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e per la loro validit� siano limitati al soggetto empirico, e di giudizi

oggettivamente validi, cio� validi per ogni soggetto in ass oluto; il soggetto
empirico noi lo abbiamo gi� neutralizzato, e l'appercezione tra scendentale, la
coscienza in assoluto, acquister� presto per noi tutt'altro senso, e niente affatto
misterioso. Ma torniamo alla linea principale della nostra trattazione. Giudizi
fenomenologi ci come giudizi singolari non hanno molto da insegnarci. Ma come si
perviene a d ei giudizi, per giunta giudizi validi che siano scientifici? E la
parola scienti fici ci pone subito in imbarazzo. Non si fa avanti, noi ci
chiediamo, con l'ogge ttivit� la trascendenza, e con questa appunto il dubbio su
che cosa essa debba sig nificare, se e come essa sia possibile? Tramite riduzione
gnoseologica, noi escl udiamo presupposizioni trascendenti, perch� la trascendenza
� in questione, quanto a lla sua possibile validit� e al suo senso. Ma � ancora
possibile, allora, accertare qualcosa in modo scientifico, in modo trascendente,
entro la gnoseologia stessa? Non � ovvio che prima della fondazione della
possibilit� della trascendenza non vi pu� esser posto nella gnoseologia stessa per
nessun accertamento trascendente? Ma
se l'"epoch�" gnoseologica richiede - come sembrerebbe - che noi non lasciamo vale
re nessuna trascendenza prima di averne fondata la possibilit�, e se proprio la fo
ndazione della possibilit� della trascendenza richiede, in quanto fondazione ogget
tiva, posizioni trascendenti, [49] pare che siamo di fronte a un circolo, che re
nde impossibili fenomenologia e gnoseologia; e le fatiche finora sopportate risu
lterebbero vane. Non saremo obbligati a disperare subito della possibilit� di una
fenomenologia e, ci� che vi � manifestamente coimplicato, di una critica della
conoscenza. Quello che ora ci occorre � compiere un passo avanti, che ci rettifichi
questo circolo illus orio. In fondo lo abbiamo gi� compiuto, dal momento che
abbiamo distinto due speci e di immanenza e trascendenza. Come Loro ricorderanno,
Descartes si chiese, dopo aver accertato l'evidenza della "cogitatio" (o piuttosto,
ci� che noi non ci siam o addossato, il "cogito ergo sum"): cos'� che mi rende
sicuro di queste datit� fonda mentali? Ebbene, era la "clara et distincta
perceptio" (82). A questa noi possia mo rifarci. Non ho bisogno di dire che qui noi
abbiamo concepito la cosa in modo gi� pi� puro e pi� profondo di Descartes, e che
perci� anche l'evidenza, la "clara et d istincta perceptio", � da noi concepita e
intesa in modo pi� puro. Assieme a Descart es ("mutatis mutandis") possiamo fare a
questo punto il passo ulteriore: qualunq ue cosa sia data, come la singola
"cogitatio", mediante "clara et distincta perc eptio", abbiamo altrettanto diritto
di avvalercene. Questo certamente non ci las cia presagire niente di buono, se
ripensiamo alla terza e quarta meditazione, al le prove dell'esistenza di Dio, al
ricorso alla "veracitas dei" eccetera. - Sia pure, Loro siano solo molto scettici,
o piuttosto molto critici. La datit� della p ura "cogitatio" noi l'abbiamo ammessa
come assoluta, la datit� della cosa esterna nella percezione esterna no, bench�
questa sollevi la pretesa di dare l'essere del la cosa stessa. La trascendenza
della cosa esige che noi la poniamo in questione . Noi non comprendiamo come la
percezione possa cogliere qualcosa di trascendent e; ma comprendiamo come la
percezione possa cogliere qualcosa di immanente, in q ualit� di percezione riflessa
e puramente immanente, o ridotta. E perch� comprendiam o questo? Ebbene, noi
guardiamo e afferriamo direttamente quel che intenzioniamo guardando e afferrando.
(83) Aver davanti agli occhi un'apparenza, che intenzio na qualcosa che in essa non
� direttamente dato, e dubitare che questo qualcosa si a, e di come vada inteso il
suo essere, tutto questo ha un senso. Ma guardare e non intenzionare nient'altro
che ci� che nel guardare si afferra, e poi ancora por re questioni e avanzar dubbi,
questo non ha senso affatto. [50] In fondo tutto c i� non significa altro se non
che guardare, afferrare qualcosa di dato direttament e, in quanto si tratti appunto
di un effettivo guardare, di un'effettiva datit� di retta nel senso pi� rigoroso, e
non di un'altra datit� che intenzioni qualcosa di no n-dato, tutto ci� rappresenta
un che di ultimo. E' l'ovviet� assoluta; (84) ci� che no n � ovvio, che �
problematico e forse anche misterioso, si trova nell'intenzionare t rascendente,
cio� nell'intenzionare, credere, forse addirittura laboriosamente fon dare,
qualcosa che non � dato; non ci aiuta affatto che anche qui ci sia una datit�
assoluta da constatare, la datit� dell'intenzionare o del credere stesso: basta ch
e esercitiamo la riflessione e ce la troviamo dinanzi, ma questo che di dato non �
affatto ci� che si intenziona. Ma come! L'ovviet� assoluta, la guardante datit�
diretta, � presente soltanto nel sing olo vissuto e nei suoi singoli momenti e
parti, si riduce cio� al porre, guardando , il questo-qui? Non dovrebbe essere
possibile porre, guardando, altre datit� come datit� assolute, per esempio
universalit�, in modo che un universale possa venire, guardando, a ovvia datit�,
dubitare della quale sarebbe daccapo un controsenso? Qu anto sarebbe strano
limitarsi alle datit� fenomenologico-singole della "cogitatio" risulta gi� da
questo, che l'intero trattamento dell'evidenza, che noi abbiamo av viato
appoggiandoci a Descartes e che certo era illuminato da assoluta chiarezza e
diretta intelligibilit�, perderebbe il suo valore. Infatti, nella singola fatti
specie di una "cogitatio", ad esempio di un sentimento che stiamo vivendo, potre
mmo forse dire: "Questo � dato", ma a nessun patto potremmo arrischiare il princip
io generalissimo: la datit� di un fenomeno ridotto in quanto tale � una datit�
assolut a e indubitabile (85). Ma questo, solo per mettere Loro sulla strada. In
ogni caso � lampante che la poss ibilit� di una critica della conoscenza dipende
dall'esibire altre datit� assolute,
oltre quelle delle "cogitationes" ridotte. Pi� esattamente, noi le oltrepassiamo g
i� coi giudizi predicativi (86) che pronunciamo su di esse. Gi� quando diciamo: "A
f ondamento di questo fenomeno di giudizio sta questo e questo fenomeno di rappres
