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A.A. 2014-2015
Fra agonismo, emulazione, trascrizione, invidia: riflessi di musica
in autori del '900 italiano.
1 C fr. ep ig rafe p . i .
Fausto Torrefranca
Egli, del resto, era vicino a stringere nella sua mente una conclu
sione, almeno provvisoria. In linea astratta, meglio che teorica, sapeva
bene che fiochi uomini... sono destinati a conoscere la verit; perch
unidea sola pu dare la fede, ma a farci intravvedere la verit alme
no due idee sono necessarie e che (apparentemente) si contraddica
no (p. 107).
Queste apparenti incertezze egli avrebbe presto risolte perch ave
va fermato il suo pensiero su unidea che sentiva, se non fondamenta
le, almeno centrale: quella che divideva tutte le musiche in due perio
di: il tolemaico e il copernicano.
Avrebbe sentito presto come un Vivaldi o un Sanmartini - e gli
altri contemporanei italiani che ho studiato 1 fossero gi, come egli
sentiva, dei musicisti copernicani; e, miracolo sorprendente, pur nel
l ambito di forme brevi: dove non si agitavano n attiranti soli n im
mense luminose galassie. Dico le forme in iscorcio o sintetiche; e, in
somma, le piti ardue.
Contro i tolemaici egli fu a ragione feroce, ma per dovere e senza
crudelt n astio in questo mondo razionalista in cui i musici stessi
hanno acquistato aspetto e comportamento da ragionieri, e si esercita
no a musiche squisitamente tolemaiche, cio a dire gelide e architet
tate (p. 4). M a anche i musici di altri tempi erano tolemaici: come
G . S. Bach che era sordo e dentro e fuori mentre Beethoven... in
ternamente era sconvolto dalle voci di una audizione straordinaria
(P- 2 4 )-
Bach, anzi, si nascondeva dietro la sua propria musica come die
tro un riparo sicuro che il suo tessuto rende altrettanto impermea
bile quanto il fondo oro che circonda le Madonne di Cimabue, quanto
il cielo di Tolom eo (pp. 25 e 51): un infinito cristallizzato, un infi
nito "sterile ai fini nostri e al bisogno d infinito della nostra anima
(p. 51 ). La sua mente non ha nulla di quel secolo che conobbe gran
di aperture scientifiche e filosofiche ma rimane ermeticamente tole
maica.
Savinio si accorge di certe difficolt e d la colpa non a Bach per
sona ma alla musica che arte ritardataria [ unidea nietzschiana] e
il suo progredire strettamente legato al progresso meccanico degli
strumenti musicali.
Poco conta che questo sia un pretesto storico: perch quello che
importa a Savinio che si possa riconoscere e definire, nella musica di
Johann Sebastian Bach, la tolemaicit dellv t e musicale fino a Han
del e Haydn inclusi (p. 32); e bisogna arrivare a Beethoven, il pri
mo musico copernicano {ibid) per trovare anche nella musica lo spi
rito del Rinnovamento cbe spezza la forma teologica, che apre la via
al destino individuale, e libero delluomo, e alle nostre avventure soli-
1 M olti sono gli scopritori di V ivaldi, in Italia e fuori. Baster che io dica che,
nel 1923-24, ho tenuto a Roma, quale libero (liberissimo, anzi) docente dellUniver-
sit, un corso sui Concerti inediti del Prete rosso: rosso di dispetto e di confusione
perch nessuno ne parlava; e in particolare sui Concerti di Dresda che oggi, forse,
io solo posseggo. Ma Vivaldi era l'asintoto della mia iperbole.
Poetica di Savin io critico m usicale 455
Per chi vuol capire, come merita, Savinio - ma capirlo non col
buon senso col quale per nostra fortuna, non abbiamo mai avuto
nulla da spartire (p. 284) - bisogna invece raffigurarselo nella costan
te aspirazione alla qualit degli dei greci, quella di uomini che hanno
superato la tragedia; che hanno raggiunto quella condizione di "dilet
tantismo che la condizione pi alta e felice della vita; ... quella con
dizione cui io profondamente aspiro e cui qualunque uomo - credete
a me - pu aspirare e raggiungere, basta che lo voglia e sappia render
sene degno (p. 191).
In questa condizione, finalmente raggiunta, giusto che egli si ri
belli, domandando: Chi ha detto che la sola funzione della critica
di criticare? e rispondendo: La critica ha una funzione molto pi
importante, che di inventare (p. 301). E la sua mente era consa
pevole di una fertilit inventiva, anche - e forse soprattutto - nella
critica.
Ma la sua pittura non era, molte volte, d ordine critico-inventivo?
E i suoi libri non erano entertenimientos
Le aperture sono spesso pi importanti, o almeno pi anartiche, dei
conseguimenti prossimi.
F A U S T O TO R R EFR AN CA
scritto introduttivo
alla prima edizione di "Scatola sonora" di Savinio
(Milano 1955)
A.S.
i testi sono tratti da:
Scatola sonora
(Milano, Ricordi, 1955;
Torino, Einaudi, 1977)
Ho visto un direttore dorchestra cadere dal podio. La cosa and cosi. Stavo
nella sala dellAdriano, seduto nella mia solita poltrona, fila nove, numero nove. La
mia poltrona collocata immediatamente dietro quella del mio amico Gabriele. La
testa ai Gabriele perfettamente aerodinamica e consente a questo eminente
psichiatra d raggiungere nella corsa a piedi velocit molto alte. La conformazione
cranica del mio amico Gabriele esercita su me un cosi invincibile fascino, che tutte
le domeniche, durante il concerto sinfonico, e per trascinante che sia la musica, la
mia attenzione non cessa di passare con alternanza oscillatoria dalle spalle del
direttore al cranio del mio amico Gabriele, e viceversa. Quella domenica per i poli
dattrazione non erano due ma uno solo. Il fascino della aerodinamica testa aveva
ceduto a quello ben maggiore del giovane direttore che io vedevo per la prima volta
sul podio dellAdriano. Costui era alto e magrissimo, di quella magrezza ossuaria e
combusta che fa pensare al monachismo, allascetismo, al diabolismo, al magismo
e alla morte. Era stretto in una velada attillata, guaina nera di quel pugnale umano,
chiuso il collo lungo dentro un solino lucido e bianco come un tubo di porcellana.
Medusea la testa nel senso che i capelli nerissimi e lunghi gli brulicavano intorno
al cranio, gli si agitavano come serpi davanti agli occhi. I suoi movimenti erano
spasmodici, e simili a quelli di una rana galvanizzata, di un burattino mosso da
violente strappate dei fili. Soffrivo per simpatia agli squassi di quella testa
anguicrinita, la pensavo in ispecie di uovo nella mano di una massaia enorme e
invisibile che se lo provasse allorecchio per sentire se guasto. Temevo che per
effetto di quegli scotimenti il cervello avesse a staccarsi dalle pareti craniche e
cominciare a sbattere come appunto il tuorlo di un uovo guasto. Personaggio
hoffmanniano, un sopravissuto della Kreisleriana sperduto in questo mondo
razionalista in cui i musici stessi hanno acquistato aspetto e comportamento da
ragionieri, e si esercitano a musiche squisitamente tolemaiche, cio a dire gelide e
architettate. Dirigeva costui senza bacchetta, quasi la bacchetta dovesse essere un
impaccio, un ostacolo, una soluzione di continuit, e le dita nude invece di quelle
mani magrissime e agitate come nel vento due grandi foglie secche svelte dal ramo,
si continuassero in invisibili fili e si attorcessero alle varie famiglie degli strumenti,
come le corde di budello intorno al gambo del bischero. Il primo numero del
programma era un concerto di Vivaldi, ma io arrivai tardi e non potei entrare in
sala. Questo ritardo anzi mi procur uno strano incidente. Glingressi alla sala
dellAdriano (la mia macchina aveva scritto ingrassi: la sacra freddura parla
dunque anche per bocca delle macchine da scrivere?) sono chiusi da porte a
sventola, dietro le quali calata una tenda che scorre su anelli di metallo. Arrivato
allAdriano durante lesecuzione del concerto di Vivai-di e tirato un battente della
porta con intenzione dintrodurmi di soppiatto nella sala, mi trovai nel buio tra la
porta che si era richiusa dietro a me e la tenda essa pure chiusa, e attraverso la
quale la maschera di guardia alla porta cercava di contrastare la mia avanzata. La
mia situazione era amletica e quella lotta attraverso la tenda mi ramment
luccisione di Polonio. Potevo vincere ma rinunciai alla vittoria, perch la mia
avversaria non avesse a credere che io approfittavo della lotta per palpeggiarla
attraverso la tenda. Il pudore una volta ancora mi fu nemico. Seguiva la Quarta
Sinfonia di Brahms, musico grave e affettuoso insieme, come un padre. Quale
presentimento era in me? Alle spalle del direttore avevano tirato un grosso
cordone fra due enormi birilli di legno verniciato, il che dava al podio un aspetto di
mobile chiesastico, quasi a impedire che il direttore crollasse nelliposcenio.
Attraverso il primo tempo della sinfonia e ai suoi sviluppi cordialissimi, io pensavo
alla posizione pi sicura del direttore dorchestra di teatro, che solo con la testa
emerge e le spalle dalla fossa mistica, come una testuggine dal carapace; pensavo
ai direttori che dirigevano seduti come professori in cattedra e come io dipingo;
pensavo al tempo che direttore non cera nel senso che intendiamo noi, ma
lorchestra era affidata al primo violino che un po sonava, un po accennava il
tempo con larchetto, un po dava le entrate ai cantanti; pensavo allorchestra
senza direttore che per alcuni anni funzion in Russia, quale esercito senza
generale.. Pensavo soprattutto a musiche che lasciano dormire i nervi, non
svegliano le passioni, non travolgono con londa dei suoni, e poich dopo la
sinfonia di Brahms il programma annunciava la Morte d'Isotta, il Don Giovanni di
Strauss e altre musiche ardenti e torrentizie, per reazione io immaginavo un
programma bianco composto unicamente di minuetti, rond, pavane. Perch
esporsi cosi temerariamente allinferno musicale? Il primo tempo arriv in porto
senza incidenti, e dalla sala si lev un respiro pi di sollievo che di soddisfazione: il
respiro della bestia che dalla tensione passa al rilassamento. Indi a poco il
direttore attacc il secondo tempo, ma io ero meno in ansia perch il carattere
stesso di quellandante moderato mi dava impressione di minor pericolo. A
quale precisa battuta fu? Dun tratto io non vidi pi il direttore, ma un groviglio ai
piedi del podio e udivo lenorme clamore della sala che di colpo si era levata in
piedi, come un campo di grano venuto su per una miracolosa eruzione vegetale.
Avevo io veduto il direttore cadere? Non ricordo. Ho la vaghissima impressione di
una forma meno di uomo che di una enorme stilografica nera, che si piega e rigida
cade in avanti. Fidando nellandante moderato, la mia attenzione si era
rallentata. Lo portarono fuori a braccia, tra i leggii rovesciati e gli strumentisti che
facevano largo, e il clamore continuava come un gran vento nel teatro. Il mio
amico Gabriele si volt e mi disse: Forma epilettica non mi pare. Lo sapevo
bene. Dellepilessia io ho una conoscenza pratica. Nellautunno del 1917 fui
ricoverato allOspedale Militare 108 di Salonicco, e poich gli altri reparti erano
pieni, mi misero provvisoriamente nel reparto degli epilettici. Passavo le notti in
una sala illuminata a giorno, sotto lo sguardo vigile di atletici infermieri. Portarono
una sera alcuni militari che al fronte erano stati colpiti da choc nervoso. A uno
dovettero mettergli la camicia di forza; e quegli ripeteva un suo grido a ritmo,
acutissimo, femminile. Una notte mi svegliai di soprassalto, e nella luce bianca
vidi sul bianco del mio letto il bianco compagno del letto accanto che, lordo la
bocca di bava, si dibatteva come un tonno nella rete. E allora? Gabriele rispose:
Direi piuttosto una lipotimia. Io so abbastanza di greco da sapere che lipotimia
significa semplicemente svenimento, ed vocabolo del linguaggio segreto dei
medici. Ma non lo dissi. E non dissi neppure quello che io solo sapevo, quello che
io solo avevo veduto, ossia la Musica apparsa sul podio come unombra lunga, che
afferra con le mani adunche il giovane direttore al collo e lo butta gi dal podio.
Dopo di che la Vampira se ne and invisibile in mezzo allorchestra in tumulto,
tirandosi gi le maniche della vestaglia.
La musica una straniera nel nostro mondo, unintrusa. Le sue condizioni
di vita sono cosi diverse dalle nostre, che ogni naturale convivenza con la
musica riesce impossibile; meno per una completa rinuncia di noi stessi, per una
resa incondizionata. Pure con la musica noi conviviamo. S. Ma veramente con la
musica che conviviamo? E quali le condizioni di vita della musica? Non lo
sappiamo. Troppo diverse dalle nostre, le nostre facolt intuitive non bastano a
farcele conoscere. Lessenza della musica ci sfugge. E sempre ci sfuggir. Ci
sfuggir sempre perch la musica non cosa nostra. La musica non fa parte
delle cose che compongono lassieme deglinteressi umani. E lorganismo della
conoscenza non funziona se non per le cose che in qualche modo rientrano negli
interessi umani. Ci sono cose che noi conosciamo e altre che non conosciamo.
Tutte le cose che noi conosciamo rientrano negli interessi umani, altrimenti non le
avremmo conosciute. Tra le cose che non conosciamo alcune riguardano
glinteressi umani, altre no: quelle che riguardano gli interessi umani noi prima o
dopo le conosceremo: il lento accumularsi della conoscenza, la causa del
progresso; le altre, che non riguardano gli interessi umani, noi non le
conosceremo mai. Tra queste la musica. per questo che lessenza della musica
rimarr per noi eternamente ignota. Che questa misteriosa cosa che vive soltanto
nel tempo? Come possiamo noi stringere rapporti con una cosa che vive soltanto
nel tempo e farne una cosa nostra - unarte? Noi crediamo possedere la musica, e
invece la musica che possiede noi. Luomo, per fare anche della musica
unarte, ossia uno strumento maneggevole, ha dovuto addomesticarla, ridurla,
mutilarla. Ha dovuto rendere terrestre una cosa non terrestre, fermare una cosa
essenziale, sfuggente, formare una cosa per sua natura informe. E luomo per
prima cosa ha dovuto dare alla musica a questa misteriosa cosa che vive
unicamente nel tempo - anche unapparenza di vita nello spazio; e le ha dato il
ritmo; come si mette il morso a un cavallo selvatico; come si mette il busto a una
donna grassa. Questa limmensa importanza che il ritmo ha nella musica. Perch il
ritmo colloca o finge di collocare la musica nello spazio, con che le d carattere
umano e diritto di cittadinanza sulla terra. Il ritmo per noi la garanzia della
musica: la garanzia che la musica doma e addomesticata e che ormai possiamo
considerarla cosa nostra. Ma assoluta questa garanzia? Musica senza ritmo
per me inaudibile. La sola musica che la mia mente e i miei nervi sopportano la
musica fortemente ritmata, ossia la musica che ha una qualche organizzazione
umana e che in fondo somiglia a noi. Perch il ritmo lelemento umano della
musica, la garanzia della sua stasi quaggi e del suo ritorno, la confortante risposta
a quella idea del ritorno che la pi umana delle idee. Ma nella musica tuttavia il
ritmo un elemento estraneo, un elemento imposto, un elemento che la musica
sopporta a stento e dal quale tende a liberarsi; e per questo la musica meno ritmica
(Debussy) la pi musicale, ma anche la pi inumana.
Lessenza della musica sfugge talmente a qualunque possibilit di
conoscenza, che luomo tenta spiegarsela mediante spiegazioni immaginarie; sia,
come Pitagora, assimilandola ai numeri (toi arithmoi de ta pantepeoiken); sia,
come Goethe, presentandola come una architettura fluida (ma qui veramente
Goethe parla della musica artefatta, ossia gi chiusa e organizzata come arte);
sia, come Schopenhauer, facendo di lei limmagine della volont pura. Ma a che
tentar conoscere linconoscibile? A che voler spiegare linesplicabile? la sola
definizione che si addica alla musica, la Non Mai Conoscibile. E non senza
ragione. La non conoscibilit della musica la ragione della sua forza, il segreto del
fascino; e se luomo cede con tanto piacere alla musica, soprattutto per il
diverso, per 1ignoto che in essa, e c analogia tra luomo che cede alla
musica perch nella musica sente il contrario di se stesso, e il meridionale scuro
di pelle e crespo di capelli che cede al fascino della scandinava bianchissima di
carnagione e bionda di capelli, nella quale egli vede quello che egli stesso non
ma sogna di essere. Cedere alla musica un atto di soggezione a quello che non
si conosce, e per questo attira.
Io nego che si possa dare una soluzione filosofica al problema della musica,
salvo a dargli come soluzione la sua stessa insolubilit. Resta a studiare il
problema della musica come cosa psicologica. Non si combatte contro
unombra. I nostri rapporti con la musica vanno regolati da un apposito galateo. In
quanti siamo che sappiamo comportarci nei riguardi della musica? Il pericolo che
la musica costituisce per luomo, richiede da parte delluomo alcune cognizioni
profilattiche che luomo non mostra di possedere. Io ignoro se in s la musica
obbedisca a una sua ragione, ma in confronto al concetto che noi abbiamo della
ragione, la musica unarte pazza, e abbandonarsi alla musica con tanta
imprudenza come le si abbandonano i musici e amatori di musica, atto da pazzi.
la pazzia della musica che rende necessaria una cosi complicata e rigorosa
struttura teorica o tecnica, una gabbia enorme per imprigionare la fenice che
tuttavia sfugge. Questo incauto abbandonarsi alla musica genera alcune forme di
pazzia di cui non solo non si tiene il debito conto, ma le si considera ammirevoli
forme di entusiasmo, di rapimento, dispirazione. Come abbandonarsi a unarte
che per prima cosa preclude le idee e vieta di pensare? Musicista, io mi sono
allontanato nel 1915 allet di ventiquattro anni dalla musica, per paura. Per non
soggiacere al fascino della musica. Per non cedere totalmente alla volont della
musica. Perch avevo sperimentato su me stesso gli effetti deprimenti della
musica. Perch da ogni crisi musicale io sorgevo come da un sogno senza sogni.
Perch la musica stupisce e istupidisce. Perch la musica rende luomo schiavo; e
la ragione principale del suo grandissimo successo probabilmente questa, perch
diversamente da quanto credevano gli enciclopedisti che sognarono la libert per
luomo, luomo ama sentirsi schiavo: sottomesso a una schiavit fisica e assieme a
una schiavit metafisica, quale la musica eccellentemente d.
Tutto luomo pu sognare, tutto pu stolidamente sognare. Come di
fabbricare statue con lelettricit. Come di comporre poemi sonori imprigionando
il vento entro appositi tubi. Resta a stabilire quello che si pu fare e quello che si
deve e quello che non si deve fare, secondo quel Galateo delle Arti di cui ancora
io non veggo traccia intorno, ma del quale sento lurgente bisogno. Domandarono
a Jean Moras il quale dei Greci vanta la polytechnia, perch i Greci non avessero
inventato anche la macchina da volo, e al che Moras rispose che non lo avevano
ritenuto necessario. E invero la macchina da volo accorcia le distanze ma non
allunga lintelligenza, semmai il contrario. E c affinit tra macchina da volo e
musica. Per mascherare la musica come malattia, per mascherarla come peccato,
per mascherarla come cosa estranea a noi e pericolosa alla nostra salute
intendendo per salute la totale conquista e la totale padronanza di noi stessi, si
tentato, e si tenta, e sempre si tenter di scambiare la musica per unaltra cosa.
Che so? Per un edificio matematico.
Dove va la musica? Dove vanno i suoni che passano su noi come nembi in
tempesta? Non lo domandate ai musici: non ve lo diranno, non ve lo sapranno
dire. E perch non ve lo sapranno dire lo leggerete nei loro torbidi occhi, velati
dalle cateratte che la musica su essi ha calato.
Anche i suoni seguono forse un loro destino, ma diverso dal nostro: dal
nostro che finch siamo in vita, vuol essere rigorosamente circolare e ritornante,
cosi da circondare noi e le nostre cose, e alimentare la nostra fiducia nella terrestre
eternit. Perch mischiarci con cose dissimili da noi e con esse giocare? Viene la
volta che la Cosa Estranea si vendica.
Viene la volta che la cosa estranea spezza il morso e ritrova la sua selvaggia
libert. Illuminiamo di sera le nostre case con la luce elettrica, ma una sera il
fratello di Lorenzo Viani gir linterruttore per illuminare la sua camera, e cadde a
terra fulminato: era la vendetta dellElettricit.
Migliaia e migliaia di uomini giocano con la musica sia colandola nelle
varie forme della composizione, sia facendo cantare le sue voci prigioniere, sia
ascoltandola e abbandonandosi al suo canto di bestia doma; e un giorno la Musica
appare simile a unombra lunga accanto al giovane direttore, lo afferra per il collo,
lo butta gi dal podio. la vendetta della Estranea Cosa.
2. Musica telegrafica
Lestate, che libera la natura e scatena luomo alla lotta e allamore, tarpa
per converso le ali alla musica, e la costringe nelle lucide scatolette della radio.
La musica per sua natura squisitamente invernale. Vogliamo dire la
musica grave e con nobili materiali costruita: la musica che piace a noi: la musica
come organizzazione e gioco mentale: la musica strumentale e polifonica. Lestate
per parte sua favorevole alle cicale e alla melodia: alla stupida e svariona
melodia. E se il tetto a terrazza invita il tenore a cantare E lucean le stelle, si
capisce daltra parte che un uomo come Johann Sebastian Bach, questo Patriarca
dellArmonia, questo architetto della polifonia e del contrappunto, sia nato sotto
un alto tetto a punta, atto a sopportare un grave peso di neve.
Due violinisti e lorchestra attaccarono il Concerto in re minore di Bach con
passo gagliardo e spedito, come se volessero sbrigare alla svelta quella faccenda, e
arrivare alla stretta finale prima della cessazione dorario dei tassi. Ma avevano
fatto i conti senza il contrappunto, i disgraziati.
Il contrappunto nella musica ci che la dialettica in filosofia. la
dimostrazione del principio che da cosa nasce cosa. lanalogia in musica dello
sviluppo cellulare nella vita organica.
Bench vita stessa della musica, il contrappunto rimase ignorato per molto
tempo ai musicisti stessi, come appunto la vita cellulare ai fisiologi, e malgrado
alcuni accenni di contrappunto presso gli antichi, solo alla fine del medioevo che
il contrappunto comincia a rivelare la sua organizzazione radicale e ramosa, trova
la propria enunciazione in Scoto Eriugena, poi la sua dottrina nell'Ars
contrapuncti di Philippe de Vitry, infine diventa quella complicata architettura di
suoni, che porta cosi in alto le composizioni di Bach.
Prima della scoperta del contrappunto la musica, al pari della filosofia
presocratica, era ristretta ad alcune idee isolate che brillavano a grande distanza
una dallaltra, come stelle solitarie in un cielo nero.
Per chiudere lanalogia tra musica e filosofia diremo che anche la musica fisica
prima del contrappunto, e metafisica dopo.
Il contrappunto ha qualcosa di miracoloso, di meccanicamente
miracoloso. Cade il tema della fuga, ed come se un magico seme cadesse su una
testa pelata, e la trasformasse di colpo in una foresta di capelli.
Il contrappunto il moto interno della musica, siccome il ritmo il moto
che muove la musica nel tempo. Prima di Bach e diciamo prima di Bach per
comodo e convenzione, e per non rifare qui la storia della nascita del
contrappunto, per merito di Schtz prima che per merito di Bach, e per merito di
Frescobaldi e dei grandi polifonisti italiani prima che per merito di Schtz la
musica sembra non aver corpo e non avere vita: pi esattamente, sembra mancare
di organi interni.
Allapparire del contrappunto, sinizia il fenomeno della moltiplicazione
cellulare della musica. Anche la musica si fa allimmagine della vita, e d ragione a
Eraclito che panta rei. Annunciato il tema, la composizione tra contrappunto
doppio, triplo e quadruplo, tra contrappunto legato, contrappunto ostinato e
contrappunto saltato, tra imitazioni, canoni e fughe, tra temi e controtemi, risposte
ed esposizioni, episodi e divertimenti, riprese modulate e strette la composizione
pu crescere, gonfiarsi ed elevarsi allinfinito, e solo i limiti dellumana fatica e il
senso della misura, consigliano di arrivare alla stretta finale e al pedale.
Il contrappunto questo intenso movimento cellulare della musica, questo
continuo rinnovamento cellulare della musica non solo d vita alla musica, ma le
d anche salute e perpetua freschezza.
per questo che Bach sempre giovane. per questo che Bach la
ginnastica svedese dei musicisti. per questo che quando un musicista
(Strawinsky) comincia ad avvertire i pericoli della marcescenza e della cancrena,
chiede consiglio a Bach e torna al contrappunto.
per questo che Bach pu scrivere delle composizioni monumentali,
composizioni-piramidi, composizioni-cattedrali, composizioni-torri di Babele e
farle vive in tutte le loro parti.
per questo che la musica italiana, incline purtroppo al drammatico e
preclusa pertanto alla grande salute, alla grande disinfezione del contrappunto,
ha tante parti inerti in s, che di tanto in tanto bisogna tagliare e buttar via.
per questo che Verdi, sentendo la necrosi che minaccia la musica
drammatica e a una sola voce, scrive alla fine il Falstaff e fa egli pure la sua brava
cura di contrappunto.
per questo...
Non bisogna illudersi per. Il contrappunto, e cosi la dialettica, vanno a
scapito della profondit. C pi profondit, nel senso preciso della parola, in un
pensiero di Eraclito, che in tutta Levoluzione creatrice di Bergson. C pi
profondit, nel senso preciso della parola, nel canto solitario dello scolio di Sicilo,
che per tutta la colossale opera di Bach. Ed appunto questa mancanza di
profondit di Bach, questa sua ingenua seriet, questo suo non costituire
pericolo, che fanno il suo fascino e giustificano lattrazione chegli esercita ormai
sulla borghesia.
E soprattutto la sua organizzazione da uomo metodico, tranquillo e fedele
alla moglie.
Perch quanto a organizzazione, nelle grandi composizioni di Bach c gi il
carro armato e la Panzerdivisin.
5. Musica e ritmo
* S'intende che queste righe, preludio a una considerazione della sesta sinfonia di Beethoven, sono
da leggere alla luce della pagina sull'estetismo (qui da noi anteposta), di cui paiono costituire una
illustrazione nel segno patente del paradosso e dell'eccesso, metafisico-umoristico (e
probabilmente, surreale).
8. Tre note intorno a Strawinsky
Apollo musagete.
Oedipus rex.
* Guillaume Apollinaire scrive del Savinio musicista ed esecutore: egli non affatto come la
maggior parte dei musicisti che, al di l della loro musica, non posseggono pi alcun valore
[] Non possiamo passare sotto silenzio il modo in cui Savinio suona: esecutore di una abilit
e forza incomparabili, questo compositore sta davanti allo strumento in maniche di camicia,
ed uno spettacolo vederlo agitarsi all'estremo, urlare, fracassare i pedali, descrivere mulinelli
vertiginosi, picchiare pugni nel tumulto di passione, gioia, disperazione. E al termine di ogni
brano, si asciuga il sangue che ha macchiato i tasti". I testi si trascrivono qui dal booklet del cd
di Les chants de la mi-mort Album 1914, eseguito da B.Canino et al., Stradivarius 1992.
Ritagliato in carta rossa,
con le piume palpitanti
gonfio di voce, ah!...
Uomo Preti!...
2. Le gnral et la Sidonie:
Chant (femme) Ah, ah, ah, ah, ah.
Voici la Sidonie de fer
qui etrangla le gnral...
Ah, ah, ah, ah.
5. Matine alphabtique:
Chant (femme) Ah!
Voix A.. BI... CI... DI...
Chant (femme) A... BI... CI... DI...
Ah, tu me regardes, ple nombril...
Rendez moi mes viscres
que je viens de vomir dans l' aiol!
Ah, tu me regardes, ple nombril.
6. Le fanal d'piderme:
Chant (femme) Danse oiseau, danse oiseau.
Mes poumons argents.
7. La mort de M. Sacerdote:
Chant (femme) Voici la maison o est mort
mon professeur Monsieur Sacerdote.
Imbecilli! Imbecilli!
8. Le doux fantme:
Chant (baryton) Et si tu crois mourir dans la...
Chant (basse) Prends ton livre des chants
et la bague d'argent,
car la mort doit revenir...
Vise au front!
Chant (femme) Ah ! Ah! Ah! Ah!
Chant (basse) Il a mis la collerette de fer blanc, l'enfant...
Chant (baryton) Et si tu crois mourir...
Chant (femme) Ah! Ah! Ah! Ah!
9. Amiti - Tragdie:
Chant (femme) Mamma mia! Mamma mia!
La parola del poeta propriamente la voce della sua anima. Poche volte
questa voce grezza, questa voce-madre, si presenta non accomodata al vivere
civile. Di rado la voce del poeta parla direttamente; quasi sempre attraverso il filtro
del giudizio, della logica, dei principi morali, del pudore. La mia voce, finora, quasi
sempre ha parlato attraverso il filtro del pudore. Esigentissimo filtro.
Esigentissimo in me. Strumento digiene, ma anche strumento deformante.
Attraverso il filtro del pudore la voce dellanima si vela dironia. Chi lascolta e vuol
capirla, deve guardare dietro il velo. Pochi sanno guardare dietro il velo. Pochi
sanno che, in certi casi, bisogna guardare dietro il velo. E stanno, davanti alle cose
mie, sordi, ciechi.
Mai la voce della mia anima aveva parlato cosi direttamente come in Orfeo
vedovo. Poche volte aveva parlato cosi fuori del filtro. Dico il filtro del pudore,
perch gli altri filtri, a cominciar da quello dei principi morali, io li ignoro. Nuda,
ingenua. Non dico coraggiosa, perch coraggio ignaro di s, non coraggio. Se mi
arrischio a questa confessione, perch voi mi ascoltate ma non mi vedete, io vi
parlo e non vi vedo. Basta a giustificare la radio, questo tranello teso al pudore.
Preciso: direttamente, la voce della mia anima parla nel solo monologo di Orfeo: e
soltanto li.
Perch?
Alle cose che io faccio, non premetto significati. Le faccio senza pensiero.
Finir per credere allassistenza di una musa di pi muse. Ma una grande
soddisfazione mi aspetta. Parlo per esperienza lunga. Nellopera compiuta, e fatta
cosi alla cieca, io scopro di poi un organismo rigorosamente logico, raccolto
intorno a un significato, a pi significati; chiarissimi, imponenti. Pensavo, dunque,
e non sapevo di pensare. Questa la cosiddetta ispirazione? Questo il cosiddetto
stato di grazia?
