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Scritture sulla musica.

Voci
novecentesche

Moduli di c.d.l. Magistrale:


Lineamenti di letteratura italiana contemporanea [LM45]
Letteratura italiana contemporanea [LM19, LM37, LM64]

Prof. Tommaso Pomilio

A.A. 2014-2015
Fra agonismo, emulazione, trascrizione, invidia: riflessi di musica
in autori del '900 italiano.

Oltre alle presenti dispense, gli studenti dovranno leggere:

Bruno Barilli, Il paese del melodramma, con un saggio di Fedele


D'Amico, Milano, Adelphi, 2000

Giorgio Vigolo, Diabolus in musica, a c. di C.Spila, Rovereto,


Zandonai, 2008

Giorgio Manganelli, Una profonda invidia per la musica. Invenzioni


a due voci con Paolo Terni, a c. di A.Cortellessa, Roma, L'Orma, 2014

(n.b.: le letture s'intendono inclusive degli apparati)

L'inquadramento storico-critico presupposto; si consiglia in ogni


caso di far riferimento al seguente testo:

Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana, vol IV: Il Novecento


e il nuovo millennio, Milano, Mondadori Universit, 2012
ALBERTO SAVINIO
Luigi Rognoni

Itinerario musicale di Savinio

L avvertimento ad una rilettura dellopera letteraria di Al


berto Savinio coinvolge la costante presenza della musica o
meglio del linguaggio musicale come sottofondo psicologi
co di tutta la sua attivit creativa, compresa quella pittorica
che anchessa strettamente legata alla vocazione musicale.
Per questo le riflessioni critiche sulle musiche ascoltate,
vissute e rivissute nella memoria, che Savinio ci d negli anni
trenta e quaranta, hanno un fondamentale senso autobiogra
fico, rispecchiano un itinerario percorso, sin dalla giovent,
alla ricerca di un insondabile segreto che la musica cela in s,
ma che mai rivela nella sua totalit.
L essenza della musica scriver Savinio in tempi recen
ti sfugge talmente a qualunque possibilit di conoscenza,
che l uomo tenta spiegarsela mediante spiegazioni immagina
rie... A che voler spiegare l inesplicabile? la sola definizione
che si addica alla musica laJM.on Mai Conoscibile. E non
senza ragione. La non conoscibilit della musica la ragione
della sua forza, il segreto del suo fascino... Cedere alla musi
ca un atto di soggezione a quello che non si conosce, e per
questo attira... Musicista, io mi sono allontanato nel 19 15 ,
allet di ventiquattro anni, dalla musica, per paura '.
Vocazione musicale precoce la sua, se si pensa che a dodici
anni ottiene il diploma di pianoforte e di composizione al
Conservatorio di Atene e due anni dopo (1905) scrive un Re
quiem per la morte del padre; a quindici anni unopera in tre
atti, su libretto proprio, Carmela (1906), nella scia del teatro
musicale verista, talch lopera interess Mascagni che la pro-

1 Musica, estranea cosa, in A ppendice, pp. 7-8.


xvm Luigi Rognoni

pose a Ricordi per la pubblicazione. Ma non se ne fece nulla.


Savinio stesso, in breve tempo, avvert che bisognava imboc
care altre strade; e lo avverti nel 1 9 io, quando giunse a Pa
rigi, dopo aver approfondito lo studio dellarmonia e del con
trappunto con Max Reger a Monaco. Vi giunge come compo
sitore e pianista e richiama presto lattenzione di Djagilev e
Strawinsky, di Max Jacob e Guillaume Apollinaire.
Nel 1 9 1 2 inizia la composizione di unopera in tre atti, Le
trsor de Rampsnit, su testo di M. D. Calvacoressi, letterato
e critico musicale di punta; e nel 1 9 1 3 , lanno del Sacre du
printemps di Strawinsky, che suscita un memorabile scanda
lo, a pochi mesi di distanza, Savinio scrive un balletto, Per
sie, su soggetto e coreografia di Michael Fokine, che verr
"per allestito soltanto nel 1924 a New York.
Il 1 9 1 4 un anno di intensa attivit creativa che segna
una svolta brusca nel linguaggio musicale saviniano; e ci che
sbalordisce lassoluta indipendenza dalle influenze domi
nanti in quel periodo nel crogiolo parigino: non v traccia
n di Debussy, n di Ravel e neppure di Strawinsky, se non
in rari brandelli che vengono assunti come materiali di rot
tura, come risulta da una nutrita serie di pezzi per voce e pia
noforte, tutti su testi propri, emblematici, che gi rivelano
quellironia invereconda precorrente il dadaismo (1916) e
persino con sorprendenti anticipazioni oniriche che verran
no assunte dal surrealismo (1924).
Alcuni titoli di queste composizioni (Mes poumons argen
ts, La passion des rotules, Matine alphabtique, Le gn
ral et la Sidonie, Les viscres ulles, Je me sens mourir de
nant, Il cuore di Giuseppe Verdi...) possono far pensare a
Erik Satie, che proprio in quegli anni scrive le sue pices ter
ribles come antidoto ai narcotici del wagnerismo e dellim
pressionismo.
Ma la musica del giovane Savinio non ha alcun rapporto
con la musique de tapisserie e con l intellettualismo formali
stico che da essa scaturir, nellimmediato primo dopoguer
ra, col Groupe des Six e 1estetica dissacrante di Jean Coc
teau. Avverso allArt pour l Art, il progetto musicale di Sa-
vinio mira al teatro, ad un teatro metafisico dove il rap
porto tra musica e dramma venga inteso non pi come illu
strazione del dramma attraverso la musica, ma come rap-
Itinerario musicale d i Savinio XIX

porto paritetico che garantisca, nello stesso tempo, unit e


autonomia allazione drammatica e allazione musicale;
giacch la musique est un art exceptionnel qui ne tolre
point la faon, et qui exige dtre employ tel quil est...
Ainsi donc, ayant prsenter, dans lensemble dune uvre,
llment musical de concert avec llment dramatique... on
ne devra voir dans cette association quun rapprochement
compltement dsintress, car llment musical ne dpen
drait gure de llment dramatique, ni mme celui-ci du
premier '.
Il progetto si realizza nei Chants de la Mi-Mort, definiti
scnes dramatiques daprs des pisodes du Risorgimento
e per i quali Savinio scrive la musica e dipinge i bozzetti dT-
le scene e dei costumi, questi ultimi andati perduti. In quello
stesso febbrile 19 14 che vede nascere i Chants de la Mi-Mort,
un altro progetto nasce nel sodalizio con Apollinaire: A quel
le heure un train partira-t-il pour Paris?, une "pantomime
de Guillaume Apollinaire - Musique dAlberto Savinio D
cors et mise en scne de Francis Picabia et Marius de Zayas,
ideata per essere rappresentata negli Usa, e dove i personaggi
(Le musicien sans yeux et sans oreilles, L homme sans
bouche, che doveva tuttavia suonare il flauto, ecc.) appaio
no strettamente imparentati con quelli dei Chants de la Mi-
Mort (Lhomme-chauve, L homme-jaune, Les hom-
mes-cibles) e mostrano quella tendenza saviniana ad una
spersonalizzazione metafisica che in pittura verr subito rac
colta dal fratello De Chirico e pi tardi, su un altro versante,
dai surrealisti \ La musica per Savinio doveva dunque muo
versi su questo piano, realizzare in s e per s questa nuova
visione della realt: La musique est lmanation dune m
taphysique relle, proclamer nel 19 15 3.
Intanto in un concerto tenuto il 24 maggio 19 14 nei lo
cali della rivista di Apollinaire Les soires de Paris, Savi
nio presenta alcuni estratti da suoi lavori teatrali (le danze da
Le trsor de Rampsnit e da tre balletti, Deux amours dans
1 he drame et la m usique, in A ppendice, p. 426.
2 In un articolo sul Poeta assassinato ( L a V oce, 3 1 dicembre 19 16 ), Savinio
ricorda come nelle canicole del t4 , durante lunghe serate nel paccobotto edili
zio di Apollinaire, dove tutto suggeriva il teatro, nacque e svan i questo progetto
di una pice newyorkese.
3 Dammi l'anatema, cosa lasciva, in A ppendice, p. 433.
xx Luigi Rognoni

la nuit, Perse e Niob) in proprie trascrizioni per pianofor


te; inoltre, fuori programma, una suite di sei pezzi da Les
Chants de la Mi-Mort, che tutto quanto rimasto della par
titura musicale di queste scnes dramatiques. Nelle note
illustrative al programma di sala (scritte dallo stesso compo
sitore) si precisa che nelle opere nate per il teatro (soprattut
to in Niob) la musique nintervient plus dans le drame que
comme un lment parfaitement indpendant; e quanto al
le caratteristiche del linguaggio musicale, esse sono fondate
sull absence complte de toute polyphonie, ainsi que lin
souciance la plus grande pour toute recherche armonique. La
musique de M. Savinio ntant point harmonieuse, ni mme
harmonise, est, pour ainsi dire, une musique dsharmonise.
La structure se base essentiellement sur le dessin. Chacun de
ces dessins pour la plupart tous trs corrects se rpte
deux, trois et mme quatre fois, selon le besoin naturel de
loreille; et, aprs une pause dun seul temps, un dessin diff
rent intervient aussitt. C est ainsi une musique point faon
ne et nullement ptrie, mais dessine et hdrizontale '.
In queste secche e lucide dichiarazioni non difficile scor
gere le pi avanzate anticipazioni di quelle tendenze ridutti
ve del linguaggio musicale che, attraverso latonalit (lassen
za e la negazione di ogni struttura armonica tonale), sfocie-
ranno nelle nuove proposte strutturali delle neoavanguardie.
Leggendo oggi questa suite per Les Chants de la Mi-Mort, es
senzialmente fondata su rapporti intervallari dissonanti (se
conde minori in posizione stretta e lata, settime, brusche com
mistioni di diatonismo, esatonalismo e cromatismo), spesso
fusi in aggressivi blocchi ritmici, ci si trova sorprendentemen
te in presenza di un modus operandi e di una tecnica pianisti
ca, sia pure ancora allo stato sperimentale e memore di remi
niscenze persino lisztiane, che precorrono analogicamente i
procedimenti dei Klavierstcke di uno Stockhausen o di un
Boulez.

La guerra interrompe lattivit creativa del giovane musi


cista. Nel 19 15 , rientrato in Italia, Savinio viene arruolato
e assegnatcfaFservizio militare a Ferrara, dove incontra Car-

1 Nota al programma d i un concerto, in A p pendice( p. 428.


Itinerario musicale di Savinio xxi

r, De Pisis, Morandi, Soffici; da questo momento i suoi in


teressi si spostano verso la pittura e la letteratura o meglio
vengono assunti come integrazione a quel manque de tota
lit della musica che egli aveva lamentato; e questo spiega
la rinuncia di Savinio alla musica puramente strumentale e il
suo crescente interesse per il teatro musicale. Anche se non
compone, la sua attenzione ai destini della musica sempre
viva e tagliente: La musique contemporaine nest quun va
gue bourdonnement. Une musique vritable atteint lclat
dune dtonation spirituelle. Par lintermittence rendre la
musique toute sa vivacit; la liberer de la formule dgalisa
tion o elle git, retenue par effet de sa moralisation, cos
scrive in una serie di aforismi che egli invia a Picabia, emi
grato a New Y ork1.
Ma nellimmediato dopoguerra riprende improvvisamen
te lattivit musicale con due balletti che vengono messi in
scena nel 19 25: La morte di Niobe, tragedia mimica (Ro
ma, Teatro dellArte) e Ballata delle stagioni (Venezia, Tea
tro La Fenice). Poi il decisivo passo verso la pittura nel 1926-
1927, quando ritorna a Parigi ed entra in rapporti con An
dr Breton e i surrealisti, unico tra gli italiani che verr inclu
so nell 'Anthologie de l umour noir ( 19 3 s ) 2.
Forse avverte che col pennello pu spaziare in un poli
morfismo pi concreto che coinvolge direttamente la real
t fisica e metafisica delle cose e della figura umana; realt
anche come ironia che era gi presente e centrale nella sua
ricerca musicale e drammatico-letteraria. Cosi nei Chants de
la Mi-Mort e cos in Hermaphrodito (19 18 ), definito con
certo, dove il carattere stilistico del linguaggio saviniano Ha
le stesse cadenze degli irrompenti pezzi musicali del 19 14 , e
si pu in parte ricondurre anche alla visione interiore de
gli espressionisti, ma con una sostanziale differenza: che'que-
sta visiono sempre sostenuta da una sotterranea ludicit
intellettuale, retta dallironia che una delle forme della ra
tio. Savinio stesso definisce la tecnica linguistica di Her
maphrodito come gusto dellassurdo, deformazione della

1 Dammi l anatema, cosa lasciva, in A ppendice, p. 432.


2 Breton incluse n\\ Anthologie un brano da Introduzione a una vita d i M ercu
rio (trad. it. A ntologia dello humour nero, a cura di M . Rossetti e I . Simonis, T ori
no 1 9 7 1 2, pp. 303-8).
X X II Luigi Rognoni

realt, inversione dei valori, umorismo nero, magismo, sur


realismo, tutto il diabolico gioco che riempie il mondo della
metaphisica naturalis '.
Cosi la collisione tra fantasma e sofisma, il prolungamen
to dalla coscienza allinconscio si proiettano anche nelle sue
riflessioni sulla musica, dove il retaggio della memoria, la
reminiscenza, la digressione poetica sinnestano, anzi vengo
no sollecitati dal resoconto critico, sempre lucido e puntuale.
Una analoga scrittura critica traspare nelle partiture
che nascono di getto nel secondo dopoguerra, dal 1949 al
19 5 1 (Agenzia Fix, Orfeo vedovo, Cristoforo Colombo, Vi
ta delluomo). Savinio usa i materiali pi eterogenei, rinun
ciando alle tendenze radicali dun tempo, ma non ai principi
enunciati nel 19 14 : i materiali sonori, talvolta assunti come
collage, vengono strutturati in un sottile procedere di dimen
sioni prospettiche (armoniche ora, oltrech melodiche) nel
rapporto tra percezione auditiva e percezione visiva, dove la
mtaphysique relle si realizza come sintesi. L opera che
meglio riflette questa sintesi Orfeo vedov (1950), un at
to, recentemente riproposto alla Piccola Scala di Milano (di
cembre 1974), dove Orfeo vedovo, vedovo momentaneo,
della Poesia. Ed in questo momentaneo vedovo della Poe
sia, e dunque momentaneamente minorato, che Orfeo cade
momentaneamente nello sciocchismo degli uomini e della vi
ta. Quanto alle pallottole che la sua rivoltella spara, esse non
lui, Orfeo, uccidono, ma, intorno a lui, lo sciocchismo degli
uomini e della vita. A lui anzi, Orfeo, consentono di ritrova
re 1 " altra Euridice, la vera Euridice: la Poesia. Pi esatta
mente, il complemento di se stesso. Stavo per dire il com
plimento2.
L ironia di Savinio si fatta amara, emblematica; e la sua
musica la riflette con sferzante spregiudicatezza vocale e stru
mentale: armonie allocche contro dissonanze e boutades tim
briche degli strumenti, uno sciorinare ritmico del tanto con
tro intrusioni di acre belcantismo... Ed evidente che 1al
legoria mira anche a denunciare la crescente formalizzazio
ne dei linguaggi artistici delle neoavanguardie degli anni cin
1 In Piccola guida alla mia opera prima, M ilano 1947. Hermaphrodito stato
ristampato di recente (1974) in questa stessa collezione.
2 Parlo d i O r/eo vedovo , in A ppendice, p. 446.
Itinerario musicale di Savinio xxm

quanta, che, fatta tabula rasa dellarte del primo Novecento,


minacciano di insterilire nel gesto puramente materico, nel
suono massa, che rifiuta la comunicazione, aliena il messag
gio, per porsi come rottura e provocazione, ma che finiscono
con lessere neutralizzate e inglobate nei mass media dellin
dustria culturale. Questa situazione Savinio la avvert sino
allultimo, anche se non la denunci apertamente, tuttavia
lasciandola trasparire nelle sue mordaci critiche dascolto;
e, sino allultimo, afferm la musica, romanticamente se si
vuole (ma non aveva parlato, sin dal 1914, di un second ro
mantisme o di romantisme complet?) come linguaggio del
l assoluto, messaggio metafisico d ci che la parola non pu
esprimere, elemento essenziale delleducazione. Non pu
esservi civilt senza musica. La musica insegna a stare: a sta
re in compagnia e a stare soli... La musica ci mette in comu
nicazione col moto delluniverso e col nostro proprio movi
mento interno. La musica insegna a vivere, nel senso pi pro
fondo e metafisico della parola. E quella sola civilt sarebbe
perfetta ove tutto quanto, uomini e cose, si movesse a suon
di musica 1

La sua attivit di critico musicale militante tra le due


guerre e nel secondo dopoguerra, si esplica soprattutto a
(introduzione alla seconda
Roma e a Milano doveedizione di "Scatola sonora",
egli frequenta concertiTorino 1977) Ogni
e opera.
suo resoconto trascende l informazione o la pura descrizione
delle musiche ascoltate, e riconduce sempre l ascolto ad un
orientamento di scelte che si rapportano alla crisi e alla
problematica della musica moderna e contemporanea. Il suo
dichiarato antidealismo, in anni nei quali il crocianesimo si
prolungava con caparbia tenacia negli schemi della critica
musicale italiana, non manc di richiamare lattenzione di
Fausto Torrefranca, musicologo positivista, uno dei pochi
che dallidealismo dei crociani si era tenuto lontano. E fu
Torrefranca che volle curare la raccolta postuma di Scatola
sonora (Milano 1955) e presentarla, mettendo in rilievo la
singolarit e la concreta validit critica (e non solo letteraria)
degli articoli e saggi che Savinio aveva disseminato su quoti
diani e riviste.

1 C fr. ep ig rafe p . i .
Fausto Torrefranca

POETICA DI SAVINIO CRITICO MUSICALE

Savinio un uomo tutto esigenze interiori alle quali necessario


che la sua intelligenza, il suo raziocinio, per primi obbediscano. Ma
non gi alla tedesca, tanto ne era aborrente o, per, lo meno, aberrante:
e basta ricordare dove parla di Goethe come primo dilettante del suo
tempo, anzi come il pi oppressivo dei dilettanti (p. 2 1 1 ).
persino banalmente letterario affermare che egli sente il dovere
di costruirsi il suo mondo, un mondo alla sua misura perch l uo
mo , alla greca, misura di tutte le cose ed egli, nato in Grecia, lo sen
tiva per primo obbligo. Questo anzi il suo primo bisogno e obbligo;
e obbligo e bisogno si fondono insieme con tanta pienezza e univocit
da diventare passione, passione di giovane puledro; bench le redini
le tenga sempre nel pugno, che non gli si adombri.
E per questo non vi sono quasi invettive, nelle sue critiche demoli
trici, n tanto meno acredini: il suo sempre un esercizio dellintelli
genza : di un giudizio che sa foggiarsi un cuneo dirompi tore e con po
chi colpi ben dati apre le fibre del pi duro ciocco o, pi facilmente
ancora, sfalda gli scisti delle vecchie rocce che egli vuol demolire. Ta
lora anche soltanto una insidiosa radice di fico d india nella dura
lava, che la dirompe per creare Vhumus futuro; e la sua origine familia
re siciliana glielo insegnava quasi d istinto.
Ma in fondo, sentiamo nelle sue critiche come un diario suggerito
giorno per giorno dalle musiche ascoltate; e vogliamo dire, un po pi
tardi, di che natura sia questo diario.
Ne cogliamo qua e l confessioni molto laterali e, appunto per ci,
assai intime: dipendono dalla sua complessa natura ed esperienza di
scrittore, musicista e pittore.
Dice, a proposito di Mozart: per l uomo che altra forma di poesia
non ha, non sola poesia l amore? e bench egli fosse pieno di poe
sia, dellamore, tra lui e la sua donna, si leggono accenni squisiti, in pa
recchi spunti di confessioni. L uomo era in lui il primo motore, prima
ancora del critico: questo un modo intimo e raro di essere originale,
anzi un modo cattolico. E oltre allamata, il padre, la madre, i figli sen
tono il diritto di entrare nella sua prosa: come di persone che si sanno
tanto amate e perci, paghe di affacciarsi sulla soglia e di sorridere,
non passano via: rispettando, e quasi covando, il lavoro che seguono
e caldeggiano.
452 F austo T orrefran ca

Perch, egli musicista ma di musica vocale o di ballo e non di mu


sica senza gesti o senza parole notiamolo perch un dato essenzia
le in lui, letterato - sa pure che il musicista, alla maniera sua, il me
no creativo, il pi ricettivo, il pi femminile degli artisti (p. 39) e
le figure familiari non gli possono dare noia neppure se dipinge per
ch in pittura, arte maschile per eccellenza, l ispirazione non esiste
(ibid.).
Perch sorprendersi, dunque, che le sue critiche non siano varia
zioni di temi antichi o moderni, che essi possano essere - ma rond,
e di sostanza vocale per eccellenza, i cui temi, anzi le melodie iniziali,
ritornano immutati o quasi: dopo intermezzi o piuttosto diverti
menti, nel significato schietto della parola.
Persino le capestrerie cabalistiche diventano umorosi temi di ron
d, ritorni che bucano la forma o possono bucarla; ma la bucano e,
nello stesso tempo, lo riempiono, come per La sagra della primavera,
con l insistente ritorno del 28 (2 + 8 - 1 0 ) che egli si crea nel ricordo
delle due audizioni: la prima a Parigi e l altra a Roma perch, tolto al
10 linsignificante zero, d 1, ossia il numero che significa l origine
ossia un principio nuovo... il che del resto si sapeva, anche senza
l aiuto della cabala; sebbene spieghi dopo, intelligente umorista, che
era un primitivismo da grand htel (p. 178). Ma badava a non sci
volare nel surrealismo critico.
Savinio era un vero critico della musica, vero e vivo. Ma per lui bi
sogna dire che faceva il critico della musica: lo faceva perch gli ser
viva e non come pu servire un lavoro che anche un impegno pratico.
Egli cercava anche di trovare, e di servire, la sua verit e questo gli
riscattava il lavoro come non lo riscatta, pu dirsi, quasi a nessun altro
critico quotidiano.
La sua era una verit ciclica e non soltanto perch egli era, oltre
che musicista, anche pittore e scrittore. Ma anche perch non si ritrae
va dallattivit plastica concreta della scultura e dellarchitettura e
tuttavia non era totale. E, in un piano superiore, correva il rischio di
non riuscire interamente umana per non dire umanistica (basta che ri
pensiamo a Leonardo).
Certo, di fronte a Leonardo, gli manca il senso completo della mec
canica, della scienza, della matematica, proprio quelle che oggi vorreb
bero riempire tutta l atmosfera della vita; ed naturale: perch oggi,
rispetto allet di Leonardo, le scienze e la tecnica dobbiamo subirle,
pi che accettarle con gioia e viverle. y
Ogni epoca a parametro umano, di'vita vissuta, ha le sue limitazio
ni, mentre la mera vita di Leonardo ebbe, da sola, il valore di un avve
nire vissuto in mente: di una profezia vissuta in potenza e, sino ad un
certo punto, in atto.
Savinio, come pochissimi dei contemporanei, si cerc invece la sua
verit e, artista troppo diretto e troppo concreto, rinunzi a raggiun
gerla per le vie e con i metodi dellestetica: di quellestetica che, da
cinquantanni, tutti si sono industriati a prodigarsi, come necessario
prolegomeno di ogni studio critico e di ogni presentazione storica. E
P oetica di Savin io critico musicale 453

la critica nostrana, in verit, di scarso fondo si parla, sintende,


sempre della musica - e la storia di assai debole conoscenza, proprio
nella sua essenzialit sonora e nella vitalit produttrice.
Egli difatti si cerc i fondamenti critici - quali facevano per lui, ar
tista di pi di unarte - e se li trov creandosi una poetica della musi
ca: un belvedere che non porta nel cielo empireo (o imperiale?!) del
pensiero, ma ci lascia ancora a contatto con la terra, vista sotto la luce
della poesia; e ce la mostra con l aspetto nuovo che l artista vuole: an
che e soprattutto quando il critico non tale per necessit interiore,
ma pratica (ci che in Savinio non ).
Non poteva essere, il suo, sintende, lo scolasticismo estetico, n
quello degli altri italiani, n quello degli stranieri - di oggi o di ieri -
neppure pro tempore o come trampolino per salti in alto: siano fatti
per necessit tecnica o di capriccio. Io penso, scrive, che i mali che
affliggono l umanit vengono in gran parte dalla convivenza di uomini
di generazioni diverse... come mettere assieme un prestissimo ed un
andante, un allegretto e un largo (vedi il Ritorno di Ulisse in patria,
inedito). D altra parte, - egli confessava {ibid.), di fronte ad una ve
getariana, - io... non riesco ad avere principi, e per chi non pu inten
dere da s avverto che questa una lode che io mi faccio.
Per questo egli ce laveva col ritorno allerudizione con le pie
riesumazioni col devoto dispotismo che rivelano un indeboli
mento dellenergia creatoria, una sfiducia nelle proprie facolt poeti
che e col "reverente amore per l antichit in cui, secondo lui, c in
dubbiamente del dilettantismo; ma quellindubbiamente la scon
trosit di chi ha, in fondo, dei dubbi. Ed io so, per avere pi volte con
versato con lui, che egli non sarebbe stato lontano dal mio ideale; e
magari avessimo letto insieme almeno alcuni pacchi di quei quintali di
musica antica che io da decenni conservo per me perch l Italia non sa
che farsene, mentre apre il cuore alle musiche straniere di oggi, di ieri
e dellaltro ieri ancor pi che ai foresti non dica la nuova Siena musi
cale, con la sua nuova porta parlante.
Saremmo andati d accordo.
D ifatti, codesti suoi pensieri sono agitati dal tormento dialettico:
L avviamento dei musicofili, egli dice altrove, verso la musica antica
un altro aspetto del progredire della civilt; un liberarsi dal grasso,
dal duro, dal preciso del dramma quotidiano. Passare da Verdi a N i
cola Porpora, da Beethoven agli Scarlatti, un avviarsi verso la libera
zione dei sensi, una parafrasi del costante desiderio che l uomo ha d in
diarsi, o almeno di spegnere in s il "troppo umano (p. 43).
Ma pi che il critico e lo storico che era soltanto in potenza, ed
esserlo in potenza era gi un prodigio, per un cosi intenso creatore
era veramente l artista che si lasciava sfuggire di bocca: io questo at
teggiamento di umilt e ammirazione davanti agli "antichi non lo ho
mai sentito, non lo ho mai capito, ... mi ha sempre irritato: in tutti:
anche in Francesco Petrarca (p. 15). Sebbene poi il suo pensiero su
Antonio Vivaldi dimostri sino a qual punto l artista sentisse il dura
turo di codesti grandi creatori del passato, in cui partta rei.
454 Fausto T orrefran ca

Egli, del resto, era vicino a stringere nella sua mente una conclu
sione, almeno provvisoria. In linea astratta, meglio che teorica, sapeva
bene che fiochi uomini... sono destinati a conoscere la verit; perch
unidea sola pu dare la fede, ma a farci intravvedere la verit alme
no due idee sono necessarie e che (apparentemente) si contraddica
no (p. 107).
Queste apparenti incertezze egli avrebbe presto risolte perch ave
va fermato il suo pensiero su unidea che sentiva, se non fondamenta
le, almeno centrale: quella che divideva tutte le musiche in due perio
di: il tolemaico e il copernicano.
Avrebbe sentito presto come un Vivaldi o un Sanmartini - e gli
altri contemporanei italiani che ho studiato 1 fossero gi, come egli
sentiva, dei musicisti copernicani; e, miracolo sorprendente, pur nel
l ambito di forme brevi: dove non si agitavano n attiranti soli n im
mense luminose galassie. Dico le forme in iscorcio o sintetiche; e, in
somma, le piti ardue.
Contro i tolemaici egli fu a ragione feroce, ma per dovere e senza
crudelt n astio in questo mondo razionalista in cui i musici stessi
hanno acquistato aspetto e comportamento da ragionieri, e si esercita
no a musiche squisitamente tolemaiche, cio a dire gelide e architet
tate (p. 4). M a anche i musici di altri tempi erano tolemaici: come
G . S. Bach che era sordo e dentro e fuori mentre Beethoven... in
ternamente era sconvolto dalle voci di una audizione straordinaria
(P- 2 4 )-
Bach, anzi, si nascondeva dietro la sua propria musica come die
tro un riparo sicuro che il suo tessuto rende altrettanto impermea
bile quanto il fondo oro che circonda le Madonne di Cimabue, quanto
il cielo di Tolom eo (pp. 25 e 51): un infinito cristallizzato, un infi
nito "sterile ai fini nostri e al bisogno d infinito della nostra anima
(p. 51 ). La sua mente non ha nulla di quel secolo che conobbe gran
di aperture scientifiche e filosofiche ma rimane ermeticamente tole
maica.
Savinio si accorge di certe difficolt e d la colpa non a Bach per
sona ma alla musica che arte ritardataria [ unidea nietzschiana] e
il suo progredire strettamente legato al progresso meccanico degli
strumenti musicali.
Poco conta che questo sia un pretesto storico: perch quello che
importa a Savinio che si possa riconoscere e definire, nella musica di
Johann Sebastian Bach, la tolemaicit dellv t e musicale fino a Han
del e Haydn inclusi (p. 32); e bisogna arrivare a Beethoven, il pri
mo musico copernicano {ibid) per trovare anche nella musica lo spi
rito del Rinnovamento cbe spezza la forma teologica, che apre la via
al destino individuale, e libero delluomo, e alle nostre avventure soli-

1 M olti sono gli scopritori di V ivaldi, in Italia e fuori. Baster che io dica che,
nel 1923-24, ho tenuto a Roma, quale libero (liberissimo, anzi) docente dellUniver-
sit, un corso sui Concerti inediti del Prete rosso: rosso di dispetto e di confusione
perch nessuno ne parlava; e in particolare sui Concerti di Dresda che oggi, forse,
io solo posseggo. Ma Vivaldi era l'asintoto della mia iperbole.
Poetica di Savin io critico m usicale 455

tarie, alle nostre disperate conquiste, al nostro infinito senza premio.


E le pagine che seguono (33 e 34), eloquenti e di sofferta poesia (vi
viamo nel sentimento della piet) ci attraggono ma non ci fanno di
menticare quanto Galuppi, Sanmartini, Giovanni Benedetto Piatti, V i
valdi, Boccherini - e lo stesso Cambini, a gran torto espulso dalle co
siddette Enciclopedie musicali straniere, - hanno arricchito di stelle
cadenti, di nuovi pianetini, di stelle doppie e di intense nebulose il cie
lo: fatto copernicano in una nuova primavera celeste che aveva gi pro
dotto, su questa terra, le gemme verdi del madrigalismo (le villote) e,
anche prima, della Ars Nova del Trecento.
Ed dubbio, secondo me, a questo proposito, che i madrigali di
Claudio Monteverdi non richiedano il sentimento di un libero desti
no umano. Ma ci che conta si che copernicano e tolemaico sono
epiteti bellissimi e convincenti; e delineano due modi di concepire l ar
te che possiamo dire superiori almeno nella musica a quelli di ro
manticismo e classicismo: sono di sostanza vivente: in realt, due idee
poetiche che possiamo accogliere quali fondamenti duraturi di una
nuova poetica della musica; e questa crea una prospettiva quasi sen
za limiti, quasi senza linea di fondo.
Che linfinito di Bach sia un infinito metafisico, un infinito "aral
dico , un infinito a "uso interno ... cristallizzato... "sterile ai fini no
stri e al bisogno d infinito della nostra anima (p. 51) vero; eppure
un infinito fecondo si ebbe altre volte, ab initio nel jubilus che santA-
gostino e della stessa idea era san Girolamo diceva la sola musica
senza parole che si innalzasse sino a Dio.
Altrettanto ricca di essenzialit la definizione del tolemaico mo
zartiano dove, l universo... decade dalla sua maest e si riduce ad
una elegante ornamentazione (p. 52) e la dimostrazione del perch
Bach... rappresentante delluniverso tolemaico, e Mozart, o come dire
il rappresentante di un mondo neutro, sono i due musici preferiti del
nostro tempo proprio perch luomo morto - l uomo, si inten
de, dellumanesimo - e vengono indicati gli aspetti di una pi vasta
realt che hanno cominciato a riflettersi prima di tutto nelle arti
{ibid.).
E non possiamo davvero voltar le spalle alle conseguenze surreali
ste e, sino ad un certo punto, politiche che il Savinio ne trae {ibid.).
La sua vista interiore giunge, com naturale, pi lontano della v i
sta parametrale. Essa vede l uomo-isola di oggi e a questo sto
nante infelice la sola consolazione rimane della donna toccata dalla
more e riconosce che merito della donna se il poeta pu vivere
nella poesia (p. 36). Ma dobbiamo tenere anche conto dellapparente
contraddizione interna del pensiero di Savinio che il sesso ammazza
la poesia dove sesso si intenda per sessualit o, tuttal pi, per im
pulso di pubert: il che, detto di Mozart, perfettamente ragionevole
(P- 4 3 )-

La musica che Savinio amava e faceva la sappiamo perch egli stes


so ne parla ben presto, a p. 7: il ritmo per noi la "garanzia della
456 F austo T orrefran ca

musica: la garanzia che la musica doma e addomesticata e che ormai


possiamo considerarla "cosa nostra ... O ancora: la sola musica che
la mia mente e i miei nervi sopportano la musica fortemente ritmata,
ossia la musica che ha una qualche organizzazione umana e che in fon
do somiglia a noi. Perch il ritmo l elemento umano della musica, la
garanzia della sua storia quaggi e del suo ritorno, la confortante ri
sposta a quella idea del ritorno che la pi umana delle idee .
Non crediate che, con questo, egli voglia addormentare la musica
in quella narcosi della danza che ho definito di recente e che pochi
ancora avvertono, o forse nessuno - e che domina, soprattutto, nella
storia e nella spiritualit della musica nordica - perch il suo istinto
vigile l avverte che nella musica... il ritmo un elemento estraneo,
un elemento imposto, un elemento che la musica sopporta a stento e
dal quale tende a liberarsi; e per questo la musica meno ritmica (De
bussy) la pi "m usicale, ma anche la pi inumana (p. 7); e gliene
diamo ragione.
E poi, egli stesso ci d una conferma altrettanto inattesa quanto
umana: che il ritmo il galateo della musica (p. 390).
E bisogna leggere il resto dove egli giunge alla conclusione che la
sola definizione che si addica alla musica, la Non Mai Conoscibile.
Soltanto chi stato preso dalla poetica della musica, che Savinio
vive e ci fa vivere, pu leggere e capire, in seguito, i Nostri rapporti
con la pazza (pp. 8-10) dove si conclude che luomo ama sentirsi
schiavo: sottomesso ad una schiavit fisica e assieme ad una schiavit
metafisica, quale la musica eccellentemente d (p. 9).
Il fascino dei ragionamenti di Savinio che non sono architettati
secondo logica, sebbene una coerenza interiore ci sia sempre, ma sono
degli intrattenimenti, degli entertenimientos, come egli stesso dichia
ra quale suo metodo di scrittura o piuttosto quale suo stile di pensiero,
in un volume di prose '. Questo stile io lo assimilo, musicalmente, al
ricercare: al ricercare e, insieme, alla fantasia: orditure fluide ma in
trecciate, tutte diverticoli, come un delta. Difatti Savinio dice che il li
bro che intrattiene un libro discorsivo, ma nel senso che non un
libro minore, ma al contrario un libro maggiore: un libro massimo.
Nel suo copernicanismo, in fondo, lo si vede, c del tolemaico e vice
versa: c , dunque, una poesia della musica integrale. E questa la sua
bellezza.
Io sono giunto ad idee diverse, ma della stessa natura e indipen
dentemente da lui, pur avendo parlato cos poco con lui, pur avendolo
letto di rado e dovera pi quotidiano: anche*se quotidiano nel senso
della profonda verit che sta, come sedimento, al fondo della vita
vissuta.
Non cerchiamo, dunque, in Savinio la coerenza filosofica, ma al con
trario lestrema mobilit del pensiero, anzi della volont di pensiero,
che sta ancora nella ganga dellintuizione e, appunto per ci, vibra in
torno a certi perni oscillanti dai quali non si liberer; ed bene che
non si liberi.

1 A. s a v in io , Ascolto il tuo cuore, citt, Milano 19442, p. 3.


P oetica d i Savin io critico m usicale 457

Cos proprio quando egli ci confida che spesso, troppo spesso,


il passo della musica di Vivaldi l imitazione del passetto a ricamo
stretto, del passo pettegolo, del passo da sensale e propalatore di pic
cole notizie femminesche di uno che va per Merceria, e si caccia di
sghembo tra la calca delle donnette, e si ferma a spettegolare agli usci
delle botteghe da caff (pp. 18-19).
Questo soltanto, in verit, uno degli aspetti di Vivaldi: quello
che gli si presenta raramente: in ispecie quando si domanda se V i
valdi pensasse alla morte o no; ma c un altro Vivaldi, il Vivaldi
copernicano del Concerto doppio per oboe e violino concertanti che
ho, per miracolo, pubblicato e al quale ben pochi musici di oggi si fan
no vicini, talmente viva la sorpresa di un nuovo mondo - se voglia
mo dirlo con Savinio, copernicano - che il compositore vi ha schizzato
dentro e impastato con l impeto e la larghezza di un Tiepolo; e che
veramente pu dirsi tutto un ampio camminare che possiamo anche
accettare: al passo solenne del Bucintoro (p. 19): non soltanto per
mare ma anche, di riflesso, nel cielo.
Certo, si direbbe che la musica che egli preferisce la vocale e non
sorprende sentirlo dire: La musica per sua natura squisitamente
invernale. Vogliamo dire la musica grave e con nobili materiali costrui
ta: la musica che piace a noi: la musica come organizzazione e gioco
mentale, la musica strumentale e polifonica-, e sentirlo definire il
contrappunto ci che la dialettica in filosofia e che solo alla fine
del medioevo... comincia a rivelare la sua organizzazione radicale e ra
mosa (p. 20). E i due aggettivi danno la pi speculare definizione del
contrappunto: vorrei anzi chiamarla l impronta geologica, l impronta
fossile del contrappunto.
Ma egli corregge presto questa impronta perch non soltanto ra
dicale e ramosa, dato che pi profondit, nel senso preciso della
parola... nel canto solitario dello scolio di Sicilo che per tutta la colos
sale opera di Bach (p. 22). E cos arriva al parallelo con Beethoven
del quale abbiamo gi fatto cenno (p. 24).
Siamo, con Bach, sullo stesso piano dellespressionismo dove quel
lo che piace soprattutto l umiliazione delluomo e, sotto a questa, l il
lusione che vi si nasconde che in questa libera rappresentazione della
bruttezza umana... si [maschera] la verit: un avvilimento che ha gi
subito nella pittura di Czanne attraverso la deformazione, la decor
ticazione degli aspetti e il grigismo (p. 26). E sebbene queste citazio
ni formino appena un graffito, neppure una sinopia, si capisce che solo
un pittore come Savinio poteva proporre di tradurre lo Stabat Mater,
latino e cattolico, di Rossini in una Deposizione del Domenichino e il
sesto Concerto brandeburghese in una pittura astratta che rappresenti
il concetto arabogotico del mondo (p. 27); il che ci convince perfet
tamente.
Sono tutte cose dette allinfuori del valore in s d ellopera d arte
di cui non si pu parlare, se non quando si perfettamente sicuri che
si tra gente abituata a considerare l arte di l dalle piccole "verit
passeggere .
458 Fausto T orrefran ca

la forza di Savinio, questa di essere altrettanto pittore quanto


musicista e altrettanto arguto quanto libero.
Q ui non c il solito rivoluzionario e riformatore-distruttore che si
presenta, tanto facilmente, tra gli artisti (e assai ovviamente tra gli ar
tisti che non riescono a creare la loro presunta rivoluzione). Con ardi
tezza, anzi, parla del concetto cattolico della vita che in Bach e che
pu dare questa calma, questa sicurezza, questa mancanza di dubbi
e d inquietudini la stessa che pu dare lorganismo militare riba
dendo che mai mi son sentito cosi "sorretto nella vita come nel pe
riodo 1915-19 che fui particella dellEsercito (p. 30). E possiamo ag
giungere che gli venivano anche dalla vita coniugale, di cui parla con
accenti pudichi e caldi che sono un altro dei pi sinceri conformismi di
questuomo cos singolarmente autodisciplinato e autoconfessato e,
nello stesso tempo, guidato da convinzioni superiori e aperto verso
tutte le strade generose. Egli sa, come si accenn, che il sesso ammaz
za la poesia (p. 43): dunque egli sa come difendersi.
In una sola cosa egli segue la tendenza di quasi tutti i compositori
d oggi perch l infrenabile impeto al movimento e allazione gli crea e
gli addita una porta che sta troppo oltre: sino a fargli dire che la mo
da della musica antica una manifestazione collettiva di codardia.
Ma sono sicuro che intendeva parlare dei trascrittori e degli elaborato
ri: i ridipintori della musica storica. Invece riconosceva, come ne
cessit, il parafrasismo (p. 184), ad esempio di Strawinsky.
Ed alcune discussioni che ebbi con lui, appunto perch furono po
che e saltuarie e riposate, mi dimostrarono che egli gi era un conver
tito, non verso la moda della musica antica, ma verso l esperienza della
musica antica: che vale a creare, nei generosi, una nuova libert; e mol
ti spunti delle sue critiche bastano a dimostrarlo.
Egli un romantico e lo sa; anzi non si perita dal confessare: io
non desidero viaggiare. Sempre pi strettamente mi vado implicando
in me; sempre pi profondamente mi vado calando nel mio essere; e
il mio anelito di romantico insaziato e insaziabile sempre maggiori sod
disfacimenti trova nei miei orizzonti interni, nelle mie foreste, nelle
mie pianure, nelle mie montagne, nei miei cieli (p. 44).
Ma egli sa i pericoli che corre il romantico. Quando Brahms lo fa
pensare a Conrad, egli ne trae una semplice ma efficace terapia: lar
te purtroppo e gli artisti sono dei ricettacoli di isterismo, ma se d altra
parte si vuole trovare cosa che sia monda di ogni traccia d isterismo,
bisogna ascoltare l opera di Brahms, leggere l opera di Conrad (p.
133). Mentre poi Verdi gli fa pensare bench egli lo ammiri che
una musica ridotta a far piangere e amare (il motto di D Annunzio:
pianse ed am per tutti) a noi fa la medesima pena di sciupata grandez
za della forza elettrica ridotta a far girare lo spazzolino da denti auto
matico; e qui si ricorda della scena dei Tempi moderni di Chaplin
(p. 148), ed un altro aspetto del suo umore risolutivo.
D altra parte egli sente che cosa non ci sia sino allOtello di Verdi:
fino all 0 /e//o le opere di Verdi ci procurano godimenti singolari e
altissimi, ma parziali. Manca quellelemento morale che ci stato rive
P oetica di Savin io critico m usicale 459

lato da Socrate, e che tanto presente invece in Bach, in Beethoven, e,


sebbene pi pudico e velato di eleganza greca, in Chopin: quel calore
deHanima, quel conforto e giustificazione della vita, quel suggerimen
to ineffabile che il nostro destino non isolato, ma associato al destino
altrui e indissolubilmente legato ai segreti pi profondi, pi preziosi,
pi sacri delluniverso (p. 154). E se Verdi ha voluto rappresentarsi
in Otello, poeta della gelosia, perch la gelosia il sentimento pi
alto e generoso, il grido supremo dellamore, l amore del genio che ama
se stesso in tutti e in tutto. "Anim a mia, ti maledico , dice Otello a
Desdemona, alla fine del terzo atto; e queste parole sono il patto su
premo che l amore propone: vivere o morire (p. 156).
interessante che Savinio si serva, ancora una volta, delle sue qua
lit di pittore per fare critica musicale e anche delle sue conoscenze
tecniche di pittura: che gli fanno giuoco, nel raffronto tonale tra il Par
sifal e il Falstaff (p. 158). Ed ecco il sagace confrontare le ultime pen
nellate di Renoir le pi fluide, le pi leggere con gli accenti pi cor
diali e pi felici del Falstaff.
Ma queste vive delizie sono tuttavia sensuali; e ancor pi ci sor
prende che Savinio sia arrivato a sentire, col suo sensibile stetoscopio,
nel cuore di Alice, un segreto pudico e nostalgico, perch in fondo
non Ford essa ama, ma il grasso Falstaff, ed per questo che, sedato
il falso riso, essa senza speranza ormai ma con infinito rammarico ri
pete: "E il viso tuo su me risplender... (p. 160).
Egli va altrettanto addentro nel segreto di Verdi artista dicendoci
tre ragioni della difficolt di interpretare la sua musica, ad esempio:
che Verdi esprimeva per mezzo della musica voci del suo cuore, ma
senza quella intima musicalit che ha un Bach per esempio o uno Stra
winsky, la quale rende "naturale la musica e facile il suo passaggio
dallautore allinterprete (p. 163). Questa una finezza del musicista
e del critico: l intima musicalit, non davvero tutta la musicalit e
neppure fa per intero l umanit della musica. (Egli ha una rtina ca
pace di scoprire il pi velato e sottile cangiante del colore musicale).
Ma vi sono altre finezze da sottolineare: Quello che Beethoven
pensa della Pastorale non lo sapremo mai, perch in questa sinfonia
Beethoven, diversamente dal solito, non pensa ma si contenta di guar
dare (p. 66). Ed egli si serve, di nuovo, della pittura per consigliarci
cos: D el paesaggio sonoramente dipinto nella Pastorale, diremo che
un paesaggio panoramico, come usavano dipingerne i Breughel, D
rer giovinetto allacquerello, e, pi vicino a noi, Hans von Thoma.
Questi anzi poneva nel primo piano dei suoi paesaggi panoramici un
personaggio che contempla il paesaggio e invita lo spettatore a fare
altrettanto...
11 suo paesaggio "gira e Savinio, nella sua memoria, sa ritro
vare un paesaggio altrettanto girante al naturale, nelle prealpi vero
nesi; e appena gli viene in mente, gli serve di esempio (p. 67).
Come si detto, l entertenimiento sempre il suo modo ideale di
comunicare, di interessare, di aprire la sua fantasia e di aprirla al let
tore. Questa la grazia pi sottile e pi leggera di una critica, la prova
460 Fau sto T orrefran ca

pi raccolta, pi pacata e, nello stesso tempo, pi libera della propria


autonomia mentale e della libert che, senza che appaia, egli offre al
lettore. Si intende che il lettore, in fondo, non libero del tutto, ma
pur gli sembra di esserlo e gli fa piacere.
C anche una ragione, dir quasi privata, e Savinio la dice con pa
role sue e partendo dalla domanda: perch soltanto in musica alligna
no i fanciulli prodigio? - Perch, risponde, il musicista il meno
creativo, il pi ricettivo, il pi femminile degli artisti. Perch - e que
sta unaltra delle sue parole poetiche non gi dei suoi paragrafi
estetici nel musicista l ispirazione opera pi che nelle altre arti (in
pittura, arte maschile per eccellenza, l ispirazione non esiste) ossia il
fenomeno di una volont esteriore che colpisce il musico e lo satura di
s (p. 39). E leggetevi il resto, che , meglio che suggestivo, una ve
rit trovata proprio nellocchio del musicista: opaco e come velato da
una membrana inutile e che ci fa sentire una impossibilit di comu
nicare.
Ed proprio il segreto di Mozart, questo dellocchio opaco, e, per
questa atonia dello sguardo, di essere rimasto fanciullo; e per quali vie
e con quale tristezza una delle verit che Savinio ha meglio intuito.
Questo segreto di Mozart , in uno, il rivolto della tristezza e,
secondo me, in questo soltanto - forse, cos dobbiamo dire: soltan
to - si allontana dalla vera, giocosa e limpida tradizione italiana.
E possiamo anche farlo chiosare da Savinio perch la musica ita
liana, come la pi semplice delle spose italiane, esiste per la sua inno
cenza e cessa di essere non appena fa tanto di buttare un occhio nei se
greti del bene e del male (p. 206). E bene lo sapeva la prudenza (qua
le prudenza e [di pi] quale fiuto! ) dei musicisti italiani del settecen
to: la prudenza del periodo che io chiamo virile: la prudenza della
prima met del settecento. Il giorno che i musici italiani vollero dare
ascolto alla voce del male, la musica italiana cominci a precipitare
(p. 206).
Forse perch il male una delle cose essenziali del mondo, Savinio
sa perch mai l idea di Petrarca, questo grandissimo poeta, non gli
riesca... di dissociarla interamente da quella di un grandissimo dilet
tante (... dilettante colui che si dedica a cose molto importanti, mol
to gravi, molto belle, ma non essenziali) (p. 15). E in quale rapporto
sia questa idea col problema del male si vede anche dal seguito di pagi
na 15 e dal giudizio che il nostro tempo sia men vivo e duraturo nella
riesumazione dei musici antichi, che nella ^creazione di qualche melo
dramma verista.
Si vede chiaramente che Savinio non era, non poteva essere, n uno
scolastico esteta, n un filosofo estetico puro, n tanto meno uno sto
rico della musica. Ma un moralista, un uomo religioso, bench a suo
modo, e un poeta.
Ma un musicista, veramente si: perch soltanto chi sa che cosa sia
fare musica sente che nellallegro... si capisce se un musicista intel
ligente o no (p. 218) (ed io mi sento spinto a dire non soltanto un mu
sicista: anche un poeta e un danzatore; e forse anche pi un architetto
Poetica di Savin io critico m usicale 461

[ma non di oggi n di ieri, al modo di Sacconi] o un decoratore a stuc


co come i Bossi). E consento anche nella sua critica che G luck si sta
chiuso nel grave come in una fortezza sicura (p. 218). Chiuso nel gra
ve, penso, il piti incisivo profilo disegnato, in tre parole, da un ascol
tatore di colui che come tutti gli artisti poco intelligenti, credeva che
l arte solo rappresentazione del sublime (pp. 217-18).
Ma anche se codesta una sciabolata, un traversone del pensiero,
e tirato di scatto, a tutta forza, sentiamo che proprio vero che l in
telligenza per l artista quello che il binario per il treno perch
solo il binario gli offre di lasciarsi andare, con fiducia, alla velocit pi
continua e, semmai occorra, alla pi spinta (p. 240). Per dirla con pa
role mie, G luck di rado sente l Anarsi liberatrice: la Catarsi lo avvince
e lo chiude.
E come mot de la fin possiamo anche rifarci alla brutale puntata:
Credi allispirazione, lettore? Ricrediti. L ispirazione ogni artista se
la fabbrica da s giorno per giorno (p. 239). Ma, vi aggiungiamo - e,
lo sentiamo, col tacito consenso dellautore - beninteso se egli pu, e
soprattutto se l Anarsi lo guida, col suo filo.
Anzi, possiamo ribadire questo chiodo con un martello pneumatico
e rapido: Non ho stima se non dellintelligenza e dellingegno crea
tivo, per meglio dire dellingegno creativo associato allintelligenza,
per dire meglio ancora dellingegno creativo "generato dallintelligen
za (p. 238, su Pietro Mascagni); e, in questo punto, il riconoscimento
del "m oto naturale dellingegno creativo di Cavalleria e del Rat
cliff apre la visione di un buco nero che finir per divorare anche
quel tanto di ingegno creativo che aveva brillato in principio (p. 239).
Certo, un peccato che l autore non abbia potuto rivedere da s, e
per intero, il manoscritto: avrebbe potuto sopprimere alcuni ritorni di
brevi idee o di curiosit, secondarie e di scarsa prospettiva, piallare,
qua e l, o togliere le poche sprezzature e alcune contraddizioni. Ma
egli, come tutti gli spiriti profondi, lottava sempre col pensiero: ora
facilissimo, ora troppo complesso; e la contraddittoriet la grande
tentazione del pensiero.
E poi, egli vi era stato trascinato da una tendenza sua intima, che
talvolta idoleggiava pi del dovuto: quella che egli esprime con la for
mula arditissima: anche i valori cosmici si possono superare e arri
vare alla divina frivolezza; ma in quanti siamo ad aver diritto a que
sto supremo gioco? In quanti siamo a poter non essere profondi?
(p. 123).
Comunque si voglia giudicare l opera di pensiero di Savinio, non
si pu non riconoscere che essa costituisce unattivit singolare ed
unesperienza preziosa e degna di essere presa ad esempio. Un fonda
mento di poetica musicale, se anche non appare solido come quello di
una estetica, riesce molto pi stimolante e fecondo e chiede che vi si
costruisca sopra, ma non a modo dei giuristi (bench senta di aver so
lide connessioni, a guisa di tessuto: connessioni che valgono, nel pen
siero, talvolta pi delle fondamenta).
Tutto questo molto importante perch se un difetto, una manche
462 Fausto T orrefran ca

volezza, avvertiamo nella critica musicale italiana - e non soltanto nel


la musicale essa , salvo qualche rara eccezione, quella della nostra
tradizionale mentalit di giuristi e di applicatori di articoli, di codici
e di regolamenti. E poi naturalmente, come avviene nel giure e appun
to perch .siamo nella patria del giure, non ci sentiamo, per questo,
sollecitati allosservanza del diritto tradizionale e conclamato; tut-
taltro.
Noi riteniamo, per questo e per molte altre considerazioni facil
mente associabili, che soltanto nelle zone di trasfusione, ossia intuizio
ne e concetto, fra gusto e giudizio, possiamo sperare di radicare qual
che verit utile al nostro avvenire critico.
Quanto alla critica musicale, anche una necessit essenziale quel
la di crearsi, anzi di vivere, unidea della musica, unidea nuova non
soltanto di ordine estetico o poetico, ma anche di ordine storico, solle
vando il proprio mondo alla piena luce della coscienza: appunto per
attingere un oltre la realt musicale, un sopramondo, ma che resti
radicato nel mondo.
Un critico, ad esempio, della poesia trova nellopera d arte, volta
per volta, nella sostanza letteraria chiamato a giudicare e valutare, per
lo meno degli appigli e anche un modo di disegnare in iscorci concreti
e di attingere una superiore verit, anche se non segue o non pu se
guire una precisa estetica. Il miglior modo di orientarsi, per il critico
musicale, invece quello di creare, per la musica in genere, ma nei ter
mini pi caldi, e insieme piti umani possibili, una poetica della musica
elastica, anzi versatile.
Essa soltanto pu condurre il critico a cogliere unidea personale -
e nello stesso tempo universale di una grande opera, o anche soltanto
di un grande autore. Qui i valori di ordine estetico e quelli di ordine
morale si fondono in un valore che appartiene alla sfera che possiamo
chiamare ascensionale; e i soli valori che contano, nellarte - e nella
critica - sono proprio gli ascensionali.
Savinio l ha fatto d istinto ed forse da rimpiangere che egli non
abbia avuto il tempo di allargare, nei particolari, questa geniale poe
tica della musica e di fam e, sia pure, una poetica dellarte tutta, egli
che tanta esperienza aveva di arti musiche e di arti plastiche. Ma ci ha
dato un grande esempio.
E, in realt, era poi necessario che lavorasse, sino alle ultime conse
guenze, questa poetica?
Sarebbe stato, anzi, pericoloso: come utto ci che spinge a siste
mare qualche cosa di assoluto e di definitivo. Sistemare vuol dire, so
vente, condannare alla decapitazione un pensiero dopo averne fatto
un grande feudatario o, pi ancora, un tiranno o, alla moderna, un dit
tatore.
Quando egli ci ha detto che la storia della musica moderna si di
stingue in due periodi, animati da valori e da orientamenti di segno
diverso e quasi opposto, il tolemaico e il copernicano, e il primo pu
anche dirlo presocratico (pp. 31-32) e affermare che esclude il senti
mento dellinfinito a quel modo che una casa ben costruita esclude
Poetica di Savin io critico m usicale 463

l aria di fuori, pu proseguire di chiosa in chiosa, nel suo coerente en-


tertenimiento suggestivo; e cosi ci propone una visione piti alta e piti
costruttiva di quella che potrebbero suggerirci o una valutazione di
ordine ritmico o armonico o una distinzione di sostanze contrappunti
stiche o di,tessiture o anche soltanto di orditure: dove si resta ancora
nel mondo della tecnica e nei limiti, sempre alquanto pedanteschi, dei
modus operandi.
Questo mondo secondo tecnica non potrebbe formare quelle sin
tesi che egli ha costruito a guisa di cale o di baie, di riposo e di medi
tazione, intorno ai nomi, ad esempio, di Chopin - al quale rimandiamo
il lettore - o di Mozart o di G . S. Bach e di Beethoven; ed egli alla tec
nica si rivolto soltanto per concludere, alla enarmonica - ci che, per
una cadenza, doppiamente paradossale che, la Messa solenne di
Beethoven un capolavoro: ma il capolavoro di "un altro (p. 76).
Egli ha visto bene, quantunque non l abbia detto esplicitamente,
che l arte un espandersi, che essa costituita di valori per eccellen
za fluidi, appunto perch sono i valori eterni.
Tutta questa istintiva sapienza gli permette di stringere, in pochi
segni, la tragedia di Mozart. D i quale malattia mori?... Lo sforzo...
la impossibilit di adattarsi, lui fanciullo perenne, alla vita delladul
to... un errore della natura... [che] si manifesta nel ritratto che di lui
dipinse il suo cognato Giuseppe Lange nel quale appare come un
fanciullo rimasto nelle proporzioni del fanciullo, ma "gonfiato di vita
adulta, e triste, malato di questa immissione estranea che gli mette in
faccia come un eczema, come una tumefazione di scarlattina... Ed [il
ritratto] incompiuto. Ma difetto o eccesso di fedelt? Mozart stesso
era incompiuto (pp. 37-28). In lui, lo si vede, l espandersi sera arre
stato; e proprio nel senso pi vitale.
Q ui, e pi oltre, l esperienza del musicista e del pittore si assom
mano a creare la verit, senza contare la genialit sintetica di principi
che vengono dal profondo come questo che linfanzia non una con
dizione naturale: unopera d arte (p. 47) (cio anchessa di natura
prettamente espansiva) o l altro, di indole musicale, bench avulso
dalla storia e dedotto soltanto dalla mediocre esperienza dei cantanti
d oggi (apprendisti di un bel canto che si limita al modesto artigianato
del solfeggio, privo di lume interiore) che nel trillo, in questo riso
senza gioia, in questo riso senza speranza, tutta l anima di Mozart;
anima senza gioia, anima senza speranza; perch nel trillo tutto l uo
mo Mozart, che ha perduto il Dio esterno seduto sul vertice d oro della
piramide, e non ha acquistato ancora il Dio interno. L universo di M o
zart un universo "neutro (p. 52).
In questo universo paradossale l espansione si fermata con la gio
vinezza di Mozart.
Ma il nostro Tosi, l immenso Tosi, Dio del buon gusto nel sette
cento, ma per il suo secolo e per i secoli seguenti, esigeva il trillo sol
tanto nelle cadenze e Mozart non era tanto italiano da seguirlo, sen
zaltro, in questa massima pacificante. La cadenza infatti la pace ma,
se vogliamo dirla in termini saviniani, la pace tolemaica (p. 33).
464 F austo T orrefran ca

Per chi vuol capire, come merita, Savinio - ma capirlo non col
buon senso col quale per nostra fortuna, non abbiamo mai avuto
nulla da spartire (p. 284) - bisogna invece raffigurarselo nella costan
te aspirazione alla qualit degli dei greci, quella di uomini che hanno
superato la tragedia; che hanno raggiunto quella condizione di "dilet
tantismo che la condizione pi alta e felice della vita; ... quella con
dizione cui io profondamente aspiro e cui qualunque uomo - credete
a me - pu aspirare e raggiungere, basta che lo voglia e sappia render
sene degno (p. 191).
In questa condizione, finalmente raggiunta, giusto che egli si ri
belli, domandando: Chi ha detto che la sola funzione della critica
di criticare? e rispondendo: La critica ha una funzione molto pi
importante, che di inventare (p. 301). E la sua mente era consa
pevole di una fertilit inventiva, anche - e forse soprattutto - nella
critica.
Ma la sua pittura non era, molte volte, d ordine critico-inventivo?
E i suoi libri non erano entertenimientos
Le aperture sono spesso pi importanti, o almeno pi anartiche, dei
conseguimenti prossimi.
F A U S T O TO R R EFR AN CA

scritto introduttivo
alla prima edizione di "Scatola sonora" di Savinio
(Milano 1955)
A.S.
i testi sono tratti da:
Scatola sonora
(Milano, Ricordi, 1955;
Torino, Einaudi, 1977)

1. Musica estranea cosa

Ho visto un direttore dorchestra cadere dal podio. La cosa and cosi. Stavo
nella sala dellAdriano, seduto nella mia solita poltrona, fila nove, numero nove. La
mia poltrona collocata immediatamente dietro quella del mio amico Gabriele. La
testa ai Gabriele perfettamente aerodinamica e consente a questo eminente
psichiatra d raggiungere nella corsa a piedi velocit molto alte. La conformazione
cranica del mio amico Gabriele esercita su me un cosi invincibile fascino, che tutte
le domeniche, durante il concerto sinfonico, e per trascinante che sia la musica, la
mia attenzione non cessa di passare con alternanza oscillatoria dalle spalle del
direttore al cranio del mio amico Gabriele, e viceversa. Quella domenica per i poli
dattrazione non erano due ma uno solo. Il fascino della aerodinamica testa aveva
ceduto a quello ben maggiore del giovane direttore che io vedevo per la prima volta
sul podio dellAdriano. Costui era alto e magrissimo, di quella magrezza ossuaria e
combusta che fa pensare al monachismo, allascetismo, al diabolismo, al magismo
e alla morte. Era stretto in una velada attillata, guaina nera di quel pugnale umano,
chiuso il collo lungo dentro un solino lucido e bianco come un tubo di porcellana.
Medusea la testa nel senso che i capelli nerissimi e lunghi gli brulicavano intorno
al cranio, gli si agitavano come serpi davanti agli occhi. I suoi movimenti erano
spasmodici, e simili a quelli di una rana galvanizzata, di un burattino mosso da
violente strappate dei fili. Soffrivo per simpatia agli squassi di quella testa
anguicrinita, la pensavo in ispecie di uovo nella mano di una massaia enorme e
invisibile che se lo provasse allorecchio per sentire se guasto. Temevo che per
effetto di quegli scotimenti il cervello avesse a staccarsi dalle pareti craniche e
cominciare a sbattere come appunto il tuorlo di un uovo guasto. Personaggio
hoffmanniano, un sopravissuto della Kreisleriana sperduto in questo mondo
razionalista in cui i musici stessi hanno acquistato aspetto e comportamento da
ragionieri, e si esercitano a musiche squisitamente tolemaiche, cio a dire gelide e
architettate. Dirigeva costui senza bacchetta, quasi la bacchetta dovesse essere un
impaccio, un ostacolo, una soluzione di continuit, e le dita nude invece di quelle
mani magrissime e agitate come nel vento due grandi foglie secche svelte dal ramo,
si continuassero in invisibili fili e si attorcessero alle varie famiglie degli strumenti,
come le corde di budello intorno al gambo del bischero. Il primo numero del
programma era un concerto di Vivaldi, ma io arrivai tardi e non potei entrare in
sala. Questo ritardo anzi mi procur uno strano incidente. Glingressi alla sala
dellAdriano (la mia macchina aveva scritto ingrassi: la sacra freddura parla
dunque anche per bocca delle macchine da scrivere?) sono chiusi da porte a
sventola, dietro le quali calata una tenda che scorre su anelli di metallo. Arrivato
allAdriano durante lesecuzione del concerto di Vivai-di e tirato un battente della
porta con intenzione dintrodurmi di soppiatto nella sala, mi trovai nel buio tra la
porta che si era richiusa dietro a me e la tenda essa pure chiusa, e attraverso la
quale la maschera di guardia alla porta cercava di contrastare la mia avanzata. La
mia situazione era amletica e quella lotta attraverso la tenda mi ramment
luccisione di Polonio. Potevo vincere ma rinunciai alla vittoria, perch la mia
avversaria non avesse a credere che io approfittavo della lotta per palpeggiarla
attraverso la tenda. Il pudore una volta ancora mi fu nemico. Seguiva la Quarta
Sinfonia di Brahms, musico grave e affettuoso insieme, come un padre. Quale
presentimento era in me? Alle spalle del direttore avevano tirato un grosso
cordone fra due enormi birilli di legno verniciato, il che dava al podio un aspetto di
mobile chiesastico, quasi a impedire che il direttore crollasse nelliposcenio.
Attraverso il primo tempo della sinfonia e ai suoi sviluppi cordialissimi, io pensavo
alla posizione pi sicura del direttore dorchestra di teatro, che solo con la testa
emerge e le spalle dalla fossa mistica, come una testuggine dal carapace; pensavo
ai direttori che dirigevano seduti come professori in cattedra e come io dipingo;
pensavo al tempo che direttore non cera nel senso che intendiamo noi, ma
lorchestra era affidata al primo violino che un po sonava, un po accennava il
tempo con larchetto, un po dava le entrate ai cantanti; pensavo allorchestra
senza direttore che per alcuni anni funzion in Russia, quale esercito senza
generale.. Pensavo soprattutto a musiche che lasciano dormire i nervi, non
svegliano le passioni, non travolgono con londa dei suoni, e poich dopo la
sinfonia di Brahms il programma annunciava la Morte d'Isotta, il Don Giovanni di
Strauss e altre musiche ardenti e torrentizie, per reazione io immaginavo un
programma bianco composto unicamente di minuetti, rond, pavane. Perch
esporsi cosi temerariamente allinferno musicale? Il primo tempo arriv in porto
senza incidenti, e dalla sala si lev un respiro pi di sollievo che di soddisfazione: il
respiro della bestia che dalla tensione passa al rilassamento. Indi a poco il
direttore attacc il secondo tempo, ma io ero meno in ansia perch il carattere
stesso di quellandante moderato mi dava impressione di minor pericolo. A
quale precisa battuta fu? Dun tratto io non vidi pi il direttore, ma un groviglio ai
piedi del podio e udivo lenorme clamore della sala che di colpo si era levata in
piedi, come un campo di grano venuto su per una miracolosa eruzione vegetale.
Avevo io veduto il direttore cadere? Non ricordo. Ho la vaghissima impressione di
una forma meno di uomo che di una enorme stilografica nera, che si piega e rigida
cade in avanti. Fidando nellandante moderato, la mia attenzione si era
rallentata. Lo portarono fuori a braccia, tra i leggii rovesciati e gli strumentisti che
facevano largo, e il clamore continuava come un gran vento nel teatro. Il mio
amico Gabriele si volt e mi disse: Forma epilettica non mi pare. Lo sapevo
bene. Dellepilessia io ho una conoscenza pratica. Nellautunno del 1917 fui
ricoverato allOspedale Militare 108 di Salonicco, e poich gli altri reparti erano
pieni, mi misero provvisoriamente nel reparto degli epilettici. Passavo le notti in
una sala illuminata a giorno, sotto lo sguardo vigile di atletici infermieri. Portarono
una sera alcuni militari che al fronte erano stati colpiti da choc nervoso. A uno
dovettero mettergli la camicia di forza; e quegli ripeteva un suo grido a ritmo,
acutissimo, femminile. Una notte mi svegliai di soprassalto, e nella luce bianca
vidi sul bianco del mio letto il bianco compagno del letto accanto che, lordo la
bocca di bava, si dibatteva come un tonno nella rete. E allora? Gabriele rispose:
Direi piuttosto una lipotimia. Io so abbastanza di greco da sapere che lipotimia
significa semplicemente svenimento, ed vocabolo del linguaggio segreto dei
medici. Ma non lo dissi. E non dissi neppure quello che io solo sapevo, quello che
io solo avevo veduto, ossia la Musica apparsa sul podio come unombra lunga, che
afferra con le mani adunche il giovane direttore al collo e lo butta gi dal podio.
Dopo di che la Vampira se ne and invisibile in mezzo allorchestra in tumulto,
tirandosi gi le maniche della vestaglia.
La musica una straniera nel nostro mondo, unintrusa. Le sue condizioni
di vita sono cosi diverse dalle nostre, che ogni naturale convivenza con la
musica riesce impossibile; meno per una completa rinuncia di noi stessi, per una
resa incondizionata. Pure con la musica noi conviviamo. S. Ma veramente con la
musica che conviviamo? E quali le condizioni di vita della musica? Non lo
sappiamo. Troppo diverse dalle nostre, le nostre facolt intuitive non bastano a
farcele conoscere. Lessenza della musica ci sfugge. E sempre ci sfuggir. Ci
sfuggir sempre perch la musica non cosa nostra. La musica non fa parte
delle cose che compongono lassieme deglinteressi umani. E lorganismo della
conoscenza non funziona se non per le cose che in qualche modo rientrano negli
interessi umani. Ci sono cose che noi conosciamo e altre che non conosciamo.
Tutte le cose che noi conosciamo rientrano negli interessi umani, altrimenti non le
avremmo conosciute. Tra le cose che non conosciamo alcune riguardano
glinteressi umani, altre no: quelle che riguardano gli interessi umani noi prima o
dopo le conosceremo: il lento accumularsi della conoscenza, la causa del
progresso; le altre, che non riguardano gli interessi umani, noi non le
conosceremo mai. Tra queste la musica. per questo che lessenza della musica
rimarr per noi eternamente ignota. Che questa misteriosa cosa che vive soltanto
nel tempo? Come possiamo noi stringere rapporti con una cosa che vive soltanto
nel tempo e farne una cosa nostra - unarte? Noi crediamo possedere la musica, e
invece la musica che possiede noi. Luomo, per fare anche della musica
unarte, ossia uno strumento maneggevole, ha dovuto addomesticarla, ridurla,
mutilarla. Ha dovuto rendere terrestre una cosa non terrestre, fermare una cosa
essenziale, sfuggente, formare una cosa per sua natura informe. E luomo per
prima cosa ha dovuto dare alla musica a questa misteriosa cosa che vive
unicamente nel tempo - anche unapparenza di vita nello spazio; e le ha dato il
ritmo; come si mette il morso a un cavallo selvatico; come si mette il busto a una
donna grassa. Questa limmensa importanza che il ritmo ha nella musica. Perch il
ritmo colloca o finge di collocare la musica nello spazio, con che le d carattere
umano e diritto di cittadinanza sulla terra. Il ritmo per noi la garanzia della
musica: la garanzia che la musica doma e addomesticata e che ormai possiamo
considerarla cosa nostra. Ma assoluta questa garanzia? Musica senza ritmo
per me inaudibile. La sola musica che la mia mente e i miei nervi sopportano la
musica fortemente ritmata, ossia la musica che ha una qualche organizzazione
umana e che in fondo somiglia a noi. Perch il ritmo lelemento umano della
musica, la garanzia della sua stasi quaggi e del suo ritorno, la confortante risposta
a quella idea del ritorno che la pi umana delle idee. Ma nella musica tuttavia il
ritmo un elemento estraneo, un elemento imposto, un elemento che la musica
sopporta a stento e dal quale tende a liberarsi; e per questo la musica meno ritmica
(Debussy) la pi musicale, ma anche la pi inumana.
Lessenza della musica sfugge talmente a qualunque possibilit di
conoscenza, che luomo tenta spiegarsela mediante spiegazioni immaginarie; sia,
come Pitagora, assimilandola ai numeri (toi arithmoi de ta pantepeoiken); sia,
come Goethe, presentandola come una architettura fluida (ma qui veramente
Goethe parla della musica artefatta, ossia gi chiusa e organizzata come arte);
sia, come Schopenhauer, facendo di lei limmagine della volont pura. Ma a che
tentar conoscere linconoscibile? A che voler spiegare linesplicabile? la sola
definizione che si addica alla musica, la Non Mai Conoscibile. E non senza
ragione. La non conoscibilit della musica la ragione della sua forza, il segreto del
fascino; e se luomo cede con tanto piacere alla musica, soprattutto per il
diverso, per 1ignoto che in essa, e c analogia tra luomo che cede alla
musica perch nella musica sente il contrario di se stesso, e il meridionale scuro
di pelle e crespo di capelli che cede al fascino della scandinava bianchissima di
carnagione e bionda di capelli, nella quale egli vede quello che egli stesso non
ma sogna di essere. Cedere alla musica un atto di soggezione a quello che non
si conosce, e per questo attira.

Nostri rapporti con la pazza.

Io nego che si possa dare una soluzione filosofica al problema della musica,
salvo a dargli come soluzione la sua stessa insolubilit. Resta a studiare il
problema della musica come cosa psicologica. Non si combatte contro
unombra. I nostri rapporti con la musica vanno regolati da un apposito galateo. In
quanti siamo che sappiamo comportarci nei riguardi della musica? Il pericolo che
la musica costituisce per luomo, richiede da parte delluomo alcune cognizioni
profilattiche che luomo non mostra di possedere. Io ignoro se in s la musica
obbedisca a una sua ragione, ma in confronto al concetto che noi abbiamo della
ragione, la musica unarte pazza, e abbandonarsi alla musica con tanta
imprudenza come le si abbandonano i musici e amatori di musica, atto da pazzi.
la pazzia della musica che rende necessaria una cosi complicata e rigorosa
struttura teorica o tecnica, una gabbia enorme per imprigionare la fenice che
tuttavia sfugge. Questo incauto abbandonarsi alla musica genera alcune forme di
pazzia di cui non solo non si tiene il debito conto, ma le si considera ammirevoli
forme di entusiasmo, di rapimento, dispirazione. Come abbandonarsi a unarte
che per prima cosa preclude le idee e vieta di pensare? Musicista, io mi sono
allontanato nel 1915 allet di ventiquattro anni dalla musica, per paura. Per non
soggiacere al fascino della musica. Per non cedere totalmente alla volont della
musica. Perch avevo sperimentato su me stesso gli effetti deprimenti della
musica. Perch da ogni crisi musicale io sorgevo come da un sogno senza sogni.
Perch la musica stupisce e istupidisce. Perch la musica rende luomo schiavo; e
la ragione principale del suo grandissimo successo probabilmente questa, perch
diversamente da quanto credevano gli enciclopedisti che sognarono la libert per
luomo, luomo ama sentirsi schiavo: sottomesso a una schiavit fisica e assieme a
una schiavit metafisica, quale la musica eccellentemente d.
Tutto luomo pu sognare, tutto pu stolidamente sognare. Come di
fabbricare statue con lelettricit. Come di comporre poemi sonori imprigionando
il vento entro appositi tubi. Resta a stabilire quello che si pu fare e quello che si
deve e quello che non si deve fare, secondo quel Galateo delle Arti di cui ancora
io non veggo traccia intorno, ma del quale sento lurgente bisogno. Domandarono
a Jean Moras il quale dei Greci vanta la polytechnia, perch i Greci non avessero
inventato anche la macchina da volo, e al che Moras rispose che non lo avevano
ritenuto necessario. E invero la macchina da volo accorcia le distanze ma non
allunga lintelligenza, semmai il contrario. E c affinit tra macchina da volo e
musica. Per mascherare la musica come malattia, per mascherarla come peccato,
per mascherarla come cosa estranea a noi e pericolosa alla nostra salute
intendendo per salute la totale conquista e la totale padronanza di noi stessi, si
tentato, e si tenta, e sempre si tenter di scambiare la musica per unaltra cosa.
Che so? Per un edificio matematico.
Dove va la musica? Dove vanno i suoni che passano su noi come nembi in
tempesta? Non lo domandate ai musici: non ve lo diranno, non ve lo sapranno
dire. E perch non ve lo sapranno dire lo leggerete nei loro torbidi occhi, velati
dalle cateratte che la musica su essi ha calato.
Anche i suoni seguono forse un loro destino, ma diverso dal nostro: dal
nostro che finch siamo in vita, vuol essere rigorosamente circolare e ritornante,
cosi da circondare noi e le nostre cose, e alimentare la nostra fiducia nella terrestre
eternit. Perch mischiarci con cose dissimili da noi e con esse giocare? Viene la
volta che la Cosa Estranea si vendica.
Viene la volta che la cosa estranea spezza il morso e ritrova la sua selvaggia
libert. Illuminiamo di sera le nostre case con la luce elettrica, ma una sera il
fratello di Lorenzo Viani gir linterruttore per illuminare la sua camera, e cadde a
terra fulminato: era la vendetta dellElettricit.
Migliaia e migliaia di uomini giocano con la musica sia colandola nelle
varie forme della composizione, sia facendo cantare le sue voci prigioniere, sia
ascoltandola e abbandonandosi al suo canto di bestia doma; e un giorno la Musica
appare simile a unombra lunga accanto al giovane direttore, lo afferra per il collo,
lo butta gi dal podio. la vendetta della Estranea Cosa.
2. Musica telegrafica

Sono stato allultimo concerto di Musica Viva. Trascrivo testualmente il


programma: quindici liriche scritte da Arnold Schonberg su altrettante poesie
tratte dal Libro dei giardini pensili di Stefan George; una lirica di Alfredo Casella,
La sera fiesolana, su poesia di Gabriele DAnnunzio; due liriche di Luigi Cortese
su sonetti di Petrarca; due liriche di Guido Turchi su poesie di Salvatore
Quasimodo, e infine le Histoires naturelles di Ravel. Esecuzione affidata a
Susanna Danco e ad Alfredo Casella, e dunque perfetta. Onde con stupore io mi
domandavo quale potesse mai essere la ragione della noia che a poco a poco
mintorbidava, me cos paziente ascoltatore che mi sono ascoltato una volta senza
batter ciglio lintera Arte della fuga, e unaltra volta per due sere di seguito I
Troiani di Berlioz. Tanto pi che la mia noia non aveva un carattere generico, ma
stranamente somigliava allo speciale torpore che ci viene quando ci troviamo in un
treno accelerato, fermi da lungo tempo in una stazioncella di campagna, nel cuore
dellestate e nellora pi calda della giornata, e limmobilit e il silenzio intorno a
noi sono picchiettati dai colpetti ripetuti, insistenti, infiniti del telegrafo Morse.
A tutta prima imputai la mia noia al soporifico influsso della sala nella quale
eravamo raccolti; perch lultimo concerto di Musica Viva non si svolto come i
precedenti in quella ariosa e amena sala all'ultimo piano di Palazzo Barberini,
onde attraverso le ampie finestre si scoprono i tetti, le cupole e gli aggruppamenti
vegetali dei giardini di Roma, ma nella sala dei concerti della Casa Madre dei
Mutilati; e questa sala, romanamente chiamata Auditorium, la pi cupa e
asfissiante sala che io mi conosca, una tomba per uomini non ancora incadaveriti,
cieca di finestre, chiusa lateralmente da alte e pesanti porte carcerarie, coperchiata
da una cupola graticolata che sembra voler vietare anche verticalmente quella
evasione che orizzontalmente vietano le porte di ferro, decorata sulle pareti da
affreschi che illustrano la vita delle quadrate legioni e da elmate e mascellute teste
di guerrieri che trucemente emergono dai muri: una sala insomma che forse con
meditata intenzione di chi la edific, vuol dare il senso della mutilazione anche a
chi mutilato non . Ma questa spiegazione non mi convinceva, perch non chiariva
lanalogia tra lo speciale carattere della mia noia, e linsistente picchiettio del
telegrafo Morse... Finalmente capii: capii che la specialissima noia che io sentivo
nella sala della Casa Madre dei Mutilati durante il concerto di Musica Viva non
era ispirata dallambiente, s dalla musica stessa che io ascoltavo. Perch?
La musica , al pari dellelettricit, qualcosa dineffabile che circola
nellatmosfera del nostro universo, ma la cui natura nessuno, e non lo stesso
Schopenhauer, riuscito finora a determinare con esattezza, e probabilmente
nessuno ci riuscir mai nemmeno in avvenire. Il musico quanto a s un uomo
fornito del singolare potere di captare nellaria questa misteriosa cosa che noi
chiamiamo Musica, che poi in un secondo tempo egli associa al nostro destino
temporale chiudendola dentro la rete del ritmo, e di cui fissa il valore fonico e il
movimento per mezzo delle note variamente disposte nel pentagramma, ossia
della scrittura musicale. Risulta da quanto abbiamo detto che una composizione
musicale una specie di miracolo, e che laudizione di una musica sgorgata
direttamente dalle sorgenti genuine della musica, d la sorpresa dellinaspettato e
limpressione che dimprovviso noi siamo trasportati in un mondo diverso. Cosi si
spiega quella luminosa sorpresa che si accende allattacco di certe musiche
direttamente e fortemente ispirate, come laccordo di quinta minore (enigma del
destino) allinizio del Crepuscolo degli di, o laccordo di do minore allinizio
della Patetica, oppure il disegno mi sol, do si che apre lApollo musagete come
limprovvisa apparizione di un raggio di luce. (Del resto elemento fondamentale
dellApollo musagete il raggio di luce (aktin) n io conosco musica pi
raggiante di questa, quasi Strawinsky in questa che la sua opera pi altamente
ispirata, abbia inteso fare un omaggio di luce al dio stesso della luce).
Ma nel periodo di scolasticismo musicale che stiamo traversando, e che del
resto pieno di un suo speciale interesse, il miracolo non avviene; manca
linaspettata esplosione musicale, manca quella espressione di repentina
nascita della musica che tanto somiglia allimprovvisa apparizione del mare, o di
un lago, o di un fiume, e comunque di un brillare e di un fremere dacque. Il che
vuol dire che il musico oggi non colui che secondato da un singolare potere capta
nellaria la misteriosa cosa, ma scrive: scrive semplicemente: scrive
orizzontalmente. E la musica diventa grafia. (Anche a me, quasi quarantanni
sono, il mio professore Max Reger insegnava a scrivere musica, e a disprezzare
chi inventa musica).
E cosi, sottomessa allumana volont, e schiava delluomo, da padrona e dea
delluomo qual essa era, la musica non nasce tra le mani del musico, ma
comincia come se continuasse, nastro lungo e ininterrotto; e termina perch
luomo a un certo punto taglia il nastro sonoro, ma potrebbe anche continuare; e
se ha da metter in suoni le parole di una poesia, segue fedelmente le parole come la
traduzione interlineare segue le parole del testo originale; e a udirla d meno la
sorpresa e il rapimento della musica inventata, che il senso di monotono infinito
che d linsistente picchiettio del telegrafo Morse, in un afoso pomeriggio destate,
nella lunga fermata di un accelerato in una stazioncella di campagna...
3. [da] Condizione della musica
(nota sul contrappunto)

Il contrappunto nella musica ci che la dialettica in filosofia. la


dimostrazione del principio che da cosa nasce cosa. E lanalogia in musica dello
sviluppo cellulare nella vita organica. Prima della scoperta del contrappunto, la
musica, al pari della filosofia presocratica, era ristretta ad alcune idee isolate, che
brillavano a grande distanza una dallaltra, come stelle solitarie in un cielo nero.
Nella musica drammatica, si perpetua leroica solitudine del pensiero di Eraclito.
strano a dire, ma alcuni melodrammi di Verdi, i pi frusti, i meno fatti, come II
Trovatore, e la stessa Cavalleria rusticana sono pi vicini al pensiero oscuro ed
elementare del filosofo di Efeso, che le composizioni a doppio coro di quel
Giovanni Gabrieli, veneziano, che attraverso linsegnamento da lui impartito a
Heinrich Schtz, prepar lavvento delle cattedrali sonore di Johann Sebastian
Bach.
Il contrappunto il moto interno della musica. Prima del grande
contrappuntismo la musica sembra mancare di corpo e di vita, pi esattamente
sembra mancare di organi interni. Allapparire del contrappunto, comincia la
moltiplicazione cellulare della musica, e la musica, si badi bene, diventa una cosa
facile.
Il contrappunto questo intenso movimento cellulare della musica, questo
continuo rinnovamento cellulare della musica non solo d vita alla musica
una vita astratta, artefatta (intendi: fatta con arte), aerea ma le d anche salute,
perpetua freschezza. La scoperta del contrappunto, questo elemento della musica
pi seria, pi dotta, pi alta, in verit la scoperta del sistema di conservare la
musica in condizioni di perfetta freschezza.
per questo che Bach sempre giovane. per questo che oggi si va
scoprendo con borghese maraviglia, come se si scoprissero balene del Pliocene
sotto i ghiacci della Siberia, la giovinezza dei precursori di Bach, di Frescobaldi, dei
due Gabrieli, ecc. per questo che quando un musicista (Strawinsky) comincia ad
avvertire i pericoli della marcescenza e della cancrena, chiede consiglio ai
contrappuntisti ed entra egli pure nella grande disinfezione, nella grande cura
preserva trice del contrappunto. per questo che Bach, e prima di lui il nostro
grande Vivaldi, questo pi camminante dei musici, e poi gli Scarlatti, possono
scrivere composizioni-monumentali, composizioni-piramidi, composizioni-
cattedrali, composizioni torri di Babele (la celebrazione scarlattiana avvenuta
lanno passato a Siena per opera dellAccademia Chigiana, ci ha rivelato nello
Stabat Mater di Domenico Scarlatti unopera nella quale come mai prima, e
diversamente da come fanno credere le altre opere di Domenico Scarlatti, la Madre
di Dio stata esaltata con tanto eroico polifonismo, con tanta berniniana
maest) e farle vive in tutte le loro parti.
Ma per questo pure che la musica drammatica italiana, preclusa per sua
natura, per suo carattere, per sue esigenze compositive alla grande salute, alla
grande disinfezione, alla grande sicurezza del contrappunto, cosi soggetta al
tempo e alla corruzione che ne deriva, ha tante parti inerti in s, che ogni poco
bisogna tagliare e buttar via. Ma forse meno eroica per questo, meno alta, meno
profonda? Guardiamola con attenzione e di l dallabitudine: malgrado gli
entusiasmi delle platee, malgrado le richieste di bis, malgrado i fiori alla
primadonna, la musica drammatica italiana meno atta a recare quel piacere
tranquillo, quell astratto piacere, quell anaestetico piacere che d la musica
dei grandi contrappuntisti, perch essa richiama con ogni sua nota il dramma della
vita, la caducit delluomo, e lidea della morte.
La musica del melodramma italiano amara e spoglia dillusioni. Questa la
ragione perch essa affascina il popolo e luomo di mente alta, ma respinge daltra
parte il borghese il quale, ora che del melodramma stata scoperta la verit,
preferisce immergersi nella illusione di una cantata di Alessandro Scarlatti, di una
toccata di Frescobaldi, di una fuga di Bach.
per questo che Verdi, sentendo la necrosi che minaccia la musica
drammatica e a una sola voce, fa egli pure la sua brava cura di contrappunto e
scrive il Falstaff.
4. Bach e il contrappunto.

