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CRISI DELL’UOMO E DELLA SOCIETA’

INTRODUZIONE
I primi decenni del Novecento sono stati caratterizzati da un diffuso senso di crisi, di vuoto
e di precarietà che interessò, in modo particolare, alcune esperienze artistiche e letterarie
del tempo.
Ciò che caratterizza questo periodo è la perdita di quei valori su cui si fondavano la
società e la cultura ottocentesca: ideali, certezze e fiducia nel progresso che sono venuti
meno causando una frattura tra l'uomo contemporaneo ed i valori di una società in cui i
cambiamenti sono riconducibili alla crisi del positivismo. (=>movimento filosofico e
culturale ispirato ad alcune idee guida fondamentali riferite in genere all'esaltazione del
progresso e del metodo scientifico che nasce in Francia nella prima metà dell'800 e che si
diffonde nella seconda metà del secolo a livello europeo e mondiale. Il positivismo non si
configura dunque come un pensiero filosofico organizzato in un definito sistema come
quello che aveva caratterizzato la filosofia idealista ma piuttosto come un movimento per
certi aspetti simile all'Illuminismo, di cui condivide la fiducia nella scienza e nel progresso e
per altri affine alla concezione romantica della storia). Questa crisi ha segnato il fallimento
della scienza, ritenuta dai positivisti un infallibile mezzo di conoscenza della realtà, che
non era stata in grado di dare risposte riguardo le cause profonde dell'esistenza, mettendo
in luce quindi i limiti della conoscenza scientifica e della rappresentazione razionale ed
oggettiva della realtà.
Questa situazione provocò quindi nell'uomo una crisi dei valori e la perdita delle certezze
su cui si fondava la società del tempo, che scontava il declino di quella filosofia che aveva
fornito le giustificazioni ideologiche ad esse.
Ci troviamo di fronte ad una crisi dell'individuo, il quale si sente spogliato di ogni illusione e
smarrito nei confronti di una realtà non più pienamente conoscibile.
FILOSOFIA
Schopenhauer già nel titolo della sua più importante opera “Il mondo come volontà e
rappresentazione” ci dà l’indicazione di partenza di tutta la sua concezione: essa si basa
sul duplice aspetto che la realtà assume a seconda che sia considerata in sé (Volontà) o
per l’uomo (Rappresentazione). Considerata in sé, la realtà è essenzialmente Volontà,
cioè volontà di vivere, di esserci, di affermarsi e di esistere; energia cieca e immotivata
che si realizza e muove ogni fenomeno. Anche l’uomo, come tutti gli altri esseri ne è
posseduto. Ogni uomo, in quanto specificazione della Volontà, si sente "ego assoluto" e in
quanto tale inappagato e inappagabile. In lui la volontà vorrebbe tutto mentre la realtà gli
dà ben poco. Fragile e precario, sperimenta ogni momento la propria insoddisfazione e,
come trascinato, sposta le sue mete e i suoi desideri ancora avanti fino a che la morte
porrà fine a questa assurda fatica di esistere.
E’ una visione di contrasti costruita in modo tale che sia il nulla sia la vita e la sua
inesausta energia sembrano, in un rapporto di negazione reciproca, esaltarsi a vicenda. In
tale visione vi è rappresentato il nulla nella sua radicale irrazionalità, ma vi è rappresentata
anche la vita in quel suo immotivato presente che sempre si offre e senza scopo si
rinnova.
Allora egli prende invece in considerazione la realtà non più in sé ma quale all’uomo
appare, scrive ne “Il mondo come volontà e rappresentazione”:
["Il mondo è una mia rappresentazione… E quando l’uomo sia venuto di fatto a tale
coscienza, lo spirito filosofico è entrato in lui. Allora egli sa con chiara certezza di non
conoscere né il sole né la terra ma soltanto un occhio che vede un sole e una mano che
sente il contatto di una terra; egli sa che il mondo circostante non esiste se non come
“rappresentazione".] DA LEGGERE
Ciò comporta due ordini di conseguenze di cui il primo è l’evidente svalutazione della
realtà empirica e con essa della scienza e della tecnica, e il secondo è l’affermazione di un
aspetto nuovo dell’io inteso ora non più come pulsione vitale (mondo come Volontà) ma
come capacità rappresentativa.
Si apre a questo punto uno scenario che è stato poi recepito ben nel profondo dell’anima
contemporanea. Secondo tale modo di sentire, gli oggetti sono creature dell’io e se l’io non
ci fosse, nemmeno gli oggetti, in quanto sue rappresentazioni, ci sarebbero.
Questa negazione della realtà del mondo ha per fine la liberazione del soggetto e il
ritrovamento della sua autenticità. Questa liberazione tuttavia non dà luogo a energie
nuove ma, all’opposto, a un senso di debolezza, di estraneità, di inettitudine e malattia, i
quali termini si ritrovano poi puntualmente nelle opere e nei personaggi di quegli autori che
in un modo o nell’altro si richiamano al pensiero di Schopenhauer.
Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione kantiana tra fenomeno
e cosa in sé. Per Kant il fenomeno è l'unica realtà accessibile e il noumeno è un concetto
limite che serve a ricordare all'uomo i limiti della conoscenza; per Schopenhauer, invece, il
fenomeno è parvenza, illusione, sogno, ovvero ciò che nell'antica sapienza indiana era il
"velo di Maya ", mentre il noumeno è una realtà che si nasconde dietro l'ingannevole
trama del fenomeno, e che il filosofo ha l'obbligo di scoprire. Mentre per il criticismo
kantiano il fenomeno è l’oggetto della rappresentazione ed esiste fuori dalla coscienza, il
fenomeno di Schopenhauer è una rappresentazione che esiste solo all'interno della
coscienza.
La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inscindibili: soggetto rappresentante e
oggetto rappresentato. Essi esistono solo all'interno della rappresentazione e nessuno dei
due può sussistere senza l'altro: quindi il materialismo è falso perché nega il soggetto
riducendolo all'oggetto, ed è parimenti falso l'idealismo perché nega l'oggetto riducendolo
al soggetto.
La nostra mente agisce secondo tre forme a priori: spazio, tempo e causalità. Poiché, per
Schopenhauer, le forme a priori sono paragonabili a vetri sfaccettati attraverso cui si
deforma la visione delle cose, la rappresentazione è ingannevole: ma al di là
dell’apparenza della realtà fenomenica esiste la verità, sul quale l’uomo non può fare a
meno di interrogarsi, perché l’uomo è animale metafisico.
Schopenhauer si presenta come il continuatore della filosofia di Kant, perché è sicuro di
avere individuato la via d'accesso alla realtà noumenica, possibilità che veniva negata
nella "Critica della ragion pura". Se noi fossimo solamente conoscenza e
rappresentazione, sostiene Schopenhauer, non potremmo mai uscire dal mondo
fenomenico, cioè dalla rappresentazione esclusivamente esteriore di noi e delle cose;
ma poiché noi siamo dati a noi stessi non solo come rappresentazione ma anche come
corpo, noi non ci limitiamo a vederci dal di fuori, ma ci vediamo anche dal di dentro.
Questa esperienza di ripiegamento su noi stessi ci permette di afferrare l'essenza
profonda del nostro io, ossia la cosa in sé del nostro essere: la volontà di vivere, cioè
l’impulso alla vita. Il nostro stesso corpo non è altro che la manifestazione fenomenica
della volontà di vivere.
L' intero mondo fenomenico non è altro che la maniera attraverso cui la volontà si
manifesta nella rappresentazione: da qui il titolo della più importante opera di
Schopenhauer: "Il mondo come volontà e rappresentazione “.
Schopenhauer apre una polemica contro l'ottimismo cosmico che caratterizza buona parte
delle filosofie e delle religioni occidentali. Questo schema di pensiero interpreta il mondo
come un organismo perfetto, provvidenzialmente governato da un Dio oppure da una
Ragione immanente (Hegel). Questa visione risulta essere palesemente falsa, perché la
vita è un’esplosione di forze irrazionali e il mondo è il luogo di dolore, illogicità e
sofferenza. Tutto ciò si verifica non solo nella natura, ma anche nella società, dove vige
secondo Schopenhauer, la legge della giungla. Quindi un mondo governato da un Dio e la
realtà di un mondo caotico e malfatto sono in aperta contraddizione.
Un' altra menzogna contro cui si scaglia il filosofo tedesco è l'ottimismo sociale, cioè la tesi
della bontà e socievolezza dell'uomo. Se si va oltre le illusioni che gli adolescenti hanno
sulla realtà, si può osservare, secondo Schopenhauer, che la regola di fatto dei rapporti
umani è il conflitto e il tentativo di sopraffazione reciproca. Ciò sarebbe testimoniato dalla
malcelata soddisfazione del nostro istinto egoistico rispetto alle disgrazie altrui. Se gli
uomini vivono in comunità, ripete Schopenhauer riprendendo Hobbes, non è per simpatia
o congenita socievolezza, ma soprattutto per bisogno. Lo Stato con le sue leggi è stato
eretto non tanto per un’intrinseca eticità dell’uomo, ma solo per la necessità di difendersi e
di regolamentare gli istinti aggressivi degli individui.
Ultimo ottimismo contro cui si scaglia Schopenhauer è l'ottimismo storico, che caratterizza
non solo l'idealismo romantico, ma tutta la cultura dell’800. Per il filosofo, gli storici, a furia
di studiare gli uomini, finiscono per perdere di vista l’uomo o per cadere nell' illusione che
gli uomini mutino davvero di epoca in epoca. Ma se siamo in grado di guardare oltre le
apparenze, non si può fare a meno di scoprire, in accordo con la saggezza orientale, che il
