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Le radici culturali
Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione che fece Kant tra
noumeno e fenomeno, cioè tra cose in sé e la cosa per come appare a noi. Qui egli si
discosta dal pensiero kantiano, poiché mentre quest’ultimo per fenomeno intendeva
quell’unica realtà alla quale l’uomo poteva avere a che fare, mentre per noumeno
intendeva quel concetto limite che faceva decadere la perfezione dell’intelletto e che
rammentava all’uomo quali erano i suoi limiti nell’ambito della conoscenza della realtà, per
Kant l’uomo può conoscere solo la cose per come appaiono a noi il fenomeno, e la
ragione non è altro che un’arte illusoria che ci si spinge a cercare di solcare il limiti della
conoscenza senza però riuscirci. Per Schopenhauer invece, il fenomeno è un’illusione,
ovvero ciò che nell’antica sapienza indiana era detto velo di Maya, mentre il noumeno è
quella realtà che si nasconde dietro il fenomeno e che il filosofo deve cercare di scorgere.
Inoltre mentre per il criticismo il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione in quanto
cosa o dato materiale esiste al di fuori della coscienza, il fenomeno di cui parla
Schopenhauer è la rappresentazione soggettiva, cioè che esiste solo dentro la coscienza.
La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, da una parte c’è il soggetto
rappresentante, dall’altra l’oggetto rappresentato. Naturalmente soggetto e oggetto
risultano essere rispettivamente facce della stessa medaglia, e nessuno dei due può
procedere indipendentemente dall’altro. Così se il materialismo è falso poiché nega il
soggetto riducendolo all’oggetto, l’idealismo risulta essere anche errato poiché compie il
tentativo opposto negando l’oggetto riducendolo al soggetto.
Sulle orme del criticismo, anche Schopenhauer ritiene che la nostra mente possieda una
serie di forme a priori, tuttavia a differenza di Kant egli ammette solamente tre forme a
priori spazio tempo e casualità. Quest’ultima è l’unica categoria legittima per
Schopenhauer delle 12 di Kant, poiché tutte le altre sono riconducibile ad essa. La casualità
afferma il filosofo, può assumere forme diverse a seconda dagli ambiti in cui opera
manifestandosi come necessità fisica,logica o matematica, ovvero come principio del
divenireche regola i rapporti tra gli oggetti naturali, del conoscereche regola i rapporti
tra premesse e conseguenze, dell’essereche regola i rapporti spazio-temporali, e
dell’agireche regola le connessioni tra un’azione e i suoi motivi. Poiché Schopenhauer
paragona queste forme a priori come vetri sfaccettati, attraverso cui la visione delle cose
si deforma, egli considera la rappresentazione come una fantasmagoria ingannevole,
traendo la conclusione che la vita è un sogno, cioè un tessuto di apparenze, una sorta di
incantesimo di cui è impossibile uscire. Al di la del sogno, esiste però la realtà quella vera,
riguardo alla quale il filosofo che c’è nell’uomo non può fare a meno di interrogarsi. Infatti
egli sostiene che l’uomo essendo un’animale metafisico è portato a stupirsi della sua
esistenza e ha tutto il diritto di interrogarsi su quest’ultima.
Per Kant il fenomeno è l’oggetto della conoscenza, ossia la realtà percepita nello spazio e
nel tempo e determinata dalla categorie del nostro intelletto. Per quest’ultimo dunque,
tale fenomeno risulta essere un qualcosa di relativo al soggetto conoscentetale realtà, è
quella che non percepiamo con le nostre forme a priori, ma questo non significa che essa
sia un qualcosa di ingannevole come afferma invece Schopenhauer. Pertanto per Kant il
fenomeno è l’oggetto universale e necessario della conoscenza perché questo appare in
tutte le menti umane che lo vanno ad interpretare allo stesso modo.
