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Schopenhauer

Le radici culturali

Egli si pone come punto di riferimento Platone, Kant, L’illuminismo, il Romanticismo,


l’idealismo e la spiritualità indiana. Di Platone lo attrae soprattutto la teoria delle idee
intese come forme eterne, da Kant, che egli va a considerare come il filosofo per eccellenza
della storia del pensiero, prende in esame la sua impostazione soggettivistica
gnoseologica. Dell’illuminismo lo interessano il suo filone materialistico, dal Romanticismo
Schopenhauer trae alcuni temi principali del suo pensiero come l’irrazionalismo, la
presenza dell’arte e della musica, ma il tema che lo colpì profondamente fu quello
dell’infinito, cioè della tesi secondo cui esiste un principio assoluto che si manifesta nella
realtà sotto forma della natura. Altro motivo indubbiamente romantico è quello del dolore,
che risulta essere interpretato in maniera differente tra il filosofo e i romantici, mentre
questi ultimi mostrano una tendenza globalmente positiva che si concretizza in un
tentativo di riscattare il negativo tramite il positivo, Schopenhauer appare invece
decisamente orientato verso una visione pessimistica della realtà, vista con occhi molto
critici.

Il rifiuto dell’idealismo romantico e l’interesse per il pensiero orientale

Un ruolo decisivo, anche se in maniera indiretta, nella riflessione di Schopenhauer è quello


giocato dal pensiero idealistico, definito dal filosofo come una bestia nera e che va ad
indicare spregiativamente con la formula filosofia dell’università, presentandolo come un
pensiero ipocrita che non è al servizio della verità, bensì di interessi volgari quali il successo
e il potere. E se Ficthe e a Schelling viene riconosciuto un certo ingegno, non si può dire lo
stesso di Hegel, il quale viene descritto come un ciarlatano pesante e ingannevole. Nel suo
linguaggio Schopenhauer esprime tutto il suo dissenso nei confronti di Hegel, e va a
sottolineare l’esigenza della libertà della filosofia che si contrappone alla divinizzazione
dello Stato da parte del filosofo romantico. Nell’universo spirituale di Schopenhauer, un
caratteristico posto di rilievo lo occupa il pensiero indiano, tuttavia il suo pensiero non
risulta essere influenzato da tale sapienza orientale poiché è del tutto indipendente da
esso, più che altro si può parlare di una sorta di sintonia nei suoi confronti. Si può
affermare che egli è stato il primo filosofo occidentale provare interesse nei confronti
della filosofia orientale e a trarre da essa anche alcune espressione suggestive dal quale ha
fatto abbondante uso nei suoi scritti.
Il velo di Maya

Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione che fece Kant tra
noumeno e fenomeno, cioè tra cose in sé e la cosa per come appare a noi. Qui egli si
discosta dal pensiero kantiano, poiché mentre quest’ultimo per fenomeno intendeva
quell’unica realtà alla quale l’uomo poteva avere a che fare, mentre per noumeno
intendeva quel concetto limite che faceva decadere la perfezione dell’intelletto e che
rammentava all’uomo quali erano i suoi limiti nell’ambito della conoscenza della realtà, per
Kant l’uomo può conoscere solo la cose per come appaiono a noi il fenomeno, e la
ragione non è altro che un’arte illusoria che ci si spinge a cercare di solcare il limiti della
conoscenza senza però riuscirci. Per Schopenhauer invece, il fenomeno è un’illusione,
ovvero ciò che nell’antica sapienza indiana era detto velo di Maya, mentre il noumeno è
quella realtà che si nasconde dietro il fenomeno e che il filosofo deve cercare di scorgere.
Inoltre mentre per il criticismo il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione in quanto
cosa o dato materiale esiste al di fuori della coscienza, il fenomeno di cui parla
Schopenhauer è la rappresentazione soggettiva, cioè che esiste solo dentro la coscienza.
La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili, da una parte c’è il soggetto
rappresentante, dall’altra l’oggetto rappresentato. Naturalmente soggetto e oggetto
risultano essere rispettivamente facce della stessa medaglia, e nessuno dei due può
procedere indipendentemente dall’altro. Così se il materialismo è falso poiché nega il
soggetto riducendolo all’oggetto, l’idealismo risulta essere anche errato poiché compie il
tentativo opposto negando l’oggetto riducendolo al soggetto.

