, questi, che si avvertono
nell'a"abilità del primo tema dell'«Allegro» iniziale, dall'orchestrazione
trasparente e leggera (priva di clarinetti, trombe e timpani), ove i corni, pur
citando lontane scansioni sinfoniche, come quelle della celebre «Sinfonia» in
sol minore, le restituiscono, nel secondo tema col suo motivo discendente
subito sensibilizzato in modo minore, intonazioni incantate e leggiadre.
Tuttavia, un esame dell'organizzazione tematica di questo movimento
rivelerebbe complessità inattese: per i frammenti melodici che arieggiano
Lieder ad intonazione popolare, per gli echi di fanfara ripresi dalle Sinfonie
«Ha"ner» e soprattutto «Jupiter», per certe riposte citazioni operistiche (ad es.
l'aria di Osmino «Ha! Wie will Ich triumphiren» del «Ratto dal Serraglio»): a
chiarire insomma i contrassegni di quel «tardo stile» mozartiano che per
Robbins Landon si colgono nella passività lontana ed astrattiva del pensiero
musicale e nel crescente interesse armonico. Non più drammaticità, quindi, ma
rarefazione: ove la leggiadria viene dalla melanconia retrospettiva restituita ad
una serenità rassegnata, a stabilire un «puzzle» complicato di citazioni che
significa sincretismo riassuntivo. Né il gioco insistito delle pause accresce di
tensione questo tessuto discreto, né incrina si"atta compiutezza formale.
Anche il pianoforte, riprendendo con belle modulazioni i temi, abolisce il
virtuosismo per peregrinazioni non più che vaghe, per accentuazioni intime ma
sempre saggiamente calibrate. Tale tendenza alla semplificazione si avverte
ancor più nella ripresa pianistica del secondo tema, ricco di scansioni
tipicamente austriache, ad esempio per la presenza di accenti di corale, a!dati
ai fiati. Sono tutte modulazioni inquietanti ma mai inquiete, a sfondo
cameristico (come poi nel «Concerto» per clarinetto): ed allora ecco che il
Romanticismo si fa ambiente vicino, in questo gioco di attenuazione dei temi
maggiori e di accentuata pregnanza degli incisi minori. Anche la cadenza
(originale di Mozart) è semplice e raccolta, prima della chiusa orchestrale che
congeda la musica quasi con un inchino, provvisoria conclusione di una scena
di vita.

L'ingenuità si fa poi quasi provocatoria nel «Larghetto cantabile», ove il


pianoforte ricupera cristallini echi di una qualche Sonatina. E l'orchestra, ancor
più decantata nei timbri, sta pienamente al gioco, dialogando sommessa e
seguendo il solista nelle continue varianti del piccolo tema. Nella sua
dimensione mnestica, questo movimento è una successione, più che di temi, di
episodi sfibrati, di rievocazioni esauste, non senza certa autunnale elegia che
anticipa Schubert. Ma in tale semplificazione appare in tutta evidenza la sfinge
mozartiana e scompare invece il dèmone; non solo, ma in questa nuova
dimensione spiritualmente e temporalmente distaccata ed incantata esce la
virtualità mozartiana, ovvero un dato clamorosamente moderno, una sorta di
dimensione «al quadrato» capace di anticipare il «Concerto» in sol di Ravel.
Necessaria poi l'opposizione di un Finale che colmi con l'utopia pastorale del
ritmo di caccia questo solco aperto sulla vita che dilegua. L'«Allegro
scherzando» conclusivo è poco vivace ma in cambio molto popolaresco (il tema
a rondò già dicevamo che è fondato sulla canzoncina «Sehnsucht nach dem
Frühling»), quasi un ricordo a danza, che chiarisce la dimensione retrospettiva
di tutto il «Concerto». Anche qui, la matrice classica pretende porti futuri, per
poco che si noti l'analogia tra la ripresa orchestrale e l'attacco del «Finale» del
secondo «Concerto» di Brahms; anche qui Mozart dispone di materiali esperiti
innanzi ma come decantati ed attenuati di forza, pur in decorso a tratti fluente.
Più vivace ed in pretto clima di sonata il secondo tema, che il pianoforte
appena concita nella cadenza, di chiara anticipazione beethoveniana. Infine, il
contesto si ricompone ed il solista chiude dimesso, laddove anche la resa
orchestrale è consegnata all'amabile discrezione.

Un congedo senza addii, quindi, quale si avverti alla prima esecuzione di


quest'opera a Vienna, il 4 marzo 1791, in un concerto organizzato dal
clarinettista Joseph Beer nel salone di una casa situata, quasi simbolicamente,
nella Himmelpfortgasse: la via alla Porta del Cielo.

Sergio Martinotti

Concerti per uno o più strumenti solisti

Concerto per flauto e arpa - K 299

https://www.youtube.com/watch?v=nheif2BuFz0

https://www.youtube.com/watch?v=cIUHkfwMZE4

https://www.youtube.com/watch?v=4oj_2Lmb23A

Allegro (do maggiore)


Andantino (fa maggiore)
Rondò. Allegro (do maggiore)

Organico: flauto, arpa, 2 oboi, 2 corni, archi


Composizione: Parigi, aprile 1778
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1881
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questo concerto venne scritto per il duca di Guines, già ambasciatore francese
a Londra e grande appassionato di musica e suonatore di flauto egli stesso, e
per sua figlia, suonatrice di arpa e allieva in composizione di Mozart («non ha
idee, non viene fuori nulla», «è sinceramente stupida e pigra» furono i
commenti di Wolfgang al padre Leopold).

Il Concerto è uno straordinario esempio di musica di società: Mozart si


concentrò prevalentemente sulla ricchezza e sulla disposizione delle idee
tematiche, più che sulla sua struttura formale. È certo inoltre che le parti dei
solisti furono composte «su misura» per il duca di Guines e per la figlia, che
erano, lo ricordiamo ancora, musicisti dilettanti.

L'Esposizione orchestrale del primo movimento, Allegro, è molto ricca di spunti


tematici assai diversi fra loro, a partire dal primo tema che sfrutta un
procedimento molto caro al Mozart di quegli anni: un «motto» a piena
orchestra basato sulle note dell'armonia di tonica e una delicata risposta
a!data ad archi e oboi; col secondo tema, introdotto da due lunghe note dei
corni, entriamo invece in pieno clima «galante». L'ingresso dei solisti
conferisce al discorso mozartiano una dimensione più dialogante, quasi
cameristica: flauto e arpa, alternativamente, conducono la melodia, la
accompagnano, si inseguono intrecciando le proprie linee melodiche. La
modulazione canonica alla dominante introduce un nuovo tema, riservato
esclusivamente ai solisti, secondo un procedimento molto di"uso nei concerti
di Mozart. Lo Sviluppo (definito dall'Abert sviluppo-fantasia) predilige il
momento lirico a quello elaborativo e, sfruttando ancora una volta il dialogo
fra i due solisti, si basa quasi interamente su un nuovo motivo in tonalità
minore presentato dal flauto. La Ripresa non presenta anomalie e ripropone il
materiale dell'Esposizione mutandone però l'ordine di apparizione, come
Mozart spesso amava fare.

Nell'Andantino centrale, in forma bipartita, l'orchestra viene snellita con


l'esclusione di oboi e corni: la divisione centrale delle viole, inoltre,
contribuisce alla creazione di un impasto timbrico caldo e seducente. Il tema
principale, che a"ascina subito con l'intensa frase discendente dei violini, viene
subito ripetuto dai solisti che lo rendono ancor più interessante (melodia
raddoppiata all'ottava alta dal flauto e arpeggi dell'arpa). I successivi episodi
sono a!dati ai solisti che li conducono sempre in dialogo secondo il modello
che vede alternarsi le «proposte» del flauto alle «risposte», spesso variate,
dell'arpa. La seconda parte è di fatto una ripresa fedele, tutta nella tonalità
d'impianto, della prima; spicca soltanto, al termine della cadenza dei solisti, la
ripresa conclusiva del tema principale che con le sue quattro apparizioni
assume il ruolo di un vero e proprio «ritornello».

L'Allegro è in forma di rondò-sonata, ovvero una forma-sonata nella quale il


tema principale fa anche da ritornello (refrain), riapparendo prima dello
Sviluppo e in conclusione di movimento. Il suo tema principale, semplice e
spensierato, verrà ripreso da Mozart, con qualche variazione, nella romanza
della famosa serenata Eine Kleine Nachtmusik K. 525. All'Esposizione
orchestrale fa seguito quella dei solisti che, come sempre in questi casi, è più
ricca e articolata: anche qui domina comunque quello «spirito dialogante» che
avevamo osservato nei due movimenti precedenti. Numerosi sono gli spunti
tematici nuovi, che si combinano abilmente con le sezioni cadenzanti già udite
nell'Esposizione orchestrale dando vita a un discorso musicale piacevole,
scorrevole e disinvolto (si potrebbe qui parlare di «musica da salotto» di
altissimo livello). Lo Sviluppo, alla sottodominante, presenta un tema nuovo,
l'elaborazione di un motivo precedente e la ripresa del tema principale in
tonalità minore che ha quasi il sapore di una «falsa ripresa», dal momento che
la Ripresa vera e propria compare subito dopo ma non col primo tema.
Dovremo aspettare la cadenza dei solisti per riascoltare il refrain di flauto e
arpa, che assume ora il tono di un simpatico commiato.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

A Parigi, ultima tappa del suo ultimo grande viaggio, Mozart sperava di
ottenere la consacrazione a compositore di fama europea e invece incontrò
soltanto indi"erenza. L'accoglienza che Parigi gli aveva riservato quattordici
anni prima lo aveva illuso: allora - nel 1763-1764 - era un fanciullo prodigio
conteso e vezzeggiato nei salotti dell'aristocrazia, adesso - nel 1778 - è un
giovane di ventidue anni e non costituisce più un'attrazione, una curiosità, ma
deve imporsi sulla concorrenza dei tanti musicisti di grido che da tutta l'Europa
convergono a Parigi. Certamente non mancavano a Mozart le qualità per lottare
ad armi pari con i suoi "colleghi" e per a"ermarsi, ma - come il barone Grimm
scrisse a Leopold Mozart - avrebbe ottenuto migliori risultati con metà del
talento e il doppio di abilità. Per di più i parigini erano distratti dalla querelle
fra i sostenitori di Gluck e quelli di Piccinni e non avevano tempo per quel
giovane venuto da una piccola città austriaca. Mozart ripagò i parigini con
eguale moneta: considerava con un senso di malcelata superiorità la musica e
il gusto francesi e si disinteressò ostentatamente di quella querelle, che invece
gli ambienti parigini consideravano di capitale importanza.

Non gli mancarono comunque le commissioni, sebbene non tanto importanti


quanto Mozart sperava lasciando Salisburgo per Parigi: una sua sinfonia scritta
per i "Concerts spirituels" fu però accolta con entusiasmo e ripresa numerose
volte. Minori soddisfazioni doveva dargli il Concerto in do maggiore K. 299
(297c) per flauto, arpa e orchestra: incontrò perfino di!coltà a farsi pagare il
compenso pattuito.
L'organico così insolito di questo concerto nasceva da una precisa richiesta del
duca di Guines, che lo eseguì insieme alla figlia in un concerto privato. A
questo riguardo Mozart scrisse, in una lettera ai padre: «II Duca suona il flauto
in modo straordinario e sua figlia, a cui insegno composizione, suona l'arpa
magnifique: ha un grande talento, perfino del genio, e ha per di più una
memoria straordinaria, in quanto suona tutto a mente e conosce un paio di
centinaia di pezzi». Ma quest'entusiasmo passò presto e in una lettera di poco
successiva, riferendo che la sua allieva si era fidanzata e che non avrebbe
continuato le lezioni, Mozart commentò: «Non è un gran dispiacere, parola
d'onore!». Quanto al duca, ecco quel che ne disse, quando si vide negare il
saldo nel suo onorario: «II Signor Duca non ha un briciolo d'onore in corpo!
Certamente pensava: Questo è un giovanotto e inoltre uno stupido tedesco
(come tutti i francesi dicono dei tedeschi) e certamente sarà contento
egualmente».

Al momento di accingersi a comporre il Concerto, Mozart era - come abbiamo


visto - in una situazione psicologica molto più positiva, tanto che si dimenticò
della scarsa simpatia che aveva dimostrato altre volte per il flauto e l'arpa. In
ogni caso - nonostante quel che ne aveva scritto al padre - doveva essere ben
consapevole che i due solisti non erano poi così straordinari e dunque scrisse
per loro delle parti di media di!coltà. Che, componendo questo concerto, non
dimenticasse mai chi fossero i due destinatari, è dimostrato chiaramente anche
dal tono di elegante mondanità che diede a questa musica, in cui sembra
rispecchiarsi il plaisir de vivre della società aristocratica francese dell'epoca di
Luigi XVI. In questa scrittura fluente, che evita ogni minima impressione di
fatica, la maestria di Mozart risplende di luce purissima. E i limiti intrinseci dei
due strumenti - cui Mozart riserva ampi passaggi, facendoli dialogare con
delicatezza e discrezione - sono pienamente rispettati, senza però che la
fragilità dell'arpa e la grazia cedano alle tentazioni del decorativismo.

È nell'Allegro iniziale che vengono più ampiamente valorizzate le possibilità


tecniche e le diverse sfumature timbriche dei due solisti, accompagnati - qui
come in seguito - da un'orchestra di modeste dimensioni, attenta a non
soverchiare mai le loro delicate sonorità. L'Andantino è stato paragonato da
Alfred Einstein a un delicato quadro di Boucher e da Giovanni Carli Ballola a un
prezioso arazzo Gobelins: certamente ha un'eleganza e una soavità inimitabili,
che vogliono accarezzare i sensi più che suscitare profonde emozioni. L'Allegro
finale è un rondò in tempo di gavotta, in cui i ritorni di un refrain vivace ma
delicato si alternano ad episodi sempre diversi.
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Concerto per flauto e arpa in do maggiore K. 299 risale al soggiorno parigino


del 1778, un soggiorno del tutto diverso rispetto a quello, trionfale, compiuto
da bambino, e tale da riservare delusioni e amarezze al ragazzo ventiduenne,
che incontrò una sostanziale indi"erenza da parte dell'ambiente della città, nel
quale stentò ad inserirsi anche per la sua scarsa propensione verso il gusto
francese.

In qualche caso, tuttavia, Mozart seppe approfittare delle occasioni o"ertegli


dalla ricca e colta società aristocratica, presso la quale la pratica della musica
"da salotto" era di"usissima, come naturale integrazione dell'educazione
dell'individuo. Particolarmente di"usa, presso l'aristocrazia del gentil sesso,
era l'arpa, impiegata soprattutto, come alternativa al pianoforte, nella funzione
di accompagnamento. Lo strumento non si avvaleva ancora, per raggiungere la
completa scala di semitoni, del sistema di pedali introdotto da Cousineau e
Krumpholz alla fine del secolo e perfezionato nel 1812 da Erard, ma poteva
comunque spaziare in una gamma vasta grazie a un sistema di ganci azionato
a mano dall'esecutore, che consentiva la modifica di un semitono per
l'intonazione delle corde.

Ecco dunque che nacque, nell'aprile 1778, il Concerto per flauto ed arpa,
destinato ad una coppia di aristocratici. «Penso di averle già detto» scrisse
Mozart al padre il 14 maggio «che il Duca di Guines [in realtà conte, già
ambasciatore a Londra] suona assai bene il flauto, e che la figlia, alla quale
insegno composizione, suona magnificamente l'arpa». La partitura che Mozart
confezionò su misura per questi esecutori - piuttosto ampia nelle dimensioni
anche se non trascendentale tecnicamente - è del tutto improntata allo spirito
concettualmente disimpegnato e brillante della moda parigina (sottolineato
dalla tonalità di do maggiore e dal carattere decorativo degli strumenti solisti);
ma la preziosissima fattura e il superiore ingegno fanno di questo pezzo "da
salotto" un piccolo capolavoro nel suo genere; soprattutto è mirabile
l'equilibrio che sovrintende al rapporto di solidarietà fra i due dissimili
strumenti (il flauto incline alla funzione solistica, l'arpa a quella di
accompagnamento) e alla contrapposizione fra questi e l'orchestra (smarrite
sono purtroppo le cadenze originarie). Dei tre movimenti l'Allegro iniziale,
aperto da un perentorio arpeggio di do maggiore, presenta una vivace
abbondanza di idee e uno sviluppo armonicamente assai suggestivo; i due
solisti vi hanno uno spazio predominante, e si alternano anche nel ruolo di
guida melodica nella sezione dello sviluppo. L'Andantino è animato da una
grazia sensuale - vi si notano le viole divise - e arricchito da una fitta
ornamentazione; mentre il Rondeau finale segue un elegante andamento di
gavotta, in perfetta aderenza al gusto francese.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 4 (nota 4)


La storia si può leggere anche fra le righe di una cronaca spicciola, quotidiana,
domestica, soggettiva fin che si vuole, ma sommamente istruttiva. Ce lo rivela
in questo caso l'epistolario, nutritissimo, della famiglia Mozart al completo,
che non lascia passare giorno senza raccontarci nei dettagli ciò che avviene.
Impariamo così, per esempio, — ed è quanto interessa ai fini esplicativi del
«Concerto per flauto e arpa» — che nel giro di quindici anni (1763 - 1778)
Parigi sta seguendo il suo percorso involutivo di fatuità e corruzione,
cullandosi nei giochi di un incurante edonismo. (La seconda sosta nella
capitale francese, nel 1766, non fa registrare grandi osservazioni). Il bambino
prodigio che durante il primo viaggio parigino era rimasto «flatté» dalle
accoglienze a Versailles, di Luigi XV e consorte, di Madame de Dauphine e
della marchesa di Pompadour (doni, baciamani, e"usioni a non finire, ricorda
Leopold, sorpreso dalle infrazioni alla compassata etichetta di corte), non ne
vorrà più sapere nel 1778 di andare a «seppellire il suo talento» (sono parole di
Wolfgang) fra fantasmi regali e per di più squattrinati.

Nient'a"atto immerso in un incosciente e serafico bamboleggiamento


adolescenziale, ha ormai imparato a fare i suoi conti. Non ha più voglia di
passare il suo tempo a Versailles, né di suonare il clavicembalo nel salotto
gelato della Duchessa di Chabot, fra ospiti snob e distratti, e neppure di
assecondare il «gout galant» di quegli «stupidi» francesi (l'epiteto è
ricorrente) .

Autoconsapevolezza dei propri numeri, non c'è dubbio, ma anche fastidio per
la superficialità, la mancanza di idee, la banalità. Tutte uguali dall'inizio alla
fine, riferirà disgustato, quelle sinfonie concertanti ascoltate ai «Concerts
spirituels», con il loro ovvio «premier coup d'archet» (su Gluck e Piccinni, allora
attivi a Parigi, no comment del musicista: ma ciò riguarda la storia del teatro
d'opera).

Essendo la coerenza dote o difetto del tutto sconosciuta all'artista


settecentesco — neanche Beethoven, il grande «isolato», del resto la coltivò
troppo — la testa di Mozart cosi arguta e cosciente, è costretta in più di
un'occasione a piegarsi.

È questo anche il caso del concerto che ascolteremo, commissionatogli


dall'influente duca de Guines, ambasciatore francese a Londra, nell'aprile 1778.

Buon dilettante di flauto, de Guines nutriva una segreta ambizione: suonare in


duo con la figlia, arpista e flautista di notevole bravura: «Molta memoria» come
interprete, annota Mozart, al quale l'allieva era stata a!data per lo studio della
composizione (esclusivamente, «ca va sans dire » di sonate per flauto e arpa).
L'esperienza fu fallimentare: per de Guines padre che vide dopo poco tempo la
figlia convolare a giuste nozze, abbandonando musica e ogni velleità creativa,
ma anche per Mozart che usci stremato dalla assoluta negazione della
discepola e per di più mal ricompensato (le lezioni e questo concerto gli
fruttarono la metà della cifra pattuita).

Per la prima — e anche l'ultima volta — troviamo in un concerto di Mozart


l'arpa usata in funzione solistica. Il binomio con il flauto, utilizzato con molta
fortuna successivamente dagli impressionisti (ma nel mezzo c'erano stati
Berlioz e Liszt) per creare misteriose atmosfere «nuancées», viene concepito da
Mozart come timbricamente omogeneo. Frequenti i passaggi all'unisono, la
proliferazione delle idee che si legano l'una all'altra senza cesure, l'agilità, la
brillantezza di suono e, quasi con un intento emulativo, i salti (assai insoliti)
verso il registro grave dello strumento a fiato. Come dire, due prime donne che
si imitano, prendendo ognuna i vezzi e le inflessioni dell'altra, ma che nello
stesso tempo mantengono i propri riconoscibilissimi connotati fisici. Che il
confronto con il teatro d'opera possa essere istituito, oltre al fatto
pacificamente noto della derivazione del concerto dall'aria, lo confermerebbe
l'attesa «teatrale» di ben 44 battute (introduzione orchestrale) che agisce a mo'
di sipario sui due solisti. Dopo di che il dialogo, trasparente e finissimo, ha
inizio.

L'orchestra, oltre al quintetto d'archi, si avvale di oboi e corni.

Da un punto di vista formale nessuna infrazione alla struttura del concerto


classico: «Allegro» (in forma-sonata), «Andante» (omessi qui i fiati) e «Rondò»
finale. All'interno dell'intera composizione, le simmetrie, le sottigliezze
tematiche, timbriche, ritmiche sono infinite, come pure certe apparenti aritmie
destinate a rapida soluzione. Ed anche questo non è un fatto nuovo: variare
l'unità con mezzi apparentemente semplici, essendo una caratteristica dei
grandi artisti. Non a caso Schoenberg che per tutta la vita ebbe come meta la
perfezione del linguaggio, l'equilibrio e l'organicità dello stile, si dichiarò
apertamente e in più occasioni «allievo di Mozart».

Fiamma Nicolodi

Concerto per flauto in sol mag K 313

https://www.youtube.com/watch?v=71CugOCzcrQ

https://www.youtube.com/watch?v=0ExqsbrOPN4

https://www.youtube.com/watch?v=1dx2fr3p2aU
l concerto per flauto e orchestra n. 1 in Sol maggiore K 313, scritto da
Wolfgang Amadeus Mozart tra il gennaio e il febbraio del 1778 a Mannheim, è
un classico esempio di musica mozartiana.

Caratteristiche

Il concerto è caratterizzato da semplicità ed eleganza. Con questa


composizione Mozart dà allo strumento solista la possibilità di esplorare tutta
la sua estensione con continue scale e con particolari "giochi musicali" in grado
di esaltare le caratteristiche foniche di questo strumento a fiato. Anche in
questa partitura il compositore salisburghese non tralascia il fondamentale
compito dell'orchestra, a!dando a questa una parte molto importante, non
solo di semplice accompagnamento, ma di vero e proprio sostegno.

Mozart scrisse questo concerto per flauto, come del resto il concerto K 314 e i
quartetti con flauto K 285, K 285a e K 285b per il committente olandese De
Jean, un musicofilo assai appassionato di questo strumento. L'organico di
quest'opera è il classico dei concerti mozartiani: due oboi, due corni in sol, gli
archi (violini primi e secondi, viole, violoncelli e contrabbassi) e naturalmente
lo strumento principe di questo concerto: il flauto traverso.

Il concerto è diviso in tre movimenti: il primo è un allegro maestoso in Sol


maggiore (4/4); il secondo è un adagio ma non troppo in tonalità Re maggiore
(4/4); il terzo movimento, invece, recupera la tonalità del primo movimento: è
infatti in Sol maggiore, ed è un rondò a tempo di minuetto (3/4). Una
particolarità di questo concerto è che il secondo movimento cambia in parte
l'organico: infatti in luogo degli oboi vengono posti due flauti, probabilmente
per dare un suono più melodico e dolce, non ottenibile con il suono nasale
dell'oboe.

Ovviamente in questo secondo movimento, i corni assumono la tonalità di re


maggiore. L'allegro maestoso si sviluppa su due temi, così come l'adagio ma
non troppo; il rondò invece è costruito su di un solo tema.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Anche se il contratto col flautista De Jean prevedeva un concerto breve e di


facile esecuzione, Mozart, col Concerto K. 313, scrisse una pagina estesa ed
elaborata, che presenta all'esecutore discrete di!coltà virtuosistiche.

Il primo movimento, Allegro maestoso, si apre in modo solenne con un


accordo a piena orchestra seguito da quattro note ribattute in ritmo puntato
(quello, per intenderci, utilizzato un secolo prima da Lully per le sue pompose
ouverture d'opera). Per contrasto il secondo tema è più delicato, pur
presentando gli stessi elementi costitutivi del primo (note ribattute, ritmo
puntato), a dimostrazione della grande abilità che Mozart aveva di dare
carattere diverso e/o contrastante a materiale musicale di natura simile.
L'ingresso del solista avviene sul primo tema, seguito, come vuole la regola,
dalla transizione e dal secondo tema. È interessante osservare il tipo di
scrittura che Mozart adotta per gli episodi solistici, molto aderente alle
esigenze tecniche e alle caratteristiche timbriche del flauto. Lo Sviluppo
rielabora elementi cadenzanti o di raccordo che si sono uditi negli interventi
orchestrali dell'Esposizione: vi predomina la tecnica della progressione, ovvero
della ripetizione su gradi diversi della scala dello stesso disegno melodico. La
Ripresa, regolare, ripropone tutti i temi dell'Esposizione ricondotti nella
tonalità d'impianto.

Sembra che l'Adagio ma non troppo non venne apprezzato dal committente De
Jean, al punto che Mozart fu costretto a sostituirlo con l'Andante in do
maggiore K. 315, pagina meno impegnativa e problematica. In realtà, come nel
caso del Concerto precedente, è proprio nel movimento centrale che Mozart
profuse i gioielli più luminosi della sua arte. Il tono sereno e disteso del primo
tema al quale contribuiscono violini e viole con sordino, viene confermato
dall'ingresso del solista che ne varia solo lievemente il profilo, e soprattutto dal
secondo spunto tematico esposto dal flauto con una semplicità quasi
fanciullesca. A un episodio di dialogo fra solista e orchestra segue una breve
sezione di Sviluppo, basata su elementi motivici del primo tema, e la Ripresa
integrale della prima parte.

Il Rondò conclusivo è un delicato minuetto che, dietro l'apparente semplicità,


nasconde una costruzione ben strutturata nella quale si può anche vedere una
forma-sonata arricchita dal ciclico ritorno di un grazioso tema di minuetto di
otto battute. Il solista è qui impegnato in una serie di evoluzioni tecniche che
vanno dalle rapide scalette in sedicesimi, alle agilità, all'arte del «cantabile». La
sezione di Sviluppo è dominata, come già nel primo movimento, dalle
progressioni; nel finale il tema di minuetto, esposto sempre prima dal solista e
poi dall'orchestra, viene arricchito da una serie di variazioni ornamentali.

Alessandro De Bei

Concerto per oboe in do mag - K 314

https://www.youtube.com/watch?v=eDrVtXPpuRI

https://www.youtube.com/watch?v=iWpjCJy2VMU

Allegro (fa maggiore)


Adagio (re minore)
Rondò (fa maggiore)

Organico: oboe solista, 2 flauti, 2 corni, archi


Composizione: 1777

Confronta al numero K 314 la trascrizione per flauto e orchestra.

https://www.youtube.com/watch?v=j3xbS4rjzFI

Guida all'ascolto (nota 1)

Si sa che Mozart scrisse un Concerto per oboe e orchestra per l'oboista


Giuseppe Ferlendis che fece parte dell'orchestra di Salisburgo dal 1° aprile
1777 al 31 luglio 1778, dopo di che andò nel 1795 con Haydn a Londra e morì
probabilmente a Lisbona nel 1802. Si ritiene che Mozart abbia composto il
Concerto per oboe e orchestra tra il 1° aprile e il 27 settembre 1777, secondo
quanto si ricava da una lettera inviata dal musicista al padre in data 15 ottobre
1777. Il 3 dicembre dello stesso anno Mozart scrisse da Mannheim al padre,
dicendo: «Ho presentato all'oboista Friedrich Ramm il mio Concerto per oboe e
orchestra». Il 14 dicembre successivo, con un'altra lettera al padre, annuncia:
«Ramm ha suonato per la quinta volta il mio Concerto per oboe scritto per
Ferlendis. È stato un grande successo; quest'opera è il cavallo di battaglia di
Ramm». Durante la permanenza a Mannheim Mozart conobbe in casa di J. B.
Wendling un olandese molto ricco, chiamato De Jean, il quale gli chiese di
comporre per lui, dietro pagamento di 200 fiorini, tre concerti facili e qualche
quartetto con flauto. Mozart si mise subito al lavoro e terminò il 25 dicembre
dello stesso anno i Quartetti con flauto in re maggiore K. 285, K.285a e b e K.
313. Il 14 febbraio Mozart annuncia di aver composto due concerti e tre
quartetti, ma De Jean gli consegna 96 fiorini al posto dei 200 promessi e parte
per Parigi. Il motivo di questo taglio sulla cifra pattuita sembra dovuto al fatto
che il secondo dei due Concerti per flauto e orchestra non era altro che una
trascrizione del Concerto per oboe e orchestra composto in precedenza per
Ferlendis. Mozart torna a parlare del Concerto per oboe in una lettera invata al
padre il 15 febbraio 1783: «Ti prego di spedirmi il volume con il Concerto per
oboe scritto per Ramm e Ferlendis. Ne ho bisogno per l'oboista Anton Mayer».
Mozart ricevette il materiale il 29 marzo, ma da allora non si seppe più nulla
della partitura originale di questo Concerto. Fu Bernhard Paumgartner, fedele e
appassionato studioso e divulgatore dell'opera mozartiana, a ritrovare nel
1920 al Mozarteum di Salisburgo un pacco di parti per orchestra, su cui c'era
scritto in calce: "Concerto in do per oboe principale e due violini, due oboi, due
corni, viola e basso del signor W. A. Mozart". La prima preoccupazione fu di
controllare se si trattasse di una trascrizione o della versione originale:
Paumgartner, dopo attenti confronti di natura tecnica, tenendo conto anche
dell'edizione completa delle opere di Mozart curata con l'aiuto di Brahms nel
1883, decise che il Concerto in do maggiore per oboe e orchestra, oggi in
prima esecuzione nei concerti dell'Accademia, era lo stesso composto dal
musicista a Salisburgo per Ferlendis nell'estate del 1777.

Il Concerto, della durata di 19 minuti, ha una freschezza e una spigliatezza


melodica di gusto mozartiano e l'oboe solista vi svolge un ruolo di
straordinaria eleganza sonora, nel rispetto delle regole della musica di
intrattenimento, non mancando di primeggiare in cadenze brillanti e piacevoli,
secondo quel classicismo inimitabile che appartiene interamente allo stile del
compositore di Salisburgo. L'Allegro iniziale, in perfetta aderenza alla forma
tipica del concerto per strumento solista e orchestra, ha un carattere gaio e
frizzante. Ad una breve introduzione orchestrale, nella quale si presentano i
due temi sviluppati poi nel corso del brano, segue l'entrata dell'oboe solista,
ponendo in evidenza la linea melodica tra figurazioni arpeggiate, scale, trilli e
staccati. L'oboe propone eleganti armonie su leggere punteggiature
dell'orchestra, che conclude il tempo con spumeggianti arpeggi in do
maggiore, dopo la cadenza del solista. Ancora l'orchestra apre l'Adagio non
troppo del secondo tempo e presenta il tema su un unisono. L'oboe con frasi
estremamente melodiche domina questo movimento ed espone una nuova
cadenza, prima della conclusione a!data alla sola orchestra. L'Allegretto finale
è un rondò di indubbio e"etto musicale; la linea del discorso dell'oboe è
assecondata dall'orchestra, che ne sottolinea il tono scherzoso, riprendendo
spesso, con procedimenti a canone, alcune cellule melodiche. In questo terzo
tempo si avverte in modo più spiccato il gioco contrappuntistico, confluente in
una chiusa gaia e spensierata, nella più serena fiducia nel potere trasfigurante
dell'arte dei suoni.

Concerto per flauto in re mag - K 314

https://www.youtube.com/watch?v=ecjIfFjk_ew

https://www.youtube.com/watch?v=kPUYn_wpHeI

Il concerto per flauto e orchestra in Re maggiore K 314 (K6 285d) venne scritto
da W. A. Mozart, probabilmente a Mannheim, per adempiere alla commissione
avuta dal gentiluomo olandese di origine indiana De Jean (o Dejean).

Tre erano le composizioni per flauto ordinate ma Mozart, che pare non
lavorasse a questi brani con grande entusiasmo, ne completò solo due il K 313
e il K 314. Il concerto in esame non è nuovo ma il risultato di una pura e
semplice trascrizione per flauto di un concerto per oboe scritto l'anno prima a
Salisburgo operando una trasposizione di tonalità dal Do maggiore a Re
maggiore e variandone alcune parti solistiche per meglio aderire alle
peculiarità tipiche (tecniche e timbriche) del flauto.
Questi fatti fecero sì che il committente riconoscesse a Mozart solo la metà di
quanto pattuito.

Il concerto è strutturalmente composto con in mente i concerti per violino del


1775 sia per la parte solistica che per quella orchestrale.

Il carattere è francese, l'impostazione brillante e non mancano tratti di bellezza


melodica.

Il primo movimento (allegro aperto) si apre con un tema composto di due parti
la seconda delle quali invece di avere una funzione predominante non sarà più
ripresa.

L'andante ma non troppo ha un'andatura pastorale. Nel rondò (allegro) con cui
il concerto termina si sfruttano le possibilità tecniche del flauto con una
maestria intuitiva proprie del genio mozartiano. Un refrain particolarmente
brillante viene esposto più volte con una serie di variazioni e trovate sempre
diverse e sorprendenti.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Questo concerto è in sostanza la trascrizione del Concerto in do maggiore per


oboe e orchestra che Mozart scrisse per Giuseppe Ferlendi, oboista alla corte
di Salisburgo, e che venne eseguito in diverse occasioni da Friedrich Ramm,
oboista dell'orchestra di Mannheim e amico di Mozart. Per questa ragione,
probabilmente, il De Jean, committente del concerto, volle riconoscere a
Mozart soltanto la metà della cifra pattuita.

L'Allegro aperto è strutturato in una limpida e regolare forma-sonata:


all'Esposizione dell'orchestra, che presenta il primo tema (sopra un lungo
pedale dei bassi) seguito immediatamente dal secondo tema (un morbido
disegno dei violini primi), fa seguito l'Esposizione del solista, il cui ingresso,
con un do tenuto per ben quattro battute, tradisce forse la destinazione
originaria all'oboe, strumento capace, molto più del flauto, di conferire
espressione alle note lunghe. L'episodio che segue è un bell'esempio dell'arte
mozartiana di dare importanza a un elemento musicale apparentemente privo
di interesse: la chiusa orchestrale costituita da un trillo seguito da un arpeggio
discendente, dà infatti vita a un serrato dialogo fra flauto e archi che sfocia in
un passo di bravura del solista per poi venire riutilizzata nella breve sezione di
Sviluppo e ancora nel finale, come formula conclusiva dell'intero movimento.
Se nel primo movimento spiccavano l'agilità e il virtuosismo del flauto, l'Adagio
non troppo è dominato da un intimo raccoglimento, da una serenità
tipicamente mozartiana; l'ingresso del solista è una specie di pacata risposta
all'introduzione orchestrale, mentre il secondo tema irrompe come uno
squarcio di luce, nel quale il solista si getta «trillando» con gioia. Una semplice
riconduzione tonale separa la Ripresa dei temi precedenti, ora tutti nella
tonalità d'impianto, cui segue la cadenza del solista e l'epilogo orchestrale.

Tutt'altra atmosfera nel Rondò finale, il cui refrain verrà in seguito utilizzato da
Mozart nell'aria di Blondchen Welche Wonne, welche Lust dell'opera Il ratto dal
serraglio. Gli episodi brillanti (come il «richiamo» dei corni, le cadenze
orchestrali in stile di opera bu"a e i passi di virtuosismo solistico si alternano
brillantemente alle riprese del refrain, sempre frizzante e festoso e spesso
preceduto da vivaci cadenzine ad libitum del flauto.

Alessandro De Bei

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Gli anni intorno al 1778 - Mozart in quel periodo avrebbe composto di


Concerto che si esegue stasera - sono caratterizzati da due eventi tra loro
strettamente collegati. Nel corso di un suo viaggio verso Parigi in compagnia
della madre egli si fermò infatti a Mannheim. E il soggiorno a Mannheim fu
certamente assai utile al giovane musicista, essendo la città sede di una
orchestra - quella di Carlo Teodoro principe del Palatinato - considerata la
migliore di Germania e perciò stesso di un ambiente artistico che ora si
direbbe «di avanguardia». Fu a Mannheim peraltro che Wolfgang conobbe la
famiglia Weber cominciando a sognare un impossibile legame matrimoniale
con la giovane Aloysia.

Motivi professionali e motivi sentimentali si collegarono dunque nella


decisione di restare a Mannheim il più a lungo possibile malgrado il parere
contrario del padre Leopoldo; decisione peraltro alimentata dalla speranza di
un impiego presso la corte di Carlo Teodoro che si dimostrò presto infondata
costringendo Mozart a dare lezioni private di musica nell'amata città tedesca;
tra i suoi allievi vi furono in quel periodo anche un ricco olandese, un certo
Jean che, dilettante di flauto, pregò ripetutamente Mozart di fornirgli musiche
adatte al suo strumento: tra esse due Concerti per flauto classificati nel
catalogo Koechel con i numeri 313 e 314, che è quello che si esegue stasera. Si
tratta in realtà non di un'opera originale ma della trasposizione in re maggiore
di un precedente concerto per oboe scritto nella tonalità di do maggiore su
richiesta dell'oboista Ramm; e dunque di un brano davvero di occasione che
non per questo perde le straordinarie caratteristiche di ogni musica mozartiana
per «minore» che sia, tanto che il'De Saint Foix potè scrivere su questa
composizione: «...è veramente il trionfo della leggerezza: per sostenere il
so!o aereo del flauto sembra che perfino i bassi divengano elastici e
contribuiscano a rilanciare nell'aria le vive e fuggitive melodie».

Il Concerto è totalmente ligio alle norme formali della tradizione con i suoi tre
tempi e con i due soggetti tematici che caratterizzano il primo movimento. Il
tema del terzo tempo sarà poi utilizzato da Mozart nel Ratto dal Serraglio ed
esattamente nell'aria di Blondine «Welche Wonne, welche Lust». Questo
rapporto con l'opera ha fatto scrivere ancora al De Saint Foix: «Il tutto forma
un insieme che fa pensare alle più pungenti invenzioni sceniche di Mozart:
questo flautista è davvero un personaggio da opera bu"a, il più spirituale, il
più ra!nato e noi lo perdoniamo facilmente dal fatto di non proferir parola».

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Concerto, K. 314, deve essere considerato una trascrizione da un Concerto


per oboe in do maggiore scritto precedentemente a Salisburgo per l'oboista
Giuseppe Ferlendi, e menzionato in una lettera (infatti la parte del solista non
copre l'intero "ambitus" del flauto): una trascrizione ascrivibile alla fretta
nell'esaudire la commissione di Dejean. Più evidente è nella composizione
l'influenza del gusto francese, per la leggerezza dell'accompagnamento
(spesso ridotto ai soli violini) e la particolare, breve tornitura delle frasi
melodiche. L'Allegro aperto iniziale, contraddistinto da due temi nettamente
contrastanti, si svolge in questa ambientazione preziosa, con un ruolo
nettamente preminente del solista. L'Andante ma non troppo è animato dal
fraseggio fluido dello strumento a fiato, di cui mostra l'aspetto più espressivo
ed elegiaco. L'Allegro finale - un rondò di fatto anche se non di nome -
riprende lo stile brillante dell'opera bu"a, e non a caso il suo refrain verrà poi
riproposto in una aria della "Entführung aus dem Serail" ("Welcho Wonne,
welche Lust", di Blondchen); il carattere gaio di questo tema permea l'intero
movimento, pagina che sintetizza le caratteristiche di eleganza e virtuosismo
propri dell'approccio del giovane Mozart al genere del concerto.

Arrigo Quattrocchi

Andante in do maggiore per flauto ed orchestra, K1 315 (K6 285e)

https://www.youtube.com/watch?v=xRHsEJty4G0

https://www.youtube.com/watch?v=MnVkXTqPgAY

Organico: flauto solista, 2 oboi, 2 corni, archi


Composizione: Mannheim, gennaio 1778
Forse alternativa per il secondo movimento del Concerto per flauto K 314

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart non ha lasciato alcuna indicazione sull'origine di questa breve


composizione per flauto con accompagnamento di due violini, viola,
violoncello, contrabbasso, due oboi e due corni. Probabilmente si tratta di un
Andante scritto per uno dei Concerti per flauto, composti forse a Mannheim
nella primavera del 1788. Evidentemente lo scopo del musicista era di
valorizzare il ruolo del flauto, su cui è concentrato l'interesse di questo
componimento, riproposto non a caso dai migliori solisti di questo strumento.
Il flauto si espone all'inizio in un canto teneramente espressivo, sul pizzicato
degli archi, e dopo alcune misure lo stesso flauto presenta un nuovo tema in
sol minore, altrettanto indicativo per sottolineare il discorso cantabile del
solista. L'orchestra non presenta variazioni di tono di notevole cambiamento
ed è in funzione di ciò che vuole il flauto, il quale non manca di ria"ermare le
proprie caratteristiche tecniche e stilistiche in una cadenza liberamente
concepita. Alla fine il flauto si congeda con un poetico addio, tanto ammirevole
quanto piacevole e gradevole. Ascoltando questa pagina mozartiana, che è un
nonnulla di fronte alla grandiosità e all'importanza della produzione di questo
artista si può capire come il senso creativo fosse spontaneo e naturale nel
compositore salisburghese. Al contrario di Haydn, Mozart non doveva rivolgere
preghiere a Dio per avere idee musicali: generalmente egli le sviluppava prima
mentalmente, con una concentrazione intensa e gioiosa allo stesso tempo, e
poi le trasferiva sulla carta da musica, avendo già davanti agli occhi la struttura
del brano. Per questa ragione, al di là dell'impegno, della fatica e dello sforzo
creativo che pur esistono nelle opere maggiori del musicista, Mozart diventa
l'eroe musicale della prima generazione romantica, più di Bach, di Haydn e
forse dello stesso Beethoven.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

L'Andante per flauto e orchestra K. 315, è stato scritto a Mannheim, dove


Mozart, sulla via di Parigi, era giunto nell'ottobre 1777. Il giovane maestro vi
strinse rapidamente legami con tutti i principali strumentisti che facevano
parte della celebratissima orchestra locale; fra questi il flautista Jean Bapriste
Wendling procurò al giovane maestro la commissione di alcuni lavori da parte
di un ricco u!ciale olandese, De Jean (nome altrimenti tramandato come
Dejean, Deschamps o Dechamps) dilettante di flauto. Mozart non seppe
assolvere fino in fondo la commissione, con le relative e spiacevoli
conseguenze di carattere economico. A mo' di giustificazione egli rivelò al
padre per lettera la propria antipatia nei confronti dello strumento a fiato. Ad
ogni modo Mozart scrisse ex novo il Concerto K. 313 e trascrisse per flauto il
suo vecchio Concerto per oboe K. 314. È verosimile che l'Andante K. 315, di
dimensioni contenute e di carattere meno impegnativo, sia stato scritto,
venendo incontro alle richieste di De Jean, per sostituire l'ambizioso
movimento centrale del Concerto K. 313.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Questo lavoro venne composto nel dicembre 1777, pochi mesi prima della
partenza per Parigi.

Intento a scoprire i magici artifici strumentali della rinomata scuola di


Mannheim, Mozart si lascia convincere a scrivere una serie di opere per il ricco
mecenate olandese de Jean, flautista di un certo valore. Nacquero cosi nello
stesso periodo i due Concerti per flauto K. 313 e 314, i tre quartetti per flauto
e archi (K. 285 a, K. 285 b, K. 298) e questo «Andante in do maggiore».

Se non fosse che la dichiarazione di scarsa simpatia per questo strumento ce la


tramanda Mozart in prima persona nell'epistolario (venne raccolta anche da
Joseph Frank nei suoi «Ricordi»), stenteremmo a credergli, tanta è la varietà di
soluzioni timbriche e la ricchezza inventiva che vi dispiega.

Della durata di appena 7 minuti questa pagina, assai celebre, segue un flusso
melodico ininterrotto che rimbalza dallo strumento solista all'orchestra (dopo i
cinque accordi in pizzicato dei «tutti»}. In nuce si può già cogliere l'idea
tematica dell'«Andante» per flauto solo nel finale atto I del «Flauto magico». In
forma ternaria, con la sezione centrale che modula in punta di piedi verso la
tonalità di sol minore, questo «Adagio» non o"re particolari di!coltà
all'interprete, salvo l'omogeneità di intonazione (frequenti le note ribattute) e
soprattutto la messa a fuoco di una suadente e raccolta «Empfindsamkeit».

Fiamma Nicolodi

Concerto per clarinetto - K 622

https://www.youtube.com/watch?v=LVgdHjL4a-4

https://www.youtube.com/watch?v=RRDuTpRD204

https://www.youtube.com/watch?v=YT_63UntRJE

Il concerto per clarinetto di bassetto e orchestra in La maggiore KV 622 è


l'ultima composizione di Wolfgang Amadeus Mozart per strumento solista,
composta due mesi prima di morire.
Indice

1 Descrizione
2 Curiosità
3 Note
4 Altri progetti
5 Collegamenti esterni

Descrizione

All'epoca il clarinetto si presentava in una veste ben diversa da quella attuale,


raggiunta solo verso la metà dell'Ottocento. Nonostante questo, Mozart è stato
capace di sfruttare al meglio questo strumento traendone sonorità originali ed
espressive. Il concerto è considerato tra le sue opere migliori e fondamentale
per gli amanti del clarinetto e i clarinettisti.

Venne composto originariamente per Corno di bassetto, strumento assai caro


a Mozart stesso che quasi sempre lo includeva nei lavori strumentali
cameristici e comunque in veste di solista : della prima versione ne sopravvive
soltanto un frammento ben esteso del solo primo movimento più alcuni schizzi
molto incompleti del secondo e del rondò. L'organico che accompagna è
cameristico: sono esclusi oboi, trombe e tromboni, il cui timbro sarebbe
potuto entrare in competizione con quello dello strumento solista. Il clarinetto
si esprime con melodie ora soavi, ora dagli accenti drammatici, ma il tono è
sempre pacato.

Dei tre movimenti che compongono il concerto, l'adagio è quello in cui la


melodia tocca le vette più alte, raggiungendo momenti di intimità e di
struggente malinconia.

L'Allegro è il primo movimento, ha un carattere gioioso e virtuosistico. Si apre


con una breve introduzione strumentale del tema che riprende il Clarinetto con
passaggi virtuosistici che mettono in risalto le doti tecniche dello strumento.
L'Adagio è il secondo movimento, ha un andamento calmo e rilassante,
inspiegabilmente commovente, tanto da evocare la voce umana. Si conclude
con una nota lunga di speranza e musicalità. Il Rondò è il terzo e ultimo
movimento, è molto spiritoso e vivace. Con la sua gioiosità conclude il
concerto con un finale movimentato ed allegro. Il concerto fu scritto per il
clarinettista austriaco Anton Stadler, virtuoso dello strumento, al quale Mozart
lo dedicò. Stadler utilizzava uno strumento personale particolare: il cosiddetto
clarinetto di bassetto in La. Si tratta di un clarinetto in La con un'estensione
aumentata verso il grave di una terza, fino a raggiungere il Do grave scritto.
Alcuni passaggi del Concerto prevedono queste note che oggi sono fuori dalla
portata dei clarinetti normalmente utilizzati e vengono quindi suonati un'ottava
sopra (perdendo sicuramente il fascino legato a questi suoni gravi e vellutati).
Dalla metà del XX secolo alcuni fabbricanti hanno prodotto dei clarinetti di
bassetto che permettono di suonare il Concerto come si crede che sia stato
scritto da Mozart. Alcuni dei grandi solisti l'hanno registrato così: Antony Pay,
Sabine Mayer, Michael Collins, Ernst Ottensamer, e soprattutto una delle
esecuzioni memorabili è quella sia al corno di bassetto che al clarinetto
analogo del prof. francese Michel Arrignon.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

II 7 ottobre 1791, alle dieci e mezzo di sera, Mozart scriveva alla moglie, in
quei giorni a Baden per le cure termali, narrandole il duplice successo della
prima rappresentazione a Vienna del Flauto magico e dell'ultima replica della
Clemenza di Tito a Praga, entrambe svoltesi qualche giorno prima, il 30
settembre. A informarlo del buon esito di questa ultima opera, inizialmente
accolta con una certa freddezza, era stato l'amico clarinettista Anton Stadler, la
cui permanenza a Praga si protrasse sicuramente oltre il 16 ottobre, giorno in
cui eseguì, nello stesso teatro del Tito e per finalità benefiche, il Concerto per
clarinetto e orchestra K. 622. Mozart ne aveva appena terminata la stesura,
visto che proprio il 7 ottobre era ancora intento a dare gli ultimi ritocchi al
Rondò finale.

Sebbene il compositore avesse avuto i primi contatti con alcuni strumenti a


fiato di moderna costruzione, tra cui il clarinetto, già nel 1765 a Londra, di
fatto egli dovette attendere oltre un decennio perché l'orchestra di Mannheim,
all'epoca formazione d'avanguardia nel campo dello stile esecutivo, gli
mostrasse un suo più maturo impiego sinfonico. Ma solo negli ultimi anni di
vita Mozart si dedicò alla scrittura di brani che a!dassero al clarinetto un
ruolo solistico. L'occasione gli fu fornita proprio dalla conoscenza di Anton
Stadler, fratello massone del compositore e suo compagno di a"ari (pare non
sempre limpidissimi), nonché virtuoso di straordinaria abilità che pose Mozart
nella condizione di sperimentare le potenzialità del clarinetto fino ad allora
inesplorate. Per le capacità tecniche e interpretative dell'amico, Mozart
confezionò su misura, oltre al Concerto in questione, anche il cosiddetto Trio
dei birilli K. 498, il Quintetto con clarinetto K. 581, nonché i mirabili interventi
concertanti di due Arie della Clemenza di Tito, ovvero «Parto ma tu ben mio»,
cantata da Sesto, e «Non più di fiori», intonata da Vitellia, questa in verità
concepita per corno di bassetto (che del clarinetto è stretto parente) per il
quale Mozart aveva inizialmente abbozzato anche il Concerto K. 622. Non
bisogna dimenticare che Stadler suonava di preferenza un "clarinetto di
bassetto", strumento che si di"erenzia dal modello moderno per una maggiore
estensione nel registro grave. Tale estensione permette al clarinetto di
bassetto, utilizzato da Alessandro Carbonare nel concerto odierno, di
raggiungere alcuni suoni nel registro profondo e vellutato e"ettivamente
pensato da Mozart, senza il bisogno di trasporli un'ottava sopra come avviene
nei clarinetti normalmente utilizzati.

Il recupero di alcuni colori timbrici vicini all'originale esalta ancor più il fascino
crepuscolare di una partitura che possiede rare potenzialità espressive.
Rispetto alle strutture formali audaci e sperimentali dei Concerti per pianoforte
scritti tra il 1784 e il 1786, il Concerto K. 622 sembra aspirare a una
dimensione più classica e bilanciata. Tale senso di equilibrio deriva da una
suggestione timbrica: la divisione dei violoncelli dal corpus dei contrabbassi,
l'eliminazione dall'organico di strumenti a fiato che sarebbero potuti entrare in
conflitto con il solista (come gli oboi, le trombe e i tromboni), la presenza di
flauti, fagotti e corni, la saltuaria riduzione dell'accompagnamento orchestrale
ai soli violini (con o senza viole) nei momenti lirici, sono tutti fattori che
rendono la partitura eccezionalmente leggera e delicata. A questa osservazione
va ad aggiungersi il fatto che Mozart, all'interno del Concerto per clarinetto,
porta alle estreme conseguenze un principio di diluizione della fraseologia (già
sperimentato in composizioni precedenti come il Concerto per pianoforte e
orchestra K. 595) grazie al quale temi e linee melodiche si incatenano
dolcemente come sgorgassero l'una dall'altra.

Fluidità melodica e calibratura dell'organico danno dunque a questa


composizione, fin dal suo esordio, una nitidezza e una politura particolari.
L'elegante tema d'apertura dell'Allegro possiede un andamento flessuoso
subito elaborato con fine lavoro contrappuntistico: tale tema muove dal grave
all'acuto dando al Concerto quella natura ondivaga che lo caratterizza. Quanto
questo andamento sinuoso sottolinei le peculiarità del clarinetto ce lo dicono i
tre temi esposti dal solista, tutti giocati sul fascino timbrico che lo strumento
realizza spostandosi dal grave all'acuto e viceversa, oltre che sulla capacità
magnetica di tenere fissamente un singolo suono. Ci si accorge ben presto che
la funzione del contrappunto non è quella di rendere più complesso il tessuto
sonoro ma di sottolineare la morbida flessibilità del tutto: lo vediamo nel breve
sviluppo centrale dove si combinano primo e secondo tema, e dove Mozart non
perde occasione per elaborare in profondità alcuni frammenti tematici. Di
questo secondo processo possiamo non accorgerci all'ascolto, ma finiamo per
seguire il percorso tracciato dall'autore cogliendone a livello inconscio i nessi.
Per tale ragione il materiale, anche se mai ascoltato, ci sembra già conosciuto,
come appartenesse all'universo sonoro precedente. La cerniera modulante che
porta alla ripresa della sezione iniziale ha un forte potere di suggestione: il
compositore è maestro nel mettere d'accordo frammenti tematici e necessità di
guidare le parti verso la ricomparsa del materiale iniziale. In questo artificio
della spontaneità risiede la perfezione formale dell'ultimo Mozart: tutto si
muove come se non potesse fare altrimenti, senza incrinature o forzature nella
condotta del tessuto sonoro.
Il secondo movimento, Adagio, si apre con un tema principale, esposto dal
clarinetto e ripetuto dall'orchestra, così intenso e sognante che sembra
disporsi verso di noi come se comprendesse, volendoli consolare, i turbamenti
e le di!coltà del vivere, librandoci in un universo trasparente e disteso.
L'aspirazione mozartiana alla serenità e alla luce va oltre il fatto religioso,
scopre e comunica una sacralità laica dalla quale è di!cile non farsi avvolgere.
Il brano sublima a pura essenza, libera da ogni contingenza mondana, una
tersa plasticità melodica sulla quale aleggia la fiduciosa speranza del Flauto
magico, insieme alla volontà di distillare il suono in volute di concentrata
liricità. Nella parte centrale il clarinetto spicca il volo dagli interventi
orchestrali, dando origine a un gioco di pieni e vuoti che sembra mimare il
respiro, ricordandoci quanto la musica abbia natura organica e vitale.

Un ammiccante e scherzoso tema apre il Rondò finale, nelle quattro sezioni del
quale Mozart ama sviluppare, più che frammenti, intere riconoscibili gemme
tematiche. Tale materiale, con una maestria che ispirerà Schubert, viaggia nelle
distese smisurate della malinconia, oscillando tra modo maggiore e minore,
mutando fattezze grazie a un cromatismo che plasma ogni motivo secondario
rendendolo carezzevole e convincente. Fra giochi d'eco, imitazioni troncate a
favore di morbide discese, intervalli insoliti e ampi del solista, ci si avvia verso
l'ultimo episodio che anticipa la ripresa e la chiusura. Più di un momento del
coevo Flauto magico echeggia in questo Rondò: si pensi al vagheggiamento di
Tamino, privo di sensi, da parte delle Dame nell'introduzione del primo atto,
oppure alla disperazione di Papageno alla ricerca di Papagena nel finale del
secondo atto dell'opera.

Mozart torna con questo Concerto alla ricchezza tematica che caratterizzava le
creazioni della sua giovinezza, al piacere di far parlare ogni momento
strumentale come fosse una scena, come avesse a disposizione personaggi. Ne
risulta una composizione di incredibile freschezza e vitalità, nonostante il
momento esistenziale, per Mozart, non fosse tra i migliori. Ombre di una
strana cupezza, quasi fosse l'interiorizzazione di una minaccia,
caratterizzarono i suoi ultimi mesi; un disagio tra l'altro provato non solo dal
compositore, ma anche dalla moglie, continuamente a#itta da problemi non
meglio identificati ai quali tentava di porre rimedio con lunghi soggiorni
termali. Ma di questi momenti la storia ha cancellato i tristi e"etti, lasciandoci
tra le tante meraviglie mozartiane, questo splendido Concerto per clarinetto.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Concerto per clarinetto K 622 venne completato da Mozart nell'ottobre del


1791, ossia nell'ultimo anno di vita del compositore, che sarebbe morto di lì a
pochi mesi. Sugli ultim giorni di Mozart fiorirono diverse leggende,
dall'avvelenamento a causa della gelosia di Salieri ai presentimenti di morte
che avrebbero perseguitato il compositore impegnato con la composizione del
Requiem, fino alle esagerazioni sulle sue mortificanti condizioni di vita. Strane
voci circolavano subito dopo la sua scomparsa: già il 7 gennaio 1792 (a poco
più di un mese dalla morte) il «Salzburger Intelligenzblatt» parlava in questi
termini «Mozart scriveva [il Requiem] con le lacrime agli occhi e sempre
protestando: "Temo di scrivere un Requiem per me."» Un resoconto che
contrasta sia con l'attività di Mozart in quest'ultimo periodo, sia con la
documentazione che sempre più copiosa si è potuta reperire a riguardo. È del
14 ottobre l'ultima lettera di Mozart documentata scritta alla moglie Costanza,
impegnata in una delle sue abituali cure a Baden, in cui Mozart parla
dell'enorme successo che riscuoteva il Flauto magico, dal 30 settembre in
scena al Theater auf der Wieden, e della serata precedente, che il compositore
aveva passato nientemeno che con il suo presunto antagonista: «sono andato a
prendere Salieri e la Cavalieri [il soprano austriaco, allieva e amante del
compositore italiano, ammirata anche dal salisburghese]. Non puoi
immaginare quanto sia piaciuta loro non solo la mia musica, ma il libretto e
tutto l'insieme... non c'è stato brano che non gli abbia strappato un bravo o un
bello». La lettera prosegue su tono sereno, con Mozart soddisfatto di quello
che probabilmente fu il più grande successo operistico della sua carriera,
compiaciuto dei complimenti e dell'a"ettuosità dimostratagli da Salieri ma
anche molto impegnato e per nulla infiacchito dagli insuccessi artistico-
finanziari degli anni precedenti.

Mozart era rientrato da nemmeno un mese a Vienna, reduce da una trasferta a


Praga, dove aveva partecipato alle celebrazioni per l'incoronazione di Leopoldo
II. A Praga le cose non erano andate benissimo per il salisburghese, che pure
era stato di gran lunga il compositore più eseguito con due opere, il Don
Giovanni e La clemenza di Tito, alcune messe, tra cui quella dell'incoronazione,
e numerose composizioni minori. Ma nei resoconti u!ciali il suo nome fu
sovente omesso, a tutto vantaggio del compositore di casa, il boemo Leopold
Kozeluh. Secondo il racconto del primo biografo mozartiano Niemetschek
ancora una volta Mozart si trovò vittima degli intrighi e dell'invidia altrui:
Kozeluh «a Praga tormentò continuamente Mozart con la più gretta delle
gelosie. Lo calunniò malignamente attaccandone persino la moralità» con il
risultato di essere nominato compositore di corte l'anno successivo e di
meritare una sola parola nei quaderni di conversazione di
Beethoven:«miserabilis».

Nella capitale boema, due giorni dopo la lettera citata, il 16 ottobre veniva
eseguito il Concerto per clarinetto K 622 in un concerto di beneficenza tenuto
da Anton Stadler (1753-1812), l'esecutore amico di Mozart a cui fu dedicata la
composizione. Stadler era uno dei più rinomati clarinettisti del momento ed è
per lui che Mozart scrisse le sue composizioni più importanti per clarinetto, dal
Quintetto K 581 alle arie accompagnate della Clemenza di Tito. Il concerto fu
originariamente concepito per corno di bassetto, strumento prediletto da
Stadler, a!ne al clarinetto, ma con un'estensione più ampia di una terza al
basso. Il manoscritto autografo è andato perduto: resta la versione pubblicata
nel 1801 a Parigi in una copia manoscritta, che probabilmente dovette servire a
preparare l'edizione. Entrambe, per adattare l'opera ad uno strumento più
largamente utilizzato, hanno parzialmente modificato la parte solistica e non
sono completamente autentiche. Oltre ai numerosi dettagli modificati a causa
della minore estensione, la deviazione dall'originale di maggior rilievo consiste
nella sovrapposizione del clarinetto solista ai violini primi nei tutti orchestrali
secondo un'indicazione che è sicuramente non autentica.

Il Concerto K 622 è tra le ultime composizioni che Mozart fu in grado di


completare e mostra caratteristiche compositive tipiche della sua piena
maturità, come il ricorso ad elaborazioni contrappuntistiche. Inoltre
l'articolazione della forma-sonata, pur presente, è celata da una elaborata
tecnica di sovrapposizione delle frasi musicali che crea un discorso
estremamente fluido ed ininterrotto. Attentamente calibrato alle necessità
espressive della composizione è l'organico orchestrale, che oltre agli archi
vede impegnati solamente corni, flauti e fagotti con l'esclusione degli oboi, la
cui penetrante sonorità mal si addiceva ad un concerto che, pur di grande
impegno tecnico per il solista, punta a una calda espressività, a tratti quasi
intima.

Il Concerto K 622 ha un'articolazione in tre movimenti allegro-adagio-allegro.


Nel primo movimento l'esposizione orchestrale stabilisce il clima dell'opera
presentando un tema cantabile, ricco di appoggiature, elaborato
contrappuntisticamente con entrate a canone che ritorneranno sia
nell'esposizione del solista che nella ripresa. L'esposizione del solista è
modificata rispetto a quella orchestrale con l'inserimento di un passaggio in
tonalità minore, ad orchestrazione ridotta, di intonazione cameristica, che poi
giunge alla dominante. Lo sviluppo lascia ampio spazio allo strumento solista,
i cui interventi sono inframezzati dai tutti orchestrali per pervenire, attraverso
una lunga nota tenuta del clarinetto, ad una ripresa accorciata. Di più semplice
fattura, ma splendido per l'intenso lirismo e la delicatezza, è l'adagio, secondo
movimento, nella tonalità di re maggiore, che presenta una parte centrale
contrastante. Chiude la composizione un vivace rondò finale, nel tempo di 6/8.

Andrea Rossi-Espagnet
Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Oltre a quello per clarinetto Mozart ci ha lasciato altri sette concerti per
strumenti a fiato (uno per fagotto, due per flauto, quattro per corno), cui se ne
devono aggiungere un paio perduti, nonché alcuni rimasti allo stato di
frammento, senza contare quello per flauto ed arpa. La «gerarchia» degli
strumenti stabilita dal costume musicale del settecento si riflette in qualche
misura su quasi tutte queste composizioni, facendone qualcosa di abbastanza
vicino al genere della musica d'intrattenimento: potrebbe contribuirci la
naturale predisposizione degli strumenti a fiato al far musica all'aria aperta,
che dette vita per tutto il secolo a tante Serenate, Divertimenti e composizioni
a!ni; lo stesso Mozart, in una pagina come la «Gran partita» per tredici
strumenti, ha mostrato di sentire l'influsso di un uso del genere.

Il «Concerto per clarinetto» non risente di questo clima se non


superficialmente, e comunque in misura abbastanza irrilevante. Per molti
motivi, anzi, esso sembra iscriversi nella serie dei concerti che Mozart ha
dedicato a strumenti ben più «nobili» (sempre secondo l'ottica dei suoi tempi),
come il violino e il pianoforte. Ed a questa dimensione del concerto, che è poi
quella da lui coltivata con maggior intensità, la pagina famosissima che
ascoltiamo oggi sembra aggiungere una parola tutt'altro che superflua. Ne
fanno fede l'alto numero (622) che lo contrassegna nel catalogo Köchel, che
segue com'è noto l'ordine cronologico, e più vistosamente la data di nascita di
questo concerto, che è del settembre 1791: Il «Requiem» l'ultimo, incompiuto
capolavoro di Mozart, è numerato K. 626; la data della morte di Mozart è il 5
dicembre di quello stesso 1791. Siamo dunque nel momento della più alta
maturità di Mozart: un nuovo confronto con la forma, da lui portata a
perfezione, del concerto solistico non poteva avvenire con una pura e semplice
opera d'occasione; non poteva non risentire dei caratteri che rendono la sua
ultima stagione creativa gravida di consapevolezza e significati altissimi e
spesso profetici.

Badando solo alla cronaca, certo, anche il «Concerto per clarinetto» è un pezzo
d'occasione, una delle tante pagine scritte su misura per un virtuoso. Il
destinatario del concerto, il clarinettista Anton Stadler (1753-1812), ha un suo
posto nell'aneddotica mozartiana per essere stato uno dei più intimi amici del
maestro, che lo ebbe fratello in massoneria e compagno di serate piacevoli
(partecipò spesso alle baldorie con cui Schikaneder distraeva Mozart durante la
composizione del «Flauto magico»), ed è passato alla storia per essere riuscito
(e dev'esser stato senz'altro il solo), a farsi prestare del denaro — una bella
sommerta, per di più, cinquecento fiorini — dal compositore più indebitato che
la storia della musica ricordi; e Mozart mori senza aver rivisto i suoi soldi. Ma
ben più importante è la traccia che Stadler (che era indubbiamente un curioso
personaggio, ma evidentemente anche un artista di eccezionali qualità) ha
lasciato nella produzione musicale di Mozart. Per lui vennero composti il
«Quintetto in la maggiore», il «Trio» che fu detto «dei birilli», nonché due
«obbligati» (uno per clarinetto e uno per «corno di bassetto», il clarinetto
contralto oggi in disuso) nella «Clemenza di Tito».
E questo concerto, come si diceva. Per la verità, Mozart aveva già steso circa
duecento battute del primo movimento nel 1789, pensando però a un corno di
bassetto; riprese in mano il lavoro su richiesta di Stadler mentre si trovavano
tutti e due a Praga, per le rappresentazioni della «Clemenza». Tornato a
Vienna, completò rapidamente il lavoro e lo spedi a Stadler, rimasto nella
capitale boema per le repliche dell'opera, che lo esegui durante un suo recital.
Nel 1796 Stadler, che si trovava di nuovo in di!coltà finanziarie (era tornato
dalla sua licenza con quattro anni buoni di ritardo, e aveva logicamente trovato
il suo posto già occupato da altri), pensò di far soldi pubblicando il concerto
(vendendolo, ovviamente, a due editori diversi). Ma Mozart lo aveva a suo
tempo scritto destinandolo ad uno strumento inventato da Stadler stesso, che
aveva una estensione, verso il grave, di una terza in più rispetto al clarinetto
normale; ragion per cui Stadler dovette farne un arrangiamento, che è poi
entrato stabilmente in repertorio.

Naturalmente, accanto alla bravura di Stadler, c'era anche un interesse più


interiore, più specificamente musicale all'origine dell'attenzione dedicata da
Mozart al clarinetto. Anche prescindendo dai pezzi solistici, tutta la sua ultima
produzione testimonia della sua predilezione per questo strumento,
relativamente «giovane», quanto a dignità musicale, rispetto agli altri legni:
mentre flauto oboe e fagotto sono stabilmente presenti negli organici sinfonici
del Settecento, il clarinetto vi figura solo sporadicamente (in Haydn, per
esempio, solo nel caso delle Sinfonie più tarde, posteriori alla morte di
Mozart). Strumento originariamente considerato da dilettanti, esso si introduce
nella pratica colta in seguito a certi perfezionamenti tecnici, e soprattutto in
seguito all'a"ermarsi di una sensibilità già lontana dallo «stile galante» (che
aveva segnato il trionfo del flauto). L'eccezionale potenza espressiva del
clarinetto sarebbe balzata in primo piano nell'orchestra romantica, sino a farne
un po' il re dei legni (in Weber, in Brahms, nel teatro d'opera; ma già in
Beethoven, tutto sommato); con Mozart siamo ancora in fase di scoperta: nella
«Sinfonia in sol minore» esso viene introdotto soltanto in una versione
posteriore, rimasta per decenni sconosciuta.

Detto questo, non si vuol certo appiccicare a questo bellissimo concerto


l'etichetta, già alquanto arbitraria nelle opere mozartiane che pure
sembrerebbero giustificarla, di un romanticismo ante litteram. Esso resta a
tutti gli e"etti, e non c'è davvero niente di male, un lavoro del diciottesimo
secolo, e di quel tempo serba intatte le caratteristiche di stile, altissimamente
decorativo e brillante al punto giusto com'è. Ma è indubbio che lo stesso
trattamento dello strumento solista è posto sotto il segno di una sensibilità
carica di sfumature non sempre gioiose: si pensi al ricorso costante alle zone
gravi della sua estensione, abbastanza singolare se ci si ricorda che la fortuna
del clarinetto era cominciata proprio quando al registro originario, detto
«chalumeau», e circoscritto appunto ai gravi, l'introduzione del meccanismo
del «portavoce» aveva aggiunto quello acuto del «clarino» (donde poi il nome
odierno dello strumento], rendendo possibile un virtuosismo simile a quello
del flauto e del violino.

E questo gusto dei suoni gravi, dal timbro «umano» del clarinetto, che ci
ricorda l'uso, frequente nell'ultimo Mozart, del corno di bassetto, trova una sua
precisa rispondenza nella stessa scrittura musicale del concerto, che introduce
nel luminoso la maggiore della tonalità d'impianto ampie zone in minore che
non costituiscono un puro e semplice arricchimento della tavolozza armonica.
L'impianto formale non presenta sorprese, articolato com'è sui classici tre
tempi. Il primo è particolarmente sviluppato, e vede il clarinetto impegnato fin
dall'inizio assieme al «tutti» orchestrale; di preferenza, lo strumento solista
emerge sulle linee degli archi, staccandosi dalle parti dei fiati (due flauti, due
fagotti, due corni). Il materiale musicale presenta, in questo primo tempo come
nello stupendo «Adagio», una certa parentela con quello del «Quintetto per
clarinetto». Il virtuosismo, tenuto fuori della porta nel secondo tempo per dar
campo ad una cantabilità purissima e pensosa, ricompare nelle uscite
solistiche che punteggiano il «Rondò» finale, di incessante vivacità ritmica.

Daniele Spini

Concerto per violino n.1 - K 207

https://www.youtube.com/watch?v=AI-sCX_cLWQ

https://www.youtube.com/watch?v=csOqo78PpFk

Il concerto per violino e orchestra n. 1 (K 207) di Mozart è generalmente


ritenuto composto intorno al mese di aprile del 1775. Tuttavia recenti studi
retrocederebbero la datazione al 1773. Costituisce il primo di cinque concerti
per lo stesso strumento solista (nell'ordine: K 211, K 216, K 218, K 219),
attribuibili con certezza al compositore.

La prima esecuzione assoluta è stata il 15 agosto 1777 a Salisburgo e venne


ripresa il 9 luglio 1779 a Salisburgo.

Struttura

Il concerto è in 3 movimenti, nella consueta sequenza veloce-lento-veloce


tipica dei concerti mozartiani. L'autore, al termine della composizione, non si
riteneva pienamente soddisfatto dell'ultimo movimento (il Presto) e scrisse un
finale alternativo; in seguito tale pagina è stata catalogata a parte come Rondò
per violino e orchestra K 269.
Concerto per violino n.2 in re mag - K 211

https://www.youtube.com/watch?v=mZAFo23zpZE

https://www.youtube.com/watch?v=-8SpI7b7ESI

Il concerto per violino e orchestra n. 2 in re maggiore K 211 di Wolfgang


Amadeus Mozart fu scritto nel 1775, quando il salisburghese era soltanto
diciannovenne. Di ritorno da Monaco di Baviera per la rappresentazione
dell'Opera bu"a "La finta giardiniera" K6196, Mozart aveva ripreso l'attività di
Konzertmeister presso la corte di Salisburgo, attività che gli rendeva possibile
sia comporre sia eseguire brani.

Struttura

Il concerto si articola in tre movimenti, secondo la tipica struttura del Concerto


classico (veloce-lento-veloce):

Allegro moderato;
Andante (in sol maggiore);
Rondeau: Allegro.

Concerto per violino n.3 - K 216

https://www.youtube.com/watch?v=-mXvMM0OawY

https://www.youtube.com/watch?v=ko8SAArorsw

https://www.youtube.com/watch?v=yhXLr3OET1c

Il Concerto per violino e orchestra n. 3 (K 216) è il terzo di cinque concerti per


lo stesso strumento (K 207, K 211, K 218, K 219), attribuibili con certezza a
Mozart.

La sua composizione fu terminata il 12 settembre 1775.

Si tratta di un'opera che appartiene ancora allo spirito galante in cui le idee
tematiche vengono giustapposte ma non sviluppate.
Il compositore si distacca con la sua genialità dai modelli del tardo-rococò
a"ermando la propria personalità con l'inserimento di venature di malinconia,
momenti emotivi.

Struttura
L'Allegro iniziale è pieno di inventiva e di energia ed assembla vari spunti
tematici. Il primo tema riprende il ritornello orchestrale dell'aria di Aminta "Aer
tranquillo e dì sereni" dall'opera Il re pastore. Seguono altri due temi, il primo
a!dato ai fiati ed il secondo ai violini, che completano l'introduzione
orchestrale. Solo a questo punto entra il solista che ripete il primo tema per
poi introdurre materiale nuovo, impegnarsi in pezzi di bravura e reintrodurre il
finale orchestrale.

Nel secondo movimento (Adagio), Mozart raggiunge momenti di grande


cantabilità e commozione che ottiene sostituendo i due oboi (dal suono più
squillante) con due flauti e prescrivendo agli archi l'uso della sordina. Il primo
tema viene presentato dall'orchestra e quindi ripreso dal solista. Il secondo
tema è introdotto dal violino per poi confluire nell'orchestra che termina il
movimento so"usamente.

Il rondò finale è scritto con sezioni di diverso ritmo. Si apre con un


caratteristico tema (Allegro) esposto dall'orchestra e dal quale deriva il nome
Straßburg con cui è conosciuto questo concerto. Al solista sono riservate le
parti più brillanti. La conclusione del concerto è lasciata non al violino ma al
sussurro degli oboi e dei corni.

Concerto per violino n.4 - K 218

https://www.youtube.com/watch?v=txDq6Zf7tNw

https://www.youtube.com/watch?v=7Vx024wov60

https://www.youtube.com/watch?v=ZXr2DFU8wGU

La composizione del concerto per violino e orchestra n. 4 K 218 fu terminata


da W. A. Mozart nell'ottobre 1775. Costituisce il quarto di cinque concerti per
lo stesso strumento (K 207, K 211, K 216, K 219), attribuibili con certezza al
compositore, scritti nel breve volgere di pochi mesi (da aprile a dicembre) dello
stesso anno.

Il concerto si rifà alla scuola italiana (Boccherini, Vivaldi, Tartini, Geminiani,


Nardini) a cui il compositore aggiunge il suo inconfondibile estro melodico. In
particolare si pensa che Mozart si sia ispirato a un Concerto di Boccherini,
scritto nella stessa tonalità e presumibilmente del 1768, che avrebbe
apprezzato moltissimo dopo averlo ascoltato in Italia.
I tratti più personali di questa sua capacità melodica sono presenti
nell'Andante cantabile. Il Rondò conclusivo, ricco di cambiamenti di ritmo e
tempo, è un movimento dagli interessanti e"etti umoristici.
Concerto per violino n.5 - K 219

https://www.youtube.com/watch?v=ETXPKHPPov8

https://www.youtube.com/watch?v=4mNJ43S1RIQ

https://www.youtube.com/watch?v=ByFaU3RRIzk

La composizione del Concerto per violino e orchestra n. 5 in La maggiore K


219 fu terminata da W. A. Mozart il 20 dicembre 1775. Costituisce il quinto, e
forse il maggiore, dei cinque concerti per lo stesso strumento (K 207, K 211, K
216, K 218) attribuibili con certezza al compositore.

È certamente il più eseguito dei concerti per violino del compositore ed in esso
lo strumento solista è trattato con maestria (non si dimentichi che Mozart era
un valente violinista). La bellezza melodica, la forte contrapposizione dei
singoli movimenti, l'uso sicuro delle possibilità espressive dello strumento
tutte presenti non sono portate ai massimi livelli. Si deve in ogni caso tener
conto che quest'opera esce dalla mente di un Mozart diciannovenne e che
questi non si cimenterà più in questo tipo di composizioni.

L'Allegro aperto inizia con orchestra e violino che suonano insieme. Il tema
iniziale viene esposto due volte in modo stilizzato a cui segue una melodia più
estesa. Fa capolino un adagio di poche battute dove fa il suo ingresso lo
strumento solista. Riprende poi l'allegro iniziale che porta alla conclusione
dopo una libera cadenza del violino.
L'adagio apparve troppo ricercato ad Antonio Brunetti, primo violino
dell'orchestra di Salisburgo. Mozart andando incontro ai desideri di Brunetti lo
modificò con la stesura di un altro adagio (K 261) di e"etto più sicuro ed
immediato e dove, come nella stesura del concerto K 216, sostituirà gli oboi
con i flauti e prescriverà agli archi l'uso della sordina.

L'ultimo movimento del K 219 è un Rondò-sonata. La struttura di questa forma


è "ciclica" e classicamente codificata ABACABA, in cui A è un primo tema, B il
secondo e C il terzo. Il secondo e il terzo tema sono intercalati dal primo che
chiude la composizione e ne costituisce l'elemento ritornante. La necessità di
permettere all'ascoltatore di memorizzare immediatamente i diversi temi porta,
in tutte le strutture formali della musica del periodo e fino al primo
romanticismo, alla ripetizione del tema appena esposto, necessità che non si
ripresenta quando il tema ritorna nel prosieguo del brano. La forma diventa
allora AABBACCABA
La forma elementare qui riassunta diventa lo scheletro su cui i compositori
andavano a costruire le proprie architetture che, nel caso di grandi compositori
come Haydn, Beethoven o, appunto, Mozart, potevano divenire estremamente
elaborate ed articolate e, pur rispettando la struttura formale, potevano nel
gioco di variazioni, aggiunte ed omissioni acquistare significati e contenuti
molto complessi. Si aggiungono Coda, Sviluppo, Ponte modulante, Cadenza e
sezioni di transizione tra un tema e l'altro.

Trattandosi di un concerto, la struttura interna delle varie parti del Rondò-


sonata si complica ulteriormente, c'è infatti la necessità di dare eguale spazio
ai due "contendenti", o meglio "protagonisti" della "rappresentazione":
l'orchestra e lo strumento solista (in questo caso il violino). Così l'"esposizione"
dei singoli temi viene abitualmente ripetuta una volta per l'orchestra ed una
per il solista, con la necessità di una nuova sezione di raccordo tra le due parti
e l'abitudine di usare i "da capo" come spazi di variazione tematica, timbrica o
modale... inoltre i diversi temi possono essere trattati in giustapposizione o,
più frequentemente, in contrapposizione quando, ad esempio, ad un primo
tema allegro se ne contrappone un secondo o un terzo, malinconici o molto
tesi e via dicendo. In tutto questo, l'identità melodica del tema diventa l'ancora
che consente allo spettatore di percepire lo svolgimento del discorso musicale.

Adagio in mi magg. - K 261


Rondò in si bemolle magg. - K 269
Rondò in do magg. - K 373
Concertone per due violini e orchestra in do magg. - K 190

Concerto per fagotto e orchestra - K 191

https://www.youtube.com/watch?v=QfhxZMUy9DU

https://www.youtube.com/watch?v=D_opKFbEIB0

Durante il soggiorno a Salisburgo, durato 4 anni, Wolfgang Amadeus Mozart


compose il suo primo concerto per strumento a fiato come solista, il Concerto
per fagotto e orchestra K 191. Non mancheranno oltre ad esso altre
composizioni musicali da lui ancora inesplorate. In questa opera si può
riconoscere lo stile «improntato dalla più disarmante semplicità», come disse
Luigi Della Croce in proposito. Sembra sia stato commissionato dal barone
Thaddäus von Dürnitz di Monaco, così come la Sonata per fagotto e violoncello
K 292.

Il concerto è strutturato in tre movimenti:

I. Allegro
II. Andante ma Adagio

III. Rondo: tempo di menuetto

Concerto per corno n. 1 - K 412

https://www.youtube.com/watch?v=SEtsnSWgcZ8

https://www.youtube.com/watch?v=otkovXD1HBQ

Il concerto per corno e orchestra n. 1 in Re maggiore K 412 (K6 386b) è il


primo dei quattro concerti (K 417, K 447, K 495) scritti da Wolfgang Amadeus
Mozart per corno ed orchestra e consta di due soli movimenti che le ultime
ricerche considerano come brani giustapposti e non pensati per far parte della
stessa opera.

Il concerto venne scritto per Joseph Ignaz Leutgeb uno degli amici che starà
vicino a Mozart sino alla sua morte e che era già stato elemento dell'orchestra
di corte di Salisburgo.

La prima parte è un allegro dove il primo episodio del corno appare dopo una
introduzione orchestrale. Il corno e l'orchestra si accompagnano
scambievolmente interrompendosi più volte ed in modo via via più energico.
La seconda parte è nuovamente un allegro che sul finire si tramuta in rondò
sullo "stile di caccia" al quale il corno era legato prima delle innovazioni
apportate allo strumento nel XIX secolo.

Mozart non si fa intimidire e, nonostante le oggettive limitazioni dello


strumento, ne individua subito il suo utilizzo virtuosistico.

Concerto per corno n. 2 - K 417

https://www.youtube.com/watch?v=V4djv0wIisM

https://www.youtube.com/watch?v=xzCiVyWx-Tk

Il concerto per corno e orchestra n. 2 in Mi bemolle K 417 è il secondo dei


quattro concerti (K 412, K 447, K 495) scritti da Wolfgang Amadeus Mozart per
corno ed orchestra.

Apre il concerto un allegro maestoso in forma sonata. Il materiale tematico


viene esposto dall'orchestra in cui, seppure per brevi sequenze, emerge la
coppia di oboi.
La cantabilità ha la sua migliore espressione nel successivo andante dove
solista e orchestra si rincorrono in un gioco di ra!nate imitazioni.
È comunque nel rondò che costituisce il terzo tempo che emergono i motivi
più interessanti. Il compositore con l'aiuto dei due ulteriori corni inseriti
nell'orchestra riesce ad evocare e!cacemente scene di caccia. Interruzioni e
ripetizioni dei temi forniscono al movimento toni divertenti ed ironici che
conducono ad un frizzante finale.

Dati sull'opera

Catalogo Köchel

K 417

Durata

14 minuti

Movimenti

[Allegro] (4/4, Mi bemolle maggiore)


Andante (3/4, Si bemolle maggiore)
Rondò: [Allegro] (6/8, Mi bemolle maggiore)

Organico

solista (corno)
2 oboi
2 corni
archi (violini primi e secondi; viole; violoncelli; contrabbassi)

Luogo e data di composizione

Vienna, 27 maggio 1783

Concerto per corno n. 3 - K 447

https://www.youtube.com/watch?v=R93hIpLgkjQ

https://www.youtube.com/watch?v=-yoQcjrLGy0

Dei quattro concerti scritti da Wolfgang Amadeus Mozart per corno ed


orchestra il concerto per corno e orchestra n. 3 in Mi bemolle maggiore K 447
è sicuramente - a parere di molti critici - il più riuscito ed il più romantico
della serie[senza fonte] (K 412, K 417, K 495).

Il carattere musicale profondo è ottenuto con l'utilizzo dei clarinetti e dei


fagotti.

Questo come gli altri concerti furono scritti da Mozart per il suo grande amico
Leutgeb che evidentemente era ben più di un dilettante se poteva suonare una
partitura così impegnativa.

In questo concerto infatti lo strumento viene usato in un modo virtuosistico


che bene evidenzia le proprie doti di cantabilità.
Era un dato caratteristico di Mozart quello di comprendere e sfruttare al
massimo le potenzialità di uno strumento anche quando non ne aveva una
conoscenza pratica.

Struttura

Il primo movimento si apre con cinque frasi che verranno riprese più volte con
modalità via via diverse. In alcune parti del primo e secondo movimento
emergono anticipazioni della melodia che verrà sviluppata nel Concerto per
clarinetto.

Nella romanza vengono valorizzate le capacità melodiche dello strumento e la


cantabilità raggiunge livelli di grande a#ato.

Con un rondò pieno di brio inizia il terzo ed ultimo movimento che si conclude
con il corno che richiama il tema principale già esposto nella romanza con una
soluzione tecnica di martello (note brevi e staccate) piuttosto che utilizzandone
gli aspetti cantabili.

Concerto per corno n. 4 - K 495

https://www.youtube.com/watch?v=gtOkOYTM_5E

https://www.youtube.com/watch?v=OEBCyQCGiPk

Il concerto per corno e orchestra n. 4 in Mi bemolle maggiore K 495 è l'ultima


opera scritta da W. A. Mozart per questo strumento ed è, come gli altri della
serie (K 412, K 417, K 447), dedicato a Leutgeb.

Questo concerto viene considerato importante per la sua esteriorità, per la


capacità di valorizzare al meglio le risorse dello strumento ma non così
significativo in termini di novità e inventiva. Occorre tener presente che questo
concerto, come gli altri della serie, sono tutti scritti per corno naturale, e
richiedono doti tecniche non indi"erenti nell'esecuzione. Mostra infatti
numerosi influssi di altre opere a cui il compositore aveva lavorato in quel
periodo.

L'inizio dell'allegro moderato fa pensare alla cantata Die Maurerfreude K 471. Il


terzo tema del primo movimento ricorda l'ouverture de Le nozze di Figaro. Tra
questi due temi un motivo dolce.

La romanza è un andante molto intimo e suggestivo dove Mozart raggiunge


vertici altissimi di cantabilità e si conclude in un pianissimo di grande e"etto;
l'inizio del movimento risente tuttavia dell'andante presente nella Sonata per
pianoforte a quattro mani due K 497.

Il rondò finale è di grande presa sull'ascoltatore e piano di allegria; il corno


esegue quasi senza soluzione di continuità motivi che richiamano l'andamento
"alla caccia".

Composizioni per fiati

Divertimento n. 1 in si bemolle maggiore per tre corni di bassetto, A 229


(K 439b)

https://www.youtube.com/watch?v=uQ9Y7fvXwcM

https://www.youtube.com/watch?v=_thhqQuvLOc

Allegro (si bemolle maggiore)


Minuetto. Allegretto (si bemolle maggiore)
Adagio (si bemolle maggiore)
Minuetto (si bemolle maggiore)
Rondò. Allegro (si bemolle maggiore)

Organico: 3 corni di bassetto (oppure 2 clarinetti o corni di bassetto e fagotto)


Composizione: Vienna, 1783

Guida all'ascolto (nota 1)

Il corno di bassetto è uno strumento che appartiene alla famiglia dei clarinetti
composto da 5 parti che si incastrano con dei sugheri: il bocchino (con ancia e
legatura), il collo (l'equivalente del barilotto), il pezzo superiore, il pezzo
inferiore e la campana, che ha la caratteristica forma rivolta verso l'alto, simile
a quella del clarinetto basso. La sua estensione normalmente va dal fa sotto al
primo rigo della chiave di basso al do sopra il rigo in chiave di violino.

Il corno di bassetto è stato uno degli strumenti prediletti da Mozart; dopo la


sua a!liazione alla massoneria, avvenuta u!cialmente nel 1784, Mozart
scrisse diverse composizioni per le celebrazioni di eventi che si svolgevano
all'interno della Loggia a cui apparteneva, la Loggia Zur Wohltätigkeit fondata
dal barone Otto von Gemmingen. Molte di queste pagine prevedevano l'uso del
corno di bassetto, strumento dal suono caldo e a"ascinante, soprattutto nel
registro medio-grave.

Il corno di bassetto compare per la prima volta in Mozart nella Serenata per
fiati in si bemolle maggiore K 370a del 1781, poi nell'aria di Constanze dal
Ratto dal serraglio e nella Musica funebre massonica K 479a del 1785. Nel
frattempo, grazie all'amicizia con Anton Stadler (1753-1812), clarinettista e
compagno di musica e di divertimenti conosciuto nel 1783, si vanno
intensificando le prove, gli esperimenti timbrici, le composizioni scritte più per
personale divertimento che per commissione.