entazione", "Questo fenomeno di percezione contiene questi o quei momenti, conte
nuti di colore e simili" [51], e anche quando, in base ai presupposti, facciamo
queste asserzioni nella pi� pura aderenza alle datit� della "cogitatio", noi, con
le forme logiche che si rispecchiano anche nell'espressione linguistica, andiamo b
en al di l� delle semplici "cogitationes". C'� in tutto ci� un sovrappi� che non
consist e - poniamo - in una semplice agglomerazione di nuove "cogitationes". E
anche se alle "cogitationes" sulle quali facciamo asserzioni, col pensiero
predicativo s e ne aggiungono altre, tuttavia non sono queste che costituiscono lo
stato di co se predicativo, cio� l'oggettualit� dell'asserzione (87). Almeno per
chi possa mettersi nella posizione del puro guardare, e tenere lontan a da s� ogni
pre-opinione naturale, � pi� facile riconoscere che non solo delle indivi dualit�,
ma anche delle universalit�, cio� oggetti universali e stati di cose universa li,
possono pervenire ad assoluta datit� diretta. Questo riconoscimento � di importa
nza decisiva per la possibilit� della fenomenologia. (88) Infatti il peculiare car
attere di questa � il suo essere analisi d'essenza e indagine d'essenza, nel quadr
o di una considerazione puramente guardante, nel quadro di un'assoluta datit� dire
tta. Questo � necessariamente il suo carattere; dopotutto essa vuol essere scienza
e metodo intesi a chiarire possibilit�, possibilit� della conoscenza e possibilit�
de lla valutazione, e a chiarirle dal fondo della loro essenza; e si tratta di poss
ibilit� ; discutibili universalmente, e con ci� le relative indagini sono indagini
d 'essenza universali. L'analisi d'essenza � "eo ipso" un'analisi nel modo della
gen eralit�, la conoscenza di essenza � "eo ipso" una conoscenza indirizzata a
essenze, a essenzialit�, a oggettualit� universali. E qui trova legittimamente il
suo posto a nche il discorso circa l'a priori. Giacch�, che cos'altro significa una
conoscenza a priori, almeno in quanto abbiamo escluso i concetti dell'a priori
svisati dal l'empirismo, se non una conoscenza indirizzata a essenzialit� generali,
che atting a un valore puramente suo puramente dall'essenza? (89). In ogni caso �
questo il primo concetto giustificato di a priori; un altro se ne r icava quando
intendiamo con questa espressione tutti i concetti che, come catego rie, abbiano in
certo senso importanza di principi, e inoltre le leggi d'essenza che si fondano su
questi concetti. [52] Se qui ci atteniamo strettamente al primo concetto di a
priori, la fenomeno logia ha da fare con l'a priori nella sfera delle origini, o
delle datit� assolute , cio� con le specie che sia dato cogliere guardando nel modo
della generalit�, e co n gli stati di cose a priori che sulla base di quelle specie
si costituiscono in modo immediatamente accessibile allo sguardo. Nella direzione
invece della crit ica della ragione, non solo di quella teoretica ma anche di
quella pratica, e di ogni forma di ragione, l'obbiettivo principale � l'a priori
nel secondo senso, l' accertamento delle forme e degli stati di cose che debbono
darsi direttamente al livello dei principi, e - per mezzo di queste datit� dirette
- la realizzazione, la valorizzazione e la valutazione dei concetti e delle leggi
che si presentano con la pretesa a un'importanza di principi nella logica,
nell'etica e nella dott rina dei valori.

LEZIONE 4. "Allargamento della sfera d'indagine mediante l'intenzionalit� [55]. La


datit� diret ta dell'universale; il metodo filosofia) dell'analisi d'essenza [56].
Critica de lla teoria dell'evidenza come sentimento: l'evidenza come datit� diretta
[59]. Nes suna limitazione alla sfera dell'immanenza materiale; tema: ogni datit�
diretta [6 0]." [55] Se ci fermiamo alla mera fenomenologia della conoscenza, ci�
che in essa � in g ioco � l'essenza della conoscenza in quanto la si possa esibire
in modo direttamen te intuitivo, si tratta cio� di esibire allo sguardo e
distinguere analiticamente,
mantenendosi nel quadro della riduzione fenomenologica e della datit� diretta, le
molteplici specie di fenomeni comprese sotto il largo titolo di "conoscenza". L a
questione � allora di sapere che cosa, essenzialmente, in essi � insito e che cosa
funge da fondamento, a partire da quali fattori essi si costruiscono, quali pos
sibilit� di complessi fondano, sempre essenzialmente e in pura immanenza, e quali
rapporti generali scaturiscono comunque da essi (90). N� si tratta soltanto di ci�
che � materialmente immanente, ma anche dell'immanente in senso intenzionale. I
vissuti di conoscenza - questo appartiene alla loro essen za - hanno un'"intentio",
(91) intendono qualcosa, si riferiscono in una maniera o nell'altra a
un'oggettualit�. Il riferirsi a un'oggettualit� appartiene a essi, a nche se non
appartiene a essi l'oggettualit�. E l'oggettuale pu� apparire, pu� avere n
ell'apparire una certa datit�, mentre tuttavia non � materialmente contenuto nel
fen omeno conoscitivo, n� si pone altrimenti come "cogitatio". Chiarire l'essenza
dell a conoscenza e portare alla datit� diretta le connessioni d'essenza che
appartengo no a essa, significa dunque condurre le indagini secondo questi due
aspetti, app rofondire questo rapporto appartenente all'essenza della conoscenza.
E' proprio qui che si trovano gli enigmi, i misteri, i problemi intorno al senso
ultimo del l'oggettualit� della conoscenza, e fra questi quelli della sua
fondatezza e non-fo ndatezza, quando si tratti di conoscenza giudicante, o della
sua adeguazione, qu ando si tratti di conoscenza evidente, e cos� via. In ogni
caso, manifestamente, tutta questa indagine d'essenza � proprio un'indagin e nel
modo della generalit�. Il singolo fenomeno di conoscenza che nel flusso di c
oscienza viene e scompare, non � l'oggetto dell'accertamento fenomenologico. Qui s
i hanno di mira le "fonti della conoscenza", le sue origini, che occorre arrivar e
a intuire nel modo della generalit�, [56] le assolute datit� generali che rapprese
ntano i criteri universali coi quali va misurato ogni senso e quindi anche il di
ritto del pensiero caduto in confusione, e sulla base dei quali sono da scioglie re
tutti gli enigmi che esso ci pone nel suo riferimento all'oggetto. Ma pu� realmente
