Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
N. 11
Comitato scientifico
Michele Abbate (Università di Salerno)
Enrico Berti (Professore Emerito, Università di Padova)
Elisabetta Cattanei (Università di Cagliari)
Fulvia De Luise (Università di Trento)
Maurizio Migliori (Università di Macerata)
Thomas A. Szlezák (Professore Emerito, Università di Tübingen)
IMMAGINI DELLA LUCE
Dimensioni di una metafora
assoluta
a cura di
Salvatore Lavecchia
MIMESIS
La pubblicazione di questo volume è stata finanziata medianti i fondi assegnati
dal Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Udine al PRID 2015 dal
titolo Immagini della luce. Percorsi filosofici e letterari.
Collana: Askesis, n. 11
Isbn: 9788857561370
Premessa
Luce come immaginalità
di Salvatore Lavecchia 7
Autori 251
Salvatore Lavecchia
Premessa
LUCE COME IMMAGINALITÀ
Bibliografia
Th. Leinkauf, Licht als unendlicher Selbstbezug und als Prinzip von Differenz. Zur
Wirkungsgeschichte der spekulativen Licht-Metaphorik und zur Bedeutung des
Begriffes Licht in der Philosophie des Deutschen Idealismus, Archiv für Begrif-
fsgeschichte 38 (1995), 150-177.
Th. Leinkauf, Die Implikation des Begriffs Licht in der frühen Neuzeit, in Bohl-
mann-Fink-Weiss, 91-110.
S. Petrosino, Piccola metafisica della luce, Milano 2004.
J. Ratzinger, Licht und Erleuchtung. Erwägungen zu Stellung und Entwicklung
des Themas in der abendländischen Geistesgeschichte, Studium Generale 13
(1960), 368-378.
U. Rösler, Licht und Leuchten im Rigveda. Untersuchungen zum Wortfeld des
Leuchtens und zur Bedeutung des Lichts, Swisttal-Odendorf 1997.
W. Scheuermann-Peilicke, Licht und Liebe. Lichtmetapher und Metaphysik bei
Marsilio Ficino, Hildesheim 2000.
A. Vasiliu, Du Diaphane. Image, milieu, lumière dans la pensée antique et médié-
vale, Paris 1997.
J. Walbridge, The Science of Mystic Lights. Qutb al-Dîn Shîrâzî and the Illumina-
tionist Tradition in Islamic Philosophy, Cambridge, Mass. 1992.
Elena Fabbro
LA LUCE:
METAFORA STRUTTURALE IN PINDARO
1 E.g. Hom. Il. V 120, XVIII 61; Hes. Op. 155; Sapph. fr. 56,1V.; Soph. Phil. 662-
664; Eur. Alc. 18.
2 Sulla pervasività dell’imagery solare nel linguaggio vd. Mugler 1960, 57-59 e
Hoey, 133-137.
14 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Ribatte la regina:
Nella poetica di Pindaro, il tema della visione e della luce si intreccia a nu-
merose matrici metaforiche dell’epinicio, contribuendo a costruire e model-
lare altri campi semici tipici della poesia eulogistica, come quelli di gloria,
di ricchezza e di eccellenza e armonia4. Le evocazioni visuali percorrono sia
le unità mitiche e le affermazioni gnomiche sia le sezioni prettamente eulo-
gistiche, e sono intese ad accrescere gli effetti spettacolari del rituale esecu-
tivo dell’epinicio contribuendo, insieme alle immagini acustiche, a produrre
nel pubblico un compatto sistema di immagini e idee mentali. Nell’imagery
della luce l’espressione poetica interferisce infatti con le componenti visuali
dell’hic e del nunc celebrativo, riverberandone spesso deitticamente i dettagli
e acquista efficacia nella sintonia con le altre componenti della performance,
canto, musica, danza, costruendo una pragmatica della visione spettacolare5.
In questo lavoro si tenterà di illustrare, attraverso un vaglio sistematico
dei passi, come le metafore della luce e il linguaggio della visione si arti-
colino assumendo un ruolo unitario nella produzione pindarica: in quanto è
all’origine della visibilità, la luce si prende carico di configurare, garantire,
avvalorare il reale attraverso un sistema di percezioni condivise perfetta-
mente rispondenti nei loro contenuti ai valori della cultura aristocratica
celebrati nell’epinicio6.
1. La luce divina
Una doppia immagine visuale segna in Paean. XII, 14-16 (=fr. 52m Sn.-
M.) la nascita di Apollo e Artemide che se è, come per ogni bambino, un
venire alla luce7 (cfr. e.g. Hom. Il. XVI 187-188 e XIX 118), per i due
neonati divini coincide con l’epifania della loro natura divina8:
È facoltà del dio suscitare dalla nera notte la luce intatta e con una nube
di tenebra oscura celare il puro splendore del giorno (θεῷ δὲ δυνατὸν
μελαίνας / ἐκ νυκτὸς ἀμίαντον ὄρσαι ϕάος, / κελαινεϕέϊ δὲ σκότει /
καλύψαι σέλας καθαρόν / ἁμέρας fr. 108b 2 Sn.-M.). Ma se, al di là della
densità delle immagini, l’assenza di contesto del frammento contribuisce
a mantenere indeterminato il valore dell’espressione, si può cogliere una
lyric ‘I’s - that is connects the extreme positional complexity of poetic voice with
the constructability of relations with and attitudes to the material world».
7 Cfr. e.g. Hom. Il. XIX 103-104; Nem. 1, 35-36 per la nascita di Eracle e Ificle
(θαητὰν ἐς αἴγλαν […] μόλεν) e Ol. 6, 43-44 ἦλθεν […] ἐς ϕάος αὐτίκα, ove
nell’epifanica nascita dell’eroe Iamo, divino antenato del laudandus, Agesia di
Siracusa, si fondono metafora e materialità realistica dell’atto (vd. Adorjáni 2014,
193-194 a cui si rinvia per un’analisi degli effetti luministici e visivi che si di-
spiegano per l’intero epinicio). Un significativo traslato simbolico di questa defi-
nizione della nascita figura in Isth. 6, 62, dove gli Psalichiadi ovvero Phylakidas,
il laudandus, insieme a Pytheas ed Euthymenes con le loro tre vittorie a Nemea
e due all’Istmo, hanno «tratto alla luce» (ἀνὰ δ᾽ἄγαγον ἐς φάος: «d.h. ins Leben
gerufen» chiosa con esattezza Thummer 1969, 109) la «sorte di inni» (μοῖραν
ὕμνων), prerogativa loro riservata dal destino e dunque voluta dagli dei.
8 «Pindar is mobilizing a fairly conventional trope to animate a religious ideology
that connects Apollo to the sun and light» Maslov, 161.
9 Sulla incerta lettura ὅπω̣[ς, proposta indipendentemente da Maas e Wilamowitz,
pur con diversa interpretazione del passo vd. Bona, 245.
10 Il testo di riferimento per i passi pindarici è quello di Snell-Maehler 19878 e 19854.
La traduzioni sono di Gentili per quanto riguarda le Olimpiche e le Pitiche, di
Privitera per le Istmiche, mie per le Nemee e i frammenti.
16 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
un ampio sfondo per il peculiare risultato dell’hic e del nunc, vd. Race, 81.
17 Come ha osservato Wilamowitz (201, n. 1 «steht γάρ die Anrufung begründend;
erst beim zweiten Gliede, weil der Dichter dies von vornherein im Sinne hat»; vd.
anche Privitera 1982, 189), il nesso καὶ γάρ dà ragione dell’invocazione a Theia,
senza connettere oro con triremi e carri; Wüst 243: «Grundsätzlich und überall,
bei Pindar καὶ γάρ gibt nicht einen Grund, einen Kausalzusammenhang, sondern
einen Beleg, ein Beispiel für einer allgemeineren Tatbestand».
18 La matrice esiodea è richiamata in Julian. Or. 11 136c (Hymn. Sol. Reg. 11) per
sottolineare come il mondo intelligibile, esteso fino agli astri, partecipi della so-
stanza divina: «E Theia non sta a indicare il più divino degli esseri?».
18 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
valore che agli uomini è assegnato dagli dei (κρίνεται δ᾿ἀλκὰ διὰ δαίμονας
ἀνδρῶν v. 11) e che, rivelato, suscita apprezzamento e fama.
In questa struttura a Priamel, Pindaro si sforza di cogliere il divino nel
principio che è responsabile del valore delle cose più preziose, soprattutto
nella realtà in cui si muovono gli atleti, identificandolo nella luce solare.
Qualunque valenza si attribuisca alla figura di Theia, il legame analogico
tra genitrice e prole, caratteristico di entità pertinenti al mondo fisico, assi-
cura attraverso la menzione genealogica una continuità di caratterizzazio-
ne: tutta la luce di questo mondo proviene in ultima analisi da Theia, la luce
che tutto vede e rende visibile il tutto33.
Una sfera di efficacia così vasta e generale – e forse anche l’elusività del
suo nome, che può suggerire l’universalità del divino – ha indotto Fränkel
(19693, 554-557)34 a una lettura enormemente suggestiva: alla ricerca di
un’ἀρχή35, di un principio fondativo unificatore Pindaro approderebbe, se
non a un’innovazione, ad un’evoluzione in campo teologico-speculativo,
sullo sfondo probabilmente di spunti eraclitei36. In Theia si proietterebbe una
prima formulazione di una nozione astratta di divinità, dell’unità organica di
“tutto ciò che ha valore”, la potenza che indirizza le dinamiche di ogni esi-
stenza umana: «so wird Theia […], als die Werthaftigkeit selbst proklamiert,
das heißt als die Potenz welche auf jedem Gebiet den Wert als etwas Gülti-
ges und Verbindliches schafft und einsetzt»37. In questa astrazione religiosa
troverebbe in filigrana anticipazione la dottrina platonica delle idee, e in par-
cui non vivremmo (ἄνευ σέθεν /οὐ ϕάος, οὐ μέλαιναν δρακέντες εὐϕρόναν / τεὰν
ἀδελϕεὰν ἐλάχομεν ἀγλαόγυιον Ἥβαν).
33 Cfr. Aesch. Choe. 985. La luce del sole è invocata come πολύσκοπε in Paean. ΙΧ,
1 (=fr. 52k Sn.-M.), ma cfr. già Hom. Il. III 277, Od. XI 109 e XII 323. Secondo le
teorie greche di ottica, se la luce esterna era indispensabile perché si costituisse il
fenomeno della visione (cfr. Plat. Tim. 45b 6-d2), il paradigma solare si rivelò un
modello ricco di implicazioni in un suggestivo scambio funzionale tra l’occhio e il
sole: come il sole l’occhio splende, come l’occhio il sole vede (Rizzini, 132-133,
ma vd. anche infra pp. 47-49).
34 Vd. anche Fränkel 1927, 63.
35 Così Gündert, 11, riprendendo un’espressione di Schadewaldt 1928, 270, n. 1.
L’abilità pindarica di creare nelle astrazioni religiose immagini-concetto precor-
rendo le idee platoniche è sottolineata anche da Becker, 50.
36 Fränkel 1960, 282, n. 2 e 161. Nestle, 163-165, sottolinea piuttosto i paralleli co-
smologici orfici nella modellizzazione di alcune ipostasi divine pindariche, come
Chronos, Nomos e Theia.
37 Fränkel 19693, 556. Analogamente Bremer 1975, 89: «als “die Göttliche”
schlechthin bzw. “die Göttlichkeit”, “die Gottheit” stellt sie das allgemeine Prinzip
τὸ θεῖον in einer besonderen Person dar». Si tratta di una operazione concettuale
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 21
ticolare l’idea del Bene, discussa nel VI libro della Repubblica: Socrate per
sottrarsi alla richiesta di una trattazione diretta dell’idea del Bene propone di
sostituirla con l’esposizione della «prole del Bene» (ἔκγονος τε τοῦ ἀγαθοῦ
[…] καὶ ὁμοιότατος ἐκείνῳ), il Sole, ossia la realtà che nel mondo sensibile
risulta funzionalmente analoga al Bene (506e 2-507a 5). L’analogia riguarda
i ‘sovrani’ dei due ordini, il Bene al vertice dell’ambito noetico e il Sole che
occupa la medesima posizione nella sfera sensibile38. Un ulteriore spunto per
la relazione analogica tra i due ordini ontologici è introdotto ancora da una
matrice genealogica: l’idea del Bene «è la causa universale di tutto ciò che
è buono e bello – e precisamente, nel mondo sensibile, essa genera la luce
e il signore della luce (ϕῶς καὶ τὸν τούτου κύριον τεκοῦσα Resp. VII, 517c
4)39. Questa teoria ha riscosso molto credito40, ma non sembra incardinata a
sufficienza nei testi: non in quello di Pindaro, dove risulterebbe troppo ardito
lo slittamento dalla pluralità di competenze (πολυώνυμε) – per di di più vei-
colata da un termine altamente ritualizzato e diffuso nella tradizione cultuale
– all’universalità assiologica41, né in quello di Platone che, a differenza di
quanto suggerisce Fränkel, non parla di una «Mutter der Sonne (des Helios)»
(19693, 556): l’espressione ἔκγονος τοῦ ἀγαθοῦ designa una genealogia tutta
concettuale e astratta, polarizzata sulla polisemia scherzosa di τόκος “parto”,
ma anche “frutto” o “interesse” del capitale che si dovrebbe ricavare dalla
discussione.
2. Luce e ricchezza
in cui si dispiegano «“religious” and “poetic” categories in ways that do not admit
of easy separation» Maslov, 127.
38 Rosen, 258-267; vd. anche Calabi, 327-336.
39 Resp. 517b 7-c 4 τὰ δ᾿οὖν ἐμοὶ ϕαινόμενα οὕτω ϕαίνεται, ἐν τῷ γνωστῷ τελευταία ἡ
τοῦ ἀγαθοῦ ἰδέα καὶ μόγις ὁρᾶσθαι, ὀϕθεῖσα δὲ συλλογιστέα εἶναι ὡς ἄρα πᾶσι πάντων
αὕτη ὀρθῶν τε καὶ καλῶν αἰτία, ἔν τε ὁρατῷ ϕῶς καὶ τὸν τούτου κύριον τεκοῦσα, ἔν
τε νοητῷ αὐτὴ κυρία ἀλήθειαν καὶ νοῦν παρασχομένη. Per il legame genealogico tra
Helios e l’idea del bene sulla base del richiamo pindarico vd. Luther, 491.
40 Vd. Bremer 1975, in part. 89-90; Bremer 1976, 255-257; Schadewaldt 1973, 361.
41 Passaggio giustificato da Fränkel con l’argomento che il poeta non avrebbe avuto
a disposizione nessuno «zusammenfassender Ausdruck» (19693, 555) per indicare
il valore in generale.
22 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
48 Numerosi dettagli visuali che rimandano ancora alla ricchezza si espandono nell’ex-
cursus escatologico delle successive strofe e antistrofe nella vivida descrizione dell’I-
sola dei Beati, dove si gode di una perpetua luce del sole (o di un perenne equinozio)
(vv. 61-62): negli alberi fulgidi (ἀγλαῶν), nei fiori d’oro, metallo che sfavilla di luce
(φλέγει) e simboleggia ricchezza e immortalità, sembrano materializzarsi i valori so-
ciali e morali lodati nella gnome (vv. 53-56); vd. Briand 2016, 243. Nelle immagini
che compongono il mondo ultraterreno tuttavia «a more mysterious and more elusive
light, no longer of a “star” in the sky, glows in a supernatural realm (72), and kingship
and authority are beyond human control (75-77)» Segal 1986, 126-127. Sull’esegesi
del controverso passo vd. anche Catenacci in Gentili 2013, 403.
49 Che la ricchezza e il suo buon uso costituisca, associata all’aretà personale, la
condizione fondamentale per le ambizioni di successo dell’ἀγαθός è enunciato
anche in Pyth. 5, 1-2, Isth. 3, 1-3. Gli Scholl. ad 96a, f (I 85-86 Dr.) citano a
confronto anche Sapph. fr. 148 V. e Callim. Hymn. 1, 94-96; vd. Parry, 368-379.
50 Vd. Kurke, 184-185.
51 «The general maxim, the efficiency of which relies upon the poetic performance,
resorts to strong visual images to make the audience reflect on ethical issues»
Briand 2016, 243.
52 Per una prima ricognizione lessicale vd. Slater 1969a, s.vv. ἀφνεός, δαπάνα,
κτέανον e πλοῦτος e più in generale per i motivi correlati alla liberalità del
laudandus vd. Pavese 1997, 286, 322, 324, 352.
53 Woodbury, 537-538; Kurke, 181-187, opera un confronto con il discorso tucidi-
deo di Alcibiade in difesa della megaloprepeia (VI 16, 3-6) ove vengono parimen-
ti utilizzate metafore relative al campo semantico della luce.
54 Cfr. e.g. Pyth. 2, 56.
24 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
ὁ δὲ καλόν τι πονή[σ]αις
εὐαγορίαισι ϕλέγει·
κείνοις δ᾿ὑπέρτατον ἦλθε ϕέγγος
ἄντα δ[υ]σμενέων Μελαμ-
ϕύλλου προπάροιθεν.
In virtù della fama che le rifrange nel tempo, le imprese diventano una
sorgente luminosa in grado di intraprendere un percorso inverso rispetto al
raggio solare, innalzandosi fino al cielo (fr. 227 Sn.-M.):
L’eroe stesso in virtù delle numerose imprese irradia luce (fr. 172, 1-3
Sn.-M.):
Πηλέος ἀντιθέου
μόχθοις νεότας ἐπέλαμψεν
μυρίοις·
68 Ove con λάμπει, «the standard verb to describe the sun’s shining» (Gerber 1982,
50 ad Ol. 1, 23), si innesca un cortocircuito tra fama che si spande ovunque e luce
celeste.
69 Restituito felicemente da Boeckh, ἀερθέντα connota l’esaltazione poetica nel suo
slancio verso il cielo (cfr. Isth. 1, 64 e Nem. 8, 40-42 ἀΐσσει δ’ ἀρετά, […] / <ἐν>
σοϕοῖς ἀνδρῶν ἀερθεῖσ’ ἐν δικαίοις τε πρὸς ὑγρόν / αἰθέρα).
70 «I premi dei due eroi sono d’oro, il loro valore risplende, essi compaiono in patria con
la corona sul capo (v. 20 χρυσοῦ, v. 22 λάμπει, v. 29 ἔφανεν)» Privitera 1982, 14.
71 Per il presente λάμπει «das wohl auf die Fortwirkung des Sieges hindeuten soll»
vd. Thummer 1969, 17.
28 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
72 Su tale tipologia metaforica, «where the explaining is done by the tenor, the defi-
ning genitive», vd. Silk, 116.
73 Non credo si tratti di un’ipallage, come suggerito nel commento di Giannini in
Gentili 1995, 662 («il raggio di luce […] è definito veloce per la presenza del
seguente ἵπποις»): non sfuggiva alla poesia greca (cfr. Hom. Il. X 153-154 e XI
44-45; Pyth. 3, 75 τηλαυγέστερον […] ϕάος e Nem. 3, 64 τηλαυγὲς […] ϕέγγος)
l’istantaneità con cui procede la luce e il suo irraggiamento a grande distanza (vd.
Mugler 1960, 50).
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 29
Nel corpo sintetico della metafora «il raggio degli agoni» o «il raggio
delle imprese» (ἐργμάτων ἀκτὶς καλῶν (Isth. 4, 42) richiama un elemento
essenziale nella rappresentazione poetica arcaica della visione, il modello
emissivo, che consiste nell’attribuire una luce propria agli oggetti toccati
dai raggi del sole74. Come si evince da Omero, che non sembra riconoscere
la natura della luce riflessa, dalla superficie levigata degli oggetti stessi (ad
es. lo scudo e l’elmo di Diomede, Il. V 4) scaturiscono raggi che si proiet-
tano verso il flusso di fuoco che si muove dall’occhio75.
Talora il campo della luce si espande all’eulogia della città del laudan-
dus, ai suoi valori e alla sua costituzione politica. La decima Nemea si apre
con un’invocazione alle Muse a cantare in occasione delle Eree, le feste di
Era argiva, la città di Argo76 per le virtù dei suoi cittadini che splendono
come innumerevoli fuochi (vv. 2-3):
ϕλέγεται δ᾿ἀρεταῖς
μυρίαις ἔργων θρασέων ἕνεκεν
74 Di matrice empedoclea (31 A fr. 92 D.-K.), discusso in Plat. Men. 76c 7-d 5 (vd.
Mugler 1964, 315-316, Merker, 28-38), il modello emissivo ionico trova sistema-
zione teorica nel racconto mitico del Timeo (45b 2-6) dove il processo visivo è
rappresentato come incontro e combinazione tra flusso visivo e luce diurna (su cui
vd. infra).
75 Il poeta applica infatti alla luce riflessa le stesse espressioni verbali, ad es.
ἀπολάμπειν, che alla luce proveniente da una fonte diretta. La notazione del
fulgore è molto spesso accompagnata da un paragone nel quale il poeta insiste
sull’identità della luce riflessa e della luce diretta (Mugler 1960, 52, 59-60).
76 Sulla funzionalità politica della sezione mitica scelta per l’eulogia del vincitore
argivo Theaios vd. Hornblower, 127-128, 204-206.
77 Thummer 1969, 120.
78 In Ol. 9, 22 è l’ardore dei canti del poeta a infiammare la città (vd. supra).
30 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
δέξαιτο δ᾿Αἰακιδᾶν
ἠύπυργον ἕδος, δίκᾳ80 ξεναρκέϊ κοινόν
ϕέγγος81.
Il poeta chiede che la città di Egina, sede degli Eacidi, accolga il suo
canto di lode per il vincitore Timasarco. Nella lode della città, faro di giu-
stizia per gli stranieri82, l’imagery della luce veicola e contrario il ricordo
del padre Timocrito la cui scomparsa è espressa metonimicamente attraver-
so ἁλίῳ […] ἐθάλπετο (vv. 13-14).
Nel fr. 109 Sn.-M., un iporchema commissionato dai Tebani in un
contesto politico turbato, secondo le fonti83, da profonde tensioni interne
79 Vd. Bremer 1976, 237, 245, 247, 264. Ciani, 148, assimila invece φλέγω a λάμπω
«in una identica funzione […] di simboleggiare la luce positiva e continua, il puro
splendore della forma».
80 Il dativo δίκᾳ può essere interpretato come strumentale «shedding a light on all
mankind because of its justice» (vd. pure Slater 1969a, 133), oppure come dati-
vo possessivo «”shedding the light of Justice” = “the light that belongs to Justi-
ce”» Farnell 1932, 264. Figueira, 324-326 vi legge un’allusione a una specifica
struttura giuridica eginetica, mentre de Ste Croix, 380, lo intende come un tratto
eulogistico comune nelle odi eginetiche, «the friendliness and justice shown by
the Aeginetians to ξένοι» (cfr. Isth. 9, 5-6, Nem. 4, 12, Paean. VI, 131 (=fr. 52f
Sn.-M.).
81 Isolata l’esegesi di Kurke, 197 che intende, il canto stesso come «a ”common
light” […] for the entire city».
82 «Aegina’s light is koinon (rather than idion) only because of the island’s hospitality
to strangers» Hubbard 1985, 77 n. 16 e 2001, 394, dove si sottolinea l’aspetto
promozionale per i commerci dell’isola sotteso all’immagine.
83 I primi due versi secondo Polibio IV 31, 5-6 (cfr. Const. Porph. De sententiis
126 Boissevain, forse da Eforo: Wilamowitz, 193), fonte insieme a Stob. Anthol.
4, 16, 6 (4, 395 W.-H.) del frammento, dovevano suggerire un atteggiamento di
prudente conciliazione, ovvero un atteggiamento medizzante (Wilamowitz, 194).
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 31
88 Su cui vd. Pfeijffer 1999, 426 e 467. Ma come opportunamente rimarca Fearn,
209 n. 96 «in the case of epinician poetry, consideration of hesychia as a political
ideal not as yet perhaps achieved is projected onto audiences and consumers who
cannot, explicity, overlap entirely with the members of the political community
that the poem is concerned to both celebrate and discuss».
89 Vd. Edmunds, 31-33; Carter, 42-47.
90 Su cui vd. Davison, 16; cfr. Ol. 13, 7 in cui Εἰρήνα e Δίκα sono definite ταμίαι
ἀνδράσι πλούτου.
91 Per la contrapposizione ἡσυχίη / στάσις in una situazione politica tesa e instabile
cfr. Theogn. 39-52. In Aristoph. Av. 1321-1322 la lode del coro ad Hesychia
(ἀγανόφρονος Ἡσυχίας / εὐήμερον πρόσωπον) è in contrappunto tonale con la
frenetica attività di approvvigionamento e selezione di ali che animava la scena.
Per il suo ruolo di mediazione tra tensioni polari vd. Hubbard 1985, 84-85.
92 Segal 1967, 436.
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 33
93 Gianotti, 38.
94 Sulla autoconsapevolezza artistica di Pindaro vd. ancora utili le osservazioni di
Gundert, passim.
95 Vd. Stanford, 47-62; Tarrant, 183-184, con esempi non tutti persuasivi: ad es. (p.
182) Hom. Od. VIII 499 φαῖνε δ᾽ἀοιδήν, ove φαίνω vale “esibire”, non necessa-
riamente alla vista; (p. 184) in Soph. El. 1410 ἰδοὺ μάλ᾽αὖ θροεῖ τις, manifesta-
mente ἰδού è lessicalizzato nel senso di «ecco».
96 Qualche dubbio si può conservare per Ol. 4, 9-10, dove nell’invito a Zeus ad accogliere,
anche in virtù del fascino della vittoria e della poesia, personifιcato dalle Cariti, «questo
corteggio, durevolissima luce di possenti virtù» sembrano rimarcati piuttosto gli aspetti
spettacolari dell’hic e del nunc celebrativo (δέξαι Χαρίτων θ᾿ ἕκατι τόνδε κῶμον, /
χρονιώτατον ϕάος εὐρυσθενέων ἀρετᾶν). Così anche in Nem. 6, 34-38 l’imagery della
luce è associata a una vittoria lontana nel tempo e al κῶμος che la celebrava nel giorno
e nel luogo stesso («e invero nella divina Pito, Callia, sangue di questa progenie, legati
i pugni alle cinghie, vinse un giorno, piacendo ai figli di Leto dalla chioma d’oro e la
sera presso Castalia brillò nel clamore delle Grazie» (καὶ γὰρ ἐν ἀγαθέᾳ / χεῖρας ἱμάντι
δεθεὶς Πυθῶνι κράτησεν ἀπὸ ταύτας αἷμα πάτρας / χρυσαλακάτου ποτὲ Καλλίας ἁδών
/ ἔρνεσι Λατοῦς, παρὰ Κασταλίαν τε Χαρίτων / ἑσπέριος ὁμάδῳ ϕλέγεν).
97 Del passo, uno dei più incerti e tormentati dell’esegesi pindarica, accolgo l’inter-
pretazione di Giannini in Gentili 1995, 578-580.
34 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
μεγάλων δ᾿ἀέθλων
Μοῖσα μεμνᾶσθαι ϕιλεῖ.
σπεῖρέ νυν100 ἀγλαΐαν101
τινὰ102 νάσῳ, τὰν ’Ολύμπου δεσπότας
Ζεὺς ἔδωκεν Φερσεϕόνᾳ
98 Vd. Giannini, ibid. Per la nozione di ‘vedere’ implicita in ὅπις vd. Chantraine,
DELG s.v. (II 808); Slater 1969a, 385 s.v.; Bremer 1976, 238; Burkert, 197-203.
99 Sul problema della patria di Cromio e dell’inscriptio dell’epinicio vd. Braswell, 25-27.
100 Quanto all’uso dell’imperativo indirizzato a una divinità in incipit e in asindeto
vd. Weilbach, 27-28.
101 Talora personificata (Hes. Theog. 909; Pind. Ol. 14, 13) e a fianco della Musa in
fr. 199, 3 Sn.-M., sembra qui denotare il fulgore festoso elargito dalla Musa (cfr.
Pyth. 1,2, Nem. 9, 31-32); vd. Braswell, 41.
102 Il pronome indefinito qui attutisce la metafora con sfumatura «quasi-apologetic»
Carey, 108.
103 Per l’intercambiabilità delle loro funzioni in ambito poetico vd. Giannini in Gen-
tili 1995, 525.
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 35
«Figlio di Alessibio104,
t’irradiano di luce
le Grazie dalla bella chioma.
Te beato che pure
dopo grande travaglio
hai monumento di altissime parole»
Nel complesso sistema della lode il poeta è parte attiva della festa:
nell’incipit della quarta Olimpica è invitato come testimone delle altissime
imprese (ὑψηλοτάτων μάρτυρ᾿ ἀέθλων v. 3) fornendo con il suo canto al
corteo festoso che accompagna il vincitore una luce, un’aura di gloria che
dura nel tempo (vv. 8-10):
Οὐλυμπιονίκαν
δέξαι Χαρίτων θ᾿ ἕκατι τόνδε κῶμον,
χρονιώτατον106 ϕάος εὐρυσθενέων ἀρετᾶν107.
Χαρίτων κελαδεννᾶν
μή με λίποι καθαρὸν ϕέγγος. Αἰγίνᾳ τε γάρ
ϕαμὶ Νίσου τ᾿ ἐν λόϕῳ τρὶς
δὴ πόλιν τάνδ᾿εὐκλεΐξαι,
σιγαλὸν ἀμαχανίαν ἔργῳ ϕυγών.
108 Vd. Gianotti, 68-80. Con i nomi di Aglaia (Splendore), Euphrosyne (Gioia) e Tha-
lia (Abbondanza) erano venerate con antico culto in Beozia (Ol. 14, 13-15; cfr.
Hes. Theog. 909). Esiodo stesso, associandole alle Muse (Theog. 64), istituisce la
loro stretta relazione con la sfera poetica che ricorre in Sapph. fr. 44 A b, 5-6 e 128
V. e si definisce stabilmente in Theogn. 15-16.
109 Vd. Privitera 1982, 161.
110 Sul vischioso problema dell’identità dell’‘io’ narrante e della sua funzione «poli-
valente» rimando in generale alle considerazioni di Gentili, in Gentili 1995, 237,
vd. anche Fränkel 19693, 543 n. 12.
111 Vd. più diffusamente Gentili in Gentili 1995, 237-238.
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 37
e Megara, reso illustre Cirene112, la sua città, con la sua impresa (ἔργῳ)113.
Alla luce delle Càriti si oppone la mancanza di discorsi di lode, il silenzio
impotente (σιγαλὸν ἀμαχανίαν v. 92)114 che condanna anche il vincitore
all’oscurità, secondo uno schema polare ben attestato in altri passi (vd. in-
fra) 115. L’antitesi sviluppa una nuova forma di sinestesia, anticipata dall’af-
fermazione che è tale la gloria di Eracle (e della sua città natale Tebe) che
solo un uomo muto (κωφός v. 86) può non celebrarlo116.
Il passo è molto tormentato e discusso dal punto di vista testuale: alcuni
critici identificano invece la persona loquens con il poeta117, interpretazio-
ne in sé non inverosimile perché l’auspicio Χαρίτων κελαδεννᾶν / μή με
λίποι καθαρὸν ϕέγγος potrebbe essere inteso come richiamo al sodalizio tra
il poeta e le divinità protettrici. Ma se certo non si può attribuire al poeta
la gloria di aver reso illustre la città coi fatti, sarebbe necessario postulare
un brusco cambio di soggetto oppure emendare il tràdito εὐκλεΐξαι118 in
εὐκλεΐξας (Hermann) o εὐκλεΐξε (Pauw).
Né il valore né la lode possono essere taciuti e lo stretto e obbligato
denominatore che accomuna aretà e canto119 provvede a esplicitare anche
112 Il verbo εὐκλεΐζω nel senso di “recare gloria” ricorre in Bacch. 6, 16 Sn.-M. a
proposito di un atleta che ha reso celebre la sua città (cfr. AP XIII 14, 2) e in Tyrt.
12, 24 W. per virtù belliche.
113 Per l’espressione ἔργον in riferimento all’impresa atletica cfr. Ol. 5, 16; 7, 84; 8,
19, Pyth. 8, 80, Isth. 3, 7; 5, 23, Nem. 8, 49 (vd. Burton, 52 n. 2).
114 Lo Schol. ad l. (II 236 Dr.), che cita il fr. 229, 1 Sn.-M. (νικώμενοι γὰρ ἄνδρες
ἀγρυξίᾳ δέδενται «infatti i vinti sono incatenati al silenzio»), riferisce il nesso
al profondo silenzio che avvolge gli sconfitti; di converso, con un procedimento
polare, illustrato da Fränkel 19693, 510, n. 18, il vincitore con il suo successo
ha offerto abbondanti opportunità di canto al poeta (Isth. 4, 2 εὐμαχανίαν [...]
ἔφανας, cfr. Paean. VIIb, 15-17 [=fr. 52h Sn-M.]); vd. anche Burton, 53. E se
tecnicamente μαχανά connota l’atto creativo (vd. Péron 1976, 69-71 e Hubbard
1991, 19 che ascrivono l’ἀμαχανία a Pindaro; contra Carey 1981, 95), l’intera
espressione risulta appropriata sul piano metaforico anche per il vincitore così da
costituire una «almost mystical identification of song with action whereby [...]
poet and victor share personae» Nash, 87.
115 Indicativa al riguardo la lista dei passi scelti da Lloyd 1966, 43 ad esemplificare l’anti-
nomia tra luce e oscurità, ricorrente anche nelle opposizioni pitagoriche: cinque passi
di Pindaro, due di Eschilo e uno di Euripide (quest’ultimo in verità non pertinente: in
Iph. Aul. 439, φῶς [... ]τόδ’(ε) significa «questo giorno» vd. Ciani 1974, 48, n. 79).
116 Sulla mutua correlazione del termine con σιγαλόν v. 92, parimenti in incipit di
verso, vd. Nash, 81-87.
117 Wilamowitz, 265; Farnell 1932, 207-208; Slater 1969a, 194; Hubbard 1991, 23-
24; MacLachlan, 115.
118 Per una completa dossografia vd. e.g. Péron 1976, 67-70.
119 Sul «Sieg-Lied Motiv» rimando alle fondamentali pagine di Schadewaldt 1928, 277ss.
38 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
120 Variamente ricorrente anche in altri epinici, il rapporto analogico tra vincitore e
poeta si rivela il motivo organizzatore di un’ampia parte della Nemea III attraver-
so una successione coerente di elementi correlati, su cui vd. Privitera 1977.
121 Loscalzo, 76-77; Privitera 1982, XIX-XX.
122 Quanto ai tentativi di ancorare le «invidiose speranze» alle vicende degli Emme-
nidi cui apparteneva Senocrate (e.g. Farnell 1930, 247-248), vd. Privitera 1982,
165, che rinvia opportunamente a moduli eulogistici intesi a marcare la superiorità
del celebrato.
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 39
123 Per il modulo espressivo cfr. Nem. 9, 41-42 δέδορκεν / παιδὶ τοῦθ᾿ Ἁγησιδάμου
ϕέγγος. Per Bury, 180, il termine φέγγος rimanda costantemente a un «technical,
mystical sense», contra Radt, 65.
124 L’intervento di Clio nella vittoria del pancratiaste Aristoclide è innescato da un gio-
co etimologico notato già da Bury, 48: «that Aristoclides is possessed of the valour
that wins renown (κλέος) his very name (Ἀριστο-κλείδας) is a sign, and for the same
reason he is the favourite of Clio (Κλειώ, who sings τὰ κλέα ἀνδρῶν)».
125 «Emphatically proposed ἐγώ introduces a passage in which the poet makes state-
ments about his own poetic conduct» Pfeijffer 1999, 399.
126 Incapsulato nella sinestesia visivo-acustica μαλεραῖς ἀοιδαῖς (cfr. Bacch. fr. 4,
80 Sn.-M. παιδικοί θ’ ὕμνοι φλέγονται), qui μαλερός conserva eco della valenza
omerica che connotava la furia devastante dell’incendio (Il. IX 242, XX 316, XXI
375). L’immagine visiva della fiamma ardente e irresistibile, eco di un fossilizzato
uso epico, è piegata a illustrare l’energia dinamica del proprio impegno poetico
(Gerber 2002, 30).
40 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
127 «Die Vorstellung, daß der Dichter sein Lied bzw. dessen Gegenstand ‘ins Licht
taucht’, kehrt bei Pindar in Form der spezifischeren und ‘dynamischeren’ Feuer-
Vergleichung wieder: Der Dichter ‘zündet an’» Nünlist, 164-165.
128 È incerto se qui attribuire a φλέγω valore intransitivo o meno. Una preziosa si-
nestesia acustico-visiva di senso transitivo è in Aesch. Pers. 395 σάλπιγξ δ᾽ἀϋτῇ
πάντ᾽ἐκεῖν᾽ἐπέφλεγεν.
129 Conformemente all’uso omerico, σέλας ricorre in Pindaro in riferimento all’e-
nergia distruttrice del fuoco (Pyth. 3, 39 e Paean. VI, 97-98 [fr. 52f Sn.-M.]
σέλας αἰθομένου / πυρός) o alla luce diffusa del giorno (fr. 108b, 4-5 Sn.-M.).
Come in Paean. XX, 13 (= fr. 52u Sn.-M.), ove denota il bagliore degli occhi di
Eracle nella lotta con i due serpenti inviati da Era, lo splendore emanato dagli
inni può qui parimenti evocare una manifestazione di potenza irresistibile di
origine divina (vd. Slater 1991a, 464; Ciani, 27, n. 28).
130 Schol. ad 117 (II 78 Dr.).
131 Per l’epiteto χρυσέα che assimila ὑγίεια a una divinità vd. Gentili in Gentili 1995,
416-417.
132 Per l’identificazione con il sole cfr. Schol. ad 134a-b (II 80 Dr.).
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 41
135 La consapevolezza che gli uomini restano immemori della gloria antica se non
rinnovata nel canto è espressa anche in Isth. 7, 16-21; vd. Gianotti 1975, 75, 105.
Degno di nota è che le imprese sono consegnate al sonno (ἀλλὰ παλαιὰ γάρ / εὕδει
χάρις vv. 16-17) e non alla morte, «proprio perché la parola del poeta può avere
valore retroattivo, ridestando la memoria anche di azioni compiute in un remoto
passato» (Loscalzo, 81, n. 176).
136 Lucifero ad Espero erano considerate eminentemente splendenti Arist. Eth. Nic.
1129b 28. Già in Parmenide (28 A 1,16 D.-K.) era stata accertata la loro identità
vd. Privitera 1982, 176.