destino dell’uomo presenta caratteri immutabili.
Affermare che l’essere è la manifestazione di una Volontà infinita significa dire, secondo
Schopenhauer, che la vita è necessariamente dolore. Infatti volere significa desiderare, e
desiderare significa essere in uno stato di tensione, per la mancanza di qualcosa che non
si ha e si vorrebbe avere. Essendo l’uomo l’essere con la volontà più cosciente e quindi
più desiderante, egli risulta destinato a non trovare mai un appagamento totale.
Con questa affermazione Schopenhauer afferma che l’appagamento della volontà è
brevissimo rispetto alle infinite esigenze dell’uomo, perché il desiderio appagato dà
sempre luogo a un nuovo desiderio. Ciò che gli uomini chiamano godimento e gioia è
nient' altro che cessazione di dolore, ossia l’uscita da una precedente situazione di
tensione, che ne è la condizione indispensabile.
Perché vi sia piacere vi deve essere stato necessariamente dolore, non è vero il contrario,
perché vi può essere una lunga catena di dolori senza che questi siano preceduti da
altrettanti piaceri: sintetizzando, con le parole di Schopenhauer, "non v' è rosa senza
spine, ma vi sono tante spine senza rose “.
Accanto al dolore, che è la realtà durevole, e al piacere, che è qualcosa di breve,
Schopenhauer pone come terza condizione esistenziale la noia, che subentra quando
viene meno il desiderio oppure il dolore. Quindi il filosofo conclude che " la vita umana e
come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia, passando attraverso
l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia “.
Poiché la volontà, che è un desiderio inappagato, si manifesta in tutte le cose, allora il
dolore non riguarda solo l’uomo, ma tutte le creature. Se l’uomo soffre di più, è
semplicemente perché, avendo maggiore consapevolezza, sente di più il pungolo della
volontà. Per lo stesso motivo il genio soffrirà di più dell’uomo comune, perché " chi
aumenta il sapere moltiplica la sofferenza “. Così Schopenhauer perviene ad una delle
concezioni più pessimistiche di tutta la storia del pensiero, ritenendo che il male non sia
solo nel mondo, ma nel Principio stesso da cui dipende. In questa vicenda irrazionale della
vita, l’individuo appare soltanto uno strumento per la specie; al di là del breve sogno
dell’esistenza individuale, l’unico fine della natura sembra essere quello di perpetuare la
vita, e con essa, il dolore.
Testimonianza di quest' unico interesse della Natura, è riscontrabile, per Schopenhauer,
nella manifestazione dell’amore. Il fine dell’amore, o lo scopo per cui esso è voluto dalla
Natura, è l’accoppiamento - procreazione; ciò vuole dire che l’individuo è il burattino della
Natura proprio nell' atto in cui pensa di realizzare maggiormente il proprio godimento e la
propria personalità: prova dell’essenza biologica dell’amore, è per Schopenhauer, la triste
constatazione che la donna, dopo aver procreato e allevato i figli, perde ben presto
bellezza e attrattiva. Per il filosofo non c' è amore senza sessualità tant'è che in un passo
dal sapore prepsicoanalitico scrive che " ogni innamoramento, per quanto etereo voglia
apparire, affonda sempre le sue radici nell' impulso sessuale “. Per queste ragioni l’amore
viene sentito inconsapevolmente come peccato e vergogna, perché esso commette il più
grave dei delitti, cioè la perpetuazione di creature destinate a soffrire. L' amore, per
Schopenhauer, non è altro che " due infelicità che si incontrano, due infelicità che si
scambiano, e una terza infelicità che si prepara “.
Schopenhauer afferma che la vita è dolore, e che l’esistenza, in virtù del dolore che la
costituisce, risulta tal cosa che si impara poco per volta a non volerla. Si potrebbe quindi
pensare che il pensiero di Schopenhauer porti ad una filosofia del suicidio universale;
invece il filosofo rifiuta il suicidio per due motivi:
o Perché " il suicidio, lungi da essere negazione della volontà, è invece un atto di
forte affermazione della volontà stessa ", in quanto " il suicida vuole la vita ed è solo
malcontento delle condizioni che gli sono toccate”;
o Perché il suicidio uccide solo una manifestazione fenomenica della Volontà di
vivere, lasciando intatta la cosa in sé, che pur morendo in un individuo rinasce in
mille altri. Per Schopenhauer la risposta al dolore del mondo sta non nel suicidio
ma nella liberazione dalla Volontà di vivere; questo processo salvifico avviene in tre
tappe: l’arte, la morale e l’ascesi.
L' ARTE
Per Schopenhauer, è conoscenza libera e disinteressata che si rivolge alle idee, cioè alle
forme pure delle cose. Per questo suo carattere contemplativo e per questa sua capacità
di muoversi nel mondo delle forme eterne, l’arte sottrae l’individuo alla catena dei bisogni e
dei desideri quotidiani: di conseguenza l’arte, secondo Schopenhauer, risulta catartica per
eccellenza perché l’uomo, grazie ad essa, più che vivere contempla la vita, elevandosi al
di sopra della volontà, del dolore e del tempo, anche se per breve tempo.
Tipo di arte più profonda ed universale è la musica capace di metterci a contatto con le
radici stesse della vita e dell’essere, questa infatti si pone come immediata rivelazione
della volontà a se stessa.
L' ETICA DELLA PIETÀ
La morale, per Schopenhauer, è un tentativo di superare l’egoismo e di vincere la lotta
interminabile degli individui tra di loro, che costituisce un’ingiustizia ed è una delle
maggiori cause di dolore. Pur riconoscendo, come Kant, che la morale deve essere
disinteressata, per Schopenhauer essa non nasce da un imperativo categorico dettato
dalla ragione, ma da un sentimento di pietà attraverso cui sentiamo come nostre le
sofferenze altrui. Quindi la pietà non nasce da una logica astratta, ma dall' esperienza
vissuta, che ci accomuna agli altri e permette di identificarci con i loro tormenti. La pietà si
concretizza nelle virtù cardinali della giustizia, il primo freno all’egoismo che ha un
carattere negativo poiché consiste nel non fare a gli altri ciò che non vorremmo fosse fatto
a noi, e della carità, che ha un carattere positivo poiché consiste nel fare del bene al
prossimo.
L' ASCESI
Essa nasce dall'orrore dell'uomo per quella Volontà di cui egli è manifestazione
fenomenica, è l’esperienza per la quale l’individuo, cessando di volere la vita ed il volere
stesso si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere, di volere. La
soppressione della Volontà è l’unico atto di libertà concesso all'uomo: quando si raggiunge
questo obiettivo non si raggiunge l'estasi, come accade per il misticismo cristiano, ma
l’esperienza del nulla, cioè di negazione del mondo stesso.
// Il Novecento è un secolo che raccoglie e sviluppa la crisi di fine Ottocento. Cambia
radicalmente il modo di porsi dell’uomo di fronte alla realtà e rispetto ai suoi simili.
In filosofia Nietzsche non aderisce a nessuno dei sistemi e delle diramazioni filosofiche del
1800. La fine dell’800 coincide con la fine della filosofia pura e Freud, padre della
psicoanalisi, dà via allo sviluppo delle scienze umane, ossia di un sapere organizzato
scientificamente avente per oggetto l’uomo. Mentre Freud va alla ricerca della crisi
dell’uomo analizzando le cause interiori e psicologiche, Nietzsche sostiene che il disagio
dell’uomo nasce da fuori.
Il pensiero di Nietzsche è caratterizzato da una radicale messa in discussione della civiltà
e della filosofia dell’Occidente, che si traduce nella distruzione delle certezze del passato.
Il libro fondativo di Nietzsche è “Nascita di una tragedia” nel quale il motivo centrale è la
distinzione tra apollineo (tutto ciò che richiama Apollo, ed è quindi equilibrato, misurato,
composto, ovvero razionalità) dionisiaco (ciò che richiama Dioniso, cioè l’abbandono
sensuale, perdita di controllo, mancanza d’equilibrio, e quindi predominio dell’irrazionalità).
Questi due modelli convivono in modo equilibrato fino all’affermazione del razionalismo di
Socrate che segna il trionfo dell’apollineo sul dionisiaco: la storia dell’Occidente è il
dominio inarrestabile e incontrastato del modello apollineo. Nietzsche afferma che con
l’avvio del dominio dell’attività razionale umana è iniziata la mortificazione della vita, e
contro tale processo di decadenza propone il recupero convinto di Dioniso attraverso una
dimensione di autoascolto ed espressività di sé. Il filosofo tedesco annuncia la volontà di
potenza, vale a dire la volontà di provare la forza naturale che è in me, di esprimere la
creatività immediata, la pienezza vitalistica del mio corpo. Ciò che troviamo nella civiltà
occidentale è la negazione della volontà di potenza; l’Occidente è una civiltà di valori,
etica. Tutto ciò che è prodotto dall’Occidente comporta un controllo dell’esistenza e
coincide con l’avvilimento e la mortificazione della vita. Il corpo dell’uomo è colonizzato da
un mondo di valori, limiti e barriere che non promuove, non stimola, né entusiasma la vita.
L’origine e il fine dell’esistenza umana è Dio, come principio di valori. Dio rappresenta la
personificazione delle varie certezze metafisiche, morali e religiose elaborate dall’umanità
per dare un senso plausibile ed un ordine rassicurante al caos della vita e del mondo.
Tutto ciò che è dionisiaco è infatti percepito dall’occidente come degenerazione,