Ma come si arriva a dire che la volontà di vivere è l’essenza dell’universo? Quando io vivo il
mio corpo invece di renderlo un oggetto tra gli altri, lo sottraggo all’approccio del
fenomeno, cioè smetto di usare spazio, tempo e casualità. In tal modo mi privo degli
strumenti che individuano gli oggetti, cioè che pongono i fenomeni come una molteplicità
di cose distinte tra loro, per questo l’essenza che riscontro nel mio corpo non è più
soltanto del mio corpo, perché ha perso i limiti dell’individualità. Per questo risulta essere
corretto parlare di fenomeni al plurale, poichè spazio tempo e casualità distinguono le
varie cose che riscontriamo nel mondo fenomenico, ma si parla di noumeno al singolare
poiché in questo ambito non operano le forme a priori, quindi decade il principio del
molteplice e prevale quello individuale. Ecco perché individuata la volontà come essenza
noumenica del mio corpo, so che tale essenza non si può riferire solo al mi corpo, ma deve
essere per forza l’essenza profonda dell’intera realtà. L’io per Schopenhauer non è la
coscienza della metafisica tradizionale, né un principi astratto e universale, né un concetto
trascendentale, ma si qualifica come la coincidenza tra coscienza, volontà e corpo.
Miliardi di esseri non vivono che per vivere e continuare a vivere. E questa secondo il
filosofo, l’unica crudele verità sul mondo, anche se gli uomini hanno cercato di
mascherarne la totale evidenza postulando un Dio salvatore, ma quest’ultimo nell’universo
doloroso di Schopenhauer non può esistere poiché l’unico principio assoluto è la volontà
di vivere, i cui caratteri di fondo sono analoghi a quelli che i filosofi del passato hanno
attribuito a Dio. Schopenhauer ritiene che questa volontà si manifesta nella realtà
attraverso due fasi distinguibili
Il mondo delle realtà naturali si struttura a propria volta in una serie di gradi di ordine
ascendente il grado più basso è costituito dalle forze generali della natura, i gradi
superiore invece sono occupati dalle piante e dagli animali. Questa sorta di piramide
cosmica culmina nell’uomo, nel quale la volontà diviene pienamente consapevole. Da una
parte nell’uomo acquista coscienza, ma perde la sicurezza, in quanto la ragione risulta
esser meno efficace dell’istinto, per questo Schopenhauer definisce l’uomo come
un’animale malaticcio.
Il pessimismo di Schopenhauer
Affermare che l’essere è la manifestazione di una volontà infinita equivale a dire che la vita
è dolore per essenza. Infatti volere significa desiderare, e desiderare significa trovarsi in
uno stato di tensione per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. E’ poiché
nell’uomo la volontà di vivere è più affamata rispetto agli altri esseri viventi, proprio
l’uomo risulta essere l’animale più bisognoso tra loro, destinato a non trovare mai un
appagamento definitivo, da questo eterno desiderare. Ciò che gli uomini chiamano
godimento o gioia, non è altro che una cessazione di dolore, perché ci sia piacere è
necessario che ci sia uno stato precedente di dolore. Tuttavia la stessa cosa non vale per il
dolore, che non può essere ridotto con una cessazione di piacere, poiché un individuo può
provare una serie di dolori senza che questi siano preceduti da piaceri, da qua egli afferma
che ogni piacere nasce solo come una cessazione di dolore, temporanea. Pertanto mentre
il dolore che si identifica con il desiderio, è un dato permanente, il piacere è solo una
funzione temporanea che deriva dal dolore che esiste in funzione di esso. Accanto al
dolore che è una realtà durevole, e al piacere che è un qualcosa di momentaneo,
Schopenhauer pone una terza situazione di base nella vita umana, la noia la quale
subentra quando viene a meno il desiderio. La vita umana per quest’ultimo è come un
pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l’intervallo
fugace e illusorio del piacere.