Le forme a priori della conoscenza

Sulle orme del criticismo, anche Schopenhauer ritiene che la nostra mente possieda una
serie di forme a priori, tuttavia a differenza di Kant egli ammette solamente tre forme a
priori spazio tempo e casualità. Quest’ultima è l’unica categoria legittima per
Schopenhauer delle 12 di Kant, poiché tutte le altre sono riconducibile ad essa. La casualità
afferma il filosofo, può assumere forme diverse a seconda dagli ambiti in cui opera
manifestandosi come necessità fisica,logica o matematica, ovvero come principio del
divenireche regola i rapporti tra gli oggetti naturali, del conoscereche regola i rapporti
tra premesse e conseguenze, dell’essereche regola i rapporti spazio-temporali, e
dell’agireche regola le connessioni tra un’azione e i suoi motivi. Poiché Schopenhauer
paragona queste forme a priori come vetri sfaccettati, attraverso cui la visione delle cose
si deforma, egli considera la rappresentazione come una fantasmagoria ingannevole,
traendo la conclusione che la vita è un sogno, cioè un tessuto di apparenze, una sorta di
incantesimo di cui è impossibile uscire. Al di la del sogno, esiste però la realtà quella vera,
riguardo alla quale il filosofo che c’è nell’uomo non può fare a meno di interrogarsi. Infatti
egli sostiene che l’uomo essendo un’animale metafisico è portato a stupirsi della sua
esistenza e ha tutto il diritto di interrogarsi su quest’ultima.

Approfondimento fenomeno Kant e Schopenhauer

Per Kant il fenomeno è l’oggetto della conoscenza, ossia la realtà percepita nello spazio e
nel tempo e determinata dalla categorie del nostro intelletto. Per quest’ultimo dunque,
tale fenomeno risulta essere un qualcosa di relativo al soggetto conoscentetale realtà, è
quella che non percepiamo con le nostre forme a priori, ma questo non significa che essa
sia un qualcosa di ingannevole come afferma invece Schopenhauer. Pertanto per Kant il
fenomeno è l’oggetto universale e necessario della conoscenza perché questo appare in
tutte le menti umane che lo vanno ad interpretare allo stesso modo.

Per Schopenhauer il fenomeno è la rappresentazione della realtà da parte di un soggetto,


ma tale termine con quest’ultimo acquista un senso teatrale e di illusorietà. Se per Kant il
fenomeno era un oggetto reale, cioè la realtà vera oggettiva ed universale e non un
qualcosa di mentale, per Schopenhauer è invece un divenire di scene che non hanno alcun
senso di esistere. Tale fenomeno risulta essere un’apparenza ingannevole di una realtà
deformata. E’ come se tra la nostra mente e la realtà vi fosse un ostacolo che la
distorceIl Velo di Maya, un filtro che il filosofo deve squarciare per attingere all’assoluto,
ovvero a quello che si cela al di là della conoscenza umana.

Come eliminare questo velo?