smarrimento, orrore. Chi recupera dentro di sé la volontà di potenza non può aderire al
valore. Il nichilismo è la nullificazione dei valori, che non coincide con la distruzione dei
valori, ma significa uscire dalla dimensione dei valori. Su questa base di nihilismo c’è il
nihilismo attivo, che coincide con la morte di Dio, ossia il fatto che qualsiasi variazione di
valore non riguarderà più la mia esistenza (c’è il rifiuto di Dio come vertice dei valori). Tutto
questo è il quadro fondativo dell’oltre uomo che percepisce come la vita non possa
coincidere con un valore; l’oltre uomo è colui in grado di accettare la dimensione
dionisiaca della vita, di reggere la morte di Dio e la perdita di certezze assolute, di porsi
come volontà di potenza e procedere oltre il nichilismo. L’oltre uomo è enormemente
distante dall’uomo occidentale in quanto riesce a dire sì all’istante; questa è la completa
smentita della logica occidentale secondo cui esiste una gerarchia di momenti, l’assoluto
sbriciolamento del finalismo. Il presente non è un passaggio per arrivare in futuro a
qualcosa di migliore. Il dire sì all’istante è l’affermazione dell’eterno presente: ogni
momento attuale è pienamente vita, e sacrificare un momento di vita con la convinzione
che ciò che viene dopo sarà migliore è un distruggere la vita.
Mentre Nietzsche studiò la crisi dell’uomo su base filosofica, ricercando le cause del male
nella società e trovando come soluzione quella di cambiare il rapporto uomo-civiltà, Freud
studia i mali dell’uomo su base scientifica e, sviluppando le scienze umane, giunge alla
conclusione che il disagio dell’uomo è da ricercare dentro la sua psiche; Freud scoprì che
la causa delle psiconevrosi è da ricercarsi in un conflitto tra forze psichiche inconsce,
ossia operanti al di là della sfera di consapevolezza del soggetto, i cui sintomi risultano
quindi psicogeni, cioè non derivano da disturbi organici bensì da traversie della psiche
stessa. La scoperta dell’inconscio segna l’atto di nascita della psicoanalisi. La psicanalisi è
un punto di svolta importante: viene abbandonata la farmacologia e la logica meccanicista
della medicina tradizionale. La psicanalisi mira a ricostruire la genealogia della persona e
non si fonda su un casualismo; essa non ha un punto d’arrivo perché parte dall’oggi e
procede a ritroso fino all’infanzia, che è il nucleo in cui si sviluppa la personalità del
paziente; altro momento ritenuto importante dalla psicanalisi è l’adolescenza perché è
durante quel periodo che si ha lo svincolarsi da punti di riferimento parentali e la
costruzione di propri punti di riferimento. Un'altra novità è rintracciabile nel rapporto
medico-paziente: il medico non valuta, né fa un’analisi diretta del malato, ma cerca di
indurre quest’ultimo ad esprimere i motivi fonte del disagio; la persona non è più il
destinatario passivo della terapia (come nella medicina comune in cui il medico dice e il
paziente ascolta e segue i suoi consigli) ma diventa essa stessa colei che si "cura" e che
vuole "guarire". Freud dichiara che il disagio di un uomo è dovuto alla mancanza di
armonia tra i tre livelli in cui si articola la psiche: es, io, super-io. Per ricostruire la
genealogia del disagio si deve studiare il subconscio, e l’unico mezzo per conoscere
l’elaborazione psichica inconscia dell’uomo è la psicanalisi: attraverso le libere
associazioni mentali, e l’interpretazione dei sogni (il mondo onirico svincolandosi dal
controllo della coscienza elabora senza alcun finalismo ed è quindi una miniera per
conoscere gli elementi psichici mantenuti inconsci dalla rimozione) lo psicanalista cerca di
ricostruire ciò che non va e scoprirne le cause, per poi riequilibrare le forze psichiche in
conflitto. Freud identifica due grandi famiglie di disagi psichici: le nevrosi (sono le fissazioni
di una persona che ha sempre bisogno di punti di riferimento; il nevrotico non ha
mancanza di coordinamento ma di armonia: il soggetto mantiene il contatto con la realtà,
sa di avere qualcosa che non va, ma non riesce a capire il perché e, a parte qualche
disturbo, per il resto conduce una vita "normale") e le psicosi (è la scissione della
personalità: non c’è più il coordinamento né la consapevolezza dei rapporti tra le
componenti della psiche; l’individuo non ha più coscienza della gravità del suo male ed ha
perso il contatto con la realtà. La schizofrenia è la più tipica delle psicosi e comporta una
scissione della personalità che non si riassorbe; l’Io è sbriciolato, ed Es e Super-io sono in
conflitto tra loro). // DA LEGGERE
ITALIANO
Italo Svevo ha le sue radici culturali nella Trieste di fine secolo, che è una delle realtà
italiane più vive, in quanto soggetta alla cultura mitteleuropea.
In questo clima di veloce e radicale mutazione degli epistemi classici l'uomo sente come
inadeguati i tentativi di porre un ordine alla realtà ma se l'uomo disorientato che si affaccia
al nuovo secolo spesso è alla ricerca di un pensiero che lo rassicuri, Svevo procede
invece nella direzione inversa, cioè mette il coltello nella piaga, inchiodando l'uomo a
un'immagine di sé che non è gradevole osservare (ed è forse questa la causa dell'iniziale
disinteresse del pubblico per i suoi romanzi).
La figura principale che caratterizzerà tutta la sua produzione letteraria è infatti l'inetto,
cioè colui che è inadatto, incapace di vivere instaurando rapporti normali con altri individui.
L'inetto si sente sempre in una situazione di disagio interiore e non riesce mai a sentirsi in
pace con se stesso e con gli altri; è un uomo abbozzato, nel quale nessuna parte è
completamente sviluppata e proprio per questo è capace sempre di cambiare.
Nella Trieste di fine '800, Svevo individua le radici dell'inettitudine nella declassazione
sociale e nell'interesse per la cultura umanistica.
Infatti, in un'epoca in cui il motore della società sono il capitalismo e il profitto, chi non è
capace di spendersi in campo economico e preferisce attività letterarie non può che
risultare un emarginato.
I protagonisti dei romanzi di Svevo sono infatti degli “inetti”, egli non si limita soltanto a
ritrarre una condizione psicologica, ma sa anche individuare acutamente le radici sociali
della debolezza e dell’impotenza dinanzi alla vita tipica dei suoi personaggi.
In una prima fase del suo pensiero, Svevo giudica negativamente la figura dell'inetto
perché vede in lui l'incapacità di dare un senso alla propria vita, di realizzare i propri
progetti. Legati a questa visione sono i primi due romanzi di Svevo: Una Vita e Senilità.
Alfonso Nitti, protagonista di "Una vita ", è un intellettuale costretto a lavorare come
impiegato in banca, non riesce a essere una persona forte e virile, come richiederebbe la
società borghese triestina, i cui unici valori sono il profitto e la produttività, è incapace di
approfittare della situazione e lo dimostra non sposandosi.
Non aderendo ai canoni richiesti dal mondo esterno, Alfonso si rifugia nella vocazione
letteraria, che ritiene simbolo di una superiorità spirituale.
Questa esigenza di costruirsi una realtà alternativa gratificante non fa altro che mettere in
evidenza la coscienza dell'inetto, una coscienza caratterizzata da autoinganni e
contraddizioni che lo porterà al suicidio.
Se in "Una vita" prevale un'indagine sociale sulla tipologia umana dell'inetto, nel secondo
romanzo "Senilità" l'attenzione si sposta sulla realtà psicologica: il protagonista Emilio
Brentani è un piccolo borghese che ha paura di affrontare la realtà e per questo decide di
rinunciare al godimento e di mortificare la propria vita.
Emilio vive in un rapporto quasi simbiotico con la sorella Amalia, che viene vista quasi
come una figura materna; questo comportamento mette dunque in risalto una forte
immaturità psicologica perché Emilio è rimasto ancorato a una fase senile dell'evoluzione
psichica.
In entrambi i romanzi assistiamo allo stesso schema del confronto dell'inetto con un suo
antagonista, che ne mette in maggior risalto la condizione malata.
Macario in "Una vita" e Balli in "Senilità" sono infatti personaggi sicuri di se stessi, che
agiscono decisi e raggiungono sempre i loro obiettivi, a scapito di Alfonso ed Emilio che
rispetto a loro sembrano inermi, incapaci di qualsiasi affermazione di volontà.
Dopo i primi due romanzi, da cui emerge dunque l’interesse nel tratteggiare l’identità di un
nuovo tipo di uomo, Svevo passa un lungo periodo di astinenza dalla scrittura, forse anche
per il suo momentaneo insuccesso tra il pubblico.
Dopo un ventennale silenzio, Svevo si ripropone al pubblico con la sua opera
fondamentale, cioè " La coscienza di Zeno ". Questo terzo romanzo mostra una grande
coerenza di temi con i due precedenti, in quanto Zeno è fondamentalmente fratello di
Alfonso Nitti ed Emilio Brentani.
Zeno Cosini, ricco e malato immaginario di infinite malattie, giunto alla vecchiaia scrive la
propria autobiografia per soddisfare i desideri dello psicanalista che lo ha in cura.
Il tema principale del romanzo non è tanto la vita di Zeno, quanto piuttosto la storia della
sua malattia, cioè la resistenza a ogni tipo di salute.
Zeno infatti abbandona quasi subito la psicanalisi perché la ritiene una cura che ha la
presunzione di portare alla guarigione totale; inoltre non accetta il tipo di salute che gli