Lestate, che libera la natura e scatena luomo alla lotta e allamore, tarpa
per converso le ali alla musica, e la costringe nelle lucide scatolette della radio.
La musica per sua natura squisitamente invernale. Vogliamo dire la
musica grave e con nobili materiali costruita: la musica che piace a noi: la musica
come organizzazione e gioco mentale: la musica strumentale e polifonica. Lestate
per parte sua favorevole alle cicale e alla melodia: alla stupida e svariona
melodia. E se il tetto a terrazza invita il tenore a cantare E lucean le stelle, si
capisce daltra parte che un uomo come Johann Sebastian Bach, questo Patriarca
dellArmonia, questo architetto della polifonia e del contrappunto, sia nato sotto
un alto tetto a punta, atto a sopportare un grave peso di neve.
Due violinisti e lorchestra attaccarono il Concerto in re minore di Bach con
passo gagliardo e spedito, come se volessero sbrigare alla svelta quella faccenda, e
arrivare alla stretta finale prima della cessazione dorario dei tassi. Ma avevano
fatto i conti senza il contrappunto, i disgraziati.
Il contrappunto nella musica ci che la dialettica in filosofia. la
dimostrazione del principio che da cosa nasce cosa. lanalogia in musica dello
sviluppo cellulare nella vita organica.
Bench vita stessa della musica, il contrappunto rimase ignorato per molto
tempo ai musicisti stessi, come appunto la vita cellulare ai fisiologi, e malgrado
alcuni accenni di contrappunto presso gli antichi, solo alla fine del medioevo che
il contrappunto comincia a rivelare la sua organizzazione radicale e ramosa, trova
la propria enunciazione in Scoto Eriugena, poi la sua dottrina nell'Ars
contrapuncti di Philippe de Vitry, infine diventa quella complicata architettura di
suoni, che porta cosi in alto le composizioni di Bach.
Prima della scoperta del contrappunto la musica, al pari della filosofia
presocratica, era ristretta ad alcune idee isolate che brillavano a grande distanza
una dallaltra, come stelle solitarie in un cielo nero.
Per chiudere lanalogia tra musica e filosofia diremo che anche la musica fisica
prima del contrappunto, e metafisica dopo.
Il contrappunto ha qualcosa di miracoloso, di meccanicamente
miracoloso. Cade il tema della fuga, ed come se un magico seme cadesse su una
testa pelata, e la trasformasse di colpo in una foresta di capelli.
Il contrappunto il moto interno della musica, siccome il ritmo il moto
che muove la musica nel tempo. Prima di Bach e diciamo prima di Bach per
comodo e convenzione, e per non rifare qui la storia della nascita del
contrappunto, per merito di Schtz prima che per merito di Bach, e per merito di
Frescobaldi e dei grandi polifonisti italiani prima che per merito di Schtz la
musica sembra non aver corpo e non avere vita: pi esattamente, sembra mancare
di organi interni.
Allapparire del contrappunto, sinizia il fenomeno della moltiplicazione
cellulare della musica. Anche la musica si fa allimmagine della vita, e d ragione a
Eraclito che panta rei. Annunciato il tema, la composizione tra contrappunto
doppio, triplo e quadruplo, tra contrappunto legato, contrappunto ostinato e
contrappunto saltato, tra imitazioni, canoni e fughe, tra temi e controtemi, risposte
ed esposizioni, episodi e divertimenti, riprese modulate e strette la composizione
pu crescere, gonfiarsi ed elevarsi allinfinito, e solo i limiti dellumana fatica e il
senso della misura, consigliano di arrivare alla stretta finale e al pedale.
Il contrappunto questo intenso movimento cellulare della musica, questo
continuo rinnovamento cellulare della musica non solo d vita alla musica, ma le
d anche salute e perpetua freschezza.
per questo che Bach sempre giovane. per questo che Bach la
ginnastica svedese dei musicisti. per questo che quando un musicista
(Strawinsky) comincia ad avvertire i pericoli della marcescenza e della cancrena,
chiede consiglio a Bach e torna al contrappunto.
per questo che Bach pu scrivere delle composizioni monumentali,
composizioni-piramidi, composizioni-cattedrali, composizioni-torri di Babele e
farle vive in tutte le loro parti.
per questo che la musica italiana, incline purtroppo al drammatico e
preclusa pertanto alla grande salute, alla grande disinfezione del contrappunto,
ha tante parti inerti in s, che di tanto in tanto bisogna tagliare e buttar via.
per questo che Verdi, sentendo la necrosi che minaccia la musica
drammatica e a una sola voce, scrive alla fine il Falstaff e fa egli pure la sua brava
cura di contrappunto.
per questo...
Non bisogna illudersi per. Il contrappunto, e cosi la dialettica, vanno a
scapito della profondit. C pi profondit, nel senso preciso della parola, in un
pensiero di Eraclito, che in tutta Levoluzione creatrice di Bergson. C pi
profondit, nel senso preciso della parola, nel canto solitario dello scolio di Sicilo,
che per tutta la colossale opera di Bach. Ed appunto questa mancanza di
profondit di Bach, questa sua ingenua seriet, questo suo non costituire
pericolo, che fanno il suo fascino e giustificano lattrazione chegli esercita ormai
sulla borghesia.
E soprattutto la sua organizzazione da uomo metodico, tranquillo e fedele
alla moglie.
Perch quanto a organizzazione, nelle grandi composizioni di Bach c gi il
carro armato e la Panzerdivisin.
5. Musica e ritmo

La primavera ha spalancato le finestre delle case. I suoni che altre volte


accompagnavano la gentil stagione in cui natura si rinnova, erano gli stornelli delle
fanciulle innamorate e il gorgheggiare delle gabbie fiorite di lattuga. Ma il regno si
impiantato della civilt meccanica e ben altra voce erompe oggi dalle finestre
spalancate: quella imperiosa di mille e mille radio.
Sugli effetti che la musica meccanizzata esercita su quei pochissimi uomini
che vivono pi col cervello che con le altre parti del corpo, qui non far parola. Le
mie recriminazioni in proposito, io le feci altre volte, ma con risultati tali da non
incoraggiarmi a continuare.
Il rumore elemento necessario alla vita delluomo. Parlare a getto continuo
come capita a certe donne che io conosco e anche a molti uomini, e soprattutto
parlare per non dir niente meno inutile di quanto si crede: unattivit
fisiologica, unattivit di vita e per gli animi gentili un adornarsi di suono; ed
forse anche un modo di convincersi che si vive, che non si morti, perch
inconsapevolmente luomo frivolo, luomo vano, luomo stupido tormentato dal
dubbio di non essere vivo, di essere morto.
Solo una intensa vita interiore consente di sopportare il silenzio, il quale
altrimenti riesce insopportabile e spaventoso. Ma la vita interiore di una parte
infima dellumanit. In tutti gli altri casi suoni e rumori intervengono molto
opportunamente a colmare questa lacuna. Che tale sia la ragione metafisica del
gran favore incontrato dalla musica trasmessa, nessuno me lo pu negare.
Ben venga dunque il regno della musica trasmessa. Che le nostre gioie e i
nostri dolori, che i nostri amori e i nostri odi, che la nostra vita insomma si debba
svolgere ormai sopra uno sfondo musicale, una di quelle condizioni fatali sulle
quali nulla pu la nostra volont. Anche lazione dei film e il loro stesso dialogo si
svolgono su uno sfondo musicale: per la stessa ragione, e allinsaputa dello stesso
regista: per colmare il vuoto del film e soprattutto il vuoto del dialogo.
Ma noi siamo un popolo di propria e alta civilt. La civilt italiana ha
caratteri precisi: la linea e il ritmo. Se la vita dunque noi la dobbiamo consumare
dora in avanti a suon di musica, sia almeno musica che non contrasta e non
offende, ma sposa lo stile della nostra civilt: la linea e il ritmo.
Il ritmo il galateo della musica. Musica senza ritmo e musica
screanzata. Il ritmo la base della musica italiana. Il suo lirismo un lirismo
ritmico: un lirismo che cammina. Questa la ragione perch la musica italiana
di tutte la pi viva, la pi umana, la pi civile.
Queste considerazioni si formano a dir vero alla morte di, Giuseppe Verdi.
Cominci di poi linfelice avventura del melodramma verista e linea, ritmo, stile
furono distrutti in nome della verit.
Anche la musica, come le altre attivit dello spirito umano, non la si pu
considerare unicamente in s e astraendola dalle necessit fisiologiche della vita.
Bisogna individuare nella musica lelemento che pi di tutti la mette in relazione
diretta con la vita, e dare a questo elemento il posto donore.
Questo elemento il ritmo. Il ritmo della musica il riflesso sonoro del
ritmo stesso della vita: del palpito del nostro cuore del palpito del nostro cervello
(chi abituato a pensare sa che anche il pensiero ha un suo ritmo). Una musica
ritmata una musica vivificante e umana. Una musica senza ritmo una musica
catalettica e inumana. Non per nulla la sinfonia della Gazza ladra o le Stagioni di
Vivaldi sono musiche ben pi vive e attuali che le aritmiche divagazioni sonore di
Claude Debussy.
Se le innumerevoli radio che mi circondano ripetessero allinfinito le
sinfonie della Gazza ladra o altre musiche ugualmente ritmate, la mia vita e il mio
lavoro, e cosi la vita e il lavoro di tutti non ne sarebbero turbati e ostacolati, ma
allietati al contrario e vivificati. In queste musiche cosi fortemente ritmate e
logiche e umane, noi troveremmo un incitamento e una giustificazione. E mentre
ci affatichiamo nella ricerca della ragione e del ritmo ideale della nostra vita, ci
sembrerebbe che questa stessa ragione e questo ritmo si continuano fuori di noi e
si espandono sonoramente per gli spazi infiniti.
Ma ben altre musiche ci sono propinate di solito. E quando non lansimare
delle musiche sincopate, sono i belati caprini, i sentimentalismi bolsi, le
passionalit bestiali, i rubati, gli affrettando, i rallentando, le corone, gli
ad libitum, i do di petto, gli urli, i singulti, le sghignazzate, tutto lo smanceroso e
idiota condimento di quel melodramma verista che da cinquantanni a questa parte
spande unombra sul fulgore della musica italiana.
Pare incredibile, ma Verdi ancora considerato, e proprio qui, da noi, come
un operista grandissimo, ma un musico da non si dover prendere molto sul serio.
Per capire il profondo valore della musica di Verdi, bisogna considerarla
anzitutto come una musica eccellentemente ritmica. Le sue stesse qualit
sentimentali, drammatiche, poetiche sono costrette e disciplinate dal ritmo. Che
lideale supremo di Verdi fosse il ritmo, lo testimonia non il solo Falstaff (che per
certi riguardi costituisce una diminuzione di fronte ad altri suoi melodrammi
pi corposi e ispirati, ma tuttavia risolve la massima aspirazione del suo autore: il
moto perpetuo), ma lo testimoniano pure i suoi melodrammi pi fantasiosi, pi
estrosi, pi sconvolti dalla melodrammatica foga, come il Rigoletto o Un ballo in
maschera.
Non ho mai trovato ancora una interpretazione delle opere di Verdi che
rispettasse la rigorosa armatura ritmica che le informa. Triste a dire, le pere di
Verdi servono oggi ancora di sfogo allarbitrio dei cantanti, alle licenze dei
direttori. La musica di Verdi va eseguita presto e sopprimendo tutte quelle fratture
del ritmo che sono determinate da stupide ragioni di patos. (Taluni continuano
a scrivere pathos, Pantheon, Lydia: esempi di estetismo arcaicizzante).
Che il ritmo sia la base della musica italiana, lo dimostra anche il metodo
dei nostri direttori dorchestra. Il direttore italiano batte il tempo con la
bacchetta: il direttore tedesco accompagna con la bacchetta i vari movimenti
della musica. Il metodo italiano (per meglio dire quello che era il metodo
italiano) sottintende una ossatura ferma e immutabile, un granito sul quale poggia
la struttura musicale: il metodo tedesco sottintende unossatura ritmica che si
adatta allo svolgersi e al mutare dei sentimenti e dunque unossatura morbida e
mutabile: un avviamento al dislogamento dellanatomia musicale e
allimpressionismo.
La musica italiana ritmica, la musica settentrionale aritmica. Lideale della
musica settentrionale la Sonata quasi una Fantasia. Sia inteso per che
laritmicit della musica settentrionale (riflesso sonoro dellaritmicit della stessa
mente settentrionale, del suo divagare per i campi della metafisica, dello speciale
carattere della sua poesia) non ha nulla che vedere con laritmicit del non mai
troppo deplorato melodramma verista. Qui non neppur quistione di aritmicit,
ma di suoni claudicanti, di ruote quadre, di corse sui trampoli.
Una rinascita della musica italiana non pu avvenire se non sotto il segno
del ritmo.
In ogni citt, dalla torre della casa del Comune, un enorme metronomo,
attivo giorno e notte, dovrebbe regolare il ritmo della nuova musica italiana.
6. Bach e lestetismo.
Il mio professore di composizione mi faceva analizzare per studio le
musiche di Johann Sebastian Bach. Dovevo indicare nelle fughe lingresso delle
varie voci che propongono il tema ora a diritto e ora a rovescio, seguire il tema
attraverso il labirinto del contrappunto, indicare il secondo tema se cera,
analizzare le modulazioni e arrivare cosi notomizzando alla stretta finale ove le
voci si stringono in un aggruppamento supremo come i superstiti di un naufragio
su uno scoglio, e alla cadenza che chiude la porta sul compiuto edificio sonoro. Ma
il mio professore di composizione, che a sua volta era stato allievo del grande
Reisenauer per il pianoforte e per la composizione del non meno grande Max
Reger soprannominato il secondo Bach, non si contentava dellanalisi tecnica
delle fughe, voleva soprattutto che mi avventurassi nella loro analisi estetica, e
poich le mie risposte in questo campo lo lasciavano insoddisfatto, egli finiva per
fare lanalisi da s, con un entusiasmo e una cosi completa assenza di dubbi che mi
lasciavano perplesso. Il mio professore di composizione era un esteta, perch il
tempo dei miei studi musicali, avvenuti nella prima decade del secolo, coincideva
con lepoca doro dellestetismo, e dellesteta egli si era fatto lacconciatura della
testa, portando barba e chioma alla nazarena, atteggiando locchio a un languore di
sogno e il labbro al gusto di sapori squisiti, e vestiva dellesteta anche luniforme,
consistente in ampie giacche di velluto, cravatte svolazzanti punteggiate di
pasticche rosse o verdi, e panciotti fantasia sui quali brillavano due file di bottoni
lucidi come occhi di gatto e altrettanto fascinatori. Ho indicato i primi anni del
secolo come lepoca doro dellestetismo, ma non bisognerebbe inferire da questo
che oggi lestetismo non alligni pi. Lestetismo purtroppo un male cronico e che
non d speranza di guarigione, solo che allora lestetismo era manifesto e
orgoglioso di s, oggi pi cauto e silenzioso, ma non meno dannoso per questo n
meno tenace. Tra le varie forme di diabete c il diabete cosiddetto insipido che,
se non vado errato, anche il pi grave.
Mi domandava il mio professore di composizione quali immagini
mispirasse la Fuga n. 1 a quattro voci del primo volume del Clavicembalo ben
temperato, e poich io rimanevo muto malgrado gli sforzi di volont che mi
gonfiavano le mascelle e mincantavano la pupilla destra in un temporaneo
strabismo, egli mi spiegava che la Fuga n. 1 evoca un ameno paesaggio della
Turingia allietato dal gaio scampanio di un armento al pascolo e dal fruscio di un
ruscelletto tra lerba, e come a documentare il carattere bucolico di questa fuga
aggiungeva che lo stesso nome Bach significa ruscello. Poi mi descriveva il
Preludio e fuga n. 8 dello stesso volume come delle immagini dipinte sulle vetrate
di una cattedrale gotica, e nel Preludio n. 7 mi mostrava un gruppo di vecchierelle
raccolte a chiacchierare davanti al portale di una chiesa, le quali allandante della
battuta 10 tacciono di colpo perch il portale si aperto e lascia espandersi gli
accordi dellorgano, poi al primo tempo della battuta 26 riprendono a poco a poco
a chiacchierare sulle note gravi della liturgia.
Chi di noi sfugge allestetismo? Io stesso, nel dare pi sopra una descrizione
sommaria della fuga, mi sono abbandonato a paragonare le voci della fuga raccolte
nella stretta a un gruppo di naufraghi su uno scoglio e la cadenza alla porta di un
edificio, cio a dire sono incorso in peccato di estetismo. Perch lestetismo, che
pi o meno acuto e di migliore o peggiore qualit, si esprime attraverso limmagine
ossia scambia una cosa per unaltra cosa. Nel caso estremo di estetismo lesteta
arriva alla vergogna della realt, che quanto dire la vergogna di se stesso, e si crea
un repertorio di belle immagini dietro le quali si nasconde, e lamore a modo di
esempio diventa una fiamma purissima, le operazioni pi semplici e naturali
diventano dei riti, la vita intera si ricopre di una pelle scintillante ma falsa.
Chi meno di tutti si presta a questa traduzione per immagini, Johann
Sebastian Bach. La musica di Bach perfettamente astratta, negata a qualunque
comparazione, e tanto meno a qualunque approssimazione, del tutto indifferente
alle voci umane o terrestri. Beethoven ricanta il canto cupo dei giganti, ascolta i
sospiri profondi delle montagne, si spinge ai confini estremi della vita, ma della
vita rimane pur sempre implicato dentro il fangoso plasma; mentre Bach non ha
occhi per guardare la vita, non orecchi per ascoltarla. Gli stessi ritratti di Johann
Sebastian confermano questa sua perfetta cecit, questa sua sordit totale. Sordo
dicevano Beethoven, il quale internamente era sconvolto dalle voci di una
audizione straordinaria. Bach invece era sordo e dentro e fuori. Come a meglio
proteggere questa sua immobilit di sentimenti, a meglio custodire questa sua
atarassia di passioni, Bach si nascondeva dietro la sua propria musica come dietro
un riparo sicuro; perch non un desiderio, non una speranza, non lidea pi magra
riesce a traversare la musica di Bach, che il suo tessuto rende altrettanto
impermeabile quanto il fondo oro che circonda le Madonne di Cimabue, quanto il
cielo di Tolomeo.
Al tempo in cui il mio professore di composizione minsegnava nei preludi
di Bach i ruscelletti che corrono, le vecchierelle che chiacchierano e le immagini
che brillano nelle vetrate delle cattedrali, la borghesia musicale considerava la
musica di Bach una pura esercitazione scolastica e non pensava affatto a farsene
uno strumento di gaudio.
Oggi invece la borghesia musicale ascolta Larte della fuga come allora
ascoltava La Traviata. Che segno questo? segno che gli amici della musica
hanno preso una indigestione di umana passionalit, e oggi hanno bisogno di
questo riposo del cuore, di questo gioco di l dai sentimenti, di questo austero
intorbidimento del cervello che d la musica di Johann Sebastian Bach.
Del resto tutta la musica naviga verso i mari tranquilli dellastrazione, ove i
nervi degli ineroici musici doggi possono trovare riposo.
7. La Pastorale *

La Sesta Sinfonia di Beethoven, detta Pastorale, un sistema a giostra e a


uso degli amatori di bei paesaggi; unanticipazione dellotto volante.
I viaggiatori stanno seduti per benino a coppie nelle vetturette a barca: gli
uomini in gibus peloso, scopettoni a zampa di lepre, cravatta girata pi volte
intorno al collo; le signore vestite da copriteiera.
Sotto labito a copriteiera, le parti vive della donna risultano infinitamente
pi preziose, e quale rischiosa, quale eccitante avventura a ogni uomo sentirsi
Colombo, scoprire unAmerica di dolcezze!
Le vetturette sono decorate esternamente di angiolini che reggono
ghirlande di fiori, di sirene che vanno in velocipede sulla propria coda, di maialotti
vestiti da onesti cittadini, alcuni che ballano con le loro maialotte, altri che
suonano violini e trombette.
Le signore reggono lombrellino a riparo del sole, le frange piangono a salice
sui loro capelli da falconiere.

* S'intende che queste righe, preludio a una considerazione della sesta sinfonia di Beethoven, sono
da leggere alla luce della pagina sull'estetismo (qui da noi anteposta), di cui paiono costituire una
illustrazione nel segno patente del paradosso e dell'eccesso, metafisico-umoristico (e
probabilmente, surreale).
8. Tre note intorno a Strawinsky

Apollo musagete.

Strawinsky non creatore. Le corde del suo arco sono la parafrasi,


linterpretazione, limitazione. Ogni sua musica un visto da.
Il creatore vive solitario. Non ha relazioni col mondo. nemico del
prossimo. Se appena una anche minima voce del mondo cade nellopera del
creatore, nasce uno scandalo. Scandalo il richiamo del cuculo nella Pastorale,
scandalo il tema russo nel finale della Settima.
Per meglio capire questi esempi, il lettore deve uscire dallabitudine:
dimenticare. Soltanto allora i citati passi della Pastorale e della Settima gli
appariranno nella loro luce vera e oscena. Lo stesso Beethoven, il grave
Beethoven, gli apparir in ispecie di vecchio lascivo, che dun tratto butta via i
panni, si cinge i reni con un tut, si mette a saltabeccare.
In Strawinsky invece tutto preesiste, tutto noto, tutto previsto. Diciamo
meglio: previsto ma capovolto. Tutto rovescio della medaglia.
Intendiamoci, per: questa imitazione riplasmata non una forma
minore, a petto alla originalit, alla primordialit del creatore, di certi
creatori.
Il parafrasismo di Strawinsky meno un male del nostro tempo, che una
necessit del nostro tempo. Lo si ritrova eguale in Picasso, il quale parafrasa ora
i disegni di Ingres, ora le pitture pompeiane, ora la statuaria negra.
Spieghiamo questa necessit del nostro tempo. Creatori del tempo
immediatamente anteriore a questo di Picasso e di Strawinsky, per meglio dire
artisti atteggiati a creatori, erano Franz von Stuck, Gabriele DAnnunzio,
Richard Strauss, lo stesso Bistolfi...
lostilit al tipo creatore, che determina lantiwagnerismo di
Strawinsky: lostilit al demiurgo biblico.
Era necessario reagire allatteggiamento del creatore. Era necessario
buttarsi alla parafrasi. Parafrasare o morire. Per riallacciare il filo della cultura,
rotto dai sedicenti creatori.
Picasso, Strawinsky, sono due esempi di dichiarata rinascita della cultura.
Nel contorno di Bistolfi, di Strauss, di DAnnunzio, si respira aria dincoltura,
malgrado i persistenti richiami ai modelli classici; e forse a cagione di questi. un
buio pi che di barbarie: un buio di morte. Peggio: un buio di stupidit. Con
Strawinsky, con Picasso, riappare la luce dorata della rinascita. Che di pi
petrarchesco di questo Apollo musagete?
Di l da unepoca di tenebre, Igor Strawinsky, come a suo tempo Petrarca,
scopre le chiavi della luce; apre le luminose sorgenti e se ne illumina tutto, come ci
si abbevera a una fonte. Nella Rinascita c la scoperta della piet filiale, lamore a
un padre ritrovato. il dolce sentimento della Rinascita, dopo il lungo tempo
dellamore nascosto.
La Rinascita si pu anche chiamare Risveglio dellIntelligenza. Al tempo
buio e roccioso dei Creatori, dei demiurghi ottusi, subentra unepoca rischiarata da
un lungo, un obliquo sguardo divino.
Non fossero state le condizioni storiche qui sopra ricordate, Strawinsky,
Picasso, sarebbero forse stati a loro volta dei creatori, anzich quei parafrasatori,
quei manieristi che sono stati costretti a diventare. Di l da certi limiti, non c pi
obbligo di obbedire al temperamento: non c pi temperamento, ma piena libert
di scelta.
Nell'Apollo musagete, il manierismo di Strawinsky anche pi manifesto
che nelle altre opere, il parafrasismo anche pi scoperto. un risveglio di dolci
ricordi, un ridestarsi di memorie bellissime e fino allora sopite. Ritrovandole, ci si
domanda come, nella lor dimenticanza, vivere fosse possibile.
Nell'Apollo musagete, il rinascimento pi accentuato che nelle altre
opere di Strawinsky, pi chiaramente determinata la ricostruzione del filo
culturale. E se in questa sua operetta Strawinsky ha ristretto lorchestra ai soli
archi, perch, attraverso le lenti da miope, le nere ed enormi pupille del musico
hanno guardato lApollo di Raffaello, seduto sulla vetta del Parnaso, la destra
sullarchetto, la ganascia sul violino.
NellApollo musagete, la musica tocca limo della dolcezza.
Come illustrare la pi alta qualit di questa musica?
una musica silenziosa.
Quello che soprattutto si paga negli alberghi di lusso, il silenzio.
Quello che soprattutto allieta gli di, laltissimo silenzio dellOlimpo,
questo palace des palaces.
Nell'Apollo musagete, Strawinsky ha messo in musica il silenzio
dellOlimpo.
Grande nel paradiso cattolico, il rumore. Salteri, organi idraulici, tiorbe,
angeli che impallonano le gote sul becco delle trombe, e osanna osanna osanna
senza fine.
Nella sede degli di pagani, tutto silenzio, tatto, decoro.
E malinconia.
Perch consolazione di morte sullOlimpo non c, ma linfinita tristezza,
invece, di non poter morire. E come sopportare limmortalit, se non nel chiuso del
silenzio?
Limmensa malinconia dellOlimpo, Strawinsky la esprime soprattutto alla
fine della partitura, quando Apollo risale verso la sua eccelsa sede, e di lui non
rimane se non il lamento insistente e appena stridulo del violino.
Il punto pi sorprendente dell'Apollo musagete, il tema di Apollo, per
meglio dire il tema che rappresenta Apollo.
Non conosco esempio, che esprima con altrettanta chiarezza, con altrettanta
metafisica precisione, lapparizione della luce come apertura. I movimenti di
Apollo sono angolosi e meccanici, come si addice a un dio rappresentato. I raggi si
spiccano da lui, rapidi, diritti, scattanti.
Buttare luce, in Apollo un tic nervoso. Spade di luce partono dalla testa
metallica del dio, fulminee come la lingua del camaleonte. Non traversano
luniverso, ma trafiggono appena lambito del dio, perch la luce di Apollo, la luce
greca non , al pari dei raggi massicci, dei plumbei raggi di Geova, buona per tutti,
ma solo a una ristretta cerchia di gente, a un petit comit, perch lolimpicit di
questo Apollo musagete rigorosamente limitata, nettamente conchiusa, ha
lintimo di una musica di Chopin, e fa salotto. In ultimo, nellApoteosi (apoteosi in
famiglia) Apollo se ne va tirandosi dietro i suoi raggi, come un bimbo un balocco
per un cordino; e i raggi di Apollo, mentre Apollo si allontana, appaiono un po
zoppicanti, un po irranciditi, un po malridotti, un po stracci.
Confronta il finale dell'Apollo musagete, col finale dellOrfeo. Orfeo si
allontana a un segnale di tromba: un segnale da caserma. La qualit che cosi
nettamente distingue Strawinsky dagli altri musici, lo spirito.
Musica dell'Apollo musagete: la pi radiante che io conosca. Raggi lancia
questa musica. Ma la parola raggi non basta. Bisogna prendere la parola greca:
aktin.

Oedipus rex.

Questa qualit Strawinsky ha in comune con Jules Verne, di un profondo


fiuto geografico, di conoscere anche i paesi che non ha mai veduto. La Grecia,
Strawinsky forse lha visitata da turista. Non so. Ma visitare da turista che
importa? La Grecia Jules Verne non laveva visitata mai, e, nellArcipelago in
fuoco, egli ha fatto vivere nella maniera pi vera, pi naturale, la Grecia
palicaresca del primo Ottocento.
Strawinsky, nellOedipus rex, fa rivivere in maniera altrettanto vera,
altrettanto naturale, la Grecia; non la Grecia strettamente edipica, n tanto meno
ledipica Grecia parafrasata dai filologi, ma la Grecia di Edipo e di sempre; cosi
profonda identit tra la Grecia di Edipo, di Giocasta, di Creonte, e la Grecia del
generale Plastiras.
Solo chi, come me, ha avuto lonore di nascere in Grecia, pu sentire le
qualit razziali dellEdipo di Strawinsky.
Nei primi canti di Edipo (gorgheggi di uccello pi che canti duomo) c
l'insouciance, c la leventia degli di giovani: Mercurio, Apollo.
Nellaccorato canto di Giocasta, c il dolore grasso, contenuto e insieme
sbracato, della magna-, la donna greca tanto del tempo di Edipo, quanto del
tempo di oggi; la donna che ha figliato, che cammina pesante e come legata per
invisibili radici al suolo, che sente tutti gli uomini come suoi propri figli, e la quale
altro modo non ha di opporsi ai grandi dolori che il cielo manda, se non di
afferrarsi con ambo le mani la testa posta in obliquo.
Tra lispanismo di Debussy (Iberia), lellenismo di Strauss (Elettra) e il
grecismo cosi radicale di Strawinsky (Edipo), fate il raffronto.
Anche per ragioni geografiche, si pu essere musicisti migliori.

Quello che resta di Edipo.

Antonio Ghiringhelli, commissario della Scala, e Mario Labroca, direttore


artistico, mi commisero alcuni mesi sono lo scenario, i costumi e la regia
dellOedipus rex di Strawinsky; del che io li ringrazio. Lo spettacolo andato in
scena il 24 aprile scorso [1948].
Lasciate che vi faccia una confessione: io vivo in una perpetua condizione di
felicit. E vivo cosi perch non do presa alla noia. E non do presa alla noia, perch
passo di continuo da poesia a poesia, da arte ad arte, da tecnica a tecnica. E i giorni
mi si svolgono come in un perpetuo viaggio nel paese delle novit. Sono come colui
che non ha mai visto Venezia, e un giorno si affaccia allimprovviso su Piazza San
Marco. Sono come colui che non ha mai veduto il mare, e un giorno da una vetta
della Liguria scopre allimprovviso la distesa azzurra del Tirreno. Sono come colui
che non ha mai veduto laurora, e una mattina da una riva dAbruzzo vede
allimprovviso il sole sorgere dallorizzonte adriatico e scalare il cielo nella sua
ruota di raggi.
La noia la nostra peggiore nemica. Ausiliatrice della Morte. La Morte
commette alla Noia di prepararci a lei, facendoci morti in parte mentre siamo
ancora in vita. la maschera della Morte quella pelle muta e incolore che io vedo
sulla faccia dei passanti in istrada, dei viaggiatori sui treni e sui tramvai, degli
impiegati negli uffici, degli operai nelle fabbriche, dei pittori negli studi, dei
letterati allo scrittoio, dei dirigenti ai posti di comando. In quella riforma
scolastica cosi urgente e alla quale nessuno pensa, i piccoli uomini saranno
addestrati a non vivere la vita se non in istato di freschezza. Ve la immaginate una
alimentazione composta tutta quanta di cibi avanzati? Tale tuttavia questa vita
composta tutta quanta di vita avanzata... Noia. Fa gli uomini stupidi e malvagi.
Noia. Li porta alla brutalit. per noia che gli uomini fanno la guerra. per
timore di un nuovo insabbiamento nella noia, che gli uomini si preparano a nuove
guerre. Se tutti gli uomini fossero tutti distratti come me e divertiti (due participi
passati che hanno entrambi un comune significato di lontano dal presente), se
fossero contenti di s, se fossero pieni di s, puri dellorrenda e nefasta voglia di
essere diversi da come sono, di possedere cose diverse da quelle che posseggono,
sarebbe possibile la guerra?
Il mio ultimo divertimento stato questo allestimento scenico dell'Oedipus
rex. (Ma gi sono passato ad altri divertimenti). In istato di divertimento, non si
bada a spese. Solo una parte dunque dellallestimento scenico progettato da me
andato in attuazione. Lasciate prima che io dimentichi del tutto questo
divertimento, che vi parli delle sue parti inattuate.
La tragedia di Edipo la tragedia della trasformazione. Edipo, da come egli
sa, figlio di un pastore. Le cose invece gli vanno come a uomo che vuole e pu.
Incontra un tale che gli sbarra la strada: egli lo uccide e passa oltre. Simbatte nella
Sfinge che gli propone un indovinello mortale: egli scioglie lindovinello e rende
mortale lindovinello alla Sfinge stessa. Si presenta a Tebe e Tebe lo proclama re e
gli d in isposa la regina. Che pu desiderare di pi? Sono soluzioni da sogno. In
fondo i successi di Edipo sono le soluzioni sognate da tutti noi, e pi schiettamente
nel tempo dellinfanzia, a cominciare da quel modo sbrigativo di aprirsi la strada
e non mi si venga a parlare, qui, di ostacoli morali, queste scappatoie inventate
dalluomo per giustificare a se stesso i propri insuccessi.
I successi rendon Edipo vano. perci che nella prima parte della tragedia,
io lo rappresento in ispecie di uomo piumato, che ricopre di una superficie
iridescente la propria vacuit interiore. Poi, quando Edipo viene a sapere su quali
abissi di orrore i ponti dei suoi facili successi lo hanno fatto passare, il piumaggio
gli crolla di dosso e la sua grande miseria interiore viene allo scoperto.
Edipo non soltanto il simbolo di quei profondi e oscuri impulsi che Freud
ha raccolto nella denominazione di complesso di Edipo, anche il simbolo della
profonda e tragica trasformazione che nel tragico e profondo tempo presente va
compiendo luomo, il quale dalla condizione tutta comoda e sicura cui lo aveva
abituato il concetto di corpo e anima, e che la parte vulnerabile e mortale di s era
compensata da una parte invulnerabile e immortale, ora passa, corpo e psiche, a
una condizione tutta vulnerabile, tutta transito, tutta miseria. Si parla di
esistenzialismo oggi e il volgo ne ride, compresi nel volgo tutti coloro che hanno
occhi e non vedono, hanno cervello e non pensano; ed esistenzialismo non se non
la condizione delluomo che ha perduto il piumaggio di illusione che nulla
giustifica pi, e deve rispondere in tutto e per tutto di s.
Intorno alla trasformazione di Edipo, tutto dovrebbe trasformarsi. Avevo
progettato dunque che anche lo scenario si trasformasse; che i cittadini di Tebe
rappresentati dal Coro passassero dal bianco al nero e viceversa; che le colonne del
tempio e i capitelli girassero su se stessi e diventassero neri da bianchi, bianchi da
neri; ma lo spirito scolastico, che paralizza la vita in generale e in particolare quella
del teatro, non consenti allo scenario di moversi.
C anche una ragione pi profonda perch lo scenario rompa finalmente la
sua incolore immobilit. Lo scenario rappresenta la natura, e la natura, che per i
naturisti del tempo di Goethe era esemplare immobile, noi, educati da una fisica
molto diversa, abbiamo il dovere di vederla nel suo naturale e continuo
movimento.
Scenario in movimento. Segnalo la mia intenzione di portare, mediante la
personalizzazione e il movimento, anche le varie parti dello scenario alla vita e
dignit del personaggio. Oggi lattore opera in un ambiente morto: domani operer
in un ambiente vivo, e la vita dellambiente non sar espressa soltanto dalle luci,
queste troppo fedeli ancelle del pompierismo.
Mobile doveva essere anche lOcchio dentro il timpano del tempio.
(Parafrasi dellocchio di Dio nel triangolo). E doveva spiare le tragiche vicende
degli uomini, sotto, e frugarle, e ora tremolare di sorriso, ora spegnersi di noia, ora
fissarsi in una gelida e spietata indifferenza.
Il tempio la casa degli di. Il tempio dunque non vuoto come sembra, ma
abitato dei suoi inquilini. Nel mio progetto di sceneggiatura, gli uomini vivono
tragicamente, nella citt, gli di vivono intragicamente nel loro tempio. Il Quale la
precisa qualit degli di greci? Quella di uomini che hanno superato la tragedia;
che hanno raggiunto quella condizione di dilettantismo che la condizione pi
alta e felice della vita; quella condizione che, se la vita ha un fine, il fine della
vita; quella condizione cui io profondamente aspiro e cui qualunque uomo
credete a me pu aspirare e raggiungere, basta che lo voglia e sappia rendersene
degno.
E mentre Edipo, Giocasta, Creonte, il Coro vivono gi la loro tragedia, gli
di, in bassa tenuta, vivono lass la loro vita monda di tragedia; escono dal tempio
e vi rientrano; si appoggiano a riposo alle colonne e siedono sui gradini; guardano
le nuvole e gli uccelli che passano; seguono di tanto in tanto le vicende degli
uomini; si divertono ai guai che loro stessi hanno combinato... Finch la grande
piet degli uomini muove gli stessi di a piet. E allorch Tebe scaccia Edipo,
Giove, Mercurio e Venere scendono dal tempio scendono dal loro
dilettantismo; vogliono seguire Edipo e confortarlo; ma certe manifestazioni,
noblesse oblige, agli di non sono consentite; e i tre di, locchio per la prima volta
appannato dal dolore, guardano Edipo solo e cieco che se ne va.
Nel mio bozzetto di scenario, il blocco intero della citt, racchiusa tra il
tempio e la casa del re, posato su un dado. Questo particolare greco vuol
esprimere quel che di oggettivo, di maneggevole, di portatile i Greci davano sia alle
cose che costruivano con le mani, sia alle cose che costruivano col cervello, e che
era un effetto del loro profondo sentimento atomico. Atomisti, i Greci mettevano
ogni loro studio a non lasciarsi sommergere dallatomismo; da cui loggettiva
immortalit delle cose greche. Poi viene il cristianesimo che apre latomismo
come sentimento, e cinvita tutti a immergerci dentro.
9. Testi per proprie composizioni 1914*

I. Les Chants de la mi-mort, suite pour piano:


7. Abdication (Tempo di marcia Assai lento Lento)

Chant (femme) Il se rua sur la table d'acier,


revolver les flacons macis.
Ah!... Ah!... Ah!... Ah!...
Chant (homme) Je m'appele Julie,
je suis homme et fille.
Chant (femme) Il revint aprs sa morte, ah, ah, ah, ah,
on l'avait livrau sort! Ah, ah, ah, ah.
Oui!
Chant (homme) Pauvre roi! Pauvre roi!
Chant (femme) Ah... Ah!... Ah!... Ah!...
Chant (homme) Dammi questo fucile, per Dio !
Chant (femme) Dammi questo fucile, per Dio !
Ah, ah, ah, ah
Ah! Eteignez ce phare,
si vous ne voulez pas me voir mourir,
cet homme, non , qui passe...
Chant (femme) Ah, ah, ah, ah.
Chant (homme) Ah, ah, ah, ah.
Je lui donnai l'amour gisant, lu.
Chant (femme) Ah, ah, ah, ah.

II. Album 1914, pour voix et piano


avec une pice finale pour voix, basson et clesta

1. Il cuore di Giuseppe Verdi:

Uomo Preti! Preti!


Donna Un passo ancor e scopro il suo cuor!

* Guillaume Apollinaire scrive del Savinio musicista ed esecutore: egli non affatto come la
maggior parte dei musicisti che, al di l della loro musica, non posseggono pi alcun valore
[] Non possiamo passare sotto silenzio il modo in cui Savinio suona: esecutore di una abilit
e forza incomparabili, questo compositore sta davanti allo strumento in maniche di camicia,
ed uno spettacolo vederlo agitarsi all'estremo, urlare, fracassare i pedali, descrivere mulinelli
vertiginosi, picchiare pugni nel tumulto di passione, gioia, disperazione. E al termine di ogni
brano, si asciuga il sangue che ha macchiato i tasti". I testi si trascrivono qui dal booklet del cd
di Les chants de la mi-mort Album 1914, eseguito da B.Canino et al., Stradivarius 1992.
Ritagliato in carta rossa,
con le piume palpitanti
gonfio di voce, ah!...
Uomo Preti!...

2. Le gnral et la Sidonie:
Chant (femme) Ah, ah, ah, ah, ah.
Voici la Sidonie de fer
qui etrangla le gnral...
Ah, ah, ah, ah.

3. Je me sens mourir de nant:


Basse Je me sens mourir de nant
le blond est endormi.
Baryton Ah!...
Donna Ah! Ah!
Basse Je m'en vais mourir de nant.
Baryton Pourquoi ? Pourquoi?
Donna Ah!..

4. Belloves fatales n.12 (La passion des rotules):


Chant (femme) Ah! Il m'a touch de sa jambe
de caout-chou! Mama! Mama! Mama!
Chant (homme) Tutto sa di rosa, Maria, per te...
Chant (femme) Mama!

5. Matine alphabtique:
Chant (femme) Ah!
Voix A.. BI... CI... DI...
Chant (femme) A... BI... CI... DI...
Ah, tu me regardes, ple nombril...
Rendez moi mes viscres
que je viens de vomir dans l' aiol!
Ah, tu me regardes, ple nombril.

6. Le fanal d'piderme:
Chant (femme) Danse oiseau, danse oiseau.
Mes poumons argents.

7. La mort de M. Sacerdote:
Chant (femme) Voici la maison o est mort
mon professeur Monsieur Sacerdote.
Imbecilli! Imbecilli!

8. Le doux fantme:
Chant (baryton) Et si tu crois mourir dans la...
Chant (basse) Prends ton livre des chants
et la bague d'argent,
car la mort doit revenir...
Vise au front!
Chant (femme) Ah ! Ah! Ah! Ah!
Chant (basse) Il a mis la collerette de fer blanc, l'enfant...
Chant (baryton) Et si tu crois mourir...
Chant (femme) Ah! Ah! Ah! Ah!

9. Amiti - Tragdie:
Chant (femme) Mamma mia! Mamma mia!

10. Mes poumons argents:


Chant (femme) Mes poumons argents!
Mon coeur est captif dans
le filet de mes veines
rouges et bleues.
Mes poumons argents!

11. Les helmes dores - Offrande:


Chant (femme) Ha-h-hou-ha-hi-a!
Pour toi je meurs, mon roi!
Ha-h-hou-ha-hi-a!

12. Tirsias est mort


Chant (femme) Ah...Ah...Ah...Ah...
Chant (homme) Ah...Ah...Ah...Ah...
Chant (femme) Tirsias est mort!
Ah...Ah...Ah...Ah...

13. Chant sans paroles


Chant (femme) Ah...Ah...Ah...Ah...

14. La solitude (Couplet)


Chant (homme) Pauvre chvre, on t' atendue... Ah...
Mon navire est un poison d'argent.
Mre et toi mon frre et vous amis,
adieu! adieu!
Voix In fondo tu sei sempre stato solo...
e allora? che cambiamento c'?
Chant (homme) J' avais un petit jou-jou
mais hier je l' ai cass.
10. Savinio parla di sue opere

Parlo di Orfeo vedovo *

La parola del poeta propriamente la voce della sua anima. Poche volte
questa voce grezza, questa voce-madre, si presenta non accomodata al vivere
civile. Di rado la voce del poeta parla direttamente; quasi sempre attraverso il filtro
del giudizio, della logica, dei principi morali, del pudore. La mia voce, finora, quasi
sempre ha parlato attraverso il filtro del pudore. Esigentissimo filtro.
Esigentissimo in me. Strumento digiene, ma anche strumento deformante.
Attraverso il filtro del pudore la voce dellanima si vela dironia. Chi lascolta e vuol
capirla, deve guardare dietro il velo. Pochi sanno guardare dietro il velo. Pochi
sanno che, in certi casi, bisogna guardare dietro il velo. E stanno, davanti alle cose
mie, sordi, ciechi.
Mai la voce della mia anima aveva parlato cosi direttamente come in Orfeo
vedovo. Poche volte aveva parlato cosi fuori del filtro. Dico il filtro del pudore,
perch gli altri filtri, a cominciar da quello dei principi morali, io li ignoro. Nuda,
ingenua. Non dico coraggiosa, perch coraggio ignaro di s, non coraggio. Se mi
arrischio a questa confessione, perch voi mi ascoltate ma non mi vedete, io vi
parlo e non vi vedo. Basta a giustificare la radio, questo tranello teso al pudore.
Preciso: direttamente, la voce della mia anima parla nel solo monologo di Orfeo: e
soltanto li.
Perch?
Alle cose che io faccio, non premetto significati. Le faccio senza pensiero.
Finir per credere allassistenza di una musa di pi muse. Ma una grande
soddisfazione mi aspetta. Parlo per esperienza lunga. Nellopera compiuta, e fatta
cosi alla cieca, io scopro di poi un organismo rigorosamente logico, raccolto
intorno a un significato, a pi significati; chiarissimi, imponenti. Pensavo, dunque,
e non sapevo di pensare. Questa la cosiddetta ispirazione? Questo il cosiddetto
stato di grazia?
Cosi avvenuto anche in questo Orfeo vedovo, composto di getto, parole e
musica, in meno di due mesi, nellestate scorsa.
Orfeo luomo. Luomo superiore. Luomo completo: il poeta. Indovinate?
Orphe cest moi. E Orfeo non pu fingere, non pu velarsi.
La sua parola, formulata come parola, ampliata e prolungata nel canto,
direttamente collegata alla radice. Troppo pesante di profondit da tollerare
veli.
Ecco largomento. Orfeo, uomo completo, tutto poeta, viene a trovarsi
implicato suo malgrado nel vario sciocchismo degli uomini, della vita. Implicato
nello sciocchismo di un piazzista che crede di poter restituire a Orfeo, per virt
meccanica quello che a Orfeo venuto momentaneamente a mancare. Implicato
nello sciocchismo di Euridice, che sa di essere la moglie di Orfeo, ma di esser
anche la sua anima non sa.
Nello stesso aggettivo vedovo, collocato nel titolo accanto al nome di
Orfeo, ho scoperto, a posteriori, una intenzione precisa. Vedovo Orfeo non di

* Conversazione tenuta alla RAI, Roma, il 9 novembre 1950.


moglie: di quella Euridice che lo spettatore vede sulla scena; quella Euridice che si
rivolge e parla a un Orfeo che lei sola vede; quella Euridice che flirta col
dattilografo di Orfeo: vedovo Orfeo, vedovo momentaneo, della Poesia. Ed in
quanto momentaneo vedovo della Poesia, e dunque momentaneamente minorato,
che Orfeo cade momentaneamente nello sciocchismo degli uomini e della vita.
Quanto alle pallottole che la sua rivoltella spara, esse non lui, Orfeo, uccidono, ma,
intorno a lui, lo sciocchismo degli uomini e della vita. A lui anzi, Orfeo, consentono
di ritrovare laltra Euridice, la vera Euridice: la Poesia. Pi esattamente, il
complemento di se stesso. Stavo per dire il complimento.

Nota scenica a Vita delluomo (1951),


tragicommedia mimata e danzata

Sipario chiuso.
Un sol dei contrabbassi, annuncia che qualcosa ha inizio.
Breve introduzione del pianoforte (schumanniana). Lintroduzione rimane
sospesa sulla dominante.
Sipario.
Preludietto dellorchestra.
Meno il Protagonista (lUomo) che ancora non nato, i personaggi sono
tutti in scena. Immobili. Disposti a semicerchio in fondo alla scena. Divisi in tanti
gruppi quanti sono gli episodi della Vita delluomo: i Personaggi dellinfanzia, il
Pedagogo, i Personaggi della vita militare, la Donna coniugale, gli Uomini daffari,
ecc.
Sul fondale, a trofeo, gli oggetti implicati in qualche modo nella vita
dellUomo: un vecchio orologio di famiglia, fotografie, una nave che salpa, ecc.
In mezzo alla scena, le sgome del Padre e della Madre. Pi grandi del vero.
In bianco e nero.
I personaggi reali sono colorati: sono il presente. I Genitori sono il passato,
e il passato perde di colore. I genitori fanno corpo con la poltrona nella quale sono
seduti; sono quei personaggi che lAutore, dipingendoli tante volte o scrivendone,
chiama Poltromamma e Poltrobabbo. Portano in fronte un occhio solo: enorme,
centrato da una pupilla nera. Il basso della gonna della Madre (frangia della
poltrona) praticabile (termine teatrale).
Terminato il preludietto, ruota la pupilla nellocchio della Madre.
Accorre, dalla sezione A, la Levatrice-Nutrice. Sinchina alla Madre. Ne
prende gli ordini. Ritorna alla propria sezione. Munita degli strumenti del mestiere
(forbice, asciugamano, ecc.) L-N entra, attraverso la gonna-frangia, nel corpo della
Madre.
Travaglio del parto.
Quantunque immobili, i Personaggi volgono, ciascuno dalla propria sezione,
una commossa attenzione alla Madre.
Su una doppia scala del pianoforte e sullo squittire del tamburo basco, esce
lUomo da entro il corpo della madre. Saluto alla voce dei Personaggi immobili.
LUomo chiuso dentro il porte-enfant. Il porte-enfant ornato di nastri turchini:
colore dei maschietti.
Emergono dal porte-enfant soltanto il capino e i piedini. Danza del
Neonato.
Il Neonato ha male al pancino e frigna. La Nutrice gli fa il clistere. Il
Neonato si calma al suono di un valzerino da giostra.
La Nutrice toglie all'Uomo il porte-enfant, lUomo appare vestito da
marinaretto. Finisce il Primo Episodio, comincia il Secondo Episodio: Infanzia.
Si staccano dalla propria sezione i Personaggi del Secondo Episodio: una
vecchia signora, un pensionato, il guardiano del giardino pubblico. Vengono al
proscenio, prendono parte alla vita del ragazzino; ora furiosi, ora giocosi e pi
ragazzini di lui.
La Nutrice toglie al ragazzino la casacca da marinaretto, gli fa indossare una
giubba da collegiale. Il ragazzino diventa adolescente.
I Personaggi che hanno preso parte allInfanzia dellUomo, ritornano alla
propria sezione. E cosi, via via, faranno i Personaggi degli episodi seguenti.
Si stacca dalla sezione C il Pedagogo e viene al proscenio.
Il Pedagogo vestito da alfabeto greco e da simboli algebrici.
Inizia lAdolescente allo scibile.
LAdolescente impara la lezione a memoria: un po leggendo in quel libro
vivente che lo stiffelius del Pedagogo, un po ripetendo a voce alta e col naso in
aria.
Si stacca dalla stessa sezione C una fanciulla che ha la magrezza e la
scorrevolezza della macchina da cucire. Vederla e innamorarsene, per
lAdolescente tuttuno. Nelle sue giravolte agili e veloci, la Fanciulla se la dice col
Pedagogo, ma dellAdolescente non saccorge neppure.
Cala la palpebra sullocchio dei Genitori: i Genitori sono morti.
Danza funebre, venata di lamenti.
Le sgome del Padre e della Madre salgono in cielo.
Il dolore matura: lAdolescente diventa Uomo. Entra nella vita militare. Poi
nella vita borghese.
Prima partenza-sbagliata. Risate. Nei momenti difficili, lUomo ripensa
alla Fanciulla: suo primo amore.
Adulto, incontra la Donna coniugale.
Costei vistosamente vestita, ha una testa doca, ma, davanti alla testa,
manovra abilmente un piccolo schermo a guisa di ventaglio, sul quale dipinta
una faccia da donna fatale (jipo Greta Garbo). Sotto il fascino della donna fatale,
lUomo, che tutto sommato fatto a pezzi di ricambio, si stacca dal petto il cuore,
si stacca lanima (in forma di colomba), e li dona alla Donna coniugale. Le d
anche gli occhi (occhiali da automobilista). Cieco, la sposa.
Vita coniugale, soffice e noiosa. LUomo, ora, come Ercole da Onfale.
La moglie si addormenta.
Si staccano dalla propria sezione gli Uomini daffari. Uno con testa di volpe,
laltro con testa di porco. Spogliano lUomo e se ne ritornano alla propria sezione.
Si sveglia la Moglie, vede il marito nudo, gli fa una scenata e se ne ritorna
alla propria sezione, sbattendo la porta (immaginaria).
In questo momento difficile, lUomo ripensa alla Fanciulla, suo primo
amore.
Lampo.
Muta la luce. Muta tutto. Mondo ideale. Non pi il mondo com, ma
come desideriamo che sia. Doglia: neanche nel mondo ideale si entra senza doglie.
I Personaggi, convocati dalla Nutrice, circondano lUomo. Diversissimi. La
Donna coniugale non ha pi una testa doca, ma umana e bellissima.
Disinteressatamente amorosa.
Il Pedagogo desideroso di imparare.
Gli Uomini daffari hanno facce buone, oneste.
Offrono allUomo portafogli rigonfi.
La musica perde il ritmo precipitoso, si adagia in movimenti molli.
Ma il mondo ideale un sogno.
Lampo.
Muta la luce. Ritorna il mondo com.
I Personaggi ritrovano la loro vera natura. Si mettono in colonna e, al suono
di unacida marcetta, escono di scena.
Meno la Nutrice.
Costei veste lUomo da vecchio: gli caccia una calvizie in testa, gli lega una
barba bianca sotto il mento, gli mette un bastone in mano.
Solo e vecchio, lUomo smarrito.
Ma ecco ritorna la Fanciulla sospirata.
Il Vecchio e la Fanciulla danzano assieme un valzer con variazioni.
Il Vecchio saccorge che la Fanciulla la Morte.
Terrore.
La Morte dice parole dolci e suadenti. Si faranno compagnia.
Il Vecchio si calma.
Andr assieme con la Fanciulla, ma, prima, vuol salutare la Nutrice che,
sola, lha accompagnato per tutta la vita.
Il Vecchio usa alla Nutrice, quelle medesime cure che la Nutrice us a lui,
bambino. Ritornano in orchestra i temini dellinfanzia.
La Nutrice si addormenta.
Il Vecchio e la Morte sincamminano.
Si fondono in un personaggio solo.
Scende dal cielo la sagoma della Madre.
LUomo traversa la gonna-frangia: rientra nel grembo della Madre.
Tace lorchestra.
Il pianoforte ripete, leggermente variata, lintroduzione schumanniana, e,
questa volta, si adagia sulla tonica.
Ottavino e contrabbasso conchiudono: questo su un sol basso, quello su un
sol acuto.
Cosi lUomo nacque, visse, mori.
Perch?
LAutore di Vita delluomo, da un pezzo ci ha abituati a non domandare il
perch delle cose.
BRUNO BARILLI
Eugenio Montale
Il paese del melodramma di Bruno Barilli
(1931)

Vecchio amatore della nostra opera ottocentesca (e tanto meglio se


eseguita in teatri di provincia, da buoni cani nostrani, senza decoro e senza
emicrania, lontani le mille miglia dai golfi mistici e dai matadori
dellorchestra);vecchio innamorato di questo torrente limaccioso disceso una
volta per sempre ad allagare la nostra storica e civilissima pianura musicale, non
posso che compiacermi di veder segnalato da un premio un libro di Barilli, anzi
il libro che solo Barilii poteva darci: si chiami esso Delirama o Il sorcio nel
violino o Il paese del melodramma.
Con precedenti di questo genere naturale che il mio primo incontro
letterario con Barilli sia gi piuttosto lontano. Ho recensito Delirama sei o sette
anni or sono; e sono poi ritornato sullargomento a proposito del Sorcio. Che mi
resta a dire del Paese del melodramma? Poco di nuovo; ma quel poco in una
luce pi giusta. La sorpresa che i mortaretti e i fuochi di Bengala di Barilli
potevano recarci al tempo della Ronda, quello chessi potevano esprimere per
ragione di contrasto (accanto ai Pesci rossi di Cecchi) in quel paesaggio severo,
nobile, ma non perfettamente geniale, passato col tempo. La sua polemica
contro i filistei e i mangiatori di ipofosfiti, la sua antipatia per le rarefazioni e i
borborigmi di una musica che non ci riguarda hanno ancora un significato, ma
in questo senso sfondano una porta che s e poi aperta da s. Quello che resta pi
vivo non sono n le girandole n le opinioni di Barilli; larte di Barilli e il
significato di questarte.
Musicista per proposito e scrittore per vocazione, Barilli non uomo che
abbia imbroccata tardi e quasi per caso la propria via. Il suo barocco non stato,
come pressa poco tutti i secentismi letterari italiani, unalzata dingegno o un
espediente a vuoto; riuscito uno stato danimo e perci uno stile. E nel suo stile
Barilli ha travasato, ha addirittura rovesciato quellempito musicale che non
aveva trovato strada aperta (dicono) nelle composizioni operistiche della sua
giovent. Certo nessuno (tra coloro che hanno rispettato le regole dellarte)
anelato pi avanti di lui nel giuoco delle metafore e delle analogie, nel labirinto
degli accostamenti inaspettati e dei fuochi dartifizio. Con tutto questo, Barilli
non riuscito dilettante n secentista. Partito dallitalianismo di Verdi e del
nostro Ottocento musicale, questuomo condannato per anni e anni ad
addormentarsi sulle poltrone dellAugusteo nei pomeriggi dedicati alla musica
seria, ha continuato, su quella spinta, a musicare tra s e s il motivo unico che
poteva interessarlo: la sua avventura di italiano, nato sotto un cielo determinato,
tardo invitato a banchetti che parevano consumati da tempo, figlio di un popolo
tipico, visionario e positivo, erede di destini che sembravano esauriti. Attorno a
s non vedeva che il monumento a Vittorio Emanuele, la pittura delle Biennali e
la musica di Zandonai. Della musica pi recente era meglio non occuparsi.
Quella che giungeva doltre monte piaceva troppo agli abbonati delle poltrone
vicine: quando piaceva anche a lui doveva esserci un equivoco. Che fare? Dai
primi pretesti musicali doveva prendere la via la poesia di Barilli. Ascoltare le
nostre vecchie opere di repertorio, e pi su anche Puccini e Mascagni dove
valgono meglio, con lanima di un selvaggio che trova esotismo e magia dove
altri non avverte che luoghi comuni e oleografia, stata la sua fortuna. Cos dai
primi profili di direttori dorchestra e di cantanti, dai primi resoconti veri e
propri, nei quali il filo della critica correva ancora senza troppi intoppi, egli
passato senza inconvenienti alle trasfigurazioni pi arrischiate, alle sarabande
lirico-critiche pi imprevedute. Nelle ultime composizioni il pretesto critico
quasi invisibile; nel Paese del melodramma, che si risolve in un
lungo omaggio a Verdi nella forma di una successione di poemetti in prosa, il
cielo e la terra, il campanile e le stagioni, il padreterno e il suggeritore sono
chiamati a tessere una splendida corona intorno al miracolo del Trovatore.
Ununit, naturalmente, c in questa suite; ma tutta nel temperamento di
Barilli. Se ci divertissimo, con la colla e le forbici, ad alterare lordine dei
frammenti credo che non sarebbe gran male e che lautore stesso non se ne
accorgerebbe. I suoi frammenti si attraggono per virt propria e trovano la loro
coesione nellanima stessa del lettore; della musica partecipano ancora in
questo, che appena scatenati vivono per conto proprio e sulla pagina non
lasciano che un fastidioso e fin troppo materiale arruffio di segni neri. Scrittore
di pagine il Barilli non ; scrittore di accordi profondi s. In questo senso le sue
prose pi italiane di spirito e di intenzioni, quelle nelle quali la materia pi in
secco, ridotta quasi solo a una certa idea del sentimento italiano, sono ben
diverse da certe pagine del Sole a picco di Cardarelli, affini nella materia, ma
tutte disegnate, tutte scritte, tutte visive nella loro stessa trama musicale. Il
pregio di Barilli in altra direzione: nella mutevolezza della sua onda, della sua
risonanza; in quel suo caricarsi e scaricarsi come una sveglia a carillon del
vecchio tempo; in quel suo promettere poco e mantenere sempre pi di quel
poco; come se a tratti si scoprisse sotto la mezza tuba del saltimbanco lalloro
sempiterno del giovane Apollo.
Quanto a musicalit di espressione non bisogna chiederne pi che tanta a
Barilli, come si chiederebbe, che so, a una prosa di Campana o di un altro poeta
che sappoggiasse su dati meno visibili; bench la preoccupazione di Barilli non
sia di tradurre in parole, in assonanze, in ritmi, una musica strumentale
preesistente, ma piuttosto di dedurne un complesso di reazioni sentimentali,
giovandosi di ogni sorta di effetti cromatici, di suggestioni visive e auditive. E il
punto darrivo non forse la lirica, nel senso di una esperienza del mondo che
unifichi strettamente un sistema di rapporti intellettuali e morali (per quanto
pochi surrealisti stranieri abbiano le risorse di Barilli), ma lautobiografia distesa
sul piano dellintelligenza, il ritratto. Se fosse in giuoco solo lintelligenza,
chiaro, arte non si avrebbe ancora. Ma singolare che il sigillo su questo mondo
caotico, irritabile e indefinibile sia posto chiaramente dallintelligenza. Bisogna
tener conto di questo fatto per stabilire leccellenza di Barilli in un genere che
trattato con minore consapevolezza avrebbe tratto senza scampo lo scrittore nel
limbo senza avvenire di una prosa lirica raziocinante, troppo diffusa e inconscia
dei propri limiti per poter aspirare a un notevole significato nel mondo della
poesia contemporanea. Barilli non ha temuto di andar dritto ad una meta che ad
altri sarebbe parsa modesta o sconveniente; e ci ha dato quei suoi profili di
cantanti nei quali il prosatore gareggia in corone e in picchiettati con le gole
pi inverosimili. Poi andato pi in l: e abbiamo avuto i ritratti di Cimarosa e
di Bottesini, di Verdi e di Puccini; e in fondo a tutto, su tutto, quello che
cinteressa di pi: il ritratto profondamente italiano di Barilli, erede di una
scapigliatura passionale e musicale alla quale non mancata in ogni tempo
onore e fortuna, e che suo vanto aver richiamato alla luce con lautorit di una
vita e di un esempio che ha saputo alzarsi contro il dilagante spleen intellettuale
con la foga e la convinzione di una vecchia cabaletta di repertorio.

(in Il secondo mestiere Arte musica societ, a c. di


G.Zampa, Milano, Mondadori, 1996)
B.B.

da:
Delirama
(1924)

Bottesini

Fu uno dei pi geniali fra gli artisti del secolo verdiano, e fra i virtuosi il
pi fantastico. Egli riusc a spiritualizzare la grottesca meccanica del suo
strumento, soffiando su tutti gli ostacoli col fiato di un mistificatore prodigioso.
Allapogeo, questo artista sommo traduceva vivamente Paganini sul
contrabasso.
Figlio dunepoca nella quale i padroni della terra non erano degli
ingegneri, ma dei signori magnifici che una gerarchia intellettuale innalzava e
illuminava, incontro a lui si mosse graziosamente il favore di quel tempo
generoso e romantico.
Fino allultimo giorno egli mangi il pane della gloria, poi fu dimenticato.
Con Giovanni Bottesini scomparve lultimo esemplare del contrabassista
virtuoso. Non lasci eredi. La sua superba arte strumentale gli mori a lato come
una sposa che non vuol sopravvivere.
L dove egli era giunto, per un colpo mancino del genio e con la pi
stravagante complicit della natura, nessuno potr arrivare mai pi, n farsi da
presso per capirne e spiegarne il miracolo.
Il suo posto solitario sta distrattamente al di l di ogni limite.
Ai suoi tempi il Gusto aveva una funzione, il Genio un carattere e lArte
una tradizione. La politica, questa scienza divenuta flagello, taceva subordinata
e sottomessa. I grossi affari di Stato lasciavano appena unombra di fastidio sul
volto dei ministri e qualche granulosa traccia di tabacco sui loro panciotti. Del
resto, le palle di cannone si contavano sulle dita, ed erano cosi pigre che,
contrariate da un vento forte, cambiavano direzione e finivano qualche volta per
tornare indietro.
In quel mondo spiritoso e volubile come la fiamma aggressiva e vacillante del
gaz, lastrazione esatta non era preveduta: il baratro spettrale della luce elettrica
non sera ancora spalancato dinanzi agli uomini.
In teatro si leggeva il libretto al fumo di una candela e, sulla scena, la pece
greca poteva rappresentare, senza opposizione, la collera degli elementi.
Anche la matematica soffriva allora lumidit; e la meccanica, che viveva
in buona lega con il legname, scricchiolava faticosamente e si schiantava ai
primi geli" rimanendo ostruita e ferma sotto le stagioni.
Allora eran permesse soltanto le invenzioni buffe; le burle che facevan
crepare dal ridere eran di moda; cera per la musica e per la danza del fanatismo
e del furore; lItalia da Venezia a Napoli era un solo carnevale, del tutto
innocente.
Dunque, non per caso, un bel giorno il nostro pubblico si trov fra i piedi
anche Giovanni Bottesini con il suo' contrabasso.
Questuomo che viaggi il mondo tutta la vita e lasci dovunque tracce
profonde di costernazione e di stupore, era grande di statura e aveva un aspetto
lunare e corroso, sciupato e assonnato, insomma un artista dal sangue guasto e
dalle abitudini dissolute.
Entrava in fretta allultimo minuto sul palcoscenico fradicio e semibuio
del teatro ducale, sbirciando, col collo torto, di tra le coulisses, il loggione stipato
di gente, mentre il servo di scena gli levava limmensa pelliccia. Allorquando,
dinoccolato, si presentava tirandosi dietro, bonariamente, quellenorme topaia,
tutti, del pubblico, ridevano e lui con tutti, a crepapelle.
Faceva volentieri della parodia; cominciavano prima i grugniti del
contrabasso; dopo si passava nel regno dei calabroni e ti pareva che tutta laria e
la luce brulicassero di pungiglioni. Allora quasi intontito tra il ronzare, nel
torpore e nellafa sovraccarica di idrofobia, egli, il suonatore, rotolava, a poco a
poco addormentato, gi per la tastiera attaccandosi per miracolo, alla quarta
corda. Oh, quel russare profondo, voluminoso, inaccessibile, sembrava
confondersi con i trasalimenti assonnati dellasse terrestre o con il lamentoso e
artritico scricchiolio di una stiva tappata e troppo carica!
Adagio, adagio, pigliava poi via, serpeggiando, con un tramestio obliquo,
cieco e dilungato, come rettile mostruoso che sinselva.
Fin che si buttava, piegato in due, a suonare con voglia, sferzando
listrumento come per rompere una crosta dura. Dal credenzone spiritato
uscivano, allora, i suoni pili volubili, scivolando via stretti in successioni di
accordi e in glissandi veloci, leggeri e lucenti come i raggi che trafiggono le nubi.
Gli arpeggi, le corde doppie e i pizzicati azzeccati saltavano allaria in una
prodigiosa mescolanza, formando una grandiosa e barocca architettura che
crollava precipitosamente, circondata e distrutta con furia da una sequela di
tonfi mistificatori.
Il suo era un cantare tutto invaghito e pieno di spasimo che somigliava,
sulla prima corda, a quello del violoncello, solo che il suono intonato era reso un
po enigmatico quasi da una maschera fosca che non desse di riconoscerlo.
La sua arcata dolce, interminabile, tenace, pacifica e distesa, e il suo stile
nobile, pieno di sentimento e di santit tantopra facevano da persuadere e
indurre il trappolone puntiglioso e refrattario a parlare con voce ammansita,
soave, incalorita, fremente; e a sciogliere nel velluto dun pianissimo, una per
una, le note sospirate e perplesse della pi adorabile malinconia.
Niente lo accontentava. Istrione, disseppellitore di effetti sempre pi rari e
pericolosi, egli si rifaceva sotto, mettendo, di nuovo, tutto a soqquadro per
stanare, scuotere e risvegliare il mostro sedentario.
Superando le difficolt, cosi, a scalinate; sfasciando piramidi di ottave;
sollevando, in burrasca, il suo lento pachiderma sino alle stelle; con uno
scrollare avventato, astioso e gigantesco egli frullava larco tozzo e formidabile,
come una tramontana tempestosa, fra il groviglio dei cordami.
Echeggiava allora, fuggendo, sullintrico temporalesco, un debole e
lontano scampanio di bronzi, insistente e ferale, e a quello ecco rispondere,
dacchito, strangolata e vicina, lanima sprangata e sordida del contrabasso.
Muovente dai silenzi stagionati, una voce gobba e sepolta di ventriloquo
si affacciava domesticamente fra le corde canterellando con una insolenza
ironica delle variazioni grottesche sul motivo del carnevale di Venezia-, la
modulazione oscena salzava audacemente di tono, poi ricadeva in mollezze
veneree dondolandosi, al fondo, sullarco del contrabasso.
Quel che succedeva a questo punto in teatro indescrivibile. Il pubblico
aristocratico deUa corte si torceva sulle poltrone in preda ad una ilarit stridula.
Gli applausi e le richieste di bis scoppiavano lungo le file scomposte, ad ogni
battuta. Le dame seminude e portentose, che facevan corona nelle logge dei
nobili, tirate in ballo senza preamboli singegnavano di salvare il pudore,
ridendo inorridite dietro i ventagli.
Bottesini, appoggiato al suo carcassone di legno, sinchinava, intanto, da
trionfatore.

Un cantante

Nazzareno De Angelis, la cui voce tempestosa e tonante sembra un afflato


voluminoso che esca dalle fauci di un mascherone greco, col suo primo entrare
non ha pi riposo e non pu quasi contenere lardore del suo superbo e cruento
temperamento: simile a un lussurioso il suo proprio sangue lo tormenta; egli
freme e sussulta repentino, leone che si sferza i fianchi con la coda, e dai suoi
grandi polmoni di bronzo lancia su le platee, con un colpo di spalla, note su
note, roulantes, massiccie e luminose come bolidi incandescenti. Il pubblico
investito da tanta violenza darte gli risponde come anticamente la folla
imperiale delle arene romane.

Elvira de Hidalgo

Nel quadro spagnolesco del Barbiere di Siviglia (questa opera che


rimescola il sangue giovanilmente, lieta e inebriante come un vino raro,
questopera indemoniata da crescendi orchestrali, che fanno una fulminea
propaganda di follia) tutto imbroccato con una genialit leggera e favolosa.
Questo capolavoro, stravagante e superbuffo, pieno dunilarit musicale che
turba la ragione e suscita un pandemonio e un delirio parodistico. Rossini ci
appare l, nero, secco, grottesco eppure brillante, luminoso, colorito, tenero,
trasparente, spirituale e ammantato di fantasia e di romanzo come un
personaggio di Goya.

Il genio creativo ha unincalcolabile forza trascendente. Il limite voluto e


raggiunto viene superato mille volte dallimpeto che ha generato latto; un
travaglio ulteriore che opera sempre pi profondo e attivo d allidea un profilo
soggiogante; il personaggio diventa tipo, e il tipo a sua volta sorge dal simbolo
vivo e scoppia perfetto, come una rosa sbocciata, al sole crudo della realt.
Allora la creatura nata singolarmente spicca tra la folla che la sfiora e trae seco
dallorigine, nella sua carne e nel suo spirito inconsapevole, i caratteri di uno
straordinario privilegio.
Come il Dio volante di Michelangelo crea, con un gesto lieve che sfiora, il
primo uomo sulla terra, cosi pap Rossini, questo mqptro di pigrizia e di genio,
nelleccelso e onnipossente attimo della verve, con un soffio amoroso spinto
entro il tessuto impalpabile di una visione, d lo sguardo, la voce e il sangue
miracoloso a Rosina, oggi, allo stato civile, Elvira de Hidalgo.
Elvira de Hidalgo pur la figlia del grande pesarese. Lo dice quel
ventaglio che ella muove con destrezza gentile a nascondere il proprio volto,
quel ventaglio tremulo e vivo come lala duna farfalla, lo dice quella sua rara
moue dun comico antico da thatre des bouffes, e la melanconia, lo dice, della
sua voce allultima scena notturna, allorquando, deposta li in terra, accesa, la
lanterna delle avventure galanti, splende lamaranto della sua crinolina di
broccato ed ella esprime in tono di languore lincantevole sospiro desser presa e
protetta nellombra calorosa di un epilogo matrimoniale.
Al suono innocente della sua voce che ha un timbro pallido e tenero come
largento, ricadono stroncate le mani minaccianti della critica e si spianano i
volti pi sconvolti: note umili e ridenti spiccano il volo dalla sua gola e si librano
in giri per la sala come colombe bianche che rechino nel becco il ramo dulivo.
Un imbarazzo dolce conquista anche i pi burberi controllori. Ella gorgheggia e
smorza il suono nel silenzio con una gemebonda malinconia che pare uneco
della meraviglia o la fine di un colloquio infantile tenuto con la luna. Il gesto
delle sue dita di zucchero pieno di candore e di moina e nel suo canto c la
mansuetudine, il pudore, il capriccio e linquietudine della pi casta e volubile
bambina.
Allora le falangi della claque che serpeggiano per le gradinate circolari si
riposano con fiducia e tacciono con galanteria mentre gi scoppiano come
folgori le acclamazioni di mille spasimanti; e dietro le coulisses, simulacri
spezzati di stagioni dipinte, sotto i riverberi crudi e frantumati del gaz, nel
fumoso incantesimo giallo della pece greca che arde, il pompiere di servizio,
guardia assonnata dei lumi, preso di mano in mano nel sortilegio canoro, finisce
per piombare boccheggiando ai piedi della corista, idolo nuziale, bianca di gesso
e tinta di carminio come un confetto da tre soldi letto, vomitando a pacchetti
infiammati di Bengala le litanie accese della sua grande passione estemporanea .
.....................................................................
.....................................................................
......
Fra la babilonia sempiterna del cartone dipinto, in una stroppiatura
feroce della realt, sotto lazzurro disperato dei cieli, fra i lampi del magnesio
che fanno trasecolare i volti imbiancati e anneriscono gli occhi come olive
ardenti, si desta di soprassalto loro rimoto delle attrezzature e risplendono i
laghi nei regni bruciacchiati e secolari di Solimano. L regna, come un principio,
la Spagnola con la sua vena strana di delirio canoro, intorno a lei nella gran luce
e nel vuoto piove la polvere di un mondo in consunzione.
Dalla fabbriceria degli ori armonici sale un ronzio sonoro di violini
appisolati; uno zufolo flebile e un fiatare roco di legni musicali, i violoncelli
vanno gorgogliando gi fino al fondo delle iridescenze, il fagotto borbotta fra
lafa smaniando e gli ottoni accaldati sembrano digerire, sopra una nota lunga,
un sonnifero denso, nella gran siesta cocente del fossato orchestrale: la
Spagnola attacca con la voce indolenzita una boutade lunatica appresa al
sillabario puerile dun usignolo, che sente molto il genere crepuscolo, e la sua
voce sempre pi esitante scompare in un indistinto naufragio di malinconia.

(in: Il sorcio nel violino, a c. di L.Avellini e A.Cristiani,


intr. di M.Lavagetto, Torino, Einaudi, 1982)
Roma sonora
(1932)

La buona acustica non che il corollario, la limpida conferma della bella


architettura. Sono le stesse leggi di trasmissione, di ritmo, di equilibrio e
delasticit: tutto parte, rimbalza, si moltiplica, si accorda, ritorna; cos anche il
suono, come lacqua, corre vivo, come la luce, echeggia sui marmi monumentali.
Per questa ragione Roma la citt pi sonora del Mediterraneo. Tutte le
voci del mondo si concentrano l. E una conchiglia. Il suono non muore mai,
non si cheta, scroscia nei suoi meandri: fragore ascoso, perpetuo. Un segreto
detto presto o tardi vien fuori; venature, cavit, orifizi lo riconducono allaria.

Sotto i tuoi piedi c il dedalo: catacombe, cripte, labirinti canali


evacuati dalla storia Roma costruita sul vuoto.
Innocuo e decrepito, laggi, fra i pilastri di tufo, saggira un terremoto
rullando sul suo tamburo con una solerzia commemorativa degna di far paura,
ma non spaventa nessuno.
A mezzod il colpo di cannone si ripercuote e sfiata nellazzurro, e i sette
colli si dnno la voce.
Poi tre timbri, tre note fondamentali riprendono il discorso di prima: la
pietra, il bronzo, e lacqua.
Pi tardi il sole picchia sulla cupola delle basiliche come il martello
sullincudine.

A Roma le ore del giorno sono altrettanti capitoli di un romanzo:


temporali, fontane, tumulti di campane riempiono le piazze dunarmonia varia,
trasparente e profonda. I palazzi son dei veri stradivari . Le arcane facciate
fanno una curva corale intorno agli obelischi. I portoni son tante bocche che
vociano.
Clamorosa citt che non d tregua ai timpani, dove piazza Navona
laccordo perfetto.
Acustica fenomenale. Giuochi stupendi e liquidi; la gran piazza agonale
un serbatoio immenso. Provati a sussurrare contro il muro una parola, se corri
presto puoi raccoglierla nellorecchio cento metri pi in l.

Anche le chiese contro le quali si frange lo strepito stradale sono


distillerie gli esterni rumori l dentro diventano oro, oro rutilante sotto le
navate. E a pi dei tabernacoli trabocca mormorando, dalla spaccatura
dellobolo, e cola come il miele, losanna secolare dei credenti musica antica
e sommersa che spiccia adagio adagio dal travertino.
Destate la luce vibra a vampate: fra il crepitare dei lauri e il gemere dei
pini, lontano, il grido strano dei pavoni. Sonnecchiano le fontane nei cortili, poi
dun tratto nel sogno ride il getto come una sonagliera.
Il cielo di Roma una cassa armonica. Quando terso e scottante, se lo
scuoti rimbomba. Ricordate i boati, i petardi, il fragore che lo colmano nei giorni
di feste aviatorie?
La mattinata bella e senza vento. Lidrovolante ad altissima quota
sembra attaccato al firmamento come una mosca allo specchio; eppure fila,
lavora, incide sul sereno. Lodi stridere lass come un diamante sul vetro. Ma un
colpo di vento che lo fa ballare mette il cielo e la terra sottosopra e cominciano
i loopings, le scivolate e le mugghianti riprese del motore. Si strappano i
cortinaggi del cielo; e per la strada la gente volta la testa in su. Latmosfera
lacerata fa un rumore compatto. Lelica si vede, e sembra spargere il seme
dellaria intorno a s. Ma laviatore sabbassa ancora, vien gi, a bella posta,
sulla casa della sua fidanzata: agita il braccio fuori della carlinga per salutare, e
mette in subbuglio la biancheria distesa sulla terrazza.