Mozart aveva già conosciuto e apprezzato il clarinetto a Mannheim nel 1763 e


da quel momento incominciò a impiegarlo nelle sue pagine orchestrali e
cameristiche: per Stadler Mozart non solo scrisse il Quintetto K 581 e il
Concerto K 622, ma per lui e suo fratello Johann aggiunse la parte del
clarinetto alla Sinfonia in sol minore K 550.

Anche i cinque Divertimenti o Serenate in fa maggiore (con i corni di bassetto)


o in si bemolle maggiore (con due clarinetti e fagotto) K 439b Anh. 229
vennero composti per Anton Stadler, probabilmente dopo il 1783 a Vienna. Il
termine "serenata", dalla seconda metà del sec. XVIII, indica una composizione
strumentale destinata all'esecuzione serale all'aperto. Analogamente ai
divertimenti e alle cassazioni, la serenata prediligeva organici con strumenti a
fiato e veniva strutturata come un seguito di danze, spesso con una marcia
introduttiva.

I cinque Divertimenti di Mozart sono articolati in più movimenti, secondo il


principio della varietà, dell'alternanza lento-veloce, con un occhio di riguardo
per le cadenze della musica di danza; sono pagine piacevoli e geniali, semplici
e complesse ad un tempo. Appartengono all'eredità musicale dell'ultimo
Mozart, al suo sorriso delicato e struggente, alle sue armonie eterne, alla
semplicità che è la semplicità della perfezione.

Il Divertimento n. 1 si apre con un Allegro il cui primo tema, marcato e gioioso,


è strettamente imparentato col secondo, del quale riprende le tre note iniziali
ripetute. La seconda parte si gioca su una sorta di breve trillo che circola fra i
tre strumenti e che sfocia nella ripresa della prima parte seguita dalla cadenza
finale. Il Menuetto seguente, cantabile e delicato, si apre con un motivo
discendente che diventa protagonista nella seconda parte insieme a alcuni
cromatismi che ritroviamo nel Trio centrale. Raccolta e intensa è invece
l'atmosfera musicale dell'Adagio, con le sue armonie calde e morbide
mirabilmente rese dai tre corni di bassetto. Sembra qui di respirare l'aura
musicale mistica ma pacata del futuro Flauto magico; nella seconda parte il
discorso si anima con gli arpeggi del secondo corno di bassetto che sostiene il
canto acuto del primo. Il Menuetto che segue è più vivace del precedente e
riprende lo spirito dell'Allegro iniziale; il Trio centrale è mosso dalle
impertinenti terzine del secondo e dal terzo corno di bassetto. Il Divertimento
si chiude in un'atmosfera felice e spensierata con un Rondo. Allegro giocato
con le veloci volatine, le petulanti terzine, il canto in terza dei tre strumenti.
L'episodio centrale ricorda l'ironia e la verve di alcune pagine del Ratto dal
serraglio.

Alessandro De Bei

Divertimento n. 3 in si bemolle maggiore per tre corni di bassetto, A 229


(K 439b)

https://www.youtube.com/watch?v=uJWhcSlMIf4

Allegro (si bemolle maggiore)


Minuetto (si bemolle maggiore)
Adagio (si bemolle maggiore)
Minuetto (si bemolle maggiore)
Rondò (si bemolle maggiore)

Organico: 3 corni di bassetto (oppure 2 clarinetti o corni di bassetto e fagotto)


Composizione: Vienna, 1783

Guida all'ascolto (nota 1)

Il corno di bassetto è uno strumento che appartiene alla famiglia dei clarinetti
composto da 5 parti che si incastrano con dei sugheri: il bocchino (con ancia e
legatura), il collo (l'equivalente del barilotto), il pezzo superiore, il pezzo
inferiore e la campana, che ha la caratteristica forma rivolta verso l'alto, simile
a quella del clarinetto basso. La sua estensione normalmente va dal fa sotto al
primo rigo della chiave di basso al do sopra il rigo in chiave di violino.

Il corno di bassetto è stato uno degli strumenti prediletti da Mozart; dopo la


sua a!liazione alla massoneria, avvenuta u!cialmente nel 1784, Mozart
scrisse diverse composizioni per le celebrazioni di eventi che si svolgevano
all'interno della Loggia a cui apparteneva, la Loggia Zur Wohltätigkeit fondata
dal barone Otto von Gemmingen. Molte di queste pagine prevedevano l'uso del
corno di bassetto, strumento dal suono caldo e a"ascinante, soprattutto nel
registro medio-grave.

Il corno di bassetto compare per la prima volta in Mozart nella Serenata per
fiati in si bemolle maggiore K 370a del 1781, poi nell'aria di Constanze dal
Ratto dal serraglio e nella Musica funebre massonica K 479a del 1785. Nel
frattempo, grazie all'amicizia con Anton Stadler (1753-1812), clarinettista e
compagno di musica e di divertimenti conosciuto nel 1783, si vanno
intensificando le prove, gli esperimenti timbrici, le composizioni scritte più per
personale divertimento che per commissione.

Mozart aveva già conosciuto e apprezzato il clarinetto a Mannheim nel 1763 e


da quel momento incominciò a impiegarlo nelle sue pagine orchestrali e
cameristiche: per Stadler Mozart non solo scrisse il Quintetto K 581 e il
Concerto K 622, ma per lui e suo fratello Johann aggiunse la parte del
clarinetto alla Sinfonia in sol minore K 550.

Anche i cinque Divertimenti o Serenate in fa maggiore (con i corni di bassetto)


o in si bemolle maggiore (con due clarinetti e fagotto) K 439b Anh. 229
vennero composti per Anton Stadler, probabilmente dopo il 1783 a Vienna. Il
termine "serenata", dalla seconda metà del sec. XVIII, indica una composizione
strumentale destinata all'esecuzione serale all'aperto. Analogamente ai
divertimenti e alle cassazioni, la serenata prediligeva organici con strumenti a
fiato e veniva strutturata come un seguito di danze, spesso con una marcia
introduttiva.

I cinque Divertimenti di Mozart sono articolati in più movimenti, secondo il


principio della varietà, dell'alternanza lento-veloce, con un occhio di riguardo
per le cadenze della musica di danza; sono pagine piacevoli e geniali, semplici
e complesse ad un tempo. Appartengono all'eredità musicale dell'ultimo
Mozart, al suo sorriso delicato e struggente, alle sue armonie eterne, alla
semplicità che è la semplicità della perfezione.

Il Divertimento n. 3 si apre con un motto basato sull'arpeggio tonale, proprio


come nella celebre serenata Eine kleine Nachtmusik. L'Allegro si distingue per
il fraseggio prezioso e ricercato, per il suo secondo tema morbido e scorrevole
e per l'invenzione musicale, sempre viva e brillante. Un'ombra scura si
impossessa dell'ascoltatore all'inizio della seconda parte, ma è un attimo: il
discorso musicale riprende subito vivacemente fino alla fine. Il secondo tempo,
Menuetto, prende le mosse da una dolcissima frase d'apertura, abbellita dalle
crome ripetute dei tre strumenti. Il Trio più serioso e introspettivo, viene
mosso però dalle vibranti terzine che circolano fra i tre strumenti. L'Adagio è
caratterizzato da un canto sereno ma non privo di screziature melodiche
a!dato al primo corno di bassetto, sostenuto armonicamente e ritmicamente
dagli altri due. Il Menuetto, spigliato e disinvolto nei suoi veloci guizzi
ascendenti, presenta un Trio in tonalità minore nel quale Mozart introduce una
nota malinconica, quasi dolorosa, nella melodia del primo corno di bassetto. Il
Rondo conclusivo, travolgente nella solarità della sua melodia, ricorda
movenze motiviche tipiche della musica di danza popolare. L'episodio centrale
introduce anche qui la tonalità minore, ricordo del Menuetto precedente, con le
due nervose note ribattute all'acuto e subito ripetute in eco al grave. Ma il
ritorno del gioioso refrain ci riporta nel clima spensierato e felice dell'inizio col
quale si conclude la pagina.

Alessandro De Bei

Divertimento per fiati n. 3 in mi bemolle maggiore, K 166 (K 159d)

https://www.youtube.com/watch?v=7LY8W9OgSEg

https://www.youtube.com/watch?v=efhI5sdV75U

Allegro (mi bemolle maggiore)


Minuetto (mi bemolle maggiore)
Andante grazioso (si bemolle maggiore)
Adagio (mi bemolle maggiore)
Allegro (mi bemolle maggiore)

Organico: 2 oboi, 2 corni inglesi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni


Composizione: 24 marzo 1773

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel 1773 i clarinetti e i corni inglesi, strumenti «moderni» che proprio allora
stavano facendo il loro timido apprendistato tra i legni delle compagini
orchestrali accanto ai veterani oboi e fagotti, erano ancora sconosciuti alla
piccola orchestra provinciale del principe arcivescovo di Salisburgo. E' quindi
da escludere che il Divertimento K. 166, composto per un complesso di fiati
comprendente coppie di oboi, clarinetti in si bemolle, comi inglesi, corni da
caccia e fagotti, sia stato destinato da Mozart agli svaghi musicali arcivescovili
o d'altri committenti salisburghesi. Più verosimile sembra l'ipotesi che il
Divertimento in questione sia stato scritto per Milano, da dove il diciassettenne
musicista era appena ritornato, dopo avervi dato il Lucio Silla, la più
importante tra le sue opere serie della prematurità. L'esiguità dello schema
formale prescelto, se impedì a Mozart di adottare, per il primo Allegro, la
forma-sonata propriamente detta, non lo distolse dall'impiegare due temi ben
distinti nel breve arco del discorso musicale, dove spicca la precoce sensibilità
timbrica nella sagace distribuzione del materiale tematico tra i vari gruppi
strumentali. Nel brevissimo Minuetto che segue, il Trio (secondo una prassi
che trae le proprie origini dal cuore del Barocco) è letteralmente a!dato a solo
tre parti strumentali, quelle dei due corni inglesi divisi e dei due fagotti
all'unissono. Italiano fin nella melodia, presa in prestito da una sinfonia di
Paisiello, è l'Andante grazioso, seguito da un breve Adagio dal carattere più
«serio». Conclude il Divertimento un chiassoso Rondò, nel più schietto spirito
dell'opera bu"a.

Divertimento per fiati n. 4 in si bemolle maggiore, K 186 (K 159b)

https://www.youtube.com/watch?v=jHbF0z7k_m0

https://www.youtube.com/watch?v=gLR4Jov98TM

Allegro assai (si bemolle maggiore)


Minuetto (si bemolle maggiore)
Andante (si bemolle maggiore)
Adagio (si bemolle maggiore)
Allegro (si bemolle maggiore)
Trio (fa maggiore)

Organico: 2 oboi, 2 corni inglesi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni


Composizione: Milano, marzo 1773

Guida all'ascolto (nota 1)

È probabile che Mozart abbia iniziato la stesura del Divertimento KV 186


(159b) a Milano nei primi giorni del marzo 1773, poco prima della definitiva
partenza per l'Italia, e l'abbia portata a termine una volta rientrato a
Salisburgo. Così com'è probabile che il divertimento, caratterizzato da un
organico singolare, sia legato con la partitura gemella KV 166 (159d) a una
precisa commissione. In ogni caso, la composizione per soli fiati appartiene al
filone delle musiche d'intrattenimento all'aria aperta per le quali Mozart
dimostrerà in futuro una straordinaria sensibilità; il tono leggiadro e il
disimpegno costruttivo si colgono fin dalla struttura e dalla brevità dei cinque
movimenti, tutti, ad eccezione dell'Allegro finale, nella forma binaria propria
dei tempi di danza. L'Allegro assai di apertura ha funzione introduttiva; dalla
sequenza non può mancare poi il Menuetto, con Trio privo di corni e clarinetti;
l'Andante e il cullante Adagio di inequivocabile matrice italiana introducono
un'atmosfera di morbido abbandono; chiude, in buonumore, un sapido rondò.
Cesare Fertonani

Divertimento per fiati n. 14 in si bemolle maggiore, K 270

https://www.youtube.com/watch?v=MbUf6_LITZw

https://www.youtube.com/watch?v=ObnJG2Tvsfo

Allegro molto (si bemolle maggiore)


Andantino (fa maggiore)
Minuetto e trio. Moderato (si bemolle maggiore)
Presto (si bemolle maggiore)

Organico: 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni


Composizione: Salisburgo, gennaio 1777
Edizione: Andrè, O"enbach 1800

Guida all'ascolto (nota 1)

I Divertimenti, come del resto le Cassazioni, le Serenate e le cosiddette


musiche notturne, sono legati al gusto settecentesco di far musica insieme e
riflettono una identica struttura formale, in cui si alternano movimenti di danza
e passaggi solistici e virtuosistici, riservati ad esecutori di talento, ma non
necessariamente eccezionali. Per questa ragione i Divertimenti per archi e
quelli per strumenti a fiato, improntati questi ultimi ad una maggiore varietà di
e"etti sonori, sono musiche di piacevole ascolto, dalla scrittura semplice e
lineare e dai giochi armonici chiari e precisi, che riflettono un sentimento
classico di superiore equilibrio e serenità. Si avverte, è vero, la presenza di uno
stile cameristico di solida fattura nel contesto di un discorso quanto mai
scorrevole, anche se si è molto distanti dalla grande stagione creativa
mozartiana, caratterizzata da una profonda e personale forza espressiva, unica
nel suo campo, come disse Rossini. Il dato rilevante di questi Divertimenti è la
limpidezza e la trasparenza quartettistica del suono e l'omogeneità e la fusione
del gruppo strumentale, nel rispetto delle regole di un linguaggio musicale
accessibile a tutti e senza quei tormenti spirituali e quei risvolti tragici che pur
esistono nell'arte del Salisburghese. Il Divertimento in si bemolle maggiore K.
270 per due oboi, due corni e due fagotti non sfugge a questo clima e si
distingue per la varietà degli accenti melodici e ritmici. L'autografo di questo
brano reca la seguente indicazione: "5° Divertimento a 6 di W. A. Mozart nel
Gianajo 1777" e si ritiene che il pezzo sia stato scritto per allietare i momenti
di riposo della corte arcivescovile di Salisburgo.
L'Allegro molto iniziale è costituito da due temi, ambedue esposti dagli oboi,
su accompagnamento del fagotto. Su questo impianto è costruito lo sviluppo
dell'intero movimento, secondo un procedimento mirante ad allietare l'animo
dell'ascoltatore. L'Andantino ha la forma di una sonata di brevi proporzioni,
poggiata su due temi e una coda melodica elaborata sul ritmo della prima
frase. È una pagina di pungente fascino sonoro e strumentata con delicatezza
di accenti, soprattutto nel gioco delle imitazioni tra oboi e fagotti. Non meno
gradevole è il Minuetto con il trio in mi bemolle maggiore su ritmo di valzer, in
cui emerge la voce dei corni. Il Presto conclusivo è un rondò, il cui tema
brillante sarà ripreso più tardi da Mozart nell'aria della lettera delle Nozze di
Figaro. L'impianto del movimento segue una linea classica: tema, intermezzo e
ripresa del tema principale, con l'aggiunta di una coda dal ritmo spigliato e
divertente, inserito in un gioco strumentale dagli e"etti piacevolmente gustosi.

Quintetto per pianoforte e fiati in mi bemolle maggiore, K 452

https://www.youtube.com/watch?v=WC9Qp6wKWsg

https://www.youtube.com/watch?v=AU9R4DGGbYY

Largo - Allegro moderato (mi bemolle maggiore)


Larghetto (si bemolle maggiore)
Rondò. Allegretto (mi bemolle maggiore)

Organico: pianoforte, oboe, clarinetto, fagotto, corno


Composizione: Vienna, 30 marzo 1784
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 1 aprile 1784
Edizione: Gombart, Ausburg 1799

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nei suoi primi anni viennesi, e specialmente a partire dal 1784, Mozart dedicò
gran parte dei suoi sforzi ad a"ermarsi come virtuoso di pianoforte, sia
partecipando a numerose Accademie, ove oltre a presentare le proprie
creazioni era chiamato a improvvisare, sia componendo appositamente
Concerti per pianoforte e orchestra. Si ha notizia che solo nei primi tre mesi di
quell'anno Mozart si esibì in una ventina di serate pubbliche e private; tra il
febbraio e il dicembre di quello stesso 1784 nacquero ben sei Concerti per
pianoforte e orchestra (K. 449, K. 450, K. 451, K. 453, K. 456, K. 459), tutti
eseguiti ripetutamente con grande successo e divenuti subito popolari. Sia
pure con frequenza meno ossessiva, questa attività si protrasse fino al
dicembre 1786, periodo durante il quale la serie dei grandi Concerti viennesi si
arricchì di altri sei titoli, e tutti di grande spicco: il regale terzetto del 1785 (K.
466, K. 467, K. 482) e quello non meno elevato (K. 488, K. 491 e K. 503) del
1786.

Incastonato tra questi gioielli, il Quintetto per pianoforte e fiati in mi bemolle


maggiore K 452, composto alla fine del mese di marzo 1784 (nel catalogo di
mano di Mozart reca la data del 30 marzo 1784), ne risente il clima stilistico
soprattutto nel trattamento del pianoforte, che giunge a sfoggiare la
magnificenza delle sue risorse espressive senza prevaricare sugli altri
strumenti, instaurando con essi un dialogo disteso e limpido: sostenuto come
ruolo e insieme discreto come potenza sonora. L'organico o"erto dal Quintetto
- oboe, clarinetto, corno e fagotto, oltre al pianoforte - non era in fondo così
distante dalla versione "ridotta" dei Concerti per pianoforte, dove lo strumento
solista poteva, a piacere, in caso di esecuzione nei salotti, essere
accompagnato da un piccolo complesso da camera (ne è un esempio il
Concerto K. 449, anch'esso in mi bemolle maggiore, dove la partecipazione dei
fiati, oboi e corni, è indicata ad libitum). Nello stesso tempo, la dimensione
cameristica aggiungeva al carattere del pezzo un che di intimo e di raccolto,
con caratteri morfologici ed espressivi funzionali alla fusione timbrica tra il
pianoforte e gli strumenti a fiato.

Mozart aveva scritto questa pagina in previsione di un concerto "a proprio


beneficio" (secondo l'usanza delle Accademie pubbliche, che si tenevano per
sottoscrizione) ospitato al Teatro di corte (Burgtheater) di Vienna il 1° aprile
1784. Nel programma, oltre al "nuovo grande Quintetto" suonato dal "Signor
Mozart", figuravano anche tre Sinfonie (tra queste la K. 425, "Linzer"), un
"nuovo Concerto sul fortepiano" (probabilmente il K. 451, suonato e diretto dal
compositore), tre Arie (una cantata da "M.lle Cavalieri") e una improvvisazione.
Il successo fu splendido, soprattutto per il Quintetto: Mozart, riferendone con
entusiasmo l'accoglienza al padre in una lettera del 10 aprile, non esitò a
definirlo "la cosa migliore che abbia mai scritto finora in vita mia [...] Mi
sarebbe piaciuto farlo ascoltare anche a lei; e che splendida esecuzione! A dire
il vero, alla fine ero stanco dal gran suonare - e non è poco onore per me che i
miei ascoltatori non si stancassero mai". Questo giudizio sul Quintetto,
tutt'altro che di circostanza, è confermato dal fatto che Mozart lo scelse per
eseguirlo alla presenza di Giovanni Paisiello in un concerto privato,
organizzato il 10 giugno a Döbling, sobborgo di Vienna, da Gottfried Ignaz von
Ployer, suo concittadino trasferitosi a Vienna, la cui figlia Barbara era una delle
sue allieve preferite. Il giorno prima del concerto, Mozart informò il padre con
la consueta fretta: «Il Signor Ployer ha organizzato un concerto a Döbling: la
signorina Babette [vezzeggiativo di Barbara] eseguirà il suo nuovo Concerto in
sol [K. 453, "suo" in quanto a lei dedicato] e io il Quintetto [il K. 452, appunto];
dopo suoneremo insieme la grande Sonata per due pianoforti [K. 448]. Ho
intenzione di andare a prendere Paesello [sic], perché voglio che senta la mia
allieva e il mio Concerto». Anche la critica è unanimemente concorde nel
considerare questo unicum della produzione mozartiana una vetta, vero punto
di svolta di tutta la successiva opera cameristica con pianoforte. Se Abert ne
sottolinea la "straordinaria tensione" e Halbreich lo qualifica come "esempio
perfetto di dialogo concertante", per Bernhard Paumgartner "esso rimane ancor
oggi il più nobile esempio di musica da camera per strumenti a fiato.
Beethoven lo tenne evidentemente a modello, componendo il suo Quintetto op.
16; ma non lo superò". Il rango speciale riservato da Mozart a questa
composizione si palesa già nell'anomalia di un vasto Largo introduttivo di
particolare solennità, che si estende per venti battute intrecciando al
pianoforte in spazi piccolissimi le entrate dei quattro fiati, ora da soli, ora a
due a due, ora riuniti in un insieme d'incantata trasparenza timbrica.
L'atmosfera muta repentinamente con il tema dell'Allegro moderato, di piglio
cavalleresco, iniziato dal pianoforte solo in piano ed energicamente scandito
dai fiati nel forte.

Il dialogo così avviato si intensifica nella presentazione del secondo tema,


distribuito fra la tastiera e i fiati, e prosegue ininterrotto alternando evoluzioni
brillanti, ricchi virtuosismi, episodi corali di sonorità pregnante, animate
rincorse ritmiche, scambi di parti e di ruoli tra portatori della sostanza
tematica e accompagnatori nelle ripetizioni. A uno sviluppo conciso segue una
ripresa variata, quasi trasfigurata dall'abile gioco concertante dei motivi.
Questa vitalità si stempera nell'intimità del Larghetto, "romantica rêverie
basata su e"etti di magica bellezza sonora" (Abert). Il primo tema annunciato
da oboe, corno e fagotto ha carattere pastorale, quasi "napoletano" (forse a
questo pensava Mozart quando volle che Paisiello ascoltasse il Quintetto) e
conduce spontaneamente a una nuova idea esposta da pianoforte, clarinetto e
oboe, cui segue una straordinaria varietà di episodi secondari. Si attua qui un
percorso armonico di audacia estrema, che culmina nella modulazione al
lontano mi minore (il brano è in si bemolle maggiore), senza perdere tuttavia,
pur nella violenza dei contrasti dinamici e nella densa polifonia, la tenuta dei
rapporti timbrici. Da questa selva agitata e a tratti oscura il tema principale
riemerge come liberato da un accerchiamento, e insieme potenziato nei suoi
aspetti caratteristici dalle esperienze attraverso le quali è passato. Il passaggio
al Rondò finale (Allegretto) sancisce questa ritrovata armonia nel segno di
un'esuberanza incline alle grandi sonorità, al superamento dei confini
cameristici in un tratto concertistico di ampia gestualità, sia nei passaggi
solistici sia nelle impennate virtuosistiche. Ma anche qui, dopo una Cadenza in
tempo che impegna tutti gli strumenti in una serie di entrate in rigoroso stile
imitato, il senso dell'equilibrio impone una riduzione dei pesi specifici in favore
di un mite, lieve congedo: esso avviene ripresentando il tema principale e
lasciandolo svanire in una dissolvenza incrociata, unita a un canto dolcemente
suadente dei fiati sull'accompagnamento discreto, a dinamica sempre più
smorzata, del pianoforte.
Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il fiorire di brani cameristici con pianoforte - i sette Trii e i due Quartetti per
pianoforte e archi, il Trio con clarinetto K. 498, oltre al Quintetto per
pianoforte e fiati K. 452 - nell'ultimo decennio di vita di Wolfgang Amadeus
Mozart è un fenomeno che va posto in relazione con la particolare
destinazione di questi brani alla prassi della musica "familiare"', pensata per gli
esecutori dilettanti, appartenenti ai ceti alti della società - non solo alla
componente gentilizia ma anche a quella alto-borghese. In tutta Europa lo
studio di uno o più strumenti era parte integrante dell'educazione dell'alta
società, e la pratica della Hausmusik, della musica domestica, suonata dai
volenterosi componenti del circolo familiare, era del pari estremamente
di"usa. Direttamente in funzione del fiorentissimo mercato editoriale rivolto ai
dilettanti veniva dunque composta la musica da camera con pianoforte; non a
caso quasi tutti i Trii e i Quartetti con pianoforte di Mozart giunsero alla
pubblicazione vivente l'autore, e con maggiore facilità rispetto ad altre
composizioni di più alte ambizioni.

Le composizioni pensate per questo mercato dovevano tenere conto


ovviamente dei limiti endemici degli esecutori a cui erano rivolte. I
condizionamenti imposti dalla destinazione erano essenzialmente di due tipi:
nel contenuto musicale, che non doveva superare dimensioni piuttosto ristrette
e doveva essere improntato alla massima cordialità, evitando un impegno
concettuale più ardito (riservato alla "nobile" letteratura per archi); nella
scrittura strumentale, che doveva rimanere alla portata di strumentisti dotati di
una consapevolezza tecnica discreta ma non sviluppata.

Proprio la particolarissima destinazione strumentale è la caratteristica saliente


del Quintetto in mi bemolle maggiore K. 452 per pianoforte e fiati (oboe,
clarinetto, corno, fagotto). Incluso nel catalogo personale alla data del 30
marzo 1784, il Quintetto fu pensato per i concerti quaresimali di quell'anno. In
una lettera al padre del 10 aprile Mozart ebbe a definirlo «la migliore opera che
io abbia mai scritto»; dichiarazione impegnativa, che deve probabilmente
essere attribuita alla suprema maestria con la quale l'autore risolve nella
partitura il delicato problema della scrittura strumentale. Come i due Quartetti
per pianoforte ed archi, infatti, anche il K. 452 ha una impostazione
concertante nel rapporto fra il pianoforte e gli altri strumenti, ma gli strumenti
a fiato, ancora lontani - nonostante i grandi progressi organologici compiuti
nel secolo - dalla precisione moderna in quanto ad emissione di suono e
intonazione, imponevano precisi limiti relativi alla durata delle frasi musicali,
all'estensione della tessitura, alla stessa completezza della gamma cromatica.
Il Quintetto mozartiano supera invece con apparente disinvoltura questi limiti.
Nel complesso dei fiati nessuno strumento - neanche i più "progrediti" oboe e
clarinetto - ha un ruolo prioritario sugli altri, grazie all'impiego di frasi
musicali piuttosto brevi che permettono a tutti di intervenire a rotazione;
d'altra parte ogni strumento riceve una precisa individuazione delle proprie
caratteristiche tecnico-espressive, riesce insomma a conseguire il massimo
e"etto senza risultare inadeguato; a tal fine l'armonia scelta da Mozart evita
prevalentemente i cromatismi della scrittura per archi, e si mantiene in un
ambito accuratamente diatonico. Alla compagine dei fiati il pianoforte si
oppone con un ruolo meno virtuosistico che in altri brani. Il movimento iniziale
è aperto da un Largo di ampie dimensioni, seguito da un Allegro in forma
sonata con un conciso sviluppo; l'intero movimento svolge mirabilmente la
logica di contrapposizioni e avvicendamenti strumentali. Il Larghetto -
anch'esso in forma sonata - lascia spazio alla espansività melodica dei vari
strumenti, e contempla quindi una vasta presenza di episodi secondari. Il
Rondò ha un carattere strettamente giocoso e comprende una vasta cadenza
interamente scritta per tutti gli strumenti.

Arrigo Quattrocchi

Serenata per fiati n. 10 in si bemolle maggiore "Gran Partita", K 361 (K


370a)

https://www.youtube.com/watch?v=k0ig72-rj0s

https://www.youtube.com/watch?v=gLadqS2bk54

Largo. Allegro molto (si bemolle maggiore)


Minuetto (si bemolle maggiore)
Adagio (mi bemolle maggiore)
Minuetto e 2 trii. Allegretto (si bemolle maggiore)
Romanza. Adagio (mi bemolle maggiore)
Tema e variazioni. Andantino (si bemolle maggiore)
Rondò. Allegro molto (si bemolle maggiore)

Organico: 2 oboi, 2 clarinetti, 2 corni di bassetto, 2 fagotti, 4 corni, basso


Composizione: Monaco - Vienna, febbraio - aprile 1781
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 23 marzo
1784
Edizione: Bureau d'Art, Vienna 1803

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Il complesso di strumenti a fiato ebbe un'interessante evoluzìone nella seconda
metà del Settecento, quando il repertorio destinato a questa compagine si
arricchì enormemente. Fino ad allora a questi gruppi strumentali era riservato
per lo più un ruolo di intrattenimento, che consisteva nell'eseguire musiche
appositamente composte per feste e cerimonie, di corte o private, e spesso
eseguite all'aperto.

Anche Mozart ebbe numerose occasioni per cimentarsi con questo genere, ma,
come di consueto per un genio della sua statura, il suo contributo fu
determinante. Egli scrisse infatti Divertimenti e Serenate che sfruttano al
massimo i colori delle diverse coppie strumentali, e mostrano una freschezza
inventiva che va al di là di qualsiasi ragione di circostanza, richiedendo agli
strumentisti eccezionali abilità virtuosistiche, espressive e dinamiche che
appartengono al più ra!nato stile cameristico.

Non si conosce esattamente l'anno di composizione di questa Serenata per 13


strumenti K. 361, ma si ha ragione di ritenere che essa sia stata scritta a
Vienna intorno al 1783-84, contemporaneamente al Concerto per pianoforte in
mi bemolle maggiore K. 449. L'annotazione apocrifa di "Gran Partita", riportata
sulla prima pagina della partitura, non è attribuibile a Mozart. Secondo la
versione poco attendibile di Georg Nikolaus von Nissen, secondo marito di
Constanze e primo biografo di Mozart, questa Serenata fu il dono di nozze di
Mozart alla moglie per il loro matrimonio il 4 agosto 1782 (se così fosse, la
Serenata, come l'Idillio di Sigfrido donato da Wagner a Cosima quasi un secolo
più tardi, deve essere considerata come uno dei più grandi doni musicali che
mai siano stati fatti da un compositore alla propria moglie!). Notizie certe di
una esecuzione della "Gran Partita" ci portano a Vienna nel 1784, quando
quattro movimenti della Serenata furono eseguiti dalla Harmonie (il gruppo dei
fiati di un'orchestra) della corte imperiale su iniziativa del clarinettista Anton
Stadler, (per il quale Mozart nel 1791 scrisse il suo Concerto per clarinetto K.
622), come riporta lo scrittore, e drammaturgo Johann Friedrich Schink nelle
sue memorie Litterarische Fragmente:
Accademia musicale di Stadler, virtuoso di clarinetto. Abbi la mia gratitudine,
eccellente virtuoso! Quel che hai compiuto con il tuo strumento non l'avevo
mai sentito [...]. Oggi ho anche sentito una musica per flati del signor Mozart,
in quattro movimenti. Meravigliosa, sublime! Era per tredici strumenti: quattro
corni, due oboi, due fagotti, due clarinetti, due corni di bassetto, un
contrabbasso, e ad ogni strumento sedeva un maestro - e che e"etto che fece!
Meraviglioso e grandioso, eccellente e sublime!

Nel catalogo mozartiano la "Gran Partita" occupa una posizione di particolare


rilievo per la grandiosità della struttura formale (che conta ben sette
movimenti), per la felicità dell’invenzione melodica e armonica e per
l'originalità dell'organico strumentale. Al convenzionale complesso di 2 oboi, 2
clarinetti, 2 fagotti e 2 corni, Mozart aggiunse una seconda coppia di corni, il
contrabbasso e 2 corni di bassetto - che fanno qui la prima comparsa
nell'opus mozartiano, per riapparire poco dopo nel primo atto del Ratto dal
serraglio come accompagnamento dell'Aria di Konstanze Traurigkeit word mir
zum Lose.

Nel Largo iniziale tutto scorre con semplicità e naturalezza, con una
introduzione lenta tipicamente haydniana. Il tema Molto Allegro dà origine alle
più svariate combinazioni, che mostrano chiaramente la ricchezza e la grande
sensibilità timbrica del Salisburghese. I due Minuetti che incorniciano l'Adagio
sono pezzi ra!nati, e i corrispondenti Trii sembrano evocare musiche
popolari. Ma "la vetta culminante" della composizione è proprio il terzo tempo
Adagio, pagina notturna e appassionata, caratterizzata da un canto di grande
dolcezza e profonda melanconia, introdotto da una coppia di corni. Proprio
quest'Adagio viene citato in uno dei momenti più toccanti del celeberrimo film
Amadeus di Milos Forman, dove è Salieri a descriverne la straordinaria
bellezza: "Sulla pagina non sembrava niente, un inizio semplice, quasi comico,
appena un palpito, con fagotti, corni di bassetto, come uno schiudersi di un
vecchio cofano. Dopodiché, ad un tratto, ecco emergere un oboe, una sola
nota, sospesa, immobile, finché un clarinetto ne prende il posto, addolcendola
con una frase di una delizia... Era una musica che non avevo mai sentito,
espressione di irrefrenabili desideri. Sembrava di ascoltare la voce di Dio".

Una serena Romanza anticipa il Tema con variazioni in cui il compositore


aggrega di volta in volta diversi timbri strumentali. Il Finale. Molto allegro è un
brano molto brillante, quasi una Marcia, dove viene fuori lo spirito gioioso del
compositore trattenuto da un uso misurato del volume degli strumenti.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel corso della seconda metà del Settecento nelle piccole corti e nelle case
patrizie dell'Europa centrale si di"use enormemente l'abitudine di a!dare
l'intrattenimento musicale durante feste e cerimonie a un piccolo complesso di
fiati che veniva indicato con il termine tedesco di Harmonie. Il nucleo standard
di una Harmonie era un ottetto formato da due oboi, due clarinetti, due corni e
due fagotti e il suo repertorio era costituito principalmente da arrangiamenti e
trascrizioni delle opere più in voga o da lavori originali nelle forme
disimpegnate della serenata, del divertimento, della cassazione. A questo
complesso musicale, destinato a scomparire del tutto nel giro di pochi
decenni, diedero il loro contributo praticamente tutti i compositori dell'epoca,
sia con arrangiamenti che con lavori originali.
Le tre Serenate per fiati composte da Mozart al principio degli anni Ottanta
costituiscono senza dubbio il vertice sommo di questa produzione. Se però la
Serenata in mi bemolle maggiore K. 375 pur elevandosi di molto al di sopra
della media delle composizioni coeve a livello qualitativo, non se ne discosta
radicalmente a livello formale, la Serenata in do minore K. 388 (384a) ne
stravolge completamente le convenzioni: già la scelta di una tonalità minore -
cosa all'epoca ancora rarissima perfino nelle composizioni più "impegnate"
come i quartetti, le sonate e le sinfonie - costituisce una sorta di
contraddizione in termini in un brano che dovrebbe essere di piacevole
intrattenimento; poi il numero dei movimenti, ridotto a quattro, e la loro
struttura formale sembrano guardare più al modello della sinfonia che a quello
della serenata, così come la temperatura espressiva del brano e la complessità
di esecuzione.

Con la Serenata in si bemolle maggiore K. 361 (370a) Mozart, pur tornando a


una struttura apparentemente più convenzionale in sette movimenti, osa
ancora di più, non solo aggiungendo altri strumenti all'organico base della
Harmonie - due corni di bassetto (un particolare tipo di clarinetto che suona
una quinta sotto, inventato in quegli anni e particolarmente amato da Mozart
per il suo timbro molto più scuro e velato rispetto al clarinetto), una seconda
coppia di corni e un contrabbasso - ma dilatando le dimensioni e la densità di
scrittura di ciascun movimento, dando vita così a un lavoro assolutamente
unico nel suo genere; e questa ipertrofia quantitativa e qualitativa della
Serenata in si bemolle maggiore doveva essere tanto più evidente all'epoca di
Mozart, visto che una mano anonima ha aggiunto sul manoscritto autografo la
dicitura di "Gran Partita" con cui ancora oggi viene abitualmente chiamata.

Per quanto possa sembrare impossibile, le notizie che abbiamo sulla genesi di
questo straordinario capolavoro e sulle sue esecuzioni pubbliche durante la
vita di Mozart sono alquanto vaghe, per non dire nulle. Un tempo la sua
nascita veniva collocata dagli studiosi in modo pressoché unanime nel periodo
compreso tra la fine del 1780 e l'inizio del 1781, quando Mozart si trovava a
Monaco per curare la prima esecuzione di Idomeneo. A confortare questa
ipotesi c'era la presenza degli ottimi strumentisti a fiato dell'orchestra di corte
e del principe Karl Theodor del Palatinato che Mozart aveva già avuto modo di
conoscere qualche anno prima a Mannheim: la Serenata avrebbe potuto essere
composta, dunque, sia come segno di amicizia per gli strumentisti provenienti
dalla leggendaria orchestra di Mannheim (che si era sciolta nel 1778 quando
Karl Theodor era stato chiamato a Monaco come principe elettore di Baviera),
sia come omaggio al principe nella speranza di ottenere un incarico a corte.

In tempi più recenti si è cominciato ad a"ermare che a Monaco furono


composti solamente quattro dei sette movimenti che formano la Serenata,
mentre i rimanenti tre sarebbero stati scritti da Mozart nella primavera-estate
del 1781, nei primi mesi trascorsi a Vienna dopo la rottura con l'Arcivescovo di
Salisburgo. Infine gli studi condotti in questi ultimi anni con l'aiuto della
tecnologia - come l'analisi della filigrana della carta del manoscritto originale -
sembrerebbero postdatare la nascita dell'intera Serenata al primo periodo
viennese: lo studioso mozartiano Roger Hellyer ha addirittura avanzato
l'ipotesi che il pezzo potesse rappresentare un dono per Constanze in
occasione delle nozze, celebrate a Vienna il 4 agosto del 1782.

Sia come sia, nulla ci è dato sapere su una qualsiasi esecuzione pubblica del
brano durante la vita di Mozart. Anche in questo caso possiamo solo supporre
che «il grande pezzo per strumenti a fiato di un tipo molto speciale composto
da Herr Mozart» di cui parlava l'annuncio pubblicitario per il concerto dato al
Burgtheater di Vienna dal clarinettista Anton Stadler il 23 marzo del 1784 fosse
proprio la Serenata in si bemolle maggiore, o almeno una sua parte.

Fin dall'apertura la Serenata a"erma la sua divergenza dalle convenzioni del


genere: anche se le nostre orecchie moderne non possono più rendersene
conto, le quattordici battute di introduzione lenta (Largo), che sarebbero
assolutamente normali in un quartetto o in una sinfonia, in una serenata fanno
più o meno l'e"etto di una persona che si presenti a un pique-nique vestita in
abito da sera. Non c'è da stupirsi se dopo un simile incipit il gioioso ma
sapientissimo Allegro molto che lo segue si apra nello sviluppo a una scrittura
più contrappuntistica e a brevi momenti di malinconia in tonalità minore e se
perfino il solido Menuetto contenga al suo interno un primo Trio che si
configura come un delicato notturno per soli clarinetti e corni di bassetto e un
secondo Trio increspato da un poeticissimo e malinconico dialogo fra oboe e
clarinetto.

Quanto poi all'Adagio che segue, siamo forse di fronte a una delle pagine di
più ine"abile bellezza di tutta la letteratura musicale; e non è andato troppo
lontano dal vero Peter Sha"er, che nella prima scena della sua commedia
Amadeus, poi portata sul grande schermo da Milos Forman, fa dire a Salieri
all'ascolto di questo Adagio: «Mi sembrò di aver sentito la voce di Dio!». Segue
un giocoso Menuetto che, se rimane sereno e cantabile anche nel secondo
Trio, dal tono rassicurantemente popolareggiante, nasconde nel suo cuore un
primo Trio in minore dai toni misteriosi e inquietanti. Perfino la Romanze, altro
momento di sospensione lirica, contiene al suo interno un agitato Allegretto in
minore, mentre lo spensierato Tema con variazioni che segue o"re a turno a
tutti gli strumentisti la possibilità di salire alla ribalta; ma anche qui la quarta
variazione sembra anticipare voci e colori di alcune pagine della Zauberflöte.
Questo capolavoro davvero straordinario, in cui Mozart usa con inarrivabile
maestria la tavolozza o"ertagli da un ensemble di strumenti a fiato, si chiude
gioiosamente con un brevissimo e festoso Rondò di sapore turco, forse la
pagina più in sintonia con le esigenze di una normale serenata per Harmonie.
Carlo Cavalletti

Serenata per fiati n. 11 in mi bemolle maggiore, K 375

https://www.youtube.com/watch?v=anOHvauXQXU

https://www.youtube.com/watch?v=XmKjNMOleCg

Allegro maestoso (mi bemolle maggiore)


Minuetto I e trio (mi bemolle maggiore)
Adagio (mi bemolle maggiore)
Minuetto II e trio (mi bemolle maggiore)
Allegro (mi bemolle maggiore)

Organico: 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni - Nel 1782 aggiunti 2 oboi


Composizione: Vienna, ottobre 1781
Prima esecuzione: Vienna, residenza del pittore von Hickel, 15 ottobre 1781
Edizione: Andrè, O"enbach 1792

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel Settecento si usavano indi"erentemente i termini di Cassazione,


Divertimento o Serenata per designare lavori tra loro molto simili composti per
feste, intrattenimenti, celebrazioni o circostanze solenni ma dal carattere
musicale di solito un po' standardizzato. Con Mozart il genere della Serenata,
pur conservando la forma tradizionale basata sull'accostamento di pezzi
diversi (di solito sette o otto, dei quali due o tre fanno intervenire uno
strumento solista), assume connotati nuovi, sia per la ricercatezza della
scrittura strumentale, che in alcuni casi acquista un taglio sinfonico, sia per la
varietà nella scelta degli organici.

Negli anni viennesi Mozart compose alcune Serenate per strumenti a fiato,
destinate ad esecuzioni all'aperto, come era consuetudine per le musiche con
questo tipo di organico: nel febbraio del 1781 scrisse ad esempio la Serenata
in si bemolle maggiore K. 361 (il titolo Gran Partita che compare sull'autografo
non è di mano di Mozart) per dodici fiati - due corni, due clarinetti, due corni
di bassetto, due fagotti, quattro corni più un contrabbasso -, che esplora tutti i
possibili amalgami e combinazioni timbriche tra i diversi strumenti, giocando
anche su diversi registri stilistici e espressivi. Nell'ottobre dello stesso anno
diede alla luce la Serenata K. 375, originariamente scritta per sei fiati (due
clarinetti, due corni e due fagotti) e poi rielaborata per otto, con l'aggiunta di
due oboi che riprendono parte delle linee dei clarinetti (anche se la sonorità dei
clarinetti resta dominante). Mozart fece questa rielaborazione nel luglio del
1782, proprio mentre componeva la Serenata in do minore K. 388, scritta
direttamente per otto fiati, ed è verosimile che il titolo Nacht Musique, che
menziona in una lettera dello stesso mese, non si riferisse a quest'ultimo
lavoro ma piuttosto alla versione per ottetto della Serenata K. 375.

Se la K. 388 appare già assai lontana dai modelli tradizionali, per la tonalità
minore, per l'articolazione in quattro movimenti (come una Sinfonia), per lo
stile insolitamente grave, anche la Serenata K. 375, in cinque movimenti,
mostra molti aspetti originali, giocando in maniera ambivalente su elementi
convenzionali e soluzioni innovative, rinunciando per esempio al tono
estroverso e chiassoso tipico del genere, e introducendo squarci quasi
romantici.

Questa ambivalenza emerge chiaramente nel primo movimento (Allegro


maestoso) che inizia con un tema vecchio stile ma poi alterna momenti
intimistici, languidi o appassionati, un secondo tema in si bemolle dal carattere
molto espressivo, improvvisi silenzi che creano emozionanti e"etti di
sospensione. Dopo il breve sviluppo, tonalmente enigmatico e capace di
condensare una grande varietà di umori, la ripresa presenta, in maniera
abbastanza sorprendente, un motivo del tutto nuovo al posto del secondo
tema, a!dato al corno solo e con un andamento di Gavotta. La coda ripropone
il primo tema e il movimento finisce in pianissimo, spegnendosi su un delicato
frammento melodico dell'oboe.

Il secondo e il quarto movimento sono due Minuetti in stile haydniano (poiché


nell'autografo compaiono come copie allegate, anche con una diversa
numerazione delle pagine, si può ipotizzare che non appartenessero
originariamente alla Serenata), il primo con un Trio esteso e dal tono grave, il
secondo con un Trio ingenuo dal sapore di Musetta.

Questi due Minuetti inquadrano un Adagio, che è anche il cuore emozionale di


tutta la Serenata, dominato dal melodizzare ampio e cantabile delle prime
parti, «una vera scena d'amore - come lo ha definito Hermann Abert -, tutto un
profluvio di sentimenti, un sussurrare grazioso e discreto, e palese è anche la
presenza della natura».

La Serenata si conclude con un Allegro, in forma di rondò-sonata, basato su un


tema saltellante dal gusto popolaresco, che riporta al clima festoso e svagato
tipico delle Serenate, e su chiari rimandi tematici tra gli episodi (il primo è
introdotto da un tema ascendente del corno solo, che poi viene ripreso ed
elaborato contrappuntisticamente nel secondo episodio).

Gianluigi Mattietti
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Don Giovanni, seduto a una tavola riccamente imbandita, mangia e si diverte


alle spalle del servitore Leporello che, a"amato, s'ingozza cercando di non
farsi vedere dal padrone. Sullo sfondo una musica conviviale, suonata da un
piccolo complesso di fiati, nella quale si riconoscono le citazioni delle opere
teatrali allora più in voga. In questa scena si riflette un'usanza assai comune
presso le case nobili e borghesi di fine Settecento: le riunioni conviviali, le feste
in genere, erano accompagnate da un sottofondo musicale, eseguito da un
piccolo complesso di strumenti a fiato o ad arco. Vi prendevano parte musicisti
in servizio militare o servitori, di livello non sempre altissimo; ma in certi casi,
come presso la corte imperiale, il complesso era formato da eccellenti
strumentisti, provenienti in genere dalla Boemia, terra che a quei tempi forniva
i migliori virtuosi. Il repertorio, accanto a poche composizioni originali,
comprendeva soprattutto trascrizioni e arrangiamenti di musiche tratte da
opere, balletti, sinfonie.

In questo repertorio, gli strumenti a fiato - che verso la fine del Settecento
potevano ormai competere con gli archi, grazie ai progressi tecnici, per agilità
e intonazione - ebbero un ruolo di rilievo. L'organico poteva variare molto, ma
si stabilizzò quando l'imperatore Giuseppe II, nell'aprile del 1782, promosse la
formazione di un ottetto di fiati (costituito da due oboi, due clarinetti, due
corni e due fagotti: il complesso era chiamato, in Austria, Harmoniemusik), da
impiegare sia per l'intrattenimento della corte sia per esecuzioni pubbliche.
Seguirono l'esempio dell'imperatore altri esponenti dell'aristocrazia, cosicché
già a metà degli anni Ottanta si esibivano complessi di fiati nei principali
palazzi nobiliari viennesi. Ciò fece lievitare la richiesta di composizioni per
questa formazione, che vennero prodotte a centinaia adattando soprattutto le
arie delle opere teatrali di successo. Mozart diede anch'egli un contributo al
genere, componendo tre serenate per strumenti a fiato negli anni del
soggiorno a Vienna.

Una prima versione della Serenata in mi bemolle maggiore KV 375 fu preparata


da Mozart, nell'ottobre del 1781, per un'occasione privata, con lo scopo
indiretto di fare sentire musica sua a Strack, camerlengo imperiale, persona
molto influente a corte in materia di musica. Questa prima stesura era
destinata a una formazione di due clarinetti, due corni e due fagotti. In seguito
- probabilmente nell'anno successivo, per un'occasione che ci è sconosciuta -
Mozart ne elaborò una nuova versione, aggiungendo due oboi all'organico. Il
rifacimento è così accurato che non lascia indovinare l'esistenza di una
versione precedente; furono aggiunte, tra le altre cose, nuove indicazioni per la
dinamica e l'articolazione, e anche le note furono qua e là modificate. È
possibile che la nuova versione della Serenata sia stata preparata per il
complesso di fiati del giovane principe Liechtenstein, appena costituito e
bisognoso di musica nuova.

Rispetto al carattere tradizionale di questo genere di composizioni, la Serenata


K 375 presenta novità di rilievo. È vero che l'attacco dell'Allegro maestoso, con
la sua sonorità pomposa, rientra in pieno nella tradizione; ma ciò che arriva
subito dopo rivela invece accenti molto personali: prima che venga raggiunta la
tonalità della dominante, una digressione inattesa, in modo minore, devia il
discorso verso un registro patetico, carico di accentuate implicazioni a"ettive.
Si tratta dell'inclinazione mozartiana, ben nota, per lo slancio passionale, per la
fantasticheria romantica: quella che il padre Leopold - uomo d'altri tempi -
osservava preoccupato nel figlio, considerandola il suo «lato oscuro». Tutto il
movimento, del resto, trascorre nell'alternanza tra lo stile svagato della
serenata e inflessioni più serie. L'episodio patetico compare nuovamente al
termine dello sviluppo, ma è tralasciato nella ripresa, dove al suo posto
interviene un nuovo tema del corno, questo sì nel puro stile della serenata
settecentesca.

Un'identica alternanza espressiva si ritrova nel primo dei due Minuetti. Qui
infatti alla sonorità piacevole, al carattere disteso e aggraziato del Minuetto si
contrappone l'enfasi espressiva del Trio, nel quale il modo minore, gli sforzati
ravvicinati, le contrapposizioni foniche e dinamiche richiamano l'altro lato della
personalità mozartiana.

Ancora diverso è l'atteggiamento espressivo dell'Adagio: un lirismo contenuto


e profondo, che si manifesta nel fluire intenso della melodia, nella quale si
avverte una sensibilità già romantica. Il movimento è in forma di lied ternario;
una forma ampliata, tuttavia, e contaminata col principio della forma sonata (i
due temi della prima parte, il secondo dei quali è alla dominante, sono
ripresentati alla fine entrambi in tonica).

Il secondo Minuetto mostra un Mozart dall'atteggiamento scanzonato, quasi


provocatorio: temi dal ritmo ben scandito, movenze da danza rustica più che
di corte, inflessioni bizzarre (tra l'altro, un curioso rallentando nella seconda
parte del Minuetto). Il Finale (Allegro) si mantiene nel più perfetto spirito della
serenata tradizionale. Un tema popolaresco, dal brio incontenibile, funge da
ritornello ed è condotto attraverso le chiare architetture del rondò. La scrittura
mozartiana recupera, qui più che in ogni altro luogo, tutta l'amabilità, la
naturalezza e la spontanea gioia di vivere che nella Vienna dell'epoca dovevano
risuonare a ogni angolo di strada.

Claudio Toscani

Serenata per fiati n. 12 in do minore "Nachtmusik", K 388 (K 384a)


https://www.youtube.com/watch?v=4GzZqjET0Zc

https://www.youtube.com/watch?v=8xX6IyjxY40

Allegro (do minore)


Andante (mi bemolle maggiore)
Menuetto in canone con trio (do minore)
Allegro (do minore)

Organico: 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni


Composizione: Vienna, 30 Luglio 1782
Edizione: Kühnel, Lipsia 1811

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nessun musicista ha mai eguagliato la spontanea sensibilità di Mozart per le


caratteristiche timbriche più naturali dei vari strumenti a fiato: ne sono la
dimostrazione non solo i Concerti da lui dedicati al clarinetto, all'oboe, al
flauto, al corno e al fagotto ma anche e soprattutto le sue musiche per
ensemble di soli fiati. Queste composizioni erano indicate con nomi diversi
(Serenate, Divertimenti, Cassazioni, Notturni, Partite) ma erano
sostanzialmente simili e appartenevano tutte a un unico genere di musica,
destinata ad allietare le feste della nobiltà e dell'alta borghesia. Facevano
dunque parte della vita della buona società austriaca durante quella sorta di
felice e gaudente belle époque che precedette la Rivoluzione del 1789: non a
caso Mozart stesso non dimentica, tra i piaceri della vita dì cui circonda Don
Giovanni, una cena al suono di un piccolo gruppo di strumenti a fiato.

La forma e il numero dei movimenti delle Serenate e delle composizioni a!ni


erano variabili, mentre una costante era il tono disimpegnato, gradevole e
semplice: questo carattere informale contribuiva non poco al fascino di una
musica nata con il modesto scopo di fornire un sottofondo musicale al
chiacchiericcio e al rumore di bicchieri e posate. Però nella produzione
mozartiana di musiche di questo tipo troviamo - oltre alle brevi e
disimpegnate composizioni degli anni di Salisburgo, che comunque hanno
qualità artistica molto superiore a quel che la loro destinazione e!mera
meritasse - anche tre lavori di dimensioni e ambizioni maggiori, scritti a
Monaco di Baviera e a Vienna nel 1781 e 1782, che hanno qualcosa
d'enigmatico, perché il loro carattere serio e la loro scrittura complessa
appaiono incompatibili con le occasioni in cui venivano solitamente eseguite le
Serenate.
Di questo piccolo gruppo di composizioni fa parte la Serenata in do minore K.
388, che al carattere enigmatico cui si è appena accennato unisce anche il
mistero della sua destinazione. Per chi fu scritta e per quale occasione? È stato
suggerito che il principe Schwarzenberg o il giovane principe Liechtenstein
potrebbero esserne stati i committenti, ma non sarebbero rimasti sorpresi,
disorientati, irritati e perfino spaventati da questa Serenata così particolare,
così appassionatamente personale nell'espressione? E come conciliare la sua
drammaticità col fatto che fu composta in uno dei momenti più felici della vita
di Mozart, nel luglio 1782, pochi giorni dopo il trionfo della sua opera comica
Il ratto dal serraglio al Burgtheater di Vienna e immediatamente prima del
tanto desiderato e sospirato matrimonio con Konstanze?

Già la sola scelta del tragico do minore per questo genere di composizioni, che
di norma dovevano avere la leggerezza, l'eleganza e la disinvoltura dello stile
"galante", era un fatto eccezionale e annunciava un particolare impegno
espressivo. Come il sol minore, anche il do minore è una tonalità emblematica
del mondo spirituale di Mozart: se il sol minore è angoscioso, tenebroso e
agitato, il do minore è immerso in un'atmosfera più tragica ma più oggettiva, è
più cupo ma più composto, come se Mozart vedesse in questa tonalità la
manifestazione d'un potere trascendente e fatale.

L'Allegro iniziale è basato su un gruppo di temi concisi e marcatamente


contrastanti, che creano un'atmosfera tragica più fortemente rilevata e più
ampiamente articolata che in ogni altra precedente composizione di Mozart.
L'atmosfera si rasserena nell'Andante, in mi bemolle maggiore: è un
movimento relativamente breve, in cui i vari strumenti dialogano pacatamente
tra loro, con toni d'intenso lirismo. Le Serenate avevano normalmente due
Minuetti, che contribuivano al loro carattere leggero e disimpegnato, ma
Mozart questa volta ne scrisse uno solo, dando così a questa composizione la
struttura più compatta e severa d'una Sinfonia: si tratta d'un Menuetto in
canone, costruito su lunghe linee contrappuntistiche che passano tra i vari
strumenti, seguendo una tecnica imitativa non troppo rigida. Il finale è un
Allegro, suddiviso in un tema e sette variazioni: il tema, in do minore, è una
svelta melodia dal profilo semplice e ben definito, le variazioni sono
fortemente caratterizzate e delineano un percorso emotivo simmetrico,
sfociando nella ripresa del tema iniziale, questa volta in un luminoso e vivace
do maggiore.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 27 luglio 1782, mentre il «Ratto dal Serraglio» conquistava i viennesi, Mozart


si scusava per lettera col padre di non aver potuto portare a termine la Sinfonia
commissionatagli per il borgomastro di Salisburgo Siegmund Ha"ner. Ed
aggiungeva: «Non potevo fare altrimenti, ho dovuto comporre in fretta una
serenata, ma soltanto per fiati, altrimenti avrei potuto utilizzare la musica per
voi.»

Il committente della «Serenata» in do minore e l'occasione della composizione


sono rimasti sconosciuti. Ma, composta per un viennese, l'opera stessa
annunzia il distacco di Mozart dal mondo salisburghese e dalle sue serenate
«en plein air», e rivela le speranze che il musicista riponeva nell'attività di
libero professionista a Vienna. Mentre i precedenti lavori per fiati restano
nell'orbita della musica di circostanza, serenate introdotte da una marcia, con
l'espansione lirica dell'adagio incastonata fra due minuetti, la serenata in do
minore schiude alla musica da camera le peripezie delle passioni private, tanto
quelle dell'artista alle soglie dei turbamenti romantici, quanto quelle del
compositore impegnato a sondare le grandi forme, quelle attraverso cui la
musica tedesca pretenderà di rappresentare la totalità dell'umano. Saranno ora
i caratteri scuri o patetici del primo allegro, la pensosità dell'adagio,
l'inclinazione seriosa del minuetto in canone, col trio a canone rovesciato, un
avventurarsi della piccola arte verso mete ambiziose, cui non si sottraggono
neppure le variazioni conclusive, presaghe di tanti tumulti che verranno
associati alla tonalità di do minore.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nell'aurea Vienna mozartiana si a"erma, negli anni della meravigliosa Serenata


in do minore K 388 ( 1782) il termine Harmoniemusik promosso in primis
dall'imperatore Giuseppe II: indicava musica ideata soprattutto per gruppo di
fiati, di solito nella formazione di un equilibratissimo ottetto, che eseguisse
durante le feste, in saloni o durante banchetti en plain air, pagine ra!nate di
intrattenimento: raccolta attorno a titoli del tutto suggestivi e attraenti come
Divertimenti, Notturni, Cassazioni e Serenate. Nel Finale dell'opera Don
Giovanni (scena XV), un'orchestrina di fiati esegue di fronte al padrone stralci
in citazione di brani di Martin y Soler, Giuseppe Sarti e infine "Non più andrai
farfallone amoroso" dalle Nozze di Figaro. Così recita il testo di Da Ponte: «Sala
illuminata in casa di Don Giovanni: una mensa preparata per mangiare»; qui il
nobile, simbolo per eccellenza del "potere", si intrattiene a mangiare
avidamente, intrattenuto nello svago dalla formazione caratteristica di
Harmoniemusik. E Mozart, con precisione, diremmo, "filologica", fa suonare in
questo frangente l'ottetto caratteristico distaccandolo dall'orchestra: una
citazione colta, indicante sottotraccia una precisa tipologia. Tuttavia, va detto,
accanto a questo uso entrato nel luogo comune della cultura viennese di
musica-tipo dell'aristocrazia, proprio lo stesso Mozat ci presenta un versus
di"erente: Harmoniemusik infatti poteva far riferimento non solo a una
modalità diciamo così, "leggera", ma riferirsi, ad esempio, all'uso di un
repertorio più severo e riferito a significati sotterranei se non addirittura
simbolici.

Riflesso di un ideale di suprema armonia universale, le formazioni di


Harmoniemusik erano correntemente in uso anche nelle logge massoniche. In
questo caso couleur locale e ambientazione della Serenata in questione, la K
388, ci paiono davvero vicine, nelle tinte, nei modi, nelle tecniche, all'idea di
qualcosa di profondo, almeno nella concezione "poetica" di riferimento. Inoltre
spicca in molte sezioni una scrittura pienamente contrappuntistica, severa e
molte sono le fasi polifoniche, in stile imitativo, seppur mitigate da una
straordinaria eleganza di scrittura. Così davvero la Serenata K 388 è, più che
musica di intrattenimento, musica "seria" e non casualmente la sua architettura
si modella sopra il calco articolato di una Sinfonia, esibendo come forma
generale due tempi esterni veloci, con all'interno un Andante e un Minuetto
con Trio. Non è un mistero come Mozart stesso avesse cancellato il titolo
originario "Parthia", ovvero Partita, vicina all'idea di suite di danza, per il più
e!cace Serenata: un titolo prossimo al carattere del brano e coerente con la
struttura delle Sinfonie o delle Serenate orchestrali. Infine, per completare il
quadro, va ricordato come alcuni anni dopo, nel 1788, Mozart trasformasse
questo "originale" in una struttura del tutto tradizionale e "impegnata" come
quella o"erta dal Quintetto K 406/516b per strumenti ad arco.

Nel primo tempo un Allegro in forma sonata, il genio di Salisburgo disegna


nell'inusuale ambiente tonale o"erto da un cupo e drammatico do minore un
tema del tutto sui generis: un forte di tutti gli strumenti in unisono
letteralmente scolpisce nel marmo il disegno principale, presto piegato dentro
curvi intervalli di settima e contrassegnato da incisi intensi e lamentosi; un
ponte modulante porta il discorso al secondo tema, che o"re un'idea rotonda
in mi bemolle maggiore. Nello sviluppo l'elaborazione conferma l'intenso clima
espressivo, spesso esaltato dalle pitture sonore dipanate su frequenti
modulazioni e spettacolari progressioni, prima che la ripresa riporti i due
elementi dentro il quadro fosco sonoro o"erto dal tono d'impianto.

L'Andante presenta un primo tema in mi bemolle maggiore dal tenue lirismo.


Tutto si muove come in un'ambiente ovattato, mentre il secondo elemento alla
dominante si bemolle maggiore è un'aurorale arcata lasciata scorrere
dall'emergere solistico dell'uno o dell'altro strumento, mentre il gruppo
sostiene e accompagna dentro un morbido cuscino armonico. La pagina
ricorda l'idea incantata di Romanza; una sezione centrale che funge da
tranquilla fase sviluppativa lascia echeggiare i tratti del primo dei due temi,
che rimangono come echeggiati sottovoce. È solo un'esitazione ed ecco che
presto ci troviamo di fronte a una ripresa del materiale motivico, definita da
entrambi i temi che, con un so!o "pastorale", conducono il tempo a
conclusione.

Il Menuetto in canone con Trio toma alle striature più scure del do minore però
tendenti nel prosieguo verso il più gentile mi bemolle, presentando una prima
linea motivica in canone tra la coppia di oboi e quella dei fagotti, mentre
clarinetti e corni servono un ripieno ricco di colori; un secondo elemento di
Minuetto mantiene spunti imitativi passando con particolare naturalezza dal mi
bemolle maggiore al sol minore per infine tornare al do minore di partenza:
davvero un saggio mozartiano di capacità alchemica di combinare la severità di
uno stile con il gusto del colore. Nel Trio la tessitura si dirada e Mozart unisce
questa scelta a un ulteriore schiarimento tonale che conferisce serenità di
fondo, passando al do maggiore in alternanza al sol: tutto questo è però
scritto con una tecnica prodigiosa e autorevole in canone rovesciato tra le voci
che vengono trattate come singoli solisti in contrappunto imitativo.

L'ultimo tempo è un Allegro nella forma di un tema con variazioni. Il tema in


do minore, disposto nella classica doppia arcata, è un motto di particolare
pregnanza. Nitido e scorrevole, fluisce dentro un autentico microcosmo di
caratteri definito da otto rielaborazioni. Esse rappresentano un saggio
mozartiano di autentica bellezza: laddove si passerà da movenze nette e
virtuosistiche ad altre più liriche, da ritmi intensi e baldanzosi a esaltazioni e
slanci, così come a ricche ombreggiature su citazioni naturalistiche. Così dalla
prima, variazione "eroica" e scattante, ecco la seconda lasciata al canto garrulo
dell'oboe e la terza, giocata su elastiche sincopi di oboe e fagotto, mentre la
quarta è massiccia ed echeggiante, sostenuta dal fagocitante moto dei fagotti
al basso e dagli squillanti trilli dell'oboe. Pastorale la quinta, ricca com'è di
cinguettanti incisi e giocata sul topos della foresta imbastito dalle risonanze-
richiamo dei corni, mentre è l'impasto sonoro o"erto dalla base dei clarinetti
che informa la sesta; ancora i corni fanno da incipit alla settima variazione,
echeggiati dai clarinetti, salvo poi lasciare spazio alla sinfonia sonora definita
dall'oboe contrappuntato virtuosisticamente dal fagotto; l'ottava e ultima è
dolce e corale e nell'originalissima miscela timbrica che se ne genera
traspaiono pennellate in chiaroscuro e tenui sussurri, sfruttando l'aura
prodotta dal sottile gioco di imitazione e dalla successione di morbide
dissonanze su ritardi. E un clima di incertezza, questo, sottolineato da
sorprendenti soluzioni armoniche esibite nelle ultime battute: un e"etto
teatrale che prepara il ritomo del tema principale, questa volta nel solare do
maggiore.

Marino Mora

Composizioni per archi e fiati


Adagio e Rondò per Glasharmonika, K 617

https://www.youtube.com/watch?v=Y1SSAVAdj0Q

https://www.youtube.com/watch?v=zcZdqAF-hM8

Adagio (do minore)


Rondò. Allegretto (do maggiore)

Organico: glassharmonica, flauto, oboe, viola, violoncello


Composizione: Vienna, 23 maggio 1791
Prima esecuzione: Vienna, Kärntnertor Theater, 19 agosto 1791
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1791

Scritto per Marianne Kirchgässner

Guida all'ascolto (nota 1)

Questo pezzo è originariamente scritto per armonica, flauto, oboe, viola e


violoncello.

L'armonica, chiamata oggi tautologicamente «armonica di


vetro» («Glasharmonika») per non confonderla con un più moderno strumento
popolare, fu uno degli strumenti favoriti dal pubblico del Settecento.
L'armonica è costituita da una ventina di coppe di cristallo di vario diametro e
spessore, infilate ad un asse rotante in una cassa di risonanza di legno.
Malgrado la limitatezza della gamma sonora (che non supera il sol medio),
l'esecutore, premendo con le dita umide sul bordo dei cristalli in rotazione,
riesce a trarre dallo strumento un suono dolce e cupo, di particolare fascino,
che ispirò addirittura una «cantata» al nostro Metastasio.

Per Marianna Kirchgassner, celebre virtuosa cieca dello strumento, Mozart


scrisse a Vienna nel 1791 un Adagio solistico in do maggiore (Köchel 356;
Einsteiu 617a) e un Adagio e Rondò in do minore (Köchel e Einstein 617) per
un complesso di strumenti che all'armonica unisce un flauto, un oboe, una
viola e un violoncello. Einstein definisce questo Adagio e Rondò «una delle
opere divine» di Mozart, la «controparte strumentale dell'Ave verum», «di una
bellezza ultraterrena nell'introduzione (in minore) e nel rondò (in maggiore)».

Carlo Marinelli

Quartetto per flauto n. 1 in re maggiore, K 285


https://www.youtube.com/watch?v=5idGOzDmk4o

Allegro (re maggiore)


Adagio (si minore)
Rondò. Allegretto (re maggiore)

Organico: flauto, violino, viola, violoncello


Composizione: Mannheim, 25 dicembre 1777

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto in re maggiore K. 285, il primo di una serie composta un po'


contro volontà (e non terminata) per l'olandese De Jean (Mozart non amò
particolarmente il flauto), è del periodo di Mannheim, e precisamente del
dicembre 1777. Il flauto domina incontrastato in tutti e tre i tempi: viola e
violoncello nell'Allegro si limitano a qualche intervento di natura
essenzialmente ritmica giacché anche nello sviluppo dal punto di vista
armonico non ci sono eventi particolari, solamente il violino per poche battute
è trattato al pari del flauto. L'Adagio in si minore con i caratteristici 'sospiri'
mannheimiani si annovera tra i più bei tempi di tutta la letteratura flautistica:
lo strumento a fiato con la sua melodia malinconica è come esaltato dai
delicatissimi pizzicati degli archi. Conclude il Quartetto un Rondò tra i più
impegnativi per il violinista, la cui parte di accompagnamento si rivela una
sorta di perpetuum mobile che fa da sfondo al protagonismo del flauto accanto
al quale il violino stenta ad a"ermarsi.

Johann Streicher

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I problemi di datazione e di autenticità in merito alla genesi dei quattro


quartetti per flauto, violino, viola e violoncello di Wolfgang Amadeus Mozart si
sono rivelati, nel corso degli anni, sempre più complessi. Il nutrito epistolario
mozartiano in merito ha contribuito a confondere il quadro generale invece di
fare chiarezza e, sostanzialmente, per anni si è creduto che tutti e quattro i
quartetti fossero stati composti nell'arco di 20 mesi, fra il dicembre del 1777 e
l'agosto del 1778, a Mannheim i primi tre (K285, K28Sa e K285b) e a Parigi il
quarto (K298). Ebbene, la realtà è diversa ed è necessario, per meglio
comprendere le molte e importanti discrepanze con le correnti convinzioni,
ripercorrere fin dal principio la storia dei quattro quartetti.

Nella lettera che Wolfgang spedì al padre il 10 dicembre 1777 si fa esplicito


riferimento all'o"erta di 200 fiorini, da parte del flautista dilettante olandese
Ferdinand Dejean, per la stesura di «tre piccoli, facili e brevi concerti, oltre a
un paio di quartetti con flauto». In una lettera successiva Mozart lamenta la
partenza per Parigi del committente e l'aver ricevuto solo 96 fiorini, dei 200
promessi, in quanto non aveva potuto consegnargli che «due concerti e tre
quartetti». Ciò nonostante il 20 luglio del 1778 Mozart, scrivendo al padre da
Parigi, fa menzione, fra i lavori ultimati, solo a «due quartetti con flauto»
mentre, tre mesi più tardi, il 3 ottobre 1778 tornerà a far cenno a «tre quartetti
e al concerto per flauto». Stante questa situazione di informazioni
contraddittorie dobbiamo rifarci ai dati oggettivi che, almeno in parte,
possediamo e procedere a una classificazione singola per ogni quartetto.

Il Quartetto in re maggiore K 285, di cui esiste il manoscritto autografo che


reca in epigrafe la data del 25 dicembre 1777, rappresenta un capolavoro
assoluto sia per il superamento delle convenzioni dello stile galante che per la
qualità dell'invenzione tematica. I maggiori studiosi dell'opera mozartiana
concordano nel definire questo lavoro come un'opera eccellente: Hermann
Abert scrive: «... importante è il primo tempo, con la sua accurata condotta
delle parti, l'appassionato sviluppo molto esteso ma tematicamente qualificato.
Il tempo più originale è quello di mezzo, con una melodia del flauto
accompagnata a guisa di romanza da un pizzicato...». E ancora Alfred Einstein
segnala che «... nessuno potrebbe mai immaginare che non sia stato composto
con amore. L'Adagio dolcemente melanconico è forse il più bel "solo"
accompagnato che sia mai stato scritto per flauto». Dei lavori di Mannheim,
scritti su commissione, questo fu il solo a essere ben accetto dal committente
Dejean per stile, melodie e lunghezza.

Gian-Luca Petrucci

Quartetto per flauto n. 2 in sol maggiore, K 285a

https://www.youtube.com/watch?v=fXiWOmGdj8o

Andante (sol maggiore)


Tempo di minuetto (sol maggiore)

Organico: flauto, violino, viola, violoncello


Composizione: Mannheim, 25 dicembre 1777 - 14 febbraio 1778

Incompleto; manca il terzo movimento

Guida all'ascolto (nota 1)

I problemi di datazione e di autenticità in merito alla genesi dei quattro


quartetti per flauto, violino, viola e violoncello di Wolfgang Amadeus Mozart si
sono rivelati, nel corso degli anni, sempre più complessi. Il nutrito epistolario
mozartiano in merito ha contribuito a confondere il quadro generale invece di
fare chiarezza e, sostanzialmente, per anni si è creduto che tutti e quattro i
quartetti fossero stati composti nell'arco di 20 mesi, fra il dicembre del 1777 e
l'agosto del 1778, a Mannheim i primi tre (K285, K28Sa e K285b) e a Parigi il
quarto (K298). Ebbene, la realtà è diversa ed è necessario, per meglio
comprendere le molte e importanti discrepanze con le correnti convinzioni,
ripercorrere fin dal principio la storia dei quattro quartetti.

Nella lettera che Wolfgang spedì al padre il 10 dicembre 1777 si fa esplicito


riferimento all'o"erta di 200 fiorini, da parte del flautista dilettante olandese
Ferdinand Dejean, per la stesura di «tre piccoli, facili e brevi concerti, oltre a
un paio di quartetti con flauto». In una lettera successiva Mozart lamenta la
partenza per Parigi del committente e l'aver ricevuto solo 96 fiorini, dei 200
promessi, in quanto non aveva potuto consegnargli che «due concerti e tre
quartetti». Ciò nonostante il 20 luglio del 1778 Mozart, scrivendo al padre da
Parigi, fa menzione, fra i lavori ultimati, solo a «due quartetti con flauto»
mentre, tre mesi più tardi, il 3 ottobre 1778 tornerà a far cenno a «tre quartetti
e al concerto per flauto». Stante questa situazione di informazioni
contraddittorie dobbiamo rifarci ai dati oggettivi che, almeno in parte,
possediamo e procedere a una classificazione singola per ogni quartetto.

Il Quartetto in sol maggiore K 285a, il cui manoscritto è perduto, fu pubblicato


a Vienna dopo la morte di Mozart, in parti separate che prevedevano, insieme
ai due movimenti Andante e Minuetto, l'inserimento dellAllegro tratto dal
Quartetto in re maggiore K 285. Identificato dal musicologo francese Marie
Olivier Georges du Parc Poulain conte di Saint-Foix, è considerato il secondo
quartetto scritto a Mannheim per Dejean fra il dicembre 1777 e il febbraio
1778.

Gian-Luca Petrucci

Quartetto per flauto n. 3 in do maggiore, A 171 (K6 285b)

https://www.youtube.com/watch?v=JGQc3udgQeQ

Allegro (do maggiore)


Andantino (do maggiore)

Organico: flauto, violino, viola, violoncello


Composizione: Mannheim, 25 dicembre 1777 - 14 febbraio 1778
Edizione: Artaria, Vienna 1778
Incompleto; manca il terzo movimento

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto in do maggiore per flauto e archi K. 171, così come viene indicato
nell'appendice (Anhang) del catalogo Koechel, è un Allegro con un Andantino
per flauto violino, viola e violoncello scritto da Mozart a Mannheim tra gennaio
e febbraio del 1778 e improntato ad un gusto classico che mira ad inserire in
un giusto dosaggio il timbro del flauto nel gioco degli archi. La composizione è
avviata dal canto del flauto, ripreso all'ottava inferiore dal violino e seguito da
un ritornello dei quattro strumenti. Ancora il flauto espone il secondo tema,
sviluppato dal violino e contrappuntato dai vari strumenti come un tema con
variazioni su cambiamento di tonalità, da sol minore a re minore. L'attenzione
dell'ascoltatore è richiamata dalla linearità e dalla espressività delle
modulazioni, indicative anche in questo caso della genialità inventiva
mozartiana.

Questo Quartetto, noto anche nella numerazione K. 285b, si collega agli altri
due Quartetti, in re maggiore K. 285 e in sol maggiore K. 285a, perché
composti per lo stesso organico strumentale (flauto e archi). In fondo i
Quartetti K. 285a e K. 285b si richiamano maggiormente allo stile di Johann
Christian Bach, quanto mai elegante e misurato negli e"etti, e secondo Einstein
si ritrova nel finale del K. 285b la versione originale del tema con variazioni
della Serenata per strumenti a fiato K. 361
.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I problemi di datazione e di autenticità in merito alla genesi dei quattro


quartetti per flauto, violino, viola e violoncello di Wolfgang Amadeus Mozart si
sono rivelati, nel corso degli anni, sempre più complessi. Il nutrito epistolario
mozartiano in merito ha contribuito a confondere il quadro generale invece di
fare chiarezza e, sostanzialmente, per anni si è creduto che tutti e quattro i
quartetti fossero stati composti nell'arco di 20 mesi, fra il dicembre del 1777 e
l'agosto del 1778, a Mannheim i primi tre (K285, K28Sa e K285b) e a Parigi il
quarto (K298). Ebbene, la realtà è diversa ed è necessario, per meglio
comprendere le molte e importanti discrepanze con le correnti convinzioni,
ripercorrere fin dal principio la storia dei quattro quartetti.

Nella lettera che Wolfgang spedì al padre il 10 dicembre 1777 si fa esplicito


riferimento all'o"erta di 200 fiorini, da parte del flautista dilettante olandese
Ferdinand Dejean, per la stesura di «tre piccoli, facili e brevi concerti, oltre a
un paio di quartetti con flauto». In una lettera successiva Mozart lamenta la
partenza per Parigi del committente e l'aver ricevuto solo 96 fiorini, dei 200
promessi, in quanto non aveva potuto consegnargli che «due concerti e tre
quartetti». Ciò nonostante il 20 luglio del 1778 Mozart, scrivendo al padre da
Parigi, fa menzione, fra i lavori ultimati, solo a «due quartetti con flauto»
mentre, tre mesi più tardi, il 3 ottobre 1778 tornerà a far cenno a «tre quartetti
e al concerto per flauto». Stante questa situazione di informazioni
contraddittorie dobbiamo rifarci ai dati oggettivi che, almeno in parte,
possediamo e procedere a una classificazione singola per ogni quartetto.

Perduto è anche il manoscritto del Quartetto in do maggiore K 285b, che fu


per anni ritenuto il terzo quartetto della silloge composta per Dejean a
Mannheim e che venne datato entro la prima decade del mese di febbraio del
1778; è giunto a noi attraverso due edizioni, una del 1788 pubblicata in
Germania nella città di Spira dallo stampatore Heinrich Philipp Bossler e
un'altra tardiva del 1852. Considerato per molti anni apocrifo, è oggi, secondo
gli studi dei maggiori esperti, da considerarsi autentico. Tuttavia proprio le
prove della sua autenticità spostano in avanti nel tempo la data di
composizione di almeno tre o quattro anni e l'assegnano al periodo del
soggiorno viennese di Mozart. Dei due tempi che compongono il Quartetto K
285b - Allegro e Andantino, tema con variazioni - il tema variato è
praticamente uguale al penultimo movimento della Serenata per tredici
strumenti a fiato K 361 "Gran Partita", che risale appunto al periodo del
soggiorno a Vienna intorno al 1781-1782. Inoltre, a su"ragio dell'autenticità
del quartetto, esiste un appunto autografo di dieci battute del primo
movimento (batt. 148-158) scritto su un foglio che contiene anche un abbozzo
di un brano della commedia musicale Die Entführung aus dem Serail (Il ratto
dal serraglio) che fu composta, sempre durante il periodo viennese, fra il 1781
e il 1782 e rappresentata a Vienna presso il Burgtheater il 16 luglio 1782.

Gian-Luca Petrucci

Quartetto per flauto n. 4 in la maggiore, K 298

https://www.youtube.com/watch?v=UB3A6yJH42Y

Andantino (la maggiore)


Minuetto e trio (re maggiore)
Rondò. Allegretto grazioso (la maggiore)

Organico: flauto, violino, viola, violoncello


Composizione: Parigi, 23 marzo - 31 agosto 1778
Edizione: Traeg, Vienna 1808
Guida all'ascolto 1 (nota 1)
Nell'arco della vasta e cospicua opera mozartiana i Quartetti con uno
strumento a fiato (flauto o oboe, violino, viola e clavicembalo) occupano un
posto rilevante, in quanto non si distaccano da quello stile generico di musica
di intrattenimento di gusto tipicamente settecentesco. Si tratta dei Quartetti
contrassegnati dalle tonalità di re maggiore (K. 285), di sol maggiore, (K.
285a), di do maggiore (K. 285 b) e di la maggiore (K. 298), scritti (forse tranne
l'ultimo) fra il 1777 e il 1778. I primi tre furono composti durante il soggiorno
di Mozart a Mannheim, ridente città del Palatinato dove il musicista si era
recato alla ricerca di una sistemazione dignitosa, dopo aver lasciato il
so"ocante ambiente della corte dell'arcivescovo di Salisburgo. L'artista rimase
insieme alla madre a Mannheim per cinque mesi (26 ottobre 1777 - 14 marzo
1778), durante i quali contrasse una cordiale amicizia con alcuni
rappresentanti della fiorente e stimata scuola musicale locale, quali il direttore
d'orchestra e compositore Cannabich, l'oboista Ramm, il flautista Johann
Baptiste Wendling e il cornista Lang. Attraverso la mediazione di Wendling, che
ospitò il musicista nella sua casa, un olandese dilettante di flauto e ricco uomo
d'a"ari, certo De Jean, soprannominato confidenzialmente "l'indiano",
commissionò a Mozart "tre piccoli, facili e brevi concerti e due quartetti per
flauto", per i quali avrebbe corrisposto al compositore 200 fiorini.

Mozart dapprima si mostrò entusiasta della proposta e nel giro di otto giorni
annunciò al padre che «un quartetto per l'indo-olandese, per quel vero amico
del genere umano è quasi pronto». In un secondo tempo il compositore lavorò
a rilento, distratto anche da altri motivi, fra cui l'amore per la bella Aloysia
Weber (cinque anni dopo avrebbe sposato la sorella Costanza), figlia di Fridolin
Weber, cantante, copista e suggeritore al teatro di corte di Mannheim. Anche
se in ritardo sugli impegni presi, Mozart scrisse di nuovo al padre il 14
febbraio 1788, dicendo di aver terminato due Concerti per flauto e orchestra
(sono quelli indicati con il K. 313 e K. 314) e tre Quartetti per fiati e archi. Il De
Jean non rimase del tutto soddisfatto, tanto da consegnare al compositore
soltanto 96 fiorini al posto dei 200 promessi. Sembra che Mozart protestasse
per l'atteggiamento poco corretto di De Jean e si giustificasse per non aver
potuto lavorare serenamente, anche per la scarsa considerazione che aveva
verso il flauto (le parole esatte riferite da Mozart suonano così: «Mi sento del
tutto impotente quando sono obbligato a scrivere per uno strumento che non
sopporto»).

Certo, è risaputo che Mozart prediligeva il clarinetto e il corno fra gli strumenti
a fiato, ma questo non toglie che sapesse scrivere bene anche una parte di
flauto, come dimostrano i quartetti già citati e in particolar modo il Quartetto
K. 298, il cui manoscritto è conservato nella Biblioteca nazionale di Vienna. La
data di composizione di questo lavoro è controversa: qualcuno tra i musicologi
parla del 1778, altri ritengono che sia più logico spostarne la data di nascita
alla fine del 1786 o agli inizi del 1787, in quanto nel rondò si ascolta un'aria
dell'opera bu"a Le gare generose di Giovanni Paisiello, rappresentata a Vienna
nel settembre del 1786 e poi a Praga l'anno successivo (ad una di queste recite
assistette Mozart, secondo una lettera da lui inviata con la data del 15 gennaio
1787 al barone Gottfried von Jacquin). Nell'opera K. 298 sarebbero stati
utilizzati anche temi altrui, come un Lied di Franz Anton Ho"meister
rielaborato nel primo movimento e un antico e popolare rondò francese nel
trio del minuetto. La composizione si snoda con tono piacevole e brillante, sin
dall'Andante cantabile e di delicato lirismo all'italiana, arricchito da una serie di
spigliate variazioni, a!date volta per volta ai vari strumenti, prima di ritornare
al bel tema del flauto. Da sottolineare l'eleganza melodica e armonica del
Rondò e la fosforescente leggerezza dell'Allegretto conclusivo.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Quartetto in la maggiore K 298, di cui esiste il manoscritto autografo recante


in epigrafe l'indicazione spuria «Paris 1778», fu per lungo tempo annoverato
nel gruppo delle composizioni scritte per Dejean, ma è stato reso palese che
ciò non sia possibile, come anche non possa essere corretta l'indicazione
spuria, apposta sul manoscritto originale, di data e luogo di composizione.
L'opus K 298, secondo diversi studiosi, appartiene di diritto al genere del
quartetto "d'airs dialogués" particolarmente in voga nell'ambiente viennese,
che prevedeva l'utilizzo di melodie e temi tratti da brani celebri di estrazione
popolare o operistica. E in e"etti nel Quartetto K 298 il primo tempo, Tema
con variazioni, si basa sul lied An die Natur di Franz Anton Ho"meister; quello
del Minuetto, ovvero del secondo tempo, invece su una canzone popolare
francese, mentre il Rondò finale su un'aria di Paisiello tratta dall'opera Le gare
generose, che venne rappresentata nel 1786 e che Mozart ascoltò a Praga nel
1787. Ed è grazie a queste informazioni che sia la data che il luogo di
composizione del Quartetto K 298 possono essere motivatamente collocate al
di fuori dei brani scritti per l'incarico ricevuto a Mannheim. Un altro aspetto,
non marginale, relativo alla stesura del lavoro riguarda la strepitosa grafia del
titolo e delle prescrizioni di andamento del terzo movimento: Mozart scrisse di
suo pugno «Rondieaoux» e indica per il tempo «Allegretto grazioso ma non
troppo presto, però non troppo adagio. Così-così-con molto garbo ed
espressione». Potrebbe sembrare, e forse lo è, uno dei tanti scherzosi
divertimenti di cui l'epistolario mozartiano è pieno, ma c'è chi, come Alfred
Einstein, sostiene che «per mezzo della parodia Mozart sfogò l'ira e il
disprezzo per quella musica sciocca e insipida con cui un musicista poteva
conquistare fama e ricchezze».

Gian-Luca Petrucci

Quartetto per oboe in fa maggiore, K 370 (K 368b)

https://www.youtube.com/watch?v=SwTmzmi4AkQ
Allegro (fa maggiore)
Adagio (re minore)
Rondò. Allegro (fa maggiore)

Organico: oboe, violino, viola, violoncello


Composizione: Monaco, gennaio - marzo 1781
Edizione: Andrè, O"enbach 1802

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto in fa maggiore K. 370 fu composto a Monaco nel gennaio o nel


febbraio del 1781, accanto alla nascita di Idomeneo e poche settimane prima
della rottura con l'arcivescovo di Salisburgo. Come genere si connette ai tre
Quartetti per flauto e archi K. 285, 285b e 298, scritti tra il dicembre 1777 e
l'estate 1778 a Mannheim e Parigi; e le esperienze di agguerrita strumentalità
maturate nell'ambiente di Mannheim sono alla base anche del Quartetto con
oboe, composto per Friedrich Ramm, uno dei maggiori oboisti del suo tempo;
in particolare una certa vocazione concertante e virtuosistica, con la possibilità
anche di una piccola cadenza dell'oboe alla fine dell'Adagio, avvicinano il
lavoro al primo dei Quartetti con flauto; ciò che è diverso è la più alta qualità,
paragonata da Einstein a quella del famoso Quintetto con clarinetto, e già
annunciatrice della pienezza creativa raggiunta da Mozart al ritorno dal viaggio
a Parigi.

Il primo movimento (Allegro) è aperto dall'oboe con un tema dal sicuro passo
ascendente; lo strumento a fiato predomina in tutta la pagina, costruita su un
solo tema principale (come spesso in Haydn), sottoposto tuttavia a varie
trasformazioni. L'Adagio è in re minore, breve ma assai concentrato nel potere
espressivo (la «pienezza del sentimento» nell'esecuzione degli Adagio era fra
le virtù di Ramm più elogiate dai contemporanei). Il finale combina la forma del
rondò con la tecnica della variazione; l'avvicendarsi degli episodi, gli incastri
ritmici fra l'oboe e gli archi, un'eleganza memore del gusto francese ne fanno
un capolavoro di scrittura cameristica.

Giorgio Pestelli

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Come ogni musicista della sua epoca, Mozart era un grande estimatore
dell'orchestra di Mannheim formata da musicisti di primissima qualità come
Jan Vaclav Antonìn e Karel Filip Stamitz, Christian Cannabich, i violoncellisti
Innozenz e poi Franz Danzi, il flautista Johann Baptist Wendling, il fagottista
Georg Wenzel Ritter, gli oboisti Ludwig August Lebrun e Friedrich Ramm. Nel
1778 morì l'elettore Maximilian di Baviera, e Karl Philipp Theodor, suo erede
nonché illuminatissimo signore di Mannheim e promotore dell'orchestra, si
trasferì con tutta la corte palatina a Monaco: fu la fine della famosa orchestra
che venne fusa con quella di Monaco. Mozart, divenuto amico dei musicisti
durante la sua permanenza a Mannheim nel 1777/1778 (poco prima che
l'orchestra si trasferisse) quando aveva anche composto una Sinfonia
concertante per quattro fiati, li frequentò nuovamente a Monaco nel 1781, in
occasione dell'Idomeneo. Fu in quel periodo che vide la luce il Quartetto per
oboe e archi K. 370, scritto per Friedrich Ramm la cui bravura strumentale
dissipò i dubbi di Mozart circa la sonorità troppo nasale del suo strumento al
quale il salisburghese preferì comunque sempre il clarinetto. Lo stile
dell'Allegro del Quartetto con oboe è più cameristico e più equilibrato tra le
parti rispetto al movimento analogo del Quartetto 'concertante' con flauto K.
285; si segnala l'Adagio in re minore di insolita mestizia al quale segue il
tradizionale Allegro in forma di Rondò, quanto mai adatto col suo 6/8,
interrotto solo brevemente da un episodio alla breve, a mettere in evidenza le
doti virtuosistiche dell'oboista.

