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Schopenhauer

Figura appartenente all’Ottocento, senza mai sentirsi pienamente compresa, in quanto dal
pensiero inattuale rispetto al periodo che vedeva brillare Hegel, Fichte e Schelling →
Risentimento particolare per questi, con i quali non condivide il modo di pensare; principale
antihegeliano, benestante, cosmopolita, ateo e abbastanza sempre solo nel corso della sua
vita (rifiutato molte volte).

La sua opera principale che ricordiamo fu pubblicata nel 1818, intitolata “Il mondo come
volontà e rappresentazione”

…come rappresentazione:
Partiamo innanzitutto col sottolineare che Sh. si dichiara apertamente l’unico erede della
filosofia kantiana, andando a screditare invece la filosofia di Fichte, Schelling ed Hegel. Kant
a suo parere e’ riuscito a dimostrare che il mondo e’, appunto, una nostra rappresentazione:
avremmo quindi a che fare con un mondo di fenomeni che a noi si pongono tramite le forme
a priori della sensibilità ed intelletto. → Secondo Sh. la prima delle forme a priori e la più
generale sicuramente si baserebbe sul quel rapporto inscindibile che esiste tra soggetto ed
oggetto. Da un lato il soggetto e’ la condizione sottintesa di ogni fenomeno/oggetto, ma
questo soggetto e’ conoscente solo tramite la presenza e rappresentazione di un
fenomeno/oggetto.
Le forme a priori che erano articolate in Kant, da Sh. vengono rivisitate: fonde l’intuizione
sensibile e l’intelletto e va a definirne tre, ovvero SPAZIO, TEMPO e CAUSALITÀ (“ogni
cosa che presuppone una determinata causa per poter esistere”, questo il senso specifico
del termine). Le prime due vanno invece a far riferimento al mondo prettamente
geometrico-matematico, “ogni spazio e momento sono in relazione ad altri”.
→ Tramite queste forme a priori l’intelletto lavora, andando ad elaborare in modo immediato
ed inconsciamente la sua rappresentazione di un fenomeno/oggetto verso l’esterno (appunto
nello spazio e tempo).
Le 3 forme a priori vanno a costituire il mondo fenomenico come un intreccio di relazioni tra
loro di oggetti e tra il nostro corpo.

Sh. ritiene che astrazione e giudizio siano propri solo della ragione, mentre invece la
conoscenza intellettuale sarebbe intuitiva ed immediata, precedente al linguaggio e alla
riflessione stessa. → Intuire un oggetto significa comprenderlo nel rapporto con un altro
oggetto; il mondo fenomenico obbedisce al principio di ragione sufficiente dove si dice che
nulla può esistere senza che ci sia un fondamento, Sh. definisce in una sua opera
conosciuta come “La quadruplice radice del principio di ragione sufficiente” proprio quelle
quattro radici secondo cui i fenomeni si associano casualmente tra loro [divenire (fenomeni
naturali), conoscere (legato al ragionamento logico), essere (nessi spazio-temporali) e agire
(azioni che rientrano nella sfera morale)]

Interpretazione delle forme a priori: uomo e animale sono possedenti intelletto, che varia di
acutezza e per possibilità di applicazione per gradi e più sali questi gradi più il mondo
rappresentato diventa articolato. Se allora le piante non hanno intelletto e sono quindi prive
di un mondo, si arriva alla comprensione che l’intelletto e’ fondamentale alla conservazione
della vita in rapporto con l’ambiente. → di fatto il mondo oggettivo diventa un semplice
fenomeno cerebrale.
L’animale si distingue dall’uomo per la ragione (il logos!!! Isocrate): ha infatti intuizioni
immediate ma non pensieri. Dalla ragione poi sorgono tanti altri concetti, come la logica, le
istituzioni sociali, religioni e filosofie… Ciò permette all’uomo di distaccarsi dalle intuizioni
dell’immediato presente, vivendo invece in un mondo fatto di simboli, di concetti che variano
dal presente al passato e al futuro e che lo allontanano dalla diretta esperienza, alla quale
invece gli animali sono costantemente sottoposti. L’animale di conseguenza a questo non
ha nemmeno in sé il concetto della morte che invece tormenta l’uomo. E a proposito di
concetti, questi vengono definiti di fatto un’astrazione dell’intuizione dell’intelletto, che ci
consentono di organizzare i dati in strutture più complesse senza che vengano persi.
→ Il potersi allontanare dall’intuizione ci dona potenza, ma dobbiamo ricordare anche che
aumenta il rischio di cadere nell’errore.