l'universalit�, possono essenze universali e stati di cose universa li a esse
appartenenti pervenire a datit� diretta nello stesso senso di una "cogit atio"? Non
trascende l'universale come tale la conoscenza? La conoscenza univers ale come
fenomeno assoluto � certamente data; ma in essa cerchiamo invano l'univer sale, che
certo deve costituire ci� che v'� di identico nel senso pi� rigoroso in innu
merevoli conoscenze di uguale contenuto immanente. Noi rispondiamo, naturalmente ,
come abbiamo gi� risposto: naturalmente l'universale ha questa trascendenza. Ogn i
parte materialmente costitutiva del fenomeno di conoscenza, di questa individu
alit� fenomenologica, � ancora un'individualit�, e quindi l'universale, che non �
affatt o un'individualit�, non pu� essere contenuto materialmente nella coscienza
d'univers alit�. Ma scandalizzarsi di questa trascendenza non � pi� che un
pregiudizio, e provie ne da considerazione inadeguata della conoscenza, e da una
che non si � attinta al la fonte stessa. Appunto questo bisogna rendersi chiaro,
che il fenomeno assolut o, la "cogitatio" sottoposta a riduzione, non vale per noi
come assoluta datit� di retta per il fatto che � un'individualit�, ma perch� nel
puro guardare, in seguito all a riduzione fenomenologica, si rivela proprio come
assoluta datit� diretta. Ma non meno possiamo trovare, semplicemente guardando, e
proprio a questo titolo di da tit� assoluta, l'universalit� (92). Stanno veramente
cos� le cose? Ebbene, diamo allora un'occhiata a dei casi di dati t�
dell'universale, cio� casi in cui, sulla base di un'individualit� oggetto di sguard
o e direttamente data, si costituisce una coscienza d'universalit� puramente imman
ente. Ho un'intuizione individua, o pi� intuizioni individue di rosso, mi attengo
strettamente alla pura immanenza, provvedo alla riduzione fenomenologica. Taglio
via ci� che il rosso altrimenti significa, nella cui veste esso pu� essere qui appe
rcepito in direzione trascendente, poniamo come il rosso di una carta asciugante
che sta sul mio tavolo, e simili, [57] e a questo punto realizzo, entro il puro
guardare, il senso del pensiero "rosso in generale", "rosso "in specie"", dicia mo
l'identico universale rilevato in questo o quel caso di rosso; ora l'intenzio nato
non � pi� l'individualit� come tale, non pi� questo o quel caso, ma il rosso in gen
erale (93). E se noi davvero facciamo questo entro il puro guardare, potremmo an
cora intelligibilmente aver dubbi su cosa sia il rosso in generale, su cosa si i
ntenda con un'espressione simile, su cosa esso pu� mai essere secondo la sua essen
za? Noi lo vediamo pure, esso � l�, ed � quella cosa l� che noi ora intenzioniamo,
quest o carattere specifico di rosso. Potrebbe una divinit� o un intelletto
infinito pos sedere dell'essenza del rosso pi� che il fatto di guardarlo appunto
nel modo della generalit�? E se noi ora - poniamo - ci troviamo date due specie di
rosso, due sfumature, no n possiamo giudicare che questa e quella sono
reciprocamente simili, e non quest i due fenomeni di rosso individuatamente
singoli, ma i caratteri specifici, le s fumature come tali? Non costituisce qui il
rapporto di somiglianza una datit� asso luta generale? Anche questa datit� � dunque
una datit� puramente immanente, e non imma nente nel senso falso, in quello cio� di
mantenersi nella sfera della coscienza in dividuale. Gli atti di astrazione nel
soggetto psicologico e le condizioni psico logiche a cui l'astrazione si compie
sono del tutto fuori argomento. Il discorso cade sull'essenza generale o senso
generale "rosso" e sulla sua datit� nel guarda re generale. A questo punto � senza
senso porre ancora questioni e dubbi su cosa s ia infine l'essenza del rosso, o su
cosa sia il senso del rosso, qualora guardan do il rosso e cogliendolo nella sua
specificit� di carattere, con la parola rosso si intenda appunto precisamente
quello che si sta cogliendo e guardando: allo st esso modo non ha neppure senso,
riguardo all'essenza e al configurarsi fondament alissimo della conoscenza, avanzar
dubbi su quello che � il suo senso, quando in u na considerazione puramente
guardante e ideante, entro la sfera della riduzione fenomenologica, si hanno
davanti agli occhi i corrispettivi fenomeni esemplari, e il corrispettivo carattere
specifico � dato. (94) Soltanto che la conoscenza non � certamente una cosa cos�
semplice come il rosso, e ben molteplici forme e specie di essa sono da
distinguere, e questo non basta, esse sono anche da indagare nel le loro reciproche
relazioni d'essenza. Capire la conoscenza significa infatti a rrivare a chiarire
nel modo della generalit� le connessioni teleologiche (95) dell a conoscenza, che
si risolvono in certe relazioni d'essenza tra diversi tipi ess enziali di forme
intellettive [58]. Rientra in questo anche il chiarimento ultim o dei principi che
in qualit� di condizioni ideali della possibilit� di un'oggettivi t� scientifica
regolano in modo normativo tutti i procedimenti empirici delle scie nze. L'intera
indagine del chiarimento dei principi si muove assolutamente nella sfera
dell'essenza, che si costituisce a sua volta sul sostrato di fenomeni sin goli
propri della riduzione fenomenologica. L'analisi � in ogni passo analisi d'essenza
e indagine degli stati di cose general i da costituirsi nell'intuizione immediata.
L'intera ricerca � dunque una ricerca a priori; naturalmente non lo � nel senso
delle deduzioni matematiche. Ci� che la di stingue dalle scienze aprioriche
obbiettivanti � il suo metodo, come il suo scopo. La fenomenologia procede per
sguardi chiarificatori, determinazioni di senso e distinzioni di senso. Essa
confronta, distingue, collega, pone in relazione, div ide in parti, o separa
momenti. Ma tutto ci� entro il puro guardare. Essa non teor izza e non matematizza;
(96) non effettua cio� alcuna spiegazione nel senso di una teoria deduttiva. Nel
suo chiarire i concetti e le proposizioni fondamentali, c he governano in qualit�
di principi la possibilit� d'una scienza obbiettivante (ma i n ultimo facendo
oggetto di riflessione chiarificatrice anche i suoi propri conc etti fondamentali e
principi) - essa finisce l� dove la scienza obbiettivante comi ncia. (97) Essa �
dunque scienza in tutt'altro senso, e con tutt'altri compiti e t utt'altri metodi.