Schopenhauer si vanta di essere riuscito nell’intento di attingere al noumeno, cosa che il


filosofo illuminista aveva precluso. Ma se la mente è chiusa da questo velo, com’è
possibile squarciarlo, e quindi attingere all’assoluto? Se noi fossimo solo conoscenza e
rappresentazione non potremmo uscire dal fenomeno, ossia dalla rappresentazione
esteriore di noi e delle cose, ma poiché siamo dati a noi medesimi non solo come
rappresentazione dal di fuori, ma anche dal di dentro, poiché siamo capaci di soffrire e di
godere, riusciremo ad squarciare questo ostacolo che ci vincola, che ci limita. Ripiegandoci
su noi stessi ci rendiamo conto che l’essenza profonda del nostro io, quindi la cosa in sé del
nostro essere è la volontà di vivereun impulso prepotente che ci spinge ad esistere ed a
vivere. Più che intelletto e conoscenza, noi siamo vita e volontà di vivere, e il nostro stesso
corpo non è che manifestazione esteriore delle nostre brame interiori. L’intero mondo
fenomenico non è altro che il modo in cui la volontà di vivere si manifesta a se stessa
nella rappresentazione spazio temporaleIl mondo come volontà e rappresentazione.
Schopenhauer afferma che questa volontà di vivere non è soltanto la radice noumenica
dell’uomo, ma anche l’essenza segreta di tutte le cose, ossia la cosa in sé dell’universo.
Infatti tutti gli esseri viventi son pervasi da questa volontà, sia pure in forme distinte e
secondo gradi di consapevolezza diversi, dalla materia organica, in cui si manifesta in modo
inconscio e del tutto inconsapevole, arrivando all’uomo in cui essa risulta pienamente
consapevole.

Dall’essenza del mio corpo, all’essenza dell’universo

Ma come si arriva a dire che la volontà di vivere è l’essenza dell’universo? Quando io vivo il
mio corpo invece di renderlo un oggetto tra gli altri, lo sottraggo all’approccio del
fenomeno, cioè smetto di usare spazio, tempo e casualità. In tal modo mi privo degli
strumenti che individuano gli oggetti, cioè che pongono i fenomeni come una molteplicità
di cose distinte tra loro, per questo l’essenza che riscontro nel mio corpo non è più
soltanto del mio corpo, perché ha perso i limiti dell’individualità. Per questo risulta essere
corretto parlare di fenomeni al plurale, poichè spazio tempo e casualità distinguono le
varie cose che riscontriamo nel mondo fenomenico, ma si parla di noumeno al singolare
poiché in questo ambito non operano le forme a priori, quindi decade il principio del
molteplice e prevale quello individuale. Ecco perché individuata la volontà come essenza
noumenica del mio corpo, so che tale essenza non si può riferire solo al mi corpo, ma deve
essere per forza l’essenza profonda dell’intera realtà. L’io per Schopenhauer non è la
coscienza della metafisica tradizionale, né un principi astratto e universale, né un concetto
trascendentale, ma si qualifica come la coincidenza tra coscienza, volontà e corpo.

I caratteri e le manifestazioni della volontà di vivere

Essendo al di là del fenomeno, questa volontà di vivere presenta caratteri contrapposti a


quelli della rappresentazione, in quanto si sottrae alle forme a priori.

Questa volontà è per Schopenhauer

 Inconsciapoiché la consapevolezza e l’intelletto ne costituiscono soltanto le


possibili manifestazioni secondarie. Infatti per quest’ultimo il termine ultimo di
volontà non significa cosciente, ma va ad indicare il concetto di impulso, quindi
quest’ultima si manifesta impulsivamente.
 Unicapoiché esistendo al di fuori dello spazio e del tempo che hanno la funzione
di dividere e di moltiplicare i vari oggetti della realtà fenomenica, si sottrae al
molteplice, ed risulta essere un qualcosa di individuale.
 Eterna essendo al di là del tempo, essa è eterna e indistruttibile, ossia un
principio senza inizio e senza fine.
 Senza scopo essendo al di là della categoria di causa, questa si configura anche
come una forza libera e cieca, ossia come energia senza causa, senza uno scopo.
Infatti noi possiamo cercare la ragione di questa o di quella manifestazione
fenomenica della volontà, ma non della volontà stessa. La volontà primordiale non
ha alcuna meta oltre se stessa.