presenta la società in cui si trova a vivere, cioè la salute dei componenti di casa Malfenti.
Nel suo tentativo di arrivare alla consapevolezza di sé, Zeno scopre che la differenza tra
salute e malattia consiste nel fatto che il sano non analizza la sua malattia mentre il malato
non fa che pensarci continuamente.
Zeno comprende che la realtà psichica è ben più complicata di quanto si pensi, che la
volontà è un carattere effimero e inconsistente, che non esistono certezze assolute, non
c'è una verità: per questo l'uomo deve continuamente riflettere su sé stesso, nella
consapevolezza che ciò possa portare all’inettitudine. Questa mancanza di certezze porta
all' incapacità di realizzarsi, di scegliere una strada piuttosto che un’altra.
Essendo conscio di questa sua incapacità alla vita normale, Zeno decide di affiancarsi a
persone "sane", come Augusta, guidate da una sicurezza totale sul senso del reale e della
vita.
Nel descrivere Augusta Zeno rappresenta se stesso in antitesi, contrapponendo la
presunta salute della moglie alla propria malattia e mostrando come il confine tra sano e
malato sia molto labile.
Zeno, ritenendosi malato, ha sempre creduto che la sua fosse una situazione individuale,
isolata, perciò ha sempre cercato di raggiungere la salute; successivamente, quando si
ritrova a guardarsi indietro, Zeno si accorge di quanto malate siano in realtà le convinzioni
che sostengono un comportamento sano e di come sia "atroce quella salute che non
analizza se stessa e neppure si guarda allo specchio ".
Zeno arriva così alla conclusione che la sua nevrosi non sia un caso raro, ma abbia radici
storiche legate ad una male morale che investe l'intera società cui appartiene: Zeno
diventa così metafora della crisi dell'uomo contemporaneo, una crisi acuita dalla lucida
consapevolezza della propria condizione.
La stessa struttura narrativa del romanzo è metafora della concezione sveviana della
realtà, che non esiste come oggettiva conoscenza, ma è frutto di una narrazione in cui il
soggetto fa emergere certi aspetti ed attribuisce loro un certo senso, un valore arbitrario.
La realtà esterna dipende da quella interna dell’uomo, poiché è solo un’attribuzione di un
senso relativo: Lo Zeno che scrive nel presente, durante la cura psicanalitica, ricostruisce
ed interpreta lo Zeno del passato.
Il relativismo è sottolineato anche dal tono umoristico usato per mettere in evidenza sia gli
autoinganni costruiti dallo Zeno passato per evitare le decisioni, sia quelli inventati dallo
Zeno scrivente, per non vedere tutto quello che il suo passato potrebbe rivelargli, per
camuffarsi e presentarsi onorevolmente all'analista.
ROMANZI
UNA VITA
Il titolo originale è “Un inetto”. Narra la vicenda di Alfonso Nitti, impiegato presso la ditta
Maller, con una certa cultura umanistica e ambizioni di scrittore. Egli vive in una camera in
affitto e soffre per la monotonia e lo squallore della propria esistenza. L’occasione di
cambiare gli si offre quando Annetta, figlia del suo principale, consigliata dal cugino
Macario, prima invita Alfonso a partecipare alle serate letterarie che tiene in casa propria,
poi lo sceglie per scrivere un romanzo insieme.
Alfonso riesce a sedurre Annetta, ma si accorge ben presto di non provare nella relazione
quella gioia che lui immaginava. Così fugge al paese natale col pretesto di assistere la
madre malata (che poi scoprirà davvero malata e che morirà). L’assenza gli è fatale:
Annetta, stufa di aspettarlo, si è fidanzata con Macario.
Al suo ritorno, Alfonso è invaso dalla gelosia. In ditta viene osteggiato e punito col
trasferimento ad un incarico meno redditizio. A questo punto, perde il controllo della
situazione: affronta il Maller con vaghe minacce, cerca di rivedere Annetta con l’unico
risultato di vedersi respinto e sfidato a duello dal fratello di lei. Prima del duello si suicida.
SENILITA’
E’ il racconto dell’avventura amorosa del trentenne Emilio Brentani con Angiolina. Egli è
un impiegato che gode, in ambito cittadino, di una certa fama letteraria e che si duole di
aver sprecato (e non aver goduto) tanta parte della vita. Vorrebbe vivere come fa lo
scultore Balli, suo amico, il quale compensa l’insuccesso artistico con un grande successo
personale, specie con le donne. L’avventura con Angiolina diventa sempre più importante
per Emilio, anzi ogni bassezza e tradimento di lei non fanno altro che farlo affezionare di
più. La sorella di Emilio, Amalia (non più giovane, e non bella), è preoccupata per il
fratello. Intanto, sia Angiolina che Amalia si innamorano del Balli. Emilio tenta di
allontanare Angiolina e la sorella da lui, ma ci riesce solo nel secondo caso. Amalia però
cerca l’oblio nell’etere. Emilio si allontana dalla sorella morente in seguito all’ennesimo
tradimento di Angiolina, ma poi ritorna da lei e la assiste fino alla morte.
LA COSCIENZA DI ZENO
Il terzo e più importante romanzo di Svevo è costituito dalla confessione autobiografica
che il protagonista, Zeno Cosini, ricco commerciante triestino, scrive su invito del suo
psicanalista. L’opera è composta da otto capitoli, e procede per temi e non per
successione cronologica. Il primo capitolo è una prefazione dello psicanalista S., che
dichiara i motivi per i quali pubblica le memorie di Zeno: per vendicarsi del paziente, che si
è sottratto alla cura togliendo al medico il frutto dell’analisi; il secondo è un breve
preambolo di Zeno alle proprie memorie. I capitoli dal terzo al settimo sono le sue
memorie vere e proprie, che si fingono scritte prima della terapia. Il capitolo tre parla del
vizio del fumo: Zeno narra di come abbia contratto il vizio e di come abbia cercato di
liberarsene, ma soprattutto di come questo vizio sia divenuto per lui un alibi per crogiolarsi
nella propria condizione di malattia. Il capitolo quattro narra la morte del padre; Zeno ha
sempre avuto con lui un rapporto difficile, fino all’ultimo, quando il padre malato, prima di
morire, in un sussulto forse inconsapevole, schiaffeggia Zeno, che ne prova vergogna e
rimorso.
Il capitolo cinque narra la storia del suo matrimonio. Zeno frequenta la casa di Giovanni
Malfenti, che inconsciamente vede come un secondo padre, e conosce le sue quattro
figlie, tra cui ammira la bella Ada. Quando scopre che sposandone una diverrebbe quasi
un figlio del Malfenti (e ne deriverebbe la sicurezza che cerca) decide di innamorarsi di
Ada e le fa la corte; conosce anche Guido Speier, fidanzato di Ada, che gli appare un
uomo dotato di perfetta salute e sicuro di sé (al contrario di lui).
Dopo varie vicende, una sera chiede la mano di Ada, ma viene respinto; quindi in rapida
successione chiede la mano di Alberta, con uguale risultato, e quella di Augusta, cui
confessa le precedenti richieste: questa accetta. Il capitolo sei narra le vicende di vari anni
di matrimonio ed in particolare il rapporto con Augusta, che rappresenta per lui la salute
personificata e che perciò scopre di amare, e quello con Carla, sua amante; a lei si lega
con un rapporto contraddittorio, oscillando tra il gusto e il peccato, il senso di colpa e i
propositi di redenzione. Quando però Carla lo lascia, egli fa di tutto per impedirlo, finché è
costretto a rassegnarsi. Il capitolo sette racconta la storia di un’associazione commerciale
in collaborazione con Guido, divenuto nel frattempo marito di Ada: l’impresa è fallimentare,
perché il “perfetto” Guido negli affari è un inetto, tanto da arrivare alla perdita del capitale.
Guido è costretto ad inscenare un primo finto suicidio per ottenere soldi dalla famiglia della
moglie, e poi un secondo, che però finisce casualmente in tragedia. Zeno cerca in tutti i
modi di aiutare e consigliare Guido (mostrandosi più accorto di lui) e dopo la morte di
questi, giocando in borsa, riguadagna quasi tutto il capitale perso dal cognato. Ada
interpreta la vincita di Zeno come un atto di ostilità verso la memoria del marito. Il capitolo
ottavo è un diario, tenuto da Zeno dopo la terapia, in cui sono esposte fra l’altro anche le
ragioni della sua interruzione: il protagonista dichiara di voler abbandonare la terapia
psicoanalitica, incapace di restituire all’uomo la salute.
In ambito letterario un autore che ha espresso in maniera esemplare il vissuto delle
persone e i rapporti sociali in un mondo senza più le certezze di un tempo è certamente
Luigi Pirandello.
I testi narrativi e drammatici di Pirandello presentano delle tematiche che sono molto
innovative e che si distaccano dalle credenze comuni. In primo luogo alla base del mondo
pirandelliano vi è una concezioni vitalistica del mondo, che vede la realtà non più come
una entità definita e statica ma come un continuo fluire di eventi, come un eterno divenire
che viene paragonato da lui ad un flusso di magma vulcanico.
Tutto ciò che si stacca da questo fluire prende una forma ben definita e comincia a
irrigidirsi e comincia pian piano a morire. Così avviene anche per l’identità di ogni uomo.
Infatti noi non siamo altro che una parte indistinta di questo perpetuo scorrere della vita
ma tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, a fissarci in realtà che noi stessi ci
formiamo, in personalità statiche e coerenti. In verità però questa realtà in cui ci
racchiudiamo non è altro che un illusione che proviene dalla nostra visione soggettiva del