Nel pomeriggio festivo una vociferazione accaldata e continua trabocca


dalla galleria, dal tunnel, e si lancia a traverso il polvero lucente e serale della
citt.
Il pacifico e sterminato quartiere dei Prati tutto invaso da quella
invidiabile cittadinanza bonacciona e sportiva che ha locchio fatto al
macchinismo pesante dei balli coreografici e ai portentosi giuochi del circo
equestre. L si vuole il cocomero a grossissime fette, e lo spettacolo lungo,
grandioso, e popolare. Allora gli applausi scrosciano maestosi, alla romana, nel
vasto anfiteatro color sangue di bue. E dopo lo spettacolo, quando si esce
allaperto, locchio spazia pi riposato fra le cime dei palazzi sui quali il soffio
caldo del tramonto s spento a poco a poco.

Tramonto lungo, sonoro. Lurbe immensa vacilla sulle sue radici eterne,
si dilata, sirradia come se avesse bevuto tutta la luce del mondo: cantano le
campane. La gente corre in disordine, tentenna incerta sulla via da pigliare,
sotto il terrore delle tenebre che stanno per calare.
E lultimo aviatore rimasto nel cielo guarda dallalto la leggendaria citt
impallidire in una lontananza liliale e sfaldarsi come un mucchio di ossa
bruciate.

Gradatamente labitato si copre dombra e di veli. il momento degli echi


morenti, e degli spettri fiochi. Fra una conflagrazione di luci crepuscolari ti
sembra di udire, l dietro le millenarie mura, i colpi di spada battere lenti sullo
scudo dei gladiatori. Poi tre note, tre timbri fondamentali riprendono nel buio il
discorso di prima: la pietra, il bronzo e lacqua.
In questo multanime istrumento solo il Tevere tardo, silenzioso, torbido
e scava nella campagna i suoi ghirigori che somigliano allesse di un violino.

(in: Lo stivale, Roma, Casini, 1952)


Mario Lavagetto
Introduzione
a: Bruno Barilli, Il sorcio nel violino,
Torino, Einaudi, 1982

je suis l homme qui ne croit pas


la mort... d Emiral.

Insonnia, delirio, fame,


Vizio, furore, vecchiaia.
La morte mi tiene alla gola
Io tengo alla gola la morte (CV, 102) *
La fine savvicina a gran passi, pi veloce, pi precipitosa
che linverno boreale (CV, 78)
Sono un pennuto, senza penne magro sguarnito come
una gabbia e ora vicino a me si sente in trasparenza un certo
stanco odor di uccelliera (CV, 80)
... non posso pi vedere la faccia della mia faccia... (CV,
87)
Uh... uh... le nefande proposte... fra linfimo mormorio...
e per di pi, i segreti codicilli, di uno spaurito bruno barilli -
che malamente ancora respira... e sopravvive appena (US,
310)
Sangue, sangue, sangue grida Otello -
Sono otto anni che questo grido mi scoppia dentro e mi
rompe le vene, i vasi biliari, il cuore, e anche le ossa me le man
da in pezzi e brucia i miei capelli, e mi saltano le unghie, dalla
rabbia, nel furore insorgente... (T, l x v i i , 140).

La registrazione potrebbe essere protratta e attingere an


cora dai Capricci di vegliardo e dai Taccuini inediti, senza mai
alterare il timbro di una voce profondamente mutata da quan
do sulle colonne della Concordia o del Tempo, del

* Per le abbreviazioni si rimanda a p. x xx v u .


Nel citare gli inediti di Barilli ho ridotto al minimo i miei interventi
lasciando a errori di grafia e asintattismi il compito di documentare, sia
pure in modo approssimativo, lo stato dei Taccuini e dei dattiloscritti.
Dato il modo in cui lavorava Barilli, molto spesso le singole citazioni
presuppongono fonti plurime: mi sono limitato a un solo rimando per
non appesantire inutilmente questa introduzione.
VI M ARIO LAVAGETTO

Tevere o del Carlino - si innalzava in stile fiammeggian


te e vertiginoso accumulando aggettivi, metafore, similitudini,
analogie prevaricanti e afabulatorie. Quello stile inconfondi
bile e contagioso, che pareva a Cecchi grandine e spruzzaglia
di rubini e di diamanti e che induceva il trentenne Debene
detti (proprio nel momento in cui prendeva le distanze in no
me della critica-critica) a inseguire Barilli sul suo terreno,
a denunciare la fragilit delle sue analogie per mezzo di ana
logie, quello stile - dunque - appare nelle pagine della vec
chiaia solo come una memoria attenuata: pi parca l agget
tivazione, pi lineare e secca la frase, meno frastornata la lin
gua dal continuo protendersi verso lipotiposi. Tanto che
qualcuno, ancora coinvolto mimeticamente nel gioco-Barilli,
ha parlato di atmosfera da pianeta spento. La rottura net
ta. Ma se ignorarla impossibile e richiederebbe una specie di
sordit premeditata, sarebbe poi fallimentare limitarsi a pren
derne atto e abbandonare la ricerca delle permanenze, dei trat
ti costitutivi di una fisionomia che n gli anni n le metamor
fosi hanno avuto il potere di cancellare: fra il primo e il se
condo Barilli - ha osservato in un saggio fondamentale Fedele
D Amico - la continuit non ha soluzioni, ossia [...] il secondo
non smentisce, ma chiarisce definitivamente la natura del pri
mo [...] La coerenza col suo passato assoluta; talmente asso
luta che le sue ultime pagine sembrano contenere tutto di lui,
il succo di ogni suo significato. G li artisti vecchi - scrive
r lo stesso Barilli - costituiscono trs souvent une revelation
retrospective (T, l x i i i , 33). E altrove: Non c giuoco pi
stimolante che lultima partita [...] La flamme quand elle s-
teigne prend tous les couleurs (T, l x v i , 19). Intanto i temi,
che sono gli stessi e vengono riproposti con insistenza, per
quanto su registri fortemente modificati; poi - anche qui, e sia
pure in modo pi asciutto e perfino reticente - il bisogno,
quasi fisiologico, di pensare per immagini, di costringere ogni
idea a passare attraverso spessori concreti e a comportarsi
secondo il codice che ai poeti aveva prescritto, in anni lontani,
John Keats: razza di camaleonti, diceva, capaci di assumere il
colore delle foglie in mezzo a cui si trovano a passare. Tenia
mocelo per detto.
Sul mimetismo di Barilli bisogner tornare ancora, ma da
subito vale la pena di sottolineare che loggetto primo di quel
mimetismo una specie di personaggio di se stesso, che Barilli
si confezionato quasi subito e a cui rimasto intrepidamente
fedele: ... io, nocchiuto "Ecce Om o davvero: gli stracci in
INTRODUZIONE V II

torno, senza bastone, senza cappello, senza denti, senza fissa


dimora, e un fiore allocchiello. Io terribile vagabondo (CV,
42). Non mancher qualcuno per avvertire, e con legittime
motivazioni, nel tratto troppo marcato ed esplicito di questo
ritratto il rischio di slittare nella maschera di maniera e di so
vrapporre allironia, pure rimarchevole e scopertamente inten
zionale, quanto con essa meno conciliabile: e cio una sorta
di narcisismo in sottotono, da cui pu rispuntare quello che a
Gadda appariva il pi impennacchiato dei pronomi di perso
na. Ma quanto conta, di quella controfigura o di quella ma
schera che Barilli ha escogitato, poi la strategia, poi il pun
to di vista che essa consente. Se vero che il romanziere d
sempre forma, insieme ai suoi personaggi, anche a un suo nar
ratore che pagina dopo pagina, parola dopo parola finisce con
l acquistare una identit definita senza che nessuna premedi
tata connotazione lo abbia investito, un critico come Barilli
finisce, anche lui, per crearsi un simile doppio, un delegato
che la sua voce, il suo stile, il suo stato anagrafico, la sua rico
noscibilit, la sua funzione, il suo contratto con la struttura di
attesa che egli stesso ha contribuito ad edificare. Voglio dire,
a scanso di equivoci, che quel personaggio la prima, fonda-
mentale e straordinaria invenzione di Barilli da cui conseguo
no, da cui vengono rigorosamente dedotte e a cui sono rigo
rosamente riconducibili tutte le altre: le scelte linguistiche, il
taglio del reportage o della recensione, la particolare struttura
dei motti di spirito, le rime obbligate, il moltiplicarsi degli ag
gettivi che sembrano nascere dalla ripetuta scomposizione di
un organismo monocellulare. Barilli - ha detto con una for
mula felice Siciliano scrive Barilli: lo scrive negli articoli
di viaggio, nelle cronache musicali, nei taccuini. Invecchiato,
quel personaggio non ha pi la stessa voce: gli si fatta pi
debole, pi incrinata, non gli consente acuti e fiorettature;
- tranne qualche cedimento - un sorvegliatissimo ed emozio
nante falsetto. Il timbro, ha ragione D Amico, rimasto il me
desimo. Se mai, negli ultimi anni, con linvecchiare di questo
sosia, con il suo progressivo abbandono del teatro e con il con
seguente affievolirsi delle sue funzioni, assistiamo a una specie
di fenomeno di riappropriazione per cui le parti tornano ad
avvicinarsi e, almeno parzialmente, a collimare quando, al cen
tro dellobiettivo, resta - come abbiamo visto - bruno ba
rilli.
Come ha potuto succedere una cosa simile: che "n oi era
vamo qui tutti e due insieme: io, e me stesso, senza il tempo
V ili M ARIO LAVAGETTO

di fiatare, e non ci siamo quasi nemmeno seduti - e che luno di


noi due sia gi scomparso? Di chi la colpa? - Il pi grande
confusionario del momento: io, o me?
Quale danno incalcolabile! la mirabolante psicologia degli
specchi, su cui noi scivoliamo smarriti e ciechi in due: io, e un
altro me stesso (US, 308).
Potr anche sembrare che Barilli - nella vecchiaia - si eman
cipi da quel personaggio e che lo specchio finisca pian piano
col restaurare una identit o, se si preferisce, una confusione,
quando si modificano i rapporti e quando la mano colta da
quella specie di admirable tremblement du temps di cui par
lava Chateaubriand. E tuttavia non si potr disconoscere lesi
stenza ancora immediata e suggestiva di quel fantasma funzio
nale, io e me che, se a tratti sembra allontanarsi, viene ripe
tuto e commemorato in ogni parola.
Un tempo, fedele allimmagine di una comunit facinoro
sa di cui aveva creato (con se stesso) il portavoce, Barilli ave
va dichiarato: Il vero posto per fare il nostro mestiere sa
rebbe la galleria. A picco sullorchestra ci vorremmo vedere.
Aggrappati alla coffa dellalbero maestro si pu scrutare il ma
re. Non qui dalle poltrone di platea (Tv, 18 febbraio 1929).
Una simile prospettiva dallalto, come di un astronomo rove
sciato o di un eroe di Stendhal al declino, sembra essere privi
legiata anche negli scritti della vecchiaia, che investano il pas
sato oppure il presente. Incastrata lass, a trenta metri dal
suolo, la mia camera rispondeva su una specie di abisso citta
dino, di canale stradale, sempre immerso nellombra (CV,
19). Difficile non ricordare allora latelier nudo con un gran
de tavolo coperto di appunti al quale, secondo Gottfried
Benn, lartista, nella sua vecchiaia, continua a salire in elicot
teri verdi come il veleno. Quinto piano dellenorme palazzo
Burroni in vicolo San Nicol da Tolentino, a pochi passi dal
la luminosa e regale via Venti Settembre (CV, 19). Barilli
sfrutta 11 suo osservatorio, in modo geniale, per dare corpo e
figura - con uno stile dove lespressionismo si fatto pi
asciutto e quasi impercettibile - a una serie di folgoranti ve
dute dallalto, di pozzi, di voragini, di giardini appiattiti, di
tetti comignoli e terrazzini sottostanti, di intrecci stradali,
di cortili dove i corazzieri appaiono come nani tarchiati
(CV, 20) e poi, grama e sontuosa, la Roma dei Torlonia
(CV, 29). Le Convertite, la Mercede, le Fratte, i Due Macelli,
il Tritone. Ma in alto, che respiro! (CV, 23) Qui il mio
teatro, il mio mondo, il mio passato, la mia memoria, in giro
INTRODUZIONE IX

tondo (CV, 30). Oppure: Il breve campanile di SantAn-


drea delle Fratte sorge in una magra rissosa luce di bordelli
medioevali, di viuzze angolose e vecchissime - io lo vedo da
qui, respirare - quasi a portata di mano - loggetta, o guardiola
che spunta in rapimento, non del tutto fuori di eresia (CV,
30). La finestra ormai quella dellAlbergo Torlonia, e la fine
stra, che - ha osservato Macchia - era stata sempre il sim
bolo lucido della sua vita e della sua letteratura, gli offre la
cornice entro cui si delineano alcuni quadri di una bellezza
nera:
Sotto la mia finestra: una voragine di verde, il giardino
chiuso di nobili edere, con lalta palma, e gli aranci amari del
lalbergo Colonna - e a picco sotto il mio naso: una tettoia di
vetro dellattigua tipografia, sulla quale saltano e ballano i topi
e le croste di pane, fra qualche straccio e carta di giornali
(CV, 29).
Vipere, fogne, canali di scarico - avrebbe commentato
Benn - questo il preludio alle sere della vita.

Io ho vissuto non ricordo pi dove in compagnia di una


vida moltitudine di grossi topi. Io davo loro la caccia e ne ero
assalito sino agli occhi. C etait una lotta furiosa senza tregua
ils me grimpaient fra i pantaloni e io sentivo i loro piedi rapidi
e freddi scorrermi sulla pelle; come io li tempestavo di pugni
essi mandavan quelle piccole grida da far rabbrividire ed affon
davano in morsi feroci nella mia carne i loro musi pelosi (T,
i, 20-21 ). Con queste parole inizia il racconto di un incubo che
si pu leggere nel primo dei sessantasette 'Taccuini autografi
custoditi alla Biblioteca Nazionale di Roma: gli anni sono i
primi del secolo e Barilli a Monaco, dove scappato a po
co pi di ventanni, nel 1902, dopo aver seguito studi irrego
lari a Parma: prima le scuole tecniche e poi il Conservatorio,
cominciando dallo studio del violoncello (T, l x i v , 29). A
Monaco, in quella citt che - pressappoco negli stessi anni -
appariva agli occhi di Wassily Kandinsky come un Regno ad
dormentato reale, non fiabesco, Barilli frequent i corsi di
armonia contrappunto fuga e composizione, e la scuola di
direzione dorchestra dove ebbe maestro Felix Motti e dove
a ventiquattro anni ottenne il diploma di maestro {ibid.).
Le notizie che abbiamo intorno a questo periodo sono pur
troppo scarsissime e affidate a rigalleggiamenti occasionali, re
gistrate in un taccuino o disperse nelle incidentali di un arti
colo. Difficile immaginare, tuttavia, che Bruno Barilli, con la
X M ARIO LAVAGETTO

sua instancabile voracit e il suo gusto della dissipazione, lui


cosi avventuroso e nobilmente zingaresco potesse presentarsi
con la freddezza velata di Adrian Leverkhn di fronte alla ba
lorda e innocua atmosfera di vita, alla mentalit artistica sen
sualmente decorativa e carnevalesca di quella Capua sempre
contenta, in cui una popolazione allegra e baldanzosa ... fe
steggiava i suoi saturnali. Pi probabile, viceversa, che la
bellezza e laspetto paesano della citt monumentale, attraver
sata dal fiume montano sotto il cielo alpino, azzurro per lo sci
rocco, non si limitassero a blandire i suoi occhi, ma lo faces
sero realmente loro, lo catturassero e lo imprigionassero fino
a lasciare una traccia permanente nella sua esperienza. D al
tronde, se ricorriamo ai Taccuini e ne ricaviamo le poche dia
positive del periodo, ecco che - rimpicciolite dalla distanza
e dalla rapidit dellappunto - vediamo apparire, come in fon
do a un binocolo capovolto, le scene del Prinzregententheater
e, in mezzo alle comparse del Don Giovanni, possiamo rico
noscere Bruno Barilli, divertito e nel contempo estasiato dalla
grande direzione di coloro che si succedono sul podio, in par
ticolare di Felix Motti e Bruno Walter (cfr. T , l x i v , 27), men
tre pi discutibili gli appaiono le prove di un suo compagno
di studi, Wilhelm Furtwngler, un direttore che non riuscir
mai ad amare (cfr. T, x l v i i , 68-69). P i lo stesso Bruno Ba
rilli a salire sul podio, per un breve periodo, nelle vesti di so
stituto di Felix Motti, di colui al quale, in anni molto pi tar
di, dedicher uno dei suoi articoli pi affettuosi e commossi:
Fu il mio vero e solo maestro (Tp.ill., 1939). A Monaco,
continua in quelloccasione Barilli, cominciai la mia carriera
teatrale, come comparsa nei teatri di Stato, annaspando da un
palcoscenico allaltro, vestito da torero o da brigante {ibid.).
Questa volta la ricostruzione appena pi insistita, dominata
dal gesto stilistico e tuttavia (nella povert dei documenti)
non priva di un suo diffuso e suggestivo valore testimoniale.
A poso a poco i carnevali di Monaco, la birra, i pittori, il
buon mercato, e le modelle, mi fecero dimenticare la musica,
e quando finalmente a ventidue anni entrai nel Conservatorio
di lass, "Knigliche Akademie der Tonkunst, era soltanto
pro forma, per tacitare mio padre. La musica non centrava gi
pi, precipitavo, volavo, che so io; la mia giornata era una frit
tata e lesistenza un proiettile.
Le mie esperienze non mi stancavano mai, le mie stanchez
ze non mi disgustavano. Allora trascorsi quella vita a rovescio,
piena di dispersioni e di disordine, che non riesco pi a rica
INTRODUZIONE XI

pitolare {ibid.). Il quadro potrebbe essere lievemente arric


chito attingendo a notizie indirette: consultando il registro di
famiglia tenuto dal padre, Cecrope Barilli, si potrebbe, per
esempio, desumere, grazie allo scrupolo e alla meticolosit di
quel magistrale e a volte poetico pittore dAccademia, quali
somme venissero mensilmente destinate al mantenimento di
Bruno. Si potrebbe, da lettere e appunti familiari, provare
che Bruno venne raggiunto per un periodo probabilmente
assai breve - dal fratello Latino, pi giovane di tre anni e an
che lui pittore dotatissimo che, dallesperienza di Monaco, sem
bra essere stato segnato in modo decisivo, se a partire dal
suo ritorno - comincia a dipingere, accanto a paesaggi dove si
distende la dolcezza del post-macchiaiolismo, anche una serie
di quadri impressionanti e stralunati, che possono apparire co
me l equivalente pittorico di certe pagine di Bruno pi pros
sime allespressionismo e allabbandono fantastico.
Soprattutto, da aggiungere, sarebbe l incontro con una al
lieva dei corsi di pianoforte, la principessa serba Danitza Pav-
lovic che Barilli sposer nel 1907, da cui avr una figlia e da
cui si staccher molto presto, lasciando che nellassenza il suo
fantasma cresca e si dilati fino ad assediare lultimo dei suoi
taccuini, ombra inafferrabile ed enigmatica che pu richiama
re alla memoria uno dei pi diafani, inesauribili e inquietanti
personaggi femminili di James.
Ma pi di tutto preme ora sottolineare quella vita a rove
scio, piena di dispersione e di disordine, che Barilli non rie
sce pi a ricapitolare: perch da quel groviglio, da quel
gomitolo spugnoso e sfuggente di esperienze e di studi che na
sce lo scrittore Bruno Barilli. E nasce quasi di colpo, senza che
alle sue spalle (a parte qualche collaborazione sporadica con
La lucciola e la Gazzetta di Parma) noi riusciamo a rico
struire una qualsiasi preistoria. I suoi anni di apprendistato
restano cosi avvolti nella nebbia e dobbiamo accontentarci
della breve luce che su di essi getta uno squillo di tromba,
insieme spavaldo e commosso, com ormai nelle abitudini e
nello stile del personaggio Bruno Barilli, solidamente piantato
sul palcoscenico della critica militante. Qui a Monaco ave
va scritto inaugurando il primo dei suoi taccuini - non c nul
la di nuovo, se proprio non si vuol considerare che sono arri
vato io (T, i, 1). E quasi quarantanni dopo: quando il mae
stro Motti, e lo scolaro imo come me, mi par chiaro che ne
debba venir fuori qualche cosa di buono.
Difatti, quando ritornai in Italia, mi sentivo fortissimo.
XII M ARIO LAVAGETTO

Ero, dai piedi ai capelli, quel che si dice un pezzo di musica,


e mi buttai a scrivere di musica sui giornali (Tp.ill., 1939).

La testimonianza cronologicamente inesatta. Tornato in


Italia Barilli per prima cosa sfoga la sua forza scrivendo
unopera, Medusa, che sar rappresentata solo molti anni pi
tardi. Il libretto di Schanzer , annoter nei taccuini della vec
chiaia, per me valeva un milione. Per me cera lillusione sa
pete quel che voglio dire? - L illusione, me la dava voglio
dire che cera gi la mia musica - Esistesse o no questo libret
to il miraggio cera - e mi bastava (T, l x , 79).
La sua prima prova come scrittore (la sua prima prova or
ganica e destinata ad avere un futuro) del 1912, quando re
dige le sue corrispondenze sulla guerra balcanica a cui segui
ranno, due anni pi tardi, quelle sulla guerra austro-serba. A
rileggerle oggi, colpisce subito limmediata e altissima matu
rit stilistica; colpiscono la precisione e la fermezza con cui
Barilli delinea figure e colline, campi, interni, paesi distrutti
o abbandonati, le stazioni occupate dai feriti, gli ospedali da
campo, gli animali, i fiumi, le strade fangose, la miseria feroce
e implacabile che aggredisce le popolazioni. Chi arriver a una
simile lettura con lorecchio assuefatto alle cronache musicali,
avr la sensazione che qui lo stile seppure non essenziale
come nella vecchiaia - sia quasi raffreddato, quasi che le cose
viste funzionino da valvola omeostatka tra lenergia del lin-
guaggio-Barilli e le pressanti richieste di quelle che Gadda chia
ma le realt intangibili, quelle, cio, che segnano il limite
inferiore di pertinenza della attivit elaboratrice. Cosi potr
accadere che la consapevolezza, qui molto acuta, dei limiti di
pertinenza, alleandosi con matrici sintattiche pi o meno in
tenzionalmente orientate verso lespressionismo, produca una
specie di grottesco-tragico e possa allora evocare le grandi
acquefprti che alla guerra Otto Dix dedicher in anni pi tar
di. Un povero zingaro completamente macellato aveva le
labbra asportate nette da un proiettile e tutti i suoi denti era
no scoperti fino alla mandibola ( W , 141). Ma si tratta di
esiti sporadici: quasi sempre l immagine meno declamata e
aggressiva. E, in ogni caso, Barilli da subito - come ha visto
molto lucidamente Macchia - uno che gira il mondo contan
do solo sulle proprie forze. Vale a dire senza difendersi con
riferimenti culturali o con citazioni, senza frapporre tra
s e le cose nessuno schermo che non sia la sua ricettivit pri
INTRODUZIONE X III

vata e la sintonia con lo strumento linguistico che si creato


e con il quale ha finito per identificarsi. Allo stesso modo, con
lo stesso tipo di mimetica premeditazione, Barilli si spinger
attraverso la Danimarca la Svezia e la Norvegia fino al circolo
polare artico, soggiorner a Parigi e a Londra, attraverser lo
Stivale e la Spagna; oppure, raggiunta Citt del Capo, ri
salir fino alla Somalia e allEgitto. Sulle sue pagine resteran
no lo stimolo epidermico, l esotico, il pittoresco che, se
condo Walter Benjamin, prendono solo lo straniero: Ba
rilli , in questo senso, uno straniero di elezione, ma anche
vero che nelle sue pagine di viaggio la superficialit spesso
illuminata interiormente dal genio di una lingua intemperan
te, e qui controllata. A chi ne voglia conferma, baster ri
leggere Il sole in trappola, e vedere allora con quanta forza
espressiva e quale smalto, con quale sicurezza lessicale e con
quale fedelt al dato i singoli frammenti siano uno per imo
strutturati e incastrati lungo la geodetica del racconto. Ba
ster un solo esempio:
Un deserto senza dune, senza palme, senza sfingi dal mu
so rotto, senza fogli di giornali inglesi sparsi in terra, senza
piste, n ombra di cammelli, n segni di passaggio umano
- vergine, intatto, fulvo, unico, solo - immerso in una quiete
luminosa.
Tutto uguale, tutto nuovo. La sabbia, pulitissima, di un
colore riposato e potente, non reca traccie di vento. Non li
sciata n accumulata. Non ci son quelle striscie correnti e cri
stalline, quei veli superficiali, quelle serpentine che anche i
pi fugaci squilibrii meteorici lasciano dietro di s.
L aria limpida e ferma e brucia leggermente senza divam
pare (ST, 133).
Quella improvvisa sequenza di aggettivi (e non solo quella,
lo vedremo ancora) ha il perentorio potere di identificazione
di una impronta digitale. Ma preme sottolineare che, in que
sta specie di diario, non c accumulazione, non metafora n
similitudine, n figura retorica che non funzioni come, in fo
tografia, gli agenti rivelatori quando reagiscono sullemulsio
ne e portano a galla limmagine latente. Il dispositivo di cui
si serve Bruno Barilli appare, nello stesso tempo, artigianale
e capace di una precisione millimetrica, tanto che viene da
pensare a quale mirabile sussidio avrebbe potuto ricavarne
una spedizione di ricerca, se vero che l etnologia descrittiva
richiede, accanto alla preparazione paleografica, storica e sta
tistica, anche precise doti di scrittura, le doti di un roman-
XIV M ARIO LAVAGETTO

ziere - azzardava Marcel Mauss - capace di evocare la realt


viva di tutta una societ.
Il viaggio in Africa di Barilli comincia nel dicembre 1931.
Pochi mesi prima, il 19 maggio dello stesso anno, iniziata la
spedizione di Marcel Griault, di cui straordinaria testimonian
za rimasta nel diario di Michel Leiris, L Afrique fantme.
I due itinerari non si incrociano perch mentre Barilli, sbar
cato a Citt del Capo, risale verso nord fino alla costa dei
Somali, Griault e Leiris attraversano lAfrica lungo la linea
dellequatore, da Dakar a Gibuti. C solo il Mar Rosso in
comune: appena accennato da Leiris (che si sente ormai oltre
la fine del viaggio), e descritto, viceversa, con stupefatta insi
stenza da Barilli. Ci non toglie che L Afrique fantme possa
- nella sua radicale diversit - consentire una ulteriore e pi
sottile definizione del lavoro di Barilli. Leiris certo un viag
giatore pi attrezzato e diffidente, pi legato al contratto di
una stenografia quasi quotidiana: non conta solo sulle pro
prie forze e sfugge sistematicamente lesotico e il pittoresco
che, quando lo seducono, vengono poi sterilizzati dalla regi
strazione telegrafica e dalle maglie di una rigidissima paratas
si, a cui si affida una specie di retorica del viaggio. pi at
tento alle forme e alle articolazioni del tessuto sociale e agli
incidenti di un itinerario meno codificato e prevedibile, ma
- soprattutto - il suo diario , come ha riconosciuto lo stesso
Leiris, in una recentissima prefazione, double entre:
il resoconto di una spedizione, ma anche, in maniera pro
gressivamente pi marcata, pagina dopo pagina, il resoconto
di uno sguardo particolare, battezzato, costruito e intorno a
cui si organizza la fisionomia di un occidentale mal dans sa
peau, qui avait follement sper que ce long voyage dans des
contres alors plus ou moins retires et, travers lobserva
tion scientifique, un contact vrai avec leurs habitants ferait
de lui un autre homme, plus ouvert et guri de ses obses
sions * di un occidentale che, nel 1934, al tempo della pri
ma pubblicazione, enunciava lucidamente il suo programma:
dcrire ce voyage tel quel je l ai vu, moi-mme tel que je
suis.
Barilli, al contrario, sembra avere edificato intenzionalmen
te il suo testo con ununica entrata: le sue immagini e i suoi
frammenti sono pressoch privi di specularit; il suo occhio
resta impercettibile, mentre quello di Leiris occupa man mano
il centro del fantasma. Probabilmente un etnologo guarde
rebbe con giustificato sospetto un simile occultamento che
INTRODUZIONE XV

rende in ogni caso pi problematico il calcolo degli indici di


deformazione, ma come non riconoscere - in una luce diver
sa - le premesse di un originale partito preso, di una calcolata
e fruttuosa cancellazione di s? Una cancellazione caratteri
stica di tutto il Barilli viaggiatore e tanto rigorosa - nel ri
spetto di una specifica professionalit - da accantonare le
ossessioni, che pure vivevano in lui, e da non concedere
mai la parola a chi, in lui, si teneva mal dans sa peau.

Per riconoscere questo Barilli dobbiamo tornare al 1915,


quando compone la sua seconda, ultima e pi amata opera
Emiral, un atto unico di cui lo stesso Barilli scrive il libretto
e che va in scena, con poco successo, nel 1924, dopo essere
stata premiata, lanno prima, da una giuria presieduta da Gia
como Puccini. Je ne prouve aucun embarras - grider nella
vecchiaia - dire que mon opera Emiral est un chef deuvre
(T, L X i ii, 148): un chef deuvre ni [...] un petit chef deu
vre, ni sans documents, ou pieces didentit, qui na pas
lanzianit, comprenez-vous, un chef deuvre petit, encore pe
tit, mais tout de meme sur la route de la immortalit (T,
LXiii, 135). Una simile profezia prima di tutto - patetico
esorcismo e patetico scongiuro: n vale, a smentire una tale
interpretazione, che Barilli dichiari sciolto ogni vincolo tra
se stesso e l autore e lopera (T, l x i i i , 167-168). D altron
de l anzianit, che nel frattempo si accumulata, non sembra
avere giocato molto a favore di una partitura spavaldamente
allineata, in un altro taccuino, con il Fidelio, il Trovatore e il
Don Giovanni (cfr. T , l x v , 31 bis), se in occasione della sua
ripresa nel decimo anniversario della morte - un ascoltatore
benevolo e intelligente come Fedele D Amico, dopo aver po
sto e lasciato in sospeso la domanda Che vale il compositore
Barilli? , se la cava aggregando, contro le convenzioni, Emiral
alla scuola verista e riconoscendole (ma di sfuggita) una sem
plicit, freschezza, candore che la tengono piacevolmente lon
tana dagli eccessi, dalle bravate sentimentali cosi frequenti in
quella. Si pu essere daccordo con questo elogio in sordina
e, lasciando ai musicologi il compito di uneventuale (credo
improbabile) correzione di tiro, varr la pena di sottolineare
come Barilli, fino allultimo, abbia visto in s, con rabbia e di
sperazione, un compositore, un musicista misconosciuto e for
se anche tradito dal suo stesso talento letterario.
Enfin, il passa critique. Avesse o no ragione Balzac,
quando vedeva in una simile metamorfosi la prova incontra
XVI M ARIO LAVAGETTO

stabile dellimpotenza creativa e della fallacia di oroscopi fa


vorevoli ma prematuri, un fatto che la critica musicale di
Bruno Barilli nasce e assume una fisionomia nei nove anni che
intercorrono tra la composizione di Emiral e la sua prima rap
presentazione. Dal canto suo Barilli cercava di non recidere un
legame, che doveva apparirgli vitale e che gli permetteva di
scommettere sulle sue doti di musicista, e dichiarava, sotto
specie di aforisma, che larte e la critica sono due passioni
in gara - luna iniziale, laltra subordinata. Ben di rado la se
conda supera la prima - comunque lartista le possiede ambe
due (Fase. i). Era un modo per non credere alla morte di
Emiral e per mantenere aperta - almeno ai propri occhi la
possibilit di una resurrezione. Come certi animali marini che,
per difendersi dal freddo e dalle acque dolci (dove talvolta si
trovano a vivere), sviluppano capsule chetinose e resistenti,
gemme o uova invernali, al cui riparo lesistenza risulta
garantita, Barilli trova nella critica - in una particolare, perso
nalissima, molto connotata specie di critica - un guscio che
sembra assicurare una vita, per quanto grama e larvale, al com
positore che in lui. un fenomeno ben noto, e che spesso
documentato da taccuini segreti in cui, lontano dalle pagine
ufficiali, si depositano veleni corrosivi, rivalse, epigrammi,
giudizi sferzanti e non coperti da alcuna convenzione.
I Taccuini di Barilli pullulano di atrocit: Respighi co
me il pavone, apre la coda e non si vergogna di quel che scopre
dietro di s (T, xxx, 33). La musica del maestro Pizzetti
non esiste, e se mi stuzzicate vi dir in un orecchio che non
esiste nemmeno il maestro Pizzetti (T, xx vn , 23). A d ogni
raffreddore Casella cambia stile e strada musicale. Quando
egli annuncia al pubblico dei concerti "questa la mia ottava
maniera vuol dire che la sua testa s per lottava volta riem
pita dacqua piovana (T, xxxv, 78). Mascagni: Dal giorno
che nacque in poi la sua importanza non fece che diminuire
continuamente (T, ix, 5).
Ma con la sola eccezione di Mascagni, a cui vengono dedi
cati articoli deferenti e a proposito del quale Barilli, in un al
tro taccuino, dichiara di non dire volentieri quello che pensa
(cfr. T, x x v ii, 107), bisogna riconoscere che anche in pubblico
i riguardi non sono molto pili alti. Cos, quando riapre la sta
gione, Barilli estrae dal proprio talento di scrittore una simi
litudine programmatica: Ecco venuta lepoca dei pi strani
uccelli di passo: esotici, zazzeruti, cerimoniosi emigranti bian
co-neri, dalle ali larghe che sagitano lentamente come venta
INTRODUZIONE XVII

gli nel cielo di Novembre. venuto il momento di drizzar le


orecchie come fa il cane quando il padrone stacca il fucile dal
muro (RdC, 4 novembre 1927). E allora Boi to non sar il
porco dei Taccuini (T, l x v , 28 bis) o il primo dei nemici
del teatro italiano (T, l x , 39), ma se fa latto di trattenere,
di sospendere e di innalzare la musica, gli viene il fiato grosso,
la vista gli si intorbida, e suda, lautore di "Mefistofele, come
un Polifemo costretto a scrivere in bella calligrafia (Cor.it.,
2-3 maggio 1924). Pizzetti un musicista tirato su con lin
cubatrice. Quando lo conobbi stava tra Pinco e Catalani. Poi
Catalani scomparve. Pazienza! (Tv, 6-7 febbraio 1929). O,
per finire con una pagina pi conosciuta, Alfredo Casella, pia
nista europeo, il pi stonato e il pi placido dei nostri compo
sitori, lapostolo, per cosi dire, della nota falsa (DI, 43).
La moltiplicazione degli esempi non serve solo a docu
mentare la capacit epigrammatica di Barilli o a mettere in
guardia contro un critico che , e si vuole, rissoso e passiona
le, che a volte livido, quasi sempre settario, intransigente e,
nello stesso tempo, preso da una specie di frenetico narcisi
smo linguistico. Quelle citazioni, se usate come indizi, posso
no aiutarci a capire la specificit del punto di vista scelto e
privilegiato da Barilli, possono indirettamente illuminare i
suoi interessi fondamentali, le sue idiosincrasie e le sue predi-
lezioni che sono quelle lho detto allinizio di un personag
gio critico ritagliato accuratamente come portavoce di un pub
blico facinoroso, di un pubblico di cui sarebbe certo difficile
stabilire la probabilit storico-sociologica, ma che tuttavia
esisteva nella immaginazione di Barilli; di uno che dichiara
va: Jimmagine, laissez-moi dire, sans imagination il ny a
pas de ralit savez-vous? (T, xx, 16).
In piena coerenza con simili premesse Barilli, che ha scritto
due opere sfortunate, soprattutto un critico del melodram
ma, nel senso che li in quella forma spuria e bastarda, guar
data per lungo tempo con diffidenza dalla cultura letteraria -
si verifica in tutta la sua pienezza fisica, in tutta la sua inquie
tante alcatoriet il miracolo teatrale: un fatto, un evento,
una scena drammatica in cui sono coinvolti nello stesso tem
po lorchestra, i cantanti, gli scenografi, i costumisti, i tecnici
della luce, il pubblico. Quello che preme sopra ogni altra cosa
a Barilli il teatro, il teatro lirico dove il dramma, disegnato
sommariamente da parole che si consumano, completamen
te affidato alla musica: il libretto, un buon libretto - non si
stancher di ripetere deve essere schematico e fiero co

2
XVIII M ARIO LAVAGETTO

me quello del Trovatore o del Fidelio (T, l x , 33); stecchito


come un attaccapanni (T, xxxi, 87), esclude i grandi poeti
perch nellopera c posto per una sola, superba e dispoti
ca personalit, e le parole debbono essere come i sassi che
non si vedono in fondo al torrente se lacqua profonda (T,
x x v iii, 25). Le parole nella musica - dir in unaltra occa
sione - sadeguano alla misura del fiato, si gonfiano, sallun
gano e si spappolano come il riso nella minestra. Anzi direi:
le parole si aprono nella musica grandi, immense, e vengono
gi col paracadute. Nel volo si perde il loro senso letterale
- e ne aumenta a dismisura quello sonoro (T, l x v i , 40).
Manrico, Azucena, Violetta, Don Giovanni, Mimi appaiono
cosi le luminose e drammatiche incarnazioni di ombre lettera
rie dimenticate e irrevocabili. Intorno ad esse il teatro lirico
vive la sua esistenza totale: e per Barilli quel teatro dovrebbe
essere piccolo, raccolto, saturabile - in ogni millimetro cubo
del suo spazio - dal miracolo che si realizza, dalla fiaba che
non conosce pi confini di spazio e che occupa, ilare e persua
siva, ogni angolo e ogni anfratto. Tutto quanto appare come
deformazione di quel miracolo, come variante arbitraria di
quel codice fiabesco, che deve conservarsi ereditariamente ed
essere infranto da una musica nel contempo memore e inno
vatrice (cfr. T , xxxv, 47), va combattuto ed estirpato. Barilli
difende la sopravvivenza di una sua idea di teatro, di quel
melodramma italiano che per il pubblico dellOttocento era
stato una specie di Macchina infernale (Verdi, 33) e in cui,
sopra tutto, lo affascinava il rischio di unopera d arte tutta
speciale, costruita sul ciglio dun abisso di ridicolo e tenuta
a galla, a forza di genio, in prodigioso equilibrio {ibid.).
E in nome di quella idea Barilli compir anche gli unici
tentativi di intervento politico. Dopo aver ottenuto (ma per
un breve periodo) camicie bianchissime dal fascismo (cfr. T,
x v iii, 9), chieder anche - ma invano - una riforma dei teatri
lirii che sono divenuti dei mattatoi verso i quali le opere
del nostro repertorio si lasciano condurre senza riluttanza
(La Stirpe, settembre 1926). Non il solo, tra gli intellet
tuali, che si illuda di trovare in Mussolini uno strumento per
realizzare i propri progetti di settore, e non il solo a doversi
accorgere che non l ora dei compositori e dei critici, dei poe
ti e degli scenografi: lora di Starace (T, x x vn , 130). Il
teatro lirico resta nella decadenza ed questa decadenza che
agli occhi di Barilli spiega l insuccesso delle sue opere, il trion
fo della musica scolastica e imparaticcia, dei tecnicismi, del
INTRODUZIONE XIX

le mode, delle teorie astratte: spesso - si dir - Barilli


a non capire o a deformare i bersagli, ma se questo pu essere
un giudizio sul valore delle sue battaglie (a volte inutili, stre
pitose e donchisciottesche), nulla toglie al suo modo di eserci
tare la critica militante con il piglio aggressivo e spavaldo del
paladino o del livellatore. E quando, nellultimo dei suoi tac
cuini, dichiara sornionamente di avere nel posto del cuore
[...] un teatro (T, l x v i i , 71), ha certo ragione chi - conoscen
do queste parole - le legge come un paradosso surrealista
(si potrebbe perfino pensare a una didascalia per Magritte),
ma sarebbe un errore dimenticare che, oltre il surrealismo,
quelle parole sono anche un rigoroso stemma biografico, il bla
sone di unesistenza che ha trovato nel teatro, nel profumo
delle quinte e dei praticabili, nei corridoi che circondano la
sala, in platea o in alto, aggrappato alla coffa dellalbero mae
stro, nelle gallerie, nei vestiboli dove arrivano attraverso le
porte velate le frasi dei cantanti, e gli scoppi dellorchestra
(T, Lx, 6-7), che ha trovato in tutto questo lalimento della
propria scrittura e della propria immaginazione. E allora biso
gna essere pi feroci duna volpe legata in un sacco (T, xiv,
24).
Ci che veramente lo affascina - ha scritto Fedele D Ami
co - il rischio di un evento che si propone, per sua natura,
in forme sempre rimesse in questione, e perci figura di quel
caduco miracolo al quale soltanto egli riconosce realt di vita.
L irripetibile unicit dello spettacolo teatrale, sempre diverso,
mai chiuso in uno stampo bloccato, funziona insomma per lo
spirito avventuroso di Barilli come un elisir del diavolo:
gli d invenzione, grazia, immagini e sicurezza stilistica, gli d
ordine e tono, vitalit, leggerezza. G li consente anche di fis
sare la sua pratica di critico e di ascoltatore con ima similitu
dine abbagliante e decisiva: C chi, a sentire la musica, bal
la: noi scriviamo. un fatto macchinale; ascoltando con tanto
dorecchi scriviamo sotto dettatura. Lavoriamo in poltrona,
nel buio del teatro o del concerto, ritiriamo poi la nostra lastra
che non ha bisogno desser sviluppata in bagni acidi (Tv, 20
maggio 1927). La conoscenza dei Taccuini impone, senza om
bra di dubbio, una certa cautela nel prendere alla lettera que
ste parole di Barilli: e tuttavia ne conferma il valore illumi
nante, conferma lessenza di una critica che si vuole scritta sot
to dettatura, in perfetta sintonia con la musica. Sulle pagine
del taccuino, nel buio, con una grafia disordinata e frettolosa,
finiscono immagini discontinue, registrazioni telegrafiche che
XX M ARIO LAVAGETTO

avranno poi bisogno di essere sviluppate e organizzate in un


tutto coerente. Ci non toglie che sia quasi impossibile im
maginare Barilli al lavoro sulle partiture o nel chiuso di una
stanza di fronte a un fonografo: le sue parole nascono in quel
l atmosfera febbrile, vibrante e surriscaldata. Non certo uno
di quei musicologi che portano sempre un volume sotto il
braccio (T, x i i i , 4), non si cura delle teorie, non sa cosa far
sene, si schernisce: Intellettuale io, per carit (T, l x v ,
26 bis): naviga nei suoi succhi originali. Che viaggio dincli
nazione! Il suo fluido rimane inalterato ed egli ritrova sempre
il suo innocente tornaconto al totale. Natura e umori creano
in lui gli accordi pieni e diversi duna avventura profonda e
senza fine (Tv, 20 maggio 1927). Ci sediamo in poltrona per
ascoltare la Tetralogia e partiamo dal livello dei palombari,
siamo sotto le acque del Reno (T, x l i v , 2); l, sulla scena,
si consuma la tragedia del re Macbeth e la musica nasce [...]
alle radici stesse del dramma, lo strumentale - fatto di ven
to, di cigolii e di misterioso abbandono sembra appena
uscito da un barattolo del laboratorio del dottor Mabuse
(T, x l i v , 67-72).
Lui, Barilli, che vedeva nel lavoro di composizione un viag
gio (cfr. T, LX , 2-3), uno slancio, che difendeva 1ispira
zione contro la tecnica, che condannava gli esperimenti
scientifici dei compositori moderni (cfr. T, x, 1) tra i quali
era disposto a salvare, senza troppe riserve, il solo Strawinski,
che faceva venir fuori opere melodrammi tragedie di Verdi
dalla noia di questo misantropo immalinconito durante le
giornate dautunno a SantAgata (T, x l i v , 60), che appariva
dotato di una apparecchiatura molto modesta o che, comun
que, si preoccupava di nascondere la propria apparecchiatura,
non poteva, come critico, esimersi dal guardare con diffidenza
le indicazioni dellestetica, di ogni estetica, anche di quella cro
ciana davanti a cui molti dei suoi contemporanei (gli pareva)
si fermavano come davanti a un distributore di benzina
(T, l x v i , 22). Dal canto suo preferiva affidarsi allintelligenza,
cio alla percezione occasionale di tutto quanto era nella
ria o a mezzaria allinterno di un teatro (cfr. T, l x v i , 34), la
sciando poi che la ragione, la sua ragione, trovasse il modo di
conciliarsi con verosimiglianza e verit (cfr. T, l x v , 18 bis).
Ma le idee! Dalle idee bisogna guardarsi! Possono certo
procurare unapertura di credito, una divisa, imporre una coe
renza del tutto esterna e formale, ma finiranno poi con il com
promettere e il guastare la personalit come lamido nel latte
INTRODUZIONE XXI

e il cartone nella suola delle scarpe (Tv, 20 maggio 1927). Le


idee sono inutili, sono il risultato di codificazioni a posteriori
e destinate, comunque, ad essere deluse dallirripetibile uni
cit dellevento: in ogni caso conducono una loro esistenza
separata. Sono autonome, non ci appartengono. Il faut les
entretenir comme on entretient une femme. Et ce que nous
leurs donnont sans treves pour les faire vivre, a est vraiment
a nous - a est notre creation (T, xxxi, 178-179). Le idee
vengono dopo le opere darte che le hanno nutrite e le seguo
no come animali. Barilli vuole che lo seguano, non gli im
porta di possederle.
Con questi presupposti sarebbe vano pretendere dalle re
censioni di Barilli qualsiasi struttura dimostrativa: procedono
per definizioni e per immagini, per flash di lunghezza ineguale
e che sono il frutto di successive rapine a mezzaria, compiute
da unintelligenza mirabilmente prensile e tesa a scavare, allin
terno della lingua, i propri cunicoli, ad alimentare una formi
dabile macchina fantastica e sintonizzata sui ritmi discontinui
del singolo evento. Vanno avanti a zig-zag come gli artisti, le
farfalle, gli ubbriachi (T, l x i i i , 37), rifuggono da qualsiasi
geometria e da qualsiasi premeditazione, trovano nellimpre-
vedibilit il proprio codice di onore. A nullaltro si attengono.
E se le opere ispirate e felici hanno unacustica interna loro
propria che fa funzione di architettura, di luce, di carattere
(T, xxii, 12), anche gli articoli di Barilli sembrano inseguire
una simile acustica, una specie di necessit biologica e che ga
rantisce, alla fine, l emergenza di organismi unitari.
In un fascio di appunti, aforismi, note, materiali vari nu
merati irregolarmente dalli al 335 e ritrovati tra le sue carte,
Barilli ci ha lasciato una specie di parabola, ironicamente pa
radossale e lucidissima, sul suo modo di lavorare. Non so
ragionare, se vogliono delle spiegazioni butto la testa da un
lato e guardo il mio interlocutore con uno stupido occhio di
gallina - non so come si faccia a dimostrare qualche cosa [...]
Io stesso circolo in un casamento sconosciuto e buio, impene
trabilmente buio, quando ho la penna in mano - le mani in
avanti trovo delle ringhiere che mi salvano, delle rampe che
mi aiutano a salire, e a discendere, delle porte che si aprono
cigolando, traverso sulla sordit dei tappeti degli ambienti in
visibili dove c odore di chiuso e di vecchio, mi perdo coi
piedi dentro delle sedie rovesciate e mi aggrappo al lampada
rio trascinandolo gi nella caduta; fuggo sempre pi spaven
tato del danno e del chiasso e degli echi, e finisco per precipi
XXII M ARIO LAVAGETTO

tare da un balcone sulle zolle molli di una aiuola fiorita e l


faccio punto fermo, firmo, saluto chi mi legge, il mio pubblico,
senza voltarmi indietro, senza chiedere una spazzola. E se il
conto non torna, faccia, chi mi legge, loperazione al rove
scio, rilegga di sotto in su, e vedr che il risultato lo stesso
(Fase. i).
Una simile rappresentazione di s e delle proprie figurate
peripezie , da un lato, molto insistita, dallaltro quasi prete
rintenzionale, non inedita, n priva di incrostazioni letterarie:
questa specie di critico-Charlot - al quale, peraltro, Barilli di
chiarer di assomigliare negli ultimi anni (cfr. T, l x i i i , 122) -
ha parentele facilmente riconoscibili nella maniera novecente
sca, nei suoi ammiccamenti e nelle sue sommesse infrazioni.
Forse proprio quelle incrostazioni (da cui Barilli dichiarava di
rifuggire e da cui in effetti rifuggiva nei momenti di felicit)
possono averlo indotto, nel Taccuino l u i (66), a cassare il bra
no dopo averlo ricopiato e a scrivere sul margine un vistoso e
perentorio no. Detto questo la parabola conserva quel tan
to di funzionalit che ci ha indotto a servircene e che ci spinge
ora a osservare pi da vicino i passi e gli espedienti e le tecni
che adottate da Barilli durante la sua avventura in un casa
mento buio , nel buio - per lui antonomastico - dello spazio
teatrale.

In unoccasione Barilli dice che lesercizio della critica mu


sicale corrisponde a presentare lo specchio a Narciso (cfr. T,
xxxi, 32). L affermazione di per s ambigua: nel caso di Ba
rilli non c dubbio, tuttavia, che in quello specchio potr for
se riflettersi la singola opera, la sinfonia o il quartetto o la
sonata, ma si rifletter certamente anche lo stile inconfondi
bile, e a suo modo autoritario, del critico. Il limite inferiore
di pertinenza dellattivit elaboratrice risulta, negli scritti
musicali, notevolmente pi basso che nelle pagine di viaggio:
le fealt intangibili sono come rattrappite e Barilli non esita
(lo documenta ampiamente lappendice genetica di questa edi
zione) a compiere i trapianti meno compatibili con il rispetto
del dato, a servirsi - per esempio - di pezzi di Koussevitzky
per costruire, in totale libert fantastica, il ritratto di Bot-
tesini.
Decisiva, insomma, la riuscita stilistica che viene insegui
ta sfruttando tutte le risorse del mezzo. La lingua italiana -
scrive Barilli in una pagina famosa - quando lhai tra le brac
cia, e non ti scappa, ti pare, fuor di senno, che palpiti offren
INTRODUZIONE X X III

doti il fianco, invece si raffredda da capo, si distende e non si


muove pi. Ci vuole il potere magnetico, l energia dun Ca
gliostro, perch la lingua italiana si levi, cammini, e ti segua
(Pa, 52).
Cagliostro dunque, e magari anche la lingua della Sibilla
che rifiuta di spiegarsi {ibid.). Ma i maghi - alla cui costella
zione Barilli si aggrega volentieri - hanno tutti un repertorio
di trucchi e di espedienti facilmente inventariabile. L inventa
rio dei trucchi di Barilli, almeno dei suoi fondamentali, non
presenta grandi difficolt proprio perch la sua cifra molto
netta, perch il suo stile, proteso dichiaratamente verso la va
riet e la sorpresa, si appoggia poi su alcune soluzioni stan
dard. Quasi tutte le citazioni che ho lasciato alle mie spalle
potrebbero, credo, recarne conferma, ma forse pu valere la
pena di aggiungerne qualcuna, in economia, e col solo intento
di illustrare quelle che a me paiono le costanti di maggior ri
lievo in una scrittura cosi concitata e crepitante e tesa al colpo
di scena da rischiare poi - nei momenti di routine - una sor
ta di paralisi o di movimento coatto.
Prima di tutto le figure dellaccumulazione e in particolare
1'evidentia, lipotiposi su cui gi Debenedetti aveva richiamato
la nostra attenzione:
Si dimena ferocemente come un olmo squassato dallura
gano, ma, cadute che sono, in una pausa del vento, tutte le fo
glie ai suoi piedi, rimane lf pieno di brividi stringendo i denti
e il lungo corpo desolato: vuole ormai un pianissimo, un sus
surro; vuole il ronzio dun alveare; vuole, da quelle voci smor
te, gli scossoni e la tremarella della febbre terzana, e, ripiglian
do lena, vuole una selva tutta piena di storni, di allocchi, di
gazze e di capinere; il cinguettio vuole, gli sghignazzi e lo schia
mazzare lungo e paradossale di unuccelliera immensa che il
buio della notte seppellisce man mano e addormenta (SV,
I7 )- . .
Ma in questo passo grondante di immagini e di predicati
che seppelliscono, accumulandosi gli uni sugli altri, il pri
mo e ormai lontano termine della similitudine (Lhuis Millet
sul podio), emerge - accanto al lusso della accumulazione -
unaltra delle costanti di Barilli; ed proprio il ricorso sfre
nato, intemperante allarsenale delle metafore e delle similitu
dini con il veicolo gonfiato ogni volta fino a scoppiare o a
staccarsi dal piano del discorso per galleggiare poi in piena,
aerea e magari felicissima autosufficienza.
Finalmente, con un zig-zag fulmineo larco famoso vien
XXIV M ARIO LAVAGETTO

gi, tocca la prima corda, e senti una nota che fischia come
una vescica bucata da uno spillo - intorno si sparge tutto il
vapore di una teiera in ebullizione, e in quel vapore lo scor
pione si snoda, ondeggia, prende volume, si solleva fuor di
ogni proporzione, e scrolla dallistrumento una grandine fitta
(Tv, 22 novembre 1930).
O ancora:
Armata di ferro e dargento, con tutte le sue vele spiega
te, sonante come una nave, questopera genovese rientr son
tuosamente in servizio, dopo cinquantanni di inedia, che non
la distrussero, n la accasciarono.
Non fu necessario tirarla a secco per le riparazioni duso.
L opera non presentava avarie, o deterioramenti, n di fuori
n di dentro - era intatta.
E pi che nuova apparve rafforzata dalla stagionatura.
Con un nuovo equipaggio valoroso e gagliardo, laltra sera
riprese il mare e pass in bilico perfetto, galleggiando, mae
stosa e chiara, dinanzi agli occhi stupiti del pubblico romano
(Tv, 5 marzo 1934).
A questo secondo esempio ha dedicato una lettura fin trop
po sottile Gabriele Baldini. Credo che lessenziale, in questi
casi, non sia tanto una decifrazione (pi o meno probabile) del
le intenzioni e dei sensi nascosti; non sia il chiedersi se parlare
di una nave armata di ferro e dargento corrisponda o meno
a un giudizio sottilmente limitativo, perch poi - una decina
danni pi tardi - Barilli trasferisce la definizione dal Simon
Boccanegra a tutto un gruppo di opere bussetane e genovesi
(Verdi, 44). Credo piuttosto che sia opportuno accantonare
alcuni pregiudizi, alcune idee astratte (avrebbe detto Ba
rilli). Spesso sinceppa. E il carico delle iperboli talvolta esor
bitante, come esorbitante in genere, a ogni livello, chi di
chiarava ironicamente: Forse esagero, e lo faccio volentieri
(Tf LX , 112).
Perch se poi simili rilievi non vengono tradotti in giudizio
sulla base di un codice il pi obsoleto e il pi accademico, se
il lettore non diventa perci pregiudizialmente sordo e refrat
tario, sar quasi impossibile non riconoscere, qui, lenergia
trattenuta e ironica di un Cagliostro che ha fatto alzare la
lingua italiana e lha indotta a seguirlo docilmente, insieme
alle idee che Barilli dichiarava - lo abbiamo visto - di non vo
ler possedere. N ci si difender allora dalleuforia che si dif
fonde da immagini cosi esplosive, eppure cosi controllate e
INTRODUZIONE XXV

guidate nei loro effetti lungo binari di senso accuratamente


predisposti: Forse esagero, e lo faccio volentieri.
Questo capolavoro, stravagante e superbuffo, pieno du-
nilarit musicale che turba la ragione e suscita un pandemo
nio e un delirio parodistico. Rossini ci appare l, nero, secco,
grottesco eppure brillante, luminoso, colorito, tenero, traspa
rente, spirituale e ammantato di fantasia e di romanzo come
un personaggio di Goya (DI, 31).
Gli antichi precettori di retorica, quelli che avevano elabo
rato e definito la rgle des trois adjectifs, avrebbero visto im
pazzire i loro strumenti di controllo, se avessero potuto appli
carli al testo di Barilli, dove laccumulazione degli epiteti non
si limita a due n a tre n a quattro n a cinque, ma arriva a
sette e a otto e a dieci senza remora alcuna. Non c pagina in
cui il fenomeno non sia rilevabile e non si ripeta diverse vol
te: appena Barilli prende la parola gli aggettivi si moltiplicano
come gramigna tra le sue mani, che li dispongono a collane a
festoni, che li organizzano in reticolati e organizzano intorno
ad essi la sintassi. Quand mme - dichiara in unoccasione -
on trouve toujours des adolescents sensibles a ladjectiv. Vous
matres du substantiv, vous tes des propritaires et nous dei
nullatenenti (Fase. i).
Ma a parte questo piacere autentico e beffardo della nulla-
tenenza (contrapposta alla propriet delle idee), c nelluso
dellaggettivazione da parte di Barilli un altro particolare che
merita di essere sottolineato, che risulta dagli esempi forniti
in precedenza e che, daltronde, consono alla sua pi radicale
intenzione stilistica, alla ricerca dello straniamento e alla rot
tura sistematica delia prevedibilit. Lo straniamento Barilli lo
cerca con tutti i mezzi, tanto con quelli evidenziati in pi
di unoccasione da Viktor Sklovskij, e cio con linvenzione di
una specie di occhio stralunato e intatto come quello di Khol-
stomer o di Natasa Rostova che porta ad annullare tutte le
convenzioni e a ribattezzare il mondo dalle origini, ma anche
con quelli pi sistematicamente previsti dalla retorica classica,
fino a infrangere e a mandare in briciole la struttura di attesa
dei suoi ascoltatori.
C , a questo proposito, una nota dei Taccuini che mi sem
bra del tutto illuminante: Poesia - on sy attend la nais
sance de l avorton prodigieuse (T, x v u , 30). Ogni pagina di
Barilli, ogni sua immagine, ogni sua riga sembra obbedire a
questo principio e adoperarsi con tutte le forze per mettere
alla luce laborto prodigioso, per rompere le abitudini, per
XXVI M ARIO LAVAGETTO

sorprendere l intelletto e le emozioni, per costringere il letto


re a interrompere una linea di consuetudini semantiche. Ros
sini nero, secco, grottesco eppure brillante, luminoso, colo
rito, tenero, trasparente, spirituale e ammantato di fantasia
e di romanzo come un personaggio di Goya; Verdi: Allor
ch si presenta la sua faccia ardente e corrugata, e risuona la
sua musica litigiosa e violenta, teatrale e spaziosa ... (PdM,
31); Debussy con le sue povere mani fredde, passive, ema
ciate e gialle come due vecchi guanti (DI, 82). Anche qui gli
esempi potrebbero essere infiniti: determinante sarebbe, in
tutti i casi, lemergere improvviso di uno o pi aggettivi tali
da rompere il campo associativo e da capovolgere compieta-
mente la gerarchia dei rapporti preferenziali che in quel cam
po sembrano imporsi per forza naturale. Ma oltre che con
Bally - di cui abbiamo chiesto il sussidio come prima avevamo
preso da Lotman la nozione di struttura di attesa - possiamo
tradurre in altre parole la teoria dellaborto prodigioso. La
bellezza delle frasi - ci suggerirebbe Proust se volessimo pa
rafrasarlo - imprevedibile. Chiunque potrebbe dire che
delle mani sono fredde emaciate e gialle, ma quale legge
poi, o quale determinismo potrebbe suggerire il quarto pre
dicato: passive? La vrai variet est dans cette plnitude
dlments rels et inattendus, dans le rameau charg de fleurs
bleues qui slance, contre toute attente, de la haie printa
nire qui semblait dj comble.

C (e lo vedremo pi avanti) una specie di sotterranea ra


gione e di involontaria ironia nel chiedere a Proust - allauto
re dellopera pi complessa e monumentale della letteratura
moderna - le parole e le indicazioni per definire lo stile di un
autore di pochi, esili e ripetuti libretti. Il primo dei quali ve
de la luce nel 1924, intitolato Delirama e comprende tre
dici prose, quasi tutte di argomento musicale e le cui origini
(coin si potr rilevare dallappendice genetica di questo vo
lume) derivano in vario modo, e con varie articolazioni, dal
l attivit pubblicistica che Barilli svolge a partire dal 1916;
quasi tutte, inoltre, hanno trovato una forma pressoch defi
nitiva sulle pagine della Ronda, di cui Barilli redattore
con Cardarelli, Cecchi, Baldini, Spadini, Montano, Bacchelli
e Saffi. Sarebbe stato difficile - riconoscer in anni pi tardi
Emilio Cecchi - trovare e mettere insieme scrittori di tenden
ze pi indipendenti. Chiedersi allora quanto Barilli debba
alla Ronda certamente legittimo, a patto di non soprav
INTRODUZIONE XX VII

valutare il problema: in prima approssimazione si potrebbe


sostenere che nella poetica del rondismo Barilli trov, non
diversamente da come gli accadde con altri movimenti del No
vecento, una specie di legittimazione a coltivare le sue perso
nali propensioni. E in ogni caso da sottolineare che anche
le prose comparse sulla Ronda, per quanto rigorosamente
spogliate da ogni occasionalit giornalistica, conservano tutte
- in maniera pi o meno esplicita memoria dellevento da
cui sono nate: raccontano un fatto, uno spettacolo, magari
fondendo insieme e rielaborando fatti e spettacoli diversi da
cui Barilli ha ricavato a suo tempo le proprie lastre. N
daltronde, di fronte a simili fotomontaggi e alla ricerca lin
guistica molto elaborata che essi comportano, si pu dimen
ticare che Barilli trova in Verdi e nella poetica degli alti e bas
si che lo stesso Verdi viene chiamato ad enunciare nel Paese
del melodramma, la propria stella fissa: quanto di pi lontano
insomma dal frammentismo e dalla prosa darte sia dato im
maginare, quanto di pi alieno dalla ricerca della sinfonia
pura degli strumenti e quanto, viceversa, di pi impuro, di
pi implicato, di pi compromesso con gli ostacoli che Ba
rilli sia riuscito a escogitare nelle sue ricognizioni. Verdi per
lui, secondo una pagina dei Taccuini, come la luce [che] deve
trovare degli ostacoli lungo la sua strada [...] bucare i corpi,
forare le superfici, piegare contro i duri massi che le ostruisco
no il cammino [...] lottare tra la massa del fogliame e rompere
dentro lacerante o stanca velata (T, x v m , 77). Barilli tutto
meno che uno scrittore della prudenza, il suo lessico - lo ab
biamo detto - pu specchiarsi in se stesso, non sempre sor
vegliato ed soggetto a lasciare che il significato cada in tran
sitorie ipnosi davanti alla musica dei significanti, tanto che
la sua attendibilit critica non da misurarsi mai per episodi,
ma sulle sue grandi scoperte, l dove opera, come ha detto
Baldini, una vera e propria rivoluzione [...] nei miti e nei
feticci della critica verdiana. Se mai alla Ronda e al clima
di cui la rivista reca testimonianza, Barilli deve la possibi
lit di pensare ad un libro esile e premeditatamente disconti
nuo come Delirama-, o meglio: di vedere in tredici prose, unite
da sottili legami tematici e da una costante stilistica molto
marcata, un libro.
Una simile fiducia non sembra avere accompagnato in ma
niera costante Barilli, anche se II sorcio nel violino nel 1926
e la seconda edizione di Delirama nel 1944 paiono basarsi sul
lo stesso criterio genericamente antologico. Ma basta scorrere
XXVIII M ARIO LAVAGETTO

gli indici di questi libri e poi anche quelli del Paese del melo
dramma e del Verdi (gi in bozze nel 1946 e mai pubblicato)
per rendersi conto che il problema pi complesso. Chi vorr
a questo punto rifarsi alle tabelle, approntate da Luisa Avel-
lini e da Andrea Cristiani e pubblicate alle pp. 7 sg., 49 sg.,
292 sgg., vedr quanto fitto e intricato sia il passaggio dalluno
allaltro dei volumi di argomento musicale; e se poi cercher
di precisare (servendosi delle appendici genetiche) il modo in
cui lavorava Barilli e seguir litinerario compiuto dai singoli
nuclei che si aggregano gli uni con gli altri o si decantano o tor
nano nuovamente a disgregarsi e a produrre intorno a s
corone differenziate, potr avere la sensazione di trovarsi
di fronte a una specie di pioggia di frammenti, che vengono di
volta in volta attratti o respinti da diversi campi magnetici.
Un simile modo di lavorare, una simile spregiudicata riu
tilizzazione di immagini, di frasi, di interi periodi, che ven
gono innestati su qualsiasi altro tronco, pu apparire, soprat
tutto per quanto riguarda lattivit giornalistica di Barilli, co
me un espediente di routine: se vero che un articolo deve
avere la capacit di rotolare su se stesso (cfr. T, l x v i i , 140),
questo non pregiudica la possibilit di costruirlo con materiali
di varia provenienza e di avviare il suo movimento di rota
zione con una o pi spinte esterne. Che le cose stiano anche
cosi non ci sono dubbi: Barilli, che teorizza la pigrizia come
forma particolare dellenergia creativa (cfr. T, l x , 140), pi
gro, specula su se stesso, cerca di estrarre il massimo profitto
da ognuna delle sue invenzioni. Ma una simile interpretazione
appare, nel momento stesso in cui la si enuncia, lacunosa e
riduttiva soprattutto se riportata ai libri: qui i conti diven
gono immediatamente meno semplici. Si pu pensare certo
che Barilli utilizzi alcuni frammenti esemplari confidando poi
nella loro potenziale vitalit, nella loro forza di produrre te
sto - ritratto o racconto o libro che sia - ma resta poi da spie-
gar? quella specie di caparbio e misterioso accanimento ad uti
lizzare ripetutamente alcune carte fisse e, nello stesso tempo,
a servirsi di un mazzo relativamente povero, se paragonato
al complesso dellattivit critica di Barilli, tanto che si ha qua
si l impressione di assistere ai tentativi ripetuti di risolvere un
gioco di pazienza, di cui non conosciamo le regole e che, pure,
ad alcune regole sotterranee sembra attenersi, dal momento
che le stesse figure vengono giocate e rigiocate e inserite, di
volta in volta, in universi modificati.
Quella impressione si fa anche pi netta, quando, leggendo
INTRODUZIONE XXIX

i Taccuini, vediamo affiorare tutta una serie di indici proget


tuali, di libri ipotetici che Barilli edifica e poi lascia cadere,
mettendo alla prova, nelle varie circostanze, il suo spirito di
calcolo e di combinazione, come se fosse impegnato nella solu
zione di un enigma, nellabbattimento di un ostacolo che gli si
presenta davanti periodicamente e non si lascia aggirare. E se
talvolta un titolo come Piombo e argento che riaffiora in di
verse occasioni - pu far pensare a una specie di accettazione
pragmatica e astrutturale del doppio binario di scrittura, con
il libro collocato al culmine di un processo lento e laborioso
di raffinazione alchemica, altrove lintreccio sembra pi com
plesso, la soluzione pi sfuggente; il calcolo e il successo - pi
che a un passaggio stilistico o a una modificazione dei regi
stri - paiono allora affidati alla riuscita degli incastri, a un
sofisticato sistema di corrispondenze interne, di simmetrie
cercate o distrutte. Insomma, in una simile prospettiva, se
guendo Barilli tra i libri scritti e quelli soltanto pensati, si
finisce col vedere crescere davanti a s e prendere forma una
fisionomia inquietante e delusa, quella di uno scrittore che
cerca ripetutamente di scrivere lo stesso libro e che, ripetuta-
mente, se lo vede sfuggire tra le mani perch non riesce a di
segnarne la pianta.
A qualcuno potr sembrare che in questa luce Barilli finisca
per assomigliare un po troppo a un personaggio fittizio, ma
gari a un personaggio di Borges, costruito senza troppi scru
poli e con illecite intenzionalit ermeneutiche. Ma, a parte il
fatto che le nostre letture si svolgono sempre allombra di
fantasmi retroattivi e che inutilmente cercheremmo di scol
lare quei fantasmi dalle pagine in cui finiscono per infiltrarsi,
non c dubbio che a quel personaggio vada riconosciuto il
ruolo di un analogon: costruito appunto, e fittizio, ma di cui
bisogner poi vedere - come ci ha suggerito Max Black se
ricade su se stesso o se, viceversa, ci consente di gettare una
nuova luce sui problemi. E allora rimettiamoci alle sue spalle,
alle spalle di questo autore senza libro e che pure tenta ri
petutamente di edificarne uno: risulter subito evidente, con
sultando ancora le appendici genetiche, che fare il libro per
Barilli sembra ridursi a una pura e semplice attivit di montag
gio e di combinazione. Per il libro senza lo stimolo delloc
casione immediata, dellevento teatrale o della cosa vista -
Barilli non riesce materialmente a scrivere; corregge magari,
ma si tratta di correzioni di dettaglio: gli incastri vengono cer
cati a forza facendo ruotare gli stessi pezzi, spostandone la col
XXX M ARIO LAVAGETTO

locazione, introducendo - al caso - piccoli tasselli. Ma baster


rivoltare il tessuto cosi composto, baster leggere un indice
diverso per scoprire le cuciture.
Una conferma viene - io credo, e clamorosa - anche dal li
bro pi strutturato di Barilli, da quello in cui pi intensa e
percettibile si fa la sua volont architettonica: Il paese del
melodramma. Barilli, quando lo mette insieme, ha unidea
molto precisa: quella di disegnare una specie di mappa fanta
stica del melodramma italiano nellOttocento. Verdi sar il
perno intorno a cui dovranno disporsi tutte le altre regioni,
anche quelle disegnate oltre i confini italiani; e Verdi ruoter
a sua volta intorno a quella che, per Barilli, la sua opera pi
esemplare e rappresentativa, pi bruciante, pi moderna, tan
to da apparirgli in una nota (con il Wozzeck) una possibile
pietra di paragone per il programma surrealista di Andr Bre
ton: Il Trovatore (cfr. T, l x , 115). E non basta: perch sullo
sfondo, alle spalle di Verdi, potr disporre Parma e la sua
campagna, alleando cosi al suo mestiere di ascoltatore anche
il suo talento autobiografico e locchio che ha esercitato nei
viaggi. Ma ben altra, e pi profonda - continuava Walter
Benjamin quando ho smesso di citarlo - lispirazione che
porta a rappresentare una citt nella prospettiva di un nativo.
lispirazione che si sposta nel tempo e non nello spazio. Il
libro di viaggi scritto dal nativo avr sempre affinit col libro
di memorie: non invano egli ha vissuto in quel luogo la sua
infanzia. E altrove: smarrirsi in una citt, come ci si smar
risce in una foresta, una cosa tutta da imparare. Chi legge
la prima parte del Paese del melodramma ha nettissimo il sen
so di trovarsi davanti agli esiti e alle circonlocuzioni di un
simile, geniale smarrimento: ci si muove tra ombre, imma
gini leggendarie, si procede senza meta, allinterno di un la
birinto, che - come ha osservato Szondi commentando Be
njamin - nello spazio ci che nel tempo il ricordo. Poi,
di cylpo, quella specie di atmosfera incantata si rompe e la
struttura resta al di sotto del progetto: al disordine guidato
e apparente tiene dietro una serie di quadri discontinui, ma
gari splendidi, ma che appaiono, nel loro insieme, come i resi
dui di quel progetto che avevamo intravisto o che stato som
merso o che non riuscito ad affiorare. Ma allora che alle
nostre impressioni di lettura giunge perentoria, e in parte sor
prendente, la garanzia delle fonti reperite (per il secondo vo
lume di questa edizione delle opere) da Luisa Viola: anche la
prima parte del Paese del melodramma nata sulle colonne dei
INTRODUZIONE XXXI

giornali ed stata ottenuta attraverso una serie di collages pi


o meno abili e mimetizzati; anche il Commiato, con cui Barilli
cerca di chiudere il libro e di imporgli il sigillo di una struttura
unitaria e risolta, non che l iniziale e identico asterisco di due
articoli comparsi nel 1927 (il primo sul Tevere e il secondo
sulla Nazione). Il libro sfugge cosi ancora una volta tra le
maglie che la sapienza combinatoria di Barilli ha tentato di in
tessere: resta perpetuamente a venire, lopera incompiuta
iscritta nel destino di uno scrittore che la insegue con accani
mento e che pure, di fronte ad essa, appare paralizzato e come
incapace di produrre scrittura e di ricavare da s i materiali
necessari alla costruzione.
Quando, nellimmediato dopoguerra, Barilli tenter la car
ta Verdi, non far che riproporre II paese del melodramma
con alcune non trascurabili integrazioni. Ma allora sar dile
guata anche l altra segreta possibilit di chiudere il proprio
destino creativo in un organismo esemplare, possibilit che
egli aveva continuato a nutrire dentro di s e a cui aveva dedi
cato - lo sappiamo - i voti e le attese pi fervide: la sua terza
opera in musica.

A pi riprese, negli ultimi Taccuini, Barilli indica il 1943


come una data cruciale, come linizio della sua parabola di
scendente: il motivo di una simile e ripetuta indicazione re
sta tuttavia enigmatico fino al Taccuino l x v i i , che copre lul
timo anno della sua vita. allora che, rivolgendosi a un ignoto
interlocutore, Barilli racconta: ... nel 1913 ho scritto la mia
seconda opera Emiral - E li mi sono fermato (cera la guer
ra) - Adesso una pausa di 28 anni.
Nel 1943 decisi di liberarmi del giornalismo e della critica
per dedicarmi esclusivamente alla composizione di una terza
opera. Comprai un pianoforte nuovo, molta carta da partitura
- affittai una stanza a Siena (Anche allora cera la guerra).
La mia stanza si trov incastrata fra i due eserciti, gli alleati
e i tedeschi, in pi le cascarono addosso i partigiani e i repub
blichini in conclusione scomparvero il pianoforte, la carta da
partitura, e anche la stanza con tutte le mie robe. Cosi scom
parve ancora prima di nascere la mia terza opera. In quei gior
ni ero venuto [a] Roma per liquidare la mia posizione di cri
tico giornalista ecc. - ma prima che lo facessi io, me la fecero
gli altri questa liquidazione a Roma - Degradazione depredato
vilipeso messo al bando - spogliato cestinato e buttato nudo
sulla pubblica strada - Era linverno - mi domanderete "Ma
XXXII M ARIO LAVAGETTO

chi stato? Erano in tanti che non ho visto pi nessuno.


Quindi niente pi composizione e musica nella mia ultima
vita. Dopo la guerra, si spieg su di me, scoppiando con la
sua spregevole [illeggibile] conflagrazione la guerra civile che
dura sino ad oggi (T, l x v i i , i o - i i ).
Nella nostra prospettiva di lettori sarebbe senza dubbio un
errore sopravvalutare questa data e drammatizzarla oltre mi
sura: la pubblicazione, anche parziale, dei Taccuini dimostre
r, oltre ogni dubbio, che esiste, come ci aveva detto D Amico,
una linea continua tra il primo e lultimo Barilli. Si vedr allo
ra che 1Orfeo in pantofole un costume di vecchia data
e che appare gi negli anni 25-26; allo stesso modo si tro
veranno aforismi, note, riflessioni, epigrammi che pi tardi
verranno ricopiati alla lettera o con piccolissime varianti, tan
to che la fisionomia della vecchiaia potr sembrare, in alcuni
casi, come il risultato di una previsione lunga.
Eppure quella data, ripetutamente e ossessivamente sotto-
lineata da Barilli, davvero fondamentale e apre lultima sta
gione, quella che si deposita in forma di nebulosa negli ultimi
otto Taccuini (dal l x al l x v i i ) e che si delinea poi come co
stellazione fermissima nei Capricci di vegliardo.
I quali ultimi, il caso di dirlo, rappresentano certo un
eccezionale e drammatico esercizio di stile, ma finiscono col-
lapparire, a chi conosca lintero continente della vecchiaia,
come un esito dove la misura e lequilibrio sono stati ottenuti
a scapito dellintensit e dove andata smarrita la nota pi
tragica e sconvolgente dei Taccuni, e del loro corso farragi
noso, e cio il passare del tempo scandito dai successivi com
pleanni e dal restringersi progressivo del campo visuale, dal
fissarsi del diario intorno a pochi punti obbligati, a pochi temi
battenti.
Dunque: 1943. Barilli cerca di spogliarsi di quel guscio
che - lo abbiamo visto - si era costruito subito dopo Emiral.
Vuote scrivere la sua terza opera, riportare alla luce il com
positore. Circostanze esterne sostiene - glielo impediscono.
Continua a scrivere sui Taccuini che assumono, a partire da
questo momento, un ritmo temporale pi definito, che conti
nuano a essere ricettacolo di tutto (appunti, conti della spesa,
inventari della biancheria, giudizi critici, ecc. ecc.) ma che
hanno un tono sempre pi privato e accolgono querele, la
mentazioni, invettive, bilanci in rosso, recriminazioni. Orfeo
in pantofole o Giobbe: sono queste le ultime parti di Barilli,
quelle in cui torna pi ripetutamente in scena, per parlare
INTRODUZIONE XXXIII

sommesso e ironico oppure per declamare se stesso e la pro


pria miseria. Non c, in quanto dico, ombra di giudizio:
solo che anche qui, quando sfiora il diario intimo, Barilli ha
bisogno di qualche mediazione tra s e la sua voce, tra s e la
sua scrittura. Il ventaglio dei temi, lo dicevo, si chiude pro
gressivamente e tende a restringersi allosservatorio stesso di
cui parla Barilli.
La chambre de Giobbe. Ma chambre. La misre. Jy ai
fai les racines. La chambre de Proust - les papiers sur le plan-
chit - les savates le desordre accumul (T, l x v i i , 180). In
realt pi che alla camera foderata di sughero, in cui lenta
mente e instancabilmente viene edificata la Recherche, si pu
pensare a un rifugio ben pi disertato e miserevole. Perch se
Proust senza dubbio presente allimmaginazione di Barilli
e il suo nome uno dei pochi a galleggiare in taccuini spogli
di cultura letteraria, altrettanto indubbio che le famiglie di
appartenenza sono diverse: lontanissima quella di Barilli da
ogni forma di dedizione esclusiva e invece precaria, invece dis
sipatrice e momentanea come quella che trova nel nipote di
Rameau il suo prototipo: c in lui la stessa eccedenza di ta
lento e la stessa indisciplina; il suo genio - reale e vorace -
vive alla giornata ed egli chiude la sua esistenza nella dispera
zione e nellincuria, in mezzo ai topi e agli scarafaggi, nel feto
re del proprio corpo: la sudiceria cest un refuge, la protec
tion de ma puret, de ma vieillesse refractaire dans mon odeur
de carapace (T, l x i v , 5). Non ho pi sicurezza, n autono
mia sperduto in un baratro, in una selva, in una gora di nera
incertezza. Tutto il coraggio crolla (T, l x v i i , 43).
E allora se il diario , come ha detto Maurice Blanchot, un
mezzo per sfuggire alla solitudine che aggredisce lo scrittore
attraverso la sua opera, in questo diario - scritto oltre ogni
opera possibile esplode una tremenda e funebre solitudine
esistenziale ed forse qui, in queste pagine approssimative e
necessariamente incompiute, in cui affiorano progetti, in cui si
sommano i materiali pi disparati che alternano lindirizzo
o il numero di telefono al grido ossessionante - qui che Ba
rilli ha depositato la propria immagine pi autentica e sinistra.
Una volta pubblicato questo diario della vecchiaia apparir, io
credo, come una testimonianza conturbante e getter una luce
nuova, pi intensa e pi livida non solo sui Capricci, ma su
tutto litinerario che ho cercato sommariamente di ricostruire.
La voce di Barilli , in queste pagine, singolarmente spezzata.
Come sua consuetudine, nei Taccuini mescola l italiano e il
XXXIV M ARIO LAVAGETTO

francese, due lingue di cui - in anni lontani - aveva definito le


caratteristiche: le mescola nella stessa pagina, ma anche nello
stesso appunto, nella stessa frase dove di colpo lascia rigalleg
giare una parola altra. E se a volte abbiamo la sensazione di
trovarci di fronte a un ripiego, altre volte lintenzionalit
netta e sembra inseguire effetti minimi, ma significativi, di
straniamento. Inoltre, in queste pagine della vecchiaia si as
siste al collaudo di una forma parzialmente inedita di regi
strazione: Barilli procede per istantanee rapidissime, riduce in
briciole il testo e lo frantuma con una serie di lineette molto
ravvicinate e martellanti che mettono la scrittura diaristica al
riparo da ogni chirurgia grammaticale e che, in simile con
testo, rappresentano l equivalente funzionale dei puntini di so
spensione per la mimesi del linguaggio parlato.
Vagabondo in se stesso (T, l x v , 56), Barilli sembra non
preoccuparsi di altro che di lasciare cadere alle proprie spalle
una serie di parole, che costituiscono poi la sua traccia e il
cui disordine diventa (anche con premeditazione) una spe
cie di contromarca dellautenticit. E se lasintattismo, cosi
frequente negli ultimi Taccuini, pu derivare dalla stanchezza
della mano, dallopacit, dalla miseria e forse anche dalluso
di stupefacenti, poi vero che Barilli finisce per trovarvi un
sussidio: lo razionalizza in qualche modo, e se ne serve co
me di un espediente stilistico, anche se non sempre appare in
grado di difenderne lefficienza. Certo che tra frammenti im
possibili, lampi, frasi interrotte, ripetizioni il tremolio del
tempo si rappresenta, a volte, in maniera meravigliosa e rap
presenta il passare degli anni e ravvicinarsi della morte, quasi
dietro la lingua, tra i rumori di fondo che spesso si sovrap
pongono alla registrazione. allora che il passato (verso cui
Barilli si rivolto sporadicamente) riemerge sotto forma di
schegge vertiginose e deliranti. Jai soif, une soif terrible d-
couter le chant de mon opera (T, l v i i , 46). Torna la figura
di Danitza, la cui lontananza ormai insopportabile (T, l x v i i ,
70). L amore - scrive nellanno della morte - quello di dare
tutto di s e della propria vita e del proprio avvenire perdere
tutto - e di cercare per liberarsi di questo impegno del cuore
inutilmente durante quarantanni, senza fine, fino alla morte
- questo amore - e odio insieme (T, l x v i i , 64).
Torna anche, attraverso le ombre di una mente che co
me un vetro smerigliato (T, l x v i , 57), la figura, in preceden
za solo accennata, del padre con cui Barilli si identifica e di cui
(poco prima di morire) descrive la fine, facendone cosi una
INTRODUZIONE XXXV

specie di Bergotte, il luogo di un oroscopo senza scampo: Je


suis, sur place, comme mon pre jadis a mon age - Et comme
etait-il? Ce netait plus lui - ctait un rien de lui mme - pres
que sans bouger presque sans tourner lil [...] ne parlait
plus. Il ne dressait pas son regard - pour ne pas voir - une
casquette sur la tte - assis et courb vers la terre - on aurait
dit quil necoutait plus - et ne regardait pas pour manque de
vie [...] Au contraire ctait la lucidite atroce - et la revela
tion impitoiable de la verite - ultime - splendide, comme
dans lipnose - de la verite vraie - inbranlable - le fond rel
brlant dans tous les cas de sa vie - le figures - les voix - le
long de son pass - avec une actualite dcouverte (scoper
chiata) ( T , LXVII, i i o - i i i ) .
M ARIO LAVAGETTO
EUGENIO MONTALE
Gilberto Lonardi

MONTALE, LA POESIA E IL MELODRAMMA

in Chroniques italiennes n. 57 (1/1999)

1. Assediato dalla musica.

Abitato e assediato dalla musica, anzi pi precisamente da arie, storie,


fantasmi del melodramma: Montale lo conosciamo anche cosi, aneddotica
compresa. A Genova studiava canto gi da ragazzo, e poi, giovanotto, col mitico
maestro Sivori. Gadda descrive lui e i suoi fratelli che cantano l'Aida su al
pianerottolo ultimo della villa di villeggiatura di Monterosso. Uno di loro dirige,
gli altri sono avvolti in lenzuola, accappatoi e altro da inscenamento domestico
da baraccone: e il Montale adulto, il recensore di ben altre rappresentazioni
alla Scala, dichiarer sempre la sua nostalgia per un "fare teatro" pi appunto
"da baraccone". Cio magari meno raffinato, ma pi vicino all'aspetto storico
del melodramma ottocentesco: insomma pi vicino al suo originario aspetto di
teatro "di tutti". Lo stesso Montale non ne trovava un antecedente comparabile
se non nel grande teatro elisabettiano cinqueseicentesco. Che era come
privilegiarne l'aspetto di glorioso e di unico, in Italia, solido esempio di
interclassismo culturale.
Studiava, dicevo, canto: gi prima di fare il soldato nella grande guerra, e
poi, finita la guerra, negli anni '21-'23. Ernesto Sivori gli scopr allora racconta
lo stesso Montale l'assillo: cio, diremmo noi, un misto di talento, di fervore,
di mania platonica. Di fatto si sa che Montale aveva un vero istinto, perfino
istrionico, per il canto e il personaggio d'opera. E aveva una voce molto
rispettabile. Una voce di basso. Il suo maestro, ex-baritono, voile scovarci e
scavarci una voce di baritono. Cosi lo prepar e lo inizi a personaggi come il
Lord Enrico della Lucia di Lammermoor. Come Alfonso XI di Castiglia, nella
Favorita, anch'essa, come Lucia, di Donizetti. O come il giovane Valentino,
l'adolescente fratello di Margherita, altro baritono, quest'ultimo nel Faust di
Gounod. Ma nel '23 mori Sivori. E si spense, cosi, anche una comunque
improbabile carriera del cantante Montale. Il quale ritrov subito la sua voce
"naturale [dice egli stesso] e psicologica" di basso. E rest comunque per sempre
abitato, occupato, assediato dal melodramma.