Miliardi di esseri non vivono che per vivere e continuare a vivere. E questa secondo il
filosofo, l’unica crudele verità sul mondo, anche se gli uomini hanno cercato di
mascherarne la totale evidenza postulando un Dio salvatore, ma quest’ultimo nell’universo
doloroso di Schopenhauer non può esistere poiché l’unico principio assoluto è la volontà
di vivere, i cui caratteri di fondo sono analoghi a quelli che i filosofi del passato hanno
attribuito a Dio. Schopenhauer ritiene che questa volontà si manifesta nella realtà
attraverso due fasi distinguibili

 Nella prima, la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, che non


sono né nello spazio, tanto meno nel tempo, e non son altro che le idee.
 Nella seconda, la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che
non sono altro che la moltiplicazione di tali idee. Tra gli individui e le idee sussiste
un rapporto copia modello, per cui i singoli esseri risultano essere la copia del
prototipo originario dell’idea.

Il mondo delle realtà naturali si struttura a propria volta in una serie di gradi di ordine
ascendente il grado più basso è costituito dalle forze generali della natura, i gradi
superiore invece sono occupati dalle piante e dagli animali. Questa sorta di piramide
cosmica culmina nell’uomo, nel quale la volontà diviene pienamente consapevole. Da una
parte nell’uomo acquista coscienza, ma perde la sicurezza, in quanto la ragione risulta
esser meno efficace dell’istinto, per questo Schopenhauer definisce l’uomo come
un’animale malaticcio.

Il pessimismo di Schopenhauer

Affermare che l’essere è la manifestazione di una volontà infinita equivale a dire che la vita
è dolore per essenza. Infatti volere significa desiderare, e desiderare significa trovarsi in
uno stato di tensione per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. E’ poiché
nell’uomo la volontà di vivere è più affamata rispetto agli altri esseri viventi, proprio
l’uomo risulta essere l’animale più bisognoso tra loro, destinato a non trovare mai un
appagamento definitivo, da questo eterno desiderare. Ciò che gli uomini chiamano
godimento o gioia, non è altro che una cessazione di dolore, perché ci sia piacere è
necessario che ci sia uno stato precedente di dolore. Tuttavia la stessa cosa non vale per il
dolore, che non può essere ridotto con una cessazione di piacere, poiché un individuo può
provare una serie di dolori senza che questi siano preceduti da piaceri, da qua egli afferma
che ogni piacere nasce solo come una cessazione di dolore, temporanea. Pertanto mentre
il dolore che si identifica con il desiderio, è un dato permanente, il piacere è solo una
funzione temporanea che deriva dal dolore che esiste in funzione di esso. Accanto al
dolore che è una realtà durevole, e al piacere che è un qualcosa di momentaneo,
Schopenhauer pone una terza situazione di base nella vita umana, la noia la quale
subentra quando viene a meno il desiderio. La vita umana per quest’ultimo è come un
pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l’intervallo
fugace e illusorio del piacere.

La sofferenza universale

Poiché la volontà di vivere si manifesta in tutte le cose come un desiderio inappagato, il


dolore non riguarda solo l’uomo ma investe ogni creaturatutto soffre dal fiore che
appassisce, dall’animale ferito, all’uomo. E se l’uomo soffre di più rispetto alle altre
creature , è perché egli avendo più consapevolezza è a destinato a sentire in modo
amplificato la spinta della volontà e a patire maggiormente l’insoddisfazione dei propri
desiderida qua segue l’affermazione secondo cui più intelligenza si ha più si soffrirà. In
tal modo il filosofo perviene a una delle più radicali forme di pessimismo cosmico di tutta
la storia del pensiero e afferma che il male non è solo mondo, ma nel principio stesso da
cui questo mondo dipende. Espressione di tale dolore universale non è solo il respiro
frustrato della volontà, ma anche la lotta crudele delle cose. Secondo il filosofo, infatti
dietro le meraviglie del creta si cela un’arena di esseri tormentati i quali esistono solo a
patto di divorarsi l’uno con l’altro. Uno degli esempi paradossali di questa auto lacerazione
è costituito dalla formica gigante d’Australiaquando la si taglia a metà comincia una
lotta fra la testa e la coda. Da qui segue che per Schopenhauer il fine della natura e
perpetuare la vita, e con la vita il dolore.