Rappresentazione = mondo fenomenico conosciuto attraverso le forme a priori


Nemmeno la conoscenza scientifica può uscire da questa Rappresentazione, in quanto di
fatto la scienza va a costruire catene di relazioni causali tra i fenomeni, dove ognuna
spiegazione poi va a finire per essere una rappresentazione ulteriore. E di fronte a questo
moltiplicarsi sempre maggiore nel tempo di cause e spiegazioni varie, l’uomo arriva a voler
trovare un significato nuovo e profondo e complessivo del mondo, pk altrimenti si sente
insoddisfatto; qui ritroviamo nuove prospettive, di tipo metafisico (filosofia e religione), che
tuttavia nella loro ricerca del significato del mondo si ritrovano alla fine davanti al carattere
illusorio che ha la Rappresentazione [riprese religioni orientali, “il mondo e’ simile ad un
sogno…”].

…come volonta’:
Sta alla filosofia secondo Sh. riuscire a cogliere l’essenza dell’uomo più intima, dove invece
la ragione e le scienze come abbiamo visto non possono arrivare: “la filosofia ha inizio dove
finiscono le scienze”. Nell’uomo sorge questa necessità di metafisica di fronte ai misteri sul
dolore e sulla morte che vanno oltre la comprensione.
Al contrario di come pensavano altri filosofi, la realtà in sé (che Kant aveva imposto di non
ricercare oltrepassando il mondo fenomenico) non può essere raggiunta da dentro la
Rappresentazione, pertanto non può il filosofo cogliere il senso del mondo solo
considerandosi come soggetto cosciente, ma c’e’ bisogno dell’esperienza corporea, che
Sh. aggiunge e da cui proprio parte per costruire la sua metafisica.

Il corpo da un lato mi appare come rappresentazione intuitiva, ma dall'altro lato io di questo


ho anche esperienza immediata ed interna: con questa il corpo si rivela, alla nostra
coscienza, essere non altro se non VOLONTÀ (intesa come la brama di vivere, il desiderio,
l’amore, il timore ecc.). Quindi la cosa in sé, l’essenza del nostro essere e’ proprio la volontà:
proprio per questa identità ogni azione esercitata sul nostro corpo risulta in piacere se
assecondata o in dolore se ostacolata, il corpo e’ volontà incarnata, le sue parti sono
un’oggettificazione della volontà che si palesa (es. apparato digerente= fame oggettificata).
L’esperienza interna del nostro corpo rappresenta allora la chiave per i misteri del mondo: si
tratta di una verità prima in quanto avvenendo internamente a noi e’ la nostra conoscenza
più immediata.
A partire da questi concetti, Sh. evolve la sua teoria sulla volontà in scala ben maggiore:
tutto e’ volontà. Di fatto va a definire come il mondo si vada a rivelare a noi come
l’oggettificazione di un’unica volontà COSMICA → Attribuisce al termine di per sé un
significato metafisico, che va oltre a quello abituale che noi conosciamo.
Essendo cosa in sé, la volontà non cade sotto le forme della rappresentazione, ma quelle
investono solamente le sue oggettificazioni: stesso criterio viene applicato con le forme a
priori quindi dello spazio e del tempo, definite principium individuationis, che permettono di
distinguere tra un fenomeno e l’altro nel mondo oggettivo.
La volontà e’ invece una, indivisibile, eterna, forza primordiale non determinata da nulla,
al contrario di tutti i fenomeni che risultano essere concatenazioni causali, mentre essa e’
SENZA RAGIONE, causa o fondamento. Si tratta di un'attività cieca, senza scopo, mentre i
fenomeni nel mondo sono in costante tensione verso il proprio fine → qui la metafisica di Sh.
va a rigettare l’ottimismo di tutte le religioni e filosofie che credono in un determinato ordine
ed equilibrio cosmico nelle cose (pensieri puramente consolatrici per l’uomo e non altro).