Johannes Streicher

Quintetto per clarinetto in la maggiore, K 581

https://www.youtube.com/watch?v=xTNbclgU3h4

https://www.youtube.com/watch?v=_8fX1LmqG8s

https://www.youtube.com/watch?v=q1JR0gpTZDs

Allegro (la maggiore)


Larghetto (re maggiore)
Minuetto e trio (la maggiore)
Allegretto con variazioni (la maggiore)

Organico: clarinetto, 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, 29 settembre 1789
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 22 dicembre 1789
Edizione: Andrè, O"enbach 1802
Dedica: Anton Stadler

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quintetto per clarinetto e quartetto d'archi K. 581 fu terminato di comporre il


29 settembre 1789 a Vienna, in un periodo di gravi di!coltà economiche per
Mozart, nonostante l'anno precedente avesse scritto le tre grandi sinfonie K.
543, K. 550 e K. 551 (Jupiter) e due anni prima avesse ottenuto un significativo
successo a Praga con il dramma giocoso Don Giovanni. Non per nulla proprio
nel 1789 e a più riprese il musicista indirizzò diverse lettere con richieste
urgenti di denaro al ricco commerciante e suo amico Michele Puchberg, il quale
in varie occasioni aiutò l'infelice artista. Sono lettere che denunciano lo stato di
estrema miseria in cui versava il musicista e che Puchberg, da buon
commerciante, conservò con cura e tramandò ai posteri, annotando in
margine, di volta in volta, la somma elargita. Ecco una di queste lettere inviata
dal compositore ai primi di luglio del 1789 al suo cortese benefattore e
rivelatrice di una condizione psicologica al limite della disperazione. «Sono in
condizioni che non augurerei al mio peggior nemico - scrive Mozart - e se voi,
ottimo amico e fratello, m'abbandonate, sarò purtroppo, e senza alcuna colpa
da parte mia, perduto con la mia povera moglie ammalata e i bambini. L'ultima
volta che mi trovai con voi fui sul punto di aprirvi il cuore... ma il cuore mi
mancò. E ancora mi mancherebbe se non vi sapessi informato delle mie
condizioni e perfettamente convinto dell'assoluta mancanza di colpa da parte
mia in questo tristissimo stato di cose. Oh Dio! Invece di ringraziarvi avanzo
nuove richieste. Se conoscete a fondo il mio cuore, sentirete tutto il dolore che
ciò mi procura. Il destino mi è purtroppo così avverso - ma qui a Vienna
soltanto - da non consentirmi di guadagnare nulla, con tutta la migliore
volontà. Se almeno non fosse venuta quella malattia (il musicista si riferisce al
ricovero in ospedale della moglie Costanza per l'infezione ad un piede), non
sarei ora costretto a mostrarmi così sfrontato verso il mio unico amico.
Perdonatemi, per l'amor di Dio, perdonatemi soltanto».

Niente di questa tristezza e disperazione si avverte nel Quintetto d'archi con


clarinetto K. 581, che Mozart chiamò Stadler-Quintett, perché composto per
l'abilissimo clarinettista Antonio Stadler. Usato per la prima volta in tutta la sua
estensione, il suono del clarinetto, morbido, sensuale, agile e melodioso, si
mescola con la dolcezza degli archi, creando una serena atmosfera
primaverile, espressione di una superiore visione dell'arte. Il carattere
distensivo e a"abile della composizione si rivela sin dal primo tema
dell'Allegro iniziale annunciato dagli archi e ripreso e sviluppato dal passaggio
delle biscrome del clarinetto. Viene quindi il secondo tema più nostalgico e
meditativo che dagli archi rimbalza su un accompagnamento pizzicato del
violoncello allo strumento a fiato, che modula con vellutato smalto melodico
fino alla conclusione dell'esposizione. E' uno dei momenti di pura poesia del K.
581, arricchita dagli arpeggi ascendenti e discendenti del clarinetto, prima di
sfociare nella lieta cadenza conclusiva. Nel Larghetto in re maggiore emerge un
canto elegiaco del clarinetto, sostenuto dagli archi in sordina; un nuovo tema
viene annunciato dal primo violino e il discorso fra i vari strumenti si articola in
un clima di estatica contemplazione. Un accento vagamento popolaresco e
rustico ha il successivo Minuetto, interrotto dal trio in la minore riservato ai
soli archi, prima della ripresa elegantemente ritmica della danza sospinta nella
tonalità di la maggiore dal clarinetto.

L'Allegretto finale è formato da un tema in tempo di marcia, cui seguono


cinque variazioni in un fresco alternarsi di giochi timbrici tra gli archi e il
clarinetto: quest'ultimo nella quarta variazione si lancia in vivaci e brillanti
passaggi virtuosistici. La quinta variazione è un adagio variegato di teneri
arabeschi strumentali, interrotto da una energica e risoluta coda,
perfettamente consona allo spirito cordiale e amichevole dell'opera.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Rispetto ai vari Quartetti e Quintetti per strumento a fiato, non v'è dubbio che
l'ultimo lavoro lasciato da Mozart in questo campo, il Quintetto per clarinetto
in la maggiore K. 581, non solo costituisca un autentico vertice, ma anche una
pietra miliare del repertorio clarinettistico, e, più in generale, uno degli
autentici capolavori di tutta la letteratura cameristica del compositore.

I primi contatti con il clarinetto il piccolo Mozart li ebbe all'età di otto anni, nel
corso della sua lunga permanenza londinese; a quel tempo il clarinetto era uno
strumento di costruzione recente, che non si era ancora conquistato un posto
stabile in orchestra. Di fatto Mozart dovette attendere oltre un decennio perché
l'orchestra di Mannheim gli mostrasse il perfetto impiego sinfonico dello
strumento rispetto agli altri fiati.

Tuttavia solo negli ultimi due anni di vita il compositore potè scrivere dei brani
che vedessero il clarinetto in un ruolo solistico. L'occasione gli fu fornita dalla
conoscenza dello strumentista Anton Stadler, un virtuoso di straordinaria
abilità che del clarinetto svelò a Mozart le inesplorate potenzialità espressive;
senza dimenticare che lo strumentista suonava su uno strumento detto
"clarinetto di bassetto" che si di"erenziava dal modello moderno per una
maggiore estensione nel registro grave. Per le capacità tecniche e
interpretative di Stadler (oltretutto suo fratello massone, nonché compagno di
a"ari, sembra, non sempre limpidissimi) Mozart confezionò su misura il
Quintetto K. 581, il cosiddetto "Trio dei birilli" e il crepuscolare Concerto K.
622, oltre ai mirabili interventi concertanti di due arie della Clemenza di Tito
("Parto ma tu ben mio" cantata da Sesto, e "Non più di fiori", da Vitellia;
quest'ultima in verità concepita per corno di bassetto, che del clarinetto è
stretto parente).

Fra queste opere lo "Stadler-Quintett", come lo stesso Mozart ebbe a definirlo,


è forse quella che meglio mette in luce il timbro dolcemente sensuale dello
strumento, la sua straordinaria estensione, le doti cantabili e quelle
virtuosistiche; e questo grazie anche al felicissimo sposalizio con la classica
formazione del quartetto d'archi, che accoglie il clarinetto come un "primus
inter pares", esaltandone il ruolo solistico senza per questo mortificarsi in una
funzione di accompagnamento.

Certo, sarebbe inopportuno rimproverare al Quintetto K. 581 la mancanza di


quella scrittura complessa e di quella elaborazione tematica che
contraddistinguono i coetanei Quintetti per archi, e che erano in partenza
precluse dalla presenza dello strumento a fiato. E tuttavia è di!cile pensare a
una scrittura più ra!nata di quella del Quintetto per clarinetto, perché la
sofisticatezza delle figurazioni di accompagnamento e il gioco di scambio delle
funzioni fra i vari strumenti mostra veramente una maestria suprema. In
sostanza alla piena accessibilità della funzione di accompagnamento si
coniuga nel Quintetto K. 581 una ra!natezza di impostazione che in qualche
modo sembra rinnegare quella accessibilità; e proprio per questa ambiguità la
partitura appartiene al novero dei capolavori.

L'Allegro iniziale, in forma sonata, si basa su temi ampi e cantabili, di


immediata piacevolezza, non disgiunta per la seconda idea da una certa
malinconia, evidenziata dalla ripresa in minore del clarinetto; lo sviluppo poi
evita i contrasti dialettici e si fonda piuttosto sulla figurazione arpeggiata che
introduce il clarinetto, elaborata in suadenti giri armonici; è questo il
movimento che o"re ai cinque strumenti le maggiori possibilità di intreccio e
di scambio di ruoli - ad esempio se nella esposizione si susseguono violino e
clarinetto, nella ripresa i ruoli vengono invertiti - sempre condizionate dalla
ricerca di soluzioni sonore dolcemente eufoniche.

Il secondo tempo, un tenero Larghetto in una regolarissima forma di Lied, vede


il clarinetto impegnato nell'esibizione delle proprie capacità melodiche e del
rapido passaggio dai gravi agli acuti; nella sezione centrale esso instaura un
dialogo con il primo violino, sul morbido sfondo creato dagli altri archi. La
presenza inconsueta di due Trii avvicina lo spirito del Minuetto a quello dei
Divertimenti salisburghesi; alla garbata melodia della danza si contrappongono
prima una sezione in minore per soli archi, e poi un motivo dal carattere di
Ländler popolaresco. E popolaresco è anche il Tema con variazioni (finale al
posto del più usuale Rondò) il cui carattere disimpegnato è una precisa scelta
dell'autore, che aveva già abbozzato un movimento più complesso; le
variazioni, improntate alla massima godibilità d'ascolto, si susseguono
secondo una studiata logica di contrasti alternati, con una variegata scrittura
strumentale che riassume le caratteristiche più salienti dell'intera
composizione.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)


Vienna, fine settembre 1789: Wolfgang Amadeus Mozart, il cigno di
Salisburgo, il "genio" per antonomasia, conclude il suo nuovo gioiello
strumentale, il Quintetto per clarinetto e quartetto d'archi in la maggiore K
581. Un Quintetto pensato "su misura" per la personalità e le risorse dell'amico
Anton Stadler, clarinettista e costruttore di clarinetti. Amicizia antica, quella
con il virtuoso al servizio del principe Galitsin, ambasciatore russo alla corte di
Vienna. Già nel 1784 era iniziata una stretta collaborazione: tanto che con
Mozart Stadler suonò lo stesso anno la parte del clarinetto nel Quintetto con
pianoforte K 452. La comune aderenza alla massoneria ra"orzò ulteriormente
l'amicizia: Wolfgang per lui compose gran parte delle musiche per clarinetto o
corno di bassetto, tra cui, oltre al Quintetto K 581 (intitolato poi Stadler
Quintett, secondo il volere dell'autore], anche: il Trio K 498, il Concerto K 622,
i Notturni K 346, K 549 e K 436-439a per due soprani, basso e corno di
bassetto, i cinque Divertimenti K 439b da essi derivati e infine i frammenti K
516c e K 581a. Stadler, che risentiva talvolta anche di ristrettezze economiche,
fu sempre aiutato da Mozart; fu anche il solista prescelto per le due arie con
clarinetto obbligato n. 9 e 23 della Clemenza di Tito rappresentata a Praga. Per
il clarinetto Stadler aggiunse delle chiavi per ottenere delle note aggiunte
basse; proprio per tale "clarinetto di bassetto", che Stadler aveva ideato nel
1788, modificando verso il registro grave la tradizionale estensione dello
strumento, Mozart aveva espressamente pensato il Quintetto K 581 e il
Concerto K 622. D'altronde si sa: Mozart, curioso per natura e sempre assai
attento alle invenzioni e alle modifiche organologiche degli strumenti,
compose questi brani cercando di sfruttare al massimo le novità tecniche che
gli venivano di volta in volta o"erte. L'amore di Mozart per il clarinetto, oltre
che dall'amicizia con Stadler, veniva dai tempi di Mannheim, in cui aveva
imparato ad apprezzare lo strumento scoprendo le sue notevoli caratteristiche,
anche timbriche: «se anche noi avessimo due clarinetti...», scriveva Wolfgang al
padre in una lettera in cui descrive con entusiasmo il livello eccellente
dell'orchestra della città tedesca.

Ma andiamo alla sostanza musicale del Quintetto Stadler. Come ricorda lo


storico Alfred Einstein, anzitutto, non vi è dualismo tra "solo" del clarinetto e
accompagnamento, ma «rivalità fraterna»; clarinetto e archi intrecciano
amabilmente il loro discorso in uno stile dialogante e delicato, e questo
dialogo e confronto "fraterno" in stile concertante si traduce semmai in alcune
scelte precise di Mozart legate alla materia musicale: ad esempio vediamo che
è il gruppo degli archi a scendere sul piano del clarinetto, andandogli in un
certo senso incontro, ovvero "accordandosi" sia nella scrittura che nella
disposizione timbrica; così gli archi prediligono colori dalle tinte un po' più
scure, gli spessori sono un po' più accentuati e le armonie sfumano verso il
sentimentale. D'altronde, ricorda Einstein, «L'aggettivo fraterno è assai
appropriato poiché i clarinetti e i corni di bassetto avevano per Mozart un
carattere massonico dato che, nelle riunioni della sua Loggia, pare non si
usassero altro che strumenti a fiato». Ma come riesce Mozart a inserire, dentro
l'amalgama così ben consolidato del quartetto d'archi, uno strumento dalla
così forte personalità e frontalità? Come riesce a integrare in un tutto unico
una così vasta tavolozza timbrica? E come va a elaborare e a sviluppare spunti
e idee? Anzitutto la scrittura, ardita per l'epoca, parte da alcune idee e spunti
tematici che letteralmente si raccordano in una sequenza densa e continua
all'interno del brano, creando così un tessuto intrecciato e molto ben
amalgamato. Come ricorda Hermann Abert, «al clarinetto è a!dato il compito
di guidare il complesso, ma le altre voci, pur riconoscendone la preminenza,
non coprono un ruolo di semplice accompagnamento». Inoltre Mozart si
orienta sempre più al «gusto per il bel suono», e «siccome poi il clarinetto
tende a una sfera di dolce e matura sensualità, il tutto diviene un vero e
proprio trionfo della cantabilità, culmine luminoso di una serie di lavori tutti
orientati alla pura bellezza».

Lo sentiamo sin dall'inizio, da quell'inconfondibile tema di apertura


dell'Allegro, uno spunto radioso che si riconduce alla serena gaiezza del
migliore Haydn, il suo illustre amico e maestro soprattutto nel campo da
camera e quartettistico; quel tema dal sapore di primavera, di mattutina
aurora, vede presto inserirsi il canto del clarinetto, che è come avvolto in un
caldo abbraccio dall'introduzione degli archi: un invito subito accolto dal "solo"
che si lancia per due volte in una felice, rotonda movenza arpeggiata. Poche
battute e il dialogo prende il volo, mentre anche negli altri snodi della forma
sonata in cui è scritto il movimento, come il ponte e poi il secondo tema, lo
sviluppo, tendono tutti verso la medesima direzione che privilegia toni amabili
di gioioso canto. Tutto scorre con apparente naturalezza, mentre il dialogo
strumentale si infittisce, diviene ricco di colori e sentimenti, si attenua. In un
certo senso osserviamo che non vi è molta elaborazione tematica, intesa come
criterio di complessità nell'organizzazione della forma; semmai vi è profluvio
di idee, florilegio di spunti e di motivi, cristallino sgorgare dei dialoghi, come
in una sorta di magico canto della natura. L'orecchio è attento a cogliere ogni
particolare perché ogni elemento rappresenta un'occasione d'ascolto. Nel
Larghetto si rimane come rapiti dalla bellezza del tema del clarinetto, che
inanella come una collana madreperlacea di suoni palpitanti sfruttando anche il
suo vellutato registro più grave; è un vero e proprio gioiello sonoro, questo
canto dalle linee lunghe e distese, con passi di intensità traboccante e
commovente, la cui cantabilità sentimentale viene come cullata nel morbido
abbraccio degli archi. Questo momento di intenso lirismo, che pare quasi
un'aria operistica d'amore, lascia il posto, senza scossoni, all'elegante
Menuetto, in cui ritroviamo il quintetto riunito in un dialogo unitario. Ancora
una volta, nei punti di passaggio strutturali, come i due trii interni, vi è una
sostanziale continuità stilistica, volutamente espressa. Il primo trio è lasciato a
una palpitante espansione degli archi, con un episodio in cui è esposto il tema
a canone tra violino primo e viola, mentre, dopo il ritorno del minuetto, il
secondo trio ci presenta il rientro in grande stile del clarinetto, questa volta
presentato in una incantevole veste popolare e rustica, come strumento del
Ländler contadino tipico della Bassa Baviera e delle province alpine: davvero
uno sgargiante quadro di danza tirolese stilizzata. Il Finale è un tema
(Allegretto con variazioni) appositamente pensato per dimostrare tutte le
possibilità dello strumento. Dal punto di vista dello schema Mozart scrive una
pagina tradizionale, che comprende l'intera gamma di repertorio: ovvero
variazioni con passi di agilità per il solista, altre in cui la dolcezza del timbro
del clarinetto trova la sua piena espressione altre ancora in cui il quartetto
d'archi, compresa la viola, può esprimere il meglio delle proprie risorse
strumentali. Vi sono una variazione in minore (la viola protagonista), un adagio
e una coda che è più uno sviluppo del tema che una variazione vera e propria;
il tema delle variazioni, seguendo l'abitudine di Haydn, è un semplice
motivetto infantile: ma che prodigio di varianti ne scaturisce!

Marino Mora

Quintetto per corno in mi bemolle maggiore, K 407 (K 386c)

https://www.youtube.com/watch?v=dFw4YWJ-pIc

https://www.youtube.com/watch?v=enQC3pPOCYw

Allegro (mi bemolle maggiore)


Andante (si bemolle maggiore)
Allegro (mi bemolle maggiore)

Organico: corno, violino, 2 viole, violoncello


Composizione: Vienna, dicembre 1782
Edizione: Schmid & Rau, Lipsia 1796
Dedica: Ignaz Leutgeb

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart compose il Quintetto in mi bemolle maggiore K. 407 a Vienna nel


1782. Il lavoro è scritto per corno, violino, due viole e violoncello; la parte
prevalente a!data al corno lo pone fra le composizioni che Mozart ideò per il
cornista salisburghese Ignatz Leitgeb, suo amico e bersaglio dei suoi scherzi. Il
manoscritto del Quintetto è conservato a Londra.

Come i quattro Concerti per corno e orchestra, dedicati allo stesso Leitgeb, il
Quintetto, a quanto osserva Alfred Einstein, ha un tono un po' umoristico, che
nell'Andante cede il campo ad un amoroso dialogare fra il corno e il violino.
L'aspetto del pezzo è quello di un concerto per strumento solista con
accompagnamento di una piccola orchestra d'archi. Nel primo e soprattutto nel
terzo movimento, sempre secondo l'Einstein, Mozart sembra farsi gioco dei
limiti dello strumento a fiato. Secondo il Saint-Foix, invece, «è una meraviglia
ascoltare come si attua felicemente la fusione del corno, sempre nostalgico,
con un quartetto d'archi, nel quale figurano, in luogo del secondo violino e
della viola, due viole che accentuano il carattere poetico e sognante dell'intera
opera».

Nell'Allegro iniziale, il corno entra dopo alcune battute introduttive e presenta


successivamente due temi, cui risponde volta a volta il violino; lo sviluppo si
apre con delle imitazioni su un nuovo tema e si avvia poi alla ripresa, che è
simile all'esposizione nella prima parte e variata nella seconda. L'Andante, in si
bemolle, è costruito su un unico tema, il quale dà vita a due parti concluse da
una cadenza. L'Allegro finale è un rondò, il cui tema è presentato dal corno
solo ed è ripreso dal quartetto; il ritornello si alterna con intermezzi, fra i quali
uno centrale in minore; verso la fine, compaiono una cadenza ed un semiserio
fugato.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel Quintetto di Mozart per corno e archi K. 407 troviamo due viole al posto
degli usuali due violini, per cui abbiamo a che fare con una composizione un
po' ai margini delle normali stagioni concertistiche spesso legate alle
formazioni classiche del Trio o del Quartetto. Tutte le opere per corno di
Mozart si devono alla felice circostanza che Joseph (o Ignaz) Leutgeb, cornista
nell'orchestra del Fürsterzbischof Colloredo di Salisburgo, abbia deciso di
trasferirsi a Vienna dove poi chiese a Mozart di comporgli dei concerti onde
a"ermarsi nella capitale. Sembra che Leutgeb non sia stato un lume di scienza
o"rendo più di una occasione di bonario scherno a Mozart che si permise di
apporre questa 'dedica' al Concerto K. 417: "Wolfgang Amadeus Mozart ha
avuto pietà di quest'asino, di questo pazzo di Leitgeb, a Vienna il 27 maggio
1783", per tacere delle chiose saporite del Concerto K. 412. Quale cornista
invece doveva aver raggiunto un livello di tutto rispetto se si considerano le
di!coltà tecniche dei concerti mozartiani. Il Quintetto K. 407, composto a
Vienna alla fine del 1782, edito postumo da Schmid & Rau a Lipsia, mette in
risalto tutte le possibilità dello strumento (tranne gli accordi) pur non
sfruttandone l'estensione completa nel primo e nel secondo tempo; solo nel
Finale, prima del terzo ritornello, il corno scende nelle regioni più gravi. Nelle
prime battute introduttive la prima viola assume il ruolo solitamente ricoperto
dal secondo violino, cioè di sostegno del primo alla terza bassa, ma a partire
dall'esposizione del tema principale sarà il corno a condurre il discorso. Solo
occasionalmente gli altri strumenti vanno al di Là della funzione di sostegno,
come per esempio nel brevissimo sviluppo, o alla fine dell'esposizione quando
il primo violino ripete ironicamente i quattro fa staccati del corno, episodio
ripetuto ed ampliato con l'intervento degli altri archi alla fine della ripresa.
L'Andante, nella tonalità della dominante, lascia spazio maggiore alla
cantabilità del primo violino che si alterna col corno mentre sulla base
armonica del violoncello le viole procedono per lo più parallelamente. Come
anche nel Rondò finale le due viole danno solo un colore lievemente più scuro
senza creare atmosfere più adombrate come la loro presenza potrebbe invece
suggerire (basti pensare ad alcuni dei quintetti per archi mozartiani). Di
impianto formale semplice, il Quintetto K. 407 è vicino al mondo
dell'Entführung coeva, e anche l'accenno di fugato nelle sue ultime battute è
solamente una scherzosa allusione a forme più severe da Mozart sì
magistralmente padroneggiate ma qui non ostentate.

Johannec Streicher

Composizioni per strumenti soli

Duo per violino e viola in sol maggiore, K 423

https://www.youtube.com/watch?v=DaO_SL3j3Pk

https://www.youtube.com/watch?v=rk1i69F94x4

Allegro (mi minore)


Adagio (do maggiore)
Rondò. Allegro (mi minore)

Organico: violino, viola


Composizione: Salisburgo, luglio - ottobre 1783
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Duo in sol maggiore K. 423 per violino e viola si sa che fu composto


nell'estate del 1783 a Salisburgo, insieme all'altro Duo K. 424 per i due stessi
strumenti. L'incarico di scriverli era stato dato dall'arcivescovo Geronimo a
Michael Haydn, ma questi per ragioni di salute non aveva pottuto mantenere
l'impegno e pregò Mozart di occuparsene. Sono due pagine di breve respiro e
abbastanza indicative per comprendere lo stile mozartiano, specie per la
scrittura della parte per violino puntata su e"etti di festosa musicalità. La
scrittura dell'Adagio del Duo K. 423 rievoca quella del Divertimento per tre
strumenti ad arco scritto da Mozart nel 1788. Il primo Allegro è articolato in
tre temi con relativi ritornelli, mentre il Rondò è contrassegnato da una varietà
di accenti melodici con mutamenti improvvisi di tonalità.

Piccolo adagio per Glassharmonika, K 356 (K 617a)

https://www.youtube.com/watch?v=QkTUL7DjTow

https://www.youtube.com/watch?v=f-gzuG6PJmY

Adagio (do maggiore)

Organico: glassharmonika
Composizione: Vienna, gennaio - maggio 1791
Dedica: Marianne Kirchgässer

Guida all'ascolto (nota 1)

Le composizioni che Mozart scrisse per Marianna Kirchgässner, celebre


virtuosa cieca di armonica, risalgono all'ultimo anno della sua vita. Fu a Vienna
nel 1791 che Mozart scrisse per questa artista, da lui assai ammirata, un
Adagio solistico in do maggiore (iscritto dal Köchel erroneamente al n. 356 del
suo catalogo, cronologicamente restituito al suo posto dall'Einstein con
l'attribuzione del n. 617 a), e un Adagio e Rondò in do minore (Köchel e
Einstein, n. 617) per un complesso di strumenti che all'armonica unisce un
flauto, un oboe, una viola e un violoncello.

Se l'Adagio in do maggiore per sola armonica vuole soprattutto mettere in


rilievo le possibilità dello strumento, sia pure senza eccessi virtuosistici, ed
anzi con un equilibrio che congiunge alla grazia del porgere una sorta di
melanconica nostalgia, l'Adagio e Rondò va considerato uno dei capolavori
assoluti di Mozart, tanto che l'Einstein lo definisce «una delle opere divine» di
Mozart, la «controparte strumentale dell'Ave verum, di una bellezza
ultraterrena nell'introduzione (in minore) e nel rondò (in mi maggiore)».

Carlo Marinelli

Sonate per pianoforte

https://www.youtube.com/watch?v=3UvgqXHK_HI

https://www.youtube.com/watch?v=Wcgd1oCbW4g

https://youtu.be/WUvop5RsCGg
Sonata per pianoforte n. 1 in Do maggiore K 279

https://www.youtube.com/watch?v=WR2hUcMHA0g

La sonata per pianoforte n. 1 in Do maggiore (K 279) fu scritta da Wolfgang


Amadeus Mozart nel 1774 e appartiene ad un ciclo di sei sonate per pianoforte
(dalla K 279 alla K 284).

Questa composizione è la prima della serie di sei sonate che Mozart scrisse
prima del suo viaggio a Monaco (fine 1774), delle quali 5 furono specificate per
il clavicembalo e la sesta per il fortepiano.

La sonata si divide in tre tempi (Allegro, Andante, Allegro) di cui il primo è


certamente è un rifacimento di qualche lavoro anteriore, forse del 1773. Il
finale scritto (nell'autografo su carta diversa) deve invece essere stato
composto per ultimo, alla fine del 1774. Scompare ormai l'influenza italiana,
ne subentrano altre, prima fra le quali quella di Haydn, che aveva precisamente
pubblicato nel 1774 sei sonate per pianoforte, delle quali è palese l'ombra in
queste sei mozartiane. Come pure è a"errabile l'influenza dello stile di
Stefan[non chiaro] che aveva pubblicato a Parigi nel 1772 tre sonate per
pianoforte e che Mozart aveva incontrato a Vienna nel 1773. Dopo l'influenza
romantica italiana, questa sonata e le altre immediatamente seguenti ci appare
come un nuovo orientamento verso le altre più rigorose discipline. Al suo
ritorno in patria Mozart ritrova la voce dei padri e del loro linguaggio. Gli
rimane però, e la conserverà per tutta la vita, la chiarezza mediterranea
appresa in Italia al contatto del nostro grande patrimonio musicale. Il 2
novembre il compositore la esegue nella casa di Christian Cannabich a
Mannheim

Il matematico John Putz (Alma College), in seguito a studi sulle sonate per
pianoforte, ha riscontrato in questa composizione una forte presenza di
utilizzo del rapporto aureo phi.

Sonata per pianoforte n. 2 in Fa maggiore K 280

https://www.youtube.com/watch?v=zl5R9ZTfdo0

La sonata per pianoforte n. 2 in fa maggiore, K. 280, fu scritta da Wolfgang


Amadeus Mozart alla fine del 1774 e appartiene ad un ciclo di sei sonate per
pianoforte (dalla K. 279 alla K. 284).

Il 2 novembre 1777 il compositore la eseguì nella casa di Christian Cannabich


a Mannheim.
Caratteristiche

L'opera appare fortemente influenzata dalla Sonata per pianoforte in fa


maggiore di Haydn, che era stata pubblicata nel 1773 e che Mozart potrebbe
aver conosciuto durante il suo soggiorno a Vienna fra il luglio e il settembre di
tale anno. Come la sonata di Haydn, anche quella di Mozart dispone di un
movimento centrale in fa minore in ritmo di siciliana indicato come Adagio.

Il primo movimento, Allegro assai, in forma sonata, è alquanto virtuosistico e


presenta un tema principale composto da vari motivi contrastanti; il secondo
tema è in terzine ed è caratterizzato da alcuni cromatismi.

Il secondo movimento, Adagio, è particolarmente espressivo e precorre le più


importanti composizioni in tonalità minore del Mozart maturo nelle sue
espressioni di dolore e di angoscia.

Il movimento finale, Presto, in contrasto con la cupezza del precedente Adagio,


ha carattere sereno e scherzoso.

Sonata per pianoforte n. 3 in Si bemolle maggiore K 281

https://www.youtube.com/watch?v=Vtlt_Vc9A3U

La sonata per pianoforte n. 3 in si bemolle maggiore, K. 281, fu scritta da


Wolfgang Amadeus Mozart alla fine del 1774 e appartiene ad un ciclo di sei
sonate per pianoforte (dalla K. 279 alla K. 284).

Il 2 novembre 1777 il compositore la esegue nella casa di Christian Cannabich


a Mannheim.

Caratteristiche

Composta secondo i canoni dello stile galante, viene menzionata da Mozart in


una lettera a suo padre datata 13 novembre 1777: Mozart racconta di avere
eseguito al clavicordo questa sonata (assieme alla più tarda Sonata in re
maggiore, K. 284) a Mannheim, alla corte del principe Ernst von Oettingen-
Wallerstein, alla presenza del suo Kapellmeister Ignaz Beecke.

Il primo movimento, Allegro, in forma sonata, presenta un tema principale di


carattere lirico, che viene sviluppato e riccamente variato quasi in guisa
d'improvvisazione.

Il secondo movimento, Andante amoroso, o"re nelle prime due battute un


contrasto dinamico fin'allora inusitato per Mozart, con un repentino passaggio
da forte a piano. L'intero movimento richiede un'esecuzione aggraziata ma non
incline al sentimentalismo.

Il movimento finale, Rondò: Allegro, è basato su un tema principale di gavotta


che viene esposto cinque volte, intervallato da varie altre melodie. Tutto il
movimento è in stile francese e contiene inattesi passaggi in modo minore di
carattere drammatico. Da alcuni viene considerato come il finale
compositivamente più avanzato all'interno di questo primo gruppo di sonate
mozartiane.

Sonata per pianoforte n. 4 in Mi bemolle maggiore K 282

https://www.youtube.com/watch?v=NButT_C1cCI

https://www.youtube.com/watch?v=_eOGMiaf51A

La sonata per pianoforte n. 4 in Mi bemolle maggiore (K 282) fu scritta da


Wolfgang Amadeus Mozart nel 1774 e appartiene ad un ciclo di sei sonate per
pianoforte (dalla K 279 alla K 284).

È costituita da tre tempi: adagio, minuetto (1 e 2) e allegro. Il primo e il terzo


sono entrambi costruiti sulla "forma sonata", pur presentando caratteri diversi:
il primo tempo è molto melodico e abbastanza lento; il terzo tempo è brioso e
molto allegro.

I due minuetti centrali, conservano la forma tipica del ballo e costituiscono


insieme il secondo tempo.

Da notare che il primo tempo, il terzo tempo e il secondo minuetto sono


costruiti sulla tonalità di Mi bemolle maggiore, mentre il primo minuetto è in Si
bemolle maggiore (la tonalità costruita sul quinto grado di Mi bemolle, cioè Si
bemolle). L'elemento “collante” tra tutti i tempi della sonata, oltre alla tonalità,
è la scelta dei tempi: tutti binari.
Primo tempo

Il primo tempo è costruito sulla forma sonata.

"Esposizione", con le presentazioni del primo e del secondo tema (le prime
tre battute, più due quarti della quarta battuta, costituiscono l'introduzione; il
primo tema si apre sul terzo tempo della quarta battuta e prosegue fino alla
nona battuta 9; segue il secondo tema fino alla battuta 15. Il primo tema è
costruito in tonalità d'impianto (Mi bemolle maggiore), il secondo in Si bemolle
maggiore, vale a dire la scala costruita sulla dominante.
"Svolgimento": dalla battuta 16 alla 21 gli elementi dell'esposizione sono
rielaborati per chiudere con una codetta. *"Ripresa", in cui il primo tema è
arricchito e variato ritmicamente. Il secondo tema, a di"erenza della parte
espositiva si presenta alla tonica.
"Coda" finale, la ripresa dell'introduzione.

Sonata per pianoforte n. 5 in Sol maggiore K 283

https://www.youtube.com/watch?v=0rnJu1rlm90

La sonata per pianoforte n. 5 in Sol maggiore (Kv 283) fu scritta da Wolfgang


Amadeus Mozart tra fine estate e inizio autunno del 1774 e appartiene ad un
ciclo di sei sonate per pianoforte (dalla Kv 279 alla Kv 284).

Il 2 novembre 1777 il compositore la esegue nella casa di Christian Cannabich


a Mannheim.

Caratteristiche
L'opera si suddivide in tre tempi: Allegro, Andante, e Presto e risente molto
l'influenza musicale haydniana, specialmente nell'importante sviluppo finale.
Comunque non mancano caratteristiche dell'autore stesso come il dolce e
tenero principio del primo tempo e lo stacco di quattro note ripetute all'inizio
dell'Andante, che sono già quelle che ritroveremo 14 anni più tardi nel
"Larghetto" del Concerto per Pianoforte e Orchestra N. 26 (il cosiddetto
Krönungs-Konzert).

Sonata per pianoforte n. 6 in Re maggiore K 284

https://www.youtube.com/watch?v=pw7izXch19M

La sonata per pianoforte n. 6 in Re maggiore (K 284) fu scritta da Wolfgang


Amadeus Mozart nel 1775 e appartiene ad un ciclo di sei sonate per pianoforte
(dalla K 279 alla K 284).

Questa, che risulta la più brillante e spigliata, è composta da tre movimenti,


come tutte le sonate per pianoforte di Mozart: in sequenza Allegro, Rondò alla
polacca (Andante) e infine un Tema con variazioni.

Fu scritta da Mozart al momento del viaggio per la rappresentazione dell'opera


La finta giardiniera a Monaco di Baviera. La prima assoluta è stata il 22 ottobre
1777 ad Augusta, eseguita dal compositore. Come le precedenti sonate (dalla
K 279 alla K 283), anche questa doveva essere suonata da Mozart per
presentarsi al nuovo pubblico. Il 2 novembre successivo Wolfgang la esegue
nella casa di Christian Cannabich a Mannheim.
Sonata per pianoforte n. 7 in Do maggiore K 309

https://www.youtube.com/watch?v=eVglnE4eHrg

La sonata per pianoforte n. 7 in Do maggiore (K 309) fu scritta da Wolfgang


Amadeus Mozart a Mannheim nel 1777 per la sign.na Rosa Cannabich, figlia di
Christian, direttore della musica di corte.
Come disse Mozart stesso al padre, la sonata era stata da lui improvvisata in
carrozza; l'originale secondo movimento, però, rimase una semplice
improvvisazione, in quanto il Maestro preferì scrivere un altro andante che
ritraesse meglio la personalità dell'allieva.
Indice

1 Struttura
1.1 I movimento: Allegro con spirito
1.2 II movimento: Andante un poco adagio
1.3 III movimento: Rondò, allegretto grazioso
2 Durata
3 Altri progetti
4 Collegamenti esterni

Struttura

La composizione si compone, come da prassi, di tre movimenti:

Allegro con spirito


Andante un poco adagio
Rondò, allegretto grazioso

I movimento: Allegro con spirito

Il primo movimento apre con una frase incisiva battuta all'unisono da entrambe
le mani. Il primo tema è tracciato secondo un'alternanza tra "piani" e "forti",
con la presentazione di tre diverse parti discorsive; il ponte modulante porta
quindi al secondo tema, al quale segue una codetta che porta alla fine
dell'esposizione.
Lo sviluppo si apre con l'incipit del primo tema, riproposto nelle tonalità vicine.
Le battute 79/80/81, dal carattere modulatorio, assumono l'aspetto di una
cadenza, che portando il brano nella tonalità relativa minore della tonica,
quindi sul settimo grado, e infine nuovamente sul primo, portano alla ripresa.
Viene riproposto il primo tema, con una frase modulata in do minore, poi
nuovamente il ponte modulante che però riporta sul primo grado. Gli elementi
già portati nell'esposizione riappaiono modulati, e la codetta conclusiva porta
alla fine del movimento.

II movimento: Andante un poco adagio

Il secondo movimento è il ritratto di Rosa Cannabich.


Come scrisse Mozart il 6 dicembre 1777 al padre:
"... l'andante, che non deve essere troppo rapido, ella lo esegue con
grandissima espressione".
Consiste in due temi, il primo in fa maggiore, il secondo il do, con cinque
variazioni.

III movimento: Rondò, allegretto grazioso

Il terzo movimento era definito da Mozart un "rumoroso rondò pieno di note",


e ha i colori ed il carattere di un rondò per pianoforte e orchestra. Si distingue
dai primi due per la costante ricorrenza a figurazioni agili e virtuosistiche che
però, come in ogni composizione di Mozart, non precludono il valore
espressivo. Il rondò fluisce limpido e gaio secondo lo schema compositivo
facendo culminare il tutto in una ripetizione del tema principale che chiude la
composizione in un "piano".

Durata

I movimento: circa 9 minuti


II movimento: circa 7 minuti
III movimento: circa 6 minuti

La sonata completa dura all'incirca 22 minuti.

Sonata per pianoforte n. 8 in La minore K 310

https://www.youtube.com/watch?v=bZZqSZqJz4Y

https://www.youtube.com/watch?v=fbad05EVT74

https://www.youtube.com/watch?v=ZKs1WpMJ0X8

La sonata in La minore k 310 è l'ottava sonata scritta da Wolfgang Amadeus


Mozart. Composta nel 1778 a Parigi,è una delle uniche due sonate per
pianoforte scritte da Mozart in una tonalità minore.
Movimenti

Allegro maestoso
Andante cantabile con espressione
Presto

La Sonata in la minore K. 310 - insieme a K. 309 e 311 - è una delle tre Sonate
scritte nel corso del lungo e sventurato viaggio compiuto a Mannheim e Parigi
nel 1777-1778, alla ricerca di fortuna e, possibilmente, di un impiego nella
capitale francese. In particolare, sulla nascita della Sonata in la minore non
abbiamo alcuna indicazione, al di fuori della datazione sull'autografo "Paris
1778"; il brano venne però pubblicato già a Parigi, ad opera dell'editore Heina,
primo caso di una Sonata pianistica di Mozart a trovare la strada della
pubblicazione a immediata distanza dalla nascita.

Nella prima tappa del viaggio verso Parigi - Augusta, città da cui proveniva la
famiglia del padre - Mozart aveva potuto suonare i pianoforti di Johann
Andreas Stein, apprezzandone, tutte le qualità che rendevano questi prototipi
fra i più avanzati in Europa. Le tre Sonate scritte nei mesi seguenti vedono
dunque l'autore ormai consapevole delle potenzialità dello strumento a
martelli, e proiettato a definire una scrittura tastieristica e"ettivamente
studiata per sfruttare queste potenzialità

La Sonata in la minore è forse l'esempio più evidente di questo nuovo


atteggiamento. Non a caso si tratta della prima e - con la Sonata in do minore
K. 457 - di una delle due uniche Sonate per pianoforte scritte da Mozart in una
tonalità minore, scelta che si riflette in un contenuto musicale di impronta
altamente drammatica. È verosimile che dietro questa scelta ci sia il desiderio
di conquistare il pubblico dei salotti parigini richiamandosi allo stile concitato
e tempestoso di Johann Schobert, compositore tedesco nato intorno al 1735 e
morto prematuramente nel 1767, che aveva abbandonato la Germania per
Parigi, dove si era imposto proprio per il suo precoce interesse verso le risorse
del nuovo strumento a tastiera.

La Sonata K. 310 è dunque il frutto dell'incontro di due esigenze, la scelta di


un nuovo pathos espressivo, legato alla tonalità minore, e la ricerca sulle
risorse dello strumento a martelli. La pienezza armonica delle figurazioni
insistite di accompagnamento, l'inversione delle funzioni melodiche e di
accompagnamento fra le due mani, gli ampi arpeggi della destra sugli accordi
tenuti della sinistra, che mettono in vibrazione tutti i suoni armonici del telaio,
sono esempi di un dominio ormai completo degli e"etti timbrici del nuovo
strumento, che trovano nella Sonata in la minore una folgorante a"ermazione.
[senza fonte]

Il tempo iniziale, segnato dalle dissonanze armoniche e dal ritmo di marcia


dell'incipit, è in una ampia forma-sonata, con una pronunciata
contrapposizione tematica (marcia contro nervosa scorrevolezza di
semicrome), uno sviluppo animato dalle figurazioni insistite della mano
sinistra e dalle suggestive progressioni polifoniche della destra, una ripresa
che converte nel modo minore il secondo tema, riconducendolo alla prevalente
ambientazione espressiva del movimento.

L'Andante cantabile con espressione si richiama invece allo schema galante


della melodia ornata su basso albertino, ma mostra nella sezione centrale
prospettive più complesse, con l'apparizione di un nuovo motivo, presentato
nei diversi registri della tastiera con figurazioni di accompagnamento cangianti
e dissonanti.

Il Presto conclusivo torna all'ambientazione iniziale; si tratta di una pagina in


forma di Rondò, in cui i diversi episodi hanno origine dalla stessa figura
ritmica del refrain; questa caratteristica, insieme alla ricchezza del contenuto
armonico, garantisce all'intero movimento una varietà espressiva
continuamente rinnovata e insieme una ineluttabile coerenza.

Sonata per pianoforte n. 9 in Re maggiore K 311

https://www.youtube.com/watch?v=P8gjuTgC2-4

https://www.youtube.com/watch?v=B3PMGF9VTEE

La Sonata per pianoforte n. 9 in re maggiore, K. 311/284c è una composizione


per pianoforte di Wolfgang Amadeus Mozart.

Storia

La datazione esatta di questa composizione non è sicura. Si ritiene possibile


che essa sia la sonata menzionata dal compositore in due lettere indirizzate
alla cugina Maria Anna Thekla Mozart (rispettivamente del 5 novembre e del 3
dicembre 1777); la sonata sarebbe allora stata composta a Mannheim per le
figlie di Erasmus Franziskus Freysinger (consigliere aulico alla corte di
Monaco). La carta e la calligrafia dell'autografo sembrano comunque
appartenere all'epoca del viaggio di Mozart a Mannheim e a Parigi (fra la fine di
ottobre del 1777 e la fine di dicembre del 1778).

Nella prima edizione del Catalogo Köchel le venne attribuito il numero 311,
corretto in 284c nella sesta edizione.
Caratteristiche

La sonata è di carattere perlopiù leggero e giocoso e mostra l'influenza della


scuola di Mannheim; in essa si avverte l'esigenza del compositore di arricchire
la struttura della sonata tramite l'inserzione di elementi dello stile concertante.
Nel primo movimento, Allegro con spirito in forma-sonata, al primo tema in re
maggiore segue un gentile secondo tema, in la maggiore, abbellito dal
contrappunto nella parte della mano sinistra. Nella ripresa il primo e il secondo
tema si presentano in ordine inverso.

Il secondo movimento, Andante con espressione in sol maggiore, ha carattere


cantabile e termina con una coda riccamente accompagnata.

Il terzo movimento, Rondeau. Allegro, in re maggiore e in ritmo di sei ottavi,


ha la spettacolarità di un pezzo da concerto e termina con un finale ad e"etto,
preceduto da una cadenza.

La sonata dura circa diciassette minuti.

Sonata per pianoforte n. 10 in Do maggiore K 330

https://www.youtube.com/watch?v=-V4bGocFwnE

https://www.youtube.com/watch?v=kpDkOuZPktc

https://www.youtube.com/watch?v=9O2VxbQQkFE

La sonata per pianoforte n. 10 in Do maggiore K 330 è un'opera pianistica di


Wolfgang Amadeus Mozart.

La data della sua composizione è incerta; datata da Köchel e da Alfred Einstein


(assieme alle successive sonate K 331, K 332 e K 333) al 1778, in seguito il
musicologo Alan Tyson, mediante un'analisi della carta dei manoscritti, ha
proposto la datazione di tutte queste quattro sonate al periodo 1783 o 1784.

Si segnala per la leggerezza e la semplicità un po' convenzionale della


partitura, probabilmente destinata a pianisti di modeste capacità (Hermann
Abert ipotizza che fosse stata composta per un allievo).

Sonata per pianoforte n. 11 in La maggiore K 331

https://www.youtube.com/watch?v=AHS33DHJQFU

https://www.youtube.com/watch?v=FZ1mj9IaczQ

https://www.youtube.com/watch?v=8aTdpcPA7S8
La sonata per pianoforte n. 11 (Klaviersonate Nummer 11) in La maggiore K
331 (K6 300i) è una composizione di Wolfgang Amadeus Mozart. È molto
conosciuta per il suo terzo movimento, il rondò "alla turca".

Non è noto dove sia stata scritta: si ipotizzano come possibili località
Salisburgo, Monaco, Vienna o Parigi. Anche la data della sua composizione è
incerta; datata da Köchel e da Alfred Einstein (assieme alle sonate K 330, K 332
e K 333) al 1778, in seguito il musicologo Alan Tyson, mediante un'analisi
della carta dei manoscritti, ha proposto la datazione di tutte queste quattro
sonate al periodo 1783 o 1784.

La sonata è composta da tre movimenti:

Andante grazioso - tema con sei variazioni


Menuetto - minuetto
Allegrino (o Allegretto) - Alla turca, in la minore

Tutti e tre i movimenti sono in tonalità di la maggiore o minore, quindi si tratta


di una composizione omotonale.

Il manoscritto

Mozart scrisse la partitura autografa della sonata in la maggiore in un


manoscritto di nove pagine. Fino al 2014 era considerata perduta la maggior
parte dell'autografo, dato che solo l'ultima pagina del manoscritto -
contenente la parte conclusiva del finale Alla turca - era stato conservato nel
Mozarteum di Salisburgo

Le prime otto pagine erano raccolte in due fogli: il primo foglio, contenente le
pagine 1-2 e 7-8, è al momento da considerarsi perduto; il secondo foglio (da
pagina 3 a pagina 6 del manoscritto), contenente la conclusione del primo
movimento (dalla variazione n.3 alla fine) e la parte iniziale del secondo
movimento (ossia l'intero menuetto e la parte iniziale del trio), è stato ritrovato
nel settembre del 2014 presso la collezione musicale della Biblioteca Nazionale
Széchényi di Budapest durante una ricognizione di materiale non catalogato.

Una nuova edizione critica della sonata curata da Wolf-Dieter Sei"ert è stata
pubblicata nel 2015 da G. Henle Verlag; la nuova edizione, basata
principalmente sul confronto fra i due autografi parziali di Budapest e
Salisburgo e la prima edizione a stampa pubblicata da Artaria nel 1784,
introduce numerose correzioni nello spartito.
La nuova versione della sonata, basata sul ritrovamento di Budapest, è stata
eseguita in pubblico per la prima volta dal pianista ungherese Zoltán Kocsis nel
settembre del 2014.

Struttura

Andante grazioso

La composizione si discosta dalle sonate che Mozart aveva precedentemente


scritte. Il primo movimento (Andante grazioso) invece di ricalcare la consueta
forma-sonata presenta un tema lento, simile a certe arie pastorali dell'opéra-
comique francese, che viene ripreso in una serie di variazioni. La melodia di
base si può considerare popolare ma viene resa preziosa dagli espedienti
tecnici usati nella scrittura e dal notevole dinamismo. Nelle variazioni il tema
principale è sempre riconoscibile tanto che ognuna potrebbe costituire un
pezzo a sé stante.

Menuetto

La possibile origine francese emerge anche dalla scelta di porre il minuetto,


caratterizzato non solo dal ritmo ma anche dalla cantabilità, come secondo
movimento.

Rondò

Il rondò finale (noto anche come Rondò alla Turca o Marcia alla turca) è un
pezzo pieno di brio il cui carattere "turco" viene reso attraverso l'imitazione
pianistica, con le acciaccature e gli accordi rapidamente arpeggiati, della
musica suonata dalle bande dei giannizzeri, ricche di strumentini e piccole
percussioni (la cosiddetta musica turca, appunto). All'epoca di Mozart tale
e"etto veniva reso anche con il pedale delle turcherie del fortepiano, che
forniva e"etti simili alle percussioni. Lo stile turco è ripreso da Mozart anche in
altre opere, come Il ratto dal serraglio.

L'indicazione di tempo è problematica: nella nuova edizione critica Henle


Verlag viene ripristinata per il finale l'indicazione Allegrino (presente nella
prima edizione a stampa di Artaria e nel manoscritto del copista di Mozart,
conservato a Praga) in luogo del più usuale Allegretto.

Sonata per pianoforte n. 12 in Fa maggiore K 332

https://www.youtube.com/watch?v=wZRIATHp4fI

https://www.youtube.com/watch?v=_1EUn8IQfKI

https://www.youtube.com/watch?v=uBs_xq5viJE

La sonata per pianoforte n. 12 in Fa maggiore K 332 fu scritta da Wolfgang


Amadeus Mozart.

La data della sua composizione è incerta; datata da Köchel e da Alfred Einstein


(assieme alle sonate K 330, K 331 e K 333) al 1778, in seguito il musicologo
Alan Tyson, mediante un'analisi della carta dei manoscritti, ha proposto la
datazione di tutte queste quattro sonate al periodo 1783 o 1784.

Sonata per pianoforte n. 13 in Si bemolle maggiore K 333

https://www.youtube.com/watch?v=oTS1fohQNec

https://www.youtube.com/watch?v=D_1pJ9sptk8

https://www.youtube.com/watch?v=b2aQjyDvfCw

https://www.youtube.com/watch?v=2-43nExQ3xc

La Sonata per pianoforte n. 13 in si bemolle maggiore, K. 333/315c, è una


composizione di Wolfgang Amadeus Mozart, composta probabilmente a Linz
alla fine del 1783.

Datazione

La sonata fu pubblicata il 21 aprile 1784 a Vienna dall'editore Christoph


Torricella, assieme alla Sonata per pianoforte n. 6 K. 284 e alla Sonata per
pianoforte e violino in si bemolle maggiore K. 454, con l'indicazione di "op. n.
7". L'e"ettiva data di composizione non è facilmente determinabile. Il
manoscritto non è vergato sul tipo di carta da musica che Mozart era solito
utilizzare nel suo periodo viennese, cosicché gli studiosi pensarono
inizialmente che il brano fosse stato composto prima che Mozart si trasferisse
a Vienna. Il musicologo Ludwig von Köchel, nella prima edizione del suo
catalogo delle opere di Mozart (1862), diede la data ipotetica del 1779. In
seguito (1936) lo studioso Georges de Saint-Foix specificò la data di
composizione in "Salisburgo, inizio di gennaio - marzo 1779".
Successivamente Alfred Einstein, nella terza edizione del catalogo Köchel
(1937), ritenne che la sonata fosse stata scritta nella "tarda estate del 1778 a
Parigi". Quest'ultima datazione fu mantenuta fino alla sesta edizione del
catalogo Köchel (1964).

Tali datazioni sono state invalidate dalle scoperte di Wolfgang Plath e Alan
Tyson. Sulla base dell'autografo mozartiano, Plath data la composizione del
brano al periodo 1783/84, «probabilmente non molto precedentemente alla
prima pubblicazione». Inoltre Tyson dimostra, mediante l'esame della carta del
manoscritto, che l'opera è stata composta alla fine del 1783, probabilmente a
novembre, più o meno nello stesso periodo della Sinfonia Linz, K. 425. Questa
nuova datazione appare più plausibile anche secondo criteri di tipo stilistico.

Movimenti

La sonata è in tre movimenti:

Allegro
Andante cantabile
Allegretto grazioso

La durata di esecuzione media è di circa 23 minuti.

I. Allegro

Il primo movimento, in forma sonata, ha carattere a"abile e regolare e scorre


con grazia, mostrando l'influenza della contemporanea musica italiana; tuttavia
la conduzione delle parti e la presenza di ombre che occasionalmente
sembrano oscurare il luminoso paesaggio del brano mostrano un'impronta
inconfondibilmente mozartiana. Lo sviluppo inizia in fa maggiore e modula
attraverso varie tonalità prima di tornare alla tonica di si bemolle maggiore.

II. Andante cantabile


Il movimento centrale è anch'esso in forma sonata. Esso rivela un sentimento
profondo e intimo; nello sviluppo, al primo tema è attribuito un carattere
meditativo e quasi minaccioso, con un senso di tensione che permane sino alla
fine del brano. Un evidente cromatismo caratterizza questo movimento.

III. Allegretto
Il terzo movimento è in forma di rondò, di carattere quasi concertistico: in esso
sembrano infatti alternarsi "soli" e "tutti", e alla fine vi è persino una sorta di
cadenza, che conclude in modo brillante la sonata.

Sonata per pianoforte n. 14 in Do minore K 457

https://www.youtube.com/watch?v=JPHj-PhnA9s

https://www.youtube.com/watch?v=e-ndNUaSXgI

https://www.youtube.com/watch?v=oyX4qeVS-7Y

La Sonata per pianoforte n. 14 in Do minore (K 457) fu scritta da Wolfgang


Amadeus Mozart nell'ottobre del 1784 ma la pubblicazione sarà posticipata al
1785 insieme alla Fantasia per pianoforte K 475, composta nella medesima
tonalità.

Il frontespizio reca una dedica a Therese von Trattner, una dei pupilli di Mozart
a Vienna. Il marito era un importante editore e padrone di casa di Mozart al
tempo. I Trattner diventeranno poi i padrini di battesimo dei quattro figli di
Mozart. La sonata fu composta durante il periodo di circa dieci anni della vita
di Mozart in cui si sottrasse al patrocinio dell'Arciduca di Salisburgo nel 1781.

La sonata rappresenta uno dei più straordinari capolavori del musicista


sebbene sia un episodio isolato all'interno della produzione dei grandi concerti
viennesi per pianoforte e orchestra: nessuna convenzione viene condivisa con
quelle opere, né il carattere brillante, né quello virtuosistico.

La composizione è scritta nella tonalità con cui il musicista esprime la propria


intima so"erenza. Il primo e terzo movimento, come suggerirà il musicologo
Alfred Einstein, sono colonne su cui si ergerà Beethoven.

Il rondò finale provoca inquietudine: ritmi sincopati, pause, incisi frantumano il


pezzo che appare come un respiro a"annoso che non trova pace nemmeno
nelle battute terminali del brano che sono anzi le più violente. Più volte
troveremo questi accenti di perdita della speranza e di fatalismo nelle
successive composizioni dell'autore; non ritroveremo più il tono irruente con
cui questa angoscia viene fatta emergere dal più profondo dell'animo.
Tra questi due convulsi movimenti una melanconica rassegnazione ci viene
fornita dall'adagio in cui si dà più risalto alla cantabilità senza tuttavia
abbandonare mai il tono introspettivo. Alfredo Casella ha ravvisato nel lirismo
quasi contemplativo di questa pagina l'autentico elemento di a!nità con
Beethoven, che nel secondo movimento della Sonata per pianoforte n. 8 -
conosciuta come "Patetica" - proporrà un tema estremamente simile a quello
dell'adagio mozartiano.

Movimenti

allegro
adagio
molto allegro

Sonata per pianoforte n. 15 in Fa maggiore K 533/K 494

https://www.youtube.com/watch?v=TAcdm8D_40w

https://www.youtube.com/watch?v=_1dIkP3tLVg

https://www.youtube.com/watch?v=4KsPmQ7KkWU

La sonata per pianoforte n. 15 in fa maggiore, K. 533/494 è una composizione


di Wolfgang Amadeus Mozart.

Storia

Il compositore inserì i primi due movimenti della sonata nel proprio catalogo
tematico autografo, alla data del 3 gennaio 1788, come «Allegro e Andante per
pianoforte solo». Successivamente egli aggiunse, come terzo movimento, una
propria revisione di un Rondò da lui composto nel 1786. L'opera fu pubblicata
come Sonata per pianoforte in tre movimenti dall'editore Ho"meister di
Vienna. Secondo Hildesheimer la versione originaria del Rondò, datata 10
giugno 1786, era forse stata composta da Mozart per la sua allieva Franziska
von Jacquin. Secondo Alfred Einstein, all'epoca della prima pubblicazione della
Sonata il compositore doveva del denaro all'editore Ho"meister e «senza
dubbio estinse in parte il debito con questa Sonata».

Caratteristiche

Il primo movimento, Allegro, in fa maggiore e in forma sonata, fa ampio uso di


tecniche contrappuntistiche come l'imitazione e il canone, che richiamano Bach
e Händel, e, dal punto di vista armonico, è caratterizzato da digressioni in
tonalità minori anche molto lontane. La coda presenta inusuali modulazioni
cromatiche.

Il secondo movimento, Andante, è anch'esso in forma sonata e si distingue per


la struttura asimmetrica delle frasi e per l'audacia delle modulazioni. La
tonalità è si bemolle maggiore.

Il terzo movimento, Rondò. Allegretto, è d'impostazione più rilassata in


confronto ai primi due movimenti; il tema principale è ornamentato in modo
di"erente ad ogni sua riapparizione. Vi è un episodio in tonalità minore di
carattere contrappuntistico. Verso la fine Mozart introduce una sorta di
cadenza, prima di far riapparire il tema principale nella parte del basso. La
Sonata termina in modo sommesso.

Fortuna critica

Cristoph Wol", dopo aver rilevato che, secondo il biografo ottocentesco Otto
Jahn, l'aggiunta del Rondò ai primi due movimenti per formare una sonata non
sarebbe da attribuire a Mozart, scrive che questo «aspro giudizio, aggravato
dall'assegnazione di due numeri diversi nel catalogo Köchel (1862) e in tutte le
edizioni successive della Sonata, è responsabile dell'accoglienza generalmente
sfavorevole che l'opera ha avuto e della sporadicità con cui è stata eseguita
fino ai giorni nostri».

Sempre secondo Wol", tuttavia, la classificazione del catalogo Köchel in due


numeri distinti è erronea, in quanto fu lo stesso Mozart a far pubblicare l'opera
in modo unitario come sonata in tre movimenti. Inoltre Wol" osserva che il
Rondò finale, K. 494, non venne semplicemente aggiunto così com'era ai primi
due movimenti, bensì Mozart lo rielaborò in modo significativo, «estendendolo
con un elaborato passaggio in forma di cadenza di ventisette battute e
trasformandolo da brano singolo in stile galante in autorevole finale per la sua
sonata». Wol" sottolinea inoltre le dimensioni insolitamente ampie della sonata
(duecentotrentanove battute), la sua particolare complessità compositiva, il suo
rigore polifonico e le sue di!coltà tecniche[10], e scrive che la sonata «è
innovativa, ambiziosa, vasta, complessa, tecnicamente sofisticata,
concettualmente erudita seppur semplice ed elegante in superficie, ed
esteticamente accattivante dall'inizio alla fine».

Sonata per pianoforte n. 16 in Do maggiore K 545

https://www.youtube.com/watch?v=kUnYGUwatpo

https://youtu.be/XXIu0MRuIQU?list=RDXXIu0MRuIQU
La sonata per pianoforte n. 16 in Do maggiore (KV 545) fu composta da
Wolfgang Amadeus Mozart, che la terminò il 26 giugno 1788 a Vienna.

Mozart la definì "A l'usage des commençants" (trad: ad uso dei principianti); si
tratta infatti di una sonata (o sonatina) che presenta diverse strutture
didattiche come ad esempio le scale e gli arpeggi presenti nel primo tempo, e
presenta per lo più un'armonia semplice che rappresenta appieno lo stile della
forma sonata. È talvolta definita, in maniera informale, la più classica delle
sonate di Mozart.

Movimenti

Allegro
Andante
Rondò

Sonata per pianoforte n. 17 in Si bemolle maggiore K 570

https://www.youtube.com/watch?v=kVwEkgQ3dPs

https://www.youtube.com/watch?v=qNB8xWO4e0c

La Sonata per pianoforte n. 17 in si bemolle maggiore, K. 570 è una


composizione per pianoforte di Wolfgang Amadeus Mozart.

Storia

Mozart inserì la sonata nel proprio catalogo autografo nel febbraio 1789, con
l'indicazione «Eine Sonate auf Klavier allein» ("Una sonata per pianoforte solo").
La partitura fu pubblicata postuma dall'editore Artaria di Vienna, nel 1796, con
il titolo in italiano «Sonata per il Clavicembalo o Piano-Forte con
l'accompagnamento d'un Violino»; tuttavia la parte per violino (che appare
anche in varie altre edizioni pubblicate nel corso del XIX secolo) è oggi
considerata apocrifa.
Caratteristiche

La sonata, in tre movimenti, è caratterizzata da un linguaggio musicale


semplice e chiaro, alieno da virtuosismi.

Il primo movimento, Allegro, in forma sonata, inizia con un tema formato da


accordi all'unisono. Dopo una transizione che inizia in mi bemolle maggiore, il
secondo tema, in fa maggiore, è basato sulla stessa cellula tematica del primo
tema. Nella ripresa primo e secondo tema riappaiono entrambi nella tonalità
d'impianto.
Il secondo movimento, Adagio, può ricordare sotto l'aspetto timbrico un
insieme di strumenti a fiato; la prima battuta sembra imitare un richiamo di
corno. Vi è un episodio in do minore e, verso la metà del brano, appare un
nuovo tema in la bemolle maggiore.

Il terzo movimento, Allegretto, è in forma di rondò. Il tema principale, ilare e


cadenzato, appare solo due volte, mentre nella sezione centrale troviamo un
gaio episodio in note ripetute, in staccato, che sembra anticipare certe melodie
de Il flauto magico.

La sonata dura circa diciotto minuti.

Sonata per pianoforte n. 18 in Re maggiore K 576

https://www.youtube.com/watch?v=TfCzqcW0LqE

https://www.youtube.com/watch?v=FAETAMTWTGM

La Sonata per pianoforte in re maggiore, K. 576 fu composta da Wolfgang


Amadeus Mozart nel 1789. Dura circa quindici minuti ed è la sua ultima sonata
per pianoforte. Si ritiene che essa sia stata scritta per la principessa Federica
Luisa di Prussia. È a volte soprannominata "La caccia", a causa del suo tema
iniziale, somigliante appunto a un segnale di caccia.

Datazione

In una lettera al suo amico Michael von Puchberg, datata 12 luglio 1789,
Mozart a"ermava: «Nel frattempo sto scrivendo sei sonate facili per pianoforte
per la principessa Friederike e sei quartetti per il re». Mentre l'identificazione di
tali quartetti all'interno del corpus mozartiano è certa (si tratta dei cosiddetti
Quartetti prussiani, di cui Mozart completò solo i tre quartetti K. 575, K. 589 e
K. 590), l'identificazione delle «sonate facili» menzionate nella lettera è più
controversa. Si ritiene generalmente che Mozart abbia in realtà scritto una sola
sonata delle sei progettate, appunto la K. 576. Tuttavia Wolfgang Plath e
Wolfgang Rehm, curatori della moderna edizione critica delle opere di Mozart
(la Neue Mozart-Ausgabe) hanno escluso che la K. 576 facesse parte del
progettato gruppo di «sonate facili». In realtà la sua esecuzione è piuttosto
impegnativa, trattandosi anzi di una delle sonate di Mozart più di!cili da
eseguire, a causa - fra l'altro - dei suoi passaggi contrappuntistici. Charles
Rosen ha suggerito che Mozart possa aver considerato facili tali passaggi (in
quanto a due sole parti, ciascuna per ogni mano), benché in pratica non lo
siano.
Analisi

Secondo le consuetudini dell'epoca, la sonata è in tre movimenti, nel tipico


schema che vede un movimento lento incastonato fra due più veloci.

I. Allegro

È in forma-sonata, in tempo di sei ottavi. Inizia con un motto (che ha


guadagnato alla sonata il suo soprannome) eseguito dalle due mani in
unisono, cui fanno seguito alcuni trilli e un passaggio in mi minore. Questo
materiale, variato, costituisce il primo tema. Il secondo soggetto, alla
dominante, si basa su un materiale tematico ingegnosamente derivato da
quello del primo tema. Lo sviluppo inizia alla dominante, comprende molte
tonalità anche distanti da quella principale ed è contrappuntisticamente denso.
L'andamento armonico precorre già il romanticismo. Il passaggio alla ripresa
avviene mediante un emozionante passaggio cromatico, basato sulla cadenza
finale dell'esposizione.

II. Adagio

Il movimento centrale è alla tonalità dominante (La maggiore), comprende varie


scale e fa ampio uso del contrappunto. Presenta un episodio centrale in Fa
diesis minore, il cui ritmo e la cui struttura (benché non la melodia) vengono
richiamati nella coda.

III. Allegretto
La forma dell'ultimo movimento, di carattere giocoso, è un misto tra forma-
sonata e rondò. Subito dopo il primo tema viene presentato il secondo, in
terzine. Esso appare, invertito, contemporaneamente al tema principale,
creando un ingegnoso esempio di contrappunto doppio.

Altre composizioni per pianoforte

Dodici variazioni per pianoforte su Ah, vous dirais-je, Maman K 265

https://www.youtube.com/watch?v=9bK9h12Qdvs

Le Dodici variazioni in do maggiore sulla canzone francese "Ah, vous dirai-je


Maman" KV 265 (300e), sono una composizione per pianoforte di Wolfgang
Amadeus Mozart, da lui scritta probabilmente all'età di circa venticinque anni
(nel 1781 o nel 1782). Quest'opera consiste nel tema della canzone popolare
francese Ah! Vous dirai-je, Maman, seguito da dodici variazioni. L'esistenza
della melodia che è alla base di questa canzone è documentata a partire dal
1761; nei paesi di area anglosassone tale melodia è di"usa sotto forma di una
notissima canzoncina per bambini intitolata Twinkle, Twinkle Little Star.

Titolo

Il manoscritto autografo della composizione, conservato ad Augusta, è senza


titolo. La prima edizione a stampa dello spartito, uscita in vita dell'autore
(Vienna, Torricella 1785), riportava il seguente titolo con dedica: "AIRS VARIÉE
[sic] / Dediée / A.M: IOSEPHE D'AURNHAMMER / par son tres humble et tres
obeisant Serviteur Cristoph Torricella". Sia il titolo che la dedica sono da
attribuire all'editore e non all'autore. Nell'edizione critica di tutte le opere di
Mozart il titolo della composizione è: Zwölf Variationen in C über das
französische Lied "Ah, vous dirai-je Maman", KV 265 (300e), ossia: Dodici
variazioni in do maggiore sulla canzone francese "Ah, vous dirai-je Maman",
KV265 (300e).

La musica

La composizione consta di tredici sezioni: la prima sezione è il tema, le altre


sono le variazioni dalla I alla XII. Solamente le variazioni XI e XII sono provviste
di indicazioni agogiche, rispettivamente Adagio e Allegro. Il tema è presentato
"nella forma più semplice possibile"; nella prima variazione la melodia è
esposta in semicrome eseguite dalla mano destra, mentre nella seconda
variazione è accompagnata da semicrome per la mano sinistra. Analogamente
la terza variazione presenta arpeggi in terzine per la mano destra, e la quarta
arpeggi in terzine per la mano sinistra. Nella quinta variazione la melodia è
abbellita mediante l'uso del sincopato. La sesta e la settima variazione si
basano nuovamente sulle semicrome. Il contrappunto compare nell'ottava
variazione (in do minore) e nella nona variazione. Nella decima variazione la
melodia è da eseguire a mani incrociate. L'undicesima variazione è un Adagio.
Nella dodicesima ed ultima variazione il tema è accompagnato dal basso
albertino.

Data di composizione
A lungo si è ritenuto che queste variazioni fossero state composte nel 1778,
durante la permanenza di Mozart a Parigi fra l'aprile e il settembre di tale
anno; si supponeva infatti che Mozart dovesse aver udito tale melodia francese
(e che ne fosse stato ispirato) proprio durante il suo soggiorno in Francia. Per
questa ragione, nelle edizioni moderne del catalogo Köchel, all'opera è stato
assegnato il numero di catalogo K. 300e, in luogo del precedente K. 265.
L'analisi dei manoscritti di Mozart eseguita in seguito da Wolfgang Plath,
tuttavia, sembra indicare come probabile data di composizione il 1781 o il
1782. La prima pubblicazione si ebbe a Vienna nel 1785.
Fantasia in re min K 397

https://www.youtube.com/watch?v=_Ki1EQHuE6I

https://www.youtube.com/watch?v=Kvk-X5TrCDw

https://www.youtube.com/watch?v=eNOhBE20zsI

https://www.youtube.com/watch?v=ESRwx36lvOM

La Fantasia per pianoforte in Re minore K 397 venne composta a Vienna da


Wolfgang Amadeus Mozart tra l'agosto e il settembre del 1782.

Questa fantasia non ha il carattere leggero e spensierato di altre composizioni


mozartiane. Soprattutto all'inizio si può notare un carattere lontano dal suo
tempo, più consono all'estetica romantica del secolo seguente.
In certi passaggi ad accordi pieni può ricordare Ludwig van Beethoven nelle sue
sonate e le fantasie o gli improvvisi di Fryderyk Chopin.

Sotto l'aspetto melodico Mozart dà fondo alla sua creatività, appoggiando la


melodia su un ritmo scandito e alternando il tutto alla più consueta visione
giocosa e lineare della tipica melodia accompagnata di tipo vocale.
Questi e"etti di alternanza sono ottenuti ricorrendo al modo minore e
mantenendo al tempo stesso un colore omogeneo. La fantasia in re minore di
Mozart (in cui si sono cimentati nell'interpretazione grandi pianisti quali Glenn
Gould) resta una pagina memorabile nella storia della musica classica, un
equilibrio di forma e melodia e leggiadria nell'allegretto finale,
un'indimenticabile pagina Mozartiana.

Sembrerebbero attribuibili in modo certo a Mozart solo circa le prime 100


battute. La restante parte potrebbe essere dovuta ad A. E. Müller.

Fantasia in do min K 475

https://www.youtube.com/watch?v=cXWCeLc9QDQ

https://www.youtube.com/watch?v=wu5ivRKjpls

https://www.youtube.com/watch?v=Sr9QZCVKFZ8

https://www.youtube.com/watch?v=ry1LO1_Nufw
La fantasia in Do minore K 475 fu completata da Wolfgang Amadeus Mozart
nel maggio del 1785 e viene di norma proposta come introduzione alla sonata
per pianoforte K 457.

Diversamente da precedenti composizioni dell'autore questa fantasia è stata


espressamente concepita per il fortepiano e non per clavicembalo come molte
altre composizioni precedenti che poi per questo strumento venivano
trascritte: ne consegue che le sonorità sono specificatamente pianistiche.
Mozart sfrutta le varietà timbriche dello strumento e vi inserisce particolari
e"etti cromatici.

La fantasia K 475 e la sonata K 457, ambedue in Do minore, vennero dedicate


(secondo quanto riferì la vedova Constanze Weber), alla signora Therese von
Trattner, allieva del maestro sin dal 1782. Pare che in una lettera andata
perduta il compositore suggerisse l'esecuzione della fantasia quale prologo
della anzidetta sonata. Entrambi i lavori hanno infatti uno stretto legame
costituito non solo dalla tonalità ma dall'atmosfera, dalla inquietudine e dalla
so"erenza che li accomuna.

La fantasia si articola in cinque tempi riconoscibili all'ascoltatore e che


alternano tempi lenti a veloci (adagio, allegro, andantino, più allegro, adagio)
mentre la conclusione riprende il materiale iniziale con variazioni minime.
Tutta composizione ha di conseguenza un andamento ciclico. Il motivo iniziale
(adagio) è basato sull'accordo fondamentale e ricorda il tema presente nel
Kyrie della Missa solemnis K 139 scritto quando Mozart aveva dodici anni e
continua su temi la cui tonalità si allontana sempre più da quella di base per
so"ermarsi su un lungo episodio lirico in Re maggiore. Segue un allegro dai
toni drammatici e una andantino ad un tempo lirico e scuro con repentini
cambiamenti di dinamica. Il più allegro continua il materiale dell'andantino in
una atmosfera diversa sino a proporre frasi brevi e spezzate che conducono al
secondo adagio. Il materiale iniziale è ripreso con armonie che conferiscono al
pezzo toni tetri. Quando lo svolgimento sembra concludersi in modo
rassegnato si ha un guizzo finale che rinvia la risoluzione delle tensioni
(lasciandone forse il prosieguo alla sonata).

Piccola Giga in sol maggiore K 574

https://www.youtube.com/watch?v=mPoibloHm_s

Sonate per pianoforte e violino

https://www.youtube.com/watch?v=v8Jo3a0evvA
Sonata per pianoforte e violino in do mag K 296

https://www.youtube.com/watch?v=7Kxr3X4i56I

Scritta nel marzo del 1778 e dedicata alla quindicenne allieva Therese Pierron,
la Sonata K. 296 è inserita in un gruppo di lavori - le cosiddette Sonate di
Mannheim (K. 301-306) - che Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
definisce Duetti di pianoforte e violino. La stessa denominazione chiarisce la
precisa finalità delle composizioni, posteriori alle giovanili Sonate per
pianoforte con violino ad libitum (K. 6-7) e ideate nell'intento di a!dare ai due
strumenti una funzione più decisamente concertante. Tale era infatti la
caratteristica primaria di alcuni «duetti» di quel Joseph Schuster (1784-1812)
nominato Kapellmeister presso la corte di Dresda nel 1772, che quasi
sicuramente servirono a Mozart da modello, in base a quanto si riporta in una
sua lettera del 1777, ove egli a"erma di averli «spesso eseguiti» ritenendoli
«non cattivi» e dichiarandosi pronto a scriverne «nel medesimo stile». Ciò che
in particolare dovette influenzare il musicista salisburghese fu senza dubbio la
nuova e dinamica concezione che si ascrive al violino, non più limitato a
interventi imitativi o relegato a passivo subordine, ma a!ancato con misura al
pianoforte, in un calibrato alternarsi di entrate di taglio tipicamente solistico.

E al violino infatti è concesso un giusto risalto in ciascuno dei tre movimenti


della K. 296: dal vibrante Allegro vivace, che non è immune da una certa
essenza mondano-virtuosistica, pur sempre attenuata dalla costante
freschezza inventiva, all'Andante sostenuto, che evidenzia precisi richiami a
un'aria di Johann Christian Bach, vivificandosi tuttavia in una ricca gamma di
audaci modulazioni, fino al Rondò conclusivo, che rivela un'intensità espressiva
non inferiore ai Rondò di alcune Sonate pianistiche mozartiane. Un'opera,
insomma, in cui l'autore non ha di!coltà a superare le motivazioni di
circostanza - composizione dedicata a una pianista dilettante - per dar luogo a
una realizzazione cameristica di pregio e di sicura validità, a suo tempo
ribadita dal lusinghiero giudizio (rara evenienza per il più che bistrattato
Mozart!) che seguì alla pubblicazione nel 1781 della K. 296 insieme a quattro
nuove Sonate: «Essendo uniche nel loro genere, non è possibile dare una
completa descrizione di queste opere originali. Gli amatori e i conoscitori di
musica dovranno eseguirle per conto loro: solo così comprenderanno il grande
genio musicale di chi le ha composte».

Piero Gargiulo

Sonata per pianoforte e violino in sol mag K 301

https://www.youtube.com/watch?v=x7xPIyePmNk
https://youtu.be/szu13HgqGZk?list=RDszu13HgqGZk

Allegro con spirito (sol maggiore)


Allegro (sol maggiore)

Organico: pianoforte, violino


Composizione: Mannheim, 14 febbraio 1778
Edizione: Sieber, Parigi 1778

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nella primavera del 1778 Mozart giunse per la terza volta a Parigi alla ricerca
di un adeguato lavoro e di successo come pianista e compositore, seguendo i
consigli del padre Leopoldo e del barone von Grimm, un personaggio influente
dell'ancien regime di Luigi XVI e un tempo ammiratore del bambino prodigio
salisburghese. Ma il soggiorno parigino non ebbe risultati lusinghieri e una
lista di eventuali amici e protettori, su cui Mozart aveva riposto una certa
fiducia, si dimostrò ben presto fondata su illusone speranze. Egli stesso, in
una lettera inviata al padre il 1° maggio del 1778, espresse chiaramente la sua
disillusione con queste parole: «La gente si profonde in complimenti e tutto
finisce lì. Mi si prenota per questo o quel giorno; io suono e mi sento dire: oh!
c'est un prodige, c'est inconcevable, c'est étonnant! - e buona notte! Chi non è
presente non ci crede, com'è fatale che avvenga ».

Dapprima Grimm si interessò al giovane Wolfgang e lo introdusse nei salotti


della duchessa Chabot e del duca De Guines, ambasciatore francese in
Inghilterra, procurandogli qualche noiosa lezione a fanciulle dell'alta società.
Poi il barone von Grimm, inda"arato in altre questioni più mondane e politico-
diplomatiche, fra cui la «grande guerra» tra piccinisti e gluckiani, abbandonò al
suo destino Mozart, che si mise in relazione con il direttore dei «Concerts
spirituels», Jean Le Gros. Questi commissionò al musicista alcuni lavori, di cui il
più noto è la Sinfonia in re maggiore K. 297, detta «Parigina», che procurò al
compositore l'unica soddisfazione in quel periodo che trascorse nella capitale
francese.

Proprio nell'estate di quell'anno Mozart terminò a Parigi la serie delle cinque


Sonate per violino e pianoforte iniziata a Mannheim, alle quali si aggiunsero
poi la Sonata in mi minore K. 304 e quella in re maggiore K. 306, così
deliziosamente serena e distante psicologicamente dalle preoccupazioni
economiche del momento.

Così come altre quattro dello stesso gruppo, denominate anche Palatine
perché dedicate alla moglie dell'elettore del Palatinato, Karl Theodor,la Sonata
in sol maggiore ha due soli tempi, nel pieno rispetto di una tradizione
esistente prima di Mozart e che considerava queste composizioni come dei
duetti stringati ed essenziali fra il pianoforte e il violino, quest'ultimo
strumento a volte sostituito da un flauto. Nel primo tempo (Allegro con spirito)
il violino svolge un ruolo predominante e soltanto in un secondo momento il
pianoforte ria"erma i suoi diritti e sviluppa il tema principale in un dialogo
vivace e ricco di trovate melodiche. L'Allegro è un rondò di gusto francese che
fa pensare però allo stile di Haydn per quella freschezza e naturalezza dì idee
musicali, che sembrano scaturire con facile spontaneità dall'interno stesso del
discorso sonoro.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Mozart, oltre al pianoforte e all'organo, suonava il violino (lo strumento di


Leopoldo, oggetto del famoso metodo Gründliche Violinschule, 1756), e per la
sua carica di Konzertmeister a Salisburgo gli competeva, con la direzione
d'orchestra, la parte di primo violino: «Vostra Grazia ha perduto un grande
virtuoso. E' il più grande pianista che abbia mai udito; e anche come violinista
ha reso buoni servizi a Vostra Grazia», disse il maggiordomo di corte
all'arcivescovo dopo che Mozart si era congedato dal servizio salisburghese,
nell'autunno 1777. Nel catalogo delle composizioni mozartiane, dopo i primi
Minuetti e un Allegro per pianoforte, figurano alcune Sonate per pianoforte e
violino (K. 6-9) che risalgono agli anni 1763-64. Ma in queste, e ancora nelle
opere che seguiranno prima della Sonata in programma, la parte pianistica (o
cembalistica) è preponderante e il violino ha un ruolo secondario: si tratta, in
sostanza, di "sonate con accompagnamento d'un violino", una moda che
dominava in Europa in quanto soddisfaceva le esigenze dei sempre più
numerosi dilettanti (le coltivarono, tra gli altri, a Parigi Johann Schobert, tanto
ammirato da Mozart, a Londra Johann Christian Bach e Clementi).

Ma, sempre nell'autunno 1777, a Monaco, Mozart ebbe occasione di conoscere


i duetti per clavicembalo e violino di J. Schuster: «Non sono cattivi», scrive al
padre, «se mi fermerò, ne scriverò io stesso nel medesimo stile, dato che essi
sono molto popolari quaggiù». Ed ecco apparire, agli inizi dell'anno seguente,
un gruppo di sei Sonate - dette palatine perché dedicate alla moglie di Karl
Theodor, principe elettore del Palatinato - che saranno pubblicate a Parigi
come op. 1 nello stesso 1778 (K. 301-306): «Così, tanto per cambiare, ho
scritto qualcosa di diverso, duetti per pianoforte e violino» (da Mannheim,
14.2.78). Infatti, in queste Sonate il violino è trattato in stile concertante.

La Sonata in sol maggiore, come la maggioranza delle consorelle, è in due


movimenti. Il primo tempo, Allegro con spirito, ha un impianto classico
tripartito. Ai due temi principali (tonica e dominante) si accostano spunti
secondari. Lo sviluppo, di tipo tematico, è animato da inversioni e cromatismi.
Il secondo movimento, un Allegro in 3/8, ha la forma di rondò variato: motivi
vivaci e popolari incorniciano l'episodio centrale in minore, di delicata poesia. Il
dialogo equilibrato tra i due strumenti che si alternano il canto, e il sapiente
contrappunto che regola le sovrapposizioni delle loro voci, costituiscono
l'essenza della sonata classica per violino e pianoforte.

Ala Botti Caselli

Sonata per pianoforte e violino in mi bemolle mag K 302

https://www.youtube.com/watch?v=4noy3KlE7Bs

Sonata per pianoforte e violino in do mag K 303

https://www.youtube.com/watch?v=Nq5DaLi9NKM

Sonata per pianoforte e violino in mi min K 304

https://www.youtube.com/watch?v=0UhnfWzOCMo

Allegro (mi minore)


Tempo di Minuetto (mi minore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Parigi, giugno - luglio 1778
Edizione: Sieber, Parigi 1778

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nella storia della sonata per violino e strumento a tastiera si possono


individuare due fasi distinte. La prima risale all'inizio del Settecento, l'epoca
nella quale questo tipo di sonata si a"ermò come genere musicale autonomo,
parallelamente al consolidarsi della moderna tecnica violinistica e
all'a"ermarsi, su scala europea, di uno stile cantabile di derivazione italiana
che aveva proprio nel violino il suo strumento d'elezione. In questa fase allo
strumento a tastiera spettava appena il compito di realizzare un basso
continuo, ovvero la base armonica che sosteneva lo sviluppo di un materiale
musicale a!dato, invece, praticamente per intero al violino. Le Sonate per
violino e clavicembalo op. V di Arcangelo Gorelli, pubblicate nel 1700 e
ristampate più di cinquanta volte nell'arco di soli dieci anni, sono un esempio
perfetto di questo tipo di rapporto fra violino e tastiera, e d'altra parte
l'ulteriore perfezionamento della tecnica violinistica finì per approfondire in
modo ancora più netto questa ripartizione di ruoli: da Tartini a Geminiani, da
Leclair a Locatelli, la sonata per violino diventa un genere sempre più ardito e
virtuosistico, con poche concessioni all'idea di un trattamento paritario dei due
strumenti in gioco.

Questa proporzione era destinata a cambiare alla metà del secolo, cioè
all'inizio di quella che viene definita l'età classica, quando il ruolo portante del
violino nello sviluppo del linguaggio storico della musica venne sostituito dal
protagonismo dei nuovi strumenti a tastiera, fortepiano e, subito dopo,
pianoforte. Nel campo della Sonata per violino e strumento a tastiera, questo
ribaltamento si rispecchiò dapprima nel di"ondersi di un tipo di "sonata per
pianoforte con accompagnamento", come si chiamava allora, nella quale il
violino si limitava a raddoppiare la melodia pronunciata dallo strumento a
tastiera e limitava drasticamente tutto il corredo tecnico e virtuosistico
dell'esecuzione. Subito dopo venne a"ermandosi un tipo più equilibrato di
composizione sonatistica, nella quale entrambi gli strumenti venivano trattati
con pari dignità, ovvero ripartendo equamente il materiale melodico,
integrando maggiormente la scrittura e dando vita a veri e propri dialoghi
strumentali, non più a monologhi con l'assistenza di un partner.

Le Sonate per violino e pianoforte di Mozart appartengono senz'altro a


quest'ultima categoria e sono, anzi, l'esempio canonico di un linguaggio ormai
approdato a un livello di equilibrio e di integrazione fra le parti tale da
superare ogni residuo problema stilistico e formale per approdare a una ricerca
espressiva più densa di riflessione e di esperienza. Il caso della Sonata in mi
minore K. 304 è, da questo punto di vista, emblematico. Mozart la scrisse nel
1778, a Parigi, in un periodo nel quale, giunto all'età di ventidue anni, egli
aveva per la prima volta percorso fino in fondo le più acute tonalità emotive del
dolore, quelle legate all'amore per la giovane cantante Aloysia Weber,
naufragato poco prima che egli giungesse in Francia, e all'improvvisa morte
della madre, che lo aveva accompagnato in quella città. Non è mai agevole
stabilire quale rapporto intercorra tra le esperienze vissute da un autore e il
carattere della sua opera, tanto che insistendo su questo aspetto si corre
spesso il rischio di una inutile caccia al pettegolezzo. E tuttavia, pur non
volendo tracciare nessuna linea di dipendenza diretta fra quegli eventi e la
Sonata K. 304, è altrettanto di!cile non osservare con sorpresa la distanza di
questa composizione dai modelli di puro intrattimento ai quali con tutta
evidenza, si ispira. L'impressione è che Mozart abbia mantenuto l'involucro per
cambiare radicalmente il contenuto. L'idea di tagliare il secondo movimento
della Sonata in "tempo di minuetto" corrisponde, per esempio, alla moda
parigina di quegli anni, ma il tono introverso con il quale procede, anzi gli
accenti persino acutamente drammatici con cui si chiude, dopo la pausa
be"ardamente luminosa del Trio che modula in mi maggiore, sono
lontanissimi dalle galanterie di quella forma di danza e rinviano a esperienze
più incisive, taglienti, quali mai prima avevano trovato posto in una forma
"leggera" come quella del minuetto, appunto. I tempi della Sonata K. 304 sono
due, conformemente a un modulo piuttosto di"uso allora e al quale Mozart si
attiene in tutte le sue prime Sonate per violino e pianoforte. Ma, se il secondo
movimento possiede una sensibile piega drammatica, quello di apertura è, da
questo punto di vista, addirittura esasperato: «è una continua lotta», ha scritto
Hermann Abert, «tra stanca rassegnazione e incontenibile ribellione», un
conflitto che si traduce in sonorità estremamente tese e in una concentrazione
del materiale che non concede nulla al proverbiale accumulo della scrittura
mozartiana, ma segue rigorosamente il principio della forma-sonata con un
solo tema di riferimento.

Stefano Catucci

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nella primavera del 1778 (Mozart giunse per la terza volta a Parigi alla ricerca
di lavoro e di successo come pianista e compositore, secondo i consigli del
padre Leopoldo e del barone von Grimm, un personaggio molto influente
dell'ancien régime di Luigi XVI e un tempo ammiratore del bambino prodigio
salisburghese. Ma il soggiorno parigino non ebbe risultati lusinghieri e una
lista di eventuali amici e protettori, su cui Mozart aveva riposto una certa
fiducia, si dimostrò ben presto fondata su illusone speranze. Egli stesso, in
una lettera inviata al padre il 1° maggio del 1778, espresse chiaramente la sua
disillusione con queste parole: «La gente si profonde in complimenti e tutto
finisce lì. Mi si prenota per questo o quel giorno; io suono e mi sento dire: oh!
c'est un prodige, c'est inconcevable, c'est étonnant! - e buona notte! Chi non è
presente non ci crede, com'è fatale che avvenga». Dapprima Grimm si interessò
a Wolfgang e lo introdusse nei salotti della duchessa Chabot e del duca De
Guines, ambasciatore francese in Inghilterra, procurandogli qualche noiosa
lezione a fanciulle dell'alta società. Poi il barone von Grimm, inda"arato in altre
questioni più politico-mondane, fra cui la «grande guerra» tra piccinisti e
gluckiani, abbandonò al suo destino Mozart, che si mise in relazione con il
direttore dei «Concerts spirituels», Jean Le Gros. Questi commissionò al
musicista alcuni lavori, di cui il più noto è la Sinfonia in re maggiore K. 297,
detta «Parigina», che procurò al compositore l'unica soddisfazione in quel
periodo che trascorse nella capitale francese.