2. Un esempio di scambio nel sistema, tra il melomane e il poeta.

tale l'assedio, che a volte tra il Montale melomane e il Montale poeta c'
in atto uno scambio pi o meno perfetto. Faccio un esempio. Tra il '63 e il '65
due ombre, una neanche di un autore di teatro in musica ma semplicemente di
un grande musicista contemporaneo, Poulenc, l'altra della poesia montaliana, la
moglie la Mosca , si scambiano tic e gesti in totale collaborazione. Mettiamo
a fronte due "pezzi", il primo in morte del compositore francese Francis Poulenc
"Corriere d'Informazione", 1963 il secondo negli Xenia (i madrigali in
morte della moglie, I, 10 [del 1965]):

Non ho mai capito che religion fosse la sua, ma certo Francis era un devoto di
Sant'Antonio, ch'egli invocava per lo smarrimento di un ombrello o per la faticosa
ricerca di un tassi; e sempre col dovuto successo.

"Pregava?" "S, pregava Sant'Antonio


perch fa ritrovare
gli ombrelli smarriti e altri oggetti
del guardaroba di Sant' Ermete".

Poi, s'intende, il madrigale per la moglie si completa di una cadenza grave


non concessa qui alla pagina giornalistica ("Per questo solo ?" "Anche per i
suoi morti / e per me". / " sufficiente, disse il prete").

3. Dal primo all'ultimo Montale.

Ma anche quando questo scambio non c' o non documentabile, il poeta


Montale, o senza dircelo, o dicendolo come fa l'ultimo Montale
direttamente, "occupato", come pochissimi altri nostri poeti, da quella
particolare "zona" della musica che il canto melodrammatico.
Bastino come rapida prova per il primo Montale tre "attacchi" dagli Ossi di
seppia:

a) Tentava la vostra mano la tastiera,


i vostri occhi leggevano sul foglio
gl' impossibili segni...

Sembra una romanza. E ancora,

b) Mia vita, a te non chiedo lineamenti


fissi, volti plausibili o possessi.
Nel tuo giro inquieto ormai lo stesso
sapore han miele e assenzio...

E qui allora si pensi a Tosca, di Puccini: Mia vita canta il tenore


Mario Cavaradossi a Tosca mia vita, amante inquieta.... Lo stesso patetico
invocativo (mia vita) spetta al baritono nella parte che ho gi nominata conne
un "ruolo di iniziazione" del giovane Montale, il ruolo di Alfonso XI re di
Castiglia: Per te, mia vita, affronterei l'averno... una frase il cui slancio non
finisce qui, nel primo Montale poeta (T'avrei raggiunta anche navigando / per
le chiaviche, a un tuo comando, canta infatti Montale pi avanti, nella Bufera).
Terzo e ultimo campione sempre dagli Ossi di seppia: ancora cerchiamoci
un avvio, quello dei Limoni:

c) Ascoltami, i poeti laureati


si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi...

Questo dialogico Ascoltami ha molti padri possibili nel melodramma. Si


tratta insomma di un tpos. Difficile stabilire una discendenza unica. Credo che
la precedenza debba spettare ai sunnominati "personaggi di formazione", tipo il
Valentino del Faust, tipo l'Enrico della Lucia. Ascoltami, prorompe a un certo
punto quest'ultimo, rivolto al suo nemico Edgardo. E Or stammi ad ascoltare,
Margherita, cosi avvia (naturalmente nella versione italiana) il suo ultimo
canto il Valentino del Faust rivolto alla sorella, in una scena "testamentaria"
quella della sua uccisione e morte per mano di Mefistofele che offre altre
suggestioni al poeta degli Ossi e delle Occasioni. E anche nella Favorita
compare questa specie di poncif o luogo comune del melodramma. Ma anche
alla Bohme che occorre pensare:

Ascolta, ascolta.

canta Mim a Rodolfo

Le poche robe aduna che lasciai sparse.


Nel mio cassetto
stan chiusi quel cerchietto
d'oro...

Con quel che segue. forse questa di tutte la scena pi pre-montaliana,


con quell'attenzione a minimi oggetti del femminile, intrisi di ricordo e di
suggestione del "privato", che ritroveremo nella borsetta di Dora Markus e
anche dopo, lino almeno al Piccolo testamento.
A sua volta c'era un altro riferimento, fuori-melodramma, per l'Ascoltami
dei Limoni: non veniva dal melodramma, ma era anch'esso molto cantante e
canoro. Veniva, penso, dal D'Annunzio della Pioggia nel pineto. In quella poesia
si nascondeva non credo che ci badino i critici dannunziani un omaggio alla
Bohme diventata presto famosa tra fine 800 e primissimo 900:

Ascolta,

si legge nella Pioggia; e poi,

Ascolta, ascolta.

Proprio il doppio ascolta di Mimi.


In un primo momento lo stesso Montale scrisse Ascolta. Poi, Ascoltami:
penso che la memoria assediata gli cantasse dentro qualche esempio di canto
melodrammatico, e che insieme gli si presentasse il ricordo dannunziano; fra
l'altro certo D'Annunzio, o anzitutto D'Annunzio, il "poeta laureato" che in
questi stessi Limoni preferisce i bossi ligustri e acanti, cui si oppone
programmaticamente il poeta giovane e polemicamente "povero" e dunque in
cerca di fossi, ciuffi di canne, sparute anguille e alberi appunto di limoni.
Valga quest'ultimo esempio gi ad illustrare un aspetto della complessa
memoria dei poeti e di Montale in particolare. Quella di Montale una memoria
molto stratificata, molto intrecciata, spesso tra alto e basso. Montale contamina,
con lui il basso, il minimo possono caricarsi di valenze massime. questo il suo
modo l'unico suo di fare il rivoluzionario. E cosi nella sua poesia il ricordo
del canto melodrammatico, e di certe sue parole non-illustri, pu anche non
presentarsi da solo, ma intrecciato a quello della poesia-poesia, quella illustre,
quella alla e laureata, da Dante a D'Annunzio come minimo.
Ma dunque, il Montale d'esordio un poeta molto cantante, spesso
intonato sul canto anche pieno. E l'ultimo Montale, tra il Diario (71-'72) e Altri
versi ('81), insomma tra primi e ultimi anni 70 e primi 80? Anche nella poesia
del Vecchio torna il melodramma, vi tornano i suoi fantasmi, ma non pi come
canto che si invena nel canto, bens offrendo figure del melodramma rievocate
espressamente, e oggetto di commossa e insieme ironica autoidentificazione.
Cosi in Annetta, ormai del 1972, pu finalmente permettersi di
nominarli, i personaggi del melodramma (gi lo aveva fatto negli Xenia, anni
60, ma trasversalmente, citando lo Strana piet di Azucena, atto II del
Trovatore). In Annetta ecco dunque chiamato in causa Des Grieux, il giovane
tenore che ama la giovanissima Manon nel Marron di Massenet. Sono queste le
maschere melodrammatiche dell'io poetico giovane e del suo primo amore,
Annetta o Arletta. E la stessa Manon verr altrettanto espressamente non allusa
ma ricordata (Manon in fuga [...] la voce di Manon) nei Nascondigli II, ormai
dell'ultimo Montale. Intanto, in entrambe queste poesie, si evoca un
riconoscibilissimo emblema della poesia moderna, il passero solitario. E dietro
quell'emblema leopardiano si estende la piana perduta e perenne della
giovinezza, la sua memoria inestinguibile.

4. Ma la tattica quella del nascondere.

Stiamo per ancora a quello che all'ingrosso chiameremo il primo


Montale, da Ossi di seppia alla Bufera, cio dal 20 circa al 56. Questo Montale,
che poi quello che ricordiamo e amiamo di pi, anzitutto nasconde. E per
nascondere cambia contesto, cambia cornice e sposta. Vedi, per esempio,
L'ombra della magnolia, nella Bufera:

Non pi
il tempo dell'unisono vocale,
Clizia, il tempo del nume illimitato [...]
Spendersi era pi facile, morire
al primo batter d'ale, al primo incontro
col nemico, un trastullo. Comincia ora
la via pi dura...

Guardate come viene rigiocato e decontestualizzato, qui, un ricordo del


canto di Butterfly, l'eroina giapponese di Puccini, che immagina il ritorno
dall'America e dall'oceano del suo marito americano:

Un bel di vedremo
spuntare un fil di fumo...

e poi, dice e anzi canta, io non gli andr subito incontro, mi nasconder
per un momento,

un po' per celia


e un po' per non morire
al primo incontro...

Montale conserva in cima di verso sia morire, sia primo incontro. Ma


trasforma profondamente tutto. Non morire diventa il contrario, diventa
morire. La scena di attesa e d'amore si trasforma appunto in un'altra cosa:
tornano si alcune memorabili parole della scena pucciniana, ma ora
contrassegnano la giovinezza (il tempo del nume illimitato) che non c' pi, e
che sapeva morire come per gioco, per trastullo. Diciamo di pi: niente resta
qui del vero e proprio trauma musicale, dell'intervallo di quarta che investe, nel
canto di Butterfly, quel non morire: e che eclissa anzi nella nostra memoria quel
che subito segue, al primo incontro. Che non si eclissa invece in Montale, ma
per essere spostato a tutt'altro rispetto alla "fonte".
In questo, Montale ben diverso da un altro grande poeta come Saba. Vi
porto un solo esempio da quest'ultimo: sentite con quale trasparente confidenza
Saba trapianta il ricordo del Rigoletto, del Duca di Mantova che fa la corte a
Maddalena: bella figlia dell'amore.... E Saba, a Lina, in una poesia intitolata
Carmen:

...amica, austera figlia


d'amore, se la vita oggi n'esiglia,
con la musica ancora vieni a me.
Geloso sono non di don Jos,
non d'Escamillo.

Qui Saba, in questa poesia-canzone molto cantata, non solo "salva"


diversamente dal Montale che si appena visto la cornice di provenienza il
canto d'amore resta un canto d'amore e non solo colloca in cima di verso il
figlia verdiano, ma espone e distende in un sensuale enjambement la figlia /
d'amore, lei pur cosi austera. E fa anzi di pi: chiede alle rime e quasi-rime
esiglia : Escamillo; me : Jos di onorare e prolungare quanto c' di canto
pieno nella tenorile citazione, che cosi anche pi esposta e trionfante che
nell'originale. Il contrario di quanto fa in genere Montale poeta coi suoi ricordi
di canto e di melodramma. Saba cita, Montale vocabolarizza. E questo perch in
Montale prevale sempre o quasi l'aspetto del poeta "riflesso", e tale anche
quando sfida il canto pieno di D'Annunzio poeta non meno riflesso, s'intende
o dello stesso ben pi diretto e "ingenuo" melodramma. A Saba riesce invece
quella che potrei chiamare una confidenza molto vicina alla naturalezza. O alla
natura stessa: c' un'implicazione e accoglienza naturale, materna, nel proprio
canto, del canto, cui Saba si accosta con maggiore immediatezza rispetto a
Montale.

5. Montale dunque nasconde: ma non quando c' di mezzo il calco


ritmico.

Questa immediata confidenza non c' dunque, di solito, in Montale, che


un po' pi nel segno paterno, e insomma pi borghese e pi riflesso rispetto a
Saba. O meglio: non c', questa immediatezza, a livello di lessico, di ricordi
verbali. C' perch allora , penso, involontaria, e comunque a livello
profondo e dunque abbastanza nascosto allo stesso Montale quando il poeta
giovane, ancora quello degli Ossi, lascia un varco non aile parole, ma al ritmo. A
un calco ritmico-sintattico, e nel ritmo sta force l'essenza stessa del canto come
della poesia.
Ecco il pi bell'esempio in proposito: il Montale di Corno inglese, 1923,
canta cosi:
(reami di lass, d'alti Eldoradi
malchiuse porte)...

E Alfonso XI, proprio al balzante e amoroso avvio del suo canto (un
recitativo) nella Favorita di Donizetti:

Giardini d'Alcazr, de' mauri regi


care delizie...

Non una sola voce lessicale arriva a questa "ricca" parentesi di Corno
inglese dal primo dispiegarsi del recitativo di Alfonso XI. Cosi Montale bada a
non scoprirsi. Ma lo scopre chi badi al ritmo, al verso, alla sintassi, aile giunture
di questi due passi. Il recipiente ritmico-sintattico proprio quello. Torna
insomma tale e quale dalla Favorita a Corno inglese. E questo endecasillabo
con forte cesura, dettata dalla tronca in 6a sede Alcazr / lass rispunter
poi altrove nel poeta degli Ossi di seppia. Qui basti notare che anche la densit
esoticheggiante e insieme sonora del recitativo di Alfonso ricalcata da questo
Montale. E allora non solo si risponde con l'Eldorado all'Alcazr, ma abbondano
le toniche in --: da Alcazr a muri, a cre in Donizetti, e da remi ad lti a
Eldordi appunto nel Corno inglese montaliano.

6. L'uso "metafisico" del messaggio melodrammatico.

Questo peraltro un esempio-limite. al limite in quanto Montale,


dicevo, preferisce rielaborare, re-impastare, camuffare. C' direi una
vigilanza del Padre, paterna, in questo: una vigilanza che agisce sul suo modo di
accostarsi alla fisica, corporea maternit del canto.
Da qui deriva non una sottovalutazione della memoria del canto
melodrammatico da parte di Montale (piuttosto la sottovalutazione da parte di
quasi tutta la critica montaliana). Ne deriva semmai un uso, diciamo, padronale
della parola del melodramma: nel che Montale si comporta proprio come un
Verdi, anche lui una specie di musicista impaziente e poco rispettoso nei
confronti dei suoi umili "parolieri", dei suoi modesti e incantevoli portatori di
parole (Verdi, si sa, finch non arriva l'illustre Boito, padre-padrone coi suoi
librettisti; e con loro neanche Puccini era tenero). In questo Montale
paradossalmente l'ultimo dei grandi "musicisti con parole", se cosi posso dire,
della grande tradizione italiana.
Ma non posso fermarmi solo a questo aspetto. Certo Montale pu
adoperare il melodramma anche come una cava di materiali non da citare in
bella vista, ma da elaborare e reimpastare nel suo linguaggio dall'amplissima,
dantesca escursione. Pere,, specialmente nella terza grande raccolta, nella
Bufera, appare l'altro modo, solo in parte conflittuale con quello che ho appena
illustrato l'aspetto, diciamo, d'uso : quest'altro aspetto consiste nel "prendere
sul serio" le implicazioni drammatiche e visionarie del melodramma, e anzi
nell'accentuare, nel verticalizzare, questo aspetto, fino a una valenza tragico-
metafisica.
Ecco due esempi al riguardo, ed entrambi li ho trovati appunto nella
Bufera.
a) Guardiamo ancora alla Tosca di Puccini. Il tenore, Mario Cavaradossi,
stato apparentemente graziato da Scarpia, il Capo della polizia romana. Questi
ha fatto credere a Tosca (e a Mario) che l' esecuzione sar una finta esecuzione.
Noi sappiamo che non cosi. Cavaradossi sar di fatto ucciso. Anche se non lo
sapessimo, la musica ad avvertirci che il clima solo apparentemente "da
commedia", di fatto tragico. dentro questa ambiguit a doppio registro che
nell'ultimo atto il Carceriere pronuncia al Condannato una sola parola: L'ora; e
il carcerato Cavaradossi risponde altrettanto brevemente: Son pronto.
Queste due minime cellule verbali sono ben rimaste nella memoria di
Montale. Pensate al mirabile Piccolo testamento: arriver, dice il poeta alla sua
donna (Clizia? Volpe? o piuttosto un incrocio di entrambe?), un Messo
infernale, un Lucifero, si spegner ogni lampada, tu conserva memoria della mia
esigua ma tenace testimonianza e fierezza, conservane la cipria nello
specchietto della borsetta,

quando spenta ogni lampada


la sardana si far infernale
e un ombroso Lucifero scender su una prora
del Tamigi, del Hudson, della Senna
scuotendo l'ali di bitume semi-
mozze dalla fatica, a dirti: lora.

E prima, nella Ballata scritta in una clinica, "agiscono" anzi entrambe le


minicellule del breve colloquio tra Carceriere e Carcerato, cos:

Attendo un cenno, se prossima


l'ora del ratto finale:
son pronto...

Il ratto finale non meno che il ratto di Europa, un mito rivissuto conne
segno di Fine di un mondo, Finis Europae, da un poeta borghese e umanista
come Montale, tra 1944 e 45. Dunque sia Piccolo testamento, sia, otto anni
prima, questa Ballata, scavano e sprigionano dal ricordo della Tosca un'oltranza
metafisica, un massimo di energia cupamente, tragicamente visionaria.

7. Col melodramma tra Dante e Shakespeare.

poco, questa di questo Montale, una poesia italiana, se non si torni a un


Padre altissimo spesso tradito, cio al Dante della Commedia. E infatti Montale
ci ha pensato, e ha collocato molto melodramma del nostro Ottocento
addirittura tra Dante e Shakespeare. Come gi ricordavo, ha scritto negli anni
50: ...il nostro Ottocento operistico non ha altro riscontro nella storia della
civilt europea, che nella grande stagione elisabettiana. E un po' prima, nel 46:
specialmente a Verdi dobbiamo la sorprendente ricomparsa, in pieno
Ottocento, di alcune vampe del fuoco di Dante e di Shakespeare.
Ora, proprio queste vampe e questo fuoco possono, seguendo le
intenzioni stesse di Montale, ricondurci, da Dante a Shakespeare, al
melodramma ottocentesco e all'uso a volte intensamente tragico e visionario che
ne fa il Montale poeta. E cosi vi porto ora il secondo esempio dalla Bufera,
sempre su questa linea tragica, onirica, visionaria, di traduzione e compimento
del messaggio melodrammatico.

b) Guardiamo alla poesia Anniversario che chiude di fatto la Bufera,


perch le seguono solo le due Conclusioni provvisorie (Piccolo testamento, gi
assaggiato poco fa; e Il sogno del prigioniero). Leggiamo dunque questa poesia,
ultima dei Madrigali privati e dedicata a Volpe:

Dal tempo della tua nascita


sono in ginocchio, mia volpe.
da quel giorno che sento
vinto il male, espiate le mie colpe.
[l
Arse a lungo una vampa; sul tuo tetto,
sul mio, vidi l'orrore traboccare.

Resto in ginocchio: il dono che ho sognato


non per me ma per tutti
appartiene a me solo, Dio diviso
dagli uomini, dal sangue raggrumato
sui rami alti, sui frutti.

La vampa. L'ardere, l'orrore, il sangue. Le disillusioni. Solo la giovane


Volpe pu vincere tanto male, e pu fare dell'io poetico un Dio. Cosi per
Montale rinunciava all'idea che una Donna messaggera del Cristo Clizia
potesse apparire in suo nome per salvarli tutti, gli uomini. Ci rinuncia qui
purch cosi per la via di un amore ben pi terrestre, carnale, quello che
riguarda un io e un tu soltanto si stabilisca una distanza. Una distanza
rispetto a cosa?
La poesia di qualche anno dopo la seconda guerra mondiale.
Quell'amore divide (e protegge) l'io dal ricordo peraltro tenace che, a lungo,
stato un incubo, la guerra. Ebbene, per dare immagine a quel lungo incubo di
fuoco arse a lungo una vampa di orrore vidi l'orrore traboccare
di sangue che tuttora raggrumato sui rami alti, sui frutti, e dunque
minaccia tuttora lo svolgersi stesso della vita, i suoi frutti a cosa ricorre
questo Montale?
Ricorre all'opera forse pi vermiglia come diceva Bruno Barilli del
nostro melodramma. Ricorre al Trovatore di Verdi. Che come un lungo sogno
notturno, intessuto di pulsioni, di passioni primarie: una lunga notte in cui si
inscenano la guerra e le passioni pi elementari nel segno del fuoco e del
sangue. Un dramma onirico, tutto barbaramente percorso dal fantasma della
vampa e insieme dell'orrore e del sangue. E tutti questi segni fanno
"costellazione" in un punto del Trovatore, che poi quello suo pi famoso: nella
cabaletta "della pira", il tenore, Manrico:

Di quella pira l'orrendo foco


tutte le fibre m'arse, avvamp.
Empi spegnetela, o ch'io fra poco
col sangue vostro la spegner...

In realt qui Montale si ricorda del Trovatore "come se" fosse l'ultima
opera di Shakespeare. Di uno Shakespeare arrivato fino all'Ottocento che
infatti lo riscoperse e lo am molto e arrivato a compiersi e a bruciare nel
canto. Il canto come compimento, dunque, della tradizione poetica drammatica
dell'Occidente. E come suo forse ultimo rogo. E infatti Montale lo ricanta, qui,
questo luogo di condensazione massima del Trovatore, tra orrore, arsura,
fuoco, vampa, sangue: e cosi ritrova anche lui, per il tramite del melodramma,
alcune vampe del fuoco di Dante e di Shakespeare.
Poi, dopo la Bufera, questo fuoco, queste vampe andranno spegnendosi.
Se Montale rievocher il melodramma sar in altra prospettiva, in cerca di
Annetta, in cerca del primo aurore e della sua fine, e della fine della
giovinezza. Allora, come qui non posso dimostrare, accanto alle figure giovani
del melodramma Manon anzitutto torner a profilarsi Leopardi, il passero
solitario, Silvia. Che gi occupavano anche, ma segretamente, tanto orizzonte
del primo Montale.
Ma prima di slacciarsi pian piano dal Sublime, addirittura nella scia e
nel segno di Dante e di Shakespeare che il Montale della Bufera colloca alcuni
febbrili esemplari melodrammatici: un invito, fra l'altro, a fare con lui il
percorso inverso, a re-incontrare con una maggiore disponibilit e
consapevolezza, partendo dalla poesia montaliana e da Dante e da Shakespeare,
il significato pi ricco, pi intenso e pi "nostro" del melodramma italiano
dell'Ottocento.

in Chroniques italiennes n. 57 (1/1999).


Un ampio sviluppo del tema, da parte dell'autore
del presente saggio, costituito dal volume:
"Il fiore dell'addio: Leonora, Manrico e altri fantasmi
del melodramma nella poesia di Montale",
Bologna, Il Mulino, 2003
E.M.

Le parole e la musica
(1949)

Le parole messe in musica, le parole cantate non piacciono ai pi


raffinati cultori dell'arte dei suoni. Fra coloro che ancora le sopportano,
molti preferiscono le forme corali, in cui la parola sparisce, altri amano che
dalla voce giunga solo l'arabesco sonoro, senza che alcuna sillaba si
distingua, altri ancora (i meno) vorrebbero che la parola musicata
giungesse a noi sempre scandita, chiara, intellegibile. Sono i partitanti del
cos detto recitar cantando, italianissimo precetto. Mi unirei volentieri a
questi ultimi se il gioco valesse come suol dirsi la candela, se fossi certo che
la musica pu in certi casi far sprizzare dalla poesia, che in se stessa gi
musica, una musica di secondo grado degna, o non indegna, della prima.
So di sfiorare un problema sul quale esiste tutta una letteratura; che
purtroppo conosco solo in minima parte. E musicabile la poesia? E qual
genere di poesia? E fino a che punto? E in quale misura le parole dovranno
conservare la loro autonomia e lasciarsi intendere dall'ascoltatore? In
genere la recente tradizione operistica ha ignorato il problema e ha
considerato la parola come il necessario pretesto a far s che lo strumento
voce umana possa entrare nel gioco degli altri strumenti e farsi valere.
Ma esiste anche una scuola che va dai nostri grandi cinquecentisti fino a
Debussy e magari fino allo Schnberg di Pierrot lunaire, e che pretende di
avere un rispetto assoluto della parola, di creare ad essa il giusto
prolungamento a alone sonoro, senza distruggerne l'individualit. Questi
teorici, pi o meno consapevoli, del canto recitato hanno per finito con
l'ammettere che solo una certa poesia musicabile le la scelta dei loro
testi rivela chiaramente ch'essi si sono quasi sempre posti sulla via del
compromesso. Musicavano una volta ballatette, poesiole d'Arcadia,
strofette scritte apposta per la musica; affrontano oggi drammi di scarso
valore poetico (Pellas et Mlisande) o liriche di una vacuit addirittura
inconcepibile, come la suite del Pierrot lunaire, opera di un Albert Giraud
che deve al musicista viennese il suo insperato repchage. Il peggior
partito fu quello preso dai musici che scrissero da s i propri testi o libretti:
incerti fra la doppia vocazione, poetica e musicale, essi si lasciarono
ipnotizzare da parole orrende e solo si salvarono permettendo che le voci
andassero sommerse nella selva del grande golfo mistico. Fa eccezione,
parzialmente, Riccardo Wagner, ma ci avviene per la superba natura del
suo genio, e non perch in lui non si avverta una soverchiante prepotenza
subta dalla parola.
Se dal piano delle scuole e delle teorie ci spostiamo all'osservazione
dei fatti, noi vediamo che almeno dall'Ottocento in poi un sapiente
compromesso regola tutte le esecuzioni di musica vocale. Fatta eccezione
per moltissimi Lieder o romanze da camera, o per qualche recitativo
d'opera comica, o per alcuni superbi frammenti del Boris, la soluzione
pratica del difficile problema sempre la stessa; le parole ci sono e non ci
sono, si sentono e non si sentono, aiutano o danneggiano l'effetto, a
seconda dei casi. Si formata, anche in questo campo, una tradizione che i
migliori interpreti rispettano quasi d'istinto. E doveroso far sentire le
parole in certi miracolosi attacchi che anche poeticamente hanno una
freschezza primaticcia degna del nostro Duecento (Casta Diva che
inargenti..., L rivedr nell'estasi raggiante di pallore...) o all'inizio
di qualche incalzante proposta tematica (Fuggi fuggi, per l'orrida via
sento l'orma dei passi spietati...). In altri casi tutto affidato all'intuizione
e alle possibilit dell'artista. I ghirigori acrobatici di Rosina non possono
essere pronunciati come le sillabe di un Lied di Schubert; giusto che
Vasco de Gama liberi dal vago tremolo orchestrale le suggestive parole O
paradiso dall'onde uscito, ma altrettanto lecito che il grande navigatore
ci nasconda gli ulteriori sviluppi della sua sorpresa, specie quand'essi
restano affidati alla sola forza di penetrazione del si naturale o del do sopra
le righe. L'invettiva di Rigoletto Solo per me l'infamia un suono di gong
pi che un suono di sillabe umane: guai a pronunciare troppo, guai a
turbare la piena rotondit di quel rombo da giorno del Giudizio. Viceversa,
tutte le volte che un tema annunciato in anticipo da uno o pi strumenti,
l'attacco delle prime parole deve riuscire nitidissimo. Quando il vecchio Sir
Giorgio, nei Puritani, incide a gran voce Il rivale salvar tu puoi... il
pubblico felice di sentire incarnarsi in parole un disegno melodico a lui
gi noto: ma subito dopo le acque si intorbidano e il tema, ripreso da una
voce troppo uguale, quella di Sir Riccardo, non riesce a far corpo con le
parole come Fu voler del Parlamento che fanno veramente cascar
l'asino. Non che sia un verso peggiore di tanti altri; ma le parole troppo
astratte o troppo tecniche o troppo specifiche sopportano male la musica;
ed evidentemente questo quasi carducciano parlamento non fa eccezione.
(E una delle tante meritate disgrazie dell'istituto parlamentare; ma
lasciamo correre...) I problemi della parola in musica, del recitar cantando
o del cantare non recitando affatto restano dunque aperti e insolubili:
Mussorgski, Debussy e alcuni autori di canti negri sembrano, fra i moderni,
coloro che meglio sono riusciti a legare il suono alla parola, ma la loro
personalissima soluzione non pu valere per tutti. Sono esistiti, e speriamo
ne sorgano altri in avvenire, grandissimi musicisti del teatro che si servono
della parola scritta come d'un semplice punto d'appoggio: Mozart, Bellini e
Verdi, per esempio. Il loro ideale non era quello di Strawinski, una lingua
morta, un testo latino quasi indecifrabile al gran pubblico, ma un discorso
chiaro e neutro al quale si potesse far violenza. Ci resta vero anche se
Mozart am i libretti dell'abate Da Ponte e Bellini quelli di Felice Romani.
E Verdi? Si un poco esagerato sugli orrori delle parole da lui
musicate. L'orma dei passi spietati, tristamente famosa, non riesce a
muovermi a sdegno. Guai se leggessimo Shakespeare a questa stregua: non
venitemi a dire, per carit!, che l'orma si vede a non si sente. D'altronde
anche i vecchi libretti, fatti apposta per essere musicati, confermano,
quando toccano qualche espressione riuscita, che poesia e musica
camminano per conto proprio e che il loro incontro resta affidato a fortune
occasionali. Peggio quando raggiungono involontariamente il clima del
surreale. Conoscevo un uomo (un uomo in tutto il resto normalissimo) che
provava il bisogno di ripetere da cento a centocinquanta volte al giorno un
verso che era diventato il suo intercalare favorito: Stolto! ei corre alla
Negroni!. Lo diceva anche al telefono, in conversazioni di carattere
commerciale. Quando gli rivelai che si trattava della Lucrezia Borgia egli
impallid, geloso del suo segreto, e mi disse che mai avrebbe sentito
quell'opera per non provare la delusione di una musica soprammessa alle
sue divine parole. Scansato da tutti come un appestato, egli fin per
stringere amicizia con un tale che ripeteva a intermittenza La nostra
tomba un'ara (variante della foscoliana vostra tomba) e con un terzo
maniaco che aveva scelto il pi lungo intercalare ch'io ricordi: Speriamo
di morire prima che le Pleiadi si colchino. Doveva essere un classicista a
spasso, un professore in pensione. I tre uomini, vistisi porre al bando per la
loro incorreggibile, bench innocua ed epigrafica, ecolalia, finirono per
incontrarsi clandestinamente in una camera d'affitto dove potevano
emettere a ripetizione il loro verso preferito; e dove poi (il fatto avvenne
una quindicina d'anni fa) furono arrestati, accusati di congiurare contro il
regime e proposti per il confino.
Dopo tale disavventura il trio si sciolse e oggi non saprei dire se
qualcuno dei suoi componenti sopravviva. Inconsapevoli testimoni della
magica autosufficienza della Parola, i tre sventurati sarebbero assai
sorpresi di riconoscersi in uno scritto che sfiora, ma non pretende di
risolvere la vessata questione dei rapporti, coniugali ed extra-coniugali, tra
il Verbo e la Musica.

(in: Il secondo mestiere Arte Musica Societ, cit.)


Paradosso della cattiva musica
(1946)

a Massimo Mila

Il primo teatro in cui io abbia ascoltato a lungo e col dovuto profitto


una sufficiente quantit di cattiva musica non era un teatro ma un
capannone stile liberty provveduto di un piccolo palcoscenico: il caff
ristorante del Lido dAlbaro, ai tempi della mia prima giovent. Al tavolino,
succhiando la cannuccia di una bibita, mentre lo sguardo correva sulle
onde giallognole oltre le vetrate e seguiva il fumo dei piroscafi al largo, si
potevano tener docchio, sintende con un occhio solo, gli allegri sberleffi
della Mascotte o della Figlia di Madama Angot, abbandonarsi alla
disperazione di Loris Ipanof o alle prestigiose contraffazioni musicali di
Leopoldo Fregoli. Lambiente era adatto, il pubblico rozzo, conciliante e
sincero, la natura che spaziava intorno e il grande viale che percorrevo nel
viaggio di andata e ritorno (la passeggiata a mare della Marinetta), tutto
formava la cornice adatta a una buona (o meglio cattiva) educazione
musicale. La cattiva musica, infatti, a differenza della buona, non necessita
di ottimi interpreti ma richiede un concorso di circostanze favorevoli che a
volte solo il caso mette insieme. Un esempio pu bastare per tutti. Una
sera, da Radio Amburgo, udii una voce profonda intonare un bellissimo
Lied che mi pareva di conoscere e non sapevo identificare. Ci pensai su a
lungo, poi di colpo scopersi l'incredibile verit. Si trattava nientedimeno
che di Ponchielli, si trattava del canto del feral marito Alvise Badoero,
eseguito in tedesco e in un tempo sbagliato, lontanissimo dalle indicazioni
del metronomo. E leffetto era irresistibile.
Potrei continuare a lungo, potrei insistere su certa musica scritta o
trascritta per banda, o almeno su quella che soltanto in una veste e in una
sede pi proprie rivela pienamente la sua efficacia; ma forse i lettori hanno
gi capito dove voglio parare. triste confessarlo, e tuttavia penso che sia
un dovere verso i molti che la pensano come me e che non osano
esprimersi credendosi negati alla sensibilit dei suoni: amo la cattiva
musica, la musica in cui il destino non batte alle porte e in cui i temi
conduttori sono ripetuti trenta o quaranta volte, certo per una immotivata
presunzione della nostra sordit; amo la cattiva musica, o meglio la musica
che la frateria non sempre disinteressata degli specialisti o dei musicanti di
professione proclama pubblicamente tale.
Dico pubblicamente perch per i membri della gilda musicale, come
per i gesuiti e per i grandi politici, esistono due verit: una privata e
strettamente confidenziale e unaltra per il grosso pubblico che si vuole
educare al sublime e al quale soprattutto sintende propinare sotto
letichetta delleterno e del classico ogni sorta di esperienze nate in odio alle
Muse. I musicisti intelligenti (ce n) sanno benissimo che una parte della
cattiva musica di ieri, di quella ch rimasta in giro dopo lenergica
stacciatura del tempo, non affatto cattiva o trascurabile o priva di
significato; lo sanno, ma si guardano bene dal dirlo nei loro congressi e
tanto meno lo scrivono nelle loro riviste; lo dicono solo agli amici profani,
in rari momenti di sincerit e dopo essersi guardati sospettosamente
intorno, per paura che qualcuno stia ad ascoltarli. Amano anchessi,
glinfelici!, la cattiva musica, ma la carriera, la professione, la stessa
resistenza chessi trovano in s, impedisce loro di proclamare questa verit.
E finiscono cos per negare levidenza che si impone alla felice ignoranza
dei non iniziati: che in nessunaltra arte, come oggi in quella dei suoni, il
dono, la natura, la scintilla che non si acquista con lo studio sono sacrificati
alle ricerche della tecnica, alle trouvailles del mestiere e del laboratorio,
alla parola dordine delle conventicole.
La buona musica e la cattiva hanno del resto caratteri assai diversi
che finora non sono stati oggetto di attento studio. La musica buona o
eletta ha bisogno di teatri, di auditori, di golfi mistici o di sale da concerto
in cui i misteri dellacustica non siano pi tali; ha bisogno di interpreti
deccezione, possibilmente stranieri, meglio se tedeschi; ha bisogno di
guide tematiche, libretti-programma, prefazioni e introduzioni da
scodellarsi volta per volta; ha bisogno di abbonati, di clienti e di patiti; ha
bisogno insomma di una straordinaria montatura culturale, ed
naturalmente materia di mercato, merce che d da vivere a tutto un mondo
che effettivamente non potrebbe vivere in unaltra maniera. Soprattutto
essa ha bisogno di organizzazione e di ritualit. Ci si reca al concerto del
divo o alloperina davanguardia o alla salmodia per voce recitante tam-tam
e clarinetto come si va in chiesa, e anzi con costrizioni pi rigide, perch in
chiesa, la domenica, le messe si dicono ogni mezzora; si va insomma a
sentire la buona musica in condizioni danimo tali che escludono a priori la
sorpresa, limprevisto, il caso, che escludono, cio, quella condizione di
passivit ricettiva e gratuita che meglio permette di cogliere il segreto della
creazione artistica. Un pezzo come la Primavera di Grieg sarebbe forse
intollerabile in una sala da concerto, n io ricordo di avervelo mai sentito
eseguire. Ma fate chesso vi giunga dalla casa di faccia una mattina
dinverno, attraverso glincerti annaspamenti di un oscuro dilettante, e vi
sentirete veramente sgelare il cuore, come avviene nel Pan di Hamsun e
come non avviene, oh no, nelle esibizioni dei pi illustri concertisti.
Il vantaggio della cattiva musica infatti chessa (piacendo a Dio) ci
soccorre a tutte le ore del giorno e della notte. Si giova anchessa di un
ambiente adatto e di un pubblico educato (in questo caso ineducato), ma il
suo ambiente non mai prevedibile n calcolabile, potendo essere il teatro
di provincia, il caff, il baraccone, la nostra stessa stanza invasa dalle onde
hertziane o dal canto notturno di un ubriaco. Inoltre la cattiva musica non
soggetta a canoni interpretativi violando i quali si possa passare per
grandi restauratori e scopritori. Accetta, sollecita forse, tutti gli arbtri, ma
chi commette tali arbtri non portato in trionfo come accadde a quel
giovane direttore contemporaneo che avendo scoperto Verdi (sic) e
avendolo eseguito assai peggio degli oscuri maestri... omissis omissis, ha
fatto versare fiumi dinchiostro e ha profondamente commosso i nostri
critici. Povero Verdi, tenuto in quarantena daglintellettuali fino a venti
anni fa malgrado lentusiasmo popolare che lo ha sempre accompagnato,
promosso poi alla schiera dei musicisti tollerabili per lopera sua pi
eclettica, il Falstaff, sopportato anche in qualche spartito che come il
Macbeth ha avuto il battesimo del Festival di Glyndebourne; povero rauco
cigno bussetano messo prudentemente da parte, oggi, come musicista sui
generis, quasi che tale non fosse lirriducibile situazione dei pi grandi
artisti! Mi dicono che il recente astro inglese Benjamin Britten abbia fatto
tanto di cappello alla Traviata; ma chi persuader certi amici che so io,
convinti che stile, stilizzazione e noia siano altrettante equivalenze
algebriche? Chi li convincer che la musica dei concerti contribuisce in
parte minima, quasi infima, alleducazione delluomo doggi in confronto
all'altra musica, alla musica dei boschi e del mare e della vita, alla quale
appartengono di buon diritto anche i pi alti vertici di Gluck e Musorgskij,
di Wagner, di Verdi e del migliore Debussy?
Mi accorgo che ho lasciato nella penna le cime maggiori (Bach,
Mozart) e che ho parlato soprattutto di musica teatrale o impura, perch
quella di cui ho pi diretta esperienza, quella che non pu morire senza
trascinare con s la musica pura, a lei legata da molti fili; ma ritengo che
volendo si potrebbe allargare il discorso, si potrebbe postulare lesistenza di
una musica senza aggettivi che comprenderebbe tanto El relicario e
Stormy Weather quanto certi angosciosi frammenti di Schnberg che
Roman Vlad mi ha fatto sentire recentemente a Roma e che per essere pi
poesia che musica sono immediatamente accessibili a chi senza essere
musicista conosca i caratteri e le forme della lirica che va da Rimbaud a
Tralci. E forse non farei che contrapporre la musica geniale alla musica di
applicazione, Padilla a Respighi, la Chovanina al Faust di Busoni, e di
fronte a questa lapalissiana verit mi si chiuderebbe la bocca, accusandomi
di incompetenza, confusione di generi, sensibilismo dilettantesco,
antistorico, ecc.; salvo poi riconoscere tra loro, a porte chiuse, i cari
professionisti, che nello scorso secolo pianismo da concerto e sinfonismo
da grande orchestra hanno immiserito e soffocato la musica facendone
unarte che si pu imparare nei conservatori e che pi tardi la reazione a
questo andazzo (piccoli complessi orchestrali, ricerche puramente
timbriche, falsarighe di testi letterari ipersquisiti) stata condotta con
freddezza polemica, da gente che per lo pi era nata per seguire la vecchia
strada, sulla quale non si rassegnava allepigonismo. E a questo punto
lonesto ignorante, lamatore della cattiva musica, deve concludere che
pura o impura, facile o difficile, la musica viva di domani sempre meno ci
verr da musicisti di clan, da fanatici; cos come non ci verr la poesia di
domani dai letterati che frequentano le case della cultura e i congressi
sulla ricostruzione spirituale dellEuropa.1
Sono convinto che anche Claude Debussy, grande musicista
soprattutto quando scoperse per conto suo il pianoforte, con una
prodigiosa immersione nella civilt del suo paese, da Rameau-Couperin
fino a Monet e a Renoir, amava quella che io chiamo la cattiva musica, la
musica che alcuni immemori della favola della volpe e delluva fingono di
trovare cattiva. Le pagine chegli ha dedicate a Massenet nel suo Monsieur
Croche antidilettante sono intonate a ironica condiscendenza, come
qualcuno ha creduto? In realt Debussy sapeva benissimo che Manon
eseguita come si deve eseguire, da cattivi interpreti francesi dellOpra
Comique, era ed come il Faust di Gounod unopera di stile; e sapeva che
chi ha scritto la parte di Carlotta nel Werther ha capito il romanticismo
tedesco, e non solo quello musicale, assai meglio di tanti specialisti. A conti
fatti mi si potr concedere che difficilmente Massenet si potrebbe iscrivere
fra i cattivi musicisti; e qualcuno ammetter con me come lammetteva
Fernando Liuzzi che persino il povero Mascagni non ha infarcito soltanto
di cose scadenti lavveniristico (per i suoi tempi) zibaldone dell'Iris. Ma che
vale? In questa materia io non amo convertire i dissenzienti, perch se essi
mi dessero ragione diventerei il pi assiduo abbonato della Societ del
Quartetto. Amo, e lo dico molto semplicemente, quei musici in cui l'amor
1 Absit iniuria, caro Flora. Se linvito non mi fosse giunto con un mese di ritardo
sarei venuto ad applaudirti anchio.
vitae non si fa uccidere dalla superstizione di un nuovo stile; li amo forse
perch indicano la via che avrei voluto seguire nellarte mia, se ne avessi
una e se la poesia fosse davvero unarte come le altre: il che non troppo
facile a dimostrarsi...
E finir con un aneddoto. Quando Giacomo Puccini (lirico talvolta
ispirato, bench i suoi pezzi facciano regolarmente a pugni con la cornice
che li accoglie) rivel alla prova generale della Fanciulla del West che per
ottenere leffetto di uno squadrone di cavalleria irrompente dietro le quinte
occorreva agitare un sacco di noci di cocco, tutti rimasero stupefatti. (A
quel tempo non esistevano grandi registi e il teatro stava in piedi lo stesso.)
Il maestro aveva scoperto il trucco molti anni prima, a Marsiglia,
assistendo a un dramma del Grand Guignol, parlando col direttore della
compagnia, supplicandolo e commovendolo alla rivelazione del suo nome.
E del segreto sera ricordato al momento opportuno. Anche col sacco delle
noci di cocco la Fanciulla non vivr in eterno; ma lepisodio mi rimasto in
mente perch fa luce sulla psicologia di un uomo per cui il mondo esteriore,
nella musica e fuori della musica veramente esistito. Ho detto il mondo
esteriore e dovevo dire la realt compatta che ci presenta la vita; quella vita
nella quale non si pu distinguere un didentro e un difuori e che troppo
spesso i professionali del sublime mostrano di ignorare nelle loro opere;
quella stessa che attende uno stile dagli artisti e che domanda, ma invano,
di filtrare dai commerciali alambiccamenti di chi, pur facendo bottega
dinanzi a un pubblico guasto e corrotto, osa sovente presentarsi nelle vesti
di bigello del pi puro disinteresse.

(in: Il secondo mestiere Arte Musica Societ, cit.)


da: La poesia come arte
(1942)

[] L'inclusione della poesia nel quadro generale delle arti un tentativo


abbastanza recente; doveva essere compiuto, apporter non pochi
vantaggi, ma resta un tentativo che d luogo a gravi difficolt teoriche e
pratiche. Abbattendo i vecchi pregiudizi non si per abbattuta la grande
esigenza (empirica?) che in fondo a quelli viveva. In un certo senso la
poesia un'arte, non meno libera delle altre e forse pi profonda, per
l'estrema imprevedibilit e ricchezza dei suoi risultati; ma d'altra parte essa
si serve di parole, e le parole non possono prescindere da un colore storico
e da una risonanza che mutano con grande rapidit. Perci la poesia, assai
pi delle altre arti, sembra soggetta a invecchiare. Invecchiando sopravvive
se si presta ad essere ricostruita e interpretata in modo diverso, a essere
fonte di altissimi equivoci. Ci si pu dire, beninteso, anche delle
cosiddette arti, ma in senso assai pi ristretto. Le arti hanno qualcosa di
pi oggettivo, sono in qualche modo pi resistenti al tempo. O forse pi
docili, si potr suggerire: in esse il significato non tarda a diventare
pretesto, occasione; in poesia tale processo pi lento e lascia sempre un
fortissimo residuo. Possiamo spiegarci perci (restando inteso che in senso
temporale non c' eternit n per la poesia n per le arti) perch i poeti
antichi, sopravvivendo per noi parzialmente, spogliati del loro senso
originario, ci sembrino tutti un po' pi piccoli del vero; mentre gli artisti
antichi ci paiono tutti un po' pi grandi del giusto. La poesia, che ha
bisogno di conciliare il particolarissimo con l'universale, a lunga
scadenza insidiata dallo slittamento di uno dei due termini di questo
equilibrio. Il destino alto e oscuro della poesia parrebbe dunque quello di
tendere sempre pi alla condizione di arte, all'assoluta purezza che questa
parola postula, restando pur sempre, e con piena coscienza dell'impossibile
assunto, un'arte diversa, un'arte sui generis, alla quale i secoli hanno dato
un altro nome. Rispettarne il nome non rappresenter certo un vano
scrupolo di pietas storica, quando il mutarlo, com' nel caso d'oggi, dia
luogo soltanto a una tautologia, o ad un passo indietro.

(in: Il secondo mestiere Prose 1920-1979, a c. Di


G.Zampa, Milano, Mondadori, 1996)
Alessandro Martini

OCCASIONI M USICALI NELLA POESIA


DEL PRIM O M ONTALE

Riconosci alla musica, in senso tecnico, importanza per la tua


poesia?
Probabilmente s. Credo che la mia poesia sia stata la pi
musicale del mio tempo (e di anche prima). Molto pi di Pascoli
e di Gabriele. N on pretendo con questo di aver fatto di pi e di
meglio. La musica stata aggiunta, a D Annunzio, da Debussy
(S P 603)1.

Cos rispondeva M ontale a Giorgio Zam pa nel 1975, con


giusta fermezza nella rivendicazione di un incontestabile pri
m ato nella tradizione del Novecento e con estrema cautela
nellaffrontare rapporti tanto facili da supporre quanto sfug
genti allanalisi, come quelli fra poesia e musica. N on mi pare
che la critica abbia dato un adeguato rilievo allim portanza
della questione, per cui oso incrementare di qualche pagina la
gi sovrabbondante bibliografia m ontaliana con qualche nota
iniziale su dati molto concreti quali i riferimenti alla musica
vera e propria che costellano lopera in versi del poeta.
Essi implicano, in un primo sommario e rozzo catalogo,
realt musicali numerose e disparate: strumenti musicali, for
mazioni in cui questi si dispongono, forme e scrittura musicali,
citazioni di poesia per musica e addirittura di frasi musicali,
personaggi del teatro musicale, rumori e silenzi. Per gli stru
menti: non solo i soliti romantici violini, flauti, corni e piano
forti, ma anche pi rare celeste e vibrafoni, lungo un arco che
va sintomaticamente dallo struggente canto del corno inglese
che quasi apre gli Ossi alloboe che stonicchia in versi del 1979
(O V 661). Per le formazioni: mai viene ricordata la grande
orchestra sinfonica, ma pi piccoli assiemi che vanno dal trio di
m oderni menestrelli da strada (O V 14) al quartetto di can
nucce (la sola musica che sopporto) diretto da una Musa che
106 Alessandro Martini

indossa i panni dello spaventacchio nel Diario del 7 1 (O V 429).


Per le forme: non ci troviamo mai di fronte a generici suoni e
canti (ovvie metafore di una poesia che aspira dannunziana
mente a un sovratono musicale) ma a generi ben individuati:
per esempio un ben preciso lied di Beethoven, cantato e pestic
ciato dal piccolo Eugenio a quattro mani (forse a quattro
piedi) con un barnabita in odore deresia, ricordato nel Diario
del 72 (O V 464); oppure si tratta di unoperistica cabaletta del
1975 (O V 565), memore forse di quella coeva di Giorgio
Caproni, laltro grande genovese che cala spesso la sua teologia
negativa in arguti versicoli arieggiami la poesia per musica.
U na certa preziosit si avverte anche nellimpiego di altra ter
minologia tecnica: dallintervallo di terza maggiore emesso da
un cucco nella Bufera (O V 230) alla sigla ppp che sta fra gli
ultimi versi a segnare una fine dolcissima quanto ironica
(O V 570). A bbondanti devono essere le citazioni di poesia ope
ristica ed operettistica, del grande ma anche del pi modesto
repertorio, a giudicare dalle meno occulte, verdiane (O V 287,
471). questo un territorio tutto da esplorare, tenendo conto
anche delle esplicite dichiarazioni del poeta in Satura:

...Lei che amava solo


Gesualdo Bach e M ozart e io l'orrido
repertorio operistico con qualche preferenza
per il peggiore (O V 391).

M a altrettanto contano le vere e proprie frasi musicali, ben


pi difficilmente citabili perch sprovviste di semanticit, peti
tes phrases proprio in senso proustiano, dalliniziale Debussy di
Minstrels trasposto in poesia, ai mozartiani angui dinferno
nelle Occasioni (O V 178). Le pi felici e proustiane interm it
tences du c ur sono per altro mediate da un pi modesto
Massenet (O V 490 e 684) e da un ancor pi modesto Lo
Delibes, nello straordinario m ottetto Infuria sale o grandine, in
cui lassente resa presente non tanto da un rintocco debus-
siano, quanto dalla riproposta poetica del trillo daria di
Lakm nellAria delle Campanelle (O V 146), come ben sotto
lineato da D ante Isella nel suo esemplare com m ento2. N on
trascurabili sono inoltre i personaggi che hanno unesistenza
Occasioni musicali nella poesia del primo Montale 107

solo musicale come Carmen (O V 427) e tanti altri meno celebri,


come quelli d operetta fittamente elencati come occasioni m an
cate in Keepsake (O V 114). E ci sono infine i rumori, estrema
mente insistenti sin dalla prim a poesia degli Ossi: le gazzarre
degli uccelli, il susurro dei rami de I limoni; e sempre nei
Limoni ci sono i silenzi, su cui torneremo: rumori e silenzi che
quando appaiono in relazione al suono (come appunto nei
Limoni) hanno un indubbio valore musicale nellestetica roman
tica e moderna.
Sul piano biografico ogni profilo del poeta ricorda come a
diciannove anni studiasse canto con il baritono Ernesto Sivori,
realizzando un sogno eminentemente wagneriano e simbolista,
come dichiara l'Intervista immaginaria del 1946: Lesperienza,
pi che lintuizione, della fondamentale unit delle varie arti
devessere entrata in me anche da quella porta (SP 562).
dunque con un notevole bagaglio tecnico che negli anni Cin
quanta e Sessanta M ontale esercit la professione di critico
musicale per il Corriere d informazione, con i risultati che
oggi si possono apprezzare nella raccolta postum a Prime alla
Scala3. un titolo un po riduttivo, poich sono pagine che
vanno spesso al di l delloccasionale esercizio giornalistico e
m ondano della prima, e poich, oltre linteresse prioritario per
lopera, vi si scoprono reazioni vivissime anche alla musica stru
mentale, non esclusa quella contemporanea. Anzi forse M on
tale pi attento ai timbri strumentali e ai ritmi che alla melo
dia e al bel canto, non diversamente da quel che succede nella
sua poesia.
Il vario e vasto materiale tematico offerto dalla musica alla
poesia ha dunque, prim a ancora di uneventuale valenza meta
forica o simbolica, un preciso senso tecnico e cronachistico.
un materiale di cui lultimo M ontale sottolinea la casualit,
lappartenenza a un privatissimo gusto, volutamente dimesso.
Resta che nel primo M ontale e nel M ontale maggiore, quello
dei primi tre libri, quei materiali assumono il ruolo centrale di
vere e proprie occasioni, nel preciso significato che questo ter
mine ha nella sua poesia: fantasmi che salvano, ritorni di atti
scancellati, maglie rotte nella rete che ci stringe.
108 Alessandro Martini

1. L attraversamento di Wagner
Rievocando proprio la genesi del suo primo libro nelYInter-
vista immaginaria M ontale ci dice di aver ubbidito a un biso
gno di espressione musicale, e prosegue: Alleloquenza della
nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il collo, magari a
rischio di una controeloquenza (SP 565). Sono due chiare cita
zioni dello r / potique di Verlaine: de la musique avant toute
chose; prends lloquence et tords-lui son cou: questultima
presa sin troppo sul serio dai critici montaliani. N on cos la
prim a che riguarda la musica e che attraverso Verlaine (un
poeta colossale per il giovane M ontale4) rinvia cos nettamente
al clima simbolista francese a cavallo del secolo, al di sopra
delle teste dei vociani e dei futuristi che, aggiunge subito M on
tale nellintervista, quelle esperienze avevano s apprese, m a
spesso fraintese. Nel primo M ontale non troviamo dunque
rumori futuristi e organetti crepuscolari, e neppure il ritorno
allantica musica italiana che proprio allora andava propo
nendo D Annunzio, ma credo di poter dire che siamo immessi
nel cuore della pi alta tradizione musicale del tempo: non uno
Stravinskij probabilm ente ancora ignorato o uno Schnberg che
sar poi coerentemente rifiutato, ma la premessa di quei due
fenomeni: la pi radicale rivoluzione ed evoluzione che va da
W agner a Debussy.
Debussy, che rappresent per il poeta la scoperta della
nuova musica (SP 563), poeticamente rifatto, come dice il sot
totitolo, proprio in quei Minstrels gi presenti nella prim a edi
zione degli Ossi e poi tolti dalle successive come cosetta
velleitaria, m a restaurata per volont del poeta nella recente
edizione critica di Contini e Bettarini (O V 14, 861 e 866-7).
W agner invece nominalmente assente dallopera in versi di
M ontale, ma cercher di dimostrare come sia sottilmente pre
sente in Corno inglese, che nel testo definitivo precede di poco
Minstrels, quasi a confermare unindicazione di percorso fonda
mentale non solo per il poeta. noto il suo perentorio giudizio
su Gozzano, del 1951:
egli fu il primo dei poeti del Novecento che riuscisse (comera
necessario e come probabilmente lo fu anche dopo di lui) ad attra
versare D Annunzio per approdare a un territorio suo, cos come, su
scala maggiore, Baudelaire aveva attraversato Hugo per gettare le
basi di una nuova poesia (SP 62).
Occasioni musicali nella poesia del primo Montale 109

chiaro: M ontale parla qui pi di se stesso che di Gozzano, e


come egli stesso abbia attraversato D Annunzio ci stato
ampiamente m ostrato da un memorabile intervento di
M engaldo5. Qui si vuole piuttosto sottolineare che in quel
medesimo intervento su Gozzano precedono altre simili parole,
pure ricordate da Mengaldo, ma che non pretendevano in
quella sede u n analoga illustrazione critica:

Ridusse D Annunzio come Debussy aveva ridotto Wagner, ma


senza mai giungere a risultati che possano dirsi debussiani (SP 57).

La riserva insinua altrettanto chiaramente che il Debussy della


situazione fu appunto Montale, attraversando Wagner, non
senza dimenticare quanto in Italia la figura di D Annunzio
fosse indissolubile da quelle di Wagner, di cui fu il maggiore
corifeo e dei cui intenti musicali tent una prima gonfia traspo
sizione letteraria. Senza dimenticare inoltre che il Martyre de
saint Sbastien di D Annunzio era stato musicato da Debussy
nel non lontano 1911, e che le tragedie dellimaginifico erano
messe in musica dai compositori italiani pi aperti alla nuova
musica europea, come Pizzetti e Malipiero, negli anni in cui
nascono appunto gli Ossi montaliani: il mostro sacro da attra
versare e ridurre, D Annunzio, era anche sul piano del nuovo
gusto musicale e della sua divulgazione una personalit ben
viva e operante.
La grande novit del linguaggio musicale wagneriano, deci
siva per le sorti della musica del Novecento, sia per limpres
sionismo di Debussy che per lespressionismo di Schnberg,
consiste anzitutto nelluso del cromatismo, uso che si fa domi
nante e sistematico (lo riconosce lo stesso M ontale in SP 157)
nellopera sua pi ricca di fermenti moderni (quella che per
altro pi scosse D Annunzio): il Tristano e Isotta. Qui pi che
altrove sono continuamente forzati limiti della tonalit clas
sica, attraverso la profusione dei mezzi toni e leliminazione
delle cadenze. Lorecchio educato alla musica tradizionale
ritrova difficilmente i suoi punti di riferimento: la stabilit
tonale appunto e le modulazioni che segnalano i passaggi da
una tonalit allaltra. N on si tratta ancora di suoni in libert,
come nella musica dodecafonica, ma di suoni che tendono a
sottrarsi al loro centro di attrazione, allordine gerarchico in cui
110 Alessandro Martini

solitamente si succedevano: se non suoni, frasi in libert e


soprattutto liberamente accostate, che trascorrono luna
nellaltra senza le consuete connessioni, nelPintento di ottenere
un flusso musicale ininterrotto.
Beninteso il linguaggio poetico non conosce tonalit e mez-
zitoni che le definiscono e ne perm ettano la differenziazione.
M a siccome il cromatismo incide proprio sulla sintassi musi
cale, possibile ravvisare in certe audacie sintattiche e ritmiche
del testo poetico unanalogia con la rivoluzione wagneriana,
soprattutto quando il poeta abbia prestato unestrema atten
zione a queste analogie. Si rilegga questa ouverture m ontaliana
alla lettura degli Strumenti umani di Sereni (1965):
Per lunghi secoli tributaria della poesia, la musica prende la sua
rivincita nel secondo Ottocento. In Francia, tra i primi fondatori
della Rivista Wagneriana appaiono alcuni poeti simbolisti. A
parte coloro che adottano il verso libero, gli altri, i migliori, ten
dono a immettere nelle forme tradizionali la lezione del croma
tismo musicale. Nelle loro poesie le forme architettoniche restano
generalmente chiuse ma nellinterno di quegli argini i contenuti
si polverizzano (Mallarm) o si fanno ambigui (Valry, considerato
da qualche critico un poeta bergsoniano). Tuttavia resta ancora
possibile versare vino nuovo nei vecchi otri (Yeats). Pi tardi appa
riranno poeti che invidiano le conquiste tecniche della nuova
musica. Abolita la dominante, escluso il tematismo (che privilegia
certe note a vantaggio daltre), ammesso il principio che in ogni
composizione ogni nota sia sempre un principio e una fine e che il
centro debba essere in ogni luogo e in nessuno, i musicisti danno
lezione ai poeti; e questi accettano la lezione (SP 328-9).

2. Un Corno inglese wagneriano


Leggiamo ora Corno inglese con orecchio attento a queste
indicazioni, in particolare alla sintassi e alla metrica, cio agli
elementi che meglio credo perm ettono uninterpretazione cro
matica della poesia.
Il vento che stasera suona attento
- ricorda un forte scotere di lame -
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l'orizzonte di rame
5 dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lass! D alti Eldoradi
malchiuse porte!)
Occasioni musicali nella poesia del primo Montale 111
10 e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore,
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
15 nellora che lenta s annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore.

Lindubbio fascino del testo sta anzitutto nellessere costi


tuito di un solo periodo ottativo: un unico vocativo sospeso
lungo larco estremamente teso di 18 versi. Certo la sintassi
sempre complessa in Montale, ma qui lo in modo eccezionale,
tanto da arrischiare loscurit6. La coordinazione di orizzonte 4
e mare 10 interrotta da ben cinque versi, occupati dalla descri
zione del cielo e dai vocativi alle nuvole, ai reami, agli Eldoradi,
per quanto evidenziata dal fortissimo legame fonico dellana
gramma fra rame 4 e mare 10. C per altro una variante
dautore assai tarda, del 78, non accolta a testo nelledizione
critica, che conferma la volont di creare un blocco unico, una
assoluta compattezza sintattica, interrotta solo dalla parentesi
metafisica, poich variante che elimina anche quello che M on
tale definisce 1insopportabile inciso del secondo verso:

Il vento che stasera ha suonato


con un suo forte scuotere di lame
gli strumenti degli alberi e ha sconvolto
uno sfondo di rame (O V 865).

Oltre la continuit sintattica si noter la prosaicit del rifaci


mento, e, ci che pi im porta ai fini della mia proposta, lartifi
ciosa teatralit di quello sfondo per rapporto al primitivo oriz
zonte. Ora, parlando della prim a scaligera dei Maestri cantori di
Wagner nel 62, Montale ha affermato:

nel passo lento del discorso [...] si trova ancora intatto il carattere
della musica wagneriana, quel procedere per accumulazioni che il
segreto, imitato ma in realt inimitabile, del suo stile (PS 369).

un procedere per accumulazioni che definisce bene sia il cro


matismo del compositore, sia la particolare sintassi di questo
solenne adagio che Corno inglese.
112 Alessandro Martini

La sintassi credo perm etta di segmentare il testo non in tre


parti, come solitamente fanno i suoi lettori, ma in quattro, che
dai loro temi dom inanti denominer: 1. del vento che suona lo
strum ento della natura (w . 1^4); 2. del cielo che rimbomba
(w . 5-9); 3. del mare cangiante in tempesta (w . 10-13) e di
nuovo 4. del vento che non pu suonare lo scordato strumento
uomo 14-18, con chiara ripresa antitetica del primo tema, evi
denziato dalla riesposizione di ben quattro parole: vento, suo
nare, stasera, strumento. spazialmente un alternarsi di quattro
blocchi d i 4 - 5 - 4 - 5 versi di varia lunghezza: presi a due a
due nove versi per parte.
Evidente sul piano semantico il disaccordo tra natura
sonora e atonia delluomo; ma mi im porta sottolineare come il
titolo musicale della poesia e il suo unico verbo reggente (suo
nasse 16) permettono senzaltro di interpretare questo disac
cordo come una dissonanza musicale: dissonanza che la prim a
e pi sensibile conseguenza, sul piano strettam ente musicale,
del cromatismo wagneriano. Il metaforico strumento scordato
anzitutto in senso tecnico e concreto: non accordato; e solo in
seconda istanza, per quanto affascinante, scordato assume il
senso di dimenticato, come nei Soleils couchants di Verlaine
{Pomes saturniens) il cur qui soublie con tanta maggior
dolcezza, pure al tramonto:
La mlancolie
berce de doux chants
mon cur qui s'oublie
aux soleils couchants.

Nella gi ricca tessitura tematica del testo quel cuore che chiude
cos perentoriam ente la lirica inserisce il tema ben montaliano
della memoria, gi preannunciato al v. 2. Altro obbligato rilievo
semantico (altra dissonanza): questo frammento di natura (in
tempesta) che il cuore cerca invano di interiorizzare7 sempre
sdoppiato, ambiguo: il vento suona e spazza (somma di meta
fora musicale e azione propria), il mare muta colore e lancia una
tromba di schiume intorte, il vento nasce e muore (con ben
radicale antitesi).
M a torniamo alle pi sottili dissonanze formali, in partico
lare metriche. I primi nove versi, che configurano i primi due
blocchi tematici, sono di tipo tradizionale: endecasillabi inter
Occasioni musicali nella poesia del primo Montale 113

rotti da due settenari (w . 4 e 7) e chiusi da un quinario. Men


galdo ha parlato di una specie di stanza di canzone, dalle rime
spesso difficili e raffinate, come la rim a ipermetra attento 1:
protendono 5, cui si aggiungono i fitti echi interni di vento 1,
strumenti 3, orizzonte 4 8. Gli altri nove invece non sono per lo
pi della tradizione lirica. Laspro mare espone i suoi disaccordi
in due ottonari dagli accenti non canonici (w . 10-11), il vento
canta in due nettissimi novenari pascoliani (w . 15-16), prece
duti e seguiti da altri due versi (14 e 17- 18) che si avviano sullo
stesso ritmo, poi felicemente sincopato, a interrompere lo
scampano addormentante e la narcosi pascoliana9. In
questultima fase di canto spiegato anche le rime si fanno facili
ed esposte nella loro sede tradizionale. Internam ente si risente
invece, e non solo in grazia delle riprese semantiche, leco dei
suoni iniziali. tuttavia un canto spiegato solo per le sue forme
ritmico-timbriche. In realt un canto che dichiara limpossibi
lit di cantare, di cangiare in inno lelegia. unaltra pro
fonda dissonanza, senza dimenticarci di quanto sia anche foni
camente aspro quello scordato strumento. N ei primi nove versi si
pu dunque ravvisare la ricchezza timbrica di un pieno orche
strale (gli strumenti 3) e nella ripresa finale il canto di uno stru
mento 17 solista: non quello del cuore, afono, ma la melopea del
corno inglese che campeggia isolato nel titolo. Ovunque
domina, a pi livelli, la dissonanza, e quel procedere per accu
mulazioni che cos bene possono corrispondere alla tecnica del
cromatismo wagneriano.

3. L'inserimento di Corno inglese in due diverse serie:


Accordi e Movimenti
Corno inglese stato stam pato la prima volta (e si tratta
della prima pubblicazione in assoluto di Montale) su Primo
Tempo nel 1922, assieme ad altre sei poesie che hanno come
titolo il nome degli strumenti essenziali dellorchestra tardo-
rom antica e moderna; se non tutti gli strumenti, tutte le loro
famiglie vi sono ordinatam ente rappresentate: Violini, Violon
celli, Contrabbasso; Flauti - Fagotti, Oboe e Corno inglese [oboe
contralto]; Ottoni. Le sette poesie - numero altamente eufo
nico - (ora si vedano in O V 765-72) hanno il titolo comune di
114 Alessandro Martini

Accordi e il sottotitolo Sensi e fantasmi di una adolescente: il


romanticismo della formazione musicale e del programma dei
sensi e fantasmi subito ironizzato e mascherato dallinvenzione
di un personaggio femminile che parla in prim a persona, per cui
lio poetico trova uno schermo efficace contro la sentimentalit
dei possibili accordi fra voci strumentali e voci del cuore: che
gi un modo di cantare in falsetto. La didascalia finale accentua
il carattere ludico e teatrale dellassieme, che non da dimenti
care nella lettura del nostro Corno inglese: Unissono fragoroso
distrumenti. Comincia lo spettacolo della Vita. Permettendo
la ristam pa della serie nel 60 M ontale ha precisato date, intenti
e motivi del parziale rifiuto di questi iuvenilia:

con assoluta precisione non saprei dare una data a quelle poesie:
sono certamente posteriori al primo vero e proprio osso (Merig
giare, del 16), ma assai anteriori a Riviere (marzo 1920) Il
Corno inglese era lunica della serie che potesse staccarsi dal ciclo:
del quale mi dispiaceva, e tuttora mi dispiace, il senso generale e
anche lingenua pretesa di imitare gli strumenti musicali (a parte
quel po di amido che vi si avverte qua e l). Debbo dunque conclu
dere che nel mio giovanile chteau deaux [...] accanto a una vena
pi torbida, o addirittura dentro quella vena, si facesse strada assai
per tempo la venatura pi magra ma pi limpida degli Ossi. Tutta
la sezione iniziale degli Ossi (escluso In limine [...]) [dunque il ciclo
di Movimenti, salvo le aggiunte successive di Altri verri] appartiene
dunque al protomontale: e in questo gruppo vanno inserite - ma
anche entro questi limiti vennero poi da me rifiutate - le poesie di
Accordi (O V 865).

A rovescio dunque facile sostenere che i Movimenti nascono


dagli Accordi e crescono su quelli, ne sono la versione miglio
rata e corretta. E sarebbe facile mostrare in che senso gli
Accordi sono il serbatoio degli Ossi, ma pi sul piano delle
dichiarazioni e delleffusione sentimentale che dellespressione,
per cui meglio si capisce il rifiuto del ciclo. Atteniamoci piut
tosto al tema musicale, allingenua pretesa di imitare gli stru
menti e vediamo come si realizza. I violini (1) sono i pi corrivi
e loquaci sulle troppo strade che si aprono alle pupille smarrite
delladolescente, che in attesa di un prodigio non sa pi ne volere
n disvolere. M a ben difficile scoprire in che senso il timbro
Occasioni musicali nella poesia del primo Montale 115

dei violini possa adattarsi ai messaggi trasmessi. I violoncelli (2)


(voci suadenti) parlano direttam ente alladolescente:

Ascolta il nostro canto che ti va nelle vene


e da queste nel cuore ti si accoglie,
[...]
e seguici nel gurge dellIddio
che da s ci disserra,
echi della sua voce, timbri della sua gamma!

Prosperano i punti esclamativi (che in due casi saranno elimi


nati in Corno inglese). Amore, Iddio, Centro, Niente portano la
maiuscola: sono elementi in cui possiamo ravvisare non poco di
quellamido rifiutato. Il contrabbasso (3) (voce severa) in anti
tesi ai violoncelli ammonisce: non uscirai tu, viaggiatrice sper
sa, / dai limiti del <Brutto)... I flauti e fagotti (4) non parlano
direttam ente alladolescente ma sono evocati da un paesaggio
notturno in cui si ode uno zufolo, un gracchiare di rane, uno
svolo di uccelli, lo scroscio e rantolo di una fontana un po
malata: rumori facilmente assunti dai due strumenti del titolo.
Loboe (5) non parla e non trova facili corrispondenze in
natura, ed difatti, con il fratello maggiore e minore, il corno
inglese, il pezzo pi riuscito della serie. Evoca la fine di un atto,
e sarebbe bello fosse un atto di melodramma, se il successivo
corno inglese (6) pu rifare, come dir, il preludio di un preciso
atto conclusivo:

Ci sono ore rare


che ogni apparenza dintorno vacilla s umilia scompare,
come le stinte
quinte
dun boccascena, ad atto finito, tra il parapiglia.
I sensi sono intorpiditi,
il minuto si piace di s;
e nasce nei nostri occhi un p o stupiti
un sorriso senza perch.

Anche loboe canta unoccasione e finisce per cantarla in nove


nari, solo un p o meno solenni, che sorridono attraverso le rime
tronche. Gli ottoni (7) esprimono in fanfara la letizia breve di
un mattino: quella che ben pi intensamente sar espressa
dallultimo movimento: Quasi una fantasia.
116 Alessandro Martini

Limitazione consiste dunque per lo pi nel prestare allo


strum ento una voce um ana un po troppo chiacchierina, o vice
versa il timbro di uno strumento ai rumori della natura (fischio
= ottavino, gracchiare di rane fagotto): tentativi senzaltro
ingenui sul fronte della traduzione del puro significante musi
cale in un significato verbale, e assolutamente scontati nella tra
duzione del suono artificiale in suono naturale.
Nulla di tutto questo in Corno inglese. Lo strum ento (come
nei migliori Accordi) assente dal corpo della poesia, dove solo
suona il vento, simile soltanto allo scuotere di quelle straordina
rie lamiere. La m etafora si rovescia: non desueto antropom or
fismo dello strumento, ma sottile strumentazione della natura:
il vento suonatore, gli strumenti alberi, il cielo cassa di riso
nanza. Soprattutto allaccordo dichiarato nel titolo della serie
primitiva si oppone il disaccordo fra uomo e natura, moltipli
cato dalle dissonanze formali illustrate. Il periodo unico, con le
sue cromatiche accumulazioni, accentua il carattere dinamico
della poesia: dagli accordi (elementi statici e verticali della par
titura musicale) passiamo ai movimenti prescelti a introdurre gli
Ossi.
I titoli del nuovo ciclo non sono tutti di carattere musicale,
ma tutti i testi, da I limoni a Quasi una fantasia hanno intensi
rapporti con la musica. I limoni ci immettono in umili orti in cui
il susurro / dei rami amici propizia silenzi in cui le cose/
sabbandonano e sembrano vicine / a tradire il loro ultimo
segreto. Il segreto tuttavia non scoperto, neppure alle soglie
di altre malchiuse porte :

Quando un giorno da un malchiuso portone


tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarit.

Su un analogo ritmo sincopato di non del tutto cantabili nove


nari il cuore trova un appagamento musicale (e purtroppo non
gnoseologico) nelle canzoni delle straordinarie trombe solari dei
limoni. Si va dunque dal silenzio di attesa del miracolo a un
trionfale ma alquanto elusivo squillo di tromba: un percorso
Occasioni musicali nella poesia del primo Montale 117

degno del prim o movimento di una sinfonia. Segue ladagio che


gi ben conosciamo, con la solo finale del corno inglese. Il
terzo canonico movimento di una sinfonia lo scherzo, e le
nostre attese non sono deluse: Falsetto indica appunto il
cantare di testa del cantore che fa la parte del contralto o del
soprano, con effetti per lo pi caricaturali. E difatti il poeta,
della razza / di chi rimane a terra inneggia, con lessico qua e
l parodisticamente neoclassico, alY lan vital di unEsterina
ventenne che si tuffa in mare, non senza laccompagnamento di
musiche celestiali. Gli irraggiungibili Eldoradi di Corno inglese
diventano qui pi facili campi elisi:
ecco per te rintocca
un presagio nelVelisie sfere.
Un suono non ti renda
qual d incrinata brocca
percossa!; io prego sia
per te concerto ineffabile
di sonagliere.

M a con Falsetto si arresta lanalogia sinfonica: ci manca il


conclusivo quarto movimento, che potrebbe essere Quasi una
fantasia, per arrivare alla quale dobbiamo invece ascoltare altri
scherzi. N on sinfonia classica dunque, che sarebbe davvero un
program ma neoclassico nel 1925, ma le sue membra sparse, la
sua wagneriana e debussiana dissoluzione. Cade qui difatti
limitazione dei Minstrels di Debussy, non a caso riproposti
dalledizione critica nellesatta collocazione che avevano nella
prim a edizione degli Ossi. In Debussy si tratta dellultimo pre
ludio del primo libro dei Prludes per pianoforte, del 1910
(musica dunque di attualit): una grottesca parodia di un ritor
nello da music-hall, da suonarsi in modo nerveux et avec
humeur, un brillante studio di staccato (lantitesi del legatis
simo corno wagneriano) che anticipa Strawinskij, magistral
m ente reso da M ontale con la sua musica da strada:
Acre groppo di note soffocate,
rso che non esplode
ma trapunge le ore vuote
e lo suonano tre avanzi di baccanale
vestiti di ritagli di giornali,
con istrumenti mai veduti,
simili a strani imbuti
che si gonfiano a volte e poi s afflosciano.
118 Alessandro Martini

N m anca in chiusa il richiamo al solito scordato cuore e a


un autoironico riferimento al proprio tentativo musicale:
Bruci / tu pure tra le lastre dellestate, / cuore che ti smarrisci!
Ed ora incauto / provi le ignote note sul tuo flauto. La musica
leggera tanto raffinatam ente evocata da Debussy e M ontale si
fa quindi musica infantile in Caff a Rapallo, fatta di elementari
rumori che incantano lanimo dubitoso. Le trombe doro
della solarit dei Limoni e il forte scotere di lame di Corno
inglese si riducono qui a trombe di lama. Finalmente in Quasi
una fantasia, dal titolo ancora una volta musicale ( il sottoti
tolo delle due sonate op. 27 di Beethoven), Torna lavveni
mento / del sole (dunque la solarit che conclude I limoni) e
le diffuse / voci, i consueti strepiti non porta. Finiti gli scherzi
di Falsetto, Minstrels e Caff a Rapallo cala il silenzio, di nuovo
propizio alloccasione salvifica, al recupero del tempo, alla tra
sformazione della realt esterna, siglati dalloccasione del gal
letto di marzo. Il silenzio segnala dunque lapertura e la chiu
sura dei movimenti prettam ente musicali. I successivi sono
infatti movimenti solo in senso fisico: tentativi di uscire
dallimmobilit e dallatonia. Si ricordi per che in Vento e ban
diere (penultimo e posteriore movimento) il vento marino che
modul un tempo lassente il responsabile di unintensa ben
ch parziale intermittence du cur. Al silenzio musicale come
valico metafisico accenner poi il M ontale giornalista nel 59,
dando relazione di una tavola rotonda sulla musica, con liro
nico riserbo di chi quel valico non pot mai superare ma che pi
di altri intensamente visit in poesia:

qui non parve che si fosse raggiunta unintesa, perch il senso meta
fisico appartiene a chi lo possiede in proprio e tutte le grandi opere
darte possono sollecitare questa apertura: Rembrandt non meno
di Beethoven, Baudelaire pi di Csar Franck (PS 20).

