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Les Baigneurs…...

Il ragazzo è seduto su un asciugamano, parzialmente vestito con il cappello di paglia per proteggersi
dal sole, guarda fisso l’acqua. È immobile e indifferente all’uomo sdraiato di fianco poco distante,
completamente vestito, con una bombetta nera. Si rilassa sul prato fissando l’acqua, il suo cagnolino
guarda in avanti anche lui, nella stessa direzione del padrone. L’altro ragazzo in costume da bagno è
seduto immobile, come un pupazzo. Lo sguardo pietrificato, nessun altro bagnante guarda gli altri,
ognuno prigioniero della propria fissità.
La donna osservava il quadro, seduta sul comodo divano della Galleria, di fronte all’enorme dipinto
di Seurat. Chi l'avesse guardata non avrebbe colto niente di speciale: una sessantenne che ammirava
un’opera d’arte, un’anonima tra gli anonimi. Un lieve sorriso le disegnava un’espressione rapita,
come persa nei propri pensieri, il corpo alieno dai sentimenti. Era da più di mezzora che non si
muoveva, solo un lieve cambio di prospettiva nella visione, la posizione pressoché immutata.
“Eccomi di nuovo qui, dopo quasi quarantanni. La studentessa che si fermava alla National Gallery
per vedere i suoi dipinti preferiti. Dio benedica gli Inglesi per la loro civiltà di lasciare i musei
liberi. È meraviglioso avere l’opportunità di trascorrere anche solo mezzora davanti ad una
meraviglia. Une baignade à Asnières di Seurat. L’ho sempre amato. Mi sono sempre stupita di
questa immobilità dei soggetti. Sono ipnotici”.
Come presa da un pensiero improvviso guardò l’orologio. Sicuramente il marito l’avrebbe cercata
non vedendola più, era il caso di muoversi. Era passato tanto di quel tempo, non aveva più avuto
occasione di ritornare alla National. Aveva dei figli adulti adesso, sposata da decenni. Con il
pensiero cercò di ricordare la ragazza ventenne che aveva studiato la lingua a Londra, che era
vissuta come au pair girl in una famiglia inglese. Era impossibile visualizzarla, le venivano in
mente solo le fotografie del suo album giovanile, mezze scolorite e scollate, soprattutto quella fatta
al parco con l’amica, vestita un po’ da da hippy, con una fascia tra i capelli selvaggi, come si usava
allora.
“Perché la vita ci fa questi scherzi? Per un momento mi sono sentita uguale a come ero allora.
Perché l’immagine di questa donna proiettata nel vetro non la riconosco?”
Indugiava in questi pensieri che non portavano a niente e camminava lentamente, soffermandosi di
tanto in tanto vicino alle opere. Presa poi da un impulso improvviso ritornò a sedersi, a guardare di
nuovo i bagnanti di Seurat.
“Andrea spesso mi accompagnava, lui lo ricordo bene. Studiava con me, c’eravamo un po’
innamorati. Di dove era? Ma certo, era di Roma, anche lui studente. Chissà perché lo avevo
completamente dimenticato. Si ricorderà ancora di me? Ne dubito”.
Era tempo di andare ma non riusciva ancora a lasciare il dipinto. Rimase ancora a lungo. Guardava
l’azzurro dell’acqua e ricordava lei e lui, con le mani allacciate, forse su quello stesso divano su cui
sedeva ora, chissà. Un senso di tenerezza, misto ad un lieve senso di malinconia la faceva riflettere
sul tempo passato, sulla bellezza di quei momenti intensi che quando li vivi, soprattutto da giovane,
ti sembrano scontati, ripetibili. Invece non era così. Ogni momento di vita aveva la sua unicità, lei
cominciava ad essere in un’età in cui il tempo trascorso rischiava di prendere il sopravvento su
quello presente. Doveva fare attenzione a non lasciarsi intrappolare dai ricordi, dal rischio di
mitizzarli.
Prese il suo cellulare, per controllare le email. Ancora il lavoro era importante, non poteva non
leggerle, aveva un ruolo di responsabilità. Doveva chiamare il marito, da lì a poco si sarebbero
dovuti incontrare per proseguire insieme. Stava proprio pensando a questo mentre se lo ritrovò
davanti, che la guardava sorridendo.
«Lo sapevo che ti avrei trovata qui, nelle sale degli impressionisti. Vuoi fermarti ancora o
continuiamo per Covent Garden?»
Gli sorrise grata, per il suo tono dolce e per il piacere di averlo accanto. Con un cenno gli indicò
l’uscita.