Proprio nell'estate di quell'anno Mozart terminò a Parigi la serie delle cinque


Sonate per violino e pianoforte iniziata a Mannheim, alle quali si aggiunsero
poi la Sonata in mi minore, oggi in programma, e quella in re maggiore K. 306,
così deliziosamente serena e distante psicologicamente dalle preoccupazioni
del momento. La Sonata K. 304, che insieme ad altre cinque fu subito
pubblicata dal noto editore parigino Sieber, presenta una struttura quanto mai
semplice e lineare nei suoi due movimenti, Allegro e Tempo di minuetto. Un
sentimento di rassegnata malinconia caratterizza l'Allegro iniziale, dove non
mancano screziature contrappuntistiche con alcune accentuazioni
drammatiche. Risalta poi in tutta la sua purezza melodica una frase musicale
piena di fantasticheria romantica. Il tono elegiaco del minuetto - il motivo
fondamentale si ripete tre volte - anticipa l'a"ettuosa intimità del canto
schubertiano, secondo una valutazione che trova concordi tutti gli studiosi
della musica di Mozart.

Ennio Melchiorre

Sonata per pianoforte e violino in la mag K 305

https://www.youtube.com/watch?v=ddRbX8Q6YT8

https://www.youtube.com/watch?v=Wepq4qRBmU8

Allegro molto (la maggiore)


Tema con Variazioni. Andante grazioso (la maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Mannheim, febbraio 1778
Edizione: Sieber, Parigi 1778

Guida all'ascolto (nota 1)

La Sonata K. 305 per violino e pianoforte è inclusa nel gruppo delle sei Sonate
composte nel 1778 "pour clavecin ou forte-piano avec accompagnement d'un
violon" in cui si rivela la particolare freschezza inventiva del compositore,
ormai perfettamente padrone di questa forma musicale dedicata all'incontro e
alla fusione fra due strumenti così ricchi ed espressivi nel loro linguaggio
armonico. Durante il soggiorno a Mannheim Mozart prese conoscenza dei
duetti per violino e pianoforte del maestro alla corte di Dresda, Johann
Schuster (1748-1812) e li trovò interessanti, tanto da scrivere alla sorella
Nannerl di avere intenzione di comporre un tipo di musica adatta a valorizzare
le qualità del violino e del pianoforte, nel rispetto delle caratteristiche tecniche
dell'uno e dell'altro strumento. Nacque così tra l'altro la Sonata K. 305
costituita di soli due tempi e improntata ad una festosa allegrezza giovanile,
che, a detta di alcuni esegeti mozartiani, rispecchierebbe il nascente idillio
amoroso tra il giovane Mozart e Aloysia Weber.

L'Allegro di molto si apre con un tema brillante e gioioso, ripetuto due volte;
subentra poi un secondo tema esposto dal pianoforte e poi ripreso
alternativamente dai due strumenti in una combinazione ritmica in tempo di
6/8. Sia il violino che il pianoforte hanno la stessa importanza e non manca
qualche breve sortita solistica sia del primo che del secondo strumento.
Nell''Andante grazioso, comprendente sei variazioni di purissima eleganza
inventiva, Mozart riesce a toccare e"etti di piacevole gusto musicale,
nell'ambito di quello stile concertante che gli era congeniale. La prima
variazione è indicata dal pianoforte, mentre la seconda tocca al violino; quindi
il disegno tematico viene a!dato ai due esecutori che si alternano nella
esposizione della quarta e della quinta variazione. Un rapido movimento
allegro conclude felicemente e con leggerezza la Sonata K. 305, dove il violino
e il pianoforte hanno un ruolo uguale e distinto, secondo quell'unità di
concezione artistica che appartiene alla versatilità creatrice di Mozart.

Sonata per pianoforte e violino in re mag K 306

https://www.youtube.com/watch?v=gGpOhRt6PAA

https://www.youtube.com/watch?v=Nq5DaLi9NKM

Allegro con spirito (re maggiore)


Andante cantabile (sol maggiore)
Allegretto (re maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Parigi, luglio 1778
Edizione: Sieber, Parigi, 1778
Dedica: Maria Elisabeth, consorte dell'Elettore del Palatinato

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel 1777 Mozart rinunciò al mal retribuito u!cio di Konzertmeister del


principe di Salisburgo e decise di «andare a cercare fortuna altrove». Partì
insieme alla madre per Monaco e, dopo una permanenza di quattro mesi a
Mannheim, centro di uno stile strumentale e sinfonico ch'ebbe grande
influenza sugli sviluppi della scuola viennese, giunse nella capitale francese
dove si trattenne gran parte del 1778. La morte della madre dopo breve
malattia e l'annuncio da parte del padre che a Salisburgo l'attendeva un buon
contratto, lo indussero, seppure a malincuore, a riprendere la via del ritorno.

Sette sono le Sonate per violino che Mozart compose in parte a Mannheim, in
parte a Parigi; tra queste ultime figura la Sonata in re maggiore K. 306. Non
entrando nei dettagli strutturali e formali che dimostrerebbero ora il prevalere
dello stile tedesco ora di quello parigino, qua la geniale fusione dell'uno e
dell'altro, altrove le soluzioni del tutto originali, basti accennare che l'Andante
cantabile, assai vicino a quello della Sinfonia detta «la parigina», presenta una
condotta più libera e uno sviluppo più ampio delle sonate di Mannheim, non
senza accenti drammatici che ci richiamano alla caratterizzazione espressiva,
quasi teatrale, di gusto francese. Come pure, nel Finale, si fanno risalire
all'influsso del soggiorno parigino l'elegante rifinitura delle idee e il brioso
scintillio ch'esse producono nel vivace congiungersi e disgiungersi dei due
strumenti,

Sonata per pianoforte e violino in fa mag K 376

https://www.youtube.com/watch?v=q9RWnhScRw0

https://www.youtube.com/watch?v=1vY9iv48P2A

Allegro (fa maggiore)


Andante (si bemolle maggiore)
Rondò. Allegro grazioso (fa maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Vienna, aprile - luglio 1781
Edizione: Artaria, Vienna 1781
Dedica: Josepha Auernhammer

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel novembre 1781 l'editore Artaria pubblicò per sottoscrizione sei Sonate per
violino e pianoforte di Mozart, due delle quali erano state composte a
Mannheim (K. 298 e K. 378) e le altre a Vienna (K. 376, K. 377, K. 379 e K.
380). Esse apparvero sotto l'unico titolo «Six Sonates pour le Clavecin ou
Pianoforte, avec l'aceompagnement d'un Violon» e il loro valore non sfuggì
all'ambiente musicale, tanto è vero che sull'autorevole periodico «Magazin der
Musik» di quel periodo apparve il seguente commento: «Queste Sonate sono
uniche nel loro genere. Sono ricche di nuove idee e mettono in evidenza il
grande genio musicale del suo autore. Sono assai brillanti e adatte al
pianoforte e nello stesso tempo l'accompagnamento del violino è così
abilmente combinato con la parte pianistica, che entrambi gli strumenti
mantengono viva la nostra attenzione. Queste Sonate richiedono un violinista
esperto quanto il pianista. Non è possibile in questa occasione compiere una
descrizione dettagliata di queste composizioni originali. Gli amatori e i
conoscitori di musica potranno eseguirle per il proprio piacere e si renderanno
conto che il nostro giudizio non è esagerato».
Sin dall'Allegro iniziale si avverte come la Sonata K. 376 rifletta lo stile brillante
e ingegnoso del musicista salisburghese, che mirava a dare una buona
reputazione di sé presso i circoli artistici viennesi. Il pianoforte espone per due
volte il tema, cui risponde il violino, accompagnato dalle biscrome dello
strumento a tastiera. Subentra un secondo tema in chiave di sol maggiore del
pianoforte, seguito da un ritornello coinvolgente i due strumenti e sfociante in
un terzo tema, ripreso dal violino. Lo sviluppo segue una linea melodica del
tutto nuova, annunciata dal pianoforte nella tonalità di do maggiore e ampliata
da una serie di imitazioni cui partecipano sia il pianoforte che il violino. Il
discorso musicale scorre con molta naturalezza e morbidezza di fraseggio.
L'Andante in si bemolle maggiore ha un andamento cantabile nel dialogo fra i
due strumenti, fino a quando il tema sul tono della dominante viene rilanciato
dal violino su un trillo persistente del pianoforte. Non manca la cadenza
violinistica, ma tutto procede sino alla fine senza novità particolari e con la
consueta abilità espositiva, tipica dell'invenzione mozartiana. Il tema del Rondò
si richiama ad una di quelle marce tanto care al Settecento e utilizzate in più di
un'occasione da Mozart. Il tema è annunciato prima dal pianoforte e passa poi
al violino con un ritornello ricco di trilli e su armonie di segno contrastante. C'è
una interruzione brusca in re minore, cui segue una frase più distesa in do
maggiore, che, secondo il De Foix, riproduce testualmente il frammento di una
Sonata per pianoforte in fa maggiore scritta da Mozart a Milano nel 1773. Il
violino, quindi, sviluppa una cadenza sul tema del Rondò e si apre il sipario su
un intermezzo in si bemolle maggiore, che si snoda con accenti variamente
espressivi. La Sonata si conclude inaspettatamente, dopo tanta brillantezza di
e"etti, in un'atmosfera di delicata tenerezza poetica, nella linea della catarsi di
derivazione aristotelica.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 1781 è un anno molto importante per la vita di Mozart. Il suo Idomeneo


viene eseguito a Monaco il 29 gennaio con trionfale successo e di lì a poco il
Colloredo gli ordina di partire per Vienna. Purtroppo il passaggio dall'ambiente
rilassante di Augusta, dove era stato ospite della cugina Maria Anna Thekla (la
destinataria di tante sue lettere), all'ambiente viennese non è dei migliori, per
le accoglienze umilianti riservategli dall'arcivescovo fino ad uno scontro diretto
dopo il quale il musicista è definitamente scacciato per l'intervento personale
del "gran maestro di cucina" conte Arco. Ma Vienna un po' alla volta sarà
conquistata da Mozart, che si presenta come pianista e compositore attirando
su di sé le attenzioni dell'aristocrazia e l'interesse particolare del conte
Gottfried van Swieten. E' quest'ultimo che in un certo senso orienta il musicista
verso un contatto più diretto con la musica barocca e i risultati si vedono in
vari lavori scritti fra il 1781 e il 1782.
A Vienna diviene ricchissima, sin dall'inizio, la sua produzione pianistica e, per
l'aspetto che ci interessa da vicino, anche quella violinistica. Basti pensare che
nel solo 1781 nascono ben quattro sonate per violino e pianoforte (K. 376,
377, 379, 380); insieme a due precedenti (K. 296 e 378) esse vengono
pubblicate da Artaria in una raccolta che otterrà straordinaria rispondenza.
Dovremmo ancora ricordare in campo violinistico, sempre nello stesso anno,
due frammenti (K. 372 e Anh. 46, quest'ultimo completato da O. Bach nel
1870) e soprattutto due serie di variazioni con finalità didattiche, per fornire
agli allievi un repertorio adatto: le 12 variazioni in sol maggiore su "La Bergère
Celimene" K. 359 e le 6 variazioni in sol minore su "Hélas, j'ai perdu mon
amant". Per ultimo non dimenticherei il Concerto in do maggiore (Rondò) K.
373.

Mozart aveva iniziato a dedicarsi al violino all'età di sette anni, scrivendo la sua
prima Sonata in do maggiore K. 6 e ritornerà a questo genere, che è fra i più
importanti della sua produzione, fino agli ultimi anni, con la Sonata in fa
maggiore K. 547 nel 1788. Il periodo viennese che abbiamo preso in
considerazione è però fra i più intensi e nell'insieme le sonate scritte in questi
anni, a partire dal 1781, possono considerarsi non solo tra le più belle di
Mozart, ma tra le più significative di tutto il repertorio violinistico, per
l'equilibrio raggiunto fra i due strumenti fra essenza musicale e virtuosismo,
felicemente compenetrati con eccezionale fantasia.

La Sonata in fa maggiore K. 376 si apre con un delizioso Allegro; il primo tema


viene proposto dal pianoforte nella parte iniziale e dal violino nella seguente
con una diversa caratterizzazione creata prevalentemente dalle note ribattute.
Il secondo tema, in do maggiore, si distacca per il maggior interesse
contrappuntistico iniziale ma subito ritrova una limpida e felice leggerezza.
Una breve zona di sviluppo (che si serve di due elementi della prima idea, il
gruppetto e le note ribattute), porta alla ripresa regolare alla quale segue una
breve coda, sempre tematica. L'Andante centrale è una pagina incantevole in si
bemolle maggiore: in un fluire di linee e di intarsi, tra fioriture e trilli, la
melodia cresce con estrema spontaneità dai due strumenti in assoluta armonia.
Il Finale è un Rondò (Allegretto grazioso) nella tonalità di imposto, molto ricco
e articolato, di una eccezionale freschezza, come del resto appare tutta la
sonata.

Renato Chiesa

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Forse in misura maggiore delle Sonate per pianoforte, solo quelle con violino
permettono di rendersi conto della profonda evoluzione attraversata dallo stile
mozartiano. Il maestro salisburghese si formò sotto la guida del padre Leopold
(1719-1787), autore di una Violinschule che fu a lungo giustamente famosa.
Era dunque inevitabile che egli fosse avviato prestissimo a comporre lavori
violinistici: le prime Sonate per violino e pianoforte risalgono, infatti, al 1763,
quando Mozart aveva appena sette anni. Ma sarebbe più giusto chiamarle,
come del resto fece l'autore, Sonate per pianoforte con accompagnamento di
violino: tanto la parte dello strumento ad arco è modesta e quasi priva
d'interesse. In questa direzione Mozart proseguì per molti anni, finché non
venne a conoscenza delle Sonate di Joseph Schuster (1748-1812) e di Johann
Christian Bach (1735-1782), dove si a"ermava il principio dell'alternanza -
non ancora della parità - fra i due strumenti. I frutti non si fecero attendere, e
anche in questo genere Mozart superò di gran lunga i suoi modelli. Anzi, a
partire dalla Sonata K. 306, i tempi divennero tre, non più due com'era
tradizione.

Le più perfette Sonate violinistiche di Mozart nascono comunque a partire dal


1779 e due anni più tardi apparve un ciclo di sei Sonate come op. II, fra le quali
la Sonata in fa maggiore K. 376. La novità delle creazioni mozartiane apparve
subito chiara a un recensore dell'epoca: «Queste Sonate sono uniche nel loro
genere. Sono ricche di nuove idee e mettono in evidenza il grande genio
musicale del loro autore... la parte pianistica è così abilmente combinata con
l'accompagnamento del violino che entrambi gli strumenti tengono desta la
nostra attenzione. Queste Sonate richiedono quindi un violinista altrettanto
esperto del pianista».

E"ettivamente, le nuove Sonate mozartiane dovevano sembrare importanti ai


contemporanei soprattutto per la parità, o quasi, accordata ai due strumenti e
il conseguente arricchimento della sostanza tecnica, ormai decisamente
superiore alle modeste pretese della musica per dilettanti alla quale fino allora
la combinazione violino-pianoforte era rimasta confinata, sebbene occorra
osservare che Mozart si mantenne sempre alieno da esibizioni virtuosistiche.

Comunque, la Sonata in fa maggiore K. 376 si raccomanda in primo luogo per


la bellezza delle sue idee: il maestro salisburghese, appena giunto nella
capitale austriaca, sentì il bisogno di imporsi al ra!nato pubblico viennese e lo
fece da par suo, in una maniera brillante e ingegnosa. L'Allegro esordisce con il
tema principale esposto al pianoforte due volte: nel registro acuto e poi in
quello centrale; il violino si limita a commentare con e!cacia il discorso
pianistico, al quale si unisce con maggiore decisione nel passaggio al secondo
tema. Ancora una volta a!dato al pianoforte, quest'ultimo è di carattere più
intimo e galante. Nella coda Mozart aggiunge un terzo motivo, abilmente
diviso fra i due solisti in un giuoco brillante e leggero. Lo sviluppo inizia con
un elemento del tutto nuovo; particolarmente interessanti le imitazioni che
guidano alla ripresa: già si presenta la grande stagione contrappuntistica che
Mozart aprirà l'anno seguente con le Fantasie pianistiche e la Messa K. 427,
sebbene tutto ciò resti in questa Sonata a una fase embrionale, per la stessa
destinazione del pezzo. La ripresa procede in perfetta simmetria rispetto
all'esposizione.

L'Andante è una pagina di serena cantabilità, che Mozart imposta nel tono di si
bemolle maggiore. Il tema principale è enunciato dal pianoforte e subito
arricchito dal fluire delle semicrome al violino, che poi lo riprende
integralmente. Un bell'intermezzo dialogato, dove Mozart sfrutta con suprema
eleganza elementi ritmico-melodici semplicissimi, separa la ripresa del tema
alla dominante, cioè in fa maggiore: questa volta i ruoli sono però invertiti:
spetta al violino esporre la melodia, mentre il pianoforte la commenta con il
disegno in semicrome e un lungo trillo che passa poi al violino e segna l'ultima
ripresa del tema, finalmente in si bemolle maggiore. Il Rondò ha un innegabile
andamento di marcia, una di quelle marce che il Settecento predilesse: non
militaresche, ma quasi scherzose e un poco frivole... Il tema è esposto dal
pianoforte e ripreso dal violino, arricchito poi da un bel disegno pianistico in
cui le parti procedono per moto contrario. Ma tutto ciò s'interrompe con due
bruschi accordi di re minore, che danno luogo a un motivo implorante. Qui
Mozart utilizza un frammento di Sonata scritta a Milano nel 1773. Alla ripresa
del tema di rondò segue il secondo intermezzo, molto corto. Infine il ritornello
e il primo intermezzo vengono ripetuti e Mozart conclude con poche battute in
piano, primo esempio delle meravigliose code sottovoce con le quali egli
amerà siglare molte delle sue composizioni più mature.

Giuseppe Lozza

Sonata per pianoforte e violino in fa mag K 377

https://www.youtube.com/watch?v=ixk0MVVOyDA

https://www.youtube.com/watch?v=W0JIK6BeRgI

Nell'estate del 1781 W. A. Mozart si trova a Vienna e sta preparando la


stagione invernale con nuovi lavori tra cui la sonata per violino e pianoforte in
Fa maggiore K 377 (K6 374e).

Alla pubblicazione di questa ed altre cinque sonate presso l'editore Artaria il


musicista riceverà commenti lusinghieri che non si ripeteranno così facilmente
negli anni a venire.

In questa sonata il violino è protagonista alla pari con il pianoforte e non in


veste di semplice comprimario. Mozart si muove al di fuori delle regole che
volevano il primo strumento, il violino, trattato come accompagnatore
obbligato e con scarsi contenuti tecnici e quindi adatto ad essere interpretato
da amatori e dilettanti.
Non dobbiamo dimenticare che il compositore era anche un virtuoso di
ambedue gli strumenti e gli era quindi congeniale strumentare in modo
appropriato le due parti senza per'altro rinunciare ai contenuti espressivi.

Nell'allegro grazioso Mozart introduce un unico tema che sarà più volte
rielaborato tanto da non richiedere nuovo materiale. Il secondo movimento
presenta un tema con variazioni sviluppate in Re minore e che lo
caratterizzano da una certa ombrosità contrastante con l'impostazione vivace
del brano nella sua interezza. Il minuetto finale parte in modo brillante quasi a
sanare le amarezze espresse nel secondo movimento per mutarsi
repentinamente in caratteri malinconici; perde la sua caratteristica di danza
mantenendone solo l'indicazione ritmica. La parte finale riprende il tema del
movimento facendolo a poco a poco esaurire per scomparire del tutto in
chiusura della composizione.
Dati sull'opera

Catalogo Köchel

K 377 (K6 374e)

Durata

22 minuti circa

Movimenti

Allegro grazioso
Tema (andante) con variazioni
Tempo di minuetto

Organico

pianoforte
violino

Luogo e data di composizione

Vienna, estate 1781

Sonata per pianoforte e violino in si bemolle mag K 378

https://www.youtube.com/watch?v=7XoB72n4JB0
https://www.youtube.com/watch?v=q-BpMoWkUa8

Allegro moderato (si bemolle maggiore)


Andantino sostenuto e cantabile (mi bemolle maggiore)
Rondò. Allegro (si bemolle maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Salisburgo, 15 gennaio - 23 marzo 1779
Edizione: Artaria, Vienna 1781
Dedica: Josepha Auernhammer

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La Sonata K. 378 fu composta da Mozart a Salisburgo tra il 15 gennaio e il 23


marzo 1779 e, insieme a quella in do elaborata a Mannheim, fu pubblicata nel
novembre 1781, unitamente ad un gruppo di quattro Sonate scritte a Vienna in
quello stesso anno, dall'editore Artaria con il titolo Six Sonates pour le Clavecin
ou Pianoforte, avec Vaccompagnement d'un Violon e dedicata alla pianista
Josepha von Aurnhammer. Il valore di queste pagine non sfuggì ai
contemporanei, tanto è vero che sull'autorevole «Magazin der Musik» di quel
periodo apparve il seguente commento: «Queste Sonate sono uniche nel loro
genere. Sono ricche di nuove idee e mettono in evidenza il grande genio
musicale del suo autore. Sono assai brillanti e adatte al pianoforte e nello
stesso tempo l'accompagnamento del violino è così abilmente combinato con
la parte pianistica, che entrambi gli strumenti mantengono viva la nostra
attenzione. Queste Sonate richiedono un violinista esperto quanto il pianista.
Non è possibile in questa occasione compiere una descrizione dettagliata di
queste composizioni originali. Gli amatori e i conoscitori di musica potranno
eseguirle per il proprio piacere e si renderanno conto che il nostro giudizio
non è esagerato».

Sin dall'Allegro moderato iniziale è possibile un'idea dell'ampiezza e della


varietà di sviluppo di questo componimento, costruito su quattro temi nella
doppia proposta a!data sia al pianoforte che al violino. La musica scorre con
naturalezza e punteggiata da una morbidezza di fraseggio, appena
leggermente velata da una delicata malinconia.

L'Andantino sostenuto e cantabile si avvicina formalmente alla romanza per la


tenerezza sentimentale che lo pervade. Lo scambio delle idee fra i due
strumenti avviene secondo un gioco alternativo, identico ed equidistante,
finché il dialogo si scioglie in una lunga coda in cui Mozart dispiega la sua
abilità inventiva, dimostrando di non essersi dimenticato delle eleganti
movenze della musica francese da lui conosciuta durante la permanenza a
Parigi nel 1778. Il Rondò fa pensare allo stile di Haydn per la inesauribile
vivacità e freschezza ritmica. Violino e pianoforte si rincorrono fra di loro con
brillantezza di accenti, finché si distendono e si riposano all'ombra del tema
principale, salutato con i pizzicati e i bicordi dello strumento ad arco.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La prima composizione mozartiana a venire pubblicata fu un brano per violino


e pianoforte. Mozart si trovava a Parigi e aveva da poco compiuto gli otto anni,
quando, tra il marzo e l'aprile del 1764, l'editore Bordet diede alle stampe
quattro sue Sonate per strumento a tastiera con accompagnamento di violino.
Un paio di anni dopo erano già divenute 16 le Sonate mozartiane pubblicate
nel giro di soli due anni. Questo incredibile boom editoriale (proseguito poi
anche negli anni seguenti: delle 33 Sonate completate da Mozart, solo l'ultima
non fu pubblicata durante la sua breve vita) si spiega facilmente con il grande
successo incontrato in quegli anni da questo genere di composizioni che
coinvolgeva i due strumenti allora più in voga presso il sempre più vasto
pubblico di dilettanti. Proprio la destinazione a questo tipo di fruitori faceva sì
che il tono generale rimanesse sempre quello di un gradevole e leggero
intrattenimento e che soprattutto l'abilità strumentale richiesta agli esecutori
non andasse oltre le possibilità di volenterosi dilettanti. In particolare il ruolo
del violino rimaneva assolutamente subordinato a quello dello strumento a
tastiera, al punto da poter essere omesso del tutto senza troppi problemi, cosa
che veniva reclamizzata già nei tranquillizzanti frontespizi: «Sonates qui
peuvent se jouer avec l'accompagnement de violon», recita quello dell'opera 1
mozartiana.

Tuttavia, nonostante il successo editoriale incontrato dalle sue numerose


Sonate, il rapporto di Mozart con il violino è più complesso di quanto non
potrebbe sembrare a prima vista. Suo padre Leopold era violinista
nell'orchestra di corte a Salisburgo e uno stimato insegnante, e proprio
nell'anno della sua nascita, il 1756, aveva pubblicato un importante metodo
per violino destinato ad imporsi come una delle principali opere didattiche del
suo tempo. Era inevitabile che il piccolo Wolfgang prendesse subito confidenza
con lo strumento paterno, imparando a suonarlo ancor prima di iniziare a
studiarlo regolarmente.

Dopo una serie di exploit infantili, Wolfgang iniziò a studiare il violino sotto la
severa e attenta guida del padre, prese ad esibirsi in pubblico anche come
violinista e ben presto entrò a far parte dell'orchestra di corte a Salisburgo. Ma
tra i dieci e i ventidue anni, proprio mentre sistematizzava lo studio dello
strumento, dunque, non scrisse nemmeno una sonata, dedicando al violino
solamente i suoi unici cinque Concerti, composti nel 1775. In compenso la sua
abilità strumentale fece progressi straordinari, visto che il violinista napoletano
Antonio Brunetti, Konzertmeister a Salisburgo dal 1776, si scandalizzò nel
sentire Leopold a"ermare che Wolfgang suonava «passabilmente» («Cosa?
Cazzo, ma se suonava tutto!») e che perfino il severo Leopold nell'ottobre del
1777 gli scrisse: «Non sai neppure tu come suoni bene il violino. Se soltanto
volessi metterti di puntiglio per suonarlo con eleganza, con sentimento, con
spirito, saresti certo il primo violinista d'Europa». Ma proprio le parole di
Leopold dimostrano che a quel tempo Wolfgang aveva già cominciato ad
allontanarsi dal violino; in e"etti nel giro di qualche anno avrebbe iniziato a
preferire la viola anche nelle occasioni in cui gli capitava di fare musica fra
amici.

Tuttavia all'inizio del 1778, a Mannheim e poi a Parigi, Mozart compose ben 7
Sonate, di cui le prime sei furono pubblicate a Parigi nello stesso 1778.
Naturalmente lo stile del Mozart ventiduenne è assai più maturo di quello del
«possentissimo Wolfgangus» di dodici anni prima, e mostra in particolare i
segni del recente incontro con i musicisti di Mannheim. Arrivando poi a Vienna
nel marzo del 1781, Mozart, esattamente come a Parigi, si rivolse ancora una
volta a questo genere tanto caro ai dilettanti per farsi conoscere dal grande
pubblico. La sua prima opera pubblicata nella capitale fu infatti una raccolta di
sei Sonate per strumento a tastiera e violino: la K. 296 scritta a Parigi, più la K.
378/317d, 379/373a, 376/374d, 377/374e, 380/374f. Pur non staccandosi
definitivamente dalle caratteristiche costitutive del genere «sonata con
accompagnamento», questi brani - attribuendo maggiore importanza al ruolo
del violino, che da accessorio marginale del pianoforte si va gradualmente
trasformando in secondo protagonista dell'azione musicale - spingono ancora
più avanti il cammino già intrapreso nelle sei Sonate parigine e insieme a
quelle si pongono al di sopra di tutta la produzione contemporanea del
genere. Se ne ha subito un esempio nell'Allegro moderato che apre la Sonata in
si bemolle maggiore K. 378/317d: un movimento ampio e complesso,
caratterizzato da una notevole ricchezza di idee tematiche che o"re lo spunto
a un intenso dialogo tra i due strumenti.

La novità di queste Sonate non sfuggì nemmeno ai contemporanei, visto che


sul «Cramers Magazin der Musik» del 4 aprile 1783 furono recensite con
queste parole: «Queste Sonate sono uniche nel loro genere, ricche di nuove
idee e di impronte del grande genio musicale del loro autore. [...]
L'accompagnamento del violino è così artisticamente combinato con la parte
pianistica, che i due strumenti appaiono trattati con pari attenzione. Queste
Sonate richiedono pertanto un violinista e un pianista di eguale valore». Ma
dopo un'opera così innovativa, Mozart abbandonò quasi completamente
questo genere di composizioni: nell'ultimo decennio della sua vita, infatti,
scrisse solo quattro Sonate, dedicandosi intensamente ad altri generi
particolarmente graditi al pubblico viennese: soprattutto il concerto per
pianoforte e l'opera.

Come mai il giovane e dotatissimo Mozart non volle mai mettersi «di puntiglio»
per diventare «il primo violinista d'Europa», ma anzi finì per abbandonare il
violino? E vero che era un eccellente pianista e che il genere del concerto per
pianoforte stava incontrando un favore straordinario presso il pubblico del
tempo, ma forse non è del tutto avventato mettere in relazione il suo distacco
dal violino - accentuatosi fortemente dopo la separazione dal padre e il
trasferimento a Vienna nel 1781 - con il distacco da ciò che quello strumento
rappresentava per lui. Si può ipotizzare, allora, una strana sorta di sineddoche
avvenuta nel suo inconscio, in cui il violino (la parte), aveva finito per
sovrapporsi e identificarsi con suo padre Leopold (il tutto): suonare il violino
significava per lui suonare lo stesso strumento di Leopold, essere come lui,
vivere la sua stessa vita. Probabilmente l'ultima cosa al mondo che Wolfgang
desiderava per sé.

Carlo Cavalletti

Sonata per pianoforte e violino in sol mag K 379

https://www.youtube.com/watch?v=VLod_2Sszhk

https://www.youtube.com/watch?v=qWsJgmPBEyU

Adagio (sol maggiore) et Allegro (mi bemolle maggiore)


Tema con 6 variazioni. Andantino cantabile (sol maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Salisburgo, 7 Aprile 1781
Prima esecuzione: Vienna, Kärntnertor Theater, 29 Aprile 1784
Edizione: Artaria, Vienna 1781
Dedica: Josepha Auernhammer

Guida all'ascolto (nota 1)

La grandezza di Mozart non è dovuta certamente alla quantità della musica


scritta in un arco di vita di appena 34 anni (lo studioso Ludwig von Koechel
riunisce nel suo catalogo ben seicentoventisei composizioni, cui vanno
aggiunte altre cento, incompiute o di incerta attribuzione), quanto piuttosto
alla straordinaria varietà dei generi musicali praticati e alla perfetta riuscita di
ognuno di essi. Nella musica profana e sacra, strumentale e vocale, teatrale e
da concerto, sinfonica e da camera, seria e bu"a egli ha saputo lasciare il
segno della sua genialità. Non per nulla il compianto Massimo Mila scrisse che
l'arte di Mozart è «un mare dove confluiscono e convivono pacificamente le più
disparate tendenze del suo secolo. Anche in questo egli rassomiglia a
Ra"aello, cui viene sempre paragonato per la levigata perfezione esteriore e
per l'assoluta finitezza formale. Artisti compendiatori e coronatori di un'epoca,
artisti la cui forza è forza di civiltà, non di primitiva barbarie: e civiltà è prima
di tutto conservazione, religiosa pietà di ciò che è stato prima di noi e che ha
contribuito a crescerci quali siamo. Vi sono artisti ribelli ed essenzialmente
rivoluzionari che nelle epoche di lotta e di trasformazione svolgono un lavoro
prezioso di demolizione delle vecchie sovrastrutture, dei pregiudizi ritardatori,
e sbarazzano il terreno per la manifestazione di un ordine nuovo. E vi sono
artisti, invece, i quali edificano la casa dell'uomo, cioè la civiltà, sopra quanto
rimane dei vecchi edifici, utilizzando tutti i mattoni salvabili dalle rovine,
trovando con naturale spontaneità la conciliazione e la continuità fra le
testimonianze del passato e le esigenze del presente».

Mozart appartiene di sicuro a questa seconda categoria di compositori e la sua


immensa produzione si distende idealmente fra i due estremi della facilità
galante e dello stile severo dettato dalla polifonia strumentale, inglobando le
posizioni intermedie comprese tra il linguaggio brillante ed eclettico delle
opere teatrali e delle composizioni vocali e l'impegno rigoroso della struttura
quartettistica. Ma, al di là di queste classificazioni tecniche, ciò che conta è la
sigla espressiva della musica di Mozart, dove l'allegrezza si sposa alla
malinconia, il sorriso spunta tra le lacrime e il senso di ilarità e di umorismo fa
capolino tra le pieghe della tristezza. Un'arte semplice e lineare in apparenza,
ma dai risvolti complessi e profondi, dove l'animo umano si specchia e si
osserva alla ricerca della propria misteriosa identità.

Nel novembre del 1781 l'editore Artaria pubblicò per sottoscrizione sei Sonate
per violino e pianoforte di Mozart, due delle quali erano state composte a
Mannheim e Salisburgo (K. 296 e K. 378) e le altre appena terminate in
quell'anno, e cioè K. 376, 377, 379, 380. L'annuncio apparve sul "Magazin der
Musik" di Vienna, in cui era scritto il seguente giudizio: «Queste Sonate, uniche
nel loro genere e ricche di nuove idee, recanti il segno del genio musicale
dell'autore si adattano molto al violino. L'accompagnamento del violino è così
artisticamente intrecciato con la parte pianistica che entrambi gli strumenti
attrarranno continuamente l'attenzione dell'uditorio. Queste Sonate richiedono
dunque pari grado di abilità dai due esecutori».

La Sonata in sol maggiore K. 379 si apre con un Adagio in 2/4 dall'espressione


nobile e grandiosa, indicata prima dal pianoforte e poi ripresa dal violino. Ha il
tono di un preludio introduttivo quanto mai vario nel gioco delle modulazioni
fra i due strumenti, che passano dal do maggiore al sol minore. Ed ecco il tema
dell'Allegro in 3/4 esposto dal pianoforte e rilanciato dal violino. Lo strumento
a tastiera disegna una linea energica e volitiva e intreccia un dialogo sostenuto
e robusto con il violino, tra imitazioni e figurazioni brillanti e di piacevole
e"etto. L'Andantino cantabile è formato da cinque variazioni, più la ripetizione
del tema in tempo Allegretto e la chiusura con una coda dalle sonorità
dolcemente sfumate. La prima variazione è a!data al pianoforte; la seconda al
violino, che dispiega particolare energia nella terza; la quarta variazione in sol
minore è molto appassionata, mentre l'Adagio della quinta, sorretta dai
pizzicati del violino, si richiama allo stile iniziale della Sonata, secondo quel
virtuosismo espressivo che è tipico della fantasia creatrice di Mozart.

Sonata per pianoforte e violino in mi bemolle mag K 380

https://www.youtube.com/watch?v=x4GwvROsMB8

https://www.youtube.com/watch?v=cn6rbdP0T6M

Allegro (mi bemolle maggiore)


Andante con moto (sol minore)
Rondò. Allegro (mi bemolle maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Salisburgo, Aprile - Luglio 1781
Edizione: Artaria, Vienna 1781
Dedica: Josepha Auernhammer

Guida all'ascolto (nota 1)

La Sonata in mi bemolle maggiore K. 380 fu composta da Mozart nel periodo


compreso tra aprile e luglio 1781 e l'editore Artaria di Vienna la pubblicò nel
novembre dello stesso anno, insieme alle altre indicate nel catalogo Koechel
con i numeri 376, 377, 379, alle quali si aggiunsero le Sonate K. 296 e 375,
scritte in precedenza a Mannheim e a Salisburgo. La rivista "Magazin der
Musik" diede l'annuncio della pubblicazione, sottolineando come queste
composizioni racchiudessero sia gli aspetti strettamente musicali che quelli
virtuosistici. «Le Sonate - diceva la rivista - sono uniche nel loro genere e
recano il segno dell'inventiva creatrice dell'autore. Le voci del violino e del
pianoforte si intrecciano artisticamente fra di loro, così da suscitare
continuamente l'attenzione del pubblico. Esse richiedono pari grado di abilità
da parte dei due esecutori».

Gli accordi iniziali dell'Allegro sono caratterizzati da un sentimento di spigliata


serenità, con modulazioni e imitazioni nel dialogo fra i due strumenti. Mentre il
secondo tema viene esposto dal pianoforte su accompagnamento del violino, il
terzo tema è a!dato prima al violino e poi al pianoforte. Su questo impianto si
snoda uno sviluppo armonico molto espressivo, sino a giungere ad un accordo
di dominante in do minore, da cui si ritorna al primo ritornello dell'Allegro,
contrassegnato ancora da modulazioni di piacevole e"etto. Una nuova cadenza
fa seguito al terzo tema e il ritornello conclusivo si presenta leggermente
modificato e variato. Un tema cantabile in sol minore viene indicato dal
pianoforte nell'Andante con moto; interviene il violino, questa volta nella
tonalità di si bemolle e con accenti delicatamente elegiaci. Sia il pianoforte che
il violino intessono un discorso punteggiato da modulazioni e passaggi
cromatici, che rendono più incisiva e penetrante la linea del fraseggio
musicale, secondo la tonalità di base di sol minore. È il pianoforte ad avviare il
tema brillante del Rondò, ripreso subito dal violino e intrecciato con variazioni
e domande e risposte fra i due strumenti. Dopo un intermèzzo in do minore
del violino tocca al pianoforte assumere il ruolo di guida, fino a quando
riappare il tema già annunciato nell'intermezzo. Una coda frizzante e un
ritornello non meno vivace concludono la Sonata in mi bemolle maggiore,
considerata tra le più esemplari nel suo classicismo musicale.

Sonata n. 29 in la maggiore per violino e pianoforte, K1 402, K6 385e

https://www.youtube.com/watch?v=UBVcMzv_P0w

Andante, ma un poco Adagio (la maggiore)


Fuga. Allegro moderato (la minore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Vienna, agosto - settembre 1782
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1801

Frammento, completato da Maximilian Stadler

Guida all'ascolto (nota 1)

La Sonata in la maggiore K. 402 di Mozart non è quel che normalmente


s'intende per sonata: si compone infatti soltanto di un Andante a mo' di
Preludio in la maggiore cui segue senza interruzione un Allegro moderato, ch'è
una vera e propria fuga a quattro voci, in la minore. Si sa con certezza che
questa fuga è stata completata dall'abate Massimiliano Stadler (amico di
Mozart ed eccellente contrappuntista) ma i biografi non sono in grado di
precisare il punto in cui la penna di Mozart s'è arrestata.

Scritto nel 1782 o 1783, il lavoro rivela l'entusiasmo con cui in quegli anni
Mozart si andava familiarizzando fino in fondo con lo stile severo tedesco.
Suonava a tutt'andata Händel e Bach e si formava, a forza di prestiti da amici e
musicomani viennesi, «una collezione di fughe di Sebastiano, Emanuele e
Friedmann Bach». Riferiva che anche Costanza, sposata allora allora, «non vuol
sentire che fughe. Avendomene spesso sentito improvvisare, mi domandò se
non ne avessi ancora scritta nessuna. Avendole risposto di no mi rimproverò
moltissimo di non aver voluto scrivere proprio ciò che di più artistico e di più
bello vi sia nella musica; e non smise di pregarmi finché non ne ebbi stesa una
nella carta». Si allude qui alla Fuga a tre voci in do maggiore per pianoforte la
quale, insieme ad altri lavori incompiuti ed alla odierna Sonata, segna nel
Mozart già maturo e autore di tanti capolavori, l'inizio di quell'accostamento
deliberato e approfondito verso gli «antichi» valori contrappuntistici ch'egli ben
presto porterà a un completo ringiovanimento.

Giorgio Graziosi

Sonata per pianoforte e violino in si bemolle mag K 454

https://www.youtube.com/watch?v=zM6p0I2KTdU

https://www.youtube.com/watch?v=AFwd2BqW08E

Largo (si bemolle maggiore)


Andante (mi bemolle maggiore)
Rondò. Allegretto (si bemolle maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Vienna, 21 Aprile 1784
Prima esecuzione: Vienna, Kärntnertor Theater, 29 Aprile 1784
Edizione: Torricella, Vienna 1784
Dedica: contessa Kobenzl, ma scritta per la violinista Regina Strinasacchi

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Tra le non molte Sonate per violino e pianoforte composte da Mozart nel
decennio viennese (1781-1791) se ne distinguono tre che vanno senz'altro
annoverate fra i suoi massimi capolavori: questa in si bemolle K. 454,
composta per la violinista italiana Regina Strinasacchi e datata 21 aprile 1784,
la Sonata in mi bemolle maggiore K. 481 del 1785 e, infine, la Sonata in la
maggiore K. 526 risalente all'estate 1787.

Senza voler seguire l'indicazione dell'edizione Peters che le classifica senza


indugio come Romantische Violin-Sonaten, è pur vero che con questi lavori
Mozart apre la strada a quegli ampliamenti formali che più tardi Beethoven e
Schubert praticheranno su vasta scala. Il fatto poi che la Sonata in si bemolle
sia stata scritta per una celebre virtuosa che si presentava per la prima volta al
pubblico viennese con una "accademia" - ovvero un concerto pubblico per
sottoscrizione - imponeva a Mozart una linea progettuale più "grande" rispetto
a lavori precedenti scritti per il pubblico degli amatori. A ciò è da attribuire,
per fare un esempio, il maestoso Largo introduttivo del primo movimento,
concepito nello spirito delle ultime Sinfonie di Haydn.

Regina Strinasacchi, nata a Ostiglia presso Mantova nel 1761, era stata allieva
del Conservatorio della Pietà a Venezia e aveva intrapreso ancor giovane una
brillante carriera concertistica. Mozart la conobbe a Vienna nel 1784 e così ne
riferisce in una lettera al padre: «Abbiamo qui la celebre violinista mantovana
Strinasacchi; suona con molta sensibilità e molto gusto. Sto per l'appunto
lavorando a una Sonata che eseguiremo insieme giovedì in teatro durante la
sua accademia».

Le qualità della Strinasacchi dovevano essere veramente notevoli se anche


Leopold Mozart, che di violino se ne intendeva avendo scritto il fondamentale
Versuch einer gründlichen Violinschule (Saggio di una scuola di violino di base,
1756), ne tesseva le lodi alla figlia: «Non suona una sola nota senza
espressione... E anche il suono è bello, e la forza del suono».

Per la serata viennese che, alla presenza dell'imperatore Giuseppe II, vide la
prima esecuzione della Sonata in si bemolle pare che Mozart si sedesse al
pianoforte con un manoscritto non ancora completo e che la parte della
Strinasacchi fosse pronta solo poche ore prima del concerto; l'autografo
conservato a Stoccolma conferma la curiosa circostanza.

L'introduzione lenta, abbastanza rara nelle Sonate mozartiane, è una sorta di


maestosa preparazione allo scatto ritmico dell'Allegro col suo tema di note
staccate all'unisono fra i due strumenti e il brillantissimo rincorrersi delle frasi
sincopate. Il tono festoso non si dissolve nemmeno nel breve sviluppo, che
pure comporta l'attraversamento di tonalità minori.

Nell'Andante invece Mozart scava in profondità e, come in tanti altri capolavori


del periodo maturo, crea un sublime "angolo di meditazione", dove le
inflessioni ra!natissime di melodia e armonia sono profuse senza risparmio.
Si ascolti, ad esempio, il senso di smarrimento del percorso armonico nella
parte centrale, non lontano da quello eccelso della vicina Fantasia in do minore
K. 475.

L'Allegretto finale, nella consueta forma del Rondò, proietta di nuovo


all'esterno l'anima mozartiana non tralasciando di concederci ancora un tema
principale particolarmente a"ascinante ed altri secondari scherzosi e da opera
bu"a; un gentile omaggio al'virtuosismo della Strinasacchi e, perché no, al suo
personale di pianista.
Giulio D'Amore

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 24 aprile 1784 Mozart scriveva al padre: «Abbiamo qui la celebre mantovana


Strinasacchi, una eccellente violinista. Le sue esecuzioni eccellono tanto per
buon gusto che per sentimento. Al momento sto proprio scrivendo una Sonata
che suoneremo in teatro giovedì prossimo in occasione della sua accademia».
Il concerto ebbe luogo il 29 aprile al teatro di Porta Carinzia, presente
l'imperatore Giuseppe II. E von Nissen ci informa, stando alla testimonianza di
Costanza Mozart, diventata successivamente sua moglie, che il musicista aveva
avuto appena il tempo di fornire la sera avanti la parte di violino alla
Strinasacchi, e che improvvisò quella pianistica sulla base di pochi appunti.

Fra le sonate per violino e pianoforte della maturità, quella in si bemolle si


distingue per una certa vernice virtuosistica. Il taglio ricorda piuttosto i
concerti che le sonate coeve, a tratti profetiche, con le loro anticipazioni del
soggettivismo romantico. L'equilibrio del duo strumentale è mirabile fin dal
Largo introduttivo: se ogni frase esposta da uno strumento è ripresa dall'altro,
Mozart evita la replica pura e semplice, fiorettando gli interventi del pianoforte,
ed essi assumono così una diversa tinta rispetto al cantabile lineare del violino.
Nell'Allegro successivo, la caratterizzazione timbrica è ancora avvivata da passi
all'unisono, quasi momenti di ripieno orchestrale fra le alternanze concertanti
dei solisti. L'Andante, con i suoi nascosti accenni polifonici (controcanti
intravisti in una voce di accompagnamento, accenni di procedimenti imitativi),
con l'ampiezza e la violenza emotiva dei passi modulanti, rivela i tratti salienti
della maturità mozartiana. La scienza della composizione è qui tanto maggiore
in quanto non ostentata; e la polifonia ha il compito di illustrare l'instabilità e
l'irrazionalità delle passioni: l'uomo quale è nella sua debolezza esistenziale.
L'Allegretto, in forma di Rondò, riporta alla sala da concerto per cui la Sonata
vide la luce. Ma tocchi squisiti caratterizzano alcuni fra i couplets: sortite
tematiche da serenata, folgorazioni dove le pene quotidiane sono sospese nel
canto.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Nell'aprile del 1784, Mozart scrisse al padre: «Abbiamo qui a Vienna la celebre
mantovana Strinasacchi, una buonissima violinista; ha molto gusto e
sentimento nelle sue interpretazioni. Sto scrivendo ora una Sonata che
eseguiremo insieme». Senza neppure aver avuto il tempo di scriverla, Mozart
eseguì però a memoria la parte pianistica alla presenza dell'Imperatore
Giuseppe II. Qui la parte violinistica è ancor più emancipata dal pianoforte che
nella Sonata K. 376. Nel Largo introduttivo, di carattere molto solenne, potenti
accordi oppongono l'uno all'altro i due strumenti. Sorprendente anche la
sicurezza con la quale Mozart pare precorrere il dualismo beethoveniano fra
l'elemento «maschile» e quello «femminile», dolce e tenero. Il canto spetta
ormai al violino e il pianoforte si limita a inquadrarlo armonicamente. L'Allegro
esordisce in piano e all'unisono: la fisionomia del primo tema è slanciata e
robusta; un breve passaggio permette a Mozart di riprendere integralmente il
tema, ma egli lo a!da ora soltanto al violino, al quale è concesso di brillare
forse più che in qualsiasi altra Sonata mozartiana (non per nulla questa
composizione gode di particolare favore da parte dei violinisti). Il secondo
tema, in fa maggiore, è a!dato nella prima metà al pianoforte e nella seconda
al violino. Come nella Sonata K. 376, ma in modo ancora più netto, Mozart
introduce prima della fine dell'esposizione un terzo soggetto, a!dato al
violino, dagli accenti marziali. Dagli accordi conclusivi intervallati da pause
Mozart trae il primo elemento dello sviluppo, grazie a una inattesa
modulazione a do minore; e proprio la modulazione garantisce l'interesse
musicale di questa sezione, del resto molto breve. La ripresa non è ora in tutto
simile all'esposizione, perché nella seconda parte Mozart lo arricchisce con
procedimenti contrappuntistici: ci accorgiamo allora che solo un passo separa
il tema principale, apparentemente così leggero e brillante, da un soggetto di
fuga. Dopo il terzo motivo, il movimento si conclude con una coda in cui i due
strumenti dialogano con la massima libertà e nello stesso tempo con assoluto
rispetto dello stile cameristico.

L'Andante è una splendida meditazione, che costituisce veramente la vetta


poetica della Sonata. Al primo tema, in mi bemolle maggiore, ampio e sereno,
condotto dai due strumenti a parità di diritti, spetta al violino contrapporre il
secondo, di intenso lirismo. A questo punto il materiale tematico è
ulteriormente arricchito da un importante motivo ad arpeggi, reso più
interessante dagli abbellimenti. Dopo un silenzio espressivo, il primo tema è
esposto in si bemolle minore, e di qui in poi il dialogo fra pianoforte e violino
procede con e"etti di eco.

Ma il maggiore interesse riposa nelle straordinarie modulazioni attraverso le


quali viene elaborato il tema, grazie a trapassi enarmonici assolutamente
inediti per l'epoca in cui la Sonata è stata scritta. Certo, dopo Beethoven e i
romantici, tutto ciò ha perso per noi la sua carica di novità, ma nessuno ha mai
eguagliato la naturalezza di Mozart, che anche nei momenti compositivamente
più ra!nati e ardui privilegia la fluidità espressiva. Nella ripresa in mi bemolle,
lo scambio strumentale si intensifica nello spazio di poche battute. Mirabile
anche la coda, ampliata da un ultimo disegno nuovo.
L'Allegretto è in forma di rondò, benché Mozart non l'abbia esplicitamente
indicato come tale. Il tema è al violino, subito contrappuntato per moto
contrario dal pianoforte, che lo riprende poi integralmente: un tema che
richiama innegabilmente quello del finale del Quintetto K. 452 per pianoforte e
fiati, scritto poco prima della Sonata. Mirabile anche qui l'arte con la quale
Mozart fa giocare i due strumenti e alterna gli intermezzi nelle tonalità relative
con il tema principale. Contrariamente al tempo centrale, qui non ci sono
ombre, a parte l'apparizione fugace di un motivo in sol minore, tonalità
sempre gravida di minaccia nel linguaggio mozartiano. Verso la conclusione, si
annuncia una quarta esposizione del tema, che però ben presto si disgrega
risolvendosi in una coda brillante, degna conclusione della splendida Sonata.

Giuseppe Lozza

Sonata per pianoforte e violino in mi bemolle mag K 481

https://www.youtube.com/watch?v=Tji4OS5Uqxg

https://www.youtube.com/watch?v=h0UFBxYZ9r8

Molto allegro (mi bemolle maggiore)


Adagio (la bemolle maggiore)
Allegretto con 6 variazioni (mi bemolle maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Vienna, 12 dicembre 1785
Edizione: Ho"meister, Vienna 1787

Guida all'ascolto (nota 1)

Mozart scrisse negli ultimi anni della sua vita tre importanti e significative
Sonate per violino e pianoforte: la Sonata in mi bemolle K. 454 composta
nell'aprile del 1784, la Sonata in mi bemolle maggiore apparsa nel dicembre
del 1785 e la Sonata in la maggiore K. 526 che reca la data del 24 agosto 1787
ed è la più brillante e geniale opera del gruppo. Egli stesso parlò della prima di
queste Sonate in una lettera al padre del 24 aprile 1784, in cui diceva:
«Abbiamo ora con noi la famosa Strinasacchi di Mantova, ottima violinista.
Suona con molto gusto e sentimento. Al momento sto componendo una Sonata
che eseguiremo insieme giovedì al concerto che la violinista darà a teatro (29
aprile)». Ma il giorno prima del concerto Mozart aveva scritto soltanto la parte
del violino, tanto che al momento della esecuzione in pubblico egli suonò a
memoria, con un foglio di carta bianca davanti agli occhi: una curiosità che
non sfuggì allo stesso imperatore Giuseppe II, conquistato dalle eleganti
fioriture del rondò finale in questa serata musicale viennese. La Sonata in mi
bemolle maggiore apparve un anno e mezzo dopo (dicembre 1785) e il
pubblico rimase conquistato dal fervore lirico dell'Adagio e dal tempo finale
articolato in sei variazioni, in cui il compositore rivelò tra l'altro, la sua
straordinaria abilità nel fondere e amalgamare il suono del violino con quello
del pianoforte. Nell'ultima delle tre Sonate, quella in la maggiore K. 526, gli
studiosi dell'opera mozartiana hanno voluto cogliere un preannuncio e
un'anticipazione della Sonata «a Kreutzer» di Beethoven, più per la vivacità
dello stile dialettico che non per il sentimento drammatico che la pervade.
Probabilmente la ragione di questa osservazione va spiegata nel senso che tale
Sonata fu elaborata durante la composizione del Don Giovanni e risente quindi
di una spigliata scrittura contrappuntistica.

La Sonata in mi bemolle maggiore rispecchia un perfetto equilibrio formale nei


tre movimenti e per questo motivo si iscrive tra i componimenti della piena
maturità mozartiana. L'esposizione del Molto allegro iniziale contiene tre temi,
presentati con chiarezza armonica e poi riproposti nel riepilogo conclusivo.
Lavoro tematico e gioco di fantasia sono bene integrati fra di loro; uno dei
soggetti tematici ria!ora nella coda ed è costruito su uno dei motivi della
Sinfonia «Jupiter». L'Adagio in la bemolle maggiore è un tema variato con varie
modulazioni e due ritornelli ed è contraddistinto da un sentimento di assorta
contemplazione, secondo un procedimento tipico della creatività di Mozart. Il
violino svolge con straordinaria purezza espressiva la sua linea di canto,
proiettata verso un mondo di intensa spiritualità. L'Allegretto si basa su sei
eleganti variazioni di un tema di venti misure di piacevole musicalità; la
variazione finale passa dall'allegretto all'allegro e cambia brillantemente di
tempo, dal 2/4 al 6/8, in un clima di serena distensione.

Sonata per violino e pianoforte n. 34 in la maggiore, K 526

https://www.youtube.com/watch?v=jF8gJCXgoEo

https://www.youtube.com/watch?v=95RqDkbyQ7k

Molto Allegro (la maggiore)


Andante (re maggiore)
Presto (la maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Vienna, 24 agosto 1787
Edizione: Ho"meister, Vienna 1787

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Tre grandi Sonate per violino e pianoforte appartengono all'ultimo periodo
creativo di Mozart: quella in si bemolle maggiore K. 454, scritta per Regina
Strinasacchi di Mantova («ottima violinista, suona con molto gusto e
sentimento» così disse il compositore in una lettera al padre del 24 aprile
1784); quella in mi bemolle maggiore K. 481, che risale al 1785 e il cui finale
in tempo Allegretto comprende sei variazioni, preannuncianti lo stile di
Beethoven, e la Sonata in la maggiore K. 526, completata durante la
composizione del Don Giovanni e pubblicata il 24 agosto 1787 a Vienna.
Quest'ultima Sonata viene considerata da diversi studiosi come annunciatrice
della Sonata a Kreutzer beethoveniana sia per lo spigliato virtuosismo che per
l'equilibrio artistico e spirituale raggiunto soprattutto nell'Andante centrale, in
cui sembra quasi - dice Einstein - «che Dio abbia fermato per un istante il
moto della terra per permettere all'uomo di assaporare l'amara dolcezza
dell'esistenza».

La Sonata inizia con un Allegro in 6/8 di tono deciso e perentorio, seguito da


una frase ad imitazione fra i due strumenti. Dopo il ritornello appare il
secondo tema, indicato con dolcezza dal violino, su accompagnamento del
pianoforte, il quale poi riespone il motivo principale. Ancora un ritornello e
quindi si riascolta un frammento del tempo iniziale, arricchito da vivaci
modulazioni nel gioco delle imitazioni, secondo un discorso musicale
estremamente vario e mutevole, non privo di accenti un pò inquieti e nervosi.
L'Andante è contrassegnato da una espressione meditativa, avviata all'unisono
dai due strumenti e poi ripresa dal violino e successivamente dal pianoforte, il
cui canto sfocia in un accordo in fa diesis minore. Il tema del violino nella
tonalità di la minore esprime un sentimento di tristezza, leggermente spezzato
da accordi all'unisono e in sincope di straordinario e"etto emotivo. Lo sviluppo
non aggiunge niente di nuovo all'intonazione meditativa dell'intero movimento,
all'infuori del fatto che l'impostazione musicale lascia pensare ad un richiamo
allo spirito misuratamente razionalistico dello stile bachiano. Il tema del Presto
finale è una specie di moto perpetuo in forma di rondò, alla maniera degli
antichi maestri del sonatismo, fra cui Pietro Domenico Paradisi, che Mozart
deve aver certamente conosciuto in uno dei suoi viaggi europei. La struttura
dell'ultimo tempo è molto chiara e si svolge con varietà di interventi da parte
del pianoforte e del violino, in un impasto di modulazioni e di giochi
contrappuntistici di estrema eleganza, con passaggi più diversi da una tonalità
all'altra, dal fa diesis minore al re maggiore e al do maggiore. Alla fine ritorna
anche il la maggiore con un richiamo al tema iniziale della Sonata e prima che
si giunga alla stretta conclusiva, tra accenti ora piani e ora forti, nello spirito
brillante del rondò, riecheggiante in un certo senso il finale del Concerto per
pianoforte e orchestra in la maggiore K.488, scritto un anno prima di questa
Sonata, di cui non si sa a quale virtuoso di violino Mozart l'avesse destinato,
secondo l'opinione del celebre biografo e musicologo De Saint Foix.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Sonata in la maggiore K. 526, scritta a Vienna nell'agosto del 1787, è invece


un lavoro di carattere assai più virtuosistico e brillante. Come le sorelle K. 454
e K. 481 essa è, a tutti gli e"etti, una "Konzert-Sonate", cioè un'opera
destinata all'esecuzione pubblica e non ad intrattenimenti serali tra le mura
domestiche. Beethoven, probabilmente, l'avrebbe definita "scritta in uno stile
molto concertante, quasi come d'un concerto": e avrebbe avuto perfettamente
ragione, giacché nelle maggiori dimensioni dei movimenti e nell'accresciuto
impegno strumentale (soprattutto per il violino, ma anche per il pianoforte), la
Sonata K. 526 rivela un sensibile mutamento di concezione rispetto alla Sonata
K. 376.

La Sonata in la maggiore non è neppure avara di sorprese, tanto nel "Molto


Allegro" d'apertura, in un imprevedibile 6/8, quanto nel sereno ed intenso
"Andante" in re maggiore, scritto in regolare forma-sonata, ma con un secondo
tema in minore; ma la pagina più geniale dell'intera composizione rimane il
"Presto" conclusivo, che con la sua perfetta fusione di elementi "dotti" e
"brillanti" subito richiama alla mente l'esempio insuperato del finale del
Quartetto K. 387.

Danilo Profumo

Dodici variazioni in sol maggiore, K1 359 (K6 374a)


sul tema del Lied "La bergère Célimène" per pianoforte e violino

https://www.youtube.com/watch?v=fgtVCHG_3qo

https://www.youtube.com/watch?v=5dhjA59PRPE

Allegretto (sol maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Vienna, giugno - 4 luglio 1781
Edizione: Artaria, Vienna 1786

Guida all'ascolto (nota 1)

Al duo pianoforte-violino, caratteristico del salotto settecentesco, adatto agli


«amateurs» e quindi considerato minore nell'estetica dei generi musicali,
Mozart ha dedicato due serie di variazioni, diciotto complessivamente, indicate
nel catalogo di Ludwig Alois Friedrich von Köchel con i numeri 359 e 360,
diventati 374a e 374b nella sesta edizione del catalogo, edita nel 1964 a cura
di Franz Giegling, Alexander Weinmann e Gerd Sievers. Le variazioni furono
composte nel giugno 1781, dopo il distacco definitivo del maestro da
Salisburgo e il trasferimento a Vienna, come pigionante in casa Weber.
Nacquero in un periodo della vita di Mozart compreso fra Idomeneo e Il ratto
dal serraglio, prima delle nozze con Costanza.

Il tema, per questo genere di composizioni, spesso era tratto dai «morceaux
favoris» dell'epoca; nel caso particolare, alle Dodici variazioni K. 359 lo spunto
è stato o"erto dal Lied «La bergère Celimene» (indicata anche come
«Silimène»), formato da sedici battute in sol maggiore, una melodia per gradi
congiunti, con due fuggevoli inflessioni modulanti a do maggiore e al
passaggio obbligato del re maggiore (la dominante); le ultime quattro battute
riproducono le quattro iniziali, con qualche abbellimento pianistico: uno
schema consueto, che annuncia la preminenza del pianoforte, abituale nella
letteratura cameristica del tardo Settecento. La melodia è piana, ovvia, a
di"erenza dì quella delle gemelle Sei variazioni K. 360, più suggestiva se non
altro grazie alla tonalità di sol minore.

Quasi tutte le variazioni sono ligie alla tonalità (salvo la settima, in sol minore),
alla melodia e alla concatenazione armonica esposte nel tema; le mutazioni
hanno carattere ritmico, benché il passaggio dal ritmo binario al ternario
avvenga soltanto nelle variazioni quarta e dodicesima. Per il resto, il
trattamento è improntato allo stile «galante», imperniato soprattutto sugli
abbellimenti, ed illustrato dalle composizioni di un maestro riconosciuto come
Johann Christian Bach.

Qualche trovata rivela la mano del maestro, ad esempio il piccolo monologo


pianistico con la variazione del basso a!data alla mano sinistra (var. III); una
pastorale contrassegnata dall'entrata canonica degli strumenti nella seconda
parte della variazione (var. IV); la degradazione del tema ad accompagnamento
pianistico delle «broderies» del violino (var. VII); il contrappunto a quattro parti
(var. X) fra l'acuto e il grave della tastiera, con un basso albertino intermedio e
il tema originale a!dato al violino; un breve notturno, adagio, sul ritmo
cullante del pizzicato violinistico sincopato; infine, allegro, con l'arco, il violino
abbozza un finale da protagonista brillante.

La pubblicità sul «Magazin der Musik» delle sonate per pianoforte e violino di
Mozart edite nel novembre 1781, avvertiva: «l'accompagnamento del violino è
così artisticamente intrecciato con la parte pianistica che entrambi gli
strumenti attrarranno continuamente l'attenzione dell'uditorio». L'annunzio è
opportuna epigrafe anche per queste variazioni.

Claudio Casini
Sonate da Chiesa

https://www.youtube.com/watch?v=bo1pmEx6azY

Queste sonate, tranne la K 278 e la K 329, prevedono il raddoppio ad libitum


del basso con il fagotto.

Sonata in mi bemolle mag per due violini, organo, violoncello e basso K


67 (41h)

https://www.youtube.com/watch?v=VvKzeseg7DY

Sonata in si bemolle mag per due violini, organo, violoncello e basso K


68 (41i)

https://www.youtube.com/watch?v=J8TOn6s_XB4

Sonata in re mag per due violini, organo, violoncello e basso K 69 (41k)

https://www.youtube.com/watch?v=5ZMtn1Y1t00

Sonata in re mag per due violini, organo, violoncello e basso K 144


(124ª)

(124b)

https://www.youtube.com/watch?v=piw1dZkNy68

Sonata in si bemolle mag per due violini, organo, violoncello e basso K


212

https://www.youtube.com/watch?v=Nz0zUsAqPM0

Sonata in sol mag per due violini, organo, violoncello e basso K 241

https://www.youtube.com/watch?v=lVL9OqfwRcU

Sonata in fa mag per due violini, organo, violoncello e basso K 224


(241ª)

https://www.youtube.com/watch?v=d47Y0D_dZ6k
Allegro (fa maggiore)

Organico: 2 violini, basso, organo


Composizione: Salisburgo, aprile 1776

Guida all'ascolto (nota 1)

Delle diciassette Sonate da chiesa per due violini, violoncello e organo,


composte da Mozart in anni diversi tra il 1767 e il 1780, ne vengono
riproposte stasera tre (con un organico ampliato) e precisamente quella in do
maggiore indicata con il K. 328, scritta a Salisburgo tra gennaio e luglio 1779,
quella in fa maggiore K. 244, che reca la data dell'aprile 1776, e quella in do
maggiore K. 336, pure scritta a Salisburgo nel marzo 1780. Anche se questi
pezzi si chiamano Sonate e potrebbero far pensare ad una varietà di
movimenti, secondo il concetto che viene attribuito a questo tipo di
componimento (due tempi allegri alternati con due tempi adagi), va precisato
che si tratta di composizioni dalla struttura semplice, senza troppe
elaborazioni contrappuntistiche e a volte con un richiamo al "genere
concertante", come è il caso della Sonata K. 336. Probabilmente la musica di
questi pezzi era destinata ad accompagnare le cerimonie religiose nelle chiese
della cattolica Salisburgo ed aveva una funzione pratica ben precisa, senza
appartenere alla produzione sacra nel senso pieno della parola. Nella Sonata K.
244 il ruolo dell'organo non è secondario, tanto è vero che il tema esposto dal
primo violino viene ripreso e ampliato dallo strumento a tastiera, il quale
interviene poi anche nel richiamo al secondo soggetto indicato dai due violini.
L'interessante di questa Sonata sta nello sviluppo dei due temi, molto chiaro e
lineare, concluso da una piccola cadenza di tre misure dell'organo, quasi a
siglare la sua indiscussa presenza in questo tipo di componimento.

Sonata in la mag per due violini, organo, violoncello e basso K 225


(241b)

https://www.youtube.com/watch?v=U5kH6KhQnk4

Sonata in fa mag per due violini, organo, violoncello e basso K 244

https://www.youtube.com/watch?v=owT6QjkJ-hw

Sonata in re mag per due violini, organo, violoncello e basso K 245

https://www.youtube.com/watch?v=pfK1qxB6t5w
Sonata in do mag per due violini, due trombe, organo, violoncello e
basso K 263

https://www.youtube.com/watch?v=dn_OOVV9GHc

Sonata in sol mag per due violini, organo, violoncello e basso K 274
(271d)

https://www.youtube.com/watch?v=9sFEav7PTno

Sonata in do mag per due violini, violoncello, basso, due oboi, due
trombe, timpani e organo K 278 (271e)

https://www.youtube.com/watch?v=aOSZh-xBcig

La sonata da chiesa in do maggiore KV 278 "pro festis Palii" di Wolfgang


Amadeus Mozart nacque nell'ambito delle composizioni sacre scritte per
assolvere al proprio dovere di Konzertmeinster presso il Principe Arcivescovo
di Salisburgo e fu scritta tra il marzo e l'aprile del 1777.

In quel periodo Mozart viveva in una fase tranquilla, ma non particolarmente


felice, soprattutto a causa dell'Arcivescovo che intendeva mantenere il più
diretto controllo sui suoi sottoposti, tuttavia Mozart atteneva al suo impiego
con zelo e competenza (la fama di compositore sacro costruita in questi anni
gli sarà di grande aiuto nel periodo viennese).

Dati sull'opera

Catalogo Köchel

KV 278

Durata

circa 4 minuti

Organico

2 oboi
2 corni
2 trombe
Timpani
2 violini
Basso continuo
organo obbligato

Luogo e data di composizione

Salisburgo, marzo - aprile 1777

Sonata in do mag per due violini, violoncello, basso, due oboi, due corni,
due trombe, timpani e organo K 329 (317ª)

Sonata in do mag per due violini, organo, violoncello e basso K 328


(317c)

https://www.youtube.com/watch?v=QSelZQvheNs

Allegro (do maggiore)

Organico: 2 violini, basso, organo


Composizione: Salisburgo, gennaio - luglio 1779
Guida all'ascolto (nota 1)

Delle diciassette Sonate da chiesa per due violini, violoncello e organo,


composte da Mozart in anni diversi tra il 1767 e il 1780, ne vengono
riproposte stasera tre (con un organico ampliato) e precisamente quella in do
maggiore indicata con il K. 328, scritta a Salisburgo tra gennaio e luglio 1779,
quella in fa maggiore K. 244, che reca la data dell'aprile 1776, e quella in do
maggiore K. 336, pure scritta a Salisburgo nel marzo 1780. Anche se questi
pezzi si chiamano Sonate e potrebbero far pensare ad una varietà di
movimenti, secondo il concetto che viene attribuito a questo tipo di
componimento (due tempi allegri alternati con due tempi adagi), va precisato
che si tratta di composizioni dalla struttura semplice, senza troppe
elaborazioni contrappuntistiche e a volte con un richiamo al "genere
concertante", come è il caso della Sonata K. 336. Probabilmente la musica di
questi pezzi era destinata ad accompagnare le cerimonie religiose nelle chiese
della cattolica Salisburgo ed aveva una funzione pratica ben precisa, senza
appartenere alla produzione sacra nel senso pieno della parola. Del resto la
Sonata K. 328 non ha nulla di complesso e la melodia indicata dal primo
violino, poi ripresa dal secondo violino e sorretta dall'organo, si snoda con
immediatezza espressiva e vede soprattutto la parte dell'organo realizzarsi
pienamente, con un gioco di modulazioni, dalla ventesima alla
ventiquattresima misura, tipico dello stile mozartiano in questo periodo
creativo.
Sonata in do mag per due violini, organo, violoncello e basso K 336
(336d)

https://www.youtube.com/watch?v=vJtUFE8oV2s

Allegro (do maggiore)

Organico: organo, 2 violini, basso


Composizione: Salisburgo, marzo 1780
Edizione: Andrè, O"enbach 1780

Guida all'ascolto (nota 1)

Delle diciassette Sonate da chiesa per due violini, violoncello e organo,


composte da Mozart in anni diversi tra il 1767 e il 1780, ne vengono
riproposte stasera tre (con un organico ampliato) e precisamente quella in do
maggiore indicata con il K. 328, scritta a Salisburgo tra gennaio e luglio 1779,
quella in fa maggiore K. 244, che reca la data dell'aprile 1776, e quella in do
maggiore K. 336, pure scritta a Salisburgo nel marzo 1780. Anche se questi
pezzi si chiamano Sonate e potrebbero far pensare ad una varietà di
movimenti, secondo il concetto che viene attribuito a questo tipo di
componimento (due tempi allegri alternati con due tempi adagi), va precisato
che si tratta di composizioni dalla struttura semplice, senza troppe
elaborazioni contrappuntistiche e a volte con un richiamo al "genere
concertante", come è il caso della Sonata K. 336. Probabilmente la musica di
questi pezzi era destinata ad accompagnare le cerimonie religiose nelle chiese
della cattolica Salisburgo ed aveva una funzione pratica ben precisa, senza
appartenere alla produzione sacra nel senso pieno della parola.

Fra le tre Sonate quella in do maggiore K. 336 non ha nulla di religioso e si


presenta come un pezzo da concerto di immediata comunicativa. Il primo tema
molto cantabile è esposto dai violini e ripreso dall'organo; il secondo tema ha
un andamento più delicato e grazioso. Non mancano la cadenza con trillo e un
ritornello dei violini, cui segue uno sviluppo a!dato alla mano destra
dell'organista. C'è la ripresa del tema principale, al quale si a!anca poi il
secondo soggetto, questa volta in re minore con una serie di modulazioni,
caratterizzanti lo stile concertante e un po' audace della Sonata da chiesa.

Duetti, Trii, Quartetti e Quintetti

Duetti per violino e viola in sol mag K 423 e in si bemolle maggiore K


424

https://www.youtube.com/watch?v=IbCG6jsKD9o

https://www.youtube.com/watch?v=9RuyM6c4G3M
Divertimento (trio) per violino, viola e violoncello in mi bemolle
maggiore K 563

https://www.youtube.com/watch?v=ckdyoSIBUxw

https://youtu.be/E8c83bpOVXo

Il divertimento per violino, viola e violoncello in mi bemolle maggiore (K. 563)


è un trio per archi composto da Wolfgang Amadeus Mozart nel 1788, anno nel
quale ha completato le sue ultime tre sinfonie e il concerto dell'incoronazione.
È l'unico trio originale per violino, viola e violoncello composto da Mozart ed è
di"erente rispetto agli altri divertimenti dello stesso autore.

Composizione

La composizione è stata completata a Vienna il 27 settembre 1788 ed è


dedicata a Michael von Puchberg, un massone che aveva prestato dei soldi a
Mozart. La prima esecuzione si è tenuta a Dresda il 13 aprile 1789, con Anton
Teyber al violino, Mozart alla viola e Antonín Kraft al violoncello. All'epoca
Mozart era impegnato in una tournée in svariate città tedesche, in direzione di
Berlino.

Il divertimento è strutturato in sei movimenti:

Allegro – in forma sonata


Adagio – in forma sonata
Minuetto – in forma ternaria A–B–A
Andante – tema con quattro variazioni
Minuetto – con due di"erenti trii (A–B–A–C–A)
Allegro – rondò-sonata

Una tipica esecuzione dura 41-50 minuti.

Critica

Il musicologo Alfred Einstein definisce il Divertimento K. 563 "una delle


composizioni più nobili" di Mozart. Esso mantiene il formato in sei movimenti
tipico dei divertimenti mozartiani, ma non condivide con essi la luminosità di
toni:
(IT)

«è una vera composizione cameristica, ed è cresciuta fino a simili proporzioni


solo perché era concepita per o"rire ... qualcosa di speciale per quanto
riguarda arte, invenzione e buon umore ... Ogni strumento è primus inter
pares, ogni nota è importante, ogni nota è un contributo all'appagamento
spirituale e sensuale nel suono.»
(Alfred Einstein)

Adagio e fuga in do minore per quartetto d'archi, K 546

https://www.youtube.com/watch?v=jSZJjTeP0mU

Adagio (do minore)


Fuga. Allegro (do minore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello oppure orchestra d'archi


Composizione: Vienna, 26 Giugno 1788
Edizione: Ho"meister, Vienna 1788

Trascrizione per quartetto d'archi dalla Fuga per due pianoforti, K 426

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart sì applicò a più riprese e con passione allo studio del contrappunto. Fu
soprattutto negli anni del soggiorno viennese che ebbe modo di conoscere e
approfondire i grandi lavori contrappuntistici del passato; fu a Vienna che
venne in contatto con la cerchia del barone Gottfried van Swieten, mecenate e
colto dilettante dì musica che nella sua abitazione organizzava regolari
esecuzioni della musica di Bach e Händel. E fu ancora negli anni viennesi che
Mozart sì entusiasmò per le fughe di Bach, che fece oggetto di uno studio
attento e appassionato. Non doveva essere estranea a questo interesse
neppure la frequentazione degli ambienti massonici, cui lo stesso van Swieten
apparteneva. La fuga e la scrittura contrappuntistica assumevano, in quella
cerchia, il valore di una trasparente metafora: nell'edifìcio contrappuntistico, e
nella fuga che ne è la più complessa espressione, gli adepti coglievano di
riflesso l'operato del Grande Architetto dell'Universo. Di qui l'attivismo con il
quale le logge massoniche si adoperarono, nelle principali città europee, per
riportare in vita capolavori del passato come gli oratori di Händel e le fughe di
Bach, nei quali la scienza contrappuntistica raggiunge vertici ineguagliati.

Uno dei massimi contributi di Mozart al genere è costituito dalla Fuga in do


minore K. 546, composta in origine per due pianoforti (K. 426) e trascrìtta in
seguito per archi, con l'aggiunta di un Adagio introduttivo. Di straordinaria
intensità espressiva, l'Adagio è dominato dal contrasto tra figure ritmiche ed
energiche e un motivo dolente, che insiste su patetici semitoni. Lo stesso
contrasto espressivo tra azione e ripiegamento, tra eroismo e rassegnazione
caratterizza l'austero soggetto della Fuga. Improntata a un clima di estrema
severità, la composizione da fondo a tutti gli artifici del contrappunto
osservato, valendosi di una tecnica e di un controllo espressivo che rivelano la
profonda assimilazione della lezione bachiana

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Tra gli aspetti più a"ascinanti della riflessione storica sulla musica vi è senza
dubbio l'indagine su come sia mutato nei secoli il concetto di tradizione che
spettatori, dilettanti, compositori ed esecutori hanno fatto proprio nei secoli.
Qualche particola dell'infinito caleidoscopio di opinioni che animò tale
problematica, ancora oggi attuale, ci giunge dalle testimonianze scritte di chi
la musica la visse come lavoro e come impegno critico e intellettuale.

Sia detto subito che la materia è magmatica, sempre aperta a nuove


interpretazioni e sottoposta a nuove evoluzioni del gusto; essa ha però il
pregio, se analizzata con attenzione, di apportare spesso qualche elemento
rivelatore sulle relazioni tra musica e società, non dimenticando tuttavia che
nella maniera in cui un compositore si rivolge al passato c'è una percentuale di
influenza sociale, dichiarata o tacita, e una parte di esperienza e di giudizio
personali.

Mozart è un punto di osservazione privilegiato per la problematica in


questione: da giovanissimo ebbe il pregio di viaggiare molto, di avere un
apprendistato cosmopolita; ebbe la fortuna di conoscere molti ambienti
culturali europei con i loro gusti e le loro tradizioni. La sua sensibilità fu
termometro di molte delle tensioni culturali dell'epoca. Il suo incontro a Vienna
e la decennale amicizia con il bibliotecario imperiale barone Gottfried van
Swieten, vengono spesso descritti come elementi importanti per l'evoluzione
del suo stile. Mozart aveva cominciato a frequentare il barone nel 1781.
Ambasciatore a Berlino presso Federico II, van Swieten si era a!liato in quella
città a un gruppo di difensori della memoria bachiana e händeliana di cui
facevano parte altri compositori. Uomo politico con interessi culturali, grande
amante della musica al punto da essere compositore di Sinfonie («rigide come
lui stesso» a dire di Joseph Haydn), van Swieten amava farsi promotore anche a
Vienna della di"usione dell'opera di J. S. Bach e di Händel. Aveva dato in gran
copia anche a Mozart spartiti e partiture di questi due autori, materiale di cui il
salisburghese si serviva eseguendoli e studiandoli in casa. Scrisse nel 1783:
«Quando Constanze udì le fughe, se ne innamorò: ora non vuoi sentire altro
che fughe e soprattutto (in questo campo) Händel e Bach. Siccome poi mi
aveva sentito improvvisarne io stesso, mi domandò se non ne avessi già scritta
qualcuna e quando le risposi che no, mi rimproverò aspramente di aver
trascurato quanto di più bello e interessante ci sia nella musica, e non smise di
pregarmi fino a che non gliene scrissi una. [...] Col tempo ne farò altre cinque e
le regalerò al barone van Swieten». Più che per Mozart, il cui ruolo di
compositore aveva sempre contemplato di necessità lo studio di variegate
tipologie di musiche recenti o passate, la citazione ci interessa per la presa di
posizione della moglie: che Constanze trovasse le fughe così attraenti al puro
ascolto, testimonia un fatto di evoluzione del gusto assai interessante.

L'amore per il contrappunto non era dunque più una faccenda per soli esperti:
dalle appendici solenni del genere sacro e dal silenzioso lavoro del privato
esercizio, lo stile contrappuntistico aumentava il suo indice di gradimento fra
gli ascoltatori. E Mozart si mise a lavoro: il 29 dicembre 1783 completò la
stesura della Fuga in do minore K. 426, opera preceduta da diversi frammenti
di fughe per tastiera lasciate incomplete. Si trattava di una severa e maestosa
fuga a quattro voci per due fortepiani, alla quale Mozart voleva far precedere
un Preludio: un progetto iniziato ma portato a compimento più tardi.

Nel giugno del 1788, infatti, egli riprese in mano la vecchia fuga e la riadattò
per quartetto od orchestra d'archi aggiungendo, come ebbe a scrivere lui
stesso, anche un «Adagio a due violini, viola e basso per una fuga che scrissi
tempo fa». Si trattava dell'Adagio e Fuga in do minore K. 546, un'opera che
trasfondeva nel colorismo degli archi il carattere serio e impegnato della
composizione precedente. Rispetto alla prima versione, l'Adagio ha qui la
funzione di accentuare l'e"etto meccanico e sublime della fuga tramite
un'introduzione patetica ad hoc: la tensione tra l'elemento fiero ed energico
che apre il brano e un secondo segmento dal tono dolente e sommesso
costruito su respiri di semitono, costituisce una sorta di rifugio intimistico
dalla natura interrogativa.

Nella Fuga seguente Mozart allestisce un'imponente struttura: un austero


soggetto caratterizzato da ampi intervalli viene sottoposto al severo artificio
del contrappunto e puntellato da un mobile controsoggetto che dona al tutto
un'a"ascinante sinuosità cromatica. Nel trattamento dell'elaborazione motivica
Mozart segue strade a volte personali a volte ortodosse, riuscendo a stupirci
anche nelle situazioni più canonizzate del genere, fino allo "stretto" finale
(topos tecnico della fuga) che conclude il brano in modo grandioso e solenne.
Il Mozart lirico, sensuale e ammiccante si trasforma qui in un poderoso busto
di marmo: l'unica ragione per cui egli si riconosca in costruzioni del genere è
l'a!dare loro un valore mistico, trascendente. Artificio, solennità, chiara
percezione dell'architettura donano alla musica contrappuntistica una dignità
"religiosa", un sapore rituale. Il meccanismo del contrappunto sembra rendere
la composizione indipendente dai turbamenti umani (non a caso era spesso
usata per celebrare la divinità), donargli una vita propria nella quale il brano
pare originarsi da sé. L'interpretazione dello stile severo nel tardo Settecento
anticipa il crescendo culturale che porterà nel secolo successivo la musica a
essere arte con una propria altissima dignità intellettuale e spirituale.

Mozart intercettava con l'Adagio e Fuga K. 546 l'evoluzione del gusto europeo
tendente a far evolvere il classicismo verso lo spiritualismo romantico ancora
di là da venire. Ma non è da escludere che la sua natura fortemente
trasgressiva, sempre e comunque attenta a dare il meglio della sua maestria
creativa in ogni campo, donasse al solenne portamento della fuga anche un
tocco segretamente ironico.

Simone Ciolfi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Alla fine del 1781 troviamo Mozart, stabilitosi a Vienna, fra gli assidui del
barone Gottfried van Swieten. Questo signore olandese si era ritirato a Vienna
dopo una fortunata carriera nella diplomazia asburgica. Durante la sua
missione a Berlino aveva avuto modo di avvicinare i figli di J.S. Bach. Essi lo
avevano iniziato ai maestri della polifonia barocca, e di ritorno a Vienna van
Swieten esortava con le sue «esercitazioni musicali della domenica» i musicisti
al culto di Bach e di Haendel. Mozart rimase addirittura scosso dall'incontro
con lo stile rigoroso, copiò varie fughe di suo pugno, e si immerse nello studio
del contrappunto. Fra queste esercitazioni va annoverata la Fuga per due
pianoforti in do minore K. 426. Essa è a quattro voci, ricca di artifici
contrappuntistici, stretti ed inversioni del tema. Il do minore, secondo la
tradizione viennese, è una tonalità drammatica. Il tema ha difatti carattere di
a"ermazione contrastata, carattere sottolineato dall'esordio volitivo e dalla
conclusione cromatica. Questi due principi, e il controsoggetto aperto da tre
crome ribattute e concluso da un trillo, dominano l'intero pezzo, sottolineano
la supremazia dell'emotività sulla scrittura rigorosa, e inducono Mozart ad un
contrappunto selvaggio. L'immagine è quella di un turbine che travolga, in
nome della passione, i generi e la loro codificazione storica. Nel 1788 Mozart
trascrisse la Fuga per quartetto d'archi, e vi premise una Introduzione. Il
pathos della Fuga risulta accresciuto nella più sentita cantabilità degli archi, e
la Introduzione prelude alla temperie esasperata della versione quartettistica
con uno studio sulla potenzialità drammatica dell'armonia modulante. E' una
pagina che leva il sipario sulla disperazione romantica, e con quel senso della
disfatta, dell'irredimibile, che Mozart trasmetterà a Schubert, Mahler, Berg, i
musicisti della città maledetta.

Gioacchino Lanza Tomasi

Cinque fughe per quartetto d'archi, dal "Clavicembalo ben temperato" di


Johann Sebastian Bach, K 405
https://youtu.be/2_Au_THjYMg

do maggiore (BWV 871)


mi bemolle maggiore (BWV 876)
mi maggiore (BWV 878)
re maggiore (BWV 877)
re maggiore (BWV 874)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, luglio 1782
Guida all'ascolto (nota 1)

All'epoca in cui porta a termine il Quartetto K. 387, nei suoi primi mesi a
Vienna il venticinquenne Mozart ha già fatto un altro incontro molto
significativo: quello con la musica di Bach e Haendel che ha l'opportunità di
conoscere meglio frequentando un appassionato intenditore, il barone
Gottfried van Swieten che ogni domenica alle 12 organizzava in casa propria
delle riunioni musicali "dove non si suonava che Haendel e Bach".

Nasce così un periodo di attento studio che si concentra in particolare sulle


fughe di Bach: perfino la sua Constanze è coinvolta da questa passione e "non
vuole più ascoltare altro che fughe e solo di Haendel e Bach". E così Mozart
legge, ascolta, suona, copia, trascrive e da questo studio prende le mosse per
alcuni esperimenti personali : di questa fase sperimentale, a parte alcune
trascrizioni da Bach di attribuzione assai dubbia (K. 404a), diversi frammenti di
fuga per pianoforte e altri lavori incompiuti, ci rimangono la Fuga K. 394 per
pianoforte, la Fuga K. 426 per due pianoforti (poi trascritta per quartetto
d'archi e preceduta da un'introduzione) e, appunto, la trascrizione per
quartetto di cinque fughe dal Clavicembalo ben temperato: le numero 2, 5, 7,
8 e 9 dal secondo libro.

Carlo Cavalletti

Quartetto per archi n. 1 in sol maggiore, K 80 (K 73f)

https://www.youtube.com/watch?v=2I9LyiGrclc

Adagio (sol maggiore)


Allegro (sol maggiore)
Minuetto (sol maggiore)
Rondò (sol maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Lodi, 15 Marzo 1770
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart compone il suo primo quartetto per archi in una locanda di Lodi, il 15
marzo 1770, «alle 7 di sera» si legge sull'autografo, durante una sosta sulla via
per Bologna. A Milano, il compositore aveva avuto modo di ascoltare quartetti
di Sammartini e di cogliere la lezione di un linguaggio strumentale inteso
anzitutto come trattamento lineare e smalizialo delle strutture formali,
eleganza melodica e capacità artigianale dì confezionare una composizione
sulla base di un materiale quanto mai elementare. Il Quartetto KV 80 (73f), cui
Mozart resterà a"ezionato, tanto da da includerlo otto anni dopo fra le
musiche portate con sé nel viaggio a Parigi (vedi la lettera dalla capitale
francese del 24 marzo 1778), allinea nella configurazione originaria due
movimenti in forma di sonata e un Minuetto. L'architettura in tre brevi tempi
tutti nella stessa tonalità, la qualità cantabile impressa nell'a"ettuoso e
carezzevole Adagio iniziale come nel successivo Allegro e nel Menuetto, la
netta prevalenza nella condotta melodica dei violini rispetto alle due parti
inferiori, viola e violoncello, indicano con chiarezza il modello nello stile
preclassico italiano. Il quarto movimento, un Rondò, sarà aggiunto soltanto tre
o quattro anni più tardi.