Cosi avvenuto anche in questo Orfeo vedovo, composto di getto, parole e
musica, in meno di due mesi, nellestate scorsa.
Orfeo luomo. Luomo superiore. Luomo completo: il poeta. Indovinate?
Orphe cest moi. E Orfeo non pu fingere, non pu velarsi.
La sua parola, formulata come parola, ampliata e prolungata nel canto,
direttamente collegata alla radice. Troppo pesante di profondit da tollerare
veli.
Ecco largomento. Orfeo, uomo completo, tutto poeta, viene a trovarsi
implicato suo malgrado nel vario sciocchismo degli uomini, della vita. Implicato
nello sciocchismo di un piazzista che crede di poter restituire a Orfeo, per virt
meccanica quello che a Orfeo venuto momentaneamente a mancare. Implicato
nello sciocchismo di Euridice, che sa di essere la moglie di Orfeo, ma di esser
anche la sua anima non sa.
Nello stesso aggettivo vedovo, collocato nel titolo accanto al nome di
Orfeo, ho scoperto, a posteriori, una intenzione precisa. Vedovo Orfeo non di
Sipario chiuso.
Un sol dei contrabbassi, annuncia che qualcosa ha inizio.
Breve introduzione del pianoforte (schumanniana). Lintroduzione rimane
sospesa sulla dominante.
Sipario.
Preludietto dellorchestra.
Meno il Protagonista (lUomo) che ancora non nato, i personaggi sono
tutti in scena. Immobili. Disposti a semicerchio in fondo alla scena. Divisi in tanti
gruppi quanti sono gli episodi della Vita delluomo: i Personaggi dellinfanzia, il
Pedagogo, i Personaggi della vita militare, la Donna coniugale, gli Uomini daffari,
ecc.
Sul fondale, a trofeo, gli oggetti implicati in qualche modo nella vita
dellUomo: un vecchio orologio di famiglia, fotografie, una nave che salpa, ecc.
In mezzo alla scena, le sgome del Padre e della Madre. Pi grandi del vero.
In bianco e nero.
I personaggi reali sono colorati: sono il presente. I Genitori sono il passato,
e il passato perde di colore. I genitori fanno corpo con la poltrona nella quale sono
seduti; sono quei personaggi che lAutore, dipingendoli tante volte o scrivendone,
chiama Poltromamma e Poltrobabbo. Portano in fronte un occhio solo: enorme,
centrato da una pupilla nera. Il basso della gonna della Madre (frangia della
poltrona) praticabile (termine teatrale).
Terminato il preludietto, ruota la pupilla nellocchio della Madre.
Accorre, dalla sezione A, la Levatrice-Nutrice. Sinchina alla Madre. Ne
prende gli ordini. Ritorna alla propria sezione. Munita degli strumenti del mestiere
(forbice, asciugamano, ecc.) L-N entra, attraverso la gonna-frangia, nel corpo della
Madre.
Travaglio del parto.
Quantunque immobili, i Personaggi volgono, ciascuno dalla propria sezione,
una commossa attenzione alla Madre.
Su una doppia scala del pianoforte e sullo squittire del tamburo basco, esce
lUomo da entro il corpo della madre. Saluto alla voce dei Personaggi immobili.
LUomo chiuso dentro il porte-enfant. Il porte-enfant ornato di nastri turchini:
colore dei maschietti.
Emergono dal porte-enfant soltanto il capino e i piedini. Danza del
Neonato.
Il Neonato ha male al pancino e frigna. La Nutrice gli fa il clistere. Il
Neonato si calma al suono di un valzerino da giostra.
La Nutrice toglie all'Uomo il porte-enfant, lUomo appare vestito da
marinaretto. Finisce il Primo Episodio, comincia il Secondo Episodio: Infanzia.
Si staccano dalla propria sezione i Personaggi del Secondo Episodio: una
vecchia signora, un pensionato, il guardiano del giardino pubblico. Vengono al
proscenio, prendono parte alla vita del ragazzino; ora furiosi, ora giocosi e pi
ragazzini di lui.
La Nutrice toglie al ragazzino la casacca da marinaretto, gli fa indossare una
giubba da collegiale. Il ragazzino diventa adolescente.
I Personaggi che hanno preso parte allInfanzia dellUomo, ritornano alla
propria sezione. E cosi, via via, faranno i Personaggi degli episodi seguenti.
Si stacca dalla sezione C il Pedagogo e viene al proscenio.
Il Pedagogo vestito da alfabeto greco e da simboli algebrici.
Inizia lAdolescente allo scibile.
LAdolescente impara la lezione a memoria: un po leggendo in quel libro
vivente che lo stiffelius del Pedagogo, un po ripetendo a voce alta e col naso in
aria.
Si stacca dalla stessa sezione C una fanciulla che ha la magrezza e la
scorrevolezza della macchina da cucire. Vederla e innamorarsene, per
lAdolescente tuttuno. Nelle sue giravolte agili e veloci, la Fanciulla se la dice col
Pedagogo, ma dellAdolescente non saccorge neppure.
Cala la palpebra sullocchio dei Genitori: i Genitori sono morti.
Danza funebre, venata di lamenti.
Le sgome del Padre e della Madre salgono in cielo.
Il dolore matura: lAdolescente diventa Uomo. Entra nella vita militare. Poi
nella vita borghese.
Prima partenza-sbagliata. Risate. Nei momenti difficili, lUomo ripensa
alla Fanciulla: suo primo amore.
Adulto, incontra la Donna coniugale.
Costei vistosamente vestita, ha una testa doca, ma, davanti alla testa,
manovra abilmente un piccolo schermo a guisa di ventaglio, sul quale dipinta
una faccia da donna fatale (jipo Greta Garbo). Sotto il fascino della donna fatale,
lUomo, che tutto sommato fatto a pezzi di ricambio, si stacca dal petto il cuore,
si stacca lanima (in forma di colomba), e li dona alla Donna coniugale. Le d
anche gli occhi (occhiali da automobilista). Cieco, la sposa.
Vita coniugale, soffice e noiosa. LUomo, ora, come Ercole da Onfale.
La moglie si addormenta.
Si staccano dalla propria sezione gli Uomini daffari. Uno con testa di volpe,
laltro con testa di porco. Spogliano lUomo e se ne ritornano alla propria sezione.
Si sveglia la Moglie, vede il marito nudo, gli fa una scenata e se ne ritorna
alla propria sezione, sbattendo la porta (immaginaria).
In questo momento difficile, lUomo ripensa alla Fanciulla, suo primo
amore.
Lampo.
Muta la luce. Muta tutto. Mondo ideale. Non pi il mondo com, ma
come desideriamo che sia. Doglia: neanche nel mondo ideale si entra senza doglie.
I Personaggi, convocati dalla Nutrice, circondano lUomo. Diversissimi. La
Donna coniugale non ha pi una testa doca, ma umana e bellissima.
Disinteressatamente amorosa.
Il Pedagogo desideroso di imparare.
Gli Uomini daffari hanno facce buone, oneste.
Offrono allUomo portafogli rigonfi.
La musica perde il ritmo precipitoso, si adagia in movimenti molli.
Ma il mondo ideale un sogno.
Lampo.
Muta la luce. Ritorna il mondo com.
I Personaggi ritrovano la loro vera natura. Si mettono in colonna e, al suono
di unacida marcetta, escono di scena.
Meno la Nutrice.
Costei veste lUomo da vecchio: gli caccia una calvizie in testa, gli lega una
barba bianca sotto il mento, gli mette un bastone in mano.
Solo e vecchio, lUomo smarrito.
Ma ecco ritorna la Fanciulla sospirata.
Il Vecchio e la Fanciulla danzano assieme un valzer con variazioni.
Il Vecchio saccorge che la Fanciulla la Morte.
Terrore.
La Morte dice parole dolci e suadenti. Si faranno compagnia.
Il Vecchio si calma.
Andr assieme con la Fanciulla, ma, prima, vuol salutare la Nutrice che,
sola, lha accompagnato per tutta la vita.
Il Vecchio usa alla Nutrice, quelle medesime cure che la Nutrice us a lui,
bambino. Ritornano in orchestra i temini dellinfanzia.
La Nutrice si addormenta.
Il Vecchio e la Morte sincamminano.
Si fondono in un personaggio solo.
Scende dal cielo la sagoma della Madre.
LUomo traversa la gonna-frangia: rientra nel grembo della Madre.
Tace lorchestra.
Il pianoforte ripete, leggermente variata, lintroduzione schumanniana, e,
questa volta, si adagia sulla tonica.
Ottavino e contrabbasso conchiudono: questo su un sol basso, quello su un
sol acuto.
Cosi lUomo nacque, visse, mori.
Perch?
LAutore di Vita delluomo, da un pezzo ci ha abituati a non domandare il
perch delle cose.
BRUNO BARILLI
Eugenio Montale
Il paese del melodramma di Bruno Barilli
(1931)
da:
Delirama
(1924)
Bottesini
Fu uno dei pi geniali fra gli artisti del secolo verdiano, e fra i virtuosi il
pi fantastico. Egli riusc a spiritualizzare la grottesca meccanica del suo
strumento, soffiando su tutti gli ostacoli col fiato di un mistificatore prodigioso.
Allapogeo, questo artista sommo traduceva vivamente Paganini sul
contrabasso.
Figlio dunepoca nella quale i padroni della terra non erano degli
ingegneri, ma dei signori magnifici che una gerarchia intellettuale innalzava e
illuminava, incontro a lui si mosse graziosamente il favore di quel tempo
generoso e romantico.
Fino allultimo giorno egli mangi il pane della gloria, poi fu dimenticato.
Con Giovanni Bottesini scomparve lultimo esemplare del contrabassista
virtuoso. Non lasci eredi. La sua superba arte strumentale gli mori a lato come
una sposa che non vuol sopravvivere.
L dove egli era giunto, per un colpo mancino del genio e con la pi
stravagante complicit della natura, nessuno potr arrivare mai pi, n farsi da
presso per capirne e spiegarne il miracolo.
Il suo posto solitario sta distrattamente al di l di ogni limite.
Ai suoi tempi il Gusto aveva una funzione, il Genio un carattere e lArte
una tradizione. La politica, questa scienza divenuta flagello, taceva subordinata
e sottomessa. I grossi affari di Stato lasciavano appena unombra di fastidio sul
volto dei ministri e qualche granulosa traccia di tabacco sui loro panciotti. Del
resto, le palle di cannone si contavano sulle dita, ed erano cosi pigre che,
contrariate da un vento forte, cambiavano direzione e finivano qualche volta per
tornare indietro.
In quel mondo spiritoso e volubile come la fiamma aggressiva e vacillante del
gaz, lastrazione esatta non era preveduta: il baratro spettrale della luce elettrica
non sera ancora spalancato dinanzi agli uomini.
In teatro si leggeva il libretto al fumo di una candela e, sulla scena, la pece
greca poteva rappresentare, senza opposizione, la collera degli elementi.
Anche la matematica soffriva allora lumidit; e la meccanica, che viveva
in buona lega con il legname, scricchiolava faticosamente e si schiantava ai
primi geli" rimanendo ostruita e ferma sotto le stagioni.
Allora eran permesse soltanto le invenzioni buffe; le burle che facevan
crepare dal ridere eran di moda; cera per la musica e per la danza del fanatismo
e del furore; lItalia da Venezia a Napoli era un solo carnevale, del tutto
innocente.
Dunque, non per caso, un bel giorno il nostro pubblico si trov fra i piedi
anche Giovanni Bottesini con il suo' contrabasso.
Questuomo che viaggi il mondo tutta la vita e lasci dovunque tracce
profonde di costernazione e di stupore, era grande di statura e aveva un aspetto
lunare e corroso, sciupato e assonnato, insomma un artista dal sangue guasto e
dalle abitudini dissolute.
Entrava in fretta allultimo minuto sul palcoscenico fradicio e semibuio
del teatro ducale, sbirciando, col collo torto, di tra le coulisses, il loggione stipato
di gente, mentre il servo di scena gli levava limmensa pelliccia. Allorquando,
dinoccolato, si presentava tirandosi dietro, bonariamente, quellenorme topaia,
tutti, del pubblico, ridevano e lui con tutti, a crepapelle.
Faceva volentieri della parodia; cominciavano prima i grugniti del
contrabasso; dopo si passava nel regno dei calabroni e ti pareva che tutta laria e
la luce brulicassero di pungiglioni. Allora quasi intontito tra il ronzare, nel
torpore e nellafa sovraccarica di idrofobia, egli, il suonatore, rotolava, a poco a
poco addormentato, gi per la tastiera attaccandosi per miracolo, alla quarta
corda. Oh, quel russare profondo, voluminoso, inaccessibile, sembrava
confondersi con i trasalimenti assonnati dellasse terrestre o con il lamentoso e
artritico scricchiolio di una stiva tappata e troppo carica!
Adagio, adagio, pigliava poi via, serpeggiando, con un tramestio obliquo,
cieco e dilungato, come rettile mostruoso che sinselva.
Fin che si buttava, piegato in due, a suonare con voglia, sferzando
listrumento come per rompere una crosta dura. Dal credenzone spiritato
uscivano, allora, i suoni pili volubili, scivolando via stretti in successioni di
accordi e in glissandi veloci, leggeri e lucenti come i raggi che trafiggono le nubi.
Gli arpeggi, le corde doppie e i pizzicati azzeccati saltavano allaria in una
prodigiosa mescolanza, formando una grandiosa e barocca architettura che
crollava precipitosamente, circondata e distrutta con furia da una sequela di
tonfi mistificatori.
Il suo era un cantare tutto invaghito e pieno di spasimo che somigliava,
sulla prima corda, a quello del violoncello, solo che il suono intonato era reso un
po enigmatico quasi da una maschera fosca che non desse di riconoscerlo.
La sua arcata dolce, interminabile, tenace, pacifica e distesa, e il suo stile
nobile, pieno di sentimento e di santit tantopra facevano da persuadere e
indurre il trappolone puntiglioso e refrattario a parlare con voce ammansita,
soave, incalorita, fremente; e a sciogliere nel velluto dun pianissimo, una per
una, le note sospirate e perplesse della pi adorabile malinconia.
Niente lo accontentava. Istrione, disseppellitore di effetti sempre pi rari e
pericolosi, egli si rifaceva sotto, mettendo, di nuovo, tutto a soqquadro per
stanare, scuotere e risvegliare il mostro sedentario.
Superando le difficolt, cosi, a scalinate; sfasciando piramidi di ottave;
sollevando, in burrasca, il suo lento pachiderma sino alle stelle; con uno
scrollare avventato, astioso e gigantesco egli frullava larco tozzo e formidabile,
come una tramontana tempestosa, fra il groviglio dei cordami.
Echeggiava allora, fuggendo, sullintrico temporalesco, un debole e
lontano scampanio di bronzi, insistente e ferale, e a quello ecco rispondere,
dacchito, strangolata e vicina, lanima sprangata e sordida del contrabasso.
Muovente dai silenzi stagionati, una voce gobba e sepolta di ventriloquo
si affacciava domesticamente fra le corde canterellando con una insolenza
ironica delle variazioni grottesche sul motivo del carnevale di Venezia-, la
modulazione oscena salzava audacemente di tono, poi ricadeva in mollezze
veneree dondolandosi, al fondo, sullarco del contrabasso.
Quel che succedeva a questo punto in teatro indescrivibile. Il pubblico
aristocratico deUa corte si torceva sulle poltrone in preda ad una ilarit stridula.
Gli applausi e le richieste di bis scoppiavano lungo le file scomposte, ad ogni
battuta. Le dame seminude e portentose, che facevan corona nelle logge dei
nobili, tirate in ballo senza preamboli singegnavano di salvare il pudore,
ridendo inorridite dietro i ventagli.
Bottesini, appoggiato al suo carcassone di legno, sinchinava, intanto, da
trionfatore.
Un cantante
Elvira de Hidalgo
Tramonto lungo, sonoro. Lurbe immensa vacilla sulle sue radici eterne,
si dilata, sirradia come se avesse bevuto tutta la luce del mondo: cantano le
campane. La gente corre in disordine, tentenna incerta sulla via da pigliare,
sotto il terrore delle tenebre che stanno per calare.
E lultimo aviatore rimasto nel cielo guarda dallalto la leggendaria citt
impallidire in una lontananza liliale e sfaldarsi come un mucchio di ossa
bruciate.
2
XVIII M ARIO LAVAGETTO
gi, tocca la prima corda, e senti una nota che fischia come
una vescica bucata da uno spillo - intorno si sparge tutto il
vapore di una teiera in ebullizione, e in quel vapore lo scor
pione si snoda, ondeggia, prende volume, si solleva fuor di
ogni proporzione, e scrolla dallistrumento una grandine fitta
(Tv, 22 novembre 1930).
O ancora:
Armata di ferro e dargento, con tutte le sue vele spiega
te, sonante come una nave, questopera genovese rientr son
tuosamente in servizio, dopo cinquantanni di inedia, che non
la distrussero, n la accasciarono.
Non fu necessario tirarla a secco per le riparazioni duso.
L opera non presentava avarie, o deterioramenti, n di fuori
n di dentro - era intatta.
E pi che nuova apparve rafforzata dalla stagionatura.
Con un nuovo equipaggio valoroso e gagliardo, laltra sera
riprese il mare e pass in bilico perfetto, galleggiando, mae
stosa e chiara, dinanzi agli occhi stupiti del pubblico romano
(Tv, 5 marzo 1934).
A questo secondo esempio ha dedicato una lettura fin trop
po sottile Gabriele Baldini. Credo che lessenziale, in questi
casi, non sia tanto una decifrazione (pi o meno probabile) del
le intenzioni e dei sensi nascosti; non sia il chiedersi se parlare
di una nave armata di ferro e dargento corrisponda o meno
a un giudizio sottilmente limitativo, perch poi - una decina
danni pi tardi - Barilli trasferisce la definizione dal Simon
Boccanegra a tutto un gruppo di opere bussetane e genovesi
(Verdi, 44). Credo piuttosto che sia opportuno accantonare
alcuni pregiudizi, alcune idee astratte (avrebbe detto Ba
rilli). Spesso sinceppa. E il carico delle iperboli talvolta esor
bitante, come esorbitante in genere, a ogni livello, chi di
chiarava ironicamente: Forse esagero, e lo faccio volentieri
(Tf LX , 112).
Perch se poi simili rilievi non vengono tradotti in giudizio
sulla base di un codice il pi obsoleto e il pi accademico, se
il lettore non diventa perci pregiudizialmente sordo e refrat
tario, sar quasi impossibile non riconoscere, qui, lenergia
trattenuta e ironica di un Cagliostro che ha fatto alzare la
lingua italiana e lha indotta a seguirlo docilmente, insieme
alle idee che Barilli dichiarava - lo abbiamo visto - di non vo
ler possedere. N ci si difender allora dalleuforia che si dif
fonde da immagini cosi esplosive, eppure cosi controllate e
INTRODUZIONE XXV
gli indici di questi libri e poi anche quelli del Paese del melo
dramma e del Verdi (gi in bozze nel 1946 e mai pubblicato)
per rendersi conto che il problema pi complesso. Chi vorr
a questo punto rifarsi alle tabelle, approntate da Luisa Avel-
lini e da Andrea Cristiani e pubblicate alle pp. 7 sg., 49 sg.,
292 sgg., vedr quanto fitto e intricato sia il passaggio dalluno
allaltro dei volumi di argomento musicale; e se poi cercher
di precisare (servendosi delle appendici genetiche) il modo in
cui lavorava Barilli e seguir litinerario compiuto dai singoli
nuclei che si aggregano gli uni con gli altri o si decantano o tor
nano nuovamente a disgregarsi e a produrre intorno a s
corone differenziate, potr avere la sensazione di trovarsi
di fronte a una specie di pioggia di frammenti, che vengono di
volta in volta attratti o respinti da diversi campi magnetici.
Un simile modo di lavorare, una simile spregiudicata riu
tilizzazione di immagini, di frasi, di interi periodi, che ven
gono innestati su qualsiasi altro tronco, pu apparire, soprat
tutto per quanto riguarda lattivit giornalistica di Barilli, co
me un espediente di routine: se vero che un articolo deve
avere la capacit di rotolare su se stesso (cfr. T, l x v i i , 140),
questo non pregiudica la possibilit di costruirlo con materiali
di varia provenienza e di avviare il suo movimento di rota
zione con una o pi spinte esterne. Che le cose stiano anche
cosi non ci sono dubbi: Barilli, che teorizza la pigrizia come
forma particolare dellenergia creativa (cfr. T, l x , 140), pi
gro, specula su se stesso, cerca di estrarre il massimo profitto
da ognuna delle sue invenzioni. Ma una simile interpretazione
appare, nel momento stesso in cui la si enuncia, lacunosa e
riduttiva soprattutto se riportata ai libri: qui i conti diven
gono immediatamente meno semplici. Si pu pensare certo
che Barilli utilizzi alcuni frammenti esemplari confidando poi
nella loro potenziale vitalit, nella loro forza di produrre te
sto - ritratto o racconto o libro che sia - ma resta poi da spie-
gar? quella specie di caparbio e misterioso accanimento ad uti
lizzare ripetutamente alcune carte fisse e, nello stesso tempo,
a servirsi di un mazzo relativamente povero, se paragonato
al complesso dellattivit critica di Barilli, tanto che si ha qua
si l impressione di assistere ai tentativi ripetuti di risolvere un
gioco di pazienza, di cui non conosciamo le regole e che, pure,
ad alcune regole sotterranee sembra attenersi, dal momento
che le stesse figure vengono giocate e rigiocate e inserite, di
volta in volta, in universi modificati.
Quella impressione si fa anche pi netta, quando, leggendo
INTRODUZIONE XXIX
tale l'assedio, che a volte tra il Montale melomane e il Montale poeta c'
in atto uno scambio pi o meno perfetto. Faccio un esempio. Tra il '63 e il '65
due ombre, una neanche di un autore di teatro in musica ma semplicemente di
un grande musicista contemporaneo, Poulenc, l'altra della poesia montaliana, la
moglie la Mosca , si scambiano tic e gesti in totale collaborazione. Mettiamo
a fronte due "pezzi", il primo in morte del compositore francese Francis Poulenc
"Corriere d'Informazione", 1963 il secondo negli Xenia (i madrigali in
morte della moglie, I, 10 [del 1965]):
Non ho mai capito che religion fosse la sua, ma certo Francis era un devoto di
Sant'Antonio, ch'egli invocava per lo smarrimento di un ombrello o per la faticosa
ricerca di un tassi; e sempre col dovuto successo.
Ascolta, ascolta.
Ascolta,
Ascolta, ascolta.
Non pi
il tempo dell'unisono vocale,
Clizia, il tempo del nume illimitato [...]
Spendersi era pi facile, morire
al primo batter d'ale, al primo incontro
col nemico, un trastullo. Comincia ora
la via pi dura...
Un bel di vedremo
spuntare un fil di fumo...
e poi, dice e anzi canta, io non gli andr subito incontro, mi nasconder
per un momento,
E Alfonso XI, proprio al balzante e amoroso avvio del suo canto (un
recitativo) nella Favorita di Donizetti:
Non una sola voce lessicale arriva a questa "ricca" parentesi di Corno
inglese dal primo dispiegarsi del recitativo di Alfonso XI. Cosi Montale bada a
non scoprirsi. Ma lo scopre chi badi al ritmo, al verso, alla sintassi, aile giunture
di questi due passi. Il recipiente ritmico-sintattico proprio quello. Torna
insomma tale e quale dalla Favorita a Corno inglese. E questo endecasillabo
con forte cesura, dettata dalla tronca in 6a sede Alcazr / lass rispunter
poi altrove nel poeta degli Ossi di seppia. Qui basti notare che anche la densit
esoticheggiante e insieme sonora del recitativo di Alfonso ricalcata da questo
Montale. E allora non solo si risponde con l'Eldorado all'Alcazr, ma abbondano
le toniche in --: da Alcazr a muri, a cre in Donizetti, e da remi ad lti a
Eldordi appunto nel Corno inglese montaliano.
Il ratto finale non meno che il ratto di Europa, un mito rivissuto conne
segno di Fine di un mondo, Finis Europae, da un poeta borghese e umanista
come Montale, tra 1944 e 45. Dunque sia Piccolo testamento, sia, otto anni
prima, questa Ballata, scavano e sprigionano dal ricordo della Tosca un'oltranza
metafisica, un massimo di energia cupamente, tragicamente visionaria.
In realt qui Montale si ricorda del Trovatore "come se" fosse l'ultima
opera di Shakespeare. Di uno Shakespeare arrivato fino all'Ottocento che
infatti lo riscoperse e lo am molto e arrivato a compiersi e a bruciare nel
canto. Il canto come compimento, dunque, della tradizione poetica drammatica
dell'Occidente. E come suo forse ultimo rogo. E infatti Montale lo ricanta, qui,
questo luogo di condensazione massima del Trovatore, tra orrore, arsura,
fuoco, vampa, sangue: e cosi ritrova anche lui, per il tramite del melodramma,
alcune vampe del fuoco di Dante e di Shakespeare.
Poi, dopo la Bufera, questo fuoco, queste vampe andranno spegnendosi.
Se Montale rievocher il melodramma sar in altra prospettiva, in cerca di
Annetta, in cerca del primo aurore e della sua fine, e della fine della
giovinezza. Allora, come qui non posso dimostrare, accanto alle figure giovani
del melodramma Manon anzitutto torner a profilarsi Leopardi, il passero
solitario, Silvia. Che gi occupavano anche, ma segretamente, tanto orizzonte
del primo Montale.
Ma prima di slacciarsi pian piano dal Sublime, addirittura nella scia e
nel segno di Dante e di Shakespeare che il Montale della Bufera colloca alcuni
febbrili esemplari melodrammatici: un invito, fra l'altro, a fare con lui il
percorso inverso, a re-incontrare con una maggiore disponibilit e
consapevolezza, partendo dalla poesia montaliana e da Dante e da Shakespeare,
il significato pi ricco, pi intenso e pi "nostro" del melodramma italiano
dell'Ottocento.
Le parole e la musica
(1949)
a Massimo Mila
1. L attraversamento di Wagner
Rievocando proprio la genesi del suo primo libro nelYInter-
vista immaginaria M ontale ci dice di aver ubbidito a un biso
gno di espressione musicale, e prosegue: Alleloquenza della
nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il collo, magari a
rischio di una controeloquenza (SP 565). Sono due chiare cita
zioni dello r / potique di Verlaine: de la musique avant toute
chose; prends lloquence et tords-lui son cou: questultima
presa sin troppo sul serio dai critici montaliani. N on cos la
prim a che riguarda la musica e che attraverso Verlaine (un
poeta colossale per il giovane M ontale4) rinvia cos nettamente
al clima simbolista francese a cavallo del secolo, al di sopra
delle teste dei vociani e dei futuristi che, aggiunge subito M on
tale nellintervista, quelle esperienze avevano s apprese, m a
spesso fraintese. Nel primo M ontale non troviamo dunque
rumori futuristi e organetti crepuscolari, e neppure il ritorno
allantica musica italiana che proprio allora andava propo
nendo D Annunzio, ma credo di poter dire che siamo immessi
nel cuore della pi alta tradizione musicale del tempo: non uno
Stravinskij probabilm ente ancora ignorato o uno Schnberg che
sar poi coerentemente rifiutato, ma la premessa di quei due
fenomeni: la pi radicale rivoluzione ed evoluzione che va da
W agner a Debussy.
Debussy, che rappresent per il poeta la scoperta della
nuova musica (SP 563), poeticamente rifatto, come dice il sot
totitolo, proprio in quei Minstrels gi presenti nella prim a edi
zione degli Ossi e poi tolti dalle successive come cosetta
velleitaria, m a restaurata per volont del poeta nella recente
edizione critica di Contini e Bettarini (O V 14, 861 e 866-7).
W agner invece nominalmente assente dallopera in versi di
M ontale, ma cercher di dimostrare come sia sottilmente pre
sente in Corno inglese, che nel testo definitivo precede di poco
Minstrels, quasi a confermare unindicazione di percorso fonda
mentale non solo per il poeta. noto il suo perentorio giudizio
su Gozzano, del 1951:
egli fu il primo dei poeti del Novecento che riuscisse (comera
necessario e come probabilmente lo fu anche dopo di lui) ad attra
versare D Annunzio per approdare a un territorio suo, cos come, su
scala maggiore, Baudelaire aveva attraversato Hugo per gettare le
basi di una nuova poesia (SP 62).
Occasioni musicali nella poesia del primo Montale 109
nel passo lento del discorso [...] si trova ancora intatto il carattere
della musica wagneriana, quel procedere per accumulazioni che il
segreto, imitato ma in realt inimitabile, del suo stile (PS 369).
Nella gi ricca tessitura tematica del testo quel cuore che chiude
cos perentoriam ente la lirica inserisce il tema ben montaliano
della memoria, gi preannunciato al v. 2. Altro obbligato rilievo
semantico (altra dissonanza): questo frammento di natura (in
tempesta) che il cuore cerca invano di interiorizzare7 sempre
sdoppiato, ambiguo: il vento suona e spazza (somma di meta
fora musicale e azione propria), il mare muta colore e lancia una
tromba di schiume intorte, il vento nasce e muore (con ben
radicale antitesi).
M a torniamo alle pi sottili dissonanze formali, in partico
lare metriche. I primi nove versi, che configurano i primi due
blocchi tematici, sono di tipo tradizionale: endecasillabi inter
Occasioni musicali nella poesia del primo Montale 113
con assoluta precisione non saprei dare una data a quelle poesie:
sono certamente posteriori al primo vero e proprio osso (Merig
giare, del 16), ma assai anteriori a Riviere (marzo 1920) Il
Corno inglese era lunica della serie che potesse staccarsi dal ciclo:
del quale mi dispiaceva, e tuttora mi dispiace, il senso generale e
anche lingenua pretesa di imitare gli strumenti musicali (a parte
quel po di amido che vi si avverte qua e l). Debbo dunque conclu
dere che nel mio giovanile chteau deaux [...] accanto a una vena
pi torbida, o addirittura dentro quella vena, si facesse strada assai
per tempo la venatura pi magra ma pi limpida degli Ossi. Tutta
la sezione iniziale degli Ossi (escluso In limine [...]) [dunque il ciclo
di Movimenti, salvo le aggiunte successive di Altri verri] appartiene
dunque al protomontale: e in questo gruppo vanno inserite - ma
anche entro questi limiti vennero poi da me rifiutate - le poesie di
Accordi (O V 865).
qui non parve che si fosse raggiunta unintesa, perch il senso meta
fisico appartiene a chi lo possiede in proprio e tutte le grandi opere
darte possono sollecitare questa apertura: Rembrandt non meno
di Beethoven, Baudelaire pi di Csar Franck (PS 20).