Sh va a definire una metafisica della natura partendo da questi concetti: metafisica della
natura come oggettificazione della volontà, che e’ a livelli, come lui ci espone. Al primo, ad
esempio, troviamo le IDEE: le concepisce “alla Platone” come eterne immutabili e universali
forme delle cose, anch’esse fuori dal principium individuationis, ognuna che rappresenta un
grado determinato di oggettificazione della V. e che si manifesta in un ambito corrispondente
di fenomeni.
→ L'unità della V. cosmica spiega l’armonia in tutte le parti dell’universo. Tuttavia si tratta di
un’armonia che non esclude affatto il conflitto, ma anzi si impone proprio attraverso una
LOTTA COSMICA che risulta incessante. La V. risulta presente, indivisa, in ciascuna idea e
fenomeno dove si va a manifestare come un impulso illimitato al volersi affermare contro le
pretese uguali di qualsiasi altra esistenza indipendente (si sviluppa qui poi il prevalere del più
forte sul più debole, legge della natura).

La V. risulta una tensione incessante verso qualcosa che deve appagare un bisogno, una
mancanza: questo desiderio insoddisfatto si identifica nel DOLORE, che allora diventa per
Sh. la naturale condizione originaria della vita dell’uomo. Invece, il PIACERE, ha
un’esistenza solo derivata e per forza negativa, pk di fatto, una volta raggiunto l'obiettivo e
ottenuto quel minimo di piacere, ciò che era stato a lungo desiderato diventa
automaticamente illusorio ed inconsistente. Da lì si riprende la corsa della vita verso nuovi
desideri e nuovi conseguenti dolori. → Tanto più il dolore e’ intenso quanto più
consapevolezza c'è, ovvero quindi la facoltà di sentire e soffrire: in questo l’uomo e’ il più
infelice, in quanto genio che possiede l’intelletto e così soffre di più.

Ma oltre al dolore, vi e’ un'esperienza classificata come ancora più temibile, ovvero la NOIA.
Ogni volta infatti che ci viene concessa una tregua dalla lotta per l’esistenza continua, dato
che i nostri bisogni risultano soddisfatti e quindi non ne abbiamo, sentiamo un vuoto e una
mancanza di significato nelle cose, sperimentiamo la noia di vivere.
L’esistenza degli uomini e’ quindi prevalentemente caratterizzata da un continuo oscillare tra
l’estremo del dolore e quello della noia, senza possibile felicità pk e’ illusoria.
Falsi idoli dell’ottimismo:

- Sh. a questo punto va a riflettere sul mondo dal punto di vista di cultura e società;
secondo lui filosofie e religioni rispondono a quello che e’ un “bisogno di redenzione”
dal momento in cui si ha esperienza del dolore e della morte. Le religioni,
“metafisiche del popolo”, si differenziano dalla filosofia in quanto tendono a travestire
la verità di forme mitiche che vanno poi ad alimentare le credenze e l’intolleranza.
Attacca invece la funzione prettamente consolatoria delle religioni che vanno ad
occultare il male nel mondo santificando invece l’esistenza: si tratterebbe di un
ottimismo superficiale che deve appagare quel puerile bisogno di sicurezza che
sentiamo dentro di noi.
→ Tuttavia si ritrova nelle religioni pessimistiche orientali (buddhismo e induismo) che
definiscono l’esistenza come COLPA e MORTE.

- Sarcasmo anche riguardo agli cosiddetti “idoli laici” del suo tempo, quali la fede nel
progresso e nel senso della storia in cui l’uomo cerca un modo per fuggire dal dolore:
la sua metafisica della V. va a destituire le illusioni, rivelando con sguardo
disincantato come la storia e la società mostrino ovunque e sempre violenza,
ingiustizia e sfruttamento.