Era uscito finalmente il sole, dopo tante ore di pioggia. Londra si trasformava, piena del suo
fascino. La folla era aumentata, del resto molti erano in vacanza e Covent Garden era una meta
classica di ogni turista.
“Mi piace sempre camminare per queste strade, è come se ci fosse continuità. Quante volte l’ho
percorsa con il mio zaino pesante sulle spalle pieno di libri e le chips calde nel cono di carta.
Ricordo ancora gli ambulanti che le vendevano. Ancora non c’era l’invasione degli asiatici con il
loro turismo della “foto vicina al quadro” fatta al posto di ammirarlo”.
Il marito continuava a parlare delle sale della National che aveva rivisto così volentieri, della sua
caccia ai Vermeer che non trovava.
«Mi stai ascoltando? Sembri un po’ assente!»
«Hai ragione, scusami, ero distratta dalla gente».
Arrivati alla piazza, videro gli artisti di strada che approfittavano del bel tempo per esibirsi. Alcuni
molto bravi.
“Quante volte ci sono venuta con Andrea, a guardare i musicisti, gli artisti. Ci piaceva tantissimo.
C’erano tanti punk al tempo. Mi impressionavano le loro spille da balia conficcate nella carne. Che
tossici, che sporchi. Quelli erano veri. Mica la versione fighetta patinata che è arrivata in Italia
almeno un anno dopo. Andrea amava fotografarli, me lo ricordo. A pensarci qualche foto scattata da
lui dovrei ancora averla in qualche vecchio album. Forse in qualcuna c’è pure lui. Perché non riesco
a ricordare il suo viso? Ho solo l’immagine di capelli ricci e di un sorriso ma quando cerco di
metterlo a fuoco tutto sbiadisce. Sono passati troppi anni. Mi prendeva sempre in braccio, mi
abbracciava forte e mi alzava da terra e poi mi faceva girare. I suoi denti bianchi. Perfetti. Quanto
mi faceva ridere”. Sorrise all’immagine di loro due allacciati e di lei che volteggiava leggerissima,
come una piuma. Un’istantanea, come in una foto, in un ricordo irreale, trasfigurato.
Da lontano la voce del marito che suggeriva di rientrare agì da interruttore.
Il giorno dopo avevano l’aereo, era meglio andare in albergo, preparare i bagagli prima di cena. Il
volo era al mattino presto, li aspettava una levataccia. Ridestandosi dalla sua rêverie la donna gli
sorrise e si incamminarono in direzione della Tube.
Sì, è proprio lei. Si riconosce. Si trova su un prato ed è sdraiata. Il cielo sopra di lei è di una
nitidezza assoluta, lo sguardo si perde, si avverte il senso dell’universo. Per un momento le sembra
di essere come nella composizione di Seurat, guarda con un senso di fissità, aliena dalla presenza
umana che pur la circonda ma che sembra ignorarla del tutto. Ad un tratto un’ombra attraversa la
linea del suo sguardo che continua ad essere rivolto in alto, la luce abbagliante non permette di
mettere subito a fuoco e di capire. Poi si dirada e un sorriso e degli occhi luminosi la guardano, le
labbra si accostano per baciarla. I capelli ricci e il tatto della sua mano che li attraversa le dà un
piacere noto, come qualcosa di familiare e il languore sembra vero, lo avverte. Poi lui la tira su e
insieme iniziano a camminare mano nella mano, vicino a dell’acqua. All’improvviso però il sole
sparisce, sono in una specie di parco, molto buio. Rabbrividisce come se avesse freddo, vuole
andar via, quel posto le fa paura. Sente qualcuno che le tocca la spalla. Sobbalza.
«Ti sei addormentata. Avevi i brividi. Forse l’aria condizionata troppo forte. L’ho spenta. Stai
bene?»
La donna faceva ancora fatica ad essere presente ma era sveglia ormai. Sorrise debolmente.
«Tutto bene. Un sogno strano. Un ragazzo che ho conosciuto a Londra quando studiavo lì per la tesi
di laurea era con me. Non ho pensato più a lui per decenni. Davvero strano».
Il marito la guardò curioso ma non chiese niente. Lei si mise a leggere, cercando di scrollarsi di
dosso quella sensazione spiacevole. Non mancava molto all’atterraggio.