L’illusione dell’amore

Per Schopenhauer l’amore è uno dei più forti stimoli dell’esistenza, ma se questo è così
forte da fare di Cupido, il signore degli uomini, è perché dietro le sue lusinghe e il suo
incanto si cela la sua realtà freddaGenio della specie che mira a perpetuare la vita. In
altre parole il fine dell’amore è solo l’accoppiamento, ma se dietro il fascino dell’amore si
cela solo il desiderio sessuale,vuol dire che l’individuo proprio quando va ad manifestare il
suo godimento diventa lo zimbello della natura. L’esempio che trova la massima
manifestazione di questa concezione dell’amore, è per Schopenhauer la mantide religiosa
femmina che divora il maschio dopo l’accoppiamento. Se l’amore è un semplice strumento
per perpetuare la vita allora non c’è amore senza sessualità, ed è per questo insieme di
ragioni che l’amore procreativo è inconsapevolmente un peccato, poiché da due esseri
infelice ne nasce un terzo. Per questo l’unico amore esistente per egli è quello della pietà
per il prossimo.
La critica alle varie forme di ottimismo

Uno degli aspetti più interessanti della filosofia di Schopenhauer è la critica contro le varie
menzogne con cui gli uomini tentano di nascondere a se stessi i dati negativi del vivere e la
crudeltà del mondo. Egli fa della tecnica dello smascheramento uno dei suoi aspetti
principale del suo filosofare proprio per questo verrà soprannominato maestro del
sospetto, poiché mette in nudo ogni falsità dell’ottimismo.

Il rifiuto dell’ottimismo cosmico

La polemica di Schopenhauer si scaglia prima contro la forma dell’ottimismo cosmico, ossia


quella forma di pensiero che interpretava il mondo come un organismo perfetto,
governato da Dio. Per egli questa visione, pur essendo consolatrice risulta palesemente
falsa, poiché la vita è un’esplosione di forze irrazionali, e il mondo anzichè essere il mondo
dell’armonia, è il teatro dell’illogicità e della sopraffazione, dove vige la legge del più
forte.

Il rifiuto dell’ottimismo sociale

Un’altra menzogna contro cui Schopenhauer va contro è la tesi della bontà e della
socievolezza dell’uomo. Secondo egli la regola dei rapporti umani è costituita dal conflitto
e dal tentativo si sopraffare l’altro. Tale regola pur assumendo nel tempo mille forme è
rimasta la stessa, tant’è vero che basta un nonnulla perché gli individui più mansueti
rivelino la loro vera natura. Di conseguenza se gli uomini vivono assieme non è tanto per
simpatia o socievolezza, ma per bisogno per convenienza. E se esistono lo Stato e le sue
leggi, non è certo per rispondere a un’umana esigenza di eticità, ma solo perché l’uomo
possa difendersi da se stesso. Queste tesi hanno fatto sì che il suo pensiero fu accusato di
misantropismoodio verso l’uomo. In realtà questo tipo di pessimismo contro l’uomo è
finalizzato a favorire la scelta della pietà verso il prossimo. Infatti solo chi ha la sensibilità di
avvertire che i rapporti umani si costituiscono per lo più nell’orizzonte dell’ingiustizia può
sentire il desiderio interiore di seminare giustizia e amore.
Il rifiuto dell’ottimismo storico