Cesare Fertonani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Mozart scrisse ben 26 Quartetti completi per archi, in cui sono racchiuse le
caratteristiche tecniche e stilistiche del compositore e soprattutto la sua
evoluzione nel fissare le regole di una forma tra le più di!cili di tutti i generi
musicali. Si sa che Mozart mosse inizialmente i primi passi nel dialogo a
quattro per archi tenendo presenti i modelli analoghi conosciuti durante il
viaggio in Italia tra il 1770 e il 1773, a cominciare dalla produzione di
Sammartini. Infatti il primo Quartetto in sol maggiore K. 80 fu composto la
sera del 15 marzo 1770 in una locanda di Lodi e risente nella struttura di due
elementi tipici dello strumentalismo da camera italiano: la divisione in tre
tempi (si ritiene in questo caso che il rondò finale sia stato aggiunto
posteriormente) e la preponderanza data ai due violini rispetto alle parti del
violoncello e della viola. Non per nulla i quartetti immediatamente successivi,
K. 136, 137 e 138, composti a Salisburgo nei primi mesi del 1772 e chiamati
Divertimenti sul manoscritto, e i sei quartetti K 155-160, che recano il titolo dì
Milanesi, perché finiti di scrivere nell'autunno dello stesso anno nella capitale
lombarda, si articolano in tre tempi, come nella sinfonia d'opera italiana: un
allegro introduttivo o presto, un andante o adagio e un minuetto o presto.
Per tornare al Quartetto K. 80 vi si nota, è vero, un italianismo violinistico
nell'Adagio introduttivo, così puro e lineare nella sua cantabilità melodica,
leggermente increspata di malinconia e nell'Allegro del secondo tempo,
sprizzante una vivacità ritmica di gusto vivaldiano nel suo bitematismo
contrappuntistico. Forse nel Minuetto con il Trio e nel Rondò conclusivo
emerge con maggiore chiarezza la presenza inventiva mozartiana, improntata
a varietà e brillantezza di spunti tematici.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Proprio come è avvenuto con la sinfonia, anche nel campo del quartetto per
archi Haydn ha svolto un ruolo fondamentale nel contribuire a fissare il
modello formale del genere, scegliendo fra le varie strutture e caratteristiche
stilistiche ereditate dai suoi predecessori. La quantità e soprattutto la qualità
della sua produzione hanno fatto sì che ben presto le sue scelte si
trasformassero tacitamente in un modello normativo. Quando poi sulla scena
musicale apparve l'astro del giovane Mozart, fra i due musicisti si innescò un
complesso rapporto di reciproche influenze, particolarmente avvertibile in
campo quartettistico: non bisogna dimenticare che la grande amicizia sorta
all'inizio degli anni Ottanta fra il cinquantenne Haydn e il venticinquenne
Mozart nacque proprio intorno al quartetto, poiché fu cementata dalle riunioni
musicali in cui i due suonarono insieme. Al punto che si può dire che un rapido
sguardo alla loro produzione - sessantotto Quartetti in quasi mezzo secolo,
fra il 1757 e il 1803, Haydn; ventisei Quartetti nell'arco di un ventennio, tra il
1770 e il 1790, Mozart - consenta di fotografare perfettamente la profonda
trasformazione verificatasi in quegli anni nel genere del quartetto per archi.

Intorno alla metà del Settecento, i quartetti, che venivano più frequentemente
chiamati "divertimenti", erano ancora brani di intrattenimento estremamente
disimpegnati che potevano essere in un numero variabile di movimenti (tre,
quattro, cinque), e non attribuivano a"atto la stessa importanza ai quattro
strumenti, "guidati" nettamente dal primo violino. Anche i primi dieci Quartetti
di Haydn, scritti intorno al 1757 per le serate del principe Karl Joseph von
Fürnberg nel castello di Weinzierl, si rifanno a questo modello e sono tutti in
cinque movimenti con due minuetti.

Dopo una pausa durata oltre dieci anni, Haydn tornò al quartetto nel 1768 e
fino al 1772 portò a termine ben diciotto lavori (sei op. 9, sei op. 17 e sei op.
20) che, pur essendo ancora indicati col titolo di "divertimenti", delineano
chiaramente il modello di un brano più serio e impegnativo in quattro
movimenti, in cui gradualmente gli altri tre strumenti acquistano importanza a
fianco del primo violino. Se in alcuni movimenti lenti dell'op. 9 l'antico
protagonismo del primo violino ria!ora, l'op. 17 appare ancora più
equilibrata, con i quattro strumenti su un piano di quasi assoluta parità, fino a
giungere nell'op. 20 a un ulteriore inspessimento della scrittura
contrappuntistica: ben tre Quartetti hanno il movimento finale in forma di
fuga. A tutto questo si aggiunge, sotto l'influenza del cosiddetto periodo
Sturm und Drang, un più frequente utilizzo delle tonalità minori. Dopo l'op.
20, però, Haydn abbandona ancora una volta per quasi dieci anni il genere del
quartetto, proprio mentre il giovane Mozart vi compie i suoi primi passi.

Il Quartetto in sol maggiore K. 80/73f, scritto nel 1770 dal quattordicenne


Mozart durante il suo primo viaggio in Italia, e i tre Divertimenti K. 136-138,
composti due anni dopo a Salisburgo, sono pagine leggere e disimpegnate
ancora a metà strada fra lo stile del divertimento e quello più arcaico della
sonata a tre. Fra le principali esperienze musicali del giovanissimo Mozart
durante i due mesi trascorsi a Milano al principio del 1770 bisogna senz'altro
annoverare l'incontro con due prestigiosi maestri italiani: Niccolò Piccinni e
Giovanni Battista Sammartini. E il Quartetto in sol maggiore K. 80/73f,
terminato la sera del 15 marzo del 1770 in una locanda di Lodi nel corso del
viaggio da Milano alla volta di Bologna, segue il modello formale in tre
movimenti (Adagio-Allegro-Menuetto) tipico di molte composizioni
strumentali di Sammartini e della sua scuola.

Nonostante le apparenze, questo esordio quartettistico del quattordicenne


Mozart si rivela in fin dei conti abbastanza tardivo in un compositore che, a
tacer d'altro, ha già firmato almeno una decina di sinfonie, 16 sonate per
violino, 4 messe e 3 piccoli lavori teatrali. Anche se, come detto, non siamo
ancora in presenza di un'autentica scrittura quartettistica a quattro parti
autonome e indipendenti, ma in generale a una scrittura a due o a tre parti con
un predominio solistico del primo violino, in molti passaggi il giovane Mozart
mostra già una naturale disposizione al gioco e al dialogo fra gli strumenti
ricorrendo in alcune battute a una scrittura a canone. Nella versione originaria
del 1770 il Quartetto K. 80 è formato da tre movimenti, tutti nella tonalità
d'impianto di sol maggiore: un trasognato e sereno Adagio, il cui incipit
sembra prefigurare quello di «Porgi amor» dalle Nozze di Figaro, un Allegro
frenetico e pieno di buon umore e un breve e pomposo Menuetto.

Evidentemente Mozart doveva essere alquanto soddisfatto del suo lavoro di


esordio nel campo del quartetto, visto che qualche anno dopo, alla fine del
1773 o al principio del 1774, lo riprese rendendolo più moderno con
l'aggiunta di un quarto movimento in coda, un breve e luminoso Rondò in sol
maggiore.

Carlo Cavalletti

Quartetto per archi n. 2 in re maggiore, K 155 (K 134a)


https://www.youtube.com/watch?v=MZoXVaU2kG0

Allegro (re maggiore)


Andante (la maggiore)
Allegro molto (re maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Bolzano (o Verona), ottobre - novembre 1772

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

L'Allegro iniziale del Quartetto KV 155 (134a) delinea una ben organizzata
forma di sonata senza ritornelli. Nell'esposizione si distinguono il brillante
primo gruppo tematico, la transizione, il secondo gruppo tematico, più
cantabile, il gruppo cadenzale conclusivo con un passaggio virtuosistico per il
violino I; lo sviluppo, di sostanza tematica indipendente rispetto
all'esposizione è avviato da una serie di entrate in canone. L'Andante è invece
in forma di sonata con ripresa incompleta: elementi del tema principale sono
riutilizzati nello sviluppo, e la ripresa coincide con il tema secondario,
costruito con incisi distribuiti tra i violini; soltanto per la chiusa ricompare la
frase iniziale del tema principale. Il Molto allegro finale è un vivace rondò con
due episodi.

Cesare Fertonani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

In data 25 ottobre 1772 da Botzen - ossia Bolzano -, scrìveva


Leopoldo .Mozart come durante quella tappa di viaggio suo figlio stesse
scrivendo un quattro pei disannoiarsi. Svago che gli zelantissimi mozartiani
Thédore de Wyzewa e Gaston de Saint-Foix non hanno avuto di!coltà ad
identificare col Quartetto in re maggiore che apre il programma odierno. Si
trattava del secondo caso del genere, giacché a Lodi, in condizioni simili, egli
aveva composto un anno prima il Quartetto in& sol K. 80. E fu probabilmente
per i benefici e"etti ottenuti allora che il giovanissimo viaggiatore ricorreva
ancora una volta allo stesso rimedio. D'altronde, trattandosi di Mozart niente
da stupire. Fra i tanti miracoli della sua realtà, quello di più immediato e"etto
-che è il modo della sua creazione, il suo elaborarsi in mente l'idea come il
baco fila invisibile la seta - si accorda ottimamente anche con una maniera così
fuori dell'ordinario di ingannare l'uggia di un posto straniero e senza interessi.
E' vero che, alla sorellina Nannerl confidava esultante «Come è gaio viaggiare!
Ho il cuore pieno di gioia, tanto mi diverto in viaggio!». Ma si trattava pure di
sgranare il paziente rosario delle stazioni di posta. Eppoi c'è da tener conto di
tutti gli obblighi di una tournée musicale di giovane prodigio organizzata da
uno zelantissimo mentore e impresario come era Leopoldo. Bolzano costituiva
una sosta lungo la via che da Salisburgo li riconduceva in Italia, dove li
attendeva questa volta la lusinghiera commissione dell'Ascanio in Alba, per le
nozze dell'Arciduca Ferdinando. Di tali circostanze il Quartetto sembra il carnet
musicale, dove i ricordi di Salisburgo, lasciata alle spalle, si mescolano a quelli
dell'Italia che torna incontro all'adolescente, con una particolare levità e
spensieratezza. Al modo italiano, che egli aveva già appreso l'anno precedente,
i due violini procedono di buono accordo, opponendosi alla viola e al
violoncello. Nel primo tempo la seconda idea si sviluppa con una primaverile
esuberanza che dichiara i suoi modelli nella fantasia continuamente
rinnovantesi dei nostri strumentisti. Così pure l'Andante vagheggia la loro
cantabilità e soprattutto il finale a rondò, con piccoli intermezzi, è
schiettamente importato dal Sud anche se già a quel modo ricreatore che darà
presto al Rondò mozartiano un'originalità inconfondibile: Ma a parte alcuni
innegabili stilemi dei due Haydn, proprio lo spirito del lavoro, è ancora
salisburghese. Vi si respira un misto di sentimentalismo e di cordialità
semplice e confidenziale, di eleganza e di villereccio, in un tono generale di
divertimento a cuore aperto dal quale è lontana l'ondata di liricità romantica
che Mozart presto riberrà con gioia dalle musiche dei «moderni» italiani e
specialmente da quelle di Sammartini impregnandone dichiaratamente i
Quartetti immediatamente successivi.

Emilia Zanetti

Quartetto per archi n. 3 in sol maggiore, K 156 (K 134b)

https://www.youtube.com/watch?v=Oec1VrgBYEM

Presto (sol maggiore)


Adagio (mi minore)
Tempo di Minuetto (sol maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Milano, 25 Dicembre 1772

Dell'Adagio centrale esistono due versioni

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto in sol maggiore K. 156 appartiene a un gruppo di sei Quartetti (K.


155-160), detti "milanesi" perché scritti da Mozart - non ancora diciassettenne
- durante il terzo e ultimo viaggio in Italia, che ebbe quale tappa principale
Milano e venne intrapreso essenzialmente per mettere in scena l'opera Lucio
Silla, eseguita al Teatro Regio Ducale di Milano il 26 dicembre 1772, come
inaugurazione della stagione di carnevale 1773. In precedenza Mozart si era
dedicato solo occasionalmente alla scrittura per soli archi, con il Quartetto K.
80 (scritto durante il primo viaggio in Italia) e i tre Divertimenti K. 136-138
(scritti in previsione del secondo viaggio).

Se, grazie alle partiture di Mozart, di Haydn e poi ai capolavori di Beethoven, il


genere del quartetto per archi si è imposto presso i posteri come il genere più
complesso, di!cile, e anche elitario della letteratura cameristica, ben lontana
era, intorno al 1770, la definizione della scrittura quartettistica "classica", per
cui i quattro strumenti sono su un piano di ideale parità, scambiandosi
vicendevolmente le funzioni di guida melodica ed accompagnamento. Al
contrario, la scrittura per soli archi si era da pochi anni emancipata dalla
schiavitù del basso continuo, ossia dal vincolo di una linea dello strumento
grave su cui venivano costruite le armonie di riempitivo e la melodia dello
strumento superiore.

Fondamentale, in questo periodo di transizione, l'opera del milanese Giovan


Battista Sammartini, che seppe convertire la vecchia sonata a quattro nello stile
arioso del gusto galante. Sotto il profilo della scrittura, la maggiore libertà e
leggerezza degli strumenti di accompagnamento non faceva venir meno il
principio del predominio del primo violino. Sotto il profilo dei contenuti,
invece, il "quartetto" era sinonimo di "divertimento", dunque la destinazione
agli strumenti ad arco non contemplava la nozione di musica "per intenditori",
ma si assimilava perfettamente a tutti gli altri generi ed organici destinati
all'intrattenimento.

Pensati per essere eseguiti nelle "accademie" date in onore del giovane
compositore dalla nobiltà milanese, i sei Quartetti K. 155-160 recano la traccia
evidente del gusto italiano; eppure non è di!cile trovarvi una impronta
autenticamente personale e anche il segno dell'influenza salisburghese. Le sei
partiture si articolano ciascuna in tre movimenti, ma una sola di esse (il
Quartetto K. 159) segue lo schema più antico che era tipico di Sammartini:
lento-veloce-veloce; gli altri cinque lavori, invece, presentano il più moderno
schema allegro-lento-allegro, con un minuetto finale.

Il Quartetto in sol maggiore K. 156 reca dunque il segno di un gusto


disimpegnato tipicamente italiano, nella maniera di Sammartini; con il "Presto"
che apre la composizione abbiamo tre agili temi nell'esposizione; e uno dei
tratti "italianisti" consiste nel fatto che la sezione dello sviluppo non rielabora il
materiale tematico già presentato in precedenza, ma si basa su un quarto tema
del tutto nuovo, che presenta la caratteristica di un accompagnamento insistito
del secondo violino. Dunque una abbondanza di melodie, che ritroviamo anche
nel tempo conclusivo, un Tempo di minuetto pienamente cantabile, con due
minuetti che si avvicendano: il secondo è più lungo del primo, come di
consueto in quel periodo.

Il movimento più interessante è però quello centrale, per cui Mozart scartò un
abbozzo scritto in un primo momento, rimpiazzandolo con un tempo del tutto
nuovo; circostanza che indica come il compositore fosse insoddisfatto del
contenuto espressivo della pagina. E in e"etti la nuova stesura rivela una
autentica crisi espressiva nel giovane Mozart, interessato a caricare i suoi
tempi lenti di un pathos sentimentale e irrazionale che è stato spesso
ricollegato all'atmosfera Sturm und Drang di quegli anni, e che segna una netta
rottura rispetto al gusto italiano. Non a caso questo Adagio presenta una
tonalità minore (mi minore) e una cantilena continua del primo violino,
accompagnata intensamente dagli altri strumenti, con la definizione di
un'atmosfera che - come osservarono Wyzewa e Saint-Foix - rimanda a un
importante arioso di Giunia, la protagonista femminile del Lucio Siila.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

È di natura monotematica la forma di sonata del Presto che apre il Quartetto


KV 156 (134b): arioso e leggero, il primo gruppo tematico presta al secondo il
proprio profilo e la propria sostanza musicale; l'originale sviluppo è innervato
da una figura di ostinato, assai incisiva, che dal violino II passa poi agli altri
strumenti. Capolavoro in miniatura, l'Adagio è dominato dalla dolorosa e
interrogativa intensità rivelata dal tema principale, che si stempera ma non si
risolve nella maggiore distensione lirica, percorsa da fremiti di inquietudine,
del tema secondario: il cupo tono di fondo si mantiene poi, come una tinta
uniforme, nello sviluppo e nella ripresa. Il contrasto dell'Adagio con il Presto
d'apertura non è minore di quello con il baldanzoso Menuetto finale, che reca
al centro un Trio in minore, misterioso e pulsante.

Cesare Fertonani

Quartetto per archi n. 4 in do maggiore, K 157

https://www.youtube.com/watch?v=1Do3vAJGuJ8

https://www.youtube.com/watch?v=7N9K6qLqcro

Allegro (do maggiore)


Andante (mi bemolle maggiore)
Presto (do maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Milano, fine 1772 - inizio 1773
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Guida all'ascolto (nota 1)

Quanto a valore musicale e tecnica di scrittura, il Quartetto KV 157 è forse, nel


complesso, il più equilibrato e omogeneo del ciclo. Nel movimento d'apertura,
la freschezza dell'invenzione che caratterizza il gruppo tematico principale e la
transizione, condotta con imitazioni tra i violini e della viola, non abbandona
neppure l'impertinente lievità introdotta dal secondo gruppo tematico e del
gruppo cadenzale conclusivo; costruito con ra!natezza, lo sviluppo elabora la
testa del gruppo cadenzale e il secondo tema. Dolore palpitante e
inconsolabile: questo è il conio a"ettivo dell'Andante, in forma di sonata
monotematica; tono patetico e cullante e sostanza musicale passano dal tema
principale a quello secondario e di qui al gruppo cadenzale; è dalla chiusa di
quest'ultimo che trae avvio lo sviluppo, consistente in una digressione cui è
sottoposto il tema secondario. Il Presto finale è un rondò con due episodi, il
primo dei quali viene ripreso prima dell'ultimo ritorno del tema seguito da una
coda.

Quartetto per archi n. 5 in fa maggiore, K 158

https://www.youtube.com/watch?v=_blOVCRdSpM

https://www.youtube.com/watch?v=TjZxzc8xmrg

Allegro (fa maggiore)


Andante un poco Allegretto (la minore)
Tempo di Minuetto (fa maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Milano, fine 1772

Guida all'ascolto (nota 1)

Nell'Allegro iniziale del Quartetto KV 158 la struttura formale dell'esposizione


è quanto mai essenziale: il primo tema è spiritoso e leggero, il secondo ha
contorni di piacevole cantabilità, il gruppo cadenzale riutilizza la testa del
primo tema. Nello sviluppo, dopo un periodo misterioso in cui gli strumenti
eseguono note staccate all'unissono, vengono elaborati l'attacco del primo
tema e il gruppo cadenzale. L'Andante un poco allegretto dimostra in modo
esplicito l'interesse del giovane Mozart per il contrappunto: tanto il tema
principale quanto la chiusa dell'esposizione hanno struttura di canoni
all'ottava; il compito di diradare la spettrale malinconia che si cela, qui come
nel breve sviluppo, dietro l'apparente oggettività del contrappunto, è a!dato
alla cordialità del tema secondario. Il finale è un Menuetto.

Cesare Fertonani

Quartetto per archi n. 6 in si bemolle maggiore, K 159

https://www.youtube.com/watch?v=kTYJf4jm0UY

https://www.youtube.com/watch?v=KUtXaewf9-A

Andante (si bemolle maggiore)


Allegro (sol minore)
Rondò. Allegro grazioso (si bemolle maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Milano, febbraio 1773
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel Quartetto KV 159 è singolare l'ordine dei movimenti. Apre un tranquillo


Andante dove emergono anzitutto la naturale eloquenza del primo gruppo
tematico, il cui periodo iniziale vede l'assenza del violino primo, e l'accurato
ordito dello sviluppo, basato sull'elaborazione del secondo gruppo tematico. E'
quindi la volta di un impetuoso ed elaborato Allegro in minore, animato da
capo a fondo da una pulsione febbrile e a tratti quasi demoniaca, riscontrabile
nell'esteso primo gruppo tematico come nel secondo e nel gruppo cadenzale;
alle generose dimensioni dell'esposizione fa riscontro uno sviluppo piuttosto
compresso, basato su elementi del gruppo tematico principale. Il finale,
Allegro grazioso, è uno spiritoso rondò con quattro episodi e una particolarità
formale da segnalare: anziché essere ritornellate come le precedenti, la terza e
la quarta apparizione del tema sono seguite da una variazione.

Cesare Fertonani

Quartetto per archi n. 7 in mi bemolle maggiore, K 160 (K 159a)

https://www.youtube.com/watch?v=DdJmjqCI1Og
Andante (si bemolle maggiore)
Allegro (sol minore)
Rondò. Allegro grazioso (si bemolle maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Milano, febbraio 1773
Edizione: Artaria, Vienna 1792
Guida all'ascolto (nota 1)

In forma di sonata senza ritornelli, l'Allegro d'apertura il del Quartetto in mi


bemolle maggiore KV 160 (159a) ha un primo gruppo tematico dall'esordio
cantabile e un secondo gruppo di maggiore nervosità strumentale: elementi di
entrambi i gruppi sono riutilizzati nello sviluppo. Curioso è l'attacco del
pregevole tempo lento, Un poco adagio. Il tema principale inizia in modo vago
e instabile sotto il profilo armonico, e quasi altrettanto indefinita ed ellittica è
la prima frase del tema secondario: sono altre estrose intemperanze del
giovane Mozart. Il Presto è, tra i finali del ciclo, l'unico in forma di sonata: vi si
alternano il ritmo di marcia del primo gruppo tematico e il fluido passo di
terzina che dalla fine del secondo gruppo si trasmette alla chiusa cadenzale e
quindi allo sviluppo.

Quartetto per archi n. 8 in fa maggiore, K 168

https://www.youtube.com/watch?v=h-L7_XHSnKs

https://www.youtube.com/watch?v=eZnaEQXbxTM

Allegro (fa maggiore)


Andantino (fa minore)
Minuetto (fa maggiore)
Allegro (fa maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, agosto 1773
Edizione: Andrè, O"enbach, 1801

Guida all'ascolto (nota 1)

Il primo dei sei Quartetti viennesi, K 168, in fa maggiore, inizia con un


«Allegro» (è ancora la mano di Leopold a scrivere l'indicazione di tempo)
incerto, irrisolto. L'anima del movimento è nella veloce e brillante figura
discendente del primo violino a battuta 7, che segue la breve introduzione,
dove si racchiude la cellula della frase? Oppure nei passaggi giocati in
imitazione tra i due violini, o ancora nelle isole più rarefatte, o in certo vigore
popolaresco, rustico? Troppe anime, nessuna veramente caratterizzante.
Troppe strade intraprese, nessuna percorsa fino in fondo. E il finale che, dopo
uno sviluppo piuttosto contratto, arriva troppo presto, appunto «stringato e
laconico», troppo imprevisto e insieme troppo prevedibile, conferma che il
limite di questo «Allegro» è la debolezza di carattere, la personalità fragile, il
cedere a troppe tentazioni.

Più strutturato, invece, è l'«Andante». Con sordina, prescrive Mozart all'inizio


del percorso, così proseguendo fino alla conclusione. Movimento breve, più
intenso che vario, capace di creare da subito un'atmosfera e di mantenerla sino
al termine. Una scrittura minimalista, dove l'economia dei mezzi - la frase del
primo violino ripresa dal violoncello - ci fa da guida, persistente, tenace,
solenne come un corale, però attraversata da un calore intimo, da rari
mutamenti della dinamica - un crescendo che precede un forte, prima di
ritornare al piano, dinanica dominante di tutto il movimento - e da qualche
brivido cromatico.

Come se due diversi compositori avessero scritto uno il primo, l'altro il


secondo tempo dello stesso quartetto. E invece, a conferma che «il
comportamento umano», e quello degli artisti creatori in particolare, «è troppo
complesso per essere previsto», la mano è sempre quella di un ragazzo di
diciassette anni che prima segue le convenzioni, poi un'idea propria. Questo
«Andante» è miracoloso per coerenza: la mancanza dello sviluppo dell'idea
iniziale non appare un limite, ponendosi invece come cifra di continuità, e
anche i brevi passaggi contrappuntistici evitano sempre esiti scolastici. Sono
come un accenno, un orizzonte che si apre per subito richiudersi e reclinare in
una calma senza tempo, bloccata, non felice.

Con il «Menuetto» si ritorna alla normalità di un periodo di apprendistato.


Anche qui, come nell'«Allegro», sembra che Mozart non abbia particolari
ambizioni. Il pacificato gusto viennese dell'avvio, con la frasetta svettante del
primo violino, si spinge brevemente, nella seconda idea tematica, verso una
regione sonora più grave, dove il passo è più vago, carico di una tensione che
il riapparire della prima idea presto però inghiotte. Il trio ha una scrittura più
articolata, più varia, e nella seconda frase accenna a un passaggio
contrappuntistico, dove riappare l'ombra del precedente «Andante», come
l'irruzione di un ricordo, però presto rimosso. Il trio si chiude e, nel rispetto
degli equllibri formali della fase iniziale del periodo classico - ogni a"etto a
suo tempo e al proprio posto, ogni ape nella sua cella -, ritorna il passo
cadenzato in 3/4 del «Menuetto», garbato, senza malizia, poco estroso. Mozart
fa i compiti in fretta, e continua a farli nell'«Allegro» conclusivo, nella fuga che
lo attraversa da capo a fondo, con irruenza, seguendo l'impulso dell'unico
soggetto tematico, al quale è il primo violino a dare l'abbrivio, seguito poi dalle
entrate in successione di secondo, viola, violoncello.

Ma una fuga è anche musica da vedere, seduti vicino agli esecutori,


osservandoli uno per uno e tutti assieme, guardando come attendono il
momento in cui toccherà a loro imbracciare lo strumento, mettersi in
posizione, iniziare ed entrare nel flusso, per non uscirne più. C'è una forte
tensione dall'inizio alla fine in questa fuga: manca però l'articolazione del
pensiero iniziale, manca l'arricchimento tematico portato dal controsoggetto,
difetta l'alternanza del respiro, del passo, che procede uniforme. Nella versione
finale Mozart aggiunge alla cadenza quattro battute in più, scritte sul recto del
foglio di musica: una scelta accorta, perché quell'inserto permette di
concludere con più agio la cadenza, prima della veloce chiusa del movimento.

Sandro Cappelletto

Quartetto per archi n. 9 in la maggiore, K 169

https://www.youtube.com/watch?v=rlTFVuTRseA

https://www.youtube.com/watch?v=_Tyntym91D0

Molto Allegro (la maggiore)


Andante (re maggiore)
Minuetto (la maggiore)
Rondò. Allegro (la maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, agosto 1773
Edizione: Andrè, O"enbach, 1801

Guida all'ascolto (nota 1)

Il «Molto allegro» che apre il Quartetto in la maggiore, K 169, si propone in


modo perentorio, con un festoso forte, seguito dalla vispa frase ascendente,
scandita da tre quartine di semicrome a!date al primo violino, e subito
riprese, ma in forma discendente, dal secondo violino: questo scambio veloce,
giocoso, viene interrotto da un secondo tema, piano, liricamente più disteso,
detto da secondo violino e viola, però presto dimenticato, sopra"atto
dall'impeto iniziale. Dopo il da capo, ecco una terza idea, breve e marcata
come un motto, che si dispiega tra le quattro voci, acquistando un respiro
sinfonico, una nuova ampiezza di racconto, che presto si annebbia. Invenzione
o artificio? Entrambi, assieme alla di!coltà, forse alla non volontà, di
approfondire gli spunti, le possibilità combinatorie o"erte dal materiale di
partenza. Come se in ognuno di questi quartetti convivessero due intenzioni
parallele - l'esercizio, portato a termine con diligenza, anche velocemente, e il
momento più personale - e fosse a questo secondo aspetto che Mozart dedica
più attenzione, più cura, però saltuariamente. Frequente è anche la presenza di
passaggi asimmetrici, non prevedibili, che spezzano la regolarità
dell'andamento; può essere una pausa, un'attesa, un cambio netto di intensità
del suono, una riesposizione del tema più lunga dell'esposizione. Forme
retoriche necessarie alla comunicazione della musica strumentale che ad altre
risorse - canto, gesti, scene, costumi, luci, esplicita teatralità - non ha accesso,
e nelle quali Haydn era assai esperto, nella musica da camera come in quella
sinfonica.
È su!ciente dare un'occhiata alla prima pagina di questo «Andante» di Mozart
per riconoscervi un'imitazione diretta degli andanti o adagi di Haydn nei suoi
quartetti dell'opera XVII [pubblicati nel 1771, un anno prima dell'opera XX, e
sicuramente conosciuti da Mozart]; stesso canto del primo violino, molto
ampio e con un'espressione molto precisa, stesso accompagnamento del
secondo violino e della viola (si veda per esempio il «Largo» del Quartetto in re
di Haydn, il numero 6) sotto il quale il basso fa ascoltare talvolta una figura
indipendente; stessa maniera di ripartire il canto in due couplets o due strofe
distinte, che equivarrebbero in definitiva a due soggetti, se, sotto la diversità di
questo canto, l'accompagnamento non proseguisse esattamente simile. E
Mozart, per meglio accentuare la separazione di questi due couplets,
immagina di introdurre tra loro, del tutto inopinatamente, una battuta intera di
silenzio. Così ci troviamo in presenza di un pezzo evidentemente ispirato dai
quartetti di Haydn e d'altra parte su!cientemente originale sotto questa forma
presa a prestito, con le belle modulazioni espressive dell'accompagnamento
continuo del secondo violino e della viola in terzine. (Teodor de Wyzewa e
Georges de Saint-Foix )

Il rapporto tra esempio da imitare e ricerca di una via propria appare evidente
nell'«Andante» del K 169.

Quella «battuta intera di silenzio» fa la di"erenza: è il precoce e infallibile


senso di Mozart per il teatro. Intermezzi, opere, Singspiel, serenate, azioni
teatrali ne aveva già alle spalle parecchi nell'estate del 1773 (Apollo et
Hyacinthus, Bastiano e Bastiona, La finta semplice, Mitridate, re di Ponto,
Ascanio in Alba, Il sogno di Scipione, Lucio Silla) e quella sospensione è un
sipario che si chiude perché un altro si apra: su una scena diversa, contemplata
però dallo sguardo dello stesso protagonista, il primo violino. Un'idea non
prescritta, non ovvia, preceduta da uno strategico rallentando che crea attesa,
e seguita da una battuta forte alla quale tutti e quattro partecipano.
Un'a"ermazione, una presa di posizione, subito attraversata dalla dolcezza
inquieta di un souvenir, dal ritorno del piano, poi di nuovo da quell'inseguirsi
delle terzine: il piacere del ricordo e l'urgenza del cammino, il desiderio di
sostare e l'esigenza di proseguire.

Una risorsa usata una prima e una seconda volta, senza però che si apra, dopo
la seconda, un nuovo scenario, o che il precedente venga approfondito. Inizia
invece un episodio incerto, prima che ritorni il tema d'avvio, così marcato e
ricco di potenzialità, così scandito, tuttavia, da quelle terzine insistite,
esageratamente eguali, che precedono una codetta non drammatica, come il
carattere del movimento consentirebbe, ma neppure sognante, e che
lentamente si avvia verso un finale anche troppo preparato, distante dallo
spirito iniziale del movimento.

Potenzialità e limiti: a"ascina questo modo di procedere di Mozart, alle prese


non soltanto con il proprio periodo di formazione, ma con un genere
compositivo giovane, dal quale rimane sedotto, che impara a conoscere, ad
approfondire, cercando di incanalarvi molteplici suggestioni e spunti. E senza
una commissione, o la previsione di un esito editoriale e commerciale. Ma
negli anni settanta del Settecento è imprescindibile comporre quartetti.
Leopold e Wolfgang lo sanno; se Leopold desiste, non si cimenta (tra i suoi
lavori cameristici non figura un solo quartetto), il figlio non può sottrarsi e il
padre sovrintende. I compositori di area centroeuropea e francese
continueranno a scrivere quartetti anche nelle generazioni successive; noi
italiani invece, con inesorabile progressione, ne limiteremo sempre più la
quantità e la qualità, a causa del prevalere pressoché monopolistico, nel nostro
mercato della musica e nel nostro gusto, del melodramma. Così la musica da
camera sarà troppo a lungo confinata ai margini delle consuetudini prevalenti
dei nostri compositori, del pubblico, degli editori.

Ma torniamo al K 169. Il «Menuetto» scorre via tra un passo cadenzato e le


veloci terzine sovracute del primo violino che in modo non ortodosso, come
fosse un gesto ironico, ne ravvivano l'andamento e passano poi alle altre voci.
Il minuetto è espressione caratterizzante dell'estetica musicale settecentesca,
del suo ideale di garbo e di educate mezze tinte: qui si sussurra, non si grida.
Ma per non venire inghiottiti dal prevedibile e dal ripetitivo - rischio che per le
nostre orecchie tumefatte dal suono e ansiose di oggi si annida in ogni da
capo - è previsto che il trio venga inserito prima della ripresa del minuetto, per
variarne il tempo, il respiro, per distrarre. Però questo trio distrae poco: tutto
si svolge e si conclude in poche battute - 16, divise in due periodi di 8 - e non
è su!ciente una modulazione in mi maggiore per portare elementi davvero
nuovi in quella frase dove a ogni nota corrisponde una pausa di analoga
durata, quasi a indicare un andamento zoppicante: una trovata, ma che non
emoziona. Poi, minuetto da capo, quindi fine, per lasciar fare il suo ingresso al
rondò conclusivo, in tempo allegro. Il motivo iniziale, ancora una volta a!dato
al primo violino, ritorna «senza complicazioni di struttura, e a un breve tema
ricorrente alterna tre episodi, di cui il secondo in minore, nessuno con caratteri
di originale rilievo». (Massimo Mila)

Sandro Cappelletto

Quartetto per archi n. 10 in do maggiore, K 170

https://www.youtube.com/watch?v=kmxrzWa4o2E

https://www.youtube.com/watch?v=_Tyntym91D0

Andante (do maggiore)


Minuetto (do maggiore)
Un poco Adagio (sol maggiore)
Rondò Allegro (do maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, agosto 1773
Edizione: Artaria, Vienna, 1792

Guida all'ascolto (nota 1)

Il terzo dei quartetti, K 170, in do maggiore, inizia con un «Andante» in forma


di variazioni, citazione dal primo movimento del terzo quartetto dell'op. 17 di
Haydn. Tema, quattro variazioni e di nuovo il Thema, come indicato in
partitura. Il motivo iniziale, breve, marcato, ripetuto nel previsto da capo,
possiede un'eloquenza diretta, con quell'attacco forte del primo violino sul
quale si innestano, ognuno con una diversa figurazione, gli altri compagni di
viaggio, subito entrando in dialogo. Il frequente ricorso a pause di durata, più
che manifestarsi come intuizione drammaturgica, più che preludere a un
cambio di passo, crea un e"etto retorico di sorpresa, facendo credere che
l'esposizione finisca qui, mentre il percorso non è ancora concluso - come una
gag, anch'essa mutuata da Haydn, che aveva capito bene come interpreti e
pubblico gradissero questi improvvisi pizzicotti sonori, capaci di catturare
l'attenzione anche del più distratto spettatore. E le pause indicate da Mozart
tra battuta 15 e 16 servono a creare quell'asimmetria cui si è accennato.

Le quattro variazioni sono tutte di carattere: non sviluppano le potenzialità


insite nel tema d'avvio, sono piuttosto degli ornamenti che ravvivano il
percorso. Netto il protagonismo brillante nelle quartine del primo violino nella
prima variazione; secondo, viola e violoncello guidano il cammino nella
seconda, dapprima assieme, poi dividendosi e ricomponendosi, mentre il
primo violino continua a starsene da solo lì in alto; nella terza prevale
l'umorismo, nella ra!gurazione del procedere dapprima esitante, poi più
spavaldo nelle alzate di capo del primo violino, che nella quarta variazione
Mozart rende bu"o in quel suo voler svettare a ogni costo: lui tutto vanitoso in
cielo, e gli altri che lo guardano da terra. Dopo questo divertissement costruito
in quattro brevi capitoletti, riprende il tema dell'inizio, il ricorso alla pausa di
sorpresa si accentua, le note ritornano a essere puntate, ben scandite, un
e!cace e"etto di sforzando carica, il peso del suono prima della chiusa, che
avviene proprio così come la si poteva attendere.

Per essere un minuetto, il secondo movimento possiede un andamento


piuttosto ruvido, più icastico che aggraziato; il peso non è lieve, le figurazioni
sono inquiete, non rispettose di un tempo e di un passo congrui a questa
danza. Nel trio, con il cambio di tonalità da do maggiore a do minore, nasce
una idea nuova, nel susseguirsi di vuoti e di pieni, con la sestina del primo
violino all'avvio e la risposta interrogativa piano dei tre altri strumenti, che
seguono percorsi diversi, non rassicuranti, accentuati dai frequenti cromatismi,
lievemente destabilizzanti. Un passaggio tutt'altro che scontato, a di"erenza
della chiusa del trio, molto rapida, che precede il ritorno del minuetto da capo.

Il canto del primo violino nel terzo movimento, «Un poco adagio» (il più ampio
del quartetto), si innalza su un accompagnamento ostinato e piano, scandito
dall'alternanza di pieno e di vuoto - una nota, una pausa, una nota, una pausa
-, nella grazia perfetta di una sobria melodia mozartiana, che chiede soltanto
di distendersi nel tempo dell'esecuzione e in quello interiore dell'ascolto. Forse
per evitare il rischio (ma chi lo avverte?) della monotonia, stacca improvviso un
ghiribizzo di semicrome del primo, al quale risponde, all'eufonica distanza di
una terza, il secondo violino. Un'accelerazione, resa umbratile dai passaggi
della viola, in un movimento che trova la ragion d'essere nella costanza del
proprio andare, del proprio tempo sospeso. E la ritrova nelle battute finali, in
un pianissimo che dissolve, semplicemente, sulla corona conclusiva, da tenere
il più a lungo possibile. Ma le due ultime battute sono troppo poche e
frettolose per poter ricreare il clima dell'inizio.

Il rondò fila via in un veloce allegro in tempo di 2/4, con quella frase
discendente, tre volte ripetuta, netta come un motto, che subito entra
nell'orecchio e nella memoria e fa venire voglia di canticchiarla: i compositori,
allora, pensavano anche a questo, a scrivere un tema, una melodia che
restassero bene impressi, come ancora si usa nelle canzoni. Il rondò si
prestava benissimo alla scopo e la sua fortuna durerà a lungo, nella musica
strumentale come in quella vocale:
[...] il rondò, pezzo originariamente basato sul periodico ritorno dello stesso
tema, ogni volta più o meno variato, poi volto a designare semplicemente un
pezzo d'esibizione virtuosistica, segnatamente quello a!dato alla prima donna
a conclusione dell'opera. Ma s'incontrano anche forme estremamente libere,
capricciose, nelle quali anche senza mutare il tempo sono adoperati una
mezza dozzina di temi diversi, disposti secondo un sistema di ritorni quanto
mai fantasioso (esempio tipico la cavatina di Figaro nel Barbiere, «Largo al
factotum»). (Fedele D'Amico)

Nel «Rondeaux» del K 170 la serie delle quattro riprese del motivo iniziale,
collegate da brevi episodi di raccordo, inizia in un'alternanza dell'intensità del
suono e dei valori di durata - più veloci, più misurati -, in un complice gioco di
sguardi tra i quattro strumenti, mentre il primo violino è sempre pronto a
imboccare la strada per conto suo, a precedere il gruppo, che lo riprende, per
arrivare tutti assieme, sorridendo, alla conclusione.

Sandro Cappelletto

Quartetto per archi n. 11 in mi bemolle maggiore, K 171

https://www.youtube.com/watch?v=ZzA27-pjQoY

https://www.youtube.com/watch?v=a5XbC1iIJiE

Adagio. Allegro assai (mi bemolle maggiore)


Minuetto (mi bemolle maggiore)
Andante (do minore)
Allegro assai (mi bemolle maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, agosto, 1773
Edizione: Andrè, O"enbach, 1801

Guida all'ascolto (nota 1)

Il quarto quartetto, K 171, in mi bemolle maggiore, desta spesso il massimo


stupore, sgomento perfino:
Il culmine del disorientamento viene raggiunto nel Quartetto K 171, aperto da
un adagio (dove ci si imbatte in un inciso che ritroveremo nel tema principale
dell'«Andante» della Sinfonia in sol minore K 550) cui fa seguito un allegro
assai che avanza tentoni tra procedimenti sonatistici e conati polifonici mal
combinati e si conclude con una ripresa dell'introduzione lenta. Vengono poi
un minuetto e trio, entrambi con spunti canonici; un andante in do minore,
esumazione letterale delle spoglie irrigidite di un'antica sonata a tre, con tanto
di "continuo"; e, per concludere nel più incongruo e stravagante dei modi, un
disinvolto finale in ritmo ternario da sinfonia italiana. (Giovanni Carli Ballola)
Il vecchio e il nuovo, la stentata polifonia e i procedimenti sonatistici e il
giovane Mozart stretto tra le due vie, incerto, insicuro. I due mesi di questa
estate viennese diventano allora un momento decisivo per la sedimentazione e
la metamorfosi delle alchimie compositive. Molti reagenti colmano le sue
provette, qualche esperimento funziona, altri meno, ma sono proprio questi
quartetti a farci comprendere il bivio di fronte al quale Mozart si è trovato, con
ben maggiore consapevolezza rispetto al recente periodo milanese: crescere o
fermarsi, assecondare le regole o provare a forzarle. Cogliere i tentennamenti,
le soluzioni frettolose e meno ispirate è perfino più utile, ora, che segnalare gli
esiti già convincenti.

In modo analogo Mozart, durante il soggiorno a Londra del 1765, si era


confrontato con alcune sonate di Johann Christian Bach dando vita ai Tre
concerti per pianoforte K 107, messi a punto a Salisburgo nel 1771 e molto
influenzati nell'alternanza tra solista e orchestra e nel rilievo dato alle cadenze
dalla struttura dell'aria d'opera, come nota Charles Rosen.

L'inciso, all'unisono, che apre l'introduzione «Adagio» del K 171, in mi bemolle


maggiore, ha una gravità rituale - fosse il Flauto magico diremmo massonica -
e il suo procedere è ben risolto nelle battute di transito verso l'«Allegro assai»,
con la successione sempre piano delle entrate a canone dei quattro strumenti,
che mantengono il passo lento e solenne prima che da quelle ombre si esca,
però in modo non imperioso: se si attendeva lo scatto netto, contrastante -
come avverrà nell'analogo passaggio «Adagio-Allegro» del Quartetto K 465 - si
resta delusi; se si pensa che debba invece persistere un'eco di quell'avvio
anche nell'a"ermarsi del tema dell'«Allegro», allora si apprezzerà la coerenza.
Che dura poco, perché poi Mozart cerca un tema vivace per caratterizzare il
movimento e lo trova solo in parte, prima di sorprenderci con la decisione di
riprendere, in coda, il motivo iniziale dell'«Adagio». Una scelta irrituale, perché
frena del tutto il dinamismo dell'«Allegro», come se la memoria di quell'inizio
si fosse imposta, obbligando a non dimenticare. Ma non scrivi, nell'«Adagio»,
un tema così scolpito per asciarlo vivere una volta sola: è forse questo il
passaggio più profondamente singolare dei sei Quartetti viennesi.

Il «Menuetto», e, al suo interno, il trio, è inquieto di incisi: due per il minuetto,


con l'e!cace soluzione di legare le prime due note della sestina per accentuare
l'e"etto di spinta iniziale, e due per il trio, che cambia la tonalità da mi bemolle
maggiore a la bemolle maggiore. Il passo è, insieme, regolare e teso e, nel trio,
l'atmosfera si distende come in un canto operistico, puntato e vivace. Gli
«spunti canonici» sono riconoscibili, e non troppo sviluppati, ma dentro la
regolarità del canone vive la sensibilità per il ritmo, per l'alternanza di piano e
forte, per i frequenti cambi dell'articolazione della frase.
L«Andante» è prescritto con sordino, come il precedente «Andante» del K 168.
E Mozart sceglie ancora una tonalità minore: lì fa minore, qui do minore. Il
passo ritorna grave, in una scrittura polifonica, però divisa: primo violino e
violoncello, secondo e viola, primo e secondo, viola e violoncello in un ordine
che mantiene costante quel procedere quasi immobile, come scolpito nel
marmo solenne della classicità, e su!cientemene esteso perché entri e
persista nella memoria dell'ascolto. Ma non è un cammino irreggimentato:
ognuno dei quattro viandanti segue la mesta traiettoria con un proprio passo.
Non «spoglie irrigidite», soltanto spoglie, e cordoglio.

Due i temi dell'«Allegro assai» conclusivo: strappato il primo, con quell'idea,


molto teatrale, di iniziare piano e poi subito prescrivere un trillo, un gioco di
pause, un secondo trillo, e il forte di tutti alla quinta battuta. Poi tre battute di
veloci sestine, poi di nuovo la rarefazione della scrittura. E si prosegue in
questa alternanza, che crea tensione e attesa, fino all'emergere del secondo
tema, più brillante. Dopo l'esposizione il motivo iniziale viene ripreso. Ancora
una volta, non sono le idee a mancare, piuttosto la loro articolazione, il loro
sviluppo. Nel finale Mozart ripropone la sequenza iniziale di piano-trillo-
pausa-trillo-forte e la riprende anche nelle ultime tre battute: piano-trillo-
pausa. Ma l'«Allegro assai» finisce lasciando la sensazione che ci sia ancora
qualcosa da scrivere, da suonare, da ascoltare.

Sandro Cappelletto

Quartetto per archi n. 12 in si bemolle maggiore, K 172

https://www.youtube.com/watch?v=6c-bF6qhsQ0

https://www.youtube.com/watch?v=ROtJKnX00C4

Allegro spiritoso (si bemolle maggiore)


Adagio (mi bemolle maggiore)
Minuetto (si bemolle maggiore)
Allegro assai (si bemolle maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, settembre 1773
Edizione: Andrè, O"enbach, 1801

Guida all'ascolto (nota 1)


«Allegro spiritoso» (e questa volta la mano che scrive l'indicazione di
movimento è sconosciuta, né di Wolfgang, né di Leopold) è l'indicazione del
primo movimento del Quartetto in si bemolle maggiore K 172, composto a
settembre. Il meno amato della serie, quello che ha consentito i giudizi meno
lusinghieri.

Mozart fu, per così dire, disorientato. Non riuscì mai nemmeno lontanamente a
raggiungere l'originalità, l'indipendenza da ogni convenzione, la condotta
discorsiva delle voci e l'insieme popolaresco e intellettuale del suo modello
[Haydn]. Si è quasi tentati di dire che questi sei quartetti debbano la loro
esistenza a un comando di Leopold. Allorché l'editore Torricella li pubblicò in
copie manoscritte alla fine del 1785 dopo la pubblicazione dei sei grandi
quartetti dedicati a Haydn, essi destarono molta sorpresa fra gli amatori.
(Alfred Einstein)

Perché il K 172, più di tutti gli altri Viennesi, pone davanti a un bivio, quello
che, in tutte le arti, separa un autore di genere e un creatore. È la percezione di
questo rischio che imporrà a Mozart di non scrivere più quartetti per un lungo
periodo e di non dare alle stampe questi suoi lavori giovanili? Così che quando
lo saranno, dopo la pubblicazione nel 1785 della serie dedicata a Haydn, gli
«amatori» saranno sorpresi e si chiederanno se davvero è lo stesso
compositore ad aver scritto gli uni e gli altri?

L'«Allegro spiritoso» propone due idee tematiche: la prima ritmicamente più


marcata, la seconda cantabile nella sua melodia a!data al dialogo tra i violini.
Qui si comincia e qui anche si finisce, alternando brillantezza e andamento
lirico, tensione e distensione, ispessimento sinfonico (in quello stesso 1773,
tra marzo e ottobre, Mozart compone a Salisburgo quattro sinfonie, K 181, K
182, K 183, K 184, e la terza, in sol minore, ha esiti altissimi) e un momento di
più accentuato abbandono, prima della rapida chiusura.

Questa alternanza di carattere latita nell'«Adagio» in mi bemolle maggiore,


unico movimento a discostarsi dalla tonalità iniziale, scritto in un tempo
calmissimo di 4/4, attraversato dall'inizio alla fine dalla linea melodica del
primo violino; qui però la persistenza genera più saturazione che attesa e
mistero. L'accompagnamento procede uniforme, alcuni passaggi della melodia
toccano registri più acuti, prima di un breve rallentare del percorso che presto
riprende il passo precedente, mentre il violoncello accompagna, scandisce il
tempo. Lo schema della forma sonata è rispettato, non sviluppato. Nelle
battute finali sembrerebbe giunto il momento di una nuova idea, di una
possibile invenzione nell'intreccio dei due violini e della viola, nell'ampliarsi
degli intervalli del violoncello, ma proprio allora il movimento si ferma.
Nel «Menuetto» vanno segnalate due idee di drammaturgia musicale: la
scrittura contrappuntistica non è concepita come esercizio di stile, si rivela
invece funzionale a creare un movimento sostenuto, teso e vivace nella
distribuzione delle parti, mentre il trio è tutto giocato tra suono e sua assenza:
fare un passo in avanti e poi restare fermi, in attesa, prima che, forzando le
abitudini, Mozart decida di non ripetere, nell'atteso da capo, la seconda frase
del trio, prescrivendo invece: attacca il Menuetto subito.

L'«Allegro assai» conclusivo, dopo una veloce introduzione, generosa di e"etti


utili a attirare l'attenzione, presenta tre diversi temi, ma soprattutto il suo
«interminabile ritornello» (Teodor de Wyzewa e Georges de Saint-Foix), che
precede una coda dove si alternano leggerezza di tratto, puntature di accenti e
una chiusa ben preparata, e!cace, breve colpo d'ala.

Sandro Cappelletto

Quartetto per archi n. 13 in re minore, K 173

https://www.youtube.com/watch?v=NnHMQbAMwEM

https://www.youtube.com/watch?v=_Tyntym91D0

Allegro, ma molto moderato (re minore)


Andante grazioso (re maggiore)
Minuetto (re minore)
Allegro (re minore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, settembre 1773
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Guida all'ascolto (nota 1)

Dei 23 quartetti d'archi quello n. 13 in re minore corrisponde, nella grande


edizione mozartiana Breitkopf, al K. 173, cioè all'ultimo della serie dei 6
quartetti detti viennesi per distinguerli dal gruppo dei precedenti 6 quartetti
italiani, scritti durante il viaggio di Mozart in Italia del 1772-73. I quartetti
viennesi furono composti con prodigiosa fecondità nel giro di un mese o poco
più, esattamente tra l'agosto e il settembre 1773. Essi costituiscono una
importante tappa nella evoluzione stilistica di Mozart che, soprattutto dietro il
grande esempio haydniano, segna qui, rispetto al gruppo precedente, la
conquista di quella salda architettura d'insieme e di quella interiore
congruenza degli sviluppi, che sarà a sua volta premessa per la futura
creazione - ma a distanza di quasi un decennio - della serie dei sei capolavori
dedicati ad Haydn.

Possiamo dire che il primo tempo (Allegro moderato) consiste in un unico


motivo, che però contiene in sé un triplice atteggiamento che va dalla polifonia
delle battute iniziali, alla baldanzosa figura melodica enunciata subito dopo dal
primo violino, al gioco ritmico di note ribattute che infine accomuna
strettamente i quattro strumenti. Tutto il movimento sfrutta con estrema
semplicità l'annodarsi e snodarsi di quei tre elementi.

Altrettanto aderente al motivo d'impianto si mantiene l'Andantino grazioso, di


un finissimo e sorridente contrappunto tramato sopra un leggero ritmo di
gavotta. E' l'unico pezzo che si svolge nel modo maggiore.

Dopo il Minuetto, con relativo Trio, si entra nel Finale che già dall'inizio
prospetta perentoriamente una forma fugata che verrà mantenuta con rigida
coerenza e altrettanta concisione fino alla fine. Il particolare sapore di questa
pagina è dovuto al marcato profilo cromatico discendente del tema, che con
divertente e divertita pedanteria, sembra costringere gli strumenti a un
continuo «da capo».

Giorgio Graziosi

Quartetto per archi n. 14 in sol maggiore, K 387

https://www.youtube.com/watch?v=L9HlwFVU7D0

https://www.youtube.com/watch?v=Gix_p3Pw1gg

Allegro vivace assai (sol maggiore)


Minuetto e trio. Allegro (sol maggiore)
Andante cantabile (do maggiore)
Molto Allegro (sol maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, 31 Dicembre 1782
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15 Gennaio
1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn

Guida all'ascolto 1 (nota 1)


Il Quartetto K. 387 è il primo del gruppo di sei Quartetti (gli altri sono K. 421,
428, 458, 464 e 465) composti da Mozart tra il 1782 e il 1785 e dedicati a
Franz Joseph Haydn, che nel 1781 aveva scritto i sei "Quartetti russi", cioè
quelle composizioni alle quali l'artista salisburghese si richiamò esplicitamente
per elaborare e perfezionare questa di!cile e complessa forma di musica da
camera, che sarebbe stata portata ad un altissimo livello da Beethoven. Del
resto lo stesso Mozart, nella lettera di dedica scritta in italiano e con la quale
inviava umilmente in data 1° settembre 1785 i suoi Quartetti ad Haydn, lascia
chiaramente intendere quale fosse il rapporto di grande rispetto e di amicizia
che lo legava al musicista austriaco. «Un padre, avendo risolto di mandare i
suoi figli nel grande mondo - scrive Mozart - stimò di doverli a!dare alla
protezione di un uomo molto celebre in allora, il quale per buona sorte era di
più il suo migliore amico. Eccoti del pari, celebre uomo ed amico mio
carissimo, i miei sei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga e laboriosa
fatica pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno in parte
compensata m'incoraggia e mi lusinga che questi lavori siano per essermi un
giorno di qualche consolazione. Tu stesso, amico carissimo, nell'ultimo tuo
soggiorno in questa capitale me ne dimostrasti la tua soddisfazione. Questo
tuo su"ragio mi anima soprattutto, perché io te li raccomandi e mi fa sperare
che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo favore. Piacciati dunque
accoglierli benignamente ad esser loro padre, guida ed amico. Da questo
momento io ti cedo i miei diritti sopra di essi, ti supplico però di guardarne
con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi può aver celati, e di
continuare, loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto l'apprezza,
mentre son di cuore il tuo sincerissimo amico».

Haydn, dal canto suo, proprio dopo l'esecuzione di alcuni Quartetti di Mozart a
Vienna (episodio riferito nella lettera sopra citata), aveva pronunciato parole di
elogio per il suo amico, definito come una persona «che ha gusto e possiede la
più profonda scienza di comporre». Naturalmente Mozart, nonostante la
suggestione del modello haydniano, è riuscito a dare una impronta personale
ai suoi Quartetti, sia per la qualità delle idee che per le innovazioni di
linguaggio, nell'ambito di una esposizione rigorosamente tematica. Per questo
carattere originale, così diversificato dalla pratica quartettistica del tempo, non
c'è da meravigliarsi di alcuni giudizi poco favorevoli apparsi nella stampa
dell'epoca, come ad esempio quello della "Gazzetta Viennese" del 1787, dove
si dice: «Peccato che Mozart, nel lodevolissimo intento di diventare un
innovatore, si sia spinto troppo lontano, e non certo a vantaggio del
sentimento e del cuore. I suoi nuovi Quartetti sono troppo drogati e, a lungo
andare, nessun palato riesce a tollerarli». In realtà questi Quartetti, al di là
della densità del discorso sonoro e di alcune arditezze grammaticali, che
fecero arricciare il naso a qualche maestro contemporaneo (il compositore
Giuseppe Sarti arrivò persino a deplorare che «barbari assolutamente privi di
orecchio s'ostinassero a scrivere la musica»), racchiudono una gioiosità, una
spontaneità e una freschezza di espressione che sono i tratti tipici del genio
mozartiano.

Che Mozart si distacchi in un certo senso dal modello haydniano lo si può


avvertire nell'Allegro vivace assai iniziale del Quartetto K. 387. Al contrario di
Haydn che utilizzava volentieri temi monotematici, in questo primo movimento
sono presenti due temi: il primo intensamente lirico e il secondo a carattere di
marcia, indicato dal secondo violino. Con i frammenti del primo tema è
costruito lo sviluppo del discorso musicale che si presenta elaborato e
sotanzioso. In seconda posizione si colloca il Minuetto, giocato sull'alternanza
tra il forte e il piano, prima che il pezzo assuma una precisa linea melodica.
Anche il Trio, a struttura bipartita, si basa sul principio dei contrasti e si
stempera alla fine in un'atmosfera sfumata e in modo minore. Nell'Andante
cantabile Mozart esprime il suo stile personale e tocca uno dei momenti più
alti della sua musica da camera. Al di là di una apparente semplicità il suono si
snoda con straordinaria finezza concertante con certe puntate purissime del
primo violino, che ricordano i tempi lenti degli ultimi quartetti beethoveniani.
Da notare anche la varietà e la morbidezza di fraseggio del tessuto armonico,
che passa dal do maggiore al re bemolle maggiore, sino a toccare il mi bemolle
minore. Fuga e forma-sonata caratterizzano il Molto allegro finale, come
avverrà più tardi nel celebre tempo conclusivo della Sinfonia "Jupiter". Al
culmine dello sviluppo si insinua un delicato tema cantabile, senza tuttavia
incrinare l'unità espressiva dell'ultimo tempo.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran mondo, stimò doverli
a!dare alla protezione, e condotta d'un uomo molto celebre in allora, il quale,
per buona sorte, era di più il suo miglior amico. Eccoti dunque del pari, uom
celebre, ed amico carissimo, i sei miei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una
lunga e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno
in parte compensata, m'incoraggisce, mi lusinga, che questi parti siano per
essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso amico carissimo,
nell'ultimo soggiorno in questa capitale, me ne dimostrasti la tua
soddisfazione. Questo tuo su"ragio mi anima sopra tutto, perché io te li
raccomandi, e mi fa sperare, che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo
favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente; ed esser loro padre, guida
ed amico! Da questo momento, io ti cedo i miei diritti sopra di essi: ti supplico
però di guardare con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi può
aver celati, e di continuar loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto
l'apprezza, mentre sono di tutto cuore.
Amico carissimo sincerissimo amico W.A. Mozart
Vienna, il primo settembre 1785

Abbiamo riportato nella sua intierezza un documento che sarebbe riduttivo


interpretare come semplice attestazione della stima a"ettuosa di Mozart nei
confronti del grande collega, cui si onora, ma nello stesso tempo, si perita di
dedicare «il frutto di una lunga e laboriosa fatica»: che è dire, un'opera
eccezionale quanto a impegno creativo e ad importanza per l' "immagine",
come oggi si direbbe, del compositore. Già un gesto si"atto in un uomo, quale
fu Mozart, tutt'altro che facile nel manifestare stima e amicizia per chicchessia,
suona del tutto singolare: e invero, soltanto Joseph Haydn, come
incomparabilmente il più grande tra i suoi contemporanei, e da lui ritenuto
tale, poteva suscitarlo. Ma la dedica a Haydn dei sei Quartetti op. X, composti
in un lasso di tempo incredibilmente lungo che va dal 31 dicembre 1782,
quando ha termine il primo di essi, K. 387, al 14 gennaio 1785, data apposta
all'ultimo della serie, K. 465, racchiude un significato che va oltre i rapporti
personali, la reciproca stima tra autore e dedicatario e persino il valore di
quell'opera stessa, mandata nel "gran mondo" sotto la protezione di tanto
tutore. E' ovvio come Mozart fosse in realtà più che convinto che i suoi "sei
figli" non avessero bisogno alcuno di protezione: pochi artisti ebbero mai tanta
sicurezza di sé, derivante dalla profonda consapevolezza del proprio valore.
Ma, come la vera grandezza spirituale è pronta ed è prima a riconoscere
qualunque sua simile, così, cedendo ad Haydn i diritti paterni dei propri
quartetti, egli teneva con espressione forte riconoscere che senza di lui, essi
non sarebbero potuti esistere: s'intende, nel modo in cui di fatto esistevano.
Implicitamente, il "caro amico Haydn" viene dichiarato corresponsabile della
capitale svolta stilistica degli inizi degli anni Ottanta: corresponsabile, in
unione con Bach e Haendel, di un evento storico che è insieme rigenerazione
del linguaggio di un sommo artista e piena determinazione di una civiltà
musicale, quella che verrà denominata dalla città imperiale e supernazionale
che d'ora in avanti le darà ricetto.

Una tale realtà si rivela in tutta la sua pienezza fin dalle prime battute del
Quartetto in sol maggiore K.387, primo della serie, dove l'a!nità e insieme
l'autonomia di Mozart nei confronti dell'illustre amico e mentore si coniugano
in esiti di assoluta autorità stilistica. In altre parole, prendendo le mosse da
modelli e stimoli haydniani (provenienti dalle serie più recenti dei Quartetti
editi dal maestro di Esterhàza, in particolare le op. 20 e 33, ossia gli splendidi
Sonnen e Russische Quartette) Mozart se ne discosta creando una dimensione
quartettistica tutta sua, vibrante di pathos e di tensioni drammatiche, in
un'articolazione armonica e polifonica senza precedenti e in una concezione
sonatistica profondamente diversa da quella espressa da Haydn. Ecco quindi la
densità e la rotondita della scrittura mozartiana prendere le distanze dal gusto
haydniano per il suono asciutto e puntuto, capricciosamente chiaroscurato.
Inoltre il lavorìo sul dato motivico, lungi dall'essere pervicace e totalizzante, si
concede le evasioni di un plastico bitematismo e di quelle esuberanti formule
cadenzali cui Mozart non rinuncerà neppure nelle opere della avanzata
maturità comprese le grandi Sinfonie, e che sussisteranno tra i gesti più
spiccati del suo stile strumentale. Sempre nell'Allegro vivace assai, la di"erente
armonizzazione cui viene sottoposta la replica testuale del secondo tema si
qualifica come tratto squisitamente personale, e altrettanto si dica della
spettacolarità (così antitetica alla discreta sobrietà haydniana) con cui viene
introdotta la ripresa mediante una sorta di arco trionfale, fabbricato con
frammenti dei materiali tematici utilizzati.

Ma in nessun caso la discrepanza da Haydn appare più palese, come nel


Minuetto, che per il suo peso strutturale ed espressivo richiede (qui, come poi
nei Quartetti K. 458 e 464) il secondo posto, subito dopo il primo tempo.
Invece del tipico Minuetto o Scherzo haydniano, breve, ben squadrato,
percorso da una rustica vitalità non senza trovate ritmiche piccanti o colorismi
zingareschi, abbiamo un brano la cui complessità e profondità travalicano dalle
tradizionali funzioni d'intermezzo, per assumere un'importanza pari e talora
superiore a quella di un movimento lento. L'Andante cantabile potrebbe
benissimo essere germogliato da un seme haydniano (pari a quello, ad
esempio, maturato nel cuore dell'op. 33 n. 3). Senonché, fin dalle prime
battute, l'incipit cantabile lievita in una densità e profondità di suono, per
librarsi subito dopo in certe ebbrezze estatiche del primo violino che
richiamano alle atmosfere traslucide di taluni movimenti lenti degli ultimi
Quartetti beethoveniani. Si aggiunga il trasalimento drammatico provocato da
certe inopinate modulazioni e dal baratro armonico che s'apre
immediatamente dopo la ripresa sonatistica, portando il discorso, nel giro di
cinque battute, da do a re bemolle maggiore, e proseguendo per vie impervie
che toccano il mi bemolle minore, fino al porto della dominante.

Nel celebre finale polifonico, la perfetta assimilazione delle proposte


haydniane raccolte nei saggi contrappuntistici dell'op. 20, si concreta in una
tra le più abbaglianti conquiste del maturo stile strumentale mozartiano. In
sintesi, si può dire che qui Mozart coniuga gli elementi del contrappunto
tradizionale con quelli della dialettica sonatistica, esattamente come avverrà
sei anni più tardi nell'analogo Finale della Sinfonia Jupiter. Più in particolare,
l'elemento tematico attinente alle strutture sona-tistiche è costituito,
paradossalmente, da spunti in stile polifonico rigoroso, come l'esposizione di
una fuga tonale, che sostiene il ruolo di primo episodio e una seconda
esposizione fugata su tema sincopato, che funge da secondo episodio, cui ben
presto si accoda il gentile motivo cantabile, sublimazione di un residuato
galante ormai trasfigurato a ricordo di se stesso.

Giovanni Carli Ballola


Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Correva l'anno 1781 quando Franz Joseph Haydn licenziava i sei quartetti per
archi dell'op. 33, che dichiarava di aver scritto «in una maniera speciale e del
tutto nuova». Queste composizioni, conosciute in seguito col nome di Quartetti
russi (dalla dedica al granduca Pavel Petrovic), si di"erenziavano notevolmente
dai quartetti d'archi che Haydn aveva scritto in precedenza. Non solo: l'op. 33
segnava a tal punto una pietra miliare - se non una vera rivoluzione - nel
genere del quartetto e nella storia della tecnica compositiva, che molti oggi la
fanno coincidere con l'inizio dello stile classico viennese vero e proprio. La
lezione di Haydn diede frutti immediati. A partire dall'anno successivo, quando
completò il Quartetto in sol maggiore K 387, Mozart compose sei quartetti per
archi, con un lungo processo di elaborazione che mostrò quanto aveva saputo
cogliere tutti i preziosi insegnamenti contenuti nei modelli haydniani. E fu
proprio ad Haydn che Mozart dedicò, al termine del lavoro nel 1785, la raccolta
dei suoi nuovi quartetti.

Ma in cosa consistevano esattamente le novità introdotte in questo genere dai


Quartetti russi di Haydn? Per coglierne la portata, occorre considerare che il
tipico quartetto dell'era galante prevedeva generalmente melodie del primo
violino su banali accompagnamenti degli altri archi, nell'idea che la
gradevolezza dell'ascolto dovesse prevalere su tutto. L'op. 33 esibisce invece
ben poche melodie semplicemente armonizzate: la scrittura è concepita a
quattro parti, dove ognuno dei quattro archi ha un ruolo paritario. Il discorso,
così, procede spesso spezzando la linea conduttrice tra i diversi strumenti, con
la caratteristica tecnica della durchbrochene Arbeit (lavoro a intarsio) che
produce l'e"etto di un cesello. La di"erenza, rispetto al vecchio stile, è
particolarmente evidente se si considera la linea del violoncello: che non è più
un semplice sostegno armonico, nello stile del basso continuo, ma una parte
del tutto indipendente ed equiparata alle altre.

Questa tecnica di scrittura caratterizza, per fare un esempio, già il tema


principale del primo movimento (Allegro vivace assai) del Quartetto K 387 di
Mozart, il primo dei sei dedicati ad Haydn (che sono tra le pochissime
composizioni mozartiane scritte per un impulso creativo autonomo, senza una
commissione specifica). Il tema è concepito a quattro parti strettamente
correlate, senza che vi sia una distinzione netta tra canto e accompagnamento.
Il secondo tema è invece strutturato come una bella melodia, un po' teatrale e
presentata da uno strumento unico: ma è significativo che essa resti isolata nel
movimento quasi come un corpo estraneo, un po' fine a se stesso, che viene
solamente ripetuto e non è sottoposto a sviluppo.
Un'altra importante di"erenza rispetto ai tradizionali quartetti "galanti" risiede
nella sezione dello sviluppo, all'interno della forma sonata. Anziché una
semplice divagazione armonica, o il pretesto per presentare nuovi materiali
tematici, questa sezione si dilata fino a raggiungere le dimensioni
dell'esposizione e soprattutto si fa molto più complessa. E qui che i materiali
tematici dell'esposizione vengono sottoposti a un accurato lavoro di scavo; è
qui, inoltre, che si conferma l'assunto della ferrea coerenza interna: lo sviluppo
non si serve di idee nuove, la tecnica dell'elaborazione tematica si applica
esclusivamente ai motivi che sono già stati presentati.

Per questi aspetti, Mozart aveva ben ragione di sostenere «da Haydn ho
imparato come si fanno i quartetti d'archi». Mozart, tuttavia, si spinge anche
oltre la lezione del maestro. La maggiore complessità di pensiero spinge verso
la dilatazione formale, ma anche verso scelte di struttura del tutto anomale. Si
ascolti il Menuetto, secondo tempo del Quartetto K 387. Nel suo tema
d'esordio e nelle idee secondarie si fa fatica a rintracciare lo spirito della danza
rococò. La complessità metrica sfugge alle facili simmetrie; gli sfasamenti
armonici, le dinamiche bizzarre (piano e forte si alternano a ogni singola nota)
contraddicono il decorso regolare degli accenti; il cromatismo si insinua in
tutte le parti. Ma ancora più notevoli sono l'ampiezza di concezione e la
complessità formale del movimento, che opera una commistione tra l'usuale
schema ternario del Minuetto (con un Trio in posizione centrale) e la forma
sonata: oltre a una sorta di esposizione con più idee tematiche, sono presenti
un embrionale sviluppo e una ripresa, con la riconduzione alla tonica delle idee
secondarie.

Le scelte più sorprendenti, tuttavia, coinvolgono il movimento finale (Molto


Allegro). Qui, oltre all'influsso di Haydn, si toccano con mano i frutti dello
studio di Bach e Händel: com'è ben noto, lo stile della maturità mozartiana è
vitalizzato dal contrappunto. Non lo stile fugato inteso come sfoggio di tecnica
o di erudizione, naturalmente, ma una linfa che vivifica il moderno pensiero
sonatistico. Il quartetto classico, almeno a partire dall'op. 33 di Haydn, è il
luogo ideale per la valorizzazione del contrappunto, dal momento che per sua
stessa natura richiede il trattamento indipendente delle parti. Il tema-soggetto
che qui apre il movimento, trattato in stile fugato, è una figura tradizionale,
che è facile riscontrare nelle messe salisburghesi in stile osservato e che
ricorrerà ancora nel finale della sinfonia Jupiter. In stile severo è anche il
secondo tema-soggetto, esposto in prima istanza dal violoncello e in seguito
combinato in doppio contrappunto col primo tema-soggetto. Ma non bisogna
dimenticare che lo scopo da raggiungere, qui, non è lo stesso dell'antica
polifonia rigorosa. Mozart non intende tanto mostrare l'abilità combinatoria di
più soggetti simultanei, quanto sviluppare i temi mostrandone le potenzialità e
le energie latenti. Per questo attua una libera mescolanza di stili e scritture: il
terzo tema, per esempio, è una melodia in perfetto stile galante, che non viene
sottoposta ad alcun trattamento contrappuntistico. Quasi a sottolineare il
carattere "riservato" di un quartetto che è una sorta di divertissement per
intenditori.

Claudio Toscani

Guida all'ascolto 4 (nota 4)

L'ampiezza di concezione della nuova maniera mozartiana (anche nel senso di


durata), la salda compagine a quattro del discorso, sono già a"ermate senza
residui nel primo Quartetto della raccolta, terminato il 31 dicembre 1782. Il
tema che apre il primo movimento testimonia quella proprietà di espressione
che è tipica delle età classiche: di esso non basta dire che è squisitamente
«strumentale», in quanto opposto a «vocale», o che è «violinistico» in quanto
opposto ad «organistico»; è propriamente un tema «di Quartetto», intimo,
poco appariscente anche se pieno di laboriose inflessioni, tale insomma che
non sarebbe pensabile in una Sinfonia o in un Concerto per pianoforte e
orchestra.

Pur non seguendo Haydn nella sua profetica simpatia per lo Scherzo, il
Minuetto avanzato da Mozart in questo Quartetto non ha più nulla della
convenzionale danza settecentesca trapiantata dalla Suite per allietare la forma
della Sonata. Il cromatismo del tema principale e gli accenti dinamici richiesti
(note «piano» alternate a note «forte») testimoniano una estrosità
insolitamente irregolare; il Trio intermedio si presenta con drammatici trilli
all'unisono, poi riassorbiti in quel clima di malinconia che Schubert amerà
radunare nei Trii dei suoi Scherzi. Più di ogni altro tempo, l'Andante cantabile è
di una ampiezza di respiro inusitata, come confermano i tre temi impiegati in
esso. Il primo e il terzo sono di grande serenità e o"rono il pretesto a una fitta
rete di trasformazioni; ma la punta espressiva più a!lata è data dal secondo
tema, formato da una nota quattro volte ripetuta dal primo violino e poi sciolta
in una catena di sestine; come ha scritto Massimo Mila «è un momento di
assorta malinconia, di stanca solitudine dell'anima, dove il genio di Mozart si
stacca con un colpo d'ala dalle consuetudini del suo tempo e anticipa
favolosamente il crepuscolare intimismo brahmsiano, il suo senso di
autocompassione».

Il Molto Allegro finale è una spassosa commedia fra stile contrappuntistico


severo (prima idea a valori larghi, poi usata nel finale della Sinfonia «Jupiter») e
brillante stile galante, nella forma di ritmi danzanti, di frivole corse, di
rimbalzanti accompagnamenti.

Giorgio Pestelli
Quartetto per archi n. 15 in re minore, K 421 (K 417b)

https://www.youtube.com/watch?v=yIli9mrMFSo

https://www.youtube.com/watch?v=bk-SfRPsKFE

Allegro (re minore)


Andante (fa maggiore)
Minuetto e trio. Allegretto (re minore)
Allegro ma non troppo (re minore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, 14 - 17 Giugno 1783
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15 Gennaio
1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto K. 421, secondo dei sei dedicati ad Haydn, fu completato nel


giugno del 1783, ed è l'unico in minore dell'intero ciclo. Composto nella
tonalità di re minore, condivide drammatiche atmosfere con capolavori quali il
Concerto per pianoforte e orchestra K. 466, l'Ouverture del Don Giovanni, la
grande Aria della Regina della Notte nel secondo atto del Flauto Magico, fino
alle pagine incompiute del Requiem, tutti composti in quella tonalità. Tale
carattere si rivela fin dall'esordio dell'Allegro moderato, improntato al fine
gioco dialogico fra gli strumenti, alla perfetta elaborazione tematica,
all'impiego espressivo del cromatismo; il secondo tema, in fa maggiore, di
apparente serenità, assume nuove connotazioni solo più tardi, quando nella
ripresa viene riproposto in minore. Nel magistrale sviluppo Mozart si avvale di
una scrittura contrappuntistica più serrata; poetica appare la preparazione alla
ripresa su un pedale di La del violoncello. La tristezza assume toni finora
inesplorati, che si stemperano nella rassegnazione di una breve coda. Anche il
secondo movimento, il limpido Andante in fa maggiore - in apparenza pausa
meditativa della partitura - conserva in realtà quel tratto dolente nei forti
accenti dinamici e nel gioco chiaroscurale dei passaggi di modo maggiore/
minore. La struggente sezione centrale (fa minore) racchiude un trasognato
episodio in la bemolle maggiore; l'e!mero momento di pura elegia ci
sorprende inatteso: dopo una sospensione sul do minore la linea melodica del
violino primo "discende" dall'alto, non preparata da modulazioni, su di un
lungo pedale di la bemolle. Lontano da tensioni antagoniste e gerarchle tonali,
Mozart si avvale qui di uno "scarto" armonico che anticipa la sintassi del
linguaggio schubertiano.

Il Menuetto (Allegretto) ci riconduce alla tonalità minore d'impianto; secondo


H. Abert, domina nel brano un tono "caparbio e combattivo": Mozart rifugge
qui dalla simmetria delle canoniche otto battute dilatando il periodo iniziale a
dieci battute, con una notevole complessità di metro. L'accentuazione dinamica
e armonica sembra contraddire il corso regolare, mentre la condotta delle parti
rende indistinti i contorni delle singole sezioni. Mozart gli oppone il più netto
contrasto possibile nel Trio (re maggiore) - un soave idillio d'impronta galante
che riecheggia le atmosfere campestri del Divertimento K. 334 - in cui il primo
violino intesse aeree figurazioni in un incalzante ritmo lombardo sul delicato
pizzicato scandito dagli altri strumenti.

Il movimento conclusivo (Allegro ma non troppo, in re minore), un tema con


variazioni, costituisce un esplicito omaggio ad Haydn, richiamando l'analogo
movimento del suo Quartetto Op. 33 n. 5. Significativa è la scelta della forma
della variazione: ripiegato in una sorta di rassegnazione, Mozart si chiude
entro l'approfondimento di un solo stato d'animo. Il tema, bipartito, è una
semplice pastorale in ritmo di Siciliana (6/8), seguito da quattro ampie
variazioni che ne sottraggono progressivamente l'iniziale purezza: la prima è
caratterizzata dalle agili "improvvisazioni" in semicrome del primo violino, la
seconda da una complessa figurazione sincopata ottenuta con la
giustapposizione di ritmi di"erenti; nella terza e quarta (re maggiore) sono la
viola e il violoncello ad emergere in un dialogo più serrato tra le parti. Segue, a
conclusione, la ripresa del tema di Siciliana in Più Allegro: l'intensificazione
drammatica viene qui perseguita con l'introduzione di un'incalzante terzina di
semicrome sulla nota ribattuta.

Federico Pirani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il secondo Quartetto dell'op. X, in re minore K.417b (421), è il più breve della


serie. Un dato che non è mera curiosità, giacché l'estrema concentrazione
strutturale e la tensione patetica che contraddistinguono il primo tempo,
Allegro moderato, sono in realtà senza precedenti e con ben pochi rimandi
futuri, forse soltanto nei rispettivi movimenti della Sonata in do minore K. 457
per pianoforte e nella Sinfonia in sol minore K. 550: dove però lo Schwung
passionale e la concitazione drammaticistica sono altra cosa dall'incedere
grave e dalla chiusa, desolata angoscia di questa pagina, che semmai può
trovare una qualche a!nità nel clima espressivo delle grandi Fantasie
metabachiane per pianoforte degli anni '82-'85. Il climax tragico tocca il
culmine nella parte centrale dello sviluppo, condotto questa volta (e a
di"erenza di quanto era avvenuto nel primo tempo del Quartetto precedente,
[Quartetto in sol maggiore, K 387 n.d.r.] informato ad uno spirito di maggiore
libertà) nella più rigorosa ottemperanza al principio dell'elaborazione tematica,
con assoluta esclusione cioè di materiali estranei a quelli proposti
dall'esposizione. La presenza di aree tonali (come quel la minore raggiunto di
sorpresa nella misura 46) introdotte senza apparenti ragioni funzionali, ma per
puro raptus "espressionistico" ante litteram, va considerata nel quadro dello
straordinario arricchimento e della turbolenza cui il linguaggio armonico
mozartiano va incontro in questi anni che seguono immediatamente il fatale
trauma bachiano delle riunioni domenicali in casa del barone van Swieten.

L'immensa tensione accumulata in questo primo movimento fa sì che il


baricentro dell'intero Quartetto graviti su di esso, scaricandone il peso nei
contra"orti costituiti dagli altri tempi nei quali, salve le impennate del
Minuetto e della formidabile conclusione delle Variazioni, non si può non
avvertire un progressivo allentarsi di quella morsa inesorabile. Questo nulla
toglie al valore eccelso dell'Andante, in forma di romanza, pagina soave che
s'apre a tratti ad esplosioni d'una violenza fonica di segno già beethoveniano,
che valgono a correggere bruscamente i dolci contorni complessivi del
disegno. Gli stessi repentini mutamenti di temperie espressiva faranno sì che
al severo e rigorosamente costruito Minuetto faccia seguito un Trio dalle
movenze mondane di divertimento salisburghese con violino solista. Come s'è
detto, il panorama quetamente elegiaco delle Variazioni finali su un tema di
siciliana derivato dalla Sonata in fa maggiore K. 374e (377) per pianoforte e
violino (in realtà, di remota ascendenza gluckiana, traendo origine da un
episodio del balletto Don Juan) viene alla fine attraversato dal fulmine di un
epilogo, Più Allegro, dove Mozart riprende e porta a temperatura
incandescente un'intuizione che già gli era balenata nella Sonata anzidetta. I
contorni del quadro, ammorbiditi dalla recente incursione nel modo maggiore,
si rapprendono come in una contrazione dolorosa; e in una scrittura fatta
rapidamente asciutta e acuminata, tra il ria!orare di quel cromatismo cui
ancestralmente è collegata la tonalità di re minore, s'impone come dato
strutturale di primo piano la microcellula costituita dalle note ribattute del
tema, ora divenute gesto e grido a"annoso. Senonché, con tratto di grandezza
suprema, Mozart so"oca questo gesto e questo grido nel giro aulico di una
cadenza di re maggiore, ristabilendo d'un sol colpo l'aura arcaicizzante e
sacrale dell'inizio del Quartetto.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

In conformità alla tonalità di re minore (la tonalità del Concerto K. 466 e del
«Requiem»), il Quartetto K. 421 è percorso quasi interamente da una vena
tragica e patetica; il racconto della moglie Costanza, secondo cui l'opera
sarebbe nata nella notte dal 17 al 18 marzo 1783 mentr'essa metteva al
mondo il primo figlio di Mozart, e l'idea di Momigny di sovrapporre ad alcune
frasi del primo movimento le parole di un lamento di Didone, contribuiscono a
creare un «pathos» espressivo preromantico attorno a questa celebre opera. È
soprattutto nel primo Allegro che fiammeggiano i toni tragici, spinti secondo
Abert a tratti di «demoniaca espressione»; e il primo tema, nella sua nobile
ampiezza, col suo salto di ottava discendente e il fremito del trillo, sembra
quasi uscire da un'opera seria. Un carattere timidamente consolatorio si fa
strada nell'«Andante» successivo in fa maggiore, con caratteri di semplicità
quasi unici nel complesso così altamente formalizzato dei Quartetti dedicati ad
Haydn.

Breve, ma essenziale fino a non concedere una sola nota superflua è il


Minuetto, dal ritmo fieramente scandito e dallo sviluppo conciso; nettissimo è
il contrasto con il Trio in re maggiore, ventilato da uno spensierato andamento
popolaresco, quasi tirolese nell'allegria del primo violino saltellante
sull'accompagnamento «pizzicato» degli altri strumenti. Il finale è costituito da
un tema di siciliana (in 6/8) con quattro variazioni e una coda; la prima
variazione vede il primo violino protagonista, la seconda è prevalentemente
ritmica, la terza pone la viola in primo piano e la quarta conduce una benefica
schiarita in re maggiore. La coda presenta alcune modificazioni al tema in
modo da accentuarne il carattere a"annoso in vista della conclusione.

Giorgio Pestelli

Quartetto per archi n. 16 in mi bemolle maggiore, K 428 (K 421b)

https://www.youtube.com/watch?v=bkNWCx-2AbU

https://www.youtube.com/watch?v=LeKCvxB7GA8

Allegro ma non troppo (mi bemolle maggiore)


Andante con moto (la bemolle maggiore)
Minuetto e trio. Allegro (mi bemolle maggiore)
Allegro vivace (mi bemolle maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, giugno - luglio 1783
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15 gennaio
1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn (numero 3)
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto K. 428 è il terzo del gruppo di sei quartetti composti da Mozart tra
il 1782 e il 1785 e dedicati a Franz Joseph Haydn, che nel 1781 aveva scritto i
sei "Quartetti russi", cioè quelle composizioni alle quali l'artista salisburghese
si richiamò esplicitamente per elaborare e perfezionare questa di!cile e
complessa forma di musica da camera, che sarebbe stata portata ad un
altissimo livello da Beethoven. Del resto lo stesso Mozart, nella lettera di
dedica scritta in italiano e con la quale inviava umilmente in data 1° settembre
1785 i suoi quartetti a Haydn, lascia chiaramente intendere quale fosse il
rapporto di grande rispetto e di amicizia che lo legava al musicista austriaco.
«Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel grande mondo - scrive
Mozart - stimò di doverli a!dare alla protezione di un uomo molto celebre in
allora, il quale per buona sorte era di più il suo migliore amico. Eccoti del pari,
celebre uomo ed amico mio carissimo, i miei sei figli. Essi sono, è vero, il frutto
di una lunga e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più amici di vederla
almeno in parte compensata m'incoraggia e mi lusinga che questi lavori siano
per essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso, amico carissimo,
nell'ultimo tuo soggiorno in questa capitale me ne dimostrasti la tua
soddisfazione. Questo tuo su"ragio mi anima soprattutto, perché io te li
raccomandi e mi fa sperare che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo
favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente ed esser loro padre, guida
ed amico. Da questo momento io ti cedo i miei diritti sopra di essi, ti supplico
però di guardarne con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi
può aver celati, e di continuare, loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi
tanto l'apprezza, mentre son di cuore il tuo sincerissimo amico».

Haydn, dal canto suo, proprio dopo l'esecuzione di alcuni quartetti di Mozart a
Vienna (episodio riferito nella lettera sopra citata), aveva pronunciato parole di
elogio per il suo amico, definito come una persona «che ha gusto e possiede la
più profonda scienza di comporre». Naturalmente Mozart, nonostante la
suggestione del modello haydniano, è riuscito a dare una impronta personale
ai suoi quartetti, sia per la qualità delle idee che per le innovazioni di
linguaggio, nell'ambito di una esposizione rigorosamente tematica. Per questo
carattere originale, così diversificato dalla pratica quartettistica del tempo, non
c'è da meravigliarsi di alcuni giudizi poco favorevoli apparsi nella stampa
dell'epoca, come ad esempio quello della "Gazzetta Viennese" del 1787, dove
si dice: «Peccato che Mozart, nel lodevolissimo intento di diventare un
innovatore, si sia spinto troppo lontano, e non certo a vantaggio del
sentimento e del cuore. I suoi nuovi Quartetti sono troppo drogati e, a lungo
andare, nessun palato riesce a tollerarli». In realtà questi quartetti, al di là della
densità del discorso sonoro e di alcune arditezze grammaticali, che fecero
arricciare il naso a qualche maestro contemporaneo (il compositore Giuseppe
Sarti arrivò persine a deplorare che «barbari assolutamente privi di orecchio
s'ostinassero a scrivere la musica»), racchiudono una gioiosità, una
spontaneità e una freschezza di espressione che sono i tratti tipici del genio
mozartiano.

In particolare il Quartetto K. 428, composto tra luglio 1783 e febbraio 1784, è


considerato uno dei migliori, per invenzione tematica e schiettezza melodica
della raccolta quartettistica dedicata ad Haydn. In più, alcuni commentatori
dell'opera mozartiana hanno voluto ravvisare in certi passaggi armonici del
Quartetto dei preannunci romantici; il De Saint-Foix, ad esempio, ha notato
nell'Andante con moto delle figurazioni cromatiche premonitrici stilisticamente
del Tristano e Isotta wagneriano. Forse una considerazione del genere può
sembrare eccessiva e troppo forzata, ma è certo che nell'Allegro non troppo,
ricco di imitazioni fra i vari strumenti, come nel citato Andante e nel Trio del
Minuetto, che accenna ad una musica vagamente esotica, Mozart dimostra di
essere un anticipatore delle coloriture romantiche, riservando all'Allegro vivace
finale la brillante cantabilità, festosa ed estroversa, perfettamente fedele agli
insegnamenti haydniani.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il giugno-luglio 1783, insieme col Quartetto in re minore, vede nascere anche


quello in mi bemolle maggiore K. 42Ib (428). Come generalmente avviene di
due opere mozartiane composte consecutivamente, il contrasto tra esse è
profondo. Se nel Quartetto in re minore s'agita un a#ato di alta tragicità,
quello in mi bemolle maggiore è il più olimpicamente sereno della serie. Ciò
significa, tra l'altro, un riaccostamento agli spiriti e alle tecniche di Haydn,
evidentissimi nell'Andante con moto, suggerito da un movimento analogo per
carattere, scrittura, ritmo e tonalità, l'A"ettuoso sostenuto del Quartetto in mi
bemolle maggiore op. 20 n. 1; e ancor più palesi nell'Allegro vivace, dove
Mozart attinge alla leggerezza di cuore e al sottile humor haydniani da par
suo, ossia evitando ogni incursione nel popolaresco, nel bizzarro e nel
sorprendente. Le distanze dall' "uom celebre" e "amico carissimo" continuano
però ad essere mantenute in un punto essenziale: la libertà che Mozart si
prende col principio dell'elaborazione tematica, che per lui non è né sarà mai
principio assoluto. Ne è ulteriore prova questo Quartetto, che associa momenti
di alta temperie elaborativa, suggeriti dal complesso organismo tematico che
apre l'esposizione, ad altri, di una disinvoltura fin provocatoria, come, nel
primo tempo, il brillante secondo episodio tematico, omaggio futuribile a
Gioachino Rossini nel suo incedere elegante e marziale tra ritmi puntati e
terzine.

Generato, come s'è detto, da uno stimolo haydniano, l'Andante con moto si
sarebbe compiutamente configurato come la più ardita e avveniristica tra le
esplorazioni mozartiane sinora realizzate nell'ambito del suono quartettistico.
Il senso melodico del brano, in forma-sonata, non è a!dato a questo o a
quello strumento, ma scaturisce da un sapientissimo intreccio delle parti
costantemente immerse in una sonorità densa, so!ce e profonda: immediato e
impressionante, il richiamo all'opalescenza timbrica del Lento assai, cantabile e
tranquillo dell'op. 135 beethoveniana. All'estatica "melodia infinita",
profondamente venata di estenuatezze cromatiche, di questo secondo
movimento, segue con vivace contrasto un grandioso Minuetto d'impianto
chiaramente diatonico e d'invenzione tematica plastica e vigorosa, il cui Trio in
do minore non dovrà passare inosservato allo Schubert del Quartetto in la
minore D. 804. Anche nel conclusivo omaggio haydniano, un Allegro vivace in
forma di rondò-sonata, l'elaborazione tematica cede il posto all'esuberanza
motivica che invade con nuovi materiali le sezioni di sviluppo: ma la fusione
equilibratrice tra i due elementi avverrà soltanto nelle opere strumentali della
tarda maturità, toccando la perfezione negli ultimi due quintetti e nei tre
quartetti "prussiani".