137 Il dettaglio temporale coincide con Aethiop. fr. 5 Bern.
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 43
scopo di affermare a fortiori il potere della poesia, il paradosso per cui essa
è in grado anche di riscattare gli insuccessi (vv. 37-45):
138 Questi versi hanno qualche consonanza con Bacch. 13, 175-181 Sn.-M., dove la
luce riflessa della vittoria (πυρσὸν ὣς [...] / φαίνων vv. 82-83) è evocata in contra-
sto polare con la notte (v. 175); vd. Köhnken, 113-114, e Bremer 1976, 253.
139 La totalità sensoriale implicita in ϕωνᾶεν e ἀκτὶς […] ἄσβεστος risponde agli
aspetti di cui si compone la gloria come «Zusammenhang von Ansicht und An-
sehen», di δόξα e κλέος (Bremer 1976, 252).
44 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
visuale come diffusione di una luce che, oltre gli assi spazio-temporali140, si
profila come materializzazione simbolica della poesia stessa141.
In questa traiettoria, instaurando uno speculare parallelismo tra Omero
e sé e tra Aiace e il laudandus, il poeta si augura di poter accendere anche
per Melisso quella fiaccola ardente di canti (πυρσὸν ὕμνων) sì da riparare –
come il canto di Omero con Aiace – a una ingiusta sconfitta subìta, offren-
dola come «degna corona del pancrazio», sostituto dell’onore negatogli142.
La stretta relazione tra impresa valorosa e canto riceve un’articolazio-
ne più sistematica assurgendo a canone poetico di validità universale nella
Nemea VII, composta per la vittoria nel pentathlon dei ragazzi di Sogenes
di Egina. Dopo l’invocazione incipitaria a Eileithyia, divinità che assiste
le nascite e promuove la vita (ἄνευ σέθεν οὐ ϕάος, οὐ μέλαιναν δρακέντες
εὐφρόναν vv. 2-3)143 e la presentazione del vincitore, il poeta afferma solen-
nemente la necessità della poesia per ricordare le grandi imprese (vv. 11-16):
140 Cfr. e.g. Hom. Il. VII 451, Sapph. fr. 65, 8-9 V.
141 Per l’associazione tra poesia e astro solare, paradigmaticamente eterno, cfr. anche
Theogn. 251-252; Simon. fr. 581, 3 P.
142 Sulla struttura densamente metaforica dei vv. 19-45 vd. Privitera 1982, 181.
143 Le ragioni dell’invocazione a Eileithyia sono delineate in Schol. ad 1a (III 116-
117 Dr.). Per un riepilogo delle posizioni critiche vd. Carey, 137-138; Most 134-
140 e ora Burnett, 186-188, con nuovi spunti esegetici.
144 Sul dovere poetico della lode e sulle sue articolazioni vd. e.g. Gianotti, 18ss., e
Kurke, 97-103.
145 Cfr. Isth. 5, 53-58: le spese e le fatiche sostenute dagli Psalichiadi grazie al canto
non sono rimaste cieche ovvero senza gloria; per altri passi vd. Willcock, 15-16, e
in generale Kurke, 163-194.
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 45
7. Luce-lode vs buio-invidia/biasimo
Entro questa logica binaria, come l’oscurità permette alla luce di essere
percepita come tale, così la sconfitta, come mancanza di possibile vittoria,
consente alla vittoria di essere intesa come tale151. Di conseguenza il focus
encomiastico oscilla tra i due poli della luce e dell’oscurità con cui è rap-
presentata la sconfitta come assenza dello splendore diffuso dalla lode. Di
converso quest’ultimo è descritto esplicitamente come una vittoria della
poesia sull’oscurità e sull’invidia (φθόνος) che aspira a inghiottirlo. L’ana-
logia tra compito encomiastico e gesto atletico è illustrata in uno scorcio
della quarta Nemea, dedicata al lottatore egineta Timasarco (vv. 37-41)152:
σϕόδρα δόξομεν
δαΐων ὑπέρτεροι ἐν ϕάει καταβαίνειν·
ϕθονερὰ δ᾿ἆλλος ἀνὴρ153 βλέπων
γνώμαν κενεὰν σκότῳ κυλίνδει
χαμαὶ πετοῖσαν154.
Dopo la sezione gnomica (vv. 30-32), la preparazione alla lode della pa-
tria del vincitore è articolata in una complessa metafora mutuata dalla lotta,
specialità di Timasarco: come gli avversari lottano per ostacolare la vitto-
ria altrui, così gli invidiosi aspirano a negare al vincitore il suo successo.
Funzionale alla retorica eulogistica è l’analogia che assimila il laudandus
al poeta che parimenti avrà la meglio sugli avversari facendoli rotolare a
terra: come il successo atletico (Pyth. 7, 19; 11, 29, Nem. 1, 24), anche la
parola di lode attira il biasimo degli invidiosi155.
156 Vd. Detienne, 10-13; Nagy, 222-224; Gentili 1989, 141-151. Sulle varie gradazio-
ni e sfumature dello ψόγος in rapporto all’oggetto del discorso vd. Kirkwood.
157 Comuni nel pensiero arcaico, vd. Crotty, 2 e in generale Lloyd, 42ss.
158 L’opposizione è variamente articolata in Ol. 1, 82-84 (τά κέ τις ἀνώνυμον / γῆρας ἐν
σκότῳ καθήμενος ἕψοι μάταν, / ἁπάντων καλῶν ἄμμορος;) e Nem. 7, 12-13 σκότος
vs Μναμοσύνα. Commissionando l’epinicio, Ierone è consapevole di «non tenere
celata turrita ricchezza sotto il nero manto dell’oblio» Bacch. 3, 13-14 Sn.-M.
159 Sul problema del ‘poetic ‘I’’, oggetto di inesauste dispute, vischioso soprattutto in
quest’ode che lo vede combinato in plurime modulazioni (vv. 20, 61, 66, 85, 102),
rimando tra gli altri a D’Alessio e Currie (con ampia discussione dello status quae-
stionis), che ipotizza qui un’oscillazione tra il poeta tebano (v. 61) e il coro eginetico
(v. 85): vd. in part. 247-248, 273-274. Sull’allure gnomica del passo in cui l’ ‘io’
gnomico ha funzione di sostenere la sincerità della lode vd. Pavese 1978, 676.
160 Vd. Bury, 116-117; Schadewaldt 1928, 299, e in dettaglio ancora Segal 1967,
450-456.
161 Per la relazione di ξενία o di φιλία tra laudandus e committente vd. Gianotti, 14;
Kurke, 86, 100.
162 Che coglie invece i concittadini, secondo gli Scholl. ad 89b 7-12; c (III 128 Dr.).
48 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
levola (cfr. Ol. 6, 74-76) che consisterebbe nello sminuire l’importanza della
vittoria (Schol. ad 124b ὡς μηδενὸς ἀξιολόγου τετυχηκότας, I 181 Dr.)163.
Il biasimo è definito oscuro, σκοτεινός (cfr. vv. 12-13), perché l’eccellenza
nella sfera dell’azione corre il rischio, se non riceve eco nella sfera poetica, di
essere privata di ogni possibilità di sopravvivenza e dunque di luce164.
163 Atteso il fondamento divino del successo, «to praise it is to confirm the divine
order, just as to criticize it is to blame not only the successful man, but also the
gods themselves who have made him successful» Most, 88.
164 «As an encomiast, he [scil. Pindaro] explicitly must counter the forces that work
against his praise, and yet it is precisely these counterforces, as manifestations of
darkness, that alone ensure the viability of the praise’s light» Hamilton, 80; vd.
anche Arrighetti, 103-104.
165 Schadewaldt 1928, 306-308; Fränkel 19693, 552-554, 564-565.
166 «Pindar’s poetry wants to be all that the sculptural and architectural arts are and
more: palpable, visible, hard, substantial, shiny, reflective and reflexive all at
once» Porter, 13.
167 Nem. 7, 65-67 «confido nell’ospitalità e tra i cittadini / guardo con occhio lumino-
so, senza superbia, / immune da ogni violenza».
168 Emped. 31 A 86,18-19; 90; 91; B 84 D.-K. (cfr. Leuc. 67 A 29 D.-K.; Democr. 68
A 135, 50 D.-K., Alcm. 24 A 5 D.-K.).
169 Su cui vd. anche supra, p. 28.
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 49
170 Plat. Tim. 45c 3, ma cfr. anche 45b 6-d 2; sulla teoria platonica della visione vd. in
particolare Taylor, 276-282.
171 Vd. Rizzini, 129, e in generale 128-144.
172 Cfr. Aesch. Pers. 150-151 e Soph. Oed.R. 1483 ove τὰ πρόσθε λαμπρὰ […]
ὄμματα sono definiti con nostalgia i propri occhi da Edipo appena accecatosi.
173 Vd. Mugler 1960, 60; Longo, 164-167.
174 Rutherford, 192-193.
50 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
piccolo sole». Nello scambio degli attributi tra astro e occhio, figure metafo-
riche vicendevoli, si profila la percezione di una somiglianza qualitativa ma
anche funzionale: come il sole l’occhio splende, come l’occhio il sole vede
in un circolo virtuoso tra percezione e realtà175. E l’assimilazione originaria
dell’occhio al sole è implicitamente sottesa dall’uso di ἀκτίς (propriamente il
raggio solare) per indicare il raggio visivo, ad esempio nell’encomio dedicato
a Teosseno di Tenedo in cui la potenza seduttiva del suo sguardo promana da
raggi che si propagano scintillanti dai suoi occhi (τὰς δὲ Θεοξένου ἀκτῖνας
πρὸς ὄσσων / μαρμαριθοίσας (fr. 123, 2-3 Sn.-M.).
Bibliografia
175 Rizzini, 132-133; vd. anche Fränkel 19693, 548-549 con n. 22.
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 51
D. Fearn, Pindar’s Eyes. Visual and Material Culture in Epinician Poetry, Oxford
2017.
T.J. Figueira, Aegina: Society and Politics, Salem NY 1981.
H. Fränkel, Pindars Religion, Die Antike 3 (1927), 39-63.
H. Fränkel, Wege und Formen frühgriechischen Denkens. Literarische und Philo-
sophiegeschichtliche Studien, München 19602.
H. Fränkel, Dichtung und Philosophie des frühen Griechentums, München 19693
(tr. it., Bologna 1997).
R. Führer, Formproblem. Untersuchungen zu den Reden in der frühgriechischen
Lyrik, München 1967.
E.N. Gardiner, Greek Athletic Sports and Festivals, London 1910.
H.J. Gehrke, Stasis. Untersuchungen zu den inneren Kriegen in den griechen Staa-
ten des 5. und 4. Jahrhunderts v. Chr., München 1985.
B. Gentili, Poesia e pubblico nella Grecia antica da Omero al V secolo, Roma-
Bari, 19892.
B. Gentili, P. Angeli Bernardini, E. Cingano, P. Giannini (a cura di), Pindaro. Le
Pitiche, Milano 1995.
B. Gentili, C. Catenacci, P. Giannini, L. Lomiento (a cura di), Pindaro. Le Olim-
piche, Milano 2013.
D.E. Gerber, Pindar’s Olympian One: A Commentary, Toronto-Buffalo-London
1982.
D.E. Gerber, A Commentary on Pindar Olympian Nine, Stuttgart 2002.
G.F. Gianotti, Per una poetica pindarica, Torino 1975.
B.L. Gildersleeve, Pindar. The Olympian and Pythian Odes, New York 1885,
18902 (repr. New York 1979).
H. Gundert, Pindar und sein Dichterberuf, Frankfurt a.M. 1935.
J.T. Hamilton, Solliciting Darkness. Pindar, Obscurity, and the Classical Tradi-
tion, Cambridge (Ma.) 2003.
R. Hampe, Zu Pindars Paian für Abdera, Hermes 76 (1941), 136-142.
T.F. Hoey, Sun Symbolism in the Parodos of the Trachiniae, Arethusa 5 (1972),
133-154.
S. Hornblower, Thucydides and Pindar. Historical Narrative and the World of Epi-
nikian Poetry, Oxford 2004
T.K. Hubbard, The Pindaric Mind. A Study of Logical Structure in Early Greek
Poetry, Leiden 1985
T.K. Hubbard, Theban Nationalism and Poetic Apology in Pindar, Pythian 9, 76-
96, Rheinisches Museum für Philologie 134 (1991), 22-38.
T.K. Hubbard, Pindar and Athens after the Persian Wars, in D. Papenfuss - W.M.
Strocka (a cura di), Gab es das Griechische Wunder? Griechenland zwischen
dem Ende des 6. und der Mitte des 5. Jahrhunderts v. Chr., Mainz 2001, 387-397.
P. Hummel, La syntaxe de Pindare, Paris 1993.
C.O. Hutchinson, Greek Lyric Poetry. A Commentary on Selected Larger Pieces,
Oxford 2001.
E. Irwin, Colour Terms in Greek Poetry, Toronto 1974.
E. Fabbro - La luce: metafora strutturale in Pindaro 53
G. Kirkwood, Blame and Envy in the Pindaric Epinician, in D.E. Gerber (a cura
di), Greek Poetry and Philosophy. Studies in Honour of Leonard Woodbury,
Chico (CA) 1984, 169-183.
A. Köhnken, Die Funktion des Mythos bei Pindar, Berlin-New York 1971.
L. Kurke, The Traffic in Praise. Pindar and the Poetics of Social Economy, Ithaca-
London 1991.
L. Lehnus (a cura di), Pindaro, Olimpiche, Milano 1981.
G.E.R. Lloyd, Polarity and Analogy. Two Types of Argumentation in Early Greek
Thought, Cambridge 1966.
O. Longo, La luce nell’ottica dei Greci, Vichiana 3 (1993), 163-173.
D. Loscalzo, La parola inestinguibile. Studi sull’epinicio pindarico, Roma 2003.
W. Luther, Wahrhreit, Licht, Sehen und Erkennen in Sonnengleichnis von Platons
Politeia. Ein Ausschnitt aus der Lichtmetaphysik der Griechen, Studium Gene-
rale 18 (1965), 479-496.
L.W. Lyde, Contexts in Pindar with reference to the meaning of φέγγος, Manche-
ster 1935.
B. MacLachlan, The Age of Grace. Charis in Early Greek Poetry, Princeton 1993.
B. Maslov, Pindar and the Emergence of Literature, Cambridge 2015.
R.A. McNeal, Structure and Metaphor in Pindar’s Fourth Isthmian, Quaderni Ur-
binati di Cultura Classica 28 (1978), 135-156.
A. Merker, La vision chez Platon et Aristote, Sankt Augustin 2003.
F. Mezger, Pindars Siegeslieder erklärt, Leipzig 1880.
G.W. Most, The Measure of Praise. Structure and Function in Pindar’s Second
Pythian and Seventh Nemean Odes, Göttingen 1985.
C. Mugler, La lumière et la vision dans la poésie grecque, Revue des Études Grec-
ques 73 (1960), 40-72.
C. Mugler, Dictionnaire historique de la terminologie optique des Grecs. Douze
siècles de dialogues avec la lumière, Paris 1964.
G. Nagy, The Best of the Achaeans. Concepts of the Hero in Archaic Greek Poetry,
Baltimore-London 1979.
L.L. Nash, The Theban Myth at Pythian 9, 79-103, Quaderni Urbinati di Cultura
Classica 11 (1982), 77-99.
W. Nestle, Vom Mythos zum Logos. Die Selbstentfaltung des griechischen Denkens
vom Homer bis auf die Sophistik und Sokrates, Stuttgart 1940.
J.K. Newmann, F.S. Newmann, Pindar’s Art. Its Tradition and Aims, Hildesheim-
München-Zürich 1984.
F.J. Nisetich, Pindar and Homer, Baltimore-London 1989.
G. Norwood, Pindar, Berkeley-Los Angeles-London 1945.
R. Nünlist, Poetologische Bildersprache in der frühgriechischen Dichtung,
Stuttgart-Leipzig 1998.
W.A.A.van Otterlo, Beitrag zur Kenntnis der griechischen Priamel, Mnemosyne
8.2 (1940), 145-176.
G. Paduano, Antologia della letteratura greca, I, Bologna 1990.
H. Parry, The Second Stasimon of Euripides’ Heracles (637-700), The American
Journal of Philology, 66 (1965), 363-374.
54 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
1. La sfera in cui ogni punto è centro. Dalla luce intelligibile alla luce fisica
1 Per un ricco quadro storico riguardo a questa immagine si veda Hedwig. Sull’im-
magine della sfera come illustrazione di dinamiche metafisiche resta ancora valida
la trattazione di Mahnke; ma si veda ora anche la bella costellazione di contributi
in Totaro-Valente, con amplissima bibliografia.
2 Una esplicazione della sfera di luce intelligibile secondo le linee tracciate nelle
pagine seguenti l’ho già proposta in Lavecchia 2014a; Lavecchia 2014b; Lavec-
chia 2015a, 42-48. In questi contributi l’esplicazione si estende fino a quella che
potrebbe essere indicata come deduzione del centro di coscienzialità fenomenica,
ovvero dell’io fenomenico, dalla sfera intelligibile.
58 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
3 L’immediata unità di punto e sfera infinita nella luce intelligibile viene esplicita-
mente evidenziata per la prima volta, per quanto ne so, da Roberto Grossatesta:
cfr. Hexaemeron 97, 26-98, 5 Dales-Gieben; De Luce 76, 2-4 e 77, 28-30 Panti.
Comunque, in nessun luogo della sua opera Grossetesta esplicita o caratterizza la
dinamica oggetto delle riflessioni proposte in queste pagine. Come mostra chia-
ramente il contributo di Cecilia Panti pubblicato in questo volume, l’esplicazione
di Grossatesta concernente il manifestarsi della luce fisica a partire dalla luce
intelligibile presenta alcuni presupposti eterogenei rispetto all’esplicazione qui
offerta. Riguardo alla filosofia della luce di Grossatesta in generale basti rinviare a
Hedwig, 118-150; Saccaro Battisti; Panti 1999; Oliver; Agnoli; Panti 2011, 1-36;
nonché all’ulteriore bibliografia cui rinvia Cecilia Panti nel suo contributo interno
a questo volume.
S. Lavecchia - Alla ricerca della sfera di luce 59
4 Liber XXIV Philosophorum II, da cui deriva XVIII, ovvero che Dio è una sfera
in cui tante sono le circonferenze quanti i punti. Su questa immagine del Liber
e sulla sua ricezione basti qui rinviare a Lucentini 1999, 30-37; Lucentini 2012;
Beccarisi.
60 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Nel quadro finora delineato può essere interessante porsi sulle tracce
della sfera di luce intelligibile in relazione a tre grandi figure che hanno
affermato con forza l’intrinseca unità di essere e coscienza riguardo all’o-
riginario manifestarsi dell’Essere – unità di cui quella sfera è icastica im-
magine –: Parmenide, Platone, Plotino. Il loro legame con la sfera di luce
intelligibile potrà rendere quell’unità più immaginabile, più percepibile,
contribuendo, così, alla comprensibilità di una dimensione essenziale nella
loro filosofia e, per questo, quanto mai rilevante per la storia della cultura
europea e non solo.
Qui ci si concentrerà solo sull’aspetto della sfera di luce appena men-
zionato, ossia sul suo rinviare ad un’istantanea unità di essere e coscienza.
Per non appensantire troppo la presente trattazione, non si approfondirà in
62 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
modo simile il possibile rapporto dei suddetti tre filosofi con una deduzione
della corporeità/fisicità a partire dalla sfera di luce intelligibile; al riguardo
ci si limiterà a rinviare nel luogo opportuno ad altri contesti nei quali chi
scrive ha condotto quell’approfondimento.
5 La sfericità del Principio (il Dio) è già affermata in Senocrate: si vedano i luoghi
menzionati in Diels-Kranz 1952, s.v. σφαιροειδής.
6 Interpreto il secondo colon del verso 25 nel modo seguente: “poiché, infatti, è, è
congiunto a se stesso in quanto (nella sua qualità di) essente”, ad evidenziare che
nell’Essere il fatto di essere in sé implica immediatamente l’unità (come ovvio
cosciente) dell’essente con se stesso.
S. Lavecchia - Alla ricerca della sfera di luce 63
3. Platone: il Bene come origine della luce intelligibile e della luce fisica
8 Sulle implicazioni teoriche della centralità del Bene come Origine nella filoso-
fia di Platone – finora poco o per nulla valorizzate dagli interpreti –, nonché sui
luoghi e sugli aspetti dell’opera platonica discussi in queste pagine, per qualsiasi
ulteriore approfondimento mi permetto di rinviare a Lavecchia 2005; Lavecchia
2006, 110-118, 212-223, 278-284; Lavecchia 2010; Lavecchia 2012, Lavecchia
2015a; Lavecchia 2015b.
9 In questo orizzonte ho tentato un’interpretazione complessiva dell’analogia fra il
Bene e il sole in Lavecchia 2015a, 37-55.
10 Ecco perché in 508d4-6 si rinvia chiaramente alla analogia fra Essere/Verità e luce
del sole.
S. Lavecchia - Alla ricerca della sfera di luce 65
14 Τοῦτον τοίνυν (...) φάναι με λέγειν τὸν τοῦ ἀγαθοῦ ἔκγονον, ὃν τἀγαθὸν
ἐγέννησεν ἀνάλογον ἑαυτῷ, ὅτιπερ αὐτὸ ἐν τῷ νοητῷ τόπῳ πρός τε νοῦν καὶ
τὰ νοούμενα, τοῦτο τοῦτον ἐν τῷ ὁρατῷ πρός τε ὄψιν καὶ τὰ ὁρώμενα.
15 Sul rapporto fra mondo intelligibile e coscienza nella filosofia di Platone basti
rinviare a Hager, 5-156 ed all’ampia e convincente trattazione in Schwabe.
16 Per un approfondimento riguardo a questa dimensione del mondo delle Idee mi
permetto di rinviare a Lavecchia 2015a, 56-71.
S. Lavecchia - Alla ricerca della sfera di luce 67
tologia platonica; dove autenticamente etico è ciò che, oltre ogni norma e
fine, senza gelosa invidia, come fa il Demiurgo (Tim. 29e-30a), manifesta
il gratuito e, quindi, infinito comunicarsi dell’essere buono: infinita tra-
sparenza di una coscienza che nell’essere se stessa è, in modo del tutto
libero e donativo, senza residui, trasparenza di una comunità di coscienze
reciprocamente trasparenti.
17 Per un quadro generale riguardo alla metafisica plotiniana della luce resta fonda-
mentale Beierwaltes 1977.
68 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
18 Sull’immagine del cerchio e della sfera nell’opera di Plotino si veda l’elenco dei
relativi luoghi in Ferwerda, 28-35, la trattazione generale in Rappe, nonché le
ottime messe a punto in Tornau, 370-376 e Chiaradonna. In nessuno dei contributi
appena menzionati viene esplicitata la dinamica concettuale esposta in queste pa-
gine riguardo alla sfera di luce intelligibile. Per una esplicitazione del rapporto tra
la sfera di luce intelligibile e la luce fisica riguardo a Plotino cfr. Lavecchia 2017,
7-8.
19 Su questo esercizio di visualizzazione si veda Rappe, 165-168. In questo contesto
si può richiamare Enn. VI 7 (38), 15, 25-26. Qui il supremo Intelletto, ovvero il
mondo intelligibile, viene paragonato ad una sfera o ad una sorta di oggetto tutto-
volti, raggiante di volti viventi (παμπρόσωπόν τι χρῆμα λάμπον ζῶσι προσώποις).
Il secondo paragone riporta alla sfera di luce intelligibile: ogni volto può essere
inteso come centro di luce, nonché come rinvio al fatto che per Plotino gli enti
intelligibili sono individuali centri di coscienza.
S. Lavecchia - Alla ricerca della sfera di luce 69
Bibliografia
20 Per una prima introduzione alla prospettiva metafisica in cui Platone colloca l’e-
sercizio della matematica resta fondamentale la trattazione offerta in Cattanei,
passim (con amplissima bibliografia).
21 Per questa funzione della matematica nel Neoplatonismo cfr. Kordig.
S. Lavecchia - Alla ricerca della sfera di luce 71
1 Si tratta del fenomeno che David West, in un contributo celeberrimo (West 1969),
ha definito “fluidity of imagery”. La qualità ‘visiva’ dell’opera di Lucrezio è an-
che alla radice di altri tratti costitutivi della poetica del De rerum natura, come il
ricorso sistematico all’analogia (cfr. Schrijvers 1978 e Schiesaro 1990).
2 Capita – osserva il poeta in un passo meritatamente famoso (Lucr. 1,897-914) –
che in un bosco, dallo sfregamento reciproco di rami di alberi agitati dal vento,
possano scaturire scintille che producono fiamme. Da ciò non si può, tuttavia,
74 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
L’immagine della luce è senza dubbio una di quelle che ricorrono con
maggiore frequenza nel vasto repertorio del poema lucreziano, in conside-
razione della molteplicità di fenomeni naturali e culturali che ne implicano
la presenza (dall’illuminazione solare alla scoperta del fuoco). Perciò il
campo iconografico che ha per oggetto la luce si rivela uno fra i più artico-
lati e ricchi di valenze e potenzialità metaforiche.
In primo luogo, va detto che Lucrezio definisce ‘luminosa’ la sua stessa
poesia, perché il messaggio che essa trasmette mira ad illuminare la verità
e a liberare le menti umane dall’oscura oppressione della religio. Il poeta
manifesta più volte sicura coscienza della novità e della grandezza di que-
sta sua impresa, che egli definisce mediante una serie di immagini culmi-
nanti proprio nell’opposizione luce-tenebra (Lucr. 1,926-34):
dedurre che nel legno sia già presente, in atto, il fuoco (901 scilicet et non est
lignis tamen insitus ignis): sono, piuttosto, i semi di calore del legno (902 semina
... ardoris) che, una volta sollecitati dall’agente atmosferico, entrano in reazione
tra loro. La paronomasia lignis ... ignis sta lì a dimostrare che qualcosa di analogo
si verifica a livello linguistico: la prima parola ‘contiene’ la seconda, ma soltan-
to l’azione di un intervento esterno può colmare il gap semantico che le separa,
rendendo possibile una loro forma di interazione. Per quanto riguarda la ricerca
fonosimbolica in Lucrezio è ancora utile Friedländer 1941.
3 A testimonianza del carattere formulare, che richiama la maniera dei poemi ome-
rici e legittima la sua adesione all’originaria matrice del genere epico, l’intero
blocco composto dai vv. 926-50a del libro I si trova ripetuto all’inizio del libro IV
(vv. 1-25a), che inaugura la seconda metà del De rerum natura.
4 Di questa problematica, nonché del rapporto fra i lucida carmina lucreziani e la
σαφήνεια epicurea, si occupa la monografia di Milanese 1989.
M. Fucecchi - Il ‘lume spurio’ della luna 75
5 Cfr. 922 nec me animi fallit quam sint obscura. Per quanto riguarda l’identificazio-
ne della fisica come quella parte della filosofia (tripartita in fisica, logica-dialettica
ed etica) che si occupa dei ‘misteri della natura’, cfr. Cic. de orat. 1,68 philoso-
phia in tris partis est tributa, in naturae obscuritatem, in disserendi subtilitatem,
in vitam atque mores, e 3,124.
76 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
6 Un’esigenza, quest’ultima, recepita dallo stesso Cicerone, che la esprime per boc-
ca di uno dei protagonisti del suo De oratore, Antonio: in philosophos vestros si
quando incidi, deceptus indicibus librorum, qui sunt fere inscripti de rebus notis
et inlustribus, de virtute, de iustitia, de honestate, de voluptate, verbum prorsus
nullum intellego; ita sunt angustis et concisis disputationibus inligati (Cic. de
orat. 2,61).
7 E.g. Cic. Tusc. 4,7; fam. 15,9,2.
M. Fucecchi - Il ‘lume spurio’ della luna 77
Se c’è insomma una luce che splende più di quella del sole, è quella
della ragione. Ma si tratta di una luce che ha bisogno di essere, in qualche
modo, ‘mediata’ per essere tollerata e recepita dall’uomo. E la poesia si
rivela un filtro efficace e in grado, appunto, di mediarne i contenuti, spesso
difficili e oscuri, grazie alle sue intrinseche qualità ‘creative’ (immagini,
metafore ecc.). Non a caso un tema ricorrente nella riflessione metapoeti-
ca di Lucrezio sulla funzione didattica della letteratura (e della poesia in
particolare) è quello per cui la luce, come la conoscenza, si trasmette da un
corpo all’altro (1,1114-7):
Ma la luce deve sostenere una battaglia aspra, che conosce fasi alterne:
una battaglia che contempla avanzate trionfali, ma anche degli indietreg-
giamenti repentini. Talora, infatti, neanche la conoscenza e l’essere con-
sapevoli di ciò che si sa bastano a farci scordare le paure più istintive e i
timori relativi al presente e al futuro. Insomma, si potrebbe dire che, pur
avendo la luce a portata di mano, siamo come dei bambini che continuano
ad aver paura del buio (2,55-61 = 3,87-93 = 6,35-41):
10 Cfr. Fowler 2002 ad l. e quindi 5,275-6 semper enim, quodcumque fluit de rebus,
id omne / aëris in magnum fertur mare … e 281-3 largus item liquidi fons luminis,
aetherius sol, / inrigat adsidue caelum candore recenti / suppeditatque novo con-
festim lumine lumen.
M. Fucecchi - Il ‘lume spurio’ della luna 81
12 L’esempio forse più famoso è quello delle torri quadrate di 4,353 ss. Sulla spiega-
zione lucreziana del fenomeno dico ancora qualcosa più oltre, in testo e alla n. 19.
M. Fucecchi - Il ‘lume spurio’ della luna 83
Tracce del mito, o quantomeno della nozione favolosa del carro del
Sole, sembrano tuttavia riaffacciarsi indirettamente anche poco dopo, nel-
la breve descrizione del tramonto: soprattutto quando viene rappresentata
l’immagine dei fuochi (ignis) del sole stanchi e spossati dal lungo viaggio,
come se fossero dei cavalli (5,651-3):
15 Cfr. tuttavia anche 651 de longo cursu, 652-3. impulit atque suos efflavit langui-
dus ignis / concussos itere et labefactos aere multo: dove si potrebbe sostituire
equos a ignis. La suggestione, peraltro marginale (e forse fin troppo leziosa), che
illustro di seguito non ha attirato l’attenzione di Cyril Bailey, il cui monumentale
commento rimane uno strumento assolutamente indispensabile anche per le parti
del testo lucreziano di cui mi occupo in questa sede.
M. Fucecchi - Il ‘lume spurio’ della luna 85
16 Cfr. in part. 5,449-56: sole, luna e i magni moenia mundi sono fatti di semi più
levigati e rotondi, e di elementi molto più sottili di quelli della terra: la consistenza
di sole e luna è intermedia tra quelle di terra ed etere (471 ss.).
17 5,264 ss. e 389: il sole disfa la matassa delle acque del mare; 281 ss.: il sole come
sorgente inesauribile di luce; 483 ss.: le frustate che infligge alla terra e alle acque
facendone evaporare i liquidi ecc.
86 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Un discorso analogo vale per quei corpi astrali, come la luna, della cui
luminosità è incerta la matrice (5,575-84):
Anche il contorno della luna ci appare nitido, ben delineato (582-3 ...
claram speciem certamque figuram / praebet), e non sfumato e incerto al
punto da determinare un cambiamento della sua apparenza, come – in un
altro celebre passo del libro IV – era stato viceversa osservato a proposito
di corpi non luminosi19. Il fluido luminoso, com’è noto20, percuote le onde
del mare aereo che attraversa e le penetra, con maggiore forza ed efficacia
di quanto non riesca ai lievissimi simulacra che si staccano dai corpi. In-
18 Cfr. anche Cic. fin. 1,20 sol Democrito magnus videtur, quippe homini erudito in
geometriaque perfecto, huic (scil. Epicuro) pedalis fortasse; tantum enim esse
censet, quantus videtur, vel paulo aut maiorem aut minorem; e div. 2,10; acad.
2(Luc.), 82. Cfr. Bailey 1947, 1406-13.
19 4,353-63, dove l’esempio prescelto riguarda delle torri quadrate di una città che
da lontano appaiono stondate negli angoli, o perché da lontano ogni angolo ci ap-
pare ottuso (355 angulus optusus quia longe cernitur omnis), o più probabilmente
a causa dell’attrito che l’immagine-simulacro subisce attraversando l’aria (358-9
aëra per multum quia dum simulacra feruntur, / cogit hebescere eum crebris of-
fensibus aër); cfr. anche qui sopra, n. 12.
20 Cfr. 2,150 ss.
M. Fucecchi - Il ‘lume spurio’ della luna 87
somma: anche ammettendo che la luna non irradi luce propria, essa appare
comunque alla vista in modo più nitido degli altri corpi non luminosi, e in
questo si può già individuare un motivo di peculiarità, e perciò di interesse.
L’immagine della luna, dunque, non appare meno nitida, perché è comun-
que veicolata dal flusso di luce che promana da essa, sia che si tratti di luce
naturale sia che si tratti di luce non naturale e proveniente da una fonte
esterna, ovvero di luce riflessa, ‘spuria’.
Facciamo adesso un piccolissimo passo indietro e veniamo al punto
saliente del mio discorso, a cui tra l’altro anche questo contributo deve il
suo titolo. Per rappresentare in modo efficace l’alternativa fra luminosità
propria e luminosità indotta, Lucrezio utilizza, a proposito di quest’ulti-
ma, l’aggettivo greco νόθος in riferimento al sostantivo neutro lumen (cfr.
sopra):
La concezione secondo cui la luna riceve luce dal sole, risalente ad-
dirittura a Talete secondo l’erudito bizantino, sembra prevalere fra i pre-
socratici. Di Parmenide ed Empedocle diremo qualcosa più oltre, mentre
la tradizione secondo cui Anassagora (fr. 59 A 76) attribuiva a se stesso
questa teoria è riferita da Platone per bocca di Socrate nel Cratilo (Plat.
Cratyl. 409a):
Πῶς δή; {ΣΩ.} Τὸ μέν που “σέλας” καὶ τὸ “φῶς” ταὐτόν. {ΕΡΜ.} Ναί. {ΣΩ.}
Νέον δέ που καὶ ἕνον ἀεί ἐστι περὶ τὴν σελήνην τοῦτο τὸ φῶς, εἴπερ ἀληθῆ οἱ
Ἀναξαγόρειοι λέγουσιν· κύκλῳ γάρ που ἀεὶ αὐτὴν περιιὼν νέον ἀεὶ ἐπιβάλλει,
ἕνον δὲ ὑπάρχει τὸ τοῦ προτέρου μηνός.
21 ep. Pyth. 94 ss. “la luna può avere luce propria o anche riceverla dal sole (...)
L’eclissi del sole e della luna può avvenire sia per spegnimento (...) o anche per
occultamento provocato dall’interposizione, tra questi astri e noi, della terra o di
qualche altro corpo celeste”.
22 Anche Cicerone non assume una posizione rigida (e.g. div. 2,91 putatur).
23 Hankinson 2013, 69-97; sull’uso successivo della tecnica lucreziana della spie-
gazione multipla da parte di Virgilio e Ovidio, cfr. Perkell 1989, 166-72; Myers
1994, 140; Hardie 2008, 69-96. Per tutte le complesse questioni erudite rimando
all’ampia trattazione di Bailey 1947, 1437-50.
M. Fucecchi - Il ‘lume spurio’ della luna 89
mare un identico nesso con lumen, all’interno del breve inno a Diana di
Catullo (34,13-6):
tu Lucina dolentibus
Iuno dicta puerperis,
tu potens Trivia et notho es
dicta lumine Luna.
sive illa proprio sed perpeti candore pollens, ut Chaldaei arbitrantur, parte
luminis compos, parte altera cassa fulgoris, pro circumversione oris discolo-
24 Per l’epiteto Trivia, cfr. per es. Varr. Lat. 7,16,2 Titanis Trivia Diana est, ab eo dic-
ta Trivia, quod in trivio ponitur fere in oppidis Graecis vel quod luna dicitur esse,
quae in caelo tribus viis movetur, in altitudinem et latitudinem et longitudinem.
25 L’ipotesi che avanzo di seguito è da prendere come un divertissement: l’epiteto
potrebbe risentire del fatto che Diana era considerata divinità legata alla plebe e
alla componente italica; la dea ricevette la dedica del tempio sull’Aventino dal
re Servio Tullio, ritenuto figlio di una schiava e ‘illegittimo’ figlio di Tarquinio
Prisco e Tanaquil.
26 Nep. Att. 12,4; Lucrezio e Catullo morirono probabilmente entrambi nel 55.
M. Fucecchi - Il ‘lume spurio’ della luna 91
ris multiiuga speciem sui variat, seu tota proprii candoris expers, alienae lucis
indigua, denso corpore sed levi ceu quodam speculo radios solis obstīpi vel
adversi usurpat et, ut verbis utar Lucreti, “notham iactat de corpore lucem”.
27 ap. Plut. Adv. Colot. 15, p. 1116a. Cfr. anche alcune testimonianze incluse nella
raccolta del dossografo Aezio (I-II d.C.), che costituiscono i frammenti A 42, A 43
e A 43a D.-K.
28 ap. Achille Tazio (astronomo greco del II d.C), Isag. in Arat. Phaen. 16, p. 43,2
ed. Maass.
29 Alcuni pensano – dice lo scoliaste – che il sole venga prima, altri la luna e dicono
che essa è un frammento staccato (ἀπόσπασμα) del sole. La stessa formula si
ritrova molto più tardi, sempre a proposito della luna, in Plutarco, De facie in orbe
lunae 929.A.11 μόνη φωτὸς ἀλλοτρίου δεομένη περίεισι, a cui segue un’altra ci-
tazione di Parmenide (15 D.-K. ἀεὶ παπταίνουσα πρὸς αὐγὰς ἠελίοιο).
92 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Che altro c’è da dire sulla luna? splende forse di luce originale oppure di
luce spuria, frutto esclusivo del riflesso dei raggi solari? oppure nessuna delle
due ipotesi è vera, ma la sua luce ha origine, per così dire, mista, ed è una specie
di combinazione di luce propria e di luce che appartiene ad un altro corpo?
***
Perché stai indagando l’origine della luce lunare, se essa brilla di luce spuria
o se invece emana luce propria?
l’intelletto, applicando il suo occhio che non è mai chiuso e non dorme mai
alle dottrine e alle teorie della scienza, non le vede sotto una luce spuria, ma
sotto quella luce pura che da essa stessa promana.