- Esiste poi il concetto dello Stato, dove Sh. si allontana e va contro alle filosofie come
quella di Hegel: di base esiste una conflittualità perpetua tra gli egoismi individuali
che genera una lotta di tutti contro tutti, che viene limitata, arginata (attenzione, NON
fermata!!) dalla presenza dello Stato, che allora viene definito un male necessario,
che però non ha alcuna missione morale o pedagogica. La missione dell’uomo qui
NON si realizza nello Stato come pensa Hegel.

- Quando parliamo di illusione consolatoria facciamo riferimento non solo alla religione
ma anche secondo Sh. all’immagine idealizzata dell’AMORE che dovrebbe
testimoniare la spiritualità sublime dell’uomo. → in realtà ogni innamoramento
sarebbe legato esclusivamente all’istinto sessuale e l’individuo stesso sarebbe di
fatto uno strumento inconsapevole della Volontà di vita della specie.

- L’illusione dell’amore e’ solo un caso particolare della fiducia infondata nella libertà
umana e della trasparenza della coscienza: tutti i nostri atti sono di fatto governati da
un assoluto DETERMINISMO. Noi uomini presentiamo l’illusione di essere liberi
partendo dalla constatazione che ognuno reagisce differentemente, ma realmente tali
varietà si verificano perché nella specie umana c’e’ un’idea per ogni individuo, che va
a costituire il carattere INNATO di ciascuno → Cmq si e’ al di sotto della V.
Come uomini tendiamo a sentirci responsabili delle nostre azioni e questo esprime la
profondità metafisica di questo carattere innato che non e’ sottoposto alla causalità; il
carattere innato sembra rimandare alla misteriosa libertà di una scelta originaria fuori
dal tempo, come se il nostro essere fosse prescelto prima di nascere.
→ la nostra responsabilità allora riguarda l’essere pienamente ciò che siamo e non le
nostre singole azioni.
Riguardo alla coscienza: Sh va ad attribuire un ruolo determinante alle componenti inconsce
dell'attività psichica (spesso le nostre azioni sono giustificate da noi con motivi apparenti che
nascondono una realtà poco nobile). → NON e’ la V. ad obbedire alla coscienza ma il
contrario, infatti quest’ultima e’ un suo strumento che arriva ad illuminare il lavoro fatto (non
da lei): solo a “fatti compiuti” possiamo comprendere che genere di persone siamo.
[ elemento della follia che viene associato alla rimozione di alcune esperienze dolorose o
inaccettabili della vita da parte della coscienza → disturbo della memoria, processo
inconscio; ugualmente processo inconscio e’ il sogno]

Vie di liberazione dalla Volontà:

- Uno dei pochi metodi che Sh. ipotizza nella sua metafisica pessimista per potersi
liberare dal dominio della V. e’ il piacere che non rappresenta un appagamento della
Vol. di vita, quello della CONTEMPLAZIONE ESTETICA. Con questa la conoscenza
non incontra più le cose solo come mezzi per appagare i desideri dell’io, ma riesce a
vederne l’essenza. Dove la scienza non può arrivare, arriva invece l’ARTE: questa
riesce a strappare l’oggetto della sua contemplazione dalla corrente che trascina le
cose nel mondo e lo pone davanti a se stesso. → Gli oggetti dell’arte sono soltanto
idee, non fenomeni e affinché il soggetto possa contemplarle, deve liberarsi dal
principium individuationis sprofondando nell’intuizione dell’idea: godimento estetico,
che di fronte ad un’opera d’arte o alla bellezza della natura, ci trasporta in un altro
mondo. Nella contemplazione estetica l’idea diviene oggetto puro e la stessa cosa
avviene anche con la filosofia.
L’artista o filosofo e’ definito il GENIO, che sa far tacere la Vol. e così raggiunge
l'oggettività assoluta: tuttavia c’e’ per Sh. un diretto parallelismo con genio e follia, in
quanto questi sono anche i più sensibili al dolore, condannati alla solitudine ed
incomprensione.
→ Esiste una gerarchia delle arti che rispecchia quella metafisica delle idee, al cui vertice si
trova la MUSICA: essa non esprime le idee ma la Vol. stessa, e’ immediata oggettificazione
della Vol. ; esprime in un linguaggio universale il “cuore delle cose”.