Pi che nella sede originale degli Accordi, Corno inglese


trova nel nuovo assetto la pi vasta spiegazione e risonanza,
date le fittissime connessioni intertestuali che lo legano agli altri
movimenti, e di quel ciclo rappresenta il momento di pi
solenne quanto dram m atica musicalit: ladagio wagneriano su
cui innestare i successivi rapidi schizzi debussiani.
Occasioni musicali nella poesia del primo Montale 119

4. Como inglese una citazione musicale?


Avanzo infine una proposta suggeritami da quella ben
determ inata realt musicale che il corno inglese: un corno che
non un corno, ma un oboe dalla voce pi profonda e robusta;
che detto inglese ma inglese non , ma ha quellepiteto per una
misteriosa translitterazione che la filologia non ha ancora del
tutto chiarita: un nome ambiguo per una cosa ambigua, gi di
per s atta ad attirare lattenzione di un Montale. parte inte
grale dellorchestra tardo-rom antica e moderna, ma ha abba
stanza raram ente un ruolo solistico. Lo assume senzaltro alla
fine del preludio del terzo atto del Tristano, lopera di Wagner
pi nota e am m irata da M ontale, che la recens ben tre volte,
nel 57, nel 59 e nel 64. Nellultima occasione vi riconosce una
svolta fondamentale della musica moderna, vi ammira la stu
penda musica e, con qualche riserva, le sterminate lentezze
(PS 420-3). N ota fra laltro come fosse gi opera di repertorio
quaranta anni or sono, quindi allepoca delle sue prime prove
poetiche, allepoca in cui anche Arturo Onofri firmava una
guida al dramma m usicale10. N bisogna dimenticare che alle
spalle degli entusiasmi del primo dopoguerra sta, su un piano
diverso, la lunga parafrasi che di questo notturno dramm a di
amore e morte fece D Annunzio nel Trionfo della morte (1894).
Il breve e lento preludio del terzo atto (quello della riunifi
cazione nella morte dei due protagonisti) comporta tre motivi
che si incastrano luno sullaltro senza pause ma ben distingui
bili. Secondo le tipiche denominazioni wagneriane, che ritro
viamo in ogni guida allopera, compresa quella di Onofri,
abbiamo: 1. tem a della desolazione, che si alza su cupi e vibrati
accordi degli archi; 2. tema della solitudine, cromatico e ascen
dente, affidato ai violini, che raggiungono note molto acute;
3. tem a della privazione d amore, melodico, che si conclude in
ff. A questo punto si alza la tela, lorchestra tace e udiamo fuori
scena un pastore che, ignaro del dramm a di Tristano, suona la
zampogna (resa dal corno inglese a solo): un motivo desolato,
melodicamente arditissimo, che non porta nome, ma Tristano,
che giace morente sulla spiaggia del mare, sotto un albero, a
questi suoni si riscuote e riconosce in essi la voce del suo
destino tragico, portatogli dal vento, e questo destino consiste
nel desiderio infinito, che fa oltre la morte. Al di qua di ogni
120 Alessandro Martini

interpretazione simbolica e di ogni facile concordanza su quel


piano, credo che la messa in scena sia eloquente, e che il taglio
del preludio orchestrale e del successivo a solo di corno inglese
sia molto vicino a quello della poesia montaliana, se la quadri
partizione proposta regge: al primo tema musicale della desola
zione corrisponderebbe il primo tema della poesia: il vento che
vibra e suona gli alberi; al secondo ascendente ben risponde il
secondo del cielo; al terzo che si chiude in fortissimo il terzo del
mare in tempesta. Infine, se nella musica lorchestra tace e si
ode fuori scena il corno inglese, nei versi si introduce limpossi
bile e memorabile a solo, rimanendo fuori testo lo strumento
musicale che lo emette. Il titolo della poesia pu dunque avere il
valore di una citazione: indica che di quello strumento non si
tenta unimitazione, m a che forse di quel preciso corno inglese
wagneriano si offre una trasposizione11.
Lingenua pretesa non muore ma nasce con gli Accordi, e
raggiunge in Corno inglese un primo alto risultato tu ttaltro che
ingenuo. una pretesa simile a quella che il poeta ha ricono
sciuto nel musicista: Wagner quasi traduce in realt la presun
zione di fondere le arti in una sola (PS 311). A questo sogno,
tradotto in pagine esteriori e magniloquenti da D Annunzio,
M ontale non poteva non mettere la sordina e circondarlo di
ogni cautela, ma certamente lo ha rincorso a lungo come un
possibile Eldorado.
Alessandro Martini
Universit di Friburgo

in: "Versants - revue suisse des littratures romanes", 11 (1987)


Occasioni musicali nella poesia del primo Montale 121

NOTE

1 Citer per abbreviazione le seguenti opere di Eugenio Montale: O V :


L opera in versi, edizione critica a cura di Rosanna Bettarini e Gianfranco
Contini, Torino, Einaudi, 1980. PS: Prime alla Scala, a cura di Gianfranca
Lavezzi, Milano, Mondadori, 1981. SP: Sulla poesia, a cura di Giorgio Zampa,
Milano, Mondadori, 1976. Ringrazio per gli ottimi suggerimenti lamico e col
lega Alain Faudemay, e per laiuto costante, anche nelle pi difficili emergenze,
mia moglie Olivia, alla quale dedico queste mie scarse ma meno fredde pagine.
2 Eugenio Montale, Mottetti, a cura di Dante Isella, Milano, Il Saggiatore,
1980, pp. 63-66. A proposito di questi brevi e concettosi componimenti chia
mati mottetti si insiste molto sul valore letterario del termine, ma si dimentica
spesso lindicazione di genere musicale sacro e polifonico, da Palestrina a
Poulenc.
3 La raccolta fa splendida luce sui risvolti musicali della poesia monta-
liana, come documenta Saverio Orlando, Alla Scala, con Eusebio e con Malvo-
lio, in Paideia, XXXVII, 1982, pp. 45-51. Ma il volume ha anche una sua
intrinseca validit, come mostra lappassionata e nutrita recensione di Pier
Vincenzo Mengaldo, Montale critico musicale, in Studi novecenteschi, XI,
n 28, 1984, pp. 197-239. A p. 204 vi si dice della sorda resistenza a Wagner
del gusto montaliano, di antica riluttanza [...] radicalizzata con gli anni, che
sembrerebbe divergere da quanto vado asserendo. Ma appunto di gusto si parla,
non del pieno riconoscimento del ruolo di Wagner nella storia della musica;
della sua accettazione in toto, non del sicuro apprezzamento di singole pagine.
A p. 234 per altro Mengaldo precisa trattarsi soprattutto di avversione ideolo
gica, che si fa pi viva con il tempo proprio per laccresciuta consapevolezza
delle ultime conseguenze espressionistico-dodecafoniche del discorso wagne
riano. Mentre dal Montale esordiente, postillerei, Wagner pu essere evocato
anzitutto come lantesignano di Debussy.
4 Eugenio Montale, Quaderno genovese, a cura di Laura Barile, Milano,
Mondadori, 1983, p. 47 (5 maggio 1917): Laltro giorno divorai per intero
Sagesse di Verlaine. Il colossale capolavoro! la terza volta (o la quarta?) che
lo rileggo; e sempre pi lammiro! Si veda anche lattenta nota della Barile a
pp. 156-7. '
5 Pier Vincenzo Mengaldo, Da D Annunzio a Montale: ricerche sulla for
mazione e la storia del linguaggio poetico montaliano, in AA. W ., Ricerche
sulla lingua poetica contemporanea, Padova, Liviana, 1966, pp. 163-259, poi in
Mengaldo, La tradizione del Novecento, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 13-106.
6 Gian Pietro Biasin, Il vento di Debussy. La poesia di Montale nella cultura
del Novecento, Bologna, il Mulino, 1985, p. 31, preferisce dare a lancia a terra
12 ecc. il soggetto vento 1, piuttosto che il mare 10.
7 Gianfranco Contini, Su Eugenio Montale. II. Dagli Ossi alle Occasioni
[1938], in Esercizi di lettura, Torino, Einaudi, 1974, p. 79.
8 Per queste e tante altre osservazioni, che mi permettono qui di tirar
dritto, cfr. Pier Vincenzo Mengaldo, Per la cultura linguistica di Montale:
qualche restauro. II. Corno inglese e Alcione, in op. cit., pp. 301-313, part,
p. 310.
9 Cos, con orecchio al solito vigile e acutissimo Giorgio Orelli, Accerta
menti verbali, Milano, Bompiani, 1978, pp. 179-80.
10 Riccardo Wagner, Tristano e Isotta. Guida attraverso il poema e la
musica a cura di Arturo Onofri, Milano, Bottega di Poesia, 1924.
122 Alessandro Martini

11 II rinvio a La mer di Debussy, in particolare alla terza parte del poema


sinfonico, Le dialogue du vent et de la mer (G. P. Biasin, op. cit., p. 27), tematica
mente pi ovvio, credo debba cedere a questo wagneriano, tanto pi pregnante
a livello di forma del contenuto, senza per questo negare levidenza, cio il peso
ben maggiore di Debussy nella poetica montaliana, rispetto a Wagner. Al di l
del gusto personale, laltissima competenza musicale del poeta rende ben pi
allettante questo refolo wagneriano nel dominante vento di Debussy, che
spira pi fresco altrove e accanto a Corno inglese. Mengaldo ha da par suo riba
dito lestraneit di fondo della poetica di Montale a quella di Wagner (cfr.
nota 3), ma a chi di Corno inglese ha fatto un bellesempio di attraversamento
dannunziano (cfr. nota 8) non dovrebbe essere discaro vederlo interpretato
anche come attraversamento wagneriano.
Gian-Paolo Biasin

IL VENTO DI DEBUSSY:
POESIA E MUSICA IN MONTALE*
C' una decisa affermazione di Eugenio Montale, contenuta nella
famosissima e mai t r o p p o citata "Intervista i m m a g i n a r i a " del
1946, dalla quale conviene prendere le mosse:

Quando cominciai a scrivere le prime poesie degli Ossi di seppia


avevo certo un'idea della musica nuova e della nuova pittura. Avevo
sentito i Minstrels di Debussy, e nella prima edizione del libro c'era
una cosetta che si sforzava di rifarli: Musica sognata. E avevo scorso
1
gli Impressionisti del troppo diffamato Vittorio Pica.

P u r nella cautela, tipicamente montaliana, della sua formulazione


("avevo u n ' i d e a " , " a v e v o s c o r s o " ) , questa affermazione a
posteriori di intenzioni e di consapevolezze determinanti per
l'incipit di tutta u n ' o p e r a di poesia conserva u n ' i m p o r t a n z a
fondamentale, accresciuta poi dalla ripubblicazione recente
nell'edizione critica proprio di quella modesta " c o s e t t a " qui
richiamata. Siamo di fronte in realt a un'orgogliosa
rivendicazione di apertura culturale e di novit ("la musica
n u o v a " , " l a nuova p i t t u r a " : la posizione e la ripetizione dello
stesso aggettivo non sono certo casuali, ma retoricamente
rivelatrici), per cui le parole di Montale sono da prendere come

* il testo, ampliato, di una relazione letta al Convegno Internazionale di


Studi, "La poesia di Eugenio Montale", Genova, Aula Magna
dell'Universit, 25-28 novembre 1982.
Il tema stato poi ripreso e sviluppato nel volume "Montale, Debussy,
and Modernism", Princeton U.P.,- 50 1990.
-
un'informazione preziosa e non come un'indicazione
" d e p i s t a n t e " per il critico che voglia ricostruire le origini della
poesia di Montale e il q u a d r o culturale in cui essa venne a inserirsi
e ad affermarsi.
I n t a n t o , ci sono le tre componenti fondamentali degli
interessi dell giovane (come poi del m a t u r o e del vecchio)
Montale: poesia, musica e pittura; n o n debbo certo richiamare
qui gli elementi, le occasioni, gli aneddoti biografici in cui questi
interessi si articolarono e t r o v a r o n o espressioni diverse, dai
pastelli con le deliziose marine e i sorridenti ritratti agli studi da
baritono presto abbandonati ma mai dimenticati e trasferiti pi
tardi nell'attivit precisa e puntigliosa di critico musicale esigente
2
e magari idiosincratico del Corriere della sera. Piuttosto,
l'interazione fra poesia, musica e pittura indica al critico
contemporaneo la complessit della cultura, quale teorizzata nel
3
principio " d i a l o g i c o " de Michail Bachtin e che Montale aveva
inteso e indicato da par suo, a u t o n o m a m e n t e , con grande
efficacia. Infatti l'interazione fra diversi generi, modi espressivi,
linguaggi, codici, da sola n o n basta: deve trattarsi di un'inte-
razione attiva, innovativa, che sperimenti nuove possibilit, nuovi
orizzonti, magari traducendo i risultati di un c a m p o in un altro
parallelo, traslando un linguaggio in un altro.
Occorre d u n q u e chiedersi, preliminarmente, perch Montale
indichi la musica nuova e particolarmente Debussy, e la nuova
pittura e particolarmente gl'impressionisti. Certo, si tratta di
forme espressive congeniali alla poesia per lunga tradizione, da
" u t pictura p o e s i s " fino a " d e la musique avant toute c h o s e "
(basti ricordare le numerose pagine che H u g o Friedrich ha
dedicato a l l ' " u n i t strutturale" e all'analogia fra poesia, musica e
4
pittura m o d e r n e ) , e particolarmente congeniali, dati i riferimenti
biografici accennati, al giovane Montale.
Ma perch gl'impressionisti, e perch Debussy?
Brevemente, si pu dire con Fnon che gl'impressionisti
furono tra i primi a porre le basi della pittura m o d e r n a , con la
separazione e l'accostamento di colori puri sulla superficie del
dipinto, i quali dovevano poi essere rimescolati e fusi insieme
dalla percezione attiva dell'osservatore, ricreando quell'armonia
visiva e quindi l'oggetto stesso della visione che potevano
sembrare persi alla prima impressione: si pensi alla cattedrale di
Rouen, alla stazione di St. Lazare e alle biche di Monet e alla

- 51 -
grande Jatte di Seurat, con le loro sapientissime variazioni
5
luminose e "l'infinita delicatezza" del modellato. dunque lo
stile con la sua disgiunzione tra segno e significato che
gl'impressionisti mettono in primo piano a scapito della
rappresentazione e dell'oggettivit; ed una partecipazione attiva
dell'occhio dello spettatore che essi richiedono come parte
integrale del procedimento artistico.
Analogamente, Debussy fu tra i primissimi a scardinare il
sistema tonale tradizionale, con dissonanze volute che rompevano
la scala armonica e dovevano essere recepite e accettate
dall'orecchio dell'ascoltatore, che veniva cos indirizzato verso la
musicalit intrinseca ed a u t o n o m a dei suoni. Nella nuova poesia,
dissonanza lessicale e parola analogica sono le due categorie
critiche che, d o p o Friedrich, caratterizzano col massimo vigore gli
sviluppi novecenteschi e il loro r a p p o r t o con pittura e musica.
N o n so se Montale avesse chiari fin dall'inizio simili rapporti
e simili analogie in tutte le loro complessit e ramificazioni.
Probabilmente, n o . Certo, Montale aveva capito l'importanza del
libro di Pica, il critico d'arte napoletano davvero " t r o p p o
d i f f a m a t o " , se si pensa che Soffici lo qualific senza mezzi
termini di " i m b e c i l l e " (mentre Fnon ne aveva invece messo in
risalto la " c o e r e n z a r a r a " e l ' a p e r t u r a mentale senza
6
dogmatismi); infatti, il libro di Pica, oltre a presentare un
p a n o r a m a notevole del movimento impressionista, dai precursori
inglesi agli epigoni del divisionismo italiano (Segantini, Morbelli,
Previati, Pellizza da Volpedo ed altri), contiene u n ' i d e a derivata
proprio da Fnon e fondamentale ancor oggi per la
comprensione degli impressionisti, cio il loro uso di " m a c c h i e di
colori puri che si fondano a distanza sulla pupilla dello
7
s p e t t a t o r e " invece che sulla tavolozza. Ma il fatto stesso che
Montale citasse insieme impressionisti e Debussy sembra voler
indicare che considerava sullo stesso piano impressionismo
pittorico e impressionismo musicale, mentre per Debussy
l'etichetta stessa di impressionismo almeno da rivedere e da
limitare nel t e m p o . Piuttosto, importante notare, come ha fatto
L a u r a Barile, che " l ' a t t e n z i o n e a ci che avveniva nel m o n d o
musicale caratteristica della cultura di quegli a n n i " del primo
Novecento: infatti " a n c h e Serra esplorava la stessa zona, della
musicalit del verso, intesa in termini quantitativi, di arsi e tesi, di
ritmo e non pi di m e l o d i a " , e in tale contesto sar utile ricordare

- 52 -
La dissonanza, la rivista di breve d u r a t a ma di significative
aperture, diretta da G i a n n o t t o Bastianeiii e Ildebrando Pizzetti,
dal titolo emblematicamente programmatico e indicativo della
8
" m u s i c a n u o v a " .
In ogni caso, che Montale fosse consapevole no di tutte le
implicazioni del r a p p o r t o fra le novit espressive nelle tre arti non
veramente importante: ci che conta, e m o l t o , che egli questo
r a p p o r t o lo visse fin dall'inizio con una sensibilit e una
tempestivit straordinarie; che di questo r a p p o r t o interazione si
arricch tutta la sua prima poesia; e che in particolare
(tralasciando per ora la pittura) la primitiva scelta debussyana
non fu mai rinnegata ma fu ripetutamente e sapientemente usata
dal poeta a fini di poetica e di politica culturale, in modi e contesti
che varr la pena esplorare.
Il discorso montaliano su Debussy frammentario,
apparentemente occasionale e discontinuo, ma in realt
intimamente coerente e rigoroso per chi abbia la pazienza di
avvicinarne i tasselli. Le osservazioni di Montale sono di carattere
teorico, storico, e culturale. A livello teorico, il r a p p o r t o tra
musica e poesia riconosciuto da Montale lungo tutto l'arco
dell'estetica musicale, dai madrigali ai libretti d ' o p e r a , e la vexata
quaestio della superiorit dell'una sull'altra viceversa risolta
nel senso che " p o e s i a e musica c a m m i n a n o per conto proprio e
che il loro incontro resta affidato a fortune occasionali" (come
per esempio nei casi di Debussy, Mussorski e Schnberg), perch
in realt, mallarmeanamente, la poesia " i n se stessa gi
m u s i c a " ; posizione ribadita nel 1962: " S o che l'arte della parola
anch'essa musica, sebbene abbia poco a che fare con le leggi della
9
a c u s t i c a " . Mi si dir che simile orgogliosa affermazione
dell'autosufficienza della parola poetica contrasta con quella
iniziale dello sforzo di rifare Minstrels: vero, ma solo in
superficie, perch anche, anzi proprio " r i f a c e n d o " Debussy
Montale riafferma la superiorit della parola sulla musica, il cui
carattere " a s e m a n t i c o " , " u n a grande conquista della cultura
1 0
moderna", viene d u n q u e t e m a t i z z a t o , c o n c e t t u a l i z z a t o ,
dall'unica forma d'arte capace di compiere u n a tale operazione
esplicitamente, cio la letteratura, la parola scritta, e in
particolare la parola poetica. Ci t a n t o vero che nella stessa
"Intervista i m m a g i n a r i a " Montale aveva richiamato i grandi ismi
filosofici contemporanei (le " p a r o l e g r o s s e " di " M a r f o r i o " :

- 53 -
l'esistenzialismo kierkegaardiano di Scestov, l'immanentismo
assoluto di Gentile, "il grande positivismo idealistico del C r o c e " ,
e soprattutto, per gli anni di Ossi di seppia, il contingentismo di
Boutroux), per poi negarli subito ma intanto il richiamo, che
" s e m a n t i c o " , resta:
No, scrivendo il mio primo libro (un libro che si scrisse da s) non mi
affidai a idee del genere. [...] Ubbidii a un bisogno di espressione
musicale. Volevo che la mia parola fosse pi aderente di quella degli
altri poeti che avevo conosciuto. Pi aderente a che? Mi pareva di
vivere sotto una campana di vetro, eppure sentivo di essere vicino a
qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un filo appena mi separava
dal quid definitivo. L'esperienza assoluta sarebbe stata la rottura di
quel velo, di quel filo: una esplosione, la fine dell'inganno del
mondo come rappresentazione. Ma questo era un limite
irraggiungibile. E la mia volont di aderenza restava musicale,
istintiva, non programmatica. All'eloquenza della nostra vecchia
lingua aulica volevo torcere il collo, magari a rischio di una
11
controeloquenza.
Niente " i s m i " , dunque; ma questo " b i s o g n o di espressione
m u s i c a l e " , alla luce della a u t o n o m i a e semanticit della poesia, la
dice lunga sulla fede di Montale nella parola scritta, fin
dall'inizio. Occorrer magari cercare di individuare possibili
omologie (funzionali, strutturale) fra musica e poesia alla luce di
studi recenti, come le appasionanti considerazioni di Leonard
Bernstein in termini chomskiani, in cui le trasformazioni della
grammatica generativa (a livello fonologico, sintattico e
semantico) trovano convincenti applicazioni nelle letture di grandi
12
testi della musica occidentale; ma lo scetticismo montaliano in
materia resta, e il critico deve prenderne atto, e riconoscere
preliminarmente il fatto evidente che gli sforzi maggiori compiuti
dal poeta per collegare in qualche m o d o poesia e musica
appartengono tutti al suo primissimo periodo, e includono solo:
alcune poesie mai raccolte in volume (mai elevate alla dignit
d e l l ' " o p e r a in versi": Musica silenziosa, Suonatina di pianoforte,
Accordi) e la prima sezione degli Ossi, quei " M o v i m e n t i "
a p p u n t o musicali ed anzi debussyani (Mouvement u n a delle
Images per piano) ma gi metaforici ("Ascoltami, i poeti laureati
/ si muovono..."), che nella ristrutturazione definitiva inclu-
d o n o I limoni, Corno inglese, Falsetto e Minstrels; mentre la serie
Mediterraneo si debitrice di La mer (Pieri), ma direi pi come
13
idea che come esecuzione.

- 54 -
Negli sviluppi ulteriori della poesia m o n t a l i a n a vi saranno
solo echi sapienti riferimenti musicali al di fuori di qualsiasi
intenzione sistematica, come, per fare solo due esempi, il mottetto
Infuria sale grandine col richiamo a La cathdrale engloutie
( " m o l t o p r o b a b i l m e n t e " ) , La bufera col ricordo di Jardins
14

sous la pluie, sempre di Debussy.


I n t a n t o p e r , a livello storico, Montale sa bene che musica,
pittura e poesia seguono le proprie strade parallele, che possono
non coincidere nel t e m p o e non corrispondere nello spazio.
Consideriamo con lui " a l c u n e d a t e " relative al decadentismo:

Il preraffaellismo [...] era vivo in Inghilterra quando in Italia


dipingevano i Fontanesi e i Cammarano, classici malgrado il loro
romanticismo. Rimbaud e Mallarm scrivono quando in Italia si
giunti appena alla scapigliatura; i nostri macchiaioli si svegliano
quando incontrano l'impressionismo francese; Debussy un
contemporaneo di Puccini e Mascagni. D'Annunzio non si spiega
senza le sue fonti straniere, innumerevoli. Mentre infuria
l'espressionismo viennese, Casella e soci propongono un ritorno al
15
Settecento.

D ' a c c o r d o , " p e r fortuna siamo in r i t a r d o " , come conclude la sua


rassegna Montale con sorridente ma salutare ironia storiografica.
Intanto per Montale ha messo i puntini sugli i, ci ha procurato i
dati di fondo per capire bene la sua operazione culturale, nella
quale Debussy ha una funzione centrale, da vera e propria cartina
di tornasole. Seguiamo il discorso m o n t a l i a n o nel campo
letterario:

[Gozzano] ridusse D'Annunzio come Debussy aveva ridotto


Wagner, ma senza mai giungere a risultati che possano dirsi
debussiani. La poesia di Gozzano resta in quel clima che gli studiosi
dell'ultimo melodramma italiano dell'Ottocento chiamarono
"verista", un clima che sostanzialmente non di origine decadente.
[ . . . ] Mi par certo che in Gozzano la componente romantico-
borghese-verista sia stata la pi fruttuosa. Gozzano ridusse al
minimo comun denominatore la poesia italiana del suo tempo, e qui
16
il raffronto con Puccini torna ancora irresistibile.

Si noti l'impeccabile esattezza del ragionamento di Montale, in


cui i riferimenti musicali sono in r a p p o r t o " d i a l o g i c o " coi dati
letterari: sappiamo che Puccini era " i n r i t a r d o " rispetto a
Debussy, e che usando un criterio qualitativo Gozzano non p u

- 55 -
essere considerato un innovatore riuscito del tutto ("senza mai
1 7
g i u n g e r e a risultati che p o s s a n o dirsi d e b u s s i a n i " ) .
Riconoscendo a Gozzano ci che gli spetta (fu "il primo che abbia
dato scintille facendo cozzare l'aulico col p r o s a i c o " ) , Montale ci
fa per ricordare anche la propria intenzione, verlainiana, di
"torcere il collo all'eloquenza della nostra vecchia lingua a u l i c a " ,
" m a g a r i a rischio di u n a c o n t r o e l o q u e n z a " : e se Debussy al
centro del ragionamento, il vero bersaglio che si delinea in realt
D ' A n n u n z i o . Come in musica Debussy ha ridotto e quindi in un
certo senso sostituito Wagner, cos in letteratura D ' A n n u n z i o sar
ridotto e superato non da Gozzano, ma da Montale, quel Montale
che avr " a t t r a v e r s a t o " D ' A n n u n z i o , a cui la musica d o p o t u t t o
era stata aggiunta da Debussy (in Le martyre de Saint Sbastien),
18
che a sua volta era stato messo in poesia proprio da M o n t a l e !
Converr dunque dedicare qualche attenzione supplementare
a Claude Debussy e cercare di capire ancor meglio (o pi
esplicitamente, pi capillarmente) di quanto abbia fatto Montale
la novit e l'importanza della sua opera sia nello svolgimento
della musica contemporanea che in r a p p o r t o alla letteratura, cio
in un contesto culturale di cui la musica fa parte come sistema
significante " i n cui regnano dei rapporti particolari fra il
significante e il significato, e questo sistema simbolizza a suo
m o d o i grandi temi della Cultura, il r a p p o r t o con l'altro, con la
19
natura, con la morte, col d e s i d e r i o . "
Nella storiografia musicale, Debussy occupa una
"singolarissima posizione" che viene schematizzata da Salvetti
nei termini seguenti:

partecipe dell'impegno intellettuale e morale dei decadenti-


wagneriani; propenso a un'arte "leggera", fatta di accenni e di
analogie; ricercatore infaticabile (rinnovantesi fino alle morte) di un
linguaggio musicale che esprimesse sia l'evanescenza spirituale delle
esperienze interiori, sia il rigore formale di un fare artistico cosciente
20
e perfettamente responsabile.

Ho scelto queste parole di Salvetti perch mi sembrano assai


efficaci nel tratteggiare gli elementi storico-sostanziali e critico-
formali dell'opera di Debussy; del quale vale la pena citare
intanto una dichiarazione fatta a Guiraud gi nel 1889:

Non sono tentato di imitare ci che ammiro in Wagner. Io


concepisco una forma drammatica diversa: la musica comincia l

- 56 -
dove la parola impotente a esprimere: la musica scritta per
l'inesprimibile; vorrei che essa sembrasse uscire dall'ombra e che,
qualche istante dopo, vi ritornasse. [...] Sogno dei poemi che non
mi condannino a trascinare avanti atti lunghi, pesanti, [...] dove i
21
personaggi non discutano, ma subiscano la vita e la sorte.

A queste intenzioni giovanili corrispondono i risultati delle opere


maggiori di Debussy, dal Prlude l'aprs-midi d'un faune (1894)
a Nocturnes (1900) e fino a Pellas et Mlisande (1902), le quali
costituiscono quello che stato chiamato, forse non del tutto
giustamente, "l'impressionismo musicale" del compositore,
basato in ogni caso su un'estetica simbolista e decadente e volto
alla "dissoluzione della solidit, della grandiosit, della
compattezza del linguaggio musicale del tardo romanticismo
22
tedesco". Wagner aveva esasperato, nel sistema armonico
tradizionale, la tensione per cui ogni accordo tende verso un altro:
Debussy vuole invece " r o m p e r e questa tensione, spesso
artificiosa, recuperare il valore sonoro di ogni singolo accordo
preso per s s o l o " , sia accostando "gli uni agli altri accordi
d i s s o n a n t i " , sia passando " d a un accordo consonante ad un altro
appartenente ad altra t o n a l i t " , sia infine " c o n la minore forza di
attrazione del ' p u n t o di r i p o s o ' , cio del centro t o n a l e " (scala
pentatonica, scale difettive): il conseguente "allentamento della
23
tensione a r m o n i c a " produce suoni sempre pi p u r i . Analoga
operazione Debussy compie sull'impianto ritmico tradizionale
(con lunghe pause, sospensioni, ripetizioni, variazioni), e
sull'orchestrazione (in cui egli dissolve la massa orchestrale del
sinfonismo tedesco e predilige timbri anch'essi puri e strumenti
24
solisti, " s o p r a t t u t t o flauto, oboe, corno i n g l e s e " ) . A ulteriore
c o m m e n t o , citer l'analisi di Prlude l'aprs-midi d'un faune,
nella quale Bernstein ha messo in evidenza n o n solo che si tratta di
u n ' o p e r a " a t t e n t a m e n t e costruita e intenzionalmente disegnata"
sul tritono, " l ' a s s o l u t a negazione della t o n a l i t " , ma che le
implicazioni armoniche basate sul tritono (la scala a toni interi)
p r o d u c o n o "il primo materiale atonico organizzato che sia mai
apparso nella storia della m u s i c a " tonale, per concludere infine
25
che il Faune un vero e proprio "saggio sul mi maggiore".
Nelle opere posteriori al 1902, sia orchestrali che
specialmente pianistiche, Debussy accentua "il rigore nuovo
che collega armonia e m e l o d i a " e, "anzich nascondere la linea
melodica e ritmica nell'alone impressionistico, la mette
nettamente in evidenza" (anche Jacques Rivire fin dal 1910-11

- 57 -
aveva notato che la musica di Debussy era una " m u s i c a della
v o l u t t " , m a " e s a t t a " , " r i g o r o s a " , " r a r e f a t t a dall'intelligenza",
26
e ancora, " c o m m o v e n t e per il suo stesso r i g o r e " ) .
Il superamento dell'impressionismo, se si preferisce
l'innovazione del " p e n s i e r o s o n o r i a l e " , avviene anche per mezzo
dell'ironia di certi pezzi come il Golliwogg's Cake-walk The
little shepherd, notevole nelle Images del 1905-07 e nei 24
Prludes per pianoforte del 1910-13 ed definitivo nelle ultime
opere, e in particolare nei 12 tudes per pianoforte del 1915,
" d o v e , dietro la sollecitazione del fatto meccanico-tecnico,
avviene una totale emancipazione della dissonanza e si esplorano
27
gi chiaramente i luoghi del pianismo del N o v e c e n t o " .
Si p u , riassumendo, concordare con Jarocinski, il quale
afferma che l'estetica di Debussy " c o r r i s p o n d e " fondamental-
mente " a l l a poetica di Mallarm. Tutti e due agli antipodi del
wagnerismo, essi h a n n o cercato 'l'essenza delle cose', le nude
verit, non deformate da piatte categorie spaziali da u n a pom
2 8
posa r e t o r i c a . "
Le brevi notazioni che precedono, oltre a definire la
posizione di Debussy nella musica del suo t e m p o , spero indichino
abbastanza chiaramente la sua i m p o r t a n z a nel r a p p o r t o dialogico
con la letteratura. Opero qui un capovolgimento totale rispetto
all'analisi di Wenk, che ha m o s t r a t o con precisissimi riscontri
testuali l'influenza di alcuni poeti (specie Banville, Baudelaire,
Verlaine, Lous e Mallarm) sulle scelte e sulle soluzioni musicali
di Debussy. Desidero caratterizzare invece l'influenza di Debussy
sul giovane Montale, a p p r o f o n d e n d o l'indicazione lasciata dal
poeta.
L'influenza di Debussy prima di t u t t o , e non t r o p p o
paradossalmente, letteraria, proprio perch il letteratissimo
musicista ha filtrato e trasmesso la grande lezione del simbolismo
francese, a cui dunque come ma a differenza di Ungaretti
anche Montale si richiama, con grande consapevolezza tanto dei
29
debiti q u a n t o della propria a u t o n o m i a .
Ma l'influenza di Debussy da sottolineare in secondo luogo
per l'anti-grandiosit del suo stile e per l'anti-eroismo dei suoi
personaggi che " n o n d i s c u t o n o " ma " s u b i s c o n o " : modelli
culturali, certo, che si ritrovano non solo nel teatro di Maeterlinck
ma in tanta letteratura del Novecento, e documentabili per
Montale, dalla poetica della diminutio antiaulica di I limoni

- 58 -
all'antieroe per eccellenza Arsenio, p r e p a r a t o fra l'altro da
Minstrels.
C o n uguale decisione va poi sottolineata "l'emancipazione
della d i s s o n a n z a " , che sar poi ripresa e teorizzata da Igor
Stravinski nella sua Potique musicale del 1942, citata in apertura
30
di libro da Friedrich per caratterizzare la lirica m o d e r n a , in
q u a n t o attraverso la dissonanza lessicale si vuole esprimere una
ben pi p r o f o n d a dissonanza interiore e non vi sono dubbi che
Montale u n a voce assolutamente centrale e genuina in una lirica
cos intesa.
A n c o r a , un preciso anche se non d u r a t u r o influsso di
Debussy si p u individuare n e l l ' " i m p r e s s i o n i s m o " delle prime
prove poetiche di Montale, al p u n t o che tre dei sette Accordi
p o r t a n o i titoli di tre degli strumenti preferiti dell'orchestrazione
debussyana: flauto, oboe, corno inglese (e si noter che la
Suonatina di pianoforte, forse proprio perch " a l l a Maurizio
R a v e l " e non alla Claude Debussy, rimasta nel limbo delle
31
poesie disperse).
Infine, non t a n t o un'influenza q u a n t o una consonanza u n a
corrispondenza p r o f o n d a da riscontrare a livello tematico: il
mare gioca un ruolo notevolissimo nella musica di Debussy come
nella poesia del ligure Montale; a c c o m p a g n a to spesso dal vento,
elemento sonoro che ne completa la figurativit, il m a r e presente
in n u m e r o s e c o m p o s i z i o n i dei d u e artisti c o m e fonte
d'ispirazione, interlocutore, pretesto descrittivo, narrativo
discorsivo. Vale la pena citare un c o m m e n t o particolare di
Jarocinski:

Il mare di Monet non mai terrificante. Si partecipa alla


contemplazione del pittore, lui stesso in un accordo panteista con la
natura. Ma in La mer di Debussy tutto sembra avvenire come in
Turner ad un livello cosmico. Nella parte finale di questa sinfonia
poliritmica, Le dialogue du vent et de la mer, il rumore funesto
dell'uragano sembra annunciare la morte e la distruzione; la stessa
impressione promana dal Prlude VII (libro I): Ce qu'a vu le vent de
32
l'Ouest.

Q u a n t o queste osservazioni siano pertinenti anche per la poesia di


M o n t a l e , da Arsenio a La bufera, credo n o n sia necessario
sottolineare.
Ma a p p u n t o , occorre ora verificare sui testi montaliani gli
aspetti dell'influenza e della consonanza debussyane.

- 59 -
N o n questa la sede per un'analisi approfondita e
sistematica degli Accordi e delle altre poesie " m u s i c a l i " del
giovane Montale, ma mi sar consentito un brevissimo accenno
ad alcuni aspetti di queste poesie che mi sembrano importanti, a
integrazione di q u a n t o gi osservato da critici del valore di Forti,
33
Sanguineti e R a m a t , mentre dedicher maggior spazio alla
lettura e al c o m m e n t o di Minstrels e di Corno inglese.
Testimonianza preziosa di u n a stagione culturale di
un'intensit e di un fervore straordinari, la suite dei sette Accordi
ci consente di verificare testualmente l'incidenza sul fare poetico
di Montale di movimenti non solo contemporanei e italiani (il
dannunzianesimo e il crepuscolarismo, gi notati dai critici), ma
anche precedenti e stranieri: in particolare, l'impressionismo ("e a
questa ciarla / s'univano altre, ma pi gravi, e come / bolle di
vetro luminose intorno / stellavano la notte che raggiava. / Di
contro al cielo buio erano sagome / di perle, / grandi flore di
fuochi d'artifizio, / cupole di c r i s t a l l o . . . " in Flauti-Fagotti,
dove si n o t e r a n n o anche la parola analogica e l'allitterazione di
" g r a n d i flore di fuochi d'artifizio"); e il simbolismo, rintraccia-
bile n o n solo nell'uso tipico di maiuscole iniziali per parole chiave
come il " C e n t r o " e il " N i e n t e " in Violoncelli il " B r u t t o " in
Contrabbasso, ma anche nei numerosi casi di parole analogiche
(per esempio: " O c c h i corolle s ' a p r o n o / in me chiss? nel
s u o l o " , conlasuastrutturachiasmaticain Violini, o p p u r eilc a n t o
che va " n e l l e v e n e " e poi nel " c u o r e " in Violoncelli), e infine
nella dissonanza lessicale (si ricordi il bellissimo ossimoro di
Flauti-Fagotti: "gli occhi s'abbacinavano / in un gaio
s u p p l i z i o ! " ) . 3 4
Inoltre, la suite di Accordi costituisce u n a vera e p r o p r i a
" p r o v a d ' o r c h e s t r a " di temi e motivi che si ritroveranno
nell'operapoeticadi M o n t a l e , dall'attesadelmiracolo algrigiore
della vita quotidiana, dalla tristezza alla gioia felicit fragile,
dalla perplessit s m a r r i m e n t o esistenziale all'invenzione
d e l l ' i n t e r l o c u t r i c e - " t u " .
Ma passiamo i n t a n t o a Minstrels, l'unica poesia derivata
esplicitamente "da C. Debussy", pubblicata col titolo Musica
sognata nella p r i m a edizione critica. 3 5
Ascoltiamo d u n q u e , p r i m a di t u t t o , il testo musicale da cui
deriva quello poetico: il dodicesimo dei Prludes per p i a n o ,
nell'esecuzione di Walter Gieseking, "il candido Gieseking" come
36
lo chiama M i l a .

- 60 -
Da un p u n t o di vista formale, questo preludio notevole
p e r c h illustra q u a n t o a f f e r m a t o i n p r e c e d e n z a nella
presentazione di Debussy: in esso " l e successioni di accordi non
h a n n o alcun carattere funzionale. Un disegno rapido crea
associazioni di suoni, e invano si cercherebbe a questo una
37
giustificazione nelle regole dell'armonia t r a d i z i o n a l e " . la
novit del ritmo che si impone, un p o ' come nel Golliwogg's
Cake-walk. Ma forse, per il critico letterario che si occupi dei
rapporti dialogici della cultura, ancor pi interessanti degli aspetti
formali possono risultare quelli tematici del b r a n o .

Minstrels n o n l'unico pezzo di Debussy sull'argomento. Va


ricordato che egli music poesie di Banville (Pierrot) e di Verlaine
(Ftes galantes) nelle quali, tramite Watteau, si ritrovano
personaggi della commedia dell'arte italiana: Colombina, Pierrot,
Arlecchino, alcuni dei quali ricompariranno, col Dottor
Balanzone, nel balletto Masques et Bergamasques del 1909 per
38
Diaghilev. Si p u anzi parlare di un vero e proprio topos
musicale in proposito: Petroushka di Stravinski del 1911, il
Pierrot lunaire di Schnberg del 1912, il Pulcinella di Stravinski
del 1920. Anche nell'iconografia contemporanea la maschera, il
clown, il menestrello, il saltimbanco diventano protagonisti di
u n ' i n t e r a vicenda pittorica, che collega il motivo teatrale e quello
musicale, come si p u vedere dai pochi esempi, illustrativi e
interconnessi, che seguono: l'Arlecchino di Paul Czanne
(1888-90, fig. 1), l'Arlecchino e la sua famiglia di Pablo Picasso
(1905, fig. 2), l'Uomo con la chitarra di Georges Braque (1911,
fig. 3), l'Arlecchino con il violino di Picasso (1918, fig. 4), il
bozzetto di Gino Severini per il balletto Pulcinella di Stravinski
del 1920 (fig. 5), e ancora le Maschere di Picasso (1921, fig. 6), e
di Severini (1922, fig. 7). Analogamente, per il corrispondente
topos letterario, baster ricordare (magari tramite " L ' i n t e r m e z z o
dell'Arlecchinata" di Lucini del 1898) le movenze chapliniane
dello Zeno di Svevo, le scomposizioni delle " M a s c h e r e n u d e " di
Pirandello, tutto l'atteggiamento dei poeti crepuscolari che si pu
far culminare negli emblematici versi di Palazzeschi: " C h i sono?
/ Il saltimbanco dell'anima m i a " (e al Portrait de l'artiste en
saltimbanque intitolato un ormai classico ed elegante volume di
39
Jean S t a r o b i n s k i . Si tratta, in una parola, di un luogo deputato
dell'anti-eroismo in arte. Sul cui sfondo possiamo ora leggere il
40
testo di M o n t a l e :

- 61 -
Ritornello, rimbalzi
tra le vetrate d'afa dell'estate.

Acre groppo di note soffocate,


riso che non esplode
ma trapunge le ore vuote
e lo suonano tre avanzi di baccanale
vestiti di ritagli di giornali,
con istrumenti mai veduti,
simili a strani imbuti
che si gonfiano a volte e poi s'afflosciano.

Musica senza rumore


che nasce dalle strade,
s'innalza a stento e ricade,
e si colora di tinte
ora scarlatte ora biade,
e inumidisce gli occhi, cos che il mondo
si vede come socchiudendo gli occhi
nuotar nel biondo.

Scatta ripiomba sfuma,


poi riappare
soffocata e lontana: si consuma.
Non s'ode quasi, si respira.

Bruci
tu pure tra le lastre dell'estate,
cuore che ti smarrisci! Ed ora incauto
provi le ignote note sul tuo flauto.

Montale aderisce al testo di Debussy innanzitutto tematicamente:


l'argomento della sua poesia la musica suonata dai minstrels del
titolo, i menestrelli pi specificamente i " s u o n a t o r i a m b u l a n t i "
del vocabolo inglese che diventano i " t r e avanzi di b a c c a n a l e " (o
" u o m i n i paradossali" secondo una variante) "vestiti di ritagli di
g i o r n a l i " nell'interpretazione modernissima del poeta; essi
sembrano davvero " s t r a p p a t i a qualche collage futurista",
oppure "correlativi figurali di gusto fra fauve e cubistico" alla
" e s s e n z a p r i n c i p a l m e n t e fonica e r i t m i c a " del breve
41
componimento p o e t i c o .
Si noti poi che questa musica , specificamente, un
" r i t o r n e l l o " , cio u n a ripetizione-variazione tipicamente

- 62 -
musicale, che in Montale resa con la ripresa del secondo e del
terzultimo verso ( " t r a le vetrate d'afa dell'estate" " t u pure tra
le lastre dell'estate") e con il paragone fra il ritornello stesso e il
cuore (l'uno e l'altro bruciano nel calore estivo). Infine, la
musica-argomento anche la forma stessa della poesia, col suo
ritmo ora scattante ora sfumato, con i suoni aspri del suo tessuto
fonico (per esempio " a c r e groppo di note soffocate") e con le
piccole dissonanze di rime imperfette (rimbalzi avanzi, esplode
vuote, baccanale giornali).
Con questa " c o s e t t a " che si sforzava di rifare Debussy,
Montale paga un suo debito culturale e lascia ai suoi lettori una
precisa indicazione in proposito. Indicazione che per anche
" d e p i s t a n t e " , non per quello che dice, ma per quello che cela:
infatti nella poesia c' un elemento tipico di Montale, poetico e
metapoetico, quel " c u o r e " qui ancora incerto (si smarrisce come
il cuore di Corno inglese, " s c o r d a t o s t r u m e n t o " ) ma che gi
" b r u c i a " al calore estivo; e questo bruciare non pi che un
accenno, ma importantissimo perch verr poi svolto in momenti
cruciali di Ossi di seppia: "tali i nostri animi arsi // in cui
l'illusione brucia / un fuoco pieno di c e n e r e . . . " (Non rifugiarti
nell'ombra); "il fuoco che non si smorza / per me si chiam:
l ' i g n o r a n z a " (Ci che di me sapeste); " N o n sono / che faville
d ' u n tirso. Bene lo so: bruciare / questo, non altro, il mio
significato" (Dissipa tu se lo vuoi, in Mediterraneo); e " P e n s o
[ . . . ] / al rogo / morente che s'avviva / d ' u n arido paletto, e ferve
trepido" (Crisalide). S o n o t u t t i m o m e n t i cruciali per
l'autoconsapevolezza del poeta e del suo fare poetico: egli,
partendo " i n c a u t o " d a l l e ' ' i g n o t e n o t e " suonate sul suo " f l a u t o "
in Minstrels, arriver agli splendidi risultati del " b r u c i a t o " per
eccellenza, Arsenio.
Ma i n t a n t o , il motivo del cuore, gi metonimico della poesia
nascente, viene svolto da Montale anche in u n ' a l t r a poesia coeva
ancor pi debussyana di Minstrels, cio Corno inglese, l'unica
salvata degli Accordi, fin dall'inizio, senza esitazioni e senza
ripensamenti, e il risultato poetico di gran lunga maggiore
raggiunto dal giovane poeta.
42
Leggiamola.

11 vento che stasera suona attento


ricorda un forte scotere di lame
gli strumenti dei fitti alberi e spazza
l'orizzonte di rame

- 63 -
dove strisce di luce si protendono
come aquiloni al cielo che rimbomba
(Nuvole in viaggio, chiari
reami di lass! D'alti Eldoradi
malchiuse porte!)
e il mare che scaglia a scaglia,
livido, muta colore,
lancia a terra una tromba
di schiume intorte;
il vento che nasce e muore
nell'ora che lenta s'annera
suonasse te pure stasera
scordato strumento,
cuore.

un breve componimento che ha in s i dati dell'esperienza


debussyana, dal titolo stesso, eco della predilezione del musicista
43
per lo strumento e p o n i m o , ai precisi riferimenti tematici
rintracciabili nei due preludi per piano Le vent sur la plaine e Ce
qu'a vu le vent de l'Ouest e nella terza parte del poema sinfonico
La mer, Le dialogue du vent et de la mer. Ma questi dati sono
come trascesi e fusi in u n a costruzione che gi, interamente e
potentemente, montaliana, a cominciare dalla valenza metaforica
del titolo, confermata appieno da una traduzione posteriore che
Montale fa da Emily Dickinson, " T e m p e s t a " , del 1945: " C o n un
4 4
suono di corno / il vento a r r i v . . . " ; e la cui importanza
tematica sta tutta nel fatto che quel sostantivo, il vento, su cui
basata, il primo in assoluto dell'intera opera in versi: " G o d i se il
vento ch'entra nel p o m a r i o / vi rimena l'ondata della v i t a " ,
esordisce Montale in In limine, definendo emblematicamente non
solo la liminalit della sua poesia, ma il suo duplice spazio
poetico, interno ed esterno, secondo lo schema ormai classico di
L o t m a n , e la funzione dinamica e creativa che in esso ha il
45
v e n t o . una costruzione poetica che racchiude un'esperienza
paesaggistica, musicale e affettiva in una unit straordinaria; un
piccolo concentrato, un microcosmo autosufficiente di temi,
immagini e tecniche di Montale, in una struttura circolare chiusa a
livello fonico, lessicale e sintattico.
A livello fonico, Corno inglese tutta giocata sul contrasto-
complemento (dissonanza-armonia) fra i gruppi consonantici
sibilanti e fricativi (onomatopeici q u a n t o m e n o suggestivi del
vento) S, ST, e ZZ da un lato: STasera, Suona, Scotere,

- 64 -
STRumenti, S p a Z Z a , o r i z z o n t e , STRiSce, Scaglia, Schiume,
naSce, S'annera, SuonaSSe, STasera, Scordato, STRumento; e
dall'altro il suono delle nasali, labiali e dentali dei gruppi E N T e
O M B A : v E N T o , a t t E N T o , strumENTi e le varianti orizzoNTE e
p r o t E N D o n o all'inizio della poesia, r i m b O M B A e t r O M B A al
centro, poi ancora v E N T o , l E N T a , s t r u m E N T o : questa
dissonanza-armonia (in cui possibile forse cogliere anche
suggestioni stravinskiane: sarebbe far torto a Montale limitare
solo a Debussy la " m u s i c a n u o v a " ) si risolve nel distico finale,
con lo scioglimento liquido di " c u o r e " .
un tessuto fonico compatto nella sua insistita ripetitivit,
che fa da base musicale al livello lessicale-semantico della poesia,
dove a lor volta i sememi "il v e n t o " (ripetuto due volte, al primo
e al quattordicesimo verso), "il m a r e " e " l ' o r i z z o n t e " si
riferiscono a u n a situazione semplicissima, definita anche
temporalmente da " s t a s e r a " al primo e terzultimo verso (insieme
col verbo " s u o n a " " s u o n a s s e " , nonch " s t r u m e n t i " al terzo
verso e " s t r u m e n t o " al penultimo), ma soprattutto riferita al
vocativo finale, fortemente affettivo, " c u o r e " . a questo livello
che occorre sottolineare la potenza visiva, pittorica, della poesia
di Montale, che completa e s'interseca con l'indubbia musicalit
di frasi quali " u n forte scotere di l a m e " "gli strumenti dei fitti
a l b e r i " : sipensialleimmagini " o r i z z o n t edir a m e / dovestriscedi
luce si p r o t e n d o n o / come a q u i l o n i " , " n u v o l e in viaggio", " i l
m a r e che scaglia a scaglia, / livido, m u t a c o l o r e " , " u n a t r o m b a /
di schiume i n t o r t e " . Da notare a n c o r a la preziosit delle scelte
lessicali " s c o t e r e " , " s c a g l i a " (riferita a m a r e , come in Meriggiare
pallido e assorto) e " i n t o r t e " ; la vaghezza poetica dei plurali
leopardiani " n u v o l e " , " r e a m i " , " E l d o r a d i " , " p o r t e " ; l a voluta
ambiguit di " s c o r d a t o " , che, nei significati sovrapposti di
" d i s a r m o n i c o " e " d i m e n t i c a t o " riferiti a " s t r u m e n t o " e a
" c u o r e " , costituisce un superamento del crepuscolarismo insito
nel semema finale. L'unit della composizione ulteriormente
cementata dalle numerose rime, rime interne e rime imperfette:
vento-attento-strumenti-protendono; lame-rame; rimbomba-
tromba; porte-intorte; colore-muore-cuore; vento-lenta-
strumento; s'annera-stasera.
A livello sintattico, siamo di fronte per la prima volta
nell'opera di Montale a una poesia costruita su un unico periodo
dall'ampio respiro, come avverr pi tardi nella famosa
L'anguilla. Esso costituisce indubbiamente una " u n i t ritmica
46
m u s i c a l e " , e si potrebbe trascrivere graficamente cos:

- 65 -
Alla frase principale corrisponde la linea melodica, alle
secondarie i materiali armonici: il r a p p o r t o tra i due elementi
sintattici sbilanciato a favore dei secondi, per cui si crea un
ritmo nuovo e diverso (percepibile anche visivamente) nella
struttura dela poesia. Si tratta di un unico periodo in cui la sintassi
retoricamente ripetitiva e sospesa, di grande efficacia: la frase
dichiarativa " I l vento lancia una t r o m b a " diventa ottativa, "il
4 7
vento suonasse te p u r e " . Tutte le numerose clausole dipendenti
e incidentali sono rette dall'unico soggetto "il v e n t o " in una
struttura a embotement a scatole cinesi culminante quasi
ossimoricamente nella parentesi centrale. La quale una frase
nominale, senza verbo, ma chiaramente collegata al soggetto e
all'oggetto della principale: le nuvole sono " i n viaggio", sospinte
a p p u n t o dal vento, come se avessero, per il " c u o r e " , u n a
destinazione verso gli "alti E l d o r a d i " (che ricordano " l e t r o m b e
d ' o r o della solarit" di I limoni, anche per il richiamo "malchiuse
p o r t e " " m a l c h i u s o p o r t o n e " ) . Questa frase nominale si p u
configurare come vera e propria frase musicale in maggiore (si
n o t i n o : " c h i a r i " , " a l t i " , " l a s s " , i due esclamativi in dissonanza
a contrasto con il resto della poesia in minore (con le
connotazioni " d i r a m e " , " l i v i d o " , " i n t o r t e " , e " s ' a n n e r a " ) .
Perci la frase parentetica diventa il centro sintattico,
visivo, musicale, affettivo di tutta la poesia, nella quale
produce una dissonanza fondamentale, sottolineata e contenuta
dalle parentesi che prolungano la sospensione gi ampia tra il
soggetto e l'oggetto, tra la n a t u r a e il poeta. U n ' a l t r a indicazione

- 66 -
di questa dissonanza si trova a livello metrico, in cui l'uso assai
libero di versi tradizionali va dall'endecasillabo iniziale al senario
e al binario finali, " s c o r d a t o strumento, / c u o r e " , entrambi
48
abbastanza inconsueti nel canone della lirica italiana.
Corno inglese esprime per la prima volta la stessa situazione
che verr svolta completamente ed emblematicamente nel pi
t a r d o Arsenio, configurandola per in m a n i e r a m e n o
drammatica: nella dialettica fra immobilit e movimento, fra il
poeta e il m o n d o , la frase parentetica centrale supera le
connotazioni potenzialmente tragiche, un'apertura
all'immaginazione, alla speranza, alla Senhsucht del poeta che
contempla la tempesta, la " t r o m b a di schiume i n t o r t e " : il varco
49
che Montale auspica in In limine, e che forse ha trovato
Esterina, la debussyana " j e u n e fille aux cheveux de l i n " di
Falsetto (lei " c o m e spiccata da un v e n t o " , il poeta "della
razza di chi rimane a t e r r a " ) .
In Corno inglese si tratta di un varco immaginario,
concettuale e ipotetico, che tuttavia li, presente e invitante,
attualizzato dall'invocazione al centro della poesia nata dalla
50
musica, debussyana e ligure, del v e n t o . Quel vento, che a livello
connotativo-espressivo, il poeta vuole produca una " m u s i c a " che
smuova lo " s c o r d a t o s t r u m e n t o " del cuore. Montale comunque
non descrive un paesaggio e non esprime semplicemente uno stato
d ' a n i m o , ma cerca con i mezzi poetici descritti di squarciare le
apparenze, di rompere il velo, di raggiungere (come Debussy,
come Mallarm) " q u a l c o s a di essenziale": che il suo sia un
tentativo, e n o n un risultato, insito nell'espressione ottativa e
parentetica.
Corno inglese dunque il m o m e n t o di massima fusione tra
poesia e musica in Montale, il m o m e n t o in cui l'occasione-musica
si trasforma veramente, definitivamente, in poesia.

in "Rivista
in di
"Rivista G I A italiani",
Studi Italiani",
di studi N - P A O L O BIASIN
University of California,
anno I , n
anno
2, IDicembre
, n 2, Dicembre
1983 1983
Berkeley

NOTE
1
Eugenio Montale, Sulla poesia, Milano, Mondadori, 1976, p. 563.
2
Si vedano almeno, in proposito, i tre libri di Montale, Pastelli e
disegni (Milano, Scheiwiller, 1966), Farfalla di Dinard (Milano,
Mondadori, 1960), e Prime alla Scala (Milano, Mondadori, 1982); e la
biografia di Giulio Nascimbeni, Eugenio Montale, Milano, Longanesi,
1969.

- 67 -
3
Cfr. Michail Bachtin, Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1979, e
The Dialogical Imagination, Austin, University of Texas Press, 1980; cfr.
inoltre Vittorio Strada, Dialogo con Bachtin, in "Intersezioni" I (1981),
n. 1, pp. 115-24.
4
Hugo Friedrich, La lirica moderna, tr. it., Milano, Garzanti, 1961.
5
Flix Fnon, Au-del de l'impressionisme, a cura di Franoise
Cachin, Paris, Hermann, 1966, pp. 84-85 (il testo risale al 1887):
"L'innovation de M. Seurat a pour base la division scientifique du ton.
Voici: au lieu de mlanger sur la palette les ptes dont la rsultante,
tendue sur la toile, fournira peu prs la couleur de l'objet figurer,
le peintre posera sur la toile des touches spares correspondant les unes
la couleur locale de cet objet, les autres la qualit de la lumire qui y
choit, d'autres aux reflets projets par les corps voisins, d'autres aux
complmentaires des couleurs ambiantes. [ . . . ]
De cette manire d'operer, voici les avantages:
I. Les couleurs se composent sur la rtine: nous avons donc un
mlange optique. Or l'intensit lumineuse du mlange optique (mlange
de couleurs-lumires) est beaucoup plus considrable que celle du
mlange pigmentaire (mlange des couleurs-matires) [ . . . ] " . Cfr. anche
John Rewald, The History of Impressionism e Post-Impressionism. From
Van Gogh to Gauguin, New York, Museum of Modern Art, 1973 e 1978
rispettivamente: due volumi fondamentali per seguire i complessi rapporti
fra impressionisti, neo-impressionisti, e simbolisti che sono alla base degli
ulteriori sviluppi della pittura moderna, a cominciare da Czanne.
6
Si vedano: Ardengo Soffici, Scoperte e massacri. Scritti sull'arte
2
11908-131, Firenze, Vallecchi, 1929 , p. 235, nonch pp. 290-93; e Fnon,
pp. 135-37.
7
Vittorio Pica, Gl'Impressionisti Francesi, Bergamo, Istituto
Italiano d'Arti Grafiche Editore, 1908, p. 55 e passim. Il libro, corredato
di "252 incisioni nel testo e 10 tavole", ha anche un lungo capitolo
dedicato a Monet, "l'iniziatore pi convinto e pi cosciente ed il
rappresentante pi schietto, pi fido e pi completo dell'impressio-
nismo", p. 51; Renoir definito "virtuoso delle dissonanze cromatiche",
p. 98; e non manca un dubbio sull'etichetta stessa di impressionismo, un
"nome abbastanza inesatto", p. 14.
8
Laura Barile in Eugenio Montale, "Tre articoli ritrovati" (a cura di
L. Barile), Inventario, n.s. 4, gennaio-aprile 1982, pp. 11 e 20, n. 18; il
riferimento a Serra rimanda a Gianfranco Contini, Altri esercizi
(1942-1971), Torino, Einaudi, 1978, pp. 77-100, ma anche alle
fondamentali pagine di Ezio Raimondi, Il lettore di provincia: Renato
Serra, Firenze, Le Monnier, 1964.
9
Eugenio Montale, Auto da f, Milano, Il Saggiatore, 1966, pp. 113
e 111 (il brano da cui sono tratte le citazioni del 1949), e p. 244,
rispettivamente.
10
Montale, Sulla poesia, p. 144.
11
Ibid,. p. 565.

- 68 -
12
Leonard Bernstein, The Unanswered Question, Cambridge,
Mass., Harvard University Press, 1976.
13
MarzioPieri,Biografiadellapoesia,Parma,EdizionidellaPilotta,
1980, p. 251 ("Quanto Debussy, nel giovanne Montale"). Interessante
ancheiltentativodiSilvioRamatdidescriverelastrutturazionedegliOssi
di seppia come una'"armonizzazione" tra il "recitativo" degli "Ossi
brevi" e il " c a n t a t o " di Mediterraneo: in Storia dellapoesia italiana del
Novecento, Milano, Mursia, 1976, pp. 224-25.
14
Montale, L'opera in versi, p. 913. Cfr. in proposito anche Laura
Barile, che ricorda, oltre a Farfalla di Dinard ("tutta percorsa da
cavatine, fadiesissottolerighe,sibemolleericamitenorili"),ifrequenti
espliciti rimandi a determinate forme, frasi, musicali, come 'la
farandoladi fanciullisulg r e t o . . .' (farandola: danzadioriginegrecama
popolare in Provenza, in tempo 6/8 moderato), lo 'scalpicciare del
fandango' (danzanazionale spagnolautilizzatadaManuel De Fallanel
Cappello a tre punte), la 'fantasia' (brano strumentale di forma
assolutamente libera) di Quasi unafantasia (gi rilevato da Lonardi), lo
stesso 'mottetto'": in Montale, "Tre articoli ritrovati", p. 10. L'elenco,
naturalmente, si potrebbe allungare.
15
Montale, Auto da f, p. 301 ( da "Per fortuna siamo in ritardo"
del 1963).
16
Montale, Sulla poesia, p. 57.
17
Ma in Prime alla Scala Puccini viene inteso in una dimensione
moderna, ricca di fermenti e di inquietudini (p. 265); cfr. Mosco Carner,
2
Puccini. A Critical Biography, New York, Holmes and Meier, 1977 , e
Mario Bortolotto, Consacrazione della casa, Milano, Adelphi, 1982,
pp. 131-51.
18
Cfr. Sulla poesia, p. 603: "Credo che la mia poesia sia stata la pi
'musicale' del mio tempo (e di anche prima). Molto pi di Pascoli e di
Gabriele. Non pretendo con questo di aver fatto di pi e di meglio. La
musica stata aggiunta, a D'Annunzio, da Debussy".
19
Nicholas Ruwet, Langage, musique, posie, Paris, Seuil, 1972,
p. 44.
20
Guido Salvetti, Il Novecento I, vol. IX di Storia della Musica, a
cura della Societ Italiana di Musicologia, Torino, EDT, 1977, p. 43.
opportuno sottolineare una notazione di Montale relativa a quegli anni e
agli sviluppi della musica nuova: "Abolita la dominante, escluso il
tematismo (che privilegia certe note a vantaggio d'altre), ammesso il
principio che in ogni composizione ogni nota sia sempre un principio e
una fine e che il centro debba essere in ogni luogo e in nessuno, i musicisti
danno lezione ai poeti; e questi accettano la lezione": in Sulla poesia, p.
329 (1965). Per un affascinante ritratto della Parigi che fu in parte anche
il milieu di Debussy, si veda Roger Shattuck, The Banquet Years: The
Arts in France, 1885-1918, (il libro tratta di quattro biografie parallele:
Henri Rousseau, Eric Satie, Alfred Jarry e Guillaume Apollinaire).
21
Citato da Salvetti, p. 45, e da Bartolotto, p. 74.

- 69 -
22
Salvetti, p. 46. Anche Massimo Mila, Breve storia della musica,
Torino, Einaudi, 1977, p. 358 concorda in tale sistemazione critica;
mentre Stefan Jarocinski rifiuta i termini sia di impressionismo (come
errato) che di simbolismo (come insufficiente) per definire il musicista: in
Debussy. Impressionismo e simbolismo, tr. it., Fiesole, Discanto
Edizioni, 1980. Lo stesso Debussy rifiutava questi termini (si veda per es.
il suo Il Signor Croche, autodilettante, tr. it., Milano, Bompiani, 1945,
p. 26); essi conservano per una loro utilit storica e culturale, se non
critica, da non trascurare (come, d'altronde, il concetto stesso di
"dissonanza").
23
Salvetti, p. 46. Nella storiografia musicale proprio il concetto
della purezza del suono che si delinea come caratterizzante per Debussy;
per esempio, ancora Paul Claudel sottolineava impressionisticamente la
"diaprure" nella musica del "Claude national" (in Oeuvres compltes,
XVII, L'oeil coute, Paris, Gallimard, 1960, p. 150); mentre Jarocinski
insiste pi modernamente sul "pensiero sonoriale" tutto volto alla
liberazione della purezza, e non della sfumatura, dei suoni (in Debussy,
passim). Anche Piero Rattalino nota che in Debussy "i timbri non si
fondono, ma semplicemente coesistono, e si perde anche la sensazione
della gerarchia di valori tra melodia e parti di accompagnamento in favore
della compresenza di pi eventi sonori indipendenti" (in Storia del
pianoforte, Milano, Il Saggiatore, 1982, pp. 272-73).
24
Salvetti, pp. 46-47. Cfr. ache Bernstein, pp. 147-89. Sulla melodia,
"forza organizzatrice" di Debussy e "controparte musicale" della linea
sinuosa dell'Art Nouveau, cfr. Arthur Wenk, Claude Debussy and the
Poets, Berkeley, University of California Press, 1976, pp. 180 e 186-87.
Cfr. infine Ruwet, pp. 70-99 ("Note sur les duplications dans l'oeuvre de
Claude Debussy"), e Jarocinski, pp. 157, 164 e 195.
25
Bernstein, pp. 243-45, 249, 259.
26
Rispettivamente Salvetti, pp. 51 e 53, e Jacques Rivire, tudes,
19
Paris, Gallimard, 1944 , pp. 131 e 133-34. Per parte sua, Montale ha
osservato che Debussy fu "grande musicista soprattutto quando scoperse
per conto suo il pianoforte, con una prodigiosa immersione nella civilt
del suo paese, da Rameau-Couperin fino a Monet e a Renoir": in Prime
alla Scala, p. 13.
27
Salvetti, p. 54: "Ricordiamo i titoli: per le cinque dita, per le terze,
per le quarte, per le seste, per le ottave, per le otto dita; per i gradi
cromatici, per gli abbellimenti, per le note ribattute, per le sonorit
opposte, per gli arpeggi composti, per gli accordi".
28
Jarocinski, p. 193.
29
Cfr. in proposito Montale, "Tre articoli ritrovati", in particolare
la recensione al volume di Georges Duhamel e Charles Vildrac Notes sur
la tchnique potique, pp. 5-6, nella quale Montale si interessava alla
teorica "di quella sottospecie del verso libero che si chiamata verso
'bianco': un verso, per intenderci, preoccupato di una musicalit pi
intrinseca che esteriore, di una maggiore aderenza alle sfumature della

- 70 -
vita spirituale, e di certa patetica aridit lineare, atta, pi che la musica
singhiozzante del ritmo faux exprs dei primi simbolisti, a suggerire echi e
fantasmi dell'intelligenza" (si noteranno espressioni quali "maggiore
aderenza", ripresa nell'"Intervista immaginaria" del 1946 in un contesto
diverso, "aridit" e "intelligenza", che sono vere e proprie auto-
definizioni critiche della poesia montaliana; cfr. inoltre il commento di
Laura Barile, pp. 7-8.
30
Friedrich, p. 12. Si ricorder che anche per Arnold Schnberg
l'emancipazione della dissonanza come eliminazione della base
dell'armonia il fondamento della dodecafonia (in Stile e idea, Milano,
Rusconi e Paolazzi, 1960, pp. 109-10; citato anche da Enrico Fubini,
L'estetica musicale dal Settecento a oggi, Torino, Einaudi, 1968, p. 229).
Quello che per Theodor Adorno (in La filosofia della musica moderna)
un contrasto insanabile fra Stravinski e Schnberg, fra musica tonale e
non tonale, diventa pi giustamente per Bernstein (nell'ultima parte di
The Unanswered Question) un rapporto dialettico indispensabile per
capire il pathos e la vitalit della musica del Novecento.
31
Del "terreno di radicale modernit" su cui sorta la prima poesia
di Montale ha parlato Sergio Solmi ("La poesia di Montale" in Scrittori
negli anni, Milano, Il Saggiatore, 1963, p. 285), che suggerisce una linea
Heine-Laforgue-Govoni, cui Lanfranco Caretti aggiunge Palazzeschi in
"Un inedito montaliano |Suonatina di pianoforte]", Paragone, 336,
1978, pp. 3-7, p. 5.
32
Jarocinski, p. 178. L'importanza del mare e il paragone con
Turner sono trattati anche da Wenk, pp. 205-10, che cita pure
un'interessante lettera di Debussy assolutamente contraria al termine
"impressionismo" usato dagli "imbciles" per definire Turner, "le plus
beau crateur de mystre qui soit en art".
33
Cfr. Marco Forti, Eugenio Montale, Milano, Mursia, 1973;
Edoardo Sanguineti, Ideologia e linguaggio, Milano, Feltrinelli, 1965; e
Silvio Ramat, Montale, Firenze, Vallecchi, 1965.
34
Tutte le citazioni si riferiscono a Eugenio Montale, L'opera in
versi, a cura di Gianfranco Contini e Rosanna Bettarini, Torino, Einaudi,
1981, pp. 765-72.
35
Montale, L'opera in versi, p. 866.
36
Massimo Mila, L'esperienza musicale e l'estetica, Torino, Einaudi,
1956, p. 180. Cfr. Rattalino, pp. 324-25: fra i grandi pianisti del
Novecento, Gieseking fu tra i primissimi a includere "costantemente e
frequentemente" Debussy nel repertorio.
37
Jarocinski, p. 168; e a p. 166: "Le prlude XII (che abbonda in
valori sonoriali) mostra come una melodia figurativa ed ornamentale
possa, grazie ad un movimento rapido, trasformare una struttura
orizzontale in una verticale (battute 25-26)".
38
Cfr. Wenk, pp. 19-23.
39
Jean Starobinski, Portrait de l'artiste en saltimbanque, Genve,
Skira, 1970.

- 71 -
40
L'opera in versi, p. 14.
41
Silvio Ramat, Protonovecento, Milano, Il Saggiatore, 1978,
p. 486; e Forti, p. 52.
42
L'opera in versi, p. 11.
43
Sulla predilezione di Debussy per il corno inglese si veda
Jarocinski, p. 173.
44
OV, p. 722.
45
Si veda Jurij Lotman e Boris Uspenskij, Tipologia della cultura, tr.
it., Milano, Bompiani, 1975, pp. 145-81; e per la liminalit, si vedano
l'interpretazione antropologica (turneriana) di Rebecca West, E.M., Poet
on the Edge, Cambridge, Mass., Harvard UP, 1981, e quella
decostruttiva (derridiana) di Stefano Agosti, Cinque analisi. Il testo della
poesia, Milano, Feltrinelli, 1982, specie pp. 83-84.
46
Ettore Bonora, La poesia di Montale, I, Torino, Tirrenia, 1965,
p. 88. Non sono ovviamente d'accordo con la sua valutazione degli incisi
come "dei momenti in sordina" del componimento (p. 87).
47
Naturalmente possibile interpretare la sintassi della poesia, come
fa Giusi Baldissone (Il male di scrivere. L'inconscio e Montale, Torino,
Einaudi, 1979, pp. 1. nota 1, e 123), nel senso che il mare a lanciare a
terra "una tromba di schiume intorte": in tal caso si avrebbe un'unica
frase principale ottativa col soggetto ripetuto (il vento)il vento). Ma
simile interpretazione mi pare meno persuasiva di quella che ho scelto,
perch toglie forza (e drammaticit) proprio al vento che il soggetto
grammaticale, l'occasione della poesia, l'antagonista del poeta; senza
contare che a livello strettamente sintattico la costruzione di due verbi
collegati paratatticamente da una virgola (per di pi aggiunta solo
nell'edizione critica: "il mare che [ . . . ] muta colore, lancia a terra una
tromba") certamente insolita in Montale.
48
A proposito di questi versi Ramat, Montale, p. 22, parla
erroneamente di "novenario finale", ma osserva con finezza che la
divisione in "due tronconi" sta "quasi a significare la congenita
disarmonia di questo strumento".
49
Cfr. In limine: "Cerca una maglia rotta nella rete / che ci stringe,
tu balza fuori, fuggi!"; ma l'interrogazione di Montale rimarr ancora
attraverso gli Ossi (si pensi a Crisalide e a Casa sul mare) e fin nel cuore
delle Ocassioni (La casa dei doganieri: "Il varco qui?").
50
Quanto sia intrinsecamente "musicale" Corno inglese si pu
verificare anche in un confronto a prima vista secondario addirittura
improbabile tra il secondo verso " ricorda un forte scotere di lame "
e un'osservazione di un musicologo contemporaneo: " L a tecnica della
costruzione [...] si era evoluta fino a un pianoforte che non era pi
esattamente il pianoforte di Chopin e di Liszt. La maggior tensione delle
corde [...] gli aveva sottratto il vecchio suono di corda percossa e,
aggiungiamo noi, gli aveva dato un suono di lamina percossa. proprio
qui che Debussy sviluppa una concezione nuova non solo del suono, ma
della musica" (Rattalino, p. 271, corsivo aggiunto).

- 72 -
Fig. 1 Fig. 2

Fig. 3 Fig. 4

- 73 -
Fig. 5 Fig. 6

Fig. 7

- 74 -
Christine Ott
Il problema del residuo semantico

[] Negli scritti critici Montale ritorna pi volte su [quella] che egli considera una
tendenza specifica, ma anche una meta irraggiungibile della lirica moderna. Il
problema fondamentale consiste nel fatto che:

la poesia si serve di parole [...] le arti hanno qualcosa di pi oggettivo, sono pi resistenti
al tempo [...] in esse il significato non tarda a diventare pretesto, occasione; in poesia
tale processo pi lento e lascia sempre un fortissimo residuo 1.

Le altre arti (musica, pittura) si servono di materiali asemantici 2, e sono quindi


maggiormente in grado di dare alle loro opere un carattere oggettivo,
resistente] al tempo, dietro al quale il significato particolare, soggettivo pu
celarsi. Il materiale lirico, invece, necessariamente semantico, storico e
referenziale. Loggettivazione verbale si presta meno ad assorbire le intenzioni
individuali, e lascia un inevitabile residuo soggettivistico. Ci che Montale, nel
1923, qualificava come rottame, definito ora, nel 1942, un residuo semantico.
E interessante notare che nella teoria poststrutturalista il concetto di residuo
indica la particolare eccedenza di senso del linguaggio poetico 3. Allinterno di una
teoria lirica postontologica il termine viene a occupare il posto altrimenti riservato
a un pensiero che precedesse la parola. una conferma della (seppure qui
inconsapevole) modernit della poesia montaliana. Il carattere referenziale del suo
mezzo fa s che la lirica contenga sempre un elemento soggettivo, imponderabile
(attraverso lirrimediabile eccedenza di senso), impuro 4. Ma proprio questo
costituisce per Montale la vitalit della poesia, e insieme la sua singolare
paradossalit:

Il destino alto e oscuro della poesia parrebbe dunque quello di tendere sempre pi alla
condizione di arte, allassoluta purezza che questa parola postula, restando pur sempre, e
con piena coscienza dellimpossibile assunto, unarte diversa, unarte sui generis [.,.] (La
poesia come arte).

La particolarit della lirica consisterebbe dunque proprio nel dissidio tra la


necessit di impiegare parole e la tendenza a dissolvere lelemento semantico
(riflessivo, razionale) nellassoluta liricit (o purezza) - oppure a trascenderlo:

[...] nessuno scriverebbe versi se il problema della poesia fosse quello di farsi capire. Il
problema di far capire quel quid al quale le parole da sole non arrivano.

1 La poesia come arte (1942).


2 Naturalmente colori e suoni possono suggerire dei significati emotivi, ma non significano nel senso
proprio del termine.
3 Stefano Agosti definisce il residuo linguistico non simbolizzalo come uneccedenza di linguaggio
impossibilitata ad assidersi (ad assorbirsi) nella trama comunicativa (concettuale) [...] un sovrappi non
razionalizzabile o non calcolabile di "semanticit (Agosti, Discorso, parola analitica, linguaggio
poetico).
4 Cosi nello scritto Parliamo dellermetismo del 1940, in cui Montale definisce la poesia pura in termini
molti simili a quelli di Intenzioni, per poi concedere: La poesia lirica, come genere, una astrazione che
pu diventar concreta solo in determinati casi (...) Lobiettivo chiede una giustificazione al subiettivo che
sottintende, allanima; limpurit, cacciata dalla porta, rientra dalla finestra. Per fortuna!.
Lassurdit della lirica appunto questa: vuole trascendere il linguaggio della
comunicazione, e tuttavia comunicare qualcosa. Impiega parole, ma tenta di
esprimere pi di ci che queste possano dire. Quindi non si tratter tanto di
armonizzare questirriducibile contraddizione quanto piuttosto di sopportarla.
Non a caso Montale ha definito la lirica una strana convivenza della musica e
della metafisica, del ragionamento e dello sragionamento, del sogno e della
veglia5. []

(da: Montale e la parola riflessa, 2003, trad.it. Milano,


Franco Angeli, 2006)

5 Che cos una poesia lirica? Per conto mio non saprei definire questaraba fenice, questo mostro,
questoggetto determinatissimo, concreto, eppure impalpabile perch fatto di parole, questa strana
convivenza della musica e della metafisica, del ragionamento e dello sragionamento, del sogno e
della veglia (Araba fenice; corsivo mio).
Edoardo Sanguineti
In margine a un paradosso

In un articolo del 1951, che era una recensione al Verdi vivo di Emilio
Radius (Il genio che comp il lavoro di molte vite), Eugenio Montale scriveva, tra
laltro: Il problema di Verdi, come del resto quello di Donizetti e di altri operisti
musicali dellOttocento, complicato dal fatto che probabilmente fra
cinquantanni le sue opere saranno ineseguibili. Il tempo vola, anzi scaduto, e il
transito dal cinquantenario al centenario verdiano spinge a ima verifica di quel
prudente vaticinio.
Lineseguibilit di cui discorreva Montale, occorre ricordare subito, era di
ordine tecnico, esecutivo, essenzialmente vocale. Egli sentiva che si stava
estinguendo una tradizione interpretativa, una modalit di recitazione e di canto, e
anche di messa in scena di messa in opera, davvero alla quale si poteva tentare
di porgere forse soccorso, suggeriva con amara ironia, qualora si allevino e si
formino degli specialisti, tenendoli in gabbia come bestie rare. Ma se Verdi era
ormai vissuto, o vivibile, come lontano dalle forme concrete delle realizzazioni
teatrali, alla met del Novecento, non lo era nemmeno abbastanza per essere
sottoposto a quei restauri che gi riuscivano necessari, e perfettamente tollerati,
per il Barbiere o per i Puritani. Allorecchio di Montale, insomma, Verdi appariva
come ormai affidato, in grave degrado, a cantanti di tipo pucciniano, incapaci di
intendere quel particolarissimo verismo verdiano, quella sua rivoluzionaria
vocalit, e prontissimi, anzi, a fraintenderlo.
Ma sotto questo lamento tecnico, si celava poi, pi radicale e pi
significativa, una diversa preoccupazione. Il timore autentico di Montale era che il
verdismo fosse destinato a scomparire come passione nazionale. Di una vera
sopravvivenza, scriveva, francamente, non si vedono i segni. Del resto, egli si
trovava dinanzi a quella tenzone che divideva gli ammiratori del Verdi centrale
(cio del trittico Rigoletto Trovatore Traviata, proverbialmente supremo) dagli
zelatori del Verdi ultimo (Otello e Falstaff ovviamente), e dagli amanti del
primissimo Verdi (per quella vena che va dal Nabucco e dai Lombardi fino ai
miracolosi recitativi drammatici del Don Carlos). Tra questi amanti minoritari
egli iscriveva modestamente s stesso, pur ammettendo che il Verdi pi grande
e pi italiano sia quello del Trovatore (melodramma pi che dramma) e
intendeva dire, appunto, perch pi melodramma che dramma.
A mezzo secolo di distanza, questa tenzone, credo, pu giudicarsi
superata, se non del tutto spenta, ma pi per effetto di una distanza la quale
tempera fatalmente molti sbalzi prospettici, che per una concorde risoluzione
critica. E questa distanza quella che si interpone, di necessit, tra noi che gi
siamo affacciati al Duemila e gli operisti musicali dellOttocento in genere, e
Verdi in prima fila, e che non consiste tanto in un generico blocco danni
aritmeticamente sgranati, ma nella grande, e veramente epocale, crisi musicale
novecentesca, che ha segnato, per intanto, la morte, non gi del teatro musicale,
ma certamente del melodramma, quale si spegne, precisamente, nel tipo
pucciniano. Il problema esecutivo e interpretativo, in ogni caso, era la figura di
una pi forte, e non pi rimediabile frattura. Montale davvero percepiva che stava
diventando sempre pi difficile, e in breve forse impraticabile, vivere il verdismo (e
il puccinismo stesso) come forma, per cos dire, culturalmente naturale, e dunque
immediatamente partecipabile, in forza e per grazia di un imprescrittibile
imprinting.
In occasione di un Ernani alla Scala, 1959, rilevava chiaramente, allora:

Non solo che siano pi rare le grandi voci, o almeno le voci adatte; che il rapporto col
pubblico appare sensibilmente mutato.

E spiegava:

Un telone di cartapesta, unorchestra discreta ma non sovrabbondante, due o tre artisti capaci
di sentire ed esprimere il canto verdiano erano una volta sufficienti a rivelare Verdi a un
pubblico degno di ascoltarlo; e ci avveniva spesso in teatri di modeste esigenze.

Alcuni anni prima, nel 46, ben noto, Montale aveva esibito, con dedica a
Massimo Mila, il suo Paradosso della cattiva musica, che avrebbe poi inaugurato,
1981, le sue Prime alla Scala. Non a caso, quel Paradosso recava nel proprio
centro la deprecazione per il cattivo momento che Verdi aveva attraversato,
tenuto in quarantena dagli intellettuali, a dispetto dellentusiasmo popolare che
lo ha sempre accompagnato.
Sempre s, o almeno quasi sempre, in allora, ma non per sempre, dunque.
In giuoco era una maniera di ascolto che era rimasta lungamente attiva presso quel
pubblico rozzo, conciliante e sincero che Montale, nella sua prima giovent,
aveva incontrato al Caff ristorante del Lido dAlbaro, con gli allegri sberleffi
della Mascotte o della Figlia di Madama Angot, e con affini esemplari da
Keepsake, e con il piacere di abbandonarsi alla disperazione di Loris Ipanof o alle
prestigiose contraffazioni musicali di Leopoldo Fregoli. Nel 56, per una Fedora di
cui Gianandrea Gavazzeni aveva procurato la versione pi vantaggiosa, infatti,
confessava, maliziosamente nostalgico: Personalmente, le nostre Fedore le
abbiamo ascoltate in teatri che erano poco pi di baracche, con esecutori che
sottolineavano i luoghi pi enfatici dello spartito. Era uneducazione musicale,
oggi del tutto estinta, che aveva avuto modo di degustare ancora, per poco, quello
che Montale defin, nel 49, Il tempo delle soubrette, let doro delloperetta,
quando larte umbertina era riuscita a sopravvivere e continuarsi, per un paio di
decenni, sotto il successore di Umberto. il tempo in cui, fatte tutte le
sottrazioni possibili, madama Butterfly non canta in modo troppo diverso da Eva
(quella di Franz Lhar, naturalmente), e le primedonne dellopera non
furoreggiano pi se non hanno qualit di stelle operettistiche (Lina Cavalieri,
Carmen Melis). Era quelleducazione musicale che Montale confessava e vantava
a proposito dei Casi della musica di Fedele DAmico, dicendosi partecipe e
complice dellopera ottocentesca, poco amante della musica pura ma addirittura
innamorato della musica teatrale e in particolare del melodramma, quasi unica
gloria del nostro romanticismo. Si capisce che solo le cattive esecuzioni avevano
potuto rendergli del tutto comprensibile lopera ascoltata.
Quella paradossale apologia della cattiva musica era, insomma,
unapologi delle cattive esecuzioni, e del cattivo repertorio. E il paradigma
supremo, per un simile paradosso, era, pur tra molte reticenze e molte ambiguit,
iperparadossalmente, la musica verdiana. Perch Verdi stato lultimo operista
che abbia fatto cantare i suoi personaggi: quelli che vennero dopo di lui riuscirono
spesso anche a far cantare: ma la differenza resta enorme. E perch, certo, le
antiche esecuzioni erano volgarucce, ma rendevano il pi e il meglio: lessenza del
canto di Verdi. E le grandi fiammate di entusiasmo rimasero sempre pi
emarginatamente confinate nei teatri popolari, in irrimediabile e veloce agonia.
Quella pienezza di canto era verificabile nel colore operistico verdiano,
perch, per Verdi, in unopera, trovato il colore, il gioco fatto, dichiaratamente,
come annotava Montale, nel 56, in margine a un Ballo in maschera. E Verdi
intendeva discorrere non certo di un colore timbrico, bens di una colorazione
della melodia. Quattro anni pi tardi, a proposito del Don Carlo (il migliore
esempio della crisi verdiana, superiore anche al Boccanegra), Montale osservava
che in questopera Verdi ha trovato un colore nuovo, ha trovato la carie nera e
profonda della Controriforma e le circonvoluzioni e i festoni del grande barocco.
E, per un Otello del 59, aveva gi notato:

Non sembra che dopo il ventennio 47-67 (dal Macbeth al Don Carlo) Verdi potesse in alcun
modo sorpassare le vette che aveva raggiunto. Poteva invece aggiungere nuovi colori alla sua
tavolozza e questo rende importanti Otello e Falstaff se si considera che al colore Verdi dava
un significato strettamente poetico. Trovato il colore di un dramma, diceva, il resto viene da
s. In tale senso, in cui confluisce anche larricchimento tecnico, laumentata scienza
dellorchestratore e dellarmonista, Otello ancora uno dei capolavori drammatici di Verdi e
porta alle ultime conseguenze il colore che il musicista aveva gi intraveduto nel Boccanegra.