Bibliografia33
C. Bailey, Titi Lucreti Cari De rerum natura libri sex. Edited with Prolegomena,
Critical Apparatus, Translation, and Commentary, Oxford 1947, 3 voll.
G.B. Conte, Insegnamenti per un lettore sublime, Introduzione a: Tito Lucrezio
Caro, La natura delle cose, Milano 1990.
D. Fowler, Lucretius on Atomic Motion. A Commentary on De Rerum Natura,
Book Two, Lines 1-332, Oxford 2002.
P. Friedländer, Pattern of Sound and Atomistic Theory in Lucretius, American
Journal of Philology 62 (1941), 16-34.
M.R. Gale, Myth and Poetry in Lucretius, Cambridge 1994.
M. Garani, Empedocles redivivus. Poetry and Analogy in Lucretius, New York
2007.
S. Gillespie-P. Hardie (edd.), The Cambridge Companion to Lucretius, Cambridge
2007.
R.J. Hankinson, Lucretius, Epicurus and the Logic of Multiple Explanations, in
D. Lehoux, A.D. Morrison, A. Sharrock (edd.), Lucretius: Poetry, Philosophy,
Science, Oxford-New York 2013, 69-97.
P. Hardie, Lucretian multiple explanations and their tradition, in Lucrezio, la natu-
ra e la scienza, ed. M. Beretta and F. Citti, Firenze 2008, 69-96.
D. Lehoux-A.D. Morrison - A. Sharrock (edd.), Lucretius: Poetry, Philosophy,
Science, Oxford- New York 2013.
D. Marković, The Rhetoric of Explanation in Lucretius’ De rerum natura, Leiden-
Boston 2008.
G. Milanese, Lucida carmina. Comunicazione e scrittura da Epicuro a Lucrezio,
Milano 1989.
K.S. Myers, Ovid’s causes: Cosmogony and aetiology in the Metamorphoses, Ann
Arbor 1994.
C. Perkell, The Poet’s Truth. A Study of the Poet in Virgil’s Georgics, Berkeley-Los
Angeles- London 1989.
A. Schiesaro, Simulacrum et imago. Gli argomenti analogici nel De rerum natura,
Pisa 1990.
P. H. Schrijvers, Le regard sur l’invisible: étude sur l’emploi de l’analogie dans
l’oeuvre de Lucrèce, in O. Gigon (ed.), Lucrèce, Genève 1978, 77–114.
D. West, The Imagery and Poetry of Lucretius, Edinburgh 1969.
Il racconto dell’origine del mondo nel libro della Genesi offrì ai Padri
della chiesa e agli intellettuali cristiani la possibilità di confrontarsi con
l’idea di creazione dal nulla e “fuori dal tempo”. Nell’esegesi agostiniana,
in particolare, il verso d’avvio dell’opera dei sei giorni In principio Dio
creò il cielo e la terra (Genesi 1.1) sottintende l’idea di creazione come
cambiamento istantaneo che portò dal nulla all’essere la totalità dell’esi-
stente, cioè gli enti inanimati e le specie viventi da cui prese inizio la ge-
nerazione degli individui. Agostino, infatti, sostiene che Dio creò contem-
poraneamente e dal nulla la materia e la forma di ogni ente, ovvero “ciò
di cui” esso è fatto e “come” è fatto, intendendo in tal modo riconoscere
che dall’atto creativo divino scaturì ogni cosa, composta inscindibilmente
e senza ordine di precedenza da un substrato materiale, identico per tutti
gli enti quanto alla natura di sostrato, e da una specifica determinazione
formale. Questa lettura della creazione, com’è noto, ambiva a rispondere
tanto al rifiuto manicheo della Genesi quanto a erronee tesi filosofiche circa
l’origine del mondo, come l’idea aristotelica della sua eternità e l’idea pla-
tonica di ordinamento dal caos primigenio a partire da un modello ideale
separato dalla mente divina6.
La dottrina della creazione subitanea dell’universo fu quindi comune-
mente accolta nel medioevo, anche proponendo audaci interpretazioni, che
tentavano di accostare alla spiegazione agostiniana suggestioni provenienti
dalla conoscenza della filosofia antica, come ad esempio accade soprattutto
fra i maestri chartriani. Per essi, e basterà ricordare i nomi autorevoli di
Bernardo Silvestre, Teodorico di Chartres e Guglielmo di Conches, l’emer-
gere di conoscenze del mondo pagano, anzitutto per il tramite del Timeo
platonico e di scritti scientifici arabi, grazie al primo ingresso di opere me-
diche, alchemiche e astronomiche, aveva consentito una composizione di
filosofia e teologia attraverso narrationes fabulosae, racconti mitologici
della creazione. Questa modalità discorsiva introduceva il pensiero dei
filosofi antichi e allo stesso tempo permetteva una lettura “naturalistica”
del testo sacro. In certi casi, in questa letteratura possiamo trovare spunti
che sembrano veramente molto vicini all’idea di un universo espansivo, e
Grossatesta potrebbe aver attinto proprio da queste proposte per la sua ori-
ginale teoria cosmologica, come sembra accadere con un passaggio delle
Sententiae de divinitate attribuite a Ugo di San Vittore, in cui è esposta, per
poi confutarla, la dottrina agostiniana della creazione simultanea accostata
a una curiosa interpretazione della teoria atomista:
…Dio creò in primo luogo una peculiare sostanza semplice, cioè l’atomo,
dal quale fu estrapolata tutta la struttura del mondo, aumentata e moltiplicata
per l’azione divina ... Ma questa unità, che non consta di parti, in un certo modo
si diffonde nella molteplicità come l’atomo, dal quale fu creata la struttura del
mondo; ... e questo sembra intendere Agostino quando afferma (De vera reli-
gione, 43, 80) che il mondo non è più grande, nella sua essenza, che un granello
di miglio, né tutto il granello <è> maggiore della sua metà, quasi che la materia
e l’essenza di tutte le cose fosse <racchiusa> in esso, cioè nel semplice atomo,
come sembra ancora affermare Agostino nella frase precedente <che ho citato>
(De genesi ad litteram, IV, 33), cioè che tutte le cose furono create insieme.7
Sebbene Ugo non faccia cenno all’azione della luce o al suo essere for-
ma, non sono pochi gli spunti dottrinali che presentano analogie con il De
luce, come l’idea di espansione dell’universo, il riferimento alla nozione di
moltiplicazione nell’atto creativo divino e il nesso con l’atomismo.
Ma l’idea agostiniana di creazione simultanea fu discussa su nuove basi
soprattutto dagli inizi del secolo XIII, dopo che la Fisica, la Metafisica e Il
cielo di Aristotele iniziarono a circolare insieme agli imponenti commenti
ispirati dalla tradizione del neoplatonismo arabo, cioè quelli di Alfarabi
e Avicenna, e, infine, i commenti di Averroè. In particolare, rispetto alla
nozione di cambiamento implicita nell’idea di creazione ex nihilo, alcune
importanti fonti del neoplatonismo arabo si richiamavano a una distinzio-
ne, fatta risalire ad Aristotele, fra attività completa e incompleta, riferite
rispettivamente al cambiamento subitaneo, cioè al passaggio da uno stato
(hexis) a un altro senza successione temporale, e al movimento, cambia-
mento iscritto nella dimensione della successione temporale, come de-
scritto in Fisica III, 1 (201b27-202a3). Tale distinzione fu relazionata alla
questione della creazione dal commentatore cristiano Giovanni Filopono,
il quale asseriva che il cambiamento atemporale è ciò che caratterizza l’at-
tività creativa divina come energeia, al modo di irradiazione luminosa: il
7 Cfr. Hugo de Sancto Victore, Sententiae de divinitate, in Piazzoni, 930. Per il testo
italiano e un più dettagliato commento si veda Panti 2011, 88-90.
C. Panti - La moltiplicazione infinita della luce e la sua funzione 101
8 Si veda, per una analisi complessiva del tema, Sorabji, 191-283 (part III. Time and
Creation), e Chase. Per il testo di Filopono si veda Chase, 166 (De aetate mundi 4, 4).
9 Cfr. Janos, 210-260 (con riferimento a Davidson 1969, 371-373, e 1987, 106-
116); Travaglia.
10 Ad esempio Cat. 6, 4b20-25; Cael. 1.1, 268a6-8; Metaph. 4.6, 1016b27-8 e 4.13,
1020a7–11.
11 Si può richiamare anche Fisica I, 9, dove Aristotele considera la physis che per-
mane nella generazione e corruzione. Dopo aver distinto fra hyle (ciò che non è
accidentalmente) e privazione (ciò che non è essenzialmente), perviene all’argo-
mento (192a14) per il quale, in relazione al cambiamento, la materia che permane è
responsabile, con la forma, come una madre. Qui Aristotele sottolinea anche che il
movimento imperfetto è pathos, qualità accidentale della cosa, mentre il movimen-
to perfetto è forma e completamento della cosa, cioè entelecheia. Si veda però, in
102 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Forma corporeitatis aut est prior ceteris formis ... aut simul iuncta cum illis
ita quod non possunt separari ab ea ... quia omnia habent esse cum corporei-
tate.13
particolare Phys. 4.2, 209b6-11, trad. Russo, 76: «In quanto il luogo sembra essere
l’intervallo (diastêma) della grandezza (megethos), esso è la materia: questa difatti
è diversa dalla grandezza, ed è ciò che è contenuto e determinato dalla forma, come
da un piano o dal un limite, e tali sono appunto la materia e l’indeterminato; quan-
do difatti si tolgono via da una sfera il limite e le affezioni, non rimarrà nulla tranne
la materia. Perciò anche Platone dice nel Timeo (51a-52d) che la materia e lo spazio
sono la medesima cosa, giacché il ricettacolo e lo spazio sono una e la medesima
cosa». Riporto il testo della translatio vetus, Verbeke, 140: «Si igitur est locus
primum continens unumquodque corporum, terminus quidam utique erit; quare
videtur species et forma uniuscuiusque locus esse, quo determinatur magnitudo
et materia magnitudinis; hoc enim est uniuscuiusque terminus. Sic quidem igitur
considerantibus locus uniuscuiusque species est; secundum autem quod videtur
locus esse distantia magnitudinis, materia; hec namque altera est a magnitudine,
hec autem est contenta sub specie et definita, sicut sub plano et termino, est autem
huiusmodi materia et infinitum; cum autem removeantur terminus et passiones
spere, relinquitur nichil preter materiam. Unde et Plato materiam et locum idem
dicit esse in Thimeo; receptivum enim et locum unum et idem».
12 Per Simplicio, il corpo come dimensione indeterminata è materia solo in via con-
getturale, in riferimento a ciò che può essere chiamato materia prima (In Ph. 1.7,
227, 26-30). Se infatti la grandezza tridimensionale fosse la forma che tutte le so-
stanze fisiche hanno in comune, allora le sostanze sarebbero tutte essenzialmente
corporee. Cfr. Chase.
13 De causis et principiis naturalium, 1, 2, ed. Van Riet 1992, 20.
14 Liber de philosophia prima sive de scientia divina I-IV, 2, 2, ed. Van Riet 1977,
73. Si veda anche Lizzini.
C. Panti - La moltiplicazione infinita della luce e la sua funzione 103
15 Avicebron, Fons vitae. Fonte della vita, a cura di Benedetto, in particolare IV, 6,
e I, 16, 20 e ancora II, 1, 24, 223-224.
16 Ed. Baur, 1-7; nuova ed. Sonnesyn, 74-95.
17 Come sottolinea Lewis 2013, 240, nota 2, Grossatesta distingue fra materia prima
creata e potenziale nel De potentia et actu, ed. Baur, 127: «materia vero prima et
104 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Per elaborare questa idea, Grossatesta formula una sorta di assioma ge-
nerale, che non ritroviamo nelle fonti a lui disponibili, o almeno in quelle
che sono state identificate, cioè l’idea della moltiplicazione infinita come
processo che determina il cambiamento stesso. In breve, Grossatesta ri-
tiene che il corpo dell’universo si generi dall’infinita moltiplicazione di
un’entità incorporea, la prima forma/lux, che si unisce alla materia prima,
parimenti incorporea. Nel presentare questa idea, egli fa leva sulla conver-
genza di tre nozioni: quella aristotelica di corpo come estensione, quella
aristotelica di cambiamento subitaneo e quella avicenniana/gebiroliana di
corporeità come forma comune. Egli attribuisce alla forma prima la stessa
capacità che Avicenna attribuisce alla forma della corporeità, ovvero il dare
estensione all’indeterminatezza della materia, ma aggiungendovi un nuovo
e inedito principio, cioè che tale capacità è della forma in quanto essa si
auto-moltiplica infinitamente. Proprio tale assunto, quindi, fonda l’identità
fra forma prima, corporeità e luce. Soltanto la luce, infatti, è energeia auto-
generativa in virtù della sua capacità di moltiplicare se stessa all’infinito.
Questo è, in ultima istanza, l’assunto con cui Grossatesta apre il suo trat-
tato, identificando la forma prima con la corporeità, la stessa forma prima
con la luce, e quindi la luce con la corporeità.
omnis res immaterialis penitus, antequam crearetur, fuit in potentia; et tamen nihil
unquam potuit esse materia, nec ex aliquo potuit esse materia». Nell’Hexaëmeron
(1.9.2, ed. Dales-Gieben, 63) invece parla anche di forma prima come creata:
«Materia autem prima et forma prima ex nichilo et a temporis inicio creata sunt»,
ma in questo caso forma e materia indicano la sostanza corporea e la sostanza
spirituale angelica. Sulla nozione di materia in Grossatesta si veda Panti 2017a.
C. Panti - La moltiplicazione infinita della luce e la sua funzione 105
2. ll. 13-14: Atqui lucem esse proposui, cuius per se est hec operatio, scilicet
seipsam multiplicare et in omnem partem subito diffundere.
ll. 28-31: Lux itaque, que est forma prima in materia prima creata, seipsam
per seipsam infinities undique multiplicans et in omnem partem equaliter porri-
gens, materiam quam relinquere non potuit, secum distrahens in tantam molem
quanta est mundi machina, in principio temporis extendebat.
18 All’inizio del trattato tuttavia Grossatesta asserisce che la luce «per se in omnem
partem seipsam diffundit» (l. 3).
19 L’espressione machina mundi risale al De rerum natura di Lucrezio (V, 96), ed è
ripresa in fonti latine quali il De nuptiis di Marziano Capella (IX, 921) e il De con-
solatione boeziano (III, 12,14). Il termine “macchina” ricorre fin dal giovanile De
sphera di Grossatesta (ed. in Panti 2001, 289), dove indica il meccanismo perfetto
di tutte le parti della sfera cosmica. Si ritrova anche nel passo delle Sententiae de
divinitate di Ugo di San Vittore, forse anche per il riferimento all’atomismo (cfr.
qui nota 7).
C. Panti - La moltiplicazione infinita della luce e la sua funzione 107
ll. 39-40: Lux igitur, que in se simplex est, infinities multiplicata materiam
similiter simplicem in dimensiones finite magnitudinis necesse est extendere.
4. ll. 108-114: Et sic procedit a corpore primo lumen, quod est corpus spi-
rituale, sive mavis dicere spiritus corporalis quod lumen in suo transitu non
dividit corpus per quod transit, ideoque subito pertransit a corpore celi usque
ad centrum. Nec eius transitus est sicut si intelligeretur aliquid unum numero
transiens subito a celo usque ad centrum, hoc enim forte est impossibile. Sed
suus transitus est per sui multiplicationem et infinitam generationem.
ll. 33-38: simplex finities replicatum quantum non generat, sicut ostendit
Aristoteles demonstrative; infinities vero multiplicatum necesse est quantum
finitum generare, quia productum ex infinita multiplicatione alicuius in infini-
tum excedit illud ex cuius multiplicatione producitur. Atque simplex a simplici
non exceditur in infinitum, sed solum quantum finitum in infinitum excedit
simplex. Quantum enim infinitum infinities infinite excedit simplex.
la serie dei pari non comprende i numeri dispari. La serie dei numeri naturali
supera quindi quella dei pari di una quantità infinita, che è la serie dei dispa-
ri. Chiaramente, il ragionamento di Grossatesta è corretto per ogni serie finita,
qualsivoglia grande, di numeri naturali e di numeri pari, ma non per la serie
infinita25. Parimenti errati sono altri due esempi aritmetici, fondati sulla serie
delle potenze di 2 e quella delle rispettive metà, e sulla serie delle potenze di 3
e i rispettivi terzi, rispetto ai quali Grossatesta intenderebbe stabilire che fra le
due serie vi è un rapporto razionale26. In conseguenza, pure l’ultimo esempio,
addotto per dimostrare che fra infiniti si determinano anche rapporti irrazionali,
sviluppandosi su uno degli esempi precedenti, cioè quello delle potenze di 2 e
delle rispettive metà, risulta anch’esso errato27.
Avendo quindi “dimostrato” l’ineguaglianza degli infiniti, Grossatesta
torna all’argomento cosmologico, e ribadisce che la luce, grazie alla sua
moltiplicazione infinita, può estendere la materia secondo dimensioni di-
verse e comparabili (ll. 67-74). Proprio questo, dunque, avvalora quanto
sostenevano gli atomisti e gli “indivisibilisti”, criticati da Aristotele:
ll. 75-79. Is, ut reor, fuit intellectus philosophorum ponentium omnia com-
poni ex athomis et dicentium corpora ex superficiebus componi et superficies
ex lineis et lineas ex punctis. Nec contradicit hec sententia ei [i.e. di Aristotele]
25 Poniamo infatti che a(n) sia la somma finita dei naturali da 1 a n, che b(n) sia
la somma dei pari da 1 a n, e c(n) quella dei dispari. Si avrà allora, per ogni
n, che a(n)–b(n)=c(n). Dalla validità di tale uguaglianza per ogni n, Grossatesta
inferisce, però, anche la validità di A–B=C dove A, B e C sono le serie infinite
dei numeri naturali, dei pari e dei dispari. Dal punto di vista della matematica
moderna questa inferenza è indebita, in quanto corrisponde ad un passaggio al
limite, che è errato perché A, B e C sono “ugualmente infiniti” (cioè equipotenti),
e la differenza A–B è indeterminata.
26 Ad esempio, se A è la serie infinita delle potenze di 2 e B è quella delle metà di
tali potenze, avremo A:B=2, e questo dimostrerebbe che due serie infinite sono in
proporzione numerica razionale.
27 In questo procedimento, tuttavia, egli conduce un ragionamento formalmente cor-
retto, pur partendo da premesse sbagliate. Prendendo infatti le due serie infinite
del doppio e delle rispettive metà, egli ipotizza di togliere dalla serie delle metà
una qualsiasi quantità finita. In tal modo, fra le due serie non è più possibile che vi
sia la proporzione di 2:1, né qualsiasi altra proporzione razionale. Infatti, se da un
rapporto numerico razionale qualsiasi, del tipo a:b, togliamo da b un numero in-
tero o frazionario c, anche il rapporto a:(b–c) sarà razionale. Ma se consideriamo
due serie infinite, A e B, allora nessun numero intero o frazionario c è loro parte
aliquota; quindi, sottraendo c da B non resterà alcun rapporto razionale fra A e
B–c. Il rapporto A:(B–c) risulta perciò non numeralis, cioè irrazionale.
112 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
28 Grossatesta ripropone questa argomentazione anche nel suo Commento agli Ana-
litici secondi, I, 4 (ed. Rossi 1981, 112), dove, richiamandosi verosimilmente al
De luce (sicut alibi exposuimus), afferma che stando al principio della moltiplica-
zione infinita, una linea si compone di punti (ex punctis), così come una superficie
si compone di linee.
29 Sulla teoria aristotelica del continuo e la sua ricezione in Grossatesta si veda
Lewis 2005.
C. Panti - La moltiplicazione infinita della luce e la sua funzione 113
dire che una quantità “proviene da” (ex) un’altra che ne è una parte (pars).
Ad esempio, una parte può essere in rapporto razionale con quella quantità
(come un segmento di lunghezza a rispetto a uno di lunghezza 2a), oppure
in rapporto irrazionale, come il lato rispetto alla diagonale del quadrato; e
inoltre, prosegue Grossatesta, si può definire “parte” anche una grandez-
za infinitesimale sia che questa, sottratta dalla quantità, non la diminuisca
(come la sottrazione di un punto dalla linea) sia che la diminuisca (come
l’angolo di tangenza rispetto all’angolo retto). Tutti questi rapporti si de-
terminano, secondo Grossatesta, in virtù dell’aver riconosciuto che ogni
quantità è data da un diverso infinito “ammontare” di indivisibili.
In conclusione, Grossatesta fa convergere il concetto aristotelico di
continuità con quello di moltiplicazione infinita del simplex costitutivo
della quantità. In tale ragionamento, costruito sopra l’idea che la mol-
tiplicazione infinita di “qualcosa” supera all’infinito questo “qualcosa”,
egli non distingue fra filosofia naturale e matematica, e, in ambito ma-
tematico, introduce ragionamenti errati, almeno rispetto alla matematica
moderna. Come, tuttavia, ribadirà nel suo Commento alla Fisica, è pro-
prio il numerus infinitus, con il suo stare in qualsiasi tipo di proporzione
razionale o irrazionale con un altro numero infinito, ciò che consente
di “quantificare” l’infinità fisica (in corpore), cioè l’infinità relativa alla
moltiplicazione della forma/luce:
30 Ed. Dales, III, 55-56; l’alibi cui fa riferimento il testo è ovviamente il De luce. Per
una indagine sulla relazione fra numeri finiti e infiniti figurati si veda Panti 2011,
110-113.
114 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Infatti, la luce che è nel sole genera dalla sua sostanza la luce nell’aria, né si
crea nulla di nuovo affinché la luce sia nell’aria, ma la luce del sole è moltiplicata
e propagata; e così la luce del sole è diversa dalla luce dell’aria, non tuttavia così
radicalmente diversa da non esservi unità di essenza nella luce generante e nella
generata, altrimenti, infatti, la luce generata sarebbe creazione nuova e dal nulla.34
35 Ed. Dales-Gieben, 97-98. Traduzione da P.B. Rossi, Prefazione a Panti 2011, XIV.
36 Su questo nuovo impiego della tematica luminosa in Grossatesta, mi permetto di rin-
viare ad alcuni miei recenti studi: Panti 2012; Panti 2012a; Panti 2014; Panti 2017.
37 Panti 2012. In particolare questo principio è presente negli scritti De operationibus
solis (ed. McEvoy, 63): «Lux enim prima secundum se sui multiplicativa et exten-
siva in dimensiones corporeitas est, quia corporeitas est potentia activa triplicis di-
116 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
dalle fonti che presentano l’idea della corporeità come forma prima o comu-
ne: in Avicenna, ad esempio, la relazione fra forma e materia è determinata
dal principio neoplatonico del fluxus38, mentre nel Fons vitae (IV, 14) di Avi-
cebron vi è un ricorso sporadico al principio di moltiplicazione della lumino-
sità, addotto come metafora per illustrare il modo in cui la forma universale
si dispiega sulla materia39. L’idea che l’espansione della forma sia un proces-
so auto-moltiplicativo, tuttavia, si rintraccia nel contesto dell’emanatismo
neoplatonico che ha il suo nucleo speculativo negli Elementi di teologia di
Proclo (I, proposizione 27), dove, in relazione al problema della generazione
del molteplice dall’unità della prima ipostasi, si afferma che ciò che è pro-
dotto non deriva dalla diminuzione o dalla trasformazione del generante, ma
appunto dalla sua capacità moltiplicativa, poiché «il produttore non diviene
la materia dell’essere che procede: resta qual è, e il prodotto è altro da esso.
Il generatore dunque … moltiplica se stesso in virtù della sua potenza gene-
ratrice e produce da se stesso ipostasi derivate»40.
Gli Elementi di teologia erano sconosciuti a Grossatesta, tuttavia l’influen-
te Liber de causis, silloge araba che ne compendia le dottrine, sembra avergli
fornito spunto per articolare l’idea di moltiplicazione; in particolare, nell’affer-
mazione che il primo essere creato, uno e simplex, accoglie la molteplicità mol-
tiplicandosi (esse creatum quamvis sit unum tamen multiplicatur, scilicet quia
ipsum recipit multiplicitatem), che alcune res recepiscono la prima causa recep-
tione multiplicata41, o ancora che la virtù, dalla sua originaria unità nella causa
prima, si dispiega moltiplicandosi negli effetti che produce42. Questo influsso
lo avvertiamo anche nell’opuscolo De statu causarum, nel quale Grossatesta
individua nella causa efficiente ciò che attualizza la potenza che è nel causato,
in forza di una sorta di moltiplicazione implicita nel suo atto:
mensionis»; De motu corporali et luce (ed. Baur, 92): «forma prima corporalis est
primum motivum corporale. Illa autem est lux, quae cum se multiplicat et expandit
absque hoc quod corpulentiam materiae secum moveat, eius pertransitio per diapha-
num fit subito et non est motus, sed mutatio»; e nel Commento alla Fisica I (ed.
Dales, 17): «omnis species corporalis fit prime forme corporalis maiori vel minori
replicatione» e III, 55: «Forma enim, ut lux, replicat se et multiplicat infinities ut se
extendat in dimensiones et simul secum rapiat materiam».
38 Si veda Lizzini.
39 Ed. Lizzini, 242: «et quia haec unitas, scilicet forma universalis, fuit hylearis,
divisa fuit propter materiam quae eam sustinebat, non propter se ipsam. Et ma-
nifestatio huius est haec. Postquam forma est lumen purum, propter divisionem
suam et multiplicationem debilitatum est lumen infusum».
40 Trad. Faraggiana di Sarzana, 106.
41 Liber de causis, proposizioni 41, 44 e 178, in Magnard, 74.
42 Ibid., 16, 140, 64: «virtus, quando incipit multiplicari, tunc destruitur unitas eius».
C. Panti - La moltiplicazione infinita della luce e la sua funzione 117
47 Ed. Giunta, comm. 132, f. 203K; ed. Borgnet: «forma non multiplicatur nisi per
materiae divisionem».
48 In tale contesto si può fare riferimento a una estesa gamma di questiones sulla mul-
tiplicatio, quali ad esempio l’anonimo “de Giele”, Quaestiones in Aristotelis libros I
et II De anima (Oxford, Merton College, 275), risalente al 1270-1275, che si chiede,
inter alia, «Utrum sonus se multiplicet per medium usque ad auditum subito vel
successive. … Utrum lumen subito vel successive se multiplicet in medium et in
organum et similiter potest esse questio de colore», o l’anonimo “Steenberghen”,
Quaestiones in libros Aristotelis de anima («Utrum forma immaterialis possit nu-
meraliter multiplicari in specie una. … solutio: forma secundum quod forma, non
multiplicatur, quia non est divisibilis, sed secundum quod recipitur in materia»), o
ancora nell’opera del maestro inglese Guglielmo di Clifford (1260ca), Super De
anima, II, Cambridge, Peterhouse 157, al f. 115va: «Sequitur de secundo principale,
scilicet de colore, … cum color inmutet medium et visum, an immutet ea per suam
speciem multiplicando ipsam in organo videndi vel non. Secundum, si inmutet per
speciem, aut igitur multiplicatur hec species subito vel successive»; Super De gen.,
ms. cit., f. 143ra-143rb: «... agens physice necessario aliquid inmittit in suum pa-
tiens... In actione simplici ista virtus, licet sit intra, non tamen est ab intra, sed ab
extra, per multiplicationem. Et ideo non potuit fieri forma. Sed potentia activa, que
est intra, excitata per istam virtutem inmissam, fiet forma, completa actione».
49 Salamanca, Biblioteca Universitaria, 2322, ff. 76vb-78rb: «Quaestiones de lucis
natura, de perspicuo, de radio, de calore solis. … dubitatur sexto de prima multi-
plicatione lucis, que in parte consimilis est multiplicationi coloris, secundum quod
dicitur quod lux, cum sit natura una, est in potentia diversitatis naturarum. … Lux
multiplicat suam speciem in aliqua materia, sicut in materia aeris». Si vedano inoltre
i titoli della questio 77: «An lumen multiplicet se subito per medium» (f. 115ra) e 78:
«An posito medio infinito, possit lux multiplicare se in ipso toto» (f. 115ra-115rb). Il
codice si interrompe bruscamente. Per uno studio complessivo si veda Donati.
C. Panti - La moltiplicazione infinita della luce e la sua funzione 119
ta50. Ma è soprattutto in uno degli ultimi suoi scritti scientifici, il trattato Sulle
linee, gli angoli e le figure, che egli formula l’idea per cui ogni agente naturale,
non solo la luce attraverso il raggio, ha in sé la capacità di moltiplicare la sua
virtus. Si tratta della ben nota dottrina della moltiplicazione della specie:
5. Conclusioni
L’idea che la luce sia la prima forma del corpo è stata assunta dalla mo-
derna storiografia grossatestiana come la caratteristica fondamentale del
pensiero di Grossatesta, centrato sulla cosiddetta “metafisica della luce”,
termine moderno coniato per indicare una linea speculativa essenzialmen-
te neoplatonica, fondata sul ruolo primario della luce nella cosmologia,
nell’ontologia, nella gnoseologia, oltre che nella teologia. Per la messa a
punto di questa teoria, come abbiamo visto, risulta determinante il con-
cetto di moltiplicazione infinita, che Grossatesta sviluppa nel De luce, e
ripropone nelle opere degli anni 1220-1230 circa, cioè nei commenti ad
Aristotele (Analitici secondi e Fisica) e in alcuni altri opuscoli di filosofia
naturale, mentre è pressoché assente negli scritti teologici più tardi, come
nei primi suoi opuscoli scientifici. Ciò dimostra che il principio di moltipli-
cazione, pur avendo la sua matrice nella tradizione neoplatonica, fu messo
50 De iride, ed. Baur, 77: «Ubi enim est maior radiorum multiplicatio, apparet co-
lor magis clarus et luminosus; ubi vero minor est radiorum multiplicatio, apparet
color magis attinens hyazintino et obscuro. Et quia luminum multiplicatio et a
multiplicatione ordinata diminutio non sit, nisi per resplendentiam luminosi super
speculum, vel a diaphano, … non est dispositio <colorum> fixa».
51 De lineis, ed. Baur, 60.
52 Si veda ad esempio Lindberg.
120 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
a punto dal maestro inglese nel contesto della sua riflessione sull’opera di
Aristotele e delle critiche che questi mosse alle tesi di platonici, pitagorici
e atomisti circa il continuo e la composizione del corpo.
In altro luogo ho cercato di mostrare come l’identificazione fra luce, forma
prima e corporeità, così originale anche nel fondare l’idea altrettanto originale
del cosmo espansivo, non costituisca una dottrina definitiva di Grossatesta, ma
una sorta di ipotesi, rispetto alla quale gli scritti successivi, soprattutto teologici,
sembrano proporre un ripensamento, inquadrando il problema della corporeità
da un punto di vista essenzialmente agostiniano, che non identifica la forma
prima con la luce e la corporeità, ma con l’esemplare e il modello della realtà
creata nella mente divina53. Nel presente studio ho cercato quindi di mostrare
come l’identificazione della prima forma con la corporeità e la luce scaturisca
primariamente dal ricorso ad un unico principio, quello di infinita moltiplica-
zione, che opera come una sorta di assioma scientifico, tale da consentire un
passaggio dalla matematica alla “fisica”. Questa idea, indubbiamente originale,
è, come abbiamo visto, alquanto problematica, per cui non sorprende che Gros-
satesta l’abbia infine abbandonata. Il curioso patchwork di matematica, filoso-
fia naturale, metafisica e cosmologia che troviamo nel De luce cederà il passo
all’esigenza di mettere in risalto l’universo quale opera della libera creazione
divina. In questo quadro speculativo, non c’è più ragione di pensare che la luce
sia la forma prima della materia, perché “forma prima” è Dio, che contiene
l’esemplare di tutte le cose nella sua mente e che, come afferma Grossatesta
nell’Hexaemeron, è la sola potenza attiva nel creare ex-nihilo il cielo e la terra.
6. Bibliografia
L. Baur, Die philosophischen Werke des Robert Grosseteste, Bischofs von Lincoln,
Münster 1912.
M. Benedetto (a cura di), Avicebron, Fons vitae. Fonte della vita, Milano 2007.
A. Borgnet (ed.), Albertus Magnus, Metaphysica, in Opera omnia, Paris 1890.
G. Catapano, Agostino, Roma 2010.
M. Chase, Simplicius’s response to Philoponus’ attacks on Aristotle’s Physics 8.1,
in ΣΧΟΛΗ, 5.2 (2011), 111-173 (www.nsu.ru/classics/schole).
R.C. Dales (ed.), Roberti Grosseteste Commentarius in VIII libros Physicorum Ar-
istotelis, Boulder, Colorado 1963.
R.C. Dales-S. Gieben (eds.), Robertus Grosseteste, Hexaëmeron, Oxford 1982.
S. Donati, Un nuovo testimone dello Scriptum super Metaphysicam di Riccardo
Rufo di Cornwall (Salamanca, Bibl. Univ., Ms. 2322), Bullettin de philosophie
médiévale 45 (2002), 31-60.
53 Panti 2012.
C. Panti - La moltiplicazione infinita della luce e la sua funzione 121
scienze. Atti del XXXIX Convegno internazionale Assisi, 6-8 ottobre 2011,
Spoleto 2012, 311-351.
C. Panti, Robert Grosseteste’s De luce. A Critical Edition, in J. Flood-J.R. Ginther-
J.W. Goering (eds.), Robert Grosseteste and His Intellectual Milieu. New Edi-
tions and Studies, Toronto 2013, 193-238.
C. Panti, Robert Grosseteste’s Cosmology of Light and Light-Metaphors: A Symbo-
lic Model of Sacred Space?, in N.Temple-J. Shannon Hendrix-Chr. Frost (eds.),
Bishop Robert Grosseteste and Lincoln Cathedral. Tracing Relationships
between Medieval Concepts of Order and Built Form, Ashgate 2014, 59-80.
C. Panti, Matter and infinity in Robert Grosseteste’s De luce and Notes on the
Physics, in A. Paravicini Bagliani, T. Suarez-Nani (a cura di), Materia. Nou-
velles perspectives de recherche dans la pensée et la culture médiévales (XIIe-
XVIe siècles), Firenze 2017a, 27-55.
C. Panti, The scientific basis of Robert Grosseteste’s teaching to the friars at Ox-
ford, M. Robson (ed.), The English Province of the Franciscans (1224-ca1350),
Brill 2017b, 247-272.
A. M. Piazzoni, Ugo di San Vittore auctor delle Sententiae de divinitate, Studi
Medievali 23 (1982), 861-955.
P.B. Rossi (ed.), Robertus Grosseteste Commentarius in Libros Analyticorum Po-
steriorum Aristotelis, Firenze 1981.
P.B. Rossi, Magna magni Augustini auctoritas: Roberto Grossatesta e i Padri, in
F. Amerini-S. Caroti (a cura di), Ipsum verum non videbis nisi in philosophiam
totus intraveris. Studi in onore di Franco Capitani, E-Theca On Line Open Ac-
cess Edizioni 2016, 437-469.
A. Russo (a cura di), Aristotele, Fisica (Aristotele Opere 3), Bari 1991.
S. O. Sonnesyn (ed.), Robertus Grosseteste, De artibus liberalibus, in G.E.M. Ga-
sper, C. Panti, T. McLeish, H.E. Smithson (eds.), Knowing and Speaking: Ro-
bert Grosseteste’s De artibus liberalibus ‘On the Liberal Arts’ and De genera-
tione sonorum ‘On the Generation of Sounds’ (The Scientific Works of Robert
Grosseteste 1), Oxford 2019, 74-95.
R. Sorabji, Time, Creation and the Continuum. Theories in Antiquity and the Early
Middle Ages, London 1983.
P. Travaglia, The Doctrine of Rays in al-Kindi, Firenze 1999.
S. Van Riet (ed.), Avicenna, Liber de philosophia prima sive de scientia divina
I-IV, Louvain-Leiden 1977.
S. Van Riet (ed.), Avicenna Latinus, Liber primus Naturalium. Tractatus primus:
De causis et principiis naturalium, Louvain-Leiden 1992.
G. Verbeke (ed.), Aristoteles, Physica. Translatio vetus (Aristoteles Latinus 7.1),
Leiden – New York 1990.
Gaetano Lettieri
FIAT VERBUM, FIAT LUX
Il Prologo giovanneo come ritrattazione protologica
del battesimo di Gesù e presentazione
dell’incarnazione al Giordano
del Figlio al Giordano, che risulta però al tempo stesso ritrattato ontolo-
gicamente, tramite una riflessione retroproiettiva della luce escatologica
nella luce protologica, nella quale quella pare come essere riassorbita o
sommersa. In effetti, il Prologo articola un “doppio gioco”, un avvento
speculare, nel quale eventuale e ontologico si riflettono l’uno nell’altro:
a) rivela l’ἀρχή divina, l’eterna teogonia di Luce del preesistente Figlio
creatore, ma b) rivela, nella maniera più solenne, anche lo sfolgorante mo-
mento del manifestarsi del Logos/Luce al Giordano, descritto in diretta
come ἀρχή storico-narrativa del vangelo4. L’Ecce apocalittico5-teofanico si
sdoppia… Unicamente grazie alla katabasis storica dell’Unigenito il cielo
si apre, dischiudendo la visione della preesistente venuta intradivina del
Figlio, unico rivelatore e interprete del Padre: infatti, soltanto l’avvento del
Figlio Verbum/Lux al Giordano consente di riconoscerlo come primordiale
Fiat di Dio, da sempre avveniente dal Padre. Il raddoppiamento specula-
tivo, che consente l’innalzamento del Messia crocifisso all’intimità pre-
esistente con Dio, funziona unicamente se si rivela attiva la scaturigine
eventuale che governa lo speculare esemplarismo inverso tra Figlio storico
e Figlio eterno.
Il Prologo, pertanto, sostituisce o ritratta gli inizi dei vangeli sinottici
o delle tradizioni da questi presupposte, che iniziavano con il battesimo
carismatico di Gesù (Marco) o con la sua traslazione nel concepimento
soprannaturale del Figlio nel seno di Maria (Matteo, Luca). Nel IV vangelo
il rito battesimale risulta cancellato, ma al suo posto è mantenuto, ed esalta-
to riflettendolo nella preesistenza, l’evento escatologico-apocalittico della
teofania al Giordano. Presso il fiume dove la tradizione profetica collocava
una storica “porta del cielo”, l’avvento della luce messianica profetizza-
ta da Isaia è interpretato come discendere dell’Unigenito in Gesù, quindi
come Fiat Verbum caro factum, in cui ri-avviene il Fiat Lux creativo, detto
da Dio nell’eterna generazione del Figlio ἐν ἀρχῇ, quando nella Genesi lo
Spirito aleggiava sulle acque primordiali. Il Prologo, allora, annunciando
la nuova Genesi ri-creativa del Fiat Verbum/Lux, rivelerebbe l’«ἡμέρα μία/
dies unus» (Gen 1,5), «il primo giorno» della missione storica del Figlio
divenuto uomo/carne6, pure attestando una retractatio mistico-sapienziale
del racconto tradizionale del battesimo messianico di Gesù (cf. Mc 1,9-11)
o di quello della sua “vocazione” elettiva successiva al battesimo (cf. Lc
3,21-22), al punto che la scaturigine storica dell’evento pare risultare quasi
cancellata.
