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Figura appartenente all’Ottocento, senza mai sentirsi pienamente compresa, in quanto dal
pensiero inattuale rispetto al periodo che vedeva brillare Hegel, Fichte e Schelling →
Risentimento particolare per questi, con i quali non condivide il modo di pensare; principale
antihegeliano, benestante, cosmopolita, ateo e abbastanza sempre solo nel corso della sua
vita (rifiutato molte volte).
La sua opera principale che ricordiamo fu pubblicata nel 1818, intitolata “Il mondo come
volontà e rappresentazione”
…come rappresentazione:
Partiamo innanzitutto col sottolineare che Sh. si dichiara apertamente l’unico erede della
filosofia kantiana, andando a screditare invece la filosofia di Fichte, Schelling ed Hegel. Kant
a suo parere e’ riuscito a dimostrare che il mondo e’, appunto, una nostra rappresentazione:
avremmo quindi a che fare con un mondo di fenomeni che a noi si pongono tramite le forme
a priori della sensibilità ed intelletto. → Secondo Sh. la prima delle forme a priori e la più
generale sicuramente si baserebbe sul quel rapporto inscindibile che esiste tra soggetto ed
oggetto. Da un lato il soggetto e’ la condizione sottintesa di ogni fenomeno/oggetto, ma
questo soggetto e’ conoscente solo tramite la presenza e rappresentazione di un
fenomeno/oggetto.
Le forme a priori che erano articolate in Kant, da Sh. vengono rivisitate: fonde l’intuizione
sensibile e l’intelletto e va a definirne tre, ovvero SPAZIO, TEMPO e CAUSALITÀ (“ogni
cosa che presuppone una determinata causa per poter esistere”, questo il senso specifico
del termine). Le prime due vanno invece a far riferimento al mondo prettamente
geometrico-matematico, “ogni spazio e momento sono in relazione ad altri”.
→ Tramite queste forme a priori l’intelletto lavora, andando ad elaborare in modo immediato
ed inconsciamente la sua rappresentazione di un fenomeno/oggetto verso l’esterno (appunto
nello spazio e tempo).
Le 3 forme a priori vanno a costituire il mondo fenomenico come un intreccio di relazioni tra
loro di oggetti e tra il nostro corpo.
Sh. ritiene che astrazione e giudizio siano propri solo della ragione, mentre invece la
conoscenza intellettuale sarebbe intuitiva ed immediata, precedente al linguaggio e alla
riflessione stessa. → Intuire un oggetto significa comprenderlo nel rapporto con un altro
oggetto; il mondo fenomenico obbedisce al principio di ragione sufficiente dove si dice che
nulla può esistere senza che ci sia un fondamento, Sh. definisce in una sua opera
conosciuta come “La quadruplice radice del principio di ragione sufficiente” proprio quelle
quattro radici secondo cui i fenomeni si associano casualmente tra loro [divenire (fenomeni
naturali), conoscere (legato al ragionamento logico), essere (nessi spazio-temporali) e agire
(azioni che rientrano nella sfera morale)]
Interpretazione delle forme a priori: uomo e animale sono possedenti intelletto, che varia di
acutezza e per possibilità di applicazione per gradi e più sali questi gradi più il mondo
rappresentato diventa articolato. Se allora le piante non hanno intelletto e sono quindi prive
di un mondo, si arriva alla comprensione che l’intelletto e’ fondamentale alla conservazione
della vita in rapporto con l’ambiente. → di fatto il mondo oggettivo diventa un semplice
fenomeno cerebrale.
L’animale si distingue dall’uomo per la ragione (il logos!!! Isocrate): ha infatti intuizioni
immediate ma non pensieri. Dalla ragione poi sorgono tanti altri concetti, come la logica, le
istituzioni sociali, religioni e filosofie… Ciò permette all’uomo di distaccarsi dalle intuizioni
dell’immediato presente, vivendo invece in un mondo fatto di simboli, di concetti che variano
dal presente al passato e al futuro e che lo allontanano dalla diretta esperienza, alla quale
invece gli animali sono costantemente sottoposti. L’animale di conseguenza a questo non
ha nemmeno in sé il concetto della morte che invece tormenta l’uomo. E a proposito di
concetti, questi vengono definiti di fatto un’astrazione dell’intuizione dell’intelletto, che ci
consentono di organizzare i dati in strutture più complesse senza che vengano persi.