- la contemplazione estetica e’ tuttavia fugace e accessibile appunto a pochi. Possiamo


invece trovare una differente liberazione dalla Volontà dentro alla dimensione morale,
dove non c’e’ il condizionamento dato dalle qualità dell’individuo. Ogni individuo si
considera di natura al centro dell’universo → EGOISMO, nato dal principium
individuationis, dove ciascuno si sente separato anni luce dall’altro. Tuttavia, anche
così, puo’ sorgere qualcosa di positivo, che va ad unire gli individui: la
COMPASSIONE, sentimento all’origine di tutte le azioni morali. Si tratta del soffrire
con e per gli altri, sentire la stessa nostra essenza nell’altro a discapito del
Principium; proviene dal profondo ed e’ inspiegabile dalla ragione, pertanto non si
riesce ad insegnare.
Partendo dall’egoismo e spostandosi poi nella compassione, una volta capito che gli
individui sono tutti l’uno nel tutto, l’egoismo iniziale si affievolisce e nasce un nuovo
concetto della GIUSTIZIA che diventa poi CARITA’, l’amore senza interessi per ogni
essere vivente che soffre. Carita’ identificata nell’agape e l’egoismo nell’eros.
- Colui che riesce ad arrivare al massimo grado di compassione e va oltre quindi al
Principium, accumula su di lui tutto il dolore nel mondo; la sua volontà si distacca
dalla vita => ASCESI
Ci sarebbe il suicidio come semplice via per negare la Volonta’, ma se ci pensiamo in
realta’ arrivare al suicidio non significa rinunciare alla volonta’ di vivere, solo
rinunciare al vivere: si tratta di un paradosso di affermazione della volonta’. Al
contrario l’asceta persegue il vero annullamento della volontà tramite la
mortificazione del corpo (digiuno, poverta’, castità...) → non si tratta tuttavia di una
sua decisione in quanto anche quella deriverebbe dalla volontà, ma di una
predestinazione dell’individuo. Si raggiunge così un’estasi mistica che non è possibile
spiegare a parole, ma considerando come si tratti di una condizione assoluta di pace
e silenzio, potremmo definirla come il NULLA.

Kierkegaard

Personaggio caratterizzato nella vita da una profonda fede donatagli dal padre, con cui avrà
un rapporto difficile; lutti continui e assillo religioso. Sente una maledizione di Dio su di se’ e
per questo allontana le persone che ama.

La sua opera si basa essenzialmente su una riflessione legata all’esistenza e alla mortalita’
umana, con sottotematica riguardante le scelte che l’uomo deve affrontare nella vita, la
liberta’, la morte e l’angoscia dovuta a queste scelte. => esistenzialismo

Frequentemente fa ricorso a pseudonimi, che vanno a sostituire il suo vero nome nella
pubblicazione delle sue opere, e che vengono interpretati come uno sforzo di K. di ricerca del
proprio io; oppure, potrebbero essere la rappresentazione di molte possibilita’ a cui si
affaccia l’io nella sua esistenza; secondo alcuni, si tratta di un modo per dirigere il lettore alla
verita’ passando per degli inganni. Inoltre, vengono utilizzati da K. anche per definire una
posizione diversa dalla propria con la quale poi instaurare dei dialoghi e dibattiti.

Visione antihegeliana, il suo pensiero gli pare sistematico, oggettivo ed estremamente


freddo, una filosofia di fatto del tutto che tralascia il singolo; proprio K. invece decide di
approfondire quella dimensione del singolo non abbracciata da Hegel.