Eppure, un decisivo, lampante indicatore dell’evento del Giordano ri-
mane: nel Prologo, è chiamata in causa per ben due volte la figura storica
di Giovanni Battista, il genius loci del Giordano, che, in tutte le tradizioni
cristiane primitive, “provocava” e mediava con il rito battesimale la gene-
razione/manifestazione del Figlio prediletto. Insomma, togliendo in sé i
“principi” narrativi dei vangeli sinottici, il Prologo proclama il principio
ontologico del Logos dio preesistente, traslato dal seno di Maria al seno
6 «Le Prologue pourrait à juste titre être appelé ‘Genèse de Jésus-Christ’ L’Évangile
de Matthieu commence lui aussi par ces mots: “Livre de la Genèse de Jésus Christ
(Βίβλος γενέσεως Ἰησοῦ Χριστοῦ)” [1,1]» (R. Meynet, Analyse rhétorique du
Prologue de Jean, in “Revue bibliqueˮ 96/4, 1989, 481-510, in part. 507). Discor-
so analogo, come vedremo, si potrebbe fare per l’incipit di Marco, per il quale «il
principio del vangelo di Gesù Cristo (ἀρχὴ τοῦ εὐαγγελίου Ἰησοῦ Χριστοῦ)» (1,1)
coincide proprio con l’attività battista di Giovanni.
126 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
10 Cf. la conclusione di uno studioso per altro assai moderato quale R.E. Brown,
An Introduction to the Gospel of John, Doubleday, New York 2003, tr. it. Intro-
duzione al Vangelo di Giovanni, Queriniana, Brescia 2007: «In gran parte del
materiale narrativo di Giovanni e dei sinottici, credo che le prove non favoriscano
la dipendenza giovannea dai sinottici o dalle loro fonti. Giovanni attinse da una
tradizione indipendente, simile alle tradizioni che soggiacciono ai sinottici» (119).
Eppure, Brown aggiunge: «Nonostante non sia convinto di questo, specialisti seri
ritengono che nella redazione finale di Giovanni un piccolo numero di dettagli sia
stato preso a prestito direttamente da Marco» (120). Sostanzialmente scettico sul-
la dipendenza letteraria di Giovanni dai sinottici è R. Schnackenburg, Il vangelo
di Giovanni…, I,29-52; sulla tesi della dipendenza non letteraria di Gv (nella sua
duplice redazione) da tradizioni marciane e sui suoi rapporti con le altre tradizioni
sinottiche, cf. P.N. Anderson, Interfluential, Formative, and Dialectical – A Theo-
ry of John’s Relation to the Synoptics, in P.L. Hofrichter (ed.), Für und wider die
Priorität des Johannesevangeliums, Olms, Hildesheim 2002, 19-58; in part., cf. la
sua convincente conclusione: «The Johannine tradition engaged the pre-Markan
tradition in the oral stages of their developments and sought to augment and com-
plement the Markan written Gospel… John’s relation to the Synoptic Gospels
was independent but not isolated, connected but not derivative, individuated but
not truncated. In relation to the other Gospels John’s was an engaged autonomy,
and an overall theory of Johannine-Synoptic relations must include factors that
were interfluential, formative, and dialectical» (57-58). Ancora interessante, in
proposito, risulta il bilancio di D. Moody Smith, John and the Synotipcs: Some
Dimensions of the Problem, in «New Testament Studies» 26, 1980, 425-444. E.
Norelli, La nascita del cristianesimo, Il Mulino, Bologna 2014, 106-109, pur pro-
pendendo, invero con molta prudenza, per la tesi della non conoscenza dei sinot-
tici da parte del IV vangelo e sottolineando la notevole differenza di prospettiva
cristologica ed economica tra Gv e Mc, comunque evidenzia l’analogia strutturale
tra i due vangeli: «Insomma, le due costruzioni di una storia del ministero di Gesù
realizzate da Marco e Giovanni differiscono notevolmente, ma convergono nel
mostrare l’esigenza di organizzare per iscritto la tradizione su Gesù sotto forma
di coerente vicenda storica per poter rendere conto del senso di un presente che
comincia a prolungarsi al di là delle generazioni dei discepoli» (109).
11 Cf. H. Windisch, Johannes und die Synoptiker. Wollte der vierte Evangelist die
älteren Evangelien ergänzen oder ersetzen?, Hinrichs, Leipzig 1926: nel testo, la
risposta a questa domanda è nettamente affermativa!
130 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
da non essere entrato in contatto, alla fine del I secolo, con uno o più di
uno dei vangeli sinottici12. Se pare dimostrata la non dipendenza lettera-
ria di Giovanni dai sinottici, considero poco convincente l’ipotesi della
dipendenza parallela e indipendente sia dei sinottici che di Giovanni
da ampie formule kerigmatiche, alcune delle quali organizzate in una
struttura narrativa, che, partendo dal battesimo al Giordano, passando
per la descrizione della predicazione di Gesù in Galilea e a Gerusalem-
me, si concludessero con le vicende della passione, della morte, quindi
dell’annuncio della resurrezione o della visione del Risorto. La non di-
13 Per M. Vinzent, Marcion and the Dating of the Gospels, Peeters, Leuven 2014,
Marcione sarebbe l’autore del primo vangelo, dal quale dipenderebbero tutti i
vangeli canonici: «Marcion, who created the new literary genre of the ‘Gospel’
and also gave the work this title, had no historical precedent in the combination of
Christ’s sayings and narratives» (277). Piuttosto, sulla dipendenza di Marcione da
un vangelo “presinottico”, anteriore allo stesso Marco, oltre che al Luca canonico,
cf. M. Klinghardt, Das älteste Evangelium und die Entstehung der kanonischen
Evangelien, I-II, Francke Verlag, Tübingen 2015; tutti i vangeli canonici, Giovan-
ni compreso, dipenderebbero, pertanto, da questo vangelo “presinottico”, sicché
verrebbe a cadere la stessa ipotesi di Q, quale fonte, insieme con Marco, di Mat-
teo e di Luca. G. Gramaglia, Marcione e il Vangelo (di Luca). Un confronto con
Matthias Klinghardt, Accademia University Press, Torino 2017, ha radicalmente
contestato le tesi dello studioso tedesco, distinguendo comunque a) una prima re-
dazione di Luca, databile agli anni 80/90, dipendente da Marco e da Q, recepita e
utilizzata senza alterazioni da Marcione, da b) una seconda redazione dello stesso
Luca, redatta ad alcuni decenni di distanza, divenuta “canonica” all’inizio del II
secolo, ma ignota a Marcione. Da segnalare il recente, rilevante volume a cura di
C. Gianotto e A. Nicolotti (edd.), Il vangelo di Marcione, Einaudi, Torino 2019.
14 Cf. R. Bauckham, John for Readers of Mark, in R. Bauckham (ed.), The Gospels
for All Christians. Rethinking the Gospel Audiences, Eerdmans, Grand Rapids-
Cambridge 1998, 147-172: pur non condividendo la tesi di fondo di Bauckham,
che interpreta il IV vangelo come scritto per “tutti i cristiani” e non per la ristretta
comunità giovannea, ritengo il saggio significativo per l’ipotesi della conoscenza
di Mc 1,14 attestata da Gv 3,24 e 11,2. Per una contestazione dell’attendibili-
tà dell’interpretazione di Bauckham, cf. comunque W.E. Sproston North, John
for Readers of Mark? A Response to Richard Bauckham’s Proposal, in «Journal
for the Study of the New Testament» 25/4, 2003, 449-468. Per un generico ri-
conoscimento della dipendenza di Giovanni da “materiale sinottico”, cf. J. van
der Watt, An Introduction to the Johannine Gospel and Letters, T&T Clark,
London 2007: «John was written independently, but with some form of contact
with synoptic material» (90). Per recenti tentativi di dimostrare la conoscenza di
Marco da parte di Giovanni, cf. I.D. Mackay, John’s Relationship with Mark. An
Analysis of John 6 in the Light of Mark 6-8, Mohr Siebeck, Tübingen 2004, in
part. 9-54; M. Jennings, The Fourth Gospel’s Reversal of Mark in John 13,31-
14,3, in «Biblica» 94/2, 2013, 210-236. Sulla conoscenza dei sinottici da parte di
Giovanni, cf. il convincente saggio di U. Schnelle, Johannes und die Synoptiker,
in F. van Segbroek et alii (edd.), The Four Gospels. Festschrift F. Neirynck, Leu-
ven University Press, Leuven 1992, 1799-1814. Cf., infine, il prudente bilancio
132 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
18 «La stretta relazione interna tra il pensiero teologico paolino e quello giovanneo
rappresenta il problema più affascinante della teologia neotestamentaria» (M.
Hengel, La questione giovannea…, 141); cf. 140-141; 175; 179; 273; 288-296;
318. Cf. P. Borgen, The Gospel of John: More Light from Philo, Paul and Archae-
ology. The Scriptures, Tradition, Exposition, Settings, Meaning, Brill, Leiden-
Boston 2014, in part. il cap.«Gospel Traditions in Paul and John; Methods and
Structures. John and Synoptics», 67-78. Considero deludente R. Schnackenburg,
Das Johannesevangelium, IV, Herder, Freiburg 1984, tr. it. Il vangelo di Giovanni,
IV, Paideia, Brescia 1985, il cap. «Cristologia paolina e cristologia giovannea»,
125-145.
19 Cf. R. Bultmann, Die Bedeutung der neuerschlossenen mandäischen und mani-
chäischen Quellen fūr das Verständnis des Johannesevengeliums, in “Zeitschrift
für die Neutestamentlischeˮ Wissenschaft, 24, 1925, 100-146, quindi in R. Bult-
mann, Exegetica. Aufsätze zur Erforschung des Neuen Testaments, Mohr Siebeck,
Tūbingen 1967, 55-104; e, ovviamente, R. Bultmann, Das Evangelium des Johan-
nes, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 1941, 1-56. Giudico, comunque, troppo
netta l’antibultmanniana affermazione di K. Barrett, The Prologue of St John’s
Gospel, Athlone Press, London 1971: «The Prologue is not a jigsaw puzzle but
one piece of solid theological writing. The evangelist wrote it all» (27). Assu-
mo, pertanto, la pragmatica prospettiva di R.A. Culpepper, The Pivot of John’s
Prologue…:«Even if the prologue contains an earlier hymn, attention needs to be
paid to the structure of the present text apart from source analyses» (2). Come non
segnalare il monito di J. Ashton, Studying John: Approaches to the Fourth Gospel,
Clarendon Press, Oxford 1996: «Any exegesis that depends upon a precisely ac-
curate reconstruction of the Vorlage is open to suspicion. This is not because such
a reconstruction would be unhelpful, but because it is virtually unattainable» (6);
coerentemente, Ashton aggiunge una singolare, ma rivelativa affermazione: «I do
not assume that the hymn was composed before the body of the Gospel. Rather I
134 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
think it likely that it was written at a time when the composition of the Gospel was
well under way» (6).
20 Dopo i lavori pionieristici di Lund e le complesse analisi di Boismard, Lamarche,
Feuillet, il saggio più significativo rimane quello di R.A. Culpepper, The Pivot
of John’s Prologue…, che identifica Gv 1,12 come centro di gravitazione della
struttura a chiasma del Prologo. Tornerò, comunque, su quest’ipotesi.
21 Cf. M. Theobald, Die Fleischwerdung des Logos. Studien zum Verhältnis des Jo-
hannesprologs zum Corpus des Evangeliums und zu 1 Joh, Aschendorff, Münster
1988, in part. I capp. 1, “Der Johannesprolog im 19. Jahrhundertˮ, e 2, “Der Jo-
hannesprolog im 20. Jahrhundertˮ, 3-161. Per un più recente bilancio e un aggior-
namento di prospettive sull’interpretazione del Prologo, cf. G. van der Watt, R.A.
Culpepper, U. Schnelle (edd.), The Prologue of the Gospel of John. Its Literary,
Theological, and Philosophical Contexts. Papers read at the Colloquium Ioan-
neum 2013, Mohr Siebeck, Tübingen 2016. Cf., inoltre, L. Miller, Salvation-Hi-
story in the Prologue of John. The Significance of John 1:3/4, Brill, Leiden-New
York- København-Köln 1989, 1-16; A. Dettwiler, Le Prologue Johannique….
22 Cf. E. Harris, Prologue and Gospel. The Theology of the Fourth Evangelist, Shef-
fied Academic Press, Sheffield 1994, T&T Clark, London-New York 20042, in
part. 9-25.
23 Per un’introduzione alla questione, cf. J. Staley, The Structure of John’s Prolo-
gue: Its Implications for the Gospel’s Narrative Structure, in “Catholic Biblical
Quarterlyˮ 48/2, 1986, pp. 241-264; e, soprattutto, il notevole saggio di R.A. Cul-
pepper, The Prologue as Theological Prolegomenon to the Gospel of John, in J.G.
van der Watt, R.A. Culpepper, U. Schnelle (edd.), The Prologue of the Gospel
of John…, 3-26. S. R. Valentine, The Johannine Prologus – a Microcosm of the
Gospel, in “The Evangelical Quarterlyˮ 68/3, 1996, 291-304, definisce Gv 1,1-18
come “a trailerˮ (303) del IV vangelo. Rimando, infine, a J. Painter, The Prologue
as an Hermeneutical Key to Reading the Fourth Gospel, in J. Verheyden, G. Van
Oyen, M. Labahn, R. Beringier (edd.), Studies in the Gospel of John and its Chri-
stology; Festschrift Gilberte Van Belle, Peeters, Leuven 2014, 37-60.
24 In proposito, condivido pienamente la prospettiva di Theobald: «Eine unvorein-
genommene Betrachtung der Eröffnung des vierten Evs zeigt, daß diese nicht mit
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 135
1,18, sondern mit 1,51 endet… Gegen seine Isolierung in der formgeschichtlichen
Exegese hat der Prolog demnach als erster Teil der Texteröffnung Joh 1 zu gelten»
(M. Theobald, Das Evangelium nach Johannes. Kapitel 1-12, Friedrich Pustet,
Regensburg 2009, 489-490).
25 «In its present form, if not in its origin, the gospel must be approached as a unity,
a literary whole» (R.A. Culpepper, Anatomy of the Fourth Gospel. A Study in Li-
terary Design, Fortress Press, Philadelphia 1983, p. 49); «Esistono serie conside-
razioni ermeneutiche, teologiche e letterarie che hanno riportato gli interpreti ad
una “lettura” del testo così come ci appare…Ci sono crescenti indicazioni che mo-
strano come la narrazione del quarto Vangelo abbia senso nel suo ordine presente»
(R.E. Brown, Introduzione al Vangelo di Giovanni…, 77-78); «Pur supponendo
che l’inno al Logos sia esistito prima che il vangelo fosse redatto, la sua precisa
formulazione è andata perduta per sempre. Ne consegue che l’unica base perti-
nente del lavoro di interpretazione è il prologo tale quale è formulato in 1,1-18»
(J. Zumstein, Il vangelo di Giovanni…, I,70). Assumo, pertanto, la prospettiva di
J.A.T. Robinson, The Relation of the Prologue to the Gospel of St John…, 120: «I
accept the view that the whole is the work of a single hand, including the Prologue
and the Epilogue. The attempt to isolate sources on literary grounds cannot be said
to have succeeded».
26 Mi limito a rinviare a J.L. Martyn, History and Theology in the Fourth Gospel,
Harper and Row, New York 1968, Westminster John Knox Press, Louisville-Lon-
don 20033, 145-167; a R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 47-
53; e ad A. Destro e M. Pesce, Come nasce una religione. Antropologia e esegesi
del Vangelo di Giovanni, Laterza, Bari-Roma 1995, 20084.
27 Cf. M. Hengel, La questione giovannea…, 239-243; i redattori di Gv 21 sarebbero
discepoli del presbitero; dopo la morte del maestro, essi avrebbero aggiunto un
secondo epilogo al corpo del vangelo. Cf. H.-J. Klauck, Der erste Johannesbrief.
Der zweite und dritte Johannesbrief, Neukirchener Verlag, Neukirchen-Vluyn
136 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Sia o meno fondata l’ipotesi sopra avanzata che l’ultimo redattore del IV
vangelo conoscesse almeno uno dei vangeli sinottici, in particolare Marco,
comunque emerge una questione chiave: è possibile misconoscere il ruolo
strategico dell’incipit del vangelo, inteso come biografia di Gesù Figlio di
Dio? L’incipit, infatti, è elemento narrativamente, quindi teologicamente
del tutto fondante28, in quanto chiamato a dichiarare l’origine di Gesù, la
sua nascita quale Figlio di Dio, quindi l’identità profonda di colui che è
annunciato come Messia, “fonte” e fine della buona novella salvifica. La
“natura” dell’eroe dipende dalla sua origine. L’inizio della biografia mes-
sianica, per di più relativa a un Figlio di Dio contestato e violentemente
soppresso, è chiamato a spiegare da dove Gesù derivasse il suo singola-
rissimo e di fatto eversivo carisma, quindi come e dove egli fosse nato, a
che titolo egli potesse vantare un rapporto intimo con il Padre, a partire dal
quale aveva preteso di ridefinire l’identità religiosa ebraica, proiettandola
verso l’imminente e destabilizzante irruzione di un Regno, che egli connet-
teva alla sua stessa persona e alla sua attività apocalittica. Allora, è un caso
che sia Marco che Giovanni inizino con il termine ἀρχή e che entrambi
presentino una connessione intima tra ἀρχή (storica o precosmica) di Gesù
e opera/testimonianza del Battista29? Non è, allora, l’incipit giovanneo –
«In principio era il Logos (Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος)» (Gv 1,1) –, che colloca
in una dimensione premondana l’origine e la divina identità sapienziale di
1991-1992, tr. it. Lettere di Giovanni, Paideia 2013, 65: «Secondo i risultati cui si
è fin qui giunti, 1Gv è posteriore all’opera dello stesso evangelista. Con l’ipotetica
componente redazionale non mancano affinità ma anche differenze… All’interno
dell’orizzonte comune della scuola giovannea possono aver avuto luogo processi
più complessi che oggi non si è più in grado di ricostruire con sufficiente preci-
sione. Un dato è certo: la difficile situazione della comunità di cui parla 1Gv si
riflette anche nello strato redazionale del vangelo. L’autore della lettera [1Gv] non
conosceva probabilmente il capitolo aggiuntivo del vangelo, Gv 21»; cf. 59-65.
Per un’ipotesi di ricostruzioni delle diverse fasi della scuola giovannea, cf. G.
Strecker, Die Johannesbriefe, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1989, 19-28.
28 Cf. M.D. Hooker, Beginnings and endings, in M. Bockmuehl e D.A. Hagner (edd.),
The Written Gospel, Cambridge University Press, Cambridge 2005, 184-202, in
part. 189-190, su Mc e le diverse identificazioni della lunghezza del suo “prologo”.
29 «Non dovrebbe esservi dubbio che per Marco l’ἀρχὴ τοῦ εὐαγγελίου Ἰησοῦ
Χριστοῦ (1,1) sia precisamente la comparsa di Giovanni» (E. Lupieri, Giovanni
Battista nelle tradizioni sinottiche…, 26). Segnalo come Lc 3,32 utilizzi il verbo
ἄρχω per segnalare l’avvio della missione di Gesù, subito dopo il battesimo e la
visione di Gesù; così, il verbo ἄρχω ricorre in Atti 1,22, per designare l’inizio della
missione di Gesù, avviata dal battesimo e conclusasi con l’ascensione.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 137
camente, cioè dove inizia Marco. Matteo e Luca, scritti dopo Marco, identificano
cristologicamente Gesù al momento del concepimento, mentre Giovanni, che non
descrive il concepimento o la nascita, lo identifica cristologicamente (come la
Parola) in una preesistenza con Dio prima della creazione» (977).
34 Pur se fortemente condizionato da un apriori dogmatico (quello dell’ortodossia
trinitaria e cristologica, retroproiettata sul Prologo), condivido l’assunto fonda-
mentale di S. de Ausejo, ¿Es un himno a Cristo el prólogo de San Juan?...: «El
punto mental de partida para San Juan no es el Logos como Verbo de Dios sin la
carne…, sino el Logos-Cristo, el Cristo histórico… El tema central del Prólogo es
Jesús» (388).
35 Cf. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,275-279; e R.E. Brown, Gio-
vanni…, 59-60: “Il Vangelo propriamente detto comincia con la testimonianza di
Giovanni Battista resa in tre giorni (1,29 e 35), giorni che hanno un significato
simbolico più che strettamente cronologico… Questa triplice progressione non
fa che esplicitare lo schema fissato in precedenza in 1,6-8”. Questo significa che,
per Brown, il Prologo è fuori dalla narrazione storica del vangelo e che «il primo
giorno» della settimana inaugurale della rivelazione comincia con Gv 1,29.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 139
41 «Filippo incontrò Natanaele e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno
scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret (Ἰησοῦν
υἱὸν τοῦ Ἰωσὴφ τὸν ἀπὸ Ναζαρέτ)”» (Gv 1,45).
42 «E dicevano: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe (Οὐχ οὗτός ἐστιν
Ἰησοῦς ὁ υἱὸς Ἰωσήφ)? Di lui conosciamo il padre e la madre (οὗ ἡμεῖς οἴδαμεν
τὸν πατέρα καὶ τὴν μητέρα). Come può dunque dire: «Sono disceso dal cielo (Ἐκ
τοῦ οὐρανοῦ καταβέβηκα)»?”» (Gv 6,42).
43 «The Gospel makes clear the public perception that Jesus is the son of Joseph
from Galilee (1:45; 6,42; 7,41-42; 7,50-52) and contains no inarguable indication
that the author was aware of the conception Christology of Matthew and Luke»
(P.E. Kinlaw, The Christ is Jesus…, 129). Cf. Ch.H. Talbert, “And the Word Be-
came Flesh”: When?, in A.J. Malherbe e W.A. Meeks (edd.), The Future of Chri-
stology. Essays in Honour of Leander E. Keck, Fortress, Minneapolis 1984, 43-52,
quindi in The Development of Christology during the First Hundred Years and
other essays on early Christian Christology, Brill, Leiden-Boston 2001, 131-141,
in part. 135.
44 In ebraico, Spirito è il sostantivo femminile ( רוחRūaḥ); al battesimo, pertanto,
lo Spirito avviene al Giordano, divenendo la madre carismatica di Gesù, sicché
è attestata, quale variante marciana nel Codex Bezae di Cambridge, l’inserzione
della citazione del Salmo 2,7: «Tu sei mio Figlio. Oggi ti ho generato». La varian-
te torna nelle citazioni battesimali riportate da Epifanio di Salamina, Panarion
I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti 13,7-8; quindi in Giustino, Dialogo
con Trifone 88,3 e 8; tornerò, più avanti, su entrambe. Cf. inoltre, Origene, Com-
mento al vangelo di Giovanni, II,87, che cita un «passo del Vangelo secondo gli
Ebrei, dove il Salvatore pronuncia queste parole: “Poco fa mi prese mia madre, lo
Spirito Santo, per uno dei miei capelli e mi trasportò sul gran monte Tabor”»; cf.
Origene, Omelie su Geremia, 15,4. Ritengo che anche il “rinnegamento” di Maria
e dei propri fratelli carnali, operato da Gesù in Mc 3,31-35, possa presupporre un
riferimento alla nuova identità carismatica di Gesù, divenuto figlio elettivo dello
Spirito/Madre.
142 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
il redattore finale pare approdare a una fusione dialettica tra una cristologia
adozionistica di tipo marciano o “ebionita” (Gesù è figlio di Giuseppe e
Maria)45 e un’“altissima” cristologia sapienziale, che lo rivela come Logos
Unigenito, dio presso il Dio Padre. Ma se Giovanni non conosce o taglia via
qualsiasi riferimento all’incarnazione dell’Unigenito in Maria, occorre spo-
starsi al Giordano46, ove è collocabile l’unica ipotesi logicamente alternativa
del farsi uomo del principio divino preesistente, non senza avere evocato la
sfuggente e ambigua figura di Cerinto, nel quale paiono convivere, a detta
degli eresiologi, ebionismo (Gesù è figlio di Giuseppe e Maria) e una va-
riante docetistica (Cristo/Spirito discenderebbe su Gesù al Giordano, per
separarsi da lui prima della passione), che ricorrerà frequentemente in testi
gnostici. Certo, la polemica violentissima che divise la comunità giovannea
parallelamente alla definizione progressiva del corpus, in particolare in ri-
ferimento alla figura dominante del presbitero, presenta un contesto all’in-
terno del quale pare emergere l’oscillante profilo di questo giudeo-cristiano
docetista47. D’altra parte, se il motivo del conflitto teologico tra fazione
giovannea del presbitero e fazione giovannea secessionista fosse stata non
tanto la docetistica negazione della realtà storica e carnale di Cristo48, né la
protognostica dottrina cerintiana del ritrarsi dello Spirito divino dall’uomo
Gesù al momento della passione e della morte49, ma piuttosto la negazione
John’s Christology Adoptionist?, in L.D. Hurst e N.T. Wright (edd.), The Glory of
Christ in the New Testament: Studies in Christology, Clarendon, Oxford 1987, 113-
124: «The union of the Logos or Son of God with Jesus of Nazareth took place in
the descent of the Spirit at his Baptism» (114); ne deriva la restituzione cerintiana,
appunto adozionista della cristologia di Giovanni, che pure sarebbe attestata da
diversi testi gnostici, dalla Testimonianza veritiera al Secondo trattato del grande
Seth. Segnalo, infine, il rilevante volume di un’allieva di Talbert, P. E. Kinlaw,
The Christ is Jesus: Metamorphosis, Possession, and Johannine Christology, Brill,
Leiden 2005. Cf. T. Engberg-Pedersen, Logos and Pneuma in the Fourth Gospel,
in D.E. Aune e F.E. Brenk (edd.), Greco-Roman Culture and the New Testament:
Studies Commemorating the Centennial of the Pontifical Biblical Institute, Brill,
Leiden 2012, 27-48: anche qui Gv 1,32-34 è interpretato come descrizione del
battesimo di Gesù al Giordano (cf. 27; 34; 37-38). Anche per J.F. McGrath, Pro-
logue as Legitimation…, 114 e 117-118, l’incarnazione di Gesù è avvenuta al suo
battesimo. A differenza di Watson, Talbert, Kinlaw, non ritengo, comunque, identi-
ficabile la prospettiva incarnazionistica di Giovanni con quella carismatico-elettiva
o “adozionistica” di Marco, per il quale lo Spirito è una potenza impersonale di
Dio, più che una vera e propria ipostasi distinta e mediatrice. Nella prospettiva
di Marco, non avrebbe senso affermare: «Prima che Abramo fosse, io sono» (Gv
8,58), con l’identificazione personale di Gesù con il preesistente, ontologicamente
ipostatizzato Nome di Dio di Esodo 3,14.
47 Cf. R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 178-180; e soprattutto
The Epistles of John, Doubleday, New York 1982, tr. it. Le lettere di Giovanni,
Cittadella Editrice, Assisi 1986, 20172, Appendice II, «Cerinto», 1033-1040, che
spinge Cerinto in direzione docetistica e protognostica, piuttosto che in direzione
propriamente giudeo-cristiana.
48 È questa la convincente prospettiva di R.E. Brown, La comunità del discepolo
prediletto…, 135-139; R.E. Brown, Le lettere di Giovanni…, 116-136.
49 Secondo P.E. Kinlaw, The Christ is Jesus…, i giovannisti secessionisti sarebbero
effettivamente cerintiani, avrebbero cioè prospettato una cristologia della posses-
144 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
tere di Giovanni; esso, infatti, nella sua intima relazione con 1,29-34 e in
Prologautor auf der Einheit der Person Jesu als des Heilbringers» (492); 4) per
affermare la piena identità personale tra Gesù e il Figlio dell’Uomo/Logos/Cristo/
Spirito celeste, inevitabilmente Theobald è costretto a postulare (seppure non riu-
scendo a trovare nel IV vangelo e neanche in 1-2Gv alcun testo in proposito!) un’i-
dentità originaria tra Logos e carne sin dalla nascita di Gesù, sicché viene postulata
una «incarnation par naissance» (Le Prologue johannique…, 208): «Jesu Person
wurde nicht erst durch irgendeine Begabung bei der Taufe zum Logos-Träger,
sondern ist von ihrer Geburt an mit diesem identisch… Jesus ist keine zufällige,
kontingente “Äußerung” Gottes, sondern sein wesentliches, einziges Wort, in dem
er sich von Ewigkeit her in seiner ganzen Wahrheit geäußert und entäußert hat, sein
Selbst-Ausdruck» (Die Fleischwerdung des Logos…, 492). La novità dell’autore
del Prologo e del redattore finale del vangelo sarebbe, pertanto, proclamare l’in-
separabilità dell’unione tra Spirito/Logos/Figlio dell’Uomo e uomo Gesù, perdu-
rante sino alla morte e resurrezione. 5) Per Theobald, comunque, l’affermazione
dell’unità della persona di Cristo, proclamata in Gv 1,14 con l’identificazione della
carne del Gesù storico con il Logos stesso, ubbidirebbe a un’esigenza di custodia
della tradizionale memoria della realtà del Gesù storico, messa in questione dalla
cristologia dualistica “cerintiana”: «Damit schließt 1,14 gegen die Spekulation der
Taufchristologie an den Geist der ersten Jesus-Tradition an, für die die Einheit der
Person Jesu selbstverständliche Voraussetzung war. Diese Einheit Jesu im Rahmen
der rezipierten und neudefinierten Logoschristologie nun ihrerseits wieder zum
Gegenstand der Spekulation zu erheben, lag dem Autor des Prologs, der seinen
Text zur Bewältigung einer christologischen Krise geschaffen hatte, völlig fern.
Er hat mit 1,14 nur die Grenze markiert, die seiner Überzeugung nach unbedingt
zu respektieren ist, nämlich das Bekenntnis zur Identität Jesu als des Offenbarers
Gottes, das die Option für die Wertschätzung des Geschöpflich-Sarkischen (vgl.
1,3.10.11.14) miteinschließt» (492-493). Trovo le tesi di Theobald non convincenti
e fortemente condizionate da un presupposto confessionale. Seguendo Brown –
che opportunamente sottolinea la difficoltà di ricostruire l’identità storica di Ce-
rinto a partire da testimonianze eresiologiche divergenti (da Ireneo e dall’autore
dell’Elenchos, a Eusebio ed Epifanio, sino a Dionisio Bar Salibi) –, ritengo che:
a) i secessionisti combattuti dal presbitero in 1-2Gv non siano identificabili con
Cerinto, che pare aver radicalizzato le loro posizioni in direzione gnostica; b) che
il Prologo e l’intero Gv possano essere interpretati come patrimonio comune delle
due fazioni giovannee in conflitto, sicché, contro l’interpretazione di Theobald, mi
pare che il Prologo non sia interpretabile come testo anticerintiano; c) in partico-
lare, condivido la prospettiva di R.A. Brown, Le lettere di Giovanni…, 170, che
esclude chiaramente che Gv 1,14 possa essere interpretato come versetto antiseces-
sionista, in quanto gli stessi secessionisti non avrebbero negato il rapporto del Lo-
gos con la carne, ma si sarebbero limitati a non identificare nella morte della carne
l’evento salvifico, che piuttosto identificavano con la stessa teofania della Luce/
Gloria al Giordano; d) a mio parere, entrambi i fronti giovannei condividevano la
convinzione che l’incarnazione del Logos fosse avvenuta al Giordano, ma diver-
gevano sull’interpretazione dell’evento soterico: già perfettamente manifestatosi
con la discesa del Logos/Spirito al Giordano per i secessionisti, successivamente
espulsi, quindi evolutisi verso prospettive gnostiche; compiutosi soltanto con la
146 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
particolare con la katabasis dello Spirito di 32-24, non attesta una prospet-
tiva anti“docetistica”, piuttosto una prospettiva ancora ambigua52, ove l’e-
saltazione della teofania del Logos di Vita, Luce e Gloria prevale rispetto
alla stessa proclamazione della realtà salvifica dell’incarnazione. Il Pro-
logo, pertanto, è anteriore allo scindersi tra 1) la radicalizzazione “cerin-
tiana”, quindi protognostica, di un’incarnazione “dualistica”, provvisoria,
che afferma l’unione dello Spirito con l’uomo Gesù al Giordano, quindi la
dimensione non salvifica della morte dell’uomo Gesù; e 2) la polemica an-
tidocetistica del presbitero, attestata dalla Lettere di Giovanni, che insiste
non soltanto sul carattere definitivo dell’unione tra Spirito e Gesù avvenuta
al Giordano (cf. già l’ἔμεινεν ἐπ' αὐτόν di Gv 1,32), ma anche sulla dipen-
denza della salvezza dal reale sacrificio espiatorio della carne di Cristo (tesi
influenzata da Paolo?), quindi dal dono del suo sangue sulla croce, sicché,
come proclama 1Gv 5,5-8, la salvezza non viene soltanto dallo Spirito e
dall’acqua (quindi dalla manifestazione salvifica dello Spirito dell’Unige-
nito al Giordano), ma anche dal sangue di Gesù morto in croce.
Il Prologo, infatti, afferma una prospettiva condivisibile da parte di en-
trambi i fronti che verranno a confliggere nel seno stesso della comunità
giovannea: a) l’incarnazione del Logos nella carne di Gesù al Giordano,
cioè al cospetto del Battista (come confermato da 1,32-34), è manifesta-
zione della Luce principale e della sua gloria: l’affermazione dell’incar-
nazione di 1,14 non è comunque affatto approfondita in senso “realista”,
come ad esempio lo sarà nel Prologo di 1Gv 1,1-3. Come ha chiarito Ernst
Käsemann, che ha riconosciuto attivo nel Prologo un docetismo ingenuo,
l’aspetto della manifestazione apocalittica della gloria divina in Cristo pre-
vale nettamente rispetto a quello dell’incarnazione reale e kenotica del Lo-
gos nell’uomo Gesù, sicché il Prologo culminerebbe in 1,14b, piuttosto che
in 1,14a, come sostenuto da Bultmann53. b) L’evento battesimale al Gior-
ciò fu quando lo Spirito discese (1,32) – niente fu più necessario dal punto di vista
salvifico. Una tale concezione può essere collegata alla posteriore tesi mandea:
“Quando venni, io l’inviato dalla Luce… venni con il segno (di olio?) su di me e
con il battesimo” (Diritto Ginza 2.62.10-14; Lidzbarski, pp. 57-78). L’autore [il
presbitero] sta negando la tesi che la venuta di Gesù nel battesimo fosse sufficien-
te ed egli sta insistendo che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, venne completamente
come Salvatore del mondo (1Gv 4,14) solo tramite la sua morte quando servì da
riparazione per tutto il mondo (2,2). Non è chiaro che cosa l’autore della lettera
voglia dire affermativamente riguardo alla venuta nel battesimo, ma sicuramente
egli non si preoccupa di metterla in risalto» (R.E. Brown, Le Lettere di Giovanni…,
786-787). Comunque, Brown continua a presentare la dottrina dell’incarnazione
del Logos al Giordano/battesimo come tesi soltanto plausibile, non escludendo
esplicitamente quella tradizionale dell’incarnazione in Maria.
53 «È impossibile non scorgere il pericolo che minaccia la sua cristologia della glo-
ria; è il rischio del “docetismo”, che si presente in una forma ingenua e non è an-
cora riconosciuto come pericolo… Giovanni non ha saputo esprimersi altrimenti
148 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
che nella forma di un docetismo ingenuo» (E. Käsemann, L’enigma del Quarto
Vangelo…, 37). Infatti: «Nel quarto vangelo la gloria di Gesù domina fin da prin-
cipio l’intera presentazione, tanto che l’inserimento della storia della passione
costituisce inevitabilmente un problema. Eccettuati i pochi accenni che la antici-
pano, la passione di Gesù compare solo alla fine del Vangelo. Si potrebbe quasi
dire che la passione costituisca un’aggiunta, perché, se da una parte Giovanni non
la poteva tralasciare, dall’altra non la poteva neppure inserire in modo organico
nel suo vangelo con la forma che essa aveva ricevuto dalla tradizione» (20). «La
dichiarazione che la Parola è stata fatta carne vuol veramente dire qualcosa di più
del fatto che egli è disceso nel mondo degli uomini, che è venuto a contatto con
ciò che è terreno e che quindi è stato possibile un incontro diretto con lui? Tutto
questo non è forse subordinato all’altra dichiarazione: “Abbiamo contemplato la
sua gloria”, da cui soltanto riceve il suo contenuto» (22). Conseguentemente, la
morte [di Gesù] è la manifestazione dell’amore divino che si dà e il ritorno vit-
torioso dal mondo straniero al Padre che lo ha mandato» (23), sicchè «Giovanni
comprende l’incarnazione come proiezione della gloria della preesistenza e la
passione come ritorno in essa» (31). In questa prospettiva, che condivido, cf. le
limpide pagine di R.E. Brown, La comunità dei discepolo prediletto…, 136-139;
in part.: «Il Gesù giovanneo non ha l’aspetto di una vittima durante la passione…
L’idea del sacrificio ha ceduto il passo a quella della rivelazione, come esprime
chiaramente T. Forestell, The Word of the Cross: Salvation as Revelation in the
Fourth Gospel, Istituto Biblico, Roma 1974, 191: “La croce di Cristo in Gv viene
valutata precisamente in termini di rivelazione in armonia con la teologia di tutto
il Vangelo, invece che in termini di sacrificio vicario ed espiatorio per i peccati”…
La morte fisica di Gesù non ha alcuna particolare importanza se non come mani-
festazione della doxa» (137-139); cf. R.E. Brown, Giovanni…, 914-918. Al con-
trario, per il prevalere nel Prologo di una prospettiva antidocetistica, centrata su
1,14, oltre ai lavori sopra citati di Theobald, cf. W. Loader, Jesus in John’s Gospel.