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Non si conosce la data di composizione precisa di questo Quartetto che


nell'edizione originale del 1785 era collocato al quarto posto dopo il Quartetto
K. 458. È un'opera che a!anca una intensa carica di ricerca armonica e formale
nei primi due movimenti ad un atteggiamento decisamente spensierato negli
ultimi due. Fra i temi più specificamente quartettistici si pone senza dubbio
quello d'apertura dell'Allegro ma non troppo, con quattro battute all'unisono
ben ancorate alla tonalità di mi bemolle, ma subito dissolte in tortuosi rivoli
cromatici in cui qualche commentatore moderno ha creduto cogliere un
procedimento latente di serialità. Il discorso stenta a fluire, punteggiato da
continue chiose e da frammenti contrastanti; in realtà, l'ansia organizzatrice
del compositore è tale che i temi sono saggiati e quasi sviluppati prima ancora
che venga il turno dello svolgimento nella sezione centrale della pagina.
Questa attitudine nuova a indagare nei rapporti sonori trova terreno ancora più
fertile nel secondo movimento, tradizionalmente riservato alla pensosa
«rêverie»; «meditazione filosofica» chiama il Saint-Foix questo Andante con
moto che è una delle pagine più armonicamente elaborate di Mozart,
straordinaria anche per la mancanza di temi salienti. Le preveggenze davvero
miracolose dei cromatismi del «Tristano e Isotta» wagneriano sono tanto
emozionanti per noi quanto dovevano riuscire poco accette al recensore della
«Wiener Zeitung» quando parlava di musica eccessivamente «drogata».

Da questo clima misterioso si svolta improvvisamente nel Minuetto, che riporta


la chiarezza della tonalità di mi bemolle maggiore con accenti non lontani dal
Minuetto della Sinfonia K. 543, e nell'Allegro vivace conclusivo, in tutta la
raccolta dei sei Quartetti la pagina che forse si avvicina di più allo spirito
giocoso di Haydn.

Giorgio Pestelli

Quartetto per archi n. 17 in si bemolle maggiore, K 458 "La caccia"

https://www.youtube.com/watch?v=LH2_0q5UnLw

https://www.youtube.com/watch?v=pYTuXWxNhxo

Allegro vivace assai (si bemolle maggiore)


Minuetto moderato (si bemolle maggiore)
Adagio (mi bemolle maggiore)
Allegro assai (si bemolle maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, 9 Novembre 1784
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15 gennaio
1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart compose il primo dei suoi trenta Quartetti per archi a Lodi il 15 marzo
1770: aveva quattordici anni ed era al suo primo viaggio in Italia. Allora il
quartetto per archi era legato alle vecchie consuetudini e la musica da camera
non aveva una fisionomia strumentale ben precisa e adeguatamente
caratterizzata dal dialogo e nel rapporto fra i due violini, la viola e il
violoncello. Fu Haydn che diede impulso e sistemazione formale a questo
genere musicale, poi arricchito e reso più armonico e organico da Mozart, il
quale compose sei quartetti tra il 1782 e il 1785 e li dedicò ad Haydn con una
lettera divenuta famosa e scritta in italiano, che allora era la lingua dei
musicisti. I sei Quartetti, definiti da Mozart figli, sono: quello in sol maggiore
K. 387, quello in re minore K. 421, quello in mi bemolle maggiore K. 428,
quello in si bemolle maggiore K. 458, quello in la maggiore K. 464, e infine
quello in do maggiore K. 465, definito "Quartetto delle dissonanze" per alcune
arditezze armoniche insolite per quel tempo (siamo al 1785, ma Mozart
preannuncia soluzioni tecniche che diverranno usuali molto tempo dopo).
Il Quartetto in si bemolle maggiore K. 458 fu scritto a Vienna il 9 novembre
1784 e reca il sottotitolo "La caccia", attribuito forse dall'editore Artaria, per il
gusto un pò rustico del primo tema dell'Allegro assai vivace. Il discorso
musicale s'impone subito per varietà di passaggi strumentali sino ad una
cadenza su toni sfumati, indicata in partitura "calando, pianissimo". Il primo
violino espone un nuovo tema, molto cantabile e di carattere pastorale: viene
ripreso all'ottava superiore, su accompagnamento del secondo violino e con
l'appoggio della viola e del violoncello. Tra i quattro strumenti s'intreccia un
interessante gioco di imitazioni, con domande e risposte di squisita eleganza e
festosità espressiva. Viene proposta quindi una coda di tono brillante, iniziata
dai due violini e rilanciata dagli strumenti bassi. Segue un Minuetto moderato
dalla linea delicatamente melodica, così da far pensare ad un Andante. Il tema
del primo violino passa al secondo violino e alla viola nella tonalità di do
minore, mentre il violoncello disegna una modulazione in si bemolle minore,
così da creare un clima espressivo di misteriosa purezza musicale. Il gruppo
delle quattro note ascendenti si arresta sul re bemolle e apre la strada al
successivo Adagio in mi bemolle, dove tutto si svolge con semplicità di
straordinaria finezza estetica.

L'Allegro assai in 2/4 del finale è un rondò, annunciato dal primo violino e
rilanciato poi dagli altri strumenti in un gioco ritmico a più soggetti. Lo
sviluppo del dialogo a imitazioni è ben calcolato negli e"etti e termina con un
ritornello nella coda: ritornello analogo a quello terminale del primo
movimento, ma più lungo di due misure.

Il Quartetto in si bemolle maggiore ancora oggi suscita emozione per quel


senso di profonda poesia racchiuso nell'Adagio, in cui già si preannunciano
certe elegantissime inflessioni di canto a!date al personaggio di Tamino nel
primo atto del Flauto magico.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Tra i primi tre (in ordine di tempo) e i successivi Quartetti destinati a costituire
l'op. X, corre un intervallo di una quindicina di mesi, riempiti dalla
composizione, tacendo d'altro, dei primi grandi concerti viennesi per
pianoforte e di alcuni mirabili saggi di musica da camera con pianoforte. Il
Quartetto in si bemolle maggiore K.458 - quarto nell'ordine della
composizione, terzo in quello editoriale - deve lo spurio nomignolo "La caccia"
al ritmo binario composto, assegnato al primo tempo, ritmo che il codice
retorico della figuralità strumentale settecentesca collega a immagini
venatorie. Ma l'andamento e il carattere di questo brano fanno piuttosto
pensare alla distesa, fiorente amabilità "pastorale" di un suo futuro omologo
spirituale, il primo tempo del Trio in mi bemolle op, 70 n. 2 di Beethoven. La
sua unitarietà tematica è più apparente che reale, giacché, a di"erenza di
quanto avviene in Haydn, il tema iniziale e le sue figure complementari nel
corso del movimento si articolano in derivati provvisti di evidente autonomia
motivica. La novità, in questo sviluppatissimo primo tempo, è bensì costituita
dalla poderosa "coda", tra le più lunghe ed elaborate mai composte da Mozart,
aperta nei modi di uno "stretto", o piuttosto cadenza in tempo, mediante un
vigoroso canone alla quinta tra i due violini su pedale di dominante e conclusa
con una festosa apoteosi.

Il breve Minuetto, significativamente collocato subito dopo un primo


movimento di tale imponenza, colora di varie iridescenze armoniche la sua
frase principale, caratterizzata da un'insistita polarità della tonica, ricorrente
sul tempo forte per ben cinque misure su otto. L'aspirazione più contemplativa
che dinamica del Quartetto trova conferma nel suo Adagio che si richiama al
movimento lento di quello in sol maggiore per le sue collusioni con i vasti
"cantabili" esemplificati da Haydn, di gran lunga superati per il fervore delle
temperie inventiva e la complessità delle interrelazioni sottese tra la linea
melodica e il movimento delle parti subalterne. Il momento eccelso di questo
sistema di rapporti è dato dall'a!orare estatico della seconda idea sonatistica,
in una progressione melodico-armonica di sapore assolutamente
schubertiano. Anche nell'Allegro assai conclusivo, il più grandioso finale
quartettistico sinora mai scritto da Mozart, l'esempio haydniano non tanto
viene qualitativamente superato, quanto distanziato per l'approccio
sostanzialmente diverso alla struttura sonatistica. Approccio che lungi dal
mortificare l'esuberanza motivica (i temi, tutti assai significativi, questa volta
sono tre, il secondo dei quali collocato come luminoso corridoio tra le due
sezioni dell'esposizione) la pone a confronto con le energie irruenti di
un'acquisita padronanza delle tecniche e degli spiriti dell'elaborazione, in un
esito di trascendente equilibrio.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Questo Quartetto, concluso il 9 novembre 1784 e denominato «La Caccia» per


l'e"etto di fanfare che apre il primo movimento, è in tutta la serie di Quartetti
dedicati ad Haydn quello che più concede alla freschezza inventiva,
all'espressione immediata e piacevole; esso tuttavia racchiude nel suo centro,
l'Adagio al posto di terzo movimento, il suo cuore fantastico e meditativo,
attorno al quale gli altri movimenti si dispongono come una spensierata
corona. Uno dei tratti da cui traspare maggiormente una disposizione
compositiva più rilassata sono le abbondanti ripetizioni cui i temi sono
sottoposti; sono d'altra parte temi di grande vigore plastico, sia nel primo sia
nell'ultimo tempo, per cui le ripetizioni non ne appannano l'e!cacia (in un
tema del finale, procedente fra intervalli di quarta e di quinta si può
riconoscere una forte eco del «vaudeville» conclusivo del «Ratto dal serraglio»
e un roteare da finale di opera bu"a è in e"etto presente in tutto il movimento
finale).

Leggermente al di sotto del livello della raccolta è forse il Minuetto, che ha un


andamento cerimonioso più consono a Serenate e Divertimenti. Ma si giustifica
con la sua collocazione prima dell'Adagio, gemma del Quartetto e pagina di
profondo scavo soggettivo: esso si basa su tre temi principali, una specie di
corale a quattro parti in apertura, un canto lamentoso del primo violino denso
di snodi espressivi, e un trascolorare di armonie a note ribattute che ancora
una volta, dopo il Quartetto K. 387, evoca miracolosamente il crepuscolare
cielo brahmsiano.

Giorgio Pestelli

Quartetto per archi n. 18 in la maggiore, K 464

https://www.youtube.com/watch?v=QM4ypK3SZHw

https://www.youtube.com/watch?v=7dPeChZbva0

https://www.youtube.com/watch?v=90iiADPzjcs

Allegro (la maggiore)


Minuetto e trio (la maggiore)
Andante (re maggiore)
Allegro (la maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, 10 gennaio 1785
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15 gennaio
1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart scrisse ben 26 Quartetti completi per archi, in cui sono racchiuse le
caratteristiche tecniche e stilistiche del compositore e soprattutto la sua
evoluzione nel fissare le regole di una forma tra le più di!cili di tutti i generi
musicali. Si sa che Mozart mosse inizialmente i primi passi nel dialogo a
quattro per archi tenendo presenti i modelli analoghi conosciuti durante il
viaggio in Italia tra il 1770 e il 1773, a cominciare dalla produzione di
Sammartini. Infatti il primo Quartetto in sol maggiore K. 80 fu composto la
sera del 15 marzo 1770 in una locanda di Lodi e risente dello strumentalismo
da camera italiano: la divisione in tre tempi (si ritiene in questo caso che il
rondò finale sia stato aggiunto posteriormente) e la preponderanza data ai due
violini rispetto alle parti del violoncello e della viola. Non per nulla i quartetti
immediatamente successivi K. 136, 137 e 138, composti a Salisburgo nei primi
mesi del 1772 e chiamati Divertimenti sul manoscritto, e i sei Quartetti K.
155-160, che recano il titolo di Milanesi, perché finiti di scrivere nell'autunno
dello stesso anno nella capitale lombarda, si articolano in tre tempi, come nella
sinfonia d'opera italiana: un allegro introduttivo o presto, un andante o adagio
e un minuetto o presto.

Più tardi, a partire dal 1773 e con i sei Quartetti dal K. 168 al K. 173, Mozart
comincia a subire il fascino della lezione di Haydn, considerato senza alcuna
riserva il suo maestro ideale. Dal 1782 in poi e con la pubblicazione nel 1785,
egli scrive la collana dei sei quartetti, che il catalogo del Koechel fa
corrispondere ai numeri 387, 421, 428, 458, 464 e 465, con quella famosa
dedica datata Vienna e rivolta ad Haydn, dove con estrema umiltà e sincero
rispetto è detto testualmente in italiano: «Al mio caro amico Haydn. Un padre,
avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran mondo, stimò doverli a!dare
alla protezione e condotta di un uomo molto celebre in allora, il quale per
buona sorte era per di più il suo migliore amico. Eccoti del pari, celebre uomo
ed amico mio carissimo, i miei sei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga
e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno in
parte compensata m'incoraggisce e mi lusinga che questi parti siano per
essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso, amico carissimo,
nell'ultimo tuo soggiorno in questa capitale me ne dimostrasti la tua
soddisfazione. Questo tuo su"ragio mi anima soprattutto, perché io te lo
raccomandi e mi fa sperare, che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo
favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente ed esser loro padre, guida
ed amico. Da questo momento io ti cedo i miei diritti sopra di essi, ti supplico
però di guardare con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi può
aver celati, e di continuar, loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto
l'apprezza, mentre son di cuore il tuo sincerissimo amico».

Nonostante la suggestione del richiamo haydniano, Mozart è tutt'altro che un


imitatore e riesce a dare un'impronta personale ai suoi Quartetti, raggiungendo
una più intima organicità strutturale della forma, pur nella diversità delle varie
voci strumentali. Tale ricchezza di idee e novità di linguaggio lasciò interdetti
naturalmente i contemporanei, i quali si espressero con apprezzamenti poco
favorevoli. Basta leggere, ad esempio, quanto è scritto in una recensione
apparsa nel gennaio del 1787 sulla Wiener Zeitung: «Peccato che Mozart, nel
lodevolissimo intento di diventare un innovatore, si sia spinto troppo lontano e
non certo a vantaggio del sentimento e del cuore. I suoi nuovi Quartetti sono
troppo carichi di spezie e, a lungo andare, nessun palato riesce a tollerarli». La
verità è che con il passare degli anni il palato degli ascoltatori si è fatto più fine
e sensibile e ha preso gusto a tali Quartetti, apprezzandone la ricchezza
melodica e armonica e il profondo lirismo anticipatore di coloriture
romantiche.

Per rendersi conto di come Mozart sia andato più lontano di Haydn nella
invenzione e nella costruzione quartettistica è opportuno ascoltare il Quartetto
in mi bemolle maggiore K. 428, composto durante l'estate del 1783 e ritenuto
tra i più indicativi del nuovo stile del musicista, contrassegnato da una
straordinaria eleganza e fluidità di scrittura, specie nel primo e nell'ultimo
tempo, in cui l'artista sembra superare certi schematismi formali e avventurarsi
in un gioco sonoro più libero e disincantato.

Ma la maturità di Mozart in questo genere di composizione si avverte nei tre


Quartetti K. 575, K. 589 e K. 590 scritti tra il 1789 e il 1790 e appartenenti al
gruppo dei quartetti cosiddetti prussiani, perché commissionatigli dal re
Federico Guglielmo II di Prussia, che si dilettava di violoncello e aveva ospitato
il musicista a Berlino e a Potsdam nella primavera del 1789. Per questa ragione
in tutti e tre i lavori la parte del violoncello spicca accanto a quella del primo
violino, mentre viola e secondo violino si mantengono su un piano di più
contenuta discrezione. In essi, secondo Bernhard Paumgartner, «l'alto livello
dei lavori contemporanei alle grandi sinfonie è costantemente mantenuto.
L'approfondimento passionale e soggettivo cede alla folgorante chiarezza,
all'estrema eleganza del porgere, alla sublime ra!natezza espressiva del canto
e dell'armonizzazione».

Per quanto riguarda il Quartetto in la maggiore K. 464 si può dire che esso
unisce rigore costruttivo a charme melodico di elegante fattura sin dal primo
Allegro, costruito su un solo tema, proposto dal primo violino e ripreso ed
elaborato dagli altri strumenti secondo un gioco di imitazioni. Il discorso si
allarga e passa dal tono maggiore a quello minore, assumendo una notevole
varietà di accenti e di atteggiamenti sonori, sino a giungere ad una coda
contrassegnata da un ritorno al tema fondamentale, che si conclude con un
ritornello in tempo forte di tre misure. Il Minuetto si svolge secondo le regole
delle antiche Cassazioni e Serenate e formalmente non presenta elementi di
rilievo nella intelaiatura a!data alle imitazioni. L'Andante può definirsi uno dei
migliori esempi dell'arte della variazione praticata da Mozart. Si tratta di cinque
variazioni sviluppate con stile contrappuntistico e in stretto rapporto tra
invenzione melodica e struttura armonica, così da valorizzare al massimo il
dialogo fra i diversi strumenti. L'Allegro finale inizia piano con la voce del
primo violino e poi man mano acquista brillantezza e spigliatezza di suono in
una successione di modulazioni e di cambiamenti di tonalità. Una forma fugata
si avverte nella chiusa, dove l'arte mozartiana scorre fluida e leggera, senza
dimenticare la quadratura e il rigore della forma quartettistica.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il 10 gennaio 1785 Mozart poneva termine al Quartetto in la maggiore K. 464.


In quest'opera di frontiera, la lezione haydniana concernente il lavorìo di
elaborazione incentrato sull'unità cellulare del tessuto tematico, viene spinta
oltre limiti che l'autore non supererà neppure negli ultimi due quintetti, la cui
densità costruttivistica si basa, peraltro, su parametri di"erenti da quelli
applicati al K. 464. L'ossessiva concentrazione elaborativa che qui percorre in
modo particolare i due Allegri e il Minuetto, è infatti di tipo armonico e
polifonico e riguarda elementi minimi di materiali tematici che è facile
collegare tra loro mediante evidenti relazioni microstrutturali. Nel .grandioso
sviluppo, tra i più lunghi in assoluto composti da Mozart per un primo
movimento, la multiformità dei processi elaborativi e il loro rigore estremo -
anzi, estremistico, nella fedeltà ai dati tematici di base utilizzati fino alla
minima unità strutturale - escono come corroborati da un senso di profonda
unità. A un si"atto cimento compositivo Mozart accosta un Minuetto di pari
densità (vi compare il contrappunto doppio, nato dallo smembramento della
fase iniziale: procedimento che ria!orerà nel Finale del Quintetto K. 614,
l'ultima sua grande composizione cameristica); per proseguire con una serie di
variazioni, tra le più grandiose e complesse mai composte.

L'ideale della variazione mozartiana - non "rovistare nel tema" (Brahms) in


cerca della diversità, come faranno Beethoven e lo stesso autore delle
Variazioni op. 24 sopra un tema di Haendel, ma illuminarne progressivamente
l'identità, fino ad esaltarla - assurge qui a valori di assoluta bellezza,
collocandosi a degno contraltare delle celebrate variazioni che pervadono
l'estrema stagione creativa beethoveniana. Quando il culmine sembra essere
stato raggiunto dalla variazione in re minore, con la sua febbrile figura
dominante in terzine, esso viene superato nella successiva doppia variazione
col suo intreccio imitativo degno di Bach, mentre nell'ultima e nella coda
Mozart giunge a superare se stesso attingendo a un sublime umorismo che si
collega, ma in un ordine superiore di valori, a quello del Finale del Quintetto K.
452 per pianoforte e fiati. Ma la tregua conciliante introdotta dalle variazioni
viene spezzata dall'Allegro non troppo, dove la tensione elaborativa riprende
implacabile, accentuando ogni elemento conflittuale desunto dai primi due
movimenti mediante chiari punti di contatto strutturali ed esasperandolo con il
mordente di un cromatismo programmato fin dalla cellula motivica iniziale.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 3 (nota 3)


Il Quartetto in la maggiore K. 464, che Mozart terminò il 10 gennaio 1785, è
forse il meno conosciuto ed eseguito nella serie dei Quartetti dedicati ad
Haydn; esso infatti è quello che più di ogni altro si a!da interamente ai severi
valori della costruzione musicale, con una reticenza di retorica tematica e una
economia di elementi inventivi pari soltanto alla maestria compositiva e
all'attitudine di ricavare qualcosa dagli spunti più insignificanti. Se già in altri
Quartetti si a"ermava la propensione a temi poco appariscenti, ma assai
malleabili e pieghevoli alla fantasia trasformatrice dell'autore, questa attitudine
è qui spinta al massimo rigore, mettendo a nudo la straordinaria facoltà di
«pensare in musica» acquisita dalla maturità di Mozart e da questi trasmessa a
Beethoven (il finale del presente Quartetto fu ricopiato e messo in partitura da
Beethoven). Al punto che non sembra esagerato il paragone con il criticismo
kantiano proposto, negli anni ruggenti del formalismo (1929) da Erich Klockow
in un fascicolo dei «Mozart-Jahrbuch»:

«Non v'è più alcuna parte che valga od esista per sé, ma ognuna rientra nel
tutto, da esso ricevendo significato, rango ed esistenza. Ma se si ritiene che il
tratto fondamentale della teoria della conoscenza kantiana stia nel fatto che in
luogo della natura subentra la norma, in luogo della sostanza la funzione,
allora si può con qualche diritto a"ermare che questo Quartetto in la maggiore
costituisce la «Critica della ragion pura» di Mozart. Togliendo ai temi la loro
conchiusa forma melodica, trasformando il singolo particolare in una coesione,
il limitato in una consecuzione ininterrotta, il sostanziale in funzionale, esso ha
fatto per la musica lo stesso che aveva fatto per la logica quell'opera terminata
quattro anni prima».

Particolarmente operante nei movimenti esterni, questa propensione a


trasformare il sostanziale in funzionale, cioè a concepire ogni scheggia del
discorso in funzione del tutto, è attiva anche nei tempi centrali: il Minuetto si
connette nella formazione tematica a certi spunti del primo movimento
(mentre il Trio intermedio presenta una cellula che darà i suoi frutti nel finale);
l'Andante è un Tema con sei variazioni che evitano l'accumulo di
ornamentazione tipico della variazione settecentesca per mettere in luce, al
contrario, l'essenza strutturale del tema discusso. Persino il ritmo
tambureggiante di marcia che il violoncello propone nell'ultima variazione non
resta un ornamento, ma si trasforma in protagonista circolando anche nella
ripetizione del tema con funzione di coda.

Giorgio Pestelli

Quartetto per archi n. 19 di do maggiore, K 465 "Delle dissonanze"


https://www.youtube.com/watch?v=kcfDxgfHs64

https://www.youtube.com/watch?v=-n3XuT3hlXo

https://www.youtube.com/watch?v=Nwa7Di-NiiE

Adagio. Allegro (do maggiore)


Andante cantabile (fa maggiore)
Minuetto e trio. Allegro (do maggiore)
Allegro molto (do maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, 14 gennaio 1785
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15 gennaio
1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Quartetto in do maggiore K. 465 chiude il celebre gruppo di sei che Mozart


dedicò a Haydn. Della soddisfazione dimostratagli dal dedicatario egli accennò
nell'espansivo indirizzo in italiano anteposto alla prima edizione; dei modi in
cui si era espresso aveva riferito Leopold Mozart in una lettera del 13 febbraio
1785 alla figlia Nannerl ove citava le parole rivoltegli dall'anziano maestro
dopo avere ascoltato i tre ultimi Quartetti: «suo figlio è il più grande
compositore ch'io conosca di persona e di fama - ha gusto e soprattutto la più
grande scienza della composizione».

Ora, tutto ciò cade opportuno ricordare specie a proposito del sesto della
serie, tante furono invece le perplessità e lo scandalo che il suo Adagio
introduttivo suscitò dall'uscita alle stampe e ancora a lungo nell'Ottocento
persino presso i più fanatici mozartiani, guadagnando all'intero Quartetto il
denominativo di «Quartetto delle dissonanze».

L'arditezza dei rapporti armonici, istituiti dalla frase che il primo violino ripete
al principio, sussiste innegabile: tale anzi da considerarla oggi tra le prove
della modernità di Mozart. Senonchè una lettura orizzontale, ossia
contrappuntistica della pagina oltre a fornire la chiave del brano, permette
altresì di intravedere l'intento di un altro omaggio. Quello all'antica dottrina
tedesca simbolizzata da Bach, che a Mozart quanto a Haydn era stata rivelata
in Vienna dalle predilezioni del barone van Swieten appena pochi anni prima
del 1785. Infatti proporre al dedicatario l'intelligenza di «segreti sensi»
ermetici ad altri, non si limita nell'introduzione al sesto Quartetto all'introdurre
per il moto delle parti intervalli allora proibiti dalla sintassi armonica. Mentre il
brano si orienta gradualmente nei binari delle relazioni ammesse, l'incurvatura
ascendente della frase incriminata ha pure anticipato il profilo del primo tema
dell'Allegro. A sua volta un primo tempo brioso e limpido come pochi altri, e
nondimeno volto a testimoniare l'attualità del contrappunto nei termini del
«gusto» settecentesco, largamente alimentandosi del gioco delle imitazioni cui
da luogo quel primo tema.

Segue l'Andante cantabile che lo Jahn giudicherà il migliore dei movimenti lenti
quartettistici di Mozart per «bellezza e finezza di forma, profondità e intensità
d'espressione», e dove il canto permea il discorso dei quattro strumenti avanti
di espandersi con la nuova frase a!data al primo violino poco innanzi
l'epìlogo. Ma anche gli altri due tempi rivelano un impegno particolare.

Nel Minuetto, articolato come un tempo di sonata, l'eleganza leggera della


prima proposizione, rettificata dalle risolute risposte all'unisono, domina alla
fine, in contrasto col Trio su cui si allunga l'ombra di una patetica tristezza. E il
Finale s'apparenta al primo Allegro nell'o"rire un'altra prova dell'arte
inimitabile di associare sapienza e naturalezza; probabilmente appunto la
particolare Kompositionwissenschaft elogiata da Haydn. Considerevolmente
esteso, salvo a mascherare le proporzioni col veloce andamento, questo
Allegro molto riserva all'ascoltatore più di un'a"ascinante imprevisto, come
l'ambientazione in mi bemolle maggiore per la comparsa del terzo tema nella
prima parte; il grande sviluppo modulante che segue a una pausa improvvisa,
avviato sull'inciso iniziale del primo tema; la ricchezza di deduzioni con cui
violino e violoncello variano la ripresa, dapprima identica all'esposizione ma in
un'altra tonalità inattesa: il la bemolle maggiore in luogo della tonica. Nella
coda infine la rassomiglianza con un epilogo di opera bu"a è evidente,
altrettanto del carattere quartettistico cui riporta la perorazione conclusiva.

Emilia Zanetti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Doveva trascorrere quasi un decennio prima che Haydn tornasse al quartetto


per archi; la raccolta dei sei Quartetti "russi" op. 33, apparsa nel 1781, fu
scritta, secondo le stesse parole dell'autore «in uno stile particolare e
completamente nuovo» (vale a dire quel particolare stile "obbligato e
concertante"). Il 1781 è anche l'anno in cui Mozart abbandona Salisburgo per
Vienna. I rapporti personali fra i due autori ebbero inizio certamente durante
uno dei soggiorni di Haydn nella capitale, anche se in un momento
imprecisabile, e furono immediatamente improntati a una profonda stima
reciproca; in pratica, come attestano vari documenti, ciascuno dei due reputava
l'altro il più grande compositore vivente. Sono testimoniate varie sedute
quartettistiche, in cui Haydn suonava il violino (forse il secondo violino) e
Mozart la viola; e certo non estranea al rapporto di intimità fu la comune
adesione alla massoneria.

Non è certo casuale che, per testimoniare stima ed amicizia ad Haydn, Mozart
abbia deciso di dedicargli proprio i sei nuovi Quartetti nati fra il dicembre 1782
e il gennaio 1785, con una celebre lettera redatta in lingua italiana (la lingua a
cui Mozart ricorreva per le dichiarazioni più solenni, sincere e confidenziali):
«Al mio caro amico Haydn, un Padre, avendo risòlto di mandare i suoi figlj nel
gran Mondo, stimo [sic] doverli a!dare alla protezione, e condotta d'un Uomo
molto celebre in allora, il quale per buona sorte, era di più il suo migliore
Amico. Eccoti dunque del pari, Uom celebre, ed Amico mio carissimo i sei miei
figlj - Essi sono, e [sic] vero il frutto di una lunga, e laboriosa fatica, pur la
speranza fattami da più Amici di vederla almeno in parte compensata,
m'incoraggisce, e mi lusinga, che questi parti siano per essermi un giorno di
qualche consolazione. Tu stesso Amico carissimo, nell'ultimo tuo Soggiorno in
questa Capitale, me ne dimostrasti la tua soddisfazione. Questo tuo su"ragio
mi anima sopra tutto, perché Jo te li raccomandi, e mi fa sperare, che non ti
sembreranno del tutto indegni del tuo favore. Piacciati dunque accoglierli
benignamente; ed esser loro Padre, Guida ed Amico! Da questo momento, Jo ti
cedo i miei diritti sopra di essi: ti supplico pero [sic] di guardare con
indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di Padre mi può aver celati, e di
continuar loro malgrado, la generosa tua Amicizia a chi tanto l'apprezza,
mentre sono di tutto Cuore, Amico Carissimo Il tuo Sincerissimo Amico W. A.
Mozart. Vienna il p.mo Settembre 1785».

Traspaiono, nella lettera di Mozart, il tono quasi di venerazione verso Haydn e


insieme il significato del tutto particolare attribuito alle composizioni. Mozart
intendeva rendere omaggio non solo ad Haydn, ma allo stile quartettistico
forgiato da Haydn. In sostanza, se il gruppo dei sei Quartetti per archi dedicati
a Haydn costituisce il momento centrale e culminante della produzione
quartettistica mozartiana, questa raccolta, insieme ai Quartetti "russi" di
Haydn, segna un momento cruciale nella storia del quartetto per archi: quello
della compiuta definizione della scrittura quartettistica peculiare e
quintessenziale dello stile classico.

Il Quartetto K. 465 chiude il ciclo dei sei dedicati a Haydn, e esemplifica


mirabilmente la distanza del mondo espressivo mozartiano da quello
dell'autore più anziano, la personalissima consapevolezza impiegata nel
guardare al modello dei Quartetti "russi". Mozart evita il gusto popolare così
caro ad Haydn, e al razionalismo haydniano preferisce un materiale melodico
di impronta più dotta, un contenuto armonico più spregiudicato, una
elaborazione contrappuntistica segnata dallo studio recente delle opere di
Bach e Händel. Non a caso le reazioni dei contemporanei nell'accogliere la
nuova pubblicazione furono di sconcerto e scetticismo; l'accusa di lasciar
prevalere la tecnica sul «cuore», di servire troppo «condimento» può oggi far
sorridere, ma era all'epoca la risposta più di"usa alla complessità di scrittura e
di pensiero delle partiture mozartiane.

Il soprannome di Quartetto "delle dissonanze" è dovuto all'introduzione lenta


della partitura (l'unica dei Quartetti "Haydn"); l'arditissimo piano tonale delle
ventidue battute introduttive ha stimolato, ancora nel secolo scorso, le
correzioni di zelanti censori. Ciò nonostante dopo la tensione espressiva
dell'introduzione il brano privilegia un'ambientazione più spensierata e una
logica di contrasti quasi teatrale; forte è il contrasto con gli schietti spunti
tematici dell'Allegro che costituisce il primo movimento, espressivamente
appena turbato nello sviluppo.

L'Andante cantabile, di impostazione contemplativa, si a!da prevalentemente


a tre schemi di scrittura: la guida melodica del primo violino, il dialogo serrato
fra violino e violoncello, l'accompagnamento ostinato del violoncello con
interventi successivi delle voci superiori. Al Minuetto, con i gustosi scarti
dinamici e il fraseggio cromatico, si oppone un agitato Trio in minore. Ma
l'intero Quartetto gravita verso il Finale, una pagina di eccezionale ampiezza in
forma sonata, dove è particolarmente evidente la traccia dell'esempio
haydniano; Mozart vi sfoggia tutte le risorse del nuovo stile di scrittura,
piegando duttilmente il fraseggio arguto del primo violino, i calibrati giochi di
imitazione, l'incisività ritmica e gli improvvisi silenzi, verso un contenuto di
brillante umorismo.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Questo Quartetto, datato 15 gennaio 1785, è divenuto celebre col soprannome


di Quartetto «delle dissonanze» a causa della serie di false relazioni radunate
nell'introduzione lenta (Adagio) con cui esordisce: sotto otto battute di
«tatonnement» armonico che sconcertarono i contemporanei (Haydn, con fine
diplomazia, disse che se lo aveva scritto Mozart andava bene così) e
sollecitarono i puristi dell'Ottocento (Fétis, Ulibische") a mortificanti
correzioni. In realtà, dietro questa scura introduzione che approda a un
luminoso e aereo tema in do maggiore nell'Allegro, sta un motivo tipicamente
illuminista, quello del trionfo dell'ordine e della ragione sul «caos». Un «Caos»
aveva anche aperto la «erezione» di Haydn, ma è pagina dalle fattezze
armonico-melodiche ben riconoscibili, priva di quel turbamento della musica
in sé attivo nell'introduzione mozartiana e che sarà raccolto con evidente
riferimento da Beethoven nell'apertura del Quartetto op. 59 n. 3.
Tutto il Quartetto K. 465 sembra allontanarsi dal mistero dell'Adagio
introduttivo verso un mondo di operosità, di fiducia e di solidarietà; specie il
primo tempo, col suo tema principale, animato come dice il Saint-Foix da «una
specie di potere ascensionale che lo rende, in certo modo, più leggero che
l'aria», ma allo stesso tempo tale da soddisfare, in sviluppi, imitazioni,
sovrapposizioni la voracità combinatoria del genio mozartiano. In una idea
dell'Andante cantabile in fa maggiore, quando il violoncello pare frugare nel
registro basso con un disegno «ostinato», sembra rievocato il polo notturno e
inquieto dell'introduzione; ed anche il Trio del Minuetto, in do minore, è tutto
percorso da salti tempestosi che avranno ampio sviluppo nella prima scena del
«Flauto Magico»; ma il clima di fiduciosa serenità domina sia l'Andante sia il
Minuetto, trovando poi un coronamento nel finale, la cui superba bellezza ha
un riscontro solo nel finale della Sinfonia «Jupiter».

Giorgio Pestelli

Quartetto per archi n. 20 in re maggiore, K 499 "Ho!meister"

https://www.youtube.com/watch?v=w6YQM87WgR8

https://www.youtube.com/watch?v=ywejv4rxGqw

Allegretto (re maggiore)


Minuetto e trio. Allegretto (re maggiore)
Adagio (sol maggiore)
Allegro (re maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, 19 agosto 1786
Edizione: Ho"meister, Vienna 1786

Guida all'ascolto (nota 1)

Nel trattato sull'Estetica dell'arte musicale scritto negli anni Ottanta del
Settecento, ma pubblicato solo nel 1806, il teorico e musicista Christian
Friedrich Daniel Schubart ordinava le diverse tonalità in un sistema di
associazioni emotive. Seguendo gli esempi di una trattatistica preesistente,
Schubart procedeva da alcuni principi generali in base ai quali egli distingueva
tonalità "neutre", adeguate alla ra!gurazione dell'innocenza e della semplicità,
e tonalità "colorate". Queste ultime potevano adattarsi all'espressione di
sentimenti di forza e di fierezza, se prevedevano diesis in chiave, oppure alla
rappresentazione di stati d'animo particolarmente malinconici, se invece erano
contrassegnate dai bemolle. Procedendo dal generale verso il particolare,
Schubart trattava poi ogni singola tonalità e suggeriva associazioni di idee che,
se non possono certo guadagnare la dignità di una regola, sono comunque
ispirate dall'osservazione della letteratura musicale della sua epoca e
rispecchiano un modo di pensare allora molto radicato. Le associazioni
indicate da Schubart possono essere di aiuto per la comprensione e
l'interpretazione dei brani dai quali furono motivate, possono renderne più
accessibile il senso.

Nel contesto individuato da Schubart, la tonalità di re maggiore era la più


brillante, ma anche quella con la quale potevano più facilmente trovar voce
l'adulazione, l'inganno o la volontà di mascherare i propri sentimenti. In
ambito orchestrale l'uso del re maggiore dava luogo a una particolare vivacità e
si prestava all'impiego degli strumenti "da fanfara", ovvero dei corni, delle
trombe e delle percussioni. Per questo era indicata per le occasioni di festa,
per le cerimonie, come lo stesso Leopold Mozart scrisse al figlio Wolfgang nel
1782, con la raccomandazione di scrivere proprio in re maggiore una Serenata
per la famiglia Ha"ner, di Salisburgo, brano che in seguito sarebbe stato
trasformato nella Sinfonia K. 385. Congeniale agli strumenti ad arco a causa
della posizione delle mani, la tonalità di re maggiore acquistava in ambito
cameristico un tratto più ambiguo, meno unilateralmente festoso. La superficie
brillante del timbro sonoro poteva lasciarsi increspare da un diverso modo di
elaborazione della melodia, da un fraseggio più sinuoso e meno a"ermativo,
portando verso la dimensione di un'espressione più intima e raccolta, più
frequentemente percorsa da dubbi e ripensamenti.

Con i suoi due unici Quartetti per archi composti nella tonalità di re maggiore,
Mozart percorre entrambe le strade associate a quella tonalità, in momenti che
corrispondono in parallelo all'evolversi del suo linguaggio. Il primo dei due
Quartetti risale al 1786, ovvero al periodo delle Nozze di Figaro e del massimo
successo raccolto da Mozart a Vienna. E' il Quartetto K. 499, indicato di solito
con il titolo di Quartetto Ho"meister, dal nome dell'editore che lo pubblicò a
Vienna sempre nel 1786. E' un brano dal tessuto compatto, non privo di
passaggi inquieti o di e!caci sospensioni (individuate dall'uso molto intenso
delle cosiddette cadenze "evitate"), ma sempre ispirato a una atmosfera di
serenità e di concordia "eterea e fiabesca", come ha sostenuto lo storico
Hermann Abert. Il Quartetto K. 575 è stato invece realizzato da Mozart nel
1789 e fa parte di un gruppo di tre lavori commissionati da Federico Guglielmo
II di Prussia (di qui il titolo di Quartetti Prussiani). Il brano è dominato dal
carattere particolarmente curato del materiale melodico, basato su idee ricche
di pathos e ancora riferibili a un contesto sentimentale influenzato dalla
ravvicinata composizione dell'opera Così fan tutte. Più frequente però è
L'emergere di una tinta malinconica, di un'ombra tanto più insinuante ed
e!cace, perché ottenuta con i medesimi e"etti sonori con i quali di solito si
dipingevano la festa e la gaiezza. La gravitazione intorno alll'impianto del re
maggiore ripropone costantemente il riflesso della propria luce e non consente
mai al Quartetto K. 575 di rabbuiarsi del tutto. L'e"etto malinconico deriva
piuttosto dalla promessa di una bellezza che non si rivela, dalla prefigurazione
di una felicità che non si ottiene, dalla tensione verso uno stato di risoluzione
sempre rimesso in questione dal carattere della melodia.

Partendo dunque da una base associativa analoga, i due Quartetti ricevono dal
loro autore una caratterizzazione profondamente diversa, ogni volta
emblematica di un passaggio attraversato da Mozart nello svolgimento del
proprio cammino artistico.

Il Quartetto K. 499 è il primo lavoro di questo genere portato a termine da


Mozart dopo il "lungo e laborioso sforzo" dei sei Quartetti dedicati ad Haydn.
Rispetto a questi ultimi, il Quartetto K. 499 presenta uno stile più libero e
disteso, attento all'equilibrio delle parti, ma meno rigorosamente improntato
all'omogeneità della scrittura strumentale. Anche l'uso del contrappunto è
meno intenso rispetto a quanto avviene negli Haydn-Quartette, mentre la
varietà della struttura armonica del brano sembra persino precorrere il
linguaggio quartettistico di Schubert. Per tutto il brano, inoltre, è la viola lo
strumento più in evidenza nel quartetto, specie quando è spinta verso la
tessitura acuta, come avviene nei primi due movimenti e nel finale.

Il primo movimento, Allegretto, è aperto da una frase discendente che viene


pronunciata all'unisono dai quattro strumenti, un incipit non inconsueto nello
stile mozartiano di quegli anni. L'intero movimento è costruito su questo tema
di apertura, continuamente riproposto in forme che nella loro diversità
sembrano proporre un movimento attraverso la storia, dalla scrittura a canone
sino alle suggestioni preromantiche, passando per l'eleganza della fraseologia
barocca e per il rigore gotico del contrappunto. Un secondo tema compare
durante lo sviluppo, nel quale Mozart arricchisce il tessuto armonico con il
cromatismo e con modulazioni verso tonalità lontane. Il Minuetto che segue
non smentisce l'atmosfera serena che aveva caratterizzato il movimento
precedente e anticipa, nel Trio, il tema del finale. La trama contrappuntistica,
qui particolarmente fitta, assume la forma di un gioco, di un'esibizione
estroversa che non persegue immediate finalità costruttive. E' questa la
caratteristica fondamentale dell'intero brano, uno spirito ludico che ritroviamo
anche nell'Adagio, dove un tema molto ampio e flessuoso conserva i tratti di
un'atmosfera spensierata e brillante, e che giunge all'apice nell'Allegro finale.
Qui Mozart inscena un vero e proprio gioco delle parti fra i due temi che,
esposti l'un contro l'altro dai diversi strumenti, ingenerano e"etti di
asimmetria, di volontario umorismo, provocando soluzioni tematiche e
armoniche impreviste.
Stefano Catucci

Quartetto per archi n. 21 in re maggiore, K 575 "Prussiano n. 1"

https://www.youtube.com/watch?v=SSMYgZiu518

https://www.youtube.com/watch?v=fNnDBKiEt5M

Allegretto (re maggiore)


Andante (la maggiore)
Minuetto e trio. Allegretto (re maggiore)
Rondò. Allegretto (re maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, Giugno 1789
Edizione: Artaria, Vienna 1791

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart scrisse ben 26 Quartetti completi per archi, in cui sono racchiuse le
caratteristiche tecniche e stilistiche del compositore e soprattutto la sua
evoluzione nel fissare le regole di una forma tra le più di!cili di tutti i generi
musicali. Si sa che Mozart mosse inizialmente i primi passi nel dialogo a
quattro per archi tenendo presenti i modelli analoghi conosciuti durante il
viaggio in Italia tra il 1770 e il 1773, a cominciare dalla produzione di
Sammartini. Infatti il primo Quartetto in sol maggiore K. 80 fu composto la
sera del 15 marzo 1770 in una locanda di Lodi e risente dello strumentalismo
da camera italiano: la divisione in tre tempi (si ritiene in questo caso che il
rondò finale sia stato aggiunto posteriormente) e la preponderanza data ai due
violini rispetto alle parti del violoncello e della viola. Non per nulla i quartetti
immediatamente successivi K. 136, 137 e 138, composti a Salisburgo nei primi
mesi del 1772 e chiamati Divertimenti sul manoscritto, e i sei Quartetti K. 155
- 160, che recano il titolo di Milanesi, perché finiti di scrivere nell'autunno
dello stesso anno nella capitale lombarda, si articolano in tre tempi, come nella
sinfonia d'opera italiana: un allegro introduttivo o presto, un andante o adagio
e un minuetto o presto.

Più tardi, a partire dal 1773 e con i sei Quartetti dal K. 168 al K. 173, Mozart
comincia a subire il fascino della lezione di Haydn, considerato senza alcuna
riserva il suo maestro ideale. Dal 1782 in poi e con la pubblicazione nel 1785,
egli scrive la collana dei sei quartetti, che il catalogo del Koechel fa
corrispondere ai. numeri 387, 421, 428, 458, 464 e 465, con quella famosa
dedica datata Vienna e rivolta ad Haydn, dove con estrema umiltà e sincero
rispetto è detto testualmente in italiano: «Al mio caro amico Haydn. Un padre,
avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran mondo, stimò doverli a!dare
alla protezione e condotta di un uomo molto celebre in allora, il quale per
buona sorte era per di più il suo migliore amico. Eccoti del pari, celebre uomo
ed amico mio carissimo, i miei sei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga
e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno in
parte compensata m'incoraggisce e mi lusinga che questi parti siano per
essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso, amico carissimo,
nell'ultimo tuo soggiorno in questa capitale me ne dimostrasti la tua
soddisfazione. Questo tuo su"ragio mi anima soprattutto, perché io te li
raccomandi e mi fa sperare, che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo
favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente ed esser loro padre, guida
ed amico. Da questo momento io ti cedo i miei diritti sopra di essi, ti supplico
però di guardare con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale di padre mi può
aver celati, e di continuar, loro malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto
l'apprezza, mentre son di cuore il tuo sincerissimo amico ».

Nonostante la suggestione del richiamo haydniano, Mozart è tutt'altro che un


imitatore e riesce a dare un'impronta personale ai suoi Quartetti, raggiungendo
una più intima organicità strutturale della forma, pur nella diversità delle varie
voci strumentali. Tale ricchezza di idee e novità di linguaggio lasciò interdetti
naturalmente i contemporanei, i quali si espressero con apprezzamenti poco
favorevoli. Basta leggere, ad esempio, quanto è scritto in una recensione
apparsa nel gennaio del 1787 sulla Wiener Zeitung: «Peccato che Mozart, nel
lodevolissimo intento di diventare un innovatore, si sia spinto troppo lontano e
non certo a vantaggio del sentimento e del cuore. I suoi nuovi Quartetti sono
troppo carichi di spezie e, a lungo andare, nessun palato riesce a tollerarli». La
verità è che con il passare degli anni il palato degli ascoltatori si è fatto più fine
e sensibile e ha preso gusto a tali Quartetti, apprezzandone la ricchezza
melodica e armonica e il profondo lirismo anticipatore di coloriture
romantiche.

Per rendersi conto di come Mozart sia andato più lontano di Haydn nella
invenzione e nella costruzione quartettistica è opportuno ascoltare il Quartetto
in mi bemolle maggiore K. 428, composto durante l'estate del 1783 e ritenuto
tra i più indicativi del nuovo stile del musicista, contrassegnato da una
straordinaria eleganza e fluidità di scrittura, specie nel primo e nell'ultimo
tempo, in cui l'artista sembra superare certi schematismi formali e avventurarsi
in un gioco sonoro più libero e disincantato.

Ma la maturità di Mozart in questo genere di composizione si avverte nei tre


Quartetti K. 575, K. 589 e K. 590, scritti tra il 1789 e il 1790 e appartenenti al
gruppo dei quartetti cosiddetti prussiani, perché commissionatigli dal re
Federico Guglielmo II di Prussia, che si dilettava di violoncello e aveva ospitato
il musicista a Berlino e a Potsdam nella primavera del 1789. Per questa ragione
in tutti e tre i lavori la parte del violoncello spicca accanto a quella del primo
violino, mentre viola e secondo violino si mantengono su un piano di più
contenuta discrezione. In essi, secondo Bernhard Paumgartner, «l'alto livello
dei lavori contemporanei alle grandi sinfonie è costantemente mantenuto.
L'approfondimento passionale e soggettivo cede alla folgorante chiarezza,
all'estrema eleganza del porgere, alla sublime ra!natezza espressiva del canto
e dell'armonizzazione».

Un senso di felicità creativa si sprigiona sin dal primo movimento del Quartetto
K. 575, il cui tema principale così cordialmente espansivo si sviluppa tra
molteplici risvolti armonici di piacevole e"etto musicale. L'Andante è costruito
su una frase dolcemente cantabile, sul tipo della romanza; la tessitura
melodica presenta una certa analogia con i Lied per canto e pianoforte K. 476
«Das Veilchen» (La violetta), su testo di Goethe. Il Minuetto sorprende per la
singolarità degli accenti ritmici, così frizzanti nella loro mutevolezza sonora. Il
Trio è contrassegnato da una tenera melodia nella tessitura alta del violoncello.
Il finale è un rondò il cui tema viene ampliato e variato ad ogni ripresa secondo
il gusto inventivo autenticamente mozartiano. E pensare che i Quartetti
prussiani erano costati tanta fatica a Mozart: lo scrisse lo stesso compositore
al fedele amico Puchberg, quando, costretto dalla necessità e tormentato dalla
cattiva salute, si vide costretto a cederli per una somma irrisoria di denaro
all'editore Artaria di Vienna.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel trattato sull'Estetica dell'arte musicale scritto negli anni Ottanta del
Settecento, ma pubblicato solo nel 1806, il teorico e musicista Christian
Friedrich Daniel Schubart ordinava le diverse tonalità in un sistema di
associazioni emotive. Seguendo gli esempi di una trattatistica preesistente,
Schubart procedeva da alcuni principi generali in base ai quali egli distingueva
tonalità "neutre", adeguate alla ra!gurazione dell'innocenza e della semplicità,
e tonalità "colorate". Queste ultime potevano adattarsi all'espressione di
sentimenti di forza e di fierezza, se prevedevano diesis in chiave, oppure alla
rappresentazione di stati d'animo particolarmente malinconici, se invece erano
contrassegnate dai bemolle. Procedendo dal generale verso il particolare,
Schubart trattava poi ogni singola tonalità e suggeriva associazioni di idee che,
se non possono certo guadagnare la dignità di una regola, sono comunque
ispirate dall'osservazione della letteratura musicale della sua epoca e
rispecchiano un modo di pensare allora molto radicato. Le associazioni
indicate da Schubart possono essere di aiuto per la comprensione e
l'interpretazione dei brani dai quali furono motivate, possono renderne più
accessibile il senso.
Nel contesto individuato da Schubart, la tonalità di re maggiore era la più
brillante, ma anche quella con la quale potevano più facilmente trovar voce
l'adulazione, l'inganno o la volontà di mascherare i propri sentimenti. In
ambito orchestrale l'uso del re maggiore dava luogo a una particolare vivacità e
si prestava all'impiego degli strumenti "da fanfara", ovvero dei corni, delle
trombe e delle percussioni. Per questo era indicata per le occasioni di festa,
per le cerimonie, come lo stesso Leopold Mozart scrisse al figlio Wolfgang nel
1782, con la raccomandazione di scrivere proprio in re maggiore una Serenata
per la famiglia Ha"ner, di Salisburgo, brano che in seguito sarebbe stato
trasformato nella Sinfonia K. 385. Congeniale agli strumenti ad arco a causa
della posizione delle mani, la tonalità di re maggiore acquistava in ambito
cameristico un tratto più ambiguo, meno unilateralmente festoso. La superficie
brillante del timbro sonoro poteva lasciarsi increspare da un diverso modo di
elaborazione della melodia, da un fraseggio più sinuoso e meno a"ermativo,
portando verso la dimensione di un'espressione più intima e raccolta, più
frequentemente percorsa da dubbi e ripensamenti.

Con i suoi due unici Quartetti per archi composti nella tonalità di re maggiore,
Mozart percorre entrambe le strade associate a quella tonalità, in momenti che
corrispondono in parallelo all'evolversi del suo linguaggio. Il primo dei due
Quartetti risale al 1786, ovvero al periodo delle Nozze di Figaro e del massimo
successo raccolto da Mozart a Vienna. E' il Quartetto K. 499, indicato di solito
con il titolo di Quartetto Ho"meister, dal nome dell'editore che lo pubblicò a
Vienna sempre nel 1786. E' un brano dal tessuto compatto, non privo di
passaggi inquieti o di e!caci sospensioni (individuate dall'uso molto intenso
delle cosiddette cadenze "evitate"), ma sempre ispirato a una atmosfera di
serenità e di concordia "eterea e fiabesca", come ha sostenuto lo storico
Hermann Abert. Il Quartetto K. 575 è stato invece realizzato da Mozart nel
1789 e fa parte di un gruppo di tre lavori commissionati da Federico Guglielmo
II di Prussia (di qui il titolo di Quartetti Prussiani). Il brano è dominato dal
carattere particolarmente curato del materiale melodico, basato su idee ricche
di pathos e ancora riferibili a un contesto sentimentale influenzato dalla
ravvicinata composizione dell'opera Così fan tutte. Più frequente però è
L'emergere di una tinta malinconica, di un'ombra tanto più insinuante ed
e!cace, perché ottenuta con i medesimi e"etti sonori con i quali di solito si
dipingevano la festa e la gaiezza. La gravitazione intorno alll'impianto del re
maggiore ripropone costantemente il riflesso della propria luce e non consente
mai al Quartetto K. 575 di rabbuiarsi del tutto. L'e"etto malinconico deriva
piuttosto dalla promessa di una bellezza che non si rivela, dalla prefigurazione
di una felicità che non si ottiene, dalla tensione verso uno stato di risoluzione
sempre rimesso in questione dal carattere della melodia.

Partendo dunque da una base associativa analoga, i due Quartetti ricevono dal
loro autore una caratterizzazione profondamente diversa, ogni volta
emblematica di un passaggio attraversato da Mozart nello svolgimento del
proprio cammino artistico.

Il Quartetto K. 499 è il primo lavoro di questo genere portato a termine da


Mozart dopo il "lungo e laborioso sforzo" dei sei Quartetti dedicati ad Haydn.
Rispetto a questi ultimi, il Quartetto K. 499 presenta uno stile più libero e
disteso, attento all'equilibrio delle parti, ma meno rigorosamente improntato
all'omogeneità della scrittura strumentale. Anche l'uso del contrappunto è
meno intenso rispetto a quanto avviene negli Haydn-Quartette, mentre la
varietà della struttura armonica del brano sembra persino precorrere il
linguaggio quartettistico di Schubert. Per tutto il brano, inoltre, è la viola lo
strumento più in evidenza nel quartetto, specie quando è spinta verso la
tessitura acuta, come avviene nei primi due movimenti e nel finale.

Il Quartetto K. 575 rispecchia un momento nel quale Mozart, tornato a


confrontarsi con il genere della musica da eseguire "in società", culturalmente
ispirata ai soggetti e agli a"etti più convenzionali, abbandona, il gesto nobile e
cavalleresco che aveva caratterizzato i Concerti per pianoforte e orchestra, per
abbandonarsi a un tipo di espressione più intima e riservata. Secondo i
desideri del committente, Mozart assegnò un ruolo di primo piano al
violoncello, talvolta portato a dignità quasi solistica. Tale preminenza
contribuisce a rendere più plausibile l'atmosfera ombrosa del Quartetto K. 575.
Il tema di apertura è già basato su un motivo cantabile: dal tono ambivalente,
dal quale vengono generati in alternanza passaggi tendenti al patetico o
momenti di volitiva energia. Anche in questo caso, l'intero movimento si basa
sulle varianti cui dà luogo l'elaborazione del primo tema. La medesima
oscillazione espressiva e una analoga costruzione "cellulare", derivata dagli
elementi melodici esposti nelle frasi di apertura, si trova anche nei movimenti
successivi, compreso il finale. In questo, anzi, l'unità espressiva del Quartetto è
garantita in modo particolarmente evidente dalla ricomparsa di frammenti
tematici già esposti nei movimenti precedenti. Qui tuttavia la brillantezza
propria della tonalità di re maggiore prende lentamente il sopravvento, a mano
a mano che l'autore sviluppa uno stile contrappuntistico molto libero.

Stefano Catucci

Quartetto per archi n. 22 in si bemolle maggiore, K 589 "Prussiano n. 2"

https://www.youtube.com/watch?v=hW6YZ_AZX80

https://www.youtube.com/watch?v=kk89E0jkXE4

Allegro (si bemolle maggiore)


Larghetto (mi bemolle maggiore)
Minuetto e trio. Moderato (si bemolle maggiore)
Allegro assai (si bemolle maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, maggio 1790
Prima esecuzione: Vienna, abitazione di Mozart, 22 maggio 1790
Edizione: Artaria, Vienna 1791

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Gli ultimi anni del grande salisburghese hanno attirato spesso l'attenzione dei
biografi, per una somma di vicende esterne ed interne, contrassegnate
dall'assillante mancanza di denaro e da una intensa attività creatrice tra opere
teatrali, oratoriali, musiche di "consumo" (Minuetti, Controdanze, Ländler ecc.)
e cameristica. Appartengono a questa estrema stagione creativa gli ultimi
Quartetti per archi, K. 575, 589 e 590, detti "prussiani" per essere nati su
commissione di Federico Guglielmo II, re di Prussia, che in verità ottenne solo
tre dei sei Quartetti desiderati. Wolfgang a sua volta ne ottenne vantaggi
sociali e finanziari minori di quelli su cui contava: un cofanetto con 100
monete d'oro e un "regale" biglietto di ringraziamento.

A distanza di un anno dalla composizione del Quartetto K. 575, il primo dei


Prussiani, Mozart porta a compimento il Quartetto in si bemolle maggiore K.
589 entro la fine di maggio 1789. Nulla traspare delle penose condizioni di
vita in cui Wolfgang si dibatte, e vien giusta l'osservazione che davvero "Mozart
non si occupa di sé, piuttosto è assorto in ciò per cui è nato" (Samuel Bellow in
una conferenza per il centenario della morte): il suo genio incommensurabile
sembra vivere di vita propria, ad latere, quasi contro la natura biologica del
suo esistere. È qui che si annida l'immagine del Mozart-enigma, su cui gran
parte dei biografi e critici si so"ermano.

Nel caso precipuo del Quartetto in programma questa sera c'è da rilevare
l'arricchimento della scrittura polifonico-contrappuntistica, conseguente alla
riscoperta della lezione bachiana - sulla scorta della missione restauratrice del
barone Gottfried van Swieten - insieme a una più intensa tramatura del gioco
tematico. Tra l'altro è significativo che l'incipit tematico che apre questo
Quartetto assurge a nucleo tematico del Rondò Finale, seppur ritmicamente
variato, e altrettanto si riscontra nei movimenti estremi degli altri due Quartetti
Prussiani. Un ulteriore elemento distintivo che accomuna questo ciclo di
Quartetti è d'indole per così dire "somatica": il tema è in tutti enunciato dal
violoncello, con una stesura virtuoslstica, e la presenza di questo strumento è
quasi paritetica rispetto a quella degli altri archi - un cortese, per non dire
doveroso, atto di riconoscimento a favore del regale committente e del suo
hobby di dilettante violoncellista, secondo il costume culturale settecentesco.

Tutti e quattro i movimenti di questo Quartetto seguono la costruzione formale


e la tessitura tonale consacrata anche dalla stessa "poetica" mozartiana,
immersa però in un clima di sereno svolgimento d'eloquio, ossia senza i
turbamenti, il pathos e le espansioni stilistico-tonali che costellano i sei
Quartetti dedicati ad Haydn, composti pochi anni prima. Dal che si dimostra
ancora una volta che il demone della musica in Mozart impone i suoi primari,
imprescindibili diritti, qualsiasi sia l'occasione che lo stimoli, che lo solleciti.
Prodigioso ed enigmatico demone che, secondo un grande teologo
protestante, "esprime ogni cosa per quello che è, semplicemente tracciando
dei limiti. Questo rende la sua musica bella, benefica, commovente. Non ne
conosco altre di cui si possa altrettanto dire". (K. Barth)

Guido Turchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Gli ultimi quartetti composti da Mozart sono i tre detti "Prussiani" (K. 575, K.
589, K. 590) del 1789-90. La genesi di questi tre ultimi lavori (e quindi il loro
soprannome) va fatta risalire al viaggio di un paio di mesi intrapreso nell'aprile
1789 insieme al principe Karl Lichnowsky, suo amico, allievo e confratello
massone, alla volta di Berlino, con puntate a Praga, Dresda e Lipsia. Mettendosi
in viaggio Mozart sperava soprattutto di riuscire a ottenere qualche incarico
dal re di Prussia Friedrich Wilhelm II, amante della musica e buon violoncellista
dilettante; ma non fu così.

È vero che si è sempre a"ermato che in quell'occasione il re gli avrebbe


commissionato sei quartetti per archi ad uso personale e sei sonate facili per il
pianoforte ad uso della sua primogenita, la principessa Friederike;
a"ermazione confortata unicamente da quanto lascia intendere Mozart in un
passo di una lettera scritta nel luglio del 1789 all'amico e confratello massone
Michael Puchberg. Ma è vero anche che non solo non ci è rimasta una sola
testimonianza che provi l'e"ettiva esistenza di questa commissione regia, ma è
quantomeno curioso che l'unica fonte primaria che ci consente d'ipotizzarla sia
una lettera in cui Mozart chiede per l'ennesima volta un prestito all'amico. Una
situazione, insomma, in cui quella commissione significava il preludio di una
futura entrata per Mozart e si poneva dunque per Puchberg come garanzia del
prestito: «intanto anche le due dediche mi procurano qualcosa; [...] di
conseguenza lei con me non rischia niente». Quel che è certo è che prima
ancora di rientrare a Vienna Mozart aveva iniziato a lavorare a due Quartetti (K.
575 e K. 589); e nel catalogo tematico delle sue opere annotò, accanto
all'incipit del Quartetto K. 575, «per sua Maestà il re di Prussia».
Si può ipotizzare quindi che non ci sia stata alcuna commissione regia, ma solo
un'intenzione di dedica ideata da Mozart e poi abbandonata. Cosa che viene
confermata da un altro elemento fondamentale: la musica.

Si è detto che il re di Prussia era un buon violoncellista: in e"etti nel Quartetto


K. 575 e nei primi due movimenti del K. 589, composti nel giugno del 1789,
subito dopo il viaggio a Berlino, il violoncello assume un ruolo protagonistico,
bilanciato da frequenti sortite solistiche degli altri tre strumenti. Rinunciando
alla straordinaria sapienza nell'amalgamare perfettamente i quattro strumenti,
raggiunta con fatica nei sei lavori dedicati ad Haydn, Mozart sceglie di
avvicinarsi al genere assai più disimpegnato del quartetto concertante. Ma
negli ultimi due tempi del K. 589 e nel Quartetto K. 590, composti un anno
dopo, nel maggio-giugno del 1790, il predominio del violoncello diminuisce
considerevolmente e lo stile torna a farsi più simile a quello dei sei Quartetti
dedicati ad Haydn: il re di Prussia, evidentemente, non era più il destinatario
ideale di queste musiche.

A questo punto Mozart abbandonò definitivamente il quartetto per archi e quei


tre lavori nati sulla scia del viaggio a Berlino del 1789 furono pubblicati a
Vienna da Artaria, senza alcuna dedica, alla fine del dicembre 1791, quando il
loro autore era morto da pochi giorni. Dopo il 1790, nel suo ultimo anno di
vita, Mozart non avrebbe scritto più quartetti; ma ancora nell'autunno di
quell'anno, fino alla partenza di Haydn per Londra, i due suonarono spesso
insieme i quartetti e i quintetti di Mozart e gli ultimi lavori di Haydn.

Come detto, il Quartetto K. 589, presenta due volti distinti: al rilievo assunto
dal violoncello nei primi due movimenti si contrappone la maggiore
omogeneità di scrittura degli ultimi due tempi: curiosa è la struttura
asimmetrica del Menuetto (Moderato) fagocitato da un Trio di dimensioni quasi
doppie; ricco di fascino è l'Allegro assai conclusivo che nella sua folgorante
brevità attinge di nuovo alla sapienza contrappuntistica dei lavori dedicati ad
Haydn.

Carlo Cavalletti

Quartetto per archi n. 23 in fa maggiore, K 590 "Prussiano n. 3"

https://www.youtube.com/watch?v=NN0ZKZ274t4

https://www.youtube.com/watch?v=ntZ8i4ZhfAE

Allegro moderato (fa maggiore)


Andante (do maggiore)
Minuetto e trio. Allegretto (fa maggiore)
Allegro (fa maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Vienna, giugno 1790
Edizione: Artaria, Vienna 1791

Guida all'ascolto (nota 1)

Dopo i sei Quartetti "Haydn" Mozart ebbe occasione di ritornare al quartetto


d'archi nel 1786, con K. 499 (Quartetto detto "Ho"meister" dal nome del primo
editore) e poi nel 1789/90 con i tre Quartetti detti "Prussiani", K. 575, 589,
590. L'origine di queste tre composizioni è stata messa in relazione con il
viaggio compiuto dall'autore nell'aprile-maggio 1789 a Praga, Dresda, Lipsia,
Potsdam, e Berlino, al seguito del principe Karl Lichnowsky. Nella capitale
prussiana Mozart si presentò a corte e potrebbe essere stato invitato a
comporre qualche quartetto per il re Federico Guglielmo II, che era
violoncellista dilettante. Infatti il compositore accenna a quartetti e sonate in
corso di stesura per la corte prussiana in una lettera all'amico Puchberg; ma
tale accenno potrebbe essere stato inserito per rassicurare Puchberg sui debiti
contratti da Mozart. Fatto sta che i primi due Quartetti "Prussiani" ebbero i
primi abbozzi già sulla strada del ritorno a Vienna, il Terzo Quartetto, K. 590,
vide la luce solo un anno più tardi, e fu venduto da Mozart «a un prezzo
irrisorio, solo per potere avere in mano qualche soldo». I tre Quartetti furono
pubblicati postumi senza alcuna dedica al sovrano prussiano.

Tuttavia indizio sicuro della destinazione - se non della commissione - a


Federico Guglielmo II è lo stesso contenuto musicale delle partiture, che
mettono in grande risalto il ruolo del violoncello, certo per compiacere
l'impegno di strumentista del sovrano. Questo rilievo conferito al violoncello,
d'altra parte, doveva ripercuotersi su tutto l'equilibrio strumentale delle
partiture, che in massima parte non si a!dano allo stile dei Quartetti "Haydn"
ma piuttosto mostrano una scrittura meno elaborata e attribuiscono a ciascuno
strumento, per ragioni di simmetria, del materiale melodico. E tuttavia
nell'ultimo tempo del Secondo Quartetto e in quasi tutto il Terzo Mozart
sembra rinunciare a questa nuova melodiosità e fare ritorno al puro stile
"classico"; forse perché aveva nel frattempo rinunciato a dedicare questi ultimi
Quartetti al re prussiano.

L'Allegro moderato iniziale del Quartetto K. 590, comunque, risponde in pieno


alla logica scorrevole, cantabile, alla melodiosità boccheriniana tipica del gusto
imperante alla corte prussiana; caratteristiche queste evidenti dal profilo del
materiale tematico, come dal procedere del discorso, che vede contapposti
dialetticamente primo violino e violoncello, e che attribuisce allo strumento
grave l'entrata del secondo tema. Lo sviluppo è breve e lineare, ma accoglie
anche un complesso gioco contrappuntistico. Più sottile il gioco strumentale
nel tempo lento, un Andante in cui una melodia liederistica tenera ed esitante
viene impreziosita da un accompagnamento scorrevole, che scivola a turno
dall'uno all'altro strumento. Il Minuetto è basato sul contrasto fra le sonorità
sommesse dei due violini all'inizio e quelle aggressive e stridenti subito
seguenti; l'eleganza del Trio si lega alle note ribattute e alle acciaccature del
violino. Il Finale è forse la pagina che più si riporta ai Quartetti "Haydn"; da una
parte troviamo un tema brillante e scherzoso, tipico dei finali di Haydn;
dall'altra la logica del discorso assume ben presto una complessità polifonica e
una imprevedibilità tali da smentire completamente l'assunto del tema,
secondo quella capacità di conciliare il facile ed il di!cile propria dell'ultimo
Mozart.

Arrigo Quattrocchi

Quintetto per archi n. 1 in si bemolle maggiore, K 174

https://www.youtube.com/watch?v=j-68BMs2c1c

https://www.youtube.com/watch?v=MGLBlHOwbww

Allegro moderato (si bemolle maggiore)


Adagio (mi bemolle maggiore)
Minuetto ma Allegretto (si bemolle maggiore) - Trio (fa maggiore)
Allegro (si bemolle maggiore)

Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello


Composizione: Salisburgo, dicembre 1773
Edizione: Traeg, Vienna 1798

Guida all'ascolto (nota 1)

Mozart diede mano al suo primo Quintetto, in si bemolle maggiore (K. 174) a
Salisburgo, nella primavera del 1773 in un momento cruciale della propria
esperienza di autore di musica cameristica; non appena, cioè, dopo avere
concluso la prima serie dei suoi Quartetti, concepiti nell'ambito stilistico e
spirituale di una galanteria italiana già più immaginaria che puntuale, e poco
prima di dare inizio alla seconda, quella sollecitata dalla rivelazione haydniana.
Con tutto ciò, la composizione di un Quintetto dovette rappresentare per il
diciassettenne «Konzertmeister» dell'arcivescovo Colloredo, un impegno meno
gravoso o, come oggi si direbbe, un «problema» facile a risolvere. Mozart
sapeva troppo bene, infatti, che, nel casellario dei «generi» alla cui devozione
era cresciuto non meno che a quella delle Madonne e dei Santi vestiti come
eroi da opera seria e collocati sui rispettivi altari del suo bel Duomo barocco, il
Quintetto occupava una posizione che potremmo definire confidenziale, a
metà strada tra il divertimento, la serenata, la sinfonia; con in più, a solleticare
il suo estro già precocemente votato al sublime gioco del concerto, una certa
quale smanicatura solistica, tipica del primo violino e della prima viola. Già
Boccherini, amabile imperatore d'occidente nel dominio europeo della musica
da camera per archi, (laddove Haydn occupava l'altro e ben più duraturo trono)
aveva coltivato da par suo, accanto al più «dotto» e impegnato Quartetto, sorta
di tesi di laurea per ogni compositore che volesse prodursi con le carte in
regola, il più lieve e svagato Quintetto, scapricciandosi nei galanti conversari
concertanti tra il primo violino e il primo violoncello (suonato dallo stesso
compositore) o la prima viola. Anziché al perfetto equilibrio cameristico
boccheriniano, Mozart preferì adeguarsi al (se così possiamo chiamarlo)
ibridismo stilistico del concittadino Michael Haydn, il minor fratello di Franz
Joseph e il solo che potesse in quel momento o"rire al giovanissimo
competitore dei modelli da imitare. Il primo Quintetto nasce così in un clima di
tranquillo compromesso con la serenata e il divertimento, «generi» nei quali
Mozart già si era fatta la mano, e la sinfonia di tipo «milanese», anch'essa
ampiamente sperimentata. Ma neppure BoCcherini viene trascurato:
boccheriniani, nel primo tempo, sono i sistematici scambi tematici tra primo
violino e prima viola, mentre gli altri strumenti fanno da sfondo. Senonchè
l'intimità e la delicatezza squisitamente cameristiche dei Quartetti «milanesi»
ed anche le loro occasionali ma siritomatiche incidenze «dotte» sono
accantonate per una scrittura più brillante e chiassosa, più che tollerante di
un'eventuale dilatazione «ad libitum» dell'organico strumentale. Anche lo
squisito Adagio con sordini, nonostante una maggior animazione del dialogo
tra i cinque archi, e più il Minuetto, con i suoi e"etti d'eco, tipici della serenata,
risentono di codesta atmosfera en plein air; mentre alla sinfonia fanno più
pensare la vastità d'impianto, e l'ambiziosa elaborazione del Finale in forma
sonata, alle cui architetture concorrono tre fondamentali elementi tematici. Si
tratta della parte più importante del giovanile Quintetto: consapevole di ciò,
Mozart volle in seguito rielaborarla profondamente e arricchirla di una vigorosa
coda, ciò che avvenne dopo l'esperienza haydniana dei Quartetti K. 168 - 173.

Giovanni Carli Ballola

Quintetto per archi n. 2 in do minore, K 406 (K 516b)

https://www.youtube.com/watch?v=qk0MV_cJfvQ

https://www.youtube.com/watch?v=pGe4o2jk2-E
Allegro (do minore)
Andante (mi bemolle maggiore)
Minuetto in canone e trio (do minore)
Trio in canone al rovescio (do maggiore)
Allegro (do minore)

Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello


Composizione: Vienna, Primavera 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Trascrizione della Serenata per fiati K 388

Guida all'ascolto (nota 1)

Dalla fretta e da uno spirito di compromesso generalmente contrario all'intima


natura musicale di Mozart doveva nascere, nella primavera 1787, il Quintetto
in do minore K. 406; ma sarebbe più esatto dire rinascere sotto nuova veste,
giacché tale composizione esisteva già nel 1782 nella sua originaria
dimensione timbrica di Serenata per 2 oboi, 2 clarinetti, 2 corni e 2 fagotti
(K.388). Si tratta di uno dei rarissimi esempi, e senza dubbio il più insigne, di
autotrascrizione reperibile nel catalogo mozartiano della musica strumentale, il
quale (a di"erenza di quello beethoveniano, che abbonda di duplicati del
genere) pare quasi ignorare tale «risorsa del mestiere» tra le più praticate e
redditizie dell'artigianato musicale sette-ottocentesco. Tra i progetti non
andati in porto degli anni estremi, vi era forse quello di approntare una serie di
sei Quintetti da dedicare, insieme con un'altra di sei Quartetti, rimasta essa
pure incompleta (i cosiddetti Quartetti «prussiani» K. 575, 589, 590) al Re di
Prussia Friedrich Wilhelm III, dilettante violoncellista; e la trascrizione della
Serenata per fiati K. 388 giunse opportuna a «far numero». Naturalmente
Mozart scelse giusto, conferendo nuova veste timbrica ad un capolavoro che
già travalicava i limiti storici della Serenata per fiati: anche se l'oscuro
drammaticismo di tale opera con i suoi preziosi particolari di scrittura e
soprattutto il suo unico e definitivo colore, così legato all'impressionante,
progressiva tensione patetica delle variazioni conclusive e alle aggressive
asperità polifoniche del Minuetto e Trio in canone, non potè non risultare
sfocato e illanguidito sotto il nuovo e sia pur ovviamente magistrale
travestimento.

Giovanni Carli Ballola

Quintetto per archi n. 3 in do maggiore, K. 515

https://www.youtube.com/watch?v=VI7WBFPqTWg
https://www.youtube.com/watch?v=wlF_6XhAzBQ

https://www.youtube.com/watch?v=9C2pxoUc3Ls

Allegro (do maggiore)


Minuetto e trio. Allegretto (do maggiore)
Andante (fa maggiore)
Allegro (do maggiore)

Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello


Composizione: Vienna, 19 aprile 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1789

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Sembra che Franz Joseph Haydn - personaggio fondamentale nella storia del
quartetto per archi e autore, più in generale, di una sterminata produzione
cameristica - a chi gli chiedeva perché non avesse mai scritto quintetti per
archi rispondesse candidamente: «Nessuno me li ha mai chiesti». Questa
semplice giustificazione, che alcuni portano ad esempio lampante del modus
operandi del compositore di corte settecentesco, in realtà è valida fino a un
certo punto. Neanche a Mozart - per quanto ne sappiamo - fu mai chiesto
espressamente di scrivere quintetti, eppure compose cinque lavori originali del
genere e adattò per questo particolare organico una sua Serenata per fiati.

In e"etti al tempo di Haydn e Mozart anche il quintetto per archi era un genere
nuovo che faticava non poco a ritagliarsi un suo spazio a fianco del quartetto,
che invece proprio in quegli anni si andava imponendo come la forma principe
della musica da camera. Al compositore in procinto di scrivere un quintetto si
presentavano due alternative per integrare la formazione del quartetto:
aggiungere una seconda viola o aggiungere un secondo violoncello.
Tralasciando Myslivecek - i cui Quintetti, pubblicati a Parigi nel 1768, erano in
realtà trascrizioni delle sue Sinfonie concertanti op. 2 - i primi autori a
dedicarsi al quintetto per archi, al principio degli anni Settanta, furono Michael
Haydn a Salisburgo e - sorpresa - Luigi Boccherini in Spagna. Boccherini,
violoncellista, fra il 1771 e il 1795 compose ben 113 Quintetti con due
violoncelli (e proprio uno di questi, il Quintetto in mi maggiore op. 13 n. 5,
contiene il famigerato Minuetto), quindi, tra il 1797 e il 1802, scrisse i suoi soli
24 Quintetti con due viole. Invece Michael Haydn e poi Mozart preferirono
decisamente la forma con due viole.
L'interesse di Mozart per questa singolare formazione cameristica era dovuto
probabilmente proprio al rilievo assunto dal timbro della viola, strumento a lui
particolarmente caro, e ai possibili giochi simmetrici tra le due coppie di violini
e di viole, unite o contrapposte al violoncello. Proprio grazie a queste possibili
simmetrie la scrittura a cinque parti gli si presentava assai più agevole e
naturale di quella a quattro, nella quale per sua stessa ammissione - per
quanto ci possa sembrare inimmaginabile l'idea di un Mozart "in di!coltà" nel
comporre - riuscì a conquistare la piena maturità solo attraverso «una lunga e
laboriosa fatica». Tuttavia i sette frammenti per quintetto d'archi a noi
pervenuti, risalenti tutti al periodo 1787-1791, testimoniano la cura e lo studio
dedicati da Mozart anche a questo genere.

A parte un isolato esordio giovanile - il Quintetto in si bemolle maggiore K.


174 composto a Salisburgo nel 1773 sotto l'influenza di Michael Haydn - il
rapporto di Mozart con il quintetto d'archi si è consumato tutto proprio negli
ultimi cinque anni della sua vita. La serie si apre con il Quintetto in do
maggiore K. 515 e il Quintetto in sol minore K. 516, scritti nell'arco di poco più
di un mese nell'aprile-maggio del 1787 (il fatto di comporre quasi
simultaneamente due lavori dello stesso genere l'uno in tonalità maggiore,
l'altro in minore è ricorrente nel Mozart della maturità: si pensi ai Concerti per
pianoforte in re minore e do maggiore, K. 466 e K. 467, del febbraio-marzo
1785, a quelli in la maggiore e do minore, K. 488 e K. 491, del marzo 1786, e,
soprattutto, alle due ultime Sinfonie, K. 550 e K. 551, nelle medesime tonalità
dei Quintetti, sol minore e do maggiore, del luglio-agosto 1788). Servendosi di
un denso stile contrappuntistico, di frequenti cromatismi e modulazioni ai toni
lontani, di ricche strutture ritmiche, Mozart sperimenta tutte le possibili
combinazioni dei cinque strumenti in gioco, dando vita a due opere di notevole
ampiezza e complessità.

Caratteristiche che nel Quintetto K. 515 risultano evidenti non solo nelle
dimensioni complessive del brano (si tratta del più lungo brano cameristico
mozartiano in quattro movimenti), ma, nell'Allegro iniziale, nell'estensione
irregolare del primo tema (cinque battute invece delle tradizionali quattro) che
viene ripetuto tre volte, nelle modulazioni a cui viene sottoposto fino ad
approdare al remoto do minore, e nella densa scrittura contrappuntistica.
Anche se il manoscritto mozartiano prosegue con un Andante, l'edizione a
stampa lo fa precedere da un Minuetto caratterizzato anch'esso da complesse
strutture ritmiche (frasi di dieci battute) e da un notevole cromatismo, mentre
l'Andante è incentrato su un intenso dialogo dal tono doloroso tra il violino e la
viola. Il Quintetto si chiude con un ampio Allegro contrappuntistico, nella
forma mista di rondò e forma-sonata tante volte utilizzata da Mozart nei
movimenti conclusivi.
Per quanto ci è dato sapere, né il Quintetto in do maggiore né il suo gemello in
sol minore, che noi oggi consideriamo tra i massimi capolavori in campo
cameristico, furono scritti su commissione. Nell'aprile del 1787, mentre
lavorava al Don Giovanni, Mozart si trovò in gravi di!coltà economiche e per
trarsi d'impaccio decise di mettere momentaneamente da parte l'opera per
scrivere rapidamente «un paio di cose da pubblicare». Il fatto che la sua scelta
sia caduta sull'insolito genere del quintetto per archi (piuttosto che su quelli,
assai più graditi ai dilettanti - e quindi vendibili - della sonata e delle
variazioni per pianoforte o per violino e pianoforte) e che il livello di
complessità tecnica e artistica dei due straordinari Quintetti che ne nacquero
trascenda completamente le possibilità e le aspettative del più volenteroso dei
dilettanti fornisce un'ulteriore conferma dell'incapacità di Mozart di adeguarsi
alle richieste di quella che Boccherini chiamava la «speculazione mercantile».
Un'incapacità che negli ultimi anni della sua vita produsse un tragico
scollamento tra lui e il pubblico, che non riusciva a perdonargli - per dirla con
il corrispondente viennese del «Cramers Magazin der Musik» di Amburgo - la
sua «spiccata tendenza per il di!cile e l'insolito». Tanto è vero che, pur
essendo o"erti in sottoscrizione a 4 ducati «corretti e ben scritti» per quasi
due anni nel negozio dell'amico Michael Puchberg, i due Quintetti K. 515 e K.
516 non furono acquistati da nessuno.

Mozart però sembrò non dare troppa importanza a questo insuccesso e poco
dopo riprese la più atipica e sconvolgente delle sue Serenate per fiati - quella
in do minore K. 388/384a - e la trascrisse per quintetto d'archi, dando vita al
Quintetto in do minore K. 406/516b. Quindi concluse la serie dei suoi Quintetti
con il Quintetto in re maggiore K. 593, del 1790, e il Quintetto in mi bemolle
maggiore K. 614, del 1791. Ma la perseveranza di Mozart nel cercare di
promuovere il quintetto per archi non fu ripagata: se il K. 515 e il K. 516
restarono invenduti nel negozio di Puchberg, il K. 406/516b, il K. 593 e il K.
614 - come pure il giovanile K. 174 - furono pubblicati solo dopo la sua
morte. Evidentemente Haydn aveva ragione: nessuno, nella Vienna di quel
periodo, chiedeva quintetti per archi. L'unico che sembrava non saperlo era
Mozart.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il capitolo dei grandi Quintetti mozartiani s'apre infine tra l'aprile e il maggio
del 1787 con due capolavori profondamente a!ni, nella loro diversità di
struttura e di temperie a"ettiva: li accomuna il prodigioso fiotto d'ispirazione
da cui paiono essere sgorgati in uno stato di grazia artistico e di pienezza
espressiva eccezionale per lo stesso Mozart - ed è tutto detto - e non
altrimenti paragonabile se non a quello che guidò la mano del compositore
nella creazione del coevo Don Giovanni. La totalità dell'humanitas mozartiana
si identifica, quindi, nei due volti dell'unica divinità che ha nome fato. Neppur
l'ombra della certezza volontaristica beethoveniana, nell'ampia, quasi gestuale
a"ermazione tonale che apre il primo dei due Quintetti gemelli, quello in do
maggiore K. 515; di già ogni sicurezza viene smentita nell'immediata e
imprevedibile riproposta in do minore del tema, che progressivamente
sprofonda in un remoto re bemolle maggiore per riemergere, poco dopo, in re
maggiore, aprendo la strada alla seconda idea, sinuosa e scorrevole, la cui
forza d'espansione melodica risiede più nel respiro e nel movimento che nella
configurazione intervallare. Primo e secondo tema si suddividono la
responsabilità dello sviluppo, e la ripresa ha termine con un'imponente ed
elaborata coda in forma e con caratteri di «stretto»: non c'era motivo alcuno
perché tali cose, tradizionalmente riservate all'aulico Quartetto secondo l'alto
esempio Haydn, fossero escluse al Quintetto. Il quale, di tutto suo, conserva in
Mozart la caratteristica degli elementi concertanti. Se, infatti, primo violino e
violoncello erano stati i protagonisti del dialogo tematico nel primo tempo,
primo violino e prima viola - dopo l'intermezzo costituito da un Minuetto
intriso di ambigua mestizia - intrecciano le loro voci nell'Andante aperto alle
più soavi lusinghe consolatorie. La letizia liberatrice e"usa dai gruppetti e dalle
volate belcantistiche dei due strumenti in amoroso colloquio non passerà
inascoltata al Beethoven degli ultimi Quartetti, il quale donerà a#ato
trascendentale al tutto umano di Mozart. Ambiguità e mistero stringono da
ogni lato le gioie illusorie del Finale, pullulante di mirabili melodie la cui quasi
provocatoria innocenza è vanificata dalla profondità degli orizzonti elaborativi
che dischiudono immediatamente dietro di sé: come avverrà per la «Jupiter», la
neutra superficie del do maggiore mozartiano non promette facili certezze, ma
cela grandiose incognite.

Giovanni Carli Ballola

Quintetto per archi n. 4 in sol minore, K. 516

https://www.youtube.com/watch?v=-RWsgnZZrZQ

https://www.youtube.com/watch?v=vmPou8cPLjY

https://www.youtube.com/watch?v=AuTietdX1cM

Allegro (sol minore)


Minuetto e trio. Allegretto (sol minore)
Adagio ma non troppo (mi bemolle maggiore)
Adagio (sol minore) - Allegro (sol maggiore)
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: Vienna, 16 maggio 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1790

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Alla formazione del quintetto d'archi Mozart dedicò sei lavori, che per molti
aspetti costituiscono uno dei vertici della sua produzione cameristica, nonché
della intera letteratura strumentale per archi soli. La complessità del contenuto
musicale di questi Quintetti è dovuta al fatto che essi videro la luce in un'epoca
nella quale la musica per soli archi era destinata alla pratica strumentale e
all'ascolto dei cosiddetti "intenditori"; era, insomma, una musica alla quale
veniva "naturalmente" attribuito un contenuto musicale più "alto" ed elaborato
rispetto alla musica da camera con pianoforte o con strumenti a fiato.

I sei Quintetti mozartiani possono essere divisi, per comodità di ragionamento


e anche per circostanze oggettive, in tre diversi gruppi. Un primo gruppo
cornprende i due lavori (K. 174 e K. 406/516b) che, per motivi diversi, non
aderiscono in pieno alla scrittura peculiare del Quintetto d'archi. Un secondo
gruppo si riferisce a due lavori gemelli, K. 515 e 516, che esprimono, a
giudizio dei più, la punta più matura della ricerca dell'autore. I due tardi
Quintetti K. 593 e 614 costituiscono il terzo gruppo. Ad avvicinare opere in
parte anche piuttosto dissimili fra loro è la tipologia dell'organico. A di"erenza
della sterminata produzione quintettistica di Boccherini, o del Quintetto con
due violoncelli di Schubert, i Quintetti mozartiani comprendono, in aggiunta
alla formazione "classica" del quartetto (due violini, viola, violoncello), una
seconda viola; probabilmente a causa della predilezione nutrita dal
compositore per le voci intermedie (non a caso nelle domestiche sedute di
quartetto Mozart suonava la viola).

Ha osservato Charles Rosen che Mozart si dedicò alla formazione del quintetto
«sempre subito dopo avere composto una serie di Quartetti, come se
l'esperienza fatta con quattro strumenti lo avesse messo in grado di accostarsi
a un organico più ricco». La scrittura impiegata nei Quintetti è infatti
essenzialmente simile a quella dei Quartetti; in particolare, nelle opere mature,
Mozart fece uso della scrittura peculiare e quintessenziale dello stile classico,
che presuppone un ruolo egualitario di ogni strumento, ottenuto però non
secondo la totale indipendenza melodica delle voci l'una dall'altra - propria del
vecchio stile contrappuntistico - ma secondo un calibrato dialogo degli
strumenti, che alternano ciascuno reciprocamente la funzione melodica a
quella di accompagnamento, muovendo dall'elaborazione dello stesso
materiale tematico.
Conquistato dopo complesse sperimentazioni, e impiegato per la prima volta
nei sei Quartetti dedicati a Haydn, questo tipo di scrittura rispondeva in modo
eccelso al problema proprio della formazione cameristica per archi: quello di
ricercare una varietà coloristica all'interno di un timbro monocromo. In questa
prospettiva l'organico a cinque strumenti consentiva al compositore una
ricchezza di soluzioni sensibilmente maggiore rispetto a quella del quartetto
(ad esempio due strumenti "melodici" contro tre di "accompagnamento", o
viceversa, nelle più varie combinazioni strumentali). L'uso di un numero
maggiore di strumenti si ripercuoteva anche sulla costruzione interna delle
composizioni, più nitida e articolata. In gran parte al magistrale impiego di
queste caratteristiche "tecniche" spetta il posto occupato dai Quintetti nella
produzione mozartiana: quello dei risultati più compiuti all'interno dello stile
più complesso e ra!nato di una intera civiltà musicale.