mondo che ci impedisce di assaporare a pieno la vita lasciandone una parte nel buio. Non
solo noi però ci fissiamo delle forme, ma anche ognuno degli altri individui che incontriamo
per strada, che conosciamo, che sono nostri amici, a loro volta ci danno delle forme anche
molto diverse da quella fissata da noi stessi, dandoci delle sfaccettature differenti a
seconda di chi ci osserva. Sotto queste forme però non rimane altro che un volto
indefinito, in continuo movimento, dunque non rimane nulla di fermo ma tutto è un
continuo cambiamento di stati, per cui un istante dopo non siamo più quello che eravamo
prima. Infatti se la realtà è magmatica, in continuo divenire, essa non si può fissare in
schemi e moduli d’ordine totalizzanti, onnicomprensivi. Ogni immagine globale che
pretenda di sistemarla organicamente non è che una proiezione soggettiva. Il reale è
multiforme, polivalente, non possiede una prospettiva privilegiata da cui osservarlo; al
contrario, le prospettive possibili sono infinite. Caratteristico è dunque il radicale
relativismo conoscitivo di Pirandello, in cui non si dà una realtà o un identità fissata a
priori. Ognuno ha la sua verità, che nasce dal suo modo soggettivo di osservare le cose.
Ne consegue una evidente difficoltà di comunicazione fra gli uomini, i quali non possono
intendersi perché ognuno fa riferimento alla realtà con il suo punto di vista differente da
quello altrui. Questa incomunicabilità accresce il senso di solitudine dell’individuo che
capisce di non essere rilevante e di non rappresentare nulla. La realtà, quindi, non è più
una totalità organica, ma si sfalda in una pluralità di frammenti che non hanno un senso
complessivo. Il particolare non si nota essendo semplicemente una particella isolata per
l’assenza di un Tutto. Non resta dunque che prendere atto di questa incoerenza del senso
del reale. Questa apertura porta Pirandello in un clima tipicamente novecentesco. Così
avviene per il soggetto. Il Romanticismo, come successivamente il Decadentismo, poneva
l’io al centro del mondo identificando il soggetto con il mondo stesso. Per Pirandello
questo è impossibile, perché il soggetto si annulla in un insieme di stati incoerenti e da
entità assoluta diviene sostanzialmente “nessuno”. Lo scrittore influenzato anche dalla
psicologia di Binet sulle alterazioni della personalità, il quale era convinto che nell’uomo
coesistessero più persone, condusse dunque una critica forte al concetto di “identità” a cui
era legata la tradizione filosofica precedente. Senza punti di riferimento l’io si frantuma, si
disgrega, perde la sua consistenza, si sfalda naufragando nella perdita di ogni certezza.
Questa teoria della frantumazione dell’io si afferma storicamente nella società
novecentesca in cui vive Pirandello, in cui sono presenti forze che tendono proprio alla
negazione dell’individuo. Questo infatti è il periodo dell’affermarsi di teorie economiche e
produttive che portano alla spersonalizzazione dell’uomo tramite l’espandersi della grande
industria e dell’uso delle macchine che non fanno altro che rendere meccanizzato l’uomo
(Cfr la caricatura fattane nel film “Tempi moderni” con Charlie Chaplin); la creazione di
immensi apparati burocratici che annullano l’individuo in quanto tale, riducendolo alla sua
pura funzione esteriore; il nascere delle nuove metropoli che alienano l’uomo, riducendolo
a una parte isolata in una massa anonima. L’idea classica dell’uomo creatore di se stesso
con una propria identità e struttura che aveva dominato nella civiltà ottocentesca tramonta
all’avvento di queste nuove realtà che portano l’io a perdersi e a indebolirsi. Pirandello
diventa quindi uno dei più importanti interpreti di questa crisi nella propria letteratura. Infatti
la presa di coscienza di questa inconsistenza dell’io provoca nei personaggi pirandelliani
smarrimento e dolore. Il capire di non essere nessuno, l’impossibilità di consistere in un
identità, provoca angoscia e orrore e genera un senso di solitudine tremenda. Viceversa
l’individuo soffre anche perché rimane fissato in forme in cui non si riconosce ma che lo
tengono intrappolato senza via d’uscita. Queste forme, quindi rappresentano un carcere
che imprigiona l’uomo come un cappio sul collo, a cui l’individuo si oppone cercando di
rompere le sbarre. La società appare dunque come un “enorme gabbia” che isola
irreparabilmente l’uomo dalla vita, conducendolo alla morte anche se egli materialmente è
vivo. Quando l’individuo si accorge si questo inizia a rifiutare la vita sociale, dando luogo
ad una delle più emblematiche figure pirandelliane:”il forestiere della vita”, che rappresenta
colui che ha preso coscienza del carattere del tutto fittizio del sistema sociale e si esclude,
si isola, guardando vivere gli altri dall’esterno della vita, dall’alto della sua superiore
consapevolezza, rifiutando di assumere la sua parte, osservando gli uomini imprigionati
dalla trappola con un atteggiamento di irrisione e di pietà. Da questo visione complessiva
del mondo scaturisce la concezione dell’arte e la poetica di Pirandello enunciate nel 1908
dal suo saggio “L’umorismo”. L’opera d’arte secondo Pirandello nasce dal libero
movimento della vita interiore; la riflessione che tradizionalmente al momento della
concezione rimane nascosta, nell’arte umoristica diventa parte integrante del sentimento
analizzandolo e scomponendolo. Nasce qui “il sentimento del contrario” che è l’elemento
caratteristico e innovativo della poetica umoristica. Lo scrittore propone un esempio
“Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e
poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che
quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe
essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione
comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la
riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a
pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché
pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a
trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più
riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre
a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del
contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza
tra il comico e l’umoristico. “(L’umorismo,1908)
La riflessione coglie così il carattere molteplice e contraddittorio della realtà, permette di
vederla da diverse prospettive contemporaneamente. Se coglie il ridicolo di una persona,
di un fatto, ne individua anche il fondo dolente, di umana sofferenza, e lo guarda con pietà;
o viceversa, se si trova di fronte al serio e al tragico, non può evitare di far emergere
anche il ridicolo. In una realtà multiforme e polivalente, tragico e comico vanno sempre
insieme, il comico è come l’ombra che non può essere mai disgiunta dal corpo del tragico.
Nel saggio, Pirandello afferma che l’umorismo si trova nella letteratura di tutti i tempi, ma
in realtà la definizione che viene data rispecchia fedelmente soprattutto l’arte
contemporanea nata dalla grande crisi novecentesca. Si tratta di un arte riflessa, sempre
accompagnata da una lucida consapevolezza di se stessa, che si strania nel suo farsi, che
non può mai coincidere interamente con una prospettiva univoca, ma deve sempre vedere
l’oggetto anche dal punto di vista opposto. E’ un arte che non costruisce immagini
armoniche, unitarie e ordinate del mondo, ma tende a scomporre, a disgregare, a fare
emergere le incoerenze e i contrasti. E’ l’arte moderna per eccellenza perché riflette la
coscienza di un mondo non più ordinato ma frantumato, in cui non vi sono più prospettive
privilegiate e punti di riferimento fissi, ma solo ambiguità e contraddizioni laceranti. E’ un
arte volutamente critica, che dissolve i luoghi comuni e le abitudini di pensiero radicate,
costringendo a vedere la realtà da prospettive inedite, stranianti, capaci di far saltare i
comodi e rassicuranti sistemi di certezze
INGLESE
La società umana è intrinsecamente legata alle questioni dell'identità individuale e del
funzionamento collettivo. L'opera letteraria di George Orwell, «1984», offre un affascinante
spaccato di una società totalitaria immaginaria in cui l'individuo è sottomesso e oppresso
dallo Stato. La contestualizzazione storica e l'elaborazione concettuale dell'opera «1984»
di George Orwell sono fondamentali per comprendere le radici della crisi dell'uomo e della
società che l'autore ha rappresentato. Nel corso del XX secolo, il mondo fu segnato da
eventi come le due guerre mondiali, l'ascesa del totalitarismo, la diffusione dei regimi
autoritari e l'avanzamento delle tecnologie di sorveglianza.
Tutti questi fattori influenzarono la visione di Orwell e plasmarono il suo romanzo «1984».
Orwell era profondamente preoccupato per la crescita del regime stalinista in Unione
Sovietica e per l'espansione del nazismo in Germania. Queste ideologie totalitarie
rappresentavano una minaccia per la libertà individuale, l'autonomia e il libero pensiero.
L'elaborazione concettuale di «1984» ruota attorno a temi come il controllo, la
manipolazione, la sorveglianza e la perdita dell'individualità.
Orwell si preoccupava della crescente centralizzazione del potere e dell'assenza di privacy
e libertà nella società moderna. «1984» di George Orwell è un romanzo distopico
pubblicato nel 1949 che offre un'analisi acuta e profetica sulla natura del potere, il