Il procedere guardando e ideando (98) all'interno della pi� rigo rosa riduzione
fenomenologica � la sua caratteristica esclusiva, � in tanto il metod o
specificamente filosofico, in quanto questo metodo appartiene essenzialmente a l
senso della critica della conoscenza, e cos�, in generale, a ogni forma di criti ca
della ragione (e quindi anche della ragione valutante e di quella pratica). ( 99)
Ma anche quello che oltre alla critica della ragione, in senso proprio, si c hiama
ancora filosofia, � interamente da riportare a essa: lo sono quindi la [59]
metafisica della natura, e la metafisica dell'intera vita dello spirito e quindi la
metafisica in generale nell'accezione pi� larga. Si parla di evidenza in casi di
sguardo come questi, e perfino coloro che conoscono il pregnante concetto di
evidenza e lo tengono ben fermo secondo la sua essenza, di fatto hanno esclusiva
mente di mira eventi di tal genere. La cosa fondamentale � non mancare di vedere c
he l'evidenza, coerentemente, � questa coscienza che guarda per davvero, che cogli
e direttamente e adeguatamente la cosa stessa, che evidenza non vuol dire altro
se non adeguata datit� diretta. I teorici empiristi della conoscenza, che tanto pa
rlano del valore dell'indagine sull'origine e intanto rimangono cos� lontani dalle
vere origini quanto i pi� accaniti razionalisti, vogliono farci credere che tutta
la distinzione fra giudizi evidenti e non evidenti consista in un certo sentime nto
per il quale i primi si distinguono. (100) Ma qui un sentimento che cosa pu� r
endere intelligibile? Qual � il suo compito? Deve forse gridarci: "Alt! qui � la
ver it�"? Ma in questo caso perch� dovremmo credergli? Questa credenza deve avere a
sua volta un indice di sentimento? E perch� un giudizio del senso "due per due fa
cinq ue" non ha mai questo indice di sentimento e perch� non pu� averlo? Come si
arriva p ropriamente a questa dottrina degli indici piena di sentimento? Ebbene, si
dice: lo stesso giudizio, logicamente parlando, ad esempio il giudizio "due per due
f a quattro", pu� essermi una volta evidente e un'altra no, lo stesso concetto di
"q uattro" pu� essermi dato una volta intuitivamente nell'evidenza, e un'altra
volta in una rappresentazione puramente simbolica. Dal punto di vista del contenuto
ci sarebbe quindi da entrambe le parti lo stesso fenomeno, ma solo da una parte un
a prerogativa di valore, un carattere che conferisce valore, un sentimento privi
legiante. Ma ho davvero da entrambe le parti la stessa cosa, tranne che una volt a
ho un sentimento annesso, e l'altra volta no? Ma se si guardano da vicino i fe
nomeni, ci si accorge subito che in realt� non si ha davanti, entrambe le volte, l
o stesso fenomeno, ma due fenomeni essenzialmente distinti, che solo hanno qualc
osa in comune. (101) Se una volta vedo che due per due fa quattro, e un'altra vo
lta lo dico in un giudicare vagamente simbolico, intendo una medesima cosa, ma i
ntendere una medesima cosa non significa avere lo stesso fenomeno. Il contenuto �
nei due casi distinto: una volta vedo, e nel vedere � dato lo stato di cose
stesso ; l'altra volta ho l'intendere simbolico. Una volta ho intuizione, l'altra
volta intenzione vuota. Consiste dunque la differenza nel fatto che da una parte e
dall'altra � presente q ualcosa di comune, [60] il medesimo "senso", una volta con
un indice di sentimen to e l'altra volta senza? Ma si guardino da vicino i fenomeni
stessi, invece di parlarne dall'alto e di abbandonarsi a costruzioni! (102)
Prendiamo un esempio a ncor pi� semplice: se una volta ho il colore rosso in una
viva intuizione, e un'al tra volta penso al rosso in una vuota intenzione
simbolica, forse che nei due ca si � materialmente presente lo stesso fenomeno di
rosso, ma una volta con un senti mento e l'altra volta senza sentimento? Insomma, �
sufficiente guardare da vicino i fenomeni e si riconosce che essi sono per ogni
verso distinti, e uniti solo da qualcosa che � da individuare da entrambe le parti,
e che noi chiamiamo senso. Ma se la diversit� si trova nei fenomeni ste ssi, c'�
forse ancora bisogno di un sentimento per distinguerli? E la distinzione non
consiste appunto in questo, che in un caso abbiamo datit� diretta del rosso, d
atit� diretta dei numeri e della generale uguaglianza tra numeri, ovvero - nella f
raseologia orientata al soggetto - un cogliere e direttamente possedere queste c
ose che � adeguatamente guardante, mentre nell'altro caso abbiamo appunto un sempl
ice intendere le cose? Con questa evidenza fatta di sentimento noi non possiamo
dunque intendercela. Anch'essa potrebbe aver ragione solo se si legittimasse nel
puro guardare, e se puro guardare volesse dire appunto quel che noi ce ne aspet
tiamo, e che � in contraddizione con essa. Ora s� possiamo dire, impiegando il
conce tto d'evidenza: dell'essere della "cogitatio" abbiamo evidenza, e in quanto
ne a bbiamo evidenza essa non implica nessun enigma, quindi neppure l'enigma della
tr ascendenza, essa vale per noi come qualcosa che � fuori discussione e della
quale ci � lecito disporre. Non minore � l'evidenza che abbiamo dell'universale:
oggettual it� e stati di cose universali pervengono per noi alla datit� diretta, e
quindi sono dati in modo indiscutibile nello stesso senso, dati appunto
direttamente in mod o adeguato nel senso pi� rigoroso. In conseguenza di ci� la
riduzione fenomenologica non significa qualcosa come la limitazione della ricerca
all'immanenza material e, o alla sfera di ci� che � materialmente incluso
nell'assoluto "questo" della "cog itatio"; essa non significa affatto limitazione
alla sfera della "cogitatio", ma limitazione alla sfera delle pure datit� dirette,
alla sfera di quello su cui non solo si parla e che non solo si intende - e neppure
alla sfera di quello che vi ene percepito - [61], ma solo alla sfera di quello che
precisamente nel senso in cui � inteso � anche dato, e dato direttamente nel senso
pi� rigoroso, in modo che nu
lla di ci� che � inteso non sia anche dato. In una parola, limitazione alla sfera
de lla pura evidenza, intendendo tuttavia la parola in un particolare senso rigoros
o, che di certo esclude "evidenza mediata" e soprattutto ogni evidenza in senso
lato (103). L'assoluta datit� � un che di ultimo. Naturalmente � facile dire e
affermare di avere qualcosa di assolutamente dato mentre in verit� non � cos�.
Anche l'assoluta datit� � qual cosa su cui si pu� discettare in modo vago, e che
pu� essere dato nella forma dell'a ssoluta datit�. Come posso guardare un fenomeno
di rosso, e posso semplicemente pa rlarne, senza guardarlo, alla stessa maniera
posso parlare anche del guardare-il -rosso, ma posso dirigere lo sguardo su questo
guardare-il-rosso e cos� cogliere c on lo sguardo anche il guardare-il-rosso.