Chissà perché anche nei giorni seguenti non riusciva a dimenticare del tutto quella sensazione, quel
sogno. Il vortice quotidiano l’aveva risucchiata come sempre, tra impegni di lavoro e familiari ma
una voce dentro insisteva di essere ascoltata. La sera, quando ci fu silenzio e i pensieri divennero
quasi sonori prese un suo vecchio album, quello del viaggio di Londra. Era sempre commovente
rivedersi dopo quasi quarantanni, quando quella ragazza che sorrideva dalla foto era la versione
lontana di ciò che era poi diventata, quando la voglia di vita era una fame insaziabile, da prendere a
morsi. Eccolo Andrea, che le cingeva la vita mentre lei cercava scherzosamente di divincolarsi. La
foto era sfuocata e scolorita, non c’era ancora il digitale che rende immortale l’immagine ma che
poi te la fa dimenticare subito, che non stampi per noia. L’aveva scattata Valentina, sua collega di
studi e amica, avevano condiviso un buco a Londra in un basement, buio e sporco con bagno
esterno la prima volta che si erano avventurate a Londra. Poi l’amica era ritornata e si trovava in un
college per un corso estivo mentre lei era una au pair in una famiglia benestante. Quel giorno si
erano incontrate e anche Andrea le aveva raggiunte, si era creato un bell’affiatamento, come solo i
giovani sono capaci di creare, senza remore e condizioni. Quante passeggiate, fast food, dormite nei
parchi. Le veniva in mente tutto, tante istantanee che si succedevano una dietro l’altra, come in una
presentazione virtuale. Non c’era stato niente di serio tra loro due, tanti baci, carezze, poco sesso.
Quando lui era rientrato a Roma era chiaro ad entrambi che la storia non poteva avere seguito,
abitavano in città diverse, avevano tante cose da completare. Nessun dramma, nessun dispiacere, si
erano abbracciati e baciati un’ultima volta. Fino all’esperienza della visione del quadro dei bagnanti
di Seurat non aveva mai pensato a lui, l’aveva del tutto dimenticato. La preferenza di entrambi per
quel magnifico dipinto era stato qualcosa che li aveva accomunati. Perché quel brutto sogno?
Significava qualcosa?
Avrebbe contattato Valentina, non c’era altra soluzione, forse lei sapeva qualcosa di Andrea, era
molto presente sui social, aveva ripristinato tutte le conoscenze di gioventù, i vecchi amici del
passato. Le diceva che tramite i social networks era riuscita a riconnettersi con le sue vite
precedenti. Sì, l’indomani l’avrebbe chiamata, un’occasione per salutarsi. Non la sentiva da più di
un anno. Il tempo sfuggiva, come sempre, le occasioni andavano perse.
«Ma che bello risentirti! Che fine hai fatto? Non ci crederai ma ieri ti ho pensata!» Valentina come
sempre simpatica, annullava in un colpo la distanza. Rivedersi su Whatsapp era sempre un piacere.
Come tra veri amici il tempo è un’entità quasi astratta, quando ci si risente è come se il filo non si
fosse mai spezzato.
«Sai com’è, ci si ripromette sempre di chiamarsi e poi si rimanda sempre, senza un motivo
specifico. Ma tu come stai? Cosa fanno i tuoi figli?» Valentina parlava sempre con piacere e si
dilungò con una serie infinita di dettagli sulla vita della carriere dei figli. Era giustamente
orgogliosa dei loro successi. La donna ad un certo punto le chiese a bruciapelo: «te lo ricordi
Andrea? A Londra? Che era una specie di boyfriend per me? Che eri diventata anche sua amica? Lo
hai presente?»
L’amica rimase per un momento in silenzio, cosa alquanto insolita per lei.
«Certo che me lo ricordo. È da anni che gli sono amica su Facebook. Insieme a qualche altro
centinaio di persone. Come mai me lo chiedi solo adesso? Non lo segui sui social?» Lo sguardo
sembrava preoccupato.
«Lo sai che mi annoio in queste cose. Ho troppo da fare per seguire tutti quei posts su cose che
quasi mai mi interessano. È che sono stata a Londra con mio marito per una vacanza, lo sai che il
mio secondo figlio vive e lavora lì. Alla National Gallery ho pensato a lui, ti ricordi? A volte venivi
anche tu con noi. Poi ho fatto un sogno un po’ inquietante, in breve mi è venuta la curiosità di
sapere cosa è successo. Non so spiegarmelo».
L’amica era davvero triste, stranamente senza parole.
«Non sai niente di quello che è successo?» Valentina era diventata seria.
«Cosa dovrei sapere? Cosa è successo?»
«Andrea è morto, poco tempo fa!»
La donna guardò l’amica, in silenzio. Un senso di angoscia le montava dentro, sentiva gli occhi
umidi.
«Come morto! Ma era della nostra età! Sai di cosa?» Adesso le premeva sapere.