Structure and Issues in Johannine Christology, Eerdmans, Grand Rapids 2017,
373-392. Per una valutazione sistematica della questione docetistica, a partire
dalla polemica attestata in 1Gv, cf. W. v. Heyden, Doketismus und Inkarnation.
Die Entstehung zweier gegensätzlicher Modelle von Christologie, Narr Francke
Attempto Verlag, Tübingen 2014, 3-216.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 149
54 Per una convincente analisi del rapporto di Gv 3,31-36 come ipertesto dell’ipote-
sto Gv 3,1-21, cf. J. Zumstein, Il vangelo secondo Giovanni…, I, 169-181.
55 Sull’opposizione relativa tra Gesù celeste e Giovanni terreno, che riconosce colui
che viene dall’alto e a lui rinvia sottomettendoglisi, quindi senza opporglisi asso-
lutamente, cf. R.E. Brown, Giovanni…, 212-215.
56 Cf. R.E. Brown, Giovanni…, 77-84.
57 «Questi [il Figlio di Dio] è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo;
non con acqua soltanto, ma con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che rende
testimonianza, perché lo Spirito è la verità. Poiché tre sono quelli che rendono
testimonianza: lo Spirito, l’acqua e il sangue e questi tre sono concordi… E la
testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna e questa vita è nel suo Fi-
glio» (1Gv 5,6-8 e 11). Probabilmente, il testo è da leggere in connessione con Gv
19,34; cf. R.E. Brown, Le lettere di Giovanni…, 780-789; e 124-128.
150 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
con Luca l’omissione della descrizione del battesimo di Gesù per mano del
Battista, d’altra parte, a differenza di Luca, arriva addirittura a censurare la
notizia di un battesimo di Gesù. Questa censura è, effettivamente, eclatante
e il tentativo, frequente presso i critici, di cercare di recuperare l’evento del
battesimo di Gesù a partire dalle oblique affermazioni di Gv 1,32-34 è non
soltanto arbitrario, ma persino fuorviante, in quanto finisce per rimuovere
del tutto la questione davvero massima, anzi capitale del perché il IV van-
gelo abbia introdotto una così rilevante messa tra parentesi di una notizia
storica unanimemente attestata61.
Infatti, secondo «il criterio di imbarazzo», prova della storicità dell’e-
vento del battesimo di Gesù è la stessa aspra difficoltà teologica che la sua
subordinazione al potere purificatorio del Battista comporta62, una volta
identificato Gesù con l’escatologico e salvifico Figlio di Dio, fosse egli
restituito come Vero Profeta, nuovo/ultimo Adamo, Messia/Cristo, Figlio
di Dio prediletto, Figlio dell’uomo, Sapienza, Potenza di Dio, Nome, “Io
Sono”, Logos/Luce/Vita, Unigenito, etc…. Se Gesù è l’uomo perfetto, l’e-
non interviene nel suo ruolo tradizionale di “battezzatore”, ma nella sua funzione
giovannea di testimone. Teologicamente questo vuol dire che la dignità del Gesù
giovanneo non è stabilita dal battesimo che Giovanni gli avrebbe dispensato, ma
che al contrario l’effusione dello Spirito, indipendente da qualsiasi azione del
Battista, è il segno di una dignità di origine trascendente» (J. Zumstein, Il Vange-
lo secondo Giovanni…, I,104 e 109). È metodologicamente opportuno ricordare
questa rigorosa precisazione di R.E. Brown, La nascita del Messia…: «Con le
normali regole delle testimonianze bibliche si può ritenere che Gesù fu di fatto
battezzato da Giovanni Battista, ma non possiamo sapere quanto venne rivelato
in quella circostanza riguardo a che cosa e a chi, neppure realmente se i cieli si
aprirono, se una voce si fece udire dall’alto e una colomba discese» (978). La
restituzione narrativa del battesimo di Gesù è creazione di ciascuno degli evange-
listi, che ovviamente retroproiettano sul battesimo le loro diverse interpretazioni
cristologiche.
61 «Si on ne connaissait l’événement grâce à une autre tradition (synoptique), la
vision johannique ne laisserait deviner à personne que Jésus s’est fait baptiser par
Jean» (M. Theobald, Le Prologue et ses lecteurs implicites…, 214). «Auch daß
die Taufe Jesu durch Johannes verschwiegen wird, ist ein deutliches Zeichen für
solche Polemik [quella relativa all’interpretazione del battesimo all’interno della
comunità giovannea]» (M. Theobald, Die Fleischwerdung des Logos…, 280). Ri-
tengo che la “rimozione” del battesimo dipenda comunque non da una polemica
intragiovannea (come ritiene Theobald), ma soprattutto da una polemica della
comunità gesuana contro quella del Battista.
62 Cf. Cf. J.P. Meier, A Marginal Jew. Rethinking the Historical Jesus. Vol 2: Mentor,
Messages, and Miracles, Doubleday, New York 1994, tr. it. Un ebreo marginale.
Ripensare il Gesù storico. 2: Mentore, messaggio e miracoli, Queriniana, Brescia
2002, 20032, 167-168.
152 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
63 «Egli [Giovanni Battista] ebbe alcune idee tremende: inventò il battesimo che
toglie i peccati (e la pericolosità rivoluzionaria di tale pratica, in quanto alterna-
tiva al sacrificio espiatorio, non dovrebbe essere sfuggita ai più intelligenti fra i
Giudei suoi contemporanei) nell’attesa della fine del mondo. Per questa fine egli
ritenne forse che sarebbe arrivato Qualcuno, la cui fisionomia ora ci sfugge, il
quale avrebbe operato in un momento escatologico quella rivoluzione che lui, il
Battista, stava operando nella storia. Costui non avrebbe, infatti, asperso il suo
popolo con uno Spirito effuso dall’alto, come avveniva con l’acqua di purifica-
zione e come era previsto dai profeti del passato, ma avrebbe immerso Israele,
battezzandolo nello Spirito di salvezza, come suggerisce Marco, o, più proba-
bilmente, nel fuoco (ovvero in uno Spirito che è fuoco), come indica Luca» (E.
Lupieri, Giovanni Battista nelle tradizioni sinottiche, Paideia, Brescia 1988, 118).
Ma come differenziare aspersione con lo Spirito e immersione nello Spirito?
64 «It is quite probable that it was John the Baptist who finally linked the eschatolo-
gical outpouring of the Spirit to the Messiah and who first spoke of the Messiah’s
bestowal of the Holy Spirit under the powerful figure, drawn from the rite which
was his own hallmark, of a baptism in Spirit-and-fire» (J.S.G. Dunn, Spirit-and-
Fire Baptism, in «Novum Testamentum» 14/2, 1972, 81-92, in part. 92).
65 Cf. J.P. Meier, Un ebreo marginale... 2: Mentore, messaggio e miracoli…, 99-107.
66 Sul rapporto tra il Battista ed Elia, cf. R.E. Brown, Giovanni…, 84-86.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 153
67 Per una ricostruzione delle diverse fasi attraverso le quali il polimorfo gruppo
giovannista gesuano, che pure è in debito strutturale nei confronti di discepoli di
Giovanni Battista, è approdato a un atteggiamento critico, infine a un distacco nei
confronti della purificazione battista, cf. l’eccellente ricostruzione di M. Pesce,
Da Gesù al cristianesimo, Morcelliana, Brescia 2011, in part. 181-184: al bat-
tesimo giovanneo il IV vangelo finisce per contrapporre la «rinascita dall’alto»,
cioè un nascere direttamente da Dio mediante lo Spirito, che è quello che è donato
dal Logos, la Parola creatrice che abita nella carne di Gesù. Ma come la pretesa
giovannista gesuana di questa superiore recezione carismatica si conciliava con il
mantenimento di pratiche battiste?
68 Cf. Mc 1,10; Mt 3,16; Lc 3,21-22; i passi sono da leggere in connessione con
Ezechiele 1,1: «Il cinque del quarto mese dell’anno trentesimo, mentre mi trovavo
fra i deportati sulle rive del canale Chebàr, i cieli si aprirono ed ebbi visioni divine
(sec. LXX: ἠνοίχθησαν οἱ οὐρανοί, καὶ εἶδον ὁράσεις θεοῦ)».
69 Cf. J.P. Meier, Un ebreo marginale... 2: Mentore, messaggio e miracoli…,
136-155.
154 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
70 «In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi bat-
tezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Io ho bisogno di
essere battezzato da te e tu vieni da me?”. Ma Gesù gli disse: “Lascia fare per ora,
poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia”. Allora Giovanni acconsentì.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide
lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce
dal cielo che disse: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compia-
ciuto”» (Mt 3,13-17).
71 «[Erode] fece rinchiudere Giovanni in prigione. Avvenne che, quando tutto il po-
polo fu battezzato (Ἐγένετο δὲ ἐν τῷ βαπτισθῆναι ἅπαντα τὸν λαὸν) e mentre
Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera (Ἰησοῦ βαπτισθέντος
καὶ προσευχομένου), il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza
corporea, come di colomba (ἀνεῳχθῆναι τὸν οὐρανὸν καὶ καταβῆναι τὸ πνεῦμα
τὸ ἅγιον σωματικῷ εἴδει ὡς περιστερὰν ἐπ' αὐτόν), e vi fu una voce dal cielo
(καὶ φωνὴν ἐξ οὐρανοῦ γενέσθαι): “Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono
compiaciuto (Σὺ εἶ ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός, ἐν σοὶ εὐδόκησα)”» (Lc 3,19-22).
72 Cf. J.P. Meier, Un ebreo marginale... 2: Mentore, messaggio e miracoli…, 102-
103; 111-112.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 155
73 «Desta una certa meraviglia il fatto che nel quarto Vangelo si trovi una gran quan-
tità di dichiarazioni in forma negativa nei confronti di Giovanni Battista… Nessu-
no dei Vangeli sinottici assume un atteggiamento di riserva altrettanto spinto nei
confronti di Giovanni Battista, né può vantare una serie così ampia di dichiarazio-
ni negative» (R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 79-80). «Gio-
vanni ha eliminato dal suo racconto dell’episodio [del battesimo di Gesù] tutti
gli aspetti del battesimo di cui i seguaci del Battista si sarebbero potuti gloriare»
(R.E. Brown, Giovanni…, 86). Direi, piuttosto: ha eliminato il battesimo stesso.
74 «Giovanni è l’unico dei quattro Vangeli a non descrivere il battesimo di Gesù»
(R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 136); «Il vangelo di Gio-
vanni non descrive mai il battesimo di Gesù e non dice mai che Giovanni il Bat-
tista lo battezzò (al massimo, ciò è implicito in 1,31-32)» (R.E. Brown, Le lettere
di Giovanni…, 786). Rivelative le oscillazioni di molti studiosi; pur sottolineando
come manchi in Giovanni «la scène même du Baptême qu’il [il Battista] confère à
Jésus (Mc 1,10-11)», Boismard parla di «théophanie du baptême», concludendo,
piuttosto contraddittoriamente: «on a l’impression que, pour lui [l’evangelista],
l’activité baptismale de Jean n’avait d’autre but que de permettre le baptême de
Jésus et la théophanie qui l’a accompagné» (M.-É. Boismard, Du Baptême à Cana
(Jean, I,19-2,11), Cerf, Paris 1956, 64); cf. 66: la messianicità di Gesù sarebbe
manifestata in occasione del battesimo impartitogli dal Battista. Boismard, infatti,
forza la prospettiva giovannea a convergere con quella dei sinottici, restituendo
comunque un bilancio del tutto approssimativo: «Mt et Lc ne diffèrent pas de Jo:
au jour du baptême, Jésus est manifesté aux foules comme étant le Messie» (66).
«Giovanni si presenta come un testimone oculare: “Io ho veduto”, dice. Ciò che
egli ha veduto richiama immediatamente al lettore l’episodio del battesimo di
Gesù. D’accordo con i sinottici, l’evangelista suppone indubbiamente che Gesù è
stato battezzato da Giovanni, ma egli si colloca al termine di un’evoluzione della
tradizione relativa a quest’avvenimento… Nel quarto vangelo non è conservato
più nulla del rito applicato a Gesù: si può soltanto dedurre il fatto dal testo… Il
testo allude al battesimo, senza dubbio; ma dell’evento è rimasto soltanto l’essen-
ziale, la discesa dello Spirito» (X. Leon-Dufour, Lecture de l’Évangile selon Jean.
Tome I, Seuil, Paris 1988, tr. it. Lettura del vangelo secondo Giovanni (capitoli
1-4), Paoline, Cinisello Balsamo 1990, 249-250). Oltre alle deludenti pagine di R.
Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,420-423, segnalo queste affermazioni
a mio avviso infondate di R.T. Fortna, The Fourth Gospel and Its Predecessor,
Fortress, Philadelphia 1988, T&T Clark, London-New York 20042: «John will
baptize only Jesus, and alone will describe [in Gv 1,32-34] for us that event» (19);
«It is of course for baptism that Jesus comes to John» (20); cf. 32-34. Anziché
evidenziare le anomalie del IV vangelo, Fortna ne colma le lacune tramite inte-
grazioni attinte dai sinottici. Piuttosto, riferendosi a Gv 1,33, pur interpretando
il passo, a mio avviso infondatamente, come attestazione del battesimo di Gesù,
scrive E. Lupieri, Giovanni e Gesù. Storia di un antagonismo…: «Questa frase è
156 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
“fuori gioco” del battesimo di Gesù a) non ricorra soltanto nel Prologo,
ove il Battista proclama la sua testimonianza alla Luce, riconoscendo la
superiore, divina provenienza del Messia che vede venire, ma mai connet-
tendola al rito battesimale; ma b) sia replicata in Gv 1,32-34, ove il Battista
proclama di avere visto lo Spirito discendere su Gesù, ma di nuovo senza
fare riferimento alcuno al suo battesimo. Eppure, Giovanni amplifica enor-
memente il ruolo di testimone diretto del Battista, sicché la celeberrima
espressione giovannea, «Egli deve crescere e io invece diminuire (ἐκεῖνον
δεῖ αὐξάνειν, ἐμὲ δὲ ἐλαττοῦσθαι)» (Gv 3,30), risulta essere il rovescia-
mento dell’originario dato storico (l’iniziale dipendenza carismatica di
Gesù da Giovanni), che essa stessa evidentemente presuppone.
Dopo gli studi di Bultmann, Culmann, Boismard, Brown75, è ormai ac-
quisita la tesi dell’esistenza di una componente di discepoli del Battista,
poi credenti in Gesù e confluiti molto precocemente (cf. Gv 1,35-44) all’in-
terno della comunità giovannea gesuana, che, nella sua prima fase, condi-
videva una prospettiva cristologica «relativamente bassa»76. La I fase della
storia della comunità giovannea gesuana, proposta da Brown, è quindi ca-
ratterizzata da una componente giudaica, nella quale confluiscono anche
ex-discepoli del Battista, di cui il cosiddetto «discepolo prediletto» (forse
anche l’unico accenno del quarto Vangelo al battesimo ricevuto da Gesù, accenno
tanto indiretto che, se non conoscessimo i sinottici, saremmo autorizzati a dubita-
re dell’esistenza di una tradizione protocristiana relativa a tale momento della vita
di Gesù. La discesa dello Spirito sul Cristo giovanneo, svincolata il più possibile
dal contesto battesimale, non è né una proclamazione ufficiale della figliolanza
di Gesù né un momento di una sua presa di coscienza né un’unzione profetica:
queste sono tutte cose di cui il Verbo di Dio non ha bisogno» (49). Anche Mar-
cione, che pure si sofferma sul Battista, cancella la notizia tradizionale del batte-
simo da lui somministrato a Gesù: cf. A. Camplani, John the Baptist According
to Marcion’s Gospel and Early Syriac Texts, in J.H. Ellens, I.W. Oliver, J. Von
Ehrenkrook, J. Waddell, J.M. Zurawsci (edd.), Wisdom Poured Out Like Water:
Studies on Jewish and Christian Antiquity in Honor of Gabriele Boccaccini, De
Gruyter, Berlin-Boston 2018, 556–574, in part. 564, ove si mette in rilievo come
questa lacuna si spieghi con la volontà di tenere dualisticamente del tutto distinte
le due economie di salvezza, quella ancora demiurgica contrapposta a quella del
tutto estranea al mondo di Gesù.
75 Per un’ardita interpretazione stratigrafica del IV vangelo, dipendente dall’evo-
luzione storica della comunità giovannea, mi limito a segnalare il capolavoro di
M.-E. Boismard e A. Lamouille, Synopse des Quatre Evangiles en français, III:
L’Evangile de Jean, Cerf, Paris 1977; per una sintetica, ma profonda analisi delle
più rilevanti teorie sull’evoluzione della comunità giovannea, della sua teologia
e della scrittura e della riscrittura del vangelo, cf. R.E. Brown, La comunità del
discepolo prediletto…, 203-216.
76 Cf. R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 24.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 157
83 Cf. Gv 3,5: «“In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito,
non può entrare nel regno di Dio”»; evidentemente il dono dello Spirito è attingi-
bile unicamente all’interno della comunità carismatica, cui soltanto il battesimo
nel nome di Gesù introduce: «Birth by the Spirit, however inexplicable and my-
sterious, is not a matter simply of the individual heart. It is tied up with “water”,
which means entrance into the community through baptism» (Ch. H. Cosgrove,
The Place where Jesus is: Allusions to Baptism and the Eucharist in the Fourth
Gospel, in «New Testament Studies» 35/4, 1989, 522-539, in part. 531). Cf. Gv
3,22, ove si dichiara che Gesù stesso battezzava, insieme con i suoi discepoli (cf.
R.E. Brown, Giovanni…, 204-205: si tratterebbe di testimonianza storicamente
assai attendibile); in 4,2, invece, si specifica come in Samaria non Gesù, ma solo
i suoi discepoli battezzassero. Lo stesso miracolo di Cana in 2,6-11, con le sei
giare di pietra che per ordine di Gesù vengono nuovamente riempite di acqua, poi
trasformata miracolosamente in vino, presuppone probabilmente un riferimento
160 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Il giorno dopo (Τῇ ἐπαύριον), Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui
(βλέπει τὸν Ἰησοῦν ἐρχόμενον πρὸς αὐτόν) disse: “Ecco l’agnello di Dio,
ecco colui che toglie il peccato del mondo (Ἴδε ὁ ἀμνὸς τοῦ θεοῦ ὁ αἴρων τὴν
ἁμαρτίαν τοῦ κόσμου)! Ecco colui del quale io dissi (οὗτός ἐστιν ὑπὲρ οὗ ἐγὼ
εἶπον): Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima
di me (Ὀπίσω μου ἔρχεται ἀνὴρ ὃς ἔμπροσθέν μου γέγονεν, ὅτι πρῶτός μου
ἦν). Io non lo conoscevo (κἀγὼ οὐκ ᾔδειν αὐτόν), ma sono venuto a battezzare
con acqua perché egli fosse fatto conoscere ad Israele (ἀλλ' ἵνα φανερωθῇ τῷ
Ἰσραὴλ διὰ τοῦτο ἦλθον ἐγὼ ἐν ὕδατι βαπτίζων)”. Giovanni rese testimonianza
(ἐμαρτύρησεν) dicendo: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal
cielo (Τεθέαμαι τὸ πνεῦμα καταβαῖνον ὡς περιστερὰν ἐξ οὐρανοῦ) e rima-
nere su di lui (καὶ ἔμεινεν ἐπ' αὐτόν). Io non lo conoscevo (κἀγὼ οὐκ ᾔδειν
αὐτόν), ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: “L’uomo
sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito
Santo (Ἐφ’ ὃν ἂν ἴδῃς τὸ πνεῦμα καταβαῖνον καὶ μένον ἐπ’αὐτόν, οὗτός ἐστιν
ὁ βαπτίζων ἐν πνεύματι ἁγίῳ)”. E io ho visto (κἀγὼ ἑώρακα) e ho testimoniato
(καὶ μεμαρτύρηκα) che questi è il Figlio di Dio (ὅτι οὗτός ἐστιν ὁ υἱὸς τοῦ
θεοῦ)” (Gv 1,29-34).
Mi pare evidente che in questo secondo giorno il Battista non stia affatto
descrivendo in diretta la discesa dello Spirito su Gesù86, ma soltanto ricor-
33). Dunque il fatto a cui egli si riferisce nella successiva attestazione (vv. 32ss.)
è già avvenuto» (R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,391). Eppure
Schnackenburg non trae la conclusione di queste sue rilevanti osservazioni: se in
Gv 1,31-34 il Battista dice di aver conosciuto Gesù come il Figlio di Dio soltanto
quando lo Spirito su di lui è disceso ed è rimasto, evidentemente la teofania al
Giordano (corrispondente con il tradizionale battesimo di Gesù) è già avvenuta.
Ma come mai il IV vangelo non la descrive in diretta? In realtà essa è narrata nel
Prologo!
86 Cf. Ch.H. Talbert, “And the Word Became Flesh”: When?..., 135-139: l’incar-
nazione del Logos di Gv 1,14 farebbe riferimento all’evento battesimale di Gv
1,32-34; e P.E. Kinlaw, The Christ is Jesus…: «To begin the process of fully
understanding the terms of the prologue, and to continue the shaping of the terms
by which the audience hears the remainder of the Gospel, the baptism of Jesus is
162 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
decisive. The existential and spatial overlap introduced in the prologue, in fact,
can only be placed on a narrative level, and hence, of assistance to the reader,
when laid out in the event of the baptism. Also, only the baptism can introduce
the foundation by which the mutual indwelling of the Father and Jesus Christ
as well as the mutual indwelling of the Father, Jesus Christ and the believer can
be achieved. John the Baptist recalls the event:… These verses [=Gv 1,32-34]
describe how the Word becoming flesh actually occurred. There are four issues to
discuss in this passage: (1) the baptism as the point of incarnation; (2) the Spirit
as possessor; (3) the importance of μένω and (4) the witness to the Son of God»
(127); cf. 132-135.
87 «v. 29 Il giorno dopo. A quanto pare (dal v. 32) l’episodio giovanneo ha luogo
dopo il battesimo di Gesù, di cui Giovanni non parla… v. 32 Ho visto. Il tempo
perfetto indica che l’azione [della discesa e del rimanere dello Spirito su Gesù],
che ebbe luogo presumibilmente al momento del battesimo di Gesù, ha ancora il
suo effetto e, cioè, lo Spirito è ancora con Gesù» (R.E. Brown, Giovanni…, 72 e
74). Brown considera presumibile, ma non certo, che la teofania testimoniata dal
Battista fosse immediatamente conseguente al battesimo di Gesù, di cui, appunto,
il IV vangelo non parla! Anche C.K. Barrett, The Gospel according to St. John,
The Westminster Press, Philadelphia 1955, 19782, 175, interpreta le parole del
Battista non come descrizione in diretta dell’evento, ma come sua rammemo-
razione. Cf. in tal senso P.E. Kinlaw, The Christ Is Jesus…: «Having already
witnessed to Jesus, that is, having claimed to know that this person is present,
he then recounts [in Gv 1,32-34] the proof of all he has claimed about this man:
his recollection of what happened during the man’s baptism… having John recall
the event for the audience» (126). Netto e lucido R. Schnackenburg, Il vangelo
di Giovanni…, 395-396: «Al battesimo di Gesù viene fatto solo un accenno. Che
ciò sia avvenuto proprio ora e che il Battista abbia proclamato Gesù come l’eletto
mentre questi si avvicinava per il battesimo non è pensabile; infatti, secondo le
sue stesse parole (vv. 31-33), prima della rivelazione di Dio egli non lo conosceva
ancora (come Messia). Anche i tempi dei verbi ai vv. 32 e 34 indicano piuttosto
un fatto passato, di cui ora il Battista dà solo l’annuncio ad Israele».
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 163
che è secondo rispetto a ciò che avviene prima, Gesù viene (οἱονεὶ γὰρ ἐν ἑξῆς
φωτισμῷ καὶ δευτέρᾳ ἡμέρᾳ παρὰ τὰ πρότερον ὁ Ἰησοῦς ἔρχεται), in quanto non
soltanto è conosciuto come presente in mezzo a coloro che non lo conoscono,
ma ormai è anche visto sensibilmente nell’atto di recarsi da colui che prima l’ha
indicato» (Origene, CmGv II,257). Si noti come, per descrivere il battesimo di
Gesù in II,153-251, Origene sia costretto a trattarne in riferimento a Gv 1,19-28,
cioè nel giorno antecedente a quello descritto in Gv 1,29-34, malgrado in esso non
esista alcun riferimento al battesimo di Gesù.
91 «Giovanni ha eliminato dal suo racconto dell’episodio tutti gli aspetti del batte-
simo di cui i seguaci del Battista si sarebbero potuti gloriare… Il fatto che Gio-
vanni accenni al battesimo di Gesù solo indirettamente come il momento in cui
lo Spirito discese su di lui può anche riflettere il desiderio dell’evangelista di non
favorire la causa dei suoi [del Battista] seguaci» (R.E. Brown, Giovanni…, 86).
Il riferimento, pertanto, è indiretto, in quanto l’evento del battesimo è, per motivi
“polemici”, distratto nel passato; non si descrive il battesimo di Gesù ad opera
del Battista, ma l’evento della discesa dello Spirito, che pure, per Brown, il IV
vangelo continua a presupporre avvenuta al momento del battesimo. «The earliest
form of the signs source may well have included some account of Jesus’ baptism,
omitted by John to avoid any suggestion that Jesus might be the Baptist’s inferior.
But in what remains of the source all we have is John’s testimony that he saw
the Spirit descending upon Jesus, along with his conclusion: “This is the Chosen
One of God”. This is unquestionably a reference to one of Second Isaiah’s Songs:
“Behold my servant (LXX, ὁ παῖς μου) whom I uphold, my chosen one (LXX, ὁ
ἐκλεκτός μου) in whom my soul delights: I have put my Spirit upon him, he will
bring forth justice to the nations (Isa. 42:1). All three Synoptists allude to this
verse in their account of Jesus’ baptism (Matt. 3: 17//), though παῖς becomes υἱός
and ἐκλεκτός becomes ἀγαπητός, literally “beloved”» (J. Ashton, Undestanding
the Fourth Gospel…, 161). Ma né Brown, né Ashton, che pure restituiscono Gv
1,32-34 come rammemorazione di un evento passato, pensato analogamente alle
scene battesimali sinottiche, sono in grado di rintracciare in Giovanni la colloca-
zione della teofania battesimale.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 165
92 Cf. M.-E. Boismard, Du baptême à Cana: (Jn 1,19-2,11), Cerf, Paris 1956, in
part. 14-15, che propone una scansione settenaria che colloca il primo giorno in
Gv 1,19-28 (cf. 25-39) e il settimo giorno, quello delle nozze di Cana, in 2,1-11
(cf. 133-159). Lo stesso Boismard riconosce il carattere «en partie artificielle»
(15), insomma congetturale dell’eptapartizione; eppure, ribadisce la connessione
evidente tra la creazione del mondo in sette giorni narrata nella Genesi e l’epta-
merone della prima missione di Gesù, che si conclude a Cana (cf. 15). Cf., dello
stesso M.-E. Boismard, Le Prologue de Saint Jean, Cerf, Paris 1953, 136-142. Più
in generale, cf. T. Barosse, The Seven Days of the New Creation in St. John’s Go-
spel, in «Catholic Biblical Quarterly» 21, 1959, 507-516; M. Girard, La structure
heptapartite du quatrième évangile, «Studies in Religion/Sciences Religieuses»
5/4, 1975-1976, 350-359, in part. 354; M. Girard, Analyse structurelle de Jn 1,1-
18: l’unité des deux Testaments dans la structure bipolaire du prologue de Jean,
in «Science et Esprit» 35/1, 1983, 5-31, soprattutto 7-16; L.P. Trudinger, The Se-
ven Days of the New Creation in St. John’s Gospel: Some Further Reflections, in
«The Evangelical Quarterly», 44/3, 1972, 154-158, in part. 156: il “primo giorno”
è quello indicato in Gv 1,19-28, ma con esplicita connessione con la teofania e
la testimonianza proclamata nel Prologo; R. Riesner, Bethany beyond the Jordan
(John 1:28). Topography, Theology and History in the Fourth Gospel, in «Tyn-
dale Bulletin» 38, 1987, 29-63, in part. 45-47. Singolare l’interpretazione di J.
Zumstein, Il Vangelo secondo Giovanni…, I,94-102, che pur rimanendo scettico
sulle interpretazioni simboliche proposte della scansione settenaria della prima
sezione del vangelo giovanneo, scandisce il suo commento adottando la divisione
in giorni: «Il primo giorno» sarebbe descritto in Gv 1,19-28 (cf.); «il secondo
giorno» in 1,29-34 (cf. 103-114); «il terzo giorno» in Gv 1,35-39 (cf. 115-118);
166 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
nologica, ritengo sia del tutto incongruo pensare che il redattore finale
di Giovanni potesse fissare l’incarnazione teofanica del Logos in Gesù
non «in principio», cioè nel primo giorno, ma in un giorno inserito in
una serie, in particolare nel secondo dei sei giorni descritti in Gv 1,19-
2,12. Ebbene, se la prima settimana della missione di Gesù, evidente-
mente strutturata in analogia con l’eptamerone genesiaco per eviden-
ziare l’inizio della nuova creazione nello Spirito, iniziasse con Gv 1,19,
il suo primo giorno risulterebbe privo della descrizione del fondativo
evento teofanico, che risulterebbe piuttosto collocato nel secondo gior-
no, descritto in Gv 1,32-24. Ritengo, piuttosto, che il primo giorno della
creazione, che avvia la scansione settenaria che si conclude con Gv
2,11, sia già quello “descritto” nel Prologo, non a caso aperto dall’«in
principio», in analogia al «dies unus» della creazione della Genesi93. È,
«il quarto giorno» in Gv 1,43-44 (cf. 118-123); seguono gli altri tre giorni che si
concludono in quello del miracolo di Cana (cf. 125-134). Sulla scansione in sette
giorni di Gv 1,19-2,11, in analogia con Gen 1,1-2,4a, simbolicamente finalizzata a
interpretare l’incarnazione redentiva del Logos in Gesù come nuova creazione, cf.
J. Frey, Die johannische Eschatologie. Ihre Probleme im Spiegel der Forschung
seit Reimarus, I, Mohr Siebeck, Tübingen 1997, 196. Quest’interpretazione era
già stata prospettata da E.-B. Allo, L’Évangile spirituel de saint Jean, Cerf, Paris
1944, 75, per il quale comunque l’eptapartizione di Gv 1,1-2,11 «veut souligner
le parallélisme théologique qui existe entre la première création du monde en
sept jours, effectuée par le Verbe de Dieu (cf. Jean 1,1-5) et l’oeuvre du salut
messianique considérée comme une création nouvelle dans le Christ (cf. Jean 1,3,
17). Comme Moïse avait représenté étendue sur sept jours la création de l’univers
matériel, ainsi Jean a tenu, très consciemment à notre avis, à présenter aussi en
une semaine l’introduction dans le monde de la “nouvelle création” prêchée par
saint Paul». Segnalo, in tal senso, l’interessante saggio di J.K. Brown, Creation’s
Renewal in the Gospel of John, in «The Catholic Biblical Quarterly» 72, 2019,
275-290.
93 Sull’inserimento del Prologo stesso nel primo giorno dell’attività di Gesù, cf. l’a-
cuto saggio di H. Saxby, The Time-Scheme in the Gospel of John, in «Expository
Times» 104/1, 1992-1993, 9-13. Sul profondo significato della serie dei giorni,
quindi sul riferimento trasparente ai giorni della creazione della Genesi, cf. Th.L.
Brodie, The Gospel According to John. A Literary and Theological Commentary,
Oxford University Press, New York-Oxford 1993, i parr. «Reflecting Creation…»
e «And Evoking the Resurrection», 130-132; Brodie conclude: «The essential
point is that, beginning with the prologue, the various chronological references in
1:1-2:22 help to weave the entire text into a unity, a unity which in various ways,
including the evoking of the resurrection, both reflects and surpasses the harmo-
nious seven-day unity of the first account of creation» (132). Già F. Quiévreux,
La structure symbolique de l’Évangile de Saint Jean, in «Revue d’Histoire et de
Philosophie Religieuses» 33, 1953, 123-165: «Nous noterons que le premier jour
va du verset 1 au verset 28 et qu’il a comme thème la lumière, ainsi que le récit
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 167
du premier jour dans la Genèse. Les mots “le lendemain”, qui se trouvent répétés
aux versets 29, 35 et 43, marquent le début de chacun des “jours” suivants. On
arrive ainsi au quatrième jour. Le récit des noces de Cana est ensuite situé dans
le temps de la manière suivante: “et, le troisième jour, il se fit des noces à Cana
de Galilée” (2, 1). L’expression “le troisième jour”, dans la manière de compter
le temps chez les Grecs, est équivalente à l’expression “trois jours après”. Si l’on
additionne ces trois jours avec les quatre jours précédents, on retrouve bien les
sept jours de la nouvelle création. Le nombre 7, dans l’évangile de Jean, tire sa
signification symbolique du récit de la Genèse. Le sens qui lui est attaché est celui
de la perfection divine. Dieu, ayant achevé au septième jour son œuvre, a béni le
septième jour et l’a sanctifié (Gn 2, 3)» (130-131).
94 «Io sono la luce del mondo (ἐγώ εἰμι τὸ φῶς τοῦ κόσμου); chi segue me, non
camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (τὸ φῶς τῆς ζωῆς)» (Gv
8,12); «Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo (φῶς εἰμι τοῦ κόσμου)»
(9,5); «Io come luce sono venuto nel mondo (ἐγὼ φῶς εἰς τὸν κόσμον ἐλήλυθα)»
(12,46). Cf. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,304-309; R.A. Cul-
pepper, The Prologue as Theological Prolegomenon…, 6-9.
95 «La folla gli rispose: “Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in
eterno (ὁ Χριστὸς μένει εἰς τὸν αἰῶνα); come dunque tu dici che il Figlio dell’Uo-
mo deve essere elevato (πῶς σὺ λέγεις ὅτι δεῖ ὑψωθῆναι τὸν υἱὸν τοῦ ἀνθρώπου;)?
Chi è questo Figlio dell’Uomo? (τίς ἐστιν οὗτος ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου;)”. Gesù, al-
lora disse loro: “Ancora per poco tempo la luce è con voi (τὸ φῶς ἐν ὑμῖν ἐστι)”…
Mentre avete la luce (ὡς τὸ φῶς ἔχετε) credete nella luce, per diventare figli della
168 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
identificato con colui che è disceso dal cielo96, quando la Luce che è
vita97 è discesa dal cielo nell’uomo Gesù, quindi nel mondo, nel quale
Cristo la porta e la rivela? Come non ricordare alcune affermazioni del
Prologo? «In lui [nel Logos] era la vita e la vita era la luce degli uomi-
ni (ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων). La luce splende nelle tenebre…
Veniva nel mondo la luce vera (τὸ φῶς τὸ ἀληθινόν… ἐρχόμενον εἰς
τὸν κόσμον)» (1,4 e 9). È ormai evidente che è al Prologo che occorre
tornare.
luce (ἵνα υἱοὶ φωτὸς γένησθε)» (Gv 12,34-36). Cf. 3,19: «La luce è venuta nel
mondo (τὸ φῶς ἐλήλυθεν εἰς τὸν κόσμον)»; l’affermazione segue di pochi versetti
quella relativa al Figlio dell’Uomo disceso dal cielo, citata nella nota qui sotto.
96 «Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’Uomo che è disceso
dal cielo (ὁ ἐκ τοῦ οὐρανοῦ καταβάς, ὁ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου)» (Gv 3,13). Cf. 6,62:
«E se vedeste il Figlio dell’Uomo salire là dov’era prima? (ἐὰν οὖν θεωρῆτε τὸν
υἱὸν τοῦ ἀνθρώπου ἀναβαίνοντα ὅπου ἦν τὸ πρότερον;) È lo Spirito che dà la vita
(τὸ πνεῦμά ἐστιν τὸ ζῳοποιοῦν), la carne non giova a nulla; le parole che vi ho
dette sono Spirito e vita (τὰ ῥήματα ἃ ἐγὼ λελάληκα ὑμῖν πνεῦμά ἐστιν καὶ ζωή
ἐστιν)»; e 1,51: «Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul
Figlio dell’Uomo».
97 «Così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo (ὑψωθῆναι δεῖ τὸν υἱὸν τοῦ
ἀνθρώπου), perché chiunque creda in lui abbia la vita eterna (ἵνα πᾶς ὁ πιστεύων
ἐν αὐτῷ ἔχῃ ζωὴν αἰώνιον)» (Gv 3,14-15). «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna»
(3,36). «Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la
vita in se stesso (καὶ τῷ υἱῷ ἔδωκεν ζωὴν ἔχειν ἐν ἑαυτῷ)» (5,26). «Il pane di Dio
è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo (ὁ καταβαίνων ἐκ τοῦ οὐρανοῦ
καὶ ζωὴν διδοὺς τῷ κόσμῳ)… Questa è la volontà del Padre mio, che chiunque
vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna (ζωὴν αἰώνιον)… Io sono il pane
disceso dal cielo (ἐγώ εἰμι ὁ ἄρτος ὁ καταβὰς ἐκ τοῦ οὐρανοῦ)» (6,33 e 40-41).
«Io sono la via, la verità e la vita (ἐγώ εἰμι ἡ ὁδὸς καὶ ἡ ἀλήθεια καὶ ἡ ζωή)»
(14,6); cf. 17,2-3.
98 S. Brown, John the Baptist: Witness and Embodiment of the Prologue in the
Gospel of John, in Ch.W. Skinner (ed.), Characters and Characterization in the
Gospel of John, T&T Clark, London 2013, 147-164, in part. 163.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 169
99 «The Prologue is concerned with the entry of Wisdom – the Logos – into the
world of men» (J. Ashton, Undestanding the Fourth Gospel…, 536).
100 Cf. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, I,275-279; e M. Hooker, John
the Baptist and the Johannine Prologue…: «They [le inserzioni e le testimonianze
del Battista nel Prologo] refer to the historical “event” of Jesus Christ, that is, to
the appearance of the Logos among men… Within the Prologue, the references
to John the Baptist serve to link the subsequent historical statements with the
metaphysical truths there outlines: they make clear that it is Jesus who is the true
light which gives light to men, and who is the full revelation of God» (357-358).
Cf. J. Zumstein, Il vangelo secondo Giovanni…, I,81.