NOTE
IL VENTO DI DEBUSSY:
POESIA E MUSICA IN MONTALE*
C' una decisa affermazione di Eugenio Montale, contenuta nella
famosissima e mai t r o p p o citata "Intervista i m m a g i n a r i a " del
1946, dalla quale conviene prendere le mosse:
- 51 -
grande Jatte di Seurat, con le loro sapientissime variazioni
5
luminose e "l'infinita delicatezza" del modellato. dunque lo
stile con la sua disgiunzione tra segno e significato che
gl'impressionisti mettono in primo piano a scapito della
rappresentazione e dell'oggettivit; ed una partecipazione attiva
dell'occhio dello spettatore che essi richiedono come parte
integrale del procedimento artistico.
Analogamente, Debussy fu tra i primissimi a scardinare il
sistema tonale tradizionale, con dissonanze volute che rompevano
la scala armonica e dovevano essere recepite e accettate
dall'orecchio dell'ascoltatore, che veniva cos indirizzato verso la
musicalit intrinseca ed a u t o n o m a dei suoni. Nella nuova poesia,
dissonanza lessicale e parola analogica sono le due categorie
critiche che, d o p o Friedrich, caratterizzano col massimo vigore gli
sviluppi novecenteschi e il loro r a p p o r t o con pittura e musica.
N o n so se Montale avesse chiari fin dall'inizio simili rapporti
e simili analogie in tutte le loro complessit e ramificazioni.
Probabilmente, n o . Certo, Montale aveva capito l'importanza del
libro di Pica, il critico d'arte napoletano davvero " t r o p p o
d i f f a m a t o " , se si pensa che Soffici lo qualific senza mezzi
termini di " i m b e c i l l e " (mentre Fnon ne aveva invece messo in
risalto la " c o e r e n z a r a r a " e l ' a p e r t u r a mentale senza
6
dogmatismi); infatti, il libro di Pica, oltre a presentare un
p a n o r a m a notevole del movimento impressionista, dai precursori
inglesi agli epigoni del divisionismo italiano (Segantini, Morbelli,
Previati, Pellizza da Volpedo ed altri), contiene u n ' i d e a derivata
proprio da Fnon e fondamentale ancor oggi per la
comprensione degli impressionisti, cio il loro uso di " m a c c h i e di
colori puri che si fondano a distanza sulla pupilla dello
7
s p e t t a t o r e " invece che sulla tavolozza. Ma il fatto stesso che
Montale citasse insieme impressionisti e Debussy sembra voler
indicare che considerava sullo stesso piano impressionismo
pittorico e impressionismo musicale, mentre per Debussy
l'etichetta stessa di impressionismo almeno da rivedere e da
limitare nel t e m p o . Piuttosto, importante notare, come ha fatto
L a u r a Barile, che " l ' a t t e n z i o n e a ci che avveniva nel m o n d o
musicale caratteristica della cultura di quegli a n n i " del primo
Novecento: infatti " a n c h e Serra esplorava la stessa zona, della
musicalit del verso, intesa in termini quantitativi, di arsi e tesi, di
ritmo e non pi di m e l o d i a " , e in tale contesto sar utile ricordare
- 52 -
La dissonanza, la rivista di breve d u r a t a ma di significative
aperture, diretta da G i a n n o t t o Bastianeiii e Ildebrando Pizzetti,
dal titolo emblematicamente programmatico e indicativo della
8
" m u s i c a n u o v a " .
In ogni caso, che Montale fosse consapevole no di tutte le
implicazioni del r a p p o r t o fra le novit espressive nelle tre arti non
veramente importante: ci che conta, e m o l t o , che egli questo
r a p p o r t o lo visse fin dall'inizio con una sensibilit e una
tempestivit straordinarie; che di questo r a p p o r t o interazione si
arricch tutta la sua prima poesia; e che in particolare
(tralasciando per ora la pittura) la primitiva scelta debussyana
non fu mai rinnegata ma fu ripetutamente e sapientemente usata
dal poeta a fini di poetica e di politica culturale, in modi e contesti
che varr la pena esplorare.
Il discorso montaliano su Debussy frammentario,
apparentemente occasionale e discontinuo, ma in realt
intimamente coerente e rigoroso per chi abbia la pazienza di
avvicinarne i tasselli. Le osservazioni di Montale sono di carattere
teorico, storico, e culturale. A livello teorico, il r a p p o r t o tra
musica e poesia riconosciuto da Montale lungo tutto l'arco
dell'estetica musicale, dai madrigali ai libretti d ' o p e r a , e la vexata
quaestio della superiorit dell'una sull'altra viceversa risolta
nel senso che " p o e s i a e musica c a m m i n a n o per conto proprio e
che il loro incontro resta affidato a fortune occasionali" (come
per esempio nei casi di Debussy, Mussorski e Schnberg), perch
in realt, mallarmeanamente, la poesia " i n se stessa gi
m u s i c a " ; posizione ribadita nel 1962: " S o che l'arte della parola
anch'essa musica, sebbene abbia poco a che fare con le leggi della
9
a c u s t i c a " . Mi si dir che simile orgogliosa affermazione
dell'autosufficienza della parola poetica contrasta con quella
iniziale dello sforzo di rifare Minstrels: vero, ma solo in
superficie, perch anche, anzi proprio " r i f a c e n d o " Debussy
Montale riafferma la superiorit della parola sulla musica, il cui
carattere " a s e m a n t i c o " , " u n a grande conquista della cultura
1 0
moderna", viene d u n q u e t e m a t i z z a t o , c o n c e t t u a l i z z a t o ,
dall'unica forma d'arte capace di compiere u n a tale operazione
esplicitamente, cio la letteratura, la parola scritta, e in
particolare la parola poetica. Ci t a n t o vero che nella stessa
"Intervista i m m a g i n a r i a " Montale aveva richiamato i grandi ismi
filosofici contemporanei (le " p a r o l e g r o s s e " di " M a r f o r i o " :
- 53 -
l'esistenzialismo kierkegaardiano di Scestov, l'immanentismo
assoluto di Gentile, "il grande positivismo idealistico del C r o c e " ,
e soprattutto, per gli anni di Ossi di seppia, il contingentismo di
Boutroux), per poi negarli subito ma intanto il richiamo, che
" s e m a n t i c o " , resta:
No, scrivendo il mio primo libro (un libro che si scrisse da s) non mi
affidai a idee del genere. [...] Ubbidii a un bisogno di espressione
musicale. Volevo che la mia parola fosse pi aderente di quella degli
altri poeti che avevo conosciuto. Pi aderente a che? Mi pareva di
vivere sotto una campana di vetro, eppure sentivo di essere vicino a
qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena mi separava
dal quid definitivo. L'esperienza assoluta sarebbe stata la rottura di
quel velo, di quel filo: una esplosione, la fine dell'inganno del
mondo come rappresentazione. Ma questo era un limite
irraggiungibile. E la mia volont di aderenza restava musicale,
istintiva, non programmatica. All'eloquenza della nostra vecchia
lingua aulica volevo torcere il collo, magari a rischio di una
11
controeloquenza.
Niente " i s m i " , dunque; ma questo " b i s o g n o di espressione
m u s i c a l e " , alla luce della a u t o n o m i a e semanticit della poesia, la
dice lunga sulla fede di Montale nella parola scritta, fin
dall'inizio. Occorrer magari cercare di individuare possibili
omologie (funzionali, strutturale) fra musica e poesia alla luce di
studi recenti, come le appasionanti considerazioni di Leonard
Bernstein in termini chomskiani, in cui le trasformazioni della
grammatica generativa (a livello fonologico, sintattico e
semantico) trovano convincenti applicazioni nelle letture di grandi
12
testi della musica occidentale; ma lo scetticismo montaliano in
materia resta, e il critico deve prenderne atto, e riconoscere
preliminarmente il fatto evidente che gli sforzi maggiori compiuti
dal poeta per collegare in qualche m o d o poesia e musica
appartengono tutti al suo primissimo periodo, e includono solo:
alcune poesie mai raccolte in volume (mai elevate alla dignit
d e l l ' " o p e r a in versi": Musica silenziosa, Suonatina di pianoforte,
Accordi) e la prima sezione degli Ossi, quei " M o v i m e n t i "
a p p u n t o musicali ed anzi debussyani (Mouvement u n a delle
Images per piano) ma gi metaforici ("Ascoltami, i poeti laureati
/ si muovono..."), che nella ristrutturazione definitiva inclu-
d o n o I limoni, Corno inglese, Falsetto e Minstrels; mentre la serie
Mediterraneo si debitrice di La mer (Pieri), ma direi pi come
13
idea che come esecuzione.
- 54 -
Negli sviluppi ulteriori della poesia m o n t a l i a n a vi saranno
solo echi sapienti riferimenti musicali al di fuori di qualsiasi
intenzione sistematica, come, per fare solo due esempi, il mottetto
Infuria sale grandine col richiamo a La cathdrale engloutie
( " m o l t o p r o b a b i l m e n t e " ) , La bufera col ricordo di Jardins
14
- 55 -
essere considerato un innovatore riuscito del tutto ("senza mai
1 7
g i u n g e r e a risultati che p o s s a n o dirsi d e b u s s i a n i " ) .
Riconoscendo a Gozzano ci che gli spetta (fu "il primo che abbia
dato scintille facendo cozzare l'aulico col p r o s a i c o " ) , Montale ci
fa per ricordare anche la propria intenzione, verlainiana, di
"torcere il collo all'eloquenza della nostra vecchia lingua a u l i c a " ,
" m a g a r i a rischio di u n a c o n t r o e l o q u e n z a " : e se Debussy al
centro del ragionamento, il vero bersaglio che si delinea in realt
D ' A n n u n z i o . Come in musica Debussy ha ridotto e quindi in un
certo senso sostituito Wagner, cos in letteratura D ' A n n u n z i o sar
ridotto e superato non da Gozzano, ma da Montale, quel Montale
che avr " a t t r a v e r s a t o " D ' A n n u n z i o , a cui la musica d o p o t u t t o
era stata aggiunta da Debussy (in Le martyre de Saint Sbastien),
18
che a sua volta era stato messo in poesia proprio da M o n t a l e !
Converr dunque dedicare qualche attenzione supplementare
a Claude Debussy e cercare di capire ancor meglio (o pi
esplicitamente, pi capillarmente) di quanto abbia fatto Montale
la novit e l'importanza della sua opera sia nello svolgimento
della musica contemporanea che in r a p p o r t o alla letteratura, cio
in un contesto culturale di cui la musica fa parte come sistema
significante " i n cui regnano dei rapporti particolari fra il
significante e il significato, e questo sistema simbolizza a suo
m o d o i grandi temi della Cultura, il r a p p o r t o con l'altro, con la
19
natura, con la morte, col d e s i d e r i o . "
Nella storiografia musicale, Debussy occupa una
"singolarissima posizione" che viene schematizzata da Salvetti
nei termini seguenti:
- 56 -
dove la parola impotente a esprimere: la musica scritta per
l'inesprimibile; vorrei che essa sembrasse uscire dall'ombra e che,
qualche istante dopo, vi ritornasse. [...] Sogno dei poemi che non
mi condannino a trascinare avanti atti lunghi, pesanti, [...] dove i
21
personaggi non discutano, ma subiscano la vita e la sorte.
- 57 -
aveva notato che la musica di Debussy era una " m u s i c a della
v o l u t t " , m a " e s a t t a " , " r i g o r o s a " , " r a r e f a t t a dall'intelligenza",
26
e ancora, " c o m m o v e n t e per il suo stesso r i g o r e " ) .
Il superamento dell'impressionismo, se si preferisce
l'innovazione del " p e n s i e r o s o n o r i a l e " , avviene anche per mezzo
dell'ironia di certi pezzi come il Golliwogg's Cake-walk The
little shepherd, notevole nelle Images del 1905-07 e nei 24
Prludes per pianoforte del 1910-13 ed definitivo nelle ultime
opere, e in particolare nei 12 tudes per pianoforte del 1915,
" d o v e , dietro la sollecitazione del fatto meccanico-tecnico,
avviene una totale emancipazione della dissonanza e si esplorano
27
gi chiaramente i luoghi del pianismo del N o v e c e n t o " .
Si p u , riassumendo, concordare con Jarocinski, il quale
afferma che l'estetica di Debussy " c o r r i s p o n d e " fondamental-
mente " a l l a poetica di Mallarm. Tutti e due agli antipodi del
wagnerismo, essi h a n n o cercato 'l'essenza delle cose', le nude
verit, non deformate da piatte categorie spaziali da u n a pom
2 8
posa r e t o r i c a . "
Le brevi notazioni che precedono, oltre a definire la
posizione di Debussy nella musica del suo t e m p o , spero indichino
abbastanza chiaramente la sua i m p o r t a n z a nel r a p p o r t o dialogico
con la letteratura. Opero qui un capovolgimento totale rispetto
all'analisi di Wenk, che ha m o s t r a t o con precisissimi riscontri
testuali l'influenza di alcuni poeti (specie Banville, Baudelaire,
Verlaine, Lous e Mallarm) sulle scelte e sulle soluzioni musicali
di Debussy. Desidero caratterizzare invece l'influenza di Debussy
sul giovane Montale, a p p r o f o n d e n d o l'indicazione lasciata dal
poeta.
L'influenza di Debussy prima di t u t t o , e non t r o p p o
paradossalmente, letteraria, proprio perch il letteratissimo
musicista ha filtrato e trasmesso la grande lezione del simbolismo
francese, a cui dunque come ma a differenza di Ungaretti
anche Montale si richiama, con grande consapevolezza tanto dei
29
debiti q u a n t o della propria a u t o n o m i a .
Ma l'influenza di Debussy da sottolineare in secondo luogo
per l'anti-grandiosit del suo stile e per l'anti-eroismo dei suoi
personaggi che " n o n d i s c u t o n o " ma " s u b i s c o n o " : modelli
culturali, certo, che si ritrovano non solo nel teatro di Maeterlinck
ma in tanta letteratura del Novecento, e documentabili per
Montale, dalla poetica della diminutio antiaulica di I limoni
- 58 -
all'antieroe per eccellenza Arsenio, p r e p a r a t o fra l'altro da
Minstrels.
C o n uguale decisione va poi sottolineata "l'emancipazione
della d i s s o n a n z a " , che sar poi ripresa e teorizzata da Igor
Stravinski nella sua Potique musicale del 1942, citata in apertura
30
di libro da Friedrich per caratterizzare la lirica m o d e r n a , in
q u a n t o attraverso la dissonanza lessicale si vuole esprimere una
ben pi p r o f o n d a dissonanza interiore e non vi sono dubbi che
Montale u n a voce assolutamente centrale e genuina in una lirica
cos intesa.
A n c o r a , un preciso anche se non d u r a t u r o influsso di
Debussy si p u individuare n e l l ' " i m p r e s s i o n i s m o " delle prime
prove poetiche di Montale, al p u n t o che tre dei sette Accordi
p o r t a n o i titoli di tre degli strumenti preferiti dell'orchestrazione
debussyana: flauto, oboe, corno inglese (e si noter che la
Suonatina di pianoforte, forse proprio perch " a l l a Maurizio
R a v e l " e non alla Claude Debussy, rimasta nel limbo delle
31
poesie disperse).
Infine, non t a n t o un'influenza q u a n t o una consonanza u n a
corrispondenza p r o f o n d a da riscontrare a livello tematico: il
mare gioca un ruolo notevolissimo nella musica di Debussy come
nella poesia del ligure Montale; a c c o m p a g n a to spesso dal vento,
elemento sonoro che ne completa la figurativit, il m a r e presente
in n u m e r o s e c o m p o s i z i o n i dei d u e artisti c o m e fonte
d'ispirazione, interlocutore, pretesto descrittivo, narrativo
discorsivo. Vale la pena citare un c o m m e n t o particolare di
Jarocinski:
- 59 -
N o n questa la sede per un'analisi approfondita e
sistematica degli Accordi e delle altre poesie " m u s i c a l i " del
giovane Montale, ma mi sar consentito un brevissimo accenno
ad alcuni aspetti di queste poesie che mi sembrano importanti, a
integrazione di q u a n t o gi osservato da critici del valore di Forti,
33
Sanguineti e R a m a t , mentre dedicher maggior spazio alla
lettura e al c o m m e n t o di Minstrels e di Corno inglese.
Testimonianza preziosa di u n a stagione culturale di
un'intensit e di un fervore straordinari, la suite dei sette Accordi
ci consente di verificare testualmente l'incidenza sul fare poetico
di Montale di movimenti non solo contemporanei e italiani (il
dannunzianesimo e il crepuscolarismo, gi notati dai critici), ma
anche precedenti e stranieri: in particolare, l'impressionismo ("e a
questa ciarla / s'univano altre, ma pi gravi, e come / bolle di
vetro luminose intorno / stellavano la notte che raggiava. / Di
contro al cielo buio erano sagome / di perle, / grandi flore di
fuochi d'artifizio, / cupole di c r i s t a l l o . . . " in Flauti-Fagotti,
dove si n o t e r a n n o anche la parola analogica e l'allitterazione di
" g r a n d i flore di fuochi d'artifizio"); e il simbolismo, rintraccia-
bile n o n solo nell'uso tipico di maiuscole iniziali per parole chiave
come il " C e n t r o " e il " N i e n t e " in Violoncelli il " B r u t t o " in
Contrabbasso, ma anche nei numerosi casi di parole analogiche
(per esempio: " O c c h i corolle s ' a p r o n o / in me chiss? nel
s u o l o " , conlasuastrutturachiasmaticain Violini, o p p u r eilc a n t o
che va " n e l l e v e n e " e poi nel " c u o r e " in Violoncelli), e infine
nella dissonanza lessicale (si ricordi il bellissimo ossimoro di
Flauti-Fagotti: "gli occhi s'abbacinavano / in un gaio
s u p p l i z i o ! " ) . 3 4
Inoltre, la suite di Accordi costituisce u n a vera e p r o p r i a
" p r o v a d ' o r c h e s t r a " di temi e motivi che si ritroveranno
nell'operapoeticadi M o n t a l e , dall'attesadelmiracolo algrigiore
della vita quotidiana, dalla tristezza alla gioia felicit fragile,
dalla perplessit s m a r r i m e n t o esistenziale all'invenzione
d e l l ' i n t e r l o c u t r i c e - " t u " .
Ma passiamo i n t a n t o a Minstrels, l'unica poesia derivata
esplicitamente "da C. Debussy", pubblicata col titolo Musica
sognata nella p r i m a edizione critica. 3 5
Ascoltiamo d u n q u e , p r i m a di t u t t o , il testo musicale da cui
deriva quello poetico: il dodicesimo dei Prludes per p i a n o ,
nell'esecuzione di Walter Gieseking, "il candido Gieseking" come
36
lo chiama M i l a .
- 60 -
Da un p u n t o di vista formale, questo preludio notevole
p e r c h illustra q u a n t o a f f e r m a t o i n p r e c e d e n z a nella
presentazione di Debussy: in esso " l e successioni di accordi non
h a n n o alcun carattere funzionale. Un disegno rapido crea
associazioni di suoni, e invano si cercherebbe a questo una
37
giustificazione nelle regole dell'armonia t r a d i z i o n a l e " . la
novit del ritmo che si impone, un p o ' come nel Golliwogg's
Cake-walk. Ma forse, per il critico letterario che si occupi dei
rapporti dialogici della cultura, ancor pi interessanti degli aspetti
formali possono risultare quelli tematici del b r a n o .
- 61 -
Ritornello, rimbalzi
tra le vetrate d'afa dell'estate.
Bruci
tu pure tra le lastre dell'estate,
cuore che ti smarrisci! Ed ora incauto
provi le ignote note sul tuo flauto.
- 62 -
musicale, che in Montale resa con la ripresa del secondo e del
terzultimo verso ( " t r a le vetrate d'afa dell'estate" " t u pure tra
le lastre dell'estate") e con il paragone fra il ritornello stesso e il
cuore (l'uno e l'altro bruciano nel calore estivo). Infine, la
musica-argomento anche la forma stessa della poesia, col suo
ritmo ora scattante ora sfumato, con i suoni aspri del suo tessuto
fonico (per esempio " a c r e groppo di note soffocate") e con le
piccole dissonanze di rime imperfette (rimbalzi avanzi, esplode
vuote, baccanale giornali).
Con questa " c o s e t t a " che si sforzava di rifare Debussy,
Montale paga un suo debito culturale e lascia ai suoi lettori una
precisa indicazione in proposito. Indicazione che per anche
" d e p i s t a n t e " , non per quello che dice, ma per quello che cela:
infatti nella poesia c' un elemento tipico di Montale, poetico e
metapoetico, quel " c u o r e " qui ancora incerto (si smarrisce come
il cuore di Corno inglese, " s c o r d a t o s t r u m e n t o " ) ma che gi
" b r u c i a " al calore estivo; e questo bruciare non pi che un
accenno, ma importantissimo perch verr poi svolto in momenti
cruciali di Ossi di seppia: "tali i nostri animi arsi // in cui
l'illusione brucia / un fuoco pieno di c e n e r e . . . " (Non rifugiarti
nell'ombra); "il fuoco che non si smorza / per me si chiam:
l ' i g n o r a n z a " (Ci che di me sapeste); " N o n sono / che faville
d ' u n tirso. Bene lo so: bruciare / questo, non altro, il mio
significato" (Dissipa tu se lo vuoi, in Mediterraneo); e " P e n s o
[ . . . ] / al rogo / morente che s'avviva / d ' u n arido paletto, e ferve
trepido" (Crisalide). S o n o t u t t i m o m e n t i cruciali per
l'autoconsapevolezza del poeta e del suo fare poetico: egli,
partendo " i n c a u t o " d a l l e ' ' i g n o t e n o t e " suonate sul suo " f l a u t o "
in Minstrels, arriver agli splendidi risultati del " b r u c i a t o " per
eccellenza, Arsenio.
Ma i n t a n t o , il motivo del cuore, gi metonimico della poesia
nascente, viene svolto da Montale anche in u n ' a l t r a poesia coeva
ancor pi debussyana di Minstrels, cio Corno inglese, l'unica
salvata degli Accordi, fin dall'inizio, senza esitazioni e senza
ripensamenti, e il risultato poetico di gran lunga maggiore
raggiunto dal giovane poeta.
42
Leggiamola.
- 63 -
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lass! D'alti Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore,
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell'ora che lenta s'annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore.
- 64 -
STRumenti, S p a Z Z a , o r i z z o n t e , STRiSce, Scaglia, Schiume,
naSce, S'annera, SuonaSSe, STasera, Scordato, STRumento; e
dall'altro il suono delle nasali, labiali e dentali dei gruppi E N T e
O M B A : v E N T o , a t t E N T o , strumENTi e le varianti orizzoNTE e
p r o t E N D o n o all'inizio della poesia, r i m b O M B A e t r O M B A al
centro, poi ancora v E N T o , l E N T a , s t r u m E N T o : questa
dissonanza-armonia (in cui possibile forse cogliere anche
suggestioni stravinskiane: sarebbe far torto a Montale limitare
solo a Debussy la " m u s i c a n u o v a " ) si risolve nel distico finale,
con lo scioglimento liquido di " c u o r e " .
un tessuto fonico compatto nella sua insistita ripetitivit,
che fa da base musicale al livello lessicale-semantico della poesia,
dove a lor volta i sememi "il v e n t o " (ripetuto due volte, al primo
e al quattordicesimo verso), "il m a r e " e " l ' o r i z z o n t e " si
riferiscono a u n a situazione semplicissima, definita anche
temporalmente da " s t a s e r a " al primo e terzultimo verso (insieme
col verbo " s u o n a " " s u o n a s s e " , nonch " s t r u m e n t i " al terzo
verso e " s t r u m e n t o " al penultimo), ma soprattutto riferita al
vocativo finale, fortemente affettivo, " c u o r e " . a questo livello
che occorre sottolineare la potenza visiva, pittorica, della poesia
di Montale, che completa e s'interseca con l'indubbia musicalit
di frasi quali " u n forte scotere di l a m e " "gli strumenti dei fitti
a l b e r i " : sipensialleimmagini " o r i z z o n t edir a m e / dovestriscedi
luce si p r o t e n d o n o / come a q u i l o n i " , " n u v o l e in viaggio", " i l
m a r e che scaglia a scaglia, / livido, m u t a c o l o r e " , " u n a t r o m b a /
di schiume i n t o r t e " . Da notare a n c o r a la preziosit delle scelte
lessicali " s c o t e r e " , " s c a g l i a " (riferita a m a r e , come in Meriggiare
pallido e assorto) e " i n t o r t e " ; la vaghezza poetica dei plurali
leopardiani " n u v o l e " , " r e a m i " , " E l d o r a d i " , " p o r t e " ; l a voluta
ambiguit di " s c o r d a t o " , che, nei significati sovrapposti di
" d i s a r m o n i c o " e " d i m e n t i c a t o " riferiti a " s t r u m e n t o " e a
" c u o r e " , costituisce un superamento del crepuscolarismo insito
nel semema finale. L'unit della composizione ulteriormente
cementata dalle numerose rime, rime interne e rime imperfette:
vento-attento-strumenti-protendono; lame-rame; rimbomba-
tromba; porte-intorte; colore-muore-cuore; vento-lenta-
strumento; s'annera-stasera.
A livello sintattico, siamo di fronte per la prima volta
nell'opera di Montale a una poesia costruita su un unico periodo
dall'ampio respiro, come avverr pi tardi nella famosa
L'anguilla. Esso costituisce indubbiamente una " u n i t ritmica
46
m u s i c a l e " , e si potrebbe trascrivere graficamente cos:
- 65 -
Alla frase principale corrisponde la linea melodica, alle
secondarie i materiali armonici: il r a p p o r t o tra i due elementi
sintattici sbilanciato a favore dei secondi, per cui si crea un
ritmo nuovo e diverso (percepibile anche visivamente) nella
struttura dela poesia. Si tratta di un unico periodo in cui la sintassi
retoricamente ripetitiva e sospesa, di grande efficacia: la frase
dichiarativa " I l vento lancia una t r o m b a " diventa ottativa, "il
4 7
vento suonasse te p u r e " . Tutte le numerose clausole dipendenti
e incidentali sono rette dall'unico soggetto "il v e n t o " in una
struttura a embotement a scatole cinesi culminante quasi
ossimoricamente nella parentesi centrale. La quale una frase
nominale, senza verbo, ma chiaramente collegata al soggetto e
all'oggetto della principale: le nuvole sono " i n viaggio", sospinte
a p p u n t o dal vento, come se avessero, per il " c u o r e " , u n a
destinazione verso gli "alti E l d o r a d i " (che ricordano " l e t r o m b e
d ' o r o della solarit" di I limoni, anche per il richiamo "malchiuse
p o r t e " " m a l c h i u s o p o r t o n e " ) . Questa frase nominale si p u
configurare come vera e propria frase musicale in maggiore (si
n o t i n o : " c h i a r i " , " a l t i " , " l a s s " , i due esclamativi in dissonanza
a contrasto con il resto della poesia in minore (con le
connotazioni " d i r a m e " , " l i v i d o " , " i n t o r t e " , e " s ' a n n e r a " ) .
Perci la frase parentetica diventa il centro sintattico,
visivo, musicale, affettivo di tutta la poesia, nella quale
produce una dissonanza fondamentale, sottolineata e contenuta
dalle parentesi che prolungano la sospensione gi ampia tra il
soggetto e l'oggetto, tra la n a t u r a e il poeta. U n ' a l t r a indicazione
- 66 -
di questa dissonanza si trova a livello metrico, in cui l'uso assai
libero di versi tradizionali va dall'endecasillabo iniziale al senario
e al binario finali, " s c o r d a t o strumento, / c u o r e " , entrambi
48
abbastanza inconsueti nel canone della lirica italiana.
Corno inglese esprime per la prima volta la stessa situazione
che verr svolta completamente ed emblematicamente nel pi
t a r d o Arsenio, configurandola per in m a n i e r a m e n o
drammatica: nella dialettica fra immobilit e movimento, fra il
poeta e il m o n d o , la frase parentetica centrale supera le
connotazioni potenzialmente tragiche, un'apertura
all'immaginazione, alla speranza, alla Senhsucht del poeta che
contempla la tempesta, la " t r o m b a di schiume i n t o r t e " : il varco
49
che Montale auspica in In limine, e che forse ha trovato
Esterina, la debussyana " j e u n e fille aux cheveux de l i n " di
Falsetto (lei " c o m e spiccata da un v e n t o " , il poeta "della
razza di chi rimane a t e r r a " ) .
In Corno inglese si tratta di un varco immaginario,
concettuale e ipotetico, che tuttavia li, presente e invitante,
attualizzato dall'invocazione al centro della poesia nata dalla
50
musica, debussyana e ligure, del v e n t o . Quel vento, che a livello
connotativo-espressivo, il poeta vuole produca una " m u s i c a " che
smuova lo " s c o r d a t o s t r u m e n t o " del cuore. Montale comunque
non descrive un paesaggio e non esprime semplicemente uno stato
d ' a n i m o , ma cerca con i mezzi poetici descritti di squarciare le
apparenze, di rompere il velo, di raggiungere (come Debussy,
come Mallarm) " q u a l c o s a di essenziale": che il suo sia un
tentativo, e n o n un risultato, insito nell'espressione ottativa e
parentetica.
Corno inglese dunque il m o m e n t o di massima fusione tra
poesia e musica in Montale, il m o m e n t o in cui l'occasione-musica
si trasforma veramente, definitivamente, in poesia.
in "Rivista
in di
"Rivista G I A italiani",
Studi Italiani",
di studi N - P A O L O BIASIN
University of California,
anno I , n
anno
2, IDicembre
, n 2, Dicembre
1983 1983
Berkeley
NOTE
1
Eugenio Montale, Sulla poesia, Milano, Mondadori, 1976, p. 563.
2
Si vedano almeno, in proposito, i tre libri di Montale, Pastelli e
disegni (Milano, Scheiwiller, 1966), Farfalla di Dinard (Milano,
Mondadori, 1960), e Prime alla Scala (Milano, Mondadori, 1982); e la
biografia di Giulio Nascimbeni, Eugenio Montale, Milano, Longanesi,
1969.
- 67 -
3
Cfr. Michail Bachtin, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1979, e
The Dialogical Imagination, Austin, University of Texas Press, 1980; cfr.
inoltre Vittorio Strada, Dialogo con Bachtin, in "Intersezioni" I (1981),
n. 1, pp. 115-24.
4
Hugo Friedrich, La lirica moderna, tr. it., Milano, Garzanti, 1961.
5
Flix Fnon, Au-del de l'impressionisme, a cura di Franoise
Cachin, Paris, Hermann, 1966, pp. 84-85 (il testo risale al 1887):
"L'innovation de M. Seurat a pour base la division scientifique du ton.