E quanto al Boccanegra, nel 65, dopo aver notato che al libretto hanno
messo mano tre librettisti: il Verdi che ne abbozz in prosa la sceneggiatura, il
Piave e da ultimo il Boito (nel passaggio dalla redazione 1857 a quella 1881),
Montale affermava che alla musica

hanno atteso almeno tre Verdi diversi: quello dei Lombardi e del Macbeth, il Verdi della
maniera nera (quello del Don Carlo e delle parti migliori dell' Otello) e infine il Verdi
aggiornato dei coretti ancillari, delle serenate e delle fanfare lontane, il Verdi gi accusato
(chiss perch) di wagnerismo; lultimo Verdi, insomma, nei suoi aspetti pi superficiali.

E tre Verdi, con tre maniere, significa, di fatto, tre coloriture melodiche e
drammatiche. Nel 57, per altro, per un Falstaff Montale aveva scritto che, nei
primi due atti (nel terzo impera un sinfonismo da Sogno di una notte di mezza
estate e da Queen Mab), si scorge (in parte per merito del libretto, in parte per il
genio di Verdi che in ogni opera trovava un diverso colore), una tinta di vecchio
negozio Old England (o magari Farmacia Roberts) del tardo Ottocento italiano.
Non questo il luogo per tentare un abbozzo di diagnosi di un Verdi
secundum Montale. Ma era utile chiedere al poeta genovese, che aveva vissuto, con
la seduzione e il fascino, anche la crisi e il tramonto della gestione dei colori
verdiani nelle grandi arene, di fronte a un pubblico che vuole commuoversi e non
guarda troppo per il sottile ai mezzi impiegati dallartista (sono parole dettate,
quasi ovvio, per un Trovatore, nel 62), di testimoniare per noi di unet che
possiamo, che dobbiamo dire assolutamente conclusa. Proprio in quel 51 del
cinquantenario, ancora, Montale polemizzava, discorrendo di Gozzano, contro
quegli intellettuali doggi (dei nostri ieri, cio, ormai) che si vergognano di
Puccini e preferiscono il Falstaff al Trovatore (ma in cuor loro amano solo la
musica negra). Senza questo rigido moto polemico, non correttamente
comprensibile il paradosso montaliano, e la sua lettura del teatro musicale, e di
Verdi in particolare. Ma la sua non era comunque quella di un poeta prestato alla
critica musicale, nellambito del suo secondo mestiere. Era, in qualche modo, e per
questo adesso ci importa, la lettura di una intiera generazione, e pu finalmente
valere, infatti, per noi, come documento e come allegoria di una condizione
culturale e di una disposizione storica remota e perduta. Ma, come tale,
precisamente, ci soccorre con una differenza decisiva, ci aiuta a meglio apprestarci
a intendere un altro Verdi, il nostro eventuale contemporaneo, il possibile Verdi
del secolo che si inaugura.

(in: Giuseppe Verdi, genovese, a cura di R.Iovino e


S.Verdino. Celebrazioni Verdiane Genova 2001 Lim.)
PIER PAOLO PASOLINI
da: Studi sullo stile di Bach
(inedito, 1944-45)

Prefazione ossia confessione

Che non esista una lingua critica per la musica, una constatazione
scoraggiante per chi si accinga a parlare nientedimeno che dello stile di un
musicista. E confesso senzaltro che non solo conosco rozzamente la biografia di
Bach, ma ben poco il suo tempo, cio i suoi rapporti con la storia. E questo sarebbe
ancora nulla in confronto alla mia quasi assoluta ignoranza di tutta la sua opera
musicale, eccettuate le sei sonate per violino solo, che io conosco limitatamente
alla mia capacit di conoscer musica, cio alla mia capacit di esprimere
criticamente quel poco che capisco. Ma mi giustifichi il fatto che non esiste una
tradizione di vera critica musicale; e mi consolo pensando che non cadr nelle
banalit linguistiche della biografia, e, tantomeno, nelle rievocazioni estetico-
letterarie di ineffabilit musicali, quali commoventissimo solletico delle proprie
disposizioni immaginative. Ed certo, poi, che questa mia prova non potr che
essere inferiore ad alcuni frammenti di critica musicale, apparsi su moderne riviste
letterarie (Letteratura), in cui per io trovo, da parte mia, il difetto di aver
involato a piene mani il linguaggio critico della letteratura; e di aver involato, poi,
il repertorio pi facile di aggettivi, di sintassi, e, infine, di premesse estetiche. Io,
per me, porter nel criticare la musica la mia possibilit critica di interpretare
certa poesia, pochissimo musicale, come quella di Leopardi, o, alle origini, di
Cavalcanti. E per spiegarmi meglio dovr indugiare brevissimamente sopra un
uggioso problema, ossia i rapporti storici ed ideali tra musica e poesia. Me la
caver con due o tre esempi soltanto, riservando se mai per un altro scritto che
non sia una prefazione, la documentazione pi varia ed esatta di quanto io credo di
scorgere in tali rapporti. Innanzitutto sha da distinguere una musicalit della
poesia da una musicalit della musica. Qui verte lequivoco. musicalit della
poesia certo settenario scorrevole, certo cantante quinario, certo lieve
endecasillabo (Metastasio, Belli, Monti etc.); e, se possiamo sempre chiamare tale
poesia musicale ci non significa che abbia qualche rapporto, se non
esteriorissimo, con la musica. Anche la musicalit pi scoperta e ricercata di molta
poesia moderna (prendiamo DAnnunzio) non ha nulla a che vedere con la musica;
per es., la musicalit della Pioggia nel pineto potr ricordare qualche pezzo
musicale di carattere onomatopeico; ma non certo la musica di un Beethoven (dico
Beethoven ricordando un suo luogo che si potrebbe considerare descrittivo, della
Sesta sinfonia); e se di musicalit si pu rettamente parlare in DAnnunzio, questa
musicalit lessicale, poetica. Pi giustificato il paragone tra la musica e la
poesia di un Mallarm, di un Valry (ma non di un Verlaine), essendoci nella
musicalit di tale poesia qualcosa di matematico, di riflesso, cio di concettuale,
molto pi vicino alla musicalit della musica che la musicalit ingenuissima delle
parole sdrucciole o tronche. E per di pi la musica nelle parole di quei poeti, a cui
possiamo aggiungere Ungaretti, nel processo con cui vengono scelte; cio pi nel
loro calore o meglio nel loro significato, che nel loro suono. Ma certamente anche
qui lequivoco permane, per quanto allettante: tuttavia, a sua giustificazione non
c, forse, che la musica di un Debussy.
I rapporti tra musica e poesia non sono di unequivoca musicalit, e
nemmeno rapporti tra note e sillabe; ma, se mai, rapporti tra ritmo e sintassi, se
proprio vogliamo salvare una somiglianza esterna.

[seguono esempi: Beethoven, Sinfonia n. 5; Bach, Sonata n. 6, Preludio]

e Che fai tu luna in ciel? (Leopardi, Canto di un pastore etc.), O del grande
Appennino (Tasso, Canzone al Metauro).
Prima il silenzio, poi il suono o la parola. Ma un suono e una parola che
siano gli unici, che ci portino subito nel cuore del discorso. Discorso, dico. Se c
un rapporto tra musica e poesia questo nellanalogia, del resto umana, di
tramutare il sentimento in discorso, con quel risparmio, quella misura,
quellaccoratezza che sono semplicemente comuni ad ogni opera darte. Basta
rievocarsi il Partenone, un san Pietro di Masaccio, i Sepolcri, la Quinta sinfonia;
da per tutto il medesimo inizio perfetto, cio passaggio perfetto dal nulla alla realt
dellopera; la stessa conclusione perfetta, lo stesso svolgimento perfetto. E, in
fondo a tutto, un sentimento, una passione, unesperienza umana che divengono
figure concrete. Tali somiglianze si fanno pi sensibili tra larte musicale e larte
poetica.

(in: Saggi sulla letteratura e sull'arte, a c. di W.Siti e S. De


Laude, con un saggio di C.Segre, vol. 1, Mondadori, Milano,
1999)

Lo scritto, nella sua interezza, reperibile sul seguente link:


www.pasolini.net/saggistica_studistileBach_ppp.htm

Un contributo sulla presenza della musica bachiana nella cinematografia di


Pasolini, ad opera di Alessandro Cadoni, inoltre leggibile qui:
www.pasolini.net/cinema_bachFilm_cadoni.htm#_ftn2
EDOARDO SANGUINETI
Luigi Pestalozza
Conversazione con Edoardo Sanguineti

In questa conversazione con Edoardo Sanguineti vengono affrontati alcuni temi


generali, che oggi sono importanti, che riguardano anche la storia, ormai, delle
avanguardie musicali e poetiche, letterarie, in Italia, dalla fine della guerra.
Sanguineti parla naturalmente della sua esperienza, di come vede certe cose. Ma
negli anni Sessanta il suo incontro con Luciano Berio, sul quale giustamente si
sofferma, si colloca in un quadro pi ampio di problemi. Superare le divisioni fra
le diverse attivit culturali, in particolare fra musica e poesia e pittura, tendeva
in realt a mettere in discussione certe rigidit istituzionali, infine sociali. Non
credo che sia un caso che la contestazione del Sessantotto e il fiorire negli anni
Settanta di tante iniziative il tipo nuovo rispetto alla vita della musica nelle
istituzioni tradizionali, abbia avuto per protagonisti tanti musicisti e non
musicisti (poeti, pittori) che negli anni Sessanta o nei tardi anni Cinquanta
avevano cominciato a mettere in discussione certi schemi. Per esempio avevano
cominciato a lavorare insieme, a intrecciare le ricerche. In diverse e significative
direzioni. Voglio ricordare anche che a met degli anni Cinquanta, attorno a
Italia Canta e a Cantacronache, si ritrovarono musicisti e letterati come
Manzoni, Fortini, Liberovici, Calvino, Jona ecc. Il problema era una canzone
diversa, antagonista, n soltanto politica-mente impegnata. Linteresse era per la
disponibilit a rompere le competenza, la logica dei generi, perfino delle
specializzazioni (delle gerarchie); e in questo ordine mentale, intellettuale, infine
ideale, teorico, avvennero anche gli incontri sul terreno del teatro musicale. Il
senso vero, fu che venivano rotte le stesse abitudini di collaborazione, poich
precedenti illustri, certo, ce ne erano stati. Ma ora la ricerca e cio la critica si
combinava fra musicista e poeta, per esempio, n loggetto era una qualche
mitica e sempre mancata (pu solo mancare se ha solo s come oggetto)
interdisciplinarit. L'oggetto fu la critica e la ricerca, appunto, di una nuova
forma di comunicazione o di conoscenza, coi mezzi impiegati. Solo
incidentalmente entrava in causa il teatro, o altro. Limportante era e ridiventa,
come Sanguineti stesso fa capire, il discorso sul come e per che cosa comunicare.
A questi livelli si incontrarono poeti, letterati e musicisti, calandosi nei propri
specifici, la voce, le strutture del discorso di parole e/o di suoni. Ma oggi sono
ancora aperte (riaperte) le questioni di fondo. Probabilmente non una
coincidenza che a Castelporziano o a Genova o altrove, si siano moltiplicati certi
meeting, di poeti, e di poeti e musicisti. I conti, viene fuori dalla conversazione, li
si fa oggi con la spinta sociale, dominante, alla spettacolarizzazione della vita di
tutti, e di tutto. E musica e poesia sono per definizione, direi, spettacolari: devono
finire nel flusso indistinto di un immaginario collettivo frustrato e rivolto contro
la collettivit dallinconsistenza, in ogni senso, dellimmagine? Non credo che sia
una necessit. Il rischio o il processo gi in atto attraverso gli oceani, riguarda
semmai, per dirla franca, le forme in cui si svolge nellet dei media, la lotta di
classe. Negare lidentit dellatto musicale o poetico, spettacolarizzandolo
senzaltro scopo, vuol dire usarlo nella societ di massa da un punto di vista di
dominio, preciso, sulle masse. Perci le sorti (anche) della poesia e della musica,
di quelle che hanno le rispettive avanguardie degli anni Cinquanta e Sessanta
alle spalle, sono oggi importanti. Perci, almeno in campo musicale, il riflusso
neoromantico attorno al quale la nostra stessa rivista dibatte, sembra
appartenere allaffermarsi annichilente della spettacolarizzazione globale dei
fatti, dei comportamenti, delle cose. C da chiedersi quanto abbia pesato su
questi sbocchi nel mondo occidentale il dilagare fino a diventare senso comune,
del pensiero negativo. Quanto alla musica, credo parecchio, se solo si pensa al
nesso con i valori viscerali posti ormai come scopo musicale o meglio del consumo
musicale. Un tale consumo puramente fisico viene confuso con tardohegeliani
riferimenti alla verit. Allora, senza allontanarci troppo dalla conversione,
alcune delle notazioni che in esse s trovano, o dei richiami coraggiosi di
Sanguineti alla critica della spettacolarit, mi sembrano pi che un appello,
lindicazione di una strada che va ripercorsa, in modi nuovi.

L.P.

D. Parto da lontano, dagli anni dei Novissimi, gli anni Cinquanta inoltrati, e i
primi Sessanta. Dei cinque poeti che formavano il gruppo, tre hanno lavorato con
dei musicisti. Pagliarani con Paccagnini, Balestrini con Nono e Henze, tu con Berio
(ripetutamente) e Globokar. Daltra parte Giuliani, fra laltro molto legato a
Evangelisti, stato vicino e addentro alle cose musicali di allora. Ti chiedo che
significato ha avuto, secondo te, questo incontro piuttosto sostanzioso dei
Novissimi con la musica e il teatro musicale in particolare, e che cosa ha significato
in particolare per te una tale esperienza.

R. Intanto credo che una ragione di questa collaborazione la si possa ritrovare nel
fatto che uno dei punti di partenza negli anni Cinquanta (perch poi negli anni
Sessanta si venne alla pubblicazione in qualche modo collettiva di lavori che
naturalmente erano stati elaborati nel corso degli anni Cinquanta), era dato dalla
consapevolezza di un certo ritardo della situazione letteraria italiana nei confronti
della situazione pittorica e musicale. Mentre nel campo delle arti figurative, e della
musica, esisteva un tessuto internazionale di lavoro ormai costituito, con
riferimenti molto aperti nei confronti di quello che si veniva facendo in altre
nazioni, e con richiami molto consapevoli alla eredit delle avanguardie storiche,
sul piano letterario la situazione era rimasta molto pi chiusa, per ragioni anche
abbastanza spiegabili proprio se consideriamo il tratto differenziale: la
comunicazione linguistica comporta delle difficolt che non esistono, almeno in
unarea culturale omogenea, sul terreno musicale e su quello pittorico. Non sono,
quello musicale e quello pittorico, linguaggi universali, ma sono anche linguaggi
per i quali il passaggio di frontiera naturalmente entro un orizzonte storico
omogeneo, agevole. Il fatto di accogliere volentieri ogni possibilit di
collaborazione con pittori e con musicisti, nasceva dal desiderio di un contatto
concreto con dimensioni culturali adeguate a quello che noi cercavamo
nellorizzonte della parola. Per me era molto pi facile discutere problemi di
poetica con un pittore o con un musicista, che con un letterato della precedente
generazione, e, nella maggior parte dei casi, anche della mia. Proprio per questa
ricerca di un territorio pi avanzato, era possibile allora un incontro con altri
sperimentatori, sia nellambito della pittura che della musica, anche sul piano
operativo. Probabilmente intervennero infine anche elementi abbastanza casuali
nel fatto che fu piuttosto luno o laltro di noi a collaborare con dei musicisti.
Occorrevano anche occasioni empiriche di incontro personale oltre che un
interesse e una volont di uscire dal puro e semplice esperimento della pagina
scritta. Oggi, per quel che mi riguarda personalmente, direi che in fondo i due
personaggi fondamentali furono Baj sul piano della pittura e Berio sul piano della
musica. E una forte simpatia gi costituita preventivamente dalla reciproca
conoscenza del nostro lavoro, ci fece trovare poi le occasioni concrete di
collaborazione. Per Berio era impossibile trovare in poeti della tradizione, vuoi
postermetica vuoi neorealistica, una possibilit di incontro che non fosse in
qualche modo sfasata. E se penso al Berio prima del nostro incontro, che lavora
infatti utilizzando Joyce o Cummings, chiaro che egli, fuori dItalia, poteva
trovare dei testi, magari relativamente arcaici, ormai, storicamente, ma che
comunque rappresentavano un tipo di ricerca e un tipo di rapporto con il
linguaggio con il quale poteva incontrarsi. Credo dunque che da parte di Berio ci
sia stata una vera soddisfazione nel trovare qualcuno che poteva lavorare sul
terreno del linguaggio in maniera omogenea, armonica rispetto alla sua ricerca
sonora. E voglio subito sottolineare un punto, che cio, nel caso di Berio, il
rapporto con la voce umana, il rapporto con il materiale verbale, era un rapporto
fondamentale. Berio un musicista che ha unimportante produzione, chiaro, di
tipo strumentale, ma c tutta una zona di esplorazione vocale, di lavoro sulla voce,
proprio sulle possibilit della voce umana come strumento, che fondamentale
per i suoi interessi. Da parte mia, non voglio mettere in causa una sorta di
vocazione infantile, rientrata, verso la musica, rientrata in parte accidentalmente,
o forse rientrata indipendentemente dai casi della vita. Ma certo che un punto di
riferimento, nella mia formazione giovanile, proprio dal punto di vista letterario,
era la ricerca dodecafonica come modello di rigore compositivo, che aspiravo a
trasportare appunto sul terreno della letteratura. Insomma non si trattato di un
capriccio n di un caso, e nemmeno dello sforzo di trovare una sorta di armonia
prestabilita fra ricerche che si svolgono, prima e poi, di fatto, su terreni
radicalmente differenziati, ma una aspirazione a costruire nuove possibilit
tecniche, di un ordine diverso, al di l di una certa paralisi del linguaggio
convenzionato e pattuito, e della sua cristallizzazione inerte, ecco, anche questo
preesisteva all'incontro con Berio. Quindi, nel momento in cui questo incontro
avvenne, io lo sentii molto come una sorta di realizzazione abbastanza naturale,
come un esito che era in qualche modo interno al mio tipo di ricerca.

D. Parliamo ancora della tua collaborazione con Berio. Una domanda pu essere:
che cosa lega, che cosa c di continuativo, per te, nelle tre esperienze condotte
assieme, e cio Passaggio, Laborintus II, A-ronne. Io direi che il filo rosso
potrebbe essere una tua peculiare ricerca sulla parola e sulla lingua, che trova nella
qualit della musica di Berio, in ci che in essa viene ricercato, soprattutto per
quanto riguarda la voce o luso della parola, una corrispondenza ben precisa. Ma
insomma che cosa prosegue, se pur prosegue, in ventanni di collaborazione e cio
da Passaggio ad A-ronne che del 78.

R. A-ronne fu commissionato dalla radio olandese per il cinquantenario del


manifesto del Surrealismo. Era quella loccasione, e quindi il suo anno proprio il
1974. Il mio incontro con Berio, dellanno 1960. Passaggio lo elaborammo fra il
1961 e il 1962, e fu eseguito nel 1963. C una netta continuit fra quel lavoro e
Laborintus II, perch la prima redazione di Laborintus II fu un balletto
rappresentato per la prima volta, nello stesso 1963, alla Fenice di Venezia, con il
titolo Esposizione. Poi viene il 1965 che lanno in cui appunto Esposizione,
fortemente rimanipolata a livello musicale come a livello testuale, raggiunge la
redazione definitiva come Laborintus II, commissionato dalla radio francese,
come omaggio a Dante, in occasione del centenario dantesco. E qui forse non
inutile spiegare il piccolo enigma del titolo, perch, musicalmente parlando, non
esiste un Laborintus I. Ma Berio volle richiamarsi alla mia prima raccolta di
poesie, il Laborintus stampato nel 1956, alcuni versi del quale, in effetti, sono
passati nel libretto di Laborintus II (che secondo, dunque, in relazione a un
testo poetico, soltanto, e non ad una composizione musicale). C poi un certo
vuoto, colmato da piccoli episodi. Per esempio, c una delle redazioni di Questo
vuol dire che, una redazione radiofonica, che era montata assieme a testi miei che
venivano letti con la mia stessa voce, con quella di Luciano e con quella di Cathy
Berberian sullo sfondo del nastro puro dorigine, elaborato con Leydi. Ma devo
dire che a me riesce probabilmente pi difficile, che al lettore e allascoltatore,
indicare immediatamente tutti gli elementi di continuit. lo sono tentato,
comunque, di cercarli nella sperimentazione, proprio, sulla voce. O forse quella era
lottica intenzionale che mi muoveva. In Passaggio fu molto importante, per me, il
tipo di impostazione drammatica concordato con Berio, con la presenza di uno dei
due cori nel pubblico e di dover risolvere unesperienza che ho vissuto in
qualche modo, bench siano cose molto eterogenee, due volte in vita mia , il
problema del coinvolgimento. Nel 63, del coinvolgimento non se ne parlava
ancora, per quanto ricordo. Per di fatto credo che sia stata una delle sole due
volte in cui io sono riuscito, non dico a realizzarlo, ma a vederlo realizzato, perch
di norma cosa che ho sempre visto attuata, o meglio non attuata, in maniera
molto goffa. Le due sole volte in cui lho trovato realizzato autenticamente, fu nello
sgomento vero ricordo la prima di Passaggio , provato dal pubblico della
Piccola Scala nel sentirsi insieme investito e rappresentato dal coro sparso nei
palchi, e poi fu, in un tutt'altro tipo di impostazione, anche intenzionale, quando,
con Ronconi si mise in scena LOrlando Furioso. Erano modi di coinvolgimento
totalmente diversi, ma, a mio parere di eguale efficacia, mentre quelle che
venivano spesso poi celebrate come esperienza di partecipazione del pubblico, le
ho giudicate sempre molto macchinosamente irrealistiche, perch non strutturate,
non richieste e imposte dallopera nella sua costruzione. Al contrario, in quei due
casi, con Berio e con Ronconi, era la forma organica con cui lopera veniva
costruita, una volta musicalmente e una volta come teatro di parola, che implicava
quel tipo diretto e totale di partecipazione. E qui, recuperando una cosa che
implicita nella domanda precedente, si pu aggiungere questo: che nelle ricerce
dei Novissimi, e poi del Gruppo 63, era forte il sentimento di una
drammatizzazione e di una teatralizzazione della parole poetica. La parola, nei
rappresentanti pi significativi di quella nuova avanguardia, era sentita molto
come parola detta, come fatto vocale o, come mi piace anche dire, come fatto
corporale, di investimento corposo nel linguaggio, e da questo punto di vista,
almeno nel momento intenzionale, questo lelemento di maggiore continuit che
io sentirei presente in quegli esperimenti. In breve, lenergia corporale investita
nella voce. Anche Laborintus II la cui prima esecuzione, come ho gi accennato,
prima esecuzione radiofonica, per non parlare di A-ronne, che nacque come testo
radiofonico, e che per me deve rimanere un testo che non ha destinazione scenica
(luso scenico sar semmai un adattamento ulteriore, ma indubbiamente secondo
e secondario), si basano su questo principio della metamorfosi biologica del testo,
del suo calarsi concreto in una voce nella vocalit corporea. Sarei tentato di parlare
di visceralit della voce umana. E poi, nel mio stesso lavoro scenico, anche
indipendentemente dalla musica gli esperimenti teatrali dove per esempio
usavo la sovrapposizione delle voci come altrettanti strumenti , vale lo stesso
principio. Ma pare abbastanza sintomatico, allora che il primo testo al quale
lavorer Globokar, che Traumdeutung proprio con il titolo freudiano
dell'interpretazione dei sogni, sia estremamente prossimo al tipo di
sperimentazione, di impiego musicale, diciamo, cio viscerale, della voce, usata
per Passaggio, e venga a sua volta assunto, appunto da parte di Globokar, come
materiale per la musica. Per cui c una specie di ricambio circolare di esperienza.

D. Di che anni parli?

R. Globokar incominci a lavorare con i miei testi, direi, negli anni Sessanta
inoltrati, ora non ricordo esattamente. Traumdeutung, nato per quattro voci (una
voce femminile e tre voci maschili, trattate come un quartetto verbale) diventa, nel
trattamento di Globokar, una composizione per quattro cori. C indubbiamente
tutto un momento in cui con Berio prima e con Globokar dopo, la sperimentazione
fonetica del testo diventa per me il momento centrale. Ma ribadirei questo, che, in
fondo, fin dallinizio, io pensavo sempre ai miei testi poetici come destinati
essenzialmente a una funzione vocale. Mi capitato molte volte di riflettere
intorno a questo paradosso che il testo letterario nella condizione
contemporanea, il suo essere situato in bilico tra i due poli della visibilit del testo,
cio della fruizione ottica che il testo stampato esige, e del suo dissolversi, invece,
in suono. Se vogliamo, la poesia visiva e la poesia fonetica sono i due momenti
polari entro i quali sta un infinito orizzonte di esperienza, e la poesia in qualche
modo, per me, che non amo n la poesia fonetica n la poesia visiva, questo
difficile equilibrio e gioco tra la fruizione sonora del testo e la sua fruizione visiva.
Una partitura per locchio, un disegno per lorecchio, se vuoi.

D. Quello che dici sollecita un argomento quanto mai attuale. Mi pare che il tuo
incontro con la musica sia un incontro con lo spettacolo, con la stessa voce che
diventa spettacolo di s. E oggi pi che mai sotto le spinte stesse della civilt
americana, tutto viene sempre pi concepito come spettacolo, la politica per
prima. In altre parole, i comportamenti si dissolvono nella loro spettacolarit, e in
essa si dissolve anche la ragione, il suo ruolo. La crisi delle ragioni, o della stessa
razionalit, che sono due cose diverse ma evidentemente intrecciate, sta semmai in
questo: se ne parla tanto quando si parla di dominio della spettacolarit intesa
proprio anche come espressione dellirrazionale, o della ragione non pi candidata
allegemonia. Se dunque la tua esperienza con la musica privilegia il versante dello
spettacolo, come ti collochi di fronte ai problemi cui ho accennato?

R. Ecco, quello che mi pare importante nei lavori con Berio, e poi dar spazio
anche al lavoro fatto con Globokar non solo perch il lavoro pi recente, ma
perch credo che in esso venga abbastanza alla luce tutta la coerenza di un certo
tipo di rapporto con lo spettacolo, proprio questo, questo rapporto. Laspetto
della spettacolarit, infatti, assunto criticamente, e questo mi pare il tratto
distintivo. E cio probabile che io e Berio abbiamo, non dice anticipato (mi
parrebbe un po buffo immaginarci come dei precursori, non mi piacciono queste
formule), ma indubbiamente messo in causa i problemi di partecipazione e di
coinvolgimento, di spettacolarizzazione nel senso forte della parola, per cui si
giunti allopera come antiopera che trascende la chiusura del palcoscenico e
rovescia il vero spettacolo nella sala, tra il pubblico, in platea, senza chiudersi sulla
scena, o non solamente sulla scena. In questo senso il punto capitale la tematica
del consumo della spettacolarizzazione. In Passaggio episodi come quello della
vendita allasta della donna, del pubblico che si definisce autocriticamente come
pubblico consumatore, che paga, che gerarchizzato nelle varie classi sociologiche
ed economiche per cui situato a livello di platea o di balconata o di palco; in
Laborintus II il tema dantesco dellusura come tema centrale e insomma del
capitalismo, e della mercificazione (il primo titolo Esposizione alludeva
precisamente proprio a ci, e in particolare io avevo in mente il Benjamin che
indaga intorno alle esposizioni universali, allo spettacolo delle merci,
derisoriamente risolto poi, nei termini del balletto, in una specie di esibizione di
spazzature, di relitti, di detriti, insomma il consumo e lo spreco). Ecco, in questo
senso io mi distinguerei nettamente da una problematica della
spettacolarizzazione come fine; anzi, piuttosto, la critica della
spettacolarizzazione, e qui se vogliamo parlare di anticipazione, allora parlerei di
anticipazione di una critica nei confronti di una tendenza che allora era
certamente pi che in germe, nella realt, matura sino al marcio, ma forse
nemmeno in germe nella coscienza critica collettiva. Forse limmaginario collettivo
cominciava appena a elaborarla, ma lintenzione certamente di Passaggio e di
Laborintus II di critica radicale nei confronti di questo tipo di tendenze allora
emergenti. In A-ronne, che in qualche modo pu apparire un po appartato come
tipo di esperienza, proprio per la sua stessa natura strutturale, la spettacolarit
di ordine appunto radiofonico, di ascolto, lo spettacolo della voce. Ma esiste
una spettacolarizzazione fonetica indipendentemente da ogni gestualit, e non a
caso il giuoco provocatorio sta nel fatto che il breve testo, che poi un montaggio
citazionale, comincia elaborando il tema del principio, si sviluppa elaborando il
tema della mediet, del mezzo, del centro, si conclude elaborando il tema della
fine, della conclusione, e tematizza quindi la propria pura organizzazione
strutturale, pur orientandola, insieme, sopra il tema della struttura corporea
dove comincia il corpo umano, quale il suo centro, quale la sua fine , e cio
somatizzando questo tema vocale e formale. Anche qui un tema che mi
enormemente caro come quello della corporeit, e sul quale appunto insistevo, e di
cui la vocalit in qualche modo il medio tra quello che il valore concettuale del
testo, o referenziale, e il valore di fruizione fonetica, viene tematizzato e quindi
portato a un livello di resa consapevole e di critica trasparenza. Ma vengo
finalmente a Carrousel. Carrousel si presenta, e penso alla prima edizione che
quella di Zagabria in cui collaborai anchio alla regia, si presenta dunque, nato
come nacque in uno stadio coperto, come spettacolo globale che si apre
ufficialmente con una parodia di discorsi inaugurali, con lintroduzione di bande
che sfilano, di gruppi ginnici e folclorici che vi esibiscono, per utilizzare infine tutti
gli elementi in qualche modo fieristici e di consumo della musicalit,
restringendosi poi a raffinatezze esasperate nellimpiego di mezzi tecnologici, nel
senso delle pi ricercate combinazioni di vocalit, e anche delle pi perverse
(Globokar utilizza il canto dei fogli di cartavelina sopra la bocca, gli effetti di
circolarit del suono attraverso il cantante che ruota su se stesso e quindi risponde
a diversi punti microfonici che poi a loro volta sono diffusi in rotazione nella sala,
con sovrapposizioni di effetti registrati, e via discorrendo), e termina con una
specie di microspettacolo di pura recitazione, quando tutto pare ormai dissolto:
viene colto cio il momento giusto di un finale inconcluso (il pubblico sta gi
andandosene), per innestare a sorpresa una specie di metacritica del teatro e dello
spettacolo, con una serie di epigrammi gestiti da clown-attori il cui modello
affetto dal Lustspiel che fa da intermezzo nella Notte di Valpurga di Goethe, e
insomma compare il personaggio storico, quello mitologico, la maschera, il tipo
sociale, il rappresentante di classe, che reagiscono a loro volta allo spettacolo
appunto con gli epigrammi che leggono su cartigli, i quali poi volano nel mezzo
dello stadio, e si spettacolarizzano nel momento stesso in cui lo spettacolo viene in
qualche modo trasceso perch, ecco, assunto criticamente. Forse questa laltra
faccia di quella continuit in qualche modo vengo a integrare anche qui, con una
risposta ulteriore, la tua domanda precedente , dunque laltra faccia di una
spettacolarit che non mai goduta per s stessa, e se vuoi io direi che, in fondo,
lidea fondamentale del teatro e della spettacolarit rimane per me quella
brechtiana, lidea di una distanza critica. Se parlavo, prima, di coinvolgimento
riuscito, pu apparire contraddittorio ora che io dica che gli unici coinvolgimenti
che ho vissuto davvero, li ho vissuti attraverso le sperienze che ho citato. Ma in
realt io credo a una sola forma di coinvolgimento, che il coinvolgimento critico,
in opposizione al coinvolgimento di pura empatia, che si riduce a una
partecipazione psicologica e mistico-emozionale. Che poi quella che Brecht
definiva aristotelica, e che, infatti, quella assolutamente tradizionale. Daltra
parte, la formula che a me cara, e non mi dispiace di dirlo in sede di discorso
musicale, quella dellemozione intellettuale. Se io dovessi dire quale il risultato
che io ricerco, nei confronti dello spettatore o fruitore di un qualunque tipo di mio
testo che sia la lirica, il romanzo, il teatro, e naturalmente la saggistica, direi che
un tipo di emozione intellettuale, cio un tipo di emozione fortemente armata in
senso critico e quindi molto lontana da quello almeno che oggi si intende
comunemente quando parliamo appunto di spettacolarizzazione o peggio di
simulacrizzazione, e finalmente di immaginario collettivo. [...]

Il titolo originale della conversazione (in Musica/Realt, n.


4, pp. 21-37, Bari 1981), di cui si riproduce la prima parte,
era: Critica spettacolare della spettacolarit
CECILIA BELLO MINCIACCHI

da:da: Vociferazione e discorso ininterrotto:


aspetti testuali nelle prime collaborazioni di
Berio e Sanguineti (1961-1965)

Passaggio e Laborintus II

Il mio sogno era scrivere musica, e scrivo parole


per risarcimento: un surrogato, un Ersatz1. Questo
confessava Sanguineti in una conversazione del 1988,
sollecito a dire che la sua non era affatto una battuta. Per
lui lavorare con i compositori, e segnatamente con Berio,
ha rappresentato la realizzazione di un sogno2, la
possibilit di delegare in tutta felicit quello che non
sapeva fare in prima persona. E mai risarcimento deve
essere stato pi appagante, per Sanguineti, di quando ha
scritto parole per Berio, cooperando attivamente nel
disegno di un progetto comune: opere di parole e musica,
[.....................]

1. Edoardo Sanguineti, in Franco VAZZOLER, La scena, il corpo, il


travestimento. Conversazione con Edoardo Sanguineti, in
Limmagine riflessa, XI, 1988, poi in E.SANGUINETI, Per musica, a
cura di Luigi Pestalozza, Milano-Modena, Ricordi-Mucchi, 1993, pp.
187-211: 189.
2. Idem.
Cecilia Bello Mincicchi

Le modalit compositive del catalogo, del


montaggio e dellinserto erano condivise da Berio che con
Sanguineti ha sempre dimostrato grande consonanza
ideologica e metodologica. In una lettera del 26 aprile
1965 scrive Sanguineti: godo che tu possa sviluppare la
tua tendenza allinserto. Altrove Berio, parlando del
lavoro svolto in collaborazione con Sanguineti, scrive che
il catalogo lunica forma, anzi lunico genere letterario
che refuses any possible formalistic approach of the type
that made the experience of opera possible64. A questo si
aggiunga quanto Berio scrisse nella nota per il programma
di sala dellesecuzione del 1968 a Spoleto:

Il principio del catalogo coinvolge anche alcuni aspetti della


struttura musicale infatti Laborintus II anche un catalogo di
riferimenti (non citazioni) a Monteverdi, Stravinsky e modi di
esecuzione tipici del jazz. Le parti strumentali sono spesso
sviluppate come una estensione delle azioni vocali delle tre
cantanti e dei mimi-attori. Un breve inserto di musica
elettronica [...] concepito come estensione dellazione
strumentale. Parte integrante della struttura musicale del lavoro
sono i diversi gradi di intelligibilit del testo: le parole singole
e le frasi talvolta sono percepibili come tali, talaltra come
timbri della struttura sonora globale. Laborintus II si
configura come discorso ininterrotto (la voce umana vi

64. Questa frase di Berio si pu leggere in un manoscritto inedito alla


Paul Sacher Stiftung catalogato come [Laborintus II], 1996 (testo di
una conferenza ad Harvard): The texture of the elements involved
becomes so rich that at a certain moment the catalogue seems to be
the only possible verbal form to order it. [...] The nature of the text is
such that there are certain moments where Dante sounds like
Sanguineti and Sang[uineti] like Dante: the litterary form [catalogue]
(if one can use that word) refuses any possible formalistic approach of
the type that made the experience of opera possible. Lestratto mi
stato segnalato da Angela Ida De Benedictis, che ringrazio.

42
Vociferazione e discorso ininterrotto: aspetti testuali
nelle prime collaborazioni di Berio e Sanguineti (1961-1965)

sempre presente, in vari modi e con varie funzioni), una sorta


di theatrical speech, una conferenza a pi livelli, una
eterofania di arie..., la cui struttura musicale perfettamente
determinata, suggerisce di volta in volta diversi modi reali o
virtuali di drammaturgia.65

Fin dalle prime collaborazioni, i punti di incontro


pi forti e significativi tra Berio e Sanguineti sono stati
sostanzialmente tre: il dialogo politico i soprusi sociali e
culturali in Passaggio, lesibizione delle merci-feticcio e
della loro volgare tirannia in Esposizione, la condanna
dellusura in Laborintus II ; il riuso della tradizione
precedente in qualit di riferimento e insieme di materiale
da montare, compresa la derivazione da ambiti storici e
stilistici e da generi tra loro in attrito, e questo vale tanto
per i riferimenti testuali quanto per quelli musicali; il
trattamento della voce e delle voci nella loro
interrelazione, ovvero la vociferazione e la gestualit
vocale. La vociferazione una delle maniere privilegiate
in cui il testo di Sanguineti, e il testo in genere, stato
trattato da Berio. Allinterno di una pi ampia tendenza
alla vociferazione, come si vedr pi avanti, nelle prime
collaborazioni Berio ha lavorato sui testi di Sanguineti
soprattutto in tre modi: lasciando il testo perfettamente
intellegibile, chiarissimo e scandito (parti affidate allo
speaker66 fig. 3); rendendo il testo non chiarissimo ma

65. Luciano BERIO, Nota per il programma di sala della prima


esecuzione in forma scenica di Laborintus II, Teatro Caio Melisso,
Spoleto, 11 luglio 1968, in E. SANGUINETI, Per musica, op. cit., p. 66.
66. Si veda quanto scrive Sanguineti a Berio nella lettera datata 6
febbraio 1965: anche vero che un recitar cantando, inventato per
uno speaker-cantante, sarebbe cosa doro (immagina, tanto per dire,
una specie di schnberghismo devastato da Berio).

43
Cecilia Bello Mincicchi

ancora decifrabile (parti affidate al coro e allorchestra o


solo al coro con una sovrapposizione non del tutto confusa
perch magari slittante, sfasata, ma almeno in parte
intellegibile fig. 4); facendo in modo che il testo risulti
non decifrabile nelle sue componenti, ovvero non
intellegibile nei suoi singoli significati verbali (parti di
testo affidate a verticalizzazioni secche, a partenze
simultanee di frasi diverse, fermamente sovrapposte anche
in un insieme di lievi sfasature, cos da creare un blocco
fonetico dominante sul nucleo semantico fig. 5).

Fig. 3: Luciano Berio, Laborintus II, battute 4-8 (pagina 6), per voci
strumenti e registrazioni (1965), Universal Edition 13792, London
1976, p. 1. copyright 1976 by UE SpA Milano assigned to Universal
Edition A.G. Wien (per gentile concessione).

44
Vociferazione e discorso ininterrotto: aspetti testuali
nelle prime collaborazioni di Berio e Sanguineti (1961-1965)

Fig. 4: Estratto testo parlato (ripoduzione facsimile senza le altre


parti) da pagina 26: Luciano Berio, Laborintus II, per voci strumenti e
registrazioni (1965), Universal Edition 13792, London 1976, p. 1.
copyright 1976 by UE SpA Milano assigned to Universal Edition
A.G. Wien (per gentile concessione).

45
Cecilia Bello Mincicchi

Fig.5 : Estratto testo parlato (ripoduzione facsimile senza le altre


parti) da pagina 2: Luciano Berio, Laborintus II, per voci strumenti e
registrazioni (1965), Universal Edition 13792, London 1976, p. 1.
copyright 1976 by UE SpA Milano assigned to Universal Edition
A.G. Wien (per gentile concessione).

Lasse portante delle opere nate in collaborazione tra


Berio e Sanguineti un discorso ininterrotto di voci
umane, con tutta la fisicit che la vociferazione pu dare
alla parola. In latino vociferare o vociferari (vox + fero)
significa enunciare con forza, gridare, vociare,
strillare, gridare a gran voce, concitatamente. Molti i
luoghi reperibili in Lucrezio, tra questi: carmina...
vociferantur (sono canti che risuonano, echeggiano,
ma anche canti che svelano, De rerum natura, I, 731-
732); o aeraque quae claustris restantia vociferantur ( il
bronzo che resistendo ai catenacci rimbomba, De rerum
natura, II, 450) o anche simul ac ratio tua coepit

46
Vociferazione e discorso ininterrotto: aspetti testuali
nelle prime collaborazioni di Berio e Sanguineti (1961-1965)

vociferari / naturam rerum (non appena la tua dottrina


inizi a proclamare, a mettere in chiaro, questo sistema
della natura, De rerum natura, III, 14). Ma vociferare pu
indicare anche, in epoca pi moderna, una
sovrapposizione continua e mossa, un parlotto
simultaneo, un raccontare e uno sparlare, anche,
brulicante. Sanguineti, che amava il plurilinguismo, il
montaggio e le contaminazioni; che amava mostrare,
rendere chiare le cose proprio attraverso accostamenti e
contrasti, parlava della musica di Berio come di una
vociferazione.
In una delle ultime conferenze su Berio, nel 2008,
Sanguineti tracciando un affettuoso ritratto del suo Berio
un mio ritratto del mio Berio torner proprio su questo
punto:

Mi accaduto di enunciare una volta un paradosso se non


troppo, ma non troppo, uno pseudo-paradosso direi, e lo avr
anche replicato, come accade negli anni, che potrebbe
esprimersi cos: Se luomo non fosse un animale vocale,
Berio non sarebbe mai diventato un musicista. Intendevo dire,
in modo forse pi inaccoglibile che stravagante, che Luciano
in essenza uomo di musica umana, musicista della vox umana.
E dico vox, non canto, ovvio: dico rumore vocale, rumore
boccale. Insomma, mia convinzione che il suo lavoro sia
integralmente, anche nelle pi rigorose e pure strumentalmente
tra le sue composizioni, tale che gli strumenti vociferano. Berio
stato un musicista per eccellenza vociferante.67

67. Edoardo SANGUINETI, Quattro passaggi con Luciano, in corso di


stampa, op. cit.

47
Cecilia Bello Mincicchi

A questo brano posso aggiungere che di pochi anni


prima, del 2005, un racconto di Sanguineti, lultimo
edito in vita, intitolato, propriamente, Vociferazioni e che
oggi a me sembra una suggestione memoriale forte, che mi
piace legare, anche rischiando nellinterpretazione, anche
solo in eco, proprio al vociferare di Berio. Del resto
lincanto del rimando, per quanto assolutamente indiretto,
pur possibile, se solo pensiamo allamore che legava
Berio e Sanguineti, come ricorda in modo molto toccante
Talia Pecker Berio68. In questo racconto, Vociferazioni,
cinque voci, cinque protagonisti si presentano in
successione, componendo cinque micro-racconti. Sono
personaggi di un affresco, il ciclo dei mesi nel castello del
Buon Consiglio a Trento, da cui Sanguineti sceglie il mese
di ottobre, che peraltro il mese in cui nato Berio. I
cinque personaggi portano, ciascuno, il semplice nome di
una vocale. C daltro canto un interessante passaggio
nella partitura di Laborintus II in cui le voci pronunciano,
a volte sovrapponendosi e a volte sfasandosi, solo le
cinque vocali in un gioco di pura articolazione fonetica
(entrambi gli esempi, voci sovrapposte e sfasate, fig. 6).

68. Per inaugurare i lavori della giornata di studio Il teatro musicale


di Luciano Berio. Passaggio e dintorni, Venezia, Fondazione Cini, 25
settembre 2010, Talia Pecker Berio ha rievocato la corrispondenza e
lintesa intellettuale tra Sanguineti e Berio in modo tanto bello quanto
fulmineo citando una frase pronunciata da Sanguineti nel convegno di
Siena del 2008 io e Luciano eravamo innamorati , e
unaffermazione di Luciano Berio Ho sempre amato Edoardo
Sanguineti di vero amore, di quel sentimento globale e immanente che
anche i poeti, a dispetto dei loro canzonieri, hanno difficolt a
descrivere riportata nellAlbum Sanguineti, a cura di N. Lorenzini
ed E. Risso, Lecce, Manni, 2002, p. 20.

48
Vociferazione e discorso ininterrotto: aspetti testuali
nelle prime collaborazioni di Berio e Sanguineti (1961-1965)

Fig. 6: Estratti testo parlato (ripoduzione facsimile senza le altre parti)


da pagina 28 (lettera S) et pagina 29 (lettera R): Luciano Berio,
Laborintus II, per voci strumenti e registrazioni (1965), Universal
Edition 13792, London 1976, p. 1. copyright 1976 by UE SpA Milano
assigned to Universal Edition A.G. Wien (per gentile concessione).

Nel testo di Sanguineti le voci si presentano in


successione, si descrivono in modo un po frammentario,
parlano del loro lavoro, della loro posizione nellaffresco,
raccontano di se stessi, e degli altri, cose a volte un po

49
Cecilia Bello Mincicchi

contraddittorie, sono un po tutti confusi.


Rappresentano una pluralit di voci parlanti allinterno
della scena, una sequenza di voci che alla fine esita,
concettualmente, in brulichio, in diversit di prospettive,
di identit (si veda pi avanti il nitido e problematico
gioco io/tu). Personaggi esposti in un affresco, immobili,
muti, prendono carne: sono da Sanguineti esposti in voce.
Il testo tutto, interamente, fatto da voci.
La conclusione, allora, pu essere affidata a due
passi da questo racconto, due passi che, oltre ad essere
emblematici della sensibilit di Sanguineti per la
vociferazione, chiudono virtuosamente il circolo e possano
essere letti, per suggestivo fascino, come un omaggio di
Sanguineti a Berio, e nostro ad entrambi:

E non ci sono che storie complicate, ti dico. Perch quando


dico io, io, non dico niente, ancora. Diciamo che vocifero un
mio vociferare, soltanto. Se dico che ottobre, mettiamo, che
io dico che ottobre, appena. Ma non che ottobre
veramente, magari. che io dico che ottobre appena.
soltanto che io vocifero, allora. E allora tu puoi metterti l che
dici che vuoi sapere chi l che vocifera. E chi vocifera, quello
pu essere tutto, cio chiunque, cio tutti. Puoi essere tu,
anche. chiaro, anzi, che sei tu che dici che io dico che
ottobre, forse, mettiamo. Anzi, te lo metti tu, l. E sei tu che
dici che noi mettiamo che sono io che dico, vociferando, che
ottobre.
[...]
che ci sono tanti e tanti modi di vociferare, in un io, e cio in
tanti ii diversi, in tanti ii rimescolati come a caso, come si
rimescola un mazzo di carte, in tutti i tanti ii che siamo, come
capita in te, se ti capita, e come capita in me, in tutti gli ii,
quando gli capita. E adesso ti avverto, io, che io smetto di
vociferare, tra un momento. Io sono un io taciturno, allora,

50
Vociferazione e discorso ininterrotto: aspetti testuali
nelle prime collaborazioni di Berio e Sanguineti (1961-1965)

tanto per dirti qualche cosa, dicendo ancora, e per farmi una
mia ultima vociferazione, prima di essere un io che non ti
vocifera pi, a te, almeno, se non altro. Ma poco, ma s, lo so.
Ma un io, se tu ci stai attento, proprio quasi un niente. No,
che poco pi di niente, piuttosto. Ma volevo poi dire, invece,
che poco meno, ecco. Fine.69

in "La distruzione da vicino. Forme e figure


delle avanguardie del secondo Novecento"
(Nocera
in LaInferiore, Odipus,
distruzione 2012) Forme e figure
da vicino.
delle avanguardie del secondo Novecento
(Nocera Inferiore, Odipus, 2012)

69. Edoardo SANGUINETI, Vociferazioni, in Id., Smorfie. Romanzi e


racconti, Milano, Feltrinelli, 2007, pp. 409-421: 419-421.

51
E.S.

La messa in scena della parola


(1982)

La musica vocale, ha dichiarato Berio una volta, una messa in scena della
parola . E in altra occasione ha affermato che gli interessa in quanto mima e
descrive quel prodigioso fenomeno che laspetto centrale del linguaggio: il
suono che diventa significato.
Incominciamo dalla seconda affermazione, in cui, per cos dire, la parola
non ancora data, e possiamo ancora situarci dinanzi al suono umano informe.
Credo che Berio sia stato affascinato sempre, da sempre, dalla forza espressiva e
impressiva che, nella comunicazione intersoggettiva, possono acquistare i segni
volontari e involontari di cui portatrice lemissione vocale preverbale, dal gemito
al colpo di tosse. questo grado zero (anzi, sottozero) del linguaggio, che si
potrebbe definire puro rumore orale, puro gesto sonoro, questo spazio cos
resistente alla notazione scrittoria, e di cos basso livello convenzionale, questo
aspetto non articolato della vocalit, quello in cui tuttavia affonda le proprie radici
ogni discorso possibile. L'animale uomo, del resto, ci appare naturalmente capace,
originariamente, di una sterminata gamma di versi istintuali e spontanei, tra i
quali selezioner, disciplinandosi, il proprio limitato codice fonetico. E sar tanto
disciplinato, da precludersi infine, a selezione avvenuta, il recupero integrale di
quello strumento sonoro di partenza che il suo corpo medesimo. E a un tale
strumento, per molte corde, potr regredire soltanto, e per lo pi con fatica, a
partire dalla competenza esecutiva selettivamente raggiunta, con le proprie
determinazioni e i propri limiti. Tutto questo non meriterebbe forse grande
attenzione, se non emergesse subito un tratto capitale in questo aspetto del
processo di umanizzazione delluomo. Ed che la vocalizzazione primaria
assunta, immediatamente, come significante, e viene cos in partenza socializzata.
Al verso umano primitivo si risponde con parole umane, l'enfant sauvage,
nel senso in cui tutti lo siamo, nascendo, gi immesso, a partire dal suo primo
gesto sonoro, entro il tessuto generale del dialogo. Qui non voglio fermarmi,
naturalmente, sopra quella simulazione di dialogo che luomo pu instaurare, e in
effetti instaura, con gli animali, e con lo stesso paesaggio sonoro in genere (il
soundscape di Schafer), e sopra la donazione di senso che egli effettua, al riguardo.
Sono cose che ci condurrebbero troppo lontano, ma che necessario almeno
evocare. Voglio rivolgermi subito, piuttosto, ai luoghi estremi, e pi tipici, di un
esperimento come A-Ronnne, dove il doppio processo, di innalzamento dal suono
al senso, e di abbassamento dal senso al suono, attraverso un perpetuo giuoco di
analisi e di sintesi, di composizione e di scomposizione, di strutturazione e di
destrutturazione della parola, modellizza il decorso generale dellopera, tra
esercizio fonetico e esercizio fonologico. Sono infatti proprio tali luoghi di confine,
quelli che decidono, al tempo stesso, il paradigma di fruizione corretta della
composizione (di esecuzione e di ascolto), e il processo di articolazione del
discorso sonoro. Da un lato, infatti, proprio a questa zona indecidibile, tra suono
e significato, che occorre mirare, continuamente, e daltro lato il raccont sonoro,
di accesso l senso e di uscita dal senso, che fonda la trama, l'intreccio, e
finalmente il significato oggettivo dellopera. I significanti acquistano senso alla
luce di questo metasignificato dominante, di un tale percorso e di una tale
oscillazione polare. In causa, insomma, una esplorazione delle zone critiche in
cui il segno verbale si crea e si cancella, ovvero di alcune situazioni, assunte come
moduli esemplari, in cui rumore vocale e carica semantica si convertono e si
scollano, si incrociano e si compattano. A-Ronne fa, della vocalit musicale, anzi
della vocalit umana, il proprio oggetto, problematizzando la dicibilit del senso, e
il senso della dicibilit.
Ho puntato su A-Ronne, non tanto perch, come suo responsabile testuale,
mi sento pi autorizzato a discorrerne, ma perch mi pare sia giusto scorgere in
questa composizione il luogo centrale in cui la vocalit beriana si rivela e confessa
in tutti i suoi tratti specifici. Spazio di una laboratorialit privilegiata, non tanto
un documentario sopra un determinato materiale verbale, quanto un
documento rivelatore intorno allidea di voce umana, in Berio. Che lesclusione
della musicalit strumentale, in una simile prova, renda un tale documento pi
puro e pi trasparente, ovvio. La deliberata riduzione di campo permette agli
elementi posti a reagire nellorizzonte dellosservazione inventiva un supplemento
di lucidit - e non si deve dimenticare l'originario lavoro di registrazione, affidato
non a cantanti, ma ad attori. Ma questa riduzione soltanto un aspetto
dellesperimento. E penso alla fondamentale indiscriminazione, per contro, tra
voce e strumento, nel linguaggio di Berio. Quando Cathy Berberian, narrando della
nascita di Circles, raccontava che les instrumentistes devaient produire des sons
qui ressemblaient au mot que je disais, et moi je devais rapprocher le son du mot
prononc du timbre des instruments , cos che le Sting du dbut, par exemple,
ressemble exactement au son de la harpe, discorreva giustamente, subito, di
interaction, di une sorte dchange permanent, di reciprocit, di challenge,
evocando laltra faccia, assolutamente complementare a A-Ronne, della ricerca di
Luciano. Suono organico e suono strumentale sono invitati a giocare senza
gerarchizzazione determinata, in una sorta di aperta e indefinita concorrenzialit.
Se raccordiamo e integriamo Circles (1960) e A-Ronne (1974), scegliendo due
points on the curve to find, non dir a caso, ma con sufficiente arbitrio
campionativo, non ricostruiamo, propriamente, una linea storica di sviluppo, ma
decidiamo, in ideale sincronia, due momenti che si spiegano e si completano
reciprocamente. E dicono, in sostanza, una cosa, la medesima cosa. Perch si
capisce che la messa in musica della parola non potr che essere concepita, come
da ulteriore dichiarazione dautore, che come una forma di trascrizione, e senza
alcuna cautela immaginosa o metaforica. Mettere in musica significher dunque
immettere lespressione verbale entro una macchina ulteriore che amplifica e
trascrive il senso su un diverso piano della percezione e dellintelligenza. Nella
interminabile querelle, rappresentata in re, prima ancora che teoricamente,
dallinfinita vicenda della relazione di parola e musica, la posizione di Berio appare
cos, trascendendo la sua stessa vicenda personale, come la posizione
naturalmente paradossale su cui si fonda la possibilit stessa della comunicazione
e dellespressione musicale. in causa la fiducia nella semantizzazione del rumore
in figura di suono. E questo postulato, o questa illusione (ma qui non fa differenza)
quella per cui il suono ha senso, e un senso non meno determinato, anche se
diversamente determinato, di quel senso che riposa semanticamente nel discorso
verbale (tanto che, se illusione esiste, lillusione sembrer gravitare
completamente, a questo punto, sopra lo scorporamento indotto dalla scrittura). Si
capisce che, a queste condizioni, la messa in musica della parola sia
trascrizione donatrice di senso (e che insomma scavalchi, in qualche modo, l
iscrizione scrittoria, gravitando sopra la registrazione notatoria del suono).
l'immissione della materia verbale entro una macchina (ma per una macchina
organica e corporea), quella che riuscir, non tanto amplificatrice e moltiplicatrice
di significati, ma istitutrice, radicalmente, di senso. La parola del paroliere e del
librettista, se possiede un senso linguistico, possiede pure da sempre, come
ogni parola umana, anzi proprio come ogni umano rumore, un senso musicale.
Tutto quello che appartiene alla sfera della connotazione espressiva, tutto il
concreto vissuto linguistico (che la scrittura non pu che descrivere mediatamente,
per circuito denotativo), la notazione musicale che pu assumere come il proprio
specifico verbale (e, pi latamente, come proprio specifico sonoro). Se la scrittura
letteraria fissa il senso dellenunciato, in termini riduzionalmente denotativi, la
scrittura musicale ne controlla direttamente la connotazione. E la trascrizione
beriana, in sostanza, non significa altro che questo. Di fronte al muto materiale
verbale, la notazione musicale decide e definisce quella misconosciuta dimensione
semantica, acusticamente articolata e declinata, che la civilt della scrittura ha
depresso, sempre pi fortemente, in favore di una logica semantica riduttivamente
concettuale, astratta, scorporata. In ultima istanza, la donazione e la dotazione di
senso, che dipendono dalla messa in musica, sono da risolversi,
antropologicamente, in una restituzione di senso. Si salda un debito.
Ma Luciano non parla, propriamente e soltanto, di messa in musica della
parola, ma, lo abbiamo visto a principio, di messa in scena. Si tratta di vocalit (e
di strumentalit) corporea, e la corporeit vocale iscritta in un sistema pi vasto
di significati corporei, nel lessico generale della gestualit. Nel momento stesso in
cui, con la musica ex machina, a livello generativo come ricettivo, deperisce il
significato dello strumento come strumento di un corpo, come protesi corporea se
osiamo dire, e si rende sintetizzabile la voce stessa, una restituzione di senso non
pu che rivolgersi con forza a riportare, con l'esecuzione in genere, lemissione
vocale in particolare, alla sua dinamica base somatica, alla scena. La
riproducibilit sonora, anzi la producibilit, incide negativamente sopra la
contingenza concreta dellesecuzione, mette in oblio che la musica non soltanto
una realt per lorecchio, ma anche, assolutamente, per lo sguardo. Ora, l'atto di
parola, in situazione, prima di tutto gesto corporeo. E se la scena restituisce,
come spazio del gesto sonoro, lintegrit del messaggio verbale, i suoi sensi plurali,
sar proprio la codificazione musicale quella che potr fissare, storicamente, i
parametri della scena verbale.
Come noto, la teatralit beriana precede di molto, cos idealmente come
cronologicamente, linteresse per il teatro propriamente detto. Lopera in musica,
la destinazione al palcoscenico della composizione, la narrazione drammatica, non
saranno allora che i casi pi pronunciati e conclamati di una tensione verso quella
musica come spettacolo che essenziale al suo vero discorso sonoro, E se questo
pu riuscire rilevante, pi largamente, per tutto il nostro uso della musica,
soprattutto nellet della sua producibilit e riproducibilit ex machina, a cui
Berio, non a caso, ha portato un'estrema attenzione pionieristica, e sulle cui
possibilit tornato pi volte, nel tempo, a interrogarsi creativamente, conviene
pure sottolineare che, sul piano della tradizione melodrammatica, infine questo
atteggiamento di consapevole e calcolata spettacolarit radicale, quella che
determina realmente e irreversibilmente la crisi dellopera come genere pattuito e
strutturalmente riconoscibile, e cos anche, per contro e in parallelo, la sua
possibilit di assunzione allusivamente straniata. Il metaoperismo.di Berio, le
definizioni, precisamente, di messa in scna e di azione musicale , non giovano
tanto alla designazione di questa e quella specifica composizione, quanto a
indicare la costellazione centrale in cui, presso Berio, parola e musica vengono a
contatto, vengono in scena.
Quasi come in unallegoria, nellopera pi citazionalmente impegnata a un
confronto con quello che, per il nostro compositore, il melodramma per
eccellenza, il Trovatore verdiano, la determinazione del genere diventa, con la
mediazione di Calvino, lo sappiano o no gli autori, un titolo, poich la vera storia
iscritta nei gesti sonori, vocali e strumentali, che si esibiscono in scena e in
orchestra. Ed ancora pi sintomatico, forse, che i tre atti di Opera valgano,
latinamente, quasi in parodia, come un neutro plurale. Proprio da ultimo, a
proposito di Un re in ascolto, Berio indicava nella impossibilit dellopera il tema
di questa sua opera estrema, aggiungendo che precisamente e soltanto nella forma
dellopera questa impossibilit pu essere dichiarata e scrutata compiutamente,
pu essere messa in scena. E tuttavia, lastuzia di Berio, per cui il melodramma si
converte nella propria negazione (in modi che, per altro, il nostro secolo ha
conosciuto in parallelo, per tutte le forme teatrali, e per il romanzo, e per la poesia,
e per tutti i generi, genericamente), chiaramente esposta a quella anche pi
astuta rivincita del genere, che si conserva, e persino si rafforza, nella propria
negazione medesima. Non affatto un accidente se, in questa chiave, di una resa o
di una conquista di un'opera vera, di un vero melodramma, Berio ha ottenuto
consensi critici tuttaltro che marginali. certo, ad ogni modo, che il grande tema
della scena straniata, che percorre un po tutto il Novecento, sembra ormai
orientarsi, e in ogni modo lo deve, verso modi di impossibile riconversione, di
impraticabile recupero.
Forse unindiscrezione, ma so pure che la preoccupazione attuale di Berio,
oggi, trova significativamente il suo centro, sul terreno dellopera, nel problema
della fossa orchestrale, nello storico emblema del golfo mistico, che appunto il
segno macroscopico della grande illusione incantatoria, e della separatezza
manifesta e invalicabile tra il visibile e il gestuale della vocalit e locculto e il
truccato dello strumentale. Se questo il nodo presente della scena beriana,
ancora una volta non pu ridursi a fatto personale, a accidente privato. un nodo
che le cose stesse hanno imposto, e che, in qualche misura, concerne cos noi tutti.

(in: Ideologia e linguaggio, nuova edizione ampliata, a c.


di E.Risso, Milano, Feltrinelli, 2001)
Praticare limpossibile
(1996)

Volendo tentare di riassumere in una proposizione sola il senso ultimo del


legato culturale di John Cage, trascurando gli sviluppi tutt'altro che semplici e
lineari delle sue posizioni, nel tempo, e cercando di forzarne unitariamente il
decorso, credo che si potrebbe ricorrere con vantaggio a una dichiarazione che egli
stese, in margine al suo A Year from Monday, nel '63 (e che fu tradotta, nel '71, da
Renato Pedio, nelledizione italiana di Silenzio): Vorrei che le nostre attivit
fossero pi sociali, e sociali in modo anarchico .
Cage era ben convinto, e lo dichiar molte volte, che i grandi ideali
dellanarchismo filosofico del secolo scorso, in America, ideali ai quali faceva
specificamente riferimento, erano tramontati senza possibilit di recupero, senza
speranza di ritorno. E tuttavia, si sa, Thoreau fu per lui un punto costante e
irrinunciabile di riferimento, in particolare per lidea che la migliore forma
auspicabile di governo rimanga la soppressione di ogni governo, la morte dello
stato, e, se non altro per la nozione capitale di disobbedienza civile, il modello
ideologico prediletto. Al di l di ogni anarchismo politico, in ogni caso, manteneva
tutta la sua forza, per Cage, quello spirito anarchico che la cultura e larte erano in
grado di conservare e rilanciare e approfondire senza tregua. La missione del
poeta, per Cage, era, in essenza, la riproposta continua del valore
dellinsubordinazione e della rivolta. Se lanarchismo pu apparire, ormai,
politicamente impraticabile, praticabile artisticamente, e lesercizio estetico, in
generale, fa corpo con la pratica concreta dellanarchia, che il suo esclusivo
contenuto concreto di verit. E non si tratta affatto di una qualche sublimazione
compensatoria, di un risarcimento dimidiato sul terreno intellettuale. Al contrario,
quello che veramente importa conservare intatto, anzi accrescere di continuo,
nell'arte, il nucleo vivo e insopprimibile di quel messaggio civile,operando sopra la
mente degli uomini attraverso i suoni e le immagini, le parole e i gesti, cos da
ricondurli, oltre ogni sospensione e rottura, empirica e provvisoria, alla volont e
alla capacit di modificare le proprie convinzioni e convenzioni, le idee e le
percezioni, reinstaurando la fedelt a quella visione del mondo che lanarchia
propone, e ristrutturando il consenso a quellutopia, reinducendone la tangibile
praticabilit.
Quando Cage insiste sopra il superamento di qualunque divorzio e distanza
tra l'arte e la vita, non intende per nulla militare in favore di unestetizzazione
dellesistenza, come accadr non poche volte presso non pochi suoi ammiratori e
seguaci, forse soprattutto sul terreno musicale, e forse soprattutto in Europa. Al
contrario, il problema quello di riversare sopra il vissuto quotidiano, nell'azione
sociale di ognuno, quanto larte addita in forma simbolica ma reale, fornendo
modelli sperimentabili di nuove relazioni con gli uomini e con le cose. Non sarebbe
n importante n appassionante sforzarsi di modificare larte, di innovare il
linguaggio, se non ci fosse, pi che la speranza, la certezza che, modificando larte,
si modifica la mente, e si pu cos avviare una vera e progressiva rivoluzione dei
comportamenti sociali, onde pervenire a mutare il mondo, a cambiare la vita.
Larte, anzi, nel momento stesso in cui limmediatezza politica
dell'anarchismo sembra irrealizzabile, non offre un semplice surrogato tattico, ma
addita una strategia superiore. Al miraggio di un sovvertimento frontale si pu
contrapporre, se cos possiamo dire, una tenace e non violenta guerra di posizione.
Thoreau pu incontrarsi con Gandhi come con Mao. E a Mao si richiama volentieri
Cage, puntando preferibilmente, naturale, sopra il momento della lunga marcia,
assunta come paradigma di una I accorta rinuncia allurto conflittuale diretto, in
vista di una pi controllata arte di rivincita nel ripiegamento, di trionfo nel
temporeggiamento.
Dichiara Cage, infatti: La cosa decisiva che penso influenzi il mio modo di
agire pi di ogni altra linteresse sociale, e cos cerco di non scrivere un pezzo a
meno che non abbia una sua utilit in quanto esempio di una societ. ancora
Mao, per altro, che evocato a testimoniare per una disposizione al bene, nelle
masse, che soltanto una coazione opprimente a contegni forzosamente competitivi
e conflittuali pu pervertire e corrompere. In termini di stretta pedagogia, gi
l'emulazione scolastica , nellorizzonte formativo, lavvio di quella corruzione di
fondo che una societ lacerata e divisa impone fatalmente agli uomini. Si possono
indiziare di utopismo, certo, anche molti tratti delle proposte di Cage, su questo
terreno, ma non si pu negare la chiarezza assoluta del principio che regola, ad
ogni passo, il suo progetto artistico: Lintera struttura sociale deve cambiare, cos
come sono cambiate le strutture nelle arti. Una poetica ha senso se un progetto
politico, allegoricamente organizzato, sperimentalmente esemplificato e agito.
Per essere pi precisi, e pi fedeli, intanto, al lessico di Cage, conviene
avvertire che egli dice di non avere interesse, propriamente, per limpegno politico,
in estetica, ma per limpegno sociale. Cage tende anzi, ripetutamente, anche in
momenti tra loro diversi e lontani, a opporre alla politica, come pratica violenta, e
perci compromessa e contaminata alle radici, la socialit, e prima di tutto la
socialit artistica, come pratica ideologica di consenso diffuso e profondo, e si
vorrebbe dire molecolare, che attraverso il messaggio effettuale delle opere
musicali e pittoriche, letterarie e coreografiche, rende egemone, per gradi, unidea
di comunit altra e migliore, liberata dai conflitti dinteresse e di dominio, dalle
opposizioni di classe. E non si tratta di unillusione candidamente irenica. Cage
convinto che la forza della cultura sia pi potente di qualunque costrizione, in
ultima istanza, e che, per quanto sia operazione di lungo aggiramento e di tenace
scavo, sia destinata, nel tempo, a riuscire comunque vittoriosa. Per eccellenza,
lesperienza dellhappening, nellelaborazione di Cage, cos distante da troppi
deformanti tentativi di imitazione malintesa e di replica incomprensiva, assume il
valore esemplare di esperienza collettiva collaborante, di conquista disciplinata di
una superiore armonia di menti associate: la lunga marcia dellorganizzazione
dell'anarchia liberata.
Anche per questo punto, necessario prestare attenzione al vocabolario
concettuale di Cage, per evitare qualche facile e non di rado banalizzato equivoco.
Il problema dellinterpretazione, per Cage, noto, un problema cruciale. Quando
Cage oppone l'aleatoriet, allimprovvisazione, intende rilevare il fatto, anche
troppo facilmente verificabile, che, improvvisando, in musica come in qualunque
altra forma di azione, estetica e no, si ricorre, in realt, irresistibilmente,
fatalmente, alla replicazione meccanica dei propri atteggiamenti consolidati, e
quindi a stereotipi rassicuranti e inerti, perdendo ogni pulsione creativa, ogni
stimolo innovativo, e cedendo a una stanca quanto vana ripetizione. Il sogno di un
inventare irriflesso, in nativa spontaneit e in sgorgo sorgivo, si rovescia di
necessit nel calco passivo del passato, nelle risposte precondizionate dalle
consuetudini e dal ricordo. Cage pu persino fare appello, a un certo punto, in
materia, allo spirito di competizione, e a una nozione di improvvisazione
competitiva, di cui ritrova esempi nella cultura indiana, avendo in mente un tipo di
competizione collaborante, che si esprime come stimolazione reciproca verso un
impiego intensificato delle diverse capacit personali, e insomma, in maniera
apparentemente paradossale, e persino ossimorica, verso una emulazione solidale,
un conflitto cooperante. E siamo cos alla questione centrale del pensiero di Cage,
e da Cage elaborato per lo pi secondo le categorie procurategli dal buddismo zen,
che vede nel casuale il superamento dellegotismo desiderante, la sconftta dellio
che opera per porre in atto soltanto le sue avide intenzioni individuali, e che
vincolato al carcere della volont chiusamente soggettiva, della volont di potenza.
Uscire dai limiti dellego, aprirsi al mondo, aderire al caso con assoluto
rigore: sono queste, per Cage, le procedure etiche dell'arte. E aleatoriet libert,
proprio in quanto si oppone radicalmente allarbitrario, al caotico: in quanto
disciplina. Afferma Cage, discorrendo dei suoi primi lavori indeterminati:
Quando io dico, ad esempio: Fate un'azione disciplinata, non sto dicendo: Fate
quello che volete. Eppure questo esattamente ci che ora alcune persone
pensano che dica. E spiega, allora: Le libert che ho concesso non sono state date
per permettere qualsiasi cosa uno voglia fare, ma rappresentano piuttosto degli
inviti, rivolti alla gente, a liberarsi dai propri gusti personali e a disciplinare se
stessi. Un agire deistituzionalizzato si pone in perfetta antitesi nei confronti delle
sfrenatezze del capriccio e della tirannia di un soggetto che affermi
autoritariamente e licenziosamente le proprie pulsioni irriflesse. invece la
meticolosa costruzione di unautodisciplina che scrupolosamente elabora
unautolegislazione radicalmente socializzata e radicalmente decentrata nei
confronti dell'io. la linea che conduce, in emblema, dal mozartiano
Musikalisches Wrfelspiel alla consultazione archetipica dellI Ching.
Ma Cage non insiste soltanto sopra l'autoeducazione e
lautoregolamentazione che, proposta allinterprete della sua musica, diventa un
programma pedagogico di significato universale. C la difficolt opposta,
incarnata nellesecutore che, ben lontano dallabbandonarsi ciecamente
allarbitrio, che significa, come gi si considerato, un affidarsi inerme e inerte alla
pigrizia rutiniera, rifiuta la responsabilit di cui deve farsi carico, quale gli
concessa e, in qualche modo, imposta, e esige piuttosto che gli sia indicato
dettagliatamente quello che deve fare, chiudendosi, come in un protetto rifugio
rassicurante, nel ruolo, precisamente, del mero esecutore passivo. Parlando di
Etcetera (1973), in cui linterprete pu sentirsi vincolato o sciolto da prescrizioni,
Cage chiarisce che una siffatta composizione intende rappresentare con empirica
evidenza simbolica, sensibilmente, la presente condizione della societ, in cui
emergono, insieme, il desiderio di una responsabile autonomia e il terrore di una
rischiosa libert. Nel caso, Cage mette alla prova e pone a confronto capacit e
incapacit di fare uso delle proprie occasioni di azione, di gestire la propria
indipendenza e la propria servit.
Il fare musica, a questo modo, si configura come una sorta di via regia per
modificare s stessi. Al limite, per Cage, diventare un individuo diverso,
diversamente socializzato, comporta lacquisizione graduale di un'abilit di
emancipazione progressiva dalla musica stessa: superare la musica, la musica che
si produce come la musica che altri ha prodotto e va producendo, e pervenire a
godere sempre meglio, sempre pi liberamente appunto, dei suoni dellambiente,
delle voci della natura come dei rumori dellindustria. U sogno, o lincubo, non
so,.della morte della musica, della morte dellarte, non designa cos una perdita, e
nemmeno, e ancora meno piuttosto, la transizione a una ulteriore condizione
spirituale, ma una costante, illimitata estensione delle capacit sensibili e delle
strumentazioni tecnologiche, del godimento e degli artifici. Non saprei dire se Cage
potesse avere in mente il Lautramont che propone una poesia fatta da tutti, non
da uno, ma so di certo che Cage aveva in mente, fondamentalmente, una musica
fatta da nessuno, non da tutti, e ancora meno da uno.
chiaro, allora, perch Cage respingesse, pi ancora con sdegno che con
forza, l'idea di unarte come autoespressione. Larte automodificazione:

e ci che altera la mente, e la mente nel mondo e costituisce un fatto sociale [...]. Noi
cambieremo in modo meraviglioso se accetteremo le incertezze del cambiamento: e
questo condizioner qualsiasi attivit di progettazione. Questo un valore.

Larte, cos concepita, la forma piena della capacit di mettersi in giuoco, e


a rischio. Non c n da manifestare una propria presunta interiorit occulta, n da
conoscere una propria supposta natura profonda. Non c n automanifestazione
n autoconoscenza, poich c, tuttal contrario, autorinnovamento. Importa
rivoluzionare se stessi, e non esibirsi n comprendersi. utile, dunque, usare la
parola comprensione contrapposta a esperienza. E positiva l' esperienza.
Anche a questo riguardo, non so quale ruolo possa avere avuto Dewey, nella
formazione di Cage. Ma per Cage, sicuro, larte soltanto e sempre esperienza,
e esperienza sociale. Essa non ha valore n emotivo n intellettivo, non conduce
a nuovi sentimenti o nuove verit. L'arte arricchisce e approfondisce la prassi.
Non credo affatto - proclama Cage - che comprendere qualcosa conduca
necessariamente a farne esperienza. E avere esperienza del mondo, di s e delle
cose, questo importa, perch questo modifica noi e il mondo, e dobbiamo essere
preparati allesperienza, non tramite la comprensione di qualcosa, ma piuttosto
aprendo la nostra mente. A questo punto, e a queste condizioni, Cage potr
affermare anche che nellarte c mistero: perch c' mistero nellesperienza, che
inesauribile, e che nessuna conoscenza pu surrogare, non per altro. E la musica,
finalmente, da usare. La musica, infatti, non ha un senso, ma ha un significato:
ha significati che si svelano nel praticarla, nell'usurarla. Come diceva Wittgenstein,
e come Cage sottolinea con vigore, il significato di qualcosa il suo uso. La
poetica di Cage, come poetica dellesperienza, dell'uso, una poetica della prassi.
Esperienza, uso, prassi d'autore, certamente. di esecutore. Ma anche, e
massimamente, esperienza, uso, prassi di fruitore. Lestetica di Cage, se cos
vogliamo dire, una compiuta estetica della ricezione. Ed essenziale che il fruitore
usi il lavoro dellautore e dell'esecutore, perch, anche per questo riguardo, siamo
di fronte a un tratto di valore sociale decisivo. Si delinea, in effetti, un percorso
netto dalla propriet all'uso.
Per tutto questo, se Finnegans Wake il libro pi importante del
ventesimo secolo , perch un libro privo di senso, ma, essendo tale, carico di
unestrema molteplicit di significati . Di fronte a questo testo,

siamo liberi di scegliere il nostro percorso, piuttosto che essere costretti a percorrere
quello di Joyce. Joyce ha un atteggiamento anarchico nei confronti del lettore e cos il
lettore pu agire in totale autonomia.

Nell85, commentando lirritazione provocata in gran parte del pubblico,


che usciva dalla sala, a un'esecuzione di Muoyce, a Francoforte, Cage notava:

Ho quindi motivo di supporre che il lavoro sia ancora irritante. La gente forse non si
accorge di essere irritata, ma prova tuttavia una grande difficolt nel prestare attenzione a
qualcosa che non capisce. Credo che ci sia una linea di confine tra il comprendere e il
fare esperienza, e molta gente pensa che larte abbia a che fare con la comprensione, ma
non cos. Larte ha a che fare con lesperienza [...]. Non l'esperienza ci che si vuole.
Non si desidera irritarsi, ' cos la gente esce, dicendo che lavanguardia non esiste. Ma
lavanguardia continua, ed esperienza.
In tempi come questi, tempi di postmodernit, ritorna particolarmente utile
e urgente il richiamo persuaso di Cage alle ragioni irrefutabili della modernit e
dellavanguardia. Egli dice:

Penso che la gente abbia sempre sperato che sarebbe finita, ma il guaio che questo non
accadr mai. Il motivo per cui non finir rappresentato dal fatto che avanguardia
sinonimo di invenzione, scoperta e cambiamento: e queste sono qualit essenziali che
saranno sempre l a irritare la gente.

Ora, avanguardia significa poi, semplicemente, una mente flessibile. E


sorge, e risorge, poich la storia non finita, come il giorno dalla notte, dal non
dover cadere preda del governo e delleducazione.
Qui, adesso, non occorre ridisegnare, poich assai nota e assai limpida, la
costellazione cara a Cage, costituita dai suoi sodali e compagni. Se in alto, supremo
correlativo ideologico e artistico, pu stare Marcel Duchamp, e con lui, in generale,
lo spirito di Dada, cos come sta, indimenticato maestro, Schnberg, e stanno
ovviamente Satie e Varse, Artaud e Joyce, Busoni e Ives, accanto e intorno si
collocano Cunningham e Tudor, Rauschenberg e Johns, e quanti superbamente e
generosamente sono stati magnificati in Silence e in A Year from Monday. Vorrei
soltanto rilevare una proposizione determinante, almeno storicamente, che
lepigrafe indimenticabile delle pagine su Bob Rauschenberg (1961): A chiunque
possa interessare: I quadri bianchi vennero per primi: il mio pezzo silenzioso
venne pi tardi (e si allude, sintende, a 433, che discende dalla serie di white
paintings). E se non il luogo opportuno, questo, poich si punta a unimmagine
globale e unitaria e terminale, per affrontare la questione della genealogia della
poetica di Cage, non sar inutile, almeno, rammentare la rivelazione recata a Cage
dal giudizio di Stravinskij su Schnberg: La ragione per cui la musica di
Schnberg non mi mai piaciuta perch non moderna . (E non si pu non
pensare, magari per associazione libera, al famoso, se non famigerato Schnberg
morto di Boulez, 1952, a condizione di rilevare intanto, al minimo, quel giudizio
severo, se non spietato, su Boulez appunto, dello stesso Cage: Pierre ha la
mentalit di un connoisseur. Con quel tipo di mente si pu solo avere a che fare
con il passato. Non si pu essere esperti in ci che sconosciuto dove si
contiene quella che forse la pi affascinante e la pi precisa definizione, presso
Cage, e non soltanto presso Cage probabilmente, del ruolo dellartista: un esperto
del non ancora mai sperimentato.)
Ma, a comprendere correttamente la posizione di Cage essenziale
sottolineare lopposizione che egli instaura e approfondisce, in pi circostanze, tra
Dada e Surrealismo. Il principio dellalea nettamente posto come alternativo
allautomatismo surrealista, e sappiamo perch, dal momento che larte
automatica costituisce un modo per ripiegarsi su se stessi, soffermandosi sui
propri ricordi e sulle proprie sensazioni, come avviene, esattamente, con la cattiva
improvvisazione. Dada una finestra sul mondo, lapertura massima alla
sperimentazione della realt, laddove il Surrealismo appare, complice la
psicoanalisi, introversamente chiuso sullio, sprofondato nellinconscio
individuale. E sar pure sintomatico che al Surrealismo dellindividuo si
opponga, per Cage, quel Surrealismo della societ, di cui pu essere considerata
una forma il New Dada della Pop Art. Non meno coerente e chiarificatore il
rifiuto che Cage porta nei confronti dellArte Concettuale, e la denuncia
dell'equivoco per cui egli viene talora ascritto tra i suoi anticipatori e promotori,
laddove importa, al solito, che sopra il progetto concettualmente intenzionato
trionfi la rivelazione luminosa e inquietante dellesperienza. Quanto a radicalismo,
daltra parte, si pensi alla distanza che Cage colloca tra la propria ricerca e lopera
di Schwitters e Picabia, accusati di essere diventati, a un certo punto, puri artisti, e
accettati come artisti, mentre un Duchamp riuscito a rimanere, sino alla fine,
irriducibile e inaccoglibile ricercatore, inaddomesticabile anarchico.
dovere dellartista, finalmente, in questa prospettiva, nascondere la
bellezza. La storia dellarte, per quanto ha di autentico, una storia della
liberazione del brutto, che si tratta di penetrare, di sperimentare, di usare. Ci
che stiamo cercando di fare - potrebbe essere la conclusione estrema di Cage, la
morale della sua favola - aprire le nostre menti in modo tale da non vedere pi le
cose come brutte o belle, ma di vederle esattamente come sono. cos,
precisamente, che Cage apre la strada, per s, per tutti, al realismo
dellavanguardia, e insomma al realismo tout court, in questa nostra modernit. E
il realismo la meta storicamente naturale per qualunque experiencing mind, per
qualunque accepting mind.
Affermare la praticabilit artistica, sociale e etica dellanarchia significa,
dunque, fornire saggi e sensate esperienze della praticabilit dellimpossibile.
come dire, tornando circolarmente a quella nota di A Year from Monday da cui
siamo partiti, che il nostro vero lavoro, oggi, se amiamo lumanit e il mondo in
cui viviamo, la rivoluzione.