Problema della verita’, ci sono in due modi alla quale porsi: maniera oggettiva, (hegel), dove
si riflette sulla verita’ come su un oggetto al quale il soggetto e’ in rapporto; maniera
soggettiva di K. , prevede il riflettere sul rapporto dell’individuo con la verita’. Nel primo caso
il sogg. si smarrisce, nel secondo il sogg. viene interpellato nella sua interiorità.
→ Oggettivita’ e soggettivita’ si distinguono anche per il modo di dubitare: nel primo caso si
tratta di un dubbio scientifico senza passione, che invece ritroviamo nel secondo caso di
dubbio. Il sogg. esistente e’ per K. infinitamente interessato all’esistenza ma anche
conoscente della sua finitezza: la vera soggettività e’ il modo in cui l'individuo si rapporta con
l’assoluto.

Da qui, con questa relazione individuata tra sogg. e assoluto, subentra la dialettica
dell’esistenza: il sogg. viene chiamato in causa e deve DECIDERE. Se con Hegel si ha una
dialettica dell’ et…et, quella esistenziale di K prevede un aut…aut, dove bisogna scegliere tra
le opzioni date. L’esistenza che si sceglie tra le infinite possibili preclude automaticamente le
altre una volta compiuta questa decisione. → La dimensione del singolo e’ fondamentale e K.
osserva come sia stata posta principalmente dal cristianesimo nella storia: esaltato il valore
del singolo contro il numero, che porta poi K. a disprezzare ampiamente le folle e la massa.

AUT AUT:
Proprio l’esistenza del singolo e’ la tematica di quest’opera, la più celebre di K; in apertura,
sotto pseudonimo di Victor l’Eremita, K. racconta come quest’opera sia il risultato di tante
carte da lui ritrovate, scritte dai cosiddetti “A” e “B” (Manzoni style). Attraverso l’analisi di
figure emblematiche, l’opera prospetta delle possibilita’ di esistenza: la vita ESTETICA e la
vita ETICA, che vanno poi a completarsi nella vita RELIGIOSA descritta in un’altra opera.

Tra le principali letture di K. troviamo il Faust, Don Giovanni e l’Ebreo errante: in queste tre
figure ritrova tre forme del demoniaco, ovvero modi in cui l’uomo va ad allontanarsi dalla
salvezza chiudendosi in se stesso (brama di potere, desiderio carnale, rifiuto della salvezza).
Nell’opera queste tre figure convergono in quella del Don Giovanni, che viene utilizzato da
K. per rappresentare la vita estetica, individuandolo quindi come ESTETA (tema della
sensualita’ come possibilita’ di vita). L’esteta individuato come colui che vuole godere della
massima libertà e vuole vivere al meglio ogni istante (carpe diem), anche se poi presto si
rende conto delle limitazioni di quell’esistenza.
Ripreso dall’opera omonima di Mozart, Don Giovanni e’ il risultato di una costruzione di vari
“stadi” che K. individua in altri personaggi di altre opere del musicista, che sembrano appunto
condurre alla figura di D.G. alla fine.

- Primo stadio, “desiderio sognante”, rappresentato da Cherubino delle Nozze di


Figaro; in lui K. scorge il risveglio della sensualità come malinconia profonda, dove il
desiderio non e’ ancora distinto dal proprio oggetto e per questo e’ malinconico.
- Secondo stadio, “desiderio cercante”, rappresentato da Papageno del Flauto
magico; sveglio e vigile ora il desiderio si rivolge verso il proprio oggetto, anche se
cmq non e’ capace ancora di individuare un unico oggetto e quindi rimane desiderio
inappagato.
- Terzo stazio, “desiderio bramante”, espressione massima del desiderio e
sensualita’, rappresentato da Don Giovanni; il desiderio trova attuazione e si realizza
nella conquista.
La figura del D.G. appartiene al mondo Medievale cristiano, dove emerge il dissidio
carne/spirito; l’opera di Mozart rappresenta il suo capolavoro in quanto esprime con la
musica il carattere demoniaco sensuale del personaggio, che desidera e conquista, ma
appena soddisfatto si ritrova a dover cercare qualche altro desiderio per non sfociare, anche
se sembra inevitabile, nella noia e disperazione.