D'altra parte negare affatto la datit� d iretta significa negare ogni norma ultima,
ogni criterio fondamentale che possa dare un senso alla conoscenza. Ma allora si
dovrebbe anche definire tutto una pa rvenza, e con un controsenso definire parvenza
anche la parvenza come tale, e co s� abbandonarsi completamente al controsenso
dello scetticismo. Ma ovviamente pu� ar gomentare in questo modo contro lo scettico
solo chi vede ragioni argomentative, che al vedere, al guardare e all'evidenza
concede appunto un senso. Colui che n on vede o non vuol vedere, che parla e anche
argomenta, ma rimane continuamente nella condizione di assumersi tutte le
contraddizioni e di negarle contemporanea mente tutte, � uno con cui non possiamo
combinare nulla. Noi non possiamo risponde rgli che "manifestamente" le cose stanno
cos�, egli nega ancora che ci sia qualcos a come "manifestamente"; � un po' come se
uno che non vede volesse negare la vista ; o, ancora meglio, come se uno che vede
volesse negare che lui stesso vede e ch e esiste il vedere. Come potremmo
persuaderlo, supponendo che non avesse altri o rgani di senso? Se dunque teniamo
fermo all'assoluta datit� diretta, di cui ora gi� sappiamo che non significa datit�
diretta di individualit� materiali, poniamo assolu te individualit� della
"cogitatio", si pone allora la questione fin dove essa poss a giungere, e sotto
quale aspetto o in quale senso si leghi alla sfera delle "co gitationes" e delle
universalit� che le generalizzano. [62] Ma se si � rifiutato il primo e pi� facile
pregiudizio, che vede nella singola cogitatio e nella sfera del l'immanenza
materiale l'unico dato assoluto, allora si deve rimuovere anche l'ul teriore e non
meno facile pregiudizio secondo cui solo nelle intuizioni di gener alit� ricavate
da quella sfera sorgerebbero nuove oggettualit� direttamente date. "Noi abbiamo
nella percezione riflessiva le "cogitationes" come assolutamente da te, nell'atto
stesso in cui consapevolmente le viviamo" - cos� si vorrebbe cominci are; e quindi
possiamo guardare all'universale che in esse e nei loro momenti ma teriali si
singolarizza, possiamo cogliere universalit� nello sguardo astraente, e costituire
le connessioni d'essenza che su tali universalit� puramente si fondano , come stati
di cose dati direttamente, in un pensare che guardando vi si rappor ta. E questo �
tutto. Eppure nessuna tendenza � pi� pericolosa per la conoscenza guard ante delle
origini e delle assolute datit�, che quella di darsi troppo da pensare e di cercar
di attingere a queste riflessioni di pensiero presunte ovviet�. Ovviet� che per lo
pi� non si sogliono formulare espressamente, e gi� per questo non vengono
sottoposte a nessuna critica guardante, e determinano inespresse la direzione d
ella ricerca e la delimitano in modo inammissibile. La conoscenza guardante � la r
agione che si prefigge di portare l'intelletto appunto alla ragione. All'intelle
tto non � lecito interferire in questo discorso e contrabbandare i suoi assegni sc
operti fra quelli coperti; e il suo metodo di cambio e conversione che si basa s u
dei semplici buoni, qui � del tutto fuori questione (104). Perci�, intelletto meno
che si pu� e intuizione pi� pura che si pu�; ("intuitio sine com prehensione");
(105) torna davvero alla mente il discorso dei mistici, allorch� de scrivono lo
sguardo intellettuale, che non sarebbe affatto un sapere dell'intell etto. E tutta
l'abilit� sta puramente in questo: lasciare la parola all'occhio che guarda, e
neutralizzare l'intenzionare trascendente intrecciato a quel guardare , ogni
presunto esserci-dato-con-ci�, ogni oggetto di pensiero concomitante, ed ev
entualmente ogni interpolazione interpretativa della sopraggiunta riflessione. L a
domanda che si impone di continuo suona: questo qualcosa di presunto � dato in s
enso schietto, � guardato e afferrato nel senso pi� rigoroso, [63] o il presumere
va oltre? Presupposto tutto ci�, riconosciamo subito che sarebbe una finzione
credere che l'
indagine guardante si muova nella sfera di una cosiddetta percezione interna, e di
un'astrazione costruita su di essa nella pura immanenza, ideante i fenomeni e
momenti fenomenici di essa. Esistono molteplici modi di oggettualit�, e con essi
anche di cosiddetta datit�, e forse la datit� dell'esistente nel senso della
cosidde tta "percezione interna", come pure dell'esistente della scienza di tipo
natural e e obbiettivante, � solo una di queste datit�, mentre le altre, anche se
dichiarate non esistenti, sono tuttavia anch'esse datit�, e solo per il fatto che
lo sono po ssono essere contrapposte a quelle altre e distinte da esse
nell'evidenza.

LEZIONE 5. "La costituzione della coscienza del tempo [67]. La prensione d'essenza
["Wesens erfassung"] come datit� evidente d'essenza; costituzione della singola
essenza e d ella coscienza d'universalit� [68]. Le datit� categoriali [71]. Il
simbolicamente pe nsato come tale [73]. Il campo della ricerca nel suo ambito pi�
vasto: il costitui rsi nella conoscenza dei diversi modi dell'oggettualit�; il
problema della correla zione fra conoscenza e oggettualit� di conoscenza [73]."
[67] Stabilita l'evidenza della "cogitatio", e concesso poi l'ulteriore passo de
lla datit� evidente dell'universale, questo stesso passo porta immediatamente a co
mpierne altri. Percependo un colore ed esercitando in occasione di tale percepire
la riduzione, ottengo il fenomeno puro "colore". E se ora effettuo un'astrazione
pura, otteng o l'essenza "colore fenomenologico in generale". Ma non sono nel pieno
possesso della medesima essenza anche quando ho una chiara immaginazione? Per
quanto poi concerne il ricordo, esso non � una cosa tanto semplice e presenta gi�
diverse forme d'oggettualit� e di datit� reciprocamente intrecciate. Cos� si
potrebbe far rimando a l cosiddetto ricordo primario, cio� alla ritenzione che
necessariamente si intrecc ia a ogni percezione. Il vissuto che noi viviamo adesso,
nella riflessione immed iata ci diviene oggettuale ed � lo stesso contenuto
oggettuale che in esso continu a a presentarsi: lo stesso suono, or ora effettivo
adesso, che continua a essere lo stesso, ma arretra nel passato, e arretrando
costituisce sempre lo stesso mo mento temporale oggettivo. (106) E se il suono non
cessa, ma dura, e nella sua d urata si presenta come lo stesso dal punto di vista
del contenuto, o come trasfo rmantesi, non � possibile cogliere con evidenza (entro
certi limiti) il suo perdur are o trasformarsi? E in ci� non � di nuovo implicito
che il guardare va oltre il pu ro adesso e pu� conservare intenzionalmente, nel
nuovo adesso di volta in volta in atto, ci� che adesso non � pi�, e divenir certo
di un tratto del passato nel modo di una datit� evidente? E di nuovo si separano
qui, da una parte il contenuto oggettu ale di volta in volta in atto, quello che �
ed era, che dura e si trasforma, e dal l'altra il fenomeno, di volta in volta in
atto, dell'esser-presente e dell'esser -passato, il fenomeno del durare e del
trasformarsi, che � di volta in volta un ad esso, e che, nello scorcio
["Abschattung"] che contiene e nella continua trasfor mazione che esso stesso
subisce, porta a manifestazione, a rappresentazione l'es sere temporale. [68] Il
contenuto oggettuale non � materialmente una porzione del fenomeno; nella sua
temporalit� esso ha qualcosa che nel fenomeno non si lascia tr ovare affatto, n� vi
si lascia risolvere, e tuttavia esso si costituisce nel fenom eno. Esso si presenta
in questo, e in questo � dato evidentemente come "essente". Inoltre, per quanto
concerne la datit� d'essenza, essa non si costituisce sulla se mplice base della
percezione e della ritenzione che vi � intrecciata, prelevando, per cos� dire, dal
fenomeno stesso un universale, ma anche universalizzando l'ogge tto che appare,
ponendo riguardo a esso qualche universalit�, per esempio contenut o temporale in
generale, durata in generale, cambiamento in generale. Per di pi� a nche
l'immaginazione e la rimemorazione possono servire di base alla datit� d'esse nza;
anch'esse forniscono le possibilit� da cogliere in modo puro; anche da questi atti
essa ricava, nello stesso senso, delle universalit� che pure non vi sono mat
erialmente contenute. E' manifesto che una prensione d'essenza pienamente eviden te
rinvia s� alla singola intuizione, sulla cui base si deve costituire, ma non pe
rci� alla singola percezione, che ha per dato l'esempio individuale come qualcosa
di materialmente presente nell'adesso. L'essenza della qualit� o intensit� di
suono, o del tono cromatico, o della luminosit� e simili, nell'accezione
fenomenologica, � data direttamente altrettanto bene, sia che si compia
l'astrazione ideante sull a base di una percezione, sia sulla base di una
presentificazione immaginativa; e la posizione d'esistenza, reale e modificata, �
irrilevante in entrambi i casi. (107) E la stessa cosa vale per la prensione
d'essenza che si riferisce a specie di dati in senso proprio psichici, come
giudizio, affermazione, negazione, perc ezione, inferenza e simili. E naturalmente
vale inoltre per gli stati di cose ge nerali che appartengono a tali universalit�.