101 «It is probable that the Gospel did not originally include the Prologue. It probably
began with a briefer way of introducing Jesus in connection with the witness of
the Baptist, like the beginning of Mark; traces of this original opening survive
in 1,6-8, 1,15» (B. Lindars, The Gospel of John, Eerdmans-Marshall, Morgan
& Scott, Grand Rapids-London 1972, 76). Cf. M.-E. Boismard, Le Prologue de
St. Jean, Cerf, Paris 1953, 39-41; J.A.T. Robinson, The Relation of the Prologue
to the Gospel of St John…; R.E. Brown, Giovanni…, 39; J. Ashton, Undestan-
ding the Fourth Gospel…, 156-157; J.F. McGrath, Prologue as Legitimation…,
100-101.
170 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
102 Cf. G. Lettieri, L’ultimo nel primo. L’uomo ad immagine e somiglianza nella tra-
dizione cristiana primitiva e patristica, in A. Melloni e R. Saccenti (edd.), In
the Image of God. Foundations and Objections within the Discourse on Human
Dignity. Proceedings of the Colloquium at Bologna and Rossena (July 2009) in
Honour of Pier Cesare Bori, Berlin 2010, 127-215, in part. 128-133: Gesù è ti-
pologicamente restituito, in Mc 1,9-12, come nuovo Adamo, nuovo Mosè, nuovo
Elia.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 171
103 Cf. D. Boyarin, The Gospel of the Memra: Jewish Binitarianism and the Prolo-
gue to John, in «HTR» 94/3, 2001, 243-284, in part. 267-279: il Prologo sareb-
be un «targumic midrash» di Gen 1-5, sicché Gv 1,1-5 ritratterebbe «a common
“Jewish” theologoumenon» (271) di natura sapienziale, che Gv 1,6-18 adattereb-
be alla figura storica di Gesù in Gv 6-18 (cf. in part. 272). Cf. anche D. Boyarin,
Borderlines. The Partition of Judaeo-Christianity, University of Pennsylvania
Press, Philadelphia 2004, cap. 4, «The Intertextual Birth of the Logos: The Prolo-
gue to John as a Jewish Midrash», 89-111: La «gradation, “In the beginning was
the Word, and the Word was God”, can easily be accounted for as an expansion of
the formal rhetorical pattern found in the first verse of Genesis; “In the beginning
God created the heaven and the earth, and the earth was without form and void”»
(96); cf. 102-105. Segnalo, inoltre, J. Painter, Rereading Genesis in the Prologue
of John?, in D.E. Aune, T. Seland, J.H. Ulrichsen (edd.), Neotestamentica et Phi-
lonica: Studies in Honor of Peder Borgen, Brill, Leiden 2003, 179-201, in part. il
par. «The Targumic Character of the Prologue», 180-183. «This poet, in crafting
the Prologue, had one eye fixed on the Genesis account of creation… and the other
eye fixed on the stories about Jesus» (P.S. Minear, Christians and the New Crea-
tion…, 83). Cf. J.K. Brown, Creation’s Renewal in the Gospel of John…: «His use
of λόγος evokes the recurring Genesis language of “God said” in the creative acti-
vity (εἶπεν ὁ θεός [Gen 1:6, 9, 14, 20, 24, 26, 28 LXX])» (277). «Every assertion
regarding the ensarkos logos in the Prologue’s final five verses, with the exception
of the incarnation itself, is true of the targumic memra» (C.A. Evans, Word and
Glory. On the Exegetical and Theological Background of John’s Prologue, JSOT
Press/Sheffield Academic Press, Sheffield 1993, 121); cf. 121-129.
104 Cf. il fondamentale studio di A. Orbe, A propósito de Gen. 1,3 (fiat lux) en la
exegesis de Taciano, in «Gregorianum» 42/3, 1961, 401-443, in part. 430-440;
inoltre, J.C.M. Winden, In the Beginning: Some Observations on the Patristic
Interpretations of Genesis 1,1, in «Vigiliae Christianae» 17, 1963, 105-121, quin-
di in J.C.M. Winden, Arché. A Collection of Patristic Studies, Brill, Leiden-New
York-Köln 1997, 61-77; J.C.M. Winden, In the Beginning: Early Christian Exe-
gesis of the Term arché in Genesis 1:1, Leiden 1967, quindi in Archè…, 78-93; il
notevole volume collettaneo In principio. Interprétations des premiers versets de
la Genèse, Institut des Études Augustiniennes, Paris 1973, in part. il saggio di P.
Nautin, Genèse 1,1-2 de Justin à Origène, 61-93; M. Coloe, The Structure of the
Johannine Prologue and Genesis 1…, 40-55.
105 «The evangelist cites the first words of Genesis 1 from the LXX, Ἐν ἀρχῇ (“in
the beginning”), and by so doing evokes the story of creation as the starting place
for his Gospel about Jesus. Not only does John introduce the themes of life and
172 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Dio disse: “Sia la luce”. E la luce fu (καὶ εἶπεν ὁ θεός: “Γενηθήτω φῶς”. Kαὶ
ἐγένετο φῶς: sec. LXX) (Gen 1,3)106.
light (ζωὴ and φῶς [1:4-5]), which are clearly derived from Genesis 1 (vv. 3, 14,
20, 24 LXX), but his use of λόγος evokes the recurring Genesis language of “God
said” in the creative activity (εἶπεν ὁ θεός [Gen 1:6, 9, 14, 20, 24, 26, 28 LXX]).
Certainly, the language of all things coming into existence via the λόγος (John
1:3) directly connects John’s introduction to the creation account of Genesis 1»
(J.K. Brown, Creation’s Renewal in the Gospel of John, in «The Catholic Biblical
Quarterly» 72, 2019, 275-290, in part. 277). «Gen 1,3 forms the background for
the term [Logos]… Gen 1,3 presents the most probable foundation for the term
Logos in the Prologue of John» (P. Borgen, Logos was the True Light…, p. 119 e
120); cf. p. 129.
106 «Gen 1,3 forms the background… and the most probable foundation for the term
Logos in the Prologue of John» (P. Borgen, Logos was the True Light. Contribu-
tions to the Intepretation of the Prologue of John, in «Novum Testamentum» 14,
1972, pp. 115-130, in part. pp. 118-119, in part. 119 e 120); cf. p. 129; P. Borgen,
Observations on the Targumic Character of the Prologue of John, in «New Te-
stament Studies» 16, 1970, pp. 288-295; e; infine P. Borgen, “John the Witness”
and the Prologue: John 1:1-34(37), in The Gospel of John: More Light from Phi-
lo, Paul and Archaeology, Brill, Leiden-Boston 2014, pp. 219-238. Ma cf. già
R.E. Brown, Giovanni…, p. 4: «Nella Bibbia ebraica il primo libro (Genesi) è
chiamato, dalle parole con cui si apre, “In principio”; perciò il parallelo tra il
Prologo e la Genesi era facilmente riconoscibile. Il parallelo continua nei versetti
seguenti, dove i temi di creazione e di luce e tenebre sono ripresi dalla Genesi».
Segnalo come P. Borgen, Logos was the True Light…, p. 120, rimandi a Filo-
ne, De somniis I,75. Ebbene, De somniis I,72-76 è davvero testo di straordinario
interesse, in quanto connette l’uomo ad immagine con il logos divino e la luce
primordiale di Dio, con esplicito riferimento al Fiat lux di Gen 1,3: «Dio è luce
(ὁ θεὸς φῶς ἐστι)… e non solo luce, ma archetipo di ogni altra luce (καὶ οὐ μόνον
φῶς, ἀλλὰ καὶ παντὸς ἑτέρου φωτὸς ἀρχέτυπον) o, meglio ancora, più antico e
più eccelso di ogni archetipo, perché Egli ha la ragione dell’archetipo (μᾶλλον
δὲ παντὸς ἀρχετύπου πρεσβύτερον καὶ ἀνώτερον, λόγον ἔχον παραδείγματος).
Modello infatti è la sua Parola pienamente compiuta (τὸ μὲν γὰρ παράδειγμα ὁ
πληρέστατος ἦν αὐτοῦ λόγος), che è luce (φῶς); si legge, infatti, nel testo sacro:
«Dio disse: “Sia fatta la luce”» (Gen 1,3); mentre Egli non è simile a nessuna cosa
creata (”εἶπε” γάρ φησιν “ὁ θεός· γενέσθω φῶς” (Gen 1, 3) –, αὐτὸς δὲ οὐδενὶ τῶν
γεγονότων ὅμοιος)» (I,75). Sul rapporto tra il prologo e speculazioni giudaico-
ellenistiche, quindi per una rilevante analisi dei paralleli con Filone, cf. T. Tobin,
The Prologue of John and Hellenistic Jewish Speculations, in «CBQ» 52, 1990,
252-269.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 173
rispetto alla quale si separa (cf. Gen 1,3), distinguendosi dalle acque pri-
mordiali, sulle quali originariamente lo Spirito aleggia (cf. Gen 1,2) e che
la luce trascende. Ebbene, proprio la connessione tra “parola” della «luce»
e «tenebre» “riappare” in Gv 1,5: «La luce splende nelle tenebre (τὸ φῶς
ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει)». La ritrattazione della Genesi è del tutto lampante107.
Si potrebbe obiettare: mentre Gen 1,3 afferma la creazione della luce da
parte di Dio, il Prologo identifica la Luce con il Logos divino, cioè con il
Figlio che è dio presso il Dio (Gv 1,1-2); d’altra parte, già in Proverbi 8 la
Sapienza era definita creata da Dio, pur essendole attribuito il ruolo divino
di “architetto” della creazione, quindi di vivificatrice del mondo:
pienza, così l’Unigenito che è il Logos vede il volto di Dio e per questo
può rivelarlo109. Non è possibile, pertanto, prescindere dal rapporto con
Proverbi 8 nella valutazione del Prologo giovanneo, tanto più che, in Prov
9,1-5, non soltanto si legge che «la Sapienza si è costruita la casa (sec.
LXX: ἡ σοφία ᾠκοδόμησεν ἑαυτῇ οἶκον), ha intagliato le sue sette colonne
[dunque la sua casa è presso Israele]» (1), ma anche che in essa offre il suo
pane e il suo vino:
che non ad alcunché di puramente ellenistico. Nel pensiero del teologo del Pro-
logo la parola creativa di Dio, la parola del Signore che era rivolta ai profeti, è
divenuta personale in Gesù, che è l’incarnazione della rivelazione divina» (1470).
Per un’approfondita analisi dei testi sapienziali – Gb 28; Prv 1-9; Bar 3,9-4,4; Sir
1; 4,11-19; 6,18-31; 14,20-15,10; 24; Sap 6-10 –, a partire dai quali interpretare
il Prologo e la teologia giovannei, cf. ancora R.E. Brown, Giovanni…, CXLVIII-
CLIII; sottolineo come Brown consideri una lettura sapienziale di Cristo rivela-
tore già presente nei sinottici, in part. in Mt 11,25-27; Lc 10,21-22: cf., in part.,
CLII-CLIII.
109 «Dio nessuno l’ha mai visto (θεὸν οὐδεὶς ἑώρακεν πώποτε): proprio il Figlio uni-
genito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (μονογενὴς θεὸς ὁ ὢν εἰς τὸν
κόλπον τοῦ πατρὸς ἐκεῖνος ἐξηγήσατο)» (Gv 1,18).
110 Cf. Filone, Quis rerum divinarum heres sit, 79: «Israele alza gli occhi verso l’etere
e le rivoluzioni del cielo; egli ha imparato a guardare verso la manna, che è il
Logos divino, cibo celeste ed incorruttibile dell’anima amante della contempla-
zione (εἰς τὸ μάννα ἀφορᾶν, τὸν θεῖον λόγον, τὴν οὐράνιον ψυχῆς φιλοθεάμονος
ἄφθαρτον τροφήν)».
111 Mi limito a citare due soli brani: «[La sapienza] è un’emanazione della poten-
za di Dio (ἀτμὶς γάρ ἐστιν τῆς τοῦ θεοῦ δυνάμεως), un effluvio genuino della
gloria dell’onnipotente (ἀπόρροια τῆς τοῦ παντοκράτορος δόξης εἰλικρινής)…
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 175
È un riflesso della luce perenne (ἀπαύγασμα γάρ ἐστιν φωτὸς ἀιδίου), uno spec-
chio senza macchia dell’attività di Dio e un’immagine della sua bontà (εἰκὼν τῆς
ἀγαθότητος αὐτοῦ)» (Sap 7,25-26); «Dio dei padri e Signore dei misericordia, che
tutto hai creato con la tua parola (ἐν λόγῳ σου) e che con la tua sapienza (καὶ τῇ
σοφίᾳ) hai formato l’uomo» (9,1-2).
112 Cf. J. R. Harris, The Origin of the Prologue to St. John’s Gospel…, 25-26.
113 «Lungo i secoli la Sapienza aveva eclissato la Parola di JHWH. Nel suo Prologo
Gv fa riapparire il “dabár”, posto in ombra nella sistematizzazione biblica più
recente… Tra il Prologo e la tradizione sapienziale non c’è quindi soltanto con-
tinuità in quanto intuizione della venuta “concreta” di Dio, per salvare il mondo
degli uomini; c’è anche una discontinuità, ma una discontinuità feconda di senso:
il Logos non poteva essere identificato con una legge che in lui avrebbe preso
figura, con un progetto, fosse pure divino, o con una scrittura, per quanto ispirata.
Il Logos dice ciò che la Legge intendeva essere fin dalle sue origini, cioè una
rivelazione vivente e personale di Dio con gli uomini» (X. Leon-Dufour, Lettura
del Vangelo secondo Giovanni…, 100-101).
114 Qui mi limito a riportare un brano davvero straordinario di Filone, che ricapitola
tutti i principali nomi o le più significative figure di mediazione, che, comunque,
non riescono ad aggregarsi ipostaticamente nell’ipostasi del Figlio come secon-
do dio, tant’è che il Logos stesso viene qui indicato come Arcangelo: «Coloro
che hanno conoscenza dell’Uno sono a giusta ragione chiamati “figli di Dio”…
E se anche ci fosse qualcuno che non è ancora degno di essere chiamato “fi-
glio di Dio”, si affretti a mettersi in sintonia con il suo primogenito, il Logos
(κατὰ τὸν πρωτόγονον αὐτοῦ λόγον), il più venerabile degli angeli (τὸν ἀγγέλων
176 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
116 Cf. C.K. Barrett, The Gospel According to St. John. An Introduction with Com-
mentary and Notes on the Greek Text, The Westminster Press, Philadelphia 1955,
19782, 153: «Memra is a blind alley in the study of the biblical background of
John’s logos doctrine… [Memra] was not truly a hypostasis but a means of spe-
aking about God without using his name, and thus a means of avoiding the nu-
merous anthropomorphisms of the Old Testament». Cf., in questa prospettiva, J.
Bowman, The Immanence of God: The Shekinah and the Memra, in J. Bowman,
The Fourth Gospel and the Jews. A Study in R. Akiba, Esther and the Gospel of
John, Pikwick Publications, Eugene 1975, 45-99; e R.E. Brown, Giovanni…: «La
Memra del Signore nei Targumin… è un surrogato per indicare Dio stesso….
Non si tratta di una personificazione, ma l’uso di Memra serve, per così dire, da
paraurti per la trascendenza divina» (1470).
117 Sulla restituzione del Logos giovanneo come “traduzione” di memra, cf. il cap.
«Logos of the Fourth Gospel and Memra of the Palestinian Targum (Exod 12:42)»,
in M. McNamara, Targum and New Testament. Collected Essays, Mohr Siebeck,
Tübingen 2001, 439-443; e soprattutto il volume di J. Ronning, The Jewish Tar-
gums and John’s Logos Title, Hendricksen, Grand Rapids 2010. Cf., inoltre, C.C.
Sullivan, Introducing the Incarnate Christ: How John’s Logos Theology Sets the
Stage for the Narrative Development of Jesus’s Identity, in «Canadian Theological
Review» 2/2, 2013, 33-44; J.F. McGrath, Prologue as Legitimation…, 105-106.
Sulla nozione di memra e di altre figure di mediazione, cf. il pionieristico saggio
di G.F. Moore, Intermediaries in Jewish Theology: Memra, Shekinah, Metatron,
in «The Harvard Theological Review» 15/1, 1922, 41-85.
178 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
118 «La teologia dei Vangeli, ben lungi dal costituire un’innovazione radicale nel
contesto della tradizione religiosa israelitica, è un ritorno alquanto conservato-
re ai momenti più antichi della tradizione, nel frattempo soppressi in gran parte
[dall’affermazione di un rigoroso monoteismo], ma non del tutto» (D. Boyarin, Il
vangelo ebraico…, 57); «Tutte le idee riguardanti Gesù sono antiche: la novità è
Gesù. Non vi è nulla di nuovo, nella dottrina del Cristo, salvo la proclamazione di
quest’uomo quale Figlio dell’Uomo… Le idee della Trinità e dell’incarnazione, o
almeno gli embrioni di tali idee, erano già presenti tra i seguaci del credo ebraico
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 179
molto prima che Gesù arrivasse sulla scena per incarnare tali nozioni teologiche e
rispondere alla chiamata messianica» (96-97).
119 «Vengono fatte [in Gv 1,1-3] affermazioni personali sulla “parola”: essa sempli-
cemente “era”, come esiste una persona nella sua autonomia; essa “era presso
Dio”, come sono le persone che stanno insieme; essa “era Dio”, come si descrive
l’essere delle persone. Con l’affermazione di questo carattere personale del Lo-
gos è nettamente tracciata una linea di separazione dalla speculazione sapienziale
giudeo-ellenistica, dalla dottrina sul Logos di Filone, nonché dalle idee gnostiche
di potenze creatrici, che procedono ed emanano l’una dopo l’altra da Dio» (R.
Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni…, 294).
120 «Questa incarnazione in un unico uomo è molto di più delle reiterate incorpo-
razioni della sapienza in molti sapienti. Nel Nuovo Testamento si verificò una
rimitizzazione della sapienza» (G. Theissen, Erleben und Verhalten der ersten
Christen. Eine Psychologie des ersten Christentums, Gütersloher Verlaghaus,
Gütersloh 2007, tr. it. Vissuti e comportamenti dei primi cristiani. Una psicologia
del cristianesimo delle origini, Queriniana, Brescia 2010, 286).
121 «Secondo Paolo, la morte di Gesù contiene in sé in maniera inoppugnabile quel
conflitto che caratterizza essenzialmente la sua teologia, attraverso il contrasto
inconciliabile tra legge e vangelo. Il medesimo stato di fatto è presente in Hebr
13,12ss., ove si parla del morire fuori del campo della comunità del patto. Se
tentiamo di tradurre quest’affermazione in un’immagine moderna, al motivo della
morte di un delinquente si aggiunge quello di colui che muore senza Dio… Se la
croce, la quale oggi è considerata da noi come simbolo della religiosità, veniva
eretta nell’ambiente della lontananza da Dio, la venerazione di colui che vi era ap-
peso era in partenza lo scandalo estremo» (E. Käsemann, Prospettive paoline…,
61-62).
180 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
126 Elemento sapienziale ed elemento apocalittico non possono, certo, essere opposti
astrattamente, tanto più se la storicamente approssimativa categoria di “apocalit-
tica” comporta in sé comunque una pretesa sapienziale di visione e conoscenza
dell’intimo segreto di Dio, spesso identificabile con il destino ultimo del mondo
e della storia. Si assume, piuttosto, qui l’elemento sapienziale come quello chia-
mato a riconoscere l’ordine del mondo fissato dalla creazione o dalla rivelazione
divina, all’interno del quale inserirsi tramite conoscenza e azione; e l’elemento
apocalittico come quello chiamato a prospettare un’ulteriore rivelazione divina,
che corregge o ritratta l’ordine del mondo o ne disvela un segreto ulteriore, un
nuovo ordine/regno-a-venire, donato agli eletti chiamati a un’intimità singolare
con Dio. Chiaramente, la Legge mosaica può essere interpretata sia come elemen-
to apocalittico, che come elemento sapienziale, in quanto assumibile sia come
pura autorivelazione donativa di Dio, sia come ordine fissato dal suo rivelarsi, di-
venuto disponibile al desiderio di assicurazione dell’uomo. Il grado estremo della
ritrattazione apocalittica è chiaramente quello protocristiano, in quanto, proprio
per lo scandaloso presupposto della crocifissione del preteso messia, interpreta la
nuova rivelazione dell’unico Dio come crisi radicale dell’antica economia, della
quale diviene insieme paradossale compimento e superamento polemico.
127 Cf. G. Neyrand, Le sens de “logos” dans le prologue de Jean…, che, insistendo
sull’ispirazione apocalittica del IV vangelo, interpreta il λόγος come “vangelo”,
rivelazione salvifica, quindi in senso totalmente storico ed eventuale, e niente af-
fatto ontologico o protologico. Sin dal primo versetto, pertanto, il testo sarebbe
riferito a Gesù Cristo quale parola rivelatrice: «Le terme logos veut présenter
Jésus-Crist en tant que Parole révélatrice. Il s’agit dès le premier verset de Jésus
incarné. Il n’est pas question d’un Logos éternel» (60), né si farebbe mai rife-
rimento al Logos quale creatore. Il «principio» nel quale opera il Logos sareb-
be, quindi, il principio della predicazione di Gesù e della storia della chiesa (cf.
62-66). In tal senso, Gv 1,14 non affermerebbe una dottrina dell’incarnazione
dell’Unigenito divino preesistente, ma la verità salvifica: «La Révélation, c’est
l’homme Jésus» (70). Quest’interpretazione, che definirei neo-sociniana, non
risulta convincente a) per la sostanziale negazione del riferimento a Gen 1,1-3,
quindi della preesistenza del Logos; b) per non impegnarsi a verificare le sue
tesi con un’interpretazione degli eventi del Giordano, malgrado l’ingombrante
presenza del Battista nel Prologo.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 185
128 «[Il Gesù giovanneo] non trasmette, a differenza del redentore gnostico, misteri
cosmologici e soteriologici…. È quindi evidente che le espressioni mitologiche
hanno perso il loro senso mitologico. Gesù non è presentato davvero come un
essere divino preesistente, venuto sulla terra in figura d’uomo per rivelare misteri
inauditi; la terminologia mitologica ha la funzione di evidenziare il significato as-
soluto e decisivo della sua parola; la rappresentazione mitologica della preesisten-
za è posta al servizio dell’idea di rivelazione… La parola di Gesù è assolutamente
inaccessibile a qualsiasi controllo umano, è parola autoritativa, che pone l’uditore
di fronte alla decisione tra vita e morte… L’incontro con la sua persona chiama
alla decisione l’uomo nella totalità della sua situazione umana» (R. Bultmann,
Theologie des Neues Testaments, Siebeck, Tübingen 1953, 19777, tr. it. Teologia
del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1985, 19922, 394); cf. 337-348 e 372-
381; cf. R. Bultmann, Das Evangelium des Johannes…, 38-39, dedicate all’in-
terpretazione esistenziale giovannea del mito gnostico della rivelazione mondana
del redentore celeste, in riferimento a Gv 1,14; e J. Zumstein, Il Vangelo secondo
Giovanni…, I,82-86. Proprio perché governata dalla logica apocalittica della crisi
radicale della tradizionale rivelazione ebraica avvenuta tramite la singolarità sto-
rica della figura di Gesù, approfondirei la seguente affermazione di G. Theissen,
Vissuti e comportamenti dei primi cristiani…, 286: «Un’immagine divenne un
mito: il Logos si fece carne… Nel Nuovo Testamento si verificò una rimitizzazio-
ne della sapienza [veterotestamentaria]»; specificherei bultmannianamente: per
esaltare la decisione storica per il vangelo di grazia, singolarmente “incarnato” in
Gesù.
129 Gv 10,30 e 38; cf. ovviamente 17,11; 17,20-23.
186 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Dio nessuno l’ha mai visto (θεὸν οὐδεὶς ἑώρακεν πώποτε): proprio il Figlio/
dio unigenito, che è nel seno del Padre (μονογενὴς υἱός/θεὸς ὁ ὢν εἰς τὸν
κόλπον τοῦ πατρὸς), lui lo ha rivelato/dimostrato (ἐκεῖνος ἐξηγήσατο) (Gv
1,18).
130 Cf. L. Devillers, Exégèse et théologie de Jean I,18, in «Revue Thomistique» 89,
1989, 181-217; L. Devillers, Le sein du Père. La finale du prologue de Jean, in
«Revue biblique» 112/1, 2005, 63-79.
131 «Il verbo ἐξηγέομαι significa “raccontare, esporre, comunicare, far conoscere”. Il
suo impiego indica che “con il suo parlare e il suo agire Gesù è l’interpretazione
di Dio nel mondo. Con il suo volto si rivela chi è Dio. È l’interpretazione riuscita
di Dio, la traduzione di Dio nell’ambito dell’umano” (Josef Blank)» (J. Zumstein,
Il Vangelo secondo Giovanni…, I,91).
132 «Voi non conoscete né me né il Padre (Οὔτε ἐμὲ οἴδατε οὔτε τὸν πατέρα μου); se
conosceste me, conoscereste anche il Padre mio (εἰ ἐμὲ ᾔδειτε, καὶ τὸν πατέρα μου
ἂν ᾔδειτε)… Come mi ha insegnato il Padre, così io parlo (καθὼς ἐδίδαξέν με ὁ
πατὴρ ταῦτα λαλῶ)» (Gv 8,19 e 8,28). La conoscenza di Cristo: «Questa è la vita
eterna (αὕτη δέ ἐστιν ἡ αἰώνιος ζωή): che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui
che hai mandato Gesù Cristo (ἵνα γινώσκωσιν σὲ τὸν μόνον ἀληθινὸν θεὸν καὶ
ὃν ἀπέστειλας Ἰησοῦν Χριστόν)… La tua parola è verità (ὁ λόγος ὁ σὸς ἀλήθειά
ἐστιν)» (17,3 e 17,17). Se il Padre è l’unico Dio, questi è conoscibile unicamente
tramite la sua rivelazione nel Figlio, che è il Logos che è verità.
133 Cf. Gv 5,39-40; 5,45-47, con il riferimento a Mosè e alla Scrittura come prova
della divinità e della rivelazione escatologica del Figlio.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 187
134 Cf. Gv 12,46 e 48: «Io come Luce sono venuto nel mondo (ἐγὼ φῶς εἰς τὸν
κόσμον ἐλήλυθα), perché chiunque creda in me non rimanga nelle tenebre (ἵνα
πᾶς ὁ πιστεύων εἰς ἐμὲ ἐν τῇ σκοτίᾳ μὴ μείνῃ )… Chi mi respinge e non accoglie
le mie parole (ὁ ἀθετῶν ἐμὲ καὶ μὴ λαμβάνων τὰ ῥήματά μου ἔχει), ha chi lo con-
danna (τὸν κρίνοντα αὐτόν): la parola che ho annunziato lo condannerà l’ultimo
giorno (ὁ λόγος ὃν ἐλάλησα ἐκεῖνος κρινεῖ αὐτὸν ἐν τῇ ἐσχάτῃ ἡμέρᾳ)» (Gv 12,46
e 12,48). Se Cristo annuncia il vangelo, quindi le sue parole che sono il suo logos
annunziato, e se il vangelo/logos si risolve in Gv nell’annuncio di Cristo stesso, il
logos/Logos sarà il giudice escatologico.
135 Malgrado Gv non utilizzi mai il termine εἰκών, il Figlio Luce e “interprete” del
Padre richiama il paolino Cristo Gloria e Immagine illuminante (cf. 2Cor 2,18 e
4,4), nella quale sono incorporati e trasfigurati i credenti, fruendo dello Spirito
escatologico. Cf., in proposito, S. Kim, The Origin of Paul’s Gospel, Mohr Sie-
beck, Tübingen 1981, 19842, 140-144. Tornerò più avanti sul parallelo tra Gv e 2
Cor 3-4.
188 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
della rivelazione del Logos nella Legge o nella “natura” umana creata ad
immagine138. Insomma, sin da “il prologo del Prologo” in cielo di 1,1-3139,
il Prologo gravita tutto intorno all’incarnazione del Logos, quindi alla sua
storica venuta nascosta nel mondo nella persona di Gesù, misconosciu-
ta dagli ebrei («i suoi (οἱ ἴδιοι)»), identificati con le tenebre del mondo,
ma che Giovanni ha, per dono di Dio, riconosciuta, vista e testimoniata.
La stessa irruzione della «vita [che] era la luce degli uomini» (1,4) è, in
realtà, riferita al Logos, quindi al vivificante venire storico della Luce di
1,5, con il suo redentivo risplendere (escatologico e non ontologico) tra gli
uomini140. L’irruzione del presente141, che interrompe la serie degli imper-
310); comunque, nella sua proposta di tripartizione del Prologo, Gv 1,5 viene
assegnato alla sua prima sezione (1-5), quella che tratterebbe de «l’essere pree-
sistente del Logos» (283); seppure non escluda che «l’evangelista», rielaborando
un inno preesistente, abbia voluto «richiamare fin da principio l’attenzione sul
Λόγος ἔνσαρκος, perché nel suo vangelo tutto l’interesse è rivolto all’accetta-
zione o al rifiuto del Figlio di Dio fatto uomo, alla fede o all’incredulità in Gesù
Cristo» (285). Analoga l’interpretazione di J. Ashton, Understanding the Fourth
Gospel…: «The present tense in v. 5 (φαίνει), ‘shines’, which has puzzled many
commentators, does not indicate the bright start of a new age, but a continuous
illumination that finally flames out in the incarnation of the Logos» (389). Altret-
tanto ambigua risulta l’interpretazione di X. Leon-Dufour, Lettura del vangelo
secondo Giovanni (capitoli 1-4)…, 132-136: «“La luce brilla nelle tenebre”. Il
testo allude certamente alle infedeltà che tanto spesso i profeti avevano rimpro-
verato a Israele e sulle quali Dio trionfava sempre nuovamente; anticipa inoltre
eventi accaduti durante la vita di Gesù e la vittoria di Dio che risuscita il suo
Figlio: infine tiene viva nella mente del lettore l’esperienza dei cristiani che co-
statavano l’accecamento di un gran numero di persone di fronte a Gesù, mentre la
loro comunità fraterna continuava a irradiare attorno a sé la fede e l’amore (1Gv
2,8). La tenebra rimane sempre presente, ma non ha arrestato la luce, non più di
quanto l’arresti ancor oggi» (135). Nettamente più orientato a interpretare Gv 1,5
in riferimento all’incarnazione del Logos, malgrado sottolinei l’ambiguità inten-
zionale dell’espressione, è D.A. Carson, The Gospel According to John, Apollo/
Eerdmans, Leicester/Grand Rapids 1991, 119-120.
142 Il consenso è, in proposito, autorevolissimo: cf. R. Bultmann, Das Evangelium
des Johannes…, 25-27 e 32-33; in part.: «Von der gegenwärtigen Offenbarung ist
die Rede…», sicché la resistenza delle tenebre al rivelarsi della Luce è interpre-
tato «als Ablehnung des fleischgewordenen Offenbarers» (25); «Was 1,14 durch
die Identifikation des Logos mit dem Menschen Jesus behauptet wird, wird also
schon hier deutlich: in Jesus ist nicht ein anderes Licht erschienen als das, welches
in der Schöpfung immer schon leuchtete… Daß in diese Welt der Finsternis das
Licht der Heilsoffenbarung scheine, sagt 1,5a» (27-28). «Es gibt schlechterdings
kein durchschlagendes Argument dafür, daß [vv.] 5-13 jemals auf etwas ande-
res als die geschichtliche Epiphanie des Offenbarers bezogen worden sein» (E.
Käsemann, Aufbau und Anliegen des johanneischen Prologs, in W. Matthias e E.
Wolf (edd.), Libertas Christiana, Kaiser, München 1957, 75-99, quindi in Exege-
tische Versuche und Besinnungen, II, Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 1964,
155-180, in part. 166). Opportunamente Haenchen connette l’interpretazione di
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 191
146 Rovescio, pertanto, l’argomentazione di R.E. Brown, Giovanni…, 37: «Colui che
ha curato l’edizione del Prologo ha inserito un riferimento a Giovanni il Battista
dopo il v. 5 e difficilmente si può immaginare che egli avrebbe introdotto Gio-
vanni il Battista dopo aver descritto il ministero di Gesù e i suoi effetti. Evidente-
mente il redattore pensava che gli accenni alla venuta di Gesù cominciassero nel
v. 10; egli mise la venuta di Giovanni Battista nei vv. 6-8 prima della venuta di
Gesù e si servì del v. 9 per collegare Giovanni il Battista col momento di quella
venuta… Questa obiezione vale anche contro la teoria di Käsemann, che vede un
riferimento alla venuta di Gesù non nel v. 4, ma in 5, che egli unisce a 10, e contro
la teoria di Bultmann, che fa cominciare l’opera del rivelatore nella storia col v.
5, che egli unisce a 9». Brown, però, trascura un fatto a mio parere probante: il
Battista è presentato da Gv soltanto come testimone, niente affatto come profeta o
precursore, ed esplicitamente, in Gv 1,34, la testimonianza viene fatta dipendere
dall’avere prima visto lo Spirito/Luce discendere su Gesù».
147 «He is not the “forerunner” (as depicted in the Synoptics), but merely a witness
(1:6-8,15; 1:19ff; 3:22ff). The phrase ἀπεσταλμένος παρὰ θεοῦ confirms his au-
thorisation as a witness… Neither the Baptist nor his baptism has any independent
significance; they exist in order to bear witness to Christ, who alone takes away
sin and also confers the Spirit» (D.G. van der Merwe, The historical and theolo-
gical significance of John the Baptist as he is portrayed in John 1, in «Neotesta-
mentica» 33/2, 1999, 267-292, in part. 271 e 285).
194 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
prosecuzione dei versetti 1,9-14 torna a trattare dell’epifania del Logos, che
annuncia come incarnato, ormai identificatosi con la carne/l’uomo Gesù148.
D’altra parte, tale è la radicalità con la quale il messia “disputato” è
retroproiettato ed esaltato nella protologica intimità con il Padre, da provo-
care un effetto di ritrattazione nel protologico del dispositivo escatologico-
messianico. Questo comporterà una rapidissima lettura prevalentemente
ontologica del Prologo, come testimonieranno gli gnostici (sui quali tor-
nerò più avanti), Origene, i teologici trinitari del IV secolo, Agostino stes-
so. Ciononostante, la drammatica scaturigine storica del Figlio dell’Uomo
continuerà a segnare in profondità la stessa ontologia binitaria, quindi tri-
nitaria, governandone la rivoluzionaria interpretazione estatica ed escato-
logica, che altera Dio nella sua stessa intimità, rivelandolo in sé soltanto
con l’altro e per l’altro.
149 Giovanni, «d’accordo con i sinottici, inizia il racconto su Gesù di Nazaret con
l’attività di Giovanni Battista, ma trasforma profondamente la tradizione comu-
ne. Secondo questa tradizione, la vita pubblica di Gesù viene introdotta da un
trittico: la predicazione di Giovanni, il battesimo di Gesù e la tentazione di Gesù.
In Giovanni il predicatore diventa un testimone, il battesimo di Gesù viene indi-
rettamente evocato attraverso l’esperienza del Battista, la scena della tentazione
è del tutto scomparsa. Il trittico tradizionale è sostituito da tre quadri [descritti in
Gv 1,19-2,12] che, nella loro successione, formano una unità letteraria» (X. Leon-
Dufour, Lettura del Vangelo secondo Giovanni…, 215).
150 Comunque, per G. Richter, Zu den Tauferzählungen Mk 1,9-11 und Joh 1,19-34…,
la discesa dello Spirito dal cielo senza il risuonare della voce attesterebbe una tradi-
zione anteriore alla definizione sinottica della scena battesimale: cf. 319-321; 326.
196 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
him”) would sound like variant expressions of the same event. For converts who
had come out of a Hellenistic Judaism that used Wisdom, Word, Son, and Holy
Spirit interchangeably, “the Word became flesh” would equal “the Spirit descen-
ded and remained on Jesus”. If so, then in Johannine Christianity the incarnation
must have been assumed to have taken place in connection with the water of
John’s baptism» (Ch.H. Talbert, “And the Word Became Flesh”: When?..., 135).
Stranamente Talbert non fa qui riferimento al termine Luce (φῶς), né al termine
Uomo (ἄνθρωπος, φώς), come termini teologicamente interscambiabili con Lo-
gos, Sophia, Spirito Santo, etc…
154 «Paul himself was accustomed to speak of the spirit as “life-giving” (1Cor 15.45;
2Cor 3.6), and that was not a peculiarity of his. It was a belief shared by other
New Testament writers (Jn 6.63; 1Pt 3.18), by Philo (Op. mundi 30; Quaest in Gen
1.4; 2.8; 4.5), and by the writer of the Wisdom of Salomon (15.11). They inherited
from the Septuagint the idea of a πνεῦμα ζωῆς (Gen 6.17; 7.15; Ezek 1.21; 10.17;
37.5 (as v.1 in 10); Jdt 10.13-=”living person”). This association of “spirit” and
“life” is all too intelligible: as πνεῦμα in the sense of “breath” marked the presen-
ce of life, it is a very natural image» (A.J.M. Wedderburn, Baptism and Resurrec-
tion. Studies in Pauline Theology against Its Graeco-Roman Background, Mohr
Siebeck, Tübingen 1987, 275; cf. 294-295).
198 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
155 «È lecito pensare che lo Spirito e la potenza venuta da Dio altro non siano che
il Logos (τὸ πνεῦμα οὖν καὶ τὴν δύναμιν τὴν παρὰ τοῦ θεοῦ οὐδὲν ἄλλο νοῆσαι
θέμις ἢ τὸν λόγον), che è anche il primogenito di Dio (ὃς καὶ πρωτότοκος τῷ θεῷ
ἐστι)» (Giustino, I Apologia 33, 6). «Jesus originated as the Logos (1:1ff.), he
returns as the Spirit (14:18; etc.), and therefore Logos and Spirit are virtually two
ways of expressing a similar thought» (G.M. Burge, The Anointed Community:
the Holy Spirit in the Johannine Tradition, Eerdmans, Grand Rapids 1987, 113).
Descrivendo la katabasis cristologica giovannea, M. Theobald, Die Fleischwer-
dung des Logos…, ha utilizzato la felice formula di «Doppelgängerschaft von
Logos (1,1f.14) und Pneuma (1,32f)» (50).