Nella seconda parte dell’opera le “carte” parlano dell’”Assessore Guglielmo”, come


rappresentazione della vita ETICA, antitesi della estetica. → Se D. Giovanni vive nel
momento e la sua vita si riduce ad essere un insieme di momenti senza nesso tra loro (legge
della discontinuita’), Guglielmo prende la vita come impegno, con la decisione di vivere nel
tempo (legge continuita’).
Guglielmo conosce il dovere e la responsabilita’ e fa del suo meglio impegnandosi per
costruire una storia sempre più degna dell’uomo. Va a rivolgersi all’esteta cercando di
persuaderlo riguardo alla visione sul matrimonio: questo infatti e’ la rappresentazione della
serieta’ nella vita, ma non per questo la sbellisce, anzi la esalta attraverso la disciplina.
L’esteta al contrario brucia subito il piacere e conseguentemente consuma la propria
esistenza che termina nella noia e ripetizione, si smarrisce. Guglielmo rivolge così a Don Gio
l’invito della DECISIONE: non un compromesso, ma una SCELTA che e’ in grado di
annullare tutta la vita precedente. Da un lato con la speculazione ignora la liberta’ non
conoscendo la scelta, dall’altro la decisione etica e’ scelta consapevole e liberta’ per il futuro
→ Scacco dell’etica: Tuttavia neppure la decisione etica riesce davvero a salvarci, pk
appartiene infatti al tempo e non attinge all’eternita’. L’uomo etico arriva a perdere
consapevolezza della sua inadeguatezza al realizzare il dovere assoluto in quanto
peccatore.

Con la figura di Abramo viene raccontata da K. la vita RELIGIOSA.


Partendo dallo scacco dell'etica dove l’uomo si scopre e riconosce peccatore, K. definisce
come l’unica cosa che si possa fare sarebbe descrivere uno stato d’animo che precede il
peccato → prima del peccato c’e’ l’innocenza che deve essere intesa come ignoranza; il
divieto di mangiare il frutto proibito va a svelare all’uomo questa consapevolezza
dell’ignoranza e ugualmente di poter sapere. La consapevolezza di poter sapere porta poi
all’angoscia. [non ci e’ dato sapere come avviene il peccato o in cosa consiste].
Dall’angoscia nasce proprio il peccato, che direttamente genera altrettanta angoscia e
potrebbe spingere l’uomo fino alla malattia mortale, una sorta di disperazione fatale, il
demoniaco per eccellenza; tuttavia in un altro caso potrebbe avere una funzione educatrice,
conducendo l’uomo alla salvezza. L’angoscia infatti permette all’uomo di prendere coscienza
dei limiti della condizione umana: solo in virtu’ di questa consapevolezza si puo’ raggiungere
l’infinita’ e la salvezza attraverso la FEDE.
→ La figura di Abramo rappresenta questa seconda possibilita’ dove l’angoscia porta ad un
esito di salvezza attraverso la scelta di vita religiosa. Egli, anche se nell’incertezza sul futuro
e sulle conseguenze delle sue azioni, accetta di credere e di sperare l’impossibile: si
abbandona alla fede andando contro ogni ragione, senza sapere se effettivamente si sta
abbandonando ad una tentazione demoniaca o effettivamente a Dio.
K. sottolinea riguardo ad Abramo la sua SOLITUDINE principalmente: il credente e’ solo, e’ il
singolo. Il salto di fede viene affrontato nell’individualita’, attraverso una scelta di vita del
singolo che va contro alla razionalita’ verso il paradosso cristiano della fede in un Dio che si
e’ rivelato in un uomo misteriosamente.

Questo paradosso genera scandalo: il singolo deve scegliere appunto se credere


nell’uomo-Dio che scandalizza la ragione e anche nella questione della morte di
quest'uomo-Dio.

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