L'intuizione che di due tonalit� una � pi� bassa e l'altra pi� alta, e che questo
rapporto � irreversibile, si costituisce nel semplice guardare. Degli esempi si
devono pur avere dinanzi agli occhi, ma non n ecessariamente nella modalit� di
stati di cose percepiti. Per la considerazione d' essenza, percezione e
rappresentazione immaginativa si collocano del tutto allo stesso livello, e
dall'una e dall'altra � dato ugualmente bene di trarre a visione , di astrarre, la
stessa essenza [69], e sono irrilevanti le connesse posizioni d'esistenza; il fatto
che il suono percepito, con la sua intensit�, qualit� eccetera , in un certo senso
esiste, e che il suono immaginato, diciamo addirittura quell o fittizio, non
esiste, che l'uno � materialmente presente in modo evidente e l'al tro non lo �, e
invece, nel caso della rimemorazione, piuttosto che nell'adesso � po sto come
passato e nell'adesso � solo presentificato, - tutto ci� rientra in un'altr a
considerazione, non viene in questione nella considerazione d'essenza, a meno che
questa non si orienti a far presenti proprio queste distinzioni, che hanno a
nch'esse la loro datit�, e a stabilire su di esse delle intuizioni di generalit�.
E' del resto affatto chiaro che anche quando gli esempi di base sono dati nella
percezione, non viene preso in considerazione ci� che appunto privilegia la datit�
p ercettiva, cio� l'esistenza. Ma l'immaginazione, nella considerazione d'essenza,
n on solo funge come la percezione, ma sembra anche contenere in se stessa datit�
si ngole, e precisamente come datit� realmente evidenti. Prendiamo la semplice
immaginazione, senza quindi alcuna posizione di memoria. ( 108) Un colore
immaginato non � una datit� nel senso di un colore nella sensazione. Noi
distinguiamo il colore immaginato dal vissuto dell'immaginazione di questo c olore.
L'aleggiarmi davanti del colore (per dirla alla buona) � un adesso, � una "co
gitatio" esistente adesso, ma il colore stesso non � colore che esista adesso, non
� sensazione. D'altra parte, dato in certo modo esso lo � pure, � pur vero che mi
sta dinanzi agli occhi. Proprio come il colore nella sensazione, anch'esso pu�
essere sottoposto a riduzione mediante esclusione di tutti i significati
trascendenti, in modo che non mi significhi pi� colore della carta o colore della
casa o simili . Ogni posizione empirica d'esistenza pu� essere sospesa; e in tal
caso prendo que l colore esattamente come lo "guardo", quasi lo "vivo". Eppure esso
non � una part e materiale del vissuto d'immaginazione, non � un colore presente,
ma solo present ificato, sta per cos� dire davanti agli occhi, ma non come una
presenza materiale. Ma con tutto ci� esso � oggetto di sguardo e come tale � in
certo senso dato. Io non lo pongo quindi come esistenza fisica o psichica, non lo
pongo neppure come esis tenza nel senso di una schietta "cogitatio"; questa �
infatti un adesso materiale, una datit� che � caratterizzata in tutta evidenza come
datit�-adesso. Che il colore i mmaginato non sia dato nell'uno o nell'altro di
questi sensi, non significa tutt avia che non sia dato in nessun senso [70]. Esso
appare, e appare direttamente, si presenta direttamente, e guardandolo nella sua
presentificazione posso formul are giudizi su di esso, come sui momenti che lo
costituiscono e sulle loro conne ssioni. Naturalmente anche questi sono nello
stesso senso dati, e nello stesso s enso non "realmente" esistenti nell'intero del
vissuto d'immaginazione, non mate rialmente presenti, ma solo "rappresentati". Il
puro giudizio d'immaginazione, c he solo esprime il contenuto, l'essenza singolare
di ci� che appare, pu� dire: "Ques to � cos� configurato, contiene questi momenti,
si trasforma cos� e cos�", senza pronunc iar minimamente giudizi sull'esistenza
come essere effettuale nel tempo effettua le, o sull'effettuale essere-adesso, o
essere-passato, o essere-futuro. Potremmo dunque dire che si giudica sull'essenza
individuale e non sull'esistenza. Appun to perci� il giudizio generale d'essenza,
che noi di solito caratterizziamo come g iudizio d'essenza semplicemente, �
indipendente dalla distinzione fra percezione e
immaginazione. La percezione pone esistenza, ma possiede anche un'essenza, il c
ontenuto posto come esistente pu� rimanere lo stesso nella presentificazione
(109) . Ma la contrapposizione tra esistenza ed essenza, che cos'altro significa se
non che qui si rivelano e sono da distinguere due modalit� d'essere in due modi di
dat it�? Nella semplice immaginazione di un colore � fuori questione l'esistenza,
che de termina il colore come realt� nel tempo; su questa nessun giudizio viene
pronuncia to, e nulla ne � dato nel contenuto dell'immaginazione. Ma questo colore
appare, � q ui, � un questo, che pu� divenire soggetto di un giudizio, e anche di
un giudizio ev idente. Un modo della datit� si rivela dunque nelle intuizioni
dell'immaginazione e nei giudizi evidenti che su di esse si fondano. E' vero che se
ci manteniamo n ella sfera della singola individualit�, non c'� da metter mano a
grandi cose con giu dizi del genere. Solo se costituiamo giudizi generali d'essenza
raggiungiamo una salda oggettivit�, quale � richiesta dalla scienza. Ma questo ora
non conta. Con ci�, tuttavia, sembriamo precipitare in un bel maelstrom (110).