Voici: au lieu de mlanger sur la palette les ptes dont la rsultante,
tendue sur la toile, fournira peu prs la couleur de l'objet figurer,
le peintre posera sur la toile des touches spares correspondant les unes
la couleur locale de cet objet, les autres la qualit de la lumire qui y
choit, d'autres aux reflets projets par les corps voisins, d'autres aux
complmentaires des couleurs ambiantes. [ . . . ]
De cette manire d'operer, voici les avantages:
I. Les couleurs se composent sur la rtine: nous avons donc un
mlange optique. Or l'intensit lumineuse du mlange optique (mlange
de couleurs-lumires) est beaucoup plus considrable que celle du
mlange pigmentaire (mlange des couleurs-matires) [ . . . ] " . Cfr. anche
John Rewald, The History of Impressionism e Post-Impressionism. From
Van Gogh to Gauguin, New York, Museum of Modern Art, 1973 e 1978
rispettivamente: due volumi fondamentali per seguire i complessi rapporti
fra impressionisti, neo-impressionisti, e simbolisti che sono alla base degli
ulteriori sviluppi della pittura moderna, a cominciare da Czanne.
6
Si vedano: Ardengo Soffici, Scoperte e massacri. Scritti sull'arte
2
11908-131, Firenze, Vallecchi, 1929 , p. 235, nonch pp. 290-93; e Fnon,
pp. 135-37.
7
Vittorio Pica, Gl'Impressionisti Francesi, Bergamo, Istituto
Italiano d'Arti Grafiche Editore, 1908, p. 55 e passim. Il libro, corredato
di "252 incisioni nel testo e 10 tavole", ha anche un lungo capitolo
dedicato a Monet, "l'iniziatore pi convinto e pi cosciente ed il
rappresentante pi schietto, pi fido e pi completo dell'impressio-
nismo", p. 51; Renoir definito "virtuoso delle dissonanze cromatiche",
p. 98; e non manca un dubbio sull'etichetta stessa di impressionismo, un
"nome abbastanza inesatto", p. 14.
8
Laura Barile in Eugenio Montale, "Tre articoli ritrovati" (a cura di
L. Barile), Inventario, n.s. 4, gennaio-aprile 1982, pp. 11 e 20, n. 18; il
riferimento a Serra rimanda a Gianfranco Contini, Altri esercizi
(1942-1971), Torino, Einaudi, 1978, pp. 77-100, ma anche alle
fondamentali pagine di Ezio Raimondi, Il lettore di provincia: Renato
Serra, Firenze, Le Monnier, 1964.
9
Eugenio Montale, Auto da f, Milano, Il Saggiatore, 1966, pp. 113
e 111 (il brano da cui sono tratte le citazioni del 1949), e p. 244,
rispettivamente.
10
Montale, Sulla poesia, p. 144.
11
Ibid,. p. 565.
- 68 -
12
Leonard Bernstein, The Unanswered Question, Cambridge,
Mass., Harvard University Press, 1976.
13
MarzioPieri,Biografiadellapoesia,Parma,EdizionidellaPilotta,
1980, p. 251 ("Quanto Debussy, nel giovanne Montale"). Interessante
ancheiltentativodiSilvioRamatdidescriverelastrutturazionedegliOssi
di seppia come una'"armonizzazione" tra il "recitativo" degli "Ossi
brevi" e il " c a n t a t o " di Mediterraneo: in Storia dellapoesia italiana del
Novecento, Milano, Mursia, 1976, pp. 224-25.
14
Montale, L'opera in versi, p. 913. Cfr. in proposito anche Laura
Barile, che ricorda, oltre a Farfalla di Dinard ("tutta percorsa da
cavatine, fadiesissottolerighe,sibemolleericamitenorili"),ifrequenti
espliciti rimandi a determinate forme, frasi, musicali, come 'la
farandoladi fanciullisulg r e t o . . .' (farandola: danzadioriginegrecama
popolare in Provenza, in tempo 6/8 moderato), lo 'scalpicciare del
fandango' (danzanazionale spagnolautilizzatadaManuel De Fallanel
Cappello a tre punte), la 'fantasia' (brano strumentale di forma
assolutamente libera) di Quasi unafantasia (gi rilevato da Lonardi), lo
stesso 'mottetto'": in Montale, "Tre articoli ritrovati", p. 10. L'elenco,
naturalmente, si potrebbe allungare.
15
Montale, Auto da f, p. 301 ( da "Per fortuna siamo in ritardo"
del 1963).
16
Montale, Sulla poesia, p. 57.
17
Ma in Prime alla Scala Puccini viene inteso in una dimensione
moderna, ricca di fermenti e di inquietudini (p. 265); cfr. Mosco Carner,
2
Puccini. A Critical Biography, New York, Holmes and Meier, 1977 , e
Mario Bortolotto, Consacrazione della casa, Milano, Adelphi, 1982,
pp. 131-51.
18
Cfr. Sulla poesia, p. 603: "Credo che la mia poesia sia stata la pi
'musicale' del mio tempo (e di anche prima). Molto pi di Pascoli e di
Gabriele. Non pretendo con questo di aver fatto di pi e di meglio. La
musica stata aggiunta, a D'Annunzio, da Debussy".
19
Nicholas Ruwet, Langage, musique, posie, Paris, Seuil, 1972,
p. 44.
20
Guido Salvetti, Il Novecento I, vol. IX di Storia della Musica, a
cura della Societ Italiana di Musicologia, Torino, EDT, 1977, p. 43.
opportuno sottolineare una notazione di Montale relativa a quegli anni e
agli sviluppi della musica nuova: "Abolita la dominante, escluso il
tematismo (che privilegia certe note a vantaggio d'altre), ammesso il
principio che in ogni composizione ogni nota sia sempre un principio e
una fine e che il centro debba essere in ogni luogo e in nessuno, i musicisti
danno lezione ai poeti; e questi accettano la lezione": in Sulla poesia, p.
329 (1965). Per un affascinante ritratto della Parigi che fu in parte anche
il milieu di Debussy, si veda Roger Shattuck, The Banquet Years: The
Arts in France, 1885-1918, (il libro tratta di quattro biografie parallele:
Henri Rousseau, Eric Satie, Alfred Jarry e Guillaume Apollinaire).
21
Citato da Salvetti, p. 45, e da Bartolotto, p. 74.
- 69 -
22
Salvetti, p. 46. Anche Massimo Mila, Breve storia della musica,
Torino, Einaudi, 1977, p. 358 concorda in tale sistemazione critica;
mentre Stefan Jarocinski rifiuta i termini sia di impressionismo (come
errato) che di simbolismo (come insufficiente) per definire il musicista: in
Debussy. Impressionismo e simbolismo, tr. it., Fiesole, Discanto
Edizioni, 1980. Lo stesso Debussy rifiutava questi termini (si veda per es.
il suo Il Signor Croche, autodilettante, tr. it., Milano, Bompiani, 1945,
p. 26); essi conservano per una loro utilit storica e culturale, se non
critica, da non trascurare (come, d'altronde, il concetto stesso di
"dissonanza").
23
Salvetti, p. 46. Nella storiografia musicale proprio il concetto
della purezza del suono che si delinea come caratterizzante per Debussy;
per esempio, ancora Paul Claudel sottolineava impressionisticamente la
"diaprure" nella musica del "Claude national" (in Oeuvres compltes,
XVII, L'oeil coute, Paris, Gallimard, 1960, p. 150); mentre Jarocinski
insiste pi modernamente sul "pensiero sonoriale" tutto volto alla
liberazione della purezza, e non della sfumatura, dei suoni (in Debussy,
passim). Anche Piero Rattalino nota che in Debussy "i timbri non si
fondono, ma semplicemente coesistono, e si perde anche la sensazione
della gerarchia di valori tra melodia e parti di accompagnamento in favore
della compresenza di pi eventi sonori indipendenti" (in Storia del
pianoforte, Milano, Il Saggiatore, 1982, pp. 272-73).
24
Salvetti, pp. 46-47. Cfr. ache Bernstein, pp. 147-89. Sulla melodia,
"forza organizzatrice" di Debussy e "controparte musicale" della linea
sinuosa dell'Art Nouveau, cfr. Arthur Wenk, Claude Debussy and the
Poets, Berkeley, University of California Press, 1976, pp. 180 e 186-87.
Cfr. infine Ruwet, pp. 70-99 ("Note sur les duplications dans l'oeuvre de
Claude Debussy"), e Jarocinski, pp. 157, 164 e 195.
25
Bernstein, pp. 243-45, 249, 259.
26
Rispettivamente Salvetti, pp. 51 e 53, e Jacques Rivire, tudes,
19
Paris, Gallimard, 1944 , pp. 131 e 133-34. Per parte sua, Montale ha
osservato che Debussy fu "grande musicista soprattutto quando scoperse
per conto suo il pianoforte, con una prodigiosa immersione nella civilt
del suo paese, da Rameau-Couperin fino a Monet e a Renoir": in Prime
alla Scala, p. 13.
27
Salvetti, p. 54: "Ricordiamo i titoli: per le cinque dita, per le terze,
per le quarte, per le seste, per le ottave, per le otto dita; per i gradi
cromatici, per gli abbellimenti, per le note ribattute, per le sonorit
opposte, per gli arpeggi composti, per gli accordi".
28
Jarocinski, p. 193.
29
Cfr. in proposito Montale, "Tre articoli ritrovati", in particolare
la recensione al volume di Georges Duhamel e Charles Vildrac Notes sur
la tchnique potique, pp. 5-6, nella quale Montale si interessava alla
teorica "di quella sottospecie del verso libero che si chiamata verso
'bianco': un verso, per intenderci, preoccupato di una musicalit pi
intrinseca che esteriore, di una maggiore aderenza alle sfumature della
- 70 -
vita spirituale, e di certa patetica aridit lineare, atta, pi che la musica
singhiozzante del ritmo faux exprs dei primi simbolisti, a suggerire echi e
fantasmi dell'intelligenza" (si noteranno espressioni quali "maggiore
aderenza", ripresa nell'"Intervista immaginaria" del 1946 in un contesto
diverso, "aridit" e "intelligenza", che sono vere e proprie auto-
definizioni critiche della poesia montaliana; cfr. inoltre il commento di
Laura Barile, pp. 7-8.
30
Friedrich, p. 12. Si ricorder che anche per Arnold Schnberg
l'emancipazione della dissonanza come eliminazione della base
dell'armonia il fondamento della dodecafonia (in Stile e idea, Milano,
Rusconi e Paolazzi, 1960, pp. 109-10; citato anche da Enrico Fubini,
L'estetica musicale dal Settecento a oggi, Torino, Einaudi, 1968, p. 229).
Quello che per Theodor Adorno (in La filosofia della musica moderna)
un contrasto insanabile fra Stravinski e Schnberg, fra musica tonale e
non tonale, diventa pi giustamente per Bernstein (nell'ultima parte di
The Unanswered Question) un rapporto dialettico indispensabile per
capire il pathos e la vitalit della musica del Novecento.
31
Del "terreno di radicale modernit" su cui sorta la prima poesia
di Montale ha parlato Sergio Solmi ("La poesia di Montale" in Scrittori
negli anni, Milano, Il Saggiatore, 1963, p. 285), che suggerisce una linea
Heine-Laforgue-Govoni, cui Lanfranco Caretti aggiunge Palazzeschi in
"Un inedito montaliano |Suonatina di pianoforte]", Paragone, 336,
1978, pp. 3-7, p. 5.
32
Jarocinski, p. 178. L'importanza del mare e il paragone con
Turner sono trattati anche da Wenk, pp. 205-10, che cita pure
un'interessante lettera di Debussy assolutamente contraria al termine
"impressionismo" usato dagli "imbciles" per definire Turner, "le plus
beau crateur de mystre qui soit en art".
33
Cfr. Marco Forti, Eugenio Montale, Milano, Mursia, 1973;
Edoardo Sanguineti, Ideologia e linguaggio, Milano, Feltrinelli, 1965; e
Silvio Ramat, Montale, Firenze, Vallecchi, 1965.
34
Tutte le citazioni si riferiscono a Eugenio Montale, L'opera in
versi, a cura di Gianfranco Contini e Rosanna Bettarini, Torino, Einaudi,
1981, pp. 765-72.
35
Montale, L'opera in versi, p. 866.
36
Massimo Mila, L'esperienza musicale e l'estetica, Torino, Einaudi,
1956, p. 180. Cfr. Rattalino, pp. 324-25: fra i grandi pianisti del
Novecento, Gieseking fu tra i primissimi a includere "costantemente e
frequentemente" Debussy nel repertorio.
37
Jarocinski, p. 168; e a p. 166: "Le prlude XII (che abbonda in
valori sonoriali) mostra come una melodia figurativa ed ornamentale
possa, grazie ad un movimento rapido, trasformare una struttura
orizzontale in una verticale (battute 25-26)".
38
Cfr. Wenk, pp. 19-23.
39
Jean Starobinski, Portrait de l'artiste en saltimbanque, Genve,
Skira, 1970.
- 71 -
40
L'opera in versi, p. 14.
41
Silvio Ramat, Protonovecento, Milano, Il Saggiatore, 1978,
p. 486; e Forti, p. 52.
42
L'opera in versi, p. 11.
43
Sulla predilezione di Debussy per il corno inglese si veda
Jarocinski, p. 173.
44
OV, p. 722.
45
Si veda Jurij Lotman e Boris Uspenskij, Tipologia della cultura, tr.
it., Milano, Bompiani, 1975, pp. 145-81; e per la liminalit, si vedano
l'interpretazione antropologica (turneriana) di Rebecca West, E.M., Poet
on the Edge, Cambridge, Mass., Harvard UP, 1981, e quella
decostruttiva (derridiana) di Stefano Agosti, Cinque analisi. Il testo della
poesia, Milano, Feltrinelli, 1982, specie pp. 83-84.
46
Ettore Bonora, La poesia di Montale, I, Torino, Tirrenia, 1965,
p. 88. Non sono ovviamente d'accordo con la sua valutazione degli incisi
come "dei momenti in sordina" del componimento (p. 87).
47
Naturalmente possibile interpretare la sintassi della poesia, come
fa Giusi Baldissone (Il male di scrivere. L'inconscio e Montale, Torino,
Einaudi, 1979, pp. 1. nota 1, e 123), nel senso che il mare a lanciare a
terra "una tromba di schiume intorte": in tal caso si avrebbe un'unica
frase principale ottativa col soggetto ripetuto (il vento)il vento). Ma
simile interpretazione mi pare meno persuasiva di quella che ho scelto,
perch toglie forza (e drammaticit) proprio al vento che il soggetto
grammaticale, l'occasione della poesia, l'antagonista del poeta; senza
contare che a livello strettamente sintattico la costruzione di due verbi
collegati paratatticamente da una virgola (per di pi aggiunta solo
nell'edizione critica: "il mare che [ . . . ] muta colore, lancia a terra una
tromba") certamente insolita in Montale.
48
A proposito di questi versi Ramat, Montale, p. 22, parla
erroneamente di "novenario finale", ma osserva con finezza che la
divisione in "due tronconi" sta "quasi a significare la congenita
disarmonia di questo strumento".
49
Cfr. In limine: "Cerca una maglia rotta nella rete / che ci stringe,
tu balza fuori, fuggi!"; ma l'interrogazione di Montale rimarr ancora
attraverso gli Ossi (si pensi a Crisalide e a Casa sul mare) e fin nel cuore
delle Ocassioni (La casa dei doganieri: "Il varco qui?").
50
Quanto sia intrinsecamente "musicale" Corno inglese si pu
verificare anche in un confronto a prima vista secondario addirittura
improbabile tra il secondo verso " ricorda un forte scotere di lame "
e un'osservazione di un musicologo contemporaneo: " L a tecnica della
costruzione [...] si era evoluta fino a un pianoforte che non era pi
esattamente il pianoforte di Chopin e di Liszt. La maggior tensione delle
corde [...] gli aveva sottratto il vecchio suono di corda percossa e,
aggiungiamo noi, gli aveva dato un suono di lamina percossa. proprio
qui che Debussy sviluppa una concezione nuova non solo del suono, ma
della musica" (Rattalino, p. 271, corsivo aggiunto).
- 72 -
Fig. 1 Fig. 2
Fig. 3 Fig. 4
- 73 -
Fig. 5 Fig. 6
Fig. 7
- 74 -
Christine Ott
Il problema del residuo semantico
[] Negli scritti critici Montale ritorna pi volte su [quella] che egli considera una
tendenza specifica, ma anche una meta irraggiungibile della lirica moderna. Il
problema fondamentale consiste nel fatto che:
la poesia si serve di parole [...] le arti hanno qualcosa di pi oggettivo, sono pi resistenti
al tempo [...] in esse il significato non tarda a diventare pretesto, occasione; in poesia
tale processo pi lento e lascia sempre un fortissimo residuo 1.
Il destino alto e oscuro della poesia parrebbe dunque quello di tendere sempre pi alla
condizione di arte, allassoluta purezza che questa parola postula, restando pur sempre, e
con piena coscienza dellimpossibile assunto, unarte diversa, unarte sui generis [.,.] (La
poesia come arte).
[...] nessuno scriverebbe versi se il problema della poesia fosse quello di farsi capire. Il
problema di far capire quel quid al quale le parole da sole non arrivano.
5 Che cos una poesia lirica? Per conto mio non saprei definire questaraba fenice, questo mostro,
questoggetto determinatissimo, concreto, eppure impalpabile perch fatto di parole, questa strana
convivenza della musica e della metafisica, del ragionamento e dello sragionamento, del sogno e
della veglia (Araba fenice; corsivo mio).
Edoardo Sanguineti
In margine a un paradosso
In un articolo del 1951, che era una recensione al Verdi vivo di Emilio
Radius (Il genio che comp il lavoro di molte vite), Eugenio Montale scriveva, tra
laltro: Il problema di Verdi, come del resto quello di Donizetti e di altri operisti
musicali dellOttocento, complicato dal fatto che probabilmente fra
cinquantanni le sue opere saranno ineseguibili. Il tempo vola, anzi scaduto, e il
transito dal cinquantenario al centenario verdiano spinge a ima verifica di quel
prudente vaticinio.
Lineseguibilit di cui discorreva Montale, occorre ricordare subito, era di
ordine tecnico, esecutivo, essenzialmente vocale. Egli sentiva che si stava
estinguendo una tradizione interpretativa, una modalit di recitazione e di canto, e
anche di messa in scena di messa in opera, davvero alla quale si poteva tentare
di porgere forse soccorso, suggeriva con amara ironia, qualora si allevino e si
formino degli specialisti, tenendoli in gabbia come bestie rare. Ma se Verdi era
ormai vissuto, o vivibile, come lontano dalle forme concrete delle realizzazioni
teatrali, alla met del Novecento, non lo era nemmeno abbastanza per essere
sottoposto a quei restauri che gi riuscivano necessari, e perfettamente tollerati,
per il Barbiere o per i Puritani. Allorecchio di Montale, insomma, Verdi appariva
come ormai affidato, in grave degrado, a cantanti di tipo pucciniano, incapaci di
intendere quel particolarissimo verismo verdiano, quella sua rivoluzionaria
vocalit, e prontissimi, anzi, a fraintenderlo.
Ma sotto questo lamento tecnico, si celava poi, pi radicale e pi
significativa, una diversa preoccupazione. Il timore autentico di Montale era che il
verdismo fosse destinato a scomparire come passione nazionale. Di una vera
sopravvivenza, scriveva, francamente, non si vedono i segni. Del resto, egli si
trovava dinanzi a quella tenzone che divideva gli ammiratori del Verdi centrale
(cio del trittico Rigoletto Trovatore Traviata, proverbialmente supremo) dagli
zelatori del Verdi ultimo (Otello e Falstaff ovviamente), e dagli amanti del
primissimo Verdi (per quella vena che va dal Nabucco e dai Lombardi fino ai
miracolosi recitativi drammatici del Don Carlos). Tra questi amanti minoritari
egli iscriveva modestamente s stesso, pur ammettendo che il Verdi pi grande
e pi italiano sia quello del Trovatore (melodramma pi che dramma) e
intendeva dire, appunto, perch pi melodramma che dramma.
A mezzo secolo di distanza, questa tenzone, credo, pu giudicarsi
superata, se non del tutto spenta, ma pi per effetto di una distanza la quale
tempera fatalmente molti sbalzi prospettici, che per una concorde risoluzione
critica. E questa distanza quella che si interpone, di necessit, tra noi che gi
siamo affacciati al Duemila e gli operisti musicali dellOttocento in genere, e
Verdi in prima fila, e che non consiste tanto in un generico blocco danni
aritmeticamente sgranati, ma nella grande, e veramente epocale, crisi musicale
novecentesca, che ha segnato, per intanto, la morte, non gi del teatro musicale,
ma certamente del melodramma, quale si spegne, precisamente, nel tipo
pucciniano. Il problema esecutivo e interpretativo, in ogni caso, era la figura di
una pi forte, e non pi rimediabile frattura. Montale davvero percepiva che stava
diventando sempre pi difficile, e in breve forse impraticabile, vivere il verdismo (e
il puccinismo stesso) come forma, per cos dire, culturalmente naturale, e dunque
immediatamente partecipabile, in forza e per grazia di un imprescrittibile
imprinting.
In occasione di un Ernani alla Scala, 1959, rilevava chiaramente, allora:
Non solo che siano pi rare le grandi voci, o almeno le voci adatte; che il rapporto col
pubblico appare sensibilmente mutato.
E spiegava:
Un telone di cartapesta, unorchestra discreta ma non sovrabbondante, due o tre artisti capaci
di sentire ed esprimere il canto verdiano erano una volta sufficienti a rivelare Verdi a un
pubblico degno di ascoltarlo; e ci avveniva spesso in teatri di modeste esigenze.
Alcuni anni prima, nel 46, ben noto, Montale aveva esibito, con dedica a
Massimo Mila, il suo Paradosso della cattiva musica, che avrebbe poi inaugurato,
1981, le sue Prime alla Scala. Non a caso, quel Paradosso recava nel proprio
centro la deprecazione per il cattivo momento che Verdi aveva attraversato,
tenuto in quarantena dagli intellettuali, a dispetto dellentusiasmo popolare che
lo ha sempre accompagnato.
Sempre s, o almeno quasi sempre, in allora, ma non per sempre, dunque.
In giuoco era una maniera di ascolto che era rimasta lungamente attiva presso quel
pubblico rozzo, conciliante e sincero che Montale, nella sua prima giovent,
aveva incontrato al Caff ristorante del Lido dAlbaro, con gli allegri sberleffi
della Mascotte o della Figlia di Madama Angot, e con affini esemplari da
Keepsake, e con il piacere di abbandonarsi alla disperazione di Loris Ipanof o alle
prestigiose contraffazioni musicali di Leopoldo Fregoli. Nel 56, per una Fedora di
cui Gianandrea Gavazzeni aveva procurato la versione pi vantaggiosa, infatti,
confessava, maliziosamente nostalgico: Personalmente, le nostre Fedore le
abbiamo ascoltate in teatri che erano poco pi di baracche, con esecutori che
sottolineavano i luoghi pi enfatici dello spartito. Era uneducazione musicale,
oggi del tutto estinta, che aveva avuto modo di degustare ancora, per poco, quello
che Montale defin, nel 49, Il tempo delle soubrette, let doro delloperetta,
quando larte umbertina era riuscita a sopravvivere e continuarsi, per un paio di
decenni, sotto il successore di Umberto. il tempo in cui, fatte tutte le
sottrazioni possibili, madama Butterfly non canta in modo troppo diverso da Eva
(quella di Franz Lhar, naturalmente), e le primedonne dellopera non
furoreggiano pi se non hanno qualit di stelle operettistiche (Lina Cavalieri,
Carmen Melis). Era quelleducazione musicale che Montale confessava e vantava
a proposito dei Casi della musica di Fedele DAmico, dicendosi partecipe e
complice dellopera ottocentesca, poco amante della musica pura ma addirittura
innamorato della musica teatrale e in particolare del melodramma, quasi unica
gloria del nostro romanticismo. Si capisce che solo le cattive esecuzioni avevano
potuto rendergli del tutto comprensibile lopera ascoltata.
Quella paradossale apologia della cattiva musica era, insomma,
unapologi delle cattive esecuzioni, e del cattivo repertorio. E il paradigma
supremo, per un simile paradosso, era, pur tra molte reticenze e molte ambiguit,
iperparadossalmente, la musica verdiana. Perch Verdi stato lultimo operista
che abbia fatto cantare i suoi personaggi: quelli che vennero dopo di lui riuscirono
spesso anche a far cantare: ma la differenza resta enorme. E perch, certo, le
antiche esecuzioni erano volgarucce, ma rendevano il pi e il meglio: lessenza del
canto di Verdi. E le grandi fiammate di entusiasmo rimasero sempre pi
emarginatamente confinate nei teatri popolari, in irrimediabile e veloce agonia.
Quella pienezza di canto era verificabile nel colore operistico verdiano,
perch, per Verdi, in unopera, trovato il colore, il gioco fatto, dichiaratamente,
come annotava Montale, nel 56, in margine a un Ballo in maschera. E Verdi
intendeva discorrere non certo di un colore timbrico, bens di una colorazione
della melodia. Quattro anni pi tardi, a proposito del Don Carlo (il migliore
esempio della crisi verdiana, superiore anche al Boccanegra), Montale osservava
che in questopera Verdi ha trovato un colore nuovo, ha trovato la carie nera e
profonda della Controriforma e le circonvoluzioni e i festoni del grande barocco.
E, per un Otello del 59, aveva gi notato:
Non sembra che dopo il ventennio 47-67 (dal Macbeth al Don Carlo) Verdi potesse in alcun
modo sorpassare le vette che aveva raggiunto. Poteva invece aggiungere nuovi colori alla sua
tavolozza e questo rende importanti Otello e Falstaff se si considera che al colore Verdi dava
un significato strettamente poetico. Trovato il colore di un dramma, diceva, il resto viene da
s. In tale senso, in cui confluisce anche larricchimento tecnico, laumentata scienza
dellorchestratore e dellarmonista, Otello ancora uno dei capolavori drammatici di Verdi e
porta alle ultime conseguenze il colore che il musicista aveva gi intraveduto nel Boccanegra.
E quanto al Boccanegra, nel 65, dopo aver notato che al libretto hanno
messo mano tre librettisti: il Verdi che ne abbozz in prosa la sceneggiatura, il
Piave e da ultimo il Boito (nel passaggio dalla redazione 1857 a quella 1881),
Montale affermava che alla musica
hanno atteso almeno tre Verdi diversi: quello dei Lombardi e del Macbeth, il Verdi della
maniera nera (quello del Don Carlo e delle parti migliori dell' Otello) e infine il Verdi
aggiornato dei coretti ancillari, delle serenate e delle fanfare lontane, il Verdi gi accusato
(chiss perch) di wagnerismo; lultimo Verdi, insomma, nei suoi aspetti pi superficiali.
E tre Verdi, con tre maniere, significa, di fatto, tre coloriture melodiche e
drammatiche. Nel 57, per altro, per un Falstaff Montale aveva scritto che, nei
primi due atti (nel terzo impera un sinfonismo da Sogno di una notte di mezza
estate e da Queen Mab), si scorge (in parte per merito del libretto, in parte per il
genio di Verdi che in ogni opera trovava un diverso colore), una tinta di vecchio
negozio Old England (o magari Farmacia Roberts) del tardo Ottocento italiano.
Non questo il luogo per tentare un abbozzo di diagnosi di un Verdi
secundum Montale. Ma era utile chiedere al poeta genovese, che aveva vissuto, con
la seduzione e il fascino, anche la crisi e il tramonto della gestione dei colori
verdiani nelle grandi arene, di fronte a un pubblico che vuole commuoversi e non
guarda troppo per il sottile ai mezzi impiegati dallartista (sono parole dettate,
quasi ovvio, per un Trovatore, nel 62), di testimoniare per noi di unet che
possiamo, che dobbiamo dire assolutamente conclusa. Proprio in quel 51 del
cinquantenario, ancora, Montale polemizzava, discorrendo di Gozzano, contro
quegli intellettuali doggi (dei nostri ieri, cio, ormai) che si vergognano di
Puccini e preferiscono il Falstaff al Trovatore (ma in cuor loro amano solo la
musica negra). Senza questo rigido moto polemico, non correttamente
comprensibile il paradosso montaliano, e la sua lettura del teatro musicale, e di
Verdi in particolare. Ma la sua non era comunque quella di un poeta prestato alla
critica musicale, nellambito del suo secondo mestiere. Era, in qualche modo, e per
questo adesso ci importa, la lettura di una intiera generazione, e pu finalmente
valere, infatti, per noi, come documento e come allegoria di una condizione
culturale e di una disposizione storica remota e perduta. Ma, come tale,
precisamente, ci soccorre con una differenza decisiva, ci aiuta a meglio apprestarci
a intendere un altro Verdi, il nostro eventuale contemporaneo, il possibile Verdi
del secolo che si inaugura.
Che non esista una lingua critica per la musica, una constatazione
scoraggiante per chi si accinga a parlare nientedimeno che dello stile di un
musicista. E confesso senzaltro che non solo conosco rozzamente la biografia di
Bach, ma ben poco il suo tempo, cio i suoi rapporti con la storia. E questo sarebbe
ancora nulla in confronto alla mia quasi assoluta ignoranza di tutta la sua opera
musicale, eccettuate le sei sonate per violino solo, che io conosco limitatamente
alla mia capacit di conoscer musica, cio alla mia capacit di esprimere
criticamente quel poco che capisco. Ma mi giustifichi il fatto che non esiste una
tradizione di vera critica musicale; e mi consolo pensando che non cadr nelle
banalit linguistiche della biografia, e, tantomeno, nelle rievocazioni estetico-
letterarie di ineffabilit musicali, quali commoventissimo solletico delle proprie
disposizioni immaginative. Ed certo, poi, che questa mia prova non potr che
essere inferiore ad alcuni frammenti di critica musicale, apparsi su moderne riviste
letterarie (Letteratura), in cui per io trovo, da parte mia, il difetto di aver
involato a piene mani il linguaggio critico della letteratura; e di aver involato, poi,
il repertorio pi facile di aggettivi, di sintassi, e, infine, di premesse estetiche. Io,
per me, porter nel criticare la musica la mia possibilit critica di interpretare
certa poesia, pochissimo musicale, come quella di Leopardi, o, alle origini, di
Cavalcanti. E per spiegarmi meglio dovr indugiare brevissimamente sopra un
uggioso problema, ossia i rapporti storici ed ideali tra musica e poesia. Me la
caver con due o tre esempi soltanto, riservando se mai per un altro scritto che
non sia una prefazione, la documentazione pi varia ed esatta di quanto io credo di
scorgere in tali rapporti. Innanzitutto sha da distinguere una musicalit della
poesia da una musicalit della musica. Qui verte lequivoco. musicalit della
poesia certo settenario scorrevole, certo cantante quinario, certo lieve
endecasillabo (Metastasio, Belli, Monti etc.); e, se possiamo sempre chiamare tale
poesia musicale ci non significa che abbia qualche rapporto, se non
esteriorissimo, con la musica. Anche la musicalit pi scoperta e ricercata di molta
poesia moderna (prendiamo DAnnunzio) non ha nulla a che vedere con la musica;
per es., la musicalit della Pioggia nel pineto potr ricordare qualche pezzo
musicale di carattere onomatopeico; ma non certo la musica di un Beethoven (dico
Beethoven ricordando un suo luogo che si potrebbe considerare descrittivo, della
Sesta sinfonia); e se di musicalit si pu rettamente parlare in DAnnunzio, questa
musicalit lessicale, poetica. Pi giustificato il paragone tra la musica e la
poesia di un Mallarm, di un Valry (ma non di un Verlaine), essendoci nella
musicalit di tale poesia qualcosa di matematico, di riflesso, cio di concettuale,
molto pi vicino alla musicalit della musica che la musicalit ingenuissima delle
parole sdrucciole o tronche. E per di pi la musica nelle parole di quei poeti, a cui
possiamo aggiungere Ungaretti, nel processo con cui vengono scelte; cio pi nel
loro calore o meglio nel loro significato, che nel loro suono. Ma certamente anche
qui lequivoco permane, per quanto allettante: tuttavia, a sua giustificazione non
c, forse, che la musica di un Debussy.