Nel gruppo dei Quintetti di Mozart le due partiture che portano al grado di
maggiore complessità le peculiarità della scrittura quintettistica sono i due
Quintetti K. 515 e 516. Nate nel 1787 in vista di una vendita per
sottoscrizione, le due composizioni videro la luce, quando Mozart aveva già
compiuto piena esperienza (con i sei Quartetti dedicati a Haydn e con il
Quartetto "Ho"meister" K. 499) del nuovo stile quartettistico, del quale i nuovi
Quintetti sono - come si è osservato - una applicazione più articolata sotto il
profilo dell'equilibrio strumentale e formale. I due lavori devono essere
considerati come gemelli, dal momento che esplorano, con due risultati distinti
e fra loro complementari, gli stessi principi di grandi ambizioni strutturali e
profondità di contenuti.

Alla luminosa ariosità del Quintetto in do maggiore si contrappone, in quello K.


516, un'impronta so"erta e soggettiva che si esplica nella incisività del
materiale melodico, nel contenuto fortemente cromatico, nella stessa tonalità
di sol minore, impiegata da Mozart sempre con esiti di suprema drammaticità.

Programmatica è la frase di apertura dell'Allegro iniziale, frammentaria,


cromatica e ripiegata su se stessa, variata poi coloristicamente e
strumentalmente. A di"erenza di quanto avviene per solito nei primi tempi in
minore, il secondo tema - un breve inciso lamentoso, che si ripete e si
espande - trova il suo più autentico pathos espressivo già nella sezione della
esposizione, presentandosi, contro tutte le regole, nella stessa tonalità di
apertura; lo sviluppo è breve ma di grande intensità, con serrate imitazioni di
frammenti del secondo tema; in definitiva l'intero movimento appare di una
impressionante coerenza drammatica.

Al Minuetto spetta il compito di rinforzare il clima espressivo del primo tempo,


con il carattere aforistico del materiale tematico, il contenuto cromatico, gli
scarti dinamici; il Trio riprende e converte in maggiore la coda del Minuetto.
L'Adagio ma non troppo ha un carattere intimistico e riflessivo, con l'impiego
delle sordine, le pause e gli «a solo» frequenti, le peregrinazioni armoniche.
Dopo una oscura introduzione guidata dal primo violino (si notino i so"erti
pizzicati del violoncello), l'Allegro finale compie un brusco scarto espressivo,
che sembra contraddire tutto quanto precede; un brillante tema in sol
maggiore dà l'avvìo a un rondò di dimensioni eccezionalmente ampie e di
contenuto apertamente disimpegnato e intrattenitivo. Per questo "tradimento"
il Finale ha suscitato le più aspre critiche, o le più fantasiose e improbabili
dissertazioni, a giustificare un suo presunto contenuto "tragico", consistente
magari in una "falsa indi"erenza" alla drammaticità degli altri tempi. In realtà è
probabilmente sbagliato attribuire contenuti romantici a un simile capolavoro;
occorre piuttosto rifarsi alla concezione classica, che voleva i movimenti
conclusivi di Sonate, Quartetti, Sinfonie, meno impegnativi concettualmente
rispetto a quelli iniziali.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Quintetto K. 516 prende l'avvio da una struttura ritmica ad accordi ribattuti,


carica di a"ermazione tonale e insieme di febbrile dinamismo; la componente
cromatica, fin dalla seconda battuta, vela di languori mortali la trepida melodia
del primo violino, riproposta regolarmente dalla prima viola; la patetica sesta
napoletana di Piccinni, Sacchini e Paisiello vi diviene motto inesorabile. Con
bachiana ostinatezza, Mozart protrae sino all'esasperazione il clima tonale e la
tensione insiti nel materiale tematico assunto, scavandone ogni possibile
derivazione, compreso il regolamentare secondo tema sonatistico: il risultato è
un conplesso melodico dal lunghissimo e ininterrotto respiro invadente tutta la
sezione dello sviluppo e quella della ripresa, sotto lo scandire ininterrotto e
implacato dell' imperativo ritmico: «Lo sento, a quel che provo, che l'ora
suona... la vita era pur sì bella... ma non si può cambiare il proprio destino»,
scriverà quattro anni più tardi Wolfgang a Lorenzo Da Ponte. La tensione
cromatica raggiunge il climax nella coda dell'Allegro e serpeggia più
dissimulata ma non meno corrosiva nel successivo Minuetto, a ragion veduta -
e come già nel Quintetto in Do - collocato subito dopo il primo tempo e non,
come di consuetudine, dopo l'Adagio. La chiusa desolazione di questo raccolto
epicedio (non ci regge il cuore, per dirla col Manzoni, di chiamarlo col suo vero
nome di Minuetto) è resa più impenetrabile dalla rigorosa unitarietà del
materiale melodico impiegatovi: ogni promessa speranza di consolazione è
negata nel Trio in sol maggiore, uno struggente e illusorio maggiore
schumanniano, ricavato per di più, nota per nota, dal tema udito nella prima
parte. Il tragico monolito costituito dai primi due tempi del Quintetto, s'incrina,
nell'Adagio ma non troppo, di un'accorata contemplazione accentuata
dall'estrema soggettivazione delle strutture musicali, tese quasi sempre ad
un'eloquenza assai vicina a quella «certa espressione parlante» attorno cui si
accanì l'ultimo Beethoven. Figlio del proprio tempo, Mozart aveva sin troppo
sentito parlare di imitazione degli e"etti e di sentimenti, anche se tali cose
preferiva lasciare in preda al culturalismo dello Sturrn una Drang, pago, da
parte sua, di scrivere della musica non fatta d'altro che di musica. Ma chi
potrebbe escludere che l'insolita eccitazione gestuale che anima il secondo
tema, palpitante immagine di un intimo a"anno espresso ai limiti della
sensorialità, non sia l'eco, sublimata e interiorizzata dal dolore, di quei sospiri
dei violini in sordina per mezzo dei quali il compositore, negli anni felici del
suo esordio viennese, aveva voluto ra!gurati in note gli a"anni amorosi di
Belmonte? Con un procedimento insolito, Mozart introduce il finale mediante
un Adagio, sorta di arioso intonato dal primo violino con accenti vocalistici
irrigiditi da iterazioni «parlanti» di impressionante incisività. L'ncipit del Rondò
conclusivo, in sol maggiore, giunge di sorpresa, rompendo, come un so!o
d'aria pura, ma non dissipando l'opprimente angoscia del preambolo. E non v'è
chi non avverta la sottile disperazione che si cela sotto tanta spensieratezza,
troppo eccitata e troppo ossessiva, invero, per le buone maniere mozartiane.

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Quintetto in sol minore K 516 rappresenta senza dubbio uno dei vertici
assoluti della produzione cameristica mozartiana. Scritto nella palpitante
tonalità di sol minore raccoglie un coacervo di drammaticità e inquietudini
uniti a un'aspirazione alta. I materiali sono raccolti in una scrittura densa,
ra!nata che esalta le potenzialità espressive e tecniche degli archi. Nell'Allegro
spicca il tema principale dal profilo cromatico e discendente, talvolta
"tinteggiato" con il colore della struggente sesta napoletana di Paisiello e
Piccinni, lasciato al violino-viola e sostenuto dialogicamente dal gruppo. Ma
proprio il procedimento di passaggio da esso agli altri elementi tipico della
forma sonata, straordinariamente progressivi, molto ci dicono sulla temperie
che Mozart vuole imprimere alla partitura. Concluso il primo tema esso, infatti,
si trasforma in modo continuo e trapassa prima a una frase conclusiva, poi alla
frase-ponte modulante; gli elementi di quest'ultimo, a loro volta, proseguono e
coincidono con il secondo tema, che viene come "mascherato" dal
mantenimento del tono di sol minore e poi si riverbera, come un'ombra, su
altre tinte; solo lentamente il secondo tema si profila e inizia a distinguersi più
netto, tanto che dopo questo percorso meraviglioso e so"erto si staglia al
caratteristico si bemolle maggiore, il tono relativo maggiore, concluso da un
dardeggianti epilogo e da belle codette. Queste modalità di scrittura molto ci
dicono sulla volontà di allineare i tratti tematici che indicano probabilmente
l'idea di mantenere un parametro comune unico: quello della drammaticità
persino in elementi solitamente antitetici. Dopo che nello sviluppo sono
sfruttati gli elementi motivici sia del primo che del secondo tema attraverso
serrate imitazioni, passi discendenti e in genere una ricerca di ombreggiature
scure (timbri gravi, giochi di dissonanze, dinamiche sferzanti) ecco la libera
ripresa del materiale, ancora ricca di inquietudine e contrasti sonori.

Il Minuetto non rappresenta un momento di discontinuità e conferma il clima


so"erto di fondo con improvvise esplosioni accordali, fosche e tinteggiate
dentro aspri e ricurvi accordi diminuiti, salti, improvvise fermate e ripartenze,
salvo poi finalmente accennare a un illusorio sol maggiore nel canto intonato e
finalmente disteso del Trio, prima della ripresa di un ambiente nuovamente
"patetico" imposto dal ritorno del tema di Minuetto.

Un motivo intenso di preghiera si leva con l'Adagio ma non troppo ed è seguito


da una congerie lenta e progrediente di idee di"erenti, come fossero più voci a
pronunciare più tesi. Vi è un'estrema frammentazione dei motivi, che indica da
una parte una ricerca intimistica e riflessiva, dall'altra, forse, un voluto
divaricarsi di idee. Alcuni temi sono incisi in recitativo, altri sono vera parola
sonora cristallizzata. In questa struttura bipolare suddivisa in due A, con
ritorno del tema della I sezione, le voci sono spesso catapultate all'acuto o al
grave in soliloquio, con e"etti in sordina, frasi peregrinanti che ci restituiscono
l'immagine monolitica di ascetico "percorso". Dentro questo lungo e so"erto
cammino che pare come organizzato in episodi e al tema del "viaggio"
dedicato, giungiamo all'atto finale. Una sorta di porta lo introduce, con un
enigmatico Adagio. Sopra un accompagnamento tutto costruito da un
sostegno di note reiterate e calibrate dal quartetto, il violino primo intona una
melodia cantabile di profonda espressività. Per la particolare atmosfera
sospesa e incantata assomiglia molto ad alcune delle più belle pagine
mozartiane di Adagio orchestrali o anche riferite ai concerti per pianoforte o
altro strumento solista. Attraversata da improvvisi accordi diminuiti,
dissonanze, tonalità minori, la bella melodia si staglia senza recedere, sino a
incontrare un clima più sereno che si dirada, aprendosi e alleggerendosi
ulteriormente nelle ultime battute. E l'inizio del rondò in sol maggiore, che
irrompe come un so!o di vento dopo l'oppressione di un clima stagnante. Un
primo episodio particolarmente ampio e ricco di contrasti è seguito dal ritomo
del refrain principale del rondò, mentre un secondo episodio discorsivo e
brillante altrettanto articolato, separa il materiale dal ritomo definitivo del tema
principale, sino a concludere in modo intenso e trascinante il Quintetto.

Marino Mora

Quintetto per archi n. 5 in re maggiore, K 593

https://www.youtube.com/watch?v=aDt11KRpKBE
https://www.youtube.com/watch?v=7tXKFycIpsI

https://www.youtube.com/watch?v=Z6PFbWPkos0

Larghetto (re maggiore)


Adagio (sol maggiore)
Minuetto e trio. Allegretto (re maggiore)
Allegro (re maggiore)

Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello


Composizione: Vienna, dicembre 1790
Edizione: Artaria, Vienna 1793

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel catalogo delle opere di Mozart la formazione del Quintetto d'archi, con
l'aggiunta di una seconda viola al gruppo classico del Quartetto, è presente
con sei lavori. Quello in re maggiore K. 593 - composto nel dicembre 1790 - è
il penultimo della serie e apre la strada ai capolavori dell'ultimo anno di vita di
Mozart, mettendo a frutto le recenti conquiste cameristiche in una sorta di
"tardo stile" insieme decantato e ricco di nuove implicazioni formali. Rispetto
alla coppia dei Quintetti K. 515 in do maggiore e K. 516 in sol minore, il primo
luminoso e festoso, il secondo drammatico e inquieto, il Quintetto K. 593 si
segnala per una maggiore pensosità, soprattutto negli episodi lenti, nei quali
Mozart sembra voler dar voce ad accorati messaggi dell'anima, e per un uso
tanto severo quanto spontaneo del contrappunto: come se, in una giocosa
astrazione virtuoslstica, ne venissero profusi e insieme cristallizzati senza
artificio i principi costruttivi più naturali.

Il primo movimento si apre con un Larghetto che non ha le semplici funzioni di


una introduzione. Non solo esso anticipa le tensioni armoniche e melodiche
che saranno successivamente sviluppate nel corso dell'Allegro, ma viene anche
integrato nella struttura tematica della forma-sonata ritornando alla fine del
movimento per riequilibrare la veemente espansione del processo tematico
stesso. E questo a sua volta si basa sulla fusione di un principio sonatìstico
classico (il contrasto fra i due temi rispettivamente in re e la maggiore,
originati da elementi dell'introduzione) con le tecniche dell'elaborazione
contrappuntistica, che svela le relazioni fra i due temi fino a prefigurare un
legame: ciò che avviene nella sezione della Ripresa, allorché la riesposizione
dei due temi, prima in minore e poi in maggiore, si svolge per imitazione a
canone, in forma di variazione e con funzioni alternate (il primo tema diviene
secondo, e il secondo primo). A questo punto riappare il Larghetto, come a
sospendere tale singolare processo in un punto di domanda che troverà
risposta solo nell'Adagio che seguirà. In realtà, più che di una risposta si tratta
di una di quelle pagine in cui Mozart sembra porre questioni di
incommensurabile portata e mistero, che hanno in se stesse inizio e fine. La
tonalità di sol maggiore, resa più piena dal movimento interno delle parti,
solenne e corposo, lascerebbe presagire un paesaggio emotivo calmo e sereno.
Ma già alla terza misura il primo violino introduce, con la figurazione del
lamento (discesa per gradi congiunti inframezzata da pause cariche di
tensione), una nota dolorosa, oscura, che si espande a macchia d'olio fino a
sfociare in una sezione in re minore di drammatica cupezza: speranza e
disperazione, lotta e rinuncia trovano accenti di commovente profondità. Il
materiale tematico, ritmico e melodico, deriva chiaramente dal Larghetto
iniziale, che ancor più si rivela essere il cuore pulsante della composizione;
solo che ora il dialogo tra le voci estreme, violoncello e primo violino, è come
impedito dallo sbarramento delle tre voci intermedie, ferreamente bloccate su
un ostinato ribattuto. È un dramma arcano, intenso ed espressivo, quello che
qui si compie: come nel primo movimento, reso più incalzante per mezzo di
varianti contrappuntistiche, di ritorni e metamorfosi continue, e poi
abbandonato al suo destino in un estremo gesto di attesa, che si spegne
evaporando nel congedo irrisolto.

Né il terzo né il quarto movimento di questo straordinario Quintetto si


mantengono alle altezze di concentrazione fin qui toccate. L'esigenza di
compensazione, insita nell'economia dell'ordine classico, richiede una discesa
sulla terra. La tensione accumulata si scioglie nelle movenze aggraziate del
Menuetto il cui tema, con la regolarità delle sue otto battute in 3/4, danza
oscillando tra le figurazioni discendenti del primo violino e quelle ascendenti
dell'accompagnamento. Quando la melodia passa al basso, le altre voci si
intrecciano in un procedimento a canone di assoluta levità e trasparenza,
increspato però dalla permanente presenza di improvvisi scarti dinamici (forte
e piano alternati). Il Trio è un'ennesima variazione, più distesa e rarefatta, dei
motivi del Larghetto iniziale: lo slancio ascensionale sembra prendere
decisamente il sopravvento, anticipando quello che sarà il carattere del Finale.

Fin dalla prima pubblicazione - apparsa nel 1793, dunque dopo la morte di
Mozart, dall'editore viennese Artaria - il Quintetto in re maggiore recava una
misteriosa indicazione: «composto per un Amatore Ongarese». Si trattava di un
ricco commerciante di nome Tost, appassionato melomane e suonatore per
diletto di violino, che Mozart aveva conosciuto nell'ambito della Massoneria.
Questa circostanza esterna aiuta a capire la virata che si compie nel Finale del
Quintetto verso un tono più leggero e d'impronta popolare, "all'ungherese",
secondo la moda del tempo. Una figurazione danzante in 6/8 costituisce lo
spunto del primo tema, elaborato nella forma di un piccolo rondò; una breve
transizione conduce al secondo tema, esposto a canone fra le cinque voci,
dall'acuto al grave; e ancora una volta la forma-sonata si fonde con la tecnica
del contrappunto imitativo. Solo che ora la tensione è scomparsa, e la
combinazione fra primo e secondo tema nella Ripresa palesa una grazia quasi
compiaciuta, che unisce alla sicurezza del mestiere la baldanza di una
giovinezza serenamente ritrovata. Essa non annulla la profondità del sentire: la
rende semplicemente più calda e gioiosa, nell'abbandono del movimento a una
festosa partecipazione.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Alla formazione del quintetto d'archi Mozart dedicò sei lavori, che per molti
aspetti costituiscono uno dei vertici della sua produzione cameristica, nonché
della intera letteratura struhientale per archi soli. La complessità del contenuto
musicale di questi Quintetti è dovuta al fatto che essi videro la luce in un'epoca
nella quale la musica per soli archi era destinata alla pratica strumentale e
all'ascolto dei cosiddetti "intenditori"; era, insomma, una musica alla quale
veniva "naturalmente" attribuito un contenuto musicale più "alto" ed elaborato
rispetto alla musica da camera con pianoforte o con strumenti a fiato.

I sei Quintetti mozartiani possono essere divisi, per comodità di ragionamento


e anche per circostanze oggettive, in tre diversi gruppi. Un primo gruppo
comprende i due lavori (K. 174 e K. 406/516b) che, per motivi diversi, non
aderiscono in pieno alla scrittura peculiare del quintetto d'archi. Un secondo
gruppo si riferisce a due lavori gemelli, K. 515 e 516, che esprimono, a
giudizio dei più, la punta più matura della ricerca dell'autore. I due tardi
Quintetti K. 593 e 614 costituiscono il terzo gruppo. Ad avvicinare opere in
parte anche piuttosto dissimili fra loro è la tipologia dell'organico. A di"erenza
della sterminata produzione quintettistica di Boccherini, o del Quintetto con
due violoncelli di Schubert, i Quintetti mozartiani comprendono, in aggiunta
alla formazione "classica" del quartetto (due violini, viola, violoncello), una
seconda viola; probabilmente a causa della predilezione nutrita dal
compositore per le voci intermedie (non a caso nelle domestiche sedute di
quartetto Mozart suonava la viola).

Ha osservato Charles Rosen che Mozart si dedicò alla formazione del quintetto
«sempre subito dopo avere composto una serie di Quartetti, come se
l'esperienza fatta con quattro strumenti lo avesse messo in grado di accostarsi
a un organico più ricco». Lo scrittura impiegata nei Quintetti è infatti
essenzialmente simile a quella dei Quartetti; in particolare, nelle opere mature,
Mozart fece uso della scrittura peculiare e quintessenziale dello stile classico,
che presuppone un ruolo egualitario di ogni strumento, ottenuto però non
secondo la totale indipendenza melodica delle voci l'una dall'altra - propria del
vecchio stile contrappuntistico - ma secondo un calibrato dialogo degli
strumenti, che alternano ciascuno reciprocamente la funzione melodica a
quella di accompagnamento, muovendo dall'elaborazione dello stesso
materiale tematico.

Conquistato dopo complesse sperimentazioni, e impiegato per la prima volta


nei sei Quartetti dedicati a Haydn, questo tipo di scrittura rispondeva in modo
eccelso al problema proprio della formazione cameristica per archi: quello di
ricercare una varietà coloristica all'interno di un timbro monocromo. In questa
prospettiva l'organico a cinque strumenti consentiva al compositore una
ricchezza di soluzioni sensibilmente maggiore rispetto a quella del quartetto
(ad esempio due strumenti "melodici" contro tre di "accompagnamento", o
viceversa, nelle più varie combinazioni strumentali). L'uso di un numero
maggiore di strumenti si ripercuoteva anche sulla costruzione interna delle
composizioni, più nitida e articolata. In gran parte al magistrale impiego di
queste caratteristiche spetta il posto occupato dai Quintetti nella produzione
mozartiana: quello dei risultati più compiuti all'interno dello stile più
complesso e ra!nato di una intera civiltà musicale.

I due ultimi Quintetti, K. 593 e 614, appartengono all'ultimo anno di vita di


Mozart (rispettivamente al dicembre 1790 e all'aprile 1791) e costituiscono gli
ultimi lavori significativi lasciati dal compositore nell'ambito della musica
strumentale, seguenti di poco il gruppo dei tre Quartetti "Prussiani". Furono
pubblicati da Artaria, circa un anno e mezzo dopo la scomparsa dell'autore,
con la dicitura «Per una amatore ongarese»; il committente ungherese in
questione sarebbe il mercante Johann Tost, già dedicatario di una serie di
Quartetti di Haydn, e forse rivoltosi a Mozart proprio dietro consiglio del
collega più anziano. In e"etti i due Quintetti si accostano maggiormente allo
stile haydniano, per secondare - si è ipotizzato - le attese della committenza.
Entrambi i brani, e in particolare il secondo, hanno deluso quanti vi hanno
ricercato - non senza retorica - le premonizioni della prossima fine dell'autore;
essi mostrano infatti una impostazione brillante, formalmente meno articolata;
ricorrono frequentemente a contrapposizioni concertanti di gruppi strumentali
e chiedono ai solisti un pronunciato impegno virtuosistico: caratteristiche
sensibilmente diverse rispetto ai Quintetti del 1787.

Il Quintetto in re maggiore K. 593 è l'unico ad aprirsi con una introduzione


lenta, un interlocutorio Larghetto col violoncello opposto agli altri strumenti.
Ancorché spesso giudicato «battagliero» (Abert) e «guerresco» (Einstein) il
seguente Allegro mostra un semplice motivo di caccia, che imita le melodie dei
corni e, trasformato, si pone anche alla base della seconda idea tematica;
l'intero movimento si basa su una concezione formale più snella e agile
rispetto ai Quintetti del 1787, ma mostra in compenso una maggiore
complessità polifonica; Mozart fa riapparire inaspettatamente (e
inconsuetamente per i suoi usi) il motivo dell'introduzione subito prima
dell'ultima conclusiva apparizione del motivo di caccia, attribuendo una logica
simmetrica al movimento. Il seguente Adagio si apre con un'impronta
essenzialmente omofona, ma accoglie anche dialoghi a distanza fra violino e
violoncello; si tratta nell'insieme di una pagina di intensa espressività, con
l'uso del cromatismo e una cupa seconda idea in minore. Il Minuetto presenta
un motivo popolare, elaborato a canone già nella sua seconda apparizione; il
Trio ha un carattere dialogante ed è di estrema di!coltà per gli interpreti.
L'uso del contrappunto che figura in tutti i movimenti e apertamente nel terzo,
ha la sua massima celebrazione nel tempo finale, aperto da un motivo
cromatico discendente (che fu corretto apocrifamente sull'autografo in una
figurazione meno ardita ma fino a pochi anni fa ritenuta autentica); con il ritmo
di giga, la configurazione giocosa del materiale, gli intrecci fra gli strumenti,
Mozart dissimula magistralmente il carattere sofisticato dell'elaborazione.

Arrigo Quattrocchi

Quintetto per archi n. 6 in mi bemolle maggiore, K 614

https://www.youtube.com/watch?v=Wk-z4k0a0YE

https://www.youtube.com/watch?v=eQupWpcapr8

https://www.youtube.com/watch?v=rXH7HXw3rUs

Allegro di molto (mi bemolle maggiore)


Andante (si bemolle maggiore)
Minuetto e trio. Allegretto (mi bemolle maggiore)
Allegro (mi bemolle maggiore)

Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello


Composizione: Vienna, 12 aprile 1791
Edizione: Artaria, Vienna 1793

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Con l'ultimo Quintetto, quello in mi bemolle maggiore K. 614, germogliato


nell'ultima primavera mozartiana, i cristalli di gelo si disciolgono in una
ritrovata, stupefatta letizia elisia. Anche le irte barriere difensive delle
complicazioni contrappuntistiche cedono, inaspettatamente, ad una
disarmante semplicità, apparente fin che si vuole e frutto di un sostanziale
magistero che ha raggiunto il vertice della perfezione; ma pur sempre
rivelatrice di una conquista liberatoria della coscienza creativa che ora si
compiace - come nell'Andante - di riandare alla ricerca delle cantilene italiane
sopite nella memoria di un'adolescenza prodigiosa, e di riproporle con candido
coraggio e in nuova veste, intessuta dalla mano del Maestro; o di suscitare, nel
«Trio» del Minuetto, echi di Laendler agresti su pedali di cornamuse. L'Allegro
iniziale, costruito su una minuscola cellula tematica increspata da un trillo,
capace tuttavia di espandersi inaspettatamente nel soavismo secondo motivo,
e il Finale improntato ad un immaginario spirito haydniano nei suoi giochi
polifonici a sorpresa (dove la prima semifrase del tema s'intreccia alla seconda
con spensierata nonchalance), si danno la mano per quella festosa e trepidante
eccitazione ritmica, quell'alata leggerezza, quel tripudio canoro che ha
meritato, non si sa da parte di chi, alla sublime creazione, il felice appellativo
di «Quintetto degli uccelli»: i quali, come è stato scritto, sono «naturalmente le
più liete creature del mondo».

Giovanni Carli Ballola

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Quintetto in mi bemolle maggiore K. 614 data alla primavera del 1791,


ovvero a un periodo in cui Mozart, dopo un silenzio, sembrava aver ripreso la
strada della creatività con il Quintetto K. 593, il Concerto per pianoforte K. 595
e due Fantasie, senza dire della Zauberflöte quasi pronta al debutto. Ed al più
celebre dei Singspiele mozartiani lo accomuna non solo la tonalità di impianto
di mi bemolle maggiore (tonalità per eccellenza massonica con i suoi tre
bemolle in chiave), ma anche certa discorsività, certa leggerezza più apparente
che reale (visto che nasce da una consumatissima esperienza compositiva), il
piglio popolaresco. Dopo le confessioni accorate del K. 516 è come se Mozart
avesse raggiunto più decantati climi spirituali. Tutto è ormai essenzializzato
alla ricerca di una atarassia che schiuda la serenità ed il sorriso. L'Allegro di
molto iniziale è tutto intessuto di idee (con un primo tema ritmico ricco di
mordenti ed un secondo aggraziato, come da commedia) che subiscono un
trattamento elaborativo quasi di spessore sinfonico. Il clima dominante è
disteso con qualche lieve ed episodica increspatura drammatica. L'Andante in
si bemolle, perno espressivo della partitura, è esemplare di uno stile classico
dalle idee chiare e distinte ed è costituito da una serie di saporite variazioni in
cui l'assunto iniziale (forse una reminiscenza dell'aria "Wenn der Freude" del
Ratto dal serraglio) viene arricchito di merlettate trine sonore. Discorsivo e
quasi haydniano il Minuetto che include un Trio quasi danzante dal sapore di
preromantico Ländler popolare. Geniale lo sviluppo del risolutivo Allegro
(Rondò) finale con un tema quasi da Singspiel, dal piglio snello e vivace e dalla
sapiente orditura contrappuntistica. Un giudizio esaustivo lo diede in merito
Massimo Mila che ebbe così a definirlo "trionfo del gioco puro: il dolore ne è
assente, non già l'umanità. Ma questa si è liberata dal suo retaggio di miseria;
svincolata dalla servitù della sua condizione, più non conosce le angustie della
carne, del sangue, del cuore, e giubila smaterializzata nella purezza luminosa
dello spirito". Una rilevante conquista artistica che solo pochi mesi dopo però
Mozart doveva lasciare ai posteri.

Lorenzo Tozzi

6 Fughe a tre voci per trii d'archi, K6 404a

https://www.youtube.com/watch?v=OHAMmyqQupU

https://www.youtube.com/watch?v=k2JHxWqVarc

re maggiore - Adagio (Fuga da BWV 853 di Johann Sebastian Bach)


sol maggiore - Adagio - (Fuga da BWV 883 di Johann Sebastian Bach)
fa maggiore - Adagio - (Fuga da BWV 882 di Johann Sebastian Bach)
fa maggiore; re minore - Adagio - (Adagio da BWV 527 e da BWV 1080 n. 8
di Johann Sebastian Bach)
mi bemolle maggiore - Largo - (Largo ed Allegro da BWV 526 di Johann
Sebastian Bach)
fa maggiore - Adagio - (Fuga di Wilhelm Friedeman Bach (F 31/8))

Organico: violino, viola, basso


Composizione: luglio 1782
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1938

Guida all'ascolto (nota 1)

L'Adagio e fuga in re minore per trio d'archi K. 404a è una delle poche
trascrizioni composte nel 1782 da Mozart a Vienna da brani di Johann
Sebastian Bach. Per essere più precisi, il lavoro è formato da 6 fughe a tre voci,
precedute da 6 adagi, 4 di Mozart e 2 di Bach, trascritte per violino, viola e
violoncello. Le fughe sono ben 5 di Bach, di cui 3 dal Clavicembalo ben
temperato (N. 8, parte I, n. 13 e n. 14, parte II; una dalla Sonata per organo n.
2 e una dall'Arte della fuga, Contrapunctus 8) ,e una di Wilhelm Friedmann
Bach. È una composizione in cui una volta tanto Mozart si diverte ad elaborare
temi altrui in una tessitura armonica e strumentale di elegante fattura, secondo
un classicismo di equilibrata fusione tra le parti.

Composizioni per insiemi d'archi

Divertimento per archi n. 1 in re maggiore, K 136 (K 125a)

https://www.youtube.com/watch?v=7FRYoBy7iT8
https://www.youtube.com/watch?v=1UfylU-Jc00

Allegro (re maggiore)


Andante (sol maggiore)
Presto (re maggiore)

Organico: archi
Composizione: Salisburgo, Febbraio 1772
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Divertimento K. 136 per soli archi, così come gli altri due Divertimenti che
recano i numeri 137 e 138 del catalogo Koechel, fu scritto tra gennaio e marzo
del 1772 a Salisburgo (cinque mesi prima della nomina del musicista a
Konzertmeister, con 50 fiorini annui di stipendio, alla corte dell'arcivescovo
Geronimo di Colloredo) e appartiene quindi alla produzione strumentale di un
Mozart sedicenne, che assorbe e assimila esperienze e stili altrui, specialmente
della scuola barocca e della sinfonia d'opera italiana. Si tratta di composizioni
articolate in tre tempi con Allegri e Andanti alternati, molto vicine al quartetto
e alle sinfonie per archi, senza oboi e corni, e destinate ad una esecuzione da
tenersi sia all'aria aperta, in un elegante cortile o in un giardino di un palazzo
principesco, secondo le abitudini della società feudale e mecenatistica del
tempo, e sia in una sala da concerto vera e propria.

I Divertimenti, come del resto le Cassazioni, le Serenate e le cosiddette


musiche notturne, sono legati al gusto settecentesco di far musica insieme e
riflettono una identica struttura formale, in cui si alternano movimenti di danza
e passaggi solistici e virtuosistici, riservati ad esecutori di talento, ma non
necessariamente eccezionali. Per questa ragione i Divertimenti per archi,
almeno quelli composti nel 1772, (i Divertimenti mozartiani per strumenti a
fiato meriterebbero un discorso a parte per una più libera invenzione e varietà
di e"etti sonori) sono musiche di piacevole ascolto, dalla scrittura semplice e
lineare e dai giochi armonici chiari e precisi, improntati ad un classicismo
sereno e molto equilibrato. Si avverte, è vero, la presenza di uno stile
cameristico di solida fattura e di luminosa civiltà, ma si è ancora lontani dai
modelli del grande Mozart caratterizzati da una inesauribile capacità inventiva
e da una incisiva e personale forza espressiva. Il dato rilevante di questi
Divertimenti è la limpidezza e la trasparenza quartettistica del suono e
l'omogeneità e la fusione del gruppo strumentale, in ubbidienza alle regole di
un discorso musicale accessibile a tutti e senza quei tormenti spirituali e quei
risvolti drammatici che pur esistono nell'arte mozartiana.
Il Divertimento K. 136 si apre con un Allegro brillante e brioso, caratterizzato
da due temi distinti, di cui il secondo è più esteso e significativo del primo,
nell'ambito di un ampio discorso armonico modulato tra le tonalità di mi e di si
minore. L'Andante rispecchia lo stile galante all'italiana ed è formato da tre
soggetti di breve respiro, cui fa seguito un lungo ritornello con il canto del
primo violino in evidenza. Il Presto finale si impone per la sua musicalità
spigliata e spumeggiante, leggermente increspata da un fugato di piacevole
fattura, secondo un gusto di galanteria accademica.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Sotto il nome di Divertimento, nella civiltà musicale del secondo Settecento, si


intendeva un genere compositivo di di!cile definizione; non legato a precise
regole costruttive e al rispetto di un determinato organico strumentale, il
Divertimento poteva essere un brano di dimensioni impegnative o contenute,
a!dato a un solo esecutore o a un cospicuo ensemble da camera. In definitiva
ciò che accomunava sotto uno stesso nome composizioni tanto dissimili era la
loro particolare destinazione d'intrattenimento; in una cittadina di provincia,
come la Salisburgo dei Mozart, ogni famiglia aristocratica o alto borghese
esercitava una piccola azione di mecenatismo - finalizzata a dare lustro alla
propria casata - commissionando ai musicisti locali dei Divertimenti, appunto,
- o delle Serenate, Cassazioni, ecc. - che celebrassero particolari occasioni o
ricorrenze, o anche semplicemente allietassero la vita di tutti i giorni.

Per una simile funzione (anche se l'occasione precisa non ci è nota) furono
verosimilmente creati i tre Divertimenti K. 136/137/138 che Mozart scrisse a
Salisburgo nel corso del 1772, nel breve lasso di tempo (fra gennaio e ottobre)
intercorso fra il ritorno dei Mozart padre e figlio dal secondo dei tre viaggi in
Italia e la loro partenza per l'ultimo di questi viaggi. Si tratta di tre partiture
articolate ciascuna in appena tre movimenti e a!date a un organico che
comprende due parti per violino, una per viola e una per violoncello; con il K.
136 ci troviamo di fronte, in definitiva, a uno dei primi esperimenti tentati da
Mozart nel campo del quartetto per archi (l'unico precedente è il Quartetto K.
80 scritto a Lodi nel 1770), celato sotto il nome di Divertimento per quella
ambiguità terminologica alla quale abbiamo sopra accennato e che era comune
nella prassi musicale settecentesca. D'altra parte tale ambiguità si riflette
anche sull'organico al quale è e"ettivamente destinata la partitura; la scrittura
a quattro parti infatti non si riferisce necessariamente al semplice quartetto
d'archi, ma può implicare il ricorso a un'orchestra da camera. La stessa
definizione di Quartetto per archi veniva impiegata per un tipo di
composizione che, in quel momento, era ancora lontana da quella scrittura
obbligata e concertante che avrebbe fatto del Quartetto il genere nobile per
eccellenza dell'età classica; piuttosto si trattava di un genere derivato dalla
antica Sonata a tre e ad essa ancora legato nel predominio assoluto delle voci
superiori (melodiche) su quelle inferiori (confinate in una funzione di ripieno e
sostegno armonico).

Il contenuto musicale del Divertimento K. 136 rivela chiaramente il travaglio


formativo attraversato da Mozart nell'età dell'adolescenza; il tipo di scrittura
predominante nel brano è quello sopra descritto, di derivazione tipicamente
italiana (e d'altra parte enorme era stato l'arricchimento cognitivo del giovane
durante i viaggi in Italia) ; il primo movimento (Allegro) si snoda agile e
cordiale sugli schemi riconosciuti della Sinfonia italiana, con il serrato dialogo
delle due parti di violino e il discreto accompagnamento di viole e violoncelli; il
centrale Andante svolge con partecipata proprietà il contenuto a"ettuoso e
idilliaco, mentre il Presto suggella il breve brano con fare spigliato e divertito;
ma proprio in quest'ultimo movimento è sorprendente notare l'improvvisa
scrittura contrappuntistica della sezione dello Sviluppo (una chiara influenza
dello stile salisburghese di Michael Haydn), mentre già nel primo tempo il
vasto uso di modulazioni al modo minore (sempre nello Sviluppo) spostava
l'ambientazione espressiva verso traguardi ignoti al disimpegnato gusto
italiano. Nella sua semplicità, insomma, questo Divertimento si rivela risultato
di molteplici suggestioni culturali, e quindi un esempio in nuce di quella
personale rielaborazione di di"erenti modelli che porterà l'enfant prodìge
verso la conquista del proprio superiore linguaggio.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il Divertimento in re maggiore K. 136 fa parte di un gruppo di tre lavori


analoghi, composti a Salisburgo nella primavera del 1772, dopo il ritorno di
Mozart, allora sedicenne, dal secondo viaggio in Italia. La definizione
«Divertimenti» apposta sul manoscritto appare inesatta, giacché questa forma
musicale, destinata principalmente a funzioni d'intrattenimento o di
arredamento sonoro di feste o solennità pubbliche o private, consisteva in
genere di un numero di movimenti abbastanza elevato, comprendente almeno
due Minuetti, mentre nei tre Divertimenti di questo gruppo non figura alcuna
forma di danza. D'altro canto, appare ugualmente impropria la catalogazione
di questi brani fra i Quartetti per archi, da molti ammessa: anzitutto perché
essi sono scritti per due violini, viola e basso, anziché violoncello; e poi perché
nella loro scrittura non si ravvisano i tratti caratteristici dello stile cameristico,
mentre è del tutto ammissibile che le parti strumentali siano state pensate per
le «file» e non per strumenti solisti. Alfred Einstein, nella sua celebre
monografìa mozartiana, dichiara senz'altro trattarsi di tre «Sinfonie per archi,
senza oboi e corni», e avanza addirittura l'ipotesi che Mozart abbia composto
questi Divertimenti o Quartetti orchestrali in previsione del terzo viaggio in
Italia, che avebbe avuto luogo di lì a pochi mesi, e nel quale avrebbe dovuto
completare e rappresentare a Milano il Lucio Siila; secondo l'Einstein, dunque,
questi tre lavori avrebbero dovuto servire da «riserva», nel caso che a Milano
venisse richiesto a Mozart di comporre qualche Sinfonia: senza venir distolto
dalla composizione dell'opera, Mozart non avrebbe dovuto far altro che
aggiungere agli archi, nei tempi estremi dei tre Divertimenti, gli strumenti a
fiato che l'occasione avesse consentito o richiesto, per trovarsi tre piccole
Sinfonie già pronte. Il carattere del Divertimento K. 136 (come anche del terzo
della serie, quello in fa maggiore K. 138), è comunque quello di una Ouverture
all'italiana, scandita nella tradizionale articolazione Allegro-Adagio-Allegro;
senz'altro il più celebre fra i tre, il Divertimento in re scorre con virtuosistico
brio nel primo movimento, per indugiare nell'Andante su un più disteso e
aggraziato lirismo; il Finale si svolge di nuovo con grande concitazione, non
senza qualche ispessimento contrappuntistico.

Daniele Spini

Divertimento per archi n. 2 in si bemolle maggiore, K 137 (K 125b)

https://www.youtube.com/watch?v=j6aCPKQ2KRc

https://www.youtube.com/watch?v=hkYkFvfEVx0

Andante (si bemolle maggiore)


Allegro di molto (si bemolle maggiore)
Allegro assai (si bemolle maggiore)

Organico: archi
Composizione: Salisburgo, Febbraio 1772
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il Divertimento K. 137 per soli archi, così come gli altri due Divertimenti che
recano i numeri 136 e 138 del catalogo Koechel, fu scritto tra gennaio e marzo
del 1772 a Salisburgo (cinque mesi prima della nomina del musicista a
Konzertmeister, con 50 fiorini annui di stipendio, alla corte dell'arcivescovo
Geronimo di Colloredo) e appartiene quindi alla produzione strumentale di un
Mozart sedicenne, che assorbe e assimila esperienze e stili altrui, specialmente
della scuola barocca e della sinfonia d'opera italiana. Si tratta di composizioni
articolate in tre tempi con Allegri e Andanti alternati, molto vicine al quartetto
e alle sinfonie per archi, senza oboi e corni, e destinate ad una esecuzione da
tenersi sia all'aria aperta, in un elegante cortile o in un giardino di un palazzo
principesco, secondo le abitudini della società feudale e mecenatistica del
tempo, e sia in una sala da concerto vera e propria.
I Divertimenti, come del resto le Cassazioni, le Serenate e le cosiddette
musiche notturne, sono legati al gusto settecentesco di far musica insieme e
riflettono una identica struttura formale, in cui si alternano movimenti di danza
e passaggi solistici e virtuosistici, riservati ad esecutori di talento, ma non
necessariamente eccezionali. Per questa ragione i Divertimenti per archi,
almeno quelli composti nel 1772, (i Divertimenti mozartiani per strumenti a
fiato meriterebbero un discorso a parte per una più libera invenzione e varietà
di e"etti sonori) sono musiche di piacevole ascolto, dalla scrittura semplice e
lineare e dai giochi armonici chiari e precisi, improntati ad un classicismo
sereno e molto equilibrato. Si avverte, è vero, la presenza di uno stile
cameristico di solida fattura e di luminosa civiltà, ma si è ancora lontani dai
modelli del grande Mozart caratterizzato da una inesauribile capacità inventiva
e da una incisiva e personale forza espressiva. Il dato rilevante di questi
Divertimenti è la limpidezza e la trasparenza quartettistica del suono e
l'omogeneità e la fusione del gruppo strumentale, in ubbidienza alle regole di
un discorso musicale accessibile a tutti e senza quei tormenti spirituali e quei
risvolti drammatici che pur esistono nell'arte mozartiana.

L'Andante che apre il Divertimento in si bemolle maggiore si mantiene su un


piano di scorrevole cantabilità, privo di sviluppi armonici di particolare
ricercatezza, così come vuole lo stile galante e di intrattenimento in un
incontro musicale di tono familiare. L'Andante, che è un tempo piuttosto
raccolto e si colloca abitualmente al centro della composizione, è in questo
caso una introduzione vagamente patetica al brillante e brioso Allegro di
molto, di spigliata e fresca musicalità, e allo spumeggiante Allegro assai
conclusivo, il cui taglio ritmico si richiama all'opera bu"a e verrà ripreso dal
compositore nelle sue Nozze di Figaro. Il Divertimento ha una durata di poco
inferiore ai nove minuti e il sapore della buona musica antica.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel catalogo delle opere di Mozart, come in quello di ogni altro compositore
del Settecento, figura un buon numero di pagine riconducibili al campo della
musica d'intrattenimento: lavori che si potrebbero definire d'occasione, se
questa parola non avesse oggi per noi un significato riduttivo quando non
addirittura spregiativo; mentre il suo giusto senso è quello che designa una
musica composta su commissione e con una destinazione e un uso ben precisi,
in genere legati a circostanze festive o celebrative, di natura tanto pubblica che
privata. Non per caso, le date di nascita degli oltre trenta fra Divertimenti,
Serenate e Cassazioni scritti da Mozart, si situano quasi tutte negli anni
precedenti quel fatidico 1781 che vide il compositore venticinquenne
a"rancarsi al tempo stesso dalla tutela del padre e dalla condizione semiservile
del musicista di corte alle dipendenze dell'Arcivescovo di Salisburgo per farsi,
modernamente, libero artista, e toccare, negli ultimi intensissimi dieci anni
della sua esistenza, trascorsi a Vienna, i vertici della sua creatività. Il Mozart
dei Divertimenti e delle Serenate è viceversa un musicista ancora calato in una
concezione professionale della propria arte, pronto a soddisfare le
commissioni di corti o di privati dando sempre il meglio di sé, pur nella scala
ben più ridotta, quanto ad ambizioni formali e a impegno stilistico, di un
genere di musica composta più come arredo sonoro che come creazione ideale
e assoluta; senza, dunque, che ciò comporti un qualche degrado di qualità
musicale o di sostanza compositiva, ma solo una prevalenza dei lati più
mondani e leggeri.

Il Divertimento in si bemolle maggiore K. 137 fa parte di un gruppo di tre


lavori sostanzialmente analoghi (gli altri due recano i numeri 136 e 138 del
catalogo Köchel) composti a Salisburgo nel febbraio 1772, a poca distanza
dunque dal ritorno di Mozart dal secondo dei suoi viaggi in Italia: e di fatto
queste brillanti e levigatissime pagine per soli archi rivelano nel compositore
sedicenne una spontanea adesione a modi tipicamente italiani. Nella serie dei
Divertimenti di Mozart, comunque, essi occupano un posto a sé, discostandosi
dalla struttura tipica del Divertimento settecentesco, che comprendeva un
numero di movimenti sempre abbastanza elevato, accogliendo almeno due
Minuetti; mentre in nessuno dei tre Divertimenti del febbraio 1772 figura
alcuna forma di danza. D'altro canto, appare ugualmente incerta la
catalogazione di questi pezzi fra ì Quartetti per archi, da molti ammessa:
anzitutto perché essi sono scritti per due violini, viola e basso, anziché
violoncello; e poi perché nella loro scrittura non si ravvisano i tratti
caratteristici dello stile classico del quartetto, mentre è del tutto ammissibile
che le parti strumentali siano state pensate per le file e non per quattro solisti.
Nella sua celebre monografia mozartiana, Alfred Einstein dichiara senz'altro
trattarsi di tre «Sinfonie per archi, senza oboi e corni», e avanza addirittura
l'ipotesi che Mozart abbia composto questi Divertimenti o Quartetti orchestrali
in previsione del terzo viaggio in Italia, che avrebbe avuto luogo di li a pochi
mesi, e nel quale avrebbe dovuto completare il Lucio Silla per rappresentarlo a
Milano. Stando all'Einstein, dunque, questi tre lavori avrebbero dovuto servire
da «riserva», nel caso che a Milano si fosse richiesto a Mozart di comporre
qualche Sinfonìa: senza venir distolto dalla composizione dell'opera, Mozart
non avrebbe dovuto far altro che aggiungere agli archi, nei tempi estremi dei
tre Divertimenti, le partì di quegli strumenti a fiato che l'occasione gli avrebbe
consentito o richiesto, per trovarsi già pronte tre piccole Sinfonie. Quale che
sia il credito da dare a queste ipotesi, resta il fatto che esse possono applicarsi
solamente al primo (K. 136) e al terzo (K. 138) dei tre Divertimenti, o Quartetti
orchestrali, come l'Einstein preferisce definirli, che nella loro costruzione
seguono lo schema dell'Ouverture cosiddetta all'italiana (Allegro - Adagio -
Allegro). Diverso, e vorremmo dire più originale, quello del Divertimento in si
bemolle che figura in questo programma, e che dei tre è senz'altro il più
interessante. Nel quale il tempo lento è posto all'inizio, precedendo due
movimenti veloci in una sorta di crescendo di animazione, Certamente in
questa pagina si ha ben poca traccia dello spirito proprio alla musica da
camera; e pur nel raggio ridotto dell'articolazione delle parti, è chiaro che il
giuoco degli strumenti cerca sempre di proporsi sul piano di un elementare
sinfonismo, ripetendo forse più il clima brillante dell'opera bu"a che non
quello più serioso della Sinfonia vera e propria.

Daniele Spini

Divertimento per archi n. 3 in fa maggiore, K 138 (K 125c)

https://www.youtube.com/watch?v=CijVnFzw4H0

https://www.youtube.com/watch?v=Fhf9RUYSVCs

Allegro (fa maggiore)


Andante (do maggiore)
Presto (fa maggiore)

Organico: archi
Composizione: Salisburgo, febbraio 1772
Guida all'ascolto (nota 1)

I Divertimenti, come del resto le Cassazioni, le Serenate e le cosiddette


musiche notturne, sono legati al gusto settecentesco di far musica insieme e
riflettono una identica struttura formale, in cui si alternano movimenti di danza
e passaggi solistici e virtuosistici, riservati ad esecutori di talento, ma non
necessariamente eccezionali. Per questa ragione i Divertimenti per archi di
Mozart (quelli per strumenti a fiato meriterebbero un discorso a parte per una
più libera invenzione e maggiore varietà di e"etti sonori) sono musiche di
piacevole ascolto, dalla scrittura semplice e lineare e dai giochi armonici chiari
e precisi, che denotano un classicismo equilibrato e sereno. Si avverte, è vero,
la presenza di uno stile cameristico di solida fattura e di luminosa civiltà, ma si
è ancora distanti dal grande Mozart caratterizzato da una inesauribile capacità
creativa e da una profonda e personale forza espressiva. Il dato rilevante di
questi Divertimenti è la limpidezza e la trasparenza quartettistica del suono e
l'omogeneità e la fusione del gruppo strumentale, in ubbidienza alle regole di
un discorso musicale accessibile a tutti e senza quei tormenti spirituali e quei
risvolti tragici che pur esistono nell'arte mozartiana.

Il Divertimento in fa maggiore K. 138 fu composto tra gennaio e marzo del


1772 e risente dell'influenza stilistica sia dei maestri italiani che di Michael
Haydn, con una netta preferenza per il discorso melodico chiaro e scorrevole. Il
primo Allegro si apre con un unìsono rievocante i modi dell'opera bu"a per la
freschezza e la spigliatezza dell'impianto armonico; due sono i temi che si
snodano e si intersecano fra di loro e formano l'intelaiatura dello sviluppo
secondo un gioco musicale brillante e piacevole. L'Andante è avviato dalla frase
cantabile del primo violino su cui si innestano le altre parti con eleganti e
nuove figurazioni; ad un certo punto il violoncello espone il suo tema su un
accompagnamento sincopato degli altri archi e successivamente c'è un ritorno
imprevisto di gusto italiano non alla prima, ma alla seconda frase musicale,
leggermente variata negli accordi e nella disposizione armonica. Il finale è un
delizioso rondò e il tema particolarmente gaio e spensierato viene esposto
attraverso la forma della imitazione tra la viola e il violoncello e ripetuto per
ben cinque volte, secondo i moduli ad incastro di scuola tedesca. Un
sentimento di fresca e gioiosa cantabilità distingue le amabili ultime battute
del Presto di questo Divertimento.

Divertimento per archi in mi bemolle maggiore "Gran Trio", K 563

https://www.youtube.com/watch?v=ckdyoSIBUxw

https://www.youtube.com/watch?v=AqWaW0-5wYA

Allegro (mi bemolle maggiore)


Adagio (la bemolle maggiore)
Minuetto e trio. Allegro (mi bemolle maggiore)
Andante (si bemolle maggiore)
Minuetto e trio. Allegretto (mi bemolle maggiore)
Allegro (mi bemolle maggiore)

Organico: violino, viola, violoncello


Composizione: Vienna, 27 settembre 1788
Edizione: Artaria, Vienna 1792
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nel genere del trio d'archi Mozart ha lasciato un'unica opera ed è il


Divertimento in mi bemolle maggiore K. 563, scritto nel settembre del 1788 e
dedicato al suo creditore, Michael Puchberg. Tutti i musicologi sono concordi
nel ritenere questo Divertimento per trio d'archi un autentico capolavoro per la
ricchezza del'invenzione armonica e contrappuntistica e per varietà espressiva
del gioco tematico. Tale è l'opinione del De Saint-Foix, il quale nel suo libro su
Mozart parla del Divertimento K. 563 come «de l'un grands chefs-d'oeuvre de
la musique de chambre»; ma anche Aloys Greither e Charles Rosen sono dello
stesso avviso e nelle loro monografie mozartiane dedicano parole elogiative
alla qualità musicale dei sei tempi del Divertimento. In particolare l'americano
Rosen nel suo recente volume sullo «Stile classico», concentrato sulla triade
Haydn-Mozart-Beethoven, scrive testualmente: «Questo Trio di Mozart non è
paragonabile a nessun'altra opera scritta per lo stesso organico e costituisce
invece un interessante precursore degli ultimi quartetti di Beethoven,
particolarmente per il trasferimento della forma del divertimento, con due
movimenti di danza e due movimenti lenti uno dei quali è un tema con
variazioni), nell'ambito della musica da camera, rendendo estremamente
intimo ciò che vi era di più pubblico, e, come farà Beethoven in molti dei brevi
movimenti lenti intermedi delle sue ultime composizioni cameristiche,
trasfigurando l'elemento 'popolare' senza perderne di vista le origini. Nel
Divertimento mozartiano la sintesi della scrittura 'dotta' a tre parti e la
freschezza popolare si fondono senza ambiguità e senza sforzo ».

Il primo Allegro inizia sotto voce su un unisono dei tre strumenti; alla terza
misura si apre un gioco di imitazioni, prima tra violino e violoncello e poi tra
viola e violino, con un brillante ritornello ccncertante, al quale prendono parte
tutti e tre gli strumenti. L'intero movimento, quindi, si snoda con ampiezza di
sviluppo e tra modulazioni armonicamente e ritmicamente ardite, con
cambiamento di tonalità e inserimento anche di un tempo fugato, in attesa che
l'Allegro si concluda con delicatezza di accenti, su disegni melodici del violino.
Segue l'Adagio in la bemolle, contrappuntato da passaggi ornamentali di
sorprendente gusto armonico, in una visione di equilibrata concertazione tra
violino, viola e violoncello e improntato ad un sentimento meditativo, quasi
religioso. Il primo Minuetto è un allegro motivo di danza di derivazione
popolaresca e contadina; non manca il trio indicato tematicamente dal violino e
ripreso dal violoncello, su una scala discendente della viola. Ed eccoci
all'Andante in si bemolle, considerato il movimento più originale del
Divertimento K. 563 e costruito su un tema con variazioni di magistrale
inventiva e di penetrante forza espressiva, tale da aprire la strada all'arte della
variazione beethoveniana. Tutta la genialità creatrice di Mozart si rivela
pienamente nell'ultima variazione, intesa come un possente cantus firmus
della viola; il senso di fiducia che da essa promana è come un saldo
promontorio nella risacca dei passaggi del violino e del violoncello. Il secondo
Minuetto è in tempo Allegretto e inizia piano nella tonalità di mi bemolle,
secondo uno stile delicatamente cameristico. Ci sono poi due Trii in la
bemolle, un vero e proprio Laendler di carezzevole fattura, e in si bemolle, più
semplice e lineare, anche se non privo di eleganza cantabile. L'Allegro finale
somiglia ad un rondò e il tema, indicato dal violino e ripreso dalla viola e dal
violoncello, è seguito da un refrain o ritornello a mò di soneria di carillon. Non
manca il gioco delle imitazioni in una varietà di tonalità e di passaggi di
sonorità di pungente e divertente e"etto strumentale, a conferma dell'abilità
tecnica e della inesauribile fantasia creatrice del compositore anche in questa
di!cile specializzazione della musica da camera, sia per trio che per quartetto,
con gli archi e con i fiati.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel generale sommovimento provocato dall'a"ermazione dello "stile galante",


tra il 1750 e il 1770, non pochi generi musicali decaddero o furono sostituiti
da altri che meglio rispondevano alle mutate esigenze del nuovo pubblico degli
amatori. La Sonata a Tre, in particolare, dominatrice incontrastata della musica
da camera per quasi un secolo, subì una sorta di interna evoluzione che ne
alterò sensibilmente le caratteristiche originarie. Innanzitutto, la di"usione
della musica presso categorie sempre più ampie di dilettanti portò
all'abbandono della pratica della realizzazione del basso numerato sul
cembalo, ormai troppo complicata per esecutori non professionisti, e alla
conseguente esclusione del cembalo dall'organico della Sonata a Tre. D'altro
canto, le nuove esigenze di "clarté" propugnate dallo stile galante condussero
ad una progressiva semplificazione della scrittura contrappuntistica. Anziché
far dialogare i due solisti sulla cangiante base armonica del basso continuo, i
compositori galanti preferirono a!dare lo sviluppo del discorso musicale al
primo violino, assegnando al secondo un modesto ruolo di comprimario,
quando non addirittura di semplice riempitivo armonico. Costretto a vagare
perlopiù nel registro medio, il violino secondo finì così per essere poi sostituito
- assai opportunamente - dalla viola. A questo punto, la vecchia e gloriosa
Sonata a Tre era ormai morta ed era nato il moderno Trio per Archi; il quale
però ebbe subito un temibile concorrente nel neonato Quartetto e non riuscì
più a rinverdire gli allori della Sonata a Tre, finendo anzi per diventare
l'ensemble strumentale prediletto per Serenate e Divertimenti.

Oltre che per la trascrizione di alcune Fughe di Johann Sebastian Bach (talvolta
fatte precedere da Adagi di sua composizione), Mozart utilizzò il Trio d'archi in
una sola opera originale, il Divertimento in mi bemolle maggiore K. 563.
Questo lavoro, portato a termine il 27 settembre 1788, fu dedicato al "fratello
massone" Michael Puchberg, il ben noto destinatario di tante lettere
mozartiane che si concludevano invariabilmente con la richiesta di un prestito
o di una dilazione. Mozart, probabilmente, scrisse questo Divertimento per
riconoscenza verso il suo comprensivo protettore o forse, più probabilmente
ancora, per estinguere un debito che non avrebbe potuto onorare in altro
modo.

Articolato nei caratteristici sei tempi, con due minuetti e due movimenti lenti, il
Divertimento K. 563 è però opera insolitamente seria; si può anzi dire che il
suo fascino irripetibile stia proprio nella felice, straordinaria fusione di serietà
e leggerezza, ricchezza di sviluppi e sovrana semplicità di eloquio. In e"etti, se
si fa eccezione per i due Minuetti, dalle inflessioni popolareggianti, i restanti
movimenti rivelano una struttura assai complessa: l' "Alle¬gro" iniziale
contiene uno sviluppo particolarmente elaborato, l' "Andante" è un tema con
variazioni che si susseguono senza apparente soluzione di continuità, il
"Finale" è un Rondò-Sonata in piena regola. Il trattamento dei tre strumenti è
ovunque assolutamente paritetico e, insieme, squisitamente cameristico, senza
concessioni allo stile concertante; che anzi un'intensa, sublime spiritualità
pervade l'intera composizione, toccando forse il suo vertice nell'estatico
"Adagio" in la bemolle maggiore, una pagina che sembra riecheggiare il
commosso sentimento di umana partecipazione delle opere massoniche.

Danilo Profumo

Serenata n. 13 in sol maggiore per archi "Eine kleine Nachtmusik", K 525

https://youtu.be/o1FSN8_pp_o

https://www.youtube.com/watch?v=2QBuRAWGNDk

https://www.youtube.com/watch?v=xMxBfBk44ZA

Allegro (sol maggiore)


Romanza. Andante (do maggiore)
Minuetto e trio. Allegretto (sol maggiore)
Rondò. Allegro (sol maggiore)

Organico: orchestra d'archi


Composizione: Vienna, 1 - 10 Agosto 1787
Edizione: Andrè, O"enbach 1827 ca.
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

I Divertimenti, le Cassazioni, le Serenate e i pezzi che prendono il nome di


musiche notturne (la Nacht-musik K. 525 è una piccola serenata notturna)
sono legati al gusto settecentesco di far musica insieme e riflettono una
identica struttura formale in cui si alternano movimenti di danza e passaggi
solistici e virtuosistici, riservati ad esecutori bravi e di talento, ma non
necessariamente eccezionali. Per questa ragione le Serenate e i Divertimenti
per archi e per strumenti a fiato sono musiche di piacevole ascolto, dalla
scrittura semplice e lineare e dai segni armonici chiari e precisi, che denotano
un classicismo equilibrato e sereno. Si avverte, è vero, la presenza di uno stile
cameristico di solida fattura e di illuministica intelligenza, ma si è ancora
lontani dal grande Mozart caratterizzato da una inesauribile capacità creativa e
da una profonda e personale forza espressiva. Il dato rilevante delle Serenate e
dei Divertimenti è la limpidezza e la trasparenza quartettistica del suono e
l'omogeneità e la fusione degli impasti strumentali, in obbedienza alle regole
di un discorso musicale accessibile a tutti e senza quei risvolti tragici e quei
tormenti spirituali che pur esistono nell'arte mozartiana.
L'esempio più luminoso e universalmente conosciuto di Serenata è la Kleine
Nachtmusik K. 525, composta nell'agosto del 1787 e adatta più all'orchestra
d'archi che al quartetto solistico. Essa sembra richiamarsi alle deliziose
composizioni giovanili salisburghesi (c'è una eco postuma dei Divertimenti per
archi K. 136, 137 e 138) ed è stata scritta molto probabilmente in occasione di
una ricorrenza festiva, destinata ad una esecuzione da tenersi in un elegante
cortile o in giardino di un palazzo principesco, secondo le abitudini della
società feudale e mecenatistica del tempo. La meditata disposizione dei
quattro tempi, la calcolata valorizzazione del materiale tematico, l'eleganza e
la nobiltà della linea melodica rivelano la grande maestria mozartiana del
periodo viennese.

Il carattere sereno e l'andamento scorrevole della Serenata si evidenziano sin


dall'attacco iniziale, cosi cordiale e misuratissimo negli e"etti timbrici. Una
purissima melodia contrassegna la delicatissima Romanza, in cui con pochi ed
essenziali tratti armonici l'autore raggiunge risultati musicali di altissimo
livello. Il Minuetto risente più delle altre pagine dello stile rococò, ma non c'è
dubbio che Mozart riesca ad essere se stesso (si ascolti la leggerezza delle
modulazioni degli archi) con la sua genialità inventiva. Secondo un'annotazione
autografa dello stesso musicista, la Kleine Nacht-musik avrebbe dovuto
racchiudere due minuetti con un trio, ma il primo è andato perduto o
addirittura sarebbe stato spostato altrove. Il Rondò ha il classico taglio gioviale
e brillante degli allegri finali e dispiega quella facilità melodica e
contrappuntistica tipica della personalità di Mozart, sia che si serva degli
strumenti o della voce umana.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Etne kleine Nachtmusik (Una piccola musica notturna, o serenata notturna) in


sol maggiore K 525 fu composta da Wolfgang Amadeus Mozart nell'estate del
1787, presumibilmente in una breve interruzione del lavoro principale di
quell'anno, la stesura del Don Giovanni. Infatti la composizione fu inserita
dall'autore nel catalogo tematico personale alla data del 10 agosto 1787; il 1°
ottobre Mozart partì alla volta di Praga per dare gli ultimi ritocchi e mettere in
scena la partitura operistica.

Le vicende della genesi del brano sono del tutto ignote. Si tratta comunque - a
parte Ein musikalisches Spass K 522, una serenata satirica pressoché
contemporanea - dell'unica serenata per archi o con archi che Mozart abbia
avuto occasione di comporre negli anni viennesi. Il genere della serenata
comprendeva composizioni a!date ad un organico variabile di solisti e con un
numero pure variabile di movimenti; fine unificatore di brani anche molto
dissimili era quello intrattenitivo, per circostanze festive o ricorrenze o ancora
per allietare la vita di tutti i giorni. Nel corso dei suoi anni salisburghesi Mozart
aveva scritto un alto numero di composizioni per simili circostanze, ma il
piccolo mecenatismo frequente nell'ambiente provinciale di Salisburgo cedeva
il passo a Vienna a rapporti più sofisticati fra committenti e compositori.
Possiamo comunque immaginare che anche Eine kleine Nachtmusik sia stata
pensata per una simile circostanza, di cui ci sfugge il contesto.

L'organico della composizione è di cinque strumenti ad arco: due violini, viola,


violoncello e contrabbasso, anche se gli ultimi due strumenti suonano
all'unisono. Sul catalogo personale Mozart segnò una successione di cinque
movimenti, ma ai posteri ne sono giunti solamente quattro, ed è da ritenersi
smarrito il minuetto collocato dall'autore in seconda posizione; circostanza che
sottrae al brano, per l'ascoltatore moderno, qualcosa del suo carattere di
serenata. Tuttavia è di!cile trovare qualcosa di simile nella contemporanea
produzione di Mozart. Sia le grandi sinfonie viennesi che i quartetti per archi si
avvalgono di una scrittura del tutto specifica - sinfonica o quartettistica - che
non può essere confusa con quella della serenata, improntata a una
essenzialità d'impianto, a una mancanza di sontuose elaborazioni negli
sviluppi e di profondità concettuale nel contenuto espressivo.

La maestria di Eine kleine Nachtmusik consiste proprio nell'aderire


compiutamente alle regole "semplici" della serenata con un artigianato
inappuntabile, rivelando però a tratti la mano inconfondibile dell'autore, che
guarda con più matura consapevolezza e quasi con distacco a un genere
abbandonato da tempo. L'Allegro iniziale è un esempio paradigmatico di forma
sonata, con la contrapposizione fra due temi (ritmico il primo, melodico il
secondo), la loro libera elaborazione in uno sviluppo che Mozart rende
espressivamente variato, e la loro compiuta riesposizione. Troviamo poi (in
mancanza del primo minuetto) una Romanza dalla levigatissima linea melodica
(con un romantico dialogo in minore fra violino e basso), un garbato minuetto
con trio e un finale; quest'ultimo, definito dall'autore come rondò ma in realtà
in una forma molto simile alla forma sonata, è percorso da un irresistibile
impulso ritmico e da una ambientazione festosa, temperata appena dalle
modulazioni screziate dello sviluppo.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Don Giovanni, seduto a una tavola riccamente imbandita, mangia e si diverte


alle spalle del servitore Leporello che, a"amato, s'ingozza cercando di non
farsi vedere dal padrone. Sullo sfondo una musica conviviale, suonata da un
piccolo complesso di fiati, nella quale si riconoscono le citazioni delle opere
teatrali allora più in voga. In questa scena si riflette un'usanza assai comune
presso le case nobili e borghesi di fine Settecento: le riunioni conviviali, le feste
in genere, erano accompagnate da un sottofondo musicale, eseguito da un
piccolo complesso di strumenti a fiato o ad arco. Vi prendevano parte musicisti
in servizio militare o servitori, di livello non sempre altissimo; ma in certi casi,
come presso la corte imperiale, il complesso era formato da eccellenti
strumentisti, provenienti in genere dalla Boemia, terra che a quei tempi forniva
i migliori virtuosi. Il repertorio, accanto a poche composizioni originali,
comprendeva soprattutto trascrizioni e arrangiamenti di musiche tratte da
opere, balletti, sinfonie.

In questo repertorio, gli strumenti a fiato - che verso la fine del Settecento
potevano ormai competere con gli archi, grazie ai progressi tecnici, per agilità
e intonazione - ebbero un ruolo di rilievo. L'organico poteva variare molto, ma
si stabilizzò quando l'imperatore Giuseppe II, nell'aprile del 1782, promosse la
formazione di un ottetto di fiati (costituito da due oboi, due clarinetti, due
corni e due fagotti: il complesso era chiamato, in Austria, Harmoniemusik), da
impiegare sia per l'intrattenimento della corte sia per esecuzioni pubbliche.
Seguirono l'esempio dell'imperatore altri esponenti dell'aristocrazia, cosicché
già a metà degli anni Ottanta si esibivano complessi di fiati nei principali
palazzi nobiliari viennesi. Ciò fece lievitare la richiesta di composizioni per
questa formazione, che vennero prodotte a centinaia adattando soprattutto le
arie delle opere teatrali di successo. Mozart diede anch'egli un contributo al
genere, componendo tre serenate per strumenti a fiato negli anni del
soggiorno a Vienna.

Tra le musiche d'intrattenimento mozartiane nessuna ha raggiunto la


popolarità della Serenata in sol maggiore per archi K 525, scritta per qualche
specifica occasione nell'agosto del 1787, mentre Mozart lavorava ai secondo
atto del Don Giovanni. Nel catalogo delle opere redatto dal compositore
stesso, questa Serenata figura come una composizione in cinque movimenti:
tra l'Allegro iniziale e la Romanza si trovava un Minuetto, che oggi però manca
dalla partitura autografa ed è da considerarsi perduto.

Nei quattro tempi superstiti, la Serenata mostra tutte le caratteristiche del


genere: temi pregnanti e immediatamente riconoscibili, una certa grazia
rococò, un atteggiamento pomposo e piacevolmente discorsivo allo stesso
tempo. Come tutte le musiche d'intrattenimento, scritte per allietare ricorrenze
particolari, la Kleine Nachtmusik adotta una certa semplicità costruttiva. Il
primo movimento (Allegro), in forma sonata, è caratterizzato da temi incisivi,
dalla straordinaria forza d'impatto; la Romanza da una cantabilità spiegata,
all'italiana. In forma di rondò, è ispirata a una serenità che è solo
momentaneamente incrinata dall'episodio centrale, in modo minore. A un
vigoroso Minuetto (Allegretto) succede uno spumeggiante Rondò (Allegro,
dalla straordinaria forza ritmica propulsiva.
La ragione che ha reso giustamente e universalmente noto questo lavoro
mozartiano risiede senza dubbio nella sua freschezza inventiva. Le serenate,
eseguite spesso all'aperto, nascevano nel segno del disimpegno e sceglievano
perciò melodie facilmente orecchiabili, di sapore «popolare». Ma in questo
genere, Mozart porta una ra!natezza e una cura assolutamente inedite: qui,
pur utilizzando una semplice orchestra d'archi, trasforma la composizione in
un vero caleidoscopio di associazioni timbriche, sfruttando il suo innato
talento per il colore strumentale. Semplicità del materiale tematico,
ra!natezza della scrittura strumentale: i due aspetti si fondono in
quell'equilibrio che costituisce l'essenza più profonda dell'arte mozartiana.

Claudio Toscani

Composizioni per pianoforte ed archi

Quartetto per pianoforte n. 1 in sol minore, K 478

https://www.youtube.com/watch?v=FpK1tjbeeA0

https://www.youtube.com/watch?v=QRfkUWxqba0

Allegro (sol minore)


Andante (si bemolle maggiore)
Rondò (sol maggiore)

Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello


Composizione: Vienna, 16 Ottobre 1785
Edizione: Ho"meister, Vienna 1785
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

La letteratura del quartetto per pianoforte e archi (violino, viola e violoncello),


destinata a svilupparsi in una intensa fioritura nel corso del XIX secolo, trova la
sua prima e compiuta manifestazione "moderna" nel Quartetto in sol minore K.
478 di Wolfgang Amadeus Mozart. Il Quartetto K. 478, infatti, propone una
sorta di rivoluzione nella concezione della musica da camera con pianoforte;
una rivoluzione che investe tre di"erenti aspetti: la destinazione, la
complessità di scrittura, il contenuto.

La musica da camera con pianoforte, nella seconda metà del XVIII secolo, non
era destinata - come invece quella per archi soli, più impegnativa sia sotto il
profilo strumentale che sotto quello del contenuto - agli esecutori
professionisti, ma agli esecutori dilettanti, appartenenti ai ceti alti della
società. In tutta Europa lo studio di uno o più strumenti era parte integrante
dell'educazione dell'alta società, e la pratica della Hausmusik, della musica
domestica, suonata dai volenterosi componenti del circolo familiare, era del
pari estremamente di"usa. Direttamente in funzione del fiorentissimo mercato
editoriale rivolto ai dilettanti vennero dunque composti quasi tutti i Trii e i
Quartetti con pianoforte di Mozart, brani che, non a caso, giunsero alla
pubblicazione vivente l'autore, e con maggiore facilità rispetto ad altre
composizioni di più alte ambizioni.

Eppure già le vicende della pubblicazione del Quartetto in sol minore rivelano
come, per l'organico di questo brano, Mozart nutrisse ambizioni più alte.
Secondo Nissen - primo biografo del compositore e sposo in seconde nozze di
Constanze Mozart - il Quartetto (la data sull'autografo è quella del 16 ottobre
1785) sarebbe stato scritto come primo di una serie di tre, dietro commissione
dell'editore Ho"meister; ma, dopo la pubblicazione di questo primo brano,
nell'inverno 1785-86, il contratto fu rescisso in piena concordia fra le due
parti, poiché il K. 478 appariva troppo "di!cile" al pubblico. Una cronaca
dell'epoca, riportata da Hermann Abert (W A. Mozart. Zweiter Teil, Leipzig
1919-21; ed. it. Milano 1985, p. 173), definisce il Quartetto «una
composizione che, anche se perfettamente eseguita, può [...] e deve soddisfare
in una "musica da camera" solo il limitato gruppo degli intenditori. Altri pezzi
reggono anche se mediocremente eseguiti; questa composizione mozartiana
però non si può proprio ascoltare suonata da superficiali dilettanti».

Ecco dunque i punti della "rivoluzione". Le composizioni pensate per il mercato


dei dilettanti dovevano tenere conto ovviamente dei limiti endemici degli
esecutori a cui erano rivolte. I condizionamenti imposti dalla destinazione
erano essenzialmente di due tipi: nel contenuto musicale, che non doveva
superare dimensioni piuttosto ristrette e doveva essere improntato alla
massima cordialità, evitando un impegno concettuale più ardito; nella scrittura
strumentale, che doveva rimanere alla portata di strumentisti dotati di una
consapevolezza tecnica discreta ma non sviluppata, soprattutto per gli
strumenti ad arco; questi si limitavano ad "accompagnare" il pianoforte
(strumento di più rapide soddisfazioni), raddoppiandone la melodia e il basso,
tanto che gli strumenti ad arco erano spesso considerati "ad libitum", e un Trio
o un Quartetto potevano essere eseguiti anche nella veste di una sonata
pianistica.

Il Quartetto in sol minore, invece, propone un rapporto assai più dialettico fra
pianoforte ed archi. Il modello non è quello della sonata pianistica o per violino
e pianoforte, ma quello del Concerto per pianoforte, il genere compositivo al
quale Mozart si dedicò con maggiore insistenza nei primi anni viennesi. Per
comprendere l'a!nità fra il Quartetto e il Concerto occorre tenere presente che
lo stesso Mozart aveva espressamente previsto per i suoi primi tre Concerti
viennesi (K. 413-415) la possibilità di omettere dall'orchestra le parti dei fiati,
onde rendere possibile l'esecuzione delle partiture anche in un salotto, con
l'accompagnamento di un semplice quartetto d'archi. Il Quartetto in sol minore
è dunque un concerto in miniatura, con un ruolo "solistico" e virtuosistico dello
strumento a tastiera; il gruppo degli archi (violino, viola, violoncello) tuttavia
non si limita ad accompagnare il solista, ma entra invece in un rapporto
concertante e dialettico.

Da ultimo il contenuto. Alla complessità della scrittura corrisponde un netto


distacco del Quartetto dai canoni d'intrattenimento. Si tratta, non a caso,
dell'unica partitura in tonalità minore fra i brani cameristici con pianoforte del
compositore; e la tonalità di sol minore è fra le predilette di Mozart, impiegata
sempre per il conseguimento di fini di intensa drammaticità.

Una ambientazione nettamente drammatica ha infatti l'Allegro iniziale. Già il


primo tema presenta immediatamente un brusco contrasto fra un perentorio
unisono e una cupa scala discendente del pianoforte, elementi che percorrono
insistentemente l'intero movimento; il secondo tema, espressivamente
contrastante, è alla base dello Sviluppo; una lunga coda elabora
polifonicamente il motivo iniziale, che sigilla con un nuovo unisono il
movimento. Anche l'Andante centrale è del tutto distante dagli stilemi
intrattenitivi, essendo improntato piuttosto a un rapporto di solidale
meditazione fra gli strumenti con la densa scrittura polifonica degli archi e i
delicati ricami del pianoforte. Il Finale - tradizionalmente più "disimpegnato"
rispetto al primo movimento - è un Rondò di impostazione brillante e
nettamente "concertistica", con una sezione in minore che si richiama tuttavia
al più intenso contenuto espressivo del tempo iniziale.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel periodo compreso tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento la


prassi compositiva e le aspettative del pubblico avevano diviso tacitamente, ma
abbastanza chiaramente, la musica da camera in due settori, ciascuno dei quali
caratterizzato da specifici tratti costitutivi: la musica da camera per soli archi,
con in primo luogo il quartetto, rivolta soprattutto a musicisti professionisti e
quindi dai toni e dai contenuti più complessi, seriosi, impegnati; e la musica da
camera con pianoforte e quella con strumenti a fiato, rivolte principalmente al
vastissimo pubblico dei dilettanti, e quindi più brillante, disimpegnata, leggera
e meno di!cile a livello di tecnica esecutiva e di contenuti espressivi.

Mozart, che pure ha contribuito in maniera determinante alla creazione e al


consolidamento di questa distinzione, in più di un'occasione ha però forzato il
quadro generale unanimemente condiviso dai suoi contemporanei, dando vita
a composizioni considerate "troppo di!cili". Ignorando le aspettative del
pubblico del suo tempo per assecondare le proprie urgenze espressive
probabilmente non era nemmeno consapevole di destinare alcune sue
creazioni, poi consacrate al rango di capolavoro dai posteri, a un clamoroso
insuccesso presso i contemporanei. È il caso, ad esempio, dei due noti
Quintetti per archi K 515 e K 516, rimasti a lungo invenduti nel negozio del
confratello massone Michael Puchberg nel 1787, o dei sei Quartetti per archi
dedicati a Haydn, composti tra la fine del 1782 e l'inizio del 1785, che, se
furono apprezzati dall'illustre dedicatario, nel 1787 vennero recensiti
sull'autorevole «Cramers Magazin der Musik» con parole che probabilmente
interpretano la reazione della maggior parte dei contemporanei nei confronti
di molte composizioni mozartiane: «Peccato che egli nel suo modo di
comporre, artistico e senz'altro bello, si smarrisca, per far l'innovatore,
spingendosi troppo in alto, così che cuore e sentimento hanno poco da
guadagnarci. I suoi nuovi Quartetti [...] sono conditi con troppe spezie e
nessun palato può sopportarlo a lungo andare».

Una sorte analoga è toccata al Quartetto in sol minore per pianoforte e archi K
478, terminato il 16 ottobre 1785, scritto su richiesta dell'editore Franz Anton
Ho"meister, che lo pubblicò immediatamente come primo di una serie di tre
lavori del genere. Ben presto però Ho"meister si rese conto che il Quartetto in
sol minore era qualcosa di «troppo di!cile» e quindi invendibile al pubblico
del tempo e sciolse Mozart dal suo impegno, senza neanche farsi restituire il
denaro datogli come anticipo. Nel frattempo il compositore aveva portato a
termine un nuovo Quartetto per pianoforte e archi (K 493, in mi bemolle
maggiore, datato 3 giugno del 1786 e destinato a rimanere il suo secondo e
ultimo lavoro del genere), che fu dato alle stampe da Artaria.

Il 1785, durante il quale vide la luce il Quartetto in sol minore K 478, è un


anno cruciale nella vita di Mozart, che riuscì ancora a cogliere alcuni buoni
successi a Vienna, senza però eguagliare quelli delle due stagioni precedenti:
anche se ancora non apertamente era già iniziato il rapido e doloroso processo
di distacco fra il musicista e il pubblico viennese, che venne poi
prepotentemente alla luce durante il 1786 e lo accompagnò fino alla morte.
Uno sguardo anche frettoloso al ruolino di marcia di Mozart per l'anno 1785,
desunto dalle date annotate dal compositore sui manoscritti originali e nel
catalogo delle proprie opere (redatto a partire dal 1784) può provocare un
certo stordimento: fra il 10 e il 14 gennaio porta a termine il Quartetto in la
maggiore K 464 e il Quartetto in do maggiore K 465, ultimi della serie di sei
dedicata a Haydn; quindi due Concerti per pianoforte e orchestra, il Concerto
in re minore K 466 (10 febbraio) e il Concerto in do maggiore K 467 (9 marzo);
sempre a marzo termina l'oratorio Davidde penitente K 469, ricavato dalla
Messa K 427; il 20 aprile, per il suo elevamento al grado di Maestro nella
massoneria, scrive la cantata Die Maurerfreude K 471; il 20 maggio la Fantasia
in do minore per pianoforte K 475; il 16 ottobre il Quartetto in sol minore per
pianoforte e archi K 478, a novembre la Musica funebre massonica K 477,
quindi la Sonata in mi bemolle maggiore per violino e pianoforte K 481 (12
dicembre) e un terzo Concerto per pianoforte e orchestra, quello in mi bemolle
maggiore K 482 (16 dicembre). Questo, naturalmente, senza contare alcuni
Lieder, arie e pezzi d'insieme per voci e orchestra, brani per clarinetto e corno
di bassetto, lavori incompleti o perduti (come un Andante sostitutivo in la
maggiore per un Concerto per violino) e soprattutto il fatto che fra ottobre e
novembre inizia a lavorare alle Nozze di Figaro.

Non è tanto la quantità a fare paura - almeno fino a Beethoven la storia della
musica è piena di autori assai più prolifici - quanto la qualità spesso eccelsa di
questi lavori, nati quasi a getto continuo. A molti non è bastata un'intera vita
per scrivere un solo lavoro paragonabile al Concerto in re minore, agli ultimi
Quartetti dedicati a Haydn, alla Musica funebre massonica, alle Nozze.

Anche se assai meno celebre e di ascolto incomprensibilmente più raro


rispetto a questi celebrati capolavori (sembra incredibile, ma nel dopoguerra il
pubblico della Filarmonica lo ha potuto ascoltare una sola volta fino ad ora:
quarantasette anni fa, grazie ai componenti del glorioso Quintetto Chigiano), il
Quartetto in sol minore per pianoforte e archi K 478 va collocato sul loro
stesso piano. Al di là dei suoi altissimi pregi estetici, in esso Mozart compie
un'operazione quasi rivoluzionaria nella storia dei generi musicali,
praticamente inventando la moderna musica da camera con pianoforte.

Prima di lui, infatti, un lavoro di questo genere si rivolgeva dichiaratamente,


come sappiamo, al pubblico dei dilettanti, o tutt'al più, conferendo un rilievo
privilegiato allo strumento a tastiera, poteva assumere quasi il tono di un
Concerto per pianoforte e archi su scala ridotta. Mozart parte da questa
seconda prospettiva, ma la sua scrittura pianistica ha già l'inattingibile
perfezione della serie dei grandi Concerti viennesi e "l'accompagnamento" dei
tre strumenti ad arco, se da una parte concentra il sommo magistero
orchestrale dispiegato in quei Concerti, dall'altra si vale dell'infinita sapienza
cameristica conquistata con una «lunga e laboriosa fatica» nei sei Quartetti
dedicati a Haydn. Ne nasce un lavoro di straordinaria fattura, caratterizzato da
un continuo e serrato dialogo fra i quattro strumenti, con il pianoforte
chiamato a un assai impegnativo ruolo di primus inter pares, e da una densità
di scrittura spesso intensamente contrappuntistica che, se contribuiscono ad
aumentare l'intensità espressiva del discorso musicale, non ne appesantiscono
mai lo scorrere.

Aperto da un vigoroso unisono di tutti gli strumenti, l'Allegro iniziale è


sicuramente il movimento più straordinario dell'intero Quartetto, compagno
ideale degli altri due lavori in sol minore della maturità mozartiana (il Quintetto
K 516 e la Sinfonia K 550) e dei due grandi Concerti pianistici in tonalità
minore (in re minore K 466, scritto otto mesi prima, e in do minore K 491,
scritto cinque mesi dopo). L'atmosfera, che per tutta la durata del brano si
mantiene tesissima, grazie alla densità del dialogo strumentale, ma sempre
sorretta da un severo autocontrollo, raggiunge nella folgorante e brevissima
coda conclusiva un'intensità sconvolgente e il movimento termina bruscamente
lasciando l'ascoltatore quasi stordito.

Perfino Mozart deve essersi reso conto di avere osato troppo e non ha avuto il
coraggio di mantenere il Quartetto in sol minore a una simile temperatura
espressiva: il dramma si stempera nel sereno e pacificato Andante in si
bemolle maggiore che segue e poi nel conclusivo Rondò (Allegro moderato) in
sol maggiore, pagina serena - tranne che per un breve, pensoso episodio in
minore - brillante e virtuosistica come il finale di un Concerto per pianoforte.
Ma se i toni espressivi si alleggeriscono, la di!coltà esecutiva rimane molto
alta, massime per il pianoforte, allontanando inesorabilmente questo
splendido Quartetto dai leggii dei dilettanti del suo tempo e inducendo così
l'editore Ho"meister a sospendere saggiamente un progetto che a lui avrebbe
certamente procurato solo danni a livello economico, ma che avrebbe reso noi
eredi di enormi ricchezze.

Carlo Cavalletti

Quartetto per pianoforte n. 2 in mi bemolle maggiore, K 493

https://www.youtube.com/watch?v=8KdkGctFHq8

https://www.youtube.com/watch?v=KrCjASGHEQo

Allegro (mi bemolle maggiore)


Larghetto (la bemolle maggiore)
Allegretto (mi bemolle maggiore)

Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello


Composizione: Vienna, 3 giugno 1786
Edizione: Artaria, Vienna 1787
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Tra gli organici di musica da camera, quello per pianoforte e archi (violino,
viola e violoncello) non è tra i più frequenti neppure nella piena espansione
dell'Ottocento, dove si contano pochi pezzi isolati, e ancor meno lo era ai
tempi di Mozart, allorché il pianoforte veniva per lo più abbinato all'orchestra
(anche da camera) nel genere del Concerto, e gli archi si disponevano in
formazioni omogenee, come il Quartetto e il Quintetto, l'una e l'altra
variamente ma di"usamente impiegate da Mozart stesso, o tutt'al più al
pianoforte si aggiungevano uno (Sonata) o due archi (Trio). Tant'è che nel suo
catalogo figurano soltanto due lavori per questa compagine insolita: il primo,
in sol minore, reca il numero K. 478 e la data del 16 ottobre 1785; il secondo,
il nostro, in mi bemolle maggiore K. 493, è conseguente di poco meno di un
anno (Vienna, 3 giugno 1786) e occupa, nel catalogo mozartiano, la posizione
successiva alle Nozze di Figaro (K. 492). Alla loro origine vi fu una
commissione risalente all'estate del 1785 da parte dell'editore Franz Anton
Ho"meister per la composizione di una serie di tre Quartetti con pianoforte da
destinare al pubblico viennese dei più colti amatori e dilettanti: evidentemente,
nell'intenzione dell'editore, vi era quella di tentare nuove strade. Ma dopo
l'insuccesso commerciale del primo, pubblicato alla fine del 1785, Ho"meister
pregò Mozart di non comporre più gli altri due Quartetti e di considerare
annullato il contratto, dichiarandosi però pronto a lasciargli l'acconto versato.
In realtà il secondo Quartetto (K. 493) era già in fase di lavorazione e per
questo Mozart si rivolse a un altro editore, Artaria, già editore dei Sei Quartetti
op. X dedicati a Haydn, o"rendoglielo in alternativa. E Artaria, più audace e
disponibile del collega, lo acquistò, per pubblicarlo poi nel luglio 1787. Ma
evidentemente a questo punto di un terzo Quartetto non si parlò più.

Nella loro monografia mozartiana Giovanni Carli Ballola e Roberto Parenti


citano un illuminante articolo apparso nel 1788 sul "Journal des Luxus und der
Moden", che aiuta a comprendere il contesto in cui simili pezzi (qui il
riferimento è in particolare al Quartetto K. 478) vedevano la luce: "Altri pezzi si
reggono anche se mediocremente eseguiti; questa composizione mozartiana
invece non si può proprio ascoltare suonata da superficiali dilettanti. Ciò è
tuttavia accaduto innumerevoli volte durante lo scorso inverno [...] ma non
poteva piacere; tutti sbadigliavano di noia per l'incomprensibile chiacchiericcio
dei quattro strumenti che non si trovavano insieme nelle solite quattro battute
e il cui impossibile concento non rivelava alcuna unità di espressione [...]

"Quale di"erenza, quando questa lodatissima composizione viene eseguita con


la massima precisione da quattro musicisti professionisti e ben preparati, in un
ambiente piccolo, dove neppure le pause tra nota e nota sfuggono all'orecchio
attento e davanti a non più di due o tre persone veramente interessate! In
questo caso però non c'è davvero da pensare al successo esteriore, al favore
della moda o a lodi convenzionali". Sono ancora Carli Ballola e Parenti a
commentare, accomunando i due Quartetti con pianoforte al Quintetto per
pianoforte e fiati: "Nei Quartetti (K. 478 e K. 493) e nel Quintetto (K. 452), a
una parte pianistica ancor più impegnativa e concertante di quanto non sarà
nei Trii o nelle Sonate con violino, si contrappongono compagini strumentali
trattate con un'autonomia, un'articolazione e talora una di!coltà di scrittura
che scoraggiarono editori ed esecutori, disorientati dinanzi a tanta audace
novità".
L'impronta innovatrice e la vena sperimentale di Mozart risaltano anzitutto se
messe a confronto con le convenzioni dello stile galante. Scrive a questo
proposito un altro studioso di Mozart, Alfred Einstein: "Un brano per
pianoforte e archi, nelle mani di Johann Christian Bach e di Philipp Emanuel
Bach, diventa automaticamente un Concerto per pianoforte; Mozart invece
riesce a trattarlo come pura musica da camera, esigendo dal pianista un
virtuosismo da concertista ma intessendo gli archi nello stesso materiale
tematico, in una dimensione che non ha più nulla a che vedere con il
dilettantismo musicale". La fusione fra la dimensione cameristica del Quartetto
d'archi e il virtuosismo del Concerto per pianoforte si realizza dunque per una
terza via, assolutamente inedita e personale. Il pianoforte non si oppone più a
violino, viola e violoncello intesi come sostituti di un accompagnamento
orchestrale subalterno, ma dialoga con essi su un piano di parità, ora venendo
alla ribalta con la sua pronunciata individualità, ora passando sullo sfondo per
lasciare ai suoi compagni la possibilità di sviluppare autonomamente,
solisticamente, un proprio articolato corso di pensieri: e la scrittura ne riceve
una conseguente scioltezza e varietà.