156 Corrispondente alla descrizione giovannea del discendere e del rimanere dello
Spirito di Gesù è la rilevantissima notizia geronimiana sul vangelo giudeocri-
stiano dei “Nazarei”: «Nel vangelo scritto in ebraico che leggono i Nazarei…
troviamo scritto: «Ora, quando il Signore fu uscito dall’acqua, discese l’intera
sorgente dello Spirito Santo, si riposò su di lui e gli disse: “Figlio mio, io ti attesi
in tutti i profeti, perché tu venissi ed io mi potessi riposare su di te. Tu difatti sei la
mia requie. Tu, il Figlio mio primogenito, che regni in eterno” (Porro in evangelio,
cuius supra fecimus mentionem, haec scripta reperimus: “Factum est autem cum
ascendisset dominus de aqua, descendit fons omnis Spiritus Sancti, et requievit
super eum, et dixit illi: Fili mi, in omnibus prophetis exspectabam te, ut venires,
et requiescerem in te. Tu es enim requies mea, tu es filius meus primogenitus,
qui regnas in sempiternum”» (Vangelo dei “Nazarei”, frammento in Girolamo,
Commento ad Isaia, IV,11,1-2).
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 199
3) Il contenuto della voce celeste, che nei sinottici proclama Gesù come «il
mio Figlio prediletto (ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός)» (Mc 1,11), viene “messo
in bocca” al Battista che, indicandolo come colui che «era prima di me»
(Gv 1,15)157, lo ritratta nella formula più radicale di «Figlio Unigenito
(μονογενής) che è nel seno del Padre» (Gv 1,14 e 18). Segnalo come, in
Gv 13,23, si descriva «reclinato sul petto di Gesù il discepolo che Gesù
amava (ἀνακείμενος… ἐν τῷ κόλπῳ τοῦ Ἰησοῦ, ὃν ἠγάπα ὁ Ἰησοῦς)»,
ove l’essere nel κόλπος è utilizzato appunto come metafora per indicare
colui che è «amato (ἀγαπητός)» più di ogni altro. Dire che il Figlio è
nel seno del Padre significa allora dire che egli è l’ἀγαπητός, il nome
disceso dal cielo, con il quale i sinottici salutano la manifestazione del
messia al Giordano. Il Figlio prescelto come Messia salvifico diviene
eternamente “eletto” come Figlio preesistente del Padre, che Giovanni
Battista proclama come Logos, Luce divina e Gloria incarnata158. Lo
stare del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre viene identificato, in
1Gv 4,7-21, con il soprannaturale «amore (ἀγάπη)», cioè con lo Spirito
Santo, dono del Padre e del Figlio, dal quale sono vivificati i «carissimi
(ἀγαπητοί)» fratelli dell’anziano. L’amore del Padre si manifesta sol-
tanto nel Figlio che, tramite il suo Spirito, lo comunica ai “suoi” fedeli:
caratteristica dell’amore è il rimanere nell’altro, è il fruire dello Spirito
con il quale Padre e Figlio si amano159. Sarebbe qui necessario rilegge-
157 «Mentre nei sinottici è la “voce divina” a indicare in Gesù il “Figlio amato”, nel
quarto vangelo questa funzione rivelatrice è assunta da Giovanni… [In questa]
riscrittura giovannea del battesimo di Gesù, quest’ultimo è dichiarato Figlio di
Dio proprio nella misura in cui è presentato come il portatore dello Spirito di Dio,
che a sua volta, tramite il battesimo “nello Spirito”, egli dispensa e trasmette a
ogni credente» (J. Zumstein, Il Vangelo secondo Giovanni…, I,110).
158 «Nella scenografia sinottica, era al momento del battesimo che Gesù veniva ri-
velato come il Figlio di Dio e ciò era simboleggiato con la discesa dello Spirito
Santo su di lui (si veda la connessione di Spirito e Filiazione divina in Rm 1,4).
Giovanni è venuto incontro alla necessità di fare questa rivelazione ricorrendo
al Prologo che ci parla di Gesù come del “Figlio unigenito che è nel seno del
Padre” (1,18). Ciò nonostante, Gv 1,33 conserva indirettamente il ricordo di Gesù
che viene battezzato con lo Spirito Santo mettendo in bocca a Giovanni Battista
una frase che combina questa idea con quella della preesistenza (1,30). Il battesi-
mo diventa ora semplicemente un momento dell’invio della Parola preesistente»
(R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 60-61). Rispetto a Brown,
ribadisco l’assenza di un vero e proprio riferimento al battesimo in Gv 1,33 e
interpreto la teofania del Prologo come sostituto storico-narrativo (l’incarnazione
del Logos/Luce al Giordano) e non soltanto concettuale (ricapitolato nell’attribu-
zione a Gesù del termine Unigenito) del battesimo sinottico.
159 «Amati, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri (ἀγαπητοί,
εἰ οὕτως ὁ θεὸς ἠγάπησεν ἡμᾶς, καὶ ἡμεῖς ὀφείλομεν ἀλλήλους ἀγαπᾶν). Nessuno
200 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
ha mai visto Dio (θεὸν οὐδεὶς πώποτε τεθέαται); se ci amiamo gli uni gli altri
(ἐὰν ἀγαπῶμεν ἀλλήλους), Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi (ὁ
θεὸς ἐν ἡμῖν μένει καὶ ἡ ἀγάπη αὐτοῦ τετελειωμένη ἐν ἡμῖν ἐστιν). Da questo si
riconosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi (Ἐν τούτῳ γινώσκομεν ὅτι ἐν
αὐτῷ μένομεν καὶ αὐτὸς ἐν ἡμῖν); egli ci ha fatto dono del suo Spirito (ὅτι ἐκ τοῦ
πνεύματος αὐτοῦ δέδωκεν ἡμῖν). E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il
Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo (καὶ ἡμεῖς τεθεάμεθα
καὶ μαρτυροῦμεν ὅτι ὁ πατὴρ ἀπέσταλκεν τὸν υἱὸν σωτῆρα τοῦ κόσμου). Chiun-
que riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio (ὁ
θεὸς ἐν αὐτῷ μένει καὶ αὐτὸς ἐν τῷ θεῷ). Noi abbiamo riconosciuto e creduto
all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore (ὁ θεὸς ἀγάπη ἐστίν); chi sta nell’amore
dimora in Dio e Dio dimora in lui (ὁ μένων ἐν τῇ ἀγάπῃ ἐν τῷ θεῷ μένει καὶ ὁ θεὸς
ἐν αὐτῷ μένει)» (1Gv 4,11-16).
160 Cf. R.E. Brown, Giovanni…, 1305-1310.
161 Mi limito a citare Gv 17,22-24 e 26: «E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a
loro (κἀγὼ τὴν δόξαν ἣν δέδωκάς μοι δέδωκα αὐτοῖς), perché siano come noi una
cosa sola (ἵνα ὦσιν ἓν καθὼς ἡμεῖς ἕν). Io in loro e tu in me, perché siano perfetti
nell’unità (ἐγὼ ἐν αὐτοῖς καὶ σὺ ἐν ἐμοί, ἵνα ὦσιν τετελειωμένοι εἰς ἕν) e il mondo
sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me (ἠγάπησας αὐτοὺς
καθὼς ἐμὲ ἠγάπησας). Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato, siano con
me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché
tu mi hai amato prima della creazione del mondo… E io ho fatto conoscere loro
il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in
essi e io in loro (ἵνα ἡ ἀγάπη ἣν ἠγάπησάς με ἐν αὐτοῖς ᾖ κἀγὼ ἐν αὐτοῖς)». Cf.
J. Zumstein, Il vangelo di Giovanni…, II,813 e 817-818: «Il dono che il Padre
fa al Figlio, questi lo ha trasmesso ai credenti. Tale dono è quello della “gloria”,
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 201
vale a dire della pienezza della realtà divina rivelata dal Cristo incarnato in seno
al mondo… Ai discepoli che hanno visto nella fede la gloria del Cristo incarnato
(1,14; 2,11) è promessa la visione faccia a faccia della gloria del preesistente…
La preesistenza del Figlio è presentata in termini di amore: è l’espressione di
un tale amore.., la preghiera conduce alla presenza faccia a faccia, espressione
dell’amore divino (cf. 1Cor 13,11-13)». Rimanderei soprattutto a 2Cor 3-4: vi
tornerò tra poco. Cf., infine, U. Wilckens, Il vangelo secondo Giovanni…, 336-
340, che insiste sulla connessione tra gloria, amore preesistente del Padre e del
Figlio, ruolo-chiave dello Spirito nella preghiera escatologica di Gv 17; si avanza
l’ipotesi che questa presupponga una liturgia eucaristica.
162 «In noi sarà infuso uno Spirito dall’alto; (ἕως ἂν ἐπέλθῃ ἐφ’ ὑμᾶς πνεῦμα ἀφ’
ὑψηλοῦ); allora il deserto diventerà un giardino/il Carmelo (καὶ ἔσται ἔρημος ὁ
Χερμελ)» (Isaia 32,15). Frequente è l’identificazione del monte Carmelo, luogo
elettivo di Elia, con il giardino edenico.
163 «Fin dalle prime parole dell’inno c’è stato un intenzionale parallelo con i capitoli
iniziali della Genesi. Ciò è continuato nel v. 3 con l’uso di egeneto; e ora conti-
nua in vv. 4-5 con l’accenno alla luce e alle tenebre, perché la luce fu la prima
creazione di Dio (Gn 1,3). Anche “vita” è un tema del racconto della creazione…
Alla vita eterna si accenna anche nei primi capitoli della Genesi, perché 2,9 e
3,22 parlano dell’albero della vita il cui frutto, se mangiato, avrebbe fatto vivere
l’uomo per sempre. L’uomo fu escluso da questa vita a causa del suo peccato;
ma come vediamo in Ap 22,2, la vita eterna del giardino dell’Eden prefigurava
la vita che Gesù avrebbe dato agli uomini. In Gv 6, Gesù parlerà del pane di vita
che un uomo può mangiare e vivere per sempre: un pane, quindi, che ha le stesse
qualità del frutto dell’albero della vita nel paradiso… Noi pensiamo che nel v.
4 il Prologo parli ancora nel contesto del racconto della creazione della Genesi.
Ciò che aveva specialmente avuto origine nella Parola creativa di Dio era il dono
della vita eterna. Questa vita era la luce degli uomini, perché l’albero della vita
era strettamente associato all’albero della conoscenza del bene e del male» (R.E.
Brown, Giovanni…, 37-38). Su Gesù come nuovo Adamo in Giovanni, cf. J.K.
Brown, Creation’s Renewal in the Gospel of John…, 281-283.
202 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
164 Cf. R.E. Brown, Giovanni…, 46-49. «Molte ragioni raccomandano l’ipotesi che
14c.d sia un’eco della trasfigurazione» (48).
165 Cf. Esodo 25,8-9; Zaccaria 2,14; Ezech 43,7. Sull’incarnazione del Logos
come “attendarsi” (σκηνόω) della Gloria di Dio (Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ
ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν: Gv 1,14), che non trova più il suo luogo nel Tempio di Geru-
salemme, ma in Gesù stesso (cf. Gv 2,13-22), cf. R.E. Brown, Giovanni…, 42-49.
166 Sul rapporto tra battesimo di Gesù, rapimento “violento” da parte dello Spirito,
invio nel deserto, collocazione su un alto monte, quindi tentazione di Gesù e sua
trasfigurazione tra Mosè ed Elia, penso che le testimonianze sinottiche debbano
essere lette in relazione al sopra citato passo del Vangelo sopra gli Ebrei, riporta-
toci da Origene. Gesù nuovo Adamo attraversa il deserto ed è collocato sul nuovo
Eden, ove, dopo aver vinto le tentazioni del Maligno, diviene teofanica Gloria di
Dio. Ricordo che secondo Epifanio di Salamina, Panarion II, tomo I, eresia LI,
Contro coloro che non accettano il vangelo di Giovanni e la sua apocalisse [gli
Alogi] 21,7, il Tabor sarebbe stato il monte della tentazione di Gesù (cf. Mt 4,8).
Cf. G. Lettieri, L’ultimo nel primo…, 130-133.
167 «E uscì una voce dalla nube: “Questi è il mio Figlio diletto, ascoltatelo (καὶ ἐγένετο
φωνὴ ἐκ τῆς νεφέλης, Οὗτός ἐστιν ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός, ἀκούετε αὐτοῦ)» (Mc 9,7).
168 Cf. U. Wilckens, Il vangelo secondo Giovanni…, 51.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 203
169 «Il dono dello Spirito a Gesù che mediante la visione fa di lui il Figlio di Dio ha
senza dubbio valore soltanto a partire dal battesimo… Al dono dello Spirito nel
battesimo risale anche la svolta fondamentale nella storia dei credenti. Da questo
momento essa è caratterizzata da un’esperienza dello Spirito particolarmente pro-
fonda e intensa» (H.-J. Klauck, Lettere di Giovanni…, 58); «Il dono dello Spirito
che Gesù riceve nel battesimo è in definitiva il modello soteriologico anche per i
credenti» (333). Significativamente, queste prospettive, attribuite da Klauck agli
avversari del presbitero, sono di fatto riscontrabili nella prospettiva complessiva
dello stesso IV vangelo; cf. 266-267; 332-335.
204 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
creativo di Dio, che con lo Spirito è venuto in principio (sia prima della
creazione del mondo, che all’inizio del vangelo salvifico di Gesù) quale
Luce che dona escatologicamente la fruizione della vita eterna170. Torne-
remo più avanti sulla ritrattazione nel Prologo della tentazione sinottica
di Gesù dopo il battesimo. Non prima, però, di esserci dedicati a un ex-
cursus paolino.
170 Si legga 1Gv 2,7: «Amati, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un co-
mandamento antico, che avete ricevuto sin dal principio (ἐντολὴν παλαιὰν ἣν
εἴχετε ἀπ’ ἀρχῆς). Il comandamento antico è la parola che avete udito (ἐντολὴ ἡ
παλαιά ἐστιν ὁ λόγος ὃν ἠκούσατε). E tuttavia è un comandamento nuovo quello
di cui vi scrivo, il che è vero in lui e in voi, poiché le tenebre stanno diradandosi
e la vera luce già risplende (ὅτι ἡ σκοτία παράγεται καὶ τὸ φῶς τὸ ἀληθινὸν ἤδη
φαίνει)» (1Gv 2,7-8). Il riferimento all’«in principio» connette l’insegnamento
iniziatico nella comunità giovannea alla proclamazione del Logos «in principio»,
Luce salvifica che risplende nelle tenebre. Infatti, all’inizio della lettera, il Logos
incarnato è appunto proclamato come colui che era «in principio»: «Ciò che era
fin da principio (ὃ ἦν ἀπ’ ἀρχῆς), ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo
veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e che le nostre mani
hanno toccato, ossia il Logos della vita (περὶ τοῦ λόγου τῆς ζωῆς) – poiché la
vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi
annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi –, quello
che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi (ὃ ἑωράκαμεν καὶ
ἀκηκόαμεν ἀπαγγέλλομεν καὶ ὑμῖν)» (1,1-3). L’insegnamento ricevuto «in prin-
cipio» non può non riecheggiare la scaturigine del mistero soteriologico, quindi
non può non vertere sull’incarnazione del Logos «in principio»; ebbene, questo
include un richiamo al battesimo come compimento del processo di conversione,
quindi come illuminazione spirituale: «Quando l’autore [di 1Gv] parla de “il prin-
cipio”, egli intende il principio della rivelazione di Gesù ai suoi seguaci durante
il ministero, ma per i suoi lettori questo significa il principio del loro contatto
con la tradizione che avvenne con la conversione/iniziazione/battesimo. Mentre
l’annuncio teologico giovanneo aveva le sue peculiarità, aveva in comune molte
caratteristiche con gli altri annunci battesimali cristiani; da qui i paralleli appena
discussi. Pure i secessionisti avevano udito l’annuncio giovanneo di conversione/
iniziazione/battesimo; ma, a giudizio dell’autore, la loro successiva posizione lo
aveva deformato. Essi avevano mostrato che, nonostante il loro battesimo, erano
figli del diavolo e non figli di Dio» (R.E. Brown, Le lettere di Giovanni…, 597);
in 226-230, Brown discute largamente l’interpretazione del termine «principio»
nell’epistolario giovanneo e nello stesso NT. In riferimento a 1Gv 1,24, scrive
H.-J. Klauck, Lettere di Giovanni…, 193-194: «“Avete udito” definisce in modo
chiaro l’estensione di ἀπ’ ἀρχῆς: ai destinatari si ricordano gli inizi della loro vita
cristiana, la predicazione dell’annuncio e la professione di fede che ne è derivata
e che è stata conferita nel battesimo; ἀπ’ ἀρχῆς è direttamente connesso alla con-
fessione di Gesù Cristo e figlio di Dio a cui alludono implicitamente i vv. 22-23…
Al rimanere in noi della parola del principio e al nostro rimanere nel Figlio e nel
Padre è rivolta la promessa di vita eterna… La vita eterna consiste nel credere, nel
conoscere, nel dono della parola; è quindi pensata al presente».
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 205
171 Cf., in tal senso, le rapide indicazioni di M.D. Hooker, Beyond the Things that
Are Written? St Paul’s Use of Scripture, in «New Testament Studies» 27/3, 1981,
295-309, in part. 302; e R.P. Martin, 2 Corinthians, Word Books, Waco Texas, 73.
206 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
(ὅς ἐστιν εἰκὼν τοῦ θεοῦ)… E Dio che disse (ὅτι ὁ θεὸς ὁ εἰπών): “Rifulga la
luce dalle tenebre (Ἐκ σκότους φῶς λάμψει)” (Gen 1,3), rifulse nei nostri cuori
(ὃς ἔλαμψεν ἐν ταῖς καρδίαις ἡμῶν), per far risplendere la conoscenza della
gloria divina che rifulge sul volto di Cristo (πρὸς φωτισμὸν τῆς γνώσεως τῆς
δόξης τοῦ θεοῦ ἐν προσώπῳ Χριστοῦ)» (2Cor 3,18-4,4 e 6).
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende nelle
tenebre (καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει), ma le tenebre non l’hanno accolta
(καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν)… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare
in mezzo a noi (Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν); e noi
vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito del Padre (ἐθεασάμεθα τὴν
δόξαν αὐτοῦ, δόξαν ὡς μονογενοῦς παρὰ πατρός), pieno di grazia e di verità
(πλήρης χάριτος καὶ ἀληθείας) (Gv 1,5 e 14).
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto (ὅτι ἐκ τοῦ πληρώματος αὐτοῦ
ἡμεῖς πάντες ἐλάβομεν) e grazia su grazia (καὶ χάριν ἀντὶ χάριτος). Perché
la legge fu data per mezzo di Mosè (ὅτι ὁ νόμος διὰ Μωϋσέως ἐδόθη), la
grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo (ἡ χάρις καὶ ἡ ἀλήθεια διὰ
Ἰησοῦ Χριστοῦ ἐγένετο). Dio nessuno l’ha mai visto (θεὸν οὐδεὶς ἑώρακεν
πώποτε·); proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, egli l’ha
rivelato (μονογενὴς θεὸς ὁ ὢν εἰς τὸν κόλπον τοῦ πατρὸς ἐκεῖνος ἐξηγήσατο
(Gv 1,16-18).
Il Padre, che nessuno può vedere, è rivelato unicamente dal suo “esege-
ta”, da colui che è nel suo seno: il tema messianico-apocalittico che domina
2Cor 3-4 – quello della rivelazione di gloria di Dio, irradiante dal volto di
Cristo risorto – pare anticipare questi versetti del Prologo, che pure sdop-
piano e retroproiettano l’apocalisse escatologica del Figlio nella preesi-
stente relazione di intimità “binitaria”. Per Paolo, rispetto alla rivelazione
di Mosè, Cristo è manifestazione in pienezza di gloria, di grazia, di luce,
non più nascosta, ma manifesta, perché il dono della verità riluce diretta-
mente sul volto di Cristo rivelatore, capace di vivificare «noi che non fis-
siamo lo sguardo sulle cose visibili (μὴ σκοπούντων ἡμῶν τὰ βλεπόμενα)»
(4,18). Come si diceva, il ricorso al primo giorno di Gen 1 scandisce l’op-
posizione tra l’apocalisse della Luce in principio e la resistenza accecata
delle tenebre173, incapaci di scorgere l’eccedenza/trascendenza della gloria
della nuova alleanza (rispetto alla stessa antica alleanza di Mosè)174 e di ri-
conoscere la sovrabbondanza della grazia, rivelata dal Figlio che è lo Spiri-
to vivificante che dona la partecipazione all’Immagine teomorfa. Pertanto,
l’Unigenito “esegeta” giovanneo – capace di vedere Dio e contrapposto a
Mosè che, come ogni uomo, non ha visto Dio – è il paolino Volto di Glo-
ria175, il Cristo nel quale tutti i credenti sono trasformati, moltiplicando la
173 Cf. Gv 3,19: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le te-
nebre alla luce, perché le loro opere erano malvage». Questo versetto, che segue
l’affermazione che «il Figlio dell’Uomo è disceso dal cielo», dichiarando il suo
imminente innalzamento salvifico sulla croce, è perfettamente corrispondente a
Gv 1,9-11, provando, a mio avviso, che questi versetti del Prologo non si riferi-
scono, come affermano tra gli altri Pagels o Boyarin, alla rivelazione della Legge
precedente l’incarnazione del Logos, ma a questa stessa incarnazione e al suo non
essere riconosciuta da gran parte delle “tenebre” (la maggior parte dei discepoli di
Giovanni) al suo apparire.
174 «L’inno [cioè il Prologo] termina con la trionfante proclamazione di una nuova al-
leanza in sostituzione dell’alleanza del Sinai» (R.E. Brown, Giovanni…, 48-49).
175 «Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto (οὔτε εἶδος
αὐτοῦ ἑωράκατε) e non avete la sua parola che dimora in voi (καὶ τὸν λόγον αὐτοῦ
οὐκ ἔχετε ἐν ὑμῖν μένοντα), perché non credete a colui che egli ha mandato» (Gv
208 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
5,37-38); «Non che alcuno abbia visto il Padre (οὐχ ὅτι τὸν πατέρα ἑώρακέν τις),
ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre (εἰ μὴ ὁ ὢν παρὰ τοῦ θεοῦ, οὗτος
ἑώρακεν τὸν πατέρα)» (6,46). «Naturalmente, è il fatto che Mosè non ha veduto
Dio che l’autore vuole mettere in contrasto con l’intimo contatto tra il Figlio e il
Padre. In Es 33,18, Mosè chiede di vedere la gloria di Dio, ma il Signore dice:
“Tu non puoi vedere il mio volto e restare vivo”. Isaia (6,5) esclama con terrore:
“Ohimè! Io sono perduto, perché… i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli
eserciti”, dove non si parla nemmeno di vedere il volto di Dio. Contro questo
sfondo veterotestamentario, che nemmeno i più grandi rappresentanti di Israele
hanno visto Dio, Giovanni innalza l’esempio del Figlio unico, che non solo ha
veduto il Padre, ma che è sempre accanto a lui. Possiamo, certo, sospettare che
questo tema facesse parte della polemica giovannea contro la sinagoga, poiché
esso è ripetuto in 5,37 e 6,46» (49). E se Giovanni attingesse anche da 2Cor 3-4
per sostenere la sua polemica contro la sinagoga?
176 «Pienezza, Plērōma, che ricorre solo qui [in Gv 1,16] negli scritti giovannei, è un
importante termine teologico paolino» (R.E. Brown, Giovanni…, 22). Ricordo
che R. Bultmann, Das Evangelium des Johannes…, 53, fa dipendere l’opposi-
zione tra legge e grazia/verità del v. 17 da un evidente influsso paolino, rispetto
al quale la prospettiva complessiva del IV vangelo sarebbe comunque estranea;
donde il carattere per Bultmann tardivo e interpolato del versetto in questione.
Ma cf. anche la deuteropaolina Epistola ai Colossesi 1,20: «Piacque a Dio di fare
abitare in lui ogni pienezza (ἐν αὐτῷ εὐδόκησεν πᾶν τὸ πλήρωμα κατοικῆσαι)».
Considerando che in Col 1,15 Cristo viene definito «Immagine del Dio invisibi-
le primogenito di tutta la creazione (εἰκὼν τοῦ θεοῦ τοῦ ἀοράτου, πρωτότοκος
πάσης κτίσεως)» e in 1,18 «il principio, il primogenito di coloro che resuscita-
no dai morti (ἀρχή, πρωτότοκος ἐκ τῶν νεκρῶν)», con un potente incrocio tra
preesistenza celeste e salvifica missione terrena, è legittimo chiedersi: Giovanni
conosce Colossesi, ne è influenzato?
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 209
177 Cf. L.L. Belleville, Reflections of Glory. Paul’s Polemical Use of the Moses-Doxa
Tradition in 2 Corinthians 3.1-18, Sheffield Academic Press, Sheffield 1991:
«Ἀπὸ δόξης εἰς δόξαν in this context [2Cor 3] denotes increase. It is set in con-
trast to καταργέω in vv. 7,11, and 14: Moses’ glory as minister of the old covenant
was a fading glory; by contrast, the glory of the new covenant minister is one that
steadily grows» (289).
210 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
identification. Paul’s quotation might then indicate that it was specifically during
baptism that the identification between the image of the savior and the believer
was made» (61-62). Cf. J. Jervell, Imago Dei. Gen. 1,26f. im Spätjudentum, in
die Gnosis und in den paulinischen Briefen, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttin-
gen 1960, 196-198; 209; e U. Schnelle, Paulus. Leben und Denken, de Gruyter,
Berlin-Boston 20142, tr. it. Paolo. Vita e pensiero, Paideia, Brescia 2018: «È stato
Dio col battesimo a unire a Gesù Cristo sia i corinti sia l’apostolo e a rendere pos-
sibile in tal modo l’esistenza di chi crede nella forza dello Spirito (2Cor 1,21ss.).
La comunità e l’apostolo sanno che le promesse di Dio hanno trovato in Gesù
Cristo il loro adempimento (2Cor 1,19ss.), poiché in lui si è rivelato il potere di
Dio (2Cor 4,6) ed egli è l’immagine di Dio (2Cor 4,4)… In 2Cor 4,6, l’uomo che
giunge alla fede compie per Paolo un’azione creatrice (cf. Gen 1,3). Questo atto
conduce alla conoscenza della gloria di Dio al cospetto di Cristo crocifisso» (259).
Comunque, per una restituzione autobiografica di 2Cor 4,6, cf. 90-91.
181 Cf. Atti 9,8-18, anche se qui la recezione del battesimo segue immediatamente
l’imposizione delle mani da parte di Anania, quindi la trasmissione dello Spirito.
212 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
la vita eterna (ὁ πιστεύων εἰς τὸν υἱὸν ἔχει ζωὴν αἰώνιον); chi non obbedisce al
Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui» (Gv 3,31 e 34-36)182.
Il Figlio è colui che viene dal cielo e dona senza misura lo Spirito, con
chiaro riferimento alla precedente, teofanica affermazione di Giovanni in
1,32-34, ove si identificava «colui che battezza in Spirito Santo (ὁ βαπτίζων
ἐν πνεύματι ἁγίῳ)» (1,33) con colui sul quale lo Spirito era disceso e ri-
masto. Ora, ricevere, a partire dal battesimo, lo Spirito dal Figlio/Spirito
significa ricevere la vita, in quanto il Figlio dà lo Spirito vivificante (cf. Gv
6,63).
Ebbene, si impone a questo punto un altro parallelo paolino. In Prima
lettera ai Corinzi, 15,44-53, Paolo propone la sua ricapitolazione antiteti-
ca dell’uomo vecchio/naturale e dell’uomo nuovo/spirituale nel primo e
nell’ultimo Adamo che è Cristo, nel quale tutti quelli che in Adamo sono
morti riceveranno la vita (cf. 15,22), grazie all’incorporazione a Cristo
operata tramite il battesimo (cf. 15,29), che è recezione del suo Spirito di
resurrezione.
182 Non mi soffermo sulla dibattuta questione dell’originaria collocazione del passo:
cf. R.E. Brown, Giovanni…, 211-212; U. Wilckens, Il vangelo secondo Giovan-
ni…, 101-103.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 213
183 «Poiché l’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi
tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano
più per se stessi, ma per colui che è morto e resuscitato per loro. Cosicché ormai
non conosciamo più nessuno secondo la carne (ἀπὸ τοῦ νῦν οὐδένα οἴδαμεν κατὰ
σάρκα); e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo cono-
sciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova (ὥστε εἴ τις ἐν
Χριστῷ, καινὴ κτίσις): le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove
(τὰ ἀρχαῖα παρῆλθεν, ἰδοὺ γέγονεν καινά)» (2Cor 5,14-17). Del tutto evidente è il
riferimento allo Spirito del Risorto, che è l’atto vivificante della ricreazione, quin-
di la teofania cristica «della sovraeminente gloria (τῆς ὑπερβαλλούσης δόξης)»
(3,10) «della nuova alleanza (καινῆς διαθήκης)» (3,6).
184 Il brano sopra citato dipende, non a caso, da 1Cor 15,12-29, ove è esplicita la
connessione tra la resurrezione di Cristo e l’essere incorporati nella sua morte/
resurrezione attraverso il battesimo, impartito persino ai morti.
214 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
185 «Di nuovo Gesù parlò loro: “Io sono la luce del mondo (Ἐγώ εἰμι τὸ φῶς τοῦ
κόσμου ); chi segue me, non camminerà nelle tenebre (ὁ ἀκολουθῶν ἐμοὶ οὐ μὴ
περιπατήσῃ ἐν τῇ σκοτίᾳ), ma avrà la luce della vita (ἀλλ’ ἕξει τὸ φῶς τῆς ζωῆς)”»
(Gv 8,12).
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 215
diavolo (ὑμεῖς ἐκ τοῦ πατρὸς τοῦ διαβόλου ἐστὲ)… omicida fin da princi-
pio (ἐκεῖνος ἀνθρωποκτόνος ἦν ἀπ' ἀρχῆς)» (8,44).
Ebbene, il diavolo, il principe delle tenebre, è forse evocato nelle tene-
bre di Gv 1,5, nelle quali ha fatto irruzione la Luce assoluta del Figlio, che
«in principio» è Parola di Luce presso il Dio Padre? Emergerebbe, in tal
caso, uno strettissimo rapporto tra diavolo, tenebre e «i suoi (οἱ ἴδιοι)», cioè
i giudei (ovviamente non in senso razziale, ma in senso apocalittico: i giu-
dei che non credono), presso i quali comunque l’Unigenito si è manifestato
come presso il suo popolo eletto. Così, in Gv 12,30-50, Gesù tiene un lungo
discorso, all’interno del quale al Figlio/Luce è contrapposta la violenza
omicida de «le tenebre (σκοτία)» (12,35 e 46), assoggettate a «il principe di
questo mondo (ὁ ἄρχων τοῦ κόσμου τούτου)» (12,31), da cui Cristo libere-
rà i credenti, chiamandoli ad essere «figli della luce (υἱοὶ φωτὸς)» (12,36),
tramite il suo essere innalzato/crocifisso:
Io sono come luce venuto nel mondo (ἐγὼ φῶς εἰς τὸν κόσμον ἐλήλυθα),
perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre (ἐν τῇ σκοτίᾳ μὴ
μείνῃ)… Chi mi respinge e non accoglie le mie parole (ὁ ἀθετῶν ἐμὲ καὶ μὴ
λαμβάνων τὰ ῥήματά μου ἔχει), ha chi lo condanna (τὸν κρίνοντα αὐτόν): la
parola che ho annunziato lo condannerà l’ultimo giorno (ὁ λόγος ὃν ἐλάλησα
ἐκεῖνος κρινεῖ αὐτὸν ἐν τῇ ἐσχάτῃ ἡμέρᾳ) (Gv 12,46 e 12,48).
Come prova Gv 12,42-43, il passo è rivolto contro i capi del popolo giu-
daico, molti dei quali credono in Cristo, ma non lo riconoscono per timore
dei farisei e per amore della gloria degli uomini, piuttosto che della gloria
di Dio, rivelata dal suo logos/Logos. Mentre, in 14,24, Gesù sottolinea che
«la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato
(ὁ λόγος ὃν ἀκούετε οὐκ ἔστιν ἐμὸς ἀλλὰ τοῦ πέμψαντός με πατρός)»,
in 14,30 il suo parlare è contrapposto all’imminente venuta del «principe
di questo mondo (ὁ τοῦ κόσμου ἄρχων)», strumento violento e malvagio,
attraverso il quale comunque si realizza l’ultima obbedienza del Figlio alla
volontà del Padre. Così, in Gv 16, la “profezia” della cacciata dalle sinago-
ghe (16,2; cf. 9,22; 12,42) è connessa con il conflitto tra il Figlio Luce e il
«mondo», dominato ancora per breve tempo dal «principe di questo mondo
(ὁ ἄρχων τοῦ κόσμου τούτου)» (16,11), perché Gesù afferma: «Io ho vinto
il mondo (ἐγὼ νενίκηκα τὸν κόσμον)» (16,33).
Insomma, il redattore finale del IV vangelo, componendo il Prologo (sia
esso o meno derivato da un inno preesistente), non poteva, descrivendo
l’irruzione folgorante della Luce nel mondo, quindi la resistenza delle tene-
bre alla teofania, non evocare la resistenza maligna del principe di questo
216 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
186 Per l’interpretazione demoniaca delle tenebre nelle quali brilla la luce del Logos,
cf. Origene, CmGv II,167: «Questa luce… brilla nelle tenebre delle nostre anime
(“φαίνει ἐν τῇ σκοτίᾳ” τῶν ψυχῶν ἡμῶν) ed è venuta là dove erano i principi
del mondo di queste tenebre (ἐπιδεδήμηκεν ὅπου οἱ κοσμοκράτορες τοῦ σκότους
τούτου), i quali lottando contro il genere umano si sforzano di sottomettere alle
tenebre (οἵτινες διὰ τοῦ παλαίειν τῷ τῶν ἀνθρώπων γένει τῷ σκότῳ ὑπάγειν
ἀγωνίζονται) tutti coloro che non si adoperano per essere illuminati ed essere così
chiamati “figli della luce”. Brilla, dunque, nelle tenebre questa luce e dalle tenebre
è perseguitata, ma non afferrata (φαῖνον ἐν τῇ σκοτίᾳ τοῦτο τὸ φῶς διώκεται μὲν
ὑπ’αὐτῆς, οὐ καταλαμβάνεται δέ)».
187 «Io sono la Luce del mondo (Ἐγώ εἰμι τὸ φῶς τοῦ κόσμου); chi segue me, non
camminerà nelle tenebre (οὐ μὴ περιπατήσῃ ἐν τῇ σκοτίᾳ), ma avrà la luce della
vita (ἀλλ’ ἕξει τὸ φῶς τῆς ζωῆς)» (Gv 8,12). «Come il Padre resuscita i morti e
dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole (οὕτως καὶ ὁ υἱὸς οὓς θέλει
ζῳοποιεῖ)… In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola (τὸν λόγον μου)
e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna (ἔχει ζωὴν αἰώνιον) e non va
incontro al giudizio (εἰς κρίσιν οὐκ ἔρχεται)… Come infatti il Padre ha la vita in
se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso (καὶ τῷ υἱῷ ἔδωκεν
ζωὴν ἔχειν ἐν ἑαυτῷ)» (Gv 5,21; 24; 26). Se, quindi, in Gv 1,4 era la vita ad
essere ricapitolata nel Logos, qui il Logos è prospettato come eventuale parola di
salvezza, riassorbita nella stessa vita eterna che è il Figlio. Comunque, τὸ πνεῦμα
ζῳοποιεῖ è tolto nel Figlio stesso, che è Parola-di-Vita.
188 «Il giudizio è questo (αὕτη δέ ἐστιν ἡ κρίσις), che la luce è venuta nel mondo
(ὅτι τὸ φῶς ἐλήλυθεν εἰς τὸν κόσμον), ma gli uomini hanno preferito le tenebre
alla Luce (καὶ ἠγάπησαν οἱ ἄνθρωποι μᾶλλον τὸ σκότος ἢ τὸ φῶς), perché le loro
opere erano malvage (ἦν γὰρ αὐτῶν πονηρὰ τὰ ἔργα)» (Gv 3,19).
189 Cf. Mc 1,12; Mt 4,1-11; Lc 4,1-13.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 217
190 W.A. Meeks, The Man from Heaven in Johannine Sectarianism, in «Journal of
Biblical Literature» 91/1, 1972, 44-72, mette in rilievo l’insistenza giovannea
sulla rottura che il vangelo dello Spirito produce rispetto alle tradizioni religiose
giudaiche, restituendo (così come ad esempio Martyn, Ashton, McGrath) la sto-
rica espulsione degli ebrei giovannei dalle sinagoghe: «Though the Jews are “his
own”, when he comes to them they reject him, thus revealing themselves as not
his own after all but his enemies; not from God, but from the devil, from “below”,
from “this world”. The story describes the progressive alienation of Jesus from the
Jews. But something else is happening, for there are some few who do respond
to Jesus’ signs and words, and these, while they also frequently “misunderstand”,
are progressively enlightened and drawn into intense intimacy with Jesus, until
they, like him, are not “of this world”. Now their becoming detached from the
world is, in the Gospel, identical with their being detached from Judaism. Those
figures who want to “believe” in Jesus but to remain within the Jewish community
and the Jewish piety are damned with the most devastatingly dualistic epithets…
Coming to faith in Jesus is for the Johannine group a change in social location.
Mere belief without joining the Johannine community, without making the decisi-
ve break with “The world”, particularly the world of Judaism, is a diabolic “lie”»
(69). Cf. J. Ashton, Really as Prologue?, in J.G. van der Watt, R.A. Culpepper e
U. Schnelle (edd.), The Prologue of the Gospel of John…, 27-44, in part. 42-44,
ove si mette in rilievo come Gv 1,17 esalti la grazia di Cristo contro la grazia
di Mosè, attribuendo al dono della vita e della verità rivelato da Gesù ciò che
la tradizione giudaica attribuiva alla Legge. In questa prospettiva, seppure più
prudente, cf. J.F. McGrath, Prologue as Legitimation…, 111-112: malgrado egli
sottolinei la differenza tra la prospettiva giovannea e quella paolina (il IV vangelo
non avrebbe mai affermato che la Legge uccide!), riconosce quanto esse siano di
fatto abbastanza vicine; cf., alla n. 66, la citazione di 2Cor 3,6-18.
191 Cf. L.L. Belleville, Reflections of Glory…, 238-242.
218 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
dio di questo mondo (ὁ θεὸς τοῦ αἰῶνος τούτου) [che] ha accecato la mente
incredula (ἐτύφλωσεν τὰ νοήματα τῶν ἀπίστων), perché non vedano lo
splendore del glorioso vangelo di Cristo (εἰς τὸ μὴ αὐγάσαι τὸν φωτισμὸν τοῦ
εὐαγγελίου τῆς δόξης τοῦ Χριστοῦ), che è Immagine di Dio (ὅς ἐστιν εἰκὼν
τοῦ θεοῦ) (2Cor 4,4).