Un altro aspetto della dottrina di Schopenhauer, che lo contrappone all’idealismo


romantico è costituito dalla polemica contro ogni forma di storicismo. Egli ridimensiona la
portata conoscitiva della storia, affermando che essa non è una vera e propria scienza in
quanto anziché procedere per concetti generali, è costretta a limitarsi alla catalogazione
dell’individuale. Per questo motivo essa risulta inferiore all’arte e alla filosofia, che mirano
alle strutture universali e permanenti rivelandosi più veritiere e profonde. A furia di
studiare gli uomini gli storici finiscono per perdere di vista l’uomo, cadendo nell’illusione
che da epoca in epoca gli uomini mutino. In realtà se andiamo al di là del tempo e della
storia il destino dell’uomo presentano sempre dei tratti immutabili. Se come ritiene
Schopenhauer la storia è soltanto il fatale ripetersi di un medesimo dramma, allora è
necessario spogliare la disciplina storica della sua pretesa di rivelarci il diverso e prendere
la coscienza del fatto che l’umanità si trova nel medesimo e perpetuo stato di dolore.
L’autentico compito della storia sarà pertanto quello di offrire all’uomo la coscienza di sé e
del proprio destino.

Le vie della liberazione dal dolore

Schopenhauer afferma che l’esistenza in virtù del dolore che la costituisce, risulta una cosa
tale che si impara poco per volta a non volerla. Si potrebbe allora pensare che la filosofia
che ci propone sia quella del suicidio universale, invece il filosofo rifiuta tale suicidio per
due motivi:

 Poiché il suicidio è invece un atto di forte affermazione della volontà stessa, in


quanto il suicida vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono
toccate, per cui anziché negare la volontà egli nega la vita stessa.
 Perché il suicidio sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della volontà
di vivere, e lascia intatta la cosa in sé, la quale pur morendo in un individuo, rinasce
in mille altrisimile al sole che tramontato da una parte risorge dall’altra.

Pertanto secondo Schopenhauer la vera risposta al dolore del mondo non consiste il
suicidio, bensì la liberazione della stessa volontà di vivere. Il filosofo intende dimostrare
che quando perviene la coscienza di sé la volontà tende ad annullarsi negando se
stessanoluntas. In altre parole è con la presa di coscienza del dolore prende avvio il
cammino della liberazione di quest’ultima.
Schopenhauer articola il momento si salvezza dell’uomo in tre momenti

 L’arte mentre la conoscenza scientifica è influenzata dalle forme a priori di spazio