I rapporti tra musica e poesia non sono di unequivoca musicalit, e
nemmeno rapporti tra note e sillabe; ma, se mai, rapporti tra ritmo e sintassi, se
proprio vogliamo salvare una somiglianza esterna.
e Che fai tu luna in ciel? (Leopardi, Canto di un pastore etc.), O del grande
Appennino (Tasso, Canzone al Metauro).
Prima il silenzio, poi il suono o la parola. Ma un suono e una parola che
siano gli unici, che ci portino subito nel cuore del discorso. Discorso, dico. Se c
un rapporto tra musica e poesia questo nellanalogia, del resto umana, di
tramutare il sentimento in discorso, con quel risparmio, quella misura,
quellaccoratezza che sono semplicemente comuni ad ogni opera darte. Basta
rievocarsi il Partenone, un san Pietro di Masaccio, i Sepolcri, la Quinta sinfonia;
da per tutto il medesimo inizio perfetto, cio passaggio perfetto dal nulla alla realt
dellopera; la stessa conclusione perfetta, lo stesso svolgimento perfetto. E, in
fondo a tutto, un sentimento, una passione, unesperienza umana che divengono
figure concrete. Tali somiglianze si fanno pi sensibili tra larte musicale e larte
poetica.
L.P.
D. Parto da lontano, dagli anni dei Novissimi, gli anni Cinquanta inoltrati, e i
primi Sessanta. Dei cinque poeti che formavano il gruppo, tre hanno lavorato con
dei musicisti. Pagliarani con Paccagnini, Balestrini con Nono e Henze, tu con Berio
(ripetutamente) e Globokar. Daltra parte Giuliani, fra laltro molto legato a
Evangelisti, stato vicino e addentro alle cose musicali di allora. Ti chiedo che
significato ha avuto, secondo te, questo incontro piuttosto sostanzioso dei
Novissimi con la musica e il teatro musicale in particolare, e che cosa ha significato
in particolare per te una tale esperienza.
R. Intanto credo che una ragione di questa collaborazione la si possa ritrovare nel
fatto che uno dei punti di partenza negli anni Cinquanta (perch poi negli anni
Sessanta si venne alla pubblicazione in qualche modo collettiva di lavori che
naturalmente erano stati elaborati nel corso degli anni Cinquanta), era dato dalla
consapevolezza di un certo ritardo della situazione letteraria italiana nei confronti
della situazione pittorica e musicale. Mentre nel campo delle arti figurative, e della
musica, esisteva un tessuto internazionale di lavoro ormai costituito, con
riferimenti molto aperti nei confronti di quello che si veniva facendo in altre
nazioni, e con richiami molto consapevoli alla eredit delle avanguardie storiche,
sul piano letterario la situazione era rimasta molto pi chiusa, per ragioni anche
abbastanza spiegabili proprio se consideriamo il tratto differenziale: la
comunicazione linguistica comporta delle difficolt che non esistono, almeno in
unarea culturale omogenea, sul terreno musicale e su quello pittorico. Non sono,
quello musicale e quello pittorico, linguaggi universali, ma sono anche linguaggi
per i quali il passaggio di frontiera naturalmente entro un orizzonte storico
omogeneo, agevole. Il fatto di accogliere volentieri ogni possibilit di
collaborazione con pittori e con musicisti, nasceva dal desiderio di un contatto
concreto con dimensioni culturali adeguate a quello che noi cercavamo
nellorizzonte della parola. Per me era molto pi facile discutere problemi di
poetica con un pittore o con un musicista, che con un letterato della precedente
generazione, e, nella maggior parte dei casi, anche della mia. Proprio per questa
ricerca di un territorio pi avanzato, era possibile allora un incontro con altri
sperimentatori, sia nellambito della pittura che della musica, anche sul piano
operativo. Probabilmente intervennero infine anche elementi abbastanza casuali
nel fatto che fu piuttosto luno o laltro di noi a collaborare con dei musicisti.
Occorrevano anche occasioni empiriche di incontro personale oltre che un
interesse e una volont di uscire dal puro e semplice esperimento della pagina
scritta. Oggi, per quel che mi riguarda personalmente, direi che in fondo i due
personaggi fondamentali furono Baj sul piano della pittura e Berio sul piano della
musica. E una forte simpatia gi costituita preventivamente dalla reciproca
conoscenza del nostro lavoro, ci fece trovare poi le occasioni concrete di
collaborazione. Per Berio era impossibile trovare in poeti della tradizione, vuoi
postermetica vuoi neorealistica, una possibilit di incontro che non fosse in
qualche modo sfasata. E se penso al Berio prima del nostro incontro, che lavora
infatti utilizzando Joyce o Cummings, chiaro che egli, fuori dItalia, poteva
trovare dei testi, magari relativamente arcaici, ormai, storicamente, ma che
comunque rappresentavano un tipo di ricerca e un tipo di rapporto con il
linguaggio con il quale poteva incontrarsi. Credo dunque che da parte di Berio ci
sia stata una vera soddisfazione nel trovare qualcuno che poteva lavorare sul
terreno del linguaggio in maniera omogenea, armonica rispetto alla sua ricerca
sonora. E voglio subito sottolineare un punto, che cio, nel caso di Berio, il
rapporto con la voce umana, il rapporto con il materiale verbale, era un rapporto
fondamentale. Berio un musicista che ha unimportante produzione, chiaro, di
tipo strumentale, ma c tutta una zona di esplorazione vocale, di lavoro sulla voce,
proprio sulle possibilit della voce umana come strumento, che fondamentale
per i suoi interessi. Da parte mia, non voglio mettere in causa una sorta di
vocazione infantile, rientrata, verso la musica, rientrata in parte accidentalmente,
o forse rientrata indipendentemente dai casi della vita. Ma certo che un punto di
riferimento, nella mia formazione giovanile, proprio dal punto di vista letterario,
era la ricerca dodecafonica come modello di rigore compositivo, che aspiravo a
trasportare appunto sul terreno della letteratura. Insomma non si trattato di un
capriccio n di un caso, e nemmeno dello sforzo di trovare una sorta di armonia
prestabilita fra ricerche che si svolgono, prima e poi, di fatto, su terreni
radicalmente differenziati, ma una aspirazione a costruire nuove possibilit
tecniche, di un ordine diverso, al di l di una certa paralisi del linguaggio
convenzionato e pattuito, e della sua cristallizzazione inerte, ecco, anche questo
preesisteva all'incontro con Berio. Quindi, nel momento in cui questo incontro
avvenne, io lo sentii molto come una sorta di realizzazione abbastanza naturale,
come un esito che era in qualche modo interno al mio tipo di ricerca.
D. Parliamo ancora della tua collaborazione con Berio. Una domanda pu essere:
che cosa lega, che cosa c di continuativo, per te, nelle tre esperienze condotte
assieme, e cio Passaggio, Laborintus II, A-ronne. Io direi che il filo rosso
potrebbe essere una tua peculiare ricerca sulla parola e sulla lingua, che trova nella
qualit della musica di Berio, in ci che in essa viene ricercato, soprattutto per
quanto riguarda la voce o luso della parola, una corrispondenza ben precisa. Ma
insomma che cosa prosegue, se pur prosegue, in ventanni di collaborazione e cio
da Passaggio ad A-ronne che del 78.
R. Globokar incominci a lavorare con i miei testi, direi, negli anni Sessanta
inoltrati, ora non ricordo esattamente. Traumdeutung, nato per quattro voci (una
voce femminile e tre voci maschili, trattate come un quartetto verbale) diventa, nel
trattamento di Globokar, una composizione per quattro cori. C indubbiamente
tutto un momento in cui con Berio prima e con Globokar dopo, la sperimentazione
fonetica del testo diventa per me il momento centrale. Ma ribadirei questo, che, in
fondo, fin dallinizio, io pensavo sempre ai miei testi poetici come destinati
essenzialmente a una funzione vocale. Mi capitato molte volte di riflettere
intorno a questo paradosso che il testo letterario nella condizione
contemporanea, il suo essere situato in bilico tra i due poli della visibilit del testo,
cio della fruizione ottica che il testo stampato esige, e del suo dissolversi, invece,
in suono. Se vogliamo, la poesia visiva e la poesia fonetica sono i due momenti
polari entro i quali sta un infinito orizzonte di esperienza, e la poesia in qualche
modo, per me, che non amo n la poesia fonetica n la poesia visiva, questo
difficile equilibrio e gioco tra la fruizione sonora del testo e la sua fruizione visiva.
Una partitura per locchio, un disegno per lorecchio, se vuoi.
D. Quello che dici sollecita un argomento quanto mai attuale. Mi pare che il tuo
incontro con la musica sia un incontro con lo spettacolo, con la stessa voce che
diventa spettacolo di s. E oggi pi che mai sotto le spinte stesse della civilt
americana, tutto viene sempre pi concepito come spettacolo, la politica per
prima. In altre parole, i comportamenti si dissolvono nella loro spettacolarit, e in
essa si dissolve anche la ragione, il suo ruolo. La crisi delle ragioni, o della stessa
razionalit, che sono due cose diverse ma evidentemente intrecciate, sta semmai in
questo: se ne parla tanto quando si parla di dominio della spettacolarit intesa
proprio anche come espressione dellirrazionale, o della ragione non pi candidata
allegemonia. Se dunque la tua esperienza con la musica privilegia il versante dello
spettacolo, come ti collochi di fronte ai problemi cui ho accennato?
R. Ecco, quello che mi pare importante nei lavori con Berio, e poi dar spazio
anche al lavoro fatto con Globokar non solo perch il lavoro pi recente, ma
perch credo che in esso venga abbastanza alla luce tutta la coerenza di un certo
tipo di rapporto con lo spettacolo, proprio questo, questo rapporto. Laspetto
della spettacolarit, infatti, assunto criticamente, e questo mi pare il tratto
distintivo. E cio probabile che io e Berio abbiamo, non dice anticipato (mi
parrebbe un po buffo immaginarci come dei precursori, non mi piacciono queste
formule), ma indubbiamente messo in causa i problemi di partecipazione e di
coinvolgimento, di spettacolarizzazione nel senso forte della parola, per cui si
giunti allopera come antiopera che trascende la chiusura del palcoscenico e
rovescia il vero spettacolo nella sala, tra il pubblico, in platea, senza chiudersi sulla
scena, o non solamente sulla scena. In questo senso il punto capitale la tematica
del consumo della spettacolarizzazione. In Passaggio episodi come quello della
vendita allasta della donna, del pubblico che si definisce autocriticamente come
pubblico consumatore, che paga, che gerarchizzato nelle varie classi sociologiche
ed economiche per cui situato a livello di platea o di balconata o di palco; in
Laborintus II il tema dantesco dellusura come tema centrale e insomma del
capitalismo, e della mercificazione (il primo titolo Esposizione alludeva
precisamente proprio a ci, e in particolare io avevo in mente il Benjamin che
indaga intorno alle esposizioni universali, allo spettacolo delle merci,
derisoriamente risolto poi, nei termini del balletto, in una specie di esibizione di
spazzature, di relitti, di detriti, insomma il consumo e lo spreco). Ecco, in questo
senso io mi distinguerei nettamente da una problematica della
spettacolarizzazione come fine; anzi, piuttosto, la critica della
spettacolarizzazione, e qui se vogliamo parlare di anticipazione, allora parlerei di
anticipazione di una critica nei confronti di una tendenza che allora era
certamente pi che in germe, nella realt, matura sino al marcio, ma forse
nemmeno in germe nella coscienza critica collettiva. Forse limmaginario collettivo
cominciava appena a elaborarla, ma lintenzione certamente di Passaggio e di
Laborintus II di critica radicale nei confronti di questo tipo di tendenze allora
emergenti. In A-ronne, che in qualche modo pu apparire un po appartato come
tipo di esperienza, proprio per la sua stessa natura strutturale, la spettacolarit
di ordine appunto radiofonico, di ascolto, lo spettacolo della voce. Ma esiste
una spettacolarizzazione fonetica indipendentemente da ogni gestualit, e non a
caso il giuoco provocatorio sta nel fatto che il breve testo, che poi un montaggio
citazionale, comincia elaborando il tema del principio, si sviluppa elaborando il
tema della mediet, del mezzo, del centro, si conclude elaborando il tema della
fine, della conclusione, e tematizza quindi la propria pura organizzazione
strutturale, pur orientandola, insieme, sopra il tema della struttura corporea
dove comincia il corpo umano, quale il suo centro, quale la sua fine , e cio
somatizzando questo tema vocale e formale. Anche qui un tema che mi
enormemente caro come quello della corporeit, e sul quale appunto insistevo, e di
cui la vocalit in qualche modo il medio tra quello che il valore concettuale del
testo, o referenziale, e il valore di fruizione fonetica, viene tematizzato e quindi
portato a un livello di resa consapevole e di critica trasparenza. Ma vengo
finalmente a Carrousel. Carrousel si presenta, e penso alla prima edizione che
quella di Zagabria in cui collaborai anchio alla regia, si presenta dunque, nato
come nacque in uno stadio coperto, come spettacolo globale che si apre
ufficialmente con una parodia di discorsi inaugurali, con lintroduzione di bande
che sfilano, di gruppi ginnici e folclorici che vi esibiscono, per utilizzare infine tutti
gli elementi in qualche modo fieristici e di consumo della musicalit,
restringendosi poi a raffinatezze esasperate nellimpiego di mezzi tecnologici, nel
senso delle pi ricercate combinazioni di vocalit, e anche delle pi perverse
(Globokar utilizza il canto dei fogli di cartavelina sopra la bocca, gli effetti di
circolarit del suono attraverso il cantante che ruota su se stesso e quindi risponde
a diversi punti microfonici che poi a loro volta sono diffusi in rotazione nella sala,
con sovrapposizioni di effetti registrati, e via discorrendo), e termina con una
specie di microspettacolo di pura recitazione, quando tutto pare ormai dissolto:
viene colto cio il momento giusto di un finale inconcluso (il pubblico sta gi
andandosene), per innestare a sorpresa una specie di metacritica del teatro e dello
spettacolo, con una serie di epigrammi gestiti da clown-attori il cui modello
affetto dal Lustspiel che fa da intermezzo nella Notte di Valpurga di Goethe, e
insomma compare il personaggio storico, quello mitologico, la maschera, il tipo
sociale, il rappresentante di classe, che reagiscono a loro volta allo spettacolo
appunto con gli epigrammi che leggono su cartigli, i quali poi volano nel mezzo
dello stadio, e si spettacolarizzano nel momento stesso in cui lo spettacolo viene in
qualche modo trasceso perch, ecco, assunto criticamente. Forse questa laltra
faccia di quella continuit in qualche modo vengo a integrare anche qui, con una
risposta ulteriore, la tua domanda precedente , dunque laltra faccia di una
spettacolarit che non mai goduta per s stessa, e se vuoi io direi che, in fondo,
lidea fondamentale del teatro e della spettacolarit rimane per me quella
brechtiana, lidea di una distanza critica. Se parlavo, prima, di coinvolgimento
riuscito, pu apparire contraddittorio ora che io dica che gli unici coinvolgimenti
che ho vissuto davvero, li ho vissuti attraverso le sperienze che ho citato. Ma in
realt io credo a una sola forma di coinvolgimento, che il coinvolgimento critico,
in opposizione al coinvolgimento di pura empatia, che si riduce a una
partecipazione psicologica e mistico-emozionale. Che poi quella che Brecht
definiva aristotelica, e che, infatti, quella assolutamente tradizionale. Daltra
parte, la formula che a me cara, e non mi dispiace di dirlo in sede di discorso
musicale, quella dellemozione intellettuale. Se io dovessi dire quale il risultato
che io ricerco, nei confronti dello spettatore o fruitore di un qualunque tipo di mio
testo che sia la lirica, il romanzo, il teatro, e naturalmente la saggistica, direi che
un tipo di emozione intellettuale, cio un tipo di emozione fortemente armata in
senso critico e quindi molto lontana da quello almeno che oggi si intende
comunemente quando parliamo appunto di spettacolarizzazione o peggio di
simulacrizzazione, e finalmente di immaginario collettivo. [...]
Passaggio e Laborintus II
42
Vociferazione e discorso ininterrotto: aspetti testuali
nelle prime collaborazioni di Berio e Sanguineti (1961-1965)
43
Cecilia Bello Mincicchi
Fig. 3: Luciano Berio, Laborintus II, battute 4-8 (pagina 6), per voci
strumenti e registrazioni (1965), Universal Edition 13792, London
1976, p. 1. copyright 1976 by UE SpA Milano assigned to Universal
Edition A.G. Wien (per gentile concessione).
44
Vociferazione e discorso ininterrotto: aspetti testuali
nelle prime collaborazioni di Berio e Sanguineti (1961-1965)
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Cecilia Bello Mincicchi
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Vociferazione e discorso ininterrotto: aspetti testuali
nelle prime collaborazioni di Berio e Sanguineti (1961-1965)
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Cecilia Bello Mincicchi
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Vociferazione e discorso ininterrotto: aspetti testuali
nelle prime collaborazioni di Berio e Sanguineti (1961-1965)
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Cecilia Bello Mincicchi
50
Vociferazione e discorso ininterrotto: aspetti testuali
nelle prime collaborazioni di Berio e Sanguineti (1961-1965)
tanto per dirti qualche cosa, dicendo ancora, e per farmi una
mia ultima vociferazione, prima di essere un io che non ti
vocifera pi, a te, almeno, se non altro. Ma poco, ma s, lo so.
Ma un io, se tu ci stai attento, proprio quasi un niente. No,
che poco pi di niente, piuttosto. Ma volevo poi dire, invece,
che poco meno, ecco. Fine.69
51
E.S.
La musica vocale, ha dichiarato Berio una volta, una messa in scena della
parola . E in altra occasione ha affermato che gli interessa in quanto mima e
descrive quel prodigioso fenomeno che laspetto centrale del linguaggio: il
suono che diventa significato.
Incominciamo dalla seconda affermazione, in cui, per cos dire, la parola
non ancora data, e possiamo ancora situarci dinanzi al suono umano informe.
Credo che Berio sia stato affascinato sempre, da sempre, dalla forza espressiva e
impressiva che, nella comunicazione intersoggettiva, possono acquistare i segni
volontari e involontari di cui portatrice lemissione vocale preverbale, dal gemito
al colpo di tosse. questo grado zero (anzi, sottozero) del linguaggio, che si
potrebbe definire puro rumore orale, puro gesto sonoro, questo spazio cos
resistente alla notazione scrittoria, e di cos basso livello convenzionale, questo
aspetto non articolato della vocalit, quello in cui tuttavia affonda le proprie radici
ogni discorso possibile. L'animale uomo, del resto, ci appare naturalmente capace,
originariamente, di una sterminata gamma di versi istintuali e spontanei, tra i
quali selezioner, disciplinandosi, il proprio limitato codice fonetico. E sar tanto
disciplinato, da precludersi infine, a selezione avvenuta, il recupero integrale di
quello strumento sonoro di partenza che il suo corpo medesimo. E a un tale
strumento, per molte corde, potr regredire soltanto, e per lo pi con fatica, a
partire dalla competenza esecutiva selettivamente raggiunta, con le proprie
determinazioni e i propri limiti. Tutto questo non meriterebbe forse grande
attenzione, se non emergesse subito un tratto capitale in questo aspetto del
processo di umanizzazione delluomo. Ed che la vocalizzazione primaria
assunta, immediatamente, come significante, e viene cos in partenza socializzata.
Al verso umano primitivo si risponde con parole umane, l'enfant sauvage,
nel senso in cui tutti lo siamo, nascendo, gi immesso, a partire dal suo primo
gesto sonoro, entro il tessuto generale del dialogo. Qui non voglio fermarmi,
naturalmente, sopra quella simulazione di dialogo che luomo pu instaurare, e in
effetti instaura, con gli animali, e con lo stesso paesaggio sonoro in genere (il
soundscape di Schafer), e sopra la donazione di senso che egli effettua, al riguardo.
Sono cose che ci condurrebbero troppo lontano, ma che necessario almeno
evocare. Voglio rivolgermi subito, piuttosto, ai luoghi estremi, e pi tipici, di un
esperimento come A-Ronnne, dove il doppio processo, di innalzamento dal suono
al senso, e di abbassamento dal senso al suono, attraverso un perpetuo giuoco di
analisi e di sintesi, di composizione e di scomposizione, di strutturazione e di
destrutturazione della parola, modellizza il decorso generale dellopera, tra
esercizio fonetico e esercizio fonologico. Sono infatti proprio tali luoghi di confine,
quelli che decidono, al tempo stesso, il paradigma di fruizione corretta della
composizione (di esecuzione e di ascolto), e il processo di articolazione del
discorso sonoro. Da un lato, infatti, proprio a questa zona indecidibile, tra suono
e significato, che occorre mirare, continuamente, e daltro lato il raccont sonoro,
di accesso l senso e di uscita dal senso, che fonda la trama, l'intreccio, e
finalmente il significato oggettivo dellopera. I significanti acquistano senso alla
luce di questo metasignificato dominante, di un tale percorso e di una tale
oscillazione polare. In causa, insomma, una esplorazione delle zone critiche in
cui il segno verbale si crea e si cancella, ovvero di alcune situazioni, assunte come
moduli esemplari, in cui rumore vocale e carica semantica si convertono e si
scollano, si incrociano e si compattano. A-Ronne fa, della vocalit musicale, anzi
della vocalit umana, il proprio oggetto, problematizzando la dicibilit del senso, e
il senso della dicibilit.
Ho puntato su A-Ronne, non tanto perch, come suo responsabile testuale,
mi sento pi autorizzato a discorrerne, ma perch mi pare sia giusto scorgere in
questa composizione il luogo centrale in cui la vocalit beriana si rivela e confessa
in tutti i suoi tratti specifici. Spazio di una laboratorialit privilegiata, non tanto
un documentario sopra un determinato materiale verbale, quanto un
documento rivelatore intorno allidea di voce umana, in Berio. Che lesclusione
della musicalit strumentale, in una simile prova, renda un tale documento pi
puro e pi trasparente, ovvio. La deliberata riduzione di campo permette agli
elementi posti a reagire nellorizzonte dellosservazione inventiva un supplemento
di lucidit - e non si deve dimenticare l'originario lavoro di registrazione, affidato
non a cantanti, ma ad attori. Ma questa riduzione soltanto un aspetto
dellesperimento. E penso alla fondamentale indiscriminazione, per contro, tra
voce e strumento, nel linguaggio di Berio. Quando Cathy Berberian, narrando della
nascita di Circles, raccontava che les instrumentistes devaient produire des sons
qui ressemblaient au mot que je disais, et moi je devais rapprocher le son du mot
prononc du timbre des instruments , cos che le Sting du dbut, par exemple,
ressemble exactement au son de la harpe, discorreva giustamente, subito, di
interaction, di une sorte dchange permanent, di reciprocit, di challenge,
evocando laltra faccia, assolutamente complementare a A-Ronne, della ricerca di
Luciano. Suono organico e suono strumentale sono invitati a giocare senza
gerarchizzazione determinata, in una sorta di aperta e indefinita concorrenzialit.
Se raccordiamo e integriamo Circles (1960) e A-Ronne (1974), scegliendo due
points on the curve to find, non dir a caso, ma con sufficiente arbitrio
campionativo, non ricostruiamo, propriamente, una linea storica di sviluppo, ma
decidiamo, in ideale sincronia, due momenti che si spiegano e si completano
reciprocamente. E dicono, in sostanza, una cosa, la medesima cosa. Perch si
capisce che la messa in musica della parola non potr che essere concepita, come
da ulteriore dichiarazione dautore, che come una forma di trascrizione, e senza
alcuna cautela immaginosa o metaforica. Mettere in musica significher dunque
immettere lespressione verbale entro una macchina ulteriore che amplifica e
trascrive il senso su un diverso piano della percezione e dellintelligenza. Nella
interminabile querelle, rappresentata in re, prima ancora che teoricamente,
dallinfinita vicenda della relazione di parola e musica, la posizione di Berio appare
cos, trascendendo la sua stessa vicenda personale, come la posizione
naturalmente paradossale su cui si fonda la possibilit stessa della comunicazione
e dellespressione musicale. in causa la fiducia nella semantizzazione del rumore
in figura di suono. E questo postulato, o questa illusione (ma qui non fa differenza)
quella per cui il suono ha senso, e un senso non meno determinato, anche se
diversamente determinato, di quel senso che riposa semanticamente nel discorso
verbale (tanto che, se illusione esiste, lillusione sembrer gravitare
completamente, a questo punto, sopra lo scorporamento indotto dalla scrittura). Si
capisce che, a queste condizioni, la messa in musica della parola sia
trascrizione donatrice di senso (e che insomma scavalchi, in qualche modo, l
iscrizione scrittoria, gravitando sopra la registrazione notatoria del suono).
l'immissione della materia verbale entro una macchina (ma per una macchina
organica e corporea), quella che riuscir, non tanto amplificatrice e moltiplicatrice
di significati, ma istitutrice, radicalmente, di senso. La parola del paroliere e del
librettista, se possiede un senso linguistico, possiede pure da sempre, come
ogni parola umana, anzi proprio come ogni umano rumore, un senso musicale.
Tutto quello che appartiene alla sfera della connotazione espressiva, tutto il
concreto vissuto linguistico (che la scrittura non pu che descrivere mediatamente,
per circuito denotativo), la notazione musicale che pu assumere come il proprio
specifico verbale (e, pi latamente, come proprio specifico sonoro). Se la scrittura
letteraria fissa il senso dellenunciato, in termini riduzionalmente denotativi, la
scrittura musicale ne controlla direttamente la connotazione. E la trascrizione
beriana, in sostanza, non significa altro che questo. Di fronte al muto materiale
verbale, la notazione musicale decide e definisce quella misconosciuta dimensione
semantica, acusticamente articolata e declinata, che la civilt della scrittura ha
depresso, sempre pi fortemente, in favore di una logica semantica riduttivamente
concettuale, astratta, scorporata. In ultima istanza, la donazione e la dotazione di
senso, che dipendono dalla messa in musica, sono da risolversi,
antropologicamente, in una restituzione di senso. Si salda un debito.
Ma Luciano non parla, propriamente e soltanto, di messa in musica della
parola, ma, lo abbiamo visto a principio, di messa in scena. Si tratta di vocalit (e
di strumentalit) corporea, e la corporeit vocale iscritta in un sistema pi vasto
di significati corporei, nel lessico generale della gestualit. Nel momento stesso in
cui, con la musica ex machina, a livello generativo come ricettivo, deperisce il
significato dello strumento come strumento di un corpo, come protesi corporea se
osiamo dire, e si rende sintetizzabile la voce stessa, una restituzione di senso non
pu che rivolgersi con forza a riportare, con l'esecuzione in genere, lemissione
vocale in particolare, alla sua dinamica base somatica, alla scena. La
riproducibilit sonora, anzi la producibilit, incide negativamente sopra la
contingenza concreta dellesecuzione, mette in oblio che la musica non soltanto
una realt per lorecchio, ma anche, assolutamente, per lo sguardo. Ora, l'atto di
parola, in situazione, prima di tutto gesto corporeo. E se la scena restituisce,
come spazio del gesto sonoro, lintegrit del messaggio verbale, i suoi sensi plurali,
sar proprio la codificazione musicale quella che potr fissare, storicamente, i
parametri della scena verbale.
Come noto, la teatralit beriana precede di molto, cos idealmente come
cronologicamente, linteresse per il teatro propriamente detto. Lopera in musica,
la destinazione al palcoscenico della composizione, la narrazione drammatica, non
saranno allora che i casi pi pronunciati e conclamati di una tensione verso quella
musica come spettacolo che essenziale al suo vero discorso sonoro, E se questo
pu riuscire rilevante, pi largamente, per tutto il nostro uso della musica,
soprattutto nellet della sua producibilit e riproducibilit ex machina, a cui
Berio, non a caso, ha portato un'estrema attenzione pionieristica, e sulle cui
possibilit tornato pi volte, nel tempo, a interrogarsi creativamente, conviene
pure sottolineare che, sul piano della tradizione melodrammatica, infine questo
atteggiamento di consapevole e calcolata spettacolarit radicale, quella che
determina realmente e irreversibilmente la crisi dellopera come genere pattuito e
strutturalmente riconoscibile, e cos anche, per contro e in parallelo, la sua
possibilit di assunzione allusivamente straniata. Il metaoperismo.di Berio, le
definizioni, precisamente, di messa in scna e di azione musicale , non giovano
tanto alla designazione di questa e quella specifica composizione, quanto a
indicare la costellazione centrale in cui, presso Berio, parola e musica vengono a
contatto, vengono in scena.
Quasi come in unallegoria, nellopera pi citazionalmente impegnata a un
confronto con quello che, per il nostro compositore, il melodramma per
eccellenza, il Trovatore verdiano, la determinazione del genere diventa, con la
mediazione di Calvino, lo sappiano o no gli autori, un titolo, poich la vera storia
iscritta nei gesti sonori, vocali e strumentali, che si esibiscono in scena e in
orchestra. Ed ancora pi sintomatico, forse, che i tre atti di Opera valgano,
latinamente, quasi in parodia, come un neutro plurale. Proprio da ultimo, a
proposito di Un re in ascolto, Berio indicava nella impossibilit dellopera il tema
di questa sua opera estrema, aggiungendo che precisamente e soltanto nella forma
dellopera questa impossibilit pu essere dichiarata e scrutata compiutamente,
pu essere messa in scena. E tuttavia, lastuzia di Berio, per cui il melodramma si
converte nella propria negazione (in modi che, per altro, il nostro secolo ha
conosciuto in parallelo, per tutte le forme teatrali, e per il romanzo, e per la poesia,
e per tutti i generi, genericamente), chiaramente esposta a quella anche pi
astuta rivincita del genere, che si conserva, e persino si rafforza, nella propria
negazione medesima. Non affatto un accidente se, in questa chiave, di una resa o
di una conquista di un'opera vera, di un vero melodramma, Berio ha ottenuto
consensi critici tuttaltro che marginali. certo, ad ogni modo, che il grande tema
della scena straniata, che percorre un po tutto il Novecento, sembra ormai
orientarsi, e in ogni modo lo deve, verso modi di impossibile riconversione, di
impraticabile recupero.