(in: Ideologia e linguaggio, cit.)


Rap e poesia
(1996)

Nella tipologia dei rapporti di collaborazione fra poesia e musica ci sono due
polarit fondamentali: da un lato c' il caso di uno scrittore che, senza pensare
assolutamente alla musica, scrive un testo, che un musicista utilizza, perch lo
giudica adoperabile ai suoi fini espressivi, stimolato oltre che dall'aspetto tematico,
dall'aspetto dell'organizzazione linguistica; dall'altro lato esiste invece il caso di
una collaborazione che nasce perch il musicista chiede ad un autore un testo che
sia appositamente scritto; poi ci sono i casi intermedi, in cui l'autore propone dei
materiali che ha gi elaborato e che il musicista trasceglie liberamente. Il mio
lavoro sul rap con Andrea Liberovici appartiene a questa sorta di terza via: non mi
stato chiesto il permesso di musicare testi determinati e nemmeno di scriverne
uno per l'occasione, ma piuttosto di collaborare ad un progetto. Io ho proposto vari
materiali preesistenti, altri sono stati cercati da Liberovici stesso fra i miei scritti, e
ci siamo accordati su una relativa libert d'uso. Credo che questo modello
collaborativo possa essere interessante, poich non si tratta pi n di un'idea nata
su commissione, n dell'utilizzazione di un testo concepito al di fuori della musica,
ma del lavoro di un musicista su dei materiali poetici che gli vengono messi a
disposizione e che pu riorganizzare secondo le proprie esigenze.
In realt, la mia attenzione alle sperimentazioni che coinvolgono musica e
letteratura non nuova. Ho incominciato a lavorare in collaborazione con
musicisti all'inizio degli anni Sessanta, segnatamente con Berio. Berio forse il
musicista che meglio incarna la mia idea di collaborazione, che si prolungata fino
ad oggi, con episodi qualche volta anche lontani nel tempo, ma senza che mai si
rompesse una linea di continuit, anche perch accaduto che, pur modificandosi
le nostre poetiche e le forme del nostro linguaggio com' naturale in una ricerca, ci
siamo mossi sempre con qualche simmetria: i problemi, sia di linguaggio poetico
sia di linguaggio musicale che si ponevano, presentavano spesso delle analogie,
pur nell'ovvia differenza di due modalit comunicative piuttosto eterogenee. Con
Berio e con altri musicisti, il lavoro era di volta in volta mutevole, ma aveva la
costante di appartenere sempre a quel genere di musica che consideriamo grave,
seria, legata al teatro, alla sala da concerto, o anche a soluzioni cameristiche, ma
lontana dalla cosiddetta pop music, vale a dire da una musica di pi largo
consumo, che usa modalit di comunicazione popolare, nate o divenute tali.
Questo ambito mi ha sempre appassionato, dapprima attraverso le suggestioni del
jazz, poi con lo sviluppo del rock e di altre forme pi recenti, dalla discomusic alle
posse. Oltre a questo interesse specifico, quando sottoposi a Liberovici alcuni dei
miei materiali, ero mosso dall'idea, che lui del resto condivideva, che il rap fosse
prima di tutto una tecnica evidentemente ritmica e musicale, ma anche una tecnica
del discorso verbale, un modo paradossale per recitar cantando , in cui
l'importanza del testo molto forte e permette di utilizzare anche dei
componimenti che non abbiano una preordinata struttura ritmica, ma che si
costruiscono attraverso giochi verbali. Io ho fatto uso, almeno in molti dei miei
testi, dell'allitterazione, della rima ribattuta e questo si prestava bene ad essere
trasformato in rap, con poche modifiche di replica, di iterazione, di variazione.
Dopo aver accolto la proposta per un rap, suggerii a Liberovici di andare oltre, di
pensare ad uno spettacolo in cui il rap rimanesse la struttura essenziale, ma
accanto ad esso venissero usati testi musicali tradizionali - per violoncello, ad
esempio - poi registrati in modo da creare, sia da un punto di vista scenico e
gestuale, sia da un punto di vista verbale, una grande possibilit di movimenti
diversi nelle direzioni pi varie. Essendo soddisfatto del risultato ottenuto, lo
stesso Liberovici pensa ora di curare e ampliare questa forma e creare uno
spettacolo ancora pi ampio, innestando ulteriori elementi (come la canzone o
altre modalit) altrettanto eterogenei rispetto al materiale preordinato. Questo
lavoro ha quindi una sua struttura gi organizzata, ma anche un lavoro in
progress perch suscettibile, nelle intenzioni del musicista, di continui sviluppi.
Da un punto di vista tematico, Liberovici era poi partito da un soggetto su
cui potevo offrire molto materiale: il motivo del sogno; perci l'ho lasciato libero di
montare i miei testi e di giocare - come io auspicavo che potesse avvenire - sulla
congiunzione di parti eterogenee tra loro, ma che in una logica onirica ritrovavano
un loro senso di montaggio. Del resto, molta della pop art, intesa non soltanto nel
senso pittorico, ma di arte pop, nell'accezione in cui si impiega questa parola
quando si parla oggi del folclore di massa, degna di grande attenzione; e c' uno
scambio continuo, qualche volta consapevole qualche volta inconsapevole, tra le
espressioni tradizionali d'arte e le espressioni di massa legate al consumo e alla
cultura dei giovani. In fondo, si ritrova in questo rapporto qualcosa che la
tradizione ha sempre conosciuto e che poi ha un po' perso: se si guarda al modo in
cui la musica del passato ha operato con ciaccone o gagliarde o minuetti o valzer, si
vede che tutta la musica pi seria, qualche volta persino seriosa, ha utilizzato delle
forme di danza che erano consumate contemporaneamente dalla cultura
popolare del tempo. In seguito c' stata una scissione o almeno una maggiore
difficolt di relazione tra questi elementi, anche se l'influenza del jazz sulla musica
seria, ad esempio, ha toccato musicisti come Debussy e Stravinskij e credo che
questa forma di contaminazione non solo possa continuare, ma possa diventare
pi esplicita e consapevole, e pi programmatica di quanto sia accaduto nel
Novecento.
Anche la scrittura letteraria e il lavoro sulla parola potrebbero trovare in
questa sorta di ibridazione una spinta ulteriore per rompere con il poetese in
senso negativo, cio il gergo lirico, la selezione verbale verso realt superiori dotate
di aura, e stimolare maggiormente ad un impiego poetico del linguaggio
quotidiano, di tutto quello che il mondo della prosa moderna, della tecnologia,
delle feconde mescolanze di lingue diverse. D'altra parte importante ricordare
che in una certa letteratura americana all'epoca della cultura beat, ci sono stati
autori, come Kerouac e Ginsberg, che dichiaravano di essersi ispirati molto al
ritmo del jazz o alla pop music, proprio come ritmo di scrittura; ci sono esempi, in
poesia come in prosa, di una letteratura che ha subto questo influsso della ritmica
musicale, sul terreno del romanzo e della narrativa, come su quello poetico e credo
che, in questa direzione, si possano ottenere degli sviluppi ancora pi ricchi.
Nel valutare la situazione italiana, occorre per fare le dovute differenze. Gli
esperimenti degli anni Cinquanta e Sessanta per creare una canzone d'autore o lo
sviluppo dei cosiddetti cantautori hanno dato risultati assolutamente discutibili.
La tipicit della canzone italiana appare molto imprigionata entro limiti di
melodicit tradizionale, per cui diventa o tardo melodramma riciclato, nel migliore
dei casi, o tarda romanza da camera. Ci non toglie che ci siano stati anche dei
risultati positivi fra gli autori (perch Paoli o Conte hanno forse aperto delle
strade) e degli interpreti piuttosto straordinari, anche dal punto di vista del
costume, come Mina o Patty Pravo. Tuttavia un limite sempre stato la prevalenza
di melodicit e di poeticit; anche i tentativi di scrivere testi per canzoni fatti da
Pasolini, da Calvino, da Fortini, persino da Moravia e Soldati seppure molto
episodicamente, non hanno poi trovato conferma n continuit, perch in fondo la
vera musica popolare aveva altre direzioni. L'intervento del jazz e del rock stato
invece veramente un fatto insopprimibile nello sviluppo del linguaggio musicale, il
solo che possa trovare equivalenti nella sperimentazione letteraria. Accanto al
poetese , c' stato un canzonettese : l'Italia purtroppo il paese di Sanremo,
per dire tutto in una formula, e questo ha rappresentato e rappresenta un limite
molto forte.
Anche dal punto di vista dei contenuti, delle idee, bench la canzone abbia
avuto un pubblico larghissimo, in sostanza sempre rimasta prigioniera di
atteggiamenti, per cos dire, piccolo-borghesi. Molta della protesta orientata in
quel senso rimasta imparagonabile alla rottura espressiva proposta da tanta
musica anglosassone, dai Rolling Stones ai Sex Pistols, per esempio, in cui
radicalismo e anarchismo hanno raggiunto una violenza che da noi rimasta
praticamente sconosciuta o veramente episodica ed eccezionale. Il limite della
canzone italiana davvero anche un limite ideologico e di classe. Tentare
l'esperimento del rap significava per me uscire davvero da questi confini, passare
davvero ad altro: fare un lavoro, con un musicista, in una direzione che non
rimanesse poi nemmeno prigioniera della forma del rap, ma la utilizzasse come
una sorta di riferimento fondamentale, nell'organizzazione della struttura di
un'esperienza spettacolare, senza rinunciare a nessuno degli elementi che oggi, sia
la parola, sia il suono possono proporre.
Io tendo sempre pi ad insistere sul momento anarchico come momento di
pulsione della grande arte critica del Novecento. Se questo momento ha trovato
incarnazione, non stato tanto nella forma della canzone all'italiana, quanto
piuttosto nelle esperienze di certo rock violento e oggi, semmai, del rap e di altre
espressioni di questo genere.*

* Il testo di questo intervento il risultato di una conversazione con Edoardo Sanguineti,


rielaborata insieme a lui, e pensata per il numero 4-5 di Bollettino Novecento (maggio
1996). L'occasione di parlare di un esperimento di rap poetico si trasformata in un
discorso ampio ed organico sulle relazioni tra la letteratura e la musica, nella tradizione,
nel nostro secolo e nelle loro potenzialit future [Anna Frabetti]
Luciano Berio
da: A-Ronne
(1991)

La musica, per fortuna nostra, non coincide mai completamente con quello
che il suo autore si propone di comunicare - non solo come espressione di una
idea, di un concetto e di una visione poetica, ma anche come documento di (o
commento a) una realt concreta. Un testo, poetico o no, invece una realt
concreta che coincide di solito con quello che il suo autore si propone di
comunicare. In altre parole (e semplificando), un poeta, mettendo in atto
meccanismi denotativi pi o meno complessi, pu non solo creare un labirinto di
associazioni significative ma pu anche permettersi il lusso di mentire
consapevolmente e di manipolare la realt e i referenti. Il musicista non pu
mentire, non ne ha gli strumenti, un puro (con tutto il male che ne deriva): lui :
quello che e i meccanismi connotativi della sua musica sono quello che sono,
anche se assiduamente frequentati e condizionati dai fantasmi della storia, delle
tecniche, degli ascolti possibili e anche se il senso di quello che fa sempre un po
altrove e non coincide mai completamente, appunto, con quello che egli si propone
di comunicare.
Ma la creativit musicale ha sempre cercato di sviluppare diversi nodi di
complicit con la realt concreta e con le idee che la abitalo: con la vita pubblica,
per esempio, con la vita privata, la scienza, i1 teatro, i dati naturali e le tecniche. E
ogni volta il musicista cerca di assimilare, sublimare e trasformare eroicamente
quella realt concreta in unaltra cosa (magari solo in un titolo), anche senza apersi
porre il problema di definire che cosa veramente essa sia. Non c alcun dubbio che
si tratti di una definizione abbastanza difficile che richiede strumenti di natura
filosofica analoghi, mi sembra, a quelli che vengono usati quando si cerca una
definizione del tempo. Quando, da soli, pensiamo alla realt concreta, sappiamo
sempre cos. Se per qualcuno ci chiede cosa essa sia, non sappiamo pi cosa
rispondere e siamo assaliti dal dubbio che quello di realt concreta (e di tempo)
non sia un concetto ma, piuttosto, un modo di dire assai poco concreto. Comunque
sia, nellimmenso repertorio di realt concrete con le quali il musicista si
sempre misurato, la realt della lingua parlata e scritta, della poesia e della prosa,
occupa sicuramente un posto privilegiato. Quel osto che responsabile del vasto
mare della musica vocale dove appunto la realt della lingua parlata si associa alle
virtualit del linguaggio musicale.
In A-Ronne, per cinque attori, su una poesia di Edoardo Sanguineti
(realizzato nel maggio 197 per la Radio Olandese di Hilversum), si ritrova forse
poco di queste considerazioni: esse hanno per avuto una funzione catalizzatrice
nella concezione di questo lavoro che, tanto sul piano verbale che su quello
musicale, si pone il problema di combinare assieme e di elaborare, senza volerle
trascendere musicalmente, solo associazioni e riferimenti specifici, solo
denotazioni e, nei limiti del possibile, solo realt concrete.
A-Ronne non una composizione musicale in senso stretto. Avrei
certamente incontrato delle difficolt se avessi voluto definirla con una delle
consuete indicazioni di genere che accompagnano le composizioni vocali (cantata,
madrigale, canzone, concerto ecc.). Ho optato invece per quella che mi sembrata
la descrizione sintetica pi appropriata: documentario. Di documentari se ne
fanno tanti e sugli argomenti pi diversi (su dettagli della vita pubblica, della vita
privata, della scienza, del teatro ecc.): perch non su una poesia? In A-Ronne,
documentario per cinque attori su una poesia di Edoardo Sanguineti, c poca
musica ma, come vedremo dopo, i criteri che lo organizzano sono musicali: a volte
essi svolgono le funzioni di una macchina da presa che, invece di esplorare un
soggetto o una situazione da diversi angoli e con lenti diverse, esplora una poesia.
A-Ronne non appartiene dunque a un genere musicale noto. Concepito
originariamente come lavoro radiofonico, pu forse suggerire qualche tenue
legame coi madrigali rappresentativi, cio col teatro degli orecchi (della mente,
diremmo oggi), del tardo Cinquecento.
Avevo chiesto a Sanguineti una poesia piuttosto breve, condotta su un
discorso non lineare, facilmente segmentabile e costruita possibilmente su
immagini permutabili, come fossero parte di un congegno modulare. Cosi ,
infatti, il suo A-Ronne. Nella sua grande coerenza e intensit evocativa sembra
guardare continua-mente dentro se stesso e ai suoi stessi congegni, ai suoi
frammenti e alle sue rovine. Uno degli aspetti pi singolari di questa poesia
lessere rigorosamente e ossessivamente costruita di citazioni che ruotano su loro
stesse e ritornano spesso tradotte in lingue diverse. Anche il titolo una citazione.
A-Ronne: come dire A-Zeta, Alfa-Omega. Ronne una delle tre abbreviature poste
un tempo alla fine della tavola dellalfabeto, dopo la Zeta. Esse sono: Et, Con e Ron
(questultime due sono una trasformazione di cum e della desinenza latina orum).
Le designazioni fiorentine, utilizzate da Sanguineti a conclusione della poesia,
erano Ette, Conne, Ronne. A-Ronne diviso in tre brevi strofe: il tema della prima
strofa lInizio, il tema della seconda il Mezzo e quello della terza la Fine.

a: ah: ha: hamm1: anfang2:


in principio: nel mio
principio:
am anfang: in my beginning3:
ach: in principio erat
das wort: en arch en:
verbum: am anfang war: in principio
erat: der sinn: caro4: nel mio principio: o lgos: la mia
carne:
am anfang war: in principio: die kraft:
die tat:
nel mio principio:

1 Omaggio a Samuel Beckett (Hamm, personaggio di Fin de partie).


2 Anfang (principio): Sanguineti chiarisce che il Vangelo secondo Giovanni comincia con le
parole: en arch en o lgos, in principio era il verbo, in principio erat verbum. Nella
traduzione di Lutero: Im Anfang war das Wort. Nella scena Studierzimmer del Faust (I)
di Goethe, Faust ne prova successivamente diverse traduzioni sostituendo das Wort
(verbum) con der Sinn (il pensiero), die Kraft (lenergia) e die Tat (lazione).
3 Il secondo dei Four Quartets (intitolato East Coker) di T. S. Eliot comincia con le parole
In my beginning is my end e finisce con le parole In my end is my beginning.
4 Allusione a Giovanni: et verbum caro factum est (e il verbo si fece carne). Pu essere
dunque il caro latino (carne) o il caro italiano (da cui: la mia carne).
II

nel mezzo5: in medio:


nel mio mezzo: o commence? 6: nel mio corpo:
o commence le corps humain?
nel mezzo: nel mezzo del cammino: nel mezzo
della mia carne:
car la bouche est le commencement:
nel mio principio
la mia bocca: parce quil y a opposition: paradigme:
la bouche:
lanus:
in my beginning: aleph:7 is my end:
ein gespenst geht um: 8

III

luomo ha un centro: qui est le sexe:


en mso en: 9 le phallus:
nel mio centro il mio corpo:
nel mio principio la mia parola: nel mio
centro la mia bocca: nella mia fine: am ende:
in my end: run:10 is my
beginning:
lme du mort sort par le pied:
par lanus: nella mia fine
war das wort:
in my end is my music: 11
ette, conne, ronne:

Questo gioco di specchi, questa combinatoria di unit semantiche, quasi


frammenti culturali di un palazzo terremotato, sembra volerci ricordare un
assioma tanto vero quanto solenne: significato relazione. Il percorso di relazioni
verbali tracciato da Sanguineti complesso e intricato quanto laccumulazione di
significati e di segnali che vengono marcati dal loro rapporto con lingue diverse.
Inoltre, ogni possibile relazione fra gli elementi diversi non regolata
sintatticamente e resta quindi sostanzialmente aperta. La poesia di Sanguineti,
concettualmente musicale per conto suo, ci ricorda in maniera particolarmente

5 Nel mezzo (in medio), linizio della Commedia dantesca.


6 O commence...: un passo di Georges Bataille (citato da R. Barthes) dove viene trattato un
tema antropologico, molto frequente fra i primitivi, dove sia il principio e dove sia la fine del
corpo (quindi, dove entri nel corpo, alla nascita, lanima, e dove esca alla morte).
7 Aleph la prima lettera dellalfabeto ebraico.
8 Ein gespenst geht um: le prime parole del Manifesto di Marx ed Engels.
9 En mso en (in mezzo era): calco sul Vangelo secondo San Giovanni.
10 Omaggio a J. Joyce (run da riverrun di Finnegans Wake).
11 Is my music: omaggio a Luciano Berio (lettera privata).
vivida un altro solenne assioma che interessa da vicino lesperienza della musica
vocale: il significato di una parola pu esser sempre lo stesso (un tavolo sempre
un tavolo) mentre il senso e le funzioni di una parola sono sempre mutevoli. Una
modificazione di contesto, di intonazione e di inflessione possono dare un senso e
un peso diverso allo stesso enunciato. Cio, una modificazione sul piano
dellespressione equivale a una modificazione sul piano del senso. Ed proprio
questo il tema centrale del documentario A-Ronne, tema che non solo gi
implicito nella poesia di Sanguineti, ma che evidentemente presente ogni volta
che si ha a che fare con lincontro e la compenetrazione espressiva di una struttura
verbale e di una struttura musicale (o meta-musicale). Nel documentario A-Ronne
le modificazioni espressive (e di senso) vengono ossessivamente e arbitrariamente
imposte, sempre diverse, su un testo relativamente breve. Non solo. In A-Ronne
non c musica in senso proprio e quindi non c un vero incontro (o scontro) fra la
dimensione linguistica e quella musicale. Le situazioni musicali sono esempi di
comportamento vocale fra i tanti ed evocano banali maniere di canto. I cinque
attori leggono e rileggono il testo poetico originale illuminandolo, trasformandolo
e filtrandolo attraverso un vasto repertorio di gesti vocali specifici (dal richiamo
allinsulto, dal piangere al ridere, dalleloquio volgare al sussurro erotico,
dallafasia allacrobazia articolatoria, dal rumore fisiologico al canto di chiesa, dal
confessionale alla piazza, alla caserma, alla lezione di canto ecc.). Si tratta in
sostanza di una ri-lettura continua delle citazioni di A-Ronne attraverso un ampio
repertorio di citazioni di gesti e di stereotipi vocali: una ri-lettura continua
condotta senza vere e proprie interferenze musicali, con gli strumenti del testo
stesso.
Un testo, quando complesso, va comunque riletto e va esplorato da angoli
diversi. La grande polifonia vocale del passato, nel cui ambito si sviluppato il
pensiero musicale europeo, metteva in musica soprattutto testi universalmente
noti. Per esempio il testo della Messa. Chi ascoltava sapeva cosera un Kyrie o un
Gloria e, diversamente dallautorit vaticana, non si sentiva minimamente
defraudato se ardite e complesse architetture contrappuntistiche gli impedivano
una percezione vocale, parola per parola, del testo. Anzi, stata proprio questa
libert acustica nei confronti del testo della Messa che ha permesso ai grandi
creatori di esplorare nuovi territori musicali di grande intensit e complessit
espressiva (Ockeghem, Palestrina, Bach e Beethoven). In epoche pi vicine a noi,
invece, forme e maniere letterarie da una parte e forme e maniere musicali
dallaltra avevano un ampio campo di coincidenza metrica, prosodica, retorica e
formale: basti pensare a Mozart, alla grande stagione liederistica e a Debussy, dove
questo rapporto di contiguit fra testo poetico e musica promuove una interazione
illimitata di campi espressivi omogenei. Oggi frequente il caso di compositori
che mettono in musica testi letterari di grande complessit, di difficilissima
comprensione quando cantati e, anche, di ardua lettura. Il compositore dovrebbe
allora organizzare musicalmente diversi gradi di percepibilit, decidendo quali
parti del testo possano essere occultate, o quasi, dalla musica e quali invece
debbano esserne illuminate. C infine una tendenza che faccio mia e che, nella sua
globalit, non esclude necessariamente le altre. Penso alla possibilit di usare
criteri musicali per lanalisi e per la riscoperta espressiva di un testo, dando, a chi
ascolta, la possibilit di percorrere e ripercorrere coscientemente il meraviglioso
itinerario, sempre da riscoprire anche nellesperienza musicale, fra suono e senso.
Nella musica vocale questo itinerario meno astratto e pi tangibile che nella
musica strumentale. E comunque profondamente emozionante che il pensiero
musicale ci permetta la conquista di un senso ulteriore, e di un altro e poi di un
altro ancora, senza mai perdere contatto con quello che dice la voce. Questa
tendenza alla globalit dellespressione vocale implica innanzitutto il rifiuto di una
concezione dualistica e un po archeologica del linguaggio, che pone il suono da
una parte e il senso dallaltra, in una prospettiva che, adattata alla musica, pu
condurre a una divisione moralistica fra suoni e rumori, fra vocali e consonanti e,
fatto qualche passo pi in l, fra il bene e il male.
Tutti gli elementi del linguaggio possono concorrere allespressione poetica
e al senso, cosi come ogni elemento vocale pu essere convertito in musica. Roman
Jakobson, che ho avuto la fortuna di conoscere, amava raccontare un aneddoto. In
Africa cera un missionario che si lamentava del fatto che gli indigeni fossero
sempre nudi. Ma anche tu sei nudo gli dissero un giorno gli indigeni indicando
la sua faccia. Certo, ma solo la faccia. Ebbene - replicarono gli indigeni - per
noi la faccia dappertutto. Lo stesso vale per la poesia, conclude Jakobson: la
faccia della poesia dappertutto, ogni elemento linguistico pu essere convertito in
figura poetica. []

(in: A.Ziino (a c. di), Musica senza aggettivi. Studi per


Fedele d'Amico, Firenze, Olschki, 1991)
NANNI BALESTRINI
Edoardo Sanguineti
Come agisce Balestrini
(1963)

Il nome di Balestrini oggi legato, con un certo sapore di scandalo,


soprattutto alle prime sperimentazioni di una poesia ex machina: e diciamo subito
che sarebbe assai ingiusto insistere sproporzionatamente sopra questo aspetto del
suo lavoro, e da questo voler dedurre la sua intiera immagine di scrittore, come
sarebbe ingiusto, per contro, mettere questa zona della sua attivit, pudicamente e
prudentemente, tra buone parentesi. La verit che la poesia elettronica , di tutte
le sue ricerche, almeno in un senso ideale, ma certo anche secondo una tutta
empirica cronologia, il naturale esito estremo.
In effetti, Balestrini ha composto versi che tendevano al collage e, pi oltre,
e pi allusivamente, alla poesia ex machina, assai prima di impiegare direttamente
questi strumenti specifici: si servito, a partire gi dalle sue primissime prove, di
una condizione di discorso per cui la parola era, ad un tempo, sospesa dai normali
rapporti sintattici e trattata come elemento bruto, ostentatamente gravida, nei
continui effetti di parlato, del suo peso pratico, e proprio di pratica alienazione,
compromessa dal consumo immediato, e rimontabile, per ci stesso, in un patetico
calcolo combinatorio. Chi guardi oggi allintiero tracciato di Come si agisce, pu
ristabilire, per quel tanto di fedelt alle date che lo scrittore ha dimostrato, in
essenza, nellatto di esporre il suo lavoro come un tutto coerentemente svolto, i
morbidi trapassi verificabili, di volta in volta, dalluna allaltra fase, in un continuo
processo di chiarimento, sino allesplicita e clamorosa rivelazione contenuta nelle
pagine ultime. E si voglia qui anche indulgere per un attimo alla eventuale
diffidenza dellingenuo lettore, e interrompere lesplorazione del libro alle soglie
delle prove concrete ed elettroniche, e, per estrema cautela, ancora al di qua di
quelle Tavole dei poemi che sono pure la chiave di volta della lettura, poich
proiettano, sopra tutto lo scheletro del libro, la configurazione interna di ognuno
dei singoli testi. Si resti insomma, per ipotesi, alla sezione che ha per titolo Lo
sventramento della storia, e si tenti di degustarla secondo i modi pi
pacificamente tradizionali: si sar costretti a cercare un appoggio in quelle tante
dichiarazioni tutte scoperte ("giacch ogni struttura di valori oggi una struttura
falsa una struttura / falsificante), che ci riportano, immancabilmente, dai
contenuti alle forme, dalla "struttura di valori che il libro intende sottoporre a
giudizio (e a "sventramento), alla struttura formale che regola lesercizio di quel
medesimo sventramento": alle strutture sventrate, appunto, proprie di Balestrini.
Inutile dire che nella medesima pagina potremo leggere di un avvenimento
puramente linguistico". Se i campioni minimi che abbiamo scelto sono scelti bene,
dedurremo cosa facilmente verificabile per tutto il volume: il carattere
drammaticamente e ironicamente critico del testo.
Cerchiamo subito il significato ultimo del libro. Al limite, si pu dire che
questo volume cos concluso tende a presentarsi, intrinsecamente, come
estensibile allinfinito: unapparenza necessaria al sistema del testo. Si vorr poi
anche dire che , interiormente, nelle sue parti e frammenti, sostituibile e
modificabile: e in questapparenza il suo significato. Perch appunto, a voler
scolasticamente risolvere Come si agisce in una serie di tesi (il che pare essere
proprio di ogni libro che ha davvero un significato), la prima rubrica potrebbe
consacrarsi alla capacit di significato espressivo indiscriminatamente conferibile,
per puro gesto, alla totalit del dicibile, una volta che intervenga uno straniamento
dal contesto pratico, perch il lacerto possa essere, come sopra si diceva, sospeso e
rimontato. Il fenomeno invera i vecchi propositi di poetica dellautore, dal tempo
in cui apparve lantologia dei Novissimi, allorch Balestrini scriveva: Le strutture,
ancora barcollanti, prolificano imprevedibilmente in direzioni inaspettate, lontano
dallimpulso iniziale, in una autentica avventura. E da ultimo non saranno pi il
pensiero e lemozione, che sono stati il germe delloperazione poetica, a venire
trasmessi per mezzo del linguaggio, ma sar il linguaggio stesso a generare un
significato nuovo e irripetibile. Si capisce come Giuliani evocasse allora, in
proposito, i collages di Schwitters. Lopera esprimerebbe cos, in senso
diagnostico, quella totalit di suggestione, automatica e sradicata, che il fatto
verbale, oggi, storicamente possiede, denunziando intanto che la suggestione non
raggiungibile se non per via di automazione e sradicamento. Si svela il carattere
di mistificazione magica di tutti i linguaggi presenti, attraverso la semplice
sospensione della loro praticit concreta, e in ferma conservazione della loro
praticit ideale, e cio, , direttamente, dei valori semantici. Si opera cos la
trasformazione magica, esattamente al modo in cui, per ottenere un sogno,
sufficiente ed necessario dilatare e comporre i residui diurni (che poi, teste
Vico, il modo che la fantasia tiene nei confronti della memoria).
Di qui, come ovvio, tutta lambivalenza dellopera: essa dimostra, per un
verso, che tutto il dicibile trasformabile in sogno (ossia in poesia), cui la ragione
assista, come buona regola (anche con lintervento di buone macchine razionali,
se occorre al caso); ma per altro verso essa toma a confidare, ancora una volta,
sopra la categoria romantica della dilatazione e della composizione, riprendendo il
mito al suo punto estremo, e precisa-mente al punto del suo sventramento. Da un
lato si dimostra cos l'incapacit di resistenza di tutto ci che, nella nostra mente,
coscienza di realt; dallaltro lato, su questa stessa incapacit di resistenza, si
instaura una speculazione estetica. Balestrini interrompe, come conviene, la
composizione del libro, al punto in cui il lettore, posto che abbia ripercorso
adeguatamente le fasi operative e appreso di conseguenza linsegnamento che esse
comunicano, pu continuare per proprio conto. E avr imparato, appunto, come
si agisce". Ma chi intanto discorre di opera aperta trova nuovo esempio, e, nel
profondo, nuova categoria: perch lapertura qui, non pi laccidente in sostanza,
e cio un criterio formale e formativo, ma il contenuto stesso del libro, la sostanza
di tutti i suoi accidenti. E ci comporta il superamento della categoria originaria,
nella misura in cui essa era costituita come relativa e compresente (idealmente e di
fatto) alle opere chiuse della tradizione: avventura contro ordine. Il libro di
Balestrini, pi radicalmente ormai, e pi semplicemente, ignora la possibilit
stessa della chiusura formale: una calcolata combinazione che viene proposta,
esplicitamente, come scelta tra le infinite combinazioni possibili del materiale
linguistico, in un universo tutto formato di mere possibilit e combinazioni
linguistiche. La macchina, a questo punto, pu certamente aiutare, ma non pu,
altrettanto certamente, far meglio del poeta, in materia di arte combinatoria.
Abbiamo voluto precipitare le cose, sino a ricercare, prima di una vera descrizione,
un significato. Ora si pu anche dire che il metodo seguito qui era assolutamente
indispensabile: lopera di Balestrini tende infatti a consumarsi, per natura, nella
sua descrizione. Se Balestrini incontra, a un certo punto, una paralisi provvisoria
della facolt poetica, siamo di fronte a un imbarazzo tutto interno, al solito, al
sistema. La descrizione dellimbarazzo, si potrebbe persino suggerire, la finalit
interna dellopera, una teleologia che lautore, per avventura, poteva anche
ignorare, nel momento in cui si poneva al lavoro, ma che lopera, per s medesima,
conosceva da sola, e prima del suo autore. Nell'ex machina in cui Balestrini va a
parare, chi non sentir allora la vecchia presenza del deus? Il divino furore del
poeta, giusta i primitivi e sacri canoni tipologici, si converte nell'infinita possibilit
tecnica dello strumento elettronico, eletto a stimolo immaginativo e a esecutore
manuale, e esattamente in proporzione alla capacit del poeta di interiorizzare,
con il dio, la macchina che lo assiste e che sbriga il lavoro servile.
Ma occorre, di fronte al calcolo combinatorio del poeta, per buona
simmetria, combinare bene gli elementi della nostra diagnosi. Perch tutta
linterpretazione di Balestrini e sar condizionata, non meno del significato che
potr scaturire da due elementi di una sua combinazione, da un prima e da un
dopo. Si capisce infatti che se muovo a parte subjecti, e guardo a questa novissima
poetica del dilatare e del comporre, mi trovo un Balestrini che taglia i suoi fiori
asettici di radici quadrate, secondo unimmagine che gi classica, e posso evocare
tutti i mostri delle avanguardie novecentesche, e anzi, volendo, ripartire da Vico: e
riuscir anche a non fargli toccare mai terra. Potr stabilire che tutto questo che si
detto si svolge in laboratorio, e potr anche non avvedermi, con le migliori
intenzioni, del fatto che sono io che, in laboratorio, svolgo queste operazioni di
descrizione, interpretazione e giudizio che mi istituiscono e autorizzano, tutto
criticamente specializzato, a discorrere di un avvenimento puramente
linguistico. Eppure avrei il sacrosanto timore, in tale ipotesi, che il deus ex
machina di Balestrini prendesse della mia diagnosi allegra vendetta, dilatandomi e
combinandomi, dopo avermi fatto a brani. Cos, per sfuggire allo strazio, e per
avvertire il mio errore combinatorio, sar sufficiente che io mi provi a ripetere
loperazione muovendo a parte objecti, e cio muovendo da quella tale
disponibilit indifesa verso la magia del sogno che lopera massicciamente e
minacciosamente testifica, non pi per s, ma per luniverso di linguaggio in cui
siamo chiamati ad agire. E qui il sugo della faccenda: perch allo psicologo
domanderemo, volendo, e posto che egli sappia risponderci, le cause del nostro
molto sognare, ma domanda assai pi imbarazzante, e difficile a indirizzarsi,
quella che metta in questione il fenomeno per cui, piaccia o non piaccia,
l'esperienza del reale in cui siamo immersi, ivi compresa, per supremo sintomo, la
nostra capacit di pensiero, si rende passibile di fruizione soltanto se vissuta
autenticamente come residuo. Che io impieghi i residui nel sogno o le parole in
poema, cosa che non modifica in ' nulla la qualit dellesperienza: il fatto dice
qualcosa che non mette in causa n i sogni n i poemi, immediatamente, ma,
piuttosto, la realt. Al pi potremo dedurre che i fantasmi del sogno dicono
qualcosa di vero, nella misura in cui il libro , come deve essere, allegoria del
mondo.
Non si dovr con questo nascondere il fatto che il volume conserva tutto il
naturale segno del suo peccato di esistere, se entrambe le possibilit di
combinazione del giudizio possono rimanere logicamente in piedi: che
lambiguit di cui sopra. E sarebbe molto se anche per questo fatto si potesse
ripetere: interno al sistema. Ma qui, veramente, cessano le responsabilit di
Balestrini, il quale, almeno al riguardo, il sistema se lo trovato tutto pronto, nelle
condizioni storiche. Chi voglia fare di lui una figura di quella che ormai si definisce
come la nuova avanguardia, ha buon giuoco: purch avverta la forza di simile
condizione storica, e tutto quel registro che essa implica e impone. Il limite storico
sar poi, nel suo caso, che il processo romantico della fantasia rimane non
superato e non superabile, se non in quanto, precisamente, superato ancora nella
forma della fantasia. E sia pure, come sappiamo, di una fantasia ex machina. Su
questo siamo in grado di precedere molte inevitabili recriminazioni, e fare di pi:
dire come sopravviva, nello sventramento, tutta quella fiducia romantica nella
magia della parola straniata e sospesa, nella parola disinteressata, e cio dilatata e
combinata. Ma si rovesci ancora: perch tutto sopravvive nellinforme di cos
energico sventramento.
Ricordo le prime poesie di Balestrini, che lessi, nel 1957, sopra il Verri.
Oggi, a rileggerle in volume, si sente che vengono tanto prima del diluvio delle
prove ultime, e che quel diluvio invocano, proprio come complici della forma della
fantasia, come ancora remote, per insistere su questi termini, dallinforme dello
sventramento. Balestrini giunto davvero in fondo, senza esitazioni, a quel vicolo
cieco che, fatalmente, lo attendeva. Ed fortuna che del suo libro si possa dire,
comunque abbia a prolificare in qualit di duro esempio, che non apre nuove
strade: appunto per questo pu riuscire, oggi, allegoria amaramente credibile del
nostro mondo.

(in: Ideologia e linguaggio, cit.)


N.B.

Spezzando le frasi e anche le parole,


accostandole in modi apparentemente arbitrari,
voglio arrivare a far scaturire un significato pi profondo, irrazionale,
che generi emozioni mentali, come fanno la musica e la pittura,
non ragionamenti

Empty Cage *

1
ci sono tante e tante cose che possono andare insieme
senza sapere quale sar il risultato
ogni ripetizione deve provocare un'esperienza del tutto nuova
abitare il mondo intero non frammenti separati del mondo
ciascuno di noi il centro del mondo senza essere un io
il mondo non diventa si muove cambia

2
non ho nessuna idea di come tutto questo avviene
qualsiasi cosa causa ogni altra cosa
non crediamo nella natura umana
ci sono due modi di scendere dalla montagna
le circostanze determinano i nostri atti
l'altro modo scivolare gi dopo aver raggiunto la cima

3
immaginiamo una strada con molta gente
un silenzio pieno di rumori
ciascuno di noi il centro del mondo senza essere un io
ci che conta ci che avviene
senza sapere quale sar il risultato
una maniera di aprirsi all'assenza di volont

* Allusivamente organizzato in sestine (con preciso, bench labile, riferimento al metro


introdotto da Arnaut Daniel), questo testo, quasi un manifesto della poetica balestriniana,
riprende manipola sovrappone ricombina frammenti teorici di John Cage, per forza di un' ars
combinatoria puntata verso l' indeterminato e l'aperto. Sul Balestrini combinatorio, v. il
verri, n.38, ottobre 2008, numero monografico Attivit combinatorie da partire dal Tristano
di Balestrini. Per quel che riguarda le collaborazioni con musicisti, da parte di Balestrini (a partire
da quella con Luigi Nono), v. Milleuna: parole per musica, prefazione di M.Gamba, Roma,
DeriveApprodi, 2007 (libro+cd).
4
non crediamo nella natura umana
il nulla in tutte le cose quindi anche in me
ci che conta ci che avviene
il mondo reale non un oggetto un processo
qualcosa che avviene qualcosa di inatteso di irrilevante
ci sono due modi di scendere dalla montagna

5
un modo quello di cadere gi quando la state scalando
continuando a restare schiavi dell'azione e della logica
il significato l'uso
il sentimento in ciascuno di noi non nelle cause esterne
l'uso assicura il non ordine la libert
la possibilit di vedere accadere qualsiasi cosa

6
bisogna andarsene da qui
abitare il mondo intero non frammenti separati del mondo
il mondo reale non un oggetto un processo
qualsiasi cosa causa ogni altra cosa
le cose devono entrare in noi
l'istante sempre una rinascita

7
le cose vanno e vengono
ogni ripetizione deve provocare un'esperienza del tutto nuova
soprattutto questione di cambiamento
l'indeterminazione il salto nella non linearit e nell'abbondanza
ci che avviene accade ovunque e contemporaneamente
poich tutto gi comunica perch voler comunicare

8
perch tutto possa accadere
mentre nella conversazione nulla si impone
non solo non lo voglio ma voglio distruggere il potere
princpi e governi sono ci che favorisce l'oblio
bisogna andarsene da qui
siamo sempre pi impazienti e diventeremo sempre pi voraci

9
ci sono tante e tante cose che possono andare insieme
struttura e materiale possono essere legati oppure opporsi
quello che mi interessa non sono le regole ma il fatto che le regole cambino
il mondo non diventa si muove cambia
le vecchie strutture del potere e del profitto stanno morendo
un modo quello di cadere gi quando la state scalando
10
il nulla in tutte le cose quindi anche in me
un silenzio pieno di rumori
qualcosa che avviene qualcosa di inatteso di irrilevante
incontri tra elementi eterogenei che possono restare senza alcun rapporto
ammucchiati tutti insieme e allo stesso tempo
un gioco senza scopo un'assenza di finalit

11
l'uguaglianza del comportamento nei confronti di tutte le cose
costruire cio riunire ci che esiste allo stato disperso
immaginiamo una strada con molta gente
un'opera su un'opera come tutte le mie opere indeterminate
io non ho niente da dire
comunicare sempre imporre qualcosa

12
mentre nella conversazione nulla si impone
ciascuno libero di provare le sue emozioni
l'uguaglianza dei sentimenti verso ogni cosa
lasciando alle cose la libert di essere ci che sono
le cose devono entrare in noi
l'istante sempre una rinascita

13
struttura e materiale possono essere legati oppure opporsi
ammucchiati tutti insieme e allo stesso tempo
frantumare la loro linearit
perch tutto possa accadere
quello che mi interessa non sono le regole ma il fatto che le regole cambino
soprattutto questione di cambiamento

14
costruire cio riunire ci che esiste allo stato disperso
senza sapere quale sar il risultato
l'altro modo scivolare gi dopo aver raggiunto la cima
un clima molto ricco di gioia e di smarrimento
le vecchie strutture del potere e del profitto stanno morendo
occorre liquidare il dogma produttivistico e del profitto

15
frantumare la loro linearit
lasciando alle cose la libert di essere ci che sono
la tirannia e la violenza sono dalla parte della linearit
comunicare sempre imporre qualcosa
continuando a restare schiavi dell'azione e della logica
princpi e governi sono ci che favorisce l'oblio

16
non solo non lo voglio ma voglio distruggere il potere
occorre liquidare il dogma produttivistico e del profitto
respingere le esclusioni le alternative radicali tra opposti
sforzandosi di provocare un altissimo grado di disordine
un clima molto ricco di gioia e di smarrimento
siamo sempre pi impazienti e diventeremo sempre pi voraci

17
la tirannia e la violenza sono dalla parte della linearit
l'indeterminazione il salto nella non linearit e nell'abbondanza
non sopprimere le possibilit ma moltiplicarle
una maniera di aprirsi all'assenza di volont
le cose vanno e vengono
le circostanze determinano i nostri atti

18
cerco di non rifiutare mai nulla
ci che avviene accade ovunque e contemporaneamente
sforzandosi di provocare un altissimo grado di disordine
l'uso assicura il non ordine la libert
ciascuno libero di provare le sue emozioni
il sentimento in ciascuno di noi non nelle cause esterne

19
incontri tra elementi eterogenei che possono restare senza alcun rapporto
cerco di non rifiutare mai nulla
respingere le esclusioni le alternative radicali tra opposti
non sopprimere le possibilit ma moltiplicarle
la possibilit di vedere accadere qualsiasi cosa
l'uguaglianza dei sentimenti verso ogni cosa

20
un'opera su un'opera come tutte le mie opere indeterminate
un gioco senza scopo un'assenza di finalit
non ho nessuna idea di come tutto questo avviene
io non ho niente da dire
poich tutto comunica gi perch voler comunicare
il significato l'uso

(in: Caosmogonia, Milano, Mondadori, 2010)


Le Milleuna
di Nanni Balestrini

Sai di Sente le Smuove Sporgendola


Salata Senza forza Sobbalza Spossata
Saliva Senza le Soffice Spremendo
Saltandola Separandole Sognando Staccatasi
Sangue dal Se ti fa male Soggiaci Stanca
Sanguina Se ti muove Solletica Standoci dentro
Saturata Se respiri Sollevandola Stando ferma
Saziare Seta Solo con Strappandola
Scaldando le Sete Solo nel Stremata
Scambiandosi Sfinendosi Soltanto Stretta
Scende la Sfiorare Sommersa Stringendo
Schiuse le Sgusciando Sommessa Strisciare
Schiuma Si appoggia sul Sospesa al Strizzando
Sciogliere Si apre Sospinta Successiva
Scivola dentro Si arresta Sospirando Succhiando
Scivola via Si chiude Sospiri Sudate
Scivolosa Si contrae Sottile Sugli occhi
Scoprire Si curva Sotto il peso Sulla pelle
Segnandola Si gira Sotto le mani Sul ventre
Sei entrata Silenziose Sotto vibrando Supina
Sempre meno Si riempie Spaccata Svanire
Sempre pi Si schiude Spalle in Svegliandosi
Sensibile Slacciata Spasimare Svelta nel
Sentendo la Slargando Spingendo Svestita
Sentendosi Smarrita Spinta verso Svuotata

[Pice per danza di Valeria Magli, 1978, con musica/esecuzione di Demetrio Stratos]
Marzia DAmico

Valeria balla milleuna


balestrini sciamano asemantico
per la trance vocale di Demetrio Stratos.1

Le cerimonie sciamaniche delle genti primitive, come te-


stimoniato da diversi autorevoli studi di etnologia e antro-
pologia poi ripresi da teorici della performance,2 erano al
contempo riti sociali ed eventi darte. Spesso banalizzati da
ambigue etichette magico-mistiche dovute ai rigidi para-
metri culturali occidentali, i riti cui utile guardare oggi
per arrivare a una denizione puntuale dello spazio della

1
Questo lavoro consiste nella rielaborazione di un capitolo della mia tesi di Lau-
rea Magistrale, discussa presso lUniversit La Sapienza di Roma nel luglio del
2013. Ringrazio i miei relatori, Tommaso Pomilio e biancamaria Frabotta, per
la disponibilit con cui hanno guidato le mie ricerche. Per laiuto e la testimo-
nianza che mi ha concesso intorno allevento qui trattato ringrazio anche, di
cuore, nanni balestrini.
2
bisogna citare almeno il lavoro di Richard Schechner, tra i pi importanti teo-
rici della performance contemporanei, e in particolare il suo studio actuals del
1970. nel saggio lautore spiega alcuni fondamenti della teoria della perfor-
mance attraverso lanalisi delle pratiche rituali della societ nordaustraliana
Tiwi. il suo percorso teorico passa attraverso lestetica di Platone e quella di
Aristotele. Cfr. R. Schechner, actuals: a look into performance eory, in A.
Cheuse R. koer (a cura di), e rare action: essays in Honour of Francis
Fergusson, Rutgers University Press, 1970, in particolare pp. 35-67 (trad. it. ac-
tuals: rituale primitivo e teorie della rappresentazione, in La scrittura scenica,
n. 7, a. 1973, pp. 32-68).

265
performance nel campo dellestetica erano (e sono tuttora
presso alcune civilt) composti dalla simultaneit di diverse
azioni poetiche che la gura centrale dellavvenimento, lo
sciamano, doveva comporre con sapienza esatta3 o ripetere4
nel momento dellesecuzione. La funzione di questa gura,
capace di raggiungere una sorta di ipotesto assoluto da cui
trarre i materiali da performare il cosiddetto tempo del
sogno5 come si raggiunge un luogo concreto, era quella

3
Pena il mancato riconoscimento del suo ruolo di guida spirituale e di voce poe-
tica presso la comunit. in ogni caso, a riprova del carattere interattivo (e dun-
que autenticamente performativo) delle pratiche in questione, alcuni studi
dimostrano che il pubblico poteva intervenire per salvare il performer da una
perdita dei suoi doni dovuta a una cattiva esecuzione dei moduli colti nel dre-
amtime. A questo proposito vd. J. Rothenberg, technicians of the Sacred, Gar-
den City, Doubleday, 1968, p. 385; e in particolare lautorevole A. Lommel,
Shamanism: the Beginnings of art, new york, McGraw-Hill, 1967, p. 148. in
questo testo Lommel aerma che the shamans social function consists above
all in bringing psychic calm and condence to the tribal community by revitalizing
and intensifying its notions of the world (p. 12), ma dal suo processo terapeu-
tico scaturisce una creativit artistica i cui risultati sono eettivi prodotti arti-
stici mai adeguatamente indagati dagli studi.
4
Giacch, come vedremo, le cerimonie erano costruite su una grammatica memo-
rizzabile che prevedeva costitutivamente lopportunit di riproporre i medesimi
testi con le uniche varianti dettate dalla natura stessa di ogni esecuzione perfor-
mativa: reazioni, stato sico dellattuante, circostanze ambientali e simili.
5
il dreamtime un concetto nato appunto negli studi etnoantropologici sulla
trance. Si fa largo uso del termine anche nei performance studies. Per un appro-
fondimento vd. tra gli altri: F.A. Wolf, e dreaming universe: a mind-expan-
ding journey into the realm where psyche and physics meet, new york, Simon &
Schuster, 1994; G. Gotti D. Sandrini (a cura di), dreamtime: lo spirito del-
larte aborigena, Venezia, Marsilio, 2011. Curiosamente, il concetto potrebbe
risultare familiare a chi ne sente parlare per la prima volta in termini antropo-
logici e nelle sue ripercussioni estetiche ricordando i vari e vivaci inussi che
ha avuto nella cultura popolare: da ranati comics postmoderni e graphic novels
di Grant Morrison alla serie televisiva Star trek, in cui il mitico Capitano kirk
esce dalla nostra dimensione proprio per esplorare la realt primordiale del dre-
amtime. La vicenda fantascientica testimoniata da una versione letteraria
della saga. M.W. bonanno, Star trek novel: Strangers om the Sky, Londra,
Titan books, 1987. Per Grant Morrison, il riferimento alla serie di fumetti
degli anni novanta e invisibles. La fortuna pop del dreamtime comunque
precedente: per esempio la band inglese e Cult, pubblicava gi nel 1984 un

266
di apprendere canti e danze presso gli spiriti depositari della
memoria e di trasmetterne la conoscenza agli spettatori at-
traverso la ricomposizione di moduli voco-corporali. Tali
moduli corrispondono a quelle indicazioni sse ma varia-
mente declinabili che nelle arti agite si deniscono script6
(note di regia, nude descrizioni di azioni, prescrizioni su
tono, timbro, pronuncia di parole o suoni, etc.).
il ruolo dello sciamano dunque (e a specchio, in tutte le
sue successive forme autentiche, quello del performer) non
si limitava allesecuzione di danze, canti, enunciati poetici
e azioni; comprendeva una fase creativa, una compositiva,
una puramente performativa e, non secondariamente, una
comunicativa a sua volta caratterizzata da alcuni elementi
fondamentali: interattivit, trasmissione didattica, formu-
lazione artistica ma universalmente comprensibile di con-
tenuti ricevuti dal pubblico, conservazione della memoria
e accoglimento della responsabilit di fornire un modello
di contegno estetico-spirituale. Tale ruolo prevede dunque
una sorta di interessante deontologia, in parte sintetizzata
da un ecace passaggio schechneriano:
i viaggi dello sciamano non sono n ni a se stessi n
personali, dal momento che dovr insegnare ad altri
tutto ci che ha appreso. Svolge, insomma, una funzione
sociale. Lo sciamano apprezzato dalla sua gente. un
esempio e un modello per tutti quelli che vogliono ac-
quistare potere. luomo che sa e ricorda.7

album ispirato al misticismo aborigeno dal titolo, appunto, dreamtime. Daltro


canto evidente come il ciclo di chtulu che ha reso celebre il romanziere H.P.
Lovecra e il suo terricante personaggio sia basata su una simile mitologia.
6
non li chiamo testi, che vuol dire documento scritto dice il gi citato Sche-
chner a proposito di questi elementi minimi dellarte performativa, li chiamo
script che signica qualcosa che preesiste a qualunque esecuzione, che funziona
da traccia, che resta identica da unesecuzione ad unaltra. R. Schechner,
dramma, script, teatro e performance [1973], in id., la teoria della performance,
a cura di V. Valentini, Roma, bulzoni, 1984, pp. 77-111: 79.
7
R. Schechner, actuals: uno sguardo alla teoria della performance [1970], in id.,
la teoria della performance, cit., pp. 39-76: 47.

267
Tutti gli studi che convergono sulle azioni considerabili
arte e sugli attuanti considerabili poeti analizzano dunque
gli elementi che, con le loro variazioni dicilmente preve-
dibili, possono in molti modi inuenzare la resa del pro-
dotto nale che considereremo senza specicazioni ulteriori
un testo. Tale testo infatti il risultato, oltre che della com-
posizione degli script attinti nel corso della fase creativa ini-
ziale, della interazione fra spazio, tempo, performer, azioni
e pubblico8. importante aggiungere a tali elementi un
pesante aspetto che li permea tutti, essendo costituito sia
da una componente materiale embodied sia dal suo statuto
di medium comunicativo: la voce. nonostante le distanze
geograche e culturali di diverse trib, gli script prettamente
vocali si manifestano sempre riconoscibili: assieme agli altri
compongono quei canovacci virtuali che, come abbiamo
visto, presiedono non solo alle singole performance ma anche
alle loro eventuali ripetizioni identiche o ristrutturate.
Sono dunque parte delle posture psicosiche che portano
allo stato di trance, come il resto descritto negli studi sui
riti aborigeni e riscontrato in quelli teatrali e pi in generale
di performance theory nei quali in sostanza coincide con
la fase creativa di secondo grado, che segue alla composi-
zione iniziale pi sopra collegata al viaggio nel dreamtime
degli sciamani.9
Quanto n qui rapidamente sintetizzato porta ad alcune
conclusioni provvisorie sulla performance in genere: si tratta
di una forma darte di matrice rituale in cui un ipotesto in-
dicativo presiede allesecuzione di molteplici testi autonomi,
tutti denitivi nel qui e ora esperito da chi li riceve (il pub-

8
R. Schechner, actuals: uno sguardo alla teoria della performance [1970], in id.,
la teoria della performance, cit., p. 72.
9
Particolarmente utili per intuire la sionomia della trance sono gli studi con-
dotti in bali da belo. Cfr. J. belo, trance in Bali, new york, Columbia Uni-
versity Press, 1960.

268
blico) ma al contempo passibili di modiche anche sostanziali
in successive, altrettanto originali e autentiche ripetizioni
che ne condividono gli script ma non lo spazio e il tempo di
attuazione. Adagiando un simile punto di partenza analitico
come una coperta sullinaerrabile statuto di quella che nel
secondo novecento stata denita poesia performativa, pos-
siamo cominciare a intravederne un prolo denito.
Lesecuzione (e non la semplice lettura) di un testo poe-
tico infatti d origine, secondo gli stessi principi, a una vera
e propria performance. Considerando il singolo momento
di scrittura primigenio alla stregua della fase creativa del
dreamtime (dunque a una raccolta di indicazioni e non alla
nuda stesura del testo) e le successive attuazioni come eventi
in cui gli script prendono le loro molteplici e tutte denitive
forme (facendosi loro stesse testi), ci troviamo ad avere a
che fare con un genere letterario in cui ad ogni qui e ora
corrisponde una nuova poesia e in cui perci lanalisi dei
singoli avvenimenti non pu prescindere dalle variabili che
abbiamo gi elencato (interazione, moduli virtuali a monte,
traiettorie della voce e cos via).
il medium performativo in qualche modo supera lespe-
rienza classica della poesia come testo da vedere,10 ren-
dendola non solo ovviamente multimediale (il corpo del-
lattuante si vede, la sua voce si sente, nello spazio in cui
opera ci sono odori etc.) ma valicando anche altri limiti
imposti dalla codice gutenberghiano. il testo da vedere della
stampa tradizionale stabile, immutabile e, rispetto alla
trasmissione orale, gode di un maggiore prestigio che mette
in cattiva luce gli stilemi delloralit, che assumono unap-
parenza primitiva rispetto al progresso che ha portato alla
scrittura quando sarebbero invece semplicemente il ri-

10
P. bootz, poetic machinations in new media poetry: poetic innovations and
new technologies, Visible language 30.2, Rhode island School of Design, Chi-
cago, 1966, pp. 118-137.

269
sultato di una diversa linea evolutiva11. Rispetto allimmu-
tabilit del testo stampato e della sua diusione, il testo
della performance sempre variabile: ogni volta si assiste a
una delle potenzialmente innite espressioni possibili. An-
che gli imprevisti, che in manoscritti ed edizioni costitui-
scono guasti ed errori, possono essere interpolati felicemente
al testo: il classico buco di memoria ad esempio, il
vuoto, nellesecuzione non tanto un incidente quanto
un episodio creatore come ecacemente spiega Paul
Zumthor12. Esiste dunque una dierenza sostanziale tra
testi lineari semplicemente letti ad alta voce e testi perfor-
mativi, che contengono gi al loro interno la tensione al-
lesecuzione. A spiegarlo in maniera semplice ed elegante
il losofo Hans-Georg Gadamer, che ritiene esserci una
certa dierenza tra il fatto che un testo viene scritto per es-
sere recitato, ed il fatto che un testo debba essere letto da
un foglio; tra il fatto che un testo debba essere recitato, e
sia stato scritto per questo, oppure che, come diventato
sempre pi consueto nella nostra cultura, si calcoli di avere
a che fare solo con la lettura muta13.
il caso che vorrei prendere qui in esame abbastanza
particolare sia per i soggetti che lo costituiscono, sia per la
tecnica compositiva che presenta. La poesia, un lavoro di
nanni balestrini, viene infatti performata (e registrata per
uso successivo) da una voce ulteriore, quella di Demetrio
Stratos, che come vedremo si appropria del testo e ci ore
un esempio lampante di come lesecuzione sia generatrice
ecace di un nuovo testo, anzi, dellunico vero testo. in
sostanza tra gli aspetti pi interessanti del lavoro analizzato
11
Su questi argomenti restano fondamentali gli studi di Paul Zumthor e Walter
Ong. Cfr. almeno P. Zumthor, la presenza della voce, bologna, il Mulino,
1984; e W. Ong, oralit e Scrittura, bologna, il Mulino, 1986.
12
P. Zumthor, la presenza della voce, cit., p. 279.
13
H.G. Gadamer, persuasivit della letteratura, Ancona, Transeuropa, 1988, p.
31.

270
in queste pagine c la netta distinguibilit delle diverse
fasi creative di cui abbiamo appena trattato: lipotesto di
script linguistici (anche se, come vedremo, peculiarmente
dissociati da ogni codice) raccolto dal poeta, che ada
linvenzione di quelli vocali e agiti a due diversi soggetti
che a loro volta li performano, separatamente. intervengono
per di pi due forme di dilazione dei qui e ora sovrapposti:
lipotesto registrato su carta, lesecuzione degli script
vocali registrata su nastro e le azioni sono danzate dal
vivo nel corso di una riproduzione dei precedenti.
La scrittura asemantica di nanni balestrini prevede di
per s una tensione musicale e sonora gi avvertibile nel
corso di una lettura muta. Una simile predisposizione alle
esperienze sonore, [a]i modi di organizzare i suoni, di in-
ventare insiemi di suoni14 non pu che sposarsi con la ri-
cerca vocorale di Demetrio Stratos, che come vedremo ha
lavorato a sua volta sullespressivit pregrammaticale rag-
giungibile dalle pure fone.
Quella di Demetrio Stratos una vicenda davvero singo-
lare e, nellambito dei percorsi della voce nellarte perfor-
mativa, addirittura unica. nato ad Alessandria dEgitto come
Marinetti e Ungaretti, cresciuto ad Atene e l formatosi come
musicista, si trasfer in italia nei primi anni Sessanta meno
che ventenne a seguito del colpo di stato di nasser. Divenne
famoso come cantante rock e beat, dapprima con i Ribelli
(particolarmente celebri il brano pugni chiusi del 1967 e la
cover di oh darling! dei beatles tradotta in italiano) e poi
con gli Area, un gruppo di virtuosi musicisti progressive e
fusion che dest lattenzione non solo del pubblico ma anche
di ranati musicologi. non a caso alle soglie degli anni Ot-
tanta Stratos fu invitato da Jasper Jones a new york, dove
collabor con John Cage e Andy Warhol alla performance
14
M. Gamba, Prefazione, in n. balestrini, milleuna parole per musica, Roma,
Deriveapprodi, 2007, p. 7.

271
musicale e coreutica event. Proprio a new york tuttavia,
ammalatosi gravissimamente forse a causa di una bizzarra
condotta farmacologica (per anni, su discutibile consiglio di
un medico, prese ininterrottamente un antibiotico al giorno),
mor a soli 37 anni nel 1979.15
negli ultimi anni della sua vita, lartista condusse una
sorprendente ricerca sperimentale sulla propria voce, che
divenne capace di suoni quasi impossibili, addirittura stu-
diati scienticamente da esperti di acustica come Franco
Ferrero, Lucio Croatto e Andrea Accardi. Gli studiosi
hanno concluso, descrivendo elettroacusticamente le emis-
sioni di Stratos, che durante alcuni vocalizzi lartista riusciva
ad emettere dei schi distinti a diverse frequenze, tutte at-
testate oltre le capacit della vibrazione delle corde vocali.16
La ricerca di Stratos comunque non riducibile alla di-
mensione pi atleticamente performativa: egli sfruttava
la sua sola voce per registrare vere e proprie musiche astratte
composte da suoni diversi ma eseguiti in contemporanea.
Lui stesso li chiamava autofonie, diplofonie e triplo-
fonie. Gli ultimi due termini costituiscono il titolo di un
suo celebre pezzo, in cui sintetizzato gran parte del portato
dei suoi esperimenti. Oltre a poterla ascoltare nelle regi-
strazioni Cramps,17 lopera stata anche scritta sulla pagina
dallartista in diverse forme, una delle quali pubblicata po-
stuma nel raro fascicolo darte codice Biancaneve interna-

15
Le informazioni bibliograche qui sintetizzate sono desunte da J. Haouli, de-
metrio Stratos. alla ricerca della voce-musica, Milano, Cramps-Auditorium,
2009. La monograa che contiene un utile compendio dei pi estremi espe-
rimenti vocali di Stratos in CD anche stata utile per reperire i riferimenti
bibliograci per gli studi scientici pi avanti menzionati e citati.
16
Cfr. E. Ferrero L. Croatto M. Accardi, descrizione elettroacustica di alcuni
tipi di vocalizzo di demetrio Stratos, in Rivista italiana di Acustica, n. 4,
1980, pp. 229-258. Larticolo corredato da graci e schemi illustrativi.
17
Oltre che nel CD delletichetta Cramps inserito nella monograa poco sopra
citata, il pezzo pubblicato nella versione sottotitolata investigazioni su
youtube <http://youtu.be/D9p7iMTzCf0>.

272
tional curato da Dario Villa e Franco beltrametti.18 in essa,
ecacemente sintetica del tipico lavoro la Stratos, il can-
tante emette una lunga nota vibrata su cui, con ritmo va-
riabile, esplodono dei brevi suoni simili a pizzicati o a note
di xilofono. La nota usata come basso continuo riparte ogni
volta che nisce il ato e progressivamente sale, nch non
raggiunge un culmine in cui, inspiegabilmente, si sdoppia
in due note: una piena e una pi sottile, simile a una vibra-
zione acuta di cristallo o allonda di uno strumento elettro-
nico. Le note schioccate come di xilofono si diradano e
la voce, in chiusura, perde ogni connotato umano, diven-
tando un ruggito simile a uninterferenza.

il percorso ben rappresentato nella sinteticissima im-


magine su codice Biancaneve nella quale, su un breve pen-
tagramma, indicato un do semibreve denito voce vet-
toriale e seguito dai segni del vibrato che ascendono no
a un si disegnato come una semibreve nera duplicata in un
re fantasma, segnato con un tratteggio (si tratta, credo,
della terza voce che interviene raggiunto il culmine ascen-
sionale). Di l la situazione si complica e lautore segnala la
18
D. Stratos, diplofonie, triplofonie, in Codice biancaneve international, n.
0, 1992, p. 32.

273
rottura del percorso comunicativo, rappresentato da
una discesa delle linee del vibrato e da un gruppo di semi-
brevi piene: prima laccordo sol diesis-do, poi un si bemolle,
poi un la, tutti legati a una pausa nale puntata e diramati
da un segno. nella rottura assistiamo a un passaggio
dalla voce ancora umana per quanto ai limiti del possibile
a una voce letteralmente sovrumana, e dunque a un ecce-
zionale superamento del signicante sul signicato: non
solo lopera parte gi dallassenza di codice linguistico, ma
arriva persino a superare con la voce il suono della voce
stessa, attestandosi a un livello di asemantico lirismo asso-
luto. non a caso la triplofonia somiglia alle trifonie
della musica tradizionale mongola, una tecnica che rende i
cantori capaci di emettere tre suoni armonici nel corso di
canti spirituali di trascendenza.
Per loccasione dincontro con lo sciamano balestrini,
avvenuta alla ne degli anni Settanta, questo attuante ol-
treumano permette al testo adatogli dal poeta di concre-
tizzare foneticamente le sue caratteristiche stilistiche. Voce
narrante di una vicenda scivolante in esse (cos costruito
milleuna, il componimento qui in esame) Stratos, forse
non a caso anche lui chiuso onomasticamente tra sibilanti,
raggira quasi con ironia la versicazione pensata dallautore
e, con le corde vocali, d forma seppure immateriale al
signicante dinchiostro sulle pagine, densicandone il si-
gnicato con la dizione.
il bagaglio di multiforme esperienza di utilizzo della voce
come strumento a diversi livelli permette al performer di
vivicare la sonorit intrinseca di cui abbiamo parlato a
proposito della scrittura balestriniana attraverso esperimenti
di lettura inizialmente improvvisati e poi cristallizzati come
script. Secondo la testimonianza diretta dellautore, con cui
ho avuto occasione di conversare in merito alla collabora-
zione con Stratos, nella performance nale il repertorio di

274
toni e timbri stato gestito come una tastiera19. nello
studio di registrazione Stratos, a memoria di balestrini, ha
letto dieci volte lipotesto lineare tentando ogni volta diversi
possibili script vocali da applicarvi.
Come anticipato, la registrazione su nastro dei cento
ipo-versi per dieci volte consecutive il titolo milleuna ne
consegue aritmeticamente venne utilizzata da una ulteriore
performer, Valeria Magli, per una ulteriore improvvisazione,
questa volta per agita col corpo e messa in scena senza re-
gistrazioni al Teatro Out\O di Milano nel 1978. Quelluna
che si aggiunge alle mille, per inciso, mi pare indicare proprio
la milleunesima esecuzione dei versi, quella completa anche
di danza che in fondo nella sua unica versione avvenuta
in un qui e ora ormai perduto rappresenta il solo vero
testo in questione.
Su un palco che il poeta ricorda come un ring di
box, mentre il nastro recitava di seguito le attuazioni
sonore del componimento, Magli eseguiva con laiuto
di diversi oggetti, quali ad esempio un ombrello, delle
ali, una bombetta i propri movimenti scenici appa-
iando agli script linguistici, a loro volta legati a script sonori,
una terza serie di script visivi. La fotografia scenifca si ba-
sava su un effetto di buio intermittente, costruito come
in una sala di discoteca, che offriva al pubblico numeroso
che prese parte allevento una straniante percezione di
continue immagini fisse, proprio come avviene in ambienti
stroboscopici. Magli agiva liberamente e dinamicamente
sul palco, ma la luce le regalava una multiforme composta
immobilit, una serie di scatti continuamente interrotti
mentre la sonorit del testo procedeva senza alcuna inter-
ruzione nella scioltissima dizione di Stratos. Limpressione

19
Da qui in poi le citazioni tra virgolette caporali prive di diversi riferimenti
sono da considerarsi tratte dalla conversazione avuta con nanni balestrini da
chi scrive nellagosto del 2013.

275
finale doveva essere quella di una sorta di galleria foto-
grafica proiettata sul basso continuo delle parole aseman-
tiche, rese significative dalla prosodia.
Possiamo in parte ricostruire loccasione storica che
mise in moto tutto. Mino bertoldo, allora come oggi di-
rettore del teatro, aveva progettato una serie di spettacoli e
performance a tema erotico e aveva invitato balestrini ad
aderire. balestrini scrisse allora milleuna gi pensando a
Magli (il sottotitolo dellipotesto daltronde esplicita-
mente pice per danza di Valeria magli), e pens poi che
per fare agire i versi fosse necessario che le parole, tutte in
s e raccolte in la come moduli svuotati del loro senso ori-
ginario, venissero riempite (o meglio, colorate) con il senso
assoluto e primigenio, slegato dalla necessit di contesti lo-
gici, che solo una spiccata intelligenza vocale pu dare at-
traverso la morfologia prosodica. Coinvolse dunque Stratos,
e lintera operazione oltre naturalmente a rappresentare
un singolare esempio di commistione tra poesia, performance
orale e performance coreutico-teatrale ha nito per costi-
tuire lunico indizio oggi rintracciabile del lavoro che il
poeta e il vocalista avrebbero voluto compiere ma che la
prematura morte di Stratos ha impedito. balestrini dichiara
ancora oggi infatti che avrebbe voluto collaborare di nuovo
e pi a lungo con il cantante sebbene, fuori da milleuna
(che daltronde solo uno dei numerosi duetti a cui il no-
vissimo ha partecipato con vocalisti e attori), non ci siano
altre tracce dellintenso sodalizio artistico che i due inten-
devano intrecciare. Ma torniamo allanalisi.
Se diversi dei vocaboli in esse forse proprio il micro-
incipit di ogni verso linsistito riferimento al sesso richiesto
dal tema del ciclo ideato da bertoldo che si susseguono
sulla pagina mantengono unoscillazione di signicato, la
lettura oerta da Stratos prende una direzione e la ssa. il
testo, sulla pagina,20 costituito da venticinque quartine di

276
versi brevissimi, tendenzialmente di una o due parole, ed
quasi un tautogramma visto che ognuno dei cento versi co-
mincia appunto lo ripeto unultima volta in s. Alla ma-
niera di balestrini, il cui stile caratterizzato dal collage di
brani di linguaggio estratti dalla realt e giustapposti con
tagli e montaggi, formule comunissime vengono mutilate
(sai di; sangue dal; sempre pi; spalle in; si
appoggia sul; svuota la; etc.) e presentate come crudo
signicante vicino a diversi aggettivi al femminile (soce;
sommessa; stretta; supina; salata; etc.), pochi
nomi (schiuma; seta) e verbi variamente coniugati
(succhiando; svanire; saturata; sente; si
apre; sei entrata; etc.). Lesecuzione di Stratos come
anticipato va in questo senso. Con la voce, il performer fa
davvero agire le parole, rappresentandole foneticamente: sa-
liva ad esempio pronunciato deglutendo, saltandola
con improvvisa allegria e insistendo sullo schiocco della den-
tale, la parola schiuma ribolle nella bocca e quando sono
emesse locuzioni come se respiri o sei entrata lesecu-
tore inspira laria creando un suono dinghiottimento. Gli
script vocali sono anche molto articolati e allusivi: sensibile
pronunciato con lapparato fonatorio abbandonato, come
quando si tenta di parlare dopo aver subito unanestesia dal
dentista, in riferimento alla perdita di sensibilit che si ha
quando si addormenta la bocca; le pronunce di si curva
e si gira, invece, imitano leetto doppler che si perce-
20
Composto quasi certamente per loccasione, raccolto sotto il titolo ahim
lontana la signorina richmond sogna Valeria che balla milleuna al XXV canto
del Secondo Libro (la signorina richmond se ne va) di le avventure complete
della signorina richmond. Questa versione tuttavia gracamente rimodellata
per somigliare a una danza gi sulla pagina: le parole sono smembrate e i mo-
duli sono sistemati sulla linea del verso anche in disordine, con spesso in evi-
denza sulla coda (nella posizione in cui dovrebbe esserci il rimante) le s sch
sc etc. che costituiscono la trama allitterante del testi. Cfr. n. balestrini, le
avventure complete della signorina richmond seguite dal pubblico del labirinto,
introduzione di O. Del buono, Torino, Testo&immagine, 1999, pp. 90-92.