controllo statale e la perdita dell'individualità.
Il protagonista, Winston Smith, è un cittadino del Partito dominante che lavora nel
Ministero della Verità, il cui compito è riscrivere la storia per adattarla alle narrazioni del
regime. Winston è stanco della vita oppressiva e priva di libertà che conduce e cerca di
ribellarsi contro il governo autoritario. La sua ribellione si manifesta attraverso la sua
relazione con Julia, un altro membro del Partito, e attraverso il suo interesse per la storia e
la verità nascoste.
Una delle principali caratteristiche di "1984" è la figura del Grande Fratello, il leader
supremo che rappresenta l'autorità onnipresente e invasiva. Il Grande Fratello simboleggia
il controllo totale dello Stato sulla vita dei cittadini, monitorando costantemente le loro
azioni tramite i teleschermi e diffondendo propaganda per manipolare il pensiero e
l'opinione pubblica.
Nel romanzo l'individuo è costantemente monitorato e controllato, e il Partito esercita
un'oppressione costante sulla sfera privata e sulla libertà di pensiero. La sorveglianza di
massa, attraverso i teleschermi e gli agenti del pensiero, fa sì che ogni azione e ogni
pensiero siano costantemente osservati e valutati. Così l'individuo perde la sua intimità e
la sua sfera privata e ciò porta all'auto-censura e alla repressione delle emozioni e dei
desideri personali. L'individuo si sente costantemente sotto pressione, senza alcuno
spazio per esprimere la propria individualità o per connettersi autenticamente con gli altri.
In definitiva, "1984" ci ricorda l'importanza della libertà, della verità e della responsabilità
individuale. L'opera di Orwell continua a ispirare e ad avvertire le generazioni successive
sulla necessità di preservare la dignità umana, l'autonomia e la possibilità di un pensiero
critico e indipendente.
TRADUZIONE
Human society is intrinsically linked to issues of individual identity and collective
functioning. George Orwell's literary work, "1984", offers a fascinating insight into an
imaginary totalitarian society in which the individual is subjugated and oppressed by the
state. The historical contextualization and conceptual elaboration of George Orwell's work
"1984" are essential for understanding the roots of the crisis of man and society that the
author represented. During the 20th century, the world was marked by events such as the
two world wars, the rise of totalitarianism, the spread of authoritarian regimes and the
advancement of surveillance technologies.
All these factors influenced Orwell's vision and shaped his novel «1984». Orwell was
deeply concerned about the growth of the Stalinist regime in the Soviet Union and the
expansion of Nazism in Germany. These totalitarian ideologies posed a threat to individual
freedom, autonomy and free thought. The conceptual elaboration of «1984» revolves
around themes such as control, manipulation, surveillance and the loss of individuality.
Orwell worried about the growing centralization of power and the absence of privacy and
freedom in modern society. "1984" by George Orwell is a dystopian novel published in
1949 that offers an acute and prophetic analysis on the nature of power, state control and
the loss of individuality.
The protagonist, Winston Smith, is a citizen of the ruling Party who works in the Ministry of
Truth, whose job is to rewrite history to fit the narratives of the regime. Winston is tired of
his oppressive life without freedom and tries to rebel against the authoritarian government.
His rebellion is manifested through his relationship with Julia, another Party member, and
through his interest in history and hidden truths.
One of the main features of "1984" is the figure of Big Brother, the supreme leader who
represents the omnipresent and invasive authority. Big Brother symbolizes total state
control over citizens' lives, constantly monitoring their actions via television screens and
spreading propaganda to manipulate public thought and opinion.
In the novel, the individual is constantly monitored and controlled, and the Party exerts
constant oppression on the private sphere and freedom of thought. Mass surveillance,
through telescreens and thought agents, ensures that every action and every thought is
constantly observed and evaluated. Thus the individual loses his intimacy and his private
sphere and this leads to self-censorship and the repression of personal emotions and
desires. The individual feels constantly under pressure, with no space to express their
individuality or to authentically connect with others.
Ultimately, "1984" reminds us of the importance of freedom, truth and individual
responsibility. Orwell's work continues to inspire and warn successive generations of the
need to preserve human dignity, autonomy and the possibility of independent and critical
thinking.
INFORMATICA
Viviamo in un'era in cui la connettività pervade ogni aspetto delle nostre vite e la
cybersecurity, è diventata un elemento essenziale per la nostra società. L'essere umano è
profondamente interconnesso con la tecnologia, ma questa interconnessione ci rende
vulnerabili ad attacchi esterni e minacce virtuali che possono mettere a rischio non solo i
nostri dati, ma anche mettere in crisi la nostra stessa esistenza. La nostra società, fondata
sui pilastri della libertà e dell'autonomia, è minacciata dai cybercriminali che mirano a
sfruttare le debolezze del nostro sistema digitale. Queste minacce possono mettere a
repentaglio non solo la nostra privacy, ma anche le nostre istituzioni, le infrastrutture e la
stabilità economica.
Innanzitutto, bisogna fare una distinzione tra safety e security:
-Safety si occupa della salvaguardia della salute e all’integrità fisica
-Security invece si interessa di proteggere qualcosa dall’intervento da parte di
malintenzionati
Quindi, security significa protezione contro chi ci vuole male.
Al giorno d’oggi c’è un’interconnessione dei dispositivi fisici attraverso Internet, anche
quelli di uso comune come lampadine, forni a microonde, frigoriferi, sono connessi alla
rete e acquisiscono una propria identità digitale. Per intendere ciò si una un neologismo,
cioè, L’internet delle cose. Tuttavia, nonostante quest’ultimo apre le porte a un mondo di
opportunità, dobbiamo anche riconoscere i rischi associati a questa crescente
interconnessione perché come per ogni cosa, anche questo ha un lato oscuro, perché con
l’internet delle cose non si rischia, per esempio, solamente di farsi rubare dati o soldi dal
conto bancario ma si può rischiare anche la vita. Questo perché non sempre chi progetta
apparati per la safety si occupa anche di security, quindi utensili come il pacemaker o altri
che sono prettamente utilizzati per la salvaguardia della salute ma comunque connessi
alla rete, possono essere facilmente manomessi da remoto e portare problemi gravi,
perché sono prettamente safe e poco secure. La sicurezza nell'Internet delle cose è un
fattore cruciale da considerare, poiché il numero di dispositivi connessi continua a
crescere esponenzialmente ma nonostante questa interconnessione offra una comodità
senza precedenti, allo stesso tempo crea una superficie di attacco più ampia per i
malintenzionati. Una delle principali preoccupazioni è la protezione dei dati. Gli oggetti
connessi alla rete raccolgono una vasta quantità di informazioni personali, come le nostre
abitudini di consumo, i nostri modelli di utilizzo e persino i dati medici e quindi, la raccolta
di questi dati da parte dell'Internet delle cose può sollevare preoccupazioni legate alla
privacy e alla libertà individuale. La libertà individuale implica il diritto di mantenere il
controllo sulle proprie informazioni personali e di decidere come e quando vengono
condivise e questo può portare a un'erosione della privacy se tali dati vengono utilizzati in
modo non autorizzato o se vengono raccolti senza il consenso esplicito dell'utente.
Inoltre, se i dati personali vengono utilizzati in modo improprio o se cadono nelle mani
sbagliate, possono verificarsi conseguenze negative significative. Ad esempio, i dati
medici potrebbero essere utilizzati per scopi di discriminazione o estorsione, o le
informazioni personali potrebbero essere utilizzate per scopi di sorveglianza e controllo.
Inoltre, l’internet delle cose può anche portare a una certa fragilità della società, perché se
i dispositivi vengono compromessi da attacchi informatici o da violazioni della sicurezza,
possono verificarsi interruzioni dei servizi critici o violazioni della sicurezza fisica. In
conclusione, la protezione dei dati nell'IoT è cruciale per preservare la privacy e la libertà
individuali, e dall'utilizzo improprio dei dati personali e garantire la sicurezza e quindi
garantire la stabilità della società nel suo complesso.
SCIENZE
I terremoti sono eventi naturali di grande potenza e imprevedibilità, possono avere un
impatto significativo sulla vita degli individui e sulla società nel suo complesso. Sebbene i
terremoti siano fenomeni geologici possono portare a una crisi umana, perché le persone si
trovano a fronteggiare la perdita di case, beni e legami sociali. La necessità di affrontare
l'emergenza e il processo di ricostruzione può mettere a dura prova le risorse e le capacità
delle comunità colpite.