e di tempo, l’arte è conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle idee ossia
alle forme pure delle cose, ossia all’essenza dei fenomeni. E allo stesso modo il
soggetto che contempla le idee, non è più l’individuo naturale particolare soggetto
alla volontà di vivere, ma è il puro soggetto del conoscere, il puro occhio del mondo.
L’arte sottrae l’individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani,
offrendogli un appagamento compiuto. Ecco perché secondo egli, grazie ad essa
l’uomo più che vivere contempla la vita, elevandosi al di sopra della volontà. Le
varie arti si possono ordinare gerarchicamente, esse vanno dall’architettura, che
corrisponde al livello più basso, fino alla scultura, alla pittura e alla poesia. Tra le
arti spicca la tragedia, che costituisce l’auto rappresentazione del dramma della
vita. Un posto a sé occupa la musica, poiché non riproduce le idee come fanno le
altre arti, ma si pone come immediata rivelazione della volontà a se stessa.
Schopenhauer afferma che la musica si configura come l’arte più profonda e
universale, come metafisica dei suoni, capace di metterci in contatto al di là dei
limiti della ragione. Ogni arte è quindi liberatrice poiché il piacere che essa procura
è la cessazione del bisogno, ma la funzione liberatrice dell’arte è pur sempre
parziale, e ha i caratteri di un breve incantesimo. L’arte costituisce un conforto alla
vita, ma non un totale salvezza dal dolore che essa presuppone.
 La moralela morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo. L’etica
va a costituire un tentativo di superare l’egoismo e di vincere quella lotta incessante
degli individui tra loro. Pur riconoscendo con Kant che il disinteresse costituisce il
cuore della moralità, egli sostiene contro quest’ultimo che l’etica non sgorga da un
ragionamento astratto, bensì da un’esperienza vissuta ovvero da un sentimento di
pietà attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri. Non basta
sapere che la vita è dolore e che tutti soffrono, bisogna sentire e realizzare questa
sofferenza nel profondo del nostro essere, pertanto non è la conoscenza a produrre
la moralità, ma è la moralità a produrre la conoscenza poiché attraverso la
compassione conosciamoWagner. Tramite la pietà noi sperimentiamo quell’unità
metafisica di tutti gli esseri, facendoci capire come il tormentare e il tormentati
siano la stessa cosa. Solo per un sogno illusorio il malvagio si crede separato dagli
altri e dal loro dolore, ma il rimorso temporaneo e la duratura angoscia che
accompagnano i suoi delitti costituiscono l’oscura consapevolezza dell’unità del
volere cosmico. Per questa ragione se la malvagità è il disconoscimento dell’unità
degli esseri, la pietà è invece il riconoscimento di essa. La morale si concretizza in
due virtù cardinali
 La giustizia che è un primo freno all’egoismo, ha un carattere negativo, poiché
consiste nel non fare il male e nell’essere disposti a riconoscere agli altri ciò che
siamo pronti a riconoscere a noi stessi.
 La carità si identifica invece con la volontà positiva e attiva di fare del bene al
prossimo, diversamente dall’eros che è falso amore, questa compassione verso il
prossimo è vero amore.
La morale consiste dunque nella pietà cioè nel far propria la sofferenza di tutti gli
esseri passati e presenti.
 L’ascesi Sebbene implichi una vittoria sull’egoismo la morale rimane pur sempre
all’interno della vita e presuppone un attaccamento ad essa. Per questo
Schopenhauer persegue una liberazione totale non solo dall’egoismo e
dall’ingiustizia ma dalla volontà stessa di vivere. L’ascesi è il momento attraverso il
quale l’individuo cessando di volere la vita si propone di estirpare il proprio
desiderio di esistere, di godere e di volere. Il primo gradino dell’ascesi è costituito
dalla castità perfetta, che ci libera dall’impulso alla generazione quindi alla
perpetuazione della specie. La rinuncia ai piaceri, l’umiltà, la povertà, il sacrifico e
l’auto macerazione, che sono le altre manifestazione di questa ascesa, e tendono
tutte verso il medesimo obbiettivo quello di sciogliere la volontà di vivere. La
soppressione della volontà di vivere è l’unico vero atto di libertà che sia possibile
all’uomo, la coscienza del dolore come essenza del mondo non è un motivo del
volere capace di vincere il carattere stesso dell’individuo e le sue tendenze naturali
e quando succede ciò l’uomo diviene finalmente libero ed entra in uno stato di
grazia. Mentre nel Cristianesimo l’ascesi si conclude con la visione di Dio, nel
misticismo ateo il cammino verso la salvezza mette a capo al nirvana buddista,
ovvero il nulla, un nulla che non è il niente bensì un nulla relativo al mondo, cioè
una negazione del mondo stesso. In altre parole se per Schopenhauer il mondo con
tutte le sue illusioni e le sue sofferenze è il nulla, allo stesso modo il nirvana è un
tutto cioè un oceano di pace.

Critiche contro Schopenhauer

Secondo un punto di vista molto diffuso dei critici, la teoria dell’ascesi costituisce una
parte del tutto contraddittoria del pensiero di Schopenhauer. Infatti se la volontà si
identifica con la struttura del tutto quindi con l’infinito stesso, come si può ipotizzare
un suo annullamento da parte dell’uomo? In altre parole non posso sradicare l’essenza
del mio essere e allo stesso tempo esistere poiché questo sarebbe del tutto
contraddittorio. Inoltre tutto il suo percorso perde di significato poiché egli stesso non
ha deciso di intraprendere tale via dell’ascesi, andando contro se stesso.

Suppa Andrea

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