→ Il potersi allontanare dall’intuizione ci dona potenza, ma dobbiamo ricordare anche che
aumenta il rischio di cadere nell’errore.
…come volonta’:
Sta alla filosofia secondo Sh. riuscire a cogliere l’essenza dell’uomo più intima, dove invece
la ragione e le scienze come abbiamo visto non possono arrivare: “la filosofia ha inizio dove
finiscono le scienze”. Nell’uomo sorge questa necessità di metafisica di fronte ai misteri sul
dolore e sulla morte che vanno oltre la comprensione.
Al contrario di come pensavano altri filosofi, la realtà in sé (che Kant aveva imposto di non
ricercare oltrepassando il mondo fenomenico) non può essere raggiunta da dentro la
Rappresentazione, pertanto non può il filosofo cogliere il senso del mondo solo
considerandosi come soggetto cosciente, ma c’e’ bisogno dell’esperienza corporea, che
Sh. aggiunge e da cui proprio parte per costruire la sua metafisica.
Sh va a definire una metafisica della natura partendo da questi concetti: metafisica della
natura come oggettificazione della volontà, che e’ a livelli, come lui ci espone. Al primo, ad
esempio, troviamo le IDEE: le concepisce “alla Platone” come eterne immutabili e universali
forme delle cose, anch’esse fuori dal principium individuationis, ognuna che rappresenta un
grado determinato di oggettificazione della V. e che si manifesta in un ambito corrispondente
di fenomeni.
→ L'unità della V. cosmica spiega l’armonia in tutte le parti dell’universo. Tuttavia si tratta di
un’armonia che non esclude affatto il conflitto, ma anzi si impone proprio attraverso una
LOTTA COSMICA che risulta incessante. La V. risulta presente, indivisa, in ciascuna idea e
fenomeno dove si va a manifestare come un impulso illimitato al volersi affermare contro le
pretese uguali di qualsiasi altra esistenza indipendente (si sviluppa qui poi il prevalere del più
forte sul più debole, legge della natura).
La V. risulta una tensione incessante verso qualcosa che deve appagare un bisogno, una
mancanza: questo desiderio insoddisfatto si identifica nel DOLORE, che allora diventa per
Sh. la naturale condizione originaria della vita dell’uomo. Invece, il PIACERE, ha
un’esistenza solo derivata e per forza negativa, pk di fatto, una volta raggiunto l'obiettivo e
ottenuto quel minimo di piacere, ciò che era stato a lungo desiderato diventa
automaticamente illusorio ed inconsistente. Da lì si riprende la corsa della vita verso nuovi
desideri e nuovi conseguenti dolori. → Tanto più il dolore e’ intenso quanto più
consapevolezza c'è, ovvero quindi la facoltà di sentire e soffrire: in questo l’uomo e’ il più
infelice, in quanto genio che possiede l’intelletto e così soffre di più.
Ma oltre al dolore, vi e’ un'esperienza classificata come ancora più temibile, ovvero la NOIA.
Ogni volta infatti che ci viene concessa una tregua dalla lotta per l’esistenza continua, dato
che i nostri bisogni risultano soddisfatti e quindi non ne abbiamo, sentiamo un vuoto e una
mancanza di significato nelle cose, sperimentiamo la noia di vivere.
L’esistenza degli uomini e’ quindi prevalentemente caratterizzata da un continuo oscillare tra
l’estremo del dolore e quello della noia, senza possibile felicità pk e’ illusoria.
Falsi idoli dell’ottimismo:
- Sh. a questo punto va a riflettere sul mondo dal punto di vista di cultura e società;
secondo lui filosofie e religioni rispondono a quello che e’ un “bisogno di redenzione”
dal momento in cui si ha esperienza del dolore e della morte. Le religioni,
“metafisiche del popolo”, si differenziano dalla filosofia in quanto tendono a travestire
la verità di forme mitiche che vanno poi ad alimentare le credenze e l’intolleranza.
Attacca invece la funzione prettamente consolatoria delle religioni che vanno ad
occultare il male nel mondo santificando invece l’esistenza: si tratterebbe di un
ottimismo superficiale che deve appagare quel puerile bisogno di sicurezza che
sentiamo dentro di noi.
→ Tuttavia si ritrova nelle religioni pessimistiche orientali (buddhismo e induismo) che
definiscono l’esistenza come COLPA e MORTE.