«Non so con precisione. Ricordo uno dei suoi ultimi posts in cui salutava tutti i suoi amici, veri e
virtuali. Più o meno diceva, in tono apparentemente scherzoso, che la salute esigeva da lui un lavoro
a tempo pieno, doveva andare via per una vacanza speciale. Ovviamente ho potuto solo immaginare
che doveva andare a fare delle terapie per curarsi. Gli ho anche risposto con affetto, augurandogli il
meglio. Per mesi non ho saputo niente. Poi, circa due settimane fa una persona ha usato il suo
account per comunicare a tutti gli amici di Andrea che li aveva lasciati, dopo una lunga sofferenza!
Puoi immaginare il mio dispiacere. L’ho sempre ricordato con tanto affetto. Volendo sapere di più
ho preso coraggio e ho mandato un post ad una persona che risultava tra i suoi contatti stretti, una
ragazza giovane. Mi ha risposto» Valentina rimase in silenzio, come incapace di andare avanti.
«Quindi? Cosa ti ha scritto?»
«Aveva un cancro. Gli ultimi mesi ha sofferto moltissimo. Lo sai come ti distrugge questa malattia.
Per alcuni giorni è stato in coma, senza conoscenza. Era sempre sedato. La ragazza era sua figlia.
Mi ha ringraziato per l’interessamento. Mi ha detto che suo padre le aveva spesso raccontato delle
sue esperienze giovanili, anche di Londra, che aveva adorato. Le ho fatto le mie condoglianze.
Cos’altro potevo dirle?» L’espressione di Valentina era addolorata. Quando s’inizia a raggiungere
un’età in cui le malattie devi tenerle in conto ci si sente solidali, vicino umanamente, ci si accorge
di essere privilegiati ad avere ancora una vita con un futuro. La donna e l’amica si sentivano così in
quel momento.
«Sapresti dirmi in che giorni era in coma?» La donna cominciò a pensare e a temere le sue
emozioni.
«Te l’ho detto. Circa quindici giorni fa».
«Quando ero a Londra, al museo. E quando ero in aereo. Ma tu ci credi che le persone possono
comunicare anche se la mente sembra spenta? Comincio ad avere paura, di aver vissuto
un’esperienza che a che fare con il fantastico. Solo coincidenze!»
«Non saprei. Ci sono dei misteri difficili per noi da comprendere. In fondo cosa sappiamo
veramente cosa può accadere quando stiamo per lasciare questo mondo? Meglio non pensarci. Ci
stiamo rattristando. Cambiamo argomento. Andrea resterà nei nostri cuori, così continuerà ad essere
vivo. Finché non ci dimenticano sopravviviamo». Continuò a parlare del suo lavoro, di suo marito
ma la donna ormai quasi non ascoltava più, si sentiva scossa da forti emozioni. Dopo qualche
minuto si congedò dall’amica.
“Ma esistono davvero le coincidenze? Andrea aveva, in qualche modo, cercato di comunicare con
me? Forse quando stava lasciando il mondo che non avrebbe più rivisto mi ha ricordata? Un amore
della sua giovinezza probabilmente per lui più importante di quanto lo sia stato per me?”
Questi ed altri pensieri occupavano la mente della donna, mentre era seduta sul divano, con lo
sguardo fisso, perso in lontananza.
«Ma stai bene amore? Hai un’espressione strana,» le chiese il marito, come sempre premuroso.
«È successo qualcosa di triste? Ho sentito che parlavi con Valentina!»
Non sapendo neanche lei bene il perché non si sentiva di condividere con lui quel momento.
«Tutto a posto, solo stanca. Tra un po’ vado a dormire. Ti raggiungo».
Dandole il bacio della buonanotte il marito si allontanò.
La donna continuò a guardare davanti a sé. Pensava ad Andrea ma tutto era confuso, remoto. Quale
Andrea poi? Il ragazzo che sorrideva nella foto o l’uomo adulto, malato, che non poteva in alcun
modo figurarsi?
Non aveva più nessuna importanza. Le piaceva credere che lui poteva aver conservato il suo
ricordo. Cercò di immaginare l’ultimo saluto a lei e pensò che poteva essere mentre guardava il
quadro di Seurat, ne era convinta, la voce dentro glielo diceva. Il dipinto: era come se lei ed Andrea
fossero lì nella scena, non più solo spettatori, tra le figure immobili che guardano avanti e non si
parlano, come se non sentissero il bisogno di comunicare, persi in una condizione di un benessere
statico. Per un momento l’azzurro dell’acqua le giunse nel ricordo in modo vivido, quasi accecante.
E lui era lì, perso nella miriade di puntini, solo.

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