La verità è che, sebbene la superficie terrestre sembri molto solida e statica, al di sotto è
molto attiva. Si può definire come terremoto un improvviso scuotimento del suolo causato
dal passaggio di onde sismiche attraverso il sottosuolo. Le onde sismiche vengono
prodotte quando una qualche forma di energia immagazzinata nella crosta terrestre viene
rilasciata improvvisamente, di solito quando masse di roccia che si sforzano l'una contro
l'altra si fratturano e "scivolano".
I terremoti sono il risultato di movimenti improvvisi lungo faglie all'interno della Terra. Il
movimento rilascia l'energia di "deformazione elastica" accumulata sotto forma di onde
sismiche, che si propagano attraverso la Terra e fanno tremare la superficie del suolo. La
Terra è composta da quattro strati fondamentali: una crosta solida, un mantello caldo,
quasi solido, un nucleo esterno liquido e un nucleo interno solido.
La crosta solida e lo strato superiore e rigido del mantello costituiscono una regione
chiamata litosfera. La litosfera non è uno strato continuo che avvolge l'intera Terra come
un guscio d'uovo. In realtà è composto da giganteschi pezzi di puzzle chiamati placche
tettoniche. Le placche tettoniche si spostano costantemente mentre si spostano sullo
strato viscoso, o che scorre lentamente, del mantello sottostante.
Il perché avvengono questi movimenti tettonici oggi non è ancora chiaro al 100 per cento e
ci sono varie teorie in proposito; una delle più accreditate e plausibili è quella dei
movimenti convettivi, secondo cui le placche sarebbero spinte da delle specie di «correnti»
nel mantello. Si tratterebbe di movimenti circolari di materiale roccioso, detti appunto
«correnti convettive», o «moti convettivi».
Questo movimento continuo provoca una sorta di ‘stress’ sulla crosta terrestre e quando le
sollecitazioni diventano troppo grandi, porta a crepe che vengono comunemente chiamate
faglie. Una faglia non è altro che una vera e propria rottura di una porzione della crosta
terrestre.
Per capire a pieno questo concetto bisogna immaginare un lembo di terra attraversato da
una faglia normale. Prima che avvenga l’attivazione di una faglia, questo lembo di terra
non presenta alcuna deformazione; nel caso contrario, invece, è come se si venisse a
formare uno scalino che è la conseguenza del movimento di una faglia.
Il fenomeno che ha creato questo scalino è concettualmente semplice: un lembo di terra,
dove gli strati rocciosi sono sottoposti a grossi sforzi tettonici, a un certo punto si spacca
letteralmente, creando di conseguenza un piano di rottura, dove uno dei due lembi di terra
si muove su o giù rispetto all’altro. Nel caso del contesto estensionale si formano
generalmente le cosiddette «faglie normali»; al contrario, in contesti compressivi, si
formano quelle che in gergo vengono chiamate «faglie inverse».
Quando una faglia si muove, si libera una quantità di energia enorme che si propaga nelle
rocce attraverso le onde sismiche, le quali, a loro volta, arrivando in superficie, generando
i terremoti.
In sintesi, un terremoto è l’effetto dell’attivazione di una faglia, che a sua volta è l’effetto di
uno scontro o di una separazione tettonica. Esiste anche un terzo tipo di faglie, chiamate
«trascorrenti», il cui movimento è principalmente orizzontale, per cui non crea «scalini».
Anche loro generano terremoti; e la faglia più famosa del mondo è quella di Sant’Andrea in
California.
I terremoti sul pianeta Terra si concentrano principalmente lungo i bordi delle placche
tettoniche o, per meglio dire, lungo i margini di placca. Cioè lì dove avvengono gli «scontri
tettonici» o le «separazioni tettoniche».
Il punto sotterraneo dal quale si sviluppa un terremoto, che sicuramente sarà sul piano di
faglia, prende il nome di ipocentro e la sua profondità può variare da poche centinaia di
metri a circa 700 km. Le onde sismiche vengono da qui sprigionate in ogni direzione e le
due principali tipologie vengono definite longitudinali e trasversali. Le onde longitudinali
(anche dette “P” di “prime”) sono di tipo compressivo, come le onde acustiche in aria, e
sono le più veloci di tutte. Le onde trasversali (anche dette “S” di “seconde”) sono invece
onde di taglio, più lente delle P e non capaci di propagarsi in un liquido.
Le prime onde ad essere avvertite sono le “P”, seguite a ruota dalle onde “S”. Tramite
conteggio del tempo tra onde P ed S è possibile capire quanto è distante un terremoto dal
sismografo che lo ha registrato, pur non avendo informazioni sulla direzione dalla quale è
arrivato. Per ricavare quest’ultimo dato vengono correlati i dati di diverse stazioni (almeno
tre) di rilevamento e, tramite un processo di triangolazione, si risale all’area corrispondente
all’epicentro del sisma.
I terremoti si classificano solitamente in base alla loro intensità o alla loro magnitudo –
rispettivamente quantificate tramite la scala Mercalli e la scala Richter. La classificazione
basata sui danni, dunque quella dell’intensità, è legata alla distruzione che comporta un
terremoto in una determinata area. Mercalli, come illustrato nell’immagine in basso, definì
12 livelli, con grado di distruzione crescente.
La scala Mercalli non è necessariamente legata a quella Richter: se un sisma molto forte
(es. grado della scala Richter 8) si verifica in mezzo al deserto non provoca né vittime né
danni a edifici, perciò avrà un valore sulla scala Mercalli molto basso. Contrariamente, un
terremoto relativamente debole potrebbe far crollare edifici e causare vittime: in quel caso
il grado di scala Mercalli sarebbe comunque elevato.
La magnitudo è invece la misura dell’effettiva forza di un terremoto, calcolata tramite
rilevatori disposti sul territorio, i cosiddetti sismografi. Questo valore non è collegato ai
danni che provoca il sisma ma semplicemente all’energia che viene sprigionata durante
l’evento. La scala che misura la magnitudo è la scala Richter. In realtà non ha un limite
superiore; i valori più alti mai registrati si aggirano intorno al 9.
Ricordiamo che la scala Richter è logaritmica per cui tra un grado e il successivo c'è una
differenza di circa 30 volte in quanto a energia liberata. In altre parole un terremoto con
magnitudo 4 è circa 30 volte più forte di uno con magnitudo 3.
Da un punto di vista strumentale, la misura della magnitudo viene fatta tramite i sismografi.
Il loro funzionamento è piuttosto intuitivo: un foglio di carta scorre sotto ad un pennino che
traccia una linea continua. Quando si verificano delle scosse il pennino oscilla e tanto più
forte sarà il sisma, quanto più ampia sarà l’oscillazione del tratto di penna. Questi
strumenti sono ormai totalmente digitali, permettendo una raccolta dati più rapida ed
efficiente.
Il risultato è un sismogramma, ovvero un grafico che riporta le variazioni di oscillazione
prima, durante e dopo il sisma. Le prime onde che vengono registrate sono le P, quelle più
veloci, seguite a ruota dalle onde S e dalle superficiali L.
Il luogo in cui inizia un terremoto è chiamato epicentro ed è il sito dove la scossa si sente
in modo più forte.
MATEMATICA