192 Cf. B.R. Matlock, Unveiling the Apocalyptic Paul: Paul’s Interpreters and the
Rhetoric of Criticism, Sheffield Academic Press, Sheffield 1996; e D.A. Campbell,
The Deliverance of God. An Apocalyptic Rereading of Justification in Paul, Eer-
dmans, Grand Rapids-Cambridge 2009.
193 Cf. G.E. Sterling, “Wisdom among the Perfect”: Creation Traditions in Alexan-
drian Judaism and Corinthian Christianity, in «Novum Testamentum» 37, 1995,
353-384.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 219
11,2: «Su di lui si poserà lo Spirito del Signore (sec. LXX: ἀναπαύσεται ἐπ'
αὐτὸν πνεῦμα τοῦ θεοῦ)»; a Isaia 42,1: «Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto di cui mi compiaccio (sec. LXX: ὁ ἐκλεκτός μου, προσεδέξατο
αὐτὸν ἡ ψυχή μου). Ho posto il mio Spirito su di lui (ἔδωκα τὸ πνεῦμά μου
ἐπ'αὐτόν)»; e a Isaia 61,1 (citato in Lc 4,18-19): «Lo Spirito del Signore è
su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato
a portare il lieto annunzio ai miseri» (sec. LXX: Πνεῦμα κυρίου ἐπ' ἐμέ,
οὗ εἵνεκεν ἔχρισέν με· εὐαγγελίσασθαι πτωχοῖς ἀπέσταλκέν με)». Ebbene,
essi devono essere connessi alla profezia messianica di Isaia 9,1 e 5, che
tra l’altro segue immediatamente un riferimento al Giordano in Isaia 8,23:
Una voce di chi grida nel deserto (sec. LXX: φωνὴ βοῶντος ἐν τῇ ἐρήμῳ):
“Preparate la via al Signore (Ἑτοιμάσατε τὴν ὁδὸν κυρίου), appianate nella
steppa la strada per il nostro Dio… Allora si rivelerà la gloria del Signore (καὶ
ὀφθήσεται ἡ δόξα κυρίου) e ogni carne vedrà la salvezza di Dio (καὶ ὄψεται
πᾶσα σὰρξ τὸ σωτήριον τοῦ θεοῦ), poiché il Signore ha parlato (ὅτι κύριος
ἐλάλησεν)”… La parola di Dio dura sempre (τὸ δὲ ῥῆμα τοῦ θεοῦ ἡμῶν μένει
εἰς τὸν αἰῶνα)… Alza la voce, non temere; annunzia alla città di Giuda: “Ecco
195 Lc 2,9, invece, pare riecheggiare Isaia 9,1, quando, alla nascita di Gesù, l’angelo
porta la notizia ai pastori e «la gloria del Signore li avvolse di luce (δόξα κυρίου
περιέλαμψεν αὐτούς)».
196 «Verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge (ἐπισκέψεται ἡμᾶς ἀνατολὴ ἐξ
ὕψους), per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte
(ἐπιφᾶναι τοῖς ἐν σκότει καὶ σκιᾷ θανάτου καθημένοις) e dirigerà i nostri passi
sulla via della pace (τοῦ κατευθῦναι τοὺς πόδας ἡμῶν εἰς ὁδὸν εἰρήνης)» (Lc
1,78-79).
197 «Gli dissero [sacerdoti e leviti inviati dai Giudei a interrogare il Battista]: “Chi
sei?”… Rispose: “Io sono voce di uno che grida nel deserto; preparate la via al
Signore”» (Gv 1,22-23). Il brano è citato anche in Mc 1,2-3; Mt 3,3; Lc 3,4-6.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 223
il vostro Dio (Ἰδοὺ ὁ θεὸς ὑμῶν)! Ecco, il Signore viene con potenza (ἰδοὺ
κύριος μετὰ ἰσχύος ἔρχεται), con il braccio egli detiene il dominio” (Isaia 40,3;
5; 8-10).
198 Cf. C. Ginzburg, Occhiacci di legno, Feltrinelli, Milano 1998, il cap. “Ecce. Sulle
radici scritturali dell’immagine di culto cristiana”, 100-117, in part. 108-109.
199 Cf., ovviamente, anche Gv 19,5: «Ἰδοὺ ὁ ἄνθρωπος (Ecce homo!)»; e 19,14: «Ἴδε
ὁ βασιλεὺς ὑμῶν (Ecce rex vester!)».
200 «In passato umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà
gloriosa la via del mare, oltre il Giordano e la curva di Goim» (Isaia 8,23); diversa
è la traduzione dei Settanta, che comunque mantiene il riferimento al Giordano,
introducendo un più esplicito riferimento alla Galilea dei gentili: «Τοῦτο πρῶτον
ποίει, ταχὺ ποίει, χώρα Ζαβουλων, ἡ γῆ Νεφθαλιμ ὁδὸν θαλάσσης καὶ οἱ λοιποὶ
οἱ τὴν παραλίαν κατοικοῦντες καὶ πέραν τοῦ Ιορδάνου, Γαλιλαία τῶν ἐθνῶν, τὰ
μέρη τῆς Ιουδαίας». Sottolineo come Mt citi proprio Isaia 8,23-9,1, specificando
che, «avendo intanto saputo che Giovanni era stato arrestato, Gesù si ritirò nella
Galilea e, lasciata Nazaret, venne ad abitare a Cafarnao, presso il mare, nel territo-
rio di Zàbulon e di Nèftali, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo
del profeta Isaia: “Il paese di Zàbulon, e il paese di Nèftali, sulla via del mare, al
di là del Giordano, Galilea delle genti; il popolo immerso nelle tenebre ha visto
una grande luce; su quelli che dimoravano in terra e ombra di morte, una luce si è
levata» (Mt 4,12-16).
224 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
saluta l’avvento del «veniente» (Gv 1,15; ma cf. 1,9). Gesù è il Figlio
«eletto» (Isaia 42,1) di Dio, sul quale questi ha fatto discendere lo Spirito
(Isaia 11,2 e 42,1), rivelandolo come manifestazione della «Gloria» di
Dio (Isaia 40,5), della sua «Parola» (Isaia 40,8), della sua escatologica
«Luce» salvifica (Isaia 9,1), che, rivelandosi come «il Dio/il Signore che
viene» (Isaia 40,9-10), rifulge nella tenebra mortale, portando vita e sal-
vezza. Conseguentemente, Gv 8,12 ricapitola in termini più facilmente
riconoscibili la testimonianza del Battista nel Prologo, ora divenuta auto-
proclamazione di Gesù, che si presenta, a partire da Isaia, quale l’atteso
Figlio/Principio/Parola/Vita/Luce nella tenebra, manifestato dalla disce-
sa dello Spirito:
Di nuovo Gesù parlò loro: “Io sono la luce del mondo (Ἐγώ εἰμι τὸ φῶς
τοῦ κόσμου); chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della
vita (ὁ ἀκολουθῶν ἐμοὶ οὐ μὴ περιπατήσῃ ἐν τῇ σκοτίᾳ, ἀλλ› ἕξει τὸ φῶς τῆς
ζωῆς)” (Gv 8,12).
Ebbene, ritengo che nel caso lucano (cf. 1,78-79), così come nel caso
giovanneo, sia evidente la necessità di traslare su Gesù precedenti attese
profetico-messianiche proiettate sul Battista. Entrambi i testi sono, più
o meno esplicitamente, “polemici”, in quanto affermano che Gesù e non
il Battista è la luce “messianica”. Excusatio non petita… Evidentemen-
te, esisteva una rivendicazione fotologica rivale, incentrata su Giovan-
ni, maestro di Gesù. Pertanto, l’innalzamento del Prologo, che identifica
Gesù con la Luce primordiale, è quasi certamente una ritrattazione proto-
logica, intradivina di una preesistente “cristologia” profetico-messianica
battista, che appunto vedeva in Giovanni il vero (ultimo?) profeta, colui
sul quale si sarebbe posato al Giordano lo Spirito di Elia/Eliseo, l’ἀρχή
di Dio, la Luce escatologico-apocalittica. Molto probabilmente la stes-
sa profezia di Isaia viveva della traslazione escatologica del racconto
genesiaco della creazione, che diveniva figura del Figlio/Messia atteso,
che avrebbe finalmente illuminato Israele decaduto nelle tenebre, prima
dell’avvento del Regno. La reinterpretazione “battista” rilanciava la pro-
fezia isaiana in prospettiva apocalittica, collegandola all’avvento escato-
logico del Regno di Dio, probabilmente alla venuta del Figlio dell’Uomo,
quindi alla possibilità ultima di essere salvati grazie alla conversione/
penitenza e alla purificazione in extremis del Battista, prima del (quasi
universale) giudizio di condanna.
Il Prologo, si diceva, compie un salto in alto radicale: fa ri-avvenire il
Principio, rivelato grazie all’apocalittica apertura del cielo, innalzando
la precedente fotofania escatologico-messianica “battista” a rivelazio-
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 225
201 Sull’identificazione tra Luce e Logos divino, connessi proprio tramite un riferi-
mento a Gen 1,3, notevolissimo è un passo filoniano: «Dio è luce (ὁ θεὸς φῶς
ἐστι)… e non solo luce, ma archetipo di ogni altra luce (καὶ οὐ μόνον φῶς, ἀλλὰ
καὶ παντὸς ἑτέρου φωτὸς ἀρχέτυπον) o, meglio ancora, più antico e più eccelso di
ogni archetipo, perché Egli è il modello in assoluto. Modello è infatti il suo Logos,
pienamente compiuto (τὸ μὲν γὰρ παράδειγμα ὁ πληρέστατος ἦν αὐτοῦ λόγος),
che è luce (φῶς) – si legge infatti nel testo sacro: “Dio disse: “Sia fatta la luce”
(”εἶπε ὁ θεός· γενέσθω φῶς”)” (Gen 1,3) –, mentre egli non è simile ad alcuna
cosa creata» (Filone, De somniis I,75).
202 Cf. G. Quispel, Ezekiel 1:26 in Jewish Mysticism and Gnosis…, 6: «this con-
cept [quello dell’Anthropos gnostico] presupposes a pun on ho phōs, the man,
and to phōs, the light, and therefore must have originated in the Greek diaspora»
(6)». Cf., inoltre, J.E. Fossum, The Image of the Invisible God. Col. 1.15-18a,
Jewish Mysticism and Gnosticism, in The Image of the Invisible God. Essays on
the Influence of Jewish Mysticism on Early Christology, Vandenhoek & Ruprecht,
Göttingen 1995, pp. 13-39, in part. p. 17: «The light which enclosed the heavenly
Man is the light which was created on the first day according to Gen 1.3: “And
God said: ‘Let there be light!’. And there was light”. The word for “light” in
the LXX is φως, which significantly also means «man» (τὸ φῶς, “light”; ὁ φώς,
“man”».
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 227
Alcuni di loro dicono persino che il Cristo fosse Adamo (Ἀδὰμ τὸν Χριστὸν
εἶναι λέγουσιν), il primo uomo creato e reso animato dal soffio di Dio (τὸν
πρῶτόν τε πλασθέντα καὶ ἐμφυσηθέντα ἀπὸ τῆς τοῦ θεοῦ ἐπιπνοίας). Altri
invece tra loro predicano che Egli viene dall’alto, ma è stato creato prima di
tutte le cose. È Spirito, è superiore agli angeli e di tutto è Signore. È chiamato
Cristo e ha avuto in sorte il mondo di lassù. Scende però quaggiù quando vuole,
venne anche nella persona di Adamo e apparve ai patriarchi rivestito di corpo.
È sempre lui che, già venuto presso Abramo e Isacco e Giacobbe, tornò alla
fine dei giorni, si rivestì dello stesso corpo di Adamo e fu visto nel mondo, fu
crocifisso, risorse e risalì. Ma poi viceversa quando loro garba ci dicono: “No,
è lo Spirito e cioè il Cristo, che è sceso in Lui e si è rivestito dell’uomo Gesù
(οὐχί, ἀλλὰ εἰς αὐτὸν ἦλθε τὸ πνεῦμα ὅπερ ἐστὶν ὁ Χριστὸς καὶ ἐνεδύσατο
αὐτὸν τὸν Ἰησοῦν καλούμενον)”.203.
203 Epifanio di Salamina, Panarion I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti 3,3-6;
cf. 3,1-3. Utilizzo l’edizione e la traduzione a cura di G. Pini, Epifanio di Salami-
na, Panarion, Libro Primo, Morcelliana, Brescia 2010.
228 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
del Logos e non alla passione e morte di Cristo), combattuta dal presbitero
di 1-2Gv. In proposito, è del massimo interesse la notizia fornitaci da Epi-
fanio poco più avanti: dopo aver piuttosto confusamente percorso il frasta-
gliato gruppo di cerintiani/merintiani, nazorei, ebioniti, pur sottolineando
come egli stesso faccia difficoltà a distinguerne le dottrine204, prima afferma
che anche gli ebioniti si riconoscevano nel vangelo ebraico di Matteo o
«secondo gli Ebrei»205 (su cui tornerò poco più sotto), quindi aggiunge che
alcuni di essi facevano riferimento anche a un vangelo di Giovanni, pure dal
greco tradotto in ebraico, custodito nella tesoreria dei Giudei, in particolare
in quella di Tiberiade e vi si conserva in segreto; così ci hanno confidato
dettagliatamente alcuni venuti alla fede dal Giudaismo.206
Qualora volessimo assumere come storicamente fondata questa proble-
matica testimonianza di Epifanio, riportata subito dopo la descrizione della
cristologia divisiva che ho appena riportata, avremmo una prova dell’esi-
Cerinto nacque e visse a lungo in Asia e qui dette inizio alla sua
predicazione… Diceva poi che dall’alto, dal Dio supremo, dopo che Gesù si
fece adulto, il Gesù generato dal seme di Giuseppe e da Maria, discese su di lui
il Cristo, cioè lo Spirito Santo in forma di colomba nel Giordano e rivelò a lui
e per mezzo di lui ai suoi seguaci il Padre inconoscibile. Per questo, dopo che
fu discesa su di lui la potenza celeste, egli compì opere prodigiose; e dopo che
subì la passione lo Spirito che era venuto dall’alto volò via da Gesù di nuovo
in alto. Dunque Gesù subì la passione e di nuovo risorse, mentre Cristo, quello
che era venuto in lui dall’alto, vale a dire era disceso in forma di colomba, volò
via indenne. Insomma Gesù non era Cristo (οὐ τὸν Ἰησοῦν εἶναι Χριστόν).207
207 Epifanio di Salamina, Panarion I, tomo II, eresia XXVIII, Contro i cerintiani o
merintiani 1,4-7.
208 Epifanio di Salamina, Panarion I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti 13,2.
209 Epifanio di Salamina, Panarion I, tomo II, eresia XXX, Contro gli ebioniti 13,7-8.
230 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
210 «Giovanni rese testimonianza dicendo: “Ho visto lo Spirito scendere come una
colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato
a battezzare con acqua, mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e ri-
manere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso
testimonianza che questi è il Figlio di Dio» (Gv 1,32-33).
211 «E quando Gesù si recò sul fiume Giordano, dove Giovanni battezzava, ed entrò
nell’acqua, un fuoco divampò nel Giordano (πῦρ ἀνήφθη ἐν τῷ Ἰορδάνῃ) e quan-
do risalì dall’acqua lo Spirito Santo volteggiò sopra di lui in forma di colomba,
come hanno scritto gli apostoli del nostro Cristo… Nel contempo venne dai cieli
una voce che già era riecheggiata per mezzo di Davide, che, come impersonando-
lo, pronuncia le parole che gli sarebbero state rivolte dal Padre: “Tu sei mio Figlio,
io oggi ti ho generato (Υἱός μου εἶ σύ, ἐγὼ σήμερον γεγέννηκά σε)” (Salmo 2,7)»
(Giustino, Dialogo con Trifone 88,3 e 8).
212 Sull’apparizione del fuoco e/o della luce al Giordano, in occasione del battesimo
di Gesù, cf. A. Orbe, Cristología gnóstica. Introducción a la soteriología de los
siglos II y III, Biblioteca de Autores Cristianos, Madrid 1976, I, 518-532.
213 «Cum illo die multi baptizarentur, Spiritus super unum descendit et quievit… qui
descendit in similitudine columbae… Lumen super aquam exortum et vox de ca-
elo delapsa… “Hic est Filius meus dilectus”» (Taziano, Diatessaron, in Th. Zahn
(ed.), Forschungen zur Geschichte des neutestamentlichen Kanons I-X, Deichert,
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 231
Erlangen 1881, Leipzig 19292, in part. I,124); cf. A. Orbe, La unción del Verbo.
Estudios Valentinianos III, Libreria Editrice dell’Università Gregoriana, Roma
1961, il cap. «El resplandor», 281-287.
214 «Et cum baptizaretur, lumen ingens circumfulsit de aqua; ita ut timerent omnes
qui advenerant. Et baptizato Jesu, confesti ascendit de aqua, et ecce aperti sunt ei
caeli: et vidit Spiritum Dei descendentem de Caelo sicut columbam venientem in
ipsum» (Codex Vercellensis Evangeliorum, Mt 3,16, in A. Gasquet (ed.), Collecta-
nea biblica latina, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1914, vol. III); l’integrazione
matteana ricorre anche nel Codez Sangermanensis: «Et cum baptizaretur Jesus,
lumen magnum fulgebat de aqua, ita ut timerent omnes qui congregati erant»; cf.
il notevolissimo saggio, che amplia la documentazione a testi siriaci e armeni, di
G. Winkler, The Appareance of the Light at the Baptism of Jesus and the Origins
of the Feast of Epiphany, in M.E. Johnson (ed.), Between Memory and Hope:
Readings on the Liturgical Year, Liturgical Press, Collegeville 2000, 291-348.
232 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
del volto del Signore si rallegreranno di lui. I cieli si apriranno e dal tempio
della gloria verrà su di lui la santità, con voce paterna (ἐκ τοῦ ναοῦ τῆς δόξης
ἥξει ἐπ’ αὐτὸν ἁγίασμα μετὰ φωνῆς πατρικῆς) come da Abramo a Isacco. La
gloria dell’Altissimo sarà pronunciata sopra di lui (δόξα ὑψίστου ἐπ’ αὐτὸν
ῥηθήσεται) e lo Spirito di intelligenza e di santità riposerà su di lui sull’acqua
(καὶ πνεῦμα συνέσεως καὶ ἁγιασμοῦ καταπαύσει ἐπ› αὐτὸν ἐν τῷ ὕδατι ) (Tes-
tamento di Levi, XVIII,2-7).215
215 Testamenti dei dodici patriarchi, in P. Sacchi (ed.), Apocrifi dell’Antico Testamen-
to, Utet, Torino 1981, I,768-948, in part. Testamento di Levi I,789-808, brano cit.
806-807, tr. di P. Sacchi.
216 Utilizzo qui la traduzione del testo siriaco di M. Erbetta, in Gli Apocrifi del Nuovo
Testamento, I/1: Vangeli. Testi giudeo-cristiani e gnostici, Marietti, Casale Mon-
ferrato 1975, verificata e talvolta ritoccata a partire dalla traduzione di M.-J. Pier-
re, Les Odes de Salomon, Brepols, Tunrhout 1995.
217 L’identificazione di Cristo con l’«Uomo di luce» è presupposta nel logion 24 del
Vangelo di Tommaso (=NHC II,38,10-12): «Dissero i suoi discepoli: “Mostraci il
luogo dove tu sei, perché ci è necessario cercarlo”. Disse loro: “Chi ha orecchi,
intenda! Vi è luce in un uomo di luce, e illumina il mondo intero. Se non risplende,
è la tenebra”» (tr. it. di A. Annese lievemente ritoccata, Il Vangelo di Tommaso.
Introduzione storico-critica. Con una nuova traduzione italiana del testo greco e
copto, Carocci, Roma 2019). Si fa qui riferimento alla partecipazione degli eletti
a Cristo, che nel logion 77 dice di sé: «Io sono la Luce che è sopra tutte le cose».
L’eletto partecipa della rivelazione dell’Immagine di Luce, la quale rende ogni
uomo spirituale luce per il mondo. Pertanto, gli eletti stessi partecipano del movi-
mento dialettico della rivelazione della Luce, il suo procedere illuminante e il suo
ritornare/permanere nel Padre. Cf. logion 50=NHC II,41,30-42,7: «Disse Gesù:
“Se vi dicono: “Da dove siete venuti all’esistenza?”, rispondete loro: “Siamo ve-
nuti dalla luce, dal luogo dove la luce è venuta all’esistenza da se stessa, si è levata
e si è manifestata nella loro immagine”. Se vi dicono: “Siete voi?”, dite: “Noi
siamo i suoi figli e noi siamo gli eletti del Padre vivente”. Se vi chiedono: “Qual
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 233
è il segno del Padre vostro in voi?”, dite loro: “È movimento e riposo”». Per una
restituzione del Vangelo di Tommaso come “mistico”, piuttosto che “gnostico”,
cf., A.D. De Conick, Seek To See Him. Ascent and Vision Mysticism in the Gospel
of Thomas, Brill, Leiden-New York-Köln 1996, 3-39.
218 «Il Signore guidò la mia bocca con la sua parola/ ed ha aperto il mio cuore con la
sua luce./ La sua vita immortale ha stabilito in me/ e m’ha concesso di raccontare
il frutto della sua pace» (Odi di Salomone 10,1-2). «Il Signore mi ha fatto nuovo
con il suo vestito e mi ha recuperato con la sua luce. Mi ha ridato la vita con la sua
incorruttibilità» (11,11-12). «Una lampada mi ponesti alla destra e alla sinistra,
perché nulla in me fosse senza Luce. Fui rivestito con la veste del tuo Spirito e mi
levai gli abiti di pelle» (25,7-8); ove è evidente il contesto battesimale. Cf. 12,1-3.
219 «La luce rifulse dal Verbo,/ da tempo in essa presente» (Odi di Salomone 41,14);
«Salì sulla Luce della Verità come su carro e la Verità mi condusse e mi trasportò»
(38,1).
220 «Come il sole è gioia per quelli che desiderano il suo giorno,/ così il Signore è la
mia gioia./ Lui è il mio sole;/ i suoi raggi mi hanno levato;/ la sua luce ha tolto
ogni tenebra dal mio volto» (Odi di Salomone 15,1-2). Mi pare evidente il riferi-
mento a Isaia 9,1. Cf. 41,3-4 e 6: «Noi viviamo nel Signore per il suo favore e per
il suo Unto vita riceviamo. Il grande giorno difatti per noi rifulse… Nella sua luce
i nostri volti rifulgano».
221 «Mi sono tolta l’oscurità e ho rivestito la luce… Mi levai nella luce e passai di
fronte al suo volto» (Odi di Salomone 21,3 e 5). Cf. 13,1-4.
234 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Spirito sul capo di Gesù e nel canto/voce rivelativi della sua trascendente
filialità – di fatto non descrive il battesimo di Cristo:
La colomba volò sul Messia,/ perché egli era suo capo./ Cantò sopra di lui/
e fu udita la sua voce./ Gli abitanti ebbero paura/ e tremarono i residenti!... Gli
abissi si aprirono e si richiusero,/ cercavano il Signore come partorienti./ Ma
egli non fu dato ad essi in pasto,/ ché egli ad essi non apparteneva./ Gli abissi
però furono inondati con l’inondazione del Signore e perirono con quella trama
in cui dai primordi esistevano.222
222 Odi di Salomone 24,1-3; 5-7. Cf. 17,1-16, ove l’essere coronato con la corona
viva di Cristo Dio, quasi certamente identificabile con la recezione del battesimo,
di fatto “indïa” il credente, che diviene uno con l’uomo Gesù nel quale si mani-
festa il Logos/Luce, che rompe la prigione del mondo. Cf. 23,1-22, ove «grazia»
e «conoscenza perfetta» del Signore, identificati con il suo Logos, discendono
«come lettera… dall’alto» (23,5), nella quale si rivela «il capo… il Figlio vero
procedente dal Padre altissimo» (18); il riferimento alla lettera, che ricorda l’Inno
alla perla degli Atti di Tommaso 110,40-111,68 (ove la lettera celeste è portata da
un’aquila e ha il potere di essere luce e via), è ancora una volta battesimale. Cf.
l’eccellente saggio di D.M. Burns, “The Garment poured its entire self over me”:
Christian Baptismal Traditions and the Origins of the Hymn of the Pearl, in K.
Corrigan e T. Rasimus (edd.), Gnosticism, Platonism and the Late Ancient World.
Essays in Honour of John D. Turner, Brille, Leiden-Boston 2013, 262-273.
223 «Come ali di colombe sui loro pulcini e il becco di questi verso il becco di quelle,
così sono pure le ali dello Spirito sul mio cuore… Vita immortale mi ha abbrac-
ciato e mi ha baciato. Da essa proviene lo Spirito in me; questi non può morire,
perché è Vita» (Odi di Salomone 28,1 e 6-7).
224 Cf. Odi di Salomone 30,1-7.
225 «Tutte le prove in nostro possesso stanno a indicare che il quarto Vangelo riscos-
se un’ampia accoglienza prima tra i cristiani eterodossi che tra quelli ortodossi»
(R.E. Brown, La comunità del discepolo prediletto…, 172).
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 235
non possano essere spiegate senza individuare una loro dipendenza struttu-
rale nei confronti sia della cristologia giovannea, sia della paolina econo-
mia escatologica dello Spirito, appunto influenti su di esse e non dipenden-
ti da esse226, come invece è stato sostenuto, a partire dalle indagini
pionieristiche della scuola storico-religiosa di Göttingen, poi da Bultmann
e dai suoi epigoni, infine da una successiva, imponente tradizione di studi
che ha cercato di rintracciare in ambito giudaico-ellenistico l’origine della
gnosi, quindi il prototipo della stessa cristologia giovannea. Le due princi-
pali tradizioni gnostiche, l’una certamente influente sull’altra, articolano
infatti una teologia dualistica che ontologizza “spazialmente” e “protologi-
camente” l’escatologico scarto paolino tra nuova e vecchia economia nella
contrapposizione tra l’assoluta trascendenza spirituale del pleroma e il
mondo cosmologico, creato dall’Arconte/Demiurgo come immagine in-
consapevole e degradata del mistico cielo pleromatico. Inoltre, a partire dal
Prologo giovanneo, di cui i valentiniani furono i primi profondi esegeti, il
pleroma è pensato come intimità relazionale che (secondo una struttura
proto-trinitaria) rivela Dio come processo amoroso di un Padre che, trami-
te lo Spirito/Madre, genera eternamente il suo Figlio quale Dio-Uomo,
quindi come eterna incarnazione del Logos nella carne mistica di Sophia.
Questa è la protologica “Eva”/Madre dei viventi, tratta dal corpo dell’Uo-
mo, quindi peccatrice, infine redenta, prefigurazione della chiesa eletta, la
divinizzata “casta meretrix”.
226 «La figura di Cristo sembra sia stata il catalizzatore che ha fatto sì che atteggia-
menti ed elementi proto-gnostici si organizzassero in corpi ben definiti di pensiero
gnostico» (R.E. Brown, Giovanni…, LXII-LXIII). Cf. G. Lettieri, Deus patiens.
L’essenza cristologica dello gnosticismo, edizione a cura di Gaetano Lettieri,
Roma 1996.
236 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
227 Faccio riferimento alla versione lunga dell’Apocrifo di Giovanni, NHC II,1,1-
32,10, che corrisponde sostanzialmente a quella riportata in NHC IV,1,1-49,28.
Utilizzo la traduzione italiana del testo copto di F. Berno, in L’Apocrifo di Gio-
vanni. Introduzione storico-critica. Con una nuova traduzione italiana del testo
copto, Carocci, Roma 2019, confrontata con la tradizione inglese a cura di J.M.
Robinson, in The Nag Hammadi Library in English, Brill, Leiden-New York-
Köln 19964, 105-123. Eccezion fatta per l’Elenchos attribuito a Ippolito, i testi
gnostici trasmessi dagli eresiologi protocattolici saranno citati nell’edizione e
nella traduzione a cura di M. Simonetti, Testi gnostici in lingua greca e latina,
Lorenzo Valla – Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1993.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 237
228 Per un’analisi del teologumeno gnostico della teofania sulle acque e per un’in-
terpretazione che ne identifica la scaturigine nella retroproiezione antropogoni-
ca della teofania del battesimo di Gesù al Giordano, cf. G. Lettieri, La teofania
sulle acque: il fondamento cristologico del mito gnostico, in «Cassiodorus» 1,
1995, 151-165; cf. le intelligenti osservazioni di F. Berno, L’Apocrifo di Giovan-
ni…, Introduzione, par. 7.2: «La genesi del battesimo ed il battesimo che diviene
Genesi».
229 «E l’intero eone del primo arconte tremò e le fondazioni dell’abisso si mossero.
E dalle acque che erano sotto la materia, la superficie si illuminò dell’apparenza
della sua immagine, che era stata rivelata. E quando tutte le potestà e il primo
arconte guardarono, videro l’intera regione di sotto illuminarsi e, attraverso la
luce, videro nell’acqua la forma dell’immagine» (15,24-34).
238 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
Il Figlio Cristo, il Terzo Uomo che è Figlio dell’Uomo (il Primo) e del
Figlio dell’Uomo (il Secondo), è, quindi, definito «Lumen incorruptibile»!
Ritroviamo il mito gnostico della caduta della Secunda Foemina, Sophia
Prunicos, causa della generazione defettiva di Ialdabaoth, cui consegue la
penitenza e la rivelazione binitaria di Sophia, quindi la creazione dell’uo-
mo ad immagine, la persecuzione demiurgica di Adamo ed Eva; infine,
la notizia ireneana si concentra sul mistero della redenzione. Al Giordano
discende Cristo «Lumen incorruptibile» e con lui l’«universa humectatio
luminis» (AdvHaer I,30,12), che si uniscono con l’uomo Gesù, seppure
concepito miracolosamente dalla vergine Maria, quindi non nato natural-
mente da Giuseppe e Maria. La Luce redentiva del Figlio è quindi identifi-
cata con lo stesso Spirito vivificante, dono del Figlio del quale partecipano
gli spirituali eletti. Anche in questo caso, il mito teologico gnostico pare
dichiarare quello che in Giovanni era in parte implicito: l’incarnazione al
Giordano è la katabasis nell’uomo Gesù della Luce primordiale, quindi
dello stesso Spirito di grazia, con il quale si identifica il seme eletto.
Ma passiamo ai testi gnostici di tradizione valentiniana. Anche i tolome-
ani identificano con «la Luce» Cristo a tutti i suoi livelli rivelativi, quale
a) il Figlio Unigenito/Logos della prima ogdoade231, b) il Cristo redentore
della Sophia infrapleromatica, c) il Salvatore/Frutto comune del pleroma,
generato per essere inviato al di fuori del pleroma quale redentore della
Sophia extrapleromatica, chiamata Achamoth, proprio in quanto abban-
donata nelle tenebre del kenoma dalla Luce cristica che aveva redento la
231 «Dicono che la loro Madre, essendo passata per tutta la passione ed essendone
uscita fuori a stento (Διοδεύσασαν οὖν πᾶν πάθος τὴν Μητέρα αὐτῶν, καὶ μόγις
ὑπερκύψασαν), si volse a supplicare la luce che l’aveva abbandonata, cioè Cristo
(ἐπὶ ἱκεσίαν τραπῆναι τοῦ καταλιπόντος αὐτὴν φωτὸς, τουτέστι τοῦ Χριστοῦ,
λέγουσιν)» (Grande notizia tolomeana in Ireneo, AdvHaer I,4,5).
240 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
236 Cf. Grande notizia tolomeana in Ireneo, AdvHaer I,4,5, ove il seme spirituale è
generato dalla Sophia extrapleromatica dopo la visione della Luce del Salvatore/
Frutto comune del pleroma e dai suoi angeli: «Quanto ad Achamoth, [i valenti-
niani] insegnano che, liberata dalla passione (ἐκτὸς πάθους γενομένην), ebbe la
visione con la gioia che le veniva dalle luci che erano con lui (συλλαβοῦσαν τῇ
χαρᾷ τῶν ἐν αὐτῷ φώτων τὴν θεωρίαν), cioè degli angeli che erano con lui, e,
diventata incinta da parte loro, partorì frutti ad immagine (κεκυηκέναι καρποὺς
κατὰ τὴν εἰκόνα), un prodotto spirituale nato a somiglianza degli accompagnatori
del Salvatore (κύημα πνευματικὸν καθ’ ὁμοίωσιν γεγονότως τῶν δορυφόρων τοῦ
Σωτῆρος)»; ricordo che gli angeli di luce saranno i compagni escatologici di sizi-
gia degli intelletti gnostici, generati alla loro vista da Sophia. Cf. I,5,6.
237 In Grande notizia tolomeana in Ireneo, AdvHaer I,5,6, il seme spirituale emesso
da Sophia e introdotto nell’Adamo ilico-psichico dal Demiurgo nascostamente
manovrato dalla Madre, è la chiesa stessa, immagine della Chiesa superiore,
ultimo eone dell’ogdoade primordiale: «Sfuggì al Demiurgo l’uomo spirituale,
seminato insieme col suo soffio da Sophia con misteriosa potenza e provvidenza.
Infatti come egli [il Demiurgo] ignorava la Madre, così anche il suo seme; e di-
cono che questo è la Chiesa, immagine della Chiesa superiore». Sull’evoluzione
dell’antropologia spirituale da Paolo agli gnostici, sino a Origene e Agostino, cf.
G. Lettieri, L’ultimo nel primo….
242 Immagini della luce. Dimensioni di una metafora assoluta
redentiva della Luce avviene presso il Giordano241. Che per Basilide l’incar-
nazione storica si dia al Giordano e non nel seno di Maria è confermato dalla
moltiplicazione della fotofania redentiva, che è rivelazione del Figlio/Logos
pleromatico (la «seconda filialità» pleromatica, il Cristo/Salvatore, distinto
dalla «prima filialità», che è l’intelletto del Padre), che invia la sua luce quale
«vangelo», interpretato come illuminazione di gnosi, che raggiunge prima il
primo Arconte, quindi il secondo Arconte, entrambi ammaestrati dai loro “Fi-
gli”, figure “psichiche” del Cristo pleromatico242. Infatti, la rivelazione della
Luce determina timore, penitenza e confessione del peccato243, in analogia
non soltanto con la connessione canonica tra penitenza e battesimo/teofania
al Giordano, ma anche con quanto, nella “battesimale” teofania sulle acque,
avveniva nell’Apocrifo di Giovanni, seppure riferito a Sophia e non al primo e
al secondo Arconte. Il rapporto tra fotofania e penitenza è, quindi, chiaramen-
te allusivo della teofania al Giordano dopo la predicazione di conversione del
Battista, seppure è del tutto cancellato il riferimento al battesimo.
Assumendo una collocazione singolare tra gli scritti di Nag Hammadi,
La testimonianza veritiera244 è caratterizzata da un rigoroso ascetismo, quin-
di dal rifiuto della sessualità e dalla polemica contro il battesimo d’acqua,
considerato materiale, contaminante e contrapposto al battesimo spirituale,
interpretato come rigorosa rinuncia al mondo245. Ebbene, l’opposizione tra la
gnosi di luce e la concupiscenza tenebrosa è sceneggiata al Giordano, tramite
In un suo notevole saggio, Gilles Quispel, che pure non si dedica all’a-
nalisi del IV vangelo, fa dipendere dal testo di Ezechiele sia (deutero-)
Isaia 40, 5, sia un decisivo passo dal Libro delle parabole dell’etiopico
Enoc 46,1-5249: nel primo è annunciato l’avvento messianico de «la gloria
del Signore»; nel secondo, accanto a Dio, appare un essere «con le sem-
bianze di uomo», che viene identificato con «il Figlio dell’Uomo», giudice
escatologico. Ebbene, se nel Prologo il Logos incarnatosi nell’uomo Gesù
è ripetutamente identificato con Gloria e Luce, in Gv 1,49-51 il messianico
Figlio di Dio è esplicitamente chiamato «il Figlio dell’Uomo», che ritratta
in sé Giacobbe/Israele, sul quale salgono e scendono gli angeli del cielo,
rivelando finalmente dischiusa «la porta del cielo» (cf. Gen 28,10-17).
La peculiarità del Prologo giovanneo starebbe, allora, nella ricapitola-
zione nell’Unigenito preesistente di molteplici figure di mediazione della
tradizione teologica ebraica, in particolare apocalittica, comunque a partire
dalla singolarissima retroproiezione del trauma “dualistico” di Gesù mes-
sia crocifisso nell’intima natura di Dio.
249 Cf. G. Quispel, Ezekiel 1:26 in Jewish Mysticism and Gnosis, in «Vigiliae Chri-
stianae» 34, 1980, 1-13, in part. 2-3: «These Jews theologians identify the Power
issuing from God with the Glory and with the Anthropos; it is clear that they have
the vision of Ezekiel in mind... This Glory of God was called the “creator in the
beginning” or “the body of the Shekhinah”… And the kabod was identified with
the beloved of the Song of Songs». Quispel, inoltre, fa risalire a queste eterodosse
speculazioni “mitico-sapienziali” ebraiche precristiane non soltanto la nozione
filoniana di Logos, ma anche quella gnostica di Anthropos, prefiloniana e precri-
stiana. Infatti, da questa tradizione Quispel fa dipendere la stessa identificazione
paolina tra Cristo e l’Uomo Immagine, Potenza e Sapienza di Dio, Spirito vivifi-
cante: cf. 7-13.
G. Lettieri - Fiat Verbum, Fiat Lux 247
Conclusione
riattualizzava il Fiat lux genesiaco nel Fiat Verbum al Giordano, torna retro-
proiettata nella preesistenza, rivelando l’intima natura di Dio come relazio-
nale: Gesù apocalittico, il messia discepolo del Battista crocifisso e creduto
risorto, è divenuto, nel IV vangelo, l’eterna apocalisse del Padre. Squarciatisi
i cieli presso il Giordano per la katabasis dello Spirito messianico sul Figlio
prediletto, il Veniente risale, malgrado e attraverso l’ostinazione violenta del-
la tenebra, sino al Padre amorosamente estatico, di cui si è rivelato unico
eterno interprete, decisivo e per questo divisivo. Il veggente Giovanni, testi-
mone della discesa dal cielo del Logos di Luce che s’incarna in Gesù, vede il
messia apocalittico quale Figlio Unigenito che da sempre viene dal Padre e
da sempre torna nel suo seno, per scrutarne e rivelarne il mistero.
AUTORI