La sofferenza universale
L’illusione dell’amore
Per Schopenhauer l’amore è uno dei più forti stimoli dell’esistenza, ma se questo è così
forte da fare di Cupido, il signore degli uomini, è perché dietro le sue lusinghe e il suo
incanto si cela la sua realtà freddaGenio della specie che mira a perpetuare la vita. In
altre parole il fine dell’amore è solo l’accoppiamento, ma se dietro il fascino dell’amore si
cela solo il desiderio sessuale,vuol dire che l’individuo proprio quando va ad manifestare il
suo godimento diventa lo zimbello della natura. L’esempio che trova la massima
manifestazione di questa concezione dell’amore, è per Schopenhauer la mantide religiosa
femmina che divora il maschio dopo l’accoppiamento. Se l’amore è un semplice strumento
per perpetuare la vita allora non c’è amore senza sessualità, ed è per questo insieme di
ragioni che l’amore procreativo è inconsapevolmente un peccato, poiché da due esseri
infelice ne nasce un terzo. Per questo l’unico amore esistente per egli è quello della pietà
per il prossimo.
La critica alle varie forme di ottimismo
Uno degli aspetti più interessanti della filosofia di Schopenhauer è la critica contro le varie
menzogne con cui gli uomini tentano di nascondere a se stessi i dati negativi del vivere e la
crudeltà del mondo. Egli fa della tecnica dello smascheramento uno dei suoi aspetti
principale del suo filosofare proprio per questo verrà soprannominato maestro del
sospetto, poiché mette in nudo ogni falsità dell’ottimismo.
Un’altra menzogna contro cui Schopenhauer va contro è la tesi della bontà e della
socievolezza dell’uomo. Secondo egli la regola dei rapporti umani è costituita dal conflitto
e dal tentativo si sopraffare l’altro. Tale regola pur assumendo nel tempo mille forme è
rimasta la stessa, tant’è vero che basta un nonnulla perché gli individui più mansueti
rivelino la loro vera natura. Di conseguenza se gli uomini vivono assieme non è tanto per
simpatia o socievolezza, ma per bisogno per convenienza. E se esistono lo Stato e le sue
leggi, non è certo per rispondere a un’umana esigenza di eticità, ma solo perché l’uomo
possa difendersi da se stesso. Queste tesi hanno fatto sì che il suo pensiero fu accusato di
misantropismoodio verso l’uomo. In realtà questo tipo di pessimismo contro l’uomo è
finalizzato a favorire la scelta della pietà verso il prossimo. Infatti solo chi ha la sensibilità di
avvertire che i rapporti umani si costituiscono per lo più nell’orizzonte dell’ingiustizia può
sentire il desiderio interiore di seminare giustizia e amore.
Il rifiuto dell’ottimismo storico
Schopenhauer afferma che l’esistenza in virtù del dolore che la costituisce, risulta una cosa
tale che si impara poco per volta a non volerla. Si potrebbe allora pensare che la filosofia
che ci propone sia quella del suicidio universale, invece il filosofo rifiuta tale suicidio per
due motivi:
Pertanto secondo Schopenhauer la vera risposta al dolore del mondo non consiste il
suicidio, bensì la liberazione della stessa volontà di vivere. Il filosofo intende dimostrare
che quando perviene la coscienza di sé la volontà tende ad annullarsi negando se
stessanoluntas. In altre parole è con la presa di coscienza del dolore prende avvio il
cammino della liberazione di quest’ultima.
Schopenhauer articola il momento si salvezza dell’uomo in tre momenti
Secondo un punto di vista molto diffuso dei critici, la teoria dell’ascesi costituisce una
parte del tutto contraddittoria del pensiero di Schopenhauer. Infatti se la volontà si
identifica con la struttura del tutto quindi con l’infinito stesso, come si può ipotizzare
un suo annullamento da parte dell’uomo? In altre parole non posso sradicare l’essenza
del mio essere e allo stesso tempo esistere poiché questo sarebbe del tutto
contraddittorio. Inoltre tutto il suo percorso perde di significato poiché egli stesso non
ha deciso di intraprendere tale via dell’ascesi, andando contro se stesso.
Suppa Andrea