Forse unindiscrezione, ma so pure che la preoccupazione attuale di Berio,
oggi, trova significativamente il suo centro, sul terreno dellopera, nel problema
della fossa orchestrale, nello storico emblema del golfo mistico, che appunto il
segno macroscopico della grande illusione incantatoria, e della separatezza
manifesta e invalicabile tra il visibile e il gestuale della vocalit e locculto e il
truccato dello strumentale. Se questo il nodo presente della scena beriana,
ancora una volta non pu ridursi a fatto personale, a accidente privato. un nodo
che le cose stesse hanno imposto, e che, in qualche misura, concerne cos noi tutti.
e ci che altera la mente, e la mente nel mondo e costituisce un fatto sociale [...]. Noi
cambieremo in modo meraviglioso se accetteremo le incertezze del cambiamento: e
questo condizioner qualsiasi attivit di progettazione. Questo un valore.
siamo liberi di scegliere il nostro percorso, piuttosto che essere costretti a percorrere
quello di Joyce. Joyce ha un atteggiamento anarchico nei confronti del lettore e cos il
lettore pu agire in totale autonomia.
Ho quindi motivo di supporre che il lavoro sia ancora irritante. La gente forse non si
accorge di essere irritata, ma prova tuttavia una grande difficolt nel prestare attenzione a
qualcosa che non capisce. Credo che ci sia una linea di confine tra il comprendere e il
fare esperienza, e molta gente pensa che larte abbia a che fare con la comprensione, ma
non cos. Larte ha a che fare con lesperienza [...]. Non l'esperienza ci che si vuole.
Non si desidera irritarsi, ' cos la gente esce, dicendo che lavanguardia non esiste. Ma
lavanguardia continua, ed esperienza.
In tempi come questi, tempi di postmodernit, ritorna particolarmente utile
e urgente il richiamo persuaso di Cage alle ragioni irrefutabili della modernit e
dellavanguardia. Egli dice:
Penso che la gente abbia sempre sperato che sarebbe finita, ma il guaio che questo non
accadr mai. Il motivo per cui non finir rappresentato dal fatto che avanguardia
sinonimo di invenzione, scoperta e cambiamento: e queste sono qualit essenziali che
saranno sempre l a irritare la gente.
Nella tipologia dei rapporti di collaborazione fra poesia e musica ci sono due
polarit fondamentali: da un lato c' il caso di uno scrittore che, senza pensare
assolutamente alla musica, scrive un testo, che un musicista utilizza, perch lo
giudica adoperabile ai suoi fini espressivi, stimolato oltre che dall'aspetto tematico,
dall'aspetto dell'organizzazione linguistica; dall'altro lato esiste invece il caso di
una collaborazione che nasce perch il musicista chiede ad un autore un testo che
sia appositamente scritto; poi ci sono i casi intermedi, in cui l'autore propone dei
materiali che ha gi elaborato e che il musicista trasceglie liberamente. Il mio
lavoro sul rap con Andrea Liberovici appartiene a questa sorta di terza via: non mi
stato chiesto il permesso di musicare testi determinati e nemmeno di scriverne
uno per l'occasione, ma piuttosto di collaborare ad un progetto. Io ho proposto vari
materiali preesistenti, altri sono stati cercati da Liberovici stesso fra i miei scritti, e
ci siamo accordati su una relativa libert d'uso. Credo che questo modello
collaborativo possa essere interessante, poich non si tratta pi n di un'idea nata
su commissione, n dell'utilizzazione di un testo concepito al di fuori della musica,
ma del lavoro di un musicista su dei materiali poetici che gli vengono messi a
disposizione e che pu riorganizzare secondo le proprie esigenze.
In realt, la mia attenzione alle sperimentazioni che coinvolgono musica e
letteratura non nuova. Ho incominciato a lavorare in collaborazione con
musicisti all'inizio degli anni Sessanta, segnatamente con Berio. Berio forse il
musicista che meglio incarna la mia idea di collaborazione, che si prolungata fino
ad oggi, con episodi qualche volta anche lontani nel tempo, ma senza che mai si
rompesse una linea di continuit, anche perch accaduto che, pur modificandosi
le nostre poetiche e le forme del nostro linguaggio com' naturale in una ricerca, ci
siamo mossi sempre con qualche simmetria: i problemi, sia di linguaggio poetico
sia di linguaggio musicale che si ponevano, presentavano spesso delle analogie,
pur nell'ovvia differenza di due modalit comunicative piuttosto eterogenee. Con
Berio e con altri musicisti, il lavoro era di volta in volta mutevole, ma aveva la
costante di appartenere sempre a quel genere di musica che consideriamo grave,
seria, legata al teatro, alla sala da concerto, o anche a soluzioni cameristiche, ma
lontana dalla cosiddetta pop music, vale a dire da una musica di pi largo
consumo, che usa modalit di comunicazione popolare, nate o divenute tali.
Questo ambito mi ha sempre appassionato, dapprima attraverso le suggestioni del
jazz, poi con lo sviluppo del rock e di altre forme pi recenti, dalla discomusic alle
posse. Oltre a questo interesse specifico, quando sottoposi a Liberovici alcuni dei
miei materiali, ero mosso dall'idea, che lui del resto condivideva, che il rap fosse
prima di tutto una tecnica evidentemente ritmica e musicale, ma anche una tecnica
del discorso verbale, un modo paradossale per recitar cantando , in cui
l'importanza del testo molto forte e permette di utilizzare anche dei
componimenti che non abbiano una preordinata struttura ritmica, ma che si
costruiscono attraverso giochi verbali. Io ho fatto uso, almeno in molti dei miei
testi, dell'allitterazione, della rima ribattuta e questo si prestava bene ad essere
trasformato in rap, con poche modifiche di replica, di iterazione, di variazione.
Dopo aver accolto la proposta per un rap, suggerii a Liberovici di andare oltre, di
pensare ad uno spettacolo in cui il rap rimanesse la struttura essenziale, ma
accanto ad esso venissero usati testi musicali tradizionali - per violoncello, ad
esempio - poi registrati in modo da creare, sia da un punto di vista scenico e
gestuale, sia da un punto di vista verbale, una grande possibilit di movimenti
diversi nelle direzioni pi varie. Essendo soddisfatto del risultato ottenuto, lo
stesso Liberovici pensa ora di curare e ampliare questa forma e creare uno
spettacolo ancora pi ampio, innestando ulteriori elementi (come la canzone o
altre modalit) altrettanto eterogenei rispetto al materiale preordinato. Questo
lavoro ha quindi una sua struttura gi organizzata, ma anche un lavoro in
progress perch suscettibile, nelle intenzioni del musicista, di continui sviluppi.
Da un punto di vista tematico, Liberovici era poi partito da un soggetto su
cui potevo offrire molto materiale: il motivo del sogno; perci l'ho lasciato libero di
montare i miei testi e di giocare - come io auspicavo che potesse avvenire - sulla
congiunzione di parti eterogenee tra loro, ma che in una logica onirica ritrovavano
un loro senso di montaggio. Del resto, molta della pop art, intesa non soltanto nel
senso pittorico, ma di arte pop, nell'accezione in cui si impiega questa parola
quando si parla oggi del folclore di massa, degna di grande attenzione; e c' uno
scambio continuo, qualche volta consapevole qualche volta inconsapevole, tra le
espressioni tradizionali d'arte e le espressioni di massa legate al consumo e alla
cultura dei giovani. In fondo, si ritrova in questo rapporto qualcosa che la
tradizione ha sempre conosciuto e che poi ha un po' perso: se si guarda al modo in
cui la musica del passato ha operato con ciaccone o gagliarde o minuetti o valzer, si
vede che tutta la musica pi seria, qualche volta persino seriosa, ha utilizzato delle
forme di danza che erano consumate contemporaneamente dalla cultura
popolare del tempo. In seguito c' stata una scissione o almeno una maggiore
difficolt di relazione tra questi elementi, anche se l'influenza del jazz sulla musica
seria, ad esempio, ha toccato musicisti come Debussy e Stravinskij e credo che
questa forma di contaminazione non solo possa continuare, ma possa diventare
pi esplicita e consapevole, e pi programmatica di quanto sia accaduto nel
Novecento.
Anche la scrittura letteraria e il lavoro sulla parola potrebbero trovare in
questa sorta di ibridazione una spinta ulteriore per rompere con il poetese in
senso negativo, cio il gergo lirico, la selezione verbale verso realt superiori dotate
di aura, e stimolare maggiormente ad un impiego poetico del linguaggio
quotidiano, di tutto quello che il mondo della prosa moderna, della tecnologia,
delle feconde mescolanze di lingue diverse. D'altra parte importante ricordare
che in una certa letteratura americana all'epoca della cultura beat, ci sono stati
autori, come Kerouac e Ginsberg, che dichiaravano di essersi ispirati molto al
ritmo del jazz o alla pop music, proprio come ritmo di scrittura; ci sono esempi, in
poesia come in prosa, di una letteratura che ha subto questo influsso della ritmica
musicale, sul terreno del romanzo e della narrativa, come su quello poetico e credo
che, in questa direzione, si possano ottenere degli sviluppi ancora pi ricchi.
Nel valutare la situazione italiana, occorre per fare le dovute differenze. Gli
esperimenti degli anni Cinquanta e Sessanta per creare una canzone d'autore o lo
sviluppo dei cosiddetti cantautori hanno dato risultati assolutamente discutibili.
La tipicit della canzone italiana appare molto imprigionata entro limiti di
melodicit tradizionale, per cui diventa o tardo melodramma riciclato, nel migliore
dei casi, o tarda romanza da camera. Ci non toglie che ci siano stati anche dei
risultati positivi fra gli autori (perch Paoli o Conte hanno forse aperto delle
strade) e degli interpreti piuttosto straordinari, anche dal punto di vista del
costume, come Mina o Patty Pravo. Tuttavia un limite sempre stato la prevalenza
di melodicit e di poeticit; anche i tentativi di scrivere testi per canzoni fatti da
Pasolini, da Calvino, da Fortini, persino da Moravia e Soldati seppure molto
episodicamente, non hanno poi trovato conferma n continuit, perch in fondo la
vera musica popolare aveva altre direzioni. L'intervento del jazz e del rock stato
invece veramente un fatto insopprimibile nello sviluppo del linguaggio musicale, il
solo che possa trovare equivalenti nella sperimentazione letteraria. Accanto al
poetese , c' stato un canzonettese : l'Italia purtroppo il paese di Sanremo,
per dire tutto in una formula, e questo ha rappresentato e rappresenta un limite
molto forte.
Anche dal punto di vista dei contenuti, delle idee, bench la canzone abbia
avuto un pubblico larghissimo, in sostanza sempre rimasta prigioniera di
atteggiamenti, per cos dire, piccolo-borghesi. Molta della protesta orientata in
quel senso rimasta imparagonabile alla rottura espressiva proposta da tanta
musica anglosassone, dai Rolling Stones ai Sex Pistols, per esempio, in cui
radicalismo e anarchismo hanno raggiunto una violenza che da noi rimasta
praticamente sconosciuta o veramente episodica ed eccezionale. Il limite della
canzone italiana davvero anche un limite ideologico e di classe. Tentare
l'esperimento del rap significava per me uscire davvero da questi confini, passare
davvero ad altro: fare un lavoro, con un musicista, in una direzione che non
rimanesse poi nemmeno prigioniera della forma del rap, ma la utilizzasse come
una sorta di riferimento fondamentale, nell'organizzazione della struttura di
un'esperienza spettacolare, senza rinunciare a nessuno degli elementi che oggi, sia
la parola, sia il suono possono proporre.
Io tendo sempre pi ad insistere sul momento anarchico come momento di
pulsione della grande arte critica del Novecento. Se questo momento ha trovato
incarnazione, non stato tanto nella forma della canzone all'italiana, quanto
piuttosto nelle esperienze di certo rock violento e oggi, semmai, del rap e di altre
espressioni di questo genere.*
La musica, per fortuna nostra, non coincide mai completamente con quello
che il suo autore si propone di comunicare - non solo come espressione di una
idea, di un concetto e di una visione poetica, ma anche come documento di (o
commento a) una realt concreta. Un testo, poetico o no, invece una realt
concreta che coincide di solito con quello che il suo autore si propone di
comunicare. In altre parole (e semplificando), un poeta, mettendo in atto
meccanismi denotativi pi o meno complessi, pu non solo creare un labirinto di
associazioni significative ma pu anche permettersi il lusso di mentire
consapevolmente e di manipolare la realt e i referenti. Il musicista non pu
mentire, non ne ha gli strumenti, un puro (con tutto il male che ne deriva): lui :
quello che e i meccanismi connotativi della sua musica sono quello che sono,
anche se assiduamente frequentati e condizionati dai fantasmi della storia, delle
tecniche, degli ascolti possibili e anche se il senso di quello che fa sempre un po
altrove e non coincide mai completamente, appunto, con quello che egli si propone
di comunicare.
Ma la creativit musicale ha sempre cercato di sviluppare diversi nodi di
complicit con la realt concreta e con le idee che la abitalo: con la vita pubblica,
per esempio, con la vita privata, la scienza, i1 teatro, i dati naturali e le tecniche. E
ogni volta il musicista cerca di assimilare, sublimare e trasformare eroicamente
quella realt concreta in unaltra cosa (magari solo in un titolo), anche senza apersi
porre il problema di definire che cosa veramente essa sia. Non c alcun dubbio che
si tratti di una definizione abbastanza difficile che richiede strumenti di natura
filosofica analoghi, mi sembra, a quelli che vengono usati quando si cerca una
definizione del tempo. Quando, da soli, pensiamo alla realt concreta, sappiamo
sempre cos. Se per qualcuno ci chiede cosa essa sia, non sappiamo pi cosa
rispondere e siamo assaliti dal dubbio che quello di realt concreta (e di tempo)
non sia un concetto ma, piuttosto, un modo di dire assai poco concreto. Comunque
sia, nellimmenso repertorio di realt concrete con le quali il musicista si
sempre misurato, la realt della lingua parlata e scritta, della poesia e della prosa,
occupa sicuramente un posto privilegiato. Quel osto che responsabile del vasto
mare della musica vocale dove appunto la realt della lingua parlata si associa alle
virtualit del linguaggio musicale.
In A-Ronne, per cinque attori, su una poesia di Edoardo Sanguineti
(realizzato nel maggio 197 per la Radio Olandese di Hilversum), si ritrova forse
poco di queste considerazioni: esse hanno per avuto una funzione catalizzatrice
nella concezione di questo lavoro che, tanto sul piano verbale che su quello
musicale, si pone il problema di combinare assieme e di elaborare, senza volerle
trascendere musicalmente, solo associazioni e riferimenti specifici, solo
denotazioni e, nei limiti del possibile, solo realt concrete.
A-Ronne non una composizione musicale in senso stretto. Avrei
certamente incontrato delle difficolt se avessi voluto definirla con una delle
consuete indicazioni di genere che accompagnano le composizioni vocali (cantata,
madrigale, canzone, concerto ecc.). Ho optato invece per quella che mi sembrata
la descrizione sintetica pi appropriata: documentario. Di documentari se ne
fanno tanti e sugli argomenti pi diversi (su dettagli della vita pubblica, della vita
privata, della scienza, del teatro ecc.): perch non su una poesia? In A-Ronne,
documentario per cinque attori su una poesia di Edoardo Sanguineti, c poca
musica ma, come vedremo dopo, i criteri che lo organizzano sono musicali: a volte
essi svolgono le funzioni di una macchina da presa che, invece di esplorare un
soggetto o una situazione da diversi angoli e con lenti diverse, esplora una poesia.
A-Ronne non appartiene dunque a un genere musicale noto. Concepito
originariamente come lavoro radiofonico, pu forse suggerire qualche tenue
legame coi madrigali rappresentativi, cio col teatro degli orecchi (della mente,
diremmo oggi), del tardo Cinquecento.
Avevo chiesto a Sanguineti una poesia piuttosto breve, condotta su un
discorso non lineare, facilmente segmentabile e costruita possibilmente su
immagini permutabili, come fossero parte di un congegno modulare. Cosi ,
infatti, il suo A-Ronne. Nella sua grande coerenza e intensit evocativa sembra
guardare continua-mente dentro se stesso e ai suoi stessi congegni, ai suoi
frammenti e alle sue rovine. Uno degli aspetti pi singolari di questa poesia
lessere rigorosamente e ossessivamente costruita di citazioni che ruotano su loro
stesse e ritornano spesso tradotte in lingue diverse. Anche il titolo una citazione.
A-Ronne: come dire A-Zeta, Alfa-Omega. Ronne una delle tre abbreviature poste
un tempo alla fine della tavola dellalfabeto, dopo la Zeta. Esse sono: Et, Con e Ron
(questultime due sono una trasformazione di cum e della desinenza latina orum).
Le designazioni fiorentine, utilizzate da Sanguineti a conclusione della poesia,
erano Ette, Conne, Ronne. A-Ronne diviso in tre brevi strofe: il tema della prima
strofa lInizio, il tema della seconda il Mezzo e quello della terza la Fine.
III
Empty Cage *
1
ci sono tante e tante cose che possono andare insieme
senza sapere quale sar il risultato
ogni ripetizione deve provocare un'esperienza del tutto nuova
abitare il mondo intero non frammenti separati del mondo
ciascuno di noi il centro del mondo senza essere un io
il mondo non diventa si muove cambia
2
non ho nessuna idea di come tutto questo avviene
qualsiasi cosa causa ogni altra cosa
non crediamo nella natura umana
ci sono due modi di scendere dalla montagna
le circostanze determinano i nostri atti
l'altro modo scivolare gi dopo aver raggiunto la cima
3
immaginiamo una strada con molta gente
un silenzio pieno di rumori
ciascuno di noi il centro del mondo senza essere un io
ci che conta ci che avviene
senza sapere quale sar il risultato
una maniera di aprirsi all'assenza di volont
5
un modo quello di cadere gi quando la state scalando
continuando a restare schiavi dell'azione e della logica
il significato l'uso
il sentimento in ciascuno di noi non nelle cause esterne
l'uso assicura il non ordine la libert
la possibilit di vedere accadere qualsiasi cosa
6
bisogna andarsene da qui
abitare il mondo intero non frammenti separati del mondo
il mondo reale non un oggetto un processo
qualsiasi cosa causa ogni altra cosa
le cose devono entrare in noi
l'istante sempre una rinascita
7
le cose vanno e vengono
ogni ripetizione deve provocare un'esperienza del tutto nuova
soprattutto questione di cambiamento
l'indeterminazione il salto nella non linearit e nell'abbondanza
ci che avviene accade ovunque e contemporaneamente
poich tutto gi comunica perch voler comunicare
8
perch tutto possa accadere
mentre nella conversazione nulla si impone
non solo non lo voglio ma voglio distruggere il potere
princpi e governi sono ci che favorisce l'oblio
bisogna andarsene da qui
siamo sempre pi impazienti e diventeremo sempre pi voraci
9
ci sono tante e tante cose che possono andare insieme
struttura e materiale possono essere legati oppure opporsi
quello che mi interessa non sono le regole ma il fatto che le regole cambino
il mondo non diventa si muove cambia
le vecchie strutture del potere e del profitto stanno morendo
un modo quello di cadere gi quando la state scalando
10
il nulla in tutte le cose quindi anche in me
un silenzio pieno di rumori
qualcosa che avviene qualcosa di inatteso di irrilevante
incontri tra elementi eterogenei che possono restare senza alcun rapporto
ammucchiati tutti insieme e allo stesso tempo
un gioco senza scopo un'assenza di finalit
11
l'uguaglianza del comportamento nei confronti di tutte le cose
costruire cio riunire ci che esiste allo stato disperso
immaginiamo una strada con molta gente
un'opera su un'opera come tutte le mie opere indeterminate
io non ho niente da dire
comunicare sempre imporre qualcosa
12
mentre nella conversazione nulla si impone
ciascuno libero di provare le sue emozioni
l'uguaglianza dei sentimenti verso ogni cosa
lasciando alle cose la libert di essere ci che sono
le cose devono entrare in noi
l'istante sempre una rinascita
13
struttura e materiale possono essere legati oppure opporsi
ammucchiati tutti insieme e allo stesso tempo
frantumare la loro linearit
perch tutto possa accadere
quello che mi interessa non sono le regole ma il fatto che le regole cambino
soprattutto questione di cambiamento
14
costruire cio riunire ci che esiste allo stato disperso
senza sapere quale sar il risultato
l'altro modo scivolare gi dopo aver raggiunto la cima
un clima molto ricco di gioia e di smarrimento
le vecchie strutture del potere e del profitto stanno morendo
occorre liquidare il dogma produttivistico e del profitto
15
frantumare la loro linearit
lasciando alle cose la libert di essere ci che sono
la tirannia e la violenza sono dalla parte della linearit
comunicare sempre imporre qualcosa
continuando a restare schiavi dell'azione e della logica
princpi e governi sono ci che favorisce l'oblio
16
non solo non lo voglio ma voglio distruggere il potere
occorre liquidare il dogma produttivistico e del profitto
respingere le esclusioni le alternative radicali tra opposti
sforzandosi di provocare un altissimo grado di disordine
un clima molto ricco di gioia e di smarrimento
siamo sempre pi impazienti e diventeremo sempre pi voraci
17
la tirannia e la violenza sono dalla parte della linearit
l'indeterminazione il salto nella non linearit e nell'abbondanza
non sopprimere le possibilit ma moltiplicarle
una maniera di aprirsi all'assenza di volont
le cose vanno e vengono
le circostanze determinano i nostri atti
18
cerco di non rifiutare mai nulla
ci che avviene accade ovunque e contemporaneamente
sforzandosi di provocare un altissimo grado di disordine
l'uso assicura il non ordine la libert
ciascuno libero di provare le sue emozioni
il sentimento in ciascuno di noi non nelle cause esterne
19
incontri tra elementi eterogenei che possono restare senza alcun rapporto
cerco di non rifiutare mai nulla
respingere le esclusioni le alternative radicali tra opposti
non sopprimere le possibilit ma moltiplicarle
la possibilit di vedere accadere qualsiasi cosa
l'uguaglianza dei sentimenti verso ogni cosa
20
un'opera su un'opera come tutte le mie opere indeterminate
un gioco senza scopo un'assenza di finalit
non ho nessuna idea di come tutto questo avviene
io non ho niente da dire
poich tutto comunica gi perch voler comunicare
il significato l'uso
[Pice per danza di Valeria Magli, 1978, con musica/esecuzione di Demetrio Stratos]
Marzia DAmico
1
Questo lavoro consiste nella rielaborazione di un capitolo della mia tesi di Lau-
rea Magistrale, discussa presso lUniversit La Sapienza di Roma nel luglio del
2013. Ringrazio i miei relatori, Tommaso Pomilio e biancamaria Frabotta, per
la disponibilit con cui hanno guidato le mie ricerche. Per laiuto e la testimo-
nianza che mi ha concesso intorno allevento qui trattato ringrazio anche, di
cuore, nanni balestrini.
2
bisogna citare almeno il lavoro di Richard Schechner, tra i pi importanti teo-
rici della performance contemporanei, e in particolare il suo studio actuals del
1970. nel saggio lautore spiega alcuni fondamenti della teoria della perfor-
mance attraverso lanalisi delle pratiche rituali della societ nordaustraliana
Tiwi. il suo percorso teorico passa attraverso lestetica di Platone e quella di
Aristotele. Cfr. R. Schechner, actuals: a look into performance eory, in A.
Cheuse R. koer (a cura di), e rare action: essays in Honour of Francis
Fergusson, Rutgers University Press, 1970, in particolare pp. 35-67 (trad. it. ac-
tuals: rituale primitivo e teorie della rappresentazione, in La scrittura scenica,
n. 7, a. 1973, pp. 32-68).
265
performance nel campo dellestetica erano (e sono tuttora
presso alcune civilt) composti dalla simultaneit di diverse
azioni poetiche che la gura centrale dellavvenimento, lo
sciamano, doveva comporre con sapienza esatta3 o ripetere4
nel momento dellesecuzione. La funzione di questa gura,
capace di raggiungere una sorta di ipotesto assoluto da cui
trarre i materiali da performare il cosiddetto tempo del
sogno5 come si raggiunge un luogo concreto, era quella
3
Pena il mancato riconoscimento del suo ruolo di guida spirituale e di voce poe-
tica presso la comunit. in ogni caso, a riprova del carattere interattivo (e dun-
que autenticamente performativo) delle pratiche in questione, alcuni studi
dimostrano che il pubblico poteva intervenire per salvare il performer da una
perdita dei suoi doni dovuta a una cattiva esecuzione dei moduli colti nel dre-
amtime. A questo proposito vd. J. Rothenberg, technicians of the Sacred, Gar-
den City, Doubleday, 1968, p. 385; e in particolare lautorevole A. Lommel,
Shamanism: the Beginnings of art, new york, McGraw-Hill, 1967, p. 148. in
questo testo Lommel aerma che the shamans social function consists above
all in bringing psychic calm and condence to the tribal community by revitalizing
and intensifying its notions of the world (p. 12), ma dal suo processo terapeu-
tico scaturisce una creativit artistica i cui risultati sono eettivi prodotti arti-
stici mai adeguatamente indagati dagli studi.
4
Giacch, come vedremo, le cerimonie erano costruite su una grammatica memo-
rizzabile che prevedeva costitutivamente lopportunit di riproporre i medesimi
testi con le uniche varianti dettate dalla natura stessa di ogni esecuzione perfor-
mativa: reazioni, stato sico dellattuante, circostanze ambientali e simili.
5
il dreamtime un concetto nato appunto negli studi etnoantropologici sulla
trance. Si fa largo uso del termine anche nei performance studies. Per un appro-
fondimento vd. tra gli altri: F.A. Wolf, e dreaming universe: a mind-expan-
ding journey into the realm where psyche and physics meet, new york, Simon &
Schuster, 1994; G. Gotti D. Sandrini (a cura di), dreamtime: lo spirito del-
larte aborigena, Venezia, Marsilio, 2011. Curiosamente, il concetto potrebbe
risultare familiare a chi ne sente parlare per la prima volta in termini antropo-
logici e nelle sue ripercussioni estetiche ricordando i vari e vivaci inussi che
ha avuto nella cultura popolare: da ranati comics postmoderni e graphic novels
di Grant Morrison alla serie televisiva Star trek, in cui il mitico Capitano kirk
esce dalla nostra dimensione proprio per esplorare la realt primordiale del dre-
amtime. La vicenda fantascientica testimoniata da una versione letteraria
della saga. M.W. bonanno, Star trek novel: Strangers om the Sky, Londra,
Titan books, 1987. Per Grant Morrison, il riferimento alla serie di fumetti
degli anni novanta e invisibles. La fortuna pop del dreamtime comunque
precedente: per esempio la band inglese e Cult, pubblicava gi nel 1984 un
266
di apprendere canti e danze presso gli spiriti depositari della
memoria e di trasmetterne la conoscenza agli spettatori at-
traverso la ricomposizione di moduli voco-corporali. Tali
moduli corrispondono a quelle indicazioni sse ma varia-
mente declinabili che nelle arti agite si deniscono script6
(note di regia, nude descrizioni di azioni, prescrizioni su
tono, timbro, pronuncia di parole o suoni, etc.).
il ruolo dello sciamano dunque (e a specchio, in tutte le
sue successive forme autentiche, quello del performer) non
si limitava allesecuzione di danze, canti, enunciati poetici
e azioni; comprendeva una fase creativa, una compositiva,
una puramente performativa e, non secondariamente, una
comunicativa a sua volta caratterizzata da alcuni elementi
fondamentali: interattivit, trasmissione didattica, formu-
lazione artistica ma universalmente comprensibile di con-
tenuti ricevuti dal pubblico, conservazione della memoria
e accoglimento della responsabilit di fornire un modello
di contegno estetico-spirituale. Tale ruolo prevede dunque
una sorta di interessante deontologia, in parte sintetizzata
da un ecace passaggio schechneriano:
i viaggi dello sciamano non sono n ni a se stessi n
personali, dal momento che dovr insegnare ad altri
tutto ci che ha appreso. Svolge, insomma, una funzione
sociale. Lo sciamano apprezzato dalla sua gente. un
esempio e un modello per tutti quelli che vogliono ac-
quistare potere. luomo che sa e ricorda.7
267
Tutti gli studi che convergono sulle azioni considerabili
arte e sugli attuanti considerabili poeti analizzano dunque
gli elementi che, con le loro variazioni dicilmente preve-
dibili, possono in molti modi inuenzare la resa del pro-
dotto nale che considereremo senza specicazioni ulteriori
un testo. Tale testo infatti il risultato, oltre che della com-
posizione degli script attinti nel corso della fase creativa ini-
ziale, della interazione fra spazio, tempo, performer, azioni
e pubblico8. importante aggiungere a tali elementi un
pesante aspetto che li permea tutti, essendo costituito sia
da una componente materiale embodied sia dal suo statuto
di medium comunicativo: la voce. nonostante le distanze
geograche e culturali di diverse trib, gli script prettamente
vocali si manifestano sempre riconoscibili: assieme agli altri
compongono quei canovacci virtuali che, come abbiamo
visto, presiedono non solo alle singole performance ma anche
alle loro eventuali ripetizioni identiche o ristrutturate.
Sono dunque parte delle posture psicosiche che portano
allo stato di trance, come il resto descritto negli studi sui
riti aborigeni e riscontrato in quelli teatrali e pi in generale
di performance theory nei quali in sostanza coincide con
la fase creativa di secondo grado, che segue alla composi-
zione iniziale pi sopra collegata al viaggio nel dreamtime
degli sciamani.9
Quanto n qui rapidamente sintetizzato porta ad alcune
conclusioni provvisorie sulla performance in genere: si tratta
di una forma darte di matrice rituale in cui un ipotesto in-
dicativo presiede allesecuzione di molteplici testi autonomi,
tutti denitivi nel qui e ora esperito da chi li riceve (il pub-
8
R. Schechner, actuals: uno sguardo alla teoria della performance [1970], in id.,
la teoria della performance, cit., p. 72.
9
Particolarmente utili per intuire la sionomia della trance sono gli studi con-
dotti in bali da belo. Cfr. J. belo, trance in Bali, new york, Columbia Uni-
versity Press, 1960.
268
blico) ma al contempo passibili di modiche anche sostanziali
in successive, altrettanto originali e autentiche ripetizioni
che ne condividono gli script ma non lo spazio e il tempo di
attuazione. Adagiando un simile punto di partenza analitico
come una coperta sullinaerrabile statuto di quella che nel
secondo novecento stata denita poesia performativa, pos-
siamo cominciare a intravederne un prolo denito.