Abbiamo preso le mosse dall'evidenza della "cogitatio". Sembrava sulle prime di
avere in essa un solido terreno, puro essere e nient'altro. [71] Qui non ci sare
bbe che da prendere e da guardare. Che riguardo a queste datit� si possano far con
fronti e distinzioni, che se ne possano ricavare specifiche universalit� e ottener
e cos� giudizi d'essenza, tutto questo lo si vorrebbe facilmente concedere. Ma a q
uel punto si rivela che il puro essere della "cogitatio" non si presenta affatto ,
a una pi� precisa considerazione, come una cosa tanto semplice, si rivela che gi�
nella sfera cartesiana si "costituiscono" oggettualit� diverse; (111) e il costitu
ire dice che le datit� immanenti non sono, come sembra a prima vista, semplicement
e nella coscienza come in una scatola, ma che si presentano di volta in volta in
qualcosa come delle "apparenze", in apparenze che non sono esse stesse gli ogge tti
e non li contengono materialmente, in apparenze che nella loro mutevole e mo lto
sorprendente costruzione in certa misura fanno gli oggetti per l'io, per que l
tanto appunto che si richiedono apparenze di tal natura e conformazione perch� s i
abbia ci� che in questo contesto si chiama "datit�". Nella percezione con la sua
ritenzione si costituisce l'originario oggetto tempo rale, e solo in una tale forma
di coscienza pu� esser dato il tempo. Cos� si costitu isce nella coscienza
d'universalit�, costruita sulla percezione o sull'immaginazio ne, l'universale; ma
nell'immaginazione, e anche nella percezione, prescindendo dalla posizione
d'esistenza, si costituisce il contenuto intuitivo nel senso di un'essenza
individuale. A ci� si aggiungono, ricordiamolo ancora una volta, gli at ti
categoriali, che in tutto quest'ambito sono il presupposto delle asserzioni e
videnti. Le forme categoriali che ivi si presentano, e che vengono all'espressio ne
in parole come "�" e "non", "lo stesso" e "altro", "uno" e "pi�", "e" e "oppure", e
nelle forme della predicazione o dell'attribuzione e cos� via, rinviano a forme del
pensare, mediante le quali per�, purch� esse si aggreghino opportunamente, arri
vano alla coscienza, sullo sfondo di atti elementari da connettere sinteticament e,
certe datit�, e cio� stati di cose di questa o quella forma ontologica. Anche qui
<avviene> il "costituirsi" delle oggettualit� in questione in atti del pensare co
s� e cos� formati; e la coscienza in cui l'esser-dato, quasi il puro sguardo sulle
c ose, viene a compimento, � di nuovo non qualcosa come una semplice scatola, in
cui queste datit� semplicemente si trovino, bens� la coscienza guardante, cio� -
prescind endo dall'attenzione - atti di pensiero cos� e cos� formati; [72] e le
cose, che non sono gli atti di pensiero, sono tuttavia costituite in essi, giungono
in essi a lla datit�; e, costituite per essenza solo cos�, esse si mostrano per
quello che son o (112). Ma non sono tutti questi puri miracoli? E dove comincia
questo costituire-oggett ualit�, e dove finisce? Si danno realmente dei limiti? Non
�, in un certo senso, in ogni rappresentazione e in ogni giudizio portata a
compimento una datit�? E non � og ni oggettualit�, purch� intuita, rappresentata,
pensata cos� e cos�, una datit�, e una dat it� evidente? Nella percezione d'una
cosa del mondo esterno, la cosa, diciamo una casa che ci sta davanti agli occhi, si
dice appunto percepita. Questa casa � una t rascendenza e in rapporto alla sua
esistenza � soggetta a riduzione fenomenologica . In modo realmente evidente � dato
l'apparire-della-casa, questa "cogitatio", che emerge e scompare nel flusso della
coscienza. In questo fenomeno di casa trovia
mo un fenomeno di rosso, un fenomeno di estensione, e cos� via. Queste sono datit�
e videnti. Ma non � anche evidente che nel fenomeno della casa appare appunto una
ca sa, e che per questo esso si chiama appunto una percezione-di-casa? - e di una c
asa non solo in generale, ma appunto di questa casa, cos� e cos� determinata, e in
t ale determinatezza mostrantesi. Non posso dire, giudicando con evidenza: "Confor
memente all'apparenza, o nel senso di questa percezione, la casa � cos� e cos�, una
co struzione di mattoni, con tetto d'ardesia, e cos� via"? E se fingo qualcosa
nell'immaginazione, cos� da avere dinanzi agli occhi - poniamo - un san Giorgio a
cavallo che uccide un mostro dalla forma di drago, non � evide nte che il fenomeno
d'immaginazione rappresenta appunto san Giorgio, e proprio q uesto qui, che si deve
descrivere cos� e cos� - anzi, in questo caso, questa "trasce ndenza"? Non posso
qui giudicare con evidenza, non semplicemente sul contenuto m ateriale
dell'apparenza immaginativa, ma sull'oggetto cosale che appare? Certame nte solo un
lato dell'oggetto, ora questo ora quello, cade nel quadro della pres entificazione
vera e propria, ma comunque sia, � pur evidente che questo oggetto " san Giorgio a
cavallo eccetera" sta nel senso dell'apparenza, e in questa si riv ela "come
datit�" conformemente all'apparenza (113). E infine il cosiddetto pensare
simbolico. Io penso - poniamo - "due per due fa q uattro" senza alcuna intuizione.
[73] Posso dubitare che sto pensando questa pro posizione aritmetica, e che ci� che
vi � pensato non riguarda, poniamo, il tempo che fa oggi? Anche di questo fatto ho
evidenza, e quindi qualcosa come una datit�? E arrivati cos� lontano, non c'� pi�
niente da fare, dobbiamo anche riconoscere che in c erto modo perfino il
controsenso, ci� che � pienamente assurdo, � "dato". Un quadrato rotondo non mi
appare nell'immaginazione, come mi appare l'uccisore di draghi, e nemmeno nella
percezione, come una qualsivoglia cosa esterna, ma un oggetto int enzionale � pur
presente, secondo evidenza. Posso descrivere il fenomeno "pensare un quadrato
rotondo" secondo il suo contenuto materiale, ma il quadrato rotondo non vi si
trova; neppure � evidente che esso � pensato in questo pensiero, e che a c i� che
cos� � pensato, come tale, sono attribuite nel pensare rotondit� e quadratit�, o ch
e l'oggetto di questo pensiero � qualcosa di rotondo e insieme quadrato. (114)
Ora , non si vuol dire in nessun modo che queste datit� portate sulla scena con
l'ulti ma serie d'esempi siano datit� in senso vero e proprio (allora s� che alla
fine ogni oggetto di percezione, di rappresentazione, di immaginazione,
rappresentazione simbolica, e ogni finzione ed assurdit� sarebbero "dati
evidentemente"), si vuol s olo indicare che qui sono presenti gravi difficolt�. In
linea di principio esse no n possono, prima di essere chiarite, impedirci di dire:
fin dove arriva l'effett iva evidenza, arriva anche la datit�. Ma naturalmente il
grande problema sar� ovunqu e di stabilire in modo pulito che cosa, al compiersi
dell'evidenza, � in essa real mente dato e che cosa no, che cosa un pensare
improprio vi mette dentro di suo e interpretando vi interpola senza base di datit�
(115). E si tratta ovunque non di constatare apparenze qualsiasi come date, ma di
porta re all'intuizione l'essenza della datit� e il costituirsi dei diversi modi di
ogge ttualit�. Certo, ogni fenomeno di pensiero ha il suo riferimento oggettuale, e
ogn uno - questa � una prima intuizione d'essenza - ha il suo contenuto materiale,
com e "belief" (116) nei momenti che in senso materiale lo compongono; e ogni
fenome no ha d'altra parte il suo oggetto intenzionale, un oggetto che esso intende
com e costituito cos� o altrimenti, secondo la modalit� della propria essenza. [74]
Se � v eramente possibile portare all'evidenza questa situazione, � questa evidenza
che d eve insegnarci tutto quello che occorre: � in essa che si deve chiarire che
cosa p ropriamente significhi questo "in-esistere intenzionale" e come esso si