Nel contesto della crisi dell'uomo e della società, la matematica può offrire un'analisi delle
discontinuità che si verificano nei sistemi sociali, politici ed economici. La matematica studia
i cambiamenti e le trasformazioni attraverso la nozione di funzione, che può essere continua
o presentare punti di discontinuità.

Un punto di discontinuità in una funzione rappresenta un'interferenza o un'interruzione nella


sua regolarità. Nella società, le discontinuità possono manifestarsi come momenti di crisi,
conflitti sociali, cambiamenti improvvisi nelle dinamiche economiche o politiche. Questi punti
di discontinuità possono generare effetti a catena e avere conseguenze significative sulle
persone e sulla società nel suo complesso.

Si dice che la funzione f(x), definita in tutti i punti di un intervallo [a, b], è continua nel
punto c (interno a questo intervallo), se risulta: lim f(x) = f(c)
x->c
La funzione è continua in un punto c appartenente al dominio se:
 lim f (x) è uguale a un numero finito
x->c

 esiste finito il lim f(x)


x->c

 risulta lim f(x) = f(c)


x->c

Proprietà delle funzioni continue:


 TEOREMA DI WEIERSTRASS: la funzione ammette un minimo assoluto e un massimo
assoluto; (massimo assoluto: è un numero che all’interno dell’insieme dei valori assunti
dalla funzione non viene superato da nessun numero dell’insieme; minimo assoluto: è un
numero che all’interno dell’insieme non è maggiore di nessun altro numero dell’insieme)
 TEOREMA DEI VALORI INTERMEDI: la funzione assume ogni valore compreso tra il
suo minimo m e il suo massimo M.
 TEOREMA DELL’ESISTENZA DEGLI ZERI: se in due punti dell’intervallo la funzione
assume valori di segno opposto, esiste almeno un punto tra questi in cui la funzione è
nulla.

Sia f(x) una funzione definita in un insieme A e c un punto di accumulazione per A.


Si dice che f(x) ha un punto di discontinuità in x=c, se f(x) non è contenuta nel punto x=c.
DISCONTINUITA’ ELIMINABILE: si dice che c’è un punto di discontinuità eliminabile per
una funzione f se la funzione ammette limite finito.
DISCONTINUITA’ DI PRIMA SPECIE: si dice che c’è un punto di discontinuità di prima
specie per una funzione f se, la funzione ammette limite destro e limite sinistro finiti e
diversi tra loro.
DISCONTINUITA’ DI SECONDA SPECIE: si dice che c’è un punto di discontinuità di
seconda specie per una funzione f se, in x=c, uno dei due limiti della funzione è infinito o
non esiste.

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