Il Quartetto K. 493 rappresenta perfettamente la sintesi di questi due mondi


opposti, quelli del dialogo drammatico e dell'introspezione interiore.
Quest'esito non sarebbe stato così naturale senza la vicinanza delle Nozze di
Figaro, prima compiuta a"ermazione del teatro di Mozart, sotto il cui segno,
storico e artistico, questo Quartetto si pone. Tutto vi appare però come
decantato. Nei tre movimenti si respira un'aria di matura consapevolezza, di
fluente discorsività, di grazia ornamentale: anche le tensioni drammatiche, gli
spunti appassionati e "romantici", sono calati in un'atmosfera di raggiunta
armonia espressiva e formale, di equilibrio superiore, in una parola classico. Il
primo movimento (Allegro) è il più ricco di sostanza tematica e di espansività,
con estese sezioni di calda e"usione melodica e cantabile, in un clima di fondo
lucido e sereno, senza ombre. Il pianoforte introduce incisivamente i motivi
tematici e li elabora con spiccate volate solistiche, incalzato dagli archi,
sempre pronti all'imitazione e alla variazione: gli episodi si connettono così in
una piena a"ermazione dello stile concertante. Il Larghetto centrale in la
bemolle maggiore è, come avviene spesso in Mozart, il centro di gravità
dell'opera, il momento introspettivo nel quale il lirismo più delicato si dispiega
in modo gravemente serio, pensoso e profondo, senza perdere però il
controllo della disciplina formale: di certo questa non è musica per "signorine
della buona società" che si possa ascoltare con un sorriso distratto, né seguire
con superficiale disattenzione. Vi domina, fin dal tema esposto per quattro
battute dal pianoforte solo e poi concluso dagli archi, un senso di trepida
attesa, di ansia quasi drammatica, che si manifesta negli scarti dinamici, nelle
pause che spezzano il fraseggio, nei giri tortuosi dell'armonia, sospesa tra
ampie aperture intervallari e ripiegamenti in scontrosi cromatismi: solo nella
seconda parte il discorso si ricompone in un flusso più disteso e continuo.
Perfino il luminoso Rondò finale (Allegretto), la cui melodia sostenuta da
semplici accordi sembra l'essenza della purezza e dell'ingenuità, riserva
all'ascoltatore, sotto la superficie spensierata, idee contrastanti singolarmente
esposte e riprese, sortite solistiche ostentatamente marcate, tratti di spirito
ammiccanti, perfino risvolti umoristici insistiti e pungenti. Da questa apparente
dispersione di un gioco sorprendentemente esatto tutto sfocia non in una
cadenza, ma in un segnale del pianoforte che, con un lungo trillo sospeso sulla
dominante, richiama all'ordine i tre strumenti ad arco preparando l'ultima
ricomparsa del tema principale e destinandolo alla trionfale conclusione.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

L'idea di associare al pianoforte un gruppo di strumenti ad arco o a fiato, si


concreta, verso la seconda metà del Settecento, in vari modi e con
procedimenti strutturali di disparata derivazione. I nostalgici del basso
continuo, da una parte, relegarono lo strumento a tastiera a funzioni poco più
che di semplice supporto armonico; dall'altra, si privilegiò, all'uso galante, il
pianoforte, trattando gli strumenti di «ripieno» come l'orchestra di un concerto
in miniatura, ossia con figure di dialogo e di accompagnamento. Intuire le
potenzialità cameristiche insite nella formazione costituita da pianoforte,
violino, viola e violoncello e ricavarne un nuovo «genere» ricco di futuro, sarà
compito di Mozart, che con due capolavori come i gemelli K. 478 in sol minore
e K. 493 in mi bemolle creerà dei prototipi destinati a rimanere senza eco nella
produzione sia di Haydn che di Beethoven (il quale si accontenterà di
trascrivere il proprio Quintetto op. 16, originariamente con strumenti a fiato);
suscitando di contro l'interesse dei romantici, da Mendelssohn a Schumann
fino a Brahms, e dei minori del Biedermeier mitteleuropeo.

Il secondo dei due Quartetti mozartiani, K. 493, venne completato nel giugno
1786 e dovette trovare un editore diverso da Ho"meister, preoccupato dal
fatto che la pubblicazione della precedente composizione gemella in sol
minore era risultata fallimentare, giacché gli acquirenti avevano trovato il
lavoro troppo nuovo e di!cile e si erano rifiutati di comperarlo. Non per
questo il K. 493, nato nove mesi dopo il K. 478, risultò opera più facile o
conciliante, la «facilità» essendo forse la sola cosa impossibile all'autore. Il
nuovo Quartetto presenta a!nità strutturali ed espressive con un precedente
capolavoro cui sembra intimamente collegarsi, il mirabile Quintetto K. 452 per
pianoforte e fiati. La stessa tersa cantabilità dei temi, lo stesso clima
intensamente lirico e pacato nel primo tempo, con in più un'acuta animazione
drammatica nello sviluppo. Lo stesso ritmo ternario, la stessa concentrazione
di idee e quasi la medesima tensione armonica nell'intenso «Larghetto». Ed
anche qui, nell'«Allegretto» finale, la latente voglia concertante (altrove ben
dissimulata nel perfetto equilìbrio dei quattro strumenti) passa il segno nel
gioioso scatenarsi del gioco pianistico, che arriva, verso la fine, a simulare
«quasi una cadenza» (come avrebbe scritto Beethoven) sul filo argenteo di un
lunghissimo trillo liberatorio.

Giovanni Carli Ballola

Trio per clarinetto in mi bemolle maggiore "Kegelstatt-Trio" (Trio dei


birilli), KV 498

https://www.youtube.com/watch?v=jH-mgLLnSQ4

https://www.youtube.com/watch?v=LQimX9oUk0o

Andante (mi bemolle maggiore)


Minuetto (si bemolle maggiore)
Rondò. Allegretto (mi bemolle maggiore)

Organico: clarinetto, pianoforte, viola


Composizione: Vienna, 5 agosto 1786
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 5 agosto
1786
Edizione: Artaria, Vienna 1788

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Trio in mi bemolle maggiore per pianoforte, clarinetto e viola KV. 498, fu


incluso da Mozart nel suo catalogo personale il 5 agosto 1786. Secondo un
aneddoto non verificabile il brano sarebbe stato composto da Mozart nel corso
di una partita a birilli; e da qui nasce appunto il suo soprannome di "Trio dei
birilli" ("Kegelstatt-Trio"). Secondo un'altra fonte il Trio era destinato alla
pratica della "Hausmusik" (cioè della musica "domestica", esercitata all'interno
del circolo familiare da esecutori dilettanti) presso la famiglia Jacquin, intima
del compositore; la giovane Franziska, allieva di Mozart, avrebbe suonato il
pianoforte, il celebre virtuoso Anton Stadler il clarinetto, e lo stesso autore la
viola.

La destinazione a un circolo "familiare" avvicina il Trio K. 498 a un particolare


gruppo di opere degli stessi anni, i Trii per pianoforte, violino e violoncello,
caratterizzati da un contenuto brillante e disimpegnato, da un ruolo
protagonistico del pianoforte, e da una partecipazione più dimessa da parte
degli altri due strumenti (soprattutto il violoncello, spesso confinato nel
semplice raddoppio della linea del basso pianistico). Tuttavia la particolare
destinazione strumentale dona certamente un rilievo di interesse peculiare a K.
498.

Per favorire la di"usione editoriale del lavoro la prima edizione a stampa


(Artaria, Vienna, 1788) prevedeva l'impiego di un violino, e recitava
testualmente: «La parte del Violino si può eseguire anche con un Clarinetto».
Tuttavia proprio il suono del clarinetto - strumento privilegiato nella tarda
produzione mozartiana per la intensa e felicissima collaborazione con Stadler;
basti citare il Quintetto K. 581, il Concerto K. 622, gli interventi concertanti in
due arie della "Clemenza di Tito" - è elemento imprescindibile dell'economia
del brano; la presenza dello strumento a fiato spinge infatti il compositore a
donare al Trio una ricchissima abbondanza melodica, temperando la tecnica di
elaborazione con il prevalere di una logica paratattica; d'altra parte il ruolo
della viola - altro strumento amatissimo da Mozart, che lo suonava nelle
sedute di quartetto - è assai più protagonistico di quello assegnato al
violoncello negli altri Trii. La presenza di due strumenti dal timbro "opaco" si
trasforma inoltre in una minore brillantezza del contenuto musicale.

Anche la successione dei tre movimenti è in parte anomala rispetto ai brani


con violino e violoncello. In prima posizione troviamo un Andante dal carattere
di serenata, formalmente tripartito ma senza Sviluppo (dunque quasi più simile
a un Rondò), che si basa sulle trasformazioni espressive attribuite al motivo
principale. Seguono un Minuetto - che ha nei giochi di imitazione cromatici del
Trio i suoi momenti più seducenti - e un Rondò conclusivo di espansiva
eloquenza melodica, con un episodio in minore dominato dalle nervose terzine
della viola.

Arrigo Quattrocchi

Trio per pianoforte n. 4 in si bemolle maggiore, K 502

https://www.youtube.com/watch?v=UKDrpJjN8qQ

https://www.youtube.com/watch?v=eOcbPSl4NJI

Allegro (si bemolle maggiore)


Larghetto (mi bemolle maggiore)
Allegretto (si bemolle maggiore)

Organico: pianoforte, violino, violoncello


Composizione: Vienna, 18 novembre 1786
Edizione: Artaria, Vienna 1788
Guida all'ascolto 1 (nota 1)
Secondo il catalogo Koechel sei sono i Trii per pianoforte, violino e violoncello
composti da Mozart, che ha lasciato anche tre frammenti di un solo tempo di
altri Trii, che sono conosciuti soltanto dagli specialisti della immensa
produzione del musicista di Salisburgo. Il Trio K. 502 è considerato uno dei più
importanti della serie e fu scritto nel novembre del 1786, dopo l'esecuzione al
Burgtheater di Vienna delle Nozze di Figaro, che ebbe un esito felicissimo, e la
nascita del terzo figlio, Johann Thomas Leopold, morto il 15 novembre dello
stesso anno. La composizione si articola in tre tempi caratterizzati da una
freschezza inventiva e da una abilità contrappuntistica che si fondono in una
sublime unità, secondo il giudizio espresso da Alfred Einstein nel suo prezioso
libro su Mozart.

Il tema del primo Allegro viene esposto dal pianoforte e poi ripreso dai due
strumenti a corda in una visione concertante di elegante e misurata musicalità.
Il dialogo sonoro diventa quindi più fitto e articolato con la ripresa variata della
prima misura del tema iniziale, a!data prima al canto del violino,
accompagnato dal pianoforte, e poi al violoncello con modulazioni armoniche
di piacevole e"etto. Il successivo Larghetto in mi bemolle è un tempo lento di
nobile e profonda espressività, che si richiama in gran parte, nel materiale
tematico, al Concerto per pianoforte K. 450. La costruzione ubbidisce allo
stesso schema del primo tempo: il pianoforte espone la frase, il violino e il
violoncello la riprendono e l'arricchiscono con figurazioni e ornamenti
contrappuntistici. Il Larghetto si conclude in un'atmosfera teneramente poetica
e suggestiva, dettata dalla tonalità di mi bemolle. L'Allegretto finale svolge un
ritmo di gavotta e somiglia al rondò di un concerto da camera, nel gioco tra il
«solo» del pianoforte e il «tutti» degli altri strumenti, realizzati con brillantezza
e vivacità di colori contrastanti. Certo, la componente virtuosistica ha il suo
peso rilevante e specialmente il pianoforte assolve un ruolo di primaria
importanza, ma non si può negare a questo rondò e all'intero Trio K. 502 una
solidità di impianto e di costruzione e una eccellente trasparenza di suoni,
secondo le regole di un discorso musicale accessibile a tutti e senza quei
tormenti spirituali e quei risvolti tragici che pur esistono nell'arte mozartiana.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nessun altro settore della produzione cameristica mozartiana, più di quello dei
Trii per pianoforte, violino e violoncello, è atto a dimostrare il profondo
rispetto formale dell'autore per il «genere» praticato, le sue caratteristiche di
struttura, la sua funzione sociale. A di"erenza di Haydn, che nei quindici
stupendi quanto malnoti Trii composti tra il 1794 e il 1797 realizzò una serie
di lavori contrassegnati da un audace sperimentalismo e da uno sfrenato
spirito di libertà formale, gli esiti altissimi sortiti da Mozart nello stesso ambito
cameristico non escono mai dai limiti tracciati dalla tradizione della sonata
galante pour amateurs, dove la parte del leone viene assegnata al pianoforte
cui si aggiungono un violino complementare e un violoncello con funzioni
ancora più subordinate. Nel Trio K. 502, composto nel novembre 1786, un'eco
della mirabile, recente fioritura dei concerti per pianoforte che aveva
contribuito alle e!mere fortune viennesi di Mozart e che proprio in quel torno
di tempo si sarebbe conclusa in bellezza con il famoso K. 503 in do maggiore,
è avvertibile nello slancio concertante del primo tempo, eccezionalmente
monotematico secondo i criteri strutturali suggeriti dalle coeve produzioni di
Haydn e di Clementi; per tacere che quest'unico motivo, procedente per terze e
poi per seste parallele (quasi un arguto passo di oboi o clarinetti di una
sinfonia da opera bu"a), presenta tratti di forte rassomiglianza con quello di
un famoso concerto per pianoforte, il K. 450 nella stessa tonalità. Nel
Larghetto, tanto sfoggio di brillantezza mondana si tramuta in assoluta
concentrazione lirica, della temperie più intensa. L'intima matrice vocalistica
del meraviglioso motivo cantabile viene evidenziata dalle sistematiche risposte
del violino al pianoforte; mentre lunghissimi 'pedali' del violoncello,
circonfondono tanta beatitudine di un caldo alone timbrico. Al prediletto
concerto per pianoforte e orchestra si richiama ancora e più che mai il Finale
con il suo materiale tematico eminentemente pianistico e il suo repertorio di
brillanti figurazioni virtuosistiche e di piccanti trovate polifoniche.

Giovanni Carli Ballola

Trio per pianoforte n. 6 in do maggiore, K. 548

https://www.youtube.com/watch?v=l0KJ1yAGtVg

https://www.youtube.com/watch?v=9bVjMjAj3S8

Allegro (do maggiore)


Andante cantabile (fa maggiore)
Allegro (do maggiore)

Organico: pianoforte, violino, violoncello


Composizione: Vienna, 14 luglio 1788
Edizione: Artaria, Vienna 1790
Guida all'ascolto (nota 1)

Datato 14 luglio 1788, il Trio in do maggiore fu composto giusto a ridosso


delle tre grandi sinfonie viennesi. Di quelle giungono qui pallidi echi. La forma
del trio è concertante piuttosto che dialettica, e si potrebbero definire i tre trii
composti da Mozart in quell'anno come dei piccoli concerti per pianoforte e
orchestra. La parte del pianoforte è difatti preminente, e il discorso si articola
piuttosto quale contrasto tra timbri che come dialettica d'idee. Il primo tempo
presenta una rilevante instabilità armonica. Lo sviluppo, ad esempio, predilige
il minore, le modulazioni si susseguono senza posa, come è caratteristico del
fantasticare mozartiano, incline alla malinconia nera, ed anche alla ripresa la
risposta del violino appare in do minore. L'Andante cantabile espone al
pianoforte una melodia atona, resa ancor più tale dall'armonizzazione in
accordi tenaci degli archi. Sono le frasi dell'ultimo Mozart, quelle che
andrebbero definite rinuncia alle passioni, eppure il tarlo dello Sturm una
Drang riappare nell'improvvisa modulazione all'attacco dello sviluppo, e nella
chiusa, dove una variazione ritmica prende vita da una terzina della terza
battuta del tema.

Il Rondò, quasi pastorale, presenta secondo la tradizione francese un episodio


centrale, più lento, in minore. E sarà un Andante dalla cantilena penetrante, lo
sbalzo d'umore di una natura fragile e pronta all'immedesimazione con le pene
degli uomini, soprattutto le inconfessate, inspiegabili, represse.

Gioacchino Lanza Tomasi

Trio per pianoforte n. 7 in sol maggiore, K 564

https://www.youtube.com/watch?v=KFLJO2qDZj4

https://www.youtube.com/watch?v=MTrHDNU6lpg

Allegro (sol maggiore)


Tema con 6 variazioni. Andante (do maggiore)
Allegretto (sol maggiore)

Organico: pianoforte, violino, violoncello


Composizione: Vienna, 27 ottobre 1788
Edizione: Storace, Londra 1789

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart scrisse otto Trii con il pianoforte: in sette di essi vi unì il violino e il
violoncello, e precisamente in quello in si bemolle maggiore K. 254 del 1776,
in quello in re minore K. 442 del 1783, in quelli in sol maggiore K. 496 e in si
bemolle maggiore K. 502 del 1786, in quello in mi maggiore K. 542 e negli
altri, in do maggiore K. 548 e in sol maggiore K. 564, recante in partitura la
data del 27 ottobre 1788. Solo nel Trio in mi bemolle maggiore K. 498, che è
del 1786, il pianoforte è accompagnato dal clarinetto e dalla viola; esso
assunse il nome di "Kegelstatt-Trio" (Trio del gioco dei birilli), perché fu
composto per gli amici Jaquin tra la chiassósa allegria di una partita a birilli.
Il Trio in sol maggiore è articolato in tre tempi caratterizzati da una freschezza
inventiva e da una abilità nell'arte della variazione, specie nel secondo
movimento. Il primo tema dell'Allegro iniziale viene esposto dal pianoforte e
sorretto da un disegno melodico degli archi. Ecco quindi un tema più leggero e
festoso, a!dato al violino con un ritornello del pianoforte e poi ripreso dal
primo strumento. A questo punto si snoda lo sviluppo del discorso musicale,
condotto elegantemente dal violino su un accompagnamento di biscrome del
pianoforte. C'è molta varietà nel gioco armonico, con il passaggio dalla tonalità
di mi maggiore al do maggiore, secondo un procedimento spesso utilizzato da
Mozart; al pianoforte e al violino si aggiunge con molta evidenza, nelle battute
finali del movimento, la voce del violoncello.

L'Andante è un tema variato, punteggiato da una straordinaria purezza e


nobiltà di espressione, che si richiama allo stesso Andante della Sonata per
pianoforte e violino K. 547. Le variazioni sono sei: la prima è indicata dal
violino su una imitazione del violoncello e con l'accompagnamento del
pianoforte; la seconda è esposta dal violoncello, su ornamenti del violino e con
accordi di accompagnamento del pianoforte; nella terza variazione il violino
espone un tema cantabile, mentre il violoncello sottolinea le ultime cadenze; la
quarta variazione contiene un magnifico dialogo tra il pianoforte e i due archi;
la quinta variazione appartiene al pianoforte e la sesta è un tema molto
arabescato, realizzato dal violino, su accompagnamento del violoncello e del
pianoforte. La sensazione che si ricava dall'ascolto di questo Andante è di una
delicata e incantevole atmosfera poetica.

L'Allegretto finale in 6/8 comincia con un ritmo di siciliana del pianoforte, cui
risponde il violino, sostenuto dal violoncello. Si crea quindi una piacevole
tessitura di armonie con un ritorno al tema, che viene ripreso dal violino su
accompagnamento del pianoforte e con l'intervento del violoncello. Il tema del
rondò si allarga e si intensifica e coinvolge tutti e tre gli strumenti in una
inarrestabile cascata di invenzioni armoniche, realizzata con brillantezza e
vivacità di colori contrastanti. Il Trio K. 564 sembra rispettare le regole di un
discorso musicale accessibile a tutti e senza particolari tensioni e tormenti che
pure esistono nell'arte mozartiana.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Trio in sol maggiore K. 564 è, degli otto Trii con pianoforte composti da
Mozart, forse il più leggiadro, il più intriso di quella luminosa poeticità, di
quella ineguagliabile felicità inventiva, di quella apparente, beata,
spensieratezza, che così spesso fanno dimenticare al pubblico e ai critici le
profondissime tragiche dimensioni del suo mondo interiore e della sua arte. Il
primo Allegro esordisce con un tema d'una gaiezza, al cui vivacissimo brio una
infinita dolcezza di accenti toglie quel senso di nervoso dinamismo che
caratterizza tutti i tempi veloci di Mozart.

Gli archi, dapprima accompagnano solo con note tenute il tema proposto dal
pianoforte, dopodiché i ruoli vengono invertiti nel senso che la parte
accompagnatrice passa al piano, il quale sfaccetta però quelle note tenute in
un agile e brillante giuoco di figurazioni. Il secondo tema (in re maggiore),
imparentato invece di essere dialetticamente opposto al primo, compare al
violino, mentre il pianoforte introduce un ulteriore motivo che vale ad
arricchire il materiale tematico dell'esposizione, che si chiude con un breve
accenno al tema iniziale. Lo sviluppo, prima di investire i temi principali fin qui
esposti, indugia in una lunga parentesi in minore, il cui significato non può
essere chiarito meglio se non mettendo in rilievo che l'idea musicale che vi si
elabora coincide letteralmente col dolente motivo che, nella Scena del
commendatore del Don Giovanni segue alle parole del protagonista: «Non
l'avrei giammai creduto». La ripresa presenta rispetto all'esposizione solo la
variante che il secondo tema è a!dato (nel tono della tonica) al cello invece
che al violino.

Il secondo tempo (un'Andante in 3/8) è architettato in forma di un breve tema


(di 16 misure) con sei variazioni di tipo ornamentale, in cui cioè il tema,
conservando la sua intima struttura e il suo profilo melodico, viene circondato
da sempre diverse voci secondarie. Si dispone su curve rabescate leggermente
variate, cambia registro, timbro e anche modo (la Quinta Variazione è in do
minore) senza essere però mai scomposto e ricomposto come avverrà più
tardi, cioè da Beethoven in poi. (Anche in altri lavori di Mozart e di Haydn non
mancano però, anche se sporadicamente, esempi di variazioni "analitiche").
L'ultimo tempo, Allegretto, infine, è uno sviluppato Rondò, dove in un
danzante ritmo di 6/8, si alternano temi maggiori e minori; luminosità
diatoniche e ombre cromatiche, slanci e soste del discorso, larghe volute
melodiche e spiritose interiezioni: aspetti questi, cui il comune denominatore
dato da una trascinante verve, da un dinamismo e da una vitalità irresistibili,
conferisce quell'intima, solare unità espressiva che solo Mozart era capace di
raggiungere e che ancora oggi, dopo più di un secolo e mezzo ci appare come
il frutto di un miracoloso, magico genio creativo.

Composizioni per pianoforte a quattro mani

Andante in sol maggiore con 5 variazioni, K 501

https://www.youtube.com/watch?v=xdrjMX0sA3Y

https://www.youtube.com/watch?v=_g0ywOUQKTw
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 4 novembre 1786
Edizione: Ho"meister, Vienna 1787

Guida all'ascolto (nota 1)

L'arte della variazione fu per circa due secoli il cavallo di battaglia del virtuoso
improvvisatore. E fra i grandi successi pubblici di Mozart si contano alcune
improvvisazioni su temi propri e altrui davanti ai pubblici di Praga e di Vienna.
Le Variazioni in sol maggiore su un tema originale sono datate 4 novembre
1786. Esse fissano l'estro di Mozart improvvisatore di variazioni ornamentali,
dove il tema torna avvolto in figurazioni sempre più fitte, e del pari sono un
capolavoro di grazia concertante nel succedersi e rincorrersi dei canti fra i due
pianoforti.

Gioacchino Lanza Tomasi

Fuga in do minore per due pianoforti, K 426

https://www.youtube.com/watch?v=oNrM37AYxfc

https://www.youtube.com/watch?v=cgtkES54oxo

Allegro moderato (do minore)

Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, 29 dicembre 1783
Edizione: Ho"meister, Vienna 1788

Guida all'ascolto (nota 1)

La Fuga in do minore fu completata il 29 dicembre 1783. Essa viene alla


conclusione di un periodo di infatuazione contrappuntistica dovuto all'incontro
del musicista con le opere di J. S. Bach. La Fuga è a quattro voci, ricca di artifici
contrappuntistici, stretti ed inversioni del tema. Il do minore, secondo la
tradizione viennese, è una tonalità drammatica. Il tema ha difatti carattere di
a"ermazione contrastata, carattere sottolineato dall'esordio volitivo e dalla
conclusione cromatica. Questi due principi, ed il controsoggetto aperto da tre
crome ribattute e concluso da un trillo, dominano l'intero pezzo, sottolineano
la supremazia dell'emotività sulla scrittura rigorosa, e inducono Mozart ad un
contrappunto selvaggio. L'immagine è quella di un turbine che travolga, in
nome della passione, i generi e la loro codificazione storica.
Gioacchino Lanza Tomasi

Sonata in re maggiore per due pianoforti, K 448 (K375a)

https://www.youtube.com/watch?v=9iePyP2HOr8

https://www.youtube.com/watch?v=PQQgHpMBHbo

Allegro con spirito (re maggiore)


Andante (sol maggiore)
Allegro molto (re maggiore)

Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, Novembre 1781
Prima esecuzione privata: Vienna, casa Auernhammer, 23 Novembre 1781
Edizione: Artaria, Vienna 1795

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Mozart, eccellente pianista sin da bambino, suonò spesso a quattro mani con
sua sorella Nannerl (Maria Anna) in ricevimenti e serate musicali in cui
dominavano la bravura e il virtuosismo dei due giovanissimi interpreti. Egli
comunque ha arricchito questa specifica pratica concertistica a quattro mani
ed ha lasciato diverse composizioni che si distinguono per freschezza
inventiva e brillantezza espressiva, sul piano certamente più del divertimento
che di una profonda necessità intellettuale. Il suo esempio in questo campo
non è rimasto isolato, visto che anche Beethoven, Schubert, Schumann, fino a
Debussy, Ravel e Stravinsky scrissero pezzi per pianoforte a quattro mani,
riproposti nei programmi delle varie Istituzioni musicali. Ci limitiamo a
ricordare alcune delle Sonate mozartiane per pianoforte a quattro mani: quella
in do maggiore K. 19d, composta nel maggio del 1765 ed eseguita con la
sorella Nannerl durante una tournée in Europa, le altre in re maggiore K. 381,
in si bemolle maggiore K. 358, in fa maggiore K. 497 e in do maggiore K. 521,
scritta nel maggio 1787 per la sorella del suo amico Gottfried von Jacquin. C'è
poi l'Andante con cinque variazioni in sol maggiore K. 501, collocato nel 1786
e apprezzato per il suo elegante charme melodico e con esso il pezzo
riproposto nel concerto di stasera, cioè la Sonata per due pianoforti in re
maggiore K. 448, articolata in tre tempi e improntata ad un clima di festosa
piacevolezza sonora. In una lettera del 24 novembre 1781 scritta da Mozart a
Vìenna e indirizzata a Salisburgo è detto: «Ieri sono stato invitato dalla famiglia
Aurnhammer... Abbiamo suonato un concerto per due pianoforti che ho
composto per l'occasione ed ha ottenuto un vivo successo». Si tratta della
Sonata in re maggiore K. 448 composta per Joséphine Aurnhammer, una delle
prime allieve viennesi del musicista e molto stimata per la sua bravura tecnica
e il suo virtuosismo. Infatti la Sonata in re maggiore richiede sin dal primo
movimento (Allegro con spinto) un perfetto equilibrio nel dialogo e nella
funzione dei giochi sonori, sottolineando lo spigliato e cordiale pianismo a
quattro mani. Tale carattere si accentua nel Rondò finale, dove l'atmosfera
assume un tono di scoppiettante divertimento, mentre l'Andante centrale in sol
maggiore, diviso in tre parti, mostra tinte delicate e sfumate sul piano
armonico ed espressivo. Insomma, lo stile della Sonata è galante e inserito in
un classicismo di pura fantasia creatrice.
Guida all'ascolto 2 (nota 2)

«Presso gli Aurnhammer abbiamo suonato il Concerto a due [K. 365] e anche
una sonata a due [pianoforti] [K. 448] che avevo composto espressamente per
la circostanza e che riportò un vivo successo». È questo il testo dì una lettera
di Wolfgang Amadeus Mozart sull'accademia del 24 novembre 1781 a casa
Aurnhammer: in repertorio il concerto che aveva appena scritto per Fraulein
Josephine Aurnhammer, una delle sue prime allieve viennesi e, secondo il
compositore stesso, ottima pianista. La scelta dei due pianoforti usciva dalla
normale amministrazione. E permetteva a Mozart di giocare al meglio le sue
carte per ricavare maggiore pienezza sonora, ma soprattutto per sviluppare un
dialogo concertante; colpisce, infatti, l'arte con cui ha saputo equilibrare le due
parti pianistiche, nell'alternanza o nella simultaneità dei due esecutori che
intrecciano le sezioni, nella capacità di sfruttare appieno le sonorità e le varie
regioni della tastiera, garantendo equilibrio anche nelle sezioni virtuosistiche.
E questo, naturalmente, salvaguardando la «buona forma» dal punto di vista
architettonico. È l'ambiente di festa a fare da sfondo dominante alla Sonata,
ispirata inizialmente a un concerto di Johann Christian Bach: sin dal primo
movimento, un di"uso sentimento di gaia leggerezza accoglie l'ascoltatore.
Levità, brillantezza, sono i caratteri precipui dell'Allegro con spirito iniziale, già
dal primo gruppo tematico, tutto concentrato su energiche asserzioni, volate,
mulinanti arpeggi su figure di semicrome. Per un attimo il secondo tema
allenta la presa ritmica, con il suo arco confidenziale di tipico gusto galante,
ma già sopraggiunge il travolgente Epilogo e un agile Sviluppo che, con
l'inaspettato apparire di un nuovo tema, mette in mostra la sublime maestria
mozartiana nell'ordire la trama complessa delle parti, ma senza sforzo
apparente. L'Andante è un tipico tempo di mezzo mozartiano, ra!nato e
discreto, con un primo tema di serenata e un secondo tema in continuità di
carattere con il primo. Articolato in tre parti, spicca per quel suo stile cantabile
e commuove per i delicati colori armonici ed espressivi. Un senso generale di
pace si impadronisce della scena, inducendo a un momento di calma e di
meditazione dopo tanto spensierato correre. Ma per poco: con il Molto Allegro,
infatti, riprendono i giochi spensierati. Formalmente si tratta di un assai esteso
rondò, che richiama, almeno nel carattere, alcuni passi del Ratto dal serraglio
(risalente alla stessa epoca) o persino, nel profilo tematico del refrain
principale, il rivolto del tema della Marcia alla turca K. 331. Lo domina, anche
nella sequenza degli episodi, degli interludi, delle frasi di collegamento che
Mozart, con la tipica perizia, accosta e giustappone come segmenti a incastro,
una sorta di mobilità ritmica continua senza requie, fatta di corse impetuose, e
di volate brillanti di carattere virtuoslstico. Tempus fugit, così in un baleno, la
Ripresa del refrain principale per la terza volta giunge a spazzare ogni indugio,
concludendo in modo smagliante l'intero movimento.

Marino Mora

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Sonata in re maggiore per due pianoforti fu il frutto di un sodalizio artistico


con Josephine von Aurnhammer. Essa conta fra i capolavori dello stile galante,
e dir questo di un'opera di Mozart vale per un esito di equilibrio quale
raramente si incontra nella storia delle arti. L'impressione fonica rinvia, a volte,
a reminiscenze orchestrali. Difatti la scelta delle disposizioni pianistiche emula
felicemente i celebri dialoghi fra fiati del Mozart viennese. E l'e"etto sinfonico
emerge da un intreccio fra le tastiere, che evita i rinforzi a terze e seste, e li
sostituisce con la scrittura concertante.

Gioacchino Lanza Tomasi

Sonata in re maggiore per pianoforte a quattro mani, K 381 (K 123a)

https://www.youtube.com/watch?v=0JOkx7p576o

https://www.youtube.com/watch?v=l1D5jTPKVL8

Allegro (re maggiore)


Rondò alla polacca. Andante (la maggiore)
Tema e 12 Variazioni (re maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Monaco, 28 febbraio - marzo 1775
Prima esecuzione: Augsburg, Konzertsaal, 22 ottobre 1777
Edizione: Torricella, Vienna 1784

Guida all'ascolto (nota 1)

Gli studi più recenti dicono che Mozart compose questa Sonata a Salisburgo,
nel gennaio 1772, dopo il ritorno dal secondo viaggio in Italia, che si era svolto
tra l'agosto e il dicembre dell'anno precedente. Aveva dunque in testa gli
esempi di Niccolò Jommelli, oltre a quelli, già ascoltati, di Johann Christian
Bach, nel mettersi a scrivere una Sonata per pianoforte a quattro mani, un
genere, che, per l'epoca, era sostanzialmente inedito, moderno. E infatti un
musicologo attento come Abert ha subito notato che si tratta
dell'avvicinamento a un campo nuovo e che "la distribuzione delle idee
musicali tra i due esecutori è ancora piuttosto semplicistica, limitandosi per lo
più a e"etti d'eco o alla pura e semplice divisione tra melodia e
accompagnamento".

In e"etti ci si trova davanti a un piccolo brano, che un Wolfgang sedicenne


aveva composto per sé e per la sorella Nannerl - che pare conservasse
gelosamente il manoscritto. L'aspetto forse più curioso è una sorta di
magniloquenza della scrittura, l'avvicendarsi di temi grandiosi per una forma,
in fondo, raccolta e intima come era all'epoca quella del pianoforte a quattro
mani: lo si lega generalmente al fatto che Mozart in quel periodo stava
entrando nel cuore della composizione sinfonica - questa Sonata è nata tra la
Sinfonìa K. 114 e la K. 124 - e che dunque gli fosse rimasto nella penna
qualcosa del procedere "per masse" che è tipico della musica orchestrale.

Nicola Campogrande

Sonata in do maggiore per pianoforte a quattro mani, K 521

https://www.youtube.com/watch?v=GBaJgOYm4Xw

https://www.youtube.com/watch?v=Lsk5-zTcKK0

Allegro (do maggiore)


Andante (fa maggiore)
Allegretto (do maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 29 maggio 1787
Dedica: Babette e Nanette Natrop

Guida all'ascolto

«A Londra Wolfgangerl ha fatto il suo primo pezzo per 4 mani. Fino ad oggi
non era ancora stata fatta in nessun luogo una sonata a quattro mani»

è Leopold Mozart in una frase di discussa autenticità riportata dal Nissen in un


contesto sicuramente diverso da quello originario di cui non c'è più fonte
diretta. Siamo nel 1765 presso "Hickford's Great Room in Brewer Street" di
Londra, concerto in cui Wolfgang e la sorella Nannerl suonarono
separatamente ma anche insieme grazie alla sonata in do maggiore K 19d che
sembra sia stata composta appositamente per quel concerto.

Se la testimonianza fosse autentica si potrebbe pensare che Leopold


rivendicasse questo "primato" al figlio in buona fede in quanto all'epoca non
era molto di"uso l'interesse per questo genere (molto meno, certamente, che
nel secolo XIX, quando il pianoforte a quattro mani divenne, fra l'altro, il
mezzo più usato per la trascrizione di sinfonie e molta altra musica) e,
nonostante i primi che scrissero per pianoforte a quattro mani furono
Sammartini, Johann Christian Bach e Jommelli (non si hanno notizie precise
sulla datazione dei loro più antichi lavori del genere), non si sa se Mozart
poteva conoscerli e verosimilmente le loro opere non dovevano essere molto
anteriori a quel 1765 in cui certamente Wolfgang a"rontò il nuovo genere e
mostrò, anche in questo campo, una notevole precocità.

Le edizioni a stampa di composizioni pianistiche a quattro mani non sono


molto numerose, ne molto antiche; le sonate di J. Chr. Bach rimasero
manoscritte, Clementi cominciò abbastanza tardi a occuparsi del genere e
Mozart fece stampare i propri pezzi a partire dal 1783.

Wolfgang scrisse sonate a quattro mani nel decennio 1765-1774 e nel biennio
1786-1787 raggiungendo anche in questo ambito risultati assolutamente
senza precedenti, capolavori che ammettono ben pochi confronti in tutta la
letteratura pianistica e che definiscono con perfetta compitezza una scrittura
capace di valorizzare pienamente le peculiarità del duo. Il forte dislivello
qualitativo tra le prime sonate e il gruppo delle composizioni successive non
dipende solo dalla distanza cronologica; tra il 1772 e il 1774 Mozart aveva
scritto pagine ricche di un pensiero musicale assai più profondo di quello
rivelato dalla pur scorrevole eleganza delle sue sonate di quegli anni. Il
dislivello rivela proprio un atteggiamento diverso nei confronti del genere
(forse grazie anche a qualche suggestione di Clementi), una volontà di
a"rontarlo con un impegno nuovo, prima evidentemente ritenuto non
necessario: come se il gusto della "novità", il piacere delle alternanze, dei
giochi d'eco tra i due esecutori fosse di per se su!ciente nel clima di piacevole
"divertimento" mondano cui prevalentemente le prime sonate si attengono,
come se esse risentissero proprio della loro posizione di genere ancora
"minore" e poco definito. Queste considerazioni però non devono a"atto
indurre ad una frettolosa liquidazione delle sonate giovanili, che rivelano pur
sempre la mano di Mozart (soprattutto la notevole sonata del 1774); ma sono
inevitabilmente suggerite dal confronto con un capolavoro come la sonata in fa
maggiore k 497, che si colloca davvero molto più in alto.
Alla fine di maggio 1787 Mozart scrisse a Gottfried von Jacquin:

«Carissimo amico! - La prego di dire al signor Exner di venire domani alle 9


per fare un salasso a mia moglie. Le accludo qui il suo Amynt e il Kirchenlied. -
Abbia la bontà di consegnare alla signorina sua sorella la sonata insieme ai
miei omaggi; - le dica di applicarvisi subito perché è un po' di!cile. - adieu.

Il suo amico sincero

Le comunico che oggi appena giunto a casa ho appreso la triste notizia della
morte del mio ottimo padre. - Si può immaginare il mio stato! -»

Di!cile immaginarsi lo stato di Mozart ma che la morte del padre appaia solo
come un post scriptum, dopo una serie di notizie spicciole, è forse dovuto al
fatto che Mozart non si era ancora reso veramente conto del significato di ciò
che aveva appreso; ad ogni modo la banale routine non viene trascurata. La
sonata per la «signorina sua sorella» era la sonata in do maggiore per
pianoforte a quattro mani (K 521) scritta il 29 maggio e cioè un giorno dopo la
morte del padre.

Questa sonata è l'ultima composizione di Mozart per pianoforte a quattro mani


che fu pubblicata pochi mesi dopo con dedica alle sorelle Nanette e Babette
Natorp, figlie di un ricco mercante che faceva parte di una cerchia di amici di
Mozart comprendente anche il fratello della sua allieva Franziska von Jacquin,
Gottfried, alla quale la sonata fu inviata appena composta.

La dedica e la lettera citata fanno pensare che tra gli scopi della sonata fosse
preminente quello di fornire ad una cerchia di amici "dilettanti" di notevoli
capacità un pezzo brillante, che ne mettesse bene in luce le capacità e in e"etti
Mozart nella sua lettera a Gottfried von Jacquin raccomanda "di applicarvisi
subito perché è un po' di!cile".

Rispetto alla Sonata k 497, o al mirabile Quintetto in sol minore k 516 (finito
un paio di settimane prima), o al Don Giovanni (che andò in scena il 29 ottobre
1787) la Sonata in do maggiore si colloca in una sfera più serena e "leggera",
sembra segnare un ritorno al gusto dell'intrattenimento, del "divertimento"
delle sonate giovanili, ma con ben altra consapevolezza ed eleganza: basta
osservare in quale nuovo contesto si inseriscano i giochi d'eco e di alternanza
tra i due esecutori.

In e"etti le composizioni dell'ultimo decennio di vita di Mozart, trascorso a


Vienna come libero professionista, erano tipicamente scritte per essere
destinate al fiorente mercato dei dilettanti, i facoltosi esponenti dell'alta
società che avevano nel loro programma educativo lo studio della musica e del
pianoforte, strumento di rapide soddisfazioni e nato dalla felice intuizione di
un artigiano italiano, Bartolomeo Cristofori, che nel 1726 creò una meccanica
di produzione del suono non più basata sul pizzico delle corde come avveniva
nel clavicembalo, ma sulla percussione con martelletti. In questo modo si
superarono i limiti del cembalo, che erano rappresentati soprattutto dalla
mancanza di suoni dinamici e prolungati nel tempo. Come tutte le grandi
invenzioni, però, il nuovo strumento non fu da tutti considerato subito come
un'ovvia evoluzione, ma trovò i suoi accaniti oppositori, nell'aristocrazia in
particolare: l'antitesi clavicembalo - pianoforte sembrò infatti rispecchiare la
contrapposizione aristocrazia - borghesia che negli ultimi decenni del secolo
sfociò in un drammatico conflitto.

La vittoria della borghesia sembrò sottolineare anche la vittoria e a"ermazione


del pianoforte, strumento scelto per l'educazione musicale dalle famiglie
borghesi d'Austria, Germania, Inghilterra e Francia. Avere un pianoforte in casa
soddisfaceva molteplici aspetti della cultura borghese: l'amore per
l'innovazione tecnica, il raggiungimento di uno status sociale, il poter eseguire
senza limitazioni strumentali le arie ed i ballabili in voga (grazie anche ad un
incremento notevole della musica a stampa) e quindi (ma non meno
importante) l'amore per l'Hausmusik. La Hausmusik è la pratica strumentale ad
uso casalingo e quindi dilettantistico, nel significato originario del termine
(cioè colui che si diletta) e non nell'accezione negativa cui oggi siamo destinati
a pensare. In questo vastissimo repertorio troviamo innanzi tutto opere
didattiche, poi trascrizioni per pianoforte di brani famosi, ballabili, canzoni e
brani in cui il pianoforte era utilizzato come strumento accompagnatore di voci
od altri strumenti.

Ad a!ancare questa realtà musicale, per poi fondersi con essa, troviamo
quella che è la letteratura per gruppi strumentali che invece non privilegia la
linea melodica di un solo strumento, ma che si sviluppa nelle cosiddette parti
reali, quindi parti con una precisa identità musicale e non solo di
accompagnamento. Stiamo parlando della Kammermusik o musica da camera,
che nel Settecento segue due tendenze diverse. Da una parte quella
d'intrattenimento, mirata ad una scrittura prettamente "dialogata": i diversi
strumenti sostengono a turno la parte melodica o d'abilità; dall'altra compie
una ricerca più ardita e profonda rivolta ad un pubblico maggiormente colto. I
risultati musicali sono caratterizzati da una maggiore libertà nelle forme
musicali utilizzate e nell'uso meno convenzionale dell'armonia.

Piacevolezza e arduo intellettualismo convivono quindi negli stessi autori e


negli stessi generi, coprendo tutto l'arco delle esigenze di un pubblico di
dilettanti che andava da aristocratici musicofili fino al più umile dilettantismo
del salotto borghese e dell'intrattenimento domestico della Hausmusik. Da
questo panorama trae origine il pianoforte suonato da due esecutori, vale dire
a quattro mani. Infatti la formazione pianistica a quattro mani era all'inizio
pensata prettamente per esecuzioni casalinghe con trascrizioni facilitate di
brani più complessi oppure semplici duettini e ballabili. Come abbiamo detto
prima, però, in ogni situazione convivono aspetti anche opposti, quindi con
compositori come Haydn e soprattutto Mozart arriviamo ad avere una
letteratura per pianoforte a quattro mani in cui convivono piacevolezza
amatoriale ed applicazione della ricerca, in particolare nell'uso delle nuove
forme musicali del momento.

La sonata K521 in Do maggiore rientra a pieno titolo nella mescolanza d'intenti


culturali e musicali di cui sopra: abbiamo sia la presenza della scrittura
dialogata, quindi l'alternarsi di frasi melodiche o virtuosistiche tra i due
esecutori, sia la ricerca applicata a quella che è la forma più importante della
seconda metà del XVIII secolo: la Forma-Sonata.

La Forma-Sonata è bitematica e tripartita, ossia si compone di due temi


principali che sono articolati in tre sezioni; nella letteratura del Classicismo e
poi del Romanticismo in questa forma sono composti i primi movimenti delle
sonate e delle sinfonie.
L'Allegro

Nell'incantevole freschezza del primo tempo va notata la tendenza a ricondurre


tutto il materiale tematico al tema iniziale. Anche nella felicità luminosa di
questa pagina con mancano tocchi chiaroscurali, presenti soprattutto nello
sviluppo.

Il primo movimento scritto in forma di sonata si articola in tre momenti


fondamentali: esposizione, sviluppo e ripresa. Nell'esposizione vengono
esposti appunto quelli che sono i temi principali, denominati primo e secondo
tema, ed hanno tonalità e caratteri completamente di"erenti (incisivo e forte il
primo, cantabile il secondo).

Lo sviluppo è la parte in cui il materiale tematico viene elaborato con scambi


melodici e virtuosistici tra i due esecutori. Infine nella ripresa si ritorna ai temi
dell'inizio della composizione, ora riesposti entrambi nella tonalità principale.

L'Andante

Il secondo movimento è un Andante, costruito in una forma A-B-A.

La prima sezione A é molto cantabile in una tonalità maggiore orientata verso


le sonorità e il carattere di una serenata per fiati o di un duetto fra innamorati.
La seconda sezione B é in tonalità minore e di carattere drammatico, in cui gli
esecutori sono alle prese con una serie di arpeggi di accompagnamento che
enfatizzano il carattere agitato. La voce di Zerlina si insinua nelle pieghe del
discorso melodico; c'è quasi una citazione dell'aria "Vedrai carino" sulle parole
"E' naturale". La sezione centrale del brano, in contrasto a quelle esterne,
racchiude un episodio turbolento e appassionato (in re minore) e una scrittura
molto più tesa e frantumata (sfogo tipico di Mozart, sortita sempre improvvisa,
se pur prevedibile, usata come mezzo stilistico) che se da un lato si avverte la
vicinanza dell'opera coeva, all'epoca ancora in corso di composizione, dall'altro
ricorda lontanamente il Concerto K466 (composto un paio d'anni prima).

La terza sezione conclude il movimento con il ritorno alla parte A, alla quale
segue una piccola coda conclusiva e chiaramente a"ermativa.

L'Allegretto

L'Allegretto conclusivo combina secondo uno schema consueto il rondò con la


forma sonata, alternando il semplice, a"ascinante refrain a due episodi (il
primo dei quali viene ripreso come un secondo tema).

Il Rondò si rifà ad antiche forme poetico-musicali di struttura circolare, in cui


una strofa o un tema musicale ritorna costante, spesso intercalato da elementi
secondari mai ripetuti ma ogni volta nuovi. Nell'età della Sonata il Rondò
divenne molto comune come finale, sfruttando la vivacità dei temi popolareschi
a cui spesso si ispirava, l'estrosità delle diversioni e il forte senso di gioco che
è insito nelle periodiche riapparizioni del tema di base.

Stupisce la calma assoluta (ma anche in questo caso apparente) del Finale
(allegretto), il cui tema innocuo non lascia presagire la metamorfosi seguente,
non improntata a una svolta demoniaca, o almeno non subito, ma che di certo
é molto più vivace. Così abbiamo una serie di episodi caleidoscopici come
nell'ultimo tempo della K 448, illustre precedente di questo lavoro.

Le ombre del secondo tempo, o meglio di quella zona centrale, tornano man
mano che il tempo si sviluppa, con foschi arpeggi in minore che intervengono
di colpo, o vengono di colpo interrotti dal ritorno del tema iniziale molto
tranquillo.

Si può notare che l'inizio di questo movimento è comparabile con l'inizio


dell'allegretto che chiude la k330 in quanto condividono la stessa figura
ritmico-melodica di apertura: un Mi da un ottavo puntato seguito da due
trentaduesimi e un salto di quinta alla tonica Do.
Questa sonata raccoglie "valutazioni" molto variegate, di seguito riporto una
scala graduata delle stesse: Albert la trova "meno significativa", Einstein
"splendida", Paumgartner "un gioiello": il francese Saint-Foix trova il
movimento con l'accenno a Zerlina "liederistico", cioè tedesco, e il tedesco
Albert lo trova "in forma di rondò alla francese"; Dennerlein lo definisce "un
tranquillo canto". Nessuno pensa a Zerlina, eppure questa è l'unica ipotesi che
si riesca a provare - senza che a ciò però si possa collegare alcun significato.
Mozart non ha amministrato consciamente il suo patrimonio di idee, non gli
era necessario memorizzare.

Sonata in si bemolle maggiore per due pianoforti, Anh 42, (K 375b)

https://www.youtube.com/watch?v=4oY3lP_i9iA

Grave (si bemolle maggiore)


Presto (si bemolle maggiore)

Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, inizio 1782

Frammento incompiuto

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Grave in si bemolle maggiore è il frammento di una Sonata per due pianoforti


rimasta incompiuta. Esso segue la composizione della Sonata in re maggiore K.
448. E' probabile che Mozart avesse intenzione di ampliare il suo repertorio
per due tastiere, lieto del successo ottenuto nel novembre 1781 con la
presentazione pubblica a Vienna della Sonata in re maggiore, interpretata da
lui stesso e dalla signorina Josephine von Aurnhammer. In una lettera
dell'agosto 1781 Mozart lascia intendere che Josephine è innamorata di lui, ma
egli infierisce contro la sua bruttezza e le sue pene. Ed è forse ad una rottura
definitiva che va imputata l'interruzione della Sonata in si bemolle, rimasta al
Grave e a poche battute di un Presto.

Gioacchino Lanza Tomasi

Variazioni per pianoforte


Dodici variazioni in do maggiore per pianoforte, sull'aria "Ah, vous dirais-
je maman", K 265 (K 300e)

https://www.youtube.com/watch?v=xyhxeo6zLAM
https://youtu.be/xyhxeo6zLAM?list=RDxyhxeo6zLAM

Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, estate 1778
Edizione: Torricella, Vienna 1785

Guida all'ascolto (nota 1)

Anche se suonò professionalmente per diversi anni il violino (fu


Konzertmeister presso la corte arcivescovile di Salisburgo) Mozart ebbe con il
pianoforte - o, meglio, fortepiano, come si usa chiamare oggi questo
strumento nella prima fase del proprio sviluppo - un rapporto privilegiato.
Sullo strumento a tastiera compì i primi approcci diretti con la musica, e anche
i primi tentativi di composizione; della tastiera si servì per incantare tutte le
grandi corti europee nel corso dei numerosi pellegrinaggi infantili. Sulla
tastiera concentrò le sue attenzioni, almeno a partire dal 1775, con le sei
sonate monacensi che costituiscono il suo primo importante lascito in questo
campo. Alla tastiera guardò l'autore maturo per imporre il proprio nome
presso l'alta società viennese, dopo il trasferimento a Vienna del 1781,
proponendosi nella doppia veste di pianista-compositore. Infatti la maggior
parte delle composizioni dedicate da Mozart al pianoforte fu pensata
dall'autore per il proprio personale uso di solista. Come molti virtuosi della
propria epoca egli fu essenzialmente un compositore-esecutore, che scriveva
la propria musica con il fine preciso di valorizzare al meglio le proprie qualità
tecniche ed espressive.

Nella cospicua produzione di Mozart dedicata allo strumento possiamo dunque


cogliere due aspetti paralleli e complementari dell'evoluzione del maestro; da
una parte l'evoluzione dell'esecutore, ossia la progressiva scoperta delle
potenzialità del pianoforte, strumento che aveva preso da poco tempo il posto
del vecchio cembalo e che attraversava un periodo di rapido perfezionamento;
insomma una ricerca sulla tecnica e sulla scrittura per lo strumento. Dall'altra
parte l'evoluzione del compositore, che costruisce la sua musica in modo da
attribuire alle vecchie forme strumentali - la sonata, la variazione, il concerto -
una ampiezza e una varietà, una articolazione interna e una complessità di
soluzioni in precedenza sconosciute, proprio partendo dalle nuove scoperte
sulla scrittura pianistica.

La variazione e la sonata sono dunque gli ambiti privilegiati della produzione


tastieristica di Mozart. La prassi della variazione, risalente alle origini della
musica strumentale, aveva trovato un nuovo incremento e un nuovo sviluppo
nel periodo galante. A di"erenza degli autori barocchi (esempio preclaro quello
delle Variazioni Goldberg di Bach), l'idea della variazione galante non aveva
implicazioni speculative, ma principalmente uno scopo leggero e intrattenitivo,
e si limitava a ripetere il tema di base con variazioni ornamentali che non ne
intaccavano l'essenza e la riconoscibilità.

Di Mozart sono giunti ai posteri almeno quattordici cicli di variazioni


pianistiche stesi su carta. L'espressione non è casuale. Per Mozart infatti, come
per i pianisti della sua epoca, il ciclo di variazioni era essenzialmente una
tecnica per improvvisare di fronte a un pubblico. Fin da piccolo, nel corso dei
suoi viaggi europei di apprendistato, Mozart era solito, nel corso di una
esibizione, improvvisare delle variazioni su un tema proposto da qualche
spettatore; una manifestazione di grande creatività e di dominio perfetto della
tastiera. È ovvio che queste improvvisazioni non nascevano in modo del tutto
rapsodico e istintivo, seguivano al contrario uno schema preciso, per cui ogni
singola variazione sviluppava un particolare assunto di base, tecnico o
espressivo, come, ad esempio, gli arpeggi della mano destra o l'incrocio delle
mani, o il passaggio del tema dal modo maggiore al modo minore e via
dicendo. Nel corso degli anni Mozart arrivò a definire in qualche modo uno
schema "a priori", che gli consentiva di elaborare delle variazioni anche molto
complesse direttamente in fase di esecuzione, partendo dai temi proposti da
qualche illustre componente del pubblico di un salotto o di una esclusiva sala
di concerti. È quindi logico immaginare che molti cicli di variazioni
costituiscano la stesura su carta di qualche felice esibizione concertistica
avvenuta in un tempo precedente. In questo procedimento quanto più
semplice era il tema di partenza tanto più e!cace era il risultato.

Semplicissima, e dunque ideale per essere variata, era la canzone infantile "Ah,
vous dirai-je Maman", posta alla base delle Dodici variazioni in do maggiore K.
265 (300e). È questo uno dei quattro cicli di variazioni scritti nel 1778 nel
corso dello sfortunato soggiorno parigino; troviamo, in questi lavori, un'ormai
raggiunta consapevolezza della scrittura pianistica, come nelle parallele sonate
del viaggio a Mannheim e Parigi di quegli anni; inoltre Parigi era un grande
centro del concertismo, che aveva sviluppato un particolare gradimento per il
genere del tema con variazioni, considerato un giusto banco di prova per ogni
virtuoso. Ecco dunque che Mozart scelse per le sue variazioni parigine dei temi
tutti francesi e molto noti, come la romanza "Je suis Lindor" tratta dalle
musiche di scena di Antoine-Laurent Baudron per Le Barbier de Séville di
Beaumarchais (Variazioni K. 354), la canzone francese "La belle Françoise" (K.
353), l'arietta "Lison dormait" dal Singspiel Julie di Nicolas Dezède (K. 264) e
appunto la canzone infantile "Ah, vous dirai-je Maman". Le variazioni costruite
su questo incantevole tema - che hanno fatto pensare, per il loro carattere
tecnicistico, a una destinazione didattica - costituiscono una sorta di corollario
dell'arte puramente tastieristica di Mozart. Gemelle (cioè alternanti gli stessi
principi tecnici fra le due mani) sono le sezioni I-II e III-IV; singolare la quinta,
che spezza una unica linea fra le due mani; non mancano quelle in minore
(VIII), a mani incrociate (X), in tempo lento (XI), pausa studiata prima della
brillantissima conclusione, l'unica che adotta umoristicamente il ritmo ternario.

Arrigo Quattrocchi

Otto variazioni in fa maggiore per pianoforte, sul tema "Ein Weib ist das
herrlichste Ding", K 613

https://www.youtube.com/watch?v=2b6uBOVUK58

https://www.youtube.com/watch?v=12Fvyb8U71w

Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 8 marzo - 12 aprile 1791

Guida all'ascolto (nota 1)

Anche se suonò professionalmente per diversi anni il violino (fu


Konzertmeister presso la corte arcivescovile di Salisburgo) Mozart ebbe con il
pianoforte - o, meglio, fortepiano, come si usa chiamare oggi questo
strumento nella prima fase del proprio sviluppo - un rapporto privilegiato.
Sullo strumento a tastiera compì i primi approcci diretti con la musica, e anche
i primi tentativi di composizione; della tastiera si servì per incantare tutte le
grandi corti europee nel corso dei numerosi pellegrinaggi infantili. Sulla
tastiera concentrò le sue attenzioni, almeno a partire dal 1775, con le sei
sonate monacensi che costituiscono il suo primo importante lascito in questo
campo. Alla tastiera guardò l'autore maturo per imporre il proprio nome
presso l'alta società viennese, dopo il trasferimento a Vienna del 1781,
proponendosi nella doppia veste di pianista-compositore. Infatti la maggior
parte delle composizioni dedicate da Mozart al pianoforte fu pensata
dall'autore per il proprio personale uso di solista. Come molti virtuosi della
propria epoca egli fu essenzialmente un compositore-esecutore, che scriveva
la propria musica con il fine preciso di valorizzare al meglio le proprie qualità
tecniche ed espressive.

Nella cospicua produzione di Mozart dedicata allo strumento possiamo dunque


cogliere due aspetti paralleli e complementari dell'evoluzione del maestro; da
una parte l'evoluzione dell'esecutore, ossia la progressiva scoperta delle
potenzialità del pianoforte, strumento che aveva preso da poco tempo il posto
del vecchio cembalo e che attraversava un periodo di rapido perfezionamento;
insomma una ricerca sulla tecnica e sulla scrittura per lo strumento. Dall'altra
parte l'evoluzione del compositore, che costruisce la sua musica in modo da
attribuire alle vecchie forme strumentali - la sonata, la variazione, il concerto -
una ampiezza e una varietà, una articolazione interna e una complessità di
soluzioni in precedenza sconosciute, proprio partendo dalle nuove scoperte
sulla scrittura pianistica.

La variazione e la sonata sono dunque gli ambiti privilegiati della produzione


tastieristica di Mozart. La prassi della variazione, risalente alle origini della
musica strumentale, aveva trovato un nuovo incremento e un nuovo sviluppo
nel periodo galante. A di"erenza degli autori barocchi (esempio preclaro quello
delle Variazioni Goldberg di Bach), l'idea della variazione galante non aveva
implicazioni speculative, ma principalmente uno scopo leggero e intrattenitivo,
e si limitava a ripetere il tema di base con variazioni ornamentali che non ne
intaccavano l'essenza e la riconoscibilità.

Di Mozart sono giunti ai posteri almeno quattordici cicli di variazioni


pianistiche stesi su carta. L'espressione non è casuale. Per Mozart infatti, come
per i pianisti della sua epoca, il ciclo di variazioni era essenzialmente una
tecnica per improvvisare di fronte a un pubblico. Fin da piccolo, nel corso dei
suoi viaggi europei di apprendistato, Mozart era solito, nel corso di una
esibizione, improvvisare delle variazioni su un tema proposto da qualche
spettatore; una manifestazione di grande creatività e di dominio perfetto della
tastiera. È ovvio che queste improvvisazioni non nascevano in modo del tutto
rapsodico e istintivo, seguivano al contrario uno schema preciso, per cui ogni
singola variazione sviluppava un particolare assunto di base, tecnico o
espressivo, come, ad esempio, gli arpeggi della mano destra o l'incrocio delle
mani, o il passaggio del tema dal modo maggiore al modo minore e via
dicendo. Nel corso degli anni Mozart arrivò a definire in qualche modo uno
schema "a priori", che gli consentiva di elaborare delle variazioni anche molto
complesse direttamente in fase di esecuzione, partendo dai temi proposti da
qualche illustre componente del pubblico di un salotto o di una esclusiva sala
di concerti. È quindi logico immaginare che molti cicli di variazioni
costituiscano la stesura su carta di qualche felice esibizione concertistica
avvenuta in un tempo precedente. In questo procedimento quanto più
semplice era il tema di partenza tanto più e!cace era il risultato.

Con le Otto variazioni sul Lied "Ein Weib ist das herrlichste Ding" K. 613 dal
Singspiel Der dumme Gärtner attribuito a Benedikt Schack ci spostiamo agli
ultimi mesi della vita di Mozart; questo, che è l'ultimo ciclo di variazioni del
catalogo dell'autore, venne scritto nel marzo 1791, all'interno del circolo di
amici che avrebbe dato vita, nel corso di quell'anno, a Die Zauberflöte, e infatti
queste variazioni si basano assai probabilmente su un tema del primo
interprete del ruolo di Tamino, Schack appunto. Proprio questo lungo tema ha
la caratteristica di "bruciare" nelle prime otto battute una breve idea melodica
che non viene più sfruttata nel corso del tema; ecco dunque che nel
susseguirsi delle variazioni Mozart ripropone quasi immutate queste prime
otto battute, facendo cominciare il vero e proprio lavoro di variazione a partire
dalla nona; questo procedimento conferisce una grande unità al ciclo, che si
sviluppa per il resto secondo i soliti stilemi. Nella settima variazione il
cambiamento di tempo in Adagio avviene alla nona battuta, e dà luogo ad una
fantasia estremamente libera; mentre l'ottava e ultima variazione parte
direttamente dalla nona battuta, ed ha come epilogo il ritorno dell'idea
melodica iniziale.

Arrigo Quattrocchi

Sei Variazioni in fa maggiore sull'aria Salve tu, Domine di Giovanni


Paisiello, K 398 (K 416e)

https://www.youtube.com/watch?v=z-Uc3I9PcM4

https://www.youtube.com/watch?v=Lm3tTXEvRjo

Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, marzo 1783
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 23 marzo 1783
Edizione: Artaria, Vienna 1786

Guida all'ascolto (nota 1)

In un concerto tutto di sue musiche (un'«Accademia»), comprendente ben dieci


«pezzi» (vi figuravano, tra l'altro, la Ha"ner-Symphonie, il Concerto K. 425 e
quello K. 175), Mozart suonò (Vienna, 23 marzo 1783) queste Variazioni sul
tema di Paisiello e, poi, aumentando le richieste di bis, anche quelle sull'aria di
Gluck.

Le Variazioni K. 398 nascono da un frammento dell'opera di Paisiello I filosofi


immaginari - su libretto del Bertati - rappresentata nel 1777 a Pietroburgo
dove Paisiello, l'anno prima, era stato chiamato da Caterina II, con l'incarico di
direttore di corte e di supervisore dell'opera italiana, e dove il nostro
compositore soggiornò fino al 1784.

Tornando in Europa, Paisiello incontrò a Vienna Mozart il quale gli fece


ascoltare le Variazioni. L'episodio è ricordato da Mozart stesso in una delle
lettere che completano questo programma.

Il tema e le variazioni si susseguono senza soluzione di continuità e con la


caratteristica di non presentare mai alcun segno di ripetizione, di «daccapo».
L'impegno tenuto nelle prime tre è anche quello di far germogliare la
variazione nello stesso spazio ocupato dal tema (ventidue battute). Le prime
tre variazioni, cioè, non variano il numero iniziale delle battute, ma
costituiscono, pur nel rigore formale, un diverso riverbero fonico dato al tema.
La prima variazione punta sulla mano destra e in un veloce «legato»; la
seconda, prevalentemente su un rapido «staccato» di biscrome, dissolvente in
una assorta rievocazione della seconda parte del tema. La terza mette in risalto
la presenza della mano sinistra.

Dalla quarta variazione, il discorso si fa più movimentato e più elaborato. Al


carattere quasi d'improvvisazione che emerge dalle prime tre, si sostituisce un
lavorìo più minuzioso, e più ricco anche di soluzioni armoniche. Lo spazio si
allarga e la musica spesso indugia in «cadenze» o è a!data (come nella quinta
variazione) ai «trilli» i quali ripropongono soluzioni già sperimentate nel Rondò
della Sonata K. 281. Un impeto di più deciso virtuosismo sostiene l'ultima
variazione, che è la più ampia, e che porta, attraverso il clima fantastico di una
imprevedibile «cadenza», alla ripresa del tema. Nelle ultime battute, è di
straordinaria ricchezza espressiva il ribaltamento della struttura ritmica, la
diversa accentuazione data da Mozart al tema di Paisiello.

Variazioni per pianoforte in sol maggiore su un'Arietta di Gluck, K 455

https://www.youtube.com/watch?v=S0SzXLj80jY

https://www.youtube.com/watch?v=uQ-t5Bwqk9c

Allegretto (sol maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 25 Agosto 1784
Edizione: Torricella, Vienna 1785

Guida all'ascolto (nota 1)

Le dieci Variazioni in sol maggiore sull'Arietta "Unser dummer Pöbel meint" dal
Singspiel Die Pilger von Mekka di Gluck K. 455 costituiscono uno degli esempi
più perfetti e assiomatici di Variazioni pianistiche scritte da Mozart. Una lettera
al padre del 29 marzo 1783 testimonia che questo ciclo (come anche un altro
ciclo, su un tema da I filosofi immaginarii di Paisiello K. 398) nacque come
improvvisazione, nel corso di un concerto tenuto di fronte all'imperatore
Giuseppe II. È possibile che in sala fosse presente il compositore di corte
Christoph Willibald Cluck e che Mozart, come omaggio al grande autore di
Orfeo ed Euridice e Alceste, scegliesse, per le sue Variazioni, un tema da una
sua Opera di grande successo: La rencontre ìmprévue o Les Pèlerins de la
Mecque, opéra-comique del 1764, tornata in scena a Vienna in versione
tedesca nel luglio 1780 con accoglienza trionfale. Mozart si accinse in seguito
a stendere su carta le Variazioni sul tema di Gluck, come testimonia un
abbozzo incompiuto di una primitiva versione. Tuttavia è solo alla data del 25
agosto 1784, oltre un anno più tardi, che inserì la composizione nel suo
catalogo personale.

Le Variazioni sul tema di Gluck, nel loro lungo percorso dall'improvvisazione in


concerto alla carta da musica, vedono Mozart mettere a fuoco in modo
estremamente rifinito tutti i dettagli della scrittura pianistica, sempre sulla
base di quegli schemi a priori di cui il compositore si serviva nello svolgere le
sue improvvisazioni. Il tema di Gluck ha un carattere di marcia, che, nel corso
delle dieci Variazioni, mantiene quasi sempre immutato lo schema armonico.

Gemelle sono le prime due Variazioni, con le semicrome della mano destra che
si contrappongono agli accordi della sinistra, e viceversa. Seguono poi la terza
Variazione in terzine, la quarta con le "domande" della mano sinistra e le
"risposte" della destra, la quinta che propone il tema variato nel modo minore,
con una transizione espressiva. La sesta Variazione o"re i trilli alternati fra le
due mani, con un suggestivo e"etto coloristico; la settima delle imitazioni;
l'ottava l'incrocio fra le due mani. Una lunga cadenza conduce alla nona
Variazione, un tempo lento, con un arioso fraseggiare della destra, che ha un
carattere di Fantasia. Si giunge così alla decima e ultima Variazione, più lunga
e complessa, avviata col cambio del metro di base, da binario a ternario (3/8),
e dunque più capriccioso e brillante; questa Variazione virtuosistica è anche
interrotta da una lunga cadenza, gioca poi col passaggio della mano destra
sulla sinistra, infine approda a una coda che riespone il tema originario di
Gluck, e conclude con estro e grazia tutto il percorso delle Variazioni, che per
il loro arco elaborato e impegnativo sono un vero pezzo da concerto.

Arrigo Quattrocchi

Variazioni per pianoforte in si bemolle maggiore su un Allegretto, K 500

https://www.youtube.com/watch?v=Z6USF9sm2pw

https://www.youtube.com/watch?v=UFWneb1jrUo

Allegretto (si bemolle maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 12 Settembre 1786
Edizione: Ho"meister, Vienna 1786
Guida all'ascolto (nota 1)
Le dodici Variazioni in si bemolle su un Allegretto K. 500 sono il terzultimo
ciclo di Variazioni di Mozart, risalente al 12 settembre 1786. La raccolta venne
scritta, secondo la testimonianza della vedova Constanze, dietro sollecitazione
dell'editore Franz Anton Ho"meister, per una destinazione editoriale che poi
non ebbe luogo, ma che certamente condizionò il carattere estremamente
semplice della raccolta; è questo peraltro l'unico ciclo di cui non si conosca
l'autore del tema; forse lo stesso Mozart, anche se in genere questi cicli
pianistici prendevano spunto da una melodia celebre. La brevità del tema viene
rispettata in tutte le Variazioni, che seguono schemi consolidati.

Il tema, in stile di Gavotta, o di Contraddanza, viene modificato nelle prime due


Variazioni in modo parallelo, con le terzine alla mano destra, e poi alla sinistra.
Parallele sono anche la terza e la quarta Variazione, con le scorrevoli quartine
alla destra e poi alla sinistra. La quinta Variazione o"re cromatismi e
screziature armoniche, la sesta si fonda su arpeggi spezzati. La settima
Variazione passa dal maggiore al minore, con una netta transizione espressiva.
L'ottava Variazione si basa su note ribattute, la nona su scale e spostamento
d'accenti, la decima sull'inversione della mano destra sopra la sinistra. Una
cadenza conduce all'undicesima variazione, un Adagio dalla melodia fiorita,
che è una vera pausa contemplativa prima dell'ultima Variazione. La
dodicesima o"re infatti una repentina conversione verso lo Scherzo, con un
cambio di metro da binario a ternario. Infine, una breve cadenza porta alla
riesposizione del tema, nella sua veste originale, approdo circolare delle dodici
Variazioni.

Arrigo Quattrocchi

Variazioni per pianoforte su un minuetto di Jean-Pierre Duport in re


maggiore , K 573

https://www.youtube.com/watch?v=kMifceMiM34

https://www.youtube.com/watch?v=gOGB6RDHbAw

Organico: pianoforte
Composizione: Potsdam, 29 Aprile 1789
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Al 1789 appartengono le nove Variazioni in re maggiore su un Minuetto di


Jean-Pierre Duport K. 573. Si tratta di una pagina composta durante il viaggio
compiuto a Berlino nella primavera 1789 al seguito del principe Karl
Lichnowsky. Mozart arrivò a Potsdam, dove il Re Federico Guglielmo II di
Prussia manteneva la propria residenza principale, il 25 aprile. Chiese di essere
ricevuto dal Sovrano ma si trovò di fronte, come intermediario, Jean-Pierre
Duport (1741-1818), importante figura di violoncellista che ricopriva il ruolo di
direttore della musica da camera del Re. Come tentativo di ingraziarsi l'arcigno
e di!dente Duport - un tentativo che non sembra essere stato molto proficuo
- Mozart scrisse dunque, appena tre giorni più tardi, il 29 aprile, un ciclo di
Variazioni pianistiche, basato sul Minuetto tratto dalla Sonata op. 4 n. 6 per
violoncello e basso continuo di Duport.

A di"erenza di numerosi dei cicli di Variazioni pianistiche di Mozart, le


Variazioni K. 573 non nacquero dunque come perfezionamento su carta di una
precedente improvvisazione. Il semplice ed elegante Minuetto di Duport viene
sottoposto tuttavia a una serie di trasformazioni che si succedono secondo
schemi prestabiliti, gli stessi che Mozart teneva presenti quando si trovava ad
improvvisare. Le prime due variazioni o"rono così le fitte semicrome della
mano destra accompagnate da accordi della sinistra, e poi viceversa. La terza
sfrutta gli arpeggi spezzati fra le due mani. La quarta sviluppa, a mani
alternate, delle terzine per terze e seste. La quinta parte dal tema in note
ribattute. La sesta converte il tema nel modo minore. La settima sfrutta le
ottave spezzate, a mani alternate. L'ottava è una pausa contemplativa, un
Adagio fiorito e dal fraseggio libero che prepara sapientemente la sorpresa
dell'ultima Variazione, con il mutamento del metro da ternario a binario. Il ciclo
delle Variazioni si conclude poi con il ritorno del tema, sottilmente fiorito.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nell'aprile 1789 Mozart si mise in viaggio per Berlino con il suo allievo, il
principe Carlo Lichnowsky. Il musicista sperava in una commissione da parte
del re di Prussia, Federico Guglielmo II, buon violoncellista e musicofilo.
L'ingresso a corte avvenne attraverso il maestro del re, il francese Jean-Pierre
Duport, e per ingraziarselo Mozart compose il 29 aprile 9 variazioni su un suo
minuetto. Favore improduttivo, perché la visita non sortì l'e"etto sperato, e
Mozart attribuì l'insuccesso ai raggiri del «brutto ce"o celtico».

Le variazioni si attengono ai canoni dello stile galante, variazioni ornamentali


basate soprattutto sulla diminuzione dei valori in quartine e terzine. A questi
passi brillanti fanno contrasto l'eleganza appena riflessa del minore (variazione
6), e il fiorito adagio (variazione 8). La variazione 9 è seguita da una coda. Essa
è una cadenza che riconduce all'esposizione del minuetto nella forma
originaria, tratto tipico dell'ultimo Mozart, quando le melodie da carillon
indicano, con la regressione all'infanzia, una soluzione esistenziale, che schiva
la realtà per il conforto dell'evasione magica.
G. Lanza Tomasi

Composizioni isolate per pianoforte

Adagio per pianoforte in si minore, K 540

https://www.youtube.com/watch?v=0e7zpw-B_FE

https://www.youtube.com/watch?v=82eT3_FCoeM

https://www.youtube.com/watch?v=8ClK6waNHd4

Adagio (si minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 19 Marzo 1788
Edizione: Ho"meister, Vienna 1788

Guida all'ascolto (nota 1)

Questo breve movimento lento rimasto isolato per ragioni ignote, pubblicato
da Ho"meister senza alcuna ulteriore indicazione, reca la data del 19 marzo
1788 e appartiene dunque al periodo dell'ultimo Mozart (cronologicamente si
situa a cavallo delle due versioni, praghese e viennese, del Don Giovanni). E del
Mozart maturo ha tutta l'ine"abile, poetica ina"errabilità, la valenza espressiva
tragica e la tendenza a risolvere la musica, quasi nella sua essenza, in termini
metafisici. Il carattere libero e rapsodico del suo andamento riposa su un
equilibrio instabile ma perfettamente disegnato, nel quale l'accesa passionalità,
con tratti quasi disperati, si placa in una progressiva decantazione che trova il
suo punto di destinazione finale nella trasfigurante coda in maggiore.

Sergio Sablich

Capriccio per pianoforte in do maggiore, K 395 (K 300g)

https://www.youtube.com/watch?v=BJZ1gdvPnQg

https://www.youtube.com/watch?v=TKV9n36kppE

Allegretto (do maggiore)


Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 15 - 20 luglio 1778
Edizione: Simrock, Bonn 1833

Guida all'ascolto (nota 1)

Il Capriccio in do maggiore K. 395 di Wolfgang Amadeus Mozart è un dono per


l'onomastico della sorella. Così si iegge in una lettera da lui indirizzata a
Nannerl: «... Ti ho scritto un preludio non come volevi tu, che permettesse
d'interrompere a piacimento,...ma non avevo abbastanza tempo per una cosa
del genere... » e ne fa un Capriccio. Di tale fretta compositiva resta il carattere
improvvisativo, la mancata elaborazione di spunti tematici, la profusione di
estroversioni pianistiche e una certa noncuranza nel giustapporre cadenze,
frasi cantabili, scatti virtuosistici. Per due volte Mozart aggiunge la didascalia
Capriccio sul rigo musicale.

Ruggero Laganà

Marcia in do minore per pianoforte "Piccola marcia funebre del Signor


Maestro Contrappunto", K 453a

https://www.youtube.com/watch?v=qreS-wdAAdg

Lento (do minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, marzo - maggio 1784

Guida all'ascolto (nota 1)

Un unicum nella produzione di Mozart è la Kleiner Trauermarsch in do minore


K. 453a, rimasta a lungo esclusa dal catalogo mozartiano ma indubitabilmente
autentica. Fu scritta nel 1784 per una allieva, Fräulein Ployer, che la conservò
nel suo album. Nonostante abbia il sottotitolo scherzoso di "Marcia funebre del
Sigr Maestro Contrappunto", è una musica raccolta e grave, in cui alberga un
dolore intenso ma senza disperazione, simile in questo alla Musica funebre
massonica K. 477, nella stessa tonalità di do minore.

Mauro Mariani

Piccola giga in sol maggiore per pianoforte, K 574

https://www.youtube.com/watch?v=mPoibloHm_s
Allegro (sol maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Lipsia, 16 Maggio 1789
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Guida all'ascolto (nota 1)

Di gran lunga più importante, nella sua brevità, la Piccola Giga in sol maggiore
K. 574, pagina che si riallaccia al grande interesse di Mozart, nei suoi ultimi
anni, verso lo stile "antico" di Sebastian Bach e di Händel. Mozart aveva
imparato a conoscere e ad ammirare la musica di questi autori grazie alla
frequentazione del salotto del barone Gottfried van Swieten che, come
diplomatico, aveva risieduto lungamente a Berlino, dove la musica di Bach era
conosciuta e di"usa nei circoli legati al figlio Carl Philipp Emanuel. Al suo
ritorno a Vienna, nel 1777, van Swieten doveva diventare un autentico
mecenate, volto al culto di quella che era considerata la "musica antica",
attraverso un circolo intellettuale che promuoveva molte esecuzioni. È per i
concerti promossi da van Swieten che a Mozart venne richiesto di trascrivere
quattro Oratori di Händel. All'ombra degli studi di questo stile "antico" nascono
anche parecchi lavori pianistici segnati dal gusto arcaicizzante per il
contrappunto.

La Piccola Giga K. 574 venne scritta a Lipsia, tappa del già citato viaggio
compiuto a Berlino nella primavera 1789 insieme al principe Karl Lichnowsky.
La composizione rappresenta un piccolo dono vergato da Mozart, con la data
del 16 maggio 1789, insieme a una sincera dedica, sul quaderno personale
dell'organista della corte lipsiense, Karl Immanuel Engel. Insomma un omaggio
musicale a uno stimato collega. Nonostante Lipsia fosse la città nella quale
aveva svolto il proprio magistero Sebastian Bach, la Piccola Giga ha un modello
diverso, quello di Händel, e precisamente della Suite n. 8 in fa minore, tratta
dalla raccolta del 1722. Il contrappunto impeccabile delle tre voci della Giga
ricalca da vicino quello händeliano, seguendo però un percorso armonico non
prevedibile, che rivela molto nitidamente la mano di Mozart.

Arrigo Quattrocchi

Composizioni per organo

Andante in fa maggiore per organo meccanico, K 616

https://www.youtube.com/watch?v=IMRWMhIOYuc

Organico: organo meccanico


Composizione: Vienna, 4 maggio 1791
Edizione: Artaria, Vienna 1791

Guida all'ascolto (nota 1)

Nella vasta e multiforme attività musicale mozartiana non potevano mancare i


pezzi per organo, o strumenti consimili, anche se queste composizioni, che
sono soltanto tre non considerando il frammento dell'Adagio K. 617, non
presentano elementi di grande importanza sotto il profilo dell'originalità
creatrice. Infatti la Fantasia in fa minore K. 594, l'Andante in fa maggiore K.
616 e la Fantasia in fa minore K. 608, sono dettate da motivi contingenti e
considerate dallo stesso Paumgartner, studioso e ammiratore di Mozart, come
testimonianze drammatiche dello stato di miseria in cui versava tra la fine del
1790 e i primi mesi del 1791 il grande musicista, sempre più solo ed
emarginato dalla società detentrice del potere. Oberato di debiti e in mezzo a
di!coltà economiche di ogni genere (nell'ottobre del 1790 Mozart vendette
tutta l'argenteria che gli era rimasta in casa per recarsi a Francoforte sul Meno
in occasione della festa di incoronazione di Leopoldo II, il quale aveva invitato
u!cialmente solo i musicisti Salieri e Umlauf) l'artista fu incaricato da un certo
conte Deym, collezionista di oggetti preziosi e rari, di scrivere una serie di
pezzi per organo meccanico, detto anche ad orologeria, che richiamava in quel
tempo la curiosità della ricca borghesia viennese. Il musicista, che prorio in
quel periodo era stato invitato dal direttore dell'Opera italiana di Londra, O'
Reilly a recarsi per sei mesi in Inghilterra e a scrivere due opere con un
compenso di 300 sterline (il viaggio e il progetto andarono in fumo), non ebbe
di!coltà a soddisfare la bizzarra ordinazione di Deym. Sono pezzi scritti per
necessità, ma vale la pena di ricordare che essi appaiono in un momento
inventivo tutt' altro che in via di esaurimento, se si considera che il 1791 è
l'anno di due opere teatrali, Il flauto magico e La clemenza di Tito, dei due
Quintetti per archi K. 613 e K. 614, del Concerto per clarinetto K. 622, del
mottetto Ave verum corpus per voci soliste, archi e organo e dell'ultima pagina
della partitura del Requiem con le otto misteriose battute del "Lacrymosa", che
troncano il respiro a"annoso del musicista morente.

L'Andante K. 616, noto anche come Rondò, presenta un virtuosismo adatto ad


uno strumento meccanico e si basa su un tema unico modulato nelle tonalità
di si bemolle, la minore, fa minore, la bemolle, secondo una serie di variazioni
che conferiscono una impronta patetica alla linea espressiva. Il pezzo si
conclude con una stretta brillante, in cui il tema viene riesposto depurato di
ogni suo ornamento e abbellimento, in un clima di dolcezza accordale.

Fantasia per organo meccanico, K 594

https://www.youtube.com/watch?v=76EL79G13n8
Adagio (fa maggiore)
Allegro (fa maggiore)

Organico: orologio meccanico del conte Deym


Composizione: Vienna, ottobre - dicembre 1790
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1800

Guida all'ascolto (nota 1)

Nella vasta e multiforme attività musicale mozartiana non potevano mancare i


pezzi per organo, o strumenti consimili, anche se queste composizioni, che
sono soltanto tre non considerando il frammento dell'Adagio K. 617, non
presentano elementi di grande importanza sotto il profilo dell'originalità
creatrice. Infatti la Fantasia in fa minore K. 594, l'Andante in fa maggiore K.
616 e la Fantasia in fa minore K. 608, sono dettate da motivi contingenti e
considerate dallo stesso Paumgartner, studioso e ammiratore di Mozart, come
testimonianze drammatiche dello stato di miseria in cui versava tra la fine del
1790 e i primi mesi del 1791 il grande musicista, sempre più solo ed
emarginato dalla società detentrice del potere. Oberato di debiti e in mezzo a
di!coltà economiche di ogni genere (nell'ottobre del 1790 Mozart vendette
tutta l'argenteria che gli era rimasta in casa per recarsi a Francoforte sul Meno
in occasione della festa di incoronazione di Leopoldo II, il quale aveva invitato
u!cialmente solo i musicisti Salieri e Umlauf) l'artista fu incaricato da un certo
conte Deym, collezionista di oggetti preziosi e rari, di scrivere una serie di
pezzi per organo meccanico, detto anche ad orologeria, che richiamava in quel
tempo la curiosità della ricca borghesia viennese. Il musicista, che prorio in
quel periodo era stato invitato dal direttore dell'Opera italiana di Londra, O'
Reilly a recarsi per sei mesi in Inghilterra e a scrivere due opere con un
compenso di 300 sterline (il viaggio e il progetto andarono in fumo), non ebbe
di!coltà a soddisfare la bizzarra ordinazione di Deym. Sono pezzi scritti per
necessità, ma vale la pena di ricordare che essi appaiono in un momento
inventivo tutt' altro che in via di esaurimento, se si considera che il 1791 è
l'anno di due opere teatrali, Il flauto magico e La clemenza di Tito, dei due
Quintetti per archi K. 613 e K. 614, del Concerto per clarinetto K. 622, del
mottetto Ave verum corpus per voci soliste, archi e organo e dell'ultima pagina
della partitura del Requiem con le otto misteriose battute del "Lacrymosa", che
troncano il respiro a"annoso del musicista morente.

Definita da Mozart come "Adagio pour l'horloger" la Fantasia K. 594 inizia con
un tempo in tre quarti di tono meditativo e di stile severo in un gioco di
armonie e di modulazioni man mano sempre più audaci. Il successivo Allegro
in fa maggiore ha l'andamento di un fugato dal ritmo nervoso e spigliato, di
impianto sonatistico, che apre poi la strada al clima espressivo già ascoltato
nel discorso sonoro introduttivo. Esiste anche una trascrizione per orchestra di
questa Fantasia ma non c'è dubbio che l'edizione per organo sia
particolarmente e!cace e riesca a comunicare meglio il carattere di
improvvisazione impresso dalla fantasia di Mozart.

Fantasia in fa minore per organo meccanico, K 608

https://www.youtube.com/watch?v=O6l_0BQnBsU

Allegro (fa minore)


Andante (la bemolle maggiore)
Allegro

Organico: organo meccanico


Composizione: Vienna, 3 marzo 1791
Edizione: Traeg, Vienna 1799

Guida all'ascolto (nota 1)

La Fantasia in fa minore è la seconda di tre composizioni scritte da Wolfgang


Amadeus Mozart per un'organo meccanico, su commissione del conte Deym.
La prima è l'Adagio e Allegro in fa minore (K. 594), scritto tra l'ottobre e il
dicembre del 1790; la terza è l'Andante in fa maggiore (K. 616), che porta la
data 4 maggio 1791. Il 3 marzo dello stesso anno era stata terminata la
Fantasia in fa minore. Il lavoro, che interessò a fondo Beethoven, che se ne
fece una copia, è assai superiore alla sua destinazione. Carl De Nys ne rileva il
carattere funebre, che l'apparenta strettamente all'analogo lavoro del 1790,
scritto per la morte del maresciallo Laudon. La struttura è tripartita: Allegro,
Andante, Allegro. I due movimenti laterali, anch'essi tripartiti, hanno il loro
punto focale nella fuga (che diviene doppia nel secondo Allegro). L'Andante
centrale è pagina d'intensa commozione, «una delle più avvincenti che Mozart
abbia immaginato, fusione sorprendente delle forme del Lied, della Variazione,
del Rondò» (De Nys).

Carlo Marinelli

Danze per pianoforte

Minuetto in re maggiore per pianoforte, K 355 (K 576b)

https://www.youtube.com/watch?v=W20E_-S6U0c

https://www.youtube.com/watch?v=dH4Pbxr0HLY
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 1789
Edizione: Mollo, Vienna 1801
Guida all'ascolto (nota 1)

Anche il Minuetto K. 355/576b è un pezzo piuttosto misterioso. Come nel caso


della Fantasia K. 397 non ne esiste un autografo e l'unica fonte è una edizione
a stampa pubblicata da Mollo & Co. a Vienna nel 1801 con il titolo Menuetto
avec Trio pour le Piano-Forte par W.A. Mozart, et M. Stadler. L'abate
Maximilian Stadler, amico di famiglia dei Mozart e musicista egli stesso, aiutò
la vedova Constanze nella sistemazione e vendita del patrimonio musicale del
marito, talvolta portando a conclusione alcune pagine incompiute.

Nel caso specifico aggiunse un Trio di propria invenzione al Minuetto di


Mozart, a proposito del quale non si può avanzare una datazione più precisa
degli ultimi tre anni di vita del compositore, e che forse non era neanche
destinato in origine alla tastiera. Presenta infatti una nitida scrittura a tre voci
(forse un trio d'archi?), che anima le movenze stilizzate ed eleganti della
danza. Il Trio di Stadler viene spesso omesso nelle esecuzioni moderne, come
anche nel caso presente.

Arrigo Quattrocchi

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