rapporti al contenuto materiale del fenomeno stesso di pensiero. Noi dobbiamo
vedere in quale contesto esso compaia come evidenza vera e propria, e che cosa sia
in tale contesto la datit� vera e propria. Allora importer� mettere in luce i
diversi modi della datit� in senso proprio, e correlativamente la costituzione dei
diversi modi dell'oggettualit�, e i loro rapporti reciproci: datit� della
"cogitatio", datit� dell a "cogitatio" che continua a vivere nel ricordo recente,
la datit� dell'unit� di app arenza che dura nel flusso dei fenomeni, la datit� del
suo mutamento, la datit� dell a cosa nella percezione "esterna", nelle diverse
forme di immaginazione e rimemo razione, come pure in opportuni contesti di
molteplici percezioni e altre rappre sentazioni che si unificano sinteticamente. E
naturalmente anche le datit� logiche
, la datit� dell'universale, del predicato, dello stato di cose e cos� via, e
perfin o la datit� di un controsenso, di una contraddizione, di un non-essere
eccetera. ( 117) La datit�, sia che in essa si riveli qualcosa di soltanto
rappresentato o di veramente esistente, di reale o di ideale, di possibile o di
impossibile, � ovunqu e una datit� nel fenomeno di conoscenza, nel fenomeno di un
pensare nel pi� ampio se nso della parola; e ovunque, nel considerare l'essenza,
occorre approfondire que sta a tutta prima cos� stupefacente correlazione. Solo
nella conoscenza si pu� studiare l'essenza dell'oggettualit� in generale, in tu tte
le sue figure fondamentali, solo in essa questa essenza � data, ed � possibile g
uardarla con evidenza. Questo guardare evidente � anzi esso stesso la conoscenza n
el senso pi� pregnante; e l'oggettualit� non � una cosa che se ne sta dentro la
conosc enza come in un sacco, quasi che la conoscenza sia una vuota forma ovunque
ugual e, un sacco vuoto sempre identico, in cui si caccia una volta questo, una
volta quello. [75] Invece noi vediamo nella datit� che l'oggetto si costituisce
nella co noscenza, che tante sono le figure fondamentali dell'oggettualit� che
occorre dist inguere, tante le figure fondamentali degli atti di conoscenza e dei
gruppi, dei contesti di atti di conoscenza donatori. E gli atti di conoscenza e, in
una con cezione pi� larga, gli atti di pensiero in generale, non sono individualit�
sconness e, che sconnesse vengano e vadano nel flusso della coscienza. Essi
mostrano, in essenziale riferimento reciproco, solidariet� teologiche e opportuni
contesti di r iempimento, di convalida, di prova, e dei loro contrari. E ci� che
interessa sono questi contesti, che rappresentano l'unit� intelligibile. (118) Sono
appunto essi che costituiscono l'oggettualit�; essi collegano logicamente gli atti
impropriamen te donatori e quelli propriamente donatori, cio� gli atti di semplice
rappresentar e, o piuttosto di semplice credere, e gli atti di intuizione, e ancora
le moltep licit� di atti relativi allo stesso contenuto oggettuale, siano essi d'un
pensare intuitivo e d'uno non intuitivo. E solo in questi contesti si costituisce,
non in un sol colpo ma in un processo ascendente, l'oggettualit� della scienza
obbiettiva, e anzitutto l'oggettualit� dell a realt� positiva spazio-temporale.
Tutto questo occorre studiare, e nella sfera della pura evidenza, per chiarire i
grandi problemi dell'essenza della conoscenza, e del senso della correlazione f ra
conoscenza e oggettualit� di conoscenza. L'originario problema era il rapporto fra
il vissuto nella soggettivit� psicologica e la realt� in s� che esso afferra, in p
rimo luogo la realt� positiva, e poi anche le realt� matematiche o altrimenti
ideali . (119) Occorre per prima cosa intuire che il problema radicale deve
piuttosto d irigersi sul rapporto fra conoscenza e oggetto, ma in senso ridotto,
dove il dis corso verte non sulla conoscenza umana ma sulla conoscenza in generale,
senza al cun rapporto di concomitante posizione esistenziale, vuoi con l'io
empirico, vuo i con un mondo positivo. Occorre intuire che il problema veramente
significativo � quello dell'ultima donazione di senso da parte della conoscenza e,
con ci�, dell' oggettualit� in generale, che � quello che � solo nella sua
correlazione con la conosc enza possibile. Occorre inoltre intuire che questo
problema � da risolvere solo ne lla sfera di pura evidenza, nella sfera
dell'inappellabile, perch� assoluta, datit�; e che noi in conseguenza dobbiamo,
operando con lo sguardo, approfondire una pe r una tutte le figure fondamentali
(120) della conoscenza e tutte le figure fond amentali delle oggettualit� che in
essa giungono pienamente o parzialmente a datit�, per poter determinare il senso di
tutte le correlazioni su cui si debba far luc e.

INSERTI. PRIMO INSERTO (*). * Questo inserto � pi� tardo (1916?); da annettere a
pag. [19] [nota di A. Vasa]. Nella conoscenza � data la natura ma anche l'umanit�
coi suoi vincoli sociali e con le sue realizzazioni culturali [79]. Tutto ci� viene
fatto oggetto di conoscenza.
Ma alla conoscenza della cultura appartengono anche il valutare e il volere, com e
atti costituenti il senso di questa oggettualit�. La conoscenza si rapporta
all'oggetto con un senso che cambia col cambiare dei v issuti, col cambiare delle
affezioni e delle azioni dell'io. Accanto alla dottri na logico-formale del senso,
e alla dottrina delle proposizioni vere in quanto s ensi validi, abbiamo
nell'atteggiamento naturale anche altre ricerche scientific he di tipo naturale:
noi distinguiamo generi fondamentali (regioni) (121) di ogg etti, e prendiamo in
esame, per esempio riguardo alla regione "natura fisica pur a e semplice,
nell'universalit� dei suoi principi", che cosa appartenga ineliminab ilmente a
essa, a ogni oggetto della natura, preso in se stesso e in relazione a d altri, in
quanto oggetto naturale. Noi facciamo allora ontologia della natura. Noi
scomponiamo il senso, e cio� qui il senso valido, di un oggetto della natura, in
quanto oggetto della conoscenza della natura, in quanto oggetto che in essa si
presume di conoscere: ci� senza di cui un possibile oggetto della natura, cio� un
oggetto di una possibile esperienza esterna della natura, non pu� essere pensato,
se esso deve poter essere veramente esistente. Noi prendiamo quindi in esame il
senso dell'esperienza esterna (ci� che � inteso come oggetto) e precisamente il sen
so nella sua verit�, nel suo sussistere veracemente o validamente secondo le insop
primibili istanze costituenti. Allo stesso modo noi prendiamo in esame il senso
vero dell'opera d'arte in gener ale, e il senso particolare di un'opera d'arte
determinata. Nel primo caso snidi amo l'"essenza" di un'opera d'arte nella sua pura
universalit�, nel secondo caso l 'effettivo contenuto dell'opera d'arte
effettivamente data; il che equivale alla conoscenza dell'oggetto determinato [80]
(come veramente esistente, secondo le sue vere determinazioni), poniamo di una
sinfonia di Beethoven. Allo stesso modo noi snidiamo da un punto di vista generale
l'essenza dello stato in generale, o dal punto di vista empirico l'essenza dello
Stato Tedesco in una certa epoca, q uest'ultimo ricercando tratti comuni o
determinazioni del tutto individuali, ins omma studiando questo individuale essere
oggettuale che � lo "Stato Tedesco". Un e sempio parallelo sarebbe allora la
caratterizzazione naturale dell'oggetto indiv iduale Terra. Abbiamo dunque accanto
alle ricerche empiriche, intorno alle regol arit� empiriche e individuali, le
indagini ontologiche, le indagini intorno ai sen si veramente validi, impostate non
solo secondo un'universalit� formale, ma anche secondo una determinatezza regionale
di contenuto (122). Certamente, indagini pu re di essenza non sono mai state, o
solo in via e

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