- Sarcasmo anche riguardo agli cosiddetti “idoli laici” del suo tempo, quali la fede nel
progresso e nel senso della storia in cui l’uomo cerca un modo per fuggire dal dolore:
la sua metafisica della V. va a destituire le illusioni, rivelando con sguardo
disincantato come la storia e la società mostrino ovunque e sempre violenza,
ingiustizia e sfruttamento.
- Esiste poi il concetto dello Stato, dove Sh. si allontana e va contro alle filosofie come
quella di Hegel: di base esiste una conflittualità perpetua tra gli egoismi individuali
che genera una lotta di tutti contro tutti, che viene limitata, arginata (attenzione, NON
fermata!!) dalla presenza dello Stato, che allora viene definito un male necessario,
che però non ha alcuna missione morale o pedagogica. La missione dell’uomo qui
NON si realizza nello Stato come pensa Hegel.
- Quando parliamo di illusione consolatoria facciamo riferimento non solo alla religione
ma anche secondo Sh. all’immagine idealizzata dell’AMORE che dovrebbe
testimoniare la spiritualità sublime dell’uomo. → in realtà ogni innamoramento
sarebbe legato esclusivamente all’istinto sessuale e l’individuo stesso sarebbe di
fatto uno strumento inconsapevole della Volontà di vita della specie.
- L’illusione dell’amore e’ solo un caso particolare della fiducia infondata nella libertà
umana e della trasparenza della coscienza: tutti i nostri atti sono di fatto governati da
un assoluto DETERMINISMO. Noi uomini presentiamo l’illusione di essere liberi
partendo dalla constatazione che ognuno reagisce differentemente, ma realmente tali
varietà si verificano perché nella specie umana c’e’ un’idea per ogni individuo, che va
a costituire il carattere INNATO di ciascuno → Cmq si e’ al di sotto della V.
Come uomini tendiamo a sentirci responsabili delle nostre azioni e questo esprime la
profondità metafisica di questo carattere innato che non e’ sottoposto alla causalità; il
carattere innato sembra rimandare alla misteriosa libertà di una scelta originaria fuori
dal tempo, come se il nostro essere fosse prescelto prima di nascere.
→ la nostra responsabilità allora riguarda l’essere pienamente ciò che siamo e non le
nostre singole azioni.
Riguardo alla coscienza: Sh va ad attribuire un ruolo determinante alle componenti inconsce
dell'attività psichica (spesso le nostre azioni sono giustificate da noi con motivi apparenti che
nascondono una realtà poco nobile). → NON e’ la V. ad obbedire alla coscienza ma il
contrario, infatti quest’ultima e’ un suo strumento che arriva ad illuminare il lavoro fatto (non
da lei): solo a “fatti compiuti” possiamo comprendere che genere di persone siamo.
[ elemento della follia che viene associato alla rimozione di alcune esperienze dolorose o
inaccettabili della vita da parte della coscienza → disturbo della memoria, processo
inconscio; ugualmente processo inconscio e’ il sogno]
- Uno dei pochi metodi che Sh. ipotizza nella sua metafisica pessimista per potersi
liberare dal dominio della V. e’ il piacere che non rappresenta un appagamento della
Vol. di vita, quello della CONTEMPLAZIONE ESTETICA. Con questa la conoscenza
non incontra più le cose solo come mezzi per appagare i desideri dell’io, ma riesce a
vederne l’essenza. Dove la scienza non può arrivare, arriva invece l’ARTE: questa
riesce a strappare l’oggetto della sua contemplazione dalla corrente che trascina le
cose nel mondo e lo pone davanti a se stesso. → Gli oggetti dell’arte sono soltanto
idee, non fenomeni e affinché il soggetto possa contemplarle, deve liberarsi dal
principium individuationis sprofondando nell’intuizione dell’idea: godimento estetico,
che di fronte ad un’opera d’arte o alla bellezza della natura, ci trasporta in un altro
mondo. Nella contemplazione estetica l’idea diviene oggetto puro e la stessa cosa
avviene anche con la filosofia.
L’artista o filosofo e’ definito il GENIO, che sa far tacere la Vol. e così raggiunge
l'oggettività assoluta: tuttavia c’e’ per Sh. un diretto parallelismo con genio e follia, in
quanto questi sono anche i più sensibili al dolore, condannati alla solitudine ed
incomprensione.