277
pirebbe se chi emette la voce si muovesse rapidamente in
tondo attorno allascoltatore. Si creano, in linea con la sud-
divisione in quartine, dei gruppi stroci in cui i versi agiscono
in concerto: nel distico sangue dal | sanguinosa le tre s
sono pronunciate in modi diversi in una progressione dal so-
noro al sordo; la sequenza spasimare | spingendo | spinta
verso | sporgendola || spossata | spremendo | staccatasi |
stanca viene pronunciata con sforzo e costrizione sempre
maggiori, acuendo il tono, nch lultimo verso non disin-
nesca improvvisamente la climax in un crollo vertiginoso, al-
lentando di colpo la tensione in accordo col signicato.
in maniera interessante Stratos non tenta mai di leggere
logicamente o di legare i versi in possibili strutture sensate:
quando ha a che fare con strutture mutile le interpreta in-
dugiando, come se non gli venisse la parola mancante, anche
quando quella parola potrebbe essere il verso successivo.
Cos i primi versi non diventano sai di salata saliva, ma si
attribuisce uno script diverso a ogni modulo: sai di pro-
nunciato con indecisione e allungato in un mugolio pen-
sieroso, salata pronunciato con le labbra allappate e
saliva lho gi detto deglutendo.
in pratica, signicativamente, Stratos riscrive fonetica-
mente il testo di balestrini: non lo interpreta, non scorcia le
sue possibilit di lettura e non ci chiede di aderire alle proprie
conclusioni. La poesia transcodicata e rioerta a chi
ascolta nello stesso grado di indeterminatezza e nudit se-
mantica che aveva nella pagina. Ecco confermati i parallelismi
con gli elementi della performance tribale visti allinizio.
Un altro dettaglio interessante costituito dal fatto che,
nellesecuzione registrata, il performer ripete pi volte lin-
tero poema. Ci signicativo perch, pur non riuscendo
a eseguire una performance esattamente identica, Stratos
riusa pedissequamente la stessa sequenza di script. Le azioni
vocali (sostituzioni dellespirazione con linspirazione, pro-

278
nuncia particolare delle s, cambi di tono, linee della proso-
dia, versi, vibrazioni allungate etc.) si ripetono nel medesimo
ordine associandosi alle medesime parole e chi ascolta pu
facilmente accorgersene con la propria memoria uditiva.
Ecco dunque che allipotesto verbale si associa un ipotesto
prosodico e solo dallesecuzione simultanea dei due si ot-
tiene quella porzione di testo denitivo su cui, in ultimo, si
innesta lipotesto poi agito da Magli.
interessante notare come la variante testuale proposta
da Stratos non venga accolta nella riscrittura del componi-
mento che balestrini ha operato in occasione della pubbli-
cazione de le avventure complete della signorina richmond,
raccolta che vede milleuna tornare muta sulla pagina con
un nostalgico titolo (ahim lontana la signorina richmond
sogna Valeria che balla milleuna) secondo una nuova dispo-
sizione nel layout. Confrontando le due versioni salta subito
allocchio come, pur secondo uno schema e un assetto scelti
di proprio pugno, la variazione oerta sulla pagina poste-
riore alla versione performata da Stratos acquisti una mo-
bilit e una variet di distribuzione dei caratteri che la tra-
sforma radicalmente. il pubblico, questa volta composto da
lettori, si trova di nuovo, ma solo mentalmente, ad interagire
col testo. il titolo, in primo luogo, rimanda a unesperienza
a cui si potrebbe aver preso parte o comunque ore gli ele-
menti necessari per una ricerca (anche rapida e svogliata nel
web) che risolva lenigma memoriale nascosto: lavvenimento
performativo rammemorato dal riferimento alla danza di
Magli. in secondo luogo lirregolarit dellordine dei voca-
boli, distribuiti nello spazio bianco della carta, obbliga a
uno sforzo di attenzione e di ricomposizione attiva delle
possibili linearit presenti simultaneamente sulla pagina.
Una volta di pi si manifesta quella predisiposizione al-
lazione che rende certa poesia balestriniana in questo
caso addirittura, nella raccolta nale, performata tipogra-

279
camente costitutivamente diversa da quella muta, buona
al limite per letture ad alta voce.
Certamente pi vivace e coinvolgente visivamente, se-
condo questa nuova disposizione il componimento torna
dunque sulla pagina con nuovi connotati di performativit,
come testo nuovo e carico di aspettative nei confronti di
chi legge (a cui si richiede un impegno che larte di balestrini
ha sempre manifestato e preteso, sotto ogni punto di vista).
La poesia vocalizzata da Stratos e danzata da Magli sda
ancora oggi, anni dopo la sua unica manifestazione come
testo completo, le possibilit combinatorie e interpretative
richiamando un pubblico solitamente silenzioso e passivo,
quello dei lettori, a un corpo a corpo ingaggiato al limite
della classicazione come semplice poesia. Quello che la
scrittura di balestrini, di per s peculiare in questo senso,
eredita dallesperienza subita al Teatro Out/O lesa-
sperazione della necessit della partecipazione degli altri a
quellazione, altrimenti insopportabilmente solitaria, che
la letteratura.

in "Smerilliana 16" (2014),


a c. di E. D'Angelo e T.Ottonieri

280
ALBERTO ARBASINO
Luca Scarlini
Lirica
Arbasino ha con il melodramma una dimestichezza che si radica nella sua
infanzia e che lo ha visto coinvolto a livelli diversi, ma sempre con grande capacit
di intervento, di volta in volta come narratore, critico, regista (in un unico caso: la
celeberrima, contestatissima Carmen strutturalista realizzata a Bologna nel 1967)
e anche come librettista sui generis. E come se il teatro in musica fosse stato lo
specchio di tutta la definizione del suo universo espressivo, instabile,
perennemente in bilico tra narrazione e riflessione saggistica, appassionato di
scatole cinesi e cortocircuiti arte-vita, che ha trovato in alcune occasioni proprio
nellopera il proprio punto di riferimento centrale. Lo scrittore lombardo quindi
in primis il diarista di una riscoperta che lui stesso ha paragonato per impatto a
quella dei primitivi per i Preraffaeliti: uno shock culturale profondo, che ha
cambiato il destino estetico di una generazione. Cos infatti scriveva a margine di
una Sonnambula del Covent Garden: la novit di questi anni stata invece la
riscoperta del melodramma del primo Ottocento proprio sul piano del gusto,
preparata da Gui e Rossini a Glyndebourne ed esplosa con un trasporto pari alle
eiaculazioni di tre generazioni fa per la pittura antecedente a Raffaello 1.
Laffermazione si riferiva alla situazione britannica, ma vale anche per lanalogo
fenomeno italiano di poco precedente, che lo scrittore ha precocemente
individuato e raccontato e di cui prima di lui era stato solitario profeta Bruno
Barilli, spesso citato nelle sue pagine, che esaltava controcorrente la musica
vermiglia del Trovatore2. In questo sono gi esplicite le pagine dei racconti che
compongono lopera prima Le piccole vacanze, in cui i protagonisti parlano del
Maggio Musicale Fiorentino e della Giuditta di Vivaldi 3, oppure di Gian Carlo
Menotti e Leonard Bernstein4 e quelle davvero magnifiche e degne di riesame, de
La narcisata, frenetica cavalcata fonetica nel jet-set romano e vera e propria
caccia al flatus vocis gergale come mezzo di rappresentazione del reale, in cui i vari
personaggi alludono freneticamente al melodramma come loro primo punto di
riferimento linguistico. Il lavoro (il cui titolo era stato suggerito da Pasolini)
prende un ironico andamento melodrammatico gi dal sottotitolo: Una notte del
demi-monde e in seguito le citazioni davvero si sprecano. Si fa accenno a
immaginari bozzetti di Lger e Dubuffet rispettivamente per II Flauto magico e
Aida5, secondo il gusto inventato dal Maggio Musicale Fiorentino negli anni
Trenta e ancora in voga al tempo, di abbinamenti tra pittori di grido e titoli
classici, oppure, in seguito, la nobildonna Ferri Fazzi viene segnata da una
passione per i trittici (ne possiede uno di Simone Martini, ma anche non si separa
mai da una confezione dello stesso nome delle celebri calze Mille Aghi) e quindi
non pu che tornare per assonanza ritmica e tematica, che da una

1 Alberto Arbasino, Grazie per le magnifiche rose, Feltrinelli, Milano 1965, p. 91.
2 Bruno Barilli, Il paese del melodramma, Adelphi, Milano 1999, p. 18; tra le numerose
citazioni da libri di Barilli reperibili nelle opere di Alberto Arbasino, si veda tra laltro
Grazie per le magnifiche rose, cit., p. 398 e p. 468.
3 A.A., Luglio, Cannes, in Le piccole vacanze, Einaudi, Torino 19712, pp. 181-206.
4 A.A., Racconto di Capodanno, ivi, pp. 243-254: p. 253.
5 A.A., La narcisata, Einaudi, Torino 1973, p. 14.
rappresentazione allOpera del Trittico pucciniano6. Ma il gioco delle tracce
moltiplica e divide; i riferimenti sono davvero troppi per tentare di categorizzarli e
vai meglio un percorso obliquo che il rischio di una catalogazione astratta.
Fatto fondamentale della sua opera indubbiamente lincontro con la
Callas, ascoltata precocemente in memorabili serate milanesi dei primi anni
Cinquanta e poi inseguita intorno al globo. Come ognun sa, la totalit delle
citazioni della cantante nelle opere di Arbasino (inclusi gli scritti di occasione e
delzeviro, spesso nostalgici e dolciastri, degli ultimi anni) andrebbe a costituire di
per s un libro a parte, ma soprattutto in un caso che il nesso diviene centrale.
LAnonimo lombardo ha, nel riepilogo dei valori novecenteschi che stenta ancora a
decollare seriamente al di fuori delle consuete polemiche salottiere che il 2000 ha
innescato con precisione dinamitarda, il peso e la grazia a un tempo di unopera
necessaria, in cui il meccanismo strettissimo di relazione tra il melodramma e la
trama fitta delle storie mixa magistralmente immagini e fantasmi otto-
novecenteschi. Nel libro ci sono pagine categoriche nel descrivere una serie di
emozioni davvero soverchiami e che non possono che essere preliminari ai
turbamenti delleros. In tal senso davvero memorabile il brano iniziale che narra
il sorgere di una attrazione sulle note della Medea di Cherubini da cui varr la
pena di citare uno dei passi pi riusciti e noti: mi accorgevo appena che la Callas
ormai entrata spiegava il suo canto che non potevo cogliere se non nei soliti
termini di arcano, di misterioso, di sortilegio e minuti e minuti passavano
senza che i miei occhi riuscissero a lasciare i suoi al suono di una marcia
trionfante, non sapevo se esultare o tremare, sfilava lesercito portatore del vello
doro e lui mi faceva cenno che non lo fissassi cos ma le mani a un certo punto
cominciano a cercarsi, anche se uno non ha mai letto Pompes Funbres che ha la
stessa trama della Norma7. E poi in seguito ancora pi categoricamente: per
merito di registi o scenografi gi ammirati per lavori fatti al cinema o in prosa, o la
fama di qualche cantante celebre di cui si son sentiti ottimi dischi... ecco, ci si trova
attirati alla Scala, una sera tuttaltro che impegnativa perch ci si va con
lintenzione di venire via appena ci si stufa. Ci sono rimasto e ci siamo tornati; ed
tutta una generazione ventenne che ha preso questa strada ignota ai padri e agli
zii: i gruppi avanzati si lasciavano prendere dai melodrammi dati con gusto e con
spirito, e loro hanno aperto la via a quelli che andavano ancora alla rivista, e si
appassionavano alle figure delle Divine con un vero culto della personalit e in
questo senso la Callas erede naturale della Osiris 8. E in varie recensioni negli
anni seguenti: delirante, sconvolgente, la figlia di Minosse arde di
espressionistiche violenze provando che la sua condizione naturale il gruppo del
Laocoonte, dellEracle furente, leccesso9, oppure affermando con orgoglio i
congegni del suo gran meccanismo narrativo: e una volta di pi mi congratulo
per aver legato tanti anni fa coi nessi maniaci dellAnonimo lombardo un congegno
di Romanzo sul Romanzo travestito da romance di Amore-che-non-osa-dire-il-
proprio-nome allintero viluppo melodramma-Medea-Callas, anche parecchi anni
prima delle sranie operistiche della frangia scadente della nostra caf society
letteraria10. Ed testimonianza diretta e di grande potenza di un continuo
movimento stilistico che nel palcoscenico melodrammatico trova il proprio
specchio pi efficace.
Sulla stessa linea, ma con ancor maggiore forza, sta ovviamente Fratelli

6 Ivi, p. 61.
7 A.A., LAnonimo lombardo, Feltrinelli, Milano 1959, pp. 20-21.
8 Ivi, pp. 109-110.
9 A.A., Grazie per le magnifiche rose, cit., p. 94.
10 Ivi, p. 196.
dItalia, dove lopera lirica davvero onnicomprensiva e fagocita il libro in un
unico, continuo, rimando. La sgangherata gang itinerante di amici gay che
chiacchierano in continuazione e riducono la storia appunto a conversazione,
come in una squisita conversation piece debordata nellassoluto, non fanno altro
che vedere opera, sentire opera, amare opera (e per sovrammercato percepire il
mondo sub specie operistica). Il melodramma davvero quindi il termine di
paragone delle loro esistenze e non per caso il romanzo si apre di nuovo con la
Callas, che tutti insieme hanno deciso di andare a vedere in Grecia per cedere poi
rapidamente il posto alla Sutherland (che Arbasino defin altrove la vittoriana 11
evidenziandone efficacemente le peculiarit e le differenze rispetto al modello
callasiano) in scena a Napoli per una belliniana Beatrice di Tenda. Ma la musica
davvero ovunque: il grammofono va continuamente nella casa. Opere, quasi
sempre, le pi romantiche di tutte, o musicals degli anni scorsi a Londra 12 e in
seguito diventa cos pervasiva da essere davvero il linguaggio pi normale di
espressione e da offrire il destro a giochi, allusioni e addirittura quiz. Mai sentire
un disco per pi di mezzo minuto: a pochi centimetri per volta. Sempre l con la
puntina sui solchi, avanti e indietro, come un aratro, per cascar giusto su una frase
o su un accordo: rovinandoli, si capisce 13. E il repertorio si estende e diffonde
davvero a macchia dolio, parlando di titoli nuovi (Klaus, il compositore tedesco
che parla del suo nuovo lavoro, rimanda in parte a Hans Werner Henze, che al
tempo in cui si ambienta la narrazione, era in scena a Spoleto con cospicuo
successo con il bel melodramma neoromantico Die Prinz von Homburg) e
vedendone di antiche e moderne in un continuo percorso on the road tra citt e
amicizie. E ovvio che il gran romanzo, di cui recentemente Adelphi ha mandato in
libreria la versione definitiva (salvo ulteriori interventi), trovi un clamoroso
controcanto proprio nelle pagine di Grazie per le magnifiche rose, regesto sommo
degli scritti spettacolari edito nel 1965, da troppi anni assente dal mercato e di cui
auspicabile una ristampa con cospicui apparati. Si tratta di uno specchio, doppio,
in cui le pagine vanno e vengono, acquisendo via via definizione saggistica o
narrativa, com evidente ad esempio per il capitolo Palais de danse con le
recensioni dedicate al Festival di Spoleto vicinissime a quelle consacrate al festival
nei Fratelli dItalia14, ma soprattutto evidente per quello che resta lepisodio pi
strepitoso di osmosi tra le due opere, che d occasione a un vero e proprio
manifesto estetico. Largomento un Trovatore estivo allOpera di Roma (una
vera e propria spedizione punitiva), che offre il destro a una presa di posizione,
ribadita con lievi differenze nei due volumi. Scrive infatti Arbasino 15: Perfino
allOpera capitiamo, stranamente aperta, e fanno dei Puritani e dei Trovatori sotto
ogni immaginazione. Non manca niente: soprano grassa, tenore vecchio, baritono
senza voce, abbietta zingara vestita da Brighella. Si arriva l magari di corsa con
lintenzione di andar via subito per finir la serata alla Stazione, ma non si riesce
pi a venir via. Cos ha da essere lopera: una corrida! Ruote di carro, fuochi di
carta rossa, pance sporgenti in fuori, elmi da pupi siciliani, penne di struzzo
altissime su tutte le teste, parrucche doro con lorecchio sordo fuori dai boccoli
per sentire il suggeritore, protagonisti addormentati su pelli dorso, scenografie
daMefistofele, comprimari che fanno la Manon e la Carmen, comparse che

11 Ivi, p. 94.
12 A.A., Fratelli dItalia, Feltrinelli, Milano 1963, p. 65.
13 Ivi, pp.261-262.
14 A.A., Palais de danse, in Grazie per le magnifiche rose, cit., pp.168-194.
15 A.A., Fratelli dItalia, cit., p. 351; con alcune lievi differenze la pagina reperibile in Grazie
per le magnifiche rose, cit., pp.12-13.
arrivano dalla Turandot e daYAida e nel pubblico falpal e tacchi alti, belletti da
tabaccaio, parrucche da uomo e da donna, ordinarie in raso bisunto, che
espongono lascella col pelo, onorificenze da Principessa della Czarda. Che opera!
Che spettacolo! Che citt!.
Le citazioni, daltra parte, si moltiplicano nella sua produzione, in un gioco
continuo e soggetto a sempre nuove diramazioni, rigorosamente a tema o
clamorosamente fuori tema. Per cui, ad esempio e senza alcuna pretesa di
completezza, una poesia giovanile poi pubblicata ne Il caff si intitola
ironicamente con un rimando alla Adriana Lecouvreur di Cilea Poveri fior 16, ne
La bella di Lodi il carcere in cui rinchiuso lo sventurato Garbagnati Franco
fuori, sembra il castello del Trovatore 17, in Super-Eliogabalo i riferimenti sono
onnipresenti, nell principe costamele azioni del protagonista vengono paragonate
a quelle del Principe Igor18, nel superbo romanzo pop-decostruzionista Specchio
delle mie brame la conclusione un controcanto dal Don Giovanni con il coro
delle nozze di Zerlina e Masetto a commentare con malizia quelle improbabili e
anglosiciliane tra Judy e Michele19 oppure, in quel radicale contro-ritratto degli
anni Settanta (un decennio poco amato; cos recitava il sottotitolo) che Un
paese senza, linvivibilit di Roma viene stigmatizzata con un passo del libretto di
Faustini per L'Ormindo di Cavalli, dove si afferma categoricamente: Che citt,
che citt, / che costumi, che gente / sfacciata ed insolente!20.
Quindi il melodramma allo stesso tempo lessico comune e luogo della
dismisura, sentimentale ed espressiva. Sullo sfondo di questo proclama
articolatissimo e di grande lucidit, in cui la provocazione camp si unisce a una
precisa indicazione critica, sta in realt un riferimento preciso: la svolta storicista
di Visconti, geniale recupero e reinvenzione di una tradizione nei suoi elementi
costitutivi e modello per un lunghissimo periodo (almeno un trentennio, ma gli
echi continuano a risuonare, anche se in genere ad opera di tristi epigoni) della
messinscena operistica euro-americana. Il regista in un certo senso destinatario
occulto di molte riflessioni dello scrittore lombardo sullopera e certamente ne
stato per lungo tempo punto di riferimento per un discorso critico sul recupero
alla modernit delle convenzioni melodrammatiche. Arbasino recensore lo segue
da vicino: in un primo momento adotta totalmente la sua visione in occasione
della rivoluzione scaligera del triennio 1954-1957 di cui evento centrale La
traviata, e poi ne parla diffusamente in occasione del Macbeth spoletino del 1958
in cui il grande costumista-scenografo Piero Tosi aveva preparato una saga di fori
muscosi e atri cadenti dipinti su tulle e ispirati al romanticismo storico pi
flamboyante, su cui aleggiava il fantasma di Hayez (com noto consulente per
Verdi dei costumi della prima fiorentina dellopera), indicando, con unesattezza
condivisa in Italia allepoca solo da Fedele DAmico e pochi altri, gli elementi
costitutivi della rivoluzione-rivelazione viscontiana. In tal senso sono
fondamentali le pagine su un altro importante repchage, Il duca dAlba
donizettiano che nel 1959 fu in un certo senso il culmine del percorso storicistico,
con uno spettacolo che era basato sulla scelta filologica radicale di recuperare le
scene ottocentesche originali in un magazzino romano, lavorando assolutamente
dallinterno alla ricostruzione di un mondo espressivo a lungo travisato e
negletto. Ripescate nei magazzini di Parravicini, le scene originali di Ferrario per
una rappresentazione dell82 allApollo [di Roma,n.d.a\, sono un vero capolavoro

16 A.A., Poveri fior, in Matine. Un concerto di poesia, Garzanti, Milano 1983, pp. 27-30.
17 A.A., La bella di Lodi, Einaudi, Torino 1972, p. 87.
18 A.A., Il principe costante, Einaudi, Torino, 1972, p.62.
19 A.Arbasino, Specchio delle mie brame, Einaudi, Torino 1974, pp. 132-133.
20 A.A., Un paese senza, Garzanti, Milano 1980, pp. 140-141.
di quella riproduzione pedante della realt architettonica nel gusto
tardoottocentesco da opera che si pu considerare, come la Galleria di Milano,
orrido o meraviglioso o tutte due insieme. [...] Affondando nelle pi tarlate
peluches di Scribe e Delavigne, Visconti e Filippo Sanjust hanno disegnato un
monumentale sipario blu e oro, gonfio di frange e drappeggi e una serie di costumi
di colori bellissimi e sfacciati, carichi di squillanti pennacchi rosa-salmone o
giallo-limone o carnicino o verde tenero e poi adottato una illuminazione
perfettamente ottocentesca, ferma, con pochi riflettori, lidea piuttosto delle
candele e del fumo, del gaz, infatti le fiammelle della ribalta proiettano una forte
luce giallognola sulle facce in primo piano, lasciando al buio quelle dietro: alla
Daumier21 A questa dichiarazione ideologica, seguir poi il distacco con una
recensione acida alle Nozze di Figaro romane trasferite in terra di Spagna, in
omaggio alla riscoperta filiazione con lambientazione originale del testo di
Beaumarchais22 e infine una vera e propria frattura con questa eredit culturale ne
La maleducazione teatrale, dove in preda a furori strutturalisti afferma: la scuola
viscontea rappresenta piuttosto lestetica Liberace in Italia: eseguire Liszt con un
frac doro su un pianoforte dargento, interrompendosi di tanto in tanto con
commenti estemporanei rivolti al pubblico 23, dichiarazione rafforzata poco dopo
da un velenoso inciso chiara-mente indirizzato alla scuola storicista, in Off Off,
dove nellelenco finale delle nequizie della scena italiana postbellica deplora il
melodramma come nei negozi di passamanerie e le squallide ricognizioni nel
bric--brac della Porta Portese del melodramma 24. La presenza di Visconti
comunque forte e di lui si parla tra ammirazione e sarcasmo, solo per restare alle
opere narrative, ne I blue jeans non si addicono al signor Prufrock 25, ne La
narcisata, nei Fratelli dItalia e in Super-Eliogabalo, rispettivamente in un elenco
di mondanit romane: fa venire Luchino, la Lilla e la Lola, scegliti un bel
Balenciaga nero da Alfredo mode...26, sotto il camuffamento semi-trasparente di
Ottorino Ghislieri, quarantanni di carriera, e per il melodramma habill
sempre il pi bravo di tutti27 e infine negli sterminati elenchi darredamento
dellimperatore pop: l uno psicodramma hippy con regia di Visconti, scene e
costumi di Zeffirelli, musiche di Giordano e Cilea 28. In un certo senso proprio
lui insieme alla Callas il nume tutelare di questo intensissimo percorso
melodrammatico.
A questi primi due capitoli che vedono lo scrittore coinvolto come narratore
e saggista (anche se i confini, come si sa, sono labili e le pagine, come dimostrato,
sono inquiete e cercano sempre nuova collocazione), va segnalato quello pi vicino
alla scena, che il meno conosciuto e che ha visto Arbasino impegnato come
regista e librettista (le virgolette sono dobbligo) estemporaneo. La carriera in
scena si limita per le messinscene dopera ( da registrare in campo teatrale
sempre nello stesso anno un Prova inammissibile di John Osborne, protagonisti
Tino Carraro e Nora Ricci) alla celeberrima Carmen strutturalista (con doviziose
citazioni da Barthes) del 1967. Questa rappresentazione dava corpo alle sue Note
sulla Traviata, contenute ne La maleducazione teatrale edita lanno precedente,
in cui lo scrittore affermava: unimpostazione praticamente coerente, non

21 A.A., Grazie per le magnifiche rose, cit., pp. 170-171.


22 Ivi, pp. 384-387.
23 A.A., La maleducazione teatrale. Strutturalismo e drammaturgia, Feltrinelli, Milano,
1966, p. 23.
24 A.A., Off Off, Feltrinelli, Milano 1968, p. 281.
25 In Le piccole vacanze, cit., p.58
26 La narcisata, cit., p. 28.
27 Fratelli dItalia, cit., p. 95
28 Super-Eliogabalo, Feltrinelli, Milano 1969, p. 119.
potrebbe essere che questa: scene semicircolari, o magari poligonali (evitando ogni
taglio obliquo o di sbieco). [...] Un oggetto grande e ingombrante dovr
ingombrare - pesantemente semantico il centro della scena in ciascun atto
determinato tematicamente dallatto stesso: tavola da pranzo nel primo; divano
rotondo con palma in mezzo nel secondo (padiglione o serra), scala tortile (ma non
sono tanto sicuro) nel terzo (dopotutto un arnese molto secondo Impero); e il
letto naturalmente nel quarto29. Il discorso critico indotto dalla messinscena era
quindi assolutamente antistoricistico e antiviscontiano: le scene di Gregotti e i
costumi di Giosetta Fioroni puntavano ad una rappresentazione dattualit con
infiniti riferimenti al tempo presente (fece scandalo lapparizione di Dancairo e
Remendado vestiti di tute argentate, con capelli alla Beatles e lo stesso accadde per
la presentazione del torero Escamillo in vesti di Superman). In piena diffusione del
modello viscontiano, che egli stesso aveva contribuito a storicizzare, lautore
puntava su diversi parametri: cercando di farne una rappresentazione stilizzata,
semantica, funzionale a tutti i livelli, un Barthes portato allestremo, colori,
persone, gesti usati come puri segni: una realt n veristica, n pacchianamente
cubistica o comunque astratta, ma diventata simbolo, emblema 30.
Infine, ma davvero solo una forzatura per comodit di trattazione, giacch
lopera arbasiniana unita e davvero tout se tient, la scrittura per musica. Va detto
innanzi tutto che la destinazione di queste pagine non esplicitamente operistica,
segue invece le fortune e i fasti del cabaret romano di fine anni Cinquanta, creando
un modello di teatro musicale moderno, che ha le proprie radici nella librettistica
buffa del primo Ottocento, riscoperta e apprezzata come equivalente dei mirabili
giochi di parole di Lear o Carroll (e non a caso proprio lo strepitoso finale dell
turco in Italia chiude LAnonimo lombardo). Destinatari di questi incantevoli
pezi erano Laura Betti, per le due antologie Giro a vuoto e Potentissima signora
(tra le tante songs impossibile non citare almeno Seguendo la flotta, che
indimenticabilmente inizia con Ossigenarsi a Taranto / E stato il primo errore /
Lho fatto per amore / di un incrociatore... e via di seguito 31), per la musica di
Fiorenzo Carpi, Luciano Chailly, Gino Marinuzzi jr. e Mario Peragallo, e Giancarlo
Cobelli con degli incisi molto divertenti per La piccola vedette lombarda.
Altrettante testimonianze di una stagione altissima di intrattenimento letterario in
cui furono coinvolti Pasolini, Calvino, Moravia, Parise e chi ne ha pi pi ne metta
e che varrebbe decisamente la pena di recuperare e ristudiare complessivamente.
Infine, last but not least, da citare lunico esplicito progetto per un musical
patriottico e antifascista firmato insieme al regista Mario Missiroli: Amate
sponde!. Il testo, concepito come controcelebrazione del pomposissimo Centenario
dellUnit Italiana nel 1961, era stato pensato per una compagnia destinata a non
realizzarsi (Asti, Betti, Cobelli) e venne pubblicato nel 1962 su Paragone. In
questa sfrenata cavalcata nella storia del Belpaese un attonito trio familiare
(composto dalla Mimi, dallIda e dallEugenio) assiste nel proprio lindo salotto
borghese allirrompere della storia (tutto succede sempre l fino al delirio) e ne
segue gli esiti fino agli estremi limiti. LItalietta viene passata a fil di spada da una
serie di malvagi couplets in cui davvero la rima diventa uno strumento di
ribellione politica, unendo in una sola dimensione cose apparentemente remote e
invece vicine, vicinissime, talvolta quasi identiche, fino a sovrapporsi o annullarsi.
Tra i tanti momenti riusciti di questo micidiale divertissement, o se si preferisce
operetta (ma nel senso lugubre che il termine acquisisce nel titolo della omonima

29 Esercitazioni. 1. Note sulla Traviata, in La maleducazione teatrale, cit., pp. 90-105.


30 Nello Ajello, Arbasino toreador, in LEspresso, 5 marzo 1967, pp. 14-15.
31 Ora in Matine, cit., pp. 83-84.
pice di Gombrowicz) vai la pena di citare almeno un passo del Cotillon
imperiale32.

Indigene:
Badrone badrone
S belle e s buone
Venute da terre
Civili e lontane
Invece di guerre
Vi offriamo banane
Vi offriamo perbacco
Colonia e tabacco
Tabacco di Harar
La Sfinge:
Tutto puoi colonizzar
Dai baobab alle zanzar!
Ida e Mimi: Wunderbar! Wunderbar!.

Una dimostrazione chiarissima, evidente, di un appuntamento mancato


dello scrittore lombardo come librettista con il melodramma contemporaneo, che
avrebbe dato frutti certamente di grande interesse, concludendo il ciclo che aveva
visto cospicue iniezioni di librettistica passare con grande autorevolezza in
funzione ironica o drammatica nelle pagine dei romanzi.

in Riga 18 (2001),
a c. di M.Belpoliti e E.Grazioli

32 A.A. e Mario Missiroli, Amate sponde!, Einaudi, Torino 1974, pp. 68-69.
A.A.

Addio alla Marescialla

LIGNOTA:
Me ne torno a danzare a Berlino! a Berlino!
(Come tu mi vuoi)

Bombardata, distrutta, schiacciata sotto i piedi, impoverita e divisa, una


capitale fra le pi grandi s vista strappar via duramente ogni prerogativa, una
dopo laltra. Ma se il potere politico e il prestigio scientifico e il centro degli affari
sono trasferiti lontano, sembra che Berlino brilli anche pi di prima come capitale
di straordinari spettacoli; e praticamente, in una zona franca dove ogni altra forma
di prova-di-forza politica o militare rimane sospesa fra i due blocchi, la
competizione propagandistica soprattutto viva sul terreno dei colpi-di-mano
culturali, a partire da teatri e musei (oltre che, si capisce, su quello delle vetrine
piene: ma anche naturale che qui il settore orientale, pi Noi Vivi che non Dolce
Vita, lasci perdere gli elettrodomestici e le minestre in scatola, e punti
essenzialmente sulle meraviglie della Collezione di Pergamo e sulle Res Gestae
della Vedova Brecht).
Arrivando quindi per qualche giorno in questa Troia non da Troiane di
Euripide ma di Troilo e Cressida secondo John Erksine o Christopher Morley, e
guardando subito ai programmi dei teatri, si pu anche perdere la testa di fronte
alla ricchezza delle offerte: mai meno di venti o venticinque spettacoli, tutti
insieme, tutti non male, e parecchi molto promettenti, sia nel campo greco, sia in
quello troiano. Soltanto lignoranza linguistica riesce a tener lontani dal Deutsches
Theater che fu di Max Reinhardt, dal-lHebbel e dallo Schiller, dal Komodie, dal
Tribne, dal Gorki, dal Renaissance, dallo Schlosspark, dal Kurfrstendamm,
confinandoci con riluttanza alle sale dopera. Non ci escluder comunque dal
Berliner Ensemble: col pretesto che intanto un testo di Brecht lo si pu conoscere,
bene o male, anche troppo, e comunque passa volentieri in secondo piano
davanti ai giochi di palcoscenico.
La competizione lirica pare poi sfrenata fra la Stdtische Oper di Berlino
Ovest, che rinfresca pulitamente e con mano leggera i suoi classici, e la Komische
Oper di Berlino Est, dove trionfa invece il pi selvaggio scatenamento
espressionistico. Sembra invece estranea ai ripensamenti estetici la grande Opera
di Stato di Berlino Est, e va avanti con le sue Aide e i suoi Franchi Cacciatori nella
polvere.

1. Leporello, unaltra cena

AllOpera Municipale, ancora nella sua sede provvisoria, un. exteatrone


doperette danteguerra, avevo cominciato a vedere del Mozart limpido e vivo, in
edizioni 'ne varietur tipo Lezioni di Stile. Nessuno tende a strafare. Il canto e i
gesti incantevolmente composti in un giustissimo equilibrio, costante, fra le voci e
lorchestra; la misura della grazia non eccede il necessario; e alla fine niente risulta
sacrificato, neanche i pianissimo di Cherubini, che si sentono perfettamente.
Scene e costumi nello spirito di quel pacato barocco 'internazionale che diffondeva
nelle Corti periferiche, dalla Danimarca al Piemonte, lEsprit de Versailles: ma
senza eccessi di grandiosit o sofisticazione. Nelle Nozze di Figaro, sale tenute su
una dimensione ragionevolmente umana, sale dove sembra possibile vivere. E nel
Cosi fan tutte, elementi mobili e 'trasparenti disposti dentro una cornice nera e
dorata che simula una scena dentro la scena: la mia Dorabella, la mia Fiordiligi,
Elisabeth Grmmer, Dietrich Fischer-Dieskau, Joseph Greindl, Ernst Haefliger,
Rita Streich...
Alla stessa Opera Municipale ho avvicinato per la prima volta due opere
indispensabili per intendere il punto di vista dei compositori nella grandiosa crisi
del Gusto cominciata agli inizi del secolo, quando larte europea si libera del
rutilante decorativismo ereditato dopo le bicchierate simbolistiche degli anni
Ottanta e Novanta, volta le spalle ai gioielli falsi di Moreau e di Wilde, ai ferri
battuti di DAnnunzio, al post-impressionismo dei nipotini piti fremebondi di
Wagner e Debussy, e sulle rovine del Liberty nascono insieme, serie e magre, la
pittura di Klee e di Mondrian, le sillabazioni di Valry e di Gide, e larchitettura
moderna: nascondendo ormai il proprio decadentismo nellintimit piti profonda,
come il Principe Ignoto della Turandot Ma il mio mistero chiuso in me! o
come Lenin nel vagone piombato. Proust, ancora tutto dentro la Belle poque,
spaventevolmente a bagno nel cromatismo dei Sinfonisti dellUltimo Giorno,
abituato ai programmi di Franck e Saint-Sans e Reynaldo Hahn, si era subito
accorto di questo giro di vite estetico; e aveva gi fatto fin troppo, da parte sua.
Sia pure con un accompagnamento di gentili dileggi: nella Recherche la
efflorescence prodigieuse dei Balletti Russi non rh vela soltanto il genio di
Stravinski e Nijinski e Bakst, lancia anche definitivamente in societ la
principessa Yourbeletieff con la sua immensa aigrette, e Mme Verdurin col suo
salotto, come se le due sublimi creature fossero state portate dai russi nei loro
bagagli; e il loro successo diventa sempre pi rapido. Sorride la leggibilit,
allegoricamente volgare, del Genio Contenuto in una Fodera di Vizi: quando il vero
motivo immediato della presenza chez Mme Verdurin di un sottosegretario alle
Belle Arti, tre ambasciatori, e numerose duchesse, per una serata definita
'parisienne da grosso pubblico e dai 'giornalisti filosofi, altro non che la
relazione fra Charlus e Morel, e il vivo desiderio di Char-lus di dar la massima
risonanza possibile ai successi artistici di Morel, e di ottenergli la Legion dOnore;
cos come la relazione fra Mlle Vinteuil e una certaltra signorina mettono in moto
una serie diniziative geniali che conducono alla rivelazione degli spartiti di
Vinteuil, a una sottoscrizione, allerezione di un monumento sotto il patronato del
Ministero della Pubblica Istruzione: i rapporti personali colpevoli servono dunque
come scorciatoie grazie alle quali il mondo raggiunge talune opere senza i dtours
dellincomprensione e dellignoranza (che peccato che Proust non abbia potuto
descrivere lEt della Callas e il Grande Ritorno delle Checche al melodramma
verdiano...). A Richard Strauss arriva, per: per osservare come tanta gente dotata
di un gusto istintivo e sicuro per la cattiva musica, arriva a mortificarselo, grazie
alla Cultura Sinfonica; ma appena Strauss sembra accogliere nel suo blouissant
Coloris Orchestrai dei motivi volgari, con unindulgenza degna di Auber, tutti
immediatamente trovano nella sua autorit lalibi per incantarsi sconciamente per
Salome, senza scrupoli e con una doppia gratitudine, trovandovi tutti i piaceri di
cui serano privati in Les Diamants de la Couronne. Non neanche necessario
riprendere le sue osservazioni specifiche sui Balletti Russi per accorgersi che
Proust aveva gi capito tutto: la prova migliore la d proprio nella concezione
basica dellintera Recherche, dove la tenerezza per la Paillette Riempitiva non
interferisce mai con la decisione strutturalistica di fare quel certo buon uso del
Tempo.
Arrivando per al test teatrale del Moses und Aron di Schnberg, ci si
rende conto che quel grande amore di Proust e nostro, Stravinski, potrebbe essere
stato un falso bersaglio. Dal Sacre che faceva delirare Oriane e Marcel, alle novit
assolute che ci sconcertano ogni autunno a Venezia, tutti i capolavori della sua
straordinaria carriera di Trasformista, pi che di Libertino, non sono poi tanti
meravigliosi punti darrivo, in fondo a tanti vicoli ciechi, al di l dei quali non si
potrebbe far altro che comporre dei nuovi piccoli Petrushka, piccoli Pulcinella,
piccoli Oedipus Rex, piccole sinfonie pi o meno concertanti, e poi, battere il naso
contro il muro?

2. Mos e Aronne

La musica nuova di Arnold Schnberg, cosi diversa dalle sue prime cose
(quella Verklrte Nacht che ancora puro Vinteuil, quel Pierrot Lunaire che
doveva piacere a Puccini), e cosi difficile, severa, priva di buon gusto e densa
piuttosto di un delirante ascetismo, come un Bach rapinoso del nostro tempo,
come un nuovo Brahms di cui si possa dire che come laustera Cordelia,
nascondeva le sue emozioni pi preziose piuttosto che esporle alla gente o come
Grillparzer, si sforzava per un Effetto, non sugli altri ma su se stesso, apre a viva
forza una porta per cui potr uscire e avviarsi al lavoro una quantit di compositori
successivi. E si capisce bene come mai Thomas Mann, che a differenza di Proust
conosceva di prima mano lautore del Moses und Aron, abbia puntato tanto su
Schnberg nella composizione del Doktor Faustus; e per compiere un tour de
force fra i pi incredibili la descrizione di partiture musicali che non esistono!
si sia fatto assistere da Adorno che non lo ammira poi molto, lautore del Moses,
quantunque riconosca benevolmente qualche sintomo dinvoluzione
tradizionalistica nella grandiosa ingenuit della sua lotta contro le Ombre
Informi delle Forze che Distruggono lIndividualit. Ho in mente qualche cosa
di religioso-satanico, di pio-demoniaco, di strettamente legato e delittuoso, che
schernisca talvolta larte e risalga allelementarit primitiva... che rinunci alla
suddivisione delle battute e magari dellordine tonale (glissando di tube); inoltre,
qualche cosa di quasi ineseguibile praticamente: antiche tonalit ecclesiastiche,
cori a cappella, che debbono essere cantati in atmosfera non temperata, di modo
che sul pianoforte non se ne trovi n un suono n un intervallo... (Romanzo di un
romanzo). Sembra che manchi molto poco a un ultimo passo: lapplicazione delle
impazienze di Eduard Hanslick contro Richard Strauss (e contro i giovinastri
pittorici e poetici che si stanno moltiplicando, discendenti di Berlioz, Liszt,
Wagner: Il virtuosismo nellorchestrazione diventato un vampiro che insidia il
potere creativo dei compositori... Questa cosa ripugnante non pittura tonale,
ma piuttosto un cumulo di sgorbi lucenti, unorgia tonale franante, met baccanale
e met sabba di streghe...) nientemeno che agli eredi diretti e legittimi del
sublime Requiem Tedesco.
La success story dellaffascinante Moses und Aron ormai notoria: e del
resto assai simile a quella di parecchi altri Trionfi Postumi del nostro tempo,
dall'Uomo senza qualit allAngelo di Fuoco, al Gattopardo. Schnberg fra il 28 e
il 33 compone la musica dei primi due atti e completa il libretto, ispirato allEsodo
e corredato dinquietanti didascalie: processioni di cammelli carichi, asini, cavalli,
con portatori e carri, entrano da ogni lato, portando offerte doro, grano, orci di
vino, otri dolio, animali per il sacrificio... i macellai immolano le bestie, buttano
pezzi di carne alla folla: fra lotte e contese, gli astanti afferrano lacerti sanguinanti,
e li divorano crudi... i capi trib ammazzano il giovane, montano a cavallo e
sallontanano... scorre il vino da ogni parte... ubriachezza generale... le vergini folli
porgono i coltelli ai sacerdoti ebbri, e questi le afferrano per la gola, affondando i
coltelli nei loro cuori, le vergini raccolgono il sangue nei vasi, li porgono ai
sacerdoti, e questi lo versano sullaltare... nella folla, distruzioni e auto-
immolazioni... carri distrutti, giare fracassate, tutto viene lanciato attorno: spade,
lance, scuri, vasi, arnesi... chi si trafigge con la spada, chi si butta nel fuoco, e poi
corre bruciando per la scena... unOrgia di Eccesso Sessuale. Nel 33 Schnberg
fugge il nazismo, si riconverte alla religione ebraica, si rifugia in America, e non
tocca pi la sua opera: forse bloccato alle soglie del duetto risolutivo come Puccini
allo scioglimento della Turandot. Se ne occupa invece, e intensamente, Thomas
Mann: tanto da scrivergli addosso il suo capolavoro. Ma Schnberg non ne
affatto contento. Muore nel 51. E il Mos comincia a farsi strada da solo. N opera
n oratorio, incompleto e giudicato irrappresentabile, viene invece eseguito nei
teatri dopera in approssimazioni sempre pi soddisfacenti che durano le loro tre
ore e risultano passabilmente compiute. Rivela anche una vitalit sconcertante.
Diventer infine un bestseller: sale esaurite, e pubblico che zufola alluscita vertici
di dodecafonia diventati paradossalmente orecchiabili.
Si capisce che le difficolt desecuzione sono pazzesche: un monologo
tragico programmaticamente ostile ai Mass Media, due titanici protagonisti quasi
sempre in scena, pochi comprimari che non devono fare quasi niente, una
partitura impervia, numerosi cori continuamente impegnati, accavallandosi, versi
di profonda nobilt, quelle didascalie dissennate... Lo stesso autore prevedeva che
si sarebbe forse riusciti a presentarla tuttal pi in forma di oratorio se pure si
arrivasse a sopprimere tutti gli ostacoli di natura musicale.

Sopprimendo tutto il lato Theda Bara della situazione, e approfittando di un


generico astrattismo da Jeu de Cartes nel Gran Teatro Naturale dOklahoma (ma
che pretende di non rinunciare a un suo pittoresco), lOpera berlinese ha
semplificato molti problemi di messa in scena. Nel primo quadro (roveto ardente),
per esempio, pendono dallalto dei finti mobiles di Calder, fettine di lamiera
infilate negli spaghi, e ondeggiano lievemente in un lume fucsia-ciclamino. In
quanto ai cori, una met abbondante registrata su nastro, con la sua inevitabile
fastidiosit metallica, e un effetto da Stereorama: gli altoparlanti sono disposti nel
lucernario, dietro le barcacce, e in altri posti barocchi; vien quasi da rimpiangere le
fronde tropicali e gli incensi odorosi caldeggiati dallautore.
La direzione di Scherchen superba: non per nulla nel gran romanzo di
Mann ha pi di un merito, insieme a Klemperer e a Bruno Walter, nel rivelare la
musica del futuro deHimmagina-rio Adriano Leverkhn. E attraverso questo
arrovellarsi tormentoso dellorchestra e dei cori viene fuori efficacemente, se non
uri Apocalypsis cum figuris, lansia di esprimersi di Mos, che non riesce a farsi
ascoltare dal suo popolo, lincontro con Aronne che Dio gli manda con fini di
volgarizzazione e di editing, perch spieghi le sue idee in termini facili allUomo
della Strada, e la lunga controversia fra lintransigenza delluno e il possibilismo
dellaltro. Ma la disputa in realt pi che religiosa politica, pi che politica
sembra retorica, e oltre che retorica diventa linguistica. Schematizza due posizioni
fin troppo note. Aronne un simbolista, usa lImmagine, abusa dellIcona, ama
lAllegoria, adora la Visione, predilige la Metafora. Parla di Vitello dOro cosi come
altri potrebbero dire Gita al Faro, Pelle di Zigrino, Balena Bianca, Folle de Chaillot.
Andrebbe quindi daccordo con SantAgostino (un segno una cosa che, oltre la
specie ingenerata dal senso, richiama di per s anche altra cosa), nonch col
Petrarca, il Marino, il Montale. E infatti canta, con voce di tenore lirico: mentre al
suo antagonista il Canto negato: come se il mi manca la voce su cui sinsiste nel
Mos precedente di Rossini avesse funzionato da Tanto Tuon Che Piovve nei
confronti di questo Mos dodecafonico, basso-baritono incatenato alla Parola
Ritmica.
Questo Mos un wittgensteiniano addirittura truculento. Per lui, il
Simbolo Degradazione: dalle Tavole della Legge alla Terra Promessa (per non
parlare dei Miracoli...) ostilissimo addirittura al Segno. E non per nulla si
esprime come voce recitante: come Monsieur Jourdain, e come Moravia,
qualunque cosa dica, gli viene fuori in prosa. Barthes lo ridurrebbe a una catena di
sintagmi. Jakobson lo assegnerebbe alla categoria metonimica. Si trova cosi
daccordo con Erodiade, in quellaltra disputa semiologica-biblica esemplarmente
sceneggiata da Oscar Wilde. Erode svapora nelle Associazioni Sostitutive (come i
romantici, i simbolisti, i lirici russi, i film di Bergman, i simboli onirici di Freud, la
critica tematica, il discorso aforistico). La sua Parola Parlante sbanda dal nesso
convenzionale al nesso esistenziale. Appena vede la luna: Non ha uno strano
aspetto, la luna, stanotte? Sembra una donna pazza, una donna pazza in cerca
damanti dappertutto. anche nuda. tutta nuda. Le nuvole cercano di velare la
sua nudit, ma lei non consente. Vuole mostrarsi nuda nel cielo. Vacilla attraverso
le nubi come una donna ebbra... Sono sicuro che cerca degli amanti. Non vacilla
forse come una dorma ebbra? Sembra una donna pazza, no? E invece Erodiade
(come gli epici eroici, i romanzieri realisti, i film di Griffith, gli epigrammi di
Marziale, e il New York Times): No; la luna somiglia soltanto alla luna, tutto qui.
Andiamo dentro... Non hai niente da fare, qui fuori. (Ma Mos fa un passo pi
avanti: il Linguaggio veicolo dimpossibilit...)
Il Popolo dIsraele compare e agisce non pi accomodato in un emiciclo
universitario come nellorrido Roi David di Honegger alla Scala, ma stavolta issato
su unimpalcatura alla Lger e dedito alle pi varie occupazioni su diversi livelli,
come nelle grandi composizioni fiamminghe che ritraggono le attivit di villaggi
interi. Di l in alto si sviluppano i contrasti e le invettive a proposito del Dio
vecchio e di quello nuovo, visibile oppure invisibile, sullandare o no nel deserto,
col rischio di non trovare abbastanza locuste da mangiare; e in sostanza si discute
a lungo se sia opportuno o no, in genere, lasciar perdere gli interessi mondani per
concentrarsi sul Sacro e sullEssenziale. Ma com poi lEssenziale? Quando Mos
se lo sente spiegare nei termini di buon senso di Aronne, frana
nell'Incomunicabilit pi sconfortata...
I costumi sono delle tuniche a righe e a triangoli, di diversi colori
contrastanti, qualche volta di tipo pinguino, altri tipo i marziani alla Fiera di
Milano. E i miracoli non sono mostrati; il pubblico vede solo un bastone, li per
terra, e poi unolla; e gli deve bastare questa negazione del Vedete Per Credere.
Per le masse ebraiche si convincono, sotto lo sguardo seccato di Mos, che viene
fuori, da una caverna quasi-platonica, non si rende conto che anche la Caverna
ima metafora, ha visto il Sole in tutta la sua Gloria (altra metafora?), insomma ha
contemplato la divina purezza della verit metafisica, e quindi trova molto cheap
la propaganda religiosa a base dimmaginette (o si crede, o non si crede! e meno
sciocchezze! gli scappa detto quando non ne pu pi); e il primo atto termina con
una pittoresca marcia di guerra contro il Faraone, in forma di Doppio Canone, a
cui segue un Interludio di Smarrimento in forma di Doppia Fuga.
Il secondo atto anche abbastanza infelice da guardare, perch gli sfondi
viola e zafferano sono proiettati con la lanterna delle diapositive pubblicitarie negli
intervalli al cinema, e si paventa quindi la lode al cognac o linvito al gelato. Ma se
non si bada al vitello doro (che poi un gattone a geroglifici), e si passa sopra
allebbrezza dei sacerdoti (un Palio di Siena fatto dagli allievi di Brera) e
allesibizione delle odalische in calzabraga (puro Chelo Alonso), la grandiosa danza
pagana un pezzo di Grand Opra fra i pi impressionanti; e continua a montare,
a montare, nel duetto dopo il ritorno di Mos, di una monumentalit wagneriana,
di una rifinitura bachiana, su cui sinserisce non il Mar Rosso di Rossini ma il
Coro della Trasmigrazione (mentre sulla scena si frana nel film biblico povero).
Lultimo atto, in cui Mos dovr trionfare rimproverando ad Aronne le sue
debolezze per il Significante rispetto al Significato, viene rappresentato, piuttosto
curiosamente, cosi: lorchestra va via, la sua fossa rimane al buio, e mentre i nastri
magnetici srotolano come background music la registrazione dei cori del primo
atto, Scherchen rimasto solo con la sua lampadina dirige il recitativo dei cantanti,
che declamano in proscenio la rimanenza non musicata del libretto. Ne viene fuori
il disperato rimpianto di Mos per non essere un grande compositore
dellOttocento: se fosse Beethoven, sarebbe in grado di Comunicare la Verit molto
pi direttamente che Henry B. Luce, molto pi pulitamente di Aronne, con tutte le
sue parafrasi plastiche, le sue circonlocuzioni figurative,i suoi canoni
schnberghiani.

3. Casa Faninal

Anche Capriccio, altro affascinante figlio del Requiem Tedesco (nel quinto
movimento, Ihr habt nun Traurigkeit, si sentono gi la Marescialla, la Contessa,
oltre che i Kiniertotenlieder e Das Lied voti der Erde figli della Rapsodia per
Contralto: come sembra ormai remota lincompatibilit proclamata da Hanslick
tra le Father-Figures di Brahms e di Wagner...) il testamento di un grande
musicista; ma qui, trattandosi di Richard Strauss, non pi il caso di parlare di un
coetaneo del Floreale, Strauss il Floreale medesimo. E il suo Carteggio con
Hofmannsthal riesce almeno come le Memorie di Alma Mahler a definirlo come
gran personaggio: un Uomo Senza Principii musiliano e affarista, con
superficialit grossolane e doppi fondi inquietanti; e il suo attivismo fragoroso; e la
sua mancanza di problematiche addirittura macchiettistica; e la moglie Pauline
che gli spende tutti i soldi, dispettosamente, in parrucchieri e gioielli; e le
discussioni su Mommsen coi colleghi, a tavola; e lincontro folgoratorio con la sua
Belle Dame Sans Merci, la resa di fronte alla Marescialla del Rosenkavalier,
quando Hofmannsthal gli presenta questa testa di Medusa infinitamente
seducente e ornata di tutte le grazie pi irresistibili del Passato... e congela un
musicista tuttaltro che pietrificato (lo riconosce lo stesso Hanslick); anzi, dopo
tutto, le sue rotture nel senso dellavvenire le stava compiendo con lOrgia
Coloristica o il Vampirismo Orchestrale, o con la Sensualit Patologica Extra-
musicale nei poemi sinfonici o ricorrendo magari paradossalmente alla solita
Salome di Wilde...
Strauss non sar mai pi lo stesso dopo lincontro con quella figura rococo
che veramente alibi affascinante e insidioso! riassume tutto un passato o
compendia e conclude unintera epoca (tanto per sputtanare i clichs della critica
di secondordine). Abbagliato da tanto Settecento chic cade cio pesante come il
suo Barone Ochs che ogni mattina ha reso omaggio dietro un paravento al bagno
della Principessina Brioche nella stessa trappola che una fata assai simile, Oriane
de Guermantes, spalancava davanti al Proust antiquario di Pastiches et mlanges
e che il narratore della Recherche elude proprio salvandosi in un Tempo che non
quello dei calendari o degli almanacchi, neanche quello degli storici o dei filosofi
tanto meno quello dei Laudatores Temporis Acti: come il Balzac di M. de
Guermantes o la vetrata di Gilbert le Mauvais ma piuttosto uno spazio
soggettivo dove la durata unincognita, forse non esiste, comunque non
chiaro: perch insomma non si mai capito se lImmobile unapparenza e il
Moto la realt, o non piuttosto (plotinianamente) viceversa...
Confondendo invece il fine dellarte col riepilogo del passato, lautore della
Donna senzombra sembra voltare le spalle al moto fluido e incessante della
Realt. Nato dieci anni prima dello stilita Schnberg, diciotto prima del
punteggiatore Stravinski, gioca svogliato (o entusiasta) sia con la Tradizione sia
con la Musica Nuova, troppo epicureo (o troppo debole) per abbracciare Luna, e
rinnegare laltra, o comunque per riflettere sul proprio Dovere Artistico. Siede
appagato di fronte a quella mera apparenza che potrebbe essere lImmobilit
secondo i nemici di Bergson: il Mistico e il Telespettatore, ugualmente convinti
che in eo vivimus et movemur et sumus, vuoi parlando di Dio, vuoi del Secondo
Canale.
Cosi raggiunge lo scopo di soddisfare industrialmente una smisurata
clientela middle-class e middle-brow, sia luterana sia cattolica, che domanda solo
dessere confermata, vittorianamente, nelle pi tranquillanti (e medie) certezze,
da lui raggiunte attraverso lEccesso Sistematico, poi proiettate allindietro in uno
Status Quo Ne Varietur decorosamente agghindato. E naturalmente non
sinterrogher mai, come Schnberg, su che tipo di musica sia giusto comporre,
ancora prima dincominciare a comporla (tanto pi, con lintenzione dimporre
Nuove Forme alla Musica Vecchia). Cio, la questione morale travestita da
questione musicale. N si chieder mai, come Blanchot, perch mai uno scrive; se
quello che scrive vuol dire veramente qualche cosa. Se lufficio dellopera sia di
trasformazione e negazione nel mondo in cui entra, tentando di riconoscere il
paese dove questopera trascina autore e lettore... Se cio il compito dellartista
non aver nulla da dire, per esser tenuto a dirlo, volente o no ha il senso
essenziale di ricondurlo al Silenzio Originario. Cio, allApprentissage de la Mort.
Dove si ricongiungerebbe con Kafka e Beckett, Gadda e Cline e Borges, giunti alla
medesima conclusione per vie tutte diverse. E con Webern. E con l' 'accattone
Stravinski, che ha avuto il coraggio di buttar via tutto, chiudersi le porte alle spalle,
e andar mendicando di casa in casa: cosi ha ricostruito la sua eredit; e questo gli
d il diritto di dichiarare che la musica di Strauss lo soffoca, perch una enorme
massa senza muscoli.
Ma il lato inquietante di Strauss coincide con la sua ambiguit: mentre
propone cos sontuosamente le sue Profonde Sintesi fra il Comico e il Tragico,
nello Spirito del Diciottesimo Secolo, telescopando ogni greve ironia attraverso le
Opere nellOpera, si rende mai conto o no di stare introducendo nella
Pomposit Absburgica pi duno spiffero di Bittersweet alla Noel Coward?
Nel Carteggio, Hofmannsthal appare come il Prodotto Tipico di una Civilt
al Tramonto, fin troppo squisita: timido, solitario, altero, nervoso, estetizzante,
carico di sensibilit a scapito della vitalit. Strauss: vigoroso, estroverso,
impulsivo, permaloso, scaltro, un po terra-terra culturalmente ma dotato di un
gran buon senso istintivo, capace di grandi entusiasmi, pieno di grande vitalit, e
non privo di un suo spirito sveglio, pronto a riconoscere la necessit di scappar
via tutti subito dagli urli erotici di Wagner.
Le continue influenze reciproche fra i due sono uno spettacolo singolarissimo.
Vivono lontani: Hofmannsthal difficilmente esce dalla sua Torre dAvorio; Strauss
ha pianificato da bravo businessman la sua esistenza: per sei mesi allanno
viaggiare come direttore dorchestra guadagnando tanti soldi; per gli altri sei mesi,
destate, riposarsi a Garmisch vestito da campagna, e dedicarsi alla composizione.
Ognuno ha unidea chiarissima dei pregi e dei limiti propri e dealtro: non se ne
risparmiano le analisi e i rinfacci. Hofmannsthal, pi giovane di parecchi anni, non
esita a trovar banale e volgare il gusto di Strauss, e a dirglielo; e Strauss se lo lascia
dire. Per sono daccordo sul fatto che listinto drammatico pi potente appartiene
al musicista; il poeta con le sue preziosit ha il fiato corto, non pu farci niente.
Hofmannsthal arriva a riconoscere dessere ignorantissimo in fatto di musica, non
fa che ripeterlo: per sorprendentemente sua lidea che sia necessario ricamare
un valzer via laltro nella partitura del Rosenkavalier-, unintuizione di genialit
incomparabile, anche se poteva sembrare bizzarro riempire di valzer e non di
minuetti unopera che il trionfo del Settecento. (Reciprocamente: i versi pi felici
dei libretti obbediscono a misure metriche fissate dal musicista.)
patetico vedere come tutte le volte che i due si accingono a una nuova
opera si propongano in buonissima fede di fare almeno stavolta un qualche cosa
dallegro, di leggero, addirittura di operettistico. Dopo tutto, asserisce Strauss
nel 1916, io sono lunico compositore al mondo dotato di humour, di senso della
parodia, di voglia di divertirmi. Perci mi sento destinato a diventare lOffenbach
del ventesimo secolo, e voi dovrete essere il mio poeta. Poi, si sa, il poeta non
resisteva allamore per le strutture complicate e per i simbolismi fantasiosi; e il
musicista soffriva troppo ad arrestarsi nellelaborazione dei temi. Nasceva invece
delloperina un luna-park raffinatissimo nei particolari ma duna macchinosit
mai vista. Come al solito il sinfonista nel vostro cuore ha prevalso sul
drammaturgo! rinfacciava Hofmannsthal, che da parte sua non aveva arretrato di
fronte a nessun doppiofondo pensabile, nella struttura del libretto:
Contrappunto, sviluppi tematici, elaborazioni orchestrali, che sono la linfa vitale
nella sinfonia, diventano il veleno funesto dellopera... il testo viene oscurato, i
cantanti devono sacrificar tutto al volume... e laria, che voi stesso definite 'lanima
dellopera, agonizza e soccombe... E al tempo del Rosenkavalier (opera che
doveva durare non pi della met dei Maestri Cantori), a proposito del coro dei
servi di Faninal, nel secondo atto: Era scritto per squillare burlescamente, nel pi
trasparente stile alla Offenbach; non avete fatto che opprimerlo con una musica
pesantissima, e cosi si distrugge completamente il senso delle parole.
Nemici della semplicit, ostili alla concisione, avversari della naturalezza, i
due recitano sublimi scene del pi toccante donchisciottismo ogni volta che si
pongono programmi di chiarezza e secchezza, sia musicale sia drammatica,
ripetendo con convinzione che ciascuno nella propria sfera sar capacissimo di
ottenere tutto quello che vuole. Non di rado, in questi duetti, prendono il tono di
due personaggi della loro Ariadne auf Naxos: il poeta si comporta come la
sognatrice Arianna, sempre con gli occhi tesi verso lontani orizzonti, mentre il
musicista fa la parte della prosaica Zerbinetta, coi piedi ben puntati per terra:
sembra .difficile rovesciare pi doppiamente il dilemma fra Aronne e Mos...
Hofmannsthal sermoneggia. In tutto quello che potremo fare insieme, scrive nel
1912, il criterio finale di giudizio pu solo essere la sensibilit estetica, e se
permettete mincarico dora in poi dessere io solo il guardiano e tutore del lato
estetico a nome di tutte due. Ho paura del vostro opportunismo, insiste,
qualche anno dopo, perch il pericolo nel quale continuate a ricascare nonostante
ogni periodico tentativo di tirarvi su, la totale indifferenza alle esigenze della vita
intellettuale.
Strauss daltra parte lasciava molto fare al poeta, si fidava molto del suo
fiuto straordinario per ogni atmosfera teatrale, della sua abilit nellevocare con
precisione pungente il colore di certi periodi, del suo genio nel mettere a posto
ogni particolare psicologico e drammatico in unazione complessa perfettamente
unitaria (senza contare il leggendario gusto figurativo di Hofmannsthal, e la sua
bravura nel curare la parte visiva dello spettacolo, che a Strauss non importava
niente).
Cos, preso per mano dal poeta innamorato dei momenti pi decadenti e pi
morbidi del passato, il musicista finiva per soccombere alle nostalgie rococo latenti
in fondo alla sua spettrale anima monacense, e lentamente voltava le spalle alla
strada faticosa della musica del futuro, per cui stavano avviandosi gli Schnberg e i
Webern ansiosi di respirare laria di un nuovo pianeta...
Le congratulazioni reciproche fra i due per la sapienza e lintelligenza
dimostrate nella stesura del Rosenkavalier non cessano praticamente mai, nei
diciotto anni fra la composizione dellopera e la morte di Hofmannsthal: difficile
immaginare un contrasto pi piccante coi malumori di Verdi, quando ripete a
chiunque dessere fra i maestri passati e presenti il meno erudito di tutti, se si
vanno a ritrovare nei Copialettere le analoghe situazioni Verdi-Boito, prima di
tutte la quarantennale ricerca di un buon libretto per opera buffa. Boito che
razzola nel pi vieto Du-gento alla caccia di grullerie da mettere in bocca a
Bardolfo e a Pistola, che ghiotto pendant per le preoccupazioni di Hofmannsthal
relative a cori di elfi buoni e di elfi malvagi, a certe conchiglie giganti che devono
suonare esattamente come un telefono occupato nella Maria Egiziaca.
Se poi si trova capriccioso il giudizio di Hofmannsthal per cui la differenza
tra Wagner e Puccini sarebbe che il primo compone tante opere uniche mentre il
secondo ripete ogni volta la medesima opera, neanche Boito scherza quando
definisce la Wal-kyria come unazione insulsa che cammina pi lentamente di un
treno omnibus, fermandosi ad ogni stazione.
Per difficile trovare nei rapporti fra Poeta e Musicista un esempio pi
impressionante di musicista che non capisce niente di musica, e ha Insogno di uno
scrittore che gli spieghi assolutamente tutto, come nel caso Proust-Hahn.
A nessuno al mondo lautore della Recherche ha voluto bene pi che a
Reynaldo Hahn. Venezuelano, ricco, viziato, con una bella voce di tenore, molto
gattone di temperamento, Hahn aveva diciannove anni ed era un piccolo idolo di
molti salotti Verdurin quando incontr Proust, di tre anni pi vecchio. E basta
guardare le lettere che Proust gli ha indirizzato per ritrovare intatto, pi intimo e
giovanile, il tono di Un amour de Swann. Si firma ogni volta con un nome diverso:
Poney, Hibuls, Binibuls, Buchnibuls; per divertire Reynaldo, fa di tutto: versi,
disegnini buffi, prese in giro di signore alla moda, commenti a versi di Mallarm,
indiscrezioni sulle polemiche di Lon Daudet... Ma la parte pi singolare del
carteggio riguarda proprio la musica: singolare notare come qui lo scrittore
vedesse subito pi chiaro e pi lontano del musicista.
Veramente sembrano quasi incredibili gli sforzi di Proust per convincere il
suo amichetto che il Pellas unopera importante, che Debussy e pi tardi
Stravinski sono i veri musicisti dellavvenire; mentre Hahn, senza mai capir
niente, gli ride in faccia, lo tratta da dilettante incompetente, e proclama la
grandezza di Gounod, di Massenet (e per bene che vada di Saint-Sans).
Quando poi si tratta di scrivere a sua volta unopera, e non pi delle
romanze da salotto, Hahn finisce per produrre la celebre Ciboulette, rappresentata
nel 23 e piuttosto divertente: per unoperettaccia, da epigono pigro di
Offenbach, e con un odore di Belle poque putrefatta che in nulla la distingue da
Vronique, Monsieur Beaucaire, Les mousquetaires au couvent, Coups de
roulis... Soltanto unoperettaccia.

Andando poi avanti a sentire il Rosenkavalier, ci si rende conto come non


sia affatto, o non sia soltanto, quella scaltra e felice combinazione consacrata dal
Luogo Comune Critico fra i talenti di un esteta decadentissimo rotto a tutti i frou-
frou del Gusto, e di un grosso borghese eupeptico e soddisfatto che beve tanta
birra e va in montagna in braghe di cuoio e fa a macchina tanta musica grossa e
opaca, come viene viene. Pi si considera Strauss da vicino, pi lo si considera
sconvolgente... Filisteo? Nasce a ridosso di Wagner, come Berg a ridosso di
Schnberg, e Ravel a ridosso di Debussy: come se le mutazioni della musica
moderna dovessero effettuarsi attraverso coppie imbarazzanti di 'gemelli... Parte
imbullonando i ponti monumentali di ghisa e i palazzi di giustizia guglielmini e le
cattedrali-stazioni dei grandi poemi sinfonici. Gi oltre la soglia sonora che
immette nel cerchio diabolico esplode o putrefa il tristanismo Liberty con un
tessuto di parole-e-musica grandioso come negli affreschi di Mahler e sottile come
nelle miniature di Debussy; e gli stupidi che si scandalizzavano per i Valzer nel
Settecento potrebbero forse domandarsi ea Micene? ogni volta che la sua Elektra
ne mette in moto uno col nominare Oreste (forse pi Metonimia che non
Metafora...): mentre la sua Salome sabbiglia degli equivalenti sonori non tanto di
Moreau ma delloro falso e dei gioielli paillets come fiori di smalto in Der Kuss e
Die Jungfrau di Gustav Klimt... Sembra calarsi nel pi galante rococo? Ma la
stessa Secession alto-borghese di Musil; e tra un pastiche e laltro, daVdAriadne
al Capriccio, un po far il Tiziano e un po il Tiepolo e il Guardi: comunque, il
pittore coloristico; finch dopo tanti godimenti del suono per il suono (che
mascherano forse alla superficie artisticamente composta, o pantagruelica alla
Makart, degli inquietanti crepacci psicanalitici) finisce ottantenne con un suo
Falstaff privato che non affatto la catastrofe riscontrata da Walter Benjamin
nelle Ultime Opere dei Grandi Maestri (per cui le opere compiute pesano assai
meno di questi frammenti ai quali lavorano per tutta la vita: essi tracciano il loro
cerchio magico nellopera frammentaria), ma risulta una gran bella conclusione
per una Vita dArtista: i grigi perlacei e i marroncini morandiani del Secondo
Concerto dOboe e delle Metamorfosi...
Alla luce poi di quello che si venuto imparando negli anni recenti sulla
Vienna di Musil e Klimt e Freud e Mahler e Wittgenstein e Broch e Berg e
Schnberg e di alcune fondamentali Scuole Viennesi di filosofia, economia, diritto,
come diventa chiaro che il Rosenkavalier appartiene alla medesima civilt
intellettuale le lezioni dastronomia di Alma Mahler... con uninfinit di nessi
profondi, non soltanto esteriori, con lUomo senza qualit-, metamorfosi, in tutte
due, del Rococo in Secessione, e viceversa: nello spasimo pi acuto dellArt
Nouveau, i due austriaci stanno lavorando nello stesso senso di Beardsley e di
Gaudi, con gli stessi Tannhuser e le stesse ringhiere; risentono sia del
pointillisme di Seurat sia delle sgargianti toilettes di Sargent; si protenderebbero
fino alle nostalgie senili di Matisse per i verdi ireos di ferro nelle stazioni del Mtro
di Guimard...
Che cosa strana il Tempo Lasciamo passare la vita, non nulla Poi, a
un tratto, non sentiamo che lui Ci attorno, in noi!... Questi versi della
Marescialla potrebbero spettare a Oriane de Guermantes, naturalmente, o
riguardare il Barone di Charlus: ma la Marescialla appartiene alla specie delle
Diotime e delle Bonadee, piuttosto (lambiente lo stesso, la casa identica, un
palazzo Leinsdorf); e gratta gratta il generale Stumm von Bordwehr e troverai il
barone Ochs von Lerchenau, gratta Tuzzi e verr fuori un Faninal, mentre il
negretto, quello, sempre lo stesso, per Musil e per Strauss-Hofmannsthal, con le
stesse funzioni di chiudere una situazione piccante con uno sberleffo o un
ammicco. Ma in realt la relazione fra il Rosenkavalier e lUomo senza qualit la
stessa che meno oscuramente collega Madame Bovary al Bouvard et Pcuchet:
lopera chiusa, delle due, occulta trame profondamente affini a quelle che lopera
'aperta ostentatamente propone nelltalage delle sue Soluzioni di Continuit.

Nei primi anni dellultima guerra, arrivato a unet gravissima, e chiuso in


uno chalet in montagna insieme a Clemens Krauss, lontano da un mondo
profondamente cambiato dai tempi quando le Salome scandalizzavano i borghesi
aggrappati allUndecimo Co-mandamento Vittoriano, Mai lasciarsi scoprire, e il
Linguaggio Ornamentale che-non-ha-nulla-da-dire inaugurato da Dante Gabriele
Rossetti intorno al 1850 non era ancora franato nei palmy days dello Yachting
Style, e le estetiche musicali non si erano ancora impennate sulla manutenzione
della tonalit, Richard Strauss aveva avuto pi di un lungo inverno per ripensare
alle fasi duna carriera fra le pi doviziose dellintera storia della Musica. Davanti
alle cime alpine che gli avevano ispirato tanti anni prima tante contemplazioni
pae-saggistico-romantiche, complete di campanacci di vacche, yodel di montanari
svizzeri, e tutto, cominciava forse a'rivolgersi, a settantotto anni, domande ben pi
criticamente consapevoli, e definitive, sulla natura della Musica e della Poesia,
sulla essenza del Bello a teatro, come in un dialogo di Valry. Cosi finalmente
giungeva ad affidare il senso delle sue meditazioni a unoperazione estetica simile
a quella tentata da Verdi col Falstaff, per pi chic, anche se il titolo ricade
involontariamente sul Tutto nel Mondo Burla: una conversazione sulla musica
in forma dopera da camera in un atto (ma lunga due ore e un quarto). Questa
appunto Capriccio.
Qui il favoloso vecchio gi catalogato in tutte le enciclopedie per aver fatto
prorompere dallinterno lorchestra romantica, gonfiandola artificialmente in gara
con Mahler e travolgendola nel parossismo della Danza dei Sette Veli e nelle
dissonanze dellElektra, lo strumentatore maniaco che nei poemi sinfonici della
maturit aggiungeva strumenti sopra strumenti, i pi rari e inconsulti, come per
esplorare ogni possibilit dellorecchio educato, si libera in pubblico dogni
ornamento che sappia anche lontanamente di princisbecco, proprio come quando
Salome butta in faccia a Erode uno dopo laltro tutti i suoi veli e tutti i gioielli
fantasia comprati dal tabaccaio, e rimane con niente addosso; o anche come
quando la Marescialla capisce perfettamente a tempo il momento di tirarsi da
parte per lasciar fare lamore ai pi giovani, tra di loro. Cosi Strauss nelle opere
supreme riduce la sua orchestra a dimensioni pi magre ancora di quelle prescritte
da molti colleghi avanzati; ma ha leleganza finale di farlo senza scendere
dallOlimpo rococo e viennese che soltanto suo. Quando sapre il sipario siamo
sempre in una delle incantevoli familiari residenze ereditate dalle Nozze di Figaro,
tutte un finto-marmo; e nella Contessa che graziosamente siede al centro di un
gruppo di poltroncine bianche e dorate puro Ritz abbiamo il piacere di
riconoscere ancora una volta la Marescialla.
Subito il musicista Flamand e il poeta Ulivier s'avvicinano a corteggiarla:
uno sostiene che prima la musica, dopo le parole; laltro, come labate Casti, che
prima le parole, e poi la musica Musik oder Dichtkunst? e intorno ai
simboli fin troppo trasparenti la disputa si svolge con squisita eleganza, su
citazioni di Gluck, Piccinni, Corneille, Goldoni, Couperin, Rameau, Me-tastasio,
accortamente infilati da Krauss nel suo libretto. Olivier recita un suo sonetto, e
Flamand fa eseguire un suo sestetto. Abbiamo una minuscola orchestra in scena,
come nel Don Giovanni, e lespediente del teatro nel teatro, come nell 'Ariadne
auf Naxos. Accordi di clavicembalo, lezioni di canto come nel Barbiere di
Siviglia-, considerazioni sui Sentimenti, sul Cuore... Arriva il Direttore del Teatro,
che rappresenta lo spirito pratico, e discorre solo di quel che pu piacere al
pubblico: trucchi, macchinismi, viscontismi, tempeste, apparecchi del tuono e
musiche sullacqua (e va vicino a certe boutades del Teatro alla Moda, per
Strauss e Krauss non citano Benedetto Marcello...). Arrivano, portando argomenti,
il Regista e la Ballerina, la Grande Attrice, entusiasta, e il Conte, fratello della
Contessa, scettico e possibilista: e sono, intorno allincomparabile Elisabeth
Griimmer, Haefli-ger e Brauer, la Wagner e la Otto, e Joseph Greindl che si
appena tolto la barba del Mos. Finalmente entrano due tipi di cantanti italiani
allestero spassosamente sgangherati, con una certa malignit alla Tophile
Gautier.
Il loro duetto uno dei parecchi 'numeri che interrompono il continuum
sonoro tessuto di citazioni melodrammatiche delle epoche pi varie, come
sottofondo orchestrale alla conversazione ptillante e melodiosa. E lesibizione
della soprano mediterranea gigiona e golosa, che emette torrenti di trilli fra un
tortino e laltro divorati sotto gli occhi scandalizzati del maggiordomo (lei gli
sottrae rosoli e vinsanti per versarli in segreto al suo tenore) avvia al pezzo
mirabolante: un concertato clamorosissimo, travolgentissimo, con quattro gruppi
di cantanti in scena che agiscono in diversi punti, allegri o arrabbiati, o
indifferenti, mangiando e bevendo uninfinit di cose, come negli strepitosi finali
a sette del Re Teodoro di Paisiello, e con in pi tutti gli ah ah del che baccano
nel Ballo in Maschera.
Il concertato termina tuttavia su una sentenza piuttosto dura, nei riguardi
dellopera italiana. Ci siamo divertiti abbastanza, dicono, pressappoco, i padroni
di casa, ma adesso basta, mandateli fuori (e la povera gaglioffa viene trascinata
via in lacrime dai lacch, con le sue finte cavatine di Donizetti e una seggiola
impigliata nello strascico). Poi, mentre tutti escono a cambiarsi per il pranzo, e la
conversazione finita, senza conclusioni, un drappello dei soliti servi entra a
rimettere in ordine il salone, ballet-tisticamente, come in casa Faninal. Ma il
finale, quando la Contessa rientra in abito di gala, sorridente e splendida, indecisa
pi di prima fra la Poesia e la Musica, ma felice dessere corteggiata
da tutte due, e di sentirsi pi primaverile della Marescialla, stra- ' namente
riconduce per sue certe fantomatiche vie allultima scena del T'ristano: solo,
naturalmente, gli strazi importanti di Wagner sono qui diluiti (Liberty vo
cercando...) in unaura dolcemente, teneramente sentimentale...

4. Il caso Turandot

LOpera Comica di Berlino Est volta invece le spalle alla compostezza


nellallestimento, alla puntualit senza sbavature nella caratterizzazione dei
personaggi, alle lezioni di stile fatte con musicalit, omogeneit, leggerezza,
eleganza. Ha lasciato indietro i sicuri terreni della convenzione, e con la scuola di
Felsenstein si abbandona alle pi stimolanti eccitazioni dellesperimento: dalla
vagotonia del realismo agli espressionismi pi simpaticotonici. Con uninesausta
ricchezza dinvenzioni, Felsenstein riesce a ficcare ima quantit doggetti
incredibili nella sua interpretazione dogni opera; ma anche i suoi allievi non
arretrano di fronte allEccesso. Basta entrare nella hall del loro bel teatro rococo,
crema e oro, con tante divinit di stucco che pendono dal soffitto; salire le scale;
esaminare le diapositive a colori delle produzioni pi cospicue, attaccate su tutte le
pareti disponibili. Tutto un decadentismo isterico, e tanta tanta roba in scena,
dappertutto: si vede meglio naturalmente nei Fra Diavoli e nei Racconti di
Hoffmann-, ma anche la loro Traviata devessere ghiotta: lentrata dei toreri in
casa di Flora puro Baden Baden, mentre il banchetto del primo atto puro
Palazzo del Ghiaccio, coi suoi Pattinatori di Wald-teufel. LOtello invece pare
semplicissimo, con poche scene essenziali e giapponesi.
La sala larga, bassa, con un ampio ordine di palchi e una vasta galleria.
Una poltrona costa pochissimo, cinque o seicento lire, e gli spettatori sono quasi
tutti giovani, coi loro abiti blu e un gran traffico di pettinini. Anche una giacca da
smoking a fili doro, come i teddy-boys qualche anno fa. Gli spettacoli cominciano
verso le sette e mezza, e sono finiti per le dieci.
Sono capitato in una sera di Turandot, cosi lapparato del palcoscenico era
tutto sul barbarico: grate ritorte, tipo Klee in ferro battuto, al posto del sipario;
quinte di finto marmo verde prolungate fino a coprire i palchi di proscenio; e un
grosso gong carico di emblemi appeso sopra lorchestra, come se si fosse alla
Locanda della Settima Felicit nelle baracconate con Ingrid Bergman. Il cielo,
appena sillumina perch comincia, un cielo molto la page: conosce Dubuffet. E
le masse rantolano come in ima Buona terra diretta da Brecht. Le guardie che le
tormentano arrivano invece dritte siiTAleksandr Nevskij, ancora con su le loro
armature da Ordine Teutonico, e tutte quelle medesime cose di cattiveria col
debole.
Lopera, si sa com. Pepa con le pi sanguinose efferatezze (Ha inizio la
cerimonia! andiamo a goderci lennesimo supplizio! Ma se la spogli nuda
carne! carne cruda!) il banale aneddoto della Presentazione Mal Capita, su cui si
basavano innumerevoli jokes di commessi viaggiatori, nonch lindimenticabile
trasmissione Insomma, Lei chi ? gemma del-lEIAR negli anni trenta. Per fra
uneiaculazione e laltra provocate dalle fantasie masturbatone di Octave
Mirabeau, nasconde il personaggio-chiave del mito personale di Puccini: quel
Gran Cancelliere Ping che giustappone vis--vis Torre del Lago (E potrei tornar
laggi presso il mio laghetto blu tutto cinto di bamb) alle Voci Interne che
gli sussurrano: Ungi, arrota che la lama guizzi, sprizzi fuoco e sangue. Nel
libretto, Adami e Simoni cercano di trasferire con qualche moderato dileggio
(Dormi!... Oblia!... Li!... Poesia!...) il Giardino dei Supplizi sul terreno del
Corriere dei Piccoli: O Divina! Nella luce Mattutina Che dolcezza Si
sprigiona Dai giardini della Cina! E la musica di Puccini, spesso orientale
come quei motivetti alla Shanghai Lil che fanno tipitipitin, tipitn, tipitipitn,
tipitn tutte le volte che compare una governante cinese nei film di Lana Turner.
Per ha i suoi momenti affascinanti, e un bellissimo Inno alla Luna che potrebbe
andare come Inno Olimpico a Tokyo nel 1964 meglio ancora dellInno al Sole di
Mascagni alle Olimpiadi di Roma.
Mal suonata e mal cantata, la sua figura non la fa. Ma non sul lato
musicale, evidentemente, che si concentrano le attenzioni in questo teatro. Con
tantissimi mezzi a disposizione, chiaro che al regista Joachim Herz importava
piuttosto metter su uno spettacolone sgargiante che evidentemente la
conseguenza duna smodata infatuazione per il film I Vichinghi, per si vede
abbastanza volentieri, come un gagliardo banchetto con tante portate di tanti
colori, anche se il Principe Ignoto pare Achille Togliani abbigliato da Pasqualino
Maragi, e i tre Ping Pang e Pong, esageratamente truccati da clowns, fanno dei
lazzi da Toni e Giacomino. Finisce il primo atto, quando rangola il gong la morte
gongola! e su e gi per il foyer in una folla di mangiatori dinsalata di patate al
prezzemolo, di fette di pasticcio di carne, di bastoncini di marzapane ricoperti di
cioccolato; girano intorno al loro bellalbero di Natale; da bere, solo del vino
bianco e dellorrendo caff da stazione svizzera.
Il primo quadro del secondo atto presentato come una satira gogoliana
della burocrazia, coi tre pagliacci in vesti dArlecchino che saffannano tra scrittoi
altissimi in una stazione della Transiberiana addobbata con qualche pittura su
rotolo di seta. Come secondo quadro, esattamente linterno di San Marco, con un
po di Budda al posto delliconostasi, e i sacerdoti dellAida che dnno un party per
il Grande Inquisitore del Don Carlos, presentandogli jongleurs kabuki e giochi di
foulards interessanti per quanto un po lunghi.
Si sa cosa succede a questo punto: una specie dantico tote calcio cinese, con
la differenza che per vincere basta far tre, chi perde per finisce male, e il monte-
premi indivisibile, trattandosi della figlia dellImperatore. La ricchezza
dellapparato qui inverosimile: colpi di xilofono, esercizi di acquasantiere, ed
enigmi in astucci da torrone. Ma le modalit del quiz sono le stesse di Lascia o
raddoppia: soltanto, al posto del notaio siedono i tre clowns, facendo delle
smorfiacce invereconde; e invece di urlare la risposta esatta! si suona lInno
Olimpico tutte le volte.
Quando finalmente appare Turandot, si presenta ima cantante che non n
magra n giovane, con tendenza per di pi ad assumere toni furbetti da Lilia Silvi.
Subito si ha limpressione che per lesagerata difficolt degli enigmi lei abbia
dovuto star l ad aspettare moltissimi anni prima di trovare un pretendente
abbastanza fortunato, perdendo anche un po di voce, a furia di cantare da sola. Si
capisce perci anche troppo lo smarrimento e la confusione del povero principe
Calaf, che dopo tutta la fatica e i rischi si trova davanti unanziana signora che
potrebbe essere la sua mamma, appesantita da troppi castagnacci, e per un
giuramento atroce e un fosco patto si vede costretto allAmore.
Allinizio del terzo atto, Andrea Chnier allassedio di Poitiers. Quando
entra troppa gente, subito la Kovaticina. Lo spogliarello delle tentatrici, puro
Dodo dHambourg. Per il Nessun dorma con estrema precisione uno di quegli
incubi politici moderni, quando per esempio Mao li tiene su tutti per tutta la notte
a dare la caccia alle zanzare o alle rondini. Lentrata di lei in portantina, invece,
senza dubbio larrivo di Sofonisba da Massinissa, in Scipione l'Africano. E il finale
la solita incoronazione del Boris. Ma anche in uno spettacolo cos ambizioso, si
vede troppo da che parti vengono le luci: si pu risalire quasi sempre addirittura al
singolo riflettore.

[inverno 1960-61]

(da: Grazie per le magnifiche rose, Milano, Feltrinelli,


1965)
GIORGIO MANGANELLI
Due risvolti di copertina

Improvvisi per macchina da scrivere


(1989)

La macchina da scrivere nasce dai capricciosi amori di un cembalo estroso e di una


mite mitragliatrice giocattolo. I suoi connotati pi suasivi sono la tastiera e il
macchinoso frastuono. Per codesto amore, il cembalo ha deposto le sue arie, e la
mitragliatrice i suoi infantili, innocui furori. Le lettere che leggete sui testi sono
quanto resta degli antichi melodrammi, delle favole pastorali in cui il cembalo,
complice consenziente, venne coinvolto. Fu un amabile dono di nozze.
Incidentalmente, per questo la macchina da scrivere racconta volentieri romanzi e
progetta epistolari.
Nellanima del dattilografo inteso nel senso pi ampio si nasconde un solista
dei tasti; consanguineo del pianista, del clavicembalista, di tutti coloro che
vivono di e per una tastiera.
Sommamente invitante la tastiera; davanti ai tasti neri, alle lettere bianche, le
dita si innervosiscono, come danzatori prima del ballo. Cos accadeva quando il
cembalista sedeva, solo, davanti alla tastiera. Non cercava n pentagramma, n
metronomo; solo una tastiera voleva, e un pubblico silenzioso. Precipitosamente
esatte percorrevano le dita i tasti candidi e notturni: improvvisavano. Per
generazioni laria del mondo rabbrivid di delizia a quelle volatili improvvisazioni
che non ascolteremo mai. Se Mozart avesse potuto imprimere su di un mobile rullo
pentagrammato i capricci di una mano danzante!
Improvvisazione: la macchina da scrivere ha questo dono difficile: cattura
limprovvisazione. Vi furono improvvisatori pianisti, violinisti, cantanti, anche
poeti: ne resta solo la stupita testimonianza di qualche spettatore. Altri improvvis
discorsi: ne vennero catastrofi. Ma la minima, umile macchina da scrivere oggi la
naturale tastiera dellimprovvisatore. Esigua, futile e svelta limprovvisazione: un
po furba un po sciocca, un gioco patetico, insulto soave, graziosa villania; infine,
istantaneo, gi scomparso, il rintocco di un riso gi dimentico di ci di cui si
riso.

Rumori o voci
(1987)

Se avete una intima inclinazione per il baccano, il bordello, il fracasso, il frastuono,


la gazzarra e il putiferio, non dovete supporre di essere un pervertito auditivo; non
vi toccher un inferno di silenzio, sussurri, fievoli fiati; ma piuttosto significher
che ospitate una occulta e forse disattesa vocazione per le chiacchiere, i
pettegolezzi, il commerage del cosmo. Frastuonando cianciano gli asteroidi,
ammiccando bisbigliano i satelliti, brontolano le indaffarate meteore. Se un poco
di inclinazione ai valori perenni della civilt sapiens induger in voi, certo sarete
degustatori del diavoleto, ovvero diavolio, o meglio pandemonio, ma anche il
semplice, nonnesco inferno termine non inesatto per dir grandissima cagnara; e
appena si notino certe delicatezze come boato e rintocco, detonazione e sospiro,
conflagrazione e crepitio, chioccolio e bisbiglio, che tuttinsieme paiono alludere ad
una storia di bella ed intima drammaticit. E chi smusica, miei cari? Chi dal
tramenio trapassa alluggiolio e al roucoulement? Chi, altrimenti, sarabanda e
tracotando in un rombazzo scroscia, fa trambusto e subbuglio e infine schianto?
Ma che mai, che mai codesto finimondo? Non sar, per lappunto, se stesso?
da: Rumori o voci
explicit

[] Ma a te non sta di fronte una dialettica verbale, una eloquenza purchessia, ma


un agglomerato vocale che non conosce inizio o conclusione. E dunque ascolta
come la tua intenzione, pia e virtuosa, si trasformi in una impennata di voce, una
voce monotona, aspra, irta, iterativa, che via via verr misurandosi con laltra che
tu hai scelto, insensato senso. Non diresti che questa, che abbiamo detto altra
voce, eccepisce? Direi che non v dubbio. Articolando suoni infimi, echi e
rintocchi sordi, la voce resiste, con pi furbizia che onest, ma non credo che
linonest sia estranea a questa invasione delle voci, e forse anzi tutte le voci sono
inoneste. Eccepisce con strenua, sorniona sordidezza, sordamente, sommessa;
querula e, lo osasse, litigiosa; certo blandamente, anche flebilmente accusatoria,
quasi gemendo come disattesa, disamata, disertata, derelitta; fingendo, se qui
lecito distinguere finzione da recita, una sussurrata e corrucciata blandizie;
sperimentando elaborate cadenze, delicati capricci vocali. Cui tu farai diniego, o
solamente farai mostra di calcolata indifferenza. Ma ora odi una voce acre,
dispettosa, non ancora pronta alla furia, ma colma di ira, e insieme trattenuta da
una sorta di paura di te, o paura daltro che la voce conosce, ma non tu, non io;
altro che sar pur sempre in qualche modo voce. Ed ora ascolta: lira si impenna, il
furore vocale percorre istantanei cieli, dovunque si libra uno stormo di volatili
vocali. La voce, furibondo uccello, scende disegno di sillabe per laria, in forma di
becco infinito, assalta quella che ora vilt vana, reticenza astuta, e ferisce a fondo
le viscere daria dellostinato diniego. Infine sperimenti di silenzio; il cielo colmo
di suoni morti, piume sonore di volatili, uccisi rintocchi; si celebra la morte del
suono. La voce spenta. Una goccia. Una porta. Un vento disperde una polvere di
rantoli e strida. Ascolta: pu essere che la notte abbia una fine? Che tu venga
assolto da questo tuo acquattarti, esentato dal diniego, che la mappa delle voci
venga dichiarata illegale, e dolcemente, fermamente sottratta alla acuzie delle tue
mani? Pu essere. Io dovrei parlarti, io nonvoce, della lacerazione della notte, e
della progettazione dellalba, del barlume. Scinde il silenzio un grande, nobile
stridore. Questo ora vorresti sapere, vero? Che mai questo frastuono? Questo
subito fragore, quale mai hai udito? Questo urlare della notte, scheggiata in una
moltitudine di notti, perle, gocce d notte? Che questo rombo, farnetico,
frastuono, quale rissa governa il mondo, dilata lo spazio? E che vuoi che sia questo
biscanto, questo bailamme, questo stridore e fracasso, questo sibilo dellaria,
questo brivido sonoro? E che vuoi che sia, mio caro nottambulo, mio sedentario
delle tenebre, se non questo, questo appunto la resurrezione dei morti?

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