Lesecuzione (e non la semplice lettura) di un testo poe-
tico infatti d origine, secondo gli stessi principi, a una vera
e propria performance. Considerando il singolo momento
di scrittura primigenio alla stregua della fase creativa del
dreamtime (dunque a una raccolta di indicazioni e non alla
nuda stesura del testo) e le successive attuazioni come eventi
in cui gli script prendono le loro molteplici e tutte denitive
forme (facendosi loro stesse testi), ci troviamo ad avere a
che fare con un genere letterario in cui ad ogni qui e ora
corrisponde una nuova poesia e in cui perci lanalisi dei
singoli avvenimenti non pu prescindere dalle variabili che
abbiamo gi elencato (interazione, moduli virtuali a monte,
traiettorie della voce e cos via).
il medium performativo in qualche modo supera lespe-
rienza classica della poesia come testo da vedere,10 ren-
dendola non solo ovviamente multimediale (il corpo del-
lattuante si vede, la sua voce si sente, nello spazio in cui
opera ci sono odori etc.) ma valicando anche altri limiti
imposti dalla codice gutenberghiano. il testo da vedere della
stampa tradizionale stabile, immutabile e, rispetto alla
trasmissione orale, gode di un maggiore prestigio che mette
in cattiva luce gli stilemi delloralit, che assumono unap-
parenza primitiva rispetto al progresso che ha portato alla
scrittura quando sarebbero invece semplicemente il ri-
10
P. bootz, poetic machinations in new media poetry: poetic innovations and
new technologies, Visible language 30.2, Rhode island School of Design, Chi-
cago, 1966, pp. 118-137.
269
sultato di una diversa linea evolutiva11. Rispetto allimmu-
tabilit del testo stampato e della sua diusione, il testo
della performance sempre variabile: ogni volta si assiste a
una delle potenzialmente innite espressioni possibili. An-
che gli imprevisti, che in manoscritti ed edizioni costitui-
scono guasti ed errori, possono essere interpolati felicemente
al testo: il classico buco di memoria ad esempio, il
vuoto, nellesecuzione non tanto un incidente quanto
un episodio creatore come ecacemente spiega Paul
Zumthor12. Esiste dunque una dierenza sostanziale tra
testi lineari semplicemente letti ad alta voce e testi perfor-
mativi, che contengono gi al loro interno la tensione al-
lesecuzione. A spiegarlo in maniera semplice ed elegante
il losofo Hans-Georg Gadamer, che ritiene esserci una
certa dierenza tra il fatto che un testo viene scritto per es-
sere recitato, ed il fatto che un testo debba essere letto da
un foglio; tra il fatto che un testo debba essere recitato, e
sia stato scritto per questo, oppure che, come diventato
sempre pi consueto nella nostra cultura, si calcoli di avere
a che fare solo con la lettura muta13.
il caso che vorrei prendere qui in esame abbastanza
particolare sia per i soggetti che lo costituiscono, sia per la
tecnica compositiva che presenta. La poesia, un lavoro di
nanni balestrini, viene infatti performata (e registrata per
uso successivo) da una voce ulteriore, quella di Demetrio
Stratos, che come vedremo si appropria del testo e ci ore
un esempio lampante di come lesecuzione sia generatrice
ecace di un nuovo testo, anzi, dellunico vero testo. in
sostanza tra gli aspetti pi interessanti del lavoro analizzato
11
Su questi argomenti restano fondamentali gli studi di Paul Zumthor e Walter
Ong. Cfr. almeno P. Zumthor, la presenza della voce, bologna, il Mulino,
1984; e W. Ong, oralit e Scrittura, bologna, il Mulino, 1986.
12
P. Zumthor, la presenza della voce, cit., p. 279.
13
H.G. Gadamer, persuasivit della letteratura, Ancona, Transeuropa, 1988, p.
31.
270
in queste pagine c la netta distinguibilit delle diverse
fasi creative di cui abbiamo appena trattato: lipotesto di
script linguistici (anche se, come vedremo, peculiarmente
dissociati da ogni codice) raccolto dal poeta, che ada
linvenzione di quelli vocali e agiti a due diversi soggetti
che a loro volta li performano, separatamente. intervengono
per di pi due forme di dilazione dei qui e ora sovrapposti:
lipotesto registrato su carta, lesecuzione degli script
vocali registrata su nastro e le azioni sono danzate dal
vivo nel corso di una riproduzione dei precedenti.
La scrittura asemantica di nanni balestrini prevede di
per s una tensione musicale e sonora gi avvertibile nel
corso di una lettura muta. Una simile predisposizione alle
esperienze sonore, [a]i modi di organizzare i suoni, di in-
ventare insiemi di suoni14 non pu che sposarsi con la ri-
cerca vocorale di Demetrio Stratos, che come vedremo ha
lavorato a sua volta sullespressivit pregrammaticale rag-
giungibile dalle pure fone.
Quella di Demetrio Stratos una vicenda davvero singo-
lare e, nellambito dei percorsi della voce nellarte perfor-
mativa, addirittura unica. nato ad Alessandria dEgitto come
Marinetti e Ungaretti, cresciuto ad Atene e l formatosi come
musicista, si trasfer in italia nei primi anni Sessanta meno
che ventenne a seguito del colpo di stato di nasser. Divenne
famoso come cantante rock e beat, dapprima con i Ribelli
(particolarmente celebri il brano pugni chiusi del 1967 e la
cover di oh darling! dei beatles tradotta in italiano) e poi
con gli Area, un gruppo di virtuosi musicisti progressive e
fusion che dest lattenzione non solo del pubblico ma anche
di ranati musicologi. non a caso alle soglie degli anni Ot-
tanta Stratos fu invitato da Jasper Jones a new york, dove
collabor con John Cage e Andy Warhol alla performance
14
M. Gamba, Prefazione, in n. balestrini, milleuna parole per musica, Roma,
Deriveapprodi, 2007, p. 7.
271
musicale e coreutica event. Proprio a new york tuttavia,
ammalatosi gravissimamente forse a causa di una bizzarra
condotta farmacologica (per anni, su discutibile consiglio di
un medico, prese ininterrottamente un antibiotico al giorno),
mor a soli 37 anni nel 1979.15
negli ultimi anni della sua vita, lartista condusse una
sorprendente ricerca sperimentale sulla propria voce, che
divenne capace di suoni quasi impossibili, addirittura stu-
diati scienticamente da esperti di acustica come Franco
Ferrero, Lucio Croatto e Andrea Accardi. Gli studiosi
hanno concluso, descrivendo elettroacusticamente le emis-
sioni di Stratos, che durante alcuni vocalizzi lartista riusciva
ad emettere dei schi distinti a diverse frequenze, tutte at-
testate oltre le capacit della vibrazione delle corde vocali.16
La ricerca di Stratos comunque non riducibile alla di-
mensione pi atleticamente performativa: egli sfruttava
la sua sola voce per registrare vere e proprie musiche astratte
composte da suoni diversi ma eseguiti in contemporanea.
Lui stesso li chiamava autofonie, diplofonie e triplo-
fonie. Gli ultimi due termini costituiscono il titolo di un
suo celebre pezzo, in cui sintetizzato gran parte del portato
dei suoi esperimenti. Oltre a poterla ascoltare nelle regi-
strazioni Cramps,17 lopera stata anche scritta sulla pagina
dallartista in diverse forme, una delle quali pubblicata po-
stuma nel raro fascicolo darte codice Biancaneve interna-
15
Le informazioni bibliograche qui sintetizzate sono desunte da J. Haouli, de-
metrio Stratos. alla ricerca della voce-musica, Milano, Cramps-Auditorium,
2009. La monograa che contiene un utile compendio dei pi estremi espe-
rimenti vocali di Stratos in CD anche stata utile per reperire i riferimenti
bibliograci per gli studi scientici pi avanti menzionati e citati.
16
Cfr. E. Ferrero L. Croatto M. Accardi, descrizione elettroacustica di alcuni
tipi di vocalizzo di demetrio Stratos, in Rivista italiana di Acustica, n. 4,
1980, pp. 229-258. Larticolo corredato da graci e schemi illustrativi.
17
Oltre che nel CD delletichetta Cramps inserito nella monograa poco sopra
citata, il pezzo pubblicato nella versione sottotitolata investigazioni su
youtube <http://youtu.be/D9p7iMTzCf0>.
272
tional curato da Dario Villa e Franco beltrametti.18 in essa,
ecacemente sintetica del tipico lavoro la Stratos, il can-
tante emette una lunga nota vibrata su cui, con ritmo va-
riabile, esplodono dei brevi suoni simili a pizzicati o a note
di xilofono. La nota usata come basso continuo riparte ogni
volta che nisce il ato e progressivamente sale, nch non
raggiunge un culmine in cui, inspiegabilmente, si sdoppia
in due note: una piena e una pi sottile, simile a una vibra-
zione acuta di cristallo o allonda di uno strumento elettro-
nico. Le note schioccate come di xilofono si diradano e
la voce, in chiusura, perde ogni connotato umano, diven-
tando un ruggito simile a uninterferenza.
273
rottura del percorso comunicativo, rappresentato da
una discesa delle linee del vibrato e da un gruppo di semi-
brevi piene: prima laccordo sol diesis-do, poi un si bemolle,
poi un la, tutti legati a una pausa nale puntata e diramati
da un segno. nella rottura assistiamo a un passaggio
dalla voce ancora umana per quanto ai limiti del possibile
a una voce letteralmente sovrumana, e dunque a un ecce-
zionale superamento del signicante sul signicato: non
solo lopera parte gi dallassenza di codice linguistico, ma
arriva persino a superare con la voce il suono della voce
stessa, attestandosi a un livello di asemantico lirismo asso-
luto. non a caso la triplofonia somiglia alle trifonie
della musica tradizionale mongola, una tecnica che rende i
cantori capaci di emettere tre suoni armonici nel corso di
canti spirituali di trascendenza.
Per loccasione dincontro con lo sciamano balestrini,
avvenuta alla ne degli anni Settanta, questo attuante ol-
treumano permette al testo adatogli dal poeta di concre-
tizzare foneticamente le sue caratteristiche stilistiche. Voce
narrante di una vicenda scivolante in esse (cos costruito
milleuna, il componimento qui in esame) Stratos, forse
non a caso anche lui chiuso onomasticamente tra sibilanti,
raggira quasi con ironia la versicazione pensata dallautore
e, con le corde vocali, d forma seppure immateriale al
signicante dinchiostro sulle pagine, densicandone il si-
gnicato con la dizione.
il bagaglio di multiforme esperienza di utilizzo della voce
come strumento a diversi livelli permette al performer di
vivicare la sonorit intrinseca di cui abbiamo parlato a
proposito della scrittura balestriniana attraverso esperimenti
di lettura inizialmente improvvisati e poi cristallizzati come
script. Secondo la testimonianza diretta dellautore, con cui
ho avuto occasione di conversare in merito alla collabora-
zione con Stratos, nella performance nale il repertorio di
274
toni e timbri stato gestito come una tastiera19. nello
studio di registrazione Stratos, a memoria di balestrini, ha
letto dieci volte lipotesto lineare tentando ogni volta diversi
possibili script vocali da applicarvi.
Come anticipato, la registrazione su nastro dei cento
ipo-versi per dieci volte consecutive il titolo milleuna ne
consegue aritmeticamente venne utilizzata da una ulteriore
performer, Valeria Magli, per una ulteriore improvvisazione,
questa volta per agita col corpo e messa in scena senza re-
gistrazioni al Teatro Out\O di Milano nel 1978. Quelluna
che si aggiunge alle mille, per inciso, mi pare indicare proprio
la milleunesima esecuzione dei versi, quella completa anche
di danza che in fondo nella sua unica versione avvenuta
in un qui e ora ormai perduto rappresenta il solo vero
testo in questione.
Su un palco che il poeta ricorda come un ring di
box, mentre il nastro recitava di seguito le attuazioni
sonore del componimento, Magli eseguiva con laiuto
di diversi oggetti, quali ad esempio un ombrello, delle
ali, una bombetta i propri movimenti scenici appa-
iando agli script linguistici, a loro volta legati a script sonori,
una terza serie di script visivi. La fotografia scenifca si ba-
sava su un effetto di buio intermittente, costruito come
in una sala di discoteca, che offriva al pubblico numeroso
che prese parte allevento una straniante percezione di
continue immagini fisse, proprio come avviene in ambienti
stroboscopici. Magli agiva liberamente e dinamicamente
sul palco, ma la luce le regalava una multiforme composta
immobilit, una serie di scatti continuamente interrotti
mentre la sonorit del testo procedeva senza alcuna inter-
ruzione nella scioltissima dizione di Stratos. Limpressione
19
Da qui in poi le citazioni tra virgolette caporali prive di diversi riferimenti
sono da considerarsi tratte dalla conversazione avuta con nanni balestrini da
chi scrive nellagosto del 2013.
275
finale doveva essere quella di una sorta di galleria foto-
grafica proiettata sul basso continuo delle parole aseman-
tiche, rese significative dalla prosodia.
Possiamo in parte ricostruire loccasione storica che
mise in moto tutto. Mino bertoldo, allora come oggi di-
rettore del teatro, aveva progettato una serie di spettacoli e
performance a tema erotico e aveva invitato balestrini ad
aderire. balestrini scrisse allora milleuna gi pensando a
Magli (il sottotitolo dellipotesto daltronde esplicita-
mente pice per danza di Valeria magli), e pens poi che
per fare agire i versi fosse necessario che le parole, tutte in
s e raccolte in la come moduli svuotati del loro senso ori-
ginario, venissero riempite (o meglio, colorate) con il senso
assoluto e primigenio, slegato dalla necessit di contesti lo-
gici, che solo una spiccata intelligenza vocale pu dare at-
traverso la morfologia prosodica. Coinvolse dunque Stratos,
e lintera operazione oltre naturalmente a rappresentare
un singolare esempio di commistione tra poesia, performance
orale e performance coreutico-teatrale ha nito per costi-
tuire lunico indizio oggi rintracciabile del lavoro che il
poeta e il vocalista avrebbero voluto compiere ma che la
prematura morte di Stratos ha impedito. balestrini dichiara
ancora oggi infatti che avrebbe voluto collaborare di nuovo
e pi a lungo con il cantante sebbene, fuori da milleuna
(che daltronde solo uno dei numerosi duetti a cui il no-
vissimo ha partecipato con vocalisti e attori), non ci siano
altre tracce dellintenso sodalizio artistico che i due inten-
devano intrecciare. Ma torniamo allanalisi.
Se diversi dei vocaboli in esse forse proprio il micro-
incipit di ogni verso linsistito riferimento al sesso richiesto
dal tema del ciclo ideato da bertoldo che si susseguono
sulla pagina mantengono unoscillazione di signicato, la
lettura oerta da Stratos prende una direzione e la ssa. il
testo, sulla pagina,20 costituito da venticinque quartine di
276
versi brevissimi, tendenzialmente di una o due parole, ed
quasi un tautogramma visto che ognuno dei cento versi co-
mincia appunto lo ripeto unultima volta in s. Alla ma-
niera di balestrini, il cui stile caratterizzato dal collage di
brani di linguaggio estratti dalla realt e giustapposti con
tagli e montaggi, formule comunissime vengono mutilate
(sai di; sangue dal; sempre pi; spalle in; si
appoggia sul; svuota la; etc.) e presentate come crudo
signicante vicino a diversi aggettivi al femminile (soce;
sommessa; stretta; supina; salata; etc.), pochi
nomi (schiuma; seta) e verbi variamente coniugati
(succhiando; svanire; saturata; sente; si
apre; sei entrata; etc.). Lesecuzione di Stratos come
anticipato va in questo senso. Con la voce, il performer fa
davvero agire le parole, rappresentandole foneticamente: sa-
liva ad esempio pronunciato deglutendo, saltandola
con improvvisa allegria e insistendo sullo schiocco della den-
tale, la parola schiuma ribolle nella bocca e quando sono
emesse locuzioni come se respiri o sei entrata lesecu-
tore inspira laria creando un suono dinghiottimento. Gli
script vocali sono anche molto articolati e allusivi: sensibile
pronunciato con lapparato fonatorio abbandonato, come
quando si tenta di parlare dopo aver subito unanestesia dal
dentista, in riferimento alla perdita di sensibilit che si ha
quando si addormenta la bocca; le pronunce di si curva
e si gira, invece, imitano leetto doppler che si perce-
20
Composto quasi certamente per loccasione, raccolto sotto il titolo ahim
lontana la signorina richmond sogna Valeria che balla milleuna al XXV canto
del Secondo Libro (la signorina richmond se ne va) di le avventure complete
della signorina richmond. Questa versione tuttavia gracamente rimodellata
per somigliare a una danza gi sulla pagina: le parole sono smembrate e i mo-
duli sono sistemati sulla linea del verso anche in disordine, con spesso in evi-
denza sulla coda (nella posizione in cui dovrebbe esserci il rimante) le s sch
sc etc. che costituiscono la trama allitterante del testi. Cfr. n. balestrini, le
avventure complete della signorina richmond seguite dal pubblico del labirinto,
introduzione di O. Del buono, Torino, Testo&immagine, 1999, pp. 90-92.
277
pirebbe se chi emette la voce si muovesse rapidamente in
tondo attorno allascoltatore. Si creano, in linea con la sud-
divisione in quartine, dei gruppi stroci in cui i versi agiscono
in concerto: nel distico sangue dal | sanguinosa le tre s
sono pronunciate in modi diversi in una progressione dal so-
noro al sordo; la sequenza spasimare | spingendo | spinta
verso | sporgendola || spossata | spremendo | staccatasi |
stanca viene pronunciata con sforzo e costrizione sempre
maggiori, acuendo il tono, nch lultimo verso non disin-
nesca improvvisamente la climax in un crollo vertiginoso, al-
lentando di colpo la tensione in accordo col signicato.
in maniera interessante Stratos non tenta mai di leggere
logicamente o di legare i versi in possibili strutture sensate:
quando ha a che fare con strutture mutile le interpreta in-
dugiando, come se non gli venisse la parola mancante, anche
quando quella parola potrebbe essere il verso successivo.
Cos i primi versi non diventano sai di salata saliva, ma si
attribuisce uno script diverso a ogni modulo: sai di pro-
nunciato con indecisione e allungato in un mugolio pen-
sieroso, salata pronunciato con le labbra allappate e
saliva lho gi detto deglutendo.
in pratica, signicativamente, Stratos riscrive fonetica-
mente il testo di balestrini: non lo interpreta, non scorcia le
sue possibilit di lettura e non ci chiede di aderire alle proprie
conclusioni. La poesia transcodicata e rioerta a chi
ascolta nello stesso grado di indeterminatezza e nudit se-
mantica che aveva nella pagina. Ecco confermati i parallelismi
con gli elementi della performance tribale visti allinizio.
Un altro dettaglio interessante costituito dal fatto che,
nellesecuzione registrata, il performer ripete pi volte lin-
tero poema. Ci signicativo perch, pur non riuscendo
a eseguire una performance esattamente identica, Stratos
riusa pedissequamente la stessa sequenza di script. Le azioni
vocali (sostituzioni dellespirazione con linspirazione, pro-
278
nuncia particolare delle s, cambi di tono, linee della proso-
dia, versi, vibrazioni allungate etc.) si ripetono nel medesimo
ordine associandosi alle medesime parole e chi ascolta pu
facilmente accorgersene con la propria memoria uditiva.
Ecco dunque che allipotesto verbale si associa un ipotesto
prosodico e solo dallesecuzione simultanea dei due si ot-
tiene quella porzione di testo denitivo su cui, in ultimo, si
innesta lipotesto poi agito da Magli.
interessante notare come la variante testuale proposta
da Stratos non venga accolta nella riscrittura del componi-
mento che balestrini ha operato in occasione della pubbli-
cazione de le avventure complete della signorina richmond,
raccolta che vede milleuna tornare muta sulla pagina con
un nostalgico titolo (ahim lontana la signorina richmond
sogna Valeria che balla milleuna) secondo una nuova dispo-
sizione nel layout. Confrontando le due versioni salta subito
allocchio come, pur secondo uno schema e un assetto scelti
di proprio pugno, la variazione oerta sulla pagina poste-
riore alla versione performata da Stratos acquisti una mo-
bilit e una variet di distribuzione dei caratteri che la tra-
sforma radicalmente. il pubblico, questa volta composto da
lettori, si trova di nuovo, ma solo mentalmente, ad interagire
col testo. il titolo, in primo luogo, rimanda a unesperienza
a cui si potrebbe aver preso parte o comunque ore gli ele-
menti necessari per una ricerca (anche rapida e svogliata nel
web) che risolva lenigma memoriale nascosto: lavvenimento
performativo rammemorato dal riferimento alla danza di
Magli. in secondo luogo lirregolarit dellordine dei voca-
boli, distribuiti nello spazio bianco della carta, obbliga a
uno sforzo di attenzione e di ricomposizione attiva delle
possibili linearit presenti simultaneamente sulla pagina.
Una volta di pi si manifesta quella predisiposizione al-
lazione che rende certa poesia balestriniana in questo
caso addirittura, nella raccolta nale, performata tipogra-
279
camente costitutivamente diversa da quella muta, buona
al limite per letture ad alta voce.
Certamente pi vivace e coinvolgente visivamente, se-
condo questa nuova disposizione il componimento torna
dunque sulla pagina con nuovi connotati di performativit,
come testo nuovo e carico di aspettative nei confronti di
chi legge (a cui si richiede un impegno che larte di balestrini
ha sempre manifestato e preteso, sotto ogni punto di vista).
La poesia vocalizzata da Stratos e danzata da Magli sda
ancora oggi, anni dopo la sua unica manifestazione come
testo completo, le possibilit combinatorie e interpretative
richiamando un pubblico solitamente silenzioso e passivo,
quello dei lettori, a un corpo a corpo ingaggiato al limite
della classicazione come semplice poesia. Quello che la
scrittura di balestrini, di per s peculiare in questo senso,
eredita dallesperienza subita al Teatro Out/O lesa-
sperazione della necessit della partecipazione degli altri a
quellazione, altrimenti insopportabilmente solitaria, che
la letteratura.
280
ALBERTO ARBASINO
Luca Scarlini
Lirica
Arbasino ha con il melodramma una dimestichezza che si radica nella sua
infanzia e che lo ha visto coinvolto a livelli diversi, ma sempre con grande capacit
di intervento, di volta in volta come narratore, critico, regista (in un unico caso: la
celeberrima, contestatissima Carmen strutturalista realizzata a Bologna nel 1967)
e anche come librettista sui generis. E come se il teatro in musica fosse stato lo
specchio di tutta la definizione del suo universo espressivo, instabile,
perennemente in bilico tra narrazione e riflessione saggistica, appassionato di
scatole cinesi e cortocircuiti arte-vita, che ha trovato in alcune occasioni proprio
nellopera il proprio punto di riferimento centrale. Lo scrittore lombardo quindi
in primis il diarista di una riscoperta che lui stesso ha paragonato per impatto a
quella dei primitivi per i Preraffaeliti: uno shock culturale profondo, che ha
cambiato il destino estetico di una generazione. Cos infatti scriveva a margine di
una Sonnambula del Covent Garden: la novit di questi anni stata invece la
riscoperta del melodramma del primo Ottocento proprio sul piano del gusto,
preparata da Gui e Rossini a Glyndebourne ed esplosa con un trasporto pari alle
eiaculazioni di tre generazioni fa per la pittura antecedente a Raffaello 1.
Laffermazione si riferiva alla situazione britannica, ma vale anche per lanalogo
fenomeno italiano di poco precedente, che lo scrittore ha precocemente
individuato e raccontato e di cui prima di lui era stato solitario profeta Bruno
Barilli, spesso citato nelle sue pagine, che esaltava controcorrente la musica
vermiglia del Trovatore2. In questo sono gi esplicite le pagine dei racconti che
compongono lopera prima Le piccole vacanze, in cui i protagonisti parlano del
Maggio Musicale Fiorentino e della Giuditta di Vivaldi 3, oppure di Gian Carlo
Menotti e Leonard Bernstein4 e quelle davvero magnifiche e degne di riesame, de
La narcisata, frenetica cavalcata fonetica nel jet-set romano e vera e propria
caccia al flatus vocis gergale come mezzo di rappresentazione del reale, in cui i vari
personaggi alludono freneticamente al melodramma come loro primo punto di
riferimento linguistico. Il lavoro (il cui titolo era stato suggerito da Pasolini)
prende un ironico andamento melodrammatico gi dal sottotitolo: Una notte del
demi-monde e in seguito le citazioni davvero si sprecano. Si fa accenno a
immaginari bozzetti di Lger e Dubuffet rispettivamente per II Flauto magico e
Aida5, secondo il gusto inventato dal Maggio Musicale Fiorentino negli anni
Trenta e ancora in voga al tempo, di abbinamenti tra pittori di grido e titoli
classici, oppure, in seguito, la nobildonna Ferri Fazzi viene segnata da una
passione per i trittici (ne possiede uno di Simone Martini, ma anche non si separa
mai da una confezione dello stesso nome delle celebri calze Mille Aghi) e quindi
non pu che tornare per assonanza ritmica e tematica, che da una
1 Alberto Arbasino, Grazie per le magnifiche rose, Feltrinelli, Milano 1965, p. 91.
2 Bruno Barilli, Il paese del melodramma, Adelphi, Milano 1999, p. 18; tra le numerose
citazioni da libri di Barilli reperibili nelle opere di Alberto Arbasino, si veda tra laltro
Grazie per le magnifiche rose, cit., p. 398 e p. 468.
3 A.A., Luglio, Cannes, in Le piccole vacanze, Einaudi, Torino 19712, pp. 181-206.
4 A.A., Racconto di Capodanno, ivi, pp. 243-254: p. 253.
5 A.A., La narcisata, Einaudi, Torino 1973, p. 14.
rappresentazione allOpera del Trittico pucciniano6. Ma il gioco delle tracce
moltiplica e divide; i riferimenti sono davvero troppi per tentare di categorizzarli e
vai meglio un percorso obliquo che il rischio di una catalogazione astratta.
Fatto fondamentale della sua opera indubbiamente lincontro con la
Callas, ascoltata precocemente in memorabili serate milanesi dei primi anni
Cinquanta e poi inseguita intorno al globo. Come ognun sa, la totalit delle
citazioni della cantante nelle opere di Arbasino (inclusi gli scritti di occasione e
delzeviro, spesso nostalgici e dolciastri, degli ultimi anni) andrebbe a costituire di
per s un libro a parte, ma soprattutto in un caso che il nesso diviene centrale.
LAnonimo lombardo ha, nel riepilogo dei valori novecenteschi che stenta ancora a
decollare seriamente al di fuori delle consuete polemiche salottiere che il 2000 ha
innescato con precisione dinamitarda, il peso e la grazia a un tempo di unopera
necessaria, in cui il meccanismo strettissimo di relazione tra il melodramma e la
trama fitta delle storie mixa magistralmente immagini e fantasmi otto-
novecenteschi. Nel libro ci sono pagine categoriche nel descrivere una serie di
emozioni davvero soverchiami e che non possono che essere preliminari ai
turbamenti delleros. In tal senso davvero memorabile il brano iniziale che narra
il sorgere di una attrazione sulle note della Medea di Cherubini da cui varr la
pena di citare uno dei passi pi riusciti e noti: mi accorgevo appena che la Callas
ormai entrata spiegava il suo canto che non potevo cogliere se non nei soliti
termini di arcano, di misterioso, di sortilegio e minuti e minuti passavano
senza che i miei occhi riuscissero a lasciare i suoi al suono di una marcia
trionfante, non sapevo se esultare o tremare, sfilava lesercito portatore del vello
doro e lui mi faceva cenno che non lo fissassi cos ma le mani a un certo punto
cominciano a cercarsi, anche se uno non ha mai letto Pompes Funbres che ha la
stessa trama della Norma7. E poi in seguito ancora pi categoricamente: per
merito di registi o scenografi gi ammirati per lavori fatti al cinema o in prosa, o la
fama di qualche cantante celebre di cui si son sentiti ottimi dischi... ecco, ci si trova
attirati alla Scala, una sera tuttaltro che impegnativa perch ci si va con
lintenzione di venire via appena ci si stufa. Ci sono rimasto e ci siamo tornati; ed
tutta una generazione ventenne che ha preso questa strada ignota ai padri e agli
zii: i gruppi avanzati si lasciavano prendere dai melodrammi dati con gusto e con
spirito, e loro hanno aperto la via a quelli che andavano ancora alla rivista, e si
appassionavano alle figure delle Divine con un vero culto della personalit e in
questo senso la Callas erede naturale della Osiris 8. E in varie recensioni negli
anni seguenti: delirante, sconvolgente, la figlia di Minosse arde di
espressionistiche violenze provando che la sua condizione naturale il gruppo del
Laocoonte, dellEracle furente, leccesso9, oppure affermando con orgoglio i
congegni del suo gran meccanismo narrativo: e una volta di pi mi congratulo
per aver legato tanti anni fa coi nessi maniaci dellAnonimo lombardo un congegno
di Romanzo sul Romanzo travestito da romance di Amore-che-non-osa-dire-il-
proprio-nome allintero viluppo melodramma-Medea-Callas, anche parecchi anni
prima delle sranie operistiche della frangia scadente della nostra caf society
letteraria10. Ed testimonianza diretta e di grande potenza di un continuo
movimento stilistico che nel palcoscenico melodrammatico trova il proprio
specchio pi efficace.
Sulla stessa linea, ma con ancor maggiore forza, sta ovviamente Fratelli
6 Ivi, p. 61.
7 A.A., LAnonimo lombardo, Feltrinelli, Milano 1959, pp. 20-21.
8 Ivi, pp. 109-110.
9 A.A., Grazie per le magnifiche rose, cit., p. 94.
10 Ivi, p. 196.
dItalia, dove lopera lirica davvero onnicomprensiva e fagocita il libro in un
unico, continuo, rimando. La sgangherata gang itinerante di amici gay che
chiacchierano in continuazione e riducono la storia appunto a conversazione,
come in una squisita conversation piece debordata nellassoluto, non fanno altro
che vedere opera, sentire opera, amare opera (e per sovrammercato percepire il
mondo sub specie operistica). Il melodramma davvero quindi il termine di
paragone delle loro esistenze e non per caso il romanzo si apre di nuovo con la
Callas, che tutti insieme hanno deciso di andare a vedere in Grecia per cedere poi
rapidamente il posto alla Sutherland (che Arbasino defin altrove la vittoriana 11
evidenziandone efficacemente le peculiarit e le differenze rispetto al modello
callasiano) in scena a Napoli per una belliniana Beatrice di Tenda. Ma la musica
davvero ovunque: il grammofono va continuamente nella casa. Opere, quasi
sempre, le pi romantiche di tutte, o musicals degli anni scorsi a Londra 12 e in
seguito diventa cos pervasiva da essere davvero il linguaggio pi normale di
espressione e da offrire il destro a giochi, allusioni e addirittura quiz. Mai sentire
un disco per pi di mezzo minuto: a pochi centimetri per volta. Sempre l con la
puntina sui solchi, avanti e indietro, come un aratro, per cascar giusto su una frase
o su un accordo: rovinandoli, si capisce 13. E il repertorio si estende e diffonde
davvero a macchia dolio, parlando di titoli nuovi (Klaus, il compositore tedesco
che parla del suo nuovo lavoro, rimanda in parte a Hans Werner Henze, che al
tempo in cui si ambienta la narrazione, era in scena a Spoleto con cospicuo
successo con il bel melodramma neoromantico Die Prinz von Homburg) e
vedendone di antiche e moderne in un continuo percorso on the road tra citt e
amicizie. E ovvio che il gran romanzo, di cui recentemente Adelphi ha mandato in
libreria la versione definitiva (salvo ulteriori interventi), trovi un clamoroso
controcanto proprio nelle pagine di Grazie per le magnifiche rose, regesto sommo
degli scritti spettacolari edito nel 1965, da troppi anni assente dal mercato e di cui
auspicabile una ristampa con cospicui apparati. Si tratta di uno specchio, doppio,
in cui le pagine vanno e vengono, acquisendo via via definizione saggistica o
narrativa, com evidente ad esempio per il capitolo Palais de danse con le
recensioni dedicate al Festival di Spoleto vicinissime a quelle consacrate al festival
nei Fratelli dItalia14, ma soprattutto evidente per quello che resta lepisodio pi
strepitoso di osmosi tra le due opere, che d occasione a un vero e proprio
manifesto estetico. Largomento un Trovatore estivo allOpera di Roma (una
vera e propria spedizione punitiva), che offre il destro a una presa di posizione,
ribadita con lievi differenze nei due volumi. Scrive infatti Arbasino 15: Perfino
allOpera capitiamo, stranamente aperta, e fanno dei Puritani e dei Trovatori sotto
ogni immaginazione. Non manca niente: soprano grassa, tenore vecchio, baritono
senza voce, abbietta zingara vestita da Brighella. Si arriva l magari di corsa con
lintenzione di andar via subito per finir la serata alla Stazione, ma non si riesce
pi a venir via. Cos ha da essere lopera: una corrida! Ruote di carro, fuochi di
carta rossa, pance sporgenti in fuori, elmi da pupi siciliani, penne di struzzo
altissime su tutte le teste, parrucche doro con lorecchio sordo fuori dai boccoli
per sentire il suggeritore, protagonisti addormentati su pelli dorso, scenografie
daMefistofele, comprimari che fanno la Manon e la Carmen, comparse che
11 Ivi, p. 94.
12 A.A., Fratelli dItalia, Feltrinelli, Milano 1963, p. 65.
13 Ivi, pp.261-262.
14 A.A., Palais de danse, in Grazie per le magnifiche rose, cit., pp.168-194.
15 A.A., Fratelli dItalia, cit., p. 351; con alcune lievi differenze la pagina reperibile in Grazie
per le magnifiche rose, cit., pp.12-13.
arrivano dalla Turandot e daYAida e nel pubblico falpal e tacchi alti, belletti da
tabaccaio, parrucche da uomo e da donna, ordinarie in raso bisunto, che
espongono lascella col pelo, onorificenze da Principessa della Czarda. Che opera!
Che spettacolo! Che citt!.
Le citazioni, daltra parte, si moltiplicano nella sua produzione, in un gioco
continuo e soggetto a sempre nuove diramazioni, rigorosamente a tema o
clamorosamente fuori tema. Per cui, ad esempio e senza alcuna pretesa di
completezza, una poesia giovanile poi pubblicata ne Il caff si intitola
ironicamente con un rimando alla Adriana Lecouvreur di Cilea Poveri fior 16, ne
La bella di Lodi il carcere in cui rinchiuso lo sventurato Garbagnati Franco
fuori, sembra il castello del Trovatore 17, in Super-Eliogabalo i riferimenti sono
onnipresenti, nell principe costamele azioni del protagonista vengono paragonate
a quelle del Principe Igor18, nel superbo romanzo pop-decostruzionista Specchio
delle mie brame la conclusione un controcanto dal Don Giovanni con il coro
delle nozze di Zerlina e Masetto a commentare con malizia quelle improbabili e
anglosiciliane tra Judy e Michele19 oppure, in quel radicale contro-ritratto degli
anni Settanta (un decennio poco amato; cos recitava il sottotitolo) che Un
paese senza, linvivibilit di Roma viene stigmatizzata con un passo del libretto di
Faustini per L'Ormindo di Cavalli, dove si afferma categoricamente: Che citt,
che citt, / che costumi, che gente / sfacciata ed insolente!20.
Quindi il melodramma allo stesso tempo lessico comune e luogo della
dismisura, sentimentale ed espressiva. Sullo sfondo di questo proclama
articolatissimo e di grande lucidit, in cui la provocazione camp si unisce a una
precisa indicazione critica, sta in realt un riferimento preciso: la svolta storicista
di Visconti, geniale recupero e reinvenzione di una tradizione nei suoi elementi
costitutivi e modello per un lunghissimo periodo (almeno un trentennio, ma gli
echi continuano a risuonare, anche se in genere ad opera di tristi epigoni) della
messinscena operistica euro-americana. Il regista in un certo senso destinatario
occulto di molte riflessioni dello scrittore lombardo sullopera e certamente ne
stato per lungo tempo punto di riferimento per un discorso critico sul recupero
alla modernit delle convenzioni melodrammatiche. Arbasino recensore lo segue
da vicino: in un primo momento adotta totalmente la sua visione in occasione
della rivoluzione scaligera del triennio 1954-1957 di cui evento centrale La
traviata, e poi ne parla diffusamente in occasione del Macbeth spoletino del 1958
in cui il grande costumista-scenografo Piero Tosi aveva preparato una saga di fori
muscosi e atri cadenti dipinti su tulle e ispirati al romanticismo storico pi
flamboyante, su cui aleggiava il fantasma di Hayez (com noto consulente per
Verdi dei costumi della prima fiorentina dellopera), indicando, con unesattezza
condivisa in Italia allepoca solo da Fedele DAmico e pochi altri, gli elementi
costitutivi della rivoluzione-rivelazione viscontiana. In tal senso sono
fondamentali le pagine su un altro importante repchage, Il duca dAlba
donizettiano che nel 1959 fu in un certo senso il culmine del percorso storicistico,
con uno spettacolo che era basato sulla scelta filologica radicale di recuperare le
scene ottocentesche originali in un magazzino romano, lavorando assolutamente
dallinterno alla ricostruzione di un mondo espressivo a lungo travisato e
negletto. Ripescate nei magazzini di Parravicini, le scene originali di Ferrario per
una rappresentazione dell82 allApollo [di Roma,n.d.a\, sono un vero capolavoro
16 A.A., Poveri fior, in Matine. Un concerto di poesia, Garzanti, Milano 1983, pp. 27-30.
17 A.A., La bella di Lodi, Einaudi, Torino 1972, p. 87.
18 A.A., Il principe costante, Einaudi, Torino, 1972, p.62.
19 A.Arbasino, Specchio delle mie brame, Einaudi, Torino 1974, pp. 132-133.
20 A.A., Un paese senza, Garzanti, Milano 1980, pp. 140-141.
di quella riproduzione pedante della realt architettonica nel gusto
tardoottocentesco da opera che si pu considerare, come la Galleria di Milano,
orrido o meraviglioso o tutte due insieme. [...] Affondando nelle pi tarlate
peluches di Scribe e Delavigne, Visconti e Filippo Sanjust hanno disegnato un
monumentale sipario blu e oro, gonfio di frange e drappeggi e una serie di costumi
di colori bellissimi e sfacciati, carichi di squillanti pennacchi rosa-salmone o
giallo-limone o carnicino o verde tenero e poi adottato una illuminazione
perfettamente ottocentesca, ferma, con pochi riflettori, lidea piuttosto delle
candele e del fumo, del gaz, infatti le fiammelle della ribalta proiettano una forte
luce giallognola sulle facce in primo piano, lasciando al buio quelle dietro: alla
Daumier21 A questa dichiarazione ideologica, seguir poi il distacco con una
recensione acida alle Nozze di Figaro romane trasferite in terra di Spagna, in
omaggio alla riscoperta filiazione con lambientazione originale del testo di
Beaumarchais22 e infine una vera e propria frattura con questa eredit culturale ne
La maleducazione teatrale, dove in preda a furori strutturalisti afferma: la scuola
viscontea rappresenta piuttosto lestetica Liberace in Italia: eseguire Liszt con un
frac doro su un pianoforte dargento, interrompendosi di tanto in tanto con
commenti estemporanei rivolti al pubblico 23, dichiarazione rafforzata poco dopo
da un velenoso inciso chiara-mente indirizzato alla scuola storicista, in Off Off,
dove nellelenco finale delle nequizie della scena italiana postbellica deplora il
melodramma come nei negozi di passamanerie e le squallide ricognizioni nel
bric--brac della Porta Portese del melodramma 24. La presenza di Visconti
comunque forte e di lui si parla tra ammirazione e sarcasmo, solo per restare alle
opere narrative, ne I blue jeans non si addicono al signor Prufrock 25, ne La
narcisata, nei Fratelli dItalia e in Super-Eliogabalo, rispettivamente in un elenco
di mondanit romane: fa venire Luchino, la Lilla e la Lola, scegliti un bel
Balenciaga nero da Alfredo mode...26, sotto il camuffamento semi-trasparente di
Ottorino Ghislieri, quarantanni di carriera, e per il melodramma habill
sempre il pi bravo di tutti27 e infine negli sterminati elenchi darredamento
dellimperatore pop: l uno psicodramma hippy con regia di Visconti, scene e
costumi di Zeffirelli, musiche di Giordano e Cilea 28. In un certo senso proprio
lui insieme alla Callas il nume tutelare di questo intensissimo percorso
melodrammatico.
A questi primi due capitoli che vedono lo scrittore coinvolto come narratore
e saggista (anche se i confini, come si sa, sono labili e le pagine, come dimostrato,
sono inquiete e cercano sempre nuova collocazione), va segnalato quello pi vicino
alla scena, che il meno conosciuto e che ha visto Arbasino impegnato come
regista e librettista (le virgolette sono dobbligo) estemporaneo. La carriera in
scena si limita per le messinscene dopera ( da registrare in campo teatrale
sempre nello stesso anno un Prova inammissibile di John Osborne, protagonisti
Tino Carraro e Nora Ricci) alla celeberrima Carmen strutturalista (con doviziose
citazioni da Barthes) del 1967. Questa rappresentazione dava corpo alle sue Note
sulla Traviata, contenute ne La maleducazione teatrale edita lanno precedente,
in cui lo scrittore affermava: unimpostazione praticamente coerente, non
Indigene:
Badrone badrone
S belle e s buone
Venute da terre
Civili e lontane
Invece di guerre
Vi offriamo banane
Vi offriamo perbacco
Colonia e tabacco
Tabacco di Harar
La Sfinge:
Tutto puoi colonizzar
Dai baobab alle zanzar!
Ida e Mimi: Wunderbar! Wunderbar!.
in Riga 18 (2001),
a c. di M.Belpoliti e E.Grazioli
32 A.A. e Mario Missiroli, Amate sponde!, Einaudi, Torino 1974, pp. 68-69.
A.A.
LIGNOTA:
Me ne torno a danzare a Berlino! a Berlino!
(Come tu mi vuoi)
2. Mos e Aronne
La musica nuova di Arnold Schnberg, cosi diversa dalle sue prime cose
(quella Verklrte Nacht che ancora puro Vinteuil, quel Pierrot Lunaire che
doveva piacere a Puccini), e cosi difficile, severa, priva di buon gusto e densa
piuttosto di un delirante ascetismo, come un Bach rapinoso del nostro tempo,
come un nuovo Brahms di cui si possa dire che come laustera Cordelia,
nascondeva le sue emozioni pi preziose piuttosto che esporle alla gente o come
Grillparzer, si sforzava per un Effetto, non sugli altri ma su se stesso, apre a viva
forza una porta per cui potr uscire e avviarsi al lavoro una quantit di compositori
successivi. E si capisce bene come mai Thomas Mann, che a differenza di Proust
conosceva di prima mano lautore del Moses und Aron, abbia puntato tanto su
Schnberg nella composizione del Doktor Faustus; e per compiere un tour de
force fra i pi incredibili la descrizione di partiture musicali che non esistono!
si sia fatto assistere da Adorno che non lo ammira poi molto, lautore del Moses,
quantunque riconosca benevolmente qualche sintomo dinvoluzione
tradizionalistica nella grandiosa ingenuit della sua lotta contro le Ombre
Informi delle Forze che Distruggono lIndividualit. Ho in mente qualche cosa
di religioso-satanico, di pio-demoniaco, di strettamente legato e delittuoso, che
schernisca talvolta larte e risalga allelementarit primitiva... che rinunci alla
suddivisione delle battute e magari dellordine tonale (glissando di tube); inoltre,
qualche cosa di quasi ineseguibile praticamente: antiche tonalit ecclesiastiche,
cori a cappella, che debbono essere cantati in atmosfera non temperata, di modo
che sul pianoforte non se ne trovi n un suono n un intervallo... (Romanzo di un
romanzo). Sembra che manchi molto poco a un ultimo passo: lapplicazione delle
impazienze di Eduard Hanslick contro Richard Strauss (e contro i giovinastri
pittorici e poetici che si stanno moltiplicando, discendenti di Berlioz, Liszt,
Wagner: Il virtuosismo nellorchestrazione diventato un vampiro che insidia il
potere creativo dei compositori... Questa cosa ripugnante non pittura tonale,
ma piuttosto un cumulo di sgorbi lucenti, unorgia tonale franante, met baccanale
e met sabba di streghe...) nientemeno che agli eredi diretti e legittimi del
sublime Requiem Tedesco.
La success story dellaffascinante Moses und Aron ormai notoria: e del
resto assai simile a quella di parecchi altri Trionfi Postumi del nostro tempo,
dall'Uomo senza qualit allAngelo di Fuoco, al Gattopardo. Schnberg fra il 28 e
il 33 compone la musica dei primi due atti e completa il libretto, ispirato allEsodo
e corredato dinquietanti didascalie: processioni di cammelli carichi, asini, cavalli,
con portatori e carri, entrano da ogni lato, portando offerte doro, grano, orci di
vino, otri dolio, animali per il sacrificio... i macellai immolano le bestie, buttano
pezzi di carne alla folla: fra lotte e contese, gli astanti afferrano lacerti sanguinanti,
e li divorano crudi... i capi trib ammazzano il giovane, montano a cavallo e
sallontanano... scorre il vino da ogni parte... ubriachezza generale... le vergini folli
porgono i coltelli ai sacerdoti ebbri, e questi le afferrano per la gola, affondando i
coltelli nei loro cuori, le vergini raccolgono il sangue nei vasi, li porgono ai
sacerdoti, e questi lo versano sullaltare... nella folla, distruzioni e auto-
immolazioni... carri distrutti, giare fracassate, tutto viene lanciato attorno: spade,
lance, scuri, vasi, arnesi... chi si trafigge con la spada, chi si butta nel fuoco, e poi
corre bruciando per la scena... unOrgia di Eccesso Sessuale. Nel 33 Schnberg
fugge il nazismo, si riconverte alla religione ebraica, si rifugia in America, e non
tocca pi la sua opera: forse bloccato alle soglie del duetto risolutivo come Puccini
allo scioglimento della Turandot. Se ne occupa invece, e intensamente, Thomas
Mann: tanto da scrivergli addosso il suo capolavoro. Ma Schnberg non ne
affatto contento. Muore nel 51. E il Mos comincia a farsi strada da solo. N opera
n oratorio, incompleto e giudicato irrappresentabile, viene invece eseguito nei
teatri dopera in approssimazioni sempre pi soddisfacenti che durano le loro tre
ore e risultano passabilmente compiute. Rivela anche una vitalit sconcertante.
Diventer infine un bestseller: sale esaurite, e pubblico che zufola alluscita vertici
di dodecafonia diventati paradossalmente orecchiabili.
Si capisce che le difficolt desecuzione sono pazzesche: un monologo
tragico programmaticamente ostile ai Mass Media, due titanici protagonisti quasi
sempre in scena, pochi comprimari che non devono fare quasi niente, una
partitura impervia, numerosi cori continuamente impegnati, accavallandosi, versi
di profonda nobilt, quelle didascalie dissennate... Lo stesso autore prevedeva che
si sarebbe forse riusciti a presentarla tuttal pi in forma di oratorio se pure si
arrivasse a sopprimere tutti gli ostacoli di natura musicale.
3. Casa Faninal
Anche Capriccio, altro affascinante figlio del Requiem Tedesco (nel quinto
movimento, Ihr habt nun Traurigkeit, si sentono gi la Marescialla, la Contessa,
oltre che i Kiniertotenlieder e Das Lied voti der Erde figli della Rapsodia per
Contralto: come sembra ormai remota lincompatibilit proclamata da Hanslick
tra le Father-Figures di Brahms e di Wagner...) il testamento di un grande
musicista; ma qui, trattandosi di Richard Strauss, non pi il caso di parlare di un
coetaneo del Floreale, Strauss il Floreale medesimo. E il suo Carteggio con
Hofmannsthal riesce almeno come le Memorie di Alma Mahler a definirlo come
gran personaggio: un Uomo Senza Principii musiliano e affarista, con
superficialit grossolane e doppi fondi inquietanti; e il suo attivismo fragoroso; e la
sua mancanza di problematiche addirittura macchiettistica; e la moglie Pauline
che gli spende tutti i soldi, dispettosamente, in parrucchieri e gioielli; e le
discussioni su Mommsen coi colleghi, a tavola; e lincontro folgoratorio con la sua
Belle Dame Sans Merci, la resa di fronte alla Marescialla del Rosenkavalier,
quando Hofmannsthal gli presenta questa testa di Medusa infinitamente
seducente e ornata di tutte le grazie pi irresistibili del Passato... e congela un
musicista tuttaltro che pietrificato (lo riconosce lo stesso Hanslick); anzi, dopo
tutto, le sue rotture nel senso dellavvenire le stava compiendo con lOrgia
Coloristica o il Vampirismo Orchestrale, o con la Sensualit Patologica Extra-
musicale nei poemi sinfonici o ricorrendo magari paradossalmente alla solita
Salome di Wilde...
Strauss non sar mai pi lo stesso dopo lincontro con quella figura rococo
che veramente alibi affascinante e insidioso! riassume tutto un passato o
compendia e conclude unintera epoca (tanto per sputtanare i clichs della critica
di secondordine). Abbagliato da tanto Settecento chic cade cio pesante come il
suo Barone Ochs che ogni mattina ha reso omaggio dietro un paravento al bagno
della Principessina Brioche nella stessa trappola che una fata assai simile, Oriane
de Guermantes, spalancava davanti al Proust antiquario di Pastiches et mlanges
e che il narratore della Recherche elude proprio salvandosi in un Tempo che non
quello dei calendari o degli almanacchi, neanche quello degli storici o dei filosofi
tanto meno quello dei Laudatores Temporis Acti: come il Balzac di M. de
Guermantes o la vetrata di Gilbert le Mauvais ma piuttosto uno spazio
soggettivo dove la durata unincognita, forse non esiste, comunque non
chiaro: perch insomma non si mai capito se lImmobile unapparenza e il
Moto la realt, o non piuttosto (plotinianamente) viceversa...
Confondendo invece il fine dellarte col riepilogo del passato, lautore della
Donna senzombra sembra voltare le spalle al moto fluido e incessante della
Realt. Nato dieci anni prima dello stilita Schnberg, diciotto prima del
punteggiatore Stravinski, gioca svogliato (o entusiasta) sia con la Tradizione sia
con la Musica Nuova, troppo epicureo (o troppo debole) per abbracciare Luna, e
rinnegare laltra, o comunque per riflettere sul proprio Dovere Artistico. Siede
appagato di fronte a quella mera apparenza che potrebbe essere lImmobilit
secondo i nemici di Bergson: il Mistico e il Telespettatore, ugualmente convinti
che in eo vivimus et movemur et sumus, vuoi parlando di Dio, vuoi del Secondo
Canale.
Cosi raggiunge lo scopo di soddisfare industrialmente una smisurata
clientela middle-class e middle-brow, sia luterana sia cattolica, che domanda solo
dessere confermata, vittorianamente, nelle pi tranquillanti (e medie) certezze,
da lui raggiunte attraverso lEccesso Sistematico, poi proiettate allindietro in uno
Status Quo Ne Varietur decorosamente agghindato. E naturalmente non
sinterrogher mai, come Schnberg, su che tipo di musica sia giusto comporre,
ancora prima dincominciare a comporla (tanto pi, con lintenzione dimporre
Nuove Forme alla Musica Vecchia). Cio, la questione morale travestita da
questione musicale. N si chieder mai, come Blanchot, perch mai uno scrive; se
quello che scrive vuol dire veramente qualche cosa. Se lufficio dellopera sia di
trasformazione e negazione nel mondo in cui entra, tentando di riconoscere il
paese dove questopera trascina autore e lettore... Se cio il compito dellartista
non aver nulla da dire, per esser tenuto a dirlo, volente o no ha il senso
essenziale di ricondurlo al Silenzio Originario. Cio, allApprentissage de la Mort.
Dove si ricongiungerebbe con Kafka e Beckett, Gadda e Cline e Borges, giunti alla
medesima conclusione per vie tutte diverse. E con Webern. E con l' 'accattone
Stravinski, che ha avuto il coraggio di buttar via tutto, chiudersi le porte alle spalle,
e andar mendicando di casa in casa: cosi ha ricostruito la sua eredit; e questo gli
d il diritto di dichiarare che la musica di Strauss lo soffoca, perch una enorme
massa senza muscoli.
Ma il lato inquietante di Strauss coincide con la sua ambiguit: mentre
propone cos sontuosamente le sue Profonde Sintesi fra il Comico e il Tragico,
nello Spirito del Diciottesimo Secolo, telescopando ogni greve ironia attraverso le
Opere nellOpera, si rende mai conto o no di stare introducendo nella
Pomposit Absburgica pi duno spiffero di Bittersweet alla Noel Coward?
Nel Carteggio, Hofmannsthal appare come il Prodotto Tipico di una Civilt
al Tramonto, fin troppo squisita: timido, solitario, altero, nervoso, estetizzante,
carico di sensibilit a scapito della vitalit. Strauss: vigoroso, estroverso,
impulsivo, permaloso, scaltro, un po terra-terra culturalmente ma dotato di un
gran buon senso istintivo, capace di grandi entusiasmi, pieno di grande vitalit, e
non privo di un suo spirito sveglio, pronto a riconoscere la necessit di scappar
via tutti subito dagli urli erotici di Wagner.
Le continue influenze reciproche fra i due sono uno spettacolo singolarissimo.
Vivono lontani: Hofmannsthal difficilmente esce dalla sua Torre dAvorio; Strauss
ha pianificato da bravo businessman la sua esistenza: per sei mesi allanno
viaggiare come direttore dorchestra guadagnando tanti soldi; per gli altri sei mesi,
destate, riposarsi a Garmisch vestito da campagna, e dedicarsi alla composizione.
Ognuno ha unidea chiarissima dei pregi e dei limiti propri e dealtro: non se ne
risparmiano le analisi e i rinfacci. Hofmannsthal, pi giovane di parecchi anni, non
esita a trovar banale e volgare il gusto di Strauss, e a dirglielo; e Strauss se lo lascia
dire. Per sono daccordo sul fatto che listinto drammatico pi potente appartiene
al musicista; il poeta con le sue preziosit ha il fiato corto, non pu farci niente.
Hofmannsthal arriva a riconoscere dessere ignorantissimo in fatto di musica, non
fa che ripeterlo: per sorprendentemente sua lidea che sia necessario ricamare
un valzer via laltro nella partitura del Rosenkavalier-, unintuizione di genialit
incomparabile, anche se poteva sembrare bizzarro riempire di valzer e non di
minuetti unopera che il trionfo del Settecento. (Reciprocamente: i versi pi felici
dei libretti obbediscono a misure metriche fissate dal musicista.)
patetico vedere come tutte le volte che i due si accingono a una nuova
opera si propongano in buonissima fede di fare almeno stavolta un qualche cosa
dallegro, di leggero, addirittura di operettistico. Dopo tutto, asserisce Strauss
nel 1916, io sono lunico compositore al mondo dotato di humour, di senso della
parodia, di voglia di divertirmi. Perci mi sento destinato a diventare lOffenbach
del ventesimo secolo, e voi dovrete essere il mio poeta. Poi, si sa, il poeta non
resisteva allamore per le strutture complicate e per i simbolismi fantasiosi; e il
musicista soffriva troppo ad arrestarsi nellelaborazione dei temi. Nasceva invece
delloperina un luna-park raffinatissimo nei particolari ma duna macchinosit
mai vista. Come al solito il sinfonista nel vostro cuore ha prevalso sul
drammaturgo! rinfacciava Hofmannsthal, che da parte sua non aveva arretrato di
fronte a nessun doppiofondo pensabile, nella struttura del libretto:
Contrappunto, sviluppi tematici, elaborazioni orchestrali, che sono la linfa vitale
nella sinfonia, diventano il veleno funesto dellopera... il testo viene oscurato, i
cantanti devono sacrificar tutto al volume... e laria, che voi stesso definite 'lanima
dellopera, agonizza e soccombe... E al tempo del Rosenkavalier (opera che
doveva durare non pi della met dei Maestri Cantori), a proposito del coro dei
servi di Faninal, nel secondo atto: Era scritto per squillare burlescamente, nel pi
trasparente stile alla Offenbach; non avete fatto che opprimerlo con una musica
pesantissima, e cosi si distrugge completamente il senso delle parole.
Nemici della semplicit, ostili alla concisione, avversari della naturalezza, i
due recitano sublimi scene del pi toccante donchisciottismo ogni volta che si
pongono programmi di chiarezza e secchezza, sia musicale sia drammatica,
ripetendo con convinzione che ciascuno nella propria sfera sar capacissimo di
ottenere tutto quello che vuole. Non di rado, in questi duetti, prendono il tono di
due personaggi della loro Ariadne auf Naxos: il poeta si comporta come la
sognatrice Arianna, sempre con gli occhi tesi verso lontani orizzonti, mentre il
musicista fa la parte della prosaica Zerbinetta, coi piedi ben puntati per terra:
sembra .difficile rovesciare pi doppiamente il dilemma fra Aronne e Mos...
Hofmannsthal sermoneggia. In tutto quello che potremo fare insieme, scrive nel
1912, il criterio finale di giudizio pu solo essere la sensibilit estetica, e se
permettete mincarico dora in poi dessere io solo il guardiano e tutore del lato
estetico a nome di tutte due. Ho paura del vostro opportunismo, insiste,
qualche anno dopo, perch il pericolo nel quale continuate a ricascare nonostante
ogni periodico tentativo di tirarvi su, la totale indifferenza alle esigenze della vita
intellettuale.
Strauss daltra parte lasciava molto fare al poeta, si fidava molto del suo
fiuto straordinario per ogni atmosfera teatrale, della sua abilit nellevocare con
precisione pungente il colore di certi periodi, del suo genio nel mettere a posto
ogni particolare psicologico e drammatico in unazione complessa perfettamente
unitaria (senza contare il leggendario gusto figurativo di Hofmannsthal, e la sua
bravura nel curare la parte visiva dello spettacolo, che a Strauss non importava
niente).
Cos, preso per mano dal poeta innamorato dei momenti pi decadenti e pi
morbidi del passato, il musicista finiva per soccombere alle nostalgie rococo latenti
in fondo alla sua spettrale anima monacense, e lentamente voltava le spalle alla
strada faticosa della musica del futuro, per cui stavano avviandosi gli Schnberg e i
Webern ansiosi di respirare laria di un nuovo pianeta...
Le congratulazioni reciproche fra i due per la sapienza e lintelligenza
dimostrate nella stesura del Rosenkavalier non cessano praticamente mai, nei
diciotto anni fra la composizione dellopera e la morte di Hofmannsthal: difficile
immaginare un contrasto pi piccante coi malumori di Verdi, quando ripete a
chiunque dessere fra i maestri passati e presenti il meno erudito di tutti, se si
vanno a ritrovare nei Copialettere le analoghe situazioni Verdi-Boito, prima di
tutte la quarantennale ricerca di un buon libretto per opera buffa. Boito che
razzola nel pi vieto Du-gento alla caccia di grullerie da mettere in bocca a
Bardolfo e a Pistola, che ghiotto pendant per le preoccupazioni di Hofmannsthal
relative a cori di elfi buoni e di elfi malvagi, a certe conchiglie giganti che devono
suonare esattamente come un telefono occupato nella Maria Egiziaca.
Se poi si trova capriccioso il giudizio di Hofmannsthal per cui la differenza
tra Wagner e Puccini sarebbe che il primo compone tante opere uniche mentre il
secondo ripete ogni volta la medesima opera, neanche Boito scherza quando
definisce la Wal-kyria come unazione insulsa che cammina pi lentamente di un
treno omnibus, fermandosi ad ogni stazione.
Per difficile trovare nei rapporti fra Poeta e Musicista un esempio pi
impressionante di musicista che non capisce niente di musica, e ha Insogno di uno
scrittore che gli spieghi assolutamente tutto, come nel caso Proust-Hahn.
A nessuno al mondo lautore della Recherche ha voluto bene pi che a
Reynaldo Hahn. Venezuelano, ricco, viziato, con una bella voce di tenore, molto
gattone di temperamento, Hahn aveva diciannove anni ed era un piccolo idolo di
molti salotti Verdurin quando incontr Proust, di tre anni pi vecchio. E basta
guardare le lettere che Proust gli ha indirizzato per ritrovare intatto, pi intimo e
giovanile, il tono di Un amour de Swann. Si firma ogni volta con un nome diverso:
Poney, Hibuls, Binibuls, Buchnibuls; per divertire Reynaldo, fa di tutto: versi,
disegnini buffi, prese in giro di signore alla moda, commenti a versi di Mallarm,
indiscrezioni sulle polemiche di Lon Daudet... Ma la parte pi singolare del
carteggio riguarda proprio la musica: singolare notare come qui lo scrittore
vedesse subito pi chiaro e pi lontano del musicista.
Veramente sembrano quasi incredibili gli sforzi di Proust per convincere il
suo amichetto che il Pellas unopera importante, che Debussy e pi tardi
Stravinski sono i veri musicisti dellavvenire; mentre Hahn, senza mai capir
niente, gli ride in faccia, lo tratta da dilettante incompetente, e proclama la
grandezza di Gounod, di Massenet (e per bene che vada di Saint-Sans).
Quando poi si tratta di scrivere a sua volta unopera, e non pi delle
romanze da salotto, Hahn finisce per produrre la celebre Ciboulette, rappresentata
nel 23 e piuttosto divertente: per unoperettaccia, da epigono pigro di
Offenbach, e con un odore di Belle poque putrefatta che in nulla la distingue da
Vronique, Monsieur Beaucaire, Les mousquetaires au couvent, Coups de
roulis... Soltanto unoperettaccia.
4. Il caso Turandot
[inverno 1960-61]
Rumori o voci
(1987)