→ Esiste una gerarchia delle arti che rispecchia quella metafisica delle idee, al cui vertice si
trova la MUSICA: essa non esprime le idee ma la Vol. stessa, e’ immediata oggettificazione
della Vol. ; esprime in un linguaggio universale il “cuore delle cose”.
Kierkegaard
Personaggio caratterizzato nella vita da una profonda fede donatagli dal padre, con cui avrà
un rapporto difficile; lutti continui e assillo religioso. Sente una maledizione di Dio su di se’ e
per questo allontana le persone che ama.
La sua opera si basa essenzialmente su una riflessione legata all’esistenza e alla mortalita’
umana, con sottotematica riguardante le scelte che l’uomo deve affrontare nella vita, la
liberta’, la morte e l’angoscia dovuta a queste scelte. => esistenzialismo
Frequentemente fa ricorso a pseudonimi, che vanno a sostituire il suo vero nome nella
pubblicazione delle sue opere, e che vengono interpretati come uno sforzo di K. di ricerca del
proprio io; oppure, potrebbero essere la rappresentazione di molte possibilita’ a cui si
affaccia l’io nella sua esistenza; secondo alcuni, si tratta di un modo per dirigere il lettore alla
verita’ passando per degli inganni. Inoltre, vengono utilizzati da K. anche per definire una
posizione diversa dalla propria con la quale poi instaurare dei dialoghi e dibattiti.
Problema della verita’, ci sono in due modi alla quale porsi: maniera oggettiva, (hegel), dove
si riflette sulla verita’ come su un oggetto al quale il soggetto e’ in rapporto; maniera
soggettiva di K. , prevede il riflettere sul rapporto dell’individuo con la verita’. Nel primo caso
il sogg. si smarrisce, nel secondo il sogg. viene interpellato nella sua interiorità.
→ Oggettivita’ e soggettivita’ si distinguono anche per il modo di dubitare: nel primo caso si
tratta di un dubbio scientifico senza passione, che invece ritroviamo nel secondo caso di
dubbio. Il sogg. esistente e’ per K. infinitamente interessato all’esistenza ma anche
conoscente della sua finitezza: la vera soggettività e’ il modo in cui l'individuo si rapporta con
l’assoluto.
Da qui, con questa relazione individuata tra sogg. e assoluto, subentra la dialettica
dell’esistenza: il sogg. viene chiamato in causa e deve DECIDERE. Se con Hegel si ha una
dialettica dell’ et…et, quella esistenziale di K prevede un aut…aut, dove bisogna scegliere tra
le opzioni date. L’esistenza che si sceglie tra le infinite possibili preclude automaticamente le
altre una volta compiuta questa decisione. → La dimensione del singolo e’ fondamentale e K.
osserva come sia stata posta principalmente dal cristianesimo nella storia: esaltato il valore
del singolo contro il numero, che porta poi K. a disprezzare ampiamente le folle e la massa.
AUT AUT:
Proprio l’esistenza del singolo e’ la tematica di quest’opera, la più celebre di K; in apertura,
sotto pseudonimo di Victor l’Eremita, K. racconta come quest’opera sia il risultato di tante
carte da lui ritrovate, scritte dai cosiddetti “A” e “B” (Manzoni style). Attraverso l’analisi di
figure emblematiche, l’opera prospetta delle possibilita’ di esistenza: la vita ESTETICA e la
vita ETICA, che vanno poi a completarsi nella vita RELIGIOSA descritta in un’altra opera.
Tra le principali letture di K. troviamo il Faust, Don Giovanni e l’Ebreo errante: in queste tre
figure ritrova tre forme del demoniaco, ovvero modi in cui l’uomo va ad allontanarsi dalla
salvezza chiudendosi in se stesso (brama di potere, desiderio carnale, rifiuto della salvezza).
Nell’opera queste tre figure convergono in quella del Don Giovanni, che viene utilizzato da
K. per rappresentare la vita estetica, individuandolo quindi come ESTETA (tema della
sensualita’ come possibilita’ di vita). L’esteta individuato come colui che vuole godere della
massima libertà e vuole vivere al meglio ogni istante (carpe diem), anche se poi presto si
rende conto delle limitazioni di quell’esistenza.
Ripreso dall’opera omonima di Mozart, Don Giovanni e’ il risultato di una costruzione di vari
“stadi” che K. individua in altri personaggi di altre opere del musicista, che sembrano appunto
condurre alla figura